HARVARD UNIVERSITY. LIBRARY OF THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY. i) AAA Sr (WAVE v\G\0} NNO ù v ATTI DELLA ACCADEMIA GIORNIA DI SCIENZE NATURALI IN CATANIA ‘sea 0. ANNO LXXIH 1896 3929 | gati da i SERIE QUARTA VOLUME EX - CATANIA COLI ‘LIPI DI Cr GALATOLA — - n "1996 ASIEL DELLA ACCADEMIA: GIORMA DI SCIENZE NATURALI IN CATANIA ANNO « La 1896 SERIE SUTARTLCA VNOLUME: 4 CATANIA COL:-TIPI DIC: GALATOLA 1896. 'ARICHE ACCADEMICHE PER L'ANNO 1896 UFFICIO DI PRESIDENZA ZURRIA Comm. Prof. GIUSEPPE— Presidente SCIUTO-PATTI Cav. Prof. CARMELO— Vice Presidente BUCCA Prof. LORENZO— Segretario Generale VICE-SEGRETARII ARADAS Prof. SALVATORE—Segretario della Sezione di Scienze Naturali RICCÒ Cav. Prof. ANNIBALE— Segretario della Sezione di Scienze fisico-matematiche. CONSIGLIO D' AMMINISTRAZIONE BERRETTA Cav. Uff. Prof. PAOLO ARDINI Prof. D.r GIUSEPPE PENNACCHIETTI Prof. GIOVANNI FICHERA Prof. Cav. Uff. FILADELFO CAFICI Rev. P. GIOVANNI- Cassiere RONSISVALLE Prof. Cav. MARIO— Bibliotecario. SOCII EFFETTIVI . TORNABENE cav. prof. FRANCESCO . ZURRIA comm. prof. GIUSEPPE . CAFICI rev. p. GIOVANNI . BERRETTA cav. uff. prof. PAOLO . SCIUTO-PATTI cav. prof. CARMELO . ARDINI prof. GIUSEPPE . TOMASELLI comm. prof. SALVATORE . CLEMENTI cav. uff. prof. GESUALDO . ORSINI FARAONE prof. ANGELO . RONSISVALLE cav. prof. MARIO . BASILE prof. GIOACHINO 12. CAPPARELLI prof. ANDREA . MOLLAME prof. cav. VINCENZO . ARADAS prof. SALVATORE 5. DI SANGIULIANO Marchese gr. utt. ANTONINO . AMATO prof. cav. DOMENICO . UGHETTI prof. cav. GIAMBATTISTA . FICHERA cav. uff. prof. FILADELFO 19. CHIZZONI prof. FRANCESCO 20, FELETTI prof. RAIMONDO 21. PENNACCHIETTI prof. GIOVANNI 22. PETRONE cav. prof. ANGELO 23. RICCÒ cav. prof. ANNIBALE 24. CURCI prof. ANTONIO 25. BUCCA prof. LORENZO 26. GRIMALDI prof. GIAN PIETRO 27. GRASSI CRISTALDI prof. GIUSEPPE 28. DI MATTEI prof. cav. EUGENIO 29. CONDORELLI prof. ANTONINO dh _ So Do 0a Sì UO a VI N (E O' È» VI i HH 90 1 SD Memoria I. Sui parametri differenziali Nota di G. PENNACCHIETTI, I. Pongo: ui 0° V SY a A?V= gr se e siano p,, pr, ... pi DUOVE variabili legate alle %,, x.,...x,da rela- zioni date. Sia inoltre : dx; dx, da, e== SL AI A: ’ ep dpr pn dx: dae dx, dpi 4 dps i dpn dxn CCn Xn N dp,” dp. ÀPn dx, } ai 2 dre Î an = | 3 —- x dp. ! dpi dp, _ 921 dx, ds dx: > dxn den a de Op: d po do, dpr Si avrà : PX = ATI , U2 gce00 Un ’ Az} A22, «000 Gan i Uniz Anzz ce Ann ATTI Acc., Vol. IX, SERIE 48 — Memoria I. 2 Sui parametri differenziali sicchè, se le a,, sono funzioni date di p,, p»,... pn, il determinante funzionale D sarà pure una funzione conosciuta di p,, ps; ... pa. Sia A, il reciproco dell’ elemento a,, di questo determinante ; sia A il determinante reciproco dello stesso determinante D’, cioè : A _ An, Ap 30000 Ain Aa ’ Ao gusseo Han An Anz, coro Ann è ì i . dr “i ; i Sia X,, il reciproco di de nel determinante D e sia D, il s determinante reciproco del determinante D cioè, si ponga : D; _ Da , Aso qossso Ain Xu 9 Xoo o Alen Xon . ù . . . . (000 POT Per le proprietà dei determinanti reciproci si avrà: D = A e se s'intende che il quadrato del determinante D, sia formato secondo la nota legge, moltiplicando per verticali come si è sup- posto nel formare il quadrato di D, si concluderà che gli elementi del determinante Dî, formato con questa legge, sono eguali ai cor- rispondenti elementi del determinante A; avremo cioè : A. 22 Dr i ASI qua me Ai o A= Xu Xiao + Xu dot. + Xn no è Per le note proprietà dei determinanti funzionali si ha : Sui parametri differenziali 3 Se nelle ultime espressioni delle A,, si sostituiscono invece delle X,, questi valori e si pone per brevità : dp, dpr dp, dps dpi dpr bo = — + — +... dx, dx dx, dx: dxs dx3 si trova: An= Du, Ag= Db, de= Dda... Pongo : av= Dl. Considero l'integrale : o=fSf.. AVandw.. dan =/ |... AV. Ddp. dos... dpr dove si deve intendere preso il valore assoluto di D, mentre nella seconda forma di 9 si deve intendere AV espresso per mezzo di pi, rpg OR: AV= Da [ (e) 4a + Fl Agg +. + 27 de +. | ; Formando le variazioni prime delle due espressioni di 9, ap- plicando poi la solita integrazione per parti all’ una e all’ altra va- riazione e identificando in ultimo i due risultati, si trova facilmente la formula : pid [ 9 (Au 27 An 9V Ain 97) Dida dia Da DI Ani CIA Ane dv An dv | dd 9 ide Bi Ta Tia STRETTA 4 Sui parametri differenziali conformemente alla nota trasformazione di A?2y data dal Brioschi (1) e alla teoria generale dei parametri differenziali del Beltrami (2). II. Supponiamo ora n = 3 e le variabili x,, x,, 23 sieno le coor- dinate ortogonali cartesiane x, y, 2 di un punto. Sia V la funzione potenziale ; X, Y, Z sieno le componenti, secondo gli assi, della forza che agisce sul punto (x, y, 2), di guisa che: i __9I LS asl lion “i i yy i A Si immagini, la forza scomposta pure secondo le normali x, , , n alle superficie p, = cost., p. = cost., p} = cost. e le tre com- ponenti sieno R,, R,, R,. I valori di queste componenti si otten- gono risolvendo il sistema : R, cos n,x + EP; cos next + E cos ne = X, E, cos ny + È, cos ny + Rs cos ny = Y, RP, cos nz + PR; cos noe + Pz cos n3e I N Osservando che è: on dn da|_ 1 da? dx’ da DIO dn da dA eg °° ey dm dn dA dg 0 0 MELATAREVATIAELE!: — dp dn Ipo de Ip de” sostituendo per i coseni i loro valori in funzione delle derivate pri- me parziali di p,, p,, 7 e facendo uso delle relazioni sopra trovate tra le b,, , A,s, si trova facilmente: _VA: IV i 0/4 VASOIV VA IV ASS der La D d pa ki (1) BrioscHI, Teorica dei Determinanti, Pavia 1854, $ X, equazione 114. (2) BeLrRAMI, Sulla teorica generale dei parametri differenziali. Mem. Accad. Ist. Bolo- gna, serie II, t. VIII, 1869, $ 3. Sui parametri differenziali Scomponiamo ora la forza (X, Y, 4) in tre forze 7,, T,, 7, dirette secondo le tangenti alle linee p,, p,, p3 cioè alle linee rap- presentate rispettivamente dalle tre coppie di equazioni = cost., Ps = Cost. ; ps = cost., p, = cost.; p1 = cost., e. = cost. I valori di 7,, T,, 7, sì oltengono risolvendo il sistema di equazioni : T, cos pie + T, cos p.a + Tz cos pa = X, T, cos p,y + T, cos pyy + Ts cos pgy = Y, T, cos piz + Ty cos paz + T3 cos pie = Z. Avendosi : GOS' puo == Min COS pia = stri ca Va, dpi’ ere el log 1 su, COS og, COS pay = i Va, dpi” Van 9P e osservando che, per le proprietà conosciute dei determinanti fun- zionali, si ha: dd _ pda | 8 del pin TAG) Penn do TA E "o ; dz de da dx EESEnI TAL e simili, e finalmente tenendo conto delle relazioni trovate fra le bd. 3 A,s è si giunge facilmente alle formule : Va, (IV dv dv Ti= Fe (du + 3 Jai PA Aul Vas (dV dv 21/4 Is=<+7 “Dr a An +37 dn +52 4), s 1aaddY dv IV T3 + Sr 7 da Fia An +57 de). Le equazioni differenziali delle linee di forza in coordinate cur- vilinee qualunque si possono ottenere col seguente semplicissimo fi ) | | | | I i | 6 Sui parametri differenziali ragionamento. Le superficie p,, p., + dpi; fo; po + dp», #8, P9+ des de- terminano un parallelepipedo i cui spigoli uscenti dal punto mn@p,,ps;Ps) sono dati dalle formule : dee Vai Uni, ds, = Van dpz ’ dss = Vas dpz . La forza che agisce sul punto wm, ha, colla linea di forza che passa per m, in comune la diagonale ds che esce dal vertice m. Scomposta la forza in tre forze 7,, 7, 7, secondo le tangenti alle linee p,, ., e, il parallelepipedo finito costruito sopra queste tre forze è il parallelepipedo elementare costruito sopra ds,, ds, , ds; sono direttamente omotetici, m è il centro di omotetia e si ha: ds ds. _ds3 Tin da i bt Queste sono le equazioni differenziali delle linee di forza e possono prendere l'una o l’altra delle due forme : Va dpi Van dps Vasa dpz 4Bf IR Th ? dpi dp» dv IV e) So 14 IV IV du ddt Aaa dis, Agg de d pz dV dV EA Au FA8gn "36 Allo stesso risultato si giunge facilmente trasformando in coor- dinate curvilinee le equazioni differenziali delle linee di forza in coor- dinate cartesiane ortogonali : da ca etc. e risolvendo il sistema di queste tre equazioni rispetto a dpi, dp., des . Infatti facendo uso delle relazioni fra le derivate parziali prime Sui parametri differenziali 7 di p,, p:, #3 rispetto a &, y, 2 e le derivate parziali prime di x, y, £ rispetto a Pi, p:, ps e delle relazioni fra le d,,, 4,4, si trova facil- mente : piero iui ars Pas con due analoghe, dalle quali tre equazioni si dedurrà immediata- mente il sistema delle due equazioni differenziali ora date delle li- nee di forza. Se nell’ espressione sopra trovata del parametro differenziale secondo s’introducono le tre forze 7,, 7,, 7,, si ha la formula no- tevole : sv= (2 PRA pr, ID) dpi Vay dpr Vas d ps Vas D Se le superficie di livello fanno parte del sistema triplo di su- perficie pi, p., pè, sì potrà esprimere V in funzione di una soltanto delle coordinate, p. es. di p,, quindi : 9V ov = 330 e le equazioni differenziali delle linee di forza in coordinate curvi- linee obliquangole diventeranno : do _ dp _ dei Ag Ao Azz” Ponendo le equazioni differenziali delle linee di forza nella forma : DI. -DI, DE titan Voay dp, :-dpy : dp3-= ed osservando che nello spazio esterno alla massa è AV=0, | | i il | il Sen | 8 Sui parametri differenziali cioè : o 41 ODI 0 DI sO ae “a ed e aiuta dp Vay dp. Vas ps Vas = 0, si concluderà, per il teorema dell’ ultimo moltiplicatore di Jacobi , che se f(P., Pa, P3) = Ci è un integrale delle equazioni differenziali delle linee di forza nello spazio esterno alla massa attraente, l’ altro integrale sarà, in que- sto spazio : il qual teorema, che suole enunciarsi in coordinate ortogonali (1), sussiste in coordinate curvilinee obliquangole qualunque. III Ciò premesso, supponiamo dato un sistema qualunque di coordinate curvilinee p,, p., 7, ortogonali o no, sicchè il quadrato dell’ elemento lineare abbia la forma: dea Qui Sane agsdpi + a33d p3 + 2a,sdp,dps se pa 2azzdpodpz + 2azdp3dp, , dove i coefficienti a,, sono funzioni date di p,, p., e». Supponiamo che le equazioni V = cost. rappresentino un sistema di superficie ortogonali al sistema di curve p,= cost., p. = cost. Inoltre la fun- zione V soddisfi all’equazione A?V = — 4rp, dove p_ sia una funzione data di p,, p., pe. Avremo: # Db i Vog I, ==-0 * «Lo-==:0 = — 4rpD, (1) BertI, Teorica delle Forze Newtoniane. Pisa, tip. T. Nistri e C. 1879, pag. 154. Sui parametri differenziali 9 ossia: Vv ov av iu ir — 0 ’ 0 pi d pa d p3 dv IV dv An 5 + An + Ag — Wi, (Nori C pa Ò pg CA dv dV - Au + 4g + Ag ="DK, dpi 0 pa 0 p3 dove : K= Up, pa) — 4rf pDdps . Poniamo per brevità : Risolvendo il sistema delle tre precedenti equazioni lineari ri- OV 0dV IV ì ? spetto a =, 3-; 7, si ottiene facilmente: dpi d pe 0 ps dV dV dV dp = Ka, \ pa Abbiamo così il seguente teorema. Se l’espressione differenziale p 1 D (Qi3dp, + 423dp> + 4334 ps) ammette un fattore integrante K e se V è il suo integrale, la funzio- ne V è una soluzione dell’ equazione : 1 0K e Rina PERDO Dora AV= 55 e le intersezioni delle superficie p. = cost., p. cost. che passano per un punto qualunque, sono normali alla superficie V= cost. che passa per lo stesso punto. Arti Acc., Vor. IX, Serie 48 — Memoria I. 10 Sui parametri differenziali In particolare: Se Ze superficie p. = cost., p. = cost. sono ortogonali alle superficie ps = cost. la funzione : V= /f)da soddisfa all’ equazione : Più generalmente si potrebbe concludere: Se l'espressione dif- ferenziale : san 24 5 > asndpn sei ammette un fattore integrante K e se V è il suo integrale, la funzio- ne V è una soluzione dell’ equazione : Se din = din >’. = Gnn=0, la funzione: == ] fin )dPn soddisfa all’ equazione: Ann ASK = [EA Ren] i In particolare pel caso di tre variabili pi, p., ps: Se le super- ficie #3 sono ortogonali alle superficie Pi, ps e se inoltre è : d33 sii fi.(p3) Aud — dî fi: ; Pa) > la funzione : V= |Fodf(pddps Sui parametri differenziali 11 soddisfa all’equazione : ‘#7 «= f.(93)F'(Pa) i A33 A Come esempio prendiamo le coordinate ellittiche e siano rispet- tivamente pi, e., ps i parametri degli iperboloidi a due falde e a una falda e degli ellissoidi omofocali, si avrà: (Pipa) (Pap) “n T a+) +) (+P) ’ a 25 (000) (Pi—Pa) °° 4(a°+pa)(b*+p2)(c°+po) ’ dhe (pi —-P3) (pe— P3) ® 4a'+ps)(0°+pa)(c°+ps) ? fo: 0) = Did sg 2V (+0) G+p) (+p) (a+) Dro) (0g) ì 1 fi(p3) = - V(aî+6,) 0*+?,) (c'+9,) Quindi l’ integrale : Fp3) v= | dp, " Ma'+p,) (6°+2.)(C'+P,) soddisfa all’ equazione: AV(at+ps) (6°+ps) (CC+pa) F'(pa) rara (Pa Pi) (P3— Pa) Catania, Settembre 1895. G. PENNACCHIETTI Memoria IK. Il Rhinoceros (Coelodonta) etruscus. Falc. nella provincia romana, Dr G DE ANGELIS D'OSSAT, Non ha guari tempo ricevetti, in graditissimo presente, dal sig. Luigi Brunacci un dente fossile di un Rhinoceros, trovato in quel di Mentana, provincia di Roma, da un tal Cesare Mancini. Poichè le specie del genere Rhinoceros sono quasi sempre de- terminate subordinatamente al criterio cronologico, che si ha dello strato che le racchiude, ho prima eseguito lo studio della specifi- cazione e poi ho procurato di conoscere la giacitura del fossile. Lo stesso scopritore mi ha condotto sul luogo del rinvenimento, che trovasi lungo la via che congiunge Monte Rotondo con Men- tana e propriamente dove questa lambisce il bosco di proprietà di | Gaetano Betti (long. 0° 10', 43"; lat. 42° 2', 40" M.te M.). Ivi la | via è incassata e permette di osservare in ambo i lati gli strati di tufo vulcanico che, in quelle regioni, ricoprono sofficemente le sab- bie ed argille che vengono riferite al Pliocene superiore. Il poggetto rivestito dal bosco è quasi interamente perforato per 1’ estrazione di un tufo sabbioso, localmente chiamato pozzolana, che viene avi- damente ricercato per la confezione delle malte. Nella galleria che s' apre entro il bosco, vicino ad una vecchia fornace di laterizî, ho potuto osservare la seguente successione di strati : Sup. Tufo incoerente, terroso, grigio, leggero, con scorie nere. | In parecchi preparati microscopici non ho veduto nulla di notevole. Potenza visibile m. 0, 50. Med. Tufo incoerente, terroso, giallastro, con straterelli di pomi- | ci bianche, a molte impressioni vegetali. Il microscopio ha rivelato | scarsissime Diatomee e spicule di Spugne. Somiglia, come vedremo, | a quello che conteneva il nostro fossile. Potenza media m. 1. | Inf. Tufo granulare, sottile, incoerente, di color grigio, con pic- | Atti Aco., Vor: IX, Serin 48 — Memoria II. 3 2 Il Rhinoceros (Coelodonta) etruscus. Pale. nella provincia romana. cole leuciti caolinizzate. (loc. pozzolana). Potenza nell’interno della galleria m. 1, 35. Lungo la via si scorgono gli stessi strati che, a causa della vegetazione, non si possono seguire. Nella piccolissima trincea verso valle, incontro quasi all'entrata della galleria, si scorge la sezione : Sup. Tufo granulare, poco coerente, a grana sottilissima, di co- lor grigio. Questo tufo, che somiglia molto a quelli ritenuti come provenienti dai vulcani Sabatini, contiene molte impressioni di piante palustri. Potenza visibile m. 0, 50. Med. Tufo terroso, incoerente, giallastro, con pomici bianche de- composte, con leuciti caolinizzate. In alcuni punti mostrasi semi- coerente e con fessure irregolari. All’ acido cloridrico non produce punto effervescenza. Al microscopio, oltre i soliti materiali vulcanici, ho osservato molte spicule di Spugne silicee; alcune sono spinose e tutte rife- ribili alla Spongilla fluviatilis Johnst, ed alla S. lacustris Johnst. AI- cune spicule sono molto più grandi e mostrano all’ interno un vi- sibile foro longitudinale; non ho veduto amfidischi. Con molta maraviglia poi ho trovato abbondanti Diatomee. Credo che questo sia il primo materiale trovato, che si possa chiamare sen- z° altro tufo vulcanico e che racchiuda una florula così interessante: Epithemia turgida (Ehr.) Kiz. acqua dolce e salm. È la forma più abbondante. » » v. granulata (Ehr.) Brun. d. s. » » v. Westermanni (Ehr.) Grun. d. s. » argus v. amphicephala Grun. d. s. m. » gibba Ktz. d. s. m. » sorex Ktz. d. 8. Synedra capitata. Ehr. d. Melosira crenulata (Ehr.) Ktz. d. Cocconeis placentula. Ehr. d. s. m. PRhoicosphenia curvata (Ktz.) Grun, d. Navicula elliptica Ktz. d. s. Navicula (Pinnularia) major. Ktz. d. s. (freq.) Nella parte mediana di questo strato fu rinvenuto il dente di Rinoceronte. Il Rhinoceros (Coelodonta) etruscus. Falc. nella provincia romana. 3 Inf. Tufo granulare, non molto coerente, ad elementi di pic- colissime dimensioni, di color grigio. Si distinguono facilmente le piccole leuciti bianche caolinizzate. Somiglia molto allo strato infe- riore della galleria (pozzolana ). Presenta straterelli ben netti di pochi millimetri di potenza. Sopra il piano stradale se ne scorge una potenza di m. 0, 50. Questa piccola sezione pare che interessi gli stessi materiali della galleria. Non più lontano di m. 150 dalla parte del Casale Manzi, si possono osservare allo scoperto le argille alternanti con le sabbie gialle : tale località viene chiamata Cava Manzi. In una breve fer- mata ho potuto raccogliere i seguenti fossili, che cito in ordine di abbondanza: Turritella subangulata Broc. Nassa semistriata Broc. Corbula gibba Olivi. Naticina catena da Gosta. Natica cfr. epiglottina Lam. Nassa dertonensis Bel. » ‘italica May. Turritella communis Risso. In frammenti: Venus multilamella Lam., Nassa mutabilis. Lin., Amussium (Pecten) cristatum Bron., Dentalium. Un piccolo modello di uno Schizaster. Dalle argille più profonde, sotto il paese di Mentana, ho avuto un dente conservatissimo di Carcharodon megalodon Ag. Ho lavato un poco di materiale ed ho trovato molte forami- nifere, ben conservate; ad un esame sommario ho riconosciuto : Globigerina bulloides A Orb., Bulimina pupoides d' Orb., Uvige- rina pigmea d° Orb., Bolivina punctata Q’ Orb., B. Beyrichii Reuss., Planorbulina rotula d’ Orb. Nel fondo della vallecola si vede un relitto di un tufo vulca- 4 Il Rhinoceros (Coelodonta) etruscus. Falc. nella provincia romana. nico poco coerente. Laonde, quantunque non abbia direttamente veduta la sovrapposizione degli strati tufacei sopra i materiali ascritti generalmente al Pliocene superiore , pure si può ritenere sicura questa sovrapposizione, senza però accertarne la concordanza. Il fossile fu certamente estratto dallo strato indicato, per la uguaglianza del materiale e dei fossili, come ho riscontrato in un poco di materiale aderente ancora al dente stesso. È egli cosa difficile poter determinare sicuramente una specie di Rinoceronte con un solo dente isolato, infatti il Gervais (1) dice sledaaià toutefois si les dents isoleés de ces animaux sont faciles & reconnaître génériquement, il est souvent difficile au contraire d’en reconnaître les espèces avec exactitude. , Il Gaudry (2) scrive “ Les molaires des rhinocéros offrent peu de ressources pour la distinc- tion des espéces; si l’ 6n en excepte la septiéme molaire supérieu- re, les dents de mème ordre diffèrent presque autant d’individu è individu que d’espèce a espèce. Ie vais en citer des exemples......... A Passa quindi a descrivere parecchie importanti variazioni di denti che non sono che accidentali e non capaci alla distinzione speci- fica. Per queste ragioni ne scaturì la necessità d’ introdurre fra i rinoceronti alcune categorie, come gli emitechi, ticorini ecc. Ciò ci manifesta chiaramente che per essere certi di una distinzione spe- cifica dobbiamo possedere il teschio che ci faccia riconoscere le modalità del setto nasale. Così il Prof. Portis (3) propose il nome collettivo di emiteco per il RA. Merckii ed etruscus. In seguito al la- voro del Brandt (4), adottò la denominazione di R%. Merckii var etru- seus, che venne da molti accettata, fra i quali cito il Pohlig. (5). L’ Acconci (6) però non accettò la sinonimia che derivava dalla conclusione dei primi due, essendo anche preoccupato dal criterio (1) Grakvass.—Zool. et paléont. Frane.—Nouv. rech. anim. verté. 2° édit. Paris 1859 pag. 88. (2) GauprY.—Anim. fos. et géol. de l' Att. 4° Liv. Paris 1864 pag. 180. (3) Pormis.--Ueber die Osteologie von RR. Merckii Jig. Cassel 1878 pag. 148. (4) Branpr.—Tichorhinen Nashérner. St. Pétersbourg. 1877 pag. 66. (5) Ponnie.--Dent. und. Kranologie E. ant.—Halle 1888 pag. 20 (Rh. Merckii etruscus cor. Rh. (Merckianus) Etruriae. Falc. (6) Acconci.—Di una caverna ossifera scoperta a Cucigliana. M!! Pisani. Pisa. pag. 57. Il Ehinoceros (Coelodonta) etruscus. Falc. nella provincia romana. n) “ cronologico: “ alla fusione delle due suddette specie (R%. Merckii, RA. etruscus) si oppone anche il fatto incontestabile che mentre il Eh. etruscus non è stato finora trovato che nei depositi pliocenici ed è una specie caratteristica del Pliocene, il RA. Merck invece è stato rinvenuto in località di epoca quaternaria. , Nullameno possedendo un solo dente, non spuntato, ho procu- rato di determinarlo specificamente il meglio che mi è stato pos- sibile. Non avendo la fortuna di poter confrontare il nostro esem- plare con altri corrispondenti già determinati, sono stato costretto a consultare una numerosa bibliografia. Ciò mi è stato possibile mercè la ricca e completa biblioteca, a tale riguardo, del ch. Prof. Portis. Di tanta gentilezza e degli aiuti esprimo pubblicamente i vivissimi ringraziamenti. Il dente è l’ultimo premolare, superiore, sinistro e somiglia moltissimo a quello corrispondente figurato dal Falconer (1), te- nuto conto degli effetti che vi avrebbe prodotto la consumazione. È dessa la figura dell'esemplare di R%. etruscus conservato nel Museo di Bologna, or ora rifigurato dal Prof. Capellini (2). Anche la de- scrizione del dente scritta dal Falconer (op. cit., pag. 365) calza ottimamente col nostro fossile. L'unica differenza che vi corre è che i rampini che partono dal lato esterno e che formano due pe- nisole, nel nostro esemplare invece si vedono convergere ed ap- poggiare al lobo posteriore. Questa differenza può dipendere dal grado di consumazione. (3). Infatti nel dente corrispondente dell’ individuo della stessa specie trovato e descritto dal prof. Tuccimei (4) a Collerosa i due rampini in discorso sono riuniti. Ecco la descrizione del fossile: Manca la parte della radice (1) FaLconeR—Palaeontological memoirs and Notes. tav. 29. (2) CapELLINI — Rinoceronti fossili del museo di Bologna R. Acc. delle scienze di Bolo- gna—1894. tav. II. (3) Ultimamente, a Bologna, ho potuto osservare e paragonare il nostro fossile con lo stesso esemplare figurato dal Falconer e dal Capellini. (4) Tuccomer—Alcuni mammiferi fossili della provincia Umbra e Romana. Mem. Accad. Pont. dei N. Lincei VII. Roma 1891. 6 Il Rhinoceros (Coelodonta) etruscus. Falc. nella provincia romana. e quindi nulla si può dire della forma generale. Non portando traccia di consumazione siamo certi che il dente non era spuntato e che quindi doveva essere contenuto ancora dalle ossa mascellari. Si scorge sul lato anteriore e sull’interno un breve cingolo basale, che ci presenta il massimo spessore in mm. 4. Quello del lato in- terno, maggiormente dentellato, si prolunga anche nel lato poste- riore. La figura della base è trapezoidale. La valle posteriore è chiusa e sì grossolanamente circolare, che la si può dire triango- lare, specialmente per i due seni accentuati verso la parte ante- riore. I bordi, dove non sono rotti, si mostrano integri. La valle anteriore è angolosa; dentro essa si scorgono parec- chi uncini che disgraziatamente sono rotti, ma non tanto da non vederne esattamente il punto di origine e della loro inserzione. Di- fatti se ne scorge uno che si stacca dalla parete esterna e sì ripiega poi verso la parte posteriore, dopo essersi sufficientemente allonta- nato. Dopo questo ve ne ha un altro più sottile, che segue l’anda- mento del primo parallelamente ma con una maggior curvatura. La lamina anteriore, integra, rettilinea è solo finemente den- tellata. L’ attacco di questa colla parete esterna manca a causa della rottura dell’ inserzione. La seconda collina termina come un tronco di cono, non già perchè consumata, ma per rottura. Essa termina appuntita coll’apice alquanto risvolto verso il lato interno. Nulla possiamo dire dei lobi perchè non ancora ottenuti con la consumazione, ma immaginando un piano che si ottiene con una linea orizzontale che contorni le lamine, risulta il lobo anteriore sottile sul principio e poi sempre più largo, per terminare ottu- samente. La direzione non è perpendicolare alla parete esterna, ma fa con questa un angolo non molto lontano dai 45°. L’ altro lobo, il posteriore, si divide: un ramo corto si dirige verso il lato anteriore, l’ altro verso l’ interno ; tutti e due i rami sono ottusi. Nel punto di biforcazione si vede l’ isola. La faccia esterna è dol- cemente ondulata, solo a 4/5 verso l’avanti presenta una intac- catura più forte. Il margine della parete stessa è laciniato da due intaccature ottuse. Il Rhinoceros (Coelodonta) etruscus. Falc. nella provincia romana. 7 Ho fatto misure di paragone con i denti corrispondenti di Rh. etruscus Falc. dell’ esemplare del Museo di Bologna e con quello di Collerosa (Tuccimei). RHINOCEROS TTQ ni >) TIT MISURE DELL’ ULTIMO ETRUSCUS FALC. Ù - A - Mentana PREMOLARE SUPERIORE Bologna | Collerosa CEUESTO) (destro) (destro Massima larghezza anteriore alla base del- lo salto i a IA DOS 54 53 Massima larghezza posteriore alla base UGO Malo » 4° 47 Massima lunghezza antero-posteriore ester- na alla base dello smalto... . . > 39 6 39 31 Massima larghezza anteriore alla sommità delicollettostiia 2 alal. earn » » 41 Massima larghezza posteriore alla som- mità del_colletto La. au sul? » » dA Credo che si possa riferire il dente ad un Ra. erruscus Falc. con quella certezza che ci fornisce una determinazione fatta sopra un dente isolato. Questa specie entra nella sezione dei Coelodonta. Il Prof. Tuccimei (op. cit. pag. 61, 62) afferma che questa specie nella provincia romana dovette essere più rara; anzi crede che non sia stata mai trovata, non reputando sicure le due deter- minazioni del prof. Meli. Questi cita dubitativamente (1) un fram- mento di molare sinistro trovato nello strato argilloso superiore al tufo vulcanico di Ponte Bottero, nella via Laurentina presso Ro- ma; e con certezza (2) un ultimo molare superiore sinistro (pel Tuccimei, penultimo) nelle ghiaje alluvionali della Via Nomentana. Oltre questi due denti trovo nella Collezione del Museo Geolo- gico i seguenti di cui trascrivo le scritte: “ Acquisto 1880. Molare di RWinoceros etruscus, rinvenuto nelle ghiaje alluvionali della vallata del Tevere. Cava di ghiaje, ora eser- (1) MeLi—Rinven. di ossa foss. dint. di Roma. Bol. Com. Geol. Roma 1881, (2) MrLi—Sopra alcune ossa fossili . . . . Bol. Com. Geol. Roma 1886. 8 Il Rhinoceros (Coelodonta) etruscus. Falc. nella provincia romana. citata da Bertazzi, sulla via Flaminia, dopo Melafumo : a 3 km. e mezzo da Roma. , Manca la parte esterna. “ Rhinoceros megarhinus Cristol (forse cor. Meli) RA. etruscus, 2° premolare superiore sinistro sabbie quaternarie. Ponte Molle-Ponzi. , “ N. 1446 Acq. Montanari 29-2-1888. Terzo molare superiore sinistro di RAinoceros etruscus Falc. Cava di ghiaja alluvionale qua- ternaria della valle del Tevere presso il Ponte Molle a sinistra della via Flaminia. , È logoro sino alla base dello smalto. A ciò aggiungasi come il Lydekker (1), vera autorità in ma- teria, riporti, a quanto credo, al R%. etruscus Falc. lo stesso originale del Museo di Roma, figurato sotto il nome di RX. leptorhinus, (op. cit. vol. IIL., pag. 374, tav. 35, fig. 4). Per infirmare le determinazioni dei denti del g. Ithinoceros trovati presso Roma ricorderò come il Lartet (2) riferisce al RA. Merckii Sig e Kaup. (che credeva sinonimo del RA. Remithoecus Falc.) un premolare che il Falconer (tav. 32, fig. 5) aveva deter- minato come R%. leptorhinus Cuv. (p.p.) (3). Tale confusione è scusata per l’intricata bibliografia, per i ca- ratteri distintivi non sufficienti, per il valore troppo grande concesso al criterio cronologico. Ora però si tende giustamente a riunire le forme dei diversi autori. Infatti lo stesso Forsyth Major (4) crede sinonimi il R%. etru- scus ed il RA. Merckti, pel teschio di Daxland. E con la consulta- zione dei lavori del Brandt (5), dello Schrenk (6), del Nehring (7) e del Newton (8) si può stabilire la seguente sinonimia : (1), Lyprxxer. Catalogue of the fossil Mammalia Br. Mus. Part. III, Londor. 1886 pagi- na 120 « 40815. Cast of the second left upper true molar. The original is from the Pleistocene near Rome.— Presented by C. Falconer, Esq. 1867. » (2). LartET. Not. sur deux tét..... Ann. des. sac. Nat. tom. VIII. 1867. (3) Riguardo al RA. leptorhinus Cuv. debbo fare un osservazione che è di qualche interes- se. Il Falconer (op. cit.) riporta di questa forma parte al suo RX. leplorhinus (senza setto na- sale osseo), sinonimo di RM. megarhinus, Cristol. e parte al RA. etruscus (con parziale setto na- sale osseo): ciò nel 1868. Nel 1886 il Lydekker mantiene il &%. megarhinus Cristol riferen- dovi parte del R%. Zeptorkinus p. p. Cuv.; senza dire a quale forma riferisca l’ altra parte del- l’ ultima specie. (4) Forsyra-Magor. Sopra alcuni Rinoceronti.... Bol. Com. geol. Vol. V. pag. 94. Roma 1874. (5) BranpT. Tent. Synops. Rbin.... Mém. Acad. St. Pétersbourg. XXVI. 1878. (6) ScERENK. Bull. Acad. Imp. St. Pétersbourg 1880. (7) NegRING. Zeitschr. d. d. geol. Ges. 1880. (8) Newton. Geol. Mag. VII. 1880. Il Khinoceros (Coelodonta) etruscus. Falc. nella provincia romana. y “ AreLopus Merckn, Jiger==RwH. KircHBERGENSIS, lig.=RH. LEP- ToRHINUS, Cuv. RH. LUNELLENSIS Gerv.==ATELODUS LEPTORHINUS, Po- mel. = RA. PROTICHORHINUS, Duv. = RH. HEMITHOCcHUS, Falc. = RH. eTRUScUs, Falc. = RH. MEsoTROPUS, Aym. = Ru. veLAaUuNUS, Aym.= Re. Avmarpi, Pomel. = Ru. eLATUS, Groiz. = TicHorHnus MERCKI Brandt. = Ru. prIscus, Falc. , Poggiandomi all’ autorità di tanti personaggî potrei conclude- re che nella provincia romana si trova una sola specie; ma non oso farlo. Solamente dirò che alcuni denti raccolti nelle ghiaje. di Ponte Molle sono riferiti al 4. hemithoecus, che ora corre sinoni- mo del Merckii, che secondo molti è sinonimo del RX. etruscus (1). Goloro poi che tengono separate le due specie (R%. Merchii e RA. etruscus) ne riconoscono la grandissima affinità (2), e giustamente asseriscono che è impossibile distinguerle con soli denti isolati dal cranio. A questo risultato ci si arriva ora più facilmente, perchè non è molto tempo che questi animali venivano determinati dipendente- mente al criterio cronologico, falsando così la scienza paleontologica ed il suo precipuo scopo. “ Una volta, dice il Forsyth Major (lav. cit. pag. 95) tanto in Francia, quanto in Inghilterra erano indicati col nome di K%. leptorhinus quelli avanzi del genere che proveni- vano da depositi meno antichi . .. . in simil modo in Germania il nome di £/. Merckii fu adottato da parecchi autori per indicare gli avanzi del genere provenienti da depositi diluviali. , Non si fu esenti da questo difetto nella determinazione dei resti di Rinoceronti della provincia Romana. Musco geologico R. Università di Roma 1895. (1) Oltre ai citati abbiamo il Depéret Ch. Les anim. pl. Rous.—Mém. soc. géol. de Fran ce, t. I. fasc. IV. Paris. 1891. (2) ZitteL Palaeozoologie. Band IV. pag. 295. Miinchen. 1891-93. Memoria III. Ricerche sperimentali sull’azione biologica del tallio del Prof. ANTONIO CURCI Dalle sue esperienze l’ A. trae le seguenti conclusioni : Il tallio agisce esclusivamente sugli organi della circolazione del sangue. Esso aumenta notevolmente la pressione arteriosa, ral- lenta e rinforza il battito cardiaco. Esso eccita la fibra muscolare del cuore e dei vasi, ed è perciò che determina una maggior fun- zione di essi organi, producendo l aumento della pressione e il ral- lentamento del polso. Non agisce però sul sistema nervoso cardiaco e vasomotorio. Il tallio non agisce sul sistema nervoso animale, come non agisce su quello vegetativo ; esso è esclusivamente un agente mu- scolare, e la sua azione è di natura eccitante. L’ arresto del cuore avviene per esaurimento delle energie mu- scolari in seguito alla iperfunzione, e non per perdita della contrat- tilità; quest’ ultima si ha in seguito all’ arresto della circolazione come morte naturale. I fenomeni generali, che si hanno tanto nell’ avvelenamento acuto quanto nel cronico, somigliano tra loro e sono dipendenti dai gravi disturbi circolatorii. La morte avviene per sincope cardiaca. Il tallio agisce come il K, Ru e Ce, e perciò sarebbe quarto fra questi eccitanti dei muscoli splanenici. Non ha analogia con il Pb, Hg. Cu ed altri metalli pesanti, nè cogli elementi del 3° gruppo. ATTI Aco., Vor. IX, SerIE 48 — Memoria III. ; 1 2 Ricerche sperimentali sull’azione biologica del tallio Non ha azione cronica, ma quella pretesa come tale è una conseguenza morbosa di quella acuta. Non vi è alcuna differenza tra l’ azione dei sali tallosi e quei tallici ; tutti agiscono allo stesso modo eccitando la fibra muscolare splancnica, senza agire sul sistema nervoso. Perciò il tallio farmacologicamente farebbe parte, cogli alcalini, del 1° gruppo della legge periodica e non del 3° gruppo. Memoria EV. Ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere Nota 2% Furfuramide e furfurina del Dr. 0. MODICA (Presentata dal socio Prof. A. CURCI). Avendo lA. studiato in una prima nota l’azione dell’ idroben- zamide e dell’ amarina, in questa seconda studia un’ altra idrami- de, cioè la furfurammide, e la rispettiva base isomera, la furfurina. Dalle sue ricerche l’ A. trae le seguenti conclusioni : 1° La furfurina nell’ organismo animale non resta come tale i ma si decompone nei suoi gruppi furfuranici, i quali si eliminano sotto forma di prodotti acidi, e principalmente come acido piromu- cico, accoppiato o no alla glicocolla. 2° Essa deve la sua azione convulsivante ai due atomi d’ idro- geno imidico che contiene, essendo tutti gli altri gruppi paralizzan- ti, e quindi deve agire prima di decomporsi, quando cioè la sua molecola è ancora intatta. La sua azione è passeggiera e poco intensa, perchè presto nel- l'organismo animale si decompone, dando origine a prodotti che non hanno ’ azione di essa. 3° La furfurammide si scinde, probabilmente per azione del succo gastrico, con origine degli stessi prodotti acidi che origina- no dalla furfurina. 4° Essa è inattiva perchè è insolubile, e perchè i prodotti che ne originano nell’ organismo animale non hanno che | azione co- mune degli acidi. 5° La differenza d’ azione tra la furfurina e la furfurammide devesi alla loro diversa costituzione atomica. Memoria V. Alterazioni, in vitro, del sangue per le elevate temperature del Prof. ANDREA CAPPARELLI Per spiegare la morte degli animali che vengono sottoposti ad elevate temperature, si sono formulate varie ipotesi, più o me- no suffragate da dati sperimentali e da osservazioni. Un attento esame della quistione, permette di vedere netta- mente, come al giorno di oggi siamo lontani da una base speri- mentale, che possa farci intendere qual’ è veramente la causa che produce la morte degli animali sopra riscaldati. Con l’ intendimento di contribuire alla risoluzione dell’ intricato problema, ho intrapreso una serie di esperimenti prima, in vitro, poi negli animali viventi che verrò gradatamente comunicando. Degli autori che si sono occupati della quistione, il Vincent ba portato la sua attenzione sul liquido sanguigno, analizzando i gas del medesimo negli animali sottoposti ad elevata temperatura. Ed ha studiato le proprietà tossiche del sangue degli animali morti per ipertermia. È positivo, che le qualità fisiche del sangue degli animali su detti sono notevolmente modificate. Ho pertanto lungamente ed atten- tamente voluto vedere, quali modificazioni fuori dell’ organismo il liquido sanguigno subisce, per effetto del calore, non solo nelle sue proprietà fisiche, ma in rapporto alla sua grande funzione respira- toria: ed ho così disposto 1’ esperienza. Il sangue appena estratto di un animale bovino, veniva collo- cato in un recipiente e riscaldato in una stufa. Ho potuto osservare, che con un riscaldamento rapido , sino alla temperatura di 60-65' centigradi; fisicamente non subiva al- cuna modificazione, se il riscaldamento a 60-65' non oltrepassava la durata di mezz'ora. Questo sangue estratto dalla stufa non ave- 2 Alterazioni, in vitro, del sangue per le elevate temperature va perduta la proprietà di fissare alternativamente l’ ossigeno e l’ani- dride carbonica, conservava integro in altri termini il suo potere fisiologico. Non identicamente si comportava lo stesso liquido sanguigno, se prima di introdurlo nella stufa, veniva prolungatamente trattato con una corrente di anidride carbonica. In questo secondo caso, un riscaldamento fatto come nel caso precedente, estratto il sangue poi dalla stufa ed agitato fortemente in presenza dell’ ossigeno del- l aria, si colorava in rosso debolmente e dopo poche ore anneriva : perdeva così la proprietà di arrossarsi sbattuto in presenza dell’ os- sigeno dell’aria; cioè, la sua importante funzione normale presenta evidentemente i segni di una profonda alterazione. Ho fatto pure una serie di esperienze nel modo seguente : In due recipienti di eguale capacità introduceva la stessa quan- tità di sangue del medesimo animale bovino ed appena estratto e defibrinato: in uno facevo gorgogliare aria atmosferica, in modo da avere un sangue rosso rutilante e nell’ altro anidride carbonica la- vata, quando il sangue era divenuto nero, introducevo i due reci- pienti nella stufa e riscaldava a 50°, poi lasciava raffreddare. Os- servati i due liquidi dopo 10-12 ore spesso il liquido sanguigno riscaldato in presenza dell’ anidride carbonica erasi trasformato in un denso coagulo nero, mentre prima era stato defibrinato; quello che era riscaldato in presenza di aria si manteneva liquido. Esaminati i due sangui al microscopio, nel primo i corpuscoli rossi, quasi nella loro totalità erano disfatti e si osservavano le ombre, e fatto notevole, i corpuscoli bianchi di tutte le dimensioni si trovavano raccolti in gruppi di 5 10 e più, formando nel liquido omogeneo delle vere rosette; nel secondo invece, i corpuscoli rossi integri conservavano la proprietà normale di fissare ulteriormente l'anidride carbonica. Nei casi di maggiore resistenza, dei corpuscoli rossi riscaldati in presenza di anidride carbonica, si poteva sempre constatare la distruzione parziale dei corpuscoli e 1’ imperfetta funzione respira- toria del sangue. Alterazioni, in vitro, del sangue per le elevate temperature 3 I risultati delle numerose esperienze sono concordi; e a me pare che si possa legittimamente concludere che: Il liquido san- guigno fresco, fuori dell’ organismo, riscaldato in presenza dell’os- sigeno dell’ aria regge, conserva le sue proprietà fisiologiche ad una temperatura di 50° gradi centigradi, mentre le perde se è in presenza di anidride carbonica. Se qualche cosa di analogo avvenisse nel sangue circolante entro i vasi sanguigni, come pare, che lo dimostrino le esperienze sugli animali, in parte già fatte da me, si sarebbe trovata la spie- gazione della morte degli animali per ipertermia; l'esame diretto del sangue di questi animali si presenta con alcuni dei caratteri del sangue riscaldato in vitro, ne ha come questo il colorito nero, i corpuscoli rossi rigonfi ed in numero diminuito, come mi sono potuto assicurare con due determinazioni numeriche del numero dei corpuscoli rossi, putrefà come quello, in poco tempo e con gran- dissima facilità, ma non ha perduto la facoltà di ossidarsi e di ri- dursi, almeno in quantità sensibile come si osserva in vitro. Nel corpo degli animali morti per ipertermia non si raggiunge che eccezionalmente la temperatura di 50° come io ho praticato nei miei esperimenti. Ma certo una temperatura a questa molto vicina, perchè ordinariamente noi esploriamo la temperatura rettale, che deve essere di gran lunga inferiore a quella alla quale il liquido sanguigno è sottoposto nel fegato: avendo io già trovato, che nelle ascelle degli animali riscaldati artificialmente, si ha una temperatu- la superiore a quella rettale. Ma se io non posso in modo asso- luto estendere il risultato delle mie esperienze agli animali viventi, mi pare però, di avere dimostrato che si ha avuto torto di trascu- rare le alterazioni corpuscolari, che si producono nel sangue nei casi di ipertermia. Laboratorio di Fisiologia Sperimentale della R. Università di Catania. Memoria VI. L'azione biologica in relazione colla costituzione atomica dell'idrogeno solforato, dei mercaptani e del solfuro di metile del Prof. ANTONIO CURCI Dalle sue esperienze l’ A. conclude : L’idrogeno solforato è eccitante dei centri bulbari e spinali sino alle convulsioni, guasta il sangue ed è asfissiante, e fortemen- te tossico. I mercaptani sono eccitanti dei centri bulbari e sono paraliz- zanti dei centri sensitivi, guastano il sangue e sono asfissianti, sono deboli tossici. Il solfuro di metile è semplicemente paralizzante dei centri sen- sitivi, non guasta il sangue, non è asfissiante e non è tossico. Dette modifiche nell’ azione dei diversi composti avvengono di pari passo colla sostituzione dell’ idrogeno: dove vi è idrogeno vi è eccitamento , tossicità e guasto del sangue, e dove esso manca sostituito dall’ idrocarburo, vi è solamente lieve azione anestesica. Pare risulti chiaro : 1° che l’ idrogeno solforato agisca per i due atomi d’idrogeno che contiene, al quale elemento si deve tutta la sua azione, e specialmente l’azione eccitante; 2° che i merca- ptani agiscano per l'idrogeno residuale nei fenomeni di eccita- mento , nell’ alterare il sangue e nell’ uccidere , ed agiscono per il metile nell’ azione anestesica e quella moderatrice della tossicità; 3° che il solfuro di metile agisca da anestesico per i due metili, e cioè per il carbonio di questi. Dopo queste conclusioni di fatti non è assurdo il dire ancora una volta che l'idrogeno possiede azione eccitante. lire Memoria VII. Le sostituzioni rappresentate mediante trasposizioni del Dr GAETANO CALDARERA. 1. Rappresenterò una sostituzione mediante sole trasposizioni, supponendo che la sostituzione sia decomposta in cicli, e, se gli elementi sono distinti mediante un indice, che in ciascun ciclo si porti al primo posto l’ elemento di indice minimo ; indi sostituirò - ad un ciclo dell’ ordine % le % — 1 trasposizioni che si ottengono associando al primo elemento del ciclo gli altri % — 1. Esempio (200103) (rasa) = (204) (400%) (A206) (4245) (A) . Essendo gli elementi di un ciclo diversi da quelli di un altro, segue che una sostituzione rappresentata con sole trasposizioni nel modo suddetto, se si presenta sotto la forma (apag) (apar) .... (apat) (ap, 49.) (ap,ar.) .... IT ; gli elementi @,, @,,...., a, devono essere distinti dagli elementi ag, , Unici, 08, 2. Da questa rappresentazione segue che se n è il numero degli elementi con cui sono formate le sostituzioni, se una sostitu- zione s consta di a cicli di ordine @, di è cicli di ordine B, ecc. di p cicli di ordine 7, di guisa che è siccome da un ciclo di ordine 0 si ottengono 0—1 trasposizioni, così la sostituzione s verrà decomposta in un certo numero di trasposi- zioni dato da ala — 1) + B(bB—-1) +... +pr-1)=n-(a+b+..... + p) ATTI Aco., Vor. IX, SerIE 4*— Memoria VII. 1 e ee ee —-comremet= et | 14t (4 2 Le sostituzioni rappresentate mediante trasposizioni. e quindi il maggior valore che può avere il secondo membro cor- risponde al caso in cui sia cioè quando s sia una sostituzione ciclica dell'ordine x, nel qual ca- so essa viene decomposta in n—1 trasposizioni. Segue da ciò che quando la totalità delle sostituzioni di n elementi sono rappresen- tate mediante trasposizioni, il maggiore numero di queste che può apparire in una sostituzione è n—1. 3: Data una sostituzione mediante trasposizioni comunque scrit- te, per ridurre la stessa alla rappresentazione convenuta preceden- temente, immagino che in essa si effettui il prodotto fra le traspo- sizioni, nel modo noto, così si ottiene la sostituzione rappresentata mediante cicli i cui elementi sono tutti distinti e quindi anche per- mutabili tra loro, ed in ultimo che questi si rappresentino come sopra si è detto (n. 1). Esempio (4305) (asa) (az) (008) (A) (A042) (A00) (A1d8). = (a30502) (Ad400) = = (444) (4,0345) = (ao) (A044) (4743) (4245) In ultimo faccio osservare che se è una sostituzione data sotto la forma convenuta nel n. 1, effet- tuando il prodotto fra le sue trasposizioni e quindi decomponendo nuovamente in trasposizioni la sostituzione che si ottiene, deve es- sere sempre (a, a,) la prima trasposizione che deve apparire in 8; può dirsi anche di più che la s non deve cambiare di forma. 4. Una sostituzione rappresentata come sopra s’è detto, se è tale che le prime a trasposizioni. hanno un elemento comune, le seguenti 4 trasposizioni hanno un altro. elemento in comune, e co- sì di seguito, allora è evidente che essa, proviene da una sostitu- zione contenente un ciclo di ordine «+1, un altro ciclo di ordine B+1, ecc., e l’ordine della sostituzione è uguale al minimo multi- plo di quest'ultimi numeri. Le sostituzioni rappresentate mediante trasposizioni. 3 Dato che una sostituzione debba contenere % trasposizioni ed m elementi, vogliamo trovare l'ordine. o gli ordini che una tale Sostituzione può avere. Supponiamo che la stessa si ottenga rappresentando median- te trasposizioni una sostituzione la quale contiene x cicli di ordi- ne a, y cicli di ordine #8, è cieli di ordine 9, ecc. ecc., allora de- | ve essere | il o(a—1)+y(0—-1)+2(—1) +. n | cela 0 A: Lg | | ossia : \ BIASTIGUARZE SE È I =m — k | (1) va +yP+z22+..... =m Le soluzioni intere e positive di queste equazioni indeter- minate risolvono il problema. Bisogna intanto osservare che : 1. Nessuno dei numeri x, Vai ; a, B, 2, , può essere nullo o frazionario. 2. Il minimo valore che possono avere i numeri a, 8, 2, ....., è uguale a due. 3. Due qualunque dei numeri a, B, 2, ...., Non possono esse- le uguali fra loro. Ed allora per trovare tutte le soluzioni intere e positive del- le equazioni (1), che ci occorrono, si trovino tutte le soluzioni del- la prima equazione, o, ciò che è lo stesso, si facciano le partizio- ni di m—% in una, due, tre, ecc. m—% parti, di cui nessuna sia nulla, per ottenere le quali si può seguire la regola nota per fare le partizioni di un numero % in % parti (*) e non tenere conto di ner RO O (*) Cfr. una mia nota : Sviluppo di un determinante, ecc. inserita in questi atti Vol. VII, Serie 4. 4 Le sostituzioni rappresentate mediante trasposizioni. tutte quelle parti che sono uguali a zero. Così ad esempio per m-—k=-5 le partizioni che ci occorrono sono pn ur pd MD i DO ADD DI 00 > O Ciascuna partizione si sostituisca nella seconda delle (1), e si trovino le soluzioni.intere e positive dell’ equazione. indeterminata che così si ottiene. Pel modo come si fanno le partizioni di un numero, dalla 9a 6 32 delle osservazioni precedenti si deduce la seguente impor- tante osservazione che serve a risparmiare molti calcoli : 4. Se Pi Po «> Pr è una partizione qualunque, esse parti essen- do disposte in ordine crescente, se è (er + 1) pr + tpra1 + + 3po + 2p, > m si può tralasciare questa e tutte le partizioni che seguono, perchè non forniscono alcuna soluzione del problema. 1.0 Esempio. Sia m-=10 e k=5, allora m-—k==5. Le partizioni di 5 sono quelle sopra scritte ; la prima ci dà a==2, tutte le altre vanno scartate in virtù della 4 osservazione e quindi una sostitu- zione formata con 10 elementi e 5 trasposizioni non può essere che del secondo ordine. 9.0 Esempio. Sia m=7 e k==5. In questo caso è m—k=2 e le partizioni di 2 sono 2 kl La prima va esclusa per l’ osservazione 12, la seconda parti- zione ci dà, sostituita nella seconda delle (1), a+£B=1 e quindi si hanno le soluzioni : a=2, 6=5; a=3, 6=4, cioè una so- (1, Le sostituzioni rappresentate mediante trasposizioni. stituzione formata con 5 trasposizioni e 7 elementi, può essere di uno dei seguenti due tipi (Am@n) (Apdg) (Apar) (Apas) (Ap@t) (AmAn) (AmAp) (Ag4r) (4943) (444) ossia può essere del 10° o del 12° ordine. In ultimo si osservi che la seconda delle equazioni (1) può scriversi atat.+ta+tf+0+..+0+9+7+...+79+..= dove a, 8, 2, ...., sono ripetute rispettivamente x, y, 2,...., volte. Il numero dei termini (uguali o disuguali) del primo membro dell’ul- lima uguaglianza è m—%, quindi, per trovare tutte le soluzioni delle equazioni (1), si facciano le partizioni di m della classe m—k, | sì escludano le partizioni in cui qualche parte è uguale all’unità e le , rimanenti partizioni risolvono il problema , osservando che in ogni partizione i termini disuguali forniscono a, #, 9,.... ed il numero di volte che essi sono ripetuti fornisce rispettivamente x, y, 2,.... (5). Esempio. Sia m = 8 e k= 5; è m—4=3. Le partizioni di 8 della terza classe sono DM ND n HH Hi 09 b9... 05 ei YI pi a Ot le prime tre vanno escluse, le ultime due danno :la prima < = 2, B=4eda=2,y=1;la seconda: a = 2, 8=3 ed x= 1, (#) Quest’ ultimo notevole artifizio che rende possibile di non tener conto della 12 delle equa- zioni (1), l'ho appreso in uno dei corsi di Analisi dettati dal Prof. V. Mollame nella R. Uni- versità di Catania. 6 Le sostituzioni rappresentate mediante trasposizioni. y:=2, perciò una sostituzione formata con 5 trasposizioni ed 8 elementi è di uno dei seguenti tipi (Q4:) (4203) (4,4;) (410%) (414) = (MA) (4243) (2445240) (4041) (A203).(120,) (A340) (asa) = (aa) (420304) (4:45) Sostituzioni che possono formarsi con n elementi. D. Sostituzione identica. Questa non sposta alcun elemento e quando occorre può rappresentarsi coll’ unità, o colla potenza, 5° di esponente zero, di una sostituzione qualsiasi. ’ 6. Sostituzioni formate con una sola trasposizione. Queste sono tante quante sono le combinazioni di n elementi della seconda classe e quindi se conveniamo di indicare con N il numero delle sostituzioni che possono formarsi con m elementi dati e ciascuna delle quali contenga % trasposizioni, si ha @ N Il 7. Sostituzioni formate con due trasposizioni. Le due trasposi- zioni che entrano in una di tali sostituzioni possono non avere alcun elemento in comune, oppure sì. Le prime si ottengono asso- ciando a ciascuna delle (5) trasposizioni del n. 6, ognuna delle ri trasposizioni che possono ottenersi con gli n—2 elementi che non entrano nella trasposizione che si considera. Ma in tal modo le sostituzioni che si ottengono sono a due a due uguali, stante la permutabilità delle trasposizioni che non hanno elementi in comu- ne, quindi il numero delle sostituzioni formate con due trasposi- zioni non aventi elementi in comune è ® 3 (8) (3°) = 40). Per ottenere il numero di quelle sostituzioni le cui trasposi- Le sostituzioni rappresentate mediante trasposizioni. 7 zioni hanno un elemento in comune osserviamo che (pg) (Ap4r) = (Ap0g4r) (par) (Ar09) = (Ap094r) cioè facendo tutte le sostituzioni della prima forma, in esse vi so- no incluse quelle della seconda, ossia: associando ad un elemento api rimanenti elementi, a ciascuna delle n—1 trasposizioni così ottenute associando (sempre al secondo posto) le n—2 trasposizio- ni che si hanno associando allo stesso elemento a,ì rimanenti n—-2 elementi, si ottengono sostituzioni le quali contengono quelle che si otterrebbero associando a ciascuna delle dette n— 1 trasposizioni quelle ottenute associando, anzicchè il medesimo elemento Up, 12° elemento a, della trasposizione considerata ai rimanenti n—2 ele- menti. Questa osservazione è generale, quando vogliamo scrivere le sostituzioni rappresentate nel modo convenuto (n. 1); cioè, se un elemento a, sì associa agli elementi di indice superiore ed è (4,09) una delle trasposizioni ottenute, nelle ‘sostituzioni in cui questa è la prima trasposizione, ossia nelle sostituzioni della forma le trasposizioni che seguono la prima non possono contenere l’ e- lemento @,, giacchè se dopo la prima vi fossero delle trasposizioni come (4,4), (a4,), si avrebbe ciò che è assurdo (n. 3). Da quanto precede segue che se ao è l elemento di indice minimo, esso deve associarsi ai rimanenti elementi ed ognuna delle n—1 trasposizioni ottenute, così (40 ay), deve associarsi a ciascuna di quelle che si hanno, associando 40 ai rimanenti elementi escluso dp. così si ottengono (n - 1) (n 2) 8 Le sostituzioni rappresentate mediante trasposizioni. delle sostituzioni in discorso, le quali sono tutte e sole quelle che contengono do. Analogamente considerando l’ elemento a, se ne ottengono altre (n — 2) (n — 3) e così di seguito, sino a che si considera l’ elemento a,-3 il quale ci dà altre PESI delle dette sostituzioni, le quali in tutto sono (n_-1)(n_-2)+n_-2(n-3 +... +iZXK1 e per la formola (4) n(n—1) (n—2) .... (n-Kk+1) + (n—1) (n-2) LL (MH) +... + + k(k—1)....3.2.1=%kf! (isti) la precedente somma è quindi (5) N=2(5) +3(2). Questo stesso numero può calcolarsi col seguente procedimen- to, il quale è suscettibile di essere generalizzato. L’elemento ao si associ a ciascuno dei rimanenti elementi, si hanno così n—1 trasposizioni ad ognuna delle quali, così ad (40 4), si associno successivamente le Ni_, sostituzioni di una sola traspo- sizione (n. 6) formate cogli elementi dati, escluso a,. Similmente l’e- lemento a, si associ a ciascuno degli elementi superiori ed ognu- Le sostituzioni rappresentate mediante trasposizioni. 9 . na delle nr—2 trasposizioni ottenute, così (a, ay) (p=2, 3,...., n—1); sì associ a ciascuna delle N}_; sostituzioni di una sola trasposizio- ne formata cogli elementi, 41, 42, +... 3 An-1, escluso ap. Così conti- nuando si trova che N° = (n-1) NI_j + (n-2) Ni a P ccege- QN8 e per la (2) N? =3 [ob (n—1) (n_2) + (n—2) (n_2) (n-3) + ...+2.2 1] ossia | I NE 5; [Gab (n—2) (n—3) + (n—2) (n—3) (n--4) +... +3.2, 1] + + (n_1) (—2) +n—2) (n—-3) +... +2X1 e per la (4) da quest’ultima si ottiene la (5). 8. Sostituzioni formate con k trasposizioni. Se s è una sostitu- zione rappresentata mediante trasposizioni (n, 1) ed è % il nume- ro di quest'ultime che essa contiene , è facile vedere che il mini- mo numero di elementi che essa può contenere è + +1 ed il mas- simo numero 2%. Nel primo caso tutte le trasposizioni ‘hanno - in comune il medesimo elemento e la stessa proviene da una sostitu- zione ciclica di ordine k+1, nel secondo caso le trasposizioni non hanno elementi in comune e la sostituzione è del secondo ordine. Segue da ciò che se formiamo cogli» elementi dati le combina- zioni della classe X+% (2=1, 2, 3,...., £) ed indichiamo con Q, il numéro delle sostituzioni, contenenti % trasposizioni e X+% elemen- n, > BIESOpO scriversi con 4k+% elementi 4 si ha che s-Sa n (ta) Arm Aco., Vor. IX, Serit 4*— Memoria VII. 2 10 Le sostituzioni rappresentate mediante trasposizioni. Per calcolare i coefficienti C, supponiamo di avere calcolato il numero N! e sia AT Bit) x Bi(x.4 1) tipo È 0 (0x3) “a Baslno] Allora l'elemento a, si associ ai rimanenti elementi, si hanno n-—1 trasposizioni, ciascuna delle quali , così (ao @,), si associ ad ognuna delle Nz_t sostituzioni che possono scriversi cogli elemen- ti dati escluso a,; similmente a, si associ ad ognuno degli elemen- ti superiori, si hanno n—2 trasposizioni, ciascuna delle quali, così (a. a), si associ ad ognuna delle N%_} sostituzioni che possono scri- versi cogli elementi dati esclusi ao ed ay, e così proseguendo si ottiene che . (8) N° = (n_1) NI (DNA. + ENEA e per la (7) Ni=@n[a[* Haiti] +0 Bla + ilo] +0-3[3(7 aaa +e) sua i +*[a(k]] Le sostituzioni rappresentate mediante trasposizioni. 11 ossia NB dalia [DIAM MIN9 e M+ RR ] + A T+1i [-D@-D-2)..(n-1)+0- DA). (1-A2++M+D+1) 8.21 | + ua TSI L(-19(A-1I(0 2) AZIHC1-A(0 AMI) MAIH+A+LIA+AIAH1... 321] so CEI [GA DCI III D AF LAMA) 2] + "Erg [(E-DI-1000-2) 02h +2} HANOI). ] ed osservando che (n 1)(n—D(Mn—Dn—-3) «(_)=(N-1(n-DM—8)..(n_A1)+K(n-D(n—2)..-(n—-K) l’ultima formola può scriversi NO _ d. o vu [ob (n_-2).... (n-k—-1) + (n—-2) (n_3)....(m—k—2)+-...+(K+1)k(k—1)....3.2.1 — FIM-1) (0-2) .... (0A) + I(n—2) (n—3) (0-1) +... +k.k(k—1)....8.2.1 | + B, ; Ti) [an (n_2) .... (n-k—2) + (n—2)(n—3) .... (M—K—8) +... + (+2) (K+1) ....3.2.1 + tai SFIDARE MIR (1+2)A+DIA+1)82:1] Fa Bi. sa I] [@-n (1-2) ... (n—2%+2) + (n—-2) (n—-8) ... (n—27X+-1) +... + (@k—2) (k—3) ....3.2.1 + w (AB) (_1)(1—2)...(—2%+-8)+(A—8) (0-2 (0—B).(1—M+2) +. 4A—9) (AIA) Hi 321 | + Br_ CE-DI [&-Da-9) vene (_2E+1) + (n—-2) (n—-3) .. (01-27) +... + (2K—1) (4—2) ....82.1 + + ro) (ML... (m—2%+-2) HA —2(n—2M—B).... (1 — 2EH1) +... +-(24—2)(2%X—2)(0%—3) uu 82.1 | 12 Le sostituzioni rappresentate mediantè trasposizioni. ed in virtù della relazione (4) si ottiene : N = 7 [G+D!(,29) + kl) + gini [G+2I(,73) + @+1) (+ D!(,2,)] +0 | o [C-+31(,7,) + 042) +2) in | ts [CAI ) + 9) Cha) ] + - + si [@k-D1(5%,) + (k-2) CADI, n ae ossia CONA (nta) è (BA+Ba)t+1){} n) du (B+-BJ0+2)(,4 3) di + + (Bra + Ba) (242) na) + Br. (241) (27) e quindi confrontando la (9) colla (6) si deduce che 10 \ 4 _ Bk ’ 5 = (B, + By) (X+1) , Cs peer (B.4+-Ba) (X+2) sesso ’ | Oi = (Bra + Bi) @h-2) A & Bri (41) Osservando i risultati ‘ottenuti è facile dedurre la seguente regola per scrivere la formola che dà Ni deducendola da quella che dà Ni*. Regola : Un coefficiente B, di N! sommato con quello che lo se- gue, Bn, e la somma (B1+B,,1) moltiplicata per la classe del ter- mine che ha per coefficiente B,;1, dà il coefficiente Cra di EVA Questa regola vale anche pei coefficienti del primo ed ultimo termine, supposto che nella formola che dà N} si aggiungano co- ‘ mé primo ed ultimo termine 0, (21) e 0, lana) . Del resto per i detti due coefficienti C, e C è facile trovare una formola generale. Infatti osservando la formola (5) e facendo ‘variare % nella prima ed ultima delle (10) si trova : (11) C,=k! (12) Ost 8 i) Le sostituzioni rappresentate mediante trasposizioni. 13 9. Partendo dai risultati (2) e (5) trovati direttamente, e ser- vendoci delle formole dimostrate nel numero precedente, otteniamo | N, =1 Ni = (3) N° = 25) +31 N° = 31(7) + 20(%) + 15(6) (13) < NES —_ MOR Ni*= B(f) + Bel) + Bltt + Bela o) \\N= 4%) + 0 (205) e (23) +. + 00 (gg) + C1(5%) dove i coefficienti C, sono dati dalle formole (10), (11), (12). Le orizzontali successive dello schema (13) vanno scritte fin- chè è possibile, cioè finchè si giunga ad un valore di £ tale che sia : k=zn—- 1 e l’ultima orizzontale che si ottiene è, per la (11), NI = (n- 1). | È utile notare che mediante le formole (13) si può non solo trovare quante sono le sostituzioni contenenti un certo numero di trasposizioni, ma si può fra queste distinguere quante contengono un certo numero di elementi. Così ad esempio, dati sei elementi, se vogliamo trovare il numero delle sostituzioni contenenti tre tra- sposizioni e cinque elementi , lo stesso è dato dal secondo termi- ne della quarta orizzontale dello schema (13), dal quale, fatto il calcolo, si ottiene il numero 120. In virtù poi di quanto è detto | | {| I | | | | | | | | | | | | 14 Le sostituzioni rappresentate mediante trasposizioni. nel numero 4 esse sostituzioni sono tutte del seguente tipo (Gp dg) (Ar As) (Ar @) cioè sono tutte del sesto ordine. Sostituzioni circolari. che possono formarsi con n elementi. Una sostituzione circolare di ordine % è della forma (Ad) (Ada) (do An1) quindi consta di k—1 trasposizioni e % elementi e reciprocamente una sostituzione formata con %X—1 trasposizioni e %X elementi non può essere che una sostituzione circolare di ordine % (n. 4), onde il numero delle sostituzioni circolari è dato dalla somma dei pri- mi termini delle successive orizzontali dello schema (13), ossia dalla somma dei termini della prima verticale , esclusa la sostitu- zione identica, e quindi esso numero è (3) +21) +31) +... * G-I(, 3) ai G-1(") che può scriversi n(n—1) Pa n(n-1)(n—--2) dii n(n—-1) (n—2)....3.2.1 2 5) n 11. In ultimo, osservando lo schema (13) si vede che gli ul- timi termini delle orizzontali successive, eccettuata la prima, dan- no il numero delle sostituzioni formate con « trasposizioni e 2a e- lementi, onde queste trasposizioni non devono avere elementi in comune ed essi termini per conseguenza sono relativi alle sostitu- zioni del 2° ordine, quindi il numero totale di quest'ultime è (3) + 3(2) +85) + Ara + 1.35... @E- D(g) n essendo % = 9 Le sostituzioni rappresentate mediante trasposizioni. 15 Se il numero degli elementi dati è 2, allora è X=n, l’ultimo termine del precedente polinomio diviene e questo è il numero delle sostituzioni di 2° ordine e di 2n ele- menti contenute nella totalità delle sostituzioni che possono formarsi con 2n elementi dati. 12. Numero delle sostituzioni che possono formarsi con n elementi. Volendo calcolare il numero totale, N, di sostituzioni che pos- sono scriversi con » elementi dati, da quanto è detto al n. 2 è facile vedere che Dimostro che è (14) Na Di Ad Did ra + N =n1. Pria di tutto si vede direttamente mediante le formole (13) che NI da KI NS + M=21+1ts BI N3 + Na+ N =1+3+2=38! € così di seguito. Ora ammessa vera la formola (15) NOIA, GRA PSP, $. + NÉ = (n1) dico che è vera la (14); cioè se si ha che (16) N, + NM + N +..... PNE =) per 4=1, 2, 3,..., n—1, dico che la (16) ha luogo anche per &k=n. Infatti, in virtù della (8) si ha N° ni Ni = (0-1) + (0-2) NO a + (0) +. + 1NÎ Mala LN e AN yi + 2Nj NT = (n-LDNIÉ + (n—2NTÉ + (n-3)N"AÀ Ni = (a_1)Nf-] + (n-2NTÈ n-1l 3 bia ea (n—-1)N5-î n—-1 16 Le sostituzioni rappresentate. mediante: trasposizioni. sommando NI + NI + Nî +... + Mt =1+ (0-1) (Na+ Mate + N) + + (m—2) (N9_3+ Mia 4. + VIS) + 0 —BY (N93 + Mg te + VISO) + di se a +2 (Ng +e Na) + INI e per la (16). NO+M+N +. + NI —14+ (n-1)(n—-1)! + (M_2Mn—-2)! + + (m—8n—B3)1 +4. .+2.21+1.11 ossia NO+N PN + + NT L+ o)! — (0-1)! + + (n D(0-DI=(n-D + (YUNG) — Le 4g DIA ct ed in ultimo riducendo si trova NN + EN Cid Ma la formala (16) è stata verificata . direttamente pei valori 1, 2, 3 di %, quindi essa è generale e perciò il numero cercato : è NE A Catania, Ottobre 1895. D.r GartANO CALDARERA. Sd # 0%. x Memoria VIII. Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio del Dott. ANTONIO CURCI La più gran parte di queste esperienze, che io presento, sono state fatte nel principio del 1887, quando mi occupai di vedere l’azione biologica degli elementi disposti secondo la legge periodi- ca della chimica (1). Poi, per tante diverse circostanze e per es- sere attratto da altri soggetti di ricerca, non completai le esperien- ze ed abbandonai quelle già fatte. Da quell’ epoca sono usciti di- versi lavori sull’ azione del tallio, e siccome nessuno di questi pre- senta i risultamenti che io ottenni in quell’ anno, così trovo che quelle mie vecchie esperienze restano originali e tuttora nuove, onde oggi mi accingo ad esumarle, completarle e pubblicarle. Storia Il primo che richiamò 1’ attenzione sugli effetti tossici del tal- lio, fu Lamy. (2). Egli osservò che 11 animali, cioè 2 galline, 6 anitre, 2 ca- gnolini di 3 Kg. ciascuno, 1 cagna di media grandezza, morirono in seguito all’ aver bevuto del latte, in cui erano sciolti 5 grammi di solfato di tallio. I sintomi furono : dolori acuti negli intestini , sofferenze, prostrazione, paralisi degli arti posteriori, costipazione, retrazione del ventre, disappetenza ; i due cagnolini ebbero pure alcuni tremori convulsivi. L’ A. fa osservare l’ analogia fra questi sintomi e quelli della colica e artralgia saturnina. LIRA (1) La farmacologia secondo la legge periodica della Chimica. Tip. Fratelli Messina, Mes- sina 1887. La terapia moderna, Napoli 1888. (2) Sur les effets toxiques du Thallium. Annales de Chemie et Physique, t. 670 32 serie, pag. 406. Compt. rend. t. 57° p. 442, 1863. Atm Acc., Vor. IX, Serie 48 — Memoria VIII. Il 2 Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio Subito dopo, Poulet ne eseguì delle esperienze (1), e conclu- se che: 1. Il tallio è un veleno, la cui azione è molto più energica di quella del piombo, ed è da mettersi tra i metalli più velenosi. 2. Il carbonato di tallio a forte dose (1 grammo) uccide i co- nigli in alcune ore, a deboli dosi uccide in alcuni giorni, produ- cendo un rallentamento della respirazione e disturbi della locomo- zione (tremori generali, difetti della coordinazione dei movimenti). 3. Ogni volta che il tallio ha determinato la morte, gli animali sem- bravano esser morti per asfissia. Lo spettroscopio svela le minime tracce di tallio negli organi. Il carbonato a piccola dose può essere tollerato, e si potrebbe impiegare dove sono indicati i mercuriali. Rabuteau ha fatto eco a quest’ ultima idea, e dice di averne fatto impiego contro la sifilide. Ma pare che non ottenesse risul- tamenti degni di nota, per cui nè il Rabutean, nè altri hanno più parlato di questo uso terapeutico. L. Grandeau (2) fece le due esperienze seguenti: ad un cane somministrò 1 gram. di solfato di tallio, e ad un altro gr. 1, 50 di zucchero di saturno; ambedue i sali erano sciolti in 40 gr. di acqua e dati per bocca. Il cane che ebbe il sale di tallio ebbe vomito dopo !/4 d’ ora, e si mostrò molto sofferente, il giorno se- guente non prese più cibo e al 5° giorno morì coi sintomi dell’ in- tossicazione saturnina. L’ altro vomitò pure dopo una mezz’ ora, ma non si mostrò così abbattuto come il primo, e all’ altro giorno prese il suo cibo e rimase sano. Grandeau concluse che il tallio sia più tossico del piombo ; non riflettendo però che le sue espe- rienze non sono ben messe, in quantochè il sale di tallio è assor- bibile come un solfato alcalino senza agire sugli albuminoidi; men- tre l’acetato di piombo non è assorbibile, producendosi albumina- to di piombo, come è già noto. Per cui uno agisce e l’altro no, e perciò dalle esperienze esposte non si può trarre alcuna conclu- sione. (1) Experiences sur l’ action physiologique des sels de Thallium Compt. rend. t. 57. p. 494. (2) Journal de l’ Anat. et de la Physiol. 1864. | | Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio 3 Nel 1865 Stadion di Pietroburgo pubblicò un lavoro russo sull’ azione del tallio, di cui venne un sunto sul Schmidt’ s Jahresb. B. 135, p. 138, 1867, e dalle sue esperienze concluse che il tallio è tossico per gli organismi animali. Marmè nel 1867 ha pubblicato estese ricerche sull’ azione di diversi composti del tallio (1). Ha usato sali inorganici ed organi- ci, e tutti si mostrarono forti veleni, anche il metallo, difficilmen- te solubile, agisce. Il cianuro di tallio per la sua azione vien dopo l acido cia- nidrico ; il ferrocianuro di tallio è velenoso all’ opposto del ferro- cianuro di potassio. Marmè fece esperienze sui vermi, artropodi, molluschi e vertebrati; cd in tutti il tallio si mostrò tossico. Sugli uccelli e sui mammiferi fece molte esperienze e ne de- terminò le dosi tossiche tanto per la via sottocutanea, che per quella gastro-enterica. La sintomatologia dell’avvelenamento, secondo Marmè, mai si manifesta così rapidamente come dopo l’uso dei mercuriali. Le piccole dosi ripetute producono intenso disturbo della nu- trizione, nausea, vomito, disappetenza, salivazione, dimagramento , dolori intestinali, scariche diarroiche ed emorragiche, rallentamen- to della respirazione e della circolazione. Inoltre disturbi della lo- comozione, tremori e movimenti incoordinati. All’ autopsia Marmè trovò fenomeni di azione locale e remo- ta. Pronunziatissima azione locale sulla. mucosa dello stomaco e dell’ intestino; iperemia e tumefazione, stravasi di sangue special- mente dopo l uso di grandi dosi. In altre vie di applicazione, con- nettivo sottocutaneo, mucosa della bocca, sierose, più o meno ipe- remia. L’ azione remota produce post mortem piccole emorragie e infiltrazioni dei polmoni, una intensa pienezza dei vasi addomi- nali, specialmente alcuni dello stomaco e dell’ intestino. In animale morto dopo lungo avvelenamento, nel sacco pericardico si trova del liquido. Per il resto niente di notevole. (1) Gottingische gelehert Anzeigen 1867, II. N. 20, p. 397. Ì i il | Il É Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio Dopo di ciò Marmè riproduce una più esatta descrizione di un sintomo, cioè dell’ azione del tallio sul cuore. Presso tutti gli animali vertebrati, si osserva dispnea e disturbo della funzione car- diaca, ed in maniera così precisa come coi veleni vegetali cardiaci e dopo l’uso dei sali di potassio. Con 6 eg. di nitrato di tallio nelle rane si ha un notevole rallentamento delle pulsazioni cardia- che. Il cuore si arresta rilasciato per più minuti, e poi di nuovo compie una o più contrazioni, seguite da nuova pausa, fino a che rimane paralizzato. L’ arresto del cuore avviene nell’ animale vi- vente. Nei conigli dopo iniezione sottocutanea di 0, 6 a 1, 5 gr. di nitrato di tallio si ha rallentamento delle pulsazioni del cuore con precedente acceleramento. Nel rallentamento, il taglio dei vaghi non produce acceleramento, e con debole eccitamento elettrico di un vago si ha arresto del cuore. Marmè vide che la paralisi del cuore non dipende da azione del tallio sui centri nervosi, ma da azione diretta sul cuore, e tro- va che anche per l’ azione fisiologica il tallio ha relazione col po- tassio. Rabutean (1) in seguito ad esperienze sulle rane credè che il tallio per la sua azione si possa mettere a lato del potassio, rame e mercurio e riguardarlo come un veleno dei muscoli e del cuo- re. In una seconda pubblicazione Rabutean (2) riferisce esperienze fatte sopra rane, porcellini e cani, usando il ioduro di tallio. Le ra- ne resistono completamente all’ azione perchè , com’ egli dice, si forma in esse l’ insolubile cloruro di tallio. I porcellini con 5 a 6 egr. di ioduro muoiono in 2 o 8 giorni. I cani con 5 cg. restano sani per due giorni, ed al terzo mostrano anoressia, grande debo- lezza muscolare, indebolimento ed acceleramento del polso; poi hanno scariche intestinali sanguinolenti, ed albuminuria. Nelle ori- ne si trova ioduro di tallio. (1) Effets toxiques du Thallium. Gaz. hebdomad. de med. t. 18 1874, p. 293. (2) Iournal de Therap. X, p. 122, 1883. EI memi TETTE II Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio 5 Rabutean concluse che il tallio ed il piombo hanno analogo peso atomico e producono gli stessi sintomi; ma le sue ricerche rimangono inferiori a quelle di Marmè, e 1 aver trovato le rane resistenti all’ azione pare inverosimile, perchè altri hanno veduto il contrario ed hanno trovato tossico il tallio anche per detti anima- li. In sostanza Rabutean nulla di nuovo apportò all’ argomento. Parecchi anni più tardi esce I. Blake (1) con le seguenti ri- cerche. Iniettando nella giugulare di un coniglio 0, 08 di solfato talloso si ha arresto del passaggio del sangue attraverso i polmo- ni per azione sui gangli polmonari; . dopo alcuni secondi il cuore destro vince l’ ostruzione ed il sale circola per tutto il corpo sen- za dare luogo ad alcun sintomo. L’ animale pare essere nello sta- to normale. Una seconda iniezione della stessa quantità di sale ar- resta la circolazione polmonare, e 1’ animale muore. Si trova il cuo- re destro rigurgitante di sangue nero, mentre il sinistro ne contie- ne solamente alcune goccie. Blake crede che per iniezione intravenosa, il sale si trovi in contatto coi centri nervosi più importanti in uno stato di grande diluizione, onde per riconoscere l azione su tali centri bisogna iniettare il sale nell’ aorta. Perciò l’ha iniettato nella carotide col- la punta della siringa verso il cuore ; ne ha iniettato 0, 04 di sol- fato talloso e poi a diverse riprese 0, 08—0, 20—0, 35, senza mo- strarsi alcuna azione da parte dei centri nervosi. Quando si iniet- tano 0, 77 allora solamente il sale si trova in contatto dei gangli polmonali in uno stato abbastanza concentrato per arrestare il pas- saggio del sangue attraverso il polmone. Insomma ci è bisognato 10 volte tanto di sale per iniezione arteriosa per produrre la mor- te, che per iniezione venosa. A parte l’infelice modo di fare le iniezioni, è naturale ciò , perchè il sale talloso, come noi dimostreremo, agisce sulla fibra muscolare cardiaca analogamente al potassio, e perciò per iniezione (1) Sur une action physiologique des sels de Thallium. Note de I. Blake, Compt rend. vo- lume 111, 1890 p. 57. | if i i Il \l | | 6 Iticerche sperimentali sull'azione biologica del Tallio venosa arriva più concentrato nel cuore, ciò che non succede per iniezione arteriosa, dovendo andare prima alla periferia. Ma Blake che immagina un’azione sui gangli pulmonari, dice : “ sembrerebbe che il reattivo con un solo sistema di vibrazione molecolare non incontra nei centri nervosi più importanti alcun sistema di vibra- zione che le sue proprie vibrazioni possono rinforzare o smorzare. È solamente nei gangli polmonari, egli dice, che si trovano delle vibrazioni colle quali quelle dei sali tallosi sono in rapporto, ed è la medesima cosa con tutti gli elermenti monovalenti. (14 » Con i sali tallici i fenomeni sono ben differenti; Blake dice che si serve di un sale il cui peso e volume molecolare è molto più elevato, e dove la molecola è la sede di più sistemi di vibra- zionis, “ S’iniettano 0, 007 di nitrato tallico nella vena giugulare di un coniglio. Dopo 30 secondi vi è mancanza di forza nelle mem- bra, la respirazione si rallenta, le pupille si dilatano, 1 animale è stordito. Dopo un’ altra iniezione di 0, 007 1 animale cade di lato, sì dibatte, i riflessi sono esaltati. Dopo 4 minuti dalla iniezione, la respirazione si arresta, si trova il cuore destro ingorgato di san- gue, il cuore sinistro vuoto (ostruzione polmonare). I ventricoli si contraggono 23 minuti dopo che le orecchiette sono di già arre- state (azione sui gangli cardiaci.) , “ In questa esperienza si trova la medesima azione sui gan- gli polmonari come coi sali tallosi, ma quando il sale ha attra- versato i polmoni e circolato in tutto il corpo, si trova che gli al- tri centri nervosi sono affetti dal sale, anche nello stato di dilui- zione in cui si trova (12 volte più diluito del sale talloso:) ima questa reazione sugli altri centri nervosi si mostra anche meglio dopo iniezione arteriosa. “ » S' inietta 0, 07 di nitrato tallico nell’ aorta di un coniglio ; dopo 30 secondi aumento della tensione arteriosa da 100 a 180 millimetri (centro vasomotore), respirazione rallentata ; dopo 1 mi- nuto tensione arteriosa a 170-190 millimetri con grandi oscillazio- ni, 2 minuti dopo l’ iniezione la respirazione si arresta senza con- —I Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio vulsioni (azione diretta sul centro respiratorio). Dopo la morte, le contrazioni del cuore continuano e la tensione arteriosa subisce delle variazioni come durante la vita; tre minuti dopo che la re- spirazione si è arrestata la tensione arteriosa aumenta da 40 a 100 millimetri, ed il medesimo fenomeno si ripete tre volte avanti che il cuore si arresti (azione sul centro vaso-motore). Le contrazioni del cuore continuano più di un’ ora dopo la morte ; i ventricoli e le orecchiette con un ritmo affatto differente (131-134) (azione sui gangli cardiaci ); i polmoni si trovano epatizzati ( gangli polmo- Bali: ), “ Il contrasto, Blake dice, tra l’azione biologica delle due clas- si di sali del medesimo elemento non potrebbe essere più decisi- vo. Con i sali tallosi ad un sistema di vibrazioni molecolari, non vi ha che un solo centro nervoso sul quale si mostra la loro azio- ne, mentre con i sali tallici, con molecole a molti sistemi di vi- brazione, non vi è un solo centro nervoso che non risenta la lo- ro azione, anche quando essi si trovano nel sangue in quantità 200 volte minore dei sali tallosi. , Il lavoro di Blake è un poco nebuloso, e mentre contiene idee che avrebbero bisogno di sviluppo e più ampio studio sperimenta- le, contiene delle asserzioni non dimostrate e non derivanti dalle esperienze. L’ azione sui gangli pulmonali producendo ostruzione dei vasi dei polmoni è una supposizione, e non basta un semplice risultato di reperto anatomico (ingorgo del cuore destro) per am- metterlo. Parecchie altre conclusioni sono aeree, e parecchie espe- rienze sono confuse ed erronee. In sostanza, secondo Blake, i sali tallosi agiscono sui gangli pulmonali, e perciò ostruiscono la circolazione nei polmoni ; i sali tallici agiscono sopra altri gangli e sistemi organici; ma di tutto ciò, io vedo, che manca la dimostrazione. La differenza d’ azione, a cui Blake accenna, tra i sali tallosi e i sali tallici, sarebbe degno di at- tenzione, e di essere bene studiata di nuovo, come io spero di fare, perchè avrebbe una importanza filosofica. Stando le cose a questo punto, nel 1891 Woldemar Luck pub- 8 Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio blica una dissertazione sull’azione del tallio. (1) Egli adopera il ci- trato di tallio e di sodio , e ne studia l’azione soprai mammiferi, sugli uccelli ed in ultimo sulle rane. I mammiferi adoperati furono 7 gatti, 2 cani, 2 conigli, 2 ricci e due topi, e la maggior parte avvelenati per iniezione sottocuta- nea, pochi per iniezione intravenosa o per bocca. La morte se- guiva dopo 3 o 4 giorni. I sintomi più importanti erano: fiacchez- za, apatia, disappetenza, vomito , diarrea qualche volta sanguino- lenta. Da parte del sistema nervoso: anomalie del movimento con- sistenti in lenta ed in certa andatura , vacillare in qua e là nello stare ed andare, tremolii delle estremità. Il battito cardiaco molto debole ed accelerato, la respirazione rallentata. Solamente in un coniglio e in un gatto si osservarono cram- pi tonici. Dal lato anatomo-patologico ebbe pochi dati. Costantemente si trovò iperemia della mucosa dello stomaco e dell’intestino , alme- no nella parte media dell’intestino tenue. In seconda linea trovò emorragia dello stomaco e dell’intesti- no; una volta si trovò ulcerazione nello stomaco. Nelle urine, in seguito ad avvelenamento cronico, si trovò abbondante albumina e niente zucchero. Al microscopio si osservano emorragie in tutte le parti del rene e talvolta nei canali uriniferi e nelle capsule un essudato gra- nuloso. Da ciò Luck deduce che il tallio, come alcuni metalli pe- santi, nel passare per i reni vi produce una irritazione. Le dosi tossiche per iniezioni sottocutanee trovate furono: 15,38 mg. di TO per chg. di gatto; 26 mg. per chg. di coniglio; 30,48 mg. per chg. di topo; 45,58 mg. per chg. di cane; 33,26 mg. per chg..di riccio, Negli uccelli per via sottocutanea o stomacale, i sintomi di avvelenamento furono: fiacchezza , disappetenza, apatia , dispnea, (1) Beitriige zur Wirkung des Thalliums, Inaug. Diss., Dorpat, Druck von O. Mattie- sen, 1891. Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio 9 crampi tonici. Anatomicamente si trovò iperemia della mucosa in- testinale e qualche ulcerazione emorragica, La carne di un pollo, avvelenato con 647, 14 mg. di TI'0 per chg., fu mangiata da 11 topi bianchi ed alcuni gatti; questi ultimi ebbero solamente vomito, ma i topi, ad eccezione di uno, il quale non ne mangiò, ebbero tipici sintomi di avvelenamento. Da ciò Luck ne deduce che il tallio si deposita nella musco- latura. Nelle rane l’azione del doppio sale si esplica tutta sul cuore, il quale si rallenta, s’indebolisce e funziona irregolarmente e infi- ne si arresta in diastole, mentre in questo momento la rana respira e si muove normalmente. Gli altri sintomi sono simili a quelli che si osservano negli animali a sangue caldo, e cioè fiacchezza, infin- gardagine, apatia, indebolimento e ritardo della eccitabilità riflessa e debolezza muscolare. Dopo ciò, Luck studia l’azione del sale doppio sul cuore di rana all’apparecchio di Williams, e dall’esperienze che riferisce si vede che la pressione gradatamente diminuisce, come pure dimi- nuisce la quantità del liquido che circola nell’ apparecchio, fino a che il cuore si arresta. L’iosciamina, l’elleboreina ed il sangue fre- sco non cambiano l’azione prodotta dal tallio. Osserva il cuore in sito e trova che le pulsazioni diminuisco- ho di numero, si rallentano, diventano irregolari, ed in ultimo il cuore si arresta in diastole, mentre la rana respira e si muove, e la morte avviene in seguito. L’atropina pure data insieme col sale talloso non impedisce il rallentamento; per cui l'A. ne deduce che il tallio non per azione eccitante sul vago rallenta il cuore, ma per azione sul muscolo cardiaco. Poi fa esperienze comparative con il rame ed il piombo, e ne deduce che i metalli hanno una simile azione paralizzante sul cuore. Finalmente fa una esperienza sulla pressione del sangue in un cane di 2490 gr. iniettando il sale nella vena, nello spazio di ore 3 e 50 minuti, in tutto 384 mg. di TI°0 e conclude, che il tal- Arti Acc., Von. IX, Seri 4° — Memoria VIII. 2 il Îl {l Ù 10 Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio lio anche a dose più che tossica, non ha alcuna azione diretta sulla pressione del sangue. In ultimo fa un’esperienza sull’intestino di un gatto, iniettan- do il sale doppio nella giugulare, e conclude che il tallio non ha sull’ intestino alcuna azione. Il tallio viene assorbito per tutte le vie, si deposita in tutti gli organi e si elimina per tutte le secrezioni ed escrezioni ; in questo tutti gli osservatori precedenti sono concordi. Dopo la parte sperimentale, Luck fa delle considerazioni sulle analogie e differenze del tallio con gli altri metalli: da un lato il tallio, egli dice rassomiglia chimicamente e farmacologicamente al potassio, rubidio e cesio, dall’altro al piombo, mercurio, rame ecc. Da questo breve resoconto storico sull’ azione del tallio par- rebbe che l'argomento fosse quasi esaurito ed espletato; pare che vi sia tanta materia che lo studio farmacologico sia completo. Non pertanto guardando bene si trova, che i risultamenti sperimentali dei differenti autori, i quali si sono occupati del tallio, si somi- gliano, e tutti si riducono allo studio della tossicità e dei sintomi dell’ avvelenamento, per cui anche lo stesso accurato lavoro del Luck, in fondo è una ripetizione degli altri, e specialmente di quello del Marmè senza aggiungere qualche cosa di nuovo. In tutti manca la parte migliore e fondamentale di una ricerca farmacologica, quale conviene oggi fare, la indagine cioè della sede e del meccanismo d’azione, la determinazione infine dell’elemento anatomico su cui il tallio specialmente agisce e della qualità della sua azione: eccitante o paralizzante. Da tutti questi studî abbiamo la sola conoscenza che il tallio agisce come il potassio ed è un veleno dei muscoli. Tuttavia, se questo è vero, non è del tutto esatto e completo , e non ha sufficiente dimostrazione. L’analogia coi metalli pesanti poi fu un’infelice idea come vedremo. Oltre l’ignorare la sede e il meccanismo d’ azione, ignoriamo l’azione sugli organi della circolazione, la quale è di molta impor- tanza, specialmente dopo avuta l’idea che il tallio rassomigli al po- tassio. Su quest’ ultima parte esiste una sola e cattiva esperienza Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio 11 del Black, il quale vide col nitrato tallico aumento di pressione, ed una sola esperienza del Luck, col citrato di tallio e di sodio, il quale non ebbe ad osservare alcun fatto notevole, probabilmente per difetto di dose. Le mie esperienze fatte nel 1887 mettono in chiaro dei fatti importanti sull’azione che il tallio esercita sugli organi della cir- colazione, i quali hanno una grande somiglianza per forma e per meccanismo coi fatti, che il potassio ed altri metalli alcalini ed al- calino-terrosi producono sugli stessi organi, che io dimostrai nel 1886, 1887. (1) Onde in questo mio lavoro non mi occuperò della sintomato- logia e dell’ avvelenamento generale prodotto dal tallio, di questo ne conosciamo abbastanza dalle altrui ricerche, ma bensì della se- de e del meccanismo di azione, che specialmente il tallio esercita sugli organi della circolazione. Le vecchie esperienze furono fatte nel laboratorio farmacolo- gico di Messina e sono colla data, le nuove fatte qui sono colla data. Azione del tallio sugli organi della circolazione. Gli altri hanno osservato nelle rane, come abbiamo già ve- duto, che mentre il cuore si rallenta e poi si arresta in diastole, la rana continua a respirare, a muoversi e a sentire quasi come nello stato normale, e solamente qualche tempo dopo |’ arresto del cuore, si hanno dei fenomeni di depressione, conseguenza del- l’anemia, e infine la morte. Questo abbiamo ripetutamente osser- vato noi, preoccupandoci di sapere se i fenomeni generali di de- pressione e la morte fossero dipendenti da azione diretta del tal- (1) Alcune ricerche sul meccanismo di azione dei comuni metalli alcalini ed alcalino-terrosi. Annali di Chimica e di Farmacologia, vol. III, Serie IV, p. 337 e vol. V, 4 serie p. 353. .12 Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio lio sul sistema nervoso, oppure fossero dei fenomeni secondarî, dipendenti dallo arresto della circolazione sanguigna. Ho fatto due serie di esperienze; in una ho osservato i fe- nomeni generali sopravvenienti all’ iniezione e poi ad un certo punto ho scoperto il cuore per vedere in quale stato si trovava ; nell’altra ho fatto un’apertura alla regione dello sterno per rendere visibile il cuore, ma senza toccarlo e senza ledere il pericardio, e poi ho fatto l’ iniezione per vedere la cronologia delle modifiche del cuore e delle modifiche funzionali dell’intero animale. Ho usato il carbonato ed il solfato talloso, sali solubili in acqua ed assorbibili per tutte le vie senza alcun ostacolo od in- conveniente. ESPERIENZA I. Ad una rana inietto gr. 0,05 nei sacchi linfatici alle ore 13. Dopo 35 minuti la rana si mostra un po’ indebolita nei suoi mo- vimenti volontari, gli atti ioidei molto rallentati. Si scopre il cuo- re e lo si trova arrestato in diastole, pieno di sangue scuro, ec- citabile agli stimoli meccanici; stimolando il ventricolo esso esegue una sola sistole, e stimolandolo ripetutamente con punta di spillo si contrae, si fa pallido e si arresta definitivamente. La rana tran- ne un po’ di debolezza generale, nel resto si mostra normale. Non vale la pena di riferire altre esperienze simili. Bisogna notare che se, dopo fatta l’ iniezione, non si osserva il cuore, ma bensì da spettatori passivi si osservano solamente i fatti generali che presenta la rana, si può essere tratti in inganno; in quanto- chè dopo una o più ore si ha da notare il rallentamento e 1’ ar- resto degli atti respiratorî, il gonfiamento del sacco ioideo, |’ inde- bolimento generale senza rilasciamento, il graduato e lento estin- guersi degli atti riflessi naturali e provocati, ed infine la morte; i quali fatti si potrebbero credere dipendenti da azione del tallio sul sistema nervoso. Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio 13 ESPERIENZA II. (28 febbraio 1887) Ad una rana fissata si scuopre il cuore per metterlo in vista. Ore Battiti 2 29 p. 40 230 40 Iniezione di cg. 2 di solfato talloso in una coscia 232 36 Iniezione di 1 cg. 249 20 Diastole ampia, sistole forte, pare come se il san- gue fosse forzato nel cuore. 245 28 Idem 3 00° 26 Diastole ampia, sistole forte. v*06? ‘25 Iniezione di cg. 2. 315 20 Diastole ampia e prolungata, sistole forte. 340 16 Il cuore resta molto tempo fermo in diastole, ma la sistole è completa e rapida. 4 10 Diastole prolungatissima, sistole completa e breve. 4 45 Il cuore arrestato in diastole, eccitato fa alcune pulsazioni energiche, dopo di cui si arresta sempre eccitabile. In seguito, ma molto lentamente, il cuore perde la sua eccitabilità. ESPERIENZA II. (28 febbraio 1887) Sul cuore scoperto di una rana si instilla della soluzione di solfato talloso al 5 °/o. Dopo poco il cuore rallenta i suoi battiti , e a capo di 20 minuti si arresta completamente. È inutile riferire altre esperienze simili. Si vede dalle esposte esperienze, che 1’ azione del tallio si esplica principalmente o quasi esclusivamente sugli organi della circolazione sanguigna; e quando la corrente del sangue è arre- stata, anche molto prima che il miocardio stesso diventi ineccita- bile, è naturale che coll’ abolita introduzione di ossigeno nei tes- suti, coll’ arresto cioè della ossidazione organica, prima cagione e | | | | | | 14 Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio conservazione delle proprietà fisiologiche dei !tessuti, le funzioni del sistema nervoso e dell’ organismo in generale, compreso il cuore stesso, ne debbano soffrire le conseguenze della estinta sor- gente delle energie, dello spento fuoco della vita. Risulta chiaro dalle esperienze, che cronologicamente la pri- ma azione del tallio si esercita sul cuore, il quale ben presto si rallenta e poi si arresta. In seguito a ciò appariscono i fenomeni di depressione generale , quale conseguenza dell’arrestata circola- zione, che, come è noto, i batraci possono sopportare un certo tempo e continuare a vivere, consumando lentamente la provvista dell’ ossigeno. Questo consumo è provato dal fatto, che il cuore arrestato in diastole è pieno di sangue scuro, da me osservato nelle esperienze, anche in quello non riferite; ed è dopo di ciò che sorgono e si aggravano i fatti generali. Dunque nelle rane, il campo di azione del tallio è sugli organi della circolazione san- guigna, e non pare che abbia alcuna azione diretta sul sistema nervoso animale. Resta a sapere come il tallio esplica la detta azione; agisce cioè sul sistema nervoso cardiaco e vasomotorio, o sul sistema muscolare cardiaco e vasale, e la natura di essa azione è eccitan- te o paralizzante ? Questo è il problema principale farmacologico propostoci. Dalle esperienze sulle rane poco o niente possiamo appurare, qualunque metodo sperimentale si adoperi. Se vogliamo tener con- to delle esperienze coll’ apparecchio di Williams, già fatte da Luck, troviamo per risultamento, essersi avuto l’abbassamento della pres- sione, la diminuzione della quantità del liquido circolante e la di- minuzione della frequenza delle pulsazioni, da cui dovremmo de- durre che il tallio avesse un’ azione paralizzante sul cuore, e non altro. L’ apparecchio di Williams non può dirci se la sostanza agi- sce sul muscolo o sul sistema nervoso cardiaco; perchè il cuore asportato porta con se tutto l’ apparecchio muscolare e l’ apparec- chio nervoso, e perciò la sostanza tanto può agire sull’uno, quanto Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio 15 sull’ altro. D’ altra parte il significato dei risultamenti ottenuti dal Luck non ha alcun valore, perchè sarebbe contraddetto da consi- derazioni fisiologiche, le quali risultano dalle osservazioni sul cuo- re in sito, le quali hanno senza dubbio un valore superiore alle inconcludenze dell’ apparechio di Williams, e se non altro sono logiche. Io intendo dire che nelle rane, come è già noto, due sono i fattori del movimento del sangue: la funzione del cuore, e la con- trazione vasale; se manca quest’ ultima il cuore funziona inutil- mente. Si sa infatti, che distrutto il midollo spinale nella rana, e con esso quindi il sistema vasomotorio centrale, si ha la dilata- zione paralitica dei vasi, e come conseguenza di ciò si ha che la corrente sanguigna si arresta, il sangue ristagna nei vasi, e il cuo- re, pur continuando a battere e funzionare normalmente da parte sua, diventa pallido, e sempre più povero di sangue, fino a che si impicciolisce e batte senza ricevere sangue dai vasi e senza darne ad essi. Questo fatto io 1’ ho osservato tante volte e costantemente sotto l’azione di sostanze chimiche, le quali paralizzano i vasi san- guigni (acido comosico , berberina, sali di zinco, di cadmio, ecc.) Per cui trovo che si può tenere per regola, che quando una so- stanza nelle rane produce impallidimento del cuore (effetto della mancanza di afflusso di sangue ad esso), è segno che detta sostan- za ha azione paralizzante sui vasi della rana e ne abbassa la pres- sione sanguigna. Ciò, preveduto, si trova poi sui mammiferi com- provato che la detta sostanza abbassa infatti la pressione sangui- gna per paralisi vasomotoria o vasale. Viceversa, quando il cuore della rana si rallenta e si arresta in diastole pieno di sangue, vuol dire che la sostanza eccita la con- trazione vasale, aumenta la pressione sanguigna, e determina un forzato afflusso al cuore, il quale, quando si arresta più o meno esausto, si trova rigurgitante di sangue, e sui mammiferi con espe- rienze usuali si trova pur confermato, che la medesima sostanza fa aumentare la pressione sanguigna e ne determina la contrazio- ne vasale. I | | | i i 16 Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio Tali considerazioni sulla semplice osservazione del cuore in sito, sono più importanti delle esperienze sul cuore staccato, siano pure fatte con ingegnosi e delicati apparecchi e con abilità tecnica; anzi il cuore staccato si trova in condizioni contrarie a presentare i fenomeni suddetti all'osservazione ed all’ apprezzamento, e sola- mente può servire in qualche speciale caso, per dirci che certi fe- nomeni non dipendono dalla innervazione centrale e dai vasi san- guigni. Dal cuore in sito invece noi possiamo trarre utili insegna- menti. Ebbene, dei due fatti quello che produce il tallio è non la de- plezione, ma il riempimento (forzato) del cuore, come prima da al- tri e in ultimo da me è stato osservato, e perciò dobbiamo conclu- dere per semplice argomentazione fisiologica che il tallio, se ha in- fluenza sui vasi sanguigni, ha quella di eccitarli alla contrazione e di determinare perciò l’ aumento della pressione arteriosa. Vedre- mo poi nei mammiferi quanto ci sia di vero in questa induzione. Ecco tutto ciò che possiamo sapere sulla sede e meccanismo d’azione che il tallio esercita sulla circolazione delle rane ; ma niente possiamo argomentare se esso vi agisce sul sistema muscolare o sul sistema nervoso, tanto col cuore in sito, quanto col cuore stac- cato. Questo è il più importante risultamento senza pretendere al- tro, ed è il frutto di una semplice osservazione. Tutto ciò che ho detto per il tallio va applicato alle altre sostanze e a tutte le espe- rienze fatte coll’ apparecchio di Williams e simili. ESPERIENZA 4° (26 febbraio 1887). Cane pinch di Kg. 4. 400. Senza curarizzazione. Si applica il manometro alla carotide. Durante 1’ esperienza s’ inietta nella giu- gulare il solfato talloso (1) a 10 cg. per volta in soluzione acquosa all’ 1 °/o. (1) Il solfato talloso che adoperai in questa ed in altre esperienze era purissimo, perchè mi fu dato gentilmente dal prof. Luigi Balbiano, il quale lo avea per studî chimici, ed al quale io sono sempre grato. Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio 17 Pressione Ore massima 11. 48 160-180 11. 49 Iniezione di cg. 5 11. 50 200 . Sd, ; 11. 55 195 12. 00 215 12. 02 190 Iniezione di cg. 10 12. 05 180 # » » 40; 10 cg. per volta come sempre in seguito. 12. 07 200 TN 1° 200 Polso rallentato, tracciato molto alto, con intermittenze. 12. 15 200 12. 18 180 Iniezione di eg. 30 12. 20 240 Polso altissimo, ampio e colle straordina- rie intermittenze diastoliche. 190120 220 Polso molto lento, ma alto ed ampio. 12. 30 200 12. 309 105 12. 36 Sincope del cuore e perciò il cane ha perdita di coscienza, di sensibilità e di moto, ed arresto della re- spirazione. Con la respirazione artificiale si riesce a riattivare il cuore e quindi a fare rinvenire in vita il cane, il quale è messo in libertà —Ma nondimeno dopo ciò il cuore batte molto lentamente e raro, e poi sempre più raro fino ad essere insufficiente per la circolazione, onde alla fine si ha respirazione agonica, perdita di coscienza e morte per arresto del cuore, seguìto dall’ arresto imme- diato della respirazione. ESPERIENZA 5 (4 aprile 1887). Cane bastardo di Kg. 7. 800, curarizzato. Si applica il mano- metro alla carotide e durante l esperienza si fa l’ iniezione nella giugulare del carbonato talloso in soluzione acquosa all’ 1 0/0. Arm Acc., Vor. IX, Serik 49 — Memoria VIII. 3 Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio 12. +22 . 23 12. . 25 o; 12. 12. . 43 . 45 . 50 . D4 15 17 18 58 20 Di 24 37 38 12. 39 12. . 41 40 42 Pressione massima 159-190 Iniezione di cg. 20 210-180 A nen U' 910 Polso più alto del normale. Iniezione di cg. 10 220-230 » altissimo. Iniezione di cg. 20 240 Iniezione di cg. 10 250 " I 260 » e 260 a MPS? DR 230 205 235 235 Iniezione di cg. 10 185 » » » 10 2925 240 Polso molto alto, ampio, con forti inter- mittenze diastoliche. di Polso sempre molto alto, ed ampio, con 930 | forti intermittenze diastoliche. 150 140 Polso molto alto, oscillante, senza inter- mittenze. Dopo ciò si è fatta l'iniezione di 1 gr. di carbonato talloso , lentamente a 10 cg. per volta. Si è avuto ad osservare durante queste iniezioni, che la pressione cominciava a diventare irregola- re, perchè mentre in alcuni momenti scendeva a 50, aveva dei rapidi innalzamenti fino a 230, 200, 100, e così alternativamente ora innalzamenti, ora abbassamenti considerevolissimi. Intanto il polso è molto alto, ampio, colle intermittenze diastoliche ed enor- memente rallentato. Il rallentamento ha progredito sino a che il battito cardiaco si è fatto molto raro ed il cuore si è arrestato , ed arrestata ogni oscillazione del manometro , la pressione è sce- sa a 0. Aperto subito il torace, il cuore si trova fermo, ma eccitabi- Ficerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio 19 le nelle sue pareti. Oltre 10 minuti dopo arrestato il cuore, si è arrestato un certo simulacro di movimenti respiratorî, essendo sta- ta la curarizzazione moderata. Da queste esperienze chiaro apparisce dimostrato , che il tal- lio aumenta enormemente la pressione arteriosa, e che rallenta il polso, il quale si fa molto pieno e forte, ed il tracciato sfigmogra- fico è del tutto simile, a quello che si ottiene cogli alcalini (K, Ru, Ce, Na, ecc.), cioè presenta curve molto alte ed ampie, e di tanto in tanto delle intermittenze diastoliche come una grande pulsazio- ne negativa o prolungamento di una diastole. Ecco come è dimostrato e confermato quello che abbiamo pre- visto dalle osservazioni sul cuore della rana, con quel ragionamen- to fisiologico, di cui ho parlato. Risulta inoltre una più evidente rassomiglianza tra il tallio e gli alcalini almeno per l’azione sulla circolazione sanguigna, e le Osservazioni sperimentali di quelli che mi banno preceduto diven- tano meschine in paragone delle mie che ora presento. Ma pure non è tutto ancora. Io ho dimostrato che gli alcalini ed alcalino-terrosi producono similmente tutti gli stessi fenomeni appariscenti sulla circolazione Sanguigna, cioè aumento di pressione, rallentamento ed rinforza- mento con intermittenze diastoliche del polso , eccitando il cuore € contraendo i vasi, ma non tutti collo stesso meccanismo. Potas- Sio, rubidio e cesio agiscono eccitando i muscoli vasali e cardiaci, il sodio agisce eccitando i nervi vasomotorî e cardiaci, ed il litio, calcio, stronzio, bario, ece., agiscono eccitando gli uni e gli altri (1). Perciò ora vogliamo sapere a quale di questi tipi il tallio ap- Partiene, e se agisce sul sistema muscolare o su quello nervoso. A tale scopo feci le solite esperienze della forte curarizzazione fi- ho all’ abolizione completa dei riflessi vasomotori, partendo dal concetto, che il curaro iniettato nella vena fino al grado che ecci- Sii (1) V. Annali di Chim. e Farmacol. 1886 e 1887 già citati | | | | | 20 Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio tando coll’ elettricità un nervo sensitivo, come il crurale , lo scia- tico ed altri, non si ha aumento alcuno della pressione sanguigna ed eccitamento riflesso del cuore per paralisi del sistema nervoso vasomotorio ed eccito-motore del cuore. Messo in queste condizio- ni speciali un animale, è chiaro che se la sostanza eccita il cuore e fa contrarre i vasi per azione sui nervi, questi essendo paraliz- zati non reagiscono o non sentono alcun effetto, e perciò la s0- stanza rimane senza produrre più i constatati fenomeni, come quan- do il sistema nervoso è eccitabile, per es. il sodio (un sale comu- ne); invece se la sostanza agisce direttamente sui muscoli, esso produce sempre gli stessi fenomeni, sebbene il sistema nervoso sia ineccitabile, tale è per es. il potassio, il rubidio ed il cesio. Nello stesso modo ho fatto col tallio, ed eccovi le esperienze. ESPERIENZA 6° (28 febbraio 1887) Cagna di Kg. 4.200 curarizzata fino all’abolizione completa dei riflessi vasomotorî e cardiaci, eccitando lo sciatico con la corrente indotta. Ore Pressione 1. 50 p. 50 Con la paralisi vasomotoria s'intende che la pressione è bassa. Eccitando lo sciatico si ha aumento della pressione di appena 20 mm., onde s’inietta ancora del curaro. 2. 20 50 Eccitando lo sciatico non sì ha più au- mento della pressione, nè il cuore sì eccita. o. Zi 140120 Iniezione di cg. 40 di solfato talloso a 10 cg. per volta, subito la pressione è salita a 115-120, ed il polso da piccolissimo che era, si è fatto più grande, alto, ampio e forte. 2. 23 70 Eccitando lo sciatico la pressione non au- menta. Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio 21 VAI | 80 Eccitando lo sciatico la pressione non au- menta, ma non pertanto s’inietta altro cu- raro, e la pressione nemmeno scende, on- de siamo sicuri della ineccitabilità del si- stema nervoso vasomotorio. 2. 45 80 Iniezione di cg. 30, la pressione aumentò e il polso si rinforzò un poco. 2. 46 130 3. 50 35 Iniezione di cg. 30, la pressione aumentò e il polso si rinforzò un poco , facendosi più alto e più ampio. 3. DI 120 ESPERIENZA 72 (aprile 1887) Cane pinch di Kg. 5, curarizzato fino all’ abolizione completa dei riflessi vasomotorî e cardiaci eccitando il nervo sciatico. Ore Pressione 3. 00 45 Iniez. di cg. 5 dicarb. talloso/” ese Da Hu percettibile di- n° i KO? venta alto am- 3. 02 169 pio e forte. 3. 04 50 L’ eccitamento dello sciatico non fa au- mentare la pressione; nè eccita il polso. 3. 06 50 Le stesse condizioni di eccitabilità vaso- motoria. 3. 07 45 Iniezione di cg. 80. La pressione aumentò e il polso si rinforzò notevolmente in al- tezza ed ampiezza. 3. 08 110 | 3. 15 65 i Da queste esperienze adunque risulta chiaro il fatto, che an- o che quando il sistema nervoso cardiaco e vasomotorio è paraliz- | zato da una profonda curarizzazione, il tallio fa pure aumentare la pressione sanguigna e rinforza il cuore, cioè produce gli stessi ef- | fetti che nello stato normale a rassomiglianza quindi del potassio; | s'intende perchè in queste condizioni anormali gli effetti non so- | | | | I È i i 22 Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio no duraturi. Si deduce adunque, che il tallio agisce senza il siste- ma nervoso, e cioè agisce sulla fibra muscolare dei vasi e del cuo- re, eccitandola, per cui ne aumenta la funzione. E perciò da una parte determina contrazione e restringimento vasale, d’onde l'aumento della pressione ; e dall’ altra aumenta la forza sistolica e diastolica del cuore, donde il polso più lento, ma più esteso; per cui il traccia- to sfigmografico presenta curve molte alte ed ampie con diastoli prolungate e intermittenze diastoliche, contribuendo per la maggio- re energia della sistole all'aumento della pressione arteriosa. Debbo avvertire e prevenire che i sali tallosi (carbonato, sol- fato, ecc.) hanno proprietà simili ai corrispondenti sali alcalini, ed hanno sugli albuminoidi quasi la stessa azione di questi. D’altron- de essi sono assorbibili rapidamente per tutte le vie, e non è il caso di temere produzione di coaguli quando sieno iniettati nelle vene, specialmente in soluzione all’1 “o. Stabilita adunque qual'è la vera azione del tallio sugli organi della circolazione (sede, natura e meccanismo), ci resta da vedere se abbia anche azione sul sistema nervoso. Azione del tallio sul sistema nervoso Le esperienze già riferite per altro scopo pure presentano dati sufficienti per decidere tale problema; ma nondimeno credo neces- sario fermarci ancora un poco su questo punto, tanto colla discus- sione quanto con alcuni esperimenti. Nelle rane dopo fatta l’iniezione di sale talloso, se non si tie- ne conto della circolazione, si hanno fatti che si potrebbero «ttri- buire ad azione diretta del tallio sul sistema nervoso; la depressio- ne, l’indebolimento , l’arresto degli atti ioidei , la perdita graduale della sensibilità e dell’ eccitabilità, e via discorrendo. Ma siccome questi fenomeni vengono dopo l’arresto della circolazione, così pare più giusto attribuire a questo fatto quei fenomeni quale conseguen- za naturale, cioè come la morte ordinaria dei tessuti per la semplice causa della soppressa irrigazione sanguigna. In modo che si può Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio 23 concludere, che il tallio non ha azione sul sistema nervoso, o che per lo meno ne ha una molta incerta. È inutile che io esponga altre esperienze fatte sulle rane; ho detto già ciò che si osserva in esse. Ma invece credo utile rife- rire qualche esperienza sui mammiferi, nei quali seguendo la morte immediatamente all’arresto del cuore possiamo più nettamente di- scernere se vi sono fenomeni precedenti all’arresto del cuore. ESPERIENZA VIII. Ad un coniglio di gr. 450 s’ iniettano gr. 0,50 di carbonato talloso sotto la pelle alle ore 14. Alle ore 14,35 iniezione di altri 0,50 ed alle 15,6 iniezione di altri 0,50 , non avendo visto alcun effetto. Dopo la terza iniezione si nota una minore frequenza del bat- tito cardiaco senza essere più debole. Alle 15,45 il coniglio è quieto, poi apatico sofferente, ma si muove normalmente, sembra come stanco, poggia col ventre dopo fatto qualche passo; indi cade di lato; pupilla dilatata, respirazione rallentata, il cuore batte molto raramente. Alle 15,55 vi è un po- co di agitazione degli arti anteriori, contrattura della nuca e dei muscoli scapolari e degli arti anteriori, respirazione molto rallentata, battito cardiaco non più percettibile. Alle 16 arresto della respirazione, vi sono solamente atti re- spiratorî agonici, l’animale è boccheggiante; appena finiti questi boc- cheggiamenti si apre il torace e si trova il cuore già arrestato, il quale in contatto dell’aria esegue alcuni movimenti di ondulazione. Esso è pieno di sangue in tutte le sue cavità. Polmoni afflosciati. ESPERIENZA IX. (6 Maggio 1887) Cane spurio di Chg. 3,800; polso 130, respirazione 16 al minuto. i Si iniettano sotto la pelle 2 gr. di carbonato talloso. All’ 1,35 24 Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio p. m. s’inietta lentamente nella giugulare 1 gr. dello stesso sale. Dopo 10 minuti vomito ripetuto con grandi sforzi. Alle due e 30 p. m. l’ animale è tranquillo , un po’ apatico, sonnolente, ma ad un tratto dà un forte grido, cade prostrato; la respirazione è affannosa, vi è perdita di coscienza e di ogni movi- mento; il cuore intanto non si sente pulsare affatto. Non moti ri- flessi, rilasciamento, respirazione agonica ; arterie vuote di sangue ; si pratica la respirazione artificiale. Alle 2,40 continua la respirazione agonica, ed il cuore ogni tanto dà una pulsazione. Alle 2,44 l’istesso stato che pone fine in una leggiera convul- sione tonica, cuore arrestato definitivamente, non ha dato più alcu- na pulsazione; dopo cui un’ultima inspirazione; morte completa alle 2,46 pom. I muscoli scheletrici sono eccitabilissimi e fanno delle contra- zioni spontanee come palpitazioni. Si vede da queste esperienze, che l’animale incomincia a sof- frire allorquando gravi disturbi della circolazione si sono determi- nati, e si ha la morte quando il cuore è arrestato o quasi per ar- restarsi. Appare evidente che 1’ arresto del cuore o meglio della circolazione, precede ed è la causa di tutti gli altri fenomeni e della morte generale. L’anemia acuta del sistema nervoso è la causa se- condaria immediata, ed i sintomi osservati ed osservabili sono la conseguenza di essa. L’anemia, la quale segue all’arresto del cuore, è da osservare, che è preceduta da una notevole ischiemia per la contrazione va- sale determinata dal tallio, e questa appare evidente che sia la cau- sa di quasi tutti i sintomi generali, i quali seguono al rallentamento del cuore ed all'aumento della pressione arteriosa, e sia causa della morte quando si è prossimi all'arresto del cuore. Io credo poter concludere, che il tallio non agisce sul sistema nervoso, e la sua azione consiste tutta nell’ eccitare fortemente la fibra muscolare splancnica, specialmente quella vasale e cardiaca (1 Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del T'allio 2 sino all’ esaurimento. Detta fibra muscolare in seguito a tale ecci- tamento, dopo aver funzionato enormemente, esaurite le sorgenti dell'energia, è incapace a lavorare ulteriormente come nel normale e si arresta inana e rilasciata, ma è eccitabile ed atta a fare an- cora qualche contrazione debole ed isolata. Dico questo perchè la contrattilità del cuore perdura un tempo notevole dopo arrestato l’organo nella sua funzione, c cioè dopo arrestata la circolazione. Dobbiamo qui distinguere la proprietà funzionale dell’ organo cardiaco dall’eccitabilità delle sue fibre muscolari: quella si abolisce e questa persiste. E dobbiamo qui ricordare ancora che quando il cuore della rana, sotto l’azione del tallio, è arrestato da qualche tem- po in diastole e dopo divenuto anche ineccitabile in tutto il suo sistema come organo pompante in modo che non compie più alcun movimento nelle sue pareti, stimolando ripetutamente con spillo il ventricolo pieno di sangue, questo si contrae punto per punto, fi- bra per fibra, ed allora si vuota di sangue, rimanendo piccolo ed inerte. Tal fatto indica che anche quando è cessato il lavoro del cuore, e cioè la funzione simultanea del sistema muscolare di es- so, rimane ancora per ciascuna fibra un residuo di contrattilità, e cioè quindi che la fibra muscolare non è ancora morta ed inecci- tabile del tutto. Perciò è da pensare, che l'arresto del cuore e l'inerzia della fibra muscolare avviene non per ineccitabilità o perdita della pro- prietà contrattile, determinata dal tallio, ma per esaurimento di essa fibra muscolare in seguito ad una enorme iperfunzione. La perdita della contrattilità muscolare poi, molto tardiva do- po l’ arresto del cuore, potrebbe forse dipendere pure dall’azione del tallio; ma siccome essa non ancora è avvenuta dopo arrestato l’ or- gano e dopo cessata la vita generale, così più giustamente appare essere semplice effetto di morte naturale in seguito alla cessata circolazione e quindi nutrizione della fibra muscolare. Per cui dobbiamo concludere che il tallio, se stimola a mag- gior funzione i muscoli del cuore e dei vasi fino ad esaurirli di forze, non ne abolisce la loro eccitabilità e contrattilità. Arm Acc., Von. IX, Serie 4° — Memoria VIII. < 26 Iricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio Vediamo adunque che il tallio per tutti i lati agisce come gli alcalini, e che appartiene agli eccitanti muscolari specialmente dei muscoli splancnici, quali sono K, Ru, Ge. Per l’azione acuta che noi abbiamo studiato , il tallio (com- posti tallosi) non ha analogia coi metalli pesanti Pb, Hg, Gu, ecc., come si è detto, perchè questi agiscono principalmente e dapprima sul sistema nervoso e poi sul muscolare e la loro azione è piut- tosto paralizzante che eccitante. Azione cronica del tallio Gli sperimentatori che mi hanno preceduto, sono caduti in errore quando hanno creduto di vedere nell’ azione del tallio una somiglianza coi metalli pesanti; essi non hanno giustamente apprez- zato i fenomeni e non hanno conosciuto i veri fatti. L’ esperienza seguente sull’ azione cronica dimostra chiaramente che fra questa e quella acuta non vi è differenza. ESPERIENZA X. Ad un coniglio di gr. 1400 si fa 1’ iniezione ipodermica di cg. 25 di carbonato talloso alle ore 15, 45 il giorno 2 aprile 1895. Il giorno 3 alle ore 7 8/4 si trova poggiato col ventre a terra e stimolato cammina. Non mostra sofferenze speciali. Battiti car- diaci meno frequenti del giorno avanti. Alle ore 11 è apatico, freddo. Padiglioni dell’ orecchio assai pallidi e anemici. Battiti cardiaci 120 al minuto, che normalmente. sono più frequenti. Respirazione lenta e superficiale. Alle ore 13. Collasso; cuore non si sente pulsare che appena 80 per minuto. Si scuopre una carotide e si trova vuota di san- gue, e presa fra le dita non si percepisce pulsazione, onde si vede all’ evidenza che la corrente sanguigna è ridotta a minimi termini. Temperatura rettale 32°. C. Non paralisi nel senso ordinario; mo- to e riflessi persistenti. Aiutato, l’animale si drizza e poi cade len- tamente; stimolato sente e si muove ed ha completa coscienza ; Cai Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del T'allio 2 insomma non vi è che torpore e assideramento. Così seguita per tutta la giornata senza modifiche notevoli. Ml giorno 4 a ore 7 l’ animale è più fiacco, giace col ventre a terra e cogli arti anteriori divaricati e la testa malferma, cam- mina pochissimo. Il cuore batte debolmente ed è irregolare. Tem- peratura rettale 34°, 5. C. Lingua rilasciata e cadente fuori la bocca. L’ animale rifiuta il cibo, e non ha più mangiato da quando ha avuto fatta l’ iniezione. Così va avanti nella giornata. Ad ore 16, 15. Abbattuto, non si muove, resta in quella po- sizione in cui si è messo, riflessi persistenti. Battiti 148; resp. 324 Ad ore 20. L’ animale è come morto. Battiti 80; respirazione superficiale. Ad ore 20, 30. Arresto dei movimenti respiratorî. Aperto, il cuore seguita a battere irregolarmente per 6 minuti e poi si ar- resta, flaccido e povero di sangue. Questa esperienza non ha bisogno di commenti, essa parla chiaro. Il fatto capitale e primo è che si ha restringimento vasale e rallentamento del cuore, nel primo giorno. Abbassamento gran- dissimo della termogenesi, svuotamento delle arterie, anemia gene- rale, grave collasso, grave depressione della circolazione sanguigna nel secondo giorno, con persistente anoressia e relativo abbattimento generale. Esaurimento generale e morte per inanizione in seguito. È chiaro che il tallio non è la causa diretta della morte: esso anche per azione cronica agisce solamente sui muscoli splanenici, specialmente del cuore e dei vasi come nell’azione acuta, dapprima eccitandoli fortemente e poi esaurendoli, senza agire sul sistema nervoso. I fenomeni generali sono semplice conseguenza dei di- sturbi circolatorî, della grave anemia generale e della inanizione , e la morte è la conseguenza finale di tutte queste cose. I pretesi sintomi di saturnismo (colica, artralgia, convulsioni maniache, ecc.) mancano totalmente. Per l’ azione cronica dunque, allorchè la morte segue alcuni giorni dopo l’ assorbimento del veleno, io credo di dire che i fe- nomeni generali di apatia, debolezza, disappetenza, ecc., sono gli 28 Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio stessi che si hanno nell’ azione acuta, insieme all’ imminente ar- resto della circolazione, colla differenza che in questa si svolgono rapidamente, e in quella lentamente. Nell’ azione cronica il cuore si esaurisce lentamente, avviene un graduato indebolimento di esso e ne segue la grave anemia generale e l’ ipotermia e nell’ istesso tempo si appalesa la debolezza nervosa generale. Inoltre forse con- tribuiscono, se vi sono, a produrre gli stessi fatti di depressione e so- no cause delle altre sofferenze dell’ animale 1° iperemia e 1° ulcera- zione della mucosa gastro-enterica, e l’irritazione renale colla con- secutiva albuminuria. Questi fatti fecero credere ad una somiglianza del tallio col piombo ed il mercurio: ma essi non sono costanti nè tanto importanti quanto si è voluto. D’ altro lato, considerando che una gastro-enterite ed una nefrite sono prodotte da molte al- tre sostanze, di diversa natura chimica (inorganiche ed organiche), e sono un fenomeno comune di irritazione causata dalla sostanza nei punti di contatto dell’organismo nelle vie d’ entrata o in quelle d’ uscita, e considerando che mancano le analogie vere farmacolo- giche più importanti, io credo che il tallio anche per l’azione cro- nica, sia senza rassomiglianze giuste, e quindi sia differente dal Pb, Hg, ed altri metalli pesanti, a cui si è paragonato. Nemmeno cogli elementi del 3° gruppo, quale 1’ alluminio, in cui l’ ha collocato la legge periodica della chimica, il tallio ha com- pleta analogia farmacologica, anzi a quanto pare da quel poco che si conosce sull’azione di essi, se ne allontana ancora di più. Se la vera e completa rassomiglianza del tallio è col XK, Ru, e Ce, per la forma, la sede e il meccanismo di azione, e non ne ha cogli altri Pb, Hy, Cu, ecc., il tallio avrebbe più ragione di passare al 1° gruppo anzichè di rimanere nel 3°. La manovalenza e le proprietà fisico-chimiche dei composti tallosi, analoghe a quelle degli alcalini, insieme coll’ analogia farmacologica, appoggiano que- sto concetto con abbastanza fondamento; mentre la ragione della trivalenza nel composti tallici, specialmente se questi non hanno diversa azione, come vedremo, mi pare molto fiacca in paragone dell’ altra per lasciarlo nel 3° gruppo. Ed a proposito di ciò biso- | I | Iicerche sperimentali sull'azione biologica del Tallio 29 gna osservare, che anche l’ oro ha trivalenza come il tallio, e in- tanto col rame e coll’ argento pure a valenza variabile, fu dagli Autori della legge periodica messo nel 1° gruppo. E questa ultima triade, sebbene abbia qualche anologia farmacologica col sodio per l’azione sulla circolazione, come io dimostrai, pure ne andrebbe separata per l’azione sul sistema nervoso, onde formare un gruppo farmacologico a parte. Azione dei sali tallici. Fin qui abbiamo studiato l azione dei sali tallosi, e non a- vremmo fatta altra parola, se Blake non avesse detto esserci dif- ferenza tra l’azione dei composti monovalenti e quelli trivalenti dello stesso elemento. Questa concezione a me particolarmente riesciva assai grata e lusinghiera, qualora fosse stata vera e di- mostrata. Per cui non ho risparmiato sacrifizio per vederla nel fatto. Importante cosa per il genere dei miei studî prediletti. Ma quale disillusione ho provato, vedrà subito il lettore da quello che passo a dire. È noto che l' ossido tallico (anidro o idrato) si scioglie negli acidi solforico, nitrico ecc., formando i relativi sali in soluzione acida e non si scioglie in acqua acidulata, tanto da formare solu- zioni neutre; per cui la soluzione che si ottiene è fortemente acida ed il sale formato si mantiene sciolto soltanto nell’ acido discreta- mente concentrato, ed anche in tal caso se la detta soluzione acida si allunga con acqua, i sali tallici formati si decompongono e l’os- sido idrato, *T?0?, H?O si precipita. È chiaro che sali tallici neutri e puri ed in soluzione acquosa, adatta allo studio farmacologico, non si possono avere e non si possono usare. Quindi, Blake, il quale dice di avere iniettato nell’ aorta del coniglio il nitrato di tallio, sciogliendo l’ossido tallico nell’acido ni- trico, evidentemente ha iniettato una soluzione nitrica di nitrato tallico, e cioè dell’ acido nitrico addirittura. 30 Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio Basta questo per vedere cadere il lavoro del Blake e per ac- corgersi dell’ errore in cui questo Autore è caduto. S’intende quin- di che l’azione dei composti tallosi sciolti in acqua deve essere differente da quella dei composti tallici sciolti in acido nitrico. Ad onta di questa elementare difficoltà, la quale basta per sè a far desistere dal sacrificare inutilmente tempo ed animali, pure ho voluto fare diverse prove per potere vedere qualche cosa, lu- singandomi di potere sormontare alcuni ostacoli. Io esporrò breve- mente le prove sperimentali fatte, per quelle che valgono, ma le difficoltà sono quasi insormontabili. ESPERIENZA XI. Ossido tallico, sciolto in acido nitrico e poi neutralizzato l’ec- cesso di acido con carbonato di sodio fino al principio di precipi- tare l ossido, introdotto nella bocca delle rane. Dopo un’ ora sono arrestati gli atti ioidei, e scoperto il cuore si trova arrestato in diastole, ineccitabile e pieno di sangue scuro; mentre le rane reagiscono come nel normale e sono appena un po’ malandate. ESPERIENZA XII. A delle rane si fa ingerire della soluzione nitrica allungata con acqua sino a precipitazione dell’ ossido. Si sono ottenuti gli. stessi fenomeni insieme a fatti locali causati dall’ acido. Arresto del cuore prima della morte. ESPERIENZA XIII. Ossido tallico con CIH produce cloruro tallico con poco clo- ruro talloso ; allungando con acqua e riscaldando si ha la soluzio- ne, la quale al raffreddamento deposita il cloruro talloso. La solu- zione già acida del cloruro tallico rimasta si fa ingerire alle rane, e dopo 3 ore queste hanno gli atti ioidei lenti ed irregolari ed al- Ricerche sperimentali sull’ azione biologica del T'allio 31 lora aperte nel torace, presentano il cuore arrestato in diastole pieno di sangue scuro, poco eccitabile, mentre le rane si muovo- no come nel normale ed in seguito si sono intorpidite e indi so- no morte. Lo stesso risultato ho ottenuto colla soluzione iniettata sotto la cute. ESPERIENZA XIV. S’immergono semplicemente delle rane nella soluzione nitrica dell’ ossido tallico allungata con acqua comune sino al principio di precipitato. La soluzione ha reazione neutra e le rane vi rimango- no in essa per mezz’ ora. Dopo 2 ore le rane conservano ancora moto e sensibilità, ma gli atti ioidei sono irregolari e quasi sospesi. Allora scoperto il cuore si trova arrestato in diastole, pieno di sangue scuro, poco eccitabile. ESPERIENZA XV. Ad un coniglio s’ iniettano sotto la cute cg. 45 di ossido tal- lico sciolto in CIH + H °0. In seguito ha mostrato un poco di apa- tia e di non volere mangiare, è freddo, ha un po’ il cuore rallen- tato e nel resto si muove e sente normalmente, ha i padiglioni dell’ orecchio pallidi e con vasi contratti. Nella nottata è morto. E con questo basta. Se queste esperienze dicono qualche co- sa, dicono precisamente che dai sali tallici si ha la stessa azione dei sali tallosi nè più nè meno e non vale la pena di fare altro. CONCLUSIONI Il tallio agisce esclusivamente sugli organi della circolazione del sangue. Esso aumenta notevolmente la pressione arteriosa, ral- lenta e rinforza il battito cardiaco. Esso eccita la fibra muscolare & ea cerci 32 vicerche sperimentali sull’ azione biologica del Tallio del cuore e dei vasi, ed è perciò che determina una maggior fun- zione dei detti organi, producendo |’ aumento della pressione ed il rallentamento del polso. Non agisce sul sistema nervoso cardiaco e vasomotorio. Il tallio non agisce sul sistema nervoso animale, come non agisce su quello vegetativo; esso è esclusivamente un agente mu- scolare, e la sua azione è di natura eccitante. L’ arresto del cuore avviene per esaurimento delle energie mu- scolari in seguito all’ iperfunzione, e non per la perdita della con- trattilità; quest’ultima si ha in seguito all’ arresto della circolazione come morte naturale. I fenomeni generali, che si hanno tanto nell’ avvelenamento acuto che in quello cronico, somigliano tra loro e sono dipendenti dai gravi disturbi circolatorîi. La morte nell’ avvelenamento acuto avviene per sincope cardiaca. ll tallio agisce come il X, Ru, e Ce., e perciò farmacologica- mente farebbe parte degli alcalini e sarebbe quarto fra questi ec- citanti dei muscoli splanenici. Non ha analogia con il Pò, Hg, Cu, ed altri metalli pesanti come si è detto. Non ha azione cronica, ma quella pretesa come tale è una conseguenza morbosa di quella acuta. Non vi è alcuna differenza tra 1’ azione dei sali tallosi e quel- li tallici; tutti agiscono allo stesso modo, eccitando la fibra mu- scolare splancnica senza agire sul sistema nervoso. Catania, Aprile 1895. Memoria IX. NEVIANI ANTONIO Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) ill con 24 figure intercalate nel testo (1) Nel promontorio del Capo Vaticano, presso il monte Poro, evvi il paese di Spilinga, che si posa su di un piccolo lembo di terreno postpliocenico. all'altezza di circa 450 metri sul livello del mare: | formando una piccola parte di uno di quei terrazzi che a varie al- Il tezze si estendono lungo la penisola calabrese specialmente nel ver- (1) Le citazioni delle memorie sono, per ragione di spazio, sempre molto abbreviate ; nella ill) appendice bibliografica unita alla mia memoria sui Briozoi fossili della Farnesina ecc. sono elencati 125 lavori; ad essa rimando lo studioso; ora aggiungo venti memorie che in quella li- If sta non sono registrati, e sono citati nella presente pubblicazione. (il Cortese Em. — Descrizione geologica della Calabria. Volume TX delle memorie descrittive il della Carta geologica d’Italia—R. Ufficio geologico—Roma 1895. DE AverLIs Gioac®. — Descripciòn de los Briozoos fosiles pliocénicos de Catalumna. Bar- celona 1895. Derrance M. — Dictionaire des Sciences Naturelles—1815-1830. Gray I. E. — Catalogue of Radiata in British Museum. 1848. | Hinexs Ta. — On the Classification of the British Polyzoa — An. Mag. Nat. Hist.., s. 5 | v. 8, 1879. ill Hincxs Tg. — On British Polyzoa — Part. II — Classification—An. Mag. Nat. Hist. s. 4 il v. 20; 1877. Hinoxs Ta. — Madeiran Polyzoa -— Contributions Towards a general history of the marine Polyzoa — An. Mag. Nat. Hist., s. 5, v. 6; 1880. i JuLLIEN I. — Note sur une nouvelle division des Bryozoaires Cheilostomiens— Bal. soc. zool. ill franc. Vol. VI; 1881. | JuLLIRN I. — Les Costulides—Nouvelle famille de Bryozoaires — Bul. soc. zool. frane. Vo- lume XI; 1886. KrrkpaTRICK R. — Polyzoa of Mauritius—An. Mag. Nat. Hist., s. 6, v. I; 1888. Lamarck I. B. —Histoire naturelle des animaux sans vertèbres, ediz. 12, 1816; edizione 2* 1 1836. Lamwouroux I. 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IX, SerIE 48 — Memoria IX. 1 il 2 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) sante tirrenico. Di questi terrazzi, già chiamati gradoni, che in nu- mero di quattro serie si succedono con ordine regolarissimo sino a mille metri e più, ne parlarono il Pignatari (Prime linee geologiche del Monteleonese, 1877), il Seguenza (Le formazioni terziarie della Pro- vincia di Reggio Calabria, 1879-80), il De-Stefani (Escursione scienti- fica in Calabria, 1884), il Salmoiraghi (Terrazzi quaternari sul lito- rale tirrenico della Calabria, 1886), qualche cosa ne dissi io pure (Sui giacimenti dei cetacei fossili nel monteleonese, 1886) e recente- mente l’ ingegnere Cortese ne fa una minuta analisi nella “ Descri- zione geologica della Calabria (1895). , Dai depositi di Spilinga provengono i Briozoi che servirono di studio per la presente memoria, e che tolsi da un piccolo esem- plare di roccia (calcare disgregabile) fornitomi dal prof. Pignatari del R. Liceo di Monteleone. Le specie rinvenute sono 72; tenuto conto che tutte queste vennero separate da una quantità minima di materiale, si compren- de che quel giacimento ne deve essere oltremodo ricco, e ciò tanto più se si considera che vi mancano quasi completamente i Mollu- schi, che certamente ne devono essere abbondantemente ricoperti. Le forme incrostanti sono per lo più rappresentate da piccoli fram- mentini, alle volte con piccolissimo numero di zoeci, staccati da al- tri organismi, e sparsi nella roccia; il che fa pensare ad un rima- neggiamento del materiale depositato in fondo alle acque; e di ciò se ne riscontra infatti una prova nei molti frammenti di vari orga- nismi rotolati e levigati; fenomeno che attesta altresì la poca pro- fondità delle acque. Che i sedimenti dei terrazzi calabresi sieno depositi di spiag- gia non solo lo dimostra la loro posizione, ma anche la fauna a Briozoi che vi è contenuta, giacchè molte delle specie, come vedesi dalle quote segnate per molte di esse, sono proprie delle acque basse, e solamente pochissime raggiungono profondità notevoli. Se facciamo un confronto col giacimento della Farnesina pres- so Roma, ove determinai 110 specie di Briozoi, troviamo che le condizioni di vita delle due località dovevano essere alquanto dif- i Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 3 ferenti ; e difatti notiamo a prima vista l'assenza assoluta delle Cupulariae, mentre alla Farnesina e dintorni sono straordinariamen- te abbondanti; così pure sono scarse le Schizoporellae, giacchè men- tre a Spilinga ne ho rinvenute due sole specie, ne contai diciasette alla Farnesina. Osservo che a Spilinga fra i Cheilostomati si aggua- gliano quasi le forme erette (24) con quelle incrostanti (22), men- tre alla Farnesina le specie incrostanti sono 57 sopra 24 erette ; notisi infine che mentre alla Farnesina i Ciclostomati raggiungono sul numero totale il 26 per cento, nel deposito di Spilinga salgo- no al 36 per cento. Queste differenze io le attribuisco, più che a diversa profon- dità, a varia conformazione di ambiente ; giudicando che mentre alla Farnesina doveva esservi un golfo con acque molto tranquille; a Spilinga la spiaggia doveva fronteggiare un mare aperto con correnti radenti; come oggi stesso avviene. La classificazione adottata è quella dell’ Hincks, qua e là lie- vemente modificata, e che usai nella memoria di recente pubblica- ta sui Briozoi fossili della Farnesina. Anche in questo lavoro, come nei precedenti, ho procurato di creare il numero minore possibile di specie nuove, ed ora sono sei, più una varietà, che non ho denominata. Ho poi trovato quat- tro specie e cioè Schizotheca fissa Bk., Smittia marmorea Hks., Re- tepora Solanderia Risso, ed Hornera lichenoides Pont. che viventi in vari mari, non mi sono note allo stato fossile. Come in tutti gli altri giacimenti postpliocenici le forme viventi formano la quasi totalità; cosicchè, tolte le specie nuove, rimangono 63 specie, del- le quali ben 56 sono le viventi, e di queste solo 11 non sono co- nosciute nel Mediterraneo. Ne] quadro riassuntivo che faccio seguire è segnato quale sia lo sviluppo, nel tempo, di ciascuna delle specie, ed agevolmente si noterà come sia ben poca la differenza fra la fauna pliocenica e la più recente; il che dimostra ad evidenza che i Briozoi, come la maggior parte dei piccoli organismi abbiano una grande resistenza alla vita. Si nota bensì in essi una successione variata di forme , 4 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) ma questa variazione avviene assai lentamente, tanto chè una stes- sa specie si vede spesso attraversare periodi lunghissimi di vita ; e nel complesso parmi di potere assicurare che il tipo della fauna briozoologica attuale sia a comune con quella del Pliocene e del Postpliocene ; ed anche che vi sia maggior nesso fra l’insieme dei Briozoi pliocenici con quelli miocenici, piuttosto che fra questi ul- timi e gli eocenici. Mesozoico | FOSSIL o — Eocene Miocene I NEL Pliocene \ Postplio- Ì cene Mediterra-\ VIVENTI neo Mari | \ boreali Altrimari) Sea aa LI og AI 9 . Aetea recta Hincks Caberea Boryi Audouin sp. Scrupocellaria scruposa Linneo sp. » elliptica Reuss , 5. Vibraculina Seguenziana Neviani . Bactridium calabrum n. sp. Membranipora irregularis A’ Orbigny . » galeata Busk » minax Busk . Onychocella angulosa Reuss sp. . . Micropora coriacea Esper sp. . Melicerita /istulosa Linneo sp » Johnsoni Busk sp. . Cribrilina radiata Moll. sp. . Chorizopora Brongniartii Audonin sp. . Microporella ciliata Linneo sp. . » » var. Morrisiana Busk verrucosa Peach . Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 5 FOSSILI NEL | VIVENTI E ® v |ò È dari S|3)3:| 8 (RelE,(85)£ 19. Microporella Manzonti n. sp... 7 i é Lal : ; 20. » Adae Neviani sp. . : nia ; 21. » polystomella Reuss sp. . È ‘i | 22, » decorata Reuss sp. . . cali | | steli LL 23. Hippoporina circumcineta n. sp... nl ci 24. » imbellis Busk sp. 20. » adpressa Busk sp. . | 26. » Spilingae n. Sp. . ò : DEA 27. Myriozoum truncatum Pallas sp. è 28. Schizoporella vulgaris Moll sp. da | 29. » biaperta Michelin sp. . i | 30. Schizotheca fissa Busk . . . 4° ; | i 51. Osthimosia coronopus S. Wood sp. . i 52. Retepora cellulosa Linneo sp.. . n | 38. » Beaniana King : : È ; | d4. » Pignatarinespian lan si i 4 35. » Solanderia Risso . È . . 56. Smittia marmorea Hincks sp. . . . ; oli» trispinosa Johnston sp. . «a vi | 38. » cervicornis Pallas sp. . . ; . | 09, > coccinea Albilgaard sp. . sere | 40. >» Reussiana Busk sp. . . ia da. ua 4 Ri 41. >» pavonella Alder sp. . . . sul ? Ù: 42. » cfr. Peachii Johnston sp.. RAtiralo 43. Umbonula ? ramulosa Linneo sp. . SES | Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) FOSSILI NEL Mesozoico Miocene Pliocene Postplio- . Gycloporella costata Mac Gillivray sp. 5. Porina bdorealis Busk sp. » impervia n. Sp. . Grisia denticulata Lamarck sp. . » elongata Milne Edwards . » fistulosa Heller 50. Hornera frondiculata Lamarck sp. » lichenoides Pontoppidan sp. » striata Milne Edwards . » Reussi Seguenza . . Idmonea serpens Linneo sp. » vibicata Manzoni . . Tubulipora varians Reuss . » lata Seguenza . » major Johnston sp. . » flabellaris Fabricius sp. » » varietà » dimidiata Reuss sp. » simplex Busk sp. . » obelia Johnston sp. » nova Pergens sp. . » meandrina S. Wood sp. . Entalophora proboscidea Milne Edwards » rugosa d’ Orbigny » regularis Mac Gillivray cene Mediterra- Mari boreali neo Altri mari i i Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) -1 FOSSILI NEL VIVENTI ZITTA e - È E —_—__cr ) È si» ic ®© | % ls See ue 300 S GA V Pot |P ai Fon $|/S/S|S 28/82" S i val |a" 2 69. Entalophora cavata Busk spore Aaa | | 70. Lichenopora hispida Fleming sp. | | la » prolifera Reuss sp.. 72. Frondipora Marsili Michelin. BRYOZOA HOLOBRANCHIA DOT.OPROGTÀA >GYMNOLAEMA TA Chilostomata Bk. Zoeci forniti di opercolo, orificio subterminale; guaina tenta- colare protrusibile; i singoli zoeci si originano l’ uno dall’ altro per gemmazione; spesso si riscontrano avicolari e vibracolari. Seguendo l ordinamento tenuto nel recente mio lavoro sui Briozoi fossili della Farnesina presso Roma, divido i Chilostomati, in pochi gruppi, ai quali dò il valore di famiglie, come dal seguente quadro ; avvertendo però che, sull’ esempio primieramente dato dallo Smitt, ed ora seguìto da vari autori, trasporto il genere £etepora, che prima consideravo come famiglia a sè , nelle Lepralideae così volendo i caratteri zoeciali, siccome poi le specie di questo genere trovate a Spilinga sono tutte Schizostomate, così lo pongo dopo il genere Osthimosia, che unitamente ai generi Schizoporella e Schizotheca vengono a formare un gruppo distinto dalle altre Lepralideae, per avere appunto l’orificio provvisto inferiormente di una incisura. FAMIGLIE GENERI SOTTO: GENERI Aeteideae i Aetea Lamouroux | Caberea Lamouroux ; : Scrupocellaria Van Beneden Cellularideae } Vibraculina Neviani Bactridium Reuss FAMIGLIE Membraniporideae Cribrilinideae Lepralideae Porinideae Zoeci calcarei, tubulari, eretti, Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) GENERI Membranipora Blainville Onychocella Jullien iaroporaorayii .0,, Melicerita Milne Edwards tak sl a Cribrilina Gray { Chorizopora Hincks Microporella Hincks Hippoporina Neviani Myriozoum Donati Schizoporella Hincks Schizotheca Hincks Osthimosia Jullien Retepora Imperato Smittia Hinceks . Umbonula Hincks Cycloporella Neviani Porina d’ Orbigny pag. 65, 184 —_— SOTTO-GENERI Peneclausa Jullien (g) Fenestrulina Jullien (g) Diporula Hincks (g) Reussina Neviani Calloporina Neviani Smittia s. S. Marsillea Neviani Mucronella Hineks (g) Gen: AETEA Lamouroua 1812 (1). Lamouroux Extr. d’un mém. sur la classif. des polyp. coralligènes ; con una superficie membranosa da un lato; distribuiti lungo una fibra più o meno aderente, rep- tante, espansa ad intervalli; orificio terminale. Mancano gli zoeci. Jullien considera come zoecio la parte rigonfia strisciante , mentre la porzione tubulosa che contiene il polipide viene riguar- data come una proliferazione del peristoma, e perciò detta peristomia. 1. A. RECTA Hincks 1862. Aetea sica Manzoni — Castrocaro, p. 6, t. VII, f. 69. » » Seguenza — Terz. Reggio, p. 127, 197, 294, 327, 368. » recta Hincks — Brit. Mar. Pol., p. 6, t. I, f. 6, 7 » Neviani — Seconda contrib., p. 113 (7). » Zoeci grandi, quasi diritti, lievemente dilatati superiormente , tronchi alla estremità; superficie rozzamente annulata inferiormente; (1) Nella descrizione dei generi e specialmente delle specie, tengo conto principalmente quanto interessa il paleontologo, tralasciando quasi sempre di quelle parti molli che non si rinvengono fossili. Kei Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) la porzione superiore punteggiata con superficie allungata, occu- pante più di un terzo della lunghezza della cellula. Rigonfiamenti usiformi, finamente striati per trasverso, e di solito poco distanti sullo stelo strisciante. Nei fossili manca la parte contenente il polipide, la peristomia di Jullien. Le due colonie, che ho trovato aderenti a frammenti di con- chiglie, corrispondono bene agli esemplari di Castrocaro. Vivente nel Mediterraneo e nell’Atlantico. Fossile dal pliocene antico. Gen. CABEREA Lamouroux. 1816. Lamouroux — Hist. nat. des polyp. corallig. flexibles; pag. 128. Zoeci in due o più serie, subquadrangolari od ovati con aper- tura assai larga. Avicolari sessili posti lateralmente ed anterior- mente alle cellule, i primi piccolissimi. Celle vibracolari grandis- sime situate su due linee sul dorso dei zoeci, a contatto sulla li- nea mediana del zoario e rivolte obliquamente in alto ed in fuori; un solco poco profondo percorre per la maggior parte della lun- ghezza il mezzo della cella. Il zoario non è articolato. 2. C. BORYI Audouin (Crisia) 1826. Caberea zelanica Busk — Brit. Mar. Cat. 12 parte; p. 38, t. XVI, f. 4, 5. » Boryî Waters—Bruccoli; p. 24. » » Seguenza—Terz. Reggio; p. 196, 327, 368, t. XIV, f. 21. » » Hincks—Brit. Mar. Pol. ; p. 61, t. VIII, f. 9-11. » » Neviani—Livorno; p. 111 (15), t. IV, f. 1. Zoeci ovoidi, lievemente sporgenti ed assottigliati inferiormente; apertura ovale con orlo appiattito, dilatato in fondo, con due o tre spine sul lato esterno superiore, ed una in quello interno. Avico- lari laterali assai piccoli con mandibole arrotondate. Avicolari an- teriori sporgenti, situati tra le celle sotto la linea mediana, talvolta sono grandissimi, con mandibole arrotondate. Oeci arcuati, lisci, inclinati all’indentro. Zoario formante piccoli ciuffi flabellati con grosse ramificazioni, suddivise in pochi segmenti dicotomi. Armi Acc., Vor. IX, SeRrIE 4* — Memoria IX. 2 | | ii | | i 10 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) Comunissima a Spilinga, in esili frustoli dei quali la superficie zoeciale è quasi sempre mal conservata, mentre la superficie po- steriore vibracolare è per lo più intatta. Esaminando attentamente numerosi esemplari, e confrontando fra loro i zoeci meglio conser- vati, ho notato alcune differenze colla specie tipica, come, ad esem- pio, l’ assenza quasi costante dell’ avicolario anteriore, e la forma, anch’ essa frequente, semicircolare dell’ orificio ; tal che parmi che gli esemplari di Spilinga rappresentino una forma intermedia fra la C. Boryi Aud. e la C. Ellisiù Flem. Vivente nel Mediterraneo, nell'Atlantico ete. Profondità: 100 m. Fossile dal Pliocene. Gen. SCRUPOCELLARIA Van Beneden 1844. Van Beneden — Recher. sur l’anat. etc. des Bryoz. qui habitent la Cote d’ Ostende ; pag. 26. Zoeci romboidi; orificio ovale con o senza opercolo. Un avi- colario sessile situato lateralmente all’ angolo superiore ed esterno, ed un vibracolo in un seno sulla parte inferiore della superficie dorsale; frequentemente notasi un avicolario sul davanti del zoecio. Il zoario è articolato, ed ogni internodio porta numerosi zoeci in due file alterne. 3. S. SCRUPOSA Linneo (Sertularia) 1758. Van Beneden—Recher. etc. , p. 26, t. II, f. 8-16. Busk—Brit. Mar. Cat.; p. 25, t. XXIII, f..3, 4. Seguenza—Terz. Reggio; p. 196, 294, 327, 367. Hincks—Brit. Mar. Pol. ; p. 45, t. VII, f. 8-10. Neviani—Farnesina; p. 92 (16), n. 3. Zoeci ovoidi, corti, sporgenti, leggermente assottigliati nella parte prossimale ; apertura regolarmente ellittica, grande, che occu- pa più della metà della superficie anteriore, con un margine sotti- le e due sottili spine, alle volte molto lunghe, per ciascuna parte. Avicolari laterali grandi e sporgenti con un becco leggermente un- cinato e dentato; mancano gli avicolari sulla superficie anteriore. Cella vibracolare eretta sottile con apertura perpendicolare. Oecì î i Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 1l piccoli, con superficie liscia, inclinati all’indentro. Zoario articolato, dicotomo, formante cespuglietti bianchi, ciascun internodio può con- tare fino a 12 zoeci in due file alterne. Rarissima a Spilinga, ove si presenta in frustoli molto esili e discretamente conservati. Vivente in quasi tutti i mari, fra i limiti delle due maree, ed a profondità moderate; a Shetland raggiunge i 150 m. Fossile dal Pliocene. 4. S. ELLIPTICA Reuss 1847. i Bactridium ellipticum Reuss—Foss. Pol. Wiener; p. 56, t. IX, f. 7, 8. Scrupocellaria elliptica Seguenza—Ter. Reggio; p. 79, 196, 294. » » Hincks—Brit. Mar. Pol. ; p. 46, t. VI, f. 5, 6. » » Neviani—Livorno; p. 110 (14). Zoeci oblunghi con apertura ellittica, grande, circondata da un ili | | margine appiattito senza spine nè opercolo. Avicolari laterali non | prominenti; mancano sulla superficie anteriore. Cella vibracolare sub-triangolare, con apertura diagonale rivolta all’ ingiù ed all’ in- dentro. Oeci lisci, impervi, inclinati all’ indentro. Zoario articolato, dicotomo. | Il Comunissima a Spilinga, in esemplari ben conservati; vi è fre- ill quente una varietà con un piccolo avicolario posto sulla frontale dal lato interno , ed in posizione trasversa, colla estremità della mandibola rivolta in fuori. Questa varietà sembrerebbe accostarsi alla Ser. scabra V. Bend. Nel mio citato lavoro sui Briozoi postplio- cenici di Livorno, trattai dei rapporti fra la Scr. elliptica e la Scr. seruposa; mantengo ancora quegli apprezzamenti. Vivente nell’ Atlantico in acque poco profonde. Fossile dal Cretaceo. BACTRIDIUM Reuss 1847. Reuss—Foss. Pol. Wiener; pag. 55. | » —Crosara; pag. 266. | Zoeci urceolati con orificio olostomato, o schizognato, che si apre sulla superficie anteriore, frontale con punteggiature sparse e 12 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) grandi origelli marginali; con o senza avicolari. I zoeci sono dispo- sti in frustoli a due serie alterne, le branche non sono articolate. La specie tipica di questo genere è il B. Hagenowi Rss. del- l Eocene e Miocene inferiore. 5. BACTR. CALABRUM ». p. (fig. 1). Zoeci tubulosi, uniti in due file longitudinali, @ con disposizione regolarmente alterna , ri- curvi alquanto in fuori. Lungo la linea me- diana, sia anteriormente, sia posteriormente sono distinti. L’orificio suborbicolare ha un peristoma calloso con grosso rilievo sotto- boccale con larga apertura di varia forma. Sulla superficie posteriore, all'angolo supe- riore ed esterno evvi una apertura circolare circondata da un cercine sufficientemente rilevato, e che forse è un avicolario. Questa specie è rarissima a Spilinga, essa fig. 1. per alcuni rispetti ricorda il Bactr. Manzonti Seg. del Tortoniano di Benestare (Ter. Reggio p. 127, t. XII, f. 15), come pure partecipa della Vibraculina Seguenziana Nev. VIBRACULINA Neviani 1895. Neviani-Nuovo gen. e nuove sp. di Brioz. fossili, pag. 82 (1). >» —Farnesina, pag. 92 (16). Zoeci tubulari o subtubulari con apertura circolare o subellit- tica circondata da un peristoma calloso molto grosso; nel margine inferiore sporge un umbone che termina in una apertura circolare od anche impervio; lateralmente altre aperture, che possono alle volte mancare. I zoeci disposti in due file alterne, con le aperture rivolte da una sola parte. Processi laterali di varia lunghezza irre- golarmente disposti uniscono di tratto in tratto in piccoli rami in modo da determinare un zoario reticolato. eis | cme | Briozoî postpliocenici di Spilinga (Calabria) lO Secondo Waters (Medit. and N. Zealand Reteporae, p. 266) nelle specie di questo genere non sonvi vibracoli, quindi il nome da me adottato non corrisponderebbe a caratteri di esse forme; ma pre- ferisco, per ora, tenere il mio nome Vibraculina a quello di Paral- lelata proposta dal signor Waters, termine che meglio si adatta ad una specie che ad un genere. 6. VIBR. SEGUENZIANA Neviani 1895 (fig. 2). Neviani-Nuovo gen. e nuove sp. di Brioz. fossili; p. 3, f. B, B'. Zoeci tubulari un poco ricurvi in avanti, ove termina l’ orificio sub-circolare , alle volte sono curvi in fuori. Peristoma calloso non molto eleva- to; umbone sottoboccale conico più o meno rivolto in alto. Zoario biseriale, reticolato per la presenza di scarsi processi trasversi che uniscono le bran- che zoeciali. fig. 2. Rarissimo a Spilinga. Questa forma ha molte affinità colla Vibraculina Conti Nev. (Nuovo gen. e nuove specie ecc. p..2; Farnesina p. 83 (2)), forma proveniente anche dal golfo di Napoli, e studiata dal Signor Waters come Palmicelluria parallelata (Medit. and N. Zeal. Reteporae, p. 266). MEMBRANIPORA Blainville 1834. Blainville — Man. d’ Actinologie; pag. 447. Hincks — Brit. Mar. Pol.; pag. 127. Zoeci con margini sporgenti, e frontale depressa in tutto o in parte membranosa, nella porzione distale l’ orificio semicircolare è provvisto di opercolo. Negli esemplari fossili la parte membra- nosa manca, e vi è sostituita una larga apertura od opesia, spesso confusa con il vero orificio zoeciale. La porzione calcarea della | il | 14 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) frontale, alle volte è estesa fin oltre la metà del zoecio, ma lascia sempre una larga opesia che solo di rado coincide col vero ori- ficio. 7. MEM. IRREGULARIS d° Orbdigny 1839. Smitt — Flor. Bry. 22 parte; p. 8, 't. II, f. 60. Manzoni — Castrocaro; p. 10, t. I, f. 5. Seguenza — For. Terz. Reggio; p. 80, 128, 197, 328, 368. Neviani — Farnesina; p. 96 (20), n.° 8. Zoeci a contorno irregolarmente ellittico; opesia grande cir- condata da un cordoncino rilevato a superficie rotondeggiante. Pic- coli zoeci più larghi che lunghi. Di solito senza avicolari. Un piccolo frammento con una quindicina di zoeci, simili a quelli di Castrocaro illustrati da Manzoni. Vivente nell'Atlantico. Profondità: 200 m. Fossile dal Miocene. 8. MEM. GALEATA Busk 1852. Membranipora anulus Manzoni — Castrocaro; p. Ae » » Seguenza -- For. Terz. Reggio; p. 80, 198, 294, 328. » » Neviani — Livorno; p. 116 (20). » galeata Busk — Brit. Mus. Cat.; pag. 62, t. LXV, f. 5. » » Neviani — Farnesina; pag. 96 (20), n. 10. Zoeci subcircolari alle volte allungati. Opesia circolare, o su- bellittica, con margine inferiore tronco. Cordone marginale a su- perficie rotondeggiante; tre o più spine orali occupano il margine superiore, questo alle volte si protende in avanti a formare un pic- colo ovicello, il quale può alla sua volta portare uno o due spine. I zoeci sono per lo più disposti a quinconce, e situati in modo che sembrano ammonticchiati od embriciati. Numerosi frammenti di colonie, con i tubercoli per l'inserzione delle spine orali, molto bene conservati. Questa forma vivente nell'Atlantico, non credo si conosca nel Mediterraneo. Profondità: 90 m. Fossile dal Cretaceo. i Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 15 9. MEM. MINAX Busk 1868. Membranipora Flemingii Busk — Brit. Mar. Cat.; p. 98, t. LXI, f. 2. » » Seguenza — Terz. Reggio: p. 197, 368. » minax Hincks — Brit. Mar. Pol.; p, 169, t. XXII, f. 2. » » Neviani — Brioz. neoz. 1% parte; p. 118 (10). » » Neviani — Farnesina; p. 96 (20), n. 11. Zoecî oblunghi; opesia occupante oltre metà della supeficie li- bera, obovale o grossolanamente trifogliata; circondata da un mar- gine molto elevato; un avicolario centrale molto elevato posto tra- sversalmente sul margine inferiore della opesia; od anche un po’ internamente; con mandibola lunga, sottile e terminante in punta fi- nissima. Oeci piccoli, quasi occulti, globulari, minutamente granulari. Un piccolo frammento ben conservato, che corrisponde benis- simo alla citata figura dell’Hinks, ed agli esemplari da me studiati del postpliocene di Livorno, Farnesina e Santa Maria di Catanzaro. Vivente nel Mediterraneo e nell’ Atlantico settentrionale ; Pro- fondità 310 m. Fossile dal Pliocene. ONYCHOCELLA Jullien 1881. Jullien — Note sur un Nouv. div. des Bryoz. Cheilostomiens; pag. 277. Zoeci in esagoni più o meno regolari; opesia semiellittica, alle volte trifoliata; onicocellari provvisti di onicocellia grande, membra- nosa da un sol lato, che non si estende sull’ area zoeciale vicina. Su questo genere del Jullien, veggansi le interessanti osser- vazioni fatte dal Waters (North-Ital. Bryozoa — 1* parte pag. 8). 10. ON. ANGULOSA Reuss (Cellepora) 1847. Membranipora angulosa—Reuss—Crosara; pag. 253, 262, 291, t. XXIX, f. 9, 10. » » Manzoni — Castrocaro; pag. 8, t. I, f. 11. » » Seguenza — Form. Terz. Reggio; pag. SI, 428, 198, 294, 328, 368. — Biflustra excavata Manzoni — Br. Austr-Ungh.; pag. 67, t. XIII, f. 44. Onychocella angulosa Waters—North-Ital. Bryoz., 12 parte; pag. 9, t. Iata 20. » » Neviani — Farnesina; pag. 97 (21), t. V, f. 7, n. 12. » » Neviani — Br. Eocenici Mosciano; pag. 122 (6); n. 4. Zoeci poligoni, alterni od irregolarmente disposti; criptocisti cal- carea sottilmente granulata con opesia centrale od in avanti trifo- 16 Briozoî postpliocenici di Spilinga (Calabria) liata, o semicircolare allungata; margine posteriore troncato e mu- nito da ambo le parti da un processo; onicocellari come nel genere. Vari frammenti della forma incrostante, tipica. Vivente nel Mediterraneo e nell’ Atlantico. Profondità : 75 m. Fossile dal Cretaceo; nei terreni più antichi domina la forma eretta (stadio di Vincularia), nei più recenti domina quella laminare incrostante. Osservo che la Membranipora stenostoma Rss, citata dal Seguen- za fossile nel Reggiano, forse è sinonimo della O. Angulosa Rss. MICROPORA Gray 1848. Gray — Catalogue of Radiata in Brit. Mus.; pag. 115. Zoeci con margini sollevati e sporgenti; orificio suborbicolare o semicircolare rinchiuso entro un orlo calcareo; ectocisti membra- nosa che manca nei fossili; criptocisti intera per lo più depressa nella parte distale, con due o più origelli laterali. Osservazioni critiche di molto valore, attorno a questo genere, leggonsi nel lavoro sui Briozoi del Capo Horn di Jullien pag. 77. Nella mia memoria sui Briozoi della Farnesina, pag. 98, divisi le Microporae in sottogeneri colle denominazioni generiche usate dal Jullien, e cioè: Gargantua per Micr. hippocrepis Goldf. sp.; Cal= pensia sia per Micr. impressa Moll. e var. Farnesinae Nev.; Man» zonella per Micr. exilis Manz. Di queste specie non ne ho rin- venuta alcuna a Spilinga , evvi invece frequente la Micr. coriacea Esp. che, con eguale sistema, assegno al seguente sottogenere. Sot-gen. PENECLAUSA Jullien 1888. Jullien — Cap Horn; pag. 78. Briozoi opesiulati, con opesia rappresentata da un piccolissimo poro aperto alla regione posteriore dell’ opesiula primitiva in parte ostruita, salvo che sopra questo piccolo poro. Jullien prende come tipo di questo suo genere la seguente specie dell’ Esper. Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 17 11. MICR. (PEN.) CORIACEA £sper (Flustra) (fig. 3) Membranipora coriacea Busk—Brit. Mar. Cat.; p. 57, t. LXXIII, f. 4, 5. Vo gracilis Reuss--Crosara; p. 291, t. XXIX, f. 13. Micropora coriacea Smitt--Flor. Bry. 2% p.; p. 13, t. III, f. 74. » » Pimeks=Brit.' Mar: Pol: p. L04,-t XXI DC » » Waters—North-Ital. Bry. 12 part.; p. 13, t.IIJ f. 9. Zoeci ellittici o romboidali allargati; margine che per ciascun lato termina superiormente in forma di clava levigata ; orificio subellittico o semicir- colare, col margine inferiore diritto ed alquanto sporgente; criptocisti punteggiata, obliqua in den- tro verso la parte distale, con una opesia ovale non molto grande per ciascun lato poco sotto al margine sottoboccale. Incidentalmente può trovarsi un avicolario, con mandibola rivolta all'insù, posto per traverso sopra all’ orificio. Oeci grandi, quasi occulti, minutamente granulari, con una costola trasversa posta anteriormente. Questa specie vivente nei mari d’ Inghilterra, della Florida e delle Azorre non si conosce nel Mediterraneo. Trovasi dal limite delle due maree sino a 250 m. Fossile è stata trovata molto raramente, però è comparsa nel- l'Eocene; nel postpliocene di Spilinga è comune ; negli esemplari esaminati non ho trovato alcun zoecio con l’ ovicello. Gen: MELICERITA Milne-Edwards 1836. M. Edwards—Note sur un nouv. genre de Polyp. fossiles ecc., pag. 25. Jullien — Cap Horn ; pag. 67. Zoeci poligonali, sovente in esagoni, ma i lati del. poligono sono in numero variabile nei zoeci del medesimo zoario; senza origelli o spine. L’ opercolo della ectocisti membranosa coincide con l’ orificio (opesia) della criptocisti calcarea; l’orificio è preva- lentemente semicircolare. Gli avicolari, sui quali in modo speciale Atti Acc., Vor, IX, Sert 4° — Memoria IX. 3 I ii | | | il i Î | i (ti i 18 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) si basa la classificazione delle specie, sono sparsi fra i zoecì oc- cupandone il posto (avicolari vicari). Zoario per lo più eretto ci- lindrico 0 compresso, articolato (M. fistulosa) o no (M. magnifica), od anche laminaceo ed incrostante (M. Charlesworthi). 12. MEL. FISTULOSA Linneo (Eschara) 1758. Salicornaria farciminoides Seguenza—Form. Terz. Reggio ; pag. 79, 127, 196, 294, 327, 367. Cellaria fistulosa Neviani—Livorno; pag. 112 (16). Melicerita fistulosa Neviani—Farnesina; pag. 99 (23), t. Vesti l2ion. 13. Zoario dicotomo, articolato, internodi sottili, cilindrici, inferior- mente un poco assottigliati. Zoeci contigui a forma di losanga od esagonali, più raramente arrotondati sopra e tronchi di sotto; crip- tocisti minutamente bucherellata , orifizio inarcato superiormente, labbro di sotto leggermente ricurvo all’ indentro. Avicolari vicari piccoli a contorno: quadrilatero, con opesia ovale, e mandibola po- co profonda e rivolta all’ insù. Oecio profondo non sporgente. si- tuato sopra l' orificio zoeciale, con apertura suborbicolare. Comunissima a Spilinga come altrove. Vivente in tutti i mari; è una delle specie più cosmopolite che mi conosca. Profondità: 200 m. Fossile dall’ Eocene. ‘13. MEL. JOHNSONI Busk (Nellia) 1866. (fig. 4) Cellaria Johnsoni Hincks — Brit. Mar. Pol. ; p. 112, t. XIII, f. 9-12. Melicerita > De Angelis—Brioz. Cataluna; p. 8, t. B, f. 2-5. » » Neviani—Farnesina; p. 100 (24), t. V, f. 15-17, n. 20. Zoario dicotomo, sottile. Zoeci ellittici lontani gli uni dagli ‘altri, ton spazio intermedio traversato da un rialzo che si biforca superiormente, passando da un lato all’altro si- no alla vetta dei. zoeci adiacenti. Criptocisti levigata o lievemente punteggiata; orificio situato al disopra del mezzo delle criptocisti, inarcato di sopra, col margine inferiore leggermente ricurvo all’indentro. Avicolari grandi che oc- fig. 4. cupano esattamente il posto di un zoecio, con larga ope- | Î | | Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 19 sia suborbicolare, mandibola semicircolare rivolta all’ insù. Oecio come nella specie precedente. Moltissimi internodi, ben conservati; caratteristici i grandi avi- colari, identici a quelli da me figurati nel citato lavoro sui Brio- zoiì della Farnesina. Vivente nel Mediterraneo e nell’ Atlantico, colla precedente. Fossile dal Pliocene (Salicornaria cuspidata Manzoni, dalle sab- bie gialle delle colline di Pisa). Gen. CRIBRILINA Gray 1848. Gray—Catalogue of Radiata in Brit. Museum. Hincks—Brit. Mar. Pol. ; pag. 184. Zoecì ovoidali, contigui, frontale formata da coste appiattite irraggianti dal bordo esterno verso una linea mediana ove si sal- dano intimamente; fra le coste sonvi delle trabeccole che le uni- scono determinando delle linee di punti più o meno distinti. Orificio semi-circolare o suborbicolare. Avicolari grandicelli con mandibola acuta, variamente situati. Uno studio minuzioso sulle Cribilinae fu fatto dal Jullien nel 1886 (Les Costulides—Bul. Soc. Zool. de France, pag. 601). 14. CR. RADIATA Moll (Eschara) 1803. Lepralia cribrilina è Penn Terz. Reggio; pag. 203. » innominata Seg.—l. c. 83, 200, 295, 328, 368. » intricata Seg.—l. c. ; PD. h09 t. XVII, f. 32, » mitrata Seg.Al. c. "ip: 2007 ba VI £ 8. » planicosta Seg.—1l. c. ; p. 200, 328, 369. » raricosta Seg.—l. c. 3 P. 203. » scripta Seg.—l. c.; p. 83, 200, 295, 328, 368. » > VAL, perforata Seg. li Ciinp. 368. vascula Seg.—1l. c.; p. 83, 208 Grillini radiata De Angelis— Brioz. Cataluna; pasiili, t. By 10, » » Neviani—Farnesina; pag. 103 (27), t. V, Î. 20, DU Zoeci ovali o subglobosi, disposti a quinconce con 6 a 9 cre- ste per lato che dai margini si riuniscono su di una linea centra- 20 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) le; i solchi intermedi sono occupati da una serie di minuti forel- lini. Spesso sulla linea centrale vi è una specie di carena che ter- mina in un umbone sottoboccale. Orificio semicircolare col margine inferiore diritto e recante per ogni lato una delicatissima appendice setiforme , che spesso manca. Immediatamente sotto l’ orificio o esiste l’ umbone ora in- dicato, o vi è un area triangolare con un foro subtriangolare; son- vi da 5-6 spine marginali. Avicolari allungati con mandibola acuta, sparsi fra i zoeci. Oeci globosi anteriormente carenati. Zoario incrostante. Nella sinonimia ho riportato tutte le specie usate dal Seguen- za come varietà di questa specie polimorfa; ho tralasciato la L. elegantissima che altre volte, seguendo l’ avviso di molti, unii alla C. radiata; ma considerata attentamente si vede che ne diversifica per vari caratteri, anzi il Jullien nella memoria sulla Costulides (pagi- na 608) la riferisce ad un genere diverso da Cribrilina (tipo Cr. radiata) e che denomina Figularia. A Spilinga oltre alla forma tipica vi si rinviene la varietà en- nominata e la raricosta. Vivente nel Mediterraneo e nei grandi oceani settentrionali. Profondità: 825 m. Fossile dal Cretaceo. Gen. CHORIZOPORA Hincks 1850. Hincks — Brit. Mar. Pol; pag. 222. Zoeci subovoidali allungati, con accrescimento in senso tra- sversale dal dietro all’ avanti, riuniti da. un reticolato tubulare ; frontale intera con leggieri solchi trasversi che denotano le linee di accrescimento; orificio semicircolare con margine inferiore intero. Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) i 21 15. CH. BRONGNIARTII Audowin (Flustra) 1826 (fig. 5). slo Brongniartii Bask—Crag; p. 46, t. VI, » Seguenza—For. Terz. DA no ‘83, 201, 295, 328, 369. Uiorisonora » De Angelis—Brioz. Cataluna; p. 12, t B; i: 1, 12. » » Neviani—Farnesina; p. 103 (27), n. 27. Zoeci ovoidi allungati, subpiriformi, distinti, sepa- rati da spazi reticolati o da un’unica linea di puntini interstiziali. Queste linee, vengono a mancare nelle colonie adulte, come nell’annessa figura. Frontale liscia o solcata trasversalmente. Orificio semicirco- lare con un sottile peristoma lievemente sporgente; spesso vi è sotto un mucrone prominente. Un avi- colario con mandibola acuminata rivolta all’ insù, occupa la cima di ogni zoecio. Qeci sporgenti, li- sci, subpiramidali, spesso carenati, posti alla cima dei zoeci, portano un piccolo avicolario sulla som- mità. Colonie grandi incrostanti. fig. 5. Nel materiale preso in esame, ho rinvenuto una sola colonia aderente ad un frammento di una valva di Ostrea. I zoeci corri- spondono esattamente a quelli del Crag di Sutton. Vivente nel Mediterraneo e nell'Atlantico. Profondità: 365 m. Fossile dal Miocene. Gen. MICROPORELLA Hincks 1877. Hincks—An. Mag. Nat. Hist. ser. IV, Vol. XX, p. 526. Zoeci romboidi o subesagonali a contorni curvilinei o rettili nei; orificio semicircolare con margine inferiore intero rettilineo 0 leggermente convesso; frontale con frequenti origelli, ed un poro mediano (fenestrula) semilunare 0 circolare. Zoario incrostante od eretto. Jullien divide il genere .Microporella Hks. in vari generi (Cap Horn p. 35), io pur seguendo in gran parte le idee del Zoologo francese, credei opportuno (Farnesina pag. 104) dividere il genere 22 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) in vari sottogeneri, cosichè le forme rinvenute a Spilinga vengono così ordinate : Sot-gen. FENESTRULINA Jullien (gen.) 1888. Jullien — Cap Horn; pag. 37. Zoeci con la parete frontale perforata in molti punti da ori- gelli. Orificio semicircolare con il labbro inferiore diritto ed intero. Fenestrula posta di trasverso con concavità superiore. Jullien prende come tipo la M. Malusii Aud. 16. MICR. (FENESTR.) CILIATA Linneo (Cellepora) 1759. Lepralia calabra Seguenza—For. Terz. Reggio; pag. 201, 328, 369, t. XV, f. 6. » pleuropora » ——1. c.; pag. 81, 202. » ciliata Johnston—Brit. Zooph. 22 ed.; p. 279, t. XXXIV, f. 6. » » Seguenza—l. c.; pag. 81, 129, 202, 295, 328, 369. Porina > (SUUItL elit, Hort, parte 4°: D. 6, th XXIV, i. lo-Lh Microporella » Neviani — Livorno; pag. 117 (21). » » ». — Farnesina; pag. 10b (29), t. V, f. 24, 96..n, 99. Zoeci ovati o subesagonali, convessi, disposti a quinconce o seriati ; orificio superiormente marginato, arcuato, inferiormente con margine retto ; 5-7 spine orali; poro mediano (fenestrula) lunato , alle volte circolare e portato su di un umbone più o meno spor- gente. Avicolario laterale grande con mandibola acuta rivolta obli- quamente in alto ed in dentro, spesso prolungata in una spina vibracoloide. Oeci globosi, minutamente punteggiati, con due spine in avanti. Specie abbastanza comune a Spilinga; vi noto frequentemente una varietà a zoeci minutissimi con piccolo umbone perforato. Vivente nel Mediterraneo e in quasi tutti gli altri mari. Pro- fondità : 660 m. Fossile del Miocene. 011 EEMMRRR N Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 23 17. MIGR. (FENESTR.) CILIATA Linneo (Cellepora). var: MorrIsiana Busk (Lepralia) 1559. (fig. 6). Lepralia Morrisiana Busk — Crag Pol.; p. 43, t. VII, fig. 8. » » Seguenza — For. Terz. Reggio; p. 202, 295, 328, 369. » » Waters — Bruccoli; p. 5, t. XXI, fig. 2. È Questa forma è stata finora tenuta distinta pr : dagli autori che ne hanno trattato. Mi decido O :@"\ a riunirla alla specie linneana, distinguendola però come varietà, perchè i caratteri che il Busk assegna alla specie Morrisiana sono bene spesso a comune con la L. ciliata. Ed infatti ecco la diagnosi del Busk; Cellulis ovatis, um- bonatis, superficie raro punctatis, aviculario parvo utrinque armatis. Orificio semicirculari, supra fig. 6. spinis 6 marginalibus armato, labro inferiori recto. Ovicellula resupinata, ostio patulo, peristomate incrassato. Ora le differenze principali che il Busk trova colla L. celiata sono: l’umbone sulla frontale, i due avicolari ed il peristoma in- crassato. Ma chi ha avuto occasione di osservare anche poche co- lonie di L. ciliata avrà notato che il poro mediano è soventi volte portato da un umbone, che può anche essere impervio; che in luo- go di un solo avicolario situato a destra od a sinistra delle regio- ni mediana del zoecio, se ne osservano due portati presso l’ orifi- cio ed anche più in sù; e finalmente che il peristoma può essere tanto ingrossato da deformare l’apertura. D'altra parte , 1’ umbone della L. Morrisiana è rappresentata dal Busk come perforato da una apertura che a giudicare dalla figura comparisce rotondo; ma non poche volte ho avuto occasione di vedere circolare il poro me- diano della L. ciliata, e la specie di Castrocaro (Manzoni, t. HI, f. 34) presenta appunto questi caratteri, tanto che si sarebbe tentati di chiamare quest’ultimo fossile L. Morrisiana piuttostochè L. ciliata; ma io ho già distinto per questa una varietà Castrocarensis, che serve così di passaggio alla varietà Morrisiana. Queste varietà non sembra- no avere valore cronologico, perchè mentre troviamo la specie tipica che dal Miocene si mantiene sino a noi; le due varietà sopra accennate, si trovano nel Pliocene e nel Postpliocene confuse colla forma tipica. 24 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) A Spilinga non è rara. Fossile nel Crag inglese, nel pliocene e postpliocene di Reg- gio Calabro. Sot. gen. DIPORULA MHincks (gen.) 1879. Hincks —- An. Mag. Nat. Hist; ser. 5, vol. III, pag. 156. Zoeci ovoidali o subesagonali, orificio a forma di ferro di ca- vallo, o circolare superiormente e di sotto rettilineo o sporgente ; frontale per lo più traforata da frequenti origelli ; fenestrula me- diana semilunare o circolare, per lo più con avicolari laterali. Le specie comprese nel genere Diporula Hk. sono alquanto variabili, tanto che lo Smitt ascrive una varietà dei mari della Florida alla Microporella ciliata ; credo quindi che non convenga tenere la distinzione dell’Hincks con valore generico. 18. MICR. (DIP.) VERRUCOSA Peach (Eschara) 1870-73. Eschara lunaris Waters — Bruccoli; pag. 11, t. XXI, f. 9. » columnaris Seguenza — For. Terz. Reggio; pag. 208,296. » » Manzoni -- Castrocaro; p. 36, t. V, f. 65. » » Namias — Modena e Piacenza; p. 31, t. XV, f. 4-7. Porina » Neviani — Livorno; pag. 121 (25) Eschara verrucosa Waters — Napoli; pag. 125, t. XII, f. 2-4. » » Seguenza — l. c.; pag. 329, 371. Diporula » —Hincks — Brit. Mar. Pol.; p. 220, t. XXXI, f. 1,2. Microporella » Neviani — Farnesina; pag. 106 (530), n. 31. Zoario dicotomo a ramificazioni cilindriche piuttosto massiccie di eguale dimensione sino alla estremità. Zoeci disposti su circa sette linee longitudinali a quinconce, ovoidi, leggermente convessi. La frontale liscia nelle cellule giovani porta una serie di origelli marginali. Nelle parti vecchie del zoario la frontale è molto ingros- sata rugosa con verruche, e vengono cancellate le demarcazioni fra i zoeci. Orificio alquanto sollevato più lungo che largo , superior- mente inarcato, leggermente ristretto sotto alla metà, le pareti incli- nate all’indentro, margine inferiore diritto; peristoma inspessito spe- cialmente intorno alla parte superiore e recante per lo più cinque spine, delle quali la più bassa da ciascun lato è più grande delle DO t1 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) altre. Avicolario sollevato con una sporgente mandibola vibracoloi- de diretta all’infuori. Oecio globoso finamente piuntecchiato. Assai comune a Spilinga, poco variabile. Il dottor Namias (op. cit. pag. 31) ritiene, e credo con ragione, che M. verrucosa P. sia sinoni- mo di Cellaria scrobiculata Rss (Foss. Wiener. pag. 63, tav, VIII, f. 4). Vivente nel Mediterraneo e nei mari di Inghilterra. Profon- dità!!:Z5ni Fossile dal Pliocene, ove sembra abbia il massimo sviluppo. 19 MICR. (DIP.) MANZONII n. sp. (fig. 7) Zoeci subesagonali o subromboidali a contorno cur- vilineo, senza rilievi che separino gli uni dagli altri; orificio semicircolare con labbro inferiore sinuoso- convesso; fenestrula mediana subcircolare; frontale pianeggiante rugulosa sporgente nella porzione di- stale. Zoario. cilindroide, dicotomo, alle volte lieve- mente schiacciato. Specie affine alla M. (Diporula) verrucosa Peac; ne fig. 7. differisce per l assenza costante degli avicolari, e per la frontale che non è mai incavata nel centro. Pochi frammenti dal postpliocene di Spilinga. 20. MICR. (DIP.) ADAE Neviani (Smittia) 1891 (fig. 8) Smittia Adae Neviani—Br. postpl. di Livorno; p. 127 (31), t. IV, f. 7. Zoeci con margini laterali paralleli o leggermente rigonfi, in serie lineari alterne sulle due faccie di un zoario lami- nare. Frontale con origelli marginali, ed un poro (fene- strula) circolare posto sulla linea mediana immediata- mente sotto il peristoma calloso dell’ orificio. Un avico- lario con mandibola acuta rivolta in alto ed in dentro occupa la porzione prossimale del zoecio . L’ orificio semicircolare con margine inferiore sinuoso sporgente. Nella descrizione dei Briozoi fossili del sottosuolo di Livorno Arti Aco., Vor. IX, Seri 48 — Memoria IX. 4 26 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) riferii questa specie al genere Smittia specialmente per la forma mu- cronata del peristoma sottoboccale; ma i nuovi esemplari di Spilinga mi fanno accorto del falso riferimento da me allora usato, e della identità dei caratteri generici con Microporella. Certamente M. Adae si allontana alquanto dalle forme assegnate al sottogenere Diporula, ma non conviene neppure ad alcun altro, quindi per non moltiplicare di soverchio i nomi, bramo meglio assegnarla al gruppo più affine. Rara a Spilinga, come a Livorno. Sot-gen. REUSSINA Neviani 1595. Neviani-Farnesina, pag. 104 (28) e 106 (50). Zoeci subromboidali o subesagonali a contorno rettilineo 0 curvilineo ; frontale punteggiata con piccola fenestrula circolare qua- si centrale ; orificio semicircolare con margine inferiore sinuato con- cavo in basso. Considero come tipo di questo sottogenere la M. polystomella del Reuss. 21. MICR. (REUS.) POLYSTOMELLA Reuss (Eschara) 1847 (fig. 9) Eschara polystomella Reuss--Fos. Terz. Wiener ; p. 70, t. VII:y1f: 250, 128] » » Manzoni—Br. Au-Ungh. 22 parte; p. 15, t. VIII, f. 26. » » Seguenza—For. Terz. Reggio; p. 84. Microporella > Neviani—Farnesina; p. 106 (30); n. 54. Zoeci romboidali o subesagonali a contorni retti- linei o curvilinei; orificio piccolo semilunare, alle " volte con labbro inferiore sinuato; frontale bu- cherellata con due piccoli avicolari poco sotto l’orificio, spesso sostituiti da due protuberanze semisferiche. Un poro mediano circolare. Zoario eretto ramoso; rami compressi, tronchi; zoeci di- sposti in file oblique, trasverse. fig. 9. Questa specie molto elegante, è quanto mai co- mune a Spilinga in frammenti con tutte le graduazioni d’ età. Vivente nel Mediterraneo, Atlantico. Profondità: 100 m. Fossile dal Miocene. Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 27 Sot-gen. CALLOPORINA Neviani 1895. | Neviani — Farnesina, pag. 104 (28) e 107 (31). Zoeci ovoidali con frontale perforata da numerosi origelli; fe- nestrula quasi centrale circolare; orificio suborbicolare o semicirco- lare; grandi avicolari laterali longitudinali. Tipo di questo sottogenere è la M. decorata Rss. 22. MICR. (CALL.) DECORATA Reuss (Cellepora) 1847 (fig. 10). Cellepora decorata Reuss—Foss. Pol. Wiener; p. 89, t. dato. Lepralia » Manzoni—Castrocaro ; p. 15, t. Il. f. 18. > » Seguenza—For. Terz. Reggio; p. 81, 199, 294. Microporella » Neviani--Farnesina ; p. 107 (31), t. V, f. 23, n. 35. Zoeci ovato-rombici, a quinconce; frontale robu- sta, bucherellata, fenestrula centrale rotonda ; orificio suborbicolare o semicircolare con mar- gine inferiore rettilineo o curvo; peristoma cal- loso alquanto prominente armato di circa 6 spine orali; uno o due avicolari, grandi, sessili, con mandibola acuta diretta in alto; oeci grandi , globosi, allargati, concentricamente solcati, ca- fig. 10. renati. Zoario incrostante. Rarissima a Spilinga ove ho rinvenuto una sola colonia di | pochi zoeci aderenti ad un frammento di conchiglia. Questa bella specie sembra in via di estinzione, perchè si conosce vivente solo Il a Madeira (Hks.; profondità di 55 m.); fossile si trova scarsamente nel postpliocene (Nev.), più spesso nel pliocene (Manz. e Seg.) e più frequentamente ancora nel miocene (Rss. e Seg.). Gen. HIPPOPORINA Neviani 1895. Neviani — Farnesina, pag. 107 (31). » Brioz. neozoici, parte 1%; pag. 109 (1). Zoeci ovali o subesagonali, con orifizio più o meno foggiato a ferro di cavallo ; inarcato superiormente, lateralmente contratto, con 28 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) margine inferiore intero e per lo più lievemente curvato all’ infuori. Frontale intera o perforata da origelli variamente deposti. Nei due lavori sopracitati, non feci parola della frontale ; ho creduto ora conveniente aggiungere il carattere alla diagnosi per- chè sonvi Microporae, ed altri generi che comprendono specie con orificio simile a Lepralia (Hincks), ma ne diversificano grandemente per la forma della frontale, come Micropora complanata Norm. che appunto venne considerata come Membranipora, Micropora e Le- pralia. 23. HIP. CIRCUMCINCTA w. sp. (fig. 11). Zoeci grandi subromboidali a contorno curvilineo, circondati da un grosso cor- doncino piatto ; orificio ampio colla forma caratteristica del genere; peri- stoma calloso anteriormente piatto, po- steriormente sottile e rilevato. Frontale rugulosa, bitorzoluta; uno (o due ?) avi- colario piccolo con mandibola acuta rivolta in alto ed in dentro, presso la parte inferiore laterale dell’ orificio. Zoa- fig. 11. rio incrostante. Le maggiori affinità si hanno colla Lepralia ingens Muz. di Ca- strocaro e colla Escharella rostrigera Smitt dei mari della Florida e fossile in Australia e Nuova Zelanda (Waters). Ne rinvenni un piccolissimo frammento , conforme al disegno, del quale ora non conservo più che la fotografia, perchè nell’istante stesso che toglievo il preparato della macchina, mi cadde e l’esem- plare si frantumò completamente. i il i} i i î î Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 29 24. HIP. IMBELLIS Busk (Hemeschara) 1859. (fig. 12). Hemeschara imbellis Busk — Crag Pol.; p. 78, t. IV, f. 6; t. X, f. 7. » » Seguenza — For. Terz. Reggio; p. 208. Lepralia » Waters — New-Zealand ; p. 60, n. 49. Eschara pertusa Busk — Crag Pol.; p. 65, t. X, f. 2. » » Seguenza — For. Terz. Reggio; p. 207. Zoeci ovati od allungati, subumbonati; frontale con larifero ; orificio semicircolare, alle volte lateral- mente ristretto; labbro inferiore rettilineo nell’ a- pertura primaria, ma può per accrescimento del peristoma, e per congiungimento dell’umbone sot- to boccale, inarcarsi in alto. Zoario laminare. Comunissima nel deposito a Briozoi e Brachiopodi di Spilinga. I zoeci benissimo conservati, mostrano fig. 12. molto bene i caratteri dati dal Busk per quelli del Grag. I miei esemplari corrispondono esattamente alla fig. 6, tavo- la IV della citata memoria, ed anche alla fig. 22 tav. X, riferita dal Busk alla Eschara pertusa M. Edw. ritenuta specie distinta. Per quanto la denominazione del Milne Edwards sia più antica (1836) di quella del Busk (1859), tuttavia conviene usare quest’ ultima per non confonderla colla Lepralia pertusa Esper colla quale ha grandissima analogia; anzi la H. imbellis Bk. ha parimente caratteri di affinità colle fossili L. circumornata Rss, L. regularis Rss, e L. megalota Rss, del miocene di Austria ed Ungheria, ed anche colla vivente L. Pallasiana Moll. Vivente nel Mediterraneo ed Atlantico. Fossile dal Pliocene. frequenti origelli, sporgente in un umbone avico- , 30 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 25. HIP. ADPRESSA Busk (Lepralia) 1852 (fig. 13) Lepralia Kirchenpaueri Heller — Bry. Adriat.; p. 105, t. II, f. 11. » lata Reuss — Br. Aust - Ungh.; p. 32, t. V, f. 6. » » Manzoni — 12 contrib.; p. 20, t. I, f. 6. » » Seguenza — For. Terz. Reggio; p. 204, 295, 329, 371. » cupulata Manzoni — 8* contrib.; p. 242, t. IV, f. 11. » » Seguenza — 1. c.; p. 205, 329, 371. » adpressa Neviani — Livorno; p. 122 (26). Hippoporina » Neviani— Farnesina; p. 108 (32), n. 991 Zoeci a losanga od irregolarmente ovoidi, in- cavati, disposti a quinconce ; frontale puntec- chiata nei zoeci giovani; in stadio più av- vanzato minutamente granulare, talvolta oscu- ramente reticolata. Orificio stretto, più lungo che largo, superiormente inarcato, contratto un poco più sotto della metà; margine inferiore diritto. Peristoma alquanto inspessito; spesso esiste sulla frontale una protuberanza che parte immediatamente sotto al margine inferiore dell’ orificio. Oe- cio circolare o granulare strettamente unito alla parte superiore del zoecio ; talora è umbonato. Zoario incrostante. Rarissima a Spilinga, ove ho trovato un solo frammento di colonia con una ventina di zoeci. Il pezzetto distaccato da qualche conchiglia, mostra la superficie interna dei zoeci con alcune parti- colarità che credo interessanti, e non trovo menzionate dagli autori. Per ciascun zoecio corrisponde una specie di squametta concava a contorno irregolare dentellato ; i margini si rialzano in modo che non sono a contatto fra di loro, cosiechè mentre i zoeci si mostra- no esternamente a contatto l' un | altro, internamente sono sepa- rati, e corre fra essi una sorta di canaletto alto quasi quanto lo spessore del zoecio. L’ orificio si mostra anche più coarctato che all’esterno, per mezzo di due denti o turbercoli rotondeggianti che si elevano dalla frontale ; alle gibbosità esterne nulla di speciale corrisponde internamente. Nella memoria del prof. Seguenza, è descritta una L. adpressa come specie nuova, proveniente dal Zancleano di Terreti, che nul- Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 31 la ha di comune colla specie in discorso; non comprendo bene nè dalla definizione, nè dalla figura se quest’ ultima si debba ascri- vere ad una Lagenipora o ad una Phylactella. Vivente nel Mediterraneo e nell'Atlantico. Profondità: 180 m. Fossile dal Miocene. 26. HIP. SPILINGAE n. sp. (fig. 14) Zoeci allungati, con frontale bucherellata nella metà prossimale, mentre l’ altra metà è occu- pata, sotto l’orificio, da due grossi mammelloni ovoidi che lasciano fra loro un piccolo solco alle volte esso pure con perforazioni. Orificio normale, con peristoma discretamente elevato e sporgente alquanto sul labbro inferiore. Zoario incrostante. Specie elengantissima, affine alla Lepralia Kirken- paueri ed alla L. lata. Rarissima a Spilinga. Gen. MYRIOZOUM Donati 1750. Donati — Storia nat. dell’ Adriatico ; pag. LV. Zoario eretto ramoso, continuo, con rami cilindrici tronchi all’ estremo ottusi od ovati; zoeci per nulla o poco sporgenti, a contorno per lo più indistinto; orificio con margine inferiore semiel- littico o prolungato in un seno stretto. 92 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 27. MYR. TRUNCATUM Pall. (Millepora) 1766 (fig. 15). Millepora truncata Pallas—Elene. Zoophytorum; pag. 249. Myriozoum truncatum Seguenza — For. Terz. Reggio; p. 79, 197, 294, da 327, 367. » » Neviani—Farnesina; p. 108 (32), n. 40. Zoario dicotomo ramoso, con rami lunghi cilin- drici, troncati all’ estremità ; zoeci disposti tra- sversalmente all’ asse dei rami in serie alterne, quando sono giovani sì distinguono i margini curvilinei che limitano un’area subesagonale ; frontale grossolanamente bucherellata : orificio grande subellittico coaretato nel terzo inferiore; fig. 15. oeci che si sviluppano nella parte prossimale dei zoeci che perciò appajono rigonfi. Ì Per quest’ ultimo carattere il M. truncatum appartiene ai Mo- nodermata subovicellata del Jullien. Di questa ben nota e comunissima specie, vivente nel Medi- | terraneo e nell’ Atlantico (profondità: 180 m.), fossile dal Mioce- i ne, non ho trovato nel materiale di Spilinga, che scarsi frammenti. Gen. SCHIZOPORELLA Hineks 1880. Hincks — Brit. Mar. Pol.; pag. 237. Zoeci polimorfi, con orificio semicircolare o suborbicolare, mar- gine inferiore con seno centrale. Spesso sonvi avicolari laterali o mediani con mandibola acuta od a spatola; alle volte mancano. Zoario incrostante o foliaceo. Questo genere rappresentato da ben diciassette specie nel de- posito postpliocenico della Farnesina presso Roma, comprende solo due specie nella formazione di Spilinga. 28. SCHIZ. VULGARIS Mol! (Eschara) 1803. Lepralia tumida Manzoni — Castrocaro; p. 25, t. II, f. 33. » » Seguenza--For. Terz. Reggio; p. 202. » otophora Seguenza—l. c.; p. 82. 129. » vulgaris Waters—Napoli; p. 31, t. X, f. 1, 2. » » Seguenza—l. c.; p. 202, 295, 369. . Schizoporella » Neviani—Farnesina; p. 113 (37), t. VI, f. 13, n. 50. Zoeci ovali o rombici, convessi, distinti; frontale levigata 0 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 33 | subgranulare; orificio superiormente inarcato, margine inferiore di- ritto con una incisura mediana, talora un mucrone centrale poco | sotto di esso, 4-5 spine orali. Un avicolario per ciascun lato è qua- si sempre portato da un tubetto sporgente e ripiegato all'indentro; mandibola acuta vibracoloide. Oeci piccoli, subglobosi, lisci, talora umbonati. Zoario incrostante. Due frammentini di conchiglie con alcuni zoeci di piccole di- mensioni, poco conservati, ma ben distinti. Vivente nel Mediterraneo ed Atlantico. Profondità: 55 m. Fossile dal Miocene. 29. SCHIZ. BIAPERTA Michelin (Eschara) 1842. (fig. 16) nn ps divergens Smitt—Flor. Bry., 2° p.; P. na talk, | » form. lara Smitt—]. è. DI: Deb, TI, | Escharella linearis form biaperta Smitt— Krit. Stand, Bry; p. 14, t. XXIV, | e 10-75. | Hippothoa biaperta Smitt—Flor. Bry., 2% p.; p. 46, t. VIII, f. 173-176. Eschara » forma eschariforimis a Br uccoli; Pili, ti, XI, t.8. Lepralia » Busk—Crag Pol.; p. 47, t. VII, f. 5. » » Manzoni—Castrocaro; p. Dl ob: IL Î, 20 » » Seguenza—For. Terz. Reggio; p. 81, 202. Schizoporella » Hincks-—Brit. Mar. Pol.; p. 955, n XL f. 7-9. » » Neviani—Farnesina; p. 110 (34), n. 44. | Zoeci ovali, un poco convessi, disposti a | Il quinconce in un zoario inerostante od eretto, | foliaceo; frontale levigata; orificio suborbicolare ’ ’ sinuato inferiormente; peristoma elevato; circa 5 spine orali; due piccoli avicolari ai lati del- | | | | l’orificio ; talora sonvi avicolari sparsi fra i | zoeci portati da eminenze mammillari; oeci fig. 61. piccoli arrotondati. | Vari frammenti di zoari laminacei, con zoeci ben distinti ed una estesa colonia incrostante una Nullipora ; in alcuni, fatto ec- cezionale per i fossili di questa specie, si osservano ben conser- vati i delicatissimi oeci, identici nella forma e disposizione a quelli Arti Aco., Vor. IX, Seria 48 — Memoria IX. 5 | 34 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) disegnati dallo Smitt, dei mari della Florida, tav. Vill £ 4048. Specie vivente, quasi cosmopolita. Profondità : 245 m. Fossile dal Miocene. Gen. SCHIZOTHECA Hincks 1877. Hincks—An. Mag. Nat. Hist. ser. 4, vol. XX, pag. 520. » —Brit. Mar. Pol.; pag. 283. Zoeci con orificio primario suborbicolare, col margine inferio- re sinuato , l’ orificio secondario sollevato, tubolare con una intac- catura nella parte anteriore. Oecio terminale, con una fenditura nella parete anteriore. Zoario adnato o in lamine libere. 30. SCHIZ. FISSA Busk 1856 (fig. 17) Lepralia fissa Busk — Zoophytology ; p. 308, t. IX, f. 8, 9, 10. » » Waters — Napoli; p. 43, t. XI, f. 6. Schizotheca » Hincks — Brit. Mar. Pol.; p. 284, t. XLI, f. 1-3. » » Hincks — Adriatic; p. 303. Zoeci a losanga, lisci, disposti in serie lineari più o meno regolari, p divisi da profondi solchi e rag- E gianti da un centro comune. Ori- (ec) (o) P. ficio orbicolare, molto sollevato , Ad / tubulare, con una profonda in- ) Jaccatura sul margine inferiore ; fig. 17. per lo più sei spine orali lun- ghe e sottili; avicolari grandi con mandibola acuminata, general- mente diretta all'infuori, occupanti il posto di un zoecio, ed irre- golarmente distribuiti per tutta la colonia. Oeci globosi, prominenti, lisci o lievemente rugosi con una grande fenditura cuneiforme sulla parete anteriore. Una spina per ogni lato. Rarissima specie trovata vivente dal Busk ed Hincks nei ma- | | Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 35 ri Inglesi (55-75 m.), dal Milne Edwards allo stretto di Bonifacio, dal Waters a Napoli, e dall’Hincks nell'Adriatico, e sin ora mai rin- venuta fossile. Nel postpliocene di Spilinga è frequente in zoari liberi lamina- cei. Nei punti meglio conservati si distinguono benissimo gli ovicelli colla fenditura caratteristica; in altri zoeci si vedono le inserzioni delle spine orali; qua e là sonvi ora piccoli avicolari adagiati sulla frontale di un zoecio, ora grandi avicolari che tengono il posto di un zoecio. Gen. OSTHIMOSIA Jullien 1888. Jullien — Cap. Horn ; pag. 64. Orificio a labbro posteriore leggermente concavo, che porta nel suo mezzo una fenditura più larga in alto che in basso, che si pro- lunga in fuori in una sorta di manicotto con avicolari, o con ovicelli. Gli origelli sono marginali presso gli individui coricati; dispersi presso quelli che sono diritti nel mezzo delle colonie. Esistono spesso degli avicolari dispersi sui zoeci o fra essi. Mancano le spine orali. Waters in North-Italian Bryozoa, pag. 30, ricorda che Mac Gillivray divise il gruppo delle Celleporae in Cellepora s. s. con ori- ficio holostomato, e Schismopora con orificio schizostomato ; perciò Osthimosia Jull. corrisponderebbe a Schismopora M. Gill. ; ma non conosco .il lavoro del Mac Gillivray, per dirne di più. 314. OSTH. CORONOPUS sS. Wood (Cellepora) 1850. bosgge i tubigera Busk—Crag Pol.; p. 60, t. IX, f. 8-10; t. XXII, f. 2. » Manzoni—Castrocaro; p. 34, to VEti 60, 61, » » Neviani—Livorno; p. 129 (83). Celleporaria » Seguenza—For. Terz. ni Pi 20, 290, 929,301 Cellepora coronopus Busk—Crag Pol. ; “Di I tia, Fist: Celleporaria » Seguenza—l. c. ; p. 329, Osthimosia » Neviani—Farnesina; P. 11 "an, n. 59, Zoeci ventricosi più o meno adossati in modo da formare un zoario polimorfo, ora a rami cilindracei con le estremità assotti- 1 | i fi Ì | HI 36 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) gliate, ora delle masse sferoidali bernoccolute o lobate. Frontale levigata punteggiata; orificio suborbicolare anteriormente sinuato , fiancheggiato da due tubi recanti all’estremo un avicolario; un altro è spesso portato all’ apice di un rostro mediano sottoboccale. Comunissima in colonie grandi ramificate, altre piccole sferoidi complete con zoeci ben distinti; domina la varietà senza tubetti o con tubetti cortissimi. Vivente nel Mediterraneo e nell’ Atlantico. Profondità : 36 m. Fossile dal Pliocene. Gen. RETEPORA Imperato 1599. Imperato—Historia naturale; ed. Venezia, pag. 216. Zoeci ovoidi o subesagonali, orificio semicircolare o semiellit- tico, spesso con uno sperone sporgente sul labbro inferiore e por- tante un avicolario; zoario reticolato, coi zoeci rivolti tutti da una parte. Avicolari sparsi sulla superficie posteriore. Per quanto negli specialisti vi sia la convinzione che il gen. Retepora, come oggi s’ intende, formi un gruppo naturale, pur tut- tavia le cognizioni sopra di esso sono’ ancora deficienti, cosicchè questo gruppo lo si deve sempre considerare come provvisorio. Vedi in proposito il recente lavoro del Waters: Medit. and New-Zealand Reteporae. Se venisse accettato il genere Schizoretepora Gregory, istituito per le Retepore aventi orificio schizostomato , & detto genere do- vrebbero riportarsi tutte quattro le seguenti specie rinvenute a Spi- linga; ma se si tenesse conto del portamento reticolato o sempli- cemente ramificato, allora tanto la R. Solanderia Risso, quanto la mia nuova specie R. Pignatarii andrebbero ascritte al genere £e- teporella di Busk. = ——<<3pAMAMIA Gi ui cn Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) © 37 32. RET. CELLULOSA Linneo (Millepora) 1758. (fig. 18). Seguenza—For. Terz. Reggio; p. 84, 208, 296, 330, 371. Neviani—-Livorno; pag. 128 (32). » —Farnesina; p. 126 (50), n. 79. Waters Medit. and. N. Zealand Reteporae; p. 259, t. VI, f. 17 e 20; I VII 42% Zoario imbutiforme o ciatiforme o sinuoso espan- so; spazi della rete abbastanza grandi ; stipite per un poco insidente. Zoeci cilindroidi, un po’ convessi, superiormente elevati, levigati; orificio primario sopra arcuato, di sotto con margine rettilineo, in mezzo rostrato, avicolario con man: dibola semicircolare ; peristoma tenue poco ele- fig. 18. vato, sporgente ai due lati del rostro in un den- ticolo ; 4-6 spine orali. Faccia dorsale subgranulata, vibici elevati trasversali, presso ogni apertura della rete evvi un piccolo avico- lario subcircolare. Oeci elongati, subimmersi, forniti di fessura an- teriormente. Veggasi in modo speciale il citato lavoro del Waters. Comunissima in piccoli frammenti. Vivente nel Mediterraneo, nell’ Atlantico e mari boreali. Pro- fondità : 550 m. Fossile dal Pliocene. 33. RET. BEANIANA King. 1846. Retepora cellulosa forma Beaniana RE. - Bry.; p. 34, t. XXVIII, » Beaniana Neviani—Farnesina; p. 126 (50), n. 80. Zoario irregolarmente ciatiforme, ondulato, contorto, margine sinuato, ispido, aperture della rete piuttosto piccole , irregolarmen- te ovate. Zoeci subcilindrici, depressi, estremità superiore elevata, glabra; orificio semiellittico; margine frontale sporgente inferiormen- te in un rostro con apice attenuato, portante un avicolario piccolo | | o | | 38 | Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) con mandibola rotondata, il peristoma da un lato del rostro si con- tinua in un processo aliforme terminante in spina; una incisura esiste fra il rostro ed il processo; 6 spine orali; avicolari lingui- formi sparsi fra i zoeci. Faccia dorsale con piccoli avicolari sub- circolari. Oeci ellittici con stretta fenditura. Anche questa forma, che facilmente si confonde colla prece- dente, tanto che alcuni la ritengono per la stessa specie, ed altri la distinguono come varietà, si rinviene abbondante a Spilinga come in altri terreni del terziario superiore. Vivente nel Mediterraneo ed Atlantico. Profondità: 550 m. Fossile dal Pliocene. 34. RET. PIGNATARII n. sp. (fig. 19). Zoeci ovoidi con orificio circolare, prov- \ v visto di un profondo seno lineare che all’ estremità si allarga in foro subcir- T colare o claviforme; peristoma a mar- gine nitido tagliente, non rilevato; fron- tale intera levigata. () Superficie posteriore liscia senza vi- bici nè avicolari. \ dI Un solo frammento, che sembra sia 2 \ ramificato senza anastomizzazioni, come /\ nel genere Reteporella Busk. ® CA Dedico questa nuova specie all’ e- >» gregio collega ed amico prof. Pignatari di Monteleone Calabro, dal quale ebbi fig. 19. il materiale che forma oggetto di que- sto studio, unitamente a molto altro di quelle regioni, frutto di pa- zienti e costanti ricerche continuate per un lungo periodo di anni. i I i | i | Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 39 35. RET. SOLANDERIA Risso 1826. (fig. 20). Retepora arborea Jullien — Travailleur; pag. 21, t. XVI, f. 49, 50. » Solanderia Risso — Hist. nat. Europ. Merid. Vol. V: pag. 344. » » Waters—Medit.and N.Zeal.Reteporae; pag. 264, t. VI, f. 1-4. Da tempo avevo studiato e figurato alcuni fram- menti, che riferivo bensì al genere Retepora, senza azzardarmi a darne una determinazione specifica ; quando il signor Waters ebbe la gentilezza di man- darmi il suo bellissimo lavoro sulle Reteporae del Mediterraneo e della Nuova Zelanda; da questo potei comprendere come i miei esemplari vadano riferiti alla specie del Risso. Ecco trascritta fedelmente la descrizione che ne da il Waters. Zoario ramificato in un piano, ordinariamente non reticolato ; ramificazioni vicine. I zoeci hanno da ciascun lato della linea mediana un grande avicolario situato su di una camera avicolariale sporgente e rotonda, colle mandibole dirette all’ingiù. I zoeci esterni non hanno avicolari, i zoeci terminali fig. 20. hanno spine. Il poro labiale e ben distinto, con una leggera fen- ditura. Gli ovicelli sono cucullati, con un’ ampia apertura. La superficie dorsale ha vibici regolari e in ogni area vi è un grande avicolario sporgente, alquanto simile a quelli situati ante- riormente, e diretto per lo più all'infuori; spesso al punto di con- giunzione di due rami vi è un grosso avicolario con mandibola triangolare. . Vivente nel Mediterraneo a Napoli, Capri e Rapallo a 412 m. nell’ Atlantico a N.0. della Spagna a 896 e 2018 metri. Non comune nel postpliocene di Spilinga. Gli esemplari fossili presentano qualche variazione da quelli viventi, ma come si può vedere anche dalla annessa figura, tali variazioni sono da compren- dersi nell’ambito di una medesima specie; nè credo sia il caso di tenerla distinta neppure come varietà. 40 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) Gen. SMITTIA Hincks 1879. Hincks—An. Mag. Nat. Hist.; ser. 5, vol. III, pag. 153. » —Brit. Mar. Pol.; pag. 340. Zoeci con orificio primario suborbicolare, il margine inferiore intero e dentato, peristoma elevato sporgente in avanti a guisa di mucrone o fortemente elevato e formante un orificio secondario sol- cato anteriormente. Ordinariamente evvi un avicolario nel seno sotto- boccale. Zoari incrostanti o eretti e fogliacei con zoeci disposti in uno o due strati. Nella mia memoria sui Briozoi della Farnesina (pag. 117 ) compresi nel genere Smittia anche Mucronella e Phylactella del me- desimo autore, accettandoli solamente come sottogeneri, vi aggiunsi pure Palmicellaria di Alder, e distinsi altre forme coi nomi Marsillea, Watersipora e Reussia, sempre col valore di sottogeneri. Mantenen- do le dette distinzioni ecco come vengono ordinate le poche specie rinvenute a Spilinga. i 36. SM. MARMOREA Hineks (Lepralia) 1877. (fig. 21) Lepralia marmorea Hincks — On. Brit. Pol. 1; p. 214. » arrogata ‘Waters — Napoli; p. 39, t. VIII, f. 1. » reticulata var. ophidiana Waters.l. c.; p. 40, t. IX, f. 1. Smittia oratavensis Busk — Challenger 1. p.; p. 153, t. XXII, f. IL. » marmorea Kirkpatrick — Pol. of Mauritius ; p._ 80. » » Hincks — Madeiran Pol. ; p. 79, t. IX, f. 6. » » Hincks—Brit. Mar. Pol.; p. 350, t. XXXVI, f. 3-5. Zoeci obovati, alle volte compressi lateral- mente, alquanto rilevati nella parte distale; frontale granulare o levigata, con origelli in una sola fila lungo i margini; orificio su- borbicolare, con stretto seno nel margine inferiore ; peristoma elevato continuo nei zoeci giovani, può mancare negli adulti; un denticolo largo, piatto è incastonato profon- damente entro la bocca; più in basso, in we — ——@@@ nni | | Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 41 mezzo alla frontale, un piccolo avicolario piatto, di solito immerso, rivolge la punta della mandibola in giù od alquanto di lato, qual-. che volta manca. Oeci globosi punteggiati, nei zoeci adulti sono immersi, e possono avere un bordo alquanto elevato attorno alla base. Questa forma, che ha molta analogia colla Smittza reticulata M. G., sino ad ora non era stata segnalata fossile. A. Spilinga ne ho trovato una sola colonia aderente ad un frammento di con- chiglia. Vivente nel Mediterraneo, nei mari Inglesi, a Madeira, alle Azorre, Isole Mauritius, et. Profondità 75 m. 37. SM. TRISPINOSA Johnston (Discopora). (fig. 22). Lepralia trispinosa Busk — Brit. Mar. Cat. 24 p.; p. 70, t. LXXXV, fel, Sn CV OL: Escharella Jacotini Smitt — Flor. Bry. 2% p.; p. 59, t. X, f. 199, 200. » » forma typica Smitt — Krit. Skand. Bry.; p. 11, te XIV DIA Smittia trispinosa Waters — Gambier; p. 272, t. VIE1,:20; » » Eihcks=< Brit Mar Pol.;p.7998, © XL, f. 1-8. Zoeci ovoidi, ovoido-allungati, od anche rettan- golari, disposti in serie lineari od a quinconce, subgranulari, separati da linee sporgenti o vici- nissimi fra loro, punteggiati attorno all’ orlo ; orificio suborbicolare; peristoma sottile più o meno sporgente, margine inferiore sinuato con piccolo dente; 2-4 spine orali; spesso esiste un grande avicolario da un lato sotto l’orificio, con mandibola acuminata e diretta all’ insù ; talora evvi un avicolario orale più piccolo da uno o da ambi i lati del- l’ orificio, con mandibole arrotondate rivolte all’ ingiù. Oeci ampi fig. 22. globosi, uniti al zoecio superiore, alquanto appiattiti anteriormente con due o tre grandi punteggiature piriformi. Zoario incrostante. Una sola colonia giovane aderente ad un frammento di con- chiglia, senza spine orali, avicolari ed oeci. Arti Aco., Von. IX, SerIib 48 — Memoria IX. 6 42 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) Vivente nel Mediterraneo, Atlantico, Mari boreali et. Profon- dità: 310 m. Fossile nel terziario superiore d’ Australia e del Canadà. Nota. Hincks crede che Cumulipora granosa Seg. (F. T. Reggio, p. 130, t. XII, f. 21) del Tortoniano di Benestare, non sia altro che una varietà della presente specie dell’ Johnston. Sot.-gen. MARSILLEA Neviani 1895. Neviani — Farnesina; pag. 117 (41) e 119 (43). Zoeci con orificio provvisto di un peristoma, che nel margine inferiore racchiude un avicolario. Forma tipica: Smittia cervicornis Pallas. 38. SM. [MARS.] CERVICORNIS Pallas (Millepora) 1766 (fig. 23) Millepora cervicornis Pallas—Elench. zooph.; p. 252, num. 155. Eschara undulata Manzoni—Br. Au-Ungh.; p. 13, t. VII, f. 24. » » Seguenza—For. Terz. Reggio; p. 84, 131, 208, 296, 371. Porella » Neviani—Livorno; p. 124 (28). (dik Eschara cervicornis Bask—Brit. Mar. Cat. 2% p.; p. 92, t. CIX, f. 7; t. CXIX, » » Seguenza—l. c.; p. 208, 296, 329, 371. Smittia » Neviani—Farnesina; p. 119 (43), n. 64. Zoario eretto, ramoso, rami compressi; zoeci sulle due faccie, orificio primario hippocrepico, margine inferiore dentato ; secondario subcirco- lare. Nel zoario adulto il limite fra i zoeci va scomparendo, e per calcificazione della frontale si oblitera anche l’orificio; opercolo selliforme. Comune a Spilinga come in quasi tutti i de- positi a Briozoi del terziario. Delle numerose il- i fig. pera lustrazioni date dagli autori, quella che meglio corrisponde ai nostri esemplari è la fig. 1 a, tav. I della memoria del Milne-Edwards (Recherches sur les Eschares). Vivente nel Mediterraneo ed Atlantico. Profondità: 300 m. Fossile dal Miocene inferiore. Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 43 Sot-gen. MUCRONELLA Hincks (gen.) 1880. Hincks—Brit. Mar. Pol.; pag. 360. Zoeci con orificio suborbicolare o semicircolare; peristoma spor- gente anteriormente formante un mucrone più o meno prominente; mancano gli avicolari tanto nell’orificio primario, quanto nel secon- dario. 39. SM. [MUCR.] COCCINEA Abdildgaard (Cellepora) 1806 (fig. 24). Cellepora coccinea Abildgaard—Zool. Danica; p. 30, t. CXLVI, f. 1, 2. Lepralia » Manzoni— Castrocaro; p. 16, t. II, f. 19. » » Seguenza—For. Terz. Reggio; p. 81, 294, 328, 368. Mucronella » Hineks—Brit.,Mar.. Pol:,p. 3. i XXV, f.. 16. Smittia » Waters—North-It. Bry.; p. 21, t. IMI, f. 8. » » Neviani—Farnesina; p. 122 (46), t. VI, f. 28, n. 69. Zoeci brevemente ovati, spesso infe- riormente dilatati ed arrotondati, di- stinti da suture abbastanza profon- de; orificio terminale subcircolare con dente centrale e due dentini laterali nel labbro inferiore ; peristoma ele- vato in un mucrone prominente; per lo più 6, spine marginali ; avicolario grande da ambo le parti con mandi- bola acuta rivolta in fuori (alle volte uno solo, od anche privo); oeci glo- fig: 24. bulosi, recumbenti. Alcuni frammenti, con zoeci molto ben conservati, questi fan- no passaggio alla varietà resupinata Mnz (sp.) per avere la fronta- le levigata e la forma più slanciata. La specie tipica è vivente nel Mediterraneo ed in altri mari. Profondità : 100 m. Fossile dal Miocene inferiore. dd Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 40 SM. (MUCR.) REUSSIANA Busk (Lepralia) 1859. (fig. 25). Lepralia Reussiana Busk—Crag Pol. ; pag. 53, t. NIE (II) » » Manzoni—Castrocaro ; p. 29, t. IV, f. 53. » » Seguenza—For. Terz. Reggio ; p. 83. Smittia » Neviani-—Castrocaro ; p. 126 (20). Zoeci ovati superiormente contratti; frontale levi- gata, con una serie di punti marginali; orificio sub- quadrangolare od oblungo, trasverso ; peristoma sporgente, integro, incrassato, con un denticolo nel margine interno inferiore. Tre colonie incrostanti Retepora ed altri Briozoari; corrispondono esattamente agli esemplari di Ga- strocaro. Fossile dal pliocene antico; non mi è nota vivente. 41 SM. (MUCR.) PAVONELLA Alder (Eschara) 1864 (fig. 26). Cellepora pavonella Alder-Q. J. M. Soc. n. s. IV; pag. 106 (12). Eschara cribraria Busk—Zoophytology ; p. 311, t. XII, f. 1-3. Discopora pavonella Smitt—Krit-Skand. Bry.; p. 28, t. RAV IST Mucronella » Hinks—Brit. Mar. Pol.; p. 376, t. XXXIX, f. 8-10. Zoario foliaceo, formante espansio- ni a ventaglio od ondulate, che sì staccano da una base incrostante od abbarbicante, o semplicemente adna- ta, formante grandi pezzi circolari. Zoeci grandi ovoidi piuttosto larghi, a quinconce, un poco convessi, al- quanto sollevati verso 1’ estremità superiore e depressi inferiormente ; fig. 26. margine areolato in modo da for- mare nei zoeci giovani delle coste irradianti dal centro ; superficie leggermente ruvida; orificio molto grande orbicolare con un dente a punta arrotondata sul margine inferiore; peristoma sottile e non Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 45 sporgente; da ogni lato dell’ orificio evvi un avicolario ovale con mandibola rivolta all’insù. Posseggo tre esemplari che riferisco alla specie dell’ Alder; ne diversificano per non avere costanti i due avicolari, giacchè spes- so mancano del tutto o ve ne è uno solo; così pure la mandibo- la degli avicolari presenti ora è ovale ora acuminata. I zoeci pre- sì in esame sono adulti non avendo le coste irradianti ben distinte. Ritengo che il fossile del Crag disegnato da Busk (tav. X, f. 1°) e determinato per Eschara Sedgwickii si debba riferire a M. pavonella Ald. Vivente nell’ Atlantico settentrionale e boreale a mediocri pro- fondità (300 m.). 49. SM. [MUCR.] cfr. PEACHI Johnston (Lepralia) 1547. Lepralia Peachii Johnston—Brit. Zooph. 2 ed.; p. 315, t. LV, f. 5, 6. » » Seguenza—For. Terz. Reggio; p. 329, 370. Zoeci romboidi, generalmente disposti a quinconce; frontale granulare o liscia, puntecchiata od areolata intorno al margine; ori- ficio suborbicolare, più lungo che largo, ben inarcato superiormen- te, peristoma lievemente sollevato ed ispessito che sì projetta an- teriormente in un mucrone acuminato; nel margine inferiore vi è un piccolo dentino bifido ; spine orali. Oeci piccoli, globosi, eretti con due spine anteriormente per ogni lato. Riferisco con dubbio alla S. Peach John. un piccolissimo fram- mento formato da cinque zoeci ovoidi, che variano alquanto dai caratteri citati. La S. Peachii è vivente nel Mediterraneo, nell’ Atlantico , nei mari boreali etc. Profondità: 130 m. Fossile dal Pliocene. In Italia fu segnalata solo dal Seguenza. Gen. UMBONULA Hincks 1880. Hincks—Brit. Mar. Pol.; pag. 316 (Umbonella). Zoeci con orificio primario suborbicolare o subquadrangolare, margine inferiore lievemente ricurvo all’ indentro , peristoma non | | Îl | li | 46 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) elevato; non vi è orificio secondario ; esiste un umbone sporgente immediatamente sotto la bocca, che sostiene un avicolario. Zoario incrostante o libero. In alcuni miei precedenti lavori ho fatto osservare che Celle pora ramulosa L. e C. pumicosa L. vanno separate da altre forme di quel vecchio genere, e le ascrissi provvisoriamente al gen. Um- bonula Hks; non ho ragione ora di cambiare questo ravvicinamento. 43. UMB.? RAMULOSA Linneo (Cellepora) 1766-68 (fig. 27). Celleporaria ramulosa Seguenza—For. Terz. Reggio; pag. 207, 236, 329, 371. Cellepora » Neviani—Livorno; pag. 33, t. IV, f. 9-12. Umbonula ? » Neviani—Farnesina; pag. 124 (48), n. 74. Zoario eretto molto ed irregolarmente ramoso. Rami cilin- drici o larghi ed alquanto schiacciati, dicotomi, un poco ) assottigliati verso l'estremità. Zoeci ovoidi, lisci, allungati, i sottili e regolarmente disposti nelle parti più giovani della colonia; in quelle più vecchie sono sporgenti, ventricosi e distribuiti irregolarmente : Orificio suborbicolare con un Asottile peristoma sollevato, e inferiormente formante un * rostro fortemente sviluppato , di solito terminato in una acuta punta con un avicolario su di un lato, la base del fig. 27. quale si prolunga come uno sperone, sopra alla apertura; mandi- bola a punta diretta all’insù, vi sono degli avicolari spatolati distri- buiti accidentalmente fra i zoeci. Oeci subglobosi lisci. Frequente a Spilinga; si presenta in rami ora grossi ora graci- lissimi a seconda della posizione rispettiva nella colonia; pochi frammenti mostrano i zoeci ben distinti; il più delle volte si nota- no solo le cavità zoeciali ed oeciali, e corrispondono alla fig. 10 da me rappresentata per i Briozoi di Livorno. Vivente nel Mediterraneo, nell'Atlantico et. Profondità: 310 m. Fossile dal Pliocene. Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 4T Gen. CYCLOPORELLA Neviani 1895. Neviani — Brioz. Neozoici 18 parte; pag. 111 (3). Comprendo in questo genere le specie di Ce/lepora del tipo C. globularis Bron. Esso varia dal gen. Osthimosia Jull. solamente per avere l’ orificio integro, suborbicolare, invece che inciso. Vedi quanto ho detto a proposito del gen. Osthimosia. Il mio genere corrisponderebbe a Cellepora nel senso inteso da Mac. Gil- livray; ma parmi che la considerazione della sola forma del peristoma boccale sia troppo poco per stabilire dei generi; così io non posso unire la C. Costazii Hass. colla C. costata M. Gil. e ne faccio il tipo di un altro genere Costazia (Briozoi neozoici, 22 parte, pag. 15 estr.); C. ramulosa L. e C. pumicosa L. riporto per ora ad Umbonula Hks. etc. 44. CYCL. COSTATA Mac Gillivray (Cellepora) 1869. Cellepora globularis Manzoni — Br. Au-Ungh.; p. 51, t. lid Celleporaria globularis Seguenza—For. Ter. Reggio; p. 84, 129. Cellepora retusa Manzoni — Castrocaro; p. 35, t. Vi £-59 » » Seguenza — 1. c.; p. 84, 207, 296. » costata Waters — New-Zealand; p. 68. » » Neviani — Castrocaro; p. 131 (25). Cycloporella » Neviani — Br. neozoici, 1? parte; p. 111 (3), 113 (©). Zoeci molto irregolari prominenti; orificio circolare circondato da processi che portano degli avicolari sulla superficie interna. Zoe- ci e processi più o meno costanti; oeci piccoli globosi. Alcune colonie che corrispondono bene alle figure date da Manzoni per gli esemplari del pliocene antico di Castrocaro. Vivente nel Mediterraneo e nei mari Australiani. Fossile dal Miocene. Gen. PORINA d’ Orbigny 1851. D’ Orbigny—Pal. Frang.—Ter. crétac.; Tom. V. pag. 432. Hincks—Brit. Mar. Pol. ; pag. 227. Zoeci tubulari o subtubulari superiormente con un orificio ter- minale circolare; un poro mediano sulla faccia anteriore del zoe- cio. Zoario incrostante o eretto e ramoso. Nel presente genere vengono ascritte poche specie che dagli autori si trovano distribuite in vari altri, quali Tessaradoma Norm; 48 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) Onchopora Bk; Quadricellaria Sars, Anarthropora Smitt ete; di que- ste specie la P. borealis Bk. è la più caratteristica, essa rinvenuta da me per la prima volta fossile nel postipliocene di Livorno, ven- ne in seguito osservata nel postpliocene di altre località, e nel pliocene dell’ Emilia, tanto chè può dirsi che questa specie sia co- mune nei vari depositi neozoici. Ora aggiungo una nuova forma , che per il portamento del zoecio ed anche del zoario corrisponde bene colla P. bdorealis; però manca di poro mediano; ma l’ assen- za di questo non mi ha autorizzato di farne un genere nuovo, non conoscendone altro al quale attribuirla, tanto più che anche nella P. borealis mi è stato dato osservare qualche zoecio privo di tale poro. Se tale avvicinamento è giusto , la diagnosi sopra riportata del genere, dovrebbe modificarsi analogamente. 45. POR. BOREALIS Busk (Onchopora) 1860. (fig. 28). Porina borealis Neviani—Livorno; pag. 120 (24), t. TV» fed 0. » » Neviani—Rio Landa; p. 666 e 668 (10 e 12). » » Neviani—Farnesina; p. 125 (42), n. 78. Zoario sottile dicotomo, rami cilindrici più sottili ver- so l'estremità. Zoeci in quattro serie longitudinali , ovoidi, lievemente convessi , separati da linee indi- stinte con una fila di pori scanalati situati tutto in- torno al margine; orificio orbicolare, talvolta bilabiato subtubulare; poro mediano situato alquanto sotto alla apertura. Avicolari piccoli, circolari, per lo più uno per parte ; oeci terminali trasversalmente ellittici , superficie striata. Pochi frammenti di rami giovani ed adulti. Questa specie da me trovata fossile per la prima volta nelle argille sabbiose postplioceniche di Livorno ; rinvenni in seguito nelle argille plioceniche del Bolognese e del Modenese; nel postpliocene di Valle dell’ Inferno (Roma) e nel Macco di Anzio (Roma). fig. 28. Viventi nel Mediterraneo, Atlantico e mari boreali; uò raggiungere la profondità di 3475 m. Fossile dal Pliocene. Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 49 46. POR. IMPERVIA n». sp. (fig. 29). Zoeci fusiformi o lageniformi con orificio circolare o subcircolare; peristoma semplice, non rilevato ; frontale rigonfia nel centro, levigata, senza pori od origelli. Oecio glo- boso levigato. Zoario colonnare con zoeciì in quattro file, a coppie alterne decussate. Le maggiori affinità si riscontrano colla P. borealis Bk. ma ne differenzia per 1’ as- senza completa di pori; così pure ricorda alcune specie di Tuducellaria, ma il peristo- fig. 29 ma non è tubiforme. Rarissima a Spilinga. Cyclostomata BK. Zoeci con apertura rotonda terminale senza appendice; guaina tentacolare non protrusibile; i singoli zoeci si originano l’uno dal- l’altro per gemmazione. Anche per questo sottordine mi riferisco alla mia memoria sui Briozoi fossili della Farnesina, ordinando i generi come viene indicato dal seguente quadro; qui aggiungo il genere Mesenteripora col valore di sottogenere a Tubulipora, cosicchè i caratteri già dati per questo genere vengono modificati in modo da comprendervi le forme con zoeci disposti su due parti di una lamina. Osservo poi che abbandono il nome di 7'ubipora come sottogenere compren- dente le T'ubulipora tipiche, perchè il nome di Linneo è stato con- servato dagli zoologi per un Alcionario; così pure comprendo Enta- lophora nella famiglia della Tubuliporideae. Arti Acc., Vor. IX, Serie 4*— Memoria IX. ci 50 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) FAMIGLIE GENERI SOTTO-GENERI Crisiideae i Crisia Lamouroux | Hornera Lamouroux Idmonea Lamouroux PFilisparsa d’Orbigny Stomatopora Bronn Tubuliporideae iron ca Tubulipora s. s. Lamarck Tubulipora Lamarck Pavotubigera d’Orbigny Diastopora Lamouroux Mesenteripora Blainville Entalophora Lamouroux Lichenoporideae i Lichenopora Defrance Cerioporideae } Frondipora Imperato Gen. CRISIA Lamouroux 1876. Lamouroux — Hist. des Polyp. coralligènes flexibles; pag. 136. Zoeci tubulari disposti in una o due serie alterne, formanti degli internodi uniti fra loro da congiunture cornee. Oeci piriformi, che tengono il posto di un zoecio, variamente disposti. 47. CR. DENTICULATA Lamarck (Cellaria) 1816. Seguenza — Form. Terz. Reggio; p. 371. Busk — Challenger, 28 parte; p. 4, t. II, f. 3. Neviani — Farnesina; p. 128 (52), t. VI, f. 35, n. 82. Zoario formante grandi e dense masse erette, molto ramifi- cato, puntecchiato; ramificazioni diritte, larghe, un poco schiacciate, più sottili verso la base, aventi origine dal quarto 0 quinto zoecio sopra l'articolazione, talvolta dal secondo. Zoeci alterni strettamente uniti, allungati, quasi diritti e quasi interamente adnati; orificio ellit- tico per lo più appuntito superiormente ed all’ esterno. Internodi di lunghezza variabile con molti zoeci, sino a 16 e 17. Oeci ovali subpe- duncolati, finamente picchiettati, con orificio tubulare all’ estremità. Comunissima a Spilinga. Vivente nel Mediterraneo ed in quasi tutti gli altri mari. Pro- fondità : 275 m. Fossile dal Pliocene. Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 5I t 48. CR. ELONGATA Milne Edwards 1838 (fig. 30). Busk = Brit. Mar. Cau 3° parto; D. D; bl dvi 1.5.6; Seguenza — For. Terz. Reggio; p. 330. Neviani — Livorno; p. 133 (37). » —-Barnesma; p. 12902), t. VIS T. 86, N. 65. Zoario poco ramoso con lunghi internodi; zoeci allun- gati, cilindrici, retti, connati per tutta la lunghezza, | alterni; orificio rotondo diretto in fuori; gli articoli alla base sono un po’ ristretti; rami gracili. Scarsi internodi, uno dei quali con ovicello, che ho figurato; non ho distinto alcun esemplare della va- rietà angustata del Waters. Vivente nel Mediterraneo e in altri mari. Profon- dità : 2650 m. fig. 30. Fossile dal Pliocene. ‘49. CR. FISTULOSA Meller 1867. Seguenza — For. Terz. Reggio; p. 208, 296, 330, 371. Neviani — Livorno; p. 184 (38). » 2 “Rarnesina: p. 129 (59), t. Vit 98, n. 86, Rami gracili; zoeci allungati tubulosi alterni, dapprima con- nati, e poscia divergenti, con estremità obliquamente diretta in fuori; orificio rotondo non dilatato. Una diecina di internodi, nei quali il portamento dei zoeci non mette alcun dubbio sulla determinazione. Sembra che questa forma si conosca vivente solo nel Medi- terraneo. Profondità : 310 m. Fossile dall’Eocene. Gen. HORNERA Lamouroux 1821. Lamouroux — Expos. method. des gen. de l’ ordre des Polyp. pag. 41. Zoario eretto, ramoso o reticolato. Zoeci tubulari che si apro- no da un sol lato dei rami, disposti in serie longitudinali. La su- 52 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) perficie zoeciale (anteriore) è percorsa da creste ondulate e con- giungentesi per anastomosi. 50. HOR. FRONDICULATA Lamarck (Retepora) 1516. (fig. 31). Sequenza — For. Terz. Reggio; p. 84, 132, 209, 297, 371. Neviani — Livorno ; p. 145 (49). » — Farnesina; p. 130 (54), n. 81. Zoario quasi spianato ; rami irregolari, sorgenti da un tronco robusto , cilindrici, allungati o subcompressi : superficie anteriore reticolato-fibrosa, porosa o cribrifor- me; la posteriore reticolato-fibrosa, con costole granel- lose, o glabre, con solchi portanti pori allungati. Orificio dei zoeci sporgenti, smarginati, o bifidi. Numerosi esemplari ben conservati; in un fram- mento ho trovato l’ovicello dorsale, affine a quello rap- fig. 31. presentato dallo Smitt per la H. licheno:ides, colla quale specie la H. frondiculata ha le massime affinità; v. fig. 31. Vivente nel Mediterraneo e nell'Atlantico. Profondità: 220 m. Fossile dal Miocene. 51. HOR. LICHENOIDES Pontoppidan (Corallium) 1752. Hornera borealis Busk — Crag Pol.; pag. 95, 103. » » Alder — New Brit. Polyzoa; p. 108, t. IV, f. 1-6. » lichenoides Smitt — Krit. Skand. Bry.; p. 404, t. VII, f. 1-14. » » Busk — Brit. Mar. Cat. 3* p.; p. 17, t. XVIII, f. 5, 6. » » Hincks —— Brit. Mar. Pol.; p. 468, t. LXVII, f. 1-5. Zoario irregolarmente ramificato, a rami divergenti, spesso fla- belliformi ; superficie anteriore fibroso-reticolata, con pori subtubu- lari sparsi qua e là; estremità dei rami assottigliati, bifidi. Zoecì immersi che si aprono su di una sola superficie del zoario; orifici circolari a quinconce con un orlo sporgente ; i laterali sono obli- quamente dilatati con margine spesso prolungato in punta acumi- nata. Superficie dorsale attraversata da creste ondulate con minu- ti pori nei solchi intermedi. Oeci sulla superficie dorsale ovoidi © —____—_— i I | \ Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 53 suborbicolari, talora molto gibbosi, reticolati o rozzamente puntec- chiati con orificio tubolare da un lato. da essa parte una sottile costola che attraversa tutto l’oecio. Vari frammenti corrispondenti a questa specie, sino ad ora, che mi sappia, non citata fossile, se non venne confusa colla ZL. fron- diculata, colla quale ha grandi affinità. Vivente nel Mediterraneo, Atlantico e mari Boreali. Profon- dità: 1100 m. 52. HOR. STRIATA Milne Edwards 1838. Milne Edwards—Sur les Crisies; p. 21, t. Sd: Busk—Crag Pol.; p. 103, t. XVI, f. 5. Gottardi—Montecchio Maggiore; p. 300. Seguenza—For. Ter. Reggio; p. 209, 297, 371. Pergens—Rhodes; p. 6. Zoario cespitoso a rami cilindrici. Superficie anteriore reticola- to-fibrosa, divisa in areole romboidali; la dorsale ornata di solchi obliquamente divergenti da una linea mediana ; solchi minutamen- le punteggiati; coste liscie o subgranulose. Orifici dei zoeci in serie longitudinale più o meno regolarmente disposti, piccoli, orbicolari, con labbro inferiore annulato, elevato, lateralmente acuminato. Vari frammenti corrispondenti a quelli del Crag. Questa forma che appare rara fossile; fu trovata vivente solo da Hutton nei ma- ri della Nuova Zelanda. Se la determinazione del Gottardi è esat- ta, sarebbe fossile dal Miocene inferiore. 53. HOR. REUSSI Sequenza 1880. Seguenza—Form. Ter. Reggio; p. 84, 132, 209, t. VIII, f. 16. Zoario a rami dicotomi ; zoeci tubulari molto vicini gli uni agli altri con orificio circolare ; superficie dorsale ornata di costo- le grosse, rade, qua e là interrotte e sporgenti in forma ottusa o acuta, in modo che la superficie ben conservata è spinescente. Seguenza fondò questa specie sopra esemplari che si riferiva- no alla H. hippolithus (Foss. Pol. Wiener: p. 43, t. VI, f. 24) e di 54 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) poi illustrati dal Manzoni (Br. Au-Ungh.; p. 8, t. VI, f. 23; t. VII, f. 26), esemplari che erano differenti dalla H. Rippolyta Defr. il- lustrata da Milne Edwards (Sur les Crisies; p. 20, t. XI, f. 3). L'unico esemplare da me rinvenuto a Spilinga corrisponde per- fettamente colla citata figura del Seguenza. Fossile dal Miocene al Postpliocene. Non mi è nota vivente. Gen. IDMONEA Lamouroux 1521. Lamouroux—Exp. method. des Polyp.; pag. 80. Zoario eretto, ramoso alle volte adnato; i rami per lo più so- no a sezione triangolare. I zoeci tubulari sono disposti su due fac- ce del ramo, ed allineati in serie parallele trasversali od oblique ; alle volte si notano dei zoeci sporadici, o le serie laterali non trop- po regolari. Le serie laterali sono reciprocamente disposte con al- ternanza sulle due facce contigue. 54. IDM. SERPENS Linneo (Tubipora) 1758 (fig. 32). Tubulipora serpens Smitt—Krit. Skand. Bry; p. 399, t. III, f. 1-5. » » Seguenza—For. Terz. Reggio; p. 211, 330,: 372. IJdmonea » Neviani—Farnesina; p. 131 (55), n. 89. Zoario clavato, dicotomo, rep- tante od eretto; zoeci disposti in serie di 5-7 di rado 8, sporgenti, oblique, quasi al- terne; più o meno ricurvi in fuori superiormente, di solito connati, talvolta liberi verso le estremità; essi per ogni serie aumentano d'’ altezza a- vanzando dall’ esterno all’ in- terno. Superficie dorsale stria- ta longitudinalmente. Molti esemplari di Spilinga, alcuni di essi assai sottili con Î | Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 55 pochi zoeci per serie, tanto che fui più volte tentato di separarli come Id. atlantica Forb.; ma il confronto del ricco materiale avuto a disposizione, mi ha dimostrato che questi frustoli si debbono ri- ferire ai rami più giovani della specie Linneana. Frequenti pure i frammenti con gli ovicelli posti sull’ angolo della dicotomia, come nella annessa figura. Vivente nel Mediterraneo ed Atlantico. Profondità: 365 m. Fossile dal Pliocene. 55. IDM. VIBICATA Manzoni 1877. Manzoni—Br. Au-Ungh., 8% parte; p. 6, t. I, f. Oxa Lois, N; 1. 10; Neviani —Livorno; p. 137 (41). » —Farnesina; p. 131 (55) n. 90. Zoario ramoso dicotomo, con rami a sezione trasversale sub- ovale ; zoeci tubulari in serie di vario numero a superficie pun- teggiata, che si incrociano e si fondano assieme sulla linea media- na; superficie posteriore con rilievi a guisa dei vibici delle Rete- pore, con percorso longitudinale, e ramificazione dicotoma ; aree intermedie finamente punteggiate. Di questa forma, da alcuni unita alla Id. serpens L., ho trovato a Spilinga numerosi frammenti. Forse vivente nell’ Atlantico, (Tervia solida Jul.). Fossile dal Miocene. Gen. TUBULIPORA Lamarek 1816. Lamarck—Hist. des anim. sans vertéb. 12 ed., tomo II, pag. 161. Zoario adnato od eretto, integro, lobato o ramoso ; zoeci tu- bulosi in parte immersi ed in parte liberi ed eretti, ordinati in se- rie divergenti su una o due superfici del zoario. La classificazione che ora uso per le 7uduliporae, è la stessa di quella da me seguita nel mio recente lavoro sui Briozoi della Farnesina (pag. 132); ai sottogeneri ivi indicati aggiungo qui anche Mesenteripora Blainville, che si differenzia dagli altri solo per avere i zoeci distribuiti su due superfici addossate l’ una all’ altra. 56 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) Sot-gen. FILISPARSA d° Orbigny (gen.) 1852. D’ Orbigny—Paléont. frang. Terr. crétac. Tom. V, pag. 814. Zoario eretto e ramoso non articolato ; zoeci tubulari distinti che terminano da una sola parte del zoario, distribuiti per lo più disordinatamente, più di rado in serie ordinate alterne o trasver- sali; superficie dorsale senza pori accessori. Questo gruppo passa con tutta facilità ad Hornera e ad Idmo- nea, sarebbe forse il caso di ritenerio intermedio a questi due generi. 56. TUB. (FILIS.) VARIANS Reuss 1568. Filisparsa varians Manzoni—Br. Au-Ungh.; p. 9, t. VII, f. 27. » » Seguenza—For. Terz. Reggio; p. 85, 182, 210, 297, 372, » » Neviani—Livorno; p. 189 (43), t. IV, f. 21. Briozoario dicotomo di mediocri dimensioni. Superficie ante- riore con zoeci tubulosi prominenti verso | estremità boccale, e coperte da fina punteggiatura ; superficie posteriore leggermente convessa, punteggiata e percorsa da alcune rughe trasversali di accrescimento. Un solo esemplare che corrisponde esattamente alla citata fi- gura del Manzoni. Fossile dal Miocene al Postpliocene. Non fu ancora trovata vivente. 57. TUB. (FILIS.) LATA Sequenza 1880. Sequenza—For. Terz. Reggio; p. 210, t. XV, f. 22, 22 a. Zoario grande dicotomo, compresso, dilatato ; facce appianate, ovvero alquanto concava l'anteriore e un poco convessa la poste- riore; zoeci numerosi tubulari, poco ordinatamente distribuiti, spor- genti sulla superficie comune con orifici circolari ampi; superficie posteriore segnata da numerose rughe trasversali arcuate e da più fine striature parallele, intersecate da linee longitudinali e da esi- lissime pieghe appena discernibili. | | j À \ A (bl) 1 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) Vari frammenti che non ho potuto identificare con alcune delle specie viventi, variano però alquanto dalle specie del Seguen- za per non essere molto compressi, nè dilatati. La specie tipica fu trovata nel Zancleano di varie località del Reggiano. Sot-gen. STOMATOPORA Bronn (gen.) 1825. Zoario adnato interamente o libero solamente alle estremità , semplice o ramificato, con rami più o meno ligulati. Zoeci tubula- ri con orificio circolare in gran parte immersi, disposti in una o parecchie serie, con direzione lineare o di poco divergenti. Fra le Tubuliporae tipiche e le Stomatoporae sono tante le af- finità, che alle volte si è molto indecisi nella determinazione di un esemplare ; egualmente dicasi se la Sfomatopora diventa alquanto espansa e passa allora ad una Diastopora. Le Stomatoporae vennero già considerate come sottogenere di Tubulipora dallo Smitt, ma chiamate Proboscina. 98. TUB. [STOM.] MAJOR Johnston (Alecto) 1847. Alecto major Seguenza—For. Terz. Reggio; pag. 297. Stomatopora major Busk—Brit. Mar. Cat., 88 parte; p. 24, t. XVI, f. 3; t. RVIIITRID » ». Hincks—Brit. Mar. Pol.; p. 42%, t. LVII; LXI, f. 1. » » Neviani—Farnesina; p. 133 (57), n. 96. Zoario di solito molto ramificato dicotomicamente, pareti minu- tamente picchiettate o liscie; ramificazioni piuttosto staccate grosse, spesso raggianti da un punto centrale e allargantisi a grado a grado verso la sommità. Zoeci disposti in due o quattro serie, occulti, coll’ estremità orale più o meno eretta e libera, orificio circolare ; le estremità libere spesso sono disposte in linee trasversali regola- rissime, talvolta meno regolarmente disposte. Oeci sviluppati all’e- stremità delle ramificazioni od immediatamente sotto la biforcazio- ne terminale, alquanto allungati, superiormente larghi ed assotti- gliati di sotto. ArtI Acc., Von. IX, Serie 48— Memoria IX. 8 58 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) Poche colonie staccate, e che dapprima dovevano essere ade- renti a qualche conchiglia. Vivente: nel Mediterraneo, Atlantico settentrionale e boreale. Profondità : 310 m. Fossile dell’ Eocene. Sot-gen. TUBULIPORA Lamark s. s. 1816. Lamarck — Hist. des anim. sans vertèbr. 12 ediz., tom. II, pag. 161. In questo gruppo comprendo le specie che rispondono ai carat- teri del genere, nella: sua forma tipica. 59. TUB. FLABELLARIS Fabricius (Tubipora) 1780. Tubulipora phalangea Bask—Crag Pol.; p. 111, t. XVIII, f. 6. > Seguenza—For. Terz. Reggio; p. 212, 330, 372. ha » flabellaris Smitt—Krit. Skand. Bry.; p. 401, t. IX, f. 6-8. » » Manzoni—Castrocaro; p. 43, t. VI, f. 73. » » Seguenza-=-i "C.7 D. 80, 212, 290; 900 972. » » Neviani—Farnesina; p. 133 (07), n. 99. Zoario adnato, reniforme od orbicolare ; zoeci disposti in serie raggiate o lineari alterne, lunghi, suberetti, a pareti sottili. Di questa specie tanto polimorfa, ho rinvenuto a Spilinga due sole colonie, che si riferiscono alla variazione, già altra volta di- stinta dagli autori come 7. phalangea. Comune nel Mediterraneo e nell’ Atlantico settentrionale e bo- reale. Profondità : 350 m. Fossile dal Miocene. 60. TUB. FLABELLARIS Fabr.— Varietà. Si tratta di un esemplare della grandezza di mm: 1,66 X 1,5, esso presenta su di una superficie una diecina di tubi disposti a ventaglio e curvi in fuori; sull’altra parte vi sono tanti solchi corri- spondenti a quelli della prima; dall’ insieme non si può dire che il » frammento fosse aderente a qualche oggetto, cosicchè sembra una | piccola lamina libera; condizione che credo non sia mai stata verificata per la 7. flabellaris tipica. Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 59 Sot-gen. PAVOTUBIGERA d’ Orbigny (gen.) 1852. D’ Orbigny — Palèont. Franc. Tèr. Crétac. Tom. V. pag. 766. Zoeci tubulosi ricurvi, che si originano da un punto che si mantiene eccentrico alla colonia ; i tubetti si uniscono presto in serie che quasi alternativamente si projettano a destra ed a sini- stra di una linea mediana curva. 61. TUB. (PAVOT.) DIMIDIATA Reuss. (Defrancia) 1847. Tubulipora dimidiata Manzoni—Br. Au.-Ungh. 3% p.; p. 19; t. XVII, f. 67; VI 2, » » Neviani—Farnesina; p. 134 (58), n. 100. Il zoario ha nel suo punto di origine la struttura di una Tu- bulipora semplice; col successivo sviluppo della colonia stessa i tubuli zoeciali si sono associati e riuniti assieme per formare del- le creste radianti, profondamente separate fra loro, all’ estremità a margine libero di queste creste si aprono le aperture zoeciali disposte in serie regolari di 1 a 2, 3 e più elementi. Le pareti delle creste laminari offrono le linee longitudinali di demarcazione dei diversi tubuli zoeciali. Un solo esemplare simile a quello da me raccolto nelle sab- bie argillose grigie della Farnesina presso Roma. Questa forma non si conosce vivente, purchè non venga dagli autori confusa o considerata come una varietà della 7. /labdellaris. Fossile dal Miocene. Sot-gen. DIASTOPORA Lamouroux (gen.) 1821. Lamouroux—Expos. méthod. des Polypiers. pag. 42. Zoario adnato, incrostante o foliaceo, ordinariamente discoide o flabellato, più rado di forma irregolare loboso. Zoeci tubulari con orificio ellittico o sub-circolare, in gran parte immersi alquanto ri- gonfi; avvicinati l’ un V altro, e disposti in serie irregolari raggiate 2 60 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) che partono da un punto eccentrico alla colonia, che è il luogo di origine. La Tubulipora flabellaris è la forma che più si avvicina alle Diastopore vere. 62. TUB. (DIAST.) SIMPLEX Busk (Diastopora) 1859. Diastopora simplex Busk—Crag Pol. ; p. 113, t. XX, f. 10. » » Seguenza—For. Terz. Reggio; p. 213, 330, 372. Defrancia » » —1..c.;.p. 183. Diastopora > Neviani—Farnesina; p. 134 (58), n. 10L. Zoario adnato integro, suborbicolare od ellittico, margine irre- golarmente prolifero ; zoeci a quinconce, un poco eretti presso l’o- rificio ; oeci ovati. Discussi di questa forma nel citato lavoro della Farnesina; al- la medesima specie riporto ora vari frammenti del postpliocene di Spilinga. Vivente nel Mediterraneo ed Atlantico. Profondità: 60 m. Fossile dal Pliocene. 63. TUB. (DIAST.) OBELIA Johnston 1888. Jolmston=BIt ZIOOph. 2° ed: tp: 20066, XIV 18, Smitt—Krit. Skand. Bryoz.; p. 396. Busk—Brit. ‘Mar. ‘Cat. parte 3%: p. 28, t. XXVII, 2. Seguenza—For. Terz. Reggio; p. 372. Hincks—Brit. Mar. Pol. ; p. 462, t. LXVI, f. 10, 102. Zoario interamente adnato , indefinito nel suo sviluppo e di conformazione irregolare , orlato dalla lamina basale. Zoeci alterni un po’ sottili, minutamente punteggiati, superficie appiattita, ordi- nariamente con una parte dell’ estremità anteriore libera e suberet- ta, separati da linee distinte, semitrasparenti ; orificio suborbicola- re; dei piccoli tubetti sono disseminati fra i zoeci ordinari. Oeci rigonfi, trasversalmente ellittici, ravvolgenti parecchi tubi zoeciali. Pochi frammenti, ricordano specialmente la figura data dal- VP Hincks. Questa specie sarebbe stata trovata fossile solo dal Se- Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 61 guenza nel Saariano della Provincia di Reggio, e dal Dawson nel Canadà (fide Hincks). Vivente nel Mediterraneo, Atlantico e Mari boreali. Profon- dità: 100 m. 64. TUB. (DIAST.) NOVA Pergens 1886. Tubulipora congesta pr. p., Reuss—Foss. Pol. Wiener; p. 49; t. VII, f.1 e 3 (non 2). Diastopora » Manzoni—Br. Au-Ungh., 3% parte; p. 14, t. XIII, f. 54. » » Seguenza—-For. Terz. Reggio; p. 213. » nova Pergens—Garum. de Faxe; p. 200 (18). Colonie aderenti a corpi di diversa natura, formanti placche assai irregolari. Una piccolissima parte dei zoeci è libera sul mez- zo della colonia; le parti più giovani tuttavia offrono una superfi- cie libera che ha sino al triplo della lunghezza della parte libera dei zoeci più adulti. La parte non libera dei zoeci forma una mem- brana unita senza pori, sulla quale i zoeci si aprono, disposti in li- nee assai irregolari. Segno il nuovo nome, dato giustamente dal Pergens, per alcu- ni frammenti che corrispondono in tutto alla citata figura 32 del Reuss, ed a quella del Manzoni; sono cioè esemplari di colonie adulte, non distinguendosi traccia dei tuboli ; questi terminano con un cercine calloso perfettamente circolare. Questa specie, fossile dell’ Eocene inferiore, non si conosce vivente. (1) Sot-gen. MESENTERIPORA Blainville (gen.) 1834. Blainville-Manuel d’ Actinologie, pag. 432. Zoario foliaceo ; zoeci tubulari con orificio subcircolare dispo- sti in due strati su di una lamina calcarea mediana. Mesenteripora si collega direttamente con le forme di Diasto- pora foliacee, lasciando in queste ultime le specie con un solo stra- to di zoeci. CT Ses ale _ (1) Nel quadro generale, che precede , segnai questa specie come vivente sulla fede della Jelly (Cat. sinon. pag. 83), ma un riscontro esatto delle citazioni mi ha fatto accorto dell’ errore Incorso dalla distinta specialista inglese. 62 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 65. TUB. (MESENT.) MEANDRINA S. Wood (Diastopora) 1855. Mesenteripora Eudesiana Manzoni-Au-Ungh. 3% parte; p. 13, t. IX, f. 36; ti II 9 » » Seguenza — For. Terz. Reggio; p. 132. » » Neviani — Livorno; p. 144 (48). » meandrina Smitt—Krit. Skand. Bryoz.; p. 398. » » Busk—Brit. Mar. Cat. 3% parte; p. 29. » » Busk—Crag Pol.; p. 109, t. XVII, f. 2; t. XVIII, fat: dai. Zoeci tubulari in gran parte immersi e serpeggianti sulle due superfici di una lamina flessuosa e variamente contorta, formante alle volte lamine secondarie coalescenti. Su questa specie relativamente comune a Spilinga, regna una certa confusione. Lasciando le denominazioni usate dall’ Hagenow, D’Orbigny, De Blainville ed altri di M. compressa, M. neocomiensis, M. Michelini ecc. troviamo gli autori schierati specialmente in due campi, e cioè alcuni prendono come tipo la M. meandrina di Wood ed a questa associano quasi tutte le specie conosciute di questo cenere; altri tengono distinta la M. Eudesiana M. Edw. Si osserva specialmente dai secondi che M. Eudesiana è specie dell’ Oolitico, e che difficilmente può trovarsi in terreni recenti od essere viven- te. Senza entrare in merito, perchè mi mancano esemplari per fare i dovuti confronti, mi sembra che il timore di questi ultimi non sia giustificato, se sì pensa che, specialmente nei Ciclostomati, si conoscono altre specie che apparse nel Mesozoico, continuano an- cora a vivere nei nostri mari. La M. meandrina vivente fu rinvenuta a Greeland 30-74 m. Franklin—Pierce Bay a 28 m. Gen. ENTALOPHORA Lamouroua 1821. Lamouroux — Expos. méthod. des gen. de l’ord. des Polyp. pag. 81. Zoario eretto e ramoso emergente da una base più o meno espansa composta di tubi decumbenti; rami cilindrici. Zoeci tubu- lari, più o meno liberi all’ estremità ed aprentisi tutto all’ intorno del zoario. Briozoî postpliocenici di Spilinga (Calabria) 63 E chiaro che Ertalophora ha molta affinità con Tubulipora ; la base di una Entalophora non è che una Stomatopora ; una Me senteripora che da foliacea diventi lobata passa ad Entalophora. 66. ENT. PROBOSCIDEA M. Edwards (Pustulopora) 1838. Entalophora anomala Seguenza—For. Terz. Reggio; p. 85, 211, 297. » attenuata » SL CI9. piego Sa, Pustulopora proboscidea >» cali Ca Pa 0912. Entalophora » Neviani—Livorno; p. 141 (45), t. [V1-25 » » » — Farnesina; p. 134 (58), n. 103. Zoario eretto ramoso, rami cilindrici , assottigliati verso ]’ e- stremità; zoeci tubulosi, più o meno ricurvi in fuori; sparsi e ra- damente distribuiti. Abbondantissima a Spilinga. Specie cosmopolita, e comunissima in tutti i depositi a Brio- zoari; è apparsa nel Giurassico. Vive in quasi tutti i mari, sino alla profondità di 275 m. 67. ENT. RUGOSA d@’ Orbigny 1852. Pustulopora rugulosa Manzoni — Mioc. Austr-Ungh. 3 p; p. 11, t. X, f. 38- » » Seguenza — For. Terz. Reggio; p. 211. » rugosa Seguenza — l. c.; p. 297, 372. » » Waters — Bruccoli ; p. 17, t. XXI, f. 15. Entalophora » Waters — Napoli ; p. 274. » » D’Orbigny—Pal. Frang. Ter. Cret; p. 195, t. 754, f.18-20. Zoario a tronchi robusti, dicotomi, più o meno cilindrici , leggermente clavati alla estremità; zoeci tubulosi ora ben distinti per tutta la lunghezza, ora immersi a seconda del grado di svi- luppo e dell’ età del briozoario ; la superficie lievemente punteg- giata, negli esemplari giovani, è trasversalmente rugosa. Due esemplari adulti uno dei quali ha rami dicotomi com- bressi, allargati, sembra confondersi colla Ent. (Pust.) palmata Bk. del Crag. Vivente nel golfo di Napoli (Waters). Fossile dal Miocene. 64 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) 68. ENT. REGULARIS Mac. Gillivray 1882. Pustulopora subverticillata Busk — Crag Pol.; p. 108, t. XVIII, f. 1. » » Seguenza—For. Terz. Reggio; p. 297. Entalophora » Namias — Modena e Piacenza; p. 13 estr. Pustulopora regularis Busk — Challenger 22 parte; p. 21, t. IV, f. 2. Entalophora » Neviani — Farnesina; p. 134 (58). Zoario a rami gracili, cilindrici o subcompressi, per lo più al- lungati, forcati, sorgenti da un tronco comune. Zoeci tubulosi im- mersi, all’ estremità appena prominenti. Superficie liscia ornata di minimi pori. Orifici non di rado disposti a verticillo. Specie abbastanza comune a Spilinga; sono identici a quelli da me studiati nelle sabbie grigie della Farnesina. Vivente nell’ Atlantico. Profondità : 70 m. Fossile dal Pliocene. 69. ENT. GLAVATA Busk (Pustulopora) 1859. Pustulopora clavaeformis Busk—Brit. Mar. Cat. 34 parte; p. 22, t. XIV, f. 1-4. » » Seguenza — For. Terz. Reggio; p. 211. » clavata Seguenza — l. c.; p. 211. Entalophora » Hineks—Brit. Mar. Pol.; p. 456, t. LXV, f. 5-8. » » Neviani — Farnesina; p. 135 (99), n. 104. Zoario semplice clavato o con brevi rami essi pure clavati ; l’orificio dei zoeci è circolare, ed un poco elevato; superficie sot- tilmente punteggiata. | Pochi frammenti, dei quali alcuni corrispondono benissimo alla figura data dal Busk per la P. clavaeformis. Vivente nel Mediterraneo ed in altri mari. Profondità: 130 m. Fossile dal Pliocene. Gen. LICHENOPORA Defrance 1823. Hincks — Brit. Mar. Pol., pag. 471. Zoario discoide peduncolato semplice o composto di più di- ì schi confluenti o sovrapposti; altre volte interamente adnato, o li- bero sui margini. Zoeci distinti o connati sopra una o più linee divergenti; alle volte sonvi pori accessori fra i zoeci. Briozoi postpliocenici di Spilinja (Calabria) 65 70. LICH. HISPIDA Fleming (Discopora) 1828. Heteroporella radiata Busk—Crag Pol. ; IZ) e 2, Discoporella echinulata Manzoni--Br. daicfiuate Ja pae, bi 15; (XIV; f1.56, » » Seguenza—For. Terz. Reggi pp » hispida —Busk—Crag Pol.; p. 115, t. k II, f. 5. » » Seguenza—For. Terz. Reggio; p. 213, 29lx 300, 372. Lichenopora » Hineks—Brit. Mar. Pol.; p. 473, t. LXVIII, f. 18, » » Neviani—Farnesina ; p. 185 (59), nie 105; » » De Angelis—Brioz. Cataluna : pidò. Zoario adnato, con lamina ripiegata in su e l’orlo libero, sub- circolare per lo più semplice: superficie mammillata. Zoeci in serie Paggiate attorno ad uno spazio centrale di maggiore o minore di- mensione. Orifici alquanto sollevati, tubulari, con margine superio- l'é sporgente , e spesso trifido; spazi intermedi ed area centrale con grandi pori circolari e stellati. Specie relativamente comune, aderente a frammenti di con- chiglie o in colonie staccate. Negli esemplari fossili la lamina cir- colare sollevata manca quasi sempre; così pure difficilmente si os- servano i margini trifidi degli orifici; le colonie perciò assumono altri aspetti, ciò che ha indotto in errore chi ha su di esse fon- date nuove specie. Vivente nel Mediterraneo ed altri mari. Profondità: 2000 m. Fossile dal Pliocene. 71. LICH. PROLIFERA Reuss (Defrancia) 1847. Reuss— Fos. Pol. Wiener; p. 37, t. VI, f. 1. Manzoni — Br. Au-Ungh. "38 parte; p. 10 li 20V., 95, Neviani — Farnesina; p. 135 (59) un. 108. Zoario semplice o cespitoso e ramoso; i rami all’ estremo so- no patelliformi. Superficie ampiemente scavata nelle regione cen- trale, e verso i margini è munita da 18 a 22 coste rilevate, ricur- ve dal dentro all’ infuori ed in basso, su di esse si ha una od anche più serie di orifici zoeciali. Spazi intermedi largamente bu- cherellati. Arti Acc., Vor. IX, SERIE 4°— Memoria IX. 9 66 Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) Due colonie basse, multiple, identiche a quelle da me rinvenute alla Farnesina presso Roma. Questa specie reussiana, non è da confondersi colla Fungella prolifera Hagenow (Maastricht) che deve invece riferirsi a Corym- bopora fungiformis Smitt. La L. prolifera non mi è nota vivente. Fossile dal Miocene inferiore. Gen. FRONDIPORA Imperato 1599. Imperato — Historia naturale, ed. Venezia p. 216. Zoeci contigui alveoliformi sulla faccia interna o sulla estre- mità di rami spesso anastomizzati con portamento flabelliforme; su- perficie striata trasversalmente per linee di accrescimento. 72. FR. MARSILII Michelin 1842. Michelin — Icon. zooph.; p. 68, t. XIV, f. 4. Neviani — Livorno; p. 146 (50). » — Farnesina; p. 136 (60), n. 109. Stipite breve, ingrossato fino dalla base; rami numerosi sub- compressi o rotondi, formanti dapprima piccole colonie flabellate , e poscia svolgentesi in masse globose. Aperture dei zoeci a grup- pi alla estremità dei rami. Superficie laterale striata o levigata. Questa specie varia dalla Fr. verrucosa Lmx (#Y. reticulata Bk.) per essere raramente anastomizzata, e per portare le aperture dei zoeci all’ estremo dei rami; mentre quest’ ultima specie è sempre reticolata, ed i zoeci si aprono sopra prominenze sparse su di una superficie del zoario. A Spilinga è comune in piccoli frammenti polimorfi. Vivente nel Mediterraneo e nell’ Atlantico. Fossile dal Miocene. Roma — R. Liceo E. Q. Visconti — Aprile 189%. Nella stampa di questo lavoro, per l' atfrettata correzione delle bozze , sono incorsi alcuni errori di stampa, dei quali alcuni vengono quì indicati, lasciandone altri, che sono semplici sostituzioni di lettere, alla cura del lettore. Pag. ERRATA - CORRIGE 1 — Intestazione : 8 — riga 28 Veni 12— , penult. 6—- , 21 9— , 18 29— , 26 28— , penult.: 88 — num. d. fig. : 48 — riga penult. : n° » Ultima: con 24 figure leggi: gli zoeci usiformi tratto in piccoli Calpensia sia per Cribilinae rappresentata della macchina fig. 61. Viventi uò raggiungere con 32 figure gli oeci fusiformi tratto è piccoli Calpensia per Cribrilinae rappresentato dalla macchina fig. 16. Vivente può raggiungere rn e Memoria X, L'azione biologica in relazione colla costituzione atomica dell’ idrogeno solforato, dei mercaptani e del solfuro di metile. Ricerche sperimentali del Dott. ANTONIO CURCI L’ azione dell’idrogeno solforato è abbastanza nota nei sinto- mi, e negli effetti; ma non è nota la sua relazione con la costitu- zione atomica, e, a parte quello che io ho detto su di esso nei pre- cedenti miei lavori, nessuno ha tentato una ricerca sotto questo punto di vista. Non è dimostrato se gli effetti principali, che l' i- drogeno solforato produce nell’ organismo vivente, si debbano al solfo o all’ idrogeno, oppure alla funzione chimica complessiva della molecola. Questo è lo scopo che io mi propongo in questo lavoro, stu- diando come si modifica l’azione dell’ idrogeno solforato in quei Ò composti, in cui l’ idrogeno è costituito in parte od in tutto — In- tanto è necessario formarci un concetto dell’ azione dello stesso idrogeno solforato prima di passare ai suoi derivati organici. I Idrogeno solforato. | Sull’ azione dell’ idrogeno solforato esiste un gran numero di lavori, dei quali noi ricorderemo i principali e terremo conto di quelli che dicono qualche cosa della qualità dell’ azione, la più im- portante caratteristica in relazione con la costituzione atomica — La- sciamo da parte quelli degli antichi, che riguardano più l’ azione terapeutica e notiamo quelli più moderni di Demarquay (Compt. rend. t. LX, p. 727), Kaufmann e Rosenthal (Archiv. von Dubois— Reichert, 1865, e Medicin Centralblatt, 1886); G. A. Smirnow (Med. Centralblatt, 1884, N. 37); Peyron (Maly’s Iahresber. Bd. XVI e Compt. rend. soc. biol., 1885), I. Pohl (Archiv. f. exp. Patholog. u. Amm Acc., Vor. IX, SERIE 48 — Memoria X. 1 2 L'azione biologica in relazione colla costituzione atomica Pharmakol, B. 22, 1); Chaussier (Dictionnaire de Pherap. de Dujar- din—Beaumetz, t. IV p. 614), Brouardel et Loye (Compt, rend. 1. Cl. p. 401, 1885); Stiffot (Die physiol. Wirkung des schwefelwas- serstoffgas, Berlin, 1886); Lehmann (Arvhiv. f. Hygiéne, Bd. XIV, 1892); Unschinski (Zeitschrift f. physiolog. Chemie, Bd. XVII, 1893); E. Harnack (Archiv. f. exper. Pat. u. Pharmakol. 1894, Bd. XXXIV, p. 157) ed altri. Dai diversi lavori citati si ricava, che l idrogeno solforato ha un’ azione di due forme, tanto negli animali a sangue freddo che in quelli a sangue caldo. Dell’ azione sulle rane si sono occupati pochi, e si sapeva che produce una rapida paralisi, la quale o finiva colla morte dell’ani- male o si dissipava più o meno presto. Harnack recentemente ci ha fatto sapere che l’azione dell’ idrogeno solforato varia dalle rane di inverno a quelle di estate—Se si fa l inalazione per poco tempo , le rane d'inverno vanno soggette ad un fortissimo tetano, il quale dura per 14 giorni, mentre le rane di estate soggiacciono per qual- che mese in un grave stato morboso, in cui la paralisi e i crampi sono combinati in un modo speciale. Una rana di estate raffreddata e sottoposta all’ azione dell’ SH? sino alla paralisi e poi lavata e tenuta in corrente di area fresca, dopo tre ore è presa da accessi di crampi, i quali in seguito di- minuiscono , si limitano agli arti anteriori e, con essi, fenomeni di paralisi generale vi prevalgono. Harnack conclude dalle sue esperienze, che le convulsioni o i crampi dipendano da aumento dell’ eccitabilità del sistema nervoso centrale, a preferenza del midollo spinale e allungato, mentre la pa- ralisi concerne la sfera motrice del cervello. Profittando dell’ azione così lunga per diverse settimane, Har- nack studia le alterazioni del sangue allo spettroscopio , che negli animali a sangue caldo non si possono osservare, attesa la rapida morte per l'intensa azione sul sistema nervoso, e ne ha visto la striscia dello solfo-metaemoglobina nell’ arancio insieme con quelle dell’ ossiemoglobina. | È dell'idrogeno solforato, dei mercaptani e del solfuro di metile 3 Kaufmann e Rosenthal aveano osservato che il cuore si ar- restava, ma poi di nuovo riprendeva le sue pulsazioni. Harnack dopo scoperto il cuore, espone la rana all’ azione di SH? per 1/9 mi- nuto sino all’ arresto del cuore; ma se atropinizzava prima la rana, l’ arresto del cuore non avveniva. Questo è in riassunto il risultamento delle esperienze dei di- versi autori, donde si può concludere che SH? produce fenomeni di paralisi nelle rane a temperatura ordinaria e fenomeni convulsivi in quelle a temperatura bassa. Avuta quà l’ opportunità di una temperatura molto bassa nel mese di febbraio scorso, ho voluto ripetere |’ esperienza di Harnack, cioè ho fatto agire sulle rane la soluzione acquosa di SH?, sino alla paralisi generale completa, e poi lavate e tenute in poca acqua fresca. Il giorno appresso l’ animale si presentava normale, ma toccato O pizzicato, nel salto restava contratto e irrigidito, come preso da uno spasmo tonico, all’ altro giorno era rimesso completamente. Sottoposte le stesse rane così altre volte all’azione dell’ H#?S, si osservava al giorno seguente, sempre in seguito a stimolo, convul- sione tonica generale, spasmi, arti posteriori stirati con membrana interdigitale distesa, e molto sovente forti grida esprimenti dolore. Quest’ azione durava uno o due giorni e non 14 giorni secondo vide Harnack. Per non allungare il lavoro, io ho riferito in breve i risultamenti senza esporre le relative esperienze e le osservazioni giornaliere fatte per un mese su parecchie rane. Risulta vero adunque, che nelle rane sotto bassa temperatura, l'idrogeno solforato dapprima produce paralisi e poi, questa dissi- pata, lascia uno stato di ipereccibilità ed iperestesia per azione ir- ritante sul midollo spinale. Nelle rane ad ordinaria temperatura o a quella estiva, SH? pro- duce fenomeni predominanti di paralisi, seguiti o non da quelli di eccitamento. È da osservare però, che l’azione eccitante dell’ H#?S è postu- LI L’azione biologica în relazione colla costituzione atomica ma, e perciò non sappiamo se è da mettersi in conto di esso di- rettamente o in conto di un suo prodotto secondario. Fino a pro- va in contrario riteniamo che sia il primo caso. Nell’azione che si ha immediatamente all’ inalazione del gas, si osserva che le rane presentano dapprima respirazione accelerata e poi rallentata, vale a dire che si ha un previo eccitamento del centro respiratorio, prima della paralisi generale—Se in rana atro- pinizzata non si ha l’ arresto del cuore (Harnack), vale a dire che SH? eccita linnervazione moderatrice (2). Quindi riassumendo, nelle rane l’ SH? eccita il centro respira- torio, l innervazione moderatrice del cuore, il sistema vasomoto- rio (1), i centri nervosi cerebro spinali (eccitabilità e sensibilità) e produce paralisi generale di origine centrale. Negli animali a sangue caldo SH® ha un’ azione tossica molto notevole e rapida, di forma un po’ confusa tra sintomi di para- lisi e quelli di eccitamento. Nell'uomo si è distinto l’avvelenamento in quello a forma a- popletica e quello a forma mista, in cui nel corso di lungo coma si muore con o senza crampi tonici e clonici intercorrenti (Hoppe- Seyler, Diakonow; Kaufmann e Rosenthal, ecc.). Ricerche sperimentali sugli animali ne esistono molte e attin- go maggiormente da quelle di Chaussier, di Brouardel e Loye. Il Demarquay tra i primi nel 1864 osservò, che i conigli alla nalazione del SH? soccombono rapidamente presentando fenomeni convulsivi. Dai lavori dei citati AA. risulta che SH? nei mammiferi agisce rapidamente e la morte sopravviene per azione sui centri nervosi, producendo convulsioni, dilatazione della pupilla ed esoftalmo, abo- lizione del riflesso pupillare, cornea insensibile, abolizione dei ri- (1) Nelle rane io arguisco l’azione vaso-motrice e lo stato della tensione sanguigna dal gra- do di pienezza del cuore ; in proposito V. il mio lavoro sul Tallio (Annali di Ch. e Farmacol. 1895); cioè quando il cuore si rallenta o si ferma pieno di sangue è segno di eccitamento del sistema nerveo-vasale e di aumento della pressione sanguigna; quando il cuore batte o si fer- mo vuoto di sangue vuol dire il contrario. dell’ idrogeno solforato, dei mercaptani e del solfuro di metile D flessi in generale, contrattura dei muscoli, respirazione dapprima ral- lentata e poi convulsiva, indi poi subito arrestata. I battiti car- diaci diventano lenti ed energici e poi normali; essi si arrestano dopo la respirazione. Il rallentamento del polso non si ha colla pre- via sezione del bulbo o del vago, o cloroformizzazione. La pressione sanguigna si eleva al principio e poi si abbassa progressivamente. Onde da una parte vi è eccitamento della inner- vazione moderatrice del cuore , e dall’ altra del sistema vasomo- torio. Se l’azione è più lenta e la morte ritarda, ai sintomi nervosi si aggiungono quelli di asfissia. Ma la morte avviene prima della completa disossidazione del sangue, per cui dipende da azione del SH? sugli organi nervosi e quindi si ammette pure che essa azio- ne sia un fatto diretto di SH? sul sistema nervoso. Visto adunque quale è il tipo e la qualità dell’ azione di SH?, possiamo cercare di vedere quale è il meccanismo. A noi nulla importa discutere a quale dose uccide e come, perchè l’ azione tossica non serve al nostro scopo e non può mai servire ad altro che a far trarre conclusioni erronee, relazioni false ed a costruire assurdi e inconcludenti sistemi, come quello di Low. In sostanza ed in breve locuzione, risulta adunque che SH? ha azione eccitante sui centri nervosi, specialmente bulbari e spi- nali, e questa è la caratteristica farmacologica più importante di questo composto. Quest’azione eccitante si deve ad uno dei suoi elementi od alla molecola intera quale rappresentante di una funzione chimica ? Se volessimo metterla in conto del solfo, noi non abbiamo al- cun fatto, alcun argomento per farlo, e piuttosto vi sono ragioni in contrario, tra cui la molto probabile inerzia biologica del solfo e la mancanza completa di qualche fatto, il quale accenni ad una azione eccitante del solfo anche in altre combinazioni. Io credo di potere escludere il solfo. Ci è permesso quindi rivolgere l’attenzione all’ H. Questo ele- mento è da me considerato e dimostrato come il più forte e prin- si | | i | i 6 L'azione biologica în relazione colla costituzione atomica cipale eccitante nel campo biologico, in antagonismo col carbonio. I composti organici sono eccitanti per l’idrogeno e per nessun altro elemento, come risulta dai miei lavori. Ma non intendo av- valermi di questa argomentazione generale, potendo procedere a dimostrare coi fatti sperimentali, che la parte principale nell’azione dell’SH? è rappresentata dall’idrogeno , come vedremo studiando i mercaptani ed i solfuri organici. Metilmercaptano. Nel metilmercaptano o solfidrato di metile, CH. SH, un ato- mo d’idrogeno di SH? è sostituito da un gruppo metilico, per cui è da prevedere che essendo eliminato un atomo d’idrogeno, debba esser diminuita l’azione eccitante del SH? ed aumentata quella paralizzante. Intanto prima di ogni discussione teorica vediamo quali sono i fatti. Il mercaptano metilico è stato studiato da L. Rekowski, il cui lavoro “ Sull’azione biologica del metilmercaptano , uscì negli Ar- chives des sciences biologiques de St. Petersbourg, vol. 2, 205 217, ma di questo ho potuto avere visione solamente di un sunto nel Maly’s Iahresb d. Tierchemie. Rekowski nel laboratorio di Nenki ha fatto una serie di espe- rienze sopra dei topi bianchi, porcellini, conigli con metilmercapta- no, facendolo respirare con aria o introducendolo con sonda nello stomaco o nel retto dei conigli, oppure iniettando sotto la pelle u- na soluzione di sale alcalino del mercaptano. I risultati delle espe- rienze sono stati i seguenti: Respirato il metilmercaptano agisce da eccitante il centro re- spiratorio; la respirazione viene accelerata ed in seguito l’ animale resta fortemente avvelenato dal gas, il quale si accumula nel san- gue. Dopo il forte eccitamento, segue paralisi della respirazione e dei centri motori, mentre i nervi periferici ed i muscoli sono po- co attaccati, come viene dimostrato dal conservarsi i riflessi e la contrattilità del cuore dopo la morte. Gli stessi sintomi si hanno dall’avvelenamento per bocca e per via sottocutanea: lo stesso ac- dell’ idrogeno solforato, dei mercaptani e del solfuro di metile 7 celeramento della respirazione al principio dell'esperienza e la stessa secondaria paralisi della respirazione e dei centri motori. I nervi periferici ed i muscoli sono anche qui poco attaccati. La dose tossica del metilmercaptano pei conigli di media gros- sezza è di 0,130 millig. di mercaptano per chg. di animale. Il me- tilmercaptano è meno velenoso di SH?, il quale e già tossico a 0,025 millig. Le urine puzzano dopo assorbito il metilmercaptano, ma non hanno odore caratteristico di asparagi. Nè nel sangue, nè in una soluzione diluita di emoglobina si osserva alcun cambiamento coll’aiuto dello spettroscopio; ma sola- mente il sangue mostra la proprietà del sangue venoso e presen- ta allo spettroscopio la striscia dell'emoglobina ridotta, la quale agitata con l’aria dà l ossiemoglobina. Da queste risultanze, ottenute da Rekowski, si deduce la dif- ferenza di azione, che esiste tra il metilmercaptano ed il solfuro d’idrogeno. Questo è un eccitante del sistema nervoso centrale: cioè del midollo allungato e del midollo spinale e non abbiamo certezza se agisca pure sul cervello. Quello, in cui rimane un solo idrogeno, eccita solamente al- cuni centri del midollo allungato, quale il respiratorio, mentre pa- ralizza altri centri. Non sappiamo se il metilmercaptano ecciti il centro vasomotorio, pupillare ecc. perchè Rekowski non fa ricerche a tale proposito; ma io credo che oltre il centro respiratorio sieno eccitati anche altri centri esistenti nel midollo allungato. Io non ho potuto avere del metilmercaptano per fare delle ri- cerche personali e colmare questa piccola lacuna ; invece posso presentare delle esperienze coll’etilmercaptano, il quale ha analoga costituzione chimica ed azione biologica e conferma le previsioni sull'azione del metilmercaptano, come ora vedremo. Etilmercaptano. Il composto etilico, C?H.° S H, poco differisce dal metilico, come Ognun sa; in sostanza è sempre |’ idrogeno solforato, in cui un H è sostituito da un idrocarburo, e si sa che tra l’ etile ed il me- =" I i | il | | 8 L’azione biologica in relazione colla costituzione atomica tile non vi è differenza di azione che nell’ intensità maggiore per il primo rispetto al secondo. L° idrogeno residuale indubbiamente avrà l’ istessa funzione chimica, tanto nell’ uno che nell’ altro. Se il solfo funzionasse come l’ ossigeno, detto composto avreb- be somiglianza con l’ alcool etilico e quindi potrebbe avere la stes- sa azione, onde il residuo solfidrico potrebbe essere paragonato al- l idrossile alcoolico. Nell’ idrossile alcoolico l idrogeno è, secondo me, 1’ eccitante del sistema nervoso, perciò dal solfidrato di etile possiamo aspet- tarci dei fenomeni di eccitamento dipendenti dall’ idrogeno del sol- fidrile, insieme con quelli di paralisi dipendenti dall’ idrocarburo etilico, e perciò un’ azione mista analoga a quella del solfidrato metilico. L’ idrogeno del solfidrile, può essere paragonato, come vedremo, almeno farmacologicamente anche all’ idrogeno imidico , di cui presenta la stessa azione, e forse all’ analogia farmacologica corrisponderà l analogia di funzione chimica. Guardiamo le esperienze : Esperienza — Messe alcune gocce di etilmercaptano sotto l’im- buto che copre due rane, queste dapprincipio si agitano e poi si acquietano. Per un poco sospendono gli atti joidei, ma che poi eseguono intermittentemente ed in tal caso sono ampî e profondi più del normale. Dopo 5 minuti le rane si presentano paralizzate ed i movimenti riflessi sono completamente aboliti; si ha pure ri- lasciamento muscolare. In questo stato le rane però sono eccitabili alla corrente elettrica, ed attraverso la parete toracica si osserva l'urto del cuore. In seguito, all’ aria libera, le rane sono ritornate a vivere. EspeRIENZA — Due rane sotto imbuto si mettono a respirare del solfidrato etilico e subito esse infossano gli occhi e cessano di respirare. Dopo 3 minuti si presentano completamente insensibili con muscoli rilasciati, occhi infossati, senza atti joidei, in modo da dell’idrogeno solforato, dei mercaptani e del solfuro di metile 9 sembrare morte; ma esse reagiscono alla corrente elettrica, e attra- verso la parete toracica si scorge 1’ urto del cuore. Come si vede nelle rane il solfidrato di etile produce fenome- nì di paralisi, abolendo le funzioni animali, sensibilità e movimen- to volontario, non che gli atti riflessi, con rilasciamento muscolare, ma restando eccitabili all’ elettricità i nervi ed i muscoli, mentre il cuore continua a funzionare. In altri termini si ha propriamente l’ azione dell’ etere, del cloroformio o di un idrocarburo della serie grassa. Quest’ azione nelle rane da un lato è simile a quella imme- diata dell’ idrogeno solforato negli stessi animali, dall’ altro ne dif- ferisce perchè l’ SH? colla paralisi generale produce anche quella del cuore. Esperienza — Coniglio di grammi 770 è sottomesso alla respi- razione del solfidrato di etile, il quale essendo molto volatile facil- mente viene inalato, se versato in fondo di un bicchiere si appres- sa alla bocca di questo il muso dell’ animale. Poco dopo il coni- glio cade rilasciato, con perdita dei riflessi generali e palpebrali ; poi la respirazione si arresta e poco appresso anche ii cuore e perciò il coniglio ne muore. EsperIEnza— Un coniglio di chg. 1 sottomesso all’inalazione del solfidrato di etile, poco dopo cade nella completa e generale ane- stesia, durante la quale la respirazione è calma e regolare, ma ha contrattura della nuca; la pupilla è ristretta. Gessata subito 1° ina- lazione, l’anestesia si dissipa con rapidità e, appena la sensibilità riappare sulle palpebre, l’animale si desta, le pupille ora sono dila- tate, persiste la contrattura del collo. Questi fenomeni pure spari- scono subito e l’animale si ristabilisce del tutto. Dunque, anche nei mammiferi, il solfidrato etilico produce a- lestesia. In quanto agli organi della circolazione ho fatto le seguenti esperienze: Art Aco., Vor. IX, SERIE 4° — Memoria X. 2 | | IBt | | | 10 L’ azione biologica în relazione colla costituzione atomica Esperienza. — Cane di chg. 4, 250, affetto da movimenti co- reici, non curarizzato e col manometro applicato alla carotide. ORA PRESSIONE OSSERVAZIONI 13. 45 110 — Si fa inalare il C ®H*SH. Rapidamente l’animale perde la sensibilità fino all'abolizione dei rifles- si normali e s’ interrompe l’ inalazione. 15. 46 210 — La pressione poi è discesa rapidamente, mentre il polso è forte ed ampio. 13. 48 80 — 13. 49 90 — L’animale ha ricuperato la sensibilità e la pres- sione è salita. 13. 50 210 — To. DI 210 — 19:52 — — Si rifà l’ inalazione e si continua facendo respi- rare anche l’ aria. 13. 53 180 — 14. — — — Manometro fermo per coagulo. Seguitando l’ inalazione si sono calmati i movimenti coreici ; respirazione calma e superficiale; insensibilità generale con abolizio- ne dei riflessi corneali; pupille molto dilatate; mucose lividissime, così anche i muscoli. Sangue nero piceo, il quale, osservato allo spettroscopio, senza agitare la soluzione di colore avana, presenta le due strisce dell’ossiemoglobina un po’ confuse e tendenti a sparire. L’ animale è morto in seguito per la grave alterazione del sangue, ad onta che si sia fatta l’ insufflazione di aria pura. Prima si è arrestata la respirazione e poi il cuore. Esperienza — Cane di chg. 7 non curarizzato, manometro al- la carotide. ORA PRESSIONE OSSERVAZIONI 12-45, 170. 180. | Si comincia l’ inalazione del-C 245 SH con aria attraverso l’ apertura della trachea. 12. b4 210 — L’ animale fa degli sforzi, la respirazione è am- pia e profonda, poi l’ animale è calmo, ma la respirazione è arrestata nella fase inspiratoria e perciò si fa la compressione del torace per mantenere la ventilazione pulmonale. dell'idrogeno solforato, dei mercaptani e del solfuro di metile 11 ORA PRESSIONE OSSERVAZIONI 12. 56 ZI 12. 58 12709 13. — 13. (S0, 15. 45 15. 47 15. 50 14. — 14. 1 190 . 230 Permanente tetano inspiratorio e si seguita la compressione ritmica del torace. Animale cal- a MO sempre. La respirazione si compie naturalmente, ma è ra- ra e profonda. Pupille ristrette. Polso molto rallentato, forte ed ampio. Pupille ristrette. Si rifà l’ inalazione. Al principio si ha forte ab- bassamento della pressione, ma le oscillazioni cardiache nel manometro sono molto alte e len- te e poi la pressione ritorna a salire. Respira- zione ampia e profonda. Iperpnea. Cessata 1’ inalazione. Atti respiratorî forti e profondi. Pupille ristrette. Le mucose sembrano di colorito normale; ma in seguito, anche respirando aria pura, esse diventano sempre più livide ed il sangue diventa bruno sporco. { fenomeni sopra esposti si sono avuti fino a quan- do le condizioni del sangue apparivano buone; dopo, quando sono apparse le notate alterazio- ni sanguigne, si è avuto quanto appresso. Pupille dilatate. Polso frequente e piccolo. Si fa qualche minuto di inalazione e si ha iperpnea. Forte iperpnea. Sforzi di vomito. Sforzi di vomito. Mucose straordinariamente li- vide. Seguitando l’ inalazione. Si sospende l’ inalazione. Grave colore livido brutto delle mucose e della carne. Pupille piut- tosto ristrette. Messo in libertà l’ animale è molto abbattuto e stordito; il giorno appresso si trova morto. Si vede da queste esperienze che mentre tra SH? ed imer- captani vi è analogia di azione, vi è pure una notevole differenza. Il solfidrato di etile, che credo si possa considerare di eguale a- zione con quello metilico, ha due azioni: una eccitante e una pa- ralizzante. La prima si esercita: a) sul centro respiratorio, donde iperpnea e tetano respiratorio ; 3) sul centro dilatatorio della pu- pilla; e) molto probabilmente sul centro moderatore cardiaco, don- de il rallentamento del cuore con polso forte ed alto; d) sul cen- Ho vaso-motorio, donde 1 aumento della pressione sanguigna ; e) infine sui centri bulbari e spinali, donde la contrattura della nuca ecc. Ei ie | | | | | | | | I i Li; Ki i di Î i tl DI —1111111_ i i Li i 12 L’ azione biologica in relazione colla sostituzione atomica La seconda azione del solfidrato consiste nell’ anestesia gene- rale compresa quella della cornea, con rilasciamento muscolare. In generale poi i due mercaptani, mentre producono una anestesia più analoga a quella degli idrocarburi grassi, sono molto meno tossici di SH?, e la morte da essi prodotta non viene subito, nè durante l’ane- stesia e non dipende da violenta azione sul sistema nervoso, ma è consecutiva a grave alterazione del sangue dopo lunga inalazione. Col SH? si sa che la morte viene con grande rapidità e pri- ma che vi sia un’ alterazione appariscente del sangue. In quanto all’azione eccitante sui centri cerebro-spinali, sem- bra essere in generale più intensa con SH? che con i mercaptani. Solfuro di metile. Il solfuro di metile, S (CH? , si può considerare come SH?, i cui due atomi d’idrogeno sieno sostituiti con altrettanti metili. L’ azione di questo composto è consentanea alla sua composizione e funzione chimica di un idrocarburo grasso, come si può giudi- care dalle seguenti esperienze. Esperienza. — Facendo respirare alle rane questo composto mischiato con aria sotto campana non chiusa ermeticamente, esse dapprima cessano di respirare e di fare ogni movimento, poi si accovacciano, cadono in narcosi, perdono la sensibilità e 1’ eccita- bilità riflessa prima nelle estremità posteriori, poi nel tronco ed arti anteriori, infine nei globi oculari, dove però anestesia non è completa. Vi è dilatazione pupillare, e moderato rilasciamento gene- rale. Dopo 1/2 ora gradatamente ricuperano la sensibilità ed il moto. EsPERIENZA. — Topi casalinghi, nella cui trappola, coperta sem- plicemente da un imbuto, s’ instillano alcune gocce del solfuro , dapprima si ammansano e perdono la loro normale vivacità , poi si agitano un po’ di qua e di là, indi cadono sui fianchi, fanno degli sforzi per tenersi dritti e camminare, vacillano, ondeggiano, si contorcono, hanno movimenti disordinati come dei tremolii, e a capo di 10 minuti rimangono narcotizzati, immobili e completamen- te insensibili dagli arti posteriori sino alla cornea. | dell’idrogeno solforato, dei mercaptani e del solfuro di metile 13 In seguito ritorna la sensibilità, riappariscono i movimenti pro- babilmente involontarî, ed infine gli animali rapidamente si rimet- tono nello stato normale. Esperienza. — Coniglio di grammi 500 è messo sotto campana a respirare i vapori del solfuro metilico. Si può pure avere l’azio- ne in tutta la sua intensità, facendolo respirare in un bicchiere dove ci sia della sostanza. Alle prime inalazioni, si accelera un poco la respirazione per effetto riflesso piuttosto, anzichè per azione diretta della sostanza, perchè è acceleramente lievissimo e di poca durata; poi l animale incomincia a socchiudere gli occhi come per abbandonarsi al son- no, e la respirazione è di già calma, lenta e regolare; indi inco- mincia a vacillare tenendosi appena in piedi; fa continui movimenti di masticazione ed anche alcuni movimenti disordinati degli arti anteriori. Continuando l inalazione, l’ animale cade di fianco, dà dei gridi, fa alcuni movimenti degli arti, gli occhi diventano im- mobili, le palpebre sono divaricate, le pupille di ordinaria ampiezza, la congiuntiva insensibile, i riflessi palpebrali aboliti, come pure quelli di tutto il corpo e si stabilisce quindi un’ anestesia generale, durante la quale vi sono sempre alcuni movimenti degli arti. Det- ta anestesia è di poca durata ed intensità, cessa subito dopo so- spesa l’ inalazione e 1’ animale ritorna al normale. EspPrRIENZA — Cane di chg. 4, 200, non curarizzato; manome- tro alla carotide. ORA PRESSIONE OSSERVAZIONI 14 40 15h Si fa respirare solfuro di metile con aria per la trachea. 14 55 145 — Continuando l’ inalazione. loi 140 — Continuando l’ inalazione e facendo penetrare il solfuro nella cannula tracheale. leo 1530 — lo cb 135 — Continuando l’ inalazione e l’ iniezione del solfu- ro nella cannula. 15.7 140 — 15 9 1935 — 1613 135 — Cessata l’ inalazione, Anestesia generale discreta. 15 24 130 — 15 30 120 — 1b 34 120 — Colore normale delle mucose, della carne e del sangue. ver rene | | | 14 L’ azione biologica in relazione colla costituzione atomica Come si vede dalle esposte esperienze il solfuro di metile è un leggiero anestesico non tossico; perciò la qualifica per la sua azione è quella di essere un paralizzante leggiero dei centri sen- sitivi. Esso non produce fenomeni di eccitamento ed i movimenti che si osservano nel coniglio, non nei cani, non significano il contrario, perchè possono essere manifestazioni individuali per semplice difetto di moderazione in seguito alla leggiera anestesia. Ha poca influenza sugli organi della circolazione, non produce al- cun eccitamento vascolare, anzi lievemente abbassa la pressione sanguigna. Questo composto dimostra da sè solo quale è lazione del gruppo metile; azione paralizzante dei centri sensitivi, come la pos- siedono gl’idrocarburi grassi in generale. Il solfo non ha azione e perciò l’azione del solfuro di metile si deve attribuire ai due gruppi metilici. Il solfuro di metile non produce asfissia e pare che non at- tacchi il sangue, come l’ idrogeno solforato ed i mercaptani. Apparisce chiara la differenza di azione tra il primo ed i se- condi. Conclusioni. L’idrogeno solforato è eccitante dei centri bulbari e spinali sino alle convulsioni, guasta il sangue ed è asfissiante, è fortemen- te tossico. I mercaptani sono eccitanti dei centri bulbari e sono paraliz- zanti dei centri sensitivi, guastano il sangue e sono asfissianti i sono deboli tossici. Il solfuro di metile è semplicemente paralizzante dei centri sensitivi, non guasta il sangue, non è asfissiante e non è tossico. Dette modifiche nell’ azione dei diversi composti avvengono di pari passo colla sostituzione dell’ idrogeno: dove vi è idrogeno vi è eccitamento, tossicità e guasto del sangue, e dove esso man- | dell’ idrogeno solforato, deî mercaptani e del solfuro di metile 15 ca sostituito dall’ idrocarburo, vi è solamente lieve azione aneste- sica. Mi pari risulti chiaro : 1° che l’ idrogeno solforato agisca per i due atomi d’idrogeno che contiene, al quale elemento si deve tutta la sua azione e specialmente l’ azione eccitante ; 2° che i mer- captani agiscano per l’ idrogeno residuale nei fenomeni di eccita- mento, nell’ alterare il sangue e nell’uccidere, ed agiscano per il metile nell’ azione anestesica e quella moderatrice della tossicità ; 3° che il solfuro di metile agisca da anestesico per i due metili e cioè per il carbonio di questi. Dopo queste conclusioni di fatti, non è assurdo il dire anco- la una volta che l’ idrogeno possiede azione eccitante. Catania, giugno 1895. Memoria XI. Azione del curare e della cocaina sulla temperatura del corpo in rapporto alla teoria del processo febbrile del Prof, G B. UGHETTI, Fra le tante questioni d’ ordine secondario, che si connettono al grande problema della patogenesi della febbre, ho dovuto toc- car di volo, nel mio trattato su questo processo, anche quella della ipertermia per opera di sostanze tetanizzanti, e dell’ ostacolo che a tale ipertermia è frapposto dall’ azione di un’ altra sostanza, il curare. Ripeto, e può convincersene chiunque abbia sott’ occhio il mio libro, la questione di cui ho detto, fu da me appena accen- nata, e ciò solo potrebbe bastare ad assolvermi dagli appunti che mi ha rivolto il Prof. Ugolino Mosso (1), come potrebbe dispen- sarmi dal rispondervi categoricamente. Ma dal momento che il Professore di Genova ha creduto di dare importanza, anzichè alla mia teoria della febbre, che non esclude punto la teoria nervosa ch'egli predilige, alla quistione del l’ antagonismo tra curare e cocaina, non sarà inopportuno che prosegua io l’esame di siffatta quistione, non tanto per risolverla, quanto per metter, come si dice, le cose a posto, in ciò che ri- guarda quello che da me è stato affermato. Prima di tutto io ritengo, e l’ ho già detto, ed è il caso di ripeterlo, che vi sono delle modificazioni della temperatura in più o in meno che non hanno molto da vedere col processo febbrile; in altri termini ipertermia e febbre non hanno punto il valore di sinonimi. Per conseguenza il prendere come punto d’ appoggio di (1) U. Mosso-- Influenza del curare sulla temperatura del corpo—Risposta al Prof. G. B. Ughetti. Arti Acc., Vor. IX, SerIE 4° — Memoria XI. 1 == | | | 2 Azione del curare e della cocaina sulla temperatura del corpo una teoria della febbre l’ azione ipertermizzante di certe sostanze, mentre nella febbre propriamente detta è dubbio se l’ipertermia sia dovuta ad azioni analoghe, lascia qualcosa a desiderare dal lato della logica scientifica. Ora siccome è stato notato anche dal Rei- chert che tutti i veleni che apprezzabilmente aumentano la temperatu- ra sono pronunziatamente convulsivanti , siccome perciò è stato am- messo finora, e può darsi che lo sia ancora in avvenire, che cer- te sostanze quali la stricnina e la cocaina, producono elevazione di temperatura per le contrazioni muscolari, vale a dire per un mec- canismo che non ha luogo nella febbre, così è che solo inciden- talmente mi sono occupato di tali sostanze. Il Prof. Ug. Mosso ha creduto dimostrare che elevassero la temperatura anche per un altro meccanismo, vale a dire per un’ eccitazione dei centri ter- mici, ma, dico il vero, senza negare a priori la possibilità di ciò, mi pare che le ricerche in proposito fatte finora non siano’ an- cora sufficientemente dimostrative. Intanto, limitandomi alla quistione discussa dal Mosso, in op- posizione al cenno da me fatto nella—ebbre—risponderò ad al- cuni appunti del chiaro collega, e poi riesaminerò questo punto di fisio-patologia, in base alle ricerche dell’ autore medesimo e del Reichert e di alcuni esperimenti che ho praticato appena avuto conoscenza della pubblicazione del Mosso. A pag. 24 della—Febbre —ho scritto : “.... Con la Cocaina si vede che la temperatura è 1° indi- ce esatto della violenza delle contrazioni muscolari; Richet ha con- statato un parallelismo assoluto tra questi due fatti. E che siano le contrazioni muscolari prodotte dalla cocaina (che fanno salire la temperatura ) lo si prova con l esperimento che segue: Si sa che iniettando sotto la cute di un animale una piccola quantità di cu- rare, esso perde rapidamente la facoltà di far contrarre i suoi mu- scoli, cade in rilasciamento completo. Orbene questa paralisi ge- nerale è accompagnata da abbassamento della temperatura. Ma non basta; se anche a quest’ animale, in tale stato, si inietti della co- caina, non hanno luogo contrazioni muscolari, e la temperatura în rapporto alla teoria del processo febbrile 3 non sale più. È ciò che ha visto anche Richet. Solo Ugolino Mos- so avrebbe osservato che, anche in un cane curarizzato, la cocai- na fa salire la temperatura; ma credo che sia incorso in qualche causa d’ errore ; io stesso ho rifatto | esperimento ed ho avuto quel risultato che era facile prevedere. , Segue la descrizione dell’ esperimento che credo inutile riferi- re quì per disteso, dal quale risulta che iniettato ‘podermicamente un po’ di curare in un cane, ed avuto il rilasciamento e l’ ipoter- mia, non riesco a sollevare la temperatura con una successiva inie- zione di cocaina. E questo è quanto è stato fatto e detto da parte mia. Ora il Mosso, fra i varî appunti, mi muove quello che io ab- bia preteso “ con una sola esperienza, distruggere uno degli argomen- ti più validi che confortano i fautori della teoria nervosa del proces- so febbrile. , Prima d’ ogni altro, debbo ripetere che non sono punto av- verso alla teoria nervosa del processo febbrile, e lo sa chi abbia letto le conclusioni della mia memoria sulla patogenesi della feb- bre (1) quindi non potevo nutrire alcuna intenzione di distrugger- la; sono persuaso anzi che essa disponga di argomenti ben più validi di questo per essere sostenuta. In secondo luogo poi, non è in base al mio solo esperimento che ho sostenuto l’ inefficacia termogena della cocaina in animale curarizzato, bensì fondandomi sugli autori che avevano studiato la questione, e specialmente sul Richet. In quanto poi al non aver io fatto che un solo esperimento, posso pur dire di averne fatto uno di troppo, perchè, a parte che nel caso attuale non ce n° era strettamente bisogno, se poi avessi dovuto controllare e rifare nel mio laboratorio tutti gli esperimenti altrui, che accenno in un trat- tato di carattere prevalentemente sintetico, sarei giunto all’ età del riposo prima di averne esaurito una piccola parte. Secondo il Prof. Ugolino Mosso, io avrei inoltre citato le due (1) Riforma medica. Ottobre 1894. “perenne are Ù sunniti Ice emme" n» 4 Azione del curare e della cocaina sulla temperatura del corpo memorie senza averle lette, mentre invece le ho lette tutte quante, specialmente quelle che non ho citato, ma ripeto non potevo trat- tenermi su particolari che avrebbero svisato l’ indole del mio libro. Andando innanzi, dice il Mosso che in quella mia unica espe- rienza mi sono servito di dosi troppo elevate. Ma qui sarebbe il caso di dire ch’ egli mi abbia citato senza avermi letto, se non mostrasse il contrario il trascrivere ch’ egli fa l’esperienza stessa. Dico ciò perchè io non ho iniettato che gr. 0,0016 di curare p. Kg., e, dopo un’ ora e mezzo gr. 0, 012 di cocaina p. Kg., vale a dire le medesime dosi, e talvolta anche meno, di quelle di cui si valse egli stesso, il Mosso, negli sperimenti di que- sta sua ultima pubblicazione ! Un’ accusa simile egli aveva fatto un giorno ai lavori di Ri- chet e Langlois, dicendo : “ temo che il loro insuccesso dipenda dall’ aver amministrato agli animali delle dosi troppo forti di cura- re, ma di rimando il Richet ha risposto: “ Non so se la causa del mio insuccesso sia dovuta ad una dose troppo forte di curare. Ma, d’ altro canto, se la dose del curare è troppo debole per ren- dere l’ animale assolutamente immobile, come assicurarci che non si tratti in tal caso di movimenti fibrillari determinanti l’ ascensio- ne termica precisamente per delle combustioni muscolari ? ,, Un’ altra accusa, è quella con cui il Mosso mi dà colpa di er- rori di tempo e di persona, perchè gli ho attribuito una priorità che egli non vuol riconoscere. “ Il Prof. Ughetti, ei dice, mi attribuisce delle sperienze sulla cocaina, che avrebbe dovuto ascrivere ad E. Reichert, il quale le fece per controllare le mie esperienze sulla stricnina. Ma io sono lieto di trovarmi in compagnia del Reichert. Solo non comprendo come l’Ughetti abbia potuto ignorare nel 1893 il lavoro del Reichert e la critica che io faceva a quella del Richet ed Hanriot (?) nel mio lavoro sulla febbre, tutti due pubblicati nel 1889. , Ora il Reichert, nel lavoro citato dal Mosso, dice precisamen- te così.: “ Among the most decided of the physiological action of co- (oli in rapporto alla teoria del processo febbrile caine, is that of producing a rise of temperature which, even in moderate doses, may be quite remarkable. — ..... Mosso always observed a rise, amounting to as much at times as 3° 1, and, contrary to Danini, being independent of convulsions, since it occured in animals rendered motionless by curare , e cita a queste parole un lavoro del Mosso pubblicato negli Archiv fi experimentelle Patho- logie und Pharm. del 1887. Ora è vero che in questo lavoro, benchè sì tratti estesamente della cocaina e delle sostanze ad essa anta- goniste non si parla dell’ azione contrapposta del curare, ma non avendolo sott’ occhio proprio nel momento in cui scrivevo quella pagina incriminata della febbre, ho attribuito al Mosso senza ba- darci più che tanto ciò che il Reichert stesso gli attribuisce. Ma lasciamo andare queste inezie, che non tolgono e non ag- giungono nulla al merito della questione; piuttosto giacchè il Prof. Ugolino Mosso ha citato in appoggio suo il fisiologo di Filadelfia , vediamo che cosa dica quest’ultimo sull’ azione combinata della co- caina e del curare. Ad evitare d’ esser imputato di dimenticanza, premetto che del Reichert non conosco su tale argomento che due lavori, l’uno quel- lo citato dal Mosso (1) l’ altro pubblicato nel 1891 (2) e di cui fa meraviglia a me che il Mosso non abbia tenuto conto in quest’ul- tima sua pubblicazione. i Nel primo lavoro, discute, con quelli di Anrep e di Danini, anche i risultati del Mosso, e riferisce poi quattro sperimenti sul- l' azione della cocaina in cani curarizzati, in cui ebbe aumento del- la temperatura, ma avverte che i cani erano leggermente curarizza- ti. In un quinto sperimento in cui il cane era profondamente cura- rizzato, non si osservò alcuna elevazione di temperatura. Nella seconda memoria il Reichert riferisce 19 sperimenti sul- le modificazioni termiche per opera del curare, trovando che la tem- peratura aumentò in 5 casì, cioè in quelli in cui la dose era in- (1) E. ReicneRT — The action of Cocaine on animal Heat function — 1889. (2) E. ReicnERT — Heat phenomena in curarized animals — 1891. 6 Azione del curare e della cocaina sulla temperatura del corpo sufficiente a produrre paralisi motrice; mentre negli altri 14 casì per lo più diminuì); e passando poi all’ azione combinata della co- caina e del curare non è sempre d’ accordo col Mosso, tantochè conchiude : “ Cocaine is unable to produce its characteristic effects is animals even lightly curarized. , Messe così le cose al loro posto in quanto riguarda nomi e date, vediamo se la questione sia suscettibile di soluzione, e d° on- de provengano le cause di contraddizione fra i vari autori, ai cui estremi si può dire si trovino Ug. Mosso e Richet. E prima d’ ogni altro, poniamo chiaramente i termini della que- stione. Senza preoccuparci delle ultime conseguenze sui centri presie- denti alla termotassi, ci basti cercare se possa elevarsi la tempe- ratura ad opera di una sostanza tetanizzante come la cocaina, quan- do la tetanizzazione è impedita dall’ azione, incominciata prima e tuttavia in atto, del curare. Avrei voluto poter rispondere al quesito senza fare nuovi e- sperimenti, per risparmiare tempo, animali ecc. ecc., tanto più che negli sperimenti fatti fin quì c’ è tanto che basta a conchiudere co- me avevo conchiuso io nella febbre, ma, ad evitar nuove obiezioni, ho instituito alcune altre ricerche, dalle quali mi è risultato quan- to segue. 1° Piccole dosi di curare (1-2 milligrammi per ogui K. di pe- so del cane) iniettate per via ipodermica, non producono alcun ap- prezzabile disturbo motorio, e sono seguite da un’elevazione termi- ca di 3-4 decimi, in alcuni casi da nessuna elevazione. 9° L’iniezione in un cane di 4 m.gr. di curare p. K. di peso, dà luogo per una ventina di minuti a tremito fibrillare generale intercalato da lievi scosse convulsive, durante il qual tempo la temperatura non si abbassa. Essa scende rapidamente di un grado nei venti minuti successivi. L’ iniezione che allora si pratica di 1 c. gr. di cocaina per ogni K. di peso, produce più che delle scosse convulsive, dei sussulti che si succedono ad intervalli di 5", e per venti minuti la temperatura non si abbassa che di 0°2 in rapporto alla teoria del processo febbrile 7 per continuare la discesa di qualche altro decimo nei venti minuti che precedono la morte dell’animale. 3° L’iniezione (ipodermica come in tutti questi casi) di curare nella proporzione di 0, 0025 per K. in un piccolo cane non pro- duce fenomeni convulsivi nè elevazione termica; bensì un abbas- samento di 1°7 in 45 minuti, che non può esser arrestato dalla iniezione di 1 c. gr. di cocaina per K. 4° In un cane del peso di 6 K. l’iniezione ipodermica di 0, 001 di curare per K. non produce nè disturbi motorii, nè modificazioni della temperatura. Nello stesso cane l’iniezione fatta il giorno seguente di 0,0016 per K. ha lo stesso effetto. Nello stesso cane l'iniezione della stessa quantità di curare (0, 0016 per K. praticata il dì seguente produce coi fenomeni di paresi un violento tremore, durante il quale la temperatura sale di un grado (39° 8 e poi 40°) Si fa una nuova iniezione di 0, 001 per K. e la temperatura si mantiene elevata finchè durano i feno- meni muscolari di eccitazione. Col cessare di questi e col ristabi- lirsi l’animale, la temperatura ritorna allo stato normale. Nello stesso cane, il giorno seguente, l’iniezione successiva di curare ad intervalli di un’ ora, di 0, 002-0,001-0, 001 produce i noti fenomeni paralitici e la morte con ipotermia (36° 2) però la temperatura non si abbassa che di pochi decimi finchè i fenomeni paretici sono interpolati da tremore o da lievi sussulti, per discen- dere poi rapidamente quando ) animale diviene immobile. 5° In un cane di Kg. 9, in cui l'iniezione di 0, 0016 di cu- Tare per Kg. non produce nè disturbi motorii apprezzabili, nè mo- dificazioni termiche ; 1’ iniezione fatta due giorni dopo di 0, 003 per Kg. dà luogo ai noti fenomeni paralitici, senza tremori nè scos- se convulsive. In questo caso la temperatura non accenna meno- mamente a salire; discende invece gradatamente, nè quando è a 37° può essere arrestata nella discesa, dall’ iniezione di 0, 01 per Kg. di cocaina. In questi pochi esperimenti, e davvero non valeva la pena di 8 Azione del curare e della cocaina sulla temperatura del corpo farne di più, ho dunque avuto dei risultati che non mi obbligano punto a ritornare sui miei passi. Quelle dosi di cocaina che son capaci di elevare la temperatura dell'animale sano, non hanno punio elevato quella dello stesso anima- le curarizzato. In verità a me questa conclusione potrebbe bastare; ma sic- come con questa discussione il Prof. Ug. Mosso mi ha dato occa- sione a portare un nuovo argomento in appoggio della teoria del processo febbrile, quale ho esposta nel mio lavoro sulla patogene- si della febbre, così devo ritornare sugli sperimenti di Reichert e di Ug. Mosso, accennando perchè essi abbiano avuto risultati in parte differenti dai miei, e da quelli di altri osservatori. Reichert nei suoi esperimenti sul curare, a solo o seguito da sostanze antagoniste, si è servito di questa tecnica (pag. 3). I cani erano legati, leggermente eterizzati, tracheotomizzati, con la giugulare scoperta, nella quale il curare veniva iniettato. E se, dopo questo trattamento, sia ancora lecito metter in rapporto le modificazioni termiche osservate con la qualità della sostanza che si vuol studiare, lascio decidere a chi abbia anche superficialmente studiato piretologia. Senza dire dell’azione di tanti traumi, basta che il curare in- trodotto sia più o meno ben filtrato perchè, pur paralizzando, dia elevazione di temperatura. E lo stesso o press’ a poco si può dire degli sperimenti del Mosso. Non posso nè debbo analizzarli ad uno ad uno, tanto più che di molti non è riferita tutta la tecnica; basta citarne qualcu- no. Per es. nell’ esp. XXIII (del 1889) non ha avuto rialzo della temperatura, prima delle convulsioni, se non dopo aver iniettato la cocaina nella vena giugulare, eppure ne ha conchiuso che la co- caina agisce prima sulla calorificazione e che più tardi agisce produ- cendo convulsioni. Chi mi assicura che se 1 avesse iniettata per la via ipodermica non avrebbe avuto rialzo di temperatura che con le convulsioni? Vedansi poi gli esperimenti esposti nel lavoro scritto per ri- spondere a me. in rapporto alla teoria del processo febbrile l 9 Di quelli della serie 1, eliminato il 2° esperimento fatto in con- dizioni eccezionali, patologiche, non rimane che il primo, in cui si è avuto per l’iniezione di curare una lieve elevazione (0°2) di tem- peratura che non offre nulla di nuovo nè alcuna difficoltà di in- terpretazione. Ma i più importanti sono quelli della 3* serie. Di questa se- rie negli esper. 1°, 2°, 3° e 4°, dei quali però non è esposta tutta la tecnica, da tenere, ripeto, in questi casi in grandissimo conto , risulta questo che la cocaina arresta lo scendere della temperatura e talora la rialza quando essa impedisce il progredire dei fenomeni paralitici e riattiva i processi vitali. Dall’ammettere la qual cosa non sono neppur io molto lonta- no. Però degli altri quattro sperimenti della stessa serie 3 non credo si possa fare gran conto, nè che si possa perciò dire tem- peratura febbrile una cifra non infrequente nei cani, nè facilmente sceverare i fenomeni curarici dai cocainici, quando s’iniettano alter- nativamente le due sostanze , nè passar sopra all’ iniezione intra- venosa che può modificare i risultati. Della serie 42, dice il Prof. Ugolino Mosso, che le esperienze sono così eloquenti da rendere inutile ogni considerazione su di esse; ed in questo caso sono di pieno accordo con lui. Io non credo d’ aver mai detto che il curare potesse arrestare d’ un tratto od, abbassare la temperatura elevatasi per la cocaina, perchè convinto che, una volta avviati gli atti chimici (sieno o no sotto l'influenza del sistema nervoso) che determinano l’ ipertermia , essi possano continuare alcun tempo nonostante il cessare della causa o l in- tervenire di cause opposte. Tutto sommato, credo di poter asserire che la differenza tra i miei risultati e quelli del Prof. Ugolino Mosso sia più apparente che reale, perchè appunto il disaccordo tra noi sta più nell’ inter- pretazione che nella osservazione dei fatti. Anch’ io posso conchiudere con le sue stesse parole che il sistema nervoso ha una parte importantissima nella patogenesi della febbre; vi aggiungo solo che io dò tanto peso a questa parte da | | | | 10 Azione del curare e della cocaina sulla temperatura del corpo credere che intervenga, non nelle ipertermie da stricnina, da cocaina e simili, che non sono veri processi febbrili, bensì negli aumenti di temperatura per introduzione di batteri nel sangue che sono se- condo il Mosso, indipendenti dal sistema nervoso e rappresentano la febbre propria dei tessuti. Memoria XII. Ricerche farmacologiche Sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere, con speciale riguardo alla relazione tra I’ azione e la costituzione atomica del Dr ORAZIO MODICA NOTA I. Amarina ed idrobenzamide. Sono note in chimica alcune sostanze isomeriche, cioè le idra- midi e le rispettive basi, le quali offrono al farmacologo un oppor- tuno argomento per vedere la relazione che passa tra la costitu- zione atomica e 1’ azione biologica : attesocchè mentre ciascuna i- dramide ha la stessa composizione chimica bruta della rispettiva base, ne ha poi la costituzione atomica, e, per quanto io ne sap- pia, qualcuna anche l’azione biologica del tutto differente. Su queste sostanze esistono pochissimi lavori. Il BaccueTmI nel 1855 ha pubblicato (1) le sue esperienze sull’ amarina ed idroben- zamide, sulla furfurina e sull’ anisina. Il prof. Curci, nel 1890, studiando la serie furfurica (2), si è occupato della furfurina. Il BaccHETTI constatò che mentre l’idrobenzamide era inattiva, le altre sostanze tutte erano dotate di una potente tossicità (de- crescente dall’ amarina all’ anisina ), producendo paralisi nelle ra- ne e convulsioni nei mammiferi. E siccome i due isomeri idroben- zamide ed amarina, la quale origina dalla prima per azione del ca- lore, avevano diversa azione, il BaccHETTI veniva alla conclusione che, “ per la sola azione del calore, e senza l'aggiunta o Vl elimi- iti (1) Dr. O. BaccaeTTI — Effetti di alcuni alcaloidi artificiali sull’ organismo animale. (Il Nuovo Cimento. tomo II, L90D; p. (6). (2) A. Curci — Ricerche farmacologiche sulla serie furfurica. (La Terapia Moderna, 1890): Arti Aco., Vor. IX, SerIE 48 — Memoria XII. 1 2 Ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere nazione di alcun principio, una sostanza innocua si converta in ve- leno , (1). Il Baccaerti non andò più in là, e non poteva essere altrimenti a quell’ epoca, in cui era ancora ignota la costituzione atomica per la maggior parte delle sostanze, e non si aveva ancora alcuna idea dei rapporti tra la chimica e la farmacologia. Entrate in iscienza queste nuove vedute, non era privo d’in- teresse uno studio più profondo, esteso a tutte le idramidi e alle loro rispettive basi, il quale tendesse a ricercare le ragioni della differenza d’ azione tra le une e le altre, per vedere quale rela- zione passasse tra la costituzione atomica e 1° azione biologica. Con questo scopo mi sono accinto a tale studio, ed ho inco- minciato dai due isomeri, idrobenzamide ed amarina, esistendo delle notizie sull’ azione biologica di essi; di questi poi mi occuperò pri- ma dell’ amarina e poi dell’ idrobenzamide. Il BaccHeTTI, iniettando una soluzione di acetato di amarina nel cellulare sottocutaneo di cani, di conigli e di cavie, osservò che gli animali d’ esperimento morivano in brevissimo tempo in preda a convulsioni. Gli stessi effetti, benchè un po’ ritardati, sì aveva- no somministrando la sostanza per lo stomaco. Invece “in alcuni piccoli uccelli, nelle rane e nei pesci l’ ingestione o l’ applicazione sotto la pelle dell’ acetato di amarina a frazioni di grano, produce- va costantemente dopo pochi minuti la morte preceduta da paralisi ,. Lo stesso BaccHErTI constatava pure che Vl idrobenzamide riu- sciva inattiva sia nelle rane come negli animali a sangue caldo. Essendo scarse ed insufficienti le notizie che il BaccHeTTI Gi dà sull’azione biologica delle sostanze in parola, mancando quelle intorno all’ azione sugli organi della circolazione e alla sede e mee- canismo d’ azione, ho dovuto far precedere delle esperienze per col- mare queste lacune, per ricercare di poi la ragione della grande (1) O. BaccHETTI l. c. p. con speciale riguardo alla relazione tra l’ azione e la costituzione atomica azione di una e della inattività dell’ altra delle dette sostanze e met- tere tutto ciò in rapporto colla costituzione atomica. AMARINA Fenomeni generali prodotti dall’ amarina. L’amarina, o trifenilgdiidrogliossalina, della formola : © H".C. NH\ Il CH. C° H" (1) C°H°.C.NB/ è un alcaloide insolubile nell'acqua, ma il suo acetato vi è molto solubile, e si presta benissimo per lo studio della sostanza. Ho quin- di preparato una soluzione titolata di amarina in acqua distillata mercè l’ aggiunta di qualche goccia di acido acetico purissimo (2). Ho incominciato a studiare 1’ azione dell’ amarina sulle rane adoperando dosi piccolissime, le quali mi hanno fatto osservare dei fatti che non aveva potuto vedere il BaccHETTI, per la ragione che questi adoperava dosi enormi di sostanza (frazioni di grano). In- fatti l’ unico fatto notato da questo autore nelle rane è stato “la morte preceduta da paralisi. , Di tutte le esperienze fatte ne riferisco solo alcune per evi- tare inutili ripetizioni. RANE Esperienza 1 — Piccola rana d’ inverno di gr. 10. Respiri pri- ma della somministrazione dell’ amarina 100 in un minuto primo. (1) Altri ammettono invece una formola asimmetrica : CH°-CH— NH | C— C* B5. CH CH-N7 (2) Per non ripeterlo volta per volta, avverto che ho usato sempre questa soluzione quan- do ho somministrato 1’ amarina per iniezione sottocutanea. La soluzione era di reazione neutra. ————————————_____pp | il i Ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere Ore 14,7 -— Iniezione nel sacco dorsale di una soluzione di ace- tato di amarina contenente 1/10 di mg. di alcaloide. La rana non mostra di risentire alcun effetto dalla iniezione. 14, 15. — Lieve dilatazione della pupilla e lieve aumento del nu- mero delle escursioni ioidee che da 100 sono salite a 110 al minuto. Del resto non notasi altro d’ importante, la rana sta nella sua posizione normale e stimolata rea- gisce con movimenti energici e pronti. Scuoprendo il piatto dov è messa, non mostra di voler fuggire. Non sì nota ipersecrezione cutanea. 14, 20, — Stesso stato. La respirazione è un po’ aumentata di fr'e- quenza, facendo l ioide 120 escursioni al minuto. 14, 40. — La rana sta colla testa sollevata dal piatto, come se stes- se in attenzione. Cerca di fuggire agli stimoli meccanici, cui risponde con movimenti energici. La pupilla è an- cora un po’ dilatata. Respiri 128. 14, 50. — Stesso stato. Respiri 112. 15, 40. — La rana mostra un certo abbattimento e sta sdraiata col ventre sul piatto. Stimolata reagisce, ma i movi- menti degli arti sono deboli e fiacchi; messa sul dorso riesce con molta difficoltà a rivoltarsi. Respiri 100. 16, 15. — Stesso stato, la pupilla accenna a restringersi un poco. Ti. — Stesso stato. L'indomani la rana era normale. Esperienza 2° — Piccola rana d’inverno di gr. 15. Respiri pri- ma della iniezione di amarina 80 in 1 minuto primo. Ore 15, 10. — Iniezione nel sacco dorsale di una soluzione di ace- tato di amarina contenente 4/10 di mg. di sostanza. Fatta l iniezione la rana fa qualche salto, poi si accovaccia. 15, 15. — La rana mantiene la sua posizione normale, non fugge scoprendo il piatto dov è messa; reagisce agli stimoli cutanei con movimenti un po’ deboli. Respiri 100. 15,20. — Stesso stato. La pupilla è un po’ dilatata. Non si nota con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica 5 | ipersecrezione cutanea. Respiri 92, ogni tanto notasi una pausa. 15, 40. — La rana è molto eccitabile: sta colla testa molto sollevata, | stimolata risponde subito e con movimenti energici, per I cui alcune volte cade sul dorso; si rimette però pron- I tamente nella posizione normale. Respiri 90. 50. — Stesso stato ; pupilla come prima. 1 15 16, 15. — La rana risponde agli stimoli cutanei ( meccanici ) con | movimenti molto energici, notasi talvolta qualche spa- smo agli arti posteriori, oppure il distendimento della membrana interdigitale al solo battere con un oggetto | sul piatto o sul tavolo. Pur essendo i movimenti pronti, notasi una certa rilasciatezza muscolare. La pupilla ac- cenna a restringersi. 16, 30. — Stesso stato, però il rilasciamento muscolare è molto più accentuato. Respiri 72 in 1°. 17 — Seguita il rilascimento muscolare. | L'indomani la rana era nel suo stato normale. | Per dosi un po’ minori si osservano gli stessi fenomeni, quin- | di ho tralasciato di trascrivere le esperienze relative. | Aumentando la dose il periodo di eccitamento si abbrevia, i fatti paralitici divengono più accentuati. Delle esperienze fatte tra- Scrivo solo la seguente come quella che si riferisce ad una dose media. Esperienza 3°"— Piccola rana d’inverno di gr. 18. Ore 8,35 — Iniezione nel sacco dorsale di una soluzione neutra di acetato di amarina contenente 4 mg. di alcaloide. — | Appena fatta l’ iniezione la rana si mette a gracchiare, ed ha dei conati di vomito. Trascorso qualche minuto sta colla bocca semi-aperta. Le escursioni ioidee si ridu- cono moltissimo di numero. Levando l imbuto con cui è coperta, la rana fa dei movimenti energici per scappa- re; lo stesso fa se si avvicina qualche oggetto per stuz- zicarla. ii | | 6 Ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere 8,40. — Apre e chiude la bocca, e fa dei movimenti cogli arti 8,42. 8,45. 8, 55 8,57 9,10 anteriori come se volesse levarsi qualche cosa da essa. Sta ancora nella posizione normale, ma scoprendo il piat- to non fugge più; avvicinando degli oggetti per stuzzi- carla fa dei movimenti per evitarli, ma non ha più la forza per scappare. La pupilla, che prima aveva mostrato una leggiera di- latazione è un po’ ristretta. Il sacco ioideo gonfio e i movimenti ioidei arrestati, solo ogni tanto notasene qual- cuno. Non si nota ipersecrezione cutanea. — Rilasciamento generale : la rana sta sdraiata sul ventre, si rivolta a stento se messa sul dorso, stimolata con una pinzetta reagisce debolissimamente. In quanto al resto se- guita come prima. — Stesso stato. Le pupille sono più ristrette di prima, gli occhi velati, il sacco ioideo gonfio, i movimenti ioidei quasi totalmente aboliti. Dietro forti stimoli cutanei fa qualche salto in cui notasi atassia per la contrazione di alcuni gruppi muscolari. . — La rana pare morta, di tanto in tanto notasi un infossa- mento degli occhi. Stimolata non reagisce più con movi- menti generali, al massimo non si nota che il distendi- mento della membrana interdigitale dell’ arto stimolato o la contrazione tonica e breve di esso. . — Stimolata fortemente in un arto posteriore, stira i due arti posteriori incrociechiandoli e spalmando la membrana interdigitale. . — Notansi delle contrazioni muscolari isolate avvenute spon- taneamente, per cui stira e dimena disordinatamente gli arti inferiori, i quali al solito sono molto flosci. . — La rana è morta. Aperto il torace trovasi il cuore piccolo, fermo, ineccitabile alla corrente indotta. Muscoli e nervi rimangono eccitabili per lungo tempo alla corrente in- dotta. con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica 1 Siccome le dosi un po’ minori (1-3 mg.) e le maggiori (5-10 mg.) producono, come ho detto, gli stessi effetti, tralascio di tra- scrivere le esperienze relative a tali dosi, accennando solamente che la morte viene accelerata per le dosi grandi (5-10 mg.), poten- do essa perfino avvenire dopo pochi minuti dalla iniezione. Adunque l’ amarina, iniettata in soluzione nei sacchi linfatici dorsali nelle rane d’inverno, a dosi piccolissime di */10-‘/o di mg. produce in principio un po’ di aumento del numero delle escursio- ni ioidee e un leggiero grado di dilatazione della pupilla. Il movi- mento volontario resta normale, però i riflessi divengono un po’ esagerati. In seguito, persistendo sempre i riflessi, i movimenti s' indeboliscono e subentra un periodo di lieve abbattimento : le Pane stanno ferme, sdraiate sul ventre, colle pupille un po’ ristrette. Questi fenomeni ben presto si dileguano e le rane ritornano allo stato normale. Aumentando la dose (1-10 mg.), il periodo di eccitamento è brevissimo : si nota una grande eccitabilità , i riflessi sono esa- gerati e tutti i movimenti molto energici. DUbO pochi minuti però le rane entrano in un periodo di grande spossatezza con stordimen- to e abolizione progressiva del movimento sia volontario che pro- vocato. Notansi di tanto in tanto dei tremiti in dati gruppi musco- lari, limitati quasi esclusivamente agli arti posteriori. Le pupille, che dapprima mostravano un lieve grado di dilatazione, si restringono: le escursioni ioidee si riducono gradatamente di numero e final- mente si aboliscono rimanendo il sacco ioideo gonfio, finalmente anche i riflessi indebolendosi sempre più finiscono per abolirsi del tutto, e le rane muoiono in mezzo alla paralisi generale. In tutte le esperienze fatte, sia per le grandi, come per le pic- cole dosi, non si è notato mai alcun aumento della secrezione cu- tanea, anzi la pelle mostravasi piuttosto secca. La morte nelle rane avviene più o meno presto a seconda del- la dose: se questa è grande (5-10 mg.) essa può avvenire perfino dopo pochi minuti dalla iniezione. Avendo ripetuto le esperienze nelle rane d’ estate, abbiamo no- | | 8 Iicerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere notato ancor meglio il periodo di eccitamento che precede la para- lisi. In queste rane inoltre i tremiti sono più persistenti, più accen- tuati e più generali, infatti, mentre nelle rane d’inverno si limi- tano quasi esclusivamente ai muscoli degli arti posteriori, in quelle d’ estate si manifestano in tutte le masse muscolari, e ciò sia spontaneamente, sia in seguito a stimoli cutanei. Tutto questo è d’accordo col fatto che nell’ estate le rane sono più eccitabili, es- sendo i processi biologici più attivi. MAMMIFERI Nei mammiferi la sindrome fenomenica prodotta dall’ amarina è diversa. Esperienza 4°. — Cagna bastarda del peso di Kg. 7. Ore 14,30—S' inietta sotto la pelle del dorso una soluzione di ace- tato di amarina contenente 10 cg. di alcaloide. 14,40. — Si notano tremori generali, più al treno posteriore, che crescon gradatamente. Non si nota aleun movimento alle palpebre ; vedendo del pane la cagna ammicca gli oc- chi, dato il pane trema tutta e lo mangia a stento. 14,43. — Toccando la cagna colle mani sì osserva tremore genera- le accompagnato da spasmi. Non può più mangiare per il gran tremore. 14,45. — Tremori generali persistenti più accentuati. Grande im- pressionabilità, la cagna incomincia a scuotersi, sì contrag- gono dati gruppi muscolari, atassia. Le pupille sono un po’ dilatate. Non si nota salivazione. 14,48.-- Accesso convulsivo epilettiforme completo della durata di un minuto primo, cui ne segue immediatamente un al- tro. Durante l’ accesso notasi spuma alla bocca; iperpnea. Dopo pochi secondi segue un terzo accesso simile ai pre- cedenti. La cagna grida continuamente. 14,54. — Accesso convulsivo cui, dopo un breve istante ne se- cone con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica —9 | gue un altro più lungo del primo. Grande iperpnea, lin- gua di fuori, affanno. Negli accessi convulsivi ora descrit- ti non si è notata spuma alla bocca. 14,59. — Seguita l’ affanno ; 1’ animale si vuole alzare, ma su- bito dopo incomincia un altro accesso convulsivo. La cagna stira gli arti che sono intanto in continua agita- | zione. Non c’ è salivazione. | Dopo una breve pausa in cui i movimenti sono un po’ Il più miti, si riaccentuano per pochi secondi le scosse con- vulsive e notansi pure forti contrazioni toniche agli arti. Seguita la solita iperpnea, la lingua è cianotica e sporge al solito di fuori. | 15, 4. — Grande iperpnea : riposo relativo agli arti. 15, 5. — Accesso convulsivo : non grida più. | 15, 12.-— Seguita lo stesso stato; ci sono dei periodi di riposo tra | | gli accessi convulsivi in cui l’animale è molto abbattuto Ill I e finalmente muore alle ore 15, 14 per arresto del cuo- re. La respirazione si arresta poco dopo. Aperto subito il torace trovasi il cuore pieno di sangue un po’ oscuro. Molte altre esperienze fatte su cani e su topi hanno mostrato gli identici fatti. L’ amarina adunque, somministrata per iniezione il ipodermica, già dopo pochi minuti produce forti tremiti e in segui- il to convulsioni epilettiformi complete. Ogni accesso convulsivo dura da parecchi secondi a un minuto primo e più. Nei brevi intervalli di riposo notasi grande affanno e forte abbattimento. In ultimo gli accessi convulsivi si van facendo più frequenti e più intensi, ed in mezzo ad essi gli animali muoiono per arresto della circolazione. In i tutte le esperienze non si è notato mai salivazione. | Però le piccole dosi di 5 cg. somministrate a dei cani per boc- ca con mica di pane, producendo quasi costantemente il vomito , non danno altro che un po’ di tremore ed un po’ di aumento del diametro della pupilla. La dose tossica di amarina, somministrata per via ipodermica Arm Aco., Vor. IX, SerIE 48 — Memoria XII. 2 | I i | | 10 4cerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere per i cani è in media di 15 mg. per chilogrammo di animale; al- lora la morte avviene in circa un’ora. Se la dose è minore gli ani- mali sopravvivono. Nei mammiferi neonati l’ amarina non produce convulsioni , specialmente se essa si somministra poche ore dopo la nascita. Esperienza 5°. — Due gattini nati da 20 ore \ebbero l’ uno 9 e l’altro 18 mg. di amarina in soluzione per iniezione sottocutanea. Non si notò il minimo accenno di convulsioni ; morirono insensi- bilmente , perdendo i movimenti normali ed il lamento , il primo dopo 70 minuti, e il secondo dopo 30. Se l’esperimento si fa dopo alcuni giorni dalla nascita incomin- cia ad accennarsi qualche cosa dell’azione dell’amarina. Esperienza 6°. — Due cagnolini nati da 4 giorni ebbero per iniezione sottocutanea di 15 mg. di amarina l’uno e di 30 mg. l’al- tro, dei tremori e qualche accenno di convulsione tonica. La mor- te è venuta dopo un’ora e 30', insensibilmente. Ciò ci sta ad indicare che i mammiferi appena nati si posso- no considerare come animali i quali stanno molto in basso nella scala zoologica :, l’ amarina agisce in essi come nelle rane, cioè non vi produce alcuna convulsione. Ma poi mano a mano che i neonati crescono diventano più perfetti, i centri nervosi si svilup- pano completamente, o, se formati prima della nascita, acquistano la eccitabilità, e con questa la funzione loro propria: allora la so- stanza eccitante produce i fenomeni convulsivi. Azione dell’ amarina sulla circolazione. Ho studiato l’ azione dell’ amarina sulla circolazione nei batra- ci e nei cani. Esperienza 7° — Rana d’ inverno del peso di gr. 12. S' iniet- ta 1/s di mg. di amarina. rms NO | con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica 11 | | =2| Î 5 [SÉ | 9 |g8 OSSERVAZIONI | (>) Ba ; D_ [AZ | | ll Si fissa la rana su tavoletta di sughero per mezzo di cordicelle e si mette il cuore allo scoperto. Non si ricopre più durante l’ esperimento. 13.6. D6 11. 10| 56 Il Li13 Iniezione sotto la pelle della coscia destra di una soluzione | neutra di acetato di amarina contenente !/ di mg. di al- id caloide. Hi 11.15 | 56 | 11. 17| 52 | Nella diastole il cuore è un po’ grigiastro. 120192 11.23 | 48 11. 25 | 20 | Diastole ampia, sistole energica. bi, 2 20 » » » » 1.45.20 » » » » 12 20 | La diastole pare si faccia in due tempi. T2. 15 32 » » » » 12.30 | 40 » » » » 12: 395 44 » » » » | 15.5 | 44 | Non si nota più il fenomeno suddetto; la diastole è ampia e I la sistole energica. | 13. 20 | 40 13. 30 | 44 13. 45 | 46 14.25 | 44 16 50 IH | 54 | Le pulsazioni sono ritornate allo stato normale. Esperienza 8° — Piccolo rospo del peso di gr. 20. | | | | | | Î I} 15 50 il il i i | | | | Q o |EE i SMEG OSSERVAZIONI D Su Eire 12. 30 Fissato per mezzo di corticelle su tavolette di sughero, si mette il cuore allo scoperto e non si ricopre più durante 1’ espe- rimento. 12. 50 | 72 2.00.) 12 13 48 13.65 | 50 13. 10 | 50 13. 12 Iniezione sotto la pelle della coscia destra di una soluzione di acetato di amarina contenente 1/3 di mg. di alcaloide. 13. 15 | 48 | Il cuore diventa un po’ oscuro. 13. 18| 48 | La diastole è ampia, si fa rapidamente; si nota un movimento vermicolare al ventricolo. | | | | 12 Ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere dp o |88 S |38# OSSERVAZIONI Dova E [LS 13.19 | 20 | La diastole ampia e prolungata si fa rapidamente ; la sistole è energica, non si nota più il detto movimento vermicolare. 13. 30 | 20 13. 40| 28 i 13.55 | 48 | Il cuore fa le sue rivoluzioni come prima della iniezione del- l’ amarina, solo è un po’ più oscuro. 14, 10| 48 14. 20 | 48 | Si fa l'iniezione di 2/3 di mg. di amarina. 14,25 | 40 14, 30 Movimento vermicolare. La diastole non è così ampia come prima. 14.31 | 16 | La diastole è molto prolungata, la sistole è energica. 14.32} 16 | Seguita nello stesso stato. 15. 10 16 » » » do, 15 16 » » » : 16 16 | Il cuore resta per molto tempo in ampia diastole , la quale al solito si fa rapidamente. La sistole è sempre energica. Nelle ore tarde della sera il cuore non aveva ripreso più le sue normali pulsazioni. Esperienza 9° — Rospo del peso di gr. 28. o) sÉ 2 |A 3 s 8 OSSERVAZIONI ge Pato 8. 10 Si mette il cuore allo scoperto. 8,20://56 8.25 | 56 8.30 | 52 8. 35 S’ inietta sotto la pelle della coscia destra una soluzione di ace- tato di amarina contenente '/3 di mg. di alcaloide. 8. 40 | 40 | La diastole è un po’ più ampia di prima—La sistole è energica, 8. 45 | 40 | Sistole molto energica, diastole meno ampia di prima. 8.50 | 40 | La diastole si fa rapidamente ed è un po’ prolungata. La sisto- le al solito. 8.55 | 40 DI 36 | Sistole energica, diastole prolungata. 9,5 Iniezione di ?|;} di mg. di amarina al solito. o to “ Il cuore si ferma un poco alla fine della diastole. 9. 16 | 16 | Sistole energica, cuore in ampia diastole, molto prolungata. 9. 20 | 12 | Stesso stato. 9:25.16 » » 9.30] 14 » » i i - con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica 13 OSSERVAZIONI Tempo Pulsazioni per. minuto 9. 45 | 16 | Sistole energica, cuore in ampia diastole, molto prolungata. 10. 10 | 16 | Stesso stato. 10. 55 | 16 » » ll, 55 S’ inietta 1 mg. di amarina al solito. 12. 5! 16 | Sistole energica, cuore in ampia diastole molto prolungata. 12. 15 | 16 | Stesso stato. 127% La circolazione è abolita: il sangue dal ventricolo va nelle orecchiette e da queste ritorna al ventricolo.—Le rivoluzioni cardiache diventano irregolari. 13 Stesso stato. 15 Notasi di tanto in tanto una leggiera contrazione del ventrico- lo, la diastole è molto prolungata. 17 Il cuore non contiene quasi più sangue, è piccolo, oscuro, fermo, ineccitabile agli stimoli meccanici e alla corrente indotta. Ripetute le esperienze su altre rane ed altri rospi si sono no- tati costantemente gli stessi fatti. Adunque nei batraci l’amarina, iniettata sotto la cute delle co- scie a piccole dosi (1/6 -1/3 di mg.) produce una marcatissima dimi- nuzione del numero dei battiti cardiaci, i quali già dopo pochi mi- nuti dalla iniezione si possono ridurre perfino a meno della metà. La sistole intanto è energica e prolungata; talvolta il ventricolo mo- stra dei movimenti vermicolari di breve durata. La diastole, an- ch’essa prolungata, è molto ampia. Il ritmo resta regolare. Final - mente il cuore dopo alcune ore riprende le sue pulsazioni normali. Per dosi maggiori (£/3 di mg.-1 mg. e più) si notano gli stessi fe- nomeni, però mentre per le piccole dosi il cuore, dopo un tempo Più o meno lungo, ritorna a battere come prima dell'iniezione del- l’amarina, per queste dosi ciò non avviene più, anzi il ritmo di- venta un po’ irregolare. In ultimo il cuore rallenta sempre più le sue pulsazioni, diventa più debole, non si riempie più bene di san- gue, e finalmente si ferma in sistole , rimanendo ineccitabile agli stimoli meccanici e alla corrente indotta. Per vedere se quest’azione dell’amarina sul cuore dipendesse da eccitazione della innervazione moderatrice di esso, ho paralizzato Questa con l’atropina. | i | 14 Ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere Esperienza 10%. — Si prendono due rospi quasi dello stesso pe- so e s’ inietta ad uno dell’ amarina e dell’ atropina, all’ altro del- l’amarina sola. 9,10 9,11 9, 20 9, 25 9, 40 9,50 che Pulsazioni per min. | ua D 56 56 52 48 48 dt 44 4L 36 36 32 32 28 32 OSSERVAZIONI SA OSSERVAZIONI amarina ed atropina 3 E amarina Rospo del peso di gr. 32 Gi S Rospo del peso di gr. 30. Si mette il cuore allo scoperto. a Si mette il cuore allo scoperto. 56 52 S' inietta 1/3 di mg. di amarina sotto S° inietta 1/3 di mg. di amarina sotto la pelle della coscia destra, e 1/4 di la pelle della coscia destra. mg. di utropina sotto la pelle della coscia sinistra. Cuore un po’ piccolo e un po’ oscuro. | 40 | Diastole un po’ ampia, sistole energica. Sistole poco energica. 40 | Sistole molto energica, diastole un po' meno ampia di prima. 40 | Sistole energica, la diastole si fa ra- ; s pidamente. Tanto la sistole quanto la diastole so- | 40 | Stesso stato. no normali, un po' prolungate. Stesso stato. i i 36 | Sistole energica, diastole prolungata. Iniezione di 2/3 mg. di amarina sotto Iniezione di 2/3 mg. di amarina sotto la pelle della coscia destra, e 1/2 mg. la pelle della coscia destra. di atropina sotto la pelle della co- scia sinistra. 40 | Il cuore si ferma un po’ alla fine del- ; ; la diastole che si fa rapidamente. Niente di notevole nelle rivoluzioni | 32 cardiache. 16 | Sistole energica, diastole ampia, molto prolungata. Stesso stato. 12 | Stesso stato. Le rivoluzioni cardiache si fanno len- | 16 » » tamente, ma non si osserva alcun prolungamento della diastole. Stesso stato. 14 » » La diastole è un po’ più ampia di pri- | 16 » » ma. 16 » » Si sospende l'osservazione. Si sospende l osservazione. Da questa esperienza, e da altre simili fatte, si rileva adunque se insieme all’amarina si inietta dell’atropina, molti dei feno- meni descritti non si notano più; in quanto che oltre a una lieve diminuzione del numero delle pulsazioni cardiache, non si osser- vano i fenomeni di eccitamento quali 1’ aumento dell’ ampiezza e il prolungamento della diastole, nonchè l'aumento della forza della sistole.—Se adunque per l’azione contemporanea dell’atropina, l’a- con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica 15 marina non può esplicare più la sua azione sul cuore, bisogna con- cludere che essa agisce in modo opposto e sulla stessa parte su cui agisce l’ atropina, e quindi eccitando la innervazione modera- trice cardiaca. Ma questa azione eccitante dell’ amarina sulla innervazione moderatrice cardiaca si può esercitare sia sul centro che sulla pe- riferia, ovvero su tutte e due queste parti. Quantunque le rane non si prestino totalmente alle dimostrazioni sperimentali relative, pure ho fatto il seguente esperimento, il quale depone per l’ azio- ne centrale dell’amarina sulla innervazione moderatrice del cuore. Esperienza 11.— Alcuni cuori di rana e di rospo vennero im- mersi in 100 grammi di una soluzione fisiologica di cloruro di sodio, cui sì aggiunse 1 centigrammo di acetato di amarina. Dopo alcuni minuti in ciascun cuore i battiti si ridussero di numero e di forza finchè gradatamente si ebbe 1’ arresto in sistole, senza aversi mai il previo aumento dell’ ampiezza della diastole e della forza della sistole, come quando il cuore è in sito. Per conseguenza se il cuore staccato dai centri non subisce Più l’azione dell’ amarina, vuol dire che questa si esercita piut- tosto al centro, anzicchè alla periferia. Le ricerche fatte nei mammiferi hanno confermato i risultati ottenuti nelle rane. Esperienza 12°.—Ad un cane si sono tagliati i vaghi al collo, si sono presi varii tracciati sfigmografici prima e dopo la som- Ministrazione dell’ amarina. Il polso rimase frequente e celere, non Subì cioè per la sostanza in parola alcun rallentamento. e Questa esperienza dimostra, come la precedente, che l’azione dell’ amarina sulla innervazione moderatrice cardiaca è centrale e non periferica. Ma oltre a quest’azione eccitante sull’innervazione moderatrice 16 £icerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere cardiaca, 1’ amarina ha un’azione diretta sulla fibra muscolare del cuore. Se si staccano dei cuori di rana e S'immergono subito al- cuni in un recipiente A, contenente una soluzione fisiologica di clo- ruro di sodio, ed altri in un recipiente B, contenente una soluzio- ne fisiologica di cloruro di sodio cui si è aggiunto un po’ di aceta- to di amarina, si osserva che i cuori immersi nel recipiente A pul- sano per molto tempo, mentre quelli immersi nel recipiente 5 si fermano dopo circa un’ ora, previa rapida riduzione dei loro bat- titi. Oltre a ciò i cuori che sono stati in contatto con l’ amarina, similmente a quelli che hanno subito l azione di essa per la via del sangue , sono ineccitabili alla corrente indotta. Ecco un’ espe- rienza. Esperienza 13?.---Si staccano i cuori a due grosse rane e s’ im- mergono uno in 100 grammi di soluzione fisiologica di cloruro sodi- co, e l’altro in 100 grammi della stessa soluzione, cui si aggiunse 1 cg. di amarina (acetato). o [=] in e) lele) | st | E i i o |A Soluzione di cloruro sodico SE Soluzione di cloruro sodico 2 [Ng con amarina EQ senza amarina |, OSSERVAZIONI da OSSERVAZIONI i A Li 8, 35 Si stacca il cuore e s' immerge nella Si stacca il cuore e s'immerge nella soluzione. soluzione. 8, n 24 | Il cuore è piccolo. 26 8,50: 12 » » 26 9 9 24 9107 24 9,15 Il cuore non pulsa più. 24 E ineccitabile alla corrente indotta. Ci rimaneva finalmente a vedere l azione dell’ amarina sulla pressione del sangue. Esperienza 14°.—Cane del peso di Kg. 8, curarizzato. Respi- con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica IT azione artificiale. Si applica alla carotide un manometro con sfi- gmoscopio. I 2 Pressione "a r 2 . OSSERVAZIONI If 5 in mm. Hy IT Ss 13-09 105 Pressione iniziale. 13. 40 140 Iniezione di 10 cg. di amarina (acetato) in 10 c. ce. di acqua distillata, sotto la pelle del dorso. 13. 42 150-155 13. 5 150-170 15. 58 160 14 165 14. 5 170-180 14. 6 175 14. 7 180 Il tracciato sfigmografico mostra essere il polso un po’ ampio ed un po’ raro. 14. 8 190 14. 9 185 14. 10 \Wf9) 14.11 190 14. 13 150 14. 15 195 14. 30 160-170 14. 35 nta, | 14. 40 180 14. 50 180 | 14. 53 220 | 14. 54 160 Iniezione nella vena giugulare di 1 cg. di amarina in un c. c. d’acqua distillata. 14, 55 210 *% 56 180 Tracciato sfigmografico come sopra. D) 160 16, 2 140 Iniezione nella giugulare di 1 cg. di amarina in 1 c. c. d’ acqua. lb.$ 210-260 | Iniezione nella giugulare di 2 cg. di amarina in 2 c. c. d’acqua. 15.3.‘30" 240 15.4." 30"| 200-170 1o,-5 200 Iniezione nella giugulare di 1 cg. di amarina al solito. 1ò. ti 180-190 » » » sid » » toy 14 150-80-160 r » » +9 » » 15. 16 200-185 » » » 32° » » 15.19 190 » » » XI $ » » Jo, 25 40 » » » » 3 » « » 15. 27 Arresto del cuore. Esperienza 15°.— Cane bastardo del peso di Kg.6 curarizzato. Respirazione artificiale. Si applica alla carotide un manometro con Sfigmoscopio. Arm Aco., Vor. IX, Seri 48 — Memoria XII. 3 18 Ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere (°) 4 us gi folanzi OSSERVAZIONI © in mm. Hy cs 9.50 140 Pressione iniziale. 10 13/9) Iniezione di 10 cg. di amarina in 10 c. c. d’acqua distil- lata sotto la pelle del dorso. 10.3 140 10. 8) 140—160 10.9 150 IO 155 10. 16 | 160—170 10,1% 165 LUSZO 180 10. 30 190 10. 39 | 190—200 ll 170 Iniezione nella giugulare di 2 cg. di amarina in 2 c.c. d’ acqua distillata. 11. 1) 195—200 Ida DI 180 LI-10 140 Iniezione nella giugulare di 2 cg. di amarina al solito. ao 190 bio 185 Si sospende l’ esperienza. Da questa esperienza si rileva che per azione dell’amarina au- menta la pressione del sangue. Se però si distrugge il midollo allungato, non si osserva più alcun aumento della pressione sanguigna. Esperienza 16%. — Gane del peso di Kg. 7,500. Respirazione artificiale. Manometro alla carotide. (©) S' Pressione ® in mm. Hy E | OSSERVAZIONI 15. 40 i 15. 42 | 120—130 15. 45 120 15. 50 126 15.52 120 15. 54 120 15 55: 130 Si distrugge il midollo allungato con punteruolo, e si ta- gliano i vaghi al collo. Pressione iniziale. Iniezione di 10 cg. di amarina in 10 c. c. d’acqua nel tessuto sottocutaneo del dorso. Si notano fenomeni convulsivi ai muscoli della faccia e del collo. con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica 19 Pressione ° E OSSERVAZIONI 5 in mm. Ky & 15. 57 | 110—120 16 110-120 16. 5| 110—120 16. 20| 90—110 16. 24| 90—110 16. 25 | 110—120 16.26 110 16. 40 Iniezione nella v. giugulare di 5 cg. di amarina in 5 c. e. d’ acqua. 16. 43! 70—60 16. 50 50 17 Si sospende la respirazione artificiale. Ripetuto in un altro cane l’ esperimento, non si è avuto nem- meno aumento della pressione sanguigna. L’amarina adunque, somministrata per iniezione sottocutanea Produce nei cani aumento della pressione sanguigna. Data per inie- zione intravenosa determina invece dapprima, durante 1’ iniezione, un rapido abbassamento della detta pressione, seguìto da un con- siderevole e duraturo innalzamento. Questo aumento della pressio- ne del sangue dipende dalla eccitazione del centro vasomotorio , dappoicchè esso non si osserva più quando è distrutto il midollo allungato. Da tutte le esperienze fatte sulla circolazione si può conclu- dere quindi che l’ amarina, oltre ad avere un’ azione diretta sul mu- scolo cardiaco, agisce sulla innervazione moderatrice cardiaca al centro, nel bulbo, producendo il rallentamento dei battiti cardiaci con aumento della sistole e della diastole, nonchè sul centro va. Somotorio, donde l’ aumento della pressione sanguigna nei mam- miferi, Sul sarigue l’ amarina pare che non abbia un’ azione mani- festa Il sangue degli animali avvelenati con questa sostanza è un Po oscuro, ma sia questo, come il sangue a cui si è aggiunta del- 20 icerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere l’ amarina fuori dell’ organismo, non presentano allo spettroscopio che le due strie di assorbimento della ossiemoglobina. Sede d’ azione dell’ amarina I fenomeni prodotti dall’ amarina nell’ apparecchio circolatorio dipendono, come abbiamo visto, dall’ azione di essa sul bulbo; ve- dremo ora su quale parte del sistema nervoso spiega la sua azio- ne per la produzione dei fenomeni generali più sopra descritti. Riepilogando brevemente abbiamo visto come nelle rane pre- valgano i fenomeni paralitici, preceduti da fatti di eccitamento, quali sono la dilatazione della pupilla, che si esserva subito dopo la somministrazione della sostanza, }’ aumento del numero delle escur- sioni ioidee, l’ aumento della eccitabilità, senza però aversi delle convulsioni, la diminuzione del numero delle rivoluzioni cardiache. Quanto più piccola è la dose, tanto più lungo è il periodo di ec- citamento, e tanto più debole e passeggiero lo stato di paralisi ; a gran dose invece i fenomeni di eccitamento sono di breve durata, mentre quelli di paralisi sono molto gravi e duraturi. Nei mammiferi adulti, al contrario, Vl amarina oltre al lieve grado di dilatazione della pupilla e dell’ aumento della pressione sanguigna, produce intense convulsioni epilettiformi. Questo modo di agire dell’ amarina, così diverso nelle rane e nei mammiferi, si è riscontrato, com’ è noto, in moltissime altre sostanze, quali la dimetil e trimetilammina , l idrogeno solforato , l’ acido cianidrico, la cinconidina, la chinina, la canfora, il carva- crolo, la cocaina (1), la furfurina (2), l’idrazina (3), ecc. ecc., le quali, a somiglianza dell’ amarina, sono convulsivanti solamente nei mammiferi. Nelle rane però, se non producono cenvulsioni, eccita- (1) Vedi A. Curci — Rudimenti della nuova farmacologia razionale. Catania 1890. (2) A. Curci — Ricerche farmacologiche sulla serie furfurica. (La Terapia moderna, 1890). (3) D. Barni — Azione fisiologica dell idrazina. (Archivio di farmacologia e terapeutica, fas. 8-9, 1893) e C. Lazzaro—Sull’ azione fisiologica dell’ idrazina. (Archivio di farmacologia e te- rapeutica, fas. 6, 1893). con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica 21 no alcuni centri bulbari, come il centro dilatatorio della pupilla, il l'espiratorio, il vasomotorio e cardiacomotore e moderatore, come si deduce dall’ aumento del diametro della pupilla, dall’ aumentata frequenza delle escursioni ioidee, dalla riduzione del numero dei battiti cardiaci con aumento della sistole e della diastole. Questo fenomeno apparentemente contraddittorio si ha perchè tali sostan- ze agiscono sul cervello e sul bulbo, ma non oltre. Fondandosi su queste osservazioni il Prof. Curci da molti an- ni ha emesso l'ipotesi che “ il centro convulsivo di Kussmaur e TennER esistente nel bulbo, ed i centri motori esistenti nel cervello nei mammiferi, non esistano nell’ encefalo delle rane, ma si abbia- no dei supplenti ed analoghi nel midollo spinale, motivo per cui solamente gli agenti convulsivanti spinali possono produrre convul- sioni nelle rane , (1), come avviene per la stricnina, per la bru- cina, per la nicotina, che, come si sa, agiscono esclusivamente sul midollo spinale. Il Prof. Baupi pare accetti le conclusioni del prof. Curci, perchè nel suo lavoro “ sull’ azione fisiologica dell’ idrazi- ha , (2) si esprime precisamente nei seguenti termini: “ Forse l’importanza fisiologica del bulbo non ha un medesimo valore nel- la rana e negli animali superiori, e di qui le differenze nella estrin- secazione dei fenomeni dipendenti da una medesima lesione in que- sta parte dell’ asse cerebro-spinale. , Ciò posto ognun vede come da questo modo di comportarsi di varie sostanze nell’ organismo animale, ne possa scaturire una deduzione di una certa importanza nel campo farmacologico. Dap- Poichè si può in certo modo, basandosi su ciò, stabilire la sede d’ azione di un farmaco. Come abbiamo già visto, 1’ amarina mentre è un potente con- vulsivante nei mammiferi, nelle rane produce paralisi, preceduta dallo eccitamento di quelle funzioni i cui centri d’ innervazione so- no nel bulbo. Ammettendo come vero quanto sopra abbiamo espo- iii lia (1) A. Curci — Rudimenti, ecc. p. 44. (2) D. Bapr— L. c. p. 245. - "=" me ——___iic-;# 22 ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere sto, l amarina deve agire sull’ encefalo, e non sul midollo spinale, nè sui nervi periferici. Gli esperimenti confermano pienamente le suesposte deduzio- ni teoriche. Esperienza 17°. — Rana del peso di gr. 25. S” interrompe il mi- dollo spinale al di sopra della fuoruscita dei nervi del plesso bra- chiale, e s° iniettano °/10 di mg. di amarina sotto la pelle della co- scia destra. La rana non ha più i tremori che si osservano agli arti inferiori a midollo spinale integro. Nemmeno si osserva alcun aumento della eccitabilità. Esperienza 18°. — Rana del peso di gr. 20. S’ interrompe il midollo spinale al di sotto della fuoruscita dei nervi del plesso brachiale, e s’ iniettano °/10 di mg. di amarina sotto la pelle della coscia destra. Come nell’ esperimento precedente, non si è notato alcun aumento della eccitabilità, nè alcun tremore agli arti inferiori. Queste esperienze dimostrano che l’amarina non agisce sul midollo spinale, nè sui nervi periferici, perchè se così fosse, per- sisterebbero i fenomeni che si osservano quando il midollo spinale non è interrotto. Così resta dimostrato indirettamente che 1 ama- rina spiega la sua azione sull’ encefalo. E di questo è poi sul bul- bo che deve agire specialmente, dal momento che abbiamo visto l'eccitazione di quelle funzioni, i cui centri d’ innervazione sono nel bulbo, come abbiamo in ispecie dimostrato per i fenomeni del- la circolazione. Per escludere poi il fatto che i fenomeni osservati nelle rane potessero dipendere dall’ arresto della circolazione che in questi animali abbiamo osservato, è stato necessario vedere quale relazio- ne esistesse tra la circolazione ed i fatti generali. La seguente espe- rienza ha provato che non esiste alcuna relazione tra di essi, o meglio i fatti di paralisi non dipendono dall’ arrestarsi della circo- lazione, ma dall’ azione dell’ amarina. stessa. con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica 23 Esperienza 19%. — Fissata per mezzo di cordicelle una rana ad una tavoletta di sughero, e, tenuta distesa per mezzo di spilli la membrana interdigitale di un arto in corrispondenza di un piccolo foro praticato nella tavoletta, in modo da potere osservare al mi- croscopio la circolazione capillare, avvelenata la rana con 1’ ama- rina, i fatti generali di paralisi erano già apparsi prima che la cir- colazione capillare si fermasse ; essa non si arrestava che molto tempo dopo. Le esperienze fatte sui mammiferi hanno confermato quanto avevamo trovato nelle rane. Esperienza 20%. — Interrotto ad un piccolo cane il midollo spi- nale tra la 4* e la 5? vertebra dorsale, ed avuta la paralisi com- bleta del treno posteriore, si fece una iniezione di 5 cg. di ama- rina nel tessuto sottocutaneo del dorso. Questa iniezione non de- terminò il minimo accenno di convulsioni nelle parti posteriori al taglio del midollo spinale, mentre al treno anteriore, già dopo po- chi minuti, si ebbero le solite convulsioni tonico-cloniche. L’ animale dopo alcune ore si rimise, essendo piccola la dose di amarina somministrata. Esperienza 218. — Stesso cane del giorno precedente. È com- bletamente rimesso: la paralisi del treno posteriore è completa. Si fa l’ iniezione di 10 cg. di amarina nel tessuto sottocutaneo del treno posteriore. Nemmeno questa iniezione determinò alcuna con- vulsione nel treno posteriore. L'animale soccombette mostrando le solite convulsioni nelle parti anteriori al taglio del midollo spinale, ber arresto della circolazione. Esperienza 22°. — Ad un grosso cane s’ interrompe il midollo spinale tra la 10% e 11® vertebra dorsale. Avuta la paralisi com- bleta del treno posteriore s’ iniettano 15 cg. di amarina nel tessu- to sottocutaneo del dorso. Similmente che negli esperimenti prece- denti, l amarina determinò le convulsioni nelle sole parti anteriori 24 Ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere alla interruzione del midollo spinale, e nessuna nelle parti poste- riori. Esperienza 23°. — AA un altro cane di Kg. 8 si è distrutto il midollo allungato e si è fatta la respirazione artificiale. L’iniezione di 10 cg. di amarina nel tessuto sottocutaneo del dorso non produsse alcuna convulsione in tutte le parti del corpo ; solamente i muscoli della faccia mostrarono dei movimenti con- vulsivi. Tutte queste esperienze dimostrano che l amarina agisce sul- l’encefalo e non sul midollo spinale, dappoichè essa spiega la sua azione convulsivante solamente allora quando | encefalo , essendo in connessione col midollo spinale, è nelle condizioni normali di potere cioè determinare delle convulsioni se eccitato. E quindi resta dimostrato sperimentalmente quanto avevamo preveduto, che cioè sede d’ azione dell’ amarina doveva essere l’en- cefalo e non il midollo spinale, dal momento che essa produce con- vulsioni nei mammiferi e non ne produce nelle rane. IDROBENZAMIDE Detto così brevemente dell’azione dell’ amarina, passiamo a di- re due parole per l’ idrobenzamide. Essa è una sostanza insolubile, e, non ha alcuna azione sul corpo animale. Le mie esperienze hanno confermato i risultati del BaccHETTI; dappoichè somministrando la sostanza alle rane ponen- dola sotto la pelle, ed ai cani introducendola nello stomaco, anche a dosi altissime (5 gr. e più), non ho potuto mai notare alcun fe- nomeno anormale negli animali d’ esperimento. Relazione tra l’azione e la costituzione atomica dell’ amarina e dell’ idrobenzamide Abbiamo visto adunque che 1’ amarina e l’ idrobenzamide sono due sostanze le quali, pur contenendo 1’ identico numero di atomi con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica 25 dei diversi elementi che le compongono, si differenziano profonda- mente nell’ azione, la quale, notevolissima nella prima, è poi nulla nella seconda. Se diamo uno sguardo alla formola di costituzione sia dell'una, come dell’ altra sostanza : 6 775 Fe %6 TT5 AAT CERTE NH\ CHIC: N i dr Il CH H, O H>°.C. NHZ/ CORO N/ ossia C*H'8N? (amarina) ossia C*H!8N? (idrobenzamide), la nostra meraviglia potrà crescere, dappoicchè se arriviamo a spie- garci l’azione convulsivante dell’ amarina, nella cui formola scor- giamo dell'idrogeno imidico (NH), non possiamo arrivare a renderci conto della mancanza d’ azione dell’ idrobenzamide, la quale, se da un canto non ha alcun elemento aggruppato in modo da dare con- vulsioni, ha dall’ altro canto tanti gruppi fenilici, i quali dovrebbero pur spiegare la loro azione paralizzante, dato che la sostanza fosse assorbita. Ma si sa, ed io qui non starò a rifarne la storia, che negli ultimi tempi si è dimostrato come alcune sostanze devono la loro azione biologica ai prodotti delle trasformazioni che subiscono at- traversando 1’ organismo, mentre dall’ altro canto alcune altre, che ber la loro composizione chimica potrebbero essere molto attive, riescono inerti, perchè danno origine nell’ economia animale a pro- dotti nuovi, privi di qualsiasi azione. Quindi solo le ricerche chimiche avrebbero potuto darci spie- gazione dei fatti osservati, e queste passo ad esporre. Amarina—Come abbiamo visto, l’amarina è una sostanza con- vulsivante che agisce a preferenza sul bulbo. Possiamo adunque ammettere che, similmente a quelle sostanze convulsivanti bulbari, le quali contengono dell’ indrogeno imidico, cui debbono, come il prof. Curci ha dimostrato (1), l azione loro propria, agisca per i due (1) A. Curer—L'azione biologica dell'idrogeno e del carbonio secondo le funzioni chimiche. (Bullett. d. Scienze med. di Bologna, serie VII, vol. 1°). Relazione fra l’azione biologica e .la costituzione atomica. (Il progresso medico, 1890). L'azione biologica dell'azoto secondo le fun- zioni chimiche. (La terapia moderna, N. 9, 1891). Arm Aco., Von. IX, Seri 48 — Memoria XII. ci e n 26 Ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere atomi d’idrogeno uniti all’ azoto, che essa contiene. Secondo questa previsione essa dovrebbe agire per sè stessa, tale com’ è, e non per prodotti nuovi, che potrebbe dare attraversando l’organismo. Era quindi necessario fare due serie di ricerche: vedere cioè se l’ amarina si eliminasse indecomposta, senza subire modificazio- ni, ovvero se, trasformandosi nell'organismo, desse origine a nuo- vi prodotti, che ci avessero potuto dare ragione dell’azione biolo- gica studiata. Per vedere se l’amarina non si decompone nell’ organismo animale, si è somministrata ad un cane 15 cg. di sostanza, parte per lo stomaco e parte per iniezione sottocutanea, nello spazio di 48 ore. Il cane ha avuto dei tremori e un po’ di dilatazione della pupilla ed essendo abituato ad urinare in bicchiere, si sono raccol- te tutte le urine dei giorni in cui l animale prendeva la sostanza, e quelle dei due giorni seguenti. Esse erano leggermente acide, e non contenevano nè zucche- ro, nè albumina. Mano a mano che venivano emesse dal cane, e senza essere sottoposte ad alcun trattamento, erano messe in un imbuto sepa- ratore, agitate con etere e lasciate a sè. Le nuove urine perciò si aggiungevano alle precedenti nello stesso imbuto, ripetendo volta a volta lo sbattimento, finchè vi si raccolsero tutte; e ciò allo sco- po di operare su urine non putrefatte. Si adoperò l'etere per estrarre l’ amarina nel caso che fosse eliminata libera colle urine, perchè esso è il miglior solvente di questa sostanza. sa Ripetuta varie volte l’ estrazione eterea nelle urine; si sottopo- ne tutto l etere a distillazione a b. m. per raccogliere una parte dell’ etere, e quindi il resto si mette ad evaporare spontaneamente all’ aria. Si ottiene così un residuo bruniccio, il quale viene lavato con acqua distillata, e quindi di nuovo estratto con etere. Si ri- pete varie volte questo trattamento allo scopo di ottenere possibil- mente un estratto puro. Finalmente l’ ultimo estratto etereo ottenu- con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica 27 to si cimenta chimicamente e fisiologicamente per vedere se con- tenesse amarina. Ripreso con acqua distillata esso non dà le comuni reazioni generali degli alcaloidi coi reattivi di Bouchardat, di Meyer, di Marmè, ecc., nè quelle speciali dell’ amarina (sviluppo di acido benzoico trattandolo con un miscuglio di acido solforico, bieromato di potassio ed acqua). Iniettato in varie proporzioni sotto la pelle delle rane, non ha prodotto che un po’ di aumento della eccitabi- lità, ma non paralisi o un indebolimento qualunque del movimen- to, sia spontaneo che provocato, neanche quando si usava una do- se enorme di estratto. Pare adunque che nelle urine esaminate non si trovi dell’ a- marina allo stato libero. Sapendo però che alcuni alcaloidi vengono estratti in soluzio- ne alcalina, ed altri in soluzione acida, si sono messi in opera Questi altri mezzi per vedere se nell’ urina, già esaurita con l' ete- le, si contenesse dell’ amarina. Le urine all’ uopo vengono divise in due porzioni, di cui una viene alcalinizzata con ammoniaca, e l’altra acidificata con acido cloridrico purissimo. Gli estratti eterei ottenuti purificati e cimen- tati nell’ identico modo dei precedenti non ci hanno dato nemmeno indizio di presenza di amarina. Ripetuto tutto il procedimento nel modo descritto nelle urine di altri quattro giorni consecutivi ai primi quattro, nel sospetto che l’ eliminazione dell’amarina avvenisse lentamente, si sono avuti si- milmente risultati negativi. Da tutte le surriferite ricerche, sommariamente esposte, parmi adunque poter concludere che le urine del cane che ha preso del- l’amarina sia per bocca, che per iniezione ipodermica, non con- tengono questa sostanza, o almeno non la contengono in modo da potere essere estratta coi processi comuni adoperati per l’ estra- zione degli alcaloidi. Da quanto abbiamo detto parrebbe che l amarina subisse nel- l'organismo delle modificazioni: e quindi o cambia la sua compo- Î | 28 Ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere sizione acquistando p. es. qualche idrossile fenolico o altro, ovvero si decompone dando origine a prodotti nuovi. In quanto alla prima ipotesi parrebbe possibile che l’ amarina nell’ organismo si ossidasse, analogamente a molti composti aro- matici, i quali possono assumere nell’ organismo uno o più ossidri- li nei gruppi fenilici, come avviene p. es. per il benzolo che si trasforma in fenolo (1) ed in pirocatechina ed idrochinone (2), per il toluene che non solo dà acido benzoico (3), ma anche paracre- solo, che per ulteriore ossidazione passa in acido paraossibenzoi- co (4), per gli xileni che passano in acidi toluici (5) e in xilenoli (6) per il mesitilene che dà acido mesitilenico (7) e mesitilolo (8), e per molti composti ammidati, che passano in ammidofenoli , come avviene per l’ anilina, la quale si elimina non solamente come to- luidina (9), ma anche come paraammidofenolo (10) allo stesso mo- do dell’ antifebbrina. Se così fosse 1 amarina passerebbe perciò in ossiamarina, la quale avrebbe probabilmente un ossidrile in uno (1) ScuurzEN e Naunyxn citati da Nenoki e Giacosa ( Archivio per le Scienze mediche , vol. 49, p. 317) e ImmanueL Munk. Zur Kenntniss der phenolbildenden Substanz im Harn. ( Pfliiger' s Arch. B. 12, S. 142). (2) Baumann e Preusse. Zur konntniss der Oxydationen und Synthesen im Thierkòrper, ( Zeits. f. phys. Chemie, B. 3, S. 158) e NencKkI e Gracosa. Sulla ossidazione dei corburi d'idro- geno aromatici nell’ organismo. ( Archivio per le Scienze mediche, vol. 4° 1881 ). (3) ScHuLTZzEN e NAUNYN l. c. (4) A. Curcer—Azione e trasformazioni del toluene nell'organismo. (Annali di Chimica e di Farmacologia, vol. XIII, Serie, 48, 1891). (5) ScHuLTZEN e NaUuNYN I. c. (6) A. Curci—Azione e trasformazioni dei xileni nell'organismo. ( Annali di Chimica e di Farmacologia, vol. XVI, serie 4%, 1892). (7) L. von NeNcki—Ueber das Verhalten einiger aromatischen verbindungen in Thierkùrper (Arch. f. exp. Path. u. Pharm. B. I, S. 420, 1873). (8) A. Curci—Azione e trasformazioni del mesitilene nell’ organismo (Annali di Chimica e di Farmacologia vol. XVIII, serie 42, 1898). (9) G. DrageNpoRFF — Ueber das Schiksal des Anilins im Organismus. (Chem. Centralbl, 1887, S. 1382). (10) Fr. MiLer—Ueber Anilin-Vergiftung (Deutsche med. Wochenschr, 1887, N. 2 S. 27) F. HerozeL — Ueber die Virkung des Analin, Acetanilin und Conpheranilin. Wien. med. Wochenschr, 1887, N. 31-32-33—S. 1021, 1057, 1085), e A. Corn und P. Hepp—Ueber An- tifebrin und verwandte Kérper (Berl. Klin. Wochenschr, 1887, N. 1,2 S. 4, 26). con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica 29 dei gruppi fenilici, analogamente alla ossilofina. Ma per quanto io ne sappia i chimici non hanno ancora parlato di una tale sostan- za. Ad ogni modo, quantunque per questa ragione non avessimo potuto fare delle ricerche chimiche al riguardo, una tale ipotesi può farmacologicamente escludersi, dappoicchè è provato che l° i- drossile fenolico dà costantemente , oltre a tutti gli altri fenomeni comuni con l’ idrogeno imidico, l’ eccitamento dei nervi delle glan- dole, con aumento delle rispettive secrezioni (1); e noi invece non abbiamo visto mai aumentare per l’ amarina le secrezioni, sia nei mammiferi, come nelle rane, nelle quali abbiamo osservato piut- tosto secchezza della cute anzicchè ipersecrezione. Per le stesse ragioni farmacologiche per cui abbiamo escluso la trasformazione dell’ amarina in fenolo, possiamo escludere anche la scissione dei suoi gruppi fenilici, e la trasformazione di questi in fenoli. Però in questo caso abbiamo potuto fare delle ricerche chimiche, ed avvalorare con esse la esattezza delle nostre previsio- ni. Abbiamo cercato quindi di vedere se in seguito all’ uso della amarina fossero aumentati i prodotti fenolici nelle urine. Non essendoci ancora noto alcun altro procedimento più esat- to di quello di Baumann e BrieGER, al quale, come si sa, si sono fatti degli appunti (2), si sono seguiti i precetti dati da questi au- tori per il dosamento dei fenoli nelle urine. Intanto il cane di cui sì sono saggiate le urine prima della somministrazione dell’ amari- ha, non eliminava fenoli con esse, o almeno acidificando le sue urine con acido cloridrico e sottoponendole a distillazione, il distil- lato non dava reazione col liquido di Millon, nè precipitato con l’acqua di bromo. Somministrata dell’ amarina, in parte per bocca e in parte per iniezione sottocutanea a piccole dosi e per varî giorni, in modo da avere lievi effetti, e sottoposte le urine allo stesso trattamento, il distillato non dava nemmeno reazione alcuna col liquore di Millon, nè precipitato con l’ acqua di bromo. (1) Vedi A. Curci—lavori citati ed altri. (2) Rumer.—Untersuchungen iiber die quantitative Bestimmung der Phenolkérper des men- schlichen Harns (Zeitschs. f. phys. Chemio, B. DVI 5220) ; 30 Ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere Questi risultamenti così dimostrativi confermano, come abbia- mo accennato, la esattezza dell’ipotesi emessa basandoci esclusiva- mente sull’azione farmacologica dell’ amarina, che cioè si poteva escludere l’origine di fenoli da essa, mancando i fenomeni speciali prodotti dall’idrossile fenolico. Però supponendo che 1 amarina nell’ organismo si scindesse , non bastava ricercare come suoi prodotti uitimi solamente i fenoli, dappoichè supponendo la separazione dei suoi gruppi toluilici, avreb- bero potuto originarsi degli acidi, come l’acido benzoico 097°. COOA ovvero anche qualcuno degli acidi ossibenzoici 0A. C5H*. COOH. E ciò non è nuovo, e può facilmente avvenire nell’ organismo essendoci noto come molte sostanze attraversando il corpo animale sì trasformino in acidi ossidandosi (1). Però quantunque un tale fatto pare non sembri verosimile, perchè in tal caso l’amarina non dovrebbe avere azione, perchè il carbossile, secondo gli studii re- centi del Curci (2) toglie ai composti la loro azione caratteristica, pure ho voluto ricercare gli acidi suddetti, considerando che le ac- cennate trasformazioni avrebbero potuto avvenire in secondo tem- po, cioè dopo che l’amarina avesse spiegato la sua azione. Gli acidi detti furono ricercati col solito metodo nelle stesse urine che erano servite per la ricerca dei fenoli. Esaurito varie volte con etere il distillato, come anche le urine bollite, gli estratti eterei non diedero alcuna reazione che ci avesse potuto fare so- spettare di una traccia di acido benzoico, ovvero di qualche acido ossibenzoico. Da tutte le ricerche chimiche surriferite possiamo trarre le seguenti conclusioni: 1°. Che forse l’amarina non viene eliminata immodificata e li- bera colle urine; 2° Che certamente non si fenolizza nell’organismo, nè si scin- de per dare origine a nuovi prodotti. (1) Vedi i lavori citati a pag. 28. (2) Vedi lavori citati e il mio lavoro sull'azione e trasformazioni dell’ esculina nell’ organi- smo. (Ann. di Chimica e di Farmacol. Vol. XVIII, S. 42, 1893.) con speciale riguardo alla relazione tra V azione e la costituzione atomica 31 Come si rileva da queste conclusioni, di un solo fatto siamo certi, perchè dimostrato sperimentalmente, che cioè dall’ amarina hon originano nè fenoli, nè acidi aromatici. Resta adunque sem- pre a sospettare che essa agisca per se stessa, senza decomporsi, € subendo solo qualche lieve modificazione, per cui non è possi- bile più estrarla coi mezzi comunemente adoperati, e riconoscerla. E ciò non ci deve recar meraviglia, dappoichè siamo dinanzi ad una sostanza che si modifica molto facilmente; e se già nel campo della chimica pura il suo studio è difficilissimo , esso diviene an- cora più difficile nel campo della chimica biologica , dove tanti e tanti fattori (inquinamento di sostanze estranee e complesse, azio- he dell’organismo animale) rendono oltremodo difficile qualunque ricerca. Se adunque l’amarina attraversa l'organismo senza decomporsi o solo subendovi qualche leggiera modificazione, ciò che non pos- siamo nemmeno ritenere con certezza, potendosi sempre sospettare che essa si alteri per qualcuno dei processi adoperati per estrarla dalle urine, bisogna ammettere che essa agisca per se stessa e quindi per l’ idrogeno imidico che contiene, poichè il resto consta totalmente di gruppi paralizzanti, dal momento che non subiscono modificazioni attraversando l'organismo. Del resto pensando alla identità dei fe- nomeni prodotti da tutte quelle sostanze che hanno dell’ idrogeno imidico, cui debbono la loro azione, come il prof. Curci ha dimo: strato, poichè sostituendo con altri gruppi tutto o in parte l’idro- geno legato all’azoto, si attenua o scompare rispettivamente l’azio- he ad esso dovuta (1), non vi ha alcuna ragione per ammettere che l’amarina non debba agire, a simiglianza di quelle, per l’idro- seno imidico. La dimostrazione sperimentale di quanto ho detto si potrebbe avere nello studio della metil-e dimetilamarina , in cui 1’ idrogeno imidico è sostituito rispettivamente da uno e da due metili, delle Quali nell’una dovrebbe essere attenuata 1’ azione dell’ amarina e ——_T —_—_— (1) A. Curer — Rudimenti della nuova farmacologia razionale. — Catania, 1890, pag. 45 e seguenti. 32 ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere nell’altra addirittura scomparsa. Ma per ragioni indipendenti dalla mia volontà, non ho potuto avere le due sunnominate sostanze, e quindi ne rimetto ad altra occasione lo studio. Idrobenzamide. — Abbiamo visto più sopra come l’ idrobenza- mide non abbia alcuna azione biologica sul corpo animale, mentre in rapporto alla sua costituzione atomica, dovrebbe avere un’ a- zione paralizzante. Parrebbe adunque probabile, che, dato che es- sa venisse assorbita, dovesse subire delle trasformazioni tali, da divenire inattiva. Era dunque necessario incominciare a vedere an- zitutto se, data per lo stomaco (unica via di somministrazione, trat- tandosi di sostanza insolubile in acqua), l’idrobenzamide fosse eli- minata per le feci senza subire alcuna modificazione, che l’avesse reso assorbibile, fatto quest’ultimo inammissibile, direi quasi a preor?, poichè si sa che questa idramide fuori dell'organismo, per azione dell’acido cloridrico si decompone facilmente, dando origine a clo- ruro d’ammonio e aldeide benzoica, e non abbiamo alcuna ragione per dire che ciò non avvenga anche nell’ organismo animale, per l’azione dell’acido cloridrico del succo gastrico, quando si sommi- nistra per lo stomaco. Allo scopo adunque di vedere se l’idrobenzamide si eliminas- se indecomposta colle feci, ad un piccolo cane furono sommini- strati per via dello stomaco, a piccole dosi e nello spazio di 12 ore, gr. 5 di sostanza intimamente mescolata a mica di pane, e si raccolsero le feci dei due giorni seguenti. Esse in quantità di gr. 325 erano dure e tramandavano odore di essenza di mandorle amare. Allo scopo di estrarre 1’ idrobenza- mide, nel caso che ci si fosse trovata immodificata, esse sono state essiccate al sole, col che perdettero quasi totalmente l’odore della aldeide benzoica, che impartiva ad esse l’ odore caratteristico , e quindi, finissimamente polverizzate sono state esaurite varie volte con etere , essendo |’ idrobenzamide solubilissima in questo sol- vente. L’etere evaporato ha lasciato un abbondante residuo giallo- gnolo , il quale, ripreso con acqua, in cui era poco solubile, è con speciale riguardo alla relazione tra l’ azione e la costituzione atomica 33 stato di nuovo estratto con etere. Per purificare ancora meglio la sostanza estratta tutto il procedimento fu ripetuto varie volte. Fi- nalmente l’ultimo estratto etereo ottenuto ci dimostrò non conte- nere dell’idrobenzamide, poichè addizionato di una soluzione di a- cido cloridrico, non ha dato sviluppo di aldeide benzoica, la quale si sarebbe facilmente riconosciuta per il suo odore caratteristico. Possiamo adunque ritenere come certo ciò che avevamo am- messo teoricamente a priori, cioè che l’idrobenzamide non resta indecomposta, e quindi non passa nelle feci, in cui solamente si ritrovano tracce di un suo prodotto di scomposizione, cioè un po’ di aldeide benzoica, fatto desunto dall’odore di essenza di mandorle amare che avevano le feci appena emesse. Avuta così la dimostrazione sperimentale della decomposizione dell’idrobenzamide nell’ organismo, bisognava vedere a quali sostan- ze essa desse origine, e qual destino queste subissero attraversan- do il corpo animale. Poichè 1° idrobenzamide fuori dell’ organismo, per azione dello acido cloridrico si decompone dando origine ad idruro di benzoile e cloruro di ammonio, data per lo stomaco deve subire la stessa sorte, ed in ciò siamo confortati dal fatto che abbiamo notato nelle feci la presenza dell’ aldeide benzoica, scappata certamente all’ os- sidazione. L’ origine adunque di benzoato d’ ammonio, mercè Vag- giunta di una molecola d’ acqua, sarebbe meno probabile. Ad ogni modo qualunque dei due fatti fosse avvenuto, il prodotto ultimo da ricercare sarebbe stato sempre i’ acido benzoico, proveniente, o dal benzoato d’ ammonio, o più probabilmente, come abbiamo detto , dalla ossidazione dell’ aldeide benzoica. Prima di tutto era necessario vedere se quest’ acido esistesse e fosse eliminato in parte libero colle urine. All’ uopo le urine del cane che aveva preso l idrobenzamide nel modo come sopra abbiamo detto, senza essere sottoposte ad alcun trattamento, sono esaurite varie volte con etere. Questo eva- porato ha lasciato un residuo di colore giallo-brunastro, amorfo , identico a quello che proviene dalle urine normali sottoposte allo Arm Acc., Vor. IX, SerIir 48 — Memoria XII. 5 = Ai i | i | 34 Ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere identico trattamento. Però nel residuo da noi ottenuto notavansi dei ciuffetti di aghi aggruppati a pennello, di colore bianco-splen- dente. Tutta la sostanza presa insieme è in parte solubile in acqua, specialmente a caldo. La soluzione acquosa ha reazione acida e la- scia depositare col raffreddamento dei cristallini aghiformi e delle tavolette splendenti, che, solubilissimi nell’ etere, danno riscaldati con alcool ed acido solforico odore di etere benzoico, e riscaldati con calce odore di benzina. si trattava adunque di piccolissime quantità di acido benzoico. L'acqua madre però da cui si è precipitata la piccola massa cristallina descritta, col liquore di Millon a caldo dà discreta colo- razione rosso-sangue, con acqua di bromo precipitato giallognolo , e con percloruro di ferro precipitato marrone-chiaro solubile in ec- cesso di reattivo. Da quest’ ultima reazione deve concludersi che nell’ acqua madre esaminata esisteva una piccolissima quantità di acido paraossibenzoico. Adunque nelle urine del cane che ha preso dell’ idrobenzami- de, si trovano già delle tracce di due acidi allo stato libero: il ben- zoico e il paraossibenzoico. Era naturale quindi che una maggior quantità di essi acidi si fosse trovata combinata alle basi, e l’ acido benzoico anche alla gli cocolla, sotto forma di acido ippurico, analogamente a quanto av- viene somministrando della benzamide, secondo le ricerche del NencKI (1). Per ricercare queste sostanze le urine già esaurite con l’etere, vengono molto concentrate a b. m., e, dopo il raffreddamento, for- temente acidificate con acido cloridrico. Dopo 24 ore, mettendo a profitto la grandissima solubilità dell’ acido benzoico nell’ etere, e la pochissima solubilità dell’ acido ippurico nello stesso solvente, ho esaurito l’ urina così trattata con etere, per estrarre tutto l’ acido benzoico. Quindi ho filtrato, ho lavato il precipitato con una soluzione (1) Nenokt—Ueber das Verhalten einiger aromatischen Verbindungen im Thierk6rper (Arch. f. exp. Poth. u. Pharm, B. I, S. 420). con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica 35 di bicarbonato sodico, e quindi ho precipitato la soluzione alcalina, previa concentrazione, con eccesso di acido cloridrico. Con questo procedimento non ho potuto ottenere nemmeno un solo cristallino di acido ippurico. L’ etere invece con cui avevo esaurito l’ urina concentrata ed acidificata con acido cloridrico, evaporato ha lasciato un residuo del peso di gr. 2, 890 dopo essiccazione, il quale era formato di cristalli a tavole rettangolari, larghe e sottili, solubilissimi in acqua calda, in alcool ed in etere, pochissimo solubili nell’ acqua fredda. Riscaldati al solito con alcool ed acido solforico davano odore di etere benzoico e riscaldati con calce odore di benzina. Avevamo adunque una quantità notevole di acido benzoico. L'acqua in cui scioglievo il prodotto, dava col liquore di Mil- lon a caldo colorazione rosso-sangue, coll’ acqua di bromo colora- zione giallognola, e con cloruro ferrìco precipitato marrone-chiaro solubile in eccesso di reattivo, ciò che ci indicava la presenza di Piccole quantità di acido paraossibenzoico. Le urine esaminate adunque contenevano i due acidi già pre- cedentemente riscontrati, di cui l’ acido benzoico in notevole quan- tità, combinati alle basi. Siccome non ho potuto trovare dell’ acido ippurico, che certa- mente ci avrebbe dovuto essere, combinandosi l'acido benzoico col- la glicocolla, bisogna pensare che il cane su cui sperimentavo non eliminava glicocolla. Nè mi sono curato di ripetere 1’ esperimento in altri soggetti, dappoicchè per la mia tesi bastava il rinvenire l'acido benzoico, in qualunque modo esso venisse eliminato. Intanto trattandosi di acidi aromatici, era probabile che una altra parte di essi venisse eliminata accoppiata con un altro acido ; laonde l'urina sottoposta ai sopraddetti trattamenti. è stata messa a bollire, e dopo raffreddamento esaurita con etere. Questo ha la- Sciato un residuo, il quale viene lavato con una soluzione di bicar- bonato sodico, e il tutto dopo essere esaurito con etere è preci- Pitato con acido cloridrico, e quindi di nuovo estratto con etere. Questo evaporato ha lasciato un residuo cristallizzato, del peso di IO, 36 Ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere eg. 21, formato esclusivamente di acido benzoico , riconoscibile ai caratteri sopraindicati. Non ho potuto invece avere reazioni dell’a- cido paraossibenzoico. Nelle urine esaminate adunque abbiamo trovato due acidi , il benzoico e il paraossibenzoico, i quali non esistendo normalmente nelle urine del cane, bisogna ammettere che provengano dalla idro- benzamide somministrata. Questi risultamenti delle ricerche chimiche c’ indicano adun- que che l’ idrobenzamide non viene assorbita come tale. Nello sto- maco subisce lazione del succo gastrico e si decompone dando origine ad aldeide benzoica, di cui tracce si trovano nelle feci. Ma la maggior parte ossidandosi più o meno si trasforma in acido ben- zoico e in acido paraossibenzoico , i quali si ritrovano nelle urine prevalentemente combinati alle basi. A due ragioni possiamo adunque ascrivere la inattività della, idrobenzamide: al suo decomporsi prima di venire assorbita, e al- l originarsi da essa dei prodotti, che per essere acidi, si possono considerare, fino ad un certo punto, come farmacologicamente inattivi. Da quanto abbiamo esposto possono trarsi le seguenti princi- pali CONCLUSIONI. 1. L’amarina produce convulsioni nei mammiferi e non ne produce nelle rane, perchè agisce sui centri encefalici, specialmen- te sul centro convulsivo bulbare di Kussmaul e Tenner, e non sul midollo spinale, nè sui nervi periferici, analogamente ad altre si- mili sostanze. 2. Eccita inoltre i seguenti centri bulbari : a) il centro moderatore cardiaco, per cui produce rallenta- mento del polso con aumento della sistole e della diastole ; 5) il centro vasomotorio per cui si ha aumento della pres- sione sanguigna ; con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica 39 c) il centro dilatatorio della pupilla, donde l aumento del diametro di questa. 3. Non agisce sul sistema nervoso glandolare, laonde non pro- duce ipersecrezioni di sorta. 4. È un veleno nervoso e non muscolare. Però mentre non agisce sui muscoli scheletrici, a periodo inoltrato agisce sul mu- scolo cardiaco che rende ineccitabile. 5. Non ha azione manifesta sul sangue. 6. L’amarina agisce per se stessa, attraversando l’ organismo indecomposta. Non si ossida, nè da origine a prodotti fenolici o ad acidi, che da essa avrebbero potuto originare. 7. La sua azione convulsivante devesi ai due atomi d’idroge- no imidico che essa contiene. 8. L’idrobenzamide non ha alcuna azione nè sulle rane, nè sui mammiferi, perchè si decompone nello stomaco. I prodotti della decomposizione passano nel sangue e si eliminano sotto forma di acido benzoico e paraossibenzoico, i quali sino ad un certo punto sono farmacologicamente inattivi. 9. La differenza d’azione tra l'idramide studiata e l’alcaloide che da essa ne deriva, dipende dalla diversa costituzione atomica. Dal Laboratorio di Materia medica della R. Università. Catania, giugno 1894. Memoria XIKI. Ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere, con speciale riguardo alla relazione tra l’ azione e la costituzione atomica del Dr ORAZIO MODICA NOTA II. Furfurammide e furfurina. In una prima nota sull’ azione delle idramidi e delle rispetti ve basi isomere (1), mi sono occupato dell’ azione dell’ amarina e dell’ idrobenzamide sugli animali a sangue freddo e su quelli a san- gue caldo. Ho spiegato allora la diversa azione biologica di queste due sostanze fondandomi sui risultati delle ricerche chimiche rela- tive alle trasformazioni che l’ amarina e l’idrobenzamide subiscono attraversando 1’ organismo. Ho dimostrato allora che 1’ amarina deve la sua azione all’ i- drogeno imidico che essa contiene, dappoichè nell’ organismo non va incontro a modificazioni molto profonde, non venendo scissa la Sua molecola. Corrispondentemente a ciò questa sostanza spiega la Sua azione sui centri encefalici e bulbari, e non sul midollo spina- le, nè sui nervi periferici, per la qual cosa, mentre produce con- vulsioni negli animali a sangue caldo, non ne produce in quelli a Sangue freddo, nel mentre dall’ altro canto innalza la pressione Sanguigna, rallenta il battito cardiaco, fa aumentare la forza e la durata della sistole e della diastole del cuore e dilata la pupilla. L’idrobenzamide, all’ opposto dell’ amarina di cui è isomera ; hel corpo animale subisce delle trasformazioni profonde, la mole- cola si scinde nei suoi gruppi fenilici, i quali si acidificano passan- do in acido benzoico e paraossibenzoico, corpi, come si sa, non i (1) Annali di Chimica e di Farmacologia—fascicolo di novembre 1894. Arti Aco., Vor. IX, SerIE 48 — Memoria XIII. 1 2 Ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere dotati che dell’ azione farmacologica generale degli acidi, i quali vengono di poi eliminati per la massima parte per le urine. In rap- porto a ciò l idrobenzamide, anche data a forti dosi, riesce inatti- va, sia negli animali a sangue freddo che in quelli a sangue cal- do, e, quantunque insolubile, viene assorbita, in quanto che non sì trova nelle feci come tale, ma viene eliminata colle urine, tra- sformata, come abbiamo detto, in prodotti acidi. Per venire a delle conclusioni generali intorno all’ azione del- le idramidi e delle basi rispettivamente isomere, conclusioni tratte da fatti sperimentali, e non da semplici ipotesi, era necessario se- guitare nello studio delle altre idramidi e dei rispettivi isomeri ba- sici. In questa nota mi occuperò dell’ azione e delle trasformazioni della furfurammide e della furfurina. Seguendo l’ ordine della prima mia nota, riferirò prima i ri- sultati delle ricerche eseguite sulla furfurina, e poi quelli avuti col- la furfurammide. FURFURINA La furfurina è un alcaloide artificiale che si può ottenere bol- lendo la furfurammide con liscivia di potassa. La sua formola di costituzione Ci H; (64h (085 NH\\ nie 0 C,H,0.C.NB/ ’ ci mostra che essa contiene due atomi d’ idrogeno imidico, La sua azione convulsivante sugli animali a sangue caldo (mammiferi) fu dapprima osservata dal BaccHeETTI (1), il quale vide che “ l acetato di questa base introdotto alla dose di un grano (1) Effetti di alcuni alcaloidi artificiali sull’ organismo animale. Il nuovo Cimento, 1855, Vol,-29, p. 76. con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica 3 sotto la pelle del dorso di un porcellino d’ India ha prodotto la Inorte dell’ animale dopo mezz’ ora preceduta da sintomi convulsi- vi clonici. Negli uccelli e nelle rane la furfurina a frazioni di gra- ho applicata esternamente sotto la pelle, o per bocca, ha prodot- to costantemente dopo pochi istanti la morte preceduta da parali- sì e da scosse convulse ,. Più tardi, nel 1890, il prof. Curci (1), occupandosi della serie furfurica, ne ha fatto uno studio più completo. Ne riassumo bre- vemente le conclusioni. Come per l’ amarina, la furfurina non produce convulsioni helle rane: le piccole dosi producono solamente fenomeni di eccita- mento e poi stordimento ; colle dosi più grandi al periodo di ec- citamento fa seguito la paralisi, e tanto più intensa quanto mag- giore è la dose. Nei mammiferi invece produce tremori, e poi convulsioni gene- rali tonico-cloniche , dilatazione delle pupille, aumento della pres- sione sanguigna, rallentamento del polso ; il tutto rispettivamente per azione sui centri encefalici fino al bulbo. In complesso adunque l azione della furfurina è identica a quella dell’ amarina : eccita come questa le parti encefaliche del sistema nervoso estendendo la sua azione fino al bulbo, e non ol- tre. Abbiamo adunque l’azione caratteristica dell’ idrogeno imidico, di cui la furfurina contiene due atomi. La differenza coll’ amarina Sta nel diverso grado di tossicità, essendo la furfurina circa 10 vol- te meno tossica dell’ amarina, infatti mentre della prima sono nec- cessarî 150 mg. per Kg. di animale per aversi la morte, della se- conda ne bisognano circa 15 mg. come io ho visto (2). FURFURAMMIDE La furfurammide, la quale è isomera della furfurina, ma ha A (1) Ricerche farmacologiche sulla serie furfurica. La Terapia moderna 1891. (2) V. il mio lavoro sull’ amarina. d Ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere una diversa costituzione atomica, non contenendo dell’ idrogeno imidico, Ci H30.CH: N\ CH'ciH3 0, 0,H:0.CH: NZ è completamente inattiva. Ho preparato la furfurammide dal furfurolo, trattandolo con una soluzione acquosa di ammoniaca. La sostanza ottenuta, inso- lubile nell’ acqua , bianco-giallognola , cristallina , fu sperimentata nelle rane e nel cane. A varie rane ho posto sotto la cute del dorso delle quantità rilevanti di furfurammide, nessuna ha mostrato il minimo disturbo, rimanendo tutte perfettamente normali, non solo nel giorno del- l’ esperimento, ma anche nei seguenti. Lo stesso risultato avevo quando introducevo la sostanza nell’ esofago per mezzo di una fi- na bacchetta. Ad un grosso cane poi ho dato 5. gr. di furfurammide in 5 ore, un grammo ogni ora, in mica di pane. L’ animale è stato al- legro, ha mangiato col suo solito appetito, e non ha mostrato di risentire il minimo disturbo dalla ingerita sostanza. La furfurammide adunque, come la idrobenzammide, si mostra priva di quell’ azione tossica che ha il suo isomero, la furfurina. Trasformazioni che subiscono la furfurina e la furfurammide . attraversando il corpo animale. Siamo adunque di fronte a due sostanze, la furfurina e la fur- furammide, le quali, quantunque risultino formate degli stessi ele- menti e nelle stesse proporzioni de Go dee . Ci Hz O, H; 0.CH:NX cr s sa Wei, 0: 0.0 «NBA 4H30, CiB0:JOBINZ 9 ossia C* HO N° (furfurina) ossia C* H! O? N? (furfurammide) con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica 5 hanno una diversa azione farmacologica, essendo attiva l’una, inat- tiva l’altra. La diversa costituzione delle molecole di questi due corpi de- ve avere perciò una grandissima importanza riguardo all’azione far- macologica di essi. Vedremo se lo studio delle trasformazioni che subiscono queste due sostanze nel corpo animale ci potrà dare spie- gazione dei fatti osservati. Le esperienze sono state fatte nel cane. Furfurina—Prima di tutto ho cercato di vedere se la furfuri- na venisse eliminata indecomposta per le urine. Essendo essa una Sostanza alcaloidea, spostabile cogli alcali dalle sue combinazioni con gli acidi, e molto solubile nell’alcool e nell’etere, la sua estra- zione dalle urine non doveva essere difficile. Ho somministrato la sostanza sia per bocca, per farle subire l’azione del succo gastrico, come per iniezione sottocutanea. 1° Furfurina data per bocca.-—Ho fatto due esperienze sommi- nistrando una volta 1 gr. e un’altra volta 2 gr. di nitrato di fur- furina a un grosso cane a dosi frazionate nello spazio di 48 ore, € raccogliendo le urine dei due giorni in cui somministravo la so- Stanza, e quelle dei due giorni segnenti. In tutte e due le esperien- ze non si ebbe a notare alcun fenomeno generale dell’azione della furfurina. Nella prima esperienza le urine non vennero concentrate, ma Mano a mano che erano emesse, previa alcalinizzazione con car- bonato sodico, venivano poste in un imbuto separatore contenente dell’ etere, ed esaurite varie volte con questo solvente. Così ope- tando si era sicuri che non si agiva su urine in putrefazione. Nella seconda esperienza invece le urine, mano a mano che venivano raccolte erano concentrate a b. m., quindi alcalinizzate con carbonato sodico, e poste al solito nell’imbuto separatore con del- l’ etere, Le ricerche eseguite su queste due serie di urine sono state identiche, ed identici ne sono stati i risultati; quindi le une e gli altri per brevità saranno riferiti insieme. 6 Ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere L’ etere con cui venivano esaurite le urine lascia pochissimo residuo estrattiforme gialliccio, il quale viene ripreso con acqua di- stillata, dove è quasi insolubile anche a caldo. L’acqua mostra di avere una leggerissima reazione alcalina. Questo miscuglio viene trattato con una soluzione diluita e bollente di acido ossalico, la quale lo chiarifica quasi totalmente, e, dopo filtrazione, neu- tralizzato a caldo con ammoniaca acquosa, la quale vi determina un forte intorbidamento. Dopo 24 ore si filtra, e ciò che rimane sul filtro si scioglie con etere.—Questo evaporato lascia un residuo in quantità piccolissima di consistenza sciropposa, giallognolo, che sciolgo una seconda volta con acido ossalico diluito e bollente. La soluzione ossalica però non s’intorbida molto col raffredda- mento, segno che non avevo da fare con gli ossalati della furfu- rina, i quali sono poco solubili nell’ acqua fredda. Ad ogni modo, dopo nuovo riscaldamento e filtrazione a caldo, precipito nuova- mente con ammoniaca, filtro ed estraggo con etere ciò che rima- ne sul filtro. Anche dopo questa seconda purificazione non ho ot- tenuto che pochissima quantità di una sostanza estrattiforme, gial- lognola, che non cristallizzò nemmeno dopo parecchi giorni dal- ) estrazione. Questa sparuta quantità di sostanza quantunque mostrasse dei caratteri basici ed alcaloidei; solubilità negli acidi ossalico e nitri- co diluiti, e consecutiva precipitazione con ammoniaca o con car- bonato sodico, precipitato rosso-bruno col liquido di Bouchardat, e bianco-giallognolo con quelli di Meyer e di Marmè, pure non era certamente della furfurina immodificata. Che non si trattava di furfurina, lo provava non solo il fatto della insolubilità del prodotto nel cloroformio, ma anche il com- portarsi diverso della soluzione ossalica, infatti la sostanza da me estratta dalle urine, a differenza della vera furfurina, con l’ acido ossalico dava un prodotto che non si depositava col raffreddamen- to. Nello stesso senso parlano anche le ricerche fisiologiche ese- guite colla soluzione nitrica, di lievissima reazione acida, della detta con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica © sostanza. Iniettata alle rane questa sostanza non ha prodotto il quadro dell’azione della furfurina. A due rane s’iniettano sotto la cute rispettivamente 3 e 4 di- visioni della siringa di Pravaz, corrispondenti a pochi milligrammi di sostanza in soluzione acquosa. Dopo 10 minuti si osservò dilata- zione delle pupille, rarefazione e poi arresto del respiro con sac- co joideo gonfio, abolizione del movimento volontario e indeboli- mento di quello provocato. Dopo 20 minuti, seguitando del resto nell’identico stato, le rane o per stimoli meccanici portati diretta- mente sul corpo, ovvero per il semplice battere sul tavolo, sono prese da contrazioni toniche agli arti inferiori, che poi si estendo- no a tutto il corpo, le quali sono in quanto a durata e forza in relazione colla durata ed intensità dello stimolo. Insieme a queste contrazioni toniche generali osservansi delle contrazioni spontanee limitate a dati gruppi muscolari. Questi fenomeni durarono, indebolendosi, fino alla morte del- le due rane, di cui una morì dopo 30 minuti dalla iniezione, e l’al- tra durante la notte. L'azione di questa sostanza nelle rane è adunque molto dif- ferente da quella della furfurina. Infatti mentre essa produce dap- Prima indebolimento del movimento, e poi scosse convulsive spon- lanee o provocate, la furfurina a dosi piccolissime produce dappri- ma fenomeni di eccitamento con movimenti rinforzati, e poi para- lisi generale completa. Risalta subito agli occhi la detta differenza d’azione sol che si faccia qualche esperienza di confronto iniettan- do ad una rana la sostanza estratta dalle urine e ad un’altra la furfurina. Ometto di riferire tali esperienze, avendone già detto i risultati. Perciò la sostanza estratta delle urine non solo non mostra i caratteri fisico-chimici della furfurina, ma nemmeno ne ha l’azione farmacologica; laonde bisogna concludere che nelle urine del cane che ha preso della furfurina per bocca non si trova furfurina come tale. Intanto questa sostanza che abbiamo esaminato era originata dalla furfurina propinata, ovvero non aveva alcuna relazione con questa ? 8 Ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere Allora ho esaminato le urine del cane senza somministrazio- ne di furfurina, cioè allo stato normale. Queste, sottoposte allo stesso trattamento delle precedenti mi hanno dato una sostanza alcalina, la quale, cimentata chimicamente e fisiologicamente si è dimostrata identica a quella delle urine del cane che aveva preso la furfurina. E perciò la sostanza trovata nelle urine del cane durante il tempo della somministrazione della furfurina per bocca, non può considerarsi come un prodotto proveniente dalla furfurina sommi- nistrata, ma come un corpo normale. 2.0 Furfurina per iniezione sottocutanea.—Ad escludere il sospet- to che la furfurina somministrata per bocca non fosse stata assorbita, ma eliminata colle feci, tanto più che non avevamo avuto alcun feno- meno dell’ azione di essa, e non si erano esaminati questi escre- menti, ho ripetuto la ricerca della furfurina nelle urine di un cane cui ho somministrato 2 gr. di sostanza in 3 volte, nello spazio di 48 ore, per iniezione sottocutanea. Una sola volta, appena colla dose di 1 gr. si è notato nel cane grande eccitamento, ansia, tre- miti ed un accesso convulsivo epilettiforme della durata di circa 1 minuto. i Per non ripetere cose già dette, riferirò qui semplicemente il risultato delle esperienze. Le urine dei due giorni in cui fu data la sostanza e quelle dei due seguenti, sottoposte alle identiche manipolazioni di quelle dei giorni in cui avevo dato la furfurina per bocca, hanno dato pure l’ identico prodotto di queste, sia per le proprietà fisico-chi- miche, sia anche per Vl’ azione biologica sulle rane. La furfurina perciò, sia somministrata per bocca, come per iniezione sottocutanea, andrebbe incontro nell’ organismo del cane alle stesse trasformazioni. Nè è da sospettare che essa si sia potu- ta alterare, caso mai si fosse trovata come tale nelle urine, per le diverse manipolazioni chimiche messe in opera per estrarla. Me ne sono accertato coll’ esperimento. Ad un litro di urina di cane in perfetto stato di salute ho ag- giunto delle tracce di nitrato di furfurina, e l ho sottoposta agli con speciale riguardo alla relazione tra l’ azione e la costituzione atomica 9 stessi processi d’ estrazione delle precedenti ; concentrazione a b. m., alcalinizzazione con carbonato sodico ed estrazione con etere. L’e- sStratto etereo ha dato dei cristalli di furfurina riconoscibili facilis- simamente. I diversi processi adoperati per la estrazione della sostanza adunque non potevano menomamente alterarla, qualora la furfuri- ha assorbita fosse stata eliminata immodificata ed inalterata per le urine del cane. Epperò nell’ organismo del cane, come abbiamo già detto, si deve modificare. Vedremo in che modo. Uno sguardo alla formola della furfurina: CH 0.0. NH Rn E C,H:0.C.NH/ ci fa scorgere la presenza di tre gruppi furfuranici. L'ipotesi che prima si affacciava alla mente era perciò quella che la molecola della furfurina si scindesse, si mettessero in libertà i nuclei sud- detti, e questi passassero in prodotti acidi, fra cui primo l acido piromucico. Le ricerche eseguite in questo senso sulle urine del cane che ebbe somministrata della furfurina, ci hanno dimostrato la esattez- za di questa ipotesi. Il metodo seguito in queste ricerche è stato quello indicato da Jarrè e Conn (1) a proposito delle trasformazioni del furfurolo hell’ organismo animale. Somministrato a un cane 1 gr. di nitrato di furfurina per inie- zione sottocutanea, e, raccolte le urine, vengono lavate varie volte con etere al fine di levare delle sostanze solubili in esso. Questo non portò via alcun prodotto speciale. Le urine vengono quindi concentrate a b. m. quasi a secchezza, ed esaurite con alcool. Lo estratto alcoolico, dopo l’ evaporazione del solvente, acidificato con acido solforico diluito, e quindi esaurito con molto etere. iena (1) Ueber das Verhalten des Furfurols im thierischen Organismus. Berichte d. deutsch. Gesells. Jahrg. 200, 1887, parte 32, p. 2811. Armi Acc., Vor. IX, SerIR 48 — Memoria XIII. 10 I'icerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere Nel sospetto che l'acido piromucico fosse eliminato in gran parte come acido piromucurico, 1’ estratto etereo viene bollito per 2 ore con acqua di barite, per decomporre il detto acido (1), e quindi, acidificato il tutto con acido cloridrico, esaurito nuovamen- te con etere. Questo lasciava depositare un prodotto bianco— gial- lognolo molto solubile nell’ alcool e nell’ acqua calda, meno nella fredda, che cristallizzava in sottili foglioline che fondevano a circa 133°, sublimavano molto facilmente al calore del b. m. in fini aghi, i quali davano con percloruro di ferro un precipitato rosso-giallo , e combinati al sodio un sale solubile in alcool, dalla quale solu- zione veniva precipitato dall’ etere. Avevo evidentemente da fare con 1’ acido piromucico, o forfu- ran-carbonico : COOH HO=0- | ; HO= BOS. il quale o esisteva già nel primo estratto etereo, o si era originato dopo l’ ebullizione con l’acqua di barite dall’ acido piromucurico. Del resto per la mia tesi non importava veramente vedere sotto quali forme si eliminavano i prodotti di decomposizione della furfu- rina, ma semplicemente trovare un prodotto che mi indicasse il modo di scissione della molecola, e bastava perciò aver trovato l'acido piromucico, sia stato esso accoppiato o no alla glicocolla. Quindi io posso concludere che la furfurina, introdotta nel- l’ organismo animale (cane), non si elimina indecomposta, ma si scinde nei suoi gruppi furfuranici dai quali ne derivano prodotti acidi, tra cui ho rinvenuto l’ acido piromucico. Scindendosi in questo modo la molecola è chiaro come si deb- ba ammettere che da questi gruppi possono originare gli altri aci- (1) Secondo le indicazioni di Jaffè e Cohn. (V. lavoro citato). con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica 11 di che originano dal furfurolo, come sono stati trovati da JarrÈ e Conn (1). Furfurammide—Essendo questa, come abbiamo visto, inattiva, il primo fatto da vedere era se dovevasi la sua attività al mancato assorbimento. Per la qual cosa, prima di passare allo studio dei pro- dotti che essa avrebbe potuto dare dopo ! assorbimento, ho cercato essa stessa nelle feci, per vedere se fosse stata eliminata indecom- posta con queste. All’ uopo si danno a un grosso cane 5 gr. di furfurammide in due giorni, si raccolgono le feci di questi due giorni e dei due seguenti, e si pongono ad infondere nell’ etere dopo essere state bene spappolate. L’infusione durò varii giorni, lungo i quali si eb- be cura di agitare varie volte il miscuglio. Quindi si separa l’ ete- re, e si distilla, per raccoglierne una parte, al b. m., il resto si lascia all’ evaporazione spontanea. Si è così ottenuta una massa estrattiforme, di colore verde-bruno, solubile in parte in alcool co- mune. Siccome la furfurammide non ha alcuna reazione speciale, per riconoscerla facilmente ho cercato di decomporla con acido cloridri- co, nel caso che fosse stata eliminata tale e quale per le feci, e cer- care il furfurolo come prodotto di decomposizione. Quindi l’ estratto avuto dalle feci viene trattato con HC/, il quale, come si sa, Scom- pone subito la furfurammide con formazione di cloruro d’ ammonio € furfurolo; e quindi il tutto, diluito con acqua, si mette a distil- lare nell’ intento di isolare il furfurolo. La temperatura a cui distillò gran parte ‘del prodotto fu di 100°; un’altra parte distillò a 110°; ma nè il primo distillato, nè il secondo, e nemmeno il residuo della distillazione, che ho volu- to saggiare, contenevano del furfurolo, infatti in nessuna maniera Potei ottenere alcuna reazione coll’urea in presenza di CI. La furfarammide adunque, introdotta per lo stomaco, non si itrova come tale nelle feci, ma, quantunque insolubile, viene as- I, alii (1) Lavoro citato. 12 Ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere sorbita, come è stato dimostrato dalle seguenti ricerche cui sono state sottoposte le urine dello stesso cane di cui avevo esaminato le feci. Se la furfurina nell’ organismo del cane si scinde, e si metto- no in libertà i suoi gruppi furfuranici, ciò doveva avvenire ancora più facilmente per la furfurammide, la quale sappiamo come per la sola ebollizione con acqua o con alcool, ovvero per | azione degli acidi si scinde dando origine a furfurolo e prodotti ammo- niacali. I corpi da cercare nelle urine erano adunque i noti prodotti del furfurolo, quando attraversa il corpo animale, coll’ identico processo che abbiamo seguito per la ricerca di essi nel caso della furfurina. All’ uopo vengono raccolte ed esaminate le urine del cane di cui si erano esaminate le feci. Le urine appena venivano emesse erano concentrate a b. m. e quindi tutte insieme portate quasi a secchezza ed esaurite con alcool, questo evaporato, ed il residuo acidificato con acido solfo- rico diluito ed esaurito con etere. L’ estratto etereo, secondo le nostre previsioni, non poteva contenere che gli stessi prodotti aci- di già trovati per la furfurina. E perciò quest’ estratto viene stem- perato in acqua e bollito per 2 ore con acqua di barite, il tutto, dopo raffreddamento, acidificato con HC? ed estratto con etere. Questo ha lasciato un abbondante prodotto cristallino , a fo- glioline setacee, di colore bianco-giallognolo, solubile in alcool, ete- re ed acqua calda, poco nella fredda. Sublimava facilmente al ca- lore del b. m. in aghi, fondeva a circa 131°, dava con cloruro ferrico precipitato rosso-giallo, e formava dei sali. alcalini solubili in acqua ed in alcool e che precipitavano dalla soluzione alcoolica per mezzo dell’ etere. Tutte queste proprietà bastavano. per farmi ritenere che il corpo in esame era l’ acido piromucico o furfuran- carbonico. Invero il punto di fusione parrebbe un pò basso in con- fronto di quello riportato dal Bestem, 132°, 8—1340, 3 (1), però (1) BersrrIN. — Andbuch d. organ. Chemie. Zweit. Aufi., 1886, Bd. I°, p. 562. con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica 13 Se sì considera che altri ammettono per l'acido piromucico un punto di fusione molto più basso, 127°, 7—129 (2), e che questo punto di fusione oscilla tra termini non tanto vicini, e che io non avevo in mano un prodotto certamente chimicamente puro, si può ritene- le il punto di fusione da me trovato relativamente esatto, tanto più che trovasi compreso fra i termini estremi ammessi dai diver- sì autori. Possiamo ritenere adunque che la furfurammide attraversando l’ organismo animale si scinde allo stesso modo della furfurina , e he originano perciò gli stessi prodotti. Relazione tra l’azione e la costituzione atomica della furfurina e della furfurammide. Vediamo ora se i risultati di queste ricerche ci mettono sulla via per interpretare il modo d’ agire delle due sostanze di cui ci stiamo occupando. A prima giunta parrebbe inspiegabile il diverso modo di rea- gire dell’ organismo animale verso due corpi i quali oltre all’ esse- re isomeri si scindono nel corpo animale allo stesso modo, dando origine a prodotti finali identici. Abbiamo visto infatti originarne da entrambi dell’acido piromucico, venga esso eliminato accoppiato o no alla glicocolla. Però se è vero tutto questo, è pur vero che mentre la furfu- lammide contiene due atomi d’ idrogeno legati direttamente al car- bonio, il quale ne distrugge l’ azione, secondo gli studii del prof. Curci, la furfurina ha questi due atomi legati invece all’ azoto , sotto forma d’imide (NH), la cui azione eccitante encefalica e bul- bare è già nota, e corrispondente esattamente a quella della furfu- rina. Se adunque coeteris paribus la sola differenza tra queste due iii (3) Wurrz. Dictionnaire de Chimic. T. II, p. 1256. 14 icerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispettive basi isomere sostanze consiste esclusivamente nella diversa posizione di questi due atomi d’idrogeno nella molecola, è chiaro che bisogna ascri- vere a questi l’azione speciale della furfurina, e di conseguenza alla sua molecola non scissa, dapoichè tutti gli altri gruppi sono pa- ralizzanti ed identici nelle due sostanze. Da tutto quanto ho riferito mi credo perciò autorizzato a con- cludere che anche la furfurina, come avviene per l’amarina, agi- sce per se stessa, e quindi prima di decomporsi. Una volta de- composta la sua azione sparisce coll’entrare del carbossile nei pro- dotti ultimi della sua trasformazione, dapoichè I acido piromucico, principale prodotto di trasformazione della furfurina, non ha ‘più l’azione di questa, ma l’azione di un acido qualunque. Tutto questo ci spiega perchè l’azione della furfurina si dif- ferisce quantitativamente da quella dell’ amarina, la quale ha a so- miglianza dalla furfurina, due atomi d’ idrogeno imidico e tre grup- pi idrocarburici paralizzanti, come i furfuranici di quest’ ultima. L’amarina non si decompone nell’organismo, quindi circola in for- ma attiva, finchè viene adagio adagio eliminata per le urine; la sua azione è perciò più intensa e più duratura di quella della fur- furina , la quale scindendosi presto, non circolando perciò come tale, ma sotto forma di prodotti che non ne hanno più 1 azione, ha azione meno intensa e più passeggiera: abbiamo visto infatti essere la furfurina 10 volte meno tossica dell’ amarina. Due parole ci rimangono a dire sulla furfurammide. È proba- bile che da essa nello stomaco, per azione del succo gastrico ne origini del furfurolo, e da questo poi i noti prodotti acidi anzidetti. Parrebbe adunque che anche la furfurammide dovesse essere attiva come lo è il furfurolo, l’attività del quale è fuori dubbio, come LePIn (1), LaBorpe e Magnan (2), Curci (3) e Conn (4) hanno di- mostrato. Ma è da osservare che se da un canto è vero che dal- (1) Soc. d. Biolog. 9 Jouil., 1887. (2) Ibid. 1887. (ld (4) Arch. f. experim. Path. u. Pharm., Bd. 81, p. 40, 1892. con speciale riguardo alla relazione tra l’azione e la costituzione atomica 15 la furfurammide , somministrata per lo stomaco, può originare del furfurolo, dall’ altro canto è da pensare che esso appena originato si trasforma in prodotti acidi, i quali non ne hanno più 1)’ azione. Anche lo studio di queste due sostanze ci fornisce adunque un esempio in appoggio alla teoria che attribuisce un’ azione spe- ciale all'idrogeno imidico (NW), e una perfetta relazione tra l’azio- he e la costituzione atomica dei corpi. Dal presente studio si possono pertanto trarre le seguenti CONCLUSIONI 1° La furfurina nell’ organismo animale (cane) non resta co- me tale, ma si decompone. La decomposizione consiste nella demo- lizione completa della sua molecola: i gruppi furfuranici resi liberi si ossidano e passano ad acidi. Tra gli acidi, che ne avrebbero potuto originare, io ho riconosciuto il piromucico. 2° Siccome i prodotti di decomposizione della furfurina , sia intermedii che finali, non ne hanno la sua azione convulsivante, bisogna concludere che la furfurina agisca prima di decomporsi ; e siccome tutti i gruppi costituenti la molecola sono idrocarburici e noti paralizzanti, tranne le due imidi (NM), è logico ascriverne a queste l’azione. 3* La furfurammide si scinde nell’ organismo allo stesso mo- do della furfurina. Ciò non pertanto essa non manifesta alcuna azione, sia perchè è insolubile e quindi non può essere assorbita come tale, sia perchè i suoi prodotti di decomposizione intermedii 0 finali non agiscono forse perchè non vengono a trovarsi nel cor- po in tali quantità da dimostrarsi attivi. 4° Dalla diversa costituzione atomica della furfurina e della furfurammide ne consegue, adunque, la differenza d’ azione. Dal laboratorio di Materia medica della R. Università. Catania, Giugno 1895. Memoria XIV. Rigenerazione delle fibre muscolari striate Ricerche del Dott. ALFIO MOTTA 0000 Molti lavori si hanno intorno la genesi delle fibre muscolari striate, e mai tanti esperimentatori sono venuti a conclusioni uguali. Non tenendo conto delle prime osservazioni che dimostrarono la rigenerazione del tessuto muscolare, senza specificarne i processi, possiamo così riassumere le differenti opinioni emesse nell’ ultimo trentennio. Secondo alcuni la fibra muscolare può provenire dalla vecchia o può trarre origine da corpuscoli bianchi del sangue o da cellu- le del perimisio (Kolliker, Weber, Waldeyer, Maslowschi, Erbgam, Vincenzo Colucci, Mingazzini, Calderara, Golgi, Nauwerch, Volkmann). La moltiplicazione dei nuclei si avvera o per processi carioci- netici, o per processi di scissione diretta, o per un processo che si allontana dai due sconosciuti (Kélliker, Weismann, Nauwerch, Stilling, Pftzner, Perroncito, Calderara). Il sarcolemma per alcuni si sviluppa tardivamente, e per altri ha importanza secondaria, nei processi rigenerativi ( Perroncito , Volkmann ). Finalmente esperimentatori hanno osservato che la nuova so- stanza contrattile o piglia origine da un prolungamento della vecchia fibra o è in diretta dipendenza della sostanza contrattile della vec- chia fibra (Golgi, Perroncito, Neumann, Gussembauer, Nauwerch). D'altra parte le opinioni non sono meno contrastate in ordine alla costituzione della fibra striata, e sono sempre aperte le que- stioni : 1. in ordine a quantità del sarcoplasma o sarcoglia parago- nata alla sostanza contrattile nei diversi periodi di vita istessa; Arm Aco., Vor. IX, Serie 48 — Memoria XIV. th 2 Rigenerazione delle fibre muscolari striate 2. in ordine a moltiplicazione del nucleo ed alla sua impor- tanza per la nuova genesi del sarcoplasma; 3. In ordine a genesi del sarcolemma, se sia cioè una forma- zione primaria e della fibra o secondaria ed indipendente dalla stessa. A tal fine ho avviato due sorta di ricerche, l’una riguardante la genesi originaria delle fibre striate nell’embrione, e l’altra la rigenerazione della stessa in seguito ad offese prodotte sui muscoli degli adulti. Mi sia consentito per ora di riferire i risultati della seconda serie di ricerche, che relativamente mi hanno permesso alcune con- clusioni, che non mancano d'’interesse. Tecnica. Trattandosi di ottenere risultati comparabili e su pezzi prove- nienti da diverso materiale ho usato unico metodo d’indurimento e solo due metodi di colorazione. Ho presi piccoli pezzi di muscoli di tritoni e di cavia; dei primi ho preferito quelli del lato interno della coscia, delle secon- de muscoli della gamba e coscia. Ho adoperato un mezzo rapido d’ indurimento , poichè un processo di rigenerazione deve studiare movimenti nucleari, e quei mezzi si prestano meglio a tali ricer- che. Ho usato a tal fine il liquido di Flemming ed ho tenuti i pezzi, a seconda la loro grandezza, da un quarto ad un’ ora; dopo di che li ho lavati ripetutamente in acqua distillata, e li ho pas- sati in alcool ordinario e poi in quello assoluto. Ho colorato col carminio boracico e coll’ ematossilina, e nel- l'uno i pezzi li ho tenuti per ventiquattro ore, dopo di che li ho passati in alcool ordinario, assoluto ed in cloroformio per la disa- tratazione. I pezzi che ho colorati all’ ematossilina li ho tenuti da mezz'ora a sei ore a seconda che ho colorati i tagli o i pezzi nella loro totalità, e dopo per avere un giusto grado dell’ intensità di colorito ho adoperato l’allume al 2 °/. L’inclusione è stata fatta in paraffina e i tagli sempre in serie. I colori da me adoperati Rigenerazione delle fibre muscolari striate 3 mettono in evidenza le fibre muscolari ed i loro componenti nei diversi atteggiamenti in cui sono stati sorpresi e fissati dal liquido rapidamente indurante adoperato. In quanto ad animali di esperimento , come sopra dissi, mi son servito di tritoni e cavie, e le osservazioni le ho fatte nelle stagioni d'inverno e primavera. In quest’ultimo periodo ho avuto migliori risultati, come del resto per le rigenerazioni in generale era stato notato già dallo Spallanzani nel suo “ Prodromo sulle rigenerazioni muscolari. , Mi son servito dei muscoli della coscia e alcune volte ne ho escisso un pezzo con le forbici; altre volte ne ho asportato un tratto, servendomi di cilindri cavi di piccolo calibro affilati alla punta. Ultimamente ho adoperato il mezzo che il Nauwerk ha usato nei conigli, servendosi, cioè, di uno stiletto infuocato ed infliggen- dolo nei muscoli. Si hanno piccoli punti lesi, le cui modificazioni non fanno per- dere i rapporti col rimanente dello stesso muscolo e coi muscoli prossimiori. I tritoni li ho nutriti con carni di rane ed ho notato, quello che altri prima avea osservato, l’ influenza, cioè, della nutrizione nei processi rigenerativi (Caporaso) (1). È inutile dire che il processo è stato rigorosamente antisetti- co e non ho mai potuto osservare se la suppurazione agisse sfa- vorevolmente sui processi rigenerativi, i quali s’inizierebbero quan- do quella finisce. (Golgi) (2). Osservazioni. Ho seguito i diversi stadii e ne ho incominciato l’ esame do- po quattro ore della causticazione. Un fatto colpisce maggiormente in questo periodo; un rapido processo distruttivo nei monconi delle fibre. Le fibre lese si sfor- (1) Beitriige zur pathologischen ecc. Sulla rigenerazione del midollo spinale nella coda dei tritoni 1889. Vol. V. (2) Luog. cit. 4 Rigenerazione delle fibre muscolari striate. mano, i sarcoelementi perdono i rapporti tra loro e con ia sostan- za isotropa, sono poco delimitati e si risolvono ora in forma di pic- coli granuli ora di una sostanza omogenea. Questo stato dei monconi così sformati si ripete ora in punti circoscritti lontani dal punto traumatizzato, ora è tutta la fibra in- vasa da questo processo regressivo, a norma della maggiore o mi- nore estensione del trauma e della sua intensità. (Fig. 1). Quello che meno subisce le alterazioni è il sarcolemma, che superiormente si continua con il sarcolemma del tratto sano. Im- ‘ mediatamente sotto il sarcolemma i cosidetti nuclei o corpuscoli muscolari che si presentano col nucleo fusiforme, con una zona di sostanza omogenea, più notevole verso i poli; ed altre volte nuclei rotondi, con un poco di protoplasma allungato ai poli che si pro- lungano in modo da riunirsi con i corpuscoli che son posti supe- riormente (Fig. I. A. GC.) Si attribuisce da alcuno all’ azione dell’ agente traumatico 0 chimico te alterazioni che ho descritte. Ed invero l’ agente esterno può sformare la fibra nella sua configurazione nel punto della le- sione, dove ha direttamente agito; ma però bisogna pur tener conto di quelle alterazioni che si osservano nella continuità del musco- lo, e quegli alterati rapporti tra le due sostanze della fibra musco- lare—fatti che si osservano in punti nei quali non è agita alcuna azione chimica o traumatica. Nelle cavie ho osservati fatti simili nella loro essenza, ma con diverse manifestazioni. Otto giorni dopo l’ estirpazione di un pezzo di muscolo della coscia, e successivamente sino al dodicesimo giorno, ho osservate fibre con vacuoli numerosi, di grandezza varia, a contorni non ben definiti, che si succedono l’ un dopo 1’ altro e occupano ora tutta la sezione della fibra, ora parte di. essa. Si osservano vasti campi, nei quali oltre a molte fibre vacuo- Rigenerazione delle fibre muscolari striate D lizzate, a piccoli avanzi di fibre distrutte, vi sono abbondanti coa- guli sanguigni e fibre infiltrate qualche volta di corpuscoli rossi del sangue. In mezzo ai vacuoli notai certe volte nuclei ovali e vegeti co- me del pari ho visto nuclei allungati e rigogliosi. Le fibre vacuolizzate però erano sempre meno colorate, la striatura longitudinale ben distinta, i sarcoelementi non tanto dif- formati ed il sarcolemma integro. I nuclei sia tanto nei tritoni che nelle cavie non avevano distribuzione determinata e se ne osser- vavano ugualmente nel centro che sulla periferia. Nè nei monconi di fibre dei tritoni, nè nel rimanente della loro lunghezza m’ è stato dato osservare vacuoli, avendo sempre notato quelle alterazioni che sopra ho descritte. Sia nei tritoni che nelle cavie, in questo primo periodo, ho sempre visto un connet- tivo rigoglioso che circondava la fibra e con vasi più o meno ri- pieni di corpuscoli rossi del sangue. Questo processo di vacuolizzazione da me descritto, è stato osservato dal Volkmann, e la osservazione si riferisce ad un ma- teriale ottenuto da individui in preda ad infezione tifosa. Nell’esame istologico del sistema muscolare in un caso di pseu- do-ipertrofia, osservando sezioni trasversali e longitudinali, il prof. Armanni (1) trovò “ grande scomparsa di fibre muscolari e aumento molto significante del tessuto connettivo. Questi due fatti, continua il prof. Armanni, in alcuni punti dello stesso muscolo raggiungono i gradi estremi, in quanto che vi sono zone in cui i fascetti mu- scolari nella loro sezione trasversale non sono rappresentati che da una sostanza connettiva iperplastica, la quale non conserva che la forma dei singoli fascetti, la forma cioè di piccole aree poligo- nali, essendo totalmente scomparso ogni traccia di fibra muscolare. Questo tessuto connettivo, più o meno fibroso nei diversi punti O più o meno omogeneo, mostrasi anche più o meno infiltrato di (1) Un caso di pseudo-ipertrofia muscolare. Giornale dell'associazione dei Naturalisti e Me- dici di Napoli—18 puntata Anno I, 1889. 6 Rigenerazione delle fibre muscolari striate piccoli elementi cellulari, i quali talvolta si dispongono anche a focolai. Del resto non vi si nota alcuna alterazione degenerativa., E più in là aggiunge: “ Un esame più minuto di questi muscoli a forte ingrandimento , fa rilevare la striatura trasversale e lon- gitudinale così nelle piccole come nelle grosse fibre è assai meno evidente e regolare e la sostanza muscolare alquanto più omo- genea. , Lo studio del Volkmann e le osservazioni del prof. Armanni si riferiscono a materiali in condizioni patologiche, le mie osserva- zioni su pezzi di animali sani. La neoformazione di tessuto connettivo lho osservata nei tritoni e nelle cavie, i vacuoli solo nelle cavie nei primi però ho notato le tante modificazioni della sostanza con- trattile. In modo che volendo riassumere il risultato della prima serie di osservazioni, bisogna concludere che in un primo periodo si ha un processo distruttivo della fibra striata, che si manifesta in modo diverso sia che si consideri il tessuto muscolare del tri- tone o quello di cavia. La seconda osservazione l'ho fatta otto ore dopo la causti- cazione. Continua in qualche punto quel processo demolitivo che osservai nello stadio precedente; ma a questo si aggiunge un altro fatto. Dal sarcolemma delle fibre lese si partono come tanti rami e circoscrivono piccoli spazi. Lungo i rami ed in mezzo anche agli spazii anzidetti si trovano nuclei rigogliosissimi, fusiformi, con gra- nuli rifrangenti e circondati da poca sostanza indifferenziata. Qual- che nucleo si trova allungato , strozzato nel mezzo, unite le due parti ora da un piccolo filamento ora da un filo di sostanza meno rifrangente del nucleo medesimo. Per il resto la vecchia fibra è normale, sebbene non manchi rigoglio nel movimento nutritivo, come si rileva dai nuclei rigoglio- si che si trovano ora vicini alle pareti, ora nel centro , ora all’ e- stremità libera della fibra. ° -J Iigenerazione delle fibre muscolari striate Accanto alla fibra causticata le altre non sono indifferenti. Dapertutto nuclei vegeti e floridi che si mostrano in forme svaria - te—ora sono allungati e rigonfiati all’ estremità e sottili al centro; ora sono due nuclei uniti per un piccolissimo tratto verso il cen- tro; ora sono separati l’ un dall’ altro, ma restano ancora vicini , quasi che si tocchino con le loro estremità. Si ha dunque tra gli altri fatti un prodigioso rigoglio nuclea- re, per cui sì sono avute due opposte interpretazioni e due serie di ricercatori differenti, senza che sia mancato qualche osservatore che abbia fatto calcolo di un processo ignoto di moltiplicazione nucleare. Si è ammesso il processo cariocinetico (Kolliker, Weismann, Nauwerk, Stilling e Pftzner) o per processi di scissione diretta (Per- roncito, Nauwerch) o per altro processo ignoto (Calderara). Nei miei preparati mai ho visto cariocinesi nel tessuto musco- lare e mai ho potuto sorprendere nuclei in una delle fasi del com- plicato processo cariocinetico. Ho osservato tutti gli stadii sia nel tritone come nella cavia, e per quanto avessi tentato con i metodi più adatti d’indurimento e con diversi metodi di colorazione non sono riuscito ad avere alcun risultato positivo. Nella seconda osservazione ho descritti nuclei floridi, con nu- cleoli, e che si presentavano in una fase di strozzamento, nei loro diversi stadii—da uu semplice restringimento verso la parte cen- trale, sino a che il nucleo diviso in due parti distintamente veni- vano o ad unirsi per mezzo di un filo di sostanza o erano com- pletamente separate. Di guisa che esclusa la riproduzione nucleare per cariocinesi, deve ammettersi una moltiplicazione nucleare per scissione diretta. Sull’ estensione e sul valore da accordarsi a questo modo di moltiplicazione nei vertebrati ferve ora una gara tra i ricercatori, e credo opportuno ricordare quanto in proposito scriveva il Prof. Paladino intorno ai due processi di moltiplicazione cellulare “ È singolare il cammino inverso delle conoscenze sulla mitosi e sulla amitosi negli ultimi venti anni. Mentre sul principio la divisione mitotica o cariocinetica fu ritenuta come un’ eccezione, si conside- 8 Rigenerazione delle fibre muscolari striate rò in seguito come il processo esclusivo di moltiplicazione cellula- re. L’ amitosi ha traversato precisamente opposte fasi, sino a ve- derla confinata quale modo di moltiplicazione cellulare soltanto ai protozoi e agli invertebrati. , (1) Il prof. Paladino ha osservato un caso di amitosi nei mammiferi, nella formazione placentare della cavia ed ha trovato i diversi stadi della scissione diretta sino alla scissione completa ed ha concluso che l’ amitosi non è una forma di moltiplicazione nucleare da negarsi, come si è creduto da alcu- ni per i mammiferi. Dopo dodici, diciott’ ore si vedono ripetuti i medesimi fatti ; dopo altro tempo incominciano nuovi fenomeni. I monconi delle fi- bre causticate si avviano come per riunirsi, e già in qualche pun- to come se ciò fosse già avvenuto la mercè prolungamenti del sar- colemma. E immediatamente sotto a questo e nelle differenti zone della fibra vedesi qualche nucleo fusiforme, con reticolo ben distin- to, con nucleoli più o meno appariscenti; mentre altre volte sono i nuclei rotondi ed anch’essi sono floridi e come i primi circon- dati da poca sostanza granulosa. (Fig. ID. Non mi è stato dato di vedere nelle cavie nulla che mi aves- se ricordato i prolungamenti protoplasmatici granulosi che qualche osservatore notò nei muscoli della rana, qualche giorno appresso la sezione. Ho osservata una sostanza omogenea, non perfettamen- te granulosa, che circondava i nuclei rotondi; ma mai mi è stato dato vedere che questa nuova sostanza fosse in rapporto con la sostanza contrattile della vecchia fibra muscolare. Sempre ho no- (1) Nota sulla conoscenza dell’ amitosi nei mammiferi. Estratto dal Rend. della R. Accade- mia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli, Fascicolo 8-12 Agosto a Dicembre 1893. POT INIT IIRA I RE FeRtSIE NI NVICIORITATNO Rigenerazione delle fibre muscolari striate da tato la formazione primitiva del sarcolemma, e sotto a questo nu- clei, ora rotondi ora fusiformi, circondati da una sostanza indiffe- renziata. (Fig. IL) Il Perroncito notò e descrisse questi prolungamenti della so- stanza contrattile — prolungamenti irregolari, dilatati e ristretti in certi punti, ora convessi ed ora depressi, non limitati dal sarco- lemma. Escluse perciò la formazione primitiva di questa membra- na, che ammise si formerebbe entro il nono o decimo giorno. Volkmann ed altri che studiarono i muscoli in condizioni pa- tologiche, ove i fatti rigenerativi possono essere modificati dall’ in- fezione generale come nel tifo o dall’ affezione locale come nella trichinosi, non accenna alla formazione primitiva del sarcolemma , ma dà importanza massima ai nuclei della vecchia fibra. La fig. II, che rappresenta la sezione longitudinale di tessuto muscolare lesa dal ferro rovente, fa notare all’ evidenza i monco- ni delle fibre causticate, riuniti da tratti del sarcolemma, e | os- servazione si riferisce a 24 ore dopo avvenuta la causticazione. In quanto poi all’ importanza data da alcuni ai nuclei della vecchia fibra muscolare, riferisco quanto mi è stato dato notare nelle cavie. Limitato il processo degenerativo, distrutto per esso buona par- te di fibra, incomincia in quella parte che resta un attivo e pro- digioso movimento nucleare. All’ estremità della fibra si vedono pic- coli nuclei, rotondi, con granuli rifrangenti, accollati gli uni agli al- tri. Quest’ agglomeramento di nuclei, che forse furono dal Mingaz- zini considerati come punti d’ accrescimento delle nuove fibre mu- scolari, sono in rapporto con la sostanza contrattile del tessuto mu- scolare della vecchia fibra. Il sarcolemma nelle cavie si forma più tardi che non nel tritone, ma sempre prima che i nuclei si accu- mulino in quel modo testè descritto. Vi ha chi ammette che i prolungamenti di sostanza granulosa Arti Acc., Vor. IX, SerIE 48 — Memoria XIV. 2 chto af “u 10 Ligenerazione delle fibre muscolari striate si formerebbero in mezzo una sostanza connettivale di nuova for- mazione. Intanto nei tritoni una nuova formazione veramente manca, e non si nota che il connettivo ordinario del luogo o il’ perimisio che accenna a rigoglio. In altri termini nei tritoni ho osservato quello che il prof. Ar- imanni notò nei preparati di materiale di pseudo-ipertrofia musco- lare, cioè, un enorme sviluppo di tessuto interstiziale insieme ad un’ alterazione delle fibre muscolari. Nelle cavie, come sopra ho detto, terminata la vacuolizzazio- ne che distrugge tutta o buona parte di fibra, scomparso per buo- na parte quel coagulo che circondava dapertutto il tessuto muscolare, scomparsi i corpuscoli rossi del sangue che infiltravano le fibre mu- scolari, restano vaste zone che sono risultato dalla distruzione di parte del vecchio tessuto muscolare. In questi focolai demolitivi notansi : I avanzi di coaguli sanguigni : (Fig. IIL) II tratti di tessuto muscolare contenente uno o più nuclei di aspetto e forma differenti; (Fig. II). III un abbondantissimo connettivo, meno ricco in cordoni fi- brosi che in nuclei, che ve ne sono molti e di forme svariate. Ora sì presentano rotondi, ora ovali, ora fusiformi; cireondano le fibre muscolari da ogni parte, s’interpongono in mezzo quel connettivo neoformato, in mezzo al quale vi sono ancora fibre vacuolizzate: (Fig. IM. In mezzo questo fitto tessuto di connettivo, che a ragione può considerarsi come un tessuto di cicatrice, si vedono i monconi delle vecchie fibre con quei gruppi di nuclei che sopra ho descritti. In uno stadio ancora più inoltrato i nuclei si dispongono in serie longitudinali, gli uni dopo gli altri, contenuti dal sarcolemma e circondati da una sostanza indifferenziata. (Fig. IID. Questo tessuto di granulazione 1’ ho osservato nelle cavie, e non ho potuto mai notare in mezzo questo tessuto neoformato fi- bre che si biforcano o si ramificano, come furono descritte dal Nauwerch. Rigenerazione delle fibre muscolari striate 11 Come dissi sopra il sarcolemma appare chiaro nei tritoni do- po ventiquattro ore, e dopo quarantotto esso mostrasi chiarissimo. Si presenta con i caratteri del sarcolemma normale, ricongiunge i monconi e presenta qualche nucleo che incomincia ad assumere la posizione di riposo. Quella poca sostanza indifferenziata che relativamente in poca quantità si notava dopo la causticazione, ora è divenuta più ab- bondante, finamente granulosa, ma non presenta nessuno degli at- tributi della sostanza contrattile adulta. Dopo tre giorni la sostanza granulosa è di più aumentata , contiene nuclei ed unisce interamente la sostanza contrattile dei due monconi della vecchia fibra. I preparati dopo il quinto giorno presentano i fatti più impor- tanti per la rigenerazione del tessuto muscolare. La sostanza granulosa, contenuta dal sarcolemma neoformato, incomincia a far vedere la striatura longitudinale; e queste strie si continuano perfettamente con quelle della vecchia fibra. In qualche punto appare la striatura trasversale, e qua e là si notano zone di tessuto finamente granuloso , nelle quali non si osserva ancora striatura. La sostanza che non ha striature, si presenta granulosa con granuli molto rifrangenti e poco colorati col carminio boracico. Si vede qualche nucleo con pochi granuli e con reticolo poco appariscente. (Fig. IV) Questa sostanza neoformata è nettamente divisa da quella dei monconi, ed in nessun caso appare come prolungamento della so- stanza contrattile delle vecchie fibre; chè anzi in qualche caso tra l’una e l’altra esiste una zona di tessuto che divide distintamente le due sostanze. I monconi delle vecchie fibre sono intensamente colorati ed hanno la striatura longitudinale. BEE 2 SS 12 Rigenerazione delle fibre muscolari striate Il perimisio è poco abbondante, nè vedonsi molti nuclei ; in diversi punti si notano dei capillari, ma non sono numerosi ; mai si osserva tessuto connettivo neoformato. (Fig. IV). Gli altri stadi mostrano le fibre complete e dopo sette giorni non resta traccia della causticazione e la sostanza neoformata si continua con quella dei monconi. Conclusioni. I fatti che ho esposti mi hanno condotto alle seguenti con- clusioni : 1. Che al processo distruttivo delle fibre muscolari, violen- temente procurato mercè traumi e causticazioni, segue un processo rigenerativo, che non debba mettersi a conto nè degli elementi con- nettivali del luogo e nè degli elementi che si sono potuti accumu- lare mercè migrazione; 2. Il sarcolemma non risulta nei fatti di rigenerazione come un attributo di formazione secondaria. In cambio è dal sarcolemma e dai suoi corpuscoli o così detti nuclei che si origina la parte di fibra rigenerata ; 3. La nuova sostanza contrattile non proviene da quella preesistente, ma invece si produce da un materiale indifferenziato che si svolge dentro al sarcolemma. Ed ora sento il dovere, esternare la mia gratitudine al mio illustre Maestro Prof. Paladino, che indirizzatomi nello studio dif- ficile dell’ istologia, m’ è stato largo di ajuti e consigli nello svol- gimento del mio tema. Fio. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE 1.-Fibre di tritone, lese dal ferro rovente, ed osservate quattro ore dopo la lesione. Fibre in preda ad un processo distruttivo, che si verifica anche in punti lontani da quelli trau- matizzati. corpuscolo muscolare del sarcolemma. sarcolemma integro. corpuscoli muscolari con protoplasma allungato «i poli. I[.—Fibre di tritone, lese dal ferro rovente, ed osservate ventiquattro ore dopo la lesione. Monconi di fibre che si riuniscono per mezzo di prolungamenti del sarcolemma. Sarcolemma che unisce due monconi, - Nuclei del sarcolemma. . Sostanza indifferenziata contenuta dal sarcolemma. IiIL—Fibre di cavia, lese dalle forbici coll’esciderne um tratto. ed osservate 4 giorni dopo il traumatismo. Fibre vacuolizzate Serie di nuclei disposti longitudinalmente, circondati da poca sostanza indifferenziata e con- tenuti dal sarcolemma. ‘l'essuto connettivo in rigoglio. IV.—Fibre di tritone, lese dal ferro rovente, ed osservate 5 giorni dopo la lesione. Fibre neoformate. Sostanza contrattile della vecchia fibra muscolare. Sostanza contrattile neoformata in cui vedesi la striatura longitudinale. B' zona di sostan- za indifferenziata. SP 0954 9N9 20 SSIS ‘90 tel 4 x (e) sl. vw SL nai (>) Sr i o Ò ni N Di Bi io) BISUON £ «50 Memoria XV. Sul Tomistoma (Gavialosuchus) Lyceensis del calcare miocenico di Lecce Memoria del dott. PASQUALE ALDINIO Nel Gabinetto di Geologia dell’ Università di Napoli esistono alcuni avanzi di rettili del calcare miocenico di Lecce in Terra d’Otranto. Non essendo ancora completamente studiati, il profes- sore Bassani, al quale son lieto di esprimere pubblicamente i sen- timenti della mia viva gratitudine, volle affidarne a me la revisio- ne, guidandomi nelle ricerche e sovvenendomi di affettuosi con- sigli. Il calcare tenero di Lecce, o pietra leccese, ricco di fossili, ha richiamato da molto tempo l’ attenzione degli studiosi: primo fra tutti O. G. Costa, poi Guiscardi, P. Gervais, Lawley, Capellini, De Giorgi, Bassani, Vigliarolo e, più recentemente, De Stefani e De Lorenzo. Come è noto, la pietra leccese offre grandissima analogia con quella di Malta, col Leithakalk del Bacino di Vienna, col calcare di Siracusa, con la pietra forte e con la pietra cantone di Cagliari. Dalla maggior parte degli autori è stata riferita all’ Elveziano; recentemente De Stefani, nel suo importante lavoro “ Les terrains tertiaires supérieurs du bassin de la Méditerranée » , ha assegnato la pietra leccese alla zona langhiana del miocene medio, e più tardi De Lorenzo ha supposto che in questo terreno potessero essere lappresentate tutte tre le zone, langhiana , tortoniana ed elveziana, del miocene medio. Quasi tutti i fossili di questo importante giacimento si trova- uo nel Museo provinciale di Lecce e nel Gabinetto di Geologia Arm Aco., Vor. IX, Seria 48 — Memoria XV. 1 2 Sul Tomistoma (Gavialosuchus) Lyceensis della nostra Università, dove, come ho detto, sono conservati an- che gli avanzi del coccodrilliano, che formano oggetto della pre- sente nota. Tomistoma (GaviaLosucHus) Lycrensis O. G. Costa sp. 1864 Streptospondylus Lyciensis O. G. Costa—Paleontologia del Regno di Na- poli, in Atti Acc. Pont., vol. VIII, pag. 27-49, tav. IV, V e VI. 1864 Steneosaurus Lyciensis O. G. Costa—Paleontologia delle provincie napo- litane, in Atti Acc. Pont., vol. VIII, Appendice I, pag. 68. Questo coccodrilliano è rappresentato da porzione del cranio, da parecchi denti isolati, da frammenti di altre ossa e da varie placche dermali. Cranio Il moncone del cranio è lungo 28 em. Sul davanti è frattu- rato irregolarmente, in modo che quelle parti dei mascellari supe- riori che formano la volta palatina anteriore si spingono innanzi , mentre sono spezzati più indietro le parti corrispondenti dei ma- scellari medesimi e dei nasali che costituiscono il tratto superiore del cranio (Tav. I fig. 1). La parte posteriore invece è limitata da un taglio netto, lieve- mente obliquo alla linea mediana, per modo che si ha una sezione trasversale del cranio. Questa si avvicina, per forma, ad un arco di cerchio, leggermente depresso alla sommità. Se ne possono rile- vare le seguenti dimensioni : Wil... 0h, dd è .. .-. .. .14 Sie 6 La cavità craniana è totalmente ripiena di roccia; quindi niente sì può dire intorno alla forma e disposizione delle ossa che la com- pongono internamente. Il lato sinistro è tagliato quasi parallelamente del calcare miocenico di Lecce 3 alla sutura mediana; il destro, slabbrato e spezzato nella parte cen- trale, non arriva al livello della volta palatina. In questo lato si contano sei alveoli, entro i quali stanno le radici dei denti rotti; nell’ altro lato, pel taglio che vi esiste, si notano le sezioni delle radici di tre denti, gli alveoli di altri due, ed all’estremità anterio- re si trova în situ, integro, un bellissimo dente (Tav. I fig. 2). La superficie superiore di detto cranio, non molto convessa, è cosparsa di scabrosità e rilievi, più frequenti e fitti sulle ossa nasali e sulla parte prossimale dei mascellari (Tav. 1 fig. 1). Le ossa nasali, lunghe il destro 23 cm. ed il sinistro 22, e larghe nella parte posteriore 24 mm., mostrano i margini esterni lieve- mente ma costantemente convergenti per una lunghezza di cm. 20,5, dove presentano una minor larghezza, e donde essi margini esterni cominciano molto leggermente a divergere. Tale divergenza appare più notevole quando si osservi 1’ estremità sporgente del nasale destro, più lungo dell’ altro (Tav. I fig. 1). Le suture di queste ossa tra di loro e coi mascellari presen- tano pochissima intimità. Per una frattura accaduta nell’ isolare il fossile e per la non molto esatta ricostruzione del pezzo, le ossa nasali, a 13 cm. dalla parte posteriore, mostrano un sensibile spostamento verso destra. Il mascellare superiore destro, nella parte posteriore, è largo 10,7 cm., mentre il sinistro, essendo tagliato nel lato esterno, pre- senta una larghezza di appena 31 mm. Entrambe queste ossa sono irregolarmente fratturate all’estremo anteriore: il sinistro, rotto qua- sì a metà della sua larghezza, lascia scoperte, nella parte antero- superiore, le radici di due denti e la parete dell’ osso nasale ; il destro si spinge più innanzi e non fa vedere che l’ estremo spor- gente del nasale destro e porzione della radice di due denti. Le coane, che si scorgono nella parte superiore dei mascellari formanti la volta del palato, sono completamente ostruite da sostanza locciosa. La volta palatina, piatta e larga nella parte posteriore, si inar- ca leggermente nel tratto anteriore, dove la sutura mediana dei ma- 4 Sul Tomistoma (Gavialosuchus) Lyceensis scellari giace in un livello più alto (cioè più vicino alla volta su- periore del cranio) che gli orli degli alveoli. Le porzioni che restano dei palatini hanno forma di triangoli con angoli al vertice molto acuti (30°. Se ne hanno le seguenti dimensioni: larghezza alla base : ; i 23 mm. altezza . F ì è 3 - 87 Il vertice, rispetto alla sutura tra i mascellari, presenta uu leggiero spostamento verso sinistra (Tav. I. fig. 2); e la sutura dei palatini coi mascellari è molto frastagliata. I mascellari, lungo tutta la tangente interna degli alveoli, pre- sentano un sollevamento a mo’ di cordone. La sutura interma- scellare, larga e diritta, offre pochissima intimità. I margini esterni dei mascellari, simmetrici a questa sutura, partendo dalla parte po- steriore più larga, si avvicinano l'uno all’ altro con dolce curva, fino a diventare nel tratto anteriore quasi paralleli (Tav. L fig. 2). Lo spessore della sostanza ossea è di circa un centimetro ed in alcuni punti anche maggiore. Denti L’estremo dente del mascellare superiore sinistro, come ho det- to, si è conservato intero; misurato per la curva esterna, è lungo circa 15 cm., con un diametro antero-posteriore, alla base, di 28 mm. e con un diametro trasversale di 25.. Della lunghezza totale, 75 mm. spettano alla radice ed il resto sporge fuori dall’ alveolo. La radice è robusta, notevolmente arcuata, con la base arrotondata (Tav. I fig. 1). Dall’ alveolo il dente emerge quasi in forma di cono curvo all’ indietro e, più leggermente, verso l'interno; ed ha l’apice smussato. Da questo partono due lievi creste laterali, non Op- poste diametralmente, ma alcun poco ravvicinate verso la parte interna, che svaniscono a 51 mm. circa dalla punta. Per questa lunghezza il dente è coperto da uno smalto di color giallo-rossic- del calcare miocenico di Lecce 5 cio, il restante tende al bianco; lo smalto è percorso da nume- rosissime strioline longitudinali, alquanto ondulate, più fitte e | grosse verso la punta del dente e sempre più rade e sottili verso la parte superiore. Nel lato interno si nota un solco longitudinale, largo e poco profondo, più sensibile verso la base del dente. La sezione ne è ellittica; l’asse maggiore trovasi nella direzione delle creste ed è non parallelo ma obliquo alla linea degli alveoli (Tav. II. fig. 1). La coppia di denti successiva a quello ora descritto doveva essere di dimensioni uguali, se non pure maggiori, come si può desumere dal piccolo tratto d’ uno di essi, il destro, che ancor rimane fuori dell’alveolo. La distanza interalveolare, alquanto minore del diametro ba- sale d’un dente, si può ritenere uguale ai due terzi di esso. Nella medesima roccia furono rinvenuti altri sette denti isolati; alcuni di questi appartengono senza dubbio all’ individuo descritto, gli altri con molta probabilità. Uno di essi, ancora cementato dalla sostanza rocciosa ad una placca dermale, misura cm. 11,2 di lunghezza; ha la precisa forma di quello ora descritto, con le due creste e le numerose strioline similmente disposte. Due altri denti, forse quelli della parte estre- ma delle mascelle, sono più arcuati, hanno creste più rilevate, qua- si taglienti, e sezione più ellittica. Altre ossa Dal blocco di roccia da cui fu estratto il cranio descritto ’ sporgono frammenti di altre ossa, che per la loro grande friabilità non si son potute isolare. Uno di essi, più grosso e tondeggiante ad una estremità, potrebbe essere l’avanzo d’un femore; un altro, più lungo e sottile, una costola. Si veggono anche impronte di altre ossa; ma il tutto in tale cattivo stato da non potersene fare alcu- na descrizione. 6 Sul Tomistoma (Gavialosuchus) Lyceensiîs Placche dermali Delle numerose placche che corazzavano questo rettile , non rimangono che sette. Tutte presentano la faccia inferiore od in- terna liscia, mentre la esterna è tutta sparsa di numerose fossette pisiformi od ovoidali, con fondo e margini lisci ; esse sono più fitte e grandi nella parte centrale , più rade e piccole nella zona periferica. Una di esse è di forma rettangolare, con tre margini lisci ed uno dentellato (Tav. lI fig. 2). È larga 88 mm. e lunga 90. Un’ altra placca, più piccola, mostra anch’ essa le fossette e la medesima struttura della precedente. Misura 85 per 40 mm. Due altre, cementate tra loro per la faccia esterna, sono pure di forma rettangolare, con uno dei lati arcuato e anche dentellato (Tav. II fig. 3). In qualche punto scoperto della superficie esterna si osserva la medesima ornamentazione a fossette. Sono larghe circa 83 mm. e lunghe 783. Finalmente, un’ultima placca grandissima ha la faccia interna liscia, ma a superficie molto ineguale. Da ogni parte i margini sono ampiamente corrosi; ha forma simile alle precedenti e misura 17 cm. per 10. Sulla posizione di queste placche nulla si può precisare; tut- tavia, a giudicare dalla forma e dalle dimensioni, le prime due appartengono probabilmente alla regione nucale, mentre le ultime possono riferirsi alla dorsale. Posizione sistematica del fossile descritto Gli avanzi di questo coccodrillano “ furono estratti in febbraio 1854 dalla cava del luogo detto Jola, posto al Sud della città di Lecce, ed a circa !/3 di miglio discosto dalla medesima; dalla pro- fondità di palmi 30 allo incirca, contando dalla superficie del suo- lo, (1). Il prof. O. G. Costa ne intraprese lo studio nel 1864 ; (1) O. G. Cosra— Paleontologia del Regno di Napoli, in Atti Acc. Pont., vol VIII, pag. 49. del calcare miocenico di Lecce si e, per relazioni che egli trovava tra questo ed i coccodrilli di Hon- fleur e di Caen (1), li attribuì al genere Streptospondylus , facen- done una nuova specie, che distinse col nome di Lyciensis. In seguito , riconoscendo che il genere Streptospondylus poteva essere compreso nel genere Steneosaurus, la chiamò Steneosaurus Lycien- sîs (2). Ma la parentela del nostro coccodrilliano con quei sauriani giu- resi non si può, ora, in alcun modo sostenere. Il prof. Capellini (3), che ebbe tra mani, per confronto, il moncone del cranio, escluse giustamente il genere Streptospondylus o Steneosaurus, ritenendo doversi piuttosto riferire al genere Cro- codilus, avendo esso moncone affinità col Crocodilus delle colline di Sewalik di Falconer e Cautley, il quale, a sua volta, ha grandis- sima analogia col vivente Crocodilus biporcatus (4). Certo a un esame fugace, come potè farlo il prof. Capellini, il frammento del cranio di Lecce presenta una sagoma molto si- mile a quella d’ un cranio intero di coccodrillo , e inoltre il bel dente (Tav. IL fig. 1) conservato in situ rassomiglia moltissimo a quello di Crocodilus biporcatus illustrato da Owen (5). Ma un più accurato esame istituito su due cranî di Cr. bipor- catus esistenti nel museo di anatomia comparata della nostra Uni- versità, sul citato coccodrillo di Sewalik, sul classico lavoro di Toula e Kail (6) intorno al Gavialosuchus ‘eggenburgensis e sulla me- moria dello stesso prof. Capellini relativa al Tomistoma calaritanus (1) Cuvier — Ossem. foss., vol. V. (2) O. G. Costa — Paleontologia delle provincie napolitane, in Att. Acc. Pont., vol VIII, App I, pag. 68. (8) G. CapELLINI — Sul coccodrilliano garialoide di Cagliari, in Mem. CI. sc. fis. e mat. della Acc. dei Lincei, ser. 48, vol. VI, 1890. (4) FaLconer's Palaeontological memoirs — Fauna antiqua sivalensis — On the fossil Crocodiles of the Sewalik Hills by captain P. T. Cautley. London 1868, pag. 344. (5) Owen R.—Odontography or treatise of comparative anatomy of the teeth, pag. 291, pl. 75 fig. 1. (6) Toura F. u. Kam J. A.— Ueber einen Krokodilschidel aus den Tertiirablagerungen: von Eggenburg in Niederòsterreich. Denkschriften d. k. Akademie d. Wissenschaften — Band! L, pag. 299, Wien 1885. 8 Sul Tomistoma (Gavialosuchus) Lyceensis mi ha indotto ad escludere, per gli avanzi di Lecce, il genere Cro- codilus, e ad attribuirli invece al genere Tomistoma o Gavialosuchus. Infatti, confrontando un cranio di Crocodilus biporcatus col fossile di Lecce, si rilevano molte evidenti differenze; come, para- gonando questo col Gavialosuchus di Eggenburg e col Tomistoma di Cagliari, si notano le molte affinità che qui sotto esporrò. Invero le ossa nasali sono nel Crocodilus assolutamente più larghe che non nel fossile di Lecce, e i loro margini esterni cor- rono tortuosamente simmetrici alla sutura mediana, mantenendo quasi sempre una costante larghezza e nell’ ultimo tratto conver- gono rapidamente, conficcandosi nei premascellari. Invece i nasali del coccodrilliano di Lecce, per forma, anda- mento e dimensioni, rispondono perfettamente a quelli del Gavia- losuchus eggenburgensis, col quale anzi hanno di comune la partico- larità di divergere lievemente a un certo punto della loro lunghezza. Le ossa mascellari, nel Crocodilus, sono molto più larghe e spia- nate e presentano un contorno sinuoso, sia osservate dall’ alto che di profilo; mentre quelle del fossile in esame (completando il ma- scellare destro della slabbratura notata ed il sinistro della parte mancante) si vedono, osservate dall’ alto, formare coi margini ester- ni due curve simmetriche declinanti dall’ indietro in avanti fino a diventare quasi parallele e rettilinee, come anche, osservate di profilo, si vedono giacere su di un sol piano. Questa disposizione dei mascellari dell’ esemplare di Lecce è perfettamente uguale a quella dei fossili di Eggenburg e di Cagliari. Le ossa palatine dei Crocodilus non terminano ad angolo acuto con lati rettilinei, ma sono alquanto allargate, e solo verso l’estre- mità di esse i margini esterni, convergendo rapidamente , si con- ficcano nei mascellari. Anche per le dimensioni e la forma della volta palatina il fos- sile di Lecce ha completa analogia con quelli di Eggenburg e di Cagliari, mentre non ne offre alcuna coi Orocodilus, i quali hanno la volta del palato molto più larga ed a contorno sinuoso , come sinuosa è la linea dei margini esterni degli alveoli. del calcare miocenico di Lecce 9 La sutura mediana giacente in un livello più alto della linea degli alveoli (essendo inarcata la volta palatina) è caratteristica del gen. Tomistoma, e questo carattere, sebbene meno accentuato , si riscontra anche nel vivente Tomistoma Schlegeli (1), intermedio tra i Tomistomata fossili ed il Gavialis gangeticus, che ha la sutura mediana ad un livello inferiore a quello degli alveoli (più lontana dalla volta superiore del cranio): ciò che rende ellittica la sezione del rostro. Tali considerazioni, unite ad altre che dirò qui appresso, mi persuadono ad escludere il genere Crocodilus ed a riferire il cam: pione di Lecce al genere Tomistoma o Gavialosuchus. Difatti, isolando sulla Tav. II del lavoro di Toula è Kail una porzione di cranio compresa tra il 6° ed il 12° dente (a cui cor- risponde il moncone di Lecce), se ne vede la completa rassomi- glianza, tale da togliere ogni dubio sulla determinazione generica. Nei denti si riscontra soltanto una lieve differenza, perchè essi non corrispondono per dimensioni a quelli dell’esemplare di Eggenburg, che li ha alquanto più piccoli; tuttavia la forma ne è presso che identica: curvi in dietro ed in dentro, bicrestati, sottilmente stria- ti ed ellittici. Aggiungerò anche che due denti raccolti dal prof. Lovisato uno nelle argille di Fangario (Bingia Fargeri), l’ altro nella pietra cantone di Piazza d’ Armi, presso Cagliari (dei quali il prof. Bas- sani mi ha gentilmente mostrato disegno e descrizione), sono in tutto simili a quelli del fossile di Lecce; ed in quelle località ap- punto, tanto a giudizio del prof. Lovisato (2) che del prof. Capel- lini, furono rinvenuti avanzi di Tomistoma. Da quello che si è detto finora risulta che 1’ esemplare in esa- me deve ascriversi al genere Tomistoma Miller, il quale, come è (1) Munn and Schlegel—Over der Kyokodileh van der Indischen Archipel. — Verhandlin- gen over der naturlile Gesh. der Nedéri. Overzee— Bezittingen 1839—44. (2) Lovisaro D.— Nuovi resti di cotcodtilliano fossile nel mibcene di Nurri , in Rend. Acc. dei Lincei, 1892. Arm Acc., Vor. IX, Seri 42 — Memoria X Va 2 10 Sul Tomistoma (Gavialosuchus) Lyceensis stato accennato ora anche da Zittel (1), comprende il genere Rhynchosuchus Huxley ed il Gavialosuchus Toula e Kail. Quanto alla specie, poi, la forma e la dimensione dei denti, il cordone osseo scorrente lungo le ossa mascellari nella volta del palato , la forma e l’ andamento delle ossa nasali sono elementi che mi inducono a ritenere il coccodrilliano di Lecce diverso da quello di Cagliari. Nè può associarsi all’ altro di Eggenburg, perchè nel nostro il diametro d’ un dente (28 mm.) è presso che uguale alla larghezza del mascellare nel punto dov’ è impiantato, e la di- stanza interalveolare è 2/3 del diametro del dente; mentre nel se- condo le mascelle sono molto più larghe relativamente alla gran- dezza dei denti, e la distanza tra questi è maggiore. Nessun coufronto ho potuto stabilire col Tomistoma champsoi- des (2) del miocene di Malta, perchè esso è rappresentato dalla porzione del rostro che manca nel nostro campione. Concludendo, è da ritenere che il rettile di Lecce appartenga al genere Tomistoma (Gavialosuchus) Miiller e rappresenti una nuo- va forma di esso: Tomistoma Lyceensis O. G. Costa sp. APPENDICE Proveniente dallo stesso calcare miocenico di Lecce trovansi in questo gabinetto di geologia i resti d’una Che/one, anch'essa studiata dal prof. O. G. Costa nel 1864 (3) e denominata Chelonia varicosa. Essa è rappresentata dalla parte posteriore del clipeo, a co- minciare dalla 58 piastra neurale, ed è ancora impiantata. per la parte esterna in un pezzo di calcare. I contorni delle piastre costali e le estremità delle costole sono ampiamente erose ; delle piastre marginali non rimane che qualche vestigio. Le piastre costali sono quasi di forma rettango- (1) ZirteL K.—Grundziige der Palacontologie, pag. 695. Miinchen und Leipzig 1895. (2) Lypekker R.—On the occurrence of the Crocodilian genus Tomistoma in the miocene of the Maltese islands. Quarterly Journal of the Geological Society, vol. XLII, pag. 20. London 1886. (3) O. G. Costa — Paleontologia del regno di Napoli, in Atti Ace. Pont., vol. VIII, pag. 8, tav. I. del calcare miocenico di Lecce Li lare, sempre più espanse alla estremità quanto più si avvicinano alla pigale. Le piastre neurali hanno forma d’ un esagono più o meno allungato nel senso della colonna vertebrale, ristretto poste- riormente ed alquanto slargato nella parte anteriore. La pigale è di forma triangolare, col vertice anteriore smussato. Alcune piastre distaccate dalla roccia hanno lasciato su que- sta le impronte dei solchi e delle suture, impresse sulla sostanza | ossea dalle placche cornee, distrutte poi dalla fossilizzazione. Nel È posto lasciato scoperto sulla roccia dalla 5% neurale e dalla 5? co- stale destra, sì scorge un rilievo rettilineo (corrispondente a un solco della parte ossea), che dà in parte il contorno della 4® placca neurale; l’altra parte di detto contorno si può ricostruire coi ri- lievi che sorgono nel posto lasciato scoperto dalla 6% piastra co- stale destra. Ricostruendo idealmente la 4% neurale cornea, si può argo- mentare che essa avea forma esagonale, alquanto allungata. L’ ornamentazione delle varie piastre ha un unico motivo : solchi sensibilmente paralleli dirigentisi all’esterno, più fitti al centro, dove sono intramezzati da altri solchi perpendicolari ai primi, in modo da formare un reticolo a maglie irregolari, più compatte e sensibili nella parte mediana e diradantisi verso la periferia. Molto difficile è il poter determinare cheloniani che mostrano soltanto la parte interna del clipeo. Trattandosi poi d’ un esem- plare così male conservato, non intero, senza alcun sussidio di altre ossa o della completa disposizione e forma delle placche cornee, mi è stato impossibile potere istituire efficaci confronti con altri cheloni e determinarne con esattezza la specie. Dalla forma e dalla disposizione delle piastre e delle costole e dalla ricostruzione della 4# placca neurale, si può soltanto asse- rire che il fossile in esame appartiene al genere Chelone. Gabinetto geologico dell'Università di Napoli, Gennaio 1896. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. l 2 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tav. I. . — Tomistoma (Gavialosuchus) Lyceensis O. &. Costa, sp.; avanzo del cranio, visto dalla parte superiore (2/3 della gr. nat.) . . — Il medesimo, visto dalla parte inferiore, volta palatina (2/3 d. ST. Nato): Tav. II. . — Dente intero con porzione del mascellare super. sinist. (gr. nat.). . — Placca dermale, superficie esterna (id.). . — Placca dermale, superficie interna (id.) . di e FP ALDI di i NIO, 7omistoma ( Gavialoruchus ) Lyceenvio Tav. I. Fig. 1 (58) FOT. T. SCARPATI. NAPOLI DELITTI LICIZIZIORIZI FTROLZINIBENIIA) SZIALILERII L yceendt 5) Memoria XVI. Contribuzione allo studio dei terremoti in Sicilia del Prof, CARMELO SCIUTO PATTI È ben conosciuto come la Sicilia fosse una fra le regioni del globo le più gagliardamente scosse e vessate da continui e violenti tremuoti; com’ è funestata ancora più, sin dall’ epoca terziaria, da continue accensioni vulcaniche. Gli antichi ad esprimere il complesso di sì terribili fenomeni geodinamici, sismici o vulcanici, che sì orribilmente travagliano la Sicilia, non seppero immaginar di meglio che la sepoltura sotto di essa di un immane e formidabile gigante: Encelado o Tifeo, figlio del Tartaro e della Terra; che gli antichi favoleggiatori ed i poeti dipinsero con la destra distesa al Peloro, la sinistra a Pachino, e i piedi al Lilibeo, ed il capo sotto dell’ Etna, dal cui infuocato alito esalano continue fiamme (1), onde addimostrare la perenne attività di questo terribile vulcano; come ai movimenti di questo immane e formidabile gigante attribuirono i violenti e continui scuotimenti del suolo (2). Stupenda sintesi simbolica delle teorie antiche e moderne sul vulcanismo ; che come causa prima travaglia il suolo della Sicilia, (1) Fama est, Enceladi semustum fulmine corpus Urgeri mole hac, ingentemque insuper Aetnam 5 . . ’ sa . . . Impositam, ruptis fiammam expirare caminis : Et, festum quoties mutet latus, intremere omnem u mr . . Murmure Trinacriam, et coelum subtexere fumo. Vire. Aeneid. lib. 3. (2) Saepe remoliri luctatur pondere terra Oppidaque, et magnos devolvere corpore montes Inde tremet tellus. Ovi. Metamorph. lib. 5. Et quoties detractat onus cervice rebelli In dextrum, laevumque latus: tune Insula fundo Vellitur, et dubiae nutant cum manibus Urbes CLauDIANO — de raptu Proserpinae. Armi Acc., Vor. IX, SerIiE 4° — Memoria XVI. 1 2; Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia il quale manifestasi or con le accensioni vulcaniche ed or con gli sevotimenti del suolo. Fenomeni tutti derivanti da unico principio sì, ma ben distinti e marcati fra di loro. Unica la causa che li produce, il gigante, simboleggiante il vulcanismo ; distinti però i fenomeni, o manifestazioni di esso: le eruzioni ed i tremuoti. Si noti per tanto: che come con le immense dimensioni asse- gnate dagli antichi favoleggiatori a questo formidabile gigante, da comprendere tutta quanta la Sicilia, con gli arti così disposti inte- sero accennare non solo la potenzialità dei fenomeni sismici ma la distinzione della sede loro; come ben altra cosa intesero di ac- cennare ponendone il capo ed il torace sotto dell’ Etna. Or tutte queste cose, nel mentre dimostrano chiaramente come sì svariati fenomeni, in siffatto modo espressi nella favola, fossero stati ben compresi e conosciuti in epoca precedente ad ogni storia, rivelano altresì come gli antichi avessero saputo rendersi ragione non solo della distinzione fra i fenomeni vulcanici, propriamente detti, ed i sismici, ma ne hanno anche quasi precisato il punto di applicazione delle forze endogene. I Geologi quasi tutti, nei tempi andati, hanno indistintamente attribuito al terribile vulcano che ci sovrasta, i varii terremoti che in ogni tempo hanno scossa la Sicilia: avendoli considerati come tutti provenienti dal suo unico focolare. Oggi però il progresso degli studii geologici, vulcanologici e sismici, è venuto a modificare la succennata credenza. Oltre al venire distinti i fenomeni vulcanici dai sismici, questi, a mio avviso debbono anche venire distinti fra di loro in ordine alla provenienza medesima ; e già siamo al caso di ravvisare in Sicilia varii centri sismici, marcati e distinti fra di loro, e quel che monta più stabiliti in località, che per lungo corso di secoli sembra di essere rimaste invariate, e in prossimità de’ tre capi 0 promontorii dell’ isola. Or non solo la geologia, ma più che questa la storia, ben pon- derata e vagliata dei tremuoti, che per lunghi secoli hanno scossa la Sicilia fornisce indicazioni sicure per riuscire all’ assunto. Le Contribuzione allo studio dei tremuoti în Sicilia 4) osservazioni sismiche, oltre al non essere, per la brevità del tempo da cui datano, ed al non essere stabiliti finora in tutti i luoghi dell’ isola i relativi osservatorii, non sono ancora al caso di forni- re dati sperimentali, che potrebbero cotanto giovare. E però, sul riguardo fa d’ uopo solamente affidarci ai dati storici che diligenti: scrittori, quali il Mangitore, l' Alessi, il Gemmellaro, il Ferrara ed altri forniscono sicuri. È questo l’ argomento che ardisco sommettere al giudizio di questa Accademia. È noto. come sul finire del secolo decimo settimo la Sicilia fosse stata tutta quanta in modo orribile replicatamente scossa da violenti tremuoti, e funestata da spaventevole eccidio, specialmente nella parte sud-est di essa. È noto come il giorno undici del mese di gennaio dell’ infau- sto anno 1693 un violentissimo tremuoto distruggeva completa- mente, in un istante, molte floride città, terre e borgate della Si- cilia, fra le quali segnatamente Catania, con l’ eccidio, in questa sola città, di ben sedici miia abitanti, i due terzi della popolazione d’allora (1); ed in tutta la Sicilia oltre ai novanta mila !!! La parte dell'Isola allora più violentemente scossa, e che ne subì i maggiori disastri, fu appunto quella a sud-est, prossima al Capo Passaro. In vero furono le due provincie di Catania e di Siracusa quelle che ne risentirono i più funesti effetti, e ne ripor- tarono i maggiori danni; e più che la prima la seconda delle due succennate provincie. Fu l’antico Val di Noto che venne maggior- mente funestato cou grande occisione dei suoi abitanti, meno il Val di Demona, ed ancor assai meno il Val di Mazzara; quantunque tutte e tre ne risentissero fortemente le scosse. Da relazioni e notizie autentiche tramandateci da scrittori con- temporanei rilevasi come le città allora completamente distrutte dalle fondamenta furono ventidue, altre quarantadue lo furono in gran parte; e le rimanenti città, terre, e borgate tutte della Sici- (1) In quell’ epoca Catania numerava 24000 abitanti. 4 Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia lia, furono anch’esse fortemente scosse, rimanendone anche molte più o meno danneggiate. In altro mio lavoro d’indole puramente storica (1) ho det- tagliatamente esposto quanto allora di sinistro accadeva in Catania, con tutte le particolarità che riguardano quella spaventevole cata- strofe. E però non mi farò a replicare quanto allora avveravasi di terribile e funesto, e solo accennerò ai fatti i più salienti che in- teressano più da vicino il tema assunto, e che possano servire di guida onde venire, per quanto sia possibile alla determinazione del punto d’ applicazione delle forze sismiche. Il fenomeno però al quale s° accenna non è affatto isolato nè nuovo in questa regione. Violenti tremuoti sono venuti in varie epoche a funestarla , ed immergere nel lutto industriose popola- zioni; i quali tremuoti in tempi da noi molto lontani, ed anche in tempi a noi più vicini, sonosi manifestati, ed hanno egualmente scossa in modo orribile, la medesima regione ; lo che, varrebbe a dimostrare e confermare la quasi perenne attività non solo, ma la permanenza quasi costante di forze endogene nella medesima lo- calità; e di ravvisarvi di conseguenza la esistenza di un vero centro sismico che vi funziona da secoli, anzi dalla più remota antichità. Accennando anzi tutto alla potenzialità di quel tremuoto è da notarsi come oltre della Sicilia tutta, l isola di Malta tremò anche essa terribilmente, e ne patì considerevoli danni (2); e furono an- che le scosse sentite sulla costa africana di Tunisi ed al Capo Bon; come dall’ altra parte tremò la estrema Calabria; e le Isole Eolie furono anch’ esse fortemente scosse (3). Lo chè, con la estensione del fenomeno in sì lontane parti, mostra la potente intensità di esso. Fenomeni spaventevoli presentò anch’ esso contemporaneamen- te il mare lungo tutta la costa meridionale della Sicilia: un violen- (1) Il tremuoto del 1693—ovvero Za Distruzione e la Riedificazione della Città di Cata- nia- Ricordo Storico con Documenti—lavoro inedito. (2) Moxnerrore—Storia dei terremoti in Sicilia, p. 406. (3) Moxerrore—Op. cit. p. 410. Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia 5 to maremoto. Questo fenomeno fortissimo nel porto e nello stretto di Messina, si mostrò più violento però nel golfo di Catania, come in tutto il seno Megarico e nel porto di Agosta, com’altresì nel porto di Siracusa ed in altri lidi intorno all’isola. (1) Accennando brevemente alla storia di questo violentissimo i tremuoto è da sapersi come verso le ore quattro e tre quarti di notte ( ore 21, 07 tem. med. d’ Europa ) un fortissimo tremuoto Scuoteva tutta quanta la Sicilia, più fortemente però la parte | orientale di essa. Catania ne risentì più che altra i funesti effetti, | e con essa molte altre città e terre del Val di Noto furono colpite | di desolazione e di lutto. In Catania fra morti e feriti numeraronsi i trenta persone (2). Altro terremoto, anch’ esso di molta violenza, avveravasi la domenica, verso le ore 16 (ore 9, 23 tem. m. d’ E.); : il quale non fece che aggravare i danni dei già lesionati edificii. | In Catania 1’ altissima torre campanaria, fu vista, con questa secon- Î da scossa, inclinarsi alquanto a mezzogiorno (3). Finalmente lo Stesso giorno undici, domenica, alle ore venti e tre quarti (ore 14, | 09 t. m. d’ Europa) una violentissima scossa distruggeva dalle fon- damenta Catania e con essa molte altre città e terre della parte sud- est dell’Isola, apportando ovunque lutto e desolazione orribili, con l’ eccidio, come ho detto di novantatre mila abitanti, rimasti sotto le rovine (4). Il R. P. Francesco Privitera da Catania M. O. uno dei fortu- hati superstiti, miracolosamente scampato a quello spaventevole eccidio, nella sua Dolorosa Tragedia dà un dettagliato elenco di tutte le città, terre e casali della Sicilia, più o meno distrutte dal (1) Moxerrore—Op. cit. p. 407-408—Boccone— Museo di Fisica—oss. 1. p. 4. (2) I morti furono solamente tre; rovinarono però varie case, e molti palazzi furono dan- neggiati—Privitera- Dolorosa Tragedia. | (3) Questa torre era alta p. sic. 850=m. 90. (4) Gli storici sono discordi nel riferire il numero totale delle vittime, chi lo attenua chi lo spinge oltre. Io ho ritenuta la indicata cifra di 93000 che credo la più esatta, quale risulta da ln documento officiale: La Relazione dei Vescovi di Catania e di Siracusa fatta alla S. Sede. Archivio Arcivescovile di Catania. Vol, I. Le Glorie di Mons. Riggio cart. Il MovnerrorE ed il Caruso segnano il numero delle vittime intorno a 60000. 6 Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia tremuoto, con la indicazione del numero delle vittime per ogni sin- gola località (1). Il dotto Can. Antonino Mongitore, dal canto suo, nelle An- notazioni al Rocco Pirro ; Sicilia Sacra (2) dà un più distinto no- tamento delle città e terre distrutte pertinenti all’ antica diocesi di Siracusa, con la distinta non solo del numero delle vittime, ma con la indicazione della totale o parziale loro distruzione. Sulle relazioni tramandateci da questi due autorevoli scrittori è stato da me compilato il seguente elenco : Notamento fornito dal Mongitore per la Diocesi di Siracusa. abitanti (3) morti Siracusa distrutta in gran parte 15399 4000 Noto totalmente distrutta 12043 3000 Caltagirone distrutta in quarta parte 12339 800 Lentini totalmente distrutta 10063 3000 Mineo totalmente distrutta 6723 1335 Vizzini distrutta in gran parte 10678 2000 Agosta totalmente distrutta 6173 2300 Carlentini totalmente distrutta ZII 100 Palazzolo totalmente distrutta 15:12 700 Scordia distrutta in gran parte 907 30 Buccheri totalmente distrutta 3295 452 Niscemi distrutta in parte 1485 (4) Palagonia totalmente distrutta 1863 40 Cassaro totalmente distrutta 1458 15 Biscari totalmente distrutta 1108 200 Floridia totalmente distrutta 1037 20 Licodia totalmente distrutta 4598 753 Avola totalmente distrutta 6225 300 (1) Privitera- Dolorosa Tragedia—Catania- Stamperia di Paolo Bisagni 1695 p. 97. (2) Rocco Prrro—Sicilia Sacra—Edit. tertia emendata et continuatione aucta cura et stu- dio S. T. D. D. Antonini Mongitore. (3) Il numero degli abitanti in gran parte è dato dal Boccone il quale scrive ( Musco di Fisica-—Oss. 3) di averlo desunto dal rapporto inviato dal Municipio di Siracusa, al Consiglio supremo d'Italia a Madrid.—però il numero delle vittime differisce alquanto da quello dato dal Pirri che qui si riporta. Altre notizie sono state da me raccolte nel Zexicon dell’Ab. Amico. (4) Manca il numero delle vittime. Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia X abitanti morti Militello distrutta in metà 6438 1276 Francofonte totalmente distrutta 2039 345 Giarratana totalmente distrutta 2981 541 Spaccaforno distrutta in terza parte 1977 400 Sortino totalmente distrutta 65316 1500 Ferla totalmente distrutta 3610 800 Modica distrutta in metà 18203 3400 Scicli totalmente atterrata 9383 2000 Ragusa totalmente distrutta 9946 5000 Chiaramonte quasi tutta rovinata 4850 305 Monterosso totalmente atterrata 2340 200 Vittoria distrutta in metà 3950 200 Buscemi totalmente distrutta 2191 900 Comiso distrutta in parte 5305 90 Melilli totalmente distrutta 5480 900 Aquila (1) totalmente distrutta 2910 1407 Dal superiore elenco rilevasi come il totale numero dei morti nell'antica diocesi di Siracusa, secondo il Mongitore fu di 38307; e tutte queste città rientrano nello antico Val di Noto. Nel Val di Demona in cui rientra la diocesi di Catania, se- condo il Privitera, le città e terre distrutte sarebbero state : abitanti morti Catania totalmente distrutta 24000. 16050 (2) S. Agata Battiati totalmente distrutta 1402 20 Plachi totalmente distrutta (15 2 S. Giov. la Punta totalmente distrutta 1082 59 Tremestieri totalmente distrutta 996 30 (1) Anticamente Ocula , volgarmente detta Ockiolà , a questa successe l' odierna Grammi- chele. (2) Nessuna città della Sicilia patì allora maggiore disastro di Catania. In vero, se si con- Sidera il numero delle vittime rispetto a quello degli abitanti si osserva la eccezionalità del rap- Porto; i due terzi della popolazione, che in nessuna altra! Su tale proposito è da notarsi quanto Scrive Boccone — Museo di Fisica Oss. 1. p. 12-— “ Nella città di Noto ed in quella di Len- tini la scossa replicata, che fu sentita alle ore 16, la domenica mattina, fu causa che il popolo ed una parte della nobiltà, avvertiti ed intimoriti si portassero subito alla campagna, e non pe- rissero tutti, perchè seguendo poi il terremoto alle ore 21 del medesimo giorno , la maggior Parte della gente si trovava fuori della città , ed in effetto sarebbe seguita una strage univer- Sale di quei popoli, per avere il terremoto alle ore 21 di essa domenica rovinata tutta la città di Lentini, e della città di Noto lasciato in piedi solamente 12 o 15 braccia di muraglia. , © 8 Contribuzione allo studio dei tremuoti în Sicilia abitanti morti Mascalucia totalmente distrutta 1413 55 Massa Nunziata totalmente distrutta 394 DO Viagrande totalmente distrutta 1602 260 Trecastagni totalmente distrutta 3264 500 Pedara totalmente distrutta 1582 475 Nicolosi totalmente distrutta 844 14 Borrello, Stella Aragona, totalmente distrutta 172 2 Aci Equilea quasi totalmente distrutta 12895 199 Aci Catena quasi totalmente distrutta \ 80 Aci S. Lucia quasi totalmente distrutta 02 Aci S. Filippo quasi totalmente distrutta | 6363 30 Aci S. Antonio quasi totalmente distrutta 114 Aci Valverde totalmente distrutta Lo Aci La Consolazione totalmente distrutta |, : 42 Aci Bonaccorsi totalmente distrutta 884 34 Aci Castello totalmente distrutta ODI dz Aci Trezza totalmente distrutta 220 29 Misterbianco totalmente distrutta 1891 4 Fenicia (1) totalmente distrutta 1651 14 Paternò pochissimi danni 4011 20 Adernò pochissimi danni (09) 2 Mascali distrutta in parte 1998 15 Di talchè il numero dei morti nella diocesi di Catania sarebbe stato di 18544. Il Privitera nota ancora la città di Sciacca con 900 morti , rientrante in Val di Mazzara. Il medesimo scrittore poi cenna, come più 0 meno scosse dal tremuoto, senza che però vi fossero state delle vittime: Caltabiano, Castiglione, Linguaglossa, Randazzo, Bronte, Maletto, rientranti così avvenne in molte altre località, che completamente distrutte il numero delle vittime fu in- significante. Or in Catania la succennata scossa delle ore 16 la domenica, fu parimente avvertita. Però il pregiudizio volgare della replica del terremoto dopo le 24 ore, ed essendo state queste trascorse, dalla prima avvertita il venerdì, si credò scongiurato il pericolo: e si corse da tutti al Duomo per celebrare un solenne ringraziamento; quindi nessuno fuggì non solo, ma rien- trarono in Città coloro che si erano rifuggiti in campagna; da ciò la spaventevole catrastofe. (1) Malpasso vecchio. Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia 9 tutte nel perimetro dell'Etna, ed in Val di Demona, come altresì : Regalbuto ed Aidone rientrante in Val di Noto. Caruso nella Storia di Sicilia (1) scrittore anche contempo - raneo scrive: “ Nè solo in quel Valle (di Noto ) e nella parte orientale della nostra Isola, ma sin nella parte opposta di essa , che guarda verso occidente, arrivò l’impeto e la forza dell’orribile scossa, e ne tremarono Trapani, Marsala e Mazzara, che sono le più lontane dal Mongibello; ed in Palermo restarono sì sconguas- sati i piccoli edifici, che calcolo essere il danno a non meno di 700000 scudi (2) , ed accennando ancora a Palermo soggiunge : Il Vicerò istesso, abbandanata la Città, andò per lungo tempo ad abitare sulle galee (3). Or il dettagliato elenco surriportato delle città e terre comple- tamente distrutte, di quelle che lo furono solo in parte, e delle al- tre che solo furono più o meno fortemente scosse, offre il destro di determinare su di una carta le zone più o meno colpite da sì violento tremuoto, e tracciare delle linee isosismiche che compren- dano tali zone; e precisare di conseguenza, con qualche approssi- mazione, il centro d’ impulsione delle forze sismiche. La carta geografica di Sicilia, che accompagna il presente la- voro, disegnata su quella rilevata dallo Stato Maggiore Italiano , porta appunto tracciate varie linee che segnano il limite delle in- dicate zone. Accennando a queste zone la prima sarebbe quella ove speri- mentossi il massimo d’ intensità di sì violenta è terribile commo- zione tellurica, che apportò la totale distruzione di ben 23 città, ter- le e borgate del Val di Noto, quali furono : Agosta, Avila, Aquila (Occhiolà), Biscari, Buccheri, Buscemi, Carlentini, Cassaro, Ferla, Floridia, Francofonte, Giarratana, Lenti- De SERA RI A (1) Grov. BartIsta Caruso—Storia di Sicilia—continuata da Gioachino Di Marzo. Palermo. Stab. Tip. Lao, 1877. (2) Vol. IV, lib. XIX, p. 216. (8) Op. Git. piil7. Art Acc., Vor. IX, SerIE 48 — Memoria XVI. 2 10 Contribuzione allo studio dei tremuoti în Sicilia ni, Licodia, Melilli, Mineo, Monterosso, Noto, Palagonia, Palazzolo, Ragusa, Scicli, Sortino; e 18 altre in Val di Demona quali: Gata- nia con le sue borgate : Battiati, Plache, La Punta, Tremestieri , Mascalucia, Massanunziata, Viagrande, Trecastagni, Pedara, Nicolosi, Misterbianco, e Fenicia (Malpasso) ed i così detti quartieri di Aci o borgate: Aci-Gatena, S. Filippo, S. Lucia, S. Antonio, Valverde, la Consolazione, Bonaccorsi, Aci-Gastello, e Trezza. Or la linea circoscrivente tale zona risulta, come mostra la figura, un arco d’ ellisse aperto a nord-est, i cui rami si limitano entrambi nel littorale orientale della isola: a sud nella marina di Avola, ed al nord al Capo detto de’ Mulini, tra Trezza ed Acireale; e chiudendo i rami di questa curva, quali il loro andamento accenna, ne risulterebbe una figura ellittica il cui asse maggiore sarebbe nella direzione di sud-ovest a nord-est, avente la lunghezza di chi- lometri da 90 a 100 circa, e l’asse minore chilometri da 60 a 70 e però racchiudente un’ area di circa 5000 chilometri quadrati. E questa zona sì estesa sarebbe la isosismica fortissima. La rientranza di questa zona per chilometri 30 circa, lungo l’ asse maggiore della stessa, nel golfo di Gatania, e nel seno di Agosta, spiega chiaramente la violentissima commozione impressa alle acque del mare, da produrre quel terribile maremoto che allora avverossi. Però la parte la più violentemente scossa, sulla terra ferma, in cui, oltre alla totale e completa distruzione degli edifici, manifesta- ronsi le più violente commozioni del suolo risulta compresa fra Agosta, Floridia, Palazzolo, Buccheri, Francofonte e la foce del Simeto; e racchiudendo parimente con una linea le indicate loca- lità, risulta del pari una figura ellittica, disposta come la precen- dente ed egualmente orientata; il cui asse maggiore, rientrante al- quanto in mare, misura la lunghezza di chilometri 60, e l’asse minore chilometri 40 circa. E questa sarebbe la zona mesosismica propriamente detta. E però è al centro di figura di questa zona che potrebbe col- locarsi, il centro sismico cercato. è 3 £ : 3 | 1 i i ! j È o i Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia ll In vero furono le contrade intorno a Melilli, Cassaro , Ferla, Sortino, Lentini e Carlentini, racchiuse dentro la indicata curva, ove manifestaronsi più potentemente gli effetti del sotterraneo impulso ; Dal monte presso Sortino, scrive il Mongitore (1), terra che stà qua- si al centro di questa zona, sé spiccò una grande mole, su cui era una cisterna piena d’ acqua, e si rotolò in giù mezzo miglio; e si fer- mò senza sfrantumarsi... Fra la terra della Ferla e Cassaro due alti monti restarono appianati (2). Nella via che da Catania porta a Len- tini, apertasi la terra, 5° inghiotti un mulattiere colle sue mule ed al- l'istante si chiuse. Nella campagna di Catania —piana—s8’ aprì vora- gine larga otto palmi, lunga 250 passi, con immensa profondità ; oltre a mille altri sconvolgimenti del suolo e delle sorgive in detta zona comprese ; fenomeni tutti proprii dei più violenti terremoti (3). Oltre della indicata zona mesosismica, e dell’ altra che sareb- be la isosismica fortissima, una terza è da considerarsene, dentro la quale i danni avveratisi furono egualmente funesti ma parziali. Questa terza linea isosismica che la determina, siegue, al sud, qua- si il littorale del mare africano, da Pachino a Terranova, passando poi per Niscemi e Mirabella; e da questo punto, lasciando fuori Piazza, Aidone, Paternò , Biancavilla, Adernò e tutto il cono del- l’ Etna con una sensibile rientranza, verrebbe a svolgersi lungo il litorale sino a Fiumefreddo, passando per Mascali. Questa altra curva risulta egualmente in gran parte di forma ellittica, aperta ad oriente fra Pachino e Riposto, la cui distanza misura chilometri 140. E continuando il tracciato di questa curva, seguendo 1’ andamento dei rami, risulterebbe del pari altra ellisse, il cui asse maggiore verrebbe ad estendersi Kil. 50 circa in mare. Questa zona comprenderebbe i territorii di Rosolini, Spacca- (1) Op. cit. pag. 409. (2) Caruso—Op. cit. p. 216--accennando a questo fatto serive: «Poco distante dalla terra del Cassaro, che è nel territorio Siracusano, una valle in mezzo a due colli restò talmente serrata da due grossi macigni, precipitati da un monte vicino, che impedito 1’ adito ad un fiumicello, che Scorreva dentro di essa, formossi un lago poco meno di tre miglia di giro. (8) Borroxr—De Immani trinacriae Terremoto.— Bocconi Museo di Fisica. 1g Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia forno, Modica, Scicli, Comiso, Vittoria, Biscari, Niscemi, Caltagi- rone, Mirabella, Piazza, Aidone, Nicolosi, Trecastagni, Acireale e Mascali, restando fuori: tutta quanta la falda meridionale dell'Etna. Al di là di questa linea, verso l’ interno dell’isola, le scosse si manifestarono ancora più o meno forti sino a grandi distanze ; e sì propagarono decrescendo d’ intensità sino allo estremo occi- dentale di essa. È però notevole il fatto che nel mentre le scosse si manife- starono fortissime sino a Palermo, da produrvi gravi danni (1), Trapani, Marsala, e Mazzara da un verso ed a Messina dall’ altro, le città poste ad ovest ed a nord dell’ Etna, quali: Paternò, Lico- dia, Biancavilla, Adernò, Bronte, Maletto, Randazzo ecc. e tutta la regione dietrostante, sino al littorale del Tirreno, tuttochè località più vicine al centro sismico, non subirono danni di sorta, essendo state ivi solo appena avvertite le scosse: quasi che la enorme massa montagnosa dell’ Etna, che vi si frappone, avesse impedito od almeno attenuata la propagazione delle onde sismiche in tale di- rezione (2), lo che chiaro dimostra:la insenatura della terza curva. Il maremoto sì violento che manifestossi nel golfo di Catania, (1) Per quanto riguarda Palermo, oltre a quanto ne riferisce il Caruso op. cit. il Mongitore scrive: La Città di Palermo Capo e Metropoli della Sicilia non andò immune da scuotimenti e danni: nella prima scossa non soggiacque che al solo terrore: mella seconda risentirono il Palagio Regio, gli Spedali, Grande e di S. Bartolomeo ; e molti palazzi e case mostrarono il colpo del terremoto in ‘molte fessure. Sol però caddero il campanile della Chiesa di S. Nicolò Tolentino, D ornamento della facciata di una Chiesa ad uso dei macellai, e tre casette vicine e lo Spedale nelle carceri della Vicaria, e la Vista del Monastero di S. Maria delle Vergini — op. cit. p. 408. Per quanto riguarda Messina poi scrive: Tutte traballarono le fabbriche restate con perico- lose fenditure; poche precipitarono con la morte di 17. — ivi. (2) Su tale proposito il Boccone — op. cit. p. 10 scrive: «È considerabile come alcune Ter- re e Villaggi, fabbricati sopra lo stesso Monte Etna, non abbiano punto patito in questo terre- moto del 1693; e sono le terre di Adernò, Paternò, Centorbi, li Greci — Biancavilla — ed al- tri villaggi vicini la città di Randazzo, bisogna riferire questa causa preservativa alla natura del sito che il massiccio del Monte Etna, essendo di spazioso diametro, non risentirne l’ impe- to delle scosse fatte nelle cavità distanti a detto Monte Etna.,, Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia 15) e nel seno Megarico, compreso fra Agosta e la penisola Magnisi, risulta d’ altro canto, a mio avviso, spiegato dalla prossimità di questi mari al centro d’impulsione ed alla loro rientranza nella zona mesosismica di sopra cennata; come la fortissima commozione del mare nello stretto e porto di Messina, malgrado la considerevole distanza dalla indicata zona, sembra di non essere ad altro dovu- ta che all’ urto, anzi allo strozzamento delle onde di propagazione che queste subirono nello insenamento dello stretto; in cui 1’ azio- ne meccanica di spandimento e di riflessione rese più formidabile il fenomeno. Altro fatto per tanto interessante a notarsi è quello come nel- la regione in disamina, < Val di Noto, le perturbazioni sismiche si tennero pel periodo di anni quattro, in perenne attività. In vero, non furono solo i violenti tremuoti, di sopra cennati, che allora avveraronsi. Molti altri ne seguirono che non cessarono di funestare in quell’anno medesimo, e nei successivi le popolazioni del Val di Noto. “ Nè dopo l’ orrido ed universale terremoto, scrive il Mongi- tore (1), cessarono gli scuotimenti. Per tutto il mese di gennaio non passò giorno senza sentirsi qualche scossa, in particolare in Catania, Siracusa, Agosta, Lentini e nel Contado di Modica. Nel mese di febbraio, tutta la parte meridionale dell’ isola frequentemen- te patì scuotimenti e si udivano sotterranei muggiti. Nel susse- guente marzo fra il Promontorio Pachino e Catania, tremò con frequenti ma interrotte scosse la terra. A prima aprile sull’ora 14 Catania fu così fieramente conquassata che caddero le poche reliquie delle fabbriche restate in piedi, e precipitò il Castello Ursino (2). In Messina nello stesso giorno caddero alcune fabbriche. In Siracusa pure andarono in rovina edifici, e le case di legno fabbricate fuor (1) Op. cit. p. 409 seg. (2) Veramente il Castello allora non cadde, è tutt’ ora in piedi; subì però danni conside- revoli nelle sue opere avanzate, che erano di minore robustezza. 14 Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia le mura traballarono con tanta violenza che molti vi restarono fe- riti. In Agosta, Lentini ed altre città infierì il terremoto anche sul- le rovine. Nei susseguenti mesi, di tratto in tratto, si udirono le scosse in Catania ed altrove; io mi ritrovo una relazione del Sig. D. Innocenzio Roccaforte Bonadies, Palermitano e canonico della Cattedrale di Catania, persona eruditissima, che notò con esatezza i giorni ed ore quando accaddero in quella città, e tennero in con- tinuo terrore gli abitanti di essa. Il P. D. Silvio Boccone nel suo Museo di Fisica oss. 1. con cui narra alla distesa questo terremoto a fog. 12 attesta essere state le scosse, al più leggiere, in questo e seguente anno 1800. , “ Nè finì, soggiunge il medesimo scrittore, col terminare del- l’anno 1693 il terremoto, in tutto 1’ anno susseguente di tratto in tratto, le minacciò nuove rovine. , Il Privitera (1) nota 12 terremoti nel 1694 : indicando i giorni, il mese e lora in cui avvennero. Il citato can. Roccaforte nella sua relazione manoscritta, oltre quelli successe a Catania, ne ag- giunge altri, come a 9 aprile nella Città di Patti e Capo-Orlando : a 12 dello stesso mese in Siracusa, a 19 maggio in Aci, con la rovina di alcune fabbriche (2). “ Non restò privo di SCOSSE, siegue il Mongitore, l anno 1695; poichè a 8 di maggio si fecero sentire in Catania, e a 23 settem- bre nella stessa città ed in Siracusa più violente ad ore 22. , “ Nel 1696 altra volta si sentì il terremoto a 20 aprile, ad ore 18, e fu pure sentito in quasi tutto il Val di Noto. , Ditalchè in sì lungo periodo di tempo, d’ anni quattro, la ter- ra non cessò mai di traballare, funestando sempre la medesima re- gione. E però ben può dirsi che l’ accensione, o meglio l’ attività sismica di questo focolare, mostrò di non smorzarsi ben presto ; come altresì di non essersi spostato di molto il punto d’ applicazio- ne delle forze sismiche. I tremuoti poi avveratisi nel littorale del (1) Op. cit. p. 94. (2) Mong. op. cit. p. 411. Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia 15 Tirreno, Patti e Capo d’ Orlando nell’ aprile del 1694, e tre giorni dopo in Siracusa e nel maggio susseguente in Aci, mostrano come sì violenta e prolungata commozione tellurica abbia pure potuto produrre il risveglio di altri piccoli centri; o lo spostamento del centro sismico principale come spesso si nota nelle grandi confla- grazioni sismiche. Che questo centro sismico poi non sii stato accidentale od av- ventizio, ma da lunghi secoli stabilito nella medesima regione, vien confermato e dimostrato, come da tempi assai remoti sino ai giorni Nostri, non ha tralasciato, ad intervalli più o meno lunghi, di mo- strarsi attivo ed inalterato ; e costantemente nella medesima loca- lità: funestando sempre la medesima regione. Tralasciando di accennare ad epoche molto lontane , perchè mancanti di dati storici precisi, basta allo assunto di ricordare solo i violenti tremuoti avveratisi posteriormente al mille. Sono rimasti memorabili nel secolo undecimo , quelli successi negli anni 1005, 1063, 1068 e 1072, registrati dal Gemmellaro (1), che riuscirono quasi tutti funesti al Val di Noto, e che potrebbero in un certo modo, i tre ultimi, considerarsi e comprendersi come prodotti da unica commozione tellurica, che esplicossi dal 1063 al 1072, val quanto a dire per un lungo periodo di anni nove. Sono rimasti anche memorabili, nel secolo dodicesimo ; quello del 1140, con cui vuolsi di essersi rovinata la cattedrale di Sira- Cusa; e più che questo il violentissimo tremuoto del 4 febbrajo del 1169, che distruggeva completamente Catania (2) e molte città e terre del Val di Noto; quasi della medesima intensità e violenza di quello sopra descritto del 1693, riuscito egualmente funesto alla medesima regione, e con le identiche condizioni. (1) Vulcanologia dell'Etna p. 167. Tavola delle Eruzioni dell'Etna e dei terremoti di Sicilia. (2) Matteo Silvaggio catanese nel libro Collog. trium Pereg. f. 143, scrive: Anno Domini 1169, 4. Idus febbruarii, Indictione prima, propter Aetnae Terraemotum caecidit Cathaniae tectum majoris Ecclesiae, et interfecit 16 millia tam virorum quam mulierum et Abatem cum XL Monachis. 16 Contribuzione allo studio dei tremuoti în Sicilta Catania fu allora, come nel 1693, totalmente distrutta, con lo eccidio di sedici mila abitanti. Lentini lo fu egualmente dalle fon- damenta, e così quasi tutte le città e terre del Val di Noto, con la totale uccisione di venticinque a trenta mila abitanti. Scrittori contemporanei quali Pietro Blasenze ed Ugone Fal- cando, e poi Fazello, Filoteo, e molti altri storici ci hanno traman- data, con molte particolarità, la narrazione di quel terribile disastro. Ugone Falcando , scrittore contemporoneo , accennando a questo violentissimo tremuoto ed ai fenomeni più rilevanti che allora ma- nifestaronsi, accenna in modo speciale anche al maremoto che ne seguì lungo il littorale orientale della Sicilia, specialmente nel porto di Messina, dove il mare, dopo di essersi diseccato ed allontanato dal lido, tornato violentemente, invase il littorale in modo da su- perare le muraglie, e per le porte s’ introdusse in città (1). Giovanni Filippo da Bergamo, accennando a questo terremoto, e parlando esso pure del maremoto scrive: che il mare dopo re- trocesso, invadendo nuovamente il littorale, trasse a se ed assorbì circa cinque mila persone (2). Il Torcagnotta nella Stor. del Mondo, citato da Mongitore, ac- cenna pure al grande numero delle vittime : che il crescere di un subito per tutte le marine dell’ Isola , il mare a se tolte ne avea; ed il Morigia, riferisce ( sempre secondo il Mongitore ) : che un fiume nella medesima isola, corse con grande velocità addietro ed annegò più di cinque mila persone. Accennando a questo fiume sembra certo di essere stato il Simeto, il quale, per la violenza del maremoto . attese le basse sponde e la prossimità della foce al centro sismico, avrebbero potuto benissimo le onde del mare invadere ed inondare molta estensione della bassa Piana di Catania; e la popolazione (1) “ Messana vero mare cum tranquillissimum esset, in se ipsum primo se contrahens, pau- lisper cessit a littore, deinde pedententem rediens praefissas litoris metas transiliit, murosque ci- vitatis alluens, ipsis et se portis infudit. ,, (2) « Catina etiam Siciliae civitas prorsus eversa fuerit, in qua circiter viginti hominum millia sunt oppressa. In ea quoque Insula contra aquarum naturam pelagos retrocessit et homi- num 5 millia absorbuit , Suppl. Chron. Co | Contribuzione allo studio dei tremuoti în Sicilia ;| sommersa alla quale si accenna sarebbe stata probabilmente quella dell’antico Casale Simeto, Ximet, in tale epoca ancora esistente (1) e forse sin da quell’ ora scomparso. L’ Autore della Cronaca Pisana, secondo l’Ughelli, citato pure dal Mongitore, dopo esposto il disastro di Catania accenna alla ro- vina totale di Lentini: notando come questa città venisse repenti- namente nell'ora medesima conquassata, e rotta in due l' altura ove sedeva. Cenna parimente come fosse perita una parte di Sira- cusa, e fossero state completamente distrutti undici fra città, terre e castelli posti fra le città di Catania e quella di Piazza, con gran- de occisione di persone nelle vie e nelle campagne, ed accenna pure al maremoto che fù anche formidabile in Messina (2). Sembra per tanto che la sfera d’azione di questa terribile com- mozione tellurica fosse stata anche più estesa di quella del 1693: essendosi avverati molti rilevanti fenomeni sopra più vasta esten- sione, da comprendere la zona isosismica fortissima, quasi tutto il Val di Noto, e parte ancora del Val di Demona. Il corpo monta- gnoso dell’ Etna vi fu compreso tutto quanto. Ugone Falcando ri- ferisce che con questo terremoto subissò | orlo del sommo cera- tere dell’ Etna dalla parte che guarda Taormina (3). Questo terremoto si estese pure alle Calabrie, come notano Falcando, Fazello ed altri. Ho voluto riferire per esteso, e con maggiori particolari, i fatti relativi a questa violentissima commozione tellurica, per di- Mostrare come la stessa fosse stata del tutto identica e forse più intensa di quella terribile del 1693, ed entrambe essere state pro- dotte dal medesimo focolare. (1) C. Soruro Parti. Sul sito dell'antica Città di Symaetus Arch. Stor. Sic. anno V, Pa- lermo, Tip. dello Statuto. (2) Leontini inter duos montes repente eversa est, et quaedam pars Syracusae civitatis de praedicto terremotu periit. Et a praedicta Catania usque ad Plazza, undecim inter civitates, castra, et villae cum multis hominibus in via et agris oppressi perierunt, et Portus, de Mes- sana 20 palmis funditus est siccatus, postea vero cum fortuna in locum suum reversus est.— 5. Ediz. di Venezia tom. 10 f. III. Mongitore op. cit. p. 369. (3) Eoque pars Actnei cacuminis, quae Tauromenium respicit, visa est aliquantum subse- disse, op. cit. Atm Acc., Vor. IX, SerIE 48 — Memoria XVI. 3 18 Contribuzione allo studio dei tremuoti în Sicilia Nè da tale epoca in poi questo grande focolare sismico è stato silenzioso sino al 1693. Tralasciando di notare i forti terremoti av- verati nella medesima regione nei secoli susseguenti, XII, XIV e XV, nel secolo decimosesto fu notevole quello del 1542, che si protrasse con varie e violenti repliche dal 5 agosto sino ai primi giorni di gennaio del susseguente anno 1543, accennato dal Mau- rolico (1); e con maggiori particolarità dal Fazzello , il quale spe- cificatamente nota: come a cinque decembre di quell’anno un vio- lentissimo tremuoto avesse scossa la Sicilia intera, particolarmente il Val di Noto (2); e come Noto, Siracusa, Agosta, Catania, Galta- girone, Militello, Mineo, Vizzini, Sortino, Melilli ed altre città fos- sero state le più danneggiate. Non sono poi nè anco da passare sotto silenzio quelli successi in tempi a noi più vicini, nei secoli decimoottavo e decimonono. Nel 1707 il Gemmellaro registra un forte terremoto che scos- se Catania, Agosta, Lentini, Piazza, il giorno 16 ottobre. Nel 1717, a 4 aprile, il Mongitore ricorda altro violento terremoto che scos- se tutto quanto il Val di Noto, inclusa Catania ; ed a 19 settem- bre dello stesso anno, parimente Catania e tutto il Val di Noto (3). Nel 1736, a 18 novembre, altro violento terremoto, scuoteva del pari tutto il Val di Noto, e fu maggiormente violento in Cata- nia, Mineo e Troina (4); e per essere brevi, nel 1736, a 16 ago- sto, altro forte terremoto scuoteva Catania, Noto, Modica ed altri luoghi (5). Finalmente, nel corrente secolo, nel 1818, a 20 febbraio, altro violento terremoto in Catania e nel Val di Noto, con ruine di fab- briche (6); e nel 1848, a 11 gennajo, altro fortissimo terremoto : (1) Zist. Sic. lib. I. f. 227. « In fine novembris et principio decembris, Catanae, Leonti- ni, Lycodiae, Mineai, Leucatee, et Agrigenti, magno terremotu multa aedificia corruerunt. » (2) Eodem salutis anno 1542, in Sicilia quarta idus decembris, hora 23, Terraemotus in- gens totam insulam, sed eam praecipue partem quae Neti regio appellatur, concussit. (3) Op. cit. p. 414. (4) MoxartoRE -— op. cit. p. 420. (5) GemmeLLARO—0p. cit. p. 172. (6) GEMMELLARO—0p. cit. Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia 19 con rovine in Agosta e Val di Noto, forte per tutta la Sicilia (1). E però, da quanto è stato esposto, sembra indiscutibile 1’ esi- stenza, nella indicata regione, il Val di Noto, di un centro sismico, il quale da lontani secoli, come si è visto, è rimasto immutato e sempre attivo. 1 Pria di procedere oltre in questo studio fa duopo notare un fatto che sembra della maggiore importanza, in quanto che ver- rebbe a caratterizzare meglio il centro sismico in disamina. Il fatto cui s'accenna è quello: che, nella ricorrenza di tutti i suddescritti terremoti, nel periodo or breve ed or lungo dell’ agi- tazione sismica, l'Etna si è mostrato sempre silenzioso e tranquillo , anche nelle più terribili commozioni telluriche. Egli è vero che nel fortissimo terremoto del 1169, che tanta Strage apportava e si altamente funestava tutto quanto il Val di Noto, Etna mostrò quasi di prenderne parte. Però è da osservar- si che in quell’epoca l'Etna era da un anno circa in perfetta eru- zione, al che va forse dovuto, anzichè alla violenza del terremoto, lo sprofondamento di parte dell’ orlo del sommo cratere, accennato dal Falcando. Parimente nel lungo periodo sismico che ebbe principio sul- l esordire del 1693 e termina nel 1696, 1 Etna nel 1694 pel corso di due mesi vomitò immensa copia di arene, onde scrive il Gemmellaro: ingombrate furono le ruinate e le sorgenti mura di Ca- tania. Però in tale anno i terremoti, come si è cennato, non ces- Sarono di prodursi con violenza fuori, e non mai dentro il peri- Metro dell’Etna, lo che dimostra come il fenomeno vulcanico, erut- tivo, fosse stato del’ tutto indipendente dal sismico. Re It e dl (1) GrmmELLARO—0p. cit.—-il Dr Marzo nelle annotazioni ed aggiunte al Dizionario Topogra- fico della Sicilia dell’ab. Amico — art. Agosta—scrive: « È stata la terra la più sciagurata di Sicilia ; sembra che tutti gli elementi abbiano congiurato alla sua distruzione : invasione, incen- di, tremuoti, ed io fo mensione, particolarmente di quel del 1848, che essendosi per tutta la Isola con variata intensità fattosi sentire, distrusse di Agosta quasi la terza parte, con la mor- te di non pochi individui. » 20 Contribuzione allo studio dei tremuoti în Sicilia Ho voluto ciò esporre per dimostrare come i violenti terremo- ti che per sì lunghi secoli han travagliato, e funestato il Val di Noto non hanno avuto mai rapporto alcuno con l'Etna, come generalmente si è creduto. Pria che il dotto Ab. Stoppani (1) avesse sì" ben definiti, e classificati i terremoti, distinguendoli : în vulcanici, parimetrici , e tellurici, precisando i caratteri di ciascuna classe, il nostro vecchio Gemmellaro, diligente osservatore dei fenomeni dell’ Etnea, nell’ o- pera succennata, (2) ha notato come i molti terremoti avverati nel periodo di lunghi secoli in Sicilia sono pochissimi quelli che pos- sonsi riferire all’ Etna: “ Da questo breve riassunto di fatti, egli scri- ve, non si può conchiudere per nulla. che i terremoti tutti di Sicilia vadano annessi a fenomeni vulcanici, mentre che fra centosessantasei, appena trentasette si sono manifestati compagni di eruzioni, e rarissi- me volte precursori, che anzi questi si sono verificati più nell’ Etna stessa, che altrove, all’ incontro i più tremendi fra centoventinove , che scossero la Sicilia, sono stati indipendenti, almeno in apparenza , dell’ azione vulcanica , (3). E però sembra anche assodata la esistenza di un centro sis- mico nel Val di Noto non solo immutato e sempre attivo, ma in- dipendente affatto dall’ Etna. Attesa la violenza straordinaria dei descritti terremoti, e la estensione che assumono, da scuotere tutta quanta la Sicilia e le (1) Corso di Geologia—Vol. 1. Dinamica terrestre, p. 436. (2) La Vulcanologia dell''Etna—p. 158. (3) Ecco anche sul proposito, quanto scrive MonartorE — op. cit. pag. 347. « Stimò Domenico Bortone de Immani Trinacriae terremotu, che i terremoti di Sicilia « non originassero dagli incendi di Mongibello : e si ride di quei che a questo monte attribi- « scono la causa dei terremoti: e aggiunge che anzi il Mongibello preserva dai terremoti la « Sicilia; poichè dalla sua bocca escono fuori i vapori, ed esalazioni sulfurei, bituminosi ed in- « gendiosi generati sotterra, causa dei terremoti: Hc enim Insula, scrive a fog. 53, sulfureis « scatens fondinis per Actnam craterem, tanquam per caminum tetris e fulginibus defecatur, « ut ipsa ostendit experientia. Aggiunge la esperienza essere, che allo spesso sia commossa la « Sicilia, e allora non vomiti i suoi incendii Mongibello; e al contrario vomitando i torrenti di « fuoco allor in Sicilia non si udiran terremoti. » Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia DI sue adiacenze, si rende evidente come l’ipocentro 0 il foco sismico deb- ba trovarsi ad una profondità grandissima che potrebbe anche cal- colarsi (1). Ma in quale sito prossimamente corrisponde il centro d’ im- pulsione delle forze sismiche ? A mio avviso sembra non dubbio, attesa la sua permanenza nella cennata regione mesosismica, che oscilli infra i limiti segnanti la indicata figura, senz’ essersi spostato giammai. Dando uno sguardo alla costituzione geologica di tutta quan- ta la regione compresa dentro il perimetro della indicata zona 4so- sismica fortissima, si rileva come questa comprende tutta quanta la regione flegrea del Val di Noto, ove Ja formazione basaltica è cotanto estesa, che in nessuna altra parte della Sicilia; e come al- tresì rientrano in essa i basalti di Acitrezza, e di Pachino. Or il centro di questa formazione cade appunto dentro la zona mesosi- smica indicata. È in questa zona che stanno non solo le estese carriere basaltiche, ma vi rientrano ancora tutti gli altri che dis- seminati vi esistono d’ unita agli svariati tufi basaltici, intercala- ti ad estesa formazione calcarea. Non potrebbe il focolare sismico del Val di Noto essersi sostituito, a quello antichissimo dal quale Sgorgarono in sì gran copia le roccie basaltiche ® e le varie gole, dalle quali provennero , essere i meati da cui sprigionansi i gassi o meglio il vapore acqueo imprigionato, sotto enormi tensioni nelle visceri del globo, producente i terremoti ? Il dotto ab. Stoppani sennatamente opina che il centro del ter- l'emoto non si può mettere là dove si verifica la maggiore inten- sità delle scosse, e la maggiore quantità degli effetti corrisponden- ti. Secondo il sullodato scrittore la località maggiormente scossa segna piuttosto la parte meno resistente; e tutto ciò in considera- zione che la crosta del globo, benchè sia un sistema rigido, è ben lungi dal potersi considerare come un sistema continuo , elastico, (1) Applicando il metodo suggerito dai signori Dutton e Hayden la profondità dell ipocen- } AS x i L ‘ asd eo ih o) ge ST tro o foco sismico, considerando il raggio medio dell’ellisse mesosismica di chilometri 25, risul terebbe non meno di chilometri 43, 302. 29 Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia omogeneo. Pure non può rivocarsi in dubbio, nel fatto speciale ; che in questa regione cade la gola, come ho detto, del focolare dal quale provennero le antichissime roccie basaltiche. In questo caso il centro sismico cadrebbe nel mezzo della zona mesosismica segnata sulla carta : fra Lentini, Melilli e Francofonte. Pria di procedere oltre nella grave indagine, è da notarsi, co- me le varie linee isosismiche di sopra cennate, anzichè circolari, come dovrebbero essere, se fosse stato un punto solo il centro d’impulsione, presentano una forma ellittica; lo che dimostra essere stati varii i punti di sfogo in una data direzione; e ciò par che accen- ni piuttosto ad una sotterranea rottura della crosta terrestre, in di- rezione corrispondente a quella dell’asse maggiore della figura, da sud-ovest a nord-est, e della quale potrebbe anche calcolarsene la lunghezza. E però sembra più ragionevole ricercare lungo questa linea, e nelle rotture radiali di essa, come è facile d’ immagginare, che accompagnino questa rottura, i varii centri sismici, o meglio le gole, dalle quali si svolgono i gassi o vapori producenti il forte parosismo di sì terribili commozioni telluriche, che cotanto funestano la indicata regione. Domenico Bottone scrittore contemporaneo al fatale tremuoto del 1693, diligente osservatore ed espositore fedele di quanto allo- ra osservossi di notevole, riferisce un fatto, che raccolto dal Mon- gitore viene anche da lui registrato (1), cioè: che l isola di Malta fu la prima a sentirne le scosse. In vero egli scrive: “ 7 isola di Malta udì le sue prime scosse: onde restò così conquisa la sua Cat- tedrale che bisognò rifabricarsi. Indi passò alla Sicilia, e alla di lei parte meridionale, e in Val di Noto poco prima, che alla settentrio- nale in cui fu più tardi: onde dalla parte meridionale corse alla set- tentrionale, come osserva Domenico Bottone de immani Trinacriae Terremotu f. 55. , Però se ciò è vero, quantunque difficilissima, per non dire impos- (1) Op. cit. p. 406. Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia 25 sibile, la constatazione di un tale fatto, considerando che l’isola di Malta cade quasi nella direzione dell’asse maggiore della tracciata linea mesosismica, la supposta rottura, oltre al venire confermata, risulterebbe di una lunghezza considerevole, la quale nella sua mas- sima parte cadrebbe in mare. Benchè i dati storici di sopra esposti, per quanto particola- eggiati, sono insufficienti, anche di loro natura, a compiere uno studio analitico che sarebbe di grande interesse per la scienza, of- f‘ono per tanto un mezzo anche valevole per un esame sommario, quantunque mantenuto, quasi esclusivamente, nel campo delle in- duzioni e delle ipotesi. Pure tale essendo la costituzione geologica della regione nel- la quale si sono manifestate sì terribili conflagrazioni, sembra non dubbio che questo centro sismico, rimasto immutato e sempre at- tivo, perchè immutate sono rimaste le condizioni telluriche, ricada Nel sito medesimo dell’antichissimo focolare che alimentò un tem- po, in altra epoca geologica, le eruzioni basaltiche del Val di Noto. E se vuolsi, in ciò anche troverebbe una spiegazione, la po- tente energìa e violenza dei terremoti provenienti da questo anti- chissimo focolare, in cui, spento il potere eruttivo, è rimasto più violento il potere sismico, che non è quello dell’ Etna in attività vulcanica, la cui gola trovasi perennemente aperta, dalla quale i gassi possonsi più facilmente sprigionare, che non dalla prima la quale da antica epoca geologica trovasi ostrutta, e ne accresce di conseguenza la tensione. In vero i parosismi sismici che manifestansi dentro il perime- tro dell'Etna non sono mai sì terribili, quantunque anch'essi risul- tano spesso funesti e luttuosi, nè cotanto estesi da pareggiare quel- li che, nel periodo di lunghi secoli, sono provenuti dal centro sis- smico in disamina. Ciò nel mentre dimostra come questo focolare sismico sii del tutto indipendente dal focolare vulcanico dell’ Etna, spiega anche il perchè questo formidabile vulcano si fosse mostrato nelle più grandi commozioni telluriche assolutamente silenzioso. 24 Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia Questo lavoro era da molto tempo compilato, e presentato al- la Segreteria di questa Accademia, quando mi è venuto in mano, uno studio dell’ egregio ingegnere S. Arcidiacono : Sul Terremoto del 13 Aprile 1895-— Avvenuto in Provincia di Siracusa (1). Or tale studio nel mentre viene a confermare la perenne atti- vità del centro sismico del Val di Noto, vale anche a confermarlo nella sua giacitura: cadendo anche, secondo |’ Arcidiacono, 1 area epicentrale di questa lieve perturbazione sismica, quantunque di assai limitate dimensioni, dentro l’area mesosismica di sopra cennata, avendo quasi Vizzini per centro. Inoltre esaminando con qualche attenzione le linee isosismiche, indicate nella figura che accompagna il lavoro del Sig. Arcidiacono, tracciate da lui in base a relazioni locali, s'osserva: come in tutte queste curve, le quali hanno una forma parimente ellittica, l’asse di figura cade in direzione normale a quello della curva racchiu- dente l’area mesosismica da me indicata ; lo chè pare che confermi la supposta esistenza di rotture trasversali o radiali che accompa- gnano la rottura principale, la quale corre in direzione da sud-ovest a nord-est; la qual cosa, in un certo modo, fornirebbe, nel com- plesso, un’ idea della disposizione dello apparecchio sismico di questo focolare. Altro centro sismico, sembra non dubbio che esista nel Val di Mazzara, la cui azione estendesi di preferenza su tutta quanta la parte occidentale della Sicilia. Forti tremuoti, sebbene non riusciti così luttuosi e funesti co- me quelli del Va di Noto, hanno anche scosso fortemente, da an- tico tempo questa parte dell’ Isola. La storia dei terremoti della Sicilia compilata dal dotto natu- ralista Carlo Gemmellaro, sulle indicazioni e notizie raccolte dal Can. G. Alessi nella Storia Critica delle Eruzioni dell’ Etna (2), e dall’ eruditissimo Can. Mongitore (3), ne registra molti e violenti (1) Inserto negli Anmali dell'ufficio Centrale Meteorologico e Geodinamico. (2) Atti dell’Acc. Gioenia 12 Ser. T. (3) Sicilia-Ricercata. Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia ; 25 avverati in questa regione. Or questi terremoti sembra non dubbio di potersi considerare come provenienti da un centro sismico esi- stente in tale regione; il quale sembra di avere sede lungo il lit- torale meridionale dell’ isola, e prossimamente nelle vicinanze di Sciacca. Lunga è la serie dei terremoti che, a preferenza di tutte altre località di quella regione, hanno violentemente scossa la città di Sciacca e le sue vicinanze. Questa città cadde in rovina nel 1578, scossa da un violento terremoto; nel 1652, per quindici giorni sof- frì urti d’ estrema violenza e continui; nel 1725, per alcuni mesi il suolo fu così fortemente e così spesso scosso che gli abitanti dovettero rifuggirsi nelle aperte campagne ; nel 1726 tutta la Sicilia occidentale tremò violentemente. Palermo allora ebbe perdita di uomini e di edifici. In giugno del 1740 Sciacca fu scossa venti- due volte con danno di fabbriche e persone. La scossa del giorno ventisei fu di una forte violenza, e si propagò sino a Palermo. Dopo la metà di dicembre del 1816 gli abitanti di Sciacca intesero uno straordinario rumore sotto la montagna che le stà vicina, ed in gennaio del nuovo anno le scosse furono così continue che in un giorno se ne avvertirono dodici così forti che gli edificii sem- bravano di venire svelti dalle loro fondamenta. I rumori allora e le esplosioni sotto la montagna divennero spaventevoli, impetuose le oscillazioni dal mare alla spiaggia che ne stà alle falde, ed i tre- muoti così violenti che si estesero ad una grande distanza. Alla Sambuca lontana quindici miglia vi furono anche danni di fabbri- che; ed un acuto odore di zolfo si era sparso in tutto l’ aere nei dintorni di Sciacca. E mentre sì strani e forti sconvolgimenti agi- tavano la parte occidentale della Sicilia, la orientale era in perfetta calma, e nulla vide od apprese di quei fenomeni che pur durarono ber tutto il mese di gennaio di quell’ anno. L’ illustre storico e naturalista, il dotto abate Francesco Fer- lara, scrutatore profondo dei fenomeni tellurici, in una sua Mono- grafia portante il titolo: Sopra i tremuoti della Sicilia in Marzo 1523, considerando i fenomeni sismici e vulcanici della Sicilia, è Arm Acc., Vo. IX, Serir 48 — Memoria XVI. 4 26 Contribuzione allo studio dei tremuoti în Sicilia stato il primo, per quanto io mi sappia, con il suo acume profon- do, a supporre e ravvisare la esistenza di varii centri sismici, mar- cati e distinti fra di loro, in Sicilia. In vero a pag. 31 del cennato lavoro egli scrive: “ Tre principali fucine hanno il loro sfogo nei tre lati della Sicilia, e ciascheduna con forza proporzionata alla influenza delle circostanze che ne somministrano gli elementi. Quella dell’ Etna che fuma sul lato orientale, per la immensità della sua energia, domina per tutta l'isola; negli eccessi più forti dei suoi fuochi, l’ estensione triangolare trema tutta, risente tutto l’ impero formi- dabile che vi esercita da tempi immemorabili, e i mugiti del Vul- cano si fanno udire da una estremità all’ altra di essa; ma più che le altre agitate sono spesso le parti ad esso vicine e quelle che s’ estendono al Capo Passero, spazio di circa cento miglia in lunghezza, e un giorno bruciate da sterminati fuochi sotterranei. A Sebbene l’ illustre scrittore sembra di non far distinzione tra il focolare sismico del Val di Noto, che confonde con il vulcanico dell’ Etna, il quale riconosce come il solo cui debbonsi anche at- tribuire le terribili commozioni telluriche che hanno funestata la cennata regione, accenna però in modo chiaro e preciso il focola- re esistente sul lato meridionale della Sicilia, che chiaramente pre- cisa nei seguenti termini : “ La Montagna di Sciacea, sul lido meridionale, e verso oc- cidente, pare che cuopra un luogo, dove da tempi immemora- bili operano gli elementi senza giammai cessare. Acque ardenti e vapori solforosi sortono dalla vasta sua massa; dalle oscure cavità che si aprono nella parte alta, scappano torrenti immensi d’ acqua sotto la forma di vapori calorosi, penetrata negl’interni recessi senza che avesse la forza d’ estinguere a totalità la sot- terranea fermentazione, essa viene così ad esalare nella nostra atmosfera investita dal fuoco; lo sviluppo riempie di cupo fra- gore gli antri della montagna, ma sovente la scuote in una maniera terribile; e |’ urto fa sentirsi sino ad una grande di- stanza. , Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia 2% E dopo passati in rassegna i fenomeni in tale località mani- festati, quali sono stati di sopra esposti e numerati, a pag. 33 con- chiude : “ È degno d’ osservarsi che dirimpetto alla montagna di Sciac- ca, alla distanza di 70 miglia, sorge dal mare ia Pantelleria, e presenta gli stessi fenomeni; isola vulcanica formata di lave e di altre materie bruciate; i fiumi di vapori ardenti d’ acqua e di zolfo, che sortono incessantemente dalle sue cavità, dimostrano una grande fermentazione negli antri profondi sotto quel mare ed alla quale non manca che poco per rinnovare gli antichi in- cendil. , E fu profeta! E questa più che ipotesi, profezia, non mancò molto ad av- verarsi. Dopo otto anni, nel mese di luglio 1831, fra Sciacca e l'isola di Pantelleria, manifestavasi un nuovo Vulcano sottomarino, che venne studiato , descritto e disegnato sul luogo da un altro ‘nostro Socio e concittadino Carlo Gemmellaro , in un pregevole lavoro che si legge negli atti della nostra Accademia. (1) Ho voluto trascrivere per esteso questa pagina del lavoro del Ferrara, non solo per avvalorare quanto di sopra ho esposto in- torno a quest'altro centro sismico, ma per tributare ancora un omaggio di ammirazione alla memoria di questo esimio naturalista anch’ esso nostro socio e concittadino, che con i suoi dotti lavori illustrò tanto non solo Catania e la nostra Accademia, ma la Si- cilia tutta. Un terzo centro sismico sembra non dubbio di esistere verso il capo nord-est della Sicilia e precisamente fuori del lato setten- trionale di essa, nel vicino gruppo delle Eolie. In vero i violenti tremuoti che da tempo anche immemorabile sonosi manifestati lungo la costa settentrionale della Sicilia, sem- brano chiaramente d’indicare e confermare tale fatto. (1) Relazione dei fenomeni del Nuovo Vulcano sorto dal mare, fra la costa della Sicilia e l'isola di Pantelleria. Atti dell’Acc. Gioenia Ser. I. T. VIII. 28 Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia Tralasciando d’ accennare i terremoti avverati in epoche da noi molto lontane, perchè non chiaramente indicate dalla storia, molti questa ne registra nell’evo moderno, che dimostrano chiaro la loro provenienza da un centro sismico esistente nelle vicinanze del cennato gruppo delle Eolie. Il 22 di aprile 1717, sul far dell’aurora, cupo muggito sotter- raneo accompagnò violento terremoto, che scosse tutti i luoghi della costa settentrionale sino a Messina, ma più violentemente soffrirono i luoghi rimpetto all'isola di Vulcano, come : Milazzo , Pozzo di Gotto, e Castroreale che ne dista 50 chilometri circa : venendo questa città affatto rovinata (1). Le scosse nei medesimi luoghi si rinnovarono nel 1732, e con più violenza nel 1736 ; in cui venne scossa violentemente tutta la costa settentrionale della Sicilia; e con maggior forza Palermo. Ciminna soffrì gravi danni e Naso molto di più (2). Nel 1739 tremò parimente tutta la costa settentrionale della Sicilia (3). Nel mese di maggio di quell’anno infausto , dal giorno 4 sino al giorno 15, si contarono più di cento scosse; il giorno 9 un terribile rombo dell’ isola di Vulcano fu seguito da violenta scossa che distrusse interamente la città di Naso (4). “I vulcani delle Eolie, scrive Ferrara (5), presero molta parte ai fatali tremuoti delle Calabrie e di Messina nel 1783. Stromboli fu quasi sempre in straordinario travaglio; molti giorni sembrò un toro infuriato , che elevato sopra le onde spaventava con i suoi muggiti la sventurata Calabria e la vicina Sicilia. Vulcano lo ac- compagnò spesso : i suoi urli furono sempre terribili e immense le colonne di fumo e di fuoco. , Nel 1810, il 16 febbraio, avverossi altro violento terremoto in Messina e dintorni di essa, nonchè nella vicina Calabria (6). (1) Borrone—De Trin. Terr.—Messina 1717. (2). MonerrorE — Op. cit. (3) GemmeLLARO — Op. cit. (4) Amico — Lexicon Sic. — Moxnerrore — Descrizione dei fenomeni avverati. p. 421. (5) Op. cit. p. 36. (6) GemmELLARO — Op. cit. Contribuzione allo studio dei tremuoti în Sicilia 29 Il sullodato Ab. Ferrara, pare che inclini chiaramente ad am- mettere tutti i succennati terremoti, ed altri avverati in epoche lontane e remote, essere provenienti dal focolare delle Eolie , là dove egli scrive: “ Il lato settentrionale della Sicilia è assediato da molte isole vulcaniche che gli formano una linea da oriente ad occidente .... Tutte quelle isole figlie del fuoco vulcanico, che le ha innalzate dal fondo del mare, portano il carattere impresso loro da quel terribile elemento, ma alcune ardono ancora e servono di sfogo alle fucine sotterranee (1). al Il nostro socio Prof. L. Bucca però dallo studio orografico e geologico di questa regione, comprendente 1’ estremo di nord-est della Sicilia, e la vicina Calabria, accennando agli ultimi terremoti del Messinese, è più esplicito; e chiaramente indica la esistenza di questo focolare, scrivendo: “ È oramai assodato che tanto quel terremoto (1783) e i successivi sino all’attuale, sono in stretta re- lazione colla costituzione geologica delle Calabrie e del Messinese. Una lunga catena granitica e di roccie cristalline attraversa quelle contrade, dando loro l’aspetto alpino, e formando la Sila nelle Ca- labrie Citra, la Serra di S. Bruno e 1’ Aspromonte nella Calabria Ultra, e i Monti Peloritani nel Messinese. Una volta questa Catena era tutta continua : ora mentre una grande faglia la separa dalla Basilicata, oltre due faglie la spezzano alla parte superiore tra la Sila e la Serra di S. Bruno, formante l’istmo di S. Eufemia-Squil- lace alla parte inferiore, tra l Aspromonte ed i monti Peloritani , formando lo stretto di Messina. Tutte e tre queste faglie sono av- Venute secondo tre linee rette radianti dallo Stromboli. (1) , Estendendo il medesimo studio Geologico ed orografico, allo estremo lembo di nord-est della Sicilia, dallo stretto di Messina sino al Capo Orlando, si riscontra la medesima formazione geolo- gica, e l’oreografia accennerebbe ancora a varie faglie radianti pa- rimente allo Stromboli. nio ie (1) Op. cit. pag. 33. (2) Bullettino dell’Ace. Gioenia fas. XXXVIII, Dicem. 1894. 30 Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia E però sembra anche non dubbia la esistenza di un terzo centro sismico nelle vicinanze del gruppo delle Eolie. Da quanto ho esposto fin quì, a mio avviso, sembra chiara la esistenza in Sicilia, e sue adiacenze di tre centri sismici, mar- cati e distinti, oltre quello dell’ Etna, ed indipendenti fra di loro. Però le onde sismiche di ciascuno di essi, nelle grandi con- flagrazioni estendonsi considerevolmente, ed in modo da invadere la sfera d’ azione degli altri centri; di tal chè può dirsi, di non esistere affatto fra di loro zona neutra; lo che spiegherebbe, come i più violenti tremuoti, provenienti da uno dei detti centri, sonosi resi più o meno sensibili alla Sicilia intiera. Accennando poi alla potenzialità di questi tre centri sismici, da quanto puossi raccogliere dai dati storici, sembra non dubbio di non essere in tutti eguale. ll centro sismico di Val di Noto, ha dimostrato rispetto agli altri centri, una maggiore energia. I suoi parosismi, oltre all’ essersi manifestati più violenti, ed estesi e pe- rò riusciti più esiziali e funesti alle popolazioni della Sicilia, le com- mozioni telluriche da questo centro prodotte, sonosi altresì speri- mentate della maggiore durata. La minore potenzialità si è riscon- trata in quello di Sciacca. In ordine poi alla ricorrenza delle cennate commozioni tellu- riche, dallo studio fatto , sembra questa ricorrenza succedersi ad intervalli di tempo quasi uguali per tutti e tre i centri succennati. E se una maggiore frequenza di tremuoti sembra di riscontrarsi pel centro sismico di Val di Noto, è però da notarsi, che spiegan- do gli altri centri la loro influenza, più che sulla terra sul mare, ed i maremoti non essendo stati che di rado registrati, solo quelli avvenuti in grandi conflagrazioni, poco o nulla potrebbe stabilirsi di positivo. Dallo studio inoltre fatto su i varii terremoti avvenuti nel pe- riodo di lunghi secoli in Sicilia, se i tre centri sismici di sopra in- dicati, sonosi mostrati costantemente fermi nelle indicate località, Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia Dl non può escludersi il fatto di uno spostamento o passaggio delle forze sismiche da un centro all’altro, e quasi con un certo ordine od alternanza, che fa d’ uopo di accennare. In vero nel lungo periodo sismico che travagliò senza inter- ruzione la Sicilia dal 1726 al 1740, si rese notevole tale continuo spostamento del punto d’impulsione. Il terremoto del 1726 che al 10 gennaio scuoteva tutto il Val di Noto, il 10 giugno susse- guente, manifestavasi non solo in Catania, ma pure in Messina, Randazzo, Milazzo, Castroreale, Patti, ed in tutto quasi il Val De- mone. A primo settembre però passava a scuotere il Val di Maz- zara, ed oltre a Palermo s’ avvertì a Mazzara, Marsala, Sciacca e Trapani. Nell’ ottobre dell’ anno medesimo, nei giorni 16, 19, 20 furono scosse con terribile forza : Cefalù, Tusa, Isnello, Gratteri, Geraci, Gagliano, Calatabiano; lo che dimostra come dal. focolare del Val di Noto, la impulsione sismica fosse passata a quello delle Eolie, indi a quello di Sciacca novamente , per ritornare a quello delle Eolie, ove mosira di essersi infine concentrato. Nell’ anno sussequente 1727 gli scuotimenti del suolo tennero quasi 1 uguale camino. Nel mese di gennaio, nei giorni 5, 6, 7 le scosse furono violente nel Val di Noto, scuotendo fortemente: Noto, Siracusa, Modica, Agosta, Scicli, Ragusa, Avola, Vizzini, Palazzolo, e con minore intensità le scosse s’ estesero a tutta la Sicilia. Nel maggio sussequente tremavano Sciacca e le sue adiacenze non solo, ma nel medesimo giorno, 8 maggio , il tremuoto fu anche avvertito in Palermo, Salaparuta, Sambuca, Partanna, S. Ninfa, Villafranca, S. Margarita, Girgenti e terre vicine, ed in quasi tutto il Val di Maz- zara; e nel novembre, 24, si fe’ sentire in Milazzo, indi nel giorno 30 in Salemi e Calatafimi. E però in quest’ anno di continue oscil- lazioni, l’ impulsione sismica passò dal focolare del Val di Noto a quello di Sciacca ed in ultimo in quello delle Eolie. Nel 1728, in gennajo, si fè sentire nuovamente in Palermo, e sue vicinanze. Nel 1729 a 25 aprile manifestaronsi forti scosse in Messina, Catania, Siracusa, Modica, indi più violenti assalirono Messina nel De Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia giorno 28 giugno e nel susseguente giorno Patti, Milazzo, Castro- reale ed altri luoghi del Val Demone; e però un passaggio dal fo- colare del Val di Noto a quello delle Eolie. Nel novembre del 1730 il terremoto scuoteva nuovamente Pa- lermo, ed al 18 novembre 1731 tutto il Val di Noto particolar mente Catania, Mineo e Troina; e però passaggio dal focolare delle Eolie a quello del Val di Noto. Nel febbraio 1732 forti scosse avveraronsi in Alcamo, ed in marzo più violente in Messina, Milazzo e Castroreale, in agosto in Palermo e Monreale. Nel 1733, a 29 novembre avveraronsi gagliarde scosse in Ca- tania. Nel 1735, tremuoti sull’ Etna, in Palermo e Messina; nel 1736 in Palermo nuovamente; nel 1738 in Catania, Noto, Modica, ed in tutto il Val di Noto; nel 1739 in tutto il lato settentrionale del- l'isola, e nel 1740 in Mazzara, Salemi e Sciacca. In si lungo periodo di tempo Encelado non si ebbe requie al- cuna, rivoltandosi continuamente da un fianco all’ altro, e l’ Etna solo negli anni 1727, 1732, e nel 1735 diede piccole eruzioni. Oltre gli indicati tre centri sismici sembra anche non dubbia la possibilità d’ altri centri, che, quasi come avventizii, sonosi ma- nifestati in varii siti della Sicilia. E prova ne siano i violenti tre- muoti che nell’ aprile del 1822 manifestaronsi nelle vicinanze di Nicosia. Nel giorno sei di aprile dell’ indicato anno una violenta scossa funestava la regione compresa fra l’ Etna e le Madonie. Ca- pizzi, Cesarò, Sperlinga, Troina, Gangi, Gagliano, Nicosia tremaro- no orribilmente. Nicosia però sembrò il centro dell’ impulsione di tutte le scosse che replicaronsi per tutto quel mese. Il suolo di questa città sembrava che si volesse svellere a forza ; essa perdè molte delle sue fabbriche, e gli abitanti spaventati andarono a tro- varsi un asilo in campagna. E mentre che Nicosia e tutta la re- gione compresa fra l’ Etna e le Madonie erano da tanti moti con- vulsi, la parte occidentale della Sicilia, e tutta la costa settentrio- Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia do nale, la più vicina a quella regione, godevano perfetta quiete come altresì tutto il resto dell’ isola. Lo stesso potrebbe dirsi di altri terremoti avveratisi in altre località. Or tutti questi altri centri sismici, indipendenti dai tre di sopra cennati, non possonsi altrimente considerare che come sem- plicemente avventizii; come sono nell’ attuale periodo del vulca- nismo dell’ Etna le eruzioni varie e le rotture che vi si succe- dono, ed i terremoti che funestano or una ed or un’altra località dell’ Etna medesimo. E però possiamo conchiudere la esistenza non dubbia di tre centri sismici in Sicilia, e sue adiacenze, marcati e distinti, ed in- dipendenti fra di loro e dall’ Etna ; e dei quali la positura ab antico mostra di non essersi spostata giammai; però non può nè anco escludersi la possibilità di centri avventizii, meno energici, nel resto dell’Isola. (1) È desiderabile per tanto, che nelle indicate località venissero stabiliti, ove non lo siano, osservatorii sismici, corredati di varii apparecchi; al fine di potersi, con dati sperimentali, assodare la e- sistenza o meno degli accennati centri sismici di sopra indicati. N.B. La tavola che accompagna il presente lavoro è stata de- lineata solo in base agli effetti del violento tremuoto del di ti gennaio 1693; il quale è il solo che, con maggiori particolarità, ci è stato tramandato dagli scrittori contemporanei. E però la stessa riguarda il solo centro sismico del Val di Noto, e per tale sola e speciale perturbazione sismica, oramai divenuta classica. D'altronde altre perturbazioni successe nella medesima regione, specialmente (1) Un altro fatto, in ultimo, che a me sembra interessante di notare, che vale ad un tempo a stabilire delle relazioni fra gli indicati centri sismici, sarebbe quello: che il focolare sismico del Val di Noto, nel sito presunto, ed il focolare vulcanico dell'Etna, stanno su di una linea la quale prolungata al nord passa per lo Stromboli; come altresì l'isola di Pantelleria e dit . . ° Scelacea stanno su altra linea la quale parimente prolungata passa pure per lo Stromboli. 34 Contribuzione allo studio dei tremuoti in Sicilia le più violente, come quella del 1169 , sonosi manifestate quasi , come 8’ è detto di sopra, nelle identiche condizioni. Per gli altri centri sismici siccome poco o nulla di particolare mi è stato dato di rinvenire, così non ho ardito di tracciare linea veruna che li riguardi : essendo sufficiente la indicazione del sito probabile, dove, secondo la mia maniera di vedere, pare che esi- stano. Le linee quindi che veggonsi tracciate nella carta segnano: A Linea indicante il limite della zona mesosismica. B Limite della zona isosismica fortissima , dentro la quale avverossi la totale e completa distruzione delle città e villaggi. C Limite della zona isosismica forte, dentro la quale avve- rossi la distruzione parziale delle città. D, E Linee isosismiche accennanti la propagazione delle on- de sismiche di decrescente intensità , tanto in terraferma che in mare, - &Suvero Seed Contribuzione allo studio dei terremoti in Sicilia ? I. di Pantelleria S.Vinconz@] «i Slromboliechio I.Stromboli 4 Tremuoto del 1693 ; ce © 1.Basiturzo v ®@ Gita completamente distrutte N (©) ; distrutte in parte === ci; A Lim 2 smi {Pilicuri tadi “ion imite della zona mesosismica e =" a; —.— 28 Limite della zona isosismica fortissima prati sesssesì CC Limite della zona isosismica forte anta DE Linee indicanti la propagazione delle onde sismiche di decrescente intensità a Lave moderne Lave antiche dell'Etna Tutî basaltici Tufî trachitici Basalti 7 = 0 1 7 ci Ba = = re. \ Cda I S 0 L A 19) I S I C Î L I À a f SÉINA _— gol i Gallo fa) ta mara Cf Yito LsoladellFerminepi£ vi d. Def da îl P> 60, = i arresta A Terranova x (O CAS' \ROREALE ù hse ([ONa di Castertameo” e fe «Zaffarano S.Agata” (e | dico i a agi lazRarrà x È falò = . vl teleprré SE > gheria z È Sei Gi < Ò Siro ) LFada tagldinis lì. , L4 i E s * , x 0 Belngnto? \ A De q = AN, n 7515) a xx ; arl wr darck< PTT ] i De e, f Sela Ho Roccalumi as Ceo? Cage mafe Wa i 7 } Z| fj Rae Inti = "A d Na hd aelorfci £ Fascari] Asi } sE ZA o SA, 5 Apt È eecuioo' de i MOI ? ‘acec O.4/0H ÙE SAMI Ò; Grange “3 x pope lite) Gratteri ra G ti 1a) Ha sberla 137 Ford atahili 0 a a "MM ine A 30M nia a glaccamo a: AM. a TE o ai y ; pie diltiari wa DL Sé dIlesano 1975 \S.Màuri 23 9 pregare 1 de DS È ; Mafrati i a, (el di & Taormina o 1 e sese ai Mintz Si do ; y \9a ‘ssp: {Teoderg Cestrà j di = Lig i È ; db ] , } 21910” { È, M Damubliglionti “e, TA Vea si sr, _Mezpajago \ S DA ri | Monà Shagui ; ESA } ] Gera Mi si Y » == ca i). ; Cee A s LL Sorta £ YWiran, È === 1 + n {corLeondy / — —tG vida bi vel rai pi rg ) deg freddo " a ggrioredi AR; a = Alia LS Lilibeo È cui m ; € 4 È 5 ° } Sfbelt A d LE AI ‘Pad Sa UE, "ne A è od trae, E; covm {7 a Fartanna ep ; ca 5 i Vlledlino = tr ro e el È a I, pofiorito, drrizià 1 774 È “ngi. { i È nce ZS S ind sl vi i SES canton ì "Re, Ù j az rgherita?)) NATA Cage ‘onov n Lalli igà DI uit, le Si i VS eee a: ; x astelve! pino” ; - Sa t ne o a: ya TA sora A \ ègalbu to di STE MAZZARA" e $ TÀ shore ù o RE = DEIECRRO obttò _ AL hic» tar fra 4 Le) ; (Cegturi x Giov; Mr go SEZ E - 0° 7 € N fi Le (atenaduobal —P< x ; \ do uss'ontel SG È Nu ARR È c ai It UN n \ sue nf: nti oi A PO 1) 0) Ca trogiovà (07.006 )ie ; \ BR Selo o IH \ (as } È A PS DV “ la — a, : $ My CR: x \\ I À Zia È ignas asta pesa ) ox ù Ribera \/ / 23 “Cataldo. £ 7a = w "UH $ = x A \ WIRZZA5. = O (1a G sh di i. d N r : CA eee Presta DE n ; \ Jattolica Serradìfale jet ria 5 Fai sr 6 126 KG So alle Si & \ Corsa ‘Rammatant Ul agfina Lunga i \ an san rs \ agona 1 Ta ì i È né À | # 4 | Ò Sonficalti Di } 1%, | iS I Di “n HS G V, X ‘ Ù } Ha I LD - È Il p 'ordià ; Hea. ù N ' Ù ta pobell ine br INI Wesmada Wat. S. (rode? È i dr” O) Mep Rete rancofonie 3 Rei gusta / E eo v A a e he) 2. \ Méhti F î P bi i j det L À Vor isoluMagnizi f i x fino ) | 'eniso. sgrsi z hi A Mm Sano I j i 7A = Ha FL ol ola Li > SE È ZA TIC DO RZZIA(ÙI $$ H À - riteross x , A 3 o SI grano aldo = AG SIRACUSA i - TERRANO A ENT PITTE ; e 72 h DI SICILIA 3 04) Sr. .-Vhiaramont CAS 9 N 1 : Ò SET \ B A ve CMurro di Porco = = N n |, SC. Lognina 3 =: è D s/ = catia . . . ' La ODICA / 6 À } ) Cala Bornardo == Pantelleria uu fn a Se È == d > dello Spadillo i es E | ra è n ici igsolini È rincari = un} ‘A È n s 1. Vendicari . if i È + Cie; i accaforno n HI \ Donns, (ve Pojecho A Vdofr To n; not rELEoRE & Gioja Ter, d- 5 i ASS IE Mai va | pt] ù ui clip Himel À (ago? ed f l = == = Melito di TORE & D * % | ", | —# | . I . . 5 > . =» n s o i | n : . . È z . h È . è 2 n 2 n R. Stab. Carto-Lit. C.VIRANO,e Ci Roma Memoria XVII. Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria Memoria del Dr. A. FUCINI Alcuni anni addietro, avendo dimorato quasi un anno a Ros- sano intrapresi molte gite per quel circondario ed ebbi quindi agio di fare delle osservazioni sopra i terreni che compongono quella parte di Calabria. Mi sono ora deciso ad ordinare alla meglio i miei appunti ed a pubblicarli per portare così il mio debole contributo alla cono- scenza della geologia di quella regione importantissima. È frutto delle mie osservazioni anche una carta geologica alla scala di 1 a 50,000 dalla quale è stata tratta quella unita al pre- sente studio e che è alla scala di 1 a 100,000. Il circondario di Rossano, nella parte orientale della provincia di Cosenza, comprende quel territorio che ad oriente dell’ elevato altipiano della Sila scende al mare del golfo di Taranto, tra il fiu- me Crati ed il torrente Fiumenicà. Per comodo di studio, restrin- gendo a levante i confini del circondario, prenderò per limite della regione che intendo studiare , il corso del torrente Fiumenicà e, allargando invece quei confini a ponente, mi estenderò fino al tor- rente Duglia, affluente del Crati. Quest’ ultimo ‘fiume a ponente, insieme col mare a tramontana e con la Sila a mezzogiorno com- pletano i limiti naturali propostimi. La Sila propriamente detta e come la intendono gli abitanti del luogo, è quella regione pianeggiante, semicircolare, che ad un’ al- tezza di 1100 o 1200 metri sta fra la provincia di Cosenza e quella di Catanzaro, suddivisa in molti piani, distinti con nomi diversi, aventi una dolcissima pendenza verso il mare. Gran parte dei corsi Arti Acc., Von. IX, SERIE 48— Memoria XVII. IL 2 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria d’acqua che bagnano le provincie di Cosenza e di Catanzaro hanno origine in essa, ove hanno scavato profondi burroni, ed ove si trovano, elevati come isolotti sul piano predominante, i monti più alti di tutta la penisola calabrese. Primeggiano : Botte Donato, nella Sila occidentale alto 1930 m.; Montenero nel mezzo della re- gione silana elevato 1881 m.; Volpintesta e Pettinascura nella Sila settentrionale alti m. 1730 il primo, 1707 il secondo, e molti altri. Dalla parte del rossanese la Sila comincia subito dopo Bocchiglie- ro ed appena salite da Longobucco le pendici sulla destra del Trionto, il quale anzi vi ha origine e vi scorre per piccolo tratto. Del pari agli orli settentrionali ed orientali della Sila hanno origi- ne tutti i corsi di acqua di una certa importanza che attraversano il nostro territorio e che si scaricano nel mare Jonio tra la foce del Crati e quella del torrente Fiumenica. Fra questi, dopo il Crati, fiume principale di tutta la Calabria, che ha le sue origini nella Sila occidentale sopra Aprigliano al di là di Cosenza e che col suo corso inferiore bagna a N. O. parte della nostra regione, sono da notarsi il Coriglianeto, il Cino, il Colognati, il Trionto ed il Fiu- menicà i quali tutti corrono rovinosamente dopo la pioggia, ma sono, almeno nella loro parte inferiore, asciutti in estate. I terremoti che in ogni tempo e tanto potentemente hanno funestato 1’ Italia meridionale, spinsero fin da lungo tempo gli scien- ziati a studiare la natura del suolo di quella parte d’Italia, ed al desiderio di scoprire le cause di quegli infausti avvenimenti si de- vono appunto le prime osservazioni sui terreni che costituiscono la Calabria. Per brevità, facendo ora a meno di enumerare gli au- tori che si occuparono quasi sempre incidentalmente del nostro territorio, mi propongo di tenerne conto nel corso del nostro stu- dio e senz’ altro comincerò a prendere in rivista i varii terreni. Granito Il granito a mio credere è la roccia più antica e quindi sot- tostà a tutte le altre, formando il nucleo della grande massa silana Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 3 e si può quindi dire anche di tutta la penisola calabrese. La sua zona principale si mostra ai limiti settentrionali della Sila presso Longobucco e costituisce i terreni delle parti alte e più vicine alla sila stessa delle zone montuose comprese tra il torrente Duglia ed il Trionto. Resultano infatti costituite da questa roccia le pendici che fiancheggiano il Coriglianeto dalle sue origini fino alla R°. Gar- donato a cinque chilometri circa a monte di Corigliano. Anche più vicino a questo paese se ne ha forse un piccolo lembo alla R°. Locu- pera ed al fondo della valle, ove sbuca fuori dal gneis che lo rico- pre. Alla Croce dei Ponti la formazione granitica passa dalla valle del Coriglianeto in quella del Cino che discende fin quasi alla pia- nura, sotto al convento del Patire ed ai monti delle Pietre Pizzu- te, ove quel torrente allarga grandemente il suo letto a cagione appunto della poca resistenza dei materiali che costituiscono le col- linette che da quel punto lo fiancheggiano fino alla pianura. Dalle Pietre Pizzute e dal Patire, il granito piega ad Est e con un lungo braccio passa sotto Rossano ove sopporta terreni miocenici e si arresta fra i torrenti Celati e Colognati, formando il Cozzo Varca. Dalle Pietre Pizzute e dal Patire fino a Rossano il granito forma il baluardo suo più settentrionale, il quale, anche in epoca relativamente recente, dovette essere la scogliera ove s° infrange- vano i flutti dell’Jonio e dalla quale i torrenti ed il mare staccarono i ciottoli granitici poco rotolati che in massima parte compongono i terreni adiacenti del terziario più superiore. Per discreto tratto a monte di Rossano la formazione grani- tica è ricoperta da schisti filladici, ma ricomparisce nella parte alta della valle del Celati, dalla quale, per il piano di Scorsone, passa in quella del Colognati, della quale occupa fino alle Serra Castagna parte delle pendici che vi acquapendono sulla sua sinistra. Dalla Serra Castagna le roccie granitiche, riunitesi a quelle delle alte valli del Cino e del Coriglianeto , si allargano grandemente e con larga fronte si dirigono verso la Sila. A ponente, dalla valle del Coriglianeto esse passano in quella del Duglia ed anche in 4 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria «quella del Mucone; a levante, senza essere delle altre disgiunte e scansando la vetta del M. Paleparto, costituita da roccie più recen- ti, discendono per la valle del Trionto fino a Longobucco. A Nord di questo paese, tra il M. Paleparto ed il M. Iantrinico se ne tro- va un lembo, disgiunto per mezzo di uno stretto braccio di ter- reno liassico dalla massa centrale silana e tendente ad allungarsi a tramontana quasi per riunirsi al granito dei monti sovrastanti a Rossano, dal quale è però separato dal terreno giurassico e da quello eocenico della valle del Colognati. Oltrepassato il paese di Longobucco la formazione granitica per le valli dei torrenti Manna e Macrocioli si avanza ancora alcuni chilometri a Sud, per im- mergersi dopo, ricoperta talvolta dal gneis e dal Miocene, entro la massa silana. La maggior parte del granito della zona principale, interposta tra Corigliano, Rossano e Longobucco, è di color grigio ad elemen- ti piuttosto grandi, distribuiti senza alcuna direzione prevalente. Il feldispato si trova spesso in grossi cristalli bianchi talvolta gemi- nati, la mica abbondante è biotite color tabacco scuro e non vi scarseggia il quarzo piuttosto opaco. Per la mica biotite, ma ab- bondante , i francesi distinguerebbero questo granito col nome di granitite. La mica spesso cambiandosi in clorite dà origine ad un granito cloritico. Per alterazione del feldispato questa roccia è spesso disgre- gabile ed all’esterno, in alcuni luoghi, per esempio nei monti sopra a Rossano ed a Corigliano, assume un aspetto terroso e quasi di roccia sedimentaria recente. A Longobucco lungo il torrente Macrocioli, per la strada che sale alla Sila, si hanno graniti grigi, chiari con grossi cristalli di feldispato, generalmente bianchi, talvolta leggermente rossastri, con quarzo semitrasparente e con mica biotite. Da Longobucco ad Acri se ne trovano dei chiari e per contenere la mica bianca ( musco- vite) appartengono al gruppo granulitico. Frequentemente ed in special modo nei dintorni di Rossano , al Cozzo dei Cappuccini, i graniti grigi sono attraversati da molti Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 6, filoni di pegmatite nella quale, cosa non rara pei graniti calabresi, furono riscontrati dei cristallini di tormalina dal compianto Dott. Bu- satti che ne esaminò al microscopio una sezione sottile. | Graniti rossi a grossi elementi si trovano sul Celati sotto Ros- sano e per la strada che da quel paese scende alla stazione fer- roviaria. Dal Prof. Lovisato, che parecchi anni addietro per incarico del Comitato geologico fece una ricognizione geologica per le provincie di Cosenza e di Catanzaro sono stati notati i graniti presso CGro- palati, affiorare dagli schisti e dalle sabbie terziarie. Io non ho osservato presso quel paese nulla di simile ; le sabbie, i conglo- merati miocenici e le roccie eoceniche che vi si trovano, riposano sopra le filladi sviluppatissime le quali non lasciano in quelle loca- lità affatto intravedere qual roccia le sopporti. Il granito è la roccia che serve di base a tutti i terreni suc- cessivi dai più antichi ai più recenti. Lo vedremo infatti sopporta- re, tra il Cino ed il Crati, tutta la massa del gneis e degli schisti cristallini antichissimi e molta parte delle filladi meno antiche, nelle valli del Celati e del Colognati presso Rossano. A lui sono addos- sati a Nord di Longobucco parte dei terreni liassici e nell’ alta val- le del Colognati quelli giurassici ed una piccolissima porzione de- gli eocenici. Il Miocene riposa sul granito nei dintorni di Rossano e perfino ii postpliocene è a contatto con esso fra quel paese e quello di Corigliano. A proposito della formazione granitica debbo qui rilevare la Il divergenza di vedute fra me e l’ Ing. Cortese (1). Mentre egli cre- Il de che essa abbia fatto eruzione tra mezzo alle roccie schistose | sovrapponendosi alle filladi, io ritengo invece che essa abbia servito di base a tutte le altre roccie per quanto antichissime. Scevro da ogni preconcetto quando feci le mie osservazioni non avrei mancato di rilevare dati e fatti tali da cambiare tanto le ultime deduzioni. (1) E. Correse— Descrizione geologica della Calabria (Mem. descr. della carta geologica d’I- talia Vol. IX.) 1895. | | i i Il | | | ti Studio geologico sul circondario di Rossano în Calabria II. Roccie cristalline schistose Sopra i graniti si ha una serie di roccie più o meno schisto- se, per il loro colore e per la loro costituzione paragonabili a quelle delle Alpi occidentali riunite dal Gastaldi sotto la denominazione di Pietre verdi. Il Lovisato nella sua gita attraverso la Calabria, ha raccolto in più luoghi e descritto molte varietà litologiche di queste roccie; il Prof. Bucca ne ha pure descritte alcune (1); così il Busatti ed altri, io mi contenterò di attenermi ai tipi principali fra i quali pongo il gneis, l eufotidi, le serpentine ed i micaschisti. Gneiss Il gneis, ovunque si ritrova nel territorio che mi sono propo- sto a studio, lo si vede sempre a contatto col granito al quale si appoggia. Non costituisce una roccia molto estesa nè a quanto mi parve omogenea, passando gradatamente ed anco alternando con l’eufotidi schistose e con micaschisti. Io non |’ ho incontrato che in due località distinte, a Corigliano e nei monti di Longobucco , sempre in connessione con altre roccie cristalline. A Corigliano si può considerare come formato da due roccie di tipo diverso. Il più comune il gneis anfibolico, costituisce oltre che l'imbasatura della collina sulla quale è fabbricato il paese, an- che la sua continuazione a sud, verso la montagna, e fino al suo incontro col granito che avviene a circa sei chilometri a monte di Corigliano. A levante tale roccia gneisica si allarga alquanto verso il Cino che però non raggiunge. Nella porzione più alta essa è so- stituita dall’ eufotide schistosa con la quale mi parve che facesse anche qualche alternanza. La roccia è di color verde grigio, granu- losa ad elementi piuttosto minuti ed uniformemente distribuiti. Ri- (1) L. Bucca—Sopra alcune roccie della serie cristallina di Calabria — Boll. d. R. Comit. geol. Vol. XV. Pag. 240. Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 7 sulta principalmente da mica muscovite e biotite in laminette lucen- ti, da orneblenda, da granuli di quarzo vitreo e di ortose più o meno alterato. È ricca di plagioclasio e di sostanze metalliche, (ma- gnetite, ilmenite ) ed è attraversata da numerosi filoncelli di quarzo. Il Rath (1) che osservò questa roccia a Corigliano, riconobbe che colà presenta una inclinazione da N. E. a S. O. e la disse attra- versata da filoni di granito. Io non ho osservato questo fatto; solo ho potuto constatare la presenza del granito sotto le roccie gnei- siche. L’altro tipo di gneis che trovasi nei dintorni di Corigliano, è quello che in pochi e piccoli strati alterna con 1 eufotidi schi- stose nella prima valle che trovasi a monte ed a sinistra percor- rendo la strada che da quel paese conduce a S. Giorgio. Se la spiccata stratificazione non lo distinguesse potrebbe, con ogni ve- rosimiglianza, esser preso per un granito poco alterato. È costituito da elementi piuttosto grossolani; il feldispasto ed il quarzo tendono a distribuirvisi in massarelle lentiformi secondo i piani di schistosità e la mica cambiatasi in clorite dà la qualifica di cloritico a questa varietà di gneis. Uno gneis consimile a quello di Corigliano trovasi intimamen- te connesso ai micaschisti nei monti a S. E. di Longobucco e si trova facendo la strada che da quel paese per gli orli della Sila conduce a Bocchigliero. Da Longobucco fino a raggiungere per la valle dal Macrocioli, la sommità dei monti, non si incontrano che graniti grigi e carnicini che formano totalmente la profonda e di- rupata valle, ma arrivati in cima, quando la strada comincia a pas- sare l’ altipiano e scansa la vetta del Monte Sordillo (1568 m.), si vedono gli gneis ed i micaschisti ricuoprire il granito ed essere alla loro volta rivestiti per piccolo tratto da un terreno incoerente miocenico. Tali roccie probabilissimamente seguitano e si allargano a mezzogiorno verso le ragioni centrali della Sila costituendo forse (1) G. von Rag. Geognostich — geographische Bemerkungen iber Calabrien. (Zeitschrift der deutschen geologhiscen Gesellschaft. 1873. B. 25. Pag. 171. 8 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria la parte più alta dei monti che si elevano sul piano predominante e, interrotte molto spesso e lungamente da terreni miocenici , vanno poi a svilupparsi di nuovo sulle pendici occidentali della Sila stessa verso Aprigliano ed anche in quelle meridionali nel catan- zarese. Per ora mi basta di rilevare che il gneis ed i micaschisti , procedendo dal Monte Sordillo per la strada di Bocchigliero, scom- pariscono presto per dar luogo alle filladi semicristalline , mentre, girando a levante la valle del Macrocioli, ritornano indietro spin- gendosi parallelamente a quella valle, fino quasi a Longobucco, sostenendo da prima le filladi della valle degli Inglesi e, dopo la R. Macchiafarna, i terreni liassici del Monte Petrone. Eufotidi schistose Agli gneis succede una roccia molto estesa in Calabria da molti ritenuta una diorite, della quale ha proprio l’aspetto, ma che il compianto Dott. Busatti ritenne essere invece un’ eufotide schi- stosa. Essa ha notevole estensione in tutti i territori dei paesi al- banesi da Corigliano fino oltre S. Demetrio-Corone. Ho già detto che a Corigliano alterna col gneis anfibolico nella collina a monte del paese e col gneis cloritico ove poco discosto trovasi la roccia sif- fatta. Maggiore sviluppo è acquistato dall’eufotide schistosa nei mon- ti compresi fra il Coriglianeto ed il Crati, ove, tenendosi un poco più a valle della linea che unisce i paesi di S. Giorgio Albanese, Vac- carizzo, S. Cosimo e S. Demetrio e spingendosi fin quasi alla pia- nura nelle vallate, è addossata al gneis che talvolta si scopre in qualche profondo burrone. Dico questo perchè probabilmente una roccia verdognola , alterata in vari prodotti talcosi, cloritici , che trovasi nella valle profonda che s’interpone fra S. Giorgio e Vac- carizzo, per i suoi componenti essenziali può riguardarsi come uno gneis. Dalla parte dei monti l eufotide schistosa è in intima con- nessione con i micaschisti, con i quali in qualche luogo mi parve alternante, e non è facile il rilevarne la sua estensione. Studio geologico sul circondario di Iossano în Calabria 9 Questa roccia di color verdastro, punteggiata di bianco, dall’ a- spetto granulare, fu studiata dal Busatti (1) il quale ne rilevò i principali caratteri mineralogici. È costituita in prevalenza da feldi- spato verdolino, decomposto, riconoscibile in qualche plaga cristallina per plagioclasio trasformato da saussurite. L’ anfibolo giallo-bruno orneblendico è di prima generazione. Il pirosseno, pure un elemento abbondante, è allotriomorfo, con aspetto decisamente diallagico, più o meno alterato e spesso trasformato in uralite od in altri pro- dotti anche secondari ferruginosi, cloritici, serpentinosi. Come mi- nerali atcessori possono citarsi |’ apatite, la magnetite, etc. Nei piani di sfaldatura questa roccia presenta accumulato un minerale laminare giallastro che a prima vista potrebbe esser pre- so per mica, ma che si riconosce per un pirosseno alterato, rife- ribile a quella varietà di diallagio di color giallo che si rinviene nelle eufotidi toscane. Roccia consimile l’ho trovata anche nelle opposte pendici della Sila fra Aprigliano e Cellara. Serpentina Collegata intimamente con la roccia più sopra studiata, con la quale forse alterna o dalla quale è racchiusa, si trova la serpen- tina, poco sviluppata, come nella pluralità dei casi, anche nel no- stro territorio. Si presenta a ponente di S. Demetrio Corone e costi- tuisce quasi totalmente, presso il Collegio italo greco di S. Adriano, quella collina chiamata Monte Santo (Dosso Mundo secondo Lovi- sato) dalla quale si prolunga alquanto a Nord Ovest lungo la stra- da che scende al torrente Galatrella. Essa si ritrova, pure come un nuovo affioramento o come massa distinta, per la strada che dal paese di S. Demetrio conduce, lungo la Serra S. Niccola, alla via regia di Corigliano. Mi fu detto che si rinveniva in grande (1) Busarti—Alcune roccie delle pendici Nord Occidentali della Sila (Calabria) Att. d. Soc tosc. d. Sc. nat. Proc. verb. Vol. VIII, Pag. 205. Arti Acc., Von. IX, SerIE 48— Memoria XVII. 2 10 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria quantità anche nella valle interposta fra S. Demetrio ed il paesetto di Macchia; ma io non ebbi campo di riscontrare la verità di questo fatto. Mi parve piuttosto di vederne un altro affioramento presso la Serra del Gufo a sinistra ed a metà di strada da S. Sofia di Epiro al M. S. Angelo. È una roccia di colore verde scuro intenso, compatta, con macchie biancastre coruscanti, dovute alla incipiente decomposizio- ne. È attraversata da vene frequenti di crisotilo. Essendomi nato il dubbio che potesse essere una peridotite, pre- gai il Busatti di farne l’esame microscopico e da questo, avendo esso acconsentito con quella gentilezza che lo distingueva, ci potemmo insieme persuadere che si trattava di una vera e propria serpentina. Egli (1) infatti constatò che tale roccia “ è nella quasi tota- lità risultante di serpentino incolore giallognolo o giallo verdastro con spiccata polarizzazione di aggregato, raramente di corpo amor- fo. Subordinatamente in alcune sezioni si riconoscono i residui di un minerale pirossenico indubbiamente monoclino, con inclusioni brune o bruno-rossastre, che richiamano alla mente quella del diallagio. La magnetite secondaria si osserva di frequente con di- stribuzione irregolare , Anche il Prof. Bucca (2) ha esaminate alcune serpentine del- la Calabria e ne ha tratte importanti deduzioni mineralogiche, spe- cialmente sulla loro origine. Egli, avendo osservato nelle serpenti- ne calabresi ora l’ olivina, ora bronzite o diallaggio o iperstene o bastite (che sarebbe iperstene alterato) ritiene sempre più compro- vata l’ origine delle serpentine stesse da roccie contenenti olivina, diallaggio, bronzite, anfibolo o augite e prive di allumina. Simili masse serpentinose non sono rare nella Calabria ed io ne ho ritrovata una, segnata anche nella carta geologica del CGor- tese, nel monte S. Lucerna a Nord di Grimaldi rivestita da roccie filladiche e più sopra da calcari neri secondari. (1) BusartIi— Alcune roccie delle pendici nord-occidentale della Sila. Loc. cit. Pag. 208. (2) L. Bucca—Sopra alcune roccie della serie cristallina di Calabria Boll. d. R. Comit. geul. Vol. XV. Pag. 245. Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 11 Ritornando alla serpentina di S. Demetrio Corone, essa sta nella medesima posizione stratigrafica di quelle della zona delle pie- tre verdi nelle Alpi occidentali, ed è per questo diversa stratigra- ficamente dalle altre ritenute recenti dell’ Appennino Settentrionale. Per ciò io la pongo fra i terreni più antichi. Micaschisti In connessione con 1’ eufotide schistosa già dissi che si tro- vano i micaschisti, i quali sono grandemente sviluppati nei monti che stanno sopra ai paesi albanesi da S. Giorgio a S. Demetrio e specialmente nei dintorni di S. Sofia di Epiro. Altri micaschisti, in parte uguali a quelli dei paesi albanesi, si trovano collegati al gneis dei monti che stanno a S. E. di Longobucco, formando insieme a quello un lembo di terreni cristallini che ho supposto andasse e- stendendosi nelle regioni centrali della Sila, per poi discendere nelle sue pendici occidentali e meridionali. Le varietà di queste roccie sono davvero numerosissime ed occorrerebbe uno studio speciale per poterne ricavare esattamente le qualità minerali e petrografiche. Il micaschisto granatifero è for- se il più comune; ha spesso una colorazione bianco-rossastra ci- nerea, più o meno zonata in verdastro; è costituito principalmente da quarzo bianco abbondante disposto in stratarelli ed in masse lentiformi, da granato rosso (almandino) e spesso vi si trova ab- bondante la sillimanite in fascetti fibrosi biancastri o verdognoli. Il Lovisato (1) che trovò grande quantità e varietà di tali roccie a granati fra S. Demetrio e S. Sofia ed in molte parti della Calabria settentrionale le chiamò kinzigiti, nome dato dal Fischer ad una consimile roccia, a granati dei dintorni di Wittichen sul Kinzig. Il Bucca (2) trovò giusta ed avvalorò la denominazione data dal Lovisato. Il De Stefani, (3) il quale pure trovò roccie identiche nei (1) Lovisato. Cenni geognostici e geologici sulla Calabria settentrionale (Bollo de fa 00- mit. geol. A. X. 1879. Pag. 37.) (2) L. Bucca. Sopra alcune roccie della serie cristallina di Calabria. Loc. cit. Pag. 241. (3) De SrrranI. Escursione scientifica nella Calabria (Atti d. R. Accad. d. Lincei. M. d. clas. sc. 10 fis. mat. e nat. Vol. XVIII. Pag 04.) 12 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria dintorni di Monteleone nella Calabria meridionale, le chiamò sem- plicimente micachisti granatiferi e silliminatici. Con questi nomi so- no pure indicati i campioni raccolti da me sopra S. Giorgio e nei dintorni S. Sofia di Epiro dal Dott. Busatti, nello studio da lui fatto sopra alcune roccie delle pendici nord-occidentali della Sila (1). Egli nei micaschisti sillimanitici di S. Giorgio riconobbe il quarzo bianco abbondante in noduli, che tiene immerso il granato (alman- dino) ricco di inclusioni. La sillimanite è in colonnette fasciformi lungo i piani di schistosità. La mica appartiene ad una delle varietà bianche ed insieme alla sillimanite, con la quale è collegata, deter- mina la schistosità della roccia. L’ andalusite è della varietà della chiastolite; ha struttura fibrosa si riconosce anche ad occhio nudo in alcune rare concentrazioni di sostanze nere. L’ortose non copioso è torbido per la sua avanzata decomposizione ed il plagioclasio non è ben riconoscibile. Si trovano poi nella roccia la magnatite, la ti- tanite, abbondanti prodotti leucoxenici ed il rutilo in aghetti inclusi nei granuli di quarzo. In quanto alla tettonica degli strati gneissici e degli altri schisti cristallini non posso dir niente per ora, mostrandosi assai compli- cata e meritevole di più accurate osservazioni. Solo posso notare di avere osservato che la pendenza prevalente degli strati varia da N. ad O. Il terreno gneissico e quello delle roccie verdi ora studiato , il quale non sopporta per la massima parte nessun deposito sedimen- tario, all'infuori di un piccolo lembo triassico e di uno miocenico a ponente di S. Demetrio e di piccola porzione del liassico a Sud Est di Longobucco, non ci fornisce nessun dato sul quale fondare una possibile determinazione cronologica. È notevole però la sua sottoposizione alle filladi paleozoiche tra Bocchigliero e Longobucco. Tuttavia attenendomi anche alla loro forma eminentemente cristallina, alla loro giacitura ed alla loro analogia con la forma- zione consimile delle Alpi occidentali io ritengo tali roccie facenti (1) BusartI. Alcune roccie ete. Loc. cit. Pag. 202. Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 13 parte dei terreni arcaici, dei quali i più antichi sarebbero rappre- sentati dal gneis ed i più recenti forse dalla eufotide. Credo poi che facciano parte della porzione più alta della for- mazione in esame anche dei calcari cristallini saccaroidi. Questi calcari saccaroidi dei quali fin’ora non ho tenuto paro- la, furono osservati anche dal Lovisato, (1) non solo nel circonda- rio di Rossano, ma anche in molte parti della Calabria meridiona- le e centrale e dal De Stefani nella Calabria meridionale. Ovunque si presentono in lenti più o meno estese racchiuse dagli schisti cristallini. Perciò da tutti sono stati ritenuti arcaici. Essi si presentano sotto l’ aspetto di una roccia marmorea , bianca e saccaroide, a grana più o meno sottile, attraversata da fes- sure e spaccature che la rendono di poca stabilità e che ne fanno essere impossibile l’ estrazione di grandi massi. Serve soprattutto per la fabbricazione della calce. Sebbene 1° esaminassi attentemente non mi riuscì possibile scoprirvi nessuna traccia di fossili; solo vi osservai, cosa già notata da quelli che l’hanno esaminata prima di me, dei piccoli cristalli di pirite pentagonododecaedri. Anche non mi riuscì di scoprirvi indizio di stratificazione. Tale roccia si trova, presso Corigliano , sotto la Torre Marcalei ove è a grana molto grossolana; a S. Giorgio, ove massima parte del paese vi è sopra costruito e dove è assai sviluppata; tra Vaccarizzo e S. Cosimo e tra quest’ ultimo paese e quello di S. Demetrio. In tutto se ne hanno quattro lembi tutti nelle medesime condizioni di giacitura, cioè racchiusi dalle roccie cristalline esaminate, allineati da Est ad Ovest, lungo la linea di contatto tra le roccie cristalline stesse ed i ter- reni terziari molto recenti. Ad Aprigliano, dalla parte opposta della Sila, ne ho pure trovato un Jembo nelle identiche condizioni. Questi calcari sono identici a quelli di altre località calabresi i quali hanno fornito soggetto di studio all’ Ing. Novarese (2) che vi ha scoperto una grande varietà di minerali. i (1) Lovisaro.—Cenni geognostici etc. (Loc. cit.) Pag. 32. (2) V. Novarese—Calcari cristallini e calcefiri dell’ Arcaico calabrese (Boll. d. comit. geol. Vol. XXIV, n. 1.) 14 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria ZONA DELLE FILLADI Schisti idromicacei e carboniosi Le roccie delle quali intendo ora occuparmi, hanno il loro maggiore sviluppo a sud di Rossano, estendendosi in special mo- do tra Cropalati, Bocchigliero e Campana e seguitando, dopo pas- sato il Fiumenicà, per la provincia di Catanzaro. Il loro lembo più settentrionale comincia a Ovest di Rossano ai colli del Ceradonne e del Seminario, d’ onde una diramazione giunge fino al Cozzo del Pesco. Ne sono costituite le pendici tra il Colognati ed il Celati, dal Piano del Tesoro fino al Cozzo dei Corvo, rimpetto a Rossano, nonchè la parte inferiore delle pendici sulla destra del Colognati, dalla Pietra di Ettolaga fino al ponte della strada che da Rossano conduce a Paludi. Si ritrovano poi le filladi al fondo delle valli che, dopo quella del Colognati, si attraversano facendo la strada da Rossano a Cro- palati, formanti altrettanti lembi disgiunti fra loro per terreni più recenti sovrapposti. Se ne hanno quindi per piccolo tratto sul tor- rente Otturi fra Rossano e Paludi, a monte di quella strada, ed un poco più estesamente, a valle della medesima, al vallone S. Elia, a sud di Paludi, e sul torrente Coseria, presso Cropalati. Questi tre lembi sono ricoperti dal terreno eocenico dalla parte dei monti, mentre verso il mare è il Miocene che li ne limita 1’ estensione. nasconde e Dal Coseria gli schisti filladici, passando sotto alla collina di Cropalati, ove sopportano terreni più recenti, dell’ Eocene e del Miocene, sbucano fuori nella valle del Triont oltre alla Madonna di Puntadura, totalmente ambedue le pendici. tanto di destra che di sinistra, o che risalgono fino occupandone in quel tratto quasi Dico quasi totalmente poichè esse, hanno la parte superiore spesso costituita da roccie liassiche ed eoceniche. A Puntadura la forma- zione filladica s’ insinua nella valle dell’Ortiano, affluente di destra del Trionto, e ne occupa specialmente la parte alta agli orli del- Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria I (6.i l’altipiano della Sila, ove si appoggia al gneis ed agli schisti cri- stallini, sopportando i terreni liassici fra Bocchigliero e Puntadura. Ma le roccie filladiche hanno il loro maggiore sviluppo nella valle del torrente Laurenzana, affluente esso pure della parte destra del Trionto. Qui esse occupano la maggior parte delle pendici che for- mano la lunga e profonda valle; sostengono sulla sinistra le roc- cie liassiche che costituiscono in massima parte la sommità della giogaia interposta tra il Laurenzana e l’ Ortiano, sulla destra sop- portano in grande trasgressione lembi di terreno eocenico e di giu- rassico sopra a Caloveto e presso Mandatoriccio, nonchè tutto il Miocene che occupa le regioni pianeggianti all’ intorno ed a Nord- Ovest di Compana. Attraversate queste regioni, ove il Miocene ha generalmente poca potenza e in modo che al fondo delle valli si scoprono sempre le filladi, queste si mostrano notevolmente svilup- pate anche nella valle del Fiumenicà, limite propostomi, d’onde continuano nella provincia di Catanzaro. Nella parte inferiore della zona delle filladi ho trovato lungo il Celati a Nord di Rossano, degli schisti cloritici meno sfaldabili degli altri, a frattura quasi vetrosa i più compatti, costituiti quasi essenzialmente da quarzo e che potrebbero anche prendersi per una grauwacka cloritica. Io ritengo queste roccie le più antiche fra tutte quelle della zona delle filladi. Ancora nella valle del Celati ho raccolto campioni di roccie filladiche le quali sembrano includere un minerale grigio scuro a granuli non ben definiti, grossi forse due millimetri sparsi porfiri- camente e che potrebbe anche essere preso per Ottraelite. Ma os- servata al microscopio una consimile roccia macchiettata, la quale sì trova anche alla Macchia della Giumenta ad Ovest di Bocchi- gliero, non mostra, oltre quelle essenziali per tali specie di roccie, altre forme mineralogiche importanti e le macchie scure sembra- no costituite da accumulazioni di mica, che potrebbero avere avu- to origine per trasformazione di qualche minerale andalusitico. Oltre questa qualità di mica si osserva in quella roccia anche la mica bianca, muscovite, in piccola quantità ed in tenui laminette. 16 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria Alla Re. Crocicchia fra il Celati ed il Colognati si hanno fil- ladi chiare, cenerognole, lucentissime e sfaldabilissime ; più sotto verso il C°. del Corvo, si trovano scure, poco sfaldabili, rossastre per molti elementi ferruginosi e segnanti un passaggio al cloroschisto, per l’ abbondanza di una clorite di color verde cupo. Le roccie filladiche della zona principale, nelle valli del Trion- to e del Laurenzano, nonchè quelle sulle pendici che acquapendo- no al Fiumenicà fra Scala-Coeli e Campana, conservano un tipo più uniforme e somigliano in modo strano alle consimili del M. Pi- sano ove due o tre anni addietro venne scoperta dal De Stefani una flora carbonifera o permiana. Sono generalmente assai schistose, più o meno lucenti, di un color grigio di piombo e attraversate in vario modo da numerose venature di quarzo bianco. Sono anche del medesimo tipo di quelle che ho visto per la massima parte a Taormina descritte dal Bucca nella guida geologica di Taormina stessa, pubblicata per cura del Di Stefano e del Cortese (1). I terreni passati in rivista sebbene non presentino una stra- tificazione tanto complicata, avuto riguardo alla loro età, pur non è facile che lascino afferrare nell’insieme la loro disposizione tet- tonica. Questo perchè molte sono nei loro strati le piccole contor- sioni di parziale importanza e perchè la massima parte di essi so- no ricoperti da estese zone di terreni più recenti che ne impedi- scono l’esame estesamente dettagliato. Pur tuttavia non è difficile rilevare nella serie degli strati filladici alcune elissoidi con gli as- sì generalmente rivolti da O. ad E. o da N. O. a S. E. Uno di tali elissoidi si trova a mio credere a Sud di Rossano e si palesa con l'inclinazione opposta degli strati filladici a N. ed a S. della Re. Crociechia (Vedi tav. I, fig. 4) L’elissoide avrebbe l’asse diretto da Ovest ad Est e forse un poco inclinato verso quest’ ultima parte. Altra elissoide, (Tav. I, fig. 1 e 2) forse parellela alla prece- (1) Di Srerano e Correse—Guida geologica dei dintorni di Taormina (Bull. d. Soc. geol. ital. Vol. X. Pag.:‘205). Studio geologico sul circondario di Rossano în Calabria 17 dente, si osserva facilmente fra Cropalati e Puntadura ove le filladi con il braccio meridionale della piega vanno a sostenere quasi in concordanza le roccie liassiche di Puntadura stessa, mentre il brac- cio settentrionale con inclinazione opposta sostiene il Miocene di Cropalati. In connessione a questo elissoide ed alle forze che lo produssero si originò forse anche una faglia che si osserva tra Cropalati e Puntadura e per la quale le filladi sembrano dover an- dare a ricoprire i calcari dell’Eocene medio. La direzione della faglia è presso a poco quella dell’ elissoide. Altre due elissoidi sono formate dalle filladi nella valle del tor- rente Laurenzana. Una di esse (Tav. I, fig. 6) si trova nella parte bassa della valle e forse non rappresenta che la continuazione di quella sopra notata, l’ altra si manifesta fra Bocchigliero e Campana. Molta parte del terreno liassico che sta sulla parte destra del bacino del Trionto e che occupa specialmente la valle dell’Ortiano è racchiuso in una larga sinclinale degli strati filladici i quali lo hanno stipato contorcendolo in vario modo. In quanto all’ età da attribuirsi alle roccie in discorso non è cosa facile assegnarla, mancando il riscontro importante dei fossili. Però la loro sovrapposizione agli schisti cristallini dei monti a Sud di Longobucco, ci dà un buono argomento per ritenerle già più re- centi di quelli. Vi è di più che qua e là non mancano indizi, i quali, mentre possono ritenersi come derivati da una vita organica qua- lunque, ci spingono a non ritenere antichissimi i terreni che li conten- gono, sebbene essi si trovino in frequenza anche nei terreni azoici. Voglio parlare di alcuni strati grafitici, anche di un metro di spes- sore che si trovano a far parte della formazione ed intercalati agli schisti filladici, come presso Rossano alla R. Salvatore e lungo la strada che dalla Madonna delle Grazie scende al ponte sul Colo- gnati. Colà si ha uno strato grafitico impuro di circa due metri di potenza, intercalato alle filladi che in strati verticali diretti da Est ad Ovest si drizzano su per la montagna. Non è minore argomen- to per ritenere paleozoici tali terreni quello dalla scoperta fatta dal Montagna in roccie consimili di Pazzano, nella Calabria centrale ATI Acc., Vo. IX, SERIE 48— Memoria XVII. 3 | I | | 18 Studio geologico sul circondario di Rossuno in Calabria di un Trilobite il quale determinato dal Prof. Franco (1) per il Phacops (Trimerocephalus) laevis MiinstER, sarebbe caratteristico del Devoniano. Questo importante esemplare è stato figurato e descrit- to dal Bassani e Di Lorenzo nel loro studio sul monte Consolino di Stilo (2). Io non dubito punto che prima o poi, come è succes- so pci terreni consimili del Monte Pisano, non si debbano scopri- re fossili anche nelle formazioni filladiche della Calabria e della Sicilia le quali non hanno quel tipo di roccie antiche, dell’arcaico, come da alcuni si vorrebbe ritenere. Ma per non pregiudicare tanto la quistione mi contenterò per ora di riferirle tutte al Paleozoico inferiore. Trias Facendo la strada da S. Demetrio Corone a Terranuova di Sibari, paese che resta sulla sinistra del Crati fuori del circonda- rio di Rossano, dopo aver percorso lungo tratto di strada sopra roccie serpentinose, sopra eufotidi schistose, spesso ricoperte dal Postpliocene, si incontrano nella bassa valle del Galatrella delle roccie calcari compatte o schistose , .che io crederei appartenenti ai più antichi terreni secondarii. Sono calcari ora compatti, semicristallini, ceruleo-cupi, spesso con vestigia di crinoidi, ora terrosi e rossastri, ora marnosi e schi- stosi, non mai in strati molto potenti. Giustamente il Lovisato, (3) che li incontrò sulla sponda sini- stra del Crati, osservò che essi in alcuni luoghi assumono un a- spetto schistoso, tanto da sembrare di avere a che fare con mi- caschisti. Anch'io infatti scendendo al Crati dalla R.° Rotonda, ove sembra che un dislocamento abbia originato quella distinta depres- (1) P. Franco—Di un Trilobite rinvenuto negli scisti di Pazzano (Calabria) e dell’ età di questi scisti. (Rendiconti dell’ Ace. di sc. fis. e mat. di Napoli. A. XX, fasc. 8, 1881). (2) Bassani e Dr Lorenzo — Il Monte Consolino di Stilo. (Vol. VI, serie II, n. 8 degli Atti d. Accad. di sc. fis. e mat. di Napoli). (8) Lovisaro. Cenni geogn. e geol. sulla Calabria. ( Loc. cit.) Pag. 34. Studio geologico sul circondario di Rossano în Calabria 19 sione che forma il valico sul quale passa la strada, ho incontrato a mezza costa le medesime roccie osservate dal Lovisato. Esse so- no variamente contorte, ora dall’ aspetto di micaschisti, semicri- stalline, verdastre e prevalentemente costituite da calcite spatica distribuita a stratarelli nel senso della stratificazione e da altre so- stanze verdi; ora sono schistose, sfaldabilissime, semilucenti, molto micacee, di un color vinaccia chiaro e simili all’aspetto ad alcune varietà di schisti finmamente arenacei che si trovano nella serie del Verrucano nei Monti Pisani e nel Buntersandstein delle Alpi. A differenza però delle roccie del Verrucano, gli schisti calabresi in discorso contengono grande quantità di carbonato di calce che si palesa con la viva effervescenza sotto 1’ azione degli acidi. Questo insieme di roccie ha poca estensione nel territorio da me studiato, ma prende maggior sviluppo oltrepassato il Crati. in quel dei comuni di Tarsia e di Terranova di Sibari, ove venne osservato anche dal Rath (1) che vi scoprì egli pure resti di cri- noidi. Non è poi improbabile che le roccie in discorso oltrepassato con un ampio sinclinale la larga valle del Coscile si riconnettano con quelle consimili dell'Appennino tra il Pollino ed il Mar Tirreno. Dalla parte del Crati il terreno in discorso inclina più o meno sentitamente a Nord; nella valle del Galatrella (Tav. 1, fig. 3) sem- bra che costituisca una leggera curva sinclinale ; del resto non si hanno notevoli cambiamenti nella inclinazione degli strati che mo- strano solo delle ondulosità di non molta importanza. È notevole la grande discordanza con la quale questo terreno si è depositato sopra le roccie antichissime dell’ Arcaico , le quali costituiscono la parte superiore della valle del Galatrella. Nè meno rilevante si presenta l’altra discordanza che intercede tra queste roc- cie, relativamente antiche, a quelle che esse sostengono da attri- buirsi al terziario antico, quelle delle pendici settentrionali della Serra Castello e presso il ponte sul Crati, al terziario più recente, al Postpliocene, quelle della Serra Cagliano. (1) Rara. Osservazioni fatte in Calabria. Bull. d. R. Comit. geol. V. IV, 1881. Pag. 330 20 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria Sorge ora la questione dell’ età da attribuirsi alle roccie esa- minate in questo capitolo le quali si possono dire mancanti di fos- sili, inquantochè poco aiuto ci danno gli indeterminabili resti di cri- noidi. Bisogna quindi ricorrere ad altre considerazioni e ad analogie con terreni vicini di cui sia ben conosciuta l’ età e che in questo caso non mancano completamente. Siccome non si può escludere che le roccie in esame, sui cal- cari con crinoidi almeno non può cader dubbio, appartengono al periodo secondario e d°’ altra parte nel circondario di Rossano es- sendo rappresentati quasi tutti i terreni del Lias e del Giura con aspetto litologico diverso, fisso e caratteristico, non resta che sup- porre di avere a che fare, nel nostro caso, con una formazione triassica. Pertanto il Lovisato (1) a Mormanno, in un calcare ceru- leo-cupo, a mio credere simile a quello del Galatrella, scoprì nu- merose impronte di una conchiglia che il De Stefani ed il Mene- ghini riconobbero per il Trochus Songavatii Stopp. caratteristico del Trias superiore. Convalidano la mia opinione i recenti studi sulla Calabria del- l’ Ing. Cortese (2) il quale se avesse osservati i calcari cerulei con crinoidi della valle del Galatrella non avrebbe forse asserita la man- canza del Trias nella Calabria media. E se avesse veduti tali calcari in connessione con gli schisti calcariferi non avrebbe forse posti questi nell’ Arcaico e li avrebbe ritenuti almeno permiani come fu ‘ la sua prima idea. A proposito di questi calceschisti, da lui osser- vati al di là del Crati, egli così si esprime: “ I calceschisti hanno poi un aspetto sui generis che li potrebbe far ritenere anche più re- centi e non nascondo che furono da me creduti permiani. , Nè bi- sogna dimenticare che lo stesso Ing. Cortese (3) in tutta la forma- zione triassica calabrese ha trovato una grande varietà di roccie schistose micacee di diverse colorazioni. (1) Dr Srerani—Escursione scientifica per la Calabria (Loc. cit.). Pag. 77. (Erroneamente il De Stefani ha creduto che Mormanno appartenesse alla Sila). (2) Correse— Descrizione geologica della Calabria (Loc. cit.) Pag. 89. (3) Corrtese—Idem. Pag. 223. Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 21 Queste, dimostrando la presenza di roccie siffatte nel Trias di regioni vicine, appoggiano dirò così il mio riferimento e mi fanno sperare che sia giusto. Lias La formazione liassica è piuttosto estesa ai margini orientali della Sila, tra i paesi di Longobucco, Cropalati e Bocchigliero. Co- mincia a mostrarsi a Sud di quest’ultimo paese verso S. Giovanni in Fiore e verso Savelli nella provincia di Catanzaro, ove dal Lo- visato fu per la prima volta osservata l’ arenaria rossa variegata che ritroveremo a Bocchigliero e a Longobucco a costituire la roc- cia liassica più antica. Dalla provincia di Catanzaro la formazione liassica penetra nel territorio che ho preso a studiare per il Varco del Cannuovo e per la R. Macchia della Pita a Sud di Bocchiglie- ro. Si insinua da un lato nella valle del Laurenzana, della quale costituisce gran parte delle pendici superiori di sinistra, ricoperta per poco da roccie giuresi e dal Miocene. Dall’ altro lato scende nella valle dell’Ortiano, della quale occupa tutte le pendici di de- stra fin quasi alla loro sommità, e si estende anche a quelle di sinistra nella parte inferiore della valle e presso allo sbocco del- l’ Ortiano nel Trionto. Qui i due bracci, quello sulla sinistra del Laurenzana e quello sulla destra e sinistra dell’Ortiano, tenuti per poco separati dal Miocene sovrapposto, si riuniscono e, voltando a ponente, risalgono la valle del Trionto della quale occupano ambe le pendici fino Longobucco. Sulla sinistra del Trionto il Lias è ri- coperto parzialmente da conglomerati, da breccie e da calcari num- mulitici eocenici. La formazione liassica riposa sopra alle filladi paleozoiche dal suo principio a Sud di Bocchigliero fino al suo estendersi nella valle del Trionto, nei dintorni di Puntadura, in faccia alla foce dell’Ortiano. Ma nelle vicinanze di Longobucco, sono tutt’altre roc- cie quelle che la sopportano. Infatti fra la R.° Machiafarna ‘ed il il Ìl 22 Studio geologico sul circondario di Iossano in Calabria Cozzo della Vitalba, a levante del paese, essa sovrastà agli schisti cristallini e al gneis il quale poco più al Sud va a sostenere le filladi, mentre più presso a Longobucco soprastà direttamente al granito. Da Longobucco la formazione liassica sempre a contatto di quest’ ultima roccia, volge a tramontana, passa nella valle del Coseria, della quale costituisce i terreni della porzione più alta, e si introduce per poco in quella del Colognati, ove va a sopportare terreni oolitici e dell’ Eocene. Le roccie più comuni che si riscontrano nella intiera forma- zione liassica sono incontrastabilmente i calcari ora più ora meno puri, ora marnosi; ma si trovano ancora puddinghe anagenitiformi ed arenarie, ed anche si può aggiungere la lignite. Le puddinghe anagenitiformi insieme alle arenarie spesso contenenti frustoli di piante carbonizzati, nonchè la lignite—creduta dai paesani il vero carbon fossile, dal quale sperano poter ricavare anche un utile co- me materiale combustibile—sono le roccie che formano la base di tutta la formazione. Come ebbi già luogo di notare (1) nei terreni liassici che ci occupano al presente si può facilmente distinguere due parti, una inferiore ed una superiore le quali poi corrispondono a due divi- sioni del periodo liassico separate per fauna e forma litologica di- verse. Alla parte inferiore appartengono le puddinghe anagenitifor- mi, le arenarie, la lignite ed un calcare nero semicristallino molto sviluppato; alla superiore solo calcari cenerognili più o meno marno- si, qualche volta rossastri, con qualche banco interstratificato di arenarie più o meno grossolane. Fra questi due terreni quasi sempre a contatto fra loro ho creduto dopo (2), ma non molto sicuramente, di doverne interporre un terzo costituito pure da calcari, però di- versi dagli altri anche per il loro aspetto litologico. Sono i calcari rossi, spesso costituiti da resti di crinoidi, della R*. Focastra, presso (1) Fuctmr—Molluschi e brachiopodi del Lias inferiore di Longobucco (Bull. d. Soc. Mal. ital. Vol. XVI. (2) Fucimi—Due nuovi terreni giurassici del circondario di Rossano. (Atti di Soc. tosc. di sc. nat. (Proc. Verb.) Vol. IX. Pag. 164.) Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 23 Bocchigliero, della valle del Colognati e di altri piccoli lembi, che ho creduto riferibili al Lias medio, ma che almeno in parte debbono invece rapportarsi all’ Oolite, cosa da me già ritenuta probabile, per i fossili recentemente raccoltivi dal Dott. Greco. Mi sono già particolarmente occupato della parte inferiore del Lias del Circondario di Rossano nel quale studio sono stato se- guito dal Greco (1), il quale per essere appunto di Rossano ha po- luto raccogliere e studiare maggior materiale paleontologico di me. Il Dott. Greco, al quale ho ceduto il materiale raccolto da me sta ora studiando i fossili del Lias superiore nonchè quelli dell’O- olite e già ha fatto conoscere qualcosa di questi suoi studi (2). Lias inferiore Per molto tempo, dopo che il Lovisato riferì al Triag le are- narie variegate di Savelli e di Longobucco , si credè che questo terreno dovesse appartenere a quell’epoca ed anche il Canavari (3) determinò per specie retiche alcuni brachiopodi che l’Ing. Cortese aveva rinvenuto in un calcare cupo della R.° Puntadura. Ma nel- l’ occasione del congresso tenutosi dalla Società geologica italiana in Catanzaro nell’anno 1889 il Canavari e 1 Ing. Cortese (4) si portarono a visitare la località di Puntadura e si persuasero che la formazione ivi sviluppata doveva ritenersi non triassica ma lias- sica . Poco tempo dopo mentre mi trovava in Calabria ignorando affatto la scoperta del Cortese e mentre mi recava da Longobucco (1) Greco — Il Lias inferiore nel Circondario di Rossano (Boll. d. Soc. Vol. XIII. Memorie. 1893). (2) Greco — Il Lias superiore nel Circondario di Rossano Calabro. (Atti d tosc. di sc. nat. . SOc. tosc. d. sc. nat. (Proc. verb.) Vol. X. Pag. 67.) Sulla presenza della Oolite inferiore nelle vicinanze di Rossano Calabro. (Atti d. soc. tosc. d. sc. nat. (Proc. verb.) Vol. IX Pag. 231.) (3) CanavarI—Brachiopodi retici della Calabria Citeriore (Att. soc. tosc. sc. nat. (Proc. verb.) Vol. Pas. 113): (4) Relazione aunuale dell’Ispettore Capo al R. Comitato geologico pel lavoro della carta geologica (1889-90). (Bull. d. R. Com. geol. d’ Italia Vol. XXI, parte ufficiale. Pag. 21). | | il ll ll il ii IR iÎ 24 Studio geologico sul circondario di Rossano în Calabria alla R. Acqua di Pietro nella valle dell’ Ortiano, ove mi avevano detto trovarsi il carbon fossile, mi imbattei io pure nel deposito fos- silifero di Puntadura e della bassa valle dell’ Ortiano. I fossili al- lora ed in una gita posteriore raccolti, da me fatti conoscere con due pubblicazioni, (1) mi fecero accorgere della identità perfetta di quel deposito con quello di Taormina e mi vi fecero allora distin- guere il Lias inferiore ed il Lias superiore. Il Lias inferiore come a Taormina è posato in piena discor- danza sopra le filladi e comincia, dal basso all’ alto, con puddinghe della potenza di circa 10 metri più o meno colorate in rosso Vi- naccia e formate da ciottolini di varia grossezza, spesso arroton- dati, di quarzo bianco, roseo od ialino, di filladi e di schisti cri- stallini collegati, come ha fatto conoscere il Canavari (2) da un cemento di quarzo frammentario. Tale roccia comparisce sulla stra- da rotabile tra Cropalati e Longobucco , alla R.° Puntadura, e si indirizza verso Bocchigliero ove si ritrova nelle medesime condi- zioni nei dintorni di quel paese. Il Seguenza (3) paragonò l’identica roccia di Taormina al grès rosso degli inglesi, Buntersandstein dei te- deschi, grès bigarré dei francesi; il Cortese (4) la ritenne apparte- nente al Muschelkalk ed il Di Stefano (5), più favorevole all’opinione del Seguenza , la fece corrispondere al Servino della Lombardia. Allora non conoscendo al riguardo altre opinioni, per parte mia (6), sebbene nutrissi il dubbio che quelle puddinghe fossero liassiche, (1) Fucini—Fossili liassici calabresi. Boll. d. Soc. geol. Ital. Vol. X, fase. I — Molluschi e Brachiopodi del Lias inferiore di Longobucco (Cosenza) Boll. d. soc. malac. italiana. Vol. XVI, 1891. (2) M. Canavari — Conglomerati arenarie e quarziti liasiche di Puntadura in provincia di Cosenza (Att. d. Soc. tosc. d. Sc. nat. (Proc. verb.). Vol. VIII. Pag. 13). (3) Srevenza- Contribuzione alla geologia della provincia di Messina (Boll. d. R. Comit. geol. d'Italia. 1871). (4) Cortese—Brevi cenni sulla geologia della parte N. E. della Sicilia (Boll. d. R. Comit. geol. d'Italia. 1882). (5) Di Srerano — Sul Lias inferiore di Taormina e de’ suoi dintorni (Gior. d. soc. d. sc. nat. ed econ. di Palermo. V. XVIII, 1889). (6) Fuomi — Molluschi e briachiopodi del Lias inferiore di Longobucco (Boll. d. soc. mal. ital: Vol. XVI, 1891). Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 25 ritenendo essere il Muschelkalk in Calabria ed in Sicilia rappresen- tato da roccie di natura diversa da quella, dissi: sarei, per ora, di opinione che esse non possano essere più recenti del Buntersand- stein. Nel frattempo il Di Stefano e l'Ing. Cortese, (1) per la occa- sione del congresso geologico di Taormina avevano pubblicato la Guida geologica dei dintorni di Taormina che io per molto tempo non conobbi e fino a che non uscì stampata nel Bollettino della Società geologica. Il Di Stefano ed il Cortese posero allora quella puddinga nel Lias e nella sua parte più inferiore. Quella stessa roccia di Puntadura dette occasione al Prof. Canavari di pubblicare una nota (2) nella quale, dicendo come essa faccia gradatamente passaggio ai calcari neri che io aveva attribuito al Lias inferiore, la riporta al Lias come avevano già fatto il Cortese ed il Di Stefano per quella di Taormina. Il Dott. Greco (3) avrebbe confermato la liassicità di questa puddinga per avervi trovato delle Ostreae ed una delle specie di Pecten che si trovano anche nei calcari neri del Lias inferiore. Sopra le puddinghe, cui sono intimamente legati e le arenarie micacee con frustoli di piante carbonizzate e gli stratarelli di li- gnite dei quali ho fatto parola più sopra, si trovano per circa 50 e più metri dei calcari neri o grigio cupi, ricchi di macchie e di venature spatiche, e costituiti almeno in parte da foraminifere, visi- bili anche ad occhio nudo o col semplice aiuto di una lente. Molti stratarelli di marne terrose di colore grigio opaco interstratificati con essi ne rendono più evidente la stratificazione. Nelle superfi- cie da lungo tempo esposte agli agenti atmosferici il color nero della roccia calcare è mascherato da una patina di limonite, pro- dottasi per alterazione della roccia stessa ed in alcune spaccature ho ritrovati pure fossili limonitizzati. (1) Di SterANO E Correse—Guida geologica dei dintorni di Taormina (Boll. d. Soc. geol. ital. Vol. X 1891). (2) Canavari — Conglomerati arenarie e quarziti liasiche di Puntadura in provincia di Co- senza (Att. d. soc. tosc. d. sc. nat. (1) Proc. verb. Vol. VIII. 1891-93, (3) GrEco — Il Lias inferiore nel Circondario di Rossano. (Att. d. Soc. tosc. d. Sc. nat. (Memorie). Vol. XIII. Pag. 61). Arti Acc., Vor. IX, SERIE 4*— Memoria XVII. 4 26 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria Le roccie in esame hanno il maggiore sviluppo nella regione Puntadura, a metà di strada da Cropalati a Longobucco, ove sono molto fossilifere; passano quindi nella valle dell’ Ortiano che oltre- passano spingendosi qualche chilometro oltre Bocchigliero, mante- nendosi ovunque abbondanti di fossili. Sono questi i calcari ove io ho ritrovato 50 specie di fossili, da me descritti in una precedente pubblicazione e dei quali ecco l elenco : Montivaultia sp. Serpula sp. aff. S. filaria, Gold. Echinus sp. Spiriferina rostrata, Schlot. Spiriferina rethica, Seg. Rhynchonella curviceps, Quenst. » plicatissima, Quenst. » fissicostata, Suess, » olivaensis, Di Stef. » Schopeni, Di Stef. » Lua, Di Stef. » correcta, Di Stef. Terebratula punctata, Sow, » Proserpina, Di Stef. » Sestii, Fuc. Waldheimia cornuta, Sow. » perforata, Piet. » Sarthacensis, d’Orb. » Phaedra, Di Stef. » Mazzai, Fuc. » Anconaeana, Fuc. » pentagona, Seg. » polimorpha Seg. Aegoceras ? Chemnitzia rupestris ? Seg. » Sp. Chemnitzia sp. » » Pleurotomaria sp. Ostrea sp. Lima Choffati, Di Stef. Pecten Hehlii, d’Orb. 1 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 2 Pecten textorius, Schlot. » Thiollieri, (1) Mart. » —Ortianensis, Fuc. » Meneghinianus, Fuc. n 00 Spi Avicula sinemuriensis, d’Orb. Modiola Stefanii, Fuc. Modiolaria Gemmellaroi, Di Stef. Pinna Hartmanni, Ziet. Cardinia antelonga, Fuc. Cardita (2) Georginae, Fuc. Cardium submulticostatum, d’Orb. » Philippianum, Dunk. » Sp. Pholadomya olivaensis Di Stef, » Idea, d’Orb. » corrugata, K. et Dunk. » congenita, Seg. Goniomya antegenita, Seg. » Jacobi, Fuc. Pleuromya Longobucchensis, Fuc. » Seguenzae, Fuc.. » «+ tauromenitana, Seg. Cercomya Elisae, Fuc. ù Questa fauna, alla quale ora- potrei aggiungere molte specie di più, in gran parte caratteristica del Lias inferiore, mi persuase, per essere accompagnata da specie del Lias medio, ad ascrivere il depo- sito che la contiene alla parte superiore del Lias inferiore od alla zona ad Arieti, presa secondo il concetto del De Stefani il quale così ha chiamato in Toscana la parte superiore del Lias inferiore. Il deposito consimile di Taormina fa dapprima creduto reti- co (3) e poi suddiviso in retico ed in liassico (4) inferiore dal (1) Questa specie non è il Pecten Thiollieri Mart. ma altra specie, comune al deposito Calabrese ed a quello di Taormina, e che può, accordando all’uno e all’altro nome la precedenza, denominarsi P. rarus, Seg. o P. amphiarotus, Di, Stef. ‘ (2) Ho'riconosciuto posteriormente essere una Lima invece di una Cardita e la specie è riferita dal Greco alla Lima densicosta, Quenst. 9) SeguENZA. Contribuzione alla geologia della provincia di Messina (Boll. d. R. Comit. geo), 1871. (4) Se@uenza. Il Lias inferiore nella provincia di Messina ( Rend. d. R. Accad. d. sc. fis. e mat. di Napoli, Fas: 9), 1885... ; è Aa | | il i i I i id pi (i tti li Hi di 28 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria Seguenza e riunito tutto al Lias inferiore dal Di Stefano (1) e dallo stesso Di Stefano in unione col Cortese (2). L’avere io detto di ri- ferire col Di Stefano questo terreno alla zona ad Arieti, mi valse una dichiarazione di quel geologo colla quale egli intende stabilire che mai ha paragonati i calcari neri e lionati di Taormina alla zona ad Arieti, ma che egli sempre ha scritto ne’ suoi lavori sul Lias inferiore di Taormina che quei terreni rappresentano un li- vello quasi di passaggio al Lias medio. Il mio riferimento è stato, mi sembra, avvalorato dalle sco- perte del Dott. Greco il quale ha ritrovati nei calcari neri di Pun- tadura ed in altri identici del Varco del Ceraso, presso Bocchigliero le seguenti specie oltre quelle trovate da me e più sopra notate: Spiriferina pinguis, Ziet. » recondita, Seg. » Santoroi, Gr. » calabra, Gr. » sp. ind. cfr. plano-convessa, Seg. Rhynchonella jonica, Di Stef. » variabilis, v. Buch, non Schl. » furcillata, Theod. » areolata, Gr. (3) Terebratula Enna, Di Stef. (3) » Timaei, Di Stef. (3) » Baldaccii, Di Stef. » Eustachiana, Can. » fimbrioides, Des. » Fotterlei, Bòckh. » Ristorii, Gr. » sp. ind. cfr Bittneri, Geyer. Valdheimia Mazzettii, Di Stef. » Carapezzae, Di Stef. » Fucinii, Gr. » sp. aff. numismalis, Lamk. (1) Di Srerano. Sul Lias inferiore di Taormina e de’ suoi dintorni (Giorn. d. Soc. d. sc. nat. ed econ. di Palermo. Vol. XVIII). (2) Di Strrano e Cortese. Guida geologica dei dintorni di Taormina. (Boll, d. soc. geol. ital. Vol. X. pag. 208). (3) Queste tre specie furono da me riunite alla Zerebratula puctata, Sow. Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria Valdheimia jonica, Gr. » Oenotria, Gr. » Mazzei, Gr. » unciformis, Gr. » Renevieri, Haas, » Thurina, Gr. » sp. ind. cfr. indentata, Sow. » Vinassai, Gr. » Ernestinae, Gr. » Nerii, Gr. » Laboniae, Gr. Plicatula intusstriata, Emm. Lima Hettangensis, Terq. Lima compressa, Terq. Modiola elegans, Gr. Myoconcha scabra, Terq. et Piet. » reticulata, Gr. Arca sp. ind, Astarte psilonoti, Quenst. Pholadomya consentina, Gr. Goniomya Canavarii, Gr. » farnetina, Gr. Pleuromya lineato-punctata, Gr. Pleurotomaria expansa, Sow. Scaevola liotiopsis, Gemm. » sp. ind. Trochus sp. ind. cfr Tr. Kneri Stol. Neritopsis Taramellii, Gemm. Natica globulus, Seg. Littorina minuta, Terq. Chemnitzia sp. ind. cfr Ch. abbreviata, Terq. » Sp. ind. » sp. ind. » ? ingrata, Ch. et Dew. » sp. ind. Alaria sp. ind. » sp. ind. Actaeonina concava, Desl. Nautilus striatus, Sow. Rhacophyllites libertus, Gemm. Phylloceras sp. ind. Arietites Hierlatzicus, Hauer. » doricus ? Sav. e Mgh. » sp. ind. » sp. ind. Belemmites sp. I Hi il Hi id 30 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria Dando uno sguardo alla fauna presentata dal Greco in più al- l'altra data prima da me si vedrà, come in quella, una grande prevalenza di specie del Lias. inferiore. Oltre a ciò la presenza de- gli Arieti, non ancora accertata con sicurezza nel Lias medio, mi fa certo dell’ esatta determinazione del terreno data da me. Alcu- ni altri fossili da me ultimamente raccolti, insieme ad altri molti trovati dal Greco, serviranno a chiarire sempre più la questione. Sembra strano che nella nostra formazione liassica, che ha tanta somiglianza con il Lias di Taormina, non si trovi un terre- no ed una fauna equivalente a quella delle dolomie rosee che a Taormina soprastanno alle puddinghe anagenitiformi e sottostanno ai calcari neri. Potrebbe invero nascere il dubbio della confusione di piani diversi, specialmente nella località Varco del Geraso, a sud di Bocchigliero, ove sono stati trovati dal Greco tanti fossili, mol- ti dei quali propri dei piani inferiori del Lias siciliano. Non posso dire gran cosa in proposito. Mi pare però poco probabile che ciò sia accaduto , in quantochè. io ho veduto nella ‘balza che sta sot- to Bocchigliero, in strati sottostanti a quelli a brachiopodi e so- prastanti alle puddinghe anagenitiformi, dei calcari con piccole e lunghe turriculate, forse Chemnitziae, Cerithinellae ete., i quali po- trebbero in realtà costituire. il Lias inferiore parte inferiore cor- rispondente alle dolomie del Lias'inferiore di Taormina (1), e più specialmente ai calcari, di ben diversa natura litologica, delle mon- tagne del Casale e di Bellampo nella provincia di Palermo. (2) Se- guitando lo studio dei terreni calabresi spero di poter dire qual- che cosa di più a questo riguardo. Non scavai nessuna di quelle piccole turriculate perchè assai pericoloso il farlo, stando esse mol- to fortemente imprigionate nella roccia, la quale si erge a perpen- dicolo e minaccia di franare facilmente. (1) Dr Srerano — L' età delle roccie credute triassiche del territorio di Taormina. (Giorn. d. Sc. nat. ed econ. di Palermo. A: XVIII. © (2) GemmeLLaRO — Sopra alcune faune giuresi e° liasiche della Sicilia. (Giorn. d. sc. nat. ed econ. di Palermo. Vol. XIII.) 1878. n “nn _——_——____—_—_—à° rr ""="=="="=="==—======- Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 31 Lias medio Parrebbe, giacchè la formazione liasica calabrese è così iden- | tica a quella di Taormina, che come avviene in questa località, | anche nel nostro lembo di Calabria dovesse trovarsi sopra i calca- i ri del Lias inferiore e sotto quelli del Lias superiore un terreno | da riguardarsi come parte media del periodo liassico. Il Dott. Gre- | co (1) ha emessa l’opinione che il Lias medio possa essere rap- presentato in parte degli strati superiori del calcare nero, i quali secondo lui non avrebbero dato fossili, ed in parte da quelli più profondi del calcare marnoso che fra poco studieremo. Senza es- sere del tutto contrario che parte dei calcari marnosi che verran- i no riferiti al Lias superiore sieno riferibile invece al Lias medio, non convengo di ciò che espone il Greco riguardo ai calcari neri. Io avrei osservato che gli strati fossiliferi di questi calcari sono fra i più alti. Infatti nella rupe che sottostà al paese di Bocchi- gliero , ove si ha sezionata tutta la formazione del Lias inferiore, la fauna dei Brachiopodi e degli altri fossili si trova negli strati superiori ove appunto sono fabbricate alcune case sull’orlo del pre- | cipizio. Al di sotto gli strati liassici si mostrano quasi privi di fos- I sili e solo alcuni contengono quelle piccole e lunghe turriculate, le quali, come ho detto più sopra, potrebbero rappresentare la fauna | delle montagne del Casale e di Bellampo, illustrata dal Gemmella- I ro (2), rappresentante una delle parti più profonde del Lias inferiore. | Se a Puntadura può sembrare che gli strati fossiliferi dei cal- | cari neri sieno fra gli inferiori, ciò potrebbe dipendere anche dal I fatto di aversi colà una doppia piega ribaltata. | Ho detto più sopra come io abbia nel passato ammesso che | il Lias medio fosse rappresentato nel circondario di Rossano da calcari rossi, spesso a crinoidi, dell’ alta valle Colognati, della (1) Greco — Il Lias inferiore nel Circondario di Rossano. (Loc. cit.).. Pag. 76. (2) GemmELLARO—Sopra alcune faune giuresi e liasiche della Sicilia. Palermo. 1878. 32 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria R.° Focastra a Sud di Bocchigliero e dei monti sopra a Caloveto. Un lembo almeno di quelli della valle del Colognati, è stato dal Greco riferito all’Oolite inferiore come io aveva anche dubitato. L’essermi sembrati alla R.° Focastra, sottoposti al Lias superiore, me li fece riguardare piuttosto come appartenenti al Lias medio. Fui portato a questa credenza anche dal fatto di aver trovato in massi di una roccia molto simile, rotolati dai monti di Caloveto al fondo della valle del Laurenzana, alcuni fossili che determinai per Rhynconella aptycha, Can. Rh. sp. Terebratula cfr. Taramellii, Gemm. Placunopsis Zitteli, Gemm. Pecten Agathis, Gemm. Phylloceras sp. Harpoceras sp. i quali sarebbero specie del Lias medio, specialmente siciliano. Esprimo qui un altro dubbio relativo alla presenza del Lias medio nei dintorni di Bocchigliero e questo perchè chi ne abbia occasione possa riscontrare e riconoscere vero o no ciò che io suppongo. Facendo la strada da Bocchigliero al Varco del Ceraso, si tro- vano presso questa località, e lungo il corso di un torrente che bisogna risalire, dei calcari grigi nerastri semicristallini, formati es- senzialmente da coralli, piccoli se in colonie, più grandi se liberi, nonchè da numerosi resti di crinoidi. La roccia, all’ingrosso e quan- do sia stata per lungo tempo esposta agli agenti atmosferici, ha I aspetto dei calcari a Gyroporellae del Trias alpino. Nessuna spe- cie di corallo è determinabile; genericamente vi si distinguono delle rare Montivaultiae. Crederei che questa roccia fosse interposta fra i calcari neri del Lias inferiore e quelli marnosi cenerognoli del Lias superiore e che anche "essa fosse compresa nella piega sinclinale fatta dai terreni liassici tra Bocchigliero ed il Varco del Ceraso. Ho ritrovato una consimile roccia e mi è sembrata nelle me- Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 33 desime condizioni rispetto al Lias superiore ed a quello inferiore, anche a Nord di Bocchigliero stesso, nelia dirupata pendice che re- sta tra il Piano dell’ Eremita e la R.° Cariglite. Fu anzi in questa ultima località che dopo tante ricerche trovai un’ ammonite, anche discretamente conservata, che ho creduto appartenente al genere Harpoceras e più propriamente agli Arieticeras del Seguenza. Esso è del tipo Arzeticeras alyovianum, Opp.; ha coste molto rilevate e diritte e si adatterebbe benissimo all’esemplare figurato dal Meneghi- ni nella sua “Monographie des fossiles du calcaire rouge ammo- nitique, ecc , alla tav. X fig. 1. cui corrisponderebbe perfettamente anche per la linea lobale. In tutti i loro caratteri corrispondono bene all’esemplare di Bocchigliero anche alcuni individui del Medolo riferiti pure all’ Harpoc Algovianum dal Meneghini. Con tutto questo sono stato lungamente dubbioso sulla qualità generica di questo fos- sile per me importantissimo, supponendo anche di avere a che fare con un Arietites. Per sincerarmi sempre di più ho preparato con somma pazienza il lobo antisifonale di quattro linee lobali ed ho veduto che esso termina con una sola punta, caratteristica degli Harpoceras, anzichè con due, come avrebbe dovuto terminare se si fosse trattato di un Arietites. In Galabria il Cortese (1) assegna al Lias medio, dei calcari neri o grigi che si trovano nel gruppo del Pollino e che fornirono alcuni fossili determinati dal Di Stefano per : Rlynchonella Briseis, Gemm. Terebratula punctata, Sow. T. Renieri, Cat. T. Rotzoana, Schaur. Megalodus cfr. pumilus, Giimb. Chemnitzia cfr. terebra, Ren. Il Cortese aggiunge che tali calcari in alcuni punti presentano impronte di alghe calcari simili a delle giroporelle di tipo triassico. (1) E. Correse—Descrizione geologica della Calabria (Loc. cit. Pag. 103). Qt Atm Acc. Vor. IX, SerIE, 48 — Memoria XVII. 34 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria Lias superiore Il Lias superiore è certamente più esteso di quello inferiore, poichè spesso non è ricoperto da altro terreno. Anch' esso comin- cia al di là di Bocchigliero verso il confine cosentino con la pro- vincia di Catanzaro, ove potrebbe anche introdursi per il Varco Cannuovo e per la Macchia della Pita, luoghi situati una diecina di chilometri a Sud di quel paese. Si trova. poi ai fianchi del pia- no del Serino e del Piano di Malmare. A Bocchigliero, parte del paese vi è sopra costruito; è moltissimo sviluppato nel vallone del- la Croce e nel Monte Basilicò, d’ onde passa nella valle dell’ Ortiano e da questa in quella del Trionto, occupando in ambedue la mag- gior parte dei terreni liassici. Le roccie di questo periodo liassico sono prevalentemente cal- cari più o meno marnosi, micacei, più o meno schistosi, general- mente cenerognoli. Vi ho trovato, però, anche qualche strato di arenarie e di conglomerati minuti, quasi consimili a quelli del Lias inferiore. A Bocchigliero nel Vallone della Croce, ho osservati dei calcari rossi arenacei, di color vinaccia, opachi, ed a Longo- bucco se ne incontrano, a Santa Brigida, dei quasi neri, scavati per servire da pietra da costruzione. Tanto quelli cenerognoli quanto i rossi che i neri sono tutti fossiliferi. I primi mi hanno fornito fossili abbondanti fra Longo- bucco e Puntadura, ma più vicino a quest’ ultima, in una località chiamata Pietracutale; poi in faccia a Puntadura stessa nella pun- ta formata dall’ incontro della sponda destra del torrente Ortiano con quella pure di destra del Trionto, e a Bocchigliero quelli che si trovano per la strada che scende alle fonti subito fuori dell’ a- bitato. Pure presso a questo paese nelle balze che si incontrano andando al Mulino della Croce, nel vallone omonimo, si trovano fossili nei calcari rossi, terrosi, arenacei. Anche i calcari scuri compatti di S. Brigida presso Longobucco me ne hanno forniti in abbondanza. La fauna che si può raccogliere dal più al meno in questa Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 35 | formazione calcare, si compone più specialmente di Harpoceratidi. il Come i calcari neri del Lias inferiore calabrese, hanno som- | ministrato maggior quantità e varietà di fossili in confronto di quel- li corrispondenti di Taormina, così questi del Lias superiore sono forse più ricchi dei consimili di quel paese studiati dal Gemmellaro (1). Ho già fatto conoscere fin dal 1891, qualcosa di questa fauna, il rammentando alcune specie (2) che per trovarsi tutte nel Lias su- | periore parte inferiore di Taormina studiato dal Gemmellaro , fu- ill rono da me sincronizzate a quelle del deposito siciliano, il quale si presenta anche con facies litologica identica. In alcune località, come a Pietracutale, il calcare marmoso contiene tanta quantità di fucoidi fossili che potrebbe distinguersi | anche come una marna a fucoidi. Il Vinassa (3) che determinò | quelle raccolte dal Prof. Canavari e dal Greco vi ha distinto que- | ste specie : | | Chondrites Savii Ziano sp. Pietracutale | » Meneghinii ZioNno sp. Pietracutale » liasinus HEER. Bocchigliero » Canavarit VIN. Pietracutale » Mariae VIN. Pietracutale » trregularis VIN. Pietracutale » Grecoî VIN. Pietracutale » Taramellii VIN. Bocchigliero La fauna studiata dal Greco (4) si compone delle specie se- ‘guenti : Cidarîis? sp. ind. Bocchigliero Koninckina (Koninckodonta) Geyeri? BITTN. Bocchigliero i Terebratula Erbaensis SUESS. Bocchigliero II » Renieri? CAT. Bocchigliero (1) GemmeLLaro — Sopra taluni Harpoceratidi del Lias sup. di Taormina. Palermo. 1895. (2) Fucini—-Molluschi e brachiopodi del Lias inf. di Longobucco (Cosenza). (Boll. d. Soc. ill Mal'it, XVE 1892. Pas. 10). Iii (3) Vinassa pe ReGNny. Nuove fucoidi liasiche ( Proc. verb. d. Soc. tosc. d. Sc. nat. Vol. iti VIII. Pag. 111115. | (4) GrEco — Il Lias superiore nel Circondario di Rossano Calabro (Proc. verb. d. soc. | | “osusdi stenati Vol Xi Pap: "67. 4 "TI I | | I 36 Studio geologico 8ul circondario di Rossano in Calabria Arca? sp. ind. Bocchigliero Pleurotomaria ? sp. ind. Pietracutale Nautilus sp. ind. cfr. N. semistriatus D’ ORB. Bocchigliero Phylloceras Nilssoni HEB. sp. Bocchigliero » sp. ind. Bocchigliero » sp. ind. cfr. Ph. Partschi STUR. sp. Pietracutale Rhacophyllites lariensis MGH. sp. Pietracutale » eximius HAUER sp. Bocchigliero » Nardii McH. sp. (= RA. diopsis GEMM. sp.) Bocchigliero Lytoceras fimbriatoides ? GemM. Bocchigliero » sp. ind. cfr. L. cornucopia Y. et B. Pietracutale e Bocchigliero » sp. ind. Pietracutale e Bocchigliero » dorcadis? MGH. Bocchigliero Dumortieria? Naxensis GEMM. sp. Bocchigliero » ? Haugi GEMM. sp. Pietracutale Harpoceras Di Stefanoi Gemm. Pietracutale » Paronai GEMM. Pietracutale e Bocchigliero » Fontanellense GEMM. Pietracutale » (Grammoceras) Canavariti GeMM. Pietracutale e Bocchigliero » » Timaei GeMM. Pietracutale » » radians? REIN. sp. Bocchigliero » » serpentinum? REIN. sp. Bocchigliero » falciferum? Sow. sp. Bocchigliero e Pietracutale » (Hildoceras) Hoffmanni GeMmM. Bocchigliero e Pietracutale » » Manzoni GEM. Bocchigliero » sp. ind. cfr. H. lythense Y. et. B. Pietracutale Coeloceras crassum Y. et B. Pietracutale e Bocchigliero Aptychus sp. ind. cfr. Apt. zonatus StoPP. Bocchigliero Atractites Indunensis StOPP. sp. Pietracutale Belemnites sp. ind. Pietracutale e Bocchigliero Tutte queste specie, eccettuate Cidaris ? sp., Koninckina (Ko- nincko donta) Geyeri? Bitt., Terebratula Renieri? Cat., Arca sp. ind., Lhacophyllytes Nardi Mgh., Aptychus sp. ind. Atractites Indunensis Stopp., si trovano a Taormina nei calcari consimili del Lias supe- riore. Con ciò viene sempre più ad esser provata la giustezza del riferimento che io feci e per il quale i calcari in discorso vanno riferiti alla parte inferiore del Lias superiore e ritenuti sincroni di quelli di Taormina. Per una di quelle sviste che possono accadere a tutti, il Cor- | | i i | | È Î Studio geologico sul circondario di Rossuno in Calabria 37 tese (1) ha creduto che io avessi riferito la formazione in discorso al Lias medio al quale egli conseguentemente la riferisce, facendo notare come litologicamente ricordi il Lias medio parte superiore dell’ Italia centrale. È verissima la somiglianza litologica dei calcari in esame con quelli attribuiti al Lias medio e che si trovano presso Tivoli e nel- Aquilano. È pure da osservare che nella forma da essi presen- tata mancano anche quelle forme di ammoniti proprie e caratte- ristiche del Lias superiore come l Harp. difrons, 1 Harp. Boscense ed altre. Tuttavia per ora non si hanno le ragioni per dare loro un riferimento diverso. Sembra che la formazione liassica in discorso , che da Taor- mina sì ritrova trasportata nel Circondario di Rossano , continui ancora la sua strada e si mostri di nuovo nella Basilicata. ll Di Lorenzo infatti scoprì nel M. Foraporta in quel di Lagonegro dei calcari che egli litologicamente e faunisticamente riferisce a quelli di Taormina e di Calabria. Esaminando stratigraficamente l’ intera formazione liassica dalle puddinghe variegate ai calcari marnosi del Lias superiore, non si può non restare colpiti dalle perturbazioni notevoli prodottesi in alcuni punti nella compagine degli strati e dalla regolarità della stratificazione in alcuni altri. Cominciando ad osservare l’ andamento degli strati liassici da Puntadura, essendo questa oramai la località più nota, vediamo sopra le roccie filladiche, aventi colà una mediocre inclinazione prevalentemente rivolta a 5. O., starsene in discordanza apparen- temente non tanto grande gli strati delle puddinghe e delle arena- rie anagenitiformi. Queste alternano più volte fra loro e contengo- no alcuni strati di arenaria grigia, giallastra o rossiccia, includente frustoli di piante carbonizzate irriconoscibili. Forse gli straterelli di lignite della R.e Acqua di Pietro sulla destra dell’ Ortiano si tro- vano in queste medesime condiziani. (1) E. Correse — Descrizione geologica della Calabria. (Loc. cit.). Pag. 102. 38 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria Sopra le arenarie e le puddinghe , dirette da N.0. a S.E. ed aventi un’inclinazione S.0. di 30° a 40°, si trovano perfettamente a loro concordanti, i calcari neri del Lias inferiore i cui strati so- no resi più distinti da frequenti interstratificazioni terrose e mar- nose più facilmente asportate e corrose dagli agenti distruggitori. Procedendo ancora s'incontrano i calcari marnosi del Lias supe- riore e sopra di questi nuovamente i calcari ed i conglomerati ne- ri del Lias inferiore il quale racchiude così i primi in una piega sinclinale obliqua il cui asse corrisponde presso a poco alla dire- zione degli strati. Allo sbocco del torrente Ortiano nel fiume Trionto, appunto per questa disposizione tettonica, gli strati del calcare marnoso del Lias superiore si trovano sulla destra inclinati verso la parte opposta occupata dai calcari neri del Lias inferiore. In rapporto alla piega sinelinale si ha subito quella anticlinale parallela, per la quale i terreni del Lias superiore riprendono il loro posto normale sopra i calcari neri che s’ internano nel terre- no e nel letto del fiume Trionto. Seguitando a risalire la valle di questo fiume fin quasi a Lon- gobueco non si trovano più altri terreni all’ infuori dei calcari mar- nosi, i quali diminuiscono dapprima la loro pendenza, si fanno poi quasi orizzontali e risalgono con una inclinazione opposta nei din- torni di Longobucco, formando così un larghissimo e quasi insen- sibile sinclinale. Dopo questa leggiera piega rimpetto a Longobucco gli strati liassici formano un piccolo elissoide il cui centro è forse costitui- to da graniti e da filladi che vengono a giorno più a Nord, nei monti che sulla sinistra del Trionto stanno in faccia a Longobucco stesso, fra la R.° Croce di Apri e M.e Iantrinico, nelle pendici però che acquapendono al Coseria. Fra la Croce di Apri ed il Monte Paleparto le roccie liassiche si trovano come fra mezzo a due mu- raglie di granito fra le quali formano un’ altra piega sinclinale a strati molto raddrizzati. Può facilmente osservare ciò, chi da Lon- gobucco risalga il ripido sentiero che conduce al Monte Paleparto Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 39 e che giunto alla Croce di Apri volga a destra per l’ altra stradic- ciola che conduce al M.e Iantrinico. sotto Longobucco si ha un piccolo lembo di terreno eocenico racchiuso nella piega sinelinale degli strati liassici la quale si tro- va fra il paese e la località detta S. Brigida. Anche nei dintorni di Bocchigliero si possono facilmente ri- scontrare alcune di tali pieghe tra i terreni liassici che stanno proprio sotto al paese e quelli che sono appoggiati alla massa cri- stallina e semicristallina della Sila le quali sarebbero per me inti- mamente connesse a quelle della valle del Trionto. Usciti appena fuori dal paese per la strada che conduce alle fonti, la via è scavata sopra i calcari marnosi del Lias superiore sopportati, al solito, da quelli neri del Lias inferiore i quali costi- tuiscono la scoscesa rupe sulla quale pericola parte del paese. | La direzione degli strati e la loro inclinazione è presso a po- | co la medesima di quella da essi presentata presso Puntadura. Seguitando a discendere per quella strada, senza voltare a si- nistra per andare alle fonti, si arriva ad un torrentello che biso- gna risalire per arrivare alla R.° Varco del Ceraso, località che ha somministrata tanta messe di fossili al Greco, ove ritornano a giorno i calcari neri col ramo occidentale della piega sinelinale che racchiude i calcari marnosi del Lias superiore nonchè forse quelli ‘ del Lias medio e della Oolite. Al Varco del Ceraso i calcari neri si ripiegano ancora con una curva anticlinale stretta, leggermente ribaltata verso il pae- | se ed inchinando a S. O. si sprofondano per andare a sostenere | il Lias superiore che comparisce agli orli del Piano del Secchino, per la strada che da Bocchigliero porta a Longobucco ed alla Si- la. Il Lias superiore inclina da prima, seguendo il calcare nero che lo sostiene, leggermente a S. O., ma salendo alla Sila, prima di ar- rivare ai Canalicchi, ad una località chiamata acqua della Spina, evidentemente esso ha preso, serbando la medesima direzione N.E., i 5. O. una inclinazione opposta; anche quì non molto sentita, mi- di : il nore di 10°, I 40 Studio geologico sul circondario di Itossano in Calabria Il Miocene, che occupa il piano del Secchino, riposa sopra la leggera piega sinclinale del Lias superiore dalla R.° Varco del Ge- raso all’ Acqua della Spina. Il Lias sostiene pure il Miocene nelle regioni pianeggianti che a N. O di Bocchigliero si trovano ad occupare la parte alta della giogaia di monti compresa tra il Laurenzana e l’Ortiano. L’Eocene invece riposa sulle roccie liassiche nell’ alta valle del Coseria , il Titonico al Convento presso a Bocchigliero e 1’Oolite nell’ alta valle del Golognati. Qolite È questa uno dei terreni che primieramente attirassero la mia attenzione anche perchè si trova non molto lungi da Rossano ove ebbi per un po’ di tempo la mia residenza. Lo osservai dapprima come facente parte dei conglomerati a grossi elementi trasportati dai torrenti Colognati e Coseria e lo trovai poi in posto risalita la valle del Colognati stesso, per circa due chilometri a monte della strada che l’attraversa per congiungere Rossano a Paludi. Esso si mostra infatti appena discese per poco le pendici che dalla R.° Crocicchia e dal Piano del Tesoro, fra il Celati ed il Colognati, acquapendono verso quest’ultimo torrente. Quì i calcari rossi sì presentano come grandi ammassi sparsi per il terreno e la loro piccola potenza si manifesta dal fatto che al fondo delle disugua- glianze del terreno si scoprono facilmente i più antichi terreni sot- tostanti, filladi per la massima parte. Questi fatti dimostrano che colà questo terreno è vicino ad essere esaurito per la denudazione. Alla R.° Mannarino, dalla parte opposta della valle, la forma- zione in discorso sì tiene pure ad una certa altezza dal torrente, ma vi acquista maggiore sviluppo, ricoperta presto però dal terreno eocenico. Tuttavia sì dilata via via che rimontiamo la vallata, della quale va ad occupare la parte più profonda, dalla Pietra di Ecto- lega fino al santuario di S. Onofrio. Tav. I, fig. 10. Quì si allarga più che mai per ogni parte. Sulla sinistra del torrente, addossandosi | | | É Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 4l al granito va ad occupare parte della R.° Torno e del G.° Mamosa, ove è ricoperta dall’ Eocene ; sulla destra è presto nascosta dal- l’Eocene ; più a monte riposa sopra roccie del Lias superiore. Un grosso lembo di questo terreno, costituito da identica roc- cia, occupa la R°. Focastra, cinque o sei chilometri a ponente di Bocchigliero, dove mi parve che riposasse sopra le filladi paleo- zoiche. Mi parve anche che stesse sotto ed in perfetta concordan- za stratigrafica con i calcari marnosi cenerognoli del Lias superiore, ma ciò non posso assicurarlo assolutamente. Anche nella valle del Varco del Ceraso, sempre presso Boc- chigliero, trovansi per piccolo tratto le roccie in esame, sopra a tutti i terreni liassici e sotto il Miocene del P.° Malmare. Più vicino al paese al fondo della valle ne ho trovati pure dei massi tras- portati dall’impetuoso torrente. Poichè colà sono sviluppati e il Lias inferiore, forse il medio ed il Lias superiore, sarebbe quanto mai utile il trovare in posto quelle roccie e vederne la relazione con gli altri terreni vicini. È presumibile però che sieno racchiuse nella piega sinclinale dei terreni liassici. Tav. I, fig. 9. Un altro lembo di Oolite si trova a Sud di Caloveto nei monti che si interpongono fra il paese e la valle del Laurenzana, al fondo della quale ne trovai alcuni blocchi rotolati dall’alto, confusi con altri di roccie eoceniche che però si rinvengono anche in posto. Tale lembo occuperebbe la parte più alta della S.* di Maestro Pa- squale. Tav. I, fig. 6. Un ultimo e minuscolo lembo di terreni oolitici crederci di averlo incontrato per la strada da Mandatoriccio a Campana, nella piccola valle che si costeggia e che si trova sulla destra salendo verso il C.° Granato e verso la Serra Acera. Esso sbuca fuori per piccolissimo tratto nella parte opposta della vallecola, prima di arrivare alla sommità del monte, ricoperto quasi completamente cord dall’ Eocene e sostenuto dalle filladi paleozoiche. Tav. I, fig. 7. Le roccie calcari di questa formazione talvolta, come alla R°. Focastra ed alla R°. Torno sul Golognati, sono inquinate da più o meno grossi e più o meno numerosi granelli di quarzo, provenien- ATI Acc. Vor. IX, SERIE, 4* — Memoria XVII. 6 ql 42 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria ti molto probabilmente dal disfacimento di roccie granitiche e gneisiche; tal’ altra contengono tanto numerosi i resti di erinoidi che si trasformano in un calcare a crinoidi. Ho detto più volte come io abbia riferito al Lias medio tutti 4 questi calcari rossi, ammettendo però anche la possibilità che essi ! potessero riferirsi all’ Oolite. Che sieno dunque riferibili a questo periodo del Giura è stato ora dimostrato dal Greco il quale vi ha trovato una grande quantità di fossili che saranno illustrati da lui in una prossima pubblicazione. Intanto io ne presento qui la no- ta che egli tanto gentilmente mi ha dato. Cidaris sp. ind. » v » Serpula sp. ind. Ehynchonella Alontina Di Stef. È > Galathensis Di Stef. | » Szainockae Di Stef. » Wéhneri Di Stef. » Vigiliù Leps. var. Erycina Di Stef. » Ximenesi Di Stef. » sp. ind. cfr. Ph. sudechinata Opp. » Maleniana n. sp. » Arianii n. sp. » Fucinii n. sp. Ithynchonellina sp. ind. Terebratula sphoeroidalis Sow. d » Salvatoris n. sp. Waldheimia Daedalica Di Stef. » Ippolitae Di Stef. Placumopsis sp. ind. Lima (Plagiostoma) semicircularis Goldf. » » Sp. ind. » (Zadula) Taramellii Fuc. » » sp. ind. Hinnites velatus, Goldf. Pecten (Entolium) cingulatus Phill. d » (Camptonectes) sp. ind. » (Chlamys) erpus, De Greg. Pecten (Chlamys) silanus n. sp. » » Sp. ind. Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 453 Posidonomya alpina ? Gras. » sp. ind. | Modiola praecarinata B. M. sp. Arca (Isoarca) Plutonis Dum. | Cucullaea (Macrodon ?) problematica Vac. | Astarte (Praeconia) gibbosa d’ Orb. Isocardia (?) calabra n. sp. Gonyomya Paronai? Fuc. Rimula? jonica n. sp. Emarginula ? triontina n. sp. Emarginula Vigili Fuc. Pleurotomaria Angulba De Greg. Stfomatia calabra, n. Sp. Turbo silanus, n. Sp. Amberleya julianensis De Grez. Cirrus Martuccii n. sp. Teinostoma n. sp. Adeorbisina Canavarii n. sp. Trochus Vinassai, n. sp. » (Auseria ?) Fucini n. sp. Nerita pygmaea n. Sp. Neritopsis spinosa Heb. e Desl. » Benacensis Vacek » Maleniana n. sp. Solarium stenomphalum n. sp. Discohelix sp. ind. ill Natica Sybarita, n. sp. Chemnitzia sp. ind. | Coelochrysalis ? Hittli n. sp. Nautilus sp. ind. cfr. N. sinuatus Sow. | Phylloceras Nilssoni Ièb. » tatricum Pusch. Lytoceras rubescens? Dum. » Spoinod Ci. Li, ‘Paste Vac: Harpoceras (Grammoceras) costula Rein. | d » discoide Ziet. Hildoceras (Lillia) sp. ind. | Hammatoceras planinsigne ? Vac. | » fallax ? Ben. » » Onustus supraliasinus Vac. I di ii ti » sagax ? Vac. j | il Hi | | i 44 Studio geologico sul circondario di Iossano in Calabria Stephanoceras ? (Cadoceras ?) granum n. sp. Atractites sp. ind. Orthacodus sp. ind. cfr. Orth. Longidens Ag. Questi fossili di cui la massima parte si trovano anche nel ben noto giacimento di S. Vigilio sul lago di Garda dimostrano chia- ra la corrispondenza dei due depositi, che si rassomigliano tanto anche litologicamente. Non è quindi azzardato il riferire 1’ Oolite calabrese alla zona ad Harp. opalinum e ad Harp. Murchisonae che è quanto dire al piano Aleniano del Meyer. È da osservare però che mentre a S. Vigilio si ha una facies prevalentemente ammo- nitica e quindi un deposito pelagico, in Calabria la natura della roccia spesso arenacea e la qualità dei fossili fanno pensare ad una deposizione di mare non tanto lontana dal littorale. Dopo questa formazione nel Circondario di Rossano succede cronologicamente il Titoniano dei dintorni di Bocchigliero il quale però, ove viene alla luce, non riposa sui terreni in discorso ma sopra quelli più antichi del Lias inferiore. È l’Eocene che ricopre la massima parte dell’ Oolite; così nella valle del Colognati, nei mon- ti sopra a Caloveto e presso a Mandatoriccio. Esiste dunque un grande jatus tra l’ Oolite e l’Eocene soprastante , jatus che dimo- stra il periodo d’emersione cui andò soggetta la nostra regione nei tempi postoolitici. La nuova invasione del mare è contrassegnata distintamente dai depositi caotici costituenti la base delle roccie formatesi nell’epoca eocenica. Non posso fare a meno a questo punto di pensare alla grave questione della separazione dal Giurassico delle zone ad Harp. opa- linum e ad Harp. Murchisonae, e della loro riunione al Lias supe- riore. L’ idea di questa riunione ha avuto in questi ultimi anni no- tevole impulso specialmente per opera del Vacek che l ha estesa- mente trattata e calorosamente appoggiata. Per quanto io abbia ancora tenuta separata la formazione in discorso dal terreno liassico, dandole pure un colore diverso nel- l’ annessa carta geologica, riconosco che anche nel nostro caso la Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 45 riunione proposta sarebbe forse fatta ragionevolmente. Infatti nessu- no avvenimento geologico sembra essere intervenuto tra la depo- sizione del Lias superiore e dei terreni oolitici inferiori i quali si trovano fra loro in concordanza nell’ alta valle del Colognati. Un fatto di capitale importanza per la questione si ha anche nel grande jatus che intercesse tra la deposizione dell’Oolite inferiore e quella dell’Eocene soprapposto. Ora simili trasgressioni esistono, come ha fatto osservare il Wacek, sopra la maggior parte dei depositi oolitici consimili ed io vedo nella estensione di questo fenomeno, unito a tanti altri fatti, un valido argomento in favore delle idee sostenute dal Wacek. Titonico Andando da Gropalati a Bocchigliero appena fatta la ripida e lunga salita delle pendici sinistre della valle del Laurenzana, occu- pate quasi completamente dalle filladi, e giunti in prossimità del paese si parano innanzi degli erti burroni che formano una este- sa scogliera che si dirige verso tramontana. Tale accidentalità del terreno è dovuta in parte al facile sgretolamento ed alla facile asportabilità delle filladi che si trovano alla base di quelle rupi co- stituite in gran parte da calcari del Lias. Questi favoriscono alla loro volta la formazione di quelle rupi, per presentare colà le te- state delle loro stratificazioni. Alla base del burrone si trovano le solite puddinghe anageni- tiformi del Lias inferiore e sopra i calcari neri del medesimo perio- do. Ma superata la balza e prima di giungere al Convento di Boc- chigliero si scorgono i calcari titoniani che ricoprono in discordanza quelli del Lias inferiore, senza che fra le due formazioni sia interpo- sto un deposito ciottoloso o continentale qualsiasi che stia ad indi- carne la trasgressione. Tav. I, fig. 9. Dal Convento il Titoniano si segue per piccolo tratto dalla par- te del Vallone della Croce, ove probabilmente va ad appoggiarsi al Lias superiore che occupa in gran parte quelle dirupate pendi- i | i di | i ti i 4 i i 46 Studio geologico sul circondario di Rossano în Calabria ci. A ponente esso è presto ricoperto dal Miocene del Piano del- l’Eremita, ma non è improbabile che vada poi a riposare sopra l’Ooli- te che ritengo racchiusa nella piega sinclinale delle roccie liassiche e che ho detto trovarsi fra Bocchigliero ed il varco del Ceraso. La roccia è un calcare grigio cupo , semicristallino con fre- quenti venature spatiche e somiglia in modo speciale a quella ad Ellipsactiniae di Trecchina, del M°. Bulgheria nel Salernitano, del Me Pellegrino presso Palermo , di Trabia e di altre località della Sicilia contenenti la fauna a Terebratula janitor Pict. L'unico fossile che io ho trovato in questa roccia è il Psewdo- chaetetes siciliensis Can., affine secondo il Canavari (1) stesso al Pseudochaetetes poliporus Quenst. del Malm superiore della Svevia e della Champagne e a quello del Titoniano di Stramberg. Questo fossile, del quale si possono avere molti e belli esem- plari a Bocchigliero, è stato trovato dal Canavari in calcari con Ellipsactiniae della Sicilia indubbiamente titoniani. Io credo che per la grande corrispondenza litologica della roc- cia in discorso con quelle titoniane della Sicilia e dell’Italia meri- dionale, nonchè per l’importanza del fossile che vi si trova, sia ben determinata la posizione cronologica di questa formazione. L’ Haug (2) ha rilevato che le formazioni consimili di origine coralligena si trovano a circondare gli antichi massivi. Il caso at- tuale appoggia quella conlusione e la conferma in unione ai dati offerti dagli altri lembi titoniani calabresi. Il Titoniano con diversi aspetti litologici è rappresentato in altre parti della Calabria, posato generalmente in grande discor- danza sulle filladi paleozoiche. Si trova al M*. di Tiriolo, al Me. Consolino di Stilo ed al Capo di Bova nel Catanzarese : forma il Me. Gassullo presso Amantea ed altri lembi si hanno presso Stai- ti e presso Palizzi. Da ciò apparisce chiara la tendenza che ha il (1) Canavari — Idrozoi titoniani della regione mediterranea (Estr. d. Vol. IV delle Mem. d. R. Comit. geol.). Pag. 16 e 13. (2) Havua.—Les chaînes subalp. eec. (Estr. d. Bull. des serv. de la carte geol. de Franc.). Pag. 160. | | Ì | | i Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 47 Titoniano calabrese ad avvolgere la massa silana come benissimo ha osservato l’Ing. Cortese (1). Il mio ritrovamento è un argomento di più in favore di questa idea ed apparisce tanto più importante perchè è l’unico che sia stato fatto nella Calabria orientale, in pen- dici silane affatto diverse da quelle in cui si trovano gli altri lembi titoniani citati. Però è da osservarsi la differenza litologica tra il lembo titoniano di Bocchigliero e gli altri delle pendici meridionali ed occidentali del gruppo della Sila. Questi sono sempre formati da calcari bianchi o rosei, semicristallini, spesso con crinoidi e coralli. Il lembo di Bocchigliero invece somiglia litologicamente al Titonia- no del gruppo del Pollino ed a quello di Kasilicata. È cosa strana che al Me. di Tiriolo ed al Me. Consolino di Stilo non si abbia discordanza tra il Titoniano ed i terreni sotto- stanti come mostra di credere il Cortese. Questi dubita che quei lembi titoniani riposino sopra il Malm il quale sarebbe rappresen- tato da calcari rossi bianchi o rosati contenenti crinoidi, alla loro volta sopportati da una zona ferruginosa forse del Dogger. Vi sa- rebbe dunque rappresentata tutta la serie giurassica. Il Bassani ed il Di Lorenzo (2) che pure hanno esaminato quelle località non cere- dono di dovere accettare con sicurezza tali supposizioni del Cor- tese. Il fatto osservato dal Suess e riportato dal Bassani, che al confine degli scisti con i calcari questi si presentano qua e là pieni di Nerinee e con aspetto di calcari titoniani, darebbe ragione a ere- dere titoniana tutta la formazione che in quelle località resta inter- posta fra gli schisti ed il cretaceo osservatovi dal Cortese. Così tutto il Titoniano calabrese sarebbe posato in discordanza so- pra terreni più antichi. Eocene In tutto il territorio studiato non si hanno terreni che possono (1) Cortese — Descrizione geologica della Calabria. (Loc. cit.). Pag. 110. (2) Bassani e Di Lorenzo — Il Me Consolino di Stilo ( Estr. d. Atti d. R. Accad. d. Se. fis. e mat. di Napoli. Vol. VI). 48 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria ragionevolmente ritenersi cretacei ed a quelli passati in rivista fin qui fanno seguito quelli del periodo terziario. In tutto il gruppo montuoso della Sila tanto cosentina che catanzarese io non credo si trovi altra località ove sieno tanto svi. luppati i terreni dell’ Eocene quanto fra Rossano, Longobucco e Cropalati e tra questo paese e Mantatoriccio. Fra questi due ultimi paesi poi le roccie eoceniche formano però dei lembi disgiunti , sbucando fuori dal Miocene che vi predomina, mentre fra i primi tre si ha una larga estensione di territorio occupato da esse senza che presentino alcuna interruzione notevole. Risalita per un chilometro circa la valle del Colognati, dal ponte della strada che da Rossano conduce a Paludi, si trovano presto le rocce eoceniche ad una certa altezza nelle pendici sulla destra del fiume, adagiate in grande discordanza dapprima sopra le filladi paleozoiche e dopo, seguitando a risalire la valle, sopra i calcari rossi che vanno riferiti all’Oolite. Continuano così, tenendosi quasi sempre a mezza costa, fino presso alla Torre Cognale del Pero ove mi sembrò che riposassero per piccolo tratto sopra un mi- nuscolo lembo di granito. Intanto avanti di arrivare a S. Onofrio, piccolo Santuario situa- to nella parte media della valle del Colognati, le roccie eoceniche si sono estese anche un poco sulle pendici di sinistra quasi per nascondere la sottostante Oolite. Dalla Torre Gognale del Pero esse piegano alquanto a mezzo- giorno e, per il M.* Pagliaspica, penetrano nella valle del Coseria che discendono, mantenendosi specialmente sulle pendici di sinistra, fin quasi a Cropalati, ove si estendono un poco anche sulla destra occupando il Cozzo della Crista. Nell’alta valle del Coseria la for- mazione eocenica, che manda un braccio fino a Longobucco, è soste- nuta in discordanza dal terreno liassico e più a valle, col mancar di questo, dalle filladi. Fra Cropolati e Paludi la strada corre spesso fra il contatto di queste roccie talvolta nascoste dal Miocene che le ricopre ambedue. Tav. I, fig. 8. Oltrepassato il Trionto le rocce eoceniche non acquistano mai Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 49 grandi estensioni e sì mostrano in lembi separati, messi allo sco perto per la denudazione avvenuta nei terreni miocenici sovrappo- sti. Facendo la strada da Caloveto a Crosia, lungo la collina fra il Trionto e la Fiumarella, sì incontrano presto i calcari eocenici, dapprima alquanto ripiegati al C. Impisi, dopo con stratificazione più regolare verso le Re. Perainetto e Sferracavallo. Credo che sia in quest’ultima località, chiamata Serra Cavada dal Lovisato (1), che questi credè di avere trovato sopra le roccie granitoidi un calcare radiolitico da riferirsi forse al Cenomaniano. Non sarebbe inverosimile che possa trovarsi colà anche qualche lembo di terreno cretaceo uscir fuori dalle roccie eoceniche, mi pare più impossibile però che colà riaffiori il granito che è tagliato fuori per qualche diecina di chilometri da roccie gneisiche, filladiche, lia- siche etc. L’Eocene, in tutti i luoghi da me ritrovato sulla destra del Trionto, posa sempre sopra le filladi, eccettuata forse parte del piccolo lembo che si trova a Sud di Caloveto ad occupare le pendici della valle del Laurenzana, presso lo sbocco di questo tor- rente nel Trionto, nelle quali trovasi anche il terreno Oolitico, che quindi lo sopporterebbe. Roccie eoceniche spesso nummulitiche affiorano anche tra i torrenti Fiumarella e Acquanite presso il C° del Falco, nonchè nella piccola valle a ponente ed a mezzogiorno di Mandatoriccio, dove in parte riposano sull’ Oolite, ed a Serra la Buona a Nord di quel paese. La parte più antica del terreno eocenico nel nostro territorio, a mio credere, viene a giorno tra Paludi e Gropalati, allo sbocco del Laurenzana, a Mandatoriccio ed a Longobucco. La costituisce un conglomerato durissimo, di vario colore a seconda dei suoi elementi. Questi sono molto grandi, talvolta grossissimi, spesso poco o punto rotolati e fortemente cementati fra loro. Fra essi prevalgono quelli di roccie cristalline, ma nei dintorni di Paludi e di Cropalati, (1) Lovisaro — Cenni geognostici e geologici sulla Calabria settentrionale. Boll. d. R. Co- mitato geol. Vol. IX. Pag. 484. Arti Acc., Vor. IX, Serie 42— Memoria XVII. 7 50 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria oltre ai ciottoli di granito, di quarziti e di filladi, se ne hanno mol- tissimi dei calcari rossi oolitici che danno il colore prevalentemente rossiccio alla roccia. Questa va facendosi in alto ad elementi sempre più minuti e fa gradatamente passaggio alle brecciole nummulitiche, estesissime nelle valli del Colognati, dell’Otturi, del Coseria, nonchè nei pressi di Mandatoriccio e rimpetto a Longobucco sulla sinistra del Trionto. A Mandatoriccio sotto il Piano Cesia tale roccia nummulitica si disgrega facilmente alla superficie ed io vi ho potuto levare iso- late alcune piccole nummuliti. Succedono a queste roccie i calcari nummulitici, i diaspri rossi e grigi, che con essi alternano nella valle del Colognati, i calcari sereziati in verdastro e rossastro, conte- nenti qualche placchetta di Eckinide, l’Orbitoides papyracea Giimbel e la Nummulites curvispira Mgh, (1) alternanti con qualche strato di marne rosse, del Cozzo della Crista presso Cropalati ed i cal- cari grigi o rossastri con nummuliti o senza dei dintorni di Caloveto e di Pietrapaola. Fra Caloveto e Crosia si estende una lunga collina, compresa tra la Fiumarella (2) ed il Trionto, la quale lungo il crinale è co- stituita quasi tutta da calcari eocenici (Tav. I, fig. 6), qua e là nummulitici, più spesso compatti e simili agli A/beresi toscani, colà chiamati pietre palombine o colombine per il loro colore cenero- gnolo, paragonabile a quello delle piume dei colombi. Passato il C.° d’ Impisi, ove si arresta la incominciata strada carrozzabile fra Coloveto e Crosia, si trovano dei calcari grigio-chiari, formati essenzialmente da resti di orbitoidi e di nummuliti fra le quali ve ne predomina una del tipo delle Nummulites Molli d’A. Sopra a questi calcari nummulitici, che non sono certo da ritenersi dei più antichi del periodo eocenico, ma probabilmente riferibili al- V Focene medio, stanno i calcari alberesi più o meno marnosi del resto della collina dalla parte di Crosia, rappresentanti, a mio (1) Greco — Il Lias inferiore del Circondario di Rossano. Atti d. soc. tosc, d. sc. nat. Mem. Wool. XII. ‘Pag. 61. (2) Questo torrente non è da confondersi con quello omonimo, tante volte rammentato nelle opere che riguardano la geologia della Calabria meridionale. | | Studio geologico sul circondario di Rossano în Calabria 5I credere, i terreni più alti dell’Eocene del territorio che ho preso a studiare. Mi spinge a crédere ciò anche il fatto che quelle roccie hanno la stratificazione molto regolare inclinata con 30° o 45° a Nord, trovandosi con ciò quasi in concordanza con i superiori ter- reni miocenici vicini. Fra la Fiumarella e l’Acquanite le roccie eoceniche riaffiorano qua e là per il poco spessore dei terreni miocenici sovrapposti. Sono pure qui costituite da calcari nummulitici, più o meno mar- nosi, spesso di un ben colore rosso vinaccia opaco e contenenti nu- merosi resti di foraminifere, come, globigerine, cristellarie, orbitoidi e nummuliti, fra le quali predomina la Nummulites curvispira Mgh. In questa località unitamente al calcare nummulitico sì trova una brecciola risultante da grossi granelli silicei probabilmente dovuti al disfacimento di roccie granitiche o cristalline, cementati forte- mente da una pasta calcare giallognola. Tale roccia, che potrebbe ritenersi un arcose recente, costituisce anche una parte del lembo eocenico che trovasi alla Serra la Buona a Nord di Mandatoriccio, ove essa sta in unione a calcari nummulitici e sopra ai calcari molto compatti che si trovano nella parte inferiore delle pendici nordiche della collina che potrebbero ritenersi forse anche più an- tichi dell’ Eocene. (Tav. I, fig. 7). Interrotto dal Miocene sovrapposto, altro terreno eocenico ap- parisce a Sud di Mandatoriccio, nella valle che si trova tra il paese ed il C.° Granato. Già ho detto che questo lembo di terreno eo- cenico è composto dai conglomerati antichi simili a quelli di Cro- palati e di Paludi e da brecciole nummulitiche. Non vi ho osser- vato veri calcari. Gli strati eocenici riposano sulle filladi ed in parte sul minuscolo lembo di Oolite che ho veduto nella piccola valle ed a destra, prima di arrivare al C.° Granato, facendo la strada da Mandatoriccio a Compana. (Tav. I fig. 7). Non sono poi alieno dal ritenere eocenico un lembo di roccie calcari, il quale si trova a ricoprire le roccie triassiche all'estremità Nord della collina che si stende fra il torrente Galatrella ed il Crati , nel territorio di S. Demetrio Corone. Sono calcari. marnosi, 52 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria grigi, più o meno schistosi, con fenditure spatiche e nei piani di stratificazione colorati in rossastro da ossidi ferruginosi. Riposano in leggera discordanza stratigrafica sopra le roccie triassiche e sop- portano da una parte terreni disciolti quaternari e da un’altra il Postpliocene che occupa la parte superiore della S® Castello; (Tav. I fig. 3). Rimpetto al ponte sul Crati, presso Terranova di Sibari, tale roccia ha gli strati inclinati di circa 35° a Nord. La zona principale dei terreni eocenici compresa tra il tor- rente Colognati ed il fiume Trionto ha una stratificazione abba- stanza regolare, poichè la direzione degli strati non si allontana molto da quella data dalla linea N. E.-S. O. La pendenza, salvo alcune non frequenti inversioni, è diretta a S. E. con un’inclinazione va- riabile, ma non molto diversa dai 25°. Fra l’alta valle del Coseria ed il Trionto, ove un braccio di terreno eocenico si spinge verso Longobucco, racchiuso nella piaga sinclinale degli strati liassici la tettonica si presenta alquanto più complicata, avendo dovuto risen- tire delle maggiori perturbazioni che in quelle regioni subirono le roccie liasiche. Rimpetto a Longobucco gli strati eocenici formati da conglomerati identici a quelli di Cropalati e di Paludi e da brec- ciole nummulitiche e da arenarie azzurrognole si dirige da N. O. a S. E. con un’ inclinazione pressochè verticale, visibile facilmente presso S. Brigida sul letto del Trionto. Non potrebbe essere quindi improbabile che tali terreni, se- guendo gli strati liassici, formassero nei dintorni di Longobucco una stretta piega sinclinale con l asse nella medesima direzione degli strati. Presso Cropalati , sotto il Cozzo della Grista e nelle pendici acquapendenti al Trionto , il limite orientale della maggiore zona dei terreni eocenici, evidentemente ha subito un dislocamento (Tav. I, fig. 2), che non potrei negare che si estendesse anche sulle pendici opposte nella valle del Coseria. Sembrerebbe che il piano di scivolamento fosse diretto da Ovest ad Est e che la parte per la quale si sarebbe originata la faglia fosse appunto quella a tra- montana , sopportante |’ Eocene del C.° della Crista , abbassata di Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 53 parecchie diecine di metri in rapporto ai terreni che continuano la collina dalla parte di mezzogiorno. Non potrebbe essere improbabile che tale movimento sia connesso a quello che sembra manifestarsi sull’ altra parte del Trionto, fra i due monti che fanno ala alla foce del Laurenzana. Parrebbe che gli strati eocenici della destra di quella valle si fos- sero spezzati e profondamente abbassati rispetto a quelli, formati dalle medesime roccie, che occupano la sommità del C.° Dragonara sulla sinistra. Ho voluto manifestare tale probabilità sebbene sia anche pro- babile che la valle del Laurenzana, nella sua parte più bassa e quasi allo sbocco nel Trionto, sia racchiusa fra un sinclinale degli strati eocenici occupanti le pendici di destra ed il C.° Dragonara a sinistra. Il franamento di quest’ultimo monte avvenuto dalla parte del Laurenzana ed il conseguente rivestimento delle sue pendici di grandi massi e di terreno franaticcio mi impedirono, allorchè pas- sai per quelle località, di farmi un concetto più chiaro dell’ anda- mento della stratificazione. Un’ ultima disposizione tettonica di una certa importanza va osservata nella relazione che passa fra i due lembi eocenici a Sud ed a Nord di Mandatoriccio. Colà gli strati eocenici hanno la medesima direzione da Nord Ovest a Sud-Est, ma la loro inclinazione in uno di quei lembi di terreno è opposta a quella dell’altro. Le arenarie e le brecciole num- mulitiche e forse anche i sottostanti calcari della Serra della Buo- na a Nord del paese inclinano non tanto fortemente a Sud-Ovest, mentre i conglomerati, le arenarie e le breccie nummulitiche che si trovano a Sud di quel medesimo paese, hanno un’ inclinazione più sentita verso Nord-Est. Si può con ogni verosomiglianza ammette- re che le due stratificazioni s’ incontrino nella zona di territorio intermedio , ma siccome questa è occupata da terreno miocenico non si può scorgere come l’incontro avvenga. ll Miocene che si estende fra Serra la Buona e Mandatoriccio riempie la sinclinale degli strati eocenici. 54 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria Basandomi sopratutto sulle poche nummuliti determinate e sulla posizione e aspetto delle roccie, sono di parere che almeno la massima parte dei terreni eocenici studiati debba riferirsi all’Eoce- ne medio in cui è così largamente rappresentato il Nummulitico del tipo di quello studiato. Non conviene dare soverchio peso all’ aspetto litologico delle roccie in discussione, ma non credo male dire che molte delle brec- ciole nummulitiche che si trovano nel Circondario di Rossano, so- migliano grandemente alle roccie consimili di Mosciano e di altre località dei dintorni di Firenze, alle quali forse corrispondono anche per l’ età, Miocene La formazione miocenica, tanto sviluppata in tutta la Calabria, è maggiormente. estesa nella parte orientale del circondario di Ros- sano che in quella occidentale ove si trova in pochi lembi assai limitati. La sua zona principale si estende da Rossano a Scala-Coeli, nella medesima direzione del prossimo littorale Jonio e si collega per gran tratto al Miocene della provincia di Catanzaro. Essa comincia a mostrarsi a N. O. di Rossano nella prima valle che si trova facendo l’antica strada mulattiera da quel paese a Corigliano. Da Rossano crescendo di potenza e di estensione si volge a monte verso Paludi e verso Cropalati e continua oltrepas- sato il Trionto per Caloveto, Pietrapaola, Mandatoriccio e Scala-Coeli, occupando le pendici adiacenti fin quasi a Crosia, a Calopezzati, a S. Morello ed a Terravecchia, paesi tutti posti sopra terreni del Postpliocene o del Pliocene. Ricomparisce poi il Miocene nei dintorni di Campana ove forma principalmente le regioni vicine del Piano della Ficuzza, dei Pianetti e del Piano di Fucineria. Nei dintorni di Bocchigliero si ritrova questo terreno a costituire le regioni pianeggianti circostanti al paese e specialmente ad Ovest i Piani di S. Salvatore e del Secchino, dai quali comincia la vera un Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria Sila, ed a Nord il Piano del Serino, nei monti compresi tra 1’ Or- tiano ed il Laurenzana. Tali regioni pianeggianti, le quali hanno una leggera inclina- zione verso il mare e che forse hanno riscontro nei Pianalti del reggiano, non sono tutte ad una medesima altezza, ma si posso- no riportare a quattro livelli diversi. I Pianetti, il Piano di Fuci- neria e molte regioni dei dintorni di Campana hanno una altezza media di 600 metri sul mare ; il Piano della Ficuzza e la Piana della Viscata ad Ovest di quel paese stanno a circa 800 m. come pure il Piano del Serino a Nord di Bocchigliero. Ad Ovest di quest’ ultimo paese si trovano ad un migliaio di metri di altezza il Piano di Secchino, il Piano Malmare ed il Piano Tre Arie. Più lontano si trova il Piano di S. Salvatore, al quale si ascende dal Piano del Secchino per la Re. Canalicchi, e che, insieme a tutti quelli di maggiore estensione formanti il grande altipiano silano, ha una elevazione di 1200 metri circa. Come si vede siamo in presenza di quattro serie di piani ognuna delle quali è circa 200 metri più alta dell’ altra e poichè quella con minore altezza è la più vicina alla pianura o, per. me- glio dire, al mare e quella con livello più alto la più distante, ne viene che considerati in complesso i piani che le formano costitui- scono come una grandiosa gradinata rivolta verso il mare, dovuta in parte a piccoli dislocamenti dei terreni miocenici ed in parte alla interruzione degli strati per parte delle vallate di erosione. Miocene inferiore Nella parte inferiore la formazione miocenica è costituita da un conglomerato rosso poco cementato, con arenarie di ugual co- stituzione e colore. Esso si trova assai sviluppato a Rossano a formare l’ imbasamento della dirupata collina ove è fabbricata la città (Tav. I, fig. 4), ed al Cozzo del Corvo, a Mezzogiorno del paese (Tav. I, fig. 5), ove mantiene sempre una potenza assai note- vole. Da qui tale conglomerato sempre a contatto con roccie assai 56 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria più antiche seguita, diminuendo però in sviluppo, per Paludi, Cro- palati e Caloveto al di là del Trionto. A. Mandatoriccio e a Scala Coeli esso non si mostra alla ba- se del Miocene, ma ricomparisce con una potenza di circa duecen- to metri a Campana, d’onde, mi credo, seguita per la provincia di Catanzaro ove la formazione miocenica prende maggiore sviluppo. I materiali che lo compongono variano nella proporzione della loro distribuzione a seconda dell’ estensione che hanno nei monti sovrastanti quelle roccie antiche dal disfacimento delle quali esso è stato prodotto. A Rossano è formato per la massima parte da ciottoli di granito e di filladi, ma se ne trovano anche di arenarie, di calcari, anche nummulitici, pochissimi di roccie liassiche, di gneis e di scisti cristallini. Rarissimi vi sono quelli di porfido quarzifero, roccia sviluppata nella provincia di Catanzaro. Non ho trovato in posto questa roccia, ma ne ho raccolto un ciottolo lungo il fiume Trionto al punto del suo incontro col tor- rente Ortiano; forse essa si troverà a far parte delle roccie cri- stalline le quali formano alcune pendici del M. Sordillo, acquapen- denti all’ Ortiano. Ma questa sarebbe una regione troppo lontana per potere ammettere che da essa provenissero i ciottoli che si rinvengono a Rossano e prima che credere a questo è meglio ri- tenere che la roccia siffatta esista in piccolo lembo od esistesse nei tempi andati nell’ alta valle del Colognati o del Celati. Le roccie che sopportano il terreno miocenico sono general- mente le filladi, sempre in grande discordanza stratigrafica ; così in parte a Rossano, a Cropalati, a Caloveto ed a Campana. A Ros- sano vi sono pure a sostenerlo i graniti della strada che scende alla stazione e a Paludi le brecciole nummulitiche e le arenarie eoceni- che a strati in diverso modo inclinati, le quali si trovano nei din- torni del paese. Nella provincia di Reggio, che ha geologicamente tanta analo- gia con il Circondario di Rossano, si trovano assai estesi i conglo- merati identici ai nostri ritenuti dal Seguenza e dal De Stefani Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 57 appartenenti a periodi geologici diversi. Il Seguenza (1), che al pari di me e del De Stefani non vi trovò alcun fossile, ne ritenne una parte eocenica ed appartenente al piano Bartoniano, portan- do per unica ragione della sua opinione che sebbene priva di fos- sili essa è sovrastante ai calcari a grandi nummuliti. Im un altro lavoro (2) la disse invece corrispondente ai terreni della serie eo- cenica della Sardegna e della Sicilia. Un’ altra parte, in base a fossili ritrovativi, 1’ attribuì al Miocene inferiore, Tongriano. Il De Stefani ritenne miocenica anche la roccia detta dal Se- guenza bartoniana e la pose nel piano Aquitaniano o diremmo meglio nel Miocene inferiore. Che nel rossanese tale conglomerato sia piuttosto da ascriversi al Miocene che all’ Eocene, mi sembra chiaramente dimostrato dal fatto che esso è sempre unito e concordante col primo e discordante invece ogniqualvolta si trova unito al secondo, il quale ha un ca- rattere litologico diverso e per di più, cosa per noi di principale importanza, ha contribuito a formarlo con ciottoli delle sue roccie. A qual piano del Miocene sia da ascriversi non potrei dirlo assolutamente, ma certo deve ritenersi come appartenente al Mio- cene inferiore, forse alla sua parte superiore, perchè perfettamente concordante e sottostante alle roccie, conglomerati ed arenarie, del- l Elveziano che passeremo a studiare. Miocene Medio PIANO ELVEZIANO — Ovunque si osserva il conglomerato rosso del miocene inferiore, a Rossano, a Paludi, a Caloveto, a Campana, gli sì trova soprastante, e con stratificazione in pieno accordo con esso, una formazione sabbiosa e ciottolosa, a piccoli elementi, generalmente poco cementati, prevalentemente costituita di granelli silicei. Questo terreno che all’ aspetto potrebbe, da chi lo riguar- (1) 1877 Secuenza—Brevissimi cenni intorno le formazioni terziarie della provincia di Re gio Calabria. Pag. 9—Messina. (e (2) 1880. Seauenza—Le formazioni terziarie nella provincia di Reggio. ArtTI Aco., Von. IX, SerIE 48— Memoria XVII. 8 58 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria dasse un poco superficialmente, esser creduto più recente e riferibile alle classiche sabbie subappennine, è quello che più di ogni altro piano miocenico è esteso nel nostro territorio, sebbene non abbia poi una grande potenza. Da Rossano, ove lo stesso paese vi è fabbricato sopra, esso continua , interrotto solo dal Trionto, fra Cropalati e Caloveto , fino a Mandatoriccio, quasi sempre a contatto col conglomerato del Miocene inferiore. A Rossano è costituito quasi essenzialmente dalle sabbie grossolane. Se dal paese si guarda a S. E., verso S. Maria delle Grazie , la sezione naturale del poggio del C.° del Corvo fin quasi al C.° Varca, si può constatare benissimo la per- fetta concordanza di questi terreni con il conglomerato rosso sot- tostante, dal quale si vedono chiaramente distinti per il loro di- verso colore. Tali sabbie continuano così fino a Caloveto, Prietrapaola, Man- datoriccio, anzi quei paesi, come pure Rossano, Paludi, Cropalati e come vedremo anche Campana, vi sono frabbricati sopra. Ma nei dintorni di Pietrapaola, per esempio verso la Re, Le Muraglie, co- minciano, specialmente nella parte superiore ed a monte, a predo- minare gli strati ghiaiosi. A. proposito di queste Muraglie, chiamate di Pietrapaola per la vicinanza di tal paese, mi accade qui di dire come sia opinione inveterata non solo degli abitanti di Pietrapaola stessa, ma anche di quelli dei vicini paesi, che nella R.° di quel nome, Le Muraglie apposta chiamate, si trovino antiche grossissime mura, preromane, ciclopiche o che so io. In realtà sta il fatto che in quei luoghi esi- stono strati quasi orizzontali di ghiaie elveziane assai cementate , frantumati a brevi distanze, in vario modo e perpendicolarmente al piano di stratificazione. Per tale struttura quegli strati assumono l'aspetto di grandiose mura a secco. I conglomerati rossi oltre Pietrapaola cessano di far da ba- se alle sabbie ed alle ghiaie dell’Elveziano, le quali allora prevalen- temente riposano sopra gli schisti ambpelitici o filladici ed anche sopra roccie eoceniche, come a sud di Mondatoriccio e presso Pa- | I ; ? a sega VIA iù Ù Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 59 ludi, e sopra a roccie liassiche e giuresi come avviene presso Boc- chigliero. Gli strati ghiaiosi si vanno facendo sempre più frequenti e potenti, procedendo verso Mondatoriccio e verso Campana, ove si ritrovano, sopra il conglomerato rosso del Miocene, le sabbie del- l’Elveziano in parte sotto un aspetto litologico alquanto diverso da quelle dei paesi ora notati. Non sono più le sabbie gialle parago- nabili alle subappennine quelle che si trovano nei dintorni di Cam- pana, specialmente facendo la strada che da quel paese conduce a Savelli. Invece di esse si hanno delle vere arenarie ad elementi assal grossolani, fortemente cementate e di un colore turchiniccio simile a quello dell’arenaria macigno toscana, cui toltane la grana più grossolana potrebbero anche paragonarsi. La loro compattezza, i loro strati non tanto potenti e di facile separazione fanno di quella roccia una buonissima pietra da taglio ed infatti come tale viene escavata nei dintorni di Campana. Nelle cave aperte a sud del paese si generalmente Pecten spesso conservati in da quelle cave il Pecten, Besseri Andr. A nord del paese in strati superiori a quelli es trovano le ghiaie più o meno cementate, conglomerato rosso , trovano non rari fossili, modello, ed io ho avuto aminati si ri- non più giacenti sopra il ma ad immediato contatto con le filladi pa- leozoiche. In strati di esse, ad elementi assai minuti, presso il (0 Angiolera, ho trovato assai numerosa la Terebratula Costae Dav. Pectunculus Fichieli Desh. Pecten Besseri Andr. Venus insignis Seg. Clypeaster altus Lam. Da questa località gli strati ghi biosi si allungano ancora più a Nord quasi per congiungersi a quelli identici dei dintorni di Pietrapaola, dai quali però sono separati da un considerevole dislocamento avvenuto nella loro compagine, per il quale i primi, cioè quelli delle pendici dipendenti dal Co, Angiolera, si trovano abbassati di quasi duecento metri in confro più nordici delle pendici sovrastanti a Pietr Può facilmente persuadersi di alosi e sab- nto degli altri apaola. tale disposizione tettonica chi 60 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria dal Cozzo Angiolera, che trovasi circa a quattro chilometri a N. O. di Campana, voglia recarsi a Pietrapaola od a Mandatoriccio. Ho fatto quel tratto di strada andando da Bocchigliero ad uno di quei pae- si, non mi rammento più a quale. Dal Cozzo Angiolera proceden- do a N. E. si scendano alcune leggere pendici nella direzione della inclinazione degli strati miocenici ghiaiosi e sabbiosi che le costi- tuiscono. Così finchè non si giunge al torrente col quale si origina la lunga e stretta valle di Sappo ma appena passata questa, non si hanno più i terreni miocenici, i cui strati sono così interrotti, e le ripide pendici che conducono al C.° Morto ed al C.° Granato si presentano costituite dalle antiche filladi paleozoiche. Dai dintorni di Campana gli strati ciottolosi e sabbiosi, inter- rotti dalla profonda valle del Laurenzana, si ritrovano sopra a Boc- chigliero per la strada che per gli orli orientali della Sila conduce a Longobucco e costituiscono tutte le ragioni pianeggianti che si tro- vano a Sud Est ed a Nord Ovest del paese. Così restano formati da quei depositi, prevalentemente ciottolosi a monte, sabbiosi a val- le, il Piano di Malmare (m. 1000), il Piano del Secchino (m. 1030) il Piano di S. Salvatore (m. 1170), e la Macchia della Giumenta (m. 1180) tutti verso la Sila, ed il Piano dell’ Eremita (m. 1030), il Piano delle Tre Arie (m. 1020), ed il Piano del Serino (m. 800), che si trovano nella giogaia di monti compresa tra i torrenti Or- tiano e Laurenzana. La maggior parte di questi altipiani concorrono nella forma- zione del grande altipiano della Sila ed io credo fermamente che esso tutto o la massima parte sia formato dai terreni in discorso, aventi là una stratificazione pressochè orizzontale, eccettuati s° in- tende bene i monti più alti elevantisi sul piano predominante e co- stituiti, come il nucleo centrale silano, da graniti, da gneis e da schisti cristallini. Le sabbie e le ghiaie ora esaminate, depositatesi in seno a ma- re poco profondo, come lo dimostrano i loro grossolani elementi ed i fossili che vi si rinvengono, appartengono senza dubbio al Mio - cene medio ed io credo precisamente al piano Elveziano del Ma- | | | sit Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 61 | | | yer. Infatti esse stanno direttamente e concordemente sopra ai | conglomerati rossi e sopportano sempre in concordanza le argille | tortoniane che tengono sopra i calcari silicei, inferiori alla loro vol- il ta ai gessi del Miocene più superiore. : I fossili che io vi ho ritrovato non sono molti, sebbene in al- \ cuni luoghi offrano la possibilità di una buona collezione. Ecco per | località quelli che vi ho potuto raccogliere: | A Rossano: Clypeaster altus Lam., Clyp. planatus Seg., Clyp. Melitensis Mich., Ostrea cochlear Poli, O. plicatula Gml., Pecten Bes- ' seri Andr., Pectunculus Fichteli Desh. ! A Paludi: Clypeaster altus Lamk., Ostrea cochlear Poli, O. pli- | catula Gml., Pecten Besseri Andrz., P. scabrellus Lamk. | David. A Mandatoriccio: Clypeaster altus Lamk., Clyp. petaliferus Seg. A Pietrapaola: Clypeaster piramidalis Mich., Terebratula Costae I Pecten Besseri Andrz. | A Campana : ( Crocevia S. Pietro ) Terebratula Costae David. | Pecten Besseri Avdrz., Pectunculas Fichteli Desh., Venus insignis Seg. | ‘Il Dr. Greco (1) ha trovato nelle sabbie su cui è posato il paese di Cropalati il Pecten scabrellus Lamk., una Terebratula sp. | ed un esemplare di £chinolampas incompleto. A Rossano cita il (ly peaster altus Lamk CI. aegyptiacus Wright e dei modelli di Conus. il Il Cortese (2) cita per Paludi: Clypeaster jonicus Di Stef. Cly. | sp., Ostrea lamellosa Br., Ostrea crassissima Lamk., Spondilus crassi- | costa Lamk., Pecten Besseri Andr., P. Scabrellus Lamk., Pectunculus sp., e per Mandatoriccio Clypeaster Michelini Di Stef. Questo terreno, con la medesima facies, è sviluppatissimo in tutta la Calabria ed è conosciuto col nome di terreno a Clypeaster. | Il Seguenza (3), nel suo classico lavoro sulle formazioni terziarie | | (1) Greco—Il Lias inferiore nel Circondario di Rossano. Atti d. Soc. tosc. di se. nat. Mem. Vol. XII, Pag.59. I (2) E. Correse—Descrizione geologica della Calabria. Loc. cit. pag. 141. (3) Secuenza — Le formazioni terziarie nella provincia di Reggio (Calabria). Pag. 402. Il 62 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria della provincia di Reggio , riferendosi in una nota a ciò che dice il Lovisato, il quaie ha riscontrato il terreno a Clypeaster nella pro- vincia di Catanzaro e di Cosenza formante una cintura intorno al massiccio cristallino della Sila, ritiene tal terreno appartenente al- l’Aquitaniano. Ho detto più sopra per quali ragioni lo ritengo del- l’Elveziano, non essendo i citati fossili affatto propri nè dell’Aqui- taniano nè di altri piani miocenici più antichi. Il Cortese (1) ha posto invece questa formazione nella zona inferiore del Miocene superiore. È pure da riferirsi all’Elveziano un lembo di terreno mioceni- co grandemente separato dagli altri, il quale si trova nel territorio di Santa Sofia di Epiro, nella parte più occidentale del Circondario di Rossano. Esso comparisce nella Valle Acci tra il torrente Gala- trella ed il fiume Crati; misura forse pochi chilometri quadri di superficie, riposa sopra gli schisti cristallini e sopporta sabbie postplioceniche. Altro minuscolo lembo di identico terreno trovasi nella valle del Galatrella alla R.* La Musica in territorio di S. De- metrio Corone. Le roccie che costituiscono questi due lembi elve- ziani sono calcari marnosi cenerognoli a Nw/lipore nella parte in- feriore, e calcari giallastri talvolta impastati con granelli silicei, do- vuti al disfacimento delle roccie cristalline sovrastanti, nella parte superiore. Questi ultimi costituiscono allora una specie di arcose e vengono escavati come pietre da costruzioni , a ciò prestandosi molto bene per la loro facile lavorazione, specialmente appena estratti dalla cava. Appunto in stipiti di questa roccia, esistenti nelle costruzioni del Collegio di S. Adriano presso S. Demetrio ho ri- scontrato la presenza di fossili, fra i quali mi è parso riconoscere il Pecten scabrellus Lamk. i Non potrebbe essere però improbabile che la parte superiore di questi lembi miocenici corrispondesse cronologicamente ai calcari biancastri marnosi, assai sviluppati fra Paludi e Cropalati, dei quali mi occuperò più sotto e che sono un poco più recenti dell'Elveziano. (1) E. Correse — Descrizione geologica della Calabria. Loc. cit. Pag. 138. Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 65 Oltrepassato il Crati si ritrova il terreno a O/ypeaster nei din- torni di Tarsia, non molto lungi dal lembo miocenico della Valle Acci, però fuori del circondario di Rossano. Ho voluto ricordare questo fatto interessante, perchè serve sempre più a dimostrare la disposizione a mantello che i terreni miocenici prendono intorno al gruppo montuoso della Sila. ARGILLE TORTONIANE — Muovendosi da Rossano per fare la strada che conduce a Paludi ed a Cropalati, appena attraversato il Celati e salita la pendice opposta si vede sulla sinistra della strada una formazione argillosa che riposa in concordanza sopra le sabbie a Clypeaster ed è sottoposta ai calcari biancastri concrezionati del Miocene superiore. Intercalati ad essa si trovano alcuni straterelli di arenaria grossolana indurita e quà e là come minerale accessorio si rinviene il gesso cristallino in masse fibrose. In tali condizioni queste argille continuano per Paludi e Gropalati occupando fra que- sto ultimo paese e Rossano una striscia di terreno larga poche centinaia di metri, sinuosa a monte od a valle a seconda che at- traversa una collina od una vallata. seguitando per la medesima direzione ed attraversati i terri- tori di Caloveto e di Pietrapaola , ove non ho incontrato mai la formazione argillosa miocenica, questa ricomparisce sopra le sabbie a Clypeaster dopo Mandatoriccio e verso Scala Coeli ove, prenden- do maggiore estensione, occupa tutti gli aridi terreni circostanti al paese. Di qui attraversato il Fiumenicà essa seguita ancora ad oc- cupare buona parte delle colline sulla destra di quel fiume ed io credo che per il territorio di Umbriatico si introduca e si allarghi nella provincia di Catanzaro. In quanto alla natura litologica della roccia, tali argille sono paragonabili ai mattaioni della Toscana ed in generale anche alle argille subappennine del Pliocene classico, salvo una maggiore com- pattezza e sfaldabilità che le rende alquanto schistose. Nell’ estate o quando per lunga siccità esse siano completamente asciutte, di- vengonu bianche alla superficie, ma dopo la pioggia assumono il loro speciale colore turchiniccio, si disfanno facilmente all'acqua e 64 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria rendono addirittura impraticabili le rozze strade che le attraver- sano. Tale formazione argillosa si trova pure nella Calabria meri- dionale, ove fu bene studiata a Benestare dal Seguenza che la ri- ferì al Tortoniano. Così io la riferisco a quel piano miocenico ba- sandomi sopratutto sopra le sue condizioni stratigrafiche. lo non vi ho ricercato i fossili microscopici, ma fra quelli microscopici vi ho trovato nei dintorni di Scala-Coeli aleuni esem- plari di Ceratotrochus duodecimcostatus Goldf. ed a Rossano mi fu- rono dati, come provenienti dalle argille che stanno nella collina in faccia al paese ed a sinistra della strada che conduce a Paludi, dei grossi denti di Carcharodon megalodon Agass. e di Oxyrhina sp. Miocene superiore CALCARE CONCREZIONATO SILICEO — Sopra le argille tortoniane, nel loro primo tratto fra Rossano e Cropalati, si trova una forma- zione calcareo-marnosa, silicea, biancastra, caratteristica, la quale con la medesima facies speciale si osserva in gran parte della Calabria. Lungo il littorale del mare Jonio e credo anche nei din- torni di Catanzaro è chiamata tufo calcare. Si presenta generalmente in scoscesi burroni, prodottisi lungo le testate degli strati per il rovinamento di tutta la massa, scalzata alla base dalle acque che più facilmente disgregano e portano via le argille sottostanti. Questo calcare impuro che complessivamente può avere una potenza di circa trenta metri, è bene stratificato, concorda per- fettamente con i piani miocenici sottostanti e coi gessi sovrapposti. Contiene interstratificati alcuni straterelli bituminosi ed altri di sel- ce piromaca che si presenta pure in noduli ed arnioni. Anche gli strati prevalentemente calcari non si presentano con tanta omoge- neità e ve ne sono dei più puri e questi sono i più alti in spes- sore, mentre i più bassi spesso schistosi sono i meno puri e po- trebbero riguardarsi anche come un vero e proprio tripoli marnoso. Per la sua facile lavorazione i paesi vicini adoprano questa Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 65 roccia come pietra da costruzione ed in mancanza di meglio, come a Rossano, se ne servono anche per fare calcina. Sebbene numerose faglie si trovino in Calabria in ogni terreno e sieno più facilmente distinguibili nel Miocene a cagione della sua regolare stratificazione, pure è notevole la loro frequenza in questa formazione calcare. La spiegazione di questo fatto facilmente si intuisce pensando alla maggiore plasticità che hanno le argille sot- tostanti in confronto della massa calcare in discorso, la quale spes- so non essendo sufficientemente sostenuta si spezza. Ma di tali faglie, che si trovano allineate secondo la direzione degli strati calcari e che possono riguardarsi, riunendo molte di esse, anche come una sola estendentesi per tutta |’ estensione di essi medesimi strati, ne parlerò più sotto. Per quanto vi abbia ricercato, non mi è stato possibile di rin- tracciare fossili in questa formazione calcare, ma essa è in relazio- ne di perfetta concordanza con i piani miocenici sottoposti e con i gessi soprastanti. Quindi la sua posizione nella serie dei terreni è cronologicamente ben determinata. Questo calcare marnoso che a Paludi ed a Cropalati sopporta i gessi del piano Pontico corrisponderebbe secondo il De Stefani alla plaga langhiana del Miocene medio e sarebbe il Zancleano in- feriore del Seguenza. Io lo ritengo indissolubilmente legato ai gessi e membro in- feriore del piano Pontico. Il Dott. Greco (1) ha pure rammentato questo calcare mar- noso, ma per non avere osservate le argille sottostanti lo ritiene posato sopra le sabbie a Clypeaster ed insieme a queste lo riguar- da come appartenente al Miocene medio. Il lembo miocenico che trovasi nel territorio settentrionale di Santa Sofia di Epiro, nella sua parte superiore, ha molta analogia litologica con la roccia in discorso e non potrebbe esser difficile che vi corrispondesse anche cronologicamente. Resterebbero sem- (1) Il Lias inferiore nel Circondario di Rossano. Loc. cit. Pag. 59-60. Arti Acc., Vor. IX, Serie 48— Memoria XVII. 9 66 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria pre colà esclusi i calcari marnosi inferiori a Nw/ipore, spettanti al Miocene medio. Fra Rossano e Paludi, dove appunto è più alta la strada car- rozzabile che gira a settentrione l’elevato Cozzo del Soraro contor- niato quasi da ogni parte dalle dirupate balze del calcare concrezionato siliceo, sopra questo, tagliato per lungo tratto dalla strada, si co- minciano ad osservare i gessi del piano Pontico in piccoli ammassi, ultimo rimasuglio di una formazione più potente, lasciato a testi- mone dagli agenti atmosferici. Da questa località la formazione gessosa segue quella dei calcari marnosi sottostanti e passata la valle del Coseria si ritrova a due chilometri circa a Nord di Cro- palati nella collina spartiacque fra il torrente ora rammentato ed il Trionto. Ma la maggiore estensione è da essa acquistata nei territorii di Caloveto e di Pietrapaola ove non riposa più sopra il calcare marnoso, ma in parte sopra il nummulitico dei dintorni di Caloveto ed in parte sopra sabbie e marne del Miocene medio come a Nord di Pietrapaola. A Nord di Caloveto, di fianco al Cozzo Im- pisi ed alla R. Perainetto la formazione gessosa si presenta anco- ra in grandi ammassi e isolati formanti dirupati scogli elevati sul terreno circostante. Vera disposizione stratigrafica viene da essa acquistata a Nord di Pietrapaola alla Serra di Lido ed ai Co. dei Vigneti, fra le quali località s’ interpone la profonda Valle Solfata- ra, originatasi per un discreto dislocamento avvenuto nei terreni in discorso e per il quale gli strati gessoso-marnosi si trovano a Nord abbassati di più che cento metri. in rapporto a quelli cor- rispondenti che stanno a Sud. È qui che i gessi hanno la mas- sima potenza che io non eredo però che superi i cento metri. In quanto alla forma litologica che compone quest’ultimo ter- reno della serie miocenica, dirò come esso si presenti a Paludi, a Cropalati ed a Caloveto sotto | aspetto di un alabastro saccaroide spesso candidissimo o cenerognolo, che potrebbe benissimo essere escavato per farne oggetti di ornamento e come si usa dalla roc- cia consimile del Volterrano in Toscana. Dalla superficie di questa roccia dei dintorni di Caloveto, per Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 67 maggiore resistenza presentata agli agenti esterni, emergono dei no- duli allungati sferoidali di gesso cristallino di uno spessore di poco più di un centimetro. L’ alabastro viene così ad essere pichettato in ogni maniera. Al C.° dei Vigneti ed alla S". di Lido gli strati gessosi sono talmente inquinati da sostanze argillose che li colo- rano in vario modo e li rendono anche alquanto schistosi da non paragonarsi affatto a quelli candidi di Caloveto. Se ne hanno colà chiari, grigi, giallastri, cenerognoli e quasi neri, i quali anche in strati sottilissimi si alternano, rendendo la roccia elegantemente variegata. Questi per la proprietà che hanno di ridursi facilmente in la- stre vengono escavati per coprire tetti e farne impiantiti. Mi fu detto trovarsi un lembo di alabastro anche nel territorio di Campana; crederei o a Nord o ad Est del paese nei monti che stanno fra mezzo a Campana e Scala-Coeli. Per non aver visitato questo lembo non posso dir nulla sulla sua giacitura nè sulla sua qualità litologica. Nella valle Solfatara, che come ho detto è stata oginata da una faglia avvenuta in questo terreno fra la R.* Serra di Lido ed il Cozzo dei Vigneti, nelle marne gessose variegate e nella loro parte superiore sono stati trovati anche da me dei filoncelli e delle in- clusioni di solfo amorfo, a non smentire che si abbia a fare con la formazione gessoso-solfifera. Anzi allo scopo di rintranciarvi questo minerale vi sono state praticate delle gallerie anche discretamente profonde, ma senza buon resultato. A_ parer mio la formazione ha poca potenza e poca estensione da potere sperare di aprirvi una cava da rendere tanto minerale da ricompensare le spese occorrenti per l'impianto. Ove gli strati gessosi sì mostrano più puri, cioè a Nord di Cropalati e di Caloveto, si trovano sopra essi delle deposizioni di salgemma ricoperte da terreno più recente. Infatti fra Cropalati, Ca- loveto ed il mare, a valle di essi strati, scaturiscono frequenti sor- genti di acqua salata della quale si servono i contadini per cuocere le pietanze. Mi fu detto che a Nord di Cropalati, dopo uno scavo anche poco profondo, possono facilmente scoprirsi i banchi di sale. 68 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria Pare anzi che un tempo fossero escavati in larga scala; ora credo vi stieno sul luogo guardie doganali per impedirlo. Il Miocene del Circondario di Rossano si è voluto mostrare fi- no all’ultimo scarso di fossili, e non mi è stato possibile scoprirne alcuno negli strati gessosi. Forse ve li troverà chi li potrà esplora- re con più comodo di me, essendo probabilissimo che vi si trovino realmente, tanto più che l'Img. Cortese trovò le Congerie nella for- mazione consimile presso Catanzaro. Non credo per questo meno sicura la determinazione cronologica del terreno, la mancanza dei fossili essendo compensata dalla relazione con le roccie sottostanti e dalla costante uniformità cronologica e litologica dei depositi ges- soso-solfiferi in tutta la conca mediterranea. Se non vi è grande disaccordo fra i geologi sulla posizione da assegnarsi alla forma- zione gessoso-solfifera , una differenza fra loro comincia nel nome col quale si vorrebbe distinguere il piano a cui essa appartiene. Non mi impelagherò in discussioni di questa fatta. Lo chiamo pia- no Pontico perchè è questo il nome più universalmente usato ed il meno discutibile e lo riunisco al Miocene, perchè mi sembra più chiara e reale la differenza fra esso ed i terreni pliocenici che fra gli altri terreni miocenici. Complessivamente la formazione miocenica ha una potenza di circa 300 metri da suddividersi nei piani che ho distinto fin quì. Il conglomerato rosso della parte inferiore del Miocene è quello che presentasi con maggior potenza, mentre i piani successivi si mostrano via via con minore sviluppo in altezza, fino ai gessi del piano Pontico i quali però in alcune località hanno una conside- revole potenza. La successione di tutti questi terreni si ha com- pleta nelle vicinanze di Cropalati e nelle pendici dipendenti dal Cozzo del Soraro presso Paludi. La tettonica degli strati sarebbe quanto mai semplice se non fosse spesso disturbata a cagione delle frequenti faglie che hanno spezzato gli strati miocenici, abbassando generalmente la porzione che resta verso il monte in confronto di quella a valle, che rima- | i i | Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 69 ne relativamente ferma. Innumerevoli sono stati questi movimenti subiti dai terreni miocenici i quali ovunque, come già ho detto , conservano fra loro la più perfetta concordanza stratigrafica. La direzione dei piani di stratificazione pressochè uniforme da N. 0. a N. E. nella zona principale, ha tendenza, da Ponente a Levante, a volgersi più ad Ovest e a Sud, manifestando così nell’ insieme una leggera curva tendente ad avvolgere i terreni più antichi. È che ciò avvenga veramente è dimostrato dalla direzione degli stra- ti dei lembi miocenici che si trovano più di fianco alle roccie an- tiche a Nord di Santa Sofia di Epiro, i quali strati, avendo una direzione O. S. 0. a E. S. E. si trovano girati, dirò così, di quasi un angolo retto in rapporto a quelli della zona principale. Anche l'inclinazione a N. E. ed a N. è abbastanza regolare e regolarmente normale alla direzione; è massima, raggiungendo i 20 gradi, nei terreni miocenici costituenti la parte bassa delle pendici montuose, cioè nella zona tra Rossano e Mandatoriccio; è minima invece nelle parti alte dei monti, ove costituisce generalmente le regioni pianeggianti dette Piane o Pianalti. Seguitando ancora si troverebbero nel mezzo della Sila gli strati miocenici pressochè oriz- zontali ed inclinati poi in senso inverso scendendo le opposte pen- dici. Insomma secondo me è chiara la disposizione e mantello che le roccie mioceniche assumono intorno alla massa silana. Altra consimile disposizione si troverà credo, nel gruppo dell'Aspromonte. Ritornando alle faglie, anche queste, per avere generalmente i piani di scivolamento nella medesima direzione degli strati, si tro- vano situate quasi sopra linee concentriche al gruppo della Sila, facendo sospettare che fosse unica la causa che le produsse da ricercarsi forse nell’ assetto definitivo della massa della Sila stessa. Già ho fatto menzione di alcune di queste faglie, ma qui vo- glio citarne altre che servano sempre più a dimostrare ciò che ho detto. Anche i due lembi miocenici, uno della R.° Scesi a Nord di Santa Sofia di Epiro e l’altro che trovasi nella R.° La Musica pres- so S. Demetrio Corone, debbono un tempo essere stati riuniti e se ora sono separati ciò è dovuto a parer mio ad una dislocazio- 70 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria ne avvenuta nella compagine degli strati e presso a poco nella lo- ro direzione. Per questo movimento si sarebbe originata almeno in parte la valle del Galatrella. E veniamo alla zona principale dei terreni miocenici. Il paese di Rossano è fabbricato in parte sopra le sabbie a (ypeaster ed in parte sopra il conglomerato rosso del Miocene in- feriore. Ora questi terreni (Tav. 1, fig. 5) si sono abbassati, sci- volando forse sul granito, di qualche diecina di metri in confronto di quelli consimili che si trovano a tramontana fuori della porta dei Cappuccini. Si può osservare in parte questo fatto anche uscendo fuori del paese della porta dell’ Acqua. Non è improbabile che a tali movimenti (poichè sono almeno due) sia dovuta la profonda valle che è compresa tra il C.° St.° Stefano, formato di granito, e la collina su cui siede Rossano. La medesima dislocazione con identici caratteri si ripete in faccia a Rossano (Tav. I, fog. 4) ottrepassato il Gelati, ove la for- mazione miocenica, composta della serie fino ai calcari marnosi, si trova a sud del monte granitico del C.° Varca spostata in senso negativo da quella, non completa nella serie, che resta dalla parte settentrionale di esso monte. Procedendo ancora a levante si ha subito un’altra faglia più piccola prodottasi sempre nel senso della direzione degli strati, nella R.° S. Domenico fra il Colognati e 1’ Otturi. Di tali movimenti degni di essere rammentati non se ne tro- va più fino a Cropalati, ove se ne riscontra uno evidentissimo a circa un chilometro a Nord del paese. Qui gli strati del calcare marnoso ed insieme le argille, le sabbie ed i conglomerati sottostanti, sopra ai quali è fabbricato il paese, sono dislocati ed abbassati di un centinaio di metri in rapporto a quelli che si trovano a setten- trione alla Serra Laccomiti. La linea di faglia è nella direzione de- gli strati e lungo essa la collina mostrasi fortemente depressa, presentando in quel punto un valico abbastanza basso fra la valle del Coseria e quella del Trionto. Oltrepassato questo fiume si trovano piccole dislocazioni nei Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria roi dintorni di Caloveto e dopo quella più potente nella formazione gessoso-marnosa solfifera fra la R.° i Vigneti e la Serra di Lido nel territorio di Pietrapaola e della quale già ho fatto menzione. La valle Solfatara che si interpone fra quelle due località nella direzione della linea di faglia che è pure ad un dipresso la dire- zione degli strati, presumibilmente deve la sua origine, a quel mo- vimento. Altri simili fatti di minore importanza sono stati da me osservati anche nei dintorni di Campana e di Scala-Coeli, ma nes- suno può stare a paragone con quello già notato quando parlai dei terreni del Miocene medio e che si manifesta nelle medesime condizioni degli altri sopra enumerati fra il C.° Angiolera, a Nord di Gampana, ed i C.' Granato e Morto sopra a Mandatoriccio e so- pra a Pietrapaola. Quando cominciarono a deporsi i terreni miocenici la regione da me rilevata, insieme alla maggior parte della Calabria, aveva risen- tito di un esteso movimento negativo per il quale vennero a som- mergersi dei terreni fino allora stati emersi da lunghissimo tempo. Vediamo infatti il granito antichissimo dei dintorni di Rossano sop- portare le roccie del Miocene inferiore e osserviamo gli schisti eri- stallini del territorio di S. Sofia di Epiro e di S. Demetrio Corone tenere sopra con grandissima discordanza i calcari e le marne a Nullipore del Miocene medio. Nella zona principale dei terreni miocenici, questi in massima parte soprastanno alle roccie filladiche, in parte, anche in grande discordanza come nei dintorni di Bocchigliero , sopra roccie liasi- che e giuresi ed in parte sopra roccie dell’ Eocene medio come presso Cropalati, presso Paludi e fra Caloveto e Crosia, ove la discordanza stratigrafica fra le due formazioni è meno grande. Nella parte orientale della zona da me rilevata i terreni mio- cenici sopportano regolarmente quelli pliocenici, mentre il lembo di S. Sofia di Epiro con discreta trasgressione tiene al disopra le sabbie postplioceniche. Maggiore interruzione è presentata dal Mio- cene della collina su cui siede Rossano il quale per la strada che dal paese scende alla stazione, ove soprastà al granito, sopporta 12 Studio geologico sul circondario di Iossano in Calabria i conglomerati sciolti del Quaternario, sui quali è fabbricato il cam- posanto di quel paese. Pliocene I terreni pliocenici si trovano più specialmente nelle colline che seguono il littorale fra Rossano e Cariati, ma si rinvengono ancora, formanti due piccoli lembi, nei dintorni di Corigliano. Sono costituiti da argille per nulla dissimili da quelle nostre subappennine, spesso biancastre per efflorescenza di carbonato di soda, da sabbie più o meno cementate e da conglomerati formati da grossi elementi essi pure più o meno cementati. Presso Corigliano le argille plioceniche si scoprono a due o tre chilometri dall’abitato per la strada di S. Giorgio Albanese, alla R.° Cannata, ove presumibilmente riposano sopra gli schisti cristallini e sostengono le sabbie sciolte postplioceniche. Più presso al pae- se di Corigliano il terreno pliocenico è rappresentato pure da un lembo di argille molto pure e compatte che vengono a nudo nei dintorni del Camposanto e per piccolo tratto anche lungo la stra- da regia per Rossano. È presumibile che il gneis di Corigliano sia la roccia che sostiene quelle argille in grande discordanza, mentre esse dalla parte di monti sopportano alla loro volta dei conglomerati postpliocenici ad elementi arrotondati e dalla parte della pianura , terreni disciolti, sabbie e ghiaie, quaternari. Nelle argille che s'incontrano scendendo dal Camposanto di Co- rigliano non sono rari i fossili ed io vi ho raccolto : Biloculina sp. Terebratula ampulla Br. Nucula excisa Phil. » sulcata Bronn. Syndosmya alba Wood. Calyptraea chinensis L. Ringicula Brocchii Seg. Nassa gigantula Bon. » prismatica Br. Murex vaginatus Jan. 'henopus pespelicani L. DI Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria Proseguendo ad Est non ho osservato terreni del Pliocene ti- pico che passato Rossano nelle pendici settentrionali del C.° Varca fra il Celati ed il Coriglianeto. Di qui tali terreni continuano fino all'estremo limite orientale del nostro territorio, senza interruzione e seguendo il vicino littorale, generalmente ad una distanza da esso di quattro o sei chilometri. Le argille si tengono più al basso dalla parte del mare, le molasse e le arenarie invece stanno più alte e dalla parte dei monti, sebbene forse non rappresentino che una facies diversa dal medesimo mare pliocenico e forse anche la sua più antica deposizione. I conglomerati prendono considerevolissimo sviluppo nella par- te orientale e debbono riguardarsi secondo il mio modo di vedere come la continuazione degli strati arenacei. Essi hanno la loro maggiore estensione nei dintorni di S. Morello, piccolo villaggio del territorio di Scala-Coeli, ove acquistano una notevolissima potenza ed ove sono costituiti da elementi di straordinaria grossezza, assai fortemente cementati fra loro. Da S. Morello gli elementi compo- nenti il conglomerato pliocenico vanno assottigliandosi in tutte le direzioni. Infatti, proseguendo anche ad Est, verso Terravecchia, villaggio del territorio di Cariati, essi a poco a poco facendosi più piccoli e più sottili passano a formare l’arenaria grigia micacea a strati più o meno duramente cementati, che costituisce le colline adiacenti a quel villaggio e che si trova fin presso Cariati. Non è difficile che fra Cariati e Scala-CGoeli si scoprano ogni tanto, nelle depressioni del suolo e sotto le roccie in discorso, le argille tortoniane che sono tanto estese nei dintorni di Scala-Coeli stesso. Se da S. Morello ci volgiamo ad Ovest il conglomerato si fa pure sempre più minuto e passa alla tenera arenaria che alla Serra Cipodaro, a Nord di Mandatoriccio, riposa sopra 1’ eocenico della Serra della Buona. Seguitando ancora si trova la medesima roccia della Serra Cipodaro a formare le dirupate balze che fiancheg- giano il C.° S. Elia a Sud di Calopezzati. Tale molassa sempre più sottile, si mostra per piccolo tratto a Sud di Crosia, e, oltrepassato Arti Aco., Von. IX, SerIE 48— Memoria XVII. 10 ©‘ T4 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria il Trionto anche nelle colline che stanno sulla linea che unisce quel villaggio a Rossano. Così, facendo la strada mulattiera da CGropalati a Rossano, essa si trova fra la R.e Marvitana e la R.e Vallomonte ove è addossata ai calcari marnosi del Miocene superiore ed ove è molto minuta, più cementata e facilmente sfaldabile in straterelli sottili. A Nord di S. Morello gli elementi costituenti il conglomerato sì fanno pure più piccoli ed alla R. Feliciosa sono già assai ridotti. Il Postpliocene che colà ricopre tale conglomerato impedisce che sì possa verificare se essi per ultimo danno origine ad arenarie si- mili a quelle della Serra Cipodaro e delle altre località sopranotate. L’Ing. Cortese (1) ha creduto di dovere riferire tali conglome- rati al Miocene inferiore od Oligocene. Egli non crede che ciò pos- sa mettersi in dubbio perchè quella formazione oltre a riposare sull’Eocene medio, una faglia caratteristica la rigetta contro il Mio- cene superiore. Non ho osservato la faglia di cui parla il Cortese ed io sono convinto che i terreni in discorso per la massima par- te riposino regolarmente e naturalmente sopra il Miocene superio- re. È però verissimo che piccole porzioni di essi riposano anche sull’Eocene. D'altronde a me pare strano che dall’altra parte della supposta faglia del Cortese non si ritrovino le medesime roccie mentre sono iutt’ altri conglomerati quelli che formano la base del Miocene di quelle località. Non è poi privo d’ importanza il fatto che quelle arenarie e quei conglomerati dalla parte dei monti pre- sentano precipizî e scoscesi burroni appunto perchè la loro base, formata in massima parte da argille tortoniane, è scalzata facilmente dagli agenti corroditori. Del resto mancano assolutamente i fossili che avrebbero potuto chiarire facilmente la quistione. Le molasse del C.° S. Elia sono invece riguardate come tor- toniane dal Cortese (2). A me sembrano ben determinate dalla lo- ro sovrapposizione ai gessi pontici delle regioni vicine, Serra di Li- (1) E. Cortese — Descrizione geologica della Calabria. Loc. cit. Pag. 132. (2) E. Cortese — Ibidem. Pag. 146. 1 ‘ Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria do, C.° dei Vigneti e R.e Perainetto, e dalla loro sottoposizione al Postpliocene su cui è fabbricato Calopezzati; nè mi pare che pos- sano cronologicamente separarsi dai conglomerati di S. Morello dei quali rappresentano secondo me, una facies marina diversa. Le argille che ho detto essere forse più recenti delle molasse, oltre a formare i due lembi già citati di Corigliano, ricomparisco- no a N. E. di Rossano nelle pendici settentrionali del C.° Varca. Di qui con la fronte di circa un chilometro seguitano ad Est, talvolta interrotte da terreni quaternari sovrapposti, e seguendo le arenarie con le qnali sono collegate intimamente. Passato il Trionto le arenarie e le argille sono fra loro separate dal postpliocene che acquista grande sviluppo intorno a Crosia ed intorno a Calopezzati; le arenarie stanno a Sud di quei paesi, le argille invece costitui- scono i terreni più bassi in vicinanza del littorale. A queste argille si sovrappongono poi terreni sciolti, postpliocenici e quaternari , sabbie e ghiaie, tra la stazione ferroviaria di Crosia e quella di Calopezzati mentre tra quest’ultima e la successiva stazione di Pie- trapaola soltanto le sabbie postplioceniche stanno loro a ridosso e dalla parte del mare solo poche diecine di metri di depositi allu- vionali recentissimi le separano dal prossimo littorale. Anche sotto Cariati, presso la stazione ferroviaria, si scopre un lembo di argille plioceniche, scavate per farne oggetti di terracotta. I fossili non sono a dire il vero molto numerosi in tutta la formazione argillosa pliocenica. Nel lembo che trovasi sotto al C.° Varca ho veduto Limopsis aurita Br. e qualche altra specie che non ricordo. Tra Coseria ed il fiume Trionto ho raccolto Limopsis aurita Br. Dentalium entalis L. Murex vaginatus Tan, Pleurotoma rotata Br. In maggiore abbondanza, ma senza grande varietà si rinvengono i fossili nelle argille che seguendo il littorale si trovano fra la sta- zione ferroviaria di Calopezzati e quella di Pietrapaola. Di passag- gio per quella località raccolsi : Corbula gibba Ol. numerosissima. Faphitoma Columnae Sc. E. sygmoidea Jan. Fusus clavatus Br. 16 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria Tali fossili se mi fanno sicuro della pliocenità dei terreni éhe li contengono, non sono valevoli per indicarmi a quale parte del periodo pliocenico essi appartengono, nè per farmi intraprendere qualsiasi paragone con depositi pliocenici già conosciuti sia di Ca- labria o di altra parte dell’Italia. La netta delimitazione litologica esistente fra tali argille e le sabbie postplioceniche che loro sopra- stanno mi fa pensare anche ad un distacco di tempo che sarebbe avvenuto fra la loro disposizione. Ma solo uno studio accurato dei fossili e dei rapporti passanti in ogni località fra le roccie sotto e soprastanti potrà risolvere queste questioni. La stratigrafia dei terreni pliocenici non si vede punto distur- bata nei lembi argillosi dei dintorni di Gorigliano, anche perchè vi si può osservare solo per poca estensione. Gli strati ho già detto che presumibilmente, giacchè non ho potuto osservarne il contatto, ri- posano colà sopra gli schisti cristallini o sopra il gneis. Essi si di- rigono da Est ad Ovest ed hanno una pendenza a Nord di cir- ca 10°, regolarmente normale alla loro direzione. Anche fra Ros- sano e Calopezzati la striscia dei terreni pliocenici, tolta qualche leggera ondulazione, presenta le medesime condizioni stratigrafiche. Variano però le roccie dalle quali quei terreni sono sostenuti, poi- chè presso Rossano, con molta minore discordanza, le arenarie a Clypeaster del Miocene medio sopportano le argille plioceniche a tramontana del C.° Varca. Proseguendo verso la valle del Coseria e del Trionto la trasgressione diventa sempre minore o sparisce giacchè sotto al pliocene si trovano i calcari marnosi ed anche i gessi del Miocene superiore. Oltre Calopezzati e fino a Terravecchia gli strali pliocenici , arenarie e conglomerati, sono più irregolari. Riposano in parte sui gessi miocenici presso Pietrapaola, in parte crederei sui calcari nummulitici a Nord di Mandatoriccio ed in parte più estesa sulle argille tortoniane a Nord di Scala-Coeli. Queste argille, sono state potentemente compresse dalla gran- de massa dei conglomerati e delle arenarie plioceniche esistenti tra S. Morello e Terravecchia. Nel prendere quindi un assetto più 1 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria tl definitivo, per la loro plasticità, hanno resistito meno alla pressione superiore di quello che hanno fatto gli altri terreni che sostengo- no il Pliocene più verso ponente. Da ciò ne sono derivate appunto alcune ondulazioni negli stra- ti pliocenici di S. Morello e di Terravecchia, delle quali ne dò una rappresentazione con la fig. 11, tav. I, mostrante uno spaccato naturale diretto da Est ad Ovest e che si osserva guardando a Nord di Scala-Coeli. FPostpliocene Mentre i terreni pliocenici tipici sono scarsamente rappresen- tati nella Calabria e mancano completamente per gran tratto del littorale tirreno, quelli postpliocenici invece prendono grandissimo sviluppo specialmente sulle pendici jonie. Attenendoci alla nostra regione, essi avvolgono il Circondario di Rossano con una cintura più o meno larga da Cariati fin sotto S. Sofia di Epiro, d’ onde seguitano , rimontando la valle del Crati, verso Cosenza. La cintu- ra dei terreni postpliocenici intorno alla massa silana del rossanese non è però continuamente estesa, inquantochè fra Rossano e Cori - gliano mostrasi fortemente ridotta ed anche mancante giacchè i terreni miocenici ed i pliocenici ed anche il granito centrale, sop- ortano in qualche punto i conglomerati sciolti quaternari. Cominciando dalla parte orientale si trovano come ho detto i terreni postpliocenici a Cariati, ove sono abbastanza sviluppati e costituiti da arenarie gialle grossolane, a strati molto inclinati, più o meno cementate e non molto ricche di fossili. Il Dott. Gre- co (1) che ve ne ha raccolti alcuni, oltre ad esemplari di Venus, di Pectunculus, di Natica, di Panopaea indeterminati cita anche : Trochus magus L. Anomia ephippium L. Pecten Jacobaeus L. Modiola barbata L. Pectunculus glycymeris L. Spatangus purpureus Mill. (1) Greco—1l Lias inferiore nel Circondario di Rossano. Atti d. Soc. tosc. d. Sc. nat. Vol. XIII (Memorie), pag. 57. 18 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria Il Greco, che non ha fatto distinzione tra il Pliocene ed il Postpliocene, ha osservato che le arenarie su cui posa il paese di Cariati fanno passaggio ad Est a vere e proprie argille marnose. Ad Est del paese in vicinanza della stazione ferroviaria, affiorano infatti delle argille, che però credo plioceniche, messe allo scoperto per il denudamento avvenuto negli strati postpliocenici arenosi, dai quali esse sono nettamente distinte. Tali argille, che non sono affat- to prive di fossili giacchè vi ho raccolto vari frammenti di piccole bivalvi indeterminabili, sono escavate su larga scala per la fabbri- cazione di anfore e di altri recipienti pei quali va famoso il paese di Cariati. Parrebbe che fossero povere di elementi ferruginosi poichè con Ja cottura non assumono che debolmente quella tinta rossastra speciale alle argille cotte. Costeggiando il littorale verso Rossano le sabbie postplioceni- che, le quali perdono dapprima un poco di estensione, cominciano a prendere maggiore sviluppo tra la stazione ferroviaria di Campa- na e quella di Pietrapaola e si allargano molto tra questa ultima stazione ed il fiume Trionto; seguitano dopo a restringersi e spa- riscono sulla sinistra di quel fiume. Già fin dalla stazione di Cam- pana si principia a trovare frequenti fossili nelle sabbie sciolte che si incontrano appena cominciata a fare la strada per Mandato- riccio. Ma le località che li forniscono più abbondantemente sono i dintorni di Calopezzati e di Crosia. A Calopezzati ho raccolto i fossili seguenti i quali si trovano suppergiù anche a Crosia nelle identiche condizioni : Anomia ephippium Linn. Ostrea edulis Linn. Pecten opercularis Linn. » pes-lutrae Linn. Spondilus gaederopus Linn. Anomia ephippium Linn. Nucula placentina Lam. « nucleus Linn. Pectunculus pilosus Linn. Arca Polii Mayer Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 19 Cardita aculeata Poli Astarte sulcata Poli Circe minima Mont. Venus casira Linn. » ovata Penn. Glycymeris Fauiasi Mènard. Natica millepunctata Lam. » Guillemini Peyr. Chenopus pespelicani Linn. Cerithium varicosum Broc. » vulgatum var. alucaster Br. » vulgatum Brug. Murex trunculus Linn. Fusus rostratus OL. T'urritella tornata Br. Cancellaria hirta Lam. Dentalium Philippii Mont. Tanto a Calopezzati che a Crosia si hanno nella parte supe- riore della formazione postpliocenica, che ha colà quasi un centi- naio di metri di potenza alcuni strati induriti, pieni zeppi di Pecten opercularis Linn., di Ostrea edulis Linn., i quali formano a mio modo di vedere un orizzonte alto e sicuro che trovasi anche nei dintorni di Corigliano. Fin qui il Postpliocene ha sempre riposato quasi in perfetta concordanza sopra le argille o sopra le sabbie plioceniche, non so- stenendo spesso altra formazione più recente, come a Cariati ed a Calopezzati , o sopportando terreni quaternari come sotto Crosia , alla R.* Mirto, e come un poco anche nei pressi della stazione di Campana. Passata l interruzione che ho detto esistere sotto Rossano, sì ritrovano i terreni postpliocenici fra Rossano e Corigliano ove sono però assai ridotti e dove sono addossati bene spesso al granito ed al gneis, raramente alle argille plioceniche. Colà per tutta la loro estensione sostengono dei terreni sciolti quaternari, conglome- rati e sabbie. Facendo la strada mulattiera da Rossano a Corigliano si tro- vano ben presto le sabbie postplioceniche all’Acqua della Fica, ove 80 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria sebbene a monte sieno addossate al granito , sono forse a valle sopportate in parte da argille plioceniche. Il Dott. Greco, che rin- grazio tanto, mi ha recentemente mandati di quella località que- sti fossili : Ostrea edulis Linn. Pecten opercularis Linn. » Jacobaeus Linn. » inflexus Poli Nucula placentina Lam. » nucleus Linn. Pectunculus pilosus Linn. Astarte sulcata Poli. Venus casina Linn. Cytherea rudis Poli Chama griphoides Linn. Cyprina islandica Linn. (1) Xenophora trinacria Fich. Nassa limata Chemn. Natica millepunctata Lam. Trochus dubius Linn. Turbo rugosus Linn. Dall’Acqua della Fica fin oltre il Cino il Postpliocene resta solo interrotto da questo torrente, che uscito fuori dalla stretta go- la compresa tra i monti granitici del Patire e delle Pietre Pizzute sì allarga grandemente, scorrendo fra terreni recenti più facilmente erodibili. Questo fatto del resto molto naturale dal più o meno ac- cade per tutti gli altri torrenti del nostro territorio. Fra il Cino od il Coriglianeto la formazione postpliocenica prende maggiore sviluppo occupando i terreni a monte della stra- da regia di Corigliano fino ad una quota di più che 300 metri. Essa vi è costituita inferiormente da conglomerati sciolti, formati da ciottoli del granito e delle roccie cristalline sovrastanti, e su- periormente da grosse sabbie gialle. Essa, dalla parte dei monti riposa forse sul granito nelle colline che acquapendono al Cino, sul gneis di Corigliano nelle altre che o per torrenti minori man- (1) Cito con dubbio questa specie perchè non sicuro dell’ unico esemplare osservato il qua- le non è neppure in buono stato di conservazione. j i i Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 81 dano l’acqua alla pianura o direttamente scolano nel Coriglianeto; a valle in parte si adagia sopra le argille plioceniche dei dintorni del Camposanto di Corigliano; verso la pianura è poi ricoperta dai depositi quaternari. L’inclinazione degli strati di circa 20 gradi verso Nord è colà assai notevole. Da Corigliano, procedendo ad ovest verso i paesi Albanesi di S. Giorgio, di Vaccarizzo, ci S. Cosmo, di S. Demetrio Corone e di 5. Sofia d’Epiro, l’estensione del Pliocene si fa sempre maggiore, giacchè ne sono costituite quasi tutte le colline che dai paesi sud- detti scendono alla pianura. Solo alcune di esse, le più basse tra il Torrente Malfrancato ed il Coriglianeto, in continuazione di quel- le che si trovano ad Ovest e lungo tutto il littorale, sono formate da terreni quaternari. Presso Corigliano, sulla sinistra del Corigliane- to, il Postpliocene riposa sul gneis, ma verso S. Giorgio Albanese sovrasta alle eufotidi ed ai micaschisti e così si mantiene quasi dappertutto fino a S. Sofia d’Epiro. Solo a Serra Cagliano, a Nord di S. Demetrio Corone, riposa sopra i calcari triassici della valle in- feriore del Galatrella ed alla R.* Acci, a Nord di S. Sofia d’Epiro, sovrasta ad un lembo di terreno miocenico il quale appunto si sco- pre per denudazione avvenuta nel Postpliocene. Gli strati, in questa zona compresa tra il Corigliano ed il Crati, hanno una pendenza un poco minore di quella presentata nei din- torni di Corigliano e la loro inclinazione nella valle del Crati è volta invece a N. N. O.; avendosi quindi che essi hanno girato un poco ad ovest, seguendo la curva che fanno i monti del gruppo della Sila. I terreni postpliocenici giungono presso S. Demetrio Corone an- che a 450 m. d’altezza sul mare; cosa notevole in quanto ci dimo- stra la rapidità della loro emersione e la grande potenza delle forze che la produssero. Nella parte più prossima alle montagne si hanno pochi ciot- toli di roccie sovrastanti e molte sabbie; in lontananza come alle Timpe del Corvo, a nord di S. Demetrio Corone, si trovano oltre ArTI Acc., Vor. IX, SERIE 48— Memoria XVII. LI 82 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria a sabbie anche argille turchinicce non molto pure e non tanto fossilifere. Nelle sabbie che si trovano subito dopo oltrepassato il Cori- glianeto, per la strada da Corigliano a S. Giorgio Albanese, trovai i seguenti fossili : Anomia ephippium Linn. Pecten opercularis Linn. » pes-felis Linn. » Jacobaeus Linn. » glaber Linn. Nucula placentina Lam. » nucleus Linn. Pectunculus pilosus Linn. Arca tetragona Poli « lactea Linn. » barbata Linn. Astarte sulcata Poli Venus ovata Penn. » casina Lam. Cardita aculeata Poli, Cardium oblongum Ch. » echinatum Linn. Dosînia esroleta Linn. Natica fusca De Blenv. » millepunctata Lam. Chenopus pespelicani Linn. Cerithium vulgatum Brug. Fusus rostratus Defr. T'urritella turbona Mont. Xenophora trinacria Fich. Trochus varius Gm. » millegranus Linn. Dentalium Philippù Mont. Terebratulina caput-serpentis Linn. Terebratula ampulla Broc. Echinocyamus pusillus Caryophyllia clavus Scacc. Cellepora Sp. Nelle sabbie argillose di Serra Gagliano, a nord di S. Deme- | | 4 | | | | Î Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 83 trio furono raccolte ed a me mandate dal Sig. Scanderbeck Bellu- sci di S. Demetrio, queste specie : Pecten opercularis Linn. » pes-felis Lim. » Jacobaeus Linn, Pectunculus violacescens Lam. Pectunculus pilosus Linn. Astarte sulcata Poli Venus casina Lam. Cardium aculeatum Linn. Corbula gibba OI. Diplodonta rotundata Mont. Natica fusca De BI. » millepunctata Lam. Fusus rostratus Defr. Ranella gigantea Lam. Chenopus pespelicani Linn. Cassidaria echinophora Linn. Cerithium vulgatum Defr. Turritella turbona Mont. Caryophyllia clavus Scacc. Flabellum siciliense E. et H. La corrispondenza che passa fra le faune di Calopezzati, del- l'Acqua della Fica sotto Rossano, di Corigliano e di Serra Caglia- no presso S. Demetrio dimostrano l’ uniformità del deposito post- pliocenico. La qualità dei fossili, in grande parte tuttora viventi, ma più la loro forma alquanto diversa per molte specie da quella pre- sentata dalle stesse specie nei depositi pliocenici ed accostantesi quasi più alle forme viventi, fa ritenere di avere a che fare sicura- mente con un deposito postpliocenico 0, secondo quello che dicono alcuni autori, del Pliocene superiore, più recente cioè del Pliocene tipico del Piacentino e dell’Astigiano. Appoggia questa mia veduta anche il fatto della ben netta distinzione litologica che passa in al- cune località fra i terreni in discorso e quelli sottostanti veramente pliocenici. Quaternario Nelle più basse colline, lungo il littorale, ai terreni del Plio- cene e del Postpliocene fanno seguito quelli del Quaternario, aventi | | i | il 84 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria tutti un aspetto uniforme e decisamente alluvionale. Sono formati da pochi strati di sabbie rosse grossolane e da molti banchi pure rossi di ghiaie poco rotolate, provenienti specialmente dal disfaci. mento di roccie cristalline. Questi terreni, assai sviluppati, costitui- scono i terrazzamenti di origine marina che si trovano lungo il littorale da Cariati fino al Crati. Trovandosi al Camposanto di Ros- sano, situato appunto in un largo terrazzo di questo terreno , si scorgono guardando ad Est gran parte dei terreni quaternari che seguono il littorale verso Gariati. Essi si vedono dunque formare una fila di terrazzi allineati in un piano, succedentisi l’uno all’altro e che possono riguardarsi anche come uno solo interrotto frequen- temente da vallate di erosione. Questi terrazzi, decrescenti in altezza verso Est, presentano anche una leggera inclinazione verso il mare in corrispondenza della piccola inclinazione che i loro strati hanno pure in questo senso. Dalla parte di Corigliano e fino a Crati questi terreni hanno un aspetto meno caratteristico inquantochè le colline che da essi sono costituite si presentano più raramente sormontate dalla re- gione piana caratteristica dei terrazzi. Come verso Est di Rossano questi terreni diminuiscono in altezza, così ad Ovest in conseguenza si trovano sempre ad un livello più alto, seguendo in ciò i depositi del Postpliocene. Mentre dunque verso Cariati essi non superano gli ottanta metri di elevazione, presso la foce del Trionto ne hanno già più di cento; sotto Rossano, al Camposanto per esempio , si trovano a centotrenta; a Nord dei paesi albanesi poi raggiungono anche i centocinquanta metri. A produrre questo fenomeno, se- condo me hanno concorso due cause distinte. La prima, certo la più importante, è quella delle forze che produssero l’emersione di tali depositi le quali agirono più potentemente ad Ovest che ad Est di Rossano. Ciò spiega perchè, mentre lungo il littorale tra il Crati e la foce del Trionto è continua la fascia di tali terreni, si abbia più ad Est una riduzione notevole di essi ed anche una interruzione fra la stazione di Calopezzati e quella di Pietrapaola. Un’ altrà causa della differente elevazione del Quaternario nelle parti Est ed Ovest Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 85 del nostro littorale è in connessione alla potenza dei depositi e quindi in relazione alla maggiore o minore importanza dei corsi di acqua cui quei depositi stessi son dovuti. Infatti basta dare un’ oe- chiata alla carta topografica per vedere come fra Cariati ed il Tionto non sì abbiano affatto corsi d’acqua di una certa importanza e ca- paci di portare in abbondanza materiali detritici. Tra il Trionto ed il Crati invece i fiumi ed i torrenti sono frequentatissimi e quel che più importa impetuosi perchè raccolgono le acque di estesi bacini montuosi che sono a ridosso del littorale. Questo spiega perchè anche i terreni recenti, che costituiscono le pianure littoranee, vadano sviluppandosi maggiormente tra il Trionto ed il Crati, mentre tra il Trionto stesso e Cariati essi non costituiscono che una striscia di pochi metri di larghezza. È vero però che oltrepassato Cariati essi tornano a prendere discreto svi- luppo per dato e fatto del torrente Fiumenicà che forma un esteso cono di deiezione. I terreni del Quaternario non mi hanno somministrato alcun fossile, che del resto avrebbe un valore molto relativo ; e la loro determinazione cronologica è esclusivamente dovuta all’ aspetto ed alla loro posizione stratigrafica. L’ aspetto è identico a quello che essì presentano lungo tutta la costa calabrese fino al littorale tirreno, dove l’ ho pure osservati; la posizione stratigrafica è chiaramente delineata dalla loro quasi generale sovrapposizione ai terreni post- pliocenici. Tuttavia essi riposano però anche sul Pliocene, come ad Est di Rossano, sul Miocene, come al Camposanto di questo paese, e forse anche sul Granito in qualche limitatissimo lembo fra Rossa- no e ‘Corigliano. Oltre ai terrazzi di origine marina sono da riferirsi al Quater- nario anche alcuni terrazzi fluviali che si trovano specialmente lungo il corso del Trionto. Tra questi sono notevoli due che si trovano sulla destra del fiume, uno fra Puntadura e Longobucco, in una località chiamata i Ronzi, 1’ altro a Longobucco stesso che vi è in parte fabbricato sopra. Questo è il più importante. Esso è costituito quasi essen- 86 Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria zialmente di ciottoli e di detriti di roccie granitiche stati traspor- tati dai torrenti Manna e Macrocioli. La mancanza dei materiali delle roccie liassiche, tanto sviluppate nei dintorni di Longobucco, ma non rappresentate nelle valli di quei torrenti mi dimostra an- che che a questi corsi d’ acqua è dovuto principalmente quel bel terrazzo che si eleva di circa 70 metri sull’alveo attuale del Trionto. Una tale accumulazione di materiale detritico potrebbe prendersi , al primo aspetto anche per un deposito morenico; ma fanno esclu- dere tale possibilità la completa mancanza di quelle vestigia lasciate dal passaggio di ghiacciai e la evidente stratificazione del terrazzo stesso profondamente scavato dal Trionto , dal Manna e dal Ma- crocioli. Trova posto in questo capitolo, perchè da attribuirsi ad una formazione recentissima, anche un piccolo deposito di travertino che si trova nella valle del Trionto, rimpetto a Puntadura in una località chiamata Tufarello. Esso somiglia ai travertini tipici del Lazio e della Toscana, ma è meno compatto e più cavernoso. Tale formazione deve presumibilmente la sua origine ad acque calde contenenti acido carbonico e che vennero alla luce dopo essersi satu- rate di carbonato di calce nell’ attraversare i calcari liassici colà tanto sviluppati. Come altri depositi consimili anche quello in esame contiene numerose impronte di foglie poco riconoscibili e qualche rimasuglio di conchiglie continentali. I travertini sono rari in Calabria ed il Cortese non cita vere masse di questa roccia che presso Bonifati e sotto S. Gineto. An- che in quelle località, come al Tufarello, essi si trovano in vici- nanza di masse di calcari che però appartengono al Trias anzi- chè al Lias come nel caso nostro. Recente Alla formazione recente od attuale appartengono le pianure lungo il littorale ed i depositi fatti dai fiumi alle loro sponde, do- ve la corrente non passa che alle grandi pioggie. Studio geologico sul circondario di Rossano in Calabria 87 Ho detto già più sopra come le pianure sieno più sviluppate lungo il littorale tra il Crati ed il Trionto piuttostochè tra la foce del Trionto stesso e Cariati, in relazione all’ importanza maggiore e minore dei corsi d’acqua che sboccano nei rispettivi littorali. La mancanza di arginatura di tutti i corsi d’acqua, che ro- vinosissimi vengono giù dalle montagne del rossanese , fa sì che essi ad ogni grossa pioggia deviano facilmente dai loro corsi. Al- lora allagano i rigogliosi oliveti e distribuendo irregolarmente i materiali torrentizi apportano delle radicali modificazioni” alla pia- nura. Deriva da questo la precarietà dei lavori che si fanno in quei piani. La ferrovia stessa è spesso minacciata ed i suoi ponti per il continuo ripienamento ed inalzamento del suolo hanno qua- si le luci otturate in modo da prevedere che fra poco non servi- ranno più allo scopo: Così sono minacciati di sotterramento anche molti uliveti della pianura tanto che i contadini sono costretti a scalzare il terreno intorno alle piante in modo che queste riman- gono come entro ad una conca. Non sono state fatte osservazioni accurate nell'intento di con- statare quanto la spiaggia guadagni sul mare nel littorale Jonio , dalla foce del Crati fino alla marina di -Cariati. Ciò però e sempre dipendente dalla importanza dei corsi di acqua che si scaricano lungo quel tratto di littorale e dalla quantità di materiali detritici da essi trasportati. Tuttavia, per quanto sia grandissima la massa di tali materiali detritici, a giudicarlo anche dalla impetuosità di quei corsi d’acqua che poriano al mare anco grossi ciottoli, non si può dire notevole colà l’ avanzarsi della spiaggia nel mare in confronto a quello che accade in alltre parti del littorale italiano, come per un esempio tra Livorno e la foce della Magra. Tale differenza è dovuta in gran parte anche alla differente profondità del mare lun- go quei littorali avendosi un più facile e pronto riempimento là do- ve il mare è meno profondo. dei t QUADRO erreni che compongono il Circondario di Rossano | Alvei di torrenti, coni di deiezione, pianure littoranee. QUATERNARIO Travertino del Tufarello; terrazzi fluviali della valle del Trionto; terrazzi | marini lumgo il littorale fra Cariati ed il fiume Crati. | I Postpliocene Î Sabbie di Cariati, di Calopezzati, di Crosia, di S. Giorgio, di S. Demetrio e 5 il di S. Sofia; conglomerati di Corigliano. \ e Uroniano ? Pliocene Argille di Calopezzati, di Rossano e di Corigliano; conglomerati e arena- IS rie di S. Elia presso Calopezzati, di S. Morello e di Terravecchia. iusono Gessi di Paludi, di Cropalati e di Caloveto; marne gessose solfifere di Da nr renato Pietrapaola ; calcari concrezionati silicei di Rossano , di Paludi e di | » rà Cropalati. | = - = È —— - < |} Z| Torto- | Argille con denti Carcarodon megalodon Agass. di Rossano , di Paludi, si 2 niano di Cropalati e di Scala-Coeli. | N. 2 ERI —_—___ | e|5si Arenarie e ghiaie con Terebratula Costae Dav. con Pecten e Clypeaster | sa | 2 (Elveziano di Rossano, di Paludi, di Caloveto, di Pietrapaola, di Campana e degli | na lÉ È È sode a Ì | | orale Sila: calcari a Nulliporae di S. Sofia. | Mioc. infer. | Conglomerati rossi di Rossano, di Paludi, di Caloveto e di Campana. Calcari marnosi di Crosia; calcari nummulitici di Caloveto, e di Mandatorie- Eocene cio: breccie nummulitiche e diaspri della valle del Colognati e del Co- | . . . . . 4 . 3 . . . medio pria ; conglomerati di Cropalati, di Caloveto , di Mandatoriccio e di Longohucco. | | i Titonico Calcari semicristallini con Pseudochaetetes siciliensis Can. di Bocchigliero. | I Caicari rossi e grigi zonati a crinoidi con Hinnites velatus Gold. Pecten | Volite cingulatus Phil. Onustus supraliasinus Vac. Harpoceros discoide Ziet. © di Harp. costula Rein. della Crocicchia, dell’alta valle del Colognati e di [ni Bocchigliero. D | sa 3 3 = I «4 | Lias Calcari marnosi cenerognoli grigi e rossastri con Mapoceratidi delle valli superiore del Trionto, dell’Ortiano e dei dintorni di Bocchieliero. | a/ 8 | zi ; :,g | Calcari grigi compatti con Coralli e Crinoidi e con Harpoceras Algovianum? | Lias medio? SS pura Her 1 | © Opp. dei dintorni di Bocchigliero. | (e) dal La Lu | [ca] Lias Calcari neri con Ardeti, Lamellibranchi e Brachiopodi di Puntadura e di | n inf ‘nre Bocchigliero; arenarie e conglomerati rossastri di Puntadura, di Longo- E CUL bucco e di Bocchigliero; ligniti dell'Acqua di Pietro. Tra i | VSZA ui eno she | Trias Calcari cerulei e rossastri con Crinoîdi e schisti calcariferi tra il Galatrella | Lina ed il Crati | il a Schisti sericitici e carboniosi delle valli del Celati e del Colognati: filladi | PALEOZOICO g papi nio rsa | delle valli del Trionto, del Laurenzana e del Fiumenicà. | Montalbano | Calcari saccarodi in lenti di Corigliano, di S. Giorgio e di S. Cosimo ; eufotidi schistose, micaschisti granatiferi e sillimanitici di S. Giorgio , di Vaccarizzo, di S. Demetrio e di S. Sofia; serpentina di S. Demetrio. Laurenzano ? Gneis di Corigliano e dei monti di Longobucco. GRANITO ‘ [ ti 1 d. Ù J n \ A 2° : i ‘ z 3 { feta otro one tit ei Ò i Sibari os 3 SÒ n j ZA lie n SU756 { 00; DÒ Tin Ù VA ri G di Spi n CARTA GEOLOGICA DEL CIRCONDARIO DI RILEVATA DAL DOTT. A. FUCINI NEGLI ANNI Scala di 1 a 100000 Spiegazione ‘der segni e det colori Recente _ Alluvioni marine e fluviali Quaternario - Conglomerati e sabbie grossolane ESTE q Postpliocene - Argille sabbie e conglomerati pt Pliocene -Argille, molasse e conglomerati pl Miocene sup. Salgemma alabastri marne gesso_ ms se solfifere, calcare siliceo. 7 Miocene medio — Arqille (Tortoniano); arenarie e conglomerati a Clypeaster, Pecten I N Terebr.Costae Dav.ecc. (Elveziano) Miocene infer._Conglomerati e sabbie grossolane mi rosse. Eocene _ Calcari diaspri, calcari e breccie num_ eo mulitiche, arenarie e conglomerati. 9 Titonico _Calcari grigi a Pseudocheetetes. sicilien ti sis Can. Oolite _ Calcari a crinoidi rossi, zonati semicristal _ 00 lin: con Hammatoceras. Lias_Calcari marnosi cenerognoli ‘ad Harpoceratidi È (Lias sup)) calcari grigi semicrist.(Lias med9.Calca_ ! —rineri aBrachiopodi e Molluschi, tonglom.(Lias inf.) —» Trias_Calcari a crinoidi e schist calcariferi de 44 ROSSANO laoo E 1001 Paleozoico _Filladi pz Arcaico _ Eufotidi schistose, micaschisti, ar gneis. Lenti di calcari saccaroidi negli schisti cri. ca stallini Serpentina Sp Granito gr Inclinazione degli strati Linea delle sezioni a AU 5% SY I; ; “Prionto — Memoria XVIII. Sulla patogenesi della febbre Nuove ricerche sperimentali del Prof, G. B. UGHETTI PARTE PRIMA I Azione di sostanze corpuscolari | | I | Nel 1893 (1) enunciai per la prima volta sulla patogenesi del processo febbrile un'ipotesi, che non era punto d’accordo con le opinioni fino allora dominanti in patologia riguardo a questo argo- mento. Propenso a credere che tale ipotesi fosse suscettibile di di- I mostrazione, ma sfornito sul momento di prove sufficienti, mi li- | mitai a dire che, se essa poteva già ritenersi come molto verosi- | mile, richiedeva però ampie e rigorose ricerche prima di potersi Il dire dimostrata. Secondo tale ipotesi, l’ipertermia in varî gruppi di febbre, non sarebbe da attribuirsi all’ entrata in circolo di sostanze solu- | bili d’ azione chimica, bensì a quella di sostanze corpuscolari, la | cui azione è, fino ad un certo punto, indipendente dalle rispettive i proprietà chimiche; in ispecie nelle febbri d’infezione sarebbero i | batterî stessi, per le loro qualità di corpuscoli estranei al sangue, I i | de ite anzichè le loro tossine che provocano la febbre, o per dir più esattamente Il’ ipertermia. Proseguendo gli studî sull’ argomento, potei, in una successi- va pubblicazione (2) accumulare un certo numero di documenti cnccsesi ose venga (1) G. B. UcnEeTtI—La Febbre—Milano 1898—Ed. L. Vallardi. (2) UezETTI—Sulla patogenesi della febbre (Riforma med. Napoli 1894). Arti Acc., Vor. IX, SerIiE 48 — Memoria XVIII. HI | | I I I i I | 2 Sulla patogenesi della febbre clinici e sperimentali, tali da rendere l'ipotesi ancor più verosimi- le, e da farvi entrare un nuovo elemento patogenetico, quello del- l’ emolisi. Nonpertanto anche questa volta non mancai di aggiungere che, in attesa del risultato di ulteriori ricerche, non si poteva con- cedere agli attuali corollari che un valore relativo, che un grado di probabilità maggiore in confronto di quelli che riferivano l’iper- termia esclusivamente alle azioni chimiche. Nel dar conto oggi di una serie di muove ricerche sullo stes- so argomento, faccio ancora delle riserve, anzi le medesime riser- ve d’ allora. Se tutte le nuove indagini collimano in appoggio della prima opinione da me espressa, non pretendo con ciò d'aver ri- solto definitivamente la questione. Nel campo della batteriologia , e senza il preconcetto che finora si è imposto nelle poche inda- gini fattesi, v è ancora molto da sperimentare in ordine alla pa- togenesi della febbre, e da questo lato verrà probabilmente 1’ ulti- ma parola sulla questione. Per giungere con tali indagini a qualche risultato sarà però necessario che, a differenza di quanto si è fatto fin quì, sì stacchi nettamente dalla sindrome febbre il fenomeno ipertermia e si stu- diino le cause che possono dar luogo a quest’ultima, indipenden- temente da quelle che possono dar luogo a tutto il complesso de- gli altri sintomi. È vero infatti che l’ elevazione di temperatura è la nota do- minante, costituisce il cardine e la causa immediata se non di tutti, di molti almeno fra i fenomeni piretici, ma non è perciò tutta la febbre. In questa abbiamo svariate manifestazioni specialmente ner- vose, che sono realmente effetto di toxine, che sono quindi feno- meni d’ intossicazione, i quali sono spesso in antagonismo con l’ipertermia. Bisogna dunque premettere che vi sono delle febbri, nelle quali si deve studiare isolato il fenomeno ipertermia, e vi sono d'’ altra parte delle semplici (ipertermie che non è esatto chiamar febbri. Delle semplici ipertermie fanno parte le febbri dette fisiologi- Sulla patogenesi della febbre 5) che, le elevazioni di temperatura per eccesso di contrazioni mu- scolari, e probabilmente molte delle così dette febbri nervose. Non dico che si possa fin d’ ora distinguere sempre in clini- ca una cosa dall’ altra, ma le ricerche fatte permettono già di ac- costarsi a tale distinzione. Il criterio della durata. non ha però gran valore. Vi sono ipertermie che durano poco e tuttavia rap- presentano delle vere febbri (es. malaria); ve ne sono che durano a lungo, e non credo si possano dir febbri (es. isterismo). Per febbre si dovrebbe intendere uno stato generale rappre- sentato da fenomeni diversi tra i quali l’ipertermia. Se si ammet- tesse, come molti patologi hanno fatto da Zacuto ad Hòsel, che si possa parlar di febbre anche quando manchi 1’ elevazione termica, allora tanto varrebbe sopprimere il termine febbre e sostituirvi quello di tossiemia infettiva. Ed è appunto per aver trascurato tutto questo che si è am- messo a priori che anche l’ipertermia fosse dovuta ad una toxina e si è lasciato guidare da questo suggestionante preconcetto ogni ricerca sulla patogenesi delle febbri batteriche. Come ho già fatto notare altrove, si è ragionato press’ a poco così: È accertato che causa di quasi tutte le infezioni sono dei bat- terî; è accertato del pari che i batterî danno luogo a delle sostan- ze eminentemente tossiche; dunque uti i fenomeni morbosi delle infezioni sono fenomeni d’intossicazione; ora siccome tra questi fenomeni uno dei più frequenti e dei più notevoli è la febbre, ne segue che questa sia pur dovuta alle tossine; siccome però essa non è fenomeno costante di tutte le infezioni, dev’ essere dovuta ad una tossina speciale che chiameremo pirotossina. E così a poco a poco l’idea della pirotossina prese tali radici nella patologia, che entrò a far parte del linguaggio medico ; e mentre, da un lato alcuni batteriologi istituirono delle ricerche per isolarla, dall’ altro il maggiore numero dei patologi e dei clinici l’ammisero senza più, come cosa dimostrata dalla logica, e dimo- strabile con la sperimentazione da un momento all’ altro. Non mi è noto alcun autore che si sia espresso in un senso d Sulla patogenesi della febbre diverso da questo, mentre potrei citarne molti, che parlando della febbre da infezione ne hanno ammesso senza discussione ]’ origine tossica. Hale-- White disse non ha guari (1) “ si possono distinguere tre piressie; quelle dovute al sistema nervoso centrale, quelle riflesse e quelle d’ origine ematica. Le piressie ematiche dipendono da che nel sangue circolano sostanze che irritano i centri nervosi. Queste sostanze sono ora degli alcaloidi d’ origine vegetale, cocaina, stricnina, ecc., ora delle tossine batteriche. Nelle iperpiressie, insieme alla tossina pirogena, vi è sempre un’altra tossina, diversa della prima, che può provocare la morte., I migliori e più recenti trattati riassumono press’ a poco nello stesso modo 1° opinione dominante. Charrin, nel grande trattato di medicina Charcot-Bouchard chiude il paragrafo sulla febbre da infezione, con queste parole : “ L'influenza delle secrezioni microbiche nella genesi della febbre, è ora posta, mercè la sperimentazione, fuori contestazione. , I. Girode, nel recentissimo trattato di medicina di Brouardel, Gilbert e Girode, si diffonde sulla patogenesi delle febbri d’ infe- zione, dicendo: “ Non vi è alcuna malattia microbica che non pos- sa generare lo stato febbrile. Naturalmente la disposizione febbri- gena sarà in ragione diretta delle probabilità d’ intossicazione. Giacchè / ufficio delle toxine è qui fondamentale. Roussy ha da lungo tempo stabilito che un alcaloide tossico, la piretogenina, estratto dalla coltura d'un lievito, poteva produrre nel cane uno stato febbrile. , “ Un gran numero di tossine microbiche, la midaleina delle putrefazioni, la piocianina, i veleni solubili d’ un gran numero di specie patogene e sopratutto la tubercolina e la malleina sono ca- paci di sviluppare un’ elevazione termica. Straus ha mostrato che la febbre etica dei tisici era indipendente dall’ infezione secondaria, (1) Rif. med. 1894 Vol. III, en Sulla patogenesi della febbre e poteva essere causata dalla sola toxi-infezione tubercolosa, e ve- rosimilmente dall’ azione predominante della turbercolina. , “ D’altra parte poi, degli alcaloidi vegetali, la veratrina, la cocaina, possono determinare degli effetti analoghi. , “ Gautier ha mostrato che le cellule animali in funzionamen- to iperattivo o deviato possono produrre degli alcaloidi tossici, di cui le proprietà hanno qualche rassomiglianza con quelle dei ve- leni microbici. È 1’ intervento di queste leucomaine che spiega cer- te febbri di auto-tifizzazione. Nella gotta la febbre è forse dovuta a corpi analoghi, o a degli estrattivi di composizione più semplice. Si è potuto elevare la temperatura con delle injezioni di brodo, di estratto di milza o di rene. L. Krehl (1) nel suo manuale dice: “ noi sappiamo che i microbi generano molto probabilmente la febbre per la loro atti- vità vitale, e certamente per le tossine che le loro cellule contengono e probabilmente anche pei residui del loro ricambio. , Ed altrove (2) ripete: “ Noi possiamo dire con certezza che i microrganismi produ- cono la febbre per delle sostanze che influenzano la regolazione del calore. È discutibile d’onde vengano queste sostanze. Vi sono due possibilità: o le traggono dal sustrato nutritivo, o le portano nel loro proprio corpo; i corpi periscono, e queste sostanze si dissolvono e si riassorbono. Ecco dunque una serie di asserzioni che non hanno la loro base in altrettante rigorose dimostrazioni. A parte l’azione di cer- te sostanze, come la stricnina e la cocaina, che elevano la tempe- ratura per un meccanismo speciale, che non ha stretto rapporto ‘con ciò che avviene nelle febbri infettive; a parte le sostanze che introdotte in circolo dissolvono e disgregano i globuli rossi, nes- suna delle citate ricerche, non escluse le migliori di Roussy, di Char- (1) L. KreuL—Précis clinique de pathologie générale (Trad. frane.) Paris 1895. (2) L. KreaL—Versuche iiber die Erzeugung von Fieber bei Thieren (Arch. f. exper Patt. und Pharmac. B. XXV.) 6 Sulla patogenesi della febbre rin, di Centanni, dimostra in modo perentorio ciò che da molti si asserisce. AI contrario, per le ragioni esposte nella precedente mia me- moria su quest’ argomento, si può affermare che: a) per nessuna febbre d’ infezione si è rigorosamente dimo- strato che sia isolabile dalle culture dei relativi batterî, o dal san- gue degli ‘animali infetti, una sostanza capace di dar luogo, senza azione emolitica, ad elevazione di temperatura b) in quasi tutte le infezioni febbrili, si sono trovati i mi- crorganismi circolanti nel sangue c) nelle infezioni apirettiche non si sono forse mai trovati i microrganismi circolanti nel sangue d) nella tubercolosi sono stati trovati i bacilli nel sangue quando la malattia era accompagnata da febbre; non si sono tro- vati mai nei casi afebbrili e) si è dimostrato che alcune infezioni febbrili sono tra- smissibili mercè l’inoculazione del sangue; ciò non si è mai di- mostrato per alcuna infezione apirettica. Ed oggi posso aggiungere che le più recenti ricerche batterio- logiche non hanno fatto che confermare tali proposizioni da me enunciate un anno fa, tanto da lasciar credere che tra non molto anche i dubitativi da cui ho dovuto farne precedere qualcuna , sieno destinati a scomparire. Bruschettini, Canon, ed altri dopo di loro, hanno dimostrato l esistenza nel sangue del bacillo dell’ influenza. Gli streptococchi dell’ erisipela sono stati ormai trovati nei varî organi, e nel sangue. D’ Abundo (1) ha osservato che: “ alcuni episodi psiconevro- tici di agitazione nella paralisi progressiva, come pure l’aggravarsi rapidissimo di paralitici con esito letale in pochi giorni, va dovuto alla penetrazione di streptococchi nei circolo sanguigno provenienti a preferenza dalla vescica. (1) D'Apunpo—Il moderno indirizzo della psichiatrin—Palermo 1895. Sulla patogenesi della febbre 7 Questi casi verrebbero costantemente accompagnati da eleva- zione di temperatura, la quale ne indicherebbe chiaramente l ori- gine infettiva. I microrganismi mancavano quando l’ episodio di agitazione non era accompagnato da elevazione di temperatura. , Nell’ ultimo congresso med. internazionale di Roma, I. Donath di Budapest (1) in una comunicazione sulle sostanze piretogene ha detto fra l'altre cose, che il bacillo della lepra non dà alcuna feb- bre ed il bacillo del tubercolo può dare o no febbre, a seconda il suo sviluppo lento o rapido. In questi casi apirettici, aggiunge l’autore, si tratta di un lentissimo accrescimento di microbii, per cui non perviene nel sangue una quantità sufficientemente abbon- dante di prodotti del loro ricambio materiale. Anche quest’ autore dunque parte dal preconcetto che 1’ iper- termia sia data da prodotti dei batterî anzichè dai batterî stessi ; preconcetto che conferma col dire che l’ infezione, tra i cui feno- meni è la febbre, altro non è che l’intossicazione per opera dei veleni batterici. Degli sperimenti per cui ha ottenuta la febbre coi prodotti di varî batterî non ho molto da dire, perchè di essi non conosco se non la relazione dell’ autore al congresso ; e da essa non risulta se i liquidi che injettava fossero ben privi di materia corpuscolare e di batterî anche morti, e se tali liquidi avessero o no azione emolitica; ciò che appare invece è che tutti i suoi esperimenti con risultato positivo furon costituiti da injezioni sotto la pelle o nel peritoneo, e come ho detto altrove e dimostrerò ancora tra poco con un esperimento semplicissimo , la stessa sostanza può dare , injettata in queste sedi, un risultato intieramente differente da quello che avrebbe dato, injettata nelle vene, Courmont e Doyon (2) hanno recentemente studiato la influen- za della intossicazione difterica sull’ andamento della temperatura nei cani e nei conigli, ed hanno trovato quanto segue. (1) I. DowarH.—-Ueber Fieberregende Stoffe (Atti dell'XI. congr. Vol. ID. (2) I. Courmont et M. Doyowv.—De la marche de la température dans l' intoxication diph- terique éxperim. (Arch. de physiol 1895). 8 Sulla patogenesi della febbre Injettando nella vena crurale di parecchi cani delle quantità variabili fra !/4 ed 1!/a e. c. di cultura filtrata di bacilli di Loffler videro la temperatura salire rapidamente di alcuni decimi, e poi discendere anche più rapidamente fino ad 8-10 gradi al disotto della normale. Nei conigli l’injezione fu fatta sotto la cute; ed in essi con po- chi c. c. si ebbe un’elevazione della temperatura di 1-2 gradi, seguita in breve da una rapida discesa a 33° e meno. Più è stata forte la dose injettata e più breve è stalo il pe- riodo d’incubazione occupato dall’ipertermia; ma, aggiungono gli autori, questo periodo non si è mai potuto sopprimere completa- mente, perchè le dosi superiori a 50 c. c. hanno ucciso i cani prima di ogni abbassamento della temperatura rettale. Se da questi sperimenti si volesse dedurre che le tossine dif- teriche sono, anche per brev ora, ipertermizzanti, sarebbe facile obiettare che: 1. nei cani le iniezioni furono fatte in grosse vene e non è detto se, o no, mettendole allo scoperto ; 2. nulla è detto dell’azione delle sostanze injettate sulla costituzione dei globuli rossi; 3. nei conigli le iniezioni furono ipodermiche; e tutt’ e tre queste condizioni possono mutare i risultati dell’ esperimento. Su quest’ultimo punto devo ricordare che, come ha fatto no- tare Bouchard, la via d’introduzione della sostanza da saggiare è tutt’ altro che indifferente. E per avvalorare quest’ obiezione alle conclusioni di Donath, di Courmont e di Doyon, non ho che a riferire due fra i tanti e- sperimenti accessorî che mi è stato necessario di fare nel corso di queste ricerche. Presa una sostanza di cui è ben nota e studiata 1’ azione, la antipirina, ne ho iniettata per diversa via l’uguale quantità in due conigli di uguale razza, quasi dello stesso peso, e che osservazio- ni precedenti mi avevano mostrato aver la stessa temperatura. Eb- bene, in quello a cui ho iniettata la sostanza sotto la pelle ho a- vuto elevazione della temperatura, in quello a cui l'ho iniettata nel- le vene ho ottenuto abbassamento. Sulla patogenesi della febbre 9 Ecco in breve i due esperimenti: Esp. A.—In un coniglio, del peso di K. 1, 720 pratico, nella vena margi- nale d'un orecchio, con la celerità di 3 c. c. al 1', un’ iniezione di gr. 0, 60 d’ antipirina sciolta in #0 c. c. di acqua distillata, sa- lata con cloruro di sodio al 0, 80. Il liquido filtrato ha la tempe- ratura di'25°. Temp. del coniglio prima dell’ oper. a ore 7 if a. — 3992 subito dopo » 0° — 39° e, — 3792 » 10 — 3693 SRI — 370 > IZ — 3795 > Iepai —9821 » 9 der 370 8 i — 3809 > 4 — 3809 DIO — 39° Esp. B.—In un altro coniglio, del peso di K. 1, 850, pratico 1’ iniezione sot- tocutanea di gr. 0, 80 d’ antipirina, sciolta in 2 c. c. di acqua clorurata. Temp. del coniglio prima dell’ oper, a ore 7 t/a. — 39° 4 338 — 39° 6 » 9 nari 390 6 3] — 39° 6 » dl za 39° {| » 12 — 39° 8 vp — 3909 » 2, + 400 >». o — 40°2 DA 244001 0a, — 4091 0 — 4001 di al -— 40° 1 DIGO — 39°8 Dei due conigli, il primo soltanto ha presentato qualche scossa convul- siva, e dell’ abbattimento generale, che verso le tre pom. era completamen- te dissipato. Nessuno dei due ha avuto emoglobinuria. Il giorno seguente si trovano allo stato ordinario è presentano la temperatura normale. Ecco inianto due esperienze parallele che mostrano come non ci sia da far assegnamento sull'azione piretogena di sostanze in- trodotte nell'organismo per la via ipodermica. La stessa sostanza che nel sangue ha prodotto una depres- sione durevole e considerevole della temperatura, ha dato luogo in- vece all’ipertermia, inoculata sotto la pelle. Anche quando poi non si voglia tener conto delle accennate Arti Acc. Vor. IX, Serie, 4° — Memoria XVIII. A 10 Sulla patogenesi della febbre cause d’errore bisogna però dire che gli sperimenti di Courmont e Doyon dimostrano ben altro; dimostrano che nell’infezione difte- rica, che la clinica c’insegna essere altamente febbrile, 1° iperter- mia non è effetto delle tossine; nella iniezione sottocutanea essa diventa un accidente non necessario dell'esperimento; la vera azione della tossina, e che non tarda a manifestarsi, è invece l’ipotermia. La quale ipotermia è stata realmente finora il fatto meglio con- statato ad opera delle tossine, quando non si è forzato l’ esperimen- to a dire più di quanto poteva. Teissier, Roux e Pittion (1) dall’iniezione di culture giovani, molto virulente, del bacillo dell’ influenza hanno ottenuto un abbas- samento notevole e persistente della temperatura. Gilbert e Baix (2) dal bacillus coli hanno avuto similmente per effetto l’ ipotermia. Rodet e Courmont (3) dalle tossine dello stafilococco piogeno non hanno ottenuto altro che 1 abbassamento termometrico. Charrin (4) stesso da una serie di ingegnosi esperimenti ha avuto questo risultato. Iniettando nel sistema circolatorio del coni- glio fino a 15 c. c. d’urina emessa da un malato di febbre tifoide con alta temperatura, ha avuto per effetto un certo grado di ipo- termia. Ma questa è stata anche più pronunziata quando allo stesso animale ha iniettato l’identica quantità d’urina proveniente pure da un infermo di tifo, ma con debole elevazione di tempe- ralura. Da tutto ciò risulta che, se l’azione ipotermizzante delle tos- sine batteriche si può dire ben dimostrata, non si può dire altret- tanto ben dimostrato che esista qualche tossina speciale che spie- ghi un'azione opposta. D'altra parte poi, se si dovessero ammettere batterii piretogenici (1) T. R. et P.— Sur une nouvelle diplobacterie pathogène retirée du sang (Semaine méd. 1892). (2) G. et B. (Citato da Teissier Des pyrexies apyrétiques Semaine méd. 1894). (3) R. et C.—Et. expér. des substances solubles Glaborées par le staphylococque pyogène (Revue de méd. 1893). (4) Cnagrim— Variations de l’ infection ete. (Semaine méd. 1893). Sulla patogenesi della febbre 11 | ed altri no, allora che valore avrebbero in patologia le ricerche di Roussy, che gli hanno fatto trovare la piretogenina nel lievito di birra, o quelle di Charrin, che nel bacillo piocianico, o quelle di | Centanni che nelle culture di varî batterì patogeni e non patogeni? | Fino a che non si sia isolato dai batterì delle infezioni feb- | brili, ed esclusivamente da questi, una sostanza priva di granuli, che, introdotta nelle vene col minimum di lesione locale, non dia luogo ad alcuna alterazione del sangue, e produca ipertermia, non si potrà dire di avere scoperto una vera tossina piretogena. | E simile sostanza fino a questo momento non è stata trovata. Il. | In quanto alla malaria, non ripeterò qui ciò che ho detto in | proposito negli altri lavori. Rammenterò unicamente che non solo, | per quanto la si sia ammessa a priori, non si è mai isolata, nè o tentato di isolare, veruna sostanza chimica febbrigena dal sangue o in cui si trovano i parasiti malarici, ma tutta l'evoluzione di que- sti mostra come le oscillazioni termometriche vadano per lo più di conserva col loro apparire e scomparire dal sangue. A ciò che ho detto in passato aggiungerò soltanto poche pa- | role riguardo alle febbri estivo-autunnali, che, secondo quanto os- serva il Golgi, sfuggono in parte alla legge delle febbri intermit- | tenti comuni. Golgi ammette che vi sia un gruppo di febbri £ la cui pato- genesi è legata a parasiti che hanno sede prevalente e prevalen- temente compiono il loro ciclo, in condizione di relativa stabilità, negli organi interni, particolarmente midollo delle ossa e milza g (DI Sono queste le febbri state dette estivo-autunnali; “ che cli- | micamente si presentano sotto tipi multiformi, spessissimo irregola- ri, e veramente se in esse il reperto del sangue circolante fosse «sempre o quasi sempre negativo, costituirebbero una forte opposi- (1) C. GoLer— Sulle febbri malariche estivo-autumnali di Roma (Pavia 1893). | | | 12 Sulla patogenesi della febbre zione alla mia teoria, ma in realtà essa non ne viene nè scossa nè appoggiata dacchè in questo gruppo di febbri le dubbiezze e le lacune sono ancor tante che perfino il Golgi non può esimersi dall’ aggiungere che “ riguardo alla biologia del parasita delle feb- bri estivo-autunnali rimane ancora aperto il campo per molteplici ricerche future !,. Tanto è vero che il Marchiafava (2) ha potuto dire, a propo- sito di tali febbri: £ Se si studia il sangue ottenuto per la puntura del dito, il reperto parassitario in rapporto con le vicende della febbre, sia che questa abbia il tipo quotidiano o il terzanario, co- me da noi fu descritto, si riscontrano le forme ameboidi senza pigmento , i parasiti giovani, nell’ acme dell’ accesso, in quantità varia; al declinare dell’ accesso, e nella apiressia, i parassiti mo- strano finissimi granuli di pigmento ; alla fine dell’ apiressia i glo- bali rossi parassitiferi presentano quell’ alterazione speciale, per la quale si chiamano ottonati; all’ iniziarsi dell’ accesso si ha la scom- parsa dal sangue della cute di queste forme, che sono andate ad accumularsi negli organi interni per compiere la loro moltiplicazio- ne, donde la nuova generazione di parassiti giovani , E più in- nanzi ha fatto rilevare che “ quando l’ infezione estivo-autunnale ha perdurato alcuni giorni, si riscontrano nel sangue le forme se- milunari di Laveran , che poi “ queste possono mancare nel san- gue del dito, e anche in quello degli organi quando | infezione venne rapidamente troncata col chinino o divenne rapidamente letale, ma, per contrario, si danno casi di perniciosa nei quali, mentre, durante la vita, poche semilune appariscono nel sangue, mol- tissime se ne trovano all’ autopsia etc. etc. , E d’altra parte è vero che la mia ipotesi si adatta benissimo alle comuni febbri malariche, ma ciò non toglie che essa sussista sempre quando nel sangue circoli sotto forma corpuscolare qual- cosa che sia estraneo od inutile al sangue stesso. E non ho biso- (2) 0. MarcHIiarava — Sulle febbri estivo-autunnali in genere (Atti del’XI. Congr. med. nternaz. vol. II). Sulla patogenesi della febbre 13 gno di ripetere come questo qualcosa possa esser costituito da elementi veramente estranei come da elementi del sangue morti , alterati o altrimenti inutilizzati, o dal pigmento che ne deriva. Ora nelle estivo-autunnali anche quando non fosse possibile legare costantemente l’ evoluzione del parasita al ciclo termico del- la febbre, come pure sarebbe da ammettersi stando alle ricerche di Marchiafava, Gelli, Bignami, etc. c’ è però sempre nelle altera- zioni del sangue tanto che basti a dar ragione degli accessi feb- brili. HL Richiamerò ancora sommariamente ciò che ho detto nella mia ultima memoria in proposito dell’ emoglobinemia. Ho allora dimo- strato che nell’ emoglobinuria, qualunque ne sia la causa, speri- mentale o clinica, l'emissione dell’ urina carica ad un certo grado di emoglobina, è sempre preceduta da elevazione di temperatura. Ho citato allora molte osservazioni, ed in ispecie quelle di Copeman che, in sette individui, nei quali si poteva determinare l’accesso d’ emoglobinuria , esponendo repentinamente al freddo parte del corpo, ha trovato sempre durante | accesso una consi- derevole diminuzione di globuli rossi, il cui numero discese di un terzo per risalire alla normale, parecchie ore dopo 1’ accesso. Ed ogni accesso era caratterizzato da un’ ipertemia di 0°9 a 4°. Potrei citare fra i molti casi ond’ è ricca la letteratura quelli del De Renzi, che ha pur descritto 1’ emoglobinuria con elevazio- ne di temperatura e preceduta da emoglobinemia; come quelli del Crisafulli che, nel descrivere due casì di emoglobinuria da freddo, ha messo in rilievo la elevazione di temperatura ad ogni accesso, ed ha constatato come l’emoglobinuria segua sempre l’emoglobine- mia, tanto da indurlo a credere che “ potrebbe l’emoglobina libera nel sangue eccitare essa pure anormalmente e contribuire alle azioni termiche. , Ho citato poi la emoglobinuria chinino-malarica del Tomaselli | | I | | | li 14 Sulla patogenesi della febbre come quella che riconosce lo stesso legame tra febbre ed emoglo- binemia. Del resto le ricerche sperimentali di Benczur, Naunyn, Hayem, Castellino, ecc. hanno ben dimostrato come data una causa qua- lunque di dissoluzione dell’ emoglobina dai globuli rossi, si costi- tuisca nel sangue un vero circolo vizioso, per ciò che 1° emoglobi- na stessa esercita una potente azione emolitica, e dà luogo alla produzione di nuova emoglobina libera. Aggiungerò quì soltanio che recenti ricerche instituite nella clinica di Pisa ad opera del Castellino hanno portato nuovo con- tributo alla mia ipotesi in genere, ed in ispecie alla quistione della febbre per emolisi. In un lavoro sulla Clorosi febbrile, il Guani (1) riferisce delle ricerche suggerite appunto dal Castellino, che è il caso di trascri- vere: “ Se è vero, dice l'Autore, che le emazie possano agire da corpi estranei e come tali determinare la febbre, quando noi aves- simo iniettato in un cane delle emazie vitali trasformate, dopo spe- ciali manovre, nelle identiche condizioni di quelle clorotiche, avrem- mo dovuto avere la febbre. “ Tutto stava nel riuscire a ridurre le emazie a quel tal pun- to. E ciò ottenemmo in questo modo: Si prepara l'arteria femora- le di un cane e vi si immette il solito tubicino a T il quale è pie- no di una soluzione di cloruro e solfato sodico, tepida, come pure pieni di questo liquido sono i tubi di gomma con cui il tubicino comunica. Aperta l’ arteria il sangue viene raccolto in un cilindro di vetro, il quale anch’ esso contiene una certa quantità (quattro, cinque volte quella del sangue che si vuole raccogliere) di detta soluzione. Si lasciano precipitare le emazie e si decanta la parte superiore liquida. Dopo ciò, si versa, e poscia si decanta, nel ci- lindro, successivamente, una serie di soluzioni di Na CI progressi- vamente ipoisotoniche fino ad arrivare a quella (ed in ciò aiuta più di tutto l’ esame microscopico delle emazie) il cui globulo ros- (1) E. Guani— Contrib. clin. alla Clorosi febbrile (Morgagni 1894). Sulla patogenesi della febbre 15 so è integro, ma perfettamente scolorato : le così dette ombre eri- trocitiche. Si può dire che quei globuli abbiano ancora una qualche funzione vitale? Evidentemente no. Prendiamo allora questo liqui- do composto di emazie integre, intatte, ma completamente rifran- genti la luce e scolorate e di un liquido di colorito bianco traspa- rente e senza evidenti strie di assorbimento della Hb, contenente un po’ di Na CI e lo iniettiamo allo stesso cane. Noi non avremo che oscillazioni di temperatura assai ben limitate. Una volta sola avemmo febbre, e ciò avvenne perchè la soluzione ipoisotonica era stata portata tanto oltre da provocare la disgregazione delle emazie e quindi era tale che per essa noi iniettammo non solo dei cor- puscoli rossi scolorati, ma integri, bensì invece dei veri detriti. “ Se è adunque in seguito ai primi esperimenti che noi non conveniamo coll’Ughetti dove sostiene poter essere le emazie rese estranee al sangue, la causa della febbre, dobbiamo d’altra parte, dietro l’ultimo esperimento, convenire completamente con lui quan- do ammette che i prodotti della disgregazione degli elementi cel- lulari sieno capaci di provocare tale fenomeno. Ò Or non è chi non veda quanto sia ingegnoso tale esperimen- to, e se v'è cosa da desiderare in esso è solo che sia ripetuto e modificato in modo da potergli attribuire tutto il significato di cui è capace. Fra le altre modificazioni sarebbe desiderabile per esem- pio questo, che l’ injezione degli acromaciti fosse fatta in un ani- male della stessa specie, ma non in quello stesso a cui sono sta- ti attinti, per evitare le possibili cause d’errore dovute alla molti- plicità e gravità degli atti operativi. Ad ogni modo anche così come è stato praticato l’esperimen- to, resta il fatto che le emazie scolorate e disgregate sono capaci di dare ipertermia, L'esperimento del Castellino e del Guani può sotto questo ri- guardo essere posto allato ai miei, pei quali si dimostra come l’in- troduzione in circolo di sostanze granulari poco o punto solubili e di dimensioni così piccole da non produrre embolo , dà luogo ad elevazioni di temperatura. 16 Sulla patogenesi della febbre | | Ni Se poi mi si chiedesse in qual modo tutte queste sostanze agiscono per produrre tale effetto, direi che non è possibile per ora di rispondere in modo soddisfacente. In via provvisoria sì può ammettere soltanto che esse, attraverso o per intermedio dell’ en- dotelio , irritino i centri nervosi termogenici o con minor probabi- lità stimolino fortemente e direttamente le attività chimiche dei tes- suti. In ogni caso è poi molto probabilmente l'eccitazione derivante dalla più elevata temperatura che attiva il fagocitismo destinato a ripulire il sangue dai corpicciuoli che lo ingombrano, e che sono stati essi stessi eccitatori dell’ ipertermia. IV. Fino a questo punto ho enumerato gli argomenti clinici e speri- mentali, che danno a credere come in ogni caso in cui nel sangue sia introdotta una sufficiente quantità di sostanza granulare, chimica- mente indifferente, di tali proporzioni da non far embolo, se ne ha come conseguenza l’ elevazione di temperatura. Ma ho poi fatto. rilevare qualcosa di più, € cioè che finora non si conosce alcuna sostanza chimica, non emolitica, che sia ca- pace di produrre ipertermia. Qualche sostanza che dà quest’ effetto non produce un’ elevazione termica paragonabile a quella della feb- bre, bensì la produce molto probabilmente per un meccanismo in- diretto, dando luogo in primo tempo a contrazioni muscolari. Se poi si tratti di sostanze capaci di produrre emolisi, allora si rientra nei casi dell'emoglobinemia , e la spiegazione dell’ i- pertermia ne è la stessa. Ma per qualunque altra sostanza, almeno di quelle fin qui stu- diate, per quanto l’ azione chimica ne sia potente, non si ha mai la febbre quale effetto. Tutti gli alcaloidi vegetali non convulsivanti producono ipoter- mia, la stessa azione spiegano gli antipiretici, e parecchi acidi, alcooli ed eteri di cui si è ricercato 1’ effetto termico. Fra le sostanze provenienti dal regno animale ho dimostrato Sulla patogenesi della febbre 17 come non se ne sia finoggi scoperta alcuna che possa dirsi pire- togena. Ho fatto soltanto qualche riserva per l’ urea, della quale tratterò a suo tempo. Vi. Estendendo nel campo sperimentale le ricerche sull'argomento, ho voluto prima di tutto ben determinare i limiti di azione di so- stanze , il cui effetto chimico sia trascurabile, rispetto a quelle d’ azione chimica potente, e nel presente scritto mi limito appunto a render conto dei risultati ottenuti in questa parte delle mie ri- cerche. Se dall’ esame generale della questione, sotto l’ aspetto clinico e sperimentale , ho creduto altra volta di poter trarre dei corollari non trascurabili, perchè dotati di alto grado di probabilità, non mi permetterò però ancora dagli sperimenti di questa prima parte di dedurre altre conclusioni che quelle che scaturiscono immediata- mente dai fatti osservati. Gli esperimenti di cui tratto in questa 12 parte furono fatti esclusivamente sui conigli. Ho scelto per primo questo animale, perche esso si presta abbastanza bene a tali ricerche e dà dei ri- sultati attendibili, ma proseguo le ricerche, e ne darò conto pros- simamente, su altri animali. È necessario poi si tenga conto di alcune circostanze. Prima di tutto i conigli, come l’uomo, presentano delle sensibili differenze individuali nel modo di reagire allo stesso stimolo. Si presentano poi delle differenze, talora di quasi un grado , tra un individuo e l’altro. La loro temperatura normale, nel ciclo nictemerale oscilla di 0°3—0°9. L'influenza delle stagioni nel nostro clima non è molto sensibile. La media delle temperature osservate nel mese di Set- tembre (che a Catania è caldissimo ), prese al mattino , sempre nella stessa ora, e con lo stesso termometro è stata di 39°. La media di gennaio, nelle stesse condizioni, è stata di 39°3. La sem- plice fissazione del coniglio , come è noto da molto tempo, pro- Anti Aco., Vor. IX, Serie 49— Memoria XVIII. 3 18 Sulla patogenesi della febbre duce un abbassamento di temperatura, che nello spazio d’un’ora, può andare fino ad 1°5. La temperatura del liquido injettato influisce pochissimo sulla temperatura che l’ animale presenta; e, per quanto si sia detto, è impossibile per ora , in ragione del poco che sappiamo sulla pro- duzione del calore, di calcolare la differenza in meno, che sarebbe dovuta alla più bassa temperatura del liquido. Come era già stato notato dal Colasanti, e come recentemen- te il Krehl ha ripetutamente osservato, nei conigli in cui si è una volta elevata la temperatura, è molto facile vederla elevarsi in se- guito, per cause che in un animale sano non avrebbero prodotto che un minor effetto. Occorre dunque valersi sempre di conigli nuovi, o non toccati da molto tempo; o notare appositamente se il coniglio è stato sottoposto ad esperimenti precedenti. Negli spe- rimenti che riferirò tra breve , s'intende che si tratta di conigli nuovi, se non è espressamente accennato al mancare di questa condizione. Le mie osservazioni sono state fatte con un solo termometro introdotto sempre alla stessa profondità nel retto. Ricerche calori- metriche in questo caso, voglio dire per lo scopo propostomi, non sono di grande utilità; primo, perchè alle tante altre aggiungono nuove cause d’ errore ; secondo, perchè non è se non dopo l’ ac- certamento delle cause elevanti la temperatura animale, che potre- mo occuparci dei rapporti tra produzione e dispersione. La tecnica da me seguita è stata la seguente : il liquido, da injettare nella vena dell’ orecchio, era versato in una buretta gra- duata di Mohr di 50 c. c. trattenuta a tale altezza che | estremo inferiore fosse a 50 c. m. sul piano della tavola d’ esperimento. Un tubo di gomma di 50 c. m. di lunghezza lo mette in comuni- cazione con un ago di Pravaz ; la velocità di penetrazione del li- quido, ha variato secondo i casi da 1 a 5 c. c. al minuto. I co- nigli si sono immobilizzati pel solo tempo dell’ injezione. Era già stato da altri sperimentatori accertato che le iniezioni di acqua distillata sono spesse volte, se non sempre, seguite da Sulla patogenesi della febbre 19) elevazioni di temperatura, e che quelle di acqua distillata a cui si sia aggiunto il 0,80 °/o di NaCl non sono seguite da alcuna iper- termia. Nondimeno a togliere ogni dubbio sull’ influenza del liquido che impiegavo come veicolo delle sostanze da iniettare, istituii un certo numero di esperimenti preliminari, ed altri di confronto con l’ iniezione di acqua distillata o di acqua clorurata. Riferisco qui brevemente questa prima serie di esperimenti. Esper. I. — 7 Maggio 1894. Coniglio del peso di K. 1, 170. Iniezione di acqua distillata. Quantità 32 c. c. ; alla temperatura di 389; aula velocità dr IC. Call Temperat. prima dell'iniezione alle ore 2 p. — 38°8 » alla fine » » 5) — 3794 » massima raggiunta » 4 — 5909 Salvo un po’ di tremore verso la fine dell’ iniezione e gli altri lievi fe- nomeni generali di ogni iniezione, il coniglio non ha presentato altro di notevole che ripetute urinazioni emoglobinuriche dalle 4 p. alle BD. Esper. II. — 17 Maggio 1894. Coniglio del peso di K. 1, 200 Iniezione di acqua distillata. Quantità 50 ec. c.—Temper. 20°— Velocità 1‘ Gea. Temperat. prima dell’ iniezione a ore 10 2.934 » alla fine » » Di O, » massima raggiunta >» lp. — 4092 Non ha presentato nulla di notevole. All’ 1 p. ha emesso un po’ d’ urina carica d’ emoglobina; più tardi altre emissioni d’ urina parimente sanguinolenta, Esper. III. — 6 Marzo 1895. Coniglio del peso di K. 1, 560 Iniezione di acqua distillata — Quantità 30 e. e. — Temper. 30° — Ve- loclia d.C. ce. al di Temperat. prima dell’ iniezione a ore 8 — 3809, » alla fine » » gi 970 » massima raggiunta » 11 — 4095. Nulla di notevole, tranne la solita urina emoglobinica. Esper. IV. — 14 Gennaio 1895. Coniglio del peso di K. 1, 250. 20 Sulla patogenesi della febbre Iniezione di acqua distillata a cui si è aggiunto il 0, 80 °/, di NaCl pu- rissimo. Quantità 36 c. c. — Temperatura 10° — Velocità 1 c. c. al 1°. Temperat. prima dell’ iniezione a ore 8 ant. — 4001. » alla fine » » 9 ant. — 3605, » massima raggiunta » 3 pom. — 4092. Questo coniglio non ha presentato nulla di notevole ed emis- sione di urina normale. Potrebbe parere elevata la cifra di 40°3; ma si noti che fu raggiunta 6 ore dopo l’injezione ; che al mat- tino aveva già quella di 40°1 prima dell’ injezione; che lo stes- so coniglio, senza alcuna injezione presentò nelle ore pom. la temp. di 39°9; che infine, questo coniglio, tre giorni prima era stato sot- toposto all’injezione di amido (V. Esp. III. della 22 serie) ed ave- va avuto la temper. di 41° 1. Esp. V.—-13 Febbraio 1895. Coniglio del peso di K. 1,532 Injezione di acqua clorurata—Quantità 48 c. c.-Temperatura 30° Velocità 4 e. c. al 1. Temperatura prima dell’injezione a ore 9 — 3898 » alla fine » » 10 — 379 » massima raggiunta » 12 — 39% Nessun fenomeno notevole. Da questi pochi esperimenti risulta, come del resto era già noto, che le injezioni di acqua distillata sono sempre seguite da ipertermia, mentre quelle di acqua clorurata non sono accompagna- te da modificazione termica significante; risulta inoltre un altro fatto di grande importanza ed è che nelle prime le più alte temperatu- re coincidono con l’emissione di urina più o meno carica di emo- globina, mentre nelle seconde l’emoglobinuria non si ha mai. VI. Esp. I.—22 Settembre 1894. Coniglio del peso di K. 1,980 Gli si injetta nella vena marginale d’ un orecchio , 35 c. e. di liquido costituito da acqua distillata e salata con 0,80 per 100 di Clor. di sodio pu- rissimo alla quale si è aggiunto del carminio. Sulla patogenesi della febbre 21 Tutto il liquido è filtrato attraverso un pannilino. Dopo filtrazione si mostra roseo, torbido ; al microscopio mostra innu- merevoli granuli di pochi x di diametro, e si può calcolare approssimativa- mente che contenga 0,10 °/ di carminio. Il liquido viene injettato alla temperatura naturale (24°) con la veloci- ta di Te. craldl Temperatura prima dell’injezione alle 8 ant. — 53998 » pochi minuti dopo l’injezione 83]; — 39°6 » alle 9 — 4001 » 10 — 40% » «ll — 405 » 12 — 409 » 1 pom. 40°%4 » 2 — 409% » 3 — 40% » 4 — 40°7 » 5 — 4099 » 6 — 4097 y T — 40° 5 8 — 3999 Questo coniglio tranne un po’ di tremore e il lieve stordimento dopo slegato, non ha mostrato nulla di notevole. Due e cinque ore dopo l’ inie- zione ha emesso dell’urina senza albumina né emoglubina , contenente in- vece dei granuli di carminio. Il mattino seguente la temp. era a 3907, Esper. II. —14 Dic. 1894, Coniglio del peso di K. 2,040. Injez. di carminio come nell’ esp. precedente , in quantità di 30c. e. alla temp. di 16°, con la velocità di 1 c. c. al minuto, Temp. prima dell’ injez. a ore 1. pi. —=39% » subito dopo » Zola 30°1 » bal 4094 » 4 4004 » 5 4094 » 6 4001 » 7 3998 4 3) 391 L’ animale non ha presentato nulla di notevole. Il domattina la sua tem- per. è a 39°. Esper. III.—11 Gennaio 1895. Coniglio del peso di K. 1, 250. Injezione di { e i i J di acqua salata, con amido nella proporzione del 0, 10 %o. 22 Sulla patogenesi della febbre Liquido filtrato con pannilino. Quantità injettata : 41 c. c. alla temperat. di 10°, ce alba Temper. prima dell’ injezione a ore 8! — » subito dopo » » 4 Vooa con la velocità di 1 DUCE 356 3794 3992 BEI 4004 41°1 4004 400 39°8 Il coniglio non ha presentato altro di notevole che un forte e continuo tremolio per tutti i muscoli durante la seconda metà dell’ injezione. Alle 10 e alle 4 ha emesso dell’ urina d’ aspetto normale. Il giorno seguente lo stesso coniglio presenta le temperature seguenti : a ore 8'|, — 3809 » » » 10 — 3809 12 — 3999 2 p.— 3996 4 — 3909 6 — 3997 8 — 3907 vale a dire delle temperature così diverse da quelle del giorno antecedente che alle ore 2 p. la differenza è stata di 195. Esper. IV.—25 febbraio 1895. Coniglio del peso di K. 1, 525 Injezione di amido come nell’ esp. precedente Quantità injettata 40 c. c., alla temper. di 12°, con la velocità di 4 c. c. all. Temper. prima dell’injezione a ore 9 ant. — 390 » subito dopo » 9/, 10 11 36° 6 090.1 40° 5 40° 7 40° 9 40° 4 39° 7 390 Sulla patogenesi della febbre 23 Nessun fenomeno degno di nota speciale ; dopo l’ iniezione a varie ri- prese emette dell’urina d’aspetto normale. Di questo coniglio, a pochi giorni di distanza si è misurata la tempe- ratura essendo il coniglio intatto e la si è misurata dopo injezione di 48 c.c. d’acqua salata nelle solite proporzioni, più tardi poi dopo injezione d’acqua distillata. Ed ecco le cifre ottenute alle stesse ore in confronto alle prece- denti. (Le due iniezioni furon fatte tra le 9 e le 10). Iniez. acqua salata Injezione amido Nessuna injezione [|Injez. acqua distillata (13 febbraio) (15 febbraio) (2 marzo) (6 marzo) Ore 9 anta98%8 390 d99 3910 > 1 DCO 999] 09%5 37° + il 3991 409 5 490 4 40° 5 sul 39° 4 400 7 39° 7 400 3 » lbs 38° 7 4009 9997 40° 2 2 3902 40° 4 390 7 GIgIoLo, Feto 38° 6 39° 7 39° 5 39° 4 » 5 38° 5 390 390 5 39° 5 Esper. V.—20 febbraio 1895. Coniglio del peso di K. 1, 695. Iniez. del liquido seguente: Si stempera del caffè torrefatto e finamen- te polverizzato in acqua salata nelle solite proporzioni; e si filtra attraver- so un pannilino. Si ha un liquido lievemente colorato in caffè e tenente in sospensione una fina polvere, che al microscopio si mostra costituita da in- numerevoli frammenti angolosi, di dimensioni varianti da ? a 60 p. Quantità injettata 50 c. c., alla temperatura di 12°, con la velocità di 3 ce. aldo Temper. prima dell’ injezione a ore 8 ant. — 380 4 » subito dopo » 9 360 4 si » 10 d08 di » TO 40° _ » 12 99°9 x 3 1 pom.— 39° 5 pà > z iui) x > o 39° 6 » » 5 390 5 » » 6 390 24 Sulla patogenesi della febbre Esp. VI.-9 Marzo 1895. Coniglio del peso di K. 1, 770. Iniez. del liquido seguente: In 100 c. c. d’ acqua clorurata al solito, stem- pero 3 gr. di acido urico (fabbr. Merck)—Filtro il liquido al pannilino. Ne risulta un liquido bianchiccio, quasi opalino, che tiene in sospensione circa 1°, di frammenti di acido urico (questo, come si sa, non è solubile che in 1500 p. di acqua fredda). Quantità injettata 50 c. c., alla temp. di 18° con la velocità di 3 c. c. CI Temperatura prima dell’ injezione a ore 8 ant. — vo9 » subito dopo » » 9 36051 » » » 10 40° 1 » » » ll 40° 2 » » » 12 DINI » » » lp. 39° 4 » » » 2 099] » » » 3 BIO, » » » 4 DIC] Tranne i soliti lievi fenomeni, il coniglio non ha presentato nulla di notevole. Ha emesso alle 12 dell’ urina normale e copiosa. Esp. VII.-13 Marzo 1895. Coniglio del peso di K. 2,010 Injezione del liquido seguente: Acido urico, in sospensione molto più tenue della precedente. Quantità injettata 60 c. c. alla temperatura di 26° con la velocità di 4 c.c. Al. Temperatura prima dell’ injezione a ore 8 ant. — 39° 1 » subito dopo » » v oi » » » 10 40° 3 » » » RI 40° 1 P. » » 12 SRO) » » » 1 39° 8 » » » 2 39° 8 » » » 3 DICA » » » 5 390 7 » » » fi 39° 3 Esp. VIJI.—18 marzo 1895. Coniglio del peso di K. 1, 970. Injezione di latte di capra, filtrato alla carta. Al microscopio il liquido mostra innumerevoli goccioline, di cui le più grandi non superano 7 p. Sulla patogenesi della febbre 25 Quantità injettata 45 c. c., alla temperatura di 20°, e velocità di 3 ces alli Temperatura prima dell’injezione a ore 8 ant. — 39° 4 » subito dopo » 9 30° 5 » » 10 38° 6 » » 11 090 » » 12 9901 » » 2p. 40° 2 » » 3 40° 4 » » 4 40° 1 » » 5 39° 9 » » Ti 0929 » » 9 390 9 » » 11 39%%9 Nulla di specialmente notevole nè durante nè dopo l’ injezione, emette a varie riprese dell’urina d’ aspetto normale. Esperienza IX—20 Marzo 1895. Coniglio del-peso di K. 1, 735. Iniez. del liquido seguente: Si stempera una pastiglia ordinaria di car- bone di Belloc di 200 c. c. d’ acqua clorurata e si filtra il liquido al pan- nolino. Ne risulta un liquido bruno poco carico semitrasparente, che al mi- croscopio mostra contenere innumerevoli frammenti di carbone di tutte le forme e dimensioni fino a quella di 100 w. Quantità injettata 51 c. c., alla temper. di 26°, ed alla velocità di ci Temper. prima dell’ injez. a ore 8 ant. — 39° 3 » subito dopo » » il — 380 » » 9 — 39° » SO) 19985 » > 12 — 399 » » 2 — 39% » o 10995 » 4 9904 » » 7 —:13992 Esper. X. -- 11 Aprile 1899. Coniglio del peso di K. 1610. Injez. del liq. seg. : Si stempera della gomma mastice finamente pol- verizzata in una certa quantità di acqua clorurata. Si filtra al pannolino. Ne risulta un liquido bianchiccio, torbido, che contiene circa 1 gr. di ma- stice per 500 d’acqua, e che al microscopio mostra infiniti. piccoli granuli di varia forma; i più grossi non superano 10 pf ATTI Acc., Vor. IX, Serie 4*— Memoria XVIII. 4 26 Sulla patogenesi della febbre Quantità injettata 52 c. c., alla temperatura di 24° ed alla velocità di & Codec. Temper. prima dell’injez. a ore 7 !| a. — 39% | » subito dopo » » 8 3804 » » 2.9 41°1 » » » 10 4097 » » »d ll 4097 » » 00, 40°3 » » xl p, 40°1 » » 00 39%6 » » > 4 3993 Nessun fenomeno notevole. Alle 10, alle 11 e più tardi emette urina d’aspetto normale, Esp. XI. — 12 Aprile 1895. Coniglio del peso di K. 1,450. Injezione di acqua clorurata avente in sospensione del licopodio, Il li- quido filtrato al pannilino è quasi trasparente, lascia appena vedere di te- ner in sospensione una miriade di fini granuli. Al microscopio si mostrano per la maggior parte di 8-10 p. Temper. prima dell’ injezione a ore 7 !|, — 89° » subito dopo » » 8 3894 » » » 9 4001 » » » 10 3999 » » *.l 4093 » » »i 12 4092 » » “> Lp: 4001 » » >. 9 39%6 » » 25 40°1 » » AT 3909 » » » 8 3996 » » » 9 3994 Nessun fenomeno notevole — Urinazioni normali. Esp. XII. — 16 aprile 1895. Coniglio del peso di K. 1,820. Injez. del liq. seguente: Preso un pezzo di polpa cerebrale fresca di a- gnello, del volume di una mandorla, si tritura nel mortaio e si diluisce in 400 gr. di acqua clorurata. Si filtra poi il liquido al pannolino, Ne risulta un liquido semitraspa- rente, opalino, nel quale ad occhio nudo non si distinguono granuli, e che, Sulla patogenesi della febbre dI al microscopio , rivela un detrito di polpa cerebrale le cui particelle non superano in generale 5-6 p. Temper. prima dell’injezione a ore 7 ‘|, — 3992 » subito dopo » $_.8 38°6 » » » 9 4094 » » » 10 4096 » ” 3. 4093 » » » 12 400 » » >» Ep. 39°6 » » *.9 39°%6 » » + 5 3997 » » > 3995 VII Da questa serie d’ esperimenti risulta che la injezione di so- stanze le più svariate, chimicamente indifferenti ai tessuti, in for- ma di corpuscoli indisciolti e sospesi in un liquido, che per se stesso non ha alcuna azione sulla temperatura, dà luogo ad iper- termie più o meno accentuate, varianti da 0°5 a 2°2 oltre las fra media normale della stessa ora in cui l'elevazione è osservata. La sostanza a cui si è osservato corrispondere la più alta ci- fra è stata il carminio (41°5); vengono poi la gomma mastice (4191); il cervello (40°6); il latte (40°4); il licopodio (40°3); 1° acido urico (40°2); il caffè (40°); il carbone (3909). L’acqua distillata ha dato 4005, L'acqua distillata e salata ha dato 39°-39°5 ; che si ha alla stessa ora nei conigli a cui non si injezione. la stessa cifra è fatto alcuna PARTE SECONDA Azione dell’ urea, I, Una seconda ipotesi, riguardante un altro momento della pa- togenesi del processo febbrile, era quella: che a citata memoria, col dire che fr accennavo appena nel- a Je sostanze fin qui studiate, la | | | | | Ò 28 Sulla patogenesi della febbre sola a cui forse si poteva attribuire un’ azione ipertermizzante di natura chimica, era l’urea; che perciò si poteva pur ammettere la possibilità che l’aumento dell’urea nella febbre fosse causa anzichè effetto dell’ipertermia. Ma un’ ipotesi simile, benchè enunciata quasi incidentalmente, non doveva poi venir abbandonata senza cercare se trovasse ap- poggio in una solida base di fatti sperimentali , o se per contro l'esperimento obbligasse a respingerla definitivamente. È perciò che ho diretto una parte delle mie ricerche a determinare se l' urea prenda realmente una parte attiva nel processo patogenico della febbre, e in tal caso quale sia questa parte. Finora si è generalmente ammesso che nella febbre l’urea sia aumentata in conseguenza dell’accresciato calore, o meglio, delle au- mentate ossidazioni; ma le ragioni per cui ciò si è creduto sono state tratte quasi esclusivamente dalla chimica clinica. Ora, oltrechè anche trovando un aumento dell’ urea non è molto semplice trovarne il rapporto vero con la febbre, è da notare che i dati forniti in que- sto caso dalle ricerche di chimica clinica sono così incerti da a- ver permesso di credere a molti che l’eliminazione dell’ urea nella febbre fosse in aumento, ad alcuni invece che fosse in diminuzione. Se la maggior parte degli autori sta per l'aumento, non è im- probabile che su questa opinione abbia influito il preconcetto che “ l’urea rappresentando “ con l’acqua e con l'acido carbonico il ter- mine ultimo e necessario della ossidazione delle sostanze proteiche e dei loro principali derivati , nella febbre questi processi d’ ossi- dazione siano aumentati, e con essi debba essere aumentata l’urea. Senonchè , sono realmente tali e tante le cause che rendono malcerto ogni dato che riguardi l’urea così in fisiologia che in pa- tologia, che basta 1’ enumerarle per comprendere le ragioni della nostra ignoranza su questo punto. I metodi di ricerca prima di ogni cosa , le condizioni iudivi- duali del soggetto in esame, la sua alimentazione, i movimenti mu- scolari, il funzionamento degli emuntorii altri organi, la temperatura, le medicazioni, ecc., tutto concorre con, lo stato del fegato e di ? Sulla patogenesi della febbre 29 infinite cause d’ errore ad infirmare i risultati creduti più attendi bili. Il procedimento chimico oggi più in uso, quello fondato sulla scomposizione dell’ urea per mezzo dell’ipobromito di soda, e quindi sulla misura dell’ azoto, oltre gli errori derivanti dalle imperfette correzioni baro-termo-igrometriche , presenta quello che proviene dal fatto che l’ azoto trovato deriva pure dalla creatina , creatini- na, ac. urico ecc. E se l'errore è talvolta insignificante, può altra- volta raggiungere !/, della cifra totale. Però la maggior parte delle cifre registrate e passate da un autore all’altro, sono ancora frutto di analisi praticate col processo di Liebig, fino a pochi anni fa generalmente adottato; orbene que- sto procedimento va incontro a tante cause d’errore che si è do- vuto finire per abbandonarlo. Nè si può dire che si ripetano sempre gli stessi errori, tanto- chè le cifre, inesatte in modo assoluto, mantengano un certo va- loro paragonate fra loro ; Ritter ha mostrato che questo processo dà delle cifre abbastanza vicine al vero per le urine normali; ma per le urine febbrili dà delle cifre assai più grandi di quelle che si hanno con altri processi; più grandi del vero. Ma, anche ammesso che si conosca un processo analitico esatto, e ne siamo ben lungi, bisogna poi tener conto di tutte le altre condizioni che ho accennato, condizioni che non sono sempre valutabili in cifre. Bisogna tener conto p. es. del peso e dell’età dell’ individuo , dacchè la media della quantità d° urea secreta per ogni chilogr. di peso del corpo, varia secondo le età. Secondo Uhle e Gautier da 3 a 6 anni ogni chilogr. produce 1 gr. d’ urea ; nell’ uomo adulto ogni chilogr. non ne produce che 0, 37. Occorre tener conto del clima e della stagione; un uomo adulto può emettere 50-60 gr. d’urea in climi freddi; non secernerne che 10-15 gr. in paesi caldi. Eppure nonostante la notevole importanza di tali condizioni y. \ | Î 30 Sulla patogenesi della febbre esse hanno un’ influenza minore che non quella dell’ alimentazione e del lavoro a cui del resto sono in gran parte subordinate. Un individuo che dopo otto giorni di alimentazione ricca di albuminoidi emette 53 gr. di urea in 24 ore, non ne emette più che 15 gr. dopo altri otto giorni di regime vegetale. La dieta lat- tea, i grassi, il caffè, certi medicamenti, aumentano la produzione dell’ urea; l’acqua ne favorisce 1’ eliminazione. Cosi la produzione dell’ urea viene secondo alcuni autori au- mentata dal lavoro muscolare e nervoso; secondo altri no. Nè d’ altra parte è da trascurare lo stato delle altre vie di epurazione oltre la renale. Bouchard dice bensì che le vie di epu- razione non possono supplirsi l’ una all’ altra, ma ciò non è anco- ra ben provato; che anzi secondo antiche ricerche di Cl. Bernard, non smentite, la nefrectomia sarebbe seguita da un aumento d'’ eli- minazione d’ urea per Ja pelle, per l intestino e per lo stomaco. Non parliamo poi della influenza dello stato del fegato , le cui alterazioni funzionali e anatomiche in concomitanza alla febbre, non sempre possono essere calcolate con sufficiente approssimazione. È agevole vedere da tutto ciò come sia difficile, e spesso an- che impossibile tener conto contemporaneamente di tante e sì sva- riate condizioni, che possono con la loro influenza oscurare quel- la della semplice ipertermia. In ogni caso poi, anche supposto che sì sîano potute ben calcolare, e che ci si sia avvalsi d’ un meto- do esatto di dosamento, non ne deriva perciò che sappiamo se la produzione dell’ urea sia aumentata o diminuita. Sapremo tutt’ al più se sia cresciuta o scemata / eliminazione renale; ma, ignoran- do le proporzioni dell’ eliminazione per gli altri emuntorii, igno- rando in quali proporzioni l’ urea si mantenga nel sangue, sulla produzione propriamente detta sappiamo ancora ben poco, mentre appunto ciò che interessa conoscere in rapporto alla patogenesi della febbre è la produzione più ancora che 7 eliminazione. Comunque sia, diamo uno sguardo all’opinione degli autori che si sono più occupati dell’argomento. Traube e Jachmann sono stati i primi ad affermare che la Sulla patogenesi della febbre 5I quantità d’urea, che si elimina per la via renale, cresce rapidamen- te durante il brivido della febbre, per arrestarsi all’acme dell’ ac- cesso e diminuire gradatamente da questo punto in poi. E molti autori che poco dopo si sono occupati dell’ argomento hanno con lievi varianti confermato quanto era stato detto da Traube. Fra essi sono da ricordare Moos, Zimmermam, Redenbacher, Ranke. Sidney - Ringer aggiungeva poco dopo che l aumento nell’eli- minazione quindi nella produzione dell’urea precede V elevarsi della temperatura e si mantiene poi in proporzione a questa. Fin qui, non occorre dirlo, si riteneva semplicemente 1° urea effetto delle aumentate combustioni, ed effetto quindi della eleva- zione di temperatura ; fu il primo Chalvet ad affermare che | in- tossicazione febbrile produce tale alterazione nel ricambio nutritivo dei tessuti da dar luogo ad aumento nella produzione d’urea e ad un accumulo di questa nel sangue. L'accesso febbrile che poi ne favorisce l’ eliminazione avrebbe per effetto ’ epurazione del san- gue dall’eccesso d’ urea. Ma i risultati più notevoli, perchè discordi: dai precedenti fu- rono quelli enunciati dal Charvot, secondo il quale la quantità to- tale d’urea eliminata in 24 ore nel periodo acuto delle piressie, è generalmente diminuita e talora ridotta a cifre uninime; mentre so- no invece aumentate le sostanze estrattive. Non è che in conva- lescenza che l’urea cresce, presentandosi talora delle quantità con- siderevoli proprio quando la temperatura del corpo è più bassa della normale. Quasi contemporaneamente Senator è giunto per le sue ricer- che a risultati opposti, a risultati che collimano con quelli avutisi prima del Charvot ed, aggiungiamo, con la maggior parte di quelli che si ebbero ‘dipoi. Senator riconobbe che nella febbre si ha un aumento d’esere- zione dell’urea, che rappresenta un aumento di produzione, giacchè nello stato normale il corpo intiero non contiene più di un gram- mo d’urea; stabilì inoltre che tale aumento ha luogo fin dal prin- | i | | | | 32 Sulla patogenesi della febbre cipio della febbre e che perciò l’urea è prodotta ed escreta in mag- gior copia durante tutto il corso del processo febbrile. Anche Unruh trovò aumento di urea, ma credette poter di- mostrare che esso non è proporzionale all’elevazione termometrica. Friinkel poi avrebbe trovato che nelle intermittenti si elimina. più urea nei giorni di apiressia che non in quelli di febbre. Ma fino a questo punto la parola più autorevole che sia sta- ta pronunciata sull’argomento è quella di Liebermeister , secondo il quale i punti più incontestati sì possono riassumere così : 4. Durante la febbre la secrezione dell’urea è più grande che nell’individuo sano sottoposto ad uguale trattamento. In modo assoluto però è più piccola. 2. L’urea non è emessa appena prodotta, quindi la quantità eliminata non è norma della prodotta. 3. La produzione dell’urea non vale come norma del ricambio materiale. 4. L'aumento dell’urea nella febbre indica un’aumentata distru- zione delle sostanze albuminoidi. È inutile riferire che cosa sia stato detto, dal Liebermeister in poi, a proposito dell’ urea, perchè non si è fatto che ripetere suppergiù quanto era stato detto dai predecessori. Ricorderò solo il Fournier, che da una serie di ricerche è giunto a conclusioni simili a quelle citate del Charvot; cioè che nel febbricitante la quantità media dell’ urea delle 24 ore è infe- riore alla media fisiologica dell’ individuo nelle stesse condizioni d’ alimentazione ; ed è inversamente proporzionale all’ altezza della temperatura. Un altro punto importante della questione, e sul quale non si praticarono fin quì che limitate ricerche, è quello che riguarda la produzione dell’urea, non durante una vera febbre, bensî durante un’ ipertermia provocata da riscaldamento esterno. Non dico che il rapporto di causa ad effetto possa essere definitivamente stabilito in seguito ai risultati di tali ricerche, ma per lo meno glie ne ver- ia mM Sulla patogenesi della febbre 33 rebbe un contributo più significante che non quello che risulta dalle osservazioni dei casì clinici di febbre. A questo riguardo i risultati sono stati contraddittori come per le ricerche fin qui cennate. Schleich ha constatato su se stesso che innalzando, mercè bagni caldi, la temperatura del proprio corpo, la eliminazione del- l’urea cresceva, e l’ aumento durava per due a tre giorni dopo la esperienza. Bartels e Naunyn hanno trovato pure un aumento, ed un au- mento è ammesso dal Liebermeister. Altre ricerche hanno dato un risultato opposto tanto da condurre Gautier a dire senz'altro, che l’ elevazione della temperatura del corpo e i bagni caldi fanno ab- bassare sensibilmente la cifra dell’ urea delle 24 ore. Tanto gli autori che hanno ammesso l’ aumento, quanto quelli che hanno ammesso la diminuzione dell’ urea, hanno cercato di dare una spiegazione del fatto; e basta spigolare nel gran numero qualcuna di tali spiegazioni per vedere come, anche in questo caso si siano impiccioliti ì fatti pur di farli passare attraverso la cruna della teoria, o sì sieno costruite larghe ipotesi sulla stretta base di pochi fatti. Fra gli autori che hanno ammesso la diminuzione dell’ urea, Frinkel la spiega col dire che la febbre è d’ostacolo all’ assimila- zione; Charvot tira in campo la correlazione delle forze fisiche, am- mettendo come Gubler che “ in condizioni morbose molte azioni organiche essendo ostacolate, e le forze diminuite o quasi annichi- lite, la potenza messa in azione dalla combinazione dell’ ossigeno con le sostanze combustibili si svolge tutta intera sotto forma di calore, in modo che, con una debole azione chimica, la cifra della temperatura sì eleva molto alta. , Fournier è un po’ più chiaro e spiega la diminuzione dell’urea febbrile col dire che “ le lesioni prodotte nell'organismo dagli agenti piretogeni (alterazioni granulo-grasse dei visceri, dei muscoli ecc.) hanno per risultato di rendere imperfetta la disassimilazione dei tessuti che è dell’ urea la sorgente principale. Arti Acc., Vor. IX, Serie 4° Memoria XVIII. d) | | Î | 34 Sulla patogenesi della febbre In quanto agli autori, e sono la gran maggioranza, che am- mettono l'aumento dell’urea, non hanno da ricorrere che ad un aumento di attività delle sorgenti ordinarie del calore animale, o almeno, come Liebermeister, ad un aumento nella disassimilazione delle sostanze albuminoidi senza un aumento delle ossidazioni. Ed è della stessa spiegazione che il Liebermeister si vale per rendersi ragione dell’ aumento d’ urea in seguito a riscaldamento artificiale del corpo. Al qual proposito aggiunge: “ Da ciò risulta probabile che for- se anche nella febbre } aumento di produzione d’ urea sia non già causa bensì effetto dell’ aumentato calore. , Ho creduto necessario riassumere in brevi parole l’ opinione degli autori che hanno studiato la questione delle proporzioni d’ u- rea nella febbre, ma non credo indispensabile manifestare la mia opinione sul proposito, o allungare la ormai lunga e inconchiudente casistica di osservazioni tratte dalla clinica. Infatti si trovi aumen- tata o si trovi diminuita l’ urea, ciò non basta a provare la possi- bilità che l’ urea sia causa anzichè effetto dell’ ipertermia. Ammettiamo pure ciò che quasi tutti, come abbiamo visto, ammettono, vale a dire che nel febbricitante la produzione e 1’ e- liminazione dell’ urea sia maggiore che nel sano posto in uguali condizioni alimentari; il rapporto di causalità non sarà punto sta- bilito da siffatta constatazione. Solo l’aumento dell’urea in seguito a riscaldamento dall’ester- no parrebbe deporre, come vuole Liebermeister, nel senso che questo sia causa di quello; ma, in primo luogo tale aumento, osser- vato pel primo dal Naunyn, non è però abbastanza dimostrato, in secondo luogo, quand’ anche lo fosse lascerebbe sempre il campo aperto a più d’ una obiezione. La maggior produzione d’urea può in tali casi esser effetto diretto dei mezzi che si sono impiegati per produrre l’ ipertermia, anzichè di questa. L’ipertermia a sua volta può essere conseguenza tanto dell’ impedita eliminazione di calore quanto dell’ aumento dell’ urea. In quanto poi alle proporzioni dell’ urea nel sangue, durante Sulla patogenesi della febbre 35 la febbre, se ne sa ancor meno se è possibile , quindi è inutile parlarne. IL Constatato dunque che per queste vie, finora inutilmente bat- tute, non è possibile giungere alla conoscenza del rapporto di cau- salità fra l’ urea e la febbre, rimaneva a tentare di pervenirvi percorrendo una strada diversa. Incoraggiato a ciò dai primi risultati, dei quali ho tenuto parola, moltiplicai gli esperimenti diretti a constatare gli effetti ter- mici dell’urea; ed è di questi appunto che mi accingo a render conto. Prima di far ciò, credo opportuno notare che ho seguito in generale la stessa tecnica che per le injezioni riferite nella parte 18. In quanto all’ urea, mi sono servito per alcuni sperimenti del prodotto garantitomi purissimo della nota fabbrica Merck; per altri di urea della fabbrica Kahlbaum; per altri infine di urea elaborata e portata allo stato di purezza assoluta dal Prof. Grassi Cristaldi, che sono lieto di poter in quest’ occasione ringraziare della sua preziosa cooperazione. Gli esperimenti da me instituiti furono 26, e tutti nei conigli. In dodici fu impiegata Vurea Kallbaum ; in undici la Merck, in tre la Grassi-Cristaldi, Da un altro punto di vista, gli esperimenti possono classifi- carsi così: In due fu injettata 1° urea sciolta in acqua distillata; negli al- tri tutti in acqua clorurata; ma di questi ultimi, quindici erano co- nigli intatti di qualsiasi injezione precedente, nove invece erano conigli, che avevano subito pochi giorni prima delle injezioni, ciò che com’ è noto modifica spesso sensibilmente lo stato dell'animale ed altera per conseguenza i risultati. Le sole conclusioni sulle qua- li si possa fare assegnamento sono quelle che si traggono dalle injezioni su animali fino allora intatti. 36 Sulla patogenesi della febbre Nel quadro seguente, presento il resoconto di tutti gli speri- menti sull’ urea, per mostrare i loro rapporti con le varie condi- zioni. Due sole ne ho tralasciato , e cioè la velocità con cui il li- quido penetrava nella vena dell’ orecchio e la temperatura del li- quido injettato. Le ho tralasciate per non ingombrare di cifre su- perflue il quadro, dappoichè : 1. la velocità e la temperatura entro certi limiti influiscono poco o punto sulla temperatura dell’ anima- le; 2. la temperatura del liquido al suo ingresso in vena era quasi sempre di 25°-30°; 3. la velocità quasi sempre di 5-7 c. c. al 1’. Le injezioni furono praticate con l'apparecchio descritto sul- la 1 parte. ESPERIMENTI CON L’UREA il | ESPERIMENTI CON L’UREA (Quapbro 1). vi 6 | 12 Quantità Urea per ogni Piso « Percentuale Provenienza del Coniglio liquido A vere sd dell’ Urea ie” Cl S injettato coniglio Gira 1980|c:0422) gra 1,10 10/0 Merck Ipertermia #A2U000 E 60 ». 3,00 TO » » » (oo. >» 21 gio, 10 lo » » >» 150.56 >. DOO 1005 » » +. 1950 3 (98 %#.9/,006: 10.90 » » 1890 >. 54 vi Li0. 4005 » Ipotermia >. 1460. > 22 0 400] » > » 15600)» D4 + 0.0 20:91, » Ipertermia » I500::->- 08 » 4,05 109/5 Kahlbaum » n LS20| DO 329100 106970 » Nessun effetto v 2010.) o Si + 5,0010595 » » pio > 45 91000, » » >» Mido 3-00) » 53, 00 TO: 9, » Ipertermia si 180» 102 + 9,00 IO » Ipotermia » 1470) » 465 > 90010015 Grassi Nessun effetto vi 1900)» 48 | #00: 10% » > » 1900 dv D1 » 3,00 10 %o » Ipertermia » 2040) » 40 > (5,0020094 Merck » s:11820| 9-55 + 3,02 109/65 » » » 1400 > 45 >.09, 2) 1095 » » » 1820) +» ve 1005 Kahlbaum Nessun effetto > 130 > 20 +10 10 °lo » » » 1800) >» bl T_0R00: 2079, » » [00-20 #50 10 %Jo » » » 1696) » 48 ». 0, 80420000 » » » 1900 » 45 »19,00:10°%/5 » Ipertermia pi vii SOLAR Temper. STATO FENOMENI CONCOMITANTI Osservazioni .| massima dell’ animale 40°. |Emoglobinuria. Convuls. Morte| Coniglio nuovo |L” urea sc. in acqua distillata ' 40°4 » Sopravvive » » » » » 4097 \Emoglobinuria. Convuls. Morte » » L’urea sc. in acqua clorurata | come in tutti gli esperimenti , che seguono. | 40°9 | Nulla di notevole. Sopravvive » » 4099 » » » » » 37°5-34 |Emoglobinuria. Convuls. Morte » » 3893 » » » » » 40°4 | Nulla di notevole. Sopravvive » » 4098 » » » » » 390 » » » » » 39%6 » » » » » 39°6 » » » » » 40° » » » » » — |Leggera prostrazione. Sopravv. » » Iniez. fatta in 3 volte con 3 | ore d’ intervallo. | 3904 Nulla di notevole Sopravv. » » 3902 » » » » » 4004 » » » » » | 40°6 » » » Coniglio già usato | 4001 » » » » » 40°6 » » » » » 39% » » » » » 390 » » » » » 39%8 » » » » $ 396 » » È d o | I 3991 | Tremito. Convulsioni. Morte » » | 40° Nulla di notevole. Sopravv. » » | 40 Sulla patogenesi: della febbre Dal quadro esposto risulta che : 1. I conigli sopportano così bene le injezioni d’ urea entro i limiti notati, che generalmente mon ne risentono alcuna manifesta conseguenza, e sopravvivono all’ operazione. Abbiamo visto soc- combere soltanto quello dell’ esp. 1 in cui V urea era sciolta in acqua distillata, e l’injezione fu seguita rapidamente da emoglobi- nuria, convulsioni, ecc. ; quello dell’ esp. 6 in cui l’urea fu injet- tata in soluz. molto concentrata e in alta proporzione; e quelli de- gli esper. 3 e 25 in cui la causa dell’ esito letale non è ben chiara. 2. Ho considerato come ipertermiche le cifre superanti i 40°, ma le ipertermie non furono mai eccessive. La più alta cifra è stata di 40°9 con 1°7 di differenza rispet- to la temperatura iniziale. Paragonando, alcuni esperimenti fra loro, o con esperimenti di confronto, si rilevano alcune note interessanti. Per esempio : il con. 5 che ha presentato 40°9, e tranne la solita emissione piut- tosto copiosa d’ urina normale, non ha presentato disturbo di sor- ta, injettato il giorno seg. con la stessa quantità di acqua clorura- ta semplice, e nelle identiche condizioni, non ha avuto che 0°3 di elevazione oltre la iniziale. Il coniglio 8 non ha presentato che una elevazione di pochi decimi oltre la iniziale, dopo l’injez. di 6 gr. a’ urea Merck per Kil.—Injettato il giorno dopo con la stessa quan- tità di urea Kahlbaum ha avuto un abbassamento di temp. rispetto alla temp. iniziale. Injettato poi con dosi minori non ne ha risentito alcun effetto; ed in ultimo per la stessa dose di 6 gr. urea Kahlb. injettata 10 giorni dopo l’ ultimo esperimento , ne è morto (vedi cop. 3, 22, 23, 24, 25), Il coniglio 10 iniettato con 3 gr. p. K. di urea Kahlb. non ne ha risentito alcuna conseguenza. Injettato il giorno seguente con la stessa quantità di urea Merck, ha avuto un’elevazione di 1° di più del giorno precedente. È imputabile questa differenza alla diversa provenienza dell’u-‘ rea, o all’ essere stato il coniglio già adoperato il giorno prece? dente, o all'essere la temp. dal liquido dalla 2* injezione più ele- Sulla patogenesi della febbre 4l vata di quella della 1°? Qualunque risposta che desse la preferen- za ad una delle tre domande si troverebbe in contraddizione coi risultati di altri esperimenti. Nell’ esp. 14 si è avuto per risultato un’ ipotermia costante e notevole, senza altro fenomeno morboso tranne una lieve e tran- sitoria prostrazione, da cui l’animale si ristabili rapidamente, ma in questo coniglio, di tre in tre ore fu fatta 1’ injezione di 3 gr. d’urea p. K. La temp. che il mattino era a 39°2, scese fino a 37°1 e ad ogni modo si mantenne tutto il giorno sotto 3806. Per giungere a risultati meno incerti di quelli che ci fornisce l’esame di tutti gli esperimenti, limitiamoci a considerare quelli praticati su conigli fino allora intatti, ordinandoli secondo la quan- tità di urea injettata. Esperimenti con l’ Urea (Quadro II.) Ar N. progressivo Quantità si = RESdR] di urea per ogni) Provenienza dell’urea Effetto termico ES È Quadro I. K. di coniglio È a Ò ST. 1529 Merck Ipertermia 240 4 3, 00 » » 240 6) 3, :00 » » 240 13 3,00 Kahlbaum Ipertermia debole d0° 1° 9,00 Grassi » » 30° 15 500 » Nessun effetto 300 16 3, 00 » » » 300 10 3. 00 Kahlbaum » » 119 Il 5, 06 » » » 300 12 3 10. » » » 30° 9 4, 00 » Ipertermia 30° 8 6, 00 Merck , | 120 n î 6,.00 2 Ipotermia | 10° 14 9, 00 Kahlbaum » | 200 6 11770 Merck » | 120 Arti Acc., Vor. IX, Serie 48— Memoria XVIII. 6 Ì 42 Sulla patogenesi della febbre Dall’ esame di questo quadro risulta dunque che |’ elevazione della temperatura è generalmente in ragione inversa della dose di urea injettata; da questi sperimenti come dagli altri di confronto , praticati con acqua clorurata semplice, risulta poi che, entro certi limiti, non vi è rapporto apprezzabile tra la temperatura del liqui- do injettato e 1° effetto termico ottenuto. In quanto poi all’ importanza. dell’ urea in rapporto alla feb- bre, non mi permetterò ancora di conchiudere in modo assoluto che nella febbre l urea sia quella sostanza che, prodotta in mag- gior copia dell’ usuale sotto l’ azione di agenti diversi, dia luogo a sua volta all’ elevarsi della temperatura, ma mi limiterò a dire che le mie ricerche, benchè finora debolmente , appoggiano que- st’ipotesi o per lo meno non vi si oppongono. L’ ipotesi non potrà essere accertata se non quando più am- pie indagini da un lato dimostrino con certezza che nella febbre è aumentata la proporzione di urea che si trova in circolo, dal- l’altro che realmente nessun’ altra sostanza chimica di quelle che possono accumularsi nel sangue è ipertermizzante. Questa seconda parte sembra fin d° ora molto probabile, ma non sì può dire pro- vata. Roger nel suo capitolo sulle intossicazioni dice che “ la mag- gior parte dei veleni d’ origine animale elevano la temperatura , e altrove “ tutti gli estratti praticati con tessuti animali elevano la temperatura , ma, nonostante quest’ autorevole affermazione, ho esposto altrove come finora la cosa sia tutt’ altro che dimostrata , come anzi tutti i dati concorrano a provare il contrario. Però la questione dev’ essere ancora studiata. Comunque sia, ammessi almeno provvisoriamente questi due dati, che V urea nel sangue del febbricitante sia aumentata, e che tra le sostanze che possono accumularsi nel sangue non vi sia che l urea ipertermizzante ; se a questi si aggiungono altri fatti più o meno dimostrati, e cioè, che le oscillazioni quantitative dell’ urea nel corso del giorno decorrono parallelamente a quelle della tem- peratura ; che nella convalescenza l urea è spesso al disotto della Sulla patogenesi della febbre 45 media; che qualche sostanza (chimica) che ostacola la produzione dell’ urea è pure antitermica ; che 1’ urea, in una dose che fisio- logicamente è già considerevole , è ipertermizzante ; sì può con- chiudere essere probabile che l’ urea. abbia, se non una vera fun- zione regolatrice della termogenesi, almeno un nesso causale con la temperatura, le modalità del quale ancora ci sfuggono, ma che si esercita tanto nello stato normale che nello stato patologico. CRESTA cp) + pae; ni 40° 38° 07° > i IS sì 3 li HigS: Ei Pi ; i vii. 1. Grminio (Gp 1/f.Gnadlice {Cp T)3. Ami do f Gp MI) dai Gefica delle lomperaliure raggiunle ANI seguilo ad infezione di Gea PI DE dd “7 hi. Lalte (E Da) VII) è ALicopodio 4 Co IT) 6. Grido (Gi 49 IV) Fi ] i ] | | i... Gra dea delli Csoslan —L I a i (ci | | Praflca rappresentante e Hel le Emporalure raggiunte in seguito ad sngenione di diverto e s0ttanne Lost corpuscolari siverse Regia Vistillata -------- Hegua Dis. 07 <—._i.: Aegua salata’ —-__-_- dysaxione pera oraznon seguiti x Va aleunaringerione si 39. 4A...) de ; Sio ascs9 ME ftssarzion eye inpercote l o (dl Tea de lemperalure consecutive a vare 9 adria sella 5A coniglio 20 Qnide/ 1) 4e___ Regua salala (yo 1P) ; — AT 5 Aoge ca Doll? Cp IV, pa ei Ù L,9, VD} Vi denza ingestione Gpl) —__ i n T Liu I | i | 2) { uri seguito a; " «viper. dé A) cagramna _Ielle lemper odure massime dei conigli allo stalo normale, cl inseguito ava o = “ie 127, eKlosi” asa E Crminio ci 6 mastice Vo) D Groello — (04 equa PVistiMata Dalle 56) copoc Di 44 Urlo QLeido urico E&f) 7° Ca 6 b One” Aegra dA lata 9 ‘ n Ù (COStrra 4 SACSA Ae ld, INDICE DEL VOLUME IX, SERIE IV. MEMORIA Pennacchietti — Sui parametri differenziali. . ........ . I G. De Angelis D’Ossat—// /hinoceros (Coelodonta) etruscus. Falc. ea nn. . |... 4 II Curci — Aicerche sperimentali sull'azione biologica del tallio . . . I O. Modica — /icerche farmacologiche sulle idramidi e sulle rispet- ©’eccccC'E E a... —_..Wi A. Capparelli — Alterazioni, in vitro, del sangue per le elevate tem- cc... CRA a .............} A. Curci — L'azione biologica in relazione colla costituzione atomica dell'idrogeno solforato, dei mercaptani e del solfuro di metile VI G. Caldarera — Le sostituzioni rappresentate mediante trasposizioni VII A. Curci — Licerche sperimentali sull'azione biologica del tallio. . VII Neviani Antonio — Briozoi postpliocenici di Spilinga (Calabria) id (cod tioure Intercalate nel testo). cs i... IX : A. Curci — L'azione biologica în relazione con la costituzione atomica dell’idrogeno solforato, dei mercaptani e del solfuro di metile X Prof. Ughetti — Azione del curare e della cocaina sulla tempera- tura del corpo in rapporto alla teoria del processo febbrile . XI O. Modica — ricerche farmacologiche sulle idramidi e sulle vispet- tive basi isomere, con speciale riguardo alla relazione tra Va- zione e la costituzione atomica — Nota 1* —Amarina ed idro- e ii... a... Detto -- Idem — Nota 2% — Furfurammide e furfurina. . . . XIII Dr. Motta Coco — rigenerazione delle fibre muscolari striate ee {a __.1_ XV Prof. P. Aldinio — Sul Tomistoma (Gavialosuchus) Lyceensis del Calcare miocenico di Lecce (con'2 tavole) . . ........ XV | Prof. 0. Sciuto-Patti — Contribuzione allo studio dei Tremuoti in Sicilia (con una (OG. ''eeooaona——n_———_r_©/l Calabria (con"2 tavole). . LI . NVII G. B. Ughetti — Sulla patogenesi della febbre (con'1 tavola) +. . .XVIII . . . . Dr. A. Fucini — Studio geologico nel Circondario di Rossano in | | i iaia ——— e c/c —«z——5«AoRE_Vvw\w_yEEEEE: ba + IL VR datata