MALPIGHIA
RASSEGNA MENSILE DI BOTANICA
REDATTA DAL
DOTT. L. BUSCALIONI
Pror. ORD. DI BOTANICA NELLA R. UNIVERSITA DI CATANIA
ANNO XXIV — VOL. XXIV
MARCELLO MALPIGHI
1627-1694.
CATANIA
Tipografia « La Siciliana » Fratelli Perrotta
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MALPIGHI
RASSEGNA MENSILE DI BOTANICA
REDATTA DAL
DOTT. L. BUSCALIONI
PROF. ORD. DI BOTANICA NELLA R. UNIVERSITÀ DI CATANIA
ANNO XXIV
MARCELLO MALPIGHI
1627-1694.
CATANIA
Tipografia « La Siciliana » Fratelli Perrotta
1912
boc ms | CONDIZIONI :
La MALPIGHIA si pubblica una volta al mese, in fascicoli di 3 fogli di stampa ab
meno, corredati, secondo il bisogno, da tavole. ` —
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Sé
Dort. ENRICO MUSSA
La "FLORA SARDOA, del Moris
La Biblioteca Civica di Torino possiede, fra gli autografi di per-
sone illustri, un mazzo di lettere dirette da Giacinto Moris a Carlo
Capelli, nelle quali si contiene come la cronaca delle origini della
« Flora Sardoa ».
Sono lettere scritte in uno stile semplice e famigliare pieno di
sincerità e di entusiasmo per la sua idea, di venerazione affettuosa
verso il suo Maestro prof. Carlo Capelli — in esse sentiamo palpitare
il cuore di due insigni botanici del Piemonte, Moris e Capelli, ai quali
l'Orto Botanico di Torino fu tanto debitore, e da esse esala come un
soave profumo del fiore della riverenza in Moris, del fiore della be-
nevolenza paterna in Capelli, del fiore del sapere in entrambi: ebbene,
sia lecito a me, a distanza di quasi un secolo, di far rivivere quelle
` scritture, che hanno il dono di ritemprare lo spirito nostro nel ricordo
delle forti volontà di chi ci ha preceduto.
Appena il Moris fu mandato, nel 1822, all’ Università di Cagliari
quale professore di Clinica, ebbe subito una nobile preoccupazione,
quella di compilare la statistica descrittiva della vegetazione di quelle
nobilissime terre di Sardegna; e questa sua idea egli persegui con sin-
golare tenacia, « con l'ardore e lo zelo di chi opera per una sua in-
clinazione, per appassionatezza di studio. per irrequieta di saper
vaghezza » (1).
Nel 1828, infatti, pubblicava un primo « Stirpium sardoarum
Elenchus », preludio alla magistrale « Flora Sardoa », della quale il
primo volume comparve poi solo nel 1837 in bellissima edizione in-4,
coi tipi della Stamperia Reale di Torino, il secondo nel 1843, il terzo
| mel 1859: purtroppo la morte non gli consenti l'appagamento dell’ u-
(1) Chiappero Franc., Necrologio di G. G. Moris in «Giornale di Farmacia
e Cliniea», Tomo XVIII, 1869 — Torino, Speirani.
3 ENRICO MUSSA
nico desiderio che lo accompagnò negli ultimi suoi anni, la pubblica-
zione cioè del quarto volume a compimento della colossa'e sua opera.
Questa sua preoceupazione si rivela già in una lettera al prof.
Capelli, in data delli 8 marzo 1823, nella quale lo informa ehe le
eure della eliniea lo assorbono molto, ma esprime la speranza di po-
tere nella prossima primavera audare in cerca di piante. È
In una successiva lettera del 18 aprile 1823, fra altro, scrive:
«non si è parlato ancora di Flora Sardoa; converrebbe che uno
stesso sito fosse percorso in diverse stagioni dell’ anno, cioè neil’ in-
verno e nel cominciar dell’ estate e in primavera; nei mesi di luglio,
agosto e settembre ed anche in parte di giugno e di ottobre non si
potrebbe comodamente viaggiare nelle pianure a cagione della così
detta intemperie » (1).
Espone quindi il vivissimo desiderio di avere il prof. Capelli a
compagno di erborizzazione ; domanda poscia due copie del catalogo
del giardino botanieo di Torino, pubblieato dal Capelli, per darne un -
esemplare all’ Intendente generale Greffier, amatore di botanica, e l’al-
tro al Canonico Murcas, Preside del Collegio dei Nobili, il quale man-
teneva, nel giardino della Società di Agricoltura in Cagliari, parec-
chie piante a proprie spese, ed era pure amatore di botanica ; al quale
desiderio il Capelli volentieri annuiva ed il Moris tosto serupolosa-
mente rispondeva, per ringraziare, con lettera 4 ottobre 1823,
'
Nella prefazione alla «Flora Sardoa» il Moris afferma di avere
cominciato i suoi viaggi — s'intende a scopo botanico — attraverso
Il’ isola nel 1824: «anno MDCCCXXIV itinera per varias provincias
ingressus sum ». ;
(1) Di questa «intemperie » parla il Moris a pag. VIII della sua «Flora
Sardoa»; Humiliores Sardiniæ campos a junio ad decembrem peragrantibus, alie-
nigenis praesertim, incumbit sic dicta Intemperies. Hoc nomine caussæ morbi,
ipseque morbus appellari consueverunt, nunc scilicet gastroenteritis, nunc, et
| potissimum autunno, periodica febris, pblogosi gastro-enterica, aliave identidem
rate. |
LA « FLORA SARDOA » DEL MORIS 3
Perd già nel 1823 egli aveva, quanto meno, delibato la flora in-
sulare, ed infatti in una lettera, in data 15 giugno 1823, egli dava un
sommario brevissimo delle sue impressioni floristiche ; tale lettera scritta,
come al solito, in una forma semplice e piena di sentimenti di vene-
razione verso il Capelli, merita di esser qui riprodotta, come quella
che si può considerare il punto di partenza della « Flora Sardoa »:
, All’ Ili.mo Sig. Pad.ne Col.mo
Es il Sig. Dr Carlo Cappelli
| . Professore di materia medica e Botanica
nella R. Università di
Torino.
Cagliari, il di 15 giugno 1823.
(RO Stimatissimo e Carissimo Sig. Professore,
A | Sono felicemente ritornato dal mio pieeolo viaggio, le discorreró
di quanto ho osservato — gli arboscelli che generalmente crescono nei
contorni di Cagliari sono il Lycium europaeum, la pistacia lentiscus,
di eui le potrò mandar semenze se ne desidera, l’ a/ripler halimus,
oltre aleune specie di cactus che sono adoperate per formare le siepi ;
tra Cagliari e Monastir ho trovato il cistus glulinosus (1) con una spe-
cie di lavandula che mi pare la stoechas: tra Monastir e Ussana una
specie di Aibiscus (2): la temperatura all'ombra in Ussana era + 18 il
giorno 20 maggio: tra Ussana e Mandas carduus marianus : tra Man-
das e Arizzo nelle foreste dette dell’Arcidano quercus, non posso dire
se sia il robur od altra specie: il quercus suber ed il quercus ilex di
considerevole ampiezza ed elevatezza : alcuni di questi alberi cadevano
di vecchiaja, ve n’ ha in grandissima quantità: parmi che se ne po-
. trebbe trar gran partito: smilax aspera cresce in gran quantità so-
| (D Flora Sardoa: I, p. 205, sotto Helianthenum glutinosum Pers.
(2) Probabilmente sarà |’ Hibiscus Esculentus Linn, unica specie del genere
| registrata nella Flora Sardoa, Vol. I, pag. 308 (colitur in insula S. Pietro), e della
quale esiste nell'Erbario del Moris un unico esemplare colla scritta: culta —
— Carloforte, 1826, maggio.
SE E
4 ENRICO MUSSA
stenuta per lo più dal pistacia lentiscus. Non ho potuto ben osservare
se vi cresca anche la smilax mauritanica che. crescendo in Corsica ed
in Barbaria, vi sarà molto probabilmente in Sardegna: il pancratium
maritimum con altre specie di cistus e di helianthemum cresce pure
nelle suddette foreste : al nord-est del Genientu (1) srande quaniità di
erica arborea: all’ avvicinarsi di Arizzo boschi di noci, di castagni e
di altre piante officinali, digitale porporea siupenaa e molto elevata:
In Arizzo si semina molta quantita di lino; da qualche tempo sola-
mente sono state introdotte le patate e la meliga.
Arizzo passa per uno dei paesi freddi della Sardegna: gela l in-
verno la terra ma a ben poca profondità, la neve non copre più d’otio
giorni continui la superficie della teria : tra Arizzo e Gine geniu selve
composie d'Arbutus unedo, di ilex aqvifolium, e di taxus baccata: Va-
sphodelus ramosus orna una gran parte delle campagne della Sarde-
gna; dove più non v'ha questa pianta nelle montagne, v'ha la san-
tolina chamae cynarissus in grandissima quantità: ne! ascercere i
luoghi aridi del Ginergen:u poche p'ane: non mancherò di mardarle
quelle che ho trova o: sulla vetta del Giuev;entu ‘| me-cario del baro-
metro è disceso a gradi 23, nel termometro a gra i 6 sop'a lo zero:
da quella vetta scopresi quasi tutta l'isola e vedesi il mare qaasi da
ogni intorno: oltre gli albe. i suddetti rel discencere si è incontrato
lacer monspessula.au.a: noa posso menda le a'eune pianie che Lo rac-
colto per ora, ma ro. manche à per la prima occasione : esse sono ben
poche: dove si iroverebbe un maggiore numero di pianie si è tra gli
stagni ed il mare, ma quest’ anno non ho potuto andarvi, d'altronde
quei luoghi diconsi qui intemperiosi cioè miasmatici: spero l’anno ven-
turo di poter far un viaggio un po’ più lungo e meno in fretta di que-
‘sto ; tutto quello che raccoglierò di particolare, se qualche cosa racco-
glierò, sarà suo: se vi sarà nel giardiao di questo sig. Canonico Mur-
cas qualche pianta che per avventura non vi sia in quello di Torino
proeureró di mandarle delle semenze : vi andrebbe veramente per viag-
giare con utilità in Sardegna una persona che avesse maggiori eogni-
(1) Genna-entu,
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LA « FLORA SARDOA » DEL MORIS 5
zioni di quelle che io mi abbia, e che non dovesse in altre cose occu-
. parsi che di questa: parmi pertanto di aver osservato che le piante si
presentano qui con colori infinitamente più vivi che da noi, ma che
il numero di esse è ben inferiore a quello delle pianure del Piemonte
e delle Alpi: percorrendo luoghi più umidi ne troverò forse un mag.
gior numero: non ostante che vi sia in Sardegna ospitalità e che il
viaggiatore sia benissimo accolto in case particolari, alle quali convien
ricorrere perchè le osterie sono rarissime, tuttavia conviene dire che
il viaggiare costa di più che in terraferma, dovendo colui che viaggia
tener con lui un cavallo, e-pagar una guida a cavallo e altre piccole
cose : si trovano viaggiando assai ampie estensioni di terreno incolto:
non vi sono prati artificiali che in Orri dove sono stati introdo:ti dal
Sig. Marchese di Villermosa: p rmi che vi sarebbero molti luoghi
atti ella formazione dei prati poichè si incontrano molte piccole ele-
vatezze, e_molte piccole valli: la quantità del bestiame principalmente
di pecore è immensa, ma d’inverno vivendo sempre questi animali
all’ aperta campagra, sopratutto quando l’ annata è secca e scarseggia
il pascolo, ne muiono molte: quest’ anno ne sono morte senza esage-
rare migliaia: si anderebbe all’ incontro di tutto questo coi prati arti-
ficiali : il racco to del grano è qui quest’ anno appena mediocre; non
par che sarà così del vino. ‘
Io le debbo render grazie per lo Sprengel che mi ha inviato: le
sarò riconoscente anche per questa cosa: vorrei anch io poterla obbli-
gare in qualche cosa, ma conti almeno sulla buona volontà: sarà sem-
pre uno dei più bei piaceri cho io mi abbia in Sardegna il ricevere
lettere di lei, perciò la prego mi continui la benevolenza, che io sarò
sempre il E.
: suo umil. servo ed amico
Moris
Nella primavera del 1824 il Moris percorreva la maggior parte
dei luoghi d’aria più malsana dell’ isola e di ciò informava, con let-
tera 16 maggio 1824, il prof. Capelli, mentre insisteva sul concetto
che, per attuare la divisata « Flora Sardoa », occorreva l'appoggio del
Governo. E quest'appoggio non doveva venir meno: infatti il 24 luglio
* Ce den. A a Sie Zen a
EE
6 ENRICO MUSSA
1824 il Moris scriveva al Capelli che il Ministero aveva «disposto di
dispensarlo, per il tempo necessario, dalla scuola di Clinica, per in-
traprendere la flora della Sardegna ». In quella stessa lettera egli espri-
meva la speranza che il Capelli si sarebbe recato in Sardegna a di-
rigerlo nelle sue ricerche, e questo vivo desiderio ed analoghe affet-
tuose sollecitazioni egli ripete nelle lettere successive.
Intorno a quel tempo Alberto di Lamarmora doveva intrapren-
dere — nel novembre 1823 -- un viaggio di due anni per studi illu-
strativi dell’ isola dal punto di vista mineralogieo ed il Moris inten-
deva profittare appunto dalla fortunata circostanza per avere nel La-
marmora un compagno preziosissimo nei suoi viaggi.
Nè bastava la semplice dispensa dalla scuola di Clinica — oecor-
revano anche sovvenzioni — ed ecco che il Ministero avrebbe concesso
un sussidio per l’ intrapresa della Flora: di che il Moris subito, il 30
luglio stesso anno, teneva in corrente il Capelli rinnovando la pre-
ghiera di recarsi in Sardegna per dirigere le raccolte, o quanto meno
di mandargli una persona pratica di erborizzazioni.
Pare che il Capelli si arrendesse alle preghiere reiterate del Mo-
ris, poichè questi il 18 settembre 1824 gli scriveva che non poteva
pervenirgli notizia più grata di quella che gli annunziava la risolu-
zione del Capelli di venire nell’ isola; lo avvertiva soltanto di non
partir prima del'a seconda metà di novembre perchè essi non si sareb-
bero messi in viaggio che nel dicembre.
Gli dava quindi notizia delle scarse opere di botanica che egli
possedeva e cioè: la Flore francaise di Lamarek e De Candolle, il
Systema di Linneo, i Genera Plantarum del Jussieu, le Istituzioni del
Targioni, gli Élémens de Botanique del De-Candolle, la Filosofia del
Linneo, ecc., oltre ad un « Willdenow », ad una « Flora gallica » di
Loiseleur, ad una «Distributio plantarum » del Wittmann, ad una
« Flora suecica » di Linneo, posseduti dall’ amico prof. Cossu: racco-
mandava di non dimenticare le opere riguardanti la descrizione delle
Crittogame e di comprargli un Persoon: invero scarsa suppellettile li-
braria, eppure anche con sì limitati sussidi scientifici la «Flora Sar-
doa» riuscì un monumento alla nobile Isola — e eonchiudeva con que-
ste parole « La aspetto colla più grande impazienza ; ed il cav. La-
LA « FLORA SARDOA » DEL MORIS 1
marmora, nostro compagno di viaggio, e l'Intendente generale pure
sono ansiosi di fare la conoscenza della di lei persona »; donde appare
in quanta considerazione il Capelli fosse tenuto.
Intanto la pratica del sussidio subiva un ritardo forse anche per
l'avvenuta morta della Duchessa del Chiablese, ed il Moris sollecitava
il Ministero dimostrando come la decisione fosse urgente per metterlo
in condizione di approfittare della compagnia del Lamarmora.
La compagnia di questo valente uomo era a lui infatti partieo-
larmente preziosa in quanto il Lamarmora da quattro anni aveva
percorsa l'isola e di nuovo doveva percorrerla nei due successivi, e
perchè, sapendo disegnare benissimo, poteva anche dipingere delle
piante come, del resto, aveva promesso. Insisteva ancora sulla necessità
che il Capelli, recandosi in Sardegna, si procurasse un cavallo perchè
indispensabile: — «conviene in Sardegna camminare per ben molte
ore ed alle volte mezze giornate per trovare alloggio; è vero che tal-
volta dormiremo alla campagna, epperciò abbiam già pensato a pro-
curarvi una tenda, ma il cavallo, non solo per la ragione suddetta ci
sarà necessario, ma perehé esso passa in luoghi dove noi non potrem-
mo passare; vedrà ehe i cavalli sardi ci porteranno sino alla cima
delle montane colla più grande prontezza e sicurezza: le nostre gite
saranno piacevolissime ; ella troverà una vegetazione che la soddisferà:
la compagnia del cavaliere le sarà, credo, gratissima; Ella troverà qui
le maggiori accoglienze, perchè qui sono convinti dei meriti di Lei,
e perchè viene in quest’ isola per un ogzetto da tutti da gran tempo
desiderato » (30 ottobre 1824). Parole semplici, ma che rivelano una
perfetta sincerità d’ animo ed un grande entusiasmo per |’ intrapresa
della Flora.
Il Moris non pensava allora a certi inconvenienti che può sempre
presentare il fare della botanica a cavallo, come per altro lo esigevano
la mancanza di strade e di ponti, le distanze, e la necessità di recare
con sè le provviste; nè poteva prevedere la innocente avventura che
gli doveva capitare nel 1825, raccontata dal Lamarmora con queste
parole: Aprés qu'il eut fait dans cette région une ample provision de
belles Malvacées, qu'il avait disposées avec soin entre des feuillets
d'un gros porte-feuille qu'il portait sur son dos, le docte professeur,
8 ENRICO MUSSA
ayant vu une plante qui |’ intéressait, n’ eut rien de plus pressé que
de descendre de cheval et de passer son bras dans la bride pour em-
pécher l'animal de s'éloigner; puis il se mit à genoux pour mieux
enlever la plante, qu'il eonvoitait; pendant ce temps, par l'effort qu'il
fit en se courbant, son porte-feuille s'ouvrit, et se trouva préeisement
à portée du museau du cheval que la faim, l'oceasion et l'erbe tendre
(comme dit le bon La-Fontaine) pussérent à s'en donner à belles dents,
comme s'il eut été devant un ratelier à foin ». (1)
Ma è solo alla condizione di affrontare anche queste piccole avven-
ture ehe poterono il Lamarmora fare della geologia in Sardegna, ed
il Moris eseguire nell’ isola quelle ricerche pazienti e laboriose mercè
le quali la botanica si è arricchita della monumentale Flora Sardoa.
Il Moris intanto non perdeva tempo chè, il perder tem o a chi
più sa più spiace, ed egli ben sapeva quanto lavoro gli si apprestava
e quanta dovizia di flora aveva da studiare.
Nuovamente e sempre insisteva presso il Ministero e di queste
insistenze informava il Capelli — 13 novembre 1824 —: ma pare che
la pratica avesse alternative di progresso e di stasi; infatti, il 27 no-
vembre 1824, scriveva di nuovo: « col penultimo corriere mi si annun-
ziava che la cosa sarebbe stata sistemata; ^oll' ultimo nuovamente mi
si dice che non si sapeva quando; l'andamento di ciò è veramente
quello di una febbre periodica ». |
A queste incertezze si aggiungeva poi l’altra relativa alla venuta
in Sardegna del Dott. Bertero che il Moris sperava di avere a eom-
pagno: ma il Ministero lo avvertiva che in tale attesa egli avesse ad
occuparsi da solo della raccolta delle piante.
Pare, a questo punto, che il Capelli gli avesse fatto balenare la
possibilità d’una sua visita in settembre od ottobre; ma il Moris, con
lettera dell’ 8 gennaio 1825, ne lo sconsigliò perchè « questi sono ap-
| punto i mesi in cui l’aria è più micidiale in queste pianure, e la cam-
ES pagna, massime di questo capo, è arida affatto; non si può in Sarde-
i gna, dal luglio al novembre ed anche al di là di quest’ epoca, viag-
giare senza rischio della salute e della vita ».
(1) A. Lamarmora: Itinéraire de l'ile de Sardaigne, vol. I, pag. 259,
LA « FLORA SARDOA » DEL MORIS 9
Finalmente il Dott. Bertero approdava all’ isola, e subito si met-
tevano in cerca di piante: «abbiamo già raccolto qualche pianta e tra
altre un Narcissus ed una Ononis di cui non abbiamo trovato la de-
scrizione; però le peregrinazioni formali non hanno ancora cominciato:
comineieranno domani e le continueremo insino a che la stagione lo
permetta » (6 marzo 1825): e difatti le eseursioni botaniche, che il
Moris aveva dovuto procrastinare, perchè quell’anno la vegetazione era
in ritardo, cominciarono effettivamente allora e durarono poi fino al luglio.
Il 9 luglio scriveva: « Sono al termine delle mie peregrinazioni
botaniche per questa estate: parmi di godere buona salute, ma sono
stanco, e stanco assai; ho percorso nell'ultimo viaggio la provincia
orientale dell’ isola detta Ogliastra: questa è montagnosa sovra ogni
altra; ma quello che maggiormente mi ha fatto soffrire si fu il calore
eccessivo: esso era a più di 26 del termometro di R. all’ ombra ed a
700 metri al di sopra del livello del mare. Non ho più avuto in que-
st' ultimo viaggio la compagnia di Bertero, partito dopo la metà di
giugno, per terraferma; ho aggiunto circa 300 specie a quelle che
già avevo..... Manderó a V. S., pel cav. Lamarmora, il quale parte
presto di qui per la terraferma, esemplari scelti di piante: la pregherò
del suo parere; avrò cura)di scegliere le specie che la possono mag-
giormente interessare; riserbandomi sempre d’ inviarle, delle altre di
cui le darò la nota, tutte quelle che desidera ».
E difatti l’ 8 agosto preveniva il Capelli della spedizione di piante,
precisamente a mezzo del La-Marmora che lasciava l'isola.
Ed il Lamarmora aveva ricevuto un’ottima impressione del Moris
e del suo zelo scientifico, come esplicitamente lo ricorda con queste
parole: « Ayant eu l'avantage de l'aecompagner dans une grande par-
tie de ses excursions dans l'ile, y compris Ja premiére, qu’ il fit avec
l'infatieable et infortuné Bertero, je puis attester que mon savant et
consciencieux confrère a mis autant de soin et de perseverance dans
ses recherches locales qu'il en a employ? depuis à en publier les ré-
... sultats > (1).
(1) Albert de La Marmora; Voyage en Sardaigne, vol. II, pag. 167, Paris,
Bertrand, 1839.
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KS ie NM PU EE RER + Mes Ae EE a RR eg?
10 ; ENRICO MUSSA
Partiva dunque il La-Marmora; ed era già partito il Bertero, il
quale aveva fatto nell’ isola una permanenza di pochissimi mesi, come
ricorda il Moris nella prefazione alla sua « Flora », con queste parole
che sono un elogio ad un tempo ed una espressione di rammarico :
«Comes mihi primum fuit doctor J. Baptista Berterus a botanica eru-
ditione haud minus paratus, quam clarus ob stirpes in scientiae in-
crementum inventas atque illustratas; trimestri autem spatio, postquam
insulam advenerat, adversa valetudo in patriam reducem fecit; recor-
dationem amici, quem acerbum in Oceano fatum premebat, grato animo =
nullo non tempore repetam » (2). E
Ka d er
NP eee Zi ch
Il Moris, finite le escursioni di quell’anno, si metteva all’arduo
lavoro del coordinamento del materiale raccolto: 3
« Aspetto con impazienza il Systema vegetabilium di Sprengel 3
che V. S. mi annunzia: sento vieppiü la necessità di avere opere; :
sto ora disponendo per ordine alfabetico le specie raccolte; la setti- :
mana ventura avrò terminato, quindi mi occuperò di mettere da parte
tutto quanto posso eredere piacerà alla S. V. Non ho ancora raccolto
fuchi: comincerò il mese venturo: non gliene manderò per ora, ma
ella ne riceverà questo inverno; ageiungeró alle piante, che le man-
derò, la nota compiuta di tutte quelle che posseggo, perchè possa sce-
gliere ; desidero che possegga tutto quanto brama di quest’ isola. Le
manderò semenze per il giardino, e quelle che non avrà quest'anno,
le avrà il venturo; solo debbo pregarla a volermi indieare, con suo
comodo, dopo ricevuta la mia nota, quelle semenze ehe non avrà rice-
vuto, affinchè le possa far raccogliere; ve ne sono molte mature in
questo tempo, che converrebbe raccogliere; ma io nun posso sortire
di casa, prima che abbia messo un po’ d’ordine al chaos che ho nelle
piante............. » (20 a:osto 1825).
p ode. Il Moris preparava intanto le piante da lui promesse; esse tosto
| erano pronte per la partenza: « Gliele avrei già dirette, se non avessi
temuto di consegnarle a bastimenti mercantili, a cagione che questi
sono perseguitati, od almeno potrebbero essere, dai Tripolini, coi quali
siamo ora in guerra; se si presenterà occasione, presto le dirigerò a
(1) Bertero mori il 9 aprile 1881 fra Thaiti e il Cile.
LA « FLORA SARDOA » DEL MORIS 11
Genova per un bastimento regio, altrimenti finirò per servirmi d’ uno
dei mercantili. Lavoro assiduamente, ma se non sono aiutato non so
come farò, ed ella, a preferenza d’ogni altro, mi può dare aiuto. Ho
scritto al Ministero che abbisognavo d'un giardiniere per liberarmi
dalla fatica materiale; consideri che sono costretto a disseccarmi io
= Solo le piante: ho provato a far fare ciò dal servo, ma ho dovuto ri-
|» pigliare io. Thomas m'aiuta assai nelle ricerca... ma non abbiamo per-
corso che la sesta parte circa dell’ isola ; rimangono luoghi montagnosi
assai; non mi sono occupato nè delle piante marine nè dei fuchi; ap-
pena ho raccolto qualche Crittogama..... Thomas non verrà meco que-
st’ inverno e questa primavera: desidera esso di percorrere la parte
più meridionale dell’ isola già percorsa da noi e mi preme che per-
corra in stazione diversa da quella, in eui noi abbiamo visitato, li
diversi luoghi: non dubito che troverà molte specie che non abbiamo
potuto ritrovare ».
Anche di questo suo collaboratore Filippo Thomas fa menzione il
= Moris nella prefazione della « Flora», dove lo presenta come una per-
sona pazientissima nel raccogliere e determinare le piante.
Insisteva quindi sul bisogno in cui si trovava d’un giardiniere
‘pratico in erborizzazioni e si raccomandava anche per questo al Capelli.
E con questa lettera del 31 ottobre 1825 ha termine il carteggio
riflettente la « Flora Sardoa ».
Esistono antora nel mazzo altre lettere dirette dal Moris, cià da
Torino (Valentino), al Capelli a Pest, dovo questi si trovava in qua-
lità di capo della Commissione di S. M. Sarda per lo studio del Cho-
lera, che allora infestava quei paesi: tali lettere però contengono sol-
tanto informazioni circa l Università e l'Orto, insieme con vive, insi-
stenti preghiere di aversi molte cure per difendersi contro la malattia,
che tuttavia il Capelli doveva poi contrarre.
. Leggendo le lettere del Muris si comprendono tutte le difficoltà
| che egli ha dovuto incontrare e vincere per conseguire il suo scopo,
ma si rimane confortati nel vedere con quanta sicura fede e costanza
abbia egli perseguito il suo divisamento ed assicurato così alla lette-
: ratura botanica della Sardegna un 'opera fondamentale di valore vera-
mente eccezionale.
ridestare queste omai vecchie carte per farne una semplice
spigolatura, io ho inteso unicamente di presentare un modesto docu- `
mento illustrativo per la storia della Botaniea piemontese e di portare
un tenue tributo d'omaggio a due illustri uomini che ressero valente-
mente le sorti del glorioso Istituto Botanieo Torinese: Carlo Capelli `
e Giacinto Moris.
COMPORTAMENTO DELLE SOSTANZE ORGANICHE
ED INORGANICHE NEGLI ORGANISMI VEGETALI
Nota 1° di ETTORE VASSALLO
`
Da tempo è nota l’azione che spiegano alcune sostanze quando
vengono introdotte nei vegetali e specialmente quelle che valgono alla
ricostituzicne delle pianie.
Malgrado di tale studio si siano occupati numerosi sperimentatori,
i metodi di somministraziore usati finora non sono stati sempre ade-
guati a'lo seopo, nè privi ci inconvenienti.
Di solito si sono im»iegzate culture in terreni o liquidi nutritizi
speciali, nei quali vien in:rodotia la sostanza che s: vuole cimentare.
Le culiure in terreni peid nor hanro po.uo dere risultati precisi,
sia per le speciali condizioni fisiologiche in cui v ere » trovarsi la
Dana: sa pe’ la lentezza coi la qua'e avviene l’ assorbi neato, che
fa su, ie in g'an parte, e talvolta anche cel tu ^o, la nalura dei
fenome.i c'e si svolgono; sia quantita.ive mea e, pechè della sostanza
propinaca solo una picco’s parte vien assorbita ed assimilata. Nume-
rosi soro gli spesimeniasori che si sono va'si di ques;o metodo. Tra i
più irporanti lavori ramwenieıö che nel 1863 Besanez (a) fece, con
colture in terreno, celle ricerche sull’assorbimenso dei ve'eri metallici
nelle pianie. Egli operò eon caiboneto di piowbo, rame, zirco ed os-
sido di mercurio e trovò che le pianie non asso;bono dal suolo tali
prineipii che in quantità estremamente tenui.
Nel 1899 Luz (1) riprese lo siudio di sostanze attive sulle piante
di Zea mais, Cucurbita maxima, Heliantus annuus, ecc. coltivati in
sabbia silicea. sterilizzata ed ha impiegato come prodotto di studio nu-
merose ammine ed alcaloidi. Trovò che le ammine a peso molecolare
(a) Ann. der. Chem. u. Pharm, t. CXXVII p. 243.
(1) Those de Paris 1899.
14 ETTORE VASSALLO
basso sono facilmente assimilabili senza subire una previa trasfosma-
zione in ammoniaca ed acido nitrico, Per contro la fenilammiua, nafti-
lammina e gli alcaloidi esercitano una azione tossica sulle piante.
Numerosi studi della stessa nalura, sulla vegetazione, furono pub-
blieati da quell’anno ad oggi e per brevità rimando alle memorie ori- E
ginali (1). Nel 1906 Lefevre (2) ricercò l' influenza dei prodotti assi-
milati sulla sintesi nelle sostanze azotate e degli albuminoidi nelle
piante ed osservò che le piante tollerano benissimo anche la tirosina,
la glicocolla, la leueina ecc., purchè vengano propinate a dosi molto
piccole. | |
Tentativi di somministrazione mediante l'allevamento delle piante e
in soluzioni nutritizie furono fatte su larga scala. A questo scopo, |
quando la pianta ha raggiunto un certo grado di sviluppo in una data
soluzione nutritizia, si aggiunge la sostanza di eui si vuole sperimen- |
tare il comportamento. La prima idea di questo metodo si trova ripor- | |
tata nella Physique des arbres di Duhamel, in eui si vuole anche di- ——
mostrare che le soluzioni concentrate sono nocive alle piante ed è ci- |
tato il caso di piante boschive allevate in soluzioni aequose.
Fanno seguito i lavori di De-Saussure (3) che esperimentò in so- —
luzioni l'assorbimento delle materie zuccherine a mezzo dell: radici, e — —
notò che le piante assorbono una quantità rilevante del seno in
prova ed il 30 Ojg di zucchero.
Lavori analoghi fecero in seguito molti altri (4). Più recentemente |
Laurent (5) riprese gli studi sull'assimilazione degli idrati di carbonio >
(1) Bull. Soc. Ch. Paris, XIX, 628, 1235, 1239 — C. R. Acc. de Fr. CKXXIV, ©
1228 — Bali. the coll. Agric. Tokio, V, 461, 491, 509, 513, 517—VI, 2 VII, 83,85
— Central BI. fur Agrik. Chem. 1904 (Loew) 10—1905 (Voeleher) 3.1906 (Randa) `
— Bull. Imp. centr. Ag. Exp. St. Japan I. 1. pag. 85— Central. Bld. Chem. 1905 ;
(Parchet, Ewert. Toyonayo, Bela) — Staz. Agr. Sp. It. XXXVIII 1015 — Journ.
£ Landw. LIV, 128 (1906). k
(2) Revue gen. de Botanique XVIII — 146 ecc.
(3) CERS Chimiques sur la vegetation. Paris, 1804. 7
(4) Sachs — Fisiologie vegetale p. 134 — C. Bl. d. ch. XVII, p. 257 (1862) — —
GR acc. de Fr. LVIII — 828 (1888). |
(5) These de dre 1903.
COMPORTAMENTO DELLE SOSTANZE ORGANICHE ECC. 15
e Lutz (1) sperimentò l’azione dei composti a nueleo benzenico ope-
rando con muffe in liquido Raulin ; constatò che l’azione tossica varia,
per le ammine, di intensità secondo che il gruppo NH2 è fissato diret-
tamennte al nucleo benzenico, oppure alla catena laterale.
Nel 1° caso l’addizione del composto al liquido Raulin impedisce
lo sviluppo del fungo, nel 2° caso diminuisce soltanto il peso del
raccolto.
Da ultimo adottando tale metodo Ciamician e Ravenna (2) cerca-
rono di studiare il comportamento e la trasfurmazione dei glueosidi e
dei relativi prodotti di scissione nei vegetali. Ma dalle esperienze con
tali culture ebbero risultati incerti, per cui stimarono meglio ricorrere
alle culture in terreno ed alla inoculazione nel fusto.
Gli scarsi risultati ottenuti con questo processo, malgrado i nume-
rosi studi, debbono attribuirsi, a mio credere, spesso alla concentrazione
della soluzione per gli equilibri osmotici che si vengono a determi-
nare; più sovente alla attività biologica, talvolta grande, della sostanza
che si cimenta, contro la quale la pianta si trova in condizioni da
non potersi difendere con fenomeni di compenso.
Altri metodi sono stati adottati per propinare sostanze attive nei
vegetali. Si è infatti ricorso alla inoculazione diretta della sostanza
in istudio nel caule della pianta. A questo scopo, praticato in questo
um foro con una trivella, se si tratta di un vero fusto legnoso, oppure
con un temperino, se è a consistenza erbacea, si riempie della sostanza
. . e poi si chiude l'apertura con l'e pidermide, che si è avuto cura di non
staccare completamente, e si ricopre con cera o paraffina,
Così nel 1898 il Perosino (8) fece, con tale sistema. delle inocula-
zioni di cianuro di potassio in piante di viti ed alberi fruttiferi, a
scopo farmacoterapeutico, cioè. onde curare tali piante dalle malattie
erittogamiche e parassitarie, che spesso le infestano. Tralasciando di
. entrare a discutere il lato terapeutico della questione, noterò come l'au-
tore asserisca di essere riuscito a fare assimilare alle piante in esame,
1) C. R. d. Congres des Sc., Paris, 1905.
(2) Gazzetta chim. It. xxxvu1-582.
(3) Gazzetta delle Campague, Torino-Settembre 1898, Luglio 1899.
16 . ETTORE VASSALLO
operando in tal modo, quantità ingenti di detto sale, senza osservaré
il minimo deperimento, per quanto come tossico agisca sugli organi-
smi animali.
Nel lavoro poc'anzi citato Ciamician e Ravenna (1) ricorsero pure
a questo metodo senza ottenere risultati soddisfacenti, perchè le piante
soffrono con tale trattamento un rapido deperimento.
Infatti come è facile immaginare, il trauma altera, e spesso pro-
fondamente, i tessuti della pianta che l’hanno subito; intervengono fe-
nomeni di infenzione parassitaria, che si sostituiscono a quelli biolo-
gici vegetali dei quali si va in cerca; avviene necrosi nei tessuti, che
può modificare per se stessa la sostanza; pertanto la pianta spesso
muore ed i risultati che si possono ottenere riescono tutt'altro che at-
tendibili. |
Questo sistema venne esteso anche a piante che presentano nel
caule un vuoto come canne, bambù, ecc., sotto forma di vere iniezioni
nella speranza che la soluzione della sostanza iniettata assorbita per
i tessuti radiolari fosse rapidamente posta in circolo. Ma ciò non av-
viene, come io pure ho potuto sperimentare, colla rapidità necessaria,
mentre sopraggiungono facilmente i già accennati fenomeni di necrosi
dei tessuti con immediato deperimento della pianta.
Si può dire dunque che, per imperfezione di metodi, molte so-
3
vegetali; e molte conclusioni, alle quali si è arrivati, sono spesso az-
zardate.
Per poter dare sviluppo in modo razionale alle ricerche sull’ atti-
vità e sulla trasformazione di determinate sostanze nel metabolismo
delle piante, io ho pensato ch’era necessario anzitutto cercare un nuovo
metodo di somministrazione diretta; un sistema che togliesse cioè fra
che ci ponesse in comunicazione diretta cogli organi di assimilazione
materiale, cioè con le radici, in modo da poter costringere queste ad
possibile, in ordine col potere diffusivo dei liquidi nelle piante.
(1) Gazz. Ch. ital. XXXVIII, 582.
stanze non si sono potute studiare nel loro comportamento in seno ai
noi e la pianta l'intermediario del terreno e dei mezzi di cultura e
assorbire in toto la soluzione somministrata colla maggiore rapidità.
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COMPORTAMENTO DELLE SOSTANZE ORGANICHE ECC. 17
Da qualche tempo ho incominciato una serie di esperienze con
degli apparecchi da me costruiti per poter iniettare, a mezzo delle
sadici, soluzioni di sostanze nelle piante.
Già m'erano note le esperienze di Mae Dongal (1) fatte sui rami
di piante sensitive per lo studio del comportamento delle stessa di
fronte alle forti pressioni. i
Un tubo di gomma che partiva da un recipiente pieno di liquido
era in comunicazione con un ramo staccato da una pianta e contem-
poraneamente si esercitava sul liquido una pressione con una piccola
pompa, alla cui leva era attaccato un peso per ottenere una pressione
di una certa durata.
Su questo principio sono basati i due apparecchi che deserivo in
questa memoria, limitandomi qui ad esporre soltanto la parte mecca-
nica dell’operazione e a qualche cenno sulla tolleranza che presentano
le piante ad assorbire notevole quantità di soluzione. Tutta la parte
fisiologica e quella chimica che riguarda le trasformazioni che sono
capaci di subire i corpi di funzione diversa messi in circolo nelle
piante incomincerò ad esporla in prossime note successive.
| Mode!lo primo — Nella prima serie di esperienze mi sono servito
di un palo iniettore piuttosto primitivo. Questo constava di un corpo
di tromba (a) eomunicante direttamente eon un tubo a T (5) il cui
ramo laterale munito di una chiavetta va a passare in un recipiente
contenente il liquido da iniettare ed attaccato alla parte posteriore
dell'apparecchio. La parte inferiore di questo tubo comunica a sua
volta mediante un rubinetto con un manometro a mercurio dal quale
a qualche centimetro di distanza dal punto di attacco parte un tubo
laterale con prolungamento in caucciù e chiuso da una pinza a molla,
il quale è destinato a comunicare colla pianta.
Preparazione dell’esperienza — Al principio dell’ esperienza lo
stantuffo si trova in fondo al corpo di tromba (a); si apre la chia-
vetta (c) e si chiude completamente quella (d), indi si solleva lo stan-
tuffo per prelevare il liquido dal recipiente che lo contiene. Quando
(1) Bot. Gaz. XII-1906, p. 293.
18 : ETTORE VASSALLO
tutto il tubo (a) è carico di liquido si inverte la chiusura delle chia-
vette, mentre si apre una pinza a molla (f) che chiude il cacciù late-
rale al manometro. Si abbassa allora lo stantuffo e si arguirà che è
~~ scacciata tutta l’aria dall’apertura dell’apparecchio
Ce quando il liquido verrà a sgorgare dall’ interno
| del caucciù. TES |
| Si mette indi allo seoperto, con cura, la ra-
| dice di una pianta in modo che non venga lesa
in aleuna sua parte, si mozza in punta, si in-
e nesta al caucciù dell'appareechio, e vi si fissa con
una legatura. Compiuta questa operazione. si ab-
ci bassa lo stantuffo, e quando il mercurio, nei due
i rami del manometro, avrà raggiunto il dislivello
Lul
voluto, si chiude la chiavetta (d) per impedire
ogni perdita del liquido. La pianta assorbe len-
tamente, sotto la pressione, il liquido propinatole,
mentre la colonna di mercurio si abbassa man
mano.
Nel caso che si voglia rinnovare l'operazione
; e non si avesse più liquido a disposizione, nel
i corpo di tromba, è sempre possibile prelevarlo
dal recipiente di riserva col metodo già indicato.
‘ L’ottimo funzionamento di questo apparecchio
‘mi ha permesso di eseguire, con soddisfacenti ri-
sultati, fino dalla primavera 1909 e nella estate
dello stesso anno una serie di interessanti espe-
rienze su diverse piante.
Le prime esperienze e loro risultati. — Le
prime esperienze vennero fatte su piante diverse.
Anzitutto ho voluto istituire delle prove di con-
rollo per assicurarmi che tutto il liquido iniettato resti nell'organismo
vegetale e non trasudi attraverso le pareti radicali, a causa della pres- -
sione che deve sostenere la pianta. A tal uopo ho sradicato una pianta
di vite nel punto massimo della sua attività ed accuratamente ne ho
ripulite le radici, ad una di queste ho applicato |’ apparecchio carico
di acqua, a pressione; nessuna anormalità si è verificata e nemmeno il
trasudamento attraverso le pareti radicali. Ed è duopo immaginare che
COMPORTAMENTO DELLE | SOSTANZE ORGAMIOHE ECC.
man mano ehe il Takida veniva assorbito trovasse una necessaria e
sticità dilatatcria nei tessuti vegetali, e che contemporaneamente ne
venisse eliminato per le foglie per traspirazione. |
Ho quindi iniziato delle esperienze sopra piante in terreno, e ne |
risco i risultati numerici nelle tavole seguenti:
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22 ETTORE VASSALLO
Osservazioni alle prime esperienze. Dalle prove preliminari che a-
vevo fatte extra terreno mi era risultato che le robuste radici di una
pianta resistono anche ad una pressione superiore agli 80 em. di mercurio
per eui d'ordinario al principio dell'esperienza inalzavo presso i 75 cm.
la colonna di mercurio del manometro. Man mano che il liquido veniva
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assorbito si abbassava la colonna di mereurio in un ramo, mentre si
alzáva nell'opposto quella a contatto del liquido, per cui la pressione
nell'appareechio per ogni cm. di abbassamento della colonna diminuiva
del doppio, e ciò costituiva già un inconveniente perché l'esperienza
non veniva condotta in eguali condizioni di pressione ed occorreva sor-
vegliare troppo l’apparecchio.
E non solo, un altro inconveniente si verificava: quando al termine
dell'esperienza il mercurio si trovava alla stessa altezza, nei due rami
del manometro non si arrestava a questo punto, ma il tubo di caucciù
ripieno di liquido agiva come sifone ed esercicava una forza ascenzionale
sulla colonna di mercurio per cui questo traboccava nella conduttura
in gomma e si portava a contatto della radice. Così non era possibile
rinnovare l’esperienza senza sciogliere l’attacco alla pianta. Inoltre fra
il punto di attacco all'appareechio e quello di attacco alla radice correva
una distanza troppo grande per cui il caucciù risentiva una dilatazione
che poteva essere causa di errori considerevoli nella lettura dell’assor-
bimento del liquido.
Ed infine vedevo inopportuno che le soluzioni da iniettare si do- -
vessero trovare a contatto col mercurio perchè eventuali alterazioni dei
soluti stessi avrebbero potuto portare a risultati differenti ed inaspettati.
Modello secondo: In seguito a tali osservazioni, mi sono deciso a mo-
dificare completamente l’apparecchio, cercando principalmente di rendere
costante la pressione; di eliminare il manometro a mercurio sicchè il
nuovo modello risulta così costituito:
Un tubo di vetro a U le cui branche sono della lunghezza di un
metro porta in quella destra, che termina superiormente ad imbuto
presso la curva una diramazione laterale, destinata a comunicare con
la radice di una pianta, ad un po’ superiormente una chiavetta a chiu-
sura perfetta per togliere ogni comunicazione con l’esterno. la branea
sinistra comunica al suo limite superiore per mezzo di un tubo a T
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COMPORTAMENTO DELLE SOSTANZE ORGANICHE ECC. 23
con una scatola penumatica a doppia parete in ottone, munita di un
manometro matallieo (che segna da O ad 1 atmosfera), posta sulla parte
posteriore dell'appareechio. Alremo laterale di questo tubo a T è ap-
plicata una valvola a pressione.
Ridotto a tale semplicità I’ apparec-
chio ha tutti i requisiti necessari per il
buon andamento della esperienza. Infatti
si introduce il liquido da iniettare per
limbuto (a) tenendo aperta. la chiavetta
(b) e la valvola (d). Il liquido verrà così
a stabilirsi allo stesso livello nei due ra-
mi e potrà arrivare anche a pochi cen-
timetri dalla valvola (d). Indi si scaccia
l’aria dalla gomma (e) aprendo la pinza
a molla (h) e si fa l’applicazione alla ra-
dice convenientemente preparata.
Chiusa la chiavetta(J) con una pompa `
premente (l) si comprime |’ aria nell’ ap-
parecchio e la pressione interna ci verrà
indicata dal manometro applicato alla
scatola pneumatica.
Vantaggi nel nuovo apparecchio. Con
questo dispositivo è evidente che quando
la pressione interna sarà aumentata per es. di 1 atmosfera, la
massa dell’ aria contenuta nell’ apparecchio sarà raddoppiata. E per
quanto il liquido , che viene assorbito dalla pianta sotto |’ influenza
della pressione, lasci spazio al dilatarsi del volume del gas, questa
dilatazione non potrà mai portare apprezzabili variazioni 1ella pres-
sione interna dell’apparecchio, data la grande disparità che corre fra
il volume della scatola pneumatica ed il relativamente tenue volume
della diramazione sinistra del tubo ad U.
Fra gli altri vantaggi si noti inoltre la breve distanza che corre
fra l'apparecchio e la radice della pianta, essendo stato possibile tra-
sferire alla base dell'apparecchio la diramazione (c) e la chiavetta (b),
ciò che concorre ad una maggiore precisione nelle esperienze.
Ed infine, quel che più importa, si è checi offre un campo di os-
da
«Y
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C
24 = ETTORE VASSALLO.
servazioni assai maggiore, giacchè mentre coll’altro modello si poteva
osservare, durante una sola operazione, un abbassamento della colonna
di mercurio non superiore ai 45 em., eol modello in parola è possibile
fare osservazioni per uno spazio di tubo di circa un metro , e si può
abbandonare a sè l’apparecchio per un certo lasso di tempo senza che
sia necessario interrompere menomamente |’ esperienza.
Esperienze della primavera 1910. Con tale apparecchio ho iniziato
nella primavera testè decorsa una serie di esperienze con esito felicis-
simo, che riferisco senz'altro:
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26 ETTORE VASSALLO
Dalle tavole antecedenti è facile scorgere quale grande quantità
di liquido sia una pianta capace di assorbire con questo sistema di
somministrazione; come il vero vantaggio di questo nuovo metodo stia
principalmente nel fatto che ci è permesso di operare sopra piante in
condizioni fisiologiche normalissime, anche di una molestanza conside-
revole, per cui sarà tanto facile osservare mutamenti quando si voglia
studiare l’azione di sostanze di una speciale attività o costituzione chi-
mica. I varii fenomeni si rileveranno così in modo lento e graduale,
e quindi riusciranno più facilmente apprezzabili e classificabili all’os-
servatore. Si avrà infine una quantità considerevole di sostanza vege-
tale per lo studio chimico delle modificazioni che può subire la so-
stanza attiva in esame nell’interno della pianta.
Vedremo , come ho detto, nelle prossime note se questo cambia-
mento forzato obbedisca a leggi speciali relative alla concentrazione,
alla qualità dei liquidi iniettati, oppure a qualità biologiche della
pianta. Per ora mi limito a dire che l'assorbimento cresce coll'aumen-
tare del diametro della radice scelta per D inoculazione e che si pre-
senta massimo quando tale è pure l’attività della pianta.
Infatti esperienze eseguite alla fine dell’ inverno 1910 parlano in
proposito , avendo una pianta assorbito col primo apparecchio, nello
spazio di 48 ore, ce. 121,3 di soluzione di Na Cl al 0,50 °/,, mentre
le esperienze che ho riportato della fine dell’ estate 1909 .dimostrano
quanto inferiore fosse l’assorbimento in quei mesi in cui l’attività della
pianta stava per diminuire. i
Di tutte le piante iniettate non vi fu alcuna che abbia sofferto
disturbi fisiologici in seguito alle inoculazioni, anzi in alcune di esse,
specie in quelle che furono oggetto delle ultime osservazioni, ho notato
un vero rinvigorimente e benessere generale.
In seguito dunque agli ottimi risultati che ha dato l’ ultimo mo-
dello del mio apparecchio, ho iniziato una serie di ricerche per stu-
diare il comportamento e le trasformazioni che possono subire nel me-
tabolismo vegetale certe sostanze organiche ed inorganiche.
Pavia, Dicembre 1910.
Istituto di Chimica generale della R. Università.
e E il dovere di ringraziare il prof. Fausto Morini ed il prof. Al-
berto tti dell'Istituto Botanico dell'Università di Bologna per l’ ospitalità
accordatami in detto istituto onde compiere alcune delle esperienze citate nella
presente memoria.
II. Decuria - IV. Nota
Prorr. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI
(CON TAVOLE)
Generalità sull’ argomento
E’ noto che le foglie, in tesi generale, non mostrano tendenza
alla rigenerazione, e ciò pel fatto, almeno così affermano i biologi col
Weismann, che la pianta potendo disporre di un grande numero di
fillomi ed all’ occorrenza sostituire quelli caduti con le foglie che si
sviluppano dai nuovi germogli, non si preoccupa di rigenerare si ffatti
organi appendicolari o le parti degli stessi state danneggiate, od a-
sportate.
Il fenomeno, per quanto generale, ha tuttavia le sue eccezioni le
quali d’ordinario si rinvengono di preferenza fra quelle piante che non
dispongono di molte foglie, come talune Gesneriacee (V. lavori di Gö-
bel, Pischinger, Figdor ete.) o che hanno dei fillomi particolarmente
utili alla pianta come le Felei (Figdor) che portano gli organi di ri-
produzione sulla lamina fogliare.
Del resto l’ insensibilità delle foglie, o per essere più esatti, l’ i-
nettitudine di queste alla rigenerazione viene anche smentita dai nu-
merosi esempi di foglie che staccate e coltivate coi mezzi adatti ri-
producono non solo la parte mutilata, ma l’intera pianta (Begonia,
Bryoplyllum, Gnetum etc.) quando non arrivano a dar nuovi germogli
pur restando attaccuti alla pianta (alcune Felci etc).
La foglia adunque reagisce in vario modo ai differenti stimoli e
specialmente a quelli traumatici (in largo senso) e la reazione in ta-
luni casi può andar tant’oltre che se non ha luogo, come negli esem-
pi accennati, produzione di nuovi organi e persino di nuove pian-
KEE e EE E SE EE E SE E 1%
25 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELI 9
te, si ha tuttavia formazione di tessuti speciali, o più o meno diffe-
renziati.
Queste reazioni, più limitate, sono tuttavia cc 1 polimorfe che me-
ritano di richiam.ro l'a ienzione dello a dio», od è perciò appunto che
noi Samo ulie quì di riassamerle pe: sow vi cipi, nei loro tratti
più ca a.te'isdei, alio ©: po di poier «optron:are quanto sino ad ora
veare posto in eviceaza in proposi» da zi au ori che ci precedettero
con quelo cre è riscla o dalle no: ‘e ricerche.
Sotto il punto ci vista she ei inte:c sa roi dobbiamo distinguere
differenti modalità nella reazione, ‘x conformità e coirelazioae dello
stimolo che l’ha provoca. .
Innanzi tuito è d’uopo ricordare che vi soro delle neo'ornazio i
fogliari le quali sono dovute a stimoli che ta'oca | trano nella eat
goria dei processi ‘siolo vici delle pian >, talora invece sono tn’ a ei
Mentalità per e i Je rea: oni corrispondenti solo n. ‘a ma zgioranza dei
a i entrano nell’ambito delle ne>fo-mazioni d'indole realmento fisio-
logica. —
Altre produzioni sono invece di spettanza della biologia e rap-
presentano degli adattamenti alla vita simbiotica, talora con degra-
dazione verso uno stato patologico (Galle).
Infine si incontrano de'le produzioni le quali sono prettamente pa-
tologiche e rispecchiano la reazione delle foglie a determinati stimoli
provocati da animali, da organismi vegetali, o da speciali agenti ina-
nimati o da condizioni esterne e del mezzo affatto peculiari. Non man-
cano poi neppure le variate condizioni del mezzo interno della pianta
stessa quali fattori di reazioni, le quali poi spesso, per deficienza dei
nostri mezzi di indagine, non appalesano la causa cui sono colle rate.
Noi ci soffermeremo a trattare questi vari tipi di reazioni per
quanto essi hanno altinenza ai nostri studi, facendo tuttavia rilevare,
innanzi tutto, che per amore di brevità, riuniremo le alterazioni pro-
dotte da organismi viventi e patogeni con quelle produzioni che sono
caratteristiche della vita simbiotica.
Fra le reazioni cui va incontro l'organismo sotto gli stimoli appar-
tenenti alla prima categoria cioè i processi più o meno fisiologici noi
dobbiamo ricordare le lesioni ed i processi che compaiono in seguito
im
a
3
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI
alla caduta delle foglie. Non vi ha dubbio che qui si tratta di lesioni
eminentemente fisiologiche, che trovano l’analogia nel distacco del cor-
done ombelicale negli animali superiori. Le osservazioni di più di un
autore (Van Tieghem, Guignard Staby, Bretfeld, Briquet ete.) (1) ad-
dimostrano che la caduta della foglia provoca, innanzi tutto, l’essieca-
mento delle cellule della regione (Camellia, Bambusa) e poi, a pre-
cindere da poche eccezioni, la comparsa di un tessuto di natura peri-
dermica. Questo si inizia tuttavia assai prima che abbia luogo il di-
stacco e contiene nel suo interno degli elementi speciali separatori, i
quali hanno molta analogia con altri d’origine indubbiamente patolo-
gica. In qualche raro caso al processo prende parte anche l'epidermide
(Clivia), oppure si formano delle cellule reticolate che ricordano pro-
babilmente taluni elementi stati studiati dal Freundlich nelle foglie in
cui siano stati lesi i fasci vascolari.
Non è infrequente anche la formazione di felloderma (Azalea, Ci-
donia) come pure assai spesso si organizzano delle masse gommose-tan-
niche o dei tilli che oceludono i vasi. Colla suberificazione degli ele-
menti ncoformati ha pure luogo la lignificazione (Fagus, Quercus etc.)
delle cellule neoformate (Leclere du Sablon).
Degno di nota è il fatto che il tessuto di separazione, quando ven-
ga tenuto sott'acqua, sviluppa del'e cellule otricoliformi analoghe a
quelle di altre produzioni patoloziele o normali prodottesi pure 1:
condizioni di umit à eccessiva.
Di dubbia na ra fisiologi, almeno in ‚on } chi casi, si presen-
teuo le produzion. sugherose o lenticelloidi che il Bakmann, il Bora,
il Pauls-n, il Tittmann, il Matteucci ed il Lindlinger ci hanno segna-
lato.
Molte son. le piante che offrono siffatte particolarità sulla pagina
superiore, su quella inferiore, sul pieciuolo od anco persino sugli em-
briofilli, come il caso per lə rrodw ioni ehe s 10 state dal Gatin osser-
vate sulle Paline. Quas. tutte poi .e piante fornite delle stesse appar-
tengono alla categoria delle piante grasse, succulenti, vivaci (in svecie
(1) V. per la relativa letteratura A. Beguinot.
E EE EE
30 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
;
Dicotildoni) o per lo meno presentano dei fillomi carnosi (cotiledoni
delle Palme) o coriacei.
Dagli studi del Borzì risulterebbe che molte di siffatte produzio-
ni trarrebbero origine al di sotto di uno stoma e sarebbero perciò
delle vere lenticelle, ma a questo proposito il Matteucci fa rilevare
che la questione meriterebbe di esser piu a fondo esaminata.
Le produzioni in discorso sono costituite da parecchi strati di cel-
lule sugherose che si affondano nel tessuto della foglia o del picciuolo,
oppure emergono dalla superficie. Esse poi derivano dalla proliferazio-
ne e suberificazione delle cellule sottostanti all’ epidermide (palizzata)
od anco dagli elementi epidermoidali. Siffatte produzioni, oppostamen-
te a quanto si verifica nelle lenticelle del fusto, avrebbero lo scopo di
impedire l’eccesso di traspirazione, poichè le cellule non lascierebbero
talora che esili spazi intercellulari od anco non ne formerebbero, come
non darebbero luogo, che in scarsa misura, al tessuto di riempimento
(Füllgewebe). Quest’ ultima condizione di cose è pure reperibile in ta-
luni organi delle Marattiacee i quali hanno moltissima analogia colle
produzioni in discorso.
L'analogia colle vere lenticelle appare menifesta pel fatto che le
neoformazioni fogliari possono parimenti formarsi a varia profondità
nel tessuto della lamina in ordine centripeto. Il Lindilnger osserva in-
tanto a riguardo di siffatte produzioni reperibili nelle Monocotiledoni,
(come ad es. Dracaena etc.) che l’epidermide resta immutata al di sopra
del periderma il quale deriva dal tessuto sottostante alla stessa, e sen-
za che si abbia lesione alcuna.
Fra le produzioni che stanno al limite dei processi fisiologici ed
anzi il più delle volte escono da questi per entrare nel dominio di
quelli patologici, occorre annoverare, come molto analoghe alle lenti-
celle, quelle singolari neoformazioni che Hildebrand, Bartelletti, Bar-
ber, Dole, Leclere du Sablon, Montemartini, Muth, Viala e Pecottelk,
Touckoff, Soraues, Trotter, Tommasek, Leevitt, Kuster ed altri autori
hanno segnalato sulle foglie.
Esse sono reperibili nell’Hibiscus vitifolius, nella Vite, nel Cyssus
nell’/pomoea batatas, nel Solanum floribundum, nel Ribes aureum nei
Quercus e via dicendo e derivano dallo sviluppo e proliferazione (non
è
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 31
sempre perd) delle cellule situate sotto l’epidermide fogliare e più spe-
cialmente del palizzata; non mancano tuttavia i casì in cui la stessa
epidermide prende parte al processo.
Si formano dei cuscinetti cellulari costituiti da elementi allungati,
otricoliformi, i quali, quando nascono al di sotto dell’epidermide, fini-
scono anzi spesso per rompere questa. Col progredire dell’evoluzione le
cellule di neoformazione suberificano, quasi tendano ad assumere i ca-
ratteri degli elementi delle lenticelle, coi quali hanno la proprietà co-
mune di nascere molte volte al di sotto degli stomi. Hanno per altro
anche una costituzione particolare che si rileva, per lo più, dai nuclei
ipertrofici, dalla presenza di cloroplasti e di altri costituenti.
Non sono ben note ancora le cause che determinano siffatte pro-
duzioni: va notato tuttavia che si osservano di preferenza nelle pian-
te tenute al caldo, in terra, o all'umido. Perciò molti autori ritengo-
no che esse servano a moderare la traspirazione, ò siano dovute ad
un eccesso di liquido nella pianta, come è appunto il caso per le
neoformazioni che costituiscono l'edema del Ribes.
Confortati dai risultati delle nostre osservasioni noi crediamo di
poter affermare che se le sopra indicate produzioni sono l’espressione
di parecchi fattori, derivano però anche quasi sempre da un eccesso
di nutrimento e di liquido nei tessuti fogliari.
Ed invero, a prescindere dal fatto che le lenticelle tenute nell’acqua
proliferano allo stesso modo, formando dell'aerenchima (Góbel, Tubeuf)
noi vediamo comparire delle produzioni quasi analoghe negli esperi-
menti dell'Haberlandt, in cui, dopo l'avvelenamento col sublimato, degli
idatodi del Conocephalus ovatus, come conseguenza della soppressa e-
missione d'aequa, si hanno delle neoformazioni nello spessore della la-
mina fogliare e alla superficie di questa. Si verifica infatti dapprima
un’infiltrazione di tessuti che scompare allorchè si inizia la produzio-
ne di speciali otricoli, simili a tricomi, parzialmente fra loro saldati
alla base i quali crescono al punto da sfondare l'epidermide fogliare.
Dopo un periodo di vita piuttosto breve le cellule neoformate seccano,
suberificano le membrane ed allora sono costituite da elementi pure
otricoliformi, acquiferi, situati sulla pagina inferiore della foglia.
L'Haberland ritiene che gli otricoli rappresentino degli organi
M TE e ao nt
32 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
nuovi, ma giustamente il Kuster e il Capeland fanno osservare che si
tratta invece di neoformazioni dovute unicamente ad ipertrofia cel ulare.
Il nesso fra l’eccessivo immagazzinamento d’acqua e le produ-
zioni in questione è adunque evidente e qui giova ancora rilevare che
nel Buxus tenuto al caldo ed all'umido si formano pure dei fascetti
di peli a spese del lacunoso quando si abbia cura di asportare |’ epi-
dermide fogliare, oppure si sottoponza la pianta a basse temperature
capaci di riprodurre la congelazione del liquido endocellulare nella
camera d’aria interposta normalmente fra l'epidermide e gli strati
superficiali del lacunoso da un lato e gli strati più interni di questo,
dall'altro, Il fenomeno, del resto, si verifica anche in altre piante come
ebbero a dimostrare il Sorauer ed il Soleder, i cui esperimenti trova-
rono conferma’ nelle più recenti osservazioni del Montemartini.
Da ultimo possiamo ancora segnalare, a favore della nostra tesi,
che il Küster nelle foglie staccate dal ramo di Eucalyptus globulus
e di Populus tremula vide formarsi pure delle produzioni tricomatose
tutte le volte che i lembi venivano tenuti galleggianti sopra un liqui-
do contenente delle sostanze nutritive. Stando a questi fatti sarebbe
logico inglobare nelle produzioni provocate da eccesso di liquido anche
le così dette Perldrusen delle Ampelidee, le quali vennero studiate
dal Müller Turgau e dal Penzig e ritenute dal primo di questi auto-
ri per orgeni di difesa contro gli animali, dal secondo quali apparati
di adescamento e di nutrizione per gli insetti ed altri organismi affini.
E' duopo tuttavia notare che per aleune neoformazioni siamo as-
sai poco informati a riguardo delle cause determinatriei e questo è il
caso per i tumori cellulari dell’Atragene alpina che nascono da proli-
ferazione delle cellule epidermiche che poi collabiscono, per quelli del
Pterospermum platanaefolium, dell’ Acacia melanoxylon, dell’ Aristolo-
chia Sipho e per altri ancora.
Immensa è la categoria delle produzioni neoformative fogliari che
compaiono in seguito alla simbiosi (1) tra piante e piante e tra que-
(1) Noi diamo qui alla parola simbiosi il valore letterale, ben lungi dal vo-
lere inglobare nella categoria dei processi biologhi e fisiologici tutte quante le
i
=
ENTE a RA MOI e ^m
J xi SE ER SA
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 33
ste e gli organismi animali. Siffatte associazioni possono esser mutua-
listiche, o a benefizio di un solo degli organismi, senza tuttavia che
l’altro ne risenta danno apparente (simbiosi vere) oppure, entrano nel-
la categoria delle produzioni eminentemente patologiche.
Accenneremo brevemente alle principali e a quelle che hanno
maggior affinità con le produzioni da noi osservate.
Fra le neoformazioni delle quali ora stiamo trattando aleune sono
cataplastiche, altre prosoplastiche, ipoplastiche e iperplastiche o meta
plastiche (raramente), ma su queste distinzioni non ci soffermeremo, non
essendo sempre dato, in ogni singolo caso, di addivenire ad una netta-
separazione.
Produzioni molto semplici sono le neoformazioni a ‘tipo tricoma-
toso che si osservano nei canali scavati dalle larve attraverso il paren-
chima fogliare, o nella cavità dove si ricettano i Nostoc (Azolla, Bla-
sia). Pure produzioni ridotte alla più semplice espressione sono i tri-
comi che si formano su molte foglie, (Vitis) ad esempio, sotto lo sti-
molo dei PAytoptus. E probabilmente a queste molto analoghi sono i
così detti cuscinetti fogliari della Cecropia e i fruttini di altre pian-
le formicarie. Uno di noi (Buscalioni) ebbe a rilevare la grande ana-
logia che corre tra siffatti cuscinetti, gli organi erinoidei e ` certe
produzioni tricomatose che si riscontrano alla superficie di talune BEN
aventi l’ufficio di immagazinare delle sostanze nutritive.
E’ molto probabile che in origine i cuscinetti della Cecropia a-
vessero i caratteri di organi patologici, provocati dal parassitismo delle
formiche, i quali solo in epoche più o meno recenti si sarebbero elé-
vati alla dignità di organi normali, fisiologici. Per effetto di questa
innovazione è venuta di poi concretandosi la simbiosi fra le piante e
gli animali e i rapporti fra questi due organismi si resero piü armo-
nici, a mutuo benefizio.
produzioni delle quali stiamo trattando, moltissime esséndo, come à noto, enti-
| biotiche e antagonistiche.
Il carattere prevalentemente patologico delle neoformazioni in questione
appare inoltre dalla facilità con cui vengono invase da funghi che rispettano,
all'opposto, la parte sana dell'organo su cui nascono certe m" simbioti-
che, quali sono le galle (Trotter). à
Pro DK AC, AEN Age hel, agi t.c ie AC e € ECG, Let teg Ce TS an CHE e Klee 2 um idm P LE CERO es ATRIA at Aas ia en n RT a at v
en ae EPICA TN UR Wipe ud Hin DE Ee Et E EE,
84 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Assai più complessa è la costituzione delle galle genuine per
quanto tuttavia quelle dovute all’azione di funghi conservino sempre
l'impronta di neoformazioni cataplastiche, (eccezione fatta per le Gal-
le dell'Ustilago Treubi e di qualche altra (V.Trotter)), come del resto
son pure tali quelle che si formano su organismi inferiori.
Le galle prosoplastiche, dovute quasi sempre ad insetti, a differen-
za di quanto si verifica in quelle cataplastiche, traggono per lo più
origine dai tessuti giovani, non ancora. nettamente differenziati, del
filloma. Sono tuttora ignoti i relativi stimoli, che secondo il Magnus,
il Beyerink, il Küster ed altri autori andrebbero ricercati nella pre-
senza di speciali enzimi secreti nell'interno della foglia o dalla ma-
dre dell’ inquilino al momento di deporre le uova e dallo inquilino
stesso durante la sua evoluzione. Tutti quanti gli esperimenti fatti fi-
. no ad ora per mettere in evidenza il fattore e le cause produttrici di
galle hanno però fallito, per cui probabilmente ancora a lungo dure-
rà la nostra ignoranza sulla vera essenza delle galle.
Le produzioni galliformi, se il più delle volte hanno le stimmate
delle neoformazioni patologiche, presentano pur tuttavia spesso anche i
caratteri delle formazioni simbiotiche, nello stretto senso della parola, e
più o meno fisiologiche. Probabilmente la pianta non ne ricava alcun
utile, e ciò non ostante essa reagisce in modo da agevolare, anzichè
ostacolare (come è d’ordinario il caso nelle produzioni a tipo patologi-
co), l'insediamento e la dimora all'inquilino. |
Per quanto riguarda la struttura delle galle noi troviamo rara-
mente la formazione, nelle stesse, di lenticelle; anche poco frequente è la
produzione di sughero, come è il caso ad esempio per le così dette galle
libere (Freie Gallen). In generale si tratta di neoformazioni a tipo pa-
rénchimatoso, ricche di acqua, come ebbe a dimostrare sperimental-
mente il Trotter, e di sostanze di riserva destinate a sopperire alla
nutrizione della larva. Rara è la formazione di vasi (ad es. Cynips
Fortii studiata dal Trotter, V. Riv. Cecid. dell’A.).
Le cellule sono d’ordinario più grandi del normale; non di raro
invece sono più piccole, ma in tal caso quasi sempre la piccolezza è
la conseguenza delle ripetute divisioni cui andarono incontro gli ele- -
menti. Peli ed otricoli sono reperibili frequentemente alla superficie
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 35
delle galle, mentre poi taluni strati della massa neoformata si sclero-
tizzano per offrire un valido asilo all’ospite.
Dalle produzioni galliformi a quelle patologiche, ma non dovute
ad agenti vivi, il passo è breve, e quindi non ci recherà meraviglia
se rivedremo in queste delle strutture che ricordano quelle delle galle.
Una produzione anomala, molto frequente a rinvenirsi nelle foglie,
è la cicatrizzazione delle ferite che trova il suo riscontro nel processo
eminentemente fisiologico della caduta delle foglie.
Il processo si inizia, d'ordinario, collo essiecamento delle cellule
contigue alla lesione, e termina colla suberificazione delle cellule di
nuova formazione, o degli elementi fiancheggianti le ferite e non ri-
masti da questa danneggiati. Taluni fra gli elementi neoformati o mo-
dificati assumono un carattere scleroso (nelle Caetee secondo Sachs e
in alcuni peridermi del fusto), o si cireondano di membrane provviste
di reticolature (Orchidee).
L’Olfusen e il Massart ritengono che qualunque sorta di stimolo
(ferite, pressioni ete.) porta alla formazione di periderma, ma noi ve-
diamo che non si può troppo generalizzare il concetto. Sta- intanto
il fatto che molte volte, come ebbe ad osservare il Mathuse, si forma
un vero callo con cellule punto suberificate, le quali nascono dal meso-
fillo e a varia profondità, a seconda della natura dello stimolo e del
numere di cellule cadute in necrosi. Siffatti calli, poco o punto sube-
rificati, si osservano di preferenza nelle lesioni che cicatrizzano in am-
biente molto umido (King).
Il tessuto di cicatrizzazione può trarre origine dall'epidermide (ra-
ro però !) o dai tessuti sottostanti, o infine da entrambi ad un tempo.
Quando esso manca il tessuto necrosato ed essiccato contribuisce, da
solo, a proteggere gli elementi vivi sottoposti.
Per quanto concerne i processi fisiologici e le condizioni che pre-
siedono od accompagnano la rigenerazione e la riparazione rimandiamo
i lettori ai lavori di Duliot, Kny, Olufsen ete. (1). Qui faremo sol-
(1) La letteratura relativa ai processi di cicatrizzazione trovasi consegnata
‘nei lavori di Küster, Staby, Poulsen, Weiss, Kühla, Appel, Weisse, Ross, Bretfeld,
Figdor, Liesering, Lockell, Massart, Clareire, Rouge, Falce Ambery ete.
GE e E
LA
86 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
tanto rilevare che gli studi del Blackmann.e Matthaei riferentisi al-
le reazioni traumatiche delle foglie (Prunus Laurocerasus) staccate dalla
pianta e tenute all’oscuro in liquidi nutritivi, hanno dimostrato che la
cicatrizzazione procede un po diversamente di quanto avvenga nelle
stesse foglie lasciate aderenti alla pianta. Le foglie staccate infatti,
quando vengono lese in un punto (gli autori impiegano anche la cau-
sticazione), si perforano in corrispondenza del punto leso e poi svilup-
pano del periderma tutt'attorno al foro, con produzione, però, di cel-
lule otricoliformi: nelle foglie lasciate aderenti alla pianta la ferita ei-
catrizza per essiccamento delle cellule lese che formano così uno stra-
to di protezione. Il diverso comportamento va ricercato nella maggior
provvista di acqua che si incontra nelle foglie staccate e coltivate in
mezzi liquidi nutritivi.
A risultati non molto dissimili sono giunti il Riemen ed il Mer
che hanno inoltre studiato l'aeereseimento, la proliferazione e la gem-
mazione in foglie isolate mantenute parimenti in soluzioni nutritive,
alla luce ed all’oseuro, o state artificialmente iniettate con liquidi di
coltura.
Analogamente alle ferite propriamente dette cicatrizzano le lesio-
ni pel gelo, temperatura elevata, venti forti e via dicendo.
Spesso per effetto del gelo ha luogo una vera perforazione della
parte necrotizzata, con successiva formazione di periderma attorno al
punto caduto in sfacelo. (Peglion). Talora si sviluppa invece del Saf-
tperiderma (Auer).
Noi non vogliamo tuttavia insistere ulteriormente su queste lesio-
ni, anche perchè nelle pagine precedenti abbiamo già accennato alle
osservazioni di Sorauer, di Solereder (V. in proposito anche i lavori
di Noak): solo rileveremo che con una certa frequenza la rimarginazio-
ne delle ferite prodotte dall'azione dei venti è accompagnata dalla pro-
duzione di masse mucilagginose le quali otturano i vasi, donde l' o-
rigine della necrosi dei tessuti da questi innervati (Magnus, Auer,
Hansen, Bruck).
Un processo che è in stretta relazione collo stimolo traumatico,
m che talora appare indipendente da questo, quasi come entità fisio-
logica delle piante, è la formazione dei tilli. Noi riscontriamo questo
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3 A H d `
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 87
processo frequentemente anche là dove ha luogo la comparsa di ferite
fisiologiche, cioè nella cicatrizzazione delle foglie. I tilli compaiono
d'ordinario nei vasi, ma da più di un autore è stata segnalata la pre-
senza degli stessi nei canali aeriferi, come è il caso, ad esempio pei
tilli delle lacune di Nymphaea stati segnalati dal Mellinék, o per
quelli che riempiono le camere sotiostomatiche, e persino i canali
secretori.
In generale le cellule dei tilli sono povere di contenuto, ma non
mancano dei tilli che si differenziano per una grande abbondanza di
mucilaggine e di tannino le quali sostanze, come si sa, servono otti-
mamente a difesa delle ferite. Singolari sono poi certi tilli che si pre-
sentano ricchi di amido.
Poco sappiamo sulle cause che provocano la comparsa di siffatte
produzioni: fu accampata la diminuita tensione, ma contro quest’ipo-
tesi non mancano i dati sperimentali, la quale poise può spiegarsi la
presenza dei tilli nei vasi non ci chiarisce la comparsa di questi nel-
le camere d'aria'sottostomatiehe o nei canali aeriferi.
In questi casi occorrerebbe ammettere che la variazione nella tra-
spirazione possa influire sullo sviluppo delle produzioni in parola.
Ora che abbiamo passato in rassegna i principali tipi di produ.
zioni patologiche fogliari occorre che ci soffermiamo brevemente sulla
costituzione istologica delle stesse.
Fra i tessuti che prendono parte alle neoformozioni (nel largo
senso della parola) primeggia il parenchima verde fondamentale: più
raramente vi sj associano ì collenchimi, gli seierenchini, le cellule e-
pidermiche, gli elementi essenziali dei fasci vascolari (vasi, tracheidi
tubi eribrosi, cellule annesse).
In generale vale la regola che i tessuti più differenziati sono me-
no adatti a subire delle modificazioni, o a ritornare allo stato giova-
ne, donde la rarità di produzioni a tipo prettamente epidermico, o
di natura vascolare. E del resto fra ke produzioni epidermiche (organi
erinoidei ad es.) primeggiano quelle a tipo tricomatoso in eui manca-
no gli elementi specifici epidermiei (stomi); cosi pure nelle neoforma-
zioni vasali d'ordinario compaiono le tracheidi (rigenerazioni vascolari
studiate dall’Freundlich) che sono elementi molto più antiquati e. più
38 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
semplici dei vasi aperti. E’ vero che molto spesso il fascio vascolare
prende parte attiva alla rigenerazione, ma quasi sempre trattasi di
processi rigeneratori che hanno sede nel cambio, vale a dire in un tes-
suto giovanile indifferenziato: d’onde la poca tendenza alle rigenera-
zioni vascolari nelle Monocotiledoni (V. lavoro del Freundlich), dove le
formazioni cambiali, sono poco o punto sviluppate sia nel pleroma che
nel periblema, il quale poi non è sempre ben distinto.
Per quanto riguarda l’epidermide è d’uopo tuttavia segnalare al-
cune eccezioni; essa fu vista reagire qualche volta quando si trattò di
neoformazioni in cui la sua attività si presentò piuttosto esaltata, an-
ziche depressa (Kiister); di qui la sua compartecipazione nei processi ri-
generatori che sono stati studiati nelle prime pagine, nella formazione di
tilli occupanti le camere d'aria (Tradescantia), in talune rare formazioni
galliformi, in alcune intumescenze (Ipomaea) o in lesioni fogliari (Tra-
descantia, Lisimachia etc.) E' degno di nota il fatto che mentre nel
Philodendron pertusum durante lo sviluppo del filloma ha luogo la
cicatrizzazione, con formazione di epidermide genuina; dei fori che si
formano normalmente sulla lamina, siffatto tipo di riparazione e di
reintegrazione non ha più luogo nelle ferite della lamina aduita, for-
mandosi in questa costantemente del periderma sprovvisto di epidermi-
de. Lo stesso fenomeno succede nelle Palme il cui filloma durante lo
sviluppo da pure luogo a lacerazioni che si cicatrizzano con reinte-
grazione completa dei tessuti. (Eichler, Deinega, Naumann). Infine
probabilmente anche nell'Ouvirandra si incontrano analoghe disposi-
zioni.
Se l'epidermide di rado adunque produce delle cellule similari,
non infrequentemente invece dà luogo, per divisioni perieline, a tessuti
ipodermiei che talora per esuberanza di cellule, formano parecchi stra-
ti (talune galle di Saliei).
Fra le cellule del parenchima verde fondamentale hanno maggior
attitudine a proliferare quelle del lacunoso; un po' meno frequentemen-
.te, forse, reagiscono gli elementi del palizzata, quasi ad attestarei che
sono piü differenziati delle prime.
Per ciò che concerne la formazione delle cellule vasali o a que-
ste similari rimandiamo il lettore alle osservazioni del Freundlich e
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CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 39 ;
di Bretfeld; per gli altri tessuti faremo solo rilevare che in molte pro-
duzioni patologiche fogliari furono rinvenute cellule sclerose, collen-
chimi, canali secretori e peli ghiandolari (Trotter) ete., ma la parteci-
pazione di questi elementi è assai scarsa. Ad ogni modo malgrado che
la relazione fra il perfezionamento degli elementi e laloro più o me-
no attiva partecipazione alle neoformazioni sia valida, sta 11 fatto che
in tesi generale, qualunque tessuto può, come giustamente rileva il
Küster, alles werden.
Poche parole ci rimangono ora a dire sulla intima struttura delle
cellule di neoformazione.
Le pareti cellulari, in generale, si conservano cellulosiche, ma
molto spesso anche lignifieano (galle prodotte dal Zachnus nelle fo-
glie di Juglans), suberificano o si mostrano adorne di punteggiature, -
fra cui interessante son quelle che ricordano i rilievi propri degli
elementi vascolari (Orchidee ete). Frequente è anche la selerificazione.
Non vi ha, spesso, però alcuna relazione tra la differenziazione delle
pareti cellulari e lo sviluppo delle neoformazioni.
Una particolare menzione meritano le Galle di Zacquinia Schie-
deana (Mez) descritte e figurate dal Kuster (V. p. 236 Path. Pflanze-
nanat.), poichè certe produzioni che in queste si verificano trovano
riscontro con talune disposizioni da noi osservate. Sotto l'influenza del-
l'ospite si forma qui alla superficie della galla un vero Cuticular epi-
thel (Epitelio cuticulare o strato cuticulare) simile a quello stato osser-
vato dal Damm nei vecchi fusti di Viscum, Phoradendrum, Menisper-
mum Canadense ed altre piante in cui a spese delle cellule epidermi-
che stesse o dei tessuti corticali superficiali si formano degli strati
cellulosiei e eutieulari. Questo nuovo tessuto funziona come una vera
epidermide in quanto vale efficacemente a proteggere gli strati cellu-
lari sottostanti ed anzi, all'uopo, il Damm afferma so that eine Rege-
neration der Epidermis erfolgt. (1).
Le osservazioni del Kiister e del Damm sono le sole che noi, per-
(1) Merita di esser segnalato che secondo Tittmann nell’Agave americana,
_ Aloe ligulata e Aloe sulcata ha luogo rigenerazione della cuticola quando questa
venga parzialmente esportata.
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40 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
quanto almeno ci consta, possediamo su queste singolari produzioni, le
quali hanno di comune e di caratteristico che compaiono in parti nel-
H
le quali o non si forma sughero o questo è scarso e tardivo.
I contenuti cellulari pure subiscono notevoli variazioni nelle neo-
formazioni cataplastiche; per lo più vanno incontro ad una notevole
riduzione, perciò vediamo diminuire od anco scomparire la clorofilla,
emigrar l'amido, vacuolizzars: il protoplasma che poi accumula acqua
(Trotter). In molte formazioni prosoplastiche ed in quelle in cui l'at-
tività cellulare si mostra esaltata osserviamo invece il fenomeno oppo-
sto: aumento del protoplasma (strato nutritivo delle Galle) e degli in-
clusi di questo: amido, tannino, antocianina, cristalli, cloroplasti ete.
Particolarmente degno di nota è la persistenza e talora anche l'au-
mento della clorofilla, in quantoché essa può aver un alto significato
biologico, come è stato messo in evidenza dal Cavara nelle sue os-
servazioni sulla Cocciniglia del Quercus castanaefolia e come avremo
occasione di rilevare dai nostri studi. Il Frank poi dimostrò che i elo-
roplasti, per effetto delle lesioni, si spostano lungo le pareti delle cellule.
I nuclei prendono parte attivissima ai processi patologici, ma non
è ancora stato ben assodato se si dividano costantemente per amitosi
o per cariocinesi, od anche per entrambi i processi successivamente,
essendo su questo discordi le opinioni degli autori (V. Tisehler, Mas-
sart, Nathanson etc.)
*
+ k
Ora che abbiamo segnalato i principali tipi di neoformazioni e
produzioni patologiche o fisiologiche che presentano i tillomi esporre-
mo i risultati delle nostre ricerche.
Scopo di queste si è di indagare in quale modo le foglie reagi-
scono ai vari stimoli e sotto differenti condizioni del mezzo, come pu-
re di stabilire dei confronti fra le varie lesioni. Nelle presenti pagine
che costituiscono la prima nota sull’argomento, ci siamo prefissi di in-
dagare le reazioni che avvengono nelle foglie quando vengano soffre-
gate e ripetutamente, ad intervalli di tempo più o meno lungo, e con
mezzi (fazzoletti, batuffoli di cotone ecc.) incapaci di produrre delle
grossolane lesioni, o delle soluzioni di continuità nell'epidermide,
dr ET e ef?
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 41
Le foglie, cosi trattate, o rimanevano aderenti alla pianta, sia
alla luce che all'oseuro (1), oppure venivano staccate, durante il pe-
riodo che noi chiameremo operatorio, e nel quale si compievano le fri-
zioni. In questo caso esse erano mantenute nell’acqua o in soluzioni
nutritive, parimenti all'oseuro che alla luce.
Gli esperimenti furono eseguiti in parte su foglie adulte, in parte
su quelle giovani, ed all'uopo vennero di preferenza scelte quelle pian-
te che presentano dei fillomi coriacei, più adatti a subire i trattamen-
ti meccanici. ;
In alcune specie fu pure studiata, sempre collo stesso processo, la
influenza della ripetuta esportazione della cera, allo scopo di control-
lare ed estendere le osservazioni di Tschisch, Haberland, Tittmann ete.
L’ esame microscopico fu eseguito sempre parecchio tempo dopo
che si era praticata l’ultima frizione. E noi insistiamo particolarmen-
te su questo punto poichè i fatti che noi verremo segnalando si ri-
levano solo dopo parecchi giorni, settimane ed anco mesi dopo che
la foglia è stata sottoposta al trattamento lesivo (soffregazioni).
A titolo di confronto abbiamo poi lesi i fillomi con agenti chimi-
ci, (causticazione col nitrato di argento), o praticati sugli stessi dei
tagli. Quasi sempre siffatte lesioni venivano eseguite su quelle stesse
foglie che erano state soffregate da un lato, oppure su foglie della
stessa pianta dove si era praticata l'operazione. Le foglie lese veni-
vano poi lasciate al pari delle altre sulla pianta, oppure coltivate, pre-
vio distacco, in soluzioni nutritive, alla luce od all’oscuro.
A questa prima aota farà seguito, quanto prima, un'altra in cui
tratteremo di altre peculiari reazioni che avvengono nelle foglie lese.
(1) AU'uopo venivano ricoperte da una lamina di stagnola.
STUDI ED OSSERVAZIONI
E
Esportazione della cera
Lo Tschirch ebbe a dimostrare che se si esporta la cera ad una
foglia che ne sia abbondantemente fornita e poi si lascia questa tra-
spirare liberamente, dopo che venne staccata dalla pianta, si osserva
che essa perde una quantità di acqua di gran lunga superiore (a pa-
rità di tempo) a quella che viene emessa da un’altra foglia della stes-
sa pianta posta nelle identiche condizioni, ma lasciata ricoperta dallo
strato ceroso,
Poche altre osservazioni che si hanno sull’argomento (V. Tittmann)
hanno poi dimostrato che alcune piante (Rubus Ricinus etc.) rigene-
rano la cera quando questa sia asportata dalle foglie, ed in specie
quando l'eliminazione venga effettuata su parti giovani, mentre ali'op-
posto l'Echeveria ed altre forme non la rigenerano.
L'umidità ostaeolerebbe alquanto la rigenerazione dello strato ce-
roso, la luce invece non spiegherebbe alcuna influenza. E’ stato però
assodato che alcune piante Rer Weg rifanno lo strato di cera
anche sott'acqua.
Nelle nostre ricerche su questo argomento ci siamo prefissi di a-
nalizzare l'azione che spiega l'esportazione della cera sulle sottostanti
cellule. A tale uopo abbiamo proceduto all’ esportazione soffregando
leggermente l’epidermide superiore di foglie abbondantemente rivesti-
te di siffatta sostanza. L'operazione veniva eseguita o con batuffolo
di cotone, talora imbevuto di etere, o con un fazzoletto; di rado si
stropiceiavano leggermente le foglie colle dita. Siccome poi la cera si
riproduceva, sia pure in scarsa quantità, fu sempre nostra cura proce-
dere di nuovo alla esportazione non si tosto comparivano le prime
effiorescenze cerose.
PARE IDE
We, E Ee T
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 43°
- Ad ovviare che il massagio determinasse, di per se stesso, una qual- -
che lesione nell’epidermide abbiamo quasi sempre proceduto colla. più
grande cautela nell'operazione, soffregando la foglia con estrema de-
licatezza.
Acacia cultriformis Hook. L’ epidermide delle due faccie del fil-
" lodio è costituita da cellule rettangolari a pareti radiali e profonde
= piuttosto sottili che contrastano singolarmente col notevole spessore
della parete frontale cuticularizzata. La cera è abbondante e si pre-
senta in forma di fini granuli.
Al di sotto dell'epidermide si incontrano due piani di palizzata
a cellule abbastanza intimamente fra loro unite. Succedono a queste
gli elementi del tessuto midollare che occupa la porzione assile del
fillodio, i quali sono grandi, rotondi, o irregolarmente poliedriei. Al
limite tra il palizzata e il midollo decorrono i fasci vascolari. L'ami-
do è abbondante nel primo di questi tessuti, che contiene pure delle
macle cristalline di Rosanoff.
Sebbene eseguite con le maggiori cautele l'esportazione della ce-
ra provoca delle alterazioni nelle sottostanti cellule epidermiche, mal-
grado la robusta cuticola di cui sono rivestite. A gruppi, o su tratti
più o meno estesi, le cellule si accasciano e si riempiono di masse
ES tanniche, brunastre, e prime a soffrire sono le cellule stomatiche (for-
se perchè gli stomi restano otturati da tappi di cera) che reagiscono
"^ suberificando le pareti,
| Ben tosto perd prolifera lo strato esterno del Dresch donde la
3 formazione di tre o più piani di questo tessuto. Le cellule neoformate,
costituite dapprima sullo stampo delle compagne, si allungano, schiac-
: ciano del tutto le sovrastanti cellule epidermiche, arrivando così a
raggiungere colle loro fronti il livello della cuticola.
La regione lesa appare più ispessita delle circostanti sane, in se-
guito appunto allo sviluppo del palizzata, le cui cellule esterne al fine -
fondono le loro pareti frontali con quelle delle schiacciate cellule epi-
dermiche per dar origine ad un singolarissimo epitelio cuticolare, ana-
. logo in tutto e per tutto a quello stato osservato dal Damm nel Viscum
. ed in altre piante ad epidermide persistente.
> L'epitelio euticolare assume ben tosto una coloraziona giallastra,
44 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
ed intanto lascia riconoscere, quà e là, nelsuo interno dei piccoli va-
ni i quali non sono altro che le poche cavità cellulari rimaste ineolumi.
Molte volte lo strato esterno del palizzata si suddivide, dando o-
rigine ad elementi corti che stratificandosi sotto l'epitelio cuticolare
assumono aspetto di cellule epidermiche.
Non occorre aggiungere che nella zona lesa gli stomi sono scom-
parsi o resi irriconoscibili dalle masse di riempimento. (Fig. 1 e 2).
Quando lo sfregamento è stato un po’ ruvido anche il midollo
entra in attività per distaccare mercè setti periclini più o meno con-
cavi, delle cellule le quali poggiano contro lo strato profondo del pa-
lizzata. Siffatti elementi molte volte suberificano e la stessa sorte toc-
ca pure frequentemente a quelli del palizzata neoformati.
Abbiamo talora notato che la reazione non avviene, nel qual ca-
so si è osservato invece un forte inspessimento della cuticola. Intanto
qualunque sia la reazione per parte del fillodio questo rimane più pic-
colo e tozzo di quelli normali.
Eucalyptus globulus Labill. Come è noto questa pianta ha le fo-
glie primordiali ricoperte da uno strato di cera che scompare, o si
riduce, in quelle successive foggiate a scimitarra. Probabilmente la
sostanza cerosa ha la stessa natura di quella stata riscontrata dallo
Schmith nelle foglie dei polloni di Eucalyptus corymbosa, dove si
formerebbe dapprima una specie di cautchouch che verrebbe di poia
poco a poco mutandosi in cera,
Nelle foglie orizzontali dell E globulus si riscontra sulla pagina
superiore del lembo un’epidermide a cellule rettangolari, piuttosto am-
pie, ricoperte da nna cuticola non eccessivamente robusta a cui ade-
risce il deposito di cera.
11 palizzata è formato da nn unico piano di cellule allungate che
in corrispondenza dell'estremo interno si inseriscono, in gruppi di 3 0
4, alle sottostanti cellule raccoglitrici. Il lacunoso è formato da gran-
di cellule ramose che circoscrivono dei grossi meati. Solo le cellule
sottostanti all'epidermide inferiore si fanno piccole e intimamente fra
loro unite. L'epidermide inferiore risulta costituita da element: meno
grandi di quelli della faccia superiore e porta inoltre gli stomi. Nello
spessore del parenchima verde s’incontrano, da ultimo, delle grosse
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 45
borse ghiandolari e degli elementi cristalliferi, più grandi degli altri
e localizzati di preferenza sotto l'epidermide della faccia superiore.
I vasi decorrono al limite tra palizzata e lacunoso.
Per effetto dello strofinio che venne, a seconda delle foglie, ese-
guito colla mano, col fazzoletto o col batuffolo di cotone, ha luogo,
dopo un po’ di tempo, la segmentazione delle cellule del palizzata pri
ma ancora che ci accennino le lesioni sull'epidermide. Si formano co-
sì parecchi strati di palizzata a cellule corte, rettangolari, o eubiche.
Più tardi l'epidermide si schiaccia, dopo essersi divisa in qualche
punto e in specie al limite della zona di operazione.
Quando lo sfregamento venga eseguito sulla pagina inferiore si
osserva ben tosto la proliferazione del sottostante strato di parenchima
verde. Si formano così delle nuove cellule pure irregolarmente con-
formate, per lo più poligonali rettangolari, piecole, che si uniscono sal-
damente fra loro. In pari tempo l’epidermide si riempie di masse gial-
lastre, che colorano anche la parete e si affloscia.
Dopo un po’ di tempo compare alla superficie dell'organo leso un
tipico epitelio cuticolare fatto a spese delle sole cellule epidermiche
obliterate o, come avviene più di frequente, anche dal sottostante tes-
suto.
In tal caso la cuticola appare naturalmente ispessita, un po’ pie-
ghettata o meglio ondulata e per lo più fortemente ingiallita. Qualche
volta abbiamo invece osservato che uno strato di cellule sottostanti
agli elementi morti o suberificati ispessisce notevolmente la membrana
rivolta verso la lesione per dar origine a un singolo strato che chia-
miamo strato epidermoide, reperibile in altri tipi fogliari lesi. (Acacia
pycnanta ed Opuntia. (Fig. 3)
Quando si soffrega la pagina superiore quasi sempre colla forma-
zione dell’epitelio cuticolare i tessuti sottostanti si allungano ed allora
le estremità delle cellule vengono a trovarsi allo stesso livello degli
elementi epidermoidali normali, il che qualche volta non permette più
di stabilire se alla formazione dell'epitelio cuticolare ha preso parte la
sola epidermide od anco il sottostante palizzata di neoformazione.
Nei punti in cui si forma l’epitalio cuticolare le cellule del pa-
lizzata, quando queste prendono parte al processo, appaiono più stret-
46 it LUIGI BUSCALIONI E. GIUSEPPE MUSCATELLO
. te e meno ricche di contenuto, ciò che indica uno stato di sofferenza.
Lo stesso fenomeno si verifica in corrispondenza della pagina infe-
riore quando questa venga soffregata.
In generale le lesioni si appalesano più precocemente in punti in
‚eui decorrono i fasci vascolari, poichè ivi i tessuti essendo più resi-
stenti, contribuiscono a ledere le cellule epidermiche nell’atto che si
soffregano. i
Col Sudan III si può riconoscere che l'epitelio cuticolare suberi-
fica mentre le cellule sottostanti conservano le pareti cellulosiche. Il
fatto non è però costante essendosi più volte osservata anche la su-
berificazione degli elementi dal palizzata di nuova formazione.
Come nell’ Acacia cultriformis le lesioni in questione provocano
anche delle alterazioni nella forma delle foglie. Infatti se si pratica
il massaggio su foglie giovani allora si osserva che la parte soffrege-
gata indurisce, si arresta nello sviluppo, od a seconda dei punti lesi,
si ottengono delle foglie stranamente conformate, sia curvate a falce
sul piano della lamina, sia colla punta ridotta a triangolo che si im-
pianta con la base ristretta ‘sul resto del lembo piuttosto espanso o in-
-fine degli altri tipi fogliari.
Da ultimo rileveremo che nelle foglie laseiate a lungo sulla pian-
-ta dopo esser state soffregate si presentano deglistrati suberifieati sot-
‘toepidermici e più profondamente un robusto piano di elementi diven-
tati meccanici per il notevole ispessimento delle pareti. (Fig. 3 bis)
^ Senecio cleinoides Oliv. Le foglie sono carnose, fusiformi e rico-
perte da un forte strato di cera che le rende di color glauco verdastro.
‘Per quanto riguarda il reperto anatomico troviamo che ad un’ e
pidermide costituita da grossi elementi rettangolari, fra cui si notano
- numerosi stomi, succede uno strato ipodermico che differisce da quelli
sottostanti pel colore e per minor riechezza di contenuto. Poi viene il
‘ parenchima verde, i cui elementi diventano tanto più grandi quanto
“più sono situati: profondamente. Nel mezzo della sezione si ha poi un
abbondante tessuto acquifero formato da grossi elementi che circoseri-
vono dei meati piuttosto ampi.
I fasci vascolari stanno alla periferia, separati dali’ epidermide
-per mezzo di Op piani di cellule. Al davanti degli stessi, ma limita-
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 41
tamente ai fasci maggiori, si incontrano i canali secretori circondati
da una guaina di cellule poco o punto colorate in verde dalla cloro-
filla.
Qui non abbiamo più la formazione di un epitelio cuticolare, co-
me conseguenza dello sfregamento, ma bensì un processo neoformativo
analogo a quello descritto da tutti gli autori nei casi di ferite fogliari.
L’epidermide si altera assieme agli strati superficiali del paren-
chima verde, ma solo in seguito a frizioni ripetute e non troppo de-
licate.
Avvenuto questo si inizia nei sottostanti tessuti un’attiva prolife-
razione cellulare, grazie alla quale si forma un robusto strato di ele-
menti i cui setti di nuova formazione sono prevalentemente tangen-
ziali (periclini). Si forma così uno strato di difesa abbastanza robusto
costituito da elementi suberificati, poveri od anco privi di contenuto.
Anche la guaina dei fasci vascolari prende parte al processo per da-
re origine a vruppi o serie di cellule disposte a file radiali e più pic-
cole delle circostanti. I canali secretori che accidentalmente vengono
a trovarsi inglobati nella neoformazione riescono schiacciati.
Il periderma è rafforzato verso l'interno dell’organo da uno stra-
to di felloderma sprovvisto di clorofilla, ad elementi variamente gran-
di poichè gli uni derivano dal tessuto fondamentale e gli altri dalla
guaina dei fasci, nei quali si riscontrano delle goccie oleose che han-
no tratto probabilmente origine da cloroplasti degenerati.
In una nota preventiva che abbiamo pubblicato negli Atti della
Accademia Gioenia di Catania (1909) si era già fatto cenno alle le-
sioni che tengono dielro sia nell’ Acacia cultriformis Hook sia nel-
l Eucalyptus globulus Labill alla esportazione della cera. Dalle nostre
osservazioni, a quel tempo alquanto incomplete, avevamo tratto la con-
clusione che l’asportazione della cera per se stessa, possa provocare
quasi tutte le alterazioni che abbiamo testé descritte. E’ duopo ora in
parte rettificare e in parte completare i risultati.
L'eliminazione del deposito ceroso non provoca per se stessa il
‘quadro patologico che abbiamo descritto: però dagli studi fatti spe-
cialmente sull Eucalyptus e sull Acacia risulterebbe che le piante for-
nite di cera hanno un epidermide piuttosto delicata la quale quando
e Ce EE E E Ee E RIS E et OR e
48 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
venga tenuta scoperta facilmente va a male e non può perciò tollera-l
re le frizioni, anche quando queste siano state eseguite colla più seru-
polosa delicatezza.
Sotto questo punto di vista le epidermidi che non presentano i
rivestimento ceroso sono molto più resistenti.
Avvenuta la lesione epidermica non tardano a comparire le altre
manifestazioni patologiche, fra cui importantissima quella che dà luo-
go alla comparsa di un epitelio cuticolare, stato fino ad ora soltanto
segnalato in pochissime piante allo stato normale e in unica galla
(Kiister). |
Nel Senecio cleinoides l'epidermide è, a quanto pare, anche poco
resistente: basta infatti soffregarla parecchie volte, anche delicatamen-
te, perché si ottenga bentosto la reazione. Una volta lesa peró la fo-
glia non da luogo a proeessi patologi speeiali, ma bensi unicamente
alla comparsa di un volgare periderma e di pochi strati di felloder-
ma (a contenuto antocianico). Fra i due tessuti si^ interpone qualche
cellula di fellogeno. Non si hanno intanto traccie di formazioni ricor-
danti l'epitelio cuticolare.
In tutte e tre le piante esperimentate per effetto delle lesioni si
ha l'ispessimento del filloma, il quale poi diventa duro e talora anche
si deforma (Eucalyptus). Nel Senecio cleinoides l'ispessimento ha luogo
di preferenza quando la cera venga asportata d'inverno: d'estate si ha
invece l’assottigliamento ciò che sarebbe in relazione colla traspirazione.
Noi abbiamo anche rivolto la nostra attenzione alla Lonicera im-
pleæa che porta della cera sulla pagina inferiore delle foglie, ma sen-
za ottenere alcun risultato, pel fatto che la foglia sottoposta allo sfre-
gamento non tarda a seccare.
Lesioni ottenute collo sfregamento di foglie sprovviste o poco
fornite di cera (Dicotiledoni)
Viburnum lucidum Mill. La foglia spessa e coriacea presenta un
epidermide superiore, le cui cellule sono molto sviluppate, ricche di
contenuto e con grosso nucleo. Le cellule dell'epidermide inferiore in-
vece sono assai più piccole e meno elevate in senso radiale.
dw
de
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 49
Il tessuto verde consta di 10-14 piani di elementi: quelli esisten-
ti sotto la pagina superiore hanno contorni regolari, a forma quasi ret-
tangolare col maggior diametro diretto perpendicolarmente alla epi-
dermide. Verso il mezzo del tessuto gli elementi appaiono alquanto
meno intimamente fra loro congiunti, in guisa da circoserivere dei
meati che in prossimità dell'epidermide inferiore tornano a farsi gran-
demente ristretti a causa di una più salda unione delle cellule fra lo-
ro, le quali acquistano l’aspetto di quelle proprie del palizzata.
I vasi decorrono al limite ira laeunoso e palizzata, dove pure si
incontrano delle borse ghiandolari a contenuto granulare torbido,
Il soffregamento ha per risultato lo schiacciamento più o meno gra-
ve delle cellule epidermiche, le quali perciò presentano delle pareti
radiali ondulate e mostrano spesso delle sostanze abnormi nel loro in-
terno.
Il sottostante palizzata prolifera ed i setti sono per lo più perielini,
ma non mancano quelli obliqui o curvi. (Fig. 4). Non infrequente-
mente si segmenta pure il secondo strato del palizzata od anco en-
trano in attività gli elementi più profondamente situati. La segmen-
tazione avviene per cariocinesi. Le cellule che ne risultano sono piut-
tosto irregolari e piccole ed in generale povere di contenuto.
Verso il termine della reazione suberificano le cellule del paliz-
zata neoformato e quelle dell'epidermide, le quali poi talora si seg-
mentano pure a loro volta, dando dei setti trasversali.
Citrus aurantium Lim. Spesso si ha solo atrofia e necrosi del tessuto.
Sui lati della lesione però le cellule del parenchima ingrossano, ispes-
siscono la. membrana rivolta verso il punto leso, addossando alla stessa
un grosso strato di sostanza giallastra probabilmente di natura muei-
lagginosa. A maggior distanza il tessuto si segmenta attivamente e
qualche cellula sottoepidermica suberifica.
Non è però questo l’unico tipo di reazione, avendo noi qualche
volta riscontrato dei bozzacchioni ricoperti da un’ epidermide quà e
là ridotta a brandelli. Il tessuto malato risulta costituito superficial-
mente da uno strato di elementi sugherosi a cui suecedono delle. cel-
lule allungate con pareti ispessite, talune delle quali poi presentano
una lamella interna pure suberifieata. Al limite del tessuto leso si nota
+
ev bot, Gar; i
1912
50 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
uno strato di parenchima ordinario le cui cellule però sono strettamente
accollate le une alle altre.
Se la lesione è stata grave tra il tessuto suberificato e l’ epider-
mide si stratifica il parenchima necrosato.
Gleditschia Fontanesii Spach. Epidermide superiore a cellule ret-
tangolari con pareti delicate e con cuticola poco sviluppata. Palizzata
raccolto in due piani e costituito da elementi piuttosto grandi, ricchi di
contenuto. Tessuto lacunoso a elementi subramosi che al di dietro del-
l'epidermide inferiore si fanno più intimamente fra loro saldati. Epi-
dermide della pagina inferiore meno sviluppata di quella del lato op-
posto, ma con elementi conformati pressoché sullo stesso stampo.
Sotto l’azione dello sfregamento l’epidermide si schiaccia alquan-
to, mentre si forma un tipico epitelio cuticolare a spese delle cellule
superficiali del palizzata. Questo poi, dividendosi attivamente con for-
mazione di setti periclini, origina parecchi piani di cellule schiacciate
verso l’ esterno, allungate invece perpendicolarmente alla superficie
nelle parti profonde.
Il tessuto neoformato si riempie di tannino ed intanto le cellule
del lacunoso a contatto del palizzata, od anco quelle più discoste, ispes-
siscono la parete, in guisa da formare tutto attorno al tessuto in atti-
va proliferazione una specie di guaina (più o meno continua o talora
invece ridotta a poche cellule) di selereidi. (fig. 5).
Questi elementi, di forma piuttosto irregolare, hanno, sia per la
forma, sia per le grosse punteggiature che presentano nelle pareti,
molta rassomiglianza con gli idioblasti selerosi della polpa di taluni
frutti, colla differenza però che si mantengono più gracili. Crediamo
utile di rilevare che in una lesione accidentale (galle ?) della foglia
abbiamo pure riscontrato la stessa struttura, sebbene le cellule scle-
rose fossero più grandi e più robuste.
Quando il soffregamento è stato un po’ ruvido l’ epidermide e il
primo strato del palizzata si impoveriscono del contenuto, mentre il
tessuto suberoso compare in seno agli elementi sottostanti. Anche qui
però si ha comparsa di sclereidi al di sotto del periderma.
Ficus. Di questo genere, noi abbiamo sottoposto allo sfregamento
le foglie delle seguenti specie: F. Magnolioides Borzi, F. elastica Roxb
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 51
F.sicomorus L., F. Beniamina L., F. religiosa Lin., F.repens.(Willd).Roxb.
Ficus magnolioides Borzi. Non si è ottenuta alcuna sensibile rea-
zione a causa, forse, della robustezza della foglia. Vi ha infatti una
epidermide a cellule schiacciate, rafforzata da un ipoderma (1) i eui
elementi sono grandi e con pareti piuttosto ispessite. Segue di poi il
palizzata, raccolto in due o tre strati, e a questo il lacunoso fatto di
cellule ramose. Infine compare l’ipoderma della pagina inferiore con
elementi che assumono quà e là la forma di un palizzata ridotto. L’e-
pidermide inferiore è meno sviluppata di quella che ricopre I’ altra
faccia del lembo.
Ficus elastica Roxb. Per la struttura ricorda da vicino il F. ma-
gnolioides. Lo strato esterno dell’epidermide consta di elementi alquan-
to compressi; l’ipoderma è suddiviso in due stratile cui cellule hanno
pareti robuste e cavità piuttosto grande (in specie quelle del se-
condo strato). Di tratto in tratto, come del resto avviene anche nel
F. magnolioides, alcune cellule del piano profondo diventano cistoliti-
che, inerandendo notevolmente. Il palizzata molto ispessito, constando
di tre piani di cellule, si continua col lacunoso caratterizzato da gros-
se cellule ramose che circoserivono degli ampi spazi intercellulari. In-
fine chiudono la serie degli strati un ipoderma a cellule robuste e un
epidermide a contorno ondulato, formata da piccoli elementi.
Anche qui, come prima reazione, si. ha lo schiacciamento delle cel-
lule epidermiche superiori, senza che tuttavia si arrivi alla formazione
di un epitelio cuticolare. Gli elementi del secondo strato epidermico
subiscono la stessa sorte o riramente reagiscono segmentandosi, quà e
colà, in vario senso. Quasi costante invece è la proliferazione del se-
condo strato ipodermico le cui cellule si dividono tumultuosamente
per riempirsi di piccoli elementi, i cui setti hanno varia direzione,
per quanto siano prevalentemente tangenziali. Le divisioni si presen-
tano tanto più numerose quanto più forte e continuato è stato lo sfre-
gamento. e I
Molto frequentemente le cellule neoformate più superficiali suberi-
(1) Nella denominazione abbiamo; fatto astrazione, tanto qui che altrove, `
all'origine degli elementi.
M E EE
52 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO si
fieano, mentre quelle più profonde conservano le pareti cellulcsiche.
Quando poi la suberificazione ha invaso tutte quante le cellule suben-
tra in attività (e talora anche prima) il palizzata esterno che si sein-
de in più piani per mezzo di setti trasversali. Questi elementi rara-
menie suberificano o la metamorfosi colpisce soltanto le membrane più
derer
Per effetto delle eravi modificazioni strutturali che avvengono nel
parenchima della foglia questa si ispessisce nei punti lesi, i quali per-
ciò assumono l’aspetto delle produzioni suberose state studiate in altre
piante da Bachmann, Borzi ed altri autori.
Ficus Sicomorus L. La struttura è analoga a quella delle specie
testè descritte, per quanto più delicata; non esiste tuttavia un ipoder-
ma dal lato inferiore. |
Avvenuto l’accasciamento dell'epidermide reagisce lo strato ester-
no del palizzata che suberifica senza tuttavia proliferare. Sulle nerva-
ture maggiori suberificano pure le cellule del tessuto fondamentale sot-
tostanti al eollenehima ipodermieo.
Solo nei easi in cui il massaggio sia stato troppo ruvido si nota-
no delle proliferazioni, ma in generale le nuove cellule non si rive-
stono di suberina.
Ficus religiosa Lin. Epidermide superiore costituita da grandi cel-
lule contro le quali si appoggia il palizzata disposto in un unico stra-
to. Più profondamente incontrasi un tessuto che segna il trapasso del
palizzata tipico al lacunoso. Quest'ultimo è molto robusto e i suoi e-
lementi cireoserivono dei meati intercellulari non eccessivamente grandi.
L'epidermide inferiore ha cellule più piccole di quella superiore.
Sotto lazione dello sfregamento l'epidermide superiore si accascia;
in compenso il palizzata si allunga notevolmente, tanto che le cellule
si elevano sino a livello della cuticola. Si forma pertanto un sa
eutieolare molto elegante. (fig. 6).
Un po’ più tardi comincia la segmentazione nelle cellule ingran-
dite, ed i nuovi elementi, o almeno quelli che sottostanno all’epitelio
eutieolare, suberifieano. La proliferazione è talora attivissima, tanto
che grande diventa il numero delle cellule secondarie, e noi troviamo
questo fenomeno accompagnato per lo più anche da intensa suberifi-
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 53.
cazione lungo i fasci vascolori, dove cioè la resistenza maggiore fa-
vorisce le alterazioni.
Non infrequentemente invece la neoformazione cellulare si localiz-
za nel tessuto sottostante al palizzata il quale si accascia pure assie-
me all'epidermide.
i Ai margini della regione lesa si rileva talora la intrusione delle
cellule del palizzata, quasi che queste formino dei tilli, nelle cellule
epidermiche.
In un caso si è osservato che la suberifieazione, dopo aver colpi-
to gli strati più esterni del palizzata neoformato e avere invece ri-
spettato quelli più profondi, si manifestava di nuovo attorno alle cel-
lule fiancheggianti i cistoliti, situati, come è noto, sulla faccia inferio-
re della foglia.
Ficus Beniamina Ci Epidermide superiore formata di piccole cel
lule, cui seguono’ due strati di ipoderma costituiti da elementi irrego-
lari, spesso sdoppiati da setti più o meno obliqui. Lo strato inferiore
presenta poi delle cellule partieolarmente grandi.
L’epidermide inferiore è costituita da cellule piuttosto piccole.
Lo sfregamento provoca la segmentazione in vario senso delle cel-
lule più profonde dell’epidermide colla conseguente suberificazione delle
stesse. La porzione periferica del palizzata prolifera per formare pa-
recchi piani di cellule che non mostrano grande tendenza a suberifi-
care. Queste sono piccole e rettangolari.
La parte lesa sporge notevolmente sulla superficie della foglia.
Ficus repens (Wild) Roxb. Differisee dalle altre forme studiate
per avere la superfieie inferiore del lembo ondulata, di guisa ehe si
formano ivi dei solehi e delle eripte.
L'epidermide superiore é disposta in due piani e le cellule che la
formano sono piccole, esili e con pareti sottili. Tutto quanto il meso-
fillo consta di cellale a palizzata, o simili per forma a quelle che
rappresentano questo strato. I fasci stanno incuneati nelle costole che
sporgono sulla faccia inferiore, la cui epidermide è papillosa. Rari i
cistoliti.
Per effetto dello sfregamento suberificano le cellule del palizzata
e quelle dell’ ipoderma, le quali però iniziano il processo di reazione.
54 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
con un’attiva segmentazione. Talora la suberificazione invade anche i
tessuti più profondi del mesofillo.
Comportamento delle cellule a cistoliti. Anche queste cellule rea-
giscono allo sfregamento, ma in vario modo e neppure costantemente.
Molto volte abbiamo osservato che il palizzata in attiva proliferazione
schiaccia o comprime le cellule cistolitiche. Queste allora assumono la
forma di un imbuto colla parte più dilatata verso l’esterno, mentre la
massa cistolitica si altera a poco a poco, dando luogo alla scomparsa
della sostanza minerale dapprima e più tardi della stessa impalcatura
cellulosica. Solo il peduncolo siliceo resiste allo sfacelo. Nei easi di
gravi lesioni noi incontriamo i residui delle cellule cistolitiche inglo-
bati nelle masse di sughero, od anche quasi espulsi dalla neoformazione.
Non infrequentemente si è notata anche un’altra alterazione nel-
l'interno della cellula cistolitica pel fatto che la superficie del cistolito
e la parete della membrana cellulare rivolta verso la cavità dello ele-
mento si mostrano impregnati di suberina. (Ficus religiosa).
E’ pure stata osservata la presenza di due o più peduncoli attor-
no alla massa cistolitica; uno di essi impiantato nel sito normale
della parete cellulare, l'altro, o gli altri, infissi alle pareti laterali
od anco a quelle profonde dell'elemento, Non sappiamo per altro se.
queste anomolie costituiscano una pura accidentalità, normalmente re-
peribile, ma che forse si è resa più frequente pel fatto stesso delle
frizioni (Ficus religiosa).
Vedremo più tardi, trattando dell'azione del AgNO,, che altri ca m-
biamenti più importanti ancora si osservano nei cistoliti.
Raphiolepis rubra Lindl. La struttura della foglia (fiy.7) si presenta
alquanto singolare e ciò pel fatto che allo stato giovane le cellule e-
pidermiche della pagina superiore si insinuano profondamente fra quel-
le del palizzata, mentre nelle foglie adulte pare che si accorcino, la-
lasciando al disotto una camera d’aria. E probabile tuttavia che sia-
no capaci di subire modificazioni di forma notevoli a causa delle loro
pareti mucilagginose.
Data la forma conica di siffatti elementi ne viene che il pa-
lizzata risulta costituito da cellule variamente lunghe. Quelle più bre-
vi si trovano in corrispondenza degli apici delle cellule epidermiche,
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CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 55
quelle più sviluppate invece si insinuano negli spazi liberi che si in-
terpongono fra le stesse, arrivando sino a poca distanza dalla cuticola.
Il palizzata è molto robusto, come sviluppato è il lacunoso che
ha cellule piuttosto irregolari, eireoseriventi dei grandi meati. L’ epi-
dermide inferiore ha cellule più piccole di quella superiore.
Qui, come primo accenno di reazione, osservasi la proliferazione
dell'epidermide le cui cellule si segmentano parecchie volte di seguito
dando dei setti trasversali o di rado obliqui, per cui esse appaiono al-
fine riempite da elementi secondari di vario aspetto, in generale assai
piccoli e formanti da due a quattro piani sovrapposti e giustaposti (1).
Anche il sottostante palizzata prolifera a sua volta, con forma-
zione pure di piccoli elementi, gli esterni dei quali, sporgenti sulla
superficie fogliare, finiscono per schiacciarsi e riempirsi di masse tan-
niche. (fig. 8).
Photinia serrulata Lindl. L'epidermide superiore è formata da cel-
lule rettangolari piuttosto grandi, contro le quali si appoggia lo stra-
to esterno del palizzata. Questo è molto robusto, risultando costituito
da circa tre piani di elementi. Il lacunoso è pure assai sviluppato ed
è attraversato da grandi spazi aerei. Nulla di notevole nell’epidermide
inferiore.
A differenza di quanto avviene in molte altre specie la parte le-
sa tende ad affondarsi nel tessuto sano, pur essendovi proliferazione. .
Prima a reagire sono le cellule epidermiche che si dividono di-
sordinatamente dando dei setti obbliqui e trasversali che si fanno di
poi abbastanza robusti. Il palizzata entra pure ben tosto in attivita
per formare parecchi strati di cellule piccole, a pareti robuste e ri-
frangenti che ricordano quelle dei collenchimi (fig. 9). Nei preparati
da noi esaminati [a suberificazione delie cellule neoformate era limi-
tata all’epidermide.
Rumex nervosus Vahl. Nessuna reazione all’infuori dello schiac-
ciamento delle cellule superficiali. Il risultato negativo forse dipende
dalla poca consistenza del tessuto, formato da grandi cellule assai esili.
Paratropia umbraculifera H. Pan. L'epidermide della faccia su-
(1) In altra parte del lavoro tratteremo di alterazioni ancor più complesse.
56 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
periore della foglia consta di grandi cellule tabulari, formanti un pri-
mo pi no, e di elementi ovali (ipoderma) a pareti piuttosto ispessite.
Il palizzata è ridotto a nn solo strato e le cellule che lo costituiscono
sono grandi, rettangolari, con pareti sottili. Molto sviluppato in com-
penso è il lacunoso, i cui elementi diventano tanto più robusti quanto
più si approssimano all’epidermide inferiore, la quale risulta di ele-
menti schiacciati. Grandi meati attraversano tutto il lacunoso.
Lo sfregamento determina lo schiacciamento delle cellule epider-
miche superiori, l'allungamento e l’allargamento di quelle del palizza-
ta che si dividono di poi ripetutamente con setti trasversali avvicina-
ti al margine esterno delle cellule. Frattanto la parete delle cellule
neoformate rivolta verso l'epidermide si ispessisce per formare una
specie di epitelio cuticolare assieme ai resti dell'epidermide schiacciati
e pieni di tannino.
I risultati sopra indicati furono ottenuti solo soffregando molto a
lungo le foglie che altrimenti non reagiscono.
Olmediella Cesatiana Baill. L'epidermide superiore è fatta di cel-
lule rettangolari o cubiche particolarmente robuste essendo le mem-
brane ispessite su tutti i lati. Sottili eanalieoli attraversano le mem-
brane per mettere in comunieazione i vari elementi fra loro o con
quelli del tessuto sottostante.
Il palizzata, ridotto ad un solo strato, o tutt'al più a due, per
divisione di alcune cellule, presenta degli elementi piuttosto ampi.
Molto ispessito è invece il lacunoso le cui cellule, tondeggianti o
irregolari, hanno pareti assai ispessite. Ampi spazi intercellulari attra-
versano il tessuto e ciò pel fatto che gli elementi sono disposti in
serie radiali, separate le une dalle altre o irregolarmente fra loro u-
nite da altre serie trasversali.
L'epidermide inferiore, a prescindere dalla minor grandezza degli
elementi, ha gli stessi caratteri di quella superiore. `
Come primo accenno di reazione allo sfregamento si ha lo sdop-
piamento del palizzata, o per lo meno dello stratò più esterno dique-
sto, quando sono due. Persistendo la causa patogena, il numero dei
piani cellulari aumenta. Talora si è pure osservato qua e colà qualche
divisione tangenziale nelle cellule epidermiehe con formazione di uno
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI ` 57
strato interno (ipoderma) discontinuo, avente gli stessi caratteri di quel-
lo esterno. Non sappiamo per altro se il fenomeno debba ascriversi
alla frizione o non rappresenti, come appare più probabile, una mera
accidentalità.
Perdurando lo sfregamento vengono a formarsi molti piani di cel-
lule rettangolari piccole, a pareti sottili, tutte quante derivate dal pa-
lizzata. Le più esterne si schiacciano contro la rigida epidermide sot-
to la spinta delle sottostanti, e allora presentano delle pareti ondulate,
i oppure suberificano mentre le sottostanti conservano le membrane cel-
S lulosiche. A motivo della tumultuosa proliferazione le cellule del paliz-
. zata riescono alfine poco lunghe.
Myoporum punctulatum Schlecht. La foglia molto ispessita pre-
sentasi avvolta dalle due epidermidi a cellule grandi, la cui membra-
na non è eccessivamente ispessita dal lato esterno. Il palizzata è pure
formato di elementi vistosi e molto lunghi, disposti in due piani. A
questi tengono dietro parecchi strati di cellule corte e alquanto irre-
golari che formano il lacunoso, i cui meati non sono molto ampi.
Nello spessore dal tessuto verde troviamo i fasci vascolari e a la-
to di questi delle grosse borse secretrici, fiancheggiate da celiule vi-
stose e colle pareti alquauto ispessite nel punto in cui vengono a con-
tatto parecchi elementi, quasi che accennino a formare un rudimenta-
^
a
le collenchima. Tale struttura ha evidentemente uno scopo meceanico,
potendo le pareti ispessite resistere alla pressione del secreto che si
accumula nelle borse. La tendenza alla formazione di un tessuto col-
enehimatoide è adunque innata nelle cellule del parenchima e per-
‘ciò dovremo vedere comparire questo tessuto nelle foglie soffregate.
La reazione si inizia collo schiacciamento dell'epidermide supe-
riore, ma non eostantemente, avendo noi qualehe volta osservato ehe
le eellule non alterano la forma, oppure si dividono per setti trasver-
sali o pià o meno obliqui.
Ben tosto ha luogo la proliferazione delle grandi cellule esterne del
palizzata, si formano così parecchi piani di cellule tabulari talora
però più o meno irregolari per la presenza di setti obliqui, reperibili
di preferenza verso gli orli della zona lesa.
Il tessnto neoformato spesso sporge sulla circostante epidermide
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58 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
della parte sana, in modo da riprodurre le neoformazioni a tipo len-
ticellare alle quali abbiamo altrove accennato. Le cellule neoformate
si impoveriscono dı contenuto e frattanto ispessiscono la parete che |
diventa collenchimatosa. (fig. 10). Siffatto colle ichima si forma quasi 1
del tutto a spese del palizzata, i eui elementi sono notevolmente in- 3
granditi.
La trasformazione del parenchima ordinario in collenchima gua-
dagna sempre piü in profondità, per eui al fine vediamo rendersi piü
tipico lo strato cellenchimatoide attorno alle borse ghiandolari e spe-
cialmente dal lato rivolto verso la pagina superiore della foglia. Sif- |
fatto comportamento, per parte del parenchima verde, vale ad indi- i
carci che le pressioni meccaniche influiscono grandemente sulla specia- ;
lizzazione degli elementi e ci da la ragione della presenza di un pseu-
do-collenchima attorno alle borse, cui abbiamo sopra accennato. |
A complemento delle osservazioni fatte sul Myoporum rileveremo |
ancora che fu osservata la cariocinesi sulle cellule epidermiche in via |
di divisione. i
Melodium scandens Forst. La struttura della foglia è abbastanza
semplice: le due epidermidi non si presentano eccessivamente ispessite:
il palizzata, suddiviso in due piani, consta di cellule sottili, mentre il
lacunoso ha elementi tondeggianti od irregolari con pareti alquanto
ispessite.
Rara è la reazione per parte dell'epidermide che tutt’al più si li-
mita ad ingrandire i suoi elementi per poi accasciarsi. Divisioni nelle
cellule furono osservate quà e là, ma è dubbio che dipendano dal E
trauma.
Il palizzata invece prolifera formando parecchi piani di cellule su-
berifieate. Contemporaneamente molti degli elementi neoformati e quel-
li rimasti immutati ispessiscono le pareti, tanto che nelle sezioni tra-
sversali la foglia assume taluni dei caratteri che abbiamo rilevato nel
Myoporum.
Nelle lesioni un po' gravi tutto quanto il parenehima verde del-
la foglia ingrandisce gli elementi, mentre le cellule a pareti ispessite
asquistano quasi i caratteri di un collenchima. La foglia frattanto nel-
la parte lesa diventa più consistente ed ispessita, tanto che quando il
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 59
processo di neoformazione si é svolto un po’ intensamente la parte ma-
lata appare sollevata, quasi a guisa di lenticella, sulla sana. (fig. 11)
In qualche raro caso abbiamo visto la suberificazione estendersi
profondamente, oppure lo strato esterno del palizzata fondere la sua
membrana frontale con quella della sovrapposta epidermide sehiaecia-
ta per dare origine a un epitelio cuticolare.
Laurus canariensis Webb. et Berth. Epidermide superiore a pare-
te esterna molto ispessita, formata di cellule rettangolari od anco
cubiche, in sezione trasversale: palizzata di due strati con elementi
piuttosto grandi: lacunoso a cellule ramose delimitanti dei grandi mea-
ti: epidermide inferiore foggiata sullo stampo di quella superiore. -Il
parenchima è tramezzato perchè i fasci vascolari coi relativi cordoni
meccanici occupano tutto lo spazio compreso tra le due epidermidi.
Le foglie soffregate parecchie volte mostrano differenti lesioni a
seconda dell’intensità dello stimolo traumatico. |
Talora si nota che l’epidermide superiore rimane, almeno in ap-
parenza, immutata o si mostra soltanto lievemente compressa. In tal
caso il sottostante palizzata si affloscia e le pareti delle sue cellule
diventano ondulate, mentre lo strato profondo di questo tessuto si se-
para per mezzo di uno rivestimento di suberina limiteto alla parte
frontale delle cellule, vale a dire a quel tratto di membran: che vie-
ne a contatto colle sovrapposte cellule ammalate.
Capita però non infrequentemente che tutte quante le pareti del-
le dette cellule suberificano mentre queste ingrandiscono. Quando ciò
avviene il lacunoso prolifera e sono in ispecie gli elementi situati al
di sotto del palizzata che entrano in attività,
Assai spesso gli elementi circostanti ai cordoni meccanici che in-
cappucciano il libro ispessiseono le pareti sulle quali poi compaiono
numerose punteggiature. Si ha così nn espansione del fascio mecea-
nico al di sotto dell'epidermide della faccia superiore del lembo. Noi
abbiamo pure osservata questa speciale modificazione delle pareti cel-
lulari in tutti quanti gli elementi del palizzata superficiale che appa-
re così trasformato in uno strato meccanico più o meno robusto. Ta-
luni elementi assumono poi il carattere di veri sclereidi, ciò che non
impedisce tuttavia la divisione degli elementi.
60 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Perdurando la causa patogena si ispessiscono anche alquanto gli
elementi del lacunoso e persino le cellule secretrici sparse nel paren-
chima, mentre lo strato esterno del palizzata colle sue cellule del tut-
to selerosate si è sostituito all'epidermide schiacciata formando all'uo-
po un bellissimo epitelio cuticolare, quanto mai robusto (fig. 12).
A quanto pare i tessuti meccanici neoformati non sono lignificati,
ma occorre notare che neppure i cordoni dei fasci hanno cellule mol-
to incrostate di lignina.
Senecio Kaempferi Dec. La Galia piuttosto ispessita presenta i
seguenti strati a partire dalla pagina superiore. Epidermide a cellule
assai grandi e con membrane non molto ispessite. Tiene dietro un ipo,
derma e poi il palizzata formato da elementi grandi e larghi. Il tes-
suto lacunoso consta di molte serie di cellule disposte disordinatamen-
te in file radiali e trasversali che lasciano fra loro dei grandi meati.
Infine viene l'epidermide inferiore caratterizzata da piccoli elementi.
| L'epidermide superiore sotto l'azione dello sfregamento si schiac-
cia e allora gli elementi dell'ipoderma suberificano in corrispendenza
delle faccie laterali, mentre si ingrandiscono notevolmente e si seg-
mentano in senso trasversale.
Il palizzata ispessisce leggermente le pareti sulle quali poi com-
paiono distinti i pori, in specie quando sitengano per un po' di tem-
po le sezioni in acqua di Javelle. Talora, anziché l’ipoderma, prolifera
il palizzata, il quale allunga di molto i suoi elementi che schiac-
ciano le sovrastanti cellule ipodermiche. Al fine si ha luogo la seg-
mentazione in senso trasversale delle cellule e si forma così un nuovo
strato che suberifica.
Atriplex nummularia Lindl. Ha una foglia gracile, un po’ car-
nosa la quale consta di un epidermide a cellule irregolari, di un pa-
lizzata che forma attorno ai fasci vascolari una vera guaina, di un
lacunoso disposto in un unico strato e rappresentato da grandi elemen-
ti e infine dell'epidermide inferiore.
Le sfregamento altera molto il tessuto e perciò vediamo che pro-
liferano e suberiticano non solo le cellule del palizzata sottostanti al-
l'epidermide superiore, ma anche quelle che stanno al di sotto dei
fasci vascolari. Siffatti elementi, prima di segmentarsi, si allungano
Rr EMEN
CONTRIBUZIONE ALT.O STUDIO DELLE LESIONI FUGLIARI ‘61
notevolmente spostando i sovrastanti fasci i quali vengono perciò a
trovarsi in ur piano più elevato di quello in eui decorrono normal-
mente. (tig. 13).
L'ultima fase del processo è rappresentata dalla formazione di un
grosso ammasso di cellule suberifieate che inglobano i fasci vascolari.
Eugenia uniflora. Lin. (fig. 14) Epidermide quasi conformata su
uno stesso stampo, e con cellule piccole a cuticola ispessita. Due piani
di palizzata di cui l'esterno formato da elementi più piccoli, fatta ec-
cezione per quelli contenenti delle macle o dei cristalli isolati di ossa-
lato ealeieo. Parecchi piani di laeunoso, formato da cellule rotonde che
circoscrivono dei piccoli meati.
Le cellule del palizzata e quelle dell'epidermide si appiattiscono,
mentre gli elementi sottostanti si allungano notevolmente e si allarga-
no per poi segmentarsi ripetutamente e in vario senso, Alla stessa sor-
te vanno incontro i piani cellulari più profondamente situati tanto che
restano apparentemente immutati soltanto i quattro o cinque strati di
cellule sottostanti alla epidermide inferiore. |
La foglia si ispessisce notevolmente nel punto leso e frattanto le
cellule neoformate si impoveriseono di contenuto.
Nulla di notevole si nota nelle borse ghiandolari ineluse nel pa-
lizzata e neppure appaiono alterati i cristalli di ossalato di ealee; ab-
biamo tuttavia notato che taluni di questi mostransi corrosi, ma non
possiamo affermare che la dissoluzione sia un portato del processo di
reazione.
Col Sudan III si nota che la suberifieazione ha invaso le cellule
sottostanti al palizzata ed anco taluni degli elementi più profondi: gli
altri strati non hanno mutato la costituzione della membrana.
Evonymus japonicus L. fil. Nulla di notevole nella costituzione a-
natomica. L'epidermide ha cellule ispessite e grandi: il palizzata è di-
sposto in tre piani e consta di cellule sottili, mentre nella zona del
lacunoso si hanno elementi a membrane ispessite.
La foglia stenta alquanto a reagire, e si limita a formare una
specie di periderma che si eleva sulla superficie del lembo fogliare.
Al di sotto del tenuto suberificato si incontra uno strato di felloderma
a piccole cellule. L'epidermide, come al solito, si schiaccia, oppure si
‘62 i LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
riempie di masse d’ispessimento, come è frequente ad osservarsi nei
bordi della regione lesa. |
Acacia uncinella. Benth. (fig. 15). Il fillodio presentasi costituito da
un epidermide i cui elementi sono schiacciati e colla membrana esterna
fortemente ispessita. Il palizzata risulta formato da uno o due piani di
cellule poiché si avvicendano regioni in eui sonvi due piani cellulari con
altre dove ve ne ha uno solo. Alcune cellule sono eristalligere (cristalli
di Rosanoff).
Il midollo risulta formato da grandi elementi lignificati.
Sotto l’azione dello stimolo traumatico si ha la lignificazione delle
cellule esterne del palizzata che perciò spiccano sulle circostanti quando
vengano colorate colla saffranina. Nel midollo si osserva lo ispessimento
delle pareti cellulari le quali poi si inerostano sempre più di lignina.
Nei casi gravi ha luogo anche proliferazione del midollo con for-
mazione di setti curvi, prevalentemente periclinali, i quali poi ben
tosto ispessiseono e suberificano come la rimanente porzione della mem-
brana. Le cellule neoformate si riempiono poi anco di tannino.
L’ ispessimento del tessuto midollare provoca il sollevamento del
sovrastante palizzata che viene ad occupare un piano più superficiale,
ed anco a sporgere : ll'esterno. |
Molte volte si è incontrato la segmentazione delle cellule del pa-
lizzata con formazione di piccole cellule sottoepidermiche che al fine
$i schiacciano ed allora formano coll’ epidermide pure schiacciata un
vero epitelio cuticolare. Le sottoposte cellule del palizzata ispessiscono
notevolmente le pareti sulle quali poi compaiono delle punteggiature
molto ampie. Nei easi in eui non avviene lo schiaeciamento dell'epider-
mide gli elementi di questa suberificino assieme a quelli del sottoposto
palizzata, o alle cellule che ne derivano in seguito alla proliferazione.
Nelle lesioni gravissime infine suberifica tutto il tessuto del pa-
lizzata e del midollo.
Cercis siliquastrum Lin. Le foglie in generale non sopportano lo
! sfregamento, che prontamente le uecide. Perciò solo in qualche caso
| abbiamo potuto coustatare lo schiacciamento dell’ epidermide con la
eonseguente suberifieazione di talune cellule sottostanti.
Hedera Heliz Lin. Epidermide delicata, tuttavia alquanto ispessita
a
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 63
dal lato esterno. Palizzata di due o tre piani con cellule larghe, ovali.
Lacunoso molto lasso. L'epidermide si schiaccia e le cellule del palizzata
si scindono trasversalmente, mentre sviluppano del tannino.Talora in se-
guito allo schiacciamento dell’epidermide si forma un epitelio cuticolare.
E’ singolare che nelle nostre esperienze sia mancata Ja produzione
di tessuti suberificati, mentre è noto che la foglia quasi normalmente
dà origine a neoformazioni simili alle lenticelle. E’ probabile che sif-
fatta produzione abbia luogo quando si lascino più a lungo le ‘foglie
sul ramo o si soffreghino più intensamente e ripetutamente.
Brassica oleracea Lin. (fig. 16). La foglia è piuttosto carnosa e pre-
senta un parenchima verde, costituito da cellule pressoche similari fra
loro, di forma ovale; solo verso l'epidermide superiore si nota un leg-
gero allungamento delle cellule in senso radicale. Gli spazii intercelu-
lari sono piccoli.
L'epidermide sotto l'azione dello sfregamento si schiaccia ed al-
lora proliferano i piani cellulari superficiali del parenchima per for-
mare un robusto strato di cellule piccole e suberificate.
I sottostanti elementi, pure a loro volta tramezzati, ingrossano ed
ispezziscono le pareti, di guisa che spiccano su quelli normali piuttosto
esili. Non poche cellule sono particolarmente distinte e per la robu-
stezza delle pareti e per le punteggiature di queste e rassomigliano
perciò a veri sclereidi. Altre invece si mostrano schiacciate per man-
canza di mezzi meccanici di protezione.
Le lesioni possono mantenersi superficiali, o all’opposto affondersi
notevolmente nei tessuti.
Buxus balearica Lam. Le due epidermidi hanno cellule non molto
grandi, ma con pareti robuste in corrispondenza della faccia esterna.
Il lacunoso è sviluppato, con cellule ramose che circoscrivono dei grandi
meati. Pure robusto è il palizzata (tre piani).
. La reazione ha qui una speciale violenza. Le cellule epidermiche
restano intatte, ciò non ostante tutto quanto il parenchina verde ispes-
sisce notevolmente le cellule, donde la comparsa di un tessuto sclero-
sato che contribuisce a ispessire la foglia. Occorre notare tuttavia che
lo strato sottoposto all’ epidermide, forse perchè troppo compresso , si
schiaccia.
64 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Le cellule frattanto si segmentano in vario senso per quanto
più frequenti siano i setti perielini. Il processo di segmentazione è
particolarmente evidente attorno ai fasci, dove compare una vera guaina
‘di cellule neoformate.
Talora la reazione avviene piuttosto Ee ed allora gli.
strati compresi fra le cellule che reagiscono allo stimolo e l'epidermide
collabiscono e si riempiono di tannino.
Non é raro il easo di incontrare degli elementi che presentano
ispessita solamente la parete rivolta verso lo strato più superficiale,
‘cioè corrispondente all'epidermide superiore soffregata.
Anche le cellule neoformate ispessiscono le pareti che assumono
l'aspetto di quelle collenchimatose.
*
* *
Oltre che nelle piante testé ricordate, noi abbiamo aneora esperi-
mento sopra molte altre specie, senza ottenere una reazione caratteri-
stica e ciò pel fatto che le foglie o erano troppo tenere o troppo gio-
vani. In generale le foglie sottili e delicate reagiscono tutte ad un
modo; imbruniseono e neerotizzano nel punto leso per cui la reazione,
se avviene, si localizza sui margini del punto malato. Lo stesso dicasi —
per le foglie giovani, le quali in seguito alla necrosi crescono rattrap-
‘pite, dopo aver sviluppato I’ ordinario tessuto di cicatrizzazione sui
bordi della regione malata.
E’ lecito quindi affermare che la reazione avviene con grande
energia unicamente nelle piante a foglie o persistenti, o carnose, 0
‘coriacee. Per ottenerla basta soffregare, anche non troppo ruvidamente
‘e per un minuto circa, le foglie avendo cura di ripetere l' operazione
ogni due o tre giorni sino a che compaiano le prime traccie della rea-
zione. Queste si appalesano o come macchie brune diffuse, dovute alla
‘comparsa di tannino, o come leggero sbiadimento nella colorazione
‘verde (indizio di elorosi) che può arrivare sino alla colorazione gial-
lognola. Talora si ha una speciale colorazione argentea dovuta a cause
non ben note o a presenza d'aria negli spazii intercellulari, mentre
scostantemente si osserva che la parte soffregata diventa lucida quasi
— o viceversa ruvida. i
y ZE dE n F PIL, X
=
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 65
Le foglie vanno lasciate in sito per un tempo sufficientemente lungo;
le più belle reazioni furono da noi riscontrate in foglie che erano ri-
maste attaccate alla pianta per circa 6 mesi dall’ inizio dello sfrega-
mento. Pare adunque che una volta iniziato il processo la reazione
continui a lungo. Perciò le descrizioni che noi abbiamo dato, per
quanto si riferiscano alle lesioni che più ordinariamente si rivelano,
non rappresentano tutte qnante le modalità della reazione, potendo
questa variare per un’ infinità di cause. Ad ogni modo dalle osserva-
zioni fatte emergono le seguenti conclusioni:
1. Fra le Dicotiledoni reagiscono bene quelle a foglie coriacee, car-
nose e persistenti, poichè fillomi teneri vanno più facilmente incontro
alla necrosi. ;
2. Le foglie giovani si comportano come quelle tenere; non rea-
giscono cioè attivamente.
3. L'epidermide per lo più si schiaccia o collabisce; non mancano
tuttavia i casi in cui entra in attività, segmentandosi,
4. Quando l’epidermide forma più strati, gli interni, che noi per
ragioni di brevità abbiamo inglobati nella categoria degli ipodermi, o
si schiacciano o reagiscono segmentandosi , e questo secondo modo di
comportarsi è più frequente. In generale è lo strato più profondo del-
l'epidermide che entra in attività.
5) Quando si ha un vero ipoderma questo reagisce, o viceversa
si schiaccia colla sovrastante epidermide.
6) Non di rado le membrane dell’epidermide schiacciate formano
con quelle delle cellule sottostanti in attiva reazione una membrana
| particolare, assai complessa, che sostituisce la cuticola, cui rassomiglia
moltissimo. Siffatta membrana venne fino ad ora riscontrata in pochis-
sime piante allo stato normale e in un caso in produzioni patelogiche.
Ad essa abbiamo dato il nome di epitelio cuticolare col quale appun-
to vennero dal Damm descritte le produzioni similari del Viscum e
di altre piante a cuticola persistente.
7) Molto frequentemente reagisce il palizzata, a condizione, bene
‘ inteso, ehe lo sfregamento venga effettuato, come negli esempi da noi
studiati, sulla pagina superiore della foglia.
8) La reazione si manifesta colla formazione di nuovi elementi
5
dP EE EN MT LAUR. IB. S
66 - LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
previo allungamento e allargamento delle cellule madri. Il numero del-
le cellule neoformate talora è scarso, talora è grande, e i setti che dan-
no luogo alla comparsa delle stesse sono di preferenza periclinali. Non
mancano però i casi in cui si hanno dei setti con varia inclinazione,
sia che le cellule si trovino nel mezzo della parte lesa, sia ai bordi
di questa.
9) Pure molto comune è l’ispessimento delle pareti. Le cellule as-
sumono perciò i caratteri degli elementi meccanici. Inoltre nei tratti
ispessiti della membrana compaiono delle punteggiature vistose. L’ i-
spessimento è talora totale; più raro è l’ispessimento dal lato in cui
le cellule in attiva reaziane confinano con le cellule sovrastanti schiac-
ciate.
10) L’ingrandimento delle cellule porta alla restrizione degli spa-
zi intercellulari e alla formazione di un *essuto piuttosto compatto.
11) Le reazioni neoformative o semplicemente attive possono ef-
fettuarsi a varia profondità; molte volte poi sono Barock piani di
cellule che reagiscono contemporaneamente.
12) La reazione porta spesso alla suberificazione che d’ ordinario
si localizza alle cellule neoformate più superficiali. Nei casi di lesioni
gravi tutto quanto il tessuto neoformato suberifica. Colla suberifica-
zione, o indipendentemente da questa, ha pure luogo la lignificazione
che si localizza poi spesso sulle cellule che acquistano caratteri mec-
canici. Le cellule più discoste dalla superficie d’ordinario conservano
pareti cellulosiche.
13) Quanto maggiore è il numero dei piani di cellule schiacciate
tanto più profondamente avviene la suberificazione che quasi mai in-
teressa le cellule schiacciate.
14) Quando il soffregamento venga effettuato sopra cellule poco
differenziate come ad esempio sono quelle degli epitemi, noi vediamo
che le stesse pure suberificano. In generale (Crassulacee) di strati più
superficiali dell'epitema non subiscono alterazione apparente, mentre
la suberificazione compare nel 2° o 3° strato al di sotto dell’ epider-
mide e a quanto pare le cellule modificano le pareti, senza subire di-
visioni o ingrandimento notevole.
DI REMI EE ee
LE EE ESEN
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 67
15) Gli elementi specifici dei fasci vascolari non reagiscono atti-
vamente: le loro guaine però proliferano.
16) Trattandosi di cellule eristallifere o secretrici o non si osser-
va reazione di sorta o avvengono delle curiose reazioni come è il ca-
so della formazione di tilli in seno alle cellule cistolitiche, colla scom-
parsa della massa di carbonato calcico. Talvolta suberifica l’impalca-
tura del cistolito e la membrana cellulare dallato rivolto verso la ca-
vità. Per quanto riguarda le cellule con ossalato di calcio è dubbio se
questa sostanza scompaia.
17) Le reazioni proliferative si accompagnano d’ordinario collo e-
saurimento dei contenuti cellulari: diminuisce perciò il protoplasma,
l'amido si fa scarso, e la stessa sorte tocca ai granuli di clorofilla e
ad altri costituenti importanti della cellula. In compenso aumentano
certe sostanze o se ne creano delle nuove (tannino, gomme, sostanze
coloranti che impregnano le membrane o il contenuto ete).
18) La proliferazione cellulare è preceduta, almeno nei casi in cui
abbiamo espressamente fissata la nostra attenzione, dalla cariocinesi.
Mentre è noto che molti autori ritengono che questa non si verifichi
o compaia assieme alle amitosi. Il processo cariocinetico sviluppa poi
la placca in senso perielino, ma anche frequentemente in vario senso
ed il setto che ne risulta in qualche caso non si forma contempora-
neamente per tutta la larghezza della cavità cellulare.
Specialmente interessante ò lo studio delle neoformazioni cellula-
ri in seno alle grandi cellule madri di origine epidermiea dei Ficus
(Cellule epidermiche profonde).
19) I punti lesi ispessiscono spesso notevolmente e il tessuto neo-
formato forma come una bozza sulla superficie del lembo assumendo
tutti quanti i caratteri delle produzioni, di indole suberosa che furono
studiate dal Backmann, dal Borzi e da altri autori (1) le quali devo-
(1) In una foglia di Magnolia grandiflora Lin. (fig. 17) in cui per un accie
dente di ignota natura erasi formata una lesione, o perlo meno una produzio-
ne analoga a quelle descritte dal Bakmann, abbiamo riscontrato che la zona i-
spessita aveva i seguenti caratteri che ricordano quelli da noi ad arte ottenuti:
L’ epidermide erasi fusa coli’ ipoderma ed intanto il palizzata aveva proliferato
68 LUIGI BUSCALIONE E GIUSEPPE MUSCATELLO
no la loro origine a cause tuttora in gran parte ignote. Raramente il
tessuto leso è più infossato del circostante sano. I noduli prominenti
sono per lo più circoscritti da un tessuto sugheroso, oppure dall’epite-
lio cuticolare, quando non lu sono dallo stesso palizzata che ha man-
tenuto immutati i suoi caratteri o ha solo ‘alquanto allungato i suoi
elementi.
Z0) L’ispessimento del tessuto, le neoproduzioni cellulari, la com-
parsa di cellule suberificate, lignificate e persino di selereidi, l'allunga-
mento infine che subiscono certi elementi sono caratteri che hanno lon-
tana rassomiglianza con quanto accade in ta'une calle. Pare adunque
che la continuità dello stimolo e la mitezza di questo siano due con-
dizioni favorevoli alla comparsa di tessuti più o meno specializzati.
Sta tuttavia il fatto che il maggior perfezionamente che si osserva
nelle produzioni gallicole può essere anche il prodotto di altri fattori
(stimoli chimici ete.). Inoltre stimoli traumatici forti e che agiscono u-
na volta sola producono pure delle cellule specializzate, come vedremo
in seguito.
Lesioni ottenute collo sfregamento di foglie sprovviste o poco
. fornite di cera (Monocotiledoni)
Yucca filamentosa Lin. Epidermide ispessita; parenchima verde
molto robusto, formato alla periferia da cellule rettangolari piuttosto
intimamente fra loro unite e più decisamente foggiate sul tipo di quel-
le proprie del palizzata in corrispondenza della pagina superiore della
foglia. La parte centrale di questa è occupata da un parenchima di
cellule rotonde che lasciano fra loro dei piccoli meati.
Sotto l’azione dello sfregamento l’epidermide si stacca dal sotto-
stante tessuto pur tuttavia rimanendo aderente alla foglia. Al di sotto
si formano parecchi piani di cellule suberose.
per dar luogo alla formazione di più strati di cellule tubulari sovrapposte, a pa-
rete fortemente ispessita. L’ispessimento si faceva meno sensibile verso l’interno,
per cui il lacunoso apperiva del tutto norma!mente costituito. Le cellule ispes-
site erano munite di punteggiature e quelle più esterne si presentavano suberi-
ficate (talora anche lignificate).
*
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 69
Scilla peruviana Lin. Si schiaccia l'epidermide e alcuni strati sot-
tostanti: le cellule con questi confinanti si ingrossano e suberificano.
In un punto si è trovato un accenno di epitelio cuticulare ma ridottis-
simo, come pure si è osservata qualche divisione, più o meno inclinata
negli elementi in via di suberificazione e in quelli sottostanti.
Strelitzia Augusta Thunb. Epidermide inferiore fatta di cellule
piccole fortemente cutinizzate: ipoderma costituito da elementi stirati
in senso tangenziale e piuttosto robusti: lacunoso di cellule stellate che
in vicinanza dei fasci diventano simili a quelle di un tipico palizzata:
al di sopra compare poi quest'ultimo a cellule strette allungate, cui
tengono dietro degli elementi grandi ovali od irregolari a pareti ro-
buste ondulate, intimamente fra loro saldati e formanti un grosso ipo-
derma; infine l'epidermide superiore a cellule piccole rivestite da ro-
busta cuticola. Il tessuto verde è interposto tra i fasci vascolari i qua-
li, occupando quasi tutto lo spazio compreso fra le due epidermidi, eir-
eoserivono delle concamerazioni riempite, come si è detto, dal tessuto
fondamentale verde.
Non si è osservata alcuna reazione, tutt'al più abbiamo notato la
comparsa di masse tanniche nel palizzata in seguito allo schiacciamen-
dei tessuti più superficiali.
Bromelia antiacantha Bertol. Le cellule dell’ ipoderma dapprima
ingrandiseono e poi si tramezzano suberificando.
Alpinia nutans Roxb. Incontrasi pressochè la struttura che abbia-
mo segnalato nelle foglie di Strelitzia, poiché proeedendo dal lato su-
periore verso l'inferiore troviamo un epidermide a cellule rettangolari,
poi delle grosse cellule d'ipoderma per lo più formanti due piani, al
di sotto delle quali si stratifica il p^lizzata le cui cellule sono allun-
gate assai: infine vi è il lacunoso con elementi piuttosto irregolar-
e l'epidermide inferiore.
Le cellule si schiacciano senza che per questo fatto si abbia an
accenno di reazione all'infuori dela comparsa del tannino negli elei
menti ipodermici e del palizzata.
Lo schiacciamento è però poco accentuato a causa dei cordoni
meccanici che incapucciano i fasci e formano delle travature di resi-
stenza estese da un'epidermide all'altra.
70 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Oltre a queste piante noi abbiamo ancora rivolta la nostra atten-
zione a molti altri tipi, ma senza alcun risultato, avendo quasi co-
stantemente osservato che le foglie nel punto leso ingialliscono, e van-
no incontro alla necrosi che talora si estende assai al di là del punto
soffregato.
In generale la mancata reazione dipende dall’essere le foglie di
molte Monocotiledonee troppo tenere e sottili.
Non possiamo tuttavia dimentare che nelle Monocotiledoni la
tendenza alla formazione di tessuti suberosi è meno generalizzata che
nelle Dicotiledoni, ciò che forse potrebbe spiegarsi l’insuccesso ottenu-
to in molte piante. Però contro siffatta ipotesi sta il fatto che delle
vere formazioni lenticelloidi nelle Monocotiledoni furono riscontrate
da più di un’ autore, sebbene quasi sempre in piante dotate di fusto
perenne, provvisto per lo più di produzioni peridermiche. Daremo più
tardi, nelle conclusioni, la probabile spiegazione di questo singolare
comportamonto.
Sotto il punto di vista che ci interessa le Monocotiledoni si av-
vicinerebbero adunque alla Crittogame superiori, nelle quali le reazio-
ni ai traumi avvengono senza formazione di periderma. Faremo in-
tanto rilevare che anche per quanto concerne la formazione dei fasci
vascolari le Monocotiledoni si allontanano dalle Dicotiledoni avendo
Freundlich osservato che i vasi di raccordo reperibili attorno alle fe-
rite, non si formano nelle foglie delle prime.
Lesioni ottenute collo sfregamento di fusti alati e fogliformi
Per completare questo argomento abbiamo creduto opportuno di
studiare quali fenomeni avvengono negli organi fogliformi di aleune
Monocotiledoni (Ruscus e Semele) paragonando di poi i risultati con
quanto si osserva nei fusti pure espansi di talune Dicotiledoni (Mueh-
lembeckia).
Semele androgyna Lin. Il cladodio si mostra rivestito da due epi-
dermidi a cellule rettangolari, piuttosto grandi, contro le quali viene a
poggiare un palizzata atipico nel senso che le cellule non sono ovun-
que allungate perpendicolarmente alla superficie, bensì più o meno
DEE eg EE E CS
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI Fc GLIARI 71
cubiche, rotonde od irregolari, e delimitanti perciò quasi sempre degli
spazi intercellulari come quelle del lacuneso. La regione assile dell’or-
gano è occupata da elementi privi di clorofilla, molto ampi ed irrego-
larmente ovalari. I fasci vascolari occupano gran parte della regione
trasversale del cladodio.
Le ripetute soffregazioni col fazzoletto provecano molte volte sol-
tanto l’accasciamento delle cellule epidermiche: in altri ca i si ha la
comparsa di qualche raro setto trasversale nel sottostante palizzata.
Se poi lo strofinio è stato un po’ intenso le cellule epidermiche anda-
te a male formano, colle loro membrane e coi residui del contenuto
profondamente metamorfizzati, una specie di epitelio cuticolare (fig. 18).
In taluni cladodî stati ruvidamente trattati e di poi abbandonati
(fig. 19) a sè per parecchi mesi abbiamo veduto comparire un vero
cuscinetto suberoso per tutto analogo alle produzioni state descritte
dal Borzì e Backmann. Il tessuto neoformato, sporgente sulla circostan-
te epidermide sana, risultava costituito da parecchi piani di cellule
rettangolari a pareti robuste e vuote. Siffatto periderma deriva dal
tessuto a palizzata, od anco da quello più profondo.
Le divisioni cellulari che hanno preceduto la formazione del cu-
scinetto suberoso, per quanto si può giudicare dell'esame di produzioni
aventi oramai raggiunto lo stato adulto, dovettero procedere in ordine,
centripeto.
Ruscus Hypophyllum Lin. Il cladodio secca, previo imbrunimento,
per cui non si ottiene alcuna reaziene.
Muehlembeckia platiclados Meisen. L'epidermide è costituita da
cellule rettangolari la cui membrana è poco ispessita sulla faccia e-
sterna e molto esile sulle altre. Succedono all’epidermide tre o quattro
piani di cellule rettangolari o cubiche abbastanza intimamente fra lo-
ro unite e rappresentanti perciò un palizzata più o meno ridotto. Il
tessuto verde però manca al davanti dei fasci i quali sono dal lato
del libro rinforzati da una guaina meccanica che arriva fino quasi
all’epidermiae. |
Al di sotto del palizzata incontrasi l'endodermide formata da u-
na fila di cellule poligonali a pareti ispessite e lignifieate. Il centro
dell’organo è occupato da un tessuto midollare a grandi elementi vuoti'
72 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Sotto lo stimolo dello sfregamento si ha innanzi tutto l’allunga-
mento in senso radiale delle cellule più esterne del palizzata e lo
schiacciamento di quelle epidermiche. Un po’ più tardi il tessuto ver-
de prolifera per formare parecchi piani di piccole cellule suberificate
Quando la reazione tende a diffondersi si osserva una singolare mo-
dificaziane di struttura nello sclerenchima liberiano e nell'endoderma,
inquantoquè nei due tessuti scompaiono a poco a poco gli ispessimen-
ti delle pareti cellulari che, ridotte di poi a esili lamelle, suberifica-
no (1). Si è pure osservata la suberificazione degli elementi del libro
ed allora questo processo si estende anche ai grandi raggi midollari,
se così si possono chiamare gli ampi spazi pieni di tessuto fondamen-
tale interposti fra i fasci. Non infrequentemente infine suberifica sol-
tanto il midollo o i cordoni selerenchimatosi dei fasci.
Risulta soltanto dai fatti esposti che in generale gli organi for-
gliformi d'origine assile, siano essi appartenenti a specie monocotile-
donee. o alle dicotiledonee reagiseono abbastanza bene allo sfregamento
producendo dei tessuti di varia costituzione, in cui però prevale il pe-
riderma. In talune Monocotolidoni fornite di cladodî la reazione è tut-
tavia — almeno nei nostri esperimenti — mancata.
Lesioni dovute alla causticazione col nitrato d'argento
I risultati ottenuti colle azioni meccaniche ci hanno indotto a ri-
volgere la nostra attenzione alle reazioni che avvengono quando si
caustichi col nitrato d’argento l'epidermide fogliare la quale sotto la
azione del reattivo si altera senza tuttavia staccarsi, il che deve aver
per effetto di dare ai processi neoformativi un’impronta differente da
quella che regola i processi di cicatrizzazione dovuti a ferite, in cui
la soluzione di continuità contribuisce ad alterare profondamente e ra-
pidamente i tessuti.
Le causticazioni vennero eseguite alla faccia superiore del lembo,
previo umettamento di questa, ed avendo cura di non prolungare troppo
(1) Un analogo comportamento fu dal Massart osservato nelle lesioni di ta-
luni fusti normalmente conformati.
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 78
il contatto della matita caustica colla foglia. Questa veniva di poi stac-
cata dalla pianta parecchi mesi dopo e ben tosto sottoposta all'esame
microscopico.
Riportiamo qui i risultati ottenuti:
a) Dicotiledoni.
Ficus repens Willd. Roxb. Il sale d’argento si espande in tutti i
tessuti, accumulandosi nelle cellule sotto forma di granuli neri. Ciò
non di meno non si è osservato alcuna reazione, all'infuori dell’ingial-
limento dei contenuti plasmici nella zona lesa.
Ficus elastica Roxb (fig.20). Nei punti in cui l'AgNO, ha agito con
maggiore intensità si forma una bozza, per proliferazione del parenchima
fogliare, rivestita dall'epidermide. Le cellule di questo tessuto sono al-
quanto schiacciate, ma più per effetto della compressione esercitata
dai sottostanti elementi che dal sale d'argento. Infatti i setti sono
obliqui, rispetto alla superficie, nelle grandi cellule epidermiche pro-
fonde non collabite.
Sui margini della lesione queste ultime e quelle del piano epider-
mico mediano si dividono attivamente e disordinatamente per formare
nel loro interno parecchi elementi giustaposti di forma irregolare e
prevalentemente allungati tangenzialmente alla neoformazione. A mag-
gior distanza del tessuto malato si ha sol più qualche setto radiale
nelle cellule epidermiche profonde.
Il tessuto a palizzata &, nel cuore della lesione , assai sollevato,
mentre le sue cellule mostransi pure schiacciate. All’opposto sui bordi
esso prolifera formando un forte accumulo di elementi giovani
AI di sotto del palizzata, ma sempre limitatamente alla porzione
centrale della bozza, incontrasi un tessuto pieno di sostanza bruno
giallastra (che in copia più o meno grande colora tutta quanta la neo-
produzione) la quale non permette più di distinguere i contorni degli
elementi, ad eccezione dei vasi dei fasci poichè nell’ambito di questi
è meno densa.
Gli elementi situati al di dietro del tessuto ingiallito si allungano
a guisa di otricoli grossi irregolari, dalle pareti sottili. Rivolti colla
74 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
base verso il tessuto lacunoso siffatti elementi si mostrano tramezzati
prevalentemente in senso tangenziale e limitatamente alla porzione
basale. Le cellule figlie più esterne sono schiacciate al punto da formare
una specie di lamina continua che circonda tutto il tessuto patologico
separandolo dal lacunoso. Questo non è neppure a sua volta del tutto
normale, poiché le cellule di cui consta appaiono alquanto ingiallite ,
al pari dell’epidermide inferiore ed inoltre sono anch’esse più o meno
segmentate irregolarmente, per cui gli spazi intercellulari riescono o-
bliterati, o per lo meno ristretti.
Lo schema testè descritto corrisponde al casi in cui la reazione è
stata molto violenta. Quando questa è leggera si ha solo proliferazione
delle cellule epidermiche colla comparsa della colorazione giallastra
nei tessuti in divisione e in quelli sottostanti. Anche molto variabili
sono le dimensioni degli otricoli che talora mancano quasi del tutto
per essersi divisi ripetutamente.
Noi non abbiamo potuto seguire la sorte cui vanno incontro i ci-
stoliti e le cellule che li albergano, poichè ci siamo limitati a esami-
nare delle foglie nelle quali il ciclo di reazione aveva raggiunto il
termine. Si è però constatato che in mezzo al tessuto neoformato esi-
stevano dei grandi otricoli vuoti che forse derivavano da cellule cisto-
litiche, come ce l’attestava il fatto che molti avevano ancora nel loro
interno il peduncolo siliceo del cistolito. In una cellula si è notato la
presenza di tilli.
Asportando coll'aequa di Javelle il contenuto e colorando col Su-
dan III si riesce a stabilire che le neoformazioni patologiche si formano
di preferenza in vicinanza dei fasci vascolari, donde la frequenza di
questi nell’interno delle stesse. Si nota inoltre che il palizzata diventa
atrofico e le cellule perciò notevolmente impicciolite. Al di sotto poi
di questo tessuto compaiono degli elementi suberificati nella loro to-
talità, o per lo meno parzialmente. La stessa sorte tocca pure alla
lamina di cellule schiacciate che separa gli otricoli dal lacunoso. In
quest'ultime appaiono degli sclereidi punteggiati che pues non sono
costanti.
Ficus Sycomorus Lin. Nessuna reazione ci ha offerto all’ infuori
di qualche divisione nelle cellule epidermiche situate sui bordi della
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CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 75
regione causticata. Il tessuto a palizzata appare pieno di granuli neri.
Ficus Beniamina Lin. (fig.21). Il nitrato d’ argento provoca la seg-
mentazione delle cellule epidermiche, limitatamente però allo strato pro-
fondo il quale, quando la causticazione sia stata un po’ energica, si tra-
sforma in un ammasso di piccoli elementi inclusi nelle cellule madri.
Il tutto poi suberifica. Frattanto ha luogo la occlusione delle cellule a
cistoliti per mezzo di tilli, costituiti da piecole cellule suberificate che
derivano dai circostanti elementi epidermoidali o da quelli più profondi
(ralizzata, parenchima dei fasci ece.). La cellula del eistolito va di-
strutta, come tale, e le sue pareti suberificano in tutto o solo parzial-
mente.
Se la causticazione è stata troppo grave le cellule epidermiche e
quelle del palizzata non reagiscono, ma in compenso si ha un’intensa
proliferazione del lacunoso con formazione di bozze analoghe a quelle
che compaiono nelle foglie di Ficus elastica causticate. La reazione
può talora estendersi fino all'epidermide inferiore.
Nella maggioranza dei casi invece spetta alle cellule del palizzata
di proliferare e gli elementi neoformati conservano le pareti cellulosiche.
Ficus religiosa Forst. (fig. 22) Le cellule epidermiche schiacciate
si riempiono di masse bruno-nerastre. Contemporaneamente si inizia la
produzione di grandi otricoli a spese del palizzata e del lacunoso, ta-
luni dei quali si segmentano trasversalmente una o due volte. Alcuni
di essi assumono dimensioni veramente grandi, mentre si impoveriscono
del contenuto e imbruniscono,
Co le causticazioni energiche anche il palizzata si atrofizza e al-
lora ingrossano gli elementi del lacunoso. I grandi otricoli che oc-
cupano spesso !/, della sezione trasversale suberificano di poi le pareti.
I cistoliti, nei nostri esemplari, non hanno preso parte attiva al
processo: essi appaiono semplicemente inglobati nel tessuto neoformato.
Si è pure osservato la necrosi totale del tessuto causticato: in tal
caso nessuna reazione aveva luogo.
Ficus rubiginosa Desf. Prolifera il palizzata i cui elementi inoltre
si allungano tanto da schiacciare le sovrapposte cellu'e epidermiche e
perfino quelle a cistoliti che però spesso si riempiono invece di tilli.
Il palizzata si arricchisce di masse tanniche, ma le pareti conservano
76 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
inalterata la loro costituzione. Le lesioni anche qui appaiono di pre-
ferenza localizzate sui fasci vaseolari. l
Eucalyptus globulus Labill. (fig. 23) Per lo più le lesioni assumono
forma nodulare con cellule neoformate disposte regolarmente in strati
concentrici, piene di masse gialle tanniche e simili a quelle del paliz-
zata, ma con membrane suberificate. La produzione patologica pur
sporgendo talora dalla superficie della foglia si affonda nel tessuto ed
è circondata, ma non in modo continuo, da elementi di felloderma.
Assai spesso a causa di tensioni che si sviluppano nell’ interno
della massa neoformata questa si rompe nel mezzo, diventando erate-
riforme.
Nelle lesioni gravi le cellule superficiali della massa neoformata
hanno pareti cellulosiche, quelle profonde suberificate.
Viburnum lucidum Mill. (fig. 24) Ha luogo una forte tumefazione
della parte lesa con notevole imbibizione tanniea dei tessuti. L'epider-
mide però non presenta alterazioni di forma, come non paiono gran
che alterate le cellule del palizzata. All’opposto gli elementi sottostanti
si allungano, si allargano e si vacuolizzano. Il processo appare anche
qui localizzato di preferenza lungo le nervature ed anzi queste pren-
dono parte alla neoformazione poichè gli elementi parenchimatosi del
fascio si allungano a loro volta dirigendosi verso il tessuto neoformato
quasi che il fascio dovesse innervarlo.
Coll’ingrossamento degli elementi ha pure luogo la segmentazione
cellulare, con formazione di elementi abbastanza irregolari.
Merita intanto di essere rilevato che le cellule sottostanti al pa-
lizzata ispessiscono talora notevolmente le pareti del lato rivolto verso
il palizzata stesso, ed inoltre le inerostano di suberina. Il fenomeno
non é tuttavia costante essendosi osservato che la suberificazione invade
molte volte le membrane delle cellule del lacunoso sottostanti a quelle
che ispessiscono parzialmente la parete.
Eugenia uniflora Lin. (fig. 20) Qui abbiamo un forte rigonfiamento
dei punti lesi, specialmente lungo le nervature, dovuto prevalentemente
ad allungamento del palizzata eristalligero ed all'epidermide.
= Le cellule del lacunoso si allungano pure formando degli otricoli
grandi giallastri, a pareti sottili, spesso però suberificati e poveri di
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CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DÉLLE LESIONI FOGLIARI T
contenuto. Raggiunto che hanno una certa dimensione questi elementi
si tramezzano in senso periclino rispetto alla neoformazione eon pro-
duzione di piceole cellule.
Talora invece, siffatti grandi elementi si tramezzano tutti quanti
allo stesso livel'o, con un unieo setto di guisa che ne risultano due
strati concentrici di cellule piuttosto vistose, le esterne delle quali
mantengono le pareti cellulosiche, le interne invece suberificano.
Alla formazione del tessuto di otrieoli prendono spesso anche parte
le cellule del palizzata profondo.
Pharfugium grande. Benchè il tessuto patologico sporga alquanto
sul livello dell'epidermide abbiamo notato soltanto che le cellule del
palizzata diventano grandi e talora anche si dividono (2? strato), mentre
le cellule dell'epidermide si schiacciano. La causticazione non era stata
tuttavia molto grave.
Rumex nervosus Vahl. La causticazione fa collabire le cellule epi-
dermiehe provoeando in pari tempo la vaeualizzazione del sottostante
tessuto, i cui elementi poi assumono dimensioni notevoli.
Acacia pycnantha Benth. (fig. 26) Le cellule esterne del palizzata
si ipertrofizzano e talora anche si dividono. La parte lesa, che viene
a sporgere notevolmente «ul eircostante tessuto sano, si riempie di tan-
nino; eontemporaneamente si accentua una curiosa metamorfosi delle
pareti cellulari. Queste dapprima si rivestono di un intonaco giallastro,
irregolarmente stratifieato il quale al Sudan III non svela la presenza
di suberina, mentre coi sali di ferro dà le reazioni del tannino e colla
floroglucina e HCl quelle della lignina. E’ una sostanza complessa che
a poeo a poco si trasforma in sostanza della parete per cui all'ultimo
le membrane appajono notevolmente ispessite e attraversate da nume-
rose punteggiature rotonde. Questo processo interessa tutti gli strati
del palizzata mentre rispetta il midolio.
Acacia cultriformis Hook. (fig.27) e A. uncinella Bth. Nella prima
si è ottenuta una reazione alquanto differente, rispetto all'A. pycnantha
pel fatto che le cellule epidermiche e quelle sottostanti del palizzata
si allungano al di sopra dei fasei per formare un tubercolo costituito
da cellule irregolarissime. Più tardi al posto dell'epidermide appare un
epitelio cuticolare. In casi gravi le cellule del palizzata si allungano,
x
78 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
dividonsi e poi suberificano le pareti, sia totalmente, sia in corri-
spondenza soltanto delle cellule neoformate.
Qualche volta abbiamo pure incontrato ün ispessimento della cu-
ticola sopra le cellule epidermiche tramezzate. Molto elegante è la
reazione nell’Acacia uncinella in cui tutto il palizzata si allunga stra-
ordinariamente formando una bozza assai rilevata. Le pareti delle cel-
lule ipertrofiche sono assai ispessite. (27 bis).
Mesembryanthemum acinaciforme Lin. Ingrandiscono le cellule
sottostanti all’epidermide.
Osmauthus Aquifolium Sieb. Nessuna reazione distinta.
Paratropia umbraculifera H. Pan. Nulla di notevole.
Photinia serrulata Lindl. (fig. 28) Avvengono delle reazioni varia-
bili, poichè talora si ispessisconodelle cellule delle pareti lacunoso,
che poi si presentano ricoperte, dal lato che guarda gli spazi inter-
cellulari, di piccoli bitorzoletti analoghi a quelli strati osservati da
più di un autore nelle Marattiacee, dal Mattirolo e Buscalioni nel te-
gumento seminale delle Leguminose. Altre volte tutto il tessuto muore,
oppure si forma dell’ordinario periderma che però, per lo più, nasce
profondamente e incapsula il sovrastante palizzata degenerato.
Olmediella Cesatiana Baill. (fig. 29) Il grande spessore che presen-
tano le pareti cellulari dell'epidermide non permette la distensione della
parte lesa. Come conseguenza di ciò le cellule del palizzata si pie-
ghettano a guisa di un mantice soito la pressione dei sottostanti ele-
menti che dopo essersi iugranditi in tutti i sensi si segmentano. Le
cellule neoformate sottostanti al palizzata ispessiscono le pareti dal
lato rivolto verso questi elementi. Gli strati più profondi del paren-
chima fogliare ampliano, ma in modo irregolare, le cellule. Tutto il
tessuto neoformato, ad eccezione del palizzata e delle cellule più lon-
tane dal punto più gravemente ammalato, suberificano.
Gleditschia Fontanesii Spach. Ingrandiscono e suberificano le cellule
del lacunoso sottostanti al palizzata. Il tessuto poi si riempie di tannino.
Laurus canariensis Webb. et Berth. (fig. 30) La parte ammalata
forma una specie di bitorzolo, bruno-nerastro per tannino, alla super-
ficie della foglia. La proliferazione è attiva, tanto che si forma un
tessuto a piccole cellule, disposte in giri concentrici.
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 79
Coll’ esportazione del tannino si riesce a riconoscere che gli ele-
menti più superiiciali hanno membrane sottili, que'li sottostanti sono
suberificati; a questi succedono delle piccole cellule fellodermiche e
fellogeniche, con membrane cellulosiche ed infine un grosso strato di
elementi dalle pareti ispessite e probabilmente lignificate sulle quali
abbondano le punteygiature. Questo strato forma un vero tessuto scle-
roso protettore che isola tutto quanto il tessuto malato da quello sano.
La sclerosi perciò colpisce indifferentemente , a seconda dei punti, il
palizzata o il lacunoso.
Melodium scandens Forst. Si è trovato soltanto un po’ di tannino
nel tessuto assimilatore.
Cotiledon quitensis. Bak. Si forma l’ordinario periderma un po’ al
di sotto dell'epidermide. Intanto si ha un’intensa proliferazione accom-
pagnata da un notevole allungamento delle cellule del parenchima
profondo e per cui si formano delle bozze e verruche rilevate e rico-
perte da tessuti più superficiali necrosati. (fig. 37)
Senecio Kleinoides Oliv. Si forma, un po’ al di sotto delle cellule
morte, un grosso strato di sughero, i cui elementi sono piuttosto ampî.
Dietro a questo le cellule si allungano esi allargano notevolmente, e
solo tornano a presentare un aspetto normale al di là della cerchia
dei fasci. Qua e colà si ha qualche divisione nelle cellule.
Talora anche la guaina dei fasci prende parte al processo nel sen-
so che i suoi elementi proliferano ed allora al di sotto dello strato
suberoso si incontrano dei cordoni a cellule piccole, i quali fanno ca-
po ai fasci. I canali ghiandolari in essi inglobati riescono obliterati.
Myoporum punctulatum Schlecht. Nelle nostre esperienze abbiamo
incontrato vari gradi di reazione a cominciare dalle lesioni in cui si
avevano solo due o tre divisioni del palizzata.
Da questo tipo si passava di poi alle produzioni caratterizzate da
un’accumulo di piccole cellule suberificate, nate sempre dalla prolife-
razione del palizzata. Infine si arrivava sino alle verruche sporgenti
sull'epidermide e costituite da un’ammasso di cellule morte del palizza-
ta sotto alle quali si aveva un robusto strato di sughero rafforzato a
sua volta, dal lato esterno, da un mantello di felloderma.
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80 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Magnolia grandiflora L. Il tessuto secca, si riempie di tannino,
mentre qua e colà si hanno delle cellule suberificate.
b) Monocotiledoni.
Yucca filamentosa Lin. Tutto il tessuto parenchimatoso superficiale
muore assieme ai sottostanti fasci vascolari. Al di sotto di questi si
forma un ammasso di elementi assai grandi, intimamente fra loro sal-
dati, poveri di contenuto, che sollevano così il tessuto morto al di sopra
dell'epidermide circostante sana. Mentre avvengono questi mutamenti
le cellule neoformate ispessiscono le pareti e quelle necrosate mostransi
piene di masse brune tanniche od anco di granuli di argento.
Abbiamo pure osservato una lesione accidentale, da causa ignota,
in cui si erano notevolmente allungate radialmente le cellule sotto e-
pidermiche e di poi tramezzate più volte in corrispondenza dell’estre-
mità rivolta verso l’esterno.
Clivia nobilis Lindl. Si ammala per lo più il tessuto centrale della
foglia costituito da cellule grandi circoscriventi delle lacune aeree. Gli
elementi diventano notevolmente più grossi ed in pari tempo ispessi-
scono le pareti con deposito di masse mucilagginose gommose.
Qualche volta si ammalano anche gli strati superficiali ed allora
si forma del sughero sottoepidermico, o piùo meno profondo. In que-
st'ultimo caso tra la neoformazione sugherosa e l'epidermide si inter-
pone uno strato di tessuto neerosato. Il tessuto sugheroso, dal lato ri-
volto verso l’esterno, ispessisce le membrane che assumono così l'aspetto
di una cuticula.
Crinum Cooperi Herb. (fig. 31). La foglia risulta costituita da un
epidermide a cellule piuttosto grandi e rivestita da una cuticola non
eccessivamente ispessita. Il palizzata forma un solo strato e ad esso
fanno seguite due o più piani di cellule rotonde ed ampie. Questo tes-
suto non è però continuo, di guisa che risultano nell'intervallo tra i
fasci, delle grbsse cavità o lacune aeree. Al di sotto delle cellule in
questione compare l’ epidermide inferiore conformata pressochè sullo
stampo di quella superiore, ma fornita di cellule più piccole.
I fasci vascolari occupano pressochè tutto lo spessore della foglia
EEE CU a
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 81
che è assai robusta: essi sono circondati da una guaina di piccoli ele-
menti a pareti sottili, che però in corrispondenza dei due poli del fa-
scio si trasformano in cellule meccaniche.
Sotto l’azione dell'AgNO, gli strati più superficiali non mutano a-
spetto; solo si mostrano ripieni di granulazioni nerastre. Succede di
poi uno strato di grandi cellule suberificate le quali derivano dal pa-
lizzata (elementi situati sui bordi della lesione) o dai tessuti più profon-
di. Lo strato decorre quasi parallelo alla superficie fogliare pur affon-
dandosi più o meno qua e colà.
Al di sotto della zona suberosa compaiono dei lunghi e larghi o-
tricoli, quasi sempre parecchie volte tramezzati trasversalmente, ognuno
dei qaali mette capo ad una delle cellule del tessuto suberoso, quasi
che ne siano la continuazione e dalle stesse derivino. Più profonda-
mente le cellule tornano alla forma normale, o si mostrano più grosse
dell’ordinario. Degno di nota è il fatto che i grandi otricoli si dirig-
gono spesso verso le lacune aeree tillandole più o meno completamen-
te. Gli elementi endocavitari sono in special modo vistosi e terminano
con una cellula a capocchla: molti poi non sono tramezzati. La parte
malata è più ispessita di quella circostante sana.
Aemanthus coccineus L. Muore il tessuto superficiale, per cui la
foglia nel punto malato appare assottigliata, ma intanto proliferano le
cellule dello strato assile che si allungano anche a guisa di tubi pol-
linici riempiendo, in forma di tilli, le grandi lacune aeree che attra-
versano il parenchima fogliare.
E’ evidente che la formazione di tilli avviene solo quando souo
disturbati i rapporti di nutrizione: altrimenti non si comprenderebbe
come le cellule confinanti colle lacune non abbiano a proliferare in
seno a queste anche quando la foglia è sana.
L'aria contenuta nelle lacune aeree comunicando con quella ester-
na per mezzo degli stomi, viene a trovarsi sotto una pressione che
non differisce notevolmente da quella dell’aria atmosferica, di guisa
che difficilmente riesce a spiegare una notevole pressione o spinta sui
circostanti tessuti, i quali potrebbero quindi facilmente tillare la cavità. |
Ora se questo non avviene dobbiamo trovare la spiegazione del feno-
meno nella natura stessa delle cellule circostanti ai meati le quali
6
82 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
quando hanno raggiunto un certo sviluppo non si mostrano più capaci
di un ulteriore accrescimento, purchè ben inteso, non vengano eccitate,
come nel caso delle spennellazioni di AgNO,, a crescere ulteriormente.
Quanto abbiamo osservato in questa specie e nel Crinum può por-
tare molta luce sulla questione dei tilli vasali, la cui formazione è sog-
getta a momenti speciali, non ancor ben chiariti, ma che, certo, non
vanno ricercati nella deficienza, pura e semplice, di acqua nei vasi.
Lo sviluppo di otricoli colossali nelle foglie delle Monocotiledoni
attraversate da grandi cavità aeree (Crinum, Aemanthus etc.) ci ha in-
dotto a studiare come si comportano i nuclei di siffatti elementi, sia
durante l'accrescimento della cellula che nel processo di divisione del-
la stessa. Lo studio si imponeva anche pel fatto che non tutti gli au-
tori sono concordi sulla sorte cui va incontro il nucleo nelle cellule
n divisione dei tessuti patologici, riputando taluni che esso si fram-
menti, altri che si divida per mitosi, avendo osservato alcuni dei pro-
cessi picnotici, altri delle forme irregolari di nuclei atte ad indicarci
o un processo di frammentazione o una deformaziene del nucleo, per
effetto dei movimenti di cui esso sarebbe suscettibile. Le nostre ricer-
‘che si sono limitate al Crinum ed all’ Aemanthus, le cui foglie vennero
fissate in alcool dupo uno, due o più giorni dall'avvenuta causticazione
col nitrato d'argento. Praticati di poi i tagli questi vennero lasciati a
lungo nell'allume di ferro al 5 ?/, e di poi colorati (previo lavaggio)
coll’ematossilina e quindi parzialmente decolorati collo stesso allume.
La osservazione veniva eseguita in balsamo.
Ottimi risultati ci ha dato il Crinum, le cui cellule suberificate ci
hanno dimostrato la presenza di nuclei piccoli, atrofici, in stato di e-
vidente pienosi. I tessuti sottostanti, formati di cellule parenchimatose,
presentavano invece quasi sempre un nneleo normale: solo in rari ca-
si abbiamo incontrato dei nuclei deformati, senza che tuttavia la de-
formazione fosse tale da indurei a credere che essa fosse inerente a un
processo di frammentazione. Non poche cellule contenevano un nucleo
grosso, normalmente conformato, e queste forse erano in via di seg-
mentarsi.
Da ultimo qualche cellula presentava due nuelei, indizio che que-
sti si erano divisi senza che fosse seguita la divisione cellulare.
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 83
Nel centro dei tessuto e nell’interno delle lacune i grandi otricoli,
in vario stadio di sviluppo e di segmentazione, presentavano alfine dei
grossi nuclei in riposo muniti di uno o più nucleoli, oppure dei nuclei
in vario stadio di mitosi, (fig. 32). Queste si compievano secondo uno
schema pressoché normale; non maneavano tuttavia delle piecole ano-
malie nella costituzione dei fusi acromatici i quali spesso si prolunga-
vano in una lunga coda ai singoli poli. Data la grandezza della cel-
lula la figura cariocinetica occupava poco spazio del lume e quindi la
membrana doveva formarsi successivamente.
Dai fatti esposti riesce pertanto assodato che nei tumori e nelle
alterazioni prodotte dalla causticazione al nitrato di argento le cellule
si moltiplicano per cariocinesi.
Aspidistra lurida Ker. Il tessuto malato si rattrappisce e riempiesi
di tannino. Lo stesso fenomeno si osserva nella Billbergia.
Dasylirion glaucophyllum Hook e Nolina sp. Nessuna reazione
importante, se sì eccettua la presenza di tannino.
Arum italicum Mill. (fig. 32 bis). Il tessuto malato si schiaccia
mentre si riempie di tannino. Le pareti delle cellule del palizzata ap-
paiono irregolarmente ispessite in seguito a depositi di una sostanza
ialina poco resistente all’ acqua di Javelle e probabilmente di natura
: gommosa.
E: Canna indica Lin. Il tessuto malato si riempie di granuli di AgNO,
3 e si schiaecia.
Scilla peruviana L. Nessuna reazione importante. Le cellule sot-
toposte al punto causticato imbruniseono, collabiscono e si riempiono
di granuli neri.
E. Iris germanica Lin. Non si è avuto una reazione notevole: le cel-
lule si schiacciano, il contenuto loro imbrunisee e trattate coll’ acqua
di Javelle lasciano un residuo insolubile aderente alle pareti o si mo-
strano piene di granuli neri.
Smilax aspera Lin. (fig. 33). Quanto mai elegante ed anche un
po’ fuori dell'ordinario è la reazione offerta da questa specie. L'epi-
dermide ed il primo strato del palizzata reagiseono poco o tutt'al piü
le cellule ingialliseono ed ispessiscono le pareti in guisa da assumere
l'aspetto di elementi eollenchimatiei. Le cellule sottostanti invece si
84 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
allungano a guisa di otricoli, senza tramezzarsi, e spingono avanti le
sovrastanti cellule, dando così origine ad una vescica.
Il tessuto neoformato è pure giallo e tutte le pareti si mostrano in
modo strano ed irregolare ispessite per l’apparizione di masse di na-
tura non ben definita, ma appartenenti forse alla categoria delle gom-
me. Qua e là però si notano ancora dei nuclei e del plasma nelle cel-
lule ed anzi i primi appaiono più grossi dell’ordinario. Le masse di
ispessimento resistono (almeno in parte) all'aequa di Javelle.
Al di sotto il tessuto torna a farsi normale, pur presentando an-
cora un leggero ispessimento delle pareti. Nelle cellule del parenchima
in cui normalmente la membrana protende da più lati opposti nella
cavità cellulare gli apici dei punti introflessi sono spesso rigonfiati. Il
Sudan III non dà una netta reazione della suberina.
Strelitzia Augusta Thunb. Nessuna reazione particolare: le cellule
si riempiono del sale di argento; anneriscono e muoiono senza alterare
la forma, o solo suberificando le pareti.
Agave messicana Lam. Nessuna reazione.
Dracaena Draco Lin. (fig 34) La foglia coriacea presenta, al di
sotto dell’ epidermide, dei cordoni sclerenchimatosi fra i quali si stra-
tifica il palizzata. Il nitrato d’argento altera le cellule verdi che si
riempiono di tannino e ingraudiscono alquanto. La reazione di difesa
si fa però al di sotto dei cordoni a spese del parenchima. Le cellule
più superficiali aumentano di volume, ispessiscono le pareti rivolte
verso il palizzata e formano così un periderma ad un tempo suberiti-
cato e lignificato.
c) Fusti alati
Ruscus Hypophyllum Lin. I rami fogliformi non ci hanno offerta
alcuna reazione. Talune cellule mostrano dei depositi verdognoli e ap-
paiono più o meno alterate nel contenuto.
Muehlembeckios platyclada Lin. (fig.35) L'asse appiattito suberifica
le cellule del palizzata, ma solo nel caso che la causticazione sia stata
leggera, altrimenti queste vengono distrutte e la reazione si svolge nel
midollo, le cui cellule proliferano per dare del periderma o si trasfor-
mano, senz’ altro, in grosse cellule suberificate che formano una specie
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI : e 85
di guaina attorno alla parte lesa. Il tannino invade i tessuti ed i vasi
assieme al sale d’argento.
Mancano le caratteristiche alterazioni dell’ endodermide che ven-
gono provocate dallo sfregamento.
Anche colle esperienze di causticazione si è potuto constatare che
«foglie delle Dicotiledoni e in special modo quelle coriacee o succulenti
reagiscono ottimamente, mentre le foglie delle Monocotiledoni o necro-
tizzano in corrispondenza della lesione, o danno delle reazioni poco
complesse: solo in qualche caso abbiamo invece osservato dei processi
neoformativi che possono gareggiare in bellezza con quelli delle Di-
cotiledoni. Sulle Gimnosperme non abbiamo alcuna osservazione (1),
mentre dalle poche ricerche fatte sulle Crittogame superiori è risultato
che il tessuto necrotizza quasi costantemente.
In generale nelle Dicotiledoni, ed anco nelle Monocotiledoni , le
reazioni corrispondono a quelle che si ottengono collo sfregamento; ma
sono anche numerosissimi i casi in cui invece si hanno delle reazioni
differenti. La causa di questo diverso comportamento va ricercata in-
nanzitutto nell'azione più energica del AgNO, e in secondo luogo nel-
varia intensità della causticazione o nel differente potere di reazione,
a secondo della specie, delle foglie. |
Con grande frequenza il tessuto fogliare reagisce al nitrato d’ar-
gento sviluppando dei grossi otricoli (Smilax ed altre specie) e sotto
questo punto di vista il comportamento si allontana alquanto da quel-
lo osservato nei massaggi i quali per lo più determinano la comparsa
di cellule non eccessivamente lunghe, poichè raggiunto un determinato
sviluppo esse proliferano.
(1) Mentre le presenti ricerche erano in corso di stampa, abbiamo pure espe»
rimentato sulla Cycas ctrcinnalis, nel Cephalotaxus Fortune? e nel Ginkgo biloba.
Nella Cycas (fig. 36) la parte malata ispessisce alquanto le pareti delle cellule
del palizzata che si allungano e si vuotano di contenuto; si formano così delle
bozze assai rilevate. Nel Cephalotaxus si è osservato la presenza di grossi ele-
menti formanti una specie di cuscinetto sopra la nervatura ; infine nel Ginkgo
abbiamo notato la presenza di piccoli bitorzoli , nei punti lesi, costituiti
alla periferia da grandi cellule a pareti ispessite, nel centro da ammassi irrego-
larissimi di tracheidi. L'epidermide si mostrava sana nelle neoformazioni.
86 x LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
D’altra parte le analogie fra le due sorta di lesioni sono grandi
e noi rieorderemo la comparsa dei tilli nelle cellule eistolitiche, degli
sclereidi nel Laurus canariensis, delle cellule a pareti ispessite e ligni-
ficate nelle Acacie fillodiniche e infine di un epitelio cuticolare (raro
però nelle lesioni da AgNO,) che ha luogo tanto in seguito allo sfre-
gamento che alla causticazione.
Nelle lesioni da nitrato d’argento il tessuto neoformato occupa
una minore estensione essendo per lo più localizzato in vicinanza dei
fasci vascolari, i quali poi prendono pure parte alla reazione pel fatto
che le loro guaine proliferano.
In conclusione adunque tanto col massaggio quanto col nitrato
d’argento abbiamo il mezzo di provocare la comparsa di lesioni quanto
mai interessanti e facili a seguirsi in tutto il loro ciclo evolutivo.
Tagli fogliari
A) TAGLI TRASVERSALI
a) Dicotiledoni
Per comprendere tutta l'importanza dei fatti analizzati si è ere-
duto opportuno controllare i risultati che si ottengono in grazia del
massaggio o del nitrato d’argento con le reazioni cicatraziali che si ap-
palesano o sezionando con le forbici trasversalmente il lembo o espor-
tando, mercè tagli tangenziali eseguiti con un rasoio affilato, sia l’epi-
dermide che parte del tessuto a palizzata.
Riporteremo qui i risultati ottenuti dalle sezioni trasversali.
Acacia cultriformis Hook. E difficile trovare due fillodi che rea-
giscono allo stesso modo: ciò non ostante da molti lembi esaminati si
ricavano i seguenti dati. In generale le cellule del palizzata e del mi-
dollo prossime alla lesione si svuotano e muoiono. Al di dietro si for-
ma un periderma, mentre il tessuto malato si riempie di tannino. La
suberificazione colpisce uno strato di 5 o 6 cellule e forma, nelle se-
zioni trasversali, come una lamina o barriera che non decorre rettilinea
poichè nell’attraversare il midollo si affonda maggiormente nella dire-
+
"
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 87
zione del tessuto sano. Si potrebbe quasi supporre che la ferita provo-
chi la morte di un determinato numero di cellule e perciò, essendo le
midollari più grandi rispetto a quelle del palizzata, il confine tra il
tessuto suberificato e quello necrotizzato deve trovarsi più infossato nel
lo spessore del lembo, cioè nella porzione midollare. Le eccezioni non
mancano tuttavia e quindi la spiegazione va presa un po’ con benefi-
zio d’ inventario.
Al di dietro della barriera suberificata si incontrano, nel midollo,
degli elementi in via di segmentazione i cui setti sono per lo pit
periclini rispetto alla superficie lesa. Alcune cellule del palizzata pros-
sime a questa ispessiscono le pareti che diventano punteggiate (fig. 38).
L’amido scompare dalla zona in via di proliferazione.
Acacia pycnantha Benth. La reazione si svolge come nell’Acacia
cultriformis; ma se si lascia a lungo il fillodio leso sul ramo (6 mesi
circa) lo strato sugheroso a poco a poco si stacca, mentre dalle cellule
più superficiali dello strato fellodermieo si va formando un curiosissimo
ispessimento delle membrane che stanno a contatto delle ultime cellule
suberificate, grazie al quale — quando il distacco del periderma sia
completato — la lesione riesce rimarginata da una vera e propria cu-
ticola (fig. 39) robusta quanto quella dell’epidermide che riveste il fil-
lodio e colla quale si raccorda ai due estremi della ferita.
Al di sotto dello strato «he presenta questa membrana (che è il
così detto strato epidermoide, già stato notato nell'Eucalyptus) (1), le
cellule appaiono piccole ed irregolari.
Acacia uncinella Bth. Il callo si forma molto all’ indietro della
ferita e si affonda notevolmente nel tessuto sano al passaggio dal pa-
lizzata al midollo. Il periderma è robusto e ricco di tannino ; le cel-
lule del palizzata ispessiscono e lignificano le pareti sui bordi della
ferita: infine il midollo prolifera dietro il periderma per formare un
felloderma di elementi piuttosto irregolari.
Hedera Helix L. Il setto di cellule sugherose si forma quasi ad
immediato contatto della ferita. Esso decorre rettilineo e dalla parte
(1) V. in proposito le nostre osservazioni sulle ferite dell'Opuntia ficus indica.
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88 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
del tessuto sano è spesso rafforzato da uno strato di piccole cellule a
pareti ispessite. Qualche cellula epidermica ad immediato contatto collo
strato sugheroso assotiglia le pareti e si allarga. Rare le divisioni nel
palizzata.
Laurus canariensis Webb. et Berth. Il setto suberoso è diritto e
discretamente robusto, ma al di dietro di questo non abbiamo notato
alcuna reazione, se si eccettuano due o tre cellule del pelizzata divise,
un po’ di disordine nelle cellule del lacunoso e la solita restrizione
dei meati intercellulari. `
Senecio Kempferi DC. Strato sugheroso formato in grande vici-
nanza della ferita e un po’ rientrante nell’attraversare il tessuto la-
cunoso. Felloderma con setti periclini rispetto al taglio, localizzato di
preferenza nel lacunoso e situato dietro il sughero.
Senecio Kleinoides Oliv. Al di sotto del tessuto neerosato si pre-
senta un robusto strato di cellule peridermiche grandi e rotonde al-
l'esterno, tabulari dal lato interno. Esso è seguito da un'altro di fel-
loderma. Entrambi sono dovuti a proliferazione del tessuto fondamen-
tale. Al davanti dei fasci le cellule di felloderma sono più piccole.
I canali secretori si mostrano obliterati.
Eucalyptus globulus Labill. La reazione è molto semplice. Le cel-
lule prossime alla ferita muoiono per un certo tratto, rimanendo talora
piene di amido. Al di dietro si forma lo strato suberoso che decorre
attraverso il parenchima in linea retta Scarso però è il numero di
queste cellule le quali devono in parte la loro formazione a segmen-
tazione degli elementi del palizzata parallelamente al piano della fe-
rita. Anche qui si nota l'assottigliamento delle pareti delle cellule epi-
dermiche prossime alla lesione.
Viburnum lucidum Mill. Oltre all'immagazzinamento del tannino
nelle cellule e alla formazione di un sottile strato di elementi suberi-
fieati situato alquanto lontano dalla ferita, non abbiamo notato altra
reazione. Tutto al più al di dietro si incontra talora qualche rara di-
visione cellulare. Il setto di suberina ha un decorso rettilineo, oppure
si affonda, ma di poco, nel passaggio attraverso il lacunoso. Le cellule
suberificate sono più grandi di quelle normali da cui derivarono.
(continua)
TE
=
r,
7
2. S. B. Schryver — The photochemical formation of formaldéhyde in
i 82
RECENSIONI
1. L. Gentil — Formaldehyde from beet leaves and roots (Bul. Assoc.
Chim. Suer. et Distill. 27, n. 3, p. 169) 1909
green plants (Proceed. of the royal Society. Series B. Vol.
B. 554) 1910.
db
Entrambe queste memor!e confermano l'ipotesi del Bayer sulla
presenza dell'aldeide formiea nelle piante, dimostrata poi sperimental-
mente dal Pollacci, che la mise in relazione con il fenomeno dell'as-
similazione clorofilliana.
Il Gentil ricava dall'aeeurata distillazione di 1 chilogrammo di
foglie di barbabietola, gr. 0,005 di aldeide formica, e da un chilo-
grammo di radici della stessa pianta gr. 0,003 a 0,005.
Dalle foglie e dalle radici vecchie non ottiene neanche traccie di
aldeide formica. L'A., dopo aver supposto che alla presenza di que-
st'aldeide fosse dovuta la lenta fermentazione del succo di barbabietola
durante la fabbricazione dell’aleool, trova invece, in seguito ad ulte-
riori ricerche, che tale fermentazione è dovuta a una inversione in-
completa dello zucchero.
Anche lo Schryver, applicando un nuovo processo di ricerca e di
dosaggio della formaldeide nelle piante, ne conferma in esse la pre-
e e
modo seguente: Si prendono 10 c. e. del liquido contenente l'aldeide
ica, e vi si aggiungono prima 2 c. e. di una soluzione 1° di
ux Ban dedite. af
S ete LUN D o
DA Un ei MEN A i eee
$ dn NE à
30 RECENSIONI
trazione sia compresa tra l’uno per un milione e l’uno per cento mila)
si può determinare la quantità di aldeide formica presente
Questo metodo di ricerca svela la presenza dell’ aldeide formica
anche se essa non oltrepassi la concentrazione dell'uno per un milione,
e il reattivo adoperato è caratteristico per quest’aldeide.
a presenza dell’ aldeide formica nelle piante viene dimostrata
dall" A. facendo agire il reattivo su un estratto etereo di clorofilla, che, —
o veniva evaporato a secchezza su una lastra di vetro, o veniva scal- ~~
dato, o anche veniva lasciato per qualche tempo in contatto con la — -
soluzione di cloridrato di fenilidrazina. E
A questa si aggiungevano poi il ferrocianuro e l’acido cloridrico. :
L'A. ottiene anche la formazione fotochimica dell’aldeide formica ` —
per opera della clorofilla, al di fuori della pianta, sintesi già tentata `
da Usher e Priestley, ma condotta da essi con metodo poco rigoroso
v. Mameli e Pollaeci—Note critiche intorno a recenti ricerche sulla :
fotosintesi clorofilliana -— Atti Ist. Bot. di Pavia. Serie II - Vol. XIII,
pag. 257). 9
Lo Sehryver conferma così con una bella esperienza i risultati
già ottenuti dal Pollacci, e cioè che nè all’ oscuro, nè in assenza di
CO, si ha formazione di aldeide formica nei vegetali. i
aver contestata l’ obiezione mossa da alcuni autori, che la i
presenza dell'aldeide formiea nelle piante sia en con il po- @
tere fortemente tossico di questa sostanza, l' A. cerca di spiegare il
meccanismo della reazione sintetica. Egli paragona l’azione dell’ al- —.
gen formica sulla clorofilla, alle reazioni reversibili, che possono ]
nire tra un eoupo grappa e l’aldeide formica, e che vennero stu- i
diate dallo Sehiff. i
reazione si rappresenterebbe schematicamente cosi:
Nc H,O
Ve BH, 9r B
Il prodotto di condensazione “ clorofilla-aldeide,, verrebbe decom-
posto, almeno in parte, quando P aldeide formica viene spostata per …
dar luogo alla sintesi degli zuccheri e delle altre sostanze analoghe, 1
ma si rieostituirebbe in presenza di anidride carbonica e della luce
solare. Verrebbe così regolata quasi automaticamente la quantità di
aldeide necessaria alla sintesi dello zucchero nelle piante.
| | Clorof.
n. +HCHO zz ZZ | Geet,
Dr. Eva MAMELI
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1911
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CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI Fc GLIARI 97
Gleditschia Fontanesii Spach. A poca distanza dal taglio si veri-
fica la suberificazione cellulare che però colpisce poche cellule. Il setto
è diritto e le cellule spiccano per le loro pareti ondulate, ciò che in-
dica che la suberificazione ha provocato l'aumento in estensione delle
stesse. Al di dietro abbiamo poche cellule con le pareti ispessite, op-
pure a cavità allargata, di forma ovale (cellule del palizzata). Non
mancano neppure nel palizzata le cellule tramezzate. Gli elementi ne-
erosati e quelli che reagiscono allo stimolo traumatico sono poeo o
punto impregnati di tannino.
Ficus repens Willd. Reazione insignificante ‘caratterizzata dalla
formazione del tessuto sugheroso, pieno di masse tanniche. Il setto è
piuttosto robusto e attraversa in linea retta il tessuto della foglia, de-
correndo in grande vicinanza della ferita.
Ficus elastica Roxb. Qui si ha invece una complessa reazione, in-
quantoché le cellule dello strato ipodermico, dai due lati della fo:rlia,
proliferano già ad una certa distanza dalla ferita formando nel loro
seno delle cellule secondarie, tanto più numerose e tinto più piccole
quanto più si avvicinano alla lesione. In prossimità di questa poi i
setti sono diretti in vario senso. Le cellule neoformate più prossime
alla superficie fogliare suberificano. Lo strato suberoso di difesa che
si forma in grande prossimità della ferita è ispessito e convesso verso
l'esterno, quasi eupuliforme. Nel punto in cui si innesta alle due epi-
dermidi esso si estende sulle sottostanti cellule del parenchima verde.
Il palizzata frattanto prolifera e le nuove cellule si ineurvano verso
la parte lesa e la stessa disposiziene si osserva in corrispondenza del
lacunoso, di guisa che il tessuto sugheroso riesce rafforzato da uno
strato di felloderma a cellule piccole, con pareti perieline rifrangenti,
Solo le cellule più profonde di questo tessuto sono invece piuttosto
ampie e presentano dei setti variamente diretti.
A quanto pare i cistoliti non subiscono notevoli alterazioni, aven-
doli più velte riscontrati quasi intatti nello spessore del tessuto leso.
In una ferita dovuta a causa ignota abbiamo osservato che il su-
bero si era formato a contatto della ferita, senza che le cellule cor-
rispondenti avessero mutato forma.
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98 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Ficus Beniamina Lin. Il processo di cicatrizzazione è poco attivo,
e si forma a breve distanza dalla ferita. Al tessuto sugheroso succede
il felloderma costituito da piccole cellule nate dalla proliferazione de-
gli elementi sia del palizzata che del lacunoso. Qualche cellula ipo-
dermica è pure segmentata.
Ficus rubiginosa Desf. Quasi nessuna reazione all’infuori della for-
mazione di un sottile strato di cellule suberiticate, il quale forma co-
me una cupola attorno al tessuto sano. Pochissimo sviluppato è il fel-
loderma. Le cellule epidermiche proliferano pure, ma solo ad imme-
diato contatto della lesione.
Raphiolepis rubra Lindl. Il tessuto prossimo alla ferita ingialli-
sce e muore. Il callo che ad esso tien dietro è poco sviluppato, con-
stando di pochi piani di cellule snberificate disposte in serie rettilinee.
Al di dietro le cellule del lacunoso ispessiseono alquanto le pareti do-
po essersi tuttavia divise, al pari di quelle del palizzata, per formare
un felloderma a piccole cellule. In questa specie attorno alla lesione
si sviluppa dell’antocianina.
Photinia serrulata Lindl. Il setto di sughero, che compare ad una
certa distanza dal punto leso, si affonda alquanto nel tessuto del la-
cunoso. Il processo di cicatrizzazione del resto si comporta come nel Ra-
phiolepis, colla differenza tuttavia che l’antocanina la quale colora le
foglie staccate scompare in vicinanza del taglio.
Olmediella Cesatiana Baill. Questa specie presenta poca attitudi
ne e reagire. Il tappo suberoso si forma a poca distanza della ferita
e rientra solo leggermente in corrispondenza del lacunoso. Al di die
tro di esso poche cellule di felloderma, non sempre però presenti.
Il palizzata non prolifera che ad immediato contatto della lesio-
ne: l'epidermide invece rimane immutata, fatta eccezione per la colo-
razione gialla che assume: infine il lacunoso ispessisce le pareti cellulari
Myoporum punctulatum Schlecht, Quasi nessuna reazione. Si for-
ma il solito tessuto suberoso nel quale decorrono i fasci vascolari col-
la guaina pure suberifieata. Il setto è diritto e formasi in grande vi-
cinanza della ferita. Le borse ghiandolari comprese nella zona in via
di reazione suberificano pure a lor volta. Rara è la divisione cellulare
nel palizzata e scarsa la produzione di tannino. In una lesione acci-
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 99
dentale il tessuto situato dietro il setto di cellule sugherose aveva pareti
ispessite, quasi collenehimatose.
Melianthus major Lin. Quasi nessuna reazione. All infuori dello
schiacciamento delle cellule prossime al taglio con suberificazione delle
cellule retrostanti, neppur sempre distinta.
Evonymus japonicus L. fil. Al di dietro del tessuto sugheroso, il
tessuto sano ispessisce le pareti in modo da rassomigliare alquanto a
un collenchima. Il palizzata non prende che raramente parte al pro-
cesso.
Notiamo tuttavia che lo studio venne effettuato su una foglia sta-
ta accidentalmente lesa.
Osmanthus Aquifolium Sieb. Il callo suberificato, assai vieino al-
la ferita, è sviluppato maggiormente attorno ai fasci vascolari. Esso
forma un setto a decorso ondulato che rientra alquanto al passaggio
attraverso il lacunoso. Aldi dietro poche divisioni cellulari danno ori-
gine agli elementi del felloderma.
Le cellule del tessuto sugheroso sono grandi, quelle derivate dal
palizzata ovali.
Farfugium grande. Il tessuto di cicatrizzazione compare al limite
della ferita e decorre ondulatamente affondandasi in corrispondenza
del leeunoso. Esso è poco ispessito ed al di dietro le cellule del pa-
lizzata ipertrofizzano, od anco si segmentano.
Cotiledon quitensis Bak. Si forma un grosso strato di sughero die-
tro la ferita: succede di poi un felloderma a elementi tabulari che
presentano dei setti perielini o radiali. Questi ultimi un poco rari nel-
le cellule suberificate.
8) Monocotiledoni
Phormium tenax Forst. Le cellule suberificate, piene di sostanza
bruna, occupano tutta quanta la regione interposta fra due cordoni va-
scolari e talora si estendono anche al di là. La reazione però è insi-
gnificante.
Dracaena Draco Lin. Un po’ al di dietro del taglio e per lo più
a ridosso di uno dei fasci meccanici ipodermici si sviluppa, il tessuto
suberoso che petò è ridotto a pochi piani di cellule. Nell’ambito del
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‘100 LUIGI BUSCALIONI È GIUSEPPE MUSCATELLO
palizzata le cellule sono piccole, per quanto più grandi di quelle sane,
mentre quelle che si sviluppano nella parte centrale delle foglie sono
piuttosto grosse. Due o tre cellule retrostanti al tessuto suberoso si
segmentano per dare parecchi piani di elementi tabulari. Il tessuto su-
berificato si affonda alquanto al passaggio attraverso il parenchima
centrale della foglia. (fig. 41).
Aloe plicatilis Mill. Il tessuto di cicatrizzazione si sviluppa mol-
to irregolarmente nello spessore delle foglie carnose, senza che tutta-
via siavi una attiva reazione per parte degli elementi sani.
Scilla peruviana L. Si forma on por di sughero presso l» ferita,
ma senza che si abbia accenno (almeno nei tagli da lungo tempo e-
seguiti) di un’attiva proliferazione cellulare. Le cellule suberificate con-
tengono un po’ di tannino. Il setto suberoso si affonda alquanto nella
parte mediana dslle foglie. Qualche cellula ipertrofica dietro lo strato
suberoso.
Alpinia nutans Roxb. Nulla all'infuori di un tessuto suberificato
piuttosto esteso e decorrente ad una certa distanza dalla ferita. '
Crinum Cooperi Herb. Si comporta come la Scilla. Le cellule su-
berificate sono alquanto ispessite.
y) Gimnosperme
G.nkgo biloba Lin. Ad immediato contatto della ferita si formano
delle cellule suberose tanniche e al di dietro un grosso strato di ele-
menti a pareti ispessite che sulle faccie delimitanti gli spazi intercel-
lulari sviluppano dei piccoli bitorzoli simili a quelli delle Marattiacee.
8) Felci
Dicksonia fibrosa. Il callo non si forma. Attorno alla parte lesa
si hanno degli elementi pieni di masse brune tanniche.
n) Fusti alati o piatti
Semele androgyna Kunth. Nei eladodi di questa pianta il setto su-
3
gheroso, che compare d’ordinario molto vicino alla ferita, è per lo più
ET RCM
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 101
convesso verso questa. Esso consta di grossi elementi ovali che però a
misura che si avvicinano al tessuto sano sottostante diventano sempre
più tabulari. Quasi nessuna traccia di felloderma, o questo è ridotto
a poche cellule ispessite. Talvolta ispessiscono anche le pareti delle
cellule epidermiche.
Quasi le stesse reazioni abbiamo osservato in ferite accidentali
dei cladodi.
Opuntia ficus indica Mill. Nelle sezioni trasversali delle cosiddet-
te pale noi troviamo parecchi piani di cellule schiacciate susseguite
da grossi elementi suberificati a pareti sottili. Poi compare uno strato
di cellule molto singolari per aspetto: si trattà di elementi larghi, schiac-
ciati, formanti un unico piano o tutt'al più quà e là sovrapposti a
due a due nel qual caso i più esterni hanno la superficie frontale mol-
to convessa,. La membrana cellulare è molto inspessita dal lato che
guarda il taglio, un po’ più sottile invece dal lato profondo. Ad un
esame con forte ingrandimento si trova che la parete è attraversata da
numerosissimi canalicoli radiali mentre presentasi regolarmente striata.
Questo strato, che costituisee un caso di formazione epidermoide (V.
Acacia pycnantha ed Eucalyptus) si presenta ad un tempo lignificato
e suberificato. Esso poi si raccorda agli estremi della ferita coll'epi-
dermide cui rassomiglia moltissimo.
Sotto questo strato vi ha un tessuto di cellule piccole, regolarmen-
te disposte in senso radiale e tangenziale: solo qualcuna di esse è al-
quanto più grande. Più profondamente ancora troviamo dei fasci va-
scolari di nuova formazione che stabiliscono il raccordo fra i due si-
; stemi vascolari decorrenti parallelamente alle facce del cladodio e a
p poca distanza dalla superficie. Più in dentro il tessuto riprende i ca-
ratteri normali.
Le reazioni che avvengono in seguito a tagli trasversali delle fo-
glie (o di organi similari) permettono di formulare le seguenti conelu-
sioni, già in gran parte note, grazie agli studi dei nostri predecessori.
1) Le cellule prossime alla ferita muoiono. La necrosi, a seconda
della specie e delle foglie, si estende più o meno profondamente nel
tessuto.
2) Al di dietro del tratto necrosato si forma un tessuto suberifi-
102 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
cato che occlude la ferita. Prima però che questo compaia, od anco
contemporaneamente, le cellule si riempiono di sostanze tanniche, in
varia quantità a secondo delle specie.
3) Le cellule suberificate traggono origine degli elementi del pa-
lizzata e del lacunoso: molto più di rado da quelle epidermiche le qua-
li d’ordinario non partecipano al processo, o vi prendono parte solo
in debole misura suberificando le pareti. Talora però accennano a di-
vidersi. Però le reazioni che avvengono nelle cellule epidermiche ces-
sano a brevissima distanza dalla lesione. Solo in taluni Ficus e altre
piante a epidermide composta la reazione si estende alquanto, ma es-
sa interessa le cellule profonde dell’epidermide.
4) Talvolta la suberificazione degli elementi avviene senza che le
cellule siansi previamente divise, ma questa disposizione, per quanto
ci consta non è troppo frequente.
D'ordinario precede invece la segmentazione, ma anche su questo
punto le nostre osservazioni sono alquanto monche, avendo noi quasi
sempre esaminato delle lesioni antiche nelle quali le cellule dei tessu-
ti cicatriziali si erano ingrandite. e non lasciavano quindi più ricono-
scere i fatti distintamente.
5) Il tappo suberificato talora è ispessito, ma molte volte anche
risulta formato da pochi elementi. Esso poi può decorrere in linea retta
al limite del tessuto sano, oppure affondarsi alquanto nel suo percorso
attraverso il lacunoso. Ciò lascierebbe suppurre che ogni lesione provo-
chi la morte di un numero quasi determinato di cellule, per cui essen-
do quelle del lacunoso più grandi obbligano il tessuto suberoso ad ad-
dentrarsi maggiormente nello spessore di detto parenchima. In taluni
casi avviene l'opposto (organi assili, fogliformi) poichè il tessuto su-
gheroso incappuccia come una cuffia l'estremità sana dell’organo. Pro-
babilmente questo stato di cose viene chiarito se si tiene conto della
maggior tensione del tessuto centrale o midollare dell’organo, o dello
accrescimento più esuberante delle cellule di questo.
6. Al di dietro del tessuto suberoso, dal lato del parenchima sa-
no, le cellule proliferano, ma l’intensità del processo varia da specie a
specie e fin’anco da foglia a foglia. E’ però quasi sempre assai sear-
so il numero delle cellule neoformate. Talora, anzi, non abbiamo più
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 10
riscontrato le traccie di una pregressa segmentazione. Le cellule neo-
formate sono piccole, per lo più a setti periclini rispetto alla ferita
e in vicinanza di questa, variamente inclinate altrove.
7) Le cellule del felloderma ispessiscono talora le pareti, ed anzi
in qualche caso formano su queste dei piccoli bitorzoli sporgeuti negli
spazi intercellulari. Per lo più sono piccole e d'ordinario restringono
gli spazi intercellulari, quando non li colmano del tutto con degli ispes-
simenti parietali a tipo collenchimatoide.
8) L'ispessimento delle pareti ha luogo prevalentemente negli e-
lementi derivati dal tessuto lacunoso e le pareti sono cellulosiche. Nel-
le Acacie abbiamo tuttavia notato l’ispessimento delle membrane del
palizzata con formazione di punteggiature. La metamorfosi però col-
pisce solo poche cellule ed è ben lungi quindi dall’offrire l'imponenza
che noi abbiamo osservato nelle lesioni da sfregamento o da causti-
cazione.
Il tessuto neoformato ha i caratteri di un felloderma (talora di
un saftperiderm nel senso di Wiesner) e con tale nome l’ abbiamo
appunto caratterizzato, per quanto si notino delle differenze rispetto
al modo di formazione di fronte ai genuini fellodermi.
9) In taluni casi (Acacia pycnantha e Opuntia in cui il fillodio
o rispettivamente il cladodio leso era rimasto a lungo sul ramo) si os-
serva che il tessuto suberoso cade, mentre le cellule superficiali del
felloderma ispessiscono la parete rivolta verso la ferita in guisa da rige-
nerare una specie di epidermide (strato epidermoide) coi caratteristici
depositi di cutina, la quale sui bordi della ferita si raccorda con quella
della vera epidermide. Siffatta disposizione di cose ricorda molto da
do vicino le formazioni contrassegnate da noi nome di epitelio cuticulare.
10) Le disposizioni che si osservano nelle lesioni, per quanto si-
mili sotto molti aspetti, a quelle che si riscontrano nelle foglie soffre-
p gate o trattate eoll'AgNO,, sono tuttavia meno complesse e differisco-
! no per la quasi nessuna tendenza dell'epidermide a prender parte ai
ES. processi di cicatrizzazione, fatta eccezione per la suberificazione in to-
` to delle sue cellule al limite della lesione. Fanno tuttavia eccezione i
| Ficus e qualehe altra pianta in eui gli ipodermi, qualunque sia l'ori-
gine loro, si segmentano.
104 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Specialmente scarsa è la produzione di felloderma, mentre noi
sappiamo che nelle lesioni da soffregamento e da causticazione questo
tessuto si sviluppa molto. Oltre a ciò manca la formazione per lo più
di un epitelio cuticolare e d'ordinario mancano gli selereidi che ab-
biamo visto formarsi in abbondanza nelle frizioni praticate alle foglie
di Laurus e Gleditschia. E’ intine pure poco frequente la formazione
di grandi otricoli.
11) Le Felci non formano un tessuto suberoso di cicatrizzazione;
le Monocotiledoni ne formano poco, o talora anche n n lo producono,
all’opposto nei Ginkgo avviene una discreta reazione.
B) LESIONI TANGENZIALI DELLE FOGLIE
a) Dicotiledoni
A priori si potrebbe supporre che le lesioni ottenute collo sfrega-
mento, o colla causticazione ricordino quelle che si hanno colla sem-
pliee abrasione dell'epidermide poichè, in ultima analisi, anche nei
sopraricordati trattamenti questo tessuto viene più o meno gravemen-
te leso, come l’ attesta |’ accasciamento delle cellule. Non dobbiamo
tuttavia dimenticare che la necrosi delle cellule epidermiche non av-
viene costantemente, e in secondo luogo che i rapporti delle cellule
del parenchima fogliare col mezzo esterno sono ben diversi nel caso
in eui il tessuto sia protetto da un epidermide sana o lesa, anzichè
messo a nudo. Forti di questa convinzione noi abbiamo pertanto stu-
diato le lesioni che si formano in seguito alla abrasione dell’ epider-
mide e alla lesione delle cellule più superficiali del palizzata, non es-
sendo sempre possibile esportare il primo tessuto senza ledere anche
il secondo.
Acacia pycnantha Benth. Venne asportata l'epidermide e si di-
mezzarono le cellule più esterne del palizzata. Ben tosto si è formato
al di sotto degli elementi direttamente od indirettamente lesi (palizza-
ta) una zona suberosa tannica che separava del tutto la parte lesa dal-
la sana.
E | CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 105
Per lo più la stessa decorreva alla periferia del midollo, ma ta-
lora anche qualche cellula profonda dell’opposto palizzata mostrava di
aver preso parte al processo. Nessun accenno di proliferazione, anzi
un impoverimento nel contenuto delle cellule lese e di quelle del
palizzata del lato opposto rimasto illeso. Sui bordi della lesione qual-
che elemento del palizzata aveva ispessito o suberificato le pareti.
Ficus elastica Roxb. L'esportazione di un lembo d'epidermide, li-
mitatamente però agli strati superficiali di questa, porta all’ essicca-
mento del sottostante palizzata ed al riempimento delle cellule eon
masse tanniche, brunastre. Non si ha però nessun accenno di un vero
processo di cicatrizzazione nell’ambito del tessuto leso, o nelle sue vi-
cinanze. Neppur si notano alterazioni nelle cellule dei eistoliti, fatta
eccezione per la dissoluzione delle masse di carbonato di calce che
però venne da noi osservato in preparati stati a lungo in glicerina e
acqua di Javelle.
Ficus Beniamina Lin. La foglia per effetto della lesione erasi la-
cerata ed il tessuto di cicatrizzazione appariva limitato ai bordi del-
la ferita come nei casi di tagli fogliari.
Ficus capensis Thunb. Si nota un grande assottigliamento della
foglia nel punto leso, in seguito ad alterazione delle cellule del pa-
renchima.
= Ficus repens Roxb. Il palizzata superficiale ed anco i tessuti più
1 profondi sono colorati in giallo bruno da masse tanniche: talvolta su-
berificano gli strati superficiali sotto la lesione, mentre elementi più
2 profondi, a pareti cellulosishe, ispessiscono queste.
| Ficus rubiginosa. Si comporta come il F. repens.
Eucaliptus globulus Labill. (fig. 42) L'esame microscopico di una
foglia stata lesa e poi lasciata in sito per pochi giorni non mostrava
altro che l’imbrunimento dei contenuti cellulari e la tendenza, nelle
cellule sottostanti alla ferita, a suberificar le pareti. Molto elegante
era invece la reazione in un’altra foglia rimasta più a lungo sulla
pianta, dopo la lesione. Qui le cellule superficiali del parenchima ver-
de erano morte: al di sotto compariva un forte strato di cellule sube-
rificate il quale attraversava con decorso alquanto ondulato il paren-
chima, pur rimanendo all’ingrosso parallelo alla superficie fogliare. In
3 et jT ee 8 : PCT
106 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
un'altra foglia era invece morto tutto quanto il parenehima sottostan-
te al taglio e il tessuto suberoso, formatosi sui bordi della ferita, e a
contatto della epidermide, dopo un breve percorso, quasi parallelo alla
superficie fogliare piegava bruscamente per portarsi all’ epidermide
opposta sulla quale si inseriva. Si aveva così una specie di cicatrizza-
zione, quale si osserva nei tagli fogliari traversali.
Tornando al secondo caso ricorderemo ancora che il tessuto su-
beroso, formato di cellule ovali, attraversava i fasci vascolari i cui
elementi liberiani suberificavano a loro volta, in continuazione della
lamina suberificata parenchimatosa. A contatto delle borse ghiandola-
ri lo strato suberoso immetteva nel cavo ghiandolare qualche elemento
pure suberificato. Al di sotto della zona sugherusa stendevasi un grosso
strato di felloderma i cui elemeati apparivane piccoli e tabulari.
Raphiolepis rubra Lindl. Lesione interessante l'epidermide e il
palizzata. Si nota solo un forte accumulo di sostanze giallastre tan-
niche in tutto il parenchima leso. Non sappiamo se per altro lasciando
più a lungo la foglia sulla pianta non possa, per avventura, accadere
una reazione più intensa.
Senecio Kleinoides Oliv. (fig. 43) Si ha spesso una reazione intensa
con formazione di un grosso strato di cellule suberificate, al di sotto
del quale molte volte si nota un forte accumulo di elementi a tipo di
collenchima, con distinta punteggiatura sulle pareti, il quale invece
nella parte sana forma soltanto uno o due piani al di sotto dell’ epi-
dermide. Tra le due formazioni patologiche, quando lo esame venga
fatto a tempo debito, si trovano ancora delle cellule del cambio.
Più profondamente compaiono i fasei vascolari, e questi in cor-
rispondenza della lesione sono d’ ordinario mo'to numerosi, d’ aspetto
giovanile, con elementi vasali molto piccoli e talora solo oscuramente
punteggiati. Siffatta disposizione, ma specialmente il numero grande
dei fascetti e la presenza, qua e colà, di gruppi cellulari in attiva
segmentazione e piccoli, ci fa sospettare che si tratti di vere neofor-
mazioni vascolari in rapporto col trauma. Fino ad ora però non ne
abbiamo ottenuta la prova decisiva e perciò intendiamo proseguire le |
ricerche.
Senecio Kempferi. DC. (fig. 44) La reazione comincia un po’ al
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 107
di là dei bordi della ferita. Ivi le cellule del palizzata si segmentano
obliquamente mentre le nuove cellule suberificano. Lo strato suberoso
poi si continua al di sotto della lesione isolando il tessuto necrosato
da quello pià profondamente situato e sano. Nella parte profonda dello
strato sugheroso le segmentazioni, eon formazione di cellule tabulari-
sono numerose. Tutto il tessuto malato è pieno di tannino.
Nei easi di gravi lesioni la parte sottostante muore e secca e al,
lora si banno le reazioni proprie dei tagli trasversali.
` Cotiledon quitensis. Bak. Si forma, in grande vicinanza della ferita,
ma al di sotto di questa, un sottile strato di sughero a grossi ele-
menti. Più profondamente si nota, talora, qualche cellula in segmenta-
zione.
Crassula canescens. Roem. et Schutt. Lo strato di sughero che si
forma al di sotto, ma a poca distanza, della ferita è forte di due
o tre piani. Esso consta di elementi grandi rettangolari. Più nell’ in-
terno il parenchima prolifera per formare due o tre strati di cellule
tabulari con pareti cellulosiche.
Mesembryanthemum acinaciforme. Lin. Le cellule tagliate e quelle
sottostanti muoiono, mentre subito al di sotto si forma. a spese del
parenchima, uno strato sugheroso i cui elementi sono piuttosto grandi.
Succede poi, come nelle altre piante grasse, uno strato di cellule gio-
vani a pareti di nuova formazione perieline rispetto alla ferita.
Olmediella Cesatiana Baill. All'infuori del solito accumulo di tan-
nino non abbiamo riscontrata altra reazione sotto la ferita che nei
casi studiati interessava l'epidermide e il primo strato del palizzata.
Laurus canariensis Webb. et Berth. Le ferite da noi prodotte
hanno sempre determinato lo essiccamento del tessuto senza che avesse
luogo altra reazione.
Farfugium grande. La lesione ha prodotto la necrosi di tutto il
tessuto sottostante. Si è osservato perciò la cicatrizzazione propria dei
tagli, cioè limitatamente ai bordi della ferita.
Evonymus japonicus L.fl.(fig.45) Qualche volta non si ottiene aleuna
reazione, poichè il tessuto secca e imbrunisce; in altri casi si ha un leg-
gero accenno alla formazione di una cicatrice sui bordi come nel caso
dei tagli; infine può ottenersi una distinta reazione caratterizzata dalla
108 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
comparsa, un po’ al di sotto del tessuto leso e per tutta la sua esten-
sione, di una lamina di sughero a cellule discrete, spesso piene di
masse tanniche o di ossalato caleico. Al di sotto vi ha uno strato di
cellule in via di attiva segmentazione, derivate dagli elementi del la-
cunoso, i quali sono ivi alquanto ingranditi. Del resto delle cellule
otricoliformi trovansi anche, sebbene raramente, nel tessuto sovrastante
suberificato.
Buxus balearica Lam. Presso che la stessa reazione che nell Evo-
nymus, ma al di sotto delle cellule lese vi ha proliferazione e questa
può presentarsi tanto nel palizzata profondo che nel lacunoso, a secondo
della gravità della ferita. Le segmentazioni, che avvengono in senso
trasversale, dànno origine a un tessuto di piccole cellule che più tardi
suberificano. Alcune di queste col tempo ingrandiseono un po’. Al di
sotto si forma, come nell’Evonymus, del felloderma, le cui pareti però
ispessiscono alquanto, ma in modo irregolare. Il tannino è scarso nella
parte lesa (fig. 46).
In una foglia lasciata dopo il taglio attaccata alla pianta, ma te-
nuta immersa nell’acqua, le cellule lese avevano la estremità libera
otturata da masse cristalline.
Hedera Helix L. Talora nessuna reazione, oppure la presenza di
un callo sui bordi del a ferita, come nei tagli trasversali, il quale però
s’avanza obliquamente attraverso la parte lesa per raggiungere |’ epi
dermide opposta. I fasci prendono pure parte alla formazione dello
strato suberificato e sono gli elementi del libro quelli che s'impregnano
di suberina. Al di sotto della zona di difesa qualehe cellula di fel-
loderma.
Melodinum Scandens Forst. Il tessuto leso e quello sottostante im-
bruniseono e seccano, senza che si sia ottenuta alcuna reazione.
Osmanthus Aquifolium Sieb. (fig. 47) Il tessuto a palizzata neero-
tizza riempiendosi di tannino, mentre il sottostante laeunoso ingran-
disce le cellule che così vengono a trovarsi a mutuo contatto con no-
tevole restringimento degli spazi intercellulari. Poi avviene la segmen-
tazione tanto nelle cellule ipertro,iche del lacunoso , quanto in quelle
del palizzata profonao rimaste illese e il tessuto neoformato suberifiea,
almeno negli strati superficiali.
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIAR 109
AI di sotto del tessuto suberificato rimane un sottile felloderma a
celiule tabulari, segmentate tangenzialmente , nel quale appaiono dei
piccoli gruppi di cellule molto più graeili delle vicine e a contenuto
abbondante. Di queste non abbiamo potuto seguir l’ulteriore evoluzione.
E’ probabile che si formino dei fasci a spese delle stesse, ma il fatto
merita di esser meglio assodato.
B) MONOCOTILEDONI
Dracaena Draco Lin. Il tessuto di reazione si forma sotto l’ epi-
dermide, sui margini della ferita, e quindi si affonda nel parenchima
verde tra i cordoni meccanici e raggiunti gli strati profondi decorre
in senso parallelo alla superficie per portarsi di nuovo verso l’epider.
mide al limite opposto della ferita. Si tratta di un periderma a cel-
lule irregolarissime suberificate spesso colle pareti colorate da flobafeni
che impregnano pure i cordoni meccanici. Al di sotto di questo tes-
suto si nota qualche cellula di felloderma.
Strelitzia Augusta Thunb. Il tessuto si riempie di tannino e si
dissecca.
C) FUSTI ALATI E CLADODI
Semele androgyna Kunth. Il tessuto del eladodio si affloscia sotto
la ferita: non abbiamo tuttavia veduto formarsi delle nuove cellule.
Muehlembekin platiclados Meissn. Nel midollo del ramo appiattito
si fa uno strato di sughero decorrente paralle'amente alla ferita. Poche
son le cellule in proliferazione.
*
* *
Nelle lesioni tangenziali interessanti l’epidermide e quasi sempre
anche il palizzata si ha come prima reazione (almeno nei casi dai noi
studiati, che si riferiscono a foglie state lese durante la cattiva sta-
gione e quindi in condizioni tutt'altro che favorevoli di vegetazione) (1)
(1) Gli esperimenti venivano tuttavia effettuati in serra, a una temperatura
| discreta.
110 LUIGI BUSCALIONI E GIÜSEPPE MUSCATELLO
la comparsa di tannino nelle cellule lese e in quelle sottostanti. Le
cellule più superficiali intanto vanno più o meno presto in necrosi.
Qualche volta, grazie alla presenza di siffatto tessuto ricco di
tannino, gli elementi sani rimangono sufficientemente protetti ed in
tal caso può mancare del tutto la formazione di un periderma, o que-
sto sviluppasi solo parzialmente.
Nelle piante grasse si ha invece quasi costantemente la formazione
di un periderma al di sotto o nell'ambito stesso del tessuto ricco di.
tannino. Inoltre al di dietro dello strato suberoso si forma molte volte
un felloderma. La comparsa dei due tessuti è preceduta, come al so-
lito, del passaggio delle cellule adulte del tessuto fondamentale allo
stato giovane.
Parimenti la formazione del sughero e del felloderma avviene
frequentemente nelle foglie coriacee, mentre in quelle sottili e special-
mente nelle Monocotiledoni si forma solo tannino che poi talora, non
offrendo sufficiente protezione al tessuto sottostante, non riesce ad im-
pedire la diffusione della necrosi. Anche l’ accidentale insediamento,
nella ferita, di elementi patogeni può esser causa della espansione del-
la necrosi, senza che si formi sughero, e malgrado la presenza di cel-
lule tanniche. i
A quanto pare le ferite tangenziali delle foglie si comportano un
po’ diversamente da quelle trasversali poichè in queste la reazione
cicatriziale con formazione di periderma è più pronta.
Nelle ferite tangenziali la formazione del periderma è molte volte
subordinata al numero dei piani cellulari esportati ed all’epoca in cui
si fa la lesione. D’ estate il tessuto sottostante alla ferita per lo più
muore in tutto lo spessore della foglia; d’inverno, sotto favorevoli con-
dizioni d'umidità, può ancora vivere e reagire sia colla formazione del
tannino sia colla produzione di un periderma.
Quando manca la formazione di questo lungo la ferita e il tessuto
tannico protettore non oppone sufficiente difesa, la ferita rimargina
spesse volte per la produzione di un callo che si localizza ai bordi.
Il callo attraversa la foglia a tutto spessore come nel caso dei tagli
trasversali. Il tessuto di riparazione d’ ordinario erd non decorre di
ritto, inquantochè tende a girare attorno la ferita, e solo dopo un
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI ili
certo tratto si piega bruscamente (d’ordinario girando a ridosso di un
fascio) per raggiungere la epidermide della faccia opposta a quella da
cui si erano sviluppato.
Ben ponderati i fatti, le lesioni tangenziali, mentre da un lato
non tendono a produrre il periderma (talune Monocotiledoni), dall’altro
non sviluppano che un ordinario tessuto cicatriziale (Dicotiledoni, e
neppure in tutte) il quale poi non presenta, che in via eccezionale,
quella complessità di strutture e di adattamenti che noi rinveniamo
nelle lesioni da soffregamento e più ancora in quelle da causticazione
al nitrato di argento.
Cicatrizzazione delle ferite nelle foglie tenute in acqua,
in soluzioni nutritive ed all' oscuro.
Le osservazioni di Blackman e Mattaei sul diverso comportamento
delle foglie lese di Prunus Lauro cerasus a secondo che sono lasciate
sulla pianta o all’opposto tenute all’umido ed all’oscuro, come pure le
molte osservazioni sparse nella letteratura e dalle quali risulta che.
l'umidità è di ostacolo — non insuperabile però — alla formazione del
tessuto suberoso, ci hanno indotto a investigare l’azione dell’ umidità
e dell’oscurità sulla formazione dei peridermi su foglie lese e di poi
obbligate a vivere quasi unicamente a spese dell’attività assimilatoria
propria, poichè venivano tenute in acqua, oppure in soluzioni nutritive.
1. FOGLIE TENUTE IN ACQUA
a) Dicotiledoni
Per queste ricerche ci siamo limitati a studiar l’effetto dello sfre-
gamento e dei tagli sia trasversali che tangenziali: a tal uopo le fo-
glie dopo esser state staccate dal ramo venivano conservate in un re-
cipiente pieno d’acqua, nella quale pescava il solo pinicolo fogliare.
I tagli sia trasversali che tangenziali furono eseguiti al momento di
inizia: e le esperienze; il massaggio fu invece continuato, ad intervalli
di 2 o 3 giorni, sino a tanto che si vide comparire sulla lamina i
segni della reazione (imbrunimento, aumento di consistenza ecc.),
112 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MÜSCATELLO
Ficus beniamina Lin. Si è osservato unicamente il collasso delle
cellule epidermiche e l’ impoverimento , in contenuto , delle cellule a
palizzata e ciò per effetto del massaggio col fazzoletto. Nei tagli tra-
sversali la parte lesa si è riempita di tannino, senza che in seguito
abbia dato origine al tessuto suberoso.
Ficus elastica Roxb. Le ferite da tagli trasversali hanno provo.
cato dapprima lo sviluppo del tannino nelle cellule confinanti e sue-
cessivamente del tessuto sugheroso. Questo però è oltremodo ridotto e
non presentasi rafforzato da cellule di felloderma. I fasci vascolari
compresi nella lesione hanno suberificato le cellule del tessuto fonda-
mentale. La stessa sorte è toccata a due o tre cellule dello strato pro-
fondo dell’ epidermide , previa segmentazione. Qualche rara divisione
nel palizzata profondo in seguito ai tagli tangenziali.
Hedera Helix Lin. Nessuna reazione di rigenerazione o di cica-
trizzazione nei tagli trasversali, o in seguito al massaggio. Tutto al
più si incontra qualche cellula tannica al limite dei tagli.
Acacia pycnantha Bth. I tagli trasversali provocano la comparsa
del tannino nellé cellule prossime alla lesione. Qualche rara cellula
del palizzata inoltre accenna ad ispessire le pareti. Col massaggio non
si è ottenuto altro che la comparsa del tannino.
Viburnum lucidum Mill. Il tannino si sviluppa con una certa ab-
bondanza ed anco su tratti estesi, tanto in seguito ai tagli che al mas-
saggio; non abbiamo tuttavia notato altra reazione.
Myoporum punctulatum Schlecht, In seguito al massaggio le cel-
lule sottoepidermiche si schiacciano, compare il tannino nel palizzata
e infine nel decorso dei fasci vascolari notasi qualche rara cellula su-
berificata. Nelle ferite dovute a tagli trasversali abbiamo osservato u-
nieamente la comparsa del tannino accompagnata da un leggero ispes-
simento della parete delle cellule circostanti.
Crassula canexeus Roem. et Schutt. Il massaggio non determina
altro che la comparsa del tannino nelle cellule epidermiche e in quelle
sottostanti. In un caso abbiamo tuttavia osservato la suberificazione
dello strato di cellule dell’ epitema sottostante all’ epidermide e di
quelle del parenchima fondamentale, limitatamente a uno 0 due piani
cellulari situati pure a poco distanza dalle superficiali. I tagli trasver-
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI Fı GLIARÌ 113
sali invece provocano anche la suberificazione, scarsa però, delle cel-
lule situate ad una certa distanza dalla lesione. Inoltre si osserva qual-
che rara segmentazione.
Photinia serrulata Lindl. Coi tagli trasversali, a prescindere da
una lieve impregnazione di tannino e di antocianina (quest’ultima do-
vuta probabilmente al distacco delle foglie), non si è osservata altra
reazione. Lo stesso risultato in seguito al massaggio.
Eucalyptus globulus Labill. Nei tagli trasversali ha luogo abbon-
dante ed estesa formazione di tannino seguita da una leggera suberi-
ficazione degli elementi situati a una certa distanza dalla ferita. Il
massaggio ha provocato, nei nostri esemplari, delle reazioni molto dub-
bie, poichè le poche cellule suberificate che si incontrano qua e là
possono aver tratto origine da lesioni accidentali tanto frequenti nelle
foglie di questa specie.
Laurus canariensis Webb. et Berth. Pressochè gli stessi fenomeni
offerti dall'Euca/yptus. La formazione di tannino al margine delle
ferite è però molto meno estesa.
Evonymus juponicus L. fil. Formazione di una sottile striscia di
cellule suberifieate a breve distanza dalla ferita e previa formazione
di tannino (tagli trasversali).
Raphiolepis rubra Lindl. Presenza di tannino nelle cellule pros-
sime ai tagli trasversali. Antocianina in tutta la sezione.
Buxus balearica. In questa specie abbiamo unicamente eseguito
dei tagli tangenziali in corrispondenza della pagina superiore della
foglia che poi (senza esser staccata dal ramo) venne tenuta immersa
nell’acqua.
Le cellule del palizzata superficiale si sono segmentate , dando
così tre o quattro strati di piccole cellule tabulari, le più esterne delle
E quali hanno suberifieato le pareti. Il processo di cicatrizzazione era
derò poco attivo, la suberificazione non occupando più di un piano di
cellule.
Senecio Kleinoides. Le cellule superficiali del tessuto fondamentale
_ si accasciano assieme a quelle dell'epidermide e si riempiono di masse
brune; le sottostanti ipertrofizzano fino ad una certa distanza dalla le-
sione che qui fu effettuata col massaggio.
en Die, CC?
e e E
$ F
114 '^ LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Osmanthus Aquifolium. I tagli trasversali provocarono un’ accenno
di formazione suberosa in grande vicinanza della lesione.
b) Monocotiledoni
Phormium tenax. Nessuna reazione interessante in seguito ai tagli
trasversali, all’infuori dello sviluppo di cellule tannifere nelle vicinanze
di questi.
c) Fusti alati e cladodi
Semele androgyna. Nelle lesioni da tagli trasversali il eladodio im-
brunisce sino ad una certa distanza dalla ferita e si forma un leggero
strato di suberina nel punto in cui il tessuto torna normale. La sube-
rificazione delle cellule è però appena riconoscibile col Sudan III.
Muehlembeckia platiclados. Il ramo appiatito sviluppa qualche cel-
lula suberifieata nel parenchima verde sotto l’ influenza dello sfrega-
mento. In seguito ai tagli trasversali si forma un po’ di tannino e
del sughero (ma in modo molto dubbio).
2. FOGLIE TENUTE IN SOLUZIONE NUTRITIVA
a) Dicotiledoni
In questa serie di ricerche sulle reazioni traumatiche abbiamo
fatto una delle soluzioni di Knopf come mezzo di c:ltura delle foglie,
le quali rimasero per tutto il tempo che durò l esperimento. col pic-
ciuolo, o colla parte basale del lembo immerse nella soluzione. en
poi si rinnovava una volta alla settimana.
Eucalyptus globulus. Tannino in abbondanza nelle cellule prossime
ai tagli fogliari trasversali. Reazione stentata nel caso di frizioni.
Evonynous japonicus. Il massaggio ha prodotto sul decorso dei
fasci maggiori delle grosse verruche serepolate e costituite da un'am-
masso di cellule rotonde, giallastre, suberificate, al di sotto delle quali
si ha un robusto strato di elementi fellodermici rettangolari. Non sap-
piamo per altro se siffatta lesione debba realmente ascriversi al mas-
aeree:
NR?
d ona
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLB LESIONI FOGLIAR 115
saggio. Coi tagli trasversali non si è ottenuto altro che la formazione
di tannino nelle cellule prossime alla ferita.
Ficus beniamina. Lesione tangenziale. Le cellule dello strato pro-
fondo del palizzata mostransi povere di plasma e inoltre sono un po’
ingiallite per sostanze tanniche. La stessa reazione si ottiene coi tagli
trasversali.
Ficus elastica. In seguito ai tagli trasversali si ottiene una rea-
zione abbastanza intensa nel senso che, a poca distanza dalla lesione,
si forma una robusta placca di cellule suberose la quale attraversa
tutto quanto il parenchima verde. Alla formazione delle stesse pren-
dono anche parte le cellule epidermiche, sia proliferando, sia impre-
gnando di suberina le pareti neoformate e quelle antiche. Poche cel-
cule retrostanti al tessuto sugheroso, dal lato del tessuto sano, sono in.
attiva divisione per formare un po’ di felloderma. Prima però che que-
ste reazioni compaiano si ha il solito accumulo di tannino.
Viburnum lucidum. Per quanto riguarda i tagli trasversali abbiamo
notato la stessa reazione già descritta sul Ficus elastica. Le lesioni
tangenziali provocano invece soltanto (almeno nei casi da noi studiati)
produzione di tannino e accasciamento delle cellule.
Crassula canescens. Sotto l'azione del massaggio imbruniscono le
cellule superficiali del parenchima e quelle dell'epidermide, e poi
qua e là ha luogo qualche dubbia formazione di cellule sugherose.
Osmanthts Aquifolium. Il tessuto sottostante al punto soffregato
si accascia perchè gli elementi del palizzata si impregnano di tannino
esi coartano. Nessun’ altra reazione. Comportamento analogo coi tagli
trasversali.
Photinia serrulata. La stessa reazione osservata nell'Osmantus.
Myoporum punctulatum. Imbrunimento delle cellule prossime ai tagli
trasversali. Reazione insignificante nel caso di soffregamento della foglia.
Hedera Helix. Lesioni tangenziali. Si è ottenuta una reazione
molto elegante. I due strati di palizzata restano per lo più immutati (1),
(1) In un caso le cellule dello strato profondo del palizzata sottostanti a
quelle esterne lese avevano ispessito alquanto la parets frontale che le separava
da queste ultime (fig. 48).
i16 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLÒ
mentre proliferano le cellule immediatamente sottostanti per formare
un robusto strato di elementi grandi o discreti, saberificati, al di sotto
dei quali si osserva un piano di piccole cellule fellodermiche. La su-
berificazione però in qualche punto colpisce anche le cellule del paliz-
zata profondo. Questo è quanto si può osservare allorchè il preparato
microscopico viene ottenuto dai bordi della lesione. Nel mezzo di que-
sta cambia la scena in quanto che tutto il tessuto sottostante alla le-
sione muore e allora si ha la cicatrizzazione di una ferita trasversale.
Si nota tuttavia una piccola differenza nel senso che il periderma non
decorre come un setto diritto da un epidermide all’altra, ma all’opposto
passa al di sotto delle cellule morte per decorrere per breve tratto
parallelo alla superficie lesa e poi piega bruscamente per raggiungere
l'epidermide inferiore. Per lo più ih ginocchio si forma a ridosso dei
fasci vascolari. Il processo è ovunque preceduto dalla comparsa del
tannino.
Tagli trasversali: tannino nelle cellule prossime alla ferita e di
poi una placca di celiule suberose a breve distanza da questa. Le cel-
lule suberifieate son grandi, vuote o presentano le pareti ondulate, ciò
che dimostra che esse hanno dovuto contrarsi. La regione del callo è
più ispessita della circostante normale.
. Raphiolepis rubra. Nessuna reazione sia coi tagli trasversali sia
con quelli tangenziali, all'infuori della comparsa di tannino.
Laurus canariensis. Si comporta come il Raphiolepix.
b) Monocotiledoni
Dracaena draco. Tagli tangenziali: Il periderma, a grosse cellule
tanniche e suberose, colle pareti impregnate di flobafeni che colorano
anehe i eordoni meceaniei, si forma a spese del parenchima verde in-
terposto fra questi ultimi, e poi si sviluppa parallelamente alla super-
ficie nel tessuto di ampie cellule situato immediatamente dietro i cor-
doni meccanici. Nei tagli trasversali il periderma pure tannico sube-
roso si forma in abbondanza presso la ferita ed è rinforzato da qual-
che cellula di felloderma. Entrambi i tessuti hanno pareti un po’
ispessite,
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 117
3. FOGLIE TENUTE ALL’OSCURO
Per questo genere di esperienze ci siamo limitati a soffregare le
foglie ad intervalli di 2 o 3 giorni. L'operazione venne di poi sospesa
allorchè commeiarono ad apparire i primi segni di reazione, (cambia-
mento di colore, raggrinzamento etc.) Le foglie vennero raccolte due
mesi più tardi e durante tulto il tempo che trascorse dal primo mas-
saggio fino al giorno della raccolta furono tenute avvolte nella sta-
gnola. Noi abbiamo così potuto, studiare F influenza dell’ oscurità nel-
la reazione, ma però non possiamo tacere che un lembo fogliare av-
velto dalla stagnola si trova anche in condizioni di umidità alquanto
differenti da quelle cui sono sottoposte le foglie liberamente traspiranti.
Infatti si è quasi sempre osservato che le foglie erano piuttosto umide,
ciò che non accade a quelle esposte al sole.
Myoporum punctulatum. Quasi nessuna reazione: al di sopra di
aleuni cordoni fibrovascolari si incontra qualche cellula suberosa.
In un’ esemplare di foglia stata trattata allo stesso modo, ma la-
sciato di poi alla luce si sono notate le seguenti particolarità: |’ epi-
dermide era schiacciata e la stessa sorte avevano subito in alcuni
punti le cellule del palizzata sottostante. Poi veniva un grosso strato
di elementi grandi, suberificati, contro ai quali si appoggiavano delle
file di cellule allungate otricoliformi, semplici o variamente divise, ta-
lune delle quali a pareti fortemente ispessite. ] tramezzi erano parti-
colarmente numerosi in vicinanza del tessuto suberifieato. Al tessuto
neoformato teneva dietro un palizzata conformato pressochè sullo stam-
po normale e di poi il lacunoso rivestito dall'epidermide inferiore. La
legione lesa è molto ispessita in confronto della sana.
Raphiolepis rubra. Quasi n ssuna reazione, se si eccettua la com-
parsa del tannino. All’ opposto una foglia stata soffregata, ma poi,
per il confronto, lasciata scoperta ei ha offerto non poche particolarità
struttuali interessanti. L' epidermide superiore si è mantenuta intatta
od ha suberificato le pareti, mentre le cellule si sono divise. Al di
sotto di essa è comparso un tessuto singolarissimo, fatto di cellule ir-
regolari ramose, ricche di amido, le quali però in aleuni punti, e più
precisamente la dove l'epidermide era suberificata, si trasformavano in
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118 . LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
un tessuto a piccole cellule, collenchimatose che rafforzavano l'epidermi-
de stessa. Al di dietro di questo strato cellulare di neoformazione com-
pariva il palizzata; questo però può mancare e al suo posto trovasi
allora il lacunoso. Tanto l’uno che l’altro presentavano caratteri nor-
mali e perciò spiccavano sul tessuto patologico per la coloraz one verde
più intensa e per gli spazi intercellulari più piccoli.
Trattando le sezioni con acqua di Javelle e poi col Sudan III si
potè constatare che tutto il tessuto neoformato a cellule ramose aveva
le pareti ispessite ma non suberificate: ‘all’opposto erano impregnate, e
fortemente, di suberina le piccole cellule sottostanti all’ epidermide là
dove questa si mostrava pure suberificata, o più o meno profondamente
schiacciata e alterata.
-Ficus elastica Non abbiamo osservato alcuna reazione, ma nep-
pure si sono istituite esperienze di confronto.
Hedera Helix. Qualche divisione nel palizzata e nell'epidermide;
un po’ di periderma sui fasci maggiori; mancanza di amido nei tes-
suti. All'opposto intensa formazione di periderma ; segmentazione nu-
merosa nel tessuto epidermico e nel palizzata nelle foglie lasciate alla
luce, le quali poi sono rieche di amido.
Eucalyptus globulus. Si sono incontrati dei tratti di tessuto verde
in cui le cellule più superficiali erano suberificate; inoltre qualche cel-
lula epidermica si mostrava divisa. Nella foglia di confronto che era
stata soffregata e poi lasciata alla luce la reazione era evidente. L'epi-
dermide erasi schiacciata e divisa su estesi tratti del lembo; in alcuni
punti, e specialmente lungo la nervatura, essa appariva sollevata col
tessuto sottostante ipertrofieo. Al di sotto dell'epidermide incontravansi
parecchi piani di cellule chiacciate; contro questa poi poggiava uno
strato di cellule le cui pareti, dal lato rivolto verso l’esterno, erano
notevolmente ispessite, per cui si aveva la produzione del solito strato
epidermoide. Più profondamente si incontrava una specie di felloderma
a piccoli elementi con membrana sottile, e infine il tessuto più o meno
normale (palizzata, lacunoso e via dicendo).
Col Sudan III si rilevava che tutto quanto il tessuto sovrastante
allo strato epidermoide e questo stesso erano suberificati. Va notato
Se
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 119
inoltre che la membrana ispessita dello strato epidermoide si innestava
alla cuticola dell’epidermide, cui rassomigliava in tutto e per tutto.
Photinia serrulata. Nessuna reazione un po’ caratteristica. Nelle
foglie di confronto si hanno delle vere verruche dovute alla prolifera-
zione del tessuto malato. L'epidermide è schiacciata e al di sotto vi
ha un tessuto ricco di tannino e caratterizzato da lunghi otricoli, op-
pure questi si tramezzano ripetutamente e allora compare un tessuto
a piccole cellule intimamente fra loro unite, a tipo collenchimatoso,
al di sotto di questo si incontra il palizzata le cui cellule sono qua e
là tramezzate. Se la lesione è stata meno intensa, sotto l’ epidermide
compare subito il palizzata, il quale però ha le sue eellule più super-
ficiali povere in contenuto, giallastre per tannino e spesso tramezzate,
Tutto il tessuto neoformato appare, col Sudan III, suberificato ed
in molti punti rivestito all’ esterno da una membrana cuticolaroide in
sostituzione di quella dell’ epidermide alterata. Al di sotto però dello
strato suberificato si incontra assai spesso un tessuto di piccole cellule
di felloderma collenchimatoso ; poi fa seguito il palizzata più o meno
profondamente alterato e costituito quasi sempre di cellule meno grandi
delle normali.
Colla tintura di Judio si è trovato amido in abbondanza nella fo-
glia rimasta alla luce, pochissimo invece in quelle tenute all'oscuro, La
stessa disposizione venne pure riscontrata nelle altre piante da noi
studiate, fatta tuttavia eccezione per il Raphiolepis a causa delle so-
luzioni di continuità avvenute nella stagnuola negli ultimi giorni delle
nostre esperienze, e per le quali un po’ di luce era penetrata fino alla
foglia provocando l’assimilazione.
*
* *
Le osservazioni fatte tenendo le foglie all’ oscuro, all’ umido, in
soluzioni nutritizie concordano tutte quante nel senso di mettere in
evidenza che le formazioni suberose si formano in abbondanza unica -
mente quando il filloma è sottoposto alle condizioni di luce normali e
non assoggettato ad un’umidità eccessiva.
E’ vero però che le foglie reagiscono le une differentemente dalle
altre anche quando appartengono alla stessa specie e perciò i risultati
120 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
possono venire infirmati da una tale condizione di cose. Ciò non ostan-
te, dato il numero abbastanza grande di esperienze condotte a termine,
e tutte più o meno fra loro concordanti, ci crediamo autorizzati a
mantenere le nostre conclusioni.
I fatti esposti ci dicono inoltre che la foglia può reagire anche
se staccata dalla pianta avendo essa la capacità di vivere a lungo
quando venga tenuta all'umido. Nelle soluzioni nutritive essa poi trova
condizioni di esistenza ancora migliori. Ma se essa basta a se stessa
non è più capace di reagire con quella intensità che è caratteristica
delle foglie lasciate aderenti alla pianta. Perciò noi vediamo che il
callo è ridotto, talora mancante e sostituito da un accumulo di cellule
piene di tannino. Inoltre, anche quando si sviluppa abbastanza bene,
(Ficus), il callo non è quasi mai accompagnato da formazioni felloder-
miche abbondanti, tanto che non merita a rigor di termini il nome di
callo. Pochissimo accentuate poi sono le reazioni allorchè si sono sof-
fregate le foglie, e inoltre le stesse quasi mai dànno luogo alla produ-
zione di elementi selerosati, di epiteli cuticolari e di altre particolarità
istologiche ed anatomiche che noi abbiamo visto frequentemente com-
parire nelle esperienze fatte su foglie tenute in sito.
Interessante è poi il fatto che mentre le lesioni meccaniche (fri-
zioni) provocano al pari di quelle chimiche (causticazione coll’AgNO,)
la proliferazione del tessuto sottostante nelle foglie lasciate in sito,
questi processi non avvengono che raramente in quelle tenute all'umi-
do. In tali foglie invece si forma quasi sempre lungo i margini della
ferita o della lesione un cercine cicatriziale per cui la parte mediana
lesa resta sequestrata. Si comprende quindi come nelle esperienze di
Blackmann e Mattaei si sia appunto ottenuto il distacco del tessuto
morto allorchè le foglie di Prunus Laurocerasus venivano ustionate
e poi mantenute col picciuolo in acqua fino a cicatrizzazione com-
pleta.
Anche molto interessanti sono le osservazioni fatte con foglie il
eui pieciuolo pescava nelle soluzioni nutritive, poichè dalle stesse è
risultato che le migliori condizioni di esistenza in cui viene in tal gui-
sa a trovarsi la foglia staccata favoriscono i processi di cicatrizzazio-
ne, i quali perciò appaiono più marcati che nella foglia semplicemente
MORS EE EE
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 121
conservata in aequa. L'oseurità infine ha pure un'influenza non indif-
ferente valendo essa a rallentare e ad indebolire le reazioni, che provo-
cano la cicatrizzazione.
FACCIA INFERIORE DELLA FOGLIA
Le lesioni furono ottenute anche qui tanto col metodo della cau-
sticazione eoll'AgNO, che con quello delle frizioni meccaniche. Nostro
scopo era que lo di constatare se i tessuti epidermici e il lacunoso della
pagina inferiore, altrimenti conformati da quelli della pagina supe-
riore (palizzata ed epidermide), reagissero anche diversamente allo sti-
molo. Nella pagina inferiore abbiamo, quasi sempre, una maggior ab-
bondanza di stomi i quali, quando vengono messi in condizioni di non
più funzionare, devono provocare notevoli disturbi nei sottostanti tes-
suti. Oltre a ciò il lacunoso, ricco di meati intercellulari, permette
alle cellule di distendersi in tutte le direzioni quando vengano stimo-
late ad accrescersi, per eui anche sotto questo punto di vista le con-
dizioni sono ben diverse da quelle ehe regolano la reazione patologica
alla pagina superiore.
Lesioni ottenute collo sfregamento
Podocarpus latifolia Wall. Il tessuto suberoso compare al limite
del punto leso ed alla superficie della foglia per affondarsi di poi in
guisa da eireoserivere la parte malata formando all'ingiro di questa
quasi uno strato concavo, una specie di scodella che ingloba le cellule
necrosate. I fasci vascolari quando vengono compresi nella lesione rie-
scono profondamente alterati.
Abbiamo peraltro osservato dei casi in cui nel punto malato vi
era semplicemente una esuberante produzione di tannino.
Ficus religiosa. Il lacunoso si segmenta ma non attivamente e
poscia le cellule suberificano. Qualche cellula del tessuto sottoepider-
mico ispessisce le pareti (fig. 49).
Ficus Sycomorus. Oltre (alla lesione constatata nella precedente spe-
eie si rileva qui l'oeclusione delle cellale a cistoliti seguita da sube-
rifieaz one della sostanza fondamentale del cistolite.
122 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLÓ
Ficus Afzelii. Semplice suberificazione di qualche strato del lacu-
noso più superficiale.
Ficus magnolioides. Formazione di sughero sulle nervature.
Ficus beniamina. (fig. 50) La pagina inferiore è rivestita da un
epidermide disposta in doppio strato e costituita da cellule assai più
piccole di quelle della corrispondente epidermide della pagina supe-
riore. Vi ha poi un palizzata ridotto, di guisa che il lacunoso viene
ad oecupare quasi l'asse della foglia.
Il palizzata reagisee allungandosi donde la formazione di una
bozza per altro poco prominente. Raggiunto poi che hanno un certo
sviluppo, le cellule si segmentano attivamente, ma limitatamente al-
l’estremo rivolto verso la superficie fogliare, dando così origine a uno
strato di piccole cellule che non tardano a suberificare.
Le cellule a cistoliti per lo più restano immutate, o suberificano
le pareti o riescono colmate da tilli.
Il lacunoso può anche prender parte al processo neoformativo con
produzione di piccole cellule stirate tangenzialmente, quasi schiacciate.
Ficus macrophylla. Prolifera il lacunoso ed il pal zzata della pa-
gina inferiore con formazione di uno straterello suberificato sottoepi-
dermico specialmente sviluppato lungo le nervature maggiori (fig. 51).
Ficus populifolia. La lesione si è presentata sui fasci vascolari
maggiori con formazione di uno strato sugheroso al di sotto del col-
lenchima sottoepidermico. Più profondamente si nota un tessuto fel.
lodermico a cellule schiacciate. Il tannino abbonda nella lesione.
Ficus rubiginosa. Segmentazione tumultuosa seguita da suberifi-
cazione delle cellule del palizzata (fig. 52).
Tournefortia hirsutissima. Il tessuto del lacunoso muore o sube-
rifica e i cistoliti restano inelusi nella parte ammalata. A titolo di
curiosità uoteremo che la sostanza fondamentale dei cistoliti, nelle
sezioni trattate eoll'aequa di Javelle presenta una struttura granulare
finissima (dermatosomi).
Vasconcellosia hastata. (fig. 53) Si forma una piccola bozza sui
fasci vascolari e le cellule più superficiali della stessa suberificano.
Acocanthera venenata (fig. 54) Bozza appiatcita dovuta a produzione
di sughero sotto l'epidermide. Più profondamente compare un parenchima
a Es, 3
123
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI
a cellule schiacciate contenenti qua e là, ma specialmente in vicinanza
dei fisci vascolari, degli elementi le eui pareti sono ispessite. I meati
mostransi otturati.
Hedera Helix. (fig. 55) Si forma uno strato di sughero sorretto .
da un tessuto a cellule appiattite, spesso provviste di pareti più ispes-
site dell’ordinario. Il tutto forma una leggera prominenza alla super-
ficie della foglia.
Olmediella Cesatiana. (fig. 56) Si forma del tessuto sugheroso ed
al di sotto di questo uno straterello di parenchima. a cellule piatte.
Presso i fasci vascolari le cellule ispessiscono notevolmente le pareti.
Osmanthus Aquifolium. Il robusto strato centrale di tessuto lacu-
noso , costituito da grandi cellule, prolifera e in pari tempo le cellule
ingrossano ancor di più provocando così l’ otturazione dei meati in-
tercellulari. Qualche cellula suberifica le pareti che spesso diventano
assai robuste.
Photinia serrulata. (fig. 57) Sughero sottoepidermico con leggero
ispessimento delle pareti delle cellule sottostanti. Evidente otturazione
dei meati.
Garuga pinnata. (fig. 58) Per lo più si ha solo una volgare pro-
duzione di sughero sopra uno strato di cellule parenchimatose schiac-
ciate. Molte volte però le grandi cavità ghiandolari restano obliterate
da tilli dovuti a proliferazione delle cellule parietali della ghiandola.
La cavità della ghiandola appare allora trasformata in un ammasso
di piccole cellule. Non è però raro il riscontrare ancora qualche re-.
siduo della originaria cavità ghiandolare, più o meno spostata dal-
l’asse dell'apparato secretose.
Vithania s»mnifera. (fig. 59) Le foglie sottili e delicate constano
di una epidermide formata da grosse cellule sormontanti un unico
strato di palizzata i cui elementi sono del pari piuttosto grandi. Il
lacunoso è ridotto a poca cosa.
La reazione è abbastanza caratteristica, verificandosi un notevole
ingrandimento delle cellule del lacunoso che otturano così i meati. Le
cellule più superficiali del tessuto si suddividono tangenzialmente per
dar origine a due o più strati di piccole cellule che non tardano a
| suberificare. La suberificazione poi non di rado si estende alle cellule
194 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
epidermiche della faccia inferiore o all'opposto s’ava iza fino al paliz-
zata i eui élementi peró, prima di suberifieare le pareti, si allungano,
si allargano ed anco si tramezzano trasversalmente. Il tessuto malato ap-
pare pieno di tanaino, mentre sui lati della lesione le cellule del pa-
lizzata spiccano per maggior copia di amido e per i cloropasti anche
più tozzi dell’ordinario.
Azione dell AgNO,
Podocorpus latifolia. Si ottengono le lesioni già descritte a riguar-
do del soffregamento (fig. 60).
. Ficus Afzelii. Attorno alle nervature la reazione è assai viva: si
formano ivi lunghi otricoli e cellule selerose con punteggiature larghe.
Il tessuto si eleva a guisa di bozza sulla superficie della parte sana
(fig. 61).
Ficus religiosa. Il lacunoso si riempie di tannino
Ficus magnolioides. Piccole verruche sulle nervature maggiori.
L’epidermide e il sottoposto collenchima non hanno subìto modifica-
zioni. Al di sotto di questi tessuti invece si incontrano delle cellule
grandi poligona.i, piene di masse gialle. Più profondamente aneora
compaiono dei veri:otricoli allungati prevalentemente in senso radiale.
Infine a ridosso dei fasci vascolari, 1 cui cordoni meccanici sono spesso
üsurati, appare un accumulo di piccole cellule nate da ripetute seg-
mentazioni tangenziali delle originarie cellule parenchimatose.
Coll'aequa di Javelle si riesce a mettere in evidenza dele grosse
cellule a pareti selerosate le qua'i sono di preferenza localizzate al li.
mite del tessuto malato. Esse derivano da una metamorfosi delle or-
dinarie cellule del parenchima fondamentale. Nessuna traccia di su-
berificazione; non è però da escludersi che possa formarsi (fig. 62).
Ficus sicomora. Proliferano le piccole cellule del laeunoso ottu-
rando i meati.
Hedera Helix. Si forma un grosso nodulo di tessuto sugheroso, al
di sotto del quale poi spesso compare un robusto strato di cellule piatte
stirate tangenzialmente, a pareti ispessite, e spesso riempite da una
grossa drusa di ossalato di calcio che difetta invece là dove il tessutò
torna a farsi normale (fig. 63).
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CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DALLE LESIONI FOGLIARI 125
Cotiledon quitensis (fiv. 64). Il sughero si forma un po’ al di
sotto della superficie fogliare sequestrando così, oltre all'epidermide,
non pichi strati di parenchima necrosato ed infarcito d'amido che non
potè più essere esportato.
Vasconcellos:a astata. Non abbiamo ottenuta alcuna reazione.
Acocanthera venenata (fig. 65). Epidermide e strato superficiale del
lacunoso necrosato. Al di sotto un gruppo di cellule allungate, allar-
gate o tramezzate dal lato rivolto verso la superficie.
Questo tessuto si forma di preferenza presso i fasci vascolari quasi
a scopo di protezione.
Tra il tessuto necrosato e quello a cellule allungate qualche volta
‚si forma del sughero, le cui cellule ispessiseono le membrane frontati
rivolte verso il tessuto necrotico.
Viburnum lucidum (fig. 66). Piccola bozza costituita alternativa-
mente da cellule sugherose allungate radialmente poco o punto tramez-
zate, e da altre pure lunghe, ma tramezzate a varia altezza e punto
suberificate. Il tessuto neoformato comprime lo strato profondo del
palizzata che perciò accorcia le cellule. In questa specie le grandi
lacune che attraversano il parenchima permettono un esuburante svilup-
po delle irregolari cellule clorofilliane che riescono così ad otturare i
meati, mentre rinforzano le pareti.
Garuga pinnata. Si forma ‘un volgare tessuto sugheroso sorretto
da un ;arenchina a piccole cellule. Il palizzata composto di due strati
di cellule non accenna ancora a reagire quando già tutto il lacunoso
è profondamente alterato. Le glandole, circondate o no da tessuto sele-
roso, si riempiono spesso di tilli, provenienti dalle stesse cellule se-
eretriei.
Delle Monocotiledoni abbiamo studiato solo la Clivia che ha rea-
gitc all'azione del nitrato d'argento allungando le cellule e riempiendo.
le lacune eolle stesse (fig. 61).
*
= *
Le nostre esperienze furono anche estese a moltissime altre piante
sulle cui foglie si era applicata sia la causticazione al AgNO, sia lo
strofinio alla pagina superiore. In tutte quante però la reazione ottenuta
126 LUIGI BÜSCALIONI È GIUSEPPE MUSCATELLO
é stata insignificante a motivo della pronta necrosi che ha invaso il
tessuto leso. Sotto questo punto di vista è dunque lecito concludere che
le lesioni della pagina inferiore provocano più facilmente la necrosi
anzichè una reazione vitale, o iperplastica. Un tal comportamento è
forse inerente al grave perturbamento che apporta nelle funzioni di
traspirazione, respirazione ed assimilazione una lesione che interessa
un tessuto ricco di meati intercellulari e di stomi, vale a dire emi-
nentemente adatto agli scambi gasossi. Sulla pagina superiore, dove gli
stomi mancano o sono meno numerosi e dove gli spazi intecellulari
hanno minor sviluppo e minor importanza le lesioni provocano invece
una reazione eminentemente vitale.
Nei pochi casi illustrati e che sono i soli in cui nelle nostre
esperienze si sia ottenuta una reazione, questa è quasi sempre di gran
lunga meno manifesta in confronto di quella che abbiamo ottenuto
ledendo la pagina superiore.
Quasi sempre si ha innanzitutto la comparsa di un tessuto che noi
abbiamo chiamato necrosato pel fatto che esso è costituito da cellule
morte le quali non presentano traccia di reazione, o tutt'al più questa
è indicata da masse tanniche. La morte deve essere avvenuta troppo
prontamente perchè il tessuto avesse tempo a reagire.
Siffatto tessuto d’ordinario riesce isolato mercè uno strato di su-
ghero. La suberificazione è pure un processo che abbiamo incontrato
con grande frequenza nelle nostre ricerche, e queste poi ci hanno ri-
velato che spesso il tessuto suberoso è sorretto da parecchi piani di
‘cellule tabulari intimamente fra loro congiunte.
Comunissimo è l’ingrandimento moderato delle cellule del paren-
chima e per effetto dello stesso si ha la otturazione dei meati inter-
cellulari, la qual ‘condizione di cose ostacolando lo scambio gasoso non
è senza influenza sull’ulteriore comportamento dei tessuti di fronte alla
lesione. Forse ad essa va ascritta la minore reazione della pagina in-
feriore fogliare rispetto alla superiore.
Più di rado si è presentata la lignificazione delle pareti cellulari
come di rado si è rilevato l’ispessimento delle membrane e l’ingrandi-
mento smodato delle cellule. Di quì la mancanza di bozzacchioni o a
poco sviluppo addimostrato da questi.
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI ix
E' singolare il fatto che nelle lesioni osservate dall' Atkinson.
(Oedem of the Tomato. Bull. 53 Cornell. Univ. Agricol*. Exp. Stat.
1893) nei pomidoro, o tomatiche, mantenuti eccessivamente al-
l'umido e in condizioni di poter stentatamente traspirare, i bozzac-
ehioni si formavano prevalentemente sulla pagina inferiore nelle fo-
glie ed erano costituiti da otricoli giganteschi alla eui produzione pren-
deva parte il lacunoso, il palizzata e l'epidermide inferiore che nelle
nostre esperienze ha pochissimo reagito. Analoghi risultati, e per le
stesse cause, ottennero il Masters (Garden Chron 1878 I p. 802) nelle
foglie di patate ed il Wards (Gardn.Chr.I 1889) ed il Muth nella vite.
La ragione del diverso comportamento va ricercata nelle condi-
zioni anatomiche della foglia stessa le quali ci dicono che la pagina
inferiore è formata da cellule più delicate, a pareti meno resistenti, le
quali perciò quando per eccesso d’acqua sono forzate a crescere e ad
allungarsi riescono più facilmente a sollevare e a rompere la cuticola
dell'epidermide inferiore anzichè quella dell’ epidermide superiore più
robusta. Di qui la prevalente localizzazi ne dei tubercoli e degli otri-
coli alla pagina inferiore fogliare. Noi possiamo ancora aggiungere
che il Bain nel suo lavoro «ofthe action of copper on leaves (Ballet.
of the agricultur experim Station of Tenessee 1902) dimostra come sot-
to l' influenza dell’acqua, che rende solubili i sali di rame applicati
alle foglie, le lesioni di queste (pure spesso accompagnate dalla for-
mazione di bozze e di otricoli) siano più pronte e più dannose quando
il sale di rame viene applicato alla pagina inferiore. Qui entra in giuoco
evidentemente la maggior sottigliezza della cuticola la quale favorisce
il passaggio dell’acqua, contenente sali, nell’interno del parenchima fo-
gliare, come ebbero a dimostrare il Bossingault, il Wille ed altri autori.
Le esperienze di Bain collimano in parte colle nostre per quanto
concerne la frequente localizzazione delle bozze sulle nervature, la cui
spiegazione va ricercata nel fatto che ivi — stando alle osservazioni
dell'autore americano — la cuticola è più permeabile che nel resto
della foglia (l. e. p. 67). |
Dacchè stiamo riportando le osservazioni di Bain ricorderemo an-
cora che colle frizioni e col nitrato d’argento abbiamo spesso ottenuto
l’essiccamento della parte lesa, mentre solo di rado avveniva il distac-
Ty <
SE E
128 |... LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
co della stessa, ciò che invece, stando ai dati del Bain, avrebbe otte-
nuto: con una ‘certa frequenza il Duggar (Ann. of Bot. XIII 1888) i
cui risultati collimano del resto con quelli del Bachmann e Mattaei. (1)
-. A questo punto si presenta la questione: penetrano i sali offerti
alla foglia nel tessuto di questa insieme all'acqua? Su questo punto
gli autori non sono troppo concordi. Però stando alle osservazioni fat-
te dal Bain coi sali di rame risulterebbe che realmente questa sostan-
za penetra spesso anche attraverso la cuticola fogliare. E’ noto infatti
che i ceppi di vite assoggettati alle miscele di Bordeaux presentano delle
foglie di un verde più intenso, per reazione del tessuto verde ài sali di
rame, e d’altra parte il Mac Dougal (Copper in Plants) ha riscontrato
dei depositi di rame nelle piante viventi in siti ricchi di questo elemento.
Stando alle nostre ricerche noi siamo indotti a ritenere che i sali di
argento penetrano pure attraverso la cuticola poichè spesso abbiamo
notato che le cellule del lacunoso (come del resto anche quelle del
palizzata, negli esperimenti fatti sulla pagina superiore) mostravansi
piene di granuli nerastri dovuti evidentemente a deposito di argento
metallico ottenuto per riduzione dei sali d’argento, probabilmente or-
ganici, che si erano formati in seno al protoplasma. Si potrebbe ob-
biettare che il sale sia penetrato nelle cellule dopo che queste erano
state uccise, ma la presenza dei depositi in cellule suberificate addi-
mostra che il passaggio era avvenuto prima che si producesse la rea-
zione, non verificandosi la suberificazione che molto tempo dopo della
causticazione coll’ AgNO,.
‘ Ricorderemo da ultimo che nelle cellule lese, appartengano queste
3
al palizzata o al lacunoso, la quantità di clorofilla è notevolmente ri-
dotta, analogamente a quanto si osserva nei bozzacchioni delle patate
dovuti ad eccesso di liquido e a scarsa illuminazione. L’accrescimento
però esagerato delle cellule indica che in esse devono esser presenti
in abbondanza le sostanze dotate di alto potere osmotico. Va no-
tato ancora. che le lesioni tendono a mettere in evidenza una certa
(1) Questi autori però, a quanto pare, non hanno avuto nozione delle osser-
vazioni del nn di gran lunga anteriori,
TOM RM
GC EE
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 199
autonomia tra il tessuto a palizzata e quello lacunoso poichè quando
sia ammalato l'uno di questi tessuti nella sua totalità l'altro si pre-
senta ancora in ottime condizioni.
Considerazioni generali
Il reperto anatomieo ci ha rivelato non poche modificazioni di
struttura che avvengono nelle foglie quando queste siano sottoposte a
massaggi ripetuti o alla causticazione eol nitrato d'argento. A scanso
- di equivoci è luttavia necessario rilevare che le alterazioni descritte
costituiscono soltanto delle medie, oltremodo variabile essendo il po-
| tere di reazione nelle differenti foglie di una stessa pianta od anco
in una uniea foglia a seconda delle condizioni d'ambiente ed intrinsiche
del filloma stesso.
Tra i tessuti capaci di reagire allo stimolo traumatico merita di
essere segnalata l'epidermide, poichè in non pochi casi furono vedute
le sue cellule segmentarsi e talora il processo ha assunto un'importanza
grandissima, come è il caso appunto per i.Ficus. E' vero però che quasi
sempre reagiva lo strato profondo del tessuto tegumentale, ma anche
% a prescindere da questo, e da altri casi, è lecito affermare che I’ epi-
.. . dermide reagisce agli stimoli traumatici più frequentemente di quanto
- si ammetta ordinariamente.
. Attinenti alle produzioni di ‘carattere epidermoidale sono le mem-
brane cuticularoidi, gli epitelii eutieolari e gli strati epidermoidi. Tutte
quante queste formazioni stanno a provare che il tessuto di eieatriz-
zazione, qualunque sia la sua provenienza, può formare delle mem-
brane aventi le caratteristiche delle cuticole epidermoidali. Si tratta
di un processo di cicatrizzazione che per quanto ci consta — ed
> in specie per ciò che concerne le membrane eutieolaroidi — non ha
|. ' ancora a sufficienza attirato la attenzione degli studiosi. (V. in propo-
sito i lavori di Tittmann, Kuster etc.) i
In generale si afferma che !e lesioni prodotte da cause diversis-
sime determinano quasi sempre la comparsa di un periderma. Il fatto
è vero, ma per altra parte è pure stato da noi assodato che a stimoli
differenti (frizioni ripetute, causticazione ete.) corrispondono reazioni
differenti nelle quali d’ ordinario predominano le formazioni perider-
130 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
miche che però sono talora rese piuttosto complesse dalla comparsa di
speciali tessuti, mentre non mancano i casi in cui il periderma non
si forma.
Particolare interesse offrono le reazioni dovute alla causticazione.
Qui si formano delle vere bozze costituite da lunghi otricoli tramez-
zati o semplici, e tutto quanto il tessuto neoformato ricorda talora le
formazioni gallicole. Noi abbiamo infatti potuto constatare la comparsa
di alcuni elementi speciali di queste produzioni, quali le cellule scle-
rose (1), quelle lignificate o aventi degli ispessimenti parziali sulle
membrane, gli otricoli e via dicendo. Non vogliamo con questo affer-
mare che l’analogia sia completa, poichè non vi ha dubbio che le pro-
duzioni gallicole sono assai più complesse ed inoltre mentre da un lato
hanno poca tendenza a formar peridermi, dall’altro sono ricoperte da
un epidermide che per lo più è incapace di segmentarsi. Ciò nondimeno
non possiamo passar sopra a certi caratteri comuni quali sono quelli
sopra accennati.
Egli è certo che lo stimolo chimico è quello che ci ha offerto
delle produzioni patologiche più atipiche, ma è parimenti stato asso-
dato che stimoli molto più semplici (quali sono quelli meccanici, il
massaggio ete.) incapaci di produrre di primo colpo la morte delle cel-
lule, quando vengano posti in azione ad intervalli più o meno lontani
di tempo, si presentano anche molto adatti a svegliare un'attività nelle
cellule, che difficilmente sarebbe da aspettarsi negli elementi stati bru-
talmente maltrattati, come avviene colle ferite o con stimoli chimici
troppo energici. Continuità d’azione dello stimolo e poca energia di
questo, a prescindere dalla sua natura , sono due condizioni che pre-
dispongono i tessuti alle reazioni. (2)
E' stato rilevato da molti che le galle sono rare Gelle Crittogame
superiori, frequenti invece nelle Fanerogame e specialmente nelle Di-
cotiledoni. Qualche cosa di analogo succede nelle reazioni traumati-
che nelle foglie, poichè i tessuti patologici più complessi vennero da
(1) Furono anche riscontrati nei peridermi dei fusti, in seguito a ferite.
(2) Nel caso del massaggio entra in giuoco, come stimolo, anche la tempe-
ratura che acquista la parte frizionata.
t
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 181
noi riscontrati appunto nelle Dieotiledoni. Le Monocotiledoni reagiseono
in più debole misura e più stentatamente e lo stesso fanno le Critto-
game superiori. Inoltre fra le Dicotiledoni hanno dato risultati vera-
mente dimostrativi quelle specie che hanno foglie coriacee, succulenti,
o vivaci; reagito malamente, con necrosi od essiccamento, o colla for-
mazione di un periderma banale le foglie tenere e sottili. Mentre nelle
prime si hanno talvolta dei veri calli, in queste si nota invece spesso,
come uniea reazione, là comparsa di masse tanniche nell'interno delle
cellule prossime alla lesione, come del resto venne già segnalato per
qualche specie dal Bretteld. Sarebbe interessante indagare se anche
le produzioni gallicole fogliari più tipiche siano prevalentemente re-
peribili nelle Dicotiledoni a foglie ispessite.
Qual’ è la causa che induce una più vivace reazione nelle Dico-
tiledoni rispetto alle altre classi? La risposta è difficile; tutt’ al più
possiamo tenere presente che nelle Dicotiledoni i tessuti a carattere
sitogenico embrionale sono più diffusi che nelle Monocotiledoni e nelle
Crittogame superiori.
Basterà, ad esempio, accennare in proposito alla presenza Wes
cambi nei fasci vascolari, nel periciclo, nella corteccia e via dicendo.
E’ probabile quindi che le sostanze formative di carattere pangenico
siano più largamente sparse nei tessuti delle Dicotiledoni, rispetto alle
Monocotiledoni ed alle Crittogame superiori. per cui le stesse inter-
vengono in maggior abbondanza là dove avvengono delle lesioni. Noi
non vogliamo dare alle nostre vedute altro valore che quello di una
probabile ipotesi, ma intanto facciamo osservare che nelle Dracene ed
altre Monoeotili dotate di accrescimento secondario, e quindi fornite
in abbondanza di tessuti istogenici, si osservano pure delle reazioni
vivaci (1).
Se può a taluni parere alquanto problematica l’affinità tra i tes-
(1) Per quanto riguarda le Gimnosperme abbiamo pochissimi dati, e perciò,
considerando che questo tipo di piante ha poca tendenza a formar delle galle,
dobbiamo, col Trotter, ammettere che l'antichità relativamente grande del grup-
po — ilquale come si sa nacque assai prima degli insetti gallicoli — abbia pre-
servato. le specie che gli appartengono dagli attacchi di siffatti organismi.
ZIA EN C PL ES A EE 3 EE, E PARE TI E E e
£ \ Tana ER ct "m s Ce 4
-
182 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
suti patologici da noi ottenuti e quelli proprii delle galle, non si po-
trà per converso negare che le lesioni segnalate nelle nostre ricerche
non abbiano una grandissima analogia colle formazioni di natura pe-
ridermica o lenticelloide che fissarono l'attenzione ai pareechi studiosi
(Baekmann, Borzi, Poulsen, Tittmann ete.) i quali hanno fra l altro
fatto rilevare che le produzioni in questione naseono di preferenza
sulle foglie. vivaci, carnose o coriacee. A siffatte produzioni si con-
nettono specialmente le neoformazioni patologiche ottenute collo sfre-
gamento, mentre quelle dovute alla causticazione si avvicinano di più
ai tumori stati segnalati dal Sorauer e da altri nelle piante tenute all’u-
mido e al caldo, o viceversa sottoposte ai rigori del gelo (v. Solereder).
I nostri perimant al riguardo possono portar molta luce sulle cause
che provocano le produzioni a tipo lenticelloide, molte delle produzio-
ni ottenute cui rassomigliano moltissimo quando non raggiungono per-
sino una più complessa struttura. Nè crediamo di andare errati affer-
mando che le neoformazioni state osservate dall'Haberland sulle foglie
di Codonocarpus non differiscono sensibilmente da quelle da noi otte-
nute. E tutto questo gruppo di neoformazioni a tipo patologico ci dà dei
ragguagli sulla natura e sulla origine di altre produzioni, quali sono le
Perlärusen della Ampelidee, che state da più di un autore messe in rap-
porto a speciali momenti biologici, sono invece l'espressione di condizio-
ni fisiologiche peculiari (od anche patologiche) in cui vive la pianta.
Nelle lesioni da noi ottenute potrebbe taluno riconoscervi niente
altro che una banale reazione traumatica , tanto più giustificabile in
quanto che nelle nostre esperienze si è anche ottenuto, come altera-
zione necessaria, lo accasciamento e la morte dell’epidermide. Ma noi
faremo rilevare che se la morte dell'epidermide realmente avviene (per
quanto non in modo costante) essa è talora il risultato di una necro-
biosi, nel senso di Wirchow, vale a dire di un graduale esaurimento
quale appunto si incontra sotto l'azione di ripetuti frizionamenti. In
questi casi il tessuto epidermico continua a proteggere le sottostanti
cellule, impedendo in pari tempo l’eccessiva perdita d'aequa dai tes-
suti, come all'opposto avverrebbe se la lesione avesse apportato solu-
zione di continuità.
I tessuti maltrattati, ma così protetti, hanno adunque tempo per rea-
.CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 138
gire comodamente, ed è appunto a questa doppia condizione di cose
(lento esaurimento, protezione assicurata) che deve ascriversi il rigo-
glioso sviluppo delle cellule eccitate a reagire e la formazione di pro-
duzioni patologiche piuttosto complesse. Nelle lesioni brutali con so-
luzione di continuità la sola reazione possibile, si può dire, è la for-
mazione di un periderma a cellule per lo più poco differenziate da
quelle normali, poichè la parte lesa deve prontamente riparare la per-
dita dei tessuti e dell’acqua (1).
Il metodo da noi seguito presenta quindi un certo vantaggio su
molti altri che provocano delle soluzioni di continuità nelle foglie, ed
infatti non poche delle reazioni ottenute ricordano quelle che vennero
deseritte nelle parti lese tenute all'umido od anco nell'aequa (v. Ku-
ster) ed i così detti edemi. Però pel caso di lesioni da causticazione
dobbiamo forse addebitare l'intensa reazione, per parte della pianta, ad
un'azione specifica del caustico adoperato.
Un particolare interesse offrono , oi le reazioni che vennero da
noi riscontrate asportando la cera, per quanto le stesse non sieno la
conseguenza diretta della sottrazione della sostanza protettrice in que-
stione, ma bensì delle lesioni che avvengono nelle cellule epidermiche
messe a nudo, per lo più (nel caso di piante ricche di cera) molto
sensibili. e
E’ ammeso generalmente che nelle reazioni eieatriziali i setti delle
cellule neoformate siano prevalentemente perielini rispetto alla ferita.
Una tale disposizione, è vero, ineonirasi quasi semp e, ma nou rare
volte si osserva anche un notevole disordine nella direzione dei nuovi
setti. E' specialmente nelle cellule epidermiche dei Ficus che siffatta
anomalia appare evidente, senza contare poi che ivi ad accrescere il di-
sordine si aggiungono ancora i tilli nelle cellule dei cistoliti (2). Cade
adunque la distinzione stabilita dal Duerot, che, cioè, i tessuti primari
si dividono in tutte le direzioni, quelli secondari soltanto in determi-
nato sensu.
(1) Per le eccezioni vedasi il lavoro di Helmuth Freundlich.
(2) Talora furono da noi riscontrati anche tilii nelle ordinarie cellule epi-
dermiche, in seguito ad accrescimento degli elementi del sottostante pali
LA
134 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Per quanto concerne poi la formazione delle nuove membrane
nei pochi easi in eui abbiamo rivolta l'attenzione al fenomeno si è,
osservato che la cariocinesi precede la divisione, mentre poi il. setto
si forma non simultaneamente.
Un particolare interesse offrono le produzioni traumatiche ta: dive,
ma su questo argomento siamo ancor poco informati. Il Perez ne ri-
porta un caso; dalle nostre ricerche è risultato che le membrane cuti-
colaroidi e gli strati epidermoidi possono comparire molto tardi, dopo
che la lesione e |’ ordinario processo di cicatrizzazione sono avvenuti.
(Acacia, Eucalyptus etc.) Siamo perciò persuasi che uno studio conti-
nuato su questo argomento potrebbe apportare nuovi fatti, poichè è
certo che una volta avvenuto lo stimolo, la reazione può continuare,
a seconda delle piante e delle condizioni esterne, più o meno a lungo,
forse perchè nuovi fattori, indipendenti dalla lesione, intervengono co-
me nuovi stimoli di debole intensità, ma di azione continuativa. Ri-
corderemo fra questi la luce, l’ umidità e via dicendo.
E dacchè siamo sull'argomento riflettente i fattori esterni è duopo
qui rilevare che la luce ha spiegato nelle nostre esperienze una azio-
ne grandissima sulla produzione delle neoformazioni traumatiche, poi-
ché deboli aecenni di reazione si sono avuti nelle foglie tenute al-
l' ombra. i
Anche |’ umidità, al pari dell’ oseurità , è di ostacolo alla forma-
zione del periderma e di analoghe produzioni, per cui queste saranno
pochissimo sviluppate quando i due fattori si associano, come è aeca-
duto in molte delle nostre osservazioni.
Tra i fattori interni primeggia, come causa di abbondante forma-
zione di tessuti cicatriziali, la nutrizione. Perciò noi vediamo che nelle
foglie staccate, vengano queste di poi mantenute in acqua o in solu-
zioni nutritive, non si forma che un insignificante tessuto di reazione,
malgrado che la foglia continui ad assimilare e si mantenga in vita
a lungo. Ciò dimostra che la foglia staccata, se basta a sè stessa per
un certo tempo, non può più sopperire alle esigenze della nutrizione
quando sia lesa, richiedendo la lesione una nutrizione locale più esal-
tata. Nelle esperienze che abbiamo eseguito però non si è potuto se-
\
parare del tutto l’azione dell’ umidità da quella del distacco della fo-
`
UE E E
CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 135
glia. Da ultimo segnaleremo che le cause meccaniche costituiscono ta-
lora uno stimolo atto ad esaltare certi processi. Così in un caso (Pho-
linia) si è osservato che le foglie soffregate e poi ricoperte di stagnola
apparivano, nel tratto soffregato, alquanto più verdi, che nei dintorn,
dove i tessuti erano normali, ma sottratti, al pari della regione lesai
alla luce. Qui si avrebbe in più tenue misura la ripetizione dei fatti
stati osservati dal Cavara nelle foglie di Quercus castanaefolia attaccate
da cocciniglia. Non sappiamo tuttavia se il fenomeno si riveli costan-
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142 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPEMUSCATELLO
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144 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
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n T ARS." eT: * DE rll pitt E Ae
ER ‘ 3 x
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4
S
M
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aio E d dia eta eg Ebbe Ee ve
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LETTERATURA 147
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e Ram uy To. Dy MEE n ess ET, WE Eger c MX WO | Non CT o NOCH MEN.
E ZA SC TUS Sii ER (Rt MT dd d enke)
s i BE
n i - :
148 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Winkler H. — Ueb regenerative Sprossbildung auf d. Blüttern v.
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Zachs F. — Ueb. Vernarbung b. Pflanzen, 38 Jahrsber. d. k.k. Franz
Joseph Staat Obergynnasium zu Saat Bohmen. Saaz. 1906. :
PAPA
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
Lo PAGING SUPERIORE
A) Lesioni ottenute collo sfregamento di foglie sprovviste
o poco fornite di cera.
Fig. 1-2 — Acacia cultriformis Hook. — Sviluppo del palizzata in
seguito alla asportazione della cera e contemporanea
formazione dell'epitelio eutieolare.
» 3-3 bis — Eucalyptus globulus Labill. -— Formazione dello strato
epidermoide in seguito alla asportazione della cera.
» 4 — Viburnum lucidum Mill. — Epidermide schiacciata ; pro:
LÀ liferazione del palizzata in seguito allo sfregamento.
» D — Gleditschia Fontanesii Spach. — Produzione di sclereidi
al di sotto dei palizzata in via di proliferazione per
effetto dello sfregamento. |
» 6 — Ficus religiosa Lin. — Allungamento del palizzata e
formazione dell'epitelio eutieulare per effetto dello
sfregamento.
n.4 — Raphiolepis rubra Lindl. — Sezione di foglia normale.
> 8 — » » » — Sezione di foglia soffregata
alla pagina superiore.
u — Photinia serrulata Lindl. — F.rmazione di un collen-
chima nel palizzata per effetto dello sfregamento.
» : 19 — Myoporum punctulatum Schlecht. — Come sopra.
» n — Melodium scandens Forst. — Proliferazione del palizzata
RP
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A o CA QUY Les Na i ^ LUN Va Ba degkeet. G V DR
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$
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE 149
e sua trasformazione in collenchima; maggiore in-
spessimento nella parte lesa.
Fig. 12 — Leurus canariensis Webb. et Berth. — Formazione del-
epitelio eutieolare e di cellule meccaniche nella
regione lesa.
2.18 — Atriplee nummularia Lindl. Spostamento dei fasei per
proliferazione dei tessuti sottostanti.
» 14 — Eugenia uniflora Lin. — Proliferazione degli strati
profondi del parenehima verde con ispessimento del
lembo.
» 15 — Acacia uncinella Benth. Inspessimento delle pareti ed
: allungamento delle cellule con formezione di una
bozza.
» 16. — Brassica oleracea Lin. — Proliferazione ed ispessimento
degli elementi in corrispondenza della lesione.
» 17 — Magnolia grandiflora Lin. — Lesione naturale: ispessi-
| . mento delle pareti degli elementi. `
» 18 — Semele androgyna Lin. — Epitelio euticolare.
» 19 li » » — Formazione di un cuscinetto
suberoso.
B) Lesioni dovute alla causticazione col nitrato di argunto
Fig. 20 — Ficus elastica Roxb. — Segmentazione degli strati epi-
dermiei e proliferazione di tutti i tessuti del paren-
chima verde.
» 21 — Ficus Beniamina Lin. — Formazione di tilli nelle cel-
lule a eisteliti. Proliferazione degli strati epidermici
e del palizzata. |
» 2% — Ficus religiosa Forst —-Proliferazione degli strati inter-
posti tra il palizzata ed il lacunoso. Ingrandimento
delle cellule e inspessimento delle pareti.
» 23 — Eucalyptus globulus Labil. — Formazione di noduli
patologici.
» 24 —. Viburnum lucidvm Mill. — Proliferazione degli elementi
PA E e
Deeg Eh EE EE d Ee EE
EA dëch s v. NE beer pe ce DES
150 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
vascolari, allungamento e segmentazione delle cel-
luie sottostanti al palizzata.
Fig. 25 — Eugenia uniflora Lin. — Allungamento e segmentazione i
delle cellule del lacunoso e del palizzata. 3
» 26 — Acacia pycnantha Benth. — Allungamento delle cellule 4
| del palizzata ed inspessimento delle pareti. E
» 27 — Acacia cultriformis Hook. — Formazione di un epitelio
euticolare e proliferazione del palizzata.
» 27 bis. — Acac a uncmella Bth. — Allungamento enorme degli
elementi del palizzata.
» 28 — Photinia serrulata Lindl. — Formazione di noduli eon
cellule inspessite nel lacunoso.
» 29 — Olmediella Cesatianu Baill. — Schiacciamento degli ele-
menti del palizzata, proliferazione e ingrandimento 3
delle cellule del tessuto sottosiante E:
» 30 — Laurus canariensís Webb. et Berth -- Formazione di un 3
tessuto a pareti inspessite. :
» 31 — Crinum Cuvperi Herb. — RA delle lacune per 1
mezzo di otricoli. 2
» 32 — Crinum Cooperi Herb. — Elementi in cariocinesi. 1
> 32 bis. — Arum italicum Mill. — Afflosciamento della parte ma- 1
lata ed inspessimento del palizzata. l
» 33 — dmilaæ aspera Lin. — Formazione di un cuscinetto con |
notevole allungamento delle cellule. |
» 34 — Dracaena Draco Lin..— Reazione di difesa attorno ai Y
cordoni. È
» 35 — Muehlembeckia platiclados Meissn. — Sube. ifieazione del E
tessuto midollare. d
» 36 Cycas circinnalis L. 4
Kr — Cotiledon quitensis Bak. — Formazione di bozze in se- :
guito allo allunzamento e proliferazione degli ele- .
menti dei tessuti profondr. 1
C) — Tagli trasversali È
E
Fig. 38 | — Acacia cultriformis Hook. — Inspessimento e formazione |
i wb 4 Pup v
Fig.
. 49
51
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE 151
di punteggiature nella parete degli elementi del pa-
lizzata.
— Acacia picnantha — In corrispondenza del taglio si è
formata una nuova epidermide.
— Ficus elastica.
— Dracaena Draco — Suberifieazione degli elementi vi-
cino alla ferita.
D) Lesioni tangenziali
— Eucalyptus globulus.
. — Senecio kleinoides Labiil.
— Senecio kempferi DC.
— Evonimus japonicus Lin. fil.
— Buxus balearica Lam.
— Osmanthus aquifolium Siebold.
— Hedera Helix Lin.
4
II — PAGINA INFERIORE
E) Lesioni ottenute per sfregamento col fazzoletto
— Ficus religiosa — Segmentazione nel lacunoso
— Ficus beniamina — Allungamento e segmentazione del
palizzata inferiore.
— Ficus macrophylla —- Proliferazione del lacunoso e del
palizzata inferiore.
— Ficus rubiginosa — Segmentazione tumultuosa con sue-
cessiva suberificazione.
— Vasconcella hastata Cav. — Bozza con suberificazione.
— Acocanthera venenata Don.-- » |» »
— Hedera Helix v » » »
— Olmediella Cesatiana . re » »
— Photinia serrulata = ‘> » »
— Caruga pinnata Roxb. — >» » »
— Withania somnifera Dun.-- >» » >
152 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
F) Lesioni ottenute col nitrato di argento E
Fig. 60 — Podocarpos latifolia Wall.
> 61 — Ficus Afzelii G. Don.
» 62 — Ficus magnolioides Borzi — Reazione della nervatura
` mediana.
» 63 — Hedera Helix—Suberificazione e comparsa di druse del
tessuto malato.
» 64 — Cotiledon quitensis
» 65 — Acocanthera venenata — Bozze con allungamento delle
cellule e suberificazione parziale.
» 66 — Viburnum lucidum — Reazione complessa con locus: |
zione di bozze. Ve
> 67 — Clivia nobilis Lindl. |
PROF. PAOLO PEOLA
LA COLTIVAZIONE DELL'OLIVO IN VALLE D'AOSTA
La coltivazione dell'olivo in Valle d'Aosta potrebbe sembrare, co-
me’ dicono i filosofi, una contraddizione in termini. La coltivazione
dell’olivo richiama al nostro pensiero un clima, se non caldo, certa-
mente molto mite; si immagina l’olivo in compagnia dell’araneio e dei
limoni, in terre lambite dalle tepide acque del mare. Pensando invece
alla Valle d'Aosta si rabbravidisce dal freddo, si immaginano le. ne-
| vicate interminabili, le valanghe disastrose, gli immensi ghiacciai; si
vedono le foreste di castagni e quercie al basso, di pini ed abeti più in
su, poi i rododendri, gli SEN e poi le vette sempre bianche per le
nevi persistenti.
Eppure anche nella Valla d'Aosta vi sono angoli in eui le eondi-
zioni elimatiche hanno eiie e permettono tuttora, lo sviluppo del-
l’olivo.
Poco distante da Aosta, alla borgata di S. Mana. alla quota di
poco più di 600 m. sul livello del mare, nella campagna del Prof. Edoar
do Defey. vegeta da un secolo un olivo, dal cui ceppo ripullano sem-
pre nuove pantine. Attualmene vi è un albero di circa 25 em. di dia-
metro, alto poco più di tre metri, che fruwifica più o meno tutti gli
anni, frequentemente ogni due anni, dando cirea una decina di chili
di olive che il proprietario suole usufruire conservandole in salamoia.
Da informazioni assunte sono venuto a sapere'che al giorno d'oggi
vi sono diverse piante d'olivo sparse qua e là per la valle.
Al Castello di S. Giuseppe presso Ivrea si coltivano ulivi che eon-
tano secondo il Treves, (1) almeno 150 anni. Ve ne sono a Carema, a
Donnaz (proprietà del defunto geometra Mangola Rovarey, ad Arnaz
(1) Treves P. Petite flore medicale piemontaise. Turin 1904, pag. 285.
154 PAOLO PEOLA
(castello Giacobini), a Verres (al convento), a Chatillon (nei giardini),
ad Aosta, (nella regione Champallier, vigna Tibaldi, alla vigna Bozon),
a S. Martin (citata vigna Defey), a S. Pierre (villa Gerbore, ad In-
trod (Ville dessus). A S. Denis ne fu tentata la coltivazione dal signor
Tibaldi, ma con poco successo. `
Abbiamo dunque olivi dal principio della Valle fino ad Introd a
circa 800 m. sul livello del mare.
Non so se tutte queste piante diano o non frutti maturi, ma cer-
to è che se a Donnaz il fu geometra Mangola faceva, come mi si as-
sicura, olio con le olive locali, vuol dire che quegli olivi davano un
prodotto abbastanza maturo e sufficientemente copioso; e l'olivo del
Prof. Defey ad Aosta dà pure frutti che si possono ritenere quasi
maturi. Ad Introd l'olivo non fruttifica, e si tiene come pianta di
ornamento.
La presenza dell’olivo in Valle d'Aosta pare risalga ad antichi
tempi, eome possiamo dedurre da aleuni documenti storiei.
La più antica menzione della presenza dell'olivo, se non proprio
nella Valle d'Aosta, nel gruppo delle Alpi circostanti la Valle d'Aosta
si avrebbe, secondo alcuni autori, nel fatto che, quando Annibale at-
traversò le Alpi, si vide venire incontro gli alpigiani portando, in se-
gno di amieizia, fronde e ghirlande d: olivo. Altri autori invece ne-
gano che quelle fronde e ghirlande fossero di olivo.
É bene stabilire, senza entrare in discussione per quale dei con-
troversi passi alpini sia passato Annibale, che la presentazione dei
rami verdi al generale Cartaginese avvenne nel cuore delle Alpi, e
nel versante francese, nelle vicinanze di una di quelle gole che im-
mettono nelle alte vallate, e che servono da passo per andare da un
versante all’altro. Difatti Annibale aveva già salito i primi poggi, a-
veva vinto una volta i montanari, poi aveva marciato ancora quattro
giorni indisturbato, e quando ebbe ridotto all'obbedienza anche i falsi
apportatori di pace, giunse in due giorni sulla vetta delle Alpi, e,
come dice il Livio, per vie spesso non tentate, spesso anche sbagliate
o per frode delle guide, o perchè, non fidandosi di quelle, entrava alla
ventura nelle vallate cercando di indovinare il cammino..
Nell’alta montagna, dove si trovano gli ultimi villaggi, non pare
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LA COLTIVAZIONE DELL'OLIVO IN VALLE D'AOSTA 155
che vegeti l'olivo. L'Heen, (1) parlando della diffusione dell'olivo du-
rante l’epoca romana, dice: « Da Marsiglia l'olivo, come, la vite, fa-
vorito dal suolo e dal cielo della Provenza, si era gradatamente a-
vanzato nel paese gallico, ma naturalmente senza seguire la vigna nelle
vallate della Marna e della Mosella.
Eran d’origine marsiliese senza dubbio anche le piantagioni d’o-
livo sulla costa ligure, la quale anche oggi non è che un immenso ri-
goglioso oliveto. A poca distanza dal mare dove sorge la montagna
non doveva più trovarsi l'olivo; e perciò le fronde e le ghirlande con
le quali in segno di amicizia gli alpigiani andarono incontro ad An-
nibale non potevano essere i rami di olivo, come riferisce Polibio,
quantunque la voce 3aX)0o: da lui usata in quest'occasione abbia di so-
lito questo significato ».
Ma i messi di quei montanari, secondo Polibio, si presentarono ad
j Annibale 9addods Eyovres xxt srepuous, (2) Dao significa rami fron-
zuti, rami con foglie verdi, e così difatti si esprimono i più serupo-
losi tradattori. E poi Annibale passò le Alpi verso la fine di Settembre;
ed è appunto in questa stagione che anche nell'alta montagna la ve-
getazione arborea delle Alpi ha raggiunto il suo completo sviluppo.
Giustamente quindi osserva il Tibaldi (3) « Polibio parlò di frondi
verdi e non specificò l’olivo.
Non è il solo albero sacro a Minerva che conserva le sue foglie
- all’apparire della stagione iemale, l'alloro, il bosso, l’ilex, l'edera, la
sabina, le conifere non se ne spogliano, e le loro frondi sono sempre
verdi in ogni tempo. Non abbondano forse queste piante nelle valli
che convergouo al colle del Piccolo S. Bernardo »?
Credo che i traduttori: in generale poco versati nella botanica,
uniformandosi a l’uso dei popoli cristiani di portare in segno di pace
i rami di olivo, come si fa nel giorno delle Palme, e ritenendo l’olivo
come l'albero a foglie sempre verdi per eccellenza, abbiano dato ai
(1) Heen. Piante coltivate ed animali domestici, Firenze — pag. 100.
: (2) Coechia. Il libro XXI delle Storia di Tito Livio. Torino 1892, pag. 81 Nota `
È (8) T. Tibaldi, Storia della Valle D'Aosta Vol. 1., pag. 166, nota.
#
156 » \ PAOLO PEOLA
rami verdi il preciso significato di rami d’olivo. Invece, a differenza
di tanti altri paesi, dove, pur non vegetando l’olivo, si solennizza la
festa delle Palme con rami d’olivo importati per l’occasione, nella Valle
d’Aosta, e per vacchia tradizione, si usa portare in tale solennità ra-
mi di alloro, dei quali si fa abbondante mercato il martedì antecedente
la detta festa, e si coltiva in molti luoghi aprici della Valle.
Non abbiamo quindi prove per poter dire che l’olivo venisse col-
tivato o crescesse spontaneo nella Valle d’Aosta prima dell’era cristiana.
Durante il V. secolo dopo Cristo pare invece che l’olivo fossé col-
tivato, se non in Valle d' Aosta, almeno nelle Alpi circostanti.
Ciò si deduce dall'atto di fondazione della famosa abbazia di S.
Maurizio sul Vallese, fatto da Sigismondo il Santo, quinto re di Bor-
gogna, atto che porta la data del principio del secolo VI e cioè del
30 aprile 515. In tale atto si legge:
« Ideo ergo pertractans verba Redemptoris nostri, eidem Mona-
sterio pro animae meae salute de rebus meis dono, donatunique in
perpetuum esse volo, hoc est in Pagis, vel territoriis Lugdunensi, Vien-
neusi, Gratiopolitano, et Augusta Cameraria, et in Pago GenensiWaldensi
et in fine Aveticensi, er Lausanensi, et Bisantiensi; Curtes sic nuncupa-
tas Briogia, Olona; Catusa, Olgana, et in Pago Gennensi, alias Curtes
ita nuncupatas Communiacum, Martiniaeum, et in Pago Brisunticensi
saliumno, cum Castro de Pracon, Vallemo de Mieges, et in Pago Wal-
densi, in flne Aveticense, seu Iuranense. e
Alias Curtes sic nuneupatas Murattum, Auromun, Wadiugium, Be-
delofei, Luliaeum, Lustriacum, et in Pago Vallensi, alias curtes ita
nominatus Contextrix, sidrium, Leucam, Bramosium, duodecimum Pa-
tronum, Bernonam, Aulonum, Williacum, Wurragium, Actannia, Oc-
tunellum, Silvanum, et omnes Alpes a capite Lacus usque Martignis-
cum. Et in Valle Augustana quae est a finibus Italiae, Turrem unam
quae respicit ad occidentem, et alias Curtes ita nominatas Cleuva, La-
gona, Levvia, Gizocolia, et a Morga cum omni integritate, et appen-
dientiis, vel adiacentiis earum, id est in terris, domibus, aedificiis, man-
‘ eipiis, Libertis, Plebeis aedis, vineis, silvis, olivetis, campis, pratis, pa-
seuis, aequis aquarumque decursibus, et ineursibus mobilibus, et immo-
bilibus, seu decimis, exquisitum totum ad integrum quidquid ad ipsas
DA
ROSE ON UU Ee I
7 | M L \ en ut
LA COLTIVAZIONE DELL'OLIVO IN VALLE D'AOSTA 157
Villas aspicere videture, ad locum Praefati Monasterii de Saneto Mau-
ritio donamus, tradimus, ece. ». (1)
S. Sigismondo adunque donava al Monastero di S. Maurizio i nu-
merosi possessi che aveva nel territorio che dal Delfinato, circondando
le Alpi francesi e svizzzere, si spingeva fino a tutto il Vallese e nel-
la Valle di Aosta, e con tali possessi donava pure le loro: dipendenze
ed adiacenze, che consistevano in terre, ease, edifici, abitanti, schiavi:
liberti e plebei, vigne, selve, oliveti, campi, prati, ece. Non si dice a
quali dei numerosi possessi donati appartenessero gli oliveti, ma essen-
do tali possessi tutti in territori internati nel continente ed in regioni
montane, è sempre lecito argomentare che la coltivazione dell’ olivo
fosse in quei tempi spinta ad altitudini maggiori di quella che non
si trovi ora.
Abbiamo notizie più sicure intorno alla coltivazione dell’olivo in
Valle d’Aosta nel secolo XIV. Secondo il Tibaldi, (2) riferendo alle
citazioni del Denina (3) e del Durando (4), «i magistrati di Torino
ripetutamente ordinarono la piantagione dell'olivo e del mandorlo, che
però mal ressero al rigore del clima. La Credenza d’Ivrea aveva pure
ordinato, nello stesso secolo, che tutti coloro che possedevano gerbidi
e vigni in Costeria Calamacci, fossero tenuti a coltivare almeno una
pianticella di olivo o di mandorlo per sepetura (o sappature secondo
altra dizione, misura agraria), promettendo per ogni pianta in stato
fruttifero di corrispondere un premio di due soldi; ed a difesa di tali.
piante proibiva, nel luogo ove esse esistevano, il pascolo. Ignoriamo
se l'educazione dell'albero sacro a Minerva sia stato sperimentato in que-
sta Valle, e se l’insuccesso svogliò gli agricoltori dall’insistere nell’e-
sperimento, mn ottima prova dà il mandorlo che prospera e fruttifica
(1) Il documento fu copiato secondo la dizione che si trova in: Histoire du
glorieux sainct Sigismond martyr, roi de Bourgougne ecc. del frate capuccino
Sigismond de Saninct Maurice. Sion 1666: e quella che si trova in La Vallee du o-
Lys dell’ Avv. Louis Christillin. Acsta 1891.
(2) T. Tiba'di: Storia della Valle d'Aosta. Vol. II p. 451.
(3) Denina: Rivoluzioni Mum Vol, VI pag. 151.
di Durando: Studi e
158 PAOLO PEOLA
nei terreni più ingrati, fino all’estremo limite della coltivazione delle
viti di uva nera. ».
In una lettera poi nella quale mi dava altre notizie sulla eolti-
vazione dell’olivo in Valle d’Aosta il Sig. Tibaldi così mi scriveva a
tale riguardo « Alcuni comuni della bassa valle seguirono l'esempio
di Ivrea, piantarono in luoghi aprici ceppi di olivo, i signori di Pont
S. Martin e Vallesa vietarono il pascolo nei luoghi ove l’ulivo sî edu:
cava >».
Verso la fine del XVIII secolo l'olivo era coltivato in Valle d’Ao-
sta e dava frutti dai quali si ricavava olio, come attestano le anno-
tazioni fette dal parroco del convento di S. Gilles a Verres, secondo
le affermazioni del Treves. (1).
« D'aprés les annotations du registre journalier du dit Convent.
(cioè di S. Gilles di Verrés) et qui m'ont été gentilment communiquées
par l'aetuel Prévót, Monsieur le Revérend Chanoine Joseph Bono, il
resulte que, vers la fin du XVIII siéele, on y récoltait une certaine
quantité d'olives dont on fasait de l'huile. En effett, sous la date du
mois de novembre de l’an 1775, on lit dans le dit registre journalier,
signé par le Révérend Prevot Bens, les indications suivantes:
Nous avons recuéilli cette année des olives, dont j'ai fait faire de
l'huile, qui s’est trouvée tres bonne, et dont j'ai fait usage en mars
Suivant d une douzaine de collations. |
Et, sous la date de l'an 1779, on reléve oncore du méme registre
journalier la note suivante:
j Nos olives ramassées le 24 au 25 novembre pesaient 7 livres et
étaient trés müres—elles ont donné 3 á 4 6 d'huile net >.
Il Treves aggiunge encora: « Au village de Rovarey, prés de la
bourgade de Donnaz, on observe aussi actuellement de beaux Oliviers,
assez vigureux, qui produisent des olives dont on fait de |’ exellente
huile». A tale proposito abbiamo già detto che il fu Geometra Men-
gola a Rovarey di Donnaz fece dell'olio di oliva eon frutti raceolti
da olivi del luogo.
(1) Treves: Petite flore médicale piémontaise. Turini 1904, pag. 285.
LA COLTIVAZIONE DELL’ LIVO IN VALLE D'AOSTA 159
Abbiamo quindi notizie storiche di ripetuti tentativi della colti-
vazione dell’olivo in Valle d’Aosta.
Ma ora possiamo noi domandarci: le condizioni climatiche della
valle corrispondono alle esigenze climatiche dell'olivo? |
È assodato che l'olivo prospera in regioni dove, durante l'inver-
no, la temperatura non scende a 7°; che per fiorire ha bisogno per un
certo numero di giorni di una temperatura media di 19°, e per ma-
turare i frutti di 23°.
« Tableau synoptique de la température a la cité d’ Aoste de 1841
à 1902» par l'abbé I. P. Carrel, Recteur de l'óspice de charité (1) che
ci dà le medie raccolte durante più di 60 anni di osservazioni, ei in-
dicherà se vi sono o no tali condizioni di temperatura.
La minima temperatura che si è notata in tale periodo di osser-
vazioni è di -18,4 il 10 dicembre 1879, ma in tal mese si ebbe pure
un massimo di 9,4 il 31. Secondo il Padre Denza (2) la minima tem-
| peratura di Ivrea nel quinquennio 1871-75 fu di — 12,5 il 28 Dieem-
bre 1871, e nel trentennio 1837-66 fu di — 17,5 il 16 gennaio 1838.
Secondo il Bonino (3) la media degli estremi minimi per Ivrea
è di — 8,20. In generale la media invernale di Aosta è di + 2,18.
(0,2 seconde il Denza) con una media minima invernale annuale di
-— 1,38, ed una media massima invernale annuale di + 5,28. La me-
dia invernale di Ivrea, secondo il Bonino sarebbe di 2,94. Supponendo
che l’ inverno concida con i mesi di Dicembre, Gennaio e Febbraio
abbiamo, facendo la media di tutte le minime annuali e di tutte le
massime osservate nelle rispettive decadi di tutti i 62 anni di osser-
vazioni, i seguenti dati:
(1) I. P. Carrel: Tableau synoptique de la température a la cité d' Aoste in
Bulletin de la Société de la « Flóre valdotaine » N. 2, Aoste 1903.
(2) P. Franc. Denza. Studi sulla climatologia della Valle d'Aosta. Torino 1877
(8) A. D. Bonino: Cenni meteorologici d'un piccolo tratto alpino, Canavese
Vaile d'Aosta. Ivrea 1816.
160 PAOLO PEOLA
DICEMBR GENNAIO | FEBBRAIO |
Î
t
—
Decade, | 1° 2 E 3° E dE e
ti
Minima |-6,64 |-6,37 | -4,76||-5,01 | -4,90 |-4,65 ||-3,82 | -4,28 | -4,22
[tesis 6,34 |8,14.| 4,77 || 4,97 | 6,52 | 6,59 || 8,69 |10,56 10,57
dieembre, ma anche qui non si arrivaa -T. Si noti poi che tali medie
sono sempre prese in punti non così bene esposti come debbono essere ^ —
quelli in eui si eoltiva l'olivo, e quindi tali medie devono essere ri-
dotte di qualche punto se vogliono esaminare la temperatura del luogo ` E
dove si eoltiva Volivo. Non ho fatto i ealeoli della temperatura media
delle dette decadi in Ivrea, ma devono essere certamente di alcuni ^.
gradi superiori a quelle di Aosta. Secondo il P. Denza (op. eit. pag.
46) la differenza tra le panza minis di Aosta ed Ivrea sarebbe | E
di.2*.
L'olivo per fiorire ha hidoguo p per un certo numero di giorni una
temperatura media di 19°, e fiorisce da aprile a giugno secondo le lo-
. ealità. La media generale del mese di use è per Aosta 18,32
_ (Denza dà 19,1) e per Ivrea 20,3 (1].
Osserviamo l’andamento. della temperata dalla 2° decade di E
‘maggio a tutto giugno, epoca in eui fiorisce l’olivo in valle d'Aosta, `
ed abbiamo :
Mese | MAGGIO |
GIUGNO |
H
I* P 3
Bs |
| Decade | 2° | 3°
|
Minime: 106 12,03 12,06 13,8 | 15,9 |
| Massima |18,83 23,02 21,90 123,47 23,41 ||
` (2) Denza op. cit. pag. 36.
‘Le minime temperature si osservano nelle due prime decadi di `
a Wet,
LA COLTIVAZIONB DELL'OLIVO IN VALLE D'AOSTA 161
Vediamo che la media delle massime è quasi sempre superiore
alla temperatura necessaria, e la media delle minime è da 7 a 3 gradi
inferiore. Anche qui, considerindo che l'olivo è piantato in luoghi più
soleggiati, si r ggiungerà facilmente la ‘cifra voluta.
Per ‘maturare i frutti occorre una media di 23°.
Se l'olivo fiorisee in Valle d'Aosta: in giugno, non potrà maturare
che in Settembre od Ottobre. La temperatura media di settembre’ è
di 16,23 per Aosta, (17.7 secondo il Denza) e di 19,8 per Ivrea ; la
temperatura media di ottobre è di 10,9 per Aosta (10,7 seeondo il Den
za) e di 13,6 per Ivrea; quindi di molto inferiore al necessario; Anche
nei luoghi più soleggiati è difficile che olivo raggiunga: Ja completa.
maturità. `
Riassumendo possiamo quindi dedurre :
‘1° che attualmente nella Valle d’Aosta, e specialmente nella parte
inferiore, verso Ivrea, si può piantare l’olivo ed allevarlo, ma solo in
aleuni punti più soleggiati e riparati dai freddi, che può fiorire e dare
r frutti, i quali diffieilmente peró riusciranno a maturare.
; I tentativi fatti altre volte confermano tale risultato.
: | L'olivo in valle d'Aosta si pus coltivare solo come albero e or-
namento..
n Il P. Denza così serive del clima di Aosta e d’Ivrea: « Mite -è
l clima di Aosta. Mentre i minimi di freddo, che si hanno durante
3 l'inverno in questa stagione, per ordinario non superano quelli della
i pianura del Po.... ed anzi spesso, specialmente nelle annate più rigide,
ne sono notevolmente meno intensi; l'estate rimane più fresca e pia-
: cevole... Allo sbocco della valle delle Dora (cioè ad Ivrea) il elima
acquista subito la fisionomia di quello della pianura del Po, e diviene
affatto temperato; ed anzi alquanto più mite che nelle stazioni più
: lontane dai monti e piü basse, le quali in apparenza dovrebbero avere
= clima più moderato..... La temperatura d’ Ivrea, mentre risulta presso
E poeo la stessa che nel resto della valle del Po in primavera ed in
estate, ne rimane invece superiore in inverno ed in Autunno, e sopra
tutto in ete quando cioè i mesi sono più freddi ». In
adunque non é il rigore dell’ inverno che impedisce la coltivazione
3
dell’olivo in SE d'Aosta, ma è la mitezza dell'estate che ne impe-
5
162 PAOLO PEOLA
disce la maturazione dei frutti. Se non paresse un bisticcio si potreb-
be dire che non è il freddo, ma bensì la mancanza del calore che
ostacola la coltivazione dell alten in valle d'Aosta.
Secondo uno studio di Vaccari e Wilezek (1) il Canavesano e
la bassa valle d’ Aosta climatologicamente si potrebbero considerare
come facenti parte del dominio della flora insubrica, (che secondo il
Gaudin comprenderebbe il versante meridionale delle Alpi Svizzere
dal lago di Como al lago Maggiore), e perciò il limite occidentale di
detta flora dovrebbe spingersi fino allo sbocco della Valle dell’Orco.
Nelle regioni dei nostri maggiori laghi prospera l’olivo, ma anche là
viene coltivato più per ornamento che per produzione di frutti.
2. Che nella Valle d'Aosta si trova il limite superiore della col-
tivazione dell’olivo, limite che potrà più o meno oscillare a seconda
delle vallette più o meno soleggiate e riparate, ed a seconila delle an
nate più calde o più fredde.
3. Dai documenti storici accennati rileviamo che l’olivo diverse
volte prosperò più di ora nella valle d’Aosta, e quindi dobbiamo am-
mettere che per diverse volte il clima di tale regione fu più caldo
dell’attuale.
Di leggere modificazioni del clima abbiamo altre prove nelle
oscillazioni dei ghiacciai.
(1) p Tec e Wilczek: La vegetazione del versante meridionale delle Alpi
in Nuovo Giornale botanico italiano Vol. XVI N. 2, 1909.
EE EE E
l Dott. MICHELE CRAVERI
ALCUNE SPECIE VEGETALI. DELL’ OSSOLA
RITENUTE RARE PER LA FLORA DEL PIEMONTE
Nel Museo di Storia natur:le del Collegio Mellerio-Rosmini in
Domodossola esiste un ricco Erbario della Flora ossolana, opera dello
jnfatieabile raccoglitore il defunto Prof. Stefano Rossi dei PP. Rosmi-
niani (1) il quale inse né per molti anni nel Liceo pareggiato annesso
al Collegio.
Sono più di 10000 piante diligentemente conservate e catalogate
rappresentanti circa 2000 specie e varietà botaniche, e tra questo non
poche ve ne sono di rare nelle valli ossolane stesse e rarissime o sco-
nosciute finora altrove, e talune caratteristiche ed esclusive di dette
località. Il sullodato Prof. Rossi pubblicò nel 1883 un catalogo gene-
rale illustrativo dell’Erbario da lui raccolto (2) con preziose notizie
sulle località dove tali piante si rinvengono; e dall’ attento esame di
detta raccolta si rileva come molte specie che dai più valenti odierni
cultori della Botanica sistematica sono ritenute rare o critiche per la
Flora piemontese crescono invece in discreta abbondanza in queste
valli, ed altre ancora che si possono dire avventizie per il Piemonte
hanno atteechito anche nel bacino del Toce e de’ suoi affluenti.
Recentemente il D.r Giuseppe Gola Assistente nel R. Istituto Bo-
tanico di Torino pubblicava un interessantissimo studio su tali piante
iare (3) illustrando 144 specie e varietà, di cui 36 non indicate finora
(1) Prof. D.r Stefano Rossi n a Torino 1851, m. a Domodossola 1898.
(2) D.r Stefano Rossi — « Studi sulla Fiora ossolana » — Domodossola, Ti.
pografia Porta, 1883.
(8) Dott. Giuseppe Gola — « Piante rare o critiche per la Flora del Pie-
monte » — con una tavola — (Mem. della R. Accad. delle Scienze di Torino
Vol. LX, Anno 1908 09). Torino, Vincenzo Bona 1909.
164 ALCUNE SPECIE VEGETALI DELL’ OSSOLA BCC.
in Piemonte, 6 nuove per la Flora italiana e 6 non ancora descritte
da nessun Botanico, aggiungendo come appendice al suo lavoro l’elen-
co di 54 specie recentemente avventizie per la nostra Flora, nel prin-
cipale intento di fissare la data dell’inizio della lotta cogli elementi
floristici indigeni. Nel suo complesso questa Memoria è uno studio pro-
fondo e magistrale che rivela tutto il valore scientifico dell’ Autore,
ed essendo anche di data assai recente servirà per molti anni di guida
ai raccoglitori e classificatori della Flora piemontese. Ma poiché l'Au-
tore si è occupato assai poco della Flora ossolana, risultano nell'opera
sua certe lacune più che inesattezze in eui egli incorre più volte, im-
putabili solo al deliberato proposito di trascurare o quasi le piante
dell’Ossola.
Eppure questa regione che comprende aride ed elevatissime loca-
calità alpine, ubertosi altipiani e fianchi montuosi coltivati, fresche e
verdeggianti vallate che declinano in parte verso i Laghi lombardi e
svizzeri con essa confinanti, deve necessariamente partecipare come
regione botanica dei c ıratteri misti di tutti questi ambienti, essendo
ricca di forme svariatissime fra le specie e di interessanti varietà di
quelle specie che vegetano nelle regioni finitime.
Spigolando nel rieco Erbario del Museo Mellerio-Rosmini che com-
prende se non tutte almeno gran parte delle piante ossolane, citerò
quelle specie e varietà che il Dr Gola ha chiamato rare o critiche
per la Flora del Piemonte e che si rinvengono nell'Ossola, nel solo
intento di recare un modesto contributo alla conoscenza completa della
nostra Flora,
PTERIDOPHYTAE
Filicineae
1) Asplenium germanicum Weiss.
Secondo il' Dr Gola sarebbe una pianta di natura ibrida derivata
da A. septentrionale X A. trichomanes originante spesso altri ibridi:
A. germanicum X A. septentrionale; raccolto sullo stradale fra Pine-
rolo e Porte, Maggio 1900 (Ferrari). Altro ibrido riferibile all'A. per
PIE al
A 2 xm
CADO dE EEE
s.
perde SIE
Re MEN
MICHELE CRAVERI 165
germanicum X A. trichomanes, Hab.: M. Mnsinè (Torino), Aprile 1900
(FERRARI); Garessio, Val dell’ Inferno (Alpi Marittime), Luglio 1899
(FERRARI). Il Dr Gola dice abbastanza frequenti le forme che si avvi-
cinano al vero A. germanicum.
L’Erbario della Flora ossolana contiene: Asplenium germanicum
Weiss (= A. ut ernifolium ViTM), raccolto sui muri nella Val Vigezzo
presso Villette — Estate-Autunno — (Dr. Rossi); A. /ricomanes L. vol-
gare sui muri, sulle rupi ecc. in tutta l’ Osssola — Estate — (Rossi);
A. sepentrionale Sw., Hab.: sulle rupi, tra le fessure delle rocce e
nei luoghi pietrosi lungo i torrenti, Monte Calvario (Domodossola),
Val Vigezzo, eec. — Estate — (Rossi); inoltre le specie: A filix-foe-
mina SCHRAD., A. Halleri DC. (= A. fontanum Sw.), A. Viride Sw.
A. ruta muraria L., A. adianthum nigrum L. insieme colla Var. nigrum
Heuffl.
PHANEROGAMAE
Angiospermae — Monocotyledones.
2) Calamagrostis Halleriana P. B.
Ritenuta assai rara in Piemont. e particolarmente diffusa solo
nelle Alpi orientali. Hab.: boschi sopra Champolue verso Mascognaz
in valle d'Ayas (Aosta), Agosto 1906 (PRor. MATTIROLO, FERRARI); sotto
la Roccia di Costa Bruna a Coazze (Giaveno Luglio 1907 (D. FONTANA).
Aggiungas : pascoli freschi al Sempione fra la Croce e Tavernet-
taz — Luglio-Agosto — (FAvRE). Sono pure ossolane le specie: C. epi-
geios RorH. (= Arundo L.). C. tenella Host., C. lanceolata Rotu., C,
littorea D.C.
3) Arrhenaterum elatius var bulbosum Presl.
Comunissima la forma tipica mentre la varietà sarebbe limitata
alle parti occidentali del Piemonte: Cuneo e Boves, Luglio 1905 (FEr-
RARI) Sanfront (Saluzzo), Giugno 1903 (Dr. Gora); Campoligure, Giugno
1908 (FERRARI, VALLINO, GOLA).
Nell'Ossola si trova insieme colla specie questa varietà nei prati
e pascoli sterili presso il Lago Maggiore ; Mers ozzolo (Rossi).
E EE
D
166 ALCUNE SPECIE VEGETALI DELL’ OSSOLA ECC.
4) Poa serotina Ehrh.
Rarissima e raecolta finora solo presso Confienza in Lomellina
(BERTOLONI) a Stupinigi presso Torino (FERRARI).
Nell'Erbario ossolano è detta frequente uei luoghi incolti e sulle
vie insieme colla P. annua L. — Febbraio-Novembre — (GAGLIARDI)
Vi sono pure esemplari di altre specie e varietà: P. a/pina L. e Var.
vivipara L., P. bulbosa e Var. vivipara, P. laxa Hor, P. compressa
L., P. nemoralis L. e Var. firmula Gaun., P. sudetica HNKE, P. pra-
tensis L., P. violacea BELL. (= Fes/uca pilosa HALL), P. trivialis L.
5) Bromus maximus Derf.
Non era indieata nella Flora piemontese prima dello studio del
Dr Gola. Hab.: Rocco di Pianezza (Torino) 1907 (Ferrari); Rocca di
Cavour (Pinerolo), Maggio 1908 (FERRARI, FONTANA); Colli di Torino
(UNGERN, STERNBERG, BELLI); Crea (Casale), Giugno 1905 (Ferrari, Dr
Nees: Fossano (Cuneo), Giugno 1907 (FERRARI, VALLINO); Acqui, Giu-
gno 1905 (FERRARI, VALLINO, GOLA).
Fu trovato anche al Monte Calvario (Domodossola) sul sentiero
che dalla Torre Deantonis conduce alla Villa Gentinella — Aprile-Giu-
gno (Rossi). Altre specie ossolane sono: B. sterilis L., B. Madritensis
L., B. asper L., B. erectus Huds. :
6) Rhynchospora fusca L.
Il Dr Gola la dice appunto limitata alia regione nord-orientale
del Piemonte, specialmente agli acquitrini che abbondano nelle va-
ste brughiere alle falde delle morene o nelle morene stesse: Vauda di
Mathi (De Feed. Viverone (Roasenpa, MALINVERNI; tra Arona e
Borgoticino, Maggio 1907 (Gora NEGRI).
Ed infatti fu trovata anche nei luoghi umidi e palustri della
Val Vigezzo fra S. Maria e Re insieme colla R. alba Vant. (= Schoe-
nus L), e sul Mergozzolo al Nord del Lago Maggiore — Giugno-Lu-
glio (DE Noraris).
7) Ghamaererchis alpina Rich.
Già indicata per le Alpi Graie e Pennine (Valle d’Aosta a Cour-
MICHELE CRAVERI 167
mayeur, Cogne ece); fu trovata poi qua e là nelle Alpi Cozie; Valle
di Susa, alla Roccanera sopra il Balmarot, Agosto 1908 (FERRARI) Val
Fredda sopra Bardonecchia, Luglio 1899 (FERRARI) e nelle Alpi Ma-
rittime: M. Antarotta sopra Garessio, Luglio 1899 (FERRARI).
Non pare infrequente anche nelle Alpi Lepontine: pascoli umidi e
muscosi, Sempione verso le gallerie, ecc. —- Luglio-Agosto (Rossi).
8) Listera cordata B. Br.
Hab.: Alpi Marittime al Giaz Roccasonn sopra Garessio, Giugno
1906 (FERRARI, VALLINO); sopra Entracque tra i rododendri, Giugno
1906 (FERRARI, VALLINO, Gora); Alpi Lepontine in Val d'Ossola all’Alpe
Veglia, Luglio 1900 (Gora).
Anche il Dr Rossi chiama rara questa orchidea, e l'esemplare esi-
stente nell'Erbario ossolano fu trovato nei boschi umidi di pini ed
abeti in Valle d’Antrona — Maggio-Luglio (BrroLi). Molto frequente
per la Flora ossolana è invece la L. ovata B. Br.
Dicotyledones
9) Betula verrucosa Ehrh.
Il D.r Gola la diee per lo meno altrettanto frequente in Piemente
ehe la B. Alba L.
Nell'Ossola si troverebbe la B. Alba nei boschi di tutta la valle,
ma specialmente presso il Lago Maggiore — Aprile-maggio e la B.
verrucosa localizzata presso il villaggio del Sempione (Rossi).
Altra specie pure ossolana è la B. pubescens Eumn.
10) Aristolechia rotunda 7.
Parrebbe limitata per la Flora del Piemonte alla regione Cispa-
dana: Millesimo, Montenotte, Dego, Sassello, Novi, V. Staffora presso
Voghera, Mombarazzo (Monferrato) e Colli di Casale, 1893 (ROSELLINI).
Invece qui fu trovata nei luoghi coltivati o fra le macerie e
presso l> siepi nei dintorni di Domodossola — Maggio-Giugno (Rossi).
| Altra specie: A. clematlis L. pure abbastanza frequente nele stesse
loealità.
168 ALCUNE SPECIE VEGETALI DELL'OSSOLA ECC.
11) Viola pinnata L
Hab.: Valle d’Aosta, Cenisio; Alpi Cozie : Val Macra sopra AL
ma, Luglio 1911 (FERRARI, VALLINO, GOLA), Cesana (D. R ViGNOLO- -LUTATI).
Rara anche per l’Ossola; si aggiunga per altro alle stazioni già
noté: luoghi aridi, elevati presso i ghiacciai delle Alpi Lepontine — .
Giugno-Luglio (Ross). Appartengono alla Flora ossolana anche le ål-
tre specie: V. odorata L., V. hirta L., V. sciaphila K.; V. palustris
E. V. sylvatica Fm. e Var. Riviniana Koch. (= V. EE REBB).
y arenaria D.C., y. canina L., e Var. Ruppii ALLE., V. biflora LETS ^
mummulariaefolia DE Y. tricolor L., V. calcarata I e Var. rosea
Rossi la quale ultima si trova colla specie nei prati e pascoli del
Sempione, ma più rara — Giugno-Luglio (Favre).
: 42) Lidi rediviva. L.
Già indicata nell'Appennino, nelle Alpi Marittime (Valle di Pesio
ecce), e del Dr Gola in Val D'Ossola sopra Piedimulera, Luglio 1907
(Gora).
Si deve aggiungere: luoghi boschivi presso Domodossola, lungo
il Rio d'Anzuno — Aprile-Maggio (Rossi). Più rara spontanea la L.
annua L.
13) Fumaria capreolata L:
E ritenuta rarissima in Piemonte, e fu radeon solo nei dintorni
di Mondovi, Giugno 1894 (FERRARI); presso Bossea Mondovi), Agosto
1903 (VicNoLo-LurAT!) e nei campi tra Fiaccone e la Bocchetta di
Voltaggio (quivi forse avventizia. Giugno 1908 (FERRARI, VALLINO,
OLA).
. . Qui fu pure raccolta sui muri lungo l'Ovesea presso Villadossola
Estate (Rossi). Più frequente la F. officinalis L.
14) Papaver hybridum Z.
Conosciuta finora nelle seguenti località delle Alpi e dell" Appen-
nino: Cafasse (Lanzo torinese), Maggio 1907 (FERRARI, GoLa); Venaria
Reale (Torino), Maggio 1907 (D.r SANTI); tra Sangano e Reano, Susa
E E E EE URINE e E ET SL M E SEET
d È D 4 8 Co Parata bl
MICHELE CRAVERI 169
alla Brunetta (ALL.) Maggio 1899 (FERRARI; Frossasca, Maggio 1908
(FERRARI. VALLINO, GoLA); Rocca di Cavour. Maggio 1908 (FONTANA,
CROSETTI) ; Dego (Acqui), Giugno 1901 (FERRARI, VALLINO, GOLA).
. Nell'Ossola appare frequente nei campi della Valle Anzasca —-
Estate (Rossi). Sono più o meno comuni in queste valli il P. alpinum
L.; P. sommiferum L., P. rhaeas L.. P. dubium L., P. argemone L.
15) Umbilicus pendulinus D. C.
Erano già note per questa pianta le località dei Laghi, oltre a
Pinerolo, Mondovi, M. Braeco presso Envie (Saluzzo). Giugno 1907
CROSETTI, FONTANA) Ormea in Vall'Armela, Luglio 1899 (FERRARI) ;
S. Stefano Monferrato, 1824 (BELLARDI); sopra Carcaro alla regione Bor-
mida, Luglio 1907; Rossiglione, Giugno 1906; Campoligure. Giugno
1908 (FERRARI, VALLINO, GOLA).
L'esemplare dell'Erbario ossolano è stato raccolto nei dintorni del
Mergozzolo — Giugno (DE-NOTARIS).
16) Sedum hirsutum Al.
E una specie rarissima in Italia fuori delle Alpi occidentali, e
piuttosto rara anche in queste. Hab.: sopra Giaveno (FONTANA, FERRARI);
Rocca di Cavour presso Pinerolo (FERRARI).
Quassù cresce sulle rupi e muri di sostegno a Macugnaga (Rossi).
Altre specie ossolane: S. maximum Sur. S. fubaria Kox., S. stellatum
L., S: cepaea L., S. reflexum L., S. sex ingulare L., S. acre L., 8. al-
pestre VILL. (= S. saxatile ALL.), S. aibum L., S. dasyphillum L., S.
villosum BERTOL., S. atratum L., S. annuum L.
17) Rebus glandulosus Bellardi.
Il vero R. Bellardi sarebbe spesso confuso, secondo il Dr Gola,
col R. hirtus assai più diffuso; la sola località sicura per tale specie
in Piemonte sarebbe nei dintorni di Biella (AscHERSON E GRAEBNER).
Noterò tuttavia che con questo nome è determinato un esemplare
raccolto nei boschi della Val Vigezzo tra Craveggia e Villette — Mag-
gio-Giugno (Rossi). Qui non si accenna al R. hirlus, ma esistono il
R. idaeus L., R. fruticosus L., R. caesius L., R. saxatilis L.
170 ALCUNE SPECIE VEGETALI DELL'OSSOLA ECC.
18) Echium italicum Z.
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z-
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E
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di
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Il Dr Gola 'o dice localizzato al Piemonte meridionale, special-
mente sui colli dell’Appennino e del Suabppennino dove è abbastanza
frequente: Denice, Giugno 1900 (FERRARI, VALLINO); Aequi lungo la
Bormida, Giugno 1905 (Ferrari, Gora); Novi, Giugno 1908; Rivanaz-
zano, Godiasco, Giugno 1903 (FERRARI, VALLINO, Gora); Pollenzo, 1824
(COLLA).
Fra questi monti si rinviene nei luoghi incolti, lungo le strade
nei dintorni di Domodossola — Estate (Rossi). Più diffuso in tutta
l'Ossola l'E. vulgare L.
19) Dipsacus laciniatus L.
L’esistenza di questa pianta in Piemonte già accennata da Allioni
è confermata recentemente ip modo speciale per le Langhe ed il Mon-
ferrato; sembra più rara alle falde della catena alpina: tra Leyni e
Lombardore, Agosto 1902 (FERRARI, VALLINO); Cuneo, lungo la Stura, ece.
Nell'Ossola è abbastanza diffusa lungo i muri, nei luoghi incolti —
Estate (Rossi). Vi crescono pure il D. sylvestris Mitt. e D. p losus L.
20) Gampanvula glomerata L.
Furono distinte per questa specie molte varietà, alcune delle quali
sono accennate da poco tempo in Piemonte.
Citerò senz’altro le specie esistenti in questo Erbario insieme
colla C. glomerata che cresce sul Monte Cimone (Valle Anzasca) ed a
Craveggia — Estate-Autunno (Rossi), ed alia Var. aggregata W. rae-
colta nei pascoli di Calasca (Inc. BELLI) Tali specie ossolane sono:
0. cenisia L., U. persicifolia L., C. patula L., C. rapunculus L., C.
excisa ScHLCH., C. coespitosa Scor., C. rotunlifolia L., C. linifolia
Hukg, C. rhomb idalis L., C. trachelium L., colla var. dasycarpa D.C.,
C latifolia L., C. spicata L., C. alpestris At, C. barbata L., C. si
birica L., colla var. paniculata D.C., C. medium L.
21) Leucanthemum atratum D.C. | :
Già rinvenuto in Val d’Ossola a Bognaneo, 1842 (Lisa); Ameno
MICHELE CRAVERI S 174
sul Lago d’Orta, Lugio 1895 (GoLa(; M. Muerone, Luglio 1904 (FEr-
RARI); S. Jacques d'Ajas in Valle d'Aosta, Agosto 1906 (MATTIROLO,
FERRARI); Courmayeur verso il Lago Combal (m. 1900), Giugno 1904
(FERRARI); Val di Cogne sopra l'ont d’El., Giugno 1903 (FERRARI, VAL-
LINO, GoLa); Prati del Cenisio 1843 (DELPONTE), Luglio 1905 (MaTTIROLO),
Aggiungasi : sulle rupi, nei luoghi umidi, ombrosi in Val Vigezzo,
Estate-Autunno (Rossi). Comuni nell’Ossola : L. vulgare D.C. e L. mon-
fanum D.C.
Sono adunque 21 le specie e varietà che il D.r Gola chiama rare
o critiche per la nostra Flora e che furono rinvenute anche nell'Os-
sola. Anzi l'Autore della pregevolissima Memoria sopra citata accenna
per alcune specie alla loro presenza nelle Valli ossolane, mentre altre
che egli dice rarissime in tutto il Piemonte, o proprie delle località
più meridionali subappenniniche ed estranee o quasi alla catena al-
pina, crescono pure in queste regioni e sono conservate nell'Erbario
del Museo Mellerio-Rosmini.
In quanto alle specie che si possono chiamare avventizie per la
Flora piemontese e che hanno atteechito anche nell'Ossola, basta ac-
cennare alle seguenti: :
1) Commelina communis L.
Indicata nei boschi lungo il Po a Chivasso, 27 luglio 1897 (BeL-
LONI) e lungo il Po a Torino a valle del Ponte R. Margherita, Settem-
bre 1903 (FERRARI); presso Trobaso sul Lago Maggiore, Settembre 1908
(Gora); presso Garlasco, Agosto 1905 (Gora).
Fu pure raccolta nelle Valli ossolane che seendono al Lago Mag-
giore — Estate-Autunno (Rossi).
2) Narcissus pseudonarcissus L. (= N. incomparabilis Mill.)
Fu raccolto sui Colli di Torino presso la Villa Corrà sopra la
Barriera di Casale, 10 Marzo 1899 (VienoLo-LuTATI), forse sfuggito
alla coltivazione.
Qui è copioso nei prati e boschi di Calice, S. Defendente, eec. do-
ve è quasi sempre doppio — Aprile-Maggio (Rossi). Vi si trova pure
ZE WEE E TE EN SE E TS
172 ALCUNE SPECIE VEGETALI DELL'OSSOLA ECC.
V Ajax incomparabil s CAR., e più raro il N. biflorus CURT.; abbonda
«invece nella pianura il N. poeticus L.
3) Jasminium offinale Z.
Trovato sui vecchi muri a Vicoforte (Mondovi), 13 Giugno 1894
(FERRARI); presso. Borgofranco (Ivrea), Agosto 1851 (Delponte).
Cresce spontaneo sulle rupi sotto la Chiesa del Monte Calvario
(Domodossola) — Estate (Rosst).
4) Galinsoga parvillora Cav.
Il Dr Gola la dice oramai diffusa ovunque in Piemonte sia ella
pianura che abbastanza addentro nella catena alpina, sopra Varallo
Sesia, in Valle Anzasca, ecc.
Ed infatti anche qui è volgarissima nei luoghi coltivati (Rossi).
“Con queste poche note non ho inteso certamente menom re il va-
lore dell: vaste e profonde osservazioni del valentissimo Docente nel
R. Istituto Botanico di Torino. Modestamente ho creduto di poter ar-
recare un piccolo contributo alla conoscenza più completa della nostra
Flora piemontese.
Domodossola, 27 Dicembre 1910.
D.r MICHELE CRAVERI
Dr OTTAVIO MUNERATI
Osservazioni sulla prefioritura delle barbabietole da zucchero
La barbabietola primitiva o selvaggia (Beta maritima L.) è, nor-
malmente, annuale. La biennalità nella bietola coltivata è un portato
della selezione e l'emissione dello senpo fiorifero il primo anno di ve-
getazione non costituisce che una apparizione di una qualità ancestrale
o un ritorno atavico. i
A parte questo concetto d’ordine pregiudiziale, la prefioritura può
essere favorita da diverse: circostanze, tra le quali vanno prevalente-
mente notate:
a) il tempo di semina e l’andamento successivo della stagione;
b) lo stato di fertilità del terreno;
c) la provenienza del seme e lo stato della sua maturanza fisiolo-
gica al momento della raccolta.
Le osservazioni alle quali oggi intendo riferirmi riguardano la
prefioritura:
I) in rapporto al tempo della semina.
II) in rapporto alla composizione delle radici prefiorite considerate
secondo la forma, il peso ed altre caratterische esteriori.
*
I. Il tempo di semina e la prefioritura
Se l'arresto di vegetazione, in conseguenza di gelate tardive o di
eause similari, quale fattore determinante la salita in seme delle bie-
tole, era stato ammesso dalla maggioranza degli studiosi, nessuno ave-
va portato sino ad oggi delle cifre derivanti da larghe e precise ricer-
che metodiche. Ecco perchè l'argomento parvemi presentare un certo
interesse, anche perchè al tempo di semin: della bietola viene at-
tribuito, e giustamente, dai pratici, notevole importanza in riguardo
alla produzione conseguibile dalla cultura.
Proeuratomi pertanto il seme di sei razze di barbabietola, di cui
una proveniente da piante gia prefiorite l’ anno innanzi — tutte, in
ogni modo, derivate dalla Kleinwanzleben — profittando della cortese
174 OSSERVAZIONI SULLA PREFIORITURA DELLE BARBABIETOLE DA ZUCCHERO
condiscendenza dell’ Amministrazione Co: Papadopoli di Loreo e del-
l'efficace cooperazione dell'agente Sig. Giuseppe Padovani, procedevo
alla semina delle sei varietà, a gruppi, a cominciare dal novembre a
giungere ai primi di giugno: tutte le varietà vennero, volta a volta,
seminate con ogni dilivenza, a mano, in parcelle di 50 metri, separate
da sentieri larghi ottanta centimetri, per cui, a semine finite, i vari
. gruppi, complessivamente in numero di undici, occupavano circa tre
quarti di ettaro.
Ecco le temperature massime, minime e medie (in centigradi) del
periodo novembre-maggio (Osservatorio meteorologico di Rovigo):
Media : Massima Minima
10 novembre 8,0 14,0 3,3
Se gg 6,5 8,8 3,8
30 » 4,1 7,0 1,2
10 dicembre 2,5 5,8 — 10
20 » 1,4 11,5 4,0
30 » 1,0 2,5 — 0,8
10 gennaio 5,6 1,4 5,0
» 3,5 1,0 — 0,6
» 3,9 8,2 1,2
10 febbraio 9,0 15,0 5,2
20 » 5,4 9,8 1,5
28 » 19 3,5 0,2
10 marzo 9,3 10,2 8,8
» 11,6 16,1 7,5
30 D 11,2 12,8 9,5
10 aprile 11,1 112 1,9
» 10,9 11,8 9,3
30 » 15,0 18,7 9,5
10 maggio 16,1 18,0 12,0
» l 22,6 27,0 11,2
30 » 22,9 24,3 18,1
Riassumo, nei seguenti prospetti, i dati riferentisi ai singoli gruppi,
nei quali, per la fattispecie, hanno maggior valore le cifre che riguar-
OTTAVIO MUNERATI
dano la quantità di bietole prefiorite secondo il tempo della semina:
I. Gruppo — Semina: 14 novembre
NUMERO DELLE PIANTE Am PRODUZIONE OTTENUTA
p Principio :
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3 Nate in senza Radici olletti
" fioritura senza colletto foglie
coltivate fiore fiore Chilogram. Chitogtam,
I 124 84 40 25 Maggio 68 EI
; II 84 50 34 94 62
IH 125 65 60 73 35
IV 66 45 21 63 40
V 116 84 32 104 65
3 VIG)| 193 67 126 93 24
; MepIA| 118 66 52 82,5 46
Il. Gruppo - Semina: 23 dicembre
NUMERO DELLE PIANTE Sei PRODUZIONE OTTENUTA
St Principio
9 D n EDEN
: S Nate in Seta vd Radici | Colletti
i > e fioritura senza colletto vr?
ei coltivate | fiore fiore Chilogram. foglie
Chilogram.
: I 236 191 45 20 Maggio 81 60
a II 190 144 46 IOI 64
t Ill 223 127 96 99 32
IV 99 70 29 75 50
V 169 102 67 15 59
VI 252 128 124 83 27
MEDIA 195 127 68 75,6 48,6
146 OSSERVAZIONI SULLA PREFIORITURA DELLE BARBABIETOLE DA ZUCCHERO
Ill. Gruppo — Semina: 21 gennaio
NUMERO DELLE PIANTE EPUM PRODUZIONE OTTENUTA
EI Principio
$ d i EE RE or RER :
3 Nate In Sensi ge Radici Colletti
fioritura senza colletto e
coltivate | fiore fiore Chilogram. foglie
; Chilogram.
I 125 64 61 25 Maggio 94 45
II Ito 47 63 131 53
III 129 65 64 129 70
IV 83 27 56 65 33
X 103 50 53 149 70
VI 185 Tu 108 120 41
MEDIA} 122 55 67 114,6 52
IV. Gruppo — Semina: 12 febbraio
NUMERO DELLE PIANTE ez? PRODUZIONE OTTENUTA
E Principio
2 dell i
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À i 11
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| Keier. Aer
I 288 134 154 23 Maggio 175 90
II 264 84 180 190 85
HI 263; 66 197 185 80
IV 125 44 81 150 55
V 214 | 51 163 ko e 71
VI 303 161 142 | 153 68
[Mental 243 90 15€ Lo e 75
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| OTTAVIO MUNERATI
V. Gruppo — Semina: 20 febbraio
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NUMERO DELLE PIANTE
PRODUZIONE OTTE)
- Principio |
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Es | fioritura senza colletto
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298 194 | 23 Maggio 169
130 185 201
227 183 SCH 192
125 83 122
157 116 ! 204
222 181 | 148
193 157 172,6 `
VI. Gruppo — Semina: 14 marzo
NUMERO DELLE PIANTE PRODUZIONE OTTENUTA
= Principio -
5
E | Nate Senza PeR Radici
> e m fioritura senza colletto
coltivate = Chilogram.
356 246 26 Maggio 228 `
300 5 295 256
370 3 367 | 236
194 4 190 170
218 3 215 ; 238
297 3 294 7 SEH
ES viet: S is — 2 rire. : È
289 284 222 |
VC Ee E d SE ei EE T EECH ee Proc Le E Paley dia ina a SA 0 EC Soft des a i
gb EE
-178 OSSERVAZIONI SULLA PREFIORITURA DELLE BARBABIETOLE DÀ ZUCCHERÒ
VII. Gruppo — Semina: 18 marzo
NUMERO DELLE PIANTE
Principi . PRODUZIONE OTTENUTA
rincipio
Nate in Serra deila adici Colletti
fioritura senza colletto E:
coltivate fiore fiore e Chilogra foglie
Chilogram.
H
I 328 7 321 26 Maggio 239 65
Il 310 307 285 75
HI 355 353 216 54
IV 147 4 143 166 36
V 168 3 165 213 55
NI 331 4 327 216 61
IMEDIA 273 4 269 222,5 57,6
VII. Gruppo — Semina: 9 aprile
NUMERO DELLE PIANTE du PRODUZIONE OTTENUTA
= Principio |
SER della ici Colletti
a ate In Senza Radici e
ut fioritura senza colletto :
coltivate fiore fiore i Chilogram. foglie
Chilogram.
rd 422 | Nessuna | Tutte 215 62
u 355 237 56
III 298 195 53.
IV 242 182 53
pv. 302 223 84
| VI 265 188 66
MEDIA| 314 206,6 62,3
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OTTAVIO MUNERATI ` `
IX. Gruppo — Semina: 26 aprile
NUMERO DELLE PIANTE
a vet ‚In Senza
coltivate fiore fiore
I 248 | Nessuna | Tutte
II 306
III 309
IV 175
272
417
Principi PRODUZIONE OTTENUTA
rincipio ;
= Radici Colletti
fioritura senza colletto e
Chilogram foglie
Chilogram.
$43 3 39
182 77
149 ; 58
143 42
191 | 54
164 ` 50
162 ` 5353
X. Gruppo — Semina: 10 maggio
PRODUZIONE OTTENUTA
NUMERO DELLE PIANTE Priuciplo
Nate In Senza da adici
coltivate fiore fiore Re sr ii
208 | Nessuna; Tutte 64
314 166
275 120
148 48
247 104 -
256 99 |
241 100°
OSSERVAZIONI SULLA PREFIORITURA DELLE BARBABIETOLE DA
XI. Gruppo — Semina: 15 giugno
D
ZUCCHERO
Nate
e
coltivate
NUMERO DELLE PIANTE
senza
Principio
della
fioritura
PRODUZIONE OTTENUTA
Ra
senza colletto
Chilogram.
Colletti
é
foglie
Chilogram,
OTTAVIO MUNBRATI 181
Facendo la media delle sei varietà e riportando a cento il nu-
mero delle bietole rispettivamente fiorite, ne risultano le seguenti linee
rappresentative :
Percentuale di bietole preflorite in relazione col tempo di se mina
65 Oro
55 O19
45 00
26 010
Bietole prefiorite
Meno
dell’ 1 Ojo Zero Vig
1 O10
EB e — — — =
= Ka 2 no = E
e ès = to e re E = = © a
B Ze 9s e > "d » = nR
S 5 8 c o - 5 n. = S A
© c B C c Ki EN 2 SÉ ka R
= n n N LI 2 Oe i
B o E. E EN © [s AJ B
c a o o © o
3 ©
Per quanto il prodotto in peso dei vari gruppi non abbia un valore
efficente ai riflessi della finalità dell’esperimento, altre linee rappresen-
tanti la produzione a norma del tempo di.semina sono molto istruttive,
182 OSSERVAZIONI SULLA PREFIORITURA. DELLE BARBABIETOLE DA ZUCCHERO
Prodotto di radici in quintali in relazione con il tempo di semina
intali
200
ione in qu
Produz
Lo
Ed
GI
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a
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a
E
o
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E
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m
©
II — La composizione delle bietole prefiorite in rapporto
alle loro caratteristiche esteriori
Sino dal 1903 mettevo in evidenza (1) come le bietole in fiore
dovessero classificarsi, quanto al loro comportamento, in due categorie
nettamente distinte:
a) bietole a radice sottile, molto legnosa, sprovviste di corona di
foglie alla base dello scapo fiorifero, a seapo erto e normalmente uni-
co, di periferia spesso maggiore della stessa radice.
b) bietole a radice pressoché normale e meno legnose delle pri-
(1) Almanacco dell’ « Italia Agricola».
I AG
OTTAVIO MUNERATI 188
me, provvedute, alla loro base, di una corona più o meno densa di fo-
glie (1).
Le bietole del gruppo a) rappresentano, manifestamente, un bru-
sco ritorno alla forma primitiva: il modo col quale si comportano du-
rante il loro periodo vegetativo permette appunto di riscontrare in
esse tutte le caratteristiche della barbabietola selvaggia.
Anche nello stesso tipo selvaggio poi, come mi occorse in più oe
easioni di constatare, le piante che posseggono una certa quantità di
foglie alla base dello scapo hanno radici più grosse e meno spiccata-
mente legnose di quelle dalla cui testa, sguarnita di fogliame, si di-
parte un unico e vigoroso scapo fiorifero.
Poichè era interessante di determinare la composizione delle bie-
tole prefiorite “eparatamente a norma delle suaccennate categorie ,
l'egregio Direttore dello Zuccherificio di Lendinara, sig.Arnoldo Knóp-
fel, aderendo cortesemente alla mia preghiera, si compiaceva di far
eseguire, nel Laboratorio dello stesso Zuecherifieio, varie analisi ba-
stantemente complete:
a) di bietole in fiore ad abbondante fogliame basilare, in con-
fronto a bietole normali pressappoco dello stesso peso;
b) di bietole prefiorite con corona basilare discretamente guar-
nita di foglie (tipo, diremo così, intermedio), sempre in confronto a
radici normali dello stesso peso ;
c) di bietole prefiorite ad unico scapo, senza fogliame basilare,
rappresentanti cioè il tipo primitivo, e ancor esse in confronto a bie-
tole normali di peso analogo.
Insieme il direttore del Laboratorio, l'egregio dott. M.Galloni, cor-
tesemente analizzava anche un certo numero di bietole selvagge da me
speditegli. ;
I risultati delle analisi sono riprodotti nei seguenti prospetti (il
tenore in zucchero è, in tutte le radici, piuttosto basso, ciò dipendendo
dalla stagione avanzata in cui le determinazioni furono compiute) :
(1) Nelle condizioni della pratica, guardando la parte aerea delle bietole in
fiore, si può subito, aprioristicamente, precisare, con sicurezza quasi matematica,
la grossezza della radice sottostante: quanto maggiore è il numero delle foglie
basilari, più voluminosa è la radice e viceversa,
Se Wäer QE i Be Së id d v E i a KE SEI ECARE |
br 184 OSSERVAZIONI SULLA PREFIORITURA DELLE BARBABIETOLE DA ZUCCHERO
BIETOLE GRANDI
NorMali ! In Seme
? Oe eso Peso
Kg. 1.100/Kg. 1.150
Grado Brix : | TT 14.8 | 13.00
-, Zucchero ?/, gr. (asa: | : 10. 94 9. 44
Non zucchero apparente 3. 86 3.56. E
~ Quo. purezza apparente | : 73.91 72.61 | 2
Sostanza secca reale - TM 14. 41 12. 64 È
. A. Non zucchero reale | ES 3.47 3.20 |
+ «Quo; purezza reale 75.91 74. 68
> Sugo %, ~ || 92.32 | 90.04
Zucchero °/, gr. bietole - || 10.10 8. 50
Sostanza secca nella bietola 15 67 14. 72
3 | | BIETOLE MEDIE
Normali | In seme
Peso eso
Kg. 0.650|Kg. 0.631
Grado Brix 2 13.8 14.9 b
Zucchero 9/, gr. sugo —— lb 10-90] 11.18
Non zuechero apparente ut 3. 60 3. 72
Quo. purezza apparente — 13.91 | 15.08
Sostanza secca reale ` i: 13.44 14.52 `
Non zucchero reale nee 3,24 3.34
Quo. purezza reale 75.89 | 76.99
Sugo ?/, 92.15 | 93.91
Zucchero 8, gr. bietole | | 9.40 | 10.50
‘Sostanza secca nella bietola 15.07 | 17.56
EE
Grapo Brix
Zucchero °/ gr. sugo
Non zucchero apparente
Quo. purezza apparente
Sostanza secca reale
Non zucchero reale
Quo. purezza reale
Sugo "/,
Zuechero ?/, gr. bietole
Sostanza secca nella bietola
Grado Brix
Zuechero "/, gr. sugo
Non zucchero apparente
Quo. purezza apparente
Sostanza secca reale
Non zucchero reale
Quo. purezza reale
Sugo °/o
Zucchero ?/, gr. bietole
Raffinosio
Normali | In seme
Peso eso
Kg. 0.275/Kg. 0.315
15.0 12.9
10. 83 8. 34
4. 17 4, 56
12, 20 64. 65
14, 58 12. 15
3.75 5.81
15. Z1 68.64
95. 10 91. 12
10. 30 1.6
17,92 15. 53
BIETOLE SELVAGGIE |
| BIETOLE PICCOLE |
186 OSSERVAZIONI SULLA PREFIORITURA DELLE BARBABIETOLE DA ZUCCHERO
Conglobando i dati analitici più importanti dal punto di vista
industriale e trascurando le cifre riferentisi alle bietole di tipo inter-
medio, abbiamo :
Grado Per cento
zucchero
Brix nella bietola
Bietole normali
Grandi ; i ‘ ; 1 ; 14.8 10.1
Piccole ; à à i : i 15.0 10: 8
Bietole in seme
Grandi (accostantisi al tipo normale) 13. 0 8.5
Piecole (accostantisi al tipo selvaggio) 12.9 1. 6
Selvagge : x 15. 7 6.1
CONCLUSIONI
I — Il tempo di semina della bietola ha una decisa influenza
sulla tendenza delle piante alla prefioritura. Quanto più precoce è la
semina, tanto più elevata è la percertuale delle piante prefiorite e
viceversa. Le semine preinvernali e le semine compiute al primissimo
risvegliarsi della stagione (fine gennaio primi febbraio) portano ad una
. .prefioritura del 50-60 per cento ed oltre, mentre le stesse sementi, af-
. . fidate alla terra a stagione cosiddetta primaverile avanzata (dopo la se-
conda metà di aprile per es.) non danno che un numero assolutamente
esiguo di piante in fiore.
II — I glomeruli provenienti da bietole andate in seme il pri-
mo anno di cultura non hanno eccezionalmente spinto, più degli altri
normali, l'attributo della proelività a dare origine a piante prefiorenti
(ciò cha era stato del resto messo più volte in evidenza).
III — Non vi & uno stretto rapporto tra numero di piante in fiore
e produzione conseguibile dalla cul'ura. Si possono avere delle produ-
zioni abbondanti anche con una rilevante percentuale di bietole pre-
TE.
d
p
OTTAVIO MUNERATI © 197
fiorite (sin oltre il 25 °;,) e dei raccolti scarsi anche senza alcuna pianta
in fiore. In altri termini, nelle condizioni della pratica, la prefioritura
non è fenomeno che, per sé stesso, dal lato culturale (prescindendo cioè
dalla questione industriale) possa costituire sintomo di cattiva annata
bieticola o viceversa.
IV — Le bietole prefiorite comprendono due ordini nettamente
distinti di individui: gli uni rappresentanti una brusca regressione del
tipo, riproducenti cioè tutte le caratteristiche della bietola selvaggia
(radice sottile, legnosa, a scapo vigoroso, sguarnito ala base di fo-
. gliame); gli altri accostantisi alla forma biennale, sia per sviluppo
e caratteri della radice, sia per l'abbondante corona di foglie alla base
dello scapo fiorifero quasi sempre multiplo. Ora la composizione, sepa-
ratamente considerata, delle due forme tipiche, chiaramente dimustra
che se le barbabietole del secondo gruppo non differiscono sostanzial-
mente, per ricchezza ed altri caratteri, dalle radici normali non pre-
fiorite, le barbabietole piccole prefiorite si accostano, per tenore in
zucchero e qualità industriali, al tipo della bietola primitiva. Quest'ul-
tima è poi apparsa, anche nelle analisi odierne, estremamente carica
di non zuccheri (6.68 di non zuccheri — 3.77 di raffinosio — contro
6.10 di zucchero p. d.).
Delineata così una nuova faccia del poliedro, si scorge quale al-
tro campo si apra ad indagini destinate ad accrescere la notevole mole
di osservazioni e ricerche, che sul fenomeno delia pretioritura furono
compiute nei più noti centri bieticoli della Media Europa.
RECENSIONI
A. Manaresi e M. Tonegutti — Sulla determinazione deil’ amido nei
rami degli alberi (Staz. sperim. agr. ital. XLIII, 705) 1910.
Tra i metodi indiretti di determinazione dell’ amido e che consi-
stono nel dosare il glucosio ottenuto dalla saccarificazione dell’ amido
| stesso, gli AA. scelgono il metodo dell'Allilon, i cui vantaggi contrap-
pongono agli svantaggi del metodo Reinke.
Il procedimento consiste nel far agire a caldo una certa quantità
di sostanza vegetale seccata e polverizzata, con acido cloridrico di
densità=1,17, nel trattare con acetato basico di piombo il liquido fil-
trato, a fine di far precipitare alcune sostanze riduttriei che potreb-
| bero avere influenza nella reazione successiva ; e infine nel dosare per
via volumetrica o ponderale il glucosio, usando il reattivo cupro-al-
ealino.
Gli AA. dimostrano eon i risultati di varie analisi la superiorità
del metodo con la boecetta Reischaner-Lintner a quello con l'autoelave
a parità di tempo necessario per l'esecuzione di un'analisi.
, E bene notare però che l'applicazione del metodo Allihn alle de-
terminazioni quantitative del'amido nei vegetali, era stata già resa
nota dal Prof. G. Pollaeei in una sua memoria del marzo 1906 (So-
pra i metodi dí ricerca quantitativa dell' amido contenuto mei tessuti
vegetali. Attti Ist. Bot. Pavia, vol XI) ehe gli AA. pare non cono-
scano. In essa il metodo è anzi reso più completo per tal venere di
ricerche, poichè l'A. eselude con l'uso della pepsina l'errore dovuto alle
| sostanze proteiche inerostanti i granuli d'amido, che ostacolerebbero
la totale solubilità di esso; e con i ripetuti lavaggi in acqua della
polvere secca e ulteriore trattamento del liquido con reattivo cupro-
alcalino, l'errore dovuto alla presenza di zuccheri nella sostanza ve-
getale.
Dorr. Eva MAMELI
È
viis
E
į
Ze
2
2
b
. RECENSIONI "e ::
A. Monaresi e M. Tonegutti — Alcune ricerche sulla composizione.
rispettiva del legno e della corteccia di un ramo di Pero
(Staz. sperim. agr. ital. XLIII, 714) 1910.
» Sulla composizione chimica dei rami PURE di al-
cuni alberi fruttiferi (c. s. pag. 758).
» Breve studio morfologico e chimie sulle foglie dei rami
specializzati di aleuui alberi da frutto (e. s. pag. 787).
La prima memoria rende noti i risultati ottenuti dalle analisi di
un ramo di Pero di un anno proveniente da un innesto su Biancospi-
no, allo scopo di conoscere la diversa distribuzione delle sostanze di
riserva nel legno e nella corteccia.
Dai risultati analitici si rileva:
1. Che nel legno si trova in prevalenza sugli altri comprati
la fibra greggia, a cui è dovuta "pesa la funzione meccanica di so-
stegno.
2. Che nella coreevia invece la fibra greggia raggiunge un va-
lore uguale alla metà di quello a cui giunge nel legno, mentre hanno
valore massimo l'amido, le sostanze estrattive. Gli AA. tragzono da
da ciò la conseguenza «che la corteccia disimpegni specialmente l’uf-
ficio di magazzino di riserva delle sostanze nutritive ».
3. Che i pentosani contenuti nel legno debbono essere di com-
en alquanto diversa da quelli eoutenuti nella corteccia, perchè
quelli sono meno facilmente idrolizzabili di questi. In tal caso anche
i pentosani avrebbero la funzione dei materiali nutritivi di riserva;
4. Che nella corteccia la quantità di ceneri è molto maggiore
che nel legno: circa 3 volte e mezzo, e che in essa prevalgono il sili-
cio e il calcio. mentre il fosforo, il ferro e l'alluminio prevalgono nel
legno.
sa
Nella seconda memoria gli AA. determinano quali siano le diffe-
renze dl composizione chimica tra i rami «a legno » e i rami «a
frutto» di alcune specie: pero, melo, pesco, susino. Essi trovano:
4. Che la fibra greggia, alla quale è affidato in particolar modo
l’ufficio di sostegno, si trova in quantità maggiore nei rami 998 -
E E SE Thr Na
RICERCHE CULTURALI SULLE VARIAZIONI DELLE PIANTE ©
DEL
Dorr. AUGUSTO BÉGUINOT
Docente di Botanica presso la R. Università di Padova.
‘PREFAZIONE
Il metodo generalmente più in uso per lo studio sistematico di una
pianta e quello quasi esclusivamente adottato dai morfologi (ed inten-
to riferirmi specialmente alle piante vascolari) consiste nel raccoglierla
disseccarla, confrontarla con le diagnosi e figure e, nelle ricerche so-
pratutto ad intento critico e monografico, con il materiale conservato
negli Erbari.
Innegabili sono i vantaggi di una ricca ed istruttiva collezione di
(1) Il titolo che prepongo al mio lavoro non è scelto a caso, ma ricorda
l analogo che Ermanno Hoffmann (1819--1891) ha imposto alle numerose ed ins
teressanti memorie—parche di parole, ma dense dì contenuto —che venne pubbli-
cando dal 1875 al 1892 nella « Botanische Zeitung », dapprima sotto il titolo di
* Culturversuche » ed in seguito sotto quello di « Culturversuche über Varia-
tion ». Riassunti a carattere sintetico delle sue esperienze e di quanto si era
pubblicato in argomento di variazione fino al 1869 sono il fondamentale, quanto
poco noto lavoro, dal titolo: Untersuchungen zur Bestimmung des Werthes von
Species und Varietdt, pubblicato a Giessen (nella cui Università egli insegnò dal
1848 alla sua morte, che avvenne nel 1891) nel 1869 ed esclusivamente delle
proprie eseguite dal 1855 al 1871 nella « Botanische Zeitung» del 1872, dal 1855
al 1876 nel « XVI Bericht. d. Oberhess. Gesellsch. f. Natur u. Heilkund im
Giessen » edito nel 1877 e dal 1855 al 1880 di nuovo nella « Bot. Zeit.» del
1881.
Nell’ ultimo ventennio la sistematica e la biologia sperimentale hanno rapi-
1%
Ge Lum SUR PRET EOS LIUTAIO E A PAT UN Ke?
DUM k 2 me * J 5 *
226 DOTT. AUGUSTO BÉGUINOT
confronto. Se gli individui di ciascuna provenienza non sono nume-
rosi, sono invece numerose le provenienze in cui una stessa forma fu
raccolta, le forme o varietà di ogni singola specie, le specie affini di
un dato ciclo o stirpe, i generi costituenti una data famiglia e via
dicendo. Le varie collezioni naturalmente si completano ed il botanico
e specialmente il monografo, utilizzando parecchie di esse, colma le
lacune che avrebbe inevitabilmente trovate in una od in poche. Rie:
sce così, in tempo. relativamente breve ed avvalendosi dei dati bi-
bliografici che si sono venuti accumulando sull’ argomento, a formarsi
idee sufficientemente esatte sulla struttura del gruppo preso a studiare,
sulle affinità e posizione nel sistema delle entità che lo compongono,
| sulla distribuzione geografica e topografica e simiglianti.
Va aggiunto che qualunque collezione di piante non è. costituita
solo di esemplari disseccati e di etichette designanti il paese dove
furono raccolte, ma conserva, a guisa di un archivio, le determinazioni
e quindi le interpretazioni di chi l’ha successivamente studiata, spesso
consacrate, come nelle Essieeate numerate, in schede a stampa. Dirò,
anzi, che l'interesse di parecchie Erbari è accresciuto dallo studio di
cui furono oggetto da parte di floristi e di monograti, appunto perchè
contengono gli autotipi su cui furono descritte specie nuove 0 redatte
flore e monografie.
Inconvenienti e lacune inficiano un tal metodo di studio.
damente progredito ed in possesso di mezzi di ricerca più perfetti di quelli di
oui l’ Hoffmann ed altri disposero, hanno troppo trascurato il fecondo lavorio
sperimentale di parecchi contemporanei del Darwiu. Tra i più sacrificati ap-
parisce D Hoffmann, dimenticato dai sistematici, cui le sue ricerche erano più
specialmente rivolte e dai biologi per mal vezzo di esagerata novità. Ho vo-
luto qui ravvivarne la memoria, non per semplice ricordo storico, ma poichè
egli si era proposto un forte numero di questioni che hanno stretta attinenza
con alcune di quelle che saranno da me trattate. Anche quando non abbiano
condotto a conclusioni definitive, sono pur sempre i risultati di oltre un tren.
tennio di pazienti e laboriose esperienze, che stranamente contrastano con la
fretta di cui alcuni sperimentatori moderni si mostrano animati. Cfr. inoltre per
altri dati biografici e bibliografici l’ accurata biografia redatta da E. Jhne e da
J. Schroeter nei « Ber. d. deutsch. bot. Gesell. X (1892), p. 11-27 »
à / 4 27 AREE
SÉ E
CR
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D
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M
CL
RIOBRCHE CULTURALI SULLE VARIAZIONI DELLE PIANTE 227
Il numero degli individui che in una collezione, anche ricca, rap-
presenta un’ entità di una data stazione o distretto è in generale
troppo piccolo, perchè si abbia il quadro completo del suo polimorfi-
smo. Nel caso di specie a vasta area distributiva, la collezione possiede
un grande numero di forme ovvie. in scarsa quantità le più rare (donde
le non poche incertezze), scarsissime o mancanti quelle accidentali e
che pure hanno non piccola importanza per l’esatta comprensione e
delimitazione del cielo. Classiche località, egregiamente esplorate, hanno
fornito di una entità materiale ad un grande numero di Erbari, tutto
proveniente da una stessa stazione, raccolto in una stessa stagione e da
così numerosi raccoglitori da dare l'impressione trattarsi, ad esempio, di
un solenne endemismo di primo ordine, laddove accurate ricerche nelle
regioni cireonvicine svelerebbero intermediari in gran numero con
affini entità.
Si aggiunga a ciò che parecchi caratteri e sopratutto gli organo-
lettiei sono, come è ben risaputo, difficilmente afferrabili su materiale
di Erbario, anche se accuratamente preparato. Il rilievo delle variazioni
numeriche e quelle di forma o superficie di aleuni organi condurrebbe
bene spesso a danneggiare il materiale essiccato e sono espresse, anche
in diagnosi minute e dettagliate, con numeri e misure soltanto appros- -
simative o con sempliei «pià o meno». La maniera imperfetta ed in-
completa con cui sono formulate molte etichette impedisee di afferrare
le condizioni topografiche ed ecologiche in cui una data specie fu rac-
colta e quindi i fattori sotto la cui influenza si è generata. Molti fatti
biogenetici del più alto interesse (cito, ad esempio quelli relativi al
giovanilismo e cioè alla perpetuazione di caratteristiche giovanili in
piante sessualmente mature) (1) non sono di solito documentati dai saggi
di erbario, poichè essi sono privi appunto di organi giovanili (embrio-
filli, foglie primordiali eec.) E grandemente sacrificati sono pure dalla
maggior parte dei raccoglitori, non preoccupati da intenti biologici,
gli organi sotterranei, sedi di importanti funzioni nella vita vegetativa
(1) Cfr. J lavoro riassuntivo sull’argomento di L. Diels: Jugendformen d
fe in Pflanzenreich. Berlin, 1906.
Abu cum A pr de ue LX AL Mc ME EE DL EE E
LE E RE WA n OR: A è, e, TR EE Say ry LINZ ELSE MP Ae EN E LAS
à JU DOS a Peer URN EE s cas. s N AN x à g
SE "m. KS a VIE PER
228 DOTT. AUGUSTO BÉGUINOT
delle piante (1) e notoriamente mal definiti nelle diagnosi anche più
accurate.
A questi ed altri inconvenienti molti botanici hanno cercato rime-
dio, completando i dati ricavati dagli erbari con quelli desunti dalla
libera natura. L’ esame di una specie nelle sue condizioni normali
mette l’ osservatore in contatto di un immenso numero di individui ed
in grado di poterne afferrare le più inconspicue fluttuazioni nel mezzo
nel quale si generano. Naturalmente anche le diagnosi risultarono, in
questi casi, più complete e differenziali, ma è da tenere presente che
Varma massima del sistematico, il confronto fra specie affini, è non di
rado frustrato in natura dal vicarismo cui sono in preda molti gruppi
e quindi dall’isolamento dei singoli costituenti. Il cielo completo dalla
germinazione alla fioritura e fruttificazione richiederebbe molti accessi
nella stessa località, ciò che non è sempre possibile. Nel caso di spe-
cie e varietà sociali o cenobitiche le condizioni del mezzo sono lungi
da illuminarci sulla loro genesi e, nel caso di vicarie, si è, a mio modo
di vedere, troppo esagerato considerando quale specie a sè qualunque
entità che si trovi a vivere isolata in un dato territorio, di cui è spesso
esplorato un minuscolo settore (2).
(1) Vedansi, tra i molti, i fondamentali lavori di E. Warming: Dansk Plan-
tewaekst. I. Strandvegetation (1906); IJ Klitterne (1907 e 1909), di Chr. Raunkiaer:
De Danske Blomsterplanters Naturhistorie. Fürste Bind: Enkimbladede, Kjoben
havn. 1895—1899; Types biologiques pour la géographie botan.que in « Bull. d.
Acad, R. d. Scienc. et d. lettres de Danemark, 1905, n. 5 » e Planterigets Livs-
formen og deres betydning for geografien. Kjobenhavn og Kristiania, 1907 e di
J. Massart, Essai de géographie botaniques des districts littoraux et alluviaux de
la Belgique in « Rec. d. l’ Inst. Bot. Led Errera, tom. VII (1908) ».
(2) Ammesso anche il completo isolamento, non sempre se ne può dedurre che
un'entità siffatta sia specie a sé, qui avvertendo chela bontà di una specie (ed a
questo pochi pensano) potrebbe essere desunta e suftragata dal caso opposto e
cioè dalla sua persistenza nella stessa area e stazioni con specie affini (es. Poa
pratensis e P. trivialis). Cfr. sulla questione: Naegeli, Ueber die Bedingungen des
Vorkommes von Arten und Varietäten innerhalb ihrer Verbreitungbezirkes in
« Sitz. „ber. d. Akad d. wiss. z. München, 1865 »; Das Gesellschaftliche Entstehen
neuer Spezies « ibid., 1872 ».
Per quanto possa sembrare apprezzamento prematuro e compromettente
ae eae CR, e te ul | le NE
RICERCHE CULTURALI SULLE VARIAZIONI DELLE PIANTE 229
Un metodo di gran lunga più perfetto per ovviare ai lamentati in
convenienti o svantaggi risiede nella coltura del materiale oggetto d
studio e cioè nell'assunzione in natura di frutti, semi ed organi della
moltiplicazione e della loro coltivazione in appositi reparti sperimen-
tali. Tale eoltura, a seconda dell'indirizzo e degli obbiettivi della ri-
cerca, può essere fatta, o nelle condizioni corrispondentia quelle che si
verificano nel mezzo ordinario od in condizioni artifieialmente ed in-
tenzionalmente provocate e nelle quali la pianta possa vivere e resi-
stere per un cerlo tempo (1).
tengo qui a dichiarare che la costanza di una entità quale puó essere constatata
in natura o verificata in coltura, non é criterio valido e sufficiente per conside-
rarla, in tutti i casi, quale specie a sà, le ricerche con indirizzo sperimentale
avendo limpidamente dimostrato che possono essere ereditarie anche molte va-
rietà progressive o regressive (nel senso del De Vries) molte razze ed anche
deviazioni teratologiche, le quali differis:ono dalle vere specie perché in quelle
è ereditario un solo carattere, laddove in queste è trasmessa nei discendenti
una combinazione di 1+n caratteri. In caso contrario le ricerche sperimentali-
culturali condurrebbero ad un nuovo e fatale Jordanismo contro il quale si sono
levate !
(1) A quest' ultima condizione rispondono, naturalmente, i lavori ad indi-
rizzo spiecatamente fisiologico: ma, dacché anche nelle ricerche biologiche e bio-
genetiche fu utilmente applicata la tecnica sperimentale, molti biologi se ne avval-
Sero e numerosi sono i lavori con tale indirizzo. Dei quali copiose bibliografie,
specialmente per quanto concerne la biologia fiorale, redassero in ie P ad
esse rimando) Buscalioni e Pollacci (Le Antocianine ed il loro significato
nelle piante in «Atti Ist. bot. dell’ Univ. di Pavia, n. ser. vol. VIII ua p. 9-
98, estr.» ); Buscalioni e Traverso. (L' evoluzione morfologica del fiore in rapporto
colla evoluzione cromatica del perianzio. « ibid., vol. IX [1904], p. 84-92, estr. » )
e più recentemente il Montemartini (Sulla nutrizione e riproduzione nelle piante
* ibid., vol. XIV [1910], p. 2842 e vol. XV [1910], p. 34-85, estr. )
Dei lavori a me noti della seconda categoria eccellono per importanza quelli
che il Klebs venne pubblicando nell’ ultimo ventennio, prendendo il materiale
primo dai gruppi sistematici più disparati. Le geniali ed accurate ricerche del
valoroso botanico di Heidelberg eseguite, ad esempio, sui Sedum e Sempervivum
hanno condotto, non solo a risultati teorici di un inestimabile valore, ma sono
la più efficace dimostrazione dell’ importanza che riveste il metodo culturale
nell’ allargare il quadro del polimorfismo, quale si presenta in natura e di sin-
dacarne, mercè l’analisi biometrica, le manifestazioni in condizioni ben definite del
AE OR T SEEN LR RD ANE S Ns EEN e NUR: ez SC EE LIST, GN EE dd as à 1e
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230 DOTT. AUGUSTO BÉGUINOT
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Il metodo culturale è tutt'altro che una novità nel campo della
botanica. Esso fu escogitato dai botanici delle più diverse scuole, dai
sistematici che coltivarono piante a solo scopo di controllare la costan- 3
za e validità delle specie da essi descritte (1), ai biologi che, merce A
‘4
mezzo. Cfr. specialmente: Willkürliche Entwickelungsünderungen bei Pflanzen. È
Jena, 1903; Ueber Biütenvariationen in « Jabrb. f. wiss. Bot., Bd. 42 (1905); Ueber |
künstliche Metamorphosen in « Abhandi. d. naturf. Geselisch. z. Haile. Bd. Y
(1906) »; Ueber die Nachkommen künstlich veränderter Buen von Sempervivum E
in «Sitz.- ber. d. Heidelberger Akad. d. Wiss. 1909 > e l'accurata analisi dell’ o-
pera complessiva dell’ A. fatta dal Seliber nella « Rev. gen. de Botanique» nei
vol. XVIII (1906), XXI (1909, e XXII (1910).
(1) Sono frequenti nei nostri sistematici (qui ricordo Tenore, Gussone,
$
Lee E d cafe
| Bervoloni, Pariatore ecc.) gli accenni a colture eseguite negli orti botanici per *
meglio convalidare la bontà delle specie da essi stabilite. Ciò che non impedì loro a
di creare parecchi tipi tutt’ altro che costanti e che invece avrebbero fornito, ar-
gomento di ben maggiore importanza, ottimo materiale per studiare le cause ed
i fattori della loro varlabilıra. Che gli Orti Botanici, coltivando di preferenza
piante del paese in cui giacciono, siano in grado di rendere segnalati servigi
alla scienza piuttosto che con la coltura di s ggetti esotici e con l’ indefinito in-
eremento degli Erbari fu testé asserito dal Marchesetu (Di un’ amportante mis-
sione scientifica degli Orta Botanici in « Att: Congr. Nat. Ital. Milano 1906+. Mi-
lano, i907 ) e messo in pratica nel ricco Orto Botanico che egli dirige a
Trieste. Tale eccellente proposta, tendente sec. l’ A. a fare meglio conuscere ed
apprezzare la flora locale ed il valore sistematico delle specie più interessanti e 3
critiche andrebbe, secondo il mio modo di vedere, allargata, nel senso che le
specie nostrane, comprese le più ubiquitarie, hanno non minore interesse ad es-
sere studiate sperimentalmente di queile esotiche. Gli Orti Botanici, dando la
preferenza a quelle su queste, non dovrebbero però limitarsi alla cultura diretta |
a semplice scopo di curiosità sistematica, quanto determinare le condizioni più
opportune perchè le ricerche tutte e specialmente quelle ad indirizzo biologico :
e biogenetico possano farsi con vedute moderne e con le esigenze della tecnica :
|
sperimentale.
Avevo scritto quanto sopra, allorchè venni a conoscenza di un articolo del
dott. Ragionieri (in Buil. R. Soc. Tose. di Orticoltura, 1910, n. 9» ), nel quale ;
l A., a proposito dell’ ibridazione dei Mughetti e della necessità di emanciparci :
dall'estero per quanto concerne prodotti agrari ed orticoli, trova modo di pro- à
pugnare l'istituzione in Icalia di uno stabilimento serio di esperimenti e di pro-
duzioni agricole ed orticole che serva di perfezionamento alle nuove genera-
RICERCHE CULTURALI SULLE VARIAZIONI DELLE PIANTE 291
di esso affrontarono ed affrontano i problemi più delicati sulla loro
origine e variazione, ai pratici a scopo di trovare le condizioni più
opportune per l’acelimatasione di un dato soggetto, per creare nuove
razze, incroci e via di endo.
L'indirizzo strettamente scientifico è però di data relativamente re-
cente o, per essere più esatto, solo negli ultimi tempi, mercè l'impiego
di una tecnica più razionale e rigorosa, se ne è apprezzata la sua im-
portanza e la superiorità sugli altri metodi. Valgano le seguenti con-
siderazioni.
La natura nel suo inesauribile campo di azione, l’ambiente, è an-
che inesauribile artefice di invenzioni e di esperienze e chiunque si
sia cimentato a studiare un solo gruppo polimorfo con intenti e vedu-
te moderne sa quale ingente numero di combinazioni possono dare
pochi caratteri in fluttuazione. Sta, però, il fatto che un dato cielo
di forme incontra nel mezzo ordinario un numero definito di condi-
zioni, di cui ciascuna forma è una diretta emanazione od una reazione
anche molto indiretta. La coltura, oltre che riprodurle, può anche
zioni di agricoltori e di amanti di giardinaggio. Questo articolo ne ispirò uno
al prof. Baccarini (l. s. c.) nel quale, dopo avere esaurientemente dimostrato che
gli Orti Botaniei da una parte, le scuole pratiche di Agricultura e le Società
orticole dell' altra non sono adatti alla speciale bisogna, conclude per la fonda-
zione di un Istituto ex novo
Per quanto io creda che la scienza non sia monopolio di un individuo o di
una istituzione, ma che al suo incremento possano concorrere elementi delle più
diverse scaturigini (e fuori d’ Italia ai progressi della botanica agraria ed or-
ticola concorrono cultori di scienza pura ed ottimo materiale trovano anche
nei soggetti coltivati), sono anch'io d'opinione che, dati gli scopi sopratutto pra-
tici, il compito principale dovrebbe essere affidato ad un Istituto a sè, con per-
sonale e mezzi adatti. Quanto poi alla costatazione fatta dal prof. Baccarini che
gli Orti botanici, data la loro origine e i mezzi di eui hanno sin qui disposto,
; abbiano ben poco fatto nella direttiva sperimentale-culturale, non vuol dire che
tale stato di cose debba proseguire fino alla consumazione dei secoli. E come dissi
sopra, a me pare che le piante spontanee ed i numerosi ed interessanti problemi
che esse nascondono (si vedano in questo stesso giornale le belle ricerche del
Buscalioni e Muscatello sui Senecio dell’ Etna) dovrebbero essere preferite nella
scelta, anche quando non ne dovesse seguire alcun pratico risultato.
232 DOTT. AUGUSTO BÉGUINOT
determinarne altre che normalmente non si verificano riuscen do, quin
di, come dice il Klebs, a fare realizzare tutte le possibilità dello svi-
luppo e di conseguenza anche le forme potenziali o latenti. Questo
metodo mette, dunque, lo studioso in possesso di un numero molto su-
periore di combinazioni e di ricco materiale dalle più rare ed ecce-
zionali, ehe in natura si incontrano solo occasionalmente.
Qualunque schema di classificazione è basato ed anzi non può
essere concepito che sulla subordinazione dei caratteri, i più costanti
costituendo, come è ben noto, le pietre angolari su cui poggia l’edificio
sistematico. Naegeli (1) chiamò i caratteri fiorali, cui di solito è fatto
assegnamento, appunto per la loro costanza «caratteri di organizzazione»
e ad essi contrappose i «caratteri di adattamento», dipendenti dal mez-
Zo e perciò soggetti a variare. Da un punto di vista più generale Ve-
que (2) designò col nome di «tiletici» i caratteri avvinti dalla Tor:
za ereditaria ed « efarmonici > quelli la cai struttura ed organizzazione
dipendono unicamente dall’ambiente e variano con le mutevole contin-
genze di questo. Subordinare questi a quelli fu l’obbietto supremo della
sistematica pratica e di quella filogenetica.
Non vi ha dubbio che, in un'entità qualsiasi, per quanto ampi
siano i limiti della sua oscillazione, alcuni caratteri appariranno meno
variabili di altri ed alcuni daranno a noi l'impressione che siano del
tutto costanti o con deviazioni minime. Che un carattere, per costante
che esso sia nell’attualità, abbia attraversato uno stadio di fluttuazione,
è una possibilità teorica ed una deduzione che scaturisce logicamente
dalla minuta analisi cui furono sottoposti alcuni gruppi di piante.
Così, per citare un solo esempio, il Vuillemin (3), in seguito ai
suoi studi sul phylum delle Anthyllis, è giunto alla conclusione che
(1) Naegeli, Mechanis-h-physiologische Abstammungslehre. 1884. p. 138.
(2) Vesque, L'espéce végétale considerée au point de vue de l' anatomie com-
darée in « Ann. d. Sc. Natur., Botanique, ser. 6.a, vol. XIII » Paris, 1882.
' (8) Vuillemin, L: subordination des caractères de la feuille dans te phylum
des Anthyliis. Nancy, 1892, p. 466.
Cfr. inoltre quanto scrissi sull’ argomento nella mia Revisione monografica
del gen. Romulea in « Malpighia, vol. XXIII (1909), p. 196-208 »
PI MP T ae
RICERCHE CULTURALI SULLE VARIAZIONI DELLE PIANTE 28
nessun carattere ha nel gruppo dignità assoluta e cioè nessun carattere
è egualmente dominante in esso, passando per i tre stadi principali
di progressione (cenogenesi del carattere), fissità relativa (palingenesi)
e declino (iperpalingenesi).
Ma che tale possibilità teorica e siffatte deduzioni a posteriori di-
ventino realtà tangibile ai nostri sensi, solo le ricerche sperimentali e
quindi il metodo culturale possono attuare, prendendo di mira anche
i così detti caratteri costanti ed ereditari e dimostrando all’ evidenza,
da una parte che nessun carattere è veramente irriducibile e dall’altra
che, se tale ci appare, è perchè le combinazioni che si riscontrano in
natura, per quanto numerose, sono solo una parte di quelle che l’espe-
rimento può indurre e realizzare.
Naturalmente la sistematica pratica, come scrive il Klebs, non
ha diretto interesse a prendere in considerazione forme, per così dire,
potenziali: ma ognun vede quanta importanza rivestano per la siste-
matica teorica e quanta luce una siffatta investigazione può proiettare
nel tenebroso campo della sistematica filogenetica (1)
(1) Sarà bene di non essere qui frainteso. La sistematica pratica si industria
di descrivere le specie così come si presentano in natura e quelle già note a
farne viemmeglio risaltare i caratteri difterenziali su cui è possibile fare mag-
giore assegnamento ed attraverso i quali, con procedimenti analitici sempre più
perfetti, vengono riconosciute e classificate. La sistematica feorzca, traendo par-
tito da tutto ciò che esiste in natura, provoca sperimentalmente i varì fattori
che trovansi di sulito consociati, onde studiarne l'azione singola ed è appunto
in tale operazione che, intenzionalmente o casualmente, vengono a determinarsi
condizioni nuove, che conducono a sviluppare quanto vi è dì potenziale nella
pianta. La sistematica filogenetica, avvalendosi di tutti gli elementi e dati emersi
dalle più diverse scaturigini, giunge alla scoperta delle vere affinità naturali,
che sintetizza nei così detti schemi od alberi genealogici. L’ ostracismo accor-
dato da parecchi biologi alla prima ed il sospetto e la aiffidenza in cui sono te-
nute da alcuni sistematici le altre due sono, a mio modo di vedere, completa-
mente ingiustificati. Queste tre branche r ppresentano cronologicamente rami
sempre più elevati e perfetti del vecchio tronco della fitografia, tuttavia sono
ben lungi dali’avere esaurito il loro compito e lo dimostrano, quanto alla prima,
la continua scoperta di nuovi ed interessanti tipi e la compilazione di eccellenti
monografie con intento prevalentemente morfologico. È da augurarsi anzi che esse
senza ingiustificate predilezioni, seguitino ad avere un egual numero di stu.
osi.
234 DOTT. AUGUSTO BÉGUINOT
Questa triplice distinzione della sistematiea mi suggerisce altre
considerazioni, che faranno più chiaramente risaltare gli obbiettivi ed
i metodi di ricerca della seconda branca.
Non v'é diagnosi sistematica un po’ dettagliata, nella quia a mezzo
di cifre, di rapporti di superficie o confronti di organi, non vengano
ritratti i limiti di variazione di un dato carattere. Il sistematico, di-
stinguendo nell’ambito di una specie, varietà, sottospecie o forme, ha
approfondito l'analisi differenzia e di tali rapporti. Quanto in tutto
ciò domini l’approssimazione è facile a chiunque constatare, anche
per lo scarso materiale di cui di solito lo studioso dispone.
Le indagini della sistematic: teorica hanno trovato grande ausilio
nell'adozione del calcolo matematico alla variabilità di un dato or
ganismo od organo e si è anzi costituita una branca speciale, la bio-
metria o somatometria, che ha assunto negli ultimi tempi un grande
sviluppo, fino al punto da essere applieata alla variazione degli ele-
menti anatomici di un dato tessuto. |
Per molte di tali ricerche il materiale fu fornito da piante ere-
scenti nel mezzo ordinario od anche sottoposte a coltura, ma nelle con-
dizioni corrispondenti alle naturali. La frequenza delle varianti, il va-
lore medio e l’indice della variabilità hanno indubbio valore, non
escluso quello sistematico, in quanto entità affini e morfologicamente
di ardua delimitazione hanno dispiegato spiccate differenze e compor-
tamenti propri.
Approfondendo, però, l’analisi su materiale sottoposto in speciali
e ben definite condizioni e quindi sotto D influenza di determinati fat-
tori o stimoli esterni (sali nutritivi, luce, temperatura ecc.) è emerso
che la stessa specie, anche se proveniente da semi di uno stesso indi-
viduo o da parti di un individuo stesso, può dare curve di variazione
molto diverse. Da ciò la conclusione che una curva non ha valore se
non in quanto risponde ad una definita condizione esterna, in cui la
| pianta viene posta. Ciò non deve essere inteso nel senso di screditare
le ricerche biometriche nella libera natura, ma nel senso che il me-
todo culturale realizza le contingenze più opportune perchè i risultati
di tali ricerche acquistino vero valore scientifico.
Che una specie varia è fatto incontrovertibile ed ammesso anche
RICERCHE CULTURALI SULLE VARIAZIONI DELLE PIANTE 235
da chi tuttora aggiusta fede al dogma della fissità delle specie. D'al-
tra parte le ricerche sperimentali su disparati gruppi, avendo messo
in sodo che non v'é carattere che alla perfine non possa essere ridotto,
dovrebbe seguirne che la variazione, ed intendo riferirmi specialmente
a quella che investe gli organi fiorali, non avrebbe limite e misura.
Il fatto dimostra che una qualunque variazione è contenuta entro de-
terminati confini, al di là dei quali passa nell'ambito della teratolo-
gia senza significato filogenetico. Così, per citare qualche esempio, la
simmetria fiorale della Stellaria media (che è poi quella della Famiglia
cui appartiene) è a base di 5 e cioè è simmetria pentamera. L'andro-
ceo e cioè gli stami, in stato di fluttuazione, presentano 10 varianti
(1-10), perchè gli stami sono ordinati, come è noto, in due cieli, cia-
scuno di 5 membri e cioè uno interno oppositisepalo e l’altro esterno
oppositipetalo (obdiplostemonia). Varianti al di sopra del 10 si può
dire che manchino e quando esistono, aberrando dalla simmetria sopra
enunciata, non hauno alcun significato filogenetico. Non ebbi. sin qui
occasione di osservare variazioni nel numero dei carpelli e degli stili,
che sono tre per evidente eliminazione di due membri e quindi nella
direzione 5 + 3. Sta il fatto che in altre specie ‘es. Steliaria aquatica)
a 5 carpelli e 5 stili ha luogo, come ho potuto io stesso constatare,
una variazione precisamente in tale direzione. La quale si spinge fino
alla variante due (es. nella mia Stellaria madagascariensis), mentre
maneano o sono rarissimi valori al disopra del einque. Analoghe osser-
vazioni, quando la biometria era ancora ben lungi dall'affermarsi, furo-
no fatte dai Gay (1) nell’affine gen. Holosteum e nell'ultimo decennio
dal Klebs su Sedum spectabile, una Crassulacea a simmetria pentamera,
come le Stellaria da me studiate. Le cose, invece, procedono diversa-
mente in parecchi Sempervivum, pure investigati dal Klebs, nei quali
la simmetria quinaria, pià o meno alterata, e la tendenza alla polian-
dria ed alla poliginia, conducono ad una oscillazione immensamente
più ampia e che comprende, per quanto concerne gli stami, varianti
(1) Gay, Holostei, EEN A'sinearum monographia in « ‘Ann. Se.
Nat., 1845, p. 23-44 >
236 DOTT. AUGUSTO BÉGUINOT
da 1 a 38. La variazione, in altre parole, si arresta, data la resisten-
za opposta dal piano filogenetico, cioè dall'arehitettoniea fiorale rag-
giunta in alcuni Sedum ed in tutte le Stellaria ed Holosteum, alla
variante 5 per quanto concerne sepali, petali e carpidi, alla variante
5 + 5 per gli stami. Fluttua, invece, attorno ad estremi più distan-
ziati in Sempercivum, in cui la simmetria pentamera forse non fu mai
raggiunta ed il genere si troverebbe, secondo la nota teoria del Ce-
lakovsky, in uno stadio d’ inferiorità genetica rispetto ai nominati.
La esatta conoscenza dell'andamento di queste e simili leggi or-
ganogenetiche rivelate, col sussidio dell’ analisi matematica, dalla si-
stematica teorica, ognun vede quanta importanza abbiano per dare
alla filogenesi solida base ne'la reale natura dei fatti.
Ma v'ha di più. È ben noto che individui morfologicamente si-
mili di una stessa specie si adattano o reagiscono, in identiche con-
dizioni di ambiente, in maniera anche molto diversa. Ma che ciò di-
penda da momenti evolutivi diversi, dall’ influenza di polline estraneo
o da ripetute autofecondazioni, dal prevalere della riproduzione aga-
mica sulla sessuale, solo il metodo culturale è in grado di determinare.
Le osservazioni dirette in natura, sempre di innegabile interesse, non
tolgono tutti i dubbi sulla purità del materiale e quindi sulla legit-
timità della discendenza. Nel caso di specie o forme cenobitiche (per
usare un'espressione del Naegeli) l’ influenza che sul soggetto preso in
esame può avere esercitato od esercitate il vicinismo (nel senso di
De Vries) può essere neutralizzata solo con P isolamento e quindi
mercè prolungate colture. E che tale operazione appaia indispensabile
o quanto meno opportuna lo provano, per citare un solo ed oramai
classico esempio, le varie interpretazioni date alle mutante scoperte dal
De Vries nella Oenothera Lamarckiana. Non v'ha dubbio che tali mu-
tanti esistano e che alcune siano dotate di una certa fissità, in modo
da potersi considerare quali specie elementari: dubbi fondati insorgono
sull’interpretazione data dal e lebre botanico olandese, potendosi pen-
sare, come fu asserito dal Mattei (1), e più recisamente dal Leclere
(1) Mattei, Pensieri in argomento di mutazioni in « Riv. di Fis. Mat. e Sc.
Natur. ann. IX (1908), n. 98 ».
RICERCHE CULTURALI SULLE VARIAZIONI DELLK PIANT?» 237
u Sablon (1) ed altri, che esse siano dovute ad una remota origine
ibrida del soggetto.
Ai fattori esterni, biologi e fisiologi hanno concesso più impor-
tanza di quanto sembrano avere e ciò a detrimento di quegli interni
che, più difficili a sindacarsi, si sottraggono ad una osservazione su-
perficiale ed affrettata. Elenchi floristici, discussioni sistematiche, la-
vori monografici su questo o quel gruppo sono ingombri di una quan-
tita di termini (spec'e o varietà xerofile, igrofile, nemorali, tropofile,
elicomorfe ecc.) di evidente origine fisiologica, i quali vengono bene
spesso applicati per semplice estensione di fatti scoperti in determi-
nate specie o per male intravvedute analogie. Pochi pensano, invece,
per limitarmi ad una sola serie di manifestazioni, che la complicazione
maggiore o minore dell’apparato fogliare (eteroblastia) o l’omogenea
sua successione (omoblastia) -— solitamente riferiti a xerofilia ed i-
grofilia e quindi a fattori esterni — possano in parte dipendere dal
fatto che una data forma caratterizza la pianta proveniente diret-
tamente dal seme, un’altra la stessa pianta che, perennando, di-
venta adulta (stadi di sviluppo che in alcuni easi spiegano la eoe-
sistenza nella stessa stazione e quindi nelle stesse condizioni del mez-
zo di specie affini o di varietà diverse di una stessa specie), oppure
origini diverse dello stesso organo fogliare (da un fusto aereo, da un
rizoma, da una radice ecc., ciò che spiega curiosi fatti di polimorfi-
smo presentati da uno stesso i idividuo), e via dicendo. Con ciò non in-
cendo certo eseludere che la concentrazione delle soluzioni saline cir-
colanti nel suolo ed il loro valore nutritizio non entrino in giuoco
nella determinazione del fenomeno: affermo che solo lo studio morfo-
biologico, quale può essere eseguito su opportuno materiale di coltura
chiamando in causa molti altri fattori, riesce a darci un'idea com-
pleta dello stesso (2).
(1) Leclere du Sablon, De la nature hybrides de l'Oenothére de Lamarck in
« Rev. gen. de Bot., tonn. XXII (1910), p. 268 ».
(2) Cfr. a tale riguardo la bella serie delle « Biologische und Morpologische
Untersuchungen über Wasser — und Sumpfgewüchse » del Glück e specialmen-
te il terzo volume « Die Uferflora » Jena, 1911.
288 DOTT. AUGUSTO BÉGUINOT :
Adattamento, selezione ed incrocio sono tre grandi coefficienti
della variabilità delle specie. La sistematica pratica non ha general-
mente fatto distinzione fra i prodotti dei primi due, che sono pure
diversissimi, quanto può esserlo una specie vicaria che ripercuote, in
seguito a lento adattamento multiplo, il complesso delle condizioni
generali e sopratutto climatiche di una data regione ed il conseguente
isolamento fisiologico ed un gruppo di specie ad area «di sovrapposi
zione e presso le quali la variazione deve essere stata brusca od al-
meno assai rapida la selezione degli intermediari. E quanto alla terza
categoria di prodotti. gli ibridi ed i meticci, la fitografia non ci ha dato
che diagnosi più o meno accuratamente redatte, che però non tolgono
tutti i dubbi sull’origine del materiale, quando non li sollevano le
contraddizioni dipendenti dalle forme diverse che uno stesso ibrido,
lanciato nella libera natura, può assumere in seguito ad autofeconda-
zione, a nuovi ineroei con i parenti, con altri soggetti ibridi e via di-
eendo. Le leggi ehe regolano l'ibridismo e che hanno messo alquanto
ordine in una materia sulla quale sembravano dominare il easo od il
capriceio costituiscono forse la più limpida prova che le osservazioni
dirette in natura devono essere completate ed integrate con la ripro-
duzione ed induzione volontaria del fatto e del fenomeno studiato, an-
che per poterne sindacare le vicende nel seguito di parecchie gene-
razioni (1).
Con questi intendimenti e proponendomi di portare un contributo,
per quanto modesto, al grande edificio della variazione della specie,
‘ ho stabilito con i mezzi a mia disposizione ed il valido aiuto del
Direttore del R. Orto botanico di Padova, il prof. P. A. Saccardo, un
reparto sperimentale presso il predetto Orto. Le mie ricerche presero
(1) Che anche la fitogeografia — basata di solito su osservazioni dirette in
natura e su ricostruzioni genetiche (spesso eccessivamente fantastiche) — deb-
ba attingere nella sperimentazione solidità ed originalità di contenuto fu già
da me asserito nei miei Pensieri intorno all'origine, alla storia dello sviluppo ed
allo stato attuale della geografia botanica pubblicati nel « Boll. Soc. Geogr. Ital.,
1906, fasc. XI-XII ».
RICERCHE CULTURALI SULLE.VARIAZIONI DELLE PIANTE 239.
inizio dalla coltura di numerose specie e forme dei generi Romulea e
Piantago, oggetto il primo di un lavoro monografico testè ultimato (1),
il secondo di una trattazione, pure monografica, delle specie europee
e cireummediterranee e di cui videro sin qui la luce i capitoli sulla
biologia della germinazione e dello sviluppo (2) , quello sul nanismo (3)
e sui fattori che lo inducono (nanismo che, come è noto, ha una larga
esplicazione nel genere) e la revisione monografica delle specie litto-
ranee crescenti fra l’Isonzo ed il Po (4). Fin dal 1905 iniziai colture
su larga scala e nelle più svariate condizioni del mezzo di oltre venti
entità del ciclo di S/ellaria media di molteplici provenienze di Italia
e fuori, culture che tuttora proseguono, mentre si è iniziata la stampa
del lavoro monografico sul polimorfismo delle stesse (5), biometricamente
studiato nei riguardi della variazione androceale.
Le mie ricerche biologiche e fitogeografiche sulla vegetazione della
Laguna e dei Lidi di Venezia mi obbligarono a molteplici e ripetute
visite nei vari settori di cui risultano e nei contermini territorî, du-
rante le quali ebbi occasione di raccogliere semi ed altri organi di
propagazione, plantule e piante adulte che introdussi nel nominato re-
parto sperimentale, dove ho potuto coltivare, quasi sempre con com-
(1) Béguinot, Revisione monografica del gen. Romulea Mar. Studio biologico
in « Malpighia, vol. XXI (1907), XXII (1908) e XXIII (1909) >.
(2) Réguinot e Cobau, Osservazioni intorno alla biologia della germinazione e
e dello sviluppo nel gen. Plantago in « Atti Accad. scient. Ven.—Trent.—Istr. n.
ser. a IV, ci. 1 (1901), p. 21 ».
(8) Béguinot, H nanismo nel gen. Plantago e le sue cause. Osservazioni e ri-
cerche sperimentali in « Nuov. Giorn. Bot. It., n. ser., vol. XV (1908), p. 205.
(4) Bóguinot, Hevisione monografica delle specie del gen. Plantago dei distretti
ittorane idalle foci dell’ Isonzo a quelle del Po « ibid., vol. XVIII (1911), p. 320,
my dE s
(5) Béguinot, Ricerche intorno al polimorfismo della Stellaria media (L.) Cyr
in rapporto alle sue condizioni di esistenza. Studio monografico in « Nuov. Giorn.
Bot. Ital. n.ser. vol. XVII (1910), n. 2 e 8 ». Cfr. pure le mie due note prelimi-
nari sull’ argomento pubblicate negli Atti dell’ Accad. scient. Ven.—Trent.—
Istriana (n. ser. a. IV, cl. I, p. 176) e nel Nuovo Giorn. Bot. Italiano (n. ser. vol,
XY, p. 554).
240 DOTT. AUGUSTO BÉGUINOT
pleto successo e cioè fino alla fioritura e fruttificazione, oltre cento
entità diverse,
Problemi vari scaturitimi dai miei studi sistematici fitogeografici
sulla Flora Italiana mi condussero ad allargare la cerchia delle ri-
cerche, sottoponendo alla riprova sperimentale, su opportuno mate-
riale, parecchie delle conclusioni eui era pervenuto con l'osservazione
diretta in natura o negli Erbari a riguardo di molteplici gruppi di
piante. Oltre le lagunari ho potuto, così, introdurre nel predetto re-
parto un centinaio circa di entità, molte delle quali tuttora in vita.
Oltre che nei lavori sopra citati, risultati delle culture sin qui
eseguite sono consegnati in un lavoro sul dimorfismo stagionale dei
ciclo di Galium palustre L. pubblicato dalla dott. C. Chiti (1) ed in uno,
che testè vide la luce sull’elicomorfismo del Ranunculus acer L. (2),
mentre parecchie delle schede della « Flora italica exsiccata » com-
pendiosamente riassumono le osservazioni fatte su numerose specie da
me o da altri studiate in coltura e colà distribuite, anche come op-
portuno materiale di confronto con quelle crescenti nelle stazioni ori-
ginarie.
Nel presente lavoro esporrò i risultati inediti e quelli su cui diedi
altrove, come nelle schede sopra citate, un cenno sommario. Saranno
raggruppati in altrettanti capitoli progressivamente numerati, ma sen-
za alcun ordine sistematico, la precedenza riserbando ai risultati più
sicuri ed attendibili. Data l'indole frammentaria del lavoro, ho sti-
mato opportuno di attenermi strettamente ai fatti ed alle immediate de-
duzioni, lasciando le discussioni generali e le conclusioni ultime quan-
do avrò esaminato un certo numero di fatti e fenomeni simili od al-
meno paragonabili ed in quanto questi lo permetteranno.
(continua)
(1) C Chiti, Osservazioni sul dimorfismo stagionale in alcune entità del ciclo
di Galium palustre L. in «Nuov. Giorn. Bot. Ital., n. ser. vol. XVI (1909), p. 146». `
(2) Béguinot Ricerche sull elicomorfismo di Ranunculus acer L. e delle affini
entità in « Atti Accad. scient. Ven.—Trent.—Istr., 3% ser., III (1910)
e.
SCH
Prof. G. E. MATTEI
—
Un Trifoglio nuovo per l'Europa
Dal genere Trifolium il PRESL (Simbo/ae bot :nicae, 1,1832, p.50) sepa-
ró un nuovo genere, che chiamó Calycomorphum, distinto per il earattere
di presentare, nei capolini, fiori di due sorta, gli esterni corolliferi e ferti-
li, gli interni sterili, ridotti al solo calice più o meno deformato: questo
dimorfismo florale tende a trasformare l'intero capolino in un appareci
chio biologico di interramento o di traslazione anemofila. Gli autor-
moderni non hanno accettato il genere Calycomorphum, come distinto
da Trifolium, ma lo conservano come sezione assai bene caratterizza-
ta. Giustamente poi, basandosi sui diversi tipi biologici che presen-
tano le specie ascritte a tale sezione, GIBELLI e BELLI (Rivista critica
delle specie di Trifolium italiane delle sezioni Calycomorphum e Cry-
tposciadium. In Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino,
Sez II, Fase. XLIII, 1892) lo suddividono in due sottosezioni, cioè
Subterranea o Carpohypogea, e Medusea o Carpoepigea : quest’ ultima
alla sua volta é suddivisa in due nuove sottosezioni, cioè Geotropa ed
Ancmopeta.
Traseurando ora di esaminare le partieolarità morfologiehe e gli
adattamenti biologici dei due primi gruppi ora menzionati, prendere-
mo solo in considerazione le specie appartenenti al tipo Anemopeta,
le quali formano un gruppo naturalissimo sia per i loro earatteri mor-
fologiei, sia per la loro localizzazione geografica.
I caratteri assegnati a questo gruppo sono i seguenti:
« Flores corolliferi (extimi) pauei (1-14) uni-biseriales: post an-
thesin retroflexi, ad pedunculum innixi. Flores steriles (intimi) nume-
rosiores, ad solum calycem reducti, deformati, quisque constans e sti-
pitulo (tubo calycis) appendicibus varie effietis (laciniis calyeinis) eo-
242 PROF. G E MATTEI
ronato, stellatim divaricatis, rigidiusculis, plusminusve dense ciliatis,
vel flexuose contortis et tune plerumque mollibus, pilis denticulatis,
patentibus vel adpressiuseulis, lanosis vel gossypinis, griseis, albulis
vel eandidis obduetis. Capitulum fruetiferum globosum, eomosum, me-
duseum, crassitie varium, a leguminibus calyce inclusis vel subexsertis
et a celycibus sterilibus deformatis reflexis obtectis confectum. Capi-
tula fructifera a pedunculo divulsa, per ventorum vim longe a mater-
to caespitulo evecta, ab humo obdueta, germinantia ».
Da questi caratteri si rileva facilmente come i capolini maturi
dei Trifolium ascritti al presente gruppo, costituiscano perfetti appa
recchi aereonautici, leggerissimi, facilmente asportati dal vento. In
essi i fiori più interni hanno rinunziato alla loro autonomia a van-
taggio dell'intero apparecchio, per formare, con i loro lunghi sepali
plumosi, un globo assai leggero, che ricorda gli analoghi apparecchi
anemofili di alcune Poligonacee (Calligonum).
La prima menzione di una specie ascrivibile a questo gruppo si
deve a Linco, il quale, nell’Hortus Clifforthianus (1737, p. 374, n.12)
stabilisce un Trifolium globosum, i cui caratteri non lasciano dubbio.
Ad esso infatti attribuisce: « Flosculi tantum interiores corollati et
feriiles, reliqui mutilati in lanam extabescentes, replent capitulum et
fertiles calyces reflectunt ad latera. atque oecultant ». Peró erronea-
mente LiNNEO erede di riconoscere questo Trifolium in una specie
menzionata dal Cupani nell’ Hortus | Catholicus, per cui aggiunge :
« Creseit ut fertur in Sicilia ». Ciò ripete ancora nelle Species Plan-
tarum (I, 1153, p. 168). Tuttavia, in seguito, si avvede di tale errore,
e da Asnan. D. Iustenius (in Centuria prima plantarum. Upsaliae,
1755 et in Amoen. Acad. Vol. IV, Lugd. 1760, p. 286) lo fa correggere,
trasferendo il nome del Cupani al Trifolium Cherleri, ed attribuendo
invece al suo Trifolium globosum il Trifolium orientale capite lanu-
ginoso del TOURNEFORTH (Cor. 27), del quale dice « habitat in Arabia
et Syria ». Tuttavia la falsa credenza che il Trifolium globosum fos-
se specie Siciliana, fu ripresa dal Savi (Obs. in var. Trif. sp. p. 16)
e ripetuta da altri autori.
Quale fosse la forma di Trifolium, spettante a questo gruppo,
esaminata da LINNEO e presa a tipo della sua specie, non è facile dire.
UN TRIFOGLIO NUOVO PER L'EUROPA 243
Se vogliamo restare nella cerchia delle specie cosidette linneane, una
tale ricerca è superflua, imperocchè tutte le forme ascritte a questo
gruppo differiscono fra loro per caratteri così minuziosi, che forse
Linneo non avrebbe preso in considerazione: quindi, anche se LINNEO
le avesse avute tutte sottocchio, difficilmente le avrebbe distinte speci-
ficamente. Ma, volendosi ora tenere separate, conviene ricercare, se
è possibile, a quale corrisponda la forma descritta da LINNEO e ciò
per la rota regola di priorità. Ciò non é facile, insistendo LixxEo piut-
tosto sui caratteri comuni a tutto il gruppo, anzicché su quelli che po-
trebbero distinguere una forma qualsiasi ad esso ascrivibile. Tuttavia
una frase ci può guidare, ed è quella di « flores circiter 20, cal. dent.
subulatis, longitudine fere tubi ». Adunque Lixxeo vide una forma con
capolini forniti di circa 20 fiori, e questi avevano i denti del calice
subulati, lunghi quanto il tubo.
Veramente tutti gli autori assegnano ai Trifolium di questo gruppo
al massimo 14 fiori per capolino: osservasi però che LINNEO vide e
descrisse saggi coltivati nel Giardino di Cliffort, per cui potevano es-
sere modificati dalla coltura e presentare un aumento nel numero dei
loro fiori: anche in un saggio di Trifolium nidificum, proveniente da
antiche colture del R. Orto Botanico di Palermo, si hanno per ogni
capolino circa da 18 a 20 fiori. Ad ogni modo, circa 20 fiori non pos-
sono trovar posto in una sola serie, quindi necessariamente debbono
ritenersi biseriati, e questo è appunto il carattere della specie deseritta
dappoi dal GmisEBACH con il nome di Trifolium nidificum: si aggiunga
il carattere di sepali subulati che si attaglia perfettamente con quello
presentato dai sepali di questa stessa specie, per concludere che LINNEO
esaminò appunto saggi appartenenti ad essa. Resta poi assolutamente
escluso che Linneo si riferisse a saggi della specie più comune in
Oriente, ed ora presa a tipo del Trifolium globosum, quella cioè che
cresce abbondante presso Costantinopoli, e che fu distribuita da
CLEMENTI, da RICHTER e da altri raccoglitori: questa, fra gli altri ca-
ratteri, ha capolini con 5 ad 8 fiori soltanto, in una sola serie, e calici
con denti filiformi e non subulati.
Dopo Linneo troviamo un Trifolium pauciflorum descritto dal
D’UrviLLE (Plantar. quas in ins. Archip. aut litt. Ponti Euxini ete.
244 PROF. G. E. MATTEI
In Mémoires d. 1. Soc. Linnéen. d. Paris, I. 1822 p. 350) che gli au-
tori voglionc ascrivere a questo gruppo. La località che ne dal’ auto-
re, cioè Costantinopoli, corrisponderebbe, ma nella descrizione sono ca-
ratteri (petiolis longissimis. . . . . spicis solitariis seu geminis. |...
folio superno vaginatis ete.) per i quali riesce assai arduo avvicinarlo
al Trifolium globosum. Inoltre il D’ UnviLLE dice la sua specie con-
frontabile con il Trifolium rotundifolium, Beru. il quale, secondo Bors-
SIER, resta ancora non bene identificato, ma ad ogni modo può ritener-
sì certo non corrisponda a Trifolium globosum : infatti BOISSIER propen-
de a ritenerlo intermedio fra Trifolium hirtum e Trifolium Cherleri.
A conferma di questa supposizione devesi ricordare che il SERIN-
GE nel Prodromus pone il Trifolium pauciflorum del D’ URvILLE vicino
la Trifolium Cherleri e dopo il Trifolium hirtum, e notasi che egli
diee: « vidi siccum in herbario DESFONTAINES » per eui pare ne vedes-
se realmente saggi autentici: se ciò è, non avrebbe mancato di ri-
conoscerne .l’ affinità o l’ identità con il Trifolium globosum, o me-
glio con il suo Trifolium Oliverianum.
Comunque sia questa questione, non facile a decifrarsi senza il
confronto di saggi veramente originali, esistono altri motivi per cui il
nome di Trifolium pauciflorum del D’ UrviLLE non sarebbe ripristina-
bile.Lo STEUDEL cita un Trifoliun: pauciflorum del WiLLDENOW, ritenu-
to sinonimo di Trifolium amabile, il quale dovrebbe essere anteriore
a quello del D’UrviLLE, ma per quante ricerche mi abbia fatto, non ho
potuto trovare ove fu descritto. Però esiste un Trifolium pauciflorum
del NUTTAL, d’America, da tutti gli autori ammesso come buona specie
Perciò il nome del D’ UrviLLE non si potrebbe ripristinare.
Veniamo alla pubblicazione del secondo volume del Prodromus
di DE CANDOLLE, avvenuta nel 1825. Ivi le Leguminose furono elabo-
rate, come si è detto, da SERINGE e di conseguenza a tale autore si
deve ancora la trattazione del genere Trifolium. A pagine 196-197 ta-
le autore ammette un Trifolium globosum attribuito a Linneo ed un
Trifolium Oliverianum, dese.itto come specie nuova. Peró, se bene
consideriamo i caratteri che il SERINGE dà per il suo Trifolium globosum,
emerge non corrispondere affatto a quello precedentemente stabilito da
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UN TRIFOGLIO NUOVO PER L'EUROPA 245
Fra gli altri caratteri egli dice «calycibus corollam aequantibus »
mentre la specie multiflora (quella cioè descritta da LINNEO) presenta
i sepali assai più brevi della corolla, anzi più brevi di quelli di ogni
altra forma spettante a questo gruppo. Di tutte le specie in questione,
una sola ha sepali realmente lunghi quanto la corolla, ed è quella po-
steriormente descritta dal Borssier con il nome di Trifolium pilulare:
: tale carattere quindi farebbe credere avere il SERINGE ritenuto il vero Tri-
folium pilulare per la specie Linneana. Un altro dato conferma questa
supposizione: il SERINGE aggiunge « vidi siceum communicatum a cla-
rissimo LABILLARDIERE ». Ora appunto nell'Erbario dell'Orto Botanico
di Palermo si ha un saggio, che credo proveniente dallo stesso LABIL-
LARDIERE, e che è senza dubbio ascrivibile al Trifolium pilulare. L'eti-
chetta porta seritto solo: Trifolium globosum, senza altra indicazione
di autore, di località, di raccoglitore, o di distributore, ma tale nome
è senza dubbio di carattere del LABILLARDIERE stesso, come deducesi
dal confronto con l'etichetta autopta del LABILLARDIERE, spettante alla
Fontanesia phyliireoides. Per questo, contrariamente a quanto ammet-
tono gli autori, ritengo che il Trifolium globosum di SERINGE, corris-
ponda esattamente al Trifolium pilulare di BOISSIER.
In quanto al Trifolium Oliverianum di SERINGE, riconosco in esso
la specie più comune ed ora dagli autori ritenuta come vero Trifolium
globosum: vi corrisponde il carattere di «laciniis calyeinis corolla multo
brevioribus » e specialmente quello di «capitulis paucifloris ». Inoltre
la loealità eitata di Costantinopoli non lascia dubbio. Ne consegue che
se a tale forma non si potrà dare il nome Linneano, dovrà spettarle
per priorità il nome di Trifolium Oliverianum, SERINGE.
Veniamo al WAHLENBERG. L'AscHERSON ha molto lavorato per esu-
mare il nome di Trifolium radiosum, proposto dal WAHLENBERG nel 1827:
tale nome è accettato, un poco timidamente e sull'autorità dell’AscHER-
SON, da GIBELLI e BELLI, ed è dappoi definitivamente adottato dall'Ha-
LACSY. Nel 1827 infatti il WAHLENBERG (in BERGGREN, Resor uti Europa
och Oesteríanderne. Vol II. App. p. 43.) propose un Trifolium radio-
sum distinguendolo dal Trifo/ium globosum. Sfortunatamente non ho
potuto vedere l'opera originale, e conosco tale specie solo per la cita-
zione del WaLPERS e per quanto ne dicono GIBELLI e Betti, Nella de-
246 PROF. G. E. MATTEI
serizione, paragonandosi questa specie al Trifolium globosum, si dice
«duplo majus » e ciò ha fatto credere si trattasse della specie dappoi
descritta dal GRISEBACH, con il nome di Trifolium nidificum, ma a
me pare ciò non basti per tale identificazione. Ritengo piuttosto che
il WAHLENBERG, in possesso del Prodromus, con le descrizioni del Sz-
RINGE, e forse anche di saggi autentici del LABILLARDIERE, attribuiti al
Trifolium globosum, ma in realtà spettanti al Trifolium pilulare, ab
bia diehiarato la sua specie duplo majus, in confronto appunto a tali
saggi. Ció mi viene confermato dal carattere che egli dà dei sepali
«dentibus calycinis setaceis, plumosis» che bene si attaglia alla specie
di tale gruppo più comune in Oriente, ma male si riferirebbe al Tri-
folium nidificum del GrIsEBACH. Inoltre, come rilevo da GIBELLI e BELLI,
il WAHLENBERG indica per la località classica del proprio Trifolium
radiosum un luogo poco lungi da Costantinopoli, benehé sulla sponda
asiatica, cioè Chunkiar Iskelessi: ciò mi lascia supporre si tratti della
stessa specie dappoi distribuita dal CLEMENTI e da altri raccoglitori,
cioè Trifolium Oliverianum, SERINGE. Perciò, non godendo il nome del
WAHLENBERG di alcuna priorità, dovrà passare in sinonimia,
Dopo parecchi anni, cioè nel 1843, il GRISEBACH (Spicilegium Flo-
rae Rumeiicae et Bithynicae. I. p. 32), descrive il Trifolium nidificum
ehe precedentemente abbiamo piü volte menzionato. Lo caratterizza
specialmente per avere capolini con 12 fiori corollati, in due serie. A
torto lo pone nella stessa sezione del Trifolium subterraneum, per la
quale viene detto « calyces steriles post anthesin nodulo centrali prae-
formati », però devesi osservare che quanto maggiore è il numero dei
tiori corollati per ciascun capolino, tanto meno sono sviluppati quelli
interni, i quali dappoi formano la chioma « demun leguminum nidum
undique dense obvallante ». Nel Trifolium nidificum del GriseBACH si
può quindi agevolmente riconoscere il Trifolium globosum di LINNEO,
ma non il Trifolium radiosum del WAHLENBERG.
Lo stesso anno 1843 il Boisser (Diagn. Plant. Ser. I. n. 2. p. 29)
deserive come nuova specie il Trifolium pilulare, egregiamente carat-
terizzato per i capolini fruttiferi assai piccoli, e per la presenza in
ogni capolino di 1 a 2 fiori soltanto corollati, con denti calicini più
UN TRIFOGLIO NUOVO PER L'EUROPA 247
lunghi della corolla, In questa specie, come dissi precedentemente, è
facile riconoscere il Trifolium globosum del SERINGE.
Qualche anno dopo (1849) lo stesso BorssieR (Diagn. Plant. Ser.
I. n. 9. p. 25) descrive un’altra specie ascrivibile al gruppo in que-
stione, cioè il Trifolium eriosphaerum, della Palestina, e lo stesso au-
tore, nel 1872 (Flora Orientalis, II. p.154), ne descrive anche un’altra,
cioè il Trifolium medusaeum, raccolto dal BLANCHE nella Siria,
Finalmente GiseLLi e BELLI, nella loro mirabile revisione del ge-
nere Trifolium, adottando il concetto delle specie Linneane, e subor-
dinando a queste, come sottospecie, tutte le altre forme minori, aseri-
vono al gruppo delle Anemopete una sola specie, cui giustamente danno
il nome Linneano di Trifolium globosum, subordinando ad essa i Tri-
folium eriosphaerum, radiosum,medusaeum e pilulare. Questi autori sono
assai minuziosi ed accurati nel distinguere le dette sottospecie, ed į
relativi disegni di dettaglio ne mettono in evidenza le particolarità
morfologiche per cui differiscono le une dalle altre. Dove però forse
sono meno felici è riguardo al Trifolium radiosum, cui essi ascrivono
per sinonimo il Trifolium nidificum del GRISEBACH. Dalla descrizione
che ne danno e dalla storia che ne riferiscono, sull’autorità dell’ A-
SCHERSON, emerge come confondessero, almeno parzialmente, questa spe-
cie con il vero Trifolium Oliverianum, e ciò viene pure confermato
dalle località citate: tuttavia i dettagli illustrativi dati per tale specie
sì riferiseono realmente al Trzfolium nidificum.
Questo è lo stato attuale delle conoscenze relative alle specie a-
scritte dagli autori al gruppo in questione. Dei Trifolium eriosphaerum
e medusaeum nulla posso dire, non avendone veduti saggi, ma i loro
caratteri differenziali mi sembrono ben lievi: mi limito quindi a meglio
precisare la sinonimia ed i caratteri delle altre tre specie.
Anzitutto non credo ripristinabile il nome Linneano di Trifolium
globosum: questo nome potrebbe anche essere restaurato, seguendo Gr-
BELLI e BELLI, qualora si riunissero in una specie unica, Linneana, tutte
le forme fin qui distinte in questo gruppo, ma non credo possibile ap-
plicarlo ad una singola di queste specie, stante la grande confusione
fattane dagli autori. È fuori dubbio che Linweo diede tale nome alla
forma dappui descritta dal GRISE3ACH eon il nome di Trifolium nidi-
48 PROF. G. E. MATTEI
' ficum, ma il SERINGE lo ha confuso con il Trifolium pilulare ed il Boıs-
SIER lo riporta al Trifolium Oliverianum. Perciò ripristino il nome di
Trifolium Oliverianum per la specie più comune in Oriente, ritenendo
come Trifolium nidificum la forma multiflora e come Trifolium pilu-
lare la forma pauciflora.
La sinonimia da adottarsi per queste forme viene perciò modificata
nel seguente modo:
I. Trifolium nidifieum, Grises. Spicil. Flor. Rumel. Bithyn. I. 1843.
p. 32. Borss. Flor. Orient. II. 1872. p. 133. Lojac Tent. Trifol. 1878.
p. 22, et Clavis Trifol. In Nuov. Giorn. Bot. Ital. XV. 1883. p.278.
Barber, Herbor. Levant. 1882. p. 128. Trifolium globosum, Linn. Hort.
Clifforth. 1737. p. 314. et Sp. plant. I. 1753. p. 678. JusLEN. Cent-
Plant. In Amoen. Acad. 1760 (1755) p. 286. TcHIHATCH. Asie Mineur.
III. Botan. 2, 1886. p.33. Trifolium radiosum (non WAHLENB.) ASCHER-
SON ex GIBELLI e BELLI, Rivist. ete. In Mem. Accad. Scienz. Torin.
Ser, VI. tom. XLIII. 1892. p. 40. pro parte, et tab. III fig. 1.
I. Trifolium Oliverianum, Serie. in D.C. Prodr. IT. 1825. p.197. Boiss.
Diagn. Plant. Nov. Ser. I. 2. 1843. p. 29. TcHiHaTcH. Asie Mineur
III. Botan. 2. 1866. p. 33. Trifolium globosum (non Linn.) CLEMENT.
Sertul. Orient. 1855. p. 54. Boıss. Flor. Orient. IL 1872, p. 134. Loja.
CON. Tent. Trifol. 1878. p. 22, et Clavis Trifol. In Nuov. Giorn. Bot.
Ital. XV. 1883, p. 278. Nyman. Consp. Fi. Europ. p. 176. JANKA, Le-
gum. Europ. 1885. p. 159. GIBELLI e BELLI, Rivist. ete. In Mem. Ac-
cad. Scienz. Torin. Ser. VI. Tom. XLIII. 1892, p. 38 et tab. Il. fig. 1.
Trifolium radiosum, WAHLENB in BERGG. Resor. Europ. Oesterl. II.
App. 1827. p. 43 et in Oken. Isis. XXI. 1828, p. 997. WicHsTR. Jahr.
Schwed. Acad. 1828. p. 186. Haracs. Consp. Flor. Graec. 1, 1901.
p. 393. Trifolium pauciflorum, D’UrviLL. Enum. Plant. etc. In Mem.
Soc. Liun. Par. I. 1822. p. 350.
III. Trifolium pilulare, Borss. Diagn. Plant. Nov. Ser. I. 2. 1843 p. 29.
et. Flor. Orient. II. 1873. p. 135. TcHIHATCH. Asie Mineur, III. Bo-
tan. 2. 1866. p. 33. Lojac. Tent. Trifol. 1878. p.22 et Clavis Trifol.
In Nuov. Giorn. Bot. Ital. XV. 1883. p. 278. BARBEY, Herbor. Levant.
1882. p. 128. GIBELL. e BELLI, Rivist. etc. In Mem. Accad. Scienz.
UN TRIFOGLIO NUOVO PER L'EUROPA 249
Torin. Ser. VI. Tom. XLVII. 1892. p. 43 et Tab. II. fig. 3. Trifolium
globosum (non Linn.) Serino. in D. C. Prodr. II. 1825. p. 196.
I principali caratteri differenziali, esistenti fra queste tre e"
si possono poi così riassumere:
Trif. niditicum Trif. Oliverianum Trif. pilulare
Fiori numerosi, per solito | Fiori pochi, per solito in | Fiori 1 a 2.
in due serie. una sola serie. i RR
Sepali lunghissimi, flessibili,
Sepali rigidi, brevi subu- Sepali lunghi, sua fles- filiformi.
lati. sibili, filiform T
Corolla ocroleuca, piü breve
Corolla bianca, più lunga | Corolla rosea, più lunga del del calice.
del calice. calice.
Frutti piccoli (diam. 7-10
die "gg (diam 25 mm.) | Frutti mediocri (diam. 15-20 mm.), mollissimi, la-
con sete rigide m.), molli, lanosi, con nosi, con sete piumose,
e gran sete „Piumos ose, appen diritte.
curv
Adunque le differenze fra queste tre specie, sono di due sorta, aleune
riferentesi ai caratteri florali, cioè alla staurogamia, ed altre riferentesi
ai caratteri del frutto, cioè alla disseminazione. Dai primi caratteri
si deduce che i 7rifolium nidificum ed Oliverianum, hanno fiori pre-
valentemente casmogami e staurogamici, mentre il Trifolium pilulare
ha fiori, forse, tendenti alla cleistogamia, ma ad ogni modo prevalen-
temente omogamici. A questo tendono, oltre che la loro grandezza e la
loro appariscenza, anche il loro numero: infatti nel Trifolivm pilulare
sono ridotti sovente ad uno solo, mentre nelle altre specie variano circa
da 5 a 14 e più. Pe ò tanto nel Trifolium Oliverianum quanto nel
Trifolium nidificum il loro numero non è costante: si hanno saggi ro-
busti di Trifolium Olicerianum con capolini multiflori, mentre ritengo
che si potranno trovare individui deboli di Trifolium nidificum con
eapolini paueiflori: quando i fiori sono pochi, trovano posto in una
sola serie, mentre quando sono numerosi, per necessità di spazio,
debbono occupare due o più serie. Ne consegue che il carattere diffe-
renziale attribuito a queste due specie, di avere cioè fiori uniseriati
o biseriati, ha un valore molto relativo. I capolini normali di Trifo-
lium Oliverianum avranno fiori uniseriati, ma quelli multiflori della
450 PROF. G. E. MATTEI
medesima specie avranno fiori biseriati, mentre i capolini normali di
Trifolium nidificum avranno ficri biseriati, mentre i quelli pauciflori
della stessa specie avranno fiori uniseriati. Appunto dell'aver preso
troppo alla lettera tale earattere credo sia dipeso il fatto dall' avere
pareechi autori indieato come esistente in aleune località il Trifolium
nidificum, mentre probabilmente non si trattava che di saggi robusti,
multiflori, del solito Trifolium Oliverianum: ciò mi viene confermato
dall'esame di alcuni saggi d’ erbario, falsamente distribuiti come spet-
tanti a Trefulium nidificum. Quindi per i caratteri fiorali, stauroga-
miei, il Trifolium pululare risulta specie bene distinta, mentre le al-
tre due poco differiscono fra loro.
Invece si ha il contrario per quando riguarda i caratteri dell’appa-
recchio disseminativo. Il capolino fruttifero del Trifol um Oliverianum
è un globo piumoso, bombacino, soffice, leggero, che offre facile presa
al vento: quello del Trifolium pilulare è assai simile, ma più piccolo
e più lezgero, contenendo per solito soltanto uno o due semi: invece i
capolino del Trifolium nidificum, assai piü grosso, 6 relativamente piü
pesante, contenendo un maggior numero di semi, ed è ruvido, con le
setole rigide, inscrespate, aspre al tatto. Ne consegue che tutci questi
capolini formano altrettanti apparecchi anemofili, ma mentre quello
del Trifolium pilulare è leggiero per eccellenza e può compiere ;un-
ghi voli, quello del Trifolium Oliverianum lo è meno, e quello del
Trifolium nidificum lo è anche meno. Infatti quest’ultimo, per la sua
grossezza, per la sua pesantezza e massime per la sua rigidezza, di-
mostra minore attitudine a restare sollevato per qualche tempo nel-
l’aria. Lo credo piuttosto un apparecchio con tendenza a venire roto-
lato, come le piante secche di Anastatica hierochuntica, di Asteriscus
pygmaeus, di Plantago cretica, di Selaginella lepidophyila ete. Una tale
ipotesi viene confermata dalla circostanza che questo apparecchio contie-
ne un certo numero di semi, i quali possono venire dispersi quà e là du-
rante il rutolamento, come accade per i frutti eriofili di ‚Wartynia. Forse
a questo si riferisce il carattere dato dal GRISEBACH, per questa specie,
di « capitulum terrae adpressum », mentre per le altre specie i capo-
lini sono elevati verso l'alto. Già feci notare come il GRISEBACH ponesse
la sua specie nella sezione «ealices steriles sub anthesi nodulo centrali
UN TRIFOGLIO NUOVO PER L'EUROPA 251
praeformati », e ciò è inesatto, in quanto che nel capolino fiorifero si
hanno già i fiori sterili abbastanza bene evoluti, però, essendo questi
in numero assai maggiore che nelle altre specie affini, in realtà quelli
più centrali sono assai meno sviluppati. Correlativamente avviene un
fatto che forse nelle altre specie è meno pronunciato: cioè lo sviluppo
di questi fiori è più rapido e più completo, acquistando un maggiore
grado di ampliazione ed una maggiore lignifieazione: perfino i sepali
dei fiori fertili, corolliferi, si accrescono di molto dopo la fioritura
mentre nelle altre specie tali sepali si accrescono ben di poco. Ne
consegue che le setole, ossia sepali di fiori sterili, formanti |’ ap-
parecchio disseminativo in questa specie, sono più lignificate, più
rigide, più dure, contorte, crespe, in modo che l’intero globulo acquista
una strana rassomiglianza con le galle di rosa, formate dalla Rhod.tes
rosae. In qualche caso forse, anche questi globuli, stante la rigidezza
delle loro setole, potranno aderire al vello di animali pascolanti acqui-
stando così un principio di eriotilia: anzi non mi meraviglierei venis-
se prima o poi seoperta, affine a questa specie, altra specie con veri
adattamenti eriofili. Concludendo, delle tre specie in esame, il Trifo-
lium pilulare è la specie con apparecchi più leggeri e più atti ad es-
sere trasportati a distanza: il Trifolium Oliverranum ha pure buoni
apparecchi anemofili, ma meno leggeri: il Trifolium mdificum ha poi
apparecchi anche più pesanti, piuttosto atti ad essere rotolati che ad
essere sollevati.
È poi interessante notare come anche LINNEO :ntuisse il modo di
disseminazione di questi Trifolium, senza però riuscire a darne una
interpretazione esatta. Egli nella dissertazione De telluris habitubilis
incremento, trattando in modo mirabile sulla biologia della dissemi-
nazione, ha un accenno anche a questo proposito: infatti così si espri-
me (in Amoenitates Acuaemicae. Vol. Il. 1752. p. 456): «Trifolium ca-
pitulis vitlosis globosis, calycib.s superioribus flosculo destituls, habet
in quolibet capitulo flores paucos, qui tamen villis et pilis sunt obvo-
luti. Post quam transiit flos, accrescit haec villosa substantia, capitula
in latus comprimit, et plane obtegit. Inde est quod aves, dum hue
advolant semina quaesiturae, naso adunco suspendantur. Ita ab avium
rostris liberata semina postea terrae committuntur, dum a seapo deci-
252 PROF. G. E. MATTEI
dens capitulum ventis agitatur », Veramente l’opera degli uccelli non
è necessaria, ma questa frase dimostra come LINNEO comprendeva che
i semi dei presenti Trifolium dovevano venire dispersi quà e là, men-
tre i capolini, restati vuoti, divenivano preda del vento. E questo
conferma pure come Linneo ebbe presente il Trifolium nidificum, e
non altra specie a disseminazione esclusivamente anemofila.
Tali sono le principali differenze biologiche esistenti presso queste
tre specie di Trifulium.
Vediamo quali sono le singole loro aree di diffusione. Il Tifo-
lium Oliverianum è il più diffuso: ne ho veduto saggi del Libano,
raccolti dal BLANCHE, di Smirne, raccolti dal BOISSIER (n. 417), di Co
stantinopoli, raccolti dal CLEMENTI e dal RICHTER, ed infine dell’Attica,
raccolti dal BOISSIER; quindi la sua area si estende dalla Siria ai li-
miti più occidentali dell’ Asia Minore, penetrando anche in Europa,
cioè in Grec a. Il Trifolium nidificum forse è il meno diffuso: ad es-
so ascrivo solo i saggi dei Dardanelli, raccolti dal SINTENIS Lier Tro*
janum. 1883. n. 55): tutti gli altri saggi che ho veduto, distribuiti con
tale nome, sono riferibili al vero Trifolium Oliverianum, quindi non
credo che il Trifolium nidificum sia mai stato raccolto in Europa, e
solo venne indicato in seguito a confusione, massime originata dal pre- '
teso sinonimo di Trifolium radiosum.
Del Trifolium pilulare ho pure veduto diversi saggi d'erbario:
però i soli autentici, di località sicura, da me visti, sono quelli rac-
colti a Smirne dal Boissier (n. 420), altri pure di Smirne, distribuiti
dal MAGNIER ed infine quelli raccolti a Süverek, nel Kurdistan, dal
SINTENIS (Iter Orientalis, 1888 n. 687). Basandoci su queste due loca-
lità estreme, devesi ritenere l'area del Trifolium pilulare estesa per
tutta l'Asia Minore, spingendosi (sulla fede di ció che ne dice il Bors-
SIER) fino alla Palestina. Però nessun autore ha citato tale specie per
l'Europa, e devesi notare che non può esservi sospetto di confusione
eon altre specie affini, essendo questa per i suoi caratteri benissimo
distinta.
Ora appunto sono lieto di potere aggiungere alle specie Europee
anche il Trifolium pilulare. Ne ho ricevuto saggi autentici, provenienti
dall’ Isola di Tenos, nelle Cicladi, e colà raccolti dal Reverendo Padre
UN TRIFOGLIO NUOVO PER L'EUROPA 258
Francesco pI PaoLa MIRENNA, il quale già erasi reso benemerito della
Botanica, con la raccolta di molte piante della detta Isola, che altrove
illustrai (MATTEI G. E. e Lojacono Pojero M., Contribuzione alla Flora
dell’ Isola di Tenos. In Bollettino del R. Orto Botanico e Giardino
Coloniale di Palermo. Vol. VII. 1908. p. 70). Veramente dal lato bo-
tanico non fa alcuna meraviglia la penetrazione di questa specie in
Europa, trattandosi di una medesima regione botanica, ma dal lato,
dirò così, politico, va segnalata, dovendosi perciò aggiungere detta
specie agli elenchi che costituiscono i censimerti de'le piante Europee.
Siccome il Trifolium pilulare abita le vicinanze di Smirne, spingen-
dosi, come nota il Borssier, sulle montagne vicine, e siccome Tenos
dista, in linea retta, circa duecento chilometri da Smirne, trattandosi
di specie anemofila, cioè con frutti facilmente trasportabili dal vento,
è facile comprendere come qualche suo capolino fruttifero possa essere
stato trasferito da Smirne a Tenos, appunto per opera del vento, e
quivi possa aver dato luogo ad una nuova colonia di detta specie. Tro-
viamo infatti che Smirne trovasi a Nord-Est di Tenos, ed in tale re-
gione abbiamo i venti periodici, detti Etes’, i quali appunto in Estate
ed in Autunno soffiano da Nord-Est verso Sud-Ovest: ora è facile
supporre che da tali venti questo Trifoglio sia stato portato da Smirne
a Tenos. La distanza è breve, cioè circa duecento chilometri, e sapen-
dosi la velocità di detti venti essere da 35 a 45 chilometri all’ora, ba-
stano cinque ore, o poco più, per portare un frutto anemofilo dall’una
località all'altra. Ora, durante il giorno, mercè il concorso delle cor-
renti ascensionali, credo possibile, ad un apparecchio leggerissimo, co-
me il frutto di Trifolium pilulare, di mantenersi sollevato nell’ aria
per un tale periodo di tempo.
Confrontando i saggi ricevuti da Tenos, con quelli di Smirne,
non può essere dubbio sull’identità della specie. Però trovo alcune
piccole differenze, forse dovute all’infiuenza dell’isolamento subito a
Tenos da questo Trifolium, e forse anche dalla consanguineità di tutti
i saggi colà esistenti, se, come è probabile, provengono da un unico
capolino. Infatti è noto come l’ambiente insolare tenda a modificare
alquanto le specie provenienti dai vicini continenti, frazionandole in
piccole forme vicarianti.
a, +” mv WENT TR urere. am uc ALMUS tuu MU
Ya a as TA ne ode PORRO N ETA EEN
954 PROF. G. E. MATTEI
I caratteri differenziali che trovo sono i seguenti. Nella deseri-
zione del BorssreR le stipole sono dette ottuse, e tali sono pure nei
saggi d'erbario, però più arrotondate in quelli di Smirne e meno in
quelli del Kurdistan. In tutti questi saggi si nota pure che le stipole
offrono la loro maggiore larghezza verso la base, con tendenza ad
essere quivi rotondate e quasi cordate. Nei saggi di Tenos invece le
stipole sono decisamente acute all'apice, ed offrono la loro maggiore
larghezza verso il mezzo, più ristrette verso la base, ma quivi nè ro-
tondate nè cordate. Anche i loro nervi secondarii, intensamente verdi,
formano un angolo acutissimo con il picciuolo fogliare, mentre nei
saggi di Smirne e del Kurdistan formano un angolo molto piü largo,
avvicinantesi al retto. Le foglioline poi nella descrizione del BOISSIER
sono dette di forma obovato-cuneate, subintegre: infatti nei saggi di
Smirne sono assai larghe ed oscuramente smarginate: in tali saggi
la loro larghezza eguaglia e quasi supera la lunghezza, ed alla base
sono attenuate, ma non decisamente cuneate. Nei saggi invece di Te-
nos le foglioline sono strettissime, non obovate, ma lungamente e deci-
samente cuneate, smarginate e minutamente ed acutamente dentate: la
loro larghezza è appena la metà della lunghezza, risultando perciò
molto strette. Sono però alquanto incerto circa al valore da darsi a
questo carattere, essendo gli esemplari di Tenos, che ho presenti, solo
frustuli apicali, e notando, nei saggi da me veduti del Kurdistan, che
le foglie inferiori sono più larghe, mentre quelle superiori lo sono as-
sai meno, senza però che raggiungano la strettezza di quelle dei saggi
di Tenos.
Nella descrizione del BoissieR i fiori eorollati sono detti essere in
numero di uno a due: ora in tutti i saggi da me esaminati, tanto di
piante spontanee quanto di piante coltivate, ho sempre constatato la
presenza di un solo fiore corollato per capolino; invece nei saggi di
Tenos, i fiori corollati per capolino sono in numero di due. Di con-
seguenza in questi, per gni capolino fruttifero, si hanno due semi,
mentre in quelli se ne ha un solo. La corolla poi da Borssier viene
dichiarata bianca, mentre nei saggi di Tenos apparisce ocroleuca, con
tendenza al roseo: però dal secco è difficile giudicare del suo reale
colore.
UN TRIFOGLIO NUOVO PER L'EUROPA 255
Infine i capolini fruttiferi possono variare alquanto di grandezza:
nei saggi di Smirne hanno un diametro di 8 millimetri circa, in quelli
del Kurdistan il diametro è appena di 7 millimetri, mentre in quelli
di Tenos è da 9 a 10 millimetri: questi ultimi sono ancora più lanosi
e la loro lanuggine é bianca, tendente al verdastro, mentre negli al.
tri saggi è rufescente. Però anche su questo ultimo carattere non è
possibile dare un giudizio assoluto, trattandosi di saggi assai antichi,
mentre quelli di Tenos sono raccolti di recente. Resta tuttavia la gran-
dezza dei capolini fruttiferi, in questi ultimi sensibilmente maggiore
e di conseguenza il loro peso, un poco maggiore, aumentato ancora
dalla presenza di due semi, anzicché di uno. Cid eredo dovuto ad un
principio di naturale selezione, imperoeché i capolini più leggeri sa-
ranno stati facilmente dal vento portati fuori dell’Isola e finiti in mare,
mentre avranno avuto la probabilità di restare in loco, e di perpetuare
la specie i capolini sensibilmente più pesanti. Facilmente alcuni di
questi portavano due semi, dovuti alla presenza di due fiori corollati,
ed anche questo carattere si sarà andato ereditariamente perpetuando
nei saggi di Tenos.
Un altro carattere differenziale potrebbe essere dato dall’epoca
della fioritura. Gli autori dicono, per il Trifolium pilulare, « floret
Aprili, Majo » cioè in primavera. Ora i saggi che ho ricevuto da Te-
nos, fioriti, furono certamenti raccolti fra l'Ottobre ed il Novembre.
Non credo che si tratti di qualche fioritura ritardata, stante che questi
saggi furono raccolti, assieme ad altre piante, senza speciale ricerca.
Devesi quindi ritenere, o che la specie dalla Primavera continui la
sua fioritura fino all'Autunno, succedendosi forse più generazioni nel-
l’anno, o ehe in Tenos abbia uno sviluppo più serotino che nell’Asia
Minore, Quest'ultima supposizione non è poi tanto inverosimile come
può sembrare a primo aspetto. Devesi ricordare che i venti periodici,
detti Etesi, quelli cioè di Nord-Est, spirano solo in Estate ed in Au-
tunno. Ora, se ad essi è dovuto il trasporto del Trifolium pilulare da
Smirne a Tenos, risulta probabile che fossero portati in detta Isola
frutti provenienti da qualche fioritura ritardata, e di eonseguenza ehe
questi abbiano infuso nella prole una tendenza ereditaria a svilup-
Y
PESTE PAPAS AE
c
256 (PROF. o E. MATTEI
parsi ed a fiorire più serotinamente. Ciò dico a titolo di pura. sup-
posizione.
Questi caratteri differenziali, riscontrati nei saggi di Tenos, non
sono a mio parere tali da giustificare la formazione di una nuova
specie, sia pure da considerarsi come vicariante: però parmi si possano
ritenere come sufficienti a distinguere una varietà, o forma locale, be
ne distinguibile, la quale potrà meglio venire illustrata dall'esame di
migliori e più completi saggi.
Seguendo quindi questi concetti, piacemi dedicare tale forma al
suo raccoglitore Padre MIRENNA, e così credo poterla individualizzare.
Trifolium pilulare, Boiss. var. Mirennae, MATTEI. Serotinus (?), foliis angu-
stis, longe cuneatis, emarginatis, optime atque argute denticulatis,
stipulis acutis ad medium latioribus: floribus corollatis semper binis,
corolla in sicco ochroleuca, aliquantulo roseo suffulta: capitulis frue-
tiferis sensim majoribus, 9-10 mm. latis, dense plumoso-lanatis, lana
albo-virescenti, dispermis. In Insula Teno, Cycladum, legit Rev. Patr.
Fr. Mirenna, Novembri 1910.
A parte l'importanza da darsi a questi caratteri differenziali, i
quali rappresentano l'influenza dell'ambiente insulare in cui questa
specie si é trovata segregata, resta il fatto che l'esistenza di una for-
ma del Trifolium pilulare nell’Isola di Tenos segna un importante
acquisto per la Flora Europea, e può in pari tempo prestarsi per ge-
niali indagini di geografia botanica.
Cosi la Flora Europea va aggiungendo una nuova entità, non av-
ventizia e di breve momento, come certe altre, ma di stabile acquisi-
zione, come lo provano i caratteri locali, da questa acquisiti nella
sua nuova dimora.
Resterebbe da ultimo da indagarsi a quale epoca possa rimontare
l'indigenato del Trifolium pilulare in Tenos. Ma per una tale ricerca
non ho elementi sufficienti: diligenti raccoglitori botanici, come BORY
DE ST. Vincent, SARTORI, FRAas, Weiss, Maw, HELDREICH, ed altri, in
diverse epoclie visitarono Tenos, ma non riportarono questa specie. Però
le loro raccolte furono effettuate per massima parte in principio di
Primavera, quindi può darsi, non avendo trovato tale Trifoglio in fiore
o meglio in frutto, non se ne avvedessero. Infatti i nuovi caratteri da
UN TRIFOGLIO NUOVO PER L'EUROPA 257
esso assunti fanno ritenere il suo indigenato di più antica data. Ma
chi potrà mai dire quando il vento portò il primo capolino di Trifo-
lium pilulare dai monti di Smirne all'Isola di Tenos ?
Dai saggi poi raccolti a Tenos, tolsi alcuni semi, e potei nel-
l'Orto Botanico di Palermo, allevarne alcune piantine: piacemi quindi
qui riportare i caratteri riscontrati nelle piante che sorsero da tali
colture, a completamento di quanto sono venuto fin qui esponendo,
notando che alcune piccole divergenze potranno dipendere dall’influen-
za delle colture stesse, e dalle diverse modalità di ambiente, in cui
le pianticelle si sono trovate. Eccone quindi la diagnosi :
Trifolium pilulare, Borss. var. Mirennae, MATTEI. Caespitosus, caulibus
patenter (nee adpressiuscule) hirtellis : foliis inferioribus euneato-obo-
vatis, fere rhombeis, rotundato-mueronatis, minime retusis, integris,
pilis albidis, longiuseulis, patentibus, supra in medio macula alba ir-
regulariter lacera notatis, longe petiolatis, petiolo valido, supra plano,
in medio laeviter canaliculato: foliis supremis angustis, longe cunea-
tis, emarginatis, optime atque argute dentieulatis: stipulis acutis, co-
chleato-recurvis, ad medium latioribus: capitulis 2- floris sub anthesi
erectis, pedunculo petiolum folii adscelanti aequante (nec folium su-
blongiore), floribus sterilibus vix evolutis, fere pappum album effor-
mantibus: corolla in vivo pallide ochroleuca, calicem aliquanto supe-
rante (nee breviori), petalorum unguis in tubum fere omnino connatis,
vexillo late lineari, apice truncatulo-emarginato, carina rotundata, sta-
minibus firamentis apice vix inerassato-clavatis: capitulis post anthe-
sin, peduneulo accreto, recurvato-reflexis, fructiferis majuseulis 9-10
mm. latis, dense plumoso-lavatis, lana albo-virescenti, dispermi, a pe-
duneulo statim decidentibus.
Da questi caratteri mi sembra come la presente varietà si diffe-
renzii sempre più dal vero tipo specifico, al punto che se ne po-
trebbe fare una vera specie, endemica di Tenos, di eguale valore dei
Trifolium eriosphaerum, meduseum ed altri affini. Ma i suoi intimi
rapporti con il Trifolium pilulare non giustificano un tale fraziona-
mento.
Dorr. GIUSEPPE ZODDA
BRIOFITE SICULE
CONTRIBUZIONE QUARTA
Dopo un intervallo di tempo più lungo del consueto, causato in
parte da eventi dolorosi e in parte dal mio trasferimento, pubblico la
presente contribuzione sulle briofite sicule, che fa seguito alle altre
tre, già pubblicate in questo stesso periodico (1).
Il materiale, illustrato in queste pagine, è stato raccolto per in-
tero da me, nei mesi di febbraio, marzo e aprile del 1909, parte nel
territorio del piccolo comune di Aei Castello presso Catania e parte
nei vieini seogli dei Ciclopi. Per il primo si aveva un' indieazione
dubbia di un solo museo e un'altra certa di una epatiea (2); mentre
la” florula briologica degli scogli dei Ciclopi era completamente scono-
seiuta. Per quanto riguarda il territorio di Aci Castello dico che esso
è quasi per intero costituito da rocce vulcaniche, basalti principal-
mente e conglomerati basaltici. Qua e là si hanno piccoli tratti pianeg:
gianti dove si è accumulato del terreno vegetale, formato in gran par-
te per la decomposizione delle stesse rocce vulcaniche e che spesso si
presenta di natura ‚argillosa.. Generale è l'aridità del suolo; scarsissimi
i ruscelli, i quali tutti sono completamente asciutti nell’estate; rari gli
stillicidii e limitati anch’essi da novembre a giugno. Ipsometricamente
questo, territorio va dal mare fino a poco oltre 200 m. e perciò rima-
ne. per intero compreso nella zona dell’ ulivo
„Date tali condizioni topografiche ed edafiche, la flora briologiea
(1) Briofite sicule.—Contribaz, Prima in Malpighia, anno 1906.—Coütribuz.
anno 1907. — Contribuz.-Terza; anno 1908.
(2) Strobl: Flora des cina, pag. 915 e 318.
Kë NAO Ee um M ef È À gay RL
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BRIOFITE SICULE 259
non è molto ricca e, come è da aspettarsi, gli acrocarpi sono molto
numerosi; fra essi largamente rappresentate sono le specie annue.
Per la mancanza di stazioni perennemente umide, mancano del
tutto le specie idro -- e igrofile; pochissime sono le mesofile, mentre
la gran maggioranza è roppresentata dalle xerofile.
Presso gli stillicidii vegetano scarsamente: Gymnostomum calca-
reum colla sua forma muticum, Didiymodon tophaceus f. acutifolia, Tor-
tu'a marginata. Mniobryum albicans e Southbyn stillicidiorum; mentre
sui nudi basalti e sui ciottoli dei conglomerati, non temendo i forti
raggi del sole crescono Trichostomum crispulum,T. nitidum, T. flavovi-
rens, Barbula vinealis v. cylindrica, B. revoluta, Tor'ella squarrosa, Tor-
tula atrovirens, T. muralis colle sue varietà incana e obcordata, T. ae-
stiva, T. marginata colla forma minor, Grimmia leucophaea, G. pulvinata
colla varietà longipila, G. Lisae, Ptychomitrium nigricans v. albidens,
Bryum canariense Eurhynchium circinnatum, Frullania dilatata, Pla-
giochasma rupestre, Tessellina pyramidata e poche altre. Sulle stesse
rupi, ma nei siti più ombreggiati vengono Trichostonum mutabile. Tim -
miella Barbula, Entosthodon currisetus, Homalothecium sericeum, Scle-
ropodium Illecébrum colle varietà decipiens e spininervium, Hypnum
cupressiforme, Madotheca levigata v. obscura, Grimaldia dichotoma,
Reboulia hemisphaerica ed alcune delle rupicole precedenti.
Sul cemento dei conglomerati e sui basalti in via di decomposi-
zione si sviluppano principalmente Gymnostomum calcareum, Didy-
modon tophacus forma acutifolia. Trichostomum mutabile, Timmiella
Barbula, Aloina ambigua abbondante, Crossidium squamiferum molto
comune, C. chloronotos, Barbula revoluta, Tortula muralis, T. mar-
ginata, Funaria convexa, Fossombronia caespitiformis, Riccia nigrel-
la ecc.
Gli ammassi di lava, offrono spesso delle fossette, che si riemp'ono
di terriccio, in parte prodottovi per lenta decomposizione della roccia
stessa, in parte provenutovi per azione delle acque piovane o dei venti:
queste fossecole, durante le pioggie, si riempiono più o meno di acqua,
ma in pochi giorni prosciugano totalmente, passando così dall’ estremo
grado di umidità all’ estremo di siccità in tempo brevissimo ed a va-
rie riprese durante la stagione piovosa. Questa stazione così sfavoro-
260 Pa DOTT. GIUSEPPE ZODDA
vole per la vita delle nostre muscinee, dà asilo a poche specie, così
Aloina ambigua, Barbula gracilis Tortella squarrosa, Bryum atropur-
pureum e B. capillare v. meridionale. Invece molto più ricca e varia è
la fiora briologica nelle fessure ombreggiate, che numerose esistono fra
gli ammassi di lava e che si riempiono di un terriccio nerastro 0, a`
volte, rosso mattone affatto sciolto: quivi difatti potei raccogliere Wei-
sia viridula, Fissidens incurvus, F. tamarindifolius, Funaria dentata»
Bryum torquescens, B. capillare v. meridionale abbondante, B. Donia-
num, Homalothecium sericeum, Scleropodium Illecebrum colle varietà
decipiens e spininervium, Hypnum cupressiforme, Fossombronia angu-
losa, F. pusilla, Grimaldia dichotoma, Reboulia hemisphaerica, Tar-
gionia hypophylla.
La fiora dei pascoli secchi, ove il suolo è quasi ovunque costitui-
to da scorie e lapilli con scarsissimo, o anche senza, humus, è rappre-
sentata da Phascum cuspidatum, Pottia Starkeana v. brachyodus, Tri-
chostomum viridiflavum, Aloina ambigua, Barbula vinealis v. cylindri-
ca, B. Hornschuchiana. B. gracilis, Tortella squarrosa, Pyramidula
tetragona v. Zoddee, Funaria dentata F. convexa, Bryum argenteum
v. lanatum, B. atropurpureum, Fossombronia caespitiformis, Riccia
insu’aris ecc; mentre nella stessa stazione lungo la spiaggia prendono
sviluppo Phascum piliferum, Pottia minutula, colla var. rufescens,
P. Starkeana, Bryum atropurpureum. Sphaerocarpus terrestris.
Gli spazii suscettibili di coltivazione sono costituiti da terreno
argilloso, di origine metamorfica e sedimentaria insieme; essi sono
. adibiti in parte a prati natuarali, in parte a rotazione alternata di fru-
mento e di sulla. In questi ultimi, a causa dell’ annuale rimaneggia-
mento del suolo, le briofite mancano quasi affatto, mentre relativamen-
te abbondanti crescono nei primi, anche perchè protetti durante il lo:
ro breve ciclo di vegetazione da una folta vegetazione erbacea, che
mantiene fresca quella stazione. Quivi appunto raccolsi P'euridium
subu'atum, Weisia viridula, Dicranella varia colla var. tenuifolia, Tri-
chostomum crispulum, T. mutabile, Timmiella Barbula, Aloina ambi-
gua, Barbu/a vinealis, Tortula cuneifolia Fissidens incurvus, F. pusil-
lus colla varietà fallax, Funaria mediterranea, F. pustulosa (nuova
specie), Bryum capillare v. meridionale, B. Donianum, Rhynchostegium
BRIOFITE SICULE 261
megapolitanum. Rhynchostegiella litorea, Fossombronia angulosa, F.
Wondraczekti, Lunularia cruciata, Exormotheca pustulosa, Riccia com-
mutata colla var. acrotricha. Anthoceros punctatus colla varietà mul-
tifidus e A. levis.
Sui muri rivestiti di terra trovansi Pottia Starkeana, Aloina am-
bigua, Fissidens pusillus, Bryum, atropurpureum; mentre su quelli nu-
di non raecolsi che Tortula muraiis colla varietà incana, T. margi-
nata e Bryum murale.
Passiamo ora a considerare le condizioni d' ambiente per la ve-
getazione delle briofite negli scogli dei Ciclopi. Sono questi scogli
quattro d.retti da NNE a SSW. Di essi il primo è il più grande di.
tutti e detto dai locali «l' isola»; avrebbe forma pressocchè circolare,
se non presentasse una costa frastagliata dalla parte di: scirocco ed
un’ insenatura stretta, che l’ attraversa per più di metà della sua lun-
ghezza e che, nell’ isula stessa, si continua con una valletta, che tut-
ta l'isola divide in due parti: una al nord più piccola, l' altra al sud
assai più grande. L'altezza massima dell’isola, abbastanza piana in
alto mentre la costa ne è in generale dirupata, non oltrepassa 30 me-
tri e nelle forti tempeste gli spruzzi delle onde giungono ad attraver-
sarla da una parte all'altra. Il suolo è costituito da basalti alla base
e da un mantello di analcime in alto, che si abbassa ad est fino a
lambire il mare, presentandoci aleuni bei easi di «caldaie dei g:gan-
ti». La presenza delle briofite in questa isola è limitata alla parte
superiore costituita dall’ analeime, roccia, eminentemente argillosa, ed
qualche muro presso una casina destinata ad essere trasformata in
stazione di studii biologici.
Il paesaggio botanico nella parte maggiore dell’ isola è costituito
in gran parte da piante ruderali: siepi di fichi d’india nella parte
più bassa prospiciente la costa della vicina Sicilia, qualche Ficus Ca-
rica e poi una folta vegetazione di Thapsia garganica, di qualche Fe-
rula communis, di Allium Porrum, probabilmente proveniente da cul.
ture abbandonate, e di Acanthus mollis; quest'ultima specie copre
da sè sola in gran parte l’ isola, dandovi un’ impronta orientale, che
così bene armonizza coll’ origine mitica di questi scogli. Nella parte —
più piccola dell’ isola havvi invece un’ associazione di piante pratensi, '
262 DOTT. GIUSEPPE ZODDA
miste a qualche alofila poco esigente: Suaeda fruticosa, Lotus creticus
Melilotus infesta, Bromus madri'ensis, alcune Vulpia; qualche Daucus
Carota, qualche Rubus discolor ecc.
Tali condizioni rendono più difficile la vegetazione delle briofite
che nella vicina costa della Sicilia; pertanto molto ridotti sono quivi
sia il numero di specie che la densità d’ individui di queste piante.
Noto anzi che nella parte nord non rinvenni che due soli maschi: Pot-
tia minutula var. rufescens e P. Starkeana; la prima in una piccola
cavità sopra una rupe argillosa (analeime) nuda; l'altra in una pic-
cola radura su suolo parimenti argilloso.
Nella parte maggiore dell’isola lungo i viottoli soleggiati e nei
luoghi scoperti, similmente esposti, rinvenni scarsi esemplari di Pottia
minutula, Didymodon tophaceus, Trichostomum nitidum v. subtoriuosum,
T. flavovirens colla var. nitidocostatum, Aloina ambigua, Barbula un-
guiculata, B. convoluta var. sardoa, Tortula muralis var. incana, T.
aestiva, T. Vahliana, Bryum atropurpureum; mentre sotto le ampie
foglie dell' aeanto e nei luoghi ombreggiati (esistenti del resto soltan-
to presso una grotta scavata entro l'analeime) si ha una vegetazione
un po’ più ricca e più densa di Pottia commutata, Didymodon topha-
ceus forma brevicaulis-acutifolia, Trichostomum nitidum var. obtusum
e var. subtortuosum T. flavairens, Aloina ambigua, Barbula unguicu-
lata, Tortula cuneifolia colla var. marginata, T. marginata, Fissidens
incurvus, F. tamarindifolius, Funaria mediterranea, Bryum torque-
scens, B. capillare var. meridionale, e tutte le epatiche, delle quali
non ne osservai alcun altra sia nella stessa isola che sugli altri
scogli.
Nell’ interno della grotta, nella semioseurità, sulle pareti umidic-
ce di essa trovai uua scarsa vegetazione di Fissidens incurvus e di
Rhynchostellegia tenella, unico pleurocarpo di quegli séogli,
Sui muri finalmente raccolsi Didymodon tophaceus var. brevifo-
lius, Tortula muralis colla var. incana, T. marginata e Bryum mu-
rale. '
Lasciamo ora l'isola dei Cielopi per aecennare brevemente alla
vegetazione del Faraglione grande, che segue immediatamente ad
essa ad una distanza di poco più di 50 metri verso sud: è uno sco-
i N
BRIOFITE SICULE 268
glio celebre per i suoi caratteristici colonnati basaltiei, per. i quali
lo si vede figurato in quasi tutti i trattati di geografia fisica. Alto
cirea 25 metri, da tre lati cade ripidamente sul mare, dal lato che
guarda la terra invece, è ripidissimo nella parte superiore, poco. meno
nella media, mentre alla base si allarga e va nel mare con pendio
dolce : è in quest’ ultima parte, che è rivestito da una discreta vege-
tazione, erbacea o suffruticosa, in cui figurano largamente le piante
più o meno alofite : Suaeda fruticosa, Atriplex Halimus, Lotus cytisoi-
des, P.antago commu'ata. Ma thiola rupestris; anche qui crescono pa-
recchi esemplari di Allium Porrum e poi altre specie proprie dei luo-:
ghi marittimi: Plantago Lagopus, diversi Melilotus qualche Carlina
involucrata ecc. Quasi tutto lo scoglio è costituito di colonnati basal-
tici e fra le fessure di esse, colmate di scarso terriccio sabbioso si
asila la scarsa vegetazione erbacea a sviluppo principalmente inverna-
le e le poche briofite (tutti muschi); soltanto la cima è occupata da
un mantello di analeime ed ivi, in sito inaccessibile, crescono due in-
dividui di Olea eu opea forma Oleaster e di Ficus carica. Il suolo è più
o meno impregnato di salsedine, per la quale nessuna epatica vi può
atteechire ; mentre nelle fessure, poste più al riparo, cresce qualche.
piccolo museo in esemplari stentati; nessuno di essi é essenzialmente
rupicolo. Le specie, che vi raccolsi, sono Hymenostomum microstomum, .
H. torule, Weisia viridu'a, Pottia intermedia abbondante, P. Notari-
su var. cyclopica nuova varietà, Trichostomum nitidum var. medium,
T. flavovirens colla var. nit.docostatum, Funaria hygrometrica, Bryum
atropurpureum e B. capillare var. meridionale.
Segue al Faraglione grande il Faraglione di mezzo in direzione
S S W, un poco meno alto (circa 20 metri) e ripidissimo da tutti i la-
ti. È per intero costituito da basalti e nelle forti tempeste rimane in
gran parte coperto dalle onde marine. La vegetazione quivi è quasi
esclusivamente alofila ; io non vi rinvenni che un solo museo in una
piccola fessura, esposta dalla parte della vicina terra e cioè il Tri
chostomum flavovirens.
A S W trovasi il quarto scoglio, detto il Faraglione piccolo, il
più basso e il minore di tutti, assolutamente inaccessibile, sulla vetta
del quale vidi Allium Porrum, Lotus cytisoides, Suaeda fruticosa,
264 DOTT. GIUSEPPE ZODDA
Matthiola rupestris e sopra una parete un esemplare di Hyosciamus
albus, dalle foglie molto più carnose e pelose del solito. Credo impro
babile su di esso la preseuza di qualsiasi musco. i
Quantunque non sia assai grande la quantita delle specie raccolte
tanto nel territorio di Aci Castello, quanto negli scogli dei Ciclopi,
pure l'importanza di esse è assai grande; difatti si hanno una specie,
tre varietà e una forma nuova per la scienza, e precisamente: Funaria
pustulosa Zodda (Aci Castello).
Ptychomitrium nigricans (Kunze) Br eur. var albidens Zodda (Aci
Castello); genere nuovo per la flora italiana.
Pyramidula tetragona (Brid.) Brid, var. Zoddae Bottini in litteris
ed me.
Pottia Notarisii Schimp. var. cyclopica Zodda (scogli dei Ciclopi
al Faraglione grande).
Altre forme sono nuove per la Sicilia; tali: Phascum cuspidatum,
Gymnostomum calcareum f. muticum, Pottia minutula var. rufescens,
Trichostomum viridiflavum, Fissidens pusillus var. fallax, Exormo-
theca pustulosa, Anthoceros punctatus var. multifidus; mentre ben 37
riescono nuove per il distretto etneo.
Invio nuovi e sentiti ringraziamenti al Chiar. mo Prof, Gaetano
Platania, che me profugo ricoverò nolla sua casina in Aci Castello,
porgendomi D occasione di potere illustrare la flora briologiea di una
parte del distretto etneo, eosi importante e pure quasi sconosciuta.
Potenza, R. Liceo, 19 Marzo 1911.
= =.
EUN pact i
NE MAR E
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BRIOFITE SICULE 265
I. Briofite di Aci Castello
Muschi
CLEISTOCARPI
** Phascuw cuspidatum Schreb. — Nei pascol: aprici sui colli at
torno alla stazione, ferroviaria: fertile in febbraio. Il tipo non era
ancora stato scoperto in Sicilia. —
* Ph. piliferum Schreb. — Frequente e gregario sulle arene ma-
rittime consolidate, spruzzate, nelle tempeste, dalle onde. Mostra quindi
di non soffrire da un moderato grado di salsedine. Fertile in febbraio.
* Pleurid:um subulatum Bruch — Comune nei campi sul suolo vul-
canico decomposto. Fertile in marzo.
ACROCARPI
Gymnostomum calcareum Br. germ. — Comune sui conglomerati
basaltici tanto asciutti, purchè ombreggiati, che umidi, a monte della
strada ferrata. Fertile in marzo.
** Forma muticum Boul. — Qua e là nelle stesse stazioni, abita-
te dal tipo. Anch' essa fertile in marzo.
Weisia viridula (L. Hedw. — Nei campi su suolo decomposto, ma
anche sulle rupi trachitiche ombreggiate, delle quali occupa le piecole
cavità ripieni di terriccio: abbastanza comune da 50 a 150 m. sul
mare. Con frutti da febbraio ad aprile.
Dicranella varia (Hedw) Schp. — Qua e là nei campi sul suolo
un poco argilloso, a monte della stazione; ferroviaria; sterile in
marzo.
* v. tenuifolia Schimp. -- Lungo i margini di un viottolo presso
la stazione ferroviaria. Sterile iu febbraio.
*** Pottia Miuutula (Schleich.) Br. eur. — Comune lungo la spiag-
gia sulle arene marittime consolidate, in società con Phascum pilife-
rwm. Fertile in febbraio.
NEU MATO EUIS DS PUB P d E EN ELA STIR RU e E E NI D TRA, are e To ES a am ee SORS ACTU T UP PS BE ES
K A E Td E Y eret Vars FR PI "ré (ad zd e ge Di X È
E H + y. -
266 DOTT. GIUSEPPE ZODDA
** v. rufescens Schp. — Nella stessa stazione della forma tipica,
ma preferendo i siti più asciutti e soleggiat . Anch’ esso fertile in feb-
braio.
P. Starkeana (Hedw.) C. Müll. — Lungo la spiaggia arenosa sotto
il Castello. Fertile nei primi di febbraio.
* v. brachyodus Lindb. — Sui colli, nei pascoli aprici, secchi, a
monte della stazione ferroviaria. Fertile in febbraio.
Didymodon tophaceus (H. et T.) Jur. forma acutifolia Boul. —-
Presso gli stillicidii sui conglomerati basaltiei in decomposizione, al-
P altezza di circa 100 m. sul mare. Con frutti in marzo.
Trichostomum crispulum Bruch — Non raro, tanto nei campi sul
suolo sciolto, quanto sui basalti indecomposti nel feudo Manganelli e
altrove. Sterile. —
T. mutabile Br. eur. — Piuttosto raro sul terreno sciolto nei cam-
pi e sui conglomerati basaltici decomposti; sempre in siti ombreggiati.
Sterile in febbraio e in marzo.
T. nitidum (Lindb.) Schimp. — Sulla spiaggia sopra una rupe
basaltica indecomposta, in sito battuto dal sole. Sterile in febbraio.
* T. flavovirens Broch — Comune sulle rupe basaltiehe a monte
delia strada ferroviaria. Con frutti in marzo.
** T. viridiflavum DNtrs. — In un campo asciutto, insieme a Fos-
sombronia caespit'formis DNtrs., in ur luogo detto Cavallaccio a cir
ca 80 m. sul mare. Con archegonii in febbraio.
Timmiella Barbula (Schrvägr.) Limpr. — Comunissima in tutto il
territorio sulle rupi basaltiehe ombreggiate, sui eonglomerati basaltiei
e nei campi su suolo sciolto. Con frutti in febbraio e marzo.
Aloina ambigua (Br. eur.) Limpr. — Comunissima nei campi su
suolo argilloso, nei pascoli su suolo arenoso, sui conglomerati basaltici
e sulle rupi vulcaniche nelle cavità di esse, colmate di terriccio. Con
frutti da gennaio a marzo.
Crossidium squam.ferum (Viv) Limpr. — Sui conglomerati vulca-
nici al Cavallaccio a circa 80 m. sul mare. Con. frutti in febbraio e
* C. chloronotos (Brid.) Limpr. — Specie rarissima; nota per la
BRIOFITE SICULE 261
Sicilia, soltanto di Palermo. (1) La rinvenni sopra una rupe basaltiea,
in sito scoperto, ma poco battuto dal sole. Con frutti in marzo.
Barbula vinealis Brid. — Nei campi su suolo sciolto. Sterile in
marzo; con archegonii in aprile,
v. cylindrica (Tayl. Boul. — Consociata a Tortula muralis, 1.
marginata ece. sulle rupi basaltiche. Sterile in marzo.
B. revoluta (Schrad.) Brid. — Sterile in febbraio, sui conglome-
rati basaltici; sempre in siti scoperti, aridissimi.
B. Hornschuchiara Schultr. — Rara: rinvenuta da me in una lo-
ealità: al Cavallaeeio in un pascolo secco. Sterile in marzo.
* B. gracilis (Schleich.) Sehwügr. -- Nei pascoli secchi, consociata
a B-yum atropu*pureum e anche sulle rupi basaltiche. Sterile tanto
in febbraio ehe in marzo.
Tortella squarros (Brid.) Limpr. — Nei campi: sterile in febbraio;
e sulla lava: fertile in marzo.
Tortula cuneifolia (Dicks.) Hedw. — Nei campi su suolo vulca-
nico sciolto. Con frutti in marzo.
* T. atrovirens (Smitb) Lindb. — Sulle rupi basaltiche; poco co-
mune. Con frutti in febbraio.
T. muralis (L.) Hedw. — Comune sui muri; abbonda parimenti
sui conglomerati vulcanici e sui basalti. Con frutti in febbraio e
marzo.
* v. incana Schimp. — Col tipo sui muri e sui basalti, nei siti
più secchi. Anch’essa con frutti in febbraio e marzo.
v. obcordata Schimp. — Sulla nuda lava in siti molto esposti al
sole: presso Ficarazzi a 230 m. Con frutti in febbraio.
* T. aestiva (Brid.) PB. — Sulle rupi basaltiche, consociata ‘a 7.
muralis e T. marginata. Con frutti in marzo.
T. marginata (Br. eur.) Spruce — Sulle rupi basaltiche, anche in
vicinanza degli stillicidii; non rara a monte della strada ferrata. Con
frutti in marzo e aprile.
(1) L5jacono. — Secondo elenco briologico di Sicilia in « Il Naturalista Si-
ciano », anno 1886; pag. 246.
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268 DOTT. GIUSEPPE ZODDA
*** Forma minor Zodda.
Seta breviore, usque ad quinque millimetra tantum longa; capsula
minore.
Sono degli esemplari, affetti da nanismo, che crescono sui basal-
ti indecomposti, nei siti più battuti dal sole; non di rado però fram-
misti alla forma tipica. Con frutti in marzo.
* Fissidens incurvus Starke — Sul suolo fresco dei campi e nelle
fessure ombreggiate delle rupi basaltiche. Comune in tutto il territo-
rio e con frutti in marzo.
* F. tamarindifolius (Don) Brid. — Nelle fessure ombreggiate delle
rupi basaltiche con frutti in marzo e aprile. Alcuni esemplari fanno
per parecchi caratteri passaggio alla specie precedente; si sa del resto
che il F., tamarindifolius è una specie di secondo ordine, che si fareb-
be meglio a considerare come semplice varietà del F. incurvus.
"EF pusillus Wils. — Sui muri rivestiti di terra al Castello e nei
campi in siti ombreggiati. Con frutti in febbraio.
** v. fallax Simpr. — Nei campi sul suolo fresco ed ombreggiato:
nel feudo Manganelli presso la trincea fra le stazioni ferroviarie di
Aci Castello e Cannizzaro. Con frutti in febbraio.
Grimmia leucophaea Grev. — Sulla lava nuda esposta ai sole. Con
frutti in febbraio.
G. pulvinata (L.) Smith — Sulla lava nuda, in siti adusti; conso-
ciata a Tortula muralis v. obcordata a Ficarazzi all’ altezza di circa
230 m. Con frutti in febbraio.
* v. longipila Schimp. — Più frequente del tipo e comune sulla
lava in tutto il territorio. Fertile in marzo e aprile.
G. Lisae DNtrs. — Sulla lava nuda, abbastanza frequente. Fertile
in marzo,
*** Ptychomitrium nigricans (Kunze) Br. eur. var. albidens Zodda,
Differt a typo peristomio haud rubente, sed luteolo-albido ; denti.
bus plerumque, usque ad medium et ultra, bipartitis; sporis 14—16
p. metientibus. Sulla nuda lava, in siti esposti al sole; lungo i mar-
gini di una via campestre fra Aci Castello e Ficarazzi a circa 80 m.
sul mare. Con frutti abbondanti in marzo.
BRIOFITE SICULEÉ 269
I confini dell'area di distribuzione di questa specie, conosciuta
del Portogallo meridionale, delle Canarie, di Madera e delle Azzorre,
e quindi a distribuzione prettamente atlantica, colla scoperta da me
fatta, viene considerevolmente allargata ed accresce il numero di quelle
specie, che uniscono la Sicilia alla flora portoghese (Exormotheca pu-
stulosa, Tortula Solmsii ecc.). Gli esemplari da me scoperti, si allon-
tanano d’ altronde alquanto dal tipo, mostrando così di appartenere ad
una ben distinta varietà geografica. In quanto alle spor.: negli esem-
plari da me raccolti, misurano da 14 a 16 uw; nel tipo secondo le
informazioni datemi dal chiar.mo briologo Bottini e attinte dall’ esame
di esemplari autentici, da lui stesso posseduti, sono di 21 w.;il Roth
però (1) dà come dimensioni di questi organi 12-16 w.
*** Pyramidula tetragona (Brid.) Brid. var. Zoddae Bott. in litteris.
Recedit a typo foliis longius acuminatis, costa excurrente fortiter
aristatis; capsulis deopercu'atis obovato-truncatis, macrostomis, orificio
hand vel vix constricto; sporis levibus, 60 u.
Nei pascoli secchi su suolo vulcanico, consociata a Bryum atro-
purpureum; al Cavallaccio: 80 m. sul mare. Con frutti maturi in marzo,
Il chiar.mo briologo Bottini, al quale comunicai per esame gli e-
semplari di questa specie, così mi serive a proposito di essa: e Che
sia una Pyramidula non v’é dubbio alcuno; anzi (escluse le caratte-
stiche indicate) corrisponde in tutto alla P. tetragona. Le spore lisce
sono proprie di questa specie, come giustamente osserva il Warnstorf.
Se fra i suoi esemplari esistessero frutti poco maturi, non dubito che
avrebbero presen'ato l'apertura cassulare ristretta. Dopo la sporosi
l'apertura si allarga, fino a presentare a volte analogia colla Pottia
truncata, come già ha notato Boulay, e come ne ho esempi in erba-
rio». Per la grande apertura dell’ orificio cassulare, propendevo a ri-
tenere questi esemplari, appartenenti al vicino genere Physcomitrium,
ma il Bottini giustamente li ha riferiti, ad una nuova varietà, che
volle intitolare col mio nome, di Pyramidula tetragona.
* Entosthodon curvisetus (Schwägr.) C. Müll. — Nelle fessure dei
(1) Roth — Die europ. Laubmoose, I, pag. 450.
270 DOTT. GIUSEPPE ZODDA
muri e delle rupi basaltiche e al piede di queste: abbastanza comune.
Consociata a questa specie rinvenni la bellissima Exormotheca pustu-
losa Steph. Fertile in febbraio e marzo.
Funaria dentata Crome — Nei pascoli secchi e nelle fessure om- `
breggiate delle rupi basaltiche. Con frutti in marzo.
* F. mediterranea Lindb. — Nei campi sul suolo vuleanico sciolto.
Con frutti in marzo.
*** F., pustulosa Zodda nova species.
Monoica. Laxe gregaria. Caulis brevis, !/, — 2 mm. metiens. Fo-
lia rosulata, flaccida, parce chlorophyllosa, ascendendo maiora, subspa-
thulata, ex apice sensim lenuato cuspidata, subcrenulata, nervo ad me-
dium vel paulo supra evanido instructa; cellulis foliorum ut in F. me-
diterranea. Flores masculi dis:oidei, in ramulis propriis terminales,
antheridia pauca. Sela 4—12 mm. longa, subtus rubella, supra stra-
minea et ibidem sinistrorsum contorta. Capsula e collo defluente, in
sicco contracto, oblique pyriformis, cernua vel, rarius, suberecta sub
ore constricta; peristomii exterioris lamellae maxime prominentes, ut
et plus quam in F. pulchella Phil. Sporae 24—28 u. verrucis magnis,
rariusculis, aggregato-compositis, polymorphis, valde extantibus instructis.
Consociata a Tortula cuneifolia (Dicks.) Hedw. sul suolo sciolto,
vulcanico, nei campi: fra la trincea e il Cavallaccio nel feudo Man-
ganelli. Con frutti in marzo.
una specie che per gli organi vegetativi somiglia molto a F.
mediterranea, mentre per i caratteri presentati dal peduncolo, dalla
capsula e, meglio ancora, dai denti del peristomio si avvicina a F. pul-
chella; e fra queste due specie essa è quindi da collocare. Differisce
però dall’ una e dall’ altra, ed in modo esimio, per la conformazione
delle spore affatto particolare e sconosciuta nelle altre specie conge-
neri.
F. convexa. Spruce. Sui conglomerati basaltici poco comune. Fer-
tile in marzo.
Mniobryum albicans (Wahlenb.) Limpr. — Presso gli stillicidii e
nei luoghi molto ombreggiati fra le rupi vulcaniche. Sterile tanto in
marzo che in aprile.
* Bryum argenteum L. v. lanatum Seimp. — Nei pascoli secchi,
BRIOFITE SICULE 271
sulla vetta del Cavallaccio. Con frutti in febbraio. Il tipo è indicato
per Aci Castello da Rafinesque (1).
B. torquescens. Br. eur. — Non raro fra le fessure delle rupi
basaltiche, colmate di terriccio. Con frutti in marzo.
B. murals Wahlbg. Qua e là sui muri, ma non molto comune.
B. atropurpureum Aut — Comunissimo nei luoghi aridi, in tutto
il territorio e spesso fertile in febbraio e marzo.
B. capillare L. v. meridionale Schimp. — Nei campi sul suolo
vuleanieo decomposto, in siti ombreggiati. In febbraio e marzo ne rae-
colsi tanto individui con anteridi che con frutti.
B. Donianum Grev. — Nelle stesse stazioni della specie preceden-
te e più comune di essa; tanto in esemplari maschili che femminili,
in febbraio e marzo.
* B. canariense Brid. — Sulla nuda lava, consociato con Frullania
dilatata Tay!. con Grimmia Lisae DeNtrs, ecc. Fertile in febbraio e
marzo. Già scoperto dal Sommier nell’ isola di Pantelleria.
Bartramia stricta Brid. — Sempre in siti ombreggiati, nei campi
e fra le fessure, colmate di terriccio, delle rupi vulcaniche e dei bloc-
chi di lava, usati come muri a secco. Da febbraio ad aprile e spesso
fertile.
PLEUROCARPI.
Homalothecium sericeum Br. eur. — Sterile sulle rupi basaltiche,
in aprile.
Scleropodium Illecebrum (Schwägr.) Br. eur.—Sterile in marzo sulle
rupi basaltiche. .
* v. deciplens Bott. — Sterile sulle rupi molto ombreggiate, in
marzo.
v. spininervium Zodda. —Con frutti in aprile, sulle rupi basalti-
a circa 200 m. sul mare,
Eurhynchium circinatum (Brid.) Br. eur. — Sulle rupi vulcaniche
(4) Strobl. Flora des Etna, pag. 315
272 DOTT. GIUSEPPE ZODDA
con frutti in marzo. È la prima volta che mi è dato raccogliere in
esemplari fruttiferi questa specie, così estremamente comune nella zo-
na marittima della Sicilia.
Rhynchostegium megapolitadum (Brid.) Br. eur. — Nei campi e sul-
le rupi rivestito di argilla. Con frutti in febbraio; sterile in aprile.
* Rhynchostegieila litorea (DNtrs,) Limpr. — Nei campi su suolo
argilloso. Sterile in marzo.
Hypnum cupressiforme L. — Sulle rupi basaltiche, in esemplari
anteridiferi, in marzo.
EPATICHE
* Frullania dilatata (L.) DuM. — Sulla nuda lava, con colesule in
marzo; consociata a Bryum canarienze.
* Madotheca levigata DuM. v. obscura Nees - Sulla lava ombreg:
giata, sul M. d' Oro a circa 200 m. sul mare; con colesule in marzo.
Il tipo era già noto per il distretto etneo.
Southbya stillicidiorum (Raddi) Spruee — Nei luoghi umidi e pres.
so gli stillicidii; con colesule in marzo.
Fossombronia angulosa Raddi — Sul suolo ombreggiato dei cam-
pi e nelle fessure terrose delle rupi basaltiche; con frutti in marzo.
* F- Woudraczekii (Corda) DuM. — Nei campi; con frutti in marzo.
F. pusilla DuM. — Fra le tessure delle rupi basaltiche ; con frut
ti in marzo. Indicata per l’ Etna da Rafinesque (!).
F. caespitiformis DNtrs. — Nei pascoli secchi e sulle rupi basal-
tiche ombreggiate. Con frutti in febbraio e marzo.
Sphaerocarpos terrestris L. — Raro, lungo la spiaggia sotto il
Castello. Con frutti in febbraio.
Lunularia cruciata L. — Nei campi e presso gli stillicidii. Con
scife in marzo e aprile.
Grimaldia dichotoma Raddi — Nelle fessure dalle rupi vulcaniche,
comune, con frutti in febbraio e marzo.
C) Strobl Flora des Etna pag. 318.
Te
X
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3
BRIOFITE SICULE 173
Reboulia hemisphaerica Raddi — Come la precedente ma assai
meno comune ; con frutti in aprile.
Plagiochasma rupestre (Forst.) Miill. — Sulle rupi basaltiche, al-
la trincea. Con frutti in marzo.
** Exormotheca pustulosa Steph — Nei campi un solo cespuglietto
consociato a Entosthodon curvisetus.
Specie atlantica rarissima di particolare interesse per la flora i-
taliana. Il Goebel l'aveva scoperta nel Napoletano, ma non se ne-co-
nosceva la località, anzi s’ ignorava se fosse stata raccolta sulla terra
ferma (Amalfi) o nell’ isola d’ Ischia; e per giunta era stata raccolta
in esemplari maschili soltanto. Il mio esemplare invece è splendida-
mente fruttificato.
Targionia hypophylla L. — Sulle rupi basaltiche fra le fessure.
Con frutti in aprile.
Tessellina pyramidata DuM. — Come la precedente, consociata a
Grimaldia dichotoma. Con frutti in marzo,
Riccia commutata Lev. — Nei campi sul suolo vulcanico sciolto
fertile in aprile.
* var. acrotricha Lev. — Col tipo nelle stazioni più fresche.
R. insularis Lev. — Nei pascoli aridi, secchi: al Cavallaccio; fer-
tile in febbraio.
R. nigrella D. C. — Sui conglomerati basaltiei ombreggiati: a Fi-
carazzi a circa 150 m; fertile in febbraio.
* Anthoceros punctatus L. — Nei campì: comune con frutti in
marzo.
** v. multifidus (L.) Nees — In un campo nel feudo Manganelli
su suolo vulcanico sciolto; consociato al tipo: fertile in marzo.
Fra questa varietà e la forma tipica esistono numerosi passaggi,
per i quali talvolta non riesce facile distinguerla dal tipo.
A levis L. — Nelle stesse stazioni della specie precedente; fertile
in marzo.
214 DOTT. GIUSEPPE ZODDA
II. Briofite dei Ciclopi
Muschi
ACROCARPI
* Hymenostomum microstomum (Hedw) R. Br.— Nelle fessure delle
rupi basaltiche al Faraglione grande. Fertile.
* H. tortile Br. eur. — Nella stessa stazione della specie prece-
dente. Sterile.
Weisia viridula (L.) Hdw. — Nelle fessure dei basalti al Fara-
glione grande. Fertile.
* Potta minutula (Schleich.) Br. eur. — Qua e là nei luoghi sco-
perti, nell' Isola dei Cielopi. Fertile.
** v, rufescens Schimp. — La rinvenni in una piccola cavità su
suolo argilloso, sopra una rupe propendente sul mare, parte nord del-
P Isola dei Ciclopi, Fertile.
* P. Starkeana (Hedw.) C. Müll. — Nelle radure nella parte nord
dell' Isola dei Cielopi e fra le fessure delle rupi basaltiche al Faraglione
grande. In ambo i luoghi fertile.
- * P. commutata Limpr. — Nei luoghi ombreggiati sotto le larghe
foglie di acanto; in vieinauza della grotta. Fertile.
* P. intermedia (Turn.) Fürn. — Abbonda nelle radure e fra le
fessure delle rupi basaltiche al Faraglione grande. Fertile.
*'* P. Notarisii Schimpr. var. cyclopica Zodda nova var. Recedtt
a typo folus brevioribus (1, 5— 1.75 mm. longis, nec 1, 15 — 2
mm.), longius cuspidalis, magis chlorohyllosis; sporis paulo maioribus
(28 — 30 u.)
Nelle radure al Faraglione grande; con frutti.
Per i caratteri sopra esposti e costanti, questi esemplari si di-
stinguono dal tipo; anzi, per le maggiori dimensioni delle spore, po-
trebbe istituirsene una nuova specie (di second'ordine però): Pottia
cyclopica. Qualche volta il peduncolo è lungo soltanto 4 mm. e la cap-
sula è un poco più piccola che nel tipo. Nel resto corrisponde agli e-
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BRIOFITE SICULB 275
semplari autentici, che potei esaminare per la gentilezza del Prof. Pi-
rotta e che perciò pubblicamente ringrazio. Anzi dirò che questi si
allontanano, più dei miei, dalla descrizione, che danno di questa specie
il De Notaris (1) sub Pottia crinita, il Limpricht (2) ed il Roth (3);
difatti il fusto in essi è lungo 3-5 mm. invece di 1-2 mm. come nel
tipo e come nei miei, le foglie sono quasi sempre attenuate all’ apice
e il peduncolo giunge sino a 9 mm. di lunghezza; invece che essere
di 5-7 nel tipo; mentre nei miei è di 4-5 mm. Non può paragonarsi
a P.intermedia, differendone per molti caratteri, fra cui la differenza
di sesso, essendo autoica questa, paroici i miei esemplari, la leviga-
tezza delle foglie, l’ assenza completa di peristomio, l’opercolo più
lungamente rostrato ecc.
Didymodon tophaceus lur. — Sterile sul suolo argilloso nell’ Isola
dei Ciclopi; abbastanza rara.
v. brevifolius Br. eur. — Sopra un muro dietro la casina nell’ I-
sola dei Ciclopi; sterile.
Forma brevicaulis-acutifolia Boul. — Nei Inozhi ombreggiati pres-
so la grotta nell Isola dei Cielopi; sterile.
* Trichostomum nitidum Schimp. v. medium Boul. — Nelle fessure:
delle rupi basaltiche al Faraglione grande. Sca-samente fruttificato.
Già seoperto da me stesso nell' Isola di Linosa.
v. obtusum Boul. — In luoghi ombreggiati nell'Isola dei Cielopi-
insieme a Pottia commutata Limpr.; sterile.
* v, subtortuosum Boul. — Sulle rupi argillose nell’ Isola dei Ci
elopi; fertile.
* T. flavovirens Bruch. — Sugli schisti argillosi nell’ Isola dei Ci-
clopi; fertile; e sulle rupi basaltiche al Faraglione di mezzo in esem-
plari maschili e femminili e al Faraglione grande in esemplari maschili.
* var. nitidocostatum Bott. — Insieme al tipo nell'Isola dei Ci-
elopi e al Faraglione grande.
(1) De Notaris Epilogo della briologia italiana, pag. 586.
(2) Limprieht Laubmoose ecc. III, p. 688.
(8) Roth Die europ. Laubmoose, I, p. 290.
276 DOTT. GIUSEPPE ZODDA
Aloina ambigua (Br. eur.) Limpr. — Neiluoghi scoperti nell’ isola
dei Ciclopi. Con frutti; abbastanza comune.
* Barbula unguiculata (Huds.) Hedw — Sterile, insieme alla spe-
cie precedente. Il tipo non era noto pel distretto etneo.
B convoluta Hedw. v. sardoa Schimp. — Fertile, insieme alle due
specie precedenti.
Tortula cuneifolia (Dicks) Hedw. — In esemplari tipici nei luoghi
ombrosi presso la grotta nell’ isola dei Ciclopi; con frutti in marzo.
* v. marginata Flesch. — Più comune del tipo in luoghi ombreg
giati nell’ isola dei Ciclopi; con frutti.
T. muralis (L.) Hedw. — Sui muri dietro la casina nell’ isola dei
Ciclopi; con frutti in marzo.
v. incana Schimp. — Insieme al tipo ed anche altrove nella stes-
sa isola sulle rupi argillose; parimenti fruttificata.
* T. aestiva Brid. — Sugli schisti argillosi nudi nell’ isola dei Ci-
clopi; con frutti in marzo.
T. marginata Spruce — Sui muri nell’ isola dei Ciclopi e nei luo-
ghi ombreggiati lungo il viottolo, che conduce alla grotta; fertile in
marzo.
* T. Vahliana (Schultz) De Ntrs. — Fertile nei luoghi scoperti
nell’ isola dei Ciclopi; in una località.
* Fissidens incurvus Starke — Nei luoghi ombreggiati: e dentro
la grotta, nella semi oscurità, nell’ isola dei (Ciclopi; fertile nella pri-
ma stazione, sterile nella seconda.
* F. tamarindifolius Limpr. — Nei luoghi ombreggiati; commisto
alla specie precedente; fertile.
Funaria mediterranea Linpà. — Insieme alla specie precedente;
fertile.
F. hygrometrica (L.) Sibth. — Rarissima nelle radure al Fara-
glione grande; con frutti.
Bryum torquescens Br. eur. — Nei luoghi ombreggiati nell’ isola
dei Ciclopi; con archegonii in marzo.
B. atropurpureum Aut. — Sterile nelle radure al Faraglione gran -
de; fertile in esemplari maschili e femminili all'isola dei Ciclopi lun-
go i viottoli e nei luoghi calpestati.
BRIOFITE SICULE 211
B. murale Wils. — Sui muri dietro la casina all isola dei Ciclopi;
individui con anteridii e con frutti.
B. capillare L. v. meridionale Schp. — Nelle Sep delle rupi
basaltiche al Faraglione grande e nei luoghi ombrosi presso la grotta
. nell’ isola dei Ciclopi: in entrambi i luoghi sterile.
PLEUROCARPI
* Rhynchostegiella ¿tenella (Dicks,) Limpr. — Nei luoghi semio-
seuri dentro la grotta nell’ isola dei Ciclopi: esemplari sterili lassamen-
te ramificati e con foglie poco addensate.
EPATICHE
Fossombriona caespitiformis DNtrs.—-Nei luoghi ombreggiati nel-
l'isola dei Ciclopi: con frutti.
Sphaeracarpos terrestris L. — Insieme alla precedente; anch’ essa
fruttificata.
Lunularia cruciata L. — Colle precedenti, tanto con scise che con
archegonii.
Riccia lamellosa DuM. — Rarissima, nei luoghi dina nel-
l'isola dei Ciclopi.
R. commutata Lev. — Colla precedente presso la grotta.
* y. acrotrica Lev. — Qualche individuo, commisto alla forma
tipica, riferibile a questa varietà.
Anthoceros levis L. — Presso la grotta fra gli acanti nei siti più
ombreggiati nell’ isola dei Ciclopi.
RECENSIONI
I. Stoklasa und W. Edobuicky — Photochemische Sythese den Koh-
lenhydrate in Abweseheit von Chlorophyll (Chemik. Zeit. Septemb.
1910 n° 107).
Gli Autori riassumono brevemente in questa nota i risultati (non
ancora pubblicati) ottenuti da alcune esperienze riguardanti il problema
della sintesi fotochimica degli idrati di carbonio. Essi sperimentano
cioè l’ influenza dei raggi ultravioletti su alcune sostanze e gasose,
precisamente sull'anidride carbonica e sull’ossigeno (anche allo stato
nascente,) che sono appunto i due gas che hanno maggiore importanza
nel processo dell’assimilazione clorotilliana.
on i risultati delle loro ricerche gli Autori dimostrano che per
l'azione di tali raggi sull'anidride carbonica e sull’ossigeno (quest’ultimo
presente allo stato nascente) avviene tra questi gas una fotosintesi, che
si può esprimere con l'equazione:
i 2H 2 CH, O 0,
secondo la quale la riduzione dell'anidride carbonica (o meglio dell'a-
cido carbonico) avverrebbe per la presenza dell’idrogeno, come già
venne dimostrato dal Pollacci nella Nota: Azione della luce solare
sull'emissione di idrogeno dalle piante (Atti Ist. Bot. di Pavia, X,
1904).
In presenza di potassa l’aldeide formica così formata si condensa
t
uando manchi l'azione dei raggi ultra-violetti, da ossigeno allo
o nascente e da acidu carbonico non si forma in nessuna condi-
ue Autori concludono con l'ammettere che nelle cellule vegetali
, come primo prodotto della riduzio-
ne dell'aeido carbonico, l'aldeide formica, secondo l’equazione teorica-
: CO, = H CO H 0,
e dimostrata sperimentalmente dal Pollaci (1899) specialmente per ciò
che riquarda la presenza dell’aldeide formica nelle piante la sua
stretta relazione con il fenomeno dell’assimilazione clorofilliana.
9 processo consisterebbe dunque, secondo i due Autori, in
un semplice assorbimento dei raggi ultravioletti da parte della cellula
contenente elorotilla, ed essi infatti riuscirono con questo mezzo a
accelerare in pianse eziolate la sintesi clorofilliana.
DOTT. E. MAMELI.
BIBLIOGRAFIA MODERNA
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Biologia
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Eo Bean e (CC Massari PD
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anomalie fogliari provocate dal Dacthylopius citri Signor. nella Parkin-
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Sopra un nuovo processo di tecnica istologica
pr la colorazione delle sezioni in serie e la sua applicazione all’ anatomia
e fisiologia vegetale, con particolar riguardo agli organi motori,
(Nota dei Proff. Luet BuscaLioni E Giuseppe MUSCATELLO)
La colorazione delle sezioni in serie riesce facile quando si ha
cura di imparaffinare il materiale da studio. Disgraziatamente però
non sempre il botanico può valersi del metodo dell’ imparaffinamento,
ed anzi quando si tratta di parti dure voluminose egli deve per lo
più ricorrere semplicemente alle sezioni, a mano o al mierotomo,
del materiale fresco od indurito e fissato coi soliti metodi. Tutt'al
più può ricorrere al processo, non molto più in uso, dell’inelusione in
celloidina.
L'imparaffinamento poi non è scevro di inconvenienti, richiedendo
fra l’altro parecchi giorni di manipolazione, prima che i pezzi possano
prestarsi ad essere sezionati. Perciò il botanico ricorre anche. spesso
alle sezioni del materiale fresco o semplicemente indurito, ineluso nel
midollo di sambuco, essendo questo un metodo spiecio e comodo.
Però anche questo metodo presenta notevoli inconvenienti, allorchè
trattasi di praticare centinaia di sezioni in serie, colorarle debitamente
e montarle sul vetrimo. Infatti quando le sezioni non sono tenute a
posto l’una accanto all’altra si disperdono nei liquidi coloranti di guisa
che il vantaggio delle sezioni in serie va del tutto perduto. Chi si
accinge a studiare il decorso dei fasci vascolari, o come si modifica a
poco.a poco una determinata struttura in un dato organo, può convin-
cersi subito di quanto abbiamo detto.
Di fronte a questi inconvenienti reputiamo non del tutto privo
di interesse riportare qui un metodo pratico, di facilissima applica-
zione, e quanto mai rapido, il quale permette di tener disposte le se-
250 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
zioni nell'ordine in eui vengono effettuate, anche se queste ammon-
tano a più centinaia. Esso inoltre permette ancora di colorare i pre-
parati, utilizzando all’ uopo due o più colori, come si pratica in isto-
logia quando si vogliono ottenere due o più tinte combinate; di cam-.
biare i reattivi quando si debbano far agire due o più sostanze le une
dopo le altre sui preparati; infine, e questo è forse il lato migliore,
di montare a nostro bell’agio le preparazioni senza c'e per lo più si
abbia a temere un’eccessiva colorazione delle stesse.
Il metodo offre il grande vantaggio di essere applicabile a qual-
siasi tessuto od organo della pianta, e come sopra si disse riesce utile
tanto nel caso che si abbiano preparati fatti a fresco, o che siano
stati previamente induriti od altrimenti manipolati.
I] metodo consiste nel tapezzare con carta bibula o con carta di
protocollo il fondo di un eristallizzatore, di una capsula di Petri, o
di qualunque altro recipiente munito di coperchio.
Preparato così il recipiente si versa sulla carta la soluzione eo-
lorante (e se ne possono impiegare due o più, di diversa tinta, ad un
tempo), operando però in modo che la carta (per lo più bianca) ne
resti imbevuta, ma non ricoperta. Ciò fatto si sezionano i pezzi ana-
tomiei (radici, fusti, parti di foglie e via dicendo) col mierotomo e
quindi si collocano le sezioni l’una dopo l’altra in un determinato or-
dine sulla carta bibula o di protocollo impregnata, come si è detto,
di sostanza colorante o di qualsiasi altro reattivo, a seconda delle ri-
cerche che si intendono fare.
La carta bibula, costituita per lo più di fibre vegetali, oltre che
colorarsi coi reattivi, trattiene con una certa energia, ma meccanica-
mente, le sostanze coloranti di cui è imbevuta, cedendole a rilento
alle sezioni. Si ha quindi il vantaggio che queste si colorano grada-
tamente, poichè (ei sia lecito esprimerci con un paragone il quale,
benchè non appropriato calza a meraviglia) avviene quasi una lotta
fra la carta e il preparato pel possesso del colore. Lo stesso avviene
ma in grado minore colla carta di protocollo.
Numerose esperienze ci hanno dimostrato che con questo metodo,
difficilmente si ottiene un eccesso di colorazione dei preparati, qua-
lora si operi con un po’ di attenzione, mentre è noto che un eccesso
:
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SOPRA UN NUOVO PROCESSO DI TECNICA ISTOLOGICA 291
di tinta è spesso inevitabile quando si immergono le sezioni in liquidi
coloranti di una certa concentrazione. Non occorre aggiungere che così
si va incontro a un grave inconveniente dovuto all'inevitabile sposta-
mento dei preparati il quale rende inutilizzabili, come si è detto, le
sezioni in serie.
Si potrebbe obbiettare che la carta bibula, più ancora di quella
di protocollo, può lasciare aderenti al preparato non poche fibre, le
quali poi rovinano il medesimo. Ebbene possiamo assicurare che se si
ba cura di cambiare spesso la carta l’inconveniente si verifica in scar-
sissima misura e può esser eliminato, poichè le flbre sono abbastanza
grandi e quindi asportabili con le pinze, col pennello o col lavaggio.
Grazie alla graduale colorazione cui vanno incontro i preparati e più
di tutto alla circostanza che una volta colorati in una certa misura gli
stessi difficilmente riescono ad attingere dalla carta un eccesso di co
lore, non si verifica più alcun serio inconveniente, se si lasciano più
o meno a lungo (anche per parecchi giorni) i preparati nel recipiente
a contatto della carta, prima di montarli sul vetrino portaoggetti. È
però necessario c'e il recipiente rimanga chiuso allo scopo di impedire
la evaporazione del liquido e l’essiccamento dei preparati.
Abbiamo tuttavia notato che quando si fa uso di due o più co-
lori di anilina (saffranina o fucsina e verde jodio, verde di metile
ete. per ottenere una doppia o tripla colorazione e se si lasciano in
pari tempo troppo a lungo i preparati a contatto della carta si otten-
gono delle notevoli variazioni nella tinta dei preparati e talora si ha
per risultato che uno dei colori assume il sopravvento, per cui le sezioni
diventano colorate uniformemente di una sola tinta. Qui è evidente
l'azione della carta poichè il colore che non si fissa al preparato o
viene sostituito per lo più è quello che ba maggior affinità per la carta.
Quando si ba cura di esaminare di tempo in tempo i preparati si può
sorprendere il momento giusto in cui le doppie od anco triple colora-
zioni hanno raggiunto la massima efficacia, col risultato di una notevole
differenziazione dei vari tessuti per quanto concerne le tinte.
Nell'Istituto Botanico di Catania da un po’ di tempo si impiega
eu larga scala questo metodo e con notevole successo, in specie per
quanto concerne la colorazione di sezioni in serie di fusti, di radici,
292 LUIGI BÜSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
di pieeiuoli fogliari, pei quali abbiamo quasi sempre tentato la com-
binazione di due colori (verde jodio e fucsina) per tingere il legno
diversamente dalle membrane cellulosiche. I risultati ottenuti non la-
sciano aleunché a desiderare in fatto di bellezza di tinte di contrasto;
anzi talora si sono ottenute con soli due colori delle triplici colora-
zioni in cui il protoplasma e i nuclei assumevano una tinta diversa
da quella del legno o delle pareti cellulosiche. Si noti inoltre che
preparati ottimi furono ottenuti sia a fresco, sia con materiale stato
previamente indurito nell’alcool.
Capita talora che i preparati, dopo aver subito un primo tratta-
mento od essere stati assoggettati a determinate colorazioni debbano
essere lavati o trasportati in un secondo reattivo: in qnesto caso si può
riuscire nell’ intento esportando dal cristallizzatore o dalla capsula di
Petri il pezzo di carta bibula su cui stanno i preparati, per collocarlo
in un altro recipiente contenente il nuovo reattivo. Però questa prat cà
non è scevra d’inconvenienti, di guisa che è più consigliabile esportare
ad uno ad uno i preparati allo scopo di riportarli in altra vaschetta,
su nuova carta imbevuta del reattivo che si vuol saggiare. Con en-
trambi i metodi occorre procedere con una certa precauzione per non
spostare l'ordine di seriazione dei preparati. Non occorre aggiungere
che le sezioni vanno alla fine trasportate ad una ad una colle pinze
o col pennello sul vetrino portaoggetti.
Le manipolazioni necessarie per ineludere e coprire col vetrino
coprioggetti le sezioni provocano spesso degli spostamenti dannosi di
talune sezioni : si ovvia però all’ inconveniente collocando queste sul
portaoggetti spalmato con un po’ di glicerina e poscia lasciando len-
tamente cadere il coprioggetti pure spalmato, dal lato rivolto verso
le sezioni, con lo stesso reattivo. Trattandosi dì montare in balsamo
si può ricorrere a procedimenti analoghi oppure far i passaggi dal-
l'alcool in olio di garofano o xilolo sulla carta bibula stessa, in adatti,
recipienti, e quindi collocare le une dopo le altre le sezioni sul vetrino
portaoggetti spalmato di balsamo.
I principali risultati che abbiamo ottenuto coll’impiego dì questo
metodo saranno oggetto di prossime pubblicazioni: qui però intendia-
mo riportare per sommi capi le ricerche che abbiamo potuto eseguire
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5
SOPRA UN NUOVO PROCESSO DI TECNICA ISTOLOGICA 293
sui cuscinetti motori e sui picciuoli delle foglie di Mimosa e sugli or-
gani motori di altre piante sensibili, per le quali ci siamo serviti, co-
me reattivi, della soluzione di ferrocianuro di potassio e del cloruro
di ferro allo scopo di ottenere la colorazione dei tessuti vegetali col
bleu di Prussia, che come è noto si forma quando i due sopra ricor-
dati reattivi agiscono |’ uno sull'altro.
Se si ricorresse per questo studio al solito metodo di immergere
le sezioni in uno dei reattivi e poi nell'altro, previa lavatura in ac-
qua, pur prescindendo dal fatto che se le sezioni sono numerose diffi-
cilmente potrebbero esser tenute in ordine, si verificherebbe spesso che
il bleu da Prussia formatosi sarebbe in troppa esigua quantità per
dare una bella tinta o precipiterebbe anche alla superficie delle sezioni,
di guisa che i contorni degli elementi e la struttura di questi riesci-
rebbero alquanto mascherati.
All’opposto disponendo le sezioni dapprima nella vaschetta conte-
nente la carta bibula imbevuta di ferrocianuro di potassio e poi in
quella destinata al cloruro di ferro, ed avendo solo la precauzione di
capovolgere le sezioni affinché la faccia che prima era stata a con-
tatto della carta imbevuta di ferrocianuro venga ora a trovarsi in alto,
sì ottengono ottimi preparati, quanto mai dimostrativi. La bontà dei
preparati si deve al fatto che con questo processo le due soluzioni sono
obbligate in certo qual modo a diffondere da faccie opposte della sezione
e percorrere così un certo tratto dei tessuti prima di arrivare ad in-
contrarsi nel!o spessore di questi. Col metodo antico si verificava spesso
l'inconveniente ehe un po’ di bleu di Prussia si formava pure alla su-
perficie dei preperati ciò che è attualmente quasi del tutto impedito.
Il colore si fissa tanto sui contenuti che sulla membrana, ma in modo
disuguale. Aleuni contenuti poi non fissano o poco la tinta (tannino
ad es.) e.lo stesso dicasi per le membrane legnose suberificate, cuti-
colarizzate.
Peret& la reazione riesca in tutta la sua bellezza occorre aver
l'avvertenza di diluire notevolmente la soluzione di eloruro di ferro
rispetto a quella di ferrocianuro potassieo che adoperiamo al 10 ?*/,..
Una soluzione acquosa del primo reattivo la quale abbia colore della
birra Pilsen è ottima pel nostro scopo. Se si concentra di più la. so-
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294 ; LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
luzione allora la diffusione non ba più luogo che in scarsa misura
nell'interno dei tessuti ed anzi il liquido troppo concentrato richiama
al di fuori della sezione l'altro colla conseguente formazione di bleu
di Prussia alla superficie del preparato che res'a quasi incoloro.
Le sezioni dei cuscinetti motori principali della Mimosa Spegaz-
zini quando vengono a contatto col ferrocianuro di potassio e cloruro
di ferro si colorano. intensamente in bleu, ma la colorazione, che si
fissa energicamente sulle membrane, non è ovunque eguale.
Infatti la metà inferiore del parenchima corticale fissa assai più
energicamente la tinta di quella superiore. In questa la lamella me-
diana riesce pure fortemente colorata, ma gli strati di ispessimento
un po’ meno. Di qui il contrasto colla metà inferiore le cui membrane
più sottili, appaiono più uniformemente e intensamente colorate in bleu.
Il fascio vascolare si colora in bel bleu nella regione del libro ed anche
qui le membrane spiccano per l'attitudine a fissare il colore: il legno
invece assume soltanto una tinta bleu pallida od anco non si colora.
Solo facendo intervenire preventivamente l’acqua di Javelle si riesce
a portar il legno ad una tinta più carica, per quanto mai uguale a
quella acquistata dalle membrane del libro. Fanno tuttavia eccezione
le membrane dei raggi midollari i quali nell’ambito del legno acqui-
stano del pari una tinta cupa. La guaina collenchimatosa che avvolge
il fascio in corrispondenza del cuscinetto motore assume anche una
tinta intensamente bleu e spesso il colore é più concentrato nella metà
inferiore di detta guaina.
Lungo i pieeiuoli fogliari principali il colore si fissa, come al so-
lito, con molta energia sulle membrane del libro, rispettando sia la guai-
na sclerosa che circonda questo, sia il legno; sulle pareti delle cellule
parenchimatose si fissa un po' meno energicamente di quanto avvenga
pel libro, fatta tuttavia eccezione per le cellule centrali o prossime al
libro, che molto spesso res*ano tinte energicamente.
Per comprendere le considerazioni che dedurremo da queste rea-
zioni occorre studiare un po’ da vicino il comportamento dei reattivi
usati nei riguardi della membrana cellulare. La maggior parte delle
sostanze coloranti usate nella istologia colorano elettivamente talune
membrane e taluni contenuti cellulari per una speciale affinità che
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SOPRA UN NUOVO PROCESSO DI TECNICA ISTOLOGICA 295
hanno con determinati corpi o costituenti della cellula. Così, ad esem-
pio, la tintura di jodio acquosa ha una speciale affinità per l’ amido,
mentre non colora le membrane cellulosiche cle pur hanno una costi-
tuzione quasi identica a tale sostanza. Lo stesso dicasi pel Sudan III,
che tinge i grassi, gli oli, la suberina e la cutina; per la floroglucina,
che si fissa sulla membrana lignificata e per molti altri reattivi. Un
. certo numero di reattivi coloranti determinano la colorazione ovunque
penetrano, ed a questa categoria dobbiamo annoverare i composti che
danno il bleu di Prussia reagendo l’uno sull’altro.
Non si può affermare che quest'ultimo abbia una speciale affinità
elettiva per determinate membrane : esso compare, col noto colore, in
copia dove i suoi costituenti si sono ancene addensati, e del resto tanto
il eloruro di ferro, (1) quanto il ferrocianuro di potassio non fanno
altro cue diffondersi là dove la membrana non ostacola, colla sua co-
stituzione compatta, o con qualeue altra proprietà fisica o chimica, il
processo di diffusione. Anche per questi due reattivi quindi non può
dirsi che esistano affinità particolari che determinino il loro insedia-
mento piuttosto in una membrana cle in altra. Trattandosi adunque
di una eolorazione collegata a fenomeni di sempliee diffusione se ne
deve desumere che le membrane le quaii fissano energicamente il colore
sono molto permeabili ui liquidi e si lasciano quindi facilmente attra-
versare tanto dal ferrocianuro di potassio che dal cloruro di ferro. (2)
(1) Se vi sono sostanze tanniche allora il cloruro di ferro può fissarsi elet-
tivamente su queste.
(2) Molto si è discusso sui processi che provocano la colorazione delle so-
stanze ed in partico'ar modo delle fibre. Alcuni ammettono che il colore si
combini chimicamente colle molecole delia sostanza, altri che si tratti di una
semplice interposizione di molecole coloranti accanto a quelle del corpo che as-
sume il colore. Noi non staremo qui ad insistere sopra queste oscure e contro-
verse questioni che furono del resto magistrevolmente trattate dal Fischer A.
nel suo trattato « F;xirung, Färbung u. Bau d. Protoplasmas, Jena 1899 »; solo
ci permettiamo di avventurare l’ipotesi che il processo della colorazione, se il
più delle volte dovrebbe esser ascritto ai fenomeni fisici in qualche caso tutta-
via avrebbe il suo fondamento in una azione chimica. Non si può neppur esclu-
dere che certi cambiamenti di tinta che avvengono nei tessuti colorati siano
dovuti a fenomeni di dissociazione, come uno di noi ha potuto constatare nella
Marg e nec ii ele
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296 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Nel nostro caso si troverebbero in questa condizione i parencbimi, il
libro, il collenebima periliberiano del cuscinetto motore; sarebbero in-
vece poco permeabili il legno e gli archi selerosi periliberiani del
picciuolo.
È noto che sotto determinati stimoli applicati alla foglia o ad
altre parti della Mimosa ba luogo un attivo spostamento di masse li-
quide. Gli autori non sono completamente eoneordi sulla via tenuta da
queste nel loro cammino, poiché mentre alcuni affermano che la corren-
te segue la via del legno, gli altri, e sono i più, ritengono cbe lo spo-
stamento abbia luogo nell'ambito del libro. L'Haberlandt lia cercato di
precisare maggiormente le vie di conduzione affermando che il liqui-
do si sposta lungo i tubi eribrosi, o entro determinati elementi cbe
di questi hanno e struttura e eonfigurazione; solo sono alquanto piü
ampi.
Giunte le masse liquide nel cuscinetto motore abbandonerebbero
le vie seguite nello spostamento per diffondersi nel parenchima corti-
cale, il che non esclude che il contenuto liquido di queste cellule a
sua volta abbandoni la cavità cellulare per diffondersi negli spazi
intercellulari in specie della metà inferiore del cuscinetto, o nei vasi
del legno.
L’ uscita del liquido dalle cellule, constatato da più di un au-
tore alla colorazione che assume il cuscinetto motore, costituisce un
fenomeno un po’ in urto coi principii sanciti dalla fisiologia la
quale ha rilevato l’importanza dello strato ectoplasmico nel trattenere
i liquidi contenuti nelle cellule. La traspirazione, l’ingresso dell’acqua
nei vasi della radice, l’uscita dei liquidi dagli idatodi ed altre dispo-
sizioni analoghe dimostrano tuttavia che l’acqua (o rispettivamente il
vapor acqueo) può realmente sortire dalle cellule per diffondersi negli
diffusione attraverso la gelatina (V. L. Buscalioni e A. Purgotti. La dissociazio-
ne e diffusione dei joni. Atti d. Ist. Bot. di Pavia 1905). Ad ogni modo, qualun-
que sia la teoria che si vuole accettare sulla colorazione, quanto abbiamo detto a
riguardo dell’impregnazione col bleu di Prussia resta applicabile, sebbene non si
voglia dare alla spiegazione il significato di un dogma.
SOPRA UN NUOVO PROCESSO DI TECNICA ISTOLOGICA 297
spazi intercellulari. Interessanti a questo riguardo sono le esperienze
di Haberlandt e di altri autori sugli idatodi stati avvelenati.
‘Colla scorta di queste considerazioni si può concludere che nella
Mimosa ed in generale in non poche altre piante sensibili ba luogo
uno spostamento dei liquidi nell'ambito del libro e lungo tutto il pie-
ciuolo fogliare. Le masse liquide possono facilmente diffondersi da
cellula a cellula liberiana a causa della grande permeabilità della
membrana dimostrata colla reazione del bleu di Prussia, ma non già
al di fuori del libro poichè da un lato la diffusione è impedita dal
legno dall’altra dall'areo seleroso liberiano le cui cellule (anno pareti
poco permeabili, perché poco colorabils col reattivo da noi adoperato.
Solo ai lati del libro, dove manca l’arco scleroso, la diffusione può
aver luogo e allora le masse liquide entrano nel parencuima, ma quivi
non possono effettuare curvature o movimenti di sorta come conse-
guenza di tensioni antagoniste che insorgano per effetto della diffu-
sione, poie. è i liquidi ivi si diffondono in tutii i sensi e prevalente-
mente verso il centro del picciuolo. Del resto siccome la colorazione
col bleu di Prussia non è ivi eccessiva, neppur deve esser la diffusione
del liquido liberiano molto energica attraverso, almeno, alle membrane.
Nell'ambito del cuscinetto motore le cose vanno un po’ diversa-
mente. Ivi non solo il libro ma le membrane della guaina collenchi-
matosa e quelle del parenchima corticale (in ispecie nella porzione in-
feriore) sono fortemente permeabiti fissando esse energicamente il bleu
di Prussia. I liquidi pertanto attraversano questa membrana con tutta
facilità e siccome si diffondono di preferenza nella metà inferiore del
cuscinetto, invadendo anete gli spazi intercellulari, così provocano
delle variazioni improvvise nelle. tensioni antagoniste che hanno per
risultato il movimento del piceiuolo.
Nel fusto e nelle radiei la diffusione del liquido endoliberiano
deve seguire le leggi sopra enunciate: dove vi ba selerenchima peri-
liberiano non esorbita ehe in iscarsa misura dal libro, non potendo
parimenti diffondersi con facilità attraverso il legnc. In certo qual
modo tanto nel piceiuolo che ne! fusto ed altrove gli archi sclerosi
periliberiani da un lato ed il legno dall'altro servono a guidar le masse
liquide fino ai cuscinetti impedendo loro l'useita dal libro,
298 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Abbiamo ragione quindi di ritenere che l’applicazione del bleu di
Prussia ci fornisce non pochi ragguagli sul processo tanto controverso
dei movimenti delle foglie o di altri organi sensibili.
Colpiti dall’intensa colorazione che assume il libro nelle Mimose,
sotto l’azione combinata del cloruro di ferro e del ferrocianuro di
potassio, abbiamo esteso le ricere e a tessuti e a parti di piante sva-
riatissime. Riassumeremo qui, per sommi capi, i principali risultati
che son venuti in luce, non parendoci prezzo dell’ opera soffermarci
per ora almeno, sulle questioni secondarie.
In generale si osserva cte le pareti cellulari dei libri inclusi in
un astuccio meccanico si coloranno fortemente: i parenchimi a mem-
brane cellulosiche assumono pure una colorazione più o meno intensa,
mentre il legno rimane poco o punto colorato, fatta eccezione per i
raggi midollari endolegnosi le eui cellule hanno pareti assai permea-
bili. Però anche qui si nota ehe la permeabilità varia lungo il decorso
—in senso radiale — di uno stesso raggio.
Particolarmente istruttive abbiamo trovato in proposito le foglie
di Phormium il cui libro, incluso in un astuccio meccanico, assume
una bella tinta b eu, mentre l’astuccio rimane incoloro, o si tinge solo
un poco dal lato interno, accennando di possedere ivi un leggero poter
di imbibizione, forse per permettere gli scambi fra libro e parenchima.
. Se si tratta di libri non inclusi allora si hanno notevoli varia-
«zioni da specie a specie: taluni libri colorandosi pallidamente altri
un po’ più fortemente. Quando poi vi hanno due libri separati dal
legno (fasci bicollaterali) i raggi midollari che li uniscono si colorano
spesso vivamente agli estremi dove vengono a contatto cogli elementi
liberiani, meno verso il centro, cioè nell’ambito del legno, indicandoci
così che gli scambi fra i libri — nel caso che esistano realmente de-
gli scambi attraverso le pareti e fuori dell’ambito delle punteggiature
e dei plasmodesmi — non sono molto energici.
In tutte le piante fornite di cuscinetti motori fogliari si sono riscon-
trate le reazioni già indicate per la Mimosa. Il libro e il collenchima
si colorano intensamente col parenchima, poco il legno e i fasci mec-
canici. Analogamente a quanto avviene nelle foglie delle Mimosee,
negli stami del Berberis la porzione motrice e sensibile fissa energi-
Nu eur
SOPRA UN NUOVO PROCESSO DI TECNICA ISTOLOGICA 299
eamente il bleu di Prussia, mentre la colorazione si fa un po' meno
spiccata al di sopra. E’ specialmente sui fianchi e sulla parte dello
stame rivolta verso l'ovario cte la colorazione appare più spiccata.
E’ però necessaria una certa cautela nel giudicare dell'intensità di co-
lorazione della membrana poichè nella zona motrice abbiamo differenti
sorta di cellule, le une piccole e a pareti ispessite, le altre grandi e
membrane sottili, due condizioni cioè che possono far sembrare più
tinta una parte rispetto all'altra.
In tutte queste ricerche si è sempre avuto eura di esaminare i
preparati chiusi in balsamo poichè così inelusi conservano più a lungo
il colore, mentre in acqua o in glicerina rapidamente si scolorano.
In conclusione se si ammette che la forte colorabilità di alcune
pareti cellulari (libro, collenetima ete.) col bleu di Prussia sia l'espres-
sione del forte potere di imbibizione di quelle stesse pareti se ne può
dedurre che la permeabilità delle membrane negli organi motori e nel
libro di Mimosa e di altre piante a foglie sensibili e capaci di movi-
meuti sia una delle condizioni che contribuisce all'esplieazione di sif-
fatti attributi in dette piante. Non è però certo sufficiente la permea-
bilità delle pareti per spiegare la motilità di dette piante; occorre
anere l'intervento del protoplasma, e in questo punto sono precisa-
mente diretti gli studi di tutti gli autori che si occupano dell’ argo-
mento. Contro la nostra ipotesi si potrebbe elevare l’obbiezione che
innanzi tutto col bleu di Prussia si colorano più o meno intensamente
tutte le membrane di natura cellulosica ed anche in quelle specie che
non offrono traccia di sensibilità o di movimento e in secondo luogo
che se si inietta, seguendo il metodo operativo di Mae Dougal, del-
l’acqua nei vasi o si oceludono questi con gelatina i movimenti banno
luogo indipendentemente dalle condizioni idrostatiche imperanti nel
legno. Infatti coll’iniezione dell’acqua nei vasi non si ottiene il movi-
mento dei picciuoli fogliari, e il moto si compie anche se sì ostrui-
scono i vasi colla gelatina.
A riguardo della prima obbiezione non faremo cbe ripetere quanto
sopra è riferito, che cioè la permeabilità delle membrane non basta
da sola a spiegare i fenomeni di moto, occorre anco l’intervento del
protoplasma su di che siamo oggi quasi completamente all’oseuro,
E E E E E Ee eeng e Ee
De E d E V pr a
800 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Nessuno, per altro, potrà tener in non eale il singolare compor-
tamento rispetto al bleu di Prussia del picciuolo fogliare di Mimosa
nei vari tratti di cui consta e nei vari tessuti (collenchima del cusci-
netto, libro, legno, archi sclerosi ete.).
Per ciò che concerne le esperienze di Mac Dougal, ripetute con
lievi varianti dall’ Haberlandt e dal Fitting, si può affermare cie
confermano, indirettamente, le nostre vedute, poichè, data l'imper-
meabilità relativa delle membrane del legno, è ovvio che l’iniezione
dei vasi di questo non provocsi movimenti di sorta, i quali, secondo
noi, sono unicamente in relazione collo stato di permeabilità del libro
e del parenchima e del collenchima del cuscinetto motore, del libro
nelle altre regioni. Le vedute del Fitting in proposito ci paiono su-
scettibili di spiegazione, che in parte dipendono da quelle esposte dal-
l’autore a pag. 515 del suo lavoro sui vitieci.
L'Haberlandt fu tra i primi a stabilire che il libro prende parte
attiva nel fenomeno dei movimenti ed anzi ha cercato di analizzare
più da vicino il fatto venendo alla conclusione che al trasporto della
massa acquea servano, nella Mimosa, unicamente i grossi tubuli pre-
senti nel libro e simili ai tubi cribrosi, benchè più grandi Borzi,
Montemartini ed altri anno cercato di dimostrare che le vedute di
Haberlandt sono erronee poichè il movimento si trasmette anche attra-
verso regioni in cui siffatti elementi mancano e si effettua poi in
specie cbe son prive di tali elementi.
Quale ipotesi è conforme al vero? Stando alle osservazioni da
noi fatte non vi ha dubbio che tutto quanto il libro possa prender
parte al fenomeno del movimento acqueo e quindi sotto questo punto
di vista le vedute dell'Haberlandt sono troppo tassativamente vestrittive,
ma per altra parte egli è evidente che il trasporto di liquidi si può
effettuare meglio la dove esistono degli elementi a tipo di tubi cribro-
si e assai larghi. Perciò se gli elementi cribrifomi non sono i soli
organi destinati al trasporto, indubbiamente prendono a questo una
parte attivissima e torse superiore a quella spiegata dalle altre cel-
lule. Basti ricordare che, in generale, noi troviamo i movimenti dif-
fusi in quelle piante che hanno tubi eribosi assai ampi. Perciò rite-
niamo che il Borzi e il Montemartini, pur avendo ragione a localiz-
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SOPRA UN NUOVO PROCESSO DI TECNICA ISTOLOGICA 801
zare la sede del trasporto in tutto il libro, non tengono in dovuto conto
A gli elementi speciali dell’ Haberlandt.
: La ragione starebbe anche qui in uua via di mezzo.
Intanto faremo rilevare che la trasmissione dello stimolo in molte
Leguminose si collega een una disposizione anatomica che, se non è
esclusiva di queste piante, è però molto rara a ritrovarsi nel regno
vegetale, come lo proveranno fra poco le ricerche nostre sull’anatomia
della foglia. In corrispondenza del punto di attacco delle foglioline
alle rachidi, quando quelle sono opposte si osservano (in parecchie
Leguminose ed altri tipi) speciali fasci vascolari i quali, attraversan-
do la rachide trasversalmente da destra a sinistra, stabiliscono il rac-
cordo tra i cordoni innervanti le foglioline di un lato con quelli
che vanno alle foglioline del lato opposto.
Nella Mimosa Spegazzini siffatto cordone anastomotico a decorso
trasversale si osserva soltanto nel cuscinetto secondario situato nel
punto di biforcazione del picciuolo primario. Esso quindi ha la fun-
zione di collegare i fasci vascolari di una delle rachidi secondarie
con quelli dell’altra.
Il Montemartini nel suo interessante lavoro sulla Mimosa ha fi-
5 gurato e descritto tali cordoni, ma non ha insistito nella disposizione
-
e tanto meno messo in rilievo che esso è frequente in quei tipi ricchi
di specie a foglioline sensibili e quindi soggette a movimenti. Tal re-
perto è per noi di una certa importanza, poiché il fascio di raccordo
avrebbe evidentemente lo scopo di provocare un rapido scambio di
liquido fra le due rachidi.Un simile fascio di raccordo non si osserva
più nelle rachidi secondarie lá dove si staccano le foglioline di destra
e quelle di sinistra ma quivi esso sarebbe inutile poichè la rachide
contiene un unico fascio il quale abbandona a destra e sinistra libro
e legno per le foglioline. Queste dunque nella Mimosa Spegazzini ven-
gono a trovarsi in mutua comunicazione grazie al legno e al libro
comune della rachide. Riesce quindi spiegato come stimolando una
fogliolina si muova per lo più contemporaneamente anche quella op-
posta.
= A conferma del nostro asserto rileveremo che se nella Mimosa
| Spegazzini si incide per lungo la base del cuscinetto secondario, o, per
302 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
esser più esatti, l'apice del picciuolo primario, e poi si stimolano le
foglioline apicali di una delle rachidi secondarie, lo stimolo provoca
il movimento seguendo il seguente ordine: ha luogo innanzi tutto il
sollevamento delle foglioline della rachide stimolata, il movimento
qui procede in senso basipeto. Poscia si osserva la stimolazione dei cu-
scinetti motori secondari che si manifesta coll'avvicinamento delle due
rachidi pure secondarie. Di qui lo stimolo si trasmette pel picciuolo
principale al cuscinetto motore basale dando luogo all’ abbassamento
del picciuolo principale. Infine si ha la stimolazione in senso centri-
fugo delle foglioline corrispondenti alla rachide secondaria dal lato
opposto a quella che subì lo stimolo primitivo. All’opposto se l apice
del picciuolo primario rimane integro lo stimolo applicato all’ estre-.
mità di una delle rachidi secondarie provoca l’innalzamento in senso
basipeto delle foglioline del lato stimolato, poi l’innalzamento in senso
basifugo delle foglioline dell’ altra rachide, e la stimolazione dei cu-
scinetti secondari, da ultimo l’abbassamento del picciuolo primario
in seguito alla stimolazione del cuscinetto motore principale.
Il più pronto sollevamento delle foglioline della rae'ide illesa
rispetto all'abbassamento del picciuolo principale nel secondo caso è
dovuto evidentemente al fatto che lo stimolo, una volta olt epassato il
cuscinetto motore secondario per i fasci vascolari di raccordo presenti
alla base di questo penetra subito nella rachide opposta e ne stimola
le foglioline. Solo più tardi lo stimolo arriva al cuscinetto motore ba-
sale per la lunga via del pieeiuolo principale e in conseguenza an-
che solo più tardi ha luogo l’abbassamento di quest’ultimo.
Noi insistiamo su quest'esperienza poichè essa dimostra che lo sti-
molo non si trasmette attraverso il parenchima, poichè se così fosse
malgrado la lesione dei fasci vascolari di raccordo del cuscinetto mo-
tore secondario si dovrebbe verificare | innalzamento delle foglioline
nella metà non stimolata prima che abbia luogo |’ abbassamento del
pieciuolo primario.
Le osservazioni anatomiche e fisiologiche eseguite ci autorizzano a
dissentire dal Pfeffer il quale, avendo constatato che per la stimolazio -
ne di una delle foglioline di una rachide secondaria si muove anche
quella opposta ne trae la conclusione che qui lo stimolo passi pel pa-
Ee E reen RA LUE ee ET s P (ee, NIRE "TE ini TEEN A "ve EK > Wé Ge AC SE ee EE.
SOPRA UN NUOVO PROCESSO DIITNICSCATOLOGICYE 303
renchima non avendo le due foglioline fasci vascolari comuni. Ora, data
l’esistenza di un unico fascio nella rachide da cui si dipartono a de-
stra e a sinistra i fasci fogliari e data la forte permeabilità del libro,
da noi posta in evidenza, appare logico ammettere che lo stimolo appli -
cato ad una de'le foglioline si trasmetta all'altra attraverso al libro
comune presente nella rachide, provocando la solita reazione.
Non altrimenti deve avvenire per la trasmissione dello stimolo da
una foglia a quelle sovrastanti o sottostanti sul fusto o ramo, poichè
più di un autore ha dimostrato che colla decorticazione e l’asporta-
zione del midollo non si ottiene l’arresto dell'onda di stimolazione che
deve percorrere perciò nel fusto i fasci vascolari e più specialmente
il libro comune a tutte quante le foglie.
Se si ineide per lungo, come si è fatto sopra, la base del cusci-
netto motore secondario e un breve tratto dell'apiee del picciuolo prin-
eipale c si applica di poi nella ferita un conduttore di rame o una goc-
cia di acqua salata che unisca le due metà e infine si stimolano le
foglioline terminali di una delle rachidi si osserva che lo stimolo si
comporta come se non esistesse il conduttore di raccordo. Ciò prova
che la corrente di azione, più che la causa, è l’effetto dei fenomeni
che hanno luogo nell’interno della foglia e grazie ai quali si esplica
il movimento. Ciò è in accordo colle vedute del Fitting, per quanto
sia necessario dichiarare che l’esperimento e un po’ grossolano e solo
merita di esser ricordato perchè non abbiamo avuto i mezzi di stu-
diar il fenomeno con maggior rigore e con apparecchi adatti.
Però stabilito che la conduzione dello stimolo e delle masse ac-
quee avviene lungo la via dei fasci, non già nei parenchimi (salvo le
eccezioni a tutti note pei lavori di Pfeffer ed altri) è d’uopo che ag-
giungiamo che in un caso avendo sezionato, nella M. Spegazzini, il
cuscinetto motore secondario e l’annesso apice del picciuolo principale
un po’ obliquamente siamo r'useiti a ledere, come si è potuto accer-
tareene al microscopio, il fascio vascolare destinato ad una delle ra-
chidi secondarie. La lesione interessava però soltanto la porzione le-
gnosa mentre il libro era rimasto intatto di guisa che lungo questo
poteva aver luogo la trasmissione dello stimolo e all’occorrenza lo spo-
stamento dei liquidi dal picciuolo primario al secondario. Ebbens
pac ells
‘804 “LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
dopo 24 ore dall’avvenuta lesione (quando la foglia cioè era tornata
nelle condizioni pressoche normali) avendo causticata la fogliolina
terminale della rachide che aveva il fascio vascolare integro, si è
potuto rilevare che lo stimolo, dopo esser arrivato al cuscinetto mo-
tore basale ed aver provocato l’ abbassamento del picciuolo primario,
continuava a determinare l’innalzamento delle foglioline inserite nella
rachide stata così gravemente lesa. Non vi ha quindi dubbio che lo
stimolo percorre il libro.
A complemento di queste ricerche noteremo ancora che la lesione
della base del cuscinetto motore secondario e dell’ apice del picciuolo
principale effettuata come sopra è stato detto mercè un taglio inter-
rachideo e parallelo all'asse del pieciuolo primario, provoea un cam-
biamento nella direzione delle rachidi secondarie il che dimostra come
allo stato normale esistano ivi delle tenzioni antagoniste.
Le nostre ricerche sono ora dirette a studiar l’influenza degli sti-
moli applicati direttamente ad una delle metà del picciuolo primario
sezionato per lungo sulla linea assile fino al punto di unione al eusei-
Letto motore principale. Il metodo di ricerca che noi crediamo sia nuo-
vo, torna quanto mai utile poichè permette di stabilire dei confronti
rigorosamente .esatti fra le due metà della foglia qualora in una semi
rachide principale si applichi un dato reattivo rispettando invece l’altra.
E qui giova notare che una tale lesione apparentemente assai grave riesce
benissimo tollerata dalle foglie: non si tosto si è cicatrizzata la lesione
le due metà delle foglie rese indipendenti, si comportano come le foglie
normali, conservando integri i movimenti di variazione stati momentanea-
mente soppressi dalla grave ferita. Abbiamo nei laboratori degli esem-
plari di Mimosa Spegazzini operati da oltre un mese e le cui foglie
dimezzate si comportano in tutto e per tutto come quelle integre; lo
stimolo applicato all'estremità di una delle rachidi fa sollevare l'una
dopo l’altra tutte le foglioline in senso basipeto appartenenti alla ra-
chide stimolata, poi percorso il semi picciuolo principale l’ eccitazione
arriva al cuscinetto motore basale c'e sotto lo stimolo fa abbassare
i due semi picciuoli: infine lungo l’altro semi pieciuolo raggiunge le
foglioline dell’altra rachide che si innalzano in senso centrifugo le
une dopo le altre. ae
eg Lee e PRO Re TS ee e Dk EE e EE FOO SS Ert ee de ey GE ET
SOPRA UN NUOVO PROCESSO DI TECNICA ISTOLOGICA 905
Delle ricerche eseguite non intendiamo qui occuparci, formando
esse oggetto di un prossimo lavoro. Non possiamo peró esimerci di ri-
portare un esperimento che getta non poca luce sui fenomeni di mo-
vimento e conferma le nostre vedute. Ad un esemplare di Mimosa
Spegazzini si è sezionato pel lungo il pieciuolo principale di parecchie
foglie fino al punto di innesto col cuscinetto motore basale; poscia,
non si tosto le foglie tornarono allo stato normale, si causticò col
nitrato di argento la porzione mediana del semipicciuolo leso procu-
rando di limitare la causticazione ad un tratto non superiore a 2
millimetri circa. Il caustico applicato direttamente alle cellule del
parenchima centrale del pieciuolo messe allo scoperto dal taglio lon-
gitudinale non produsse per qualche istante reazione di sorta: poco
dopo però determinò lo abbassamento del picciuolo primario e l’innal-
zamento delle foglioline. Prime a reagire furono le foglioline del semi
picciuolo causticato, ma non si tosto lo stimolo arrivò al cuscinetto
motore principale la reazione di moto apparve anche nell’ altra meta
della foglia. Trascorso un po’ di tempo, dopo che la foglia aveva ripre-
so la sua orientazione diurna, si stimolò una delle foglioline terminali
col fuoco: lo stimolo si trasmise a tutta quanta la foglia attraversando
anche la parte causticata. Si ripetè I’ esperimento per parecchi giorni
auc siti dé Re I eee NOT
di seguito e si potè così constatare che la reazione si faceva sempre
più tarda ed incompleta; oltre a ciò le foglioline, dal lato leso, ten-
devano ad assumere normalmente anche alla luce diurna la posizione
notturna. Qualche giorno dopo il lato malato non riaprì più le foglio-
line durante il giorno; si mantenne per parecchi giorni apparente-
mente in buone condizioni, ma al flne le sue foglioline seecarono
mentre sulla rachide opposta le foglie non presentarono alterazioni di
sorta. Coll'iniziarsi dello stato patologico nella semifoglia causticata‘
l’applicazione dello stimolo (scottatura) alle foglioline terminali di
questa parte non provocò più i movimenti nella parte sana. Questi fatti
dimostrano che per l’ azione del caustico a poco a poco si venivano
alterando le cellule del libro e quindi si rese sempre più difficile la
conduzione degli stimoli attraverso la parte malata. Di qui il graduale
affievolimento nella reazione per parte delle foglioline e dei picciuoli.
Noi non sappiamo di che natura siano le alterazioni prodotte dal
a e a RA e a
Bet Ebbe RO ST NT AE ER EEN
à 4 Dd
306 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
caustico sul libro, ma è probabile che si tratti di processi di coagu-
lazione degli albuminoidi, pei quali processi sono andati otturandosi a
poco a poco le vie di conduzione, ed infatti l'esame mieroscopieo della
parte lesa addimostró la presenza di granuli di eloruro d'argento e di
altri sali di questo corpo nel libro e più particolarmente nei tubi eri-
biformi dell'Haberlandt. All'inizio della lesione lo stimolo potè percor-
rere forse la sua via attraverso strade collaterali (eccezionalmente
anche attraverso il legno ?) più tardi non più perchè troppo estesa si
era fatta la zona trombizzata. A conferma del nostro asserto rilevia-
mo che se la causticazione è un po’ estesa la conduzione riesce su-
bito ostacolata e si ha quindi l’immobilità fogliare — a prescindere
ben inteso dalla reazione primordiale susseguente alla causticazione.
Non crediamo di andar errati affermando che queste esperienze
possano portare un po’ di luce e di accordo sui risultati quanto mai
contradditori che hanno ottenuto Haberlandt, Fitting e Mac Dougal,
necrotizzando una porzione del picciuolo di Mimosa allo scopo di esa-
minare se lo stimolo passi attraverso la parte morta. A nostro parere
i risultati controversi dipendono dal fatto che gli uni hanno fatto coa-
gulare i contenuti del libro, altri hanno prodotto delle lesioni di altra
natura, provocando inoltre la morte sopra tratti troppo estesi. Il fred-
do (esperimenti di Fitting) non altera infatti la conducibilità che è
soppressa invece col calore applicato su esteso tratto del picciuolo di
Mimosa. E
Dai nostri esperimenti emerge intanto il fatto che la conduzione
dello stimolo non può aver luogo (normalmente o in via principale)
attraverso i vasi del legno poichè in essi il nitrato di argento non
provoca tali alterazioni atte a spiegare l’ arresto dei movimenti e
tanto meno poi ne coagula il contenuto. Così pure non può nemmeno |
effettuarsi attraverso il parenchima, poichè la causticazione di questo
avrebbe immediatamente causato le lesioni e i fenomeni che si sono |
manifestati più o meno tardivamente nei nostri esperimenti. |
Fra gli autori che studiarono i movimenti delle piante sensibili, 1
occupandosi anche della struttura istologiea della foglia, va segnalato
il Borzi il quale nel suo interessante opuseolo sulla Mimosa osserva
che nelle foglioline della M. Spegazzini vi ha, al di sotto dell' epider-
SOPRA UN NUOVO PROCESSO DI TECNICA ISTOLOGICA 307
mide un serbatoio acquifero che si forma a spese degli strati mediani
della parete profonda delle cellule epidermiche. Tali strati andrebbero
incontro ad un processo di gelificazione, grazie al qual. finirebbero
per liquefarsi e disfarsi lasciando così un ampio vuoto che si riempi-
rebbe di una linfa chiara, omogenea, indifferente all’azione dei reattivi.
L'autore ritiene che si tratti di acqua la quale resta in tal guisa in-
corporata, anzi incapsulata nello spessore stesso della parete cellulare,
i cui strati interni la separano dal contenuto cellulare della stessa
epidermide, i superficiali interni dalle cellule del parenchima verde
sottostante. Siffatti diaframmi, afferma il Borzì sono dotati di eccel-
lenti proprietà osmotithe, per cui attraverso ad essi rapidamente com-
piesi la diffusione delle sostanze liquide. Colla plasmolisi effettuata
mercè soluzioni saline colorate si ottiene infatti lo spostamento del dia-
framma in armonia colle variazioni di turgore e di volume del corpo
protoplasmatico. Il volume del serbatojo acquifero varierebbe secondo
lo stato di tensione del protoplasma, riducendosi talora la cavità a 113
o 1j2 del volume del corpo protoplasmico.
Nel genere Aeschynomene e nella Neptunia oleracea il serbatojo
raggiunge notevoli dimensioni insinuandosi fra il mesofillo ed osta-
colando quà e colà l’ accrescimento delle cellule di questo. La cavità
appare quì occupata da una sostanza di apparenza gelatinosa traspa-
rente, omogenea, indifferente ai reattivi jodiei, colorabile col verde di
metile acetico e colla erisoidina, in soluzione acquosa, in specie pre-
vio trattamento del tessuto con allume di cromo all’ 1 °/,. Nell'aequa
la sostanza si gonfia lentamente e diventa più trasparente.
Il Borzì ritiene che la rapidità e la prontezza colla quale unor-
gano muta di posizione per tornare alla posizione primitiva dipende
dalla densità del liquido contenuto nel serbatojo.
Le conclusioni a cui giunge l’autore, il quale stabilisce un diretto
rapporto tra la presenza del serbatojo acquifero e i movimenti della
Mimosa, ci paiono tutt'altro che sicure. Innanzi tutto grazie alle osser-
vazioni istituite nella Mimosa Spegazzini, come del resto sulle altre
specie sensibilissime, si è potuto constatare che non si tratta di un
serbatojo acquifero ma bensì di una particolare struttura della parete .
cellulare epidermica che dal lato interno è mucilagginosa. Il Borzi ha
. 808 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
quindi abbastanza bene descritto la struttura in questioue nell’ Aeschy-
nomene e nella Neptunia, erroneamente nella Mimosa Spegazzini. Lo
errore è però perdonabile pel fatto che in questa le masse mucilaggi-
nose sono oltremodo esigue, diremo quasi rudimentali. Se però egli
avesse fatto uso del Rosso di Rutenio da noi impiegato per colorare, in
base alle indicazioni del Mangin, le mucilaggini pectiche, avrebbe po-
tuto constatare che il preteso sacco acquifero assume una bellissima
:inta rossa e si mostra costituito da una massa abbastanza compatta.
La dimostrazione di tale struttura riesce evidente a condizione, ben
inteso, che il reattivo venga usato in soluzione aleooliea, che le sezioni
di Mimosa siano mantenute in questo reattivo anziche nell’ acqua, e
infine che il preparato venga montato in balsamo.
La mucillaggine in questione è oltremodo rigonfiabile nell’ acqua,
di guisa che alcune delle osservazioni sull'osmosi fatte dal Borzi hanno
un valore un po’ dubbio.
La struttura segnalata da questo Autore nelle piante in questione
non è propria soltanto delle specie a foglie dotate di movimenti; ba-
sterà ricordare che noi l'abbiamo trovato anche nel Rhaphiolepis ru-
bra. Qui la massa mucillagginosa che si forma, come nella Mimo-
sa, a spese della membrana profonda dell’epidermide superiore, è ad-
dirittura colossale, tanto che essa s'insinua profondamente fra il pa-
lizzata i cui elementi perciò restano brevi, quasi schiacciati. Solo ne-
gli interstizî fra una cellula epidermica e l’altra, mancando la muci-
laggine, essi acquistano lunghezza maggiore. Analoghe masse sono
anche presenti nell’epidermide della faccia inferiore della foglia, ma
sono meno sviluppate.
Siffatte masse, al pari di quelle della Mimosa, sono oltremodo
rigonfiabili nell'aequa, per eui le sezioni di foglie esaminate in questo
liquido mostransi eireondate da un grosso strato jalino Iramezzato da
setti perpendieolari all'epidermide i quali non sono altro che gli
strati più esterni delle masse, più resistenti al rigonfiamento. Col rosso
di Rutenio questi setti sono le sole parti delle masse fluidificate che
si eolorino leggermente in rosso. Se però si applica il reattivo sciolto
in aleool su preparati pure tenuti nello stesso liquido allora si ha una
intensa colorazione delle masse che rimangono poi in sito, senza ri-
ES STEE
SOPRA UN NUOVO PROCESSO DI TECNICA ISTOLOGICA 309
gonfiarsi. Adoperando solo |’ alcool le mucilaggini in questione appa-
iono piene di granuli. Si tratta però in realtà, di una struttura spu-
gnosa, che fu messa in evidenza dal Longo nelle mucillaggini delle
Opunzie. Tutte queste reazioni noi le abbiamo ottenute anche colia
Mimosa studiata per confronto. Come pure si ottenne la contrazione
delle masse sotto l’azione di soluzioni concentrate (saline e aleooliche)
con il relativo spostamento della porzione di membrana che li sepa-
rano dal contenuto delle cellule epidermiche.
Se si considera pertanto che la struttura delle Mimose è reperi-
bile, in quanto riguarda la mucillaggine, in piante le cui foglie sono
incapaci di movimenti o tutt’al più si accartocciano leggermente nelle
ore più calde dei mesi estivi; se si considera che l'espulsione dell’ac-
qua da masse mucillagginose può esser soltanto l'effetto, anziché la
causa, di variazioni osmotiche nelle cellule circostanti le quali deb-
bono di già essersi impoverite d’acqua prima di richiamarla da dette
masse; se si considera infine che i movimenti delle Mimose avven
gono anche quando si stimo!a il pieciuolo (lo stimolo in questo caso
va dal picciuolo alla foglia, anziebé da questa a quello): dobbiamo
dedurne che le strutture riscontrate dal Borzì hanno piuttosto atti-
nenza colle condizioni biologiehe sotto il cui impero vivono le Mimose
le Neptunie, gli Aschinomeni, anzichè col fenomeno del movimento fo-
gliare. Per lo meno si tratta di disposizioni collegate solo indirettamen-
te con questo fenomeno. Depone a favore delle nostre vedute il fatto
che le mucillaggini sono sviluppate nella Neptunia e nell'Aschinomene
anzieLé nelle Mimose, dove per converso, data la squisita sensibiltà
di questa pianta dovrebbero esser oltremodo abbondanti qualora fos-
sero in intimo rapporto col movimento. Ma vi è di più: se si aspor-
tano le foglioline di una rachide, ad eccezione di due o tre, e poscia
quando cioè la parte lesa si è riavuta dalla grave ferita, si stimola la
porzione terminale della rachide i movimenti si effettuano, come nel-
le foglie normali per cui le poche foglioline rimaste in sito si innal-
zano e i picciuoli si abbassano. I movimenti sono è vero un po’ più
pigri ma il rallentamento é giustificato dallo stato in cui viene a tro-
varsi la rachide lesa. Tutto quindi parla e favore di un movimento
di organi sensibili prodotto da dislocazione di masse liquide entro al
è pu TCS wo . * d
A SCH
810 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
sistema liberiano e con fuoriuscita delle stesse negli spazi intercellu- |
‘lari dei cuscinetti motori. Anche un esperimento da noi fatto con al- |
tri intenti, depone nel senso testè accennato. Se nella Mimosa Spe- ,
gazzini si scalfisce uno dei cuscinetti motori secondari parallelamente
all’asse dello stesso, lungo la faccia esterna, le foglioline si chiudono
sotto l’azione traumatica e poi si riaprono, ma, la posizione diurna mol-
te volte ncn viene raggiunta dalle foglioline situate sulla rachide che
si attacca al cuscinetto leso, oppure le stesse si chiudono intempesti-
vamente dimostrando così che per causa della lesione si sono verifica-
ti dei disturbi nel meccanismo idrostatico.
Abbiamo creduto opportuno di riportare alcune delle osservazioni
che si sono fatte sulle Mimose per quanto i fenomeni messi in evi-
denza non siano strettamente attinenti all'argomento del presente la- i
voro. Il lettvre ce ne concederà venia considerando che i fatti esposti i
sono fra loro intimamente collegati integrandosi a vicenda.
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O. MUNERATI e T. V. ZAPPAROLI
L'influenza dell alternanza dell'umidità e della siccità
Sulla germinazione dei semi delle erbe infestanti
Nel corso delle nostre osservazioni sulla vitalità dei semi delle
cattive erbe nel terreno e sulla loro più o meno spiccata lentezza a
germinare anche nelle condizioni più favorevoli all'evolversi dell'em-
brione secondo le specie e secondo l’età del seme di una data specie .
avevamo potuto incidentalmente verificare come frequentemente varias-
sero la prontezza di germinazione e la percentuale di semi germinati
in un determinato numero di giorni, secondo che i semi si pongano
in condizioni favorevoli per germinare subito dopo la loro apparente
maturazione per compiuto ciclo vegetativo della pianta, o trascorso un
certo periodo dal momento della loro abituale caduta al suo'o.
Partendo dalla considerazione che, nelle condizioni normali, l'am-
biente in cui si trovano i semi delle piante spontanee, va soggetto a
costante mutabilità, non solo in linea di temperatura, ma ancora in
linea di umidità, fummo indotti ad iniziare, nell’estate del 1909, una
serie di indagini per determinare l'infuenza sulla facoltà germinativa
delle sementi di una medesima specie mantenute:
a) in sabbia costantemente umida;
b) in sabbia alternativamente ora umida, ora secca per breve pe-
riodo (15 giorni circa);
c) in sabbia umida per breve periodo (15 giorni circa) e secca per
lungo periodo (3 mesi circa).
Le cifre, che sinteticamente riportiamo, riferentisi ai semi di otto
specie—di cui una (Arena fatua) con tre prospetti diversi—tutti del-
l’anno 1909, sono di un certo interesse dal punto di vista biologico.
Per le sementi che più palesano spiccato il diverso comportamento di
fronte al variare dell’umidità dell'ambiente, presentiamo insieme alcuni
diagrammi.
314 O. MUNERATI E T. V. ZAPPAROLI
Avena fatua L.—Semi grossi del 1909 collocati in germinatoio il. 14
agosto 1909 (V. diagramma I).
Nascite successive per cento
5 Umidità alterna
i
SE a breveja lungo
5 periodo | periodo
1909 — Agosto 28 2 4
settembre 10 24 12
ottobre —- 9 —
novembre 1 31 T
dicembre — 3 69
1910 — gennaio 1 — —
febbraio — _ --
marzo _ -— —
aprile = — Gen
maggio, eeng — ri
giugno — — —
luglio - os — | —
agosto “A SCH cum
settembre seg — —
ottobre — — —
novembre — — —
dicembre — — —
Totale 40 69 85
Rimasti apparentemente vi-
tali 4 Tun aed;
DEG pr ge KAN a x E x
| L'INFLUENZA DELL’ALTERNANZA. DELL'UMIDITÀ ECC.
Avena fatua L.—Semi p ccoli dell'anno 1909 collocati in germinatoio
il 14 agosto 1909
Nascite successive per cento
Umidità alterna
a breve a lungo
periodo | periodo
Umidità con
1909 — Agosto
settembre
ottobre
novembre
i dicembre
.1910 - gennaio
febbraio
marzo.
aprile
maggio
| giugno
luglio
agosto
| settembre
ottobre
novembre
dicembre `
Totale
|Rimasti apparentemente vi-|
Leko oo (TSE
do PE Di DS VR Y
Nor Wiking Kë
316 O. MUNERATI E T. V. ZAPPAROLI
Avera fatua L.—Semi piccolissimi del 1909, collocati in germinatoio
il 14 agosto 1909 (V. diagramma II).
Nascite successive per cento
E Umidità alterna
32 a breve|a lungo
5 = |periodo | periodo
1909 — Agosto eer SC CS
settembre — — —
ottobre — 1 —
novembre — 6 —
dicembre — — 4
1910 — gennaio — 19 —
febbraio — 1 _
marzo -— 2 11
aprile TENE 1 2
maggio — Es sia
giugno — -— ul
luglio cus pes do
agosto — case MESE
settembre — | — ER
ottobre ee ENS 1
novembre weg iù Ze
dicembre adis i va
Totale | — 30 18
Rimasti apparentemente vi-
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L'INFLUENZA DELL'ALTERNANZA DELL'UMIDITÀ ECC.
90.
. germinati 85%
80 M
70. jo germinati 69%
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I — Avena fatua L. — Semi grossi
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|
1909
II — Avena fatua L. — Semi piccolissimi
318 O. MUNERATI-E T. V. ZAPPAROLI
Vicia segetalis Z'Auill.—Semi dell'anno 1909, collocati in germinatoio
il 14 agosto 1909 (V. diagramma III). è
Nascite successive per cento
5 Umidità alterna
dae
SE a breve|a lungo
5 = |periodo | periodo
1909 — Agosto 10 11 11
settembre 2 nt ne
ottobre vr du La
novembre 25 1 SC
dicembre 9 1 9
1910. — gennaio E 151
febbraio 2 — —
marzo —- 2 4
K aprile 4 e cR |
up 5 maggio ates row Sieg
^ giugno -— Se Get
luglio 1 E ac
agosto — — La
settembre — NM SE
ottobre 2 Sc dien
novembre — 1 —
dicembre _ Se SCH
Totale 34 29 31
Rimasti duri e vitali 21 50 55
rese "e
la,
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«aleroa a .
"ar
„ottobre
“#820 O. MUNERATI B T. V. ZAPPAROLI
Vicia hirta Balb.— Semi del 1909 collocati in germinatoio
sto 1909 (V. diagramma IV).
Nascite successive per cento
5 Umidità alterna
$3 a brevela lungo
= ^ |periodo| periodo
1909 — Agosto — na utes
settembre 4 — —
ottobre 6 2 —
novembre 6 1 —
dicembre 10 — 2
1910 — gennaio 8 —
febbraio 2 — pa
marzo 1 4 15
aprile 1 2 9
maggio 1 -— _
giugno is mun zu
luglio 3| — SES
agosto — _ —
settembre = e, —
ottobre 2 9 5
novembre 2 6 5
dicembre — — =
Totale 46 24 36
Rimasti duri e vitali 26 31 39
il 14 agc
mie ee Ek Loi
Ss
Ee SCH EE
TE e tt
L'INFLUENZA DELL'ALTERNANZA DELL'UMIDITÀ ECC.
Cepsella Bursa pastoris Moench. Semi del 1909 collocati in
toio il 28 agosto 1909 (V. diagramma V).
Nascite successive per cento
Rimasti apparentemente vi
tali
5 Umiditä alterna
Sa
SE a brevela lungo
5° | periodo) periodo
1909 — Agosto geg e
settembre 3 13 14
ottobre — 4 -—
novembre — 30
dicembre -— — 55
1910 — gennaio uk 91 2
febbraio ai ke 2
marzo — 5 8
aprile de Sh 3
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ve Capsella Bursa-pastoris Moench.
E L'INFLUENZA DELL'ALTERNANZA DELL'UMIDITÀ ECC. 933
Convolvulus sepium Z.—Semi del 1909 collocati in BECHER, il 14
; agosto 1909.
Nascite successive per cento
£ Umidità alterna
Se
e Ze a breveja lungo
a S > SE periodo
ES 1909 — Agosto 3 11 1
| settembre 1 3
A ottobre — — —
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dicembre — — _
a 1910 — gennaio ne s —
a febbraio — — —
2 marzo — = —
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; maggio — — siio
giugno — — —
A luglio — — —
i agosto — — —
S settembre — — ai
| i ottobre EN E eun
| a novembre 1 — —
dieembre — — —
Totale 5 12 10
Rimasti apparentemente vi- e EER
tali 45 45 48
924 O. MUNERATI E T. V. ZAPPAROLI
Galium Aparine L.—Semi del 1909 collocati in germinatoio il 28 a-
gosto 1909
Nascite successive per cento
5 Umidità alterna
23 a breveja lungo
d = | periodo] periodo
1909 — Agosto ERRE SE
settembre — — See
ottobre | — — —
novembre _ a —
dicembre — -— —
1910 — gennaio — 1 —
febbraio -- — —-
marzo — — —
aprile _ — 1 E
maggio — — —
giugno — — —
luglio c = —
agosto Se == Mee
settembre — — —
ottobre _ — —
novembre — B 1
dicembre — — —
» Totale — 6 5
Rimasti apparentemente vi-
tali 14 | 74 47
L'INFLUENZA DELL'ALTERNANZA DELL'UMIDITÀ 325
Daucus Carota L.—Semi del 1909 collocati in germinatoio il 28 ago-
sto 1909
Nascite successive per cento
5 Umidità alterna
3 2 a breve|a lungo
5 ©. |periodo| periodo
1900; — Agosto | it
settembre 9 12 4
ottobre 3 13 — |
novembre — 6 —
dicembre -- — —
1910 — gennaio — 4 —
febbraio — — —
marzo 1 29 58
aprile — — €
maggio — — un
giugno — — —
luglio — — —
agosto — = —
settembre E -- —
ottobre — — —
novembre — — —
dicembre — — —
: Totale 13 64 62
Rimasti apparentemente vi- COSE
tali
O. MUNERATI E T. V. ZAPPAROLI
Myagrum perfoliatum L.—Semi del 1909 collocati in germinatoio il 28
agosto 1909
Nascite successive per cento
Umidità con-
tinua
Umidità
alterna
a breve
periodo
a lungo
periodo
1909 — Agosto
settembre
ottobre
novembre
dicembre
1910 — gennaio
febbraio
marzo
aprile
maggio
giugno
luglio
agosto
settembre
ottobre
novembre
dicembre
Totale
enn apparentemente vi-
tali
74
> Q6 Qt
22
74
L'INFLUENZA DELL'ALTERNANZA DELL'UMIDITÀ ECC. 821
CONCLUSIONI
Uno sguardo alle cifre dei prospetti, e, più ancora, ai diagrammi
delle specie più tipiche, dimostra come i semi delle piante spontanee,
di fronte alla alternanza di umidità e siccità dell'ambiente, si com-
portino in modo molto diverso.
I. Per alcune specie, la percentuale di semi germinati in un de-
terminato periodo di tempo è pressappoco la medesima qualunque sia
la variazione dell'umidità (Vicia segetalis, Vicia hirta, Convolvulus
sepium, Galium Aparine, ecc.) i semi di questa categoria o germinano
sollecitamente, o germinano con notevole lentezza, ma sempre con me-
tro uniforme.
II. Per altre specie (Avena fatua, Daucus carota, Myagrum per-
foliatum, Capsella bursapastoris, ecc.), con l'alternanza della siccità e
della umidità, le sementi acquistano una prontezza germinativa che
non si palesa se le sementi del medesimo lotto si mantengono in am-
biente costantemente umido.
III. Alcuni semi hanno così spinto l’attributo della sensibilità alle va-
riazioni del grado di umidità dell'ambiente, da non germinare che in
percentuale bassissima in ambiente ad umidità permanente, (1) e
in percentuale elevatissima in ambiente alternativamente umido e
secco: così i semi piccoli dell’Avena fatua germinano nel periodo di
un anno in proporzione dell’otto-dieci per cento in sabbia umida, in
proporzione del 75-80 per cento in sabbia or umida or secca; i semi
di Capsella bursapastoris, di Rumex crispus (e di qualche altra specie
che non figura nell’attuale memoria) non germinano affatto, pur man-
tenendosi generalmente a lungo vitali, in ambiente umido, mentre ger-
minano rapidissimamente non appena il grado di umidità vada a ri-
dursi o l’umidità si alterni col secco. Le condizioni normalmente più
favorevoli ad una pronta germinazione ostacolano dunque talvolta l’e-
voluzione dell’embrione.
(1) Tale comportamento è particolarmente proprio delle semen“ poste a ger-
minare non appena maturatesi sulla pianta.
328 O. MUNERATI E T. V. ZAPPAROLI
Servendosi pertanto dei comuni mezzi di laboratorio si possono
trarre qualche volta illazioni tutt’affatto falsanti i rapporti tra orga-
nismi e ambiente nelle condizioni normali.
Codeste osservazioni offrono lume per orientare verso uno studio
del comportamento, scostantesi sino al paradosso dalle condizioni nor-
mali, di aleune specie infeste. Più volte accade di osservare una re-
pentina e diffusa invasione di una determinata specie da lunghissimo
tempo non apparsa, o perpetuantesi con un numero di individui pra-
ticamente trascurabile. « Le condizioni dell'ambiente hanno favorito il
suo improvviso sviluppo > ci si accontenta comunemente di dire. Ma
qual genere di condizioni? Quante volte, prima d'allora, gli stessi se-
mi non saranno stati dall’aratro cacciati in profondo e quante volte
riportati in superficie senza germinare ? (1)
Il problema è troppo interessante perchè non si debba tentare di
impostarlo e, possibilmente, di affrontarlo.
Dal luglio del 1910 abbiamo in corso una nuova serie di indagini su 84 spe-
cie spontanee più o meno infeste, su cui potemmo già raggruppare osservazioni
delle quali ci occuperemo in una prossima nota.
(1) Talvolta vedemmo che basta un capovolgimento o un semplice sposta-
mento di un seme, trovantesi inerte da lungo tempo in germinatoio, per scuo-
terlo e provocarne la nascita.
\
GUIDO PAOLI
NUOVI LABOULBENIOMICETI PARASSITI DI ACARI ©
Fra le diverse centinaia di funghi dell'ordine delle Laboulbeniales
elencate, descritte e figurate dal Thaxter nei due classici volumi (2)
e altrove da altri autori, figurano solo tre specie che siano parassite
di Acri ed esse sono state trovate dal chiarissimo Prof. Antonio Ber-
lese nei suoi continui studi su questi piccoli Artropodi La prima fu
descritta dal fratello di lui Augusto Napoleone nel 1889 e chiamata
Laboulbenia armillaris Berl (3); le altre due, eoi nomi Rhacomyces
berlesiana e Laboulbenia napoleonis, furon descritte dal Baccarini nel
1904 (4).
Ora io ho la fortuna di far conoscere altre nuove forme, anch'esse
ritrovate da Antonio Berlese e da questo benevolmente affidatemi per
lo studio. à
Le tre specie già descritte e le sei di cui fra breve parlerò, sono
tutte parassite di Acari della famiglia dei Gamasidi; in quanto alla
distribuzione geografica, se si eccettua la Laboulbenia napoleonis Bace.
di Luxemburg e il mio Dimeromyces falcatus della Toscana, si nota
(1) Questa nota à stata già pubblicata nel « Redia » periodico di Entomo-
logia, Vol. VII, fasc. 2, Firenze 1911.
| (2) THAxrER RoLAND,Contribution toward a Monograph of the Labou'beniaceae
« Memoirs of the American Acad. of Arts and Sciences ». Vol. XII, n. III, Cam.,
brige (Mass.) 1896 — Id. id. — Contribution etc. Part II, Ibidem, Vol. XIII, nu-
mero III, 1908.
(8) BERLESE A. N., Rivista delle Laboulbeniaceae e descrizione di una nuova
specie di questa famiglia, « Malpighia », Anno III, Genova 1889.
(4) Baccarını P., Noferelle micologiche. Appendice al «Nuovo Giornale bota
nico italiano », n. s. Vol. XI, Firenze, 1904.
880 GUIDO PAOLI
che sono tutte forme delle regioni tropicali o subtropicali, come del
resto la maggior parte dei funghi appartenenti a questa singolare fa-
miglia.
Il Berlese mi ha fatto rilevare il caso oecorsogli di frequente di
insetti affini viventi in svariate regioni della Terra e che ospitano A-
cari altrettanto affini tra loro, cosicchè mentre si corrispondono le forme
ospiti, si corrispondono anche i parassiti; nella serie di Dimeromyces,
che illustro. tale osservazione può estendersi anche al fungo parassita
degli Acari, come si vede dal presente specchietto.
Fungo parassita
Regione Insetto Acaro parassita dell’Acaro
iava Dorcus bucephalus Canestrinia spectanda Dimeromyces mucro-
natus
Giava. Dorcus saiga Canestrinia microdisca Dimeromyces muero-
natus
Africa Scarabaeus centaurus Canestrinia neglecta Dimeromyces muticus
Italia Pentodon punctatus Canestrinia dorcicola Dimeromyces falcatus
var. pentodontis
Anche per la serie delle Rickia si verifica che gli acari ospiti
sono tutti tra loro molto affini, ma questi non sono veri parassiti di
insetti come le Canestrinia.
Gen. Rickia Cav.
Questo genere fondato dal Cavara (1) per una specie trovata dal
Wasmann sulla Myrmica laevinodis a Linz sul Reno, comprendeva
fino ad ora solo la specie tipica; i caratteri generici dati dall’ Autore
sono :
Gen. Rickia. Receptaculum stipitatum, clavatum, asimetricum, pa-
renchymatico-contextum, duobus appendicum lateralium seriebus consti-
tutum; antheridia simplicia, monocellularia, supra appendices inserta,
ab hisque annulo scleroso discreta; antherozoidia endogena; perithecia
singula vel raro bina lateraliter inserta, sessilia, trichogyno simplici
(1) Cavara F., Di una nuova Laboulbeniacea, Rirkia Wasmanni nov. gen. è
nov. spec., « Malpighia », Anno XIII, Vol. XIII, Genova, 1899.
Da ata
NUOVI LABOULBENIOMICETI PARASSITI DI ACARI 331
praedita; cellulae ascogenae tres vel plures? asci maturi non visi; spo-
rae septatae. i
A questo genere sono riferibili tre delle specie che illustro, ed an-
che quella già descritta dal Baccarini come Rhacomyces berlesiana, per
quanto questa per alcuni caratteri si differenzi un poco dalle altre
specie di questo genere, come si noterà a suo luogo.
Rickia javanica n. sp.
(Tav. V Fig. 1, 2)
Receptaculum fere aeque longuin ac latum, stipite paullo longius;
series media ex 7 circiter cellulis constituta, totidemque laterales; harum
quaeque cellula duas vel plerumque tres per septa obliqua gignit cel-
lulas quae ad cellulae matris latus permanent, nec in seriem disponun-
tur; e cellulis filiis quaeque antheridium unum gerit anulo scleroso di-
scretum vel rarius sterilem appendicem antheridii abortivi instar; an-
theridia plura (ad 15), venticosa, collo ac ventre aeque longo, peri-
thecium quam dimidiata receptaculi longitudo vix brevius trichogyno
sat longo aucto, ad basim anulo scleroso discreto.
Receptaculi longitudo sine stipite . . . . . H 65
latitudo sine antheridiis . . . . . . . » 47
Antheridii longitudo . . wav aud ga 1018
Perithecii longitudo sine E Co suscite E |
Hab. super Acarum Gamasidem Pachylaelaps (Onchodellus) spe-
etabilis in insula Java.
*
Il corpo fruttifero è sostenuto da un peduncolo formato di una
sola cellula stipitale assai allungata; esso è di forma ellittica, quasi
circolare, poco più lungo che largo; la fila mediana è di sette o otto
- cellule e così quelle dei lati; ognuna delle cellule delle file laterali dà
origine a due o tre cellule madri degli anteridi; queste cellule sono
molto più piccole delle altre e restano di fianco alle cellule che le
hanno generate, facendo apparire il ricettacolo quasi formato di cin-
que file di cellule. In corrispondenza di ognuna di queste piccole cel-
lule si trova un disco o anello bruno su cui si impiantano gli anteridi;
questi però non sono tutti sviluppati, ma alcuni qua e là restano a-
bortivi e costituiscono delle appendici sterili sottil, allungate, unicel-
d
B82 GUIDO PAOLI
lulari. Gli anteridi sono assai numerosi (14 o 15) e fatti a forma di
bottiglia; l'ingrossamerto ventrale è più largo in alto che alla base e
il collo allungato e sottile è lungo circa quanto il ventre medesimo.
ll peritecio è tutt) compreso nel ricettacolo; la sua lunghezza è
di poco minore della metà di questo.
Il tricogino è motto sviluppato; nell'esemplare disegnato era lungo
cirea la metà del peritecio per quanto non sembrasse intiero; all’apice
si mostrava sormontato da una massa irregolare di asp tto gelatinoso
dovuta forse alla gelilicazione del tricogino stesso. Alla base il trico-
gino è leggermente ristretto e congiunto col peritecio per mezzo di un
anello nero, indurito, simile a quello che sta sotto ogni anteridio.
Ho veduto alcuni esemplari di questa Rick/a su Pachylaelaps spe-
ctabilis Berl. provenie ite da Giava; solo uno ho potuto distaccare dal-
l'Aearo ed esaminare accuratamente : l'Acaro stesso poi ne aveva al-
euni altri che non ho potuto vedere a forte ingrandimento senza dan-
neggiare l'ospite, il quale presentava in varie parti del corpo dei punti
neri, residuo della porzione basale dello stipite di altri esemplari del
fungo.
Rickia coleopterophagi n. sp.
(Tav. V Fig. 8
Receptaculum bent asymmetricum, longius quam latius, stipite brevi;
series media ex 10 vel pluribus cellulis constitu*u; ordinum lateralium
quceque cellula altera à gignit, quae ad eius latus permanet et sterilem
appendicem aut antheridium gerit, anulo scleroso discreta; appendices
steriles plures (ad 20) sphaericae vel ovoideae pallide infuscatae; an-
theridium unum ad letus perithecii insitum, solita forma; perithecium
receptaculi parti dimidiae subaequale, trichogyno brevi aucto, anulo
scleroso destituto.
Receptaculi lon; itudo (sine stipite) . . et atus Mes BB
» © latitudo (sine appendicibus) - » 58
Stipitis longitudo . . “ih ux. E EE
Antheridii longitudo. . . horis 2e o. det
Perithecii longitudo (sine ee. es » BI
Habitat super Ar wum Gamasidem dii procerus Berl.
in India. \
NUOVI LABOULBENIOMICETI PARASSITI DI ACARI 333
Specie più grande della precedente e da questa ben diversa. Il
corpo fruttifero è grande, ellittico, sorretto da breve peduncolo. Le cel-
lule della fila mediana, sono circa undici; assai più numerose quelle
della fila esterna di un lato, molto meno quelli dell'altro. Ognuna di
queste cellule dà origine per divisione a una cellula madre di un an-
teridio o di un’appendice sterile; tali cellule m dri restano incuneate
fra le laterali in maniera del tutto caratteristica. Le appendici sterili,
la cui omologia cogli anteridi è evidente, sono molte, di forma sferica
o ovoidea, a membrana grossa, leggermente infuscata sostenute da un
anello bruno. L’anteridio è uno solo, a forma li bottiglia con collo
piuttosto breve, e anello bruno alla base, situa'o . presso al peritecio,
inferiormente a questo; il per.tecio è assai grade, e raggiunge in lun-
ghezza la metà circa del peritecio; il tricogino è molto breve e ha il
solito anello bruno alla base. Gli aseui e le spore non erano ancora
bene maturi e non ho potuto chiaramente distinguerli.
Un solo esemplare ben conservato potei st: ceare da un individuo
di Coleopterophayus procerus Berl. il quale presentava le punte nere,
residuo di altri funghi; quest’acaro si trovava su Orycles rhinoceros
proveniente dall’India.
? Rickia minuta n. sp.
(Tav. V Fig. 4)
Receplaculum minus, bene asymmetricum, 'ongius quam latius, sti-
pite quam receptaculum breviore; series media «x 6 circiter cellulis con.
stituta; ordinum lateralium quoeque cellula alt. ram gignit quae ad eius
latus permane! et antheridium vel appendicem erit; antheridium unum
prope perithecium insitum; appendices steriles 1 0n multae (10-11) sub-
sphaericae vel obovatae, anulo scleroso discretae* perithecium receptaculi
dimidiatae parti subaequale. DER aucto, anulo scleroso ad basim
ornato.
Receptaculi lengitudo (sine stipite) . . N ar MM
^ latitudo (sine eppendicibs) - RE E EEN
Stipitis longitudo . . S el. cw Hg
Perithecii longitudo Te RER ee
‚Habitat super Acaros Gamasides Holocaeleno rotunda Berl. in Texas
884 GUIDO PAOLI
(America Sept.) et Pachilaelaps (Megalaelaps) athletieus Berl. in Ame-
rica meridionale; forsan etiam super Megalolaelaps hirtus Berl. in Brazil
et Equador (Amer. mer.)
Esito a pubblicare questa specie, che ho potuto osservare soltanto
in esemplare non ancora bene maturo, e non l'avrei resa nota, se non
fosse che l'ho riscontrata su diversi compioni di tre specie di acari
di varie provenionze, ma tutti americani; trattandosi di acari nuovi
e rari della collezione Berlese, non ho potuto guastarli per ren-
dere bene evidente il fungo e per poterlo esaminare con un conve-
niente ingrandimento. Questa è la ragione per eui non ho potuto ve-
dere e deserivere aleuni particolari. mentre la specie era generalmente
identificabile anche a più debole ingrandimento.
dunque questa Rickia assai più piccola delle due precedenti;
ha ricettacolo ovale e stipite in proporzione lunghetto; la fila mediana
è formata di cirea 6 cellule; le laterali producono per divisione le cel-
lule madri delle appendici sterili o degli anteridi; l'anteridio è unico
e situato presso il peritecio come nella R. coleopterophagi; le appendici
sterili sono sei o sette sul lato più lungo, due o tre su quello più breve,
tutte con anello bruno alla base; sono tondeggianti o sferiche, ma spesso
deformate e colla membrana raggrinzita. Il peritecio è lungo un po’
meno che la metà del ricettacolo ed ha un breve tricogino sorretto da
anello bruno. —
Per molti caratteri potrebbe ritenersi questa spec:e come uno stadio
immaturo della R. coleopterophagi, ma la mole minore dei diversi in-
dividui che ho esaminati e la costanza dei caratteri indicati, mi spin-
gono a considerla addirittura come specie a parte.
Rickia berlesiana (Bacc.) Paoli.
(Tav. V Fig. 5)
Rhacomyces berlesiana Baccarini 1903. Noterelle micologiche « Nuovo Giornale
i botanico italiano ». n. s. Vol. XI, Firenze.
Receptaculum longe clavatum, subsymmetricum, stipite brevi (?)
series media ex 30 circiter cellulis nigris constituta, ex quibus 3 vel
4 apicales subhyalinae sunt; series tota fusiformis est et saepta inter-
cellulas superpositas magis etiam colore obscurata sunt; cellulae ordi-
H
NUOVI LABOULBENIOMICETI PARASSITI DI ACARI 335
num lateralium praecipue superiores singulas producunt cellulas, quae
oppend ces gerunt anulo scleroso longiore quam latiore discretas; appen-
dices steriles vio elongatae, unicellulares, membrana flaccida; antheridium
unum (in exempl. adhuc immaturum ?); perithecium basi infuscatum,
apice pallidius, circiter tertiam partem longitudinis receptaculi aequans;
trichogyno nullo (an caduco ?).
Receptaculi longitudo . . . . . . . . plus quam Ẹ 170
» latitudo eds >
Perithecii longitudo . . . » 62
Habitat super acaros Gamasides Fedrizia grossipes Berl. et Fedrizia
gloriosa Berl. in Australia.
Questa specie non è nuova; fu descritta nel 1903 dal Baccarini
che l’ascrisse al gen. Rhacomyces; si trattava di nuova specie di acaro
raro che non , ovè guastare per mettere in evidenza il fungo; così lo
sua descrizione non fu completa come era desiderabile. Io ho veduto
appunto l'esemplare del Baccarini nella collezione Berlese ad un altro
comunicatomi dal Berlese stesso, e che ho pututo preparar convenien-
temente, per quanto non completo. Per quel che ho potnto vedere i
due esemplari appartengono alla stessa specie, di cui do pertanto la
diagnosi e la figura più completa che fosse possibile.
Il ricettacolo e lungo, clavato, sorretto da peduncolo brevissimo; è
formato da tre file di cellule ben distiute; la mediana è selerificata, e
le cellule anno la parete molto bruna, ma ancor più oscuri sono i setti
fra le cellule sovrapposte. Le cellule delle file laterali non producono
tutte quante delle cellule figl:e, ma quelle della base restano in mag-
gioranza indivise, mentre quelle più prossime all’apice si dividono ori-
ginando una piccola cellula figlia la quale porta un’appendice sterile;
queste appendici hanno membrana flaccida, grinzosa, e son sorrette da
un anello indurito di forma obconica, più lungo che largo. L’anteridio
non l’ho visto realmente, ma presso al peritecio sì trova un processo
che io ritengo sia appunto l'apparato maschile o non ancora bene svi-
luppato, ovvero degenerato.
Il peritecio è grande, la sua membrana è in gran parte imbrunita
specialmente nella porzione basale; il tricogino manca nell’esemplare
veduto, ma forse è caduto; le spore sono settate.
836 GUIDO PAOLI
Come si rileva, questa specie presenta alcune differenze colle Rickia
sopradescritte e con quella del Cavara; non solo per la forma assai al-
lungata del ricettacolo, ma sopratutto per le cellule selerificate della fila
mediana; qualora si trovassero altre specie con tale carattere, mi sembra
che potrebbero riunirsi in un genere a parte che potrebbe chiamarsi
Sclerorickia; ma per ora non credo opporturno fare tal separazione.
Gen. Dimoromyces Thaxter.
Si possono riferire a questo genere tre specie, le quali però per
la semplicità loro si differenziano un po’ dalle altre descritte nell’opera
citata del Thaxter; infatti in queste gl'individui sono dioici e formati
da una serie di cellule sovrapposte che producono lateralmente appen-
dici sterili e anteridi o periteci in serie semplice. Nelle varie specie
descritte dal citato Autore le appendici e i periteci o gli anteridi so-
no parecchi e il ricettacolo é formato di un numero variabile, ma co-
spicuo di cellule.
Nelle 3 forme che deserivo si ha invece una grande uniformità è
semplicità di struttura; l’individuo femminile è formato da uno stipite
unicellulare, da una cellule che porta un’appendice sterile (inferiore),
e da una che porta il peritecio e un’altra appendice sterile (superiore)
ogni appendice è sorretta da una cellula basale propria. Al piede di
quasi tutti gli individui femminili si trova un individuo maschile pic-
colissimo e semplicissimo, ï cui particolari, di struttura non ho potuto
non esattezza vedere.
Le specie che descrivo sono del resto ben chiare e precisate da ca-
ratteri evidenti.
Dimeromyces mucronatus n. sp.
(Tav. V Fig. 6, 7)
Appendices dimorphae, non erumpentes neque diffluentes; inferior
cylindrica, nigerrima apice vix pallidiore, cellula basali elongata; supe-
rior super cellulam basalem giganteam tholiformem subclavata, inferne
nigra, superne pallidior; perithecium appendicibus brevius, trichogyno ca-
duco vel nullo (2) circum trichogyni cicatricem via obscuratum, mucrone
apicali nigro, erecto, conico, ornato.
NUOVI LABOULBENIOMICETI PARASSITI DI ACARI 831
Receptaculi longitudo usque ad basim perithecii , . 85
Perithecii longitudo sine mucrone . 3 ; i Re. |
> latitudo . è : » 35
Appendicis inferioris Tou sine cell. sien : ; » 96-100
» superioris longitudo, »ine cell. basali. : à » 88-96
Habitat super Acarum Gamasidem Canestrinia spectanda Bert. pa-
rasitum super Dorcus bucephalus in insula Java.
L’apparato vegetativo di questo fungillo consta di una cellula ba-
sale allungata, munita all’ estremità inferiore della solita punta nera
mediante la quale si attacca al corpo dell’acaro. Sopra tale cellula se
ne trovano due sovrapposte più larghe che alte; dalla più bassa si ori-
gina l’ appendice sterile inferiore impiantata su una cellula molto al-
lungata e a lume assai ristr tto; l'appendiee poi risulta formata di un
certo numero di cellule sovrapposte, difficilmente visibili perchè la pa-
rete è fortemente colorata in bruno intenso, e solo l’apice è più pallido;
è presso a poco cilindrica, un po’ curvata in fuori, lunga circa 100 p.
nella. seconda cellula del ricettacolo si impianta lateralmente il peri-
tecio, e sopra la medesima l’appendice sterile superiore colla sua gran-
de cellula basale, Il peritecio è grande, leggermente infuscato verso
lapiee, ma più intorno alla cicatrice del tricogino; all'estremità supe-
riore reca di lato un mucrone intensamente colorito in bruno, coll’ a-
pice un po’ più pallido; tale muerone è diritto, leggermente conico,
lungo 14-15 p. Le spore sono fusiformi settate, incolore, lunghe circa
25 p.
L’appendice sterile superiore ha una cellula basale molto grande,
più lunga che larga, a forma di cupola; essa poi è clavata formata di
una fila di cellule sovrapposte; la parte inferiore è di color bruno mol-
to intenso, e va divenendo sempre più pallida verso l’apice, ma è per-
corsa da strie longitudinali più scure; le cellule che la costituiscono
non sono tutte eguali; quelle inferiori sono assai più lunghe, che lar-
ghe, le superiori hanno invece il diametro trasverso maggiore e quella
apicale può dirsi addirittura lenticolare.
Gli individui maschili sono molto piccoli, sorgenti ognuno sili ba-
se di un individuo femminile; hanno una struttura simile a questi, ma
io non ne ho potuto vedere alcuno maturo. Quello disegnato nella fig.
338 GUIDO PAOLI
6 c a tav. V per quanto non completamente sviluppato, dà idea della
semplicità e piccolezza di questi individui.
Dimeromyces falcatus n. sp.
(Tav. V, Fig. 8, 9, 9 bis)
Appendices similes, clavatae, nigrae, apice pallidiores; inferior cel-
lula basali parva, brevissima; superior cellula basali majore, apice mu-
crone parvo ornato. Perithecium appendicibus brevius, prope cicatri ulam
trichogyni infuscatum, superius mucrone grandi, falcato, nigro, apice
pallidiore aucto.
Receptaculi longitudo usque ed basim perithecii — . i H 50-51
» longitudo sine mucrone. $ ; ; ` i » 43-46
Perithecii latitudo . i à > 17-19
Appendicis inferioris aa sine sala bria : - » 80-94
» superioris longitudo sine cellula basali . . » 53-60
Habitat super Acarum Gamasidem Canestrinia dorcicola Berl. var.,
pentodontis Berl. parasitum super Pentodon punctatus ad « Sun Vin-
cenzo » prope Pisas in Italia.
Questa specie è di mole minore che la precedente e ben catteriz-
zata dall’ appendice falcata che si trova all’ estremità del peritecio.
Il corpo fruttifero degli individui femminili consta delle solite tre
cellule; le basali delle appendici sterili sono molto piccole e brevi;
queste sono simili fra loro nella struttura, ma la inferiore è più lun-
ga; ognuna consta di una porzione cilindrica formata di cinque-sette
cellule a parete di color castagno scuro e di una capitazione, pallida
o addirittura incolora composta di due o tre cellule appiattite, a pa-
rete molto grossa; all’estremità si trova spesso un breve muero e in-
coloro. Il peritecio è piuttosto piccolo in confronto delle altre specie
è incoloro nella metà inferiore, infuscato nella superiore e maggior-
mente presso l'apiee; è sormontato da un grande mucrone, il quale
nasce di fianco all’ estremità superiore, ed è ineurvato e intensamente
colorato in bruno ad eccezione dell’apice.
Gl’individui maschili sono piccolissimi, lunghi 40-45 u. colle ap-
pendiei, e stanno ognuno al piede di un individuo femmineo; la luro
struttura non mi è stato dato di vedere con chiarezza.
-
NUOVI LABOULBENIOMICETI PARASSITI DI ACARI 389
Il Berlese trovò su Pentodon punctatus a San Vincenzo in Provin-
cia di Pisa, diversi esemplari di Canestrina dorvicola var. pentodontis
recanti più o meno numerosi di questi fungilli.
Dimeromyces muticus n. sp.
(Tav. V, F g. 10)
Appendices simi’es, clavatae, cellulis inferioribus nigris, elongatis,
caeteris fere ısodiametricis, pallidioribus, apice erumpentes (vel dijfluen-
tes ?); appendia inferior longior, cellula basali brevi; superior cellula
basali parva, Perithecium magnum appendicibus longius vel subaequale
parte superiore infuscato, apice cellulis labialibus reflexis, trichogyno
nullo vel caduco.
Receptaculi longitudo usque ad basim perithecii . . 58-60
Perithecii longitudo . à : i : : È » 80
> latitudo . . n » 28
Appendicis inferioris idagitnda sine Ne basali . 3 » 80
» superioris longi:udo sine eeliula basali . : » 44
Habitat super Acarum Gamasidem Canestrinia neglecta Berl. pa-
rasitum super Scarabaens centaurus in Afri a.
Caratteri precipui di questa specie sono: il peritecio privo di mu-
erone apicale, e la forma e |’ aspetto singolare delle appendici sterili.
Del resto i caratteri del corpo fruttifero sono molto simili a quelli
descritti per le due specie precedenti; la cellula costituente lo stipite
è assai lunga; le altre due sono al contrario assai piccole. Le cellule
basali delle appendici sterili sono pure piuttosto piccole; le appendici
poi hanno uguale struttura, cioè ognuna è formata di una porzione ba-
sale cilindrica, di due cellule allungate a parete intensamente colorita
in bruno; e di una porzione più grossa, pure cilindrica di diverse cel-
Jule sovrapposte, a parete grossa, ma appena colorata; all’apice le due
appendici appaiono erompenti o difluenti.
ll peritecio è grande assai, leggermente infuscato nella porzione
superiore e colle cellule labiali reflesse; manca di qualsiasi mucrone,
e neppure si distingue la cicatrice del tricogino.
Gli individui maschili si trovano ognuno al piede degli individui
840 GUIDO PAOLI
peritecigeri e sono, come nelle altre due specie, molto piccoli; e nep- | :
pure di questi ho potuto vedere con chiarezza la struttura.
Alcuni esemplari di questa specie vidi su Canestrinia neglecta acaro
parassita di uuo Scarubaeus ce taurus proveniente dell’Africa e con-
servato nella collezione Berlese.
TABULAE V ESPLICATIO
Fig. 1 Rickia javanica
» 2 — — antheridia magis amplificata
» 3 — coleopterophagi
» 4 —- minuta
» D — berlesiana
» 6 Dimeromyees- mueronatus
» 7 — — perithecit pars apicalis È
» 8 — faleatus
» 9, 9 bis — | perithecii pars apicalis
» 10 — mutieus
M KE
PROF. G: E. MATTEI
Osservazioni biologiche sopra alcune Cactacee
Il Derrmo, nella sua magistrale opera sui nettarii estranuzia-
li (1), segnala appena tre Cactacee provviste di tali nettarii; che ne
conoscesse così poche di mirmecofile si comprende bene, considerando
che egli fece le sue osservazioni a Bologna, ove scarso è il numero
di Cactacee coltivate, ed in esemplari troppo meschini per manifestare
una apprezzabile secrezione mellea.
Tuttavia egli vide i prineipali tipi di nettarii estranuziali attuati
nelle Cact ıcee, cioè in un Cereus squame con pulvini secernenti, in al-
tro Cereus fiori con lacinie sepaline secernenti, ed infine in una Rhip-
salis spine ascellari metamorfizzate in nettarii estranuziali. Dopo il
DELPINO, a quanto mi consta, solo il GANONG (2) ha rilevato l'esistenza
di nettarii «stranuziali nelle Cactacee, e precisamente in alcune spe-
cie di Ogun ia, presentanti nettarii omologhi a quelli descritti in Rhip-
salis.
So poi che a Napoli, un laureando, il Signor BARILE, segnalò nella
sua tesi di laurea, l’esistenza di nettarii estranuziali in parecchie al-
tre specie di Cactacee, ma non mi consta abbia pubblicato alcuna
nota in proposito.
Qui a Palermo però, ove si coltiyano numerose Cactacee, in esem-
plari veramente giganteschi, rilevai che quasi ogni specie presenta
nettarii estranuziali più o meno evoluti, più o meno secernenti, ma
sempre visitati da formiche: si può dire senza esagerazione, che
(1; DeLpino F., Funzione mirmecofila nel Regno Vegetale. In gno della
R. Accademia delle scienze di Bologna. Ser. IV. Tom. VIII. 1886. p.
(2) GaNoNc W. Fr., Beiträge zur Kenntniss der Morphologie ais Biologic
der MM, In Flora oder allg. Bot. Zeitung. 1894.
842 G E MATTEI
quasi la metà delle Cactacee qui coltivate ne è provvista. Ciò
desta sorpresa, se si considera che le Cactacee sono fornite di
valide spine, costituenti una efficacie difesa contro gli animali erbi-
vori, contro i quali principalmente è diretta anche l’azione dei net-
tarii estranuziali: tuttavia mi pare di aver osservato un certo antago-
nismo, anche nelle stesse Cactacee, fra lo sviluppo delle spine e quello
dei nettarii estranuziali: le specie meglio provviste di spine, come il
genere Mammillaria, mancano di nettarii estranuziali, ed anche nella
stessa specie, le parti giovani, come i rami giovani, i bottoni florali,
etc., poco difesi dalle spine, presentano néttarii estranuziali, mentre
ogni secrezione è cessata nelle parti adulte, già bene difese dalle spi-
ne. Si può quindi ritenere che, anche nelle Cactacee, queste due fun-
zioni procedano di pari passo, sostituendosi l'una all'altra, contro i me-
desimi nemici. Credo inutile dare l'eleneo di tutte le Cactacee in cui
ho osservato nettarii estranuziali, trattandosi di un numero abbastanza
rilevante di specie, e presentandosi essi con grande uniformità. Faccio
però eccezione per tre sole specie, che hanno una certa importanza.
La prima è l'Opuntia Ficus-Indica, e la menziono, per il fatto,
che mi sorprende come niuno l’abbia segnalata per mirmecofila, men-
tre trovasi tanto abbondantemente coltivata ed inselvatichita in tutta
la regione mediterranea.
Io pure l’aveva molte volte osservata senza mai accorgermi che
presentasse alcuna secrezione mellea: quando quest'anno, in un pome-
riggio primaverile, alla Villa Favorita presso Palermo, fui sorpreso di
vedere numerose piccole formiche salire e scendere per le piante di
Opuntia: dapprima eredetti che ciò dipendesse da qualche colonia di
afidi, da cui fossero invase le piante stesse, ma bene osservando mi
accorsi che si fermavano sulle racchette più giovani, lambendo in pros-
simità dei cuscinetti ascellari: allora mi fu facile scorgere, guardando
contro luce, in molte di dette regioni, una piccola goccia densa e
sferica. Non feci ricerche in proposito, ma, avendo dappoi conosciuto
il lavoro del Gaxoxc, ritengo si tratti di nettarii metamorfici, come
quelli da tale autore descritti per altre specie di Opuntia.
Dopo ciò non resta alcun dubbio che anche l'Opuntia Ficus-Indica
sia specie mirmecofila, quantunque in essa la funzione di difesa for-
OSSERVAZIONI BIOLOGICHE SOPRA ALCUNE CACTACER 343
micaria sia limitata agli articoli più giovani, e probabilmente sia di
brevissima durata.
Cito un'altra specie, per la grande esaltazione che in essa ha as-
sunto la funzione mirmecofila. È una specie coltivata nell’Orto Bota-
nico di Palermo, con il nome di Pilocereus euphorb'oides, RUMPL.
(Först. Hand!.II, 658) e come tale citata anche dal RICCOBONO (1), ma
mi restano molti dubbi sulla sua precisa identificazione.
Nel fusto, presso ogni areola, si trova una abbondante e duratura
secrezione mellea, che richiama molte formiche; però la massima pro-
duzione di nettarii estranuziali presso tale specie si ha nei bottoni
florali, massime poco prima della loro antesi. Alla base del fiore, in
corrispondenza della regione ovarica, si hanno piccole squame embri-
ciate, ognuna leggermente trilobato-cuspidata, con due lunghe setole
terminali: ciascuna di queste squame, nel suo dorso, e verso la cuspide
apicale, presenta un solco longitudinale, mellifero. Superiormente a
queste, nella regione esterna del tubo florale, si hanno numerose laci-
nie, per massima parte coerenti, con il loro apice inspessito e reflesso,
in modo da costituire una sorta di cavità semi-circolare, piuttosto pro-
fonda : l’interno di questa cavità è rivestito per intero da tessuto mel-
lifero, e la quantità di miele che ne secerne è veramente enorme, ca-
dendo a densi goccioloni ed imbrattando le parti circostanti della
pianta; numerose formiche vi accorrono, ma da noi non sono sufficienti
per eonsumar!o tutto, tanta essendo la potenza di secrezione. Figuria-
moci quale sarà nella sua patria, che dicesi essere il Messico, e quale
concorso enorme di formiche dovrà richiamare nei suoi luoghi naturali.
Un'altra Cactacea mellifera e l'Hylocereus triangularis, BRITTON
ET Rose (Contr. U. S. Herb. XII, 1909, 413), ma questa presenta, ol-
tre ai nettarii estranuziali, altre particolarità che meritano di essere
rilevate.
Infatti tale specie, precedentemente ascritta al poco naturale ge-
(1) Riccosono V., Studii sulle Cactacee del R. Orto Botanico di Palermo. In
Bollettino del R. cp Botanico e Giardino Coloniale di Palermo. Vol. VIII, 1909
pag. 254.
B44 G. E. MATTRI
nere Cereus, fu opportunamente da questi staccato, dapprima dal Ber-
GER (Missour. Bot. Gard. XVI, 1905,72) come sottogenere, poi dal BRIT-
TON ET Rose come genere proprio. Produce grossi frutti commestibili,
e si differenzia nei caratteri vegetativi per i fusti triangolari, larga-
mente alati, sinuoso-crenulati, sarmentosi e radicanti: vivendo nel
fondo dei boschi, ove si appoggia e si attacca alle corteccie degli al
beri fu molto appro riatamente distinto con il nome di Hylocereus.
Anche il Rıccosoxo (l. e. 235) ha adottato una tale nomenclatura.
Un carattere però che mi pare assai significante e che non trovo
citato da alcun autore, è quello dello spiccatissimo dimorfismo dei suoi
fusti. Fin che viene coltivato in luoghi seoperti, alla luce, sviluppa
fusti tutti di una forma, cioè corti, largamente alati, del diametro in
sezione di 6 a 10 e più centimetri (ali comprese), teneramente erbacei.
Ma se viene coltivato in luoghi coperti. poco esposti alla luce,
come sarebbe il fondo di un bosco, o l’interno di una abitazione, allora
subito sviluppa fusti di una seconda forma, cioè lunghissimi, stretta-
mente trigoni, ma non alati, del diametro in sezione di appena un
centimetro ed anche meno, duramente legnosi da adulti: questi sono
sensibilissimi alla luce, dirigendosi verso il punto più illuminato e
producono da un sol lato, precisamente quello opposto alla maggiore
illuminazione, lunghe radici avventizie, per solito a coppie. Piccole
piante di questa specie, coltivate in vaso, e tenute in luogo poco lu-
minoso, possono sviluppare fusti di tale forma lunghi fino a due me-
tri e più. Questi fusti poi hanno una vitalità straordinaria: avendo a-
derito ad un sostegno, da cui non possono prendere nutrimento ma
solo appoggio, e recisi alla base, cioè tolta ogni loro comunicazione
con la pianta madre, hanno la potenzialità di mantenersi in vita per
più di un anno, continuando alquanto il loro incremento apicale. Ben
si comprende come questi sieno splendidi espedienti, posti in opera
dalla pianta, per sottrarsi a condizioni di vita poco appropriate, e per
giungere all’aperto, senza superflua produzione di tessuto assimilatore,
mentre va acquistando una durata ed una resistenza maggiore.
Alla produzione di tali fusti singolarissimi nell’ Hylocereus trian-
gularis sì accoppia quella dei nettarii estranuziali. Mentre nei fusti
. . normali, alati, vidi scarsa secrezione mellea, in quelli non alati, almeno
OSSERVAZIONI BIOLOGICHE SOPRA ALCUNE CACTACEE 345
durante il loro primo sviluppo, la secrezione mellea è abbondantissima,
tanto che in corrispondenza al pulvino di ogni areola trovasi costan-
temente una grossa goccia di miele. Negli esemplari da me coltivati
in ambiente semi oscuro, non si aveva concorso di formiche, per cui
tali goccioline mellee, persistendo a lungo, finivano per disseccarsi, for-
mando pallottoline di zucchero, che restavano aderenti alla pianta
stessa.
Veramente la produzione di rami cilindrici, sotto l’azione dell'o-
scurità in Cactacee, a fusti appiattiti, fu posta in evidenza dal Voë-
CHTING (1) per quanto concerne i Phylocactus, e dal GOEBEL (2) per
quanto riguarda la Opunt/a leucotricha, ma nei casi illustrati da
questi autori, si tratta evidentemente di anomalie ataviche, dovute al-
lambiente non naturale in cui furono poste per qualche tempo a ve-
getare le piante, mentre nel caso del detto Hylocereus ritengo che ciò
sia normale, e di valore biologico.
Ritengo cioè che nella patria di questa pianta, che dicesi essere
il Messico, la produzione di queste due sorta di fusti avvenga normal-
mente, presentandosi la prima negli individui cresciuti in luoghi scoperti,
e la seconda in quelli cresciuti nei boschi: in questi ultimi altresi
pare si et una maggiore protezione, essendo in essi più esaltata
la funzione mirmecofila.
Questi pochi esempii confermano vieppiü quanti mirabili adatta-
menti si sieno incamati nella famiglia delle Cactacee, biologicamente
tanto interessante.
Pror. G. E. MATTEI
1) VoecatING H., Ueber die Bedeutung des Lichtes fur die Ee blatt.
spa Casteen. In Pringshein 's E far Wissensch.Botanik Bi.XXVI-
H. 3. p. 438-494. Taf. XXI. XXII.
(2) PRA E; EUR, der i I Teil. Jena 1898. p. 213.
Comparazione tra la Flora tossile
ela Flora vivente della val Vigezzo nell'Ossola
in relazione col mutato ambiente.
Nota del Dott. MicHELE CRAVERI.
Fin dal 1893 il Prof. Ferdinando Sordelli pubblicd uno studio
« Sulle filliti quaternarie di Re in Val Vigezzo » (1)e più tardi, cioè
nel 1896, nella sua « Flora fossilis insubrica (2) egli ripeté le mede-
sime osservazioni confrontando dette filliti quaternarie coi vegetali
fossili di altri depositi contemporanei, quali il bacino lignitico di Lef-
fe, il deposito di Pianico, del torrente Morla (Bergamo); di Calprino
e Cadenabbia.
Da questi studi risulta in primo luogo che i depositi fillitiferi
quaternari di Lombardia e delle regioni limitrofe (comprendendo anche
Re in provincia di Novara) non presentano alcuna specie in comune
con quelli terziari della stessa regione, per il fatto che dovette tra-
scorrere un tempo lunghissimo tra l'emersione e conseguente vegeta-
zione dei terreni terziari più recenti e la formazione dei pit antichi
fra i terreni quaternari.
Inoltre il giacimento fillitifero di Re che ora ci interessa non sa-
rebbe geologicamente dei più antichi, poichè la maggior parte delle
specie studiate dal Sordelli allo stato fossile vivono tuttora nella stessa
valle, come cercherò di dimostrare, od in regioni poco lontane; doven-
dosi ricercare aleune poche specie estinte, secondo il Sordelli, nella
penisola balcanica e nell’ Asia Minore, cioè tra gli esemplari viventi
della Flora pontica.
Ho già discusso a lungo in una precedente memoria (3) l'origine
(1) Vedi: Rendic. R. Ist. Lomb. di Sc. e Lett., Milano, II, XVI, 1898, p. 848-
851. |
(2) SoRDELLI F., « Flora fossilis insubrica. — Studi sulla vegetazione di Lom-
bardia durante i tempi geologici », Milano, tip. edit. L. S. Cogliati, 1896.
(3) CRAvERI Dorr. MicHELE « Note preliminari sui fenomeni esodmamici
Ossola » Estr. d. Boll. d. Soc. geol. ital, Roma, 1. semestre, 1911.
COMPARAZIONE FRA LÀ FLORA TOSSILE, BCC 347
e la formazione del bacino lacustre di Re in valle Vigezzo; basti qui
ricordare che questo deve essersi formato in una delle fasi intergla-
ciali, se pure non preesisteva nel Preglaciale (come ritengono il Prof.
Taramelli e l' Ing. Traverso), e che il lago il quale doveva occupare
tutta la val Vigezzo, compresa la conca di S. Maria Maggiore, inco-
minciò a proseiuga'si solamente allora che i due torrenti suoi emis-
sari, il Melezzo orientale ed il Melezzo occidentale, si furono aperto
un largo varco erodendo i cordoni moreniei che sbarravano la valle,
mettendo foce, come fanno tutt'ora, l' orientale nel Lago Maggiore
presso Locarno e l occidentale nel fiume Toce sotto Masera al Nord-
Est di Domodossola.
Ma un residuo di lago, secondo me, deve essere esistito ancora
per molto tempo dopo il ritiro definitivo dei ghiacciai, quando cioè
era subentrato in tutta la regione alpina un clima assai più mite, se
il Sordelli crede di poter riferire alla Flora pontica alcune delle spe-
cie fossili di Re che oggi più non vivono nella stessa valle.
E poichè ho sott'oechio la ricca collezione di filliti Vigezzine do-
nata dal compianto e benemerito Comm. Dell'Angelo al Museo di Sto-
ria naturale della Fondazione Galletti di Domodossola, con quelle del
Museo Rosmini della stessa città, ed ii riechissimo erbario della Flora
ossolana pazientemente raccolto ed ordinato dal defunto Prof. Rossi
e che si conserva pure nel Museo del Collegio Mellerio-Rosmini, in-
tendo stabilire un confronto tra la Flora fossile e la Flora vivente
della val Vigezzo. L' erbario del Prof. Rossi è ricco-di cirea 10.000
esemplari rappresentanti non meno di 2000 specie ossolane con nu-
merose varietà, e dall’ esame paziente delle due raccolte (la fossile e
la vivente) ho potuto dedurre quanto segue (1).
Dirò di ciascuna pianta nell’ordine tenuto dal Sordelli nella sua
« Flora fossilis insubrica » che per essere un lavoro posteriore e più
completo di quello « Sul’e filliti quaternarie di Re in val Vigezzo » è
anche più ricco di particolari e di confronti.
(1) Vedasi anche: CRAvERI Dorr. MICHELE e Alcune specie vegetali de'l Ossola
ritenute rare per la Fiora del Piemonte ». Estr. d. Riv. « Malpighia », Catania
1911.
848 MICHELE CRAVERI
BRYOPHYTA-BRYOIDAEA MUSCI PLEUROCARPI
1) Neckera ossulana n. sp. (Nekera sp. Sordelli) associata nel gia-
cimento di Re con un ramoscello di abete; non compare nella Flora
ossolana del Rossi.
PTERIDOPHYTA-FILICACEAE-POLYPODIACEAE
2) Nephrodim filix-mas, (Linn.) Strempelh (Polypodium filix mas,
Linn.) sommità di una foglia sterile con una diecina di pinne per
parte; dal Rossi è detta volgare nei luoghi selvatici montuosi in tutta
D Ossola (Giugno-Agosto).
GYMNOSPERMAE-CONIFERAE-ABIETACEAE
3) Pinus silvestris, Linn., rami, cortecce, foglie, strobili, semi;
eresce tuttora nel luoghi aridi boschivi da 300 a 2000 m. d’altitudine
in tutta l'Ossola (Aprile-Giugno).
4) Abies pectinata, D. C. (Pinus picea, Linn., P. abies, Duroi),
foglie attaccate al ramo, squame fertili e semi; sotto il nome di Pi-
nus picea è segnata dal Rossi come pianta copiosa in val nc sure
Vigezzo e Divedro.
5) Picea excelsa, Lk, (Pinus abies, Linn., P. picea, Duroi, Abies
excelsa, D. C. Picea vulgaaris, Link.) foglie, semi e strobili; nella
Flora ossolana forma estese e fittissime foreste in val Vigesen fino a
2000 m. eirca.
MONOCOTYLEAE-GLUMACEAE-TYPHACEAE
6) Typha latifolia, Linn., porzione di foglia; tuttora vivente nelle
paludi del Toce (Primavera).
DICOTYLEAE-AMENTACEAE CUPULIFERAE
7) Alnus glutinosa, Gaertn, (Betula alnus, Linn.), frequenti le fo-
glie; noll'erbario della Flora ossolana ve ne sono esemplari raccolti
lungo i eorsi d'aequa e boschi paludosi ed al M. Calvario (Marzo).
8) Alnus incana, Wild (Be/ula incana, Linn.), frequenti le foglie
fossili ben eonservate ceme quelle della specie precedente; frequente
anche oggidi lungo i torrenti alpini e subalpini. (Febbraio-Marzo).
9) Betula alba Linn., var. glutinosa (Betula glutinosa, Wall.) poco
| frequenti le foglie fossili, anche più rare le squamme degli ament
COMPARAZIONE FRA LA FLORA TOSSILE, ECC, 349
fruttiferi. Secondo il Sordelli nel giacimento fillitifero di Re si avrebbe
di preferenza il tipo della B alba var. glutinosa, e tra le modifica-
zioni di questa la sottovarietà rhombifolia, con qualche forma inter-
media fra la glutinosa-verrucosa e la carpaticı. Nell'erbario del Rossi
figura la B. alba, Lian. eomune nei boschi di tutta la valle, ma prin-
cipalmente presso il Lago Maggiore, (Aprile Maggio); ed inoltre la
var. verrucosa Ehrh. raccolta presso il villaggio del Sempione.
CORYLEAE
10) Corylus avellana, Lin., nocciuole e foglie; comune oggi nei
boschi della regione del castagno, (Gennaio Marzo).
QUERCINEAE
11) Quercus pubescens Wild, var. (Quercus robur B sessiliflora,
Sordelli), foglie e ghiande trovate a Re ed a Folsogno in val Vigezzo.
Nella Flora ossolana figura solo il Q. robur vegetante nei boschi del
piano o poco elevati, (Aprile-Maggio), e la var, pedunculata, W. nei
boschi del lago Maggiore.
CASTANINEAE
12) Castanea latifolia Sdll. (Castanea sp. nov., Sordelli); dai c
ratteri delle foglie osservate di Re e di Folsogno il Sordelli deduce
che la C. latifolia derivata da qualche forma terziaria (forse dalla
C. Kubinyi) siasi sviluppata fra noi e quindi estinta senza dar luogo
alla specie coltivata, la C. sativa, che è ora comunissima in tutta
l'Ossola fra i 300 ed i 1000 m. di alt. (Giugno).
13) Fagus silvatica, Linn; Sordelli la dice frequente nei terreni
quaternari, ed infatti la Flora ossolana conta estese foreste di faggi
da 900 a 1500 m. circa, (Maggio).
SALICACEAE
14) Salix viminalis, Linn., una foglia fossile; non figura nell’erba-
rio ossolano. ©
15) Populus tremula, Linn, rara allo stato di fillite; attualmente
eresce nei boschi umidi dei colli ed al M. Calvario, (Marzo-Maggio).
16) Populus nigra, Linn., una. sola fillite a Re; comunissimo ora
lungo il Toce, (Marzo-Aprile) colla var. pyramidalis coltivata,
350 MICHELE CRAVERI
COLUMNIFERAE-TILIACEAE
17) Tilia platyphylla, Scop. (7. grandifolia, Ehrh.), foglie e frutti,
non compare nella Flora ossolana.
ACERACEAE
18) Acer pseudo platanus, Linn., foglie e samare; frequente tut-
tora nei boschi e cespugli, (Maggio-Luglio).
19) Acer platanoides, Linn., frequenti le filliti, ma non figura nel-
l'erbario del Rossi.
TRICOCCAE-BUXACEAE
20) Buxus sempervirens, Linn., pare che fosse comune nel Quater-
nario antico, anche oggidi si trova, benché raramente, spontaneo nei
luoghi aridi dell'Ossola e coltivato ovunque, (Marzo-Aprile).
SYMPETALAE-BICORNES-ERICACEAE
21) Rododendron ponticum, Linn., var. sebinense, Sdll., (Rododen-
dron sebinense Sdll., R. ponticum, Baltzer), molte foglie e qualche
frutto o capsula fossili; non esiste nella Flora ossolana.
Riassumendo notiamo che delle ventuna specie studiate dal Sor-
delli tra le filliti che si rinvengono a Re ed a Folsogno in val Vi-
gezzo solamente otto non figurano nell’erbario del Rossi, e ciò non
significa che non esistano affatto nella Flora ossolana, ma poichè non
ho altri dati possiamo ritenere per ora come estinte le specie sud-
dette, La val Vigezzo non é tutta l'Ossola, come Re e Folsogno non
sono tutta la valle Vigezzo, ma poichè il Rossi si prefisse lo scopo
di raccogliere nel suo erbario tutta la Flora ossolana in genere, spesse
volte non si può capire se una pianta da lui o da altri raccolta in
una loealità dell'Ossola esista pure nella valle Vigezzo. Tuttavia si
puó dire che la Flora sia press'a poco comune in tutte queste valla-
te, come moltissime specie sono comuni con altre leealità alpine, ben-
chè la valé Vigezzo sia forse la più soleggiata e quindi la più favo-
rita di tutte le valli ossolane, essendo diretta da Ovest ad Est.
Le specie che abbiamo detto essere estinte sono la Neckera ossu-
lana, Sdil. che non figura nell’ erbario del Collegio Rosmini di Do-
modossola per il motivo semplicissimo che il Rossi non ha raccolto
COMPARAZIONE FRA LA FLORA TOSSILE, ECC. 951
nella sua « Flora ossclana >», se non le Crittogame vascolari e le Fane-
rogame, escludendo le Tallofite e le Briofite, o per lo meno i Muschi,
poichè le Epatiche formavano già l’oggetto di uno studio speciale del
Prof. Gagliardi (1) di cui il Rossi fu discepolo.
Manca poi la Betula alba Linn., var. glulinosa (8. glut nosa Wall.)
sostituita, come vedemmo, dalla specie e dalla var. verrucosa, ed inol-
tre dalla B. pubescens che vegeta nei boschi di Crevola e del Lago
Maggiore, (Aprile-Maggio),
In luogo del Quercus pubesce s, Willd. var. (Quercus robur 6
sessiliflora, Sdll.) vegeta qui la specie colla var. pedunculata, ed il Q.
cerris nei boschi, a mediocre altezza, peró non comune, (Aprile-Maggio).
Estinta, come vedemmo, la Cas/anea latifolia Sdll. nessun’ altra
specie oltre la C. sativa figura nella Flora ossolana.
Il Salix viminalis, Linn. che non esiste nell’ erbario succitato
avrebbe dato luogo, o per lo meno ceduto il posto, a numerose altre
specie e varietà: S. Baby‘onica, Lian. coltivata (Marzo); S. peniundra,
Linn. presso i rivoli alpini, piuttosto rara, (Maggio-Giugno) S. alba,
Linn. lungo il Toce colla var. vitellina, Linn., (Marzo-Aprile); S. trian-
dra, Linn. volgare nei luoghi umidi presso il Toce, (Marzo-Aprile), S.
- incana, Schrk. (S. riparia W.) nelle ghiaie del Toce e dei torrenti,
(Marzo-Aprile); S. purpurea, Linn. lungo il Toce ed i torrenti, (Feb-
braio-Aprile); 5. Lapponum, Linn. nei luoghi umidi ghiaiosi e sab-
biosi tra i 1500 od i 2000 m. d’alt., al Monte Moro ed al Sempione,
(Giugno-Luglio); S. glauca, Linn., (S. Lapponum, All.) nei luoghi umidi
nei dintorni di Macugnaga (Ing. Belli), non comune, (Giugno-Luglio);
S. myrsinites, Linn. nei luoghi ghiaiosi delle Alpi di Crosa, Pedriola,
Monte Moro, Monte Rosa, Sempione, (Giugno-Agosto); S. Caesia, Will.
lungo i torrenti nei luoghi assai elevati fino a 2000 m., à Macuguaga
(Giugno-Luglio) S. arbuscola, Linn. nei luoghi elevati della val Di-
vedro, Formazza ed Anzasca, tra i 1800 ed i 2000 m., alla Frua, sul-
l'altipiano di Maeugnaga, al Sempione, ece., sempre rara, (Giugno-Lu-
(1) GAGLIARDI Pror. Giuseppe « Epatiche raccolte nei dintorni del Calvario
di Domodossola nell' inverno del 1875-76 » Estr. d. Atti d. Accad, Pont.f. d. Nuovi
Lincei, t. XX XVI, Roma, 1883, tip. delle Scienze,
352 MICHBLE CRAVERI
glio); S. cinerea, Linn. nei luoghi umidi, rocciosi, e lungo i torrenti
nella regione del faggio, frequente nelle valli Vigezzo, Anzasca e Di-
vedro, (Marzo-Maggio); S. caprea, Linn. lungo i torrenti nella regione
del faggio, rio Isornino in val Vigezzo, rio Antrogna in valle Anza-
sea, eec., (Aprile-Maggio); S. hastata, Linn. nei pascoli del Sempione |
sulla galleria della cascata (Favre), (Maggio-Giugno); S. nigrans, Sm.
fra le siepi, al Sempione sul versante Svizzero tra Briga e Brigeberg.
(Aprile-Maggio); S. reticulata, Linn. nei pascoli secchi e tra le rocce,
nelle alture delle valli Formazza, Divedio, Anzasca tra i 1900 ed i
2500 m. d'alt., all’Alpe Veglia, al Sempione, all'Alpe Pedriola sopra
Calasca, ece., (Giugno-Settembre); S. retusa, Linn. nei luoghi pietrosi
e sulle rupi, da 1700 m. al limite dei ghiaceiai, al Monte Moro, al
Sempione, alla Frua, (Luglio-Agosto); S. herbacea, Linn. nei pascoli
rocciosi presso il limite dei ghiacciai, al Sempione, alla Frua, (Giugno-
Agosto).
Estinta per l’ Ossola anche la Tilia platyphylla, Scop, (T. gran-
-difolia Ehrh,), sono raccolti in questo erbario, uniche rappresentanti
per la flora Ossolana, le specie T. parvifolia Ehrh, che vegeta nei
boschi, (Estate) e T. vulgaris, Hayne.
L’ Acer platanoides, Linn. sarebbe pure scomparso, non esistendo
oggidi che l’A. pseudoplatanus, Linn. già ace nnato, e l’ A. campestre,
Linn. comune lungo le siepi (Primavera).
Infine manca il Rhododendron ponticum, Linn. var. sebinense Sdll.
Nell’erbario del Prof. Rossi esistono solo esemplari del R. ferrugineum,
Linn. volgare in quasi tutte le alpi da 1500 a 2000 m. circa, (Esta-
te) colla var. albiflorum, Gaud. assai rara e trovata solo al Sempione;
il R. hirsutum, Linn. in val Divedro presso Varzo (Biroli).
Come ho già detto non basta certamente che una pianta non sia
raccolta in questo rieco erbario per poter dire che essa non esiste at-
tualmente nell’ Ossola; ma poichè tale collezione è il frutto di molti
anni di pazienti ricerche, io credo più facilmente che qualche altra
specie esistente allo stato fossile non sia stata determinata dal Sor-
delli, per la difficoltà di decifrare tali filliti, che non alla mancanza
di specie vegetali ossolane nell’ erbario del Museo Rosmini. Forse
qualche errore vi sarà nella determinazione per la fretta dell’Autore,
COMPARAZIONE FRA LA FLORA TOSSILE, ECC. - 953
come osserva il D.r Chiovenda (1), ma non tali da non poter conclu-
dere che la maggior parte delle piante notate dal Sordelli come esi-
stenti allo stato di filliti nel giacimento di Re vivono tuttora, se non
nella valle Vigezzo almeno nelle finitime valli dell’ Ossola.
Per studiare le cause del mutamento di ambiente bisogna rieor-
rere senza dubbio alla storia geologica della località fossilifera che è
il bacino lacustre di S. Maria Maggiore. Ho già fatto cenno più so-
pra della opinione di valenti Geologi e del mio modesto parere sulla
natura di tale bacino, ed il lettore potrà trovare più ampi particolari
per esaminare la serie dei terreni che costituiscono il deposito in pa-
rola nello studio dell'Ing. S. Traverso sulla « Geologia dell’ Ossola » (2)
citata anche dal Sordelli nella « Flora fossilis insubrica » a pag. 199.
200. Non intendo ripetere cose già dette da altri e vagliate da me
nelle « Note preliminari sui fenoweni esodinamici dell’ Ossola » che
più sopra ho citato.
Bisogna solo tener presente che la serie dei terreni procedendo
dall'alto al basso sarebbe la seguente: 1°) alluvioni terrazzate e depo-
siti morenici con massi erratici; 2°) strati di lignite intercalati con
argille e sabbie; 3°) sabbioni poco induriti ed arenarie brecciformi poco
coerenti; 4°) conglomerato arenaceo spesso intercalato con straterelli di
argilla; 5°) argilla fillitifera con avanzi di insetti (3); 6°) banchi di
arenarie; 7 ) breccia dovuta a frane dai monti circostanti; 8°) deposito
più potente di argilla fillitifera; 9°) sabbie ed arenarie.Tutto ciò secon-
do il Traverso, e sotto a questa successione di terrenì della potenza
(1) Carovenpa D.& Euro « Flora delle Alpi Lepontine occidentali ossia ca-
falogo ragionato delle piante crescenti nelle vallate sulla destra del Lago Maggiore,
Saggio di Flora locale. — I. Bibliografia », Roma, 1904-06 (In continuazione).
(2) Genova, 1895, con 11 tavole ed una carta geologica, Tip. A. Ciminago.
(8) Veggansi anche per lo studio paleontologico della località : BENASSI Rs,
« Piante cd insetti fossili di Re in val Vigezzo » in Riv. ital. di Paleont., a. II
fasc. 6, Bologna, 1896 [Rec. in Boll, R. Comit. geol. d' It, p. 80, 1. Trim. 1899].
Corti BENEDETTO « Ricerche mirropaleontologiche sul deposito gliciale di Re
in val Vigezzo » in Rendic. R. Ist. Lomb., p. 498, $ II, Vol. XXVII, Milano,
1895.
854 MICHBLE CRAVERI
di 300 metri deve trovarsi la roccia in posto che costituiva il fondo
della valle.
Per concludere, poichè il Sordelli afferma che alcune delle specie
scomparse vivono attualmente in paesi più caldi appartenenti alla re-
gione della Flora pontica, si dovrebbe ammettere un raffreddamento
del clima successivo alla scomparsa del lago contemporaneo dell’inva-
sione glaciale in pianura nella prima epoca del Plistocene continen-
tale subalpino.
Ognuno sa che l'enorme sviluppo dei ghiacciai non é dovuto con
tutta probabilità ad un abbassamento della temperatura in confronto
‘coll’ èra precedente, ma ad una intensa e prolungata precipitazione
atmosferica nell’inizio dell’ éra neozoica, causata dalla enorme quan-
tità di vapor d’acqua riversata nell'atmosfera dai vulcani in attività
sul finire dell’ êra cenozoica (Terziario) e sul principio della neozoica.
(Quaternario). Tuttavia un tale sviluppo di ghiacci modificò sensibil-
mente il clima delle regioni alpine e subalpine, se si pon mente alle
molte specie di animali che dovettero immigrare verso il Sud o che
si estinsero per sempre.
Ma nella val Vigezzo, per la presenza del lago che occupava
il bacino di S. Maria Maggiore, non eredo fuor di luogo ammettere
che il clima fosse più mite che non altrove in grazia della potente
azione modificatrice che esercitano le grandi masse d’acqua per la
loro cattiva conducibilità termica.
Dunque un clima relativamente mite finchè rimase il lago, e
quindi vegetazione abbondante e ricca di specie, mentre le condizioni
climatiche erano molto più sfavorevoli sulle pendici e nelle altre valli
ossolane occupate ancora dal ghiacciaio. Poi ritiro definitivo dei ghiac-
ciai collo stabilirsi di un clima quasi uniforme in tutte le valli del-
l'Ossola compresa la val Vigezzo dove andava scomparendo il lago;
cioè nelle altre valli si ebbe nel Postglaciale un clima più mite per
cui potè allignare la maggior parte delle specie vegetali studiate allo
stato fossile nel giacimento di Re e di Folsogno, mentre in val Vi-
| gezzo il mutamento si ridusse ad un inasprimento del clima.
Così resterebbe stabilito che durante l’esistenza del lago non solo
il clima della val Vigezzo era più mite di quello delle altre valli os-
COMPARAZIONE FRA LA FLORA TOSSILE, ECC. 355
solane, ma anche più favorevole allo sviluppo di certe specie di pian-
te che attualmente vivono solo in paesi più caldi, e quindi più dolce
del clima attuale di tutta l'Osso!a. La scomparsa del lago poi non fu
istantanea, ma lenta e graduale, anzi fino in tempi storici pare che
esistessero tracce dell’antica morfologia di val Vigezzo.
Domodossola, 31 maggio 1911.
Dott. MICHELE CRAVERI
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
e
Il cancro delle piante
Or fa quasi un secolo, Filippo Re pubblicava il primo trattato
sulle malattie delle piante; nel « discorso preliminare » dando ragio-
ne dei criteri seguiti per stabilire le diverse classi nelle quali egli
raggruppava le malattie stesse gli veniva fatto di osservare: « che
molte volte siensi confusi i sintomi dei morbi coi morbi istessi e colle
loro cagioni. Ciò verosimilmente accadeva per la mania universale di
adoperare i nomi delle malattie che affliggono gli animali. Da questo
si spiega per qual ragione tali nomi non danno il più delle volte la
idea vera del morbo, come pure sarebbe necessario ». A malgrado di
tale premessa il Re, ricorre largamente alla nomenclatura medica del-
l'epoea per indicare diverse malattie delle piante e l'esempio suo tro-
va seguaci tuttora: fra i termini che si riscontrano usati con mag-
giore predilezione e con altrettanta poca proprietà dai pratici e che
sono riportati quindi nei più autorevoli trattati anche modernissimi
di patologia vegetale vi è quello di cancro, applicato con estrema
frequenza a designare manifestazioni patologiche differenti nella for-
ma e nella sostanza, mentre questa stessa parola va assumendo un
significato sempre più circoscritto nella nomenclatura clinica.
Contro Il’ abuso di questo termine insorgeva aleuni anni or sono
il Thomas in uno studio intorno al cancro negli animali e nei vege-
tali: « cancro, egli scriveva, non deve essere inteso come sinonimo di
tumore; il cancro è tumore maligno per definizione ed i caratteri di-
stintivi di ogni canero sono:
1. l'anarchia cellulare.
2. la formazione a distanza dal nucleo canceroso primitivo di nu-
clei cancerosi secondari o metastatici.
Il Thomas procedeva quindi ad un confronto analitico dei carat-
teri concordanti e discordanti che s'incontrano nello studio del canero
iL CANCRO DELLE PIANTE 361
nel regno animale e vegetale; prescindiamo da questo lavoro d'analisi
e limitiamoci a ricordare che quell'A. concludeva che, a malgrado di
alcune analogie con quanto accade negli animali, sarebbe logico anzi
indispensabile sopprimere il termine di cancro dalla nomenclatura fi-
topatologica e sostituirvi una designazione meglio corrispondente caso
per caso alla realtà dei fatti.
Ma anche a chi abbia limitate conoscenze in patologia vegetale
non sfugge una deficienza fondamentale nel lavoro critico del Thomas
che toglie ad esso molto valore ed è relativa agli esempi. prescelti
per trarne argomenti inerenti al cancro dei vegetali; come tali il
Thomas considera i micocecidi delle Pomacee dovuti a Roestelia ed il
cancro dei rami di parecchie essenze arboree, cagionato da Nectria
ditissima. Questa ultima scelta specialmente è soggetta a cauzione
poichè le lesioni che si osservano nei rami colpiti rappresentano spesso
una incompleta reazione dei tessuti tendenti a cicatrizzare. Il para-
gone avrebbe potuto portare a conclusioni diverse e, comunque, meno
soggette a critica se il Thomas avesse assunto quale esponente dei
canori vegetali quelli di natura bacteriacea o sospetta, alla conoscen-
za dei quali, già a quell'epoca, avevano recato un ricco contributo di
osservazioni lo Schiff Giorgini ed il Petri ic Italia, Erwin F. Smith
e collaboratori negli Stati Uniti.
Di recente l'argomento è stato trattato in questo senso in un vo-
luminoso e veramente magistrale lavoro intorno ai tumori delle pian-
te (1).
Autore ne è il Dott. Erwin F. Smith con cui collaborarono N. A.
Brown e C. O. Townseud, del laboratorio fitopatologico del Bureau of
Plant Industry di Washington; lo Smith rappresenta indubbiamente
la maggior autorità vivente in materia di malattie bacteriacee delle
piante. Non v’ha laboratorio che non tragga suggerimenti dal suo clas-
sico trattato — Bacteria in Plant diseases — di cui si attende con
(1) Erwin F. Smith, N. A. Brown, C. O. Townsend — Crown Gall of Plants
its cause and remedy — Bureau of Plant Ind. Bulletin N. 213, pag. 215 con 36
tavole Washington 1911
358 VITTORIO PEGLION
impazienza il secondo volume. La monografia testè pubblicata intorno
ai tumori è destinata a far epoca negli annali della Patologia vege-
ta'e.
*
* *
Negli Stali Uniti si indicano col nome di crown gall i tumori
che si osservano molto frequentemente in corrispondenza del colletto
delle piante, ma che possono svilupparsi anche sul sistema radicale e
sulle parti aeree. Lo Smith pone questo termine volgare in sinonimia
con cancro, tumore, rogna ed analoghi correntemente usati in Europa.
Siffatti tumori hanno da tempo attratta l’attenzione dei patologi
con notevoli discordanze circa l’eziologia di essi: specialmente la così
detta Rogna della vite fu interpretata ora come conseguenza di lesio -
ni meccaniche o climateriche, ora come lesioni di natura parassitaria
Sono noti gli studi in proposito del Prof.Cavara, che riescì pel primo
a riprodurre artificialmente mediante colture pure di baeteri le ca-
ratteritiche neoformazioni della rogna della vite.
Oltrechè sulla vite erano stati descritti i tumori che a volte de-
formano i rami del pioppo, del pesco, delle rose, del melo e di nu-
merose altre piante. A malgrado dei non pochi contributi recati alla
conoscenza di questi singoli casi, non si può dire che il quadro cli-
nico d’insieme fosse esaurientemente redatto. È merito di Erwin F.
Smith di aver colmata questa lacuna assoggettando dal 1904 in poi
ad uno studio sistematico i tumori osservati su piante ospiti svaria-
tissime, isolandone i parassiti specifici, procedendo ad innumerevoli
prove di inoculazione, così da giungere ad una serie di conclusioni
che presentano un notevole interesse dal punto di vista scientifico.
Le prime osservazioni furono compiute nel 1904 su piante di Chry-
santhemum frutescens le quali presentavano caratteristiche tumefazioni
sugli steli e sulle foglie. Escluso che esse potessero dipendere da pun-
ture d’ insetti, da parassiti funvini, da reazioni conseguenti a ferite
o lesioni meccaniche in genere fu tentata inutilmente in una prima
serie di prove la ricerca e l’isolamento di forme parassitarie, questo
ordine di ricerche fu ripreso con migliorati criteri nel 1906, nel quale
anno furono isolate dai tumori 4 forme bacteriacee delle quali tre
IL CANCRO DELLE PIANTE 359
formavano colonie gialle e una invece formava colonie bianche. Le
prove di inoculazione effettuate con quest’ultima su piante di Crisan-
temo perfettamente sane riprodussero i caratteristici tumori e da que-
sti fu possibile di ricavare colture pure dello stesso mieroorganismo
di cui lo Smith ed il Townsend dettero una sommaria descrizione
sotto il nome di Bacterium tumefaciens (1).
Nello stesso anno 1907 e negli anni successivi colle colture pro
venienti dai tumori del Crisantemo gli A. A. riescirono a provocare
analoghe neoformazioni su diverse altre specie di piante: pomodoro,
patata, tabacco, oleandro, vite, pesco, garofano, bietole, luppolo, noce,
pioppo, mentre le inoculazioni non ebbero seguito su altre piante (fico,
cipolla, olivo, ete.).
Gli A. A. procedettero allora all’isolamento di forme bacteriche
da tumori di altre piante: fra le tante mi limito a ricordare la forma
isolata dalla vite che riprodusse i tumori sulla vite stessa esulle bie
tole; dal pesco che riprodusse i tumori sul pesco, sul Crisantemo, sul
pelargonio, sul melo, sulla bietola, dalle rose e dal pioppo ete.; il melo
presenta secondo Hedgcok due diversi tipi di tumori; legnosi o duri
(hard gall) e carnosi (soft gall). Entrambi sono di origine bacteriacea
e dipendenti da un mieroorganismo molto simile a quello precedente-
mente isolato dal Crisantemo. Con colture di questa provenienza si
fecero inoculazioni seguite da tumori in diverse specie di piante.
Non posso riportare in questo punto la descrizione del Bacterium
tu mefaciens tipico, isolato dal Crisantemo: mi limito a ricordare che
ne è stata accertata la facoltà di produrre tumori in piante apparte-
nenti alle famiglie seguenti: Composite, Solanacee, Oleacee, Umbelli-
fere, Vitacee, Leguminose, Rosacee, Crucifere, Cariofillacee, Chenopo-
diacee, Urticacee, Iuglandacee, Salicacee.
Stando alle schede descrittive della Società Bacteriologica Ame-
ricana esso Bacterium tumefaciens verrebbe designato col seguente
aggruppamento numerico 212,2322023.
Le forme bacteriacee isolate dai diversi tumori rinvenuti in na-
(1) V. Centr. f. Bakt.
860 VITTORIO PEGLION
tura su piante ospiti differenti sono riferibili ad una specie unica (B.
tumefaciens) ovvero si tratta di parecchie specie diverse di miercor-
ganismi ? Smith ed i suoi collaboratori dichiarano di non essere in
grado di dare una risposta categorica: essi propendono a credere, pe-
rò che si tratti di una specie polimorfica analoga sotto questo punto
di vista al bacterio radicicolo delle Leguminose.
x
* *
In generale i tessuti vecchi o legnosi non si prestano allo svi-
luppo dei tumori. Le inoculazioni che vi si praticano falliscono spesso.
I risultati più sicuri si hanno praticando gli innesti nelle parti gio-
vani, si ottengono allora tumori in ragione del 100 per 100 inocula-
zioni. Basta introdurre i bacteri in qualsiasi tessuto in via di attiva
moltiplicazione. La reazione accade quasi istantaneamente; al 4° o al
6° giorno in corrispondenza alla puntura vi è una sensibile. sporgen -
za che diventa un vero e proprio tumore in pochi altri giorni.
La struttura anatomica dei tumori fu sapientemente illustrata da
precedenti Autori. Lo Smith ed i suoi collaboratori vi dedicano un
intero capitolo nel quale espongono anche una serie di osservazioni in
merito alle possibili analogie tra questi tumori bacteriacei delle pian-
te ed i tumori o caneri animali, specialmente sarcomi.
Essi premettono che il tumore vegetale può ritenersi dovuto ad
uno stimolo diretto sull’accrescimento ovvero ad uno stimolo indiretto
che impedisca qualche processo normale d’ inibizione, ritenendo più
attendibile la prima ipotesi. Il tumore può impiantarsi in qualsiasi
tessuto meristematico, in qualsiasi cellula suscettibile di divisione. Il
. processo di tumefazione è simile alla rigenerazione delle ferite, ma
questa è dominata da un bisogno fisiologico mentre il tessuto tumo-
rale prolifera indefinitamente, oltrepassa il controllo della pianta e
diventa una malattia devastatrice. Per quanto riguarda i tessuti me-
desimi, le differenze più salienti risiedono nella differente distribu-
zione dei diversi elementi, la preponderanza del parenchima, la ridu-
zione dei tessuti conduttori, la persistente sopravvivenza di cellule
meristematiche (embrionali?) e di forme generalmente immature per
es. fasci vascolari imperfetti.
IL CANCRO DELLE PIANTE 361
Talvolta i tumori risultano legnosi, duri; formati principalmente
da fasci vascolari contorti e intrecciati e da fibre legnose frammiste
più o meno con parenchima. Altre volte sono formati da nuclei di
tessuto parenchimatoso in mezzo ai quali sono inclusi i fasci più o
meno lignificati ma deformati, con pareti molto sottili assai ridotti
come massa in confronto ai tessuti normali.
Le cellule dell’iperplasia sono spesso assai più piccole di quelle
del tessuto ove si originano. Non si trovano mai le cellule giganti che
caratterizzano i tessuti delle galle, dovute alla Plasmodiophora Bras-
sicae o ai rizobi delle leguminose. Invece è tale lo stimolo alla mol-
tiplieazione che le cellule non possono raggiungere le dimensioni nor-
mali.
In conseguenza della sovraproduzione parenchimatosa e relativa
riduzione del tessuto conduttore, l’acqua ed i materiali plastici che
possono giungere nel tumore bastano a conseguire solo un determinato
sviluppo oltre il quale parte dei tessuti morbidi deperiscono onde la
necrosi segue la tumefazione nel corso di pochi mesi.È raro che la ne-
crosi primaria involva l’intero tumore; parte di esso, generalmente quella
marginale, sopravvive e prolifera più o meno nella stessa annata o nelle
successive, formando tumori addizionali che estendono l’area colpita da
necrosi. Se nel tumore prevalgono le fibre legnose questi fenomeni non
accadono o si manifestano assai tardi. In altri casi i tumori regredi-
scono e scompaiono.
*
* *
Una notevole parte della monografia è consacrata dallo Smith a
lumeggiare le analogie tra questi tumori vegetali ed i tumori maligni
degli animali. Lo Smith propende a questo ravvicinamento poichè i
tumori vegetali rappresentano un processo infiammatorio al pari dei
sareomi socondo il parere di alcuni patologi coi quali lo Smith ebbe
a scambiare idee in proposito.
Queste formazioni tumorali p. d. sono nettamente distinte da pro-
cessi patologici di altra natura comuni agli animali ed alle piante.
Fra questi gli ascessi: prescindendo dai leucociti che mancano nelle
piante e dalla tumefazione che non sempre accompagua agli ascessi
362 VITTORIO PEGLION
(ascessi delle ossa) si possono osservare nelle piante processi patologici
molto simili agli ascéssi degli animali, fenomeni però in entrambi i
regni che nulla hanno che vedere coi tumori Nel fusto o negli altri
organi vegetali colpiti da ascessi si formano nell’interno della massa
di tessuti delle cavità isolate o concatenate che restano infareite coi
prodotti di disintegrazione dei tessuti offesi e con colonie più o meno
sviluppate di microorganismi specifici, misti a bacteri e saprofiti banali.
Sono processi di marciume ove manca qualsiasi rudimento di organiz-
zazione anormale. Negli ascessi non vi ha formazione di nuovi organi.
La pianta può isolare le aree malate mediante formazioni suberose,
così come nei tessuti animali i noduli tubercolari e le gomme sifiliti-
che vengono incluse in ammassi di connettivo.
Stando alla classificazione correntemente usata, le crown-gall con
i granulomi infettivi formerebbero, secondo Smith, un gruppo a parte
dei veri tumori; ma è verosimile che questa classificazione rappresenti
null'altro che una fase temporanea nel progresso della patologia. Di
mano in mano che furono scoperte le cause specifiche della tubercolosi,
lebbra e sifilide, queste malattie furono tolte dal dominio dei tumori
e classificate tra le infiammazioni specifiche; onde logicamente se si
scopriranno i parassiti specifici anche le altre neoformazioni maligne
dovranno esserne rimosse e dei tumori maligni non resterà altro che
la gabbia vuota!
Nè questi tumori possono assimilarsi ai teratomi o a processi di
degenerazione. Altri processi patologici delle piante potrebbero assi-
milarsi agli edemi, non parassitari: non pochi processi gommosi di
natura ignota mostrano talvolta processi degenerativi, formazione di
cavità interne, caratteri che mai si avvertono nei tumori p. d.
Il cancro colpisce numerose specie di animali; nessuna buona ra-
gione, scrivono gli AA. è stata addotta per eseludere che non possa
colpire anche i vegetali, I tumori vegetali sono anch'essi neoformazioni
morbide che tendono a danneggiare e distruggere le piante stesse; nè
la loro struttura consente di assimilarli alle galle cagionate da insetti.
Queste hanno una struttura specifica e uno sviluppo determinato: si
può supporre che derivino da uno stimolo localizzato nel tempo e nello
spazio, non diverso forse dallo stimolo generalizzato e perenne che de:
:
\
À
È
4
OS
de
IL CANCRO DELLE PIANTE 363.
termina il processo di moltiplicazione delle cellule nel canero. Se si
potesse definire la causa immediata della divisione cellulare nelle une,
ne verrebbe certo non poca luce per l'eziologia di quest'altro.
Gli AA. passano quindi ad esporre le analogie tra i tumori ve-
getali ed i tumori maligni degli animali:
Nei primi non vi ha soltanto una enorme proliferazione dei tes-
suti parenchimatici: vi si osservano anche tutti gli altri tessuti nor-
mali dell’organo attaccato. I tessuti conduttori, fortemente deformati
e ridotti, percorrono il tumore in varie direzioni. I fasci vascolari
si dipartono dalla base di esso, si intrecciano e si ramificano, ridu-
cendosi a pochi e'ementi nelle parti più discoste. Vi ha probabilmente
produzione di qualche fascio supplementare nei tumori molto voluminosi,
Le metastasi cioè la formazione a distanza di tumori secondari è
un fenomeno ben accertato nelle crown gall così come nella tubereo-
losi dell'olivo. I tumori metastatici sono dovuti alla migrazione de
bacteri attraverso i tessuti o alla migrazione di essi nell'interno di
speciali cellule? I tikli così facili ad originarsi in conseguenza di in-
fezioni bacteriacee, come hanno dimostrato Hunger e lo stesso Smith
a mo’ d’esempio nel marciume del pomodoro e nella nebbia del gelso,
potrebbero forso fungere da veicolo.
Questo lato della questione è più particolareggiatamente trattato
in un opuscolo successivamente pubblicato dallo Smith (1).
Gli AA. nella loro prima memoria non erano al caso di rispon-
dere ai seguenti quesiti: 1. Presenza od assenza di bacteri specifici
nei tumori secondari ? Quali relazioni di origine tra tumori secondari
e primario: da questo migrano i bacteri specifici avvero cellule can-
cerose ? Havvi analogia di struttura tra le due categorie di tumori ?
La formazione dei tumori metastatiei, come risulta dalle prove
eseguite, a tutto Febbraio, è facilmente realizzabile sperimentalmente.
Inoculando colture pure nelle tracce fogliari, si osserva la formazione
di tumori nel punto inoculato e sulle foglie. Le talee di crisantemo
t
i) E. F. Smith — Crow Gall and Sarcoma — Circular 88 of the Bureau of
Plant Industry — June 1911.
364 VITTORIO PEGLION
provenienti da piante inoculate si ricoprono .di tumori sulla superficie
del taglio, verso il colletto e lungo il fusto.
Le nuove osservazioni pubblicate dallo Smith indicano che nei
tumori metastatici i bacteri specifici sono presenti al pari che nei pri-
mari. In entrambi i casi i bacteri hanno vita intracellulare. La dimo-
strazione diretta di questo fatto è resa difficile dall’essere i bacteri
stessi scarsi di numero, non acidofili, forse involuti o misti con corpu-
scoli più facili a trattenere i reagenti colorati di uso comune. Vice-
versa colle dovute cautele si isolano colture pure del mieroorganismo
patogeno.
Lo Smith ha potuto inoltre accertare che il tumore secondario è
connesso col primario da una traccia o peduncolo decorrente nello spes-
sore dei tessuti. Questa traccia incunea la propria via attraverso gli
elementi del fusto o della foglia finchè ad una certa distanza dà luogo
al tumore secondario che successivamente erompe alla superficie del-
lorgano. Questa diramazione del tumore primario decorre nella re-
gione xilematiea, nel limite tra legno e midollo e si puó talora di-
scernere anche ad occhio nudo perchè fornita di maggior copia di elo-
roplastidi ehe determinano quindi una eolorazione piü intensa; altre
volte essa sfugge perchè ridotta a poche file di cellule. Comunque essa
presenta una struttura propria, caratterizzata talvolta da varici, quasi
tumori rudimentali intercalati sul percorso. Anche da queste tracce lo
Smith ha isolato il B. tumefaciens dimostrandone l'attitudine patogenica.
specifica,
Finalmente egli ha constatato che i tumori secondari hanno la
medesima struttura del tumore primario,
A questo succinto resoconto delle nuove ricerche, lo Smith pro-
mette di far seguire fra breve una pubblicazione più particolareggiata
e debitamente illustrata.
Le altre analogie tra questi tumori delle piante ed i tumori ma-
ligni vengono così succintamente esposti dallo Smith: colle ripetute
inoculazioni si riesce a conferire alle piante un certo grado di immu-
nità; i tumori mostrano la tendenza a comparire nei tessuti cicatrizzati,
a riprodursi se asportati; le colonie del parassita isolate da tumori
adulti o vecchi presentano una virulenza molto attenuata.
IL CANCRO DELLE PIANTE 865
*
* +
L’obbiezione principale mossa dai patologi interpellati dallo Smith,
si è che questi tumori vegetali essendo cagionati da un organismo
specifico sono da considerarsi come granulomi. Si direbbe che se non
se ne conoscesse la causa, non vi sarebbero difficoltà a considerarli
invece come tumori. Lo Jensen (celebre per i suoi studi sul canero
dei topi) che non conosceva queste ricerche dello Smith, presentò, sen-
za prevenzione alcuna, alla Conferenza Internazionale pel cancro (Pa-
rigi, ottobre 1910) una nota sui tumori della bietola (Von echten Ge-
Schswiilsten bei Pfianzen) in cui sostiene che questa malattia è non
soltanto un vero neoplasma ma un tumore genuino al quale attribui-
sce una parte altrettanto importante nelle ricerche sul cancro di quel-
la avuta dal cancro dei topi « eine anhiche Rolle zu spielen Konuen
wird. wie jezt die Mausecarcinome ».
I patologi non sono d’accordo sulla causa del sarcoma, del carci-
noma e simili tumori, ritenendoli alcuni di origine parassitaria nota o
sospetta, mentre per gli altri, cioè la maggioranza, la malattia può
trasmettersi solo per mezzo di cellule cancerose, proliferanti, a mo’ di
esempio coll'innesto. Cosi si esprime in proposito il Durk : « la dif-
ferenza essenziale tra neoformazioni infettive e tumori genuini è che
nei primi, quando si riproducono per metastasi, il parassita è traspor-
tato dal sangue e provoca nella località ove si fissa la neoformazione
di tessuti simili a quelli del tumore primario; mentre nel caso di tu-
more maligno la metastasi procede dal trapianto di una parte del tu-
more primario, la quale prolifera per suo conto nel sito ove si sia
fissata ».
Siamo però completamente al buio su ciò che origina la£cellula
cancerosa o ne induce la proliferazione.
Anche per i tumori vegetali (crown gall) sino dal 1910 si sapeva
che erano inoculabili da pianta a pianta per mezzo dell’ innesto di
frammenti di tessuto. Si era cioè allo stesso punto in cui sono oggi i
patologi che riproducono il tumore dei topi ed altre neoplasie mali-
gne, innestandó pezzi di tessuto patologico sotto la pelle di animali
sani, senza poter rendersene ragione. Non si aveva allora nozione che
366° - VITTORIO. PEGLION
detti tumori delle piante fossero dovuti ad un parassita specifico e gli
A. A. espongono le non poche difficoltà superate per giungere ai ri-
sultati odierni.
Essi ritengono che nei tumori stessi, il B. tumefaciens o si svi-
luppi lentamente o se si sviluppa normalmente che esso sia rapida-
mente ucciso dalla reazione dei tessuti o dai propri prodotti. E quasi
impossibile ottenere preparazioni colorate dei tumori in cui i bacteri
siano posti in evidenza. Essi si sviluppano lentamente quando si cerca
di isolarli dai tumori colle piastre di agar mentre una volta isolati
i trapianti sono facili e rapidi. Questo fatto può abbinarsi colla faci
lità con cui si ottengono forme d’involuzione esponendo le colture al-
l’azione del freddo o del cloruro sodico. Se codeste forme involute fos-
sero frequenti nei tumori ciò spiegherebbe i molti casi d’ insuccesso
avuti da chi tentò di isolarne la forma specifica.
Se queste ipotesi corrispondessero alla realtà, si potrebbe consi-
derare il tumore come la resultante dello stimolo esercitato da enzimi,
tossine od altre secrezioni derivanti dalle cellule bacteriche, la eui
presenza non sarebbe sempre suscettibile di dimostrazione perchè inat-
tive e parzialmente disorganizzate.
Non possono fenomeni analoghi verificarsi nei tumori maligni e
complicarne così la determinazione dell’eziologia ?
Nei tumori vegetali anche quando non si riesce a scorgere i bae-
teri coll'esame mierospico, si sa che vi sono, perchè si possono isolare,
a patto di seguire una tecnica adeguata (sterilizzazione esterna del
tumore, estirpazione asettica di un frammento di polpa, spappolamento
in brodo sterile seguito da un periodo di riposo, prima di procedere
alla semina in agar nutritizio).
Le difficoltà incontrate dagli A.A. prima di giungere ai risultati
odierni è ammissibile ehe incontrino anche coloro che si dedicano. ad
analoghe ricerche sui tumori maligni.Basta riflettere alle difficoltà che
ebbero a superarsi prima che fosse chiarita la causa della tubercolosi,
della lebbra e della sifilide. Essi ritengono pertanto di dedicare le se-
guenti considerazioni a coloro che credono all’origine parassitaria dei
tumori maligni pur non essendo riesciti a fornire una dimostrazione:
1. Le attuali teorie cellulari sull’origine del canero-sono incapaci
IL CANCRO DELLE PIANTE 867
di spiegare come tali cellule si originino e perchè esse proliferano. In
base alle osservazioni surriportate gli A.A. invocano nuove ricerche
dirette alla scoperta di un microorganismo parassita o di un virus,
indipendente da cellule specifiche o confinato in esse valendosene co-
me mezzo di disseminazione. i
2. Se per le ragioni dianzi cennate si ammette la presenza di
uno scarso numero di cellule bacteriacee attive in seno ai tessuti, gli
insuccessi avuti possono dipendere dalla scarsità di materiale usato o
dall’ avere seminato parassiti depressi o paralizzati dall’ attività dei
tessuti stessi; bisogna anche ricordare che molto di quanto si sa al
riguardo è frutto dello studio dei tumori del sorcio e non è possibile
considerare tutti i tumori maligni come eziologicamente identici.
3. Un parassita può essere presente e non isolabile perehè inca-
pace di svilupparsi sui consueti substrati, come è il caso della sifilide
e del yaws.Lo Smith cita il caso o l’idiosinerasia tipica di uno strep-
tococco, il cui sviluppo è inibito da un eccesso di sale contenuto nel
brodo di coltura e le difficoltà incontrate nel separare e coltivare lo
agente specifico della lebbra (Duval 1910).
4. Gl’insuccessi nei tentativi di dimostrazione della presenza del pa-
rassita nelle sezioni colorate possono dipendere da scarsità, da indiffe-
renza verso i reattivi coloranti,dalle forme d’involuzione delle cellule
bacteriacee. Anche la presenza di bacteri nel fegato sano che sfuggo-
no alle colorazioni resulta colle colture (Wolbach e Taduru, 1909).
5. La rassomiglianza tra tumori vegetali ed animali può essere
infirmata pel fatto che l’infezione può essere comunicata a piante di-
versissime sia per mezzo dell’ innesto sia colle colture pure, mentre
l’inoculabilità dei tumori animali tra specie diverse è assai ristretta.
Ma bisogna tener conto della maggior semplicità di struttura delle
piante e d’altra parte la dottrina della inoculabilità o meno di detti
tumori è forse resultante di una generalizzazione ingiustificata (di re-
cente Van Duwyerm ha trasmesso il sareoma dal coniglio al lepre e
Sticker dal cane alla volpe).
6. Il punto più difficile a chiarire in qualsiasi teoria parassitaria
è il carattere delle metastasi nel canero. Queste sono così caratteri-
che e così simili al tumore originale che coll’esame delle sezioni dei
. 868 YITTORIO PEGLION
p ,
tumori metastatiei é spesso possibile determinare ove é situato il tu-
more primario invisibile.
Sorvoleremo alle ultime parti di questa interessante monografia
sebbene non meno importanti delle precedenti. Vi si riferi ce intorno
ai fenomeni chimici e fisici inerenti all’ attività del Bacterium tume-
faciens ed agli effetti della malattia sui tessuti non direttam nte in-
teressati. In questo ultimo campo sono riportate notevoli csservazioni
intorno all'aumento di resistenza all’ infezione che si può provocare
con ripetute inoculazioni sino ad ottenere razze del tutto refrattario.
È una lunga serie di prove durate per anni ed anni valendosi del
Chrysantemum frutescens come pianta da studio.Finalmente sono espo-
sti alcuni dati circa i danni dovuti in America ed in Europa al crown-
gall, da cui gli A.A. distinguono una speciale infezione (tubercolosi)
della bietola, dovuta ad un’altra forma bacteriacea descritta sotto il
nome di Bacterium beticolum n. sp.
Bologna, settembre 1911.
Pror. V. PEGLION
Ve D
RECENSIONI
Les Amanites mortelles: A. phalloïdes, A. verna et A. virosa par le
D.r René Ferry.
L'auteur de ce mémoire, habitant la partie montagneuse et boisée
des Vosges, où les champignons croissent abondants et sont fréquemment
récoltés pour l'usage de la table, fut souvent témoin d'empoisonnements
mortels causés par ces régétaux. L'aneien rédacteur en chef de la Re-
vue Mycologique, adonné depui longtemps à l'étude des champignons
dans un miliéu éminemment proprice, était qualifié pour apporter une
précieuse contribution à la préservation contre les accidents qui, insi-
dieusement, jettent le deuil dans les familles.
M. Ferry, partant de cette donnée de l'observation que les Ama-
nites ci-dessus, sont à peu prés le seules coupables des empoisonnements
mortels, limite son étude à ces trois champignons. Il en donne une
monographie détaillée, qui permet de les reconnaitre partout et sous
toutes leurs formes et de les bien distinguer des autres espèces. Ainsi,
au moyen de cet ouvrage, on peut classer les champignons en deux
eatégories: les mortels et ceux qui sont inoffensifs ou tout ap moins
dont l'ingestion n'entraine pas la mort.
C'est un résultat trés important et que l'on doit avant tout pour-
suivre. Car il n'est à la portée que de peu de personnes de s'initier à la
connaissance botanique des champignons en général, seul guide, cepen-
dant pour discerner les bons des mauvais. Le but pratique consiste dés
lors à aequéris une notion suffisamment précise des mortels pour n'en
pas eonfondre d'autres avec eux. Tel est le résultat excellemment ob-
tenu par le mémoire de M. Ferry.
La premiére partie de l'ouvrage est eonsaerée à l'étude botanique
des trois champignons incriminés. Les caractères morphologiqnes et a-
natomiques de l'A. pha/loî les sont minutieusement examinés ainsi que
les nombreuses formes que presente cette espéce. Puis vient la distine-
870 RECENSIONI
tion des champignons qui lui ressemblent le plus. Il est fait de méme
pour l’A. virosa que l’auteur considère comme une espéce autonome,
tandis qu'il fait de PA. verna une varieté de A phalloides Huit plan:
ches, dont plusieurs en couleur, illustrent ce chapitre.
La deuxiéme partie de l'ouvrage traite de la toxicologie des cham-
pignons ci-dessus : elle s'appuie sur les recherches propres de l'auteur
et sur les plus récents travaux publiés sur le sujet. Elle commence par
l'étude de la composition chimique de l'A. phalloïdes où on a reconnu
comme corps particulièrement actifs, un glucoside hèmolytique, la phal-
line, hémolysine où amanita hemolysine toxique, mais destructible par.
la chaleur, et qui pour cette raison ne serait pas la cause des acci-
dents survenus par ingestion de champignons cuits, et un autre corps
de fonetion chimique douteuse, l'amanita-toxine, à qui on impute les
eas mortels.
L'auteur passe ensuite en revue les lésions produites, les symptó-
mes de l'empoisonnement chez l'homme, les moyens de déterminer l'e-
spèce coupable, le mode d'action de PA. pha/loïdes, les différences
qu'il présente avec celui des autres espèces vénéneuses, les soins à donner
au patient, les moyens préventifs contre les empoisonnements.
Ou saura gré au doeteur Ferry d'avoir entrepris l'ouvrage en que-
stion capable d'empécher de grands malheurs, et qui devra avoir sa
place dans la bibliothéque du mycologue, du médecin, du pharmacien
et de tous ceux qui s'intéressent à la comestibilité des champignons.
On pent se proeurer ee livre ches l'auteur, 7. avenue de Robache,
à S.t Dié (Vosges).
Ld.
E
3
S
B.
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IALPIGHIA
RASSEGNA MENSILE DI BOTANICA
REDATTA DAL
DOTT. L. BUSCALIONI
Pror- ORD. pr BOTANICA NELLA Ri UNIVERSITÀ DI CATANIA
ANNO XXIP FASCE VPE V.
MARCELLO MALPIGHI
1627-1694.
CATANIA
Tip. La Siciliana F.lli Perrotta
1912
"CONDIZIONI
E
Non saranno venduti fascicoli ré | j
feri Autori een ee 100 copie estratte dal periodico, 15
ricevono presso il “Prof. E Buscationi in Catania e pr o
poss Italiane « e dell'Estero.- :
al denim Prof. L. | BUSCALIONI, R.
Prorr. LUIGI BUSCALIONI e GIUSEPPE MUSCATELLÓ (1)
Studio monografico sulle Specie americane del Gen "Saurauia, Willd.
INTRODUZIONE
Il presente studio fu iniziato, tre anni or sono, nell’ Istituto Bo-
tanico di Berlino diretto dall’illustre Prof. A. Engler, al quale mi è
grato esternare qui le più vive azioni di grazie per la cortese ospita-
lità che da parecchi anni mi concede nel suo grandioso Istituto, per
la generosa liberalità con cui mi ha messo a disposizione ogni sorta
di mezzi per l'aecompimento delle mie ricerche, per i validi aiuti e
gli autorevoli consigli dei quali sempre mi fu largo e infine per le
manifestazioni di gentilezza che perennemente si compiacque aecordarmi.
Non voglio far confronti con altri Istituti e con altri paesi, dove pure
ho trovato ospitalità e gentilezze; solo mi è caro ricordare che la be-
nevola accoglienza avuta in Germania mi ha fortemente legato a questa
Nazione eminentemente civile e progredita.
Il ricco materiale di studio dell’Erbario di Berlino ha servito di
base alle mie ricerche, ma queste non avrebbero raggiunto probabil-
mente lo scopo che mi ero prefisso se non avessi avuto la fortuna,
grazie quasi sempre all'appoggio del Prof. Engler, di avere a disposi-
zione le collezioni del Gen. Saurauia dei maggiori Istituti d’ Europa
e di America. Ed invero ho potuto compulsare le splendide collezioni
di Kew, del British Museum, delle Università di Parigi, di Vienna, di
Pietroburgo, di Bruxelles, di Leida, di Christiania, di Gottingen, di
(1) Il presente lavoro che fa parte della Decuria II fu elaborato integralmente da
Prof, Buscalioni. t
882 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Leipzig, di Ginevra, di Monaco, di Torino, di Firenze e infine del
Naz. Herb. dell’Univ. di Washington.
Sento pertanto anche impellente il dovere di esprimere i miei più
vivi ringraziamenti ai Sig.ri Dott. Proff. Loesener, Prain, Lecomte, Bon-
net, Zahlbruchner, Sprague, De Willdeman, Lotzy, Yentink, Wille,
Stapf, Peter, Pfeffer, Rose, Briquet, Radlkofer, Ross, Fischer v. Wal-
dheim, Mattirolo, Borodin, Baccarini, Walleott e Rendle, e infine a
molti altri colleghi, in specie dell’ Istituto Berlinese dei quali al mo-
mento mi sfugge il nome.
Il mio studio è eireoseritto alle specie americane del Gen. Sau-
rauia come quelle che offrono maggiori difficoltà pel sistematico: non
è improbabile però che, presto o tardi, faccia pure oggetto di ricerche
le specie dell'Antieo Continente, le quali, per essere .disperse prevalen-
temente in territori insulari, presentano caratteri specifici più marcati
e una somma minore delle così dette forme di passaggio, tanto fre-
quenti a rinvenirsi invece tra le forme delle regioni americane.
| Catania il 6 Agosto 1911.
Pror. LuIGI BUSCALIONI
= Si
pedes
=
y
AEN
e
“DALAI
Vie
Generalità sull'argomento
1.) AREA DI DISTRIBUZIONE DEL GEN. Saurauia WILLD.
Il Gen. Saurauia rappresenta. uno dei molti esempi di Specie ad
area disgiunta, poichè un centinaio circa di queste vivono nell'Antico
Continente, circoscritte però alle regioni tropicali dell'Asia e dell’Ocea-
nia, mentre le rimanenti — oltre settanta secondo i dati delle mie ri-
cerche — abitano ii Messico, l'America centrale e meridionale.
Per quanto concerne le forme asiatiche noterò. soltanto che esse
prevalgono nell’ Isola di Giava (28 specie) e di poi in crdine decre-
scente trovansi distribuite nei seguenti territori; Celebes (14 specie),
Nuova Guinea (11 specie), Borneo (9 specie), Filippine (7. specie), Su-
matra ed Hymalaya (6 specie per ognuna delle regioni), Birmania (3
specie), Australia del N. e del N-E, Ceram, Malacca (2 specie per o-
gnuno dei territori), Assam, S. China, Asia Orient-trop., Malesia, For-
mosa, Figi (1 specie per regione).
In termini generali si può quindi affermare che nel dominio del-
l’Antieo Continente le specie sono localizzate pressochè nell’ambito del
Tropico e più specialmente nell’emisfero sud, avendosi il massimo di
rappresentanti nell’Isola di Giava, Celebes, Nuova Guinea e Borneo.
Un gruppo un po meno ricco di specie è accantonato nell’ America
del Sud e in quella Centrale, con non pochi rappresentanti tuttavia
anche nel dominio sud dell’ America Settentrionale. Anche qui i limiti
della diffusione sono segnati all'ingrosso dai tropici, ma, come vedremo
fra poco, non si può per le forme americane parlare di un maggior
sviluppo di specie nell'Emisfero Sud.
Esistono dei rapporti di affinità tra le specie del Vecchio e quelle
del Nuovo Continente? La risposta è un pò prematura, non avendo
sino ad ora fatto uno studio un pò accurato della specie Asiatico-ma-
‘ lesi. Però da un esame superficiale di queste ultime mi è parso. che
i rapporti siano più che mai scarsi.
Lo attestano le stesse infiorescenze che nelle forme dell’ An-
386 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
tico Continente sono prevalentemente fascicolate, mentre nelle specie
americane si mostrano per lo più panicolate, come ebbe del resto a
rilevare il Prof. Gilg. La presenza poi della Caulifloria fra le specie
dell’ Antico Continente, la quasi assoluta mancanza, almeno per quanto
mi è noto, della stessa fra quelle del Nuovo, sarebbe un argomento
di più a fayore della mia ipotesi, sulla quale tuttavia non intendo
maggiormente insistere, maneando, come sopra dissi, di dati più concreti.
Indubbiamente al botanico non può passar inosservato il fenomeno
della disgiunzione delle specie che si rivela con caratteri molto spie-
cati appunto nel genere che sto studiando. E questo un fenomeno ab-
bastanza diffuso, sia nel regno vegetale che in quello animale, il quale
ha riehiamato piü volte l'attenzione degli studiosi che peró non riu-
scirono fino ad ora ad accordarsi sulle cause che lo determinano.
Due ipotesi possono spiegare, meglio forse di molte altre, la di:
sgiunzione; e per quanto riguarda le Saurauia si può ammettere colla
prima che le specie dell'Antico Continente siansi individualizzate in-
dipendentemente da quelle americane; colla seconda ipotesi si dovrebbe
invece ammettere un’antica connessione fra le terre malesi e quelle
americane.
Non pochi geologi sono appunto d’avviso che nelle passate epoche
geologiche l'America avesse delle propaggini nel dominio dell'Oceano
pacifico, grazie alle quali il Continente si veniva estendendo fino alle
remote spiaggie orientale dell'Asia, Più tardi i ponti di unione si sa-
rebbero inabissati, lasciando come residui, o come testimoni della loro
esistenza, le isole disseminate oggigiorno nel distretto dell'Oceano pa-
cifico. Questa ipotesi si fonda, anche in parte, sulle affinità floristiche
esistenti fra talune isole del Pacifico (Sandwich ad esempio) e le re-
gioni dell'America equatoriale-tropicale; deporrebbero pure in questo
senso i legami dello stesso ordine che collegano da un lato l'Asia o-
rientale coll’America del Nord (V. lavori di Griesebach e di Asa Gray),
dall'altro l'Australia e le regioni propinque coll’America del Sud.
Noi siamo peró ben lontani dall'aver detto l'ultima parola al riguar-
do, mentre poi riesce difficile con la teoria delle antiche connessioni
continentali spiegare la mancanza delle Saurawia nelle regioni tropi-
i africanel, e quali, secondo l'Engler, hanno avuto non pochi legami
mW A. val
bus de SENE
4
1
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4
1
1
STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 387
floristici coi territori americani. Potrebbero taluni forse obbiettare al
riguardo che nel dominio del Nuovo Continente le specie di Saurauia
sono accantonate prevalentemente nelle regioni occidentali montagnose,
per cui fra la loro area di distribuzione e il dominio africano —ammesso
un antico legame torritoriale — si dovette sempre frapporre un terri-
torio pianeggiante (altopiano del Brasile centrale, l’ Hylaea, regione
centrale-orientale dell’Argentina e via dicendo) poco adatto, a quanto
pare, alla diffusione di siffatte specie. L'obbiezione è grave, ma alla
stessa noi possiamo contrapporre il fatto, oramai assodato, dell’esisten-
za, nelle passate epoche geologiche, di un sistema montagnardo nelle
regioni ora ridotte a Peneplain, il quale avrebbe potuto favorire la
diffusione delle specie (1).
Forse più consona col principio delle antiche connessioni geogra-
fiche appare la diffusione delle specie di Saurauia dall'Asia alla Ma-
lesia, all'Australia ed alle Isole Figi, essendo noto che in questo di-
stretto insulare-continentale avvennero indubbiamente dei gravi rima-
neggiamenti territoriali che a volta a volta avvicinarono e fusero
assieme terre dapprima lontane le une dalle altre, o viceversa scissero
un territorio in due o più distretti insulari. Ma per questi territori
non si deve neppure dare un eccessiva importanza all’ esistenza del-
l’Antico Contenente Cino-Australiano e alle passate condizioni geolo-
giche delle regioni, in quanto chè, data la poca distanza reciproca
delle terre che attualmente formano il dominio malese, e data la na-
tura polposa dei frutti di molte specie di Saurauia la diffusione di
questa potè, senza dubbio, effettuarsi indipendentemente dalle convul.
(1) E oramai assodato che il nucleo centrale del Brasile é molto antico ed ha subito,
per effetto delle erosioni, profondissime demolizioni che hanno reso in parte piano ‘il
paese, portandolo anche ad un livello assai più basso. Infatti ho potuto constatare nell'in-
terno del Bacino Amazzonico e nello Stato di Goyaz dei limitatissimi tratti montagnardi,
elevati circa 700 m. sul mare, i quali non rappresentano che l’ultimo residuo delle an-
tiche terre e ci indicano così che a tale altezza campeggiavano anticamente i territori.
Analoghe osservazioni furono fatte da altri autori, per cui tutto induce a credere che
attraverso il sistema territoriale cosi elevato la diffusione delle Saurauia EE PEN
benissimo effettuarsi.
388 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
^
sioni telluriche, le quali avrebbero inabissate talune terre o fatto sor-
gerue delle nuove.
Più conforme al vero parmi pertanto la prima delle ipotesi che, cioè,
le specie in questione abbiano tratto un'origine indipendente nell'A-
merica da un lato, nell'Asia e nella Malesia ed Oceania dell'altro. De-
pone a favore di questa concezione la differente costituzione morfolo-
gica delle forme americane rispetto all’asiatico-malesi, ed in specie
degli apparati fiorali, e più di tutto il fatto che il genere Saurauia
è in fondo accantonato, malgrado che sia dotato di una plasticità e-
norme, grazie alla quale non solo ha dato origine a numerose specie,
ma ha permesso a queste di adattarsi a condizioni svariatissime di
clima, di terreno e di ambiente in genere, previo, ben inteso, un ar-
monico cambiamento nelle caratteristiche morfologiche ed anatomiche.
Data la grande antichità del genere, attestata, più che altro però
dalla struttura degradata degli apparati fiorali, dato il polimorfismo
eui va incontro il genere, data la grande attitudine di questo a vi-
vere sottó l'impero di condizioni edafiche e climatiche estramamente
variabili, quali si riscontrano a varia altezza sul monti, dove preval-
gono i rapprensentanti del genere, si potrebbe supporre, a priori, che
alle Saurauia sarebbe stata facile la conquista delle terre tropicali di
tutto il mondo. Invece, come sopra è stato detto, noi assistiamo a un
fenomeno diametralmente opposto, essendo noto che fino ad ora il ge-
nere non ci ha forniti rappresentanti nell’Africa. Se si ammette adun-
que che questo continente fosse anticamente collegato eoll'Asia e col-
l'America, difficilmente per le ragioni sopra esposte, potrebbe spiegarsi
l’assenza del Genere nel suo dominio, poichè non si può ammettere
che all’epoca degli ipotetici collegamenti territoriali facessero difetto,
lungo i ponti di collegamento, le montagne sulle quali vediamo oggi-
giorno insediate le Saurauia. A questo riguardo poi giova ancora ri-
cordare che se è ipotetica l'esistenza dei detti ponti ancor più dubbia
e la loro esistenza all’epoca in cui si vennero organizzando, sul no-
stro pianeta i rappresentanti del nostro Genere, di guisa che riesce
più che mai incerta la diffusione di questo attraverso a siffatti ponti.
_ Se adunque malgrado la possibilità, un pò problematica invero
delia diffusione, l'insediamento in Africa non ha avuto luogo, questo.
STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 1889
tenderebbe a provare che due dovettero essere per lo meno i centri di
formazione delle Saurauia, la Malesia cioè e le regioni finitime da un
lato, l'Ameriea dall'altro. La facile adattabilità delle varie specie del
genere a condizioni esterne disparatissime corrobora questa mia ve-
duta, mentre poco si concilia colla ipotesi che il Genere ‘abbia anti-
camente vissuto in Africa, dove poi sarebbe andato scomparendo per
peculiari condizioni di ambiente avverse alla sua conservazione.
Anche la stessa distribuzione delle specie dell’ Antico Continente
depone a favore del sovra esposto modo di vedere. Infatti se le specie
fossero in parte emigrate dall’Asia e dalla Malesia per diffondersi nel
Continente americano (ove avrebbero dato origine alle forme attuali)
o viceversa le forme americane arcaiche si fossero diftuse attraverso il
Pacifico nel dominio Asiatico-malese esse dovrebbero oggigiorno avere
i loro discendenti attuali localizzati di preferenza nelle terre orientali
della Malesia, il che non avviene poichè il massimo delle specie è
accantonato a Giava e Celebes, cioè nelle parti prevalentemente occi-
dentali del territorio. Lo stesso dicasi per le forme americane le quali
prediligono il versante orientale della catena andina.
Farò notare da ultimo che i generi affini a quello che stiamo stu-
diando fanno pure difetto nell’ Africa, dove probabilmente sarebbero
rappresentati qualora le forme ancestrali da cui sarebbero derivate le
Saurauia attuali avessero avuto agio di diffondersi in questo Conti-
nente per dar luogo quivi alla produzione di forme più o meno aber-
ranti.
2). LE REGIONI ABITATE DALLE Saurauia AMERICANE (1).
Le regioni che albergano, in America, la Sawrazia sono all’ in-
grosso comprese fra le seguenti isoterme:
Isoterme iavernali 30° — 15° N
25° — 20° S
(1) Nelle presenti ricerche riporto molti nomi di territori, poichè negli stessi fu-
rono riscontrate la specie di Saurauia. I dati furono in gran capa: ricavati dall’ opera
magistrale di Siever « Sud u. Mittel amerika ».
390 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Isoterme estive 27 .— 90 N
25 —-'10*.8
Nelle regioni dell'Antieo Continente si osserva all'opposto che l'a-
rea di distribuzione del Genere è compresa entro i limiti seguenti:
Isoterme invernali 20° — 16 N
30° — 20° S
Isoterme estive 30° --- 28° N
24° — 20° S
di guisa che dal lato Nord, ma più ancora da quello Sud, in America,
il Genere si estende in regioni più fredde rispetto alle forme asiatico-
malesi.
Tale condizione di cose è senza dubbio inerente alla direzione
delle catene montuose americane che essendo allineate da N a S per-
mettono la diffusione della specie nel senso dei meridiani, mentre al-
l'opposto i monti asiatici, prevalentemente diretti da E a W, formano
quasi una barriera insormontabile per le specie nelle loro emigrazioni
da Sa N.
Inoltre devesi tener in conto anche la costituzione del Continente
Australiano in cui l’Eremea, per l'aridità delle sue terre, rappresenta
pure un ostacolo alla diffusione delle forme, accantonandole nelle re-
gioni nordiche.
L'area di distribuzione delle Saurauia americane, si può all’ in-
grosso ritenere circoscritta ai suoi due estremi N e S da due regioni
piuttosto aride quali sono a N le terre messicane di Anahuac e del
Chaparral, a S il territorio continuante coll'Atacama.
Entro i limiti testé indicati non tutte le regioni politiche sono e-
gualmente rieche di specie; ma in questo argomento non intendo, pel
momento insistere, solo faecio osservare che, a differenza di quanto ha
luogo nel dominio asiatico malese, il numero massimo di specie e va-
rietà trovansi a N. dell'Equatore (106 a N. rispetto a 27 a S).
Anche nell'ambito dell’America le specie prediligono le regioni
montagnarde, ma non molto elevate. E' duopo tuttavia notare che trat-
tandosi di territori in eui i monti sono spesso altissimi (7000 m. e più)
STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 391
la nozione di bassa e media montagna acquista un significato alquanto
differente che da noi. |
Nelle rieerche relative alle varie speeie io ho sempre avuto cura
di riportare l'altezza sul mare a cui le stesse vennero riscontrate; di-
sgraziatamente però per molte specie gli autori o i raccoglitori non
danno indicazioni di sorta di guisa che le nozioni relative alla sta-
zione sono un pò monche.
Premesse queste considerazioni d’indole generale giova ora dare
uno sguardo alle condizioni di temperrtura, di umidità e di terreno
dominanti nelle regioni abitate dalle Saurauia americane.
A Messico
1. Costituzione orografica e geologica delle regioni. — A presein-
dere dalle Coste la regione si presenta montagnosa, ma con differente
conformazione orografica a N e a S. Dalle regioni dell America Set-
tentrionale penetrano nel Messico due sistemi montagnosi, l’uno rivolto
verso il pacifico (Sierra Occidentale) l’altro verso il Golfo del Messico
(Sierra Orientale) che verso Orizaba tendono a fondersi in un solo.
I due sistemi, non molto elevati a N, dove raggiungono l’altezza
di 2000 m. (Sierra Est) o 3200 (Sierra West), si fanno sempre più
maestosi a Sud (Orizaba 5700 m.).
Fra i due sistemi campeggiano gli altipiani più o meno elevati
(Messico 2265 m.) foggiati a guisa di conche chiuse, in parte colmate
da sedimenti di varia epoca.
Più a Sud il massiccio montagnardo torna ad abbassarsi, tanto che
a S. Martin raggiunge appena 1500 m.
Nel sistema montuoso, a seconda della località, troviamo rappre-
sentati terreni di varia epoca, a cominciare da quelli arcaici, paleo-
zoici per arrivare fino ai recentissimi.
Nel dominio deì vulcani, spenti od attivi, ed anche in altre ió-
calità dove non v'ha più traccia di apparati vulcanici sono diffuse le
roccie vulcaniche, specialmente negli altipiani.
Il Yucatan è costituito in gran parte da terreni calcari, terziari,
non molto elevati sul mare (S. Felipe 400 m.).
392 . LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
2. Condizioni climatiche; temperatura e precipitazioni. — Come in
molte altre parti dell'America Centrale Meridionale si distinguono nel
Messico tre zone: quella della Tierra caliente (che arriva fino a 1000 m.
circa) con 22°-30° di temperatura media estiva e 17%,5-25° media in-
vernale: quella della Tierra templada (fino a 2000 m ) con 20° 25° di
temperatura media estiva e 10°-20° di temper. media invernale, e infine
quella della Tierra fria sopra i 2000 m. |
La temperatura del Messico è, nelle grandi linee un pò più ele-
vata di quella dei paesi dell'Asia, posti ad eguale latitudine nord, per
cui forse riesce spiegato come le Saurauia, eminentemente legate alle
condizioni di temperatura imperanti nei tropici, si estendano più a
Nord nel Messico che in Asia.
Non poca influenza esercitano, sia sulla distribuzione delle forme
sia sulla temperatura locale, le masse continentali pianeggianti degli
Stati Uniti del Nord.
E' stato infatti assodato che le regioni nordiche del territorio mes-
sicano sono più calde di quelle più meridionali che godono di un
clima oceanico.
La temperatura è abbastanza uniforme nelle regioni della costa
e basse. Così a Vera Cruz si ha una media di circa 22°-27°, con un
minimo che talora arriva 0°: a Mazatlan una media di circa 25°, con
un escursione media tra 28° e 18°: e con un minimo di 5°, un massime
| di 35°: a Chiapas si ha 24°, 5 in media, con un minimum di 1°, 4 e
infine nel Yucatan 25°,9 con un massimo di 40° e un minimo di 8^, 8.
A misura che ci eleviamo la temperatura si abbassa e le oscil-
lazioni termiche aumentano. Nella regione elle tierra templada di
Oaxaca il clima è quello di Gibilterra (media 20°, con oscillazione
media da 21°,7 a 17,5 e con un minimo di 0°): sull’altipiano del Mes-
sieo (2265 m.) si ba 159,4 di media, con un massimo di 195,6 e con un
minimo di 12°, 5.
Le precipitazioni sono molto disugualmente distribuite a seconda
dell'altezza sul mare e a seconda dei versanti. Sono per lo più piog-
gie estive, portate dagli alisei (Giugno-Settembre) e cadono di prefe-
‘renza sulle regioni orientali sottoposte ai venti del Golfo che in certi
punti determinano anche delle precipitazioni invernali. A nord, per
HEIC GT EE SE RENE €
STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECO. 898
la presenza delle masse continentali le pioggie si fanno scarse e cosi
pure sugli altipiani interni o nei versanti « sotto vento » degli alti
monti.
La quantità di pioggia presenta le seguenti oscillazioni nei vari
paesi:
Oaxaea (versante del Golfo del Messico) 1000 m.
Messico m.
Vera Cruz » 1000-2000 m.
Cordova » 2199 m.
Orizaba » 2091 m.
Puebla (Dal lato West dei Monti) 1099 n.
Toluea (Versante del Golfo del Messico) 627 m.
Chapparal (Regioni nordiche del Messico) 208-628 m.
Chihuahua » »
Zachetechas » 805 m.
Mazatlan (Versante del Pacifico) 181 m.
Colima » 1060 m.
Yueatan (Merida) 913 m
Risulta dal presente specchietto che le regioni rivolte verso il Pa-
eifieo sono molto meno soggette alle precipitazioni di quelle fronteg-
gianti il Golfo del Messico. Taluni luoghi sono persino contrassegnati
per una grande secchezza dell’aria (24 °/, di umidità).
La neve è rara e solo tre picchi, fra cui Orizaba, possono van-
tare la presenza di nevai.
‘3. Vegetazione. — Lungo la costa, e limitatamente al dominio
delle Saurauia, ad eccezione delle spiaggie coperte di dune, la vegeta-
zione è tropicale a tipo colombiano: sui monti poco elevati si ha una...
flora subtropicale mentre poi più in altoe in specie nei versanti poco
soggetti alle precipitazioni compaiono le savanne colle caratteristiche
forme xerofile, succulenti, spinose.
Nella regione forestale bobbiamo distinguere due zone: l’inferiore
rappresentata dalle foreste ad Angiosperme (sino a 2700 m.), la su-
periore, compresa fra 3900 e 4100 m., costituita in prevalenza da
Gimnosperme.
394 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
B America Centrale.
1. Costituzione orografica e geologica della regione. — Nel Gua-
temala ed Honduras il sistema montagnoso della Sierra è formato da
un asse cristallino schistoso e da antiche roccie eruttive. Non mancano
però i terreni mesozoici (schisti micacei) e le formazioni calcari dolo-
mitiche (Chiapas). La Sierra d’Alta Verapaz consta di terreni paleo-
zoici, mesozoici e terziari. Anche qui troviamo gli altipiani colmati
parzialmente (Quatzatenango, Guatemala est.), i quali per lo più sono
elevati a circa 2500-3000 m. sul mare.
Presso chè la stessa struttura geologica si ha nelle Catene del Ni-
caragua e Costarica.
In quest’ultima regione le formazioni eruttive antiche sono di pre-
ferenza localizzate a Nord, predominando a Sud i calcari terziari. Nella
parte centrale della Republica la catena si scinde in due sistemi com-
prendenti fra loro gli altipiani di Cartago (1410 m.) e di Alajuele
(915 m.)
La Cordillera Sud raggiunge 3900 m. e consta in gran parte di
terreni eruttivi analoghi a quelli delle regioni nordiche.
Al di la della regione dei laghi di sprofondamento si incontrano
ancora le formazioni eruttive antiche, granitiche e sienitiche, nonchè
i terreni terziari (Regione di Panama). I monti tendono ivi ad abbas-
sarsi (1000-300 m.) in specie a West.
I territori di Costa Rica, Nicaragua, Honduras e Guatemala non
sono ancor definitivamente assettati e perciò noi troviamo in seno ai
monti stessi numerosi vulcani, i quali tendono a spostar l’asse eruttivo
verso il pacifico. Molti di essi albergano non poche specie di Sau-
rauia, come ad esempio il Vulcan de Fuego (3815 m.) il Vulcano di
Agua (3725 m.), Chiriqui (3606 m.), Quatzatenango (3551 m.), Turrial-
ba (3325 m.), Acatenango (3960 m.).
2. Condizioni climatiche: Temperatura e precipitazioni. I dati re-
lativi alla temperatura sono piuttosto frammentari: ciò non di meno
è stato assodato che il clima è prevalentemente oceanico, tropicale o
subtropicale, a seconda delle regioni. Alla costa la temperatura si man-
tiene uniforme; più all’interno si hanno talora notevoli sbalzi termici,
STUDIO -MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 395
tanto che la temperatura può talora scendere a 0° (Coban, Antigua,
Guatemala), ma questo si verifica in territori che sono già elevati
1300-1500 m. sul mare.
Il comportamento termico è diverso sulla Costa E. rispetto a quel-
la W. ed anche rispetto alle regioni centrali. Infatti noi abbiamo a
Panama i seguenti valori:
Media annuale 26-269,2: media invernale 23-25°,1: media estiva
289.1-269,8: oscillazione media 0,4 -0,5°: estremi 15-369.
Dal lato del Pacifico la costa si presenta più fresca, non raggiun-
gendo la media annuale 25° circa. Nell'interno si nota che dal lato
del Golfo del Messico, a motivo del maggior sviluppo della foresta, il
clima è più dolce. Basterà infatti ricordare che Coban, situato nel ver-
sante del Golfo del Messico a 1306 m., ha una media annuale di 187,3
con un massimo che raggiunge 19°,6 e un minimo di 15°,8, mentre dal
lato dal Pacifico temperature similari si hanno solo ad un’ altezza di
1500 m. A complemento di questi dati daremo qui la temperatura di
aleune località dove crescono le Saurauia.
S. Salvador (600 m. sul mare) media 22°,5 massima 24° minima 21°,2 Estremi 24-139,3
Guatemala (1480 m. sul mare) » 189,6 » Am. rs 169,6 » .309,8-75,6
Quatzaltenango 2350 m.sul mare) » 149,2 » 160,6 » 109,8 » 24°,6-3°
I venti di N-O portano le pioggie e le nebbie estive sul versante
del Golfo del Messico, che perciò è più umido di quello rivolto verso
il Pacifico.
Le stesse differenze si notano nell’interno: infatti noi abbiamo i
seguenti valori:
. Territori rivolti verso l'Atlantico Territori rivolti verso il Pacifico
Nomedellelocalità|Altezza sul mare| mm. di pioggia (Altezza sul mare) mm. di pioggia
$.losé di Costa Rica RTS 1754
gengt 1480 m. 1410
Coban | 41860 m. 2499
396 "LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Nelle regioni rivolte verso l’Atlantico la distribuzione delle piog-
gie nel corso dell’anno è anche più uniforme: il clima e però secco
da gennaio ad aprile, mentre sul versante del Pacifico si ha il perio-
do secco dal novembre all’aprile.
In tutto il territorio Sud dell'Ameriea Centrale sono distinti due
periodi piovosi separati da altrettanti di scarse precipitazioni, i quali
compaiono tanto più tardi quanto più si procededa S verso N: il feno-
meno però è accertato soltanto dal lato dell'Atlantico e nelle regioni
Sud. Infatti nei territori centrali del Guatemala non si può più netta-
| mente separare la stagione piovosa (invierno) dalla secca. Così a Coban
si ha ancora da aprile a gennaio 87, 105, 1112, 133 mil. di pioggia.
3. Vegetazione. — E’ mista, comprendendo le forme subtropicali
del Nord-America e quelle tropicali colombiane, a seconda che noi ci
portiamo da N, a S, o dal basso all'alto. La Tierra caliente arriva sino
a 1000 m. la templada a 1300 m. nell’Honduras, a 1800 m. nel Pa-
nama, a 2000 m. nel Darien; le zone più elevate sono rappresentate
dalle Tierra frias che ricettano forme andine nordiche e tropicali.
Occorre inoltre fare una distinzione tra le regioni S-O e quelle
N-W, cioè fra le regioni che guardano verso l’Atlantico e quelle ri-
volte verso il Pacifico.
a) Regione costiera. — Abbondano i *ipi triviali alofiti e palustri.
b) Regione alpina. — Sovrasta quella delle Conifere e delle Sa-
vanne, ma talora manca di vegetazione per effetto del vulcanismo.
e) Regione delle Savanne.— Essa è largamente sviluppata dal lato
del Pacifico, meno visitato dalle pioggie, ma non manca neppure nel-
l’interno, anche nei versanti rivolti verso il Golfo del Messico. A se:
condo della quantità di pioggia riscontriamo quà e là le formazioni di
Cerrado, Catinga, (1000 mm. o meno di pioggie) o anche le foreste di
essenze a foglie caduche, xezofite. Le Savanne e le formazioni a tipo
di Schrub sono più o meno estese a Honduras, Guatemala, Veraguas,
Zacapotas, ete., e spesso :ricoprono estesi tratti di terreno vulcanico
| formando i così detti Iscarales e Chapparales.
d) Regione S-O.— I grandi laghi la separano da quella di N-W,
per quanto non sempre la linea di damarcazione sia reperibile. Ivi si
ha la foresta tipica, tropicale e da pioggie fino a 1000 m., a tipo in-
-
È
E.
$
E
STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 397
vece montagnarda al di sopra di questo limite. Nelle stazioni ancor
più elevate la foresta acquista una fisonomia nordica, ma ivi non man-
cano le Cactee ed altre forme xerofile, almeno nei tratti scoperti.
e) Regione N-W. — In basso troviamo ancor la foresta vergine
tropicale; più in alto, a causa delle scarse precipitazioni, compaiono
le formazioni xerofile aperte e i boschi di essenze a foglie caduche.
Le foreste a tipo montagnardo (fra 1200-2000 m.) con numerose
sempreverdi sono larzamente rappresentate sul versante del Pacifico,
mentre dal lato dell'Atlantico abbondano i boschi alberganti le felei
arborescenti.
Al di sopra dei 1500 dal lato del Pacifico (1600 Quatzatenango)
compaiono già le Conifere che però in alcuni tratti un pò aridi della
regione discendono fino alla costa; quivi pure abbondano le regioni a-
ride colle ben note succulenti.
Il versante del Pacifico è adunque, in tesi generale, contrassegnato
dal predominio delle Savanne tipiche o accennanti alle formazioni chiu-
se, alla macchia o ad altri tipi analoghi di associazioni vegetali più
o meno xerofile, le quali arrivano fino a 3300 m. circa. Nella parte
superiore non mancano le foreste di Angiosperme a foglie caduche o di
Conifere.
C) Regione montagnosa della Columbia e del Venezuela
1. Cos'ituzione orografica e geologica della regione. — In questa
breve rassegna procederemo da Sud verso Nord, trattando separata-
mente dei diversi sistemi montagnosi.
a) Alti bacini del Sud. — Al limite tra l'Eeuador e la Columbia
si incontrano di nuovo queste formazioni che già abbiamo rilevato al-
trove, le quali sono dovute a riempimento di valli. Essi campeggiano
in mezzo alla Cordillera fra 1700 e 2500 m. Il territorio di Popayan
ad esempio, trovasi nell'ambito di queste singolari formazioni. La re-
gione, del resto, è di natura cristallina al Sud, cretacea a Nord, sebbene
non manchino quà e là le formazioni d'origine vulcanica (Tuquerres
4000 m).
Più a Nord la Cordillera si scinde nei seguenti rami:
398 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
I. Cordillera della costa. — Suddivisa a sua volta in due rami,
consta in gran parte di formazioni terziarie (sandstein e schisti ma-
rini) e raggiunge un’altezza variabile da 300 a 1800 m.
II. Cordillera del West. — Nel territorio di Cauca consta in parte
di roccie eruttive, in parte di terreni cretacei, raggiungendo un’ al-
tezza media di 2000 m., salvo a Nord ove degrada notevolmente (300 m.).
Alcune punte arrivano fino a 3000 m.
TII. Cordillera centrale. — Interposta tra il territorio di Cauca
e quello del Magdalena, la Catena raggiunge spesso i 3000-4000 m. ed
anzi taluni dei suoi picchi vulcanici, come il Tolima e il Nevado di
Huila superano i 5500 m. Il passo di Quindio è a cirea 3500 m. La
catena, più antica di quella, del West, consta di Sandstein, di schisti
cristallini e di altri terreni o roccie, fra cui meritano di esser segna-
late le formazioni vulcaniche poggianti per lo più su un zoccolo eri-
stallino. A Nord la catena discende a 2000 e infine scompare nel ter-
ritorio palustre del Magdalena.
IV. Cordillera dell’ Est. — La catena è assai elevata presso Bo-
. gota e presenta quà e là delle cuspidi altissime, ma la sua altezza me:
dia oscilla fra 2000 o 3000 m.
Un prolungamento a Nord della Catena (Sierra di Perrija) chiu-
de il Bacino di Maracaibo a West, ed il medesimo consta di antiche
roccie vulcaniche, di Sandstein, di Kalkstein. La sua altezza media
oscilla fra 1500-3000 m.
Infine il versante West della Cordillera dell" Eet si prolunga in al-
tipiani (2600-2800 m.), costituiti da terreni piuttosto recenti e rappre-
sentanti forse degli Alti Bacini.
b) Sierra Nevada di S. Marta. — Costituita da terreni granitici,
da Schisti cristallini, da Gneis, e da antiche roccie eruttive, il sistema
fronteggia il Mare dei Caraibi, collegandosi da un lato alla Catena -
delle Antille dall'altro alla Serra di Perrjia. E’ forse un sistema indi-
| pendente.
e) Cordillera di Merida. -- Situata sul prolungamento della Cor-
dillera Orientale fronteggia a Est la Laguna di Maracaibo. Cristallina
nella parte assile, costituita invece nelle parti periferiche per lo più
da terreni eretacei e terziari (Kalkstein e Sandstein) raggiunge circa
STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 399
4000-4500 m. a Merida, 1200 m. a 2000 m. a Tachira. A Nord la
Serra si seinde in 3 rami, la cui altezza oscilla fra 4000 e 2000 m.
d) Monti caraib'ci. — Constano di due catene parallele (Sierra
Costiera o nordica e Sierra interiore o meridionale) che con direzione
da E a W seguono la costa nordica della regione. Il sistema non è
molto elevato (2800 m.) ed anzi presenta tre notevoli depressioni che
lo scindono in 4 sistemi, di second’ordine. Predominano le roccie ar-
caiche, ma a queste si aggiungono nella Serrania interior le roccie
eruttive, terziarie e cretacee. A Est poi com paiono i Kalkstein. La ca-
tena Sud è più bassa di quella Nord, ma ovunque sono frequenti i
piechi alti 1500, 1700, 2600 m. I monti di Caracas, razgiungono 1782 m.
Il territorio basso interposto fra le due catene montagnarde è palustre
o lacustre su estesi tratti.
d) Depressione della Loguna di Maracaibo. — E° palustre e bas-
sa assai: a Nord è sbarrata da monti alti 700-800 m. (roccie eruttive
antiche), a N E dai colli di Paraguanà a nucleo cristallino eruttivo.
e) Coro e Barquisimeto. — Il territorio è costi'uito da una catena
poco elevata (1500-1800 m.) racchiuden'e delle alte valli. Poco no'o.
2. Condizioni climatiche: temperatura e precipitazioni. — Il clima
è caldo nelle regioni basse. Alla costa la temperatura della Tierra ce-
liante raggiunge la media di 25°,9—26°, 1 (Buonaventura) con scarse
oscillazioni (0°, 6-1°, D. Il for'e riscaldamen'o delle terre basse in- |
fluisce indirettamen'e sulla temperatura dei monti circos'anti. Allin-
terno gli es'remi di temperatura sono più notevoli e in pari tempo più
elevata la tempera'ura.
Le Tierras templadas si incontrano nella Sierra di Santa Marta a
600 m. verso la zona limi'e per il Cacao e la Noce di Cocco. La
temperatura è un pò più elevata nel la'o Nord della Sierra anziche
nel lato Sud (24"-21? a 1000 m. dal lato Nord, 13-22? a 1900 m. dal
lato Sud). j
La temperatura subisce inoltre notevoli sbalzi, per cui assume i
caralteri dei climi estremi.
A Medelin (Antioquia), situato a 1510 m. sul mare, si ha una media
annuale di 21°, 1, con oscillazioni medie di 21°, 72—0°, 3(oscillazione
assoluta 299,4 — 13°, 6). A Merida, per effet o della nevi di alta mon-
400 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
tagna, la media annua raggiunge solo 18°, con oscillazioni entro 16° e 26°.
Le Tierras frias cominciano a 2200 m. A Bogo'a (2660 m.) la
media annuale è di 14°, 4 con scarse oscillazioni medie (1°), mentre
gli estremi oscillano fra 22° ed 8°. Sulla alta montagna la tempera-
tura scende a 0° di notte (verso i 4000 m.)
Pochi sono i dati che possediamo sul sistema montagnoso della
costa settentrionale, La Guaira offre una media annuale di 25", 7, con
un massimo di 27° e un minimo di 24°.
A Caracas, verso i 930 m., si ha una media annuale di 21^, 8, con
un massimo di 23°, 3 e un minimo di 20°, 3. Le oscillazioni medie
raggiungono ivi 3°, ma gli estremi arrivano a 26°, 5 e 149, 3. Infine
rileverò che nella Colonia Tovar si è constatata una media annua di
14°, 4, con un massimo di 15°, 3 e un minimo di 12°, 5. Le oscilla-
zioni medie raggiungono 2°, 8.
Per quarto concerne le precipitazioni è stato assodato che nella
Columbia e nel Vanezuela occidentale le precipitazioni sono relativa-
mente abbondanti, per quanto, non manchino i territori in cui non
raggiungono 1000 mm. (Cartago, Antioquia) o anco neppure 600 mm.
` Assai umida è la costa West della Columbia. Lo stesso dicasi per le
pendici Nord della Sierra di S. Marta, la Cordillera di Merida, le terre
basse di Zulia e l'Est di Coro. Le precipitazioni sono più scarse sui
monti bassi o lontani della costa (vallate interne, Barquisimeto, Val-
le del Cesar, Rio Hacha, pendici rivolte a Sud dei monti di S. Marta
e della Costa Nord, Coro N-W, Cucuta nella Cordillera di Merida,
Valle di Cauca ed altri territorii).
Sulle pendici Sud della Cordillera di Merida P umidità è ancora
intensa, trovandosi la stessa sotto il dominio dei venti di SO. Così
pure abbondanti sono le precipitazioni (1600 mm.) nella Tierra Tem-
plada di Bogota. ,
Sugli alti monti (oltre a 4000 m. d'altezza) le precipitazioni ca-
dono in forma di nevi, ma scarsi sono i ghiacciai e poco estesi.
Per quanto concerne la catena costiera rileverò solo che a Cara-
cas si hanno circa 800 mm. di pioggia.
Nelle regioni sud del territorio Columbo-Venezuelano si hanno 2
periodi di pioggie annuali: a Nord invece uno solo. Sulla Cordillera di
STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 401
Merida presso Tachira i due periodi di pioggia sono ancora riconosci-
bili, ma essi sono però separati da un brevissimo periodo secco: a Truillo
i due periodi piovosi si fondono e questa condizione di cose si estende
fino ai 3° di latitudine Sud lungo le pendici Est della Cordillera.
Presso Caracas e sui monti costieri non vi ha un periodo secco,
poichè durante l’estate si hannò ancora 150 mm. di precipitazioni,
3. Vegetazione. — Nelle parti basse si. incontrano le foreste da
pioggia lungo le Valli di Atrato, nella Cordillera di Merida, nel Ba-
cino del Cauca e della Maddalena ed altrove. Il tipo di vegetazione
ricorda alquanto quello dell'Ecuador.
Sulle pendici dove le precipitazioni si fanno più earse, compa ono
le foreste a tipo monsonico, con essenze a foglie caduche e di sviluppo
moderato (lato Sud del Nevado di S. Marta e delle Catene interne,
sul Coro NW, lungo il Cesar.
Le Sa a Cactee ed altre essenze xerofile sono diffuse nel
Coro ed altrove, mentre alla costa si mostra la vegetazione alofila tri-
viale,
Ura speciale formazione è
Cactee ed altre piante più o meno xerofile (Pendici SW del Nevado
di S. Marta, Rio Hacha, Coro NW ed altrove).
Sulle montagne, verso i 1300 m., la foresta accenna ad assumere
la fisonomia speciale; il quale cambiamento } erò sulle pendici del West
si inizia solo a 2000 m.
Verso i 1450 m. sulle pend'ei Nord, verso i 2800 m. sugli altri ver-
santi dei Monti di S. Marta è più alto ancora (3500 m.) nei siti ri-
parati della Cordillera di Merida e a Bogata cominciano a manifestarsi
quella di Monte, con tipi cespugliosi,
i Paramos, regioni aride, o palustri, o torbose che si estendono dal
Confine dell'Equador fino a Sierra di S. Marta. Ivi è il dominio della
Espeletia.
A un .ipresso le stesse formazioni riscontriamo lungo la costa
Nord. Le foreste da pioggia coprono di preferenza le pendici Nord
della Sierra di S. Marta e degli altri monti, elevandosi fino a 1500-
1800 m. All’ opposto sulle pendici Sud della Serrania interior e dei
Monti di Cumana, come pure nelle sottoposte valli predominano le fo-
reste a tipo monsonico, o più o meno xerofile. Le stesse poi trapassano
402 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
nella così detta formazione di Monte o cespugliosa a Cumana, a Unare,
Barcelona ed altrove.
La foresta a tipo montagnoso non presenta però una notevole dif-
fusione (pendici Nord dei Monti Caraibici), ma dove si manifesta offre
molti punti di contatto con quella di Merida.
Estese Savanne si riscontrano a Nirgua, nel Bacino del Bejuma,
nelle parti basse del Yaraqui ed altrove. Le formazioni in questione trapas-
sano alla Catinga e allo Schrub dal lato Sud della Serrania interior `
ed in parecchie altre località sopra ricordate.
Se noi ci portiamo più in alto ancora incontriamo le praterie al-
pine che però verso l'Est della Catena compaiono già a 300-400 m.,
vale a dire ad un’altezza dove in altre località persiste ancora la fo-
resta. Esse sono presenti sia nella Serrania interior che nella Cordil-
lera della Costa. Non raggiungendo la catena 2800 metri essa non ri-
cetta le formazioni dei Paramas; presenta tuttavia in alcuni territori
(Colonia Tovar) non pochi accenni di Torbiere.
D) Llanos
Estesissimi e puco elevati sul mare, pianeggianti o disseminati di
colli e basse montagne, i Llanos constano in gran parte di argille cal-
cari e Lehm. Il clima è ivi secco, (600-200 mm. di pioggia), la tempe-
ratura elevata (26°-27°), senza presentare tuttavia notevrli escursioni.
La vegetazione è in predominanza erbacea, in parte formata da
piante succulenti, ma non mancano neppure le associazioni arboree e
queste sono appunto reperibili nel territorio di Merida.
E) Ecuador
1. Costituzione orografica e geologica della regione. Il territorio è
attraversato da due catene dirette da N. a S. delle quali quella occi-
dentale è relativamente più giovane, constando di terreni mesozoici
(Sandstein, Caleari, Roccie eruttive antiche) mentre quella dell’ Est è
formata da terreni arcaici (gneiss, schisti). Tra le due Catene si inter-
pongono dei ponti trasversali e degli Alti Bacini, attorno ai quali il
aulcanismo ha lasciato indelebili traccie,
STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 408
I. Alti Bacini del Sud. — Cominciano ad apparire là dove la
Catena si sdoppia per dar origine alla Cordillera centrale e a quella
orientale, la prima alquanto più bassa della seconda (3800 m. rispetto
a 4800 m.). Nella regione degli Alti Bacini incontriamo degli schisti
cristallini, delle roccie vulcaniche e dei terreni sedimentari.
I Bacini per lo più campeggiano ad un’altezza che oscilla fra i
2200 e i 3200 metri.
II. Alti Bacini del Nord. — Sono conformati come quelli del
Sud, me taluni, ad esempio quello di Riobamba, sono sterili, sabbiosi,
sparsi di dune. Essi poi si mostrano fiancheggiati da alti picchi vulca-
nici insediati di preferenza sulla Cordillera Est. e notevoli per la loro
grande altezza (Tunguragua 5087 m.). Del resto anche nelle pendici
della Cordillera del West non mancano i picchi, in specie, vulcanici,
altissimi, come, ad esempio, il Chimborazo.
Bacini pure molto importanti sono quelli di Latacunga, di Ambato,
di Quito, i quali vaneggiano ad un'altezza che oscilla fra 2400 e 2900 m.
Attorno al Bacino di Quito, come del resto anche attorno agli altri due,
predominano alti vertici alpini di natura vulcanica, tanto dal lato
della Cordillera del West che su quella dell'Est. Basterà ricordare F An-
tisana (5756 m.), il Cotopaxi (5943 m.) l’Iliniza (5305 m.).
Da ultimo meritano di esser menzionati i Bacini di cartes e Tul-
can costituiti pressoché come i precedenti.
III. Regioni basse del West. — Formano una zona poco ampia
costituita da terreni cretacei e quaternari. E’ un territorio in parte
palustre, piano in alcune regioni, alquanto elevato sul mare (700 m.).
IV. Regione orientale. — Fa parte del Bacino amazzonico e non è
quindi più il caso di soffermarei a descriverla non albergando, per quanto
almeno mi consta, alcuna specie di Saurauia.
2. Condizioni climatiche: temperatura e precipitazioni. - - La tem-
peratura è equatoriale, ma soggetta a notevoli variazioni a seconda
dell’altitudine. Sulla costa, a causa della Corrente fresca del Perù, la
temperatura e piuttosto mite. Guayaquil ha infatti una media annua
di 27°-28°, 5, con un minimo di 25°,5 e con estremi oscillanti fra 35°
e 19°. Pressocchè le stesse temperature si hanno nelle Isole di Puna
e a El Recreo (25°), dove pure gli scarti termici sono poco ampi (3°—40).
404 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Ad Esmeralda, cioè sotto l’Equatore, la temperatura media annuale ar-
riva a 18°, per discendere a 26° nelle regioni interne boscose.
Il Clima della Cordillera offre questo di particolare che nelle re-
gioni Sud si ha una temperatura più elevata che a Nord. A misura
che si sale sulla Cordillera la temperatura si abbassa, per cui a Mindo.
(1907 m.) si ha una media annuale di eirca 199.1,
I valloni ehiusi sono molto caldi di giorno, freddi alla notte, es-
sendo ivi forti le oscillazioni termiche (24?)
Negli Alti Bacini della Serra compresi fra 2000 e 3000 m. si hanno
dei valori termici oscillanti fra 18° e 11° (Banos a 1800 m. ha 18°, 15
in media). Però Quito a 2850 m. presenta 139,5 come media annua, con
oscillazioni assai forti (23°—3°,4). Un pò più in sùla temperatura scen-
de a 0° nella notte (Tulean 2977 m.).
Infine nella regione degli alti Paramas campeggianti fra 3000 e
4000 m. la temperatura media si mantiene sotto 10° con scarse oscil-
lazioni. |
Per quanto concerne le precipitazioni è stato notato che lungo la
costa l’umidità è
del territorio Sud si abbia un certo grado di umidità per le nebbie
o Garuas che ivi dominano da Giugno a Novembre. |
Abbastanza aride sono le regioni della Penisola di Morro, di Quaya-
quil, di Punà, di Guayas fino alla Baja di Caraques: solo dove i monti
si approssimano alla costa si nota un tenore più elevato d’umidità.
più grande a Nord, sebbene anche per alcuni tratti
Molto umido all’opposto è il territorio di Esmeralda, dove piove
sì può dire tutto l’anno.
Se noi ora ci, portiamo verso l’interno troviamo che il clima di-
venta tanto più umido quanto più ci avviciniamo alla Cordillera, per
cui nella zona forestale, si può dire piove tutte le notti.
Talora si osservano due periodi piovosi, il secondo dei quali cade
in ottobre.
Piove pure abbondantemente sulle pendici Nord della Cordillera
del West e su quelle Est della Cordillera orientale, ma questò regime
si osserva solo nelle stazioni comprese fra 600-2000 m.
Nelle alte Serre e nei Bacini elevati le condizioni di clim. sono
un pò diverse,
N |
STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 405
A Quito e più in sù ancora si hanno 100 mm. di pioggia. Le pre-
cipitazioni sono però accompagnate da tormente gelide. Ivi pure sono
distinti due periodi piovosi, separati da altrettanti di bel tempo.
Infine sugli alti picchi vulcanici le precipitazioni hanno luogo sotto
forma di nevi. Il limite di queste è elevato a circa 4800-4200 m., di guisa
che solo 20 punte sono coperte da ghiacciai, i quali sui monti del West
si estendono fino a 4512 m.e su quelli dell'Est a 4134. Non mancano
le traccie di antiche glaciazioni.
3. Vegelazione — Data la posizione geografica del territorio la
si presenta eminentemente tropicale, ma in pari tempo molto varia.
I. Regione bassa del West — Lungo la spiaggia abbondano le
Mangrovie, ma più all’interno, a seconda del tenore delle precipitazioni
della condizione palustre, o, all'opposto arida del suolo le formazioni
mutano di fisonomia. Nel territorio sud, piuttosto arido, sono diffuse
le savanne a succulenti e a piante spinose, cui si sostituiscono le alo-
fite nei siti salati. Noi troviamo le savanne nelle regioni comprese tra
Guayaquil, Punà, Foce del Guayas e di quì sino alla Baja di Caraques.
Però anche a Guayaquil, Isola Punà ed altrove non mancano i boschi
formati da essenze a foglie caduche, xerofile.
Piuttosto umida è la Costa Nord, in specie a Esmeralda, dove
incontriamo le foreste da pioggia, sebbene non facciano difetto le Sa-
vanne, i Cerrados (Pueblo Vijeo, Babahoyo) e le praterie: quest'ultime
accantonate presso la regione montuosa.
II. Pendici delle Cordillere -- Alla foresta tropicale succede a
varia altezza (da.300 e 1300 m.) la foresta di montagna, ricca di
Felei e di Cinchona. Le essenze nelle Cordillere sono spesso differenti, ma
il tipo è unico. La vegetazione si mantiene rigogliosa dai 600 m. ai
1500-2000 m. tanto sulle pendiei West della Cordillera del West quanto
su quelle Est della Cordillera dell" Eat. A una certa altezza gli alberi
cedono il posto ai frutiei e suffrutiei.
III. Vegetazione degli Alti Bacini —Fatta eccezione per quelli assai
bassi, gli Alti Bacini sono privi di foreste ed anco talora di alberi.
Sono presenti quasi ovunque i tipi delle regioni temperate, ai quali
nelle parti più calde vanno associati i Cereus e le Agave. Grande dif-
fusione hanno ivi le specie erbacee xerofile e le formazioni a tipo di
406 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Schrub. Va notato tuttavia che taluni bacini sabbiosi sono del tutto sterili.
IV. Paramos—Gli alberi si arrestano a circa 3500 m. i cespugli a
. 4000 m. circa, per cui i Paramos sono spesso solo coperti da forme erba-
cee, (Formazione di Espelatia) che in molti siti non differiscono gran
chè da quelle degli alti Bacini.
Al disopra dei Paramos domina il deserto (Tunguragua), che del
resto si trova anche in regioni relativamente basse, soggette al vul-
canismo.
A complemento di queste nozioni sulla costituzione fisica del-
l'Eeuador accennerò ancora in breve alla regione orientale, per quanto
questa si trovi quasi del tutto fuori del dominio delle Sawrauia.
La regione è piana e costituita pressochè degli stessi terreni anti-
chi, o pià o meno recenti delle altri parti del Baeino Amazzonico. La
temperatura è ivi elevata, ma presso alle Ande va soggetta a forti
sbalzi. Poche e incomplete nozioni si hanno sul regime delle pioggie
che tendono, a quanto pare, a concentrarsi in due periodi: questi però
presso le Cordillere si fondono in un solo, per quanto anche lungi del
massiccio montagnoso non si abbia alcun mese del tutto privo di pre-
cipitazioni. Data la grande copia di precipitazioni non mancano le fore-
ste da pioggia, ma neppur fanno difetto le Savanne, le quali, come ho
dimostrato in un lavoro col D.r Huber, non sono, per lo più che anti-
chi territori fluviolacustri stati abbandonati dalle acque.
F) Perù
1. Costituzione orografica e geologica delle regioni — Verso |’ e-
stremo Sud del territorio si incontrano due sistemi montagnardi, con-
giunti fra loro da ponti, i quali formano la Cordillera del West e quella
dell'Est: quest'ultima a Nord si seinde in un terzo sistema conosciuto
eol nome di Cordillera Centrale.
La Cordillera dell Eat è più antica e consta di graniti, di sieniti e
di terreni siluriani, mentre quella del West è per lo più mesozoica:
mancano i vulcani attivi, ma sono diffuse le roccie ignee antiche.
Le due Cordillere non sono molto elevate, in specie quello dell'Est;
ciò non di meno alcuni picchi raggiungono 7000 m. (Nevado di Huas-
can ad es).
STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE EUC. 407
Il settore Sud delle Cordillere forma il sistema dell'Ucayali, quel-
lo Nord ii sistema di Maranon, che si fondono fra loro presso Cerro
de Paseo.
Nel sistema dell’Ucayali la Cordillera dell’ Est’ consta di graniti,
schisti, Gràuwache e più perifericamente di Sandstein. Essa ricetta non
pochi Alti Bacini (3000-4000 m.) e in qualche punto si innalza a note-
voli altezze. Verso il nord la cordillera si accosta a quella occidentale;
si abbassa per elevarsi di nuovo a Cerro del Pasco.
La Cordillera West dello stesso sistema consta, sulle pendici, di
Kalkstein, di Roth Sandstein, mentre nella parte elevata è costituita
in gran parte da roccie vulcaniche. Il sistema montagnardo si eleva
spesso a notevoli altezze. (fino a 7000 m.), ma nel suo complesso il
massiccio ha la configurazione di un altipiano, per cui troviamo di
nuovo i Paramos sabbiosi, palustri.
Nel sistema di Ucayalila costa degrada a terrazze verso il mare.
Essa è molto arida, sabbiosa, almeno a Sud del 14° lat. Sud.
Nel sistema del Maranäo, dobbiamo «distinguere tre aggruppamenti:
la Cordillera del West, compresa fra la eosta e il Marancn; la Cordil-
lera Centrale ‘ra questo e l'Huallaga, infine la Cordillera Est inter-
posta fra quest'ultimo e il Rio Hueayali.
La costa che fiancheggia a West il sistema è meno arida di quella
Sud, salvo al Nord dove si estende il deserto di Sechura e su qualche
altro tratto. Essa è attraversata da una Serra — i cui vertici sono di-
seretamente elevati (1000-4000 m.) — dove troviamo largamente rap-
presentate le dioriti, le sieniti, i graniti, il Sandstein, gli schisti e i
‘ terreni terziari. i
La Cordillera del West, formata in parte di terreni sedimentari
mesozoici e in parte di roccie vulcaniche, si suddivide in due rami: il
West e l'Est. Il primo di questi si ramifica a sua volta per dare ori-
gine alla Cordillera negra (con passi elevati circa 4500 m. e punte
che raggiungono 4800 m ) ed alla Cordillera bianca, grande catena nella
quale abbondano i Puna, più o meno sterili, e le formazioni moreni-
che e lacustri. I vertici, che raggiungono talora 6000 e più metri, con-
stano di terreno vulcanico. Verso il Nord la Cordillera si abbassa no-
tevolmente.
408 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Il ramo Est, formato da trachiti, tufi, schisti argillosi, ha qualche
vertice alto più di 4000 m., ma in generale la catena è assai meno e-
levata e tende ad abbassarsi ancor di più a Nord. E’ su questo ramo
che suno abbastanza frequentati gli Alti Bacini (antichi laghi prosciu-
gati). Al confine coll’Equatore la catena raggiunge dapprima 2000 m.
e poi 3000-4000 m.
La Cordillera centrale, altissima a Sud, degrada verso il nord e
alfine seompare dopo essersi divisa in due rami, fra i quali si inter-
pongono degli Alti Bacini. E’ costituita da schisti antichi falcosi e da
terreni paleozoici o arcaici. La Cordillera dell’ Est è poco nota e non
raggiunge notevoli altezze. A nord si addossa alla Cordillera centrale.
2. Condizioni climatiche, temperatura e precipitazioni — Il clima
. € abbastanza fresco sulla Cordillera del West e sulla costa, per quanto
almeno si può giudicare in base agli scarsi dati meteorologici che pos-
sediamo. La temperatura media annua raggiunge ad Arica 19°,7, a
Lima solo 19° benchè questa città si trovi più a N. Nei mesi caldi si
hanno i seguenti valori: Arica 22°, Lima 23°.2: nei mesi freddi Arica
ha una temperatura media di 17°,3 e Lima 15°, con oscillazioni che
raggiungono 49,7 per Ariea, 8°,2 per Lima. Nelle regioni delle Garuas
la temperatura è un pò più elevata. Per quanto concerne le Serre tro-
viamo che ad Arequipa (2363 m.) si hanno, come estremi medi, 24
e 4°: a Matucana (2374 m.) si ha una media annua di 14°.5 con una
escursione media pure annua oscillante tra 10°-11° e 19°-20°.5; a Hua-
nuco, infine il clima è caldo d’inverno e mite d’estate durante le pioggie.
Nella regione dei Puna (da 2500 in su) il clima diventa aspro,
tanto che spesso gela a 3050 m. e si hanno nevicate abbondanti. Nei
valloni chiusi, in generale, si ha una temperatura piuttosto alta e cosi
pure in molti Alti Bacini protetti.
Le precipitazioni sono molto più ae dal lato del Bacino
amazzonico e vanno diminuendo sempre più a misura che ci portiamo
a West. Perciò le regioni orientali sono umide e quelle occidentali secche.
Sulla costa presso Lima cadoro solo 64 mm. di pioggia all'anno:
ciò non di meno una certa umidità vi apportano le Garuas che però
non si elevano più. di 700 m. Nelle regioni nordiche le precipitazioni
si fanno ancor più searse e perciò incontriamo ivi il deserto.
STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 409
Sulla Sierra West presso Arequipa (2363 m.) si hanno circa 100
mm. di precipitazioni, con un periodo piovoso che si estende da Gen-
naio a Marzo. Il clima è tuttavia straordinariamente secco. ;
Nella regione dei Puna, a partire da 2500-3000 m., il clima di-
venta rigido tanto che troviamo le nevi. Il limite delle nevi eterne è
a 4500 m. sull’Huascan. In generale si osserva che data la minor pio-
vosità nelle regioni West il limite delle nevi si eleva di molto da
questo lato delle Cordillere (5500 m. sul Misti nel W., 4700 sulla
Cord. d' Est). Per la stessa ragione la Cordillera negra non ha nevai,
sebbene sia molto alta. I ghiacciai sono molto scarsi.
La serra Est è molto umida; il limite delle regioni climatiche ca-
ratterizzate dalle idrometeore abbondanti si trova fra Cajamarca e Ce-
lendin. Le pioggie venendo cogli Alisei non raggiungono talora gli
Alti Bacini chiusi i quali perciò sono spesso aridi. Allo opposto straor-
dinariamente umida è la Regione di Montana dove piove, si può dire,
tutto l’anno.
3. Vegetazione — La costa è arida al Sud, (salvo lungo i corsi
d’acqua, o nell’ambito delle Garuas) un pò meno nella parte mediana
della regione, aridissima a Nord. (Deserto di Sechuras, dintorni di
Lima). Nell'ambito delle Garuas si hanno i soliti tipi succulenti, spinosi
e la vegetazione acquista spesso il tipo di Schrub. Nelle valli un pò
umide la vegetazione risulta costituita da frutici, ma non si ha mai una
vera foresta: tutto sommato, la regione è alquanto meno arida della
costa nordica del Chili.
Nella regione bassa delle Serre, dove ancora dominano le Garuas,
la vegetazione si ravviva, ma aneae ivi non mancano i territori semi-
sterili (Guayaquil).
Sopra i 2000 m. a West, a 3500 m. al passo di Calle-Calle, a
3200 m. circa presso Huamachuco cessa la vegetazione arborea e suben-
trano per lo più le piante basse erbacee e le xerofite. Nella parte infe-
riore di questa regione cioè tra 1900-2500 m. abbondano le cactee ed in
quella superiore compaiono altri tipi, tra cui non poche forme spinose.
Le altre regioni del Puna o sono sterili, o albergano solo pochis-
sime essenze arborescenti assieme ad erbe.
La latitudine influisce molto sulla vegetazione. Cosi a Sud gli Alti
40 — LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Bacini sono rivestiti soltanto da poche Stipa, mentre al confine della
Bolivia le erbe arrivano a 3500-4000 m. e più a Nord gli stessi Alti Ba-
cini albergano suffrutici, erbe, torbiere.
Se noi ora passiamo in rassegna i vari settori del sistema monta-
gnardo rileviamo i seguenti dati:
Nella Cordillera di Ucayali alcune regioni elevate offrono il ca-
rattere di Puna. .
AI di la dei passi del West si incontrano praterie e formazioni
a tipo cespuglioso, mentre sulle pendici rivolte verso il Marafion non
mancano i boschi
Estesi Puna si trovano a N. W. di Cuzsco e sulle pendici della
Cordillera dell’ Est, mentre piuttosto aridi sono i fianchi delle valli
dell’Apurimach dove troviamo solo cespugli spinosi e Cactee. La step-
pa alpina compare in non pochi Alti Bacini di SO, mentre i Paramos,
con vegetazione erbacea o fatta di tipi spinosi, appaiono solo sulle alte
regioni.
Sulla Cordillera Branca trovansi non pochi Puna più o meno aridi
o di natura steppica, disseminati per lo più negli Alti Bacini.
Il Ramo Est della Cordillera West offre non pochi bacini lacustri
prosciugati, coperti per lo più di Cactee ed erbe, più di rado da boshi
(Cajaman). Taluni valloni sono però molto aridi e assumono perciò il
carattere di Puna. Le formazioni pratensi sono reperibili a 3200 e più
metri presso le sorgenti del Marafion, il quale nelle parti più basse,
al pari dei suoi affluenti, è ombreggiato da foreste. Queste sono pure
reperibili lungo i fiumi della Cordillera dell’Est.
Infine nel distretto di Montana troviamo che le regioni elevate,
ma non eccessivamente, sono coperte da praterie, mentre tra i 2300-
1100 m. le pendici cominciano a mostrarsi rivestite da fitte foreste con
vegetazione tropicale lussureggiante. Solo taluni valloni chiusi o le
località poco esposte agli Alisei presentano una scarsa vegetazione di
Cactee ed altre forme xerofite.
G) Bolivia
1. Costituzione orografia e geologica della regione — Nell'ambito
della Bolivia la catena andina si dilata notevolmente (700 Km. tra Tao-
`
STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC : 411
na e S. Cruz) formando così un altipiano centrale con tipo di Puna
(ad un'altezza di circa 3600 4000 m.), percorso da catene parallele nelle
quali sono disseminati dei coni vulcanici che colle eruzioni colmarono
le valli.
L'altipiano è fiancheggiato, dal lato Pacifico, dalla Cordillera del
West, dal Jato opposto dalla Cordillera dell'Est che contribuisce in gran
parte alla sua formazione, essendo poco importante lo sviluppo di
quella West, disseminata pure a sua volta di alti coni vulcanici.
La Cordillera dell'Est è assai più antica di quella del West e
consta di gneis, schisti cristallini ed altre roccie paleozoiche a cui
tuttavia si sostituiscono all’ Est le formazioni mesozoiche. All'opposto
la Cordillera del West consta quasi del tutto di quest'ultimi terreni,
cui si associano le roccie eruttive.
Noi accenneremo qui brevemente alle particolarità più essenziali
dei singoli distretti montagnardi:
I. Cordillera dell? Est — La sua altezza oscilla fra 2000-3000 m.
a Est, ma verso l’interno raggiunge anche 6000 m. di altezza.
II. Cordillera di Cochabamba — E’ una formazione siluriana che
presso a Cochabamba si eleva fino a 5000 m. per abbassarsi, come le
altre catene, ad Est.
Nel dominio boliviano la Cordillera dell’ Est è, dal lato occiden-
tale, incorniciata da monti elevati, granitici ed antichi, o vulcanici,
i quali la separano in certo qual modo dal Puna West. L'altezza me-
dia di siffatti monti è di circa 4700 m., ma non pochi arrivano a 5200-
5300 m.
III. Cordillera di La Paz — Formata pure di terreni siluriani la
catena è molto elevata (Cerro de Guadalupa 5386 m.), e comprende
dei valloni molto profondi. Un’ altezza ancor maggiore raggiunge a
Nord (Illimani 6405 m.), ma poi torna ad abbassarsi alquanto a N.
E. di Sorata (5000 m.)
IV. I Puna — Campeggiano a circa 3700-4700 m. d'altezza eco-
stituiseono un territorio ondulato, geologicamente tanto più recente
quanto più si avvicina al limite occidentale, poichè noi troviamo sul
lato West i porfidi e il Rothsandstein, mentre all’Est predominano gli
schisti siluriani e devoniani impiantati sopra uno zoccolo granitico.
d
412 : LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Dalla Puna di Atacama si passa gradatamente alla Puna Bolivia-
na. Il territorio del lato Sud è formato di pianure e paludi salate; a
questa regione susseguono a Nord dei montiassai alti e delle formazioni
lacustri in via di lentissimo prosciugamento (Titicaca) che rendono più
o meno fertili le regioni. Noi abbiamo quindi a distinguere nelle Puna
un territorio aridissimo a sud, costituito di sabbia e disseminato di
alti coni vulcanici, e un altro fertile a Nord.
V. Cordillera del West — E’ mesozoiea, ma consta pure in gran
parte di roccie eruttive antiche. Le sue cime sono spesso coronate da
coni vulcanici. La catena si divide in due rami che più a nord si
fondono nuovamente elevandosi in pari tempo a grandi altezze (Oya-
gua 5865 m. Parinacota 6376 mi
2. Condizioni climatiche: temperatura e precipitazioni.
La temperatura non discende sotto 0° nella Puna di S. Pedro di
Atacama benchè la regione si elevi a quasi 3000 m. Dall’interno della
Bolivia abbiamo i seguenti dati termometriei.
DI
Huanchaca (4100 m.) 89.7 temp. med. an.: 12*.4 tem. med. est.: 4^.2 tem. med. inv.
Potosi (3960 m.) 99.4 » » » 1492. »" a Lo Did
La Paz (3659 m.) 10% a » E Lai gg ER Way X v»
Le escursioni termiche raggiungono 7°.7 a Huanchaco, 9°.1 a Po-
tosi, 7°.3 a La Paz, ma occorre aver presente che grandi sono le dif-
ferenze termiche nei siti esposti al sole rispetto a quelli ombreggiati,
e ciò in specie a La Paz.
Per le pendici Est della Cordillera è stato rilevato che a Sucre (2800
m.) la media termica annua arriva a 15°, con estremi medi di 17°.2
e 19°.2, mentre a Cocabamba (2560 m.) si hanno i valori rispettivi 16°,
19,2, 12°.8. Gli estremi assoluti sono forti (30°.2, 2°.7) e le oscilla-
zioni diurne arrivano a 25°.
(continua)
> iz RES ep
TACE
Dorr. A. BEGUINOT
Docente di Botanica presso la R. Università di Padova.
La Flora delle mura e delle vie di Padova
STUDIO BIOGEOGRAFICO
PREFAZIONE
La stazione ruderale ed urbica attrasse l’attenzione dei botanici
assai prima che Linné, circoscrivendola e definendola con le scultorie
parole: « Ruderata juxta domos, habitacula, vias ac plateas (1) Loca
dura ab animalibus stercorata, ealeata. Plantae fructibus saepius adhae-
rentibus (2) », ne redigesse un elenco delle piante che egli ritenne
più caratteristiche.
Ne è prova, per limitarci all’Italia, il poco noto « Catalogus plan-
tarum Amphitheatralium » pubblicato da Domenico Panaroli (1587-
1657) (3) che illustra le piante crescenti in quel maestoso ed impo-
nente rüdero romano, che è il ben noto Anfiteatro Flavio o Colosseo.
La prima edizione del Catalogo è difatti, come. vedremo, del 1643.
"Comunque però si sposti la data delle prime notizie sulla flora in
‘questione, è noto che prima e molto dopo di Linné ed anche in tempi
a noi recentissimi, la vegetazione urbica fu oggetto, più che altro, di
(1) C. Linnè, Philosophia botanica, Stockholmiae, Amstelodami, 1751, p. 269
'2) Id. Stationes plantarum in « Amoen. Acad., IV 1754), p. 64». Questo lavoro,
da molti attribuito a Linné, é in realtà del suo allievo A. Hedenberg, ma indubbia-
mente ispirato a quanto il maestro aveva già scritto nell’ opera sopra citata, nonché
nella Flora lapponica (1737), svecica (1755) ecc. Circa gli esempi da questi addotti
ed in generale sulla circoscrizione della stazione vedansi le acute osservazioni di Delpi-
‘no (Studi di geografia botanica secondo un nuovo eu in Mem. R. Accad. Sc. del-
— Plst. di. Bologna, ser. 5., tom. VII [1898] ).
(3) Ctr. la bibliografia nelle pagine seguenti.
414 DOTT. A. BÉGUINOT
elenchi o cataloghi più o meno accuratamente redatti, ma nei quali
domina la nota della curiosità e l’indirizzo esclusivamente floristico.
Con l’affermarsi e col progredire dell’analisi fitogeografica, le in-
dagini sulla flora ruderale vennero allargando gli stretti confini nei
quali erano state contenute, in considerazione sopratutto che dai luo-
ghi compresi o vicini al raggio d’azione di quel potentissimo ed irre-
quieto fattore che è l'uomo, numerose specie esotiche, casualmente in-
trodotte, presero le mosse per invadere e conquistare terreno mesco-
landosi all'elemento indigeno. La flora urbica, in senso largo, è inoltre
l’assieme di parecchie stazioni ed associazioni, che fermarono |’ atten-
zione per i caratteri di cui sono insignite. Sicchè in numerosi lavori
ad indirizzo fitogeografico sono date più o meno ampie- notizie sulla
loro struttura, sulle specie più frequenti, sulle affinità con altre sta-
zioni ad impronta più naturale e dettagli simili.
Ciò che ha segnato, nessuno verrà negarlo, un progresso nella diret-
tiva della ricerca.
D'altro canto, come in qualunque stazione, per artificiale che essa
sia, o che a noi piaccia chiamarla, le piante incontrarono in quella
ruderale (per quanto di recente costituzione) condizioni peculiari e ad
esse hanno reagito adattandosi, assumendo cioè caratteri che sono una
diretta od indiretta induzione dello speciale ambiente. Da ciò accenni,
in realtà sin qui scarsi, sui rapporti e sulle dipendenze di queste piante
col mezzo e l’opportunità manifestata da alcuni botanici di sottomet-
tere tutto il complesso della flora ruderale al lume dell’indagine bio-
logica: indagine che ha condotto e condurrà, col disvelarei le condi-
zioni e la finalità degli adattamenti in questione (spesso più complessi
di quel che a prima vista potrebbe sembrare), a determinare le leggi
che presiedono l'affermarsi ed il mantenersi di un così singolare con-
sorzio floristico.
Nel riunire le notizie sulla flora rederale ed urbica di Padova, i
criteri floristici, fitogeografici e biologici, che segnano, come si rileva
da quanto sopra fu detto, i momenti principali dell'evoluzione storica
di questa ricerea, e, potremmo dire, generalizzando, degli studi tutti
sulle lore, furono tenuti presenti e convenientemente equilibrati, on-
de mettere assieme un quadro, nonostante le deboli mie forze, com- —
SAGRE,
*
He ASI
LA FLORA DELLE MURA E DELLE VIE DI PADOVA 415
pleto ed armonico. Il lavoro consterà, quindi, dopo gli opportuni cenni
storici e bibliografici, dell'elenco delle specie a seconda che furono
raccolte sulle mura, lungo le vie e piazze, ed in genere in luoghi cal-
pestati (eliminandone invece quelle crescenti lungo gli argini del Bae-
chiglione, negli orti e delle più rare o circoscritte dando dettagliate
indicazioni di località e di raccoglitore); di considerazioni fitogeogra-
fiche sulla composizione e struttura della flora, sull'origine e la pro-
venienza degli elementi (in rapporto sopratutto con la controversa ef-
ficacia della disseminazione a distanza, di cui i ruderi padovani sono
patente dimostrazione): e del rilievo biologico dei principali adatta-
menti in rapporto ai fattori locali, val quanto dire lo studio del po-
limorfismo e delle cause che lo generano e lo esaltano. Queste due
ultime parti, le meno ias ed approfondite, saranno oggetto di
più ampio e minuto esame.
Non ho la presunzione, nonostante le migliori mie intenzioni, di
avere fatto lavoro perfetto e senza mende; ma se fossi riuseito a deli-
neare qualehe nuova prospettiva e ravvivare l'attenzione dei botaniei
ad un argomento negletto, ma interessante, avrei raggiunto lo Scopo
ambito. E mi sia qui permesso di ringraziare il Chiar. Prof. P. A.
Saccardo che mi forni utili consigli pel lavoro, permettendomi inol-
tre di utilizzare materiali e libri dell'Istituto Botanieo da lui diretto.
Padova, Istituto Botanico, Novembre 1911.
Pa
416 DOTT. A. BÉGUINOT
Cenni storici e bibliografici
relativi sopratutto alla flora ruderale d'Italia
Come fu detto sopra, la flora ruderale ebbe, specialmente nello scorso
secolo, numerosi contributi. Senza pretendere di qui redigere una comple-
ta bibliografia non posso a meno di non ricordare per la Francia i lavori
di Lepage (1), Vallot (2), Richard (3), Gagnepain (4), Chevalier (5), per la
Svizzera la recente ed accurata monografia di Naegeli e Thellung (6),
per la Germania le memorie del Caspary (1), Hellwig (8), Barnéwitz (9),
(1) Cfr. Ch. Chatin, Rapport présenté à l'Académie de Médecine sur là mémoire
de M. Lepage « Plantes da vieux cháteau et des environs de Gisors. Paris, 186: ».
(2) J. Vallot, Essai sur la flore du pavé de Paris, limité aux boulevards exterieure, ou
Catalogue des plantes qui croissent spontanément dans les rues et sur les quais, suivi d'une
florule des ruines du Conseil d' État. Paris, 1884. Sur les modifications de la flore des rui-
nes du Conseil d' Etat de 1883 a 1884, în « Bull. Soc. Bot. Franc, XXXI (1884),
p. 321 ». Herborisation dans les rues de Paris in « Science et Nature, 1. III 1884 ».
Herborisation dans les rues de Paris in Daller « Monde des savants du XIXme siècle,
Paris, 1889 ».
(3) R. Richard, Florule des clochers et des toitures des églises de EM (Vienne).
Paris, 1888.
© (4) F. Gagnepain, La végétation sur le lactier des haut-fourneaux in « Bull Soc.
d’Hist. Nat. d'Autun IX (1895), p. 17 ». Végétation calamicole et murale des environs de
Cercy-la-Tour (Nièvre) « ibid. X (1897) 2. parte, 230 ».
(5) A. Chevalier, La Flore adventive des ruines du Cháteauf féodal de S
in « Bull. Soc. Linn. de Normandie, ser. V, I (1897), p. 57 ».
(6) O. Naegeli u. A. Thellung, Die Flora des Kantons Zurich. I Teil: Die Ruderal-
und. Adventivflora des Kantons Zurich « Sond.-Abdr. aus Jahrg. L (1905) d. Vierteljahrsschr.
d. Naturf. Gesellsch. Zurich. ».
(7) C. Caspary, Flora des Kôlner Doms in « Verandl. d. Naturuiss. Ver. d. preuss. |
. Rheinlande u. Westphalens, XVII (1860), p. 331 ». i
(8) F. Hellwig, Über den Ursprung der Ackerunkräuter und der Ruderalflora Deut-
schlands in « Engler’s Bot. Jahrb. VI (1886) p. 343 ».
(9) A. Barnéwitz, Die auf der Stadtmauer von Brandenburg A. H. wachsende Pflan- ` i
zen in « Verh. bot. Ver. d. Prov. Brandenburg, XL (1898). Abhandl. p. 97 ». E.
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LA FLORA DELLE MURA E DELLE VIE DI PADOVA i 417
Zimmermann (1) per la Svezia del Lindman (2) e del Sylven (3) ecc.
Conspicuo è il contributo dei botanici italiani che con il Pana-
roli possiamo considerarli come iniziatori di queste ricerche. E credo
opportuno di dare qualche cenno bibliografico dettagliato sulle memo-
rie che a mia conoscenza vennero sin qui pubblicate.
I. Domenico PanaroLI (Roma 1587-1657).
1. Jatrologismi sive Medicae Observationes quibus additus est in fine
lantarum Amphitheatralium Catalogus. Romae, Typis Dominici
Marciani, 1643 (4).
Questo catalogo comprende 337 specie disposte alfabeticamente,
‘ tutte crescenti nell'Anfiteatro Flavio, alcune indicate col solo nome ge-
nerico, altre con una specie di nomenclatura binomiale, altre con una
" brevissima frase diagnostica. Per quanto non sia che un elenco di
nomi di piante, non tutti riportabili all’attuale nomenclatura, il lavoro
H
merita considerazione poichè è il primo che tratti della flora murale
(1) F. Zimmermann, Adventiv-und ‘Ruderalflora von Mannheim, Ludwigshafen und
der Pflalz nebst den seltneren einheimischen Blütenpflanzen und des Gefässkrypiogamen,
Mannheim, 1907.
(2) C. Lindman, Karlvaxifloran pa Visby ruiner, in «fvers. af k. Sv.Vat.-Ak. För-
handl., 1895, n.
(3) N. sa sro floran i Torne Lappmark in « Bot. Not. Lund 1904, p. 117».
(4) Altre edizioni sono quelle del 1647 in « Polycarponia seu Variorum fructuum
labores etc. Romae, apud Jo. Bapt. Roblettum », del 1652 in « Jatrologismorum seu
Medicinalium Observationum Pentecostae Quinque etc. Romae, apud Franciscum Mone-
tam » e del 1654 in « Praeludium de necessitate Botanices. Hanoviae ». Cfr. per altri
- dati sulla biografia e bibl ografia del Panaroli in Pirotta e Chiovenda, Flora Romana in
«Ann. d. R. Ist. bot. di Roma, a. X, fasc. 1 (1900), p. 108-113». Questi (op. c. p. 143)
scrivono che anche G. B. Triumfetti aveva preparato un catalago delle piante del Co-
losseo, che non vide però la luce, mentre dati relativi a questa flora ed a quella di
altre ruderi romani sono consegnati nel « Catalogo delle piante native del Suolo ro-
mano etc. » di G. G. Roggieri e che vide la luce nel « Teatro Farmaceutico, Dogma-
tico e Spagirico » di G. Donzelli; ma sul quale, onde non allargare gt la nosrra
. . rivista bibliografica, non crediamo opportuno di soffermarci.
E cosi dicasi di altre opere (e sono numerosissime) nelle quali incidentalmente
possono trovarsi dati su piante ruderali od We
418 DOTT A. BÉGUINOT
di un territorio ben delimitato e che, come vedremo or ora, attirò
l' attenzione di altri botanici e può considerarsi per uno dei meglio
noti per la costituzione e le vicende della sua vegetazione.
II. ANTONIO SEBASTIANI (n. Riofreddo 1782, m. Aversa 1821).
2. Romanarum plantarum fasciculus alter. Accedit enumeratio plan.
tarum sponte nascentium in ruderibus Amphi heatri Flavii. Ro-
mae 1815, Typis Pauli Salviucci et filii.
E’ un elenco alfabetico di 271 vascolari crescenti spontanee sui
ruderi dell’ Anfiteatro Flavio, e va da pag. 23 a pag. 81 dell’opuscolo
sopra citato. Nel frontespizio, sotto il titolo, un’incisione raffigura lo sto-
rico monumento. Ciascuna specie è corredata di una breve diagnosi e
di qualche sinonimo e figura più importante: per le più rare o critiche
vi sono anche osservazioni dettagliate nelle quali rifulge il lucido in-
gegno dell’autore. Egli, però, nè ha giustificato il suo lavoro, nè ne
ha tratto alcuna conclusione. Ci limitiamo ad una sola, e cioè a con-
statare il numero notevole delle specie segnalate dal Sebastiani, pa-
recchie delle quali rare ed interessanti: Asphodelus fislulosus, Mal-
colmia maritima (raccolta da Sebastiano Rolli), Lavatera triloba,
Sedum dasyphyl'um, Thymus vulgaris, Trifolium pallidum, lappa-
ceum, maritinum, supinum etc.
III. Riccarpo Deakin (n... m. Tunbridge Wells. 1873).
3. Flora of the Colosseum of Rome; or, Illustrations and descrip-
tions of four hundred and (wenty Plants growing spontaneously
upon the Ruins of the Colosseum of Rome. London, Groombridge a. _
Sons, 1855.
L'A. nella prefazione dell'opera citata fa una breve storia del
Colosseo, segnala l'ampiezza dell'area atta alla vita delle piante, area
che gli ha permesso di trovarvi ben 420 specie, comprese in 253 ge-
neri e 66 ordini. Segue una chiave dieotomica per la determinazione
delle famiglie sec. De-Candolle, delle classi e dei generi sec. Linné, e
l'enumerazione delle specie che è sec. il sistema Candolleano. Ciascu-
na specie è corredata da una breve, ma abbastanza completa diagno-
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LA FLORA DELLE MURA E DELLE VIE EI PADOVA 419
si, rimandando l'autore per ulteriori notizie alla sua « Florigraphia
Britannica » ed alla « Flora romana » di Sebastiani e Mauri, mentre
l'opuscolo del Sebastiani è ricordato solo nella prefazione. Per alcune
specie sono date notizie sulle proprietà medıche o fatte osservazioni
`
. sistematiche di una critica molto discutibile. Il lavoro è fregiato di
tre vignette rappresentati tratti dal Colosseo, e di tre tavole ove sono
figurate alcune delle specie più rare e caratteristiche, e cioè: Anemo-
ne hortensis, Asphodelus fistulosus, Cerinthe aspera, Capparis spi-
nosa (che per noi è Cupparis rupesiris), Ornithopus scorpioides e
Puliurus aculeat.s. Alla pag. 219 è descritta una specie nuova la Fe-
stuca romana Deak. da riportare al ciclo di Vulpia Myurus.
Il numero delle piante è assai più elevato di quello del Sebastia-
ni ed anche dell’elenco redatto in seguito dalla sig.ra Fiorini-Mazzanti,
numero che l’autore nel testo ha ancora aumentato portandolo a 510.
Parecchie indicazioni però ci sembrano inammissibili o dubbie, come
Linum catharticum, Iberis pinnata, Biscutella hispida, Cytinus Hy-
pocistis, Saxifraga granulata, Cistus salvifolius, Vicia onobrychioides,
Bupleurum rotundifolium, Oenanthe peucedanifolia, Epilobium mon-
lanum, Bellium minutum, Chrysocoma Linosyris, Artemisia argen-
tea, Filago minima, Wahlenbergia hederacea, Campanulu rotundi-
folia, Asperula odorata, Lycopus exaltatus, Odontites lutea, Mercu-
rialis perennis, Crocus minimus, Nurcissus poëlicus, Cares depau-
perata, Briza media, Elymus europaeus ecc.
Del lavoro seritto in inglese e rinchiuso in veste elegante e sug-
gestiva è facile intuire lo scopo. Quel che è certo è che esso appare
condotto con scarsa critica ed ha medioere interesse scientifico.
IV. ELISABETTA FIORINI-MAZZANTI (n. Terracina 1899, m. Roma 1879).
4. Florula del Colosseo. « Atti dell’ Accademia Pontificia de’ Nuovi
Lincei ». Comunicazione I-III. tom. XXVIII (1875), IV e V tom.
XXIX (1876); VI tom. XXX (1811); VII. tom. XXXI (1878).
Nelle sette comunicazioni sopra riportate l’A. ha elencato quanto
P P q
le venne fatto di raecogliere in pareechi anni di seguito e con eura
minuziosa nei ruderi del celebre monumento, della cui flora rimpiange
la distruzione causa, come Ella scrive, la cupidità archeologica che
450 DOTT. A BÉGUINOT
tolse... al monumento le sue poetiche e pittoresche bellezze, ed al
botanico il pascolo dei suoi studi... Ricorda le precedenti flore del Se-
bastiani e del Deakin, della quale ultima pone in dubbio il numero
troppo elevato delle specie.
Dalle sue ricerche risulta che il numero totale, comprese le cellu-
lari, vegetanti negli anni 1875-1878 era di 350, di cui 281 vascolari.
Di ciascuna specie l'A. ha dato una diagnosi abbastanza completa, i
sinonimi dei principali autori, ed ha fatto una serie di osservazioni
critiche nelle quali rivela la sua competenza, specialmente per quanto
concerne le erittogame. Anche nell’ indicazione dell'habilat dà notizie
minute e dettagliate, ma disgraziatamente, come gli altri autori pre-
cedenti, non trae altre conclusioni dal suo d ligente lavoro all’infuori
di quelle sistematiche. Fra le specie più rare ricordiamo: Aspnodelus
fistulosus, Sedum dasyphyllum, Colutea arborescens, Meliloius neapo-
lilana, Lavatera cretica, Heliotropium tenuiflorum e Bocconei, Teu-
crium flavum, Prasium majus ecc.
V. A. Haro (sec. XIX).
5. Catalogue des plantes phanérogames qui croissen! spontanément
dans la ville de Rome. Nancy, 1878.
L'A. in un breve preambolo serive che durante il suo soggiorno
di tre anni in Roma (1861-1863) ha raccolto «intra muros» più di 400
specie. Di tale ricchezza di vegetazione urbana trova la ragione nel
largo sviluppo che vi hanno gli orti, vigne, e giardini spesso mal
governati, i luoghi inabitati od abbandonati, le rovine in preda a lenta
distruzione, nell'abbondante e fertilissimo humus e detrito di ogni sorta,
e nell’ abbandono in cui erano tenute le vie, le piazze, ed il Tevere
in quei tempi non ancora infrenato da argini in muratura. Noi ag-
giungiamo che alla ricchezza del catalogo (che del resto occupa ap-
pena 11 pag.) contribniscono molte indicazioni desunte dal lavoro del
Sebastiani, di cui il suo vorrebbe essere un complemento, e dalla Flora
romana del Sanguinetti, che lo diresse nelle ricerche. Le località più
ricche di specie dall" A. visitate sono: il Colosseo, il Testaccio, i giar-
dini di Sallustio, le terme di Caracalla, il Palatino, le terme di Tito,
LA FLORA DELLE MURA E DELLE VIE DI PADOVA 421
il Gianicolo, il Vaticano (e perciò anche extra muros!) e l'Aventino, e
le specie più notevoli ci sembrano Lagurus ovatus, Glaucium luteum,
Scrophularia grandidentata, Che'ranthus fruticulosus, Geranium tube-
rosum, Lavatera arborea, Vicia silvatica, Colutea arborescens, Trigo-
nella Pes-avium, Astragalus hamosus, Artemisia arborescens, Parietaria
lusitanica.
VI. AGosTINO Goran (n Nizza 1835, m. ivi nel 1909).
6. Appunti botanici. Estratto dalla «Cronaca alpina (1879-1880)»
Verona 1880.
1. Una decuria, e più di piante raccolte od osservate entro alla città
di Verona. « Bull. Soc. bot. ital., 1593 pag. 456 ». |
Nel primo lavoro UA. scrive (pag. 4) che «in una data regione
si possono ammettere o meglio considerare due Flore. La prima, che
io direi attuale, è costituita dalla somma delle forme vegetali che
effettivamente crescono in essa: la seconda, che dire si potrebbe. vir-
tuale, abbraccia queste non solo, ma quelle altre financo che nella
regione stessa potrebbero vivere e- moltiplicarsi. » E tra le flore dove
più frequente hanno luogo cambiamenti periodici, cita quella dei muri,
ruderi e strade, ricordando esempi di piante rare e di subitanea com-
parsa o scomparsa pel veronese.
Nel secondo lavoro l'A. serive che « sarebbe opportuno fare tratto
tratto un censimento delle varie forme vegetali che compaiono nei
luoghi abitati, le osservazioni coudurrebbero ad importanti indagini, e
getterebbero luce non poca sul fenomeno importantissimo delle va-
riazioni che avvengono nelle Flore locali, e sopra’ quell’ innegabile
movimento delle forme vegetali, al quale in altre scritture ha dato
la denominazione di viaggio delle piante ». Passa quindi ad illustrare
una trentina circa di specie indigene od esotiche da lui constatate entro
la città di Verona.
Il Goiran che, come è noto, per oltre un trentennio e con ceno-
bitica perseveranza fece conoscere attraverso, una frammentaria. pro-
duzione i tesori della flora veronese, ha raccolto numerosi dati per una
flora urbica di Verona riassunti nel suo « Prodromo.». Ma allarghe- -
422 DOTT. A. BEGUINOT
remmo troppo i confini del nostro lavoro se volessimo dettagliatamente
oceuparcene.
VII. CarLo DE MARCHESETTI.
8.Florula del Campo-Marzio. «Boll. Soc. Adriat. Seienz. Nat. in Trie-
ste, vol. VII, fase. 1. 1882».
3
Il Campo Marzio è una località vicino a Trieste ove vennero de-
positati per molti anni di seguito rifiuti e zavorre. Ciò spiega la sua
ricca e svariata flora (considerata l’angustia dell’ ambiente) ed il nu-
mero notevole di specie esotiche. Dal catalogo citato risulta difatti
che negli ultimi 40 anni, vennero osservate non meno di 650 specie,
delle quali una centuria e mezzo fluttuante, un centinaio mancanti
nel resto del territorio di Trieste, circa 500 stabili. Questo elenco
richiama alla mente la celebre vegetazione del porto Giovenale presso
Montpellier, e quindi una flora in piccola parte urbiea, in grande parte
d’origine avventizia. Argomento nel quale, onde non allargare molto
l'ambito delle nostre ricerche, non ci estenderemo.
"VIII. Lucio GABELLI.
9. Flora ruderale. Appunti di Geografia Botanica. « Riv. Ital. di scienze
naturali; anno XIV, n. 1 (1 genn. 1894)».
10. Notizie sulla vegetazione ruderale della città di Bologna. «Malpi-
= ghia, VIII (1894), pag. 41».
11. Della flora ruderale in generale ed in particolare della vegetazione
urbica. Estratto dal periodico «Il pensiero Aristotelico ecc.» anno
I, fasc. Luglio-Dicembre 1900 (con tre tavole).
L’A. nei tre lavori citati prende le mosse dalla vegetazione urbica
di Bologn., che risulta di 176 speciee parecchie varietà La confronta
con quella della provincia e ne ricerca l’ affinità con l'alpina, con la
florula dell’alveo dei fiumi, e del littorale marino. Vi distingue 4 tipi
biologici di piante: le marginali, le stradali o plateali, le murali, e le
tetticole, dimostrandone gli adattamenti, ed accuratamente indagandone
al lume della biologia il polimorfismo. Quanto alla frequenza, le ru-
derali sono distinte in caratteristiche ed avventizie, e queste a seconda
LA FLORA DELLE MURA E DELLE VIE DI PADOVA 423
che provengono dalla flora indigena, ovvero da quella coltivata. Altre
considerazioni sono dedicate dall’A. sulla loro introduzione, sui mezzi
di propagazione (e cioè inconsapevolmente con l’uomo, o con i mezzi
propri di disseminazione) e sui principali tipi di consociazione. Nota
che non v' è nessuna forma ereditaria, ma ciò nulla toglie, sec. PA.,
all’importanza dello studio di questa flora. Le tre memorie citate rap-
presentano, a mio parere, quanto di più elaborato sia comparso sin qui
in Italia sull'argomento.
IX. FABRIZIO Cortes! e LORENZO SENNI.
12. Contributo alla flora ruderale di Roma. «Bull. Soe, Bot. Ital., 12
Aprile 1896, pag. 98-102».
3
Il lavoro è preceduto da una breve prefazione nella quale gli au-
tori, fatta risaltare |’ importanza che avrebbe uno studio della flora
ruderale di Roma, eccezionalmente ric a, ed accennato ad alcuni dei
lavori che la illustrarono (Sebastiani, Fiorini-Mazzanti e Deakin) enu-
merano una prima centuria di specie da essi trovate sui muri e tra
queste meritano menzione Allium suaveolens, Euphorbia Characias,
Colutea arborescens, Centranthus ruber, Phagnalon rupestre (detto co-
mune), Parietaria lusitanica ecc. :
X. G. B. TRAVERSO.
13. Flora urbica pavese. Catalogo delle piante vascolari che crescono
spontaneamente nella città di Pavia. «Nuov. Giorn. Bot, Ital.,vol.
V (1898), pag. 57 e vol. VI (1899), pag. 241».
L’A. enumera due centurie di specie crescenti nella città di Pavia,
indicando per ognuna di esse la stazione, ed allegando quadri che ne
rappresentano l’epoca di fioritura. Osserva che all’ introduzione e dif-
fusione di molte specie anche rare in determinate località contribuisce
l’uomo stesso, e che le piante crescendo in ambiente diverso dal loro
ordinario subiscono modificazioni non indifferenti: ma nessun dato di
fatto conforta questa seconda asserzione. Devono essere rivedute e com-
pletate le determinazioni di Draba verna, Thlaspi Bursa-pastoris, Stel-
laria media, Arenaria serpyllifolia, Crataegus Oxyacantha, Centaurea
424 DOTT. A. BÉGUINOT
paniculata, Taraxacum vulgare, Parie'aria officinalis, Sagina apetala,
Myosotis palustris, Chenopodium album. Ci sembrano importanti le sta-
zioni di Potentilla argentea, Helichrysum angustifolium, Iris pallida,
Bartsia latifolia, Tragus racemosus, Centaurea paniculata (tipica ? )
e fra le specie avventizie o naturalizzate Fragaria indica, Mollugo
cerviana e Seen, Galinsoga parviflora, Lycium chinense, Acalypha
virginica ecc.
XI. Paoto DAMANTI,
14. Proemio ad una flora murale dei dintorni di Palermo. « Rend. Congr.
bot. naz. Palermo, Maggio 1902» Palermo, 1903, pag. 190.
L’A., fatto notare che la Sicilia e Palermo mancano di una flora
urbica, traccia le linee del lavoro col quale si propone di completare
la lamentata lacuna. A differenza dei botanici che, a parte qualche
onorevole eccezione, trattarono l’argomento dal punto di vista esclusi-
vamente floristico e sistematico, l'A. si ripromette di imprimergli indi-
rizzo biologico, ponendo in rilievo gli adattamenti delle piante urbi-
che in confronto di quelle crescenti nelle stazioni normali dei dintorni
di Palermo ed i tipi biologiei eui vanno rieondotte. Lodevole trama di
lavoro che DA. non ei consta abbia sin qui svolto, come era da au-
gurarsi.
AM. FRANCESCO De Rosa.
15.Contributo alla flora murale e ruderale di Napoli. «Boll. Soc. Nat.
in Napoli, vol. XIX (1905), pag. 219 ».
E un eleneo di 144 piante erescenti in luoghi vari della città di
Napoli ed immediati dirtorni, eon indieazione dettagliata del luogo
ove l'A. l'ha vedute o raccolte. Come conclusione del lavoro, VA. fa
osservare che il maggior contributo alla flora urbica di Napoli è dato
da famiglie e da generi notoriamente più ricchi, come siano rari i casi
di consociazione, scarse le perenni ed arboree, predominanti le annuali,
costanti e caratteristiche aleune capitate per mero caso, ed acciden-
tali altre. ll prof. De Rosa riconosce nel vento il principale agente di
disseminazione, non trascurabile però. l’ azione degli animali (uccelli,
LA FLORA DELLE MURA E DBLLE VIE DI PADOVA 425
formiche) e dell’uomo, il quale interviene in vario modo e bene spesso
con la coltivazione di piante ornamentali sopra lastrici e terrazze.
Notevole è il rinvenimento di parecchie rupicole-alofile, quale Ma-
thiola incana e rupestris, Brassica fruticulosa, Alyssum maritimum,
Crithmum maritimum, Scabiosa crenata, Artemisia arborescens, Helich-
rysum litoreum ete.
XIII CarLo Cozzi. i
16.Contribuzione alla flora murale. «Boll. del Natural., Siena, a. XXVI
(1906), p. 74».
E un elenco di un centinaio di specie dall A. osservate sui muri
di Abbiategrasso con qualche osservazione sul contibuto che dànno
alla florula le varie Famiglie e sulla frequenza di qualche specie.
17.La Flora urbico-muraria del Gallaratese. «Atti Soc. Ital. Se. Nat.,
Milano, vol. L (1911), p. 283».
Enumerazione di un centinaio di piante riscontrate dall’A. in va-
ri paesi del distretto di Gallarate. L'A. fa osservare che la stazione -
urbiea merita di riehiamare l'attenzione degli studiosi anche per gli
adattamenti che vi assumono le piante, che distingue in ombrofili (no-
me per me inesatto e che il Wiesner ha usato in tutt'altro significato
e cioè adattamento alla pioggia) ed in eliofili. Notevole |’ habitat in-
solito di Potentilla Tormentilla, nota igrofilo-torbicola.
XIV. PIETRO CANNARELLA.
18. Flora urbica palermitana. Centuria I Bull. Soc. Bot. Ital., 1909,
p. 73; Centuria II ibid., p. 172; Centuria III, ibid., 1912, p. 23.
Illustra due centurie e mezzo di specie raccolte dall" A. sulle mura,
vie e piazze di Palermo con dettagliata indicazione di località e sta-
zione e qua e là interessanti osservazioni sulle varietà ed in generale
sul polimorfismo, che in talune specie appare assai esaltato (es. Hut-
chinsia procumbens, Sagina apetala, Arenaria serpyllifolia, Silene gal-
lica, Sonchus oleraceus e S. tenerrimus, Convolvulus arvensis).
19. Notizie sulla flora ruderale della Sicilia. « Boll. del R. Orto Bot.
e Giard. coloniale di Palermo, a. IX. fasc. 1-3 (1910), p. 55».
426 DOTT. A. BÉGUINOT
Comprende 590 specie e cioè quelle crescenti entro la città di Pa-.
lermo per la massima parte raccolte dall’ A. e quelle desunte dallo
spoglio di un eospieuo numero di lavori relativi alla flora ruderale e
delle isole adiacenti, dove sono indicate specie ruderali. Le quali l'A.
distingue nelle seguenti prineipali categorie: piante stradali, plateali,
ruderali p. d., tettorie, maceriali, murali e ruderali in senso largo. Di
ciascuno di questi gruppi il Cannarella studia la distribuzione nelle
Famiglie naturali, deducendone il percento cha ciascuna famiglia dà
alla florula. Segue l'enumerazione sistematica con la dettagliata desi-
gnazione di località e stazione delle circa 600 specie: numero cospicuo
e che dimostra di per sè il largo sviluppo che ha questo consorzio
floristico nella grande isola. Manca purtroppo uno studic dettagliato
sugli adattamenti biologici e sui fattori del po'imorfismo,
Cenni sulle mura e vie di Padova
e sui botanici che contribuirono a farne conoscere la flora
Padova fu circondata dal mille in qua da varie cinta di mura (1).
La costruzione della prima, fatta a quanto sembra su avanzi di mura
più antiche, si iniziò per opera dei Carraresi nel 1195 e venne ulti-
mata nel 1339 da Ubertino di Carrara.
Così il Portenari, magnificandole, le descriveva (2): « le muraglie
vecchie girano tre miglia, le quali sono di tanta altezza che non solo
scoprono con gratioso spettacolo tutta la città, ma con scale portatili
è impossibile ascenderle e sono di tanta larghezza che due homini vi
| possono comodamente camminare al pari li merli nella sommità loro,
e parimenti sono tanto massicce e forti che nè gli arieti, nè altre
macchine militari antiche le potrebbero penetrare e se fossero terra-
(1) Cfr. Portenari, Della f-‘icità di Padova. Padova, 1623 — P. Martinati, Le mura
nuove di Padova e il guasto. Padova; 1860 (2. ed.) — G. Rusconi, Le mura di Padova.
Padova, 1905 — A. Medin, Un documento sconosciuto del secolo XVI sulle fortificazioni
at Padova in « Atti e Mem. dell'Accad. di Padova (1906) » — Fr. Ciotto, Nuuovo con-
-ributo per lo studio di malte antiche. Milano, 1906. ;
(2) Portenari, op. c, p. 8g. —
LA FLORA DELLE MURA E DELLE VIE DI PADOVA ^ 427
pienate, secondo la usanza delle muraglia moderne, farebbero anche
gran resistenza all’artigliarie », e così enfaticamente concludeva: « in-
somma per muraglia antiche non hanno pari in bellezza nè in for-
tezza in tutta Italia nè forse in tutta Europa ». Una seconda ed in ©
alcuni punti triplice cinta venne costruita dalla repubblica padovana
nel 1258 e continuata dai Carraresi. Abbandonata in seguito all’opera
demolitriee del tempo. ed all’ usurpazione dei privati, attualmente si
ammirano avanzi solo della prima cinta, specialmente nei pressi dei
ponti Molino ed Altinate. Una insigne muricola (caso strano) la Cam-
panula pyramidalis è ad esse legata ed il botanico può da essa rico
noscerle.
Caduta Padova nel dominio della repubblica di Venezia, vennero
iniziate opere varie di fortificazione e bastioni, prima dell’ assedio
del 1509 semplicemente in terra battuta, con le fondazioni nel fosso
sopra pali e tavoloni (e Marino Sanudo nei suoi D/ari [vol. IX, col.
XXXVI] sotto la data 8 Agosto 1509 così ne scrisse «... in Padova
tuttavia si fortifica. Hanno molti hominivillani che lavorano cridando
« Marco, Marco » e vuluntiere, repari e bastioni atorno et maxime a,
la Sarasinescha uno bello. Coalonga et ai Carmini si fortifiea molto
con do bastioni et repari. Item dentro le mure, da la Sarasinescha fino
a Ognissanti et la porta de Ognissanti e S. Zuane erano averte, ogi
stropade (otturate) solum do »). Dopo il celebre assedio eroicamente so-
stenuto, i bastioni furono ingranditi e rivestiti di robuste murature di
pietrame (trachite e mattoni), dapprima sotto la direzione L. Bartolo-
meo d'Alviano, quindi del famoso architetto Michele Sanmicheli. Pa-
dova venne così ad essere circondata da una nuova e potente muraglia
alla quale furono un pò alla volta aggiunti lavori architettonici per
armonizzarla con i crescenti progressi dell’ingegneria militare.
Le preoccupazioni del senato veneto essendosi in seguito rivolte
sopratutto a proteggere i possedimenti di Venezia in Levante contro
le incessanti minacce dei turchi, Padova, come altre fortezze venete,
fu abbandonata alla sorte e le sue fortificazioni risentirono l’opera del
tempo e gli attacchi dell’uomo.
Per quanto, però, prive di alcune delle opere di difesa, in qualche
punto abbassate, in qualche altro aperte per facilitare il transito, tal
498 e DOTT. A. BÉGUINOT
poderosa cinta, che oggidi ha perduto qualunque valore difensivo, re-
sta in grande parte ed è appunto su tale cinta che vennero raccolte
da noi e da altri la massima parte delle piante che compongono il
catalogo. Parecchie, come sarà detto a suo luogo, provengono dai ru-
deri dell’Arena: poche da altri muri interni della città.
Poco è a dire sulle vie e piazze in grande parte lasiricate ma
con ciottoli arrotondato-angolosi nei cui interstizi pullulano numerose
specie. E' bensì vero che nel bilancio comunale è posta annualmente
una somma per la estirpazione delle stesse dai luoghi più frequentati,
ma la tenacia con la quale questa plebe dei vegetali è avvinta alla
sua ingrata stazione frustra la buona volontà degli edili municipali e
rinnova periodicamente al botanico il pascolo delle sue ricerche.
La flora ruderale ed urbica di Padova non fu oggetto di speciale
ricerca. Tuttavia parecchi dati sono consegnati in opere a stampa, e
molteplici erbari, da me consultati, conservano piante raccolte special-
mente sui bastioni e sui muri, e restate inedite. Prima di passare al-
l’elenco, credo opportuno di riunirle ordinate cronologicamente in base
agli-autori che le hanno raccolte o segna late.
1. Luigi Squalermo detto Anguillara (c. 1512-1570) (1)
Euphorbia. Peplus Sisymbrium officinale
Sedum acre
2. Corrado Gesner (1516-1565) (2)
Satureja Nepeta
3. Pietro Antonio Michiel (c. 1510-1576) (3)
Chenopodium Vulvaria Sedum acre
4. Gioacchino Kammerer (Camerario) (1534-1598) (4)
Linaria Cymbalaria Mentha Pulegium
i (continua)
(1) Anguillara, Semplici etc. Vinegia, 1561.
(2) C. Gesner, Horti germanici etc. ap. Valerius Cordo « Annotationes in Pedacii
Dioscoridis etc. ». Argentorati, 1561.
(3) Dati desunti dal «Codice Erbario» conservato nella Biblioteca Marciana di Ve-
mezia.
(4) G. Kammerer, Hortus medicus et philosophicus etc. Francofurti ad Moenum, 1588
Dorr. CARLO BIANCHI
LE CELLULE MALPIGHIANE
nei tegumenti seminali delle RAMNACEE.
NOTA PRELIMINARE
Da Marcello Malpighi, che per primo le osservò, hanno preso il
nome di Cellule Malpighiane speciali cellule che si trovano a far parte
dei tegumenti seminali di famiglie naturali assai differenti. Loro ca-
ratteri principali sono la forma prismatiea, il forte e particolare ispes-
simento delle pareti, la loro reciproca posizione in grazia della quale
‚esse costituiscono uno strato continuo di cellule a palizzata, lo Strato
malpighiano. '
Ad imprimere un carattere affatto speciale a questi elementi, oltre
che la loro forma e disposizione, concorre la Linea lucida che consi-
ste in una fascia o linea luminosa che ne solea tutto lo strato, più o
meno profondamente, in direzione per lo piü parallela alla superfieie
del seme.
Sullo Strato a cellule malpighiane e sul curioso fenomeno che
esso presenta, la linea lueida, si sono rivolte da tempo le ricerche de-
gli studiosi, anatomici e fisiologi, ma benchè varie teorie siano state
emesse, la loro natura chimica, specialmente, e la loro funzione non
sono aneora ben definite.
| Secondo le ipotesi più accreditate si ammette che la linea lucida
sia dovuta ad una modificazione chimica della membrana. Il Mattiro-
lo (1), da uno studio diligente della linea lucida nei semi di diverse
(1) O. MarrrRoro -— La linea lucida nelle cellule malpighiane degl’ integumenti
seminali. Memorie della R. Accademia. delle Scienze di Torino. Serie II, Tom. XXXVII.
430 DOTT. CARLO BIANCHI
famiglie, trae questa conclusione: « La membrana cellulare nel decor-
so della linea lucida è sempre modificata chimicamente ». Tale modi-
ficazione, secondo IA. può essere di due sorta: modificazione in ligni-
na pura nelle Tiliacee, Sterculiacee, Malvacee, Cucurbitacee, Labiate;
modificazione in cellulosa chimicamente modificata avente caratteri tali
che si avvicinano a quelli conosciuti proprii alla lignina, nelle Papi-
lonacee, Mimosee, Convolvulacee, Cannee, Marsileacee.
Riguardo la funzione della linea lucida è noto come, in grazia
della sua intima struttura, ad essa si attribuisea il compito di conser-
vare una atmosfera di umidità attorno all’ embrione e di impedire nei
periodi di siccità, e specialmente quando si inizia la germinazione,
‚una troppo rapida sottrazione di acqua al seme (1).
È utile qui ricordare come, oltre a questa proprietà principale, si
| voglia assegnare alla linea lucida l’altra proprietà, opposta alla prima,
di impedire il passaggio dell’acqua dall’ esterno all’ interno di certi
semi per eui il fenomeno della germinazione non può compiersi. È un
fatto noto quello della resistenza od incapacità a germinare di alcuni
semi appartenenti a famiglie diverse, anche se posti nelle condizioni
più favorevoli di umidità e di calore.
Il Prof. Gola in una elaborata memoria (2) mette in evidenza
questo fatto e ne attribuisce la causa alla « particolare disposizione
delle cellule malpighiane le quali impediscono mutuamente l'imbibi-
zione ed il conseguente aumento di volume di una di esse ».
Contemporaneamente il Dott. G. D'Ippolito (3) studiando le cause
che determinano l’impermeabilità di alcuni semi di Leguminose, le
ritrovò risiedere nella speciale conformazione degli anelli pericanali-
colari della linea lucida delle malpighiane.
(1) Vedasi a questo riguardo: O. MarrrRoLo e L. BUSCALIONL — Ricerche ana- .
tomo-tisiologiche sui tegumenti seminali delle Papilionacee. Memorie della R. Acca
demia delle Scienze di Torino, Serie II, Tom. XLII, pag. 125.
(2) Dorr. Giuseppe Gora — Ricerche sulla biologia e sulla fisiologia dei semi a:
tegumento impermeabile. Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Serie .
II, Tom. LV.
- (3) Dorr. G. D’ Iprotrro — Sulle cause probabili che impediscono la germina-
zione dei semi duri nelle Papilionacee. Stazioni Sperimentali agrarie, ees Val XXXVII.
LE CELLULE MALPIGHIANE 451°
Pertanto la proprietä, dimostrata dal Prof. Todaro (1), che ha
l'aeido solforico concentrato di accelerare la germinazione dei semi:
duri delle Leguminose col permettere l’ingresso dell’ acqua attraverso
al tegumento, deve spiegarsi, secondo gli A.A. citati, per un’ azione:
dissolvente sulla sostanza degli anelli pericanalicolari della linea. lu-
cida e per una intensa disidratazione del tegumento.
I semi delle Leguminose hanno offerto un campo vastissimo a ri-
cerche anatomiche e fisiologiche sullo strato a cellule malpighiane;
Basti a questo proposito ricordare il classico lavoro dei Professori O.
Mattirolo e L. Buscalioni sui tegumenti seminali delle Papilionacee (2).
Ma oltre che nei semi di quella famiglia le cellule malpighiane sono»
state pure riscontrate in quelli delle Bixacee, Cannacee, Cesalpinee,
Convolvulacee, Cucurbitacee, Geraniacee, Labiate, Malvacee, Marsilia-
cee, Mimosee, Ninfee, Tiliacee e Ramnacee.
Per quest’ultima famiglia la presenza dello strato a cellule mal-
pighiane è stata notata nei semi di due specie soltanto da Godfrin, in
uno studio sul tegumento semin:le delle Angiosperme (3).
(1) F. Toparo — Azione dell’acido solforico concentrato su alcuni semi ed in par-
ticolare sui semi duri delle Leguminose. Stazioni Sperimentali agrarie, 1901, Volume
) de eh 7
L’ A. riferisce i riultati di una lunga serie di prove i quali stanno a dimostrare
che l’acido solforico concentrato decisamente accelera la germinazione dei. semi duri
delle Leguminose. Anche a conferma di ciò io posso affermare, basandomi su risultati
di prove di laboratorio da me eseguite, che l’acido solforico esercita la medesima azio-
ne stimolante sui semi a tegumento impermeabile delle Malvacee e delle Cistacee, semi
provvisti di strato malpighiano e di linea lucida. Resta ora da stabilire se questo rea-
gente si comporti nello stesso modo con tutti i semi il cui tegumento è provvisto -dî
strato malpighiano e di linea lucida. Questo fatto, se dimostrato vero, potrebbe servire
a chiarire meglio la natura chimica delle cellule malpighiane. Riferirò in una prossima
nota i risultati di prove che sto eseguendo a questo proposito.
(2) O. MarriroLo e L. BuscaLioni — Ricerche anatomo-fisiologiche sui tegumen,
ti seminali delle Papilionacee. Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino
Serie il, Tom. XLII.
(3) J. Goprrın — Étude histologique sur les téguments séminaux.des angiosper-
mes. Nancy (Imprimerie Berger-Levrault et Cie) 1880.
432 DOTT. CARLO BIANCHI
Dalla struttura del tegumento dei semi di poche specie (Rahmnus
catharticus L., Rhamnus frangula L., Zizyphus vulgaris Lam., Ceano-
thus amerieanus L.) l'A. ha tratto i caratteri per i tegumenti seminali
della famiglia. Cosi, basandosi su di essi, egli raeeoglie i semi delle
Ramnacee in due gruppi ben distinti:
1° Semi il cui tegumento è costituito da sei zone speciali per la
loro varietà e per la loro disposizione attorno a parti diverse della
mandorla. Questo tipo è rappresentato dal genere Rhamnus.
2° Semi il cui tegumento è composto di quattro zone di cui la
più esterna che costituisce la zona protettrice, è formata da uno stra-
to unico di prismi, in sezione tangenziale esagonali, disposti radial-
mente ecc.: le cellule malpighiane. Questo secondo tipo é rappresen-
tato dal genere Zizyphus.
A questo ultimo gruppo Godfrin aserive i semi di due delle specie
di Ramnacee da lui studiate; Zizyphus vulgaris Lam., e Ceanothus
amerieanus L, in cui appunto riscontra lo strato a cellule del Mal-
pighi.
Merita qui di essere rilevato il fatto che mentre Godfrin nota
nella specie Zizyphus vulgaris Lam. una linea lucida, nella specie
Ceanothus americanus L. che egli avvicina al Zizyphus per gli altri
caratteri del tegumento, trova invece una doppia linea luminosa, di
cui l’interna è più bianca dell’altra,
A questo proposito noterò che nelle mie ricerche non mi è stato
dato di poter osservare questo fenomeno di una linea lucida doppia.
Tanto nel Ceanothus americanus L. studiato dal Godtrin, come nelle
altre specie, di quello stesso genere, da me studiate, si osserva sempre
una sola linea lucida parallela alla superficie del seme e più o meno
sviluppata o profonda.
Osservo ancora, a proposito della struttura del tegumento del
Rhamnus catharticus L, che mentre Godfrin descrive quel tegumento
come costituito di sei zone, ad esso devono attribuirsene effettivamente
tre soltanto, poichè le tre prime descritte dal Godfrin quelle più
esterne, devono considerarsi come parti costitutive dell’ovario.
Avevo già notato l’errore in cui è caduto il Godfrin quando sono
LE CELLULE MALPIGHIANE 433
venuto a conoscere che anche il Brandza (1) seguendo lo sviluppo del-
l’ovulo è giunto alla stessa conclusione. Lo stesso A. dà inoltre una
chiara spiegazione dell’errore.
Egli afferma che nelle Ramnacee facilmente accade che: « pen-
dant le dévéloppement les assises les plus internes de la paroi ova-
rienne s'appliquent, dans certaines graines de cette famille, sur les
téguments séminaux, et comme plus tard le mésocarpe se résorbe, on
eroirait que toutes les parties dont la graine est entourée, aprés son
extraction de l’ovaire lui appartiennent en propre ».
Le ricerche bibliografiche, da un lato, le quali mi portarono a
conoscere che poco o nulla si è scritto sulle cellule malpighiane delle
Ramnacee; le osservazioni preliminari su diversi semi di questa fami-
glia, dall'altro latc, che man mano procedendo mi convinsero trattarsi
di semi di speciale interesse e tali da offrire un buon campo per nuove
ricerche, furono gli elementi che mi determinarono a continuare quelle
prime ricerche per fare poi uno studio completo di morfologia delle
cellule malpighiane nei semi delle Ramnacee.
Engler (2) divide la famiglia delle Ramnacee in 6 tribù cui ascri-
ve 46 generi ciascuno dei quali comprende un numero più o meno
grande di specie.
Eccettuati i generi Paliurus, Rhamnus e Zizyphus con poche spe-
cie della nostra flora, tutti gli altri appartengono prevalentemente alia
flora tropicale. Da ciò la difficoltà da me incontrata nel raccogliere
il materiale che ha dovuto servire alle mie ricerche.
Tuttavia in grazia della cortesia di parecchi Orti ed Istituti Bo-
tanici fra i quali mi è caro ricordare, perché mi inviarono materiale
prezioso di Erbario, il Museo Botanico della R. Università di Zurigo,
il Museo Nazionale di Rio de Janeiro, il Giardino di La Mortola, il
Giardino Botanico di Sydney, quello del Missouri, l'Erbario Nazionale
di Victoria (Melbourne), ed altri, mi è stato possibile raccogliere un
(1) BRANDzA — Dévéloppement des téguments de la graine. Revue générale de
Bot. t. III, 189r. -
(2) A. ENGLER -— Natürlichen Pflanzenfamilien. III 5.
484: DOTT. CARLO BIANCHI
numero assai copsiderevole di frutti e di semi. Fra essi si trovano
rappresentanti di tutte le 6 tribù dell'Engler e di 42 generi; comples-
sivamento 161 specie e fra esse alcune nuove e non menzionate da
Engler. !
L'importanza e la serietà degli Istituti surricordati mi permettono
di affermare che non vi puó essere dubbio sul salora sistematico dei
semi da me studiati. |
In apposito specchio ordinerd, ER la een dell’ En-
gler, le specie di Ramnacee esaminate.
RHAMNACEAE
TRIBU GENERE SPECIE
Maesopsideae Maesopsis Engl. i. Maesopsis berchemioides
Ventilago Gàrtn. (Pierre) En
Ventilagineae 2. Ventilago calyeulata Tul.
3. » eiocarpa Benth.
4. » ip rd ear
5. » fine ri Laws.
e 6. » sp.
Smythea Seemann. 7. Smythea macrocarpa Hemsl.
Zizypheae Paliurus Juss. 8. Paliurus Mesrine: Lam
» aust
Zizyphus Juss. 10 Zizy phts affinis Hemsl.
Endlichii n. sp
12 » guatemalensis.
13. » [amor Engl.
14. » helvolus Sond
15. » Kumskeri King.
16. » juj Lam
Iota lotus (L.) Willd
- 18. » mucronatus Willd.
19. > nummularius
(Burm.) Wight et Arn.
obtusifolius wot
oenoplia
rugosus Ee,
sativus Gaert,
GER
v Sé wv
Rhamneae
LE CELLULE MALPIGHIANE 435
24.
25
26.
Condalia Cav. 21.
Mierorhamnus Gray 28.
Reynosia Griseb 29.
Sareomphalus P. 30.
owne
Br
Rhmnidium Reiss. 31.
32.
Karwinskia Zucc. 33.
Berchemia Neck. i
Ramnella
iq.
Dallaehya F.v.Müll. 35.
Sageretia en 36.
Adolia Lam 37.
Rhamnus L. 40,
| d
Zizyphus Seleri Loes. u. sp.
spina Christi (L.)
Willd.
lgaris Lam.
Condalia lineata Gray.
Mierorhamnus erieoides Gray
Reynosia latifolia Griseb.
Sarcomphalus reticulatus
Rhamnidium claeocarpum
Reiss.
» revolutum
Karwinskia Humboldtiana
à Kth.) Zuce.
Berehemia volubilis (L.) D.C.
Dallaehya vitiensis (Seem)
F. v. Müll.
Sageretia Misna Brong.
Adolia arenicola (Casar) O.
Ktze (Scutia arenicola Reiss)
. Adolia buxifolia (Reiss) O.
Ktze (Scutia buxifolia Mart)
. Adolia myrtina (Burm)
Ktze (Scutia indica Brong.)
Ramnus alaternus D
» alpinus L. v. gran-
difoli
ifolia.
» ealifornieus Esch.
» earolinianus Walt.
» catharticus L.
» Clusii Wild.
urieus Pall.
à dahur
Prina polymorpha Reiss.
v. glabra)
. Rhamnus dahurica
(Frangula LI ae Reiss,
. pubescens).
. Rhamnus Deflireii Sfh.
» rob ia a Sak Tull.
frangu
ilicifolius Hellogy
infect
cdm Wall.
oleifolius Hook.
v v v v v
436 DOTT, CARLO- BIANCHI
55. Rhamnus E L'Hér
6.
5 » purshianus DC.
51. » sativus kee ?)
58. » serratus killd
59. » spathulaefolius
i isch.
60. » ES WER.
61.
Hovenia Thunb. 62. Hóvonik dulcis ‘Thunb.
Ceanothus L. 63. Ceanotus americanus L.
64. urreus Desf
65 » eordularus Kell
66 » cuneatus Nutt
67 » cuneatus Nutt
var. macrocarpus
68. » erassifolius Torr
69. » dentatus Torr et
Gray.
10. » divarieatus Nutt.
11 » Fendleri Gray
12 » huichagorare Loes
spec. vel var v
73 » integerrimus | Hook.
rn.
14. » ovatus Desf
15. » spinosus Nutt
16. » thyrsiflorus Esch
(er » velutinus Dougl.
Maerorhamnus
Baillon
Emmenospermum F. 78. Emmenospermum alphitonoi-
v. Muell. des F. v. Muell.
Noltia Reichb. 19. Noltia afrieana Beichb,
Schistocarpaea F.v. 80. Schistocarpaea Johnsonii F.
Muell . Mue
v
Colubrina Brongn. 81. Colubrina asiatica Brongr. et
ie
82. » Ehrenbergii
Schlecht,
83. » megocarpa R. (?)
84. » montana R. (?)
85 x
Cormonema Reiss. 86. Bi ovalifolia Donn.
Sm.
87. » spinosum Reiss.
LE CELLULE MALPIGHIANE 494
Phylica L.
Nesiota Hook
Lasiodiseus Hook
Alphitonia Reiss.
Pomaderris Labill.
Trymalium Fenzl.
; Spyridium Fenzl.
88. Phylica buxifolia (L.) Brongn.
89. » eall :
9 osa Thun
90. » cuspidata E. Z.
9L » excelsa Kendl.
92. ^ lasiocarpa Sond (?)
93. > oleoides DC.
94. > paniculata Willd.
95. » parviflora L.
96. > plumosa Thbg
97.» stipularis L.
98. Lasiodiseus Mannii Hook.
99. Alphitonia excelsa Reiss.
100. Pomaderris apetala Labill.
01. » aspera Sieb.
102. » Edgerleyi Hook
103. » elliptica Labill.
104. » phylieifolia
o
105. » roses ida Hook
106. » izy phoides.
107. Trymalium Sieg Reiss,
108. angustifolium
eis
109. » sE
110. » Daltoni F. v. «M.
111. » daphnifolium
Reiss.
HZ » ledifolium Fenzl
113. » Wiehurae Nees.
114. » sp.
115. Spyridium complicatum F, :
v.
116. » globulosum
enth,
Hdu» Laurencii Benth.
118. » ram F.
M.
119. » phlebophyllum
M.
120. » LA F.
121, » tridentatum
- (Stend) Benth.
122, » vexilliferum
Colleticae
Gouanieae
DOTT. CARLO BIANCHI
Cryptandra Sm.
Talguenea Miers
Trevoa Miers.
Retanilla Brongn.
Discaria Hook.
Adolphia Meisn.
Colletia Juss
Pleurasethodes
Weberbauer.
Gouania L.
pteron Kurz.
Reissekia Endl.
Helinus E. Meyer.
Crumenaria Mart.
123.
153.
154.
155.
156.
o
5.
; Colletia Zem Gill.
(Hook) Reiss.
Cryptandra amara Sm
var.floribunda M. e B. (?)
» div
aricata Reiss..
5. Talguen ea costata Miers.
. Trevoa trinervia Miers,
. Retanilla ephedra Brongn.
» striata Hook et
» sp. Ruiz (?)
. Disearia articulata Miers
ustralis Hook.
» discolor Benth. et
Hook
o
» doniana Benth. et
ook.
à ANNE Hn Wats
` infes
a Meisn.
insidiosa Reiss.
pubescens Brgn.
» serratifolia Vert:
; »` spinosa Lam.
. Pleuranthodes Hillebrandti
A
Teber
. Gouania adamantina King.
b
lanchetiana Miq.
» glandulosa Bor
» javaniea Miq
» latifolia
» leptostachya D
» longipetala Hemsl.
» petiolaris Reiss.
» tiliaefolia Lam.
» tomentosa Jacq.
Reissekia smilacina Ee
Ste
» cordifolia ei
Helinus lanceolatus Brand.
sca
CS Cramenaris choretroides
LE CELLULE MALPIGHIANE 439
Mart.
160. » polygaloides
Reiss.
Marlothia Engl. 161. Marlothia scoparioides.
Mi riservo di descrivere particolareggiatamente e di illustrare con
disegni le mie osservazioni, fra non molto tempo, ed anzi spero di
poterle meglio completare collo studio dei pochi semi che ancora mi
mancano.
Fin d’ora però mi pare lecito dedurre le seguenti
CONCLUSIONI
1. La maggior parte dei semi studiati sono provvisti di Cellule
malpighiane e di Linea lucida. Altri ne sono affatto privi. In alcuni
pochi, forse per non aver essi raggiunto un grado abbastanza elevato
di maturità, non mi è stato possibile osservare lo. strato malpighiano,
ma soltanto traccie di cellule malpighiane.
2. Lo Strato a cellule del Malpighi costituisce sempre l’epider-
mide del tegumento seminale. Esso poggia costantemente sulla zona
` colorata del tegumento stesso e spesso contiene REECH analoghi a
quelli di detta zona.
3. Le cellule malpighiane delle Ramnacee, a differenza di quelle
delle Leguminose, non sono mai sormontate da un cono più o meno
aguzzo.
4. L’inspessimento della membrana si inizia in corrispondenza
dell'angolo che le pareti laterali fanno colla parete frontale quindi
procede verso l’interno del seme in modo che la cavità va man mano
roccogliendosi alla base col procedere dell'impessimento e coll’avviei-
narsi della maturità del seme.
5. Il grado e il modo in cui si compie l'inspessimento della mem.
brana può variare da specie a specie e determina alcuni tipi diversi
di eellule. Cosi si hanno:
a) Cellule malpighiane con parete molto ege e cavità assai
ridotta, a forma di triangolo alla base, prolungantesi in un sottile ca-
nale che percorre la cellula longitudinalment: fino a risolversi nei ca-
#
440 DOTT. CARLO BIANCHI
nalieoli. Questo tipo è molto comune e si riscontra, fra gli altri, nei
generi Ceanothus, Pomaderris, Phylica, eec.
b) Cellule con parete meno inspessita e con cavità ampia a for-
ma di fiasco. Questo tipo è meno frequente del primo, si riscontra nei
generi Zizyphus, Trevoa, Crumenaria, ece.
c) Cellule con parete più o meno inspessita, crenata internamente
(in sezione longitudinale) ed a cavità anfrattuosa. Quest’ultimo tipo è
poco comune; è assai evidente nel genere Marlothia.
6. La Linea lucida generalmente è parallela alla superficie del
seme, in pochi casi è obliqua. Es: Gouania dominigensis L., Hovenia
duleis Thunb.
1. Per le diverse specie di un genere il tipo delle malpighiane
puó variare.
8. Lo stesso tipo di malpighiane è comune a più generi.
9. La lunghezza delle cellule malpighiane è direttamente propor-
zionale allo sviluppo del seme. Si trovano infatti elementi lunghissimi
nei grossi semi ad es. di Emmenospermum, Retanilla ecc.; brevi in-
vece nei semi minuti ad es. di Spyridium, Trymalium ece.
Altrettanto non può dirsi per lo spessore della. linea lucida.
Istituto Botanico di Parma, Dicembre 1911.
A. TROTTER E M. Romano
Primi materiali per una lichenologia Irpina
La lichenologia avellinese (1) non si ebbe sin qui alcuna speciale
illustrazione; tuttavia alcuni pochi licheni di questa regione figurano
in varie pubblicazioni dello Jarra, che così validamente ha contribuito
ad accrescere le nostre cognizioni sui licheni dell’Italia Meridionale ed
Insulare.
Le pubblicazioni dello Jarra, in cui appaiono licheni irpini, sono
le seguenti: Lichenum inferioris Italiae manipulus primus... tertius....
quartus... quintus (2) e Monographia Lichenum Italiae merid. (Trani
1889), la quale riassume la più parte delle indicazioni contenute nei
precedenti contributi. I materiali, oggetto di tali segnalazioni, in par-
te furono tratti dalla revisione degli erbari di BAGLIETTO, GASPARRINI,
GUSSONE, in maggior copia però provennero da raccolte fatte nell’ A-
vellinese dai professori Comes e Savastano. Avvertiamo inoltre che
nella recente Monografia dei licheni italiani, compilata dallo stesso
JATTA per la « Flora italica eryptogama », appaiono nuove indicazioni
di licheni avellinesi, le quali sono però tutte riferibili a materiale da
noi stessi raccolto ed a Lui comunicato per una revisione che Egli
con la massima cortesia volle concederci.
A complemento di queste scarse notizie bibliografiche vuol esser
ricordato : che la più antica segnalazione di Licheni irpini è dovuta
a CasaLE e GUSSONE, i quali, nel noto Rapporto della peregrinazione
(1) Ci riferiamo a quei confini amministrativi e topografici quali furono fissati da
uno di noi, in un lavoro preliminare sulla geografia botanica della regione (cfr. TroT-
TER, La fitogeografia dell’ Avellinese, Atti Congr. Natur. it., Milano 1906, pp.430-456).
(2) Nuovo Giorn. bot. it., v. VI, 1874, pp. 5-58; v. XII, 1880, pp. 199-242; v.
XIV, 1882, pp. 107-143; v. XVIII, 1886, pp. 78-114.
449 A. TROTTER E M. Romano
botanica eseguita nel Distretto di Avellino (1), segnalano sei specie di
licheni, integralmente ripetuti di poi nella Flora irpina di F. Cas-
SITTO; ehe infine, in epoca più. recente, qualche altra specie è di nuovo
segnalata dal Mirani nel suo Elenco di piante del Principato Ultra
(Avellino 1890).
Tutto sommato, le specie già edite non oltrepassano però la qua-
' rantina e noi leabbiamo a suo luogo riportate. Di molte di esse ci è
anzi possibile dare uua precisa conferma con la segnalazione di nuove
località avellinesi.
Il presente contributo, al quale altri faranno sèguito a cura spe-
ciale di uno di noi (Romamo), oltre arricchire le nostre conoscenze sulla
lichenolegia irpina e meridionale, allarga anche la distribuzione di
talune specie meno comuni di licheni italiani. Così vengono portati a
limiti assai più australi i confini di talune specie non indicate più
al sud dell’ Appennino Centrale, come Parmelia laevigata, Lecidea
emergens, Biatora albilabra, Biatorina minuta, Scoliciosporium Bagliet-
toanum, od anche del tutto ignote per la regione appenninica, come
Lecanora obscurata, L. tuberculosa, Caloplaca medians, C. Schistidii,
Gyalecta geoica, Lecaniella palycycla, Lecidea vorticosa, L. monticola.
Infine vengono segnalate aleune specie e varietà nuove per l'Ita-
lia, come Lecanora gangalea, Caloplaca pyrithroma, ed una del tutto
nuova per la Seienza, Lecanora puniceo-fuscescens.
Un altro risultato interessante delle nostre ricerche è altresì degno
di una particolare segnalazione.
È noto come i licheni, tanto in natura che allo stato di conser-
vazione, sieno tra gli organismi più refrattari a subir danni da parte
di altre erittogame o di insetti. Questo fatto, noto a quanti si occu-
pauo di studi lichenologici, è altresì registrato in molti trattati di li-
ehenologia generale e sistematica (2). ;
(1) Giornale Enciclopedico di Napoli, V. An. d’Assoc., t. II, 1811, pp. 129-186. -
I licheni alla pagina 168.
(2) Cfr. Jarra, Lichenes in FI. it. crypt. "E 27; BorsrEL, Nouvelle Fl. d. Lichenes,
p. XXX; ete,
n
PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA IRPINA 448
Orbene, nei dintorni di Avellino ci fu dato colpire un fatto inte-
ressante di parassitismo, luminosa per quanto eccezionale dimostrazione
che anche i licheni sono passibili di danni parassitari da parte degli
nsetti. Le cortecce di Tiglio, Castagno ete. sono frequentemente rive-
stite dai talli di Xanthoria parietina e Parmelia tiliacea, il cui colo-
rito caratteristico permette di distinguere tali specie anche da lungi.
In più luoghi però dei dintorni di Avellino ci fu dato osservare dei
talli qua e là provvisti di un colorito bianchiceio del tutto anormale.
Approfondita la nostra indagine, abbiamo potuto constatare che
tale colorazione era dovuta al fatto che in tali licheni mancava tutta
la porzione corticale colorata, mentre vi esistevano contemporaneamente
tracce non dubbie di una minutissima ma diffusa corrosione. Ci fu dato
poi di seoprire che l'autore delle corrosioni era un minutissimo in-
setto che in colonie viveva nella parte inferiore del tallo stesso, senza
abbandonarle, uscendone solo per recarsi nella parte superiore desti-
nata alla sua alimentazione. Questo insetto vive poi benissimo e si ri-
produce anche in cattività senza migrare, purchè lo si provveda di
corteccie rivestite dal tallo delle due specie di licheni già ricordate.
Questo curioso insetto, ascrivibile al gruppo dei Psodici (Copeo-
gnati) fu riconosciuto dallo specialista Dr. C. Rısaca per un nuovo
genere ed una nuova specie, e battezzato col nome di Anisopsocus li-
chenophilus (1).
La Leptode!la fuscipes Reut., insetto dello stesso gruppo, pare ab-
bia anelie abitudini analoghe, essendo stato raccolto sui licheni in
Finlandia; mancano però notizie più dettagliate sulle sue abitudini.
Le presenti raccolte ci avrebbero già permesso aleune considera-
zioni fitogeografiche, ma erediamo piü opportuno riserbarle ad un futu-
ro lavoro, allorquando i materiali saranno piü eopiosi e le nostre osser-
vazioni potranno acquistare di conseguenza una maggiore attendibilità. Ci
limitiamo solo a segnalare ehe i substrati lichenofori, che nell’Avelli-
nese offrono un piü abbondante materiale sono, all'infuori del terreno,
GG Bauen. ` « «Anisopsocus lichenophilus » nuovo vut eir trovato in Italia
Redia v. VI, 1910, pp. 272-281 con 8
444 A. TROTTER E M. Romano
tra le rocce, i ealearari del cretaceo, le arenarie ed i conglomerati del
terziario, quindi i tufi vulcanici grigio gialli; tra gli alberi, le cortee-
ce del Castagno, del Faggio e del Tiglio, quindi i rami delle Rosacee che
crescono selvagge nei boschi della regione montana, come il Cratae-
gus Oxyacantha e il Pirus Malus.
Avellino, decembre 1911.
HOMEOLICHENES Fr.
Fam. ErHEBACEAE Zahlbr.
1. Polychidiam muscicula ( Fr.) Krb. — Jatta, Syll. Lich. it.
p. 10, Lichenes in Fl. it. erypt. p. 57. — « Ad thallum Stictae glo-
meruliferae Fr. parasiticum, in Principato Ultra; Gussone in Herb. »
Jatta 1880 p. 240. ;
2. Placynthium corallinoides (Hoffm.) Jatta, Syll. p. 38, Fl. it.
crypt. p. 59. — Sulle rupi calcaree a M. Vergine, non comune, aprile
1909 M. Fagliese, Aquilonia, (M. Romano).
Fam. COLLEMACEAE.
3. Collema cristatum (Lgth.) Jatta, Syll. p. 23, Fl. it. crypt.
p. 94.—Sulle rupi ealearee dei monti di Bagnoli Irpino, aprile 1909
(A. Trotter), Valatrone, M. Vergine, aprile 1910 (M. Romano).
4. Collema furvum Ach., Jatta Syll. p. 20, FI. it. erypt. p. 96
et p. 910.— «Ad saxa TUNE in M. Celica; Comes e SavasTANO >»,
Jatta 1880 p. 239, an. 1889, p. 221. Frequente sulle rupi calcaree
umide a M. Vergine, marzo 1909 (M. Romano).
5. Collema pulposum Ach., Jatta Syll. p. 21, Fl. it. erypt. p. 90
« Ad rupes calcarias in M. Celica; Comes e SAVASTANO ». Jatta 1880
p. 239, an. 1889, p. 218.— Frequente sulla terra umida ai Cappuccini
presso Avellino e sulle rupi ealearee a M. Vergine, marzo 1909 (M.
Romano).
6. Sinechoblastus ciel Kab., Jatta Syll. p. 21, Fl. it. erypt.
p. 98. — « Ad truneos in M. Celica; Comes e Savascano». Jatta
1880, p. 239, ann. 1889, p. 223. Sulle cortecce di Tiglio ai Cappuc-
PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA IRPINA 445
cini presso Avellino, febbraio 1900 (C. Casali !); tra le rupi calcaree
al M. Fagliese, marzo 1909 (M. Romano) sui tronchi di Faggio al
Cervialto, luglio 1911 (A. Trotter e M. Romano), sui tronchi nel bo-
sco di Aquilonia, primavera 1909.
1. Synechoblastus Vespertilio (Trev.) Kob., Jatta Syll. p. 27,
Fl. it. erypt. p. 99. « Ad truneos Fagorum in prov. Avellino; Gaspa-
rini ». Jatta 1886, p. 112, an. 1889, p. 222. Frequente sulle corteccie
di Tiglio ai Cappuccini presso Avellino, marzo 1909 (M. Romano).
HETEROLICHENES Fr.
Fam. PARMELIACEAE.
8. Usnea articulata Hffm., Jatta, Syll. p. 52, FI. it. erypt. p. 143
« Ad terram Bosse, Prine. Ultra; Gussone ». Jatta an. 1874, pa-
gina 15.
9. Usnea florida Hffm., Jatta Fl. it. crypt.. p. 145. Usn. barbata
v. florida Fr. Jatta Syll. p. 53; « Ad truncos in M. Vergine; Gusso-
ne ». Jatta 1874, p. 15, an. 1889, p. 77; Usn. barbata Cassitto, Fl.
irp. Casale e Gussone, 1811, p. 168.
10. Usnea plicata Hffn. — Jatta Syll. p. 52, Fl. it. erypt. p. 144.
« Nelle selve, pendente dagli alberi ». Cassitto, Fl. irp. —-Frequente
sui Faggi nei boschi intorno al Piano Laceno, M. Cervialto, luglio
1909 e 1911 (A. Trotter e M. Romano). 5
ll. Evernia furfuracea Fr., Jatta Syll. p. 60, Fl. it. erypt. p.
157.—Frequente sulle cortecce dei Faggi nei boschi del M. Cervialto,
giugno 1905, aprile 1906, laglio 1911, (A. Trotter e M. Romano).
i 12. Evernia prunastri Ach., Jatta Syll. p. 60, FI. it. crypt. p.
158. « Sterilis ad truncos in silvis abellinensibus, vulgo Selve della
Piana (M. Cervone); Gussone ». Jatta 1880, p. 23, an. 1889, p. 80.
Lichen prunastri, Casale e Gassone 1811, p. 168; Cassitto, Fl. irp.—Fre-
quente sulle cortecce dei Castagni, Faggi ete. nei dintorni di Avellino,
Bagnoli, Cervialto ete. (4. Trotter e M. Romano).
13. Ramalina Calicaris Fr., Jatta Syll. p. 63, Fl. it. crypt. p.
446 A. TROTTER E M. Romano
165.—Sulle cortecce dei Faggi sul M. Cervialto, giugno 1905, luglio
1911 (A. Trotter).
14. Ramalina farinacea Ach., Jatta, Syll. p. 65, FI. it. erypt.
p. 170. Ramalina calicaricis var. farinacea (L.) Ach.: « Ad truncos
in Monte Vergine, Tenore » Jatta 1880 p. 202, an. 1889 p. 82; Ra-
malina fraxinea var. farinacea Ach: « Ad truncos et frutices in sil-
vis abellinensibus, vulgo Selva della Piana, M. Cervone, Gussone »,
Jatta 1874, p. 21.—Frequente sulle cortecce di molti alberi, al Bosco
di Aquilonia 28 maggio 1909, Boschi di Rajamagra, luglio 1909 (A.
Trotter), M. Cervialto, luglio 1911, (M. Romano).
15. Ramalina fastigiata Ach., Jatta Syll. p. 74, Fl. it. crypt.
p. 166. Ramal. fraxinea var. fastigiata Krb.: « Ad truncos M. Cer-
valto, Gussone ». Jatta 1874, p. 21. —Frequente sulle cortecee di Ca-
stagno, Faggio e d'altri alberi, a Lioni giugno 1905 (A. Trotter), alle
Selve presso Avellino, marzo 1909 (M. Romano), sul Cervialto, luglio
1911 (M. Romano ed A. Trotter), Aquilonia.
16. Ramalina fraxinea Ach. b. ampliata (Ach.) Sch., Jatta Syll.
p. 65, Fl. it. erypt. p. 168.— «Ad fagorum truneos M. Cervalto, Gusso-
ne» Jatta 1874, p. 21.
17. Cetraria islandica (L.) Ach., Jatta Syll. p. 107, Fl. it., erypt.
p. 174. Cetr. islandica (L.) Ach. var. campestris Rch.: «Sterilis ad
terram M. Creato (sie) in Prine. Ultra, Gussone » Jatta 1874 p. 23,
an. 1889 p. 95; Lichen islandicus Casale e Gussone 1811 p. 168; Cas-
sitto, Fl. irp.: « Si trova tra le fessure dei sassi alla più alta vetta
del Cervialto ».
18. Platysma glaucum (L.) Nyl., b. fallax Ach., Jatta FI. it. ery pt.
. p. 178, Cetraria. Jatta Syll. p. 110.—Sulle cortecce dei Faggi nel M.
Cervialto, giugno 1905 (A. Trotter) e luglio 1911 (M. Romano). Que-
sta varietà era stata indicata sin qui solo delle cortecce delle Conifere
nell'Italia settentrionale. i
19. Nephromium lusitanicum (Sch.) Nyl., Jatta Syll. p. 114, Fl.
- it. erypt p. 185. « Ad truncos Castanearum in M. Celica, Comes et
Savastano », Jatta 1880 p. 206, an. 1889 p. 98.—Sui tronchi muscosi
di Castagno alle Selve presso Avellino, marzo 1941 (M. Romano), ed
PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA IRPINA 447
al Piano Acernese ‘sotto il M. Cervialto, luglio 1911 (A. Trotter e Ro-
mano).
20. Peltigera canina (L.) Hffm., Jatta, Syll. p. 117, FI. it. erypt.
p. 188. « In provincia di Avellino, Gasparrini » Jatta 1886 p. 87, an.
1889 p. 96. Lichen caninus. Casale e Gussone 1811 p. 168; Cassitto,
Fl. irp.: « Nelle selve di Avellino, aderente alle pietre ed alla terra ».
Sulla terra muscosa, sulle cortecce; nei boschi intorno il Laceno, apri-
le 1909. (A. Trotter), presso le vette del M. Terminio, 25 luglio 1909
(A. Trotter e M. Romano), presso Campolasperto sul Terminio.
var. leucohrriza (Flk.) Sch. Jatta Syll. p. 117, Fl. it. erypt p. 188.
Dintorni di Avellino (Prof. C. Casali !), sui tronchi muscosi sul M.
Cervialto, luglio 1911 (M. Romano).
21. Peltigera horizontalis (L.) Hoffm., Jatta Syll. p. 118, Fl. it.
erypt. p. 189. « Ad truneos M. Taburno; Gussone ». Jatta 1880 p. 26.
Sulla terra umida lungo la via delle Selve presso Avellino. marzo 1909
e 1911 (M. Romano). Ospedaletto, marzo 191i (M. Romano.)
| 22. Peltigera rufescens (Veis.) Hffm., Jatta, Syll. p. 115, FI. it
crypt. p. 186. Sulle cortecce degli alberi e sulla terra umida, frequente
nei dintorni di Avellino (Casali!, Romano, Trotter).
23. Peltidea venosa (L.) Ach., Jatta Syll. p. 119, Fl. it. erypt.
p. 191—« Ad terram in M. Vergine; Licopoli in Herb. Baglietto ».
Jatta 1882 p. 114, an. 1889 p. 97.
. 24. Solorina saccata (L.) Ach., Jatta Syll. p. 120, FI. it. crypt.
p. 193.—Frequente sulla terra tra le rupi calcaree intorno al Laceno,
aprile 1908 (A. Trolter); a Colle di Basso e M. Vernacolo nel gruppo `
del Terminio, giugno 1909, luglio 1911 (M. Romano ed A. Trotter), `
M. Fagliese, M. Vergine (M. Romano).
25. Lobaria pulmonacea (L.) Hffm., Jatta Syll. p. 123, Fl. it.
erypt. p. 196. Lichen pulmonarius Casale e Gussone 1811 p. 168, Cas-
sitto, Fl. irp.: « Si trova nelle selve di Avellino aderente ai tronchi
degli alberi ». «Ad truncos in M. Celica; Comes e Savastano ». Jatta
1880 p. 206, an. 1889 p. 100. « Ad truncos in silvis abellinensibus
Selva della Piana, M. Cervone; Gussone » Jatta 1880 p. 26, an. 1889
p. 100.—Sui tronchi di Faggio al M. Cervialto, giugno 1905, luglio 1911
(M. Romano, A. Trotter).
448 A. TROTTER E M. Romano
26. Ricasolia glomuclifera (Lghlf.) DNot.. Jatta Syll. p. 122
(Stictae sp.), Fl. it. erypt. p. 198. « Ad truncos muscosos in Princ.
Ultra; Gussone ». Jatta 1880 p. 207, an 1889 p. 100. « Ad truncos in
silvis abellinensibus, Selva della Piana, M. Cervone; Gussone ». Jatta,
1874 p. 27, an. 1889 p. 100.— Sulle cortecce di Castagno ai Piani di
Serino, luglio 1904 (A. Trotter) e sulle cortecce dell’ Alnus cordata al
Cervialto, luglio 1911 (A. Trotter e M. Romano).
27. Parmelia Acetabulum (Neck) Dub., Jatta Syll. p. 131 (Imbri-.
cariae sp.), Fl. it. erypt. p. 214.—Sulle cortecce dei Castagni, dei Fag-
gi, dei Crategi etc. nella zona submontana e montana, ai Piani di Se-
rino, luglio 1904 (A. Tro'ter), intorno al Laceno, aprile 1909, luglio
1911 (A. Trotter), alle Selve presso Avellino, marzo 1909 (M. Roma-
no), presso Aquilonia.
28. Parmelia caperata (L.) Ach., Jatta Syll. p. 127 (Imb: icariae
sp), Fl. it. crypt. p. £09.— Comune sulle cortecce di Castagno e di al-
tri alberi ai Cappuccini presso Avellino, inverno 1906 (A. Trotter) ed
alle Selve, marzo 1909 (M. Romano), presso Aquilonia.
29. Parmelia carporhizans Tayl., Jatta Syll. p. 150 (Imbr . ariae
sp., Fl. it. crypt. p. 209 et p. 911.—Frequente sulle eorteece di Ca-
stagno, presso Bagnoli, aprile 1909 (A. Trotter), alle Selve presso Avel-
lino, marzo 1909 (M. Romano). Questa specie era nota sin qui solo
della Valsesia e Sardegna.
30. Parmelia exasperata De Not., Jatta Syll p. 132 (Limbricariae
sp), Fl. it. erypt. p. 216. — Sulle cortecce dei cassoni e dei Faggi,
. Bagnoli, M. Cervialto primavera 1905, 1909 (A. Trotter), alle Selve
presso Avellino, marzo 1909, (M. Romano), Aquilonia.
31. Parmelia laevigata (L.) Ach., Jatta Syll. 129 (Imbricariae sp.),
FI. it. crypt. p. 204. — Sulle cortecce dei Faggi al Laceno ed al M.
Cervialto, primavera 1905-1909 (A. Trot/er).—Indicata sin qui solo della
Valtellina e Toscana.
32. Parmelia olivacea (L.) Ach., Jatta Syll. p. 132 (Imbricariae
sp.). FI. it. erypt. p. 215. « Ad truncos in silvis abellinensibus, Selva
della Pinna M. Cervone; Gussone ». Jatta 1874 p. 29, an. 1889 p. 104.
Sulle cortecce dei Faggi e dei Castagni nei boschi intorno al Laceno,
PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA IRPINA 449
aprile 1909 (A. Trotter) ed a M. Vergine, ag. sett. 1909 (M. dem
presso Aquilonia.
33. Parmelia perlata (L.) Ach., Jatta Syll. p. 128 (Imbricariae
sp. Fl. it. erypt. p. 207 — « Principato Ultra ». Milani an. 1890.
34. Parmelia physodes (L) Ach. var. tubulusa Sch., Jatta Syll.
p. 135 (Imbricariae sp.), Fl. it. crypt. p. 220.—Sulle cortecce dei Faggi
sul M. Cervialto, giugno 1905 e luglio 1911 (A. Trotter e M. Romano).
35. Parmelia prolixa (Ach.) Nyl., Jatta Syll. p. 132 (Imbricariae
sp.) Fl. it. crypt. p. 217. — Sulle rupi di arenaria alla vetta del M.
Teuta presso Monteverde, maggio 1909 (A. Trotter), e sulle arenarie.
nel bosco di Pietrapalomba presso Aquilonia, nov. 1909 (M. Romano).
36. Parmelia saxatilis (L.) Ach., Jatta Syll. p. 130 (Imbricariae
sp.), Fl. it. crypt. p. 212. —Sulle cortecce dei Castagni e dei Faggi e
tra le rupi nella zona submontana e montana: boschi intorno il La-
ceno dicembre 1908 (A. Trotter), M. Cervialto giugno 1905 (A. Trotter),
Piani di Serino, giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano), alle Selve
presso Avellino, marzo 1909 (M. Romano), M. Vergine, sett. 1909 (M.
Romano), presso Aquilonia.
31. Parmelia sorediata Ach., Jatta Syll. p. 133, Fl. it. erypt. p. 218
e p. 911. Sulle arenarie nel bosco di Pietrapalomba presso Aquilonia,
nov. 1909 (M. Romano).
var. sulcata (Tayl) Nyl., Jatta Syll. p. 131, Fl. it. erypt. p. 212.
— Sulle cortecce dei Castagni e dei Faggi: sul M. Cervialto, giugno
1905 luglio 1911 (A. Trotter), ale Selve presso Avellino, comune,
marzo 1909 (M. Romano), sui Cerri nel bosco di Pietrapalomba presso
Aquilonia, nov. 1909 (M. Romano).
38. Parmelia scortea (Ach) Nyl., Jatta Syll. p. 130 (Imbric. ti-
liac. var. scortea), Fl. it. erypt. pag. 208.— Sulle cortecee dei Faggi,
al M. Cervialto, giugno 1905 (A. Trotter) e sulle arenarie muscose nel
bosco di Pietrapalomba presso Aquilonia, nov. 1909 (M. Romano).
39. Parmelia tiliacea (Hofsm.) Ach., Jatta Syll p. 130 (Imbric. ti-
liac.), Fl. it. erypt. p. 208. «Ad truncos in M. Celica, Comes e Sava-
stano ». Jatta 1880 p. 207, an. 1889 p. 102. Comune sui tronchi degli
alberi, Castagni, Faggi, Tiglio ete: sul M. Cervialto, giugno 1905 (A.
Trotter); ai Cappuccini presso Avellino (M. Romano), sulle arenarie
450 A. Trotter E M. Romano
muscose nel bosco di Pietrapalomba presso Aquilonia, nov. 1909 (M.
Romano). i :
40. Xanthoria parietina (L.) Th., Jatta Syll. p. 148 (Physcia par.)
Fl. it. erypt. p. 226. «Principato Ulteriore » Milani 1890. — Comune
sulle cortecce alle Selve presso Avellino febbraio 1909 (M. Romano),
Aquilonia.
var. aureola (Ach. (Fr., Jatta Syll. p. 149 (Physcia var.), Fl. 1t.
erypt. p. 226. — Sui rami degli alberi nei boschi intorno il Laceno,
aprile 1909 (A. Trotter).
41. Anaptychia aquila (Ach.) Th., Jatta Syll. p. 144 (Parmelia
sp.), Fl. it. crypt. p. 234.—Sulle arenarie alla vetta del M. Teuta presso
Monteverde a circa 600 m. s. m., maggio 1909 (A. Trotter).
42. Anaptychia ciliaris (L.) Krb., Jatta Syll. p. 137 (Parineliae
sp.), Fl. it. erypt. p. 231.—Frequente sulle cortecce degli alberi spe-
cialmente del Castagno a Valle Fredda sopra Forino, maggio 1905 (A.
Trotter), alle Selve presso Avellino, marzo 1909 (M. Romano), sulle
cortecce di Faggio intorno al Laceno (A. Trotter).
43. Physcia pulverulenta (Sch.) Fr., Jatta Syll. p. 142 (Parmeliae
sp.), Fl. it. erypt. p. 240.—Sulle cortecce dei Castagni nei dintorni di
Bagnoli, aprile 1909 (A. Trotter), alle Selve presso Avellino, marzo
1909 (M. Romano).
var. ittyrea (Ach.) Nyl., Jatta Syll. p. 143 (Parm. pulv. var. gri-
sea), Fl. it. erypt. p. 240. — « Ad truncos in M. Celica, Comes et
Savastano "e Jatta 1880 p. 209, an. 1889 p. 109. — Sulle cortecce di
Castagno alle Selve presso Avellino, marzo 1909 (M. Romano).
44. Physcia stellaris (L.) Fr., Jatta Syll. p. 140 (Parineliae Sp.),
FI. it. erypt. p. 236.
var. ambigua Schaer., Jatta FI. it. erypt. p. 237. « Ad truncos
Fagorum in M. Celica, Comes e Savastano ». Jatta an. 1880 p. 209,
e 1889 p. 107.—Comune sulle cortecce dei Castagni e dei Faggi al M.
Cervialto, giugno 1905 (A. Trotter), alle Selve ed ai Cappuccini pres-
so Avellino, giugno 1904 e febbraio 1909 (A. Trotter e M. Romano)
ai Piani di Serino, giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano). |
_ var. melanophthalma Mass., Jatta Fl. it. crypt. p. 237. — Sulle
cortecce nei boschi intorno al Laceno, aprile 1909 (A. Trotter).
PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA ÍRPINA 451
45. Physcia tenella (Sic.) Nyl., Jatta Syll. p. 141 (Parmelia stell.
var. adscend.), Fl. it. crypt. p. 231.—« Avellino, Gasparrini ». Jatta
1886 p. 90, an. 1889 p. 107 (Physcia stell. var. tenella)—Sui tronchi
di Castagno e di Robinia alle Selve presso Avellino, marzo 1909 (M.
Romano), tra le rupi calcaree sul M. Fagliese, dec. 1909, (M. Rom 1no).
var. leptalea (Ach.), Jatta Syll. p. 141 (Parmeliae sp. et var.), Fl.
it. erypt. p. 237.—Sui rami degli alberi nei boschi presso il Laceno
aprile 1909 (A. Trotter) ed al bosco di Aquilonia giugno 1908 (A.
Trotter), sui tronchi di Robinia alle Selve presso Avellino dee. 1910
(M. Romano).
46. Physcia venusta (Ach.) Nyl., Jatta Syll. p. 144 (Parmeliae
sp.), Fl. it. erypt. p. 241.—«Ad truncos Castaneorum in silvis abelli-
nensibus, Selva della Piana M. Cervone, Gussone ». Jatta 1880 p. 31,
an. 1889 p. 109.— Sulle cortecce dei Castagni a Valle Fredda sopra Fo-
rino, maggio 1905 (A. Trotter), presso S. Agata di Sopra maggio 1908
(A. Trotter), alle Selve presso Avellino, nov. 1910 (M. Romano), sui
faggi del M. Cervialto, luglio 1911 (M. Romano).
Fam. PANNARIACEAE.
47. Parmeliella plumbea (Lghtf) Krb. var. myriocarpa Del., Jatta
Syll. p. 166 (Coccocarpiae sp. et var.), Fl. it. crypt. p. 251.— Sui tron-
chi degli alberi nei monti intorno Bagnoli, aprile 1909 (A. Trotter),
sulle cortecce di Castagno alle Selve presso Avellino, marzo 1911 (M.
Romano).
48. Parmeliella triptophylla Ach., Jatta Fl. it. erypt. p. 257, Syll.
p. 110. —Sulla terra fra le rupi calcaree di Montevergine (rara) settem-
bre 1909 (M. Romano).
Fam. LECANORACEAE.
49. Lecanora (Squamaria) crassa (Hds.) Ach., Jatta Syll. 174, Fl.
it. erypt. p. 274.
a. caespitosa (Vill) Sch., Jatta Syll. p. 175, FI. it. erypt. p. 275.
— Comune sulla terra, tra le rupi, e sulle rupi ca'careedalla zona col-
lina alla montana: Discesa della Laura, maggio 1903(A. Trotter), M.
Pergo!o, maggio 1903 (A. Trotter), conglomerati alla stretta di Barba,
452 A. Trotter E M. Romano
aprile 1904 (A. Trotter), intorno al Laceno, aprile 1909, a Colle di
Basso sul Terminio giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano), M. Faliese
aprile 1909 (M. Romano), Aquilonia.
b. Dufouri (Fr.) Sch., Jatta Syll. p 175, Fl. it. erypt. p. 275. —
Rupi calcaree tra Salza e Volturara, maggio 1905 (A. Trotter).
90. Lecanora (Squamaria) gypsacea (Sm.) Ach., Jatta Syl! p. 175,
Fl. it. erypt. p. 275.—Sulie rocce ca'cari ai Ferrari sopra Serino, mag-
gio 1909 (A. Tro'ter e M. Romano), a M. Vergine presso !e vette, ago-
sto 1911 (M. Romano).
51 Lecanora (Squamaria) saxicola (Poll) Jatta Syll. p. 178, Fl. it.
crypt. p. 278.—«Principato Ulteriore » Milani 1890.
e. versicolor (Pers.) Nyl. pulverulent: (Schaer) Jatta Syll. p. 19,
Fl. it. erypt. p. 279. — Frequente sulie rocce calcaree del M. Faliese
e di M, Vergine, aprile 1909 (M. Romano); su'le arenarie nel bosco di
Pietrapalomba presso Aquilonia, novembre 1909 (M. Romano).
52. Lecanora (Eu'ecanora) atra (Hds.) Ach., Jatta Syll. p. 204, FI.
it. erypt. p. 304.—Sulle arenarie alla vetta del M. Teuta, presso Mon-
teverde, maggio 1909 (A. Trotter), M. Fag'iese, ott. 1909 (M Romano),
var. calcarea Jatta, F. it. erypt. p. 305 e p. 912, Syll. p. 204. — Rupi
calcaree a M. Vergine e sul M. Fagliese, sett. 1909, marzo 1910 (M.
Romano).
53. Lecanora (Eulecanora) intumescens Krb., Jatta Syll. p. 192,
Fi. it. etypt. p. 292.— «Ad truncos in M. Celica, Comes e Savastano».
Jatta 1880 p. 217, an. 1889 p. 125.
. 54. Lecanora gangalea Ach, Jatta FI. it. crypt. p. 912.— Rupi cal-
caree a M. Vergine presso Avellino, estate 1909 (M. Romano ). Questa
speeie riesce nuova per l'Italia.
55. Lecanora (Eulecanora) subfusca Ach., Jatta Syl!. p. 187, Fl.
it. erypt. p. 288.
. a. allophana Ach., Jatta ]. c. Sulle cortecce dei Faggi nel M. Cer-
viaito, giugno 1905 (A. Trotler).
d. chlarona Ach., Jattal. c. p. 189, F. it. erypt. p. 289. « Ad
truncos in M. Celica, Comes et Savastano ». Jatta 1880 p. 217, anno
1889 p.123. — Sui Faggi intorno al Laceno, aprile 1909 (A. Trotier),
sui tronchi di noce alle Sejve presso Avellino (M. Romano).
t
PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA IRPINA 458
f. argentata Ach., Jatta Syll. p. 188, Fl. it. erypt. p. 290.—Sulle
cortecce dei Faggi nei boschi intorno il Laceno a circa 1300 m. s. m.,
autunno 1908-1909 (A. Trotter). |
Quest'ultima forma era nota sin qui solo del Monte Baldo, assie-
me alla for. boeomycioides Mass., quest'ultima anche sulle cortecce di
Castagno alle Selve pressoAvellino, nov. 1910 (M. Romano).
var. puniceo-fuscescens n. v. Jatta Fi. it. erypt. p. 912: Thallus
cinereo-albus, granuloso-dispersus. Apothecia puniceo-fusca vix primitus
albo-marginata ac dein biatorina e planis convexa nuda. Sporae ma-
Jusculae: 14-16—10-11 p. Sulle arenarie muscose di Pietrapalomba,
presso Aquilonia, autunno 1909 (M. Romano).
56. Lecanora (Aspicilia) calcarea (L.) Smrf., Jatta Syll. p. 213,
Fl. it. erypt. p. 319.
a. concreta Sch. f. farinosa (Fik.) Sch. Jatta l. c. Rupi calcaree ai
Ferrari sopra Serino ed a Colle di Basso sul Terminio, maggio-giugno
1909 (A. Trotter e M. Romano); M. Fagliese, M. Vergine, Va'atrone,
Cervialto, primavera 1909-1910 (M. Romano).
b. contorta (Falk.), f. bullosa Mass., Jatta FI. it. erypt. p. 320 e
p. 913, Syll. p. 214.—Rupi calcaree del Valatrone, aprile 1910 (M. Ro-
mano). Era nota solo del Veronese,
€. viridescens (Mass.) Krb., Jatta I. e. p. 214, FI. it. erypt. p. 320.
Frequente sulle rupi calearee a M. Vergine, a Colle di Basso sul Ter-
. minio, intorno al Laceno, primavera 1909 (A. Trotter e M. Romano).
91. Lecanora (Aspicilia) cinerea (L.) Smrf. e. obscurata Fr., Jatta
Syll. p. 212, FI. it. crypt. p. 324. Sulle rupi calcaree a Colle di Basso
| sul Terminio, giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano); Valatrone apri-
le 1909 (M. Romano). Questa varietà era nota solo delle Alpi della
Lombardia.
S 58. Lecanora (Aspieilia) cinereo-rufescens Ach., Jatta Syll. p. 219,
Fl. it. erypt. p. 322.—Sulle rupi calcaree a Colle di Basso sul M. Ter-
minio, giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano). Indicata sin qui delle
rupi granitiche e vulcaniche.
59. Lecanora (Hymenelia) coerulea (Mass.), Jatta Syll. p. 223, FI.
it. erypt. p. 333.— Frequente sulle rupi ealearee del M, Faliese e di M.
. Vergine, aprile 1909 (M. Romano), Valatrone mag. 1910 (M. Romano).
454 A. Trorrmr E M. Romano
60. Lecanora (Hymenelia) hiascens (Mass.), Jatta Syll. p. 223, FI.
it. erypt. p. 332. —Frequente sulle rupi calcaree di Colle di Basso sul
M. Terminio, giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano).
61. Lecanora (Hymenelia) lithofraga (Mass.) Jatta Syii. p. 222. FI.
it. crypt. p. 332.—Sulle rupi calcaree intorno al Laceno, apri'e 1909
(A. Trotter), a M. Vergine aprile 1909 (M. Romano), M. Fagliese, ot-
bre 1909 (M. Romano), a Pietrapalomba presso Aquilonia, novembre
1909 (M. Romano).
62. Lecanora (Hymenelia) Prevosti Fr., Jatta Syll. p. 222, FL it.
erypt. p. 331.— Piuttosto rara sulle rupi calcaree a M. Vergine, aprile
1909 (M. Romano),.
b. melanorcapa Krplk., Jatta Syll. p. 222, Fl. it. crypt. p. 331.
« Ad rupes caleareas in M. Celica, Comes e Savastano». Jatta 1880 p.
223, an. 1889 p. 149
63. Lecanora (Hymenelia) tuberculosa (Mass.) Jatta, Syll. p. 223,
FI. it. erypt. p. 332 et p. 913. --Rupi ca'caree a M. Vergine, estate 1909
(M. Romano). Questa specie era sin qui considerata come endemica
delle Prealpi venete. ;
64. Ochrolechia tartarea (L.) Krb., Jatta Syll. p. 208 (Lecano-
rae sp.), FI. it. crypt. p. 334.— Frequente sulle cortecce dei Faggi e Ca-
stagni nella zona submontana e montana; monti intorno Bagnoli, apri-
le 1909 (A. Trotter), alle Selve presso Avellino, aprile 1909 (M. Ro- |
mano), Aquilonia.
b. albo-flavescens (Sch.) Mass., Jatta Syll. p. 208 (Lecanorae var.)
Fl. it. crypt. p. 334. Sulle cortecce nei monti di Bagnoli, aprile 1909 —
(A. Trotter).
65. Sarcogyne pruinosa (Sm.) Mass., Jatta Syll. p. 226, FI. it. crypt.
p. 351. « Ad saxa calcarea in M. Celica, Comes et Savastano ». Jatta —
1880 p. 231, an. 1889 p. 166. E
66. Caloplaca aurea (Sch.), Jatta Syll. p. 236, Fl. it. crypt. p.358.
Frequente sulle rupi calcaree presso Bagnoli, aprile 1909 (A. Trotter);
S. Agata di Sopra, aprile 1906 (A. Trotter), Colle di Basso sul Termi-
nio, giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano).
67. Caloplaca granulosa Müll, Jatta Syll. p. 237, FI. it. crypt.
PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA ÍRPINA 455
p 361. — Frequente sulle rupi calcaree a M. Vergine, aprile 1909
(M. Romano).
68. Caloplaca murorum (Hfsm.) Th., Jatta Syll p. 237, FI. it.
crypt. p. 359.—Rupi calcaree intorno al Laceno sopra Bagnoli, aprile
1909 (A. Trotter).
b. centrifuga Mass, Jatta Syll. p. 237, FI. it. crypt. p. 359. « Ad
rupes calcarias in M. Celica, Comes et Savastano ». Jatta 1880 p. 212,
an. 1889 p. 128. Sulle rupi calcaree presso il Santuario di M. Vergine,
aprile 1909 (M. Romano).
c. pulvinata Mass. f. euphora Mass., Jatta Syll. p,237, Fl. it. erypt.
p. 360. — Sulie rupi ealearee presso il Santuario di M. Vergine e sui
muri di tufo vulcanico in Avellino, aprile 1909 (M. Romano).
69. Caloplaca luteoalba (Tourn.) Th, Jatta FI. it. crypt. p. 365..
var. Persooniana Sch., Jatta Syll. p. 252.—Sulle rupi calcaree a M
Vergine; non frequente, aprile 1909 (M. Romano).
10. Caloplaca ferruginea (Hds.) Th., Jatta Syll. p. 245, FI. it. erypt.
p. 370.—Sulle cortecce di Castagno alle Salve presso Avellino; non co-
mune, marzo 1909 (M. Romano), sulle cortecce dei Cerri nel bosco di
Pietrapa'omba presso Aquilonia, novembre 1909 (M. Romano).
11. Caloplaca pusilla Mass., Jatta Syll. p. 238, FI. it. erypt. p. 361.
Rupi ea'earee alla vetta del M. Terminio, 25 luglio 1909; scarsa (A.
Trotter e M. Romano).
12. Caloplaca obliterans Nyl., Jatta Syil. p. 240, Fi. it. erypt p.
364.—Sulle rupi calcaree al M. Fagliese, e sopra i “Ferrari,, presso Se-
rino, aprile e maggio 1909 (A. Trotter e M. Romano); M. Vergine, set-
tembre 1909 (M. Romano). Questa specie era stata segnalata sin qui
solo dei monti di Bormio, della Toscana e della Sicilia.
73. Caloplaca medians Nyll, Jatta Syll, p. 237, Fl. it. erypt. p.
359 e p.913.—Rupi calcaree. Per l'Italia continentale era nota solo del
ca Lombardia.
74, Caloplaca Schistidii Anzi, Jatta Syll. p. 255, Fi. it. erypt. p.
366 e p. 913.—Fra le rupi calcaree alie vette dei monti Cervialto, Par-
tenio, Valatrone, estate 1911, rara (M. Romano). Questa specie era
lonsiderata come endemica delle Alpi al Sempione. |
75. Caloplaca aurantiaca (Lythf. Th., Jatta Syll. p. 247, Fl. it
456 À. Trorrer E M. Romano
crypt. p. 377.—Frequente sulle rupi calcaree a Colle di Basso sul M.
Terminio, giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano).
76. Caloplaca cerina (Ehoh.) Th., Jatta Syll. p. 253, FI. it. erypt.
p. 382.—Sui rami secchi intorno al Piano Laceno, aprile 1909 (A.
Trotter).
TT. Caloplaca pyracea Ach., Jatta, Syll. p. 251 (sub. c. luteo alba)
Fl. it. erypt. p. 385 e p. 914.
var. lactea Mass, Jatta FI. it. crypt. p. 386.—Rupi calcaree del
M. Fagliese, ottobre 1909 (M. Romano). Non era stata indicata più al
sud della Toscana.
var. pyrithroma (Ach.), Nyl., Jatta FI. it. crypt. p. 914. — Rupi
calcaree a M. Vergine, settembre 1909 (M. Romano), sui tufi silicei
vulcanici presso Avellino (M. Romano). Figura per la prima volta in-
dicata in Italia. Riscontrasi però anche in Liguria ed a Malta.
18. Caloplaca Agardhiana Schaer, Jatta Syıl. p. 268, FI. it. erypt.
p. 390 e p. 914.—Rupi ealearee su! M. Fagliese, ottobre 1909 (M. Ro-
mano).
19. Candelariella vitellina (Ehsh.) Müll., Jatta Fl. it. erypt. p. 392,
Caloplacae sp. Jatta Syll. p. 262.—Sui vecchi tronchi di Faggio alle
“Selve,, presso Avellino, marzo 1909 (M. Romano).
80. Lecaniella turicensis Mass., Jatta Syll. p. 266, Fl. it. erypt.
p. 398 e p. 915.—Sulle arenarie nel bosco di Pietrapalomba presso Aqui-
lonia, nov. 1909 (M. Romano).
81. Lecaniella potycycla (Anzi) Jatta, Syll. p. 268, Fl. it. erypt.
p. 401.—Rupi calcaree del M. Fagliese, rara; aprile 1909 (M. Romano).
Specie endemica, nota siu qui solo delle Alpi e dell' Isola di Lam-
pedusa.
82. Rinodina lecanorina Mass., Jatta Syll. p. 279, FI. it. erypt.
p. 423.—Rupi calcaree a Colle di Basso sul M. Terminio, giugno 1909
(A. Trotter e M. Romano).
83. Pertusaria amara Ach., Jatta Syll. p. 292, FI. it. crypt. p- 431.
Frequente sulle cortecce dei Faggi, dei Castagni e dei Tigli nella zona
montana e submontana: M. Cervialto giugno 1905, aprile 1908 (A.
Trotter); alle Selve ed ai Cappuccini presso Avellino marzo 1909 (M.
PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA IRPINA 457
Romano), sulle cortecce dei Cerri nel bosco di Pietrapalomba presso
Aquilonia, nov. 1909 (M. Romano).
84. Pertusaria communis DC., Jatta Syil. p. 293, FI. it. erypt. p.
434.— Frequente sulle cortecce dei Castagni, dei Faggi e dei Tigli dalla
zona submontana alla montana: Piani di Serino luglio 1904 (A. Trot-
ter), Bagnoli Irpino, aprile 1909 (A. Trotter), alle Selve ed ai Cap-
puccini presso Avellino, marzo aprile 1909 (M. Romano).
55. Pertusaria sulphurea Scha: r., Jatta Syl'. p. 296, Fl. it. erypt.
p. 437.—Sulle rocce arenarie alla vetta di M. Teuta presso Monteverde,
28 maggio 1909 (A. Trotter).
86. Pertusaria Wulfenii DC., Jatta Syll. p. 296, FI. it..erypt. p.
436. « Ad truncos in M. Celica, Navaslano » Jatta 1880 p. 224, an 1889
pP. 153.
Fam. THELOTREMACEAE Jatta.
87. Urceolaria scruposa Ach., Jatta Syll. p. 287, FI. it. erypt.
p. 442.—Comune sui tufi vulcanici grigi presso la Ferriera ad Av 3llino,
febbraio 1909 (M. Romano).
var. b. gypsacea Smrf., Jatta l. c., Fl. it. crypt. p. 443. Frequen-
te sulle rocce calcaree e sulla terra muscosa ai Cappuccini ed a M.
Vergine, marzo-aprile 1909 (M. Romano), ai Ferrari presso Avellino,
maggio 1909 (A. Trotter e M. Romano).
88. Gyalecta geoica Ach., Jatta Syll. p. 300, FI. it. erypt. p. 454,
e p 918.—Sul'a terra muscosa a M. Vergine e sul M. Cervialto presso
le vette luglio 1911 (Romano). Era nota sin qui solo delle Alpi della
Valtellina.
Fam. CLADONIACEAE Th.
89. Stereocaulon condensatum Hoffm., Jatta Syll. p. 99, FI. it.
erypt. p. 469.—Sui tufi vulcanici grigi alla Fe:riera ed alle Selve pres-
so Avellino, aprile 1909 (Romano). Specie caratteristica. delle rocce
granitiche nelle Alpi e di quelle vulcaniche nel Veronese e nella Cam-
pania.
90 Cladonia rangiferina (L.) Hoffm., Jatta Syil. p. 16, Fl. it. erypt.
p. 479. — Principato ulteriore: Milani 1890.
458 A. TROTTER E M. Romano
91. Cladonia furcata (Hds.).F.k., Jatta Syll. p. 92, FI. it. crypt. p. 489.
var. racemos@ Fik. f. erecta (Fk.) Kr., alla vetta del M. Teuta
presso Monteverde, 28 maggio 1909 (4. Trotter). f. recurva (L.) Kr.,
sui cong'omerati presso Ch'anche, luglio 1904 [ 4. Trotter], tra lerupi
calcaree a M. Verg ne, settembre 1909 [M. Romano]. Tra le rupi
presso il Santuario di Montevergine, agosto 1909 [M. Romano].
var. Subulat? [L.| Kr., sulla terra muscosa presso la vetta del M.
Costa S. Ange!o [A. Trotter].
92. Cladonia pungens Flk., Jatta Syll. p. 93, FI. it. erypt. p. 490.
Sui eonglomerati presso SH alla stretta di Barba, aprile 1904-
1905 (A. . Trotter).
93. Cladonia muricata Del., Jatta Syll. p, 93, FI. it. erypt. p. 491.
Sulla terra umida presso il Castello di Monteforte, febbraio 1900 (C.
Casali) sulla terra muscosa nei monti di Bagnoli, aprile 1909 (A.
Trotter).
| 94. Cladonia pyxidata (L.) Fr., Jatta Syll. p. 87, FI. it. erypt.
p. 502.—« Principato Ulteriore », Milani 1890; Lychen pyxidatus, Ca-
sale e Gussone 1811, p. 168, Cassitto Fl. irpina.
a. neglecta (FIk.) Krb., dintorni di Avellino, inverno 1905, aprile
1909, (A. Trotter, M. Bee
b. pocillum (Ach. Falk., mura del Castello di Monteforte, feb-
braio 1900 (C. Casali).
95. Cladonia fimbriata (L.) Fr., Jatta Syll. p. 88. Fl. it. erypt.
p. 503.
a. scyphosa Schoer. f. tubaeformis, Hoffan., Sulla terra ai
Cappuccini presso Avellino, marzo 1905 (A. Trotter), e sui tronchi
muscosi alle “ Selve ,, marzo 1911 (M. Romano); f. radiata (Schr.)
Fr., sui conglomerati alla stretta di Barba, luglio 1904, aprile 1905
(A. Trotter); sulla terra umida nei dintorni di Avellino (C. Casali,
M. Romano).
b. abortiva (Flk.) Ach., sui vecchi tronchi muscosi alla Sciorta
presso Avellino, ottobre 1905 (A. Trotter). Marzo 1910 (M. Romano).
96. Cladonia ochrochlora (Flk.) Jatta, Syll. p. 91, FI. it. erypt.
P- 505.—Sul legno guasto; monti di Bagnoli Irpino, aprile 1909 (A.
PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA IRPINA 459
97. Cladonia endiviaefolia (Deks.) Fr. L. E., Jatta Syll. p. 84,
FI. it. erypt. p. 506.—Sui conglomerati alla stretta di Barba, aprile
1904 (A. Trotter); rupi calcaree a Colle di Basso (M. Terminio), giu-
gno 1909 (A. Trotter e M. Romano), Valatrone, maggio 1910 (M.
Romano). :
Fam. LECIDEACEAE.
98. Biatora lurida (Sw.) Fr., Jatta Fl.it. crypt. p.518, Lecideae sp.
Jatta Syll. p. 307 —Tra le rocce calcari, frequente a M. Vergine, aprile
1909 (M. Romano), M. Fagliese, Valatrone, marzo-maggio 1910 (M.
Romano).
| 99. Biatora decipiens (Ach! Fr., Jatta, Fl. it. crypt. p. 519, Le-
cideae sp, Jatta Syll. p. 308.
b. dealbata Mass. Jatta, FI. it. erypt. p. 520.—Tra le rupi cal-
caree dalla zona collina alla montana: al “Castelluzzo,, presso S. Aga-
ta di Sopra, maggio 1908 (A. Trotter). intorno al Piano Laceno, aprile
1909 (A. Trotter), a Colle di Basso sul Terminio, giugno 1909 (A.
Trotter e M. Romano), M. Fagliese, ottobre 1910 (M. Romano).
100. Biatora albilabra Duf., Jatta Syll. p. 309, (sub Lecidea) FI.
it. erypt. p. 521 e p. 918.—Sulla terra fra le rupi. a Montevergine.
Agosto 1909 (M. Romano). Non era stata indicata piü al sud della
Toscana.
101. Biatora rupestris (Gei Krb., Jatta Fl. it. crypt. p. 525, Le-
cideae sp. Jatta Syll. p. 314.—Rupi calcaree intorno al Laceno, aprile
1909 (A. Trotter), a M. Vergine e sul M. Fagliese, aprile 1909 (A.
Trotter e M. Romano).
102. Biatorina minuta Mass., Jatta Syll. p. 378, FI. it. erypt. p.
558 e p. 918.—Salle rupi calcaree di Montevergine. Settembre 1909
(M. Romano). Era nota solo del Comasco ed Emilia.
103. Bilimbia sabulosa Mass., Jatta Syll, p. 406, FI. it. erypt.
p. 569 e p. 918.—Sulla terra muscosa tra le rupi calcaree a M. Ver-
gine ed al Valatrone (M. Romano).
104. Bilimbia coprodes Krb., Jatta Syll. p. 411, FI. it. erypt. p. 574.
. var. seposita Th., Jatta FI. it. erypt. p. 918.—Salle arenarie pres-
460 s A. TROTTER E M. ROMANO
so il bosco di Pietrapalomba presso Aquilonia, novembre 1909. (M.
Romano). Questa varietà è nuova per l’Italia. è
105. Bilimbia microcarpa Th. Fr., Jatta Syll. p. 411, FI. it. erypt.
p. 915 e p. 919. Sulla terra muscosa presso la vetta di M. Vergine,
agosto 1909 (M. Romano). Questa specie era nota dell’ Abruzzo e
Calabria.
106. Lecidea enteroleuca Ach., Jatta Fl. it. erypt. p. 617, Syll.
p. 350. « Ad truncos in M. Celica » Comes et Savastano Jatta 1880,
p. 227, an. 1889 p. 162.—Sui rami secchi intorno al Laceno, zona
montana, aprile 1909 (A. Trotter).
var. e. rugulosa Schaer., Jatta Fl. it. crypt. p.618, Syll. p.351.—
Sulle eorteece di Castagno alle “Selve, presso Avellino, febbraio 1909;
frequente (M. Romano).
var. c. areolata Fr., Jatta 1. c.—Frequente sulle cortecce del Ca-
stagno alle *Selve, presso Avellino, marzo 1909. (M. Romano); sulle
cortecce dei Faggi presso il Saivatore sul M. Terminio, giugno 1909
(A. Trotter e M. Romano).
107. Lecidea ochracea Hepp., Jatta FI. it erypt. p. 621, Syll. p.
350.—Sulle rupi calcaree a M. Vergine, aprile 1909 (M. Romano).
108. Lecidea goniophila Schaer, Jatta Fi it. erypt. p. 621, Syll.
p. 349. « Ad rupes calcarias in M. Celica, Comes et Savastano »
Jatta 1880 p. 226, an. 1880, p. 161.
109. Lecidea vorticosa (Fik.) Krb., Jatta Fi. it. erypt. p. 633,
Syil. p. 362.—Rupi calcaree alla vetta del M. Terminio, a cirea 1800
m. s. m.; rara; 25 lug io 1909 (A. Trotter e M. Romano). Specie nuo-
va per l'Appennino essendo nota soltanto nelle Alpi.
110. Lecidea iurana Schaer., Jatta Fl. it. crypt. p. 635, Syll. p.
364.—Rupi calcaree alla vetta del M. Terminio, a cirea 1800 m. s. m.
rara, 29 lugiio 1909 (A. Trotter e M. Romano), presso la vetta di
M. Vergine agosto 1909 (M. Romano).
111. Lecidea emergens Fw., Jatta Fl. it. erypt. p. 636, Syll. p.
365.—Rupi ealearee alla vetta del M. Terminio, a eirea 1800 m. s. m.,
rara, 25 luglio 1909 (A. Trotter e M. Romano), alla vetta di M. Ver-
gine ag.-sett. 1909 e del M. Cervialto, luglio 1911 (M. Romano). É
PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA IRPINA 461
specie nuova per l'Appennino meridionale non essendo stata indicata
più al sud dell’ Abruzzo.
112. Lecidea monticola Schaer., Jatta P it. erypt. p. 639; Syll.
p. 964.—Rupi ca'caree a M. Vergine, aprile 1909; rara (M. Romano).
Anche la presente è specie non prima indicata deli’ Appennino.
113. Thalloedema vesiculare (Hoffm.) Mass, Jatta Fi. it. erypt.
p. 646, Bialorinae sp. Jatta Syl’. p. 370.—Tra ‘a rupi calcari museose
della r:gione montana intorno al Piano Laceno; apri'e 1909 (4. Trot-`
ler), inoltre a M. Vergin», Va'atrone, Faglies: (M. Romano),
114. Thalloedema candidum (Web.) Krb., Jatta F. it. erypt. p.
648, Biatorinae sp., Jatta Syll, p. 312. « Prineipato Ult riore » Mila-
ni. — Sui conglomerati di Chiaeh , aprile 1905 (A. Trotter); rupi eal-
caree di M. Vergine e di M. Fagliese, marzo aprile 1909 (M. Romano).
115. Thalloedema diffractum Mass., Jatta F.. it, erypt. p. 649,
Biatorinae sp. Jatta Syıl. p. 373.—Rupi ealearee a M. Vergin», aprile
1909 (M. Romano), Valatrone, maggio 1910 (M. Romano), a Coll+ di
| Basso sul Terminio giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano).
116. Toninia aromatica (Sm.) Mass, Jatta F. it. erypt. p. 654,
| Bilimbiae sp. Jatta Syil. p. 402.—Sulla terra tra le rupi ealearee intorno
al Piano Laceno, zona montana, aprile 1909 (A. Trotter) e M. Fa-
gliese, marzo 1910 (M. Romano) tra le fessure delle murag.ie trachi-
tiche presso Contrada, marzo 1910 (M. Romano).
117. Toninia syncomista (Krb.) Th. Fr., Jatta FI. it. erypt. p. 651
Jatta Syil. p. 407. — Negli anfratti muscosi delle rupi calcaree a M.
Vergine, aprile 1909 (M. Romano). E specie nuova per l'Appennino
meridionale. as
118. Scoliciosporium Bagliettoanum Mass., Jatta, Fi. it. erypt. p.
659, Syil. p. 421 (Bacidiae sp.) - Bacidia muscorum Jatta, Fl. it.
crypt. p. 919. — Sula terra muscosa presso le vette di M. Vergine e
del Valatrone, ag. 1909, maggio 1910. Rara (M. Romano). Questa
specie era ritenuta come endemica della Liguria.
119. Buellia leptoclinis (Fw.) Krb., Jatta FI. it. erypt. p. 665 Syll.
p. 389.—Arenarie alla vetta di M. Teuta presso Monteverde, 28 mag-
gio 1909 [A. Trotter]. |
462 A. TROTTER E M. Romano
120. Buellia parasema [Ach.] Krb., Jatta FI. it. crypt. p. 675, Syll. `
p. 994.— Sulle cortecce di Castagno alle *Selve, presso Avellino, marzo
1909 (M. Romano).
121. Buellia Ricasolii Mass., Jatta Fl. it. erypt. p. 616, Syll, p. 397.
—Sulle cortecce degli alberi nei dintorni di Avellino, giugno 1904 [. A4.
Trotter], marzo 1910 [M. Romano]. Specie nuova per l'Appennino
meridionale.
122. Diplotomma albo-atrum [Hoffm.] Krb., var. c. murorum Mass.
Jatta Fl. it. erypt. p. 683, Syll. p. 425.— Sulle rupi ealearee a M. Ver-
gine, aprile 1909, non comune (M. Romano). Questa varietà era nota
solo del Veronese e del Tirolo meridionale.
123. Rhizocarpon geographicum [L.] DC., Jatta FI. it. erypt. p.
692, Diplotommatis sp., Jatta Syll. p. 431.—-Arenarie alla vetta del M.
Teuta presso Monteverde, 28 maggio 1909 [A. Trotter].
Fam. GYROPHORACEAE Hffm.
124. Umbilicaria pustulata [Hffm.] Fr., Jatta Fl. it. erypt. p. 709,
Syll. p. 151.—Sulle arenarie alla vetta del M. Teuta presso Monteverde,
29 maggio 1909 [A. Trotter].
Fam. GRAPHIDACEAE.
125. Graphis scripta [L.] Ach., e. pulvurulenta [Pers.] Seh.,
Jatta, Fl. it. erypt. p. 724, Syll. pag. 449. sulle cortecce di Faggio alle
Selve presso Avellino, marzo 1909 [M. Romano].
126. Opegrapha varia Pars, Jatta Fi. it. crypt. p. 721, Syll. p.
441. a. notha (Ach.) Jatta, sulle vecchie cortecce ai “ Cappuccini ,
presso Avellino, febbraio 1900 [C. Casali], giugno 1904 [.4. Trotter]
_ . 127. Opegrapha atra [Pers.] Fr., Jatta Fl. it. crypt. p. 735, Syll.
p. 444.—Sulle cortecce di Faggio al Laceno sopra Bagnoli, aprile 1909
[-A. Trotter], ed alle *Selve, presso Avellino, febbraio 1909 [M. Ro-
mano], |
128. Arthonia vulgaris Sch., Jatta Fl. it. erypt. p. 754, Syll. p.
466.—Assieme alla forma cinerascens[Ach.] Krb. sulle cortecce dei
Castagni alle *Selve, presso Avellino, marzo 1909 [M. Romano].
PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA IRPINA 468
199. Arthonia Stict&rum [Tul.] Jatta, Syl’. p. 470, Fl. it. crypt.
p. 760.— «In apotheciis Stietae pulmonariae, Avellino » Jatta 1889
p. 172.
PYRENOCARPEAE
Fam. ENDOCARPACEAE.
130. Endopyrenium rufescens [Ach.] Krb., Jatta Fi. it. p. 789,
Syll. p. 500.— Rupi calcaree sul M. Fagliese, aprile 1909 e ottobre 1911
[M. Romano].
131. Endopyrenium hepaticum [Ach.] Krb., Jatta Fi. it. crypt. p
189, Syll. p. 500.—Tra le rupi calcaree sul M. Fagliese, M. Vergine,
Valatrone, aprile-maggio 1909-1910 [M. Romano], sui cong'omerati
presso Chianche, aprile 1905 [.4. Trotter].
132. Endopyrenium trachiticum Hazi., Jatta Fi. it. crypt. p. 792,
Verrucariae sp. Jatta Syll. p. 503.—Rupi calcaree a M. Vergine, set-
tembre 1909 [M. Romano].
Fam. PYRENULACEAE,
133. Verrucaria polygonia Krb., Jatta Fi. it. crypt. p. 806, Syll,
p. 506.—Sui tufi vulcanici gialli alla Ferriera presso Avellino, nov. 1909
[M. Romano].
134. Verrucaria plumbea Ach., Jatta Fl. it. erypt p. 809, Syll.
p. 513. « Ad rupes ealeares in M. Celiea, Comes e Savastano ». Jatta
sub var. fusca, 1880 p. 237, an. 1889 p. 200.
135. Verrucaria hydrela Ach., Jatta FI. it. erypt. p. 810, Syll. p.
512. « Ad rupes calcares in M.Celica, Comes e Savastano » Jatta 1880,
p. 238, an. 1889 p. 201.
136. Verrucaria rupestris Schr., Jatta FI. it. erypt. p. 813, Syll. p. 519.
b. calciseda Sch., Jatta Fl. it. erypt. p. 814, Syll. p.519--Rupi cal-
caree del M. Fagliese e di M. Vergine e Valatrone, aprile 1909 [ M.
Romano], e Colle di Basso sul M. Terminio, giugno 1909, [Trotter e
‘Romano |.
e. crassa Mass., Jatta Fl. it. erypt. p. 814, Syil. p. 519.—Rupi ca!-
earee a Colle di Basso sul M. Terminio, giugno 1909 [ Trotter e Romano].
464. A. TROTTER m M. Romano
437. Verrucaria purpurascens Hffm., Jatta Fi. it. crypt, p. 815. -
Syll. p, 516. « Ad rupes ealeareas in M. Celica, Comes e Savustano »
Jatta 1880 p. 236, an. 1889 p.199.—Ca'cari di M. Velizzano e M. Per-
golo presso Solofra, a S. Lorenzo presso Bagnoli. maggio 1907 [A.
Trotter) Colle di Basso sul Terminio, primavera 1909 [ A. Trot'er e
M. Romano |.
138. Verrucaria dolomitica Mass., Iatta Fl. it. erypt. p. 820, Syi.
p. 917.— Rupi calcaree intorno al Piano Laceno, aprile 1909 [Trotter]
139. Verrucaria foveolat® [Fik.] Mass., Jatta Fl. it. erypt. p. 820,
Syll. p.518.—Sui tufi vulcanici gialli presso Avellino, marzo 1910 (M.
Romano]. `
140. Verrucaria fuscoatra [Wallr.] Krb., Jatta Fl. it. eryp. p. 825
Syll. p. 509.—Rocce calcari del M. Fagliese, aprile 1909, M. Romano]
b. subcontinua Garov. Jatta Fl. it. eryp. p. 824, Syil. p.509.—Rupı
alla vetta del M. Terminio, luglio 1909 [Trotter e Romano] e sul M.
Fagiiese, marzo 1910 [M. Romano].
141, Verrucaria tristis Krpph., Jatta FI. it. erypt. p. 827, Syil. p. 511
«M. Celica » Jatta 1889, p. 202.--Rupi calcaree a M. Vergine, aprile
1909 [M. Ro,aano], Colle di Basso sul Terminio, luglio 1909 | Trotter
e Romano]. :
142. Acrocordia conoidea Krb., Jatta Fi. it. erypt. p. 865, Syll.
p. 524.—R pi calcaree di M. Vergine e M. Fagliese, aprile 1909 [ AC.
Romano].
143, Arthopyrenia cinereo pruinosa Schaer., Fl. it. eryp. p. 874,
Syll. p. 529. felabens «Ad truncos Fagorum in M. Celica, Comes e
Sarastano » Jatta 1888 p. 236, an. 1889 p. 205.
144, Arthopyrenia punctiformis Fr., Fl. it. erypt. p. 819, Syil. p.
534,— Sulle cortecce dei Faggi al Laceno, aprile 1909 [A. Trotter].
ENDEMISMI ED ESODEMISMI ©
NELLA FLORA ITALIANA
« quid pejus, quid melius »
(A. De Candolle — Geogr. Bot. XVI).
L'argomento che abbiamo impreso a trattare nelle presenti pagine
costituisce uno dei problemi più ardui della Geografia botanica e della
Fitopaleontologia. La sua soluzione illuminerebbe di nuova luce la
storia delle differenti flore, per cui ben si comprende come esso siasi
sempre affacciato alla mente degli studiosi i quali non hanno mancato
di trattarlo sotto punti di vista svariatissimi e talora anche originali.
È d’uopo tuttavia confessare che il problema si presenta oggigiorno
non meno complesso ed oscuro di quanto siasi affacciato ai primi in-
vestigatori della Geografia botanica e della Sistematica.
Il botanico che considera le Flore delle varie regioni della terra,
soffermandosi. in particolar modo alle isole perdute in mezzo agli oceani,
o a quelle terre che, pur facendo parte di Continenti, sono tuttavia in
parte sottratte — in specie per cause orografiche — ai rapporti flori-
stici con altre regioni, può arrivare alla conclusione che il problema
degli endemismi sia suscettibile di essere affrontato, e se non del tutto
risolto, per lo meno analizzato intimamente e fors'anco in gran parte
delucidato.
Ed invero il Continente australiano, isolato dal resto del mondo
da una immensa distesa di mari, ha rivelato ai botanici non pochi se-
greti dei suoi endemismi. Nelle regioni occidentali dello stesso, là dove
la vegetazione ha potuto evolversi indisturbata sin dalle prime epoche
in cai le terre in questione trassero origine dal flutto marino, noi tro-
viamo l’80 e più per cento di specie endemiche. Proporzione invero
(1) Abbiamo denominato. esodemiche quelle specie che, in opposizione alle endemiche,
non sono esclusive di un dato territorio.
466 5 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
meravigliosa e che ha perciò reso attoniti gli studiosi della vegetazione
di quelle lontane regioni.
Ma vi ha di più: in uno studio in corso di pubblicazione il Prof.
Buscalioni, dall’analisi floristica delle regioni montagnarde dell’ Au-
stralia, ha trovato che le stesse vantano un endemismo ancora supe-
riore, che può raggiungere il 93 °/,, ciò che l’Autore ascrive alla mag-
giore antichità delle cime montagnarde rispestto ai territorî sottoposti.
Le stesse deduzioni si possono trarre dalle isole lontane dai con-
tinenti e dai monti isolati ed elevati che ivi torreggiano, come è il
caso per il Kina Balu per le Isole Sandwick e via dicendo.
Attenendoci adunque a concetti d’indole generale, basati sulla co-
stituzione dei tertitori insulari, viene ovvia la conclusione che regioni
antiche e da tempi immemorabili sequestrate sono quanto mai adatte
-od albergare le forme endemiche ed a crearne. Tutti gli autori sono
concordi su questo punto, senza che però siano riusciti a dare del fe-
nomeno una soddisfacente spiegazione.
Come corollario si può da siffatto reperto trarne la deduzione che
terreni antichi debbono mostrarsi più ricchi di endemismi di quelli
moderni. Ben inteso che per quanto concerne l’antichità di un terreno
non possiamo andare al di là del Cretaceo, del Giurese e via dicendo,
se prendiamo in considerazione le Fanerogame angiosperme, per risalire
ai terreni più arcaici se rivolgiamo la nostra attenzione alle Gimno-
sperme, o ad altri tipi vegetali più degradati.
Se però, lasciati da parte i concetti d’indole generale, fissiamo la
nostra attenzione alle contrade meglio note al botanico, troviamo che
la soluzione del problema riflettente gli endemismi si rende sempre
più difficile, per cui ciò che a primo aspetto pareva chiaro diventa ol-
tremodo confuso, oscuro ed incerto.
E forse questa è stata la ragione per cui fino ad ora non è ancor
comparso un lavoro veramente fondamentale sull’arduo problema. Nutria-
mo pertanto fiducia che i botanici, e specialmente coloro che si occupano
di questioni di Geografia botanica, vorranno far buon viso a questo
primo tentativo di indagini riflettenti la quistione degli endemismi, nel
quale si è preso come oggetto di studio la Flora italiana, perchè ab-
bastanza intimamente conosciuta. Lungi dall’aver la pretesa. di essere
ENDEMISMI ED ESODEMISMI NELLA FLORA ITALIANA 467
riusciti a risolvere l'intrieata- questione, siamo tuttavia convinti che le
presenti ricerche abbiano portato sulla stessa un modesto contributo di
nuovi dati, i quali, osiamo sperarlo, potranno forse invogliare altri ad
estendere le ricerche ad altre Flore. Le basi dello studio sono ora get-
tate, ma le stesse non potranno avere grande importanza se non sa-
ranno piü tardi rafforzate da nuove ricerche in altri territori, ed in
specie in quelli prossimi all'Italia.
at.
Il materiale di studio e di confronti ei venne offerto, come è fa-
cile a comprendersi, dalla raccolta delle specie dichiarate endemiche
per l'Italia dai botanici sistematici. Dobbiamo però far subito rilevare
che fin dall’inizio di questo studio si sono incontrate-non poche difficol-
tà nella scelta dei eriteri che dovevano servirei di guida nell’elencare
le specie endemiche italiane.
Innanzi tutto se compulsiamo le differenti flore italiane (Arcangeli,
Cesati, Passerini e Gibelli, Bertoloni, Parlatore, Fiori e Paoletti ecc.),
troviamo ovunque il più completo disaccordo a riguardo del valore
specifico delle varie forme vegetali prese in considerazione, vale a dire
a riguardo del valore sistematico delle stesse, di guisa che ciò che
per un botanico rappresenta una specie buona forma per altri una va-
rietà, sottospecie, piccola specie e via dicendo. i
Tanto disaccordo costituisce un grave inciampo allo studiò degli
endemismi che deve esser basato esclusivamente (salvo ragioni parti-
colari di studio) sulle specie, poichè le varietà locali di un dato tipo
non possono, a nostro parere, esser tenute in conto nel novero degli en-
demismi di una determinata regione.
In secondo luogo si affaccia un’altra difficoltà allons il botanieo
si accinge a studiare la distribuzione delle forme ritenute endemiche,
poichè nelle flore non è sempre indicata esattamente la stazione in eui
siffatti tipi vennero rintracciati. Tale mancanza di indicazioni precise
si rende particolarmente palese allorchè si studia la distribuzione di
quelle forme che un dato autore ritiene per varietà, mentre da altri
sono indicate come specie.
À68 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
Considerato quindi che per le varietà o specie dubbie non sempre:
è indicata la stazione; che le varietà genuine non possono esser prese
in considerazione nello studio degli endemismi; e tenuto conto infine
di molte altre cause di errore che compaiono ad ogni momento in questo
studio, per arrivare ad un risultato meno vulnerato dalle cause der:
rore, abbiamo deciso di limitare questo studio alle specie genuine che
sono state descritte nel trattato dei Dott. Fiori e Paoletti sulla Flora
italiana, come quello che è più moderno.
Procedendo diversamente. in ispecie prendendo in considerazione
ora questo ora quell’altro autore di floristica italiana, si sarebbe caduti
in un caos scientifico veramente deplorevole che ci avrebbe impedito di
arrivare ad una conclusione qualsiasi, poichè non pochi autori, ad e-
sempio specialmente quelli meno recenti, indicano come presenti anche
fuori d’Italia certe specie che l’opera dei Dottori Fiori e Paoletti ci
dà come endemiche, e molte poi delle specie endemiche di questi pas-
sano alla categoria di mere varietà.
Raccolte così le specie endemiche si è rivolta l’attenzione ai Ge-
neri alle Famiglie ed alle Classi cui esse appartengono; poi abbiamo
studiato le loro stazioni, la natura dei terreni sui quali esse vivono,
per quanto sotto questo punto di vista le difficoltà incontrate non siano
state poche e non sempre sormontabili, a causa delle searse indicazioni
che si trovano nei trattati. Una certa attenzione venne pure accordata
ai .aratteri morfologici delle specie in questione, e si è avuto all'uopo
speciale riguardo ai mezzi di disseminazione presentati. Da ultimo abbia-
mo pure tenuto couto della durata dell’esistenza delle singole specie.
A scanso di equivoci teniamo a dichiarare che se alcuni dati sono
quanto mai attendibili, altri all'opposto sono meno sicuri, non avendo
fra l’altro avuto a disposizione un rieco materiale di erbario e tanto
meno potuto studiare le piante nelle loro stazioni originarie. In parti-
. colar modo fummo costretto ad atteneeci a dati approssimativi allorchè si
trattò di questioni riflettenti la natura geologica e l'antichità dei ter-
reni sui quali si trovano insediate determinate specie endemiche. Ma
nessuno potrà ineolparci siffatta lacuna, essendo noto che raramente
nei trattati di botanica sistematica vien fatto cenno, come sarebbe de-
siderabile, della costituzione geologica dei terreni in cui vivono le dif-
ENDEMISMI ED ESODEMISMI NELLA FLORÀ ITALIANA 469
ferenti specie, ed anco per quanto riguarda la natura mineralogica
degli stessi i dati sono per lo più monchi.
Molte volte le indicazioni delle località sono molto vaghe od in-
certe (quando non sono addirittura errate) perchè dalle stessa si riesca,
anche in base all'esame di ottime carte geologiche, a stabilire |’ anti-
chità del terreno cui spetta la località.
Malgrado questi inconvenienti, ed altri non pochi che per brevità
omettiamo, lo studio fu condotto con la massima diligenza e serupolo-
sità per cui non crediamo di errare affermando che i risultati, se non
matematicamente esatti, sono per lo meno attendibili.
*
* *
Prima d'iniziare la discussione dei risultati ottenuti crediamo utile di
riportare qui, sotto forma di tavole, i dati che hanno servito di trama
al lavoro.
Nella prima colonna sono indicate le famiglie a cui le specie en-
demiche italiane appartengono; nella seconda i generi che hanno specie
endemiche (delle varietà endemiche, come si è detto, non ci siamo oc-
cupati). Nella stessa si è avuto cura di riportare, per ogni genere, il
numero corrispondente delle specie italiane e quello che ci indica le.
specie presenti su tutta la terra.
La terza colonna è riservata alle specie endemiche italiane, la
quarta ai caratteri morfologici di queste e più specialmente alle di-
sposizioni fillotassiche riscon:rabili nelle singole specie. Le lettere A,
O,V,R, indicano rispettivamente alterne, oppos'e, verticillate, radicali.
La quinta casella ci informa sulla morfologia della corolla, pre-
sentando una particolare importanza la conoscenza del tipo fiorale che
si riscontra più di frequente negli endemismi.
Non meno importanti sono i dati riportati nella sesta colonna che
ci indicano la natura dei frutti delle specie endemiche. E? noto infatti
che la costituzione di questi organi ha una influenza, insieme alla na-
tura dei semi e ad altre disposizioni, sulla diffusione e distribuzione
delle specie.
La settima colonna ci informa sulle condizioni di vitalità delle
specie endemiche, mentre l'ottava ei fornisce non pochi ragguagli sulle
470 | LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO
stazioni (1) delle stesse, nonchè delle zone (étages) dove appaiono gli
endemismi, su di che particolarmente insistiamo, consci della frequente
comparsa di forme endemiche in seno alle montagne.
Infine nell’ultima colonna si sono riportate le località in cui vennero
segnalate le specie endemiche e la natura del terreno (per quanto era
possib le) sul quale queste vegetano. All’uopo ci siamo valsi, oltre che
dell’opera del Sigg. Fiori e Paoletti, anche degli altri compedî concer-
nenti la flora italiana (Bertoloni, Arcangeli ecc.)
Nel computo delle specie abbiamo preso in considerazione la Corsica
e Malta, per ovvie ragioni di Geografia botanica, sebbene politicamente
queste regioni non appartengano all’Italia. Lo stesso dicasi per alcuni
territori circoscritti delle Alp: ori-ntali, nordiche ed occidentali. |
Da ultimo facciamo notare che nei quadri che seguono le lettere
D, G, M, della IV colonna indicano rispettivamente: Dialipetala, Ga-
mopetala, Monoclamidata. Ed i numeri posti nella colonna « Regioni
e zone » indicano:
1. Regione sommersa marina.
X » mediterranea o sempreverde dell'Olivo (dal mare ai
100-975 met) ;
1 » padana o di transizione (Pianura Padana dal mare ai
100-300 met.)
4. » submontana, o del Castagno e del Rovere (dal mare o
più spesso dai 100-975 met. ai 900-1390 met.
4 » montana, o delle conifere e del Faggio (dai 990-1300
met. ai 1600-2100 met.)
5. » subalpina, o degli Arbusti alpini.
D » alpina, o scoperta (dai 1600-2100 met. in su).
Quando i numeri son legati fra loro da una lineetta (—) significa
che la pianta trovasi auche nelle regioni intermedie; quando sono uniti
(1) Per il significato che deve attribuirsi a questo nome ci atteniamo a quanto è
detto a pag.9 e seg. dell'opuscolo «Nomenclature phytogeografique». Rapports et propot-
sitions rédigés par Ch. Flahault et C. Schrotter au III Congres. Internat. d. Bot. de
| Bruxelles 1910. i
ENDEMISMI ED ESODEMISMI NELLA FLORÀ ITALIANA 41
dalla congiunzione e vuoldire che la specie si trova soltanto nelle re-
gioni indicate.
| Queste indicazioni relative alle « Regioni e zone » furono desunte
. dall'opera dei signori Fiori e Paoletti.
| ES 3 | s Iess LOCALITÀ
FAMIGLIA GENERE SPECIE A S FRUTTO S Sn > i
BS De | A vy | ove si trova la specie
= CS
ISOETACEAE Isoetes Malinverniana | Macrospore ¢ 3 Negli acquedotti della regione
Numero delle specie|(Ces. et De Ntrs.) tubercol. spi- acqua | padana, a Guggio, Oldenico, ed
: circa 45 della Reg. ; nose; microsp. altrove nel Vercellese. Forse im-
del Mediterr., Az- iscie. portata col riso
i Presso Tor: no: Vanda di ino
GRAMINEAE
ARACEAE
one, India,
sman, Missile: N.
Zelan
Mu d. sp. in It. 5.
Trisetum
50 sp. nella reg. temp. |
üe e-
e mont. dei
misferi.
Num. d. sp. ital. 12
Dracunculus
2 sp. in Italia d.
racile
Moris) Boiss.
villosum
(Bert) Schutt
Burnoufii
‘Req.
muscivorus
(L. fi.) Parl
Cariosside:
(glumetta inf.
con resta).
Cariosside:
(glumetta inf.
con re
sta).
Cariosside
E
>
to
nel Rio dietro la Fornac
Pascoli montani in Sard. (Gen-
nargentu, M. Limbara) sul gra-
Rupi della reg. s ale
Marche (M. Volubrio a Bocca
Foce); negli Pa Gg ca
S eta
Terra di Lavoro; in Toscana
(luoghi alpini).
en SE in cu reg.
ist un ché. muro
di una GE a Core ea Niolo.
Luoghi erbosi maritt. in Sard.
Kors. ‘e 2. piccole isole vici-
ne, (l.avez, S. Pietro, Tavolara,
Carlo te.)
(Isole Bakeari, Aleppo in Me-
sopotania ?)
OTTALVOSOW HAdHSNI9 U INOTTVOSOd 191071
| HARE 3 |88 LOCALITÀ
FAMIGLIA GENERE SPECIE. > +. 2 FRUTTO 5 ‘Là EN PUE
| sz 5 A du ove si trova la specie
Ari-a roboscideum ^. Bacca 9| 4 Luoghi umidi, ombrosi della
ARACEAE 3 spec. deila za me- d (L.) Savi reg. submont. qua e là della
"diterranea. Toscana e delle Marche sino in
N. d. sp. in Italia 2 Calabria, ( Appenn. Mugellano,
Casentino, M.i Albani, vicino
Roma, M. Virulo presso Caserta,
Castellamare e in diversi luoghi
della Basilicata)
LILIACEAE Hyacinthus Fastigiatus A. G. Capsula 2 2-4’ Luoghi aridi della reg. med.
Specie circa 30 di (Viv.) Bert in EN (Limbara, Ingurtosu,
cui 3 dell’Africa Gennamari, Monte vecchio: Ca-
trop. e merd.; le prera, ! Cors ca (M. Grosso).
rimanenti del Me-
diteir. e dell’ Asia
ccid,
N. d. sp. Ital. 6
A maritimum A. | D.M. | Capsula J 2 OM BEL marini in Sici-
circa 250 sp. in Eur Raf. lia e Corsica (?) regione media:
Asia, Africa estra presso Pis. alla spiaggia di
trop. Abissinia, A- Romagnolo, sotto M. Pellegrino,
merica b e Mondello, alla Guadagna, E
sico. eria, Carini M
N. d, sp. in Ital. 32 Trapani, Messina e Catani
parciflorum | A. | D.M. | Capsula 9) |2 e 4| Pascoli e rupi in Corsica ed in
(V iv.) Sardegna (presso Bonifacio, Cor-
te, Bee u Se: Gro osso, M.
Tretor ntorno a Ca-
gliari, S Michele. e eebe
VNVIIVIL VHOTA V'UIHN INSIKNHACOSH Ga INSIWMHONH
>
FAMIGLIA
GENERE | SPECIE
delle foglie
Disposizione
FRUTTO
Corolla
- AMARYLLIDA- oe “eur,
CEAE d. 5 reg. me
Asia oc cid.
d sp. in Ital. 5.
| IRIDACEAE
. d. sp. ital. 9.
URTICACEAE Urtica
circa 30 sp. nelle
reg. temp. e sub.
trop. dei due emisf.
N. d. sp. in ital. 6.
longifolium
F. Gay ex Salis
Imperati
oo
medius
Balb.
longiflorus
Raf.
rupestris
Guss.
D.M. Cassula
G.M. Cassula
loculicida con
lti semi
subglobosi
G.M. Cassula
G.M. Cassula
Achen
com presso ri-
vestito dal
perigonio per-
jg
A
LOCALITÀ
ove si trova la specie
Rupi dei monti in Corsica, re-
gione mont. o od (valle d'As-
co presso il d'Oro, presso Vi-
CO à GE m.)
Pascoli montani e presso al
mare nel mezzodi della veis a
Corsica; nei M.i
Castellammare presso Napoli.
e luo ghi ombrosi della
Liguria, in E occid. (Laigue-
glia) e orient. presso Varese, M.i
del Brocso e presso Oldenico nel
ie
e boschi nel Napolit.,
in Calabria (Rosarno, Serra, Mon-
M.i
giama). in Sicilia (nei di
lermo e nei Ka di Val Ma za-
ra); a Murge nel Barese; nelle i-
sole di Mono Favignana,
Levanzo; a Malta
Rupi vulcaniche ombreggiate
di Val di Noto Vallone di Car-
carone) ES in Avola nella Cava
dell’Amic
-
OTIHLVOSAN HddASNI9 A INOITVOSAT MINT
presso Strombo
SS = S | E LOCALITÀ
FAMIGLIA GENERE SPECIE E S FRUTTO E 5 ‘ES yer is bia
SE 8 A d v ove si trova la specie
Urtica atrovirens O. |G. M.| Achenio Y-h 2 Sui muri, nelle siepi, nei luo-
‘Req. | compresso ri ghi selvatici, nei luoghi ombrosi
vestito dal pe- olli e poggi, della region
rigon, persist. “el? Olivo, delle isole di Corsica,
ed accrescente a Bastia, Vico, vicino si „Com
vento, Ajaccio a Calen sc
Sardegna a Sinay, Gotica, “pata
S. Lussurgia, Tonnara Lungo:
ardo, Paran, e nelle isole inter-
medie, a Iglesias, Gorg Mer
me S Giglio, Arcipelago
Tos Maremma Toscana,
Send, taluno ne.
Parie Soleirolii A |G. ML Achenio 2| 2 Luoghi umidi ed ombrosi sotto
circa 8 ie SES? Spreng compresso, e tra le fessure delle rupi di Cor-
n reg. temper come sopra, sica, di Sarde day e di Capraja
dei due emisf. Rare le In Corsica a Cervione, al Capo
ropici. ali grosse Corso a Bastia; in Sardegna, nel
Num. d. sp. ital. 4 M.e Santo di Jia nell’Isola di
Tavolara ed alle sorgenti vicino
; eulada; in varie altre isolette
vicine.
= K a saxicola A. |G. M. ric h 2 R mar. aride nelle
CHENOPODIA circa 45 spec. deii . Guss depresso chiu- d’Ischia e Capri a Strombolicchio
CEAE ur. media Asi el li.
t
nper.
c
bor. Una nel-
ër: trop.
Num. d. sp. ital. 5
c
pio membran.
YVNVIIVII VUOTA VIIHN INSINGHGOSSH AH INSIKSGNSE
SLI
GENERE
SPECIE
Corolla
FRUTTO
Durata
LOCALITÀ
ove si trova la specie
Arenaria
70 sp. a nelle
"reg. temp. e fredde
dei 2 E ^ sugli
alti m.i d. reg. trop.
mancano i Auto
lia
n. d. sp. ital.
Silene
circa 400 "m Eur.
sia, Afr. m.-Bor,
N. d. sp. ital 48.
Hu.eri
Kern
Bertolonii
Nobis
Elisabethae
Jan
S
valve. Semi
compressi e
granulosi
sula
delagenie per
do
Capsula
deiscente
Capsula
deisc. semi
minut
nulosi arro-
ati.
VA
Nelle rupi elevate delle Alpi
venete fra 78 e 1900 m. Reg.
subalpin. ed alpina, (nel canale
i Cimolais nel fuo o detto Ser-
ra delle Gotte, nella Valle del-
PInferna, nella Valle di Bricca e
nella l'alte 1di Forni Savor-
gnani Udinesi).
Sulle rupi e tra i sassi della
reg. mont. all'alp. nelle Alpi
marit; nell’Apennino sino in Ca-
labria, in uas e ae Madda-
lena (?) e in Cors
Rupi della reg. alpina nelle
Alpi trentine, lombarde ed al
M. Viso: Sul See E Tirolo
merid. Prov. di Com monte
Campione delle grigne, et m.
Camisolo e Barbisino in Valsas-
n Val di Ledro si monte Tre-
ma e sul monte Casone fra
1400 e 2000 m, in Val di Ve-
stino nelle rupi dolomitiche del
$00 m.
Nel Bresciano sulle vette del
Dosalto a 1900 m. comune sulle
rupi dolomitiche dal monte Gerle
9LF
OTTHLVOSAHW HdduSsnIo U, INOIFIVOSNA TOIT
FAMIGLIA
GENERE
SPECIE
Disposizione
delle toglie
Corolla
FRUTTO
Durata
LOCALITÀ
ove si trova la specie
CARYOPHYL-
LACEAE
Silene
Elisabethae
Echinata
Otth
Requienii
um
Capsula
deisc, tuber-
Capsula
deisc. semi
acutamente
tuberculati
fra 1600 e 1800 m. Sul Corna-
Mandello e sul Campio
og erbosi ed aprici della re-
gione med. s submont., nel L
zio, Basilica a e Calabria: Era
erbos si, sulle scarpate delle strade,
re rada
alla Valle di s. Spi rito ed Res
Maddalena sulla via di Montic-
chio e presso ai piloni; in Cala-
bria, a Tiriolo, a Nicastro ds
Stilo e Monosterace sul M. Tre
dito, Ciminà
Aspro monte fra 4co e 600 m.,
Staiti, a Dags e fra Polizzi e
Spartive
Sulle tn nella Reg. montana
in Corsica e A (Sul M.
seg Tr Calvi, er?
Pietro a 5000’ e lun en il fiume
Tavig nano, dodo Corte, presso
Le E Creno, sul M. Cam mpotile,
d’Oro, sul atro in
Na e? montagna del Renoso,
Petramola etc.
Sul M. Coscione, sul monte
Cagna, presso Bonifacio.
VNVIIV.LI, VUOTA VUIHN INSIWNHCOSH dA INSINUONH
LLP
America bor. pochis-
sime nell'Emisf. me-
rid.
N. d. sp. ital. 13
non arriccian.
con la matu-
rità
a z LOCALITÀ
FAMIGLIA GENERE SPECIE 2 FRUTTO S : i
3 A ove si trova la specie
CISTACEAE Helianthemum Tunulatum D. Capsula Luoghi pietrosi della regione
so sp. la magg, par-| (All.) DC loculicida alpina e subalp. talora fino a 850
te della reg. med semi lisci m. nelle Alpi marit. dal M. Car
special. oc. Can. Ca- no al Colle di Tenda. Assisi
rde. Asia oc- Calcaprile in pochissimi Set,
cident. poche sparse
per tutta l’Eur. e
nell'America
d. sp. ital. 18.
, i , Malcolmia Orsiniana A. Siliqua a Luoghi rocciosi della reg. a
CRUCIFERAE sp. nel Ten. più o meno degli eg zzi ed Umbria. ine
medit. Caspio, Per- compressa gli alti Abbruzzesi al Corno
sia, Afr. bor. Ind. tardiv. deisc. in luoghi rocciosi a er
bor. occid. Corno piccolo ed alla Grotta
N. d. sp. ital. delle Cornacchie; Majella in Val-
le Orfenta al piede del M. Mur-
chio. Nell'Appenino veia in-
dicata dal Sanguinetti).
Sisymbrium Zanoni A. Siliqua 5 Nelle Alpi Apuane, e nell’apen-
80 sp. Eur. Asia oc- (Ball.) J. Gay. valve carenat. nino tosco-emiliano sulle rupi
ed in luoghi sassosi. Nella
gione alpestre e nella montana
dalla quale s ende alla submont
col corso dei torrenti: nelle alpi
di Mommio lungo il Dolo; di
arga, Montefegatesi, Limano,
al 0.2 i lungo il
Pelago, a Vinchiana lungo il
Se NA A alle tre Potenze, a Bo-
scolungo, Fiumalbo, il Balzo. il
8LF
OTTHLVOSAN WddüOsül9 A INOITVOSNA ISINT
| ESCH | s |g LOCALITÀ
FAMIGLIA GENERE SPECIE aci FRUTTO H EN : à
3 | EN 3 | | A | ^g ove si trova la specie
"en
CRUCIFERAE Sisymbrium Zanoni che aperto, il Cimone, Piana-
atico, ed in giù sul Ponte al
lione al Pian dei Termini,
a Frar Orsi al Lasa al Cimone
di Caldaia, a Mandramini, Prac-
chia sul M. Beni e vicino a
vigliano ; alla Falterona, a Val-
lombrosa, nel M. Amiata
Brassica Macrocarpa | A. | D. Siliqua 9L 2 | Rupi calcaree marittime delle
60 specie edge Guss. grossa cilin- isole EN E we ene re a
meridionale e media drica con na, al Cast di S. Caterina e
^U Zeg e centr strozzature Marettimo.
Afr. bor.
N. d. sp. ital. 19.
Morisia hypogaea WE Siliqua 9| |2e4| Luoghi sabbiosi o rocciosi dal
Genere monotipico | Viv. faro secca divisa mare ei en € bs ubmontana
in 2 articoli, a Sardeg Corsica e forse.
indeiscente. altre pe d Italia: In Corsi-
La specie è ca al Capo Corso, a Bastia in
geocarpica mn Faust Ad. EA
l d oltre 3000’, a Bonifac
nei pe sassosi lungo il GE
sulle rupi umide, nei Sege In
Sardegna in luoghi mon-
tuosi della parte LE a urti
proas Macomer, Tonara, Bar-
agie, a 450 a 800 m. a Tacco
| di Seni, nei Së a 600 m.
;YNV,IVLI VHOTA \V'TIUN INSIKACOSH G4 INSINACNI
Gr
1-2 semi con
ala larga
i ! = RRE LOCALITÀ
FAMIGLIA GENERE SPECIE 2 FRUTTO z EN É À
5 À do ove si trova la specie
CRUCIFERAE Morisia hypogaea tra Ulassai e , Tacquisara, nei
jn sassosi pe strade de
so Isili a Mandas Asfossa
nelle CH dei pa Ju
microcarpa Siliqua D egione vio dei M. cal-
12 "aen? prevalent. Moris indeisc. alata cari della Sardegna or., in Sici-
della reg. mediterr. lia alle Madonie e presso Messi-
orient na (ex Lanza).
N. d, dd ital. 2
Aum orsicum Siliquetta 2| Luoghi aridi in Cona presso
110 sp. Europa Asia Dub. oe sc. Mr E Bastia; nella via che conduce
occ. fino alla cen- e per log alla Casa vecchia (comune. Ne
trale Africa bor. Is. “vivente: la valle del Fango e in Lelio
Can. Madera. reg. med
N. di sp. ital. 18.
Alyssum Robertianum néier 9| In. Corsica dd as Corso, a
‘Benr. sem Ville e Non m.i S. Pietro
cui alati e Rotonda: Se? e nelle
rupi calcari cretacee on
su Cusidore nei M. di Olie
3 ï Siliquetta 9I Sugli alti monti Abruzzesi,
bi, nda : 4 nelle fessure delle rupi, sulla ci-
ma del monte Amaro
jella : v
a V2
1.2400 m., sui Sirente in
cima.
(GF
IJTTHSMIO 3 INOI'IVOSOS PONT
e
ai
DTITIHLVOSAN
ECO | ¢ | 82 LOCALITA
FAMIGLIA GENERE SPECIE ; RAS FRUTTO M EN E i
ES S | À M ove si trova la specie
a
CRUCIFERAE Draba Loiseleurii A. D. Siliquetta ¢ e Rupi alpestri in dire sul M.
150 specie dei m.i *Boiss. compressa Rotondo e sul M. Car
di e il globo,
ma ecialmente
nell Ethielera borea-
le e nelle reg. art.
. d. sp. ital. g.
Cochlearia brevicaulis A. D. Siliquetta ® ei Nei luoghi rocciosi delle Alpi
20 sp. Eur. Islanda, Facch. deisc. semi calcaree del Tirolo nella reg. al-
Asia occ. minutamente i pina inferiore e media e del Ve-
N. d. sp. ital. 4. papillosi neto, alla Vetta di Feltre, in Pri-
miero alla Neva seconda, in Fas-
p sa a Camerloi, in Finme, in
Korneid e Tiers, sullo Schern ,
sulla Dolomite a Rosengarten.
Lepidiu humifusum A. D. Sil quetta 9L 4 Nei M. di Corsica: Renoso, Co-
Circa 100 sp. Sparse} (Lois.) Reg. deisc. subglob scione, nei pascoli umidi, Fiu-
in tutto il mondo, stieiiam, alata morbo, Nino, S. Pietro a 4-5000”.
fatta eccezione per all'apice Grosso, nella Foresta di Valdo-
lar i niello, dal Canal d'Ese al Cana-
N. d. sp. ital. 9. le dei Pozzi e da questi alla Vet-
i ta d oso, a a-
vignano, Eolo, Restonica, Fon-
tiaone sopra Boco
Bivo Saviana A TD D. Tee: O) 2 Sulla sommità d vi,
Sp. 4 del oeh Spa- Car. alata; sem nella Maremma. tosc. in località
gna Gest Alger. einer indic. col nome di M.S. Leonardo
N. d. sp. ital 3. e ivi trovata in un area boschiva e
. | sopra le Scale Sante. Pianta prop:
x i tale ristrettissima località
VNVITVALI VHOTIA V'I'IHN IWS] KUQOSA QU INSINK&GNH
reg. orient. med
pochis. m Alpi e
dei P.ren
N. d. sp. “ital.
Tugoso.
Siliquetta
sprovvista
di ali.
| 2 2 | 88 LOCALITÀ
FAMIGLIA GENERE S | FRUTTO | 5 | ns i
i e A me ove si trova la specie
CRUCIFERAE Aethionema Siliquetta ai Val d’Aosta nella Valletta
circa 50 specie e largamente , per la strada che dal
i Cogne, p
Villeggio mena Le il Col del-
PArrietta alla Valle di Ponte,
sotto le Capanne E Chavanisse,
al termine estremo del larice,
ossia nella re diclo: alpina infe-
riore, a circa 1800-2000 m. in
luoghi declivi fra i sassi sciolti,
ed in quelli gr Alpi alla Ca-
panna di Suche.
In Sicilia ovunque, nelle fes-
sure delle rupi: a Palermo, a
tino, ng Mon gi AEN RE s
Villabate, a S. Mer
nir cd EA Tanetlo, Cefalù,
Castelbuono etc., e ne elle ado-
sola a Capo Palinuro, (« ad
na montem et prope
tugurium Eremiticum vulgo del-
la Rosa »
D'TISLVOSO0K Hdd4SA19 d INOTTVOSAE IDINI
== a
| ST = $ 188 LOCALITÀ
i FAMIGLIA GENERE SPECIE * E FRUTTO = N : :
i Seel 5 A T. ove si trova la specie
i me
| RANUNCULA- Thalictrum calibricum D, Achenii Op: paca uoghi boschivi della regione
circa 76 sp. reg. tem Spr. brevemente media alla montana, sino a 1200
: CEAE per. e fredde Emisf. pedicellati, m. in Calabria ed in Sicilia.
| or. Poche dell’In- con stilo per-
dia trop. Africa me. sistente.
: rid. America merid.
(Ande).
Ny de sp. ital. y
Adon distortus AI D. Achenii 9| CN Luoghi rocciosi della regione
circa 20 sp. nella reg Ten. a becco lun- api nell’Apennino centrale nei
temp. e mont. del ghetto onti Vere, Majella, Velino.
a ane o. sistat i Corno e Sirente
: d. sp. Kal. 4.
SAXIFRAGACEAE| | Saxifraga arachnoidea | A. | D. Cassula I 4 Rupi montuosi nel BAR asas
trio Steg Sternb. on ill core E | Ai à = Valc „oo €
: al Seriana, Bresciano alla Cor
Benth e Hook ei a en Biete, nei monti presso Bove-
wa mn Emi di gno, monti Dossalto e Trentino,
7 St. borea
N. d. sp. ital. 39.
Rupi della regione alp. qua
tenella A. | D. Cassnla 9} 5° | là nel Friuli (M. Matajur) e déi
Wulf. c. S. Goriziano, a Folmino presso PI-
sonzo.
Vandelii A; | D Cassula 9L P l dell 1
Bett | WC LA ca CURE, ella reg. a pre
lpi lombarde e trentine,
m. Pavione verso Primiero ai
confini col Bellunese.
VNVIIVLI VUOTA VITAN INSINHGOS4 TH INSINHANY
FAMIGLIA
GENERE
SPECIE
Disposizione
dele foglie
Corolla
FRUTTO
Durata
LOCALITÀ
ove si trova la specie
|CRASSULACEAE
Sedum
circa 140 m: (secon-
o Ben
Hook
nel Per
N. d. p» ital. 29.
alsinefolium
All.
aetnense
Tin. in Guss.
>
Follicolo
Follicolo
Nelle SR liguri e piemontesi
sui m.i enga, sulle rupi
nelle a della valle tra Roja
presso Saorgio, sulle rupi umi-
de presso Tenda e nelle grotte,
a i l
ra nei vani sotto le rupi del
> > + 2 sopra Dronero
i di S. Damiano, nel
Vines sotto le rupi ed ai vec-
chimuri fra i castagni ed i noci da
ermano, in val del Pelli-
ce, a La Co mbe.
Lu oghi sassosi sull’Etna a Ni-
sato! sotto le chiuse, a Zafte-
a, Serrapizzuta ecc.
OTIGLYOSAW HddHSNI9 A INOITWOSAI Int
E E | S PES LOCALITÀ
FAMIGLIA GENERE SPECIE "c FRUTTO = "Be i
Ex e À x ove si trova la specie
as DI
ROSACEAE Pru Cocomilia Ae D. Drupa h 4-4° |. In Calabria alla Sila, nei bo-
circa 75 sp. d "delle reg. Ten. schi, reg. mont. e submont.
SE r. dello Emisf. . Camigliat. e dintorni sulle rocce
boreale; Una s cristalline e granitiche.
Asia ed Amer. trop.
N. d. sp. ital. 15. :
Potentilla saxifraga A TD J 4-4 | Sulle rocce a picco della reg.
più di 200 specie (se- Ard. 1 capolino mont. dai 600 m. in in giù (ra-
condo Benth e Hook interamente ramente sino al mare) nel ver-
120) regione temp. pelosi. sante me . A ma. (time
e fredda Emisf. bor. sopra Manon alla cima di Mera,
o più raramente dei Po rupi a picep E arma
monti delle reg. in- u Curumbe ese
ter trop. le Een Suu m.,a Perla tra
juve nell'emisfero Levanzo e Duranus, al Ciondan,
dal confluente della Vesubia a
N. ri sp. ital. 30. quello della Tinea nel Varo, alle
gole di Saorgio, a Fontan, nel-
l'Alpi di Rans e di Briga, sul
vallon di Fenestre, presso Lan-
tosca.
apennina A. | D. Achenii 9| pP
Ten. barbati al- Rupi luoghi sassosi della
l'apice reg. alpina nell’Appennino cent.
dall’Umbria e Marche alla Ter
ra di Lavoro: nei m.i Sibillini
cioè sul Vettore, sul Priore ecc
nei. monti Corno, Intemesole,
ctone, nel ve'ino a 2000
m.
nel =
rone e la Majella a "M. Am
VNYIIVII VIOTA VIIAN INSIKHAOST AA INSINAANA
FAMIGLIA
GENERE SPECIE
Disposizione
delle foglie
Corolla
FRUTTO
Durata
Regioni
e Zone
LOCALITÀ
ove si trova la specie
ROSACEAE
Potentilla apennina
crassinervia
Viv.
i grammopetala
Moretti
A.
Achenii
pelosi
Achenii
lisci
un
>,
I
A
a 2600 m., in valle Canella a
2500 m
Sulle rupi della reg. alpina e
MP. in dde e Sardegna :
Capo Corso m. St ais m. Co-
scione, m, " d'Oro Renoso
sulle rupi dai Pozzi pe den.
dalla Bocca Cernente al Cam
potile, gole del Tavignano
della Restonica, valle
m. di Niolo, m. Grosso, m
alle fess. d. rupi del m. S. Vit-
toria Esterzili a 1200 metri.
Nelle Alpi dove le Pennine con-
inano con
sopra Colasca, nei Monti E
Premosello frequente , e co
nell'Alpe Colla e mg Pizzo ye
vina a 1700 m., in val Intragna
OTTHLVOSAW WHddWHSüIO H INOITVOSAS ott
š% = 2 |g | LOCALITA
FAMIGLIA GENERE SPECIE wr. E FRUTTO > T A È
pa Q A D | ove si trova la specie
BS! © pe © |
ROSACEAE Potentilla grammopetala nel M. Zeda a 2100 m., al pizzo
Marona, al pizzo d'Anzasco, -a
Mesocco al Corno delle rupi a
diritta della valle te Anche
nelle Alpi Graie orient.
Rosa Strobliana Aa D. Achenii h 3 Nebrodi E vu del Badile,
circa 75 sp. dello E-| Burn. et Grml, pelosi rin- sulla via c olizzi porta
misfero bor. chiusi n. ri- ad Isnello, da tun dallo rupi
| d: ital 26. cettacolo car- elevatissime a perpendicolo di
noso. Marrabilici, sulla A pego valle
che ascende all'altipiano dei Cer-
vi in luoghi pietrosi; rarissima.
LEGUMINOSAE Cytisu aeolicus Ar D. Legume h. 2 Terreni e rupi vulcaniche del-
circa 50 sp. Mell'Eur Guss, assai com- le reg. medit. nelle Eolie a Li-
Asia occident. India presso con pari, Strombo li e Vulcano fara,
orient. Afrida bor. semi pube- Terreni lapilloso-sabbiosi di Vul-
Canarie. Una nel- scenti da gio- cano al Piano dell’Aria, vicino
l'Africa merid ani, alla Casa di Sferlazzi, Been
d. sp. ital. 14. al vallone be er nei
detriti rocciosi vulca della
stessa Moi. e? nelle ru dë
trachitiche Gi I l
discesa dell’ Arena grande ed
all’ Acqua deila Schicciola. Al
piano dell Aa in Vulcano è un |
EN dienes sulle rupi, SE |
utice. Tende
à Sege
VNVITVII VHOTA V118HN INSIKSGOSG Ga INSIKGGNG
L gp
acutam. ro-
. semi
ne i lu cidi
scalata
| ; EH = | | s [88 LOCALITÀ
4 rd e = E ka ga
FAMIGLIA | GENERE SPECIE EM à | PRETIO | À su ove si trova la specie
a=
enista Cupani A i D: egu fi 4-4 Luoghi arid: della reg.submont
| LEGUMINOSAE circa bs sp. in Eur. Gei rostrato acu- à 00 m. 400 Sicil
As. occ. Afr. bor. inato con alle Madonie. Dumeti selvatici
N in It. 20. un solo seme sul suolo arenaceo n arg
itido Ze boschi cedui nel versante sett.
Nebrodi, a Caste Sie nei
limit Wenn del bosco sopra S.
uglielmo sino a 1400 m. al-
ture della Sempria, Castagneto
di Ruselli, Ferro, Pomieri, ye
predicatore (comu ne). Versan
orient. sciara di Guderi, Va
di Lampo verso Petralia
corsica A. D. Legume h 2e4 Luoghi aridi falle reg. medii
DC. lineare, com- subn nont. sino
presso Sard, orsica ed ‘plete he
Limbara e Gennargen
Morisii AD. Legume h 2 Pascoli aridi della ES media
Colla lineare, com- nella Sardegna merid. (Saleis,
presso S. Antioco, Siliqua, S Vo
aetnensis E D. Legume h 2 Luoghi aridi della reg. media
i e quae sull’ Le ed in Sarde-
dalla collina hing mg,
riore (et sino alla reg. la-
vica deserta, copiosa
a nelle Sciare
antiche e più o n m
ste. Milo, I
te. Milo, Lngu: Ch
Giarre, valle Calanna, Cerrita,
Belpasso, Nicolosi, Zafferana ^
OTTHLVOSAN HddHSAI9 A INOFIVOSQS ININT
SPECIE
Corolla
Durata
Reg oni
e Zone
(delle toglie
LOCALITA
ove si trova la specie
aetnensis
ephedroides `
DC.
Pironae
Vis.
q
zu ra del Solfizio ed ancor
rs 9 Or
del. Ween, rara si er
doi ro.
Messina presso il torrente Ca-
maro forse inselvatichita dopo
Golik (Zodda).
Luoghi” aridi della Mes med.
(Martelli: reng aridi calca-
rei deines O sumo
rici
È
DR
98
we
nM |
AZ" m
=
©
G
È
Sferracavallo nei bassi e
o sugli interstizi delle rupi cal-
caree. Falde delle Madonie tari
so Is cond Pizzo di Pilo. Ne
Eolie a Salina, Stromboli:
Lipari, Versand e Vulcano ove
cresce copiosa, gregaria gigan-
tesca.
—
Ka
o
Kä
©
EA
Luoghi sassosi della reg. sub-
mont. nel Trevigliano , Friuli
e Goriziano: Rupi calcaree e
luoghi aridi M. Gemona; nella
via da Genova- Pero in su pie-
se calcaree e sul Monte Quar-
e Bernadia nei priest di
VNVIIVII VUOTA VITUN INSIKSGOSS GA INSINHONA
| LOCALITÀ
FAMIGLIA | GENERE | SPECIE
FRUTTO
Durata
e Zone
ove si trova la specie
Disposizione
delle foglie
Corolla
Regioni
orlano e Piccat nella valle del
dd reg. tropic. dei due T
LEGUMINOSAE Eent Amer. temp. fiume Sclesó di Prestento
N. d. sp. ital. 29.
Trifolium obscurum — |A.O.| D. Legume (D 2-4 | Luoghi erbosi presso Genova
circa 250 sp. (secon- ai mulini di S. Bartolomeo (av-
o Ben e Hoo id, in Tos Ca s Së E
circa 150) delle reg. i Bagni in Basilic
t e subtr e Leift (Fiori), V icti ‘Ce.
misfero pre Po- ati).
che nelle Ande d’A-
merica meridionale
e al capo i
N. d. sp. ital. 59.
Bivonae Ad. Legume | 9 4-4 | Prati e pascoli della reg. sub-
Biss. con I-2 Semi mont. e mont. in Sicilia: m.i
e Piana, ee monte Moar-
, Palermo alle coste di S. An-
Sé Termini, Castelbuono. Ac-
qua Sempria, ee Alta-
villa e m.i dei Cani, S. Caloge-
ro, Scala Maia "s. Martino,
Sciara, Petralia, Alia, Vallelonga,
Caltanisse a, Mistre etta, Capizzi,
Noara. Floresta, Prizzi, Segesta.
O6P
OTTGLVOSOW UddHSNIO X INOTIVOSAT IÐINT
SS = | | z | E LOCALITÀ
FAMIGLIA GENERE SPECIE E S FRUTTO S kee
SS 8 | a | et ove si trova la specie
LEGUMINOSAE Lathyrus odoratus A. | D. Legume @ |2e4| Luoghi selvatici umidi della
circa 100 sp. dell'em. lineare, ob- reg. med. e submontana nella
r. pochi nei m.i lungo, fal- Calabria or. ci in Sicilia; colt -
di Afr. SE? e nel- cato vato pure per ornamento ed in-
PAm. merid selvatichito come a Volterra e
N. d. sp. ital. 29. presso Ascoli, presso Toscalano
nel bresciano e presso Ancona.
ordani À; D. Legume IL 4 Prati umidi e A e
(Ten) Ces. lineare com- salernitano e Basilicata; Sess
. Gib. presso nel Cilento, Vallone dirugata,
etn ecc. (Ten.) Lagonegro
(Fiori).
UMBELLIFERAE Petagnia saniculaefolia | ^. | D. Achenio J. 4 Scaturigini freddissime dei bo-
gen. monotipico. Guss. subgloboso schi di Valdemone, rara e loca-
con costole lizzata, Tortorici, Boschi di Can-
nata, lungo la strada da Flore:
sta a Maniaci
Bupleurum dianthifolium | A. | D. Achenio h 2 Esclusiva e localizzata sulle ru-
60 sp. Eur. Asia tem- Guss. rugoso a co- pi calcaree dell’isola di Maret-
v e media Afr. stole acute timo presso il Telegrafo.
Una naturale
vell ie bor.
occid
N. d. sp. ital. 15.
elatum mF D Achenio J. 4 Rarissima e localizzata sui
Guss, liscio a cost. Nebrodi in luoghi freschi bor.
occid. in terreni ombrosi calca-
YNVIIVII VUOTI VIIHN INSINAAOSA CH INSINHONH
Z| = Län | ¢ | 3g LOCALITA
FAMIGLIA GENERE SPECIE e E FR | E SN MRI e
=
rei e rupestri. Vallata air alla
UMBELLIFERAE Colma fini nella vallata che
scende sopra le Favare d eg De
vallone del Mona
Car idulum À Achenio 5 Nelle rupi marmoree delle Alpi
3p. 22 Europa "ra (E iv.) Koch con costole Apuane, dov'é frequente tanto
c. bor. e centr. fille alte cime quanto sulle pen-
Africa bor. poche diei fin nella reg. submontana
or. Una al Sagro, ai pee scritti, sopra
Can apo di B. Sper. la Bocca d’Equi izzo d’uc-
Un’altra al Kile e cello, al Pu al Zucco del-
nell'Argentina. la Preta e nella salita della Tam-
N sp. ital. 3. bura, in quella di Rascetta alle
erect "i Frigido, tra Cageg-
gi Bruciana, alla Cor-
chia, dua o ind. in v. ds
ni, nel monte Alto, sopra Levi-
gliani, alle sorgenti della Tor-
rite, presso' Polodina ecc.
Ammi crinitum Achenio Nei campi argillosi di Calab.
circa 7 sp. della reg. Guss. con costole presso Castrovillari, a Cassano
mediter. Abiss. Wie a- distinte Spezzano, al vallo di Cosenza, a
us Can. Azzo S. Leonardo, Catanzaro pre
fiume Tacina, Francavilla, Reg-
N. d. sp. ital. 3. i ampi. In Sicilia; val di
Mazzara, Sciacca, Montallegro,
Siculiana, Terranova. A ar-
tolem. presso Genova (Gennarò).
D'TIALVISAN HAddHSAIH A INOLIVOSAT POM
A SS s £ lass LOCALITÀ
FAMIGLIA GENERE SPECIE €" |-2 FRUTTO 5 N E :
| Sei $ À S ove si trova la specie.
ma en
Falcaria latifolia AT CD. Achenio ¢ 4’ Regione montuosa delle Alpi
UMBELLIFERAE sp. 5 delPEur. Asia Koch. con coste ^ Giulie sul m. Zhaun sopra AL-
occ. Sib. dussina
N. d. sp. ital. 3.
Cryptotaenia Thomasii A LE Achenio 9L 2-4’ uoghi umidi della reg. med.
sp. 3, una dell’An (Ten) DC con coste alla mont. negli Abbruz. M vi
bor., una dell Aur Parco di Caserta (Terr.) ed
e la nostrale. ge ths nell’ Aspromolite sopra
N. di spec. ital. T S. Stefano nei stillicidi scoscesi
della end del torrente Telesio
sul gra :
presso i ie: i boschi di
Serra S. Bruno. (Pianta rariss.)
Ligusticum corsicum D. Achenio 9| o Luoghi erbosi dei monti altis-
circa 40 spec. del- J. Gay con coste den- imi di Corsica e presso Calvi,
l'Emisf. bor. Kili e MM SCH m. Rotondo, Patro, Incudine,
N. Zel. d'Oro, . ietramola
N. d. spec. it. 4. eu A. iD, We enio | J $-5 P ica al m. Rotondo (Viv.)
(Viv.) DO. con coste lisce, . D'oro (Kralik.)
onannia resinosa ARI D. enio | 9 2 Luoghi piu a so! EE della
Genere monotipico | (Presl., Strobl, con coste lisce reg. med. Cal, ilia: (ad
Alcamo; beu Sei Po-
lizzi siculo, nelle Mado-
nie a EC Lar Suarenti, Mi-
dë eer eerst
Maniaci, E Rat Ma-
letto. In Calab, : ras "Polizzi,
i Stella nella Sila. Ca-
strovillari. )
YNVIIVLII VUOTA FIJAN INSIAKSGOSH AH IKSIKHGNS
G67
—
FAMIGLIA
‘UMBELLIFERAE
ECH E Es LOCALITÀ
GENERE SPECIE E S | FRUTTO 5 | ous ;
zz O A we ove si trova la specie
Puma divaricata | ^. | D. Achenio 8) 2 in Corsica e in ti
circa E sp. d. Eur Desf. con coste à MN. cia Corsica d SCH Ga
Cau Nur As. occ. margine so, Bas S. Lorenzo,
Afr 8 r. strettiss. e Vico si "fidis di Belfiore, A ee
N. d. si LE coste later. te d’Estro, nella Gola del Niolo,
espans. ` presso Mab uns alla Restonica,
See er a di Vizz anova, a Bo-
cognano ecc.)
corsica A. D. Achenio 2) 2 n Corsica comunissima lungo
Car. con cost. a È i wen" a B e nel nord
marg. stret- dell'isola lungo il torr. I oga e
tis. a cost. nei een montuosi, a S. Fio-
lat espanse ren go la strada. in luoghi
pud a "Calvi i
Peucedanum paniculatum | A. | D. Achenio Op. | 2-4 Luoghi sassosi e asap à della
circa 162 sp. d. E- Lois con cost, lat. reg. med. e submont. in Corsica
misf. bor. Ind. Alg espans. al C. Corso, nei m.i di Tenda e
fr. trop. e merid. di Bastia al Pigno, andando ver-
Ande d. Am. trop. so Nonza, a Ci e, Ghi-
N. d. sp soni, al basso E foresta di Viz-
zavona, al c Pen
a Vivario, Kee S Anto
DER: nitidum A | D Achenio d 4° Prati, boschi e rupi della reg
circa 30 Sp. Zanted con a NR mont, nel Trent. Valtel. Bresc
Afr. bor. Asia occ. | contorte Ber ;omasco. (Nelle
Or. 7 :
oghi bos hiv
du cione dei Faggio e delo
D'TTALVOSAN Hdd4SNAIY A INOLTVOSAT PONT
MN Ew
FAMIGLIA
GENERE
SPECIE
Disposizione
delle foglie
Corolla
FRUTTO
Durata
Regioni
e Zone
. LOCALITÀ :
ove si trova la specie
UMBELLIFERAE
RHAMNACEAE
Colladonia
id sp. ital. 5,
angustifolia
Bert.
persicaefolia
Moris
Achenlo
coste alate
Drupa
ji
Abete. Nel Comasco abbonda nei
mi Biandino sopra Introbbio,
Valmeria sopra Mandela Co-
m; nel Bergan tra 400
m. nei m.i rale red Er
vallo, in val di Scalve
sciano nei m.i Fronden, Pouch.
Dossalto, Dragone, Drago nel'o,
Cornablacca a 700 m; in Tiro lo
sul calcare; nelle Giudic. presso
Tione, in Val v heros nel i
Stino, in E eguzzo ai Toric, ne
m. Apric b odd Bo Ibeno Wi
cipalmente al Rocco'o del Festi
in Lanziada a Turricc i sopra
Molveno sul confin di v. di Non;
in Valtel!, presso Bonini è vault
adiacenti; in Ticino (?)
Dal mare alla reg. submont.
nelle Puglie presso Gravina e
Basilic. presso Tricarico ed al
Costone di Fusciano
Siepi e luoghi selvatici della
reg. media nella Sardegna me-
rid., alle Barbagie ed a Fonni.
YNV,IVLI VUOTA V'I'I4N INSIKHCOSH Ga INSINUONH
Cor
FAMIGLIA
SPECIE
Corolla
FRUTTO
Durata
LOCALITÀ
ove si trova la specie
».
uuo?
D
(on
| POLYGALACEAE .
GERANIACEAE
de o
=
Preslii
Spr.
Gussonei
Ten.
corsicum
Lem.
alpinum
L’ Hirit
=
Cassula
compressa €
con margini
alati
Cassula
con rostro
lungo
Cassula
con rostro
g
lungo
Cassula
con rostro
A
Nei prati solatii ig bassi che
montuosi ovunque in Sic.: pres-
so Palermo, a S. Martino, ke
Pizzuta, a -S. M. di Ges
nel Messin. e cosi a Militello.
Nee la indica in Calabria ad
Aspromonte.
Nei luoghi erbosi e nei colli
marittimi delle parti merid.-o-
rientali della penisola hellas reg.
dell'Olivo: nella terra di Bari,
a ne di Barletto
nela Basil.. ad Avell.no, Bagn,
Cerialto ed altrove, in C i
al Capo di Alice fra Cirò e Ca-
riati.
Fessure selle, TD del reg. med.
il Sard., Pu Dd
i d Aic
bint PTER a “Bonif. in Sard:
a Castel Sardo, a Longobardo.
In luoghi erbosi e talvolta pie-
trosi della reg. subalpina ed al-
pina dei m. dell’ App: delle ee
che e degli Abruz. Nel m.
tore a Furca di Pronti e ci
il Piano del Castell, nel Monte
Majella al vado di Coccia, al
OIIHLYISNN uddüsíl9 4 INOTIVOSNA IVIOT
E. PANTANELLI
Sui caratteri dell'arricciamento e del mosaico della vite, *
Aspetto esteriore dell'arricciamento
(Tav. I-VI).
I earatteri morfologiei essenziali di questo male, detto dai Fran-
cesi, come vedremo, ora roncet ora court-noué, si ritrovano più o meno
in tutte le regioni, (1) ma fra essi alcuni sono costanti, altri per la
loro comparsa irregolare e per il differire da un luogo all'altro modi-
fieano l'aspetto dell'affezione presa nel complesso; una prima difficoltà
. eonsisteva quindi nello stabilire quali sono i sintomi proprii dell'affezione
Sopra ogni vitigno, per evitare l'errore in cui forse é eaduto taluno dei
miei predecessori, di chiamare roncet qualunque forma di rachitismo
delle viti americane. Ho assunto come forma tipiea la malattia quale si
presenta su le V. Ruprestris, specialmente su la À. du Lot, volgarmente
detta R. monticola (2), perché le V. rupestris sono indubbiamente le.
più sensibili fra le diverse specie di Vitis. Dal tipo Rupestris si sco-
sta notevolmente il tipo delle V. Berlandieri ed a loro volta le V. vi-
* AVVERTENZA — Sono questi i-primi capitoli di una relazione monografica
larricciamento della vite la cui stampa fu dapprima autorizzata dal Ministro di Agri
coltura (lett. 25 Luglio 1911), poi sospesa per esaurimento di fondi.
(1) Su l'origine e la diftusione di questo rachitismo cfr. 1911. II.
(2) Cfr. Mazade p. 239; Viala, IV (1895). p. 550; secondo Ravaz, Les vignes Ae
méricaines, 1904, p. 109. la Rup. du Lot sarebbe un ibrido di ‘Rupestris, ma-non--con
Monticola, come ritiene Couderc, bensi con un'altra specie ancora sconosciuta. Essa fu
ottenuta da seme da Sijas nell’Herault, e poi selezionata e propagata da J. Richter a
Montpellier (1895 p. 663).
498 E PANTANELLI
nifera hanno un tipo di roncet loro proprio, che però si può conside-
rare come quello più anticamente eonoseiuto, se si ammette che ad
esso sia identico l’arricci amento. sempre esistito sulle viti nostrali
franche di piede. Le V riparia presentano un rachitismo che per molti
riguardi ricorda quello delle V. rvpestris, per altri si accosta a quello
delle V. Berlandieri (1).
Tipo RUPESTRIS o ARRICCIAMENTO TIPICO. Si distinguono aleuni caratte-
ri essenziali, che si ritrovano in ogni luogo e sopra ogni ceppo, da altri
caratteri che si presentano solo in determinate località o su ceppi che
hanno già raggiunto una certa età.
Sono caratteri costanti: foglie più piccole delle normali, meno con-
sistenti, rapporti di lunghezza e di apertura fra la costola mediana e
le laterali diversi ed irregolari, seno picciolare più aperto, profonde
insenature laterali, denti acuminati e spesso contorti, parenchima ri-
dotto rispetto alle nervature (efr. Tav.V). Piccioli più brevi e più sottili
dei normali. Internodii più brevi dei normali e meno agostati.Grappoli
portano meno fiori dei normali e tutte le loro parti sono più piccole.
Femminelle si sviluppano di pari passo col tralcio padre (roncet).
Fra i caratteri oscillanti od incostanti, che non possiamo quindi
senz'altro ascrivere fra i sintomi proprii del roncet, troviamo: foglie
con lamina maculata in chiaro per la presenza di aree pallide per tra-
sparenza, più o meno nettamente delimitate da nervature di ordine va-
rio, come nell’ albinismo o nel mosaico del tabacco. Viticci deformati
o trasformati in grappoli o in rametti (raro). Fiori schiacciati, su pe-
duncoli e rachide appiattiti (raro).Tralci ramificati a forca (dieótomi)
per sviluppo contemporaneo di ambo le gemme ascellari o per trasfor-
mazione dei viticei in rami; tralci fasciati; nodi gonfiati,
Gemme, cornetti, spalle, ceppi non mostrano alterazioni esteriori.
Questo tipo di arricciamento si osserva più o meno in tutte le
Rupestris (du Lot, Ganzin, Metallica, selezionate da seme ete.). La V.
rupestris è la specie più sensibile.
(1) Una nota riassuntiva su questo argomento fu pubblicata nel Marzo 1910 (II).
SUI CARATTERI DELL'ARRICCIAMENTO E DEL MOSAICO DELLA VITE 499
Nelle tabelle seguenti ho riunito le medie di misure di foglie, pic-
cioli, internodii di tralci sani, poco malati, molto malati di Kup. du
Lot, partendo dalla base del tralcio.
Lunghezza delle nervature fogliari in mm.
mediana laterale prima laterale seconda
foglia sana poco mal. molto mal. sana poco mal. molto mal. sana poco mal. molto mal.
pd 90 6 9b 5 MM 8 31 24 8
2" 38 21 13 Jic 2f 6 .84 20 9
3 46 46 1L B5 H3 10 33 39 10
4 56 3 18 40 34 iB. 50 —49 15
5 63 55 294 p 2 4359. 42 99
6 íi 43 27 56 46 11. 70-. 69 20
$.-80- 265 25 be ae 12^ 40. 43 14
8 84 64 21 66 42 eo. H 53 22
9 90 65 2%: 02 4 i4 60; pI 23
10 99 61 31 65 49 9f- —ID- . 89 24
11 106 80 35 83 54 DI ^9 GT 26
12 109 84 49 -83 - D4 29 101 13 32
foglia o Seno peziol. (gradi) Diametro foliare (mm). Lun. d. infernodio (mm)
internodio sana poco mal. molto mal. sana poco mal. molto mal. sana poco mal. molto mal-
1 209 172 228 44 34 13 21.2 14 5
2 212 242 230 44 32 10 46 13 5
3 214 239 245 60 54 18 4T 21 6
+ 203 252 246 14 57 20 50 27 10
5 238 245 282 15 64 30 66 24 10
6 215 222 288 94 10 28 63 9
1 218 240 283 103 60 21 nu XY 12
8 220 261 297 104 72 29 80 12
9 233 220 969. 492 TT 21 94 27 13
10 230 254 268 130 18 20 IP 28 14
11 208 236 319 ^ 449 87 DO: (LO 32 17
500 E. PANTANELLÍ
Le misure qui riportate furono eseguite su materiale prelevato al-
la fine di giugno, quando i tralei normali hanno già raggiunto la lun-
ghezza definitiva verso il 12. internodio a partire dall’apice, e perciò
il carattere di court-noué spicca assai saliente; in primavera esso è
meno visibile sulle viti poco malate o all’inizio della malattia.
Non ho riportato le misure degli angoli æ e 8 compresi fra la ner-
vatura mediana e le laterali della foglia, perchè danno valori irrego-
lari ed incostanti, che non permettono di dedurne alcuna legge mor-
fologiea.
Nelle Rupestris si notano tre manifestazioni diverse del male, le
quali corrispondono a tre gradi d'intensità dell’ affezione (cfr. Tav. III,
fig. 1-3):
l. grado. Nessun rachitismo. I tralei ed i viticei hanno lunghezza
e spessore normali. Foglie giovani irregolari con denti lunghi e con-
torti, ma poi allo stato adulto si pareggiano assumendo la grandezza
normale, eonservando solo le dentature troppo sporgenti. In questa forma
esordisce la malattia, non già con la brevità degli internodii, a dif-
ferenza di ciò che Ravaz ha osservato per il court-noué dell’ Aramon
in Francia; il restar breve degli internodii si osserva sulle Rupestris
in una forma più grave della malattia; per ciò non ritengo esatto il
termine court-noué per questa alterazione della vite.
2. grado. Rachitismo. Tralei brevi, a internodii brevi, molto rami-
ficati e spesso dicotomicamente, con femminelle a sviluppo precoce, vi-
ticei lunghissimi ed ineguali di spessore; foglie non molto piccole, for-
temente deformate (frastagliate, laciniate) ma di un verde unito, seb-
bene un pò più cupo del verde normale Si direbbe che al pigmento
verde sia unita una sostanza bruna o giallobruna. Nessuna macchia
scolorata. In questa forma si presenta la malattia su viti assai giovani,
sopra tutto su le barbatelle, od anche su ceppi adulti quando essa in-
fierisce da almeno due anni. È il roncet più SE che ritengo
si possa considerare come tipico o “puro,,.
3. grado. Rachitismo e s. Foglie piccole, fortemente deformate,
maculate, di colore un po’ più chiaro del normale. Le macule sono di
due: sorta:
X) bianche per trasparenza, poco estese, ma nettamente delimitate
i ri ra e
4
N
5
i
SUI CARATTERI DELL'ARRICCIAMENTO È DEL MOSAICO DELLA VITE 501
dal tessuto verde per mezzo di ner ature di ordine diverso, e quindi
a contorno poligonale;
8) di un verde più chiaro del resto della foglia, visibili per tra-
sparenza, lasciano intravedere la sostanza giallo bruna già ricordata,
più estese delle precedenti mo non ben delimitate dal tessuto verde, e
quindi a contorno sfumato, non angoloso
Le prime sono ben visibili sopra tutto Holle foglie giovani, ancora
tenere; nella Rupestris metallica esse affettano anche toni rosei per pre-
senza di una traccia di antociano nell’epidermide. Le macchie sfumate
sono più comuni su foglie adulte e si vedono meglio in estate.
Con queste macule, che nel terzo grado della malattia si somma-
no a centinaja per ogni foglia, non si devono confondere certe minu-
scole macule rotondeggianti, pallide per trasparenza, sparse qua e là
per la lamina, provviste al centro, sulla pagina inferiore, di una intu-
mescenza di cellule neerosate, visibile ad occhio nudo come maechio-
lina bruno-nera.
Esse si osservano anche su foglie sane per forma e grandezza, su
ceppi sani; sono più frequenti in primavera, sopra tutto sulle foglie
formatesi in Maggio, ma non mancano sulle foglie sviluppate più tar-
di e rappresentano con tutta probabilità le conseguenze delle punture
di 7hrips o di acari (1910, III; 1911, III, IV) o di ineipienti infezioni
di melanosi,(1) o del freddo.
Il terzo grado della malattia (roncet maculato o mosaico) puó man-
care anche in ceppi fortemente deperiti e pare anzi che in alcune loca-
lità sia addirittura eccezionale (ex-vivajo di Messina secondo Schiff-Gior-
gini (1906), ex-vivajo di Portoferrajo, dintorni di Marsala), mentre in
provincia di Siracusa. nelle Puglie il roncet non maculato è l'eccezione,
se ai tratta di malattia molto pregressa su queste Rupestris. Anche nel
vivajo di Noto però esistevano migliaja di Rup. du Lot innestate su
vecchie Riparia o su Rup. da seme e in gran part» affrancate, le quali
erano quasi tutte malate, ma non mostravano maeule di nessuna sorta
su le foglie, sebbene queste fossero tipicamente deformate; cid in vici-
(1) Briosi, 1905, p. 7 dell'estr..
EN
502 E. PANTANELLI
nanza di alberi. Nella Rup. metallica è più comune il roncet verde che
quello maeulato. Ciò prova che anche la presenza di macule pallide per
trasparenza, senza traccia di abrasione o necrosi dei tessuti, non è un
carattere essenziale dell'arriceiamento sebbene spesso lo si osservi, come
già avevano notato Paulsen (1908, p. 1247) e Jacono (1906, passim). In
realtà la maculatura pallida delle foglie è propria del periodo primave-
rile anche nei ceppi più sofferenti, mentre diminuisce in estate su le
nuove foglie che via via si formano.
A prima vista, si è tentati ad ammettere che i tre gradi della
malattia corrispondano all’aggravarsi progressivo della stessa sopra un
determinato individuo, ma l’esperienza non appoggia troppo questa in-
duzione. Allevando talee prese a Rup. du Lot ammalate nelle 3 forme
ho ottenuto in tre anni di cultura (1909-1910-1911) viti che hanno con-
servato la forma di roncet quale si osservava nella vite madre, senza
accenno a tramutarsi l'una forma nell’altra. Ciò tenderebbe a provare
l'indipendenza di queste tre forme di roncet delle Rupestris, quasi fos-
sero prodotte da cause affini, ma non identiche.
Treo BERLANDIERI. Ho avuto campo di studiare i Berlandieri Ress.
1 e 2, quest'ultimo meno attaccato del primo. I caratteri dell’arriccia-
mento nei Berlandieri sono:
Foglie con insenature non molto profonde, ma irregolari; denti del-
la foglia non aeuminati, ma irregolarmente sporgenti, contorti, talvolta
mancano; massimo disordine nelle nervature, abnormi per direzione,
posizione, ramificazione, lunghezza e spessore. Lamina atrofica ed asim-
metriea, ridotta tra le nervature, bollosa, di un verde piü ehiaro e ma-
scherato da sostanze giallobrane o da chiazze di antociano allo stato
giovanile. Maeule trasparenti verde-chiaro, molto estese, specialmente
al margine della foglia, irregolari, a contorni indecisi. Seno peziolare
allargato (efr. Tav. V).
Viticci grossi e lunghi; internodii brevi, nodi ingrossati, dico e
tricotomie frequenti; femminelle molto sviluppate in primavera. Defor-
mazioni molto più forti sulle femminelle che sul traleio.
Grappoli rachitiei, spesso trasformati in vitieei o viceversa. I tral-
ei che EE dal giugno in poi sono tutti sani, e così pure i tralci
SUI CARATTERI DELL'ARRICCIAMENTO E DEL MOSAICO DELLA VITE 508
malati risanano facilmente. Però anche le femminelle si ammalano più
tardi, nel luglio, ed anche all’ascella di foglie quasi sane del tralcio
Berlandieri Ress. N. 2.
foglia lun.d. fogl. (mm). Diam. d. foglia mm) Seno peziol. (gradi) Lun. d. intern.(mm)
à poco molto sana poto molto sana poco molto sana — poco molto
ma al. L mal, mal. I. mal. mal.
A 6: 25.20. 6407 180 .:182 24. 19
Si: 4A e a BB B90 18b . 165: 37 40
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11,105.96 359 490 110 314. 58 146 160 92
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formato in primavera. Ciò costituisce una differenza notevole rispetto
al tipo Rupestris, nelle quali le femminelle tendono sempre a risanare
e, se la malattia è nel primo stadio, si sviluppano sane anche all’ascel-
la di foglie deformate del traleio formato in primavera; questa particola-
rità dà in estate alle viti malate di tipo Rupestris l'aspetto di un salice
potato a eapitozzo, mentre le Berlandieri ricordano più tosto il rovo
(ronce), perchè all’ascella di foglie quasi sane e grandi spuntano fem-
minelle rachitiebe tanto brevi, che spesso con sette od o*to nodi non
arrivano a superare la lunghezza della foglia ascellante.
Anche nelle Berlandieri la malattia si presenta in tre forme. In
uno stadio iniziale si osservano solamente foglie estremamente piccole
e più o meno deformate, ma sopratutto asimmetriche, bollose e macu-
late in verde pallido o giallo-verde. Gli internodii però si sviluppano
di pari passo con quelli sani e raggiungono la lunghezza normale. In
giugno anche le nuove foglie si sviluppano normalmente e la vite ri-
sana completamente (efr. Tav. IV, figg. 1-2),
504 : E. PANTANELLI
In un secondo grado d’intensità alle deformazioni foliari si aggiun-
gono il rachitismo e le anomalie nella ramificazione e nei grappoli. In
giugno però si formano foglie sane e i nuovi internodii del tralcio si
allungano normalmente; la vite pare risanata, ma ecco che le nuove
femminelle che spuntano in piena estate (luglio-agosto) sono di nuovo
arricciate e fortemente rachitiche, ben più ancora di quel che era stato
il relativo traleio in primavera.
Nel terzo stadio l’arricciamento ed il rachitismo persistono per tutta
la vegetazione, sui tralci come sulle femminelle; la fioritura & quasi
del tutto soppressa per le mostruosità delle infiorescenze, la vite è ri-
dotta ad un misero cespuglio.
Insisto su questi particolari, per mostrare che anche nelle Berlan-
dier?, come nelle Rupestris la malattia non compare coi suoi caratteri
più salienti tutta in una volta, come spesso hanno narrato i pratici;
anzi, il suo esordio è appena visibile per un occhio molto esercitato e
le alterazioni si fanno poi sempre più gravi di anno in anno, e fra
queste il court-noué viene dopo le alteraziani foliari.
La grande asimmetria delle foglie malate di Berlandieri è pro-
babilmente in relazione con la loro spiccata eterofillia; così nel Berlan-
dieri Ress. N. 2 si osservano due forme normali di foglie, una intera
ed una a cinque lobi. L'allungamento degli internodii nelle Berlandieri
è più rapido dell’acerescimento della lamina foliare, mentre nelle Ru-
pestris avviene l’inverso, e la malattia non fa che esagerare queste
tendenze normali.
Nelle Berlandieri le foglie malate sono sempre maculate, anche
nel primo stadio della malattia, ed anzi gli arresti locali di sviluppo
della lamina coincidono con le regioni ove le macchie pallide sono
più numerose o più estese, analogamente a ciò che si osserva nel mo-
saico del tabacco e nell'albinismo.
Sulle V.R/paria (Martineau (1), gloire, grand glabre, tomentosa e to-
mentosissima da seme) l'arrieciamento si aecosta al tipo Rupestris per le
(1) Nei vivai Siciliani si coltiva con questo nome una Riparia, che è diversa dal-
la R. gloire, alla quale sarebbe identica la R. Martinaud secondo Ravaz (1904, p. 92).
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SUI CARATTERI DELL'ARRICCIAMENTO E DEL MOSAICO DELLA VITE 505
profonde laciniature delle foglie, ma per il forte rachitismo dei tralei, la
malattia accentuata anche sulle teminelle,la bollosità delle foglie ricorda
più il tipo Berlandieri. Le Riparia mostrano però spesso le due sorta
di malattia separate su ceppi diversi; le viti meno malate hanno fo-
glia laciniata a dentature estremamente acute e allungate, con interno-
dii di lunghezza quasi normale ed abbondante fioritura. Questo tipo di
arricciamento è preprio delle Riparia a foglie glabre sui primi germogli
primaverili e scompare già ai primi di maggio; le viti risanano com-
pletamente entro questo mese. I ceppi su cui la malattia è più avan-
zata hanno foglie laciniate, bollose, asimmetriche e deformate come
nelle Berlandieri; gli internodii sono molto -corti e gracili; i nodi in-
grossati, le genime gonfie; la fioritura manca o è scarsa per l'aborto
di molti fiori o per anomalie del grappolo o dei singoli fiori. In tale
forma si presenta il male sulle Riparia a foglia tomentosa ed anche
su qualche Je, gloire malata da molti anni; esso non scompare iu estate,
anzi si fa sulle femminelle anche più grave ehe sul traleio.
In complesso però le Riparia soffrono evidontemente meno delle
Rupestris e delle Berlandieri, perchè germogliano anch’esse malate, ma
presto risanano quasi tutte. Di questo fatto si dovrebbe tener conto
nella seelta dei vitigni atti a eonservarsi sani nei terreni favorevoli
all’arricciamento; disgraziatamente le Riparia sono ormai state ban-
dite dai nuovi impianti ed anche nei vivai costituiscono una rarità.
Tipo Vinirera. Un terzo tipo che si seosta notevolmente dai due
precedenti si osserva sulle V. vinifera, innestate su piede americano
malato, ma varia molto a seconda dei vitigni e della gravità del male.
Nelle viti enropee a foglia molto frastagliata il rachitismo è simile a quel-
lo dell’AramonX Rupestris N. 1 e di altri ibridi Vinifera Rupestris,
però le deformazioni delle foglie possono essere più o meno pronuncia-
te, le dentature molto sporgeti ed aguzze, le macchie trasparenti più
spesso mancano, o sono molto piccole e numerose, senza che si possa
stabilire una relazione fra la loro. presenza e gli arresti di sviluppo
della lamina. Il rachitismo dei tralci non è molto forte, sono trequenti
invece le di:otomie, faseiazioni e torsioni dei tralci, le irregolarità
nello sviluppo dei lobi fogliari e delle nervature. I: grappoli : portano
pochi fiori, però normalmente eonformati; ila .colatura è totale o: quasi.
-
506 E. PANTANELLI
Ho visto questa forma di Roncet su Vernaccia, Inzolia, Damaschino,
Grillo in Sicilia, su Biancone all’ Elba, Pampanuto in Puglia (efr.
Tav, Il, fig. 2; III, fig. 4).
Nelle viti europee con foglia poco frastagliata troviamo invece un
roncet che si avvicina al tipo Ber/andieri, con foglie deformate, bol-
lose, non molto laciniate, anzi a lobi tozzi in cui spesso varii denti
non sono sviluppati, poco o niente maculate. Gli internodii nei casi
più gravi sono estremamente corti, con nodi rigonfii, dieotomie, fascia-
zioni e torsioni. I grappoli mancano o portano pochissimi liori ad or-
gani abortiti o sono tramutati in vitieci. Caratteristica è questa forma
nel Frappato di Vittoria, nel Moscato di Siracusa, nel Tiro di Noto ete.
Vernaccia (fine di giugno).
Foglia Lungh. d foglia Diam. d foglia Seno peziolare Lung. d. internodio
(mm)
0 (mm) (gradi) (mm)
internodio ` sana malata sana malata sana malata sana malata
E 36 19 70 A 45 1480 90. H
2 56 al 89 46 31 140 24 18
3 62 40 87 48 41 90 28 19
4 66 46 96 55 277.120 38 14
5 68 42 102 57 20 . 100 34 15
6 83 104 54 24 96 46 22
7 81 112: 00 28 110 58 17
8. 84 50 124 63 19 427 56. 14
9 84 52 132 58 10 135 61 21
10. 96 58 164 69 12 4162 64 15
11. 143 DA 165 56 15 150 85 — 94
12. 118 60 170 54 18 138 20 80
ll raehitismo dei tralei e gli arresti di sviluppo nelle diverse parti
delle infioreseenze variano a seconda della gravità della malattia.
Nelle viti europee franche di piede, in Puglia, ho osservato il fat-
to già notato per i vitigni americani, che la malattia esordisce con ca-
ratteri lievi, visibili solo ad un occhio esercitato; il primo anno le fo-
| glie sono piü piecole delle normali, lievemente bollose o con i denti
Aguzzi e contorti a seconda del tipo a cui appartengono; nel secondo
1
t
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4
E
SUI CARATTERI D&LL'ARRICCIAMENTO E DRL MOSAICO DELLA VITE 507
anno le deformazioni foliari si fanno più salienti e gli internodii re:
stano brevi. Nelle viti nostrali innestate su piede americano la malattia
può invece comparire in forma grave anche il primo anno, se il sog-
getto era già malato, se si trattava di una barbatella malata o di un
innesto fatto su uà ceppo già avanzato negli anni e malato. Tolti que-
sti due casi, anche nelle viti innestate la malattia comincia insensibil-
mente e procede lentamente, In tutti i casi però la colatura è il pri-
mo sintomo esteriore, e può anzi precedere di uno o più anni le defor-
mazioni degli organi vegetativi.
Infine bisogna tener presente che le Vinifera sono indubbiamente
meno facili ad arricciarsi delle viti americane, e fra esse ve ne hanno
parecchie varietà praticamente immuni. Si osserva allora spesso che
questi vitigni resistenti non hanno aleuna deformazione negli organi
aerei, mentre: i germogli dei loro portinnesti americani sono tipicamente
arriceiati; una completa colatura è però quasi sempre inevitabile anche
in questo caso. Oltre la colatura, un leggero rachitismo senza speciali
deformazioni si manifesta spesso nelle Vinifera innesiate su piede a-
mericano malato, e chi sa quanti dei così detti « deperimenti » di
vigneti innestati su vitigni sensibili, come l’Aramonx Rupestris N. 1,
la .Rupestris du Lot, il Berland‘eriXRiparia 420 A, troverebbero sèn-
z'altro la spiegazione, se si vedessero i suechioni del soggetto tipicamente
malati di arricciamento, o se i tralci del nostrale si decidessero ad ar-
ricciarsi, come farebbe il soggetto se lo si lasciasse ributtare (1910,11).
DEFORMAZIONI NEGLI IBRIDI. Sono la resultante delle proprietà mor-
fogene del padre e della madre, fuse nella proporzione stessa in eui
avvenne la fusione dell’idioplasma di ambedue al momento della fecon-
dazione. Alcuni esempii:
RupestrisX Berlandieri 11-31. L’arricciamento è raro su questo vi-
goroso ibrido, tanto adatto per l’Italia meridionale, pure esso vi si ma-
nifesta in forma abbastanza grave.
Sulle foglie si presenta con tutti i caratteri del tipo Berlandieri,
cioè deformazione, asimmetria, bollosità, riduzione della lamina, aper-
tura del seno peziolare, mentre sui tralci ha tutto l'aspetto del roncet
delle Rupestris, di cui del resto conserva anche il carattere di svilup-
parsi solo in primavera, di essere più accentuato sul tralcio che sulle
508 E. PANTANELLI
H
femminelle ete. Secondo Ravaz vi è in questa pianta sangue di una
terza specie, probabilmente di V. candicans, ma la mancanza di ma-
teriale puro di questa specie mi ha impedito di giudicare qual parte
essa prenda nell’estrinsecazione morfologica della malattia. Di altri i-
-bridi RupestrisX Berlandieri, il 219 A, 220 A e it 301 A si mostra-
vano a Noto ancora quasi tutti sani dopo 14 anni d’impianto. Del resto
anche il 17-37 guarisce totalmente fra il maggio e il giugno; si può
dunque ritenere che gli ibridi RupestrisX Berlandieri siano poco sen-
sibili al roncet.
KipariaX Berlandieri 420 A (cfr. Tav. I, fig, 1). L’arricciamento
si presenta su le foglie con caratteri di Berlandieri, mentre l'aspetto
generale e il modo di svilupparsi della malattia ricorda molto la Ri-
paria. Le foglie però hanno talvolta anche qualche dente molto aguzzo
(carattere di Riparia); le gemme laterali si ingrossano molto prima
di svilupparsi (Berlandieri). La malattia è più forte sul tralcio che su
le femminelle, ciò che permette di distinguerla fino ad un certo punto
.dall’acariosi, frequenti su questo vitigno (1911, IV) Degli ibridi Ri-
pariaX Berlandieri il 420 A è il più malato; assai raro e solamente
primaverile è l’arrieciamento sul 157-11, con caratteri di Berlandieri
sulle foglie; il 33 e 34 E. M., il 420 B erano ancora sani nel vivajo
di Noto dopo 12-14 anni di impianto.
Riparia Rupesiris 3306 e 3309. Questi due ibridi erano molto
malati a Noto, e in altri luoghi il 101-14 non lo è meno (efr. Tav.
I, fig. 2). La malattia ricorda moltissimo quella della Rup. du Lot per
l'aspetto generale delle foglie e dei tralci; però certe irregolarità nella
lamina, nella fioritura, la presenza costante di macchioline trasparenti
assai minute e la facile guarigione in estate rivelano l'influenza del
sangue kiparia.
Rupestris X Vinifera. La malattia si presenta in modo molto diver-
so a seconda delle qualità della madre. Nell’ Aramon X Rupestris G. N.
.1 (efr. Tav. IV, fig. 4) le foglie sono irregolarmente sinuate, deformi
ma non laeiniate, sempre maculate a piccolissime macchie giallo-ver-
dicce con contorni poligonali; gli internodii sono brevi e tozzi, come
è normale nell’Aramon; frequenti le dicotomie. In complesso però la
malattia è meno appariscente che sulle Rupes/ris. Nel MourvèdreX Ru-
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SUI CARATTERI DELL'ARRICCIAMENTO E DEL MOSAICO DELLA VITE 509
pestris 1202, che raramente è arricciato, la malattia si presenta con
caratteri che ricordano il tipo Vinifera a foglie poco sinuaie, cioè le
foglie sono assai piccole, irregolari, fortemente bollose con macule tra-
sparenti sfumete; nodi gonfii, internodii brevi, esili grappoli trasforma-
ti in lunghi viticci. In generale negli ibridi Rupestrisx Vinifera lin-
fluenza del sangue europeo si manifesta in ciò, che le foglie sono meno
deformate rispetto ai vitigni americani, meno maculate, per lo più so-
lamente alla periferia, e per la facilità eon eui i tralci in risanano e-
state. Sono però frequenti le dicotomie e le fasciazioni. Le infiorescenze
sono un pò più piccole delle normali, ma poco o niente deformate; la
colatura è totale (Colombeau X, Rupestris oGamay Couderc, Caberne! X
Rupestris, Auwxerrois X Rupestris).
Nel 132-11 di Coudere (RupestrisXx Vinifera X ?) i earatteri della
malattia sono tutti di Rupestris; la Vinifera infatti vi entra solo per
1/, od !/, di sangue.
Il Solonis è un altro ibrido di genitori ignoti; il suo arricciamento
(Tav. II, fig. 1) è però del tutto simile a quello delle Riparia tomen-
tose, da cui esso certamente discende, e il confronte con V. candicans
o V. arizonica malate deciderebbe senza dubbio la questione, quale di
queste due specie sia l'altro genitore. Nel SolonisX Riparia 1616, che
al pari del Solonis è più tosto sensibile all’arricciamento, la somiglian-
za con le Riparia è anche più marcata.
In altri bastardi complessi prevalgono le deformazioni proprie de-
sangue più rappresentato, così nella Riparia X (Cordifo'ia X Rupestris)
106-8, che si è fortemente arricciata in quasi tutti i vivai di Puglia,
prevalgono quelle della Riparia, nell’Asstivalis< Monticola X (Ripa-
_ ria x Rupestris) 554-5, quelle della R'paria XRupestris ete.
Questo fatto, che si verifica rigorosamente per qualunque ibrido,
mostra che la causa della malattia agisce durante il primo sviluppo
delle gemme, quando l’attività morfogena è regolata dalle disposizioni
ereditarie conservatesi nella gemma, la quale nella pianta legnosa com-
pie le funzioni di portatrice di sostanza ereditaria, sebbene in misura
molto minore che il seme. Che si tratti di una degenerazione o varia-
‘zione di determinate gemme è provato anche dalla lentezza con cui i
caratteri della malattia si fanno ogni anno piu gravi, pur conservan-
510 E. PANTANELLI
dosi fra essi quella proporzione che mantiene alla deformazione del-
l’ibrido la sua fisionomia propria.
INNESTI. Per la storia della malattia era interessante stabilire, se
essa si presenta con gli stessi caratteri su le viti innestate come nello
stesso vitigno franco di piede. Ravaz sostiene infatti che la malattia
è sempre esistita anche su le viti nostrali franche di piede, mentre nel-
l’ambiente viticolo si è tuttora persuasi che si tratti di una malattia
nuova, di una infezione importata con le viti americane. Le mie ricer-
cae spiegano il perchè di questi due fatti apparentemente in contrasto,
ma qui intanto debbo dire che le mie osservazioni dal lato morfologico
dànno ragione a Ravaz.
Infatti il Biancone dell'Elba, innestato su diversi vitigni america-
ni malati, ha lo stesso aspetto. a detta anche dei viticultori locali (1),
che aveva il Biancone affetto da ricciolatura (arricciamento) prima del-
l’introduzione delle viti americane e dell’invasione fillosserica, e che
ha tuttora. In Puglia si vedono nei nuovi vigneti europei franchi di
piede ceppi colpiti da arricciamento (2) con gli stessi vitigni hanno `
nei vivai e nei nuovi impianti fatti nelle Puglie su materiale ameri-
‘ cano malato. Nel Sud della Francia ho veduto estese plaghe di Ara-
mon franco di piede e sottoposto alla sommersione, in cui la malattia
sì presenta con gli stessi caratteri come nell’ Aramon innestato su piede
americano tipicamente arricciato.
Anche più saliente è questo fatto nei vitigni americani, nei quali
si vedono allora i germogli della marza arricciati in un tipo, e i ri-
- butti del soggetto deformati in un altro modo del tutto diverso, a se-
gno da parere quasi due diverse malattie. Nel vivaio di Noto si os-
servava questo fatto su Berlandieri Ress. N. 2 innestato su Solonis, ae-
canto al Berlandieri Ress. N. 2 franco di piede, su Rupestris du Lot
franco di piede e innestata su diverse Riparia o Rupestris da seme,
su varii vitigni innestati su MourrédreX Rupestris 1202 etc. Innestan-
(1) Silva, 1906, p, 375.
A2) Ctr. per la Vernaccia la Tav. II, fig. 2 (franca di piede), e III, fig. 4 (inne-
stata). j |
SUI CARATTERI DELL’ARRICCIAMENTO E DEL MOSAICO DELLA VITE 511
do diversi vitigni europei su lo stesso soggetto malato, ogni europeo
si arriccia ptù o meno coi suoi caratteri propri, fenomeno che si osservava
bene nel Vivaio di Noto sopra un gran numero di vitigni locali in-
nestati su 1737, su 420 A ete. La diversa sensibilità dei vari lignag-
gi fa sì che sopra soggetti fortemente malati la marza sembri poco de-
formata o addirittura sana (nostrale su amerieano, Berlandieri Ress. 2
sopra Solonis o Rupestris du Lot), ma si può star sicuri che, se la mar-
za appare deformata, il soggetto è certamente malato.
In ogni modo, la malattia si presenta con gli stessi caratteri sopra
un dato vitigno franco di piede o innestato; l’innesto su americano
non agisce dunque qualitativamente, mentre la sua enorme influenza
quantitativa rispetto alla frequenza e rapidità della malattia è indiscu-
tibile.
BARBATELLE. L’arricciamento nelle barbatelle si ha quando le talee
sono state prese da ceppi malati; in tal caso, su le piccole foglie della
barbatella la malattia si riproduce con lo stesso aspetto cume sulla vite
madre; così, le foglie sono laciniate ma tutte verdi, se questa era una
Rupestris du Lot colpita da Roncet tipo verde, presentano macule pal-
lide, se la madre era affetta da Roncet maculato ete. Le stigmate del
male sono però generalmente attenuate e non è sempre facile ricono-
scerle, perchè le piccole foglie delle barbatelle, specialmente le prime
formate, quelle che spuntano prima che la barbatella abbia cominciato
ad emettere radici, sono sempre un pò irregolari.
Quando una barbatella si ammala il primo anno, pur essendo sa-
no il legno al momento dell’ impianto, compare nel secondo anno la
laciniatura delle foglie, cui segue negli anni successivi il rachitismo.
La maculatura al solito compare per ultima. Nelle barbatelle e nelle
viti giovani in generale è più difficile riconoscere l'inizio della malat-
tia che su le viti madri, perchè in esse è comune un nanismo dovuto
a siccità, a bassa temperatura primaverile, a penuria di azoto o di
acido fosforico ete., nei quali casi però manca la caratteristica laci-
niatura delle foglie.
Ciò rende difficile anche la scelta del materiale da distribuire ai
viticultori, e non si può far torto al personale dei Vivai, se spesso,
specialmente quando la malaitia era ancora all’inizio e nota a pochi,
512 E. PANTANELLI
qualche barbatella arricciata fu distribuita insieme a barbatelle sane.
La scelta si dovrebbe fare in Agosto o Settembre, quando la vegeta-
zione è ancora in pieno, strappando dal barbatellaio le piantine arric-
eiate, perchè il giudizio diventa quasi impossibile nell'epoea in cui di
solito si estirpano le barbatelle, in Dicembre o Gennaio, per lı man-
eanza delle foglie, le cui alterazioni costituiscono il sintomo più sicuro
dell'arrieeiamento (a parte i caratteri istologici).
Per maggior sicurezza, nei vivai meglio sorvegliati, p. es. in quello
di Noto, si soleva già da varii anni eseludere dalla distribuzione le
barbatelle che avevano fusto esile eon nodi molto vicini, radici scarse,
tralcetti a internodii brevi. Il pericolo di distribuire legno malato è
del resto molto diminuito con l’abolizione della distribuzione di talee,
concetto nel quale è oramai (1910) entrato il Ministero di Agricoltura,
e per non allevare barbatelle arricciate, si prendono le talee da viti
riconosciute sane durante il corso della vegetazione.
Inoltre è certo che le talee malate possono risanare se piantate
in adeguate condizioni di terreno e che l'innesto con varietà nostrali
resistenti ne facilita notevolmente il risanamento, per cui non bisogna
esagerare il timore che i vivai diffondano la malattia senza posa, €
sarebbe erroneo credere, che lutte le viti malate di arrieciamento pro-
vengano da viti madri malate nei Vivai. In realtà la malattia si svi- — 3
luppa anche in vigneti sani al momento dell'impianto, e la si puó anzi
determinare sperimentalmente piantando legno sano in condizioni spe-
ciali (1910, III; 1911, I, II.
Genfronto cen altri rachitismi della vite.
Il termine roncet fu introdotto nella seienza da Viala nel 1893 in
base alle alterazioni di sviluppo che dànno alla vite l'aspetto di rovo
(ronce) e i caratteri esteriori che egli descrive si ritrovano nel Roncet
di Sicilia; appunto sulla scorta della deserizione di Viala Ruggeri iden-
X" tificò per il primo (1895) la malattia in Sicilia.
= Nel 1894 si ebbero a lamentare danni per malattie di questo ge-
nere in Francia. Foéx e Viala (1854, p. 125) trovarono in quell’anno
nella Valehiusa e nell’ Allier sui tralci di Aramon innestato su Jıequez
:e sovra propaggini di viti francesi, una malattia che essi chiamaro-
SUI CARATTERI DELL'ARRICCIAMENTO E DEL MOSAICO DELLA VITE 518
no gélivure, e che Viala e Sauvageau avevano già osservato nel 1892
in una vigna dell'Hérault.
Dalla descrizione minuziosa che ne danno Foéx e Viala non pare
difficile identificare questa gélivure col mal nero dei nostri Autori. In-
fatti vi si trovano le profonde ulcerazioni e spaccature dei tralei fino
alla zona generatrice, caratteristiche del mal nero o ma! dello spacco,
che mancano nel roncet. Inoltre le dentature sono meno acute e meno
sviluppate nelle foglie colpite di gélivure che nelle foglie sane, mentre
nel roncel si verifiea l'opposto. Anche la produzione di pustule sube-
rificate o false lenticelle alla base dei tralei manca in molti vitigni
affetti da roncet e così pure l'annerimento dei tralei alia cima, cui
segue nel giugno l’essiecamento graduale dei tralei dall’apice alla base.
Se la malattia si arresta prima che tutto il traleio sia annerito, la
porzione morta cade ed il midollo appare imbrunito e morto sul mon-
cone, caratteri che mancano nel roncet, al pari della presenza di strisce
brune sui cornetti e le spalle.
Altri caratteri sono invece comuni alla gélivure ed al roncet delle
viti europee (pag. 504) specialmente l'allargamento del seno peziolare,
la brevità degli internodii (rovrt-noué), il rigonfiamento dei nodi, la
cladomania, la comparsa della malattia sopra singoli tralci accanto a
tralei (suechioni) sani sullo stesso ceppo.
Non è però possibile confondere il roncet con la gélivure, tanto
più che Foéx e Viala trovano nell'epidermide, nelle cellule del paren-
chima corticale, come pure negli spazii intercellulari, un batterio che
essi ritengono eausa della gélivure. Ora, Viala stesso dice (1883) che
nel roncet non ha potuto trovare batterii; della gommosi del legno a
proposito della gélivure Foëx e Viala non perlano affatto.
Invece poco dopo è appunto la gommosi che viene posta da Pril-
lieux e Delacroix (1894) come fenomeno principale in una malattia
molto affine se non identica alla gélirure. Essi trovano questa malat-
tia nel Varo e la paragonano con l'Aubernage della Borgogna, che è
poi il roncet di Viala. La descrizione che essi ne danno permette in-
vece di identificarla col mal nero, tanto più che essi trovano nel legno
una degenerazione gommosa che comincia nella regione vicina al cam-
bium, cioè libro molle e vasi del legno giovane, poi invade le cel-
*
514 E. PANTANELLI
lule del parenchima legnoso (raggi midollari), le fibre. Al principio
dell'infezione numerosi tilli ostruiscono i vasi, nei quali si vedono am-
massi di batterii.
In quell'anno stesso (1894) la malattia prese una certa estensione,
così ehe Viala e Foéx (1894, I, p. 17 e 53) si recarono a visitarla nel
Varo, ma pare che non riuseissero a farsene un'idea precisa, perché
negarono che essa fosse identica alla gommosi bacillare descritta da
Prilleux e Delacroix, al roncet ed anche al mal nero, ritenendo che si
trattasse dell'espressione di un indebolimento di vecchie viti innestate,
situate nelle parti basse della vigna; le cause sarebbero multiple, dal
cattivo trattamento dell’innesto alle proprietà del terreno, all’ azione
di insetti, peronospora, mal bianco ete. La gommosi del legno, cioè le
macchie nerastre che si vedono in sezione e lo sgorgo di gomma bruna,
non sarebbe caratteristica del mal del Varo, perchè si nota anche in
ceppi molto vigorosi e fruttiferi, appartenenti a qualsiasi specie di vite
americana ed europea.
Nello stesso anno Ravaz (1894, II, p. 90) narra che dal 1892 si
sono uotati nel sud-ovest della Francia deperimenti su viii franche o
innestate, però più frequenti sugli innesti di Riparia e di Solonis; non
crede che si tratti di gommosi bacillare nè di gélivure, ma piuttosto
della malattia che nell’ Aude chiamano court-noué. Infatti le foglie sono
‘piccole; ma non laciniate, gli internodii brevi, il legno del fusto sot-
terraneo è morto a zone o totalmente ed annerito. Non è facile preci-
sare cosa abbia osservato allora Ravaz: probabilmente si trattava di
una forma incipiente di mal bianco o di vero arricciamento.
In seguito Prillieux e Delacroix pubblicarono un grosso lavoro
sulla gommosi bacillare (1895) che essi ritennero identica al mal nero,
ma complicarono la questione ammettendo che la malattia possa com-
parire in diverse forme, già note con nomi diversi: dartrose (escoria-
zioni sulle parti tenere, termine adottato da Coudere), rougeot (rossore
delle foglie), cep pommé o téte de chou (analogo al *eovin, dei pie-
montesi) (1), gélivure (sintomi descritti da Foex e Viala), folletage,
(1) Deperimento di viti nostrali causato da Dematophora secondo Cuboni, 1895,
pi 218. i
SUI CARATTERÌ DELL'ARRICCIAMENTO E DEL MOSAICO DELLA VITE 515.
roncet. In tutte queste forme P. e D. trovarono batterii nei tessuti de-
formati, per cui si dovrebbe ammettere che il roncet da essi studiato
sia diverso dal roncet siciliano, nel quale mancano i batterii, mentre
per la descrizione dei caratteri esteriori ed anatomici sì trova una so-
miglianza perfetta fra le due malattie.
Intanto Mangin (1894, II, p. 276; 1895, I, p. 5, 29, 364, 422), di-
mostrava che la presenza di gomma nei vasi è normale nella vite, che
nei tralci colpiti da mal del Varo, oppure clorotici, o tolti a viti de-
perite per eccessiva umidità del terreno, per innesto mal saldato ete,
si trovano più tilli, ma minor quantità di tilli gommosi, e in nessun
caso si osservano batterii nei vasi. Quindi tanto l’esistenza di una ma-
lattia del legno di vite che si possa chiamare gommosi, come la sua
natura bacillare sono infirmate da Mangin.
Le osservazioni di Mangia furono confermate da Berlese (1894,
p. 105), Ráthay (1896) e Kremla (1897), secondo cui la gomma nei
vasi della vite sarebbe anzi utile, perchè permetterebbe o questi or-
gani di funzionare come serbatoi di acqua. Le macchie nere che si tro-
vano nell'alburno vecchio dei ceppi sani o malati, in viti americane
più frequentemente che in viti europee, e che concordano con le mac-
chie descritte da Comes (1888 e 1893) per il mal nero, da Prillieux e
Delacroix per la gommosi bacillare, rappresentano secondo Rathay un
principio di formazione del durame. Le ferite accelerano la produzione
di gomma bruna nei vasi e quindi la produzione di un durame, si-
mile a quello normale, ma in forma di un cuneo penetrante nella
massa legnosa, è anticipata e più estesa nei ceppi potati a capitozzo.
Questo durame di ferita, come lo chiama Räthay, si distingue dal du-
rame normale perchè non percorre tutto il ceppo, e si distingue anche
dal così detto legno di ferita, perchè è circondato da alburno vivo.
Ráthay non ha trovato mai batterii nei vasi gommosi, né in altri or-
gani, se non nel legno morto subito sotto la ferita.
Le ricerehe di Mangin e Ráthay hanno reso molto problematiea l'esi-
stenza della gommosi baeillare ed anche Viala dovette rimanere scosso,
perchè in un articolo ‘comparso poco dopo il lavoro di Mangin confron-
tando i caratteri della gélivure, della gommosi bacillare, del mal nero e
del roncet comincia a fare delle distinzioni (1895, p. 269); nel 1896
516 E. PANTANELLI
attribuisce il mal dello spacco non a parassiti, ma ai freddi primave-
rili nei terreni bassi e umidi, e così la champlure dell Yonne. Più tardi
però Viala in unione a Charrin afferma che il batterio della gélivure
è patogeno anche per i conigli (1899) e difende la natura batterica
di questa malattia (1901) contro Ravaz e Bonnet che l’avevano attri-
buita al fulmine (1901, 1902).
Una gommosi bacillare simile a quella descritta da Prillieux e De-
laeroix è stata osservata in Italia da Baroni e del Guercio (1894), Ca-
vara (1895 e 1897). Pichi ha per ultimo trovato cavità ripiene di bat-
terii nei tralci di barbéra riccia (1907). In Ungheria è stata descritta
una malattia simile da Schilbersky (1894), Linhart e Mezey (1895), ma
poi. come abbiamo detto, fu smentita da Ráthay (1896) e Kremla (1891).
Anche più dubbio è un dato di Zschokke (1907), concernente un caso
di gommosi bacillare nel Rheingau.
Probabilmente tutti questi casi di gommosi bacillare si confondono
col mal nero o mal dello spacco, che resta sempre la malattia meglio
studiata fra le affezioni batteriche della vite, grazie alle ricerche di
Baccarini, il quale se non altro ebbe il merito di troncare con qualche
dato positivo e una descrizione accurata d-l male la discussione più o
meno speculativa che da anni si trascinava fra i botanici italiani. Per
non ricadere nella confusione, è opportuno r conoscere per mal nero
solamente quello descritto da Baccarini (1894), il quale ebbe agio di
studiarlo nelle località classiche, sulle falde dell'Etna. Per la presenza
degli spaechi corticali o linee necrosate sui meritalli, delle fessure lon-
gitudinali che interessano anche il legno più o meno profondamento
nei cornetti e nelle spalle, per la presenza di batterii nei vasi di que-
ste e per le deformazioni caratteristiche dei grappoli e dei fiori, il
mal nero è ben distinguibile dal roncet tipico delle viti americane e
dall’arricciamento della vite nostrale (Tav. IV, fig. 3); sul principio
_ però le due affezioni furono talvolta confuse (Perrotta, 1901 (1); Iaco-
no, 1906, p. 5).
Troviamo invece una certa rassomiglianza fra i caratteri esteriori
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(1) Lettera al Comm. Danesi pubblicata nell’Italia Agricola, 1902, p. 345-
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sesleriet no le torbiere elevate, non peró mo
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RECENSIONI 587
estese, con Sphagnum ed altre piante e le torbiere a eriophoretum; nel
deschampsietum caespitosum dei siti prolustri si ha un' associazione
a tipi un pò incostanti e lo stesso può dirsi pel caricetum frigida: nelle
acque dolci devesi distinguere la vegetazione delle sponde, quella
sommersa, quella infine delle acque correnti: nel gruppo delle for-
mazioni acquatiche occorre poi anche aver presente il pleuston che
manca sul Bernina e il Plankton; nella vegetazione delle roccie i tipi
variano a seconda della costituzione e del grado di umidità del sub-
strato ed essi poi costituiscono sempre dalle associazioni aperte. Lo
stesso può dirsi delle associazioni del detrito ciottoloso mobile che è
tanto più povero di elementi quanto è meno fisso; nella morena la
vegetazione talora manca in altri casì invece è rappresentata da prati
o boschi; associazioni aperte sono quelle dei detri i fluviali alluvionali,
con tipi psammofili, spesso di alta montagna, che vennero trasportati ivi
dalle correnti; la flora cacuminale è elencata con cura e comprende i
tipi distribuiti fra 3400 a 2920 m.; la flora ruderale è spesso avven-
tizia, effimera, eterotopica e proviene molte volte dal basso.
L'autore illustra le varie formazioni ed associazioni, eleneando
per ognuna le specie costanti ed accessorie ed inoltre, studiate le Fa-
merogare, ci da anche una rassegna delle Briofite della regione, di-
stinguendo a questo riguardo due zone; quella boschiva e quella ca-
cuminale, la prima uniforme per tipi, la seconda assai varia. Nei bo-
schi mancano le specie corticicole e ciò pel clima secco, mentre non
difettano le forme di ala montagna e quelle legate ai terreni calcari,
sebbene il substrato sia siliceo.
L’A. studia pure i Muschi delle alluvioni e dei rigagnoli prove-
venienti dai ghiacciai, mettendo in evidenza il loro singolare modo di
svilupparsi, diretto a impedire che le alluvioni li sotterrino e da ul-
timo ci da dei ragguagli sulle Briofite che crescono sui calcari, sui
detriti animali, sulle roccie, sulle alte cime. Per quanto riguarda queste
ultime egli nota che le piante assumono ivi una fisonomia uniforme e
caratteri xerofitici, sviluppando anche delle singolari disposizioni atte
a trattenere l’acqua. Sta intanto il fatto che alcuni tipi di siffatte alte
regioni per la loro abituale dimora intorno alla foresta indicano che
i ù iu alto.
uinto capitolo è consacrato alla distribuzione verticale delle
specie fanerogamiche, escluse quelle proprie delle alluvio
Cita i lavori di Schroter, di Broekmann e di altri autori in proposito
to nelle specie ha lungo al limite tra due formazioni sovrapposte e ciò
per un'ovvia mescolanza di tipi. L'A. distingue una stazione subalpina
(fino a 2300 m.) forestale, una slazio-e alpina (2200-2960 m.) che
arriva al limite delle nevi comineiando da quello, quasi sempre poco
ben deciso, della zona forestale, una zona subnivale e infine una zona
+ 588 RECENSIONI
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nivale. Su quest’ ultima 1’ A. si sofferma alquanto poichè essa ci da È
| preziosi ragguagli sulle condizioni di esistenza dell’epoca glaciale, ma E
in'anto fa notare che non presenta associazioni proprie caratteristiche.
Emerge dai fatti rilevati che molte specie della flora cacuminale
(costituita da circa 100 specie) raggiungono so o il limite della zona
e l’ imaleico. L’ elemento nordico è il predominante in specie nelle
Molto interessante è il capitolo sulla flora del Bernina analizzata ^
sistematicamente. L’A da il catalogo delle specie. a cominciare dalla
Pieridofite, indicando la località dove crescono, l altezza sul mare, le
assuciazioni cui appartengono, la natura del substrato, la sinonimia, i
nomi volgari e fornisce inoltre indicazioni sulla distribuzione della spe-
cie nei tempi passati, sulle coltivazioni e sugli erbari in cui le specie
sono conservate e sui manoscritti che trattano delle stesse. Le Briofite,
i Licheni e i Funghi sono elencati a parte e per opera di specialisti i
quali banno anche illustrato con figure le nuove specie. A riguardo
dei Licheni il Lindau che li descrisse osserva che la flora del Bernina
è ricchissima di individui. non di specie essendo il clima troppo secco,
e che inoltre le specie della zona forestale sono differenti da quelle
delle zone più elevate.
Neppure la flora dei laghi fu trascurata. Essa è costituita da
usb
anche nell'inverno diventa povero e spesso sol piü costituito da diato- v.
mee. La costituzione delle sponde es, reita inflienza sullo sviluppo
della flora che si fa povera nei laghi incastrati fra le roccie. Laghi
contigui possono perciò aver differente flora e persino parti differenti
quanto questi siano piü riechi di fitoplankton).
. Il volume termina con una lista dei nomi volgari delle specie stu-
diate, con una ricca bibliografia e coll'indice alfabetico. ^ d
volume è corredato da una carta a colori, da 58 fotoincisioni di -
aesaggi, formazioni etc., da 20 figure nel testo, molte dalle quali il- À
ustrano l’andamento della temperatura, dell’illuminazione sul Bernina, È
e infine da una carta sinecologica. 2
Noi non possiamo che elogiare ad un tempo l'autore che ha saputo `
con tanto corredo di studi una regione interessantissima del-
RS
dI
S
RECENSIONI 539
le alpi e l'Editore Wilhelm Engelmann di Lipsia che è riuscito a pre-
sentare al pubblieo un'opera splendida sotto tanti punti di vista e uti-
lissima alla scienza.
R. Pampanini: Per la protezione della flora italiana. — Relazione Fe
sentata alla Riunione generale della Soe. Bot. Ital. in Roma
2. ediz. con pref. dell’on. G. Rosadi, Firenze 1912. :
Nella prima parte della sua relazione l’A. enumera i provvedimenti
legislativi intesi specialmente alla protezione della flora, e, più general-
mente, a quella dei monumenti naturali (flora, fanua, monumenti geolo-
gici) che esistono negli Stati Uniti, nella Svizzera, nella Francia, nel-
l’Austria, nell'Ungheria, nella Germania, nel Leichtenstein, nella Dani-
marca, nella Svezia, nella Norvegia; si ricordino i archi nazionali:
istituiti negli Stati Uniti d'America per la difesa della Sequo/a gigan-
tea, per la conservazione delle faune caratteristiche, per la protezione
di interessanti aspetti dell'attività endogena della terra; si ricordi il
grande parco di Val Cluosa istituito dalla Svizzera nella Bassa Enga-
m
che si dee Provvedimenti entail non esistono ancora in In-
ghilterra, in Olanda, nel Belgio, nella Russia, ma società scientifiche
attivamente propugnano la espe della ger? della na wá ioi
Nel 2. capitolo PA. ad esaminare quanto si fece talia
per la protezione della dore; d da quando la geg fa Steng bie
dal prof. Mattirolo, ricordando i non seguito per altro
da risultati molto soddisfacenti, del C.u b Alpino, deila Pro-Montibus,
della Soeietà Botanica Dag A della Società Orticolo-F.oristica di Co-
mo; solo ultimamente la questione fu risollevata con ardore dalla So-
cietà Botanica italiana, e ampiamente trattata nell’ultima riunione ge-
nerale (Roma 1911).
Il 3. capitolo è dedicate all'esame delle cause di distruzione della
flora; ta e distruzione viene E non tanto da turisti e villeggianti,
ssi commerciali, sia che smercino
nel Veneto), sia che utilizzino le cem in rapporto alle loro proprietà
degli orticultori, i cui effetti sono dannosissimi ue esse raggiungono
le proporzioni di quelle di aleune ease inglesi e francesi che PA. cita
in via di esempio, e quando soprattutto, con lo scopo di potere tenere
alto il prezzo della propria merce, gli ortieultori distruggono le piante
540 RECENSIONI
che non poterono raccogliere. Le raccolte per exiccata, quando vengano
operate all’unico scopo di scambii, le opere di bonifica, ete. sono altre
cause si distruzione della flora.
Passando, nel 4. capitolo, ad esaminare i mezzi di prot zicne della
flora, l'A. ricorda la istruzione di giardini alpini, i cui effetti per al-
tro non furono molto lusinghieri e la semina artificiale e la ricostru-
zione delle stazioni danneggiate, provvedimento di applicazione limi-
tata e scientificamente pericoloso, potendone derivare la alterazione dei
caratteri fitologici di una regione.
‘on vi è quindi — secondo DA. — che un unico mezzo di difesa
della flora, quella dei provvedimenti legislativi; come questi esistono
nelle altre nazioni, è da augurare che presto possano esistere anche
fra noi, e che l’iniziativa della Società Botanica Italiana possa avere
il suo coronamento ufficiale,
La relazione Pampanini è preceduta da una prefazione dell’ono-
‘revole Giovanni Rosadi, e accompagnata da appendici bibliografiche e
daila noia delle piante (superano il centinaio) difese dalla legislazione
sui versante esterno delle alpi. ^
Corrado Bonaventura
A. Becuinot: La Flora, il paesaggio botanico e le piante utili della
Tripolitania e Cirenaica. Padova, Fratelli Drucker, 1912.
Sulla flora Tripolitana si posseggono parecchi lavori e notizie sparse
qua e là recentemente riassunte, non senza qualche dimentieanza, dal
Dluand e Barratte in un « Florae Libyeae prodromus », che vide la
eure nel 1910. Questo lavoro che contiene un grande numero di dati
ed osservazioni originali, è quanto di meglio per ora possediamo sulla
vegetazione di quella regione per tanti riguardi interessante. L'opuscolo
RECENSIONI b41
di sabbia), uadi (fondo dei ruscelli, valli ece.), steppe, sebche {paludi
a fondo argilloso spesso salate), dune di spiaggia ed oasi dando di cia-
seuno i tratti più salienti, sia per quanto concerne le condizioni di am-
biente e specialmente quelle fisico-chimiche del suolo, sia per quanto
ha riguardo con le piante più caratteristiche e dimostrative. Quanto alla
irenaica si sofferma a descriverne i boschi di conifere e di scierofille
e la macchia, insistendo sui caratteri spiccatamente mediterranei del
complesso della vegetazione, in contrapposizione a quelli accentuata-
mente subdesertici della Tripolitania e Sirtica e di eni l’espressione
più eloquente sono le desolate hammade e le dune del genuino deserto
libico, mobili ed ondose come la superficie del mare.
Un capitolo a sé l'A. lo riserva per illustrare i principali tipi bio-
logici di piante, tra i quali annovera le annuali (in discreta prevelenza
sulle perenni), le atille, le spinose, le stenofille, le crassicauli, le piante
provviste di oli essenziali eec. Ne segue un altro con copi.se notizie
sulle piante utili od utilizzabili, sia indigene, come di antica o recente
introduzione e che hanno fatto buona prova, soffermandosi specialmente
sulla Palma da dattero (di eui fa notare il grande polimorfismo), sul-
l'Olivo e la sua industria primitiva e moderna, sul leggendario silfio,
e sulla ricca bibliografia cui la controversa sua interpretazione diede
luogo, sullo sparto od alfa (Stipa tenacissima) eec. Chiudono il | voro
alcune note esplicative e la bibliografia rieca di 137 numeri (quelle
dei signori Durand e Barratte ne elenca 82) e che comprende l’elenco
delle opere che trattano di proposito della vegetazione indigena o del-
"a
ne, ma la
consultazione nel presente momento stori:o potrebbe riuscire vantag-
giosa anche per i botanici.
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INDICE
Lavori originali
Eéguinot A. — Ricerche culturall sulle variazioni delle piante. Pag. 225
Id. — La Flora delle mura e delle vie di Padova-Studio eebe » 413
Bianchi C. — Le cellule malpighiane nei tegumenti seminali delle Ramnacee » 429
Buscalioni L. e Muscatello G, — Contribuzione allo studio delle lesioni foglia-
ri (Tav. 1-III). 4 , è ; : : : i ; i : way
| X Id. — Coerenze, sdoppiamenti ed altre anomalie fogliari pro-
vocate dal Dacthylopius citri Sig. nella Parkinsonia aculeana Lin. (Tav. IV) » 193
| Id. -— Sopra un nuovo processo di Tecnica istologica per la
| colorazione delle sezioni in serie e la sua applicazione alla anatomia e ft
E. siologia vegetale, con particolare r guardo agli organi motori . » 2Sg
E : Id. -- Studio monografico sulle specie americane del genere
: *Saurauia, Willd. . ; » 381
3s Id. — Büdeaismi. di en SC Flora ine i » 465
i Craveri M. — Alcune specie vegetali dell’Ossola ritenute rare per la flora del
: Piemonte. . » 163
Ì » — RR tra dà Flora fossile e la: Flora vivente della val
3 Vigezzo nell'Ossola in relazione col mutato ambiente . S i ; » 346
1 Mattei G. E. — Un trifoglio nuovo per l'Europa. . Ku nM co
Id. — Osservazioni biologiche sopra alcune Carine coe. » 341
E Munerati O. — Osservazioni sulla prefioritura delle barbabietole da eh Y 21:
i Munerati O. e Zapparoli E. — L'influenza dell' alternanza dell' umidità e della
E siccità sulla germinazione dei semi delle erbe infestanti, — . à n c» MS
Y Mussa E. — La * Flora Sardoa ,, del Moris. : d » I
Pc Pantanelli E. — Sui caratteri dell'arricciamento e si mosaico della vite ©. » 497
E Paoli G. — Nuovi Laboulbeniomiceti parassiti di Acari (Tav. V) à À » 329
- Peglion V. — Il cancro delle piante . EE = 356
Peola P. — La coltivazione dell’Olivo in Valle are à : » 153
Trotter A. e Romano M. — Primi materiali per una E E À » 441
Vassallo E. .— Comportamento delle sostanze organiche negli organismi vegetali b. È
552 INDICE
Recensioni
Béguinot A. — La Flora, il paesaggio botanico e le piante utili della Tripo-
litania e Cirenaica . . » pag. 540
Bonnier. G. — Flore Complete es en Ges de France, Suisse et ue a Sat
Bruttini A. — L’ influenza dell’elettricità sulla vegetazione e sui prodotti delle
industrie agrarie . i EE
Cocuzza Tornello Francesco.— La Palla nana (Chess ati e ui sua
utilizzazione. . i $ d i j à È : » 526
Ferry R. — Les didis ET A. phalloides, A. verna et A. virosa . » 369
Gentil L. — Formaldéhyde from beet leaves and roots. È » 89
Koordeks. H. — Exkursionflora von Java umfasserd d. Blütenpfanzelia mt ba
sonderer Berncksichtigung d. in Hochgebirge wildwachsenden Arten. . » - $24
Manaresi A. e Tonegutti M. — Sulla determinazione dell’amido nei ‘rami T
alberi + . ` » 159
^. -— E gt, ta composizione rispettiva del
legno e della corteccia di un ramo di Pero . » 189
Sulla composizione chimica dei rami seal di ett.
cuni ‘alberi fruttiferi. à S d : : È : : ; ; » 189
Breve studio morfologico e chimico sulle foglie dei ra-
mi specializzati di alcuni alberi da frutto — . È pes ; ; » 189
Max Samec. — Studien über Pflanzencolloiden . 1 ; i ; - » 529
Pampanini R. — Per la protezione della flora italiana. L à » $39
Rübel E. — Pflanzengeographische Monographie des Bernina psn ‘ » $34
Schryver S. B. — The photochemical formation of formaldéhyde in green plants » — 89
Stoklava I: u. Edobuicky W.— Photochemische Synthese des EEN in
Abweseheit von TM : È Ge » 278
'B
Schuster C. — Bibliografia moderna :
Botanica generale . V ; à ; : DE ; > #91
Anatomia . 4 i i , i : , í ; h : » 94
Botanica delis ^ dish à $ V pi decida uc » IQI
Biologia " d ». 278
Morfologia. , » 281
Fisiologia » 285
Sviluppo... » ug
Variazione. i tuti: EN Kee E vo. : » (0372
Sistematica — » Reger? ng SCH í i à »::573
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