MALPIGHIA RASSEGNA MENSILE DI BOTANICA REDATTA DAL DOTT. L. BUSCALIONI Pror. ORD. DI BOTANICA NELLA R. UNIVERSITA DI CATANIA ANNO XXIV — VOL. XXIV MARCELLO MALPIGHI 1627-1694. CATANIA Tipografia « La Siciliana » Fratelli Perrotta I9II GAN SURE. FR sg A za I Ca av wes Auch mc ECKE E AM "Iac d LE nA allt, daa M FEED Pe” VU ' ass o3. * a 2 a 2 dui Foa y D d MALPIGHI RASSEGNA MENSILE DI BOTANICA REDATTA DAL DOTT. L. BUSCALIONI PROF. ORD. DI BOTANICA NELLA R. UNIVERSITÀ DI CATANIA ANNO XXIV MARCELLO MALPIGHI 1627-1694. CATANIA Tipografia « La Siciliana » Fratelli Perrotta 1912 boc ms | CONDIZIONI : La MALPIGHIA si pubblica una volta al mese, in fascicoli di 3 fogli di stampa ab meno, corredati, secondo il bisogno, da tavole. ` — ee | L’abbonamerito annuale ju L; Sh pagabi G6 fasti > eirca 20 tavole) sarà messo in ven pe Sé Dort. ENRICO MUSSA La "FLORA SARDOA, del Moris La Biblioteca Civica di Torino possiede, fra gli autografi di per- sone illustri, un mazzo di lettere dirette da Giacinto Moris a Carlo Capelli, nelle quali si contiene come la cronaca delle origini della « Flora Sardoa ». Sono lettere scritte in uno stile semplice e famigliare pieno di sincerità e di entusiasmo per la sua idea, di venerazione affettuosa verso il suo Maestro prof. Carlo Capelli — in esse sentiamo palpitare il cuore di due insigni botanici del Piemonte, Moris e Capelli, ai quali l'Orto Botanico di Torino fu tanto debitore, e da esse esala come un soave profumo del fiore della riverenza in Moris, del fiore della be- nevolenza paterna in Capelli, del fiore del sapere in entrambi: ebbene, sia lecito a me, a distanza di quasi un secolo, di far rivivere quelle ` scritture, che hanno il dono di ritemprare lo spirito nostro nel ricordo delle forti volontà di chi ci ha preceduto. Appena il Moris fu mandato, nel 1822, all’ Università di Cagliari quale professore di Clinica, ebbe subito una nobile preoccupazione, quella di compilare la statistica descrittiva della vegetazione di quelle nobilissime terre di Sardegna; e questa sua idea egli persegui con sin- golare tenacia, « con l'ardore e lo zelo di chi opera per una sua in- clinazione, per appassionatezza di studio. per irrequieta di saper vaghezza » (1). Nel 1828, infatti, pubblicava un primo « Stirpium sardoarum Elenchus », preludio alla magistrale « Flora Sardoa », della quale il primo volume comparve poi solo nel 1837 in bellissima edizione in-4, coi tipi della Stamperia Reale di Torino, il secondo nel 1843, il terzo | mel 1859: purtroppo la morte non gli consenti l'appagamento dell’ u- (1) Chiappero Franc., Necrologio di G. G. Moris in «Giornale di Farmacia e Cliniea», Tomo XVIII, 1869 — Torino, Speirani. 3 ENRICO MUSSA nico desiderio che lo accompagnò negli ultimi suoi anni, la pubblica- zione cioè del quarto volume a compimento della colossa'e sua opera. Questa sua preoceupazione si rivela già in una lettera al prof. Capelli, in data delli 8 marzo 1823, nella quale lo informa ehe le eure della eliniea lo assorbono molto, ma esprime la speranza di po- tere nella prossima primavera audare in cerca di piante. È In una successiva lettera del 18 aprile 1823, fra altro, scrive: «non si è parlato ancora di Flora Sardoa; converrebbe che uno stesso sito fosse percorso in diverse stagioni dell’ anno, cioè neil’ in- verno e nel cominciar dell’ estate e in primavera; nei mesi di luglio, agosto e settembre ed anche in parte di giugno e di ottobre non si potrebbe comodamente viaggiare nelle pianure a cagione della così detta intemperie » (1). Espone quindi il vivissimo desiderio di avere il prof. Capelli a compagno di erborizzazione ; domanda poscia due copie del catalogo del giardino botanieo di Torino, pubblieato dal Capelli, per darne un - esemplare all’ Intendente generale Greffier, amatore di botanica, e l’al- tro al Canonico Murcas, Preside del Collegio dei Nobili, il quale man- teneva, nel giardino della Società di Agricoltura in Cagliari, parec- chie piante a proprie spese, ed era pure amatore di botanica ; al quale desiderio il Capelli volentieri annuiva ed il Moris tosto serupolosa- mente rispondeva, per ringraziare, con lettera 4 ottobre 1823, ' Nella prefazione alla «Flora Sardoa» il Moris afferma di avere cominciato i suoi viaggi — s'intende a scopo botanico — attraverso Il’ isola nel 1824: «anno MDCCCXXIV itinera per varias provincias ingressus sum ». ; (1) Di questa «intemperie » parla il Moris a pag. VIII della sua «Flora Sardoa»; Humiliores Sardiniæ campos a junio ad decembrem peragrantibus, alie- nigenis praesertim, incumbit sic dicta Intemperies. Hoc nomine caussæ morbi, ipseque morbus appellari consueverunt, nunc scilicet gastroenteritis, nunc, et | potissimum autunno, periodica febris, pblogosi gastro-enterica, aliave identidem rate. | LA « FLORA SARDOA » DEL MORIS 3 Perd già nel 1823 egli aveva, quanto meno, delibato la flora in- sulare, ed infatti in una lettera, in data 15 giugno 1823, egli dava un sommario brevissimo delle sue impressioni floristiche ; tale lettera scritta, come al solito, in una forma semplice e piena di sentimenti di vene- razione verso il Capelli, merita di esser qui riprodotta, come quella che si può considerare il punto di partenza della « Flora Sardoa »: , All’ Ili.mo Sig. Pad.ne Col.mo Es il Sig. Dr Carlo Cappelli | . Professore di materia medica e Botanica nella R. Università di Torino. Cagliari, il di 15 giugno 1823. (RO Stimatissimo e Carissimo Sig. Professore, A | Sono felicemente ritornato dal mio pieeolo viaggio, le discorreró di quanto ho osservato — gli arboscelli che generalmente crescono nei contorni di Cagliari sono il Lycium europaeum, la pistacia lentiscus, di eui le potrò mandar semenze se ne desidera, l’ a/ripler halimus, oltre aleune specie di cactus che sono adoperate per formare le siepi ; tra Cagliari e Monastir ho trovato il cistus glulinosus (1) con una spe- cie di lavandula che mi pare la stoechas: tra Monastir e Ussana una specie di Aibiscus (2): la temperatura all'ombra in Ussana era + 18 il giorno 20 maggio: tra Ussana e Mandas carduus marianus : tra Man- das e Arizzo nelle foreste dette dell’Arcidano quercus, non posso dire se sia il robur od altra specie: il quercus suber ed il quercus ilex di considerevole ampiezza ed elevatezza : alcuni di questi alberi cadevano di vecchiaja, ve n’ ha in grandissima quantità: parmi che se ne po- . trebbe trar gran partito: smilax aspera cresce in gran quantità so- | (D Flora Sardoa: I, p. 205, sotto Helianthenum glutinosum Pers. (2) Probabilmente sarà |’ Hibiscus Esculentus Linn, unica specie del genere | registrata nella Flora Sardoa, Vol. I, pag. 308 (colitur in insula S. Pietro), e della quale esiste nell'Erbario del Moris un unico esemplare colla scritta: culta — — Carloforte, 1826, maggio. SE E 4 ENRICO MUSSA stenuta per lo più dal pistacia lentiscus. Non ho potuto ben osservare se vi cresca anche la smilax mauritanica che. crescendo in Corsica ed in Barbaria, vi sarà molto probabilmente in Sardegna: il pancratium maritimum con altre specie di cistus e di helianthemum cresce pure nelle suddette foreste : al nord-est del Genientu (1) srande quaniità di erica arborea: all’ avvicinarsi di Arizzo boschi di noci, di castagni e di altre piante officinali, digitale porporea siupenaa e molto elevata: In Arizzo si semina molta quantita di lino; da qualche tempo sola- mente sono state introdotte le patate e la meliga. Arizzo passa per uno dei paesi freddi della Sardegna: gela l in- verno la terra ma a ben poca profondità, la neve non copre più d’otio giorni continui la superficie della teria : tra Arizzo e Gine geniu selve composie d'Arbutus unedo, di ilex aqvifolium, e di taxus baccata: Va- sphodelus ramosus orna una gran parte delle campagne della Sarde- gna; dove più non v'ha questa pianta nelle montagne, v'ha la san- tolina chamae cynarissus in grandissima quantità: ne! ascercere i luoghi aridi del Ginergen:u poche p'ane: non mancherò di mardarle quelle che ho trova o: sulla vetta del Giuev;entu ‘| me-cario del baro- metro è disceso a gradi 23, nel termometro a gra i 6 sop'a lo zero: da quella vetta scopresi quasi tutta l'isola e vedesi il mare qaasi da ogni intorno: oltre gli albe. i suddetti rel discencere si è incontrato lacer monspessula.au.a: noa posso menda le a'eune pianie che Lo rac- colto per ora, ma ro. manche à per la prima occasione : esse sono ben poche: dove si iroverebbe un maggiore numero di pianie si è tra gli stagni ed il mare, ma quest’ anno non ho potuto andarvi, d'altronde quei luoghi diconsi qui intemperiosi cioè miasmatici: spero l’anno ven- turo di poter far un viaggio un po’ più lungo e meno in fretta di que- ‘sto ; tutto quello che raccoglierò di particolare, se qualche cosa racco- glierò, sarà suo: se vi sarà nel giardiao di questo sig. Canonico Mur- cas qualche pianta che per avventura non vi sia in quello di Torino proeureró di mandarle delle semenze : vi andrebbe veramente per viag- giare con utilità in Sardegna una persona che avesse maggiori eogni- (1) Genna-entu, E PETRUS. a E Ke CRE E DE D Ee ENT RE MPO Sg e dug €. : x CRT SE ies ME ME e e Sr LA « FLORA SARDOA » DEL MORIS 5 zioni di quelle che io mi abbia, e che non dovesse in altre cose occu- . parsi che di questa: parmi pertanto di aver osservato che le piante si presentano qui con colori infinitamente più vivi che da noi, ma che il numero di esse è ben inferiore a quello delle pianure del Piemonte e delle Alpi: percorrendo luoghi più umidi ne troverò forse un mag. gior numero: non ostante che vi sia in Sardegna ospitalità e che il viaggiatore sia benissimo accolto in case particolari, alle quali convien ricorrere perchè le osterie sono rarissime, tuttavia conviene dire che il viaggiare costa di più che in terraferma, dovendo colui che viaggia tener con lui un cavallo, e-pagar una guida a cavallo e altre piccole cose : si trovano viaggiando assai ampie estensioni di terreno incolto: non vi sono prati artificiali che in Orri dove sono stati introdo:ti dal Sig. Marchese di Villermosa: p rmi che vi sarebbero molti luoghi atti ella formazione dei prati poichè si incontrano molte piccole ele- vatezze, e_molte piccole valli: la quantità del bestiame principalmente di pecore è immensa, ma d’inverno vivendo sempre questi animali all’ aperta campagra, sopratutto quando l’ annata è secca e scarseggia il pascolo, ne muiono molte: quest’ anno ne sono morte senza esage- rare migliaia: si anderebbe all’ incontro di tutto questo coi prati arti- ficiali : il racco to del grano è qui quest’ anno appena mediocre; non par che sarà così del vino. ‘ Io le debbo render grazie per lo Sprengel che mi ha inviato: le sarò riconoscente anche per questa cosa: vorrei anch io poterla obbli- gare in qualche cosa, ma conti almeno sulla buona volontà: sarà sem- pre uno dei più bei piaceri cho io mi abbia in Sardegna il ricevere lettere di lei, perciò la prego mi continui la benevolenza, che io sarò sempre il E. : suo umil. servo ed amico Moris Nella primavera del 1824 il Moris percorreva la maggior parte dei luoghi d’aria più malsana dell’ isola e di ciò informava, con let- tera 16 maggio 1824, il prof. Capelli, mentre insisteva sul concetto che, per attuare la divisata « Flora Sardoa », occorreva l'appoggio del Governo. E quest'appoggio non doveva venir meno: infatti il 24 luglio * Ce den. A a Sie Zen a EE 6 ENRICO MUSSA 1824 il Moris scriveva al Capelli che il Ministero aveva «disposto di dispensarlo, per il tempo necessario, dalla scuola di Clinica, per in- traprendere la flora della Sardegna ». In quella stessa lettera egli espri- meva la speranza che il Capelli si sarebbe recato in Sardegna a di- rigerlo nelle sue ricerche, e questo vivo desiderio ed analoghe affet- tuose sollecitazioni egli ripete nelle lettere successive. Intorno a quel tempo Alberto di Lamarmora doveva intrapren- dere — nel novembre 1823 -- un viaggio di due anni per studi illu- strativi dell’ isola dal punto di vista mineralogieo ed il Moris inten- deva profittare appunto dalla fortunata circostanza per avere nel La- marmora un compagno preziosissimo nei suoi viaggi. Nè bastava la semplice dispensa dalla scuola di Clinica — oecor- revano anche sovvenzioni — ed ecco che il Ministero avrebbe concesso un sussidio per l’ intrapresa della Flora: di che il Moris subito, il 30 luglio stesso anno, teneva in corrente il Capelli rinnovando la pre- ghiera di recarsi in Sardegna per dirigere le raccolte, o quanto meno di mandargli una persona pratica di erborizzazioni. Pare che il Capelli si arrendesse alle preghiere reiterate del Mo- ris, poichè questi il 18 settembre 1824 gli scriveva che non poteva pervenirgli notizia più grata di quella che gli annunziava la risolu- zione del Capelli di venire nell’ isola; lo avvertiva soltanto di non partir prima del'a seconda metà di novembre perchè essi non si sareb- bero messi in viaggio che nel dicembre. Gli dava quindi notizia delle scarse opere di botanica che egli possedeva e cioè: la Flore francaise di Lamarek e De Candolle, il Systema di Linneo, i Genera Plantarum del Jussieu, le Istituzioni del Targioni, gli Élémens de Botanique del De-Candolle, la Filosofia del Linneo, ecc., oltre ad un « Willdenow », ad una « Flora gallica » di Loiseleur, ad una «Distributio plantarum » del Wittmann, ad una « Flora suecica » di Linneo, posseduti dall’ amico prof. Cossu: racco- mandava di non dimenticare le opere riguardanti la descrizione delle Crittogame e di comprargli un Persoon: invero scarsa suppellettile li- braria, eppure anche con sì limitati sussidi scientifici la «Flora Sar- doa» riuscì un monumento alla nobile Isola — e eonchiudeva con que- ste parole « La aspetto colla più grande impazienza ; ed il cav. La- LA « FLORA SARDOA » DEL MORIS 1 marmora, nostro compagno di viaggio, e l'Intendente generale pure sono ansiosi di fare la conoscenza della di lei persona »; donde appare in quanta considerazione il Capelli fosse tenuto. Intanto la pratica del sussidio subiva un ritardo forse anche per l'avvenuta morta della Duchessa del Chiablese, ed il Moris sollecitava il Ministero dimostrando come la decisione fosse urgente per metterlo in condizione di approfittare della compagnia del Lamarmora. La compagnia di questo valente uomo era a lui infatti partieo- larmente preziosa in quanto il Lamarmora da quattro anni aveva percorsa l'isola e di nuovo doveva percorrerla nei due successivi, e perchè, sapendo disegnare benissimo, poteva anche dipingere delle piante come, del resto, aveva promesso. Insisteva ancora sulla necessità che il Capelli, recandosi in Sardegna, si procurasse un cavallo perchè indispensabile: — «conviene in Sardegna camminare per ben molte ore ed alle volte mezze giornate per trovare alloggio; è vero che tal- volta dormiremo alla campagna, epperciò abbiam già pensato a pro- curarvi una tenda, ma il cavallo, non solo per la ragione suddetta ci sarà necessario, ma perehé esso passa in luoghi dove noi non potrem- mo passare; vedrà ehe i cavalli sardi ci porteranno sino alla cima delle montane colla più grande prontezza e sicurezza: le nostre gite saranno piacevolissime ; ella troverà una vegetazione che la soddisferà: la compagnia del cavaliere le sarà, credo, gratissima; Ella troverà qui le maggiori accoglienze, perchè qui sono convinti dei meriti di Lei, e perchè viene in quest’ isola per un ogzetto da tutti da gran tempo desiderato » (30 ottobre 1824). Parole semplici, ma che rivelano una perfetta sincerità d’ animo ed un grande entusiasmo per |’ intrapresa della Flora. Il Moris non pensava allora a certi inconvenienti che può sempre presentare il fare della botanica a cavallo, come per altro lo esigevano la mancanza di strade e di ponti, le distanze, e la necessità di recare con sè le provviste; nè poteva prevedere la innocente avventura che gli doveva capitare nel 1825, raccontata dal Lamarmora con queste parole: Aprés qu'il eut fait dans cette région une ample provision de belles Malvacées, qu'il avait disposées avec soin entre des feuillets d'un gros porte-feuille qu'il portait sur son dos, le docte professeur, 8 ENRICO MUSSA ayant vu une plante qui |’ intéressait, n’ eut rien de plus pressé que de descendre de cheval et de passer son bras dans la bride pour em- pécher l'animal de s'éloigner; puis il se mit à genoux pour mieux enlever la plante, qu'il eonvoitait; pendant ce temps, par l'effort qu'il fit en se courbant, son porte-feuille s'ouvrit, et se trouva préeisement à portée du museau du cheval que la faim, l'oceasion et l'erbe tendre (comme dit le bon La-Fontaine) pussérent à s'en donner à belles dents, comme s'il eut été devant un ratelier à foin ». (1) Ma è solo alla condizione di affrontare anche queste piccole avven- ture ehe poterono il Lamarmora fare della geologia in Sardegna, ed il Moris eseguire nell’ isola quelle ricerche pazienti e laboriose mercè le quali la botanica si è arricchita della monumentale Flora Sardoa. Il Moris intanto non perdeva tempo chè, il perder tem o a chi più sa più spiace, ed egli ben sapeva quanto lavoro gli si apprestava e quanta dovizia di flora aveva da studiare. Nuovamente e sempre insisteva presso il Ministero e di queste insistenze informava il Capelli — 13 novembre 1824 —: ma pare che la pratica avesse alternative di progresso e di stasi; infatti, il 27 no- vembre 1824, scriveva di nuovo: « col penultimo corriere mi si annun- ziava che la cosa sarebbe stata sistemata; ^oll' ultimo nuovamente mi si dice che non si sapeva quando; l'andamento di ciò è veramente quello di una febbre periodica ». | A queste incertezze si aggiungeva poi l’altra relativa alla venuta in Sardegna del Dott. Bertero che il Moris sperava di avere a eom- pagno: ma il Ministero lo avvertiva che in tale attesa egli avesse ad occuparsi da solo della raccolta delle piante. Pare, a questo punto, che il Capelli gli avesse fatto balenare la possibilità d’una sua visita in settembre od ottobre; ma il Moris, con lettera dell’ 8 gennaio 1825, ne lo sconsigliò perchè « questi sono ap- | punto i mesi in cui l’aria è più micidiale in queste pianure, e la cam- ES pagna, massime di questo capo, è arida affatto; non si può in Sarde- i gna, dal luglio al novembre ed anche al di là di quest’ epoca, viag- giare senza rischio della salute e della vita ». (1) A. Lamarmora: Itinéraire de l'ile de Sardaigne, vol. I, pag. 259, LA « FLORA SARDOA » DEL MORIS 9 Finalmente il Dott. Bertero approdava all’ isola, e subito si met- tevano in cerca di piante: «abbiamo già raccolto qualche pianta e tra altre un Narcissus ed una Ononis di cui non abbiamo trovato la de- scrizione; però le peregrinazioni formali non hanno ancora cominciato: comineieranno domani e le continueremo insino a che la stagione lo permetta » (6 marzo 1825): e difatti le eseursioni botaniche, che il Moris aveva dovuto procrastinare, perchè quell’anno la vegetazione era in ritardo, cominciarono effettivamente allora e durarono poi fino al luglio. Il 9 luglio scriveva: « Sono al termine delle mie peregrinazioni botaniche per questa estate: parmi di godere buona salute, ma sono stanco, e stanco assai; ho percorso nell'ultimo viaggio la provincia orientale dell’ isola detta Ogliastra: questa è montagnosa sovra ogni altra; ma quello che maggiormente mi ha fatto soffrire si fu il calore eccessivo: esso era a più di 26 del termometro di R. all’ ombra ed a 700 metri al di sopra del livello del mare. Non ho più avuto in que- st' ultimo viaggio la compagnia di Bertero, partito dopo la metà di giugno, per terraferma; ho aggiunto circa 300 specie a quelle che già avevo..... Manderó a V. S., pel cav. Lamarmora, il quale parte presto di qui per la terraferma, esemplari scelti di piante: la pregherò del suo parere; avrò cura)di scegliere le specie che la possono mag- giormente interessare; riserbandomi sempre d’ inviarle, delle altre di cui le darò la nota, tutte quelle che desidera ». E difatti l’ 8 agosto preveniva il Capelli della spedizione di piante, precisamente a mezzo del La-Marmora che lasciava l'isola. Ed il Lamarmora aveva ricevuto un’ottima impressione del Moris e del suo zelo scientifico, come esplicitamente lo ricorda con queste parole: « Ayant eu l'avantage de l'aecompagner dans une grande par- tie de ses excursions dans l'ile, y compris Ja premiére, qu’ il fit avec l'infatieable et infortuné Bertero, je puis attester que mon savant et consciencieux confrère a mis autant de soin et de perseverance dans ses recherches locales qu'il en a employ? depuis à en publier les ré- ... sultats > (1). (1) Albert de La Marmora; Voyage en Sardaigne, vol. II, pag. 167, Paris, Bertrand, 1839. DS ur KS ie NM PU EE RER + Mes Ae EE a RR eg? 10 ; ENRICO MUSSA Partiva dunque il La-Marmora; ed era già partito il Bertero, il quale aveva fatto nell’ isola una permanenza di pochissimi mesi, come ricorda il Moris nella prefazione alla sua « Flora », con queste parole che sono un elogio ad un tempo ed una espressione di rammarico : «Comes mihi primum fuit doctor J. Baptista Berterus a botanica eru- ditione haud minus paratus, quam clarus ob stirpes in scientiae in- crementum inventas atque illustratas; trimestri autem spatio, postquam insulam advenerat, adversa valetudo in patriam reducem fecit; recor- dationem amici, quem acerbum in Oceano fatum premebat, grato animo = nullo non tempore repetam » (2). E Ka d er NP eee Zi ch Il Moris, finite le escursioni di quell’anno, si metteva all’arduo lavoro del coordinamento del materiale raccolto: 3 « Aspetto con impazienza il Systema vegetabilium di Sprengel 3 che V. S. mi annunzia: sento vieppiü la necessità di avere opere; : sto ora disponendo per ordine alfabetico le specie raccolte; la setti- : mana ventura avrò terminato, quindi mi occuperò di mettere da parte tutto quanto posso eredere piacerà alla S. V. Non ho ancora raccolto fuchi: comincerò il mese venturo: non gliene manderò per ora, ma ella ne riceverà questo inverno; ageiungeró alle piante, che le man- derò, la nota compiuta di tutte quelle che posseggo, perchè possa sce- gliere ; desidero che possegga tutto quanto brama di quest’ isola. Le manderò semenze per il giardino, e quelle che non avrà quest'anno, le avrà il venturo; solo debbo pregarla a volermi indieare, con suo comodo, dopo ricevuta la mia nota, quelle semenze ehe non avrà rice- vuto, affinchè le possa far raccogliere; ve ne sono molte mature in questo tempo, che converrebbe raccogliere; ma io nun posso sortire di casa, prima che abbia messo un po’ d’ordine al chaos che ho nelle piante............. » (20 a:osto 1825). p ode. Il Moris preparava intanto le piante da lui promesse; esse tosto | erano pronte per la partenza: « Gliele avrei già dirette, se non avessi temuto di consegnarle a bastimenti mercantili, a cagione che questi sono perseguitati, od almeno potrebbero essere, dai Tripolini, coi quali siamo ora in guerra; se si presenterà occasione, presto le dirigerò a (1) Bertero mori il 9 aprile 1881 fra Thaiti e il Cile. LA « FLORA SARDOA » DEL MORIS 11 Genova per un bastimento regio, altrimenti finirò per servirmi d’ uno dei mercantili. Lavoro assiduamente, ma se non sono aiutato non so come farò, ed ella, a preferenza d’ogni altro, mi può dare aiuto. Ho scritto al Ministero che abbisognavo d'un giardiniere per liberarmi dalla fatica materiale; consideri che sono costretto a disseccarmi io = Solo le piante: ho provato a far fare ciò dal servo, ma ho dovuto ri- |» pigliare io. Thomas m'aiuta assai nelle ricerca... ma non abbiamo per- corso che la sesta parte circa dell’ isola ; rimangono luoghi montagnosi assai; non mi sono occupato nè delle piante marine nè dei fuchi; ap- pena ho raccolto qualche Crittogama..... Thomas non verrà meco que- st’ inverno e questa primavera: desidera esso di percorrere la parte più meridionale dell’ isola già percorsa da noi e mi preme che per- corra in stazione diversa da quella, in eui noi abbiamo visitato, li diversi luoghi: non dubito che troverà molte specie che non abbiamo potuto ritrovare ». Anche di questo suo collaboratore Filippo Thomas fa menzione il = Moris nella prefazione della « Flora», dove lo presenta come una per- sona pazientissima nel raccogliere e determinare le piante. Insisteva quindi sul bisogno in cui si trovava d’un giardiniere ‘pratico in erborizzazioni e si raccomandava anche per questo al Capelli. E con questa lettera del 31 ottobre 1825 ha termine il carteggio riflettente la « Flora Sardoa ». Esistono antora nel mazzo altre lettere dirette dal Moris, cià da Torino (Valentino), al Capelli a Pest, dovo questi si trovava in qua- lità di capo della Commissione di S. M. Sarda per lo studio del Cho- lera, che allora infestava quei paesi: tali lettere però contengono sol- tanto informazioni circa l Università e l'Orto, insieme con vive, insi- stenti preghiere di aversi molte cure per difendersi contro la malattia, che tuttavia il Capelli doveva poi contrarre. . Leggendo le lettere del Muris si comprendono tutte le difficoltà | che egli ha dovuto incontrare e vincere per conseguire il suo scopo, ma si rimane confortati nel vedere con quanta sicura fede e costanza abbia egli perseguito il suo divisamento ed assicurato così alla lette- : ratura botanica della Sardegna un 'opera fondamentale di valore vera- mente eccezionale. ridestare queste omai vecchie carte per farne una semplice spigolatura, io ho inteso unicamente di presentare un modesto docu- ` mento illustrativo per la storia della Botaniea piemontese e di portare un tenue tributo d'omaggio a due illustri uomini che ressero valente- mente le sorti del glorioso Istituto Botanieo Torinese: Carlo Capelli ` e Giacinto Moris. COMPORTAMENTO DELLE SOSTANZE ORGANICHE ED INORGANICHE NEGLI ORGANISMI VEGETALI Nota 1° di ETTORE VASSALLO ` Da tempo è nota l’azione che spiegano alcune sostanze quando vengono introdotte nei vegetali e specialmente quelle che valgono alla ricostituzicne delle pianie. Malgrado di tale studio si siano occupati numerosi sperimentatori, i metodi di somministraziore usati finora non sono stati sempre ade- guati a'lo seopo, nè privi ci inconvenienti. Di solito si sono im»iegzate culture in terreni o liquidi nutritizi speciali, nei quali vien in:rodotia la sostanza che s: vuole cimentare. Le culiure in terreni peid nor hanro po.uo dere risultati precisi, sia per le speciali condizioni fisiologiche in cui v ere » trovarsi la Dana: sa pe’ la lentezza coi la qua'e avviene l’ assorbi neato, che fa su, ie in g'an parte, e talvolta anche cel tu ^o, la nalura dei fenome.i c'e si svolgono; sia quantita.ive mea e, pechè della sostanza propinaca solo una picco’s parte vien assorbita ed assimilata. Nume- rosi soro gli spesimeniasori che si sono va'si di ques;o metodo. Tra i più irporanti lavori ramwenieıö che nel 1863 Besanez (a) fece, con colture in terreno, celle ricerche sull’assorbimenso dei ve'eri metallici nelle pianie. Egli operò eon caiboneto di piowbo, rame, zirco ed os- sido di mercurio e trovò che le pianie non asso;bono dal suolo tali prineipii che in quantità estremamente tenui. Nel 1899 Luz (1) riprese lo siudio di sostanze attive sulle piante di Zea mais, Cucurbita maxima, Heliantus annuus, ecc. coltivati in sabbia silicea. sterilizzata ed ha impiegato come prodotto di studio nu- merose ammine ed alcaloidi. Trovò che le ammine a peso molecolare (a) Ann. der. Chem. u. Pharm, t. CXXVII p. 243. (1) Those de Paris 1899. 14 ETTORE VASSALLO basso sono facilmente assimilabili senza subire una previa trasfosma- zione in ammoniaca ed acido nitrico, Per contro la fenilammiua, nafti- lammina e gli alcaloidi esercitano una azione tossica sulle piante. Numerosi studi della stessa nalura, sulla vegetazione, furono pub- blieati da quell’anno ad oggi e per brevità rimando alle memorie ori- E ginali (1). Nel 1906 Lefevre (2) ricercò l' influenza dei prodotti assi- milati sulla sintesi nelle sostanze azotate e degli albuminoidi nelle piante ed osservò che le piante tollerano benissimo anche la tirosina, la glicocolla, la leueina ecc., purchè vengano propinate a dosi molto piccole. | | Tentativi di somministrazione mediante l'allevamento delle piante e in soluzioni nutritizie furono fatte su larga scala. A questo scopo, | quando la pianta ha raggiunto un certo grado di sviluppo in una data soluzione nutritizia, si aggiunge la sostanza di eui si vuole sperimen- | tare il comportamento. La prima idea di questo metodo si trova ripor- | | tata nella Physique des arbres di Duhamel, in eui si vuole anche di- —— mostrare che le soluzioni concentrate sono nocive alle piante ed è ci- | tato il caso di piante boschive allevate in soluzioni aequose. Fanno seguito i lavori di De-Saussure (3) che esperimentò in so- — luzioni l'assorbimento delle materie zuccherine a mezzo dell: radici, e — — notò che le piante assorbono una quantità rilevante del seno in prova ed il 30 Ojg di zucchero. Lavori analoghi fecero in seguito molti altri (4). Più recentemente | Laurent (5) riprese gli studi sull'assimilazione degli idrati di carbonio > (1) Bull. Soc. Ch. Paris, XIX, 628, 1235, 1239 — C. R. Acc. de Fr. CKXXIV, © 1228 — Bali. the coll. Agric. Tokio, V, 461, 491, 509, 513, 517—VI, 2 VII, 83,85 — Central BI. fur Agrik. Chem. 1904 (Loew) 10—1905 (Voeleher) 3.1906 (Randa) ` — Bull. Imp. centr. Ag. Exp. St. Japan I. 1. pag. 85— Central. Bld. Chem. 1905 ; (Parchet, Ewert. Toyonayo, Bela) — Staz. Agr. Sp. It. XXXVIII 1015 — Journ. £ Landw. LIV, 128 (1906). k (2) Revue gen. de Botanique XVIII — 146 ecc. (3) CERS Chimiques sur la vegetation. Paris, 1804. 7 (4) Sachs — Fisiologie vegetale p. 134 — C. Bl. d. ch. XVII, p. 257 (1862) — — GR acc. de Fr. LVIII — 828 (1888). | (5) These de dre 1903. COMPORTAMENTO DELLE SOSTANZE ORGANICHE ECC. 15 e Lutz (1) sperimentò l’azione dei composti a nueleo benzenico ope- rando con muffe in liquido Raulin ; constatò che l’azione tossica varia, per le ammine, di intensità secondo che il gruppo NH2 è fissato diret- tamennte al nucleo benzenico, oppure alla catena laterale. Nel 1° caso l’addizione del composto al liquido Raulin impedisce lo sviluppo del fungo, nel 2° caso diminuisce soltanto il peso del raccolto. Da ultimo adottando tale metodo Ciamician e Ravenna (2) cerca- rono di studiare il comportamento e la trasfurmazione dei glueosidi e dei relativi prodotti di scissione nei vegetali. Ma dalle esperienze con tali culture ebbero risultati incerti, per cui stimarono meglio ricorrere alle culture in terreno ed alla inoculazione nel fusto. Gli scarsi risultati ottenuti con questo processo, malgrado i nume- rosi studi, debbono attribuirsi, a mio credere, spesso alla concentrazione della soluzione per gli equilibri osmotici che si vengono a determi- nare; più sovente alla attività biologica, talvolta grande, della sostanza che si cimenta, contro la quale la pianta si trova in condizioni da non potersi difendere con fenomeni di compenso. Altri metodi sono stati adottati per propinare sostanze attive nei vegetali. Si è infatti ricorso alla inoculazione diretta della sostanza in istudio nel caule della pianta. A questo scopo, praticato in questo um foro con una trivella, se si tratta di un vero fusto legnoso, oppure con un temperino, se è a consistenza erbacea, si riempie della sostanza . . e poi si chiude l'apertura con l'e pidermide, che si è avuto cura di non staccare completamente, e si ricopre con cera o paraffina, Così nel 1898 il Perosino (8) fece, con tale sistema. delle inocula- zioni di cianuro di potassio in piante di viti ed alberi fruttiferi, a scopo farmacoterapeutico, cioè. onde curare tali piante dalle malattie erittogamiche e parassitarie, che spesso le infestano. Tralasciando di . entrare a discutere il lato terapeutico della questione, noterò come l'au- tore asserisca di essere riuscito a fare assimilare alle piante in esame, 1) C. R. d. Congres des Sc., Paris, 1905. (2) Gazzetta chim. It. xxxvu1-582. (3) Gazzetta delle Campague, Torino-Settembre 1898, Luglio 1899. 16 . ETTORE VASSALLO operando in tal modo, quantità ingenti di detto sale, senza osservaré il minimo deperimento, per quanto come tossico agisca sugli organi- smi animali. Nel lavoro poc'anzi citato Ciamician e Ravenna (1) ricorsero pure a questo metodo senza ottenere risultati soddisfacenti, perchè le piante soffrono con tale trattamento un rapido deperimento. Infatti come è facile immaginare, il trauma altera, e spesso pro- fondamente, i tessuti della pianta che l’hanno subito; intervengono fe- nomeni di infenzione parassitaria, che si sostituiscono a quelli biolo- gici vegetali dei quali si va in cerca; avviene necrosi nei tessuti, che può modificare per se stessa la sostanza; pertanto la pianta spesso muore ed i risultati che si possono ottenere riescono tutt'altro che at- tendibili. | Questo sistema venne esteso anche a piante che presentano nel caule un vuoto come canne, bambù, ecc., sotto forma di vere iniezioni nella speranza che la soluzione della sostanza iniettata assorbita per i tessuti radiolari fosse rapidamente posta in circolo. Ma ciò non av- viene, come io pure ho potuto sperimentare, colla rapidità necessaria, mentre sopraggiungono facilmente i già accennati fenomeni di necrosi dei tessuti con immediato deperimento della pianta. Si può dire dunque che, per imperfezione di metodi, molte so- 3 vegetali; e molte conclusioni, alle quali si è arrivati, sono spesso az- zardate. Per poter dare sviluppo in modo razionale alle ricerche sull’ atti- vità e sulla trasformazione di determinate sostanze nel metabolismo delle piante, io ho pensato ch’era necessario anzitutto cercare un nuovo metodo di somministrazione diretta; un sistema che togliesse cioè fra che ci ponesse in comunicazione diretta cogli organi di assimilazione materiale, cioè con le radici, in modo da poter costringere queste ad possibile, in ordine col potere diffusivo dei liquidi nelle piante. (1) Gazz. Ch. ital. XXXVIII, 582. stanze non si sono potute studiare nel loro comportamento in seno ai noi e la pianta l'intermediario del terreno e dei mezzi di cultura e assorbire in toto la soluzione somministrata colla maggiore rapidità. SE Ee EE EE Ee SEL REV VA ela SE Ch ca : nw ES H e Am t RA S > COMPORTAMENTO DELLE SOSTANZE ORGANICHE ECC. 17 Da qualche tempo ho incominciato una serie di esperienze con degli apparecchi da me costruiti per poter iniettare, a mezzo delle sadici, soluzioni di sostanze nelle piante. Già m'erano note le esperienze di Mae Dongal (1) fatte sui rami di piante sensitive per lo studio del comportamento delle stessa di fronte alle forti pressioni. i Un tubo di gomma che partiva da un recipiente pieno di liquido era in comunicazione con un ramo staccato da una pianta e contem- poraneamente si esercitava sul liquido una pressione con una piccola pompa, alla cui leva era attaccato un peso per ottenere una pressione di una certa durata. Su questo principio sono basati i due apparecchi che deserivo in questa memoria, limitandomi qui ad esporre soltanto la parte mecca- nica dell’operazione e a qualche cenno sulla tolleranza che presentano le piante ad assorbire notevole quantità di soluzione. Tutta la parte fisiologica e quella chimica che riguarda le trasformazioni che sono capaci di subire i corpi di funzione diversa messi in circolo nelle piante incomincerò ad esporla in prossime note successive. | Mode!lo primo — Nella prima serie di esperienze mi sono servito di un palo iniettore piuttosto primitivo. Questo constava di un corpo di tromba (a) eomunicante direttamente eon un tubo a T (5) il cui ramo laterale munito di una chiavetta va a passare in un recipiente contenente il liquido da iniettare ed attaccato alla parte posteriore dell'apparecchio. La parte inferiore di questo tubo comunica a sua volta mediante un rubinetto con un manometro a mercurio dal quale a qualche centimetro di distanza dal punto di attacco parte un tubo laterale con prolungamento in caucciù e chiuso da una pinza a molla, il quale è destinato a comunicare colla pianta. Preparazione dell’esperienza — Al principio dell’ esperienza lo stantuffo si trova in fondo al corpo di tromba (a); si apre la chia- vetta (c) e si chiude completamente quella (d), indi si solleva lo stan- tuffo per prelevare il liquido dal recipiente che lo contiene. Quando (1) Bot. Gaz. XII-1906, p. 293. 18 : ETTORE VASSALLO tutto il tubo (a) è carico di liquido si inverte la chiusura delle chia- vette, mentre si apre una pinza a molla (f) che chiude il cacciù late- rale al manometro. Si abbassa allora lo stantuffo e si arguirà che è ~~ scacciata tutta l’aria dall’apertura dell’apparecchio Ce quando il liquido verrà a sgorgare dall’ interno | del caucciù. TES | | Si mette indi allo seoperto, con cura, la ra- | dice di una pianta in modo che non venga lesa in aleuna sua parte, si mozza in punta, si in- e nesta al caucciù dell'appareechio, e vi si fissa con una legatura. Compiuta questa operazione. si ab- ci bassa lo stantuffo, e quando il mercurio, nei due i rami del manometro, avrà raggiunto il dislivello Lul voluto, si chiude la chiavetta (d) per impedire ogni perdita del liquido. La pianta assorbe len- tamente, sotto la pressione, il liquido propinatole, mentre la colonna di mercurio si abbassa man mano. Nel caso che si voglia rinnovare l'operazione ; e non si avesse più liquido a disposizione, nel i corpo di tromba, è sempre possibile prelevarlo dal recipiente di riserva col metodo già indicato. ‘ L’ottimo funzionamento di questo apparecchio ‘mi ha permesso di eseguire, con soddisfacenti ri- sultati, fino dalla primavera 1909 e nella estate dello stesso anno una serie di interessanti espe- rienze su diverse piante. Le prime esperienze e loro risultati. — Le prime esperienze vennero fatte su piante diverse. Anzitutto ho voluto istituire delle prove di con- rollo per assicurarmi che tutto il liquido iniettato resti nell'organismo vegetale e non trasudi attraverso le pareti radicali, a causa della pres- - sione che deve sostenere la pianta. A tal uopo ho sradicato una pianta di vite nel punto massimo della sua attività ed accuratamente ne ho ripulite le radici, ad una di queste ho applicato |’ apparecchio carico di acqua, a pressione; nessuna anormalità si è verificata e nemmeno il trasudamento attraverso le pareti radicali. Ed è duopo immaginare che COMPORTAMENTO DELLE | SOSTANZE ORGAMIOHE ECC. man mano ehe il Takida veniva assorbito trovasse una necessaria e sticità dilatatcria nei tessuti vegetali, e che contemporaneamente ne venisse eliminato per le foglie per traspirazione. | Ho quindi iniziato delle esperienze sopra piante in terreno, e ne | risco i risultati numerici nelle tavole seguenti: Lisp ks PAR RIO det VASSALLO a ETTORE å e 17 e T NOT x re A p wulu pera vjoponaturI(] əjeunou 200 PIA AA I ‘LU vzzalje (ojor»20u). vurpjaav Sn|A107) 100 155351 ‘olo 1 [je eurdone ip Ojvj[os Ip_2U01zn]jog "OLINDII UU IP vuuo[oo ejjpu "ur f'or ip Duoissaidap vun Dou IS , a|etu10U 93UOIZU1939A o$'1 113W vzzoj|t QUA) viatura SRIA vivejnsip enboy rt uilu 291pe1 ejjap onatueI(] JJEUHIOU 2UO!ZVI9TIA ‘ ‘LU Cat (911A) v1oglulA SHIA vie]pus:p enboy INOIZVF LONNF^ ‘9Y2180]018 -H IUOIZIPUOD ans ə ezuatiodsa ul viurlq ‘T19}1V1IvD JONS 9 [9 UOIZEI}UIZUOI vns ‘meladope auotn]os -ınbı -OS —'yi ofi eil Seni 6L obt — g'or £ g 67 opor STI SEL Pr rri - 129 2 [4 —"'61 (roi Foi DKCH me £66 CA op-Li — SI I = : a c. © =} m ba DE Sr | 635 1523357 o S LRS | B8 EG ECRA Ga SR - Za lao BIS Pb k c È o oe 268. 5 RESI. GA D $8 "UE Zo oig T ei a E oca pi E 3 c 3 : Le f Di E mA a EI , d vn ms > te p= Om It E B e D e me 2 BRE (eil 28 : 21 She TS SuSE a WER ES, ` ER E ONU Ip VUUOJOD Cla auotssaid Hp ıp "ur > f ourjou ıg , ‘9DIPLI ESSAIS v] ns rzuanadsaj vaouun 16 "ODIPEI ESSAIS Lins vzuonedso rAouun IG Es lu apri ep onaturi( s|puuou 2001221999 CIOJIUIA SINA ‘olo to jr oorpos OIN10]9 ip əuorenjog ‘OnI Ip vuuo[oo ejau c'g "ur ^» Ip »uorssaidop vun vjou IS , ‘Ol wulu apipes eop omaweıc] 3|eunou 2uolzv19894 of'r ‘I ezza)[e ( ouisst1,]) 10IS|o2xX8 SnuiXti] COMPORTAMENTO DELLE SOSTANZE ORGANICHE ECC, a * LIBE re d T^ stan À ere pee KM Sooo 'id—'»1 ‘olo tom eulayed IP auorzn[og of‘£1: Sr'o1 Stor en Os Fi 2 o6 m v^ - INOIZFLON:N:F° ‘3421801018 -j IUOIZIPUO2 ans ə ezuatiadsa ur murg "Uuaupip3 IONS 9 | JUOIZEIIUSIUOD ns | ‘“eıeıadope auoiznjog ts -noiour IP EUUO] Jad ojig1osse op -mbi "zv -sẹ vind vezue]s ‘Wo UI OLI Ip Puuo[oo e[pap | IpemuenD -0s Ip puer *ezualiedsa tuo " Ul Olinoi1our Ojuaui?sseqq y -02 ejpp ?zzaXy nnumu 3310) in dP OSSUNN VIVA ezualiadsa ET E ET Ee, NE E EE E E EE TE EN 22 ETTORE VASSALLO Osservazioni alle prime esperienze. Dalle prove preliminari che a- vevo fatte extra terreno mi era risultato che le robuste radici di una pianta resistono anche ad una pressione superiore agli 80 em. di mercurio per eui d'ordinario al principio dell'esperienza inalzavo presso i 75 cm. la colonna di mercurio del manometro. Man mano che il liquido veniva y mong Za ign na m Lac Dites mm pe A geg snnm Deeg nn. assorbito si abbassava la colonna di mereurio in un ramo, mentre si alzáva nell'opposto quella a contatto del liquido, per cui la pressione nell'appareechio per ogni cm. di abbassamento della colonna diminuiva del doppio, e ciò costituiva già un inconveniente perché l'esperienza non veniva condotta in eguali condizioni di pressione ed occorreva sor- vegliare troppo l’apparecchio. E non solo, un altro inconveniente si verificava: quando al termine dell'esperienza il mercurio si trovava alla stessa altezza, nei due rami del manometro non si arrestava a questo punto, ma il tubo di caucciù ripieno di liquido agiva come sifone ed esercicava una forza ascenzionale sulla colonna di mercurio per cui questo traboccava nella conduttura in gomma e si portava a contatto della radice. Così non era possibile rinnovare l’esperienza senza sciogliere l’attacco alla pianta. Inoltre fra il punto di attacco all'appareechio e quello di attacco alla radice correva una distanza troppo grande per cui il caucciù risentiva una dilatazione che poteva essere causa di errori considerevoli nella lettura dell’assor- bimento del liquido. Ed infine vedevo inopportuno che le soluzioni da iniettare si do- - vessero trovare a contatto col mercurio perchè eventuali alterazioni dei soluti stessi avrebbero potuto portare a risultati differenti ed inaspettati. Modello secondo: In seguito a tali osservazioni, mi sono deciso a mo- dificare completamente l’apparecchio, cercando principalmente di rendere costante la pressione; di eliminare il manometro a mercurio sicchè il nuovo modello risulta così costituito: Un tubo di vetro a U le cui branche sono della lunghezza di un metro porta in quella destra, che termina superiormente ad imbuto presso la curva una diramazione laterale, destinata a comunicare con la radice di una pianta, ad un po’ superiormente una chiavetta a chiu- sura perfetta per togliere ogni comunicazione con l’esterno. la branea sinistra comunica al suo limite superiore per mezzo di un tubo a T HENNEN, E UE RC E n t a ee COMPORTAMENTO DELLE SOSTANZE ORGANICHE ECC. 23 con una scatola penumatica a doppia parete in ottone, munita di un manometro matallieo (che segna da O ad 1 atmosfera), posta sulla parte posteriore dell'appareechio. Alremo laterale di questo tubo a T è ap- plicata una valvola a pressione. Ridotto a tale semplicità I’ apparec- chio ha tutti i requisiti necessari per il buon andamento della esperienza. Infatti si introduce il liquido da iniettare per limbuto (a) tenendo aperta. la chiavetta (b) e la valvola (d). Il liquido verrà così a stabilirsi allo stesso livello nei due ra- mi e potrà arrivare anche a pochi cen- timetri dalla valvola (d). Indi si scaccia l’aria dalla gomma (e) aprendo la pinza a molla (h) e si fa l’applicazione alla ra- dice convenientemente preparata. Chiusa la chiavetta(J) con una pompa ` premente (l) si comprime |’ aria nell’ ap- parecchio e la pressione interna ci verrà indicata dal manometro applicato alla scatola pneumatica. Vantaggi nel nuovo apparecchio. Con questo dispositivo è evidente che quando la pressione interna sarà aumentata per es. di 1 atmosfera, la massa dell’ aria contenuta nell’ apparecchio sarà raddoppiata. E per quanto il liquido , che viene assorbito dalla pianta sotto |’ influenza della pressione, lasci spazio al dilatarsi del volume del gas, questa dilatazione non potrà mai portare apprezzabili variazioni 1ella pres- sione interna dell’apparecchio, data la grande disparità che corre fra il volume della scatola pneumatica ed il relativamente tenue volume della diramazione sinistra del tubo ad U. Fra gli altri vantaggi si noti inoltre la breve distanza che corre fra l'apparecchio e la radice della pianta, essendo stato possibile tra- sferire alla base dell'apparecchio la diramazione (c) e la chiavetta (b), ciò che concorre ad una maggiore precisione nelle esperienze. Ed infine, quel che più importa, si è checi offre un campo di os- da «Y xao C 24 = ETTORE VASSALLO. servazioni assai maggiore, giacchè mentre coll’altro modello si poteva osservare, durante una sola operazione, un abbassamento della colonna di mercurio non superiore ai 45 em., eol modello in parola è possibile fare osservazioni per uno spazio di tubo di circa un metro , e si può abbandonare a sè l’apparecchio per un certo lasso di tempo senza che sia necessario interrompere menomamente |’ esperienza. Esperienze della primavera 1910. Con tale apparecchio ho iniziato nella primavera testè decorsa una serie di esperienze con esito felicis- simo, che riferisco senz'altro: ‘esadsos əuəra ezuaniadsa,] (io IPZL|tog 155€ "£4 9f "1$ LE 10 ESP g£ " ett [fg ut 6t '6t op '"punuou əyə Lt by -I80]OISI | ruorzipuo-) st SSP Of'r "ur vZzoj|v TI ob i arq) 2 $ wlw aoipes ep onawei(| ` snap! snsig4H [olor je o91pos 0InI0]? — gb | of‘£r |o161-A-o1| € E à vsadsos aualA raoid e] cY9 0 -AEPo-|- Ze gf orli E z ek | LE | Ss “4 s Sgt gf —'ti 3 e 9f 6t Sr 7 A L'E 6£ | otot S © '"[puuioUu əyə Cct oe | S16 pr ofc 3 "i -iBoJorsmg 1UOIZIPUON) $c Ly OT'61 É: A ott "ur ezzayje Sr gr Stgi 22 < (cayeig) é p ulu ponawep jep asıpey| snotili snostqAyy [olore opos o1n10]o a gk | orgr|o16-Aj-cc| € x à esadsos auaia vaoid eq 909'0 £9°09 | c'gt ME du d Sty | cof OC'$1 5 SSE [PE À er A CIE | eget of'or g cóc 6£ | 086 ‘pr rf x 2 t Sy ` — bi = '"[guuiou 3YI £ £v fc'g1 > -130J0ISY IUOIZIPUOT) FE tt OI'gr & c "ur ezzayje TI VF] DELI 2 (tati) ‘olor jv | a € wulu aorpeiv]pop onawercg| snovij[ snosiqApy Jorssviod IP oyenın — St | —L1 | 016-aj-oz] I si b v,a © sa lo a + d j gg | bee eta] 27] o a ' *3uotso[ors KR Li ERR a SS E, È E o E ^ Së WE à de ‘9UOIZIIUI v[ I ge : smi Si o "s | INOIZIPUOI ans Ə = PES © i 2 INOIZFANAISSO en u ga? ereSardun suophjog| e B 7 E i B E 3 % g zo Gs es "Em E = | y 90 SE [^8 asl & S 4 SE 5# n os 26 ETTORE VASSALLO Dalle tavole antecedenti è facile scorgere quale grande quantità di liquido sia una pianta capace di assorbire con questo sistema di somministrazione; come il vero vantaggio di questo nuovo metodo stia principalmente nel fatto che ci è permesso di operare sopra piante in condizioni fisiologiche normalissime, anche di una molestanza conside- revole, per cui sarà tanto facile osservare mutamenti quando si voglia studiare l’azione di sostanze di una speciale attività o costituzione chi- mica. I varii fenomeni si rileveranno così in modo lento e graduale, e quindi riusciranno più facilmente apprezzabili e classificabili all’os- servatore. Si avrà infine una quantità considerevole di sostanza vege- tale per lo studio chimico delle modificazioni che può subire la so- stanza attiva in esame nell’interno della pianta. Vedremo , come ho detto, nelle prossime note se questo cambia- mento forzato obbedisca a leggi speciali relative alla concentrazione, alla qualità dei liquidi iniettati, oppure a qualità biologiche della pianta. Per ora mi limito a dire che l'assorbimento cresce coll'aumen- tare del diametro della radice scelta per D inoculazione e che si pre- senta massimo quando tale è pure l’attività della pianta. Infatti esperienze eseguite alla fine dell’ inverno 1910 parlano in proposito , avendo una pianta assorbito col primo apparecchio, nello spazio di 48 ore, ce. 121,3 di soluzione di Na Cl al 0,50 °/,, mentre le esperienze che ho riportato della fine dell’ estate 1909 .dimostrano quanto inferiore fosse l’assorbimento in quei mesi in cui l’attività della pianta stava per diminuire. i Di tutte le piante iniettate non vi fu alcuna che abbia sofferto disturbi fisiologici in seguito alle inoculazioni, anzi in alcune di esse, specie in quelle che furono oggetto delle ultime osservazioni, ho notato un vero rinvigorimente e benessere generale. In seguito dunque agli ottimi risultati che ha dato l’ ultimo mo- dello del mio apparecchio, ho iniziato una serie di ricerche per stu- diare il comportamento e le trasformazioni che possono subire nel me- tabolismo vegetale certe sostanze organiche ed inorganiche. Pavia, Dicembre 1910. Istituto di Chimica generale della R. Università. e E il dovere di ringraziare il prof. Fausto Morini ed il prof. Al- berto tti dell'Istituto Botanico dell'Università di Bologna per l’ ospitalità accordatami in detto istituto onde compiere alcune delle esperienze citate nella presente memoria. II. Decuria - IV. Nota Prorr. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI (CON TAVOLE) Generalità sull’ argomento E’ noto che le foglie, in tesi generale, non mostrano tendenza alla rigenerazione, e ciò pel fatto, almeno così affermano i biologi col Weismann, che la pianta potendo disporre di un grande numero di fillomi ed all’ occorrenza sostituire quelli caduti con le foglie che si sviluppano dai nuovi germogli, non si preoccupa di rigenerare si ffatti organi appendicolari o le parti degli stessi state danneggiate, od a- sportate. Il fenomeno, per quanto generale, ha tuttavia le sue eccezioni le quali d’ordinario si rinvengono di preferenza fra quelle piante che non dispongono di molte foglie, come talune Gesneriacee (V. lavori di Gö- bel, Pischinger, Figdor ete.) o che hanno dei fillomi particolarmente utili alla pianta come le Felei (Figdor) che portano gli organi di ri- produzione sulla lamina fogliare. Del resto l’ insensibilità delle foglie, o per essere più esatti, l’ i- nettitudine di queste alla rigenerazione viene anche smentita dai nu- merosi esempi di foglie che staccate e coltivate coi mezzi adatti ri- producono non solo la parte mutilata, ma l’intera pianta (Begonia, Bryoplyllum, Gnetum etc.) quando non arrivano a dar nuovi germogli pur restando attaccuti alla pianta (alcune Felci etc). La foglia adunque reagisce in vario modo ai differenti stimoli e specialmente a quelli traumatici (in largo senso) e la reazione in ta- luni casi può andar tant’oltre che se non ha luogo, come negli esem- pi accennati, produzione di nuovi organi e persino di nuove pian- KEE e EE E SE EE E SE E 1% 25 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELI 9 te, si ha tuttavia formazione di tessuti speciali, o più o meno diffe- renziati. Queste reazioni, più limitate, sono tuttavia cc 1 polimorfe che me- ritano di richiam.ro l'a ienzione dello a dio», od è perciò appunto che noi Samo ulie quì di riassamerle pe: sow vi cipi, nei loro tratti più ca a.te'isdei, alio ©: po di poier «optron:are quanto sino ad ora veare posto in eviceaza in proposi» da zi au ori che ci precedettero con quelo cre è riscla o dalle no: ‘e ricerche. Sotto il punto ci vista she ei inte:c sa roi dobbiamo distinguere differenti modalità nella reazione, ‘x conformità e coirelazioae dello stimolo che l’ha provoca. . Innanzi tuito è d’uopo ricordare che vi soro delle neo'ornazio i fogliari le quali sono dovute a stimoli che ta'oca | trano nella eat goria dei processi ‘siolo vici delle pian >, talora invece sono tn’ a ei Mentalità per e i Je rea: oni corrispondenti solo n. ‘a ma zgioranza dei a i entrano nell’ambito delle ne>fo-mazioni d'indole realmento fisio- logica. — Altre produzioni sono invece di spettanza della biologia e rap- presentano degli adattamenti alla vita simbiotica, talora con degra- dazione verso uno stato patologico (Galle). Infine si incontrano de'le produzioni le quali sono prettamente pa- tologiche e rispecchiano la reazione delle foglie a determinati stimoli provocati da animali, da organismi vegetali, o da speciali agenti ina- nimati o da condizioni esterne e del mezzo affatto peculiari. Non man- cano poi neppure le variate condizioni del mezzo interno della pianta stessa quali fattori di reazioni, le quali poi spesso, per deficienza dei nostri mezzi di indagine, non appalesano la causa cui sono colle rate. Noi ci soffermeremo a trattare questi vari tipi di reazioni per quanto essi hanno altinenza ai nostri studi, facendo tuttavia rilevare, innanzi tutto, che per amore di brevità, riuniremo le alterazioni pro- dotte da organismi viventi e patogeni con quelle produzioni che sono caratteristiche della vita simbiotica. Fra le reazioni cui va incontro l'organismo sotto gli stimoli appar- tenenti alla prima categoria cioè i processi più o meno fisiologici noi dobbiamo ricordare le lesioni ed i processi che compaiono in seguito im a 3 CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI alla caduta delle foglie. Non vi ha dubbio che qui si tratta di lesioni eminentemente fisiologiche, che trovano l’analogia nel distacco del cor- done ombelicale negli animali superiori. Le osservazioni di più di un autore (Van Tieghem, Guignard Staby, Bretfeld, Briquet ete.) (1) ad- dimostrano che la caduta della foglia provoca, innanzi tutto, l’essieca- mento delle cellule della regione (Camellia, Bambusa) e poi, a pre- cindere da poche eccezioni, la comparsa di un tessuto di natura peri- dermica. Questo si inizia tuttavia assai prima che abbia luogo il di- stacco e contiene nel suo interno degli elementi speciali separatori, i quali hanno molta analogia con altri d’origine indubbiamente patolo- gica. In qualche raro caso al processo prende parte anche l'epidermide (Clivia), oppure si formano delle cellule reticolate che ricordano pro- babilmente taluni elementi stati studiati dal Freundlich nelle foglie in cui siano stati lesi i fasci vascolari. Non è infrequente anche la formazione di felloderma (Azalea, Ci- donia) come pure assai spesso si organizzano delle masse gommose-tan- niche o dei tilli che oceludono i vasi. Colla suberificazione degli ele- menti ncoformati ha pure luogo la lignificazione (Fagus, Quercus etc.) delle cellule neoformate (Leclere du Sablon). Degno di nota è il fatto che il tessuto di separazione, quando ven- ga tenuto sott'acqua, sviluppa del'e cellule otricoliformi analoghe a quelle di altre produzioni patoloziele o normali prodottesi pure 1: condizioni di umit à eccessiva. Di dubbia na ra fisiologi, almeno in ‚on } chi casi, si presen- teuo le produzion. sugherose o lenticelloidi che il Bakmann, il Bora, il Pauls-n, il Tittmann, il Matteucci ed il Lindlinger ci hanno segna- lato. Molte son. le piante che offrono siffatte particolarità sulla pagina superiore, su quella inferiore, sul pieciuolo od anco persino sugli em- briofilli, come il caso per lə rrodw ioni ehe s 10 state dal Gatin osser- vate sulle Paline. Quas. tutte poi .e piante fornite delle stesse appar- tengono alla categoria delle piante grasse, succulenti, vivaci (in svecie (1) V. per la relativa letteratura A. Beguinot. E EE EE 30 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO ; Dicotildoni) o per lo meno presentano dei fillomi carnosi (cotiledoni delle Palme) o coriacei. Dagli studi del Borzì risulterebbe che molte di siffatte produzio- ni trarrebbero origine al di sotto di uno stoma e sarebbero perciò delle vere lenticelle, ma a questo proposito il Matteucci fa rilevare che la questione meriterebbe di esser piu a fondo esaminata. Le produzioni in discorso sono costituite da parecchi strati di cel- lule sugherose che si affondano nel tessuto della foglia o del picciuolo, oppure emergono dalla superficie. Esse poi derivano dalla proliferazio- ne e suberificazione delle cellule sottostanti all’ epidermide (palizzata) od anco dagli elementi epidermoidali. Siffatte produzioni, oppostamen- te a quanto si verifica nelle lenticelle del fusto, avrebbero lo scopo di impedire l’eccesso di traspirazione, poichè le cellule non lascierebbero talora che esili spazi intercellulari od anco non ne formerebbero, come non darebbero luogo, che in scarsa misura, al tessuto di riempimento (Füllgewebe). Quest’ ultima condizione di cose è pure reperibile in ta- luni organi delle Marattiacee i quali hanno moltissima analogia colle produzioni in discorso. L'analogia colle vere lenticelle appare menifesta pel fatto che le neoformazioni fogliari possono parimenti formarsi a varia profondità nel tessuto della lamina in ordine centripeto. Il Lindilnger osserva in- tanto a riguardo di siffatte produzioni reperibili nelle Monocotiledoni, (come ad es. Dracaena etc.) che l’epidermide resta immutata al di sopra del periderma il quale deriva dal tessuto sottostante alla stessa, e sen- za che si abbia lesione alcuna. Fra le produzioni che stanno al limite dei processi fisiologici ed anzi il più delle volte escono da questi per entrare nel dominio di quelli patologici, occorre annoverare, come molto analoghe alle lenti- celle, quelle singolari neoformazioni che Hildebrand, Bartelletti, Bar- ber, Dole, Leclere du Sablon, Montemartini, Muth, Viala e Pecottelk, Touckoff, Soraues, Trotter, Tommasek, Leevitt, Kuster ed altri autori hanno segnalato sulle foglie. Esse sono reperibili nell’Hibiscus vitifolius, nella Vite, nel Cyssus nell’/pomoea batatas, nel Solanum floribundum, nel Ribes aureum nei Quercus e via dicendo e derivano dallo sviluppo e proliferazione (non è CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 31 sempre perd) delle cellule situate sotto l’epidermide fogliare e più spe- cialmente del palizzata; non mancano tuttavia i casì in cui la stessa epidermide prende parte al processo. Si formano dei cuscinetti cellulari costituiti da elementi allungati, otricoliformi, i quali, quando nascono al di sotto dell’epidermide, fini- scono anzi spesso per rompere questa. Col progredire dell’evoluzione le cellule di neoformazione suberificano, quasi tendano ad assumere i ca- ratteri degli elementi delle lenticelle, coi quali hanno la proprietà co- mune di nascere molte volte al di sotto degli stomi. Hanno per altro anche una costituzione particolare che si rileva, per lo più, dai nuclei ipertrofici, dalla presenza di cloroplasti e di altri costituenti. Non sono ben note ancora le cause che determinano siffatte pro- duzioni: va notato tuttavia che si osservano di preferenza nelle pian- te tenute al caldo, in terra, o all'umido. Perciò molti autori ritengo- no che esse servano a moderare la traspirazione, ò siano dovute ad un eccesso di liquido nella pianta, come è appunto il caso per le neoformazioni che costituiscono l'edema del Ribes. Confortati dai risultati delle nostre osservasioni noi crediamo di poter affermare che se le sopra indicate produzioni sono l’espressione di parecchi fattori, derivano però anche quasi sempre da un eccesso di nutrimento e di liquido nei tessuti fogliari. Ed invero, a prescindere dal fatto che le lenticelle tenute nell’acqua proliferano allo stesso modo, formando dell'aerenchima (Góbel, Tubeuf) noi vediamo comparire delle produzioni quasi analoghe negli esperi- menti dell'Haberlandt, in cui, dopo l'avvelenamento col sublimato, degli idatodi del Conocephalus ovatus, come conseguenza della soppressa e- missione d'aequa, si hanno delle neoformazioni nello spessore della la- mina fogliare e alla superficie di questa. Si verifica infatti dapprima un’infiltrazione di tessuti che scompare allorchè si inizia la produzio- ne di speciali otricoli, simili a tricomi, parzialmente fra loro saldati alla base i quali crescono al punto da sfondare l'epidermide fogliare. Dopo un periodo di vita piuttosto breve le cellule neoformate seccano, suberificano le membrane ed allora sono costituite da elementi pure otricoliformi, acquiferi, situati sulla pagina inferiore della foglia. L'Haberland ritiene che gli otricoli rappresentino degli organi M TE e ao nt 32 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO nuovi, ma giustamente il Kuster e il Capeland fanno osservare che si tratta invece di neoformazioni dovute unicamente ad ipertrofia cel ulare. Il nesso fra l’eccessivo immagazzinamento d’acqua e le produ- zioni in questione è adunque evidente e qui giova ancora rilevare che nel Buxus tenuto al caldo ed all'umido si formano pure dei fascetti di peli a spese del lacunoso quando si abbia cura di asportare |’ epi- dermide fogliare, oppure si sottoponza la pianta a basse temperature capaci di riprodurre la congelazione del liquido endocellulare nella camera d’aria interposta normalmente fra l'epidermide e gli strati superficiali del lacunoso da un lato e gli strati più interni di questo, dall'altro, Il fenomeno, del resto, si verifica anche in altre piante come ebbero a dimostrare il Sorauer ed il Soleder, i cui esperimenti trova- rono conferma’ nelle più recenti osservazioni del Montemartini. Da ultimo possiamo ancora segnalare, a favore della nostra tesi, che il Küster nelle foglie staccate dal ramo di Eucalyptus globulus e di Populus tremula vide formarsi pure delle produzioni tricomatose tutte le volte che i lembi venivano tenuti galleggianti sopra un liqui- do contenente delle sostanze nutritive. Stando a questi fatti sarebbe logico inglobare nelle produzioni provocate da eccesso di liquido anche le così dette Perldrusen delle Ampelidee, le quali vennero studiate dal Müller Turgau e dal Penzig e ritenute dal primo di questi auto- ri per orgeni di difesa contro gli animali, dal secondo quali apparati di adescamento e di nutrizione per gli insetti ed altri organismi affini. E' duopo tuttavia notare che per aleune neoformazioni siamo as- sai poco informati a riguardo delle cause determinatriei e questo è il caso per i tumori cellulari dell’Atragene alpina che nascono da proli- ferazione delle cellule epidermiche che poi collabiscono, per quelli del Pterospermum platanaefolium, dell’ Acacia melanoxylon, dell’ Aristolo- chia Sipho e per altri ancora. Immensa è la categoria delle produzioni neoformative fogliari che compaiono in seguito alla simbiosi (1) tra piante e piante e tra que- (1) Noi diamo qui alla parola simbiosi il valore letterale, ben lungi dal vo- lere inglobare nella categoria dei processi biologhi e fisiologici tutte quante le i = ENTE a RA MOI e ^m J xi SE ER SA CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 33 ste e gli organismi animali. Siffatte associazioni possono esser mutua- listiche, o a benefizio di un solo degli organismi, senza tuttavia che l’altro ne risenta danno apparente (simbiosi vere) oppure, entrano nel- la categoria delle produzioni eminentemente patologiche. Accenneremo brevemente alle principali e a quelle che hanno maggior affinità con le produzioni da noi osservate. Fra le neoformazioni delle quali ora stiamo trattando aleune sono cataplastiche, altre prosoplastiche, ipoplastiche e iperplastiche o meta plastiche (raramente), ma su queste distinzioni non ci soffermeremo, non essendo sempre dato, in ogni singolo caso, di addivenire ad una netta- separazione. Produzioni molto semplici sono le neoformazioni a ‘tipo tricoma- toso che si osservano nei canali scavati dalle larve attraverso il paren- chima fogliare, o nella cavità dove si ricettano i Nostoc (Azolla, Bla- sia). Pure produzioni ridotte alla più semplice espressione sono i tri- comi che si formano su molte foglie, (Vitis) ad esempio, sotto lo sti- molo dei PAytoptus. E probabilmente a queste molto analoghi sono i così detti cuscinetti fogliari della Cecropia e i fruttini di altre pian- le formicarie. Uno di noi (Buscalioni) ebbe a rilevare la grande ana- logia che corre tra siffatti cuscinetti, gli organi erinoidei e ` certe produzioni tricomatose che si riscontrano alla superficie di talune BEN aventi l’ufficio di immagazinare delle sostanze nutritive. E’ molto probabile che in origine i cuscinetti della Cecropia a- vessero i caratteri di organi patologici, provocati dal parassitismo delle formiche, i quali solo in epoche più o meno recenti si sarebbero elé- vati alla dignità di organi normali, fisiologici. Per effetto di questa innovazione è venuta di poi concretandosi la simbiosi fra le piante e gli animali e i rapporti fra questi due organismi si resero piü armo- nici, a mutuo benefizio. produzioni delle quali stiamo trattando, moltissime esséndo, come à noto, enti- | biotiche e antagonistiche. Il carattere prevalentemente patologico delle neoformazioni in questione appare inoltre dalla facilità con cui vengono invase da funghi che rispettano, all'opposto, la parte sana dell'organo su cui nascono certe m" simbioti- che, quali sono le galle (Trotter). à Pro DK AC, AEN Age hel, agi t.c ie AC e € ECG, Let teg Ce TS an CHE e Klee 2 um idm P LE CERO es ATRIA at Aas ia en n RT a at v en ae EPICA TN UR Wipe ud Hin DE Ee Et E EE, 84 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Assai più complessa è la costituzione delle galle genuine per quanto tuttavia quelle dovute all’azione di funghi conservino sempre l'impronta di neoformazioni cataplastiche, (eccezione fatta per le Gal- le dell'Ustilago Treubi e di qualche altra (V.Trotter)), come del resto son pure tali quelle che si formano su organismi inferiori. Le galle prosoplastiche, dovute quasi sempre ad insetti, a differen- za di quanto si verifica in quelle cataplastiche, traggono per lo più origine dai tessuti giovani, non ancora. nettamente differenziati, del filloma. Sono tuttora ignoti i relativi stimoli, che secondo il Magnus, il Beyerink, il Küster ed altri autori andrebbero ricercati nella pre- senza di speciali enzimi secreti nell'interno della foglia o dalla ma- dre dell’ inquilino al momento di deporre le uova e dallo inquilino stesso durante la sua evoluzione. Tutti quanti gli esperimenti fatti fi- . no ad ora per mettere in evidenza il fattore e le cause produttrici di galle hanno però fallito, per cui probabilmente ancora a lungo dure- rà la nostra ignoranza sulla vera essenza delle galle. Le produzioni galliformi, se il più delle volte hanno le stimmate delle neoformazioni patologiche, presentano pur tuttavia spesso anche i caratteri delle formazioni simbiotiche, nello stretto senso della parola, e più o meno fisiologiche. Probabilmente la pianta non ne ricava alcun utile, e ciò non ostante essa reagisce in modo da agevolare, anzichè ostacolare (come è d’ordinario il caso nelle produzioni a tipo patologi- co), l'insediamento e la dimora all'inquilino. | Per quanto riguarda la struttura delle galle noi troviamo rara- mente la formazione, nelle stesse, di lenticelle; anche poco frequente è la produzione di sughero, come è il caso ad esempio per le così dette galle libere (Freie Gallen). In generale si tratta di neoformazioni a tipo pa- rénchimatoso, ricche di acqua, come ebbe a dimostrare sperimental- mente il Trotter, e di sostanze di riserva destinate a sopperire alla nutrizione della larva. Rara è la formazione di vasi (ad es. Cynips Fortii studiata dal Trotter, V. Riv. Cecid. dell’A.). Le cellule sono d’ordinario più grandi del normale; non di raro invece sono più piccole, ma in tal caso quasi sempre la piccolezza è la conseguenza delle ripetute divisioni cui andarono incontro gli ele- - menti. Peli ed otricoli sono reperibili frequentemente alla superficie CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 35 delle galle, mentre poi taluni strati della massa neoformata si sclero- tizzano per offrire un valido asilo all’ospite. Dalle produzioni galliformi a quelle patologiche, ma non dovute ad agenti vivi, il passo è breve, e quindi non ci recherà meraviglia se rivedremo in queste delle strutture che ricordano quelle delle galle. Una produzione anomala, molto frequente a rinvenirsi nelle foglie, è la cicatrizzazione delle ferite che trova il suo riscontro nel processo eminentemente fisiologico della caduta delle foglie. Il processo si inizia, d'ordinario, collo essiecamento delle cellule contigue alla lesione, e termina colla suberificazione delle cellule di nuova formazione, o degli elementi fiancheggianti le ferite e non ri- masti da questa danneggiati. Taluni fra gli elementi neoformati o mo- dificati assumono un carattere scleroso (nelle Caetee secondo Sachs e in alcuni peridermi del fusto), o si cireondano di membrane provviste di reticolature (Orchidee). L’Olfusen e il Massart ritengono che qualunque sorta di stimolo (ferite, pressioni ete.) porta alla formazione di periderma, ma noi ve- diamo che non si può troppo generalizzare il concetto. Sta- intanto il fatto che molte volte, come ebbe ad osservare il Mathuse, si forma un vero callo con cellule punto suberificate, le quali nascono dal meso- fillo e a varia profondità, a seconda della natura dello stimolo e del numere di cellule cadute in necrosi. Siffatti calli, poco o punto sube- rificati, si osservano di preferenza nelle lesioni che cicatrizzano in am- biente molto umido (King). Il tessuto di cicatrizzazione può trarre origine dall'epidermide (ra- ro però !) o dai tessuti sottostanti, o infine da entrambi ad un tempo. Quando esso manca il tessuto necrosato ed essiccato contribuisce, da solo, a proteggere gli elementi vivi sottoposti. Per quanto concerne i processi fisiologici e le condizioni che pre- siedono od accompagnano la rigenerazione e la riparazione rimandiamo i lettori ai lavori di Duliot, Kny, Olufsen ete. (1). Qui faremo sol- (1) La letteratura relativa ai processi di cicatrizzazione trovasi consegnata ‘nei lavori di Küster, Staby, Poulsen, Weiss, Kühla, Appel, Weisse, Ross, Bretfeld, Figdor, Liesering, Lockell, Massart, Clareire, Rouge, Falce Ambery ete. GE e E LA 86 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO tanto rilevare che gli studi del Blackmann.e Matthaei riferentisi al- le reazioni traumatiche delle foglie (Prunus Laurocerasus) staccate dalla pianta e tenute all’oscuro in liquidi nutritivi, hanno dimostrato che la cicatrizzazione procede un po diversamente di quanto avvenga nelle stesse foglie lasciate aderenti alla pianta. Le foglie staccate infatti, quando vengono lese in un punto (gli autori impiegano anche la cau- sticazione), si perforano in corrispondenza del punto leso e poi svilup- pano del periderma tutt'attorno al foro, con produzione, però, di cel- lule otricoliformi: nelle foglie lasciate aderenti alla pianta la ferita ei- catrizza per essiccamento delle cellule lese che formano così uno stra- to di protezione. Il diverso comportamento va ricercato nella maggior provvista di acqua che si incontra nelle foglie staccate e coltivate in mezzi liquidi nutritivi. A risultati non molto dissimili sono giunti il Riemen ed il Mer che hanno inoltre studiato l'aeereseimento, la proliferazione e la gem- mazione in foglie isolate mantenute parimenti in soluzioni nutritive, alla luce ed all’oseuro, o state artificialmente iniettate con liquidi di coltura. Analogamente alle ferite propriamente dette cicatrizzano le lesio- ni pel gelo, temperatura elevata, venti forti e via dicendo. Spesso per effetto del gelo ha luogo una vera perforazione della parte necrotizzata, con successiva formazione di periderma attorno al punto caduto in sfacelo. (Peglion). Talora si sviluppa invece del Saf- tperiderma (Auer). Noi non vogliamo tuttavia insistere ulteriormente su queste lesio- ni, anche perchè nelle pagine precedenti abbiamo già accennato alle osservazioni di Sorauer, di Solereder (V. in proposito anche i lavori di Noak): solo rileveremo che con una certa frequenza la rimarginazio- ne delle ferite prodotte dall'azione dei venti è accompagnata dalla pro- duzione di masse mucilagginose le quali otturano i vasi, donde l' o- rigine della necrosi dei tessuti da questi innervati (Magnus, Auer, Hansen, Bruck). Un processo che è in stretta relazione collo stimolo traumatico, m che talora appare indipendente da questo, quasi come entità fisio- logica delle piante, è la formazione dei tilli. Noi riscontriamo questo E, Te E a RA br e RE EE EE Ge E 3 A H d ` CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 87 processo frequentemente anche là dove ha luogo la comparsa di ferite fisiologiche, cioè nella cicatrizzazione delle foglie. I tilli compaiono d'ordinario nei vasi, ma da più di un autore è stata segnalata la pre- senza degli stessi nei canali aeriferi, come è il caso, ad esempio pei tilli delle lacune di Nymphaea stati segnalati dal Mellinék, o per quelli che riempiono le camere sotiostomatiche, e persino i canali secretori. In generale le cellule dei tilli sono povere di contenuto, ma non mancano dei tilli che si differenziano per una grande abbondanza di mucilaggine e di tannino le quali sostanze, come si sa, servono otti- mamente a difesa delle ferite. Singolari sono poi certi tilli che si pre- sentano ricchi di amido. Poco sappiamo sulle cause che provocano la comparsa di siffatte produzioni: fu accampata la diminuita tensione, ma contro quest’ipo- tesi non mancano i dati sperimentali, la quale poise può spiegarsi la presenza dei tilli nei vasi non ci chiarisce la comparsa di questi nel- le camere d'aria'sottostomatiehe o nei canali aeriferi. In questi casi occorrerebbe ammettere che la variazione nella tra- spirazione possa influire sullo sviluppo delle produzioni in parola. Ora che abbiamo passato in rassegna i principali tipi di produ. zioni patologiche fogliari occorre che ci soffermiamo brevemente sulla costituzione istologica delle stesse. Fra i tessuti che prendono parte alle neoformozioni (nel largo senso della parola) primeggia il parenchima verde fondamentale: più raramente vi sj associano ì collenchimi, gli seierenchini, le cellule e- pidermiche, gli elementi essenziali dei fasci vascolari (vasi, tracheidi tubi eribrosi, cellule annesse). In generale vale la regola che i tessuti più differenziati sono me- no adatti a subire delle modificazioni, o a ritornare allo stato giova- ne, donde la rarità di produzioni a tipo prettamente epidermico, o di natura vascolare. E del resto fra ke produzioni epidermiche (organi erinoidei ad es.) primeggiano quelle a tipo tricomatoso in eui manca- no gli elementi specifici epidermiei (stomi); cosi pure nelle neoforma- zioni vasali d'ordinario compaiono le tracheidi (rigenerazioni vascolari studiate dall’Freundlich) che sono elementi molto più antiquati e. più 38 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO semplici dei vasi aperti. E’ vero che molto spesso il fascio vascolare prende parte attiva alla rigenerazione, ma quasi sempre trattasi di processi rigeneratori che hanno sede nel cambio, vale a dire in un tes- suto giovanile indifferenziato: d’onde la poca tendenza alle rigenera- zioni vascolari nelle Monocotiledoni (V. lavoro del Freundlich), dove le formazioni cambiali, sono poco o punto sviluppate sia nel pleroma che nel periblema, il quale poi non è sempre ben distinto. Per quanto riguarda l’epidermide è d’uopo tuttavia segnalare al- cune eccezioni; essa fu vista reagire qualche volta quando si trattò di neoformazioni in cui la sua attività si presentò piuttosto esaltata, an- ziche depressa (Kiister); di qui la sua compartecipazione nei processi ri- generatori che sono stati studiati nelle prime pagine, nella formazione di tilli occupanti le camere d'aria (Tradescantia), in talune rare formazioni galliformi, in alcune intumescenze (Ipomaea) o in lesioni fogliari (Tra- descantia, Lisimachia etc.) E' degno di nota il fatto che mentre nel Philodendron pertusum durante lo sviluppo del filloma ha luogo la cicatrizzazione, con formazione di epidermide genuina; dei fori che si formano normalmente sulla lamina, siffatto tipo di riparazione e di reintegrazione non ha più luogo nelle ferite della lamina aduita, for- mandosi in questa costantemente del periderma sprovvisto di epidermi- de. Lo stesso fenomeno succede nelle Palme il cui filloma durante lo sviluppo da pure luogo a lacerazioni che si cicatrizzano con reinte- grazione completa dei tessuti. (Eichler, Deinega, Naumann). Infine probabilmente anche nell'Ouvirandra si incontrano analoghe disposi- zioni. Se l'epidermide di rado adunque produce delle cellule similari, non infrequentemente invece dà luogo, per divisioni perieline, a tessuti ipodermiei che talora per esuberanza di cellule, formano parecchi stra- ti (talune galle di Saliei). Fra le cellule del parenchima verde fondamentale hanno maggior attitudine a proliferare quelle del lacunoso; un po' meno frequentemen- .te, forse, reagiscono gli elementi del palizzata, quasi ad attestarei che sono piü differenziati delle prime. Per ciò che concerne la formazione delle cellule vasali o a que- ste similari rimandiamo il lettore alle osservazioni del Freundlich e Se TIS EE E EE i Seer Ne : E v Kä ege RT CR ree 7 t CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 39 ; di Bretfeld; per gli altri tessuti faremo solo rilevare che in molte pro- duzioni patologiche fogliari furono rinvenute cellule sclerose, collen- chimi, canali secretori e peli ghiandolari (Trotter) ete., ma la parteci- pazione di questi elementi è assai scarsa. Ad ogni modo malgrado che la relazione fra il perfezionamento degli elementi e laloro più o me- no attiva partecipazione alle neoformazioni sia valida, sta 11 fatto che in tesi generale, qualunque tessuto può, come giustamente rileva il Küster, alles werden. Poche parole ci rimangono ora a dire sulla intima struttura delle cellule di neoformazione. Le pareti cellulari, in generale, si conservano cellulosiche, ma molto spesso anche lignifieano (galle prodotte dal Zachnus nelle fo- glie di Juglans), suberificano o si mostrano adorne di punteggiature, - fra cui interessante son quelle che ricordano i rilievi propri degli elementi vascolari (Orchidee ete). Frequente è anche la selerificazione. Non vi ha, spesso, però alcuna relazione tra la differenziazione delle pareti cellulari e lo sviluppo delle neoformazioni. Una particolare menzione meritano le Galle di Zacquinia Schie- deana (Mez) descritte e figurate dal Kuster (V. p. 236 Path. Pflanze- nanat.), poichè certe produzioni che in queste si verificano trovano riscontro con talune disposizioni da noi osservate. Sotto l'influenza del- l'ospite si forma qui alla superficie della galla un vero Cuticular epi- thel (Epitelio cuticulare o strato cuticulare) simile a quello stato osser- vato dal Damm nei vecchi fusti di Viscum, Phoradendrum, Menisper- mum Canadense ed altre piante in cui a spese delle cellule epidermi- che stesse o dei tessuti corticali superficiali si formano degli strati cellulosiei e eutieulari. Questo nuovo tessuto funziona come una vera epidermide in quanto vale efficacemente a proteggere gli strati cellu- lari sottostanti ed anzi, all'uopo, il Damm afferma so that eine Rege- neration der Epidermis erfolgt. (1). Le osservazioni del Kiister e del Damm sono le sole che noi, per- (1) Merita di esser segnalato che secondo Tittmann nell’Agave americana, _ Aloe ligulata e Aloe sulcata ha luogo rigenerazione della cuticola quando questa venga parzialmente esportata. oi i dali Zoe et o Ara SA SET * ENT Re ET AE EH "n EE di x 1 n a 40 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO quanto almeno ci consta, possediamo su queste singolari produzioni, le quali hanno di comune e di caratteristico che compaiono in parti nel- H le quali o non si forma sughero o questo è scarso e tardivo. I contenuti cellulari pure subiscono notevoli variazioni nelle neo- formazioni cataplastiche; per lo più vanno incontro ad una notevole riduzione, perciò vediamo diminuire od anco scomparire la clorofilla, emigrar l'amido, vacuolizzars: il protoplasma che poi accumula acqua (Trotter). In molte formazioni prosoplastiche ed in quelle in cui l'at- tività cellulare si mostra esaltata osserviamo invece il fenomeno oppo- sto: aumento del protoplasma (strato nutritivo delle Galle) e degli in- clusi di questo: amido, tannino, antocianina, cristalli, cloroplasti ete. Particolarmente degno di nota è la persistenza e talora anche l'au- mento della clorofilla, in quantoché essa può aver un alto significato biologico, come è stato messo in evidenza dal Cavara nelle sue os- servazioni sulla Cocciniglia del Quercus castanaefolia e come avremo occasione di rilevare dai nostri studi. Il Frank poi dimostrò che i elo- roplasti, per effetto delle lesioni, si spostano lungo le pareti delle cellule. I nuclei prendono parte attivissima ai processi patologici, ma non è ancora stato ben assodato se si dividano costantemente per amitosi o per cariocinesi, od anche per entrambi i processi successivamente, essendo su questo discordi le opinioni degli autori (V. Tisehler, Mas- sart, Nathanson etc.) * + k Ora che abbiamo segnalato i principali tipi di neoformazioni e produzioni patologiche o fisiologiche che presentano i tillomi esporre- mo i risultati delle nostre ricerche. Scopo di queste si è di indagare in quale modo le foglie reagi- scono ai vari stimoli e sotto differenti condizioni del mezzo, come pu- re di stabilire dei confronti fra le varie lesioni. Nelle presenti pagine che costituiscono la prima nota sull’argomento, ci siamo prefissi di in- dagare le reazioni che avvengono nelle foglie quando vengano soffre- gate e ripetutamente, ad intervalli di tempo più o meno lungo, e con mezzi (fazzoletti, batuffoli di cotone ecc.) incapaci di produrre delle grossolane lesioni, o delle soluzioni di continuità nell'epidermide, dr ET e ef? CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 41 Le foglie, cosi trattate, o rimanevano aderenti alla pianta, sia alla luce che all'oseuro (1), oppure venivano staccate, durante il pe- riodo che noi chiameremo operatorio, e nel quale si compievano le fri- zioni. In questo caso esse erano mantenute nell’acqua o in soluzioni nutritive, parimenti all'oseuro che alla luce. Gli esperimenti furono eseguiti in parte su foglie adulte, in parte su quelle giovani, ed all'uopo vennero di preferenza scelte quelle pian- te che presentano dei fillomi coriacei, più adatti a subire i trattamen- ti meccanici. ; In alcune specie fu pure studiata, sempre collo stesso processo, la influenza della ripetuta esportazione della cera, allo scopo di control- lare ed estendere le osservazioni di Tschisch, Haberland, Tittmann ete. L’ esame microscopico fu eseguito sempre parecchio tempo dopo che si era praticata l’ultima frizione. E noi insistiamo particolarmen- te su questo punto poichè i fatti che noi verremo segnalando si ri- levano solo dopo parecchi giorni, settimane ed anco mesi dopo che la foglia è stata sottoposta al trattamento lesivo (soffregazioni). A titolo di confronto abbiamo poi lesi i fillomi con agenti chimi- ci, (causticazione col nitrato di argento), o praticati sugli stessi dei tagli. Quasi sempre siffatte lesioni venivano eseguite su quelle stesse foglie che erano state soffregate da un lato, oppure su foglie della stessa pianta dove si era praticata l'operazione. Le foglie lese veni- vano poi lasciate al pari delle altre sulla pianta, oppure coltivate, pre- vio distacco, in soluzioni nutritive, alla luce od all’oscuro. A questa prima aota farà seguito, quanto prima, un'altra in cui tratteremo di altre peculiari reazioni che avvengono nelle foglie lese. (1) AU'uopo venivano ricoperte da una lamina di stagnola. STUDI ED OSSERVAZIONI E Esportazione della cera Lo Tschirch ebbe a dimostrare che se si esporta la cera ad una foglia che ne sia abbondantemente fornita e poi si lascia questa tra- spirare liberamente, dopo che venne staccata dalla pianta, si osserva che essa perde una quantità di acqua di gran lunga superiore (a pa- rità di tempo) a quella che viene emessa da un’altra foglia della stes- sa pianta posta nelle identiche condizioni, ma lasciata ricoperta dallo strato ceroso, Poche altre osservazioni che si hanno sull’argomento (V. Tittmann) hanno poi dimostrato che alcune piante (Rubus Ricinus etc.) rigene- rano la cera quando questa sia asportata dalle foglie, ed in specie quando l'eliminazione venga effettuata su parti giovani, mentre ali'op- posto l'Echeveria ed altre forme non la rigenerano. L'umidità ostaeolerebbe alquanto la rigenerazione dello strato ce- roso, la luce invece non spiegherebbe alcuna influenza. E’ stato però assodato che alcune piante Rer Weg rifanno lo strato di cera anche sott'acqua. Nelle nostre ricerche su questo argomento ci siamo prefissi di a- nalizzare l'azione che spiega l'esportazione della cera sulle sottostanti cellule. A tale uopo abbiamo proceduto all’ esportazione soffregando leggermente l’epidermide superiore di foglie abbondantemente rivesti- te di siffatta sostanza. L'operazione veniva eseguita o con batuffolo di cotone, talora imbevuto di etere, o con un fazzoletto; di rado si stropiceiavano leggermente le foglie colle dita. Siccome poi la cera si riproduceva, sia pure in scarsa quantità, fu sempre nostra cura proce- dere di nuovo alla esportazione non si tosto comparivano le prime effiorescenze cerose. PARE IDE We, E Ee T CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 43° - Ad ovviare che il massagio determinasse, di per se stesso, una qual- - che lesione nell’epidermide abbiamo quasi sempre proceduto colla. più grande cautela nell'operazione, soffregando la foglia con estrema de- licatezza. Acacia cultriformis Hook. L’ epidermide delle due faccie del fil- " lodio è costituita da cellule rettangolari a pareti radiali e profonde = piuttosto sottili che contrastano singolarmente col notevole spessore della parete frontale cuticularizzata. La cera è abbondante e si pre- senta in forma di fini granuli. Al di sotto dell'epidermide si incontrano due piani di palizzata a cellule abbastanza intimamente fra loro unite. Succedono a queste gli elementi del tessuto midollare che occupa la porzione assile del fillodio, i quali sono grandi, rotondi, o irregolarmente poliedriei. Al limite tra il palizzata e il midollo decorrono i fasci vascolari. L'ami- do è abbondante nel primo di questi tessuti, che contiene pure delle macle cristalline di Rosanoff. Sebbene eseguite con le maggiori cautele l'esportazione della ce- ra provoca delle alterazioni nelle sottostanti cellule epidermiche, mal- grado la robusta cuticola di cui sono rivestite. A gruppi, o su tratti più o meno estesi, le cellule si accasciano e si riempiono di masse ES tanniche, brunastre, e prime a soffrire sono le cellule stomatiche (for- se perchè gli stomi restano otturati da tappi di cera) che reagiscono "^ suberificando le pareti, | Ben tosto perd prolifera lo strato esterno del Dresch donde la 3 formazione di tre o più piani di questo tessuto. Le cellule neoformate, costituite dapprima sullo stampo delle compagne, si allungano, schiac- : ciano del tutto le sovrastanti cellule epidermiche, arrivando così a raggiungere colle loro fronti il livello della cuticola. La regione lesa appare più ispessita delle circostanti sane, in se- guito appunto allo sviluppo del palizzata, le cui cellule esterne al fine - fondono le loro pareti frontali con quelle delle schiacciate cellule epi- dermiche per dar origine ad un singolarissimo epitelio cuticolare, ana- . logo in tutto e per tutto a quello stato osservato dal Damm nel Viscum . ed in altre piante ad epidermide persistente. > L'epitelio euticolare assume ben tosto una coloraziona giallastra, 44 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO ed intanto lascia riconoscere, quà e là, nelsuo interno dei piccoli va- ni i quali non sono altro che le poche cavità cellulari rimaste ineolumi. Molte volte lo strato esterno del palizzata si suddivide, dando o- rigine ad elementi corti che stratificandosi sotto l'epitelio cuticolare assumono aspetto di cellule epidermiche. Non occorre aggiungere che nella zona lesa gli stomi sono scom- parsi o resi irriconoscibili dalle masse di riempimento. (Fig. 1 e 2). Quando lo sfregamento è stato un po’ ruvido anche il midollo entra in attività per distaccare mercè setti periclini più o meno con- cavi, delle cellule le quali poggiano contro lo strato profondo del pa- lizzata. Siffatti elementi molte volte suberificano e la stessa sorte toc- ca pure frequentemente a quelli del palizzata neoformati. Abbiamo talora notato che la reazione non avviene, nel qual ca- so si è osservato invece un forte inspessimento della cuticola. Intanto qualunque sia la reazione per parte del fillodio questo rimane più pic- colo e tozzo di quelli normali. Eucalyptus globulus Labill. Come è noto questa pianta ha le fo- glie primordiali ricoperte da uno strato di cera che scompare, o si riduce, in quelle successive foggiate a scimitarra. Probabilmente la sostanza cerosa ha la stessa natura di quella stata riscontrata dallo Schmith nelle foglie dei polloni di Eucalyptus corymbosa, dove si formerebbe dapprima una specie di cautchouch che verrebbe di poia poco a poco mutandosi in cera, Nelle foglie orizzontali dell E globulus si riscontra sulla pagina superiore del lembo un’epidermide a cellule rettangolari, piuttosto am- pie, ricoperte da nna cuticola non eccessivamente robusta a cui ade- risce il deposito di cera. 11 palizzata è formato da nn unico piano di cellule allungate che in corrispondenza dell'estremo interno si inseriscono, in gruppi di 3 0 4, alle sottostanti cellule raccoglitrici. Il lacunoso è formato da gran- di cellule ramose che circoscrivono dei grossi meati. Solo le cellule sottostanti all'epidermide inferiore si fanno piccole e intimamente fra loro unite. L'epidermide inferiore risulta costituita da element: meno grandi di quelli della faccia superiore e porta inoltre gli stomi. Nello spessore del parenchima verde s’incontrano, da ultimo, delle grosse CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 45 borse ghiandolari e degli elementi cristalliferi, più grandi degli altri e localizzati di preferenza sotto l'epidermide della faccia superiore. I vasi decorrono al limite tra palizzata e lacunoso. Per effetto dello strofinio che venne, a seconda delle foglie, ese- guito colla mano, col fazzoletto o col batuffolo di cotone, ha luogo, dopo un po’ di tempo, la segmentazione delle cellule del palizzata pri ma ancora che ci accennino le lesioni sull'epidermide. Si formano co- sì parecchi strati di palizzata a cellule corte, rettangolari, o eubiche. Più tardi l'epidermide si schiaccia, dopo essersi divisa in qualche punto e in specie al limite della zona di operazione. Quando lo sfregamento venga eseguito sulla pagina inferiore si osserva ben tosto la proliferazione del sottostante strato di parenchima verde. Si formano così delle nuove cellule pure irregolarmente con- formate, per lo più poligonali rettangolari, piecole, che si uniscono sal- damente fra loro. In pari tempo l’epidermide si riempie di masse gial- lastre, che colorano anche la parete e si affloscia. Dopo un po’ di tempo compare alla superficie dell'organo leso un tipico epitelio cuticolare fatto a spese delle sole cellule epidermiche obliterate o, come avviene più di frequente, anche dal sottostante tes- suto. In tal caso la cuticola appare naturalmente ispessita, un po’ pie- ghettata o meglio ondulata e per lo più fortemente ingiallita. Qualche volta abbiamo invece osservato che uno strato di cellule sottostanti agli elementi morti o suberificati ispessisce notevolmente la membrana rivolta verso la lesione per dar origine a un singolo strato che chia- miamo strato epidermoide, reperibile in altri tipi fogliari lesi. (Acacia pycnanta ed Opuntia. (Fig. 3) Quando si soffrega la pagina superiore quasi sempre colla forma- zione dell’epitelio cuticolare i tessuti sottostanti si allungano ed allora le estremità delle cellule vengono a trovarsi allo stesso livello degli elementi epidermoidali normali, il che qualche volta non permette più di stabilire se alla formazione dell'epitelio cuticolare ha preso parte la sola epidermide od anco il sottostante palizzata di neoformazione. Nei punti in cui si forma l’epitalio cuticolare le cellule del pa- lizzata, quando queste prendono parte al processo, appaiono più stret- 46 it LUIGI BUSCALIONI E. GIUSEPPE MUSCATELLO . te e meno ricche di contenuto, ciò che indica uno stato di sofferenza. Lo stesso fenomeno si verifica in corrispondenza della pagina infe- riore quando questa venga soffregata. In generale le lesioni si appalesano più precocemente in punti in ‚eui decorrono i fasci vascolari, poichè ivi i tessuti essendo più resi- stenti, contribuiscono a ledere le cellule epidermiche nell’atto che si soffregano. i Col Sudan III si può riconoscere che l'epitelio cuticolare suberi- fica mentre le cellule sottostanti conservano le pareti cellulosiche. Il fatto non è però costante essendosi più volte osservata anche la su- berificazione degli elementi dal palizzata di nuova formazione. Come nell’ Acacia cultriformis le lesioni in questione provocano anche delle alterazioni nella forma delle foglie. Infatti se si pratica il massaggio su foglie giovani allora si osserva che la parte soffrege- gata indurisce, si arresta nello sviluppo, od a seconda dei punti lesi, si ottengono delle foglie stranamente conformate, sia curvate a falce sul piano della lamina, sia colla punta ridotta a triangolo che si im- pianta con la base ristretta ‘sul resto del lembo piuttosto espanso o in- -fine degli altri tipi fogliari. Da ultimo rileveremo che nelle foglie laseiate a lungo sulla pian- -ta dopo esser state soffregate si presentano deglistrati suberifieati sot- ‘toepidermici e più profondamente un robusto piano di elementi diven- tati meccanici per il notevole ispessimento delle pareti. (Fig. 3 bis) ^ Senecio cleinoides Oliv. Le foglie sono carnose, fusiformi e rico- perte da un forte strato di cera che le rende di color glauco verdastro. ‘Per quanto riguarda il reperto anatomico troviamo che ad un’ e pidermide costituita da grossi elementi rettangolari, fra cui si notano - numerosi stomi, succede uno strato ipodermico che differisce da quelli sottostanti pel colore e per minor riechezza di contenuto. Poi viene il ‘ parenchima verde, i cui elementi diventano tanto più grandi quanto “più sono situati: profondamente. Nel mezzo della sezione si ha poi un abbondante tessuto acquifero formato da grossi elementi che circoseri- vono dei meati piuttosto ampi. I fasci vascolari stanno alla periferia, separati dali’ epidermide -per mezzo di Op piani di cellule. Al davanti degli stessi, ma limita- CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 41 tamente ai fasci maggiori, si incontrano i canali secretori circondati da una guaina di cellule poco o punto colorate in verde dalla cloro- filla. Qui non abbiamo più la formazione di un epitelio cuticolare, co- me conseguenza dello sfregamento, ma bensì un processo neoformativo analogo a quello descritto da tutti gli autori nei casi di ferite fogliari. L’epidermide si altera assieme agli strati superficiali del paren- chima verde, ma solo in seguito a frizioni ripetute e non troppo de- licate. Avvenuto questo si inizia nei sottostanti tessuti un’attiva prolife- razione cellulare, grazie alla quale si forma un robusto strato di ele- menti i cui setti di nuova formazione sono prevalentemente tangen- ziali (periclini). Si forma così uno strato di difesa abbastanza robusto costituito da elementi suberificati, poveri od anco privi di contenuto. Anche la guaina dei fasci vascolari prende parte al processo per da- re origine a vruppi o serie di cellule disposte a file radiali e più pic- cole delle circostanti. I canali secretori che accidentalmente vengono a trovarsi inglobati nella neoformazione riescono schiacciati. Il periderma è rafforzato verso l'interno dell’organo da uno stra- to di felloderma sprovvisto di clorofilla, ad elementi variamente gran- di poichè gli uni derivano dal tessuto fondamentale e gli altri dalla guaina dei fasci, nei quali si riscontrano delle goccie oleose che han- no tratto probabilmente origine da cloroplasti degenerati. In una nota preventiva che abbiamo pubblicato negli Atti della Accademia Gioenia di Catania (1909) si era già fatto cenno alle le- sioni che tengono dielro sia nell’ Acacia cultriformis Hook sia nel- l Eucalyptus globulus Labill alla esportazione della cera. Dalle nostre osservazioni, a quel tempo alquanto incomplete, avevamo tratto la con- clusione che l’asportazione della cera per se stessa, possa provocare quasi tutte le alterazioni che abbiamo testé descritte. E’ duopo ora in parte rettificare e in parte completare i risultati. L'eliminazione del deposito ceroso non provoca per se stessa il ‘quadro patologico che abbiamo descritto: però dagli studi fatti spe- cialmente sull Eucalyptus e sull Acacia risulterebbe che le piante for- nite di cera hanno un epidermide piuttosto delicata la quale quando e Ce EE E E Ee E RIS E et OR e 48 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO venga tenuta scoperta facilmente va a male e non può perciò tollera-l re le frizioni, anche quando queste siano state eseguite colla più seru- polosa delicatezza. Sotto questo punto di vista le epidermidi che non presentano i rivestimento ceroso sono molto più resistenti. Avvenuta la lesione epidermica non tardano a comparire le altre manifestazioni patologiche, fra cui importantissima quella che dà luo- go alla comparsa di un epitelio cuticolare, stato fino ad ora soltanto segnalato in pochissime piante allo stato normale e in unica galla (Kiister). | Nel Senecio cleinoides l'epidermide è, a quanto pare, anche poco resistente: basta infatti soffregarla parecchie volte, anche delicatamen- te, perché si ottenga bentosto la reazione. Una volta lesa peró la fo- glia non da luogo a proeessi patologi speeiali, ma bensi unicamente alla comparsa di un volgare periderma e di pochi strati di felloder- ma (a contenuto antocianico). Fra i due tessuti si^ interpone qualche cellula di fellogeno. Non si hanno intanto traccie di formazioni ricor- danti l'epitelio cuticolare. In tutte e tre le piante esperimentate per effetto delle lesioni si ha l'ispessimento del filloma, il quale poi diventa duro e talora anche si deforma (Eucalyptus). Nel Senecio cleinoides l'ispessimento ha luogo di preferenza quando la cera venga asportata d'inverno: d'estate si ha invece l’assottigliamento ciò che sarebbe in relazione colla traspirazione. Noi abbiamo anche rivolto la nostra attenzione alla Lonicera im- pleæa che porta della cera sulla pagina inferiore delle foglie, ma sen- za ottenere alcun risultato, pel fatto che la foglia sottoposta allo sfre- gamento non tarda a seccare. Lesioni ottenute collo sfregamento di foglie sprovviste o poco fornite di cera (Dicotiledoni) Viburnum lucidum Mill. La foglia spessa e coriacea presenta un epidermide superiore, le cui cellule sono molto sviluppate, ricche di contenuto e con grosso nucleo. Le cellule dell'epidermide inferiore in- vece sono assai più piccole e meno elevate in senso radiale. dw de CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 49 Il tessuto verde consta di 10-14 piani di elementi: quelli esisten- ti sotto la pagina superiore hanno contorni regolari, a forma quasi ret- tangolare col maggior diametro diretto perpendicolarmente alla epi- dermide. Verso il mezzo del tessuto gli elementi appaiono alquanto meno intimamente fra loro congiunti, in guisa da circoserivere dei meati che in prossimità dell'epidermide inferiore tornano a farsi gran- demente ristretti a causa di una più salda unione delle cellule fra lo- ro, le quali acquistano l’aspetto di quelle proprie del palizzata. I vasi decorrono al limite ira laeunoso e palizzata, dove pure si incontrano delle borse ghiandolari a contenuto granulare torbido, Il soffregamento ha per risultato lo schiacciamento più o meno gra- ve delle cellule epidermiche, le quali perciò presentano delle pareti radiali ondulate e mostrano spesso delle sostanze abnormi nel loro in- terno. Il sottostante palizzata prolifera ed i setti sono per lo più perielini, ma non mancano quelli obliqui o curvi. (Fig. 4). Non infrequente- mente si segmenta pure il secondo strato del palizzata od anco en- trano in attività gli elementi più profondamente situati. La segmen- tazione avviene per cariocinesi. Le cellule che ne risultano sono piut- tosto irregolari e piccole ed in generale povere di contenuto. Verso il termine della reazione suberificano le cellule del paliz- zata neoformato e quelle dell'epidermide, le quali poi talora si seg- mentano pure a loro volta, dando dei setti trasversali. Citrus aurantium Lim. Spesso si ha solo atrofia e necrosi del tessuto. Sui lati della lesione però le cellule del parenchima ingrossano, ispes- siscono la. membrana rivolta verso il punto leso, addossando alla stessa un grosso strato di sostanza giallastra probabilmente di natura muei- lagginosa. A maggior distanza il tessuto si segmenta attivamente e qualche cellula sottoepidermica suberifica. Non è però questo l’unico tipo di reazione, avendo noi qualche volta riscontrato dei bozzacchioni ricoperti da un’ epidermide quà e là ridotta a brandelli. Il tessuto malato risulta costituito superficial- mente da uno strato di elementi sugherosi a cui suecedono delle. cel- lule allungate con pareti ispessite, talune delle quali poi presentano una lamella interna pure suberifieata. Al limite del tessuto leso si nota + ev bot, Gar; i 1912 50 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO uno strato di parenchima ordinario le cui cellule però sono strettamente accollate le une alle altre. Se la lesione è stata grave tra il tessuto suberificato e l’ epider- mide si stratifica il parenchima necrosato. Gleditschia Fontanesii Spach. Epidermide superiore a cellule ret- tangolari con pareti delicate e con cuticola poco sviluppata. Palizzata raccolto in due piani e costituito da elementi piuttosto grandi, ricchi di contenuto. Tessuto lacunoso a elementi subramosi che al di dietro del- l'epidermide inferiore si fanno più intimamente fra loro saldati. Epi- dermide della pagina inferiore meno sviluppata di quella del lato op- posto, ma con elementi conformati pressoché sullo stesso stampo. Sotto l’azione dello sfregamento l’epidermide si schiaccia alquan- to, mentre si forma un tipico epitelio cuticolare a spese delle cellule superficiali del palizzata. Questo poi, dividendosi attivamente con for- mazione di setti periclini, origina parecchi piani di cellule schiacciate verso l’ esterno, allungate invece perpendicolarmente alla superficie nelle parti profonde. Il tessuto neoformato si riempie di tannino ed intanto le cellule del lacunoso a contatto del palizzata, od anco quelle più discoste, ispes- siscono la parete, in guisa da formare tutto attorno al tessuto in atti- va proliferazione una specie di guaina (più o meno continua o talora invece ridotta a poche cellule) di selereidi. (fig. 5). Questi elementi, di forma piuttosto irregolare, hanno, sia per la forma, sia per le grosse punteggiature che presentano nelle pareti, molta rassomiglianza con gli idioblasti selerosi della polpa di taluni frutti, colla differenza però che si mantengono più gracili. Crediamo utile di rilevare che in una lesione accidentale (galle ?) della foglia abbiamo pure riscontrato la stessa struttura, sebbene le cellule scle- rose fossero più grandi e più robuste. Quando il soffregamento è stato un po’ ruvido l’ epidermide e il primo strato del palizzata si impoveriscono del contenuto, mentre il tessuto suberoso compare in seno agli elementi sottostanti. Anche qui però si ha comparsa di sclereidi al di sotto del periderma. Ficus. Di questo genere, noi abbiamo sottoposto allo sfregamento le foglie delle seguenti specie: F. Magnolioides Borzi, F. elastica Roxb CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 51 F.sicomorus L., F. Beniamina L., F. religiosa Lin., F.repens.(Willd).Roxb. Ficus magnolioides Borzi. Non si è ottenuta alcuna sensibile rea- zione a causa, forse, della robustezza della foglia. Vi ha infatti una epidermide a cellule schiacciate, rafforzata da un ipoderma (1) i eui elementi sono grandi e con pareti piuttosto ispessite. Segue di poi il palizzata, raccolto in due o tre strati, e a questo il lacunoso fatto di cellule ramose. Infine compare l’ipoderma della pagina inferiore con elementi che assumono quà e là la forma di un palizzata ridotto. L’e- pidermide inferiore è meno sviluppata di quella che ricopre I’ altra faccia del lembo. Ficus elastica Roxb. Per la struttura ricorda da vicino il F. ma- gnolioides. Lo strato esterno dell’epidermide consta di elementi alquan- to compressi; l’ipoderma è suddiviso in due stratile cui cellule hanno pareti robuste e cavità piuttosto grande (in specie quelle del se- condo strato). Di tratto in tratto, come del resto avviene anche nel F. magnolioides, alcune cellule del piano profondo diventano cistoliti- che, inerandendo notevolmente. Il palizzata molto ispessito, constando di tre piani di cellule, si continua col lacunoso caratterizzato da gros- se cellule ramose che circoserivono degli ampi spazi intercellulari. In- fine chiudono la serie degli strati un ipoderma a cellule robuste e un epidermide a contorno ondulato, formata da piccoli elementi. Anche qui, come prima reazione, si. ha lo schiacciamento delle cel- lule epidermiche superiori, senza che tuttavia si arrivi alla formazione di un epitelio cuticolare. Gli elementi del secondo strato epidermico subiscono la stessa sorte o riramente reagiscono segmentandosi, quà e colà, in vario senso. Quasi costante invece è la proliferazione del se- condo strato ipodermico le cui cellule si dividono tumultuosamente per riempirsi di piccoli elementi, i cui setti hanno varia direzione, per quanto siano prevalentemente tangenziali. Le divisioni si presen- tano tanto più numerose quanto più forte e continuato è stato lo sfre- gamento. e I Molto frequentemente le cellule neoformate più superficiali suberi- (1) Nella denominazione abbiamo; fatto astrazione, tanto qui che altrove, ` all'origine degli elementi. M E EE 52 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO si fieano, mentre quelle più profonde conservano le pareti cellulcsiche. Quando poi la suberificazione ha invaso tutte quante le cellule suben- tra in attività (e talora anche prima) il palizzata esterno che si sein- de in più piani per mezzo di setti trasversali. Questi elementi rara- menie suberificano o la metamorfosi colpisce soltanto le membrane più derer Per effetto delle eravi modificazioni strutturali che avvengono nel parenchima della foglia questa si ispessisce nei punti lesi, i quali per- ciò assumono l’aspetto delle produzioni suberose state studiate in altre piante da Bachmann, Borzi ed altri autori. Ficus Sicomorus L. La struttura è analoga a quella delle specie testè descritte, per quanto più delicata; non esiste tuttavia un ipoder- ma dal lato inferiore. | Avvenuto l’accasciamento dell'epidermide reagisce lo strato ester- no del palizzata che suberifica senza tuttavia proliferare. Sulle nerva- ture maggiori suberificano pure le cellule del tessuto fondamentale sot- tostanti al eollenehima ipodermieo. Solo nei easi in cui il massaggio sia stato troppo ruvido si nota- no delle proliferazioni, ma in generale le nuove cellule non si rive- stono di suberina. Ficus religiosa Lin. Epidermide superiore costituita da grandi cel- lule contro le quali si appoggia il palizzata disposto in un unico stra- to. Più profondamente incontrasi un tessuto che segna il trapasso del palizzata tipico al lacunoso. Quest'ultimo è molto robusto e i suoi e- lementi cireoserivono dei meati intercellulari non eccessivamente grandi. L'epidermide inferiore ha cellule più piccole di quella superiore. Sotto lazione dello sfregamento l'epidermide superiore si accascia; in compenso il palizzata si allunga notevolmente, tanto che le cellule si elevano sino a livello della cuticola. Si forma pertanto un sa eutieolare molto elegante. (fig. 6). Un po’ più tardi comincia la segmentazione nelle cellule ingran- dite, ed i nuovi elementi, o almeno quelli che sottostanno all’epitelio eutieolare, suberifieano. La proliferazione è talora attivissima, tanto che grande diventa il numero delle cellule secondarie, e noi troviamo questo fenomeno accompagnato per lo più anche da intensa suberifi- CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 53. cazione lungo i fasci vascolori, dove cioè la resistenza maggiore fa- vorisce le alterazioni. Non infrequentemente invece la neoformazione cellulare si localiz- za nel tessuto sottostante al palizzata il quale si accascia pure assie- me all'epidermide. i Ai margini della regione lesa si rileva talora la intrusione delle cellule del palizzata, quasi che queste formino dei tilli, nelle cellule epidermiche. In un caso si è osservato che la suberifieazione, dopo aver colpi- to gli strati più esterni del palizzata neoformato e avere invece ri- spettato quelli più profondi, si manifestava di nuovo attorno alle cel- lule fiancheggianti i cistoliti, situati, come è noto, sulla faccia inferio- re della foglia. Ficus Beniamina Ci Epidermide superiore formata di piccole cel lule, cui seguono’ due strati di ipoderma costituiti da elementi irrego- lari, spesso sdoppiati da setti più o meno obliqui. Lo strato inferiore presenta poi delle cellule partieolarmente grandi. L’epidermide inferiore è costituita da cellule piuttosto piccole. Lo sfregamento provoca la segmentazione in vario senso delle cel- lule più profonde dell’epidermide colla conseguente suberificazione delle stesse. La porzione periferica del palizzata prolifera per formare pa- recchi piani di cellule che non mostrano grande tendenza a suberifi- care. Queste sono piccole e rettangolari. La parte lesa sporge notevolmente sulla superficie della foglia. Ficus repens (Wild) Roxb. Differisee dalle altre forme studiate per avere la superfieie inferiore del lembo ondulata, di guisa ehe si formano ivi dei solehi e delle eripte. L'epidermide superiore é disposta in due piani e le cellule che la formano sono piccole, esili e con pareti sottili. Tutto quanto il meso- fillo consta di cellale a palizzata, o simili per forma a quelle che rappresentano questo strato. I fasci stanno incuneati nelle costole che sporgono sulla faccia inferiore, la cui epidermide è papillosa. Rari i cistoliti. Per effetto dello sfregamento suberificano le cellule del palizzata e quelle dell’ ipoderma, le quali però iniziano il processo di reazione. 54 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO con un’attiva segmentazione. Talora la suberificazione invade anche i tessuti più profondi del mesofillo. Comportamento delle cellule a cistoliti. Anche queste cellule rea- giscono allo sfregamento, ma in vario modo e neppure costantemente. Molto volte abbiamo osservato che il palizzata in attiva proliferazione schiaccia o comprime le cellule cistolitiche. Queste allora assumono la forma di un imbuto colla parte più dilatata verso l’esterno, mentre la massa cistolitica si altera a poco a poco, dando luogo alla scomparsa della sostanza minerale dapprima e più tardi della stessa impalcatura cellulosica. Solo il peduncolo siliceo resiste allo sfacelo. Nei easi di gravi lesioni noi incontriamo i residui delle cellule cistolitiche inglo- bati nelle masse di sughero, od anche quasi espulsi dalla neoformazione. Non infrequentemente si è notata anche un’altra alterazione nel- l'interno della cellula cistolitica pel fatto che la superficie del cistolito e la parete della membrana cellulare rivolta verso la cavità dello ele- mento si mostrano impregnati di suberina. (Ficus religiosa). E’ pure stata osservata la presenza di due o più peduncoli attor- no alla massa cistolitica; uno di essi impiantato nel sito normale della parete cellulare, l'altro, o gli altri, infissi alle pareti laterali od anco a quelle profonde dell'elemento, Non sappiamo per altro se. queste anomolie costituiscano una pura accidentalità, normalmente re- peribile, ma che forse si è resa più frequente pel fatto stesso delle frizioni (Ficus religiosa). Vedremo più tardi, trattando dell'azione del AgNO,, che altri ca m- biamenti più importanti ancora si osservano nei cistoliti. Raphiolepis rubra Lindl. La struttura della foglia (fiy.7) si presenta alquanto singolare e ciò pel fatto che allo stato giovane le cellule e- pidermiche della pagina superiore si insinuano profondamente fra quel- le del palizzata, mentre nelle foglie adulte pare che si accorcino, la- lasciando al disotto una camera d’aria. E probabile tuttavia che sia- no capaci di subire modificazioni di forma notevoli a causa delle loro pareti mucilagginose. Data la forma conica di siffatti elementi ne viene che il pa- lizzata risulta costituito da cellule variamente lunghe. Quelle più bre- vi si trovano in corrispondenza degli apici delle cellule epidermiche, pis i E E d IEN arm Al ise AID ew T t hoa c» Lm Abu ei PE E CTUN de P e, Dean CM ETC D cM CULA M EE È d ^ m y . 1 Mo È Tx Kl e? 4 P 4 e 4 a bi FT we al WRC SE È, LEA Be URN MS ^ Ph i M RATEN, ta x oes CLR CI TE rk Rt UTE NN CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 55 quelle più sviluppate invece si insinuano negli spazi liberi che si in- terpongono fra le stesse, arrivando sino a poca distanza dalla cuticola. Il palizzata è molto robusto, come sviluppato è il lacunoso che ha cellule piuttosto irregolari, eireoseriventi dei grandi meati. L’ epi- dermide inferiore ha cellule più piccole di quella superiore. Qui, come primo accenno di reazione, osservasi la proliferazione dell'epidermide le cui cellule si segmentano parecchie volte di seguito dando dei setti trasversali o di rado obliqui, per cui esse appaiono al- fine riempite da elementi secondari di vario aspetto, in generale assai piccoli e formanti da due a quattro piani sovrapposti e giustaposti (1). Anche il sottostante palizzata prolifera a sua volta, con forma- zione pure di piccoli elementi, gli esterni dei quali, sporgenti sulla superficie fogliare, finiscono per schiacciarsi e riempirsi di masse tan- niche. (fig. 8). Photinia serrulata Lindl. L'epidermide superiore è formata da cel- lule rettangolari piuttosto grandi, contro le quali si appoggia lo stra- to esterno del palizzata. Questo è molto robusto, risultando costituito da circa tre piani di elementi. Il lacunoso è pure assai sviluppato ed è attraversato da grandi spazi aerei. Nulla di notevole nell’epidermide inferiore. A differenza di quanto avviene in molte altre specie la parte le- sa tende ad affondarsi nel tessuto sano, pur essendovi proliferazione. . Prima a reagire sono le cellule epidermiche che si dividono di- sordinatamente dando dei setti obbliqui e trasversali che si fanno di poi abbastanza robusti. Il palizzata entra pure ben tosto in attivita per formare parecchi strati di cellule piccole, a pareti robuste e ri- frangenti che ricordano quelle dei collenchimi (fig. 9). Nei preparati da noi esaminati [a suberificazione delie cellule neoformate era limi- tata all’epidermide. Rumex nervosus Vahl. Nessuna reazione all’infuori dello schiac- ciamento delle cellule superficiali. Il risultato negativo forse dipende dalla poca consistenza del tessuto, formato da grandi cellule assai esili. Paratropia umbraculifera H. Pan. L'epidermide della faccia su- (1) In altra parte del lavoro tratteremo di alterazioni ancor più complesse. 56 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO periore della foglia consta di grandi cellule tabulari, formanti un pri- mo pi no, e di elementi ovali (ipoderma) a pareti piuttosto ispessite. Il palizzata è ridotto a nn solo strato e le cellule che lo costituiscono sono grandi, rettangolari, con pareti sottili. Molto sviluppato in com- penso è il lacunoso, i cui elementi diventano tanto più robusti quanto più si approssimano all’epidermide inferiore, la quale risulta di ele- menti schiacciati. Grandi meati attraversano tutto il lacunoso. Lo sfregamento determina lo schiacciamento delle cellule epider- miche superiori, l'allungamento e l’allargamento di quelle del palizza- ta che si dividono di poi ripetutamente con setti trasversali avvicina- ti al margine esterno delle cellule. Frattanto la parete delle cellule neoformate rivolta verso l'epidermide si ispessisce per formare una specie di epitelio cuticolare assieme ai resti dell'epidermide schiacciati e pieni di tannino. I risultati sopra indicati furono ottenuti solo soffregando molto a lungo le foglie che altrimenti non reagiscono. Olmediella Cesatiana Baill. L'epidermide superiore è fatta di cel- lule rettangolari o cubiche particolarmente robuste essendo le mem- brane ispessite su tutti i lati. Sottili eanalieoli attraversano le mem- brane per mettere in comunieazione i vari elementi fra loro o con quelli del tessuto sottostante. Il palizzata, ridotto ad un solo strato, o tutt'al più a due, per divisione di alcune cellule, presenta degli elementi piuttosto ampi. Molto ispessito è invece il lacunoso le cui cellule, tondeggianti o irregolari, hanno pareti assai ispessite. Ampi spazi intercellulari attra- versano il tessuto e ciò pel fatto che gli elementi sono disposti in serie radiali, separate le une dalle altre o irregolarmente fra loro u- nite da altre serie trasversali. L'epidermide inferiore, a prescindere dalla minor grandezza degli elementi, ha gli stessi caratteri di quella superiore. ` Come primo accenno di reazione allo sfregamento si ha lo sdop- piamento del palizzata, o per lo meno dello stratò più esterno dique- sto, quando sono due. Persistendo la causa patogena, il numero dei piani cellulari aumenta. Talora si è pure osservato qua e colà qualche divisione tangenziale nelle cellule epidermiehe con formazione di uno CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI ` 57 strato interno (ipoderma) discontinuo, avente gli stessi caratteri di quel- lo esterno. Non sappiamo per altro se il fenomeno debba ascriversi alla frizione o non rappresenti, come appare più probabile, una mera accidentalità. Perdurando lo sfregamento vengono a formarsi molti piani di cel- lule rettangolari piccole, a pareti sottili, tutte quante derivate dal pa- lizzata. Le più esterne si schiacciano contro la rigida epidermide sot- to la spinta delle sottostanti, e allora presentano delle pareti ondulate, i oppure suberificano mentre le sottostanti conservano le membrane cel- S lulosiche. A motivo della tumultuosa proliferazione le cellule del paliz- . zata riescono alfine poco lunghe. Myoporum punctulatum Schlecht. La foglia molto ispessita pre- sentasi avvolta dalle due epidermidi a cellule grandi, la cui membra- na non è eccessivamente ispessita dal lato esterno. Il palizzata è pure formato di elementi vistosi e molto lunghi, disposti in due piani. A questi tengono dietro parecchi strati di cellule corte e alquanto irre- golari che formano il lacunoso, i cui meati non sono molto ampi. Nello spessore dal tessuto verde troviamo i fasci vascolari e a la- to di questi delle grosse borse secretrici, fiancheggiate da celiule vi- stose e colle pareti alquauto ispessite nel punto in cui vengono a con- tatto parecchi elementi, quasi che accennino a formare un rudimenta- ^ a le collenchima. Tale struttura ha evidentemente uno scopo meceanico, potendo le pareti ispessite resistere alla pressione del secreto che si accumula nelle borse. La tendenza alla formazione di un tessuto col- enehimatoide è adunque innata nelle cellule del parenchima e per- ‘ciò dovremo vedere comparire questo tessuto nelle foglie soffregate. La reazione si inizia collo schiacciamento dell'epidermide supe- riore, ma non eostantemente, avendo noi qualehe volta osservato ehe le eellule non alterano la forma, oppure si dividono per setti trasver- sali o pià o meno obliqui. Ben tosto ha luogo la proliferazione delle grandi cellule esterne del palizzata, si formano così parecchi piani di cellule tabulari talora però più o meno irregolari per la presenza di setti obliqui, reperibili di preferenza verso gli orli della zona lesa. Il tessnto neoformato spesso sporge sulla circostante epidermide TE EE EE EE Ni kän, eur? DEE e 3 NE ide N erue Et TT da NET Pes a a AS ES TS ae AR D ‘> CR i AN eat KA SCT « < x i j 58 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO della parte sana, in modo da riprodurre le neoformazioni a tipo len- ticellare alle quali abbiamo altrove accennato. Le cellule neoformate si impoveriscono dı contenuto e frattanto ispessiscono la parete che | diventa collenchimatosa. (fig. 10). Siffatto colle ichima si forma quasi 1 del tutto a spese del palizzata, i eui elementi sono notevolmente in- 3 granditi. La trasformazione del parenchima ordinario in collenchima gua- dagna sempre piü in profondità, per eui al fine vediamo rendersi piü tipico lo strato cellenchimatoide attorno alle borse ghiandolari e spe- cialmente dal lato rivolto verso la pagina superiore della foglia. Sif- | fatto comportamento, per parte del parenchima verde, vale ad indi- i carci che le pressioni meccaniche influiscono grandemente sulla specia- ; lizzazione degli elementi e ci da la ragione della presenza di un pseu- do-collenchima attorno alle borse, cui abbiamo sopra accennato. | A complemento delle osservazioni fatte sul Myoporum rileveremo | ancora che fu osservata la cariocinesi sulle cellule epidermiche in via | di divisione. i Melodium scandens Forst. La struttura della foglia è abbastanza semplice: le due epidermidi non si presentano eccessivamente ispessite: il palizzata, suddiviso in due piani, consta di cellule sottili, mentre il lacunoso ha elementi tondeggianti od irregolari con pareti alquanto ispessite. Rara è la reazione per parte dell'epidermide che tutt’al più si li- mita ad ingrandire i suoi elementi per poi accasciarsi. Divisioni nelle cellule furono osservate quà e là, ma è dubbio che dipendano dal E trauma. Il palizzata invece prolifera formando parecchi piani di cellule su- berifieate. Contemporaneamente molti degli elementi neoformati e quel- li rimasti immutati ispessiscono le pareti, tanto che nelle sezioni tra- sversali la foglia assume taluni dei caratteri che abbiamo rilevato nel Myoporum. Nelle lesioni un po' gravi tutto quanto il parenehima verde del- la foglia ingrandisce gli elementi, mentre le cellule a pareti ispessite asquistano quasi i caratteri di un collenchima. La foglia frattanto nel- la parte lesa diventa più consistente ed ispessita, tanto che quando il CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 59 processo di neoformazione si é svolto un po’ intensamente la parte ma- lata appare sollevata, quasi a guisa di lenticella, sulla sana. (fig. 11) In qualche raro caso abbiamo visto la suberificazione estendersi profondamente, oppure lo strato esterno del palizzata fondere la sua membrana frontale con quella della sovrapposta epidermide sehiaecia- ta per dare origine a un epitelio cuticolare. Laurus canariensis Webb. et Berth. Epidermide superiore a pare- te esterna molto ispessita, formata di cellule rettangolari od anco cubiche, in sezione trasversale: palizzata di due strati con elementi piuttosto grandi: lacunoso a cellule ramose delimitanti dei grandi mea- ti: epidermide inferiore foggiata sullo stampo di quella superiore. -Il parenchima è tramezzato perchè i fasci vascolari coi relativi cordoni meccanici occupano tutto lo spazio compreso tra le due epidermidi. Le foglie soffregate parecchie volte mostrano differenti lesioni a seconda dell’intensità dello stimolo traumatico. | Talora si nota che l’epidermide superiore rimane, almeno in ap- parenza, immutata o si mostra soltanto lievemente compressa. In tal caso il sottostante palizzata si affloscia e le pareti delle sue cellule diventano ondulate, mentre lo strato profondo di questo tessuto si se- para per mezzo di uno rivestimento di suberina limiteto alla parte frontale delle cellule, vale a dire a quel tratto di membran: che vie- ne a contatto colle sovrapposte cellule ammalate. Capita però non infrequentemente che tutte quante le pareti del- le dette cellule suberificano mentre queste ingrandiscono. Quando ciò avviene il lacunoso prolifera e sono in ispecie gli elementi situati al di sotto del palizzata che entrano in attività, Assai spesso gli elementi circostanti ai cordoni meccanici che in- cappucciano il libro ispessiseono le pareti sulle quali poi compaiono numerose punteggiature. Si ha così nn espansione del fascio mecea- nico al di sotto dell'epidermide della faccia superiore del lembo. Noi abbiamo pure osservata questa speciale modificazione delle pareti cel- lulari in tutti quanti gli elementi del palizzata superficiale che appa- re così trasformato in uno strato meccanico più o meno robusto. Ta- luni elementi assumono poi il carattere di veri sclereidi, ciò che non impedisce tuttavia la divisione degli elementi. 60 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Perdurando la causa patogena si ispessiscono anche alquanto gli elementi del lacunoso e persino le cellule secretrici sparse nel paren- chima, mentre lo strato esterno del palizzata colle sue cellule del tut- to selerosate si è sostituito all'epidermide schiacciata formando all'uo- po un bellissimo epitelio cuticolare, quanto mai robusto (fig. 12). A quanto pare i tessuti meccanici neoformati non sono lignificati, ma occorre notare che neppure i cordoni dei fasci hanno cellule mol- to incrostate di lignina. Senecio Kaempferi Dec. La Galia piuttosto ispessita presenta i seguenti strati a partire dalla pagina superiore. Epidermide a cellule assai grandi e con membrane non molto ispessite. Tiene dietro un ipo, derma e poi il palizzata formato da elementi grandi e larghi. Il tes- suto lacunoso consta di molte serie di cellule disposte disordinatamen- te in file radiali e trasversali che lasciano fra loro dei grandi meati. Infine viene l'epidermide inferiore caratterizzata da piccoli elementi. | L'epidermide superiore sotto l'azione dello sfregamento si schiac- cia e allora gli elementi dell'ipoderma suberificano in corrispendenza delle faccie laterali, mentre si ingrandiscono notevolmente e si seg- mentano in senso trasversale. Il palizzata ispessisce leggermente le pareti sulle quali poi com- paiono distinti i pori, in specie quando sitengano per un po' di tem- po le sezioni in acqua di Javelle. Talora, anziché l’ipoderma, prolifera il palizzata, il quale allunga di molto i suoi elementi che schiac- ciano le sovrastanti cellule ipodermiche. Al fine si ha luogo la seg- mentazione in senso trasversale delle cellule e si forma così un nuovo strato che suberifica. Atriplex nummularia Lindl. Ha una foglia gracile, un po’ car- nosa la quale consta di un epidermide a cellule irregolari, di un pa- lizzata che forma attorno ai fasci vascolari una vera guaina, di un lacunoso disposto in un unico strato e rappresentato da grandi elemen- ti e infine dell'epidermide inferiore. Le sfregamento altera molto il tessuto e perciò vediamo che pro- liferano e suberiticano non solo le cellule del palizzata sottostanti al- l'epidermide superiore, ma anche quelle che stanno al di sotto dei fasci vascolari. Siffatti elementi, prima di segmentarsi, si allungano Rr EMEN CONTRIBUZIONE ALT.O STUDIO DELLE LESIONI FUGLIARI ‘61 notevolmente spostando i sovrastanti fasci i quali vengono perciò a trovarsi in ur piano più elevato di quello in eui decorrono normal- mente. (tig. 13). L'ultima fase del processo è rappresentata dalla formazione di un grosso ammasso di cellule suberifieate che inglobano i fasci vascolari. Eugenia uniflora. Lin. (fig. 14) Epidermide quasi conformata su uno stesso stampo, e con cellule piccole a cuticola ispessita. Due piani di palizzata di cui l'esterno formato da elementi più piccoli, fatta ec- cezione per quelli contenenti delle macle o dei cristalli isolati di ossa- lato ealeieo. Parecchi piani di laeunoso, formato da cellule rotonde che circoscrivono dei piccoli meati. Le cellule del palizzata e quelle dell'epidermide si appiattiscono, mentre gli elementi sottostanti si allungano notevolmente e si allarga- no per poi segmentarsi ripetutamente e in vario senso, Alla stessa sor- te vanno incontro i piani cellulari più profondamente situati tanto che restano apparentemente immutati soltanto i quattro o cinque strati di cellule sottostanti alla epidermide inferiore. | La foglia si ispessisce notevolmente nel punto leso e frattanto le cellule neoformate si impoveriseono di contenuto. Nulla di notevole si nota nelle borse ghiandolari ineluse nel pa- lizzata e neppure appaiono alterati i cristalli di ossalato di ealee; ab- biamo tuttavia notato che taluni di questi mostransi corrosi, ma non possiamo affermare che la dissoluzione sia un portato del processo di reazione. Col Sudan III si nota che la suberifieazione ha invaso le cellule sottostanti al palizzata ed anco taluni degli elementi più profondi: gli altri strati non hanno mutato la costituzione della membrana. Evonymus japonicus L. fil. Nulla di notevole nella costituzione a- natomica. L'epidermide ha cellule ispessite e grandi: il palizzata è di- sposto in tre piani e consta di cellule sottili, mentre nella zona del lacunoso si hanno elementi a membrane ispessite. La foglia stenta alquanto a reagire, e si limita a formare una specie di periderma che si eleva sulla superficie del lembo fogliare. Al di sotto del tenuto suberificato si incontra uno strato di felloderma a piccole cellule. L'epidermide, come al solito, si schiaccia, oppure si ‘62 i LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO riempie di masse d’ispessimento, come è frequente ad osservarsi nei bordi della regione lesa. | Acacia uncinella. Benth. (fig. 15). Il fillodio presentasi costituito da un epidermide i cui elementi sono schiacciati e colla membrana esterna fortemente ispessita. Il palizzata risulta formato da uno o due piani di cellule poiché si avvicendano regioni in eui sonvi due piani cellulari con altre dove ve ne ha uno solo. Alcune cellule sono eristalligere (cristalli di Rosanoff). Il midollo risulta formato da grandi elementi lignificati. Sotto l’azione dello stimolo traumatico si ha la lignificazione delle cellule esterne del palizzata che perciò spiccano sulle circostanti quando vengano colorate colla saffranina. Nel midollo si osserva lo ispessimento delle pareti cellulari le quali poi si inerostano sempre più di lignina. Nei casi gravi ha luogo anche proliferazione del midollo con for- mazione di setti curvi, prevalentemente periclinali, i quali poi ben tosto ispessiseono e suberificano come la rimanente porzione della mem- brana. Le cellule neoformate si riempiono poi anco di tannino. L’ ispessimento del tessuto midollare provoca il sollevamento del sovrastante palizzata che viene ad occupare un piano più superficiale, ed anco a sporgere : ll'esterno. | Molte volte si è incontrato la segmentazione delle cellule del pa- lizzata con formazione di piccole cellule sottoepidermiche che al fine $i schiacciano ed allora formano coll’ epidermide pure schiacciata un vero epitelio cuticolare. Le sottoposte cellule del palizzata ispessiscono notevolmente le pareti sulle quali poi compaiono delle punteggiature molto ampie. Nei easi in eui non avviene lo schiaeciamento dell'epider- mide gli elementi di questa suberificino assieme a quelli del sottoposto palizzata, o alle cellule che ne derivano in seguito alla proliferazione. Nelle lesioni gravissime infine suberifica tutto il tessuto del pa- lizzata e del midollo. Cercis siliquastrum Lin. Le foglie in generale non sopportano lo ! sfregamento, che prontamente le uecide. Perciò solo in qualche caso | abbiamo potuto coustatare lo schiacciamento dell’ epidermide con la eonseguente suberifieazione di talune cellule sottostanti. Hedera Heliz Lin. Epidermide delicata, tuttavia alquanto ispessita a CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 63 dal lato esterno. Palizzata di due o tre piani con cellule larghe, ovali. Lacunoso molto lasso. L'epidermide si schiaccia e le cellule del palizzata si scindono trasversalmente, mentre sviluppano del tannino.Talora in se- guito allo schiacciamento dell’epidermide si forma un epitelio cuticolare. E’ singolare che nelle nostre esperienze sia mancata Ja produzione di tessuti suberificati, mentre è noto che la foglia quasi normalmente dà origine a neoformazioni simili alle lenticelle. E’ probabile che sif- fatta produzione abbia luogo quando si lascino più a lungo le ‘foglie sul ramo o si soffreghino più intensamente e ripetutamente. Brassica oleracea Lin. (fig. 16). La foglia è piuttosto carnosa e pre- senta un parenchima verde, costituito da cellule pressoche similari fra loro, di forma ovale; solo verso l'epidermide superiore si nota un leg- gero allungamento delle cellule in senso radicale. Gli spazii intercelu- lari sono piccoli. L'epidermide sotto l'azione dello sfregamento si schiaccia ed al- lora proliferano i piani cellulari superficiali del parenchima per for- mare un robusto strato di cellule piccole e suberificate. I sottostanti elementi, pure a loro volta tramezzati, ingrossano ed ispezziscono le pareti, di guisa che spiccano su quelli normali piuttosto esili. Non poche cellule sono particolarmente distinte e per la robu- stezza delle pareti e per le punteggiature di queste e rassomigliano perciò a veri sclereidi. Altre invece si mostrano schiacciate per man- canza di mezzi meccanici di protezione. Le lesioni possono mantenersi superficiali, o all’opposto affondersi notevolmente nei tessuti. Buxus balearica Lam. Le due epidermidi hanno cellule non molto grandi, ma con pareti robuste in corrispondenza della faccia esterna. Il lacunoso è sviluppato, con cellule ramose che circoscrivono dei grandi meati. Pure robusto è il palizzata (tre piani). . La reazione ha qui una speciale violenza. Le cellule epidermiche restano intatte, ciò non ostante tutto quanto il parenchina verde ispes- sisce notevolmente le cellule, donde la comparsa di un tessuto sclero- sato che contribuisce a ispessire la foglia. Occorre notare tuttavia che lo strato sottoposto all’ epidermide, forse perchè troppo compresso , si schiaccia. 64 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Le cellule frattanto si segmentano in vario senso per quanto più frequenti siano i setti perielini. Il processo di segmentazione è particolarmente evidente attorno ai fasci, dove compare una vera guaina ‘di cellule neoformate. Talora la reazione avviene piuttosto Ee ed allora gli. strati compresi fra le cellule che reagiscono allo stimolo e l'epidermide collabiscono e si riempiono di tannino. Non é raro il easo di incontrare degli elementi che presentano ispessita solamente la parete rivolta verso lo strato più superficiale, ‘cioè corrispondente all'epidermide superiore soffregata. Anche le cellule neoformate ispessiscono le pareti che assumono l'aspetto di quelle collenchimatose. * * * Oltre che nelle piante testé ricordate, noi abbiamo aneora esperi- mento sopra molte altre specie, senza ottenere una reazione caratteri- stica e ciò pel fatto che le foglie o erano troppo tenere o troppo gio- vani. In generale le foglie sottili e delicate reagiscono tutte ad un modo; imbruniseono e neerotizzano nel punto leso per cui la reazione, se avviene, si localizza sui margini del punto malato. Lo stesso dicasi — per le foglie giovani, le quali in seguito alla necrosi crescono rattrap- ‘pite, dopo aver sviluppato I’ ordinario tessuto di cicatrizzazione sui bordi della regione malata. E’ lecito quindi affermare che la reazione avviene con grande energia unicamente nelle piante a foglie o persistenti, o carnose, 0 ‘coriacee. Per ottenerla basta soffregare, anche non troppo ruvidamente ‘e per un minuto circa, le foglie avendo cura di ripetere l' operazione ogni due o tre giorni sino a che compaiano le prime traccie della rea- zione. Queste si appalesano o come macchie brune diffuse, dovute alla ‘comparsa di tannino, o come leggero sbiadimento nella colorazione ‘verde (indizio di elorosi) che può arrivare sino alla colorazione gial- lognola. Talora si ha una speciale colorazione argentea dovuta a cause non ben note o a presenza d'aria negli spazii intercellulari, mentre scostantemente si osserva che la parte soffregata diventa lucida quasi — o viceversa ruvida. i y ZE dE n F PIL, X = CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 65 Le foglie vanno lasciate in sito per un tempo sufficientemente lungo; le più belle reazioni furono da noi riscontrate in foglie che erano ri- maste attaccate alla pianta per circa 6 mesi dall’ inizio dello sfrega- mento. Pare adunque che una volta iniziato il processo la reazione continui a lungo. Perciò le descrizioni che noi abbiamo dato, per quanto si riferiscano alle lesioni che più ordinariamente si rivelano, non rappresentano tutte qnante le modalità della reazione, potendo questa variare per un’ infinità di cause. Ad ogni modo dalle osserva- zioni fatte emergono le seguenti conclusioni: 1. Fra le Dicotiledoni reagiscono bene quelle a foglie coriacee, car- nose e persistenti, poichè fillomi teneri vanno più facilmente incontro alla necrosi. ; 2. Le foglie giovani si comportano come quelle tenere; non rea- giscono cioè attivamente. 3. L'epidermide per lo più si schiaccia o collabisce; non mancano tuttavia i casi in cui entra in attività, segmentandosi, 4. Quando l’epidermide forma più strati, gli interni, che noi per ragioni di brevità abbiamo inglobati nella categoria degli ipodermi, o si schiacciano o reagiscono segmentandosi , e questo secondo modo di comportarsi è più frequente. In generale è lo strato più profondo del- l'epidermide che entra in attività. 5) Quando si ha un vero ipoderma questo reagisce, o viceversa si schiaccia colla sovrastante epidermide. 6) Non di rado le membrane dell’epidermide schiacciate formano con quelle delle cellule sottostanti in attiva reazione una membrana | particolare, assai complessa, che sostituisce la cuticola, cui rassomiglia moltissimo. Siffatta membrana venne fino ad ora riscontrata in pochis- sime piante allo stato normale e in un caso in produzioni patelogiche. Ad essa abbiamo dato il nome di epitelio cuticolare col quale appun- to vennero dal Damm descritte le produzioni similari del Viscum e di altre piante a cuticola persistente. 7) Molto frequentemente reagisce il palizzata, a condizione, bene ‘ inteso, ehe lo sfregamento venga effettuato, come negli esempi da noi studiati, sulla pagina superiore della foglia. 8) La reazione si manifesta colla formazione di nuovi elementi 5 dP EE EN MT LAUR. IB. S 66 - LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO previo allungamento e allargamento delle cellule madri. Il numero del- le cellule neoformate talora è scarso, talora è grande, e i setti che dan- no luogo alla comparsa delle stesse sono di preferenza periclinali. Non mancano però i casi in cui si hanno dei setti con varia inclinazione, sia che le cellule si trovino nel mezzo della parte lesa, sia ai bordi di questa. 9) Pure molto comune è l’ispessimento delle pareti. Le cellule as- sumono perciò i caratteri degli elementi meccanici. Inoltre nei tratti ispessiti della membrana compaiono delle punteggiature vistose. L’ i- spessimento è talora totale; più raro è l’ispessimento dal lato in cui le cellule in attiva reaziane confinano con le cellule sovrastanti schiac- ciate. 10) L’ingrandimento delle cellule porta alla restrizione degli spa- zi intercellulari e alla formazione di un *essuto piuttosto compatto. 11) Le reazioni neoformative o semplicemente attive possono ef- fettuarsi a varia profondità; molte volte poi sono Barock piani di cellule che reagiscono contemporaneamente. 12) La reazione porta spesso alla suberificazione che d’ ordinario si localizza alle cellule neoformate più superficiali. Nei casi di lesioni gravi tutto quanto il tessuto neoformato suberifica. Colla suberifica- zione, o indipendentemente da questa, ha pure luogo la lignificazione che si localizza poi spesso sulle cellule che acquistano caratteri mec- canici. Le cellule più discoste dalla superficie d’ordinario conservano pareti cellulosiche. 13) Quanto maggiore è il numero dei piani di cellule schiacciate tanto più profondamente avviene la suberificazione che quasi mai in- teressa le cellule schiacciate. 14) Quando il soffregamento venga effettuato sopra cellule poco differenziate come ad esempio sono quelle degli epitemi, noi vediamo che le stesse pure suberificano. In generale (Crassulacee) di strati più superficiali dell'epitema non subiscono alterazione apparente, mentre la suberificazione compare nel 2° o 3° strato al di sotto dell’ epider- mide e a quanto pare le cellule modificano le pareti, senza subire di- visioni o ingrandimento notevole. DI REMI EE ee LE EE ESEN CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 67 15) Gli elementi specifici dei fasci vascolari non reagiscono atti- vamente: le loro guaine però proliferano. 16) Trattandosi di cellule eristallifere o secretrici o non si osser- va reazione di sorta o avvengono delle curiose reazioni come è il ca- so della formazione di tilli in seno alle cellule cistolitiche, colla scom- parsa della massa di carbonato calcico. Talvolta suberifica l’impalca- tura del cistolito e la membrana cellulare dallato rivolto verso la ca- vità. Per quanto riguarda le cellule con ossalato di calcio è dubbio se questa sostanza scompaia. 17) Le reazioni proliferative si accompagnano d’ordinario collo e- saurimento dei contenuti cellulari: diminuisce perciò il protoplasma, l'amido si fa scarso, e la stessa sorte tocca ai granuli di clorofilla e ad altri costituenti importanti della cellula. In compenso aumentano certe sostanze o se ne creano delle nuove (tannino, gomme, sostanze coloranti che impregnano le membrane o il contenuto ete). 18) La proliferazione cellulare è preceduta, almeno nei casi in cui abbiamo espressamente fissata la nostra attenzione, dalla cariocinesi. Mentre è noto che molti autori ritengono che questa non si verifichi o compaia assieme alle amitosi. Il processo cariocinetico sviluppa poi la placca in senso perielino, ma anche frequentemente in vario senso ed il setto che ne risulta in qualche caso non si forma contempora- neamente per tutta la larghezza della cavità cellulare. Specialmente interessante ò lo studio delle neoformazioni cellula- ri in seno alle grandi cellule madri di origine epidermiea dei Ficus (Cellule epidermiche profonde). 19) I punti lesi ispessiscono spesso notevolmente e il tessuto neo- formato forma come una bozza sulla superficie del lembo assumendo tutti quanti i caratteri delle produzioni, di indole suberosa che furono studiate dal Backmann, dal Borzi e da altri autori (1) le quali devo- (1) In una foglia di Magnolia grandiflora Lin. (fig. 17) in cui per un accie dente di ignota natura erasi formata una lesione, o perlo meno una produzio- ne analoga a quelle descritte dal Bakmann, abbiamo riscontrato che la zona i- spessita aveva i seguenti caratteri che ricordano quelli da noi ad arte ottenuti: L’ epidermide erasi fusa coli’ ipoderma ed intanto il palizzata aveva proliferato 68 LUIGI BUSCALIONE E GIUSEPPE MUSCATELLO no la loro origine a cause tuttora in gran parte ignote. Raramente il tessuto leso è più infossato del circostante sano. I noduli prominenti sono per lo più circoscritti da un tessuto sugheroso, oppure dall’epite- lio cuticolare, quando non lu sono dallo stesso palizzata che ha man- tenuto immutati i suoi caratteri o ha solo ‘alquanto allungato i suoi elementi. Z0) L’ispessimento del tessuto, le neoproduzioni cellulari, la com- parsa di cellule suberificate, lignificate e persino di selereidi, l'allunga- mento infine che subiscono certi elementi sono caratteri che hanno lon- tana rassomiglianza con quanto accade in ta'une calle. Pare adunque che la continuità dello stimolo e la mitezza di questo siano due con- dizioni favorevoli alla comparsa di tessuti più o meno specializzati. Sta tuttavia il fatto che il maggior perfezionamente che si osserva nelle produzioni gallicole può essere anche il prodotto di altri fattori (stimoli chimici ete.). Inoltre stimoli traumatici forti e che agiscono u- na volta sola producono pure delle cellule specializzate, come vedremo in seguito. Lesioni ottenute collo sfregamento di foglie sprovviste o poco . fornite di cera (Monocotiledoni) Yucca filamentosa Lin. Epidermide ispessita; parenchima verde molto robusto, formato alla periferia da cellule rettangolari piuttosto intimamente fra loro unite e più decisamente foggiate sul tipo di quel- le proprie del palizzata in corrispondenza della pagina superiore della foglia. La parte centrale di questa è occupata da un parenchima di cellule rotonde che lasciano fra loro dei piccoli meati. Sotto l’azione dello sfregamento l’epidermide si stacca dal sotto- stante tessuto pur tuttavia rimanendo aderente alla foglia. Al di sotto si formano parecchi piani di cellule suberose. per dar luogo alla formazione di più strati di cellule tubulari sovrapposte, a pa- rete fortemente ispessita. L’ispessimento si faceva meno sensibile verso l’interno, per cui il lacunoso apperiva del tutto norma!mente costituito. Le cellule ispes- site erano munite di punteggiature e quelle più esterne si presentavano suberi- ficate (talora anche lignificate). * CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 69 Scilla peruviana Lin. Si schiaccia l'epidermide e alcuni strati sot- tostanti: le cellule con questi confinanti si ingrossano e suberificano. In un punto si è trovato un accenno di epitelio cuticulare ma ridottis- simo, come pure si è osservata qualche divisione, più o meno inclinata negli elementi in via di suberificazione e in quelli sottostanti. Strelitzia Augusta Thunb. Epidermide inferiore fatta di cellule piccole fortemente cutinizzate: ipoderma costituito da elementi stirati in senso tangenziale e piuttosto robusti: lacunoso di cellule stellate che in vicinanza dei fasci diventano simili a quelle di un tipico palizzata: al di sopra compare poi quest'ultimo a cellule strette allungate, cui tengono dietro degli elementi grandi ovali od irregolari a pareti ro- buste ondulate, intimamente fra loro saldati e formanti un grosso ipo- derma; infine l'epidermide superiore a cellule piccole rivestite da ro- busta cuticola. Il tessuto verde è interposto tra i fasci vascolari i qua- li, occupando quasi tutto lo spazio compreso fra le due epidermidi, eir- eoserivono delle concamerazioni riempite, come si è detto, dal tessuto fondamentale verde. Non si è osservata alcuna reazione, tutt'al più abbiamo notato la comparsa di masse tanniche nel palizzata in seguito allo schiacciamen- dei tessuti più superficiali. Bromelia antiacantha Bertol. Le cellule dell’ ipoderma dapprima ingrandiseono e poi si tramezzano suberificando. Alpinia nutans Roxb. Incontrasi pressochè la struttura che abbia- mo segnalato nelle foglie di Strelitzia, poiché proeedendo dal lato su- periore verso l'inferiore troviamo un epidermide a cellule rettangolari, poi delle grosse cellule d'ipoderma per lo più formanti due piani, al di sotto delle quali si stratifica il p^lizzata le cui cellule sono allun- gate assai: infine vi è il lacunoso con elementi piuttosto irregolar- e l'epidermide inferiore. Le cellule si schiacciano senza che per questo fatto si abbia an accenno di reazione all'infuori dela comparsa del tannino negli elei menti ipodermici e del palizzata. Lo schiacciamento è però poco accentuato a causa dei cordoni meccanici che incapucciano i fasci e formano delle travature di resi- stenza estese da un'epidermide all'altra. 70 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Oltre a queste piante noi abbiamo ancora rivolta la nostra atten- zione a molti altri tipi, ma senza alcun risultato, avendo quasi co- stantemente osservato che le foglie nel punto leso ingialliscono, e van- no incontro alla necrosi che talora si estende assai al di là del punto soffregato. In generale la mancata reazione dipende dall’essere le foglie di molte Monocotiledonee troppo tenere e sottili. Non possiamo tuttavia dimentare che nelle Monocotiledoni la tendenza alla formazione di tessuti suberosi è meno generalizzata che nelle Dicotiledoni, ciò che forse potrebbe spiegarsi l’insuccesso ottenu- to in molte piante. Però contro siffatta ipotesi sta il fatto che delle vere formazioni lenticelloidi nelle Monocotiledoni furono riscontrate da più di un’ autore, sebbene quasi sempre in piante dotate di fusto perenne, provvisto per lo più di produzioni peridermiche. Daremo più tardi, nelle conclusioni, la probabile spiegazione di questo singolare comportamonto. Sotto il punto di vista che ci interessa le Monocotiledoni si av- vicinerebbero adunque alla Crittogame superiori, nelle quali le reazio- ni ai traumi avvengono senza formazione di periderma. Faremo in- tanto rilevare che anche per quanto concerne la formazione dei fasci vascolari le Monocotiledoni si allontanano dalle Dicotiledoni avendo Freundlich osservato che i vasi di raccordo reperibili attorno alle fe- rite, non si formano nelle foglie delle prime. Lesioni ottenute collo sfregamento di fusti alati e fogliformi Per completare questo argomento abbiamo creduto opportuno di studiare quali fenomeni avvengono negli organi fogliformi di aleune Monocotiledoni (Ruscus e Semele) paragonando di poi i risultati con quanto si osserva nei fusti pure espansi di talune Dicotiledoni (Mueh- lembeckia). Semele androgyna Lin. Il cladodio si mostra rivestito da due epi- dermidi a cellule rettangolari, piuttosto grandi, contro le quali viene a poggiare un palizzata atipico nel senso che le cellule non sono ovun- que allungate perpendicolarmente alla superficie, bensì più o meno DEE eg EE E CS CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI Fc GLIARI 71 cubiche, rotonde od irregolari, e delimitanti perciò quasi sempre degli spazi intercellulari come quelle del lacuneso. La regione assile dell’or- gano è occupata da elementi privi di clorofilla, molto ampi ed irrego- larmente ovalari. I fasci vascolari occupano gran parte della regione trasversale del cladodio. Le ripetute soffregazioni col fazzoletto provecano molte volte sol- tanto l’accasciamento delle cellule epidermiche: in altri ca i si ha la comparsa di qualche raro setto trasversale nel sottostante palizzata. Se poi lo strofinio è stato un po’ intenso le cellule epidermiche anda- te a male formano, colle loro membrane e coi residui del contenuto profondamente metamorfizzati, una specie di epitelio cuticolare (fig. 18). In taluni cladodî stati ruvidamente trattati e di poi abbandonati (fig. 19) a sè per parecchi mesi abbiamo veduto comparire un vero cuscinetto suberoso per tutto analogo alle produzioni state descritte dal Borzì e Backmann. Il tessuto neoformato, sporgente sulla circostan- te epidermide sana, risultava costituito da parecchi piani di cellule rettangolari a pareti robuste e vuote. Siffatto periderma deriva dal tessuto a palizzata, od anco da quello più profondo. Le divisioni cellulari che hanno preceduto la formazione del cu- scinetto suberoso, per quanto si può giudicare dell'esame di produzioni aventi oramai raggiunto lo stato adulto, dovettero procedere in ordine, centripeto. Ruscus Hypophyllum Lin. Il cladodio secca, previo imbrunimento, per cui non si ottiene alcuna reaziene. Muehlembeckia platiclados Meisen. L'epidermide è costituita da cellule rettangolari la cui membrana è poco ispessita sulla faccia e- sterna e molto esile sulle altre. Succedono all’epidermide tre o quattro piani di cellule rettangolari o cubiche abbastanza intimamente fra lo- ro unite e rappresentanti perciò un palizzata più o meno ridotto. Il tessuto verde però manca al davanti dei fasci i quali sono dal lato del libro rinforzati da una guaina meccanica che arriva fino quasi all’epidermiae. | Al di sotto del palizzata incontrasi l'endodermide formata da u- na fila di cellule poligonali a pareti ispessite e lignifieate. Il centro dell’organo è occupato da un tessuto midollare a grandi elementi vuoti' 72 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Sotto lo stimolo dello sfregamento si ha innanzi tutto l’allunga- mento in senso radiale delle cellule più esterne del palizzata e lo schiacciamento di quelle epidermiche. Un po’ più tardi il tessuto ver- de prolifera per formare parecchi piani di piccole cellule suberificate Quando la reazione tende a diffondersi si osserva una singolare mo- dificaziane di struttura nello sclerenchima liberiano e nell'endoderma, inquantoquè nei due tessuti scompaiono a poco a poco gli ispessimen- ti delle pareti cellulari che, ridotte di poi a esili lamelle, suberifica- no (1). Si è pure osservata la suberificazione degli elementi del libro ed allora questo processo si estende anche ai grandi raggi midollari, se così si possono chiamare gli ampi spazi pieni di tessuto fondamen- tale interposti fra i fasci. Non infrequentemente infine suberifica sol- tanto il midollo o i cordoni selerenchimatosi dei fasci. Risulta soltanto dai fatti esposti che in generale gli organi for- gliformi d'origine assile, siano essi appartenenti a specie monocotile- donee. o alle dicotiledonee reagiseono abbastanza bene allo sfregamento producendo dei tessuti di varia costituzione, in cui però prevale il pe- riderma. In talune Monocotolidoni fornite di cladodî la reazione è tut- tavia — almeno nei nostri esperimenti — mancata. Lesioni dovute alla causticazione col nitrato d'argento I risultati ottenuti colle azioni meccaniche ci hanno indotto a ri- volgere la nostra attenzione alle reazioni che avvengono quando si caustichi col nitrato d’argento l'epidermide fogliare la quale sotto la azione del reattivo si altera senza tuttavia staccarsi, il che deve aver per effetto di dare ai processi neoformativi un’impronta differente da quella che regola i processi di cicatrizzazione dovuti a ferite, in cui la soluzione di continuità contribuisce ad alterare profondamente e ra- pidamente i tessuti. Le causticazioni vennero eseguite alla faccia superiore del lembo, previo umettamento di questa, ed avendo cura di non prolungare troppo (1) Un analogo comportamento fu dal Massart osservato nelle lesioni di ta- luni fusti normalmente conformati. CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 78 il contatto della matita caustica colla foglia. Questa veniva di poi stac- cata dalla pianta parecchi mesi dopo e ben tosto sottoposta all'esame microscopico. Riportiamo qui i risultati ottenuti: a) Dicotiledoni. Ficus repens Willd. Roxb. Il sale d’argento si espande in tutti i tessuti, accumulandosi nelle cellule sotto forma di granuli neri. Ciò non di meno non si è osservato alcuna reazione, all'infuori dell’ingial- limento dei contenuti plasmici nella zona lesa. Ficus elastica Roxb (fig.20). Nei punti in cui l'AgNO, ha agito con maggiore intensità si forma una bozza, per proliferazione del parenchima fogliare, rivestita dall'epidermide. Le cellule di questo tessuto sono al- quanto schiacciate, ma più per effetto della compressione esercitata dai sottostanti elementi che dal sale d'argento. Infatti i setti sono obliqui, rispetto alla superficie, nelle grandi cellule epidermiche pro- fonde non collabite. Sui margini della lesione queste ultime e quelle del piano epider- mico mediano si dividono attivamente e disordinatamente per formare nel loro interno parecchi elementi giustaposti di forma irregolare e prevalentemente allungati tangenzialmente alla neoformazione. A mag- gior distanza del tessuto malato si ha sol più qualche setto radiale nelle cellule epidermiche profonde. Il tessuto a palizzata &, nel cuore della lesione , assai sollevato, mentre le sue cellule mostransi pure schiacciate. All’opposto sui bordi esso prolifera formando un forte accumulo di elementi giovani AI di sotto del palizzata, ma sempre limitatamente alla porzione centrale della bozza, incontrasi un tessuto pieno di sostanza bruno giallastra (che in copia più o meno grande colora tutta quanta la neo- produzione) la quale non permette più di distinguere i contorni degli elementi, ad eccezione dei vasi dei fasci poichè nell’ambito di questi è meno densa. Gli elementi situati al di dietro del tessuto ingiallito si allungano a guisa di otricoli grossi irregolari, dalle pareti sottili. Rivolti colla 74 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO base verso il tessuto lacunoso siffatti elementi si mostrano tramezzati prevalentemente in senso tangenziale e limitatamente alla porzione basale. Le cellule figlie più esterne sono schiacciate al punto da formare una specie di lamina continua che circonda tutto il tessuto patologico separandolo dal lacunoso. Questo non è neppure a sua volta del tutto normale, poiché le cellule di cui consta appaiono alquanto ingiallite , al pari dell’epidermide inferiore ed inoltre sono anch’esse più o meno segmentate irregolarmente, per cui gli spazi intercellulari riescono o- bliterati, o per lo meno ristretti. Lo schema testè descritto corrisponde al casi in cui la reazione è stata molto violenta. Quando questa è leggera si ha solo proliferazione delle cellule epidermiche colla comparsa della colorazione giallastra nei tessuti in divisione e in quelli sottostanti. Anche molto variabili sono le dimensioni degli otricoli che talora mancano quasi del tutto per essersi divisi ripetutamente. Noi non abbiamo potuto seguire la sorte cui vanno incontro i ci- stoliti e le cellule che li albergano, poichè ci siamo limitati a esami- nare delle foglie nelle quali il ciclo di reazione aveva raggiunto il termine. Si è però constatato che in mezzo al tessuto neoformato esi- stevano dei grandi otricoli vuoti che forse derivavano da cellule cisto- litiche, come ce l’attestava il fatto che molti avevano ancora nel loro interno il peduncolo siliceo del cistolito. In una cellula si è notato la presenza di tilli. Asportando coll'aequa di Javelle il contenuto e colorando col Su- dan III si riesce a stabilire che le neoformazioni patologiche si formano di preferenza in vicinanza dei fasci vascolari, donde la frequenza di questi nell’interno delle stesse. Si nota inoltre che il palizzata diventa atrofico e le cellule perciò notevolmente impicciolite. Al di sotto poi di questo tessuto compaiono degli elementi suberificati nella loro to- talità, o per lo meno parzialmente. La stessa sorte tocca pure alla lamina di cellule schiacciate che separa gli otricoli dal lacunoso. In quest'ultime appaiono degli sclereidi punteggiati che pues non sono costanti. Ficus Sycomorus Lin. Nessuna reazione ci ha offerto all’ infuori di qualche divisione nelle cellule epidermiche situate sui bordi della Ze e Ze EE ina liti SE ore WEE SR” MO LS E SARE IT E ER ER | POR, E re EE e GET Gal ee e © Zb: + x ATE BAM 7 CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 75 regione causticata. Il tessuto a palizzata appare pieno di granuli neri. Ficus Beniamina Lin. (fig.21). Il nitrato d’ argento provoca la seg- mentazione delle cellule epidermiche, limitatamente però allo strato pro- fondo il quale, quando la causticazione sia stata un po’ energica, si tra- sforma in un ammasso di piccoli elementi inclusi nelle cellule madri. Il tutto poi suberifica. Frattanto ha luogo la occlusione delle cellule a cistoliti per mezzo di tilli, costituiti da piecole cellule suberificate che derivano dai circostanti elementi epidermoidali o da quelli più profondi (ralizzata, parenchima dei fasci ece.). La cellula del eistolito va di- strutta, come tale, e le sue pareti suberificano in tutto o solo parzial- mente. Se la causticazione è stata troppo grave le cellule epidermiche e quelle del palizzata non reagiscono, ma in compenso si ha un’intensa proliferazione del lacunoso con formazione di bozze analoghe a quelle che compaiono nelle foglie di Ficus elastica causticate. La reazione può talora estendersi fino all'epidermide inferiore. Nella maggioranza dei casi invece spetta alle cellule del palizzata di proliferare e gli elementi neoformati conservano le pareti cellulosiche. Ficus religiosa Forst. (fig. 22) Le cellule epidermiche schiacciate si riempiono di masse bruno-nerastre. Contemporaneamente si inizia la produzione di grandi otricoli a spese del palizzata e del lacunoso, ta- luni dei quali si segmentano trasversalmente una o due volte. Alcuni di essi assumono dimensioni veramente grandi, mentre si impoveriscono del contenuto e imbruniscono, Co le causticazioni energiche anche il palizzata si atrofizza e al- lora ingrossano gli elementi del lacunoso. I grandi otricoli che oc- cupano spesso !/, della sezione trasversale suberificano di poi le pareti. I cistoliti, nei nostri esemplari, non hanno preso parte attiva al processo: essi appaiono semplicemente inglobati nel tessuto neoformato. Si è pure osservato la necrosi totale del tessuto causticato: in tal caso nessuna reazione aveva luogo. Ficus rubiginosa Desf. Prolifera il palizzata i cui elementi inoltre si allungano tanto da schiacciare le sovrapposte cellu'e epidermiche e perfino quelle a cistoliti che però spesso si riempiono invece di tilli. Il palizzata si arricchisce di masse tanniche, ma le pareti conservano 76 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO inalterata la loro costituzione. Le lesioni anche qui appaiono di pre- ferenza localizzate sui fasci vaseolari. l Eucalyptus globulus Labill. (fig. 23) Per lo più le lesioni assumono forma nodulare con cellule neoformate disposte regolarmente in strati concentrici, piene di masse gialle tanniche e simili a quelle del paliz- zata, ma con membrane suberificate. La produzione patologica pur sporgendo talora dalla superficie della foglia si affonda nel tessuto ed è circondata, ma non in modo continuo, da elementi di felloderma. Assai spesso a causa di tensioni che si sviluppano nell’ interno della massa neoformata questa si rompe nel mezzo, diventando erate- riforme. Nelle lesioni gravi le cellule superficiali della massa neoformata hanno pareti cellulosiche, quelle profonde suberificate. Viburnum lucidum Mill. (fig. 24) Ha luogo una forte tumefazione della parte lesa con notevole imbibizione tanniea dei tessuti. L'epider- mide però non presenta alterazioni di forma, come non paiono gran che alterate le cellule del palizzata. All’opposto gli elementi sottostanti si allungano, si allargano e si vacuolizzano. Il processo appare anche qui localizzato di preferenza lungo le nervature ed anzi queste pren- dono parte alla neoformazione poichè gli elementi parenchimatosi del fascio si allungano a loro volta dirigendosi verso il tessuto neoformato quasi che il fascio dovesse innervarlo. Coll’ingrossamento degli elementi ha pure luogo la segmentazione cellulare, con formazione di elementi abbastanza irregolari. Merita intanto di essere rilevato che le cellule sottostanti al pa- lizzata ispessiscono talora notevolmente le pareti del lato rivolto verso il palizzata stesso, ed inoltre le inerostano di suberina. Il fenomeno non é tuttavia costante essendosi osservato che la suberificazione invade molte volte le membrane delle cellule del lacunoso sottostanti a quelle che ispessiscono parzialmente la parete. Eugenia uniflora Lin. (fig. 20) Qui abbiamo un forte rigonfiamento dei punti lesi, specialmente lungo le nervature, dovuto prevalentemente ad allungamento del palizzata eristalligero ed all'epidermide. = Le cellule del lacunoso si allungano pure formando degli otricoli grandi giallastri, a pareti sottili, spesso però suberificati e poveri di D DER RTS CN Eat een ER I Aa Ts dace ei ge" "Se ee A een CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DÉLLE LESIONI FOGLIARI T contenuto. Raggiunto che hanno una certa dimensione questi elementi si tramezzano in senso periclino rispetto alla neoformazione eon pro- duzione di piceole cellule. Talora invece, siffatti grandi elementi si tramezzano tutti quanti allo stesso livel'o, con un unieo setto di guisa che ne risultano due strati concentrici di cellule piuttosto vistose, le esterne delle quali mantengono le pareti cellulosiche, le interne invece suberificano. Alla formazione del tessuto di otrieoli prendono spesso anche parte le cellule del palizzata profondo. Pharfugium grande. Benchè il tessuto patologico sporga alquanto sul livello dell'epidermide abbiamo notato soltanto che le cellule del palizzata diventano grandi e talora anche si dividono (2? strato), mentre le cellule dell'epidermide si schiacciano. La causticazione non era stata tuttavia molto grave. Rumex nervosus Vahl. La causticazione fa collabire le cellule epi- dermiehe provoeando in pari tempo la vaeualizzazione del sottostante tessuto, i cui elementi poi assumono dimensioni notevoli. Acacia pycnantha Benth. (fig. 26) Le cellule esterne del palizzata si ipertrofizzano e talora anche si dividono. La parte lesa, che viene a sporgere notevolmente «ul eircostante tessuto sano, si riempie di tan- nino; eontemporaneamente si accentua una curiosa metamorfosi delle pareti cellulari. Queste dapprima si rivestono di un intonaco giallastro, irregolarmente stratifieato il quale al Sudan III non svela la presenza di suberina, mentre coi sali di ferro dà le reazioni del tannino e colla floroglucina e HCl quelle della lignina. E’ una sostanza complessa che a poeo a poco si trasforma in sostanza della parete per cui all'ultimo le membrane appajono notevolmente ispessite e attraversate da nume- rose punteggiature rotonde. Questo processo interessa tutti gli strati del palizzata mentre rispetta il midolio. Acacia cultriformis Hook. (fig.27) e A. uncinella Bth. Nella prima si è ottenuta una reazione alquanto differente, rispetto all'A. pycnantha pel fatto che le cellule epidermiche e quelle sottostanti del palizzata si allungano al di sopra dei fasei per formare un tubercolo costituito da cellule irregolarissime. Più tardi al posto dell'epidermide appare un epitelio cuticolare. In casi gravi le cellule del palizzata si allungano, x 78 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO dividonsi e poi suberificano le pareti, sia totalmente, sia in corri- spondenza soltanto delle cellule neoformate. Qualche volta abbiamo pure incontrato ün ispessimento della cu- ticola sopra le cellule epidermiche tramezzate. Molto elegante è la reazione nell’Acacia uncinella in cui tutto il palizzata si allunga stra- ordinariamente formando una bozza assai rilevata. Le pareti delle cel- lule ipertrofiche sono assai ispessite. (27 bis). Mesembryanthemum acinaciforme Lin. Ingrandiscono le cellule sottostanti all’epidermide. Osmauthus Aquifolium Sieb. Nessuna reazione distinta. Paratropia umbraculifera H. Pan. Nulla di notevole. Photinia serrulata Lindl. (fig. 28) Avvengono delle reazioni varia- bili, poichè talora si ispessisconodelle cellule delle pareti lacunoso, che poi si presentano ricoperte, dal lato che guarda gli spazi inter- cellulari, di piccoli bitorzoletti analoghi a quelli strati osservati da più di un autore nelle Marattiacee, dal Mattirolo e Buscalioni nel te- gumento seminale delle Leguminose. Altre volte tutto il tessuto muore, oppure si forma dell’ordinario periderma che però, per lo più, nasce profondamente e incapsula il sovrastante palizzata degenerato. Olmediella Cesatiana Baill. (fig. 29) Il grande spessore che presen- tano le pareti cellulari dell'epidermide non permette la distensione della parte lesa. Come conseguenza di ciò le cellule del palizzata si pie- ghettano a guisa di un mantice soito la pressione dei sottostanti ele- menti che dopo essersi iugranditi in tutti i sensi si segmentano. Le cellule neoformate sottostanti al palizzata ispessiscono le pareti dal lato rivolto verso questi elementi. Gli strati più profondi del paren- chima fogliare ampliano, ma in modo irregolare, le cellule. Tutto il tessuto neoformato, ad eccezione del palizzata e delle cellule più lon- tane dal punto più gravemente ammalato, suberificano. Gleditschia Fontanesii Spach. Ingrandiscono e suberificano le cellule del lacunoso sottostanti al palizzata. Il tessuto poi si riempie di tannino. Laurus canariensis Webb. et Berth. (fig. 30) La parte ammalata forma una specie di bitorzolo, bruno-nerastro per tannino, alla super- ficie della foglia. La proliferazione è attiva, tanto che si forma un tessuto a piccole cellule, disposte in giri concentrici. CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 79 Coll’ esportazione del tannino si riesce a riconoscere che gli ele- menti più superiiciali hanno membrane sottili, que'li sottostanti sono suberificati; a questi succedono delle piccole cellule fellodermiche e fellogeniche, con membrane cellulosiche ed infine un grosso strato di elementi dalle pareti ispessite e probabilmente lignificate sulle quali abbondano le punteygiature. Questo strato forma un vero tessuto scle- roso protettore che isola tutto quanto il tessuto malato da quello sano. La sclerosi perciò colpisce indifferentemente , a seconda dei punti, il palizzata o il lacunoso. Melodium scandens Forst. Si è trovato soltanto un po’ di tannino nel tessuto assimilatore. Cotiledon quitensis. Bak. Si forma l’ordinario periderma un po’ al di sotto dell'epidermide. Intanto si ha un’intensa proliferazione accom- pagnata da un notevole allungamento delle cellule del parenchima profondo e per cui si formano delle bozze e verruche rilevate e rico- perte da tessuti più superficiali necrosati. (fig. 37) Senecio Kleinoides Oliv. Si forma, un po’ al di sotto delle cellule morte, un grosso strato di sughero, i cui elementi sono piuttosto ampî. Dietro a questo le cellule si allungano esi allargano notevolmente, e solo tornano a presentare un aspetto normale al di là della cerchia dei fasci. Qua e colà si ha qualche divisione nelle cellule. Talora anche la guaina dei fasci prende parte al processo nel sen- so che i suoi elementi proliferano ed allora al di sotto dello strato suberoso si incontrano dei cordoni a cellule piccole, i quali fanno ca- po ai fasci. I canali ghiandolari in essi inglobati riescono obliterati. Myoporum punctulatum Schlecht. Nelle nostre esperienze abbiamo incontrato vari gradi di reazione a cominciare dalle lesioni in cui si avevano solo due o tre divisioni del palizzata. Da questo tipo si passava di poi alle produzioni caratterizzate da un’accumulo di piccole cellule suberificate, nate sempre dalla prolife- razione del palizzata. Infine si arrivava sino alle verruche sporgenti sull'epidermide e costituite da un’ammasso di cellule morte del palizza- ta sotto alle quali si aveva un robusto strato di sughero rafforzato a sua volta, dal lato esterno, da un mantello di felloderma. SiR o SU Dr cati iaia * RA Qu re dir" eg Ae Hh EX C ORC NA tav dre M 80 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Magnolia grandiflora L. Il tessuto secca, si riempie di tannino, mentre qua e colà si hanno delle cellule suberificate. b) Monocotiledoni. Yucca filamentosa Lin. Tutto il tessuto parenchimatoso superficiale muore assieme ai sottostanti fasci vascolari. Al di sotto di questi si forma un ammasso di elementi assai grandi, intimamente fra loro sal- dati, poveri di contenuto, che sollevano così il tessuto morto al di sopra dell'epidermide circostante sana. Mentre avvengono questi mutamenti le cellule neoformate ispessiscono le pareti e quelle necrosate mostransi piene di masse brune tanniche od anco di granuli di argento. Abbiamo pure osservato una lesione accidentale, da causa ignota, in cui si erano notevolmente allungate radialmente le cellule sotto e- pidermiche e di poi tramezzate più volte in corrispondenza dell’estre- mità rivolta verso l’esterno. Clivia nobilis Lindl. Si ammala per lo più il tessuto centrale della foglia costituito da cellule grandi circoscriventi delle lacune aeree. Gli elementi diventano notevolmente più grossi ed in pari tempo ispessi- scono le pareti con deposito di masse mucilagginose gommose. Qualche volta si ammalano anche gli strati superficiali ed allora si forma del sughero sottoepidermico, o piùo meno profondo. In que- st'ultimo caso tra la neoformazione sugherosa e l'epidermide si inter- pone uno strato di tessuto neerosato. Il tessuto sugheroso, dal lato ri- volto verso l’esterno, ispessisce le membrane che assumono così l'aspetto di una cuticula. Crinum Cooperi Herb. (fig. 31). La foglia risulta costituita da un epidermide a cellule piuttosto grandi e rivestita da una cuticola non eccessivamente ispessita. Il palizzata forma un solo strato e ad esso fanno seguite due o più piani di cellule rotonde ed ampie. Questo tes- suto non è però continuo, di guisa che risultano nell'intervallo tra i fasci, delle grbsse cavità o lacune aeree. Al di sotto delle cellule in questione compare l’ epidermide inferiore conformata pressochè sullo stampo di quella superiore, ma fornita di cellule più piccole. I fasci vascolari occupano pressochè tutto lo spessore della foglia EEE CU a CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 81 che è assai robusta: essi sono circondati da una guaina di piccoli ele- menti a pareti sottili, che però in corrispondenza dei due poli del fa- scio si trasformano in cellule meccaniche. Sotto l’azione dell'AgNO, gli strati più superficiali non mutano a- spetto; solo si mostrano ripieni di granulazioni nerastre. Succede di poi uno strato di grandi cellule suberificate le quali derivano dal pa- lizzata (elementi situati sui bordi della lesione) o dai tessuti più profon- di. Lo strato decorre quasi parallelo alla superficie fogliare pur affon- dandosi più o meno qua e colà. Al di sotto della zona suberosa compaiono dei lunghi e larghi o- tricoli, quasi sempre parecchie volte tramezzati trasversalmente, ognuno dei qaali mette capo ad una delle cellule del tessuto suberoso, quasi che ne siano la continuazione e dalle stesse derivino. Più profonda- mente le cellule tornano alla forma normale, o si mostrano più grosse dell’ordinario. Degno di nota è il fatto che i grandi otricoli si dirig- gono spesso verso le lacune aeree tillandole più o meno completamen- te. Gli elementi endocavitari sono in special modo vistosi e terminano con una cellula a capocchla: molti poi non sono tramezzati. La parte malata è più ispessita di quella circostante sana. Aemanthus coccineus L. Muore il tessuto superficiale, per cui la foglia nel punto malato appare assottigliata, ma intanto proliferano le cellule dello strato assile che si allungano anche a guisa di tubi pol- linici riempiendo, in forma di tilli, le grandi lacune aeree che attra- versano il parenchima fogliare. E’ evidente che la formazione di tilli avviene solo quando souo disturbati i rapporti di nutrizione: altrimenti non si comprenderebbe come le cellule confinanti colle lacune non abbiano a proliferare in seno a queste anche quando la foglia è sana. L'aria contenuta nelle lacune aeree comunicando con quella ester- na per mezzo degli stomi, viene a trovarsi sotto una pressione che non differisce notevolmente da quella dell’aria atmosferica, di guisa che difficilmente riesce a spiegare una notevole pressione o spinta sui circostanti tessuti, i quali potrebbero quindi facilmente tillare la cavità. | Ora se questo non avviene dobbiamo trovare la spiegazione del feno- meno nella natura stessa delle cellule circostanti ai meati le quali 6 82 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO quando hanno raggiunto un certo sviluppo non si mostrano più capaci di un ulteriore accrescimento, purchè ben inteso, non vengano eccitate, come nel caso delle spennellazioni di AgNO,, a crescere ulteriormente. Quanto abbiamo osservato in questa specie e nel Crinum può por- tare molta luce sulla questione dei tilli vasali, la cui formazione è sog- getta a momenti speciali, non ancor ben chiariti, ma che, certo, non vanno ricercati nella deficienza, pura e semplice, di acqua nei vasi. Lo sviluppo di otricoli colossali nelle foglie delle Monocotiledoni attraversate da grandi cavità aeree (Crinum, Aemanthus etc.) ci ha in- dotto a studiare come si comportano i nuclei di siffatti elementi, sia durante l'accrescimento della cellula che nel processo di divisione del- la stessa. Lo studio si imponeva anche pel fatto che non tutti gli au- tori sono concordi sulla sorte cui va incontro il nucleo nelle cellule n divisione dei tessuti patologici, riputando taluni che esso si fram- menti, altri che si divida per mitosi, avendo osservato alcuni dei pro- cessi picnotici, altri delle forme irregolari di nuclei atte ad indicarci o un processo di frammentazione o una deformaziene del nucleo, per effetto dei movimenti di cui esso sarebbe suscettibile. Le nostre ricer- ‘che si sono limitate al Crinum ed all’ Aemanthus, le cui foglie vennero fissate in alcool dupo uno, due o più giorni dall'avvenuta causticazione col nitrato d'argento. Praticati di poi i tagli questi vennero lasciati a lungo nell'allume di ferro al 5 ?/, e di poi colorati (previo lavaggio) coll’ematossilina e quindi parzialmente decolorati collo stesso allume. La osservazione veniva eseguita in balsamo. Ottimi risultati ci ha dato il Crinum, le cui cellule suberificate ci hanno dimostrato la presenza di nuclei piccoli, atrofici, in stato di e- vidente pienosi. I tessuti sottostanti, formati di cellule parenchimatose, presentavano invece quasi sempre un nneleo normale: solo in rari ca- si abbiamo incontrato dei nuclei deformati, senza che tuttavia la de- formazione fosse tale da indurei a credere che essa fosse inerente a un processo di frammentazione. Non poche cellule contenevano un nucleo grosso, normalmente conformato, e queste forse erano in via di seg- mentarsi. Da ultimo qualche cellula presentava due nuelei, indizio che que- sti si erano divisi senza che fosse seguita la divisione cellulare. CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 83 Nel centro dei tessuto e nell’interno delle lacune i grandi otricoli, in vario stadio di sviluppo e di segmentazione, presentavano alfine dei grossi nuclei in riposo muniti di uno o più nucleoli, oppure dei nuclei in vario stadio di mitosi, (fig. 32). Queste si compievano secondo uno schema pressoché normale; non maneavano tuttavia delle piecole ano- malie nella costituzione dei fusi acromatici i quali spesso si prolunga- vano in una lunga coda ai singoli poli. Data la grandezza della cel- lula la figura cariocinetica occupava poco spazio del lume e quindi la membrana doveva formarsi successivamente. Dai fatti esposti riesce pertanto assodato che nei tumori e nelle alterazioni prodotte dalla causticazione al nitrato di argento le cellule si moltiplicano per cariocinesi. Aspidistra lurida Ker. Il tessuto malato si rattrappisce e riempiesi di tannino. Lo stesso fenomeno si osserva nella Billbergia. Dasylirion glaucophyllum Hook e Nolina sp. Nessuna reazione importante, se sì eccettua la presenza di tannino. Arum italicum Mill. (fig. 32 bis). Il tessuto malato si schiaccia mentre si riempie di tannino. Le pareti delle cellule del palizzata ap- paiono irregolarmente ispessite in seguito a depositi di una sostanza ialina poco resistente all’ acqua di Javelle e probabilmente di natura : gommosa. E: Canna indica Lin. Il tessuto malato si riempie di granuli di AgNO, 3 e si schiaecia. Scilla peruviana L. Nessuna reazione importante. Le cellule sot- toposte al punto causticato imbruniseono, collabiscono e si riempiono di granuli neri. E. Iris germanica Lin. Non si è avuto una reazione notevole: le cel- lule si schiacciano, il contenuto loro imbrunisee e trattate coll’ acqua di Javelle lasciano un residuo insolubile aderente alle pareti o si mo- strano piene di granuli neri. Smilax aspera Lin. (fig. 33). Quanto mai elegante ed anche un po’ fuori dell'ordinario è la reazione offerta da questa specie. L'epi- dermide ed il primo strato del palizzata reagiseono poco o tutt'al piü le cellule ingialliseono ed ispessiscono le pareti in guisa da assumere l'aspetto di elementi eollenchimatiei. Le cellule sottostanti invece si 84 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO allungano a guisa di otricoli, senza tramezzarsi, e spingono avanti le sovrastanti cellule, dando così origine ad una vescica. Il tessuto neoformato è pure giallo e tutte le pareti si mostrano in modo strano ed irregolare ispessite per l’apparizione di masse di na- tura non ben definita, ma appartenenti forse alla categoria delle gom- me. Qua e là però si notano ancora dei nuclei e del plasma nelle cel- lule ed anzi i primi appaiono più grossi dell’ordinario. Le masse di ispessimento resistono (almeno in parte) all'aequa di Javelle. Al di sotto il tessuto torna a farsi normale, pur presentando an- cora un leggero ispessimento delle pareti. Nelle cellule del parenchima in cui normalmente la membrana protende da più lati opposti nella cavità cellulare gli apici dei punti introflessi sono spesso rigonfiati. Il Sudan III non dà una netta reazione della suberina. Strelitzia Augusta Thunb. Nessuna reazione particolare: le cellule si riempiono del sale di argento; anneriscono e muoiono senza alterare la forma, o solo suberificando le pareti. Agave messicana Lam. Nessuna reazione. Dracaena Draco Lin. (fig 34) La foglia coriacea presenta, al di sotto dell’ epidermide, dei cordoni sclerenchimatosi fra i quali si stra- tifica il palizzata. Il nitrato d’argento altera le cellule verdi che si riempiono di tannino e ingraudiscono alquanto. La reazione di difesa si fa però al di sotto dei cordoni a spese del parenchima. Le cellule più superficiali aumentano di volume, ispessiscono le pareti rivolte verso il palizzata e formano così un periderma ad un tempo suberiti- cato e lignificato. c) Fusti alati Ruscus Hypophyllum Lin. I rami fogliformi non ci hanno offerta alcuna reazione. Talune cellule mostrano dei depositi verdognoli e ap- paiono più o meno alterate nel contenuto. Muehlembeckios platyclada Lin. (fig.35) L'asse appiattito suberifica le cellule del palizzata, ma solo nel caso che la causticazione sia stata leggera, altrimenti queste vengono distrutte e la reazione si svolge nel midollo, le cui cellule proliferano per dare del periderma o si trasfor- mano, senz’ altro, in grosse cellule suberificate che formano una specie CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI : e 85 di guaina attorno alla parte lesa. Il tannino invade i tessuti ed i vasi assieme al sale d’argento. Mancano le caratteristiche alterazioni dell’ endodermide che ven- gono provocate dallo sfregamento. Anche colle esperienze di causticazione si è potuto constatare che «foglie delle Dicotiledoni e in special modo quelle coriacee o succulenti reagiscono ottimamente, mentre le foglie delle Monocotiledoni o necro- tizzano in corrispondenza della lesione, o danno delle reazioni poco complesse: solo in qualche caso abbiamo invece osservato dei processi neoformativi che possono gareggiare in bellezza con quelli delle Di- cotiledoni. Sulle Gimnosperme non abbiamo alcuna osservazione (1), mentre dalle poche ricerche fatte sulle Crittogame superiori è risultato che il tessuto necrotizza quasi costantemente. In generale nelle Dicotiledoni, ed anco nelle Monocotiledoni , le reazioni corrispondono a quelle che si ottengono collo sfregamento; ma sono anche numerosissimi i casi in cui invece si hanno delle reazioni differenti. La causa di questo diverso comportamento va ricercata in- nanzitutto nell'azione più energica del AgNO, e in secondo luogo nel- varia intensità della causticazione o nel differente potere di reazione, a secondo della specie, delle foglie. | Con grande frequenza il tessuto fogliare reagisce al nitrato d’ar- gento sviluppando dei grossi otricoli (Smilax ed altre specie) e sotto questo punto di vista il comportamento si allontana alquanto da quel- lo osservato nei massaggi i quali per lo più determinano la comparsa di cellule non eccessivamente lunghe, poichè raggiunto un determinato sviluppo esse proliferano. (1) Mentre le presenti ricerche erano in corso di stampa, abbiamo pure espe» rimentato sulla Cycas ctrcinnalis, nel Cephalotaxus Fortune? e nel Ginkgo biloba. Nella Cycas (fig. 36) la parte malata ispessisce alquanto le pareti delle cellule del palizzata che si allungano e si vuotano di contenuto; si formano così delle bozze assai rilevate. Nel Cephalotaxus si è osservato la presenza di grossi ele- menti formanti una specie di cuscinetto sopra la nervatura ; infine nel Ginkgo abbiamo notato la presenza di piccoli bitorzoli , nei punti lesi, costituiti alla periferia da grandi cellule a pareti ispessite, nel centro da ammassi irrego- larissimi di tracheidi. L'epidermide si mostrava sana nelle neoformazioni. 86 x LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO D’altra parte le analogie fra le due sorta di lesioni sono grandi e noi rieorderemo la comparsa dei tilli nelle cellule eistolitiche, degli sclereidi nel Laurus canariensis, delle cellule a pareti ispessite e ligni- ficate nelle Acacie fillodiniche e infine di un epitelio cuticolare (raro però nelle lesioni da AgNO,) che ha luogo tanto in seguito allo sfre- gamento che alla causticazione. Nelle lesioni da nitrato d’argento il tessuto neoformato occupa una minore estensione essendo per lo più localizzato in vicinanza dei fasci vascolari, i quali poi prendono pure parte alla reazione pel fatto che le loro guaine proliferano. In conclusione adunque tanto col massaggio quanto col nitrato d’argento abbiamo il mezzo di provocare la comparsa di lesioni quanto mai interessanti e facili a seguirsi in tutto il loro ciclo evolutivo. Tagli fogliari A) TAGLI TRASVERSALI a) Dicotiledoni Per comprendere tutta l'importanza dei fatti analizzati si è ere- duto opportuno controllare i risultati che si ottengono in grazia del massaggio o del nitrato d’argento con le reazioni cicatraziali che si ap- palesano o sezionando con le forbici trasversalmente il lembo o espor- tando, mercè tagli tangenziali eseguiti con un rasoio affilato, sia l’epi- dermide che parte del tessuto a palizzata. Riporteremo qui i risultati ottenuti dalle sezioni trasversali. Acacia cultriformis Hook. E difficile trovare due fillodi che rea- giscono allo stesso modo: ciò non ostante da molti lembi esaminati si ricavano i seguenti dati. In generale le cellule del palizzata e del mi- dollo prossime alla lesione si svuotano e muoiono. Al di dietro si for- ma un periderma, mentre il tessuto malato si riempie di tannino. La suberificazione colpisce uno strato di 5 o 6 cellule e forma, nelle se- zioni trasversali, come una lamina o barriera che non decorre rettilinea poichè nell’attraversare il midollo si affonda maggiormente nella dire- + " CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 87 zione del tessuto sano. Si potrebbe quasi supporre che la ferita provo- chi la morte di un determinato numero di cellule e perciò, essendo le midollari più grandi rispetto a quelle del palizzata, il confine tra il tessuto suberificato e quello necrotizzato deve trovarsi più infossato nel lo spessore del lembo, cioè nella porzione midollare. Le eccezioni non mancano tuttavia e quindi la spiegazione va presa un po’ con benefi- zio d’ inventario. Al di dietro della barriera suberificata si incontrano, nel midollo, degli elementi in via di segmentazione i cui setti sono per lo pit periclini rispetto alla superficie lesa. Alcune cellule del palizzata pros- sime a questa ispessiscono le pareti che diventano punteggiate (fig. 38). L’amido scompare dalla zona in via di proliferazione. Acacia pycnantha Benth. La reazione si svolge come nell’Acacia cultriformis; ma se si lascia a lungo il fillodio leso sul ramo (6 mesi circa) lo strato sugheroso a poco a poco si stacca, mentre dalle cellule più superficiali dello strato fellodermieo si va formando un curiosissimo ispessimento delle membrane che stanno a contatto delle ultime cellule suberificate, grazie al quale — quando il distacco del periderma sia completato — la lesione riesce rimarginata da una vera e propria cu- ticola (fig. 39) robusta quanto quella dell’epidermide che riveste il fil- lodio e colla quale si raccorda ai due estremi della ferita. Al di sotto dello strato «he presenta questa membrana (che è il così detto strato epidermoide, già stato notato nell'Eucalyptus) (1), le cellule appaiono piccole ed irregolari. Acacia uncinella Bth. Il callo si forma molto all’ indietro della ferita e si affonda notevolmente nel tessuto sano al passaggio dal pa- lizzata al midollo. Il periderma è robusto e ricco di tannino ; le cel- lule del palizzata ispessiscono e lignificano le pareti sui bordi della ferita: infine il midollo prolifera dietro il periderma per formare un felloderma di elementi piuttosto irregolari. Hedera Helix L. Il setto di cellule sugherose si forma quasi ad immediato contatto della ferita. Esso decorre rettilineo e dalla parte (1) V. in proposito le nostre osservazioni sulle ferite dell'Opuntia ficus indica. EE EE RE EE ER 2 "ii ern BEE OR DASS WE Walt 5e i SE e SE Sat) = Poe: Male Se ` Cal Ve "oe 88 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO del tessuto sano è spesso rafforzato da uno strato di piccole cellule a pareti ispessite. Qualche cellula epidermica ad immediato contatto collo strato sugheroso assotiglia le pareti e si allarga. Rare le divisioni nel palizzata. Laurus canariensis Webb. et Berth. Il setto suberoso è diritto e discretamente robusto, ma al di dietro di questo non abbiamo notato alcuna reazione, se si eccettuano due o tre cellule del pelizzata divise, un po’ di disordine nelle cellule del lacunoso e la solita restrizione dei meati intercellulari. ` Senecio Kempferi DC. Strato sugheroso formato in grande vici- nanza della ferita e un po’ rientrante nell’attraversare il tessuto la- cunoso. Felloderma con setti periclini rispetto al taglio, localizzato di preferenza nel lacunoso e situato dietro il sughero. Senecio Kleinoides Oliv. Al di sotto del tessuto neerosato si pre- senta un robusto strato di cellule peridermiche grandi e rotonde al- l'esterno, tabulari dal lato interno. Esso è seguito da un'altro di fel- loderma. Entrambi sono dovuti a proliferazione del tessuto fondamen- tale. Al davanti dei fasci le cellule di felloderma sono più piccole. I canali secretori si mostrano obliterati. Eucalyptus globulus Labill. La reazione è molto semplice. Le cel- lule prossime alla ferita muoiono per un certo tratto, rimanendo talora piene di amido. Al di dietro si forma lo strato suberoso che decorre attraverso il parenchima in linea retta Scarso però è il numero di queste cellule le quali devono in parte la loro formazione a segmen- tazione degli elementi del palizzata parallelamente al piano della fe- rita. Anche qui si nota l'assottigliamento delle pareti delle cellule epi- dermiche prossime alla lesione. Viburnum lucidum Mill. Oltre all'immagazzinamento del tannino nelle cellule e alla formazione di un sottile strato di elementi suberi- fieati situato alquanto lontano dalla ferita, non abbiamo notato altra reazione. Tutto al più al di dietro si incontra talora qualche rara di- visione cellulare. Il setto di suberina ha un decorso rettilineo, oppure si affonda, ma di poco, nel passaggio attraverso il lacunoso. Le cellule suberificate sono più grandi di quelle normali da cui derivarono. (continua) TE = r, 7 2. S. B. Schryver — The photochemical formation of formaldéhyde in i 82 RECENSIONI 1. L. Gentil — Formaldehyde from beet leaves and roots (Bul. Assoc. Chim. Suer. et Distill. 27, n. 3, p. 169) 1909 green plants (Proceed. of the royal Society. Series B. Vol. B. 554) 1910. db Entrambe queste memor!e confermano l'ipotesi del Bayer sulla presenza dell'aldeide formiea nelle piante, dimostrata poi sperimental- mente dal Pollacci, che la mise in relazione con il fenomeno dell'as- similazione clorofilliana. Il Gentil ricava dall'aeeurata distillazione di 1 chilogrammo di foglie di barbabietola, gr. 0,005 di aldeide formica, e da un chilo- grammo di radici della stessa pianta gr. 0,003 a 0,005. Dalle foglie e dalle radici vecchie non ottiene neanche traccie di aldeide formica. L'A., dopo aver supposto che alla presenza di que- st'aldeide fosse dovuta la lenta fermentazione del succo di barbabietola durante la fabbricazione dell’aleool, trova invece, in seguito ad ulte- riori ricerche, che tale fermentazione è dovuta a una inversione in- completa dello zucchero. Anche lo Schryver, applicando un nuovo processo di ricerca e di dosaggio della formaldeide nelle piante, ne conferma in esse la pre- e e modo seguente: Si prendono 10 c. e. del liquido contenente l'aldeide ica, e vi si aggiungono prima 2 c. e. di una soluzione 1° di ux Ban dedite. af S ete LUN D o DA Un ei MEN A i eee $ dn NE à 30 RECENSIONI trazione sia compresa tra l’uno per un milione e l’uno per cento mila) si può determinare la quantità di aldeide formica presente Questo metodo di ricerca svela la presenza dell’ aldeide formica anche se essa non oltrepassi la concentrazione dell'uno per un milione, e il reattivo adoperato è caratteristico per quest’aldeide. a presenza dell’ aldeide formica nelle piante viene dimostrata dall" A. facendo agire il reattivo su un estratto etereo di clorofilla, che, — o veniva evaporato a secchezza su una lastra di vetro, o veniva scal- ~~ dato, o anche veniva lasciato per qualche tempo in contatto con la — - soluzione di cloridrato di fenilidrazina. E A questa si aggiungevano poi il ferrocianuro e l’acido cloridrico. : L'A. ottiene anche la formazione fotochimica dell’aldeide formica ` — per opera della clorofilla, al di fuori della pianta, sintesi già tentata ` da Usher e Priestley, ma condotta da essi con metodo poco rigoroso v. Mameli e Pollaeci—Note critiche intorno a recenti ricerche sulla : fotosintesi clorofilliana -— Atti Ist. Bot. di Pavia. Serie II - Vol. XIII, pag. 257). 9 Lo Sehryver conferma così con una bella esperienza i risultati già ottenuti dal Pollacci, e cioè che nè all’ oscuro, nè in assenza di CO, si ha formazione di aldeide formica nei vegetali. i aver contestata l’ obiezione mossa da alcuni autori, che la i presenza dell'aldeide formiea nelle piante sia en con il po- @ tere fortemente tossico di questa sostanza, l' A. cerca di spiegare il meccanismo della reazione sintetica. Egli paragona l’azione dell’ al- —. gen formica sulla clorofilla, alle reazioni reversibili, che possono ] nire tra un eoupo grappa e l’aldeide formica, e che vennero stu- i diate dallo Sehiff. i reazione si rappresenterebbe schematicamente cosi: Nc H,O Ve BH, 9r B Il prodotto di condensazione “ clorofilla-aldeide,, verrebbe decom- posto, almeno in parte, quando P aldeide formica viene spostata per … dar luogo alla sintesi degli zuccheri e delle altre sostanze analoghe, 1 ma si rieostituirebbe in presenza di anidride carbonica e della luce solare. Verrebbe così regolata quasi automaticamente la quantità di aldeide necessaria alla sintesi dello zucchero nelle piante. | | Clorof. n. +HCHO zz ZZ | Geet, Dr. Eva MAMELI Di BIBLIOGRAFIA MODERNA raccolta da C. Schuster (Gr. Lichterfelder b. Berlino) I Botanica generale. Abel O.: Was ist eine Monstrosität ? (Verh. zool. bot. Ges. Wien LX 1910 pag. 129-140.) Anonymus: Science in South Africa (Nature LXXXIV (1910) p. 158). Béntley, B. 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ALL’ UNIVERSITÀ DI CATANIA bone ANNO XXIV. —. FASC. II. ux MARCELLO MALPIGHI 1627-1694. : CATANIA e Tip. La Siciliana F.lli Perrotta - Ap 1911 CONDIZIONI o 4 La MatpicHia si pubblica una volta al mese, in fascicoli di 3 fogli di stampa d meno, «corredati, secondo il bisogno, da tavole. Er: 1 Gi dicato annuale sa L. 25; pagabili alla ricezione del i fascicolo del- io * .l'annata. : L’intiero volume, Sal G6 fogli în 8. con circa 20 T sarà messo in vendita ` al prezzo di L. 30.. . Non saranno venduti fascicoli separati. | Agli Autori saranno corrisposte 100 copie estratte dal periodico, 15 giorni FER la. .pubblicazione del fascicolo. Qualora fosse da loro richiesto un maggior numero di e semplari, le copie in più verranno pagate in ragione di L. 10 al foglio (di 16 pag.) . per 100 copie. Quanto alle tavole supplementari occorrerrà soltanto rimborsare le spese, - di carta e di tiratura. È Le associazioni si ricevono presso il Prof. L. BUSCALIONI in Catania e presso le 2 principali Librerie Italiane e dell’Estero. . Ai Librai è accordato lo sconto del 20 00. ek I ‘manoscritti e le corrispondenze destinate alla MALTIGHER dovrañno essere indiriz | zate al Prof. L: BuscaLionr in Catania. Si accetta lo scambio con altre pubblicazioni SE sihi ule: nil Per annunzj € inzerzioni ee a Redattore Prof. L BUSCALIONI, R. Universités, nia. Sr ea E dele i inserzioni sulla copertina per ogni inserzione. ; ! SR e cae © L. 30 24 0 n dn. ur Wi a p pee (24/8 pee: : ys Y KEES was; iones à col, a premi da men E CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI Fc GLIARI 97 Gleditschia Fontanesii Spach. A poca distanza dal taglio si veri- fica la suberificazione cellulare che però colpisce poche cellule. Il setto è diritto e le cellule spiccano per le loro pareti ondulate, ciò che in- dica che la suberificazione ha provocato l'aumento in estensione delle stesse. Al di dietro abbiamo poche cellule con le pareti ispessite, op- pure a cavità allargata, di forma ovale (cellule del palizzata). Non mancano neppure nel palizzata le cellule tramezzate. Gli elementi ne- erosati e quelli che reagiscono allo stimolo traumatico sono poeo o punto impregnati di tannino. Ficus repens Willd. Reazione insignificante ‘caratterizzata dalla formazione del tessuto sugheroso, pieno di masse tanniche. Il setto è piuttosto robusto e attraversa in linea retta il tessuto della foglia, de- correndo in grande vicinanza della ferita. Ficus elastica Roxb. Qui si ha invece una complessa reazione, in- quantoché le cellule dello strato ipodermico, dai due lati della fo:rlia, proliferano già ad una certa distanza dalla ferita formando nel loro seno delle cellule secondarie, tanto più numerose e tinto più piccole quanto più si avvicinano alla lesione. In prossimità di questa poi i setti sono diretti in vario senso. Le cellule neoformate più prossime alla superficie fogliare suberificano. Lo strato suberoso di difesa che si forma in grande prossimità della ferita è ispessito e convesso verso l'esterno, quasi eupuliforme. Nel punto in cui si innesta alle due epi- dermidi esso si estende sulle sottostanti cellule del parenchima verde. Il palizzata frattanto prolifera e le nuove cellule si ineurvano verso la parte lesa e la stessa disposiziene si osserva in corrispondenza del lacunoso, di guisa che il tessuto sugheroso riesce rafforzato da uno strato di felloderma a cellule piccole, con pareti perieline rifrangenti, Solo le cellule più profonde di questo tessuto sono invece piuttosto ampie e presentano dei setti variamente diretti. A quanto pare i cistoliti non subiscono notevoli alterazioni, aven- doli più velte riscontrati quasi intatti nello spessore del tessuto leso. In una ferita dovuta a causa ignota abbiamo osservato che il su- bero si era formato a contatto della ferita, senza che le cellule cor- rispondenti avessero mutato forma. DEN VE e e HE Pi % $ IE ed RR, Ee EK E caa ag Er NES, E e d + a 98 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Ficus Beniamina Lin. Il processo di cicatrizzazione è poco attivo, e si forma a breve distanza dalla ferita. Al tessuto sugheroso succede il felloderma costituito da piccole cellule nate dalla proliferazione de- gli elementi sia del palizzata che del lacunoso. Qualche cellula ipo- dermica è pure segmentata. Ficus rubiginosa Desf. Quasi nessuna reazione all’infuori della for- mazione di un sottile strato di cellule suberiticate, il quale forma co- me una cupola attorno al tessuto sano. Pochissimo sviluppato è il fel- loderma. Le cellule epidermiche proliferano pure, ma solo ad imme- diato contatto della lesione. Raphiolepis rubra Lindl. Il tessuto prossimo alla ferita ingialli- sce e muore. Il callo che ad esso tien dietro è poco sviluppato, con- stando di pochi piani di cellule snberificate disposte in serie rettilinee. Al di dietro le cellule del lacunoso ispessiseono alquanto le pareti do- po essersi tuttavia divise, al pari di quelle del palizzata, per formare un felloderma a piccole cellule. In questa specie attorno alla lesione si sviluppa dell’antocianina. Photinia serrulata Lindl. Il setto di sughero, che compare ad una certa distanza dal punto leso, si affonda alquanto nel tessuto del la- cunoso. Il processo di cicatrizzazione del resto si comporta come nel Ra- phiolepis, colla differenza tuttavia che l’antocanina la quale colora le foglie staccate scompare in vicinanza del taglio. Olmediella Cesatiana Baill. Questa specie presenta poca attitudi ne e reagire. Il tappo suberoso si forma a poca distanza della ferita e rientra solo leggermente in corrispondenza del lacunoso. Al di die tro di esso poche cellule di felloderma, non sempre però presenti. Il palizzata non prolifera che ad immediato contatto della lesio- ne: l'epidermide invece rimane immutata, fatta eccezione per la colo- razione gialla che assume: infine il lacunoso ispessisce le pareti cellulari Myoporum punctulatum Schlecht, Quasi nessuna reazione. Si for- ma il solito tessuto suberoso nel quale decorrono i fasci vascolari col- la guaina pure suberifieata. Il setto è diritto e formasi in grande vi- cinanza della ferita. Le borse ghiandolari comprese nella zona in via di reazione suberificano pure a lor volta. Rara è la divisione cellulare nel palizzata e scarsa la produzione di tannino. In una lesione acci- CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 99 dentale il tessuto situato dietro il setto di cellule sugherose aveva pareti ispessite, quasi collenehimatose. Melianthus major Lin. Quasi nessuna reazione. All infuori dello schiacciamento delle cellule prossime al taglio con suberificazione delle cellule retrostanti, neppur sempre distinta. Evonymus japonicus L. fil. Al di dietro del tessuto sugheroso, il tessuto sano ispessisce le pareti in modo da rassomigliare alquanto a un collenchima. Il palizzata non prende che raramente parte al pro- cesso. Notiamo tuttavia che lo studio venne effettuato su una foglia sta- ta accidentalmente lesa. Osmanthus Aquifolium Sieb. Il callo suberificato, assai vieino al- la ferita, è sviluppato maggiormente attorno ai fasci vascolari. Esso forma un setto a decorso ondulato che rientra alquanto al passaggio attraverso il lacunoso. Aldi dietro poche divisioni cellulari danno ori- gine agli elementi del felloderma. Le cellule del tessuto sugheroso sono grandi, quelle derivate dal palizzata ovali. Farfugium grande. Il tessuto di cicatrizzazione compare al limite della ferita e decorre ondulatamente affondandasi in corrispondenza del leeunoso. Esso è poco ispessito ed al di dietro le cellule del pa- lizzata ipertrofizzano, od anco si segmentano. Cotiledon quitensis Bak. Si forma un grosso strato di sughero die- tro la ferita: succede di poi un felloderma a elementi tabulari che presentano dei setti perielini o radiali. Questi ultimi un poco rari nel- le cellule suberificate. 8) Monocotiledoni Phormium tenax Forst. Le cellule suberificate, piene di sostanza bruna, occupano tutta quanta la regione interposta fra due cordoni va- scolari e talora si estendono anche al di là. La reazione però è insi- gnificante. Dracaena Draco Lin. Un po’ al di dietro del taglio e per lo più a ridosso di uno dei fasci meccanici ipodermici si sviluppa, il tessuto suberoso che petò è ridotto a pochi piani di cellule. Nell’ambito del » qu^ N'a A ia Le E ndi Et TR AS TENTE MN Dm SES e "Te LE CR SN ao MEI AIN NM FER È p + ar. Se? S RT ere ^y A PERS AP s ge ANTE NEXT M: $ e, rte 2 " ` < ee - ‘100 LUIGI BUSCALIONI È GIUSEPPE MUSCATELLO palizzata le cellule sono piccole, per quanto più grandi di quelle sane, mentre quelle che si sviluppano nella parte centrale delle foglie sono piuttosto grosse. Due o tre cellule retrostanti al tessuto suberoso si segmentano per dare parecchi piani di elementi tabulari. Il tessuto su- berificato si affonda alquanto al passaggio attraverso il parenchima centrale della foglia. (fig. 41). Aloe plicatilis Mill. Il tessuto di cicatrizzazione si sviluppa mol- to irregolarmente nello spessore delle foglie carnose, senza che tutta- via siavi una attiva reazione per parte degli elementi sani. Scilla peruviana L. Si forma on por di sughero presso l» ferita, ma senza che si abbia accenno (almeno nei tagli da lungo tempo e- seguiti) di un’attiva proliferazione cellulare. Le cellule suberificate con- tengono un po’ di tannino. Il setto suberoso si affonda alquanto nella parte mediana dslle foglie. Qualche cellula ipertrofica dietro lo strato suberoso. Alpinia nutans Roxb. Nulla all'infuori di un tessuto suberificato piuttosto esteso e decorrente ad una certa distanza dalla ferita. ' Crinum Cooperi Herb. Si comporta come la Scilla. Le cellule su- berificate sono alquanto ispessite. y) Gimnosperme G.nkgo biloba Lin. Ad immediato contatto della ferita si formano delle cellule suberose tanniche e al di dietro un grosso strato di ele- menti a pareti ispessite che sulle faccie delimitanti gli spazi intercel- lulari sviluppano dei piccoli bitorzoli simili a quelli delle Marattiacee. 8) Felci Dicksonia fibrosa. Il callo non si forma. Attorno alla parte lesa si hanno degli elementi pieni di masse brune tanniche. n) Fusti alati o piatti Semele androgyna Kunth. Nei eladodi di questa pianta il setto su- 3 gheroso, che compare d’ordinario molto vicino alla ferita, è per lo più ET RCM CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 101 convesso verso questa. Esso consta di grossi elementi ovali che però a misura che si avvicinano al tessuto sano sottostante diventano sempre più tabulari. Quasi nessuna traccia di felloderma, o questo è ridotto a poche cellule ispessite. Talvolta ispessiscono anche le pareti delle cellule epidermiche. Quasi le stesse reazioni abbiamo osservato in ferite accidentali dei cladodi. Opuntia ficus indica Mill. Nelle sezioni trasversali delle cosiddet- te pale noi troviamo parecchi piani di cellule schiacciate susseguite da grossi elementi suberificati a pareti sottili. Poi compare uno strato di cellule molto singolari per aspetto: si trattà di elementi larghi, schiac- ciati, formanti un unico piano o tutt'al più quà e là sovrapposti a due a due nel qual caso i più esterni hanno la superficie frontale mol- to convessa,. La membrana cellulare è molto inspessita dal lato che guarda il taglio, un po’ più sottile invece dal lato profondo. Ad un esame con forte ingrandimento si trova che la parete è attraversata da numerosissimi canalicoli radiali mentre presentasi regolarmente striata. Questo strato, che costituisee un caso di formazione epidermoide (V. Acacia pycnantha ed Eucalyptus) si presenta ad un tempo lignificato e suberificato. Esso poi si raccorda agli estremi della ferita coll'epi- dermide cui rassomiglia moltissimo. Sotto questo strato vi ha un tessuto di cellule piccole, regolarmen- te disposte in senso radiale e tangenziale: solo qualcuna di esse è al- quanto più grande. Più profondamente ancora troviamo dei fasci va- scolari di nuova formazione che stabiliscono il raccordo fra i due si- ; stemi vascolari decorrenti parallelamente alle facce del cladodio e a p poca distanza dalla superficie. Più in dentro il tessuto riprende i ca- ratteri normali. Le reazioni che avvengono in seguito a tagli trasversali delle fo- glie (o di organi similari) permettono di formulare le seguenti conelu- sioni, già in gran parte note, grazie agli studi dei nostri predecessori. 1) Le cellule prossime alla ferita muoiono. La necrosi, a seconda della specie e delle foglie, si estende più o meno profondamente nel tessuto. 2) Al di dietro del tratto necrosato si forma un tessuto suberifi- 102 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO cato che occlude la ferita. Prima però che questo compaia, od anco contemporaneamente, le cellule si riempiono di sostanze tanniche, in varia quantità a secondo delle specie. 3) Le cellule suberificate traggono origine degli elementi del pa- lizzata e del lacunoso: molto più di rado da quelle epidermiche le qua- li d’ordinario non partecipano al processo, o vi prendono parte solo in debole misura suberificando le pareti. Talora però accennano a di- vidersi. Però le reazioni che avvengono nelle cellule epidermiche ces- sano a brevissima distanza dalla lesione. Solo in taluni Ficus e altre piante a epidermide composta la reazione si estende alquanto, ma es- sa interessa le cellule profonde dell’epidermide. 4) Talvolta la suberificazione degli elementi avviene senza che le cellule siansi previamente divise, ma questa disposizione, per quanto ci consta non è troppo frequente. D'ordinario precede invece la segmentazione, ma anche su questo punto le nostre osservazioni sono alquanto monche, avendo noi quasi sempre esaminato delle lesioni antiche nelle quali le cellule dei tessu- ti cicatriziali si erano ingrandite. e non lasciavano quindi più ricono- scere i fatti distintamente. 5) Il tappo suberificato talora è ispessito, ma molte volte anche risulta formato da pochi elementi. Esso poi può decorrere in linea retta al limite del tessuto sano, oppure affondarsi alquanto nel suo percorso attraverso il lacunoso. Ciò lascierebbe suppurre che ogni lesione provo- chi la morte di un numero quasi determinato di cellule, per cui essen- do quelle del lacunoso più grandi obbligano il tessuto suberoso ad ad- dentrarsi maggiormente nello spessore di detto parenchima. In taluni casi avviene l'opposto (organi assili, fogliformi) poichè il tessuto su- gheroso incappuccia come una cuffia l'estremità sana dell’organo. Pro- babilmente questo stato di cose viene chiarito se si tiene conto della maggior tensione del tessuto centrale o midollare dell’organo, o dello accrescimento più esuberante delle cellule di questo. 6. Al di dietro del tessuto suberoso, dal lato del parenchima sa- no, le cellule proliferano, ma l’intensità del processo varia da specie a specie e fin’anco da foglia a foglia. E’ però quasi sempre assai sear- so il numero delle cellule neoformate. Talora, anzi, non abbiamo più CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 10 riscontrato le traccie di una pregressa segmentazione. Le cellule neo- formate sono piccole, per lo più a setti periclini rispetto alla ferita e in vicinanza di questa, variamente inclinate altrove. 7) Le cellule del felloderma ispessiscono talora le pareti, ed anzi in qualche caso formano su queste dei piccoli bitorzoli sporgeuti negli spazi intercellulari. Per lo più sono piccole e d'ordinario restringono gli spazi intercellulari, quando non li colmano del tutto con degli ispes- simenti parietali a tipo collenchimatoide. 8) L'ispessimento delle pareti ha luogo prevalentemente negli e- lementi derivati dal tessuto lacunoso e le pareti sono cellulosiche. Nel- le Acacie abbiamo tuttavia notato l’ispessimento delle membrane del palizzata con formazione di punteggiature. La metamorfosi però col- pisce solo poche cellule ed è ben lungi quindi dall’offrire l'imponenza che noi abbiamo osservato nelle lesioni da sfregamento o da causti- cazione. Il tessuto neoformato ha i caratteri di un felloderma (talora di un saftperiderm nel senso di Wiesner) e con tale nome l’ abbiamo appunto caratterizzato, per quanto si notino delle differenze rispetto al modo di formazione di fronte ai genuini fellodermi. 9) In taluni casi (Acacia pycnantha e Opuntia in cui il fillodio o rispettivamente il cladodio leso era rimasto a lungo sul ramo) si os- serva che il tessuto suberoso cade, mentre le cellule superficiali del felloderma ispessiscono la parete rivolta verso la ferita in guisa da rige- nerare una specie di epidermide (strato epidermoide) coi caratteristici depositi di cutina, la quale sui bordi della ferita si raccorda con quella della vera epidermide. Siffatta disposizione di cose ricorda molto da do vicino le formazioni contrassegnate da noi nome di epitelio cuticulare. 10) Le disposizioni che si osservano nelle lesioni, per quanto si- mili sotto molti aspetti, a quelle che si riscontrano nelle foglie soffre- p gate o trattate eoll'AgNO,, sono tuttavia meno complesse e differisco- ! no per la quasi nessuna tendenza dell'epidermide a prender parte ai ES. processi di cicatrizzazione, fatta eccezione per la suberificazione in to- ` to delle sue cellule al limite della lesione. Fanno tuttavia eccezione i | Ficus e qualehe altra pianta in eui gli ipodermi, qualunque sia l'ori- gine loro, si segmentano. 104 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Specialmente scarsa è la produzione di felloderma, mentre noi sappiamo che nelle lesioni da soffregamento e da causticazione questo tessuto si sviluppa molto. Oltre a ciò manca la formazione per lo più di un epitelio cuticolare e d'ordinario mancano gli selereidi che ab- biamo visto formarsi in abbondanza nelle frizioni praticate alle foglie di Laurus e Gleditschia. E’ intine pure poco frequente la formazione di grandi otricoli. 11) Le Felci non formano un tessuto suberoso di cicatrizzazione; le Monocotiledoni ne formano poco, o talora anche n n lo producono, all’opposto nei Ginkgo avviene una discreta reazione. B) LESIONI TANGENZIALI DELLE FOGLIE a) Dicotiledoni A priori si potrebbe supporre che le lesioni ottenute collo sfrega- mento, o colla causticazione ricordino quelle che si hanno colla sem- pliee abrasione dell'epidermide poichè, in ultima analisi, anche nei sopraricordati trattamenti questo tessuto viene più o meno gravemen- te leso, come l’ attesta |’ accasciamento delle cellule. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che la necrosi delle cellule epidermiche non av- viene costantemente, e in secondo luogo che i rapporti delle cellule del parenchima fogliare col mezzo esterno sono ben diversi nel caso in eui il tessuto sia protetto da un epidermide sana o lesa, anzichè messo a nudo. Forti di questa convinzione noi abbiamo pertanto stu- diato le lesioni che si formano in seguito alla abrasione dell’ epider- mide e alla lesione delle cellule più superficiali del palizzata, non es- sendo sempre possibile esportare il primo tessuto senza ledere anche il secondo. Acacia pycnantha Benth. Venne asportata l'epidermide e si di- mezzarono le cellule più esterne del palizzata. Ben tosto si è formato al di sotto degli elementi direttamente od indirettamente lesi (palizza- ta) una zona suberosa tannica che separava del tutto la parte lesa dal- la sana. E | CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 105 Per lo più la stessa decorreva alla periferia del midollo, ma ta- lora anche qualche cellula profonda dell’opposto palizzata mostrava di aver preso parte al processo. Nessun accenno di proliferazione, anzi un impoverimento nel contenuto delle cellule lese e di quelle del palizzata del lato opposto rimasto illeso. Sui bordi della lesione qual- che elemento del palizzata aveva ispessito o suberificato le pareti. Ficus elastica Roxb. L'esportazione di un lembo d'epidermide, li- mitatamente però agli strati superficiali di questa, porta all’ essicca- mento del sottostante palizzata ed al riempimento delle cellule eon masse tanniche, brunastre. Non si ha però nessun accenno di un vero processo di cicatrizzazione nell’ambito del tessuto leso, o nelle sue vi- cinanze. Neppur si notano alterazioni nelle cellule dei eistoliti, fatta eccezione per la dissoluzione delle masse di carbonato di calce che però venne da noi osservato in preparati stati a lungo in glicerina e acqua di Javelle. Ficus Beniamina Lin. La foglia per effetto della lesione erasi la- cerata ed il tessuto di cicatrizzazione appariva limitato ai bordi del- la ferita come nei casi di tagli fogliari. Ficus capensis Thunb. Si nota un grande assottigliamento della foglia nel punto leso, in seguito ad alterazione delle cellule del pa- renchima. = Ficus repens Roxb. Il palizzata superficiale ed anco i tessuti più 1 profondi sono colorati in giallo bruno da masse tanniche: talvolta su- berificano gli strati superficiali sotto la lesione, mentre elementi più 2 profondi, a pareti cellulosishe, ispessiscono queste. | Ficus rubiginosa. Si comporta come il F. repens. Eucaliptus globulus Labill. (fig. 42) L'esame microscopico di una foglia stata lesa e poi lasciata in sito per pochi giorni non mostrava altro che l’imbrunimento dei contenuti cellulari e la tendenza, nelle cellule sottostanti alla ferita, a suberificar le pareti. Molto elegante era invece la reazione in un’altra foglia rimasta più a lungo sulla pianta, dopo la lesione. Qui le cellule superficiali del parenchima ver- de erano morte: al di sotto compariva un forte strato di cellule sube- rificate il quale attraversava con decorso alquanto ondulato il paren- chima, pur rimanendo all’ingrosso parallelo alla superficie fogliare. In 3 et jT ee 8 : PCT 106 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO un'altra foglia era invece morto tutto quanto il parenehima sottostan- te al taglio e il tessuto suberoso, formatosi sui bordi della ferita, e a contatto della epidermide, dopo un breve percorso, quasi parallelo alla superficie fogliare piegava bruscamente per portarsi all’ epidermide opposta sulla quale si inseriva. Si aveva così una specie di cicatrizza- zione, quale si osserva nei tagli fogliari traversali. Tornando al secondo caso ricorderemo ancora che il tessuto su- beroso, formato di cellule ovali, attraversava i fasci vascolari i cui elementi liberiani suberificavano a loro volta, in continuazione della lamina suberificata parenchimatosa. A contatto delle borse ghiandola- ri lo strato suberoso immetteva nel cavo ghiandolare qualche elemento pure suberificato. Al di sotto della zona sugherusa stendevasi un grosso strato di felloderma i cui elemeati apparivane piccoli e tabulari. Raphiolepis rubra Lindl. Lesione interessante l'epidermide e il palizzata. Si nota solo un forte accumulo di sostanze giallastre tan- niche in tutto il parenchima leso. Non sappiamo se per altro lasciando più a lungo la foglia sulla pianta non possa, per avventura, accadere una reazione più intensa. Senecio Kleinoides Oliv. (fig. 43) Si ha spesso una reazione intensa con formazione di un grosso strato di cellule suberificate, al di sotto del quale molte volte si nota un forte accumulo di elementi a tipo di collenchima, con distinta punteggiatura sulle pareti, il quale invece nella parte sana forma soltanto uno o due piani al di sotto dell’ epi- dermide. Tra le due formazioni patologiche, quando lo esame venga fatto a tempo debito, si trovano ancora delle cellule del cambio. Più profondamente compaiono i fasei vascolari, e questi in cor- rispondenza della lesione sono d’ ordinario mo'to numerosi, d’ aspetto giovanile, con elementi vasali molto piccoli e talora solo oscuramente punteggiati. Siffatta disposizione, ma specialmente il numero grande dei fascetti e la presenza, qua e colà, di gruppi cellulari in attiva segmentazione e piccoli, ci fa sospettare che si tratti di vere neofor- mazioni vascolari in rapporto col trauma. Fino ad ora però non ne abbiamo ottenuta la prova decisiva e perciò intendiamo proseguire le | ricerche. Senecio Kempferi. DC. (fig. 44) La reazione comincia un po’ al CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 107 di là dei bordi della ferita. Ivi le cellule del palizzata si segmentano obliquamente mentre le nuove cellule suberificano. Lo strato suberoso poi si continua al di sotto della lesione isolando il tessuto necrosato da quello pià profondamente situato e sano. Nella parte profonda dello strato sugheroso le segmentazioni, eon formazione di cellule tabulari- sono numerose. Tutto il tessuto malato è pieno di tannino. Nei easi di gravi lesioni la parte sottostante muore e secca e al, lora si banno le reazioni proprie dei tagli trasversali. ` Cotiledon quitensis. Bak. Si forma, in grande vicinanza della ferita, ma al di sotto di questa, un sottile strato di sughero a grossi ele- menti. Più profondamente si nota, talora, qualche cellula in segmenta- zione. Crassula canescens. Roem. et Schutt. Lo strato di sughero che si forma al di sotto, ma a poca distanza, della ferita è forte di due o tre piani. Esso consta di elementi grandi rettangolari. Più nell’ in- terno il parenchima prolifera per formare due o tre strati di cellule tabulari con pareti cellulosiche. Mesembryanthemum acinaciforme. Lin. Le cellule tagliate e quelle sottostanti muoiono, mentre subito al di sotto si forma. a spese del parenchima, uno strato sugheroso i cui elementi sono piuttosto grandi. Succede poi, come nelle altre piante grasse, uno strato di cellule gio- vani a pareti di nuova formazione perieline rispetto alla ferita. Olmediella Cesatiana Baill. All'infuori del solito accumulo di tan- nino non abbiamo riscontrata altra reazione sotto la ferita che nei casi studiati interessava l'epidermide e il primo strato del palizzata. Laurus canariensis Webb. et Berth. Le ferite da noi prodotte hanno sempre determinato lo essiccamento del tessuto senza che avesse luogo altra reazione. Farfugium grande. La lesione ha prodotto la necrosi di tutto il tessuto sottostante. Si è osservato perciò la cicatrizzazione propria dei tagli, cioè limitatamente ai bordi della ferita. Evonymus japonicus L.fl.(fig.45) Qualche volta non si ottiene aleuna reazione, poichè il tessuto secca e imbrunisce; in altri casi si ha un leg- gero accenno alla formazione di una cicatrice sui bordi come nel caso dei tagli; infine può ottenersi una distinta reazione caratterizzata dalla 108 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO comparsa, un po’ al di sotto del tessuto leso e per tutta la sua esten- sione, di una lamina di sughero a cellule discrete, spesso piene di masse tanniche o di ossalato caleico. Al di sotto vi ha uno strato di cellule in via di attiva segmentazione, derivate dagli elementi del la- cunoso, i quali sono ivi alquanto ingranditi. Del resto delle cellule otricoliformi trovansi anche, sebbene raramente, nel tessuto sovrastante suberificato. Buxus balearica Lam. Presso che la stessa reazione che nell Evo- nymus, ma al di sotto delle cellule lese vi ha proliferazione e questa può presentarsi tanto nel palizzata profondo che nel lacunoso, a secondo della gravità della ferita. Le segmentazioni, che avvengono in senso trasversale, dànno origine a un tessuto di piccole cellule che più tardi suberificano. Alcune di queste col tempo ingrandiseono un po’. Al di sotto si forma, come nell’Evonymus, del felloderma, le cui pareti però ispessiscono alquanto, ma in modo irregolare. Il tannino è scarso nella parte lesa (fig. 46). In una foglia lasciata dopo il taglio attaccata alla pianta, ma te- nuta immersa nell’acqua, le cellule lese avevano la estremità libera otturata da masse cristalline. Hedera Helix L. Talora nessuna reazione, oppure la presenza di un callo sui bordi del a ferita, come nei tagli trasversali, il quale però s’avanza obliquamente attraverso la parte lesa per raggiungere |’ epi dermide opposta. I fasci prendono pure parte alla formazione dello strato suberificato e sono gli elementi del libro quelli che s'impregnano di suberina. Al di sotto della zona di difesa qualehe cellula di fel- loderma. Melodinum Scandens Forst. Il tessuto leso e quello sottostante im- bruniseono e seccano, senza che si sia ottenuta alcuna reazione. Osmanthus Aquifolium Sieb. (fig. 47) Il tessuto a palizzata neero- tizza riempiendosi di tannino, mentre il sottostante laeunoso ingran- disce le cellule che così vengono a trovarsi a mutuo contatto con no- tevole restringimento degli spazi intercellulari. Poi avviene la segmen- tazione tanto nelle cellule ipertro,iche del lacunoso , quanto in quelle del palizzata profonao rimaste illese e il tessuto neoformato suberifiea, almeno negli strati superficiali. CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIAR 109 AI di sotto del tessuto suberificato rimane un sottile felloderma a celiule tabulari, segmentate tangenzialmente , nel quale appaiono dei piccoli gruppi di cellule molto più graeili delle vicine e a contenuto abbondante. Di queste non abbiamo potuto seguir l’ulteriore evoluzione. E’ probabile che si formino dei fasci a spese delle stesse, ma il fatto merita di esser meglio assodato. B) MONOCOTILEDONI Dracaena Draco Lin. Il tessuto di reazione si forma sotto l’ epi- dermide, sui margini della ferita, e quindi si affonda nel parenchima verde tra i cordoni meccanici e raggiunti gli strati profondi decorre in senso parallelo alla superficie per portarsi di nuovo verso l’epider. mide al limite opposto della ferita. Si tratta di un periderma a cel- lule irregolarissime suberificate spesso colle pareti colorate da flobafeni che impregnano pure i cordoni meccanici. Al di sotto di questo tes- suto si nota qualche cellula di felloderma. Strelitzia Augusta Thunb. Il tessuto si riempie di tannino e si dissecca. C) FUSTI ALATI E CLADODI Semele androgyna Kunth. Il tessuto del eladodio si affloscia sotto la ferita: non abbiamo tuttavia veduto formarsi delle nuove cellule. Muehlembekin platiclados Meissn. Nel midollo del ramo appiattito si fa uno strato di sughero decorrente paralle'amente alla ferita. Poche son le cellule in proliferazione. * * * Nelle lesioni tangenziali interessanti l’epidermide e quasi sempre anche il palizzata si ha come prima reazione (almeno nei casi dai noi studiati, che si riferiscono a foglie state lese durante la cattiva sta- gione e quindi in condizioni tutt'altro che favorevoli di vegetazione) (1) (1) Gli esperimenti venivano tuttavia effettuati in serra, a una temperatura | discreta. 110 LUIGI BUSCALIONI E GIÜSEPPE MUSCATELLO la comparsa di tannino nelle cellule lese e in quelle sottostanti. Le cellule più superficiali intanto vanno più o meno presto in necrosi. Qualche volta, grazie alla presenza di siffatto tessuto ricco di tannino, gli elementi sani rimangono sufficientemente protetti ed in tal caso può mancare del tutto la formazione di un periderma, o que- sto sviluppasi solo parzialmente. Nelle piante grasse si ha invece quasi costantemente la formazione di un periderma al di sotto o nell'ambito stesso del tessuto ricco di. tannino. Inoltre al di dietro dello strato suberoso si forma molte volte un felloderma. La comparsa dei due tessuti è preceduta, come al so- lito, del passaggio delle cellule adulte del tessuto fondamentale allo stato giovane. Parimenti la formazione del sughero e del felloderma avviene frequentemente nelle foglie coriacee, mentre in quelle sottili e special- mente nelle Monocotiledoni si forma solo tannino che poi talora, non offrendo sufficiente protezione al tessuto sottostante, non riesce ad im- pedire la diffusione della necrosi. Anche l’ accidentale insediamento, nella ferita, di elementi patogeni può esser causa della espansione del- la necrosi, senza che si formi sughero, e malgrado la presenza di cel- lule tanniche. i A quanto pare le ferite tangenziali delle foglie si comportano un po’ diversamente da quelle trasversali poichè in queste la reazione cicatriziale con formazione di periderma è più pronta. Nelle ferite tangenziali la formazione del periderma è molte volte subordinata al numero dei piani cellulari esportati ed all’epoca in cui si fa la lesione. D’ estate il tessuto sottostante alla ferita per lo più muore in tutto lo spessore della foglia; d’inverno, sotto favorevoli con- dizioni d'umidità, può ancora vivere e reagire sia colla formazione del tannino sia colla produzione di un periderma. Quando manca la formazione di questo lungo la ferita e il tessuto tannico protettore non oppone sufficiente difesa, la ferita rimargina spesse volte per la produzione di un callo che si localizza ai bordi. Il callo attraversa la foglia a tutto spessore come nel caso dei tagli trasversali. Il tessuto di riparazione d’ ordinario erd non decorre di ritto, inquantochè tende a girare attorno la ferita, e solo dopo un CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI ili certo tratto si piega bruscamente (d’ordinario girando a ridosso di un fascio) per raggiungere la epidermide della faccia opposta a quella da cui si erano sviluppato. Ben ponderati i fatti, le lesioni tangenziali, mentre da un lato non tendono a produrre il periderma (talune Monocotiledoni), dall’altro non sviluppano che un ordinario tessuto cicatriziale (Dicotiledoni, e neppure in tutte) il quale poi non presenta, che in via eccezionale, quella complessità di strutture e di adattamenti che noi rinveniamo nelle lesioni da soffregamento e più ancora in quelle da causticazione al nitrato di argento. Cicatrizzazione delle ferite nelle foglie tenute in acqua, in soluzioni nutritive ed all' oscuro. Le osservazioni di Blackman e Mattaei sul diverso comportamento delle foglie lese di Prunus Lauro cerasus a secondo che sono lasciate sulla pianta o all’opposto tenute all’umido ed all’oscuro, come pure le molte osservazioni sparse nella letteratura e dalle quali risulta che. l'umidità è di ostacolo — non insuperabile però — alla formazione del tessuto suberoso, ci hanno indotto a investigare l’azione dell’ umidità e dell’oscurità sulla formazione dei peridermi su foglie lese e di poi obbligate a vivere quasi unicamente a spese dell’attività assimilatoria propria, poichè venivano tenute in acqua, oppure in soluzioni nutritive. 1. FOGLIE TENUTE IN ACQUA a) Dicotiledoni Per queste ricerche ci siamo limitati a studiar l’effetto dello sfre- gamento e dei tagli sia trasversali che tangenziali: a tal uopo le fo- glie dopo esser state staccate dal ramo venivano conservate in un re- cipiente pieno d’acqua, nella quale pescava il solo pinicolo fogliare. I tagli sia trasversali che tangenziali furono eseguiti al momento di inizia: e le esperienze; il massaggio fu invece continuato, ad intervalli di 2 o 3 giorni, sino a tanto che si vide comparire sulla lamina i segni della reazione (imbrunimento, aumento di consistenza ecc.), 112 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MÜSCATELLO Ficus beniamina Lin. Si è osservato unicamente il collasso delle cellule epidermiche e l’ impoverimento , in contenuto , delle cellule a palizzata e ciò per effetto del massaggio col fazzoletto. Nei tagli tra- sversali la parte lesa si è riempita di tannino, senza che in seguito abbia dato origine al tessuto suberoso. Ficus elastica Roxb. Le ferite da tagli trasversali hanno provo. cato dapprima lo sviluppo del tannino nelle cellule confinanti e sue- cessivamente del tessuto sugheroso. Questo però è oltremodo ridotto e non presentasi rafforzato da cellule di felloderma. I fasci vascolari compresi nella lesione hanno suberificato le cellule del tessuto fonda- mentale. La stessa sorte è toccata a due o tre cellule dello strato pro- fondo dell’ epidermide , previa segmentazione. Qualche rara divisione nel palizzata profondo in seguito ai tagli tangenziali. Hedera Helix Lin. Nessuna reazione di rigenerazione o di cica- trizzazione nei tagli trasversali, o in seguito al massaggio. Tutto al più si incontra qualche cellula tannica al limite dei tagli. Acacia pycnantha Bth. I tagli trasversali provocano la comparsa del tannino nellé cellule prossime alla lesione. Qualche rara cellula del palizzata inoltre accenna ad ispessire le pareti. Col massaggio non si è ottenuto altro che la comparsa del tannino. Viburnum lucidum Mill. Il tannino si sviluppa con una certa ab- bondanza ed anco su tratti estesi, tanto in seguito ai tagli che al mas- saggio; non abbiamo tuttavia notato altra reazione. Myoporum punctulatum Schlecht, In seguito al massaggio le cel- lule sottoepidermiche si schiacciano, compare il tannino nel palizzata e infine nel decorso dei fasci vascolari notasi qualche rara cellula su- berificata. Nelle ferite dovute a tagli trasversali abbiamo osservato u- nieamente la comparsa del tannino accompagnata da un leggero ispes- simento della parete delle cellule circostanti. Crassula canexeus Roem. et Schutt. Il massaggio non determina altro che la comparsa del tannino nelle cellule epidermiche e in quelle sottostanti. In un caso abbiamo tuttavia osservato la suberificazione dello strato di cellule dell’ epitema sottostante all’ epidermide e di quelle del parenchima fondamentale, limitatamente a uno 0 due piani cellulari situati pure a poco distanza dalle superficiali. I tagli trasver- CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI Fı GLIARÌ 113 sali invece provocano anche la suberificazione, scarsa però, delle cel- lule situate ad una certa distanza dalla lesione. Inoltre si osserva qual- che rara segmentazione. Photinia serrulata Lindl. Coi tagli trasversali, a prescindere da una lieve impregnazione di tannino e di antocianina (quest’ultima do- vuta probabilmente al distacco delle foglie), non si è osservata altra reazione. Lo stesso risultato in seguito al massaggio. Eucalyptus globulus Labill. Nei tagli trasversali ha luogo abbon- dante ed estesa formazione di tannino seguita da una leggera suberi- ficazione degli elementi situati a una certa distanza dalla ferita. Il massaggio ha provocato, nei nostri esemplari, delle reazioni molto dub- bie, poichè le poche cellule suberificate che si incontrano qua e là possono aver tratto origine da lesioni accidentali tanto frequenti nelle foglie di questa specie. Laurus canariensis Webb. et Berth. Pressochè gli stessi fenomeni offerti dall'Euca/yptus. La formazione di tannino al margine delle ferite è però molto meno estesa. Evonymus juponicus L. fil. Formazione di una sottile striscia di cellule suberifieate a breve distanza dalla ferita e previa formazione di tannino (tagli trasversali). Raphiolepis rubra Lindl. Presenza di tannino nelle cellule pros- sime ai tagli trasversali. Antocianina in tutta la sezione. Buxus balearica. In questa specie abbiamo unicamente eseguito dei tagli tangenziali in corrispondenza della pagina superiore della foglia che poi (senza esser staccata dal ramo) venne tenuta immersa nell’acqua. Le cellule del palizzata superficiale si sono segmentate , dando così tre o quattro strati di piccole cellule tabulari, le più esterne delle E quali hanno suberifieato le pareti. Il processo di cicatrizzazione era derò poco attivo, la suberificazione non occupando più di un piano di cellule. Senecio Kleinoides. Le cellule superficiali del tessuto fondamentale _ si accasciano assieme a quelle dell'epidermide e si riempiono di masse brune; le sottostanti ipertrofizzano fino ad una certa distanza dalla le- sione che qui fu effettuata col massaggio. en Die, CC? e e E $ F 114 '^ LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Osmanthus Aquifolium. I tagli trasversali provocarono un’ accenno di formazione suberosa in grande vicinanza della lesione. b) Monocotiledoni Phormium tenax. Nessuna reazione interessante in seguito ai tagli trasversali, all’infuori dello sviluppo di cellule tannifere nelle vicinanze di questi. c) Fusti alati e cladodi Semele androgyna. Nelle lesioni da tagli trasversali il eladodio im- brunisce sino ad una certa distanza dalla ferita e si forma un leggero strato di suberina nel punto in cui il tessuto torna normale. La sube- rificazione delle cellule è però appena riconoscibile col Sudan III. Muehlembeckia platiclados. Il ramo appiatito sviluppa qualche cel- lula suberifieata nel parenchima verde sotto l’ influenza dello sfrega- mento. In seguito ai tagli trasversali si forma un po’ di tannino e del sughero (ma in modo molto dubbio). 2. FOGLIE TENUTE IN SOLUZIONE NUTRITIVA a) Dicotiledoni In questa serie di ricerche sulle reazioni traumatiche abbiamo fatto una delle soluzioni di Knopf come mezzo di c:ltura delle foglie, le quali rimasero per tutto il tempo che durò l esperimento. col pic- ciuolo, o colla parte basale del lembo immerse nella soluzione. en poi si rinnovava una volta alla settimana. Eucalyptus globulus. Tannino in abbondanza nelle cellule prossime ai tagli fogliari trasversali. Reazione stentata nel caso di frizioni. Evonynous japonicus. Il massaggio ha prodotto sul decorso dei fasci maggiori delle grosse verruche serepolate e costituite da un'am- masso di cellule rotonde, giallastre, suberificate, al di sotto delle quali si ha un robusto strato di elementi fellodermici rettangolari. Non sap- piamo per altro se siffatta lesione debba realmente ascriversi al mas- aeree: NR? d ona CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLB LESIONI FOGLIAR 115 saggio. Coi tagli trasversali non si è ottenuto altro che la formazione di tannino nelle cellule prossime alla ferita. Ficus beniamina. Lesione tangenziale. Le cellule dello strato pro- fondo del palizzata mostransi povere di plasma e inoltre sono un po’ ingiallite per sostanze tanniche. La stessa reazione si ottiene coi tagli trasversali. Ficus elastica. In seguito ai tagli trasversali si ottiene una rea- zione abbastanza intensa nel senso che, a poca distanza dalla lesione, si forma una robusta placca di cellule suberose la quale attraversa tutto quanto il parenchima verde. Alla formazione delle stesse pren- dono anche parte le cellule epidermiche, sia proliferando, sia impre- gnando di suberina le pareti neoformate e quelle antiche. Poche cel- cule retrostanti al tessuto sugheroso, dal lato del tessuto sano, sono in. attiva divisione per formare un po’ di felloderma. Prima però che que- ste reazioni compaiano si ha il solito accumulo di tannino. Viburnum lucidum. Per quanto riguarda i tagli trasversali abbiamo notato la stessa reazione già descritta sul Ficus elastica. Le lesioni tangenziali provocano invece soltanto (almeno nei casi da noi studiati) produzione di tannino e accasciamento delle cellule. Crassula canescens. Sotto l'azione del massaggio imbruniscono le cellule superficiali del parenchima e quelle dell'epidermide, e poi qua e là ha luogo qualche dubbia formazione di cellule sugherose. Osmanthts Aquifolium. Il tessuto sottostante al punto soffregato si accascia perchè gli elementi del palizzata si impregnano di tannino esi coartano. Nessun’ altra reazione. Comportamento analogo coi tagli trasversali. Photinia serrulata. La stessa reazione osservata nell'Osmantus. Myoporum punctulatum. Imbrunimento delle cellule prossime ai tagli trasversali. Reazione insignificante nel caso di soffregamento della foglia. Hedera Helix. Lesioni tangenziali. Si è ottenuta una reazione molto elegante. I due strati di palizzata restano per lo più immutati (1), (1) In un caso le cellule dello strato profondo del palizzata sottostanti a quelle esterne lese avevano ispessito alquanto la parets frontale che le separava da queste ultime (fig. 48). i16 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLÒ mentre proliferano le cellule immediatamente sottostanti per formare un robusto strato di elementi grandi o discreti, saberificati, al di sotto dei quali si osserva un piano di piccole cellule fellodermiche. La su- berificazione però in qualche punto colpisce anche le cellule del paliz- zata profondo. Questo è quanto si può osservare allorchè il preparato microscopico viene ottenuto dai bordi della lesione. Nel mezzo di que- sta cambia la scena in quanto che tutto il tessuto sottostante alla le- sione muore e allora si ha la cicatrizzazione di una ferita trasversale. Si nota tuttavia una piccola differenza nel senso che il periderma non decorre come un setto diritto da un epidermide all’altra, ma all’opposto passa al di sotto delle cellule morte per decorrere per breve tratto parallelo alla superficie lesa e poi piega bruscamente per raggiungere l'epidermide inferiore. Per lo più ih ginocchio si forma a ridosso dei fasci vascolari. Il processo è ovunque preceduto dalla comparsa del tannino. Tagli trasversali: tannino nelle cellule prossime alla ferita e di poi una placca di celiule suberose a breve distanza da questa. Le cel- lule suberifieate son grandi, vuote o presentano le pareti ondulate, ciò che dimostra che esse hanno dovuto contrarsi. La regione del callo è più ispessita della circostante normale. . Raphiolepis rubra. Nessuna reazione sia coi tagli trasversali sia con quelli tangenziali, all'infuori della comparsa di tannino. Laurus canariensis. Si comporta come il Raphiolepix. b) Monocotiledoni Dracaena draco. Tagli tangenziali: Il periderma, a grosse cellule tanniche e suberose, colle pareti impregnate di flobafeni che colorano anehe i eordoni meceaniei, si forma a spese del parenchima verde in- terposto fra questi ultimi, e poi si sviluppa parallelamente alla super- ficie nel tessuto di ampie cellule situato immediatamente dietro i cor- doni meccanici. Nei tagli trasversali il periderma pure tannico sube- roso si forma in abbondanza presso la ferita ed è rinforzato da qual- che cellula di felloderma. Entrambi i tessuti hanno pareti un po’ ispessite, CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 117 3. FOGLIE TENUTE ALL’OSCURO Per questo genere di esperienze ci siamo limitati a soffregare le foglie ad intervalli di 2 o 3 giorni. L'operazione venne di poi sospesa allorchè commeiarono ad apparire i primi segni di reazione, (cambia- mento di colore, raggrinzamento etc.) Le foglie vennero raccolte due mesi più tardi e durante tulto il tempo che trascorse dal primo mas- saggio fino al giorno della raccolta furono tenute avvolte nella sta- gnola. Noi abbiamo così potuto, studiare F influenza dell’ oscurità nel- la reazione, ma però non possiamo tacere che un lembo fogliare av- velto dalla stagnola si trova anche in condizioni di umidità alquanto differenti da quelle cui sono sottoposte le foglie liberamente traspiranti. Infatti si è quasi sempre osservato che le foglie erano piuttosto umide, ciò che non accade a quelle esposte al sole. Myoporum punctulatum. Quasi nessuna reazione: al di sopra di aleuni cordoni fibrovascolari si incontra qualche cellula suberosa. In un’ esemplare di foglia stata trattata allo stesso modo, ma la- sciato di poi alla luce si sono notate le seguenti particolarità: |’ epi- dermide era schiacciata e la stessa sorte avevano subito in alcuni punti le cellule del palizzata sottostante. Poi veniva un grosso strato di elementi grandi, suberificati, contro ai quali si appoggiavano delle file di cellule allungate otricoliformi, semplici o variamente divise, ta- lune delle quali a pareti fortemente ispessite. ] tramezzi erano parti- colarmente numerosi in vicinanza del tessuto suberifieato. Al tessuto neoformato teneva dietro un palizzata conformato pressochè sullo stam- po normale e di poi il lacunoso rivestito dall'epidermide inferiore. La legione lesa è molto ispessita in confronto della sana. Raphiolepis rubra. Quasi n ssuna reazione, se si eccettua la com- parsa del tannino. All’ opposto una foglia stata soffregata, ma poi, per il confronto, lasciata scoperta ei ha offerto non poche particolarità struttuali interessanti. L' epidermide superiore si è mantenuta intatta od ha suberificato le pareti, mentre le cellule si sono divise. Al di sotto di essa è comparso un tessuto singolarissimo, fatto di cellule ir- regolari ramose, ricche di amido, le quali però in aleuni punti, e più precisamente la dove l'epidermide era suberificata, si trasformavano in Ee EE E Vna o Bf SAC TN E 118 . LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO un tessuto a piccole cellule, collenchimatose che rafforzavano l'epidermi- de stessa. Al di dietro di questo strato cellulare di neoformazione com- pariva il palizzata; questo però può mancare e al suo posto trovasi allora il lacunoso. Tanto l’uno che l’altro presentavano caratteri nor- mali e perciò spiccavano sul tessuto patologico per la coloraz one verde più intensa e per gli spazi intercellulari più piccoli. Trattando le sezioni con acqua di Javelle e poi col Sudan III si potè constatare che tutto il tessuto neoformato a cellule ramose aveva le pareti ispessite ma non suberificate: ‘all’opposto erano impregnate, e fortemente, di suberina le piccole cellule sottostanti all’ epidermide là dove questa si mostrava pure suberificata, o più o meno profondamente schiacciata e alterata. -Ficus elastica Non abbiamo osservato alcuna reazione, ma nep- pure si sono istituite esperienze di confronto. Hedera Helix. Qualche divisione nel palizzata e nell'epidermide; un po’ di periderma sui fasci maggiori; mancanza di amido nei tes- suti. All'opposto intensa formazione di periderma ; segmentazione nu- merosa nel tessuto epidermico e nel palizzata nelle foglie lasciate alla luce, le quali poi sono rieche di amido. Eucalyptus globulus. Si sono incontrati dei tratti di tessuto verde in cui le cellule più superficiali erano suberificate; inoltre qualche cel- lula epidermica si mostrava divisa. Nella foglia di confronto che era stata soffregata e poi lasciata alla luce la reazione era evidente. L'epi- dermide erasi schiacciata e divisa su estesi tratti del lembo; in alcuni punti, e specialmente lungo la nervatura, essa appariva sollevata col tessuto sottostante ipertrofieo. Al di sotto dell'epidermide incontravansi parecchi piani di cellule chiacciate; contro questa poi poggiava uno strato di cellule le cui pareti, dal lato rivolto verso l’esterno, erano notevolmente ispessite, per cui si aveva la produzione del solito strato epidermoide. Più profondamente si incontrava una specie di felloderma a piccoli elementi con membrana sottile, e infine il tessuto più o meno normale (palizzata, lacunoso e via dicendo). Col Sudan III si rilevava che tutto quanto il tessuto sovrastante allo strato epidermoide e questo stesso erano suberificati. Va notato Se CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 119 inoltre che la membrana ispessita dello strato epidermoide si innestava alla cuticola dell’epidermide, cui rassomigliava in tutto e per tutto. Photinia serrulata. Nessuna reazione un po’ caratteristica. Nelle foglie di confronto si hanno delle vere verruche dovute alla prolifera- zione del tessuto malato. L'epidermide è schiacciata e al di sotto vi ha un tessuto ricco di tannino e caratterizzato da lunghi otricoli, op- pure questi si tramezzano ripetutamente e allora compare un tessuto a piccole cellule intimamente fra loro unite, a tipo collenchimatoso, al di sotto di questo si incontra il palizzata le cui cellule sono qua e là tramezzate. Se la lesione è stata meno intensa, sotto l’ epidermide compare subito il palizzata, il quale però ha le sue eellule più super- ficiali povere in contenuto, giallastre per tannino e spesso tramezzate, Tutto il tessuto neoformato appare, col Sudan III, suberificato ed in molti punti rivestito all’ esterno da una membrana cuticolaroide in sostituzione di quella dell’ epidermide alterata. Al di sotto però dello strato suberificato si incontra assai spesso un tessuto di piccole cellule di felloderma collenchimatoso ; poi fa seguito il palizzata più o meno profondamente alterato e costituito quasi sempre di cellule meno grandi delle normali. Colla tintura di Judio si è trovato amido in abbondanza nella fo- glia rimasta alla luce, pochissimo invece in quelle tenute all'oscuro, La stessa disposizione venne pure riscontrata nelle altre piante da noi studiate, fatta tuttavia eccezione per il Raphiolepis a causa delle so- luzioni di continuità avvenute nella stagnuola negli ultimi giorni delle nostre esperienze, e per le quali un po’ di luce era penetrata fino alla foglia provocando l’assimilazione. * * * Le osservazioni fatte tenendo le foglie all’ oscuro, all’ umido, in soluzioni nutritizie concordano tutte quante nel senso di mettere in evidenza che le formazioni suberose si formano in abbondanza unica - mente quando il filloma è sottoposto alle condizioni di luce normali e non assoggettato ad un’umidità eccessiva. E’ vero però che le foglie reagiscono le une differentemente dalle altre anche quando appartengono alla stessa specie e perciò i risultati 120 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO possono venire infirmati da una tale condizione di cose. Ciò non ostan- te, dato il numero abbastanza grande di esperienze condotte a termine, e tutte più o meno fra loro concordanti, ci crediamo autorizzati a mantenere le nostre conclusioni. I fatti esposti ci dicono inoltre che la foglia può reagire anche se staccata dalla pianta avendo essa la capacità di vivere a lungo quando venga tenuta all'umido. Nelle soluzioni nutritive essa poi trova condizioni di esistenza ancora migliori. Ma se essa basta a se stessa non è più capace di reagire con quella intensità che è caratteristica delle foglie lasciate aderenti alla pianta. Perciò noi vediamo che il callo è ridotto, talora mancante e sostituito da un accumulo di cellule piene di tannino. Inoltre, anche quando si sviluppa abbastanza bene, (Ficus), il callo non è quasi mai accompagnato da formazioni felloder- miche abbondanti, tanto che non merita a rigor di termini il nome di callo. Pochissimo accentuate poi sono le reazioni allorchè si sono sof- fregate le foglie, e inoltre le stesse quasi mai dànno luogo alla produ- zione di elementi selerosati, di epiteli cuticolari e di altre particolarità istologiche ed anatomiche che noi abbiamo visto frequentemente com- parire nelle esperienze fatte su foglie tenute in sito. Interessante è poi il fatto che mentre le lesioni meccaniche (fri- zioni) provocano al pari di quelle chimiche (causticazione coll’AgNO,) la proliferazione del tessuto sottostante nelle foglie lasciate in sito, questi processi non avvengono che raramente in quelle tenute all'umi- do. In tali foglie invece si forma quasi sempre lungo i margini della ferita o della lesione un cercine cicatriziale per cui la parte mediana lesa resta sequestrata. Si comprende quindi come nelle esperienze di Blackmann e Mattaei si sia appunto ottenuto il distacco del tessuto morto allorchè le foglie di Prunus Laurocerasus venivano ustionate e poi mantenute col picciuolo in acqua fino a cicatrizzazione com- pleta. Anche molto interessanti sono le osservazioni fatte con foglie il eui pieciuolo pescava nelle soluzioni nutritive, poichè dalle stesse è risultato che le migliori condizioni di esistenza in cui viene in tal gui- sa a trovarsi la foglia staccata favoriscono i processi di cicatrizzazio- ne, i quali perciò appaiono più marcati che nella foglia semplicemente MORS EE EE CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 121 conservata in aequa. L'oseurità infine ha pure un'influenza non indif- ferente valendo essa a rallentare e ad indebolire le reazioni, che provo- cano la cicatrizzazione. FACCIA INFERIORE DELLA FOGLIA Le lesioni furono ottenute anche qui tanto col metodo della cau- sticazione eoll'AgNO, che con quello delle frizioni meccaniche. Nostro scopo era que lo di constatare se i tessuti epidermici e il lacunoso della pagina inferiore, altrimenti conformati da quelli della pagina supe- riore (palizzata ed epidermide), reagissero anche diversamente allo sti- molo. Nella pagina inferiore abbiamo, quasi sempre, una maggior ab- bondanza di stomi i quali, quando vengono messi in condizioni di non più funzionare, devono provocare notevoli disturbi nei sottostanti tes- suti. Oltre a ciò il lacunoso, ricco di meati intercellulari, permette alle cellule di distendersi in tutte le direzioni quando vengano stimo- late ad accrescersi, per eui anche sotto questo punto di vista le con- dizioni sono ben diverse da quelle ehe regolano la reazione patologica alla pagina superiore. Lesioni ottenute collo sfregamento Podocarpus latifolia Wall. Il tessuto suberoso compare al limite del punto leso ed alla superficie della foglia per affondarsi di poi in guisa da eireoserivere la parte malata formando all'ingiro di questa quasi uno strato concavo, una specie di scodella che ingloba le cellule necrosate. I fasci vascolari quando vengono compresi nella lesione rie- scono profondamente alterati. Abbiamo peraltro osservato dei casi in cui nel punto malato vi era semplicemente una esuberante produzione di tannino. Ficus religiosa. Il lacunoso si segmenta ma non attivamente e poscia le cellule suberificano. Qualche cellula del tessuto sottoepider- mico ispessisce le pareti (fig. 49). Ficus Sycomorus. Oltre (alla lesione constatata nella precedente spe- eie si rileva qui l'oeclusione delle cellale a cistoliti seguita da sube- rifieaz one della sostanza fondamentale del cistolite. 122 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLÓ Ficus Afzelii. Semplice suberificazione di qualche strato del lacu- noso più superficiale. Ficus magnolioides. Formazione di sughero sulle nervature. Ficus beniamina. (fig. 50) La pagina inferiore è rivestita da un epidermide disposta in doppio strato e costituita da cellule assai più piccole di quelle della corrispondente epidermide della pagina supe- riore. Vi ha poi un palizzata ridotto, di guisa che il lacunoso viene ad oecupare quasi l'asse della foglia. Il palizzata reagisee allungandosi donde la formazione di una bozza per altro poco prominente. Raggiunto poi che hanno un certo sviluppo, le cellule si segmentano attivamente, ma limitatamente al- l’estremo rivolto verso la superficie fogliare, dando così origine a uno strato di piccole cellule che non tardano a suberificare. Le cellule a cistoliti per lo più restano immutate, o suberificano le pareti o riescono colmate da tilli. Il lacunoso può anche prender parte al processo neoformativo con produzione di piccole cellule stirate tangenzialmente, quasi schiacciate. Ficus macrophylla. Prolifera il lacunoso ed il pal zzata della pa- gina inferiore con formazione di uno straterello suberificato sottoepi- dermico specialmente sviluppato lungo le nervature maggiori (fig. 51). Ficus populifolia. La lesione si è presentata sui fasci vascolari maggiori con formazione di uno strato sugheroso al di sotto del col- lenchima sottoepidermico. Più profondamente si nota un tessuto fel. lodermico a cellule schiacciate. Il tannino abbonda nella lesione. Ficus rubiginosa. Segmentazione tumultuosa seguita da suberifi- cazione delle cellule del palizzata (fig. 52). Tournefortia hirsutissima. Il tessuto del lacunoso muore o sube- rifica e i cistoliti restano inelusi nella parte ammalata. A titolo di curiosità uoteremo che la sostanza fondamentale dei cistoliti, nelle sezioni trattate eoll'aequa di Javelle presenta una struttura granulare finissima (dermatosomi). Vasconcellosia hastata. (fig. 53) Si forma una piccola bozza sui fasci vascolari e le cellule più superficiali della stessa suberificano. Acocanthera venenata (fig. 54) Bozza appiatcita dovuta a produzione di sughero sotto l'epidermide. Più profondamente compare un parenchima a Es, 3 123 CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI a cellule schiacciate contenenti qua e là, ma specialmente in vicinanza dei fisci vascolari, degli elementi le eui pareti sono ispessite. I meati mostransi otturati. Hedera Helix. (fig. 55) Si forma uno strato di sughero sorretto . da un tessuto a cellule appiattite, spesso provviste di pareti più ispes- site dell’ordinario. Il tutto forma una leggera prominenza alla super- ficie della foglia. Olmediella Cesatiana. (fig. 56) Si forma del tessuto sugheroso ed al di sotto di questo uno straterello di parenchima. a cellule piatte. Presso i fasci vascolari le cellule ispessiscono notevolmente le pareti. Osmanthus Aquifolium. Il robusto strato centrale di tessuto lacu- noso , costituito da grandi cellule, prolifera e in pari tempo le cellule ingrossano ancor di più provocando così l’ otturazione dei meati in- tercellulari. Qualche cellula suberifica le pareti che spesso diventano assai robuste. Photinia serrulata. (fig. 57) Sughero sottoepidermico con leggero ispessimento delle pareti delle cellule sottostanti. Evidente otturazione dei meati. Garuga pinnata. (fig. 58) Per lo più si ha solo una volgare pro- duzione di sughero sopra uno strato di cellule parenchimatose schiac- ciate. Molte volte però le grandi cavità ghiandolari restano obliterate da tilli dovuti a proliferazione delle cellule parietali della ghiandola. La cavità della ghiandola appare allora trasformata in un ammasso di piccole cellule. Non è però raro il riscontrare ancora qualche re-. siduo della originaria cavità ghiandolare, più o meno spostata dal- l’asse dell'apparato secretose. Vithania s»mnifera. (fig. 59) Le foglie sottili e delicate constano di una epidermide formata da grosse cellule sormontanti un unico strato di palizzata i cui elementi sono del pari piuttosto grandi. Il lacunoso è ridotto a poca cosa. La reazione è abbastanza caratteristica, verificandosi un notevole ingrandimento delle cellule del lacunoso che otturano così i meati. Le cellule più superficiali del tessuto si suddividono tangenzialmente per dar origine a due o più strati di piccole cellule che non tardano a | suberificare. La suberificazione poi non di rado si estende alle cellule 194 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO epidermiche della faccia inferiore o all'opposto s’ava iza fino al paliz- zata i eui élementi peró, prima di suberifieare le pareti, si allungano, si allargano ed anco si tramezzano trasversalmente. Il tessuto malato ap- pare pieno di tanaino, mentre sui lati della lesione le cellule del pa- lizzata spiccano per maggior copia di amido e per i cloropasti anche più tozzi dell’ordinario. Azione dell AgNO, Podocorpus latifolia. Si ottengono le lesioni già descritte a riguar- do del soffregamento (fig. 60). . Ficus Afzelii. Attorno alle nervature la reazione è assai viva: si formano ivi lunghi otricoli e cellule selerose con punteggiature larghe. Il tessuto si eleva a guisa di bozza sulla superficie della parte sana (fig. 61). Ficus religiosa. Il lacunoso si riempie di tannino Ficus magnolioides. Piccole verruche sulle nervature maggiori. L’epidermide e il sottoposto collenchima non hanno subìto modifica- zioni. Al di sotto di questi tessuti invece si incontrano delle cellule grandi poligona.i, piene di masse gialle. Più profondamente aneora compaiono dei veri:otricoli allungati prevalentemente in senso radiale. Infine a ridosso dei fasci vascolari, 1 cui cordoni meccanici sono spesso üsurati, appare un accumulo di piccole cellule nate da ripetute seg- mentazioni tangenziali delle originarie cellule parenchimatose. Coll'aequa di Javelle si riesce a mettere in evidenza dele grosse cellule a pareti selerosate le qua'i sono di preferenza localizzate al li. mite del tessuto malato. Esse derivano da una metamorfosi delle or- dinarie cellule del parenchima fondamentale. Nessuna traccia di su- berificazione; non è però da escludersi che possa formarsi (fig. 62). Ficus sicomora. Proliferano le piccole cellule del laeunoso ottu- rando i meati. Hedera Helix. Si forma un grosso nodulo di tessuto sugheroso, al di sotto del quale poi spesso compare un robusto strato di cellule piatte stirate tangenzialmente, a pareti ispessite, e spesso riempite da una grossa drusa di ossalato di calcio che difetta invece là dove il tessutò torna a farsi normale (fig. 63). A su Ke Y EUER EC are tW cd e CCS AUS SLT A 2 "SZ KSC a E V. eS LL NEAR IS TE ba LE E E T. ah ONE COURSE LE WC hie ais oi ` REN > T ISO rd x VY CHER eg TRAN EE M NET dat si Ké EE ; à 5 AE s E 10; : - $ : CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DALLE LESIONI FOGLIARI 125 Cotiledon quitensis (fiv. 64). Il sughero si forma un po’ al di sotto della superficie fogliare sequestrando così, oltre all'epidermide, non pichi strati di parenchima necrosato ed infarcito d'amido che non potè più essere esportato. Vasconcellos:a astata. Non abbiamo ottenuta alcuna reazione. Acocanthera venenata (fig. 65). Epidermide e strato superficiale del lacunoso necrosato. Al di sotto un gruppo di cellule allungate, allar- gate o tramezzate dal lato rivolto verso la superficie. Questo tessuto si forma di preferenza presso i fasci vascolari quasi a scopo di protezione. Tra il tessuto necrosato e quello a cellule allungate qualche volta ‚si forma del sughero, le cui cellule ispessiseono le membrane frontati rivolte verso il tessuto necrotico. Viburnum lucidum (fig. 66). Piccola bozza costituita alternativa- mente da cellule sugherose allungate radialmente poco o punto tramez- zate, e da altre pure lunghe, ma tramezzate a varia altezza e punto suberificate. Il tessuto neoformato comprime lo strato profondo del palizzata che perciò accorcia le cellule. In questa specie le grandi lacune che attraversano il parenchima permettono un esuburante svilup- po delle irregolari cellule clorofilliane che riescono così ad otturare i meati, mentre rinforzano le pareti. Garuga pinnata. Si forma ‘un volgare tessuto sugheroso sorretto da un ;arenchina a piccole cellule. Il palizzata composto di due strati di cellule non accenna ancora a reagire quando già tutto il lacunoso è profondamente alterato. Le glandole, circondate o no da tessuto sele- roso, si riempiono spesso di tilli, provenienti dalle stesse cellule se- eretriei. Delle Monocotiledoni abbiamo studiato solo la Clivia che ha rea- gitc all'azione del nitrato d'argento allungando le cellule e riempiendo. le lacune eolle stesse (fig. 61). * = * Le nostre esperienze furono anche estese a moltissime altre piante sulle cui foglie si era applicata sia la causticazione al AgNO, sia lo strofinio alla pagina superiore. In tutte quante però la reazione ottenuta 126 LUIGI BÜSCALIONI È GIUSEPPE MUSCATELLO é stata insignificante a motivo della pronta necrosi che ha invaso il tessuto leso. Sotto questo punto di vista è dunque lecito concludere che le lesioni della pagina inferiore provocano più facilmente la necrosi anzichè una reazione vitale, o iperplastica. Un tal comportamento è forse inerente al grave perturbamento che apporta nelle funzioni di traspirazione, respirazione ed assimilazione una lesione che interessa un tessuto ricco di meati intercellulari e di stomi, vale a dire emi- nentemente adatto agli scambi gasossi. Sulla pagina superiore, dove gli stomi mancano o sono meno numerosi e dove gli spazi intecellulari hanno minor sviluppo e minor importanza le lesioni provocano invece una reazione eminentemente vitale. Nei pochi casi illustrati e che sono i soli in cui nelle nostre esperienze si sia ottenuta una reazione, questa è quasi sempre di gran lunga meno manifesta in confronto di quella che abbiamo ottenuto ledendo la pagina superiore. Quasi sempre si ha innanzitutto la comparsa di un tessuto che noi abbiamo chiamato necrosato pel fatto che esso è costituito da cellule morte le quali non presentano traccia di reazione, o tutt'al più questa è indicata da masse tanniche. La morte deve essere avvenuta troppo prontamente perchè il tessuto avesse tempo a reagire. Siffatto tessuto d’ordinario riesce isolato mercè uno strato di su- ghero. La suberificazione è pure un processo che abbiamo incontrato con grande frequenza nelle nostre ricerche, e queste poi ci hanno ri- velato che spesso il tessuto suberoso è sorretto da parecchi piani di ‘cellule tabulari intimamente fra loro congiunte. Comunissimo è l’ingrandimento moderato delle cellule del paren- chima e per effetto dello stesso si ha la otturazione dei meati inter- cellulari, la qual ‘condizione di cose ostacolando lo scambio gasoso non è senza influenza sull’ulteriore comportamento dei tessuti di fronte alla lesione. Forse ad essa va ascritta la minore reazione della pagina in- feriore fogliare rispetto alla superiore. Più di rado si è presentata la lignificazione delle pareti cellulari come di rado si è rilevato l’ispessimento delle membrane e l’ingrandi- mento smodato delle cellule. Di quì la mancanza di bozzacchioni o a poco sviluppo addimostrato da questi. CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI ix E' singolare il fatto che nelle lesioni osservate dall' Atkinson. (Oedem of the Tomato. Bull. 53 Cornell. Univ. Agricol*. Exp. Stat. 1893) nei pomidoro, o tomatiche, mantenuti eccessivamente al- l'umido e in condizioni di poter stentatamente traspirare, i bozzac- ehioni si formavano prevalentemente sulla pagina inferiore nelle fo- glie ed erano costituiti da otricoli giganteschi alla eui produzione pren- deva parte il lacunoso, il palizzata e l'epidermide inferiore che nelle nostre esperienze ha pochissimo reagito. Analoghi risultati, e per le stesse cause, ottennero il Masters (Garden Chron 1878 I p. 802) nelle foglie di patate ed il Wards (Gardn.Chr.I 1889) ed il Muth nella vite. La ragione del diverso comportamento va ricercata nelle condi- zioni anatomiche della foglia stessa le quali ci dicono che la pagina inferiore è formata da cellule più delicate, a pareti meno resistenti, le quali perciò quando per eccesso d’acqua sono forzate a crescere e ad allungarsi riescono più facilmente a sollevare e a rompere la cuticola dell'epidermide inferiore anzichè quella dell’ epidermide superiore più robusta. Di qui la prevalente localizzazi ne dei tubercoli e degli otri- coli alla pagina inferiore fogliare. Noi possiamo ancora aggiungere che il Bain nel suo lavoro «ofthe action of copper on leaves (Ballet. of the agricultur experim Station of Tenessee 1902) dimostra come sot- to l' influenza dell’acqua, che rende solubili i sali di rame applicati alle foglie, le lesioni di queste (pure spesso accompagnate dalla for- mazione di bozze e di otricoli) siano più pronte e più dannose quando il sale di rame viene applicato alla pagina inferiore. Qui entra in giuoco evidentemente la maggior sottigliezza della cuticola la quale favorisce il passaggio dell’acqua, contenente sali, nell’interno del parenchima fo- gliare, come ebbero a dimostrare il Bossingault, il Wille ed altri autori. Le esperienze di Bain collimano in parte colle nostre per quanto concerne la frequente localizzazione delle bozze sulle nervature, la cui spiegazione va ricercata nel fatto che ivi — stando alle osservazioni dell'autore americano — la cuticola è più permeabile che nel resto della foglia (l. e. p. 67). | Dacchè stiamo riportando le osservazioni di Bain ricorderemo an- cora che colle frizioni e col nitrato d’argento abbiamo spesso ottenuto l’essiccamento della parte lesa, mentre solo di rado avveniva il distac- Ty < SE E 128 |... LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO co della stessa, ciò che invece, stando ai dati del Bain, avrebbe otte- nuto: con una ‘certa frequenza il Duggar (Ann. of Bot. XIII 1888) i cui risultati collimano del resto con quelli del Bachmann e Mattaei. (1) -. A questo punto si presenta la questione: penetrano i sali offerti alla foglia nel tessuto di questa insieme all'acqua? Su questo punto gli autori non sono troppo concordi. Però stando alle osservazioni fat- te dal Bain coi sali di rame risulterebbe che realmente questa sostan- za penetra spesso anche attraverso la cuticola fogliare. E’ noto infatti che i ceppi di vite assoggettati alle miscele di Bordeaux presentano delle foglie di un verde più intenso, per reazione del tessuto verde ài sali di rame, e d’altra parte il Mac Dougal (Copper in Plants) ha riscontrato dei depositi di rame nelle piante viventi in siti ricchi di questo elemento. Stando alle nostre ricerche noi siamo indotti a ritenere che i sali di argento penetrano pure attraverso la cuticola poichè spesso abbiamo notato che le cellule del lacunoso (come del resto anche quelle del palizzata, negli esperimenti fatti sulla pagina superiore) mostravansi piene di granuli nerastri dovuti evidentemente a deposito di argento metallico ottenuto per riduzione dei sali d’argento, probabilmente or- ganici, che si erano formati in seno al protoplasma. Si potrebbe ob- biettare che il sale sia penetrato nelle cellule dopo che queste erano state uccise, ma la presenza dei depositi in cellule suberificate addi- mostra che il passaggio era avvenuto prima che si producesse la rea- zione, non verificandosi la suberificazione che molto tempo dopo della causticazione coll’ AgNO,. ‘ Ricorderemo da ultimo che nelle cellule lese, appartengano queste 3 al palizzata o al lacunoso, la quantità di clorofilla è notevolmente ri- dotta, analogamente a quanto si osserva nei bozzacchioni delle patate dovuti ad eccesso di liquido e a scarsa illuminazione. L’accrescimento però esagerato delle cellule indica che in esse devono esser presenti in abbondanza le sostanze dotate di alto potere osmotico. Va no- tato ancora. che le lesioni tendono a mettere in evidenza una certa (1) Questi autori però, a quanto pare, non hanno avuto nozione delle osser- vazioni del nn di gran lunga anteriori, TOM RM GC EE CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 199 autonomia tra il tessuto a palizzata e quello lacunoso poichè quando sia ammalato l'uno di questi tessuti nella sua totalità l'altro si pre- senta ancora in ottime condizioni. Considerazioni generali Il reperto anatomieo ci ha rivelato non poche modificazioni di struttura che avvengono nelle foglie quando queste siano sottoposte a massaggi ripetuti o alla causticazione eol nitrato d'argento. A scanso - di equivoci è luttavia necessario rilevare che le alterazioni descritte costituiscono soltanto delle medie, oltremodo variabile essendo il po- | tere di reazione nelle differenti foglie di una stessa pianta od anco in una uniea foglia a seconda delle condizioni d'ambiente ed intrinsiche del filloma stesso. Tra i tessuti capaci di reagire allo stimolo traumatico merita di essere segnalata l'epidermide, poichè in non pochi casi furono vedute le sue cellule segmentarsi e talora il processo ha assunto un'importanza grandissima, come è il caso appunto per i.Ficus. E' vero però che quasi sempre reagiva lo strato profondo del tessuto tegumentale, ma anche % a prescindere da questo, e da altri casi, è lecito affermare che I’ epi- .. . dermide reagisce agli stimoli traumatici più frequentemente di quanto - si ammetta ordinariamente. . Attinenti alle produzioni di ‘carattere epidermoidale sono le mem- brane cuticularoidi, gli epitelii eutieolari e gli strati epidermoidi. Tutte quante queste formazioni stanno a provare che il tessuto di eieatriz- zazione, qualunque sia la sua provenienza, può formare delle mem- brane aventi le caratteristiche delle cuticole epidermoidali. Si tratta di un processo di cicatrizzazione che per quanto ci consta — ed > in specie per ciò che concerne le membrane eutieolaroidi — non ha |. ' ancora a sufficienza attirato la attenzione degli studiosi. (V. in propo- sito i lavori di Tittmann, Kuster etc.) i In generale si afferma che !e lesioni prodotte da cause diversis- sime determinano quasi sempre la comparsa di un periderma. Il fatto è vero, ma per altra parte è pure stato da noi assodato che a stimoli differenti (frizioni ripetute, causticazione ete.) corrispondono reazioni differenti nelle quali d’ ordinario predominano le formazioni perider- 130 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO miche che però sono talora rese piuttosto complesse dalla comparsa di speciali tessuti, mentre non mancano i casi in cui il periderma non si forma. Particolare interesse offrono le reazioni dovute alla causticazione. Qui si formano delle vere bozze costituite da lunghi otricoli tramez- zati o semplici, e tutto quanto il tessuto neoformato ricorda talora le formazioni gallicole. Noi abbiamo infatti potuto constatare la comparsa di alcuni elementi speciali di queste produzioni, quali le cellule scle- rose (1), quelle lignificate o aventi degli ispessimenti parziali sulle membrane, gli otricoli e via dicendo. Non vogliamo con questo affer- mare che l’analogia sia completa, poichè non vi ha dubbio che le pro- duzioni gallicole sono assai più complesse ed inoltre mentre da un lato hanno poca tendenza a formar peridermi, dall’altro sono ricoperte da un epidermide che per lo più è incapace di segmentarsi. Ciò nondimeno non possiamo passar sopra a certi caratteri comuni quali sono quelli sopra accennati. Egli è certo che lo stimolo chimico è quello che ci ha offerto delle produzioni patologiche più atipiche, ma è parimenti stato asso- dato che stimoli molto più semplici (quali sono quelli meccanici, il massaggio ete.) incapaci di produrre di primo colpo la morte delle cel- lule, quando vengano posti in azione ad intervalli più o meno lontani di tempo, si presentano anche molto adatti a svegliare un'attività nelle cellule, che difficilmente sarebbe da aspettarsi negli elementi stati bru- talmente maltrattati, come avviene colle ferite o con stimoli chimici troppo energici. Continuità d’azione dello stimolo e poca energia di questo, a prescindere dalla sua natura , sono due condizioni che pre- dispongono i tessuti alle reazioni. (2) E' stato rilevato da molti che le galle sono rare Gelle Crittogame superiori, frequenti invece nelle Fanerogame e specialmente nelle Di- cotiledoni. Qualche cosa di analogo succede nelle reazioni traumati- che nelle foglie, poichè i tessuti patologici più complessi vennero da (1) Furono anche riscontrati nei peridermi dei fusti, in seguito a ferite. (2) Nel caso del massaggio entra in giuoco, come stimolo, anche la tempe- ratura che acquista la parte frizionata. t CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 181 noi riscontrati appunto nelle Dieotiledoni. Le Monocotiledoni reagiseono in più debole misura e più stentatamente e lo stesso fanno le Critto- game superiori. Inoltre fra le Dicotiledoni hanno dato risultati vera- mente dimostrativi quelle specie che hanno foglie coriacee, succulenti, o vivaci; reagito malamente, con necrosi od essiccamento, o colla for- mazione di un periderma banale le foglie tenere e sottili. Mentre nelle prime si hanno talvolta dei veri calli, in queste si nota invece spesso, come uniea reazione, là comparsa di masse tanniche nell'interno delle cellule prossime alla lesione, come del resto venne già segnalato per qualche specie dal Bretteld. Sarebbe interessante indagare se anche le produzioni gallicole fogliari più tipiche siano prevalentemente re- peribili nelle Dicotiledoni a foglie ispessite. Qual’ è la causa che induce una più vivace reazione nelle Dico- tiledoni rispetto alle altre classi? La risposta è difficile; tutt’ al più possiamo tenere presente che nelle Dicotiledoni i tessuti a carattere sitogenico embrionale sono più diffusi che nelle Monocotiledoni e nelle Crittogame superiori. Basterà, ad esempio, accennare in proposito alla presenza Wes cambi nei fasci vascolari, nel periciclo, nella corteccia e via dicendo. E’ probabile quindi che le sostanze formative di carattere pangenico siano più largamente sparse nei tessuti delle Dicotiledoni, rispetto alle Monocotiledoni ed alle Crittogame superiori. per cui le stesse inter- vengono in maggior abbondanza là dove avvengono delle lesioni. Noi non vogliamo dare alle nostre vedute altro valore che quello di una probabile ipotesi, ma intanto facciamo osservare che nelle Dracene ed altre Monoeotili dotate di accrescimento secondario, e quindi fornite in abbondanza di tessuti istogenici, si osservano pure delle reazioni vivaci (1). Se può a taluni parere alquanto problematica l’affinità tra i tes- (1) Per quanto riguarda le Gimnosperme abbiamo pochissimi dati, e perciò, considerando che questo tipo di piante ha poca tendenza a formar delle galle, dobbiamo, col Trotter, ammettere che l'antichità relativamente grande del grup- po — ilquale come si sa nacque assai prima degli insetti gallicoli — abbia pre- servato. le specie che gli appartengono dagli attacchi di siffatti organismi. ZIA EN C PL ES A EE 3 EE, E PARE TI E E e £ \ Tana ER ct "m s Ce 4 - 182 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO suti patologici da noi ottenuti e quelli proprii delle galle, non si po- trà per converso negare che le lesioni segnalate nelle nostre ricerche non abbiano una grandissima analogia colle formazioni di natura pe- ridermica o lenticelloide che fissarono l'attenzione ai pareechi studiosi (Baekmann, Borzi, Poulsen, Tittmann ete.) i quali hanno fra l altro fatto rilevare che le produzioni in questione naseono di preferenza sulle foglie. vivaci, carnose o coriacee. A siffatte produzioni si con- nettono specialmente le neoformazioni patologiche ottenute collo sfre- gamento, mentre quelle dovute alla causticazione si avvicinano di più ai tumori stati segnalati dal Sorauer e da altri nelle piante tenute all’u- mido e al caldo, o viceversa sottoposte ai rigori del gelo (v. Solereder). I nostri perimant al riguardo possono portar molta luce sulle cause che provocano le produzioni a tipo lenticelloide, molte delle produzio- ni ottenute cui rassomigliano moltissimo quando non raggiungono per- sino una più complessa struttura. Nè crediamo di andare errati affer- mando che le neoformazioni state osservate dall'Haberland sulle foglie di Codonocarpus non differiscono sensibilmente da quelle da noi otte- nute. E tutto questo gruppo di neoformazioni a tipo patologico ci dà dei ragguagli sulla natura e sulla origine di altre produzioni, quali sono le Perlärusen della Ampelidee, che state da più di un autore messe in rap- porto a speciali momenti biologici, sono invece l'espressione di condizio- ni fisiologiche peculiari (od anche patologiche) in cui vive la pianta. Nelle lesioni da noi ottenute potrebbe taluno riconoscervi niente altro che una banale reazione traumatica , tanto più giustificabile in quanto che nelle nostre esperienze si è anche ottenuto, come altera- zione necessaria, lo accasciamento e la morte dell’epidermide. Ma noi faremo rilevare che se la morte dell'epidermide realmente avviene (per quanto non in modo costante) essa è talora il risultato di una necro- biosi, nel senso di Wirchow, vale a dire di un graduale esaurimento quale appunto si incontra sotto l'azione di ripetuti frizionamenti. In questi casi il tessuto epidermico continua a proteggere le sottostanti cellule, impedendo in pari tempo l’eccessiva perdita d'aequa dai tes- suti, come all'opposto avverrebbe se la lesione avesse apportato solu- zione di continuità. I tessuti maltrattati, ma così protetti, hanno adunque tempo per rea- .CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 138 gire comodamente, ed è appunto a questa doppia condizione di cose (lento esaurimento, protezione assicurata) che deve ascriversi il rigo- glioso sviluppo delle cellule eccitate a reagire e la formazione di pro- duzioni patologiche piuttosto complesse. Nelle lesioni brutali con so- luzione di continuità la sola reazione possibile, si può dire, è la for- mazione di un periderma a cellule per lo più poco differenziate da quelle normali, poichè la parte lesa deve prontamente riparare la per- dita dei tessuti e dell’acqua (1). Il metodo da noi seguito presenta quindi un certo vantaggio su molti altri che provocano delle soluzioni di continuità nelle foglie, ed infatti non poche delle reazioni ottenute ricordano quelle che vennero deseritte nelle parti lese tenute all'umido od anco nell'aequa (v. Ku- ster) ed i così detti edemi. Però pel caso di lesioni da causticazione dobbiamo forse addebitare l'intensa reazione, per parte della pianta, ad un'azione specifica del caustico adoperato. Un particolare interesse offrono , oi le reazioni che vennero da noi riscontrate asportando la cera, per quanto le stesse non sieno la conseguenza diretta della sottrazione della sostanza protettrice in que- stione, ma bensì delle lesioni che avvengono nelle cellule epidermiche messe a nudo, per lo più (nel caso di piante ricche di cera) molto sensibili. e E’ ammeso generalmente che nelle reazioni eieatriziali i setti delle cellule neoformate siano prevalentemente perielini rispetto alla ferita. Una tale disposizione, è vero, ineonirasi quasi semp e, ma nou rare volte si osserva anche un notevole disordine nella direzione dei nuovi setti. E' specialmente nelle cellule epidermiche dei Ficus che siffatta anomalia appare evidente, senza contare poi che ivi ad accrescere il di- sordine si aggiungono ancora i tilli nelle cellule dei cistoliti (2). Cade adunque la distinzione stabilita dal Duerot, che, cioè, i tessuti primari si dividono in tutte le direzioni, quelli secondari soltanto in determi- nato sensu. (1) Per le eccezioni vedasi il lavoro di Helmuth Freundlich. (2) Talora furono da noi riscontrati anche tilii nelle ordinarie cellule epi- dermiche, in seguito ad accrescimento degli elementi del sottostante pali LA 134 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Per quanto concerne poi la formazione delle nuove membrane nei pochi easi in eui abbiamo rivolta l'attenzione al fenomeno si è, osservato che la cariocinesi precede la divisione, mentre poi il. setto si forma non simultaneamente. Un particolare interesse offrono le produzioni traumatiche ta: dive, ma su questo argomento siamo ancor poco informati. Il Perez ne ri- porta un caso; dalle nostre ricerche è risultato che le membrane cuti- colaroidi e gli strati epidermoidi possono comparire molto tardi, dopo che la lesione e |’ ordinario processo di cicatrizzazione sono avvenuti. (Acacia, Eucalyptus etc.) Siamo perciò persuasi che uno studio conti- nuato su questo argomento potrebbe apportare nuovi fatti, poichè è certo che una volta avvenuto lo stimolo, la reazione può continuare, a seconda delle piante e delle condizioni esterne, più o meno a lungo, forse perchè nuovi fattori, indipendenti dalla lesione, intervengono co- me nuovi stimoli di debole intensità, ma di azione continuativa. Ri- corderemo fra questi la luce, l’ umidità e via dicendo. E dacchè siamo sull'argomento riflettente i fattori esterni è duopo qui rilevare che la luce ha spiegato nelle nostre esperienze una azio- ne grandissima sulla produzione delle neoformazioni traumatiche, poi- ché deboli aecenni di reazione si sono avuti nelle foglie tenute al- l' ombra. i Anche |’ umidità, al pari dell’ oseurità , è di ostacolo alla forma- zione del periderma e di analoghe produzioni, per cui queste saranno pochissimo sviluppate quando i due fattori si associano, come è aeca- duto in molte delle nostre osservazioni. Tra i fattori interni primeggia, come causa di abbondante forma- zione di tessuti cicatriziali, la nutrizione. Perciò noi vediamo che nelle foglie staccate, vengano queste di poi mantenute in acqua o in solu- zioni nutritive, non si forma che un insignificante tessuto di reazione, malgrado che la foglia continui ad assimilare e si mantenga in vita a lungo. Ciò dimostra che la foglia staccata, se basta a sè stessa per un certo tempo, non può più sopperire alle esigenze della nutrizione quando sia lesa, richiedendo la lesione una nutrizione locale più esal- tata. Nelle esperienze che abbiamo eseguito però non si è potuto se- \ parare del tutto l’azione dell’ umidità da quella del distacco della fo- ` UE E E CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE LESIONI FOGLIARI 135 glia. Da ultimo segnaleremo che le cause meccaniche costituiscono ta- lora uno stimolo atto ad esaltare certi processi. Così in un caso (Pho- linia) si è osservato che le foglie soffregate e poi ricoperte di stagnola apparivano, nel tratto soffregato, alquanto più verdi, che nei dintorn, dove i tessuti erano normali, ma sottratti, al pari della regione lesai alla luce. Qui si avrebbe in più tenue misura la ripetizione dei fatti stati osservati dal Cavara nelle foglie di Quercus castanaefolia attaccate da cocciniglia. Non sappiamo tuttavia se il fenomeno si riveli costan- temente. 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Fig. 1-2 — Acacia cultriformis Hook. — Sviluppo del palizzata in seguito alla asportazione della cera e contemporanea formazione dell'epitelio eutieolare. » 3-3 bis — Eucalyptus globulus Labill. -— Formazione dello strato epidermoide in seguito alla asportazione della cera. » 4 — Viburnum lucidum Mill. — Epidermide schiacciata ; pro: LÀ liferazione del palizzata in seguito allo sfregamento. » D — Gleditschia Fontanesii Spach. — Produzione di sclereidi al di sotto dei palizzata in via di proliferazione per effetto dello sfregamento. | » 6 — Ficus religiosa Lin. — Allungamento del palizzata e formazione dell'epitelio eutieulare per effetto dello sfregamento. n.4 — Raphiolepis rubra Lindl. — Sezione di foglia normale. > 8 — » » » — Sezione di foglia soffregata alla pagina superiore. u — Photinia serrulata Lindl. — F.rmazione di un collen- chima nel palizzata per effetto dello sfregamento. » : 19 — Myoporum punctulatum Schlecht. — Come sopra. » n — Melodium scandens Forst. — Proliferazione del palizzata RP EE E Ee Ee SE et SE E UT T US e ee A o CA QUY Les Na i ^ LUN Va Ba degkeet. G V DR * y si T e d e H zÄ x e $ SPIEGAZIONE DELLE FIGURE 149 e sua trasformazione in collenchima; maggiore in- spessimento nella parte lesa. Fig. 12 — Leurus canariensis Webb. et Berth. — Formazione del- epitelio eutieolare e di cellule meccaniche nella regione lesa. 2.18 — Atriplee nummularia Lindl. Spostamento dei fasei per proliferazione dei tessuti sottostanti. » 14 — Eugenia uniflora Lin. — Proliferazione degli strati profondi del parenehima verde con ispessimento del lembo. » 15 — Acacia uncinella Benth. Inspessimento delle pareti ed : allungamento delle cellule con formezione di una bozza. » 16. — Brassica oleracea Lin. — Proliferazione ed ispessimento degli elementi in corrispondenza della lesione. » 17 — Magnolia grandiflora Lin. — Lesione naturale: ispessi- | . mento delle pareti degli elementi. ` » 18 — Semele androgyna Lin. — Epitelio euticolare. » 19 li » » — Formazione di un cuscinetto suberoso. B) Lesioni dovute alla causticazione col nitrato di argunto Fig. 20 — Ficus elastica Roxb. — Segmentazione degli strati epi- dermiei e proliferazione di tutti i tessuti del paren- chima verde. » 21 — Ficus Beniamina Lin. — Formazione di tilli nelle cel- lule a eisteliti. Proliferazione degli strati epidermici e del palizzata. | » 2% — Ficus religiosa Forst —-Proliferazione degli strati inter- posti tra il palizzata ed il lacunoso. Ingrandimento delle cellule e inspessimento delle pareti. » 23 — Eucalyptus globulus Labil. — Formazione di noduli patologici. » 24 —. Viburnum lucidvm Mill. — Proliferazione degli elementi PA E e Deeg Eh EE EE d Ee EE EA dëch s v. NE beer pe ce DES 150 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO vascolari, allungamento e segmentazione delle cel- luie sottostanti al palizzata. Fig. 25 — Eugenia uniflora Lin. — Allungamento e segmentazione i delle cellule del lacunoso e del palizzata. 3 » 26 — Acacia pycnantha Benth. — Allungamento delle cellule 4 | del palizzata ed inspessimento delle pareti. E » 27 — Acacia cultriformis Hook. — Formazione di un epitelio euticolare e proliferazione del palizzata. » 27 bis. — Acac a uncmella Bth. — Allungamento enorme degli elementi del palizzata. » 28 — Photinia serrulata Lindl. — Formazione di noduli eon cellule inspessite nel lacunoso. » 29 — Olmediella Cesatianu Baill. — Schiacciamento degli ele- menti del palizzata, proliferazione e ingrandimento 3 delle cellule del tessuto sottosiante E: » 30 — Laurus canariensís Webb. et Berth -- Formazione di un 3 tessuto a pareti inspessite. : » 31 — Crinum Cuvperi Herb. — RA delle lacune per 1 mezzo di otricoli. 2 » 32 — Crinum Cooperi Herb. — Elementi in cariocinesi. 1 > 32 bis. — Arum italicum Mill. — Afflosciamento della parte ma- 1 lata ed inspessimento del palizzata. l » 33 — dmilaæ aspera Lin. — Formazione di un cuscinetto con | notevole allungamento delle cellule. | » 34 — Dracaena Draco Lin..— Reazione di difesa attorno ai Y cordoni. È » 35 — Muehlembeckia platiclados Meissn. — Sube. ifieazione del E tessuto midollare. d » 36 Cycas circinnalis L. 4 Kr — Cotiledon quitensis Bak. — Formazione di bozze in se- : guito allo allunzamento e proliferazione degli ele- . menti dei tessuti profondr. 1 C) — Tagli trasversali È E Fig. 38 | — Acacia cultriformis Hook. — Inspessimento e formazione | i wb 4 Pup v Fig. . 49 51 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE 151 di punteggiature nella parete degli elementi del pa- lizzata. — Acacia picnantha — In corrispondenza del taglio si è formata una nuova epidermide. — Ficus elastica. — Dracaena Draco — Suberifieazione degli elementi vi- cino alla ferita. D) Lesioni tangenziali — Eucalyptus globulus. . — Senecio kleinoides Labiil. — Senecio kempferi DC. — Evonimus japonicus Lin. fil. — Buxus balearica Lam. — Osmanthus aquifolium Siebold. — Hedera Helix Lin. 4 II — PAGINA INFERIORE E) Lesioni ottenute per sfregamento col fazzoletto — Ficus religiosa — Segmentazione nel lacunoso — Ficus beniamina — Allungamento e segmentazione del palizzata inferiore. — Ficus macrophylla —- Proliferazione del lacunoso e del palizzata inferiore. — Ficus rubiginosa — Segmentazione tumultuosa con sue- cessiva suberificazione. — Vasconcella hastata Cav. — Bozza con suberificazione. — Acocanthera venenata Don.-- » |» » — Hedera Helix v » » » — Olmediella Cesatiana . re » » — Photinia serrulata = ‘> » » — Caruga pinnata Roxb. — >» » » — Withania somnifera Dun.-- >» » > 152 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO F) Lesioni ottenute col nitrato di argento E Fig. 60 — Podocarpos latifolia Wall. > 61 — Ficus Afzelii G. Don. » 62 — Ficus magnolioides Borzi — Reazione della nervatura ` mediana. » 63 — Hedera Helix—Suberificazione e comparsa di druse del tessuto malato. » 64 — Cotiledon quitensis » 65 — Acocanthera venenata — Bozze con allungamento delle cellule e suberificazione parziale. » 66 — Viburnum lucidum — Reazione complessa con locus: | zione di bozze. Ve > 67 — Clivia nobilis Lindl. | PROF. PAOLO PEOLA LA COLTIVAZIONE DELL'OLIVO IN VALLE D'AOSTA La coltivazione dell'olivo in Valle d'Aosta potrebbe sembrare, co- me’ dicono i filosofi, una contraddizione in termini. La coltivazione dell’olivo richiama al nostro pensiero un clima, se non caldo, certa- mente molto mite; si immagina l’olivo in compagnia dell’araneio e dei limoni, in terre lambite dalle tepide acque del mare. Pensando invece alla Valle d'Aosta si rabbravidisce dal freddo, si immaginano le. ne- | vicate interminabili, le valanghe disastrose, gli immensi ghiacciai; si vedono le foreste di castagni e quercie al basso, di pini ed abeti più in su, poi i rododendri, gli SEN e poi le vette sempre bianche per le nevi persistenti. Eppure anche nella Valla d'Aosta vi sono angoli in eui le eondi- zioni elimatiche hanno eiie e permettono tuttora, lo sviluppo del- l’olivo. Poco distante da Aosta, alla borgata di S. Mana. alla quota di poco più di 600 m. sul livello del mare, nella campagna del Prof. Edoar do Defey. vegeta da un secolo un olivo, dal cui ceppo ripullano sem- pre nuove pantine. Attualmene vi è un albero di circa 25 em. di dia- metro, alto poco più di tre metri, che fruwifica più o meno tutti gli anni, frequentemente ogni due anni, dando cirea una decina di chili di olive che il proprietario suole usufruire conservandole in salamoia. Da informazioni assunte sono venuto a sapere'che al giorno d'oggi vi sono diverse piante d'olivo sparse qua e là per la valle. Al Castello di S. Giuseppe presso Ivrea si coltivano ulivi che eon- tano secondo il Treves, (1) almeno 150 anni. Ve ne sono a Carema, a Donnaz (proprietà del defunto geometra Mangola Rovarey, ad Arnaz (1) Treves P. Petite flore medicale piemontaise. Turin 1904, pag. 285. 154 PAOLO PEOLA (castello Giacobini), a Verres (al convento), a Chatillon (nei giardini), ad Aosta, (nella regione Champallier, vigna Tibaldi, alla vigna Bozon), a S. Martin (citata vigna Defey), a S. Pierre (villa Gerbore, ad In- trod (Ville dessus). A S. Denis ne fu tentata la coltivazione dal signor Tibaldi, ma con poco successo. ` Abbiamo dunque olivi dal principio della Valle fino ad Introd a circa 800 m. sul livello del mare. Non so se tutte queste piante diano o non frutti maturi, ma cer- to è che se a Donnaz il fu geometra Mangola faceva, come mi si as- sicura, olio con le olive locali, vuol dire che quegli olivi davano un prodotto abbastanza maturo e sufficientemente copioso; e l'olivo del Prof. Defey ad Aosta dà pure frutti che si possono ritenere quasi maturi. Ad Introd l'olivo non fruttifica, e si tiene come pianta di ornamento. La presenza dell’olivo in Valle d'Aosta pare risalga ad antichi tempi, eome possiamo dedurre da aleuni documenti storiei. La più antica menzione della presenza dell'olivo, se non proprio nella Valle d'Aosta, nel gruppo delle Alpi circostanti la Valle d'Aosta si avrebbe, secondo alcuni autori, nel fatto che, quando Annibale at- traversò le Alpi, si vide venire incontro gli alpigiani portando, in se- gno di amieizia, fronde e ghirlande d: olivo. Altri autori invece ne- gano che quelle fronde e ghirlande fossero di olivo. É bene stabilire, senza entrare in discussione per quale dei con- troversi passi alpini sia passato Annibale, che la presentazione dei rami verdi al generale Cartaginese avvenne nel cuore delle Alpi, e nel versante francese, nelle vicinanze di una di quelle gole che im- mettono nelle alte vallate, e che servono da passo per andare da un versante all’altro. Difatti Annibale aveva già salito i primi poggi, a- veva vinto una volta i montanari, poi aveva marciato ancora quattro giorni indisturbato, e quando ebbe ridotto all'obbedienza anche i falsi apportatori di pace, giunse in due giorni sulla vetta delle Alpi, e, come dice il Livio, per vie spesso non tentate, spesso anche sbagliate o per frode delle guide, o perchè, non fidandosi di quelle, entrava alla ventura nelle vallate cercando di indovinare il cammino.. Nell’alta montagna, dove si trovano gli ultimi villaggi, non pare V NO] D Noche mE CEET PME SS A a "PRES + K = TT Ex ell. 7 E RN IT e e" oA A mo: au. ee oe ee ee Lu A MA LL ge, à oe dA pc ae DE $$ VE" MATE Ee ee ée DEREN, gf fy i TREES M X AN URN 7 = MË REN DET DE N TERNE dé? Za? dee e KEE o ` x K d B 9 Géi XE M SON à LA COLTIVAZIONE DELL'OLIVO IN VALLE D'AOSTA 155 che vegeti l'olivo. L'Heen, (1) parlando della diffusione dell'olivo du- rante l’epoca romana, dice: « Da Marsiglia l'olivo, come, la vite, fa- vorito dal suolo e dal cielo della Provenza, si era gradatamente a- vanzato nel paese gallico, ma naturalmente senza seguire la vigna nelle vallate della Marna e della Mosella. Eran d’origine marsiliese senza dubbio anche le piantagioni d’o- livo sulla costa ligure, la quale anche oggi non è che un immenso ri- goglioso oliveto. A poca distanza dal mare dove sorge la montagna non doveva più trovarsi l'olivo; e perciò le fronde e le ghirlande con le quali in segno di amicizia gli alpigiani andarono incontro ad An- nibale non potevano essere i rami di olivo, come riferisce Polibio, quantunque la voce 3aX)0o: da lui usata in quest'occasione abbia di so- lito questo significato ». Ma i messi di quei montanari, secondo Polibio, si presentarono ad j Annibale 9addods Eyovres xxt srepuous, (2) Dao significa rami fron- zuti, rami con foglie verdi, e così difatti si esprimono i più serupo- losi tradattori. E poi Annibale passò le Alpi verso la fine di Settembre; ed è appunto in questa stagione che anche nell'alta montagna la ve- getazione arborea delle Alpi ha raggiunto il suo completo sviluppo. Giustamente quindi osserva il Tibaldi (3) « Polibio parlò di frondi verdi e non specificò l’olivo. Non è il solo albero sacro a Minerva che conserva le sue foglie - all’apparire della stagione iemale, l'alloro, il bosso, l’ilex, l'edera, la sabina, le conifere non se ne spogliano, e le loro frondi sono sempre verdi in ogni tempo. Non abbondano forse queste piante nelle valli che convergouo al colle del Piccolo S. Bernardo »? Credo che i traduttori: in generale poco versati nella botanica, uniformandosi a l’uso dei popoli cristiani di portare in segno di pace i rami di olivo, come si fa nel giorno delle Palme, e ritenendo l’olivo come l'albero a foglie sempre verdi per eccellenza, abbiano dato ai (1) Heen. Piante coltivate ed animali domestici, Firenze — pag. 100. : (2) Coechia. Il libro XXI delle Storia di Tito Livio. Torino 1892, pag. 81 Nota ` È (8) T. Tibaldi, Storia della Valle D'Aosta Vol. 1., pag. 166, nota. # 156 » \ PAOLO PEOLA rami verdi il preciso significato di rami d’olivo. Invece, a differenza di tanti altri paesi, dove, pur non vegetando l’olivo, si solennizza la festa delle Palme con rami d’olivo importati per l’occasione, nella Valle d’Aosta, e per vacchia tradizione, si usa portare in tale solennità ra- mi di alloro, dei quali si fa abbondante mercato il martedì antecedente la detta festa, e si coltiva in molti luoghi aprici della Valle. Non abbiamo quindi prove per poter dire che l’olivo venisse col- tivato o crescesse spontaneo nella Valle d’Aosta prima dell’era cristiana. Durante il V. secolo dopo Cristo pare invece che l’olivo fossé col- tivato, se non in Valle d' Aosta, almeno nelle Alpi circostanti. Ciò si deduce dall'atto di fondazione della famosa abbazia di S. Maurizio sul Vallese, fatto da Sigismondo il Santo, quinto re di Bor- gogna, atto che porta la data del principio del secolo VI e cioè del 30 aprile 515. In tale atto si legge: « Ideo ergo pertractans verba Redemptoris nostri, eidem Mona- sterio pro animae meae salute de rebus meis dono, donatunique in perpetuum esse volo, hoc est in Pagis, vel territoriis Lugdunensi, Vien- neusi, Gratiopolitano, et Augusta Cameraria, et in Pago GenensiWaldensi et in fine Aveticensi, er Lausanensi, et Bisantiensi; Curtes sic nuncupa- tas Briogia, Olona; Catusa, Olgana, et in Pago Gennensi, alias Curtes ita nuncupatas Communiacum, Martiniaeum, et in Pago Brisunticensi saliumno, cum Castro de Pracon, Vallemo de Mieges, et in Pago Wal- densi, in flne Aveticense, seu Iuranense. e Alias Curtes sic nuneupatas Murattum, Auromun, Wadiugium, Be- delofei, Luliaeum, Lustriacum, et in Pago Vallensi, alias curtes ita nominatus Contextrix, sidrium, Leucam, Bramosium, duodecimum Pa- tronum, Bernonam, Aulonum, Williacum, Wurragium, Actannia, Oc- tunellum, Silvanum, et omnes Alpes a capite Lacus usque Martignis- cum. Et in Valle Augustana quae est a finibus Italiae, Turrem unam quae respicit ad occidentem, et alias Curtes ita nominatas Cleuva, La- gona, Levvia, Gizocolia, et a Morga cum omni integritate, et appen- dientiis, vel adiacentiis earum, id est in terris, domibus, aedificiis, man- ‘ eipiis, Libertis, Plebeis aedis, vineis, silvis, olivetis, campis, pratis, pa- seuis, aequis aquarumque decursibus, et ineursibus mobilibus, et immo- bilibus, seu decimis, exquisitum totum ad integrum quidquid ad ipsas DA ROSE ON UU Ee I 7 | M L \ en ut LA COLTIVAZIONE DELL'OLIVO IN VALLE D'AOSTA 157 Villas aspicere videture, ad locum Praefati Monasterii de Saneto Mau- ritio donamus, tradimus, ece. ». (1) S. Sigismondo adunque donava al Monastero di S. Maurizio i nu- merosi possessi che aveva nel territorio che dal Delfinato, circondando le Alpi francesi e svizzzere, si spingeva fino a tutto il Vallese e nel- la Valle di Aosta, e con tali possessi donava pure le loro: dipendenze ed adiacenze, che consistevano in terre, ease, edifici, abitanti, schiavi: liberti e plebei, vigne, selve, oliveti, campi, prati, ece. Non si dice a quali dei numerosi possessi donati appartenessero gli oliveti, ma essen- do tali possessi tutti in territori internati nel continente ed in regioni montane, è sempre lecito argomentare che la coltivazione dell’ olivo fosse in quei tempi spinta ad altitudini maggiori di quella che non si trovi ora. Abbiamo notizie più sicure intorno alla coltivazione dell’olivo in Valle d’Aosta nel secolo XIV. Secondo il Tibaldi, (2) riferendo alle citazioni del Denina (3) e del Durando (4), «i magistrati di Torino ripetutamente ordinarono la piantagione dell'olivo e del mandorlo, che però mal ressero al rigore del clima. La Credenza d’Ivrea aveva pure ordinato, nello stesso secolo, che tutti coloro che possedevano gerbidi e vigni in Costeria Calamacci, fossero tenuti a coltivare almeno una pianticella di olivo o di mandorlo per sepetura (o sappature secondo altra dizione, misura agraria), promettendo per ogni pianta in stato fruttifero di corrispondere un premio di due soldi; ed a difesa di tali. piante proibiva, nel luogo ove esse esistevano, il pascolo. Ignoriamo se l'educazione dell'albero sacro a Minerva sia stato sperimentato in que- sta Valle, e se l’insuccesso svogliò gli agricoltori dall’insistere nell’e- sperimento, mn ottima prova dà il mandorlo che prospera e fruttifica (1) Il documento fu copiato secondo la dizione che si trova in: Histoire du glorieux sainct Sigismond martyr, roi de Bourgougne ecc. del frate capuccino Sigismond de Saninct Maurice. Sion 1666: e quella che si trova in La Vallee du o- Lys dell’ Avv. Louis Christillin. Acsta 1891. (2) T. Tiba'di: Storia della Valle d'Aosta. Vol. II p. 451. (3) Denina: Rivoluzioni Mum Vol, VI pag. 151. di Durando: Studi e 158 PAOLO PEOLA nei terreni più ingrati, fino all’estremo limite della coltivazione delle viti di uva nera. ». In una lettera poi nella quale mi dava altre notizie sulla eolti- vazione dell’olivo in Valle d’Aosta il Sig. Tibaldi così mi scriveva a tale riguardo « Alcuni comuni della bassa valle seguirono l'esempio di Ivrea, piantarono in luoghi aprici ceppi di olivo, i signori di Pont S. Martin e Vallesa vietarono il pascolo nei luoghi ove l’ulivo sî edu: cava >». Verso la fine del XVIII secolo l'olivo era coltivato in Valle d’Ao- sta e dava frutti dai quali si ricavava olio, come attestano le anno- tazioni fette dal parroco del convento di S. Gilles a Verres, secondo le affermazioni del Treves. (1). « D'aprés les annotations du registre journalier du dit Convent. (cioè di S. Gilles di Verrés) et qui m'ont été gentilment communiquées par l'aetuel Prévót, Monsieur le Revérend Chanoine Joseph Bono, il resulte que, vers la fin du XVIII siéele, on y récoltait une certaine quantité d'olives dont on fasait de l'huile. En effett, sous la date du mois de novembre de l’an 1775, on lit dans le dit registre journalier, signé par le Révérend Prevot Bens, les indications suivantes: Nous avons recuéilli cette année des olives, dont j'ai fait faire de l'huile, qui s’est trouvée tres bonne, et dont j'ai fait usage en mars Suivant d une douzaine de collations. | Et, sous la date de l'an 1779, on reléve oncore du méme registre journalier la note suivante: j Nos olives ramassées le 24 au 25 novembre pesaient 7 livres et étaient trés müres—elles ont donné 3 á 4 6 d'huile net >. Il Treves aggiunge encora: « Au village de Rovarey, prés de la bourgade de Donnaz, on observe aussi actuellement de beaux Oliviers, assez vigureux, qui produisent des olives dont on fait de |’ exellente huile». A tale proposito abbiamo già detto che il fu Geometra Men- gola a Rovarey di Donnaz fece dell'olio di oliva eon frutti raceolti da olivi del luogo. (1) Treves: Petite flore médicale piémontaise. Turini 1904, pag. 285. LA COLTIVAZIONE DELL’ LIVO IN VALLE D'AOSTA 159 Abbiamo quindi notizie storiche di ripetuti tentativi della colti- vazione dell’olivo in Valle d’Aosta. Ma ora possiamo noi domandarci: le condizioni climatiche della valle corrispondono alle esigenze climatiche dell'olivo? | È assodato che l'olivo prospera in regioni dove, durante l'inver- no, la temperatura non scende a 7°; che per fiorire ha bisogno per un certo numero di giorni di una temperatura media di 19°, e per ma- turare i frutti di 23°. « Tableau synoptique de la température a la cité d’ Aoste de 1841 à 1902» par l'abbé I. P. Carrel, Recteur de l'óspice de charité (1) che ci dà le medie raccolte durante più di 60 anni di osservazioni, ei in- dicherà se vi sono o no tali condizioni di temperatura. La minima temperatura che si è notata in tale periodo di osser- vazioni è di -18,4 il 10 dicembre 1879, ma in tal mese si ebbe pure un massimo di 9,4 il 31. Secondo il Padre Denza (2) la minima tem- | peratura di Ivrea nel quinquennio 1871-75 fu di — 12,5 il 28 Dieem- bre 1871, e nel trentennio 1837-66 fu di — 17,5 il 16 gennaio 1838. Secondo il Bonino (3) la media degli estremi minimi per Ivrea è di — 8,20. In generale la media invernale di Aosta è di + 2,18. (0,2 seconde il Denza) con una media minima invernale annuale di -— 1,38, ed una media massima invernale annuale di + 5,28. La me- dia invernale di Ivrea, secondo il Bonino sarebbe di 2,94. Supponendo che l’ inverno concida con i mesi di Dicembre, Gennaio e Febbraio abbiamo, facendo la media di tutte le minime annuali e di tutte le massime osservate nelle rispettive decadi di tutti i 62 anni di osser- vazioni, i seguenti dati: (1) I. P. Carrel: Tableau synoptique de la température a la cité d' Aoste in Bulletin de la Société de la « Flóre valdotaine » N. 2, Aoste 1903. (2) P. Franc. Denza. Studi sulla climatologia della Valle d'Aosta. Torino 1877 (8) A. D. Bonino: Cenni meteorologici d'un piccolo tratto alpino, Canavese Vaile d'Aosta. Ivrea 1816. 160 PAOLO PEOLA DICEMBR GENNAIO | FEBBRAIO | Î t — Decade, | 1° 2 E 3° E dE e ti Minima |-6,64 |-6,37 | -4,76||-5,01 | -4,90 |-4,65 ||-3,82 | -4,28 | -4,22 [tesis 6,34 |8,14.| 4,77 || 4,97 | 6,52 | 6,59 || 8,69 |10,56 10,57 dieembre, ma anche qui non si arrivaa -T. Si noti poi che tali medie sono sempre prese in punti non così bene esposti come debbono essere ^ — quelli in eui si eoltiva l'olivo, e quindi tali medie devono essere ri- dotte di qualche punto se vogliono esaminare la temperatura del luogo ` E dove si eoltiva Volivo. Non ho fatto i ealeoli della temperatura media delle dette decadi in Ivrea, ma devono essere certamente di alcuni ^. gradi superiori a quelle di Aosta. Secondo il P. Denza (op. eit. pag. 46) la differenza tra le panza minis di Aosta ed Ivrea sarebbe | E di.2*. L'olivo per fiorire ha hidoguo p per un certo numero di giorni una temperatura media di 19°, e fiorisce da aprile a giugno secondo le lo- . ealità. La media generale del mese di use è per Aosta 18,32 _ (Denza dà 19,1) e per Ivrea 20,3 (1]. Osserviamo l’andamento. della temperata dalla 2° decade di E ‘maggio a tutto giugno, epoca in eui fiorisce l’olivo in valle d'Aosta, ` ed abbiamo : Mese | MAGGIO | GIUGNO | H I* P 3 Bs | | Decade | 2° | 3° | Minime: 106 12,03 12,06 13,8 | 15,9 | | Massima |18,83 23,02 21,90 123,47 23,41 || ` (2) Denza op. cit. pag. 36. ‘Le minime temperature si osservano nelle due prime decadi di ` a Wet, LA COLTIVAZIONB DELL'OLIVO IN VALLE D'AOSTA 161 Vediamo che la media delle massime è quasi sempre superiore alla temperatura necessaria, e la media delle minime è da 7 a 3 gradi inferiore. Anche qui, considerindo che l'olivo è piantato in luoghi più soleggiati, si r ggiungerà facilmente la ‘cifra voluta. Per ‘maturare i frutti occorre una media di 23°. Se l'olivo fiorisee in Valle d'Aosta: in giugno, non potrà maturare che in Settembre od Ottobre. La temperatura media di settembre’ è di 16,23 per Aosta, (17.7 secondo il Denza) e di 19,8 per Ivrea ; la temperatura media di ottobre è di 10,9 per Aosta (10,7 seeondo il Den za) e di 13,6 per Ivrea; quindi di molto inferiore al necessario; Anche nei luoghi più soleggiati è difficile che olivo raggiunga: Ja completa. maturità. ` Riassumendo possiamo quindi dedurre : ‘1° che attualmente nella Valle d’Aosta, e specialmente nella parte inferiore, verso Ivrea, si può piantare l’olivo ed allevarlo, ma solo in aleuni punti più soleggiati e riparati dai freddi, che può fiorire e dare r frutti, i quali diffieilmente peró riusciranno a maturare. ; I tentativi fatti altre volte confermano tale risultato. : | L'olivo in valle d'Aosta si pus coltivare solo come albero e or- namento.. n Il P. Denza così serive del clima di Aosta e d’Ivrea: « Mite -è l clima di Aosta. Mentre i minimi di freddo, che si hanno durante 3 l'inverno in questa stagione, per ordinario non superano quelli della i pianura del Po.... ed anzi spesso, specialmente nelle annate più rigide, ne sono notevolmente meno intensi; l'estate rimane più fresca e pia- : cevole... Allo sbocco della valle delle Dora (cioè ad Ivrea) il elima acquista subito la fisionomia di quello della pianura del Po, e diviene affatto temperato; ed anzi alquanto più mite che nelle stazioni più : lontane dai monti e piü basse, le quali in apparenza dovrebbero avere = clima più moderato..... La temperatura d’ Ivrea, mentre risulta presso E poeo la stessa che nel resto della valle del Po in primavera ed in estate, ne rimane invece superiore in inverno ed in Autunno, e sopra tutto in ete quando cioè i mesi sono più freddi ». In adunque non é il rigore dell’ inverno che impedisce la coltivazione 3 dell’olivo in SE d'Aosta, ma è la mitezza dell'estate che ne impe- 5 162 PAOLO PEOLA disce la maturazione dei frutti. Se non paresse un bisticcio si potreb- be dire che non è il freddo, ma bensì la mancanza del calore che ostacola la coltivazione dell alten in valle d'Aosta. Secondo uno studio di Vaccari e Wilezek (1) il Canavesano e la bassa valle d’ Aosta climatologicamente si potrebbero considerare come facenti parte del dominio della flora insubrica, (che secondo il Gaudin comprenderebbe il versante meridionale delle Alpi Svizzere dal lago di Como al lago Maggiore), e perciò il limite occidentale di detta flora dovrebbe spingersi fino allo sbocco della Valle dell’Orco. Nelle regioni dei nostri maggiori laghi prospera l’olivo, ma anche là viene coltivato più per ornamento che per produzione di frutti. 2. Che nella Valle d'Aosta si trova il limite superiore della col- tivazione dell’olivo, limite che potrà più o meno oscillare a seconda delle vallette più o meno soleggiate e riparate, ed a seconila delle an nate più calde o più fredde. 3. Dai documenti storici accennati rileviamo che l’olivo diverse volte prosperò più di ora nella valle d’Aosta, e quindi dobbiamo am- mettere che per diverse volte il clima di tale regione fu più caldo dell’attuale. Di leggere modificazioni del clima abbiamo altre prove nelle oscillazioni dei ghiacciai. (1) p Tec e Wilczek: La vegetazione del versante meridionale delle Alpi in Nuovo Giornale botanico italiano Vol. XVI N. 2, 1909. EE EE E l Dott. MICHELE CRAVERI ALCUNE SPECIE VEGETALI. DELL’ OSSOLA RITENUTE RARE PER LA FLORA DEL PIEMONTE Nel Museo di Storia natur:le del Collegio Mellerio-Rosmini in Domodossola esiste un ricco Erbario della Flora ossolana, opera dello jnfatieabile raccoglitore il defunto Prof. Stefano Rossi dei PP. Rosmi- niani (1) il quale inse né per molti anni nel Liceo pareggiato annesso al Collegio. Sono più di 10000 piante diligentemente conservate e catalogate rappresentanti circa 2000 specie e varietà botaniche, e tra questo non poche ve ne sono di rare nelle valli ossolane stesse e rarissime o sco- nosciute finora altrove, e talune caratteristiche ed esclusive di dette località. Il sullodato Prof. Rossi pubblicò nel 1883 un catalogo gene- rale illustrativo dell’Erbario da lui raccolto (2) con preziose notizie sulle località dove tali piante si rinvengono; e dall’ attento esame di detta raccolta si rileva come molte specie che dai più valenti odierni cultori della Botanica sistematica sono ritenute rare o critiche per la Flora piemontese crescono invece in discreta abbondanza in queste valli, ed altre ancora che si possono dire avventizie per il Piemonte hanno atteechito anche nel bacino del Toce e de’ suoi affluenti. Recentemente il D.r Giuseppe Gola Assistente nel R. Istituto Bo- tanico di Torino pubblicava un interessantissimo studio su tali piante iare (3) illustrando 144 specie e varietà, di cui 36 non indicate finora (1) Prof. D.r Stefano Rossi n a Torino 1851, m. a Domodossola 1898. (2) D.r Stefano Rossi — « Studi sulla Fiora ossolana » — Domodossola, Ti. pografia Porta, 1883. (8) Dott. Giuseppe Gola — « Piante rare o critiche per la Flora del Pie- monte » — con una tavola — (Mem. della R. Accad. delle Scienze di Torino Vol. LX, Anno 1908 09). Torino, Vincenzo Bona 1909. 164 ALCUNE SPECIE VEGETALI DELL’ OSSOLA BCC. in Piemonte, 6 nuove per la Flora italiana e 6 non ancora descritte da nessun Botanico, aggiungendo come appendice al suo lavoro l’elen- co di 54 specie recentemente avventizie per la nostra Flora, nel prin- cipale intento di fissare la data dell’inizio della lotta cogli elementi floristici indigeni. Nel suo complesso questa Memoria è uno studio pro- fondo e magistrale che rivela tutto il valore scientifico dell’ Autore, ed essendo anche di data assai recente servirà per molti anni di guida ai raccoglitori e classificatori della Flora piemontese. Ma poiché l'Au- tore si è occupato assai poco della Flora ossolana, risultano nell'opera sua certe lacune più che inesattezze in eui egli incorre più volte, im- putabili solo al deliberato proposito di trascurare o quasi le piante dell’Ossola. Eppure questa regione che comprende aride ed elevatissime loca- calità alpine, ubertosi altipiani e fianchi montuosi coltivati, fresche e verdeggianti vallate che declinano in parte verso i Laghi lombardi e svizzeri con essa confinanti, deve necessariamente partecipare come regione botanica dei c ıratteri misti di tutti questi ambienti, essendo ricca di forme svariatissime fra le specie e di interessanti varietà di quelle specie che vegetano nelle regioni finitime. Spigolando nel rieco Erbario del Museo Mellerio-Rosmini che com- prende se non tutte almeno gran parte delle piante ossolane, citerò quelle specie e varietà che il Dr Gola ha chiamato rare o critiche per la Flora del Piemonte e che si rinvengono nell'Ossola, nel solo intento di recare un modesto contributo alla conoscenza completa della nostra Flora, PTERIDOPHYTAE Filicineae 1) Asplenium germanicum Weiss. Secondo il' Dr Gola sarebbe una pianta di natura ibrida derivata da A. septentrionale X A. trichomanes originante spesso altri ibridi: A. germanicum X A. septentrionale; raccolto sullo stradale fra Pine- rolo e Porte, Maggio 1900 (Ferrari). Altro ibrido riferibile all'A. per PIE al A 2 xm CADO dE EEE s. perde SIE Re MEN MICHELE CRAVERI 165 germanicum X A. trichomanes, Hab.: M. Mnsinè (Torino), Aprile 1900 (FERRARI); Garessio, Val dell’ Inferno (Alpi Marittime), Luglio 1899 (FERRARI). Il Dr Gola dice abbastanza frequenti le forme che si avvi- cinano al vero A. germanicum. L’Erbario della Flora ossolana contiene: Asplenium germanicum Weiss (= A. ut ernifolium ViTM), raccolto sui muri nella Val Vigezzo presso Villette — Estate-Autunno — (Dr. Rossi); A. /ricomanes L. vol- gare sui muri, sulle rupi ecc. in tutta l’ Osssola — Estate — (Rossi); A. sepentrionale Sw., Hab.: sulle rupi, tra le fessure delle rocce e nei luoghi pietrosi lungo i torrenti, Monte Calvario (Domodossola), Val Vigezzo, eec. — Estate — (Rossi); inoltre le specie: A filix-foe- mina SCHRAD., A. Halleri DC. (= A. fontanum Sw.), A. Viride Sw. A. ruta muraria L., A. adianthum nigrum L. insieme colla Var. nigrum Heuffl. PHANEROGAMAE Angiospermae — Monocotyledones. 2) Calamagrostis Halleriana P. B. Ritenuta assai rara in Piemont. e particolarmente diffusa solo nelle Alpi orientali. Hab.: boschi sopra Champolue verso Mascognaz in valle d'Ayas (Aosta), Agosto 1906 (PRor. MATTIROLO, FERRARI); sotto la Roccia di Costa Bruna a Coazze (Giaveno Luglio 1907 (D. FONTANA). Aggiungas : pascoli freschi al Sempione fra la Croce e Tavernet- taz — Luglio-Agosto — (FAvRE). Sono pure ossolane le specie: C. epi- geios RorH. (= Arundo L.). C. tenella Host., C. lanceolata Rotu., C, littorea D.C. 3) Arrhenaterum elatius var bulbosum Presl. Comunissima la forma tipica mentre la varietà sarebbe limitata alle parti occidentali del Piemonte: Cuneo e Boves, Luglio 1905 (FEr- RARI) Sanfront (Saluzzo), Giugno 1903 (Dr. Gora); Campoligure, Giugno 1908 (FERRARI, VALLINO, GOLA). Nell'Ossola si trova insieme colla specie questa varietà nei prati e pascoli sterili presso il Lago Maggiore ; Mers ozzolo (Rossi). E EE D 166 ALCUNE SPECIE VEGETALI DELL’ OSSOLA ECC. 4) Poa serotina Ehrh. Rarissima e raecolta finora solo presso Confienza in Lomellina (BERTOLONI) a Stupinigi presso Torino (FERRARI). Nell'Erbario ossolano è detta frequente uei luoghi incolti e sulle vie insieme colla P. annua L. — Febbraio-Novembre — (GAGLIARDI) Vi sono pure esemplari di altre specie e varietà: P. a/pina L. e Var. vivipara L., P. bulbosa e Var. vivipara, P. laxa Hor, P. compressa L., P. nemoralis L. e Var. firmula Gaun., P. sudetica HNKE, P. pra- tensis L., P. violacea BELL. (= Fes/uca pilosa HALL), P. trivialis L. 5) Bromus maximus Derf. Non era indieata nella Flora piemontese prima dello studio del Dr Gola. Hab.: Rocco di Pianezza (Torino) 1907 (Ferrari); Rocca di Cavour (Pinerolo), Maggio 1908 (FERRARI, FONTANA); Colli di Torino (UNGERN, STERNBERG, BELLI); Crea (Casale), Giugno 1905 (Ferrari, Dr Nees: Fossano (Cuneo), Giugno 1907 (FERRARI, VALLINO); Acqui, Giu- gno 1905 (FERRARI, VALLINO, GOLA). Fu trovato anche al Monte Calvario (Domodossola) sul sentiero che dalla Torre Deantonis conduce alla Villa Gentinella — Aprile-Giu- gno (Rossi). Altre specie ossolane sono: B. sterilis L., B. Madritensis L., B. asper L., B. erectus Huds. : 6) Rhynchospora fusca L. Il Dr Gola la dice appunto limitata alia regione nord-orientale del Piemonte, specialmente agli acquitrini che abbondano nelle va- ste brughiere alle falde delle morene o nelle morene stesse: Vauda di Mathi (De Feed. Viverone (Roasenpa, MALINVERNI; tra Arona e Borgoticino, Maggio 1907 (Gora NEGRI). Ed infatti fu trovata anche nei luoghi umidi e palustri della Val Vigezzo fra S. Maria e Re insieme colla R. alba Vant. (= Schoe- nus L), e sul Mergozzolo al Nord del Lago Maggiore — Giugno-Lu- glio (DE Noraris). 7) Ghamaererchis alpina Rich. Già indicata per le Alpi Graie e Pennine (Valle d’Aosta a Cour- MICHELE CRAVERI 167 mayeur, Cogne ece); fu trovata poi qua e là nelle Alpi Cozie; Valle di Susa, alla Roccanera sopra il Balmarot, Agosto 1908 (FERRARI) Val Fredda sopra Bardonecchia, Luglio 1899 (FERRARI) e nelle Alpi Ma- rittime: M. Antarotta sopra Garessio, Luglio 1899 (FERRARI). Non pare infrequente anche nelle Alpi Lepontine: pascoli umidi e muscosi, Sempione verso le gallerie, ecc. —- Luglio-Agosto (Rossi). 8) Listera cordata B. Br. Hab.: Alpi Marittime al Giaz Roccasonn sopra Garessio, Giugno 1906 (FERRARI, VALLINO); sopra Entracque tra i rododendri, Giugno 1906 (FERRARI, VALLINO, Gora); Alpi Lepontine in Val d'Ossola all’Alpe Veglia, Luglio 1900 (Gora). Anche il Dr Rossi chiama rara questa orchidea, e l'esemplare esi- stente nell'Erbario ossolano fu trovato nei boschi umidi di pini ed abeti in Valle d’Antrona — Maggio-Luglio (BrroLi). Molto frequente per la Flora ossolana è invece la L. ovata B. Br. Dicotyledones 9) Betula verrucosa Ehrh. Il D.r Gola la diee per lo meno altrettanto frequente in Piemente ehe la B. Alba L. Nell'Ossola si troverebbe la B. Alba nei boschi di tutta la valle, ma specialmente presso il Lago Maggiore — Aprile-maggio e la B. verrucosa localizzata presso il villaggio del Sempione (Rossi). Altra specie pure ossolana è la B. pubescens Eumn. 10) Aristolechia rotunda 7. Parrebbe limitata per la Flora del Piemonte alla regione Cispa- dana: Millesimo, Montenotte, Dego, Sassello, Novi, V. Staffora presso Voghera, Mombarazzo (Monferrato) e Colli di Casale, 1893 (ROSELLINI). Invece qui fu trovata nei luoghi coltivati o fra le macerie e presso l> siepi nei dintorni di Domodossola — Maggio-Giugno (Rossi). | Altra specie: A. clematlis L. pure abbastanza frequente nele stesse loealità. 168 ALCUNE SPECIE VEGETALI DELL'OSSOLA ECC. 11) Viola pinnata L Hab.: Valle d’Aosta, Cenisio; Alpi Cozie : Val Macra sopra AL ma, Luglio 1911 (FERRARI, VALLINO, GOLA), Cesana (D. R ViGNOLO- -LUTATI). Rara anche per l’Ossola; si aggiunga per altro alle stazioni già noté: luoghi aridi, elevati presso i ghiacciai delle Alpi Lepontine — . Giugno-Luglio (Ross). Appartengono alla Flora ossolana anche le ål- tre specie: V. odorata L., V. hirta L., V. sciaphila K.; V. palustris E. V. sylvatica Fm. e Var. Riviniana Koch. (= V. EE REBB). y arenaria D.C., y. canina L., e Var. Ruppii ALLE., V. biflora LETS ^ mummulariaefolia DE Y. tricolor L., V. calcarata I e Var. rosea Rossi la quale ultima si trova colla specie nei prati e pascoli del Sempione, ma più rara — Giugno-Luglio (Favre). : 42) Lidi rediviva. L. Già indicata nell'Appennino, nelle Alpi Marittime (Valle di Pesio ecce), e del Dr Gola in Val D'Ossola sopra Piedimulera, Luglio 1907 (Gora). Si deve aggiungere: luoghi boschivi presso Domodossola, lungo il Rio d'Anzuno — Aprile-Maggio (Rossi). Più rara spontanea la L. annua L. 13) Fumaria capreolata L: E ritenuta rarissima in Piemonte, e fu radeon solo nei dintorni di Mondovi, Giugno 1894 (FERRARI); presso Bossea Mondovi), Agosto 1903 (VicNoLo-LurAT!) e nei campi tra Fiaccone e la Bocchetta di Voltaggio (quivi forse avventizia. Giugno 1908 (FERRARI, VALLINO, OLA). . . Qui fu pure raccolta sui muri lungo l'Ovesea presso Villadossola Estate (Rossi). Più frequente la F. officinalis L. 14) Papaver hybridum Z. Conosciuta finora nelle seguenti località delle Alpi e dell" Appen- nino: Cafasse (Lanzo torinese), Maggio 1907 (FERRARI, GoLa); Venaria Reale (Torino), Maggio 1907 (D.r SANTI); tra Sangano e Reano, Susa E E E EE URINE e E ET SL M E SEET d È D 4 8 Co Parata bl MICHELE CRAVERI 169 alla Brunetta (ALL.) Maggio 1899 (FERRARI; Frossasca, Maggio 1908 (FERRARI. VALLINO, GoLA); Rocca di Cavour. Maggio 1908 (FONTANA, CROSETTI) ; Dego (Acqui), Giugno 1901 (FERRARI, VALLINO, GOLA). . Nell'Ossola appare frequente nei campi della Valle Anzasca —- Estate (Rossi). Sono più o meno comuni in queste valli il P. alpinum L.; P. sommiferum L., P. rhaeas L.. P. dubium L., P. argemone L. 15) Umbilicus pendulinus D. C. Erano già note per questa pianta le località dei Laghi, oltre a Pinerolo, Mondovi, M. Braeco presso Envie (Saluzzo). Giugno 1907 CROSETTI, FONTANA) Ormea in Vall'Armela, Luglio 1899 (FERRARI) ; S. Stefano Monferrato, 1824 (BELLARDI); sopra Carcaro alla regione Bor- mida, Luglio 1907; Rossiglione, Giugno 1906; Campoligure. Giugno 1908 (FERRARI, VALLINO, GOLA). L'esemplare dell'Erbario ossolano è stato raccolto nei dintorni del Mergozzolo — Giugno (DE-NOTARIS). 16) Sedum hirsutum Al. E una specie rarissima in Italia fuori delle Alpi occidentali, e piuttosto rara anche in queste. Hab.: sopra Giaveno (FONTANA, FERRARI); Rocca di Cavour presso Pinerolo (FERRARI). Quassù cresce sulle rupi e muri di sostegno a Macugnaga (Rossi). Altre specie ossolane: S. maximum Sur. S. fubaria Kox., S. stellatum L., S: cepaea L., S. reflexum L., S. sex ingulare L., S. acre L., 8. al- pestre VILL. (= S. saxatile ALL.), S. aibum L., S. dasyphillum L., S. villosum BERTOL., S. atratum L., S. annuum L. 17) Rebus glandulosus Bellardi. Il vero R. Bellardi sarebbe spesso confuso, secondo il Dr Gola, col R. hirtus assai più diffuso; la sola località sicura per tale specie in Piemonte sarebbe nei dintorni di Biella (AscHERSON E GRAEBNER). Noterò tuttavia che con questo nome è determinato un esemplare raccolto nei boschi della Val Vigezzo tra Craveggia e Villette — Mag- gio-Giugno (Rossi). Qui non si accenna al R. hirlus, ma esistono il R. idaeus L., R. fruticosus L., R. caesius L., R. saxatilis L. 170 ALCUNE SPECIE VEGETALI DELL'OSSOLA ECC. 18) Echium italicum Z. ue TIN * d x * } z- ee E $ fe y di X Il Dr Gola 'o dice localizzato al Piemonte meridionale, special- mente sui colli dell’Appennino e del Suabppennino dove è abbastanza frequente: Denice, Giugno 1900 (FERRARI, VALLINO); Aequi lungo la Bormida, Giugno 1905 (Ferrari, Gora); Novi, Giugno 1908; Rivanaz- zano, Godiasco, Giugno 1903 (FERRARI, VALLINO, Gora); Pollenzo, 1824 (COLLA). Fra questi monti si rinviene nei luoghi incolti, lungo le strade nei dintorni di Domodossola — Estate (Rossi). Più diffuso in tutta l'Ossola l'E. vulgare L. 19) Dipsacus laciniatus L. L’esistenza di questa pianta in Piemonte già accennata da Allioni è confermata recentemente ip modo speciale per le Langhe ed il Mon- ferrato; sembra più rara alle falde della catena alpina: tra Leyni e Lombardore, Agosto 1902 (FERRARI, VALLINO); Cuneo, lungo la Stura, ece. Nell'Ossola è abbastanza diffusa lungo i muri, nei luoghi incolti — Estate (Rossi). Vi crescono pure il D. sylvestris Mitt. e D. p losus L. 20) Gampanvula glomerata L. Furono distinte per questa specie molte varietà, alcune delle quali sono accennate da poco tempo in Piemonte. Citerò senz’altro le specie esistenti in questo Erbario insieme colla C. glomerata che cresce sul Monte Cimone (Valle Anzasca) ed a Craveggia — Estate-Autunno (Rossi), ed alia Var. aggregata W. rae- colta nei pascoli di Calasca (Inc. BELLI) Tali specie ossolane sono: 0. cenisia L., U. persicifolia L., C. patula L., C. rapunculus L., C. excisa ScHLCH., C. coespitosa Scor., C. rotunlifolia L., C. linifolia Hukg, C. rhomb idalis L., C. trachelium L., colla var. dasycarpa D.C., C latifolia L., C. spicata L., C. alpestris At, C. barbata L., C. si birica L., colla var. paniculata D.C., C. medium L. 21) Leucanthemum atratum D.C. | : Già rinvenuto in Val d’Ossola a Bognaneo, 1842 (Lisa); Ameno MICHELE CRAVERI S 174 sul Lago d’Orta, Lugio 1895 (GoLa(; M. Muerone, Luglio 1904 (FEr- RARI); S. Jacques d'Ajas in Valle d'Aosta, Agosto 1906 (MATTIROLO, FERRARI); Courmayeur verso il Lago Combal (m. 1900), Giugno 1904 (FERRARI); Val di Cogne sopra l'ont d’El., Giugno 1903 (FERRARI, VAL- LINO, GoLa); Prati del Cenisio 1843 (DELPONTE), Luglio 1905 (MaTTIROLO), Aggiungasi : sulle rupi, nei luoghi umidi, ombrosi in Val Vigezzo, Estate-Autunno (Rossi). Comuni nell’Ossola : L. vulgare D.C. e L. mon- fanum D.C. Sono adunque 21 le specie e varietà che il D.r Gola chiama rare o critiche per la nostra Flora e che furono rinvenute anche nell'Os- sola. Anzi l'Autore della pregevolissima Memoria sopra citata accenna per alcune specie alla loro presenza nelle Valli ossolane, mentre altre che egli dice rarissime in tutto il Piemonte, o proprie delle località più meridionali subappenniniche ed estranee o quasi alla catena al- pina, crescono pure in queste regioni e sono conservate nell'Erbario del Museo Mellerio-Rosmini. In quanto alle specie che si possono chiamare avventizie per la Flora piemontese e che hanno atteechito anche nell'Ossola, basta ac- cennare alle seguenti: : 1) Commelina communis L. Indicata nei boschi lungo il Po a Chivasso, 27 luglio 1897 (BeL- LONI) e lungo il Po a Torino a valle del Ponte R. Margherita, Settem- bre 1903 (FERRARI); presso Trobaso sul Lago Maggiore, Settembre 1908 (Gora); presso Garlasco, Agosto 1905 (Gora). Fu pure raccolta nelle Valli ossolane che seendono al Lago Mag- giore — Estate-Autunno (Rossi). 2) Narcissus pseudonarcissus L. (= N. incomparabilis Mill.) Fu raccolto sui Colli di Torino presso la Villa Corrà sopra la Barriera di Casale, 10 Marzo 1899 (VienoLo-LuTATI), forse sfuggito alla coltivazione. Qui è copioso nei prati e boschi di Calice, S. Defendente, eec. do- ve è quasi sempre doppio — Aprile-Maggio (Rossi). Vi si trova pure ZE WEE E TE EN SE E TS 172 ALCUNE SPECIE VEGETALI DELL'OSSOLA ECC. V Ajax incomparabil s CAR., e più raro il N. biflorus CURT.; abbonda «invece nella pianura il N. poeticus L. 3) Jasminium offinale Z. Trovato sui vecchi muri a Vicoforte (Mondovi), 13 Giugno 1894 (FERRARI); presso. Borgofranco (Ivrea), Agosto 1851 (Delponte). Cresce spontaneo sulle rupi sotto la Chiesa del Monte Calvario (Domodossola) — Estate (Rosst). 4) Galinsoga parvillora Cav. Il Dr Gola la dice oramai diffusa ovunque in Piemonte sia ella pianura che abbastanza addentro nella catena alpina, sopra Varallo Sesia, in Valle Anzasca, ecc. Ed infatti anche qui è volgarissima nei luoghi coltivati (Rossi). “Con queste poche note non ho inteso certamente menom re il va- lore dell: vaste e profonde osservazioni del valentissimo Docente nel R. Istituto Botanico di Torino. Modestamente ho creduto di poter ar- recare un piccolo contributo alla conoscenza più completa della nostra Flora piemontese. Domodossola, 27 Dicembre 1910. D.r MICHELE CRAVERI Dr OTTAVIO MUNERATI Osservazioni sulla prefioritura delle barbabietole da zucchero La barbabietola primitiva o selvaggia (Beta maritima L.) è, nor- malmente, annuale. La biennalità nella bietola coltivata è un portato della selezione e l'emissione dello senpo fiorifero il primo anno di ve- getazione non costituisce che una apparizione di una qualità ancestrale o un ritorno atavico. i A parte questo concetto d’ordine pregiudiziale, la prefioritura può essere favorita da diverse: circostanze, tra le quali vanno prevalente- mente notate: a) il tempo di semina e l’andamento successivo della stagione; b) lo stato di fertilità del terreno; c) la provenienza del seme e lo stato della sua maturanza fisiolo- gica al momento della raccolta. Le osservazioni alle quali oggi intendo riferirmi riguardano la prefioritura: I) in rapporto al tempo della semina. II) in rapporto alla composizione delle radici prefiorite considerate secondo la forma, il peso ed altre caratterische esteriori. * I. Il tempo di semina e la prefioritura Se l'arresto di vegetazione, in conseguenza di gelate tardive o di eause similari, quale fattore determinante la salita in seme delle bie- tole, era stato ammesso dalla maggioranza degli studiosi, nessuno ave- va portato sino ad oggi delle cifre derivanti da larghe e precise ricer- che metodiche. Ecco perchè l'argomento parvemi presentare un certo interesse, anche perchè al tempo di semin: della bietola viene at- tribuito, e giustamente, dai pratici, notevole importanza in riguardo alla produzione conseguibile dalla cultura. Proeuratomi pertanto il seme di sei razze di barbabietola, di cui una proveniente da piante gia prefiorite l’ anno innanzi — tutte, in ogni modo, derivate dalla Kleinwanzleben — profittando della cortese 174 OSSERVAZIONI SULLA PREFIORITURA DELLE BARBABIETOLE DA ZUCCHERO condiscendenza dell’ Amministrazione Co: Papadopoli di Loreo e del- l'efficace cooperazione dell'agente Sig. Giuseppe Padovani, procedevo alla semina delle sei varietà, a gruppi, a cominciare dal novembre a giungere ai primi di giugno: tutte le varietà vennero, volta a volta, seminate con ogni dilivenza, a mano, in parcelle di 50 metri, separate da sentieri larghi ottanta centimetri, per cui, a semine finite, i vari . gruppi, complessivamente in numero di undici, occupavano circa tre quarti di ettaro. Ecco le temperature massime, minime e medie (in centigradi) del periodo novembre-maggio (Osservatorio meteorologico di Rovigo): Media : Massima Minima 10 novembre 8,0 14,0 3,3 Se gg 6,5 8,8 3,8 30 » 4,1 7,0 1,2 10 dicembre 2,5 5,8 — 10 20 » 1,4 11,5 4,0 30 » 1,0 2,5 — 0,8 10 gennaio 5,6 1,4 5,0 » 3,5 1,0 — 0,6 » 3,9 8,2 1,2 10 febbraio 9,0 15,0 5,2 20 » 5,4 9,8 1,5 28 » 19 3,5 0,2 10 marzo 9,3 10,2 8,8 » 11,6 16,1 7,5 30 D 11,2 12,8 9,5 10 aprile 11,1 112 1,9 » 10,9 11,8 9,3 30 » 15,0 18,7 9,5 10 maggio 16,1 18,0 12,0 » l 22,6 27,0 11,2 30 » 22,9 24,3 18,1 Riassumo, nei seguenti prospetti, i dati riferentisi ai singoli gruppi, nei quali, per la fattispecie, hanno maggior valore le cifre che riguar- OTTAVIO MUNERATI dano la quantità di bietole prefiorite secondo il tempo della semina: I. Gruppo — Semina: 14 novembre NUMERO DELLE PIANTE Am PRODUZIONE OTTENUTA p Principio : T della "a Colletti 3 Nate in senza Radici olletti " fioritura senza colletto foglie coltivate fiore fiore Chilogram. Chitogtam, I 124 84 40 25 Maggio 68 EI ; II 84 50 34 94 62 IH 125 65 60 73 35 IV 66 45 21 63 40 V 116 84 32 104 65 3 VIG)| 193 67 126 93 24 ; MepIA| 118 66 52 82,5 46 Il. Gruppo - Semina: 23 dicembre NUMERO DELLE PIANTE Sei PRODUZIONE OTTENUTA St Principio 9 D n EDEN : S Nate in Seta vd Radici | Colletti i > e fioritura senza colletto vr? ei coltivate | fiore fiore Chilogram. foglie Chilogram. : I 236 191 45 20 Maggio 81 60 a II 190 144 46 IOI 64 t Ill 223 127 96 99 32 IV 99 70 29 75 50 V 169 102 67 15 59 VI 252 128 124 83 27 MEDIA 195 127 68 75,6 48,6 146 OSSERVAZIONI SULLA PREFIORITURA DELLE BARBABIETOLE DA ZUCCHERO Ill. Gruppo — Semina: 21 gennaio NUMERO DELLE PIANTE EPUM PRODUZIONE OTTENUTA EI Principio $ d i EE RE or RER : 3 Nate In Sensi ge Radici Colletti fioritura senza colletto e coltivate | fiore fiore Chilogram. foglie ; Chilogram. I 125 64 61 25 Maggio 94 45 II Ito 47 63 131 53 III 129 65 64 129 70 IV 83 27 56 65 33 X 103 50 53 149 70 VI 185 Tu 108 120 41 MEDIA} 122 55 67 114,6 52 IV. Gruppo — Semina: 12 febbraio NUMERO DELLE PIANTE ez? PRODUZIONE OTTENUTA E Principio 2 dell i | E Nate té Se a Colletti À i 11 f FE fiore fiore na ginem foglie | Keier. Aer I 288 134 154 23 Maggio 175 90 II 264 84 180 190 85 HI 263; 66 197 185 80 IV 125 44 81 150 55 V 214 | 51 163 ko e 71 VI 303 161 142 | 153 68 [Mental 243 90 15€ Lo e 75 Wes Em | OTTAVIO MUNERATI V. Gruppo — Semina: 20 febbraio Ee, TM $F NUMERO DELLE PIANTE PRODUZIONE OTTE) - Principio | v H 1 1 EOD Warp ee della Radici! | Es | fioritura senza colletto coltivate fiore Chilogram. 298 194 | 23 Maggio 169 130 185 201 227 183 SCH 192 125 83 122 157 116 ! 204 222 181 | 148 193 157 172,6 ` VI. Gruppo — Semina: 14 marzo NUMERO DELLE PIANTE PRODUZIONE OTTENUTA = Principio - 5 E | Nate Senza PeR Radici > e m fioritura senza colletto coltivate = Chilogram. 356 246 26 Maggio 228 ` 300 5 295 256 370 3 367 | 236 194 4 190 170 218 3 215 ; 238 297 3 294 7 SEH ES viet: S is — 2 rire. : È 289 284 222 | VC Ee E d SE ei EE T EECH ee Proc Le E Paley dia ina a SA 0 EC Soft des a i gb EE -178 OSSERVAZIONI SULLA PREFIORITURA DELLE BARBABIETOLE DÀ ZUCCHERÒ VII. Gruppo — Semina: 18 marzo NUMERO DELLE PIANTE Principi . PRODUZIONE OTTENUTA rincipio Nate in Serra deila adici Colletti fioritura senza colletto E: coltivate fiore fiore e Chilogra foglie Chilogram. H I 328 7 321 26 Maggio 239 65 Il 310 307 285 75 HI 355 353 216 54 IV 147 4 143 166 36 V 168 3 165 213 55 NI 331 4 327 216 61 IMEDIA 273 4 269 222,5 57,6 VII. Gruppo — Semina: 9 aprile NUMERO DELLE PIANTE du PRODUZIONE OTTENUTA = Principio | SER della ici Colletti a ate In Senza Radici e ut fioritura senza colletto : coltivate fiore fiore i Chilogram. foglie Chilogram. rd 422 | Nessuna | Tutte 215 62 u 355 237 56 III 298 195 53. IV 242 182 53 pv. 302 223 84 | VI 265 188 66 MEDIA| 314 206,6 62,3 PERI ba d ee, Age EE SCA EE E EE ere) dE cx giro um ei: » É un à TEE E TRAE LI oe DR LU le RE EN ERN cl E UNE u OTTAVIO MUNERATI ` ` IX. Gruppo — Semina: 26 aprile NUMERO DELLE PIANTE a vet ‚In Senza coltivate fiore fiore I 248 | Nessuna | Tutte II 306 III 309 IV 175 272 417 Principi PRODUZIONE OTTENUTA rincipio ; = Radici Colletti fioritura senza colletto e Chilogram foglie Chilogram. $43 3 39 182 77 149 ; 58 143 42 191 | 54 164 ` 50 162 ` 5353 X. Gruppo — Semina: 10 maggio PRODUZIONE OTTENUTA NUMERO DELLE PIANTE Priuciplo Nate In Senza da adici coltivate fiore fiore Re sr ii 208 | Nessuna; Tutte 64 314 166 275 120 148 48 247 104 - 256 99 | 241 100° OSSERVAZIONI SULLA PREFIORITURA DELLE BARBABIETOLE DA XI. Gruppo — Semina: 15 giugno D ZUCCHERO Nate e coltivate NUMERO DELLE PIANTE senza Principio della fioritura PRODUZIONE OTTENUTA Ra senza colletto Chilogram. Colletti é foglie Chilogram, OTTAVIO MUNBRATI 181 Facendo la media delle sei varietà e riportando a cento il nu- mero delle bietole rispettivamente fiorite, ne risultano le seguenti linee rappresentative : Percentuale di bietole preflorite in relazione col tempo di se mina 65 Oro 55 O19 45 00 26 010 Bietole prefiorite Meno dell’ 1 Ojo Zero Vig 1 O10 EB e — — — = = Ka 2 no = E e ès = to e re E = = © a B Ze 9s e > "d » = nR S 5 8 c o - 5 n. = S A © c B C c Ki EN 2 SÉ ka R = n n N LI 2 Oe i B o E. E EN © [s AJ B c a o o © o 3 © Per quanto il prodotto in peso dei vari gruppi non abbia un valore efficente ai riflessi della finalità dell’esperimento, altre linee rappresen- tanti la produzione a norma del tempo di.semina sono molto istruttive, 182 OSSERVAZIONI SULLA PREFIORITURA. DELLE BARBABIETOLE DA ZUCCHERO Prodotto di radici in quintali in relazione con il tempo di semina intali 200 ione in qu Produz Lo Ed GI TD a z ouni cr — © B > ge = o ouuo Ig E 2 e1quieorp ga oreaqqoj GI ore1qq9j 0c T a E o < E c m © II — La composizione delle bietole prefiorite in rapporto alle loro caratteristiche esteriori Sino dal 1903 mettevo in evidenza (1) come le bietole in fiore dovessero classificarsi, quanto al loro comportamento, in due categorie nettamente distinte: a) bietole a radice sottile, molto legnosa, sprovviste di corona di foglie alla base dello scapo fiorifero, a seapo erto e normalmente uni- co, di periferia spesso maggiore della stessa radice. b) bietole a radice pressoché normale e meno legnose delle pri- (1) Almanacco dell’ « Italia Agricola». I AG OTTAVIO MUNERATI 188 me, provvedute, alla loro base, di una corona più o meno densa di fo- glie (1). Le bietole del gruppo a) rappresentano, manifestamente, un bru- sco ritorno alla forma primitiva: il modo col quale si comportano du- rante il loro periodo vegetativo permette appunto di riscontrare in esse tutte le caratteristiche della barbabietola selvaggia. Anche nello stesso tipo selvaggio poi, come mi occorse in più oe easioni di constatare, le piante che posseggono una certa quantità di foglie alla base dello scapo hanno radici più grosse e meno spiccata- mente legnose di quelle dalla cui testa, sguarnita di fogliame, si di- parte un unico e vigoroso scapo fiorifero. Poichè era interessante di determinare la composizione delle bie- tole prefiorite “eparatamente a norma delle suaccennate categorie , l'egregio Direttore dello Zuccherificio di Lendinara, sig.Arnoldo Knóp- fel, aderendo cortesemente alla mia preghiera, si compiaceva di far eseguire, nel Laboratorio dello stesso Zuecherifieio, varie analisi ba- stantemente complete: a) di bietole in fiore ad abbondante fogliame basilare, in con- fronto a bietole normali pressappoco dello stesso peso; b) di bietole prefiorite con corona basilare discretamente guar- nita di foglie (tipo, diremo così, intermedio), sempre in confronto a radici normali dello stesso peso ; c) di bietole prefiorite ad unico scapo, senza fogliame basilare, rappresentanti cioè il tipo primitivo, e ancor esse in confronto a bie- tole normali di peso analogo. Insieme il direttore del Laboratorio, l'egregio dott. M.Galloni, cor- tesemente analizzava anche un certo numero di bietole selvagge da me speditegli. ; I risultati delle analisi sono riprodotti nei seguenti prospetti (il tenore in zucchero è, in tutte le radici, piuttosto basso, ciò dipendendo dalla stagione avanzata in cui le determinazioni furono compiute) : (1) Nelle condizioni della pratica, guardando la parte aerea delle bietole in fiore, si può subito, aprioristicamente, precisare, con sicurezza quasi matematica, la grossezza della radice sottostante: quanto maggiore è il numero delle foglie basilari, più voluminosa è la radice e viceversa, Se Wäer QE i Be Së id d v E i a KE SEI ECARE | br 184 OSSERVAZIONI SULLA PREFIORITURA DELLE BARBABIETOLE DA ZUCCHERO BIETOLE GRANDI NorMali ! In Seme ? Oe eso Peso Kg. 1.100/Kg. 1.150 Grado Brix : | TT 14.8 | 13.00 -, Zucchero ?/, gr. (asa: | : 10. 94 9. 44 Non zucchero apparente 3. 86 3.56. E ~ Quo. purezza apparente | : 73.91 72.61 | 2 Sostanza secca reale - TM 14. 41 12. 64 È . A. Non zucchero reale | ES 3.47 3.20 | + «Quo; purezza reale 75.91 74. 68 > Sugo %, ~ || 92.32 | 90.04 Zucchero °/, gr. bietole - || 10.10 8. 50 Sostanza secca nella bietola 15 67 14. 72 3 | | BIETOLE MEDIE Normali | In seme Peso eso Kg. 0.650|Kg. 0.631 Grado Brix 2 13.8 14.9 b Zucchero 9/, gr. sugo —— lb 10-90] 11.18 Non zuechero apparente ut 3. 60 3. 72 Quo. purezza apparente — 13.91 | 15.08 Sostanza secca reale ` i: 13.44 14.52 ` Non zucchero reale nee 3,24 3.34 Quo. purezza reale 75.89 | 76.99 Sugo ?/, 92.15 | 93.91 Zucchero 8, gr. bietole | | 9.40 | 10.50 ‘Sostanza secca nella bietola 15.07 | 17.56 EE Grapo Brix Zucchero °/ gr. sugo Non zucchero apparente Quo. purezza apparente Sostanza secca reale Non zucchero reale Quo. purezza reale Sugo "/, Zuechero ?/, gr. bietole Sostanza secca nella bietola Grado Brix Zuechero "/, gr. sugo Non zucchero apparente Quo. purezza apparente Sostanza secca reale Non zucchero reale Quo. purezza reale Sugo °/o Zucchero ?/, gr. bietole Raffinosio Normali | In seme Peso eso Kg. 0.275/Kg. 0.315 15.0 12.9 10. 83 8. 34 4. 17 4, 56 12, 20 64. 65 14, 58 12. 15 3.75 5.81 15. Z1 68.64 95. 10 91. 12 10. 30 1.6 17,92 15. 53 BIETOLE SELVAGGIE | | BIETOLE PICCOLE | 186 OSSERVAZIONI SULLA PREFIORITURA DELLE BARBABIETOLE DA ZUCCHERO Conglobando i dati analitici più importanti dal punto di vista industriale e trascurando le cifre riferentisi alle bietole di tipo inter- medio, abbiamo : Grado Per cento zucchero Brix nella bietola Bietole normali Grandi ; i ‘ ; 1 ; 14.8 10.1 Piccole ; à à i : i 15.0 10: 8 Bietole in seme Grandi (accostantisi al tipo normale) 13. 0 8.5 Piecole (accostantisi al tipo selvaggio) 12.9 1. 6 Selvagge : x 15. 7 6.1 CONCLUSIONI I — Il tempo di semina della bietola ha una decisa influenza sulla tendenza delle piante alla prefioritura. Quanto più precoce è la semina, tanto più elevata è la percertuale delle piante prefiorite e viceversa. Le semine preinvernali e le semine compiute al primissimo risvegliarsi della stagione (fine gennaio primi febbraio) portano ad una . .prefioritura del 50-60 per cento ed oltre, mentre le stesse sementi, af- . . fidate alla terra a stagione cosiddetta primaverile avanzata (dopo la se- conda metà di aprile per es.) non danno che un numero assolutamente esiguo di piante in fiore. II — I glomeruli provenienti da bietole andate in seme il pri- mo anno di cultura non hanno eccezionalmente spinto, più degli altri normali, l'attributo della proelività a dare origine a piante prefiorenti (ciò cha era stato del resto messo più volte in evidenza). III — Non vi & uno stretto rapporto tra numero di piante in fiore e produzione conseguibile dalla cul'ura. Si possono avere delle produ- zioni abbondanti anche con una rilevante percentuale di bietole pre- TE. d p OTTAVIO MUNERATI © 197 fiorite (sin oltre il 25 °;,) e dei raccolti scarsi anche senza alcuna pianta in fiore. In altri termini, nelle condizioni della pratica, la prefioritura non è fenomeno che, per sé stesso, dal lato culturale (prescindendo cioè dalla questione industriale) possa costituire sintomo di cattiva annata bieticola o viceversa. IV — Le bietole prefiorite comprendono due ordini nettamente distinti di individui: gli uni rappresentanti una brusca regressione del tipo, riproducenti cioè tutte le caratteristiche della bietola selvaggia (radice sottile, legnosa, a scapo vigoroso, sguarnito ala base di fo- . gliame); gli altri accostantisi alla forma biennale, sia per sviluppo e caratteri della radice, sia per l'abbondante corona di foglie alla base dello scapo fiorifero quasi sempre multiplo. Ora la composizione, sepa- ratamente considerata, delle due forme tipiche, chiaramente dimustra che se le barbabietole del secondo gruppo non differiscono sostanzial- mente, per ricchezza ed altri caratteri, dalle radici normali non pre- fiorite, le barbabietole piccole prefiorite si accostano, per tenore in zucchero e qualità industriali, al tipo della bietola primitiva. Quest'ul- tima è poi apparsa, anche nelle analisi odierne, estremamente carica di non zuccheri (6.68 di non zuccheri — 3.77 di raffinosio — contro 6.10 di zucchero p. d.). Delineata così una nuova faccia del poliedro, si scorge quale al- tro campo si apra ad indagini destinate ad accrescere la notevole mole di osservazioni e ricerche, che sul fenomeno delia pretioritura furono compiute nei più noti centri bieticoli della Media Europa. RECENSIONI A. Manaresi e M. Tonegutti — Sulla determinazione deil’ amido nei rami degli alberi (Staz. sperim. agr. ital. XLIII, 705) 1910. Tra i metodi indiretti di determinazione dell’ amido e che consi- stono nel dosare il glucosio ottenuto dalla saccarificazione dell’ amido | stesso, gli AA. scelgono il metodo dell'Allilon, i cui vantaggi contrap- pongono agli svantaggi del metodo Reinke. Il procedimento consiste nel far agire a caldo una certa quantità di sostanza vegetale seccata e polverizzata, con acido cloridrico di densità=1,17, nel trattare con acetato basico di piombo il liquido fil- trato, a fine di far precipitare alcune sostanze riduttriei che potreb- | bero avere influenza nella reazione successiva ; e infine nel dosare per via volumetrica o ponderale il glucosio, usando il reattivo cupro-al- ealino. Gli AA. dimostrano eon i risultati di varie analisi la superiorità del metodo con la boecetta Reischaner-Lintner a quello con l'autoelave a parità di tempo necessario per l'esecuzione di un'analisi. , E bene notare però che l'applicazione del metodo Allihn alle de- terminazioni quantitative del'amido nei vegetali, era stata già resa nota dal Prof. G. Pollaeei in una sua memoria del marzo 1906 (So- pra i metodi dí ricerca quantitativa dell' amido contenuto mei tessuti vegetali. Attti Ist. Bot. Pavia, vol XI) ehe gli AA. pare non cono- scano. In essa il metodo è anzi reso più completo per tal venere di ricerche, poichè l'A. eselude con l'uso della pepsina l'errore dovuto alle | sostanze proteiche inerostanti i granuli d'amido, che ostacolerebbero la totale solubilità di esso; e con i ripetuti lavaggi in acqua della polvere secca e ulteriore trattamento del liquido con reattivo cupro- alcalino, l'errore dovuto alla presenza di zuccheri nella sostanza ve- getale. Dorr. Eva MAMELI È viis E į Ze 2 2 b . RECENSIONI "e :: A. Monaresi e M. Tonegutti — Alcune ricerche sulla composizione. rispettiva del legno e della corteccia di un ramo di Pero (Staz. sperim. agr. ital. XLIII, 714) 1910. » Sulla composizione chimica dei rami PURE di al- cuni alberi fruttiferi (c. s. pag. 758). » Breve studio morfologico e chimie sulle foglie dei rami specializzati di aleuui alberi da frutto (e. s. pag. 787). La prima memoria rende noti i risultati ottenuti dalle analisi di un ramo di Pero di un anno proveniente da un innesto su Biancospi- no, allo scopo di conoscere la diversa distribuzione delle sostanze di riserva nel legno e nella corteccia. Dai risultati analitici si rileva: 1. Che nel legno si trova in prevalenza sugli altri comprati la fibra greggia, a cui è dovuta "pesa la funzione meccanica di so- stegno. 2. Che nella coreevia invece la fibra greggia raggiunge un va- lore uguale alla metà di quello a cui giunge nel legno, mentre hanno valore massimo l'amido, le sostanze estrattive. Gli AA. tragzono da da ciò la conseguenza «che la corteccia disimpegni specialmente l’uf- ficio di magazzino di riserva delle sostanze nutritive ». 3. Che i pentosani contenuti nel legno debbono essere di com- en alquanto diversa da quelli eoutenuti nella corteccia, perchè quelli sono meno facilmente idrolizzabili di questi. In tal caso anche i pentosani avrebbero la funzione dei materiali nutritivi di riserva; 4. Che nella corteccia la quantità di ceneri è molto maggiore che nel legno: circa 3 volte e mezzo, e che in essa prevalgono il sili- cio e il calcio. mentre il fosforo, il ferro e l'alluminio prevalgono nel legno. sa Nella seconda memoria gli AA. determinano quali siano le diffe- renze dl composizione chimica tra i rami «a legno » e i rami «a frutto» di alcune specie: pero, melo, pesco, susino. Essi trovano: 4. Che la fibra greggia, alla quale è affidato in particolar modo l’ufficio di sostegno, si trova in quantità maggiore nei rami e l'accurata analisi dell’ o- pera complessiva dell’ A. fatta dal Seliber nella « Rev. gen. de Botanique» nei vol. XVIII (1906), XXI (1909, e XXII (1910). (1) Sono frequenti nei nostri sistematici (qui ricordo Tenore, Gussone, $ Lee E d cafe | Bervoloni, Pariatore ecc.) gli accenni a colture eseguite negli orti botanici per * meglio convalidare la bontà delle specie da essi stabilite. Ciò che non impedì loro a di creare parecchi tipi tutt’ altro che costanti e che invece avrebbero fornito, ar- gomento di ben maggiore importanza, ottimo materiale per studiare le cause ed i fattori della loro varlabilıra. Che gli Orti Botanici, coltivando di preferenza piante del paese in cui giacciono, siano in grado di rendere segnalati servigi alla scienza piuttosto che con la coltura di s ggetti esotici e con l’ indefinito in- eremento degli Erbari fu testé asserito dal Marchesetu (Di un’ amportante mis- sione scientifica degli Orta Botanici in « Att: Congr. Nat. Ital. Milano 1906+. Mi- lano, i907 ) e messo in pratica nel ricco Orto Botanico che egli dirige a Trieste. Tale eccellente proposta, tendente sec. l’ A. a fare meglio conuscere ed apprezzare la flora locale ed il valore sistematico delle specie più interessanti e 3 critiche andrebbe, secondo il mio modo di vedere, allargata, nel senso che le specie nostrane, comprese le più ubiquitarie, hanno non minore interesse ad es- sere studiate sperimentalmente di queile esotiche. Gli Orti Botanici, dando la preferenza a quelle su queste, non dovrebbero però limitarsi alla cultura diretta | a semplice scopo di curiosità sistematica, quanto determinare le condizioni più opportune perchè le ricerche tutte e specialmente quelle ad indirizzo biologico : e biogenetico possano farsi con vedute moderne e con le esigenze della tecnica : | sperimentale. Avevo scritto quanto sopra, allorchè venni a conoscenza di un articolo del dott. Ragionieri (in Buil. R. Soc. Tose. di Orticoltura, 1910, n. 9» ), nel quale ; l A., a proposito dell’ ibridazione dei Mughetti e della necessità di emanciparci : dall'estero per quanto concerne prodotti agrari ed orticoli, trova modo di pro- à pugnare l'istituzione in Icalia di uno stabilimento serio di esperimenti e di pro- duzioni agricole ed orticole che serva di perfezionamento alle nuove genera- RICERCHE CULTURALI SULLE VARIAZIONI DELLE PIANTE 291 di esso affrontarono ed affrontano i problemi più delicati sulla loro origine e variazione, ai pratici a scopo di trovare le condizioni più opportune per l’acelimatasione di un dato soggetto, per creare nuove razze, incroci e via di endo. L'indirizzo strettamente scientifico è però di data relativamente re- cente o, per essere più esatto, solo negli ultimi tempi, mercè l'impiego di una tecnica più razionale e rigorosa, se ne è apprezzata la sua im- portanza e la superiorità sugli altri metodi. Valgano le seguenti con- siderazioni. La natura nel suo inesauribile campo di azione, l’ambiente, è an- che inesauribile artefice di invenzioni e di esperienze e chiunque si sia cimentato a studiare un solo gruppo polimorfo con intenti e vedu- te moderne sa quale ingente numero di combinazioni possono dare pochi caratteri in fluttuazione. Sta, però, il fatto che un dato cielo di forme incontra nel mezzo ordinario un numero definito di condi- zioni, di cui ciascuna forma è una diretta emanazione od una reazione anche molto indiretta. La coltura, oltre che riprodurle, può anche zioni di agricoltori e di amanti di giardinaggio. Questo articolo ne ispirò uno al prof. Baccarini (l. s. c.) nel quale, dopo avere esaurientemente dimostrato che gli Orti Botaniei da una parte, le scuole pratiche di Agricultura e le Società orticole dell' altra non sono adatti alla speciale bisogna, conclude per la fonda- zione di un Istituto ex novo Per quanto io creda che la scienza non sia monopolio di un individuo o di una istituzione, ma che al suo incremento possano concorrere elementi delle più diverse scaturigini (e fuori d’ Italia ai progressi della botanica agraria ed or- ticola concorrono cultori di scienza pura ed ottimo materiale trovano anche nei soggetti coltivati), sono anch'io d'opinione che, dati gli scopi sopratutto pra- tici, il compito principale dovrebbe essere affidato ad un Istituto a sè, con per- sonale e mezzi adatti. Quanto poi alla costatazione fatta dal prof. Baccarini che gli Orti botanici, data la loro origine e i mezzi di eui hanno sin qui disposto, ; abbiano ben poco fatto nella direttiva sperimentale-culturale, non vuol dire che tale stato di cose debba proseguire fino alla consumazione dei secoli. E come dissi sopra, a me pare che le piante spontanee ed i numerosi ed interessanti problemi che esse nascondono (si vedano in questo stesso giornale le belle ricerche del Buscalioni e Muscatello sui Senecio dell’ Etna) dovrebbero essere preferite nella scelta, anche quando non ne dovesse seguire alcun pratico risultato. 232 DOTT. AUGUSTO BÉGUINOT determinarne altre che normalmente non si verificano riuscen do, quin di, come dice il Klebs, a fare realizzare tutte le possibilità dello svi- luppo e di conseguenza anche le forme potenziali o latenti. Questo metodo mette, dunque, lo studioso in possesso di un numero molto su- periore di combinazioni e di ricco materiale dalle più rare ed ecce- zionali, ehe in natura si incontrano solo occasionalmente. Qualunque schema di classificazione è basato ed anzi non può essere concepito che sulla subordinazione dei caratteri, i più costanti costituendo, come è ben noto, le pietre angolari su cui poggia l’edificio sistematico. Naegeli (1) chiamò i caratteri fiorali, cui di solito è fatto assegnamento, appunto per la loro costanza «caratteri di organizzazione» e ad essi contrappose i «caratteri di adattamento», dipendenti dal mez- Zo e perciò soggetti a variare. Da un punto di vista più generale Ve- que (2) designò col nome di «tiletici» i caratteri avvinti dalla Tor: za ereditaria ed « efarmonici > quelli la cai struttura ed organizzazione dipendono unicamente dall’ambiente e variano con le mutevole contin- genze di questo. Subordinare questi a quelli fu l’obbietto supremo della sistematica pratica e di quella filogenetica. Non vi ha dubbio che, in un'entità qualsiasi, per quanto ampi siano i limiti della sua oscillazione, alcuni caratteri appariranno meno variabili di altri ed alcuni daranno a noi l'impressione che siano del tutto costanti o con deviazioni minime. Che un carattere, per costante che esso sia nell’attualità, abbia attraversato uno stadio di fluttuazione, è una possibilità teorica ed una deduzione che scaturisce logicamente dalla minuta analisi cui furono sottoposti alcuni gruppi di piante. Così, per citare un solo esempio, il Vuillemin (3), in seguito ai suoi studi sul phylum delle Anthyllis, è giunto alla conclusione che (1) Naegeli, Mechanis-h-physiologische Abstammungslehre. 1884. p. 138. (2) Vesque, L'espéce végétale considerée au point de vue de l' anatomie com- darée in « Ann. d. Sc. Natur., Botanique, ser. 6.a, vol. XIII » Paris, 1882. ' (8) Vuillemin, L: subordination des caractères de la feuille dans te phylum des Anthyliis. Nancy, 1892, p. 466. Cfr. inoltre quanto scrissi sull’ argomento nella mia Revisione monografica del gen. Romulea in « Malpighia, vol. XXIII (1909), p. 196-208 » PI MP T ae RICERCHE CULTURALI SULLE VARIAZIONI DELLE PIANTE 28 nessun carattere ha nel gruppo dignità assoluta e cioè nessun carattere è egualmente dominante in esso, passando per i tre stadi principali di progressione (cenogenesi del carattere), fissità relativa (palingenesi) e declino (iperpalingenesi). Ma che tale possibilità teorica e siffatte deduzioni a posteriori di- ventino realtà tangibile ai nostri sensi, solo le ricerche sperimentali e quindi il metodo culturale possono attuare, prendendo di mira anche i così detti caratteri costanti ed ereditari e dimostrando all’ evidenza, da una parte che nessun carattere è veramente irriducibile e dall’altra che, se tale ci appare, è perchè le combinazioni che si riscontrano in natura, per quanto numerose, sono solo una parte di quelle che l’espe- rimento può indurre e realizzare. Naturalmente la sistematica pratica, come scrive il Klebs, non ha diretto interesse a prendere in considerazione forme, per così dire, potenziali: ma ognun vede quanta importanza rivestano per la siste- matica teorica e quanta luce una siffatta investigazione può proiettare nel tenebroso campo della sistematica filogenetica (1) (1) Sarà bene di non essere qui frainteso. La sistematica pratica si industria di descrivere le specie così come si presentano in natura e quelle già note a farne viemmeglio risaltare i caratteri difterenziali su cui è possibile fare mag- giore assegnamento ed attraverso i quali, con procedimenti analitici sempre più perfetti, vengono riconosciute e classificate. La sistematica feorzca, traendo par- tito da tutto ciò che esiste in natura, provoca sperimentalmente i varì fattori che trovansi di sulito consociati, onde studiarne l'azione singola ed è appunto in tale operazione che, intenzionalmente o casualmente, vengono a determinarsi condizioni nuove, che conducono a sviluppare quanto vi è dì potenziale nella pianta. La sistematica filogenetica, avvalendosi di tutti gli elementi e dati emersi dalle più diverse scaturigini, giunge alla scoperta delle vere affinità naturali, che sintetizza nei così detti schemi od alberi genealogici. L’ ostracismo accor- dato da parecchi biologi alla prima ed il sospetto e la aiffidenza in cui sono te- nute da alcuni sistematici le altre due sono, a mio modo di vedere, completa- mente ingiustificati. Queste tre branche r ppresentano cronologicamente rami sempre più elevati e perfetti del vecchio tronco della fitografia, tuttavia sono ben lungi dali’avere esaurito il loro compito e lo dimostrano, quanto alla prima, la continua scoperta di nuovi ed interessanti tipi e la compilazione di eccellenti monografie con intento prevalentemente morfologico. È da augurarsi anzi che esse senza ingiustificate predilezioni, seguitino ad avere un egual numero di stu. osi. 234 DOTT. AUGUSTO BÉGUINOT Questa triplice distinzione della sistematiea mi suggerisce altre considerazioni, che faranno più chiaramente risaltare gli obbiettivi ed i metodi di ricerca della seconda branca. Non v'é diagnosi sistematica un po’ dettagliata, nella quia a mezzo di cifre, di rapporti di superficie o confronti di organi, non vengano ritratti i limiti di variazione di un dato carattere. Il sistematico, di- stinguendo nell’ambito di una specie, varietà, sottospecie o forme, ha approfondito l'analisi differenzia e di tali rapporti. Quanto in tutto ciò domini l’approssimazione è facile a chiunque constatare, anche per lo scarso materiale di cui di solito lo studioso dispone. Le indagini della sistematic: teorica hanno trovato grande ausilio nell'adozione del calcolo matematico alla variabilità di un dato or ganismo od organo e si è anzi costituita una branca speciale, la bio- metria o somatometria, che ha assunto negli ultimi tempi un grande sviluppo, fino al punto da essere applieata alla variazione degli ele- menti anatomici di un dato tessuto. | Per molte di tali ricerche il materiale fu fornito da piante ere- scenti nel mezzo ordinario od anche sottoposte a coltura, ma nelle con- dizioni corrispondenti alle naturali. La frequenza delle varianti, il va- lore medio e l’indice della variabilità hanno indubbio valore, non escluso quello sistematico, in quanto entità affini e morfologicamente di ardua delimitazione hanno dispiegato spiccate differenze e compor- tamenti propri. Approfondendo, però, l’analisi su materiale sottoposto in speciali e ben definite condizioni e quindi sotto D influenza di determinati fat- tori o stimoli esterni (sali nutritivi, luce, temperatura ecc.) è emerso che la stessa specie, anche se proveniente da semi di uno stesso indi- viduo o da parti di un individuo stesso, può dare curve di variazione molto diverse. Da ciò la conclusione che una curva non ha valore se non in quanto risponde ad una definita condizione esterna, in cui la | pianta viene posta. Ciò non deve essere inteso nel senso di screditare le ricerche biometriche nella libera natura, ma nel senso che il me- todo culturale realizza le contingenze più opportune perchè i risultati di tali ricerche acquistino vero valore scientifico. Che una specie varia è fatto incontrovertibile ed ammesso anche RICERCHE CULTURALI SULLE VARIAZIONI DELLE PIANTE 235 da chi tuttora aggiusta fede al dogma della fissità delle specie. D'al- tra parte le ricerche sperimentali su disparati gruppi, avendo messo in sodo che non v'é carattere che alla perfine non possa essere ridotto, dovrebbe seguirne che la variazione, ed intendo riferirmi specialmente a quella che investe gli organi fiorali, non avrebbe limite e misura. Il fatto dimostra che una qualunque variazione è contenuta entro de- terminati confini, al di là dei quali passa nell'ambito della teratolo- gia senza significato filogenetico. Così, per citare qualche esempio, la simmetria fiorale della Stellaria media (che è poi quella della Famiglia cui appartiene) è a base di 5 e cioè è simmetria pentamera. L'andro- ceo e cioè gli stami, in stato di fluttuazione, presentano 10 varianti (1-10), perchè gli stami sono ordinati, come è noto, in due cieli, cia- scuno di 5 membri e cioè uno interno oppositisepalo e l’altro esterno oppositipetalo (obdiplostemonia). Varianti al di sopra del 10 si può dire che manchino e quando esistono, aberrando dalla simmetria sopra enunciata, non hauno alcun significato filogenetico. Non ebbi. sin qui occasione di osservare variazioni nel numero dei carpelli e degli stili, che sono tre per evidente eliminazione di due membri e quindi nella direzione 5 + 3. Sta il fatto che in altre specie ‘es. Steliaria aquatica) a 5 carpelli e 5 stili ha luogo, come ho potuto io stesso constatare, una variazione precisamente in tale direzione. La quale si spinge fino alla variante due (es. nella mia Stellaria madagascariensis), mentre maneano o sono rarissimi valori al disopra del einque. Analoghe osser- vazioni, quando la biometria era ancora ben lungi dall'affermarsi, furo- no fatte dai Gay (1) nell’affine gen. Holosteum e nell'ultimo decennio dal Klebs su Sedum spectabile, una Crassulacea a simmetria pentamera, come le Stellaria da me studiate. Le cose, invece, procedono diversa- mente in parecchi Sempervivum, pure investigati dal Klebs, nei quali la simmetria quinaria, pià o meno alterata, e la tendenza alla polian- dria ed alla poliginia, conducono ad una oscillazione immensamente più ampia e che comprende, per quanto concerne gli stami, varianti (1) Gay, Holostei, EEN A'sinearum monographia in « ‘Ann. Se. Nat., 1845, p. 23-44 > 236 DOTT. AUGUSTO BÉGUINOT da 1 a 38. La variazione, in altre parole, si arresta, data la resisten- za opposta dal piano filogenetico, cioè dall'arehitettoniea fiorale rag- giunta in alcuni Sedum ed in tutte le Stellaria ed Holosteum, alla variante 5 per quanto concerne sepali, petali e carpidi, alla variante 5 + 5 per gli stami. Fluttua, invece, attorno ad estremi più distan- ziati in Sempercivum, in cui la simmetria pentamera forse non fu mai raggiunta ed il genere si troverebbe, secondo la nota teoria del Ce- lakovsky, in uno stadio d’ inferiorità genetica rispetto ai nominati. La esatta conoscenza dell'andamento di queste e simili leggi or- ganogenetiche rivelate, col sussidio dell’ analisi matematica, dalla si- stematica teorica, ognun vede quanta importanza abbiano per dare alla filogenesi solida base ne'la reale natura dei fatti. Ma v'ha di più. È ben noto che individui morfologicamente si- mili di una stessa specie si adattano o reagiscono, in identiche con- dizioni di ambiente, in maniera anche molto diversa. Ma che ciò di- penda da momenti evolutivi diversi, dall’ influenza di polline estraneo o da ripetute autofecondazioni, dal prevalere della riproduzione aga- mica sulla sessuale, solo il metodo culturale è in grado di determinare. Le osservazioni dirette in natura, sempre di innegabile interesse, non tolgono tutti i dubbi sulla purità del materiale e quindi sulla legit- timità della discendenza. Nel caso di specie o forme cenobitiche (per usare un'espressione del Naegeli) l’ influenza che sul soggetto preso in esame può avere esercitato od esercitate il vicinismo (nel senso di De Vries) può essere neutralizzata solo con P isolamento e quindi mercè prolungate colture. E che tale operazione appaia indispensabile o quanto meno opportuna lo provano, per citare un solo ed oramai classico esempio, le varie interpretazioni date alle mutante scoperte dal De Vries nella Oenothera Lamarckiana. Non v'ha dubbio che tali mu- tanti esistano e che alcune siano dotate di una certa fissità, in modo da potersi considerare quali specie elementari: dubbi fondati insorgono sull’interpretazione data dal e lebre botanico olandese, potendosi pen- sare, come fu asserito dal Mattei (1), e più recisamente dal Leclere (1) Mattei, Pensieri in argomento di mutazioni in « Riv. di Fis. Mat. e Sc. Natur. ann. IX (1908), n. 98 ». RICERCHE CULTURALI SULLE VARIAZIONI DELLK PIANT?» 237 u Sablon (1) ed altri, che esse siano dovute ad una remota origine ibrida del soggetto. Ai fattori esterni, biologi e fisiologi hanno concesso più impor- tanza di quanto sembrano avere e ciò a detrimento di quegli interni che, più difficili a sindacarsi, si sottraggono ad una osservazione su- perficiale ed affrettata. Elenchi floristici, discussioni sistematiche, la- vori monografici su questo o quel gruppo sono ingombri di una quan- tita di termini (spec'e o varietà xerofile, igrofile, nemorali, tropofile, elicomorfe ecc.) di evidente origine fisiologica, i quali vengono bene spesso applicati per semplice estensione di fatti scoperti in determi- nate specie o per male intravvedute analogie. Pochi pensano, invece, per limitarmi ad una sola serie di manifestazioni, che la complicazione maggiore o minore dell’apparato fogliare (eteroblastia) o l’omogenea sua successione (omoblastia) -— solitamente riferiti a xerofilia ed i- grofilia e quindi a fattori esterni — possano in parte dipendere dal fatto che una data forma caratterizza la pianta proveniente diret- tamente dal seme, un’altra la stessa pianta che, perennando, di- venta adulta (stadi di sviluppo che in alcuni easi spiegano la eoe- sistenza nella stessa stazione e quindi nelle stesse condizioni del mez- zo di specie affini o di varietà diverse di una stessa specie), oppure origini diverse dello stesso organo fogliare (da un fusto aereo, da un rizoma, da una radice ecc., ciò che spiega curiosi fatti di polimorfi- smo presentati da uno stesso i idividuo), e via dicendo. Con ciò non in- cendo certo eseludere che la concentrazione delle soluzioni saline cir- colanti nel suolo ed il loro valore nutritizio non entrino in giuoco nella determinazione del fenomeno: affermo che solo lo studio morfo- biologico, quale può essere eseguito su opportuno materiale di coltura chiamando in causa molti altri fattori, riesce a darci un'idea com- pleta dello stesso (2). (1) Leclere du Sablon, De la nature hybrides de l'Oenothére de Lamarck in « Rev. gen. de Bot., tonn. XXII (1910), p. 268 ». (2) Cfr. a tale riguardo la bella serie delle « Biologische und Morpologische Untersuchungen über Wasser — und Sumpfgewüchse » del Glück e specialmen- te il terzo volume « Die Uferflora » Jena, 1911. 288 DOTT. AUGUSTO BÉGUINOT : Adattamento, selezione ed incrocio sono tre grandi coefficienti della variabilità delle specie. La sistematica pratica non ha general- mente fatto distinzione fra i prodotti dei primi due, che sono pure diversissimi, quanto può esserlo una specie vicaria che ripercuote, in seguito a lento adattamento multiplo, il complesso delle condizioni generali e sopratutto climatiche di una data regione ed il conseguente isolamento fisiologico ed un gruppo di specie ad area «di sovrapposi zione e presso le quali la variazione deve essere stata brusca od al- meno assai rapida la selezione degli intermediari. E quanto alla terza categoria di prodotti. gli ibridi ed i meticci, la fitografia non ci ha dato che diagnosi più o meno accuratamente redatte, che però non tolgono tutti i dubbi sull’origine del materiale, quando non li sollevano le contraddizioni dipendenti dalle forme diverse che uno stesso ibrido, lanciato nella libera natura, può assumere in seguito ad autofeconda- zione, a nuovi ineroei con i parenti, con altri soggetti ibridi e via di- eendo. Le leggi ehe regolano l'ibridismo e che hanno messo alquanto ordine in una materia sulla quale sembravano dominare il easo od il capriceio costituiscono forse la più limpida prova che le osservazioni dirette in natura devono essere completate ed integrate con la ripro- duzione ed induzione volontaria del fatto e del fenomeno studiato, an- che per poterne sindacare le vicende nel seguito di parecchie gene- razioni (1). Con questi intendimenti e proponendomi di portare un contributo, per quanto modesto, al grande edificio della variazione della specie, ‘ ho stabilito con i mezzi a mia disposizione ed il valido aiuto del Direttore del R. Orto botanico di Padova, il prof. P. A. Saccardo, un reparto sperimentale presso il predetto Orto. Le mie ricerche presero (1) Che anche la fitogeografia — basata di solito su osservazioni dirette in natura e su ricostruzioni genetiche (spesso eccessivamente fantastiche) — deb- ba attingere nella sperimentazione solidità ed originalità di contenuto fu già da me asserito nei miei Pensieri intorno all'origine, alla storia dello sviluppo ed allo stato attuale della geografia botanica pubblicati nel « Boll. Soc. Geogr. Ital., 1906, fasc. XI-XII ». RICERCHE CULTURALI SULLE.VARIAZIONI DELLE PIANTE 239. inizio dalla coltura di numerose specie e forme dei generi Romulea e Piantago, oggetto il primo di un lavoro monografico testè ultimato (1), il secondo di una trattazione, pure monografica, delle specie europee e cireummediterranee e di cui videro sin qui la luce i capitoli sulla biologia della germinazione e dello sviluppo (2) , quello sul nanismo (3) e sui fattori che lo inducono (nanismo che, come è noto, ha una larga esplicazione nel genere) e la revisione monografica delle specie litto- ranee crescenti fra l’Isonzo ed il Po (4). Fin dal 1905 iniziai colture su larga scala e nelle più svariate condizioni del mezzo di oltre venti entità del ciclo di S/ellaria media di molteplici provenienze di Italia e fuori, culture che tuttora proseguono, mentre si è iniziata la stampa del lavoro monografico sul polimorfismo delle stesse (5), biometricamente studiato nei riguardi della variazione androceale. Le mie ricerche biologiche e fitogeografiche sulla vegetazione della Laguna e dei Lidi di Venezia mi obbligarono a molteplici e ripetute visite nei vari settori di cui risultano e nei contermini territorî, du- rante le quali ebbi occasione di raccogliere semi ed altri organi di propagazione, plantule e piante adulte che introdussi nel nominato re- parto sperimentale, dove ho potuto coltivare, quasi sempre con com- (1) Béguinot, Revisione monografica del gen. Romulea Mar. Studio biologico in « Malpighia, vol. XXI (1907), XXII (1908) e XXIII (1909) >. (2) Réguinot e Cobau, Osservazioni intorno alla biologia della germinazione e e dello sviluppo nel gen. Plantago in « Atti Accad. scient. Ven.—Trent.—Istr. n. ser. a IV, ci. 1 (1901), p. 21 ». (8) Béguinot, H nanismo nel gen. Plantago e le sue cause. Osservazioni e ri- cerche sperimentali in « Nuov. Giorn. Bot. It., n. ser., vol. XV (1908), p. 205. (4) Bóguinot, Hevisione monografica delle specie del gen. Plantago dei distretti ittorane idalle foci dell’ Isonzo a quelle del Po « ibid., vol. XVIII (1911), p. 320, my dE s (5) Béguinot, Ricerche intorno al polimorfismo della Stellaria media (L.) Cyr in rapporto alle sue condizioni di esistenza. Studio monografico in « Nuov. Giorn. Bot. Ital. n.ser. vol. XVII (1910), n. 2 e 8 ». Cfr. pure le mie due note prelimi- nari sull’ argomento pubblicate negli Atti dell’ Accad. scient. Ven.—Trent.— Istriana (n. ser. a. IV, cl. I, p. 176) e nel Nuovo Giorn. Bot. Italiano (n. ser. vol, XY, p. 554). 240 DOTT. AUGUSTO BÉGUINOT pleto successo e cioè fino alla fioritura e fruttificazione, oltre cento entità diverse, Problemi vari scaturitimi dai miei studi sistematici fitogeografici sulla Flora Italiana mi condussero ad allargare la cerchia delle ri- cerche, sottoponendo alla riprova sperimentale, su opportuno mate- riale, parecchie delle conclusioni eui era pervenuto con l'osservazione diretta in natura o negli Erbari a riguardo di molteplici gruppi di piante. Oltre le lagunari ho potuto, così, introdurre nel predetto re- parto un centinaio circa di entità, molte delle quali tuttora in vita. Oltre che nei lavori sopra citati, risultati delle culture sin qui eseguite sono consegnati in un lavoro sul dimorfismo stagionale dei ciclo di Galium palustre L. pubblicato dalla dott. C. Chiti (1) ed in uno, che testè vide la luce sull’elicomorfismo del Ranunculus acer L. (2), mentre parecchie delle schede della « Flora italica exsiccata » com- pendiosamente riassumono le osservazioni fatte su numerose specie da me o da altri studiate in coltura e colà distribuite, anche come op- portuno materiale di confronto con quelle crescenti nelle stazioni ori- ginarie. Nel presente lavoro esporrò i risultati inediti e quelli su cui diedi altrove, come nelle schede sopra citate, un cenno sommario. Saranno raggruppati in altrettanti capitoli progressivamente numerati, ma sen- za alcun ordine sistematico, la precedenza riserbando ai risultati più sicuri ed attendibili. Data l'indole frammentaria del lavoro, ho sti- mato opportuno di attenermi strettamente ai fatti ed alle immediate de- duzioni, lasciando le discussioni generali e le conclusioni ultime quan- do avrò esaminato un certo numero di fatti e fenomeni simili od al- meno paragonabili ed in quanto questi lo permetteranno. (continua) (1) C Chiti, Osservazioni sul dimorfismo stagionale in alcune entità del ciclo di Galium palustre L. in «Nuov. Giorn. Bot. Ital., n. ser. vol. XVI (1909), p. 146». ` (2) Béguinot Ricerche sull elicomorfismo di Ranunculus acer L. e delle affini entità in « Atti Accad. scient. Ven.—Trent.—Istr., 3% ser., III (1910) e. SCH Prof. G. E. MATTEI — Un Trifoglio nuovo per l'Europa Dal genere Trifolium il PRESL (Simbo/ae bot :nicae, 1,1832, p.50) sepa- ró un nuovo genere, che chiamó Calycomorphum, distinto per il earattere di presentare, nei capolini, fiori di due sorta, gli esterni corolliferi e ferti- li, gli interni sterili, ridotti al solo calice più o meno deformato: questo dimorfismo florale tende a trasformare l'intero capolino in un appareci chio biologico di interramento o di traslazione anemofila. Gli autor- moderni non hanno accettato il genere Calycomorphum, come distinto da Trifolium, ma lo conservano come sezione assai bene caratterizza- ta. Giustamente poi, basandosi sui diversi tipi biologici che presen- tano le specie ascritte a tale sezione, GIBELLI e BELLI (Rivista critica delle specie di Trifolium italiane delle sezioni Calycomorphum e Cry- tposciadium. In Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Sez II, Fase. XLIII, 1892) lo suddividono in due sottosezioni, cioè Subterranea o Carpohypogea, e Medusea o Carpoepigea : quest’ ultima alla sua volta é suddivisa in due nuove sottosezioni, cioè Geotropa ed Ancmopeta. Traseurando ora di esaminare le partieolarità morfologiehe e gli adattamenti biologici dei due primi gruppi ora menzionati, prendere- mo solo in considerazione le specie appartenenti al tipo Anemopeta, le quali formano un gruppo naturalissimo sia per i loro earatteri mor- fologiei, sia per la loro localizzazione geografica. I caratteri assegnati a questo gruppo sono i seguenti: « Flores corolliferi (extimi) pauei (1-14) uni-biseriales: post an- thesin retroflexi, ad pedunculum innixi. Flores steriles (intimi) nume- rosiores, ad solum calycem reducti, deformati, quisque constans e sti- pitulo (tubo calycis) appendicibus varie effietis (laciniis calyeinis) eo- 242 PROF. G E MATTEI ronato, stellatim divaricatis, rigidiusculis, plusminusve dense ciliatis, vel flexuose contortis et tune plerumque mollibus, pilis denticulatis, patentibus vel adpressiuseulis, lanosis vel gossypinis, griseis, albulis vel eandidis obduetis. Capitulum fruetiferum globosum, eomosum, me- duseum, crassitie varium, a leguminibus calyce inclusis vel subexsertis et a celycibus sterilibus deformatis reflexis obtectis confectum. Capi- tula fructifera a pedunculo divulsa, per ventorum vim longe a mater- to caespitulo evecta, ab humo obdueta, germinantia ». Da questi caratteri si rileva facilmente come i capolini maturi dei Trifolium ascritti al presente gruppo, costituiscano perfetti appa recchi aereonautici, leggerissimi, facilmente asportati dal vento. In essi i fiori più interni hanno rinunziato alla loro autonomia a van- taggio dell'intero apparecchio, per formare, con i loro lunghi sepali plumosi, un globo assai leggero, che ricorda gli analoghi apparecchi anemofili di alcune Poligonacee (Calligonum). La prima menzione di una specie ascrivibile a questo gruppo si deve a Linco, il quale, nell’Hortus Clifforthianus (1737, p. 374, n.12) stabilisce un Trifolium globosum, i cui caratteri non lasciano dubbio. Ad esso infatti attribuisce: « Flosculi tantum interiores corollati et feriiles, reliqui mutilati in lanam extabescentes, replent capitulum et fertiles calyces reflectunt ad latera. atque oecultant ». Peró erronea- mente LiNNEO erede di riconoscere questo Trifolium in una specie menzionata dal Cupani nell’ Hortus | Catholicus, per cui aggiunge : « Creseit ut fertur in Sicilia ». Ciò ripete ancora nelle Species Plan- tarum (I, 1153, p. 168). Tuttavia, in seguito, si avvede di tale errore, e da Asnan. D. Iustenius (in Centuria prima plantarum. Upsaliae, 1755 et in Amoen. Acad. Vol. IV, Lugd. 1760, p. 286) lo fa correggere, trasferendo il nome del Cupani al Trifolium Cherleri, ed attribuendo invece al suo Trifolium globosum il Trifolium orientale capite lanu- ginoso del TOURNEFORTH (Cor. 27), del quale dice « habitat in Arabia et Syria ». Tuttavia la falsa credenza che il Trifolium globosum fos- se specie Siciliana, fu ripresa dal Savi (Obs. in var. Trif. sp. p. 16) e ripetuta da altri autori. Quale fosse la forma di Trifolium, spettante a questo gruppo, esaminata da LINNEO e presa a tipo della sua specie, non è facile dire. UN TRIFOGLIO NUOVO PER L'EUROPA 243 Se vogliamo restare nella cerchia delle specie cosidette linneane, una tale ricerca è superflua, imperocchè tutte le forme ascritte a questo gruppo differiscono fra loro per caratteri così minuziosi, che forse Linneo non avrebbe preso in considerazione: quindi, anche se LINNEO le avesse avute tutte sottocchio, difficilmente le avrebbe distinte speci- ficamente. Ma, volendosi ora tenere separate, conviene ricercare, se è possibile, a quale corrisponda la forma descritta da LINNEO e ciò per la rota regola di priorità. Ciò non é facile, insistendo LixxEo piut- tosto sui caratteri comuni a tutto il gruppo, anzicché su quelli che po- trebbero distinguere una forma qualsiasi ad esso ascrivibile. Tuttavia una frase ci può guidare, ed è quella di « flores circiter 20, cal. dent. subulatis, longitudine fere tubi ». Adunque Lixxeo vide una forma con capolini forniti di circa 20 fiori, e questi avevano i denti del calice subulati, lunghi quanto il tubo. Veramente tutti gli autori assegnano ai Trifolium di questo gruppo al massimo 14 fiori per capolino: osservasi però che LINNEO vide e descrisse saggi coltivati nel Giardino di Cliffort, per cui potevano es- sere modificati dalla coltura e presentare un aumento nel numero dei loro fiori: anche in un saggio di Trifolium nidificum, proveniente da antiche colture del R. Orto Botanico di Palermo, si hanno per ogni capolino circa da 18 a 20 fiori. Ad ogni modo, circa 20 fiori non pos- sono trovar posto in una sola serie, quindi necessariamente debbono ritenersi biseriati, e questo è appunto il carattere della specie deseritta dappoi dal GmisEBACH con il nome di Trifolium nidificum: si aggiunga il carattere di sepali subulati che si attaglia perfettamente con quello presentato dai sepali di questa stessa specie, per concludere che LINNEO esaminò appunto saggi appartenenti ad essa. Resta poi assolutamente escluso che Linneo si riferisse a saggi della specie più comune in Oriente, ed ora presa a tipo del Trifolium globosum, quella cioè che cresce abbondante presso Costantinopoli, e che fu distribuita da CLEMENTI, da RICHTER e da altri raccoglitori: questa, fra gli altri ca- ratteri, ha capolini con 5 ad 8 fiori soltanto, in una sola serie, e calici con denti filiformi e non subulati. Dopo Linneo troviamo un Trifolium pauciflorum descritto dal D’UrviLLE (Plantar. quas in ins. Archip. aut litt. Ponti Euxini ete. 244 PROF. G. E. MATTEI In Mémoires d. 1. Soc. Linnéen. d. Paris, I. 1822 p. 350) che gli au- tori voglionc ascrivere a questo gruppo. La località che ne dal’ auto- re, cioè Costantinopoli, corrisponderebbe, ma nella descrizione sono ca- ratteri (petiolis longissimis. . . . . spicis solitariis seu geminis. |... folio superno vaginatis ete.) per i quali riesce assai arduo avvicinarlo al Trifolium globosum. Inoltre il D’ UnviLLE dice la sua specie con- frontabile con il Trifolium rotundifolium, Beru. il quale, secondo Bors- SIER, resta ancora non bene identificato, ma ad ogni modo può ritener- sì certo non corrisponda a Trifolium globosum : infatti BOISSIER propen- de a ritenerlo intermedio fra Trifolium hirtum e Trifolium Cherleri. A conferma di questa supposizione devesi ricordare che il SERIN- GE nel Prodromus pone il Trifolium pauciflorum del D’ URvILLE vicino la Trifolium Cherleri e dopo il Trifolium hirtum, e notasi che egli diee: « vidi siccum in herbario DESFONTAINES » per eui pare ne vedes- se realmente saggi autentici: se ciò è, non avrebbe mancato di ri- conoscerne .l’ affinità o l’ identità con il Trifolium globosum, o me- glio con il suo Trifolium Oliverianum. Comunque sia questa questione, non facile a decifrarsi senza il confronto di saggi veramente originali, esistono altri motivi per cui il nome di Trifolium pauciflorum del D’ UrviLLE non sarebbe ripristina- bile.Lo STEUDEL cita un Trifoliun: pauciflorum del WiLLDENOW, ritenu- to sinonimo di Trifolium amabile, il quale dovrebbe essere anteriore a quello del D’UrviLLE, ma per quante ricerche mi abbia fatto, non ho potuto trovare ove fu descritto. Però esiste un Trifolium pauciflorum del NUTTAL, d’America, da tutti gli autori ammesso come buona specie Perciò il nome del D’ UrviLLE non si potrebbe ripristinare. Veniamo alla pubblicazione del secondo volume del Prodromus di DE CANDOLLE, avvenuta nel 1825. Ivi le Leguminose furono elabo- rate, come si è detto, da SERINGE e di conseguenza a tale autore si deve ancora la trattazione del genere Trifolium. A pagine 196-197 ta- le autore ammette un Trifolium globosum attribuito a Linneo ed un Trifolium Oliverianum, dese.itto come specie nuova. Peró, se bene consideriamo i caratteri che il SERINGE dà per il suo Trifolium globosum, emerge non corrispondere affatto a quello precedentemente stabilito da mr E ` SS AREA E E Ee EE EE E Lë je (Ce Las UN TRIFOGLIO NUOVO PER L'EUROPA 245 Fra gli altri caratteri egli dice «calycibus corollam aequantibus » mentre la specie multiflora (quella cioè descritta da LINNEO) presenta i sepali assai più brevi della corolla, anzi più brevi di quelli di ogni altra forma spettante a questo gruppo. Di tutte le specie in questione, una sola ha sepali realmente lunghi quanto la corolla, ed è quella po- steriormente descritta dal Borssier con il nome di Trifolium pilulare: : tale carattere quindi farebbe credere avere il SERINGE ritenuto il vero Tri- folium pilulare per la specie Linneana. Un altro dato conferma questa supposizione: il SERINGE aggiunge « vidi siceum communicatum a cla- rissimo LABILLARDIERE ». Ora appunto nell'Erbario dell'Orto Botanico di Palermo si ha un saggio, che credo proveniente dallo stesso LABIL- LARDIERE, e che è senza dubbio ascrivibile al Trifolium pilulare. L'eti- chetta porta seritto solo: Trifolium globosum, senza altra indicazione di autore, di località, di raccoglitore, o di distributore, ma tale nome è senza dubbio di carattere del LABILLARDIERE stesso, come deducesi dal confronto con l'etichetta autopta del LABILLARDIERE, spettante alla Fontanesia phyliireoides. Per questo, contrariamente a quanto ammet- tono gli autori, ritengo che il Trifolium globosum di SERINGE, corris- ponda esattamente al Trifolium pilulare di BOISSIER. In quanto al Trifolium Oliverianum di SERINGE, riconosco in esso la specie più comune ed ora dagli autori ritenuta come vero Trifolium globosum: vi corrisponde il carattere di «laciniis calyeinis corolla multo brevioribus » e specialmente quello di «capitulis paucifloris ». Inoltre la loealità eitata di Costantinopoli non lascia dubbio. Ne consegue che se a tale forma non si potrà dare il nome Linneano, dovrà spettarle per priorità il nome di Trifolium Oliverianum, SERINGE. Veniamo al WAHLENBERG. L'AscHERSON ha molto lavorato per esu- mare il nome di Trifolium radiosum, proposto dal WAHLENBERG nel 1827: tale nome è accettato, un poco timidamente e sull'autorità dell’AscHER- SON, da GIBELLI e BELLI, ed è dappoi definitivamente adottato dall'Ha- LACSY. Nel 1827 infatti il WAHLENBERG (in BERGGREN, Resor uti Europa och Oesteríanderne. Vol II. App. p. 43.) propose un Trifolium radio- sum distinguendolo dal Trifo/ium globosum. Sfortunatamente non ho potuto vedere l'opera originale, e conosco tale specie solo per la cita- zione del WaLPERS e per quanto ne dicono GIBELLI e Betti, Nella de- 246 PROF. G. E. MATTEI serizione, paragonandosi questa specie al Trifolium globosum, si dice «duplo majus » e ciò ha fatto credere si trattasse della specie dappoi descritta dal GRISEBACH, con il nome di Trifolium nidificum, ma a me pare ciò non basti per tale identificazione. Ritengo piuttosto che il WAHLENBERG, in possesso del Prodromus, con le descrizioni del Sz- RINGE, e forse anche di saggi autentici del LABILLARDIERE, attribuiti al Trifolium globosum, ma in realtà spettanti al Trifolium pilulare, ab bia diehiarato la sua specie duplo majus, in confronto appunto a tali saggi. Ció mi viene confermato dal carattere che egli dà dei sepali «dentibus calycinis setaceis, plumosis» che bene si attaglia alla specie di tale gruppo più comune in Oriente, ma male si riferirebbe al Tri- folium nidificum del GrIsEBACH. Inoltre, come rilevo da GIBELLI e BELLI, il WAHLENBERG indica per la località classica del proprio Trifolium radiosum un luogo poco lungi da Costantinopoli, benehé sulla sponda asiatica, cioè Chunkiar Iskelessi: ciò mi lascia supporre si tratti della stessa specie dappoi distribuita dal CLEMENTI e da altri raccoglitori, cioè Trifolium Oliverianum, SERINGE. Perciò, non godendo il nome del WAHLENBERG di alcuna priorità, dovrà passare in sinonimia, Dopo parecchi anni, cioè nel 1843, il GRISEBACH (Spicilegium Flo- rae Rumeiicae et Bithynicae. I. p. 32), descrive il Trifolium nidificum ehe precedentemente abbiamo piü volte menzionato. Lo caratterizza specialmente per avere capolini con 12 fiori corollati, in due serie. A torto lo pone nella stessa sezione del Trifolium subterraneum, per la quale viene detto « calyces steriles post anthesin nodulo centrali prae- formati », però devesi osservare che quanto maggiore è il numero dei tiori corollati per ciascun capolino, tanto meno sono sviluppati quelli interni, i quali dappoi formano la chioma « demun leguminum nidum undique dense obvallante ». Nel Trifolium nidificum del GriseBACH si può quindi agevolmente riconoscere il Trifolium globosum di LINNEO, ma non il Trifolium radiosum del WAHLENBERG. Lo stesso anno 1843 il Boisser (Diagn. Plant. Ser. I. n. 2. p. 29) deserive come nuova specie il Trifolium pilulare, egregiamente carat- terizzato per i capolini fruttiferi assai piccoli, e per la presenza in ogni capolino di 1 a 2 fiori soltanto corollati, con denti calicini più UN TRIFOGLIO NUOVO PER L'EUROPA 247 lunghi della corolla, In questa specie, come dissi precedentemente, è facile riconoscere il Trifolium globosum del SERINGE. Qualche anno dopo (1849) lo stesso BorssieR (Diagn. Plant. Ser. I. n. 9. p. 25) descrive un’altra specie ascrivibile al gruppo in que- stione, cioè il Trifolium eriosphaerum, della Palestina, e lo stesso au- tore, nel 1872 (Flora Orientalis, II. p.154), ne descrive anche un’altra, cioè il Trifolium medusaeum, raccolto dal BLANCHE nella Siria, Finalmente GiseLLi e BELLI, nella loro mirabile revisione del ge- nere Trifolium, adottando il concetto delle specie Linneane, e subor- dinando a queste, come sottospecie, tutte le altre forme minori, aseri- vono al gruppo delle Anemopete una sola specie, cui giustamente danno il nome Linneano di Trifolium globosum, subordinando ad essa i Tri- folium eriosphaerum, radiosum,medusaeum e pilulare. Questi autori sono assai minuziosi ed accurati nel distinguere le dette sottospecie, ed į relativi disegni di dettaglio ne mettono in evidenza le particolarità morfologiche per cui differiscono le une dalle altre. Dove però forse sono meno felici è riguardo al Trifolium radiosum, cui essi ascrivono per sinonimo il Trifolium nidificum del GRISEBACH. Dalla descrizione che ne danno e dalla storia che ne riferiscono, sull’autorità dell’ A- SCHERSON, emerge come confondessero, almeno parzialmente, questa spe- cie con il vero Trifolium Oliverianum, e ciò viene pure confermato dalle località citate: tuttavia i dettagli illustrativi dati per tale specie sì riferiseono realmente al Trzfolium nidificum. Questo è lo stato attuale delle conoscenze relative alle specie a- scritte dagli autori al gruppo in questione. Dei Trifolium eriosphaerum e medusaeum nulla posso dire, non avendone veduti saggi, ma i loro caratteri differenziali mi sembrono ben lievi: mi limito quindi a meglio precisare la sinonimia ed i caratteri delle altre tre specie. Anzitutto non credo ripristinabile il nome Linneano di Trifolium globosum: questo nome potrebbe anche essere restaurato, seguendo Gr- BELLI e BELLI, qualora si riunissero in una specie unica, Linneana, tutte le forme fin qui distinte in questo gruppo, ma non credo possibile ap- plicarlo ad una singola di queste specie, stante la grande confusione fattane dagli autori. È fuori dubbio che Linweo diede tale nome alla forma dappui descritta dal GRISE3ACH eon il nome di Trifolium nidi- 48 PROF. G. E. MATTEI ' ficum, ma il SERINGE lo ha confuso con il Trifolium pilulare ed il Boıs- SIER lo riporta al Trifolium Oliverianum. Perciò ripristino il nome di Trifolium Oliverianum per la specie più comune in Oriente, ritenendo come Trifolium nidificum la forma multiflora e come Trifolium pilu- lare la forma pauciflora. La sinonimia da adottarsi per queste forme viene perciò modificata nel seguente modo: I. Trifolium nidifieum, Grises. Spicil. Flor. Rumel. Bithyn. I. 1843. p. 32. Borss. Flor. Orient. II. 1872. p. 133. Lojac Tent. Trifol. 1878. p. 22, et Clavis Trifol. In Nuov. Giorn. Bot. Ital. XV. 1883. p.278. Barber, Herbor. Levant. 1882. p. 128. Trifolium globosum, Linn. Hort. Clifforth. 1737. p. 314. et Sp. plant. I. 1753. p. 678. JusLEN. Cent- Plant. In Amoen. Acad. 1760 (1755) p. 286. TcHIHATCH. Asie Mineur. III. Botan. 2, 1886. p.33. Trifolium radiosum (non WAHLENB.) ASCHER- SON ex GIBELLI e BELLI, Rivist. ete. In Mem. Accad. Scienz. Torin. Ser, VI. tom. XLIII. 1892. p. 40. pro parte, et tab. III fig. 1. I. Trifolium Oliverianum, Serie. in D.C. Prodr. IT. 1825. p.197. Boiss. Diagn. Plant. Nov. Ser. I. 2. 1843. p. 29. TcHiHaTcH. Asie Mineur III. Botan. 2. 1866. p. 33. Trifolium globosum (non Linn.) CLEMENT. Sertul. Orient. 1855. p. 54. Boıss. Flor. Orient. IL 1872, p. 134. Loja. CON. Tent. Trifol. 1878. p. 22, et Clavis Trifol. In Nuov. Giorn. Bot. Ital. XV. 1883, p. 278. Nyman. Consp. Fi. Europ. p. 176. JANKA, Le- gum. Europ. 1885. p. 159. GIBELLI e BELLI, Rivist. ete. In Mem. Ac- cad. Scienz. Torin. Ser. VI. Tom. XLIII. 1892, p. 38 et tab. Il. fig. 1. Trifolium radiosum, WAHLENB in BERGG. Resor. Europ. Oesterl. II. App. 1827. p. 43 et in Oken. Isis. XXI. 1828, p. 997. WicHsTR. Jahr. Schwed. Acad. 1828. p. 186. Haracs. Consp. Flor. Graec. 1, 1901. p. 393. Trifolium pauciflorum, D’UrviLL. Enum. Plant. etc. In Mem. Soc. Liun. Par. I. 1822. p. 350. III. Trifolium pilulare, Borss. Diagn. Plant. Nov. Ser. I. 2. 1843 p. 29. et. Flor. Orient. II. 1873. p. 135. TcHIHATCH. Asie Mineur, III. Bo- tan. 2. 1866. p. 33. Lojac. Tent. Trifol. 1878. p.22 et Clavis Trifol. In Nuov. Giorn. Bot. Ital. XV. 1883. p. 278. BARBEY, Herbor. Levant. 1882. p. 128. GIBELL. e BELLI, Rivist. etc. In Mem. Accad. Scienz. UN TRIFOGLIO NUOVO PER L'EUROPA 249 Torin. Ser. VI. Tom. XLVII. 1892. p. 43 et Tab. II. fig. 3. Trifolium globosum (non Linn.) Serino. in D. C. Prodr. II. 1825. p. 196. I principali caratteri differenziali, esistenti fra queste tre e" si possono poi così riassumere: Trif. niditicum Trif. Oliverianum Trif. pilulare Fiori numerosi, per solito | Fiori pochi, per solito in | Fiori 1 a 2. in due serie. una sola serie. i RR Sepali lunghissimi, flessibili, Sepali rigidi, brevi subu- Sepali lunghi, sua fles- filiformi. lati. sibili, filiform T Corolla ocroleuca, piü breve Corolla bianca, più lunga | Corolla rosea, più lunga del del calice. del calice. calice. Frutti piccoli (diam. 7-10 die "gg (diam 25 mm.) | Frutti mediocri (diam. 15-20 mm.), mollissimi, la- con sete rigide m.), molli, lanosi, con nosi, con sete piumose, e gran sete „Piumos ose, appen diritte. curv Adunque le differenze fra queste tre specie, sono di due sorta, aleune riferentesi ai caratteri florali, cioè alla staurogamia, ed altre riferentesi ai caratteri del frutto, cioè alla disseminazione. Dai primi caratteri si deduce che i 7rifolium nidificum ed Oliverianum, hanno fiori pre- valentemente casmogami e staurogamici, mentre il Trifolium pilulare ha fiori, forse, tendenti alla cleistogamia, ma ad ogni modo prevalen- temente omogamici. A questo tendono, oltre che la loro grandezza e la loro appariscenza, anche il loro numero: infatti nel Trifolivm pilulare sono ridotti sovente ad uno solo, mentre nelle altre specie variano circa da 5 a 14 e più. Pe ò tanto nel Trifolium Oliverianum quanto nel Trifolium nidificum il loro numero non è costante: si hanno saggi ro- busti di Trifolium Olicerianum con capolini multiflori, mentre ritengo che si potranno trovare individui deboli di Trifolium nidificum con eapolini paueiflori: quando i fiori sono pochi, trovano posto in una sola serie, mentre quando sono numerosi, per necessità di spazio, debbono occupare due o più serie. Ne consegue che il carattere diffe- renziale attribuito a queste due specie, di avere cioè fiori uniseriati o biseriati, ha un valore molto relativo. I capolini normali di Trifo- lium Oliverianum avranno fiori uniseriati, ma quelli multiflori della 450 PROF. G. E. MATTEI medesima specie avranno fiori biseriati, mentre i capolini normali di Trifolium nidificum avranno ficri biseriati, mentre i quelli pauciflori della stessa specie avranno fiori uniseriati. Appunto dell'aver preso troppo alla lettera tale earattere credo sia dipeso il fatto dall' avere pareechi autori indieato come esistente in aleune località il Trifolium nidificum, mentre probabilmente non si trattava che di saggi robusti, multiflori, del solito Trifolium Oliverianum: ciò mi viene confermato dall'esame di alcuni saggi d’ erbario, falsamente distribuiti come spet- tanti a Trefulium nidificum. Quindi per i caratteri fiorali, stauroga- miei, il Trifolium pululare risulta specie bene distinta, mentre le al- tre due poco differiscono fra loro. Invece si ha il contrario per quando riguarda i caratteri dell’appa- recchio disseminativo. Il capolino fruttifero del Trifol um Oliverianum è un globo piumoso, bombacino, soffice, leggero, che offre facile presa al vento: quello del Trifolium pilulare è assai simile, ma più piccolo e più lezgero, contenendo per solito soltanto uno o due semi: invece i capolino del Trifolium nidificum, assai piü grosso, 6 relativamente piü pesante, contenendo un maggior numero di semi, ed è ruvido, con le setole rigide, inscrespate, aspre al tatto. Ne consegue che tutci questi capolini formano altrettanti apparecchi anemofili, ma mentre quello del Trifolium pilulare è leggiero per eccellenza e può compiere ;un- ghi voli, quello del Trifolium Oliverianum lo è meno, e quello del Trifolium nidificum lo è anche meno. Infatti quest’ultimo, per la sua grossezza, per la sua pesantezza e massime per la sua rigidezza, di- mostra minore attitudine a restare sollevato per qualche tempo nel- l’aria. Lo credo piuttosto un apparecchio con tendenza a venire roto- lato, come le piante secche di Anastatica hierochuntica, di Asteriscus pygmaeus, di Plantago cretica, di Selaginella lepidophyila ete. Una tale ipotesi viene confermata dalla circostanza che questo apparecchio contie- ne un certo numero di semi, i quali possono venire dispersi quà e là du- rante il rutolamento, come accade per i frutti eriofili di ‚Wartynia. Forse a questo si riferisce il carattere dato dal GRISEBACH, per questa specie, di « capitulum terrae adpressum », mentre per le altre specie i capo- lini sono elevati verso l'alto. Già feci notare come il GRISEBACH ponesse la sua specie nella sezione «ealices steriles sub anthesi nodulo centrali UN TRIFOGLIO NUOVO PER L'EUROPA 251 praeformati », e ciò è inesatto, in quanto che nel capolino fiorifero si hanno già i fiori sterili abbastanza bene evoluti, però, essendo questi in numero assai maggiore che nelle altre specie affini, in realtà quelli più centrali sono assai meno sviluppati. Correlativamente avviene un fatto che forse nelle altre specie è meno pronunciato: cioè lo sviluppo di questi fiori è più rapido e più completo, acquistando un maggiore grado di ampliazione ed una maggiore lignifieazione: perfino i sepali dei fiori fertili, corolliferi, si accrescono di molto dopo la fioritura mentre nelle altre specie tali sepali si accrescono ben di poco. Ne consegue che le setole, ossia sepali di fiori sterili, formanti |’ ap- parecchio disseminativo in questa specie, sono più lignificate, più rigide, più dure, contorte, crespe, in modo che l’intero globulo acquista una strana rassomiglianza con le galle di rosa, formate dalla Rhod.tes rosae. In qualche caso forse, anche questi globuli, stante la rigidezza delle loro setole, potranno aderire al vello di animali pascolanti acqui- stando così un principio di eriotilia: anzi non mi meraviglierei venis- se prima o poi seoperta, affine a questa specie, altra specie con veri adattamenti eriofili. Concludendo, delle tre specie in esame, il Trifo- lium pilulare è la specie con apparecchi più leggeri e più atti ad es- sere trasportati a distanza: il Trifolium Oliverranum ha pure buoni apparecchi anemofili, ma meno leggeri: il Trifolium mdificum ha poi apparecchi anche più pesanti, piuttosto atti ad essere rotolati che ad essere sollevati. È poi interessante notare come anche LINNEO :ntuisse il modo di disseminazione di questi Trifolium, senza però riuscire a darne una interpretazione esatta. Egli nella dissertazione De telluris habitubilis incremento, trattando in modo mirabile sulla biologia della dissemi- nazione, ha un accenno anche a questo proposito: infatti così si espri- me (in Amoenitates Acuaemicae. Vol. Il. 1752. p. 456): «Trifolium ca- pitulis vitlosis globosis, calycib.s superioribus flosculo destituls, habet in quolibet capitulo flores paucos, qui tamen villis et pilis sunt obvo- luti. Post quam transiit flos, accrescit haec villosa substantia, capitula in latus comprimit, et plane obtegit. Inde est quod aves, dum hue advolant semina quaesiturae, naso adunco suspendantur. Ita ab avium rostris liberata semina postea terrae committuntur, dum a seapo deci- 252 PROF. G. E. MATTEI dens capitulum ventis agitatur », Veramente l’opera degli uccelli non è necessaria, ma questa frase dimostra come LINNEO comprendeva che i semi dei presenti Trifolium dovevano venire dispersi quà e là, men- tre i capolini, restati vuoti, divenivano preda del vento. E questo conferma pure come Linneo ebbe presente il Trifolium nidificum, e non altra specie a disseminazione esclusivamente anemofila. Tali sono le principali differenze biologiche esistenti presso queste tre specie di Trifulium. Vediamo quali sono le singole loro aree di diffusione. Il Tifo- lium Oliverianum è il più diffuso: ne ho veduto saggi del Libano, raccolti dal BLANCHE, di Smirne, raccolti dal BOISSIER (n. 417), di Co stantinopoli, raccolti dal CLEMENTI e dal RICHTER, ed infine dell’Attica, raccolti dal BOISSIER; quindi la sua area si estende dalla Siria ai li- miti più occidentali dell’ Asia Minore, penetrando anche in Europa, cioè in Grec a. Il Trifolium nidificum forse è il meno diffuso: ad es- so ascrivo solo i saggi dei Dardanelli, raccolti dal SINTENIS Lier Tro* janum. 1883. n. 55): tutti gli altri saggi che ho veduto, distribuiti con tale nome, sono riferibili al vero Trifolium Oliverianum, quindi non credo che il Trifolium nidificum sia mai stato raccolto in Europa, e solo venne indicato in seguito a confusione, massime originata dal pre- ' teso sinonimo di Trifolium radiosum. Del Trifolium pilulare ho pure veduto diversi saggi d'erbario: però i soli autentici, di località sicura, da me visti, sono quelli rac- colti a Smirne dal Boissier (n. 420), altri pure di Smirne, distribuiti dal MAGNIER ed infine quelli raccolti a Süverek, nel Kurdistan, dal SINTENIS (Iter Orientalis, 1888 n. 687). Basandoci su queste due loca- lità estreme, devesi ritenere l'area del Trifolium pilulare estesa per tutta l'Asia Minore, spingendosi (sulla fede di ció che ne dice il Bors- SIER) fino alla Palestina. Però nessun autore ha citato tale specie per l'Europa, e devesi notare che non può esservi sospetto di confusione eon altre specie affini, essendo questa per i suoi caratteri benissimo distinta. Ora appunto sono lieto di potere aggiungere alle specie Europee anche il Trifolium pilulare. Ne ho ricevuto saggi autentici, provenienti dall’ Isola di Tenos, nelle Cicladi, e colà raccolti dal Reverendo Padre UN TRIFOGLIO NUOVO PER L'EUROPA 258 Francesco pI PaoLa MIRENNA, il quale già erasi reso benemerito della Botanica, con la raccolta di molte piante della detta Isola, che altrove illustrai (MATTEI G. E. e Lojacono Pojero M., Contribuzione alla Flora dell’ Isola di Tenos. In Bollettino del R. Orto Botanico e Giardino Coloniale di Palermo. Vol. VII. 1908. p. 70). Veramente dal lato bo- tanico non fa alcuna meraviglia la penetrazione di questa specie in Europa, trattandosi di una medesima regione botanica, ma dal lato, dirò così, politico, va segnalata, dovendosi perciò aggiungere detta specie agli elenchi che costituiscono i censimerti de'le piante Europee. Siccome il Trifolium pilulare abita le vicinanze di Smirne, spingen- dosi, come nota il Borssier, sulle montagne vicine, e siccome Tenos dista, in linea retta, circa duecento chilometri da Smirne, trattandosi di specie anemofila, cioè con frutti facilmente trasportabili dal vento, è facile comprendere come qualche suo capolino fruttifero possa essere stato trasferito da Smirne a Tenos, appunto per opera del vento, e quivi possa aver dato luogo ad una nuova colonia di detta specie. Tro- viamo infatti che Smirne trovasi a Nord-Est di Tenos, ed in tale re- gione abbiamo i venti periodici, detti Etes’, i quali appunto in Estate ed in Autunno soffiano da Nord-Est verso Sud-Ovest: ora è facile supporre che da tali venti questo Trifoglio sia stato portato da Smirne a Tenos. La distanza è breve, cioè circa duecento chilometri, e sapen- dosi la velocità di detti venti essere da 35 a 45 chilometri all’ora, ba- stano cinque ore, o poco più, per portare un frutto anemofilo dall’una località all'altra. Ora, durante il giorno, mercè il concorso delle cor- renti ascensionali, credo possibile, ad un apparecchio leggerissimo, co- me il frutto di Trifolium pilulare, di mantenersi sollevato nell’ aria per un tale periodo di tempo. Confrontando i saggi ricevuti da Tenos, con quelli di Smirne, non può essere dubbio sull’identità della specie. Però trovo alcune piccole differenze, forse dovute all’infiuenza dell’isolamento subito a Tenos da questo Trifolium, e forse anche dalla consanguineità di tutti i saggi colà esistenti, se, come è probabile, provengono da un unico capolino. Infatti è noto come l’ambiente insolare tenda a modificare alquanto le specie provenienti dai vicini continenti, frazionandole in piccole forme vicarianti. a, +” mv WENT TR urere. am uc ALMUS tuu MU Ya a as TA ne ode PORRO N ETA EEN 954 PROF. G. E. MATTEI I caratteri differenziali che trovo sono i seguenti. Nella deseri- zione del BorssreR le stipole sono dette ottuse, e tali sono pure nei saggi d'erbario, però più arrotondate in quelli di Smirne e meno in quelli del Kurdistan. In tutti questi saggi si nota pure che le stipole offrono la loro maggiore larghezza verso la base, con tendenza ad essere quivi rotondate e quasi cordate. Nei saggi di Tenos invece le stipole sono decisamente acute all'apice, ed offrono la loro maggiore larghezza verso il mezzo, più ristrette verso la base, ma quivi nè ro- tondate nè cordate. Anche i loro nervi secondarii, intensamente verdi, formano un angolo acutissimo con il picciuolo fogliare, mentre nei saggi di Smirne e del Kurdistan formano un angolo molto piü largo, avvicinantesi al retto. Le foglioline poi nella descrizione del BOISSIER sono dette di forma obovato-cuneate, subintegre: infatti nei saggi di Smirne sono assai larghe ed oscuramente smarginate: in tali saggi la loro larghezza eguaglia e quasi supera la lunghezza, ed alla base sono attenuate, ma non decisamente cuneate. Nei saggi invece di Te- nos le foglioline sono strettissime, non obovate, ma lungamente e deci- samente cuneate, smarginate e minutamente ed acutamente dentate: la loro larghezza è appena la metà della lunghezza, risultando perciò molto strette. Sono però alquanto incerto circa al valore da darsi a questo carattere, essendo gli esemplari di Tenos, che ho presenti, solo frustuli apicali, e notando, nei saggi da me veduti del Kurdistan, che le foglie inferiori sono più larghe, mentre quelle superiori lo sono as- sai meno, senza però che raggiungano la strettezza di quelle dei saggi di Tenos. Nella descrizione del BoissieR i fiori eorollati sono detti essere in numero di uno a due: ora in tutti i saggi da me esaminati, tanto di piante spontanee quanto di piante coltivate, ho sempre constatato la presenza di un solo fiore corollato per capolino; invece nei saggi di Tenos, i fiori corollati per capolino sono in numero di due. Di con- seguenza in questi, per gni capolino fruttifero, si hanno due semi, mentre in quelli se ne ha un solo. La corolla poi da Borssier viene dichiarata bianca, mentre nei saggi di Tenos apparisce ocroleuca, con tendenza al roseo: però dal secco è difficile giudicare del suo reale colore. UN TRIFOGLIO NUOVO PER L'EUROPA 255 Infine i capolini fruttiferi possono variare alquanto di grandezza: nei saggi di Smirne hanno un diametro di 8 millimetri circa, in quelli del Kurdistan il diametro è appena di 7 millimetri, mentre in quelli di Tenos è da 9 a 10 millimetri: questi ultimi sono ancora più lanosi e la loro lanuggine é bianca, tendente al verdastro, mentre negli al. tri saggi è rufescente. Però anche su questo ultimo carattere non è possibile dare un giudizio assoluto, trattandosi di saggi assai antichi, mentre quelli di Tenos sono raccolti di recente. Resta tuttavia la gran- dezza dei capolini fruttiferi, in questi ultimi sensibilmente maggiore e di conseguenza il loro peso, un poco maggiore, aumentato ancora dalla presenza di due semi, anzicché di uno. Cid eredo dovuto ad un principio di naturale selezione, imperoeché i capolini più leggeri sa- ranno stati facilmente dal vento portati fuori dell’Isola e finiti in mare, mentre avranno avuto la probabilità di restare in loco, e di perpetuare la specie i capolini sensibilmente più pesanti. Facilmente alcuni di questi portavano due semi, dovuti alla presenza di due fiori corollati, ed anche questo carattere si sarà andato ereditariamente perpetuando nei saggi di Tenos. Un altro carattere differenziale potrebbe essere dato dall’epoca della fioritura. Gli autori dicono, per il Trifolium pilulare, « floret Aprili, Majo » cioè in primavera. Ora i saggi che ho ricevuto da Te- nos, fioriti, furono certamenti raccolti fra l'Ottobre ed il Novembre. Non credo che si tratti di qualche fioritura ritardata, stante che questi saggi furono raccolti, assieme ad altre piante, senza speciale ricerca. Devesi quindi ritenere, o che la specie dalla Primavera continui la sua fioritura fino all'Autunno, succedendosi forse più generazioni nel- l’anno, o ehe in Tenos abbia uno sviluppo più serotino che nell’Asia Minore, Quest'ultima supposizione non è poi tanto inverosimile come può sembrare a primo aspetto. Devesi ricordare che i venti periodici, detti Etesi, quelli cioè di Nord-Est, spirano solo in Estate ed in Au- tunno. Ora, se ad essi è dovuto il trasporto del Trifolium pilulare da Smirne a Tenos, risulta probabile che fossero portati in detta Isola frutti provenienti da qualche fioritura ritardata, e di eonseguenza ehe questi abbiano infuso nella prole una tendenza ereditaria a svilup- Y PESTE PAPAS AE c 256 (PROF. o E. MATTEI parsi ed a fiorire più serotinamente. Ciò dico a titolo di pura. sup- posizione. Questi caratteri differenziali, riscontrati nei saggi di Tenos, non sono a mio parere tali da giustificare la formazione di una nuova specie, sia pure da considerarsi come vicariante: però parmi si possano ritenere come sufficienti a distinguere una varietà, o forma locale, be ne distinguibile, la quale potrà meglio venire illustrata dall'esame di migliori e più completi saggi. Seguendo quindi questi concetti, piacemi dedicare tale forma al suo raccoglitore Padre MIRENNA, e così credo poterla individualizzare. Trifolium pilulare, Boiss. var. Mirennae, MATTEI. Serotinus (?), foliis angu- stis, longe cuneatis, emarginatis, optime atque argute denticulatis, stipulis acutis ad medium latioribus: floribus corollatis semper binis, corolla in sicco ochroleuca, aliquantulo roseo suffulta: capitulis frue- tiferis sensim majoribus, 9-10 mm. latis, dense plumoso-lanatis, lana albo-virescenti, dispermis. In Insula Teno, Cycladum, legit Rev. Patr. Fr. Mirenna, Novembri 1910. A parte l'importanza da darsi a questi caratteri differenziali, i quali rappresentano l'influenza dell'ambiente insulare in cui questa specie si é trovata segregata, resta il fatto che l'esistenza di una for- ma del Trifolium pilulare nell’Isola di Tenos segna un importante acquisto per la Flora Europea, e può in pari tempo prestarsi per ge- niali indagini di geografia botanica. Cosi la Flora Europea va aggiungendo una nuova entità, non av- ventizia e di breve momento, come certe altre, ma di stabile acquisi- zione, come lo provano i caratteri locali, da questa acquisiti nella sua nuova dimora. Resterebbe da ultimo da indagarsi a quale epoca possa rimontare l'indigenato del Trifolium pilulare in Tenos. Ma per una tale ricerca non ho elementi sufficienti: diligenti raccoglitori botanici, come BORY DE ST. Vincent, SARTORI, FRAas, Weiss, Maw, HELDREICH, ed altri, in diverse epoclie visitarono Tenos, ma non riportarono questa specie. Però le loro raccolte furono effettuate per massima parte in principio di Primavera, quindi può darsi, non avendo trovato tale Trifoglio in fiore o meglio in frutto, non se ne avvedessero. Infatti i nuovi caratteri da UN TRIFOGLIO NUOVO PER L'EUROPA 257 esso assunti fanno ritenere il suo indigenato di più antica data. Ma chi potrà mai dire quando il vento portò il primo capolino di Trifo- lium pilulare dai monti di Smirne all'Isola di Tenos ? Dai saggi poi raccolti a Tenos, tolsi alcuni semi, e potei nel- l'Orto Botanico di Palermo, allevarne alcune piantine: piacemi quindi qui riportare i caratteri riscontrati nelle piante che sorsero da tali colture, a completamento di quanto sono venuto fin qui esponendo, notando che alcune piccole divergenze potranno dipendere dall’influen- za delle colture stesse, e dalle diverse modalità di ambiente, in cui le pianticelle si sono trovate. Eccone quindi la diagnosi : Trifolium pilulare, Borss. var. Mirennae, MATTEI. Caespitosus, caulibus patenter (nee adpressiuscule) hirtellis : foliis inferioribus euneato-obo- vatis, fere rhombeis, rotundato-mueronatis, minime retusis, integris, pilis albidis, longiuseulis, patentibus, supra in medio macula alba ir- regulariter lacera notatis, longe petiolatis, petiolo valido, supra plano, in medio laeviter canaliculato: foliis supremis angustis, longe cunea- tis, emarginatis, optime atque argute dentieulatis: stipulis acutis, co- chleato-recurvis, ad medium latioribus: capitulis 2- floris sub anthesi erectis, pedunculo petiolum folii adscelanti aequante (nec folium su- blongiore), floribus sterilibus vix evolutis, fere pappum album effor- mantibus: corolla in vivo pallide ochroleuca, calicem aliquanto supe- rante (nee breviori), petalorum unguis in tubum fere omnino connatis, vexillo late lineari, apice truncatulo-emarginato, carina rotundata, sta- minibus firamentis apice vix inerassato-clavatis: capitulis post anthe- sin, peduneulo accreto, recurvato-reflexis, fructiferis majuseulis 9-10 mm. latis, dense plumoso-lavatis, lana albo-virescenti, dispermi, a pe- duneulo statim decidentibus. Da questi caratteri mi sembra come la presente varietà si diffe- renzii sempre più dal vero tipo specifico, al punto che se ne po- trebbe fare una vera specie, endemica di Tenos, di eguale valore dei Trifolium eriosphaerum, meduseum ed altri affini. Ma i suoi intimi rapporti con il Trifolium pilulare non giustificano un tale fraziona- mento. Dorr. GIUSEPPE ZODDA BRIOFITE SICULE CONTRIBUZIONE QUARTA Dopo un intervallo di tempo più lungo del consueto, causato in parte da eventi dolorosi e in parte dal mio trasferimento, pubblico la presente contribuzione sulle briofite sicule, che fa seguito alle altre tre, già pubblicate in questo stesso periodico (1). Il materiale, illustrato in queste pagine, è stato raccolto per in- tero da me, nei mesi di febbraio, marzo e aprile del 1909, parte nel territorio del piccolo comune di Aei Castello presso Catania e parte nei vieini seogli dei Ciclopi. Per il primo si aveva un' indieazione dubbia di un solo museo e un'altra certa di una epatiea (2); mentre la” florula briologica degli scogli dei Ciclopi era completamente scono- seiuta. Per quanto riguarda il territorio di Aci Castello dico che esso è quasi per intero costituito da rocce vulcaniche, basalti principal- mente e conglomerati basaltici. Qua e là si hanno piccoli tratti pianeg: gianti dove si è accumulato del terreno vegetale, formato in gran par- te per la decomposizione delle stesse rocce vulcaniche e che spesso si presenta di natura ‚argillosa.. Generale è l'aridità del suolo; scarsissimi i ruscelli, i quali tutti sono completamente asciutti nell’estate; rari gli stillicidii e limitati anch’essi da novembre a giugno. Ipsometricamente questo, territorio va dal mare fino a poco oltre 200 m. e perciò rima- ne. per intero compreso nella zona dell’ ulivo „Date tali condizioni topografiche ed edafiche, la flora briologiea (1) Briofite sicule.—Contribaz, Prima in Malpighia, anno 1906.—Coütribuz. anno 1907. — Contribuz.-Terza; anno 1908. (2) Strobl: Flora des cina, pag. 915 e 318. Kë NAO Ee um M ef È À gay RL one 2 bës T og Ty BRIOFITE SICULE 259 non è molto ricca e, come è da aspettarsi, gli acrocarpi sono molto numerosi; fra essi largamente rappresentate sono le specie annue. Per la mancanza di stazioni perennemente umide, mancano del tutto le specie idro -- e igrofile; pochissime sono le mesofile, mentre la gran maggioranza è roppresentata dalle xerofile. Presso gli stillicidii vegetano scarsamente: Gymnostomum calca- reum colla sua forma muticum, Didiymodon tophaceus f. acutifolia, Tor- tu'a marginata. Mniobryum albicans e Southbyn stillicidiorum; mentre sui nudi basalti e sui ciottoli dei conglomerati, non temendo i forti raggi del sole crescono Trichostomum crispulum,T. nitidum, T. flavovi- rens, Barbula vinealis v. cylindrica, B. revoluta, Tor'ella squarrosa, Tor- tula atrovirens, T. muralis colle sue varietà incana e obcordata, T. ae- stiva, T. marginata colla forma minor, Grimmia leucophaea, G. pulvinata colla varietà longipila, G. Lisae, Ptychomitrium nigricans v. albidens, Bryum canariense Eurhynchium circinnatum, Frullania dilatata, Pla- giochasma rupestre, Tessellina pyramidata e poche altre. Sulle stesse rupi, ma nei siti più ombreggiati vengono Trichostonum mutabile. Tim - miella Barbula, Entosthodon currisetus, Homalothecium sericeum, Scle- ropodium Illecébrum colle varietà decipiens e spininervium, Hypnum cupressiforme, Madotheca levigata v. obscura, Grimaldia dichotoma, Reboulia hemisphaerica ed alcune delle rupicole precedenti. Sul cemento dei conglomerati e sui basalti in via di decomposi- zione si sviluppano principalmente Gymnostomum calcareum, Didy- modon tophacus forma acutifolia. Trichostomum mutabile, Timmiella Barbula, Aloina ambigua abbondante, Crossidium squamiferum molto comune, C. chloronotos, Barbula revoluta, Tortula muralis, T. mar- ginata, Funaria convexa, Fossombronia caespitiformis, Riccia nigrel- la ecc. Gli ammassi di lava, offrono spesso delle fossette, che si riemp'ono di terriccio, in parte prodottovi per lenta decomposizione della roccia stessa, in parte provenutovi per azione delle acque piovane o dei venti: queste fossecole, durante le pioggie, si riempiono più o meno di acqua, ma in pochi giorni prosciugano totalmente, passando così dall’ estremo grado di umidità all’ estremo di siccità in tempo brevissimo ed a va- rie riprese durante la stagione piovosa. Questa stazione così sfavoro- 260 Pa DOTT. GIUSEPPE ZODDA vole per la vita delle nostre muscinee, dà asilo a poche specie, così Aloina ambigua, Barbula gracilis Tortella squarrosa, Bryum atropur- pureum e B. capillare v. meridionale. Invece molto più ricca e varia è la fiora briologica nelle fessure ombreggiate, che numerose esistono fra gli ammassi di lava e che si riempiono di un terriccio nerastro 0, a` volte, rosso mattone affatto sciolto: quivi difatti potei raccogliere Wei- sia viridula, Fissidens incurvus, F. tamarindifolius, Funaria dentata» Bryum torquescens, B. capillare v. meridionale abbondante, B. Donia- num, Homalothecium sericeum, Scleropodium Illecebrum colle varietà decipiens e spininervium, Hypnum cupressiforme, Fossombronia angu- losa, F. pusilla, Grimaldia dichotoma, Reboulia hemisphaerica, Tar- gionia hypophylla. La fiora dei pascoli secchi, ove il suolo è quasi ovunque costitui- to da scorie e lapilli con scarsissimo, o anche senza, humus, è rappre- sentata da Phascum cuspidatum, Pottia Starkeana v. brachyodus, Tri- chostomum viridiflavum, Aloina ambigua, Barbula vinealis v. cylindri- ca, B. Hornschuchiana. B. gracilis, Tortella squarrosa, Pyramidula tetragona v. Zoddee, Funaria dentata F. convexa, Bryum argenteum v. lanatum, B. atropurpureum, Fossombronia caespitiformis, Riccia insu’aris ecc; mentre nella stessa stazione lungo la spiaggia prendono sviluppo Phascum piliferum, Pottia minutula, colla var. rufescens, P. Starkeana, Bryum atropurpureum. Sphaerocarpus terrestris. Gli spazii suscettibili di coltivazione sono costituiti da terreno argilloso, di origine metamorfica e sedimentaria insieme; essi sono . adibiti in parte a prati natuarali, in parte a rotazione alternata di fru- mento e di sulla. In questi ultimi, a causa dell’ annuale rimaneggia- mento del suolo, le briofite mancano quasi affatto, mentre relativamen- te abbondanti crescono nei primi, anche perchè protetti durante il lo: ro breve ciclo di vegetazione da una folta vegetazione erbacea, che mantiene fresca quella stazione. Quivi appunto raccolsi P'euridium subu'atum, Weisia viridula, Dicranella varia colla var. tenuifolia, Tri- chostomum crispulum, T. mutabile, Timmiella Barbula, Aloina ambi- gua, Barbu/a vinealis, Tortula cuneifolia Fissidens incurvus, F. pusil- lus colla varietà fallax, Funaria mediterranea, F. pustulosa (nuova specie), Bryum capillare v. meridionale, B. Donianum, Rhynchostegium BRIOFITE SICULE 261 megapolitanum. Rhynchostegiella litorea, Fossombronia angulosa, F. Wondraczekti, Lunularia cruciata, Exormotheca pustulosa, Riccia com- mutata colla var. acrotricha. Anthoceros punctatus colla varietà mul- tifidus e A. levis. Sui muri rivestiti di terra trovansi Pottia Starkeana, Aloina am- bigua, Fissidens pusillus, Bryum, atropurpureum; mentre su quelli nu- di non raecolsi che Tortula muraiis colla varietà incana, T. margi- nata e Bryum murale. Passiamo ora a considerare le condizioni d' ambiente per la ve- getazione delle briofite negli scogli dei Ciclopi. Sono questi scogli quattro d.retti da NNE a SSW. Di essi il primo è il più grande di. tutti e detto dai locali «l' isola»; avrebbe forma pressocchè circolare, se non presentasse una costa frastagliata dalla parte di: scirocco ed un’ insenatura stretta, che l’ attraversa per più di metà della sua lun- ghezza e che, nell’ isula stessa, si continua con una valletta, che tut- ta l'isola divide in due parti: una al nord più piccola, l' altra al sud assai più grande. L'altezza massima dell’isola, abbastanza piana in alto mentre la costa ne è in generale dirupata, non oltrepassa 30 me- tri e nelle forti tempeste gli spruzzi delle onde giungono ad attraver- sarla da una parte all'altra. Il suolo è costituito da basalti alla base e da un mantello di analcime in alto, che si abbassa ad est fino a lambire il mare, presentandoci aleuni bei easi di «caldaie dei g:gan- ti». La presenza delle briofite in questa isola è limitata alla parte superiore costituita dall’ analeime, roccia, eminentemente argillosa, ed qualche muro presso una casina destinata ad essere trasformata in stazione di studii biologici. Il paesaggio botanico nella parte maggiore dell’ isola è costituito in gran parte da piante ruderali: siepi di fichi d’india nella parte più bassa prospiciente la costa della vicina Sicilia, qualche Ficus Ca- rica e poi una folta vegetazione di Thapsia garganica, di qualche Fe- rula communis, di Allium Porrum, probabilmente proveniente da cul. ture abbandonate, e di Acanthus mollis; quest'ultima specie copre da sè sola in gran parte l’ isola, dandovi un’ impronta orientale, che così bene armonizza coll’ origine mitica di questi scogli. Nella parte — più piccola dell’ isola havvi invece un’ associazione di piante pratensi, ' 262 DOTT. GIUSEPPE ZODDA miste a qualche alofila poco esigente: Suaeda fruticosa, Lotus creticus Melilotus infesta, Bromus madri'ensis, alcune Vulpia; qualche Daucus Carota, qualche Rubus discolor ecc. Tali condizioni rendono più difficile la vegetazione delle briofite che nella vicina costa della Sicilia; pertanto molto ridotti sono quivi sia il numero di specie che la densità d’ individui di queste piante. Noto anzi che nella parte nord non rinvenni che due soli maschi: Pot- tia minutula var. rufescens e P. Starkeana; la prima in una piccola cavità sopra una rupe argillosa (analeime) nuda; l'altra in una pic- cola radura su suolo parimenti argilloso. Nella parte maggiore dell’isola lungo i viottoli soleggiati e nei luoghi scoperti, similmente esposti, rinvenni scarsi esemplari di Pottia minutula, Didymodon tophaceus, Trichostomum nitidum v. subtoriuosum, T. flavovirens colla var. nitidocostatum, Aloina ambigua, Barbula un- guiculata, B. convoluta var. sardoa, Tortula muralis var. incana, T. aestiva, T. Vahliana, Bryum atropurpureum; mentre sotto le ampie foglie dell' aeanto e nei luoghi ombreggiati (esistenti del resto soltan- to presso una grotta scavata entro l'analeime) si ha una vegetazione un po’ più ricca e più densa di Pottia commutata, Didymodon topha- ceus forma brevicaulis-acutifolia, Trichostomum nitidum var. obtusum e var. subtortuosum T. flavairens, Aloina ambigua, Barbula unguicu- lata, Tortula cuneifolia colla var. marginata, T. marginata, Fissidens incurvus, F. tamarindifolius, Funaria mediterranea, Bryum torque- scens, B. capillare var. meridionale, e tutte le epatiche, delle quali non ne osservai alcun altra sia nella stessa isola che sugli altri scogli. Nell’ interno della grotta, nella semioseurità, sulle pareti umidic- ce di essa trovai uua scarsa vegetazione di Fissidens incurvus e di Rhynchostellegia tenella, unico pleurocarpo di quegli séogli, Sui muri finalmente raccolsi Didymodon tophaceus var. brevifo- lius, Tortula muralis colla var. incana, T. marginata e Bryum mu- rale. ' Lasciamo ora l'isola dei Cielopi per aecennare brevemente alla vegetazione del Faraglione grande, che segue immediatamente ad essa ad una distanza di poco più di 50 metri verso sud: è uno sco- i N BRIOFITE SICULE 268 glio celebre per i suoi caratteristici colonnati basaltiei, per. i quali lo si vede figurato in quasi tutti i trattati di geografia fisica. Alto cirea 25 metri, da tre lati cade ripidamente sul mare, dal lato che guarda la terra invece, è ripidissimo nella parte superiore, poco. meno nella media, mentre alla base si allarga e va nel mare con pendio dolce : è in quest’ ultima parte, che è rivestito da una discreta vege- tazione, erbacea o suffruticosa, in cui figurano largamente le piante più o meno alofite : Suaeda fruticosa, Atriplex Halimus, Lotus cytisoi- des, P.antago commu'ata. Ma thiola rupestris; anche qui crescono pa- recchi esemplari di Allium Porrum e poi altre specie proprie dei luo-: ghi marittimi: Plantago Lagopus, diversi Melilotus qualche Carlina involucrata ecc. Quasi tutto lo scoglio è costituito di colonnati basal- tici e fra le fessure di esse, colmate di scarso terriccio sabbioso si asila la scarsa vegetazione erbacea a sviluppo principalmente inverna- le e le poche briofite (tutti muschi); soltanto la cima è occupata da un mantello di analeime ed ivi, in sito inaccessibile, crescono due in- dividui di Olea eu opea forma Oleaster e di Ficus carica. Il suolo è più o meno impregnato di salsedine, per la quale nessuna epatica vi può atteechire ; mentre nelle fessure, poste più al riparo, cresce qualche. piccolo museo in esemplari stentati; nessuno di essi é essenzialmente rupicolo. Le specie, che vi raccolsi, sono Hymenostomum microstomum, . H. torule, Weisia viridu'a, Pottia intermedia abbondante, P. Notari- su var. cyclopica nuova varietà, Trichostomum nitidum var. medium, T. flavovirens colla var. nit.docostatum, Funaria hygrometrica, Bryum atropurpureum e B. capillare var. meridionale. Segue al Faraglione grande il Faraglione di mezzo in direzione S S W, un poco meno alto (circa 20 metri) e ripidissimo da tutti i la- ti. È per intero costituito da basalti e nelle forti tempeste rimane in gran parte coperto dalle onde marine. La vegetazione quivi è quasi esclusivamente alofila ; io non vi rinvenni che un solo museo in una piccola fessura, esposta dalla parte della vicina terra e cioè il Tri chostomum flavovirens. A S W trovasi il quarto scoglio, detto il Faraglione piccolo, il più basso e il minore di tutti, assolutamente inaccessibile, sulla vetta del quale vidi Allium Porrum, Lotus cytisoides, Suaeda fruticosa, 264 DOTT. GIUSEPPE ZODDA Matthiola rupestris e sopra una parete un esemplare di Hyosciamus albus, dalle foglie molto più carnose e pelose del solito. Credo impro babile su di esso la preseuza di qualsiasi musco. i Quantunque non sia assai grande la quantita delle specie raccolte tanto nel territorio di Aci Castello, quanto negli scogli dei Ciclopi, pure l'importanza di esse è assai grande; difatti si hanno una specie, tre varietà e una forma nuova per la scienza, e precisamente: Funaria pustulosa Zodda (Aci Castello). Ptychomitrium nigricans (Kunze) Br eur. var albidens Zodda (Aci Castello); genere nuovo per la flora italiana. Pyramidula tetragona (Brid.) Brid, var. Zoddae Bottini in litteris ed me. Pottia Notarisii Schimp. var. cyclopica Zodda (scogli dei Ciclopi al Faraglione grande). Altre forme sono nuove per la Sicilia; tali: Phascum cuspidatum, Gymnostomum calcareum f. muticum, Pottia minutula var. rufescens, Trichostomum viridiflavum, Fissidens pusillus var. fallax, Exormo- theca pustulosa, Anthoceros punctatus var. multifidus; mentre ben 37 riescono nuove per il distretto etneo. Invio nuovi e sentiti ringraziamenti al Chiar. mo Prof, Gaetano Platania, che me profugo ricoverò nolla sua casina in Aci Castello, porgendomi D occasione di potere illustrare la flora briologiea di una parte del distretto etneo, eosi importante e pure quasi sconosciuta. Potenza, R. Liceo, 19 Marzo 1911. = =. EUN pact i NE MAR E AE à BRIOFITE SICULE 265 I. Briofite di Aci Castello Muschi CLEISTOCARPI ** Phascuw cuspidatum Schreb. — Nei pascol: aprici sui colli at torno alla stazione, ferroviaria: fertile in febbraio. Il tipo non era ancora stato scoperto in Sicilia. — * Ph. piliferum Schreb. — Frequente e gregario sulle arene ma- rittime consolidate, spruzzate, nelle tempeste, dalle onde. Mostra quindi di non soffrire da un moderato grado di salsedine. Fertile in febbraio. * Pleurid:um subulatum Bruch — Comune nei campi sul suolo vul- canico decomposto. Fertile in marzo. ACROCARPI Gymnostomum calcareum Br. germ. — Comune sui conglomerati basaltici tanto asciutti, purchè ombreggiati, che umidi, a monte della strada ferrata. Fertile in marzo. ** Forma muticum Boul. — Qua e là nelle stesse stazioni, abita- te dal tipo. Anch' essa fertile in marzo. Weisia viridula (L. Hedw. — Nei campi su suolo decomposto, ma anche sulle rupi trachitiche ombreggiate, delle quali occupa le piecole cavità ripieni di terriccio: abbastanza comune da 50 a 150 m. sul mare. Con frutti da febbraio ad aprile. Dicranella varia (Hedw) Schp. — Qua e là nei campi sul suolo un poco argilloso, a monte della stazione; ferroviaria; sterile in marzo. * v. tenuifolia Schimp. -- Lungo i margini di un viottolo presso la stazione ferroviaria. Sterile iu febbraio. *** Pottia Miuutula (Schleich.) Br. eur. — Comune lungo la spiag- gia sulle arene marittime consolidate, in società con Phascum pilife- rwm. Fertile in febbraio. NEU MATO EUIS DS PUB P d E EN ELA STIR RU e E E NI D TRA, are e To ES a am ee SORS ACTU T UP PS BE ES K A E Td E Y eret Vars FR PI "ré (ad zd e ge Di X È E H + y. - 266 DOTT. GIUSEPPE ZODDA ** v. rufescens Schp. — Nella stessa stazione della forma tipica, ma preferendo i siti più asciutti e soleggiat . Anch’ esso fertile in feb- braio. P. Starkeana (Hedw.) C. Müll. — Lungo la spiaggia arenosa sotto il Castello. Fertile nei primi di febbraio. * v. brachyodus Lindb. — Sui colli, nei pascoli aprici, secchi, a monte della stazione ferroviaria. Fertile in febbraio. Didymodon tophaceus (H. et T.) Jur. forma acutifolia Boul. —- Presso gli stillicidii sui conglomerati basaltiei in decomposizione, al- P altezza di circa 100 m. sul mare. Con frutti in marzo. Trichostomum crispulum Bruch — Non raro, tanto nei campi sul suolo sciolto, quanto sui basalti indecomposti nel feudo Manganelli e altrove. Sterile. — T. mutabile Br. eur. — Piuttosto raro sul terreno sciolto nei cam- pi e sui conglomerati basaltici decomposti; sempre in siti ombreggiati. Sterile in febbraio e in marzo. T. nitidum (Lindb.) Schimp. — Sulla spiaggia sopra una rupe basaltica indecomposta, in sito battuto dal sole. Sterile in febbraio. * T. flavovirens Broch — Comune sulle rupe basaltiehe a monte delia strada ferroviaria. Con frutti in marzo. ** T. viridiflavum DNtrs. — In un campo asciutto, insieme a Fos- sombronia caespit'formis DNtrs., in ur luogo detto Cavallaccio a cir ca 80 m. sul mare. Con archegonii in febbraio. Timmiella Barbula (Schrvägr.) Limpr. — Comunissima in tutto il territorio sulle rupi basaltiehe ombreggiate, sui eonglomerati basaltiei e nei campi su suolo sciolto. Con frutti in febbraio e marzo. Aloina ambigua (Br. eur.) Limpr. — Comunissima nei campi su suolo argilloso, nei pascoli su suolo arenoso, sui conglomerati basaltici e sulle rupi vulcaniche nelle cavità di esse, colmate di terriccio. Con frutti da gennaio a marzo. Crossidium squam.ferum (Viv) Limpr. — Sui conglomerati vulca- nici al Cavallaccio a circa 80 m. sul mare. Con. frutti in febbraio e * C. chloronotos (Brid.) Limpr. — Specie rarissima; nota per la BRIOFITE SICULE 261 Sicilia, soltanto di Palermo. (1) La rinvenni sopra una rupe basaltiea, in sito scoperto, ma poco battuto dal sole. Con frutti in marzo. Barbula vinealis Brid. — Nei campi su suolo sciolto. Sterile in marzo; con archegonii in aprile, v. cylindrica (Tayl. Boul. — Consociata a Tortula muralis, 1. marginata ece. sulle rupi basaltiche. Sterile in marzo. B. revoluta (Schrad.) Brid. — Sterile in febbraio, sui conglome- rati basaltici; sempre in siti scoperti, aridissimi. B. Hornschuchiara Schultr. — Rara: rinvenuta da me in una lo- ealità: al Cavallaeeio in un pascolo secco. Sterile in marzo. * B. gracilis (Schleich.) Sehwügr. -- Nei pascoli secchi, consociata a B-yum atropu*pureum e anche sulle rupi basaltiche. Sterile tanto in febbraio ehe in marzo. Tortella squarros (Brid.) Limpr. — Nei campi: sterile in febbraio; e sulla lava: fertile in marzo. Tortula cuneifolia (Dicks.) Hedw. — Nei campi su suolo vulca- nico sciolto. Con frutti in marzo. * T. atrovirens (Smitb) Lindb. — Sulle rupi basaltiche; poco co- mune. Con frutti in febbraio. T. muralis (L.) Hedw. — Comune sui muri; abbonda parimenti sui conglomerati vulcanici e sui basalti. Con frutti in febbraio e marzo. * v. incana Schimp. — Col tipo sui muri e sui basalti, nei siti più secchi. Anch’essa con frutti in febbraio e marzo. v. obcordata Schimp. — Sulla nuda lava in siti molto esposti al sole: presso Ficarazzi a 230 m. Con frutti in febbraio. * T. aestiva (Brid.) PB. — Sulle rupi basaltiche, consociata ‘a 7. muralis e T. marginata. Con frutti in marzo. T. marginata (Br. eur.) Spruce — Sulle rupi basaltiche, anche in vicinanza degli stillicidii; non rara a monte della strada ferrata. Con frutti in marzo e aprile. (1) L5jacono. — Secondo elenco briologico di Sicilia in « Il Naturalista Si- ciano », anno 1886; pag. 246. ro DW T MN NOM NS E ROM Pda VES GC WIE S IRL ge ees RER EE E EE È Pr i a e i Kee aen a ndi gro | EM eat) KE Se d Eee E e SQUE EO RD tee e up Pie ee "SH 5 ws: $ NE ORA Da / D S, i ` * a * a, dE gs Phe ee ADEM d i13 Ca SE p en = á 1 3 268 DOTT. GIUSEPPE ZODDA *** Forma minor Zodda. Seta breviore, usque ad quinque millimetra tantum longa; capsula minore. Sono degli esemplari, affetti da nanismo, che crescono sui basal- ti indecomposti, nei siti più battuti dal sole; non di rado però fram- misti alla forma tipica. Con frutti in marzo. * Fissidens incurvus Starke — Sul suolo fresco dei campi e nelle fessure ombreggiate delle rupi basaltiche. Comune in tutto il territo- rio e con frutti in marzo. * F. tamarindifolius (Don) Brid. — Nelle fessure ombreggiate delle rupi basaltiche con frutti in marzo e aprile. Alcuni esemplari fanno per parecchi caratteri passaggio alla specie precedente; si sa del resto che il F., tamarindifolius è una specie di secondo ordine, che si fareb- be meglio a considerare come semplice varietà del F. incurvus. "EF pusillus Wils. — Sui muri rivestiti di terra al Castello e nei campi in siti ombreggiati. Con frutti in febbraio. ** v. fallax Simpr. — Nei campi sul suolo fresco ed ombreggiato: nel feudo Manganelli presso la trincea fra le stazioni ferroviarie di Aci Castello e Cannizzaro. Con frutti in febbraio. Grimmia leucophaea Grev. — Sulla lava nuda esposta ai sole. Con frutti in febbraio. G. pulvinata (L.) Smith — Sulla lava nuda, in siti adusti; conso- ciata a Tortula muralis v. obcordata a Ficarazzi all’ altezza di circa 230 m. Con frutti in febbraio. * v. longipila Schimp. — Più frequente del tipo e comune sulla lava in tutto il territorio. Fertile in marzo e aprile. G. Lisae DNtrs. — Sulla lava nuda, abbastanza frequente. Fertile in marzo, *** Ptychomitrium nigricans (Kunze) Br. eur. var. albidens Zodda, Differt a typo peristomio haud rubente, sed luteolo-albido ; denti. bus plerumque, usque ad medium et ultra, bipartitis; sporis 14—16 p. metientibus. Sulla nuda lava, in siti esposti al sole; lungo i mar- gini di una via campestre fra Aci Castello e Ficarazzi a circa 80 m. sul mare. Con frutti abbondanti in marzo. BRIOFITE SICULEÉ 269 I confini dell'area di distribuzione di questa specie, conosciuta del Portogallo meridionale, delle Canarie, di Madera e delle Azzorre, e quindi a distribuzione prettamente atlantica, colla scoperta da me fatta, viene considerevolmente allargata ed accresce il numero di quelle specie, che uniscono la Sicilia alla flora portoghese (Exormotheca pu- stulosa, Tortula Solmsii ecc.). Gli esemplari da me scoperti, si allon- tanano d’ altronde alquanto dal tipo, mostrando così di appartenere ad una ben distinta varietà geografica. In quanto alle spor.: negli esem- plari da me raccolti, misurano da 14 a 16 uw; nel tipo secondo le informazioni datemi dal chiar.mo briologo Bottini e attinte dall’ esame di esemplari autentici, da lui stesso posseduti, sono di 21 w.;il Roth però (1) dà come dimensioni di questi organi 12-16 w. *** Pyramidula tetragona (Brid.) Brid. var. Zoddae Bott. in litteris. Recedit a typo foliis longius acuminatis, costa excurrente fortiter aristatis; capsulis deopercu'atis obovato-truncatis, macrostomis, orificio hand vel vix constricto; sporis levibus, 60 u. Nei pascoli secchi su suolo vulcanico, consociata a Bryum atro- purpureum; al Cavallaccio: 80 m. sul mare. Con frutti maturi in marzo, Il chiar.mo briologo Bottini, al quale comunicai per esame gli e- semplari di questa specie, così mi serive a proposito di essa: e Che sia una Pyramidula non v’é dubbio alcuno; anzi (escluse le caratte- stiche indicate) corrisponde in tutto alla P. tetragona. Le spore lisce sono proprie di questa specie, come giustamente osserva il Warnstorf. Se fra i suoi esemplari esistessero frutti poco maturi, non dubito che avrebbero presen'ato l'apertura cassulare ristretta. Dopo la sporosi l'apertura si allarga, fino a presentare a volte analogia colla Pottia truncata, come già ha notato Boulay, e come ne ho esempi in erba- rio». Per la grande apertura dell’ orificio cassulare, propendevo a ri- tenere questi esemplari, appartenenti al vicino genere Physcomitrium, ma il Bottini giustamente li ha riferiti, ad una nuova varietà, che volle intitolare col mio nome, di Pyramidula tetragona. * Entosthodon curvisetus (Schwägr.) C. Müll. — Nelle fessure dei (1) Roth — Die europ. Laubmoose, I, pag. 450. 270 DOTT. GIUSEPPE ZODDA muri e delle rupi basaltiche e al piede di queste: abbastanza comune. Consociata a questa specie rinvenni la bellissima Exormotheca pustu- losa Steph. Fertile in febbraio e marzo. Funaria dentata Crome — Nei pascoli secchi e nelle fessure om- ` breggiate delle rupi basaltiche. Con frutti in marzo. * F. mediterranea Lindb. — Nei campi sul suolo vuleanico sciolto. Con frutti in marzo. *** F., pustulosa Zodda nova species. Monoica. Laxe gregaria. Caulis brevis, !/, — 2 mm. metiens. Fo- lia rosulata, flaccida, parce chlorophyllosa, ascendendo maiora, subspa- thulata, ex apice sensim lenuato cuspidata, subcrenulata, nervo ad me- dium vel paulo supra evanido instructa; cellulis foliorum ut in F. me- diterranea. Flores masculi dis:oidei, in ramulis propriis terminales, antheridia pauca. Sela 4—12 mm. longa, subtus rubella, supra stra- minea et ibidem sinistrorsum contorta. Capsula e collo defluente, in sicco contracto, oblique pyriformis, cernua vel, rarius, suberecta sub ore constricta; peristomii exterioris lamellae maxime prominentes, ut et plus quam in F. pulchella Phil. Sporae 24—28 u. verrucis magnis, rariusculis, aggregato-compositis, polymorphis, valde extantibus instructis. Consociata a Tortula cuneifolia (Dicks.) Hedw. sul suolo sciolto, vulcanico, nei campi: fra la trincea e il Cavallaccio nel feudo Man- ganelli. Con frutti in marzo. una specie che per gli organi vegetativi somiglia molto a F. mediterranea, mentre per i caratteri presentati dal peduncolo, dalla capsula e, meglio ancora, dai denti del peristomio si avvicina a F. pul- chella; e fra queste due specie essa è quindi da collocare. Differisce però dall’ una e dall’ altra, ed in modo esimio, per la conformazione delle spore affatto particolare e sconosciuta nelle altre specie conge- neri. F. convexa. Spruce. Sui conglomerati basaltici poco comune. Fer- tile in marzo. Mniobryum albicans (Wahlenb.) Limpr. — Presso gli stillicidii e nei luoghi molto ombreggiati fra le rupi vulcaniche. Sterile tanto in marzo che in aprile. * Bryum argenteum L. v. lanatum Seimp. — Nei pascoli secchi, BRIOFITE SICULE 271 sulla vetta del Cavallaccio. Con frutti in febbraio. Il tipo è indicato per Aci Castello da Rafinesque (1). B. torquescens. Br. eur. — Non raro fra le fessure delle rupi basaltiche, colmate di terriccio. Con frutti in marzo. B. murals Wahlbg. Qua e là sui muri, ma non molto comune. B. atropurpureum Aut — Comunissimo nei luoghi aridi, in tutto il territorio e spesso fertile in febbraio e marzo. B. capillare L. v. meridionale Schimp. — Nei campi sul suolo vuleanieo decomposto, in siti ombreggiati. In febbraio e marzo ne rae- colsi tanto individui con anteridi che con frutti. B. Donianum Grev. — Nelle stesse stazioni della specie preceden- te e più comune di essa; tanto in esemplari maschili che femminili, in febbraio e marzo. * B. canariense Brid. — Sulla nuda lava, consociato con Frullania dilatata Tay!. con Grimmia Lisae DeNtrs, ecc. Fertile in febbraio e marzo. Già scoperto dal Sommier nell’ isola di Pantelleria. Bartramia stricta Brid. — Sempre in siti ombreggiati, nei campi e fra le fessure, colmate di terriccio, delle rupi vulcaniche e dei bloc- chi di lava, usati come muri a secco. Da febbraio ad aprile e spesso fertile. PLEUROCARPI. Homalothecium sericeum Br. eur. — Sterile sulle rupi basaltiche, in aprile. Scleropodium Illecebrum (Schwägr.) Br. eur.—Sterile in marzo sulle rupi basaltiche. . * v. deciplens Bott. — Sterile sulle rupi molto ombreggiate, in marzo. v. spininervium Zodda. —Con frutti in aprile, sulle rupi basalti- a circa 200 m. sul mare, Eurhynchium circinatum (Brid.) Br. eur. — Sulle rupi vulcaniche (4) Strobl. Flora des Etna, pag. 315 272 DOTT. GIUSEPPE ZODDA con frutti in marzo. È la prima volta che mi è dato raccogliere in esemplari fruttiferi questa specie, così estremamente comune nella zo- na marittima della Sicilia. Rhynchostegium megapolitadum (Brid.) Br. eur. — Nei campi e sul- le rupi rivestito di argilla. Con frutti in febbraio; sterile in aprile. * Rhynchostegieila litorea (DNtrs,) Limpr. — Nei campi su suolo argilloso. Sterile in marzo. Hypnum cupressiforme L. — Sulle rupi basaltiche, in esemplari anteridiferi, in marzo. EPATICHE * Frullania dilatata (L.) DuM. — Sulla nuda lava, con colesule in marzo; consociata a Bryum canarienze. * Madotheca levigata DuM. v. obscura Nees - Sulla lava ombreg: giata, sul M. d' Oro a circa 200 m. sul mare; con colesule in marzo. Il tipo era già noto per il distretto etneo. Southbya stillicidiorum (Raddi) Spruee — Nei luoghi umidi e pres. so gli stillicidii; con colesule in marzo. Fossombronia angulosa Raddi — Sul suolo ombreggiato dei cam- pi e nelle fessure terrose delle rupi basaltiche; con frutti in marzo. * F- Woudraczekii (Corda) DuM. — Nei campi; con frutti in marzo. F. pusilla DuM. — Fra le tessure delle rupi basaltiche ; con frut ti in marzo. Indicata per l’ Etna da Rafinesque (!). F. caespitiformis DNtrs. — Nei pascoli secchi e sulle rupi basal- tiche ombreggiate. Con frutti in febbraio e marzo. Sphaerocarpos terrestris L. — Raro, lungo la spiaggia sotto il Castello. Con frutti in febbraio. Lunularia cruciata L. — Nei campi e presso gli stillicidii. Con scife in marzo e aprile. Grimaldia dichotoma Raddi — Nelle fessure dalle rupi vulcaniche, comune, con frutti in febbraio e marzo. C) Strobl Flora des Etna pag. 318. Te X he 3 BRIOFITE SICULE 173 Reboulia hemisphaerica Raddi — Come la precedente ma assai meno comune ; con frutti in aprile. Plagiochasma rupestre (Forst.) Miill. — Sulle rupi basaltiche, al- la trincea. Con frutti in marzo. ** Exormotheca pustulosa Steph — Nei campi un solo cespuglietto consociato a Entosthodon curvisetus. Specie atlantica rarissima di particolare interesse per la flora i- taliana. Il Goebel l'aveva scoperta nel Napoletano, ma non se ne-co- nosceva la località, anzi s’ ignorava se fosse stata raccolta sulla terra ferma (Amalfi) o nell’ isola d’ Ischia; e per giunta era stata raccolta in esemplari maschili soltanto. Il mio esemplare invece è splendida- mente fruttificato. Targionia hypophylla L. — Sulle rupi basaltiche fra le fessure. Con frutti in aprile. Tessellina pyramidata DuM. — Come la precedente, consociata a Grimaldia dichotoma. Con frutti in marzo, Riccia commutata Lev. — Nei campi sul suolo vulcanico sciolto fertile in aprile. * var. acrotricha Lev. — Col tipo nelle stazioni più fresche. R. insularis Lev. — Nei pascoli aridi, secchi: al Cavallaccio; fer- tile in febbraio. R. nigrella D. C. — Sui conglomerati basaltiei ombreggiati: a Fi- carazzi a circa 150 m; fertile in febbraio. * Anthoceros punctatus L. — Nei campì: comune con frutti in marzo. ** v. multifidus (L.) Nees — In un campo nel feudo Manganelli su suolo vulcanico sciolto; consociato al tipo: fertile in marzo. Fra questa varietà e la forma tipica esistono numerosi passaggi, per i quali talvolta non riesce facile distinguerla dal tipo. A levis L. — Nelle stesse stazioni della specie precedente; fertile in marzo. 214 DOTT. GIUSEPPE ZODDA II. Briofite dei Ciclopi Muschi ACROCARPI * Hymenostomum microstomum (Hedw) R. Br.— Nelle fessure delle rupi basaltiche al Faraglione grande. Fertile. * H. tortile Br. eur. — Nella stessa stazione della specie prece- dente. Sterile. Weisia viridula (L.) Hdw. — Nelle fessure dei basalti al Fara- glione grande. Fertile. * Potta minutula (Schleich.) Br. eur. — Qua e là nei luoghi sco- perti, nell' Isola dei Cielopi. Fertile. ** v, rufescens Schimp. — La rinvenni in una piccola cavità su suolo argilloso, sopra una rupe propendente sul mare, parte nord del- P Isola dei Ciclopi, Fertile. * P. Starkeana (Hedw.) C. Müll. — Nelle radure nella parte nord dell' Isola dei Cielopi e fra le fessure delle rupi basaltiche al Faraglione grande. In ambo i luoghi fertile. - * P. commutata Limpr. — Nei luoghi ombreggiati sotto le larghe foglie di acanto; in vieinauza della grotta. Fertile. * P. intermedia (Turn.) Fürn. — Abbonda nelle radure e fra le fessure delle rupi basaltiche al Faraglione grande. Fertile. *'* P. Notarisii Schimpr. var. cyclopica Zodda nova var. Recedtt a typo folus brevioribus (1, 5— 1.75 mm. longis, nec 1, 15 — 2 mm.), longius cuspidalis, magis chlorohyllosis; sporis paulo maioribus (28 — 30 u.) Nelle radure al Faraglione grande; con frutti. Per i caratteri sopra esposti e costanti, questi esemplari si di- stinguono dal tipo; anzi, per le maggiori dimensioni delle spore, po- trebbe istituirsene una nuova specie (di second'ordine però): Pottia cyclopica. Qualche volta il peduncolo è lungo soltanto 4 mm. e la cap- sula è un poco più piccola che nel tipo. Nel resto corrisponde agli e- Lä 1 4 1 bes 2 E = ae Mae Fl Bis ce Oe père (wii x BRIOFITE SICULB 275 semplari autentici, che potei esaminare per la gentilezza del Prof. Pi- rotta e che perciò pubblicamente ringrazio. Anzi dirò che questi si allontanano, più dei miei, dalla descrizione, che danno di questa specie il De Notaris (1) sub Pottia crinita, il Limpricht (2) ed il Roth (3); difatti il fusto in essi è lungo 3-5 mm. invece di 1-2 mm. come nel tipo e come nei miei, le foglie sono quasi sempre attenuate all’ apice e il peduncolo giunge sino a 9 mm. di lunghezza; invece che essere di 5-7 nel tipo; mentre nei miei è di 4-5 mm. Non può paragonarsi a P.intermedia, differendone per molti caratteri, fra cui la differenza di sesso, essendo autoica questa, paroici i miei esemplari, la leviga- tezza delle foglie, l’ assenza completa di peristomio, l’opercolo più lungamente rostrato ecc. Didymodon tophaceus lur. — Sterile sul suolo argilloso nell’ Isola dei Ciclopi; abbastanza rara. v. brevifolius Br. eur. — Sopra un muro dietro la casina nell’ I- sola dei Ciclopi; sterile. Forma brevicaulis-acutifolia Boul. — Nei Inozhi ombreggiati pres- so la grotta nell Isola dei Cielopi; sterile. * Trichostomum nitidum Schimp. v. medium Boul. — Nelle fessure: delle rupi basaltiche al Faraglione grande. Sca-samente fruttificato. Già seoperto da me stesso nell' Isola di Linosa. v. obtusum Boul. — In luoghi ombreggiati nell'Isola dei Cielopi- insieme a Pottia commutata Limpr.; sterile. * v, subtortuosum Boul. — Sulle rupi argillose nell’ Isola dei Ci elopi; fertile. * T. flavovirens Bruch. — Sugli schisti argillosi nell’ Isola dei Ci- clopi; fertile; e sulle rupi basaltiche al Faraglione di mezzo in esem- plari maschili e femminili e al Faraglione grande in esemplari maschili. * var. nitidocostatum Bott. — Insieme al tipo nell'Isola dei Ci- elopi e al Faraglione grande. (1) De Notaris Epilogo della briologia italiana, pag. 586. (2) Limprieht Laubmoose ecc. III, p. 688. (8) Roth Die europ. Laubmoose, I, p. 290. 276 DOTT. GIUSEPPE ZODDA Aloina ambigua (Br. eur.) Limpr. — Neiluoghi scoperti nell’ isola dei Ciclopi. Con frutti; abbastanza comune. * Barbula unguiculata (Huds.) Hedw — Sterile, insieme alla spe- cie precedente. Il tipo non era noto pel distretto etneo. B convoluta Hedw. v. sardoa Schimp. — Fertile, insieme alle due specie precedenti. Tortula cuneifolia (Dicks) Hedw. — In esemplari tipici nei luoghi ombrosi presso la grotta nell’ isola dei Ciclopi; con frutti in marzo. * v. marginata Flesch. — Più comune del tipo in luoghi ombreg giati nell’ isola dei Ciclopi; con frutti. T. muralis (L.) Hedw. — Sui muri dietro la casina nell’ isola dei Ciclopi; con frutti in marzo. v. incana Schimp. — Insieme al tipo ed anche altrove nella stes- sa isola sulle rupi argillose; parimenti fruttificata. * T. aestiva Brid. — Sugli schisti argillosi nudi nell’ isola dei Ci- clopi; con frutti in marzo. T. marginata Spruce — Sui muri nell’ isola dei Ciclopi e nei luo- ghi ombreggiati lungo il viottolo, che conduce alla grotta; fertile in marzo. * T. Vahliana (Schultz) De Ntrs. — Fertile nei luoghi scoperti nell’ isola dei Ciclopi; in una località. * Fissidens incurvus Starke — Nei luoghi ombreggiati: e dentro la grotta, nella semi oscurità, nell’ isola dei (Ciclopi; fertile nella pri- ma stazione, sterile nella seconda. * F. tamarindifolius Limpr. — Nei luoghi ombreggiati; commisto alla specie precedente; fertile. Funaria mediterranea Linpà. — Insieme alla specie precedente; fertile. F. hygrometrica (L.) Sibth. — Rarissima nelle radure al Fara- glione grande; con frutti. Bryum torquescens Br. eur. — Nei luoghi ombreggiati nell’ isola dei Ciclopi; con archegonii in marzo. B. atropurpureum Aut. — Sterile nelle radure al Faraglione gran - de; fertile in esemplari maschili e femminili all'isola dei Ciclopi lun- go i viottoli e nei luoghi calpestati. BRIOFITE SICULE 211 B. murale Wils. — Sui muri dietro la casina all isola dei Ciclopi; individui con anteridii e con frutti. B. capillare L. v. meridionale Schp. — Nelle Sep delle rupi basaltiche al Faraglione grande e nei luoghi ombrosi presso la grotta . nell’ isola dei Ciclopi: in entrambi i luoghi sterile. PLEUROCARPI * Rhynchostegiella ¿tenella (Dicks,) Limpr. — Nei luoghi semio- seuri dentro la grotta nell’ isola dei Ciclopi: esemplari sterili lassamen- te ramificati e con foglie poco addensate. EPATICHE Fossombriona caespitiformis DNtrs.—-Nei luoghi ombreggiati nel- l'isola dei Ciclopi: con frutti. Sphaeracarpos terrestris L. — Insieme alla precedente; anch’ essa fruttificata. Lunularia cruciata L. — Colle precedenti, tanto con scise che con archegonii. Riccia lamellosa DuM. — Rarissima, nei luoghi dina nel- l'isola dei Ciclopi. R. commutata Lev. — Colla precedente presso la grotta. * y. acrotrica Lev. — Qualche individuo, commisto alla forma tipica, riferibile a questa varietà. Anthoceros levis L. — Presso la grotta fra gli acanti nei siti più ombreggiati nell’ isola dei Ciclopi. RECENSIONI I. Stoklasa und W. Edobuicky — Photochemische Sythese den Koh- lenhydrate in Abweseheit von Chlorophyll (Chemik. Zeit. Septemb. 1910 n° 107). Gli Autori riassumono brevemente in questa nota i risultati (non ancora pubblicati) ottenuti da alcune esperienze riguardanti il problema della sintesi fotochimica degli idrati di carbonio. Essi sperimentano cioè l’ influenza dei raggi ultravioletti su alcune sostanze e gasose, precisamente sull'anidride carbonica e sull’ossigeno (anche allo stato nascente,) che sono appunto i due gas che hanno maggiore importanza nel processo dell’assimilazione clorotilliana. on i risultati delle loro ricerche gli Autori dimostrano che per l'azione di tali raggi sull'anidride carbonica e sull’ossigeno (quest’ultimo presente allo stato nascente) avviene tra questi gas una fotosintesi, che si può esprimere con l'equazione: i 2H 2 CH, O 0, secondo la quale la riduzione dell'anidride carbonica (o meglio dell'a- cido carbonico) avverrebbe per la presenza dell’idrogeno, come già venne dimostrato dal Pollacci nella Nota: Azione della luce solare sull'emissione di idrogeno dalle piante (Atti Ist. Bot. di Pavia, X, 1904). In presenza di potassa l’aldeide formica così formata si condensa t uando manchi l'azione dei raggi ultra-violetti, da ossigeno allo o nascente e da acidu carbonico non si forma in nessuna condi- ue Autori concludono con l'ammettere che nelle cellule vegetali , come primo prodotto della riduzio- ne dell'aeido carbonico, l'aldeide formica, secondo l’equazione teorica- : CO, = H CO H 0, e dimostrata sperimentalmente dal Pollaci (1899) specialmente per ciò che riquarda la presenza dell’aldeide formica nelle piante la sua stretta relazione con il fenomeno dell’assimilazione clorofilliana. 9 processo consisterebbe dunque, secondo i due Autori, in un semplice assorbimento dei raggi ultravioletti da parte della cellula contenente elorotilla, ed essi infatti riuscirono con questo mezzo a accelerare in pianse eziolate la sintesi clorofilliana. DOTT. E. MAMELI. BIBLIOGRAFIA MODERNA raccolta da C. Schuster (Gr. Lichterfelder b. 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ET E ee pi RT ` puo RETE Qi s Li om UN ER zë: RAD py E TM ECL E Ea ec E Ar AES c. PRINT I n OM Ar Pee sara Sopra un nuovo processo di tecnica istologica pr la colorazione delle sezioni in serie e la sua applicazione all’ anatomia e fisiologia vegetale, con particolar riguardo agli organi motori, (Nota dei Proff. Luet BuscaLioni E Giuseppe MUSCATELLO) La colorazione delle sezioni in serie riesce facile quando si ha cura di imparaffinare il materiale da studio. Disgraziatamente però non sempre il botanico può valersi del metodo dell’ imparaffinamento, ed anzi quando si tratta di parti dure voluminose egli deve per lo più ricorrere semplicemente alle sezioni, a mano o al mierotomo, del materiale fresco od indurito e fissato coi soliti metodi. Tutt'al più può ricorrere al processo, non molto più in uso, dell’inelusione in celloidina. L'imparaffinamento poi non è scevro di inconvenienti, richiedendo fra l’altro parecchi giorni di manipolazione, prima che i pezzi possano prestarsi ad essere sezionati. Perciò il botanico ricorre anche. spesso alle sezioni del materiale fresco o semplicemente indurito, ineluso nel midollo di sambuco, essendo questo un metodo spiecio e comodo. Però anche questo metodo presenta notevoli inconvenienti, allorchè trattasi di praticare centinaia di sezioni in serie, colorarle debitamente e montarle sul vetrimo. Infatti quando le sezioni non sono tenute a posto l’una accanto all’altra si disperdono nei liquidi coloranti di guisa che il vantaggio delle sezioni in serie va del tutto perduto. Chi si accinge a studiare il decorso dei fasci vascolari, o come si modifica a poco.a poco una determinata struttura in un dato organo, può convin- cersi subito di quanto abbiamo detto. Di fronte a questi inconvenienti reputiamo non del tutto privo di interesse riportare qui un metodo pratico, di facilissima applica- zione, e quanto mai rapido, il quale permette di tener disposte le se- 250 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO zioni nell'ordine in eui vengono effettuate, anche se queste ammon- tano a più centinaia. Esso inoltre permette ancora di colorare i pre- parati, utilizzando all’ uopo due o più colori, come si pratica in isto- logia quando si vogliono ottenere due o più tinte combinate; di cam-. biare i reattivi quando si debbano far agire due o più sostanze le une dopo le altre sui preparati; infine, e questo è forse il lato migliore, di montare a nostro bell’agio le preparazioni senza c'e per lo più si abbia a temere un’eccessiva colorazione delle stesse. Il metodo offre il grande vantaggio di essere applicabile a qual- siasi tessuto od organo della pianta, e come sopra si disse riesce utile tanto nel caso che si abbiano preparati fatti a fresco, o che siano stati previamente induriti od altrimenti manipolati. I] metodo consiste nel tapezzare con carta bibula o con carta di protocollo il fondo di un eristallizzatore, di una capsula di Petri, o di qualunque altro recipiente munito di coperchio. Preparato così il recipiente si versa sulla carta la soluzione eo- lorante (e se ne possono impiegare due o più, di diversa tinta, ad un tempo), operando però in modo che la carta (per lo più bianca) ne resti imbevuta, ma non ricoperta. Ciò fatto si sezionano i pezzi ana- tomiei (radici, fusti, parti di foglie e via dicendo) col mierotomo e quindi si collocano le sezioni l’una dopo l’altra in un determinato or- dine sulla carta bibula o di protocollo impregnata, come si è detto, di sostanza colorante o di qualsiasi altro reattivo, a seconda delle ri- cerche che si intendono fare. La carta bibula, costituita per lo più di fibre vegetali, oltre che colorarsi coi reattivi, trattiene con una certa energia, ma meccanica- mente, le sostanze coloranti di cui è imbevuta, cedendole a rilento alle sezioni. Si ha quindi il vantaggio che queste si colorano grada- tamente, poichè (ei sia lecito esprimerci con un paragone il quale, benchè non appropriato calza a meraviglia) avviene quasi una lotta fra la carta e il preparato pel possesso del colore. Lo stesso avviene ma in grado minore colla carta di protocollo. Numerose esperienze ci hanno dimostrato che con questo metodo, difficilmente si ottiene un eccesso di colorazione dei preparati, qua- lora si operi con un po’ di attenzione, mentre è noto che un eccesso : E ES A SOPRA UN NUOVO PROCESSO DI TECNICA ISTOLOGICA 291 di tinta è spesso inevitabile quando si immergono le sezioni in liquidi coloranti di una certa concentrazione. Non occorre aggiungere che così si va incontro a un grave inconveniente dovuto all'inevitabile sposta- mento dei preparati il quale rende inutilizzabili, come si è detto, le sezioni in serie. Si potrebbe obbiettare che la carta bibula, più ancora di quella di protocollo, può lasciare aderenti al preparato non poche fibre, le quali poi rovinano il medesimo. Ebbene possiamo assicurare che se si ba cura di cambiare spesso la carta l’inconveniente si verifica in scar- sissima misura e può esser eliminato, poichè le flbre sono abbastanza grandi e quindi asportabili con le pinze, col pennello o col lavaggio. Grazie alla graduale colorazione cui vanno incontro i preparati e più di tutto alla circostanza che una volta colorati in una certa misura gli stessi difficilmente riescono ad attingere dalla carta un eccesso di co lore, non si verifica più alcun serio inconveniente, se si lasciano più o meno a lungo (anche per parecchi giorni) i preparati nel recipiente a contatto della carta, prima di montarli sul vetrino portaoggetti. È però necessario c'e il recipiente rimanga chiuso allo scopo di impedire la evaporazione del liquido e l’essiccamento dei preparati. Abbiamo tuttavia notato che quando si fa uso di due o più co- lori di anilina (saffranina o fucsina e verde jodio, verde di metile ete. per ottenere una doppia o tripla colorazione e se si lasciano in pari tempo troppo a lungo i preparati a contatto della carta si otten- gono delle notevoli variazioni nella tinta dei preparati e talora si ha per risultato che uno dei colori assume il sopravvento, per cui le sezioni diventano colorate uniformemente di una sola tinta. Qui è evidente l'azione della carta poichè il colore che non si fissa al preparato o viene sostituito per lo più è quello che ba maggior affinità per la carta. Quando si ba cura di esaminare di tempo in tempo i preparati si può sorprendere il momento giusto in cui le doppie od anco triple colora- zioni hanno raggiunto la massima efficacia, col risultato di una notevole differenziazione dei vari tessuti per quanto concerne le tinte. Nell'Istituto Botanico di Catania da un po’ di tempo si impiega eu larga scala questo metodo e con notevole successo, in specie per quanto concerne la colorazione di sezioni in serie di fusti, di radici, 292 LUIGI BÜSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO di pieeiuoli fogliari, pei quali abbiamo quasi sempre tentato la com- binazione di due colori (verde jodio e fucsina) per tingere il legno diversamente dalle membrane cellulosiche. I risultati ottenuti non la- sciano aleunché a desiderare in fatto di bellezza di tinte di contrasto; anzi talora si sono ottenute con soli due colori delle triplici colora- zioni in cui il protoplasma e i nuclei assumevano una tinta diversa da quella del legno o delle pareti cellulosiche. Si noti inoltre che preparati ottimi furono ottenuti sia a fresco, sia con materiale stato previamente indurito nell’alcool. Capita talora che i preparati, dopo aver subito un primo tratta- mento od essere stati assoggettati a determinate colorazioni debbano essere lavati o trasportati in un secondo reattivo: in qnesto caso si può riuscire nell’ intento esportando dal cristallizzatore o dalla capsula di Petri il pezzo di carta bibula su cui stanno i preparati, per collocarlo in un altro recipiente contenente il nuovo reattivo. Però questa prat cà non è scevra d’inconvenienti, di guisa che è più consigliabile esportare ad uno ad uno i preparati allo scopo di riportarli in altra vaschetta, su nuova carta imbevuta del reattivo che si vuol saggiare. Con en- trambi i metodi occorre procedere con una certa precauzione per non spostare l'ordine di seriazione dei preparati. Non occorre aggiungere che le sezioni vanno alla fine trasportate ad una ad una colle pinze o col pennello sul vetrino portaoggetti. Le manipolazioni necessarie per ineludere e coprire col vetrino coprioggetti le sezioni provocano spesso degli spostamenti dannosi di talune sezioni : si ovvia però all’ inconveniente collocando queste sul portaoggetti spalmato con un po’ di glicerina e poscia lasciando len- tamente cadere il coprioggetti pure spalmato, dal lato rivolto verso le sezioni, con lo stesso reattivo. Trattandosi dì montare in balsamo si può ricorrere a procedimenti analoghi oppure far i passaggi dal- l'alcool in olio di garofano o xilolo sulla carta bibula stessa, in adatti, recipienti, e quindi collocare le une dopo le altre le sezioni sul vetrino portaoggetti spalmato di balsamo. I principali risultati che abbiamo ottenuto coll’impiego dì questo metodo saranno oggetto di prossime pubblicazioni: qui però intendia- mo riportare per sommi capi le ricerche che abbiamo potuto eseguire " n E 4 5 SOPRA UN NUOVO PROCESSO DI TECNICA ISTOLOGICA 293 sui cuscinetti motori e sui picciuoli delle foglie di Mimosa e sugli or- gani motori di altre piante sensibili, per le quali ci siamo serviti, co- me reattivi, della soluzione di ferrocianuro di potassio e del cloruro di ferro allo scopo di ottenere la colorazione dei tessuti vegetali col bleu di Prussia, che come è noto si forma quando i due sopra ricor- dati reattivi agiscono |’ uno sull'altro. Se si ricorresse per questo studio al solito metodo di immergere le sezioni in uno dei reattivi e poi nell'altro, previa lavatura in ac- qua, pur prescindendo dal fatto che se le sezioni sono numerose diffi- cilmente potrebbero esser tenute in ordine, si verificherebbe spesso che il bleu da Prussia formatosi sarebbe in troppa esigua quantità per dare una bella tinta o precipiterebbe anche alla superficie delle sezioni, di guisa che i contorni degli elementi e la struttura di questi riesci- rebbero alquanto mascherati. All’opposto disponendo le sezioni dapprima nella vaschetta conte- nente la carta bibula imbevuta di ferrocianuro di potassio e poi in quella destinata al cloruro di ferro, ed avendo solo la precauzione di capovolgere le sezioni affinché la faccia che prima era stata a con- tatto della carta imbevuta di ferrocianuro venga ora a trovarsi in alto, sì ottengono ottimi preparati, quanto mai dimostrativi. La bontà dei preparati si deve al fatto che con questo processo le due soluzioni sono obbligate in certo qual modo a diffondere da faccie opposte della sezione e percorrere così un certo tratto dei tessuti prima di arrivare ad in- contrarsi nel!o spessore di questi. Col metodo antico si verificava spesso l'inconveniente ehe un po’ di bleu di Prussia si formava pure alla su- perficie dei preperati ciò che è attualmente quasi del tutto impedito. Il colore si fissa tanto sui contenuti che sulla membrana, ma in modo disuguale. Aleuni contenuti poi non fissano o poco la tinta (tannino ad es.) e.lo stesso dicasi per le membrane legnose suberificate, cuti- colarizzate. Peret& la reazione riesca in tutta la sua bellezza occorre aver l'avvertenza di diluire notevolmente la soluzione di eloruro di ferro rispetto a quella di ferrocianuro potassieo che adoperiamo al 10 ?*/,.. Una soluzione acquosa del primo reattivo la quale abbia colore della birra Pilsen è ottima pel nostro scopo. Se si concentra di più la. so- ae EN Me CR ähn ` E E ee 294 ; LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO luzione allora la diffusione non ba più luogo che in scarsa misura nell'interno dei tessuti ed anzi il liquido troppo concentrato richiama al di fuori della sezione l'altro colla conseguente formazione di bleu di Prussia alla superficie del preparato che res'a quasi incoloro. Le sezioni dei cuscinetti motori principali della Mimosa Spegaz- zini quando vengono a contatto col ferrocianuro di potassio e cloruro di ferro si colorano. intensamente in bleu, ma la colorazione, che si fissa energicamente sulle membrane, non è ovunque eguale. Infatti la metà inferiore del parenchima corticale fissa assai più energicamente la tinta di quella superiore. In questa la lamella me- diana riesce pure fortemente colorata, ma gli strati di ispessimento un po’ meno. Di qui il contrasto colla metà inferiore le cui membrane più sottili, appaiono più uniformemente e intensamente colorate in bleu. Il fascio vascolare si colora in bel bleu nella regione del libro ed anche qui le membrane spiccano per l'attitudine a fissare il colore: il legno invece assume soltanto una tinta bleu pallida od anco non si colora. Solo facendo intervenire preventivamente l’acqua di Javelle si riesce a portar il legno ad una tinta più carica, per quanto mai uguale a quella acquistata dalle membrane del libro. Fanno tuttavia eccezione le membrane dei raggi midollari i quali nell’ambito del legno acqui- stano del pari una tinta cupa. La guaina collenchimatosa che avvolge il fascio in corrispondenza del cuscinetto motore assume anche una tinta intensamente bleu e spesso il colore é più concentrato nella metà inferiore di detta guaina. Lungo i pieeiuoli fogliari principali il colore si fissa, come al so- lito, con molta energia sulle membrane del libro, rispettando sia la guai- na sclerosa che circonda questo, sia il legno; sulle pareti delle cellule parenchimatose si fissa un po' meno energicamente di quanto avvenga pel libro, fatta tuttavia eccezione per le cellule centrali o prossime al libro, che molto spesso res*ano tinte energicamente. Per comprendere le considerazioni che dedurremo da queste rea- zioni occorre studiare un po’ da vicino il comportamento dei reattivi usati nei riguardi della membrana cellulare. La maggior parte delle sostanze coloranti usate nella istologia colorano elettivamente talune membrane e taluni contenuti cellulari per una speciale affinità che SE M AY P DES EEA HN que Pe oe oom 9 1 TC eee EISE SOPRA UN NUOVO PROCESSO DI TECNICA ISTOLOGICA 295 hanno con determinati corpi o costituenti della cellula. Così, ad esem- pio, la tintura di jodio acquosa ha una speciale affinità per l’ amido, mentre non colora le membrane cellulosiche cle pur hanno una costi- tuzione quasi identica a tale sostanza. Lo stesso dicasi pel Sudan III, che tinge i grassi, gli oli, la suberina e la cutina; per la floroglucina, che si fissa sulla membrana lignificata e per molti altri reattivi. Un . certo numero di reattivi coloranti determinano la colorazione ovunque penetrano, ed a questa categoria dobbiamo annoverare i composti che danno il bleu di Prussia reagendo l’uno sull’altro. Non si può affermare che quest'ultimo abbia una speciale affinità elettiva per determinate membrane : esso compare, col noto colore, in copia dove i suoi costituenti si sono ancene addensati, e del resto tanto il eloruro di ferro, (1) quanto il ferrocianuro di potassio non fanno altro cue diffondersi là dove la membrana non ostacola, colla sua co- stituzione compatta, o con qualeue altra proprietà fisica o chimica, il processo di diffusione. Anche per questi due reattivi quindi non può dirsi che esistano affinità particolari che determinino il loro insedia- mento piuttosto in una membrana cle in altra. Trattandosi adunque di una eolorazione collegata a fenomeni di sempliee diffusione se ne deve desumere che le membrane le quaii fissano energicamente il colore sono molto permeabili ui liquidi e si lasciano quindi facilmente attra- versare tanto dal ferrocianuro di potassio che dal cloruro di ferro. (2) (1) Se vi sono sostanze tanniche allora il cloruro di ferro può fissarsi elet- tivamente su queste. (2) Molto si è discusso sui processi che provocano la colorazione delle so- stanze ed in partico'ar modo delle fibre. Alcuni ammettono che il colore si combini chimicamente colle molecole delia sostanza, altri che si tratti di una semplice interposizione di molecole coloranti accanto a quelle del corpo che as- sume il colore. Noi non staremo qui ad insistere sopra queste oscure e contro- verse questioni che furono del resto magistrevolmente trattate dal Fischer A. nel suo trattato « F;xirung, Färbung u. Bau d. Protoplasmas, Jena 1899 »; solo ci permettiamo di avventurare l’ipotesi che il processo della colorazione, se il più delle volte dovrebbe esser ascritto ai fenomeni fisici in qualche caso tutta- via avrebbe il suo fondamento in una azione chimica. Non si può neppur esclu- dere che certi cambiamenti di tinta che avvengono nei tessuti colorati siano dovuti a fenomeni di dissociazione, come uno di noi ha potuto constatare nella Marg e nec ii ele * x3 D i. rr ZK E AM = Lo PT Vr N 13 945 À, 296 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Nel nostro caso si troverebbero in questa condizione i parencbimi, il libro, il collenebima periliberiano del cuscinetto motore; sarebbero in- vece poco permeabili il legno e gli archi selerosi periliberiani del picciuolo. È noto che sotto determinati stimoli applicati alla foglia o ad altre parti della Mimosa ba luogo un attivo spostamento di masse li- quide. Gli autori non sono completamente eoneordi sulla via tenuta da queste nel loro cammino, poiché mentre alcuni affermano che la corren- te segue la via del legno, gli altri, e sono i più, ritengono cbe lo spo- stamento abbia luogo nell'ambito del libro. L'Haberlandt lia cercato di precisare maggiormente le vie di conduzione affermando che il liqui- do si sposta lungo i tubi eribrosi, o entro determinati elementi cbe di questi hanno e struttura e eonfigurazione; solo sono alquanto piü ampi. Giunte le masse liquide nel cuscinetto motore abbandonerebbero le vie seguite nello spostamento per diffondersi nel parenchima corti- cale, il che non esclude che il contenuto liquido di queste cellule a sua volta abbandoni la cavità cellulare per diffondersi negli spazi intercellulari in specie della metà inferiore del cuscinetto, o nei vasi del legno. L’ uscita del liquido dalle cellule, constatato da più di un au- tore alla colorazione che assume il cuscinetto motore, costituisce un fenomeno un po’ in urto coi principii sanciti dalla fisiologia la quale ha rilevato l’importanza dello strato ectoplasmico nel trattenere i liquidi contenuti nelle cellule. La traspirazione, l’ingresso dell’acqua nei vasi della radice, l’uscita dei liquidi dagli idatodi ed altre dispo- sizioni analoghe dimostrano tuttavia che l’acqua (o rispettivamente il vapor acqueo) può realmente sortire dalle cellule per diffondersi negli diffusione attraverso la gelatina (V. L. Buscalioni e A. Purgotti. La dissociazio- ne e diffusione dei joni. Atti d. Ist. Bot. di Pavia 1905). Ad ogni modo, qualun- que sia la teoria che si vuole accettare sulla colorazione, quanto abbiamo detto a riguardo dell’impregnazione col bleu di Prussia resta applicabile, sebbene non si voglia dare alla spiegazione il significato di un dogma. SOPRA UN NUOVO PROCESSO DI TECNICA ISTOLOGICA 297 spazi intercellulari. Interessanti a questo riguardo sono le esperienze di Haberlandt e di altri autori sugli idatodi stati avvelenati. ‘Colla scorta di queste considerazioni si può concludere che nella Mimosa ed in generale in non poche altre piante sensibili ba luogo uno spostamento dei liquidi nell'ambito del libro e lungo tutto il pie- ciuolo fogliare. Le masse liquide possono facilmente diffondersi da cellula a cellula liberiana a causa della grande permeabilità della membrana dimostrata colla reazione del bleu di Prussia, ma non già al di fuori del libro poichè da un lato la diffusione è impedita dal legno dall’altra dall'areo seleroso liberiano le cui cellule (anno pareti poco permeabili, perché poco colorabils col reattivo da noi adoperato. Solo ai lati del libro, dove manca l’arco scleroso, la diffusione può aver luogo e allora le masse liquide entrano nel parencuima, ma quivi non possono effettuare curvature o movimenti di sorta come conse- guenza di tensioni antagoniste che insorgano per effetto della diffu- sione, poie. è i liquidi ivi si diffondono in tutii i sensi e prevalente- mente verso il centro del picciuolo. Del resto siccome la colorazione col bleu di Prussia non è ivi eccessiva, neppur deve esser la diffusione del liquido liberiano molto energica attraverso, almeno, alle membrane. Nell'ambito del cuscinetto motore le cose vanno un po’ diversa- mente. Ivi non solo il libro ma le membrane della guaina collenchi- matosa e quelle del parenchima corticale (in ispecie nella porzione in- feriore) sono fortemente permeabiti fissando esse energicamente il bleu di Prussia. I liquidi pertanto attraversano questa membrana con tutta facilità e siccome si diffondono di preferenza nella metà inferiore del cuscinetto, invadendo anete gli spazi intercellulari, così provocano delle variazioni improvvise nelle. tensioni antagoniste che hanno per risultato il movimento del piceiuolo. Nel fusto e nelle radiei la diffusione del liquido endoliberiano deve seguire le leggi sopra enunciate: dove vi ba selerenchima peri- liberiano non esorbita ehe in iscarsa misura dal libro, non potendo parimenti diffondersi con facilità attraverso il legnc. In certo qual modo tanto nel piceiuolo che ne! fusto ed altrove gli archi sclerosi periliberiani da un lato ed il legno dall'altro servono a guidar le masse liquide fino ai cuscinetti impedendo loro l'useita dal libro, 298 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Abbiamo ragione quindi di ritenere che l’applicazione del bleu di Prussia ci fornisce non pochi ragguagli sul processo tanto controverso dei movimenti delle foglie o di altri organi sensibili. Colpiti dall’intensa colorazione che assume il libro nelle Mimose, sotto l’azione combinata del cloruro di ferro e del ferrocianuro di potassio, abbiamo esteso le ricere e a tessuti e a parti di piante sva- riatissime. Riassumeremo qui, per sommi capi, i principali risultati che son venuti in luce, non parendoci prezzo dell’ opera soffermarci per ora almeno, sulle questioni secondarie. In generale si osserva cte le pareti cellulari dei libri inclusi in un astuccio meccanico si coloranno fortemente: i parenchimi a mem- brane cellulosiche assumono pure una colorazione più o meno intensa, mentre il legno rimane poco o punto colorato, fatta eccezione per i raggi midollari endolegnosi le eui cellule hanno pareti assai permea- bili. Però anche qui si nota ehe la permeabilità varia lungo il decorso —in senso radiale — di uno stesso raggio. Particolarmente istruttive abbiamo trovato in proposito le foglie di Phormium il cui libro, incluso in un astuccio meccanico, assume una bella tinta b eu, mentre l’astuccio rimane incoloro, o si tinge solo un poco dal lato interno, accennando di possedere ivi un leggero poter di imbibizione, forse per permettere gli scambi fra libro e parenchima. . Se si tratta di libri non inclusi allora si hanno notevoli varia- «zioni da specie a specie: taluni libri colorandosi pallidamente altri un po’ più fortemente. Quando poi vi hanno due libri separati dal legno (fasci bicollaterali) i raggi midollari che li uniscono si colorano spesso vivamente agli estremi dove vengono a contatto cogli elementi liberiani, meno verso il centro, cioè nell’ambito del legno, indicandoci così che gli scambi fra i libri — nel caso che esistano realmente de- gli scambi attraverso le pareti e fuori dell’ambito delle punteggiature e dei plasmodesmi — non sono molto energici. In tutte le piante fornite di cuscinetti motori fogliari si sono riscon- trate le reazioni già indicate per la Mimosa. Il libro e il collenchima si colorano intensamente col parenchima, poco il legno e i fasci mec- canici. Analogamente a quanto avviene nelle foglie delle Mimosee, negli stami del Berberis la porzione motrice e sensibile fissa energi- Nu eur SOPRA UN NUOVO PROCESSO DI TECNICA ISTOLOGICA 299 eamente il bleu di Prussia, mentre la colorazione si fa un po' meno spiccata al di sopra. E’ specialmente sui fianchi e sulla parte dello stame rivolta verso l'ovario cte la colorazione appare più spiccata. E’ però necessaria una certa cautela nel giudicare dell'intensità di co- lorazione della membrana poichè nella zona motrice abbiamo differenti sorta di cellule, le une piccole e a pareti ispessite, le altre grandi e membrane sottili, due condizioni cioè che possono far sembrare più tinta una parte rispetto all'altra. In tutte queste ricerche si è sempre avuto eura di esaminare i preparati chiusi in balsamo poichè così inelusi conservano più a lungo il colore, mentre in acqua o in glicerina rapidamente si scolorano. In conclusione se si ammette che la forte colorabilità di alcune pareti cellulari (libro, collenetima ete.) col bleu di Prussia sia l'espres- sione del forte potere di imbibizione di quelle stesse pareti se ne può dedurre che la permeabilità delle membrane negli organi motori e nel libro di Mimosa e di altre piante a foglie sensibili e capaci di movi- meuti sia una delle condizioni che contribuisce all'esplieazione di sif- fatti attributi in dette piante. Non è però certo sufficiente la permea- bilità delle pareti per spiegare la motilità di dette piante; occorre anere l'intervento del protoplasma, e in questo punto sono precisa- mente diretti gli studi di tutti gli autori che si occupano dell’ argo- mento. Contro la nostra ipotesi si potrebbe elevare l’obbiezione che innanzi tutto col bleu di Prussia si colorano più o meno intensamente tutte le membrane di natura cellulosica ed anche in quelle specie che non offrono traccia di sensibilità o di movimento e in secondo luogo che se si inietta, seguendo il metodo operativo di Mae Dougal, del- l’acqua nei vasi o si oceludono questi con gelatina i movimenti banno luogo indipendentemente dalle condizioni idrostatiche imperanti nel legno. Infatti coll’iniezione dell’acqua nei vasi non si ottiene il movi- mento dei picciuoli fogliari, e il moto si compie anche se sì ostrui- scono i vasi colla gelatina. A riguardo della prima obbiezione non faremo cbe ripetere quanto sopra è riferito, che cioè la permeabilità delle membrane non basta da sola a spiegare i fenomeni di moto, occorre anco l’intervento del protoplasma su di che siamo oggi quasi completamente all’oseuro, E E E E E Ee eeng e Ee De E d E V pr a 800 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Nessuno, per altro, potrà tener in non eale il singolare compor- tamento rispetto al bleu di Prussia del picciuolo fogliare di Mimosa nei vari tratti di cui consta e nei vari tessuti (collenchima del cusci- netto, libro, legno, archi sclerosi ete.). Per ciò che concerne le esperienze di Mac Dougal, ripetute con lievi varianti dall’ Haberlandt e dal Fitting, si può affermare cie confermano, indirettamente, le nostre vedute, poichè, data l'imper- meabilità relativa delle membrane del legno, è ovvio che l’iniezione dei vasi di questo non provocsi movimenti di sorta, i quali, secondo noi, sono unicamente in relazione collo stato di permeabilità del libro e del parenchima e del collenchima del cuscinetto motore, del libro nelle altre regioni. Le vedute del Fitting in proposito ci paiono su- scettibili di spiegazione, che in parte dipendono da quelle esposte dal- l’autore a pag. 515 del suo lavoro sui vitieci. L'Haberlandt fu tra i primi a stabilire che il libro prende parte attiva nel fenomeno dei movimenti ed anzi ha cercato di analizzare più da vicino il fatto venendo alla conclusione che al trasporto della massa acquea servano, nella Mimosa, unicamente i grossi tubuli pre- senti nel libro e simili ai tubi cribrosi, benchè più grandi Borzi, Montemartini ed altri anno cercato di dimostrare che le vedute di Haberlandt sono erronee poichè il movimento si trasmette anche attra- verso regioni in cui siffatti elementi mancano e si effettua poi in specie cbe son prive di tali elementi. Quale ipotesi è conforme al vero? Stando alle osservazioni da noi fatte non vi ha dubbio che tutto quanto il libro possa prender parte al fenomeno del movimento acqueo e quindi sotto questo punto di vista le vedute dell'Haberlandt sono troppo tassativamente vestrittive, ma per altra parte egli è evidente che il trasporto di liquidi si può effettuare meglio la dove esistono degli elementi a tipo di tubi cribro- si e assai larghi. Perciò se gli elementi cribrifomi non sono i soli organi destinati al trasporto, indubbiamente prendono a questo una parte attivissima e torse superiore a quella spiegata dalle altre cel- lule. Basti ricordare che, in generale, noi troviamo i movimenti dif- fusi in quelle piante che hanno tubi eribosi assai ampi. Perciò rite- niamo che il Borzi e il Montemartini, pur avendo ragione a localiz- E ENSE EEN TG i | È BE E EE EE EE EE SOPRA UN NUOVO PROCESSO DI TECNICA ISTOLOGICA 801 zare la sede del trasporto in tutto il libro, non tengono in dovuto conto A gli elementi speciali dell’ Haberlandt. : La ragione starebbe anche qui in uua via di mezzo. Intanto faremo rilevare che la trasmissione dello stimolo in molte Leguminose si collega een una disposizione anatomica che, se non è esclusiva di queste piante, è però molto rara a ritrovarsi nel regno vegetale, come lo proveranno fra poco le ricerche nostre sull’anatomia della foglia. In corrispondenza del punto di attacco delle foglioline alle rachidi, quando quelle sono opposte si osservano (in parecchie Leguminose ed altri tipi) speciali fasci vascolari i quali, attraversan- do la rachide trasversalmente da destra a sinistra, stabiliscono il rac- cordo tra i cordoni innervanti le foglioline di un lato con quelli che vanno alle foglioline del lato opposto. Nella Mimosa Spegazzini siffatto cordone anastomotico a decorso trasversale si osserva soltanto nel cuscinetto secondario situato nel punto di biforcazione del picciuolo primario. Esso quindi ha la fun- zione di collegare i fasci vascolari di una delle rachidi secondarie con quelli dell’altra. Il Montemartini nel suo interessante lavoro sulla Mimosa ha fi- 5 gurato e descritto tali cordoni, ma non ha insistito nella disposizione - e tanto meno messo in rilievo che esso è frequente in quei tipi ricchi di specie a foglioline sensibili e quindi soggette a movimenti. Tal re- perto è per noi di una certa importanza, poiché il fascio di raccordo avrebbe evidentemente lo scopo di provocare un rapido scambio di liquido fra le due rachidi.Un simile fascio di raccordo non si osserva più nelle rachidi secondarie lá dove si staccano le foglioline di destra e quelle di sinistra ma quivi esso sarebbe inutile poichè la rachide contiene un unico fascio il quale abbandona a destra e sinistra libro e legno per le foglioline. Queste dunque nella Mimosa Spegazzini ven- gono a trovarsi in mutua comunicazione grazie al legno e al libro comune della rachide. Riesce quindi spiegato come stimolando una fogliolina si muova per lo più contemporaneamente anche quella op- posta. = A conferma del nostro asserto rileveremo che se nella Mimosa | Spegazzini si incide per lungo la base del cuscinetto secondario, o, per 302 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO esser più esatti, l'apice del picciuolo primario, e poi si stimolano le foglioline apicali di una delle rachidi secondarie, lo stimolo provoca il movimento seguendo il seguente ordine: ha luogo innanzi tutto il sollevamento delle foglioline della rachide stimolata, il movimento qui procede in senso basipeto. Poscia si osserva la stimolazione dei cu- scinetti motori secondari che si manifesta coll'avvicinamento delle due rachidi pure secondarie. Di qui lo stimolo si trasmette pel picciuolo principale al cuscinetto motore basale dando luogo all’ abbassamento del picciuolo principale. Infine si ha la stimolazione in senso centri- fugo delle foglioline corrispondenti alla rachide secondaria dal lato opposto a quella che subì lo stimolo primitivo. All’opposto se l apice del picciuolo primario rimane integro lo stimolo applicato all’ estre-. mità di una delle rachidi secondarie provoca l’innalzamento in senso basipeto delle foglioline del lato stimolato, poi l’innalzamento in senso basifugo delle foglioline dell’ altra rachide, e la stimolazione dei cu- scinetti secondari, da ultimo l’abbassamento del picciuolo primario in seguito alla stimolazione del cuscinetto motore principale. Il più pronto sollevamento delle foglioline della rae'ide illesa rispetto all'abbassamento del picciuolo principale nel secondo caso è dovuto evidentemente al fatto che lo stimolo, una volta olt epassato il cuscinetto motore secondario per i fasci vascolari di raccordo presenti alla base di questo penetra subito nella rachide opposta e ne stimola le foglioline. Solo più tardi lo stimolo arriva al cuscinetto motore ba- sale per la lunga via del pieeiuolo principale e in conseguenza an- che solo più tardi ha luogo l’abbassamento di quest’ultimo. Noi insistiamo su quest'esperienza poichè essa dimostra che lo sti- molo non si trasmette attraverso il parenchima, poichè se così fosse malgrado la lesione dei fasci vascolari di raccordo del cuscinetto mo- tore secondario si dovrebbe verificare | innalzamento delle foglioline nella metà non stimolata prima che abbia luogo |’ abbassamento del pieciuolo primario. Le osservazioni anatomiche e fisiologiche eseguite ci autorizzano a dissentire dal Pfeffer il quale, avendo constatato che per la stimolazio - ne di una delle foglioline di una rachide secondaria si muove anche quella opposta ne trae la conclusione che qui lo stimolo passi pel pa- Ee E reen RA LUE ee ET s P (ee, NIRE "TE ini TEEN A "ve EK > Wé Ge AC SE ee EE. SOPRA UN NUOVO PROCESSO DIITNICSCATOLOGICYE 303 renchima non avendo le due foglioline fasci vascolari comuni. Ora, data l’esistenza di un unico fascio nella rachide da cui si dipartono a de- stra e a sinistra i fasci fogliari e data la forte permeabilità del libro, da noi posta in evidenza, appare logico ammettere che lo stimolo appli - cato ad una de'le foglioline si trasmetta all'altra attraverso al libro comune presente nella rachide, provocando la solita reazione. Non altrimenti deve avvenire per la trasmissione dello stimolo da una foglia a quelle sovrastanti o sottostanti sul fusto o ramo, poichè più di un autore ha dimostrato che colla decorticazione e l’asporta- zione del midollo non si ottiene l’arresto dell'onda di stimolazione che deve percorrere perciò nel fusto i fasci vascolari e più specialmente il libro comune a tutte quante le foglie. Se si ineide per lungo, come si è fatto sopra, la base del cusci- netto motore secondario e un breve tratto dell'apiee del picciuolo prin- eipale c si applica di poi nella ferita un conduttore di rame o una goc- cia di acqua salata che unisca le due metà e infine si stimolano le foglioline terminali di una delle rachidi si osserva che lo stimolo si comporta come se non esistesse il conduttore di raccordo. Ciò prova che la corrente di azione, più che la causa, è l’effetto dei fenomeni che hanno luogo nell’interno della foglia e grazie ai quali si esplica il movimento. Ciò è in accordo colle vedute del Fitting, per quanto sia necessario dichiarare che l’esperimento e un po’ grossolano e solo merita di esser ricordato perchè non abbiamo avuto i mezzi di stu- diar il fenomeno con maggior rigore e con apparecchi adatti. Però stabilito che la conduzione dello stimolo e delle masse ac- quee avviene lungo la via dei fasci, non già nei parenchimi (salvo le eccezioni a tutti note pei lavori di Pfeffer ed altri) è d’uopo che ag- giungiamo che in un caso avendo sezionato, nella M. Spegazzini, il cuscinetto motore secondario e l’annesso apice del picciuolo principale un po’ obliquamente siamo r'useiti a ledere, come si è potuto accer- tareene al microscopio, il fascio vascolare destinato ad una delle ra- chidi secondarie. La lesione interessava però soltanto la porzione le- gnosa mentre il libro era rimasto intatto di guisa che lungo questo poteva aver luogo la trasmissione dello stimolo e all’occorrenza lo spo- stamento dei liquidi dal picciuolo primario al secondario. Ebbens pac ells ‘804 “LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO dopo 24 ore dall’avvenuta lesione (quando la foglia cioè era tornata nelle condizioni pressoche normali) avendo causticata la fogliolina terminale della rachide che aveva il fascio vascolare integro, si è potuto rilevare che lo stimolo, dopo esser arrivato al cuscinetto mo- tore basale ed aver provocato l’ abbassamento del picciuolo primario, continuava a determinare l’innalzamento delle foglioline inserite nella rachide stata così gravemente lesa. Non vi ha quindi dubbio che lo stimolo percorre il libro. A complemento di queste ricerche noteremo ancora che la lesione della base del cuscinetto motore secondario e dell’ apice del picciuolo principale effettuata come sopra è stato detto mercè un taglio inter- rachideo e parallelo all'asse del pieciuolo primario, provoea un cam- biamento nella direzione delle rachidi secondarie il che dimostra come allo stato normale esistano ivi delle tenzioni antagoniste. Le nostre ricerche sono ora dirette a studiar l’influenza degli sti- moli applicati direttamente ad una delle metà del picciuolo primario sezionato per lungo sulla linea assile fino al punto di unione al eusei- Letto motore principale. Il metodo di ricerca che noi crediamo sia nuo- vo, torna quanto mai utile poichè permette di stabilire dei confronti rigorosamente .esatti fra le due metà della foglia qualora in una semi rachide principale si applichi un dato reattivo rispettando invece l’altra. E qui giova notare che una tale lesione apparentemente assai grave riesce benissimo tollerata dalle foglie: non si tosto si è cicatrizzata la lesione le due metà delle foglie rese indipendenti, si comportano come le foglie normali, conservando integri i movimenti di variazione stati momentanea- mente soppressi dalla grave ferita. Abbiamo nei laboratori degli esem- plari di Mimosa Spegazzini operati da oltre un mese e le cui foglie dimezzate si comportano in tutto e per tutto come quelle integre; lo stimolo applicato all'estremità di una delle rachidi fa sollevare l'una dopo l’altra tutte le foglioline in senso basipeto appartenenti alla ra- chide stimolata, poi percorso il semi picciuolo principale l’ eccitazione arriva al cuscinetto motore basale c'e sotto lo stimolo fa abbassare i due semi picciuoli: infine lungo l’altro semi pieciuolo raggiunge le foglioline dell’altra rachide che si innalzano in senso centrifugo le une dopo le altre. ae eg Lee e PRO Re TS ee e Dk EE e EE FOO SS Ert ee de ey GE ET SOPRA UN NUOVO PROCESSO DI TECNICA ISTOLOGICA 905 Delle ricerche eseguite non intendiamo qui occuparci, formando esse oggetto di un prossimo lavoro. Non possiamo peró esimerci di ri- portare un esperimento che getta non poca luce sui fenomeni di mo- vimento e conferma le nostre vedute. Ad un esemplare di Mimosa Spegazzini si è sezionato pel lungo il pieciuolo principale di parecchie foglie fino al punto di innesto col cuscinetto motore basale; poscia, non si tosto le foglie tornarono allo stato normale, si causticò col nitrato di argento la porzione mediana del semipicciuolo leso procu- rando di limitare la causticazione ad un tratto non superiore a 2 millimetri circa. Il caustico applicato direttamente alle cellule del parenchima centrale del pieciuolo messe allo scoperto dal taglio lon- gitudinale non produsse per qualche istante reazione di sorta: poco dopo però determinò lo abbassamento del picciuolo primario e l’innal- zamento delle foglioline. Prime a reagire furono le foglioline del semi picciuolo causticato, ma non si tosto lo stimolo arrivò al cuscinetto motore principale la reazione di moto apparve anche nell’ altra meta della foglia. Trascorso un po’ di tempo, dopo che la foglia aveva ripre- so la sua orientazione diurna, si stimolò una delle foglioline terminali col fuoco: lo stimolo si trasmise a tutta quanta la foglia attraversando anche la parte causticata. Si ripetè I’ esperimento per parecchi giorni auc siti dé Re I eee NOT di seguito e si potè così constatare che la reazione si faceva sempre più tarda ed incompleta; oltre a ciò le foglioline, dal lato leso, ten- devano ad assumere normalmente anche alla luce diurna la posizione notturna. Qualche giorno dopo il lato malato non riaprì più le foglio- line durante il giorno; si mantenne per parecchi giorni apparente- mente in buone condizioni, ma al flne le sue foglioline seecarono mentre sulla rachide opposta le foglie non presentarono alterazioni di sorta. Coll'iniziarsi dello stato patologico nella semifoglia causticata‘ l’applicazione dello stimolo (scottatura) alle foglioline terminali di questa parte non provocò più i movimenti nella parte sana. Questi fatti dimostrano che per l’ azione del caustico a poco a poco si venivano alterando le cellule del libro e quindi si rese sempre più difficile la conduzione degli stimoli attraverso la parte malata. Di qui il graduale affievolimento nella reazione per parte delle foglioline e dei picciuoli. Noi non sappiamo di che natura siano le alterazioni prodotte dal a e a RA e a Bet Ebbe RO ST NT AE ER EEN à 4 Dd 306 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO caustico sul libro, ma è probabile che si tratti di processi di coagu- lazione degli albuminoidi, pei quali processi sono andati otturandosi a poco a poco le vie di conduzione, ed infatti l'esame mieroscopieo della parte lesa addimostró la presenza di granuli di eloruro d'argento e di altri sali di questo corpo nel libro e più particolarmente nei tubi eri- biformi dell'Haberlandt. All'inizio della lesione lo stimolo potè percor- rere forse la sua via attraverso strade collaterali (eccezionalmente anche attraverso il legno ?) più tardi non più perchè troppo estesa si era fatta la zona trombizzata. A conferma del nostro asserto rilevia- mo che se la causticazione è un po’ estesa la conduzione riesce su- bito ostacolata e si ha quindi l’immobilità fogliare — a prescindere ben inteso dalla reazione primordiale susseguente alla causticazione. Non crediamo di andar errati affermando che queste esperienze possano portare un po’ di luce e di accordo sui risultati quanto mai contradditori che hanno ottenuto Haberlandt, Fitting e Mac Dougal, necrotizzando una porzione del picciuolo di Mimosa allo scopo di esa- minare se lo stimolo passi attraverso la parte morta. A nostro parere i risultati controversi dipendono dal fatto che gli uni hanno fatto coa- gulare i contenuti del libro, altri hanno prodotto delle lesioni di altra natura, provocando inoltre la morte sopra tratti troppo estesi. Il fred- do (esperimenti di Fitting) non altera infatti la conducibilità che è soppressa invece col calore applicato su esteso tratto del picciuolo di Mimosa. E Dai nostri esperimenti emerge intanto il fatto che la conduzione dello stimolo non può aver luogo (normalmente o in via principale) attraverso i vasi del legno poichè in essi il nitrato di argento non provoca tali alterazioni atte a spiegare l’ arresto dei movimenti e tanto meno poi ne coagula il contenuto. Così pure non può nemmeno | effettuarsi attraverso il parenchima, poichè la causticazione di questo avrebbe immediatamente causato le lesioni e i fenomeni che si sono | manifestati più o meno tardivamente nei nostri esperimenti. | Fra gli autori che studiarono i movimenti delle piante sensibili, 1 occupandosi anche della struttura istologiea della foglia, va segnalato il Borzi il quale nel suo interessante opuseolo sulla Mimosa osserva che nelle foglioline della M. Spegazzini vi ha, al di sotto dell' epider- SOPRA UN NUOVO PROCESSO DI TECNICA ISTOLOGICA 307 mide un serbatoio acquifero che si forma a spese degli strati mediani della parete profonda delle cellule epidermiche. Tali strati andrebbero incontro ad un processo di gelificazione, grazie al qual. finirebbero per liquefarsi e disfarsi lasciando così un ampio vuoto che si riempi- rebbe di una linfa chiara, omogenea, indifferente all’azione dei reattivi. L'autore ritiene che si tratti di acqua la quale resta in tal guisa in- corporata, anzi incapsulata nello spessore stesso della parete cellulare, i cui strati interni la separano dal contenuto cellulare della stessa epidermide, i superficiali interni dalle cellule del parenchima verde sottostante. Siffatti diaframmi, afferma il Borzì sono dotati di eccel- lenti proprietà osmotithe, per cui attraverso ad essi rapidamente com- piesi la diffusione delle sostanze liquide. Colla plasmolisi effettuata mercè soluzioni saline colorate si ottiene infatti lo spostamento del dia- framma in armonia colle variazioni di turgore e di volume del corpo protoplasmatico. Il volume del serbatojo acquifero varierebbe secondo lo stato di tensione del protoplasma, riducendosi talora la cavità a 113 o 1j2 del volume del corpo protoplasmico. Nel genere Aeschynomene e nella Neptunia oleracea il serbatojo raggiunge notevoli dimensioni insinuandosi fra il mesofillo ed osta- colando quà e colà l’ accrescimento delle cellule di questo. La cavità appare quì occupata da una sostanza di apparenza gelatinosa traspa- rente, omogenea, indifferente ai reattivi jodiei, colorabile col verde di metile acetico e colla erisoidina, in soluzione acquosa, in specie pre- vio trattamento del tessuto con allume di cromo all’ 1 °/,. Nell'aequa la sostanza si gonfia lentamente e diventa più trasparente. Il Borzì ritiene che la rapidità e la prontezza colla quale unor- gano muta di posizione per tornare alla posizione primitiva dipende dalla densità del liquido contenuto nel serbatojo. Le conclusioni a cui giunge l’autore, il quale stabilisce un diretto rapporto tra la presenza del serbatojo acquifero e i movimenti della Mimosa, ci paiono tutt'altro che sicure. Innanzi tutto grazie alle osser- vazioni istituite nella Mimosa Spegazzini, come del resto sulle altre specie sensibilissime, si è potuto constatare che non si tratta di un serbatojo acquifero ma bensì di una particolare struttura della parete . cellulare epidermica che dal lato interno è mucilagginosa. Il Borzi ha . 808 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO quindi abbastanza bene descritto la struttura in questioue nell’ Aeschy- nomene e nella Neptunia, erroneamente nella Mimosa Spegazzini. Lo errore è però perdonabile pel fatto che in questa le masse mucilaggi- nose sono oltremodo esigue, diremo quasi rudimentali. Se però egli avesse fatto uso del Rosso di Rutenio da noi impiegato per colorare, in base alle indicazioni del Mangin, le mucilaggini pectiche, avrebbe po- tuto constatare che il preteso sacco acquifero assume una bellissima :inta rossa e si mostra costituito da una massa abbastanza compatta. La dimostrazione di tale struttura riesce evidente a condizione, ben inteso, che il reattivo venga usato in soluzione aleooliea, che le sezioni di Mimosa siano mantenute in questo reattivo anziche nell’ acqua, e infine che il preparato venga montato in balsamo. La mucillaggine in questione è oltremodo rigonfiabile nell’ acqua, di guisa che alcune delle osservazioni sull'osmosi fatte dal Borzi hanno un valore un po’ dubbio. La struttura segnalata da questo Autore nelle piante in questione non è propria soltanto delle specie a foglie dotate di movimenti; ba- sterà ricordare che noi l'abbiamo trovato anche nel Rhaphiolepis ru- bra. Qui la massa mucillagginosa che si forma, come nella Mimo- sa, a spese della membrana profonda dell’epidermide superiore, è ad- dirittura colossale, tanto che essa s'insinua profondamente fra il pa- lizzata i cui elementi perciò restano brevi, quasi schiacciati. Solo ne- gli interstizî fra una cellula epidermica e l’altra, mancando la muci- laggine, essi acquistano lunghezza maggiore. Analoghe masse sono anche presenti nell’epidermide della faccia inferiore della foglia, ma sono meno sviluppate. Siffatte masse, al pari di quelle della Mimosa, sono oltremodo rigonfiabili nell'aequa, per eui le sezioni di foglie esaminate in questo liquido mostransi eireondate da un grosso strato jalino Iramezzato da setti perpendieolari all'epidermide i quali non sono altro che gli strati più esterni delle masse, più resistenti al rigonfiamento. Col rosso di Rutenio questi setti sono le sole parti delle masse fluidificate che si eolorino leggermente in rosso. Se però si applica il reattivo sciolto in aleool su preparati pure tenuti nello stesso liquido allora si ha una intensa colorazione delle masse che rimangono poi in sito, senza ri- ES STEE SOPRA UN NUOVO PROCESSO DI TECNICA ISTOLOGICA 309 gonfiarsi. Adoperando solo |’ alcool le mucilaggini in questione appa- iono piene di granuli. Si tratta però in realtà, di una struttura spu- gnosa, che fu messa in evidenza dal Longo nelle mucillaggini delle Opunzie. Tutte queste reazioni noi le abbiamo ottenute anche colia Mimosa studiata per confronto. Come pure si ottenne la contrazione delle masse sotto l’azione di soluzioni concentrate (saline e aleooliche) con il relativo spostamento della porzione di membrana che li sepa- rano dal contenuto delle cellule epidermiche. Se si considera pertanto che la struttura delle Mimose è reperi- bile, in quanto riguarda la mucillaggine, in piante le cui foglie sono incapaci di movimenti o tutt’al più si accartocciano leggermente nelle ore più calde dei mesi estivi; se si considera che l'espulsione dell’ac- qua da masse mucillagginose può esser soltanto l'effetto, anziché la causa, di variazioni osmotiche nelle cellule circostanti le quali deb- bono di già essersi impoverite d’acqua prima di richiamarla da dette masse; se si considera infine che i movimenti delle Mimose avven gono anche quando si stimo!a il pieciuolo (lo stimolo in questo caso va dal picciuolo alla foglia, anziebé da questa a quello): dobbiamo dedurne che le strutture riscontrate dal Borzì hanno piuttosto atti- nenza colle condizioni biologiehe sotto il cui impero vivono le Mimose le Neptunie, gli Aschinomeni, anzichè col fenomeno del movimento fo- gliare. Per lo meno si tratta di disposizioni collegate solo indirettamen- te con questo fenomeno. Depone a favore delle nostre vedute il fatto che le mucillaggini sono sviluppate nella Neptunia e nell'Aschinomene anzieLé nelle Mimose, dove per converso, data la squisita sensibiltà di questa pianta dovrebbero esser oltremodo abbondanti qualora fos- sero in intimo rapporto col movimento. Ma vi è di più: se si aspor- tano le foglioline di una rachide, ad eccezione di due o tre, e poscia quando cioè la parte lesa si è riavuta dalla grave ferita, si stimola la porzione terminale della rachide i movimenti si effettuano, come nel- le foglie normali per cui le poche foglioline rimaste in sito si innal- zano e i picciuoli si abbassano. I movimenti sono è vero un po’ più pigri ma il rallentamento é giustificato dallo stato in cui viene a tro- varsi la rachide lesa. Tutto quindi parla e favore di un movimento di organi sensibili prodotto da dislocazione di masse liquide entro al è pu TCS wo . * d A SCH 810 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO sistema liberiano e con fuoriuscita delle stesse negli spazi intercellu- | ‘lari dei cuscinetti motori. Anche un esperimento da noi fatto con al- | tri intenti, depone nel senso testè accennato. Se nella Mimosa Spe- , gazzini si scalfisce uno dei cuscinetti motori secondari parallelamente all’asse dello stesso, lungo la faccia esterna, le foglioline si chiudono sotto l’azione traumatica e poi si riaprono, ma, la posizione diurna mol- te volte ncn viene raggiunta dalle foglioline situate sulla rachide che si attacca al cuscinetto leso, oppure le stesse si chiudono intempesti- vamente dimostrando così che per causa della lesione si sono verifica- ti dei disturbi nel meccanismo idrostatico. Abbiamo creduto opportuno di riportare alcune delle osservazioni che si sono fatte sulle Mimose per quanto i fenomeni messi in evi- denza non siano strettamente attinenti all'argomento del presente la- i voro. Il lettvre ce ne concederà venia considerando che i fatti esposti i sono fra loro intimamente collegati integrandosi a vicenda. LETTERATURA DELL'ARGOMENTO - Baccarini P., Sul sistema secretore della Papilionacee. Malpighia 1890. - Bert P., Recherches sur les mouvements de la Sensitiva, Mem. de la Soe. de Sc. Phys. et Mat. Bordeaux 1870. Biederman W., Elektrophysiol., 1902. 3 Bonnier G., Recherches experimentelles sur les variations de pression i dans la Sensitive. Rev. Gen. Bot 1892. Id. Sur les variations de pression du renflement moteur des : Sensitives a l’etat normal et sous l'influence du cloroforme. Bull. Soc. Bot., France 1892, Bora A., Contrib. alla conoscenza dei fenom. di sensibilità n. piante. Natur. Siciliano 1896. Id. L’apparato motore della Sensitiva, Riv. di Se. 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Gaz. 1896, Montemartini L., Sulla trasmissione degli stimoli nelle foglie e in mo- do particolare nelle foglie delle Leguminose. Atti d. Ist. Bot., Pavia 1907, XIII. Id. Ancora sulla trasmissione d. stimoli nelle foglie delle Leguminose. Atti d. Ist. Bot., Pavia 1910. Munk H., Die Elektrischen u. Bewegungserschinungen a. Blatt d. Dionaea muscipula. Leipzig, 1876. Pantanelli E., Studi di anat. e di fisiol. sui pulvini motori di Robinia pseudacacia. Ffeffer W., Ueb. d. Fortpflanzung d. Reizes b. Mimosa pudica. Jahrb. f. wissensch. Bot. 1871, IX. Id. Physiol. Untersueh. Leipzig, 1873. Id. Z. Kenntnis d. Kontaktreize. Unters. a d. Bot. Institut. Tübingen, I, 1885. Id. Pflanzenphysiol. | Preuss. Die Beziehung. Zwisch. d. Anat. Bau. u. d. physiol. Function d. Blattstiele u. Gelenkpolster. Berlin. Inaugural dissert. 1885. Ricca U., Movimenti d’irritazione nelle Piante, Milano 1900. Schwendener S., Die Gelenkp. v. Mimosa pudica. Sikungsb. d. K. Akad. Wissensch, Berlin 1897. Sperlich A. 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Partendo dalla considerazione che, nelle condizioni normali, l'am- biente in cui si trovano i semi delle piante spontanee, va soggetto a costante mutabilità, non solo in linea di temperatura, ma ancora in linea di umidità, fummo indotti ad iniziare, nell’estate del 1909, una serie di indagini per determinare l'infuenza sulla facoltà germinativa delle sementi di una medesima specie mantenute: a) in sabbia costantemente umida; b) in sabbia alternativamente ora umida, ora secca per breve pe- riodo (15 giorni circa); c) in sabbia umida per breve periodo (15 giorni circa) e secca per lungo periodo (3 mesi circa). Le cifre, che sinteticamente riportiamo, riferentisi ai semi di otto specie—di cui una (Arena fatua) con tre prospetti diversi—tutti del- l’anno 1909, sono di un certo interesse dal punto di vista biologico. Per le sementi che più palesano spiccato il diverso comportamento di fronte al variare dell’umidità dell'ambiente, presentiamo insieme alcuni diagrammi. 314 O. MUNERATI E T. V. ZAPPAROLI Avena fatua L.—Semi grossi del 1909 collocati in germinatoio il. 14 agosto 1909 (V. diagramma I). Nascite successive per cento 5 Umidità alterna i SE a breveja lungo 5 periodo | periodo 1909 — Agosto 28 2 4 settembre 10 24 12 ottobre —- 9 — novembre 1 31 T dicembre — 3 69 1910 — gennaio 1 — — febbraio — _ -- marzo _ -— — aprile = — Gen maggio, eeng — ri giugno — — — luglio - os — | — agosto “A SCH cum settembre seg — — ottobre — — — novembre — — — dicembre — — — Totale 40 69 85 Rimasti apparentemente vi- tali 4 Tun aed; DEG pr ge KAN a x E x | L'INFLUENZA DELL’ALTERNANZA. DELL'UMIDITÀ ECC. Avena fatua L.—Semi p ccoli dell'anno 1909 collocati in germinatoio il 14 agosto 1909 Nascite successive per cento Umidità alterna a breve a lungo periodo | periodo Umidità con 1909 — Agosto settembre ottobre novembre i dicembre .1910 - gennaio febbraio marzo. aprile maggio | giugno luglio agosto | settembre ottobre novembre dicembre ` Totale |Rimasti apparentemente vi-| Leko oo (TSE do PE Di DS VR Y Nor Wiking Kë 316 O. MUNERATI E T. V. ZAPPAROLI Avera fatua L.—Semi piccolissimi del 1909, collocati in germinatoio il 14 agosto 1909 (V. diagramma II). Nascite successive per cento E Umidità alterna 32 a breve|a lungo 5 = |periodo | periodo 1909 — Agosto eer SC CS settembre — — — ottobre — 1 — novembre — 6 — dicembre — — 4 1910 — gennaio — 19 — febbraio — 1 _ marzo -— 2 11 aprile TENE 1 2 maggio — Es sia giugno — -— ul luglio cus pes do agosto — case MESE settembre — | — ER ottobre ee ENS 1 novembre weg iù Ze dicembre adis i va Totale | — 30 18 Rimasti apparentemente vi- tl - L'INFLUENZA DELL'ALTERNANZA DELL'UMIDITÀ ECC. 90. . germinati 85% 80 M 70. jo germinati 69% em 68. x M nt 40. A germinah 40% e 30... e >: N 9 eo.|z] dis S UR ©» 3: » 0 10.. BP AE o zT et 2 ai BS d IUgno agasto dicemb.. febbraio.. aprile 1909 1910 I — Avena fatua L. — Semi grossi 35, 30. eie CN aa ca, È vl vo 9 wéi Is — gem t a of period 12... £e SÉ B > 10. be F Ch Ce e. 3. 4 m - A o h Lowe umidila continua ; nessuno — : i 5 o i H i : ` j E: x | g a 5 HP Wee. B8 d 5 5 Z2 à u Ee 9 9 (IE: $3 i | Boi 5 e 5 €" C € a 9 e 5 1910 | 1909 II — Avena fatua L. — Semi piccolissimi 318 O. MUNERATI-E T. V. ZAPPAROLI Vicia segetalis Z'Auill.—Semi dell'anno 1909, collocati in germinatoio il 14 agosto 1909 (V. diagramma III). è Nascite successive per cento 5 Umidità alterna dae SE a breve|a lungo 5 = |periodo | periodo 1909 — Agosto 10 11 11 settembre 2 nt ne ottobre vr du La novembre 25 1 SC dicembre 9 1 9 1910. — gennaio E 151 febbraio 2 — — marzo —- 2 4 K aprile 4 e cR | up 5 maggio ates row Sieg ^ giugno -— Se Get luglio 1 E ac agosto — — La settembre — NM SE ottobre 2 Sc dien novembre — 1 — dicembre _ Se SCH Totale 34 29 31 Rimasti duri e vitali 21 50 55 rese "e la, ér5àá- a dp «aleroa a . "ar „ottobre “#820 O. MUNERATI B T. V. ZAPPAROLI Vicia hirta Balb.— Semi del 1909 collocati in germinatoio sto 1909 (V. diagramma IV). Nascite successive per cento 5 Umidità alterna $3 a brevela lungo = ^ |periodo| periodo 1909 — Agosto — na utes settembre 4 — — ottobre 6 2 — novembre 6 1 — dicembre 10 — 2 1910 — gennaio 8 — febbraio 2 — pa marzo 1 4 15 aprile 1 2 9 maggio 1 -— _ giugno is mun zu luglio 3| — SES agosto — _ — settembre = e, — ottobre 2 9 5 novembre 2 6 5 dicembre — — = Totale 46 24 36 Rimasti duri e vitali 26 31 39 il 14 agc mie ee Ek Loi Ss Ee SCH EE TE e tt L'INFLUENZA DELL'ALTERNANZA DELL'UMIDITÀ ECC. Cepsella Bursa pastoris Moench. Semi del 1909 collocati in toio il 28 agosto 1909 (V. diagramma V). Nascite successive per cento Rimasti apparentemente vi tali 5 Umiditä alterna Sa SE a brevela lungo 5° | periodo) periodo 1909 — Agosto geg e settembre 3 13 14 ottobre — 4 -— novembre — 30 dicembre -— — 55 1910 — gennaio uk 91 2 febbraio ai ke 2 marzo — 5 8 aprile de Sh 3 maggio — — SC giugno — — adi luglio ex Lee agosto — — ni settembre in — Be ottobre Li s novembre par du aus dicembre — Em de Totale 3 79 Ti ya- 2 > 4 YO V V i SS ERT | WW GH "omsobel © = Q Mm wm Ze que rss = Š cate 3 S t-ore.1338] > "qaesrp | | 2E |sceaqogo | = WIDE | oe per i ES wë e o, x u LA pg OB o: ero diis E i 1 age | + -ojso6e A e ie d ete ve Capsella Bursa-pastoris Moench. E L'INFLUENZA DELL'ALTERNANZA DELL'UMIDITÀ ECC. 933 Convolvulus sepium Z.—Semi del 1909 collocati in BECHER, il 14 ; agosto 1909. Nascite successive per cento £ Umidità alterna Se e Ze a breveja lungo a S > SE periodo ES 1909 — Agosto 3 11 1 | settembre 1 3 A ottobre — — — S novembre — — — dicembre — — _ a 1910 — gennaio ne s — a febbraio — — — 2 marzo — = — E | aprile — — — ; maggio — — siio giugno — — — A luglio — — — i agosto — — — S settembre — — ai | i ottobre EN E eun | a novembre 1 — — dieembre — — — Totale 5 12 10 Rimasti apparentemente vi- e EER tali 45 45 48 924 O. MUNERATI E T. V. ZAPPAROLI Galium Aparine L.—Semi del 1909 collocati in germinatoio il 28 a- gosto 1909 Nascite successive per cento 5 Umidità alterna 23 a breveja lungo d = | periodo] periodo 1909 — Agosto ERRE SE settembre — — See ottobre | — — — novembre _ a — dicembre — -— — 1910 — gennaio — 1 — febbraio -- — —- marzo — — — aprile _ — 1 E maggio — — — giugno — — — luglio c = — agosto Se == Mee settembre — — — ottobre _ — — novembre — B 1 dicembre — — — » Totale — 6 5 Rimasti apparentemente vi- tali 14 | 74 47 L'INFLUENZA DELL'ALTERNANZA DELL'UMIDITÀ 325 Daucus Carota L.—Semi del 1909 collocati in germinatoio il 28 ago- sto 1909 Nascite successive per cento 5 Umidità alterna 3 2 a breve|a lungo 5 ©. |periodo| periodo 1900; — Agosto | it settembre 9 12 4 ottobre 3 13 — | novembre — 6 — dicembre -- — — 1910 — gennaio — 4 — febbraio — — — marzo 1 29 58 aprile — — € maggio — — un giugno — — — luglio — — — agosto — = — settembre E -- — ottobre — — — novembre — — — dicembre — — — : Totale 13 64 62 Rimasti apparentemente vi- COSE tali O. MUNERATI E T. V. ZAPPAROLI Myagrum perfoliatum L.—Semi del 1909 collocati in germinatoio il 28 agosto 1909 Nascite successive per cento Umidità con- tinua Umidità alterna a breve periodo a lungo periodo 1909 — Agosto settembre ottobre novembre dicembre 1910 — gennaio febbraio marzo aprile maggio giugno luglio agosto settembre ottobre novembre dicembre Totale enn apparentemente vi- tali 74 > Q6 Qt 22 74 L'INFLUENZA DELL'ALTERNANZA DELL'UMIDITÀ ECC. 821 CONCLUSIONI Uno sguardo alle cifre dei prospetti, e, più ancora, ai diagrammi delle specie più tipiche, dimostra come i semi delle piante spontanee, di fronte alla alternanza di umidità e siccità dell'ambiente, si com- portino in modo molto diverso. I. Per alcune specie, la percentuale di semi germinati in un de- terminato periodo di tempo è pressappoco la medesima qualunque sia la variazione dell'umidità (Vicia segetalis, Vicia hirta, Convolvulus sepium, Galium Aparine, ecc.) i semi di questa categoria o germinano sollecitamente, o germinano con notevole lentezza, ma sempre con me- tro uniforme. II. Per altre specie (Avena fatua, Daucus carota, Myagrum per- foliatum, Capsella bursapastoris, ecc.), con l'alternanza della siccità e della umidità, le sementi acquistano una prontezza germinativa che non si palesa se le sementi del medesimo lotto si mantengono in am- biente costantemente umido. III. Alcuni semi hanno così spinto l’attributo della sensibilità alle va- riazioni del grado di umidità dell'ambiente, da non germinare che in percentuale bassissima in ambiente ad umidità permanente, (1) e in percentuale elevatissima in ambiente alternativamente umido e secco: così i semi piccoli dell’Avena fatua germinano nel periodo di un anno in proporzione dell’otto-dieci per cento in sabbia umida, in proporzione del 75-80 per cento in sabbia or umida or secca; i semi di Capsella bursapastoris, di Rumex crispus (e di qualche altra specie che non figura nell’attuale memoria) non germinano affatto, pur man- tenendosi generalmente a lungo vitali, in ambiente umido, mentre ger- minano rapidissimamente non appena il grado di umidità vada a ri- dursi o l’umidità si alterni col secco. Le condizioni normalmente più favorevoli ad una pronta germinazione ostacolano dunque talvolta l’e- voluzione dell’embrione. (1) Tale comportamento è particolarmente proprio delle semen“ poste a ger- minare non appena maturatesi sulla pianta. 328 O. MUNERATI E T. V. ZAPPAROLI Servendosi pertanto dei comuni mezzi di laboratorio si possono trarre qualche volta illazioni tutt’affatto falsanti i rapporti tra orga- nismi e ambiente nelle condizioni normali. Codeste osservazioni offrono lume per orientare verso uno studio del comportamento, scostantesi sino al paradosso dalle condizioni nor- mali, di aleune specie infeste. Più volte accade di osservare una re- pentina e diffusa invasione di una determinata specie da lunghissimo tempo non apparsa, o perpetuantesi con un numero di individui pra- ticamente trascurabile. « Le condizioni dell'ambiente hanno favorito il suo improvviso sviluppo > ci si accontenta comunemente di dire. Ma qual genere di condizioni? Quante volte, prima d'allora, gli stessi se- mi non saranno stati dall’aratro cacciati in profondo e quante volte riportati in superficie senza germinare ? (1) Il problema è troppo interessante perchè non si debba tentare di impostarlo e, possibilmente, di affrontarlo. Dal luglio del 1910 abbiamo in corso una nuova serie di indagini su 84 spe- cie spontanee più o meno infeste, su cui potemmo già raggruppare osservazioni delle quali ci occuperemo in una prossima nota. (1) Talvolta vedemmo che basta un capovolgimento o un semplice sposta- mento di un seme, trovantesi inerte da lungo tempo in germinatoio, per scuo- terlo e provocarne la nascita. \ GUIDO PAOLI NUOVI LABOULBENIOMICETI PARASSITI DI ACARI © Fra le diverse centinaia di funghi dell'ordine delle Laboulbeniales elencate, descritte e figurate dal Thaxter nei due classici volumi (2) e altrove da altri autori, figurano solo tre specie che siano parassite di Acri ed esse sono state trovate dal chiarissimo Prof. Antonio Ber- lese nei suoi continui studi su questi piccoli Artropodi La prima fu descritta dal fratello di lui Augusto Napoleone nel 1889 e chiamata Laboulbenia armillaris Berl (3); le altre due, eoi nomi Rhacomyces berlesiana e Laboulbenia napoleonis, furon descritte dal Baccarini nel 1904 (4). Ora io ho la fortuna di far conoscere altre nuove forme, anch'esse ritrovate da Antonio Berlese e da questo benevolmente affidatemi per lo studio. à Le tre specie già descritte e le sei di cui fra breve parlerò, sono tutte parassite di Acari della famiglia dei Gamasidi; in quanto alla distribuzione geografica, se si eccettua la Laboulbenia napoleonis Bace. di Luxemburg e il mio Dimeromyces falcatus della Toscana, si nota (1) Questa nota à stata già pubblicata nel « Redia » periodico di Entomo- logia, Vol. VII, fasc. 2, Firenze 1911. | (2) THAxrER RoLAND,Contribution toward a Monograph of the Labou'beniaceae « Memoirs of the American Acad. of Arts and Sciences ». Vol. XII, n. III, Cam., brige (Mass.) 1896 — Id. id. — Contribution etc. Part II, Ibidem, Vol. XIII, nu- mero III, 1908. (8) BERLESE A. N., Rivista delle Laboulbeniaceae e descrizione di una nuova specie di questa famiglia, « Malpighia », Anno III, Genova 1889. (4) Baccarını P., Noferelle micologiche. Appendice al «Nuovo Giornale bota nico italiano », n. s. Vol. XI, Firenze, 1904. 880 GUIDO PAOLI che sono tutte forme delle regioni tropicali o subtropicali, come del resto la maggior parte dei funghi appartenenti a questa singolare fa- miglia. Il Berlese mi ha fatto rilevare il caso oecorsogli di frequente di insetti affini viventi in svariate regioni della Terra e che ospitano A- cari altrettanto affini tra loro, cosicchè mentre si corrispondono le forme ospiti, si corrispondono anche i parassiti; nella serie di Dimeromyces, che illustro. tale osservazione può estendersi anche al fungo parassita degli Acari, come si vede dal presente specchietto. Fungo parassita Regione Insetto Acaro parassita dell’Acaro iava Dorcus bucephalus Canestrinia spectanda Dimeromyces mucro- natus Giava. Dorcus saiga Canestrinia microdisca Dimeromyces muero- natus Africa Scarabaeus centaurus Canestrinia neglecta Dimeromyces muticus Italia Pentodon punctatus Canestrinia dorcicola Dimeromyces falcatus var. pentodontis Anche per la serie delle Rickia si verifica che gli acari ospiti sono tutti tra loro molto affini, ma questi non sono veri parassiti di insetti come le Canestrinia. Gen. Rickia Cav. Questo genere fondato dal Cavara (1) per una specie trovata dal Wasmann sulla Myrmica laevinodis a Linz sul Reno, comprendeva fino ad ora solo la specie tipica; i caratteri generici dati dall’ Autore sono : Gen. Rickia. Receptaculum stipitatum, clavatum, asimetricum, pa- renchymatico-contextum, duobus appendicum lateralium seriebus consti- tutum; antheridia simplicia, monocellularia, supra appendices inserta, ab hisque annulo scleroso discreta; antherozoidia endogena; perithecia singula vel raro bina lateraliter inserta, sessilia, trichogyno simplici (1) Cavara F., Di una nuova Laboulbeniacea, Rirkia Wasmanni nov. gen. è nov. spec., « Malpighia », Anno XIII, Vol. XIII, Genova, 1899. Da ata NUOVI LABOULBENIOMICETI PARASSITI DI ACARI 331 praedita; cellulae ascogenae tres vel plures? asci maturi non visi; spo- rae septatae. i A questo genere sono riferibili tre delle specie che illustro, ed an- che quella già descritta dal Baccarini come Rhacomyces berlesiana, per quanto questa per alcuni caratteri si differenzi un poco dalle altre specie di questo genere, come si noterà a suo luogo. Rickia javanica n. sp. (Tav. V Fig. 1, 2) Receptaculum fere aeque longuin ac latum, stipite paullo longius; series media ex 7 circiter cellulis constituta, totidemque laterales; harum quaeque cellula duas vel plerumque tres per septa obliqua gignit cel- lulas quae ad cellulae matris latus permanent, nec in seriem disponun- tur; e cellulis filiis quaeque antheridium unum gerit anulo scleroso di- scretum vel rarius sterilem appendicem antheridii abortivi instar; an- theridia plura (ad 15), venticosa, collo ac ventre aeque longo, peri- thecium quam dimidiata receptaculi longitudo vix brevius trichogyno sat longo aucto, ad basim anulo scleroso discreto. Receptaculi longitudo sine stipite . . . . . H 65 latitudo sine antheridiis . . . . . . . » 47 Antheridii longitudo . . wav aud ga 1018 Perithecii longitudo sine E Co suscite E | Hab. super Acarum Gamasidem Pachylaelaps (Onchodellus) spe- etabilis in insula Java. * Il corpo fruttifero è sostenuto da un peduncolo formato di una sola cellula stipitale assai allungata; esso è di forma ellittica, quasi circolare, poco più lungo che largo; la fila mediana è di sette o otto - cellule e così quelle dei lati; ognuna delle cellule delle file laterali dà origine a due o tre cellule madri degli anteridi; queste cellule sono molto più piccole delle altre e restano di fianco alle cellule che le hanno generate, facendo apparire il ricettacolo quasi formato di cin- que file di cellule. In corrispondenza di ognuna di queste piccole cel- lule si trova un disco o anello bruno su cui si impiantano gli anteridi; questi però non sono tutti sviluppati, ma alcuni qua e là restano a- bortivi e costituiscono delle appendici sterili sottil, allungate, unicel- d B82 GUIDO PAOLI lulari. Gli anteridi sono assai numerosi (14 o 15) e fatti a forma di bottiglia; l'ingrossamerto ventrale è più largo in alto che alla base e il collo allungato e sottile è lungo circa quanto il ventre medesimo. ll peritecio è tutt) compreso nel ricettacolo; la sua lunghezza è di poco minore della metà di questo. Il tricogino è motto sviluppato; nell'esemplare disegnato era lungo cirea la metà del peritecio per quanto non sembrasse intiero; all’apice si mostrava sormontato da una massa irregolare di asp tto gelatinoso dovuta forse alla gelilicazione del tricogino stesso. Alla base il trico- gino è leggermente ristretto e congiunto col peritecio per mezzo di un anello nero, indurito, simile a quello che sta sotto ogni anteridio. Ho veduto alcuni esemplari di questa Rick/a su Pachylaelaps spe- ctabilis Berl. provenie ite da Giava; solo uno ho potuto distaccare dal- l'Aearo ed esaminare accuratamente : l'Acaro stesso poi ne aveva al- euni altri che non ho potuto vedere a forte ingrandimento senza dan- neggiare l'ospite, il quale presentava in varie parti del corpo dei punti neri, residuo della porzione basale dello stipite di altri esemplari del fungo. Rickia coleopterophagi n. sp. (Tav. V Fig. 8 Receptaculum bent asymmetricum, longius quam latius, stipite brevi; series media ex 10 vel pluribus cellulis constitu*u; ordinum lateralium quceque cellula altera à gignit, quae ad eius latus permanet et sterilem appendicem aut antheridium gerit, anulo scleroso discreta; appendices steriles plures (ad 20) sphaericae vel ovoideae pallide infuscatae; an- theridium unum ad letus perithecii insitum, solita forma; perithecium receptaculi parti dimidiae subaequale, trichogyno brevi aucto, anulo scleroso destituto. Receptaculi lon; itudo (sine stipite) . . et atus Mes BB » © latitudo (sine appendicibus) - » 58 Stipitis longitudo . . “ih ux. E EE Antheridii longitudo. . . horis 2e o. det Perithecii longitudo (sine ee. es » BI Habitat super Ar wum Gamasidem dii procerus Berl. in India. \ NUOVI LABOULBENIOMICETI PARASSITI DI ACARI 333 Specie più grande della precedente e da questa ben diversa. Il corpo fruttifero è grande, ellittico, sorretto da breve peduncolo. Le cel- lule della fila mediana, sono circa undici; assai più numerose quelle della fila esterna di un lato, molto meno quelli dell'altro. Ognuna di queste cellule dà origine per divisione a una cellula madre di un an- teridio o di un’appendice sterile; tali cellule m dri restano incuneate fra le laterali in maniera del tutto caratteristica. Le appendici sterili, la cui omologia cogli anteridi è evidente, sono molte, di forma sferica o ovoidea, a membrana grossa, leggermente infuscata sostenute da un anello bruno. L’anteridio è uno solo, a forma li bottiglia con collo piuttosto breve, e anello bruno alla base, situa'o . presso al peritecio, inferiormente a questo; il per.tecio è assai grade, e raggiunge in lun- ghezza la metà circa del peritecio; il tricogino è molto breve e ha il solito anello bruno alla base. Gli aseui e le spore non erano ancora bene maturi e non ho potuto chiaramente distinguerli. Un solo esemplare ben conservato potei st: ceare da un individuo di Coleopterophayus procerus Berl. il quale presentava le punte nere, residuo di altri funghi; quest’acaro si trovava su Orycles rhinoceros proveniente dall’India. ? Rickia minuta n. sp. (Tav. V Fig. 4) Receplaculum minus, bene asymmetricum, 'ongius quam latius, sti- pite quam receptaculum breviore; series media «x 6 circiter cellulis con. stituta; ordinum lateralium quoeque cellula alt. ram gignit quae ad eius latus permane! et antheridium vel appendicem erit; antheridium unum prope perithecium insitum; appendices steriles 1 0n multae (10-11) sub- sphaericae vel obovatae, anulo scleroso discretae* perithecium receptaculi dimidiatae parti subaequale. DER aucto, anulo scleroso ad basim ornato. Receptaculi lengitudo (sine stipite) . . N ar MM ^ latitudo (sine eppendicibs) - RE E EEN Stipitis longitudo . . S el. cw Hg Perithecii longitudo Te RER ee ‚Habitat super Acaros Gamasides Holocaeleno rotunda Berl. in Texas 884 GUIDO PAOLI (America Sept.) et Pachilaelaps (Megalaelaps) athletieus Berl. in Ame- rica meridionale; forsan etiam super Megalolaelaps hirtus Berl. in Brazil et Equador (Amer. mer.) Esito a pubblicare questa specie, che ho potuto osservare soltanto in esemplare non ancora bene maturo, e non l'avrei resa nota, se non fosse che l'ho riscontrata su diversi compioni di tre specie di acari di varie provenionze, ma tutti americani; trattandosi di acari nuovi e rari della collezione Berlese, non ho potuto guastarli per ren- dere bene evidente il fungo e per poterlo esaminare con un conve- niente ingrandimento. Questa è la ragione per eui non ho potuto ve- dere e deserivere aleuni particolari. mentre la specie era generalmente identificabile anche a più debole ingrandimento. dunque questa Rickia assai più piccola delle due precedenti; ha ricettacolo ovale e stipite in proporzione lunghetto; la fila mediana è formata di cirea 6 cellule; le laterali producono per divisione le cel- lule madri delle appendici sterili o degli anteridi; l'anteridio è unico e situato presso il peritecio come nella R. coleopterophagi; le appendici sterili sono sei o sette sul lato più lungo, due o tre su quello più breve, tutte con anello bruno alla base; sono tondeggianti o sferiche, ma spesso deformate e colla membrana raggrinzita. Il peritecio è lungo un po’ meno che la metà del ricettacolo ed ha un breve tricogino sorretto da anello bruno. — Per molti caratteri potrebbe ritenersi questa spec:e come uno stadio immaturo della R. coleopterophagi, ma la mole minore dei diversi in- dividui che ho esaminati e la costanza dei caratteri indicati, mi spin- gono a considerla addirittura come specie a parte. Rickia berlesiana (Bacc.) Paoli. (Tav. V Fig. 5) Rhacomyces berlesiana Baccarini 1903. Noterelle micologiche « Nuovo Giornale i botanico italiano ». n. s. Vol. XI, Firenze. Receptaculum longe clavatum, subsymmetricum, stipite brevi (?) series media ex 30 circiter cellulis nigris constituta, ex quibus 3 vel 4 apicales subhyalinae sunt; series tota fusiformis est et saepta inter- cellulas superpositas magis etiam colore obscurata sunt; cellulae ordi- H NUOVI LABOULBENIOMICETI PARASSITI DI ACARI 335 num lateralium praecipue superiores singulas producunt cellulas, quae oppend ces gerunt anulo scleroso longiore quam latiore discretas; appen- dices steriles vio elongatae, unicellulares, membrana flaccida; antheridium unum (in exempl. adhuc immaturum ?); perithecium basi infuscatum, apice pallidius, circiter tertiam partem longitudinis receptaculi aequans; trichogyno nullo (an caduco ?). Receptaculi longitudo . . . . . . . . plus quam Ẹ 170 » latitudo eds > Perithecii longitudo . . . » 62 Habitat super acaros Gamasides Fedrizia grossipes Berl. et Fedrizia gloriosa Berl. in Australia. Questa specie non è nuova; fu descritta nel 1903 dal Baccarini che l’ascrisse al gen. Rhacomyces; si trattava di nuova specie di acaro raro che non , ovè guastare per mettere in evidenza il fungo; così lo sua descrizione non fu completa come era desiderabile. Io ho veduto appunto l'esemplare del Baccarini nella collezione Berlese ad un altro comunicatomi dal Berlese stesso, e che ho pututo preparar convenien- temente, per quanto non completo. Per quel che ho potnto vedere i due esemplari appartengono alla stessa specie, di cui do pertanto la diagnosi e la figura più completa che fosse possibile. Il ricettacolo e lungo, clavato, sorretto da peduncolo brevissimo; è formato da tre file di cellule ben distiute; la mediana è selerificata, e le cellule anno la parete molto bruna, ma ancor più oscuri sono i setti fra le cellule sovrapposte. Le cellule delle file laterali non producono tutte quante delle cellule figl:e, ma quelle della base restano in mag- gioranza indivise, mentre quelle più prossime all’apice si dividono ori- ginando una piccola cellula figlia la quale porta un’appendice sterile; queste appendici hanno membrana flaccida, grinzosa, e son sorrette da un anello indurito di forma obconica, più lungo che largo. L’anteridio non l’ho visto realmente, ma presso al peritecio sì trova un processo che io ritengo sia appunto l'apparato maschile o non ancora bene svi- luppato, ovvero degenerato. Il peritecio è grande, la sua membrana è in gran parte imbrunita specialmente nella porzione basale; il tricogino manca nell’esemplare veduto, ma forse è caduto; le spore sono settate. 836 GUIDO PAOLI Come si rileva, questa specie presenta alcune differenze colle Rickia sopradescritte e con quella del Cavara; non solo per la forma assai al- lungata del ricettacolo, ma sopratutto per le cellule selerificate della fila mediana; qualora si trovassero altre specie con tale carattere, mi sembra che potrebbero riunirsi in un genere a parte che potrebbe chiamarsi Sclerorickia; ma per ora non credo opporturno fare tal separazione. Gen. Dimoromyces Thaxter. Si possono riferire a questo genere tre specie, le quali però per la semplicità loro si differenziano un po’ dalle altre descritte nell’opera citata del Thaxter; infatti in queste gl'individui sono dioici e formati da una serie di cellule sovrapposte che producono lateralmente appen- dici sterili e anteridi o periteci in serie semplice. Nelle varie specie descritte dal citato Autore le appendici e i periteci o gli anteridi so- no parecchi e il ricettacolo é formato di un numero variabile, ma co- spicuo di cellule. Nelle 3 forme che deserivo si ha invece una grande uniformità è semplicità di struttura; l’individuo femminile è formato da uno stipite unicellulare, da una cellule che porta un’appendice sterile (inferiore), e da una che porta il peritecio e un’altra appendice sterile (superiore) ogni appendice è sorretta da una cellula basale propria. Al piede di quasi tutti gli individui femminili si trova un individuo maschile pic- colissimo e semplicissimo, ï cui particolari, di struttura non ho potuto non esattezza vedere. Le specie che descrivo sono del resto ben chiare e precisate da ca- ratteri evidenti. Dimeromyces mucronatus n. sp. (Tav. V Fig. 6, 7) Appendices dimorphae, non erumpentes neque diffluentes; inferior cylindrica, nigerrima apice vix pallidiore, cellula basali elongata; supe- rior super cellulam basalem giganteam tholiformem subclavata, inferne nigra, superne pallidior; perithecium appendicibus brevius, trichogyno ca- duco vel nullo (2) circum trichogyni cicatricem via obscuratum, mucrone apicali nigro, erecto, conico, ornato. NUOVI LABOULBENIOMICETI PARASSITI DI ACARI 831 Receptaculi longitudo usque ad basim perithecii , . 85 Perithecii longitudo sine mucrone . 3 ; i Re. | > latitudo . è : » 35 Appendicis inferioris Tou sine cell. sien : ; » 96-100 » superioris longitudo, »ine cell. basali. : à » 88-96 Habitat super Acarum Gamasidem Canestrinia spectanda Bert. pa- rasitum super Dorcus bucephalus in insula Java. L’apparato vegetativo di questo fungillo consta di una cellula ba- sale allungata, munita all’ estremità inferiore della solita punta nera mediante la quale si attacca al corpo dell’acaro. Sopra tale cellula se ne trovano due sovrapposte più larghe che alte; dalla più bassa si ori- gina l’ appendice sterile inferiore impiantata su una cellula molto al- lungata e a lume assai ristr tto; l'appendiee poi risulta formata di un certo numero di cellule sovrapposte, difficilmente visibili perchè la pa- rete è fortemente colorata in bruno intenso, e solo l’apice è più pallido; è presso a poco cilindrica, un po’ curvata in fuori, lunga circa 100 p. nella. seconda cellula del ricettacolo si impianta lateralmente il peri- tecio, e sopra la medesima l’appendice sterile superiore colla sua gran- de cellula basale, Il peritecio è grande, leggermente infuscato verso lapiee, ma più intorno alla cicatrice del tricogino; all'estremità supe- riore reca di lato un mucrone intensamente colorito in bruno, coll’ a- pice un po’ più pallido; tale muerone è diritto, leggermente conico, lungo 14-15 p. Le spore sono fusiformi settate, incolore, lunghe circa 25 p. L’appendice sterile superiore ha una cellula basale molto grande, più lunga che larga, a forma di cupola; essa poi è clavata formata di una fila di cellule sovrapposte; la parte inferiore è di color bruno mol- to intenso, e va divenendo sempre più pallida verso l’apice, ma è per- corsa da strie longitudinali più scure; le cellule che la costituiscono non sono tutte eguali; quelle inferiori sono assai più lunghe, che lar- ghe, le superiori hanno invece il diametro trasverso maggiore e quella apicale può dirsi addirittura lenticolare. Gli individui maschili sono molto piccoli, sorgenti ognuno sili ba- se di un individuo femminile; hanno una struttura simile a questi, ma io non ne ho potuto vedere alcuno maturo. Quello disegnato nella fig. 338 GUIDO PAOLI 6 c a tav. V per quanto non completamente sviluppato, dà idea della semplicità e piccolezza di questi individui. Dimeromyces falcatus n. sp. (Tav. V, Fig. 8, 9, 9 bis) Appendices similes, clavatae, nigrae, apice pallidiores; inferior cel- lula basali parva, brevissima; superior cellula basali majore, apice mu- crone parvo ornato. Perithecium appendicibus brevius, prope cicatri ulam trichogyni infuscatum, superius mucrone grandi, falcato, nigro, apice pallidiore aucto. Receptaculi longitudo usque ed basim perithecii — . i H 50-51 » longitudo sine mucrone. $ ; ; ` i » 43-46 Perithecii latitudo . i à > 17-19 Appendicis inferioris aa sine sala bria : - » 80-94 » superioris longitudo sine cellula basali . . » 53-60 Habitat super Acarum Gamasidem Canestrinia dorcicola Berl. var., pentodontis Berl. parasitum super Pentodon punctatus ad « Sun Vin- cenzo » prope Pisas in Italia. Questa specie è di mole minore che la precedente e ben catteriz- zata dall’ appendice falcata che si trova all’ estremità del peritecio. Il corpo fruttifero degli individui femminili consta delle solite tre cellule; le basali delle appendici sterili sono molto piccole e brevi; queste sono simili fra loro nella struttura, ma la inferiore è più lun- ga; ognuna consta di una porzione cilindrica formata di cinque-sette cellule a parete di color castagno scuro e di una capitazione, pallida o addirittura incolora composta di due o tre cellule appiattite, a pa- rete molto grossa; all’estremità si trova spesso un breve muero e in- coloro. Il peritecio è piuttosto piccolo in confronto delle altre specie è incoloro nella metà inferiore, infuscato nella superiore e maggior- mente presso l'apiee; è sormontato da un grande mucrone, il quale nasce di fianco all’ estremità superiore, ed è ineurvato e intensamente colorato in bruno ad eccezione dell’apice. Gl’individui maschili sono piccolissimi, lunghi 40-45 u. colle ap- pendiei, e stanno ognuno al piede di un individuo femmineo; la luro struttura non mi è stato dato di vedere con chiarezza. - NUOVI LABOULBENIOMICETI PARASSITI DI ACARI 389 Il Berlese trovò su Pentodon punctatus a San Vincenzo in Provin- cia di Pisa, diversi esemplari di Canestrina dorvicola var. pentodontis recanti più o meno numerosi di questi fungilli. Dimeromyces muticus n. sp. (Tav. V, F g. 10) Appendices simi’es, clavatae, cellulis inferioribus nigris, elongatis, caeteris fere ısodiametricis, pallidioribus, apice erumpentes (vel dijfluen- tes ?); appendia inferior longior, cellula basali brevi; superior cellula basali parva, Perithecium magnum appendicibus longius vel subaequale parte superiore infuscato, apice cellulis labialibus reflexis, trichogyno nullo vel caduco. Receptaculi longitudo usque ad basim perithecii . . 58-60 Perithecii longitudo . à : i : : È » 80 > latitudo . . n » 28 Appendicis inferioris idagitnda sine Ne basali . 3 » 80 » superioris longi:udo sine eeliula basali . : » 44 Habitat super Acarum Gamasidem Canestrinia neglecta Berl. pa- rasitum super Scarabaens centaurus in Afri a. Caratteri precipui di questa specie sono: il peritecio privo di mu- erone apicale, e la forma e |’ aspetto singolare delle appendici sterili. Del resto i caratteri del corpo fruttifero sono molto simili a quelli descritti per le due specie precedenti; la cellula costituente lo stipite è assai lunga; le altre due sono al contrario assai piccole. Le cellule basali delle appendici sterili sono pure piuttosto piccole; le appendici poi hanno uguale struttura, cioè ognuna è formata di una porzione ba- sale cilindrica, di due cellule allungate a parete intensamente colorita in bruno; e di una porzione più grossa, pure cilindrica di diverse cel- Jule sovrapposte, a parete grossa, ma appena colorata; all’apice le due appendici appaiono erompenti o difluenti. ll peritecio è grande assai, leggermente infuscato nella porzione superiore e colle cellule labiali reflesse; manca di qualsiasi mucrone, e neppure si distingue la cicatrice del tricogino. Gli individui maschili si trovano ognuno al piede degli individui 840 GUIDO PAOLI peritecigeri e sono, come nelle altre due specie, molto piccoli; e nep- | : pure di questi ho potuto vedere con chiarezza la struttura. Alcuni esemplari di questa specie vidi su Canestrinia neglecta acaro parassita di uuo Scarubaeus ce taurus proveniente dell’Africa e con- servato nella collezione Berlese. TABULAE V ESPLICATIO Fig. 1 Rickia javanica » 2 — — antheridia magis amplificata » 3 — coleopterophagi » 4 —- minuta » D — berlesiana » 6 Dimeromyees- mueronatus » 7 — — perithecit pars apicalis È » 8 — faleatus » 9, 9 bis — | perithecii pars apicalis » 10 — mutieus M KE PROF. G: E. MATTEI Osservazioni biologiche sopra alcune Cactacee Il Derrmo, nella sua magistrale opera sui nettarii estranuzia- li (1), segnala appena tre Cactacee provviste di tali nettarii; che ne conoscesse così poche di mirmecofile si comprende bene, considerando che egli fece le sue osservazioni a Bologna, ove scarso è il numero di Cactacee coltivate, ed in esemplari troppo meschini per manifestare una apprezzabile secrezione mellea. Tuttavia egli vide i prineipali tipi di nettarii estranuziali attuati nelle Cact ıcee, cioè in un Cereus squame con pulvini secernenti, in al- tro Cereus fiori con lacinie sepaline secernenti, ed infine in una Rhip- salis spine ascellari metamorfizzate in nettarii estranuziali. Dopo il DELPINO, a quanto mi consta, solo il GANONG (2) ha rilevato l'esistenza di nettarii «stranuziali nelle Cactacee, e precisamente in alcune spe- cie di Ogun ia, presentanti nettarii omologhi a quelli descritti in Rhip- salis. So poi che a Napoli, un laureando, il Signor BARILE, segnalò nella sua tesi di laurea, l’esistenza di nettarii estranuziali in parecchie al- tre specie di Cactacee, ma non mi consta abbia pubblicato alcuna nota in proposito. Qui a Palermo però, ove si coltiyano numerose Cactacee, in esem- plari veramente giganteschi, rilevai che quasi ogni specie presenta nettarii estranuziali più o meno evoluti, più o meno secernenti, ma sempre visitati da formiche: si può dire senza esagerazione, che (1; DeLpino F., Funzione mirmecofila nel Regno Vegetale. In gno della R. Accademia delle scienze di Bologna. Ser. IV. Tom. VIII. 1886. p. (2) GaNoNc W. Fr., Beiträge zur Kenntniss der Morphologie ais Biologic der MM, In Flora oder allg. Bot. Zeitung. 1894. 842 G E MATTEI quasi la metà delle Cactacee qui coltivate ne è provvista. Ciò desta sorpresa, se si considera che le Cactacee sono fornite di valide spine, costituenti una efficacie difesa contro gli animali erbi- vori, contro i quali principalmente è diretta anche l’azione dei net- tarii estranuziali: tuttavia mi pare di aver osservato un certo antago- nismo, anche nelle stesse Cactacee, fra lo sviluppo delle spine e quello dei nettarii estranuziali: le specie meglio provviste di spine, come il genere Mammillaria, mancano di nettarii estranuziali, ed anche nella stessa specie, le parti giovani, come i rami giovani, i bottoni florali, etc., poco difesi dalle spine, presentano néttarii estranuziali, mentre ogni secrezione è cessata nelle parti adulte, già bene difese dalle spi- ne. Si può quindi ritenere che, anche nelle Cactacee, queste due fun- zioni procedano di pari passo, sostituendosi l'una all'altra, contro i me- desimi nemici. Credo inutile dare l'eleneo di tutte le Cactacee in cui ho osservato nettarii estranuziali, trattandosi di un numero abbastanza rilevante di specie, e presentandosi essi con grande uniformità. Faccio però eccezione per tre sole specie, che hanno una certa importanza. La prima è l'Opuntia Ficus-Indica, e la menziono, per il fatto, che mi sorprende come niuno l’abbia segnalata per mirmecofila, men- tre trovasi tanto abbondantemente coltivata ed inselvatichita in tutta la regione mediterranea. Io pure l’aveva molte volte osservata senza mai accorgermi che presentasse alcuna secrezione mellea: quando quest'anno, in un pome- riggio primaverile, alla Villa Favorita presso Palermo, fui sorpreso di vedere numerose piccole formiche salire e scendere per le piante di Opuntia: dapprima eredetti che ciò dipendesse da qualche colonia di afidi, da cui fossero invase le piante stesse, ma bene osservando mi accorsi che si fermavano sulle racchette più giovani, lambendo in pros- simità dei cuscinetti ascellari: allora mi fu facile scorgere, guardando contro luce, in molte di dette regioni, una piccola goccia densa e sferica. Non feci ricerche in proposito, ma, avendo dappoi conosciuto il lavoro del Gaxoxc, ritengo si tratti di nettarii metamorfici, come quelli da tale autore descritti per altre specie di Opuntia. Dopo ciò non resta alcun dubbio che anche l'Opuntia Ficus-Indica sia specie mirmecofila, quantunque in essa la funzione di difesa for- OSSERVAZIONI BIOLOGICHE SOPRA ALCUNE CACTACER 343 micaria sia limitata agli articoli più giovani, e probabilmente sia di brevissima durata. Cito un'altra specie, per la grande esaltazione che in essa ha as- sunto la funzione mirmecofila. È una specie coltivata nell’Orto Bota- nico di Palermo, con il nome di Pilocereus euphorb'oides, RUMPL. (Först. Hand!.II, 658) e come tale citata anche dal RICCOBONO (1), ma mi restano molti dubbi sulla sua precisa identificazione. Nel fusto, presso ogni areola, si trova una abbondante e duratura secrezione mellea, che richiama molte formiche; però la massima pro- duzione di nettarii estranuziali presso tale specie si ha nei bottoni florali, massime poco prima della loro antesi. Alla base del fiore, in corrispondenza della regione ovarica, si hanno piccole squame embri- ciate, ognuna leggermente trilobato-cuspidata, con due lunghe setole terminali: ciascuna di queste squame, nel suo dorso, e verso la cuspide apicale, presenta un solco longitudinale, mellifero. Superiormente a queste, nella regione esterna del tubo florale, si hanno numerose laci- nie, per massima parte coerenti, con il loro apice inspessito e reflesso, in modo da costituire una sorta di cavità semi-circolare, piuttosto pro- fonda : l’interno di questa cavità è rivestito per intero da tessuto mel- lifero, e la quantità di miele che ne secerne è veramente enorme, ca- dendo a densi goccioloni ed imbrattando le parti circostanti della pianta; numerose formiche vi accorrono, ma da noi non sono sufficienti per eonsumar!o tutto, tanta essendo la potenza di secrezione. Figuria- moci quale sarà nella sua patria, che dicesi essere il Messico, e quale concorso enorme di formiche dovrà richiamare nei suoi luoghi naturali. Un'altra Cactacea mellifera e l'Hylocereus triangularis, BRITTON ET Rose (Contr. U. S. Herb. XII, 1909, 413), ma questa presenta, ol- tre ai nettarii estranuziali, altre particolarità che meritano di essere rilevate. Infatti tale specie, precedentemente ascritta al poco naturale ge- (1) Riccosono V., Studii sulle Cactacee del R. Orto Botanico di Palermo. In Bollettino del R. cp Botanico e Giardino Coloniale di Palermo. Vol. VIII, 1909 pag. 254. B44 G. E. MATTRI nere Cereus, fu opportunamente da questi staccato, dapprima dal Ber- GER (Missour. Bot. Gard. XVI, 1905,72) come sottogenere, poi dal BRIT- TON ET Rose come genere proprio. Produce grossi frutti commestibili, e si differenzia nei caratteri vegetativi per i fusti triangolari, larga- mente alati, sinuoso-crenulati, sarmentosi e radicanti: vivendo nel fondo dei boschi, ove si appoggia e si attacca alle corteccie degli al beri fu molto appro riatamente distinto con il nome di Hylocereus. Anche il Rıccosoxo (l. e. 235) ha adottato una tale nomenclatura. Un carattere però che mi pare assai significante e che non trovo citato da alcun autore, è quello dello spiccatissimo dimorfismo dei suoi fusti. Fin che viene coltivato in luoghi seoperti, alla luce, sviluppa fusti tutti di una forma, cioè corti, largamente alati, del diametro in sezione di 6 a 10 e più centimetri (ali comprese), teneramente erbacei. Ma se viene coltivato in luoghi coperti. poco esposti alla luce, come sarebbe il fondo di un bosco, o l’interno di una abitazione, allora subito sviluppa fusti di una seconda forma, cioè lunghissimi, stretta- mente trigoni, ma non alati, del diametro in sezione di appena un centimetro ed anche meno, duramente legnosi da adulti: questi sono sensibilissimi alla luce, dirigendosi verso il punto più illuminato e producono da un sol lato, precisamente quello opposto alla maggiore illuminazione, lunghe radici avventizie, per solito a coppie. Piccole piante di questa specie, coltivate in vaso, e tenute in luogo poco lu- minoso, possono sviluppare fusti di tale forma lunghi fino a due me- tri e più. Questi fusti poi hanno una vitalità straordinaria: avendo a- derito ad un sostegno, da cui non possono prendere nutrimento ma solo appoggio, e recisi alla base, cioè tolta ogni loro comunicazione con la pianta madre, hanno la potenzialità di mantenersi in vita per più di un anno, continuando alquanto il loro incremento apicale. Ben si comprende come questi sieno splendidi espedienti, posti in opera dalla pianta, per sottrarsi a condizioni di vita poco appropriate, e per giungere all’aperto, senza superflua produzione di tessuto assimilatore, mentre va acquistando una durata ed una resistenza maggiore. Alla produzione di tali fusti singolarissimi nell’ Hylocereus trian- gularis sì accoppia quella dei nettarii estranuziali. Mentre nei fusti . . normali, alati, vidi scarsa secrezione mellea, in quelli non alati, almeno OSSERVAZIONI BIOLOGICHE SOPRA ALCUNE CACTACEE 345 durante il loro primo sviluppo, la secrezione mellea è abbondantissima, tanto che in corrispondenza al pulvino di ogni areola trovasi costan- temente una grossa goccia di miele. Negli esemplari da me coltivati in ambiente semi oscuro, non si aveva concorso di formiche, per cui tali goccioline mellee, persistendo a lungo, finivano per disseccarsi, for- mando pallottoline di zucchero, che restavano aderenti alla pianta stessa. Veramente la produzione di rami cilindrici, sotto l’azione dell'o- scurità in Cactacee, a fusti appiattiti, fu posta in evidenza dal Voë- CHTING (1) per quanto concerne i Phylocactus, e dal GOEBEL (2) per quanto riguarda la Opunt/a leucotricha, ma nei casi illustrati da questi autori, si tratta evidentemente di anomalie ataviche, dovute al- lambiente non naturale in cui furono poste per qualche tempo a ve- getare le piante, mentre nel caso del detto Hylocereus ritengo che ciò sia normale, e di valore biologico. Ritengo cioè che nella patria di questa pianta, che dicesi essere il Messico, la produzione di queste due sorta di fusti avvenga normal- mente, presentandosi la prima negli individui cresciuti in luoghi scoperti, e la seconda in quelli cresciuti nei boschi: in questi ultimi altresi pare si et una maggiore protezione, essendo in essi più esaltata la funzione mirmecofila. Questi pochi esempii confermano vieppiü quanti mirabili adatta- menti si sieno incamati nella famiglia delle Cactacee, biologicamente tanto interessante. Pror. G. E. MATTEI 1) VoecatING H., Ueber die Bedeutung des Lichtes fur die Ee blatt. spa Casteen. In Pringshein 's E far Wissensch.Botanik Bi.XXVI- H. 3. p. 438-494. Taf. XXI. XXII. (2) PRA E; EUR, der i I Teil. Jena 1898. p. 213. Comparazione tra la Flora tossile ela Flora vivente della val Vigezzo nell'Ossola in relazione col mutato ambiente. Nota del Dott. MicHELE CRAVERI. Fin dal 1893 il Prof. Ferdinando Sordelli pubblicd uno studio « Sulle filliti quaternarie di Re in Val Vigezzo » (1)e più tardi, cioè nel 1896, nella sua « Flora fossilis insubrica (2) egli ripeté le mede- sime osservazioni confrontando dette filliti quaternarie coi vegetali fossili di altri depositi contemporanei, quali il bacino lignitico di Lef- fe, il deposito di Pianico, del torrente Morla (Bergamo); di Calprino e Cadenabbia. Da questi studi risulta in primo luogo che i depositi fillitiferi quaternari di Lombardia e delle regioni limitrofe (comprendendo anche Re in provincia di Novara) non presentano alcuna specie in comune con quelli terziari della stessa regione, per il fatto che dovette tra- scorrere un tempo lunghissimo tra l'emersione e conseguente vegeta- zione dei terreni terziari più recenti e la formazione dei pit antichi fra i terreni quaternari. Inoltre il giacimento fillitifero di Re che ora ci interessa non sa- rebbe geologicamente dei più antichi, poichè la maggior parte delle specie studiate dal Sordelli allo stato fossile vivono tuttora nella stessa valle, come cercherò di dimostrare, od in regioni poco lontane; doven- dosi ricercare aleune poche specie estinte, secondo il Sordelli, nella penisola balcanica e nell’ Asia Minore, cioè tra gli esemplari viventi della Flora pontica. Ho già discusso a lungo in una precedente memoria (3) l'origine (1) Vedi: Rendic. R. Ist. Lomb. di Sc. e Lett., Milano, II, XVI, 1898, p. 848- 851. | (2) SoRDELLI F., « Flora fossilis insubrica. — Studi sulla vegetazione di Lom- bardia durante i tempi geologici », Milano, tip. edit. L. S. Cogliati, 1896. (3) CRAvERI Dorr. MicHELE « Note preliminari sui fenomeni esodmamici Ossola » Estr. d. Boll. d. Soc. geol. ital, Roma, 1. semestre, 1911. COMPARAZIONE FRA LÀ FLORA TOSSILE, BCC 347 e la formazione del bacino lacustre di Re in valle Vigezzo; basti qui ricordare che questo deve essersi formato in una delle fasi intergla- ciali, se pure non preesisteva nel Preglaciale (come ritengono il Prof. Taramelli e l' Ing. Traverso), e che il lago il quale doveva occupare tutta la val Vigezzo, compresa la conca di S. Maria Maggiore, inco- minciò a proseiuga'si solamente allora che i due torrenti suoi emis- sari, il Melezzo orientale ed il Melezzo occidentale, si furono aperto un largo varco erodendo i cordoni moreniei che sbarravano la valle, mettendo foce, come fanno tutt'ora, l' orientale nel Lago Maggiore presso Locarno e l occidentale nel fiume Toce sotto Masera al Nord- Est di Domodossola. Ma un residuo di lago, secondo me, deve essere esistito ancora per molto tempo dopo il ritiro definitivo dei ghiacciai, quando cioè era subentrato in tutta la regione alpina un clima assai più mite, se il Sordelli crede di poter riferire alla Flora pontica alcune delle spe- cie fossili di Re che oggi più non vivono nella stessa valle. E poichè ho sott'oechio la ricca collezione di filliti Vigezzine do- nata dal compianto e benemerito Comm. Dell'Angelo al Museo di Sto- ria naturale della Fondazione Galletti di Domodossola, con quelle del Museo Rosmini della stessa città, ed ii riechissimo erbario della Flora ossolana pazientemente raccolto ed ordinato dal defunto Prof. Rossi e che si conserva pure nel Museo del Collegio Mellerio-Rosmini, in- tendo stabilire un confronto tra la Flora fossile e la Flora vivente della val Vigezzo. L' erbario del Prof. Rossi è ricco-di cirea 10.000 esemplari rappresentanti non meno di 2000 specie ossolane con nu- merose varietà, e dall’ esame paziente delle due raccolte (la fossile e la vivente) ho potuto dedurre quanto segue (1). Dirò di ciascuna pianta nell’ordine tenuto dal Sordelli nella sua « Flora fossilis insubrica » che per essere un lavoro posteriore e più completo di quello « Sul’e filliti quaternarie di Re in val Vigezzo » è anche più ricco di particolari e di confronti. (1) Vedasi anche: CRAvERI Dorr. MICHELE e Alcune specie vegetali de'l Ossola ritenute rare per la Fiora del Piemonte ». Estr. d. Riv. « Malpighia », Catania 1911. 848 MICHELE CRAVERI BRYOPHYTA-BRYOIDAEA MUSCI PLEUROCARPI 1) Neckera ossulana n. sp. (Nekera sp. Sordelli) associata nel gia- cimento di Re con un ramoscello di abete; non compare nella Flora ossolana del Rossi. PTERIDOPHYTA-FILICACEAE-POLYPODIACEAE 2) Nephrodim filix-mas, (Linn.) Strempelh (Polypodium filix mas, Linn.) sommità di una foglia sterile con una diecina di pinne per parte; dal Rossi è detta volgare nei luoghi selvatici montuosi in tutta D Ossola (Giugno-Agosto). GYMNOSPERMAE-CONIFERAE-ABIETACEAE 3) Pinus silvestris, Linn., rami, cortecce, foglie, strobili, semi; eresce tuttora nel luoghi aridi boschivi da 300 a 2000 m. d’altitudine in tutta l'Ossola (Aprile-Giugno). 4) Abies pectinata, D. C. (Pinus picea, Linn., P. abies, Duroi), foglie attaccate al ramo, squame fertili e semi; sotto il nome di Pi- nus picea è segnata dal Rossi come pianta copiosa in val nc sure Vigezzo e Divedro. 5) Picea excelsa, Lk, (Pinus abies, Linn., P. picea, Duroi, Abies excelsa, D. C. Picea vulgaaris, Link.) foglie, semi e strobili; nella Flora ossolana forma estese e fittissime foreste in val Vigesen fino a 2000 m. eirca. MONOCOTYLEAE-GLUMACEAE-TYPHACEAE 6) Typha latifolia, Linn., porzione di foglia; tuttora vivente nelle paludi del Toce (Primavera). DICOTYLEAE-AMENTACEAE CUPULIFERAE 7) Alnus glutinosa, Gaertn, (Betula alnus, Linn.), frequenti le fo- glie; noll'erbario della Flora ossolana ve ne sono esemplari raccolti lungo i eorsi d'aequa e boschi paludosi ed al M. Calvario (Marzo). 8) Alnus incana, Wild (Be/ula incana, Linn.), frequenti le foglie fossili ben eonservate ceme quelle della specie precedente; frequente anche oggidi lungo i torrenti alpini e subalpini. (Febbraio-Marzo). 9) Betula alba Linn., var. glutinosa (Betula glutinosa, Wall.) poco | frequenti le foglie fossili, anche più rare le squamme degli ament COMPARAZIONE FRA LA FLORA TOSSILE, ECC, 349 fruttiferi. Secondo il Sordelli nel giacimento fillitifero di Re si avrebbe di preferenza il tipo della B alba var. glutinosa, e tra le modifica- zioni di questa la sottovarietà rhombifolia, con qualche forma inter- media fra la glutinosa-verrucosa e la carpaticı. Nell'erbario del Rossi figura la B. alba, Lian. eomune nei boschi di tutta la valle, ma prin- cipalmente presso il Lago Maggiore, (Aprile Maggio); ed inoltre la var. verrucosa Ehrh. raccolta presso il villaggio del Sempione. CORYLEAE 10) Corylus avellana, Lin., nocciuole e foglie; comune oggi nei boschi della regione del castagno, (Gennaio Marzo). QUERCINEAE 11) Quercus pubescens Wild, var. (Quercus robur B sessiliflora, Sordelli), foglie e ghiande trovate a Re ed a Folsogno in val Vigezzo. Nella Flora ossolana figura solo il Q. robur vegetante nei boschi del piano o poco elevati, (Aprile-Maggio), e la var, pedunculata, W. nei boschi del lago Maggiore. CASTANINEAE 12) Castanea latifolia Sdll. (Castanea sp. nov., Sordelli); dai c ratteri delle foglie osservate di Re e di Folsogno il Sordelli deduce che la C. latifolia derivata da qualche forma terziaria (forse dalla C. Kubinyi) siasi sviluppata fra noi e quindi estinta senza dar luogo alla specie coltivata, la C. sativa, che è ora comunissima in tutta l'Ossola fra i 300 ed i 1000 m. di alt. (Giugno). 13) Fagus silvatica, Linn; Sordelli la dice frequente nei terreni quaternari, ed infatti la Flora ossolana conta estese foreste di faggi da 900 a 1500 m. circa, (Maggio). SALICACEAE 14) Salix viminalis, Linn., una foglia fossile; non figura nell’erba- rio ossolano. © 15) Populus tremula, Linn, rara allo stato di fillite; attualmente eresce nei boschi umidi dei colli ed al M. Calvario, (Marzo-Maggio). 16) Populus nigra, Linn., una. sola fillite a Re; comunissimo ora lungo il Toce, (Marzo-Aprile) colla var. pyramidalis coltivata, 350 MICHELE CRAVERI COLUMNIFERAE-TILIACEAE 17) Tilia platyphylla, Scop. (7. grandifolia, Ehrh.), foglie e frutti, non compare nella Flora ossolana. ACERACEAE 18) Acer pseudo platanus, Linn., foglie e samare; frequente tut- tora nei boschi e cespugli, (Maggio-Luglio). 19) Acer platanoides, Linn., frequenti le filliti, ma non figura nel- l'erbario del Rossi. TRICOCCAE-BUXACEAE 20) Buxus sempervirens, Linn., pare che fosse comune nel Quater- nario antico, anche oggidi si trova, benché raramente, spontaneo nei luoghi aridi dell'Ossola e coltivato ovunque, (Marzo-Aprile). SYMPETALAE-BICORNES-ERICACEAE 21) Rododendron ponticum, Linn., var. sebinense, Sdll., (Rododen- dron sebinense Sdll., R. ponticum, Baltzer), molte foglie e qualche frutto o capsula fossili; non esiste nella Flora ossolana. Riassumendo notiamo che delle ventuna specie studiate dal Sor- delli tra le filliti che si rinvengono a Re ed a Folsogno in val Vi- gezzo solamente otto non figurano nell’erbario del Rossi, e ciò non significa che non esistano affatto nella Flora ossolana, ma poichè non ho altri dati possiamo ritenere per ora come estinte le specie sud- dette, La val Vigezzo non é tutta l'Ossola, come Re e Folsogno non sono tutta la valle Vigezzo, ma poichè il Rossi si prefisse lo scopo di raccogliere nel suo erbario tutta la Flora ossolana in genere, spesse volte non si può capire se una pianta da lui o da altri raccolta in una loealità dell'Ossola esista pure nella valle Vigezzo. Tuttavia si puó dire che la Flora sia press'a poco comune in tutte queste valla- te, come moltissime specie sono comuni con altre leealità alpine, ben- chè la valé Vigezzo sia forse la più soleggiata e quindi la più favo- rita di tutte le valli ossolane, essendo diretta da Ovest ad Est. Le specie che abbiamo detto essere estinte sono la Neckera ossu- lana, Sdil. che non figura nell’ erbario del Collegio Rosmini di Do- modossola per il motivo semplicissimo che il Rossi non ha raccolto COMPARAZIONE FRA LA FLORA TOSSILE, ECC. 951 nella sua « Flora ossclana >», se non le Crittogame vascolari e le Fane- rogame, escludendo le Tallofite e le Briofite, o per lo meno i Muschi, poichè le Epatiche formavano già l’oggetto di uno studio speciale del Prof. Gagliardi (1) di cui il Rossi fu discepolo. Manca poi la Betula alba Linn., var. glulinosa (8. glut nosa Wall.) sostituita, come vedemmo, dalla specie e dalla var. verrucosa, ed inol- tre dalla B. pubescens che vegeta nei boschi di Crevola e del Lago Maggiore, (Aprile-Maggio), In luogo del Quercus pubesce s, Willd. var. (Quercus robur 6 sessiliflora, Sdll.) vegeta qui la specie colla var. pedunculata, ed il Q. cerris nei boschi, a mediocre altezza, peró non comune, (Aprile-Maggio). Estinta, come vedemmo, la Cas/anea latifolia Sdll. nessun’ altra specie oltre la C. sativa figura nella Flora ossolana. Il Salix viminalis, Linn. che non esiste nell’ erbario succitato avrebbe dato luogo, o per lo meno ceduto il posto, a numerose altre specie e varietà: S. Baby‘onica, Lian. coltivata (Marzo); S. peniundra, Linn. presso i rivoli alpini, piuttosto rara, (Maggio-Giugno) S. alba, Linn. lungo il Toce colla var. vitellina, Linn., (Marzo-Aprile); S. trian- dra, Linn. volgare nei luoghi umidi presso il Toce, (Marzo-Aprile), S. - incana, Schrk. (S. riparia W.) nelle ghiaie del Toce e dei torrenti, (Marzo-Aprile); S. purpurea, Linn. lungo il Toce ed i torrenti, (Feb- braio-Aprile); 5. Lapponum, Linn. nei luoghi umidi ghiaiosi e sab- biosi tra i 1500 od i 2000 m. d’alt., al Monte Moro ed al Sempione, (Giugno-Luglio); S. glauca, Linn., (S. Lapponum, All.) nei luoghi umidi nei dintorni di Macugnaga (Ing. Belli), non comune, (Giugno-Luglio); S. myrsinites, Linn. nei luoghi ghiaiosi delle Alpi di Crosa, Pedriola, Monte Moro, Monte Rosa, Sempione, (Giugno-Agosto); S. Caesia, Will. lungo i torrenti nei luoghi assai elevati fino a 2000 m., à Macuguaga (Giugno-Luglio) S. arbuscola, Linn. nei luoghi elevati della val Di- vedro, Formazza ed Anzasca, tra i 1800 ed i 2000 m., alla Frua, sul- l'altipiano di Maeugnaga, al Sempione, ece., sempre rara, (Giugno-Lu- (1) GAGLIARDI Pror. Giuseppe « Epatiche raccolte nei dintorni del Calvario di Domodossola nell' inverno del 1875-76 » Estr. d. Atti d. Accad, Pont.f. d. Nuovi Lincei, t. XX XVI, Roma, 1883, tip. delle Scienze, 352 MICHBLE CRAVERI glio); S. cinerea, Linn. nei luoghi umidi, rocciosi, e lungo i torrenti nella regione del faggio, frequente nelle valli Vigezzo, Anzasca e Di- vedro, (Marzo-Maggio); S. caprea, Linn. lungo i torrenti nella regione del faggio, rio Isornino in val Vigezzo, rio Antrogna in valle Anza- sea, eec., (Aprile-Maggio); S. hastata, Linn. nei pascoli del Sempione | sulla galleria della cascata (Favre), (Maggio-Giugno); S. nigrans, Sm. fra le siepi, al Sempione sul versante Svizzero tra Briga e Brigeberg. (Aprile-Maggio); S. reticulata, Linn. nei pascoli secchi e tra le rocce, nelle alture delle valli Formazza, Divedio, Anzasca tra i 1900 ed i 2500 m. d'alt., all’Alpe Veglia, al Sempione, all'Alpe Pedriola sopra Calasca, ece., (Giugno-Settembre); S. retusa, Linn. nei luoghi pietrosi e sulle rupi, da 1700 m. al limite dei ghiaceiai, al Monte Moro, al Sempione, alla Frua, (Luglio-Agosto); S. herbacea, Linn. nei pascoli rocciosi presso il limite dei ghiacciai, al Sempione, alla Frua, (Giugno- Agosto). Estinta per l’ Ossola anche la Tilia platyphylla, Scop, (T. gran- -difolia Ehrh,), sono raccolti in questo erbario, uniche rappresentanti per la flora Ossolana, le specie T. parvifolia Ehrh, che vegeta nei boschi, (Estate) e T. vulgaris, Hayne. L’ Acer platanoides, Linn. sarebbe pure scomparso, non esistendo oggidi che l’A. pseudoplatanus, Linn. già ace nnato, e l’ A. campestre, Linn. comune lungo le siepi (Primavera). Infine manca il Rhododendron ponticum, Linn. var. sebinense Sdll. Nell’erbario del Prof. Rossi esistono solo esemplari del R. ferrugineum, Linn. volgare in quasi tutte le alpi da 1500 a 2000 m. circa, (Esta- te) colla var. albiflorum, Gaud. assai rara e trovata solo al Sempione; il R. hirsutum, Linn. in val Divedro presso Varzo (Biroli). Come ho già detto non basta certamente che una pianta non sia raccolta in questo rieco erbario per poter dire che essa non esiste at- tualmente nell’ Ossola; ma poichè tale collezione è il frutto di molti anni di pazienti ricerche, io credo più facilmente che qualche altra specie esistente allo stato fossile non sia stata determinata dal Sor- delli, per la difficoltà di decifrare tali filliti, che non alla mancanza di specie vegetali ossolane nell’ erbario del Museo Rosmini. Forse qualche errore vi sarà nella determinazione per la fretta dell’Autore, COMPARAZIONE FRA LA FLORA TOSSILE, ECC. - 953 come osserva il D.r Chiovenda (1), ma non tali da non poter conclu- dere che la maggior parte delle piante notate dal Sordelli come esi- stenti allo stato di filliti nel giacimento di Re vivono tuttora, se non nella valle Vigezzo almeno nelle finitime valli dell’ Ossola. Per studiare le cause del mutamento di ambiente bisogna rieor- rere senza dubbio alla storia geologica della località fossilifera che è il bacino lacustre di S. Maria Maggiore. Ho già fatto cenno più so- pra della opinione di valenti Geologi e del mio modesto parere sulla natura di tale bacino, ed il lettore potrà trovare più ampi particolari per esaminare la serie dei terreni che costituiscono il deposito in pa- rola nello studio dell'Ing. S. Traverso sulla « Geologia dell’ Ossola » (2) citata anche dal Sordelli nella « Flora fossilis insubrica » a pag. 199. 200. Non intendo ripetere cose già dette da altri e vagliate da me nelle « Note preliminari sui fenoweni esodinamici dell’ Ossola » che più sopra ho citato. Bisogna solo tener presente che la serie dei terreni procedendo dall'alto al basso sarebbe la seguente: 1°) alluvioni terrazzate e depo- siti morenici con massi erratici; 2°) strati di lignite intercalati con argille e sabbie; 3°) sabbioni poco induriti ed arenarie brecciformi poco coerenti; 4°) conglomerato arenaceo spesso intercalato con straterelli di argilla; 5°) argilla fillitifera con avanzi di insetti (3); 6°) banchi di arenarie; 7 ) breccia dovuta a frane dai monti circostanti; 8°) deposito più potente di argilla fillitifera; 9°) sabbie ed arenarie.Tutto ciò secon- do il Traverso, e sotto a questa successione di terrenì della potenza (1) Carovenpa D.& Euro « Flora delle Alpi Lepontine occidentali ossia ca- falogo ragionato delle piante crescenti nelle vallate sulla destra del Lago Maggiore, Saggio di Flora locale. — I. Bibliografia », Roma, 1904-06 (In continuazione). (2) Genova, 1895, con 11 tavole ed una carta geologica, Tip. A. Ciminago. (8) Veggansi anche per lo studio paleontologico della località : BENASSI Rs, « Piante cd insetti fossili di Re in val Vigezzo » in Riv. ital. di Paleont., a. II fasc. 6, Bologna, 1896 [Rec. in Boll, R. Comit. geol. d' It, p. 80, 1. Trim. 1899]. Corti BENEDETTO « Ricerche mirropaleontologiche sul deposito gliciale di Re in val Vigezzo » in Rendic. R. Ist. Lomb., p. 498, $ II, Vol. XXVII, Milano, 1895. 854 MICHBLE CRAVERI di 300 metri deve trovarsi la roccia in posto che costituiva il fondo della valle. Per concludere, poichè il Sordelli afferma che alcune delle specie scomparse vivono attualmente in paesi più caldi appartenenti alla re- gione della Flora pontica, si dovrebbe ammettere un raffreddamento del clima successivo alla scomparsa del lago contemporaneo dell’inva- sione glaciale in pianura nella prima epoca del Plistocene continen- tale subalpino. Ognuno sa che l'enorme sviluppo dei ghiacciai non é dovuto con tutta probabilità ad un abbassamento della temperatura in confronto ‘coll’ èra precedente, ma ad una intensa e prolungata precipitazione atmosferica nell’inizio dell’ éra neozoica, causata dalla enorme quan- tità di vapor d’acqua riversata nell'atmosfera dai vulcani in attività sul finire dell’ êra cenozoica (Terziario) e sul principio della neozoica. (Quaternario). Tuttavia un tale sviluppo di ghiacci modificò sensibil- mente il clima delle regioni alpine e subalpine, se si pon mente alle molte specie di animali che dovettero immigrare verso il Sud o che si estinsero per sempre. Ma nella val Vigezzo, per la presenza del lago che occupava il bacino di S. Maria Maggiore, non eredo fuor di luogo ammettere che il clima fosse più mite che non altrove in grazia della potente azione modificatrice che esercitano le grandi masse d’acqua per la loro cattiva conducibilità termica. Dunque un clima relativamente mite finchè rimase il lago, e quindi vegetazione abbondante e ricca di specie, mentre le condizioni climatiche erano molto più sfavorevoli sulle pendici e nelle altre valli ossolane occupate ancora dal ghiacciaio. Poi ritiro definitivo dei ghiac- ciai collo stabilirsi di un clima quasi uniforme in tutte le valli del- l'Ossola compresa la val Vigezzo dove andava scomparendo il lago; cioè nelle altre valli si ebbe nel Postglaciale un clima più mite per cui potè allignare la maggior parte delle specie vegetali studiate allo stato fossile nel giacimento di Re e di Folsogno, mentre in val Vi- | gezzo il mutamento si ridusse ad un inasprimento del clima. Così resterebbe stabilito che durante l’esistenza del lago non solo il clima della val Vigezzo era più mite di quello delle altre valli os- COMPARAZIONE FRA LA FLORA TOSSILE, ECC. 355 solane, ma anche più favorevole allo sviluppo di certe specie di pian- te che attualmente vivono solo in paesi più caldi, e quindi più dolce del clima attuale di tutta l'Osso!a. La scomparsa del lago poi non fu istantanea, ma lenta e graduale, anzi fino in tempi storici pare che esistessero tracce dell’antica morfologia di val Vigezzo. Domodossola, 31 maggio 1911. Dott. MICHELE CRAVERI RASSEGNA BIBLIOGRAFICA e Il cancro delle piante Or fa quasi un secolo, Filippo Re pubblicava il primo trattato sulle malattie delle piante; nel « discorso preliminare » dando ragio- ne dei criteri seguiti per stabilire le diverse classi nelle quali egli raggruppava le malattie stesse gli veniva fatto di osservare: « che molte volte siensi confusi i sintomi dei morbi coi morbi istessi e colle loro cagioni. Ciò verosimilmente accadeva per la mania universale di adoperare i nomi delle malattie che affliggono gli animali. Da questo si spiega per qual ragione tali nomi non danno il più delle volte la idea vera del morbo, come pure sarebbe necessario ». A malgrado di tale premessa il Re, ricorre largamente alla nomenclatura medica del- l'epoea per indicare diverse malattie delle piante e l'esempio suo tro- va seguaci tuttora: fra i termini che si riscontrano usati con mag- giore predilezione e con altrettanta poca proprietà dai pratici e che sono riportati quindi nei più autorevoli trattati anche modernissimi di patologia vegetale vi è quello di cancro, applicato con estrema frequenza a designare manifestazioni patologiche differenti nella for- ma e nella sostanza, mentre questa stessa parola va assumendo un significato sempre più circoscritto nella nomenclatura clinica. Contro Il’ abuso di questo termine insorgeva aleuni anni or sono il Thomas in uno studio intorno al cancro negli animali e nei vege- tali: « cancro, egli scriveva, non deve essere inteso come sinonimo di tumore; il cancro è tumore maligno per definizione ed i caratteri di- stintivi di ogni canero sono: 1. l'anarchia cellulare. 2. la formazione a distanza dal nucleo canceroso primitivo di nu- clei cancerosi secondari o metastatici. Il Thomas procedeva quindi ad un confronto analitico dei carat- teri concordanti e discordanti che s'incontrano nello studio del canero iL CANCRO DELLE PIANTE 361 nel regno animale e vegetale; prescindiamo da questo lavoro d'analisi e limitiamoci a ricordare che quell'A. concludeva che, a malgrado di alcune analogie con quanto accade negli animali, sarebbe logico anzi indispensabile sopprimere il termine di cancro dalla nomenclatura fi- topatologica e sostituirvi una designazione meglio corrispondente caso per caso alla realtà dei fatti. Ma anche a chi abbia limitate conoscenze in patologia vegetale non sfugge una deficienza fondamentale nel lavoro critico del Thomas che toglie ad esso molto valore ed è relativa agli esempi. prescelti per trarne argomenti inerenti al cancro dei vegetali; come tali il Thomas considera i micocecidi delle Pomacee dovuti a Roestelia ed il cancro dei rami di parecchie essenze arboree, cagionato da Nectria ditissima. Questa ultima scelta specialmente è soggetta a cauzione poichè le lesioni che si osservano nei rami colpiti rappresentano spesso una incompleta reazione dei tessuti tendenti a cicatrizzare. Il para- gone avrebbe potuto portare a conclusioni diverse e, comunque, meno soggette a critica se il Thomas avesse assunto quale esponente dei canori vegetali quelli di natura bacteriacea o sospetta, alla conoscen- za dei quali, già a quell'epoca, avevano recato un ricco contributo di osservazioni lo Schiff Giorgini ed il Petri ic Italia, Erwin F. Smith e collaboratori negli Stati Uniti. Di recente l'argomento è stato trattato in questo senso in un vo- luminoso e veramente magistrale lavoro intorno ai tumori delle pian- te (1). Autore ne è il Dott. Erwin F. Smith con cui collaborarono N. A. Brown e C. O. Townseud, del laboratorio fitopatologico del Bureau of Plant Industry di Washington; lo Smith rappresenta indubbiamente la maggior autorità vivente in materia di malattie bacteriacee delle piante. Non v’ha laboratorio che non tragga suggerimenti dal suo clas- sico trattato — Bacteria in Plant diseases — di cui si attende con (1) Erwin F. Smith, N. A. Brown, C. O. Townsend — Crown Gall of Plants its cause and remedy — Bureau of Plant Ind. Bulletin N. 213, pag. 215 con 36 tavole Washington 1911 358 VITTORIO PEGLION impazienza il secondo volume. La monografia testè pubblicata intorno ai tumori è destinata a far epoca negli annali della Patologia vege- ta'e. * * * Negli Stali Uniti si indicano col nome di crown gall i tumori che si osservano molto frequentemente in corrispondenza del colletto delle piante, ma che possono svilupparsi anche sul sistema radicale e sulle parti aeree. Lo Smith pone questo termine volgare in sinonimia con cancro, tumore, rogna ed analoghi correntemente usati in Europa. Siffatti tumori hanno da tempo attratta l’attenzione dei patologi con notevoli discordanze circa l’eziologia di essi: specialmente la così detta Rogna della vite fu interpretata ora come conseguenza di lesio - ni meccaniche o climateriche, ora come lesioni di natura parassitaria Sono noti gli studi in proposito del Prof.Cavara, che riescì pel primo a riprodurre artificialmente mediante colture pure di baeteri le ca- ratteritiche neoformazioni della rogna della vite. Oltrechè sulla vite erano stati descritti i tumori che a volte de- formano i rami del pioppo, del pesco, delle rose, del melo e di nu- merose altre piante. A malgrado dei non pochi contributi recati alla conoscenza di questi singoli casi, non si può dire che il quadro cli- nico d’insieme fosse esaurientemente redatto. È merito di Erwin F. Smith di aver colmata questa lacuna assoggettando dal 1904 in poi ad uno studio sistematico i tumori osservati su piante ospiti svaria- tissime, isolandone i parassiti specifici, procedendo ad innumerevoli prove di inoculazione, così da giungere ad una serie di conclusioni che presentano un notevole interesse dal punto di vista scientifico. Le prime osservazioni furono compiute nel 1904 su piante di Chry- santhemum frutescens le quali presentavano caratteristiche tumefazioni sugli steli e sulle foglie. Escluso che esse potessero dipendere da pun- ture d’ insetti, da parassiti funvini, da reazioni conseguenti a ferite o lesioni meccaniche in genere fu tentata inutilmente in una prima serie di prove la ricerca e l’isolamento di forme parassitarie, questo ordine di ricerche fu ripreso con migliorati criteri nel 1906, nel quale anno furono isolate dai tumori 4 forme bacteriacee delle quali tre IL CANCRO DELLE PIANTE 359 formavano colonie gialle e una invece formava colonie bianche. Le prove di inoculazione effettuate con quest’ultima su piante di Crisan- temo perfettamente sane riprodussero i caratteristici tumori e da que- sti fu possibile di ricavare colture pure dello stesso mieroorganismo di cui lo Smith ed il Townsend dettero una sommaria descrizione sotto il nome di Bacterium tumefaciens (1). Nello stesso anno 1907 e negli anni successivi colle colture pro venienti dai tumori del Crisantemo gli A. A. riescirono a provocare analoghe neoformazioni su diverse altre specie di piante: pomodoro, patata, tabacco, oleandro, vite, pesco, garofano, bietole, luppolo, noce, pioppo, mentre le inoculazioni non ebbero seguito su altre piante (fico, cipolla, olivo, ete.). Gli A. A. procedettero allora all’isolamento di forme bacteriche da tumori di altre piante: fra le tante mi limito a ricordare la forma isolata dalla vite che riprodusse i tumori sulla vite stessa esulle bie tole; dal pesco che riprodusse i tumori sul pesco, sul Crisantemo, sul pelargonio, sul melo, sulla bietola, dalle rose e dal pioppo ete.; il melo presenta secondo Hedgcok due diversi tipi di tumori; legnosi o duri (hard gall) e carnosi (soft gall). Entrambi sono di origine bacteriacea e dipendenti da un mieroorganismo molto simile a quello precedente- mente isolato dal Crisantemo. Con colture di questa provenienza si fecero inoculazioni seguite da tumori in diverse specie di piante. Non posso riportare in questo punto la descrizione del Bacterium tu mefaciens tipico, isolato dal Crisantemo: mi limito a ricordare che ne è stata accertata la facoltà di produrre tumori in piante apparte- nenti alle famiglie seguenti: Composite, Solanacee, Oleacee, Umbelli- fere, Vitacee, Leguminose, Rosacee, Crucifere, Cariofillacee, Chenopo- diacee, Urticacee, Iuglandacee, Salicacee. Stando alle schede descrittive della Società Bacteriologica Ame- ricana esso Bacterium tumefaciens verrebbe designato col seguente aggruppamento numerico 212,2322023. Le forme bacteriacee isolate dai diversi tumori rinvenuti in na- (1) V. Centr. f. Bakt. 860 VITTORIO PEGLION tura su piante ospiti differenti sono riferibili ad una specie unica (B. tumefaciens) ovvero si tratta di parecchie specie diverse di miercor- ganismi ? Smith ed i suoi collaboratori dichiarano di non essere in grado di dare una risposta categorica: essi propendono a credere, pe- rò che si tratti di una specie polimorfica analoga sotto questo punto di vista al bacterio radicicolo delle Leguminose. x * * In generale i tessuti vecchi o legnosi non si prestano allo svi- luppo dei tumori. Le inoculazioni che vi si praticano falliscono spesso. I risultati più sicuri si hanno praticando gli innesti nelle parti gio- vani, si ottengono allora tumori in ragione del 100 per 100 inocula- zioni. Basta introdurre i bacteri in qualsiasi tessuto in via di attiva moltiplicazione. La reazione accade quasi istantaneamente; al 4° o al 6° giorno in corrispondenza alla puntura vi è una sensibile. sporgen - za che diventa un vero e proprio tumore in pochi altri giorni. La struttura anatomica dei tumori fu sapientemente illustrata da precedenti Autori. Lo Smith ed i suoi collaboratori vi dedicano un intero capitolo nel quale espongono anche una serie di osservazioni in merito alle possibili analogie tra questi tumori bacteriacei delle pian- te ed i tumori o caneri animali, specialmente sarcomi. Essi premettono che il tumore vegetale può ritenersi dovuto ad uno stimolo diretto sull’accrescimento ovvero ad uno stimolo indiretto che impedisca qualche processo normale d’ inibizione, ritenendo più attendibile la prima ipotesi. Il tumore può impiantarsi in qualsiasi tessuto meristematico, in qualsiasi cellula suscettibile di divisione. Il . processo di tumefazione è simile alla rigenerazione delle ferite, ma questa è dominata da un bisogno fisiologico mentre il tessuto tumo- rale prolifera indefinitamente, oltrepassa il controllo della pianta e diventa una malattia devastatrice. Per quanto riguarda i tessuti me- desimi, le differenze più salienti risiedono nella differente distribu- zione dei diversi elementi, la preponderanza del parenchima, la ridu- zione dei tessuti conduttori, la persistente sopravvivenza di cellule meristematiche (embrionali?) e di forme generalmente immature per es. fasci vascolari imperfetti. IL CANCRO DELLE PIANTE 361 Talvolta i tumori risultano legnosi, duri; formati principalmente da fasci vascolari contorti e intrecciati e da fibre legnose frammiste più o meno con parenchima. Altre volte sono formati da nuclei di tessuto parenchimatoso in mezzo ai quali sono inclusi i fasci più o meno lignificati ma deformati, con pareti molto sottili assai ridotti come massa in confronto ai tessuti normali. Le cellule dell’iperplasia sono spesso assai più piccole di quelle del tessuto ove si originano. Non si trovano mai le cellule giganti che caratterizzano i tessuti delle galle, dovute alla Plasmodiophora Bras- sicae o ai rizobi delle leguminose. Invece è tale lo stimolo alla mol- tiplieazione che le cellule non possono raggiungere le dimensioni nor- mali. In conseguenza della sovraproduzione parenchimatosa e relativa riduzione del tessuto conduttore, l’acqua ed i materiali plastici che possono giungere nel tumore bastano a conseguire solo un determinato sviluppo oltre il quale parte dei tessuti morbidi deperiscono onde la necrosi segue la tumefazione nel corso di pochi mesi.È raro che la ne- crosi primaria involva l’intero tumore; parte di esso, generalmente quella marginale, sopravvive e prolifera più o meno nella stessa annata o nelle successive, formando tumori addizionali che estendono l’area colpita da necrosi. Se nel tumore prevalgono le fibre legnose questi fenomeni non accadono o si manifestano assai tardi. In altri casi i tumori regredi- scono e scompaiono. * * * Una notevole parte della monografia è consacrata dallo Smith a lumeggiare le analogie tra questi tumori vegetali ed i tumori maligni degli animali. Lo Smith propende a questo ravvicinamento poichè i tumori vegetali rappresentano un processo infiammatorio al pari dei sareomi socondo il parere di alcuni patologi coi quali lo Smith ebbe a scambiare idee in proposito. Queste formazioni tumorali p. d. sono nettamente distinte da pro- cessi patologici di altra natura comuni agli animali ed alle piante. Fra questi gli ascessi: prescindendo dai leucociti che mancano nelle piante e dalla tumefazione che non sempre accompagua agli ascessi 362 VITTORIO PEGLION (ascessi delle ossa) si possono osservare nelle piante processi patologici molto simili agli ascéssi degli animali, fenomeni però in entrambi i regni che nulla hanno che vedere coi tumori Nel fusto o negli altri organi vegetali colpiti da ascessi si formano nell’interno della massa di tessuti delle cavità isolate o concatenate che restano infareite coi prodotti di disintegrazione dei tessuti offesi e con colonie più o meno sviluppate di microorganismi specifici, misti a bacteri e saprofiti banali. Sono processi di marciume ove manca qualsiasi rudimento di organiz- zazione anormale. Negli ascessi non vi ha formazione di nuovi organi. La pianta può isolare le aree malate mediante formazioni suberose, così come nei tessuti animali i noduli tubercolari e le gomme sifiliti- che vengono incluse in ammassi di connettivo. Stando alla classificazione correntemente usata, le crown-gall con i granulomi infettivi formerebbero, secondo Smith, un gruppo a parte dei veri tumori; ma è verosimile che questa classificazione rappresenti null'altro che una fase temporanea nel progresso della patologia. Di mano in mano che furono scoperte le cause specifiche della tubercolosi, lebbra e sifilide, queste malattie furono tolte dal dominio dei tumori e classificate tra le infiammazioni specifiche; onde logicamente se si scopriranno i parassiti specifici anche le altre neoformazioni maligne dovranno esserne rimosse e dei tumori maligni non resterà altro che la gabbia vuota! Nè questi tumori possono assimilarsi ai teratomi o a processi di degenerazione. Altri processi patologici delle piante potrebbero assi- milarsi agli edemi, non parassitari: non pochi processi gommosi di natura ignota mostrano talvolta processi degenerativi, formazione di cavità interne, caratteri che mai si avvertono nei tumori p. d. Il cancro colpisce numerose specie di animali; nessuna buona ra- gione, scrivono gli AA. è stata addotta per eseludere che non possa colpire anche i vegetali, I tumori vegetali sono anch'essi neoformazioni morbide che tendono a danneggiare e distruggere le piante stesse; nè la loro struttura consente di assimilarli alle galle cagionate da insetti. Queste hanno una struttura specifica e uno sviluppo determinato: si può supporre che derivino da uno stimolo localizzato nel tempo e nello spazio, non diverso forse dallo stimolo generalizzato e perenne che de: : \ À È 4 OS de IL CANCRO DELLE PIANTE 363. termina il processo di moltiplicazione delle cellule nel canero. Se si potesse definire la causa immediata della divisione cellulare nelle une, ne verrebbe certo non poca luce per l'eziologia di quest'altro. Gli AA. passano quindi ad esporre le analogie tra i tumori ve- getali ed i tumori maligni degli animali: Nei primi non vi ha soltanto una enorme proliferazione dei tes- suti parenchimatici: vi si osservano anche tutti gli altri tessuti nor- mali dell’organo attaccato. I tessuti conduttori, fortemente deformati e ridotti, percorrono il tumore in varie direzioni. I fasci vascolari si dipartono dalla base di esso, si intrecciano e si ramificano, ridu- cendosi a pochi e'ementi nelle parti più discoste. Vi ha probabilmente produzione di qualche fascio supplementare nei tumori molto voluminosi, Le metastasi cioè la formazione a distanza di tumori secondari è un fenomeno ben accertato nelle crown gall così come nella tubereo- losi dell'olivo. I tumori metastatici sono dovuti alla migrazione de bacteri attraverso i tessuti o alla migrazione di essi nell'interno di speciali cellule? I tikli così facili ad originarsi in conseguenza di in- fezioni bacteriacee, come hanno dimostrato Hunger e lo stesso Smith a mo’ d’esempio nel marciume del pomodoro e nella nebbia del gelso, potrebbero forso fungere da veicolo. Questo lato della questione è più particolareggiatamente trattato in un opuscolo successivamente pubblicato dallo Smith (1). Gli AA. nella loro prima memoria non erano al caso di rispon- dere ai seguenti quesiti: 1. Presenza od assenza di bacteri specifici nei tumori secondari ? Quali relazioni di origine tra tumori secondari e primario: da questo migrano i bacteri specifici avvero cellule can- cerose ? Havvi analogia di struttura tra le due categorie di tumori ? La formazione dei tumori metastatiei, come risulta dalle prove eseguite, a tutto Febbraio, è facilmente realizzabile sperimentalmente. Inoculando colture pure nelle tracce fogliari, si osserva la formazione di tumori nel punto inoculato e sulle foglie. Le talee di crisantemo t i) E. F. Smith — Crow Gall and Sarcoma — Circular 88 of the Bureau of Plant Industry — June 1911. 364 VITTORIO PEGLION provenienti da piante inoculate si ricoprono .di tumori sulla superficie del taglio, verso il colletto e lungo il fusto. Le nuove osservazioni pubblicate dallo Smith indicano che nei tumori metastatici i bacteri specifici sono presenti al pari che nei pri- mari. In entrambi i casi i bacteri hanno vita intracellulare. La dimo- strazione diretta di questo fatto è resa difficile dall’essere i bacteri stessi scarsi di numero, non acidofili, forse involuti o misti con corpu- scoli più facili a trattenere i reagenti colorati di uso comune. Vice- versa colle dovute cautele si isolano colture pure del mieroorganismo patogeno. Lo Smith ha potuto inoltre accertare che il tumore secondario è connesso col primario da una traccia o peduncolo decorrente nello spes- sore dei tessuti. Questa traccia incunea la propria via attraverso gli elementi del fusto o della foglia finchè ad una certa distanza dà luogo al tumore secondario che successivamente erompe alla superficie del- lorgano. Questa diramazione del tumore primario decorre nella re- gione xilematiea, nel limite tra legno e midollo e si puó talora di- scernere anche ad occhio nudo perchè fornita di maggior copia di elo- roplastidi ehe determinano quindi una eolorazione piü intensa; altre volte essa sfugge perchè ridotta a poche file di cellule. Comunque essa presenta una struttura propria, caratterizzata talvolta da varici, quasi tumori rudimentali intercalati sul percorso. Anche da queste tracce lo Smith ha isolato il B. tumefaciens dimostrandone l'attitudine patogenica. specifica, Finalmente egli ha constatato che i tumori secondari hanno la medesima struttura del tumore primario, A questo succinto resoconto delle nuove ricerche, lo Smith pro- mette di far seguire fra breve una pubblicazione più particolareggiata e debitamente illustrata. Le altre analogie tra questi tumori delle piante ed i tumori ma- ligni vengono così succintamente esposti dallo Smith: colle ripetute inoculazioni si riesce a conferire alle piante un certo grado di immu- nità; i tumori mostrano la tendenza a comparire nei tessuti cicatrizzati, a riprodursi se asportati; le colonie del parassita isolate da tumori adulti o vecchi presentano una virulenza molto attenuata. IL CANCRO DELLE PIANTE 865 * * + L’obbiezione principale mossa dai patologi interpellati dallo Smith, si è che questi tumori vegetali essendo cagionati da un organismo specifico sono da considerarsi come granulomi. Si direbbe che se non se ne conoscesse la causa, non vi sarebbero difficoltà a considerarli invece come tumori. Lo Jensen (celebre per i suoi studi sul canero dei topi) che non conosceva queste ricerche dello Smith, presentò, sen- za prevenzione alcuna, alla Conferenza Internazionale pel cancro (Pa- rigi, ottobre 1910) una nota sui tumori della bietola (Von echten Ge- Schswiilsten bei Pfianzen) in cui sostiene che questa malattia è non soltanto un vero neoplasma ma un tumore genuino al quale attribui- sce una parte altrettanto importante nelle ricerche sul cancro di quel- la avuta dal cancro dei topi « eine anhiche Rolle zu spielen Konuen wird. wie jezt die Mausecarcinome ». I patologi non sono d’accordo sulla causa del sarcoma, del carci- noma e simili tumori, ritenendoli alcuni di origine parassitaria nota o sospetta, mentre per gli altri, cioè la maggioranza, la malattia può trasmettersi solo per mezzo di cellule cancerose, proliferanti, a mo’ di esempio coll'innesto. Cosi si esprime in proposito il Durk : « la dif- ferenza essenziale tra neoformazioni infettive e tumori genuini è che nei primi, quando si riproducono per metastasi, il parassita è traspor- tato dal sangue e provoca nella località ove si fissa la neoformazione di tessuti simili a quelli del tumore primario; mentre nel caso di tu- more maligno la metastasi procede dal trapianto di una parte del tu- more primario, la quale prolifera per suo conto nel sito ove si sia fissata ». Siamo però completamente al buio su ciò che origina la£cellula cancerosa o ne induce la proliferazione. Anche per i tumori vegetali (crown gall) sino dal 1910 si sapeva che erano inoculabili da pianta a pianta per mezzo dell’ innesto di frammenti di tessuto. Si era cioè allo stesso punto in cui sono oggi i patologi che riproducono il tumore dei topi ed altre neoplasie mali- gne, innestandó pezzi di tessuto patologico sotto la pelle di animali sani, senza poter rendersene ragione. Non si aveva allora nozione che 366° - VITTORIO. PEGLION detti tumori delle piante fossero dovuti ad un parassita specifico e gli A. A. espongono le non poche difficoltà superate per giungere ai ri- sultati odierni. Essi ritengono che nei tumori stessi, il B. tumefaciens o si svi- luppi lentamente o se si sviluppa normalmente che esso sia rapida- mente ucciso dalla reazione dei tessuti o dai propri prodotti. E quasi impossibile ottenere preparazioni colorate dei tumori in cui i bacteri siano posti in evidenza. Essi si sviluppano lentamente quando si cerca di isolarli dai tumori colle piastre di agar mentre una volta isolati i trapianti sono facili e rapidi. Questo fatto può abbinarsi colla faci lità con cui si ottengono forme d’involuzione esponendo le colture al- l’azione del freddo o del cloruro sodico. Se codeste forme involute fos- sero frequenti nei tumori ciò spiegherebbe i molti casi d’ insuccesso avuti da chi tentò di isolarne la forma specifica. Se queste ipotesi corrispondessero alla realtà, si potrebbe consi- derare il tumore come la resultante dello stimolo esercitato da enzimi, tossine od altre secrezioni derivanti dalle cellule bacteriche, la eui presenza non sarebbe sempre suscettibile di dimostrazione perchè inat- tive e parzialmente disorganizzate. Non possono fenomeni analoghi verificarsi nei tumori maligni e complicarne così la determinazione dell’eziologia ? Nei tumori vegetali anche quando non si riesce a scorgere i bae- teri coll'esame mierospico, si sa che vi sono, perchè si possono isolare, a patto di seguire una tecnica adeguata (sterilizzazione esterna del tumore, estirpazione asettica di un frammento di polpa, spappolamento in brodo sterile seguito da un periodo di riposo, prima di procedere alla semina in agar nutritizio). Le difficoltà incontrate dagli A.A. prima di giungere ai risultati odierni è ammissibile ehe incontrino anche coloro che si dedicano. ad analoghe ricerche sui tumori maligni.Basta riflettere alle difficoltà che ebbero a superarsi prima che fosse chiarita la causa della tubercolosi, della lebbra e della sifilide. Essi ritengono pertanto di dedicare le se- guenti considerazioni a coloro che credono all’origine parassitaria dei tumori maligni pur non essendo riesciti a fornire una dimostrazione: 1. Le attuali teorie cellulari sull’origine del canero-sono incapaci IL CANCRO DELLE PIANTE 867 di spiegare come tali cellule si originino e perchè esse proliferano. In base alle osservazioni surriportate gli A.A. invocano nuove ricerche dirette alla scoperta di un microorganismo parassita o di un virus, indipendente da cellule specifiche o confinato in esse valendosene co- me mezzo di disseminazione. i 2. Se per le ragioni dianzi cennate si ammette la presenza di uno scarso numero di cellule bacteriacee attive in seno ai tessuti, gli insuccessi avuti possono dipendere dalla scarsità di materiale usato o dall’ avere seminato parassiti depressi o paralizzati dall’ attività dei tessuti stessi; bisogna anche ricordare che molto di quanto si sa al riguardo è frutto dello studio dei tumori del sorcio e non è possibile considerare tutti i tumori maligni come eziologicamente identici. 3. Un parassita può essere presente e non isolabile perehè inca- pace di svilupparsi sui consueti substrati, come è il caso della sifilide e del yaws.Lo Smith cita il caso o l’idiosinerasia tipica di uno strep- tococco, il cui sviluppo è inibito da un eccesso di sale contenuto nel brodo di coltura e le difficoltà incontrate nel separare e coltivare lo agente specifico della lebbra (Duval 1910). 4. Gl’insuccessi nei tentativi di dimostrazione della presenza del pa- rassita nelle sezioni colorate possono dipendere da scarsità, da indiffe- renza verso i reattivi coloranti,dalle forme d’involuzione delle cellule bacteriacee. Anche la presenza di bacteri nel fegato sano che sfuggo- no alle colorazioni resulta colle colture (Wolbach e Taduru, 1909). 5. La rassomiglianza tra tumori vegetali ed animali può essere infirmata pel fatto che l’infezione può essere comunicata a piante di- versissime sia per mezzo dell’ innesto sia colle colture pure, mentre l’inoculabilità dei tumori animali tra specie diverse è assai ristretta. Ma bisogna tener conto della maggior semplicità di struttura delle piante e d’altra parte la dottrina della inoculabilità o meno di detti tumori è forse resultante di una generalizzazione ingiustificata (di re- cente Van Duwyerm ha trasmesso il sareoma dal coniglio al lepre e Sticker dal cane alla volpe). 6. Il punto più difficile a chiarire in qualsiasi teoria parassitaria è il carattere delle metastasi nel canero. Queste sono così caratteri- che e così simili al tumore originale che coll’esame delle sezioni dei . 868 YITTORIO PEGLION p , tumori metastatiei é spesso possibile determinare ove é situato il tu- more primario invisibile. Sorvoleremo alle ultime parti di questa interessante monografia sebbene non meno importanti delle precedenti. Vi si riferi ce intorno ai fenomeni chimici e fisici inerenti all’ attività del Bacterium tume- faciens ed agli effetti della malattia sui tessuti non direttam nte in- teressati. In questo ultimo campo sono riportate notevoli csservazioni intorno all'aumento di resistenza all’ infezione che si può provocare con ripetute inoculazioni sino ad ottenere razze del tutto refrattario. È una lunga serie di prove durate per anni ed anni valendosi del Chrysantemum frutescens come pianta da studio.Finalmente sono espo- sti alcuni dati circa i danni dovuti in America ed in Europa al crown- gall, da cui gli A.A. distinguono una speciale infezione (tubercolosi) della bietola, dovuta ad un’altra forma bacteriacea descritta sotto il nome di Bacterium beticolum n. sp. Bologna, settembre 1911. Pror. V. PEGLION Ve D RECENSIONI Les Amanites mortelles: A. phalloïdes, A. verna et A. virosa par le D.r René Ferry. L'auteur de ce mémoire, habitant la partie montagneuse et boisée des Vosges, où les champignons croissent abondants et sont fréquemment récoltés pour l'usage de la table, fut souvent témoin d'empoisonnements mortels causés par ces régétaux. L'aneien rédacteur en chef de la Re- vue Mycologique, adonné depui longtemps à l'étude des champignons dans un miliéu éminemment proprice, était qualifié pour apporter une précieuse contribution à la préservation contre les accidents qui, insi- dieusement, jettent le deuil dans les familles. M. Ferry, partant de cette donnée de l'observation que les Ama- nites ci-dessus, sont à peu prés le seules coupables des empoisonnements mortels, limite son étude à ces trois champignons. Il en donne une monographie détaillée, qui permet de les reconnaitre partout et sous toutes leurs formes et de les bien distinguer des autres espèces. Ainsi, au moyen de cet ouvrage, on peut classer les champignons en deux eatégories: les mortels et ceux qui sont inoffensifs ou tout ap moins dont l'ingestion n'entraine pas la mort. C'est un résultat trés important et que l'on doit avant tout pour- suivre. Car il n'est à la portée que de peu de personnes de s'initier à la connaissance botanique des champignons en général, seul guide, cepen- dant pour discerner les bons des mauvais. Le but pratique consiste dés lors à aequéris une notion suffisamment précise des mortels pour n'en pas eonfondre d'autres avec eux. Tel est le résultat excellemment ob- tenu par le mémoire de M. Ferry. La premiére partie de l'ouvrage est eonsaerée à l'étude botanique des trois champignons incriminés. Les caractères morphologiqnes et a- natomiques de l'A. pha/loî les sont minutieusement examinés ainsi que les nombreuses formes que presente cette espéce. Puis vient la distine- 870 RECENSIONI tion des champignons qui lui ressemblent le plus. Il est fait de méme pour l’A. virosa que l’auteur considère comme une espéce autonome, tandis qu'il fait de PA. verna une varieté de A phalloides Huit plan: ches, dont plusieurs en couleur, illustrent ce chapitre. La deuxiéme partie de l'ouvrage traite de la toxicologie des cham- pignons ci-dessus : elle s'appuie sur les recherches propres de l'auteur et sur les plus récents travaux publiés sur le sujet. Elle commence par l'étude de la composition chimique de l'A. phalloïdes où on a reconnu comme corps particulièrement actifs, un glucoside hèmolytique, la phal- line, hémolysine où amanita hemolysine toxique, mais destructible par. la chaleur, et qui pour cette raison ne serait pas la cause des acci- dents survenus par ingestion de champignons cuits, et un autre corps de fonetion chimique douteuse, l'amanita-toxine, à qui on impute les eas mortels. L'auteur passe ensuite en revue les lésions produites, les symptó- mes de l'empoisonnement chez l'homme, les moyens de déterminer l'e- spèce coupable, le mode d'action de PA. pha/loïdes, les différences qu'il présente avec celui des autres espèces vénéneuses, les soins à donner au patient, les moyens préventifs contre les empoisonnements. Ou saura gré au doeteur Ferry d'avoir entrepris l'ouvrage en que- stion capable d'empécher de grands malheurs, et qui devra avoir sa place dans la bibliothéque du mycologue, du médecin, du pharmacien et de tous ceux qui s'intéressent à la comestibilité des champignons. On pent se proeurer ee livre ches l'auteur, 7. avenue de Robache, à S.t Dié (Vosges). Ld. E 3 S B. tene PE dU Trox BIBLIOGRAFIA MODERNA raccolta da C. Schuster (Gr. Lichterfelder b. Berlino) VII Sviluppo Andrews, F. M., Development of the embryo-sac of Hybantus concolor. (Bull. Torrey Club XXXVII (1910) p. 477-478, f. 1-8). Blodgett, F. H., The origin and development of bulbs in the Erytro- nium. Bot. Gaz. L p. 340-373, 2 pl. 7 fig.). Brooks, F. T., The development of Gnomonia erythrostoma Pers. the Chery-Leaf Scorch Disease. (Annals of Botany (XXIV, 1910 p. 585-605, tab. XLVIII-XLIX). Cook, M T., The development of insect galls as illustrated by the genus Amphibolips. (Proceed Indiana Acad. 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INTRODUZIONE Il presente studio fu iniziato, tre anni or sono, nell’ Istituto Bo- tanico di Berlino diretto dall’illustre Prof. A. Engler, al quale mi è grato esternare qui le più vive azioni di grazie per la cortese ospita- lità che da parecchi anni mi concede nel suo grandioso Istituto, per la generosa liberalità con cui mi ha messo a disposizione ogni sorta di mezzi per l'aecompimento delle mie ricerche, per i validi aiuti e gli autorevoli consigli dei quali sempre mi fu largo e infine per le manifestazioni di gentilezza che perennemente si compiacque aecordarmi. Non voglio far confronti con altri Istituti e con altri paesi, dove pure ho trovato ospitalità e gentilezze; solo mi è caro ricordare che la be- nevola accoglienza avuta in Germania mi ha fortemente legato a questa Nazione eminentemente civile e progredita. Il ricco materiale di studio dell’Erbario di Berlino ha servito di base alle mie ricerche, ma queste non avrebbero raggiunto probabil- mente lo scopo che mi ero prefisso se non avessi avuto la fortuna, grazie quasi sempre all'appoggio del Prof. Engler, di avere a disposi- zione le collezioni del Gen. Saurauia dei maggiori Istituti d’ Europa e di America. Ed invero ho potuto compulsare le splendide collezioni di Kew, del British Museum, delle Università di Parigi, di Vienna, di Pietroburgo, di Bruxelles, di Leida, di Christiania, di Gottingen, di (1) Il presente lavoro che fa parte della Decuria II fu elaborato integralmente da Prof, Buscalioni. t 882 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Leipzig, di Ginevra, di Monaco, di Torino, di Firenze e infine del Naz. Herb. dell’Univ. di Washington. Sento pertanto anche impellente il dovere di esprimere i miei più vivi ringraziamenti ai Sig.ri Dott. Proff. Loesener, Prain, Lecomte, Bon- net, Zahlbruchner, Sprague, De Willdeman, Lotzy, Yentink, Wille, Stapf, Peter, Pfeffer, Rose, Briquet, Radlkofer, Ross, Fischer v. Wal- dheim, Mattirolo, Borodin, Baccarini, Walleott e Rendle, e infine a molti altri colleghi, in specie dell’ Istituto Berlinese dei quali al mo- mento mi sfugge il nome. Il mio studio è eireoseritto alle specie americane del Gen. Sau- rauia come quelle che offrono maggiori difficoltà pel sistematico: non è improbabile però che, presto o tardi, faccia pure oggetto di ricerche le specie dell'Antieo Continente, le quali, per essere .disperse prevalen- temente in territori insulari, presentano caratteri specifici più marcati e una somma minore delle così dette forme di passaggio, tanto fre- quenti a rinvenirsi invece tra le forme delle regioni americane. | Catania il 6 Agosto 1911. Pror. LuIGI BUSCALIONI = Si pedes = y AEN e “DALAI Vie Generalità sull'argomento 1.) AREA DI DISTRIBUZIONE DEL GEN. Saurauia WILLD. Il Gen. Saurauia rappresenta. uno dei molti esempi di Specie ad area disgiunta, poichè un centinaio circa di queste vivono nell'Antico Continente, circoscritte però alle regioni tropicali dell'Asia e dell’Ocea- nia, mentre le rimanenti — oltre settanta secondo i dati delle mie ri- cerche — abitano ii Messico, l'America centrale e meridionale. Per quanto concerne le forme asiatiche noterò. soltanto che esse prevalgono nell’ Isola di Giava (28 specie) e di poi in crdine decre- scente trovansi distribuite nei seguenti territori; Celebes (14 specie), Nuova Guinea (11 specie), Borneo (9 specie), Filippine (7. specie), Su- matra ed Hymalaya (6 specie per ognuna delle regioni), Birmania (3 specie), Australia del N. e del N-E, Ceram, Malacca (2 specie per o- gnuno dei territori), Assam, S. China, Asia Orient-trop., Malesia, For- mosa, Figi (1 specie per regione). In termini generali si può quindi affermare che nel dominio del- l’Antieo Continente le specie sono localizzate pressochè nell’ambito del Tropico e più specialmente nell’emisfero sud, avendosi il massimo di rappresentanti nell’Isola di Giava, Celebes, Nuova Guinea e Borneo. Un gruppo un po meno ricco di specie è accantonato nell’ America del Sud e in quella Centrale, con non pochi rappresentanti tuttavia anche nel dominio sud dell’ America Settentrionale. Anche qui i limiti della diffusione sono segnati all'ingrosso dai tropici, ma, come vedremo fra poco, non si può per le forme americane parlare di un maggior sviluppo di specie nell'Emisfero Sud. Esistono dei rapporti di affinità tra le specie del Vecchio e quelle del Nuovo Continente? La risposta è un pò prematura, non avendo sino ad ora fatto uno studio un pò accurato della specie Asiatico-ma- ‘ lesi. Però da un esame superficiale di queste ultime mi è parso. che i rapporti siano più che mai scarsi. Lo attestano le stesse infiorescenze che nelle forme dell’ An- 386 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO tico Continente sono prevalentemente fascicolate, mentre nelle specie americane si mostrano per lo più panicolate, come ebbe del resto a rilevare il Prof. Gilg. La presenza poi della Caulifloria fra le specie dell’ Antico Continente, la quasi assoluta mancanza, almeno per quanto mi è noto, della stessa fra quelle del Nuovo, sarebbe un argomento di più a fayore della mia ipotesi, sulla quale tuttavia non intendo maggiormente insistere, maneando, come sopra dissi, di dati più concreti. Indubbiamente al botanico non può passar inosservato il fenomeno della disgiunzione delle specie che si rivela con caratteri molto spie- cati appunto nel genere che sto studiando. E questo un fenomeno ab- bastanza diffuso, sia nel regno vegetale che in quello animale, il quale ha riehiamato piü volte l'attenzione degli studiosi che peró non riu- scirono fino ad ora ad accordarsi sulle cause che lo determinano. Due ipotesi possono spiegare, meglio forse di molte altre, la di: sgiunzione; e per quanto riguarda le Saurauia si può ammettere colla prima che le specie dell'Antico Continente siansi individualizzate in- dipendentemente da quelle americane; colla seconda ipotesi si dovrebbe invece ammettere un’antica connessione fra le terre malesi e quelle americane. Non pochi geologi sono appunto d’avviso che nelle passate epoche geologiche l'America avesse delle propaggini nel dominio dell'Oceano pacifico, grazie alle quali il Continente si veniva estendendo fino alle remote spiaggie orientale dell'Asia, Più tardi i ponti di unione si sa- rebbero inabissati, lasciando come residui, o come testimoni della loro esistenza, le isole disseminate oggigiorno nel distretto dell'Oceano pa- cifico. Questa ipotesi si fonda, anche in parte, sulle affinità floristiche esistenti fra talune isole del Pacifico (Sandwich ad esempio) e le re- gioni dell'America equatoriale-tropicale; deporrebbero pure in questo senso i legami dello stesso ordine che collegano da un lato l'Asia o- rientale coll’America del Nord (V. lavori di Griesebach e di Asa Gray), dall'altro l'Australia e le regioni propinque coll’America del Sud. Noi siamo peró ben lontani dall'aver detto l'ultima parola al riguar- do, mentre poi riesce difficile con la teoria delle antiche connessioni continentali spiegare la mancanza delle Saurawia nelle regioni tropi- i africanel, e quali, secondo l'Engler, hanno avuto non pochi legami mW A. val bus de SENE 4 1 4 : J 4 1 1 STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 387 floristici coi territori americani. Potrebbero taluni forse obbiettare al riguardo che nel dominio del Nuovo Continente le specie di Saurauia sono accantonate prevalentemente nelle regioni occidentali montagnose, per cui fra la loro area di distribuzione e il dominio africano —ammesso un antico legame torritoriale — si dovette sempre frapporre un terri- torio pianeggiante (altopiano del Brasile centrale, l’ Hylaea, regione centrale-orientale dell’Argentina e via dicendo) poco adatto, a quanto pare, alla diffusione di siffatte specie. L'obbiezione è grave, ma alla stessa noi possiamo contrapporre il fatto, oramai assodato, dell’esisten- za, nelle passate epoche geologiche, di un sistema montagnardo nelle regioni ora ridotte a Peneplain, il quale avrebbe potuto favorire la diffusione delle specie (1). Forse più consona col principio delle antiche connessioni geogra- fiche appare la diffusione delle specie di Saurauia dall'Asia alla Ma- lesia, all'Australia ed alle Isole Figi, essendo noto che in questo di- stretto insulare-continentale avvennero indubbiamente dei gravi rima- neggiamenti territoriali che a volta a volta avvicinarono e fusero assieme terre dapprima lontane le une dalle altre, o viceversa scissero un territorio in due o più distretti insulari. Ma per questi territori non si deve neppure dare un eccessiva importanza all’ esistenza del- l’Antico Contenente Cino-Australiano e alle passate condizioni geolo- giche delle regioni, in quanto chè, data la poca distanza reciproca delle terre che attualmente formano il dominio malese, e data la na- tura polposa dei frutti di molte specie di Saurauia la diffusione di questa potè, senza dubbio, effettuarsi indipendentemente dalle convul. (1) E oramai assodato che il nucleo centrale del Brasile é molto antico ed ha subito, per effetto delle erosioni, profondissime demolizioni che hanno reso in parte piano ‘il paese, portandolo anche ad un livello assai più basso. Infatti ho potuto constatare nell'in- terno del Bacino Amazzonico e nello Stato di Goyaz dei limitatissimi tratti montagnardi, elevati circa 700 m. sul mare, i quali non rappresentano che l’ultimo residuo delle an- tiche terre e ci indicano così che a tale altezza campeggiavano anticamente i territori. Analoghe osservazioni furono fatte da altri autori, per cui tutto induce a credere che attraverso il sistema territoriale cosi elevato la diffusione delle Saurauia EE PEN benissimo effettuarsi. 388 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO ^ sioni telluriche, le quali avrebbero inabissate talune terre o fatto sor- gerue delle nuove. Più conforme al vero parmi pertanto la prima delle ipotesi che, cioè, le specie in questione abbiano tratto un'origine indipendente nell'A- merica da un lato, nell'Asia e nella Malesia ed Oceania dell'altro. De- pone a favore di questa concezione la differente costituzione morfolo- gica delle forme americane rispetto all’asiatico-malesi, ed in specie degli apparati fiorali, e più di tutto il fatto che il genere Saurauia è in fondo accantonato, malgrado che sia dotato di una plasticità e- norme, grazie alla quale non solo ha dato origine a numerose specie, ma ha permesso a queste di adattarsi a condizioni svariatissime di clima, di terreno e di ambiente in genere, previo, ben inteso, un ar- monico cambiamento nelle caratteristiche morfologiche ed anatomiche. Data la grande antichità del genere, attestata, più che altro però dalla struttura degradata degli apparati fiorali, dato il polimorfismo eui va incontro il genere, data la grande attitudine di questo a vi- vere sottó l'impero di condizioni edafiche e climatiche estramamente variabili, quali si riscontrano a varia altezza sul monti, dove preval- gono i rapprensentanti del genere, si potrebbe supporre, a priori, che alle Saurauia sarebbe stata facile la conquista delle terre tropicali di tutto il mondo. Invece, come sopra è stato detto, noi assistiamo a un fenomeno diametralmente opposto, essendo noto che fino ad ora il ge- nere non ci ha forniti rappresentanti nell’Africa. Se si ammette adun- que che questo continente fosse anticamente collegato eoll'Asia e col- l'America, difficilmente per le ragioni sopra esposte, potrebbe spiegarsi l’assenza del Genere nel suo dominio, poichè non si può ammettere che all’epoca degli ipotetici collegamenti territoriali facessero difetto, lungo i ponti di collegamento, le montagne sulle quali vediamo oggi- giorno insediate le Saurauia. A questo riguardo poi giova ancora ri- cordare che se è ipotetica l'esistenza dei detti ponti ancor più dubbia e la loro esistenza all’epoca in cui si vennero organizzando, sul no- stro pianeta i rappresentanti del nostro Genere, di guisa che riesce più che mai incerta la diffusione di questo attraverso a siffatti ponti. _ Se adunque malgrado la possibilità, un pò problematica invero delia diffusione, l'insediamento in Africa non ha avuto luogo, questo. STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 1889 tenderebbe a provare che due dovettero essere per lo meno i centri di formazione delle Saurauia, la Malesia cioè e le regioni finitime da un lato, l'Ameriea dall'altro. La facile adattabilità delle varie specie del genere a condizioni esterne disparatissime corrobora questa mia ve- duta, mentre poco si concilia colla ipotesi che il Genere ‘abbia anti- camente vissuto in Africa, dove poi sarebbe andato scomparendo per peculiari condizioni di ambiente avverse alla sua conservazione. Anche la stessa distribuzione delle specie dell’ Antico Continente depone a favore del sovra esposto modo di vedere. Infatti se le specie fossero in parte emigrate dall’Asia e dalla Malesia per diffondersi nel Continente americano (ove avrebbero dato origine alle forme attuali) o viceversa le forme americane arcaiche si fossero diftuse attraverso il Pacifico nel dominio Asiatico-malese esse dovrebbero oggigiorno avere i loro discendenti attuali localizzati di preferenza nelle terre orientali della Malesia, il che non avviene poichè il massimo delle specie è accantonato a Giava e Celebes, cioè nelle parti prevalentemente occi- dentali del territorio. Lo stesso dicasi per le forme americane le quali prediligono il versante orientale della catena andina. Farò notare da ultimo che i generi affini a quello che stiamo stu- diando fanno pure difetto nell’ Africa, dove probabilmente sarebbero rappresentati qualora le forme ancestrali da cui sarebbero derivate le Saurauia attuali avessero avuto agio di diffondersi in questo Conti- nente per dar luogo quivi alla produzione di forme più o meno aber- ranti. 2). LE REGIONI ABITATE DALLE Saurauia AMERICANE (1). Le regioni che albergano, in America, la Sawrazia sono all’ in- grosso comprese fra le seguenti isoterme: Isoterme iavernali 30° — 15° N 25° — 20° S (1) Nelle presenti ricerche riporto molti nomi di territori, poichè negli stessi fu- rono riscontrate la specie di Saurauia. I dati furono in gran capa: ricavati dall’ opera magistrale di Siever « Sud u. Mittel amerika ». 390 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Isoterme estive 27 .— 90 N 25 —-'10*.8 Nelle regioni dell'Antieo Continente si osserva all'opposto che l'a- rea di distribuzione del Genere è compresa entro i limiti seguenti: Isoterme invernali 20° — 16 N 30° — 20° S Isoterme estive 30° --- 28° N 24° — 20° S di guisa che dal lato Nord, ma più ancora da quello Sud, in America, il Genere si estende in regioni più fredde rispetto alle forme asiatico- malesi. Tale condizione di cose è senza dubbio inerente alla direzione delle catene montuose americane che essendo allineate da N a S per- mettono la diffusione della specie nel senso dei meridiani, mentre al- l'opposto i monti asiatici, prevalentemente diretti da E a W, formano quasi una barriera insormontabile per le specie nelle loro emigrazioni da Sa N. Inoltre devesi tener in conto anche la costituzione del Continente Australiano in cui l’Eremea, per l'aridità delle sue terre, rappresenta pure un ostacolo alla diffusione delle forme, accantonandole nelle re- gioni nordiche. L'area di distribuzione delle Saurauia americane, si può all’ in- grosso ritenere circoscritta ai suoi due estremi N e S da due regioni piuttosto aride quali sono a N le terre messicane di Anahuac e del Chaparral, a S il territorio continuante coll'Atacama. Entro i limiti testé indicati non tutte le regioni politiche sono e- gualmente rieche di specie; ma in questo argomento non intendo, pel momento insistere, solo faecio osservare che, a differenza di quanto ha luogo nel dominio asiatico malese, il numero massimo di specie e va- rietà trovansi a N. dell'Equatore (106 a N. rispetto a 27 a S). Anche nell'ambito dell’America le specie prediligono le regioni montagnarde, ma non molto elevate. E' duopo tuttavia notare che trat- tandosi di territori in eui i monti sono spesso altissimi (7000 m. e più) STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 391 la nozione di bassa e media montagna acquista un significato alquanto differente che da noi. | Nelle rieerche relative alle varie speeie io ho sempre avuto cura di riportare l'altezza sul mare a cui le stesse vennero riscontrate; di- sgraziatamente però per molte specie gli autori o i raccoglitori non danno indicazioni di sorta di guisa che le nozioni relative alla sta- zione sono un pò monche. Premesse queste considerazioni d’indole generale giova ora dare uno sguardo alle condizioni di temperrtura, di umidità e di terreno dominanti nelle regioni abitate dalle Saurauia americane. A Messico 1. Costituzione orografica e geologica delle regioni. — A presein- dere dalle Coste la regione si presenta montagnosa, ma con differente conformazione orografica a N e a S. Dalle regioni dell America Set- tentrionale penetrano nel Messico due sistemi montagnosi, l’uno rivolto verso il pacifico (Sierra Occidentale) l’altro verso il Golfo del Messico (Sierra Orientale) che verso Orizaba tendono a fondersi in un solo. I due sistemi, non molto elevati a N, dove raggiungono l’altezza di 2000 m. (Sierra Est) o 3200 (Sierra West), si fanno sempre più maestosi a Sud (Orizaba 5700 m.). Fra i due sistemi campeggiano gli altipiani più o meno elevati (Messico 2265 m.) foggiati a guisa di conche chiuse, in parte colmate da sedimenti di varia epoca. Più a Sud il massiccio montagnardo torna ad abbassarsi, tanto che a S. Martin raggiunge appena 1500 m. Nel sistema montuoso, a seconda della località, troviamo rappre- sentati terreni di varia epoca, a cominciare da quelli arcaici, paleo- zoici per arrivare fino ai recentissimi. Nel dominio deì vulcani, spenti od attivi, ed anche in altre ió- calità dove non v'ha più traccia di apparati vulcanici sono diffuse le roccie vulcaniche, specialmente negli altipiani. Il Yucatan è costituito in gran parte da terreni calcari, terziari, non molto elevati sul mare (S. Felipe 400 m.). 392 . LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO 2. Condizioni climatiche; temperatura e precipitazioni. — Come in molte altre parti dell'America Centrale Meridionale si distinguono nel Messico tre zone: quella della Tierra caliente (che arriva fino a 1000 m. circa) con 22°-30° di temperatura media estiva e 17%,5-25° media in- vernale: quella della Tierra templada (fino a 2000 m ) con 20° 25° di temperatura media estiva e 10°-20° di temper. media invernale, e infine quella della Tierra fria sopra i 2000 m. | La temperatura del Messico è, nelle grandi linee un pò più ele- vata di quella dei paesi dell'Asia, posti ad eguale latitudine nord, per cui forse riesce spiegato come le Saurauia, eminentemente legate alle condizioni di temperatura imperanti nei tropici, si estendano più a Nord nel Messico che in Asia. Non poca influenza esercitano, sia sulla distribuzione delle forme sia sulla temperatura locale, le masse continentali pianeggianti degli Stati Uniti del Nord. E' stato infatti assodato che le regioni nordiche del territorio mes- sicano sono più calde di quelle più meridionali che godono di un clima oceanico. La temperatura è abbastanza uniforme nelle regioni della costa e basse. Così a Vera Cruz si ha una media di circa 22°-27°, con un minimo che talora arriva 0°: a Mazatlan una media di circa 25°, con un escursione media tra 28° e 18°: e con un minimo di 5°, un massime | di 35°: a Chiapas si ha 24°, 5 in media, con un minimum di 1°, 4 e infine nel Yucatan 25°,9 con un massimo di 40° e un minimo di 8^, 8. A misura che ci eleviamo la temperatura si abbassa e le oscil- lazioni termiche aumentano. Nella regione elle tierra templada di Oaxaca il clima è quello di Gibilterra (media 20°, con oscillazione media da 21°,7 a 17,5 e con un minimo di 0°): sull’altipiano del Mes- sieo (2265 m.) si ba 159,4 di media, con un massimo di 195,6 e con un minimo di 12°, 5. Le precipitazioni sono molto disugualmente distribuite a seconda dell'altezza sul mare e a seconda dei versanti. Sono per lo più piog- gie estive, portate dagli alisei (Giugno-Settembre) e cadono di prefe- ‘renza sulle regioni orientali sottoposte ai venti del Golfo che in certi punti determinano anche delle precipitazioni invernali. A nord, per HEIC GT EE SE RENE € STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECO. 898 la presenza delle masse continentali le pioggie si fanno scarse e cosi pure sugli altipiani interni o nei versanti « sotto vento » degli alti monti. La quantità di pioggia presenta le seguenti oscillazioni nei vari paesi: Oaxaea (versante del Golfo del Messico) 1000 m. Messico m. Vera Cruz » 1000-2000 m. Cordova » 2199 m. Orizaba » 2091 m. Puebla (Dal lato West dei Monti) 1099 n. Toluea (Versante del Golfo del Messico) 627 m. Chapparal (Regioni nordiche del Messico) 208-628 m. Chihuahua » » Zachetechas » 805 m. Mazatlan (Versante del Pacifico) 181 m. Colima » 1060 m. Yueatan (Merida) 913 m Risulta dal presente specchietto che le regioni rivolte verso il Pa- eifieo sono molto meno soggette alle precipitazioni di quelle fronteg- gianti il Golfo del Messico. Taluni luoghi sono persino contrassegnati per una grande secchezza dell’aria (24 °/, di umidità). La neve è rara e solo tre picchi, fra cui Orizaba, possono van- tare la presenza di nevai. ‘3. Vegetazione. — Lungo la costa, e limitatamente al dominio delle Saurauia, ad eccezione delle spiaggie coperte di dune, la vegeta- zione è tropicale a tipo colombiano: sui monti poco elevati si ha una... flora subtropicale mentre poi più in altoe in specie nei versanti poco soggetti alle precipitazioni compaiono le savanne colle caratteristiche forme xerofile, succulenti, spinose. Nella regione forestale bobbiamo distinguere due zone: l’inferiore rappresentata dalle foreste ad Angiosperme (sino a 2700 m.), la su- periore, compresa fra 3900 e 4100 m., costituita in prevalenza da Gimnosperme. 394 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO B America Centrale. 1. Costituzione orografica e geologica della regione. — Nel Gua- temala ed Honduras il sistema montagnoso della Sierra è formato da un asse cristallino schistoso e da antiche roccie eruttive. Non mancano però i terreni mesozoici (schisti micacei) e le formazioni calcari dolo- mitiche (Chiapas). La Sierra d’Alta Verapaz consta di terreni paleo- zoici, mesozoici e terziari. Anche qui troviamo gli altipiani colmati parzialmente (Quatzatenango, Guatemala est.), i quali per lo più sono elevati a circa 2500-3000 m. sul mare. Presso chè la stessa struttura geologica si ha nelle Catene del Ni- caragua e Costarica. In quest’ultima regione le formazioni eruttive antiche sono di pre- ferenza localizzate a Nord, predominando a Sud i calcari terziari. Nella parte centrale della Republica la catena si scinde in due sistemi com- prendenti fra loro gli altipiani di Cartago (1410 m.) e di Alajuele (915 m.) La Cordillera Sud raggiunge 3900 m. e consta in gran parte di terreni eruttivi analoghi a quelli delle regioni nordiche. Al di la della regione dei laghi di sprofondamento si incontrano ancora le formazioni eruttive antiche, granitiche e sienitiche, nonchè i terreni terziari (Regione di Panama). I monti tendono ivi ad abbas- sarsi (1000-300 m.) in specie a West. I territori di Costa Rica, Nicaragua, Honduras e Guatemala non sono ancor definitivamente assettati e perciò noi troviamo in seno ai monti stessi numerosi vulcani, i quali tendono a spostar l’asse eruttivo verso il pacifico. Molti di essi albergano non poche specie di Sau- rauia, come ad esempio il Vulcan de Fuego (3815 m.) il Vulcano di Agua (3725 m.), Chiriqui (3606 m.), Quatzatenango (3551 m.), Turrial- ba (3325 m.), Acatenango (3960 m.). 2. Condizioni climatiche: Temperatura e precipitazioni. I dati re- lativi alla temperatura sono piuttosto frammentari: ciò non di meno è stato assodato che il clima è prevalentemente oceanico, tropicale o subtropicale, a seconda delle regioni. Alla costa la temperatura si man- tiene uniforme; più all’interno si hanno talora notevoli sbalzi termici, STUDIO -MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 395 tanto che la temperatura può talora scendere a 0° (Coban, Antigua, Guatemala), ma questo si verifica in territori che sono già elevati 1300-1500 m. sul mare. Il comportamento termico è diverso sulla Costa E. rispetto a quel- la W. ed anche rispetto alle regioni centrali. Infatti noi abbiamo a Panama i seguenti valori: Media annuale 26-269,2: media invernale 23-25°,1: media estiva 289.1-269,8: oscillazione media 0,4 -0,5°: estremi 15-369. Dal lato del Pacifico la costa si presenta più fresca, non raggiun- gendo la media annuale 25° circa. Nell'interno si nota che dal lato del Golfo del Messico, a motivo del maggior sviluppo della foresta, il clima è più dolce. Basterà infatti ricordare che Coban, situato nel ver- sante del Golfo del Messico a 1306 m., ha una media annuale di 187,3 con un massimo che raggiunge 19°,6 e un minimo di 15°,8, mentre dal lato dal Pacifico temperature similari si hanno solo ad un’ altezza di 1500 m. A complemento di questi dati daremo qui la temperatura di aleune località dove crescono le Saurauia. S. Salvador (600 m. sul mare) media 22°,5 massima 24° minima 21°,2 Estremi 24-139,3 Guatemala (1480 m. sul mare) » 189,6 » Am. rs 169,6 » .309,8-75,6 Quatzaltenango 2350 m.sul mare) » 149,2 » 160,6 » 109,8 » 24°,6-3° I venti di N-O portano le pioggie e le nebbie estive sul versante del Golfo del Messico, che perciò è più umido di quello rivolto verso il Pacifico. Le stesse differenze si notano nell’interno: infatti noi abbiamo i seguenti valori: . Territori rivolti verso l'Atlantico Territori rivolti verso il Pacifico Nomedellelocalità|Altezza sul mare| mm. di pioggia (Altezza sul mare) mm. di pioggia $.losé di Costa Rica RTS 1754 gengt 1480 m. 1410 Coban | 41860 m. 2499 396 "LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Nelle regioni rivolte verso l’Atlantico la distribuzione delle piog- gie nel corso dell’anno è anche più uniforme: il clima e però secco da gennaio ad aprile, mentre sul versante del Pacifico si ha il perio- do secco dal novembre all’aprile. In tutto il territorio Sud dell'Ameriea Centrale sono distinti due periodi piovosi separati da altrettanti di scarse precipitazioni, i quali compaiono tanto più tardi quanto più si procededa S verso N: il feno- meno però è accertato soltanto dal lato dell'Atlantico e nelle regioni Sud. Infatti nei territori centrali del Guatemala non si può più netta- | mente separare la stagione piovosa (invierno) dalla secca. Così a Coban si ha ancora da aprile a gennaio 87, 105, 1112, 133 mil. di pioggia. 3. Vegetazione. — E’ mista, comprendendo le forme subtropicali del Nord-America e quelle tropicali colombiane, a seconda che noi ci portiamo da N, a S, o dal basso all'alto. La Tierra caliente arriva sino a 1000 m. la templada a 1300 m. nell’Honduras, a 1800 m. nel Pa- nama, a 2000 m. nel Darien; le zone più elevate sono rappresentate dalle Tierra frias che ricettano forme andine nordiche e tropicali. Occorre inoltre fare una distinzione tra le regioni S-O e quelle N-W, cioè fra le regioni che guardano verso l’Atlantico e quelle ri- volte verso il Pacifico. a) Regione costiera. — Abbondano i *ipi triviali alofiti e palustri. b) Regione alpina. — Sovrasta quella delle Conifere e delle Sa- vanne, ma talora manca di vegetazione per effetto del vulcanismo. e) Regione delle Savanne.— Essa è largamente sviluppata dal lato del Pacifico, meno visitato dalle pioggie, ma non manca neppure nel- l’interno, anche nei versanti rivolti verso il Golfo del Messico. A se: condo della quantità di pioggia riscontriamo quà e là le formazioni di Cerrado, Catinga, (1000 mm. o meno di pioggie) o anche le foreste di essenze a foglie caduche, xezofite. Le Savanne e le formazioni a tipo di Schrub sono più o meno estese a Honduras, Guatemala, Veraguas, Zacapotas, ete., e spesso :ricoprono estesi tratti di terreno vulcanico | formando i così detti Iscarales e Chapparales. d) Regione S-O.— I grandi laghi la separano da quella di N-W, per quanto non sempre la linea di damarcazione sia reperibile. Ivi si ha la foresta tipica, tropicale e da pioggie fino a 1000 m., a tipo in- - È E. $ E STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 397 vece montagnarda al di sopra di questo limite. Nelle stazioni ancor più elevate la foresta acquista una fisonomia nordica, ma ivi non man- cano le Cactee ed altre forme xerofile, almeno nei tratti scoperti. e) Regione N-W. — In basso troviamo ancor la foresta vergine tropicale; più in alto, a causa delle scarse precipitazioni, compaiono le formazioni xerofile aperte e i boschi di essenze a foglie caduche. Le foreste a tipo montagnardo (fra 1200-2000 m.) con numerose sempreverdi sono larzamente rappresentate sul versante del Pacifico, mentre dal lato dell'Atlantico abbondano i boschi alberganti le felei arborescenti. Al di sopra dei 1500 dal lato del Pacifico (1600 Quatzatenango) compaiono già le Conifere che però in alcuni tratti un pò aridi della regione discendono fino alla costa; quivi pure abbondano le regioni a- ride colle ben note succulenti. Il versante del Pacifico è adunque, in tesi generale, contrassegnato dal predominio delle Savanne tipiche o accennanti alle formazioni chiu- se, alla macchia o ad altri tipi analoghi di associazioni vegetali più o meno xerofile, le quali arrivano fino a 3300 m. circa. Nella parte superiore non mancano le foreste di Angiosperme a foglie caduche o di Conifere. C) Regione montagnosa della Columbia e del Venezuela 1. Cos'ituzione orografica e geologica della regione. — In questa breve rassegna procederemo da Sud verso Nord, trattando separata- mente dei diversi sistemi montagnosi. a) Alti bacini del Sud. — Al limite tra l'Eeuador e la Columbia si incontrano di nuovo queste formazioni che già abbiamo rilevato al- trove, le quali sono dovute a riempimento di valli. Essi campeggiano in mezzo alla Cordillera fra 1700 e 2500 m. Il territorio di Popayan ad esempio, trovasi nell'ambito di queste singolari formazioni. La re- gione, del resto, è di natura cristallina al Sud, cretacea a Nord, sebbene non manchino quà e là le formazioni d'origine vulcanica (Tuquerres 4000 m). Più a Nord la Cordillera si scinde nei seguenti rami: 398 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO I. Cordillera della costa. — Suddivisa a sua volta in due rami, consta in gran parte di formazioni terziarie (sandstein e schisti ma- rini) e raggiunge un’altezza variabile da 300 a 1800 m. II. Cordillera del West. — Nel territorio di Cauca consta in parte di roccie eruttive, in parte di terreni cretacei, raggiungendo un’ al- tezza media di 2000 m., salvo a Nord ove degrada notevolmente (300 m.). Alcune punte arrivano fino a 3000 m. TII. Cordillera centrale. — Interposta tra il territorio di Cauca e quello del Magdalena, la Catena raggiunge spesso i 3000-4000 m. ed anzi taluni dei suoi picchi vulcanici, come il Tolima e il Nevado di Huila superano i 5500 m. Il passo di Quindio è a cirea 3500 m. La catena, più antica di quella, del West, consta di Sandstein, di schisti cristallini e di altri terreni o roccie, fra cui meritano di esser segna- late le formazioni vulcaniche poggianti per lo più su un zoccolo eri- stallino. A Nord la catena discende a 2000 e infine scompare nel ter- ritorio palustre del Magdalena. IV. Cordillera dell’ Est. — La catena è assai elevata presso Bo- . gota e presenta quà e là delle cuspidi altissime, ma la sua altezza me: dia oscilla fra 2000 o 3000 m. Un prolungamento a Nord della Catena (Sierra di Perrija) chiu- de il Bacino di Maracaibo a West, ed il medesimo consta di antiche roccie vulcaniche, di Sandstein, di Kalkstein. La sua altezza media oscilla fra 1500-3000 m. Infine il versante West della Cordillera dell" Eet si prolunga in al- tipiani (2600-2800 m.), costituiti da terreni piuttosto recenti e rappre- sentanti forse degli Alti Bacini. b) Sierra Nevada di S. Marta. — Costituita da terreni granitici, da Schisti cristallini, da Gneis, e da antiche roccie eruttive, il sistema fronteggia il Mare dei Caraibi, collegandosi da un lato alla Catena - delle Antille dall'altro alla Serra di Perrjia. E’ forse un sistema indi- | pendente. e) Cordillera di Merida. -- Situata sul prolungamento della Cor- dillera Orientale fronteggia a Est la Laguna di Maracaibo. Cristallina nella parte assile, costituita invece nelle parti periferiche per lo più da terreni eretacei e terziari (Kalkstein e Sandstein) raggiunge circa STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 399 4000-4500 m. a Merida, 1200 m. a 2000 m. a Tachira. A Nord la Serra si seinde in 3 rami, la cui altezza oscilla fra 4000 e 2000 m. d) Monti caraib'ci. — Constano di due catene parallele (Sierra Costiera o nordica e Sierra interiore o meridionale) che con direzione da E a W seguono la costa nordica della regione. Il sistema non è molto elevato (2800 m.) ed anzi presenta tre notevoli depressioni che lo scindono in 4 sistemi, di second’ordine. Predominano le roccie ar- caiche, ma a queste si aggiungono nella Serrania interior le roccie eruttive, terziarie e cretacee. A Est poi com paiono i Kalkstein. La ca- tena Sud è più bassa di quella Nord, ma ovunque sono frequenti i piechi alti 1500, 1700, 2600 m. I monti di Caracas, razgiungono 1782 m. Il territorio basso interposto fra le due catene montagnarde è palustre o lacustre su estesi tratti. d) Depressione della Loguna di Maracaibo. — E° palustre e bas- sa assai: a Nord è sbarrata da monti alti 700-800 m. (roccie eruttive antiche), a N E dai colli di Paraguanà a nucleo cristallino eruttivo. e) Coro e Barquisimeto. — Il territorio è costi'uito da una catena poco elevata (1500-1800 m.) racchiuden'e delle alte valli. Poco no'o. 2. Condizioni climatiche: temperatura e precipitazioni. — Il clima è caldo nelle regioni basse. Alla costa la temperatura della Tierra ce- liante raggiunge la media di 25°,9—26°, 1 (Buonaventura) con scarse oscillazioni (0°, 6-1°, D. Il for'e riscaldamen'o delle terre basse in- | fluisce indirettamen'e sulla temperatura dei monti circos'anti. Allin- terno gli es'remi di temperatura sono più notevoli e in pari tempo più elevata la tempera'ura. Le Tierras templadas si incontrano nella Sierra di Santa Marta a 600 m. verso la zona limi'e per il Cacao e la Noce di Cocco. La temperatura è un pò più elevata nel la'o Nord della Sierra anziche nel lato Sud (24"-21? a 1000 m. dal lato Nord, 13-22? a 1900 m. dal lato Sud). j La temperatura subisce inoltre notevoli sbalzi, per cui assume i caralteri dei climi estremi. A Medelin (Antioquia), situato a 1510 m. sul mare, si ha una media annuale di 21°, 1, con oscillazioni medie di 21°, 72—0°, 3(oscillazione assoluta 299,4 — 13°, 6). A Merida, per effet o della nevi di alta mon- 400 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO tagna, la media annua raggiunge solo 18°, con oscillazioni entro 16° e 26°. Le Tierras frias cominciano a 2200 m. A Bogo'a (2660 m.) la media annuale è di 14°, 4 con scarse oscillazioni medie (1°), mentre gli estremi oscillano fra 22° ed 8°. Sulla alta montagna la tempera- tura scende a 0° di notte (verso i 4000 m.) Pochi sono i dati che possediamo sul sistema montagnoso della costa settentrionale, La Guaira offre una media annuale di 25", 7, con un massimo di 27° e un minimo di 24°. A Caracas, verso i 930 m., si ha una media annuale di 21^, 8, con un massimo di 23°, 3 e un minimo di 20°, 3. Le oscillazioni medie raggiungono ivi 3°, ma gli estremi arrivano a 26°, 5 e 149, 3. Infine rileverò che nella Colonia Tovar si è constatata una media annua di 14°, 4, con un massimo di 15°, 3 e un minimo di 12°, 5. Le oscilla- zioni medie raggiungono 2°, 8. Per quarto concerne le precipitazioni è stato assodato che nella Columbia e nel Vanezuela occidentale le precipitazioni sono relativa- mente abbondanti, per quanto, non manchino i territori in cui non raggiungono 1000 mm. (Cartago, Antioquia) o anco neppure 600 mm. ` Assai umida è la costa West della Columbia. Lo stesso dicasi per le pendici Nord della Sierra di S. Marta, la Cordillera di Merida, le terre basse di Zulia e l'Est di Coro. Le precipitazioni sono più scarse sui monti bassi o lontani della costa (vallate interne, Barquisimeto, Val- le del Cesar, Rio Hacha, pendici rivolte a Sud dei monti di S. Marta e della Costa Nord, Coro N-W, Cucuta nella Cordillera di Merida, Valle di Cauca ed altri territorii). Sulle pendici Sud della Cordillera di Merida P umidità è ancora intensa, trovandosi la stessa sotto il dominio dei venti di SO. Così pure abbondanti sono le precipitazioni (1600 mm.) nella Tierra Tem- plada di Bogota. , Sugli alti monti (oltre a 4000 m. d'altezza) le precipitazioni ca- dono in forma di nevi, ma scarsi sono i ghiacciai e poco estesi. Per quanto concerne la catena costiera rileverò solo che a Cara- cas si hanno circa 800 mm. di pioggia. Nelle regioni sud del territorio Columbo-Venezuelano si hanno 2 periodi di pioggie annuali: a Nord invece uno solo. Sulla Cordillera di STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 401 Merida presso Tachira i due periodi di pioggia sono ancora riconosci- bili, ma essi sono però separati da un brevissimo periodo secco: a Truillo i due periodi piovosi si fondono e questa condizione di cose si estende fino ai 3° di latitudine Sud lungo le pendici Est della Cordillera. Presso Caracas e sui monti costieri non vi ha un periodo secco, poichè durante l’estate si hannò ancora 150 mm. di precipitazioni, 3. Vegetazione. — Nelle parti basse si. incontrano le foreste da pioggia lungo le Valli di Atrato, nella Cordillera di Merida, nel Ba- cino del Cauca e della Maddalena ed altrove. Il tipo di vegetazione ricorda alquanto quello dell'Ecuador. Sulle pendici dove le precipitazioni si fanno più earse, compa ono le foreste a tipo monsonico, con essenze a foglie caduche e di sviluppo moderato (lato Sud del Nevado di S. Marta e delle Catene interne, sul Coro NW, lungo il Cesar. Le Sa a Cactee ed altre essenze xerofile sono diffuse nel Coro ed altrove, mentre alla costa si mostra la vegetazione alofila tri- viale, Ura speciale formazione è Cactee ed altre piante più o meno xerofile (Pendici SW del Nevado di S. Marta, Rio Hacha, Coro NW ed altrove). Sulle montagne, verso i 1300 m., la foresta accenna ad assumere la fisonomia speciale; il quale cambiamento } erò sulle pendici del West si inizia solo a 2000 m. Verso i 1450 m. sulle pend'ei Nord, verso i 2800 m. sugli altri ver- santi dei Monti di S. Marta è più alto ancora (3500 m.) nei siti ri- parati della Cordillera di Merida e a Bogata cominciano a manifestarsi quella di Monte, con tipi cespugliosi, i Paramos, regioni aride, o palustri, o torbose che si estendono dal Confine dell'Equador fino a Sierra di S. Marta. Ivi è il dominio della Espeletia. A un .ipresso le stesse formazioni riscontriamo lungo la costa Nord. Le foreste da pioggia coprono di preferenza le pendici Nord della Sierra di S. Marta e degli altri monti, elevandosi fino a 1500- 1800 m. All’ opposto sulle pendici Sud della Serrania interior e dei Monti di Cumana, come pure nelle sottoposte valli predominano le fo- reste a tipo monsonico, o più o meno xerofile. Le stesse poi trapassano 402 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO nella così detta formazione di Monte o cespugliosa a Cumana, a Unare, Barcelona ed altrove. La foresta a tipo montagnoso non presenta però una notevole dif- fusione (pendici Nord dei Monti Caraibici), ma dove si manifesta offre molti punti di contatto con quella di Merida. Estese Savanne si riscontrano a Nirgua, nel Bacino del Bejuma, nelle parti basse del Yaraqui ed altrove. Le formazioni in questione trapas- sano alla Catinga e allo Schrub dal lato Sud della Serrania interior ` ed in parecchie altre località sopra ricordate. Se noi ci portiamo più in alto ancora incontriamo le praterie al- pine che però verso l'Est della Catena compaiono già a 300-400 m., vale a dire ad un’altezza dove in altre località persiste ancora la fo- resta. Esse sono presenti sia nella Serrania interior che nella Cordil- lera della Costa. Non raggiungendo la catena 2800 metri essa non ri- cetta le formazioni dei Paramas; presenta tuttavia in alcuni territori (Colonia Tovar) non pochi accenni di Torbiere. D) Llanos Estesissimi e puco elevati sul mare, pianeggianti o disseminati di colli e basse montagne, i Llanos constano in gran parte di argille cal- cari e Lehm. Il clima è ivi secco, (600-200 mm. di pioggia), la tempe- ratura elevata (26°-27°), senza presentare tuttavia notevrli escursioni. La vegetazione è in predominanza erbacea, in parte formata da piante succulenti, ma non mancano neppure le associazioni arboree e queste sono appunto reperibili nel territorio di Merida. E) Ecuador 1. Costituzione orografica e geologica della regione. Il territorio è attraversato da due catene dirette da N. a S. delle quali quella occi- dentale è relativamente più giovane, constando di terreni mesozoici (Sandstein, Caleari, Roccie eruttive antiche) mentre quella dell’ Est è formata da terreni arcaici (gneiss, schisti). Tra le due Catene si inter- pongono dei ponti trasversali e degli Alti Bacini, attorno ai quali il aulcanismo ha lasciato indelebili traccie, STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 408 I. Alti Bacini del Sud. — Cominciano ad apparire là dove la Catena si sdoppia per dar origine alla Cordillera centrale e a quella orientale, la prima alquanto più bassa della seconda (3800 m. rispetto a 4800 m.). Nella regione degli Alti Bacini incontriamo degli schisti cristallini, delle roccie vulcaniche e dei terreni sedimentari. I Bacini per lo più campeggiano ad un’altezza che oscilla fra i 2200 e i 3200 metri. II. Alti Bacini del Nord. — Sono conformati come quelli del Sud, me taluni, ad esempio quello di Riobamba, sono sterili, sabbiosi, sparsi di dune. Essi poi si mostrano fiancheggiati da alti picchi vulca- nici insediati di preferenza sulla Cordillera Est. e notevoli per la loro grande altezza (Tunguragua 5087 m.). Del resto anche nelle pendici della Cordillera del West non mancano i picchi, in specie, vulcanici, altissimi, come, ad esempio, il Chimborazo. Bacini pure molto importanti sono quelli di Latacunga, di Ambato, di Quito, i quali vaneggiano ad un'altezza che oscilla fra 2400 e 2900 m. Attorno al Bacino di Quito, come del resto anche attorno agli altri due, predominano alti vertici alpini di natura vulcanica, tanto dal lato della Cordillera del West che su quella dell'Est. Basterà ricordare F An- tisana (5756 m.), il Cotopaxi (5943 m.) l’Iliniza (5305 m.). Da ultimo meritano di esser menzionati i Bacini di cartes e Tul- can costituiti pressoché come i precedenti. III. Regioni basse del West. — Formano una zona poco ampia costituita da terreni cretacei e quaternari. E’ un territorio in parte palustre, piano in alcune regioni, alquanto elevato sul mare (700 m.). IV. Regione orientale. — Fa parte del Bacino amazzonico e non è quindi più il caso di soffermarei a descriverla non albergando, per quanto almeno mi consta, alcuna specie di Saurauia. 2. Condizioni climatiche: temperatura e precipitazioni. - - La tem- peratura è equatoriale, ma soggetta a notevoli variazioni a seconda dell’altitudine. Sulla costa, a causa della Corrente fresca del Perù, la temperatura e piuttosto mite. Guayaquil ha infatti una media annua di 27°-28°, 5, con un minimo di 25°,5 e con estremi oscillanti fra 35° e 19°. Pressocchè le stesse temperature si hanno nelle Isole di Puna e a El Recreo (25°), dove pure gli scarti termici sono poco ampi (3°—40). 404 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Ad Esmeralda, cioè sotto l’Equatore, la temperatura media annuale ar- riva a 18°, per discendere a 26° nelle regioni interne boscose. Il Clima della Cordillera offre questo di particolare che nelle re- gioni Sud si ha una temperatura più elevata che a Nord. A misura che si sale sulla Cordillera la temperatura si abbassa, per cui a Mindo. (1907 m.) si ha una media annuale di eirca 199.1, I valloni ehiusi sono molto caldi di giorno, freddi alla notte, es- sendo ivi forti le oscillazioni termiche (24?) Negli Alti Bacini della Serra compresi fra 2000 e 3000 m. si hanno dei valori termici oscillanti fra 18° e 11° (Banos a 1800 m. ha 18°, 15 in media). Però Quito a 2850 m. presenta 139,5 come media annua, con oscillazioni assai forti (23°—3°,4). Un pò più in sùla temperatura scen- de a 0° nella notte (Tulean 2977 m.). Infine nella regione degli alti Paramas campeggianti fra 3000 e 4000 m. la temperatura media si mantiene sotto 10° con scarse oscil- lazioni. | Per quanto concerne le precipitazioni è stato notato che lungo la costa l’umidità è del territorio Sud si abbia un certo grado di umidità per le nebbie o Garuas che ivi dominano da Giugno a Novembre. | Abbastanza aride sono le regioni della Penisola di Morro, di Quaya- quil, di Punà, di Guayas fino alla Baja di Caraques: solo dove i monti si approssimano alla costa si nota un tenore più elevato d’umidità. più grande a Nord, sebbene anche per alcuni tratti Molto umido all’opposto è il territorio di Esmeralda, dove piove sì può dire tutto l’anno. Se noi ora ci, portiamo verso l’interno troviamo che il clima di- venta tanto più umido quanto più ci avviciniamo alla Cordillera, per cui nella zona forestale, si può dire piove tutte le notti. Talora si osservano due periodi piovosi, il secondo dei quali cade in ottobre. Piove pure abbondantemente sulle pendici Nord della Cordillera del West e su quelle Est della Cordillera orientale, ma questò regime si osserva solo nelle stazioni comprese fra 600-2000 m. Nelle alte Serre e nei Bacini elevati le condizioni di clim. sono un pò diverse, N | STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 405 A Quito e più in sù ancora si hanno 100 mm. di pioggia. Le pre- cipitazioni sono però accompagnate da tormente gelide. Ivi pure sono distinti due periodi piovosi, separati da altrettanti di bel tempo. Infine sugli alti picchi vulcanici le precipitazioni hanno luogo sotto forma di nevi. Il limite di queste è elevato a circa 4800-4200 m., di guisa che solo 20 punte sono coperte da ghiacciai, i quali sui monti del West si estendono fino a 4512 m.e su quelli dell'Est a 4134. Non mancano le traccie di antiche glaciazioni. 3. Vegelazione — Data la posizione geografica del territorio la si presenta eminentemente tropicale, ma in pari tempo molto varia. I. Regione bassa del West — Lungo la spiaggia abbondano le Mangrovie, ma più all’interno, a seconda del tenore delle precipitazioni della condizione palustre, o, all'opposto arida del suolo le formazioni mutano di fisonomia. Nel territorio sud, piuttosto arido, sono diffuse le savanne a succulenti e a piante spinose, cui si sostituiscono le alo- fite nei siti salati. Noi troviamo le savanne nelle regioni comprese tra Guayaquil, Punà, Foce del Guayas e di quì sino alla Baja di Caraques. Però anche a Guayaquil, Isola Punà ed altrove non mancano i boschi formati da essenze a foglie caduche, xerofile. Piuttosto umida è la Costa Nord, in specie a Esmeralda, dove incontriamo le foreste da pioggia, sebbene non facciano difetto le Sa- vanne, i Cerrados (Pueblo Vijeo, Babahoyo) e le praterie: quest'ultime accantonate presso la regione montuosa. II. Pendici delle Cordillere -- Alla foresta tropicale succede a varia altezza (da.300 e 1300 m.) la foresta di montagna, ricca di Felei e di Cinchona. Le essenze nelle Cordillere sono spesso differenti, ma il tipo è unico. La vegetazione si mantiene rigogliosa dai 600 m. ai 1500-2000 m. tanto sulle pendiei West della Cordillera del West quanto su quelle Est della Cordillera dell" Eat. A una certa altezza gli alberi cedono il posto ai frutiei e suffrutiei. III. Vegetazione degli Alti Bacini —Fatta eccezione per quelli assai bassi, gli Alti Bacini sono privi di foreste ed anco talora di alberi. Sono presenti quasi ovunque i tipi delle regioni temperate, ai quali nelle parti più calde vanno associati i Cereus e le Agave. Grande dif- fusione hanno ivi le specie erbacee xerofile e le formazioni a tipo di 406 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Schrub. Va notato tuttavia che taluni bacini sabbiosi sono del tutto sterili. IV. Paramos—Gli alberi si arrestano a circa 3500 m. i cespugli a . 4000 m. circa, per cui i Paramos sono spesso solo coperti da forme erba- cee, (Formazione di Espelatia) che in molti siti non differiscono gran chè da quelle degli alti Bacini. Al disopra dei Paramos domina il deserto (Tunguragua), che del resto si trova anche in regioni relativamente basse, soggette al vul- canismo. A complemento di queste nozioni sulla costituzione fisica del- l'Eeuador accennerò ancora in breve alla regione orientale, per quanto questa si trovi quasi del tutto fuori del dominio delle Sawrauia. La regione è piana e costituita pressochè degli stessi terreni anti- chi, o pià o meno recenti delle altri parti del Baeino Amazzonico. La temperatura è ivi elevata, ma presso alle Ande va soggetta a forti sbalzi. Poche e incomplete nozioni si hanno sul regime delle pioggie che tendono, a quanto pare, a concentrarsi in due periodi: questi però presso le Cordillere si fondono in un solo, per quanto anche lungi del massiccio montagnoso non si abbia alcun mese del tutto privo di pre- cipitazioni. Data la grande copia di precipitazioni non mancano le fore- ste da pioggia, ma neppur fanno difetto le Savanne, le quali, come ho dimostrato in un lavoro col D.r Huber, non sono, per lo più che anti- chi territori fluviolacustri stati abbandonati dalle acque. F) Perù 1. Costituzione orografica e geologica delle regioni — Verso |’ e- stremo Sud del territorio si incontrano due sistemi montagnardi, con- giunti fra loro da ponti, i quali formano la Cordillera del West e quella dell'Est: quest'ultima a Nord si seinde in un terzo sistema conosciuto eol nome di Cordillera Centrale. La Cordillera dell Eat è più antica e consta di graniti, di sieniti e di terreni siluriani, mentre quella del West è per lo più mesozoica: mancano i vulcani attivi, ma sono diffuse le roccie ignee antiche. Le due Cordillere non sono molto elevate, in specie quello dell'Est; ciò non di meno alcuni picchi raggiungono 7000 m. (Nevado di Huas- can ad es). STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE EUC. 407 Il settore Sud delle Cordillere forma il sistema dell'Ucayali, quel- lo Nord ii sistema di Maranon, che si fondono fra loro presso Cerro de Paseo. Nel sistema dell’Ucayali la Cordillera dell’ Est’ consta di graniti, schisti, Gràuwache e più perifericamente di Sandstein. Essa ricetta non pochi Alti Bacini (3000-4000 m.) e in qualche punto si innalza a note- voli altezze. Verso il nord la cordillera si accosta a quella occidentale; si abbassa per elevarsi di nuovo a Cerro del Pasco. La Cordillera West dello stesso sistema consta, sulle pendici, di Kalkstein, di Roth Sandstein, mentre nella parte elevata è costituita in gran parte da roccie vulcaniche. Il sistema montagnardo si eleva spesso a notevoli altezze. (fino a 7000 m.), ma nel suo complesso il massiccio ha la configurazione di un altipiano, per cui troviamo di nuovo i Paramos sabbiosi, palustri. Nel sistema di Ucayalila costa degrada a terrazze verso il mare. Essa è molto arida, sabbiosa, almeno a Sud del 14° lat. Sud. Nel sistema del Maranäo, dobbiamo «distinguere tre aggruppamenti: la Cordillera del West, compresa fra la eosta e il Marancn; la Cordil- lera Centrale ‘ra questo e l'Huallaga, infine la Cordillera Est inter- posta fra quest'ultimo e il Rio Hueayali. La costa che fiancheggia a West il sistema è meno arida di quella Sud, salvo al Nord dove si estende il deserto di Sechura e su qualche altro tratto. Essa è attraversata da una Serra — i cui vertici sono di- seretamente elevati (1000-4000 m.) — dove troviamo largamente rap- presentate le dioriti, le sieniti, i graniti, il Sandstein, gli schisti e i ‘ terreni terziari. i La Cordillera del West, formata in parte di terreni sedimentari mesozoici e in parte di roccie vulcaniche, si suddivide in due rami: il West e l'Est. Il primo di questi si ramifica a sua volta per dare ori- gine alla Cordillera negra (con passi elevati circa 4500 m. e punte che raggiungono 4800 m ) ed alla Cordillera bianca, grande catena nella quale abbondano i Puna, più o meno sterili, e le formazioni moreni- che e lacustri. I vertici, che raggiungono talora 6000 e più metri, con- stano di terreno vulcanico. Verso il Nord la Cordillera si abbassa no- tevolmente. 408 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Il ramo Est, formato da trachiti, tufi, schisti argillosi, ha qualche vertice alto più di 4000 m., ma in generale la catena è assai meno e- levata e tende ad abbassarsi ancor di più a Nord. E’ su questo ramo che suno abbastanza frequentati gli Alti Bacini (antichi laghi prosciu- gati). Al confine coll’Equatore la catena raggiunge dapprima 2000 m. e poi 3000-4000 m. La Cordillera centrale, altissima a Sud, degrada verso il nord e alfine seompare dopo essersi divisa in due rami, fra i quali si inter- pongono degli Alti Bacini. E’ costituita da schisti antichi falcosi e da terreni paleozoici o arcaici. La Cordillera dell’ Est è poco nota e non raggiunge notevoli altezze. A nord si addossa alla Cordillera centrale. 2. Condizioni climatiche, temperatura e precipitazioni — Il clima . € abbastanza fresco sulla Cordillera del West e sulla costa, per quanto almeno si può giudicare in base agli scarsi dati meteorologici che pos- sediamo. La temperatura media annua raggiunge ad Arica 19°,7, a Lima solo 19° benchè questa città si trovi più a N. Nei mesi caldi si hanno i seguenti valori: Arica 22°, Lima 23°.2: nei mesi freddi Arica ha una temperatura media di 17°,3 e Lima 15°, con oscillazioni che raggiungono 49,7 per Ariea, 8°,2 per Lima. Nelle regioni delle Garuas la temperatura è un pò più elevata. Per quanto concerne le Serre tro- viamo che ad Arequipa (2363 m.) si hanno, come estremi medi, 24 e 4°: a Matucana (2374 m.) si ha una media annua di 14°.5 con una escursione media pure annua oscillante tra 10°-11° e 19°-20°.5; a Hua- nuco, infine il clima è caldo d’inverno e mite d’estate durante le pioggie. Nella regione dei Puna (da 2500 in su) il clima diventa aspro, tanto che spesso gela a 3050 m. e si hanno nevicate abbondanti. Nei valloni chiusi, in generale, si ha una temperatura piuttosto alta e cosi pure in molti Alti Bacini protetti. Le precipitazioni sono molto più ae dal lato del Bacino amazzonico e vanno diminuendo sempre più a misura che ci portiamo a West. Perciò le regioni orientali sono umide e quelle occidentali secche. Sulla costa presso Lima cadoro solo 64 mm. di pioggia all'anno: ciò non di meno una certa umidità vi apportano le Garuas che però non si elevano più. di 700 m. Nelle regioni nordiche le precipitazioni si fanno ancor più searse e perciò incontriamo ivi il deserto. STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 409 Sulla Sierra West presso Arequipa (2363 m.) si hanno circa 100 mm. di precipitazioni, con un periodo piovoso che si estende da Gen- naio a Marzo. Il clima è tuttavia straordinariamente secco. ; Nella regione dei Puna, a partire da 2500-3000 m., il clima di- venta rigido tanto che troviamo le nevi. Il limite delle nevi eterne è a 4500 m. sull’Huascan. In generale si osserva che data la minor pio- vosità nelle regioni West il limite delle nevi si eleva di molto da questo lato delle Cordillere (5500 m. sul Misti nel W., 4700 sulla Cord. d' Est). Per la stessa ragione la Cordillera negra non ha nevai, sebbene sia molto alta. I ghiacciai sono molto scarsi. La serra Est è molto umida; il limite delle regioni climatiche ca- ratterizzate dalle idrometeore abbondanti si trova fra Cajamarca e Ce- lendin. Le pioggie venendo cogli Alisei non raggiungono talora gli Alti Bacini chiusi i quali perciò sono spesso aridi. Allo opposto straor- dinariamente umida è la Regione di Montana dove piove, si può dire, tutto l’anno. 3. Vegetazione — La costa è arida al Sud, (salvo lungo i corsi d’acqua, o nell’ambito delle Garuas) un pò meno nella parte mediana della regione, aridissima a Nord. (Deserto di Sechuras, dintorni di Lima). Nell'ambito delle Garuas si hanno i soliti tipi succulenti, spinosi e la vegetazione acquista spesso il tipo di Schrub. Nelle valli un pò umide la vegetazione risulta costituita da frutici, ma non si ha mai una vera foresta: tutto sommato, la regione è alquanto meno arida della costa nordica del Chili. Nella regione bassa delle Serre, dove ancora dominano le Garuas, la vegetazione si ravviva, ma aneae ivi non mancano i territori semi- sterili (Guayaquil). Sopra i 2000 m. a West, a 3500 m. al passo di Calle-Calle, a 3200 m. circa presso Huamachuco cessa la vegetazione arborea e suben- trano per lo più le piante basse erbacee e le xerofite. Nella parte infe- riore di questa regione cioè tra 1900-2500 m. abbondano le cactee ed in quella superiore compaiono altri tipi, tra cui non poche forme spinose. Le altre regioni del Puna o sono sterili, o albergano solo pochis- sime essenze arborescenti assieme ad erbe. La latitudine influisce molto sulla vegetazione. Cosi a Sud gli Alti 40 — LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Bacini sono rivestiti soltanto da poche Stipa, mentre al confine della Bolivia le erbe arrivano a 3500-4000 m. e più a Nord gli stessi Alti Ba- cini albergano suffrutici, erbe, torbiere. Se noi ora passiamo in rassegna i vari settori del sistema monta- gnardo rileviamo i seguenti dati: Nella Cordillera di Ucayali alcune regioni elevate offrono il ca- rattere di Puna. . AI di la dei passi del West si incontrano praterie e formazioni a tipo cespuglioso, mentre sulle pendici rivolte verso il Marafion non mancano i boschi Estesi Puna si trovano a N. W. di Cuzsco e sulle pendici della Cordillera dell’ Est, mentre piuttosto aridi sono i fianchi delle valli dell’Apurimach dove troviamo solo cespugli spinosi e Cactee. La step- pa alpina compare in non pochi Alti Bacini di SO, mentre i Paramos, con vegetazione erbacea o fatta di tipi spinosi, appaiono solo sulle alte regioni. Sulla Cordillera Branca trovansi non pochi Puna più o meno aridi o di natura steppica, disseminati per lo più negli Alti Bacini. Il Ramo Est della Cordillera West offre non pochi bacini lacustri prosciugati, coperti per lo più di Cactee ed erbe, più di rado da boshi (Cajaman). Taluni valloni sono però molto aridi e assumono perciò il carattere di Puna. Le formazioni pratensi sono reperibili a 3200 e più metri presso le sorgenti del Marafion, il quale nelle parti più basse, al pari dei suoi affluenti, è ombreggiato da foreste. Queste sono pure reperibili lungo i fiumi della Cordillera dell’Est. Infine nel distretto di Montana troviamo che le regioni elevate, ma non eccessivamente, sono coperte da praterie, mentre tra i 2300- 1100 m. le pendici cominciano a mostrarsi rivestite da fitte foreste con vegetazione tropicale lussureggiante. Solo taluni valloni chiusi o le località poco esposte agli Alisei presentano una scarsa vegetazione di Cactee ed altre forme xerofite. G) Bolivia 1. Costituzione orografia e geologica della regione — Nell'ambito della Bolivia la catena andina si dilata notevolmente (700 Km. tra Tao- ` STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC : 411 na e S. Cruz) formando così un altipiano centrale con tipo di Puna (ad un'altezza di circa 3600 4000 m.), percorso da catene parallele nelle quali sono disseminati dei coni vulcanici che colle eruzioni colmarono le valli. L'altipiano è fiancheggiato, dal lato Pacifico, dalla Cordillera del West, dal Jato opposto dalla Cordillera dell'Est che contribuisce in gran parte alla sua formazione, essendo poco importante lo sviluppo di quella West, disseminata pure a sua volta di alti coni vulcanici. La Cordillera dell'Est è assai più antica di quella del West e consta di gneis, schisti cristallini ed altre roccie paleozoiche a cui tuttavia si sostituiscono all’ Est le formazioni mesozoiche. All'opposto la Cordillera del West consta quasi del tutto di quest'ultimi terreni, cui si associano le roccie eruttive. Noi accenneremo qui brevemente alle particolarità più essenziali dei singoli distretti montagnardi: I. Cordillera dell? Est — La sua altezza oscilla fra 2000-3000 m. a Est, ma verso l’interno raggiunge anche 6000 m. di altezza. II. Cordillera di Cochabamba — E’ una formazione siluriana che presso a Cochabamba si eleva fino a 5000 m. per abbassarsi, come le altre catene, ad Est. Nel dominio boliviano la Cordillera dell’ Est è, dal lato occiden- tale, incorniciata da monti elevati, granitici ed antichi, o vulcanici, i quali la separano in certo qual modo dal Puna West. L'altezza me- dia di siffatti monti è di circa 4700 m., ma non pochi arrivano a 5200- 5300 m. III. Cordillera di La Paz — Formata pure di terreni siluriani la catena è molto elevata (Cerro de Guadalupa 5386 m.), e comprende dei valloni molto profondi. Un’ altezza ancor maggiore raggiunge a Nord (Illimani 6405 m.), ma poi torna ad abbassarsi alquanto a N. E. di Sorata (5000 m.) IV. I Puna — Campeggiano a circa 3700-4700 m. d'altezza eco- stituiseono un territorio ondulato, geologicamente tanto più recente quanto più si avvicina al limite occidentale, poichè noi troviamo sul lato West i porfidi e il Rothsandstein, mentre all’Est predominano gli schisti siluriani e devoniani impiantati sopra uno zoccolo granitico. d 412 : LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Dalla Puna di Atacama si passa gradatamente alla Puna Bolivia- na. Il territorio del lato Sud è formato di pianure e paludi salate; a questa regione susseguono a Nord dei montiassai alti e delle formazioni lacustri in via di lentissimo prosciugamento (Titicaca) che rendono più o meno fertili le regioni. Noi abbiamo quindi a distinguere nelle Puna un territorio aridissimo a sud, costituito di sabbia e disseminato di alti coni vulcanici, e un altro fertile a Nord. V. Cordillera del West — E’ mesozoiea, ma consta pure in gran parte di roccie eruttive antiche. Le sue cime sono spesso coronate da coni vulcanici. La catena si divide in due rami che più a nord si fondono nuovamente elevandosi in pari tempo a grandi altezze (Oya- gua 5865 m. Parinacota 6376 mi 2. Condizioni climatiche: temperatura e precipitazioni. La temperatura non discende sotto 0° nella Puna di S. Pedro di Atacama benchè la regione si elevi a quasi 3000 m. Dall’interno della Bolivia abbiamo i seguenti dati termometriei. DI Huanchaca (4100 m.) 89.7 temp. med. an.: 12*.4 tem. med. est.: 4^.2 tem. med. inv. Potosi (3960 m.) 99.4 » » » 1492. »" a Lo Did La Paz (3659 m.) 10% a » E Lai gg ER Way X v» Le escursioni termiche raggiungono 7°.7 a Huanchaco, 9°.1 a Po- tosi, 7°.3 a La Paz, ma occorre aver presente che grandi sono le dif- ferenze termiche nei siti esposti al sole rispetto a quelli ombreggiati, e ciò in specie a La Paz. Per le pendici Est della Cordillera è stato rilevato che a Sucre (2800 m.) la media termica annua arriva a 15°, con estremi medi di 17°.2 e 19°.2, mentre a Cocabamba (2560 m.) si hanno i valori rispettivi 16°, 19,2, 12°.8. Gli estremi assoluti sono forti (30°.2, 2°.7) e le oscilla- zioni diurne arrivano a 25°. (continua) > iz RES ep TACE Dorr. A. BEGUINOT Docente di Botanica presso la R. Università di Padova. La Flora delle mura e delle vie di Padova STUDIO BIOGEOGRAFICO PREFAZIONE La stazione ruderale ed urbica attrasse l’attenzione dei botanici assai prima che Linné, circoscrivendola e definendola con le scultorie parole: « Ruderata juxta domos, habitacula, vias ac plateas (1) Loca dura ab animalibus stercorata, ealeata. Plantae fructibus saepius adhae- rentibus (2) », ne redigesse un elenco delle piante che egli ritenne più caratteristiche. Ne è prova, per limitarci all’Italia, il poco noto « Catalogus plan- tarum Amphitheatralium » pubblicato da Domenico Panaroli (1587- 1657) (3) che illustra le piante crescenti in quel maestoso ed impo- nente rüdero romano, che è il ben noto Anfiteatro Flavio o Colosseo. La prima edizione del Catalogo è difatti, come. vedremo, del 1643. "Comunque però si sposti la data delle prime notizie sulla flora in ‘questione, è noto che prima e molto dopo di Linné ed anche in tempi a noi recentissimi, la vegetazione urbica fu oggetto, più che altro, di (1) C. Linnè, Philosophia botanica, Stockholmiae, Amstelodami, 1751, p. 269 '2) Id. Stationes plantarum in « Amoen. Acad., IV 1754), p. 64». Questo lavoro, da molti attribuito a Linné, é in realtà del suo allievo A. Hedenberg, ma indubbia- mente ispirato a quanto il maestro aveva già scritto nell’ opera sopra citata, nonché nella Flora lapponica (1737), svecica (1755) ecc. Circa gli esempi da questi addotti ed in generale sulla circoscrizione della stazione vedansi le acute osservazioni di Delpi- ‘no (Studi di geografia botanica secondo un nuovo eu in Mem. R. Accad. Sc. del- — Plst. di. Bologna, ser. 5., tom. VII [1898] ). (3) Ctr. la bibliografia nelle pagine seguenti. 414 DOTT. A. BÉGUINOT elenchi o cataloghi più o meno accuratamente redatti, ma nei quali domina la nota della curiosità e l’indirizzo esclusivamente floristico. Con l’affermarsi e col progredire dell’analisi fitogeografica, le in- dagini sulla flora ruderale vennero allargando gli stretti confini nei quali erano state contenute, in considerazione sopratutto che dai luo- ghi compresi o vicini al raggio d’azione di quel potentissimo ed irre- quieto fattore che è l'uomo, numerose specie esotiche, casualmente in- trodotte, presero le mosse per invadere e conquistare terreno mesco- landosi all'elemento indigeno. La flora urbica, in senso largo, è inoltre l’assieme di parecchie stazioni ed associazioni, che fermarono |’ atten- zione per i caratteri di cui sono insignite. Sicchè in numerosi lavori ad indirizzo fitogeografico sono date più o meno ampie- notizie sulla loro struttura, sulle specie più frequenti, sulle affinità con altre sta- zioni ad impronta più naturale e dettagli simili. Ciò che ha segnato, nessuno verrà negarlo, un progresso nella diret- tiva della ricerca. D'altro canto, come in qualunque stazione, per artificiale che essa sia, o che a noi piaccia chiamarla, le piante incontrarono in quella ruderale (per quanto di recente costituzione) condizioni peculiari e ad esse hanno reagito adattandosi, assumendo cioè caratteri che sono una diretta od indiretta induzione dello speciale ambiente. Da ciò accenni, in realtà sin qui scarsi, sui rapporti e sulle dipendenze di queste piante col mezzo e l’opportunità manifestata da alcuni botanici di sottomet- tere tutto il complesso della flora ruderale al lume dell’indagine bio- logica: indagine che ha condotto e condurrà, col disvelarei le condi- zioni e la finalità degli adattamenti in questione (spesso più complessi di quel che a prima vista potrebbe sembrare), a determinare le leggi che presiedono l'affermarsi ed il mantenersi di un così singolare con- sorzio floristico. Nel riunire le notizie sulla flora rederale ed urbica di Padova, i criteri floristici, fitogeografici e biologici, che segnano, come si rileva da quanto sopra fu detto, i momenti principali dell'evoluzione storica di questa ricerea, e, potremmo dire, generalizzando, degli studi tutti sulle lore, furono tenuti presenti e convenientemente equilibrati, on- de mettere assieme un quadro, nonostante le deboli mie forze, com- — SAGRE, * He ASI LA FLORA DELLE MURA E DELLE VIE DI PADOVA 415 pleto ed armonico. Il lavoro consterà, quindi, dopo gli opportuni cenni storici e bibliografici, dell'elenco delle specie a seconda che furono raccolte sulle mura, lungo le vie e piazze, ed in genere in luoghi cal- pestati (eliminandone invece quelle crescenti lungo gli argini del Bae- chiglione, negli orti e delle più rare o circoscritte dando dettagliate indicazioni di località e di raccoglitore); di considerazioni fitogeogra- fiche sulla composizione e struttura della flora, sull'origine e la pro- venienza degli elementi (in rapporto sopratutto con la controversa ef- ficacia della disseminazione a distanza, di cui i ruderi padovani sono patente dimostrazione): e del rilievo biologico dei principali adatta- menti in rapporto ai fattori locali, val quanto dire lo studio del po- limorfismo e delle cause che lo generano e lo esaltano. Queste due ultime parti, le meno ias ed approfondite, saranno oggetto di più ampio e minuto esame. Non ho la presunzione, nonostante le migliori mie intenzioni, di avere fatto lavoro perfetto e senza mende; ma se fossi riuseito a deli- neare qualehe nuova prospettiva e ravvivare l'attenzione dei botaniei ad un argomento negletto, ma interessante, avrei raggiunto lo Scopo ambito. E mi sia qui permesso di ringraziare il Chiar. Prof. P. A. Saccardo che mi forni utili consigli pel lavoro, permettendomi inol- tre di utilizzare materiali e libri dell'Istituto Botanieo da lui diretto. Padova, Istituto Botanico, Novembre 1911. Pa 416 DOTT. A. BÉGUINOT Cenni storici e bibliografici relativi sopratutto alla flora ruderale d'Italia Come fu detto sopra, la flora ruderale ebbe, specialmente nello scorso secolo, numerosi contributi. Senza pretendere di qui redigere una comple- ta bibliografia non posso a meno di non ricordare per la Francia i lavori di Lepage (1), Vallot (2), Richard (3), Gagnepain (4), Chevalier (5), per la Svizzera la recente ed accurata monografia di Naegeli e Thellung (6), per la Germania le memorie del Caspary (1), Hellwig (8), Barnéwitz (9), (1) Cfr. Ch. Chatin, Rapport présenté à l'Académie de Médecine sur là mémoire de M. Lepage « Plantes da vieux cháteau et des environs de Gisors. Paris, 186: ». (2) J. Vallot, Essai sur la flore du pavé de Paris, limité aux boulevards exterieure, ou Catalogue des plantes qui croissent spontanément dans les rues et sur les quais, suivi d'une florule des ruines du Conseil d' État. Paris, 1884. Sur les modifications de la flore des rui- nes du Conseil d' Etat de 1883 a 1884, în « Bull. Soc. Bot. Franc, XXXI (1884), p. 321 ». Herborisation dans les rues de Paris in « Science et Nature, 1. III 1884 ». Herborisation dans les rues de Paris in Daller « Monde des savants du XIXme siècle, Paris, 1889 ». (3) R. Richard, Florule des clochers et des toitures des églises de EM (Vienne). Paris, 1888. © (4) F. Gagnepain, La végétation sur le lactier des haut-fourneaux in « Bull Soc. d’Hist. Nat. d'Autun IX (1895), p. 17 ». Végétation calamicole et murale des environs de Cercy-la-Tour (Nièvre) « ibid. X (1897) 2. parte, 230 ». (5) A. Chevalier, La Flore adventive des ruines du Cháteauf féodal de S in « Bull. Soc. Linn. de Normandie, ser. V, I (1897), p. 57 ». (6) O. Naegeli u. A. Thellung, Die Flora des Kantons Zurich. I Teil: Die Ruderal- und. Adventivflora des Kantons Zurich « Sond.-Abdr. aus Jahrg. L (1905) d. Vierteljahrsschr. d. Naturf. Gesellsch. Zurich. ». (7) C. Caspary, Flora des Kôlner Doms in « Verandl. d. Naturuiss. Ver. d. preuss. | . Rheinlande u. Westphalens, XVII (1860), p. 331 ». i (8) F. Hellwig, Über den Ursprung der Ackerunkräuter und der Ruderalflora Deut- schlands in « Engler’s Bot. Jahrb. VI (1886) p. 343 ». (9) A. Barnéwitz, Die auf der Stadtmauer von Brandenburg A. H. wachsende Pflan- ` i zen in « Verh. bot. Ver. d. Prov. Brandenburg, XL (1898). Abhandl. p. 97 ». E. Di FA Ce EE RITI; ee eet, ET EE e Tu icu e RE e un vo MATE eai in 3 + Le? Oger Ere m Lr TUTE I Gei erg Ene ALLA E Kai Dac Ew MN. 1: e ee ea RO E E a LION. u 4 Hai eer TREES ETT er TT EORUM UC. T MU MES MS n wee , È BER GE e Es ar E TERN, Ke? d st LA FLORA DELLE MURA E DELLE VIE DI PADOVA i 417 Zimmermann (1) per la Svezia del Lindman (2) e del Sylven (3) ecc. Conspicuo è il contributo dei botanici italiani che con il Pana- roli possiamo considerarli come iniziatori di queste ricerche. E credo opportuno di dare qualche cenno bibliografico dettagliato sulle memo- rie che a mia conoscenza vennero sin qui pubblicate. I. Domenico PanaroLI (Roma 1587-1657). 1. Jatrologismi sive Medicae Observationes quibus additus est in fine lantarum Amphitheatralium Catalogus. Romae, Typis Dominici Marciani, 1643 (4). Questo catalogo comprende 337 specie disposte alfabeticamente, ‘ tutte crescenti nell'Anfiteatro Flavio, alcune indicate col solo nome ge- nerico, altre con una specie di nomenclatura binomiale, altre con una " brevissima frase diagnostica. Per quanto non sia che un elenco di nomi di piante, non tutti riportabili all’attuale nomenclatura, il lavoro H merita considerazione poichè è il primo che tratti della flora murale (1) F. Zimmermann, Adventiv-und ‘Ruderalflora von Mannheim, Ludwigshafen und der Pflalz nebst den seltneren einheimischen Blütenpflanzen und des Gefässkrypiogamen, Mannheim, 1907. (2) C. Lindman, Karlvaxifloran pa Visby ruiner, in «fvers. af k. Sv.Vat.-Ak. För- handl., 1895, n. (3) N. sa sro floran i Torne Lappmark in « Bot. Not. Lund 1904, p. 117». (4) Altre edizioni sono quelle del 1647 in « Polycarponia seu Variorum fructuum labores etc. Romae, apud Jo. Bapt. Roblettum », del 1652 in « Jatrologismorum seu Medicinalium Observationum Pentecostae Quinque etc. Romae, apud Franciscum Mone- tam » e del 1654 in « Praeludium de necessitate Botanices. Hanoviae ». Cfr. per altri - dati sulla biografia e bibl ografia del Panaroli in Pirotta e Chiovenda, Flora Romana in «Ann. d. R. Ist. bot. di Roma, a. X, fasc. 1 (1900), p. 108-113». Questi (op. c. p. 143) scrivono che anche G. B. Triumfetti aveva preparato un catalago delle piante del Co- losseo, che non vide però la luce, mentre dati relativi a questa flora ed a quella di altre ruderi romani sono consegnati nel « Catalogo delle piante native del Suolo ro- mano etc. » di G. G. Roggieri e che vide la luce nel « Teatro Farmaceutico, Dogma- tico e Spagirico » di G. Donzelli; ma sul quale, onde non allargare gt la nosrra . . rivista bibliografica, non crediamo opportuno di soffermarci. E cosi dicasi di altre opere (e sono numerosissime) nelle quali incidentalmente possono trovarsi dati su piante ruderali od We 418 DOTT A. BÉGUINOT di un territorio ben delimitato e che, come vedremo or ora, attirò l' attenzione di altri botanici e può considerarsi per uno dei meglio noti per la costituzione e le vicende della sua vegetazione. II. ANTONIO SEBASTIANI (n. Riofreddo 1782, m. Aversa 1821). 2. Romanarum plantarum fasciculus alter. Accedit enumeratio plan. tarum sponte nascentium in ruderibus Amphi heatri Flavii. Ro- mae 1815, Typis Pauli Salviucci et filii. E’ un elenco alfabetico di 271 vascolari crescenti spontanee sui ruderi dell’ Anfiteatro Flavio, e va da pag. 23 a pag. 81 dell’opuscolo sopra citato. Nel frontespizio, sotto il titolo, un’incisione raffigura lo sto- rico monumento. Ciascuna specie è corredata di una breve diagnosi e di qualche sinonimo e figura più importante: per le più rare o critiche vi sono anche osservazioni dettagliate nelle quali rifulge il lucido in- gegno dell’autore. Egli, però, nè ha giustificato il suo lavoro, nè ne ha tratto alcuna conclusione. Ci limitiamo ad una sola, e cioè a con- statare il numero notevole delle specie segnalate dal Sebastiani, pa- recchie delle quali rare ed interessanti: Asphodelus fislulosus, Mal- colmia maritima (raccolta da Sebastiano Rolli), Lavatera triloba, Sedum dasyphyl'um, Thymus vulgaris, Trifolium pallidum, lappa- ceum, maritinum, supinum etc. III. Riccarpo Deakin (n... m. Tunbridge Wells. 1873). 3. Flora of the Colosseum of Rome; or, Illustrations and descrip- tions of four hundred and (wenty Plants growing spontaneously upon the Ruins of the Colosseum of Rome. London, Groombridge a. _ Sons, 1855. L'A. nella prefazione dell'opera citata fa una breve storia del Colosseo, segnala l'ampiezza dell'area atta alla vita delle piante, area che gli ha permesso di trovarvi ben 420 specie, comprese in 253 ge- neri e 66 ordini. Segue una chiave dieotomica per la determinazione delle famiglie sec. De-Candolle, delle classi e dei generi sec. Linné, e l'enumerazione delle specie che è sec. il sistema Candolleano. Ciascu- na specie è corredata da una breve, ma abbastanza completa diagno- + DFE RETE te: des e * ET RS E i ETEEN E TEEN NEN E ER VP CIONES E Te T ge e À x ORME NEEDS, 2 —— LA FLORA DELLE MURA E DELLE VIE EI PADOVA 419 si, rimandando l'autore per ulteriori notizie alla sua « Florigraphia Britannica » ed alla « Flora romana » di Sebastiani e Mauri, mentre l'opuscolo del Sebastiani è ricordato solo nella prefazione. Per alcune specie sono date notizie sulle proprietà medıche o fatte osservazioni ` . sistematiche di una critica molto discutibile. Il lavoro è fregiato di tre vignette rappresentati tratti dal Colosseo, e di tre tavole ove sono figurate alcune delle specie più rare e caratteristiche, e cioè: Anemo- ne hortensis, Asphodelus fistulosus, Cerinthe aspera, Capparis spi- nosa (che per noi è Cupparis rupesiris), Ornithopus scorpioides e Puliurus aculeat.s. Alla pag. 219 è descritta una specie nuova la Fe- stuca romana Deak. da riportare al ciclo di Vulpia Myurus. Il numero delle piante è assai più elevato di quello del Sebastia- ni ed anche dell’elenco redatto in seguito dalla sig.ra Fiorini-Mazzanti, numero che l’autore nel testo ha ancora aumentato portandolo a 510. Parecchie indicazioni però ci sembrano inammissibili o dubbie, come Linum catharticum, Iberis pinnata, Biscutella hispida, Cytinus Hy- pocistis, Saxifraga granulata, Cistus salvifolius, Vicia onobrychioides, Bupleurum rotundifolium, Oenanthe peucedanifolia, Epilobium mon- lanum, Bellium minutum, Chrysocoma Linosyris, Artemisia argen- tea, Filago minima, Wahlenbergia hederacea, Campanulu rotundi- folia, Asperula odorata, Lycopus exaltatus, Odontites lutea, Mercu- rialis perennis, Crocus minimus, Nurcissus poëlicus, Cares depau- perata, Briza media, Elymus europaeus ecc. Del lavoro seritto in inglese e rinchiuso in veste elegante e sug- gestiva è facile intuire lo scopo. Quel che è certo è che esso appare condotto con scarsa critica ed ha medioere interesse scientifico. IV. ELISABETTA FIORINI-MAZZANTI (n. Terracina 1899, m. Roma 1879). 4. Florula del Colosseo. « Atti dell’ Accademia Pontificia de’ Nuovi Lincei ». Comunicazione I-III. tom. XXVIII (1875), IV e V tom. XXIX (1876); VI tom. XXX (1811); VII. tom. XXXI (1878). Nelle sette comunicazioni sopra riportate l’A. ha elencato quanto P P q le venne fatto di raecogliere in pareechi anni di seguito e con eura minuziosa nei ruderi del celebre monumento, della cui flora rimpiange la distruzione causa, come Ella scrive, la cupidità archeologica che 450 DOTT. A BÉGUINOT tolse... al monumento le sue poetiche e pittoresche bellezze, ed al botanico il pascolo dei suoi studi... Ricorda le precedenti flore del Se- bastiani e del Deakin, della quale ultima pone in dubbio il numero troppo elevato delle specie. Dalle sue ricerche risulta che il numero totale, comprese le cellu- lari, vegetanti negli anni 1875-1878 era di 350, di cui 281 vascolari. Di ciascuna specie l'A. ha dato una diagnosi abbastanza completa, i sinonimi dei principali autori, ed ha fatto una serie di osservazioni critiche nelle quali rivela la sua competenza, specialmente per quanto concerne le erittogame. Anche nell’ indicazione dell'habilat dà notizie minute e dettagliate, ma disgraziatamente, come gli altri autori pre- cedenti, non trae altre conclusioni dal suo d ligente lavoro all’infuori di quelle sistematiche. Fra le specie più rare ricordiamo: Aspnodelus fistulosus, Sedum dasyphyllum, Colutea arborescens, Meliloius neapo- lilana, Lavatera cretica, Heliotropium tenuiflorum e Bocconei, Teu- crium flavum, Prasium majus ecc. V. A. Haro (sec. XIX). 5. Catalogue des plantes phanérogames qui croissen! spontanément dans la ville de Rome. Nancy, 1878. L'A. in un breve preambolo serive che durante il suo soggiorno di tre anni in Roma (1861-1863) ha raccolto «intra muros» più di 400 specie. Di tale ricchezza di vegetazione urbana trova la ragione nel largo sviluppo che vi hanno gli orti, vigne, e giardini spesso mal governati, i luoghi inabitati od abbandonati, le rovine in preda a lenta distruzione, nell'abbondante e fertilissimo humus e detrito di ogni sorta, e nell’ abbandono in cui erano tenute le vie, le piazze, ed il Tevere in quei tempi non ancora infrenato da argini in muratura. Noi ag- giungiamo che alla ricchezza del catalogo (che del resto occupa ap- pena 11 pag.) contribniscono molte indicazioni desunte dal lavoro del Sebastiani, di cui il suo vorrebbe essere un complemento, e dalla Flora romana del Sanguinetti, che lo diresse nelle ricerche. Le località più ricche di specie dall" A. visitate sono: il Colosseo, il Testaccio, i giar- dini di Sallustio, le terme di Caracalla, il Palatino, le terme di Tito, LA FLORA DELLE MURA E DELLE VIE DI PADOVA 421 il Gianicolo, il Vaticano (e perciò anche extra muros!) e l'Aventino, e le specie più notevoli ci sembrano Lagurus ovatus, Glaucium luteum, Scrophularia grandidentata, Che'ranthus fruticulosus, Geranium tube- rosum, Lavatera arborea, Vicia silvatica, Colutea arborescens, Trigo- nella Pes-avium, Astragalus hamosus, Artemisia arborescens, Parietaria lusitanica. VI. AGosTINO Goran (n Nizza 1835, m. ivi nel 1909). 6. Appunti botanici. Estratto dalla «Cronaca alpina (1879-1880)» Verona 1880. 1. Una decuria, e più di piante raccolte od osservate entro alla città di Verona. « Bull. Soc. bot. ital., 1593 pag. 456 ». | Nel primo lavoro UA. scrive (pag. 4) che «in una data regione si possono ammettere o meglio considerare due Flore. La prima, che io direi attuale, è costituita dalla somma delle forme vegetali che effettivamente crescono in essa: la seconda, che dire si potrebbe. vir- tuale, abbraccia queste non solo, ma quelle altre financo che nella regione stessa potrebbero vivere e- moltiplicarsi. » E tra le flore dove più frequente hanno luogo cambiamenti periodici, cita quella dei muri, ruderi e strade, ricordando esempi di piante rare e di subitanea com- parsa o scomparsa pel veronese. Nel secondo lavoro l'A. serive che « sarebbe opportuno fare tratto tratto un censimento delle varie forme vegetali che compaiono nei luoghi abitati, le osservazioni coudurrebbero ad importanti indagini, e getterebbero luce non poca sul fenomeno importantissimo delle va- riazioni che avvengono nelle Flore locali, e sopra’ quell’ innegabile movimento delle forme vegetali, al quale in altre scritture ha dato la denominazione di viaggio delle piante ». Passa quindi ad illustrare una trentina circa di specie indigene od esotiche da lui constatate entro la città di Verona. Il Goiran che, come è noto, per oltre un trentennio e con ceno- bitica perseveranza fece conoscere attraverso, una frammentaria. pro- duzione i tesori della flora veronese, ha raccolto numerosi dati per una flora urbica di Verona riassunti nel suo « Prodromo.». Ma allarghe- - 422 DOTT. A. BEGUINOT remmo troppo i confini del nostro lavoro se volessimo dettagliatamente oceuparcene. VII. CarLo DE MARCHESETTI. 8.Florula del Campo-Marzio. «Boll. Soc. Adriat. Seienz. Nat. in Trie- ste, vol. VII, fase. 1. 1882». 3 Il Campo Marzio è una località vicino a Trieste ove vennero de- positati per molti anni di seguito rifiuti e zavorre. Ciò spiega la sua ricca e svariata flora (considerata l’angustia dell’ ambiente) ed il nu- mero notevole di specie esotiche. Dal catalogo citato risulta difatti che negli ultimi 40 anni, vennero osservate non meno di 650 specie, delle quali una centuria e mezzo fluttuante, un centinaio mancanti nel resto del territorio di Trieste, circa 500 stabili. Questo elenco richiama alla mente la celebre vegetazione del porto Giovenale presso Montpellier, e quindi una flora in piccola parte urbiea, in grande parte d’origine avventizia. Argomento nel quale, onde non allargare molto l'ambito delle nostre ricerche, non ci estenderemo. "VIII. Lucio GABELLI. 9. Flora ruderale. Appunti di Geografia Botanica. « Riv. Ital. di scienze naturali; anno XIV, n. 1 (1 genn. 1894)». 10. Notizie sulla vegetazione ruderale della città di Bologna. «Malpi- = ghia, VIII (1894), pag. 41». 11. Della flora ruderale in generale ed in particolare della vegetazione urbica. Estratto dal periodico «Il pensiero Aristotelico ecc.» anno I, fasc. Luglio-Dicembre 1900 (con tre tavole). L’A. nei tre lavori citati prende le mosse dalla vegetazione urbica di Bologn., che risulta di 176 speciee parecchie varietà La confronta con quella della provincia e ne ricerca l’ affinità con l'alpina, con la florula dell’alveo dei fiumi, e del littorale marino. Vi distingue 4 tipi biologici di piante: le marginali, le stradali o plateali, le murali, e le tetticole, dimostrandone gli adattamenti, ed accuratamente indagandone al lume della biologia il polimorfismo. Quanto alla frequenza, le ru- derali sono distinte in caratteristiche ed avventizie, e queste a seconda LA FLORA DELLE MURA E DELLE VIE DI PADOVA 423 che provengono dalla flora indigena, ovvero da quella coltivata. Altre considerazioni sono dedicate dall’A. sulla loro introduzione, sui mezzi di propagazione (e cioè inconsapevolmente con l’uomo, o con i mezzi propri di disseminazione) e sui principali tipi di consociazione. Nota che non v' è nessuna forma ereditaria, ma ciò nulla toglie, sec. PA., all’importanza dello studio di questa flora. Le tre memorie citate rap- presentano, a mio parere, quanto di più elaborato sia comparso sin qui in Italia sull'argomento. IX. FABRIZIO Cortes! e LORENZO SENNI. 12. Contributo alla flora ruderale di Roma. «Bull. Soe, Bot. Ital., 12 Aprile 1896, pag. 98-102». 3 Il lavoro è preceduto da una breve prefazione nella quale gli au- tori, fatta risaltare |’ importanza che avrebbe uno studio della flora ruderale di Roma, eccezionalmente ric a, ed accennato ad alcuni dei lavori che la illustrarono (Sebastiani, Fiorini-Mazzanti e Deakin) enu- merano una prima centuria di specie da essi trovate sui muri e tra queste meritano menzione Allium suaveolens, Euphorbia Characias, Colutea arborescens, Centranthus ruber, Phagnalon rupestre (detto co- mune), Parietaria lusitanica ecc. : X. G. B. TRAVERSO. 13. Flora urbica pavese. Catalogo delle piante vascolari che crescono spontaneamente nella città di Pavia. «Nuov. Giorn. Bot, Ital.,vol. V (1898), pag. 57 e vol. VI (1899), pag. 241». L’A. enumera due centurie di specie crescenti nella città di Pavia, indicando per ognuna di esse la stazione, ed allegando quadri che ne rappresentano l’epoca di fioritura. Osserva che all’ introduzione e dif- fusione di molte specie anche rare in determinate località contribuisce l’uomo stesso, e che le piante crescendo in ambiente diverso dal loro ordinario subiscono modificazioni non indifferenti: ma nessun dato di fatto conforta questa seconda asserzione. Devono essere rivedute e com- pletate le determinazioni di Draba verna, Thlaspi Bursa-pastoris, Stel- laria media, Arenaria serpyllifolia, Crataegus Oxyacantha, Centaurea 424 DOTT. A. BÉGUINOT paniculata, Taraxacum vulgare, Parie'aria officinalis, Sagina apetala, Myosotis palustris, Chenopodium album. Ci sembrano importanti le sta- zioni di Potentilla argentea, Helichrysum angustifolium, Iris pallida, Bartsia latifolia, Tragus racemosus, Centaurea paniculata (tipica ? ) e fra le specie avventizie o naturalizzate Fragaria indica, Mollugo cerviana e Seen, Galinsoga parviflora, Lycium chinense, Acalypha virginica ecc. XI. Paoto DAMANTI, 14. Proemio ad una flora murale dei dintorni di Palermo. « Rend. Congr. bot. naz. Palermo, Maggio 1902» Palermo, 1903, pag. 190. L’A., fatto notare che la Sicilia e Palermo mancano di una flora urbica, traccia le linee del lavoro col quale si propone di completare la lamentata lacuna. A differenza dei botanici che, a parte qualche onorevole eccezione, trattarono l’argomento dal punto di vista esclusi- vamente floristico e sistematico, l'A. si ripromette di imprimergli indi- rizzo biologico, ponendo in rilievo gli adattamenti delle piante urbi- che in confronto di quelle crescenti nelle stazioni normali dei dintorni di Palermo ed i tipi biologiei eui vanno rieondotte. Lodevole trama di lavoro che DA. non ei consta abbia sin qui svolto, come era da au- gurarsi. AM. FRANCESCO De Rosa. 15.Contributo alla flora murale e ruderale di Napoli. «Boll. Soc. Nat. in Napoli, vol. XIX (1905), pag. 219 ». E un eleneo di 144 piante erescenti in luoghi vari della città di Napoli ed immediati dirtorni, eon indieazione dettagliata del luogo ove l'A. l'ha vedute o raccolte. Come conclusione del lavoro, VA. fa osservare che il maggior contributo alla flora urbica di Napoli è dato da famiglie e da generi notoriamente più ricchi, come siano rari i casi di consociazione, scarse le perenni ed arboree, predominanti le annuali, costanti e caratteristiche aleune capitate per mero caso, ed acciden- tali altre. ll prof. De Rosa riconosce nel vento il principale agente di disseminazione, non trascurabile però. l’ azione degli animali (uccelli, LA FLORA DELLE MURA E DBLLE VIE DI PADOVA 425 formiche) e dell’uomo, il quale interviene in vario modo e bene spesso con la coltivazione di piante ornamentali sopra lastrici e terrazze. Notevole è il rinvenimento di parecchie rupicole-alofile, quale Ma- thiola incana e rupestris, Brassica fruticulosa, Alyssum maritimum, Crithmum maritimum, Scabiosa crenata, Artemisia arborescens, Helich- rysum litoreum ete. XIII CarLo Cozzi. i 16.Contribuzione alla flora murale. «Boll. del Natural., Siena, a. XXVI (1906), p. 74». E un elenco di un centinaio di specie dall A. osservate sui muri di Abbiategrasso con qualche osservazione sul contibuto che dànno alla florula le varie Famiglie e sulla frequenza di qualche specie. 17.La Flora urbico-muraria del Gallaratese. «Atti Soc. Ital. Se. Nat., Milano, vol. L (1911), p. 283». Enumerazione di un centinaio di piante riscontrate dall’A. in va- ri paesi del distretto di Gallarate. L'A. fa osservare che la stazione - urbiea merita di riehiamare l'attenzione degli studiosi anche per gli adattamenti che vi assumono le piante, che distingue in ombrofili (no- me per me inesatto e che il Wiesner ha usato in tutt'altro significato e cioè adattamento alla pioggia) ed in eliofili. Notevole |’ habitat in- solito di Potentilla Tormentilla, nota igrofilo-torbicola. XIV. PIETRO CANNARELLA. 18. Flora urbica palermitana. Centuria I Bull. Soc. Bot. Ital., 1909, p. 73; Centuria II ibid., p. 172; Centuria III, ibid., 1912, p. 23. Illustra due centurie e mezzo di specie raccolte dall" A. sulle mura, vie e piazze di Palermo con dettagliata indicazione di località e sta- zione e qua e là interessanti osservazioni sulle varietà ed in generale sul polimorfismo, che in talune specie appare assai esaltato (es. Hut- chinsia procumbens, Sagina apetala, Arenaria serpyllifolia, Silene gal- lica, Sonchus oleraceus e S. tenerrimus, Convolvulus arvensis). 19. Notizie sulla flora ruderale della Sicilia. « Boll. del R. Orto Bot. e Giard. coloniale di Palermo, a. IX. fasc. 1-3 (1910), p. 55». 426 DOTT. A. BÉGUINOT Comprende 590 specie e cioè quelle crescenti entro la città di Pa-. lermo per la massima parte raccolte dall’ A. e quelle desunte dallo spoglio di un eospieuo numero di lavori relativi alla flora ruderale e delle isole adiacenti, dove sono indicate specie ruderali. Le quali l'A. distingue nelle seguenti prineipali categorie: piante stradali, plateali, ruderali p. d., tettorie, maceriali, murali e ruderali in senso largo. Di ciascuno di questi gruppi il Cannarella studia la distribuzione nelle Famiglie naturali, deducendone il percento cha ciascuna famiglia dà alla florula. Segue l'enumerazione sistematica con la dettagliata desi- gnazione di località e stazione delle circa 600 specie: numero cospicuo e che dimostra di per sè il largo sviluppo che ha questo consorzio floristico nella grande isola. Manca purtroppo uno studic dettagliato sugli adattamenti biologici e sui fattori del po'imorfismo, Cenni sulle mura e vie di Padova e sui botanici che contribuirono a farne conoscere la flora Padova fu circondata dal mille in qua da varie cinta di mura (1). La costruzione della prima, fatta a quanto sembra su avanzi di mura più antiche, si iniziò per opera dei Carraresi nel 1195 e venne ulti- mata nel 1339 da Ubertino di Carrara. Così il Portenari, magnificandole, le descriveva (2): « le muraglie vecchie girano tre miglia, le quali sono di tanta altezza che non solo scoprono con gratioso spettacolo tutta la città, ma con scale portatili è impossibile ascenderle e sono di tanta larghezza che due homini vi | possono comodamente camminare al pari li merli nella sommità loro, e parimenti sono tanto massicce e forti che nè gli arieti, nè altre macchine militari antiche le potrebbero penetrare e se fossero terra- (1) Cfr. Portenari, Della f-‘icità di Padova. Padova, 1623 — P. Martinati, Le mura nuove di Padova e il guasto. Padova; 1860 (2. ed.) — G. Rusconi, Le mura di Padova. Padova, 1905 — A. Medin, Un documento sconosciuto del secolo XVI sulle fortificazioni at Padova in « Atti e Mem. dell'Accad. di Padova (1906) » — Fr. Ciotto, Nuuovo con- -ributo per lo studio di malte antiche. Milano, 1906. ; (2) Portenari, op. c, p. 8g. — LA FLORA DELLE MURA E DELLE VIE DI PADOVA ^ 427 pienate, secondo la usanza delle muraglia moderne, farebbero anche gran resistenza all’artigliarie », e così enfaticamente concludeva: « in- somma per muraglia antiche non hanno pari in bellezza nè in for- tezza in tutta Italia nè forse in tutta Europa ». Una seconda ed in © alcuni punti triplice cinta venne costruita dalla repubblica padovana nel 1258 e continuata dai Carraresi. Abbandonata in seguito all’opera demolitriee del tempo. ed all’ usurpazione dei privati, attualmente si ammirano avanzi solo della prima cinta, specialmente nei pressi dei ponti Molino ed Altinate. Una insigne muricola (caso strano) la Cam- panula pyramidalis è ad esse legata ed il botanico può da essa rico noscerle. Caduta Padova nel dominio della repubblica di Venezia, vennero iniziate opere varie di fortificazione e bastioni, prima dell’ assedio del 1509 semplicemente in terra battuta, con le fondazioni nel fosso sopra pali e tavoloni (e Marino Sanudo nei suoi D/ari [vol. IX, col. XXXVI] sotto la data 8 Agosto 1509 così ne scrisse «... in Padova tuttavia si fortifica. Hanno molti hominivillani che lavorano cridando « Marco, Marco » e vuluntiere, repari e bastioni atorno et maxime a, la Sarasinescha uno bello. Coalonga et ai Carmini si fortifiea molto con do bastioni et repari. Item dentro le mure, da la Sarasinescha fino a Ognissanti et la porta de Ognissanti e S. Zuane erano averte, ogi stropade (otturate) solum do »). Dopo il celebre assedio eroicamente so- stenuto, i bastioni furono ingranditi e rivestiti di robuste murature di pietrame (trachite e mattoni), dapprima sotto la direzione L. Bartolo- meo d'Alviano, quindi del famoso architetto Michele Sanmicheli. Pa- dova venne così ad essere circondata da una nuova e potente muraglia alla quale furono un pò alla volta aggiunti lavori architettonici per armonizzarla con i crescenti progressi dell’ingegneria militare. Le preoccupazioni del senato veneto essendosi in seguito rivolte sopratutto a proteggere i possedimenti di Venezia in Levante contro le incessanti minacce dei turchi, Padova, come altre fortezze venete, fu abbandonata alla sorte e le sue fortificazioni risentirono l’opera del tempo e gli attacchi dell’uomo. Per quanto, però, prive di alcune delle opere di difesa, in qualche punto abbassate, in qualche altro aperte per facilitare il transito, tal 498 e DOTT. A. BÉGUINOT poderosa cinta, che oggidi ha perduto qualunque valore difensivo, re- sta in grande parte ed è appunto su tale cinta che vennero raccolte da noi e da altri la massima parte delle piante che compongono il catalogo. Parecchie, come sarà detto a suo luogo, provengono dai ru- deri dell’Arena: poche da altri muri interni della città. Poco è a dire sulle vie e piazze in grande parte lasiricate ma con ciottoli arrotondato-angolosi nei cui interstizi pullulano numerose specie. E' bensì vero che nel bilancio comunale è posta annualmente una somma per la estirpazione delle stesse dai luoghi più frequentati, ma la tenacia con la quale questa plebe dei vegetali è avvinta alla sua ingrata stazione frustra la buona volontà degli edili municipali e rinnova periodicamente al botanico il pascolo delle sue ricerche. La flora ruderale ed urbica di Padova non fu oggetto di speciale ricerca. Tuttavia parecchi dati sono consegnati in opere a stampa, e molteplici erbari, da me consultati, conservano piante raccolte special- mente sui bastioni e sui muri, e restate inedite. Prima di passare al- l’elenco, credo opportuno di riunirle ordinate cronologicamente in base agli-autori che le hanno raccolte o segna late. 1. Luigi Squalermo detto Anguillara (c. 1512-1570) (1) Euphorbia. Peplus Sisymbrium officinale Sedum acre 2. Corrado Gesner (1516-1565) (2) Satureja Nepeta 3. Pietro Antonio Michiel (c. 1510-1576) (3) Chenopodium Vulvaria Sedum acre 4. Gioacchino Kammerer (Camerario) (1534-1598) (4) Linaria Cymbalaria Mentha Pulegium i (continua) (1) Anguillara, Semplici etc. Vinegia, 1561. (2) C. Gesner, Horti germanici etc. ap. Valerius Cordo « Annotationes in Pedacii Dioscoridis etc. ». Argentorati, 1561. (3) Dati desunti dal «Codice Erbario» conservato nella Biblioteca Marciana di Ve- mezia. (4) G. Kammerer, Hortus medicus et philosophicus etc. Francofurti ad Moenum, 1588 Dorr. CARLO BIANCHI LE CELLULE MALPIGHIANE nei tegumenti seminali delle RAMNACEE. NOTA PRELIMINARE Da Marcello Malpighi, che per primo le osservò, hanno preso il nome di Cellule Malpighiane speciali cellule che si trovano a far parte dei tegumenti seminali di famiglie naturali assai differenti. Loro ca- ratteri principali sono la forma prismatiea, il forte e particolare ispes- simento delle pareti, la loro reciproca posizione in grazia della quale ‚esse costituiscono uno strato continuo di cellule a palizzata, lo Strato malpighiano. ' Ad imprimere un carattere affatto speciale a questi elementi, oltre che la loro forma e disposizione, concorre la Linea lucida che consi- ste in una fascia o linea luminosa che ne solea tutto lo strato, più o meno profondamente, in direzione per lo piü parallela alla superfieie del seme. Sullo Strato a cellule malpighiane e sul curioso fenomeno che esso presenta, la linea lueida, si sono rivolte da tempo le ricerche de- gli studiosi, anatomici e fisiologi, ma benchè varie teorie siano state emesse, la loro natura chimica, specialmente, e la loro funzione non sono aneora ben definite. | Secondo le ipotesi più accreditate si ammette che la linea lucida sia dovuta ad una modificazione chimica della membrana. Il Mattiro- lo (1), da uno studio diligente della linea lucida nei semi di diverse (1) O. MarrrRoro -— La linea lucida nelle cellule malpighiane degl’ integumenti seminali. Memorie della R. Accademia. delle Scienze di Torino. Serie II, Tom. XXXVII. 430 DOTT. CARLO BIANCHI famiglie, trae questa conclusione: « La membrana cellulare nel decor- so della linea lucida è sempre modificata chimicamente ». Tale modi- ficazione, secondo IA. può essere di due sorta: modificazione in ligni- na pura nelle Tiliacee, Sterculiacee, Malvacee, Cucurbitacee, Labiate; modificazione in cellulosa chimicamente modificata avente caratteri tali che si avvicinano a quelli conosciuti proprii alla lignina, nelle Papi- lonacee, Mimosee, Convolvulacee, Cannee, Marsileacee. Riguardo la funzione della linea lucida è noto come, in grazia della sua intima struttura, ad essa si attribuisea il compito di conser- vare una atmosfera di umidità attorno all’ embrione e di impedire nei periodi di siccità, e specialmente quando si inizia la germinazione, ‚una troppo rapida sottrazione di acqua al seme (1). È utile qui ricordare come, oltre a questa proprietà principale, si | voglia assegnare alla linea lucida l’altra proprietà, opposta alla prima, di impedire il passaggio dell’acqua dall’ esterno all’ interno di certi semi per eui il fenomeno della germinazione non può compiersi. È un fatto noto quello della resistenza od incapacità a germinare di alcuni semi appartenenti a famiglie diverse, anche se posti nelle condizioni più favorevoli di umidità e di calore. Il Prof. Gola in una elaborata memoria (2) mette in evidenza questo fatto e ne attribuisce la causa alla « particolare disposizione delle cellule malpighiane le quali impediscono mutuamente l'imbibi- zione ed il conseguente aumento di volume di una di esse ». Contemporaneamente il Dott. G. D'Ippolito (3) studiando le cause che determinano l’impermeabilità di alcuni semi di Leguminose, le ritrovò risiedere nella speciale conformazione degli anelli pericanali- colari della linea lucida delle malpighiane. (1) Vedasi a questo riguardo: O. MarrrRoLo e L. BUSCALIONL — Ricerche ana- . tomo-tisiologiche sui tegumenti seminali delle Papilionacee. Memorie della R. Acca demia delle Scienze di Torino, Serie II, Tom. XLII, pag. 125. (2) Dorr. Giuseppe Gora — Ricerche sulla biologia e sulla fisiologia dei semi a: tegumento impermeabile. Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Serie . II, Tom. LV. - (3) Dorr. G. D’ Iprotrro — Sulle cause probabili che impediscono la germina- zione dei semi duri nelle Papilionacee. Stazioni Sperimentali agrarie, ees Val XXXVII. LE CELLULE MALPIGHIANE 451° Pertanto la proprietä, dimostrata dal Prof. Todaro (1), che ha l'aeido solforico concentrato di accelerare la germinazione dei semi: duri delle Leguminose col permettere l’ingresso dell’ acqua attraverso al tegumento, deve spiegarsi, secondo gli A.A. citati, per un’ azione: dissolvente sulla sostanza degli anelli pericanalicolari della linea. lu- cida e per una intensa disidratazione del tegumento. I semi delle Leguminose hanno offerto un campo vastissimo a ri- cerche anatomiche e fisiologiche sullo strato a cellule malpighiane; Basti a questo proposito ricordare il classico lavoro dei Professori O. Mattirolo e L. Buscalioni sui tegumenti seminali delle Papilionacee (2). Ma oltre che nei semi di quella famiglia le cellule malpighiane sono» state pure riscontrate in quelli delle Bixacee, Cannacee, Cesalpinee, Convolvulacee, Cucurbitacee, Geraniacee, Labiate, Malvacee, Marsilia- cee, Mimosee, Ninfee, Tiliacee e Ramnacee. Per quest’ultima famiglia la presenza dello strato a cellule mal- pighiane è stata notata nei semi di due specie soltanto da Godfrin, in uno studio sul tegumento semin:le delle Angiosperme (3). (1) F. Toparo — Azione dell’acido solforico concentrato su alcuni semi ed in par- ticolare sui semi duri delle Leguminose. Stazioni Sperimentali agrarie, 1901, Volume ) de eh 7 L’ A. riferisce i riultati di una lunga serie di prove i quali stanno a dimostrare che l’acido solforico concentrato decisamente accelera la germinazione dei. semi duri delle Leguminose. Anche a conferma di ciò io posso affermare, basandomi su risultati di prove di laboratorio da me eseguite, che l’acido solforico esercita la medesima azio- ne stimolante sui semi a tegumento impermeabile delle Malvacee e delle Cistacee, semi provvisti di strato malpighiano e di linea lucida. Resta ora da stabilire se questo rea- gente si comporti nello stesso modo con tutti i semi il cui tegumento è provvisto -dî strato malpighiano e di linea lucida. Questo fatto, se dimostrato vero, potrebbe servire a chiarire meglio la natura chimica delle cellule malpighiane. Riferirò in una prossima nota i risultati di prove che sto eseguendo a questo proposito. (2) O. MarriroLo e L. BuscaLioni — Ricerche anatomo-fisiologiche sui tegumen, ti seminali delle Papilionacee. Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino Serie il, Tom. XLII. (3) J. Goprrın — Étude histologique sur les téguments séminaux.des angiosper- mes. Nancy (Imprimerie Berger-Levrault et Cie) 1880. 432 DOTT. CARLO BIANCHI Dalla struttura del tegumento dei semi di poche specie (Rahmnus catharticus L., Rhamnus frangula L., Zizyphus vulgaris Lam., Ceano- thus amerieanus L.) l'A. ha tratto i caratteri per i tegumenti seminali della famiglia. Cosi, basandosi su di essi, egli raeeoglie i semi delle Ramnacee in due gruppi ben distinti: 1° Semi il cui tegumento è costituito da sei zone speciali per la loro varietà e per la loro disposizione attorno a parti diverse della mandorla. Questo tipo è rappresentato dal genere Rhamnus. 2° Semi il cui tegumento è composto di quattro zone di cui la più esterna che costituisce la zona protettrice, è formata da uno stra- to unico di prismi, in sezione tangenziale esagonali, disposti radial- mente ecc.: le cellule malpighiane. Questo secondo tipo é rappresen- tato dal genere Zizyphus. A questo ultimo gruppo Godfrin aserive i semi di due delle specie di Ramnacee da lui studiate; Zizyphus vulgaris Lam., e Ceanothus amerieanus L, in cui appunto riscontra lo strato a cellule del Mal- pighi. Merita qui di essere rilevato il fatto che mentre Godfrin nota nella specie Zizyphus vulgaris Lam. una linea lucida, nella specie Ceanothus americanus L. che egli avvicina al Zizyphus per gli altri caratteri del tegumento, trova invece una doppia linea luminosa, di cui l’interna è più bianca dell’altra, A questo proposito noterò che nelle mie ricerche non mi è stato dato di poter osservare questo fenomeno di una linea lucida doppia. Tanto nel Ceanothus americanus L. studiato dal Godtrin, come nelle altre specie, di quello stesso genere, da me studiate, si osserva sempre una sola linea lucida parallela alla superficie del seme e più o meno sviluppata o profonda. Osservo ancora, a proposito della struttura del tegumento del Rhamnus catharticus L, che mentre Godfrin descrive quel tegumento come costituito di sei zone, ad esso devono attribuirsene effettivamente tre soltanto, poichè le tre prime descritte dal Godfrin quelle più esterne, devono considerarsi come parti costitutive dell’ovario. Avevo già notato l’errore in cui è caduto il Godfrin quando sono LE CELLULE MALPIGHIANE 433 venuto a conoscere che anche il Brandza (1) seguendo lo sviluppo del- l’ovulo è giunto alla stessa conclusione. Lo stesso A. dà inoltre una chiara spiegazione dell’errore. Egli afferma che nelle Ramnacee facilmente accade che: « pen- dant le dévéloppement les assises les plus internes de la paroi ova- rienne s'appliquent, dans certaines graines de cette famille, sur les téguments séminaux, et comme plus tard le mésocarpe se résorbe, on eroirait que toutes les parties dont la graine est entourée, aprés son extraction de l’ovaire lui appartiennent en propre ». Le ricerche bibliografiche, da un lato, le quali mi portarono a conoscere che poco o nulla si è scritto sulle cellule malpighiane delle Ramnacee; le osservazioni preliminari su diversi semi di questa fami- glia, dall'altro latc, che man mano procedendo mi convinsero trattarsi di semi di speciale interesse e tali da offrire un buon campo per nuove ricerche, furono gli elementi che mi determinarono a continuare quelle prime ricerche per fare poi uno studio completo di morfologia delle cellule malpighiane nei semi delle Ramnacee. Engler (2) divide la famiglia delle Ramnacee in 6 tribù cui ascri- ve 46 generi ciascuno dei quali comprende un numero più o meno grande di specie. Eccettuati i generi Paliurus, Rhamnus e Zizyphus con poche spe- cie della nostra flora, tutti gli altri appartengono prevalentemente alia flora tropicale. Da ciò la difficoltà da me incontrata nel raccogliere il materiale che ha dovuto servire alle mie ricerche. Tuttavia in grazia della cortesia di parecchi Orti ed Istituti Bo- tanici fra i quali mi è caro ricordare, perché mi inviarono materiale prezioso di Erbario, il Museo Botanico della R. Università di Zurigo, il Museo Nazionale di Rio de Janeiro, il Giardino di La Mortola, il Giardino Botanico di Sydney, quello del Missouri, l'Erbario Nazionale di Victoria (Melbourne), ed altri, mi è stato possibile raccogliere un (1) BRANDzA — Dévéloppement des téguments de la graine. Revue générale de Bot. t. III, 189r. - (2) A. ENGLER -— Natürlichen Pflanzenfamilien. III 5. 484: DOTT. CARLO BIANCHI numero assai copsiderevole di frutti e di semi. Fra essi si trovano rappresentanti di tutte le 6 tribù dell'Engler e di 42 generi; comples- sivamento 161 specie e fra esse alcune nuove e non menzionate da Engler. ! L'importanza e la serietà degli Istituti surricordati mi permettono di affermare che non vi puó essere dubbio sul salora sistematico dei semi da me studiati. | In apposito specchio ordinerd, ER la een dell’ En- gler, le specie di Ramnacee esaminate. RHAMNACEAE TRIBU GENERE SPECIE Maesopsideae Maesopsis Engl. i. Maesopsis berchemioides Ventilago Gàrtn. (Pierre) En Ventilagineae 2. Ventilago calyeulata Tul. 3. » eiocarpa Benth. 4. » ip rd ear 5. » fine ri Laws. e 6. » sp. Smythea Seemann. 7. Smythea macrocarpa Hemsl. Zizypheae Paliurus Juss. 8. Paliurus Mesrine: Lam » aust Zizyphus Juss. 10 Zizy phts affinis Hemsl. Endlichii n. sp 12 » guatemalensis. 13. » [amor Engl. 14. » helvolus Sond 15. » Kumskeri King. 16. » juj Lam Iota lotus (L.) Willd - 18. » mucronatus Willd. 19. > nummularius (Burm.) Wight et Arn. obtusifolius wot oenoplia rugosus Ee, sativus Gaert, GER v Sé wv Rhamneae LE CELLULE MALPIGHIANE 435 24. 25 26. Condalia Cav. 21. Mierorhamnus Gray 28. Reynosia Griseb 29. Sareomphalus P. 30. owne Br Rhmnidium Reiss. 31. 32. Karwinskia Zucc. 33. Berchemia Neck. i Ramnella iq. Dallaehya F.v.Müll. 35. Sageretia en 36. Adolia Lam 37. Rhamnus L. 40, | d Zizyphus Seleri Loes. u. sp. spina Christi (L.) Willd. lgaris Lam. Condalia lineata Gray. Mierorhamnus erieoides Gray Reynosia latifolia Griseb. Sarcomphalus reticulatus Rhamnidium claeocarpum Reiss. » revolutum Karwinskia Humboldtiana à Kth.) Zuce. Berehemia volubilis (L.) D.C. Dallaehya vitiensis (Seem) F. v. Müll. Sageretia Misna Brong. Adolia arenicola (Casar) O. Ktze (Scutia arenicola Reiss) . Adolia buxifolia (Reiss) O. Ktze (Scutia buxifolia Mart) . Adolia myrtina (Burm) Ktze (Scutia indica Brong.) Ramnus alaternus D » alpinus L. v. gran- difoli ifolia. » ealifornieus Esch. » earolinianus Walt. » catharticus L. » Clusii Wild. urieus Pall. à dahur Prina polymorpha Reiss. v. glabra) . Rhamnus dahurica (Frangula LI ae Reiss, . pubescens). . Rhamnus Deflireii Sfh. » rob ia a Sak Tull. frangu ilicifolius Hellogy infect cdm Wall. oleifolius Hook. v v v v v 436 DOTT, CARLO- BIANCHI 55. Rhamnus E L'Hér 6. 5 » purshianus DC. 51. » sativus kee ?) 58. » serratus killd 59. » spathulaefolius i isch. 60. » ES WER. 61. Hovenia Thunb. 62. Hóvonik dulcis ‘Thunb. Ceanothus L. 63. Ceanotus americanus L. 64. urreus Desf 65 » eordularus Kell 66 » cuneatus Nutt 67 » cuneatus Nutt var. macrocarpus 68. » erassifolius Torr 69. » dentatus Torr et Gray. 10. » divarieatus Nutt. 11 » Fendleri Gray 12 » huichagorare Loes spec. vel var v 73 » integerrimus | Hook. rn. 14. » ovatus Desf 15. » spinosus Nutt 16. » thyrsiflorus Esch (er » velutinus Dougl. Maerorhamnus Baillon Emmenospermum F. 78. Emmenospermum alphitonoi- v. Muell. des F. v. Muell. Noltia Reichb. 19. Noltia afrieana Beichb, Schistocarpaea F.v. 80. Schistocarpaea Johnsonii F. Muell . Mue v Colubrina Brongn. 81. Colubrina asiatica Brongr. et ie 82. » Ehrenbergii Schlecht, 83. » megocarpa R. (?) 84. » montana R. (?) 85 x Cormonema Reiss. 86. Bi ovalifolia Donn. Sm. 87. » spinosum Reiss. LE CELLULE MALPIGHIANE 494 Phylica L. Nesiota Hook Lasiodiseus Hook Alphitonia Reiss. Pomaderris Labill. Trymalium Fenzl. ; Spyridium Fenzl. 88. Phylica buxifolia (L.) Brongn. 89. » eall : 9 osa Thun 90. » cuspidata E. Z. 9L » excelsa Kendl. 92. ^ lasiocarpa Sond (?) 93. > oleoides DC. 94. > paniculata Willd. 95. » parviflora L. 96. > plumosa Thbg 97.» stipularis L. 98. Lasiodiseus Mannii Hook. 99. Alphitonia excelsa Reiss. 100. Pomaderris apetala Labill. 01. » aspera Sieb. 102. » Edgerleyi Hook 103. » elliptica Labill. 104. » phylieifolia o 105. » roses ida Hook 106. » izy phoides. 107. Trymalium Sieg Reiss, 108. angustifolium eis 109. » sE 110. » Daltoni F. v. «M. 111. » daphnifolium Reiss. HZ » ledifolium Fenzl 113. » Wiehurae Nees. 114. » sp. 115. Spyridium complicatum F, : v. 116. » globulosum enth, Hdu» Laurencii Benth. 118. » ram F. M. 119. » phlebophyllum M. 120. » LA F. 121, » tridentatum - (Stend) Benth. 122, » vexilliferum Colleticae Gouanieae DOTT. CARLO BIANCHI Cryptandra Sm. Talguenea Miers Trevoa Miers. Retanilla Brongn. Discaria Hook. Adolphia Meisn. Colletia Juss Pleurasethodes Weberbauer. Gouania L. pteron Kurz. Reissekia Endl. Helinus E. Meyer. Crumenaria Mart. 123. 153. 154. 155. 156. o 5. ; Colletia Zem Gill. (Hook) Reiss. Cryptandra amara Sm var.floribunda M. e B. (?) » div aricata Reiss.. 5. Talguen ea costata Miers. . Trevoa trinervia Miers, . Retanilla ephedra Brongn. » striata Hook et » sp. Ruiz (?) . Disearia articulata Miers ustralis Hook. » discolor Benth. et Hook o » doniana Benth. et ook. à ANNE Hn Wats ` infes a Meisn. insidiosa Reiss. pubescens Brgn. » serratifolia Vert: ; »` spinosa Lam. . Pleuranthodes Hillebrandti A Teber . Gouania adamantina King. b lanchetiana Miq. » glandulosa Bor » javaniea Miq » latifolia » leptostachya D » longipetala Hemsl. » petiolaris Reiss. » tiliaefolia Lam. » tomentosa Jacq. Reissekia smilacina Ee Ste » cordifolia ei Helinus lanceolatus Brand. sca CS Cramenaris choretroides LE CELLULE MALPIGHIANE 439 Mart. 160. » polygaloides Reiss. Marlothia Engl. 161. Marlothia scoparioides. Mi riservo di descrivere particolareggiatamente e di illustrare con disegni le mie osservazioni, fra non molto tempo, ed anzi spero di poterle meglio completare collo studio dei pochi semi che ancora mi mancano. Fin d’ora però mi pare lecito dedurre le seguenti CONCLUSIONI 1. La maggior parte dei semi studiati sono provvisti di Cellule malpighiane e di Linea lucida. Altri ne sono affatto privi. In alcuni pochi, forse per non aver essi raggiunto un grado abbastanza elevato di maturità, non mi è stato possibile osservare lo. strato malpighiano, ma soltanto traccie di cellule malpighiane. 2. Lo Strato a cellule del Malpighi costituisce sempre l’epider- mide del tegumento seminale. Esso poggia costantemente sulla zona ` colorata del tegumento stesso e spesso contiene REECH analoghi a quelli di detta zona. 3. Le cellule malpighiane delle Ramnacee, a differenza di quelle delle Leguminose, non sono mai sormontate da un cono più o meno aguzzo. 4. L’inspessimento della membrana si inizia in corrispondenza dell'angolo che le pareti laterali fanno colla parete frontale quindi procede verso l’interno del seme in modo che la cavità va man mano roccogliendosi alla base col procedere dell'impessimento e coll’avviei- narsi della maturità del seme. 5. Il grado e il modo in cui si compie l'inspessimento della mem. brana può variare da specie a specie e determina alcuni tipi diversi di eellule. Cosi si hanno: a) Cellule malpighiane con parete molto ege e cavità assai ridotta, a forma di triangolo alla base, prolungantesi in un sottile ca- nale che percorre la cellula longitudinalment: fino a risolversi nei ca- # 440 DOTT. CARLO BIANCHI nalieoli. Questo tipo è molto comune e si riscontra, fra gli altri, nei generi Ceanothus, Pomaderris, Phylica, eec. b) Cellule con parete meno inspessita e con cavità ampia a for- ma di fiasco. Questo tipo è meno frequente del primo, si riscontra nei generi Zizyphus, Trevoa, Crumenaria, ece. c) Cellule con parete più o meno inspessita, crenata internamente (in sezione longitudinale) ed a cavità anfrattuosa. Quest’ultimo tipo è poco comune; è assai evidente nel genere Marlothia. 6. La Linea lucida generalmente è parallela alla superficie del seme, in pochi casi è obliqua. Es: Gouania dominigensis L., Hovenia duleis Thunb. 1. Per le diverse specie di un genere il tipo delle malpighiane puó variare. 8. Lo stesso tipo di malpighiane è comune a più generi. 9. La lunghezza delle cellule malpighiane è direttamente propor- zionale allo sviluppo del seme. Si trovano infatti elementi lunghissimi nei grossi semi ad es. di Emmenospermum, Retanilla ecc.; brevi in- vece nei semi minuti ad es. di Spyridium, Trymalium ece. Altrettanto non può dirsi per lo spessore della. linea lucida. Istituto Botanico di Parma, Dicembre 1911. A. TROTTER E M. Romano Primi materiali per una lichenologia Irpina La lichenologia avellinese (1) non si ebbe sin qui alcuna speciale illustrazione; tuttavia alcuni pochi licheni di questa regione figurano in varie pubblicazioni dello Jarra, che così validamente ha contribuito ad accrescere le nostre cognizioni sui licheni dell’Italia Meridionale ed Insulare. Le pubblicazioni dello Jarra, in cui appaiono licheni irpini, sono le seguenti: Lichenum inferioris Italiae manipulus primus... tertius.... quartus... quintus (2) e Monographia Lichenum Italiae merid. (Trani 1889), la quale riassume la più parte delle indicazioni contenute nei precedenti contributi. I materiali, oggetto di tali segnalazioni, in par- te furono tratti dalla revisione degli erbari di BAGLIETTO, GASPARRINI, GUSSONE, in maggior copia però provennero da raccolte fatte nell’ A- vellinese dai professori Comes e Savastano. Avvertiamo inoltre che nella recente Monografia dei licheni italiani, compilata dallo stesso JATTA per la « Flora italica eryptogama », appaiono nuove indicazioni di licheni avellinesi, le quali sono però tutte riferibili a materiale da noi stessi raccolto ed a Lui comunicato per una revisione che Egli con la massima cortesia volle concederci. A complemento di queste scarse notizie bibliografiche vuol esser ricordato : che la più antica segnalazione di Licheni irpini è dovuta a CasaLE e GUSSONE, i quali, nel noto Rapporto della peregrinazione (1) Ci riferiamo a quei confini amministrativi e topografici quali furono fissati da uno di noi, in un lavoro preliminare sulla geografia botanica della regione (cfr. TroT- TER, La fitogeografia dell’ Avellinese, Atti Congr. Natur. it., Milano 1906, pp.430-456). (2) Nuovo Giorn. bot. it., v. VI, 1874, pp. 5-58; v. XII, 1880, pp. 199-242; v. XIV, 1882, pp. 107-143; v. XVIII, 1886, pp. 78-114. 449 A. TROTTER E M. Romano botanica eseguita nel Distretto di Avellino (1), segnalano sei specie di licheni, integralmente ripetuti di poi nella Flora irpina di F. Cas- SITTO; ehe infine, in epoca più. recente, qualche altra specie è di nuovo segnalata dal Mirani nel suo Elenco di piante del Principato Ultra (Avellino 1890). Tutto sommato, le specie già edite non oltrepassano però la qua- ' rantina e noi leabbiamo a suo luogo riportate. Di molte di esse ci è anzi possibile dare uua precisa conferma con la segnalazione di nuove località avellinesi. Il presente contributo, al quale altri faranno sèguito a cura spe- ciale di uno di noi (Romamo), oltre arricchire le nostre conoscenze sulla lichenolegia irpina e meridionale, allarga anche la distribuzione di talune specie meno comuni di licheni italiani. Così vengono portati a limiti assai più australi i confini di talune specie non indicate più al sud dell’ Appennino Centrale, come Parmelia laevigata, Lecidea emergens, Biatora albilabra, Biatorina minuta, Scoliciosporium Bagliet- toanum, od anche del tutto ignote per la regione appenninica, come Lecanora obscurata, L. tuberculosa, Caloplaca medians, C. Schistidii, Gyalecta geoica, Lecaniella palycycla, Lecidea vorticosa, L. monticola. Infine vengono segnalate aleune specie e varietà nuove per l'Ita- lia, come Lecanora gangalea, Caloplaca pyrithroma, ed una del tutto nuova per la Seienza, Lecanora puniceo-fuscescens. Un altro risultato interessante delle nostre ricerche è altresì degno di una particolare segnalazione. È noto come i licheni, tanto in natura che allo stato di conser- vazione, sieno tra gli organismi più refrattari a subir danni da parte di altre erittogame o di insetti. Questo fatto, noto a quanti si occu- pauo di studi lichenologici, è altresì registrato in molti trattati di li- ehenologia generale e sistematica (2). ; (1) Giornale Enciclopedico di Napoli, V. An. d’Assoc., t. II, 1811, pp. 129-186. - I licheni alla pagina 168. (2) Cfr. Jarra, Lichenes in FI. it. crypt. "E 27; BorsrEL, Nouvelle Fl. d. Lichenes, p. XXX; ete, n PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA IRPINA 448 Orbene, nei dintorni di Avellino ci fu dato colpire un fatto inte- ressante di parassitismo, luminosa per quanto eccezionale dimostrazione che anche i licheni sono passibili di danni parassitari da parte degli nsetti. Le cortecce di Tiglio, Castagno ete. sono frequentemente rive- stite dai talli di Xanthoria parietina e Parmelia tiliacea, il cui colo- rito caratteristico permette di distinguere tali specie anche da lungi. In più luoghi però dei dintorni di Avellino ci fu dato osservare dei talli qua e là provvisti di un colorito bianchiceio del tutto anormale. Approfondita la nostra indagine, abbiamo potuto constatare che tale colorazione era dovuta al fatto che in tali licheni mancava tutta la porzione corticale colorata, mentre vi esistevano contemporaneamente tracce non dubbie di una minutissima ma diffusa corrosione. Ci fu dato poi di seoprire che l'autore delle corrosioni era un minutissimo in- setto che in colonie viveva nella parte inferiore del tallo stesso, senza abbandonarle, uscendone solo per recarsi nella parte superiore desti- nata alla sua alimentazione. Questo insetto vive poi benissimo e si ri- produce anche in cattività senza migrare, purchè lo si provveda di corteccie rivestite dal tallo delle due specie di licheni già ricordate. Questo curioso insetto, ascrivibile al gruppo dei Psodici (Copeo- gnati) fu riconosciuto dallo specialista Dr. C. Rısaca per un nuovo genere ed una nuova specie, e battezzato col nome di Anisopsocus li- chenophilus (1). La Leptode!la fuscipes Reut., insetto dello stesso gruppo, pare ab- bia anelie abitudini analoghe, essendo stato raccolto sui licheni in Finlandia; mancano però notizie più dettagliate sulle sue abitudini. Le presenti raccolte ci avrebbero già permesso aleune considera- zioni fitogeografiche, ma erediamo piü opportuno riserbarle ad un futu- ro lavoro, allorquando i materiali saranno piü eopiosi e le nostre osser- vazioni potranno acquistare di conseguenza una maggiore attendibilità. Ci limitiamo solo a segnalare ehe i substrati lichenofori, che nell’Avelli- nese offrono un piü abbondante materiale sono, all'infuori del terreno, GG Bauen. ` « «Anisopsocus lichenophilus » nuovo vut eir trovato in Italia Redia v. VI, 1910, pp. 272-281 con 8 444 A. TROTTER E M. Romano tra le rocce, i ealearari del cretaceo, le arenarie ed i conglomerati del terziario, quindi i tufi vulcanici grigio gialli; tra gli alberi, le cortee- ce del Castagno, del Faggio e del Tiglio, quindi i rami delle Rosacee che crescono selvagge nei boschi della regione montana, come il Cratae- gus Oxyacantha e il Pirus Malus. Avellino, decembre 1911. HOMEOLICHENES Fr. Fam. ErHEBACEAE Zahlbr. 1. Polychidiam muscicula ( Fr.) Krb. — Jatta, Syll. Lich. it. p. 10, Lichenes in Fl. it. erypt. p. 57. — « Ad thallum Stictae glo- meruliferae Fr. parasiticum, in Principato Ultra; Gussone in Herb. » Jatta 1880 p. 240. ; 2. Placynthium corallinoides (Hoffm.) Jatta, Syll. p. 38, Fl. it. crypt. p. 59. — Sulle rupi calcaree a M. Vergine, non comune, aprile 1909 M. Fagliese, Aquilonia, (M. Romano). Fam. COLLEMACEAE. 3. Collema cristatum (Lgth.) Jatta, Syll. p. 23, Fl. it. crypt. p. 94.—Sulle rupi ealearee dei monti di Bagnoli Irpino, aprile 1909 (A. Trotter), Valatrone, M. Vergine, aprile 1910 (M. Romano). 4. Collema furvum Ach., Jatta Syll. p. 20, FI. it. erypt. p. 96 et p. 910.— «Ad saxa TUNE in M. Celica; Comes e SavasTANO >», Jatta 1880 p. 239, an. 1889, p. 221. Frequente sulle rupi calcaree umide a M. Vergine, marzo 1909 (M. Romano). 5. Collema pulposum Ach., Jatta Syll. p. 21, Fl. it. erypt. p. 90 « Ad rupes calcarias in M. Celica; Comes e SAVASTANO ». Jatta 1880 p. 239, an. 1889, p. 218.— Frequente sulla terra umida ai Cappuccini presso Avellino e sulle rupi ealearee a M. Vergine, marzo 1909 (M. Romano). 6. Sinechoblastus ciel Kab., Jatta Syll. p. 21, Fl. it. erypt. p. 98. — « Ad truneos in M. Celica; Comes e Savascano». Jatta 1880, p. 239, ann. 1889, p. 223. Sulle cortecce di Tiglio ai Cappuc- PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA IRPINA 445 cini presso Avellino, febbraio 1900 (C. Casali !); tra le rupi calcaree al M. Fagliese, marzo 1909 (M. Romano) sui tronchi di Faggio al Cervialto, luglio 1911 (A. Trotter e M. Romano), sui tronchi nel bo- sco di Aquilonia, primavera 1909. 1. Synechoblastus Vespertilio (Trev.) Kob., Jatta Syll. p. 27, Fl. it. erypt. p. 99. « Ad truneos Fagorum in prov. Avellino; Gaspa- rini ». Jatta 1886, p. 112, an. 1889, p. 222. Frequente sulle corteccie di Tiglio ai Cappuccini presso Avellino, marzo 1909 (M. Romano). HETEROLICHENES Fr. Fam. PARMELIACEAE. 8. Usnea articulata Hffm., Jatta, Syll. p. 52, FI. it. erypt. p. 143 « Ad terram Bosse, Prine. Ultra; Gussone ». Jatta an. 1874, pa- gina 15. 9. Usnea florida Hffm., Jatta Fl. it. crypt.. p. 145. Usn. barbata v. florida Fr. Jatta Syll. p. 53; « Ad truncos in M. Vergine; Gusso- ne ». Jatta 1874, p. 15, an. 1889, p. 77; Usn. barbata Cassitto, Fl. irp. Casale e Gussone, 1811, p. 168. 10. Usnea plicata Hffn. — Jatta Syll. p. 52, Fl. it. erypt. p. 144. « Nelle selve, pendente dagli alberi ». Cassitto, Fl. irp. —-Frequente sui Faggi nei boschi intorno al Piano Laceno, M. Cervialto, luglio 1909 e 1911 (A. Trotter e M. Romano). 5 ll. Evernia furfuracea Fr., Jatta Syll. p. 60, Fl. it. erypt. p. 157.—Frequente sulle cortecce dei Faggi nei boschi del M. Cervialto, giugno 1905, aprile 1906, laglio 1911, (A. Trotter e M. Romano). i 12. Evernia prunastri Ach., Jatta Syll. p. 60, FI. it. crypt. p. 158. « Sterilis ad truncos in silvis abellinensibus, vulgo Selve della Piana (M. Cervone); Gussone ». Jatta 1880, p. 23, an. 1889, p. 80. Lichen prunastri, Casale e Gassone 1811, p. 168; Cassitto, Fl. irp.—Fre- quente sulle cortecce dei Castagni, Faggi ete. nei dintorni di Avellino, Bagnoli, Cervialto ete. (4. Trotter e M. Romano). 13. Ramalina Calicaris Fr., Jatta Syll. p. 63, Fl. it. crypt. p. 446 A. TROTTER E M. Romano 165.—Sulle cortecce dei Faggi sul M. Cervialto, giugno 1905, luglio 1911 (A. Trotter). 14. Ramalina farinacea Ach., Jatta, Syll. p. 65, FI. it. erypt. p. 170. Ramalina calicaricis var. farinacea (L.) Ach.: « Ad truncos in Monte Vergine, Tenore » Jatta 1880 p. 202, an. 1889 p. 82; Ra- malina fraxinea var. farinacea Ach: « Ad truncos et frutices in sil- vis abellinensibus, vulgo Selva della Piana, M. Cervone, Gussone », Jatta 1874, p. 21.—Frequente sulle cortecce di molti alberi, al Bosco di Aquilonia 28 maggio 1909, Boschi di Rajamagra, luglio 1909 (A. Trotter), M. Cervialto, luglio 1911, (M. Romano). 15. Ramalina fastigiata Ach., Jatta Syll. p. 74, Fl. it. crypt. p. 166. Ramal. fraxinea var. fastigiata Krb.: « Ad truncos M. Cer- valto, Gussone ». Jatta 1874, p. 21. —Frequente sulle cortecee di Ca- stagno, Faggio e d'altri alberi, a Lioni giugno 1905 (A. Trotter), alle Selve presso Avellino, marzo 1909 (M. Romano), sul Cervialto, luglio 1911 (M. Romano ed A. Trotter), Aquilonia. 16. Ramalina fraxinea Ach. b. ampliata (Ach.) Sch., Jatta Syll. p. 65, Fl. it. erypt. p. 168.— «Ad fagorum truneos M. Cervalto, Gusso- ne» Jatta 1874, p. 21. 17. Cetraria islandica (L.) Ach., Jatta Syll. p. 107, Fl. it., erypt. p. 174. Cetr. islandica (L.) Ach. var. campestris Rch.: «Sterilis ad terram M. Creato (sie) in Prine. Ultra, Gussone » Jatta 1874 p. 23, an. 1889 p. 95; Lichen islandicus Casale e Gussone 1811 p. 168; Cas- sitto, Fl. irp.: « Si trova tra le fessure dei sassi alla più alta vetta del Cervialto ». 18. Platysma glaucum (L.) Nyl., b. fallax Ach., Jatta FI. it. ery pt. . p. 178, Cetraria. Jatta Syll. p. 110.—Sulle cortecce dei Faggi nel M. Cervialto, giugno 1905 (A. Trotter) e luglio 1911 (M. Romano). Que- sta varietà era stata indicata sin qui solo delle cortecce delle Conifere nell'Italia settentrionale. i 19. Nephromium lusitanicum (Sch.) Nyl., Jatta Syll. p. 114, Fl. - it. erypt p. 185. « Ad truncos Castanearum in M. Celica, Comes et Savastano », Jatta 1880 p. 206, an. 1889 p. 98.—Sui tronchi muscosi di Castagno alle Selve presso Avellino, marzo 1941 (M. Romano), ed PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA IRPINA 447 al Piano Acernese ‘sotto il M. Cervialto, luglio 1911 (A. Trotter e Ro- mano). 20. Peltigera canina (L.) Hffm., Jatta, Syll. p. 117, FI. it. erypt. p. 188. « In provincia di Avellino, Gasparrini » Jatta 1886 p. 87, an. 1889 p. 96. Lichen caninus. Casale e Gussone 1811 p. 168; Cassitto, Fl. irp.: « Nelle selve di Avellino, aderente alle pietre ed alla terra ». Sulla terra muscosa, sulle cortecce; nei boschi intorno il Laceno, apri- le 1909. (A. Trotter), presso le vette del M. Terminio, 25 luglio 1909 (A. Trotter e M. Romano), presso Campolasperto sul Terminio. var. leucohrriza (Flk.) Sch. Jatta Syll. p. 117, Fl. it. erypt p. 188. Dintorni di Avellino (Prof. C. Casali !), sui tronchi muscosi sul M. Cervialto, luglio 1911 (M. Romano). 21. Peltigera horizontalis (L.) Hoffm., Jatta Syll. p. 118, Fl. it. erypt. p. 189. « Ad truneos M. Taburno; Gussone ». Jatta 1880 p. 26. Sulla terra umida lungo la via delle Selve presso Avellino. marzo 1909 e 1911 (M. Romano). Ospedaletto, marzo 191i (M. Romano.) | 22. Peltigera rufescens (Veis.) Hffm., Jatta, Syll. p. 115, FI. it crypt. p. 186. Sulle cortecce degli alberi e sulla terra umida, frequente nei dintorni di Avellino (Casali!, Romano, Trotter). 23. Peltidea venosa (L.) Ach., Jatta Syll. p. 119, Fl. it. erypt. p. 191—« Ad terram in M. Vergine; Licopoli in Herb. Baglietto ». Jatta 1882 p. 114, an. 1889 p. 97. . 24. Solorina saccata (L.) Ach., Jatta Syll. p. 120, FI. it. crypt. p. 193.—Frequente sulla terra tra le rupi calcaree intorno al Laceno, aprile 1908 (A. Trolter); a Colle di Basso e M. Vernacolo nel gruppo ` del Terminio, giugno 1909, luglio 1911 (M. Romano ed A. Trotter), ` M. Fagliese, M. Vergine (M. Romano). 25. Lobaria pulmonacea (L.) Hffm., Jatta Syll. p. 123, Fl. it. erypt. p. 196. Lichen pulmonarius Casale e Gussone 1811 p. 168, Cas- sitto, Fl. irp.: « Si trova nelle selve di Avellino aderente ai tronchi degli alberi ». «Ad truncos in M. Celica; Comes e Savastano ». Jatta 1880 p. 206, an. 1889 p. 100. « Ad truncos in silvis abellinensibus Selva della Piana, M. Cervone; Gussone » Jatta 1880 p. 26, an. 1889 p. 100.—Sui tronchi di Faggio al M. Cervialto, giugno 1905, luglio 1911 (M. Romano, A. Trotter). 448 A. TROTTER E M. Romano 26. Ricasolia glomuclifera (Lghlf.) DNot.. Jatta Syll. p. 122 (Stictae sp.), Fl. it. erypt. p. 198. « Ad truncos muscosos in Princ. Ultra; Gussone ». Jatta 1880 p. 207, an 1889 p. 100. « Ad truncos in silvis abellinensibus, Selva della Piana, M. Cervone; Gussone ». Jatta, 1874 p. 27, an. 1889 p. 100.— Sulle cortecce di Castagno ai Piani di Serino, luglio 1904 (A. Trotter) e sulle cortecce dell’ Alnus cordata al Cervialto, luglio 1911 (A. Trotter e M. Romano). 27. Parmelia Acetabulum (Neck) Dub., Jatta Syll. p. 131 (Imbri-. cariae sp.), Fl. it. erypt. p. 214.—Sulle cortecce dei Castagni, dei Fag- gi, dei Crategi etc. nella zona submontana e montana, ai Piani di Se- rino, luglio 1904 (A. Tro'ter), intorno al Laceno, aprile 1909, luglio 1911 (A. Trotter), alle Selve presso Avellino, marzo 1909 (M. Roma- no), presso Aquilonia. 28. Parmelia caperata (L.) Ach., Jatta Syll. p. 127 (Imb: icariae sp), Fl. it. crypt. p. £09.— Comune sulle cortecce di Castagno e di al- tri alberi ai Cappuccini presso Avellino, inverno 1906 (A. Trotter) ed alle Selve, marzo 1909 (M. Romano), presso Aquilonia. 29. Parmelia carporhizans Tayl., Jatta Syll. p. 150 (Imbr . ariae sp., Fl. it. crypt. p. 209 et p. 911.—Frequente sulle eorteece di Ca- stagno, presso Bagnoli, aprile 1909 (A. Trotter), alle Selve presso Avel- lino, marzo 1909 (M. Romano). Questa specie era nota sin qui solo della Valsesia e Sardegna. 30. Parmelia exasperata De Not., Jatta Syll p. 132 (Limbricariae sp), Fl. it. erypt. p. 216. — Sulle cortecce dei cassoni e dei Faggi, . Bagnoli, M. Cervialto primavera 1905, 1909 (A. Trotter), alle Selve presso Avellino, marzo 1909, (M. Romano), Aquilonia. 31. Parmelia laevigata (L.) Ach., Jatta Syll. 129 (Imbricariae sp.), FI. it. crypt. p. 204. — Sulle cortecce dei Faggi al Laceno ed al M. Cervialto, primavera 1905-1909 (A. Trot/er).—Indicata sin qui solo della Valtellina e Toscana. 32. Parmelia olivacea (L.) Ach., Jatta Syll. p. 132 (Imbricariae sp.). FI. it. erypt. p. 215. « Ad truncos in silvis abellinensibus, Selva della Pinna M. Cervone; Gussone ». Jatta 1874 p. 29, an. 1889 p. 104. Sulle cortecce dei Faggi e dei Castagni nei boschi intorno al Laceno, PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA IRPINA 449 aprile 1909 (A. Trotter) ed a M. Vergine, ag. sett. 1909 (M. dem presso Aquilonia. 33. Parmelia perlata (L.) Ach., Jatta Syll. p. 128 (Imbricariae sp. Fl. it. erypt. p. 207 — « Principato Ultra ». Milani an. 1890. 34. Parmelia physodes (L) Ach. var. tubulusa Sch., Jatta Syll. p. 135 (Imbricariae sp.), Fl. it. crypt. p. 220.—Sulle cortecce dei Faggi sul M. Cervialto, giugno 1905 e luglio 1911 (A. Trotter e M. Romano). 35. Parmelia prolixa (Ach.) Nyl., Jatta Syll. p. 132 (Imbricariae sp.) Fl. it. crypt. p. 217. — Sulle rupi di arenaria alla vetta del M. Teuta presso Monteverde, maggio 1909 (A. Trotter), e sulle arenarie. nel bosco di Pietrapalomba presso Aquilonia, nov. 1909 (M. Romano). 36. Parmelia saxatilis (L.) Ach., Jatta Syll. p. 130 (Imbricariae sp.), Fl. it. crypt. p. 212. —Sulle cortecce dei Castagni e dei Faggi e tra le rupi nella zona submontana e montana: boschi intorno il La- ceno dicembre 1908 (A. Trotter), M. Cervialto giugno 1905 (A. Trotter), Piani di Serino, giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano), alle Selve presso Avellino, marzo 1909 (M. Romano), M. Vergine, sett. 1909 (M. Romano), presso Aquilonia. 31. Parmelia sorediata Ach., Jatta Syll. p. 133, Fl. it. erypt. p. 218 e p. 911. Sulle arenarie nel bosco di Pietrapalomba presso Aquilonia, nov. 1909 (M. Romano). var. sulcata (Tayl) Nyl., Jatta Syll. p. 131, Fl. it. erypt. p. 212. — Sulle cortecce dei Castagni e dei Faggi: sul M. Cervialto, giugno 1905 luglio 1911 (A. Trotter), ale Selve presso Avellino, comune, marzo 1909 (M. Romano), sui Cerri nel bosco di Pietrapalomba presso Aquilonia, nov. 1909 (M. Romano). 38. Parmelia scortea (Ach) Nyl., Jatta Syll. p. 130 (Imbric. ti- liac. var. scortea), Fl. it. erypt. pag. 208.— Sulle cortecee dei Faggi, al M. Cervialto, giugno 1905 (A. Trotter) e sulle arenarie muscose nel bosco di Pietrapalomba presso Aquilonia, nov. 1909 (M. Romano). 39. Parmelia tiliacea (Hofsm.) Ach., Jatta Syll p. 130 (Imbric. ti- liac.), Fl. it. erypt. p. 208. «Ad truncos in M. Celica, Comes e Sava- stano ». Jatta 1880 p. 207, an. 1889 p. 102. Comune sui tronchi degli alberi, Castagni, Faggi, Tiglio ete: sul M. Cervialto, giugno 1905 (A. Trotter); ai Cappuccini presso Avellino (M. Romano), sulle arenarie 450 A. Trotter E M. Romano muscose nel bosco di Pietrapalomba presso Aquilonia, nov. 1909 (M. Romano). i : 40. Xanthoria parietina (L.) Th., Jatta Syll. p. 148 (Physcia par.) Fl. it. erypt. p. 226. «Principato Ulteriore » Milani 1890. — Comune sulle cortecce alle Selve presso Avellino febbraio 1909 (M. Romano), Aquilonia. var. aureola (Ach. (Fr., Jatta Syll. p. 149 (Physcia var.), Fl. 1t. erypt. p. 226. — Sui rami degli alberi nei boschi intorno il Laceno, aprile 1909 (A. Trotter). 41. Anaptychia aquila (Ach.) Th., Jatta Syll. p. 144 (Parmelia sp.), Fl. it. crypt. p. 234.—Sulle arenarie alla vetta del M. Teuta presso Monteverde a circa 600 m. s. m., maggio 1909 (A. Trotter). 42. Anaptychia ciliaris (L.) Krb., Jatta Syll. p. 137 (Parineliae sp.), Fl. it. erypt. p. 231.—Frequente sulle cortecce degli alberi spe- cialmente del Castagno a Valle Fredda sopra Forino, maggio 1905 (A. Trotter), alle Selve presso Avellino, marzo 1909 (M. Romano), sulle cortecce di Faggio intorno al Laceno (A. Trotter). 43. Physcia pulverulenta (Sch.) Fr., Jatta Syll. p. 142 (Parmeliae sp.), Fl. it. erypt. p. 240.—Sulle cortecce dei Castagni nei dintorni di Bagnoli, aprile 1909 (A. Trotter), alle Selve presso Avellino, marzo 1909 (M. Romano). var. ittyrea (Ach.) Nyl., Jatta Syll. p. 143 (Parm. pulv. var. gri- sea), Fl. it. erypt. p. 240. — « Ad truncos in M. Celica, Comes et Savastano "e Jatta 1880 p. 209, an. 1889 p. 109. — Sulle cortecce di Castagno alle Selve presso Avellino, marzo 1909 (M. Romano). 44. Physcia stellaris (L.) Fr., Jatta Syll. p. 140 (Parineliae Sp.), FI. it. erypt. p. 236. var. ambigua Schaer., Jatta FI. it. erypt. p. 237. « Ad truncos Fagorum in M. Celica, Comes e Savastano ». Jatta an. 1880 p. 209, e 1889 p. 107.—Comune sulle cortecce dei Castagni e dei Faggi al M. Cervialto, giugno 1905 (A. Trotter), alle Selve ed ai Cappuccini pres- so Avellino, giugno 1904 e febbraio 1909 (A. Trotter e M. Romano) ai Piani di Serino, giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano). | _ var. melanophthalma Mass., Jatta Fl. it. crypt. p. 237. — Sulle cortecce nei boschi intorno al Laceno, aprile 1909 (A. Trotter). PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA ÍRPINA 451 45. Physcia tenella (Sic.) Nyl., Jatta Syll. p. 141 (Parmelia stell. var. adscend.), Fl. it. crypt. p. 231.—« Avellino, Gasparrini ». Jatta 1886 p. 90, an. 1889 p. 107 (Physcia stell. var. tenella)—Sui tronchi di Castagno e di Robinia alle Selve presso Avellino, marzo 1909 (M. Romano), tra le rupi calcaree sul M. Fagliese, dec. 1909, (M. Rom 1no). var. leptalea (Ach.), Jatta Syll. p. 141 (Parmeliae sp. et var.), Fl. it. erypt. p. 237.—Sui rami degli alberi nei boschi presso il Laceno aprile 1909 (A. Trotter) ed al bosco di Aquilonia giugno 1908 (A. Trotter), sui tronchi di Robinia alle Selve presso Avellino dee. 1910 (M. Romano). 46. Physcia venusta (Ach.) Nyl., Jatta Syll. p. 144 (Parmeliae sp.), Fl. it. erypt. p. 241.—«Ad truncos Castaneorum in silvis abelli- nensibus, Selva della Piana M. Cervone, Gussone ». Jatta 1880 p. 31, an. 1889 p. 109.— Sulle cortecce dei Castagni a Valle Fredda sopra Fo- rino, maggio 1905 (A. Trotter), presso S. Agata di Sopra maggio 1908 (A. Trotter), alle Selve presso Avellino, nov. 1910 (M. Romano), sui faggi del M. Cervialto, luglio 1911 (M. Romano). Fam. PANNARIACEAE. 47. Parmeliella plumbea (Lghtf) Krb. var. myriocarpa Del., Jatta Syll. p. 166 (Coccocarpiae sp. et var.), Fl. it. crypt. p. 251.— Sui tron- chi degli alberi nei monti intorno Bagnoli, aprile 1909 (A. Trotter), sulle cortecce di Castagno alle Selve presso Avellino, marzo 1911 (M. Romano). 48. Parmeliella triptophylla Ach., Jatta Fl. it. erypt. p. 257, Syll. p. 110. —Sulla terra fra le rupi calcaree di Montevergine (rara) settem- bre 1909 (M. Romano). Fam. LECANORACEAE. 49. Lecanora (Squamaria) crassa (Hds.) Ach., Jatta Syll. 174, Fl. it. erypt. p. 274. a. caespitosa (Vill) Sch., Jatta Syll. p. 175, FI. it. erypt. p. 275. — Comune sulla terra, tra le rupi, e sulle rupi ca'careedalla zona col- lina alla montana: Discesa della Laura, maggio 1903(A. Trotter), M. Pergo!o, maggio 1903 (A. Trotter), conglomerati alla stretta di Barba, 452 A. Trotter E M. Romano aprile 1904 (A. Trotter), intorno al Laceno, aprile 1909, a Colle di Basso sul Terminio giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano), M. Faliese aprile 1909 (M. Romano), Aquilonia. b. Dufouri (Fr.) Sch., Jatta Syll. p 175, Fl. it. erypt. p. 275. — Rupi calcaree tra Salza e Volturara, maggio 1905 (A. Trotter). 90. Lecanora (Squamaria) gypsacea (Sm.) Ach., Jatta Syl! p. 175, Fl. it. erypt. p. 275.—Sulie rocce ca'cari ai Ferrari sopra Serino, mag- gio 1909 (A. Tro'ter e M. Romano), a M. Vergine presso !e vette, ago- sto 1911 (M. Romano). 51 Lecanora (Squamaria) saxicola (Poll) Jatta Syll. p. 178, Fl. it. crypt. p. 278.—«Principato Ulteriore » Milani 1890. e. versicolor (Pers.) Nyl. pulverulent: (Schaer) Jatta Syll. p. 19, Fl. it. erypt. p. 279. — Frequente sulie rocce calcaree del M. Faliese e di M, Vergine, aprile 1909 (M. Romano); su'le arenarie nel bosco di Pietrapalomba presso Aquilonia, novembre 1909 (M. Romano). 52. Lecanora (Eu'ecanora) atra (Hds.) Ach., Jatta Syll. p. 204, FI. it. erypt. p. 304.—Sulle arenarie alla vetta del M. Teuta, presso Mon- teverde, maggio 1909 (A. Trotter), M. Fag'iese, ott. 1909 (M Romano), var. calcarea Jatta, F. it. erypt. p. 305 e p. 912, Syll. p. 204. — Rupi calcaree a M. Vergine e sul M. Fagliese, sett. 1909, marzo 1910 (M. Romano). 53. Lecanora (Eulecanora) intumescens Krb., Jatta Syll. p. 192, Fi. it. etypt. p. 292.— «Ad truncos in M. Celica, Comes e Savastano». Jatta 1880 p. 217, an. 1889 p. 125. . 54. Lecanora gangalea Ach, Jatta FI. it. crypt. p. 912.— Rupi cal- caree a M. Vergine presso Avellino, estate 1909 (M. Romano ). Questa speeie riesce nuova per l'Italia. 55. Lecanora (Eulecanora) subfusca Ach., Jatta Syl!. p. 187, Fl. it. erypt. p. 288. . a. allophana Ach., Jatta ]. c. Sulle cortecce dei Faggi nel M. Cer- viaito, giugno 1905 (A. Trotler). d. chlarona Ach., Jattal. c. p. 189, F. it. erypt. p. 289. « Ad truncos in M. Celica, Comes et Savastano ». Jatta 1880 p. 217, anno 1889 p.123. — Sui Faggi intorno al Laceno, aprile 1909 (A. Trotier), sui tronchi di noce alle Sejve presso Avellino (M. Romano). t PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA IRPINA 458 f. argentata Ach., Jatta Syll. p. 188, Fl. it. erypt. p. 290.—Sulle cortecce dei Faggi nei boschi intorno il Laceno a circa 1300 m. s. m., autunno 1908-1909 (A. Trotter). | Quest'ultima forma era nota sin qui solo del Monte Baldo, assie- me alla for. boeomycioides Mass., quest'ultima anche sulle cortecce di Castagno alle Selve pressoAvellino, nov. 1910 (M. Romano). var. puniceo-fuscescens n. v. Jatta Fi. it. erypt. p. 912: Thallus cinereo-albus, granuloso-dispersus. Apothecia puniceo-fusca vix primitus albo-marginata ac dein biatorina e planis convexa nuda. Sporae ma- Jusculae: 14-16—10-11 p. Sulle arenarie muscose di Pietrapalomba, presso Aquilonia, autunno 1909 (M. Romano). 56. Lecanora (Aspicilia) calcarea (L.) Smrf., Jatta Syll. p. 213, Fl. it. erypt. p. 319. a. concreta Sch. f. farinosa (Fik.) Sch. Jatta l. c. Rupi calcaree ai Ferrari sopra Serino ed a Colle di Basso sul Terminio, maggio-giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano); M. Fagliese, M. Vergine, Va'atrone, Cervialto, primavera 1909-1910 (M. Romano). b. contorta (Falk.), f. bullosa Mass., Jatta FI. it. erypt. p. 320 e p. 913, Syll. p. 214.—Rupi calcaree del Valatrone, aprile 1910 (M. Ro- mano). Era nota solo del Veronese, €. viridescens (Mass.) Krb., Jatta I. e. p. 214, FI. it. erypt. p. 320. Frequente sulle rupi calearee a M. Vergine, a Colle di Basso sul Ter- . minio, intorno al Laceno, primavera 1909 (A. Trotter e M. Romano). 91. Lecanora (Aspicilia) cinerea (L.) Smrf. e. obscurata Fr., Jatta Syll. p. 212, FI. it. crypt. p. 324. Sulle rupi calcaree a Colle di Basso | sul Terminio, giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano); Valatrone apri- le 1909 (M. Romano). Questa varietà era nota solo delle Alpi della Lombardia. S 58. Lecanora (Aspieilia) cinereo-rufescens Ach., Jatta Syll. p. 219, Fl. it. erypt. p. 322.—Sulle rupi calcaree a Colle di Basso sul M. Ter- minio, giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano). Indicata sin qui delle rupi granitiche e vulcaniche. 59. Lecanora (Hymenelia) coerulea (Mass.), Jatta Syll. p. 223, FI. it. erypt. p. 333.— Frequente sulle rupi ealearee del M, Faliese e di M. . Vergine, aprile 1909 (M. Romano), Valatrone mag. 1910 (M. Romano). 454 A. Trorrmr E M. Romano 60. Lecanora (Hymenelia) hiascens (Mass.), Jatta Syll. p. 223, FI. it. erypt. p. 332. —Frequente sulle rupi calcaree di Colle di Basso sul M. Terminio, giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano). 61. Lecanora (Hymenelia) lithofraga (Mass.) Jatta Syii. p. 222. FI. it. crypt. p. 332.—Sulle rupi calcaree intorno al Laceno, apri'e 1909 (A. Trotter), a M. Vergine aprile 1909 (M. Romano), M. Fagliese, ot- bre 1909 (M. Romano), a Pietrapalomba presso Aquilonia, novembre 1909 (M. Romano). 62. Lecanora (Hymenelia) Prevosti Fr., Jatta Syll. p. 222, FL it. erypt. p. 331.— Piuttosto rara sulle rupi calcaree a M. Vergine, aprile 1909 (M. Romano),. b. melanorcapa Krplk., Jatta Syll. p. 222, Fl. it. crypt. p. 331. « Ad rupes caleareas in M. Celica, Comes e Savastano». Jatta 1880 p. 223, an. 1889 p. 149 63. Lecanora (Hymenelia) tuberculosa (Mass.) Jatta, Syll. p. 223, FI. it. erypt. p. 332 et p. 913. --Rupi ca'caree a M. Vergine, estate 1909 (M. Romano). Questa specie era sin qui considerata come endemica delle Prealpi venete. ; 64. Ochrolechia tartarea (L.) Krb., Jatta Syll. p. 208 (Lecano- rae sp.), FI. it. crypt. p. 334.— Frequente sulle cortecce dei Faggi e Ca- stagni nella zona submontana e montana; monti intorno Bagnoli, apri- le 1909 (A. Trotter), alle Selve presso Avellino, aprile 1909 (M. Ro- | mano), Aquilonia. b. albo-flavescens (Sch.) Mass., Jatta Syll. p. 208 (Lecanorae var.) Fl. it. crypt. p. 334. Sulle cortecce nei monti di Bagnoli, aprile 1909 — (A. Trotter). 65. Sarcogyne pruinosa (Sm.) Mass., Jatta Syll. p. 226, FI. it. crypt. p. 351. « Ad saxa calcarea in M. Celica, Comes et Savastano ». Jatta — 1880 p. 231, an. 1889 p. 166. E 66. Caloplaca aurea (Sch.), Jatta Syll. p. 236, Fl. it. crypt. p.358. Frequente sulle rupi calcaree presso Bagnoli, aprile 1909 (A. Trotter); S. Agata di Sopra, aprile 1906 (A. Trotter), Colle di Basso sul Termi- nio, giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano). 67. Caloplaca granulosa Müll, Jatta Syll. p. 237, FI. it. crypt. PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA ÍRPINA 455 p 361. — Frequente sulle rupi calcaree a M. Vergine, aprile 1909 (M. Romano). 68. Caloplaca murorum (Hfsm.) Th., Jatta Syll p. 237, FI. it. crypt. p. 359.—Rupi calcaree intorno al Laceno sopra Bagnoli, aprile 1909 (A. Trotter). b. centrifuga Mass, Jatta Syll. p. 237, FI. it. crypt. p. 359. « Ad rupes calcarias in M. Celica, Comes et Savastano ». Jatta 1880 p. 212, an. 1889 p. 128. Sulle rupi calcaree presso il Santuario di M. Vergine, aprile 1909 (M. Romano). c. pulvinata Mass. f. euphora Mass., Jatta Syll. p,237, Fl. it. erypt. p. 360. — Sulie rupi ealearee presso il Santuario di M. Vergine e sui muri di tufo vulcanico in Avellino, aprile 1909 (M. Romano). 69. Caloplaca luteoalba (Tourn.) Th, Jatta FI. it. crypt. p. 365.. var. Persooniana Sch., Jatta Syll. p. 252.—Sulle rupi calcaree a M Vergine; non frequente, aprile 1909 (M. Romano). 10. Caloplaca ferruginea (Hds.) Th., Jatta Syll. p. 245, FI. it. erypt. p. 370.—Sulle cortecce di Castagno alle Salve presso Avellino; non co- mune, marzo 1909 (M. Romano), sulle cortecce dei Cerri nel bosco di Pietrapa'omba presso Aquilonia, novembre 1909 (M. Romano). 11. Caloplaca pusilla Mass., Jatta Syll. p. 238, FI. it. erypt. p. 361. Rupi ea'earee alla vetta del M. Terminio, 25 luglio 1909; scarsa (A. Trotter e M. Romano). 12. Caloplaca obliterans Nyl., Jatta Syil. p. 240, Fi. it. erypt p. 364.—Sulle rupi calcaree al M. Fagliese, e sopra i “Ferrari,, presso Se- rino, aprile e maggio 1909 (A. Trotter e M. Romano); M. Vergine, set- tembre 1909 (M. Romano). Questa specie era stata segnalata sin qui solo dei monti di Bormio, della Toscana e della Sicilia. 73. Caloplaca medians Nyll, Jatta Syll, p. 237, Fl. it. erypt. p. 359 e p.913.—Rupi calcaree. Per l'Italia continentale era nota solo del ca Lombardia. 74, Caloplaca Schistidii Anzi, Jatta Syll. p. 255, Fi. it. erypt. p. 366 e p. 913.—Fra le rupi calcaree alie vette dei monti Cervialto, Par- tenio, Valatrone, estate 1911, rara (M. Romano). Questa specie era lonsiderata come endemica delle Alpi al Sempione. | 75. Caloplaca aurantiaca (Lythf. Th., Jatta Syll. p. 247, Fl. it 456 À. Trorrer E M. Romano crypt. p. 377.—Frequente sulle rupi calcaree a Colle di Basso sul M. Terminio, giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano). 76. Caloplaca cerina (Ehoh.) Th., Jatta Syll. p. 253, FI. it. erypt. p. 382.—Sui rami secchi intorno al Piano Laceno, aprile 1909 (A. Trotter). TT. Caloplaca pyracea Ach., Jatta, Syll. p. 251 (sub. c. luteo alba) Fl. it. erypt. p. 385 e p. 914. var. lactea Mass, Jatta FI. it. crypt. p. 386.—Rupi calcaree del M. Fagliese, ottobre 1909 (M. Romano). Non era stata indicata più al sud della Toscana. var. pyrithroma (Ach.), Nyl., Jatta FI. it. crypt. p. 914. — Rupi calcaree a M. Vergine, settembre 1909 (M. Romano), sui tufi silicei vulcanici presso Avellino (M. Romano). Figura per la prima volta in- dicata in Italia. Riscontrasi però anche in Liguria ed a Malta. 18. Caloplaca Agardhiana Schaer, Jatta Syıl. p. 268, FI. it. erypt. p. 390 e p. 914.—Rupi ealearee su! M. Fagliese, ottobre 1909 (M. Ro- mano). 19. Candelariella vitellina (Ehsh.) Müll., Jatta Fl. it. erypt. p. 392, Caloplacae sp. Jatta Syll. p. 262.—Sui vecchi tronchi di Faggio alle “Selve,, presso Avellino, marzo 1909 (M. Romano). 80. Lecaniella turicensis Mass., Jatta Syll. p. 266, Fl. it. erypt. p. 398 e p. 915.—Sulle arenarie nel bosco di Pietrapalomba presso Aqui- lonia, nov. 1909 (M. Romano). 81. Lecaniella potycycla (Anzi) Jatta, Syll. p. 268, Fl. it. erypt. p. 401.—Rupi calcaree del M. Fagliese, rara; aprile 1909 (M. Romano). Specie endemica, nota siu qui solo delle Alpi e dell' Isola di Lam- pedusa. 82. Rinodina lecanorina Mass., Jatta Syll. p. 279, FI. it. erypt. p. 423.—Rupi calcaree a Colle di Basso sul M. Terminio, giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano). 83. Pertusaria amara Ach., Jatta Syll. p. 292, FI. it. crypt. p- 431. Frequente sulle cortecce dei Faggi, dei Castagni e dei Tigli nella zona montana e submontana: M. Cervialto giugno 1905, aprile 1908 (A. Trotter); alle Selve ed ai Cappuccini presso Avellino marzo 1909 (M. PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA IRPINA 457 Romano), sulle cortecce dei Cerri nel bosco di Pietrapalomba presso Aquilonia, nov. 1909 (M. Romano). 84. Pertusaria communis DC., Jatta Syil. p. 293, FI. it. erypt. p. 434.— Frequente sulle cortecce dei Castagni, dei Faggi e dei Tigli dalla zona submontana alla montana: Piani di Serino luglio 1904 (A. Trot- ter), Bagnoli Irpino, aprile 1909 (A. Trotter), alle Selve ed ai Cap- puccini presso Avellino, marzo aprile 1909 (M. Romano). 55. Pertusaria sulphurea Scha: r., Jatta Syl'. p. 296, Fl. it. erypt. p. 437.—Sulle rocce arenarie alla vetta di M. Teuta presso Monteverde, 28 maggio 1909 (A. Trotter). 86. Pertusaria Wulfenii DC., Jatta Syll. p. 296, FI. it..erypt. p. 436. « Ad truncos in M. Celica, Navaslano » Jatta 1880 p. 224, an 1889 pP. 153. Fam. THELOTREMACEAE Jatta. 87. Urceolaria scruposa Ach., Jatta Syll. p. 287, FI. it. erypt. p. 442.—Comune sui tufi vulcanici grigi presso la Ferriera ad Av 3llino, febbraio 1909 (M. Romano). var. b. gypsacea Smrf., Jatta l. c., Fl. it. crypt. p. 443. Frequen- te sulle rocce calcaree e sulla terra muscosa ai Cappuccini ed a M. Vergine, marzo-aprile 1909 (M. Romano), ai Ferrari presso Avellino, maggio 1909 (A. Trotter e M. Romano). 88. Gyalecta geoica Ach., Jatta Syll. p. 300, FI. it. erypt. p. 454, e p 918.—Sul'a terra muscosa a M. Vergine e sul M. Cervialto presso le vette luglio 1911 (Romano). Era nota sin qui solo delle Alpi della Valtellina. Fam. CLADONIACEAE Th. 89. Stereocaulon condensatum Hoffm., Jatta Syll. p. 99, FI. it. erypt. p. 469.—Sui tufi vulcanici grigi alla Fe:riera ed alle Selve pres- so Avellino, aprile 1909 (Romano). Specie caratteristica. delle rocce granitiche nelle Alpi e di quelle vulcaniche nel Veronese e nella Cam- pania. 90 Cladonia rangiferina (L.) Hoffm., Jatta Syil. p. 16, Fl. it. erypt. p. 479. — Principato ulteriore: Milani 1890. 458 A. TROTTER E M. Romano 91. Cladonia furcata (Hds.).F.k., Jatta Syll. p. 92, FI. it. crypt. p. 489. var. racemos@ Fik. f. erecta (Fk.) Kr., alla vetta del M. Teuta presso Monteverde, 28 maggio 1909 (4. Trotter). f. recurva (L.) Kr., sui cong'omerati presso Ch'anche, luglio 1904 [ 4. Trotter], tra lerupi calcaree a M. Verg ne, settembre 1909 [M. Romano]. Tra le rupi presso il Santuario di Montevergine, agosto 1909 [M. Romano]. var. Subulat? [L.| Kr., sulla terra muscosa presso la vetta del M. Costa S. Ange!o [A. Trotter]. 92. Cladonia pungens Flk., Jatta Syll. p. 93, FI. it. erypt. p. 490. Sui eonglomerati presso SH alla stretta di Barba, aprile 1904- 1905 (A. . Trotter). 93. Cladonia muricata Del., Jatta Syll. p, 93, FI. it. erypt. p. 491. Sulla terra umida presso il Castello di Monteforte, febbraio 1900 (C. Casali) sulla terra muscosa nei monti di Bagnoli, aprile 1909 (A. Trotter). | 94. Cladonia pyxidata (L.) Fr., Jatta Syll. p. 87, FI. it. erypt. p. 502.—« Principato Ulteriore », Milani 1890; Lychen pyxidatus, Ca- sale e Gussone 1811, p. 168, Cassitto Fl. irpina. a. neglecta (FIk.) Krb., dintorni di Avellino, inverno 1905, aprile 1909, (A. Trotter, M. Bee b. pocillum (Ach. Falk., mura del Castello di Monteforte, feb- braio 1900 (C. Casali). 95. Cladonia fimbriata (L.) Fr., Jatta Syll. p. 88. Fl. it. erypt. p. 503. a. scyphosa Schoer. f. tubaeformis, Hoffan., Sulla terra ai Cappuccini presso Avellino, marzo 1905 (A. Trotter), e sui tronchi muscosi alle “ Selve ,, marzo 1911 (M. Romano); f. radiata (Schr.) Fr., sui conglomerati alla stretta di Barba, luglio 1904, aprile 1905 (A. Trotter); sulla terra umida nei dintorni di Avellino (C. Casali, M. Romano). b. abortiva (Flk.) Ach., sui vecchi tronchi muscosi alla Sciorta presso Avellino, ottobre 1905 (A. Trotter). Marzo 1910 (M. Romano). 96. Cladonia ochrochlora (Flk.) Jatta, Syll. p. 91, FI. it. erypt. P- 505.—Sul legno guasto; monti di Bagnoli Irpino, aprile 1909 (A. PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA IRPINA 459 97. Cladonia endiviaefolia (Deks.) Fr. L. E., Jatta Syll. p. 84, FI. it. erypt. p. 506.—Sui conglomerati alla stretta di Barba, aprile 1904 (A. Trotter); rupi calcaree a Colle di Basso (M. Terminio), giu- gno 1909 (A. Trotter e M. Romano), Valatrone, maggio 1910 (M. Romano). : Fam. LECIDEACEAE. 98. Biatora lurida (Sw.) Fr., Jatta Fl.it. crypt. p.518, Lecideae sp. Jatta Syll. p. 307 —Tra le rocce calcari, frequente a M. Vergine, aprile 1909 (M. Romano), M. Fagliese, Valatrone, marzo-maggio 1910 (M. Romano). | 99. Biatora decipiens (Ach! Fr., Jatta, Fl. it. crypt. p. 519, Le- cideae sp, Jatta Syll. p. 308. b. dealbata Mass. Jatta, FI. it. erypt. p. 520.—Tra le rupi cal- caree dalla zona collina alla montana: al “Castelluzzo,, presso S. Aga- ta di Sopra, maggio 1908 (A. Trotter). intorno al Piano Laceno, aprile 1909 (A. Trotter), a Colle di Basso sul Terminio, giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano), M. Fagliese, ottobre 1910 (M. Romano). 100. Biatora albilabra Duf., Jatta Syll. p. 309, (sub Lecidea) FI. it. erypt. p. 521 e p. 918.—Sulla terra fra le rupi. a Montevergine. Agosto 1909 (M. Romano). Non era stata indicata piü al sud della Toscana. 101. Biatora rupestris (Gei Krb., Jatta Fl. it. crypt. p. 525, Le- cideae sp. Jatta Syll. p. 314.—Rupi calcaree intorno al Laceno, aprile 1909 (A. Trotter), a M. Vergine e sul M. Fagliese, aprile 1909 (A. Trotter e M. Romano). 102. Biatorina minuta Mass., Jatta Syll. p. 378, FI. it. erypt. p. 558 e p. 918.—Salle rupi calcaree di Montevergine. Settembre 1909 (M. Romano). Era nota solo del Comasco ed Emilia. 103. Bilimbia sabulosa Mass., Jatta Syll, p. 406, FI. it. erypt. p. 569 e p. 918.—Sulla terra muscosa tra le rupi calcaree a M. Ver- gine ed al Valatrone (M. Romano). 104. Bilimbia coprodes Krb., Jatta Syll. p. 411, FI. it. erypt. p. 574. . var. seposita Th., Jatta FI. it. erypt. p. 918.—Salle arenarie pres- 460 s A. TROTTER E M. ROMANO so il bosco di Pietrapalomba presso Aquilonia, novembre 1909. (M. Romano). Questa varietà è nuova per l’Italia. è 105. Bilimbia microcarpa Th. Fr., Jatta Syll. p. 411, FI. it. erypt. p. 915 e p. 919. Sulla terra muscosa presso la vetta di M. Vergine, agosto 1909 (M. Romano). Questa specie era nota dell’ Abruzzo e Calabria. 106. Lecidea enteroleuca Ach., Jatta Fl. it. erypt. p. 617, Syll. p. 350. « Ad truncos in M. Celica » Comes et Savastano Jatta 1880, p. 227, an. 1889 p. 162.—Sui rami secchi intorno al Laceno, zona montana, aprile 1909 (A. Trotter). var. e. rugulosa Schaer., Jatta Fl. it. crypt. p.618, Syll. p.351.— Sulle eorteece di Castagno alle “Selve, presso Avellino, febbraio 1909; frequente (M. Romano). var. c. areolata Fr., Jatta 1. c.—Frequente sulle cortecce del Ca- stagno alle *Selve, presso Avellino, marzo 1909. (M. Romano); sulle cortecce dei Faggi presso il Saivatore sul M. Terminio, giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano). 107. Lecidea ochracea Hepp., Jatta FI. it erypt. p. 621, Syll. p. 350.—Sulle rupi calcaree a M. Vergine, aprile 1909 (M. Romano). 108. Lecidea goniophila Schaer, Jatta Fi it. erypt. p. 621, Syll. p. 349. « Ad rupes calcarias in M. Celica, Comes et Savastano » Jatta 1880 p. 226, an. 1880, p. 161. 109. Lecidea vorticosa (Fik.) Krb., Jatta Fi. it. erypt. p. 633, Syil. p. 362.—Rupi calcaree alla vetta del M. Terminio, a cirea 1800 m. s. m.; rara; 25 lug io 1909 (A. Trotter e M. Romano). Specie nuo- va per l'Appennino essendo nota soltanto nelle Alpi. 110. Lecidea iurana Schaer., Jatta Fl. it. crypt. p. 635, Syll. p. 364.—Rupi calcaree alla vetta del M. Terminio, a cirea 1800 m. s. m. rara, 29 lugiio 1909 (A. Trotter e M. Romano), presso la vetta di M. Vergine agosto 1909 (M. Romano). 111. Lecidea emergens Fw., Jatta Fl. it. erypt. p. 636, Syll. p. 365.—Rupi ealearee alla vetta del M. Terminio, a eirea 1800 m. s. m., rara, 25 luglio 1909 (A. Trotter e M. Romano), alla vetta di M. Ver- gine ag.-sett. 1909 e del M. Cervialto, luglio 1911 (M. Romano). É PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA IRPINA 461 specie nuova per l'Appennino meridionale non essendo stata indicata più al sud dell’ Abruzzo. 112. Lecidea monticola Schaer., Jatta P it. erypt. p. 639; Syll. p. 964.—Rupi ca'caree a M. Vergine, aprile 1909; rara (M. Romano). Anche la presente è specie non prima indicata deli’ Appennino. 113. Thalloedema vesiculare (Hoffm.) Mass, Jatta Fi. it. erypt. p. 646, Bialorinae sp. Jatta Syl’. p. 370.—Tra ‘a rupi calcari museose della r:gione montana intorno al Piano Laceno; apri'e 1909 (4. Trot-` ler), inoltre a M. Vergin», Va'atrone, Faglies: (M. Romano), 114. Thalloedema candidum (Web.) Krb., Jatta F. it. erypt. p. 648, Biatorinae sp., Jatta Syll, p. 312. « Prineipato Ult riore » Mila- ni. — Sui conglomerati di Chiaeh , aprile 1905 (A. Trotter); rupi eal- caree di M. Vergine e di M. Fagliese, marzo aprile 1909 (M. Romano). 115. Thalloedema diffractum Mass., Jatta F.. it, erypt. p. 649, Biatorinae sp. Jatta Syıl. p. 373.—Rupi ealearee a M. Vergin», aprile 1909 (M. Romano), Valatrone, maggio 1910 (M. Romano), a Coll+ di | Basso sul Terminio giugno 1909 (A. Trotter e M. Romano). 116. Toninia aromatica (Sm.) Mass, Jatta F. it. erypt. p. 654, | Bilimbiae sp. Jatta Syil. p. 402.—Sulla terra tra le rupi ealearee intorno al Piano Laceno, zona montana, aprile 1909 (A. Trotter) e M. Fa- gliese, marzo 1910 (M. Romano) tra le fessure delle murag.ie trachi- tiche presso Contrada, marzo 1910 (M. Romano). 117. Toninia syncomista (Krb.) Th. Fr., Jatta FI. it. erypt. p. 651 Jatta Syil. p. 407. — Negli anfratti muscosi delle rupi calcaree a M. Vergine, aprile 1909 (M. Romano). E specie nuova per l'Appennino meridionale. as 118. Scoliciosporium Bagliettoanum Mass., Jatta, Fi. it. erypt. p. 659, Syil. p. 421 (Bacidiae sp.) - Bacidia muscorum Jatta, Fl. it. crypt. p. 919. — Sula terra muscosa presso le vette di M. Vergine e del Valatrone, ag. 1909, maggio 1910. Rara (M. Romano). Questa specie era ritenuta come endemica della Liguria. 119. Buellia leptoclinis (Fw.) Krb., Jatta FI. it. erypt. p. 665 Syll. p. 389.—Arenarie alla vetta di M. Teuta presso Monteverde, 28 mag- gio 1909 [A. Trotter]. | 462 A. TROTTER E M. Romano 120. Buellia parasema [Ach.] Krb., Jatta FI. it. crypt. p. 675, Syll. ` p. 994.— Sulle cortecce di Castagno alle *Selve, presso Avellino, marzo 1909 (M. Romano). 121. Buellia Ricasolii Mass., Jatta Fl. it. erypt. p. 616, Syll, p. 397. —Sulle cortecce degli alberi nei dintorni di Avellino, giugno 1904 [. A4. Trotter], marzo 1910 [M. Romano]. Specie nuova per l'Appennino meridionale. 122. Diplotomma albo-atrum [Hoffm.] Krb., var. c. murorum Mass. Jatta Fl. it. erypt. p. 683, Syll. p. 425.— Sulle rupi ealearee a M. Ver- gine, aprile 1909, non comune (M. Romano). Questa varietà era nota solo del Veronese e del Tirolo meridionale. 123. Rhizocarpon geographicum [L.] DC., Jatta FI. it. erypt. p. 692, Diplotommatis sp., Jatta Syll. p. 431.—-Arenarie alla vetta del M. Teuta presso Monteverde, 28 maggio 1909 [A. Trotter]. Fam. GYROPHORACEAE Hffm. 124. Umbilicaria pustulata [Hffm.] Fr., Jatta Fl. it. erypt. p. 709, Syll. p. 151.—Sulle arenarie alla vetta del M. Teuta presso Monteverde, 29 maggio 1909 [A. Trotter]. Fam. GRAPHIDACEAE. 125. Graphis scripta [L.] Ach., e. pulvurulenta [Pers.] Seh., Jatta, Fl. it. erypt. p. 724, Syll. pag. 449. sulle cortecce di Faggio alle Selve presso Avellino, marzo 1909 [M. Romano]. 126. Opegrapha varia Pars, Jatta Fi. it. crypt. p. 721, Syll. p. 441. a. notha (Ach.) Jatta, sulle vecchie cortecce ai “ Cappuccini , presso Avellino, febbraio 1900 [C. Casali], giugno 1904 [.4. Trotter] _ . 127. Opegrapha atra [Pers.] Fr., Jatta Fl. it. crypt. p. 735, Syll. p. 444.—Sulle cortecce di Faggio al Laceno sopra Bagnoli, aprile 1909 [-A. Trotter], ed alle *Selve, presso Avellino, febbraio 1909 [M. Ro- mano], | 128. Arthonia vulgaris Sch., Jatta Fl. it. erypt. p. 754, Syll. p. 466.—Assieme alla forma cinerascens[Ach.] Krb. sulle cortecce dei Castagni alle *Selve, presso Avellino, marzo 1909 [M. Romano]. PRIMI MATERIALI PER UNA LICHENOLOGIA IRPINA 468 199. Arthonia Stict&rum [Tul.] Jatta, Syl’. p. 470, Fl. it. crypt. p. 760.— «In apotheciis Stietae pulmonariae, Avellino » Jatta 1889 p. 172. PYRENOCARPEAE Fam. ENDOCARPACEAE. 130. Endopyrenium rufescens [Ach.] Krb., Jatta Fi. it. p. 789, Syll. p. 500.— Rupi calcaree sul M. Fagliese, aprile 1909 e ottobre 1911 [M. Romano]. 131. Endopyrenium hepaticum [Ach.] Krb., Jatta Fi. it. crypt. p 189, Syll. p. 500.—Tra le rupi calcaree sul M. Fagliese, M. Vergine, Valatrone, aprile-maggio 1909-1910 [M. Romano], sui cong'omerati presso Chianche, aprile 1905 [.4. Trotter]. 132. Endopyrenium trachiticum Hazi., Jatta Fi. it. crypt. p. 792, Verrucariae sp. Jatta Syll. p. 503.—Rupi calcaree a M. Vergine, set- tembre 1909 [M. Romano]. Fam. PYRENULACEAE, 133. Verrucaria polygonia Krb., Jatta Fi. it. crypt. p. 806, Syll, p. 506.—Sui tufi vulcanici gialli alla Ferriera presso Avellino, nov. 1909 [M. Romano]. 134. Verrucaria plumbea Ach., Jatta Fl. it. erypt p. 809, Syll. p. 513. « Ad rupes ealeares in M. Celiea, Comes e Savastano ». Jatta sub var. fusca, 1880 p. 237, an. 1889 p. 200. 135. Verrucaria hydrela Ach., Jatta FI. it. erypt. p. 810, Syll. p. 512. « Ad rupes calcares in M.Celica, Comes e Savastano » Jatta 1880, p. 238, an. 1889 p. 201. 136. Verrucaria rupestris Schr., Jatta FI. it. erypt. p. 813, Syll. p. 519. b. calciseda Sch., Jatta Fl. it. erypt. p. 814, Syll. p.519--Rupi cal- caree del M. Fagliese e di M. Vergine e Valatrone, aprile 1909 [ M. Romano], e Colle di Basso sul M. Terminio, giugno 1909, [Trotter e ‘Romano |. e. crassa Mass., Jatta Fl. it. erypt. p. 814, Syil. p. 519.—Rupi ca!- earee a Colle di Basso sul M. Terminio, giugno 1909 [ Trotter e Romano]. 464. A. TROTTER m M. Romano 437. Verrucaria purpurascens Hffm., Jatta Fi. it. crypt, p. 815. - Syll. p, 516. « Ad rupes ealeareas in M. Celica, Comes e Savustano » Jatta 1880 p. 236, an. 1889 p.199.—Ca'cari di M. Velizzano e M. Per- golo presso Solofra, a S. Lorenzo presso Bagnoli. maggio 1907 [A. Trotter) Colle di Basso sul Terminio, primavera 1909 [ A. Trot'er e M. Romano |. 138. Verrucaria dolomitica Mass., Iatta Fl. it. erypt. p. 820, Syi. p. 917.— Rupi calcaree intorno al Piano Laceno, aprile 1909 [Trotter] 139. Verrucaria foveolat® [Fik.] Mass., Jatta Fl. it. erypt. p. 820, Syll. p.518.—Sui tufi vulcanici gialli presso Avellino, marzo 1910 (M. Romano]. ` 140. Verrucaria fuscoatra [Wallr.] Krb., Jatta Fl. it. eryp. p. 825 Syll. p. 509.—Rocce calcari del M. Fagliese, aprile 1909, M. Romano] b. subcontinua Garov. Jatta Fl. it. eryp. p. 824, Syil. p.509.—Rupı alla vetta del M. Terminio, luglio 1909 [Trotter e Romano] e sul M. Fagiiese, marzo 1910 [M. Romano]. 141, Verrucaria tristis Krpph., Jatta FI. it. erypt. p. 827, Syil. p. 511 «M. Celica » Jatta 1889, p. 202.--Rupi calcaree a M. Vergine, aprile 1909 [M. Ro,aano], Colle di Basso sul Terminio, luglio 1909 | Trotter e Romano]. : 142. Acrocordia conoidea Krb., Jatta Fi. it. erypt. p. 865, Syll. p. 524.—R pi calcaree di M. Vergine e M. Fagliese, aprile 1909 [ AC. Romano]. 143, Arthopyrenia cinereo pruinosa Schaer., Fl. it. eryp. p. 874, Syll. p. 529. felabens «Ad truncos Fagorum in M. Celica, Comes e Sarastano » Jatta 1888 p. 236, an. 1889 p. 205. 144, Arthopyrenia punctiformis Fr., Fl. it. erypt. p. 819, Syil. p. 534,— Sulle cortecce dei Faggi al Laceno, aprile 1909 [A. Trotter]. ENDEMISMI ED ESODEMISMI © NELLA FLORA ITALIANA « quid pejus, quid melius » (A. De Candolle — Geogr. Bot. XVI). L'argomento che abbiamo impreso a trattare nelle presenti pagine costituisce uno dei problemi più ardui della Geografia botanica e della Fitopaleontologia. La sua soluzione illuminerebbe di nuova luce la storia delle differenti flore, per cui ben si comprende come esso siasi sempre affacciato alla mente degli studiosi i quali non hanno mancato di trattarlo sotto punti di vista svariatissimi e talora anche originali. È d’uopo tuttavia confessare che il problema si presenta oggigiorno non meno complesso ed oscuro di quanto siasi affacciato ai primi in- vestigatori della Geografia botanica e della Sistematica. Il botanico che considera le Flore delle varie regioni della terra, soffermandosi. in particolar modo alle isole perdute in mezzo agli oceani, o a quelle terre che, pur facendo parte di Continenti, sono tuttavia in parte sottratte — in specie per cause orografiche — ai rapporti flori- stici con altre regioni, può arrivare alla conclusione che il problema degli endemismi sia suscettibile di essere affrontato, e se non del tutto risolto, per lo meno analizzato intimamente e fors'anco in gran parte delucidato. Ed invero il Continente australiano, isolato dal resto del mondo da una immensa distesa di mari, ha rivelato ai botanici non pochi se- greti dei suoi endemismi. Nelle regioni occidentali dello stesso, là dove la vegetazione ha potuto evolversi indisturbata sin dalle prime epoche in cai le terre in questione trassero origine dal flutto marino, noi tro- viamo l’80 e più per cento di specie endemiche. Proporzione invero (1) Abbiamo denominato. esodemiche quelle specie che, in opposizione alle endemiche, non sono esclusive di un dato territorio. 466 5 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO meravigliosa e che ha perciò reso attoniti gli studiosi della vegetazione di quelle lontane regioni. Ma vi ha di più: in uno studio in corso di pubblicazione il Prof. Buscalioni, dall’analisi floristica delle regioni montagnarde dell’ Au- stralia, ha trovato che le stesse vantano un endemismo ancora supe- riore, che può raggiungere il 93 °/,, ciò che l’Autore ascrive alla mag- giore antichità delle cime montagnarde rispestto ai territorî sottoposti. Le stesse deduzioni si possono trarre dalle isole lontane dai con- tinenti e dai monti isolati ed elevati che ivi torreggiano, come è il caso per il Kina Balu per le Isole Sandwick e via dicendo. Attenendoci adunque a concetti d’indole generale, basati sulla co- stituzione dei tertitori insulari, viene ovvia la conclusione che regioni antiche e da tempi immemorabili sequestrate sono quanto mai adatte -od albergare le forme endemiche ed a crearne. Tutti gli autori sono concordi su questo punto, senza che però siano riusciti a dare del fe- nomeno una soddisfacente spiegazione. Come corollario si può da siffatto reperto trarne la deduzione che terreni antichi debbono mostrarsi più ricchi di endemismi di quelli moderni. Ben inteso che per quanto concerne l’antichità di un terreno non possiamo andare al di là del Cretaceo, del Giurese e via dicendo, se prendiamo in considerazione le Fanerogame angiosperme, per risalire ai terreni più arcaici se rivolgiamo la nostra attenzione alle Gimno- sperme, o ad altri tipi vegetali più degradati. Se però, lasciati da parte i concetti d’indole generale, fissiamo la nostra attenzione alle contrade meglio note al botanico, troviamo che la soluzione del problema riflettente gli endemismi si rende sempre più difficile, per cui ciò che a primo aspetto pareva chiaro diventa ol- tremodo confuso, oscuro ed incerto. E forse questa è stata la ragione per cui fino ad ora non è ancor comparso un lavoro veramente fondamentale sull’arduo problema. Nutria- mo pertanto fiducia che i botanici, e specialmente coloro che si occupano di questioni di Geografia botanica, vorranno far buon viso a questo primo tentativo di indagini riflettenti la quistione degli endemismi, nel quale si è preso come oggetto di studio la Flora italiana, perchè ab- bastanza intimamente conosciuta. Lungi dall’aver la pretesa. di essere ENDEMISMI ED ESODEMISMI NELLA FLORA ITALIANA 467 riusciti a risolvere l'intrieata- questione, siamo tuttavia convinti che le presenti ricerche abbiano portato sulla stessa un modesto contributo di nuovi dati, i quali, osiamo sperarlo, potranno forse invogliare altri ad estendere le ricerche ad altre Flore. Le basi dello studio sono ora get- tate, ma le stesse non potranno avere grande importanza se non sa- ranno piü tardi rafforzate da nuove ricerche in altri territori, ed in specie in quelli prossimi all'Italia. at. Il materiale di studio e di confronti ei venne offerto, come è fa- cile a comprendersi, dalla raccolta delle specie dichiarate endemiche per l'Italia dai botanici sistematici. Dobbiamo però far subito rilevare che fin dall’inizio di questo studio si sono incontrate-non poche difficol- tà nella scelta dei eriteri che dovevano servirei di guida nell’elencare le specie endemiche italiane. Innanzi tutto se compulsiamo le differenti flore italiane (Arcangeli, Cesati, Passerini e Gibelli, Bertoloni, Parlatore, Fiori e Paoletti ecc.), troviamo ovunque il più completo disaccordo a riguardo del valore specifico delle varie forme vegetali prese in considerazione, vale a dire a riguardo del valore sistematico delle stesse, di guisa che ciò che per un botanico rappresenta una specie buona forma per altri una va- rietà, sottospecie, piccola specie e via dicendo. i Tanto disaccordo costituisce un grave inciampo allo studiò degli endemismi che deve esser basato esclusivamente (salvo ragioni parti- colari di studio) sulle specie, poichè le varietà locali di un dato tipo non possono, a nostro parere, esser tenute in conto nel novero degli en- demismi di una determinata regione. In secondo luogo si affaccia un’altra difficoltà allons il botanieo si accinge a studiare la distribuzione delle forme ritenute endemiche, poichè nelle flore non è sempre indicata esattamente la stazione in eui siffatti tipi vennero rintracciati. Tale mancanza di indicazioni precise si rende particolarmente palese allorchè si studia la distribuzione di quelle forme che un dato autore ritiene per varietà, mentre da altri sono indicate come specie. À68 LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Considerato quindi che per le varietà o specie dubbie non sempre: è indicata la stazione; che le varietà genuine non possono esser prese in considerazione nello studio degli endemismi; e tenuto conto infine di molte altre cause di errore che compaiono ad ogni momento in questo studio, per arrivare ad un risultato meno vulnerato dalle cause der: rore, abbiamo deciso di limitare questo studio alle specie genuine che sono state descritte nel trattato dei Dott. Fiori e Paoletti sulla Flora italiana, come quello che è più moderno. Procedendo diversamente. in ispecie prendendo in considerazione ora questo ora quell’altro autore di floristica italiana, si sarebbe caduti in un caos scientifico veramente deplorevole che ci avrebbe impedito di arrivare ad una conclusione qualsiasi, poichè non pochi autori, ad e- sempio specialmente quelli meno recenti, indicano come presenti anche fuori d’Italia certe specie che l’opera dei Dottori Fiori e Paoletti ci dà come endemiche, e molte poi delle specie endemiche di questi pas- sano alla categoria di mere varietà. Raccolte così le specie endemiche si è rivolta l’attenzione ai Ge- neri alle Famiglie ed alle Classi cui esse appartengono; poi abbiamo studiato le loro stazioni, la natura dei terreni sui quali esse vivono, per quanto sotto questo punto di vista le difficoltà incontrate non siano state poche e non sempre sormontabili, a causa delle searse indicazioni che si trovano nei trattati. Una certa attenzione venne pure accordata ai .aratteri morfologici delle specie in questione, e si è avuto all'uopo speciale riguardo ai mezzi di disseminazione presentati. Da ultimo abbia- mo pure tenuto couto della durata dell’esistenza delle singole specie. A scanso di equivoci teniamo a dichiarare che se alcuni dati sono quanto mai attendibili, altri all'opposto sono meno sicuri, non avendo fra l’altro avuto a disposizione un rieco materiale di erbario e tanto meno potuto studiare le piante nelle loro stazioni originarie. In parti- . colar modo fummo costretto ad atteneeci a dati approssimativi allorchè si trattò di questioni riflettenti la natura geologica e l'antichità dei ter- reni sui quali si trovano insediate determinate specie endemiche. Ma nessuno potrà ineolparci siffatta lacuna, essendo noto che raramente nei trattati di botanica sistematica vien fatto cenno, come sarebbe de- siderabile, della costituzione geologica dei terreni in cui vivono le dif- ENDEMISMI ED ESODEMISMI NELLA FLORÀ ITALIANA 469 ferenti specie, ed anco per quanto riguarda la natura mineralogica degli stessi i dati sono per lo più monchi. Molte volte le indicazioni delle località sono molto vaghe od in- certe (quando non sono addirittura errate) perchè dalle stessa si riesca, anche in base all'esame di ottime carte geologiche, a stabilire |’ anti- chità del terreno cui spetta la località. Malgrado questi inconvenienti, ed altri non pochi che per brevità omettiamo, lo studio fu condotto con la massima diligenza e serupolo- sità per cui non crediamo di errare affermando che i risultati, se non matematicamente esatti, sono per lo meno attendibili. * * * Prima d'iniziare la discussione dei risultati ottenuti crediamo utile di riportare qui, sotto forma di tavole, i dati che hanno servito di trama al lavoro. Nella prima colonna sono indicate le famiglie a cui le specie en- demiche italiane appartengono; nella seconda i generi che hanno specie endemiche (delle varietà endemiche, come si è detto, non ci siamo oc- cupati). Nella stessa si è avuto cura di riportare, per ogni genere, il numero corrispondente delle specie italiane e quello che ci indica le. specie presenti su tutta la terra. La terza colonna è riservata alle specie endemiche italiane, la quarta ai caratteri morfologici di queste e più specialmente alle di- sposizioni fillotassiche riscon:rabili nelle singole specie. Le lettere A, O,V,R, indicano rispettivamente alterne, oppos'e, verticillate, radicali. La quinta casella ci informa sulla morfologia della corolla, pre- sentando una particolare importanza la conoscenza del tipo fiorale che si riscontra più di frequente negli endemismi. Non meno importanti sono i dati riportati nella sesta colonna che ci indicano la natura dei frutti delle specie endemiche. E? noto infatti che la costituzione di questi organi ha una influenza, insieme alla na- tura dei semi e ad altre disposizioni, sulla diffusione e distribuzione delle specie. La settima colonna ci informa sulle condizioni di vitalità delle specie endemiche, mentre l'ottava ei fornisce non pochi ragguagli sulle 470 | LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO stazioni (1) delle stesse, nonchè delle zone (étages) dove appaiono gli endemismi, su di che particolarmente insistiamo, consci della frequente comparsa di forme endemiche in seno alle montagne. Infine nell’ultima colonna si sono riportate le località in cui vennero segnalate le specie endemiche e la natura del terreno (per quanto era possib le) sul quale queste vegetano. All’uopo ci siamo valsi, oltre che dell’opera del Sigg. Fiori e Paoletti, anche degli altri compedî concer- nenti la flora italiana (Bertoloni, Arcangeli ecc.) Nel computo delle specie abbiamo preso in considerazione la Corsica e Malta, per ovvie ragioni di Geografia botanica, sebbene politicamente queste regioni non appartengano all’Italia. Lo stesso dicasi per alcuni territori circoscritti delle Alp: ori-ntali, nordiche ed occidentali. | Da ultimo facciamo notare che nei quadri che seguono le lettere D, G, M, della IV colonna indicano rispettivamente: Dialipetala, Ga- mopetala, Monoclamidata. Ed i numeri posti nella colonna « Regioni e zone » indicano: 1. Regione sommersa marina. X » mediterranea o sempreverde dell'Olivo (dal mare ai 100-975 met) ; 1 » padana o di transizione (Pianura Padana dal mare ai 100-300 met.) 4. » submontana, o del Castagno e del Rovere (dal mare o più spesso dai 100-975 met. ai 900-1390 met. 4 » montana, o delle conifere e del Faggio (dai 990-1300 met. ai 1600-2100 met.) 5. » subalpina, o degli Arbusti alpini. D » alpina, o scoperta (dai 1600-2100 met. in su). Quando i numeri son legati fra loro da una lineetta (—) significa che la pianta trovasi auche nelle regioni intermedie; quando sono uniti (1) Per il significato che deve attribuirsi a questo nome ci atteniamo a quanto è detto a pag.9 e seg. dell'opuscolo «Nomenclature phytogeografique». Rapports et propot- sitions rédigés par Ch. Flahault et C. Schrotter au III Congres. Internat. d. Bot. de | Bruxelles 1910. i ENDEMISMI ED ESODEMISMI NELLA FLORÀ ITALIANA 41 dalla congiunzione e vuoldire che la specie si trova soltanto nelle re- gioni indicate. | Queste indicazioni relative alle « Regioni e zone » furono desunte . dall'opera dei signori Fiori e Paoletti. | ES 3 | s Iess LOCALITÀ FAMIGLIA GENERE SPECIE A S FRUTTO S Sn > i BS De | A vy | ove si trova la specie = CS ISOETACEAE Isoetes Malinverniana | Macrospore ¢ 3 Negli acquedotti della regione Numero delle specie|(Ces. et De Ntrs.) tubercol. spi- acqua | padana, a Guggio, Oldenico, ed : circa 45 della Reg. ; nose; microsp. altrove nel Vercellese. Forse im- del Mediterr., Az- iscie. portata col riso i Presso Tor: no: Vanda di ino GRAMINEAE ARACEAE one, India, sman, Missile: N. Zelan Mu d. sp. in It. 5. Trisetum 50 sp. nella reg. temp. | üe e- e mont. dei misferi. Num. d. sp. ital. 12 Dracunculus 2 sp. in Italia d. racile Moris) Boiss. villosum (Bert) Schutt Burnoufii ‘Req. muscivorus (L. fi.) Parl Cariosside: (glumetta inf. con resta). Cariosside: (glumetta inf. con re sta). Cariosside E > to nel Rio dietro la Fornac Pascoli montani in Sard. (Gen- nargentu, M. Limbara) sul gra- Rupi della reg. s ale Marche (M. Volubrio a Bocca Foce); negli Pa Gg ca S eta Terra di Lavoro; in Toscana (luoghi alpini). en SE in cu reg. ist un ché. muro di una GE a Core ea Niolo. Luoghi erbosi maritt. in Sard. Kors. ‘e 2. piccole isole vici- ne, (l.avez, S. Pietro, Tavolara, Carlo te.) (Isole Bakeari, Aleppo in Me- sopotania ?) OTTALVOSOW HAdHSNI9 U INOTTVOSOd 191071 | HARE 3 |88 LOCALITÀ FAMIGLIA GENERE SPECIE. > +. 2 FRUTTO 5 ‘Là EN PUE | sz 5 A du ove si trova la specie Ari-a roboscideum ^. Bacca 9| 4 Luoghi umidi, ombrosi della ARACEAE 3 spec. deila za me- d (L.) Savi reg. submont. qua e là della "diterranea. Toscana e delle Marche sino in N. d. sp. in Italia 2 Calabria, ( Appenn. Mugellano, Casentino, M.i Albani, vicino Roma, M. Virulo presso Caserta, Castellamare e in diversi luoghi della Basilicata) LILIACEAE Hyacinthus Fastigiatus A. G. Capsula 2 2-4’ Luoghi aridi della reg. med. Specie circa 30 di (Viv.) Bert in EN (Limbara, Ingurtosu, cui 3 dell’Africa Gennamari, Monte vecchio: Ca- trop. e merd.; le prera, ! Cors ca (M. Grosso). rimanenti del Me- diteir. e dell’ Asia ccid, N. d. sp. Ital. 6 A maritimum A. | D.M. | Capsula J 2 OM BEL marini in Sici- circa 250 sp. in Eur Raf. lia e Corsica (?) regione media: Asia, Africa estra presso Pis. alla spiaggia di trop. Abissinia, A- Romagnolo, sotto M. Pellegrino, merica b e Mondello, alla Guadagna, E sico. eria, Carini M N. d, sp. in Ital. 32 Trapani, Messina e Catani parciflorum | A. | D.M. | Capsula 9) |2 e 4| Pascoli e rupi in Corsica ed in (V iv.) Sardegna (presso Bonifacio, Cor- te, Bee u Se: Gro osso, M. Tretor ntorno a Ca- gliari, S Michele. e eebe VNVIIVIL VHOTA V'UIHN INSIKNHACOSH Ga INSIWMHONH > FAMIGLIA GENERE | SPECIE delle foglie Disposizione FRUTTO Corolla - AMARYLLIDA- oe “eur, CEAE d. 5 reg. me Asia oc cid. d sp. in Ital. 5. | IRIDACEAE . d. sp. ital. 9. URTICACEAE Urtica circa 30 sp. nelle reg. temp. e sub. trop. dei due emisf. N. d. sp. in ital. 6. longifolium F. Gay ex Salis Imperati oo medius Balb. longiflorus Raf. rupestris Guss. D.M. Cassula G.M. Cassula loculicida con lti semi subglobosi G.M. Cassula G.M. Cassula Achen com presso ri- vestito dal perigonio per- jg A LOCALITÀ ove si trova la specie Rupi dei monti in Corsica, re- gione mont. o od (valle d'As- co presso il d'Oro, presso Vi- CO à GE m.) Pascoli montani e presso al mare nel mezzodi della veis a Corsica; nei M.i Castellammare presso Napoli. e luo ghi ombrosi della Liguria, in E occid. (Laigue- glia) e orient. presso Varese, M.i del Brocso e presso Oldenico nel ie e boschi nel Napolit., in Calabria (Rosarno, Serra, Mon- M.i giama). in Sicilia (nei di lermo e nei Ka di Val Ma za- ra); a Murge nel Barese; nelle i- sole di Mono Favignana, Levanzo; a Malta Rupi vulcaniche ombreggiate di Val di Noto Vallone di Car- carone) ES in Avola nella Cava dell’Amic - OTIHLVOSAN HddASNI9 A INOITVOSAT MINT presso Strombo SS = S | E LOCALITÀ FAMIGLIA GENERE SPECIE E S FRUTTO E 5 ‘ES yer is bia SE 8 A d v ove si trova la specie Urtica atrovirens O. |G. M.| Achenio Y-h 2 Sui muri, nelle siepi, nei luo- ‘Req. | compresso ri ghi selvatici, nei luoghi ombrosi vestito dal pe- olli e poggi, della region rigon, persist. “el? Olivo, delle isole di Corsica, ed accrescente a Bastia, Vico, vicino si „Com vento, Ajaccio a Calen sc Sardegna a Sinay, Gotica, “pata S. Lussurgia, Tonnara Lungo: ardo, Paran, e nelle isole inter- medie, a Iglesias, Gorg Mer me S Giglio, Arcipelago Tos Maremma Toscana, Send, taluno ne. Parie Soleirolii A |G. ML Achenio 2| 2 Luoghi umidi ed ombrosi sotto circa 8 ie SES? Spreng compresso, e tra le fessure delle rupi di Cor- n reg. temper come sopra, sica, di Sarde day e di Capraja dei due emisf. Rare le In Corsica a Cervione, al Capo ropici. ali grosse Corso a Bastia; in Sardegna, nel Num. d. sp. ital. 4 M.e Santo di Jia nell’Isola di Tavolara ed alle sorgenti vicino ; eulada; in varie altre isolette vicine. = K a saxicola A. |G. M. ric h 2 R mar. aride nelle CHENOPODIA circa 45 spec. deii . Guss depresso chiu- d’Ischia e Capri a Strombolicchio CEAE ur. media Asi el li. t nper. c bor. Una nel- ër: trop. Num. d. sp. ital. 5 c pio membran. YVNVIIVII VUOTA VIIHN INSINGHGOSSH AH INSIKSGNSE SLI GENERE SPECIE Corolla FRUTTO Durata LOCALITÀ ove si trova la specie Arenaria 70 sp. a nelle "reg. temp. e fredde dei 2 E ^ sugli alti m.i d. reg. trop. mancano i Auto lia n. d. sp. ital. Silene circa 400 "m Eur. sia, Afr. m.-Bor, N. d. sp. ital 48. Hu.eri Kern Bertolonii Nobis Elisabethae Jan S valve. Semi compressi e granulosi sula delagenie per do Capsula deiscente Capsula deisc. semi minut nulosi arro- ati. VA Nelle rupi elevate delle Alpi venete fra 78 e 1900 m. Reg. subalpin. ed alpina, (nel canale i Cimolais nel fuo o detto Ser- ra delle Gotte, nella Valle del- PInferna, nella Valle di Bricca e nella l'alte 1di Forni Savor- gnani Udinesi). Sulle rupi e tra i sassi della reg. mont. all'alp. nelle Alpi marit; nell’Apennino sino in Ca- labria, in uas e ae Madda- lena (?) e in Cors Rupi della reg. alpina nelle Alpi trentine, lombarde ed al M. Viso: Sul See E Tirolo merid. Prov. di Com monte Campione delle grigne, et m. Camisolo e Barbisino in Valsas- n Val di Ledro si monte Tre- ma e sul monte Casone fra 1400 e 2000 m, in Val di Ve- stino nelle rupi dolomitiche del $00 m. Nel Bresciano sulle vette del Dosalto a 1900 m. comune sulle rupi dolomitiche dal monte Gerle 9LF OTTHLVOSAHW HdduSsnIo U, INOIFIVOSNA TOIT FAMIGLIA GENERE SPECIE Disposizione delle toglie Corolla FRUTTO Durata LOCALITÀ ove si trova la specie CARYOPHYL- LACEAE Silene Elisabethae Echinata Otth Requienii um Capsula deisc, tuber- Capsula deisc. semi acutamente tuberculati fra 1600 e 1800 m. Sul Corna- Mandello e sul Campio og erbosi ed aprici della re- gione med. s submont., nel L zio, Basilica a e Calabria: Era erbos si, sulle scarpate delle strade, re rada alla Valle di s. Spi rito ed Res Maddalena sulla via di Montic- chio e presso ai piloni; in Cala- bria, a Tiriolo, a Nicastro ds Stilo e Monosterace sul M. Tre dito, Ciminà Aspro monte fra 4co e 600 m., Staiti, a Dags e fra Polizzi e Spartive Sulle tn nella Reg. montana in Corsica e A (Sul M. seg Tr Calvi, er? Pietro a 5000’ e lun en il fiume Tavig nano, dodo Corte, presso Le E Creno, sul M. Cam mpotile, d’Oro, sul atro in Na e? montagna del Renoso, Petramola etc. Sul M. Coscione, sul monte Cagna, presso Bonifacio. VNVIIV.LI, VUOTA VUIHN INSIWNHCOSH dA INSINUONH LLP America bor. pochis- sime nell'Emisf. me- rid. N. d. sp. ital. 13 non arriccian. con la matu- rità a z LOCALITÀ FAMIGLIA GENERE SPECIE 2 FRUTTO S : i 3 A ove si trova la specie CISTACEAE Helianthemum Tunulatum D. Capsula Luoghi pietrosi della regione so sp. la magg, par-| (All.) DC loculicida alpina e subalp. talora fino a 850 te della reg. med semi lisci m. nelle Alpi marit. dal M. Car special. oc. Can. Ca- no al Colle di Tenda. Assisi rde. Asia oc- Calcaprile in pochissimi Set, cident. poche sparse per tutta l’Eur. e nell'America d. sp. ital. 18. , i , Malcolmia Orsiniana A. Siliqua a Luoghi rocciosi della reg. a CRUCIFERAE sp. nel Ten. più o meno degli eg zzi ed Umbria. ine medit. Caspio, Per- compressa gli alti Abbruzzesi al Corno sia, Afr. bor. Ind. tardiv. deisc. in luoghi rocciosi a er bor. occid. Corno piccolo ed alla Grotta N. d. sp. ital. delle Cornacchie; Majella in Val- le Orfenta al piede del M. Mur- chio. Nell'Appenino veia in- dicata dal Sanguinetti). Sisymbrium Zanoni A. Siliqua 5 Nelle Alpi Apuane, e nell’apen- 80 sp. Eur. Asia oc- (Ball.) J. Gay. valve carenat. nino tosco-emiliano sulle rupi ed in luoghi sassosi. Nella gione alpestre e nella montana dalla quale s ende alla submont col corso dei torrenti: nelle alpi di Mommio lungo il Dolo; di arga, Montefegatesi, Limano, al 0.2 i lungo il Pelago, a Vinchiana lungo il Se NA A alle tre Potenze, a Bo- scolungo, Fiumalbo, il Balzo. il 8LF OTTHLVOSAN WddüOsül9 A INOITVOSNA ISINT | ESCH | s |g LOCALITÀ FAMIGLIA GENERE SPECIE aci FRUTTO H EN : à 3 | EN 3 | | A | ^g ove si trova la specie "en CRUCIFERAE Sisymbrium Zanoni che aperto, il Cimone, Piana- atico, ed in giù sul Ponte al lione al Pian dei Termini, a Frar Orsi al Lasa al Cimone di Caldaia, a Mandramini, Prac- chia sul M. Beni e vicino a vigliano ; alla Falterona, a Val- lombrosa, nel M. Amiata Brassica Macrocarpa | A. | D. Siliqua 9L 2 | Rupi calcaree marittime delle 60 specie edge Guss. grossa cilin- isole EN E we ene re a meridionale e media drica con na, al Cast di S. Caterina e ^U Zeg e centr strozzature Marettimo. Afr. bor. N. d. sp. ital. 19. Morisia hypogaea WE Siliqua 9| |2e4| Luoghi sabbiosi o rocciosi dal Genere monotipico | Viv. faro secca divisa mare ei en € bs ubmontana in 2 articoli, a Sardeg Corsica e forse. indeiscente. altre pe d Italia: In Corsi- La specie è ca al Capo Corso, a Bastia in geocarpica mn Faust Ad. EA l d oltre 3000’, a Bonifac nei pe sassosi lungo il GE sulle rupi umide, nei Sege In Sardegna in luoghi mon- tuosi della parte LE a urti proas Macomer, Tonara, Bar- agie, a 450 a 800 m. a Tacco | di Seni, nei Së a 600 m. ;YNV,IVLI VHOTA \V'TIUN INSIKACOSH G4 INSINACNI Gr 1-2 semi con ala larga i ! = RRE LOCALITÀ FAMIGLIA GENERE SPECIE 2 FRUTTO z EN É À 5 À do ove si trova la specie CRUCIFERAE Morisia hypogaea tra Ulassai e , Tacquisara, nei jn sassosi pe strade de so Isili a Mandas Asfossa nelle CH dei pa Ju microcarpa Siliqua D egione vio dei M. cal- 12 "aen? prevalent. Moris indeisc. alata cari della Sardegna or., in Sici- della reg. mediterr. lia alle Madonie e presso Messi- orient na (ex Lanza). N. d, dd ital. 2 Aum orsicum Siliquetta 2| Luoghi aridi in Cona presso 110 sp. Europa Asia Dub. oe sc. Mr E Bastia; nella via che conduce occ. fino alla cen- e per log alla Casa vecchia (comune. Ne trale Africa bor. Is. “vivente: la valle del Fango e in Lelio Can. Madera. reg. med N. di sp. ital. 18. Alyssum Robertianum néier 9| In. Corsica dd as Corso, a ‘Benr. sem Ville e Non m.i S. Pietro cui alati e Rotonda: Se? e nelle rupi calcari cretacee on su Cusidore nei M. di Olie 3 ï Siliquetta 9I Sugli alti monti Abruzzesi, bi, nda : 4 nelle fessure delle rupi, sulla ci- ma del monte Amaro jella : v a V2 1.2400 m., sui Sirente in cima. (GF IJTTHSMIO 3 INOI'IVOSOS PONT e ai DTITIHLVOSAN ECO | ¢ | 82 LOCALITA FAMIGLIA GENERE SPECIE ; RAS FRUTTO M EN E i ES S | À M ove si trova la specie a CRUCIFERAE Draba Loiseleurii A. D. Siliquetta ¢ e Rupi alpestri in dire sul M. 150 specie dei m.i *Boiss. compressa Rotondo e sul M. Car di e il globo, ma ecialmente nell Ethielera borea- le e nelle reg. art. . d. sp. ital. g. Cochlearia brevicaulis A. D. Siliquetta ® ei Nei luoghi rocciosi delle Alpi 20 sp. Eur. Islanda, Facch. deisc. semi calcaree del Tirolo nella reg. al- Asia occ. minutamente i pina inferiore e media e del Ve- N. d. sp. ital. 4. papillosi neto, alla Vetta di Feltre, in Pri- miero alla Neva seconda, in Fas- p sa a Camerloi, in Finme, in Korneid e Tiers, sullo Schern , sulla Dolomite a Rosengarten. Lepidiu humifusum A. D. Sil quetta 9L 4 Nei M. di Corsica: Renoso, Co- Circa 100 sp. Sparse} (Lois.) Reg. deisc. subglob scione, nei pascoli umidi, Fiu- in tutto il mondo, stieiiam, alata morbo, Nino, S. Pietro a 4-5000”. fatta eccezione per all'apice Grosso, nella Foresta di Valdo- lar i niello, dal Canal d'Ese al Cana- N. d. sp. ital. 9. le dei Pozzi e da questi alla Vet- i ta d oso, a a- vignano, Eolo, Restonica, Fon- tiaone sopra Boco Bivo Saviana A TD D. Tee: O) 2 Sulla sommità d vi, Sp. 4 del oeh Spa- Car. alata; sem nella Maremma. tosc. in località gna Gest Alger. einer indic. col nome di M.S. Leonardo N. d. sp. ital 3. e ivi trovata in un area boschiva e . | sopra le Scale Sante. Pianta prop: x i tale ristrettissima località VNVITVALI VHOTIA V'I'IHN IWS] KUQOSA QU INSINK&GNH reg. orient. med pochis. m Alpi e dei P.ren N. d. sp. “ital. Tugoso. Siliquetta sprovvista di ali. | 2 2 | 88 LOCALITÀ FAMIGLIA GENERE S | FRUTTO | 5 | ns i i e A me ove si trova la specie CRUCIFERAE Aethionema Siliquetta ai Val d’Aosta nella Valletta circa 50 specie e largamente , per la strada che dal i Cogne, p Villeggio mena Le il Col del- PArrietta alla Valle di Ponte, sotto le Capanne E Chavanisse, al termine estremo del larice, ossia nella re diclo: alpina infe- riore, a circa 1800-2000 m. in luoghi declivi fra i sassi sciolti, ed in quelli gr Alpi alla Ca- panna di Suche. In Sicilia ovunque, nelle fes- sure delle rupi: a Palermo, a tino, ng Mon gi AEN RE s Villabate, a S. Mer nir cd EA Tanetlo, Cefalù, Castelbuono etc., e ne elle ado- sola a Capo Palinuro, (« ad na montem et prope tugurium Eremiticum vulgo del- la Rosa » D'TISLVOSO0K Hdd4SA19 d INOTTVOSAE IDINI == a | ST = $ 188 LOCALITÀ i FAMIGLIA GENERE SPECIE * E FRUTTO = N : : i Seel 5 A T. ove si trova la specie i me | RANUNCULA- Thalictrum calibricum D, Achenii Op: paca uoghi boschivi della regione circa 76 sp. reg. tem Spr. brevemente media alla montana, sino a 1200 : CEAE per. e fredde Emisf. pedicellati, m. in Calabria ed in Sicilia. | or. Poche dell’In- con stilo per- dia trop. Africa me. sistente. : rid. America merid. (Ande). Ny de sp. ital. y Adon distortus AI D. Achenii 9| CN Luoghi rocciosi della regione circa 20 sp. nella reg Ten. a becco lun- api nell’Apennino centrale nei temp. e mont. del ghetto onti Vere, Majella, Velino. a ane o. sistat i Corno e Sirente : d. sp. Kal. 4. SAXIFRAGACEAE| | Saxifraga arachnoidea | A. | D. Cassula I 4 Rupi montuosi nel BAR asas trio Steg Sternb. on ill core E | Ai à = Valc „oo € : al Seriana, Bresciano alla Cor Benth e Hook ei a en Biete, nei monti presso Bove- wa mn Emi di gno, monti Dossalto e Trentino, 7 St. borea N. d. sp. ital. 39. Rupi della regione alp. qua tenella A. | D. Cassnla 9} 5° | là nel Friuli (M. Matajur) e déi Wulf. c. S. Goriziano, a Folmino presso PI- sonzo. Vandelii A; | D Cassula 9L P l dell 1 Bett | WC LA ca CURE, ella reg. a pre lpi lombarde e trentine, m. Pavione verso Primiero ai confini col Bellunese. VNVIIVLI VUOTA VITAN INSINHGOS4 TH INSINHANY FAMIGLIA GENERE SPECIE Disposizione dele foglie Corolla FRUTTO Durata LOCALITÀ ove si trova la specie |CRASSULACEAE Sedum circa 140 m: (secon- o Ben Hook nel Per N. d. p» ital. 29. alsinefolium All. aetnense Tin. in Guss. > Follicolo Follicolo Nelle SR liguri e piemontesi sui m.i enga, sulle rupi nelle a della valle tra Roja presso Saorgio, sulle rupi umi- de presso Tenda e nelle grotte, a i l ra nei vani sotto le rupi del > > + 2 sopra Dronero i di S. Damiano, nel Vines sotto le rupi ed ai vec- chimuri fra i castagni ed i noci da ermano, in val del Pelli- ce, a La Co mbe. Lu oghi sassosi sull’Etna a Ni- sato! sotto le chiuse, a Zafte- a, Serrapizzuta ecc. OTIGLYOSAW HddHSNI9 A INOITWOSAI Int E E | S PES LOCALITÀ FAMIGLIA GENERE SPECIE "c FRUTTO = "Be i Ex e À x ove si trova la specie as DI ROSACEAE Pru Cocomilia Ae D. Drupa h 4-4° |. In Calabria alla Sila, nei bo- circa 75 sp. d "delle reg. Ten. schi, reg. mont. e submont. SE r. dello Emisf. . Camigliat. e dintorni sulle rocce boreale; Una s cristalline e granitiche. Asia ed Amer. trop. N. d. sp. ital. 15. : Potentilla saxifraga A TD J 4-4 | Sulle rocce a picco della reg. più di 200 specie (se- Ard. 1 capolino mont. dai 600 m. in in giù (ra- condo Benth e Hook interamente ramente sino al mare) nel ver- 120) regione temp. pelosi. sante me . A ma. (time e fredda Emisf. bor. sopra Manon alla cima di Mera, o più raramente dei Po rupi a picep E arma monti delle reg. in- u Curumbe ese ter trop. le Een Suu m.,a Perla tra juve nell'emisfero Levanzo e Duranus, al Ciondan, dal confluente della Vesubia a N. ri sp. ital. 30. quello della Tinea nel Varo, alle gole di Saorgio, a Fontan, nel- l'Alpi di Rans e di Briga, sul vallon di Fenestre, presso Lan- tosca. apennina A. | D. Achenii 9| pP Ten. barbati al- Rupi luoghi sassosi della l'apice reg. alpina nell’Appennino cent. dall’Umbria e Marche alla Ter ra di Lavoro: nei m.i Sibillini cioè sul Vettore, sul Priore ecc nei. monti Corno, Intemesole, ctone, nel ve'ino a 2000 m. nel = rone e la Majella a "M. Am VNYIIVII VIOTA VIIAN INSIKHAOST AA INSINAANA FAMIGLIA GENERE SPECIE Disposizione delle foglie Corolla FRUTTO Durata Regioni e Zone LOCALITÀ ove si trova la specie ROSACEAE Potentilla apennina crassinervia Viv. i grammopetala Moretti A. Achenii pelosi Achenii lisci un >, I A a 2600 m., in valle Canella a 2500 m Sulle rupi della reg. alpina e MP. in dde e Sardegna : Capo Corso m. St ais m. Co- scione, m, " d'Oro Renoso sulle rupi dai Pozzi pe den. dalla Bocca Cernente al Cam potile, gole del Tavignano della Restonica, valle m. di Niolo, m. Grosso, m alle fess. d. rupi del m. S. Vit- toria Esterzili a 1200 metri. Nelle Alpi dove le Pennine con- inano con sopra Colasca, nei Monti E Premosello frequente , e co nell'Alpe Colla e mg Pizzo ye vina a 1700 m., in val Intragna OTTHLVOSAW WHddWHSüIO H INOITVOSAS ott š% = 2 |g | LOCALITA FAMIGLIA GENERE SPECIE wr. E FRUTTO > T A È pa Q A D | ove si trova la specie BS! © pe © | ROSACEAE Potentilla grammopetala nel M. Zeda a 2100 m., al pizzo Marona, al pizzo d'Anzasco, -a Mesocco al Corno delle rupi a diritta della valle te Anche nelle Alpi Graie orient. Rosa Strobliana Aa D. Achenii h 3 Nebrodi E vu del Badile, circa 75 sp. dello E-| Burn. et Grml, pelosi rin- sulla via c olizzi porta misfero bor. chiusi n. ri- ad Isnello, da tun dallo rupi | d: ital 26. cettacolo car- elevatissime a perpendicolo di noso. Marrabilici, sulla A pego valle che ascende all'altipiano dei Cer- vi in luoghi pietrosi; rarissima. LEGUMINOSAE Cytisu aeolicus Ar D. Legume h. 2 Terreni e rupi vulcaniche del- circa 50 sp. Mell'Eur Guss, assai com- le reg. medit. nelle Eolie a Li- Asia occident. India presso con pari, Strombo li e Vulcano fara, orient. Afrida bor. semi pube- Terreni lapilloso-sabbiosi di Vul- Canarie. Una nel- scenti da gio- cano al Piano dell’Aria, vicino l'Africa merid ani, alla Casa di Sferlazzi, Been d. sp. ital. 14. al vallone be er nei detriti rocciosi vulca della stessa Moi. e? nelle ru dë trachitiche Gi I l discesa dell’ Arena grande ed all’ Acqua deila Schicciola. Al piano dell Aa in Vulcano è un | EN dienes sulle rupi, SE | utice. Tende à Sege VNVITVII VHOTA V118HN INSIKSGOSG Ga INSIKGGNG L gp acutam. ro- . semi ne i lu cidi scalata | ; EH = | | s [88 LOCALITÀ 4 rd e = E ka ga FAMIGLIA | GENERE SPECIE EM à | PRETIO | À su ove si trova la specie a= enista Cupani A i D: egu fi 4-4 Luoghi arid: della reg.submont | LEGUMINOSAE circa bs sp. in Eur. Gei rostrato acu- à 00 m. 400 Sicil As. occ. Afr. bor. inato con alle Madonie. Dumeti selvatici N in It. 20. un solo seme sul suolo arenaceo n arg itido Ze boschi cedui nel versante sett. Nebrodi, a Caste Sie nei limit Wenn del bosco sopra S. uglielmo sino a 1400 m. al- ture della Sempria, Castagneto di Ruselli, Ferro, Pomieri, ye predicatore (comu ne). Versan orient. sciara di Guderi, Va di Lampo verso Petralia corsica A. D. Legume h 2e4 Luoghi aridi falle reg. medii DC. lineare, com- subn nont. sino presso Sard, orsica ed ‘plete he Limbara e Gennargen Morisii AD. Legume h 2 Pascoli aridi della ES media Colla lineare, com- nella Sardegna merid. (Saleis, presso S. Antioco, Siliqua, S Vo aetnensis E D. Legume h 2 Luoghi aridi della reg. media i e quae sull’ Le ed in Sarde- dalla collina hing mg, riore (et sino alla reg. la- vica deserta, copiosa a nelle Sciare antiche e più o n m ste. Milo, I te. Milo, Lngu: Ch Giarre, valle Calanna, Cerrita, Belpasso, Nicolosi, Zafferana ^ OTTHLVOSAN HddHSAI9 A INOFIVOSQS ININT SPECIE Corolla Durata Reg oni e Zone (delle toglie LOCALITA ove si trova la specie aetnensis ephedroides ` DC. Pironae Vis. q zu ra del Solfizio ed ancor rs 9 Or del. Ween, rara si er doi ro. Messina presso il torrente Ca- maro forse inselvatichita dopo Golik (Zodda). Luoghi” aridi della Mes med. (Martelli: reng aridi calca- rei deines O sumo rici È DR 98 we nM | AZ" m = © G È Sferracavallo nei bassi e o sugli interstizi delle rupi cal- caree. Falde delle Madonie tari so Is cond Pizzo di Pilo. Ne Eolie a Salina, Stromboli: Lipari, Versand e Vulcano ove cresce copiosa, gregaria gigan- tesca. — Ka o Kä © EA Luoghi sassosi della reg. sub- mont. nel Trevigliano , Friuli e Goriziano: Rupi calcaree e luoghi aridi M. Gemona; nella via da Genova- Pero in su pie- se calcaree e sul Monte Quar- e Bernadia nei priest di VNVIIVII VUOTA VITUN INSIKSGOSS GA INSINHONA | LOCALITÀ FAMIGLIA | GENERE | SPECIE FRUTTO Durata e Zone ove si trova la specie Disposizione delle foglie Corolla Regioni orlano e Piccat nella valle del dd reg. tropic. dei due T LEGUMINOSAE Eent Amer. temp. fiume Sclesó di Prestento N. d. sp. ital. 29. Trifolium obscurum — |A.O.| D. Legume (D 2-4 | Luoghi erbosi presso Genova circa 250 sp. (secon- ai mulini di S. Bartolomeo (av- o Ben e Hoo id, in Tos Ca s Së E circa 150) delle reg. i Bagni in Basilic t e subtr e Leift (Fiori), V icti ‘Ce. misfero pre Po- ati). che nelle Ande d’A- merica meridionale e al capo i N. d. sp. ital. 59. Bivonae Ad. Legume | 9 4-4 | Prati e pascoli della reg. sub- Biss. con I-2 Semi mont. e mont. in Sicilia: m.i e Piana, ee monte Moar- , Palermo alle coste di S. An- Sé Termini, Castelbuono. Ac- qua Sempria, ee Alta- villa e m.i dei Cani, S. Caloge- ro, Scala Maia "s. Martino, Sciara, Petralia, Alia, Vallelonga, Caltanisse a, Mistre etta, Capizzi, Noara. Floresta, Prizzi, Segesta. O6P OTTGLVOSOW UddHSNIO X INOTIVOSAT IÐINT SS = | | z | E LOCALITÀ FAMIGLIA GENERE SPECIE E S FRUTTO S kee SS 8 | a | et ove si trova la specie LEGUMINOSAE Lathyrus odoratus A. | D. Legume @ |2e4| Luoghi selvatici umidi della circa 100 sp. dell'em. lineare, ob- reg. med. e submontana nella r. pochi nei m.i lungo, fal- Calabria or. ci in Sicilia; colt - di Afr. SE? e nel- cato vato pure per ornamento ed in- PAm. merid selvatichito come a Volterra e N. d. sp. ital. 29. presso Ascoli, presso Toscalano nel bresciano e presso Ancona. ordani À; D. Legume IL 4 Prati umidi e A e (Ten) Ces. lineare com- salernitano e Basilicata; Sess . Gib. presso nel Cilento, Vallone dirugata, etn ecc. (Ten.) Lagonegro (Fiori). UMBELLIFERAE Petagnia saniculaefolia | ^. | D. Achenio J. 4 Scaturigini freddissime dei bo- gen. monotipico. Guss. subgloboso schi di Valdemone, rara e loca- con costole lizzata, Tortorici, Boschi di Can- nata, lungo la strada da Flore: sta a Maniaci Bupleurum dianthifolium | A. | D. Achenio h 2 Esclusiva e localizzata sulle ru- 60 sp. Eur. Asia tem- Guss. rugoso a co- pi calcaree dell’isola di Maret- v e media Afr. stole acute timo presso il Telegrafo. Una naturale vell ie bor. occid N. d. sp. ital. 15. elatum mF D Achenio J. 4 Rarissima e localizzata sui Guss, liscio a cost. Nebrodi in luoghi freschi bor. occid. in terreni ombrosi calca- YNVIIVII VUOTI VIIHN INSINAAOSA CH INSINHONH Z| = Län | ¢ | 3g LOCALITA FAMIGLIA GENERE SPECIE e E FR | E SN MRI e = rei e rupestri. Vallata air alla UMBELLIFERAE Colma fini nella vallata che scende sopra le Favare d eg De vallone del Mona Car idulum À Achenio 5 Nelle rupi marmoree delle Alpi 3p. 22 Europa "ra (E iv.) Koch con costole Apuane, dov'é frequente tanto c. bor. e centr. fille alte cime quanto sulle pen- Africa bor. poche diei fin nella reg. submontana or. Una al Sagro, ai pee scritti, sopra Can apo di B. Sper. la Bocca d’Equi izzo d’uc- Un’altra al Kile e cello, al Pu al Zucco del- nell'Argentina. la Preta e nella salita della Tam- N sp. ital. 3. bura, in quella di Rascetta alle erect "i Frigido, tra Cageg- gi Bruciana, alla Cor- chia, dua o ind. in v. ds ni, nel monte Alto, sopra Levi- gliani, alle sorgenti della Tor- rite, presso' Polodina ecc. Ammi crinitum Achenio Nei campi argillosi di Calab. circa 7 sp. della reg. Guss. con costole presso Castrovillari, a Cassano mediter. Abiss. Wie a- distinte Spezzano, al vallo di Cosenza, a us Can. Azzo S. Leonardo, Catanzaro pre fiume Tacina, Francavilla, Reg- N. d. sp. ital. 3. i ampi. In Sicilia; val di Mazzara, Sciacca, Montallegro, Siculiana, Terranova. A ar- tolem. presso Genova (Gennarò). D'TIALVISAN HAddHSAIH A INOLIVOSAT POM A SS s £ lass LOCALITÀ FAMIGLIA GENERE SPECIE €" |-2 FRUTTO 5 N E : | Sei $ À S ove si trova la specie. ma en Falcaria latifolia AT CD. Achenio ¢ 4’ Regione montuosa delle Alpi UMBELLIFERAE sp. 5 delPEur. Asia Koch. con coste ^ Giulie sul m. Zhaun sopra AL- occ. Sib. dussina N. d. sp. ital. 3. Cryptotaenia Thomasii A LE Achenio 9L 2-4’ uoghi umidi della reg. med. sp. 3, una dell’An (Ten) DC con coste alla mont. negli Abbruz. M vi bor., una dell Aur Parco di Caserta (Terr.) ed e la nostrale. ge ths nell’ Aspromolite sopra N. di spec. ital. T S. Stefano nei stillicidi scoscesi della end del torrente Telesio sul gra : presso i ie: i boschi di Serra S. Bruno. (Pianta rariss.) Ligusticum corsicum D. Achenio 9| o Luoghi erbosi dei monti altis- circa 40 spec. del- J. Gay con coste den- imi di Corsica e presso Calvi, l'Emisf. bor. Kili e MM SCH m. Rotondo, Patro, Incudine, N. Zel. d'Oro, . ietramola N. d. spec. it. 4. eu A. iD, We enio | J $-5 P ica al m. Rotondo (Viv.) (Viv.) DO. con coste lisce, . D'oro (Kralik.) onannia resinosa ARI D. enio | 9 2 Luoghi piu a so! EE della Genere monotipico | (Presl., Strobl, con coste lisce reg. med. Cal, ilia: (ad Alcamo; beu Sei Po- lizzi siculo, nelle Mado- nie a EC Lar Suarenti, Mi- dë eer eerst Maniaci, E Rat Ma- letto. In Calab, : ras "Polizzi, i Stella nella Sila. Ca- strovillari. ) YNVIIVLII VUOTA FIJAN INSIAKSGOSH AH IKSIKHGNS G67 — FAMIGLIA ‘UMBELLIFERAE ECH E Es LOCALITÀ GENERE SPECIE E S | FRUTTO 5 | ous ; zz O A we ove si trova la specie Puma divaricata | ^. | D. Achenio 8) 2 in Corsica e in ti circa E sp. d. Eur Desf. con coste à MN. cia Corsica d SCH Ga Cau Nur As. occ. margine so, Bas S. Lorenzo, Afr 8 r. strettiss. e Vico si "fidis di Belfiore, A ee N. d. si LE coste later. te d’Estro, nella Gola del Niolo, espans. ` presso Mab uns alla Restonica, See er a di Vizz anova, a Bo- cognano ecc.) corsica A. D. Achenio 2) 2 n Corsica comunissima lungo Car. con cost. a È i wen" a B e nel nord marg. stret- dell'isola lungo il torr. I oga e tis. a cost. nei een montuosi, a S. Fio- lat espanse ren go la strada. in luoghi pud a "Calvi i Peucedanum paniculatum | A. | D. Achenio Op. | 2-4 Luoghi sassosi e asap à della circa 162 sp. d. E- Lois con cost, lat. reg. med. e submont. in Corsica misf. bor. Ind. Alg espans. al C. Corso, nei m.i di Tenda e fr. trop. e merid. di Bastia al Pigno, andando ver- Ande d. Am. trop. so Nonza, a Ci e, Ghi- N. d. sp soni, al basso E foresta di Viz- zavona, al c Pen a Vivario, Kee S Anto DER: nitidum A | D Achenio d 4° Prati, boschi e rupi della reg circa 30 Sp. Zanted con a NR mont, nel Trent. Valtel. Bresc Afr. bor. Asia occ. | contorte Ber ;omasco. (Nelle Or. 7 : oghi bos hiv du cione dei Faggio e delo D'TTALVOSAN Hdd4SNAIY A INOLTVOSAT PONT MN Ew FAMIGLIA GENERE SPECIE Disposizione delle foglie Corolla FRUTTO Durata Regioni e Zone . LOCALITÀ : ove si trova la specie UMBELLIFERAE RHAMNACEAE Colladonia id sp. ital. 5, angustifolia Bert. persicaefolia Moris Achenlo coste alate Drupa ji Abete. Nel Comasco abbonda nei mi Biandino sopra Introbbio, Valmeria sopra Mandela Co- m; nel Bergan tra 400 m. nei m.i rale red Er vallo, in val di Scalve sciano nei m.i Fronden, Pouch. Dossalto, Dragone, Drago nel'o, Cornablacca a 700 m; in Tiro lo sul calcare; nelle Giudic. presso Tione, in Val v heros nel i Stino, in E eguzzo ai Toric, ne m. Apric b odd Bo Ibeno Wi cipalmente al Rocco'o del Festi in Lanziada a Turricc i sopra Molveno sul confin di v. di Non; in Valtel!, presso Bonini è vault adiacenti; in Ticino (?) Dal mare alla reg. submont. nelle Puglie presso Gravina e Basilic. presso Tricarico ed al Costone di Fusciano Siepi e luoghi selvatici della reg. media nella Sardegna me- rid., alle Barbagie ed a Fonni. YNV,IVLI VUOTA V'I'I4N INSIKHCOSH Ga INSINUONH Cor FAMIGLIA SPECIE Corolla FRUTTO Durata LOCALITÀ ove si trova la specie ». uuo? D (on | POLYGALACEAE . GERANIACEAE de o = Preslii Spr. Gussonei Ten. corsicum Lem. alpinum L’ Hirit = Cassula compressa € con margini alati Cassula con rostro lungo Cassula con rostro g lungo Cassula con rostro A Nei prati solatii ig bassi che montuosi ovunque in Sic.: pres- so Palermo, a S. Martino, ke Pizzuta, a -S. M. di Ges nel Messin. e cosi a Militello. Nee la indica in Calabria ad Aspromonte. Nei luoghi erbosi e nei colli marittimi delle parti merid.-o- rientali della penisola hellas reg. dell'Olivo: nella terra di Bari, a ne di Barletto nela Basil.. ad Avell.no, Bagn, Cerialto ed altrove, in C i al Capo di Alice fra Cirò e Ca- riati. Fessure selle, TD del reg. med. il Sard., Pu Dd i d Aic bint PTER a “Bonif. in Sard: a Castel Sardo, a Longobardo. In luoghi erbosi e talvolta pie- trosi della reg. subalpina ed al- pina dei m. dell’ App: delle ee che e degli Abruz. Nel m. tore a Furca di Pronti e ci il Piano del Castell, nel Monte Majella al vado di Coccia, al OIIHLYISNN uddüsíl9 4 INOTIVOSNA IVIOT E. PANTANELLI Sui caratteri dell'arricciamento e del mosaico della vite, * Aspetto esteriore dell'arricciamento (Tav. I-VI). I earatteri morfologiei essenziali di questo male, detto dai Fran- cesi, come vedremo, ora roncet ora court-noué, si ritrovano più o meno in tutte le regioni, (1) ma fra essi alcuni sono costanti, altri per la loro comparsa irregolare e per il differire da un luogo all'altro modi- fieano l'aspetto dell'affezione presa nel complesso; una prima difficoltà . eonsisteva quindi nello stabilire quali sono i sintomi proprii dell'affezione Sopra ogni vitigno, per evitare l'errore in cui forse é eaduto taluno dei miei predecessori, di chiamare roncet qualunque forma di rachitismo delle viti americane. Ho assunto come forma tipiea la malattia quale si presenta su le V. Ruprestris, specialmente su la À. du Lot, volgarmente detta R. monticola (2), perché le V. rupestris sono indubbiamente le. più sensibili fra le diverse specie di Vitis. Dal tipo Rupestris si sco- sta notevolmente il tipo delle V. Berlandieri ed a loro volta le V. vi- * AVVERTENZA — Sono questi i-primi capitoli di una relazione monografica larricciamento della vite la cui stampa fu dapprima autorizzata dal Ministro di Agri coltura (lett. 25 Luglio 1911), poi sospesa per esaurimento di fondi. (1) Su l'origine e la diftusione di questo rachitismo cfr. 1911. II. (2) Cfr. Mazade p. 239; Viala, IV (1895). p. 550; secondo Ravaz, Les vignes Ae méricaines, 1904, p. 109. la Rup. du Lot sarebbe un ibrido di ‘Rupestris, ma-non--con Monticola, come ritiene Couderc, bensi con un'altra specie ancora sconosciuta. Essa fu ottenuta da seme da Sijas nell’Herault, e poi selezionata e propagata da J. Richter a Montpellier (1895 p. 663). 498 E PANTANELLI nifera hanno un tipo di roncet loro proprio, che però si può conside- rare come quello più anticamente eonoseiuto, se si ammette che ad esso sia identico l’arricci amento. sempre esistito sulle viti nostrali franche di piede. Le V riparia presentano un rachitismo che per molti riguardi ricorda quello delle V. rvpestris, per altri si accosta a quello delle V. Berlandieri (1). Tipo RUPESTRIS o ARRICCIAMENTO TIPICO. Si distinguono aleuni caratte- ri essenziali, che si ritrovano in ogni luogo e sopra ogni ceppo, da altri caratteri che si presentano solo in determinate località o su ceppi che hanno già raggiunto una certa età. Sono caratteri costanti: foglie più piccole delle normali, meno con- sistenti, rapporti di lunghezza e di apertura fra la costola mediana e le laterali diversi ed irregolari, seno picciolare più aperto, profonde insenature laterali, denti acuminati e spesso contorti, parenchima ri- dotto rispetto alle nervature (efr. Tav.V). Piccioli più brevi e più sottili dei normali. Internodii più brevi dei normali e meno agostati.Grappoli portano meno fiori dei normali e tutte le loro parti sono più piccole. Femminelle si sviluppano di pari passo col tralcio padre (roncet). Fra i caratteri oscillanti od incostanti, che non possiamo quindi senz'altro ascrivere fra i sintomi proprii del roncet, troviamo: foglie con lamina maculata in chiaro per la presenza di aree pallide per tra- sparenza, più o meno nettamente delimitate da nervature di ordine va- rio, come nell’ albinismo o nel mosaico del tabacco. Viticci deformati o trasformati in grappoli o in rametti (raro). Fiori schiacciati, su pe- duncoli e rachide appiattiti (raro).Tralci ramificati a forca (dieótomi) per sviluppo contemporaneo di ambo le gemme ascellari o per trasfor- mazione dei viticei in rami; tralci fasciati; nodi gonfiati, Gemme, cornetti, spalle, ceppi non mostrano alterazioni esteriori. Questo tipo di arricciamento si osserva più o meno in tutte le Rupestris (du Lot, Ganzin, Metallica, selezionate da seme ete.). La V. rupestris è la specie più sensibile. (1) Una nota riassuntiva su questo argomento fu pubblicata nel Marzo 1910 (II). SUI CARATTERI DELL'ARRICCIAMENTO E DEL MOSAICO DELLA VITE 499 Nelle tabelle seguenti ho riunito le medie di misure di foglie, pic- cioli, internodii di tralci sani, poco malati, molto malati di Kup. du Lot, partendo dalla base del tralcio. Lunghezza delle nervature fogliari in mm. mediana laterale prima laterale seconda foglia sana poco mal. molto mal. sana poco mal. molto mal. sana poco mal. molto mal. pd 90 6 9b 5 MM 8 31 24 8 2" 38 21 13 Jic 2f 6 .84 20 9 3 46 46 1L B5 H3 10 33 39 10 4 56 3 18 40 34 iB. 50 —49 15 5 63 55 294 p 2 4359. 42 99 6 íi 43 27 56 46 11. 70-. 69 20 $.-80- 265 25 be ae 12^ 40. 43 14 8 84 64 21 66 42 eo. H 53 22 9 90 65 2%: 02 4 i4 60; pI 23 10 99 61 31 65 49 9f- —ID- . 89 24 11 106 80 35 83 54 DI ^9 GT 26 12 109 84 49 -83 - D4 29 101 13 32 foglia o Seno peziol. (gradi) Diametro foliare (mm). Lun. d. infernodio (mm) internodio sana poco mal. molto mal. sana poco mal. molto mal. sana poco mal. molto mal- 1 209 172 228 44 34 13 21.2 14 5 2 212 242 230 44 32 10 46 13 5 3 214 239 245 60 54 18 4T 21 6 + 203 252 246 14 57 20 50 27 10 5 238 245 282 15 64 30 66 24 10 6 215 222 288 94 10 28 63 9 1 218 240 283 103 60 21 nu XY 12 8 220 261 297 104 72 29 80 12 9 233 220 969. 492 TT 21 94 27 13 10 230 254 268 130 18 20 IP 28 14 11 208 236 319 ^ 449 87 DO: (LO 32 17 500 E. PANTANELLÍ Le misure qui riportate furono eseguite su materiale prelevato al- la fine di giugno, quando i tralei normali hanno già raggiunto la lun- ghezza definitiva verso il 12. internodio a partire dall’apice, e perciò il carattere di court-noué spicca assai saliente; in primavera esso è meno visibile sulle viti poco malate o all’inizio della malattia. Non ho riportato le misure degli angoli æ e 8 compresi fra la ner- vatura mediana e le laterali della foglia, perchè danno valori irrego- lari ed incostanti, che non permettono di dedurne alcuna legge mor- fologiea. Nelle Rupestris si notano tre manifestazioni diverse del male, le quali corrispondono a tre gradi d'intensità dell’ affezione (cfr. Tav. III, fig. 1-3): l. grado. Nessun rachitismo. I tralei ed i viticei hanno lunghezza e spessore normali. Foglie giovani irregolari con denti lunghi e con- torti, ma poi allo stato adulto si pareggiano assumendo la grandezza normale, eonservando solo le dentature troppo sporgenti. In questa forma esordisce la malattia, non già con la brevità degli internodii, a dif- ferenza di ciò che Ravaz ha osservato per il court-noué dell’ Aramon in Francia; il restar breve degli internodii si osserva sulle Rupestris in una forma più grave della malattia; per ciò non ritengo esatto il termine court-noué per questa alterazione della vite. 2. grado. Rachitismo. Tralei brevi, a internodii brevi, molto rami- ficati e spesso dicotomicamente, con femminelle a sviluppo precoce, vi- ticei lunghissimi ed ineguali di spessore; foglie non molto piccole, for- temente deformate (frastagliate, laciniate) ma di un verde unito, seb- bene un pò più cupo del verde normale Si direbbe che al pigmento verde sia unita una sostanza bruna o giallobruna. Nessuna macchia scolorata. In questa forma si presenta la malattia su viti assai giovani, sopra tutto su le barbatelle, od anche su ceppi adulti quando essa in- fierisce da almeno due anni. È il roncet più SE che ritengo si possa considerare come tipico o “puro,,. 3. grado. Rachitismo e s. Foglie piccole, fortemente deformate, maculate, di colore un po’ più chiaro del normale. Le macule sono di due: sorta: X) bianche per trasparenza, poco estese, ma nettamente delimitate i ri ra e 4 N 5 i SUI CARATTERI DELL'ARRICCIAMENTO È DEL MOSAICO DELLA VITE 501 dal tessuto verde per mezzo di ner ature di ordine diverso, e quindi a contorno poligonale; 8) di un verde più chiaro del resto della foglia, visibili per tra- sparenza, lasciano intravedere la sostanza giallo bruna già ricordata, più estese delle precedenti mo non ben delimitate dal tessuto verde, e quindi a contorno sfumato, non angoloso Le prime sono ben visibili sopra tutto Holle foglie giovani, ancora tenere; nella Rupestris metallica esse affettano anche toni rosei per pre- senza di una traccia di antociano nell’epidermide. Le macchie sfumate sono più comuni su foglie adulte e si vedono meglio in estate. Con queste macule, che nel terzo grado della malattia si somma- no a centinaja per ogni foglia, non si devono confondere certe minu- scole macule rotondeggianti, pallide per trasparenza, sparse qua e là per la lamina, provviste al centro, sulla pagina inferiore, di una intu- mescenza di cellule neerosate, visibile ad occhio nudo come maechio- lina bruno-nera. Esse si osservano anche su foglie sane per forma e grandezza, su ceppi sani; sono più frequenti in primavera, sopra tutto sulle foglie formatesi in Maggio, ma non mancano sulle foglie sviluppate più tar- di e rappresentano con tutta probabilità le conseguenze delle punture di 7hrips o di acari (1910, III; 1911, III, IV) o di ineipienti infezioni di melanosi,(1) o del freddo. Il terzo grado della malattia (roncet maculato o mosaico) puó man- care anche in ceppi fortemente deperiti e pare anzi che in alcune loca- lità sia addirittura eccezionale (ex-vivajo di Messina secondo Schiff-Gior- gini (1906), ex-vivajo di Portoferrajo, dintorni di Marsala), mentre in provincia di Siracusa. nelle Puglie il roncet non maculato è l'eccezione, se ai tratta di malattia molto pregressa su queste Rupestris. Anche nel vivajo di Noto però esistevano migliaja di Rup. du Lot innestate su vecchie Riparia o su Rup. da seme e in gran part» affrancate, le quali erano quasi tutte malate, ma non mostravano maeule di nessuna sorta su le foglie, sebbene queste fossero tipicamente deformate; cid in vici- (1) Briosi, 1905, p. 7 dell'estr.. EN 502 E. PANTANELLI nanza di alberi. Nella Rup. metallica è più comune il roncet verde che quello maeulato. Ciò prova che anche la presenza di macule pallide per trasparenza, senza traccia di abrasione o necrosi dei tessuti, non è un carattere essenziale dell'arriceiamento sebbene spesso lo si osservi, come già avevano notato Paulsen (1908, p. 1247) e Jacono (1906, passim). In realtà la maculatura pallida delle foglie è propria del periodo primave- rile anche nei ceppi più sofferenti, mentre diminuisce in estate su le nuove foglie che via via si formano. A prima vista, si è tentati ad ammettere che i tre gradi della malattia corrispondano all’aggravarsi progressivo della stessa sopra un determinato individuo, ma l’esperienza non appoggia troppo questa in- duzione. Allevando talee prese a Rup. du Lot ammalate nelle 3 forme ho ottenuto in tre anni di cultura (1909-1910-1911) viti che hanno con- servato la forma di roncet quale si osservava nella vite madre, senza accenno a tramutarsi l'una forma nell’altra. Ciò tenderebbe a provare l'indipendenza di queste tre forme di roncet delle Rupestris, quasi fos- sero prodotte da cause affini, ma non identiche. Treo BERLANDIERI. Ho avuto campo di studiare i Berlandieri Ress. 1 e 2, quest'ultimo meno attaccato del primo. I caratteri dell’arriccia- mento nei Berlandieri sono: Foglie con insenature non molto profonde, ma irregolari; denti del- la foglia non aeuminati, ma irregolarmente sporgenti, contorti, talvolta mancano; massimo disordine nelle nervature, abnormi per direzione, posizione, ramificazione, lunghezza e spessore. Lamina atrofica ed asim- metriea, ridotta tra le nervature, bollosa, di un verde piü ehiaro e ma- scherato da sostanze giallobrane o da chiazze di antociano allo stato giovanile. Maeule trasparenti verde-chiaro, molto estese, specialmente al margine della foglia, irregolari, a contorni indecisi. Seno peziolare allargato (efr. Tav. V). Viticci grossi e lunghi; internodii brevi, nodi ingrossati, dico e tricotomie frequenti; femminelle molto sviluppate in primavera. Defor- mazioni molto più forti sulle femminelle che sul traleio. Grappoli rachitiei, spesso trasformati in vitieei o viceversa. I tral- ei che EE dal giugno in poi sono tutti sani, e così pure i tralci SUI CARATTERI DELL'ARRICCIAMENTO E DEL MOSAICO DELLA VITE 508 malati risanano facilmente. Però anche le femminelle si ammalano più tardi, nel luglio, ed anche all’ascella di foglie quasi sane del tralcio Berlandieri Ress. N. 2. foglia lun.d. fogl. (mm). Diam. d. foglia mm) Seno peziol. (gradi) Lun. d. intern.(mm) à poco molto sana poto molto sana poco molto sana — poco molto ma al. L mal, mal. I. mal. mal. A 6: 25.20. 6407 180 .:182 24. 19 Si: 4A e a BB B90 18b . 165: 37 40 61:53:11 > 74. .69. 10...85 179 180 44 45 67:00:13: 86: 86 14. BO 180 2039. DT 54 o s internodio — b bo m 1.88 10 18 110.86 19 - 86 190. 4180 = 1D uy 05 82.30 114. 106 12 ..50 188 .160.. 19 9, 02 12:21. 1159... BO. 20... 60 218 166 80 10 297 80 18 113 109 10 46 1685 . 178 ..88 11,105.96 359 490 110 314. 58 146 160 92 125116,04 25 - 116. 104. 20: 12 151- 431, 98 BO: AS GE OOo rr «o si 4 OND x 2z828g6 ae formato in primavera. Ciò costituisce una differenza notevole rispetto al tipo Rupestris, nelle quali le femminelle tendono sempre a risanare e, se la malattia è nel primo stadio, si sviluppano sane anche all’ascel- la di foglie deformate del traleio formato in primavera; questa particola- rità dà in estate alle viti malate di tipo Rupestris l'aspetto di un salice potato a eapitozzo, mentre le Berlandieri ricordano più tosto il rovo (ronce), perchè all’ascella di foglie quasi sane e grandi spuntano fem- minelle rachitiebe tanto brevi, che spesso con sette od o*to nodi non arrivano a superare la lunghezza della foglia ascellante. Anche nelle Berlandieri la malattia si presenta in tre forme. In uno stadio iniziale si osservano solamente foglie estremamente piccole e più o meno deformate, ma sopratutto asimmetriche, bollose e macu- late in verde pallido o giallo-verde. Gli internodii però si sviluppano di pari passo con quelli sani e raggiungono la lunghezza normale. In giugno anche le nuove foglie si sviluppano normalmente e la vite ri- sana completamente (efr. Tav. IV, figg. 1-2), 504 : E. PANTANELLI In un secondo grado d’intensità alle deformazioni foliari si aggiun- gono il rachitismo e le anomalie nella ramificazione e nei grappoli. In giugno però si formano foglie sane e i nuovi internodii del tralcio si allungano normalmente; la vite pare risanata, ma ecco che le nuove femminelle che spuntano in piena estate (luglio-agosto) sono di nuovo arricciate e fortemente rachitiche, ben più ancora di quel che era stato il relativo traleio in primavera. Nel terzo stadio l’arricciamento ed il rachitismo persistono per tutta la vegetazione, sui tralci come sulle femminelle; la fioritura & quasi del tutto soppressa per le mostruosità delle infiorescenze, la vite è ri- dotta ad un misero cespuglio. Insisto su questi particolari, per mostrare che anche nelle Berlan- dier?, come nelle Rupestris la malattia non compare coi suoi caratteri più salienti tutta in una volta, come spesso hanno narrato i pratici; anzi, il suo esordio è appena visibile per un occhio molto esercitato e le alterazioni si fanno poi sempre più gravi di anno in anno, e fra queste il court-noué viene dopo le alteraziani foliari. La grande asimmetria delle foglie malate di Berlandieri è pro- babilmente in relazione con la loro spiccata eterofillia; così nel Berlan- dieri Ress. N. 2 si osservano due forme normali di foglie, una intera ed una a cinque lobi. L'allungamento degli internodii nelle Berlandieri è più rapido dell’acerescimento della lamina foliare, mentre nelle Ru- pestris avviene l’inverso, e la malattia non fa che esagerare queste tendenze normali. Nelle Berlandieri le foglie malate sono sempre maculate, anche nel primo stadio della malattia, ed anzi gli arresti locali di sviluppo della lamina coincidono con le regioni ove le macchie pallide sono più numerose o più estese, analogamente a ciò che si osserva nel mo- saico del tabacco e nell'albinismo. Sulle V.R/paria (Martineau (1), gloire, grand glabre, tomentosa e to- mentosissima da seme) l'arrieciamento si aecosta al tipo Rupestris per le (1) Nei vivai Siciliani si coltiva con questo nome una Riparia, che è diversa dal- la R. gloire, alla quale sarebbe identica la R. Martinaud secondo Ravaz (1904, p. 92). Se ILE TT EE TTE SIC f i SE TET SP UU. a Na 277 a x» MURS LET SUI CARATTERI DELL'ARRICCIAMENTO E DEL MOSAICO DELLA VITE 505 profonde laciniature delle foglie, ma per il forte rachitismo dei tralei, la malattia accentuata anche sulle teminelle,la bollosità delle foglie ricorda più il tipo Berlandieri. Le Riparia mostrano però spesso le due sorta di malattia separate su ceppi diversi; le viti meno malate hanno fo- glia laciniata a dentature estremamente acute e allungate, con interno- dii di lunghezza quasi normale ed abbondante fioritura. Questo tipo di arricciamento è preprio delle Riparia a foglie glabre sui primi germogli primaverili e scompare già ai primi di maggio; le viti risanano com- pletamente entro questo mese. I ceppi su cui la malattia è più avan- zata hanno foglie laciniate, bollose, asimmetriche e deformate come nelle Berlandieri; gli internodii sono molto -corti e gracili; i nodi in- grossati, le genime gonfie; la fioritura manca o è scarsa per l'aborto di molti fiori o per anomalie del grappolo o dei singoli fiori. In tale forma si presenta il male sulle Riparia a foglia tomentosa ed anche su qualche Je, gloire malata da molti anni; esso non scompare iu estate, anzi si fa sulle femminelle anche più grave ehe sul traleio. In complesso però le Riparia soffrono evidontemente meno delle Rupestris e delle Berlandieri, perchè germogliano anch’esse malate, ma presto risanano quasi tutte. Di questo fatto si dovrebbe tener conto nella seelta dei vitigni atti a eonservarsi sani nei terreni favorevoli all’arricciamento; disgraziatamente le Riparia sono ormai state ban- dite dai nuovi impianti ed anche nei vivai costituiscono una rarità. Tipo Vinirera. Un terzo tipo che si seosta notevolmente dai due precedenti si osserva sulle V. vinifera, innestate su piede americano malato, ma varia molto a seconda dei vitigni e della gravità del male. Nelle viti enropee a foglia molto frastagliata il rachitismo è simile a quel- lo dell’AramonX Rupestris N. 1 e di altri ibridi Vinifera Rupestris, però le deformazioni delle foglie possono essere più o meno pronuncia- te, le dentature molto sporgeti ed aguzze, le macchie trasparenti più spesso mancano, o sono molto piccole e numerose, senza che si possa stabilire una relazione fra la loro. presenza e gli arresti di sviluppo della lamina. Il rachitismo dei tralci non è molto forte, sono trequenti invece le di:otomie, faseiazioni e torsioni dei tralci, le irregolarità nello sviluppo dei lobi fogliari e delle nervature. I: grappoli : portano pochi fiori, però normalmente eonformati; ila .colatura è totale o: quasi. - 506 E. PANTANELLI Ho visto questa forma di Roncet su Vernaccia, Inzolia, Damaschino, Grillo in Sicilia, su Biancone all’ Elba, Pampanuto in Puglia (efr. Tav, Il, fig. 2; III, fig. 4). Nelle viti europee con foglia poco frastagliata troviamo invece un roncet che si avvicina al tipo Ber/andieri, con foglie deformate, bol- lose, non molto laciniate, anzi a lobi tozzi in cui spesso varii denti non sono sviluppati, poco o niente maculate. Gli internodii nei casi più gravi sono estremamente corti, con nodi rigonfii, dieotomie, fascia- zioni e torsioni. I grappoli mancano o portano pochissimi liori ad or- gani abortiti o sono tramutati in vitieci. Caratteristica è questa forma nel Frappato di Vittoria, nel Moscato di Siracusa, nel Tiro di Noto ete. Vernaccia (fine di giugno). Foglia Lungh. d foglia Diam. d foglia Seno peziolare Lung. d. internodio (mm) 0 (mm) (gradi) (mm) internodio ` sana malata sana malata sana malata sana malata E 36 19 70 A 45 1480 90. H 2 56 al 89 46 31 140 24 18 3 62 40 87 48 41 90 28 19 4 66 46 96 55 277.120 38 14 5 68 42 102 57 20 . 100 34 15 6 83 104 54 24 96 46 22 7 81 112: 00 28 110 58 17 8. 84 50 124 63 19 427 56. 14 9 84 52 132 58 10 135 61 21 10. 96 58 164 69 12 4162 64 15 11. 143 DA 165 56 15 150 85 — 94 12. 118 60 170 54 18 138 20 80 ll raehitismo dei tralei e gli arresti di sviluppo nelle diverse parti delle infioreseenze variano a seconda della gravità della malattia. Nelle viti europee franche di piede, in Puglia, ho osservato il fat- to già notato per i vitigni americani, che la malattia esordisce con ca- ratteri lievi, visibili solo ad un occhio esercitato; il primo anno le fo- | glie sono piü piecole delle normali, lievemente bollose o con i denti Aguzzi e contorti a seconda del tipo a cui appartengono; nel secondo 1 t ; y 4 E SUI CARATTERI D&LL'ARRICCIAMENTO E DRL MOSAICO DELLA VITE 507 anno le deformazioni foliari si fanno più salienti e gli internodii re: stano brevi. Nelle viti nostrali innestate su piede americano la malattia può invece comparire in forma grave anche il primo anno, se il sog- getto era già malato, se si trattava di una barbatella malata o di un innesto fatto su uà ceppo già avanzato negli anni e malato. Tolti que- sti due casi, anche nelle viti innestate la malattia comincia insensibil- mente e procede lentamente, In tutti i casi però la colatura è il pri- mo sintomo esteriore, e può anzi precedere di uno o più anni le defor- mazioni degli organi vegetativi. Infine bisogna tener presente che le Vinifera sono indubbiamente meno facili ad arricciarsi delle viti americane, e fra esse ve ne hanno parecchie varietà praticamente immuni. Si osserva allora spesso che questi vitigni resistenti non hanno aleuna deformazione negli organi aerei, mentre: i germogli dei loro portinnesti americani sono tipicamente arriceiati; una completa colatura è però quasi sempre inevitabile anche in questo caso. Oltre la colatura, un leggero rachitismo senza speciali deformazioni si manifesta spesso nelle Vinifera innesiate su piede a- mericano malato, e chi sa quanti dei così detti « deperimenti » di vigneti innestati su vitigni sensibili, come l’Aramonx Rupestris N. 1, la .Rupestris du Lot, il Berland‘eriXRiparia 420 A, troverebbero sèn- z'altro la spiegazione, se si vedessero i suechioni del soggetto tipicamente malati di arricciamento, o se i tralci del nostrale si decidessero ad ar- ricciarsi, come farebbe il soggetto se lo si lasciasse ributtare (1910,11). DEFORMAZIONI NEGLI IBRIDI. Sono la resultante delle proprietà mor- fogene del padre e della madre, fuse nella proporzione stessa in eui avvenne la fusione dell’idioplasma di ambedue al momento della fecon- dazione. Alcuni esempii: RupestrisX Berlandieri 11-31. L’arricciamento è raro su questo vi- goroso ibrido, tanto adatto per l’Italia meridionale, pure esso vi si ma- nifesta in forma abbastanza grave. Sulle foglie si presenta con tutti i caratteri del tipo Berlandieri, cioè deformazione, asimmetria, bollosità, riduzione della lamina, aper- tura del seno peziolare, mentre sui tralci ha tutto l'aspetto del roncet delle Rupestris, di cui del resto conserva anche il carattere di svilup- parsi solo in primavera, di essere più accentuato sul tralcio che sulle 508 E. PANTANELLI H femminelle ete. Secondo Ravaz vi è in questa pianta sangue di una terza specie, probabilmente di V. candicans, ma la mancanza di ma- teriale puro di questa specie mi ha impedito di giudicare qual parte essa prenda nell’estrinsecazione morfologica della malattia. Di altri i- -bridi RupestrisX Berlandieri, il 219 A, 220 A e it 301 A si mostra- vano a Noto ancora quasi tutti sani dopo 14 anni d’impianto. Del resto anche il 17-37 guarisce totalmente fra il maggio e il giugno; si può dunque ritenere che gli ibridi RupestrisX Berlandieri siano poco sen- sibili al roncet. KipariaX Berlandieri 420 A (cfr. Tav. I, fig, 1). L’arricciamento si presenta su le foglie con caratteri di Berlandieri, mentre l'aspetto generale e il modo di svilupparsi della malattia ricorda molto la Ri- paria. Le foglie però hanno talvolta anche qualche dente molto aguzzo (carattere di Riparia); le gemme laterali si ingrossano molto prima di svilupparsi (Berlandieri). La malattia è più forte sul tralcio che su le femminelle, ciò che permette di distinguerla fino ad un certo punto .dall’acariosi, frequenti su questo vitigno (1911, IV) Degli ibridi Ri- pariaX Berlandieri il 420 A è il più malato; assai raro e solamente primaverile è l’arrieciamento sul 157-11, con caratteri di Berlandieri sulle foglie; il 33 e 34 E. M., il 420 B erano ancora sani nel vivajo di Noto dopo 12-14 anni di impianto. Riparia Rupesiris 3306 e 3309. Questi due ibridi erano molto malati a Noto, e in altri luoghi il 101-14 non lo è meno (efr. Tav. I, fig. 2). La malattia ricorda moltissimo quella della Rup. du Lot per l'aspetto generale delle foglie e dei tralci; però certe irregolarità nella lamina, nella fioritura, la presenza costante di macchioline trasparenti assai minute e la facile guarigione in estate rivelano l'influenza del sangue kiparia. Rupestris X Vinifera. La malattia si presenta in modo molto diver- so a seconda delle qualità della madre. Nell’ Aramon X Rupestris G. N. .1 (efr. Tav. IV, fig. 4) le foglie sono irregolarmente sinuate, deformi ma non laeiniate, sempre maculate a piccolissime macchie giallo-ver- dicce con contorni poligonali; gli internodii sono brevi e tozzi, come è normale nell’Aramon; frequenti le dicotomie. In complesso però la malattia è meno appariscente che sulle Rupes/ris. Nel MourvèdreX Ru- UT e SA EE T E a ii z " B uei s EM uer TA qt SUI CARATTERI DELL'ARRICCIAMENTO E DEL MOSAICO DELLA VITE 509 pestris 1202, che raramente è arricciato, la malattia si presenta con caratteri che ricordano il tipo Vinifera a foglie poco sinuaie, cioè le foglie sono assai piccole, irregolari, fortemente bollose con macule tra- sparenti sfumete; nodi gonfii, internodii brevi, esili grappoli trasforma- ti in lunghi viticci. In generale negli ibridi Rupestrisx Vinifera lin- fluenza del sangue europeo si manifesta in ciò, che le foglie sono meno deformate rispetto ai vitigni americani, meno maculate, per lo più so- lamente alla periferia, e per la facilità eon eui i tralci in risanano e- state. Sono però frequenti le dicotomie e le fasciazioni. Le infiorescenze sono un pò più piccole delle normali, ma poco o niente deformate; la colatura è totale (Colombeau X, Rupestris oGamay Couderc, Caberne! X Rupestris, Auwxerrois X Rupestris). Nel 132-11 di Coudere (RupestrisXx Vinifera X ?) i earatteri della malattia sono tutti di Rupestris; la Vinifera infatti vi entra solo per 1/, od !/, di sangue. Il Solonis è un altro ibrido di genitori ignoti; il suo arricciamento (Tav. II, fig. 1) è però del tutto simile a quello delle Riparia tomen- tose, da cui esso certamente discende, e il confronte con V. candicans o V. arizonica malate deciderebbe senza dubbio la questione, quale di queste due specie sia l'altro genitore. Nel SolonisX Riparia 1616, che al pari del Solonis è più tosto sensibile all’arricciamento, la somiglian- za con le Riparia è anche più marcata. In altri bastardi complessi prevalgono le deformazioni proprie de- sangue più rappresentato, così nella Riparia X (Cordifo'ia X Rupestris) 106-8, che si è fortemente arricciata in quasi tutti i vivai di Puglia, prevalgono quelle della Riparia, nell’Asstivalis< Monticola X (Ripa- _ ria x Rupestris) 554-5, quelle della R'paria XRupestris ete. Questo fatto, che si verifica rigorosamente per qualunque ibrido, mostra che la causa della malattia agisce durante il primo sviluppo delle gemme, quando l’attività morfogena è regolata dalle disposizioni ereditarie conservatesi nella gemma, la quale nella pianta legnosa com- pie le funzioni di portatrice di sostanza ereditaria, sebbene in misura molto minore che il seme. Che si tratti di una degenerazione o varia- ‘zione di determinate gemme è provato anche dalla lentezza con cui i caratteri della malattia si fanno ogni anno piu gravi, pur conservan- 510 E. PANTANELLI dosi fra essi quella proporzione che mantiene alla deformazione del- l’ibrido la sua fisionomia propria. INNESTI. Per la storia della malattia era interessante stabilire, se essa si presenta con gli stessi caratteri su le viti innestate come nello stesso vitigno franco di piede. Ravaz sostiene infatti che la malattia è sempre esistita anche su le viti nostrali franche di piede, mentre nel- l’ambiente viticolo si è tuttora persuasi che si tratti di una malattia nuova, di una infezione importata con le viti americane. Le mie ricer- cae spiegano il perchè di questi due fatti apparentemente in contrasto, ma qui intanto debbo dire che le mie osservazioni dal lato morfologico dànno ragione a Ravaz. Infatti il Biancone dell'Elba, innestato su diversi vitigni america- ni malati, ha lo stesso aspetto. a detta anche dei viticultori locali (1), che aveva il Biancone affetto da ricciolatura (arricciamento) prima del- l’introduzione delle viti americane e dell’invasione fillosserica, e che ha tuttora. In Puglia si vedono nei nuovi vigneti europei franchi di piede ceppi colpiti da arricciamento (2) con gli stessi vitigni hanno ` nei vivai e nei nuovi impianti fatti nelle Puglie su materiale ameri- ‘ cano malato. Nel Sud della Francia ho veduto estese plaghe di Ara- mon franco di piede e sottoposto alla sommersione, in cui la malattia sì presenta con gli stessi caratteri come nell’ Aramon innestato su piede americano tipicamente arricciato. Anche più saliente è questo fatto nei vitigni americani, nei quali si vedono allora i germogli della marza arricciati in un tipo, e i ri- - butti del soggetto deformati in un altro modo del tutto diverso, a se- gno da parere quasi due diverse malattie. Nel vivaio di Noto si os- servava questo fatto su Berlandieri Ress. N. 2 innestato su Solonis, ae- canto al Berlandieri Ress. N. 2 franco di piede, su Rupestris du Lot franco di piede e innestata su diverse Riparia o Rupestris da seme, su varii vitigni innestati su MourrédreX Rupestris 1202 etc. Innestan- (1) Silva, 1906, p, 375. A2) Ctr. per la Vernaccia la Tav. II, fig. 2 (franca di piede), e III, fig. 4 (inne- stata). j | SUI CARATTERI DELL’ARRICCIAMENTO E DEL MOSAICO DELLA VITE 511 do diversi vitigni europei su lo stesso soggetto malato, ogni europeo si arriccia ptù o meno coi suoi caratteri propri, fenomeno che si osservava bene nel Vivaio di Noto sopra un gran numero di vitigni locali in- nestati su 1737, su 420 A ete. La diversa sensibilità dei vari lignag- gi fa sì che sopra soggetti fortemente malati la marza sembri poco de- formata o addirittura sana (nostrale su amerieano, Berlandieri Ress. 2 sopra Solonis o Rupestris du Lot), ma si può star sicuri che, se la mar- za appare deformata, il soggetto è certamente malato. In ogni modo, la malattia si presenta con gli stessi caratteri sopra un dato vitigno franco di piede o innestato; l’innesto su americano non agisce dunque qualitativamente, mentre la sua enorme influenza quantitativa rispetto alla frequenza e rapidità della malattia è indiscu- tibile. BARBATELLE. L’arricciamento nelle barbatelle si ha quando le talee sono state prese da ceppi malati; in tal caso, su le piccole foglie della barbatella la malattia si riproduce con lo stesso aspetto cume sulla vite madre; così, le foglie sono laciniate ma tutte verdi, se questa era una Rupestris du Lot colpita da Roncet tipo verde, presentano macule pal- lide, se la madre era affetta da Roncet maculato ete. Le stigmate del male sono però generalmente attenuate e non è sempre facile ricono- scerle, perchè le piccole foglie delle barbatelle, specialmente le prime formate, quelle che spuntano prima che la barbatella abbia cominciato ad emettere radici, sono sempre un pò irregolari. Quando una barbatella si ammala il primo anno, pur essendo sa- no il legno al momento dell’ impianto, compare nel secondo anno la laciniatura delle foglie, cui segue negli anni successivi il rachitismo. La maculatura al solito compare per ultima. Nelle barbatelle e nelle viti giovani in generale è più difficile riconoscere l'inizio della malat- tia che su le viti madri, perchè in esse è comune un nanismo dovuto a siccità, a bassa temperatura primaverile, a penuria di azoto o di acido fosforico ete., nei quali casi però manca la caratteristica laci- niatura delle foglie. Ciò rende difficile anche la scelta del materiale da distribuire ai viticultori, e non si può far torto al personale dei Vivai, se spesso, specialmente quando la malaitia era ancora all’inizio e nota a pochi, 512 E. PANTANELLI qualche barbatella arricciata fu distribuita insieme a barbatelle sane. La scelta si dovrebbe fare in Agosto o Settembre, quando la vegeta- zione è ancora in pieno, strappando dal barbatellaio le piantine arric- eiate, perchè il giudizio diventa quasi impossibile nell'epoea in cui di solito si estirpano le barbatelle, in Dicembre o Gennaio, per lı man- eanza delle foglie, le cui alterazioni costituiscono il sintomo più sicuro dell'arrieeiamento (a parte i caratteri istologici). Per maggior sicurezza, nei vivai meglio sorvegliati, p. es. in quello di Noto, si soleva già da varii anni eseludere dalla distribuzione le barbatelle che avevano fusto esile eon nodi molto vicini, radici scarse, tralcetti a internodii brevi. Il pericolo di distribuire legno malato è del resto molto diminuito con l’abolizione della distribuzione di talee, concetto nel quale è oramai (1910) entrato il Ministero di Agricoltura, e per non allevare barbatelle arricciate, si prendono le talee da viti riconosciute sane durante il corso della vegetazione. Inoltre è certo che le talee malate possono risanare se piantate in adeguate condizioni di terreno e che l'innesto con varietà nostrali resistenti ne facilita notevolmente il risanamento, per cui non bisogna esagerare il timore che i vivai diffondano la malattia senza posa, € sarebbe erroneo credere, che lutte le viti malate di arrieciamento pro- vengano da viti madri malate nei Vivai. In realtà la malattia si svi- — 3 luppa anche in vigneti sani al momento dell'impianto, e la si puó anzi determinare sperimentalmente piantando legno sano in condizioni spe- ciali (1910, III; 1911, I, II. Genfronto cen altri rachitismi della vite. Il termine roncet fu introdotto nella seienza da Viala nel 1893 in base alle alterazioni di sviluppo che dànno alla vite l'aspetto di rovo (ronce) e i caratteri esteriori che egli descrive si ritrovano nel Roncet di Sicilia; appunto sulla scorta della deserizione di Viala Ruggeri iden- X" tificò per il primo (1895) la malattia in Sicilia. = Nel 1894 si ebbero a lamentare danni per malattie di questo ge- nere in Francia. Foéx e Viala (1854, p. 125) trovarono in quell’anno nella Valehiusa e nell’ Allier sui tralci di Aramon innestato su Jıequez :e sovra propaggini di viti francesi, una malattia che essi chiamaro- SUI CARATTERI DELL'ARRICCIAMENTO E DEL MOSAICO DELLA VITE 518 no gélivure, e che Viala e Sauvageau avevano già osservato nel 1892 in una vigna dell'Hérault. Dalla descrizione minuziosa che ne danno Foéx e Viala non pare difficile identificare questa gélivure col mal nero dei nostri Autori. In- fatti vi si trovano le profonde ulcerazioni e spaccature dei tralei fino alla zona generatrice, caratteristiche del mal nero o ma! dello spacco, che mancano nel roncet. Inoltre le dentature sono meno acute e meno sviluppate nelle foglie colpite di gélivure che nelle foglie sane, mentre nel roncel si verifiea l'opposto. Anche la produzione di pustule sube- rificate o false lenticelle alla base dei tralei manca in molti vitigni affetti da roncet e così pure l'annerimento dei tralei alia cima, cui segue nel giugno l’essiecamento graduale dei tralei dall’apice alla base. Se la malattia si arresta prima che tutto il traleio sia annerito, la porzione morta cade ed il midollo appare imbrunito e morto sul mon- cone, caratteri che mancano nel roncet, al pari della presenza di strisce brune sui cornetti e le spalle. Altri caratteri sono invece comuni alla gélivure ed al roncet delle viti europee (pag. 504) specialmente l'allargamento del seno peziolare, la brevità degli internodii (rovrt-noué), il rigonfiamento dei nodi, la cladomania, la comparsa della malattia sopra singoli tralci accanto a tralei (suechioni) sani sullo stesso ceppo. Non è però possibile confondere il roncet con la gélivure, tanto più che Foéx e Viala trovano nell'epidermide, nelle cellule del paren- chima corticale, come pure negli spazii intercellulari, un batterio che essi ritengono eausa della gélivure. Ora, Viala stesso dice (1883) che nel roncet non ha potuto trovare batterii; della gommosi del legno a proposito della gélivure Foëx e Viala non perlano affatto. Invece poco dopo è appunto la gommosi che viene posta da Pril- lieux e Delacroix (1894) come fenomeno principale in una malattia molto affine se non identica alla gélirure. Essi trovano questa malat- tia nel Varo e la paragonano con l'Aubernage della Borgogna, che è poi il roncet di Viala. La descrizione che essi ne danno permette in- vece di identificarla col mal nero, tanto più che essi trovano nel legno una degenerazione gommosa che comincia nella regione vicina al cam- bium, cioè libro molle e vasi del legno giovane, poi invade le cel- * 514 E. PANTANELLI lule del parenchima legnoso (raggi midollari), le fibre. Al principio dell'infezione numerosi tilli ostruiscono i vasi, nei quali si vedono am- massi di batterii. In quell'anno stesso (1894) la malattia prese una certa estensione, così ehe Viala e Foéx (1894, I, p. 17 e 53) si recarono a visitarla nel Varo, ma pare che non riuseissero a farsene un'idea precisa, perché negarono che essa fosse identica alla gommosi bacillare descritta da Prilleux e Delacroix, al roncet ed anche al mal nero, ritenendo che si trattasse dell'espressione di un indebolimento di vecchie viti innestate, situate nelle parti basse della vigna; le cause sarebbero multiple, dal cattivo trattamento dell’innesto alle proprietà del terreno, all’ azione di insetti, peronospora, mal bianco ete. La gommosi del legno, cioè le macchie nerastre che si vedono in sezione e lo sgorgo di gomma bruna, non sarebbe caratteristica del mal del Varo, perchè si nota anche in ceppi molto vigorosi e fruttiferi, appartenenti a qualsiasi specie di vite americana ed europea. Nello stesso anno Ravaz (1894, II, p. 90) narra che dal 1892 si sono uotati nel sud-ovest della Francia deperimenti su viii franche o innestate, però più frequenti sugli innesti di Riparia e di Solonis; non crede che si tratti di gommosi bacillare nè di gélivure, ma piuttosto della malattia che nell’ Aude chiamano court-noué. Infatti le foglie sono ‘piccole; ma non laciniate, gli internodii brevi, il legno del fusto sot- terraneo è morto a zone o totalmente ed annerito. Non è facile preci- sare cosa abbia osservato allora Ravaz: probabilmente si trattava di una forma incipiente di mal bianco o di vero arricciamento. In seguito Prillieux e Delacroix pubblicarono un grosso lavoro sulla gommosi bacillare (1895) che essi ritennero identica al mal nero, ma complicarono la questione ammettendo che la malattia possa com- parire in diverse forme, già note con nomi diversi: dartrose (escoria- zioni sulle parti tenere, termine adottato da Coudere), rougeot (rossore delle foglie), cep pommé o téte de chou (analogo al *eovin, dei pie- montesi) (1), gélivure (sintomi descritti da Foex e Viala), folletage, (1) Deperimento di viti nostrali causato da Dematophora secondo Cuboni, 1895, pi 218. i SUI CARATTERÌ DELL'ARRICCIAMENTO E DEL MOSAICO DELLA VITE 515. roncet. In tutte queste forme P. e D. trovarono batterii nei tessuti de- formati, per cui si dovrebbe ammettere che il roncet da essi studiato sia diverso dal roncet siciliano, nel quale mancano i batterii, mentre per la descrizione dei caratteri esteriori ed anatomici sì trova una so- miglianza perfetta fra le due malattie. Intanto Mangin (1894, II, p. 276; 1895, I, p. 5, 29, 364, 422), di- mostrava che la presenza di gomma nei vasi è normale nella vite, che nei tralci colpiti da mal del Varo, oppure clorotici, o tolti a viti de- perite per eccessiva umidità del terreno, per innesto mal saldato ete, si trovano più tilli, ma minor quantità di tilli gommosi, e in nessun caso si osservano batterii nei vasi. Quindi tanto l’esistenza di una ma- lattia del legno di vite che si possa chiamare gommosi, come la sua natura bacillare sono infirmate da Mangin. Le osservazioni di Mangia furono confermate da Berlese (1894, p. 105), Ráthay (1896) e Kremla (1897), secondo cui la gomma nei vasi della vite sarebbe anzi utile, perchè permetterebbe o questi or- gani di funzionare come serbatoi di acqua. Le macchie nere che si tro- vano nell'alburno vecchio dei ceppi sani o malati, in viti americane più frequentemente che in viti europee, e che concordano con le mac- chie descritte da Comes (1888 e 1893) per il mal nero, da Prillieux e Delacroix per la gommosi bacillare, rappresentano secondo Rathay un principio di formazione del durame. Le ferite accelerano la produzione di gomma bruna nei vasi e quindi la produzione di un durame, si- mile a quello normale, ma in forma di un cuneo penetrante nella massa legnosa, è anticipata e più estesa nei ceppi potati a capitozzo. Questo durame di ferita, come lo chiama Räthay, si distingue dal du- rame normale perchè non percorre tutto il ceppo, e si distingue anche dal così detto legno di ferita, perchè è circondato da alburno vivo. Ráthay non ha trovato mai batterii nei vasi gommosi, né in altri or- gani, se non nel legno morto subito sotto la ferita. Le ricerehe di Mangin e Ráthay hanno reso molto problematiea l'esi- stenza della gommosi baeillare ed anche Viala dovette rimanere scosso, perchè in un articolo ‘comparso poco dopo il lavoro di Mangin confron- tando i caratteri della gélivure, della gommosi bacillare, del mal nero e del roncet comincia a fare delle distinzioni (1895, p. 269); nel 1896 516 E. PANTANELLI attribuisce il mal dello spacco non a parassiti, ma ai freddi primave- rili nei terreni bassi e umidi, e così la champlure dell Yonne. Più tardi però Viala in unione a Charrin afferma che il batterio della gélivure è patogeno anche per i conigli (1899) e difende la natura batterica di questa malattia (1901) contro Ravaz e Bonnet che l’avevano attri- buita al fulmine (1901, 1902). Una gommosi bacillare simile a quella descritta da Prillieux e De- laeroix è stata osservata in Italia da Baroni e del Guercio (1894), Ca- vara (1895 e 1897). Pichi ha per ultimo trovato cavità ripiene di bat- terii nei tralci di barbéra riccia (1907). In Ungheria è stata descritta una malattia simile da Schilbersky (1894), Linhart e Mezey (1895), ma poi. come abbiamo detto, fu smentita da Ráthay (1896) e Kremla (1891). Anche più dubbio è un dato di Zschokke (1907), concernente un caso di gommosi bacillare nel Rheingau. Probabilmente tutti questi casi di gommosi bacillare si confondono col mal nero o mal dello spacco, che resta sempre la malattia meglio studiata fra le affezioni batteriche della vite, grazie alle ricerche di Baccarini, il quale se non altro ebbe il merito di troncare con qualche dato positivo e una descrizione accurata d-l male la discussione più o meno speculativa che da anni si trascinava fra i botanici italiani. Per non ricadere nella confusione, è opportuno r conoscere per mal nero solamente quello descritto da Baccarini (1894), il quale ebbe agio di studiarlo nelle località classiche, sulle falde dell'Etna. Per la presenza degli spaechi corticali o linee necrosate sui meritalli, delle fessure lon- gitudinali che interessano anche il legno più o meno profondamento nei cornetti e nelle spalle, per la presenza di batterii nei vasi di que- ste e per le deformazioni caratteristiche dei grappoli e dei fiori, il mal nero è ben distinguibile dal roncet tipico delle viti americane e dall’arricciamento della vite nostrale (Tav. IV, fig. 3); sul principio _ però le due affezioni furono talvolta confuse (Perrotta, 1901 (1); Iaco- no, 1906, p. 5). Troviamo invece una certa rassomiglianza fra i caratteri esteriori H (1) Lettera al Comm. Danesi pubblicata nell’Italia Agricola, 1902, p. 345- 4 E sesleriet no le torbiere elevate, non peró mo £ m. me c Ser EM ae gi A = CH MC ia S CES C ia mifi = AR e e Reg RT E N ek N ee Fu ee X ee Ec SE US y E mac € ENT ew e RECENSIONI 587 estese, con Sphagnum ed altre piante e le torbiere a eriophoretum; nel deschampsietum caespitosum dei siti prolustri si ha un' associazione a tipi un pò incostanti e lo stesso può dirsi pel caricetum frigida: nelle acque dolci devesi distinguere la vegetazione delle sponde, quella sommersa, quella infine delle acque correnti: nel gruppo delle for- mazioni acquatiche occorre poi anche aver presente il pleuston che manca sul Bernina e il Plankton; nella vegetazione delle roccie i tipi variano a seconda della costituzione e del grado di umidità del sub- strato ed essi poi costituiscono sempre dalle associazioni aperte. Lo stesso può dirsi delle associazioni del detrito ciottoloso mobile che è tanto più povero di elementi quanto è meno fisso; nella morena la vegetazione talora manca in altri casì invece è rappresentata da prati o boschi; associazioni aperte sono quelle dei detri i fluviali alluvionali, con tipi psammofili, spesso di alta montagna, che vennero trasportati ivi dalle correnti; la flora cacuminale è elencata con cura e comprende i tipi distribuiti fra 3400 a 2920 m.; la flora ruderale è spesso avven- tizia, effimera, eterotopica e proviene molte volte dal basso. L'autore illustra le varie formazioni ed associazioni, eleneando per ognuna le specie costanti ed accessorie ed inoltre, studiate le Fa- merogare, ci da anche una rassegna delle Briofite della regione, di- stinguendo a questo riguardo due zone; quella boschiva e quella ca- cuminale, la prima uniforme per tipi, la seconda assai varia. Nei bo- schi mancano le specie corticicole e ciò pel clima secco, mentre non difettano le forme di ala montagna e quelle legate ai terreni calcari, sebbene il substrato sia siliceo. L’A. studia pure i Muschi delle alluvioni e dei rigagnoli prove- venienti dai ghiacciai, mettendo in evidenza il loro singolare modo di svilupparsi, diretto a impedire che le alluvioni li sotterrino e da ul- timo ci da dei ragguagli sulle Briofite che crescono sui calcari, sui detriti animali, sulle roccie, sulle alte cime. Per quanto riguarda queste ultime egli nota che le piante assumono ivi una fisonomia uniforme e caratteri xerofitici, sviluppando anche delle singolari disposizioni atte a trattenere l’acqua. Sta intanto il fatto che alcuni tipi di siffatte alte regioni per la loro abituale dimora intorno alla foresta indicano che i ù iu alto. uinto capitolo è consacrato alla distribuzione verticale delle specie fanerogamiche, escluse quelle proprie delle alluvio Cita i lavori di Schroter, di Broekmann e di altri autori in proposito to nelle specie ha lungo al limite tra due formazioni sovrapposte e ciò per un'ovvia mescolanza di tipi. L'A. distingue una stazione subalpina (fino a 2300 m.) forestale, una slazio-e alpina (2200-2960 m.) che arriva al limite delle nevi comineiando da quello, quasi sempre poco ben deciso, della zona forestale, una zona subnivale e infine una zona + 588 RECENSIONI è " sa E ee ~ epi nig Ka ERE EK Ee a nivale. Su quest’ ultima 1’ A. si sofferma alquanto poichè essa ci da È | preziosi ragguagli sulle condizioni di esistenza dell’epoca glaciale, ma E in'anto fa notare che non presenta associazioni proprie caratteristiche. Emerge dai fatti rilevati che molte specie della flora cacuminale (costituita da circa 100 specie) raggiungono so o il limite della zona e l’ imaleico. L’ elemento nordico è il predominante in specie nelle Molto interessante è il capitolo sulla flora del Bernina analizzata ^ sistematicamente. L’A da il catalogo delle specie. a cominciare dalla Pieridofite, indicando la località dove crescono, l altezza sul mare, le assuciazioni cui appartengono, la natura del substrato, la sinonimia, i nomi volgari e fornisce inoltre indicazioni sulla distribuzione della spe- cie nei tempi passati, sulle coltivazioni e sugli erbari in cui le specie sono conservate e sui manoscritti che trattano delle stesse. Le Briofite, i Licheni e i Funghi sono elencati a parte e per opera di specialisti i quali banno anche illustrato con figure le nuove specie. A riguardo dei Licheni il Lindau che li descrisse osserva che la flora del Bernina è ricchissima di individui. non di specie essendo il clima troppo secco, e che inoltre le specie della zona forestale sono differenti da quelle delle zone più elevate. Neppure la flora dei laghi fu trascurata. Essa è costituita da usb anche nell'inverno diventa povero e spesso sol piü costituito da diato- v. mee. La costituzione delle sponde es, reita inflienza sullo sviluppo della flora che si fa povera nei laghi incastrati fra le roccie. Laghi contigui possono perciò aver differente flora e persino parti differenti quanto questi siano piü riechi di fitoplankton). . Il volume termina con una lista dei nomi volgari delle specie stu- diate, con una ricca bibliografia e coll'indice alfabetico. ^ d volume è corredato da una carta a colori, da 58 fotoincisioni di - aesaggi, formazioni etc., da 20 figure nel testo, molte dalle quali il- À ustrano l’andamento della temperatura, dell’illuminazione sul Bernina, È e infine da una carta sinecologica. 2 Noi non possiamo che elogiare ad un tempo l'autore che ha saputo ` con tanto corredo di studi una regione interessantissima del- RS dI S RECENSIONI 539 le alpi e l'Editore Wilhelm Engelmann di Lipsia che è riuscito a pre- sentare al pubblieo un'opera splendida sotto tanti punti di vista e uti- lissima alla scienza. R. Pampanini: Per la protezione della flora italiana. — Relazione Fe sentata alla Riunione generale della Soe. Bot. Ital. in Roma 2. ediz. con pref. dell’on. G. Rosadi, Firenze 1912. : Nella prima parte della sua relazione l’A. enumera i provvedimenti legislativi intesi specialmente alla protezione della flora, e, più general- mente, a quella dei monumenti naturali (flora, fanua, monumenti geolo- gici) che esistono negli Stati Uniti, nella Svizzera, nella Francia, nel- l’Austria, nell'Ungheria, nella Germania, nel Leichtenstein, nella Dani- marca, nella Svezia, nella Norvegia; si ricordino i archi nazionali: istituiti negli Stati Uniti d'America per la difesa della Sequo/a gigan- tea, per la conservazione delle faune caratteristiche, per la protezione di interessanti aspetti dell'attività endogena della terra; si ricordi il grande parco di Val Cluosa istituito dalla Svizzera nella Bassa Enga- m che si dee Provvedimenti entail non esistono ancora in In- ghilterra, in Olanda, nel Belgio, nella Russia, ma società scientifiche attivamente propugnano la espe della ger? della na wá ioi Nel 2. capitolo PA. ad esaminare quanto si fece talia per la protezione della dore; d da quando la geg fa Steng bie dal prof. Mattirolo, ricordando i non seguito per altro da risultati molto soddisfacenti, del C.u b Alpino, deila Pro-Montibus, della Soeietà Botanica Dag A della Società Orticolo-F.oristica di Co- mo; solo ultimamente la questione fu risollevata con ardore dalla So- cietà Botanica italiana, e ampiamente trattata nell’ultima riunione ge- nerale (Roma 1911). Il 3. capitolo è dedicate all'esame delle cause di distruzione della flora; ta e distruzione viene E non tanto da turisti e villeggianti, ssi commerciali, sia che smercino nel Veneto), sia che utilizzino le cem in rapporto alle loro proprietà degli orticultori, i cui effetti sono dannosissimi ue esse raggiungono le proporzioni di quelle di aleune ease inglesi e francesi che PA. cita in via di esempio, e quando soprattutto, con lo scopo di potere tenere alto il prezzo della propria merce, gli ortieultori distruggono le piante 540 RECENSIONI che non poterono raccogliere. Le raccolte per exiccata, quando vengano operate all’unico scopo di scambii, le opere di bonifica, ete. sono altre cause si distruzione della flora. Passando, nel 4. capitolo, ad esaminare i mezzi di prot zicne della flora, l'A. ricorda la istruzione di giardini alpini, i cui effetti per al- tro non furono molto lusinghieri e la semina artificiale e la ricostru- zione delle stazioni danneggiate, provvedimento di applicazione limi- tata e scientificamente pericoloso, potendone derivare la alterazione dei caratteri fitologici di una regione. ‘on vi è quindi — secondo DA. — che un unico mezzo di difesa della flora, quella dei provvedimenti legislativi; come questi esistono nelle altre nazioni, è da augurare che presto possano esistere anche fra noi, e che l’iniziativa della Società Botanica Italiana possa avere il suo coronamento ufficiale, La relazione Pampanini è preceduta da una prefazione dell’ono- ‘revole Giovanni Rosadi, e accompagnata da appendici bibliografiche e daila noia delle piante (superano il centinaio) difese dalla legislazione sui versante esterno delle alpi. ^ Corrado Bonaventura A. Becuinot: La Flora, il paesaggio botanico e le piante utili della Tripolitania e Cirenaica. Padova, Fratelli Drucker, 1912. Sulla flora Tripolitana si posseggono parecchi lavori e notizie sparse qua e là recentemente riassunte, non senza qualche dimentieanza, dal Dluand e Barratte in un « Florae Libyeae prodromus », che vide la eure nel 1910. Questo lavoro che contiene un grande numero di dati ed osservazioni originali, è quanto di meglio per ora possediamo sulla vegetazione di quella regione per tanti riguardi interessante. L'opuscolo RECENSIONI b41 di sabbia), uadi (fondo dei ruscelli, valli ece.), steppe, sebche {paludi a fondo argilloso spesso salate), dune di spiaggia ed oasi dando di cia- seuno i tratti più salienti, sia per quanto concerne le condizioni di am- biente e specialmente quelle fisico-chimiche del suolo, sia per quanto ha riguardo con le piante più caratteristiche e dimostrative. Quanto alla irenaica si sofferma a descriverne i boschi di conifere e di scierofille e la macchia, insistendo sui caratteri spiccatamente mediterranei del complesso della vegetazione, in contrapposizione a quelli accentuata- mente subdesertici della Tripolitania e Sirtica e di eni l’espressione più eloquente sono le desolate hammade e le dune del genuino deserto libico, mobili ed ondose come la superficie del mare. Un capitolo a sé l'A. lo riserva per illustrare i principali tipi bio- logici di piante, tra i quali annovera le annuali (in discreta prevelenza sulle perenni), le atille, le spinose, le stenofille, le crassicauli, le piante provviste di oli essenziali eec. Ne segue un altro con copi.se notizie sulle piante utili od utilizzabili, sia indigene, come di antica o recente introduzione e che hanno fatto buona prova, soffermandosi specialmente sulla Palma da dattero (di eui fa notare il grande polimorfismo), sul- l'Olivo e la sua industria primitiva e moderna, sul leggendario silfio, e sulla ricca bibliografia cui la controversa sua interpretazione diede luogo, sullo sparto od alfa (Stipa tenacissima) eec. Chiudono il | voro alcune note esplicative e la bibliografia rieca di 137 numeri (quelle dei signori Durand e Barratte ne elenca 82) e che comprende l’elenco delle opere che trattano di proposito della vegetazione indigena o del- "a ne, ma la consultazione nel presente momento stori:o potrebbe riuscire vantag- giosa anche per i botanici. BIBLIOGRAFIA MODERNA raccolta da C. Schuster (Gr. Lichterfelder b. Berlino) IX (b) Sistematica — b) Crittogame Ammann, H., Das Blankton unserer Seen. Wien 1910, 199 pp. m. 30 fig.). 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