RASSEGNA MENSILE DI BOTANICA REDATTA DAL DOTT. L. BUSCALIONI . Pror. Orp. DI BOTANICA NELLA R. UNIVERSITÀ DI CATANIA ANNO XXIX — VOL. XXIX MARCELLO MALPIGHI 1627-1694. CATANIA. STAB, TIP. @ LA SICILIANA » CIURCA & Vw nds p<È A i } LA DMALPIGHIA È a 3 RASSEGNA MENSILE DI- BOTANICA 4 REDATTA DAL Ja B' DOTT. L. BUSCALIONI Pror. OrDp. DI BOTANICA NELLA R. UNIVERSITÀ DI CATANIA # ANNO XXIX — FASC. I-II £ d i MARCELLO MELPIGHI Li 1627-1694. GATANIA STAB, TIP. « LA SICILIANA » CIURCA & STRANO i 1921 CONDIZIONI en e fe $ Oppure in fascicoli doppî corredati, secondo il bisogno, da tavole L'abbonamento annuale gia I.. 25, pagabili alla ricezione del 1. fascicolo del- vw ‘Pannata. s. L’intiero. volume annuale (36 fogli in 8° con circa 20 Lu sarà messo in vendita ti: al prezzo di L. 30. ; Non saranno venduti fascicoli separati. ‘Agli autori saranno corrispostè 50 copie estratte dal ‘periodico, 15. giorni dopo #* pubblicazione del fascicolo. 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Pagina superiore setulosa sulla costa e sulle — i nervature, od. anco, parcamente però, sul parenchima. Sete fine, poco distinguibili ad occhio, lunghe 0,5 mm. Pagina inferiore provvista di sete più abbondanti (per quanto sempre scarse) sulla costa e sui nervi | secondari, mentre il parenchima alla lente si presenta parcamente cosparso di peli bianchicci, spesso ramosi, o stellati, a ciuffo. Questi. peli, come le sete, sono ben distinti già nelle foglie che hanno raggiunto ‘metà sviluppo poichè spiccano pel color chiaro sul fondo rosso bruno. ; Nervi secondari da 8 a 12, curvi, fini, anastomotici alla periferia, bru- - nicci, poco o punto distinti sopra, pochissimo sporgenti sotto, subdi- cotomi. Costa pure fina e poco sporgente. Nervi di terz’ordine a de- corso irregolare, o perpendicolare ai secondari, finissimi e risolventisi in un sottile reticolo bruniccio assieme a quelli di 4° ordine. Ascelle dei nervi secondari barbate, e la barbatura già reperibile nelle foglie. ‘giovani rossiecio brune, sulle quali spicca pel color bianchiccio. Infiorescenza subeguale alla foglia, pauciflora, a pannocchia lunga .7 cm. 0 meno, larga circa 3 em., con rami brevi (1 em.), distanziati. Peduncolo fino, ferrugineo cenerognolo, coperto di sete lunghe imm. sottili, miste a minutissimi peli stellati bianchicci visibili solo alla lente. _ Brattee lunghe 8 mm. o meno, Zarghe 1 mm. lanceolato- ovalai lineari, rossiccie sopra, setulose ferruginee sotto. it Fiori grandi (18-20 mm. di diametro) di color Mina, ; gamente pedicellati (pedicelli lunghi 1 cm. e più, solo di rado D oe DO verso il deren vela rossicio verde n srodIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. pid che è Gigliotato. I sepali, ioni + 5 mm., sono distpaal rossieci, e quelli esterni presentansi acuti e stretti, mentre gli altri. sono ottusi ovali. | . Corolla '/, circa più grande del calice, a petali sobquadratgolat cà ovali, ottusi, integri. . Stami circa 25, più corti della corolla, ad antere lunghe, profon- damente bifide, divaricate, portanti un minuto poro all’ apice delle loggie. Filamenti barbati alla base (con peli fulvi o bruni) attaccati alla parte di mezzo del dorso dell’antere. Ovario peloso (peli bianchicci), sor- | rontato da 5 stili lunghi, capocchiati. (Fig. 22 e non già Tav. XVIII, come per errore è stato stampato). f Caratteri differenziali e di affinità. Nel gen. Saurauia poche specie, oltre alla S. Wa/dheimia, presentano un ovario pulverulento; esse sono la S. montana Seem., la $S. costaricensis D.Sm., la S. Lehmanii, la S. ovalifolia D. Sm., la S. pseudocostaricensis Buse., la S. pseudo- veraguensis Busc. e la S. engleriana Buse. Non essendo necessario occuparsi della 8. veraguensis per le ra. gioni esposte altrove accenneremo brevemente alle altre forme. La $. costaricensis ha un picciuolo molto lungo, coperto da sete svilup- il lembo assai grande colla base stretta, col margine serrato, ma minato di sete fra le serrature. La setosità del lembo è accentuata cialmente sui nervi maggiori della pagina inferiore; i nervi poi sono xc to più numerosi, per quanto presentino, come nella S. Waldheimia, le Melle barbate: da ultimo l’infiorescenza si presenta più grande è i più lunghe ed ha i sepali per lo più pulverulenti ‘all’interno. Nelle forme dolictricha le differenze sono ancor st sulle due faccie del lembo. Va notato però che alla pagina i lore si incontrano, come nella S. Wa/dheimia, dei peli stellati. | ella S, ovalifolia troviamo pressochè gli stessi caratteri differenzia rilevati nella S. costaricensis; i peli stellati sono però molto al pti, tanto PR, sebbene minuti, tondigno la asia pavesi PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Caratteri differenziali S. C. pseudocostaricensis; B S. Waldheimia Buse. Caratteri comuni Fusto di color ros- (o) prata a base ottusa, a margine dop- piamente serrato. Pagina inferiore spar sa di sete sui nervi. Parenchima finamente |punteggiato, ma glabro. Nervi secondari 17-20. Costa robusta. Nervi di 3° ordine for- manti un lasso reticolo. Infiorescenza lunga quanto la metà della fo- glia, (lunghezza 22 cm. largh. 6 cm.) multiflora. Peduncolo robusto, setuloso, con pulvinuli interposti. Le sete sono barbate alle base epali pulverulenti! setulosi sulle parti sco- perte nel boccio. Costarica Aebconi Fusto ferrugineo. Picciuolo sottile, bre- ve, cilindrico. Lembo piccolo acuto alla base, a margine denticolato serrulato. Pagina inferiore se- tosa parcamente sui nervi e sulla costa. Pa- renchima cosparso di ‘rari peli stellati bian- peo ervi beioridii lam na quelli di 3° or- | | | | reticolo. Costa pure non molto robusta. Infiorescenza sube- guale alla foglia (lungh. 7 em. largh. 3 em.) ‘pauciflora prada setulo- sa, sete miste peli “atellati. Sepali marcatamente setosi sulle parti sco- perte nel boccio. Nicaragna dine forni un fitto, Apice del fusto minu- tamente setuloso pulve- rulento ferrugineo. Foglie giovani rivestite come il caule. Picciuolo setuloso pul- verulento, con sete minute, ibarbate alla base, ferru di, nee. Apice del lembo ter- minato in punta lunga. Dentature marginali se- tulose. Pagina superiore co- pe da sete minutissime, ù abbondanti sulla costa e sui nervi, Ascelle dei condari. barbat Nervi secondari dicotomi, Brattee lineari setulose, nervì se- curvi Ovario villoso a stili lunghi. Più grandi sono le Fa nella S. pseudoveraguensis Buse. Infatti le sete dell’apice caulinare hanno una base bianchiccia, il pie. cinolo è più lungo e robusto pulverulento, il lembo grande, il margine. fogliare integro o denticolato: le sete della pagina superiore sono in parte barbate: la pagina inferiore molle al tatto per l'abbondanza : d STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. peli stellati che danno nn aspetto pulverulento alla stessa: le nervature secondarie numerose, non barbate alle ascelle: l’infiorescenza brevissima, munita di brattee poco sviluppate: i fiori subsessili, o brevemente pedi cellati: il calice pulverulento dentro e fuori, gli stami infine 30 e più. La $. engleriana Buse. della Costarica presenta all’apice del caule delle sete più sviluppate, bianco gialliecie; ha il piceiuolo solo pulve- rulento setuloso, o cosparso di pulvinuli, il lembo grande, sottile, distin- tamente cuneiforme, coperto, sui nervi della pagina superiore, da sete abbastanza lunghe, e presenta infine un’ infiorescenza breve, pauciflora a pedicelli corti. I caratteri comuni vanno ricercati nel picciuolo non molto lungo, setuloso pulverulento, nel margine serrato setuloso, nella base del lembo acuta al pari dell’apice, nella pagina inferiore coperta di peli stellati e di sete, nelle ascelle dei nervi barbati, nelle brattee lineari, nei fiori grandi, nei sepali setulosi pulverulenti sulle parti sco. perte nel boccio, glabri internamente. La S. Lehmani Hier. del Sudamerica non merita di esser presa in considerazione, troppo differente essendo la sna costituzione. . Le differenze rispetto alla S. barbigera (cui rassomiglia moltissimo per la forma, colore, consistenza e grandezza del lembo, per la sotti- gliezza del picciuolo, per l’ aspetto dell’ infiorescenza, per le nervature secondarie fine oblique barbate, per quelle di quart’ordine formanti un reticolo) sono reperibili nell’ovario peloso, nei fiori più grandi, nel calice setuloso all’esterno, nella maggior setulosità dei vari organi, nell’ infio= rescenza più breve della foglia e nella presenza di peli stellati sul lembo e sull’infiorescenza. Occorre ancora notare che la S. Waldheimia ha i lembi alquanto più piecoli di quelli della ,S. barbigera e meno distin- tamente serrati. A primo aspetto per la grandezza di forma dei lembi la nostra specie può essere anche confusa colla S. Briqueti Buse. somigliantissima alla S. barbigera, ma a prescindere che la stessa è del Perù, faremo rilevare che la S. Briqueti ha l'apice caulinare solo mueronulato, il picciuolo spesso subglabro o tubercolato, il lembo obovato rosso-bruno sopra, ferrugineo sotto, ruvido, coriaceo, colle due pagine verrucose © glabre, i nervi non barbati alle ascelle, le brattee dell’infiorescenza mi - nute e l’infiorescenza glabra o subglabra, i fiori piccoli a calice glabro, l’evario infine glabro. i je 6 ti amare Lia Sit A e e Me PROFF, LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO 5 LI Quanto si è detto a riguardo della ,$8.. bardigera è valido nei riguardi della S. pauciserrata e della S. intermedia, a prescindere da lievi differenze, quali ad esempio il calice un po pulverulo nella $. ‘ intermedia. Quale sia la specie che ha dato origine alla S. WaZdheimia non sa- premmo indicarlo. Una grossolana rassomiglia colla S. barbigera e colla $. pauciserrata potrebbe indurci a credere che sia derivata da una di queste forme, od anco dall’intermedia la quale ha i calici un po pul- verulenti: per converso la presenza di peli stellati sulla pagina infe- riore del lembo ci farebbe sospettare un’ affinità colle forme a ovario peloso cui abbiamo sopra accennato. Data però la grandezza considerevole del lembo delle forme ad o- vario peloso, (Costaricensis etc.) è poco probabile che la S. Waldheimia debba esser considerata come una ioro mutazione: riteniamo pertanto che, se affinità vi deve essere tra le forme sopra comparate, essa deve essere ricercata nel gruppo della S. bardigera, della S. pauciserrata e della S. intermedia. La diversa area di distribuzione potrebbe forse giusti- ficare le singolari mutazioni avvenute nella nostra specie. 52) Saurauia pauciserrata Hemsl. Biol. Centr. Amer. Bot. I 1888 e Diagn. PI. nov. Pars. I. Tab. VII. Glabra, ramis rugosis, foliis ad apices ramulorum confertis longe | petiolatis, membranaceis obovato lanceolatis acuminatis, basi valde at- tenuatis praecipua supra medium remote serratis, pedunculis paucifloris, floribus medioeribus. SI Arbor formosa (Salvin) glabra, cortice (in siccis) valde rugosa, ramis ad apices tantum foliolis: foliola petiolata, membranacea, lanceolata, obovato lanceolata, acuta vel acuminata, ad basim gradatim attenuata, praecipue supra medium remote mucronulato serrulata; lamina usque 6 ‘poll. longa, petiolo gracili 1-1'/, pollicari. Flores (masculini tantum vidi) albi suaveolentes (Salvin) in paniculas angustas 9-12 flores longe pedunculatas dispositi, pedunculis infra nudis, 2-3 pollicaribus ad basim ‘ramulosum bracteatis, bracteis foliaceis pedicellis brevibus strigilloso pa- caceis; sepala ovato oblunga vel fere rotundata, ciliata, ad 3 lin. longa; 6 STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. s petala obovata oblonga 5-6 lin. longa basi fere libera: stamina numerosa, filamentis basi strigilloso barbatis; ovarium rudimentarium globosum, styli obsoleti. Guatemala: Vulcan de fuego Salvin Herb. Kew (iamzley) Esemplari studiati. Es. di Osbert Salvin stati raccolti al Vulcan di Fuego (Guatemala) nell’anno 1873-74. Erb. di Kew (tipico!) Vienna (indeterminato) e Berlino, Es. N. 4895, stato raccolto dal W. Kellerman, nel febbraio 1905, presso il Vulcano Acatenango (Dep. Iacatepeque alt. sul mare 9000 m), di proprietà dell’Herb. Unit. Stat. Nat. Mus. Corteccia glabra, straordinariamente rugosa, gialliccia cenerognola, a cicatrici fogliari semilunari non molto grandi, prominenti, ombellicate nel centro. Apice dei rami abbastanza liscio, bruno-nericcio portante ai nodi qualche rarissima setu'a fulva, dilatata alla base, lunga appena 0,3 0,5 mm. Foglie giovani rosso brune, subglabre, o fornite sulla costa di rare sete minutissime a base dilatata pulverulenta. Foglie per lo più appressate all'apice dei rami. Picciuolo sottile, lungo 2-3 cm. bruno, subglabro, solcato, sparso di placche suberose. Lembo sottile (Es. 4895), o membranaceo, lungo 10-15 cm. largo 2-5 cm., bruniecio 0 verdiccio-bruno superiormente, verde chiaro înferiormente, liscio sopra e sotto, ma talora sparso, negli esemplari secchi, di mi- nutissimi alveoli lungo le nervature della pagina inferiore. Lembo di varia forma, Zanceolato, (Es. 4895) ovalare, obovato, un po disimmetrico, terminato talora bruscamente in breve punta acuta, oppure solo acuto, colla base acutissima, cuneiforme, talora un po de- corrente, cof margine integro 0 subintegro, o per converso parcamente denticolato crenulato alla base, più fortemente crenulato, serrulato-ser- rato all’apice. Le serrature e crenature sono sormontate da un mucrone terminante in setula curva, lunga '/, mm. In qualche caso le ser- rature si fanno eccezionalmente grandi tanto da rassomigliare quasi delle lobature. Pagina superiore ed inferiore glabre, o tutt’ al più ornate di ra- rissime setule (un po più lunghe e numerose alla pagina inferiore) sulla costa e sui nervi maggiori, Le setule, che raggiungono appena 0,5 mm., PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO ‘ sono dilatate e un po barbate alla base. Le ascelle dei nervi secondari & non sono barbate. Nervature poco distinte sopra, poco rilevate e fine sotto (compresa la costa). Nervi secondari circa 8-10 distanziati gli uni dagli altri, 1 curvi, bruno rossicci, subdicotomi ed anastomotici alla periferia. Nervi “dl di 3° ordine finissimi, poco manifesti anche sotto, perpendicolari ai se- condari, appressati gli uni agli altri, formanti con quelli di 4° or- ‘dine un reticolo fino. Infiorescenza pauciflora (4-12 fiori), assai più breve della foglia (langh. 7 10 em. (Es. 4895) largh. 2-4 em.) piramidale, a pannocchia, dal peduncolo e dai rami striati, o lisci, fini e bruni. Peduncolo lungo 4.6 cm. glabro, o con rarissime sete. Rami pure brevi (1 cm.), obliqui o patenti, distanti gli uni dagli altri, subglabri alla base, portanti all'apice delle rare setule pulverulente e dilatate alla base, simulanti peli stellati o giallicci. Pedicelli brevi (5 mm.) più abbondantemente coperti di tali setule che sono talora appena distinguibili alla lente. Brattee basali fogliacee (sempre ?) con picciuolo lungo 0,3 mm., sottile, col lembo ovale, seghettato, lungo 1-1 !/, cm. largo 5 mm. acuto agli estremi, verdiecio: le altre brattee lineari, brune caduche, lunghe 3-4 mm. Fiori discretamente grandi. Calice a 5 sepali ovali ottusi, glabri all’esterno ed all’interno, cigliati al margine, lunghi 4-5 mm. larghi 3 mm., subeguali fra loro. Corolla molto più grande del calice, a petali obovati. Stami circa 25, brevi, a filamento roseo dilatato alla base dove si notano dei peli rossicci: antere lunghe, bifide, giallo-chiare, poricide all'apice. Ovario a stili obsoleti. I) Saurauia pauciserrata Hemsl. forma Kegeliana Buse. Sinonimia. Saurauia Kegeliana Schlecht. Eine neue Saurauia aus Guatemala. Bot. Zeit. 1853 XI. Saurauia barbigera Hook. Teon. or fig. et. (pro parte). Saurauia leucocarpa Schlecht. Linn. X, e Choisy Mem, Ternstroem. (pro parte). Frutex nunc 5 pedalis parce ramosus. Folia petiolata petiolus bi- pollicaris cireiter, saepius purpurascens fere teres, supra planiusculus È ® 8 STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC, subglaber revera pilis minutis vix dimidiam lineam longis adpressis fuscis, ex lata rotundato-ovata basi cito attenuatis et sensim longe acuminatis, fuscis (palaes Filicium fere similibus) hine inde adspersus, quorum ex parte deciduorum basi persistente fusco punetulatus. Lamina 10 cire, pollices longa ultra medium (ad ?/,-cire.) 3 '/, pol. lata sensim, in basim ottusam ra- rius subcuneatam interdum quoque obliquam 9 lin. cire. latam attenuata, apice acuta et breviter acuminata, margine erenato-dentato, dentibus silicet incurvis et in apice intus flexo apiculo fusco dein deciduo terminatis: nervo medio cum venis utriuque circiter 16-18 (venulis transversis sese connecten- tibus) apice subdichotomis et arcuatim se jungentibus subtus promi- nente, supra vix impresso: facie utraque glabra infera nitidula et in axillis venarum lanae laxae ferrugineae fasciculum gerente. Paniculae ascilleres pedunculatae petiolo duplo triplove longiores, abbreviato, ex cimae lege ramosae, ramis oppositis alternisve, bracteis parvis angustis ad summum 2 lin. longis erectis pilosiusculis mox marcescentibas arete vel remote suffultis. Pedunculus teres tripollicaris cum paniculae rami- ficatione et alabastris pilis ferrugineo -fuscis adpressis adspersus viridis. Sepala 5 subrotundata convexa, apice imprimis ciliata 2 lin. longa, tria viridula s. potius viridi-striata in alabastro externa, quartum et quin- tum album medio viridi striatum. Petala 5 lactea, cuneato obovata, apice obtusa fere truncata, irregulariter nune emarginata nune crenata, 5 lin. longa, 3 lin. apice lata, ima basi conjuneta. Stamina multa, calyce paullo longiora, filamentis vitellinis basi crassiusculis et toro ovarium ambienti insertis, antheris luteis basim versus in dorso affiscis, loco in- sertione obscurius tinetis et abhine longe bicruribus, poris sese aperien- tibus. Pili brevissimi albi et laeviter purpurei staminum bases imprimis extrinsecus circundant. Ovarium viride 5 sulcatum stylis brevissimis dense congestis viridibus superantur. Quae eodem stylorum abbreviata forma in S. pedunculata Hookeri Mexicanae (Icon. PI. Tab. 341-342 conspicitur. Species nostra similis sed distinta; floribus multo mieroribus, calyce dense pubescente, defectu fasciculorum lanae in axillis venorum et foliorum obsolete serratura. Dolendum vero descriptione mancam esse et brevem (Schlechtendal). 3 L’A. aggiunge che la specie fu dedicata a Kegel giardiniere del- l’Università di Halle il quale la coltivò da semi stati importati con altre piante dell'America. PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Esemplari studiati. Es. N. 4328 stato raccolto (Gennaio 1893) da Heyde et Lux presso x Erb. di Berlino, Kew, Monaco e Unit. St. Nat. Mus. Washington. (Ex plants. Guatem. nec non Salvador. Hondur et. D. Smith... ‘Es. N. 3066 stato raccolto da Bernouilli e Cario a Los Positos | (Guatemala) nel Dicembre 1877. Forma parte della Collez. dell’ Erb. Guatemalense state distribuite dal C. Solms Laubach. Nel cartellino annesso trovasi l’indicazione S affine S. Leucocarpa ($S. barbigera). Es. N. 1453 (Ea. plant. Guatem. quae edid. D. Smith.) stato rae- colto da D. Smith presso il Vulcan de Fuego (Dipart. Zacatepequez) a «circa 6000 p. di altezza (mese di Marzo 1892). Es. N. 580 stato raccolto da Eur. Heyde nel Guatemala (Herb. dell’Unit. St. Mus Washington). Rami cilindrici rugulosi rugosi (Es. 1453), reticolati, glabri, ros- sicci, con cicatrici fogliari a V o a ferro di cavallo rilevate (Es. 1453). : Apice dei rami bruniccio rossiccio (Es. 1453), subglabro 0 con qualche raro mucrone setuliforme (lungh 0,5 mm.) dilatato alia base, pul- verulento o stellato, di color giallo fulvo. In corrispondenza dei nodi i mucroni si fanno più abbondanti. Più di rado hopica:s sì mostra e formemente pulverulento cenerognolo. Foglie giovani brune, parcamente setulose sui nervi e colle ascelle di questi barbate, a peli bianchi. - Picciuolo discretamente robusto, o sottile, rossiccio bruno, parzial: mente coperto, come il fusto, di placche suberose e di lenticelle, sol- cato, subglabro Es. 3066), o con qualche setula conformata come quelle caulinari. Lunghezza del picciuolo variabile da 2 a 3,5 em. — Lembo membranaceo subcoriaceo, cartaceo (Es. 1453) bruno 0 verde bruniccio, 0 verdiccio rossiccio (Es. 1453) alla pagina superior iccio chiaro, o giallo all’inferiore, molto diseguale, per lunghezza « ezza, nei vari esemplari (lungh. 7-14 cm. largh. 3,5-5 cm.), lar ato stretto (Es. 580), obovato od anco leggermente ovato (Es. 3061 metrico, Apice di varia forma, subacuto acuto, o terminato più o meno lunga e tozza. Base cuneiforme acuta (Es. ikgece incita ottusa. ne, serrulato: serrato. all’ STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. volte fortemente serrato e persino duplicato serrato (Es. 3066), con | serrature variamente distanziate, terminate da un mucrone diritto a. sua volta sormontato da seta curva minuta decidua. Pagina superiore liscia, talora anzi quasi lucente, ma spesso anche | sparsa di granulazioni; l’anferiore liscia, non granulosa. Entrambe le | pagine quasi del tutto glabre, fatta eccezione tuttavia per la costa e talora i nervi principali che portano delle setule (ma in numero scar sissimo) appena visibili ad occhio. Le ascelle dei nervi secondari alla pagina inferiore sono glabre, oppure portano dei rudimentali fascicoli di peli bianchicci (Es. 580, 3066 e 1455). Nervi poco distinguibili sopra, poco sporgenti e fini, compresa la costa, alla pagina inferiore, in numero abbastanza fisso (/10-12-7, Es. 14-53) distanziati, obliqui, un po curvi, subdicotomi. Costola spesso disseminata di placche suberose. Nervi di 3° ordine poco distinti piani e formanti un reticolo con quello di 4° ordine, da cui sono poco di- stinti. Essi presentano inoltre delle minute infossature lungo il loro | percorso. Infiorescenza più breve della foglia, ma di dimensioni variabili (lungh. 3-7 cm. largh. 3 cm.) pauciflora (4-12 fiori) a pannocchia, talora però anche fascicolata, a rami non molto avvicinati fra loro, brevi cm. 0 meno), patenti od obliqui. Peduncolo sottile o robusto lungo 1-4 cm. rossiccio, striato, glabro o subglabro, e in questo ultimo caso. portante spesso dei rari pulvinuli fatti quasi sempre di peli stellati basi di sete caduche). Rami al solito falsamente di-tricotomi, più mar- catamente disseminati degli stessi pulvinuli, nei quali però si nota al centro una minuta setula o un mucrone. I pulvinuli spiccano pel color bianchiccio sul fondo rossiccio. Brattee lineari, tozze, lunghe 4-7 mm. rossiccie, acute, parcamenti iverulente superiormente, cigliate ul margine e con qualche fel o minuto sulla faccia inferiore, oppure subglabre. Pedicelli discreti, spesso bratteolati sotto il calice. Fiori discrettamente grandi (18 mm. circa). Calice a 5 sepa pone iene. i 6 mm. Se Si mm. ovali acuti de ottusi, PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO "OC 06 | discreto (Es. 3066), brevi, con filamento tozzo bruno, peloso alla base e portante dalle antere lunghe, poricide all’ apice, bifide. Orario man- ta cante (Es. 3066), o sormontato da 5 stili obsoleti, 0 viceversa più lunghi del calice, robusti e provvisti di stimma bilobo. II) Saurawia pauciserrata Hemsl. forma crenata Buse. Esemplari studiati. Es. N. 3347 della Collezione S. Bernoulli e Cario statì raccolti (in dumetis) nel Guatemala (Gennaio 1866). gna agli Erbari di Berlino e di Kew (sub. nom. vulg. Sapote). Es. N. 266 o 285 del Becnonilli, stati raccolti nella stessa località e appartenenti agli stessi erbari (sub. nom. vulg. Sapote). 54 Albero (?) a fusto rugoso assai, glabro, olivaceo o gialliccio, sparso di cicatrici fogliari ovuli rilevate dal lato inferiore, giallo brnne. Apice del fusto coperto parcamente da sete fulve brevi, appiattite alla base e circondate da un collare di minutissimi peli bianchi. | —Picciuolo lungo 1-2 cm. gracile, bruno, solcato, subglabro. Lenibo lungo 7-18 cm. largo 3 '/,-6 cm. terminato bruscamente ‘în punta acuta lunga, o breve, od anco ottusa (raro !), sottile oborato, «con base acuta o gradatamente attenuata decorrente, col margine in- tegro alla base, per lo più grossolanamente crenulato dal mezzo in su, a crenature poco rilevate, fra le quali si interpone una seta curva, 0 diritta. Pagina superiore verdiccio-bruna liscia, l’ inferiore più chini ervi sottilissimi (10-12) poco manifesti sopra e poco sporgenti sotto, distanti gli uni dagli altri, obliqui, diritti o un po curvi, subdicotomi periferia. Nervi di 3° ordine ancor meno manifesti, sottilissimi, a decorso ondulato. Foglie raccolte all'apice dei rami, del tutto glabre o con rarissime setule sulla costa. Infiorescenza (in cattivo stato di conservazione e senza le bra ali) lunga 8 cm., più breve perciò della foglia, poco ramosa, pauciflora 12 fiori). Peduncolo subglabro, lungo e sottile: rami brevi (1 cm. 0 ) pre Beaiteole assai dategle. (i mm.) sagre circa | | assai sviluppate. Pedicelli brevi. Fiori llacneti Aa, mm. » Dpegirabita Calice a sepali subeguali fra loro, grandi (lungh. 4-5 mm.), ciglicti al margine. Corolla più grande del calice, a petali obovati oblonghi. Stami circa 30. e più ad antere lunghe, bifide, poricide all'apice, gialliccie. Filamento tozzo, bruno, barbato alla base con peli bianchi. OQvario rudimentale senza centi. Caratteri differenziali e di affinità. 1 fatti esposti dimostrano che la £. pauciserrata è una specie polimorfa. Noi abbiamo cercato di separare le varie forme sotto cui si presenta soffermandoci specialmente sulle | caratteristiche differenziali del margine, delle ascelle dei nervi secondari; dobbiamo però confessare che in alcuni casi anche le distinzioni adottate diventano incerte, potendo scomparire quasi del tutto la barbatura alle ascelle e quindi la forma Kegeliana trapassare a quella tipica, oppure associarsi le serrature alle crenature, di guisa che si ha anche il trapasso | dalla forma crenata a quella Kegeliana, o alla tipica. Tra le varie forme testè segnalate si notano anche differenze no - .tevoli rispetto alla lunghezza degli stili ed alla forma delle brattee. Noi * e Per quanto riguarda le affinità della nostra specie colla S. pedun- culata Hook, sulla quale ha insistito lo Sehlechtendal devesi innanzi tutto ‘ar rilevare che i caratteri sui quali.l’Autore fonda le differenze non sono costanti. Basta notare che lo Schlechtendal assegna alla S. Ke- Liana un lembo lungo 10 pollici, largo 3!/, pollici, portato. da lo lungo 2 pollici: inoltre da al lembo una base spesso ottu * apice brevemente ncuto, un margine crenato dentato, a denti in vi con apice flesso deciduo; assegna infine alla specie molti nerv irca), molti stami, accennando inoltre agli stili brevi. Noi abbia ce visto che siffatti caratteri sono tutt'altro che fissi e quindi s si mò far a vertono Però la serio: e ness 0 Slinetta | i (non sempre barbati) spesso più ein per il pieciuolo più breve (non sempre. però), % ‘ il fusto meno setoso all’ apice, per l’ infiorescenza meno sviluppata, eno ricca di fiori e meno pulverulento-setulosa. IÎ colore poi dei dunculata. La patria infine delle due specie è diversa. D'altra parte le due specie concordano fra loro pel picciuolo ros- siccio, cosparso di rare sete dilatate alla basé, per il lembo a base spesso obliqua, subglabro, nitido, per i nervi arcuati, per la pannocchia un po pelosa, per le brattee piacole setulose, pei ig cigliati e infine per. gli stili obsoleti. siUubiO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE EU. Caratteri differenziali Caratteri comuni S. Pseudopringlei Buse.|S. pauciserrata Hemsl. Corteccia rugulosa. | Corteccia molto ru-| Corteccia gialliecia. Ci-| Apice del fusto co |gosa. catrici fogliari piccole, ri-| rto da cuscinetti pul| Apice del fusto con qualche rara seta fulva, araz alla base, mi "de brumecio, punteggiata lungo i nervi alla pagina “Foglie giovani colle inferiore. n ascelle dei nervi im-| Apice del lembo acuto,| | con le ascelle di questi|berbi, subglabre lungo base SR margine ser- barbate. i nervi, o con poche” Piceiuolo talora lun fo pulverulento setu- oso sc | Lembo adulto lungo |da 10-30 em. largo da di |3,5 a 10 cm. taloraje iscio. grandi. Calici glabri isubcoriaceo, scabro ol Entrambe le pagine tro e fuori, cigliati al liscio. glabre, o con rarissime|Margine Pagina superiore consete sui nervi maggiori. Corolla più grande dell Ascelle dei nervi non|©alice. barbate. Stami circa 25. ervi 8-10: quelli Ovario senza stili. n 3 ordine formanti ilu no reticolo con i prat di 4°. Infiorescenza ridotta ile pauciflora. Rami coperti da peli ifstellati e pere Guatemala Quasi p aa gli stessi caratteri differisce dalla Prendopringlei per i bordi crenati. La var. Kegeliana presenta pure delle differenze che vennero poste in evidenza nel capitolo relativo alla S. pseudopringlei. Non insistiamo sulle differenze nei riguardi colla var. /luviatilis della Pseudopringlei essendo le stesse corrispondenti a quelle offerte da questa. Le differenze della S. pauciserrata rispetto alla S. barbigera furono discusse allorchè si trattò di quest'ultima; qui osserveremo solo che nella ar. Kegeliana per l’esistenza delle barbature alle ascelle dei nervi se- | condari le differenze si attenuano alquanto: sta sempre il fatto che la egeliana abita un’altra regione, ha foglie più grandi, più levigate, più | grossolanamente serrate, con apice più tozzo e più allungato e colla base pesso ottusa. Inoltre il fusto, il picciuolo, l’infiorescenza tendono nella Kegeliana di più alla glabredine: poi le poche sete ivi presenti hanno l’ aspetto di cuscinetti, o di peli stellati sormontati da una seta muero- forme. I fiori sono anche un po più grandi, per quanto ugualmente nformati. Le analogie si rivelano alla forma delle foglie, al margine rrato dentato, con serrature setose, alle ascelle barbate più o meno, ai nervi secondari distanziati fra loro, poco sporgenti e poco numerosi, al reticolo dei nervi di 3° ordine, alle punteggiature in incavo presenti lungo i nervi minori, all’infiorescenza più breve della foglia e pauciflora, alle brattee lineari, ai rami dell’infiorescenza brevi, ai fiori dal calice gliato al margine del resto glabro, dagli stami poco numerosi e dall’o- vario a stili di varia forma (per quanto nella forma longistile della 8. egsliana gli stili siano più sviluppati, più tozzi e più distintamente bilobi, 16 STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Caratteri differenziali Caratteri comuni S. intermedia Busec. |S. pauciserrata Hemsl. Corteccia rugosa al Corteccia molto ru | Corteccia giallicia. Ci- cicatrici fogliari piane.|gosa, a cicatrici fo |catrici fogliari non molto]. Apice del fusto spar |gliari prominenti. grandi, semilunari. so di cuscinetti for | Apice del fusto con] Picciuolo sparso di plae-| mati da sete pulveru-\qualche rarissima seta/che suberose, subglabro. { I l È | lente alla base. dilatata alla base. embo obovato, acuto Foglie giovani bar { Foglie giovani conagli estrem bate alle per deilrare sete, non barbate agina n, ed in- nervi, setulos alle ascelle dei nervi feriore sat o con qual] | Sa esitolo fido 3-6|secondari. che mueron È Picciuolo lungo 2-3] Nervi di 3 ordine in Ret lungo 10-21|cm. reticolo. i; em. largo 5-9 cm. Lembo 10-14 em.| Infiorescenza pauciflora, Ba serrulato. {lungo 2-5 em. largo. |breve. Ascelle dei nervi se-| Margine serrato (per| Peduncolo a rami brevi: condari barbate. lo più). questi pulverulenti, mu: ervi secondari Ascelle dei nervi se-;cronati 0 0-12. condari glabre. Fiori grandi, a_ calice) | Pedicelli brevi. Nervi secondari cigliato al margine do Brattee fogliacee|8-10. ela più grandi dell | (sempre ?) Pedicelli lunghi. ca ; Calice cosparso al-| Brattee lineari. Fiati 25. ‘l'esterno di minuti mu-| Calice glabro all’e- Guatemala | efoni barbati alla base|sterno ed all’interno. o) con peli bianchi. Fac-| Stimmi capitati. J a interna un po pu si pilota all'orlo. 4 Stili obsoleti. i La var. granulosa dalla S. intermedia (pure del Guatemala !) dif- ferisce a sua volta per il fusto rossiccio, pel picciuolo setuloso (breve però !), per la pagina inferiore d’aspetto granulare, per i nervi secondari numerosi (14:15), per quelli di 3° ordine formanti un reticolo lasso, pei rami dell’infiorescenza setulosi, pel calice rossiccio bruno, setuloso sulle. parti scoperte nel boccio e per gli altri caratteri ricordati a proposito di della forma tipica. I sopra ricordati caratteri, ma più TERRA, i calici setulos -4 sità conan. astiene ae PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO iù pulverulenti all’esterno valgono a distinguere le due forme della S. in- termedia, sia dalla var. Crenata, sia della var. Kegeliana della Pau- ciserrata; va però notato che in taluni esemplari della var. Crenata si ha qualche minuto accenno di peluria sul calice, in corrispondenza al punto di inserzione al pedicello. La S. Maxoni differisce pei seguenti caratteri. L’apice del fusto è glaberrimo e rugoso; il picciuolo robusto; il lembo più grande, molto coriaceo, denticolato crenulato, glabro; i nervi di 3° ordine formano un lasso retizolo, mentre quelli secondari non sono barbati; l’ infiorescenza è subeguale alla foglia o un po più breve, con lunghi rami e pressochè glabra; i calici un po pulverulenti all’esterno; gli stami 30 e più. Le affinità tra le due specie vanno cercate nel fusto rugoso gialliceio, nel picciuolo non molto lungo, bruno, nel lembo obovato, acuto agli estremi, nei nervi secondari poco numerosi e fini, nei pedicelli lunghi, nei sepali glabri sulla faccia esterna, cigliati al margine. Caratteri differenziali Caratteri comuni . pauciserrata Hemsl. S. leneocarpa Scehlecht. piera le 2 forme) + Picciuolo sottile, qua-| Picciuolo robusto dis-| Apice del caule con si sempre senza plac- seminato di placche/rare sete pulverulenti. che suberose. ‘sugherose. Pieciuolo subglabro o Lembo un Li ip Lembo sottile, un po|con qualche rara seta. sito, per lo p o-|ispessito, lanceolato o-| Nervi barbati o glabri vato rianifestamente, vele ch ovato, verdiccio,|all’ascelle della pagina in- puriccio, sopra gia "| argine grossolana-!feriore, Pagni, curvi liccio sotto. imente serrato o cre-[anastomotici. . Sizice minutamen- nulato. a e mucroni sullel. te serrulato serrato. Nervi secondari 8-|nervature molto scarsi. * Nervi circa 15. 10-12. Nervi di 3° ordine in Rami dell’ infiore-| Peli stellati sulle|reticolo con quelli di 4°. [scenza pulverulenti (ta- ramificazioni dell’infio- Brattee lineari brevi. lora qualche pelo stel- rescenza. Calice cigliato al mar- lato). Fiori piuttosto svi-|gine, del resto glabro. Fiori discreti. luppati. Stami pochi (25). Messico Guatemala i vario a stili spesso obsoleti. Caratteri differenziali S. Yasicae Loesen. |S. pauciserrata Hemal. Caratteri comuni | Corteccia striata. barbare alle ascelle dei [no o superiormente, gial- |liccio sotto e coriaceo. | Margine intero o mu |eronulato denticolato. | Lembo glabro, o con iqualche cuscinetto pul- |verulento sui nervi suli ori maggiori. | Pannocchia breve ab ne cospar netti: Rami inghi. Fiori piccoli. Calice con 4-5 1erv sc Picciuolo lungo 2-3 st. . Rica, Nicaragua! Corteccia molto ru g0sa Apice del fusto co- per lo più verdiccio, più o meno carico, non coriaceo. Margine grossolana mente serrato o cere n mbo g iù» o con guaio seta dilatata alla base. Pannocchia discreta a peduncolo glabro, con qualche seta. Rami con peli stellati brevi. iori discreti. Calice a 5 sepali. Corteccia gialliccia ce- nerognola. Picciuolo sparso dij | placche bisi to Lembo a base acuta el con pra a punta. 3 Pagina inferiore con) Linn minute ad| neavo Nervi a 3° quelli dil 4° ordin manti fino doi con quelli! ia, Pedicelli discreti. Brattee fogliacee (sem. pre © 5g Stami poco numerosi.| Ovario a stili obsoleti bROofk: LUIGI reo E GIUSEPPE MUSCATELLO Caratteri differenziali S. Smithiana Busec. S. pauciserrata Hemsl. Caratteri comuni rto di pulvinuli g gial ) ferruginei e arga. |appressate e miste x F verulenza. Seo, relativamen- pe isa multi- grande, a rami| unghi, come anche il alice a 4 sepali. Corolla a 4 petali. La S. laevigata, a prescindere che appartiene alle regioni delle: Apice del caule co- 1 sete Foglie giovani fer-|g ruginee per brevi sete Picciuolo lungo 35 .|alla base Apice del caule co rara seta pulverulenta. Picciuolo lungo 2-3 subglabro, con dtt sugherose. Lembo liscio acuto Pagina inferiore con qualche seta barbata alla base Lembo di mediocri] dimensioni. Infiorescenza pauci- flora e piccola, a rami brevi, come anche il edune olo. Brattee lineari o fo- gliacee. Calice a 5 sepali. Corolla a 5 petali. Ovario a 5 stili. Una i; da, terminato in punta, c li di 4°. Lembo bruno verdic - cio, cartaceo, ovale lan- ceolato, acuminato alla serrulato enulato con serrature setose; sete ca che. Pagina superiore gla- bra, l’inferiore subglabra. Nervi 10-12 curvi fini, retin] ervi di 3° ordine sparsi di minuti alveoli, formanti reticolo con quel- Rami dell’ infiorescenza | pulverulen Calice cigliato al mar- gine, glabro sulle faccie. ni 20 i - . | \va Granata, differisce pressochè per gli stessi caratteri che valgono renziare la S. Yasicae. Troviamo infatti un fusto sparso di pul- cun picciuolo lungo, disseminato di cuscinetti, un lembo subeoria- vi rosso bruno con molti nervi non barbati alle ascelle; 1’ in- enza gl le lentinole ‘sono net i ich spesso qnberagili ne STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECÙ, remo il picciuolo sparso di lenticelle, il lembo pressochè glabro, i nervi di 3° ordine fusi con quelli di 4' in reticolo, il margine crenato serrato, l’infiorescenza :pauciflora (non sempre), 1 fiori con pochi stami, a calice ‘cigliato. i La nostra specie differisce dalle S. aequatoriensis Sprague (ell'E- | a quador !) per l’apice del fusto un po meno setoso, per le foglie giovani subglabre alla pagina inferiore e prive poi di peli stellati, pel piecinolo pressochè glabro, pel color verdiccio della pagina superiore, pel mar | gine non revoluto e fortemente serrato, pel minor numero di nervi, per . la pagina inferiore molto meno setosa sui nervi e priva di peli stel lati, per la pannocchia più breve, più pulverulenta e dotata di brattee | meno lunghe, pei fiori non setulosi sulle parti del calice scoperte nel _ boccio. Nella forma glabrata della S. aequatoriensis vengono meno, come carattere differenziale, la setulosità e la pulverulenza, unite a tubercoli, del calice; poi anche tutte le altre parti della pianta sono meno setulose | tubercolate, ma persistono sempre, quali caratterische differenziali, i lembi più grandi, a margini un po revoluti, meno grossolanamente serrati, più. ricchi di nervi non barbati alle ascelle, e il picciuolo lungo. La patria. poi è sempre differente trovandosi anche detta forma accantonata all’E- quador. Per quanto concerne il gruppo della S. Pusby basta considerare | che lo stesso è proprio della Bolivia ed ha calici pulverulenti tuberco- | lati per non cadere in error: diagnostico cui potrebbe indurci il lembo non molto rivestito di sete, ma però notevolmente più erano di ii della S. pauciserrata. Nella S. Zahlbruckneri del Guatemala troviamo un fuste sparso di “DA cicatrici fogliari, con apice pulverulento terrugineo, un lembo ttuso alla base, coriaceo, integro o subintegro al margine, con molti nervi secondari e coi nervi di 3° ordine ben distinti da quelli di 4°. a pagina inferiore è del tutto glabra (salva le ascelle dei nervi se- ndarî e terziari che sono barbate!), l’infiorescenza multiflora, i ca sono tubercolati pulverulenti. Colla S. Briqueti ben poche sono le affinità: innanzi tutto q è propria di regioni affatto differenti (Perù) poi ha un î di Y PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPTE MUSCATELLO pia | \ molto più piccolo, non barbato alle ascelle dei nervi, con margine mi- nutamente serrulato, infine presenta i fiori piccoli, con pochi stami. I caratteri di affinità vanno ricercati nel fusto e picciuolo subglabri, nel lembo pressochè glabro sopra e sotto, nei nervi secondari scarsi, nell’ infiorescenza breve, o pulverulenta all’ apice, nelle brattee minute. Si tratta però evidentemente di aftinità solo apparenti, non potendosi ammettere che la specie che stiamo studiando compaia nel Guatemala e nel Perù senza far mostra di se altrove. La S. parviflora Tr. e PI., al pari della S. pauciserrata, ha un fusto e un picciuolo poco o punto pulverulenti setosi, un lembo acuto agli estremi e pressochè glabro sulle due faccie, l’ infiorescenza pulve- rulenta sui rami; in pari tempo essa mostra pure notevoli differenze essendo costituita da un lembo grande, subcoriaceo, denticolato reti- colato alla pagina superiore che è bruniccia e più rieca di mucroni minutissimi della S. pauciserrata. I nervi secondari sono in essa più avvicinati e più numerosi, l’ infiorescenza ha delle brattee minutissime e porta infine dei fiori pure piccolissimi. La patria è differente. Il rivestimento di pulvinuli all’ apice del fusto è più abbondante nella S. floccifera, la quale poi si distingue dalla nostra pei fascicoli pulverulenti bianchicei del picciuolo e del lembo, per le molte nerva. ture fra loro appressate, per la lamina assai sviluppata, per l’infiore- scenza sviluppata e disseminata di pulvinuli, per il calice pulverulento dentro e fuori. Dal complesso delle nostre osservazioni emerge che due autori, lo Sehlechtendal e 1’ Hemsley hanno descritto sotto nomi diversi una specie collettiva i cui due elementi S. Kegeliana Schlecht. e S. pauciserrata Hemsl. poco differiscono fra loro e forse neppur sempre. La specie del. l Hemsley sarebbe, secondo l’autore, contrassegnato da tre caratteristiche essenziali: mancanza di peli all’ ascella delle nervature, brattee fogliacee alla base dell’ infiorescenza, ovario glabro. Non ci soffermiamo su que- st’ ultimo carattere essendo comune a troppe specie perchè meriti di fissare la nostra attenzione. Per quanto riguarda le brattee fogliacee oramai è stato altrove assodato che si tratta di una caratteristica troppo fluttuante perchè abbia un valore specifico e noi infatti troviamo ad i SE : Let o ASSI STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC, ogni momento questo tipo di brattee nelle forme affini alla nostra. Ad ogni. modo, stando alla-terminologia da noi adottata, la S. PANCIA È: dell’ Hemsley va denominata: ; Saurauia pauciserrata Hemsl. forma Veranii Buse. Ammessa però questa innovazione di nomenclatura quale mai sa- rebbe la forma genuina ? A primo aspetto si potrebbe ammettere che diventi tale la S. Kegeliana, la quale non ba le brattee fogliacee, ma poichè questa differisce dalla Pauciserrata dell’ Hemsl. per le ascelle barbate, noi l'abbiamo tenuta distinta da questa. La forma tipica della. Pauciserrata resta ancora a scoprirsi, ma noi riteniamo che una e- splorazione anche non molta accurata della regione dove cresce la forma dell’ Hemsley non tarderà a farla conoscere. Quanto si è detto per le brattee fogliacee può valere, si può dire, per il carattere delle ascelle dei nervi secondari; la barbatura delle ascelle è | una accidentalità, la quale, contrariamente alla veduta dello Schlechten- dal, va soggetta a notevoli oscillazioni in quelle stesse forme nelle quali è più manifesta e più fissa. Forti di questo criterio, non si è potuto far “a meno di unire la specie dello Sehlechtendal con quella di Hemsley, tenendole tuttavia separate come due forme di secondaria importanza, persuasi che un’ attento esame sul sito e sulle piante vive ci porterà . alla conoscenza di individui dell’ una o dell’ altra, i quali accanto a | foglie barbate presentano delle foglie imberbi alle ascelle, o viceversa. | Allora sarà il caso di fondare definitivamente la Kegeliana colla Pau- | ciserrata e fare della prima la forma generica, conservando alla se E conda il titolo di forma Veranii Busc. Con queste nostre osservazioni crediamo che il problema quanto mai controverso della S. Kegeliana e della S. pauciserrata e quanto mai complesso, perchè imperniato su caratteri accidentali, riesca del fa Restano ora a studiare le affinità della S. pauciserrata. Non vi na ° dubbio, a nostro parere, che SE vene è strettamente imparentata co I %; “og ge Ss. tarbigera è e cola Ss. enncapa, per. cui lan nos PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO non sarebbe che una forma vicariante propria di un territorio prossimo a quello in cui vivono la Barbigera e la Leucocarpa. A conferma del nostro asserto basta notare che gli autori che ci precedettero hanno fatto una deplorevole confusione tra la Burbigera e la Zeucocarpa da un lato, la Kegeliana e la Pauciserrata dall'altro. Si è altrove posto in chiaro le differenze che presenta il tipo Pauciser- rata nei riguardi della Barbigera e della Leucocarpa, facendo rilevare come le stesse, più che dovute a pochi caratteri marcati, siano invece da reperirsi in molte caratteristiche secondarie di poco momento, ma che associate danno corpo a una fisonomia differente. E fra siffatte carat- teristiche, più che le barbature delle ascelle dei nervi troppo comune nella specie del centro America e del Messico, meritano di esser ricor- date le seguenti: forma del lembo, forte serratura dei margini, numero e decorso dei nervi e loro reciproci rapporti, forma dell’ infiorescenza molto depauperata, grandezza dei fiori e glabredine del calice. Se però da un lato le affinità colla S. barbigera e colla S. Zeuco- ‘carpa sono indiscutibili, dall’ altro non meno intime sono quelle colla S. intermedia che differisce dalla nostra per i pochi caratteri altrove accennati, fra cui occorre menzionare i calici un po pulverulenti. Intanto ci piace rilevare come nelle regioni Messico-Centro ame - icane si vada delineando tutto un complesso di forme a fisonomia pressochè identica, ciò che ci può dar preziosi ragguagli sulle condizioni el mezzo in cui le forme vivono, ma più di tutto sui loro rapporti di arentela. I Ed ora un’ ultima parola sulla denominazione. Il nome di S. Ke- eliana e più vecchio di quello proposto dall’Hemsley (S. panche ni reiò avrebbe meritato la preferenza. "01° siamo tuttavia attenuti al secondo pel fatto che da siolsi la de- minazione di S. Kkegeliana essendo stata adottata come sinonimo di tipi, poteva esser fonte di oscurità e di incertezze qualora l’avessimo ata per denominare la specie dell’ Hemsley. E stato pertanto in- tta unicamente per la designazione della forma a foglie prive di STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Esemplari studiati. Es. del Museo di Kew, proveniente. dal sot di Pinula (?) nel Guatemala dove venne raccolto da\S. Kinner. S{ foam Ramuli lutei glabri sulcati, apice pulverulenti. Dada longus, subtilis fuscus subglabrus vel parce mucronatus, mucronibus pulveru - lentis. Lamina obovata acuta aut acuminata, margine denticulato ser- | rulato, dentibus mucronato-setosis. Lamina superne mucronibus raris secus costam et nerva maiora ornata: parenchimate vero parcius mu- eronulato aut glabro. Pagina interior glabra; axillae nervorum pilis stellatis barbatae. Nervi secundari 12-13 inter se distanti subdicotomi. Nervi minores in reticulo desinentes. Inflorescentia foliis brevior, pau- ciflora secus ramuli pulverulento-mucronulata. Braeteae lineares breves | pulverulento -setulosae. Flores mediocri breviter pedicellati. Calyce extra et intus, secus marginem, pulverulento, margine cigliato, caeterum glabro. Petala calycem superantia. Stamina 25. Ovario stylis capitalis aucto. Caule gialliecio glabro ruguloso, sparso di cicatrici fogliari pic- cole o discrete piane, brunastre, semi/unari, solcate longitudinalmente ; nel centro. Apice del fusto bruniccio pulverulento, o per lo meno sparso di cuscinetti formati da brevissime setule larghe assai e bar- bate alla base, ferruginee, lunghe appena 0,3-0,) mm. d — Foglie giovani rossiccie, abbondantemente cosparse sui nervi di tali setule, colle ascelle dei nervi distintamente barbate: qua e là i . qualche pelo stellato bianco (rarissimo !) + Picciuolo delle foglie adulte lungo 3-6 cm. sottile, bruno, glabro 0 subglabro per rari mucroni pulverulenti alla base che spiccano pel color rame sul fondo brunastro, coperto inoltre da placche suberose. | —’1Lembo di dimensioni piuttosto variabili (Zungh. 10-21 cm. Zargh. 5-9 cm.) membranaceo 0 cartaceo, liscio in specie alla pagina infe- riore, rosso bruna sopra, verdiccio sotto, obovato cuneiforme alla base. Apice terminato in punta breve o semplicemente acuto: base acutissima: margine integro fino al mezzo, variamente denticolato ser rulato (talora oscuramente crenulato) dal mezzo all'apice e con den: ticoli sormontati da mucrone setuloso curvo. i Faccia superiore talora quasi del tutto glabra, 0 portante rarissimo mucrone, barbato alla base e distintamente visibile , lente, lungo le nervature la costa e qua e là sul p » PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Tali mucroni spiccano pel color bianchiccio sul fondo cupo della su- -$8 perficie fogliare. Pagina inferiore subglabra, ad eccezione delle ascelle dei nervi «secondari che sono barbate, ma in modo alquanto diffuso, per mezzo di ud peli giallicci chiari stellati (?). Qua e là si notano inoltre dei mueroni sulle nervature. Nervature secondarie 12-13 per lato patenti, distanziate l’ una dal- l’altra, più o meno oblique e fine, un po curve, colle estremità di rado dicotomiche. Nervi di 8° ordine finissimi, numerosi, a decorso vario, anastomotici con quelli di 4° ordine per formare un reticolo bruno rossiccio. Infiorescenza più breve della foglia, pauciflora (6-8 fiori) a co- rimbo 0 a piramide, lunga 8-9-11 cm. larga 3-6 cm. Peduncolo sottile lungo da 4-7 cm. striato brumiccio, pulverulento mucronato setuloso all'apice (setule pelosette alla base). Rami brevi (1 cm.) furfuracei cenerognoli per mucroni ornati. di una corona di peluzzi basali stellati (vis'bili solo alla lente) e per minuta pulverulenza. Pedicelli lunghi 1 cm. 0 meno, fini, pure pulverulenti. ; 2 Brattee lineari lunghe 4-5 mm. larghe 2 mm. acute, pulverulente i setulose da ambo i lati. Fiori piuttosto grandi (2 cm.), a calice di cinque sepali ottusi od acuti, lunghi 5-6 mm., larghi 3-4 mm., cosparsi abbondantemente di minutissimi mucroni barbati alla base per peli bianchi (mucroni visibili solo alla lente!) i quali danno un aspetto farinoso alla parte e spic- cano sul fondo rossiccio bruno della stessa. Due sepali sono però mu- eronulati pulverulenti sulla parte media della faccia esterna, uno solo da un lato e due altri su tutta quanta la faccia. Il resto della super-. ficie esterna è glabro, il margine cigliato, la faccia interna un po pulverulenta all’ apice glabra sul resto. Petali profondamente di- visi, ?/,*/, più grandi del calice subquadrangolari, ovato-ottusi, talora. anche smarginati più o meno profondamente. Stami circa 25 ad antere lunghe, bifide, un po PARRA: ie, poricide all’ apice; filamento breve barbato alla base. con pei i. Ovario glabro con 5 stili capitali: c Pi 5 É thy * - pe . STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. a) Sauravia intermedia Buse. var. granulosa Buse. Esemplare studiato. Es. dell’ Erb. Kew, stato raccolto nel Sud America (senza indicazioni ‘di località) da M. Pearce (?). Nel cartellino annesso all’ esemplare è probabilmente anche indicata la patria, ma lo scritto è indecifrabile. Va notato però che l’ esemplare fu determinato, a lapis! col nome di S&S. È A Me fi wa aff. laevigata e ciò malgrado che non presenti i caratteri di questa specie. Fusto rossiccio bruno glabro tinamente striato, a cicatrici fogliari ovali nericcie al centro. Apice del fusto bruniccio spesso più o meno abbondantemente cosparso di sete gialliecie dilatate alla base fine al- l’ estremità, lunghe circa '/,-1 mm. commiste a qualche cuscinetto pul- verulento. Foglie giovani fulve per intenso rivestimento di sete. Picciuolo breve (1,5-2 em.) robusto, rossiccio, sudglabro 0 setuloso come il caule. Lembo sottile, verdiccio chiaro, lungo 17-18 cm. targo 6-7 em. obovato, acuto all’ apice o anche terminato bruscamente in brevissima punta, a base gradatamente assottigliata, acutissima o all’ opposto un po tonda e disegnale, a margine finamente serrulato mucronato. Pagina superiore verdiccia bruna, l’ inferiore scabra e d’ aspetto finamente granuloso per minuti rialzi presenti sul parenchima, quando venga esaminata attentamente ad occhio nudo, od alla lente. La pagina superiore è scabra per esser vestita sulla costa, non abbondante- mente però, da sete minute miste a pulvinuli, mentre mostrasi sui nervi maggiori e minori coperta parcamente da mucroni setuliformi. Nervi secondari fini e così pure la costa di color rossiccio bruno od anco grigiastro. I primi ammontano a 14-15 e sono molto obliqui, poco curvi, talora subdicotomi, barbati alle ascelle, ma scarsamente. — Nervi di 3° ordine distinti da quelli di 4° ordine, fini, a decorso ir regolare, formanti un reticolo lasso in mezzo al parenchima. Nervi di 4° ordine poco 0 punto distinti ad occhio e formanti un fino reticol Infiorescenza piramidale, multiflora, mo'to più breve della fovta lunga circa 12 em., di cui $ pel peduncolo. Questo, al pari della » manente porzione dell’ infiorescenza, rossiccio bruno, non molto + busto, cosparso di poche e minute sete dilatate alla base, lunghe 0, PROFF, LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO 0,5) mm. Rami brevi, più debolmente setulosi, tripartiti o bipartiti. Brattee lineari setuloso ferruginee, minute (lungh. 4 mm. largh. 1 mm). Fiori di modeste dimensioni, quasi piccoli (12 mm. di diametro !) brevemente o discretamente pedicellati. Calice a 5 divisioni un po diseguali rossiccio brune (tipo della S. glabrata Choisy), colle parti scoperte nel boccio parcamente setulose (setule visibili solo alla lente) e col margine pulverulento cigliato. Corolla di poco più grande del calice, a petali spesso smarginati. Stami brevi, circa 20-25 ad antere bifide, poco divergenti, lunghe, dianchiccie, poricide all’ apice. Filamenti . staminali barbati alla base. Qvario ridotto. Caratteri differenziali e di affinità. La varietà granulosa differisce dalla forma genuina pel caule rossiccio bruno e liscio, per le cicatrici non semilunari nè solcate al centro, per l’ apice del fusto sparso di sete, anzichè di cuscinetti pulverulenti, per le foglie molto più brevemente picciuolate e pei picciuoli robusti setulosi, per il lembo granuloso alla pagina infer.ore e più densamente rivestito di sete, pel maggior nu- mero di nervature secondarie e più frequentemente dicotome, pei rami _ di 3 ordine ben distinti da quelli di 4°, per l’ infiorescenza multiflora e più distintamente setulosa, pei fiori più piccoli i cui sepali poi por- | tano delle minute sete anzichè dei mueroni barbati, per i petali più brevi e infine per l’ ovario a stili ridotti. Grande è l’affinità colla S. pseudopauciflora della Bolivia, ma questa differisce pei seguenti caratteri: il lembo è molto più dilatato anterior mente, la faccia superiore di esso è più decisamente setulosa e così pure l’inferiore, per qaanto le ascelle dei nervi non siano barbate, 1’ infio- rescenza è più grande, i fiori infine sono più piccoli, a calice glabro. Cor. rispondono invece fra loro per il rivestimento dell’ apice del fusto e del | pieciuolo, per la lunghezza di quest’ ultimo, per il numero non molto grande di nervi secondari, per il reticolo dei nervi minori, per la forma delle brattee, per il lembo nn po punteggiato. » Quasi per gli stessi caratteri differiscono le varie forme della S. Pere pure della Bolivia. I rappresentanti di questa specie collettiva si avvicinano più o meno alla nostra specie a secondo del maggior o minor sviluppo sistema setuloso, ma in tutte domina il caratterè differenziale delle e dei nervi secondari nude e della colorazione un po differente. " che nelle forme boliviane sono prevalentemente rosso bruni | STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE RRINPADE ECC. calice è pulverulento anche dentro nella Rusby, glabro invece inter namente nella varietà Glabrata ed in quella Spectabilis. Pur tenendo conto di queste differenze le rassomiglianze sono notevoli, in specie se si considera che anche in molte delle forme Rusbyane il lembo è gra nuloso alla pagina superiore. Caratteri differenziali Caratteri comuni S. leucocarpa Schlecht.| S. intermedia Buse. Picciuolo sottile Piecinolo leg. Apice del fusto coper- breve. Lembo discreto, di to da sete un ha pulve Lembo non molto|color verdiccio sotto. gerorr alla grande, di color gial-| Nervi 12-13. | cciuolo cable o sub- liccio sotto. sa poco dn 0. Nervi 15. sviluppata e ricca di Lembo serrulato ter-| Infiorescenza abba |peli stellati. minato in punta, acuto {stanza sviluppata, sen-| Calice sigle alla base. | za peli stellati. setuloso sulle parti Lembo subglabro sulle| Calice glabro. scoperte hai boccio e pa faccie e colle ascelle| Ovario con 3-5 stili. |anch po all’ in- cp nervi un po barbate.| essico i Nervi di 3° ordine inl ; parta con quelli di 4°. Guatemala | a pauciflo , con brattee minute, Lidlueraloita all’ apice. | La varietà Anisopoda della S. leucocarpa avendo i calici setosi @ le foglie granulose si avvicina dippiù alla nostra specie: rimane però sempre il carattere differenziale della patria, della colorazione diversa del lembo, la cui forma poi è anche un po differente. | È duopo inoltre considerare che nella Anisopoda i calici sono solo setulosi all’ esterno, mentre, nella forma genuina della SS. intermedia troviamo anche pulverulenta la parte periferiea della faccia interna. . Meno chiari sono le affinità colla S. pseudoleucocarpa Rose de lumbia la quale vanta un maggior numero di nervi, una pagina ia feriore più distintamente setulosa tubercolata (rispetto alla. forma. specie pel calice ai all’ esterno, Paort. LUIGI ssaa E GIUSEPPE Livin Caratteri differenziali S. pedunculata Hook S. intermedia Buse. Caratteri comuni Apice ei i ag co- rto da s ei ci _ Lembo per lo più Apice del fusto co perto da pulvinuli o sete pulverulente. di rado verdiccio. Mar- Igme spesso molto ser- |rato. | Pagina inferiore sub. bra, o con > Song mucrone, Nervi 15-22. Nervi di 3° ordine non for- |[manti reticolo con quelli di 4°. «| Infiorescenza più o meno grande ramosa, ultiflora (non sempre), losa. Messico e mucroni | pulverulen ti. m r lo più verdiecio sotto, Margi- lartiati alla b ervi secon we 14-15. Nervi di 3° or: dine formanti reticolo con quelli di 4°. Infiorescenza a iper lo più pulve lenta Guatemala Lembo spesso liscio, a base ed apice acuti, a margine denticolato ser-| Picciuolo coperto da |rulato Apeelta dei nervi bar-| ate. - Calice pulverulento tu| bercolato sulle parti sco- perte nel boccio. e STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Caratteri differenziali S. floccifera Tr. e PI. S. intermedia Buse. F |bondantemente coper to all’ apice di pulvi- nuli misti a sete bar ate. |cenerognoli sui nervi: |ascelle dei nervi se- |condari imberbe. {i Nervi 20: quelli di [3° ordine distinti da [quelli di 4°. Infiorescenza grande! e "Sali corti, usto ingrossato, ab- Foglie giovani spar- sedi pulvinuli, ma colle| ilerone: ascelle dei nervi ‘altre Caratteri comuni Fusto meno idantemente fornito al l'apice di pulvinuli e sete barbate. Ascelle dei nervi secondari cat gg sulle Pagina inferiore sub iglabra per qualche mu- 3° ordine formanti un Ireticolo con quelli di 4°. Infiorescenza ig perte nel boccio, essendo glabre. abbon-|. pa color DE sul picciuolo. ue disereto. mina cartacea sub- Tn acuta agli estremi serrulata. Mucroni barbati for-, manti dei cuscinetti alla' gina superiore del lem bo, ma non molto abbon- danti. - Lembo lungo circa 15 em., largo 6 (in media) cm. Brattee piccole. Stami 20-25. | temala Stili lunghi. Gua Nella S. Zaevigata Tr. e PI. troviamo, come nella nostra, un fusto coperto di pulvinuli, un picciuolo discretamente lungo con qualche cu- un lembo obovato acuto agli estremi, discretamente sviluppato, con 13-15 nervi secondari, con le nervature di terz’ ordine in reticolo quelli di 4° ordine, una faccia superiore glabra granulosa, l’ infio- za con qualche pulvinulo, le brattee minute, un calice pulveru- tubercolato or esterno, glabro all’interno: la stessa differisce tuttavia. embo sube cartaceo, rosso bruno gala per lo più pene TETTO iù PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLI erenulato serrato, o a bordo integro, pressochè glabro sopra e sotto e privo di barbature alle ascelle e per l’ infiorescenza molto più svi- luppata. Caratteri differenziali Caratteri cemuni S. Yasicae Loesen. | S. intermedia Busc. | Foglie giovani collej Foglie giovani colle. Fusto gialliecio coperto ascelle dei nervi noniascelle dei nervi bar- all apice da minuti cu. rbate. Cani alla pagina infe- tap vl pulverulenti e Lembo rossiccio so- gialliccio sotto,| ao rosso ja) Foglie giovani pulve- | |coriaceo, denticolato'sopra, verdiecio sotto, rulente . |mueronulato, non moltojnon coriaceo, serrulato! Picciuolo discretamente| |grande, pressochè crenulato di dimensioni lungo, glabro o subglabro labro. discrete, più ‘o meno (con qualche cuscinetto). n ervi secondari ignara di mucroni, Lembo liscio, acuto agli pulvinuli e colle a ‘estremi, obovato. | iii svilup- ratto dei no secon- Nervi di 3° ordine in pata, senza peli stellati.|dari barbat [reticolo con quelli di 4°. - Calice Nervi ri ari 15.1 Infiorescenza pulveru- Infiorescenza ridotta, lenta all’ apice. con peli stellati. iori grandi pulve- rulenti tubercolati al- esterno e. talora al- l’ interno pulverulenti.| Stili capitati. ba temala Nella S. Maxoni D. Sm. il fusto è glabro, come anche il pieciuolo t’' ultimo poi robusto; il lembo si presenta molto coriaceo, con ine ad ampie serrature, mucronato nelle inserrature; i nervi poi scarsi (8) distanziati e senza ascelle barbate; l’ RIA infine . coi i calici glabri all’ esterno. La S. Zahlbruckneri Busc. presenta delle cicatrici fogliari molto nti, un lembo ottuso alla base coriaceo o subcoriaceo, integro mente ed oscuramente serrulato, con 16-18 nervi secondari e. le nervature di 3° ordine distinte da quelle di 4°, una pagina sue glabra reticolata, l’ inferiore glabra, l’ infiorescenza ‘talora. sub- STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE RCC. eguale alla foglia, multiflora, con le brattee lineari lanceolate, spesso spo- state dalla sede normale, i fiori brevemente pedicellati e prsesta o sub-. sessili, gli stami circa 20, gli stili obsoleti. * Corrisponde invece alla S. intermedia pel fusto pulverulento (per mu- eroni barbati alla base), per le nervature secondarie barbate alle ascelle, pel lembo fornito di qualche pulvinulo e verdiccio, pei calici pulveru lenti tubercolati all’ esterno e infine per la patria. Pochi caratteri comuni ha la S. aequatoriensis la quale poi si dif- ferenzia pel picciuolo cosparso solo di sete e non molto lungo, pel lembo coriaceo a bordi per lo più revoluti e privo di peli in corri- spondenza delle ascelle dei nervi secondari, per l’ infiorescenza più sviluppata e punto pulverulenta, per gli stami piuttosto numerosi. Come caratteri similari meritano d’ esser segnalati i calici minutamente setu- losi all’ esterno, il lembo di dimensioni diserete portante pochi mueroni, ‘e pulvinuli, le nervature non molto numerose. i La S. Smithiana, al pari della nostra specie, he Di fusto sparso. all’ apice di-cuscinetti pulverulenti e di sete barbate alla base, il pie- ciuolo lungo e portante lo stesso rivestimento del fusto, il lembo liscio verdiccio sopra e sotto, acuto all'apice ed alla base, col margine ser- | rulato (anche crenato), colle due pagine cosparse di rari mucroni (non barbati alla pagina superiore !), le nervature poco numerose, la lamina. discreta per dimensioni, l’ infiorescenza pulverulenta o cosparsa di pul- — vinuli colle brattee minute, gli stami circa 25. Differisce pei fiori | piecoli, pei calici glabri, per fa maneanza di barbatura all’ ascelle dei nervi secondari, per l’ infiorescenza più grande e per altri caratteri. Inoltre non è esclusivamente del Guatemala. , Se noi ora passiamo all’ analisi comparativa della varietà granu- losa rileviamo subito the le sue affinità non collimano sempre con quelle della forma tipica. Per evitare inutili ripetizioni osserveremo s0- pulverulento e le ascelle dei nervi barbati, alla 7tusby e forme vica | rianti per quest’ ultimo carattere, alla Zeucocarpa pel calice pulveru . lento, alla floccifera per un rivestimento delle varie parti vegetativi più decisamente setuloso, anzichè fatto solo da rari pulvinuli e per La critica del Prof. G. Negri al mio lavoro sugli endemismi ed esodemismi della flora italiana, o NOTA pel Pror. L. BuscaLIONI 3 Nel 1914, in collaborazione col Prof. G. Muscatello, io pubblicavo il lavoro sopra citato (Malpighia), nel quale, fra l’altro, affermavo che al fine dell’epoca glaciale grandi e numerose conche idriche, formatesi il più delle volte per effetto dei ghiacciai, avessero potuto contribuire, Gssieme, ben inteso, ad altri fattori, ad intrattenere, in taluni settori della catena alpina, una flora xerotermica, la cui presenza in tali lo- calità veniva spiegata con altre ipotesi, indubbiamente più unilaterali della mia. Le affermazioni non avevano la pretesa di esorbitare dal campo di una pura e modesta ipotesi e come tale altrettanto attendibile di ‘5 v$ Br, d molte altre più o meno similari, tanto più che essa era suffragata dal- l'osservazione di quanto avviene anche oggi attorno ai grandi laghi lombardi e di altre località e di quanto ci insegna la geologia che ci ha segnalata la presenza di numerose conche lacustri perialpine (talune | probabilmente persino quali reliquati marini) (1). Sono lieto di poter attestare che il mio lavoretto sugli Endemismi (dico mio per ragioni di brevità, essendo, come sopra si disse, frutto di collaborazione) fu per lo più benevolmente accolto da parecchi fito - geografi. Per quanto poi concerne la questione dei laghi, che solo qui ci interessa, potrei aggiungere che essa ha avuto l’onore di favorevoli. e lusinghieri giudizi da parte di parecchi botanici, che, come ad es. il Christ, hanno certamente una grandissima competenza in materia. Non vorrei tuttavia che questa premessa potesse indurre altri a credere che io voglia trincerarmi sugli altrui apprezzamenti favorevoli. per salvaguardare quanto ho scritto, reputando per converso che i fatti che io riporterò fra poco siano per se stessi più che sufficenti a darmi — ione, o per lo meno a parlare abbastanza chiaramente a mio favore, DO, potevano LA CRITICA DEL PROF, G. NEGRI AL MIO LAVORO SUGLI ENDEMISMI ECC. Ciò posto facciamo un po di storia della questione, non essendo del tutto priva di interesse pei botanici italiani. Ognì qualvolta nelle vacanze estive, per un sentimento, proprio È fuori proposito, di sincera amicizia, mi recavo a far visita al collega Prof. O. Mattirolo direttore dell'orto Botanico della R. Università di Torino, mi sentivo ripetere da questi (non so se per due, tre, o quattro. F anni consecutivi) e con mal celata compiacenza che il mio lavoro sui pb laghi prealpini era completamente errato. Quando però io mi accingevo È a difendere l’opera mia — come del resto avrebbe fatto chiunque in- 3 vestito in tale modo — constatavo, con mia sorpresa, che il collega. Ad sfuggiva alla discussione, o solo la sfiorava, lasciando in me |’ impres- sione che egli non si fosse formata una chiara idea di quanto voleva. combattere, sebbene il mio opuscolo avesse avuto l’alto onore di figurare. per lungo tempo sul tavolo dell’ illustre botanico. Lascio giudicare ai colleghi quanto fosse corretto il modo di com- | portarsi del mio critico, poichè chiunque converrà meco che quando | uno taccia altri di ignoranza deve, per lo meno, sentire il dovere di so stenere la tesi con argomentazioni più o meno valide, altrimenti la eri- tica apparisce soltanto come una maligna insinuazione, indegna di esse presa in consìderazione. Non certamente l’ ho a male par così poco, di frente ad altre prove : di dubbia amicizia avute dal celebre botanico torinese, cui dovrò fra poco ritornare in un miv lavoro, in corso di stampa, sui fasci mesar. chi dei semi delle Dicotiledonee attuali. Ad ogni buon conto mi ero fatto la convinzione che il Prof. Mat- tirolo fosse in procinto di pubblicare un opuscolo sulla flora segusi ed io me ne stavo pago pensando che avrei avuto agio di sapere, dal contesto della pubblicazione, in che consistevano le obbiezioni di co lore oscuro. | Poco più di un anno fa invece venni a sapere che il lavoro cui doveva trovare lo spunto eritico al mio veniva elaborato dal G. Negri assistente e, credo, anche parente del Prof. Mattirolo (1) ed infa poco dopo ebbi parecchie volte occasione di discutere con lui |’ argo (1) It che non toglie che il Prof. Mattirolo abbia ad essere piso del È rente nei concorsi alle cattedre botaniche. PROF. LUIGI BUSCALIONI mento incriminato. Non occorre aggiungere che, come accade quasi sempre, a dibattito finito, ciascuno restava della propria opinione: devo ‘ però confessare che le discussioni, venivano, per parte del mio avver- sario, condotte con la massima cortesia, cordialità e correttezza, e con quella educazione che sì conviene fra persone che si stimano a vi- cenda e nessuno si erede superiore all’ altro e tanto meno un Padre Eterno della botanica. Dal tenore delle nostre, più che altro, accademiche discussioni io non mi ero potuto fare tuttavia un esatto concetto della portata delle obbiezioni del Prof. Negri, parendomi talvolta che egli volesse infir- mare la mia ipotesi solo per quanto riguarda la conca segusina, sospet- tando invece altre volte che egli avesse in animo di ritenerla errata dalle fondamenta. Nel primo caso, ed a questo soltanto eredo utile qui di soffermarmi, le obbiezioni non intaccavano per nulla l’assenza delle mie vedute, valendo solo a circoseriverne la portata, ma ciò non di meno non mì parevano legittime, come avremo ben tosto occasione di dimostrare. E qui ha fine la parte storica, cui tenne dietro un lavoro del Prof. Negri pubblicato recent:mente (1920), nelle Memorie della So - | cietà Italiana delle Scienze detta dei XL (T. 21), e portante per titolo « la vegetazione del Monte Bracco (Saluzzo) ». Orbene in una nota a pag. 98 l’autore ribadisce le sue obbiezioni e, mentre cerca di demolire le mie vedute, per quanto rigu:rda i rapporti della flora xerotermiea segusina colle condizioni lacustri pregresse, più o meno chiaramente tenta | pure di combattere l'essenza dell’ ipotesi, anche per la rimanente flora dell’alto Piemonte. Solo al fine della nota si limita a concludere che. meriterebbe discutersi quanta parte le masse lacustri, dove sono pre- senti, abbiano avuto nel favorire l'insediamento della flora xerotermica nelle stagioni alpine. Per quanto concerne più specialmente la valle segusina | autore. dizioni atte allo insediamento di dette florule xerotermiche nelle Alpi erano già date ». Ora tutto questo è gratuita affermazione. Ma v’ha di più: in quella lontana epoca, sempre secondo il Prof. Negri, venti formidabili soffiavano nella pianura padana e per effetto di essi la morena rivolese rimasta scoperta dovette ben presto..... anzi nei primissimi tempi della ritirata dei ghiacciai perdere la con- dizione sporadica superficiale stagnale, ete. Affermazioni e descrizioni così precise, minute e tassativo lascie rebbero sospettare che 1’ autore, benchè fortunatamente ancora giovane, avesse assistito ai grandiosi fenomeni eolici ed idrici dell’ epoca post. | glaciale. Altrimenti non si può comprendere. come uno possa, sul serio, È affermare che le formazioni acquee (lasciamo pel momento impregiudi - cata la loro natura) si fossero prosciugate ben presto (sono parole del Prof. Negri), anzi proprio nei primissimi tempi della ritirata dei ghiae- ciai, malgrado le acque scendenti, dico io, dai monti vicini, le quali dovevano pur paralizzare, o almeno ritardare l’azione dei venti secchi e caldi e malgrado che tutt’ ora esistano nei laghi di Avigliana e Ca- selletto gli ultimi resti di siffatto ambiente idrico. É vero che con un. colpo di bacchetta magica presa ad imprestito dall’ « ipotesi » si riesce a. far nascere, ex novo, siffatti laghi stati divorati da Eolo in un batter . d’ occhio, ma alla gratuita affermazione si può sempre contrapporre l'ipotesi assai più attendibile che i laghi attuali siano i resti del l’ antica conca acquea. Il bello si è che, dopo aver tratteggiato la situazione con tinte. così palpitanti di attualità, grazie alle quali si può contare quasi quanti. tani, stagni et.), l’autore non è più così sicuro sulla direzione da cui dovevano spirare i venti divoratori di quei veri laghi, anticipiamo ; parola, alimentati per di più da indubbie correnti di afflusso. Per le asserzioni (non oso dire ipotesi, o teorie) il Prof. Negri avrebbe inve trovato assai conveniente che i venti avessero soffiato da ONO vi ESE. Ma, ahimè! e’ è un lavoro di Prever (il solo geologo oriné che egli cita) il quale sostiene invece che i venti formatori di Dune e Loess torinesi venivano probabilmente da SSE. Che ‘fare ?:La) supplisce. alla bisogna ed allora si costringono i poco opportun SSE de a soffiare in ramfia idiota pori | PROF. LUIGI BUSCALIONI | differente rispetto a quelli di ONO, poscia con un'ipotesi di lavoro aneor 3 più ardita, oserei dire quasi fascista, si abbinano i due tipi di vento dive- nuti per la bisogna necessarissimi, secchissimi e caldissimi per far sì che dal loro incrocio ed urto ne derivi un arresto del movimento eolico colla relativa precipitazione della sabbia grossolana a Grugliasco, del fine pelvirolo sulle colline torinesi. Abbiamo proprio gli elementi di una sierodiagnosi: antigeni, anticorpi e precipitine ! È un capolavoro di meteorologia precolumbiana a base di cieloni e anticieloni furibondi, lottanti fra loro in uno spazio di pochi chilo- | metri quadrati, al quale mancava solo, per essere i venti secchi, ..... «il fulmine giulivo del poeta umoristico Padre Orchi di buona memoria. Il Prof. Negri, se ben ho capito, aggiunge a questo riguardo e — come prova del suo asserto, che se fossero esistiti i laghi cui io alludo le morene rivolesi non sarebbero state sufficentemente aride per fornire il Pixeriate pulverulento ai venti secchi e caldi che .ne sfioravano le ereste, i quali poi andavano depositando appunto la res furtiva, dopo, di averla in qualche modo setacciata e selezionata, nelle località cui sopra ho accennato formando così le dune di Grugliasco da un lato, i Loess dei colli pedemontani dall’ altro. Ma io lascio ai lettori la cura di formulare un giudizio su affermazioni così peregrine. «_—». Intanto mentre dominava il quadro geologico la bufera infernal che mai non resta avano a pochi passi dai ghiacciaì foreste e steppe. Merita ancora. esser rilevato che i venti furibondi segusini, creatori di dune e di positi, a tipo di Loess, lontani chilometri e chilometri da Rivoli e che rtavano sabbia a distanze rispettabilissime non erano poi in grado. uovere, nelle località propinque, o di trasportare a poche centi - di metri alcun seme, anche se questo fosse fornito di disposizioni re, 0 per dirla alla buona, di strutture adatte al trasporto pe dei venti. Com etto un crimine ammettendo sp tutto questo è a 3 38 LA CRITICA DEL PROF. NEGRI AL MIO LAVORO SUGLI ENDEMISMI ECC. . i quadri di mobilitazione delle florule locali quali vennero compiti dal Prof. Negri ? Sarei poi curioso di sapere se il pietrame grosso, mezzano e mi- nuto, costituente gran parte delle morene, veniva pure proiettato lon- tano dai venti, o non piuttosto rimaneva in sito. Probabilmente la seconda congettura è più attendibile, ma allora, domando io (non già al Prof. Negri, volendo evitare la comparsa di una nuova ipotesi di lavoro che salvi capra e cavoli) ai signori geologi quale dovrebbe esser ora la condizione della collina rivolese stata depauperata di tutto il suo materiale minuto, sabbioso e terroso. In alcune regioni etiopiche da me percorse ie acque piovane hanno esportato dai declivi quasi tutto il terriccio superficiale, minuto lasciando in sito il grosso pietrame che ora ricopre quasi uniformemente l’ arido suolo. Tale non sarebbe dive- nuto il paesaggio rivolese sotto l’ azione dei famosi venti fossili ?- La risposta non può essere che affermativa. Di fronte a così esplicite e dettagliate, ma ìn pari tempo posi sali supposizioni la mia modestissima ipotesi, che poi non è in alcun modo contraria ai fondamentali concetti fitogengrafici del mio amico, parrebbe che dovesse cadere, sebbene essa poggi su documenti Miggiia: 3 e di floristica attuale indiscussi. E veramente io stesso quando enunciai l’ idea che anticamente. i laghi d’Avigliana potessero avere un’estensione maggiore atta a con- validare il mic concetto non credetti di insistere oltre misura su un tale asserto non avendo potuto consultare i lavori di indole geologica sull'argomento. Ora però posso, con. piena coscienza, rallegrarmi per la mia fortunata e forse felice intuizione, poichè l’ egregio e ottimo mio amico il Prof. Federico Sacco, direttore dell’ Istituto Geologico presso la R. Scuola d’ Applicazione degli Ingegneri a Torino, nel suo lavoro sull’anfiteatro morenico di Rivoli (che il Negri, non so per quale ra- gione non cita, mentre è così accurato nella bibliografia, non dico tori- nese, (Prever ad es.) ma esotica) fa menzione di un lago postglaciale che da Pianezza raggiungeva la Comba di Susa, fin oltre a Sant An- tonino, avendo se non erro, una lunghezza minima di circa 18 kil. una larghezza di 4. Accanto poi a questo grande specchio d’ acg | esistevano i laghi di Avigliana, pure più espansi, e credo anche q di ata, a loro volta del pari di ‘maggiori dimensioni. PROF. LUIGI BUSOALIONI Ciò posto, non credo che tanta massa d’acqua fosse insufficiente, come pretende il collega Negri, ad intrattenere, assieme agli altri fat- tori (clima continentale, valloni chiusi ete., poichè mai intesi parlare di un’azione esclusiva dei laghi), lo sviluppo della florula xerotermica | — segusina. Ri Tanto meno poi ritengo che si possa con sicurezzascientifica soste- | nere che il lago (pel Negri forse un banale pantano) fosse durato così poco «da sparire prima che avesse avuto il tempo di coneretarsi la fissazione si È: della florula in questione; in altre parole che fosse stato divorato dai __fohn ben presto, nei primissimi tempi dalla ritirata dei ghiacci dalla «valle segusina. Per bacco! un lago di 18 K. non ha i minuti di vita contati! Perciò di fronte al quadro così dettagliato che ci presenta il Pro- fessore Negri della condizione lacustre postglaciale segusina io vorrei sapere dall’autore quanti metri cubi di acqua e quante settimane ci vo- levano in più perchè i 18 Kil. di lago maggiore e i parecchi dei laghi minori avessero potuto influire sul distretto floristico segusino nel senso da lui vagheggiato. Via: tanto disprezzo per un particolare di così no - tevole importanza geologica mi fa venir a mente la bellissima poesia | dell'Anselmo il Crociato che vide un lago ed era il mar! Sarebbe poi ancora il caso di domandarci se i grandi specchi d'acqua descritti dal Prof. Sacco fossero i soli della regione, o se non piuttosto qualche propaggine degli stessi esistesse nella località dove sorge Susa. Ne ho un mezzo sospetto, ma non essendo geologo non mi avventuro per se abbastanza chiaro dalle osservazioni del mio amico il Prof. Sacco. | _—‘Assodato adunque quanto sopra io trovo che il Prof. Negri, prima dil combattere la mia ipotesi, ed anzi per combatterla con coscienza di causa, avrebbe dovuto demolire il lavoro del geologo Sacco, che egli invece identemente non cita. Fino a che questo lavorio di demolizione non sarà fatto, permetta l’ ottimo mio amico, che io mi attenga di prefe - alle conelusioni di un’ indiscussa autorità in fatto di geologia lana. in è il Prof, Sena de ha nie (E valina: ve prop quattro "adi giara pure e sempli, ri fatto di geologia è indubbiamente meno agguerrito del Direttore dell’ I- stituto geologico della Scuola di applicazione degli Ingegneri. Nè credo che di parere contrario possa essere alcuno dei miei let- tori, salvo per quelli di marca torinese, E proprio singolare il silenzio del Negri sull’ opera del Sacco, che in fondo egli cerca di demolire alla sfuggita in una nota, mentre dal con- testo dei suoi scritti traspira una minuziosa cura di citare autori special- mente stranieri, di calcarne le orme anche quando i criteri loro valgano. forse solo per territori distanti parecchie migliaia di chilometri del Pie. monte, di seguirne la terminologia talora ostrogota, anche quando potrebbe essere sostituita da una più piana e alla portata di tutti. Quale sia il Deus ex machina del silenzio fascio la cura al Prof. Negri di enunciarlo. Pubblichi adunque l egregio mio amico una critica documentata (e non basata soltanto sui venti) per demolire le asserzioni del collega | Sacco e la metta, come di dovere, sotto gli occhi di questi; allora vedrà che il geologo dell’Università torinese troverà modo di confermare tutto quanto ha scritto sull’anfiteatro morenico di Rivoli. Di questo ne sono * sicuro, sicurissimo, E sopratutto alla esatta descrizione pittorica faccia corrispondere | una non meno esatta descrizione scientifica delle pregresse condizioni idriche in Val di Susa, poichè fino a tanto che mi va dicendo che il bacino morerico di Rivoli non presenta traccia (di depositi idrici), il che tronca senz’ altro ogni questione, e poi due parole dopo sostiene | che esso tampoco presenta le cordizioni topografiche per stabilirsi di — una massa acquea tale da influire in modo sensibile sopra un tempo sufficente sul clima, faccio a mia volta osservare che col primo enun- ciato si esclude, col secondo si ammette la possibilità dell’ esistenza di | una massa d’acqua, almeno insufficente et. Ora le ambiguità sono pe - ricolose e chi fa della polemica, non essendo ammissibile l’ ibis, redibis. non et, della Sibilla Cumana ed io ritengo che il Sacco, cui per avven - tura potrà cader sott’ occhi la nota del Prof. Negri, non mancherà di. esser tormentato dal dubbio Sekspiriano dell’ esistenza o meno del. l Hy0 in Val segusina. Ma, dopo tutto, anche se l’amico Prof. Negri riescisse a demolire la mia ipotesi non sarebbe applicabile alla Valle di Susa. Ora io ho mai inteso affermare che sempre la dove si trova un filo d’erba xero- Al termico nelle valli alpine si debba trovare anche un lago e dopo tutto ho dato il nome di ipotesi al mio enunciato, il che inelude a priori «+ «he non ho la pretesa che esso venga accettato da tutti. E Solo i fatti reali meritano tanto onore, ma poichè il mio modo di È interpretare i documenti floristici poggia, in ultima analisi, su fatti con ereti, credo che esso per lo meno meriti quel tanto di considerazione che meritano altre ipotesi meno sorrette da prova, ma non per questo condannabili. Tanto più e ingiustificata la sua condanna a mezzo di sem - plici affermazioni gratuite. Il Prof. Negri trova inutile la mia ipotesi: ma domando io quante cose inutili ci sono al mondo e che pure hanno un’ azione e talora importante, benefica, o dannosa ? Nell'ambito univer- sitario botanico non.abbiamo purtroppo degli esseri inutili scientifica- mente che però per esser in vista, o per essersi procurata una posi- zione privilegiata a qualunque prezzo, fanno sentire la loro deleteria azione nella vita italiana dell’ amabile scienza ? Per cui l’ utilità o non del fattore non può esser tirata darwinianamente in ballo. Io sarei ben lieto che tutti i problemi di fitogeografia, specialmente quando hanno attinenza coll’ evoluzione e le origini di una data flora quanto sono quelli su cui io ho fatto assegnamento. Pur troppo invece la cosa non va sempre così ed io spero che il Prof. Negri non se geogratici molta parte è concessa ai voli di fantasia che tutto spiega, o per lo meno tutto pretende interpretare, specialmente quando le anomalie sono più complicate e mancano i documenti di appoggio. Dif - ficilmente in un lavoro tutto quanto sta seritto è oro di coppella e | perciò mi si concederà venia se io ardisco ammettere che molti fatti che il Prof. Negri interpreta con concetti teorici in una data maniera, ‘eriteri opposti. Il largo arbitrio concesso alla funtasia dipende un po dalla PROF. LUIGI BUSCALIONI 4L fossero sempre basati su documenti per lo meno così ben constatati l avrà a male se io mi permetto di rilevare che nei suoi Scritti fito- potrebbero benissimo trovare altrettanto plausibile interpretazione con natura stessa della disciplina, non avendo ancora raggiunto la. fitogeografia la perfezione di molte altre scienze sorelle. In matematica, ad esempio, che è indubbiamente l’ espressione del rigorismo scientifico soluzione di un problema diventa tanto più ardua quando più nu- merosi intervengono i parametri, le variabili, i coefficenti et.; in fito- geografia possono affacciarsi molti e molti fattori attorno ad un feno meno floristico, senza che per questo chi lo studia senta, per lo più, il” bisogno di preoccuparsene eccessivamente, o di metter a dura prova il Lo cervello, poichè l’ ipotesi e la fantasia sopperiscono senz’ altro il più G delle volte alla bisogna. È vero che il Prof, Negri conviene meco, in un punto del suo. scritto, ammettendo che occorre qualche volta ricorrere ad un’ ipotesi: di lavoro, ma io noto che quanto in una pubblicazione le ipotesi di lavoro, prive del tutto di un substrato reale, diventano numerose, come ; accade appunto in molti opuscoli del mio egregio collega, allora non ci troviamo più di fronte ad ipotesi di lavoro, ma bensì ad un lavoro di ipotesi, il che è ben altra cosa. Con questo non intendo sminuire la portata delle ipotesi e dei voli di fantasia poichè spesso sono plausibilissimi e poi indicano sempre «una mentalità acuta: sta nella natura stessa delle cose che l’ ipotesi per quanto attendibile, vada accolta sempre con un po di beneficio di inventario avendo essa sempre un lato debole, inerentemente appunto alla deficenza di documenti di prova cui essa si sostituisce. Ma asso- dato questo principio, al quale anche il Prof. Negri non mancherà di far buon viso, io sono d’ opinione che chi appunto maneggia con tanta. disinvoltura l’ arma a doppio taglio delle ipotesi non abbia, accennando alle altrui opinioni di indole ipotetica, il diritto di impancarsi a giu dice quisi inappellabile, valendosi semplicemente di affermazioni gra | tuite allo scopo di combattere l’ altrui lavoro. 3 Io non voglio dar maggior valore di quanto esse meritino alle mie interpretazioni sulla flora alpina xerotermica: però ipotesi per ipotesi la mia può stare, modestia a parte, alla pari di molte altre non meno at-. tendibili, ma persino più suscettibili di discussione perchè difettose del tutto di prove. Per lo meno essa è meno azzardata di quella concer- nente le « megaterme » su'la collina torinese. i Dirò da ultimo che l’esistenza di un violento fòhn glaciale, coi relativi cicloni pedemontali, cui il Prof. Negri fa compiere non indif- ferenti rimaneggiamenti nelle pianure piemontesi (formazione di dune e dei depositi di Loess separati gli uni dagli altri mercè un intervallo. di non pochi chilometri et. et.) difficilmente sarebbe conciliabile collo A a ai de = n gi le data È ta REL ee PROF. LUIGI BUSCALIONI 43 sviluppo delle foreste, od anco di altra vegetazione meno elevata nel suo dominio. Io non sono geologo è perciò non voglio impegolarmi in una i questione così vessata come è quella del Loess piemontese e più ancora 3 l altra delle Dune di Grugliasco: reputo tuttavia di poter avanzare qualche dubbio sulla origine di quest’ ultime, dacchè esse mi parrebbero attinenti piuttosto a speciali condizioni fluvio lacustri e di erosione, come ebbi a far rilevare in un mio scritto al Prof. Sacco che non | trovò per nulla avventate le mie osservazioni. Se così stessero le cose i anche da questo lato un po di prudenza nell’ esagerare l’ importanza dei venti, diremo così fossili e nello stabilirne la loro direzione sarebbe più che consigliabile (1). D’ altronde, per quanto l’ ipotesi del Foehn, come fattore di farei mento di flore xerotermiche, sia stata da più di uno accampata, reputo che essa sia poco persuasiva, poichè il vento caldo non ha quella costanza che sì richiede per provocar l’ insediamento di elementi xerotermici in una di data regione e poi ad esso succedono, come è notorio, venti freddi che ne paralizzano l’ azione. Ma io non voglio insistere oltre in questi dati È per non accumulare ipotesi su ipotesi e seguire quella via che, se non «|. condanno, trovo un po scabrosa. Del resto neppure il Prof. Negri in- siste su questo argomento. Piuttosto rilevo che, mentre il Prof. Negri è così premuroso di demolire la mia ipotesi, egli non fa allusione alcuna ad altre aventi appunto, come la mia, lo scopo di spiegare l’origine della flora xero- termica alpina. Fra queste credo che meritino un certo posto le osser- vazioni di Chodat e Pampanini sui Massieci di Rifugio. Perchè nel la. voro sul monte Braeco egli non ne fa parola ? Perchè il Mattirolo, che con tanta evidente compiacenza si accaniva contro la mia modesta ipotesi, non ha mai avuto con me una parola o di biasimo, o di lode per il lavoro di Chodat e Pampanini? Misteri del cuore umano! Ep- pure siffatti studi dovevano pur aver pur essi l’ onore di una critica, dacchè Je idee ivi espresse non collimano affatto colle osservazioni del Prof. Negri. . (1) Oltre alle Dune di Grugliasco, già da tempo note, io ho riscontrato altri rilievi del suolo, di analoga natura, non lontani da Collegoo e Pianezza i quali, non menzionati per quanto io sappia, da alcun geologo, porterebbero un pe di luce sulla natura di dette dune ed avvalorebbero le mie sovraesposte concezioni. derinca pers vr G. NEGRI AL MIO LAVORO SUGLI ENDEMISMI ECC. Ciò posto resta a discutere un’ ultima ETA Il Prof. Negri af-_ | ferma che le condizioni per lo sviluppo della flora xerotermica qua e là nelle alpi erano già date prima della comparsa dei laghi cui io mi at- | tacco per sostèéner la mia ipotesi. 4 Qui siamo d’ accordo, ma solo in parte, perchè se è vero che io, È come ho riportato in qualche mi» modestissimo scritto, ho accettato la È ipotesi, d’ altronde assai discussa, di periodi xerotermici infra e post. glaciali, ciò non vuol dire che di conseguenza debba convenir nel con- cetto, anche qui teorico, del Prof. Negri per quanto concerne la. valie 2 di Susa. ‘a Le condizioni xerotermiche erano di indole generale, 1 insedia - F mento floristico xerotermico invece rappresentava un fenomeno di locale F accantonamento. ì «i Sarebbe pertanto il caso di discutere qui perchè causa ed effetto dB stiano in certo qual modo fra loro in rapporti antitetici, ma io non voglio affastellare ipotesi su ipotesi. Piuttosto, pur ammettendo, come, se non erro, ho esposto in altra pubblicazione, l’esistenza di periodi secchi, tanto cara al Prof. Negri, ma a riguardo della quale qualche dubbio ancor aleggia, non credo di andar errato negando che nel do- |. minio del lago segusino dovessero imperare quelle condizioni xeroter- miche cui l'amico allude. Lungo la immane catena alpina indubbia ‘mente vi sono dei settori in cui il fattore in questione fu più che suf- ficente alla bisogna, ma ve ne sono del pari altri in cui per l' insedia-. mento della flora xerotermica occorsero altri fattori coadiuvanti (fra cui le raccolte d’ acqua fluvio lametti e marine et.) ed a tale cate goria devesi, a mio modesto parere, ascrivere il territorio di Val di Susa, fino a tanto almeno che il Prof. Sacco non sarà messo......... nel sacco. ti Giunto a questo punto chiudo, per conto mio almeno, la poco sim-. patica discassione, pronto a riaprirla unitamente nel caso che le ragioni che vorrà accampare il Prof. Negri mi paressero convincenti; allora sarà mia cura di affermare pubblicamente e lealmente che io ho avuto torto. Ho sentito il dovere di difendermi da un’ accusa che mi pare gra- tuita e l’ ho fatta di mala voglia, conscio che le polemiche sono per lo ù comprese dalle sole persone in causa, lasciano il tempo che trovano Ma a EMA sa È CRETE VO iL a POF. LUIGI BUSCALIONI - ed hanno la soluzione solo nei lavori di terze persone. Non vorrei tut- tavia che la mia parola, talora un po scultoria, potesse riuscire spiace- vole al Prof. G. Negri, pel quale ho la massima stima; per converso al Prof. 0. Mattirolo dirò solo, in risposta ai suoi attacchi verbali ed alle sue fughe, cui in principio ho accennato, che me ne importa proprio un bel nulla che egli approvi o disapprovi il mio scritto, essendo ad usura pago di aver avuto l’ approvazione di chi gli è indubbiamente : maestro in botanica, pago di non avere detto delle cose sballate, come sono quelle sue sul Polisacco, che poco diffuso in Sicilia, si spedirebbe invece per mezzo di bastimenti all'America, pago infine che quanto ho scritto (modestia a parte) abbia più importanza di certi suoi lavori sui pidocchi e le castagne, sulla Cuffa, sugli Erbari di Superga o che so io, degni sì e no di uno studentellò di botanica. Mi accorgo un po tardi, cioè a nota finita, che avendo toccato i numi, veri o falsi dell’ amabile scienza italiana corro il pericolo di aver la carriera botanica seriamente e forse subdolamente compromessa. Av- venga che vuole: se non potrò più far il botanico farò il zoologo, ini- ziando la carriera con una pubblicazione sul tipo di quella di Hagen-_ beck: io e le belve. Catania 1 maggio 1921. Pror. Lurr BuscALIONI ll legno crittosamico del fascio vascolare seminale di talune Angiosperme considerato nei suoi rapporti colle moderne teorie filogenetiche NOTA per Pror. Lurer BuscALIONI ì A. — Storia dell’Argomento. Sd È noto che le forme meno evolute delle Cormofite attuali presen: tano, nella costituzione dei fasci vascolari caulinari, fogliari, o di quelli degli organi di riproduzione assai spesso delle strutture ricordanti quelle È state segnalate nei tipi fossili parimenti per lo più poco evoluti, e co- nosciute col nome di legno centripeto, di mesarchismo e di esarchismo. Quest'ultima è però ancor oggiorno reperibile di norma nelle radici. Nei rappresentanti fossili delle Cormofite noi troviamo infatti che protoxilemi dai cordoni vascolari in quasi tutto il sistema condut- tore della pianta, o per lo meno in alcuni distretti di questa, occu- pano assai spesso una posizione esterna, o piùo meno periferica, essendo l’endarchismo (in specie se midollato), oserei dire, un appannaggio, non esclusivo però, delle forme evolute e moderne. In queste qualora il legno centripeto fosse ancora presente, rappresenterebbe una disposizione di a cose, per ragioni fisiologiche, quasi del tutto inutile e superflua. . Se l’esarchismo è tuttavia, come si disse, ancor oggigiorno conser- vato nelle radici (1) delle piante superiori ciò va ascritto al fatto che ivi il legno esarca può ancora compiere, e forse più efficacemente di un endarco, la sua funzione di conduzione. Ma è tuttavia un enerchi- smo sui generis, poichè come ho dimostrato in un precedente lavoro sulle radici della Monocotili (da’ Pirotta confermato quasi alla let- tera), i protoxilemi si sviluppano dopo che si sono individualizzati i vasi del metaxilema, tanto che quando questi hanno già perduto quasi del tutto i protoplasmi gli elementi destinati a formare i protoxilemi sono ancor in via di cariocinesi. La lignificazione è però più precoce in questi ultimi, per cui l’ esarchismo è reso manifesto solamente dalle mutazioni nella costituzione chimica che vanno subendo le membrane, non già dal fatto dell’ origine più o meno precoce. Non succederà forse PECORARO di 4 PRSTAGONOO Ù ETT.a (1) Si trova pure nei portaradici di Ahigophora (Vi. Poulsen), dove PeR si ha mesarchismo più e esarchismo, PROP. LUIGI BUSCALIONI. lo stesso in altri casi attinenti al fusto, alle foglie ed agli organi di riproduzione ? Io lo ignoro e ritengo pertanto che il problema merite- rebbe di essere studiato. Dalle Equisetali, in largo senso, alle Pteridofite ed alle Gimnosperme il legno centripeto è stato ovunque riscontrato (assieme però all’endar- chismo e fatta astrazione per le radici costantemente così costituite), grazie a ricerche oltremodo laboriose, sia nelle forme viventi che in quelle fossili. I risultati ottenuti in talune delle prime, essendo, oserei dire, frutto di ricerche comparative estese alle forme fossili, apparvero quasi inaspettati (1). Lo studio poi di molti rappresentanti di tutti questi gruppi vege tali ed in special modo le ricerche instituite sui tipi fossili, taluni dei duali non più rappresentati oggigiorno come ad es. le Sphenophylleae i Lepidodendron, le Sigillaria, le Calamarieae (per quanto il più delle volte sostituiti da tipi affini), hanno permesso ai botanici di se - | guire a passo a passo la sorte cui andò incontro il legno centripeto . genuino, non solo nelle varie forme vegetali, ma sibbene ancora nei vari membri di un unica pianta. E ne venne fuori quasi una legge ge- rerale, secondo la quale il detto legno persiste più a lungo in certi or | ganì che, come le foglie, gli assi fiorali (Coni), e se si vuole aggiun- | gere anche le radici, sono più conservatori nella struttura. Ed è appunto in questi organi che si sono cercate le ultime traccie del legno centri- peto, talora per stabilire le affinità (2). Nelle Gimnosperme e forme affini il fenomeno della conservazione del legno centripeto è più o meno manifesto e noi troviamo, ad esempio, abbastanza tipicamente costituito siffatto legno nelle foglie delle Cyca - dinae, dove però la struttura non è stata ancora a sufficenza chiarita, e nei semi di non poche forme fossili, talune delle quali vanno però | solo con una certa cautela ascritte alle Gimnosperme. In molti di siffatti tipi assume per altro, una fisonomia sui generis, (1 Per gli Eguiseti vedasi il lavoro di Giava che nega la struttura arcaica ai fasci vascolari del fusto di queste piante, sebbene il fatto mi paia oltremodo 0, dati i rapporti di queste piante colle regina (Y, Lotzy). vV in e sagra che ha fatto oggetto di no la co- A de È 4 — i tte iL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECG. manifestandosi sol più come legno di trasfusione che, se nella sua co- stituzione tipica può ancora appartenere al vero legno centripeto, de- rivando indubbiamente del cordone desmogeno, in altri casi invece la- | scia perplesso lo studioso circa la sua natura, avendo probabilmente È altra origine (1). FJ Data appunto l’incertezza di origine del legno di trasfusione si comprende come la scienza non abbia ancor detta l’ultima parola a suo riguardo. Ed io eredo di non andar errato affermando.che noi dob- biamo realmente distinguere nelle Gimnosperme ed altri tipi più 0 meno affini per lo meno tre sistemi di legno di trasfusione, l’uno traente ori- gine dalle cellule procambiali e che sarebbero destinate altrove a tra- sformarsi negli elementi prettamente conduttori del fascio xilemico: l’altro invece derivante dalle cellule circostanti agli elementi condut- tori del xilema e floema, perciò prodotto dalle metamorfosi dalle cel- lule parenchimatose intra e perifascicolari; il terzo infine sarebbe dato da elementi che non derivano da cellule parenchimatose, ma traggono origine da cellule aventi colle precedenti solo più o meno diretti rap - porti di origine, quali sono quelli della guaine. Sclo il primo tipo può essere omologato al legno centripeto genuino (1) Sul significato del tessuto di trasfusione nelle Gimnosperme ed altri tipi affini hanno espresso opinioni d'sparate Worsdell, Karisson, Carter, Grit- fon, Zimmermann, Bernard, Takeda, Le Goc ed altri autori. Pel Takeda il tessuto in questione nascerebbe spesso dal parenchima e non avrebbe alcuna importanza filogenetica: pel Bernard esso è tipicamente centri- pato e si accompagna persino assai spesso al mesarchismo, sebbene l’ A. non escluda tuttavia che in qualche caso non sia centrifugo: lo Zimmermann di- stingue, innanzitutto, il legno centripeto dal querparenchym, poi osserva che gli elementi di trasfusione possono persino trovarsi a lato del libro (Sciado- pitys), assumendo una struttura che non ha più gran che a vedere con quella dei tracheidi genuini per la mancanza d’areolatura: pel Griffon il tenuto di tra- | sfusione nasce dal periciclo: la sig. Carter, basandosi sulla posizione dei primi elementi di trasfusione, esclude che il tessuto in questione derivi dal vero le- gno centripeto, tanto più che spesso è separato da questo per mezzo di parec- | chi piani di parenchima: infine secondo Karlsson si avrebbero cellule genuin | di trasfusione, areolate, accanto sia ad elementi midollari caratterizzati dai pic- coli pori, sia a fibre liberiane tramezzate ed a cellule isodiametriche con po | semplici. Perciò origine differente dei vari tipi, per quanto teequestbinzatà cellule del tessuto controverso nascano dagli elementi del procambio. 4 = UTI p vide PIE E STI 5 dici e RTLA È da, EE A ho IRE de Di REST - ro, ip SP ia a » PROF. LUIGI BUSCALIONI dei fasci mesarchi: le affinità tra i due tessuti si affievoliscono quando trattasi del parenchima vascolare metamorfizzato, in ispecie se le cel- lule di trasfusione stanno a ridosso degli elementi conduttori, anzichè essere fra questi incorporati, oppure possono essere considerati come de- P, rivanti dagli elementi di una guaina più o meno manifesta. Il dubbio circa la natura di siffatti elementi appare tanto più giustificato in quan- ei tochè elementi a carattere di trasfusione vennero segnalati attorno ai fasci fogliari deile Angiosperme (piante adulte !), dove tuttavia non si può parlare, non so se a torto od a ragione (V. lavori di Ieffrey sulle | antere), di un vero tessuto di trasfusione, e tanto meno poi di legno e: centripeto. % La costituzione istologica del tessuto di trasfusione nelle Gimno- E sperme è più o meno quella delle cellule vasali (tracheidi), avendo gli A elementi in questione per lo più ispessimenti areolati, scalariformi, od È. altrimenti punteggiati. Solo nelle Sciadopitys ho trovato taluni elementi _ di trasfusione aventi il lume cellulare ripieno di granulazioni lignifi- cate, per cui si avrebbe qui quasi un nuovo tipo di detto tessuto (Fig. 3, d 7 e 10 Tav. I). Però spesso sono ancora reperibilà, sulle pareti cellulari, ba le areolature più o meno mascherate dagli accumuli di granuli. Io non È ho potuto farmi una chiara idea circa la provenienza di tutti quanti siffatti elementi, ma se si considera che le cellule parenchimatose della foglia di Sciadopitys (fig. 10), quando il tessuto venga leso (come ho pel primo dimostrato), si trasformano in cellule lignificate e piene di granuli pure legnosi si potrebbe ammettere che almeno una parte degli elementi lignificati e granulosi del tessuto di trasfusione appartenga, in tale Gimnosperma, al parenchima fogliare fondamentale. = | Del resto qualche volta la sua origine da questo tessuto mi apparve | pressochè indubbia, com? è il caso per l’esempio illustrato nella fig. 7, dove gli elementi periferici infarciti di granuli non possono più essere. “ considerati come Luce al pordone bist n è inigaobabilo si alla sua comparsa contribuisca spesse role qua che Pafiose 0 dell'organo per effetto dell’ ‘esdiccamento. 60 IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE RCC, site, nelle Capparidee, nelle Proteacee ed altri tipi dal Vesque, dall'A reschoug, dall’ Heinricher, dal Mangin e da altri (1). Più recentemente un vero mesarchismo fu descritto nei fasci vascolari dell’ A/pinia, del | Brachichilum, e di altre Zingiberacee. Il problema però e ben lungi dall'essere risolto, in quanto chè lavori posteriori avrebbero posto in dubbio siffatto legno centripeto di trasfusione e ancor di più siffatto 3 mesarchismo. A Per quanto concerne i tracheidi delle Composite e delle Cappari- dee la loro origine (vascolare o parenchimatosa) e la loro natura sono È: tuttora oggetto di discussione, tanto che è più che prematuro volerli | annoverare, senz'altro, fra i genuini elementi del legno centripeto, 0 di trasfusione. | -3 Tanto meno ci sentiamo autorizzati ad affermare che essi diano 3 al fascio vascolare che li alberga il carattere mesarca, per quanto il | tessuto controverso sia reperibile verso l’ estremità fogliare, dove nelle Gimnosperme (Conifere ad es.) il vero tessuto di trasfusione si rende abbondante. Assai più gravi sono le obbiezioni mosse al così detto legno cen- (1) Indubbiamente non bastano le caratteristiche degli ispessimenti parietali ‘3 - e la forma delle cellule per stabilire che un dato tessuto sia di trasfusione. Infatti. | gli elementi del velo delle Orchidee e delle Aroidee, le cellule spiralate di Ne- | penthes, di Crinum e di Sanseviera non vi apparterrebbero. Per converso, secondo recentissime ricerche di Jeffrey, persino lo strato meccanico delle Antere nelle Angiosperme sarebbe analogo od omologo al tessuto di trasfusione, per quanto .egli non consideri che alcune volte (Ericacee) esso è di origine epidermica (comi ; stesso Jeffrey formulata circa la posizione iu tessuto meccanico di deiscenza in oso dall'evoluzione. pareti, riconoscesse come ad esso angina anche le cellule spiralate er Da pra: affatto è infine la natura di tig di trasfusione per certi pei Lc ramosi e a varia punteggiatura, ma per lo più sopito ioni. PROF. LUIGI BUSCALIONI br tripeto delle Zingiberacee, avendo la sig. Berridge dimostrato che il preteso mesarchismo dei cordoni vascolari di queste piante è dovuto. unicamente alla fusione di due fasci separati, tanto che nulla ha a ve- dere colla struttura delle piante degradate, viventi o fossili, cormofite. bh, Non posso tuttavia passar sotto silenzio che da più di un autore, fra cui meritano di essere segnalati il Thiessen, la sig. Berridge, il Tansley, il Thomas, } Hill e De Fraine, il Drabbe, il Chauveaud et., «nelle plantule di non poche specie appartenenti 4 famiglie disparatis- $ — sime di Dicotiledonee venne segnalata la struttura centripeta. “da Essa dalle radici, dove normalmente si trova, si diffonde all’ asse |. ipocotile e di qui passa frequentemente ai cotiledoni. i La sua presenza è in relazione collo sviluppo più o meno rapido che subiscono il fascio vascolare e le plantule (1). Lo Il fatto poi non ci deve recar meraviglia ben sapendosi che il pas- | saggio dal sistema radicale a quello caulinare non si effettua di un colpo, ma sibbene lentamente e non in accordo alla struttura esterna, br. (1) Le Persoonia ed altre Proteacee, dove l’ Hill e De Fraine hanno trovato | una costituzione morfologica ed anatomica ricordante la Gimnosperme (polico- | tilia, foglie aciculari, ripiegatura delle pareti cellulari nel mesofillo, un solo cordone innervante lo foglie seminali e via dicando) possederebbero anche u tessuto di trasfusione nei cotili e nelle foglie, il che aumenterebbe la analogia tra i due tipi vegetali. Tale tessuto si fa abbondante all’ apice del filloma e lungo il cordone vascolare si Gispone per lo più a fianco del xilema o del floema passando talora al di dietro del primò e al davanti del secondo, sebbene non manchino le cellule similmente differenziate nel mesofillo. La grandezza dog Fa parrebbe che il fessuto di trasformazione derivi qui dal parenchima fogliare, anzichè dagli elementi del cordone vascolare. Qualche cosa di analogo si avrebbe | anche delle Conifere e perciò gli autori trovano nella singolare disposizione la prova che il Ra di trasfusione delle Gimnosperme non ha alcun che a ve- i le cellule in questione hanno wii p ti reticolati (. \-areolati (Sciadopytys). Lo sviluppo degli elementi di trasfusione ave in eteri Penh. saltuariamente, poistà accanto a qualche cellula ; 52 IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECC. per cui la costituzione radicale può riscontrarsi più o meno in alto nel- | ; ‘l’ipototile e persino nei cotiledoni. ì Ma al di la di questi ultimi gli accenni ad una costituzione ar- caica vengono meno, ben inteso nell’ambito esclusivo delle Angiosperme, e questa condizione di cose fu da molti autori in particolar modo messa in rilievo come reperto caratteristico della flora attuale più evoluta. La | scomparsa del legno centripeto si effettuerebbe, senza che si abbia, a mio parere, vera rotazione, per distruzione degli elementi stessi (Chau — veaud) accompagnato da spostamento delle primane :Thiessen). a Questo per quanto concerne la rassegna storica dell’ argomento, a riguardo della quale ho insistito solamente sui fatti più importanti, pas- i sando sotto silenzio non pochi particolari interessantissimi. Del resto chiunque potrà trovare quanto gli interessa sull’ argomento nella ricca bibliografia inserita al fine del presente lavoro e più ancora in quella, che fa parte di una mia monografia di prossima pubblicazione, sull’evo- luzione delle crittogame vascolari, con special riguardo alle Pteridofite | e forme affini. | già fornita di ispessimenti e vuota se ne trovano altre con plasma e nucleo e ancor fornite di pareti sottili. Questa notevole rassomiglianza strutturale @ morfologica fra Proteacee e Conifere non ha tuttavia per gli autori un signi ficato filogenetico, ma solo valore di convergenze strutturali per effetto di si- milari condizioni di esistenza. Del resto non mancano le differenze fra i due tipi, come è il caso per gli stomi che hanno solo cellule annesse nelle Protocee, Hill e De Laine concludono pertanto che non sempre la struttura della plantu può servire di guida per stabilire le parentele o le affinità, il che forse non | esatto. | Sta intanto il fatto che in Persoenia il tessuto di trasfusione, come ia al | tre plantule, passa dai cotiledoni col fascio vascolare nell’ ipucotile. Ivi poi cordone vascolare si rimaneggia in modo che i poli protoxilenici restano isolati per passare ancor più in basso alla condizione esarca. I poli radicali non semp corrispondono al numero dei cotiledoni; per lo più sono in minor numero, 1 . che indica che i cotiledoni non sono sempre tali, ma semicotiledoni perch 3 "Patio ed una tale disposizione, secondo me, aumenta le ten colle Co PROF. LUIGI BUSCALIONI 53 B. — La struttura del fascio vascolare del funicolo e del tegumento seminale delle Leguminose e di altre piante. Nelle presenti ricerche mi sono prefisso di dimostrare come la EIISSAMROO TE È CESR GOVERNI GR struttura primordiale del fascio vascolare, caratterizzata il più delle î volte dal mesarchismo tipico, a cui va spesso associato il legno di tra- sfusione, sia reperibile del pari nelle Angiosperme e più precisamente nelle Leguminose. Qui però è limitata ad una ragione oltremodo cir- coscritta del decorso dei fasci vascolari, essendo unicamente rilevabile nel punto in cui questi dal cordone funicolare passano nel tegumento seminale, ineuneandosi, nel caso delle Papilionacee, tra la fessura chi- lariale ed i tubercoli gemini. Ho rilevato poco sopra che il legno centripeto, tanto nelle Critto- game superiori, quanto nelle Gimnosperne (fossili e viventi) trovasi di preferenza localizzato negli apparati riproduttori e nelle foglie, due sorta di organi aventi attitudine a conservare i caratteri atavistici. Non ci deve pertanto recar meraviglia se anche l’ovulo, come elemento emi- nentemente riproduttore e nello stesso tempo formante (secondo più di un autore) parte, più o meno integrante, di un filloma (1° ovario nelle piante superiori, la brattea in talune Gimnosperme, la foglia ordinaria in Cycas et.) presenti a un alto grado le caratteristiche di un organo atavistico (1). Ed è appunto questo concetto che informerà le conclu- sioni della presente nota. io) f stai 434 IRE TRO (1) Non voglio qui entrare in merito alla dibattuta e complessa questione concernente la natura dell’ovulo, poichè questo tema verrà discusso nel mio lavoro sulle Pteridofite, ma poichè le mie opinioni in proposito si allontanano alquanto da quelle più generalmente accettate, le riassumerò qui per sommi capi. Morfologicamente considerato l’ovulo, a seconda dei casi, si presenta, o come ua organo di natura assile, o come un’ appendice fogliare (emergenza), per | quanto i tegumenti (di natura indubbiamente fogliare) che lo circondano ci | debbano rendere perplessi ad accsttare quest’ultima ipotesi confortata del resto dal repe:to taratologico, non sempre a sua volta accettabile senza benefizio di inventario. Per converso l’analisi comparativa estesa ai differenti gruppi ve: | getali, compresi quelli che al posto di ovuli tegumentati portano soltanto spo- rangi eterospori, od omospori, mentre ci dimostra come le vedute dei «vari au- tori sulla natura dell’ovulo pecchino di esclusivismo ci permette di integrare EGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VaBtGLA TE SEMINALE HCO. Ciò premesso se noi facciamo una sezione trasversale del funicolo, - a una certa distanza dal punto in cui questo penetra nel seme, o nel- l’ovulo più o meno inoltrato nello sviluppo, scegliendo all’uopo per lo ; ant Piselli, Fagiuoli, Fave ete., troveremo. che il cordone vascolare — è per lo più costituito da elementi xilemici reticolati, spiralati, scala- | riformi, aggruppati irregolarmente fra loro ed attornianti, nel complesso, — un. tessuto parenchimatoso (Fava) che forma una specie di midollo. Attorno | al xilema vi ha il libro che però solo in vicinanza dell’attacco del funi- — colo all’ovario, od al frutto (Fig. 23 Tav. III) si estende al punto da formare È come un astuccio al legno, essendo per lo più localizzato sulla faccia an- 9 teriore od esterna e su quelle laterali del cordone xilemico, tanto che TE i fascio, concentrico presso l’attacco all’ovario, diventa ben tosto collate rale e tale si mantiene per tutta la rimanente estensione del funicolo. — Non mancano però i casi in eui il libro, fino ad una certa distanza. dal tegumento seminale, avvolge completamente il xilema, dando al cor- i fatti osservati con concetti teorici grazie ai quali si può sempre ricondurre. l’ovulo e in generale gli organi di riproduzione (sporangi coi loro sporangifori etc.)-al tipo rameale, o da questo per lo meno farli derivare allorchè hanno profondamente mutata la loro fisonomia. Nelle forme più degradate, o primitive dei vari gruppi vegetali (Calamariee, | Equisetali, Licopodiali, Psilotali, Gimnosperme, ete.) l'organo di riproduzione indubbiamente portato da un ramo (alterno colle foglie nelle Calamarie!), ma. ‘esso nei rappresentanti più evoluti di ogni gruppo tende a fondersi colla foglia ascellante, assumendo le caratteristiche di un’emergenza, sebbene anche nell famiglie meno degradate sia sempre circondata da fillomi (ovulo tegumentato) Si La natura rameale dell’apparato va gn e in specie dell’ovulo col su È zione (come é il caso per lo sporaagio delle Felci che dalla natura di nl (Botriopteridee) passa a quella di emergenza (Osmundacee), per arrivare nelle Felci più evolute (Polipodiacee) alla costituzione di un pelo). presentandosi l’ovulo quasi costantemente come un'appendice del filloma ovarico. | Per non estendere troppo la digressione mi limito qui a rilevare che la teo- ria che l’ovulo sia un lobo fogliare fu estesa anche alle Cicadacee (Gòbel altri), per aver richiamata l’attenzione in particolar modo il Gen Cycas. È mia | opinione invece che in questo genere si abbia la forma più evoluta di ovulo, it | quantochè non trattasi di un lobo, ma bensi di un ramo frondale netamorfeclo, ROP. LUIGI sten e done una simmetria prettamente radiata quale è quella di un sistema vascolare di un fusto, o per essere più precisi, di un fusto degradato protostelico con gli elementi delle primane vascolari reperibili al cen- tro del xilema (Fig. 6 Tav.1). Tale struttura, che venne da me segnalata in qualche Acacia, fu dal Decrock riscontrata in talune placente (2). È: Non insisterò ulteriormente sulla struttura del libro, per quanto abbia trovato che esso è spesse volte abnorme nella sua costitu- i” allo stesso modo che non è un lobo fogliare, ma un ramo frondale, pure metamorfiz- . zato, lo sporocarpio psduncolato di Marsilia. In questo concordo col Johnson, tanto | —’piùcha se ci rivolgiamo all’ anatomia troviamo che la struttura del peduncolo L.- portante l’ovulo in Cycas ricorda più da vicino (a prescindere dalla costituzione dei fasci) quella di un asse che di un picciuolo delle foglioline, allo stesso modo 3 che il peduncolg, dello sporocarpio di Manilîa ha molte caratteristiche ricor- D: P: danti pù la struttura del peduncolo della fronda che quella di un picciuolo È delle foglioline La costituzione di ramo frondeale del peduncolo portante l’ o- È __vulo in Cycas si manifesta ancora alla presen:a del collaretto sotto ovulare che n può esser omologato all’organo analogo di Ginkgo. Ma assodato che l’ ovulo è portato in Cycas da un ramo frondeale, ne viene che la fronde fertile di questo | genere assumerebbe le caratteristiche delle fronde sterili di Bowenia che, come S: è noto, sono ramificate. Per altra parte Cycas si avvicinerebbe anche al gen. br: Ligynodendeon i cui ovuli sono portati da fronde ramose (analoghe qui alle Fi sterili per forma). Nelle altre Cycadiae prevale il principio della semplificazione f- cui sopra ho accennato, in quantochè l’ovulo si salda sempre più intimamente È colla fronda tanto da assumere, almeno NA l’ aspetto di una vera emergenza. È singolare però il fatto che la porzione espansa della fronda fertile delle Cicadee (Ceratozamia etc.) ha l'aspetto di un organo fasciato, allo stesso modo che lo presentano i cladodi di Phyllocladus fra le Conifere. La prima ri- sulterebbe della fusione di rami frondeali e lobi fogliari, i secondi dalla fusione di basi fogliari ed assi sterili e fertili. L’anatomia degli uni e degli altri poi ci rivela una intima affinità con i cladodi di Semele che io ritengo appunto quali organi formati del pari da fusione di rami e di foglie e sormontati, come vedremo in un prossimo lavoro da una foglia terminale non avente però ben poco | a vedere con quella segnalata ivi dal Van Tighem e da altri. = In conclusione col sussidio dell’analisi comparativa, che qui ho appena ab- | bozzato poichè mi riservo di estenderla in un altro lavoro, le divergenze fra A | Nemo propheta in patria e perciò sono costretto a dichiarare ora. che le mie recentissime osservazioni mi hanno portato a risultati ben 3: | differenti da quelli intuiti, più che osservati, nel lavoro in collabora- zione eol Mattirolo, essendo giunto a constatare che Za /amina chila - rappresentando invece un esteso tessuto di trasfusione del cordon vascolare tegumentale. Infatti, accanto a molti casi in cui la lamin renchima, o per mezzo delle cellule della guaina del fascio, infine mercè l’endodermide (Fig. 26 Tav. III), od i differenti tessu ad un tempo, e ciò spesso a seconda del punto che si considera, se n hanno degli altri non meno numerosi in cui il chilario è in diretta conti-. nuazione col fascio tegumentale (Fig. 25 Tav. III, Fig. 12 Tav. II), o solo per qualche tratto separato da questo mercè gli elementi sopra descritti. L’essersi spesse volte trovato il fascio separato dal chilario non . costituisce una prova che la mia concezione sia errata, ed il chilario | sia pertanto un organo a se, essendo noto che anche nelle foglie di molte Gimnosperme, per citare un solo esempio, gli elementi di trasfusione assai spesso sono separati da quelli xilemici dal cordone vascolare mer: cè parecchi piani di cellule parenchimatose, spesso non lignificate. Nel caso nostro si tratterebbe pertanto di un tessuto di trasfusio- ne tardivamente formantesi, come se ne hanno molti esempi nelle fogli delle Cicadee ed in altri gruppi di piante. Il suo sviluppo non è pe nel caso del chilario, strettamente centripeto, come sopra ho avuto 00 casione di dimostrare, procedendo la evoluzione dei tracheidi chilaria in vario senso, a seconda dei semi. A conferma delle mie conclusioni potrei ancora aggiungere che non infrequentemente il fascio tegumentale, una volta emancipatosi di chilario nello spessore del tegumento, sviluppa dal polo opposto al bro, cioè dal lato che guarda verso il chilario, un sistema, assai rido to invero, di tracheidi corti, ampi irregolari, indubbiamente apparte nenti del pari alla categoria deltessuto di trasfusione. Tali elementi, e! per lo più sono diretti in vario senso e più o meno obliqui alla direzion degli altri tracheidi del cordone vascolare, in non pochi casi si prolungan - al punto da raggiungere gli elementi estremi e più profondi della laml chilariale (Fig. 21 e 25 Tav. III). Stando le cose in questi termini ovvio che il chilario non è altro che una porzione. spesso staccata detto sistema di trasfusione il quale, occorre notarlo, per quanto | consta, nella grande maggioranza dei semi si sviluppa unicamente PROF. LUIGI BUSCALIONI i a + la regione ilàre e caruncolare del seme, non trovandosi altrove più. traccia di elementi di trasfusione. È Solo nel Lotus tetragonolobus (Fig. 25 Tav. III) ho trovato una struttura un po’ abberrante, che conferma tuttavia le mie osservazioni e l’interpretazione ad esse data. In questa specie il fascio vascolare funicolare, un po’ prima di raggiungere il tegumento seminale, sviluppa un È imponente sistema di tracheidi di trastusione, occupante in senso trasver- sale all'organo, gran parte del funicolo. Le cellule spiralato-reticolate che si attaccano al xilema, ma opportunamente al polo liberiano, arrivano per lo sd più fino al davanti del libro formando quasi una cintura sui fianchi del fascio legno e senza perdere le loro caratteristiche di tessuto di trasfu- sione (1). Non si tosto poi il fascio vascolare è penetrato nel seme esso i non tarda a sviluppare il sistema tracheidale chilariale, senza che tut- * tavia si possa notare alcuna separazione fra il chilario ‘ed il fascio. Emancipatosi, al fine, dal chilario il fascio tegumentale da origine an- 1 cora a pochi elementi di trasfusione che nulla hanno a, vedere col chi- E° lario (come ho segnalato per altre specie di Papilionaceae) prima di 4 diventare un fascio ordinario collaterale endarca, mentre nella re- I gione di rimaneggiamento si presentava tipicamente mesarca-collaterale. —_—©Ora merita di esser segnalato che gli elementi del chilario nel Lotus i tetragonolobus, mentre mostrano di esser costituiti sullo stampo di quelli di trasfusione (come avviene del resto anche nelle altre Papilio- B teggiatura, rispetto a quelli del tessuto di trasfusione intrafunicolari. . Ciò ci porta a ritenere che qui abbiamo realmente due sistemi di tes- suto di trasfusione l’unò tegumentale, l’altro funicolare: il primo com vulo duranto il suo sviluppo, e forse anco attorno al seme. ben tosto allo stato di cordone protostelico (concentrico) endarca e fi- ‘@ Analogamente a quanto ebbe ad osservare il Jeffrey in |Prepinus, coni- ora il cui tessuto di amen ie a nacee) non presentano notevoli differenze, sia nella forma che nella pun-. pirebbe una funzione meccanica nel momento della deiscenza dei semi, il secondo varrebbe ad intrattenere una raccolta acquea attorno all’ o- Concludendo: alla stregua dei fatti esposti risulta che il fascio va- scolare destinato ad innervare il seme si stacca dal frutto sotto forma. di cordone funicolare concentrico midollato endarea, di poi trapassa. 66 IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECC ‘ nalmente, perduto il libro da uno dei poli, diventa mesarca collatera mentre va sviluppando uno o più sistemi di trasfusione, dopo esser circondato di un endodermide rudimentale. Il fascio, abbandonata la regione ilàre, percorre da ultimo il tegumento seminale sotto forma di cordone evoluto, cioè collaterale endarca, quali sono quelli delle piante. superiori. Giunti a questo punto è lecito domandarci se si abbia qualche cosa. di analogo nelle forme degradate ed in quelle fossili, più o meno ar: | caiche. A mio parere la risposta non può essere che affermativa, poten: dosi trovare citati numerosissimi esempi di strutture collimanti con quelle testè descritte, sia nei trattati di botanica, sia nelle opere vio guardanti la struttura dei semi, sia infine nei manuali di Paleontologia botanica. PA La rassegna sarebbe oltremodo lunga ed io mi limito pertanto, per amore di'brevità, a riportare pochi esempi che meglio valgono ad il- lustrare il mio ‘concetto. Il Worsdell nel suo opuscolo « The vascular struetur of the ovule of Cephalotaxus » accennando ai due fasci inversi (già visti dal Strasburger ed altri) che innervano lo strato carnoso rivestente il sen (arillo, o ligula a seconda degli autori) fa rilevare che il fascio, olti che di legno centrifugo è fornito anche di legno centripeto e per dil più presenta due gruppi protoxilemici, come in Cycas e Stangeria, sendo l’ uno dei gruppi dipendente dal legno centrifugo, l’altro da quello centripeto. Per l’autore la disposizione starebbe ad indicare che il legno di ploxileo sarebbe derivato da un cordone concentrico nel quale la pa di floema collegata (nelle forme ancestrali) al legno centripeto sarebb | scomparsa. La spiegazione sarebbe valida per molti altri casi di legne diploxileo reperibili nelle Conifere e nelle Cicadacee. * À primo aspetto chi confronta quanto io ho rilevato nelle Legu “minose con quanto ha messo in evidenza il Worsdell può esser indotto a supporre che la regola da questi enunciata valga anche per la for mazione del legno diploxileo nel seme delle Papilionacee. Anche qu infatti abbiamo un cordone funicolare concentrico (midollato per altro * che, dopo di aver perduto il midollo e di esser divenuto protostelico perde il floema da un lato, diventando così diploxileo. Quest’ ul PROF, LUIGI BUSCALIONI 67 disposizione si verifica al suo passaggio attraverso le Malpighiane del seme, cioè nel momento in cui diventa cordone tegumentale. Però l’ apparenza inganna, in quantochè il fascio tegumentale di - ploxileo non può esser considerato come concentrieo nelle Leguminose almeno per quanto concerne il legno, sviluppandosi la porzione centripeta di questo, come fra poco avremo occasione di metter meglio in evidenza, molto più tardi di quella centrifuga. In altre parole il legno centripeto e qui una formazione oserei dire nuova, che si giustappone a quella centri- fuga. Per converso in un fascio realmente concentrico e coi protoxilemi assili devesi ammettere che il legno, lungo tutti i raggi o settori del cor- done, si sviluppi contemporaneamente ed uniformemente e solo per l’ac - cidentale scomparsa del libro su uno dei settori esso acquisti da questo lato la costituzione di legno centripeto. In questo sta la grande differenza tra un cordone concentrico-mesarca ed uno prettamente mesarca ed io ritengo che se sì seguisse lo sviluppo dei due cordoni vascolari del così detto arillo, od organo ligulare (per me piuttosto omologo di un’ indusio) nel C'e- phalotarus si vedrebbe probabilmente che la disposizione di cose indi- cata dal Worsdell non si verifica, pel fatto che, forse, i due legni non. compaiono anche qui contemporaneamente e forse neppure gli elementi . legnosi sono foggiati su un’ unico stampo nei vari settori. Del resto il : concetto del Worsdell non è in armonia con quanto verificasi sullo svi- luppo dei cordoni vascolari delle Cicadacee e delle Conifere. Continuiamo ora la rassegna comparativa. Lo Sprecher nel suo volume sul Ginkgo biloba (Geneve 1907), accennando della struttura È del tegumento seminale di questa specie, fa rilevare che il tessuto sele. roso formante lo strato medio del tegumento è in rapporto coi cordoni vascolari del seme, inquantochè le sue cellule non sarebbero che la con- tinuazione del tessuto di trasfusione che in abbondanza circonda il sistema vascolare nel così detto arillo. i Alla base del seme, cioè un po al di sopra dell’ arillo ni elementi del tessuto di trasfusione tendono a ridursi, mentre le cellule del tes- | suto seleroso, che si vanno già organizzando in vicinanza dell’arillo stesso, assumono i caratteri e le punteggiature reticolate proprie del metaxilema del fascio e degli elementi di trasfusione. Lo e però non osa affermare con sicurezza. To au _ 68 IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECC, | eordare il fatto come una supposizione avente molti indizi di attendi- | bilità, Si avrebbe adunque anche qui un riscontro con quanto ha luog nei semi delle Papilionacee, la cui lamina chilariale sclerosata è la co tinuazione del tessuto di trasfusione del fascio vascolare tegumentale.. .I semi di talune Conifere e di non poche Pteridosperme (in specie Stephanospermum) presentano un rivestimento tracheidale in corri-- spondenza delle estremità micropilare della nucella (1). La funzione di. un tale sistema sarebbe quella di fornire acqua (nelle forme fossili) agli | anterozoidi, od ai tubetti pollinici (nelle forme moderne) penetrati nella " camera pollinica, o nel mieropilo. ‘A All’ uopo persino il « Lagenostoma » cui, come vedremo fra poco, | spetta anche un’ altra funzione, presenterebbe una struttura tracheidal Un’ altro ammasso di tracheidi si ha pure frequentemente alla bas di molti semi ortotropi appartenenti alle famiglie sopra indicate, e lo stesso costituisce la così detta « coppa calaziale ». Dallo studio un p ; sommario fatto sull’ argomen‘'o io ho potuto ricavare dei dati abba stanza sicuri per poter esprimere l’ opinione che gli elementi della Copp sono omologhi o a quelli di trasfusione, il che mi pare più che pro babile, o a quelli del legno centripeto, il che mi pare dubbio. All’ o: posto per quanto concerne la costituzione dei tracheidi nucellari peri micropilari, ho ragione di ritenere che meritino veramente di esse ascritti alla categoria del legno di trasfusione. A quanto pare anche in questo senso si esprime il Seward ct | paragona siffatto accumulo perimicropilare delle forme fossili all’ am masso di tracheidi reperibili presso il micropilo nel tegumento semina di Cassytha stata studiata dal Mirande. È vero però che nè questi, nè quegli si sofferma a stabilire. | rapporti di posizione che intercedono fra i tracheidi in questione ed protoxilema dei cordoni vascolari del tegumento seminale, ma noi ve dremo ben tosto che abbiamo, ciò non di meno, a fare con un tessuto di trasfusione. i Infatti le ricerche da me instituite sui semi di talune Lauri (Laurus, Persea, quest’ ultimo proveniente dalle collezioni da S. A. a Vedansi in proposito i i lavori di Miss Stopes, Oliver, Scott, Seward, PROF. LUIGI BUSCALIONI la Duchessa d'Aosta) mi hanno dimostrato che anche quivi esistono gli elementi tracheidali analoghi a quelli dell’ affine C'assytha e gli stessi, in continuazione dei fasci, vascolari tegumentali, decorrono tuttavia in un piano più profondo e perciò corrispondentemente al polo opposto al libro per cui a giusto titolo vanno annoverati fra gli elementi di tra - sfusione (1). Localizzati quasi esclusivamente alla regione micropilare i i tracheidi in questione, spiralati-reticolati, compaiono in piccoli am q massi,‘o isoliti in mezzo alle cellule schiacciate del parenchima seminale je (Fig. 4 Tav. I, Fig. 22 Tav. III) d È vero però che l’ ammasso tracheidale della Laurinee (Cassytha, Laurus, Persca et.) è tegumentale, mentre quello delle Pteridospermae e di talune Gimnosperme, cui sopra ho accennato, è nucellare; ciò per altro non toglie valore alle mie osservazioni, dacchè noi sappiamo che i semi delle Gimnosperme e delle Pteridosperme fossili hanno talvolta 3 due sistemi di fas:zi vascolari (talora mesarchi), l'interno dei quali de - a corre, o nella nucella (al limite col tegumento), o nel tegumento (strato profondo), a secondo che la nucella è libera, o viceversa saldata per un’ estensione più o meno grande col tegumento (2). 29 «(1 Per maggior esattezza rileverò che nel Laurus canariensis il seme è E innervato da fasci solamente nella porzione inferiore e media; l’ estremo supe- riore costantemente ne difetta. Ancor più accentuata è questa condizione di cose nella Persea gratissima ove i fasci si allontanano poco dalla regione inferiore del seme. Anche qui adunque i due sistemi di tracheidi sono discontinui, come in molte Papilionacee. (2) Sono pure strettamente collegate col sistema vascolare dei semi delle Laurinee le disposizioni anatomiche state riscontrate dal Guerin nei tegumenti seminali delle Thymelaenceae, talune specie della quale famiglia (Craterosyphon, Syuaptolepis, Dicranolepis) presentano nel tessuto interposto tra il tegumento seminale ed i cotiledonì, cioè nei resti della nucella, non pochi ammassi tra- cheidali, ad elementi uniti intimamente fra loro, oppure pacs, gag pe mezzo » di parenchima, i quali si uniscono al rafe n 3 Il Guerin giustamente fa osservare pre qui si avrebbe un ricordo di quanto È ha luogo nelle Cicadofilicinee permo-carbonifere (Trigonocarpon, Polypterosper- sera Dar) Lasari a mio parere, torta stitenendo ant un caso Cina IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECC. Ciò posto possiamo asserire che anche nelle Papilionacee vi qualche cosa di simile a quanto si ha nei sopra ricordati tipi fossili e a quanto si riscontra tuttora nelle arcaiche Araucariee e Podocarpee | che hanno pure un rivestimento (nucellare) di tracheidi E come io ebbi ad esporre in altra nota. Il chilario rappresenta per me, come ho sopra esposto, la continua- | zione del sistema tracheidale centripeto, o per esser più esatti, il sistema | di trasfusione dei semi delle forme arcaiche e degradate e come tale occuperebbe la stessa posizione che questo tessuto ha nelle Laurinee rispetto al fascio vascolare del tegumento. In queste ultime l'ammasso — tracheidale perimicropilare avrebbe forse lo scopo di mantenere suffi- | vascolari nell’ ambito del tegumento interno, il che per me ha significato filo- genetico, come lo hanno i fasci intraseminali del Quercus Robur stati illustrati | dal Klebelsberg. Questi riporta pure altri casi dello stesso genere, frutto per ; altro di altrui osservazioni, come, ad esempio, quelli relativi al Ricinus, stati il. lustrati dal Gris, dove la nucella, nella porzione saldata al tegumento, è inner- | | vata da una cupula vascolare. Lo stesso autore riporta ancora gli studi del 2A Treub sui tracheidi isolati nella nucella delle Casuarina ricordanti analoghi elementi delle Conifere arcaiche, quelli di Nicoloff sul calaze, di /uglans e in-- fine le ricerche di Miss Benson sul Carpinus e Castanea tutti tipi pure prov- visti di tracheidi nucellari. Giustamente il Klebelsberg omologa siffatte singolari produzioni vascolari nonchè quelle della Iulianacee (V. Weselsdorff), alla costituzione seminale delle. Cicadacee, di Torreya, di Cephalotaxrus attuali e di molte forme fossili più 0 meno affini, come Lagenostoma, Stephanospermum et. Avendo per altro com- pulsato il lavoro in questione io ho potuto rilevare che l’autore, mentre si sofferma ad illustrare 1’ importante questione del centro calaziale vascolare, non si preoccupa punto di sapere qual è la costituzione dei fasci, se cioè siano ar: — caichi (mesarchi o esarchi), o di tipo moderno, Nella stessa dimenticanza son del resto caduti molti degli autori sopra ricordati. Come costituzioni vascolari aventi qualche lontano punto di contatto con quelle testè analizzate meriterebbero menzione il seme ed il frutto di Viscum. stati studiati dal Giokic, avendo quest’autore trovato delle cellule spiralate, seb- bene queste, anzichè esser distcibuite nella nucella e nel tegamento, siano ac- cantonate nell’endocarpo. Nulla invece hanno a vedere con siffatte strutture gli elementi spiralat | descritti dallo Schwere nei semi di Taraxacum e dal Licopoli in quelli di Co. baea. Quì hanno più affinità cogli elementi, pure, pds delle radici delle Oc chidee. | —centemente fornita di acqua la regione dove devono compiersi la impor- “tante funzione tanto della fecondazione, quanto dello sviluppo dell’ em- brione. Il che significa che nelle Laurinee è conservata una condizione di cose largamente rappresentata tra i semi delle forme zoidiogame anti- i quate, sebbene non si possa più parlare di zoidiogamia in tipi così evoluti, Analoghe considerazioni valgono pure per il tessuto tracheidale delle degradate Gimnosperme attuali, quali sono le Araucarie, per quanto il problema dell’ arcaismo di queste piante sia ancora oggetto di discus- sione (V. mia nota prev. in Accademia Gioenia Boll. 1920). Ben altrimenti vanno le cose nelle Papilionaceae, almeno per quanto concerne la funzione del chilario, in quanto che qui l’ organo ha assunto le funzioni di un tessuto meccanico, quasi analogo a quello delle antere, destinato, cioè, ad assicurare la lacerazione del tegumento seminale nel momento della germinazione, determinando la sede della spaccatura. Per converso di una funzione di tessuto acquifero al servizio della fe- condazione e dello sviluppo dell’ embrione non è il caso di parlarne, sviluppandosi il chilario molto tardivamente e -presentando le sue cel- . —lule quasi sempre piene d’aria (1). È Data la differente e nuova funzione si comprende come l’ organo b: abbia subito nelle Papilionacee una notevole evoluzione e un perfezio- «namento non indifferente. Esso è divenuto un apparato quasi sui generis, p reso più complesso dalle labbra chilariali che capaci di aprirsi e di chiudersi a secondo del grado di secchezza, o viceversa di umidità, con- 3 tribuiscono non poco ad agevolare la funzione meccanica del chilario. | Perciò è fino a un certo punto scusabile se Mattirolo ed io (come del | resto anche qualche autore più recente), non sufficientemente agguerriti retin filogenetiche, abbiamo considerato il chilario come un | organo pressochè senza nesso col fascio vascolare. Sotto il punto di vista meccanico col quale abbiamo prospettato il (1) Anche piene d’aria sono le cellule tracheidali dalle Laurinee, ma allor- chè i semi hanno raggiunto quasi la maturità. Il color bianchiccio grigiastro Sa oa avendo Mindanao in quale periodo sea vita dell’ovulo esse com- della calotta micropilare è appunto devuto in gran parte all’aria contenuta nei €}. IL LEGNO ORITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECC. bile, quest'organo presenta una singolarissima analogia anche coll struttura della regione micropilare ‘del seme di Sphaerostoma orale nel quale la volta della camera pollinica risulta costituita da cellule (1) che, tenere allo stato giovane, sviluppauo alla maturità delle reticola- ture nelle pareti, allo scopo appunto di provocare la lacerazione della volta della camera per dar passaggio alle microspore. Il motivo è dif- ferente da quello che abbiamo segnalato nelle Papilionacee, ma il mec- «canismo è funzionale e molto simile. Aggiungasi ancora che, oltre questo apparato di deiscenza, analogo in certo qual modo al chilariale, si ha il fascio tegumentale, presso il mieropilo, fiancheggiato, in Spa rostoma, da elementi acquiferi assai ampi (2). Assodati questi principi in base all’ anatomia comparata è lecitoli domandarci se l’ apparato chilariale della Papilionacee (e fors’ anco quello puramente tracheidale delle Laurinee) abbia ad essere omologato piuttosto all’ apparato tracheidale perimieropilare. delle Gimnosperme fossili e viventi, o non piuttosto al disco tracheidale calaziale delle stesse (l’ipostasi pro parte, di Van Tieghem). La questione è molto ardua ed io non pretendo di risolverla, ma solo di mettere in evidenza certe disposizioni che porterebbero piutto- sto verso l’una che verso l’altra delle soluzioni. Essendo il chilario un organo in relazione strettissima col miero. pilo, sia anatomicamente, sia fisiologicamente, esso potrebbe esser omo- logato all'apparato tracheidale gimnospermico : essendo, per altra parte in relazione sia pure indiretta, col cordone del tegumento seminale la dove questo penetra nel seme potrebbe invece rappresentare il disco tracheidale calaziale dellè stesse piante. La questione si complica an cor di più se consideriamo che nelle Gimnosperme e Pteridosperme il disco tracheidale calaziale è distintamento separato dal sistema di sfusione nucellare, per essere il seme per lo più ortotropo,. mentre nel caso delle Papilionacee l’ovulo campilotropo e .anfitropo avvicina il cs- laze al micropilo, rendendo così più difficile sceverare quanto spetti (1) Queste cellule sono però di origine epidemica. (2) Probabilmente ue rr a quelli stati rinvenuti del guiazge peli nell’ Anona, PROF. LUIGI BUSCALIONI all'uno e quanto all’altro. Non si può pertanto neppur escludere che i due sistemi siano rappresentati ad un tempo. Se noi tuttavia consideriamo che nelle Papilionacee un vero calaze Si non sempre esiste perchè, come ha dimostrato il Le Monnier, il fascio È tegumentale si ramifica appena penetrato nel seme, possiamo ammettere È che il chilario, accollato al brevissimo rafe, costituisca appunto la cop- # pa calaziale sviluppatasi qui però solo da un lato del cordone ra- “A - feale (1). Ora che abbiamo, per sommi capi, messo in evidenza come |’ ap- È parato tracheidale, a tipo di trasfusione, sia frequente nélle forme fos- I . si sili e viventi degradate (dove riveste il carattere di sistema immagaz- i zinatore di acqua), non ci deve recar meraviglia che esso torni a riap- parire in forme, se si vuole, assai più evolute, per quanto tuttavia non molto progredite fra le Angiosperme, e che forse contano dei rappre- sentanti fossili abbastanza arcaici.. È per altro oltremodo singolare ed interessante ritrovare che la struttura primordiale dei fasci ampiamente 3 rappresentata nei vari organi dalle piante arcaiche, dopo di essersi lo- calizzata sol più nelle foglie e negli assi fiorali (coni) delle forme re- centi, o per lo meno non del tutto arcaiche, si ripresenti nelle attuali | —Papilionacee so'tanto più in un punto quanto mai circoscritto del fa È scio vascolare del seme, là dove, cioè, il funicolo si innesta al tegu- «mento seminale. Questa regione sarebbe dunque eminentemente conser 3 vatrice, stando almeno alle ipotesi filogenetiche dominanti ‘V. Ieffrey), F allo stesso modo che lo sono l'asse del cono e le foglie nelle Gimno- I sperme. Le singolari disposizioni anatomiche venute in luce dallo studio delle Papilionacee portano a credere che il mesarchismo possa esser | presente anche in altri semi di piante non fornite di chilario. Forte di questa convinzione ho iniziato lo studio di altri tipi vegetali, ma le ricerche fino ad ora eseguite, un po” frammentarie ed affrettate, non mi hanno permesso di arrivare ad una conclusione di indole generale. % 5 % . (1) Nei semi di Medullosa vi ha un doppio sistema vascolare; uno E° essi. passa nel sarcotesta e si presenta mesarca: l’altro è nucellare ed arriva fino. al | micropilo mostrandosi costituito ovunque: soltanto da xilema, con elementi a | tipo di trasfusione. Si ha pertanto un’analogia col chilario fatto Lamp da molo. xilem». Anche in Casuarina vi ha qualche cosa di simile: S Le e ; i >: ù Passi IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECC. Fam. Leguminosae. Nell'ambito delle Leguminosae le mie ricerche furono estese sola- mente al Gen. Scottia, Gl-ditschia ed Acacia, tre generi che per non appartenere alle Papilionaceae sono sforniti di chilario. Or bene ho trovato che in queste generi il fascio vascolare funicolare pene rasi nel tegumento seminale si fa dapprima concentrico periliberiano coi protoxilemi centrali, poi diventa (per lo meno nei tegumenti di Gledit- .schia e Scottia) collaterale mesarca, essendo inoltre, dal lato del xilera gii È circondato da un cappuccio di cellule parenchimatose e sclerose a con tenuto giallastro e dall’endodermide (nelle parti un po' lontane dall’ilo). — Se poi ben ricordo tanto in Scotia che in Gleditschia (Fig. 1 Tav. I) j si inizia, dal lato del foema, la formazione di più strati di cellule fornite di ispessimenti analoghi a quelli presenti nel così detto reticolo di soste- gno del Van Tieghem, sebbene nel mio caso le cellule provviste di sif | fatti ispessimenti possano esser forse considerate come analoghe di quelle dA endodermiche. Non insisto ulteriormente su questi particolari perchè furono da me un pò affrettatamente studiati (V. ulteriori dati in me- rito agli stessi a pag. 58 del presente lavoro) (1). (1) Credo non del tutto fuori proposito far rilevare la grandissima rassomi per quanto riguarda le Cicadacee) vi ha al davanti del libro e del legno u guaina di cellule peculiari provviste di reticoli di ispessimenti ligaificati; nell | Papilivnacee e nelle Cicadacee, accanto al legno mesarca, vi ha ancora il legn di trasfusione (V. Scott a Maslen; The structure of Trigonocarpus): infine tan nel funicolo delle Leguminose, quanto nel peduncolo seminale di Trigonocarpus (una Medullosa affine alle Cicadacee) e in quello di Cycas abbiamo un fasci principale concentrico che poi si smembra nei cordoni SONE mesarchi del | tegumento. Tutto questo prova che quando v’ha un ritorno all’ atavismo questo è quasi mai limitato ad un’unica disposizione anatomica e morfologica, ma si accompagna | per lo più a molte altre disposizioni similari atavistiche, quasi che si tratti di | una mutazione generalizzata per infezione (mi si permetta le parole) di atavism Analoghi fatti vennero dal Prof. Lopriore e da me segnalati nelle radici Phoenix BET e dal Velenorscki nei fusti di altre Palme E PROF. LUIGI BUSCALIONI 5 ) 75 Sa In questi casi adunque abbiamo una struttura di fascio vascolare tegumentale perfettamente analoga a quella delle Papilionacee, sebbene manchi il chilario. Ciò fa adunque sospettare che la disposizione me- sarca sia più diffusa di quanto a primo aspetto appaia e che da essa È sia derivato poi il chilario nelle Papilionacee più evolute. Ammesso frattanto il mesarchismo nel fascio funicolare e tegu- mentale delle Leguminose la formazione della lamina chilariale, nelle “dl . CLI . u U . . . I parisce più come una disposizione curiosa, anomala, oserei dire ecce- 3 zionale e tanto meno non atta ad esser spiegata alla stregua delle ovvie LI | concezioni anatomiche filogenetiche. Essa è invece semplicemente un'e- come lo è il tessuto di trasfusione in molte piante, ove fu segnalato da vari autori, per quanto fra il vero legno centripeto e il tessuto di tra- sfusione (chilario) si interpongano spesso delle cellule di parenchima (del resto come in molte Gimnosperme). Nei semi delle Leguminose noi abbiamo adunque parecchi accenni di strutture arcaiche, quali sono la lamina chilariale, il legno centri- peto e l’ endodermide. Quest'ultima poi, compare appunto in una re- gione quanto mai circoscritta là dove cioè si affacciano le altre strut ture arcaiche. La sua natura atavistica si appalesa al fatto che il tes - suto non è uniformemente sviluppato, nè costantemente presente in tutti i semi, sebbene non si possa escludere che compia qualche funzione, quale sarebbe quella di avviare le correnti acquee in una data direzione. L’ endodermide, è a mio parere, un tessuto che ha ovunque le stimmate della sensilità filogenetica, poichè noi lo treviamo con grande frequenza nelle radici che, come è noto, conservano una struttura ar- caica (legno centripeto), essa compare poi frequentemente nelle plan- tule che sono quasi sempre fornite a dovizia di caratteri arcaici, per scomparire nel fusto della pianta adulta; si presenta di nuovo nella polistelia che e pure un tipo arcaico di assetto desmico; la vediamo comparire nei casi di sifonostelia’anfifloica descritta dal Jeffrey e da altri, non chè nell’analoga struttura presentata dalle radici di alcune Papilionacee, come rappresentante il tessuto di trasfusione, non ap-. manazione dal legno centripeto del fascio vascolare, alla stessa stregua Palme (Phoenix dactilifera), come venne meno in evidenza dal Profes: ; “sore Lopriore e da me in una recente pubblicazione; infine non manca quasi mai là dove un organo si degrada, ritornando a un tipo arcaico. — # 6 IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECC Non è pertanto del tutto senza importanza l’ averla io segnalata, questi miei studi, accanto al mesarchismo e quasi come una disposi- zione necessaria per siffatto tipo di fuscio vascolare. 5 Sono queste le sole stimmate di arcaismo che offrono ì sem - delle Papilionacee ? La risposta è negativa ed ha quindi una portata. grandissima per interpretare il seme di tali piante alla stregua dei m derni concetti filogenetici. Molto probabilmente un ricordo etavistico sono i bastoncini, d natura pectica, che il‘ Mattirolo ed io abbiamo riscontrato negli spa intercellulari di Vicia, Phaseolus et. e che ricompaiono, come hanno dimostrato Luerssen ed altri, negli spazi intercellulari della fronda dell Marattiacee, vale a dire in tipi rappresentati da pochissimi elemen attualmente, ma largamente diffusi sulla terra nei periodi geologici pîi o meno lontani (sebbene talune delle pretese Marattiali siano oggigiorno riconosciute come appartenenti piuttosto alle Pteridosperme). Un'altra struttura pure arcaica dei detti semi è la « linea Incida » che fu pure oggetto di un mio studio assieme al Prof. Mattirolo: essa è infatti reperibile, oltre che in taluni tipi angiospermici più o meno, evoluti, anche nelle Marsiliacee .che sono forme degradate (per la v acquatica) di Pteridofite, anzi di Filicinee, sintetiche, affini da un cant alle Schiz-aceae, dall'altra alle Ophioglossales e persino ad alcuni tip pure di Pteridofite eterosporiche, Da ultimo potrei ancora aggiungere che il sospensore esagerata- mente lungo di alcune Papilionacee potrebbe pure appartenere alla ca- tegoria delle caratteristiche atavistiche, trovandosi un’ analoga disposi zione nelle Gimnosperme allo scopo di portar l'embrione nel cuore tessuto di nutrizione. Ho però alcuni dubbi al riguardo, avendosi sospensore assai lungo anche in tipi evoluti (Plantaginee) (1). A nessuno, io credo, potrà sfuggire 1’ alto significato filogeneti@ delle mie ricerche, comprendenti una delle più grandi famiglie di Di (1) Nell'ambito della sfera vegetativa le simbiosi delle radici coi battero! potrebbe apparire come un carattere atavistico o pi a che in certo qua modo sta a lat> delle simbiosi radicali “on taluni funghi od algbe reperibi nelle Cupulifere, Gimnosperme, Ofioglossali, Licopodiali et. na so se altretta osge dirsi pei NE, motori fogliari, già dpr nelle Marsiliacee. PROF. LUIGI BUSCALIONI cotiledonee largamente diffuse sulla terra, ma prevalentemente rap- presentate da forme crescenti nelle regioni tropicali, o subtropicali, dove ancor oggigiorno permangono eonservate le condizioni di clima delle passate epoche geologiche. Tanto reperto mi indusse a prender in considerazione anche altri gruppi vegetali, ma le mie ricerche in proposito furono assai meno 9 fortunate, sia per la mancanza di tempo che di m.teriale. Riservan - E; domi a ritornar quanto prima sull'argomento, appena sfiorato, ripor- terò qui i principali risultati ottenuti. Fam. Solanaceae. Capsicum annuum (Fig. 17 e 20 Tav. II). Non starò qui, per amor di brevità, ad illustrare la struttura del tegumento seminale (corri- spond.nte, del resto, a grandi tratti a quella del Solanum, del Ly i copersicun e di altri generi stati studiati dall’ Hockhauf e da qualche altro autore) per limitarmi all’analisi della costituzione anstomica del A cordone vascolare, scegliendo nigi la regione in cui questo ssiuciriy nel tegumento. Il cordone è pressochè circolare e consta, tutto all’; ingiro, di un grosso strato liberiano, in cui gli elementi caratteristici del tessuto ._ sono raccolti a gruppi. Il fascio è pertanto tipicamente concentrico periliberiano, e tale forse ci conserva per un certo tratto del suo percorso nel tegumento. Il legno, È raccolto al centro del fascio, è formato da gruppi di elementi irradian - | tisi in certo qual modo da una parte assile rappresentata da un mi- nuscolo accumulo di protoxilemi. All’ingrosso si potrebbero paragonare i fassetti legnosi ai raggi di una ruota, il cui asse fosse formato dal protoxilema. Fra le serie radiali di tracheidi si interpone del DI chima legnoso, non però lignificato. x Qualche volta ho notato che i fascetti legnosi solo lungo un settore del cordone irradiano dal centro protoxilemico, in quantochè dall'altro | 29 lato si dispongono quasi tangenzialmente al sistema. Tutta la struttura | ricorda pertanto, sia pure lontanamente, quella di un fascio de! pieciuolo di Cycas in cui pure abbiamo un sistema di legno allienato in senso tangenziale (il xilema centrifugo) rispetto al piano di simmetria del ‘cordone, mentre le primane si allineano cogli elementi del. legno cen n tripeto in serie più o meno ione radi; Sa vunque ne ciuolo si incontra una tale disposizione, ma intanto in €Cycas il libro | è tutto da un lato, nel nostro caso invece concentrico. Il complesso _ 4 vascolare del seme di Capsicum, ha, in ultima analisi, l'aspetto di un cordone protostelico, in cui però gli elementi conduttori del zilemeli sono separati gli uni dagli altri, in senso però prevalentemente radiale, ; da molto parenchima. Il protoxilema centrale indicherebbe che il fascio — è endarca, ma è un endarchismo che ricorda lontanamente quello di talune piante arcaiche e fossili quali le Botryopterideae (fascio del ramo ascellare di Zygopteris). La mancanza di un vero midollo del | centro del cordone non ci autorizza ad omologare la struttura in que- stione a una stela normale di un’Angiosperma moderna, ma neppure ci concede di andar più in la negli apprezzamenti. Io non ho, per altro, seguito il cordone nel suo processo evolutivo | e non sono perciò in grado di affermare che il legno di esso sia in | parte centrifugo, in parte centripeto; apparentemente esso sarebbe cen trifugo del tutto, formando il libro un anello completo attorno al xi- lema e non essendovi differenze fra i tracheidi di un lato a quelli del lato opposto riguardo alla forma, grandezza e punteggiature; ciò non di meno debbo far rilevare che più addentro nel tegumento il cordon analogamente a quanto avviene nelle Papilionacee, in certo qual modo si apre lungo un raggio diventando dossoventrale coi protoxilemi I posti al libro (fascio collaterale endarco). La struttura del fascio corrisponde pertanto abbastanza bene & quella che ho segnalato nel funicolo delle Papilionacee, lungo il quali il cordone passa pure per una fase concentrica prima di arrivare quella mesarca. Quest'ultima non fu peraltro posta chiaramente in evi- denza nel Capsicum, almeno nella sua forma classica a protoxilemi più o meno inglobati nella massa di un metaxilema a elementi diversa- mente conformati al davanti col di dietro dei. protoxilemi. Non posso pertanto asserire che in Capsicum esista realmente un mesarchismo € «rimetto perciò ad ulteriori studi la Sqpiane Fam. Cucurbitaceae. | Anche molto incomplete sono le mie ricerche nel gen. Momordica (A. Charantia) in cui ho notato che il xilema forma una massa cor pa nel punto in cui il cordone funicolare penetra nel tegumento se | libro pare che sia loealizzato da un lato del cordone bL PROF. LUIGI BUSCALIONI co | porta un piccolo ammasso protoxilemico nel centro del legno (Fig. 16 i Tav. II). Fam. Cupuliferae. s Corylus Avellana. Il lungo funicolo ha un sistema vascolare più o meno concentrico, ma non presenta traccia di mesarchismo, nè questo mi pare che sia reperibile nel fascio tegumentale. Anche a riguardo di questa pianta le osservazioni sono un po monche. Fam. Aesculineae. Aesculus Hippocastanum. Il fascio penetra nel tegumento sotto forma di un grosso cordone concentrico midollato periliberiano, ma in |‘ nessun sito presenta indizio di mesarchismo. Dai pochi fatti messi in evidenza con ricerche quanto mai sommarie ri- sulterebbe adunque che il mesarchismo dei cordoni vascolari dei semi delle Papilionacee non trova riscontro nella struttura di altre famiglie, se si eccettuano, forse, le So/anacee e le Cucurbitacee fra quelle da me passate in rassegna. Io ritengo che, oltre alla costituzione arcaica delle famiglie, . (Cupulifere, Apetale, et.), anche la natura del tegumento seminale abbia un’influenza nel far apparire la struttura mesarca, o altrimenti arcaica del _ fascio vascolare. A conferma di questo mio sospetto osservo soltanto che «mon ho trovato traccia di mesarchismo nei semi delle Cupulifere e di altre . famiglie primordiali, ma caratterizzate dalla presenza di un tegumento sot- «tile (almeno nelle specie esaminate), mentre il mesarchismo è ovunque reperibile nelle più evolute Leguminose a semi forniti di un’epidermide i molto robusta e di un tegumento ispessito. Gli accenni, più che dubbi per | altro, di mesarchismo nelle Solanaceae e Cucurbitacee a semi pure con tegumento robusto avvalorebbero amcor di più il sospetto. Alle future ricerche spetta di decidere se i miei sospetti hanno colpito nel segno (1). * C. — Sviluppo del fascio vascolare nei Funicolo e nel Tegumento seminale delle Papilionacee. Il periodo in cui condussi a termine le presenti ricerche era poco. favorevole allo studio dello sviluppo dei semi e perciò mi trovo co- Stretto a esporre qui le poche osservazioni fatte sugli ovuli e kr dil 5 | (1) Le stesse vennero di già iniziate nel mio laboratorio sd io sp i - ipo non breve di Lies rendere di pubblica ape. TZ 80. Ii, LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECC. Vicia Faba avuti dalla cortesia del Prof. Gino Pollacci dell’ Univer sità di Pavia, cui mi è caro esternare vivissimi ringraziamenti. Nella Vicia Faba il tascio vascolare, nel punto in cui sta penetrare nel tegumento seminale, come pure lo stesso cordone tegu mentale al suo inizio, cioè nel suo percorso attraverso le malpighian e la zona chilariale sono da principio costituiti da un tessuto procan biale, per lo più abbastanza nettamente distinto dal residuo parenchi ma, del pari allo stato giovanile. Ben posto però nello stesso vanno differenziandosi le trachei ed i vasi in senso centrifugo, formandosi dapprima dei minutissin protoxilemi a cui si accollano in seguito, ed abbastanza in seriazion almeno in alcuni tratti dal cordone, gli elementi del legno centrifugo ( (Fig. 27, 28, 29 Tav. III). Contemporaneamente si sviluppa pure libro dal magma procambiale, ma il suo sviluppo non presenta qui cuna anomalia degna di essere illustrata. Appena il cordone xilemico ha raggiunto un certo sviluppo sii zia la formazione del legno centripeto e di quello di trastusione, coil cidente quasi sempre collo sviluppo del chilario, di cui già abbia (continua) (1) Il modo con cui il protoxilema si coneat-na cogli elementi del meta lema ha costituito, per alcuni autori. un documento di un certo valore filog netico. In generale si osserva che nelle forma arcaiche il protoxilema si hi nette e si colloca in seriazione col legno centripeto. La disposizione non è costante poichè, ad esempio, in Ligynodendron esso è in seriaziene col legni centrifugo (Chodat) e in P/thys, pure stcaico, in seriazione sia col centri che col cantripeto. (V. Sinnot). Ora il fatto che nei semi delle Papilionacee da me studiate il protoxili è in seriazione, a seconda dei punti di osservazione, talvolta col legno centrifu talora con questo e con il centripeto, ma talora anche indipendente da ent per distribuzione dei suoi elementi, starebbe ad indicare che il significato genetico merita di esser preso in considerazione cum grano salis. Tanto che nelle foglie di Cycas, per citare un solo esempio, se è vero che i protox lemi sono in seriazione con il legno centripeto, su di che ha insistito il Chod per stabilire dei rapporti filogenetici, tale disposizione non ha più luogo, c vedremo meglio in un prossimo lavoro, nelle lacinie fogliari trasformate Nene: dalla stessa pianta, potendo ivi il protoxilema accollarsi ad suteani spal È as Ci N ra, i seree fasc'ate i CARALLIA INTEGERRIMA DI, NOTA peL Pror. L. BuscaLIONI Sulla fasciazione delle radici possediamo di già una discreta lette- ratura che chiunque può compulsare, oltrechè nel Just Jahresb. e nel Bot. 3 Centralbl., nei trattati di Patologia e Teratologia vegetale (ad es. quello È recentissimo del Prof. O. Penzig: Pflanzenteratologie) e in alcune mono - grafie originarie (Frank M.: qualche nuovo caso di fusioni di radici (per le radici aeree); Lopriore G.: Ueb. bandformige Wurzeln; Buscalioni L. .__@ Lopriore G.: Il pleroma tuboloso, l’ endodermide midollare, la fram- ‘mentazione desmica et.), di guisa che non è il caso di insistere ulte- riormente sull’argomento. i Passerò pertanto subito a descrivere un nuovo caso di radici fa- 3 sciate che mi'venne cortesemente fornito del Prof. O. Bower, l'illustre direttore dell'Istituto Botanico dell’Università di Glasgow e ben noto nella scienza per i suoi importantissimi lavori sulle Pteridofite, al quale mi è caro esternare qui i sensi del mio grato animo per aver messo a mia disposizione il materiale di studio e autorizzata la presente pub- blicazione. | D Oggetto di questa sono alcuni pezzi di radici, in alcool, di C'arallia _ . integerrima che il Prof. Bower aveva raccolto nelle foreste di Ceylon, far from the coast, nell’ anno 1885. _ °—Il Gefi. Carallia che comprende circa 7 specie diffuse nelle re- gioni tropicali, dal Madagascar all’Australia, appartiene alle £Aizopho- raceae, una Famiglia che, come è noto, ha molti rappresentanti nella «così detta formazione della Mangrovia. Il Genere che però ho preso in. esame non è indicato nell'opera dello Schimper (Indom. Strandfiora ) come appartenente a questa formazione e d’altra parte, stando ai dati del De Candolle (Prodromus), sarebbe stato” trovato sui declivi mon- tani delle Indie Orientali, dove cresce la C. Zucida di cui forse non è . altro che una varietà. Concorda infine con queste veduta il fatto che la nostra specie fu trovata dal Prof. Bower, come sepra è stato notato, lontano dalla costa, nelle. foreste. SE (1) Tempo addietro erano gialle, o bruno rossiccie. SE psi i di Le.poche radici avute a disposizione si presentano di color bruno (1) le- vigate, o solcate sia da strie fine e grigiastre, longitudinali, accanto ad altre | trasversali meno distinte, sia da lenticelle più o meno lunghe (0,5-1 cent. e più), dirette pure longitudinalmente, di aspetto finamente pulverulento e di | color pure grigiastro, ma più chiaro del resto della superficie. Ad una certa distanza dell’ estremità libera le radici mostransi fasciate ed allora pas-. sano dalla forma cilindrica a quella più o meno appiattita. Ma il cam- biamento di forma è più o meno accentuato e brusco a seconda che la | fasciazione dà origine ad una dicotomia (vera o falsa) (tig. 1 a sinistra) | della radice, o non piuttosto ad una politomia, pure vera o falsa (fig. 153 a destra e nel centro). 7 Nel primo caso 1° appiattimento, che compare gradatamente, è poco accentuato e a più o meno breve distanza dalla porzione normale scom- pare per dar luogo a due radici ordinarie, cioè cilindriche. Tanto nella — regione nettamente fasciata che un po al di sopra della stessa, cioè dal lato basipeto, si osserva un solco longitudinale mediano, il quale, in ul- ‘tima analisi, indica come la porzione fasciata e quella che la precede immediatamente siano costituite da due radici che vanno solo a poco a poco individualizzandosi completamente per emaneiparsi del tutto. Quando | ha luogo la politomia la radice normale, al di sopra del punto in cui si fascia, presenta pure qualche scanalatura longitudinale mediana: poi ; la parte fasciata si allarga notevolmente e bruscamente, tanto da assu: mere lontanamente la figura della palma di una mano, o di un venta- glio. Lungo il bordo frontale, o dai lati di essa poi nascono le radici normali che ricordano perciò le dita di una mano, o le stecche isolate di un ventaglio. Anche qui la fasciazione Bimontta di essere costituita da più radici in via di formazione, come lo attestano i solchi longitudinali che l’ at- traversano, corrispondenti appunto, per numero, alle digitazioni termi- nali libere. Nel punto in cfti le radici si emancipano dalla fasciatura | si ha frequentemente una specie di collaretto che abbraccia 1’ organo | emergente, Molto spesso, sia la radice dicotomica o politomiea, i i prolungamen radicali emergenti dalla fasciazione sono a lor volta fasciati; ben tosto. | però si scindono in due, o di rado, in più radici normali, ma non man. _ cano i casi in cui restano fasciati fino all’apice. | Al pari della radice materna, Livin terminali tornate normali, 50 PROF. LUIGI BUSCALIONI | percorse dalle lenticelle e solcature longitudinali, cui sopra si è accen- «nato; esse poi presentano al di sotto della punta brunastra una specie di solco o collaretto. SA L’esame microscopico delle sezioni trasversali ie nelle radici «adulte, in corrispondenza della posizione normale cilindrica, mi ha for» | nitoi seguenti ragguagli: al di sotto di uno strato a piccole cellule, rieche di contenuto giallo bruno, unite intimamente fra loro e costi- tuente lo strato pilifero, sebbene non presenti traccia di peli radicali, ve ne ha un altro a elementi alquanto più grandi e pure strettamente fra loro saldati, il quale rappresenta lo strato suberoso. Entrambi gli |» Strati arrossano col Sudam III sulle pareti. Compare al di sotto un tes- A |‘ suto formato da parecchi piani di cellule tabulari, a pareti alquanto 2 ispessite e suberificate con contenuto bruno, tannico, le quali non la- "201 sciano meati di sorta. Questo strato, che è stato segnalato in molte piante della Mangrovia, rappresenta una specie di periderma (V. Schim- per) traente origine da un fellogeno situato ora parecchi piani al di È sotto delle assise pilifera (Fig. 2). # Di tratto in tratto alla periferia delle sezioni si notano delle las cerazioni a labbra beanti, radialmente dirette e interessanti lo strato pilifero, quello suberoso e persino il periderma, almeno superficialmente. In corrispondenza di esse la zona a cellule suberose pare quasi che subisca un leggero affondamento. Evidentemente le fessure corrispondono alle lacerazioni che si appalesano esaminando la superficie delle radici. Non credo frattanto che siano produzioni artificiali, dovute al mezzo in cui vennero conservate le radici, o ad altre cause. pine a queste soluzioni di continuità le radici presentano ancora, | come si è detto, delle lenticelle genuine, più o meno numerose a se- conda dei punti. Trattasi di organi ricchi di tannino, costituiti da due - labbra, ognuna delle quali risulta formata da più piani cellulari che | divaricano a guisa delle bacchette di un ventaglio (fig. 2). Anche per la presenza da questi apparati d’ aereazione (1) la Ca- ii “a Stando ai dati di Wieler, che io però non ho potuto sosti i pneu satodi non sono sempre organi di aerazione e all napo, deri cita le Palme. e servo ava che i io o ho trovato irrita in m “viventi” Dre SULLE RADICI AEREE FASCIATE DI CARALLIA INTEGERRIMA DC. rallia integerrima ricorda le Sonneratia, le Rizoforacee ed altre piante. similari della Mangrovia, le cui lenticelle furono segnalate da Schim- per, da Gobel (Ub. Luftwurzeln d. Sonneratia: Ber. d. deutsch. bot. Ge - sellsch. 1886), dal Brenner (Ub. d. Luftwurzeln d. Avicennia tomentosa: | Ber. d. deutsche bot. Ges. 1902) che trattò pure dello sviluppo del fel- loderma, dal Westermajer (Z. Kenntnis d. Pneumataphoren. Freiburg > 1900) e da molti altri autori. 5 Stomi non vennero riscontrati, ma non posso eseluderlo in modo 3 tassativo. È tuttavia più probabile che le lenticelle, anzichè in relazione È a tali organi, si siamo formate a spese di talune di quelle lacerazioni Li esigue che ho sopra segnalato, presupposto, beninteso, che non rappre- sentino queste ultime delle disposizioni artificiali. AI di sotto dello strato sugheroso si ha la corteccia esterna, costi. tuita verso la superficie dell'organo da cellule tondeggianti, piccole, a pareti non molto ispessite, ma rese un po gialliccie da tannino. Gli elementi sono amiliferi e lasciano fra loro dei piccoli meati. Questo strato, formato da molti piani di cellule, spicca molto distintamente sul È sottostante le cui cellule, pure rotonde, sono disposte in serie preva- È lentemente radiali, mentre circoserivono dalle grandi lacune pure ra- dialmente dirette (fig. 2). è 3 Lo strato è caratterizzato dalla presenza di ispessimenti sulle pa- reti cellulari (fig. 3). e dI Trattasi di briglie listifiomte dhe girano tutt’attorno alla cavità cel- - lulare, per lo più ramificandosi in varia guisa, per formare una specie F di cornice o reticolo che interessa, per altro, soltanto la regione me- diana delle pareti tangenziali e trasversali. Solo nelle parti profonde della corteccia hanno talora altro decorso. Il resto della parete è sottile e di spessore uniforme. 3 a e analogo reperto venne messo in evidenza per altri Generi della stessa Fami- i da da altri autori. > Del resto le lenticelle sono abbastanza diffuse julio radici, in specie delle piante tropicali dei siti umidi, come io ho potute constatare nei miei viaggi alle regioni trapicali. Il Bernatski le trovò persino nelle lee sui tu- - bercoli radicali. ; Singolare poi è il fatto che organi a tipo di lenticelle si possono ottenere “sora le piante di taluni Ficus con ee liquida e. OE. PROF. LUIGI BUSCALIONI Le cellule dotate di reticoli sono particolarmente numerose nelle parti medie dello strato, per quanto anche ivi molte cellule fiancheg- gianti le lacune, e pure in serie oscuramente radiali, ne . siano prive. Queste hanno, in generale, pareti più sottili. Frequente è poi il caso che da un lato della radice le cellule a reticoli siano abbondanti, dall’ altro invece scarse, o che si alternino in serie sia longitudinali che trasversali tratti dotati di reticoli e tratti privi. I I reticoli di sostegno che non mancano in Late altre Famiglie, non appartenenti alla Mangrovia, (V. ad esempio Van Tieghem: sur le reseau de soutien chez les Legumineuses et les Ericacees. Bull. Soc. Bot. France 1888, 35 e sur le reseau du soutien de l’ ecorce et de la racine. Ann. Se. Nat. 1888 7° Ser.) sono stati tuttavia osservati con una certa frequenza appunto nelle piante della Mangrovia (V. Schimper Ind. mal. Strandflora, Gébel. Ueb. Luftwurzeln d. Sonneratia Ber. d. Deutsch bot. Ges. 1886 e Libau z. Anat. d. Mangrovia Pfl. inbesond ibrer Luftwurzelsyst. Beit. z. Biol. d. Pf. 1814 et.). La corteccia risulta così costituita di uno speciale tipo di aeren- chima che, per quanto concerne altre piante, richiamò da tempo l’ at- tenzione di molti studiosi fra cui Schenk, Witte, Gòbel, Holtmann et. Oltre i reticoli molte cellule presentano ancora altri tipi di ispessi- menti (Witte) a funzione meccanica, o contengono dell’ossalato di calcio, mostrandosi però quasi sempre povere di protoplasma. Le cellule profonde della corteccia interna tornano ad avvicinarsi fra loro, circoserivendo sol più dei meati insignificanti. Esse si con- tradistinguono per le pareti gialliccie, per il contenuto per lo più tan- nico e per esser- dirette col maggior diametro tangenzialmente. L’endodermide è poco distinta, ma trattando le sezioni col Su- dan III essa appare costituita da cellule tabulari, allungate tangen- zialmente, a pareti uniformemente suberificate. Di tratto in tratto però vi ha qualche diaballoblasta (V. Buscalioni Anat. d. gen. Saurania in Malpighia) non suberificato. L’endodermide non è però tipicamente co - stituita poichè mentre in un punto risulta formata da un unico strato, altrove si sdoppia irregolarmente. Le cellule cortieali ad immediato contatto di essa mancano di ispessimenti, o trabecole. Il pariolela, fatto di più strati, è selerosato, essendo le cellule for- SULLE RADICI AEREE FASCIATE DI CARALLIA INTEGERRIMA DC, nite di membrane robuste, punteggiate grossolanamente ed abbondan temente. Il libro è notevolmente sviluppato, quasi tutto formato da elementi a pareti sottili, ma mal distinto rispetto ai raggi midollari. Più all’ in dentro viene il xilema secondario a vasi abbastanza larghi, immersi nel È parenchima fatto di elementi notevolmente ispessiti. Grossi raggi mi- a dollari separano i cordoni legnosi gli uni dagli altri e all’ estremo li- bero di essi, dal lato del midollo, s'incontra il legno primario coi protoxilemi (1). L’ampio midollo risulta costituito da cellule poligonali, intimamente fra loro unite, o lascianti fra loro dei piccoli meati, a pareti alquanto ispessite, ma attraversate da punteggiate ovalari reticolate. > “ZI gi 3 A riguardo delle sezioni longitudinali limiterò Y du ai fatti più importanti che ho riscontrato. La corteccia mostra distinte le briglie di ispessimento sulle faccie longitudinali tangenziali: i raggi midollari appaiono fatti da grossi ele — menti rettangolari fortemente punteggiati e abbastanza intimamente fra Joro uniti: analoga punteggiatura si riscontra nelle cellule del paren- chima legnoso: il midollo infine è fatto di elementi rettangolari col mag; gior diametro longitudinale. Questo per quanto concerne lo stato adulto delle radici. Lo svilu] po di queste l’ ho seguito solo saltuariamente non avendo avuto ma- teriale sufficente per lo studio; ciò non ostante ritengo che i processi - evolutivi presentino poche particolarità degne di nota. Il sughero si forma abbastanza tardi, come pure tardivamente com. | paiono i reticoli nelle cellule della corteccia, dapprima abbastanza inti mamente fra loro unite, in guisa da lasciar solo dei piccoli menti. A quanto pare le prime briglie si formano nelle cellule più interne della corteccia esterna e in qualeuna delle cellule di quella interi poi man mano la loro formazione procede verso la superficie del tes- | suto. I bastoncini, appena formati, sono finissimi, poi a poco si isp siscono. (1) Poulsen nelle radici trampoliformi delle Rizoforee ECT trovati tal | fasci vascolari mesarchi si imili. a reni snesn delle rito ten) i Saf ana PROF. LUIGI BUSCALIONI 87 L’endodermide, a differenza di quanto avviene per lo strato pilifero e quello sottostante, ritarda assai a snberificare. Nel cilindro centrale le primane del xilema e quelle del floema sono notevolmente distanziate fra loro ed il libro forma dei gruppi piccolissimi rispetto al legno. Perciò il suo poco risalto in mezzo alle - cellule del pericielo molle allorchè | organo è adulto. Passiamo ora allo studio. dei processi che portano alla fasciazione e alla emancipazione delle radici terminali. Il cilindro centrale, di forma rotonda nelle sezioni trasversali della porzione normale, si allarga sempre più a misura che esso si inoltra nella regione fasciata: (Fig. 4) l’ allargamento di esso va di pari passe col - l’allargamento, a' foggia di mano, della radice, ma intanto subisce, accanto agli ampliamenti, anche «elle restrizioni. Nulla di mutato è, all'ingrosso, nella struttura della radice, se si eccettua che la porzione centrale del midollo nei preparati esaminati era lacerata, di guisa che ne risultava una fessura longitudinale, qua e là interrotta da sepimenti. La forma a nastro allargatissimo del cilindro centrale permane fino a poca distanza dal punto dove le radici terminali tornano ad emanciparsi. Un po’ prima che questo avvenga, le porzioni ristrette del cilindro centrale si strozzano ancor di più a guisa di un otto in cifra e lo strozzamento procedendo mano mano verso il centro dell’ organo fi- nisce a separare due o più cilindri centrali (Fig. 4). Contemporanea- mente si strozza pure la corteccia (Fig. 4) in corrispondenza del punto in cui ha luogo la frammentazione dei cilindri centrali e così a poco a poco due radici si individualizzano e si separano, essendo ognuna for- nita della propria corteccia tutto all’ ingiro del rispettivo cilindro cen- trale. Quando ha luogo multipartizione radicale i differenti segmenti di cilindro centrale e di corteccia si emancipano quasi mai contempo- raneamente, il che spiega come le varie radici di una fasciazione na- scano quasi mai tutte ad uno stesso livello. Talora lo strozzamento avviene in modo alquanto anomalo pel ; fatto che nel punto dove lo strozzamento è completo, per quanto con- cerne il cilindro centrale, mentre la corteccia è solo più o meno ri- Stretta, si isolano delle minute bende di xilema o floema variamente Ù, entate le une rispetto alle altre e prive di endodermidi (Fig. 4) per cui nigra rsaenio avvolte del resto dae corteccia, Talvolta SULLE RADICI APRER FASCIATE DI CARALLIA INTEGERRIMA DC. invece i due cilindri centrali isolandosi si prolungano l’uno verso l’al- tro mercè una stretta benda di legno e libro molto anomala nella sua i struttura. Ciò prova che la separazione dei cilindri provoca dei distur- bi nella distribuzione dei xilemi e floemi alternanti fra loro nelle ra- dici normali, almeno nelle prime fasi evolutive della radice. Analoghe | disposizioni vennero segnalate dal Lopriore nel suo interessante opu- scolo sulle radici fasciate, come pure da me, assieme al predetto Autore, nella Memoria sulle radici della Phoenix dactylifera. 5: Banale -è pertanto la costituzione delle radici fasciate e smembran- tisi in radici secondarie: solo nel midollo dei cilindri centrali multipli | ancor avvolti da una comune corteccia ho trovato là singolari par- ticolarità che qui illustrerò brevemente. Il midollo di tali regioni risulta formato da elementi allungati as- sai, ampi, a pareti sottili e attraversate da punteggiature ovulari, i quali presentansi diretti col maggior diametro verti:ale, oppure decorrono a - zig-zag (fig. 5), ondulati, di guisa che tutto il midollo, ma specialmente i la parte centrale acquista l’aspetto di un mare in burrasca. R | L’ondulazione degli elementi si accentua in qualche tratto dell’or- | | gano al punto che non pochi di essi finiscono per decorrere quasi oriz : zontali per cui non ci deve, recar meraviglia se in talune sezioni tra- sversali si vedono dei gruppi di cellule allungate, indivise o tramezzate attraversanti tutto quanto lo spessore dell’organo, dal xilema di un lato i, a quello della faccia opposta. Per effetto di un tal comportamento i | setti trasversali, che per lo più compaiono la dove le cellule sono più | |. ampie, possono acquistare tutte le possibili direzioni, diventando persino Snares longitudinali. L’ ondulazione delle cellule avviene in un unico piano, almeno n tratti da me studiati: ne deriva da questo che se la sezione cade nel piano perpendicolare a quello in cui ha luogo. l’ ondulazione- si. riscon. trano dei gruppi di elementi diretti longitudinalmente i quali alternano ; sopra e sotto con nidi di cellule ovali o rotonde: queste non sono altro che i capi sezionati trasversalmente delle cellule decorrenti a zig-zag, o quasi orizzontalmente nel’ midollo. Non si tratta adunque di un m . dollo tramezzato, come parrebbe a tutta primi. Gli elementi del midollo periferico sono raddrizzati e più ispessiti Essi trapassano a quelli del legno che hanno però membrane più PROF, LUIGI BUSCALIONI buste e alquanto più a dovizia punteggiate. Inoltre le cellule del legno hanno punteggiature a croce che mancano a quelle del midollo peri - ferico, 0 sono ivi meno numerose. Se ora dall’ anatomia e morfologia risaliamo a considerazioni bio - logiche troviamo qualche fatto di un certo interesse e degno pertanto qui di essere ricordato. È logico ammettere che la Famiglia delle Rizoforee sia arcaica e come tale presenta delle particolarità strutturali sui generis, correlative, forse, all’ habitat dei suoi rappresentanti, propri per lo più delle re- gioni tropicali e costiere. La così detta Mangrovia non è però formata dalle sole Rizoforee, essendo essa costituita anche da Verbenacee, Leguminose, Combreta- cee et. et. come chiunque può accertarsi consultando il volume dello Famiglie, spesso per nulla affini alle Rizoforee, causa evidentemente la uguaglianza delle condizioni di vita, siano, ciò non di meno, per anato- mici abbastanza collimanti con queste. Le osservazioni in proposito non sono eccessivamente abbondanti, ma delle stesse è risultato che è carattere assai diffuso fra le piante di — Mangrovia lo sviluppo abbondante del sughero periferico colla forma- senza di anelli di ispessimento sulle pareti delle cellule corticali (Ri zoforee, \Avicennia et.). Però i differenti caratteri istologici ed anato- mici, se sono presenti con grande frequenza nelle piante in questione, Non si mostrano costantemente associati, mancando in un Genere ora questo ora quello. Valgano ad esempio i tricoblasti e gli ispessimenti cellulari della corteccia, propri solo di talune Specie, o Generi. Ora avendo io trovato nella Cara/lia integerrima (pianta forestale vivente lontano dal mare, non segnalata perciò fra i tipi di Mangrovia) sia le lenticelle, sia le grandi lacune intercellulari nella corteccia, sia infine le bende di ispessimento negli elementi di questo tessuto sarei " diando, sia derivato indubbiamente da forme tipicamente costiere adat- terres tre. La sua grande affinità col gen. Brughiera starebbe a provarlo. Ì, Intanto, per quanto concerne le sottili fessure presenti alla periferia Schimper. Ora è notevole il fatto che molti rappresentanti di dette zione delle lenticelle, come pure la comparsa dell’ aerenchima e la pre-- proclive a credere che il Genere, cui appartiene la Specie che sto stu- tatesi probabilmente, in tempi più o meno recenti, alla vita tipicamente SULLE RADICI APREE FASCIATE DI CARALLIA INTEGERRIMA DOC. della corteccia, si può ammettere che esse servano, al pari delle lenticelle, È a favorire gli scambi gasosi fra il sistema lacunare corticale e 1’ esterno, — sebbene più adatte a tale scopo si presentino le lenticelle, forse derivate — dalle stesse lacerazioni in questione, non avendo io trovato stomi. Le lenticelle sono infatti, al pari delle fessure, a nel senso longitegi dinale delle radici. i Più interessante è la funzione delle briglie delle cellule corticali; 7 esse servirebbero a dar elasticità al tessuto nel senso che, compresso dalle ondate marine, dal peso dell’ acqua durante l’ alta marea, possa 3 tornar subito a distendersi non sì tosto l’ azione meccanica si rende meno K forte, o nulla. Il sistema è rimasto tal quale nella mia Specie, sebbene sot- tratta all’azione delle onde del mare. Le briglie sono qui ancor dirette ra È dialmente nella corteccia, come se la loro azione dovesse ancora effet- tuarsi. Però ho notato che lo sviluppo del reticolo di rinforzo è al- quanto irregolare, mancando esso in taluni punti per presentarsi note- i volmente sviluppato in quelli vicini, oppure non presentandosi che da un lato della radice. La parte media della corteccia è quella più for- nita di bende di ispessimento e ciò è in relazione col fatto che gli. strati superficiali, a cellule più compatte, perciò più intimamente fra loro unite, non richiedono di esser rinforzati da uno speciale apparato mec: canico: lo stesso si può dire per le cellule profonde della corteccia. Queste trabecole, che si trovano, come dissi, in tipi per nulla affini al nostro Genere (Avicennia et.), hanno adunque un ufficio ‘squisita- mente meccanico, il che nòn esclude che compiano anche altre funzioni, come è stato segnalato da più di un autore (serbatoi acquei analoghi quelli delle Orchidee, Nepenthes et.). Forte di questa convinzione, già da altri prospettata, ho cercato se per avventura il processo di fasciazione, o per converso quello di se- parazione dei cilindri centrali e della corteccia pella ricostruzione delle _ radici ngrmali, collegati entrambi indubbiamente con tensioni negative e positive, cioè a processi meccanici, non avessero determinato un cam- biamento di orientazione, od anco la parziale soppressione delle trabe- 5 cole di ispessimento. Le osservazioni fatte in proposito mi hanno addi-. ‘mostrato che, all’ i ingrosso, le trabecole compaiono anche nella linea d scissione delle radici fasciate e mantengono ivi la originaria orientazio! pece radiale Login: sea inferiori e e è TO PROF. LUIGI BUSCALIONI Perciò i fenomeni meccanici che accompagnano la fasciazione e scis- sione delle zone fasciate non interferiscono in alcun modo coi fattori che provocarono lo sviluppo del sistema meccanico e ciò malgrado che questo si sviluppi appunto, su per giù, nel’ epoca in cui avviene la scissione delle radici secondarie, sempre abbastanza lenta nel suo svolgimento. Solo per le briglie delle cellule più interne ho notato dei cambia-. menti di orientazione, ma io non so se questi siano fenomeni acci- dentali, o costanti e correlativi, tanto più che qualche anomalia di direzione ho pure notato nei detti punti in radici normali. Molto singolare è la struttura del cilindro centrale col midello a | cellule centrali allungate, decorrenti a zig-zag, od ondulate costante- mente o quasi in un dato piano. Difficile è dare una spiegazione del fenomeno: si potrebbe a priori ammettere che in alcuni punti il midollo sia dotato di più duraturo accrescimento rispetto alla parte più esterna della radice, di guisa che le sue cellùle non potendo più allungarsi in linea retta si ripiegano ed incurvano. Il midollo in tal modo dovrebbe allargarsi assieme alla corteccia. La spiegazione però lascia presa a qualche dubbio e perciò, domando io, non potrebbe un tale processo esser invece in correlazione coll’ appiattimento a bende delle radici nella parte fasciata, dove appunto ho trovato tale tipo di cellule? Non ho dati sufficenti per rispondere a tanto quesito, ma il fatto che le cellule si ripie- gano tutte quante nello stesso piano deporrebbe a prova di una tale cor- | relazione, se non chè il piano di oscillazione fu da me riscontrato qualche rara volta perpendicolare a quello di appiattimento, il che però non infir- merebbe del tutto la mia ipotesi e ciò per ragioni sulle quali non insisto. Io non ho trovato il tipo cellulare in questione nelle parti non | fasciate, ma non posso eseluderne tassativamente la sua esistenza ivi. | Qualunque sia l’ interpretazione che si vuol dar al processo sta il fatto che un sistema di cellule siffattamente orientate deve dare una certa | Tigidità alla radice e perciò indirettamente a tutto il sistema radicale, per cui l’organo può superare più facilmente gli ostacoli allorchè sì affonda nel terreno. Non possiamo tuttavia negare che la disposizione istolo- gica sia in certo qual modo passiva, quasi un effetto ed una conse- | guenza della fasciazione che da alla radice l’ aspetto di una benda. Si, P. rima di finire la presente nota credo opportuno accennare ancora — alle radiei aeree della nostra pianta. Molti tipi vegetali hanno siftatte SULLE RADICI APRREE FASCIATE DI CARALLIA INTEGERRIMA DC. radici: nel caso nostro tuttavia esse sono un indizio di più che la d specie è derivata dalle: forme della Mangrovia, le quali sviluppano, oltre — ai pneumatodi (1) le così dette Radici trampoli, di origine per lo più — aerea e secondo Karsten anche dicotomiche. Dal punto di vista biolo- gico le radici trampoliformi delle piante di Mangrovia ricordano un po quelle aeree dell’ Orchidee ed Aroidee epifite e perciò non ci deve recar meraviglia se condizioni biologiche, omologhe od analoghe abbiano portato alla formazione di un tessuto a cellule fornite di ispessimenti (cellule meccaniche corticali delle Rizoforee, velo delle Orchidee ed Aro- idee epifite) (2) sebbene per differenza di origine, non perfettamente o - È mologhe, come non lo sono neppure per funzione. L'’ affinità sarebbe | maggiore con la nostra Specie fornita di radici tipicamente aeree. Catania 1. Novembre 1919. Pror. Luigi BUSscALIONI (1) Le rad'ci pneumatodiche sarebbero semplici secondo il Gòbel che le” studiò in Avicennia, dicotomiche per Rumphius ed altri. Forse la dicotomia. potrebbe rappresentare un caso di fasciazione, su di che però non ho ricerche. Sta il fatto che il Leuween V. Docters ha trovato che le radici trampoli da 4 _ PA E “a | delle Rizoforee si ramificano spesso prima di raggiungere il suolo, ma a quanto. pare, soltanto sotto l’azione di un insetto (Scolytideo) che si nutre delle radici giovani le quali vengono divorate a centinaia. Per effetto di un tale trauma- tismo si sviluppano sempre nuove radici ed il sistema radicale assume una co stituzione simpodiale. Nei siti immuni dagli insetti mancano le ramificazioni. Una tale disposizione, che troverebbe un’analogia con quanto alcuni Autor: | hanno osservato ledendo l’apice radicale di non poche piante, darebbe forse la spiegazione della costituzione fascicolata delle radici di Carallia. Io però non ho trovato lesioni di sorta, ma le mie osservazioni in proposito non sono complete. | (2) La presenza di bende di ispessimento nelle radici aeree di Carallia, quale piantà non costiera, trova un’omologia nel fatto messo in evidenza dalle Holm e da altri che le radici delle Orchidee terrestri sono pure fornite di velo, il che panel la loro probabile derivazione da forme. epifite. LETTERATURA DELL’ARGOMENTO | Alten H. — Wurzelstudien. Bot. Zeit. LXVII 1909. Beitr. 2. vergleich. Annt, da d. Wurzeln nebst Bemerkungen iib. Wutreltbylen, Heterorrhizie, Lenti- t. zellen, Dissert. Gòttingen 1908. 5 Bernatschy L. — Zur physiol. Anat. d. Wurzelknollen d. Leguminosen. Math. È naturw. Ber. Ungeris. XX, * Blatter G. — The mangrove of the Bombay Presidenz a. its. biology. Journ. F of the Bombay Nat. Hist. Soc. XVI,®1906 Bremer — Luftwurzeln v. Avicennia tomentosa. Ber. d. deutsche Bot. 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Mattirolo, il che non toglie che questi abbia ad essere giudice del pa- rente nei concorsi universitari ». Ciò ha urtato la suscettibilità del Prof. Negri, il quale, in una. sua lettera raccomandata, reclama, come doverosa ed elementare cor- rettezza, da parte mia, la rettifica che egli è parente solo in 7° grado col Mattirolo, mentre il Regolamento Universitario esclude dalle com- missioni di concorso soltanto i giudici imparentati fino al 3° grado ci- vile con qualche concorrente. Sono doppiaménte lieto di pubblicare tanta conferma (non rettifica | come vuole il Prof. Negri) poichè da un lato sancisce qu*nto sospet- tavo, dall’altro mi da agio ad aggiungere qualche considerazione. A tutela della imparzialità degli esami universit ri il R. U. non permette ai Direttori di Istituto di far parte di Commissioni giudica- trici accanto ai rispettivi assistenti, siano questi di 1° o di 7° grado. Per analogo motivo è vietato ai Proff. delle Scuole Medie di prender parte agli esami di quegli allievi cui essi abbiano impartite lezioni private. Evidentemente tanta preoceupazione è inspirata alla più santa moralità, di fronte alla quale non comprendo come possa ancor far parte di una commissione di concorso — qualche cosa di ben più im- portante di un banale esame odierno — un professore che sa di dover giudicare non solo il proprio assistente, ma sibbene l'assistente parente. Nè si può scusare l'operato del professore coll’ affermazione che talvolta sia impossibile combinare una commissione di giudici, diremo così indipendenti, quando i concorrenti sono molti e quasi tutti provenienti + Sall’assistentato, poichè con lievi ritocchi al R.aU. il male può esser evitato. Ma perchè il ritocco si renda indispensabile occorre, prima di | tutto, che il professore, conscio della propria dignità e conscio che le | sedute delle commissioni di concorso non sono semplicemente palestre, dr pt 3 ga È t; Cara 5 5 albi l'a è Fe, STI FSTSE È chiesuole, di scuole (?) e di camorre (secondo l’ opinione di molti) obblighi, colla sua astensione, il Ministro a moràlizzare l’istituzione dei concorsi. È umano, affermano tutti coloro che ho interrogato in proposito, che il Direttore di un Istituto sia proclive a stimar di più il proprio assistente (tanto più se è parente!) rispetto ad un estraneo qualsiasi, di guisa che la di lui astensione dalle sedute della commissione giudicatrice sarebbe do-. verosa. Beata ingenuità! Coloro che così ragionano ignorano forse che molti dei così detti pezzi grossi universitari (i quali non vanno confusi colle celebrità essendo queste per lo più senza ambizioni) non vedono di meglio che giudicare i propri assistenti, ben sapendo che mettendo a posto i beniamini assicurano il predominio del proprio io nelle Uni. ‘versità, espandono, come Piovre, i tentacoli della personale e per lo più ignorante supremazia ed impongono quello che io voglio chiamar quì, ; bonariamente, la propria scuota (una parola che, però, tradotta in mo- neta corrente, significa talora ben altra cosa). Il danno che ne deriva alle Università è notorio. i Elevarsi a giudice in un concorso significa crearsi. spesso delle inimicizie. Ciò posto chiunque senta l’ onestà, nel vero senso della pa- | rola, deve esser felice che gli si presenti un motivo morale per de - 0 È Mono, Chi dida i iobiiea RISE in altri, a SA, 5 ” Questa è la mia convinzione, che del resto è sulla bocca e negli scritti della grandissima maggioranza dei professori e più particolar- mente dei botanici italiani (anche se a posto) i quali da 20 anni a | questa parte sono costretti a contemplare lo sfondo meraviglioso di un. | trittico universitario, avente per motivo i concorsi, nel quale le figure più in vista sono delle nullità scientifiche, ma molto bene fra loro af. fiatate quando si tratta di scegliere i colleghi dal crogiuolo dei con correnti. «Ciò non di meno dacchè la legge autorizza il Prof. Mattirolo a | giudicare il proprio assistente, malgrado |’ aggravante della parentela, | mi inchino alla legge sulla quale non faceva questione, non senza tut-o tavia ripetere al celebre collega di Torino, che al di sopra della lega- ità, aleggia la moralità alla quale gli onesti danno la preferenza, quando due termini sono fra loro in conflitto, e per la quale noi orari veri ficarsi ne. ti astensione del na dalle isocsa ve ri il motivo dell’ refessioe nof sfa gatte da a legge, salvo. quella morale. Li Non voglio tuttavia insistere sù questo argomento, ben sapersi che è inchiostro sprecato, dacchè l’esperienza mi insegna che la mo. ralità viene da molti cucinata in vari modi, come i carcioffi alla Gia 0 . dea, a seconda dei gusti individuali del momento e di altre più che | discutibili ragioni. À Pror. Lurer BuscaLIoNI 4 Fig. ner Tira mari e "a He . XXIX Vol Mg. 1. alpighia - Anno XXIX Fig. 5. Jet: Sei à - TI Luci SIR ai erae G. Nu al mio lavoro sugli | En i demismi Da Esodemismi della Flora Italiana . — Il legno crittogamico del gia: vascolare seminale di colle MIORGIGE teorie Car song De. b Luroi Pt) i Safe radici aeree fasciate di Carallia MALPIGHIA RASSEGNA MENSILE DI BOTANICA REDATTA DAL DOTT. L. BUSCALIONI Pror. O)RD. DI BOTANICA NELLA R. UNIVERSITÀ DI CATANIA ANNO XXIX — FASC. HI IV VA MARCELLO MELPIGHI 1627-1694. CATANIA = SE staB. TIP. - «LA SICILIANA » CIURCA & STRANO x” L'abbonamento annuale edi iaia by simata. 5 giorni ‘dopo Si MALPIGHIA RASSEGNA MENSILE DI BOTANICA REDATTA DAL DOTT. L. BUSCALIONI Pror. Orp. pi BoranicA NELLA R. UNIVERSITÀ DI CATANIA ANNO XXIX — VOL XXIX MARCELLO MALPIGHI 1627-1694. CATANIA STAB. TIP. € LA SICILIANA » CIURCA & STRANO 1921. —— Studio monografico sulle Specie americane del Gen.“ Saurauia ,, Willa. (continuazione) P ascelle barbate; alla Yasicae pel lembo più setuloso. pulverulento, per le ascelle dei nervi barbate e pei calici più pulverulenti; alla S Ma- coni per il lembo non coriaceo, pel fusto e lembo più rivestiti di se- | tule e pulvinuli, pei calici non glabri; alla Zah/bruchneri por il lembo — a base non ottusa e neppure coriaceo (ma però condivide con questa le # ascelle barbate ed i calici pulverulenti); alla Aequatoriensis pel lembo sottile, dai bordi non revoluti e per le ascelle barbate; alla S. Smithiana pel picciuolo breve, pel lembo più corto, pei calici pulverulenti e per le ascelle dei nervi barbate. |imberbi. STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. | Caratteri differenziali S. leucobarpa Scehlecht. ‘var. anisopoda Busc, S. intermedia var. granulosa Busc. a del fusto co perto da lunghe sete. Picciuolo robusto, se- tuloso come il caule. mbo lanceolato o- vale, non molto grande. Pagina superiore i Za di punti mi- i rare sete binfiche e A lunghe 2 mm. Le stesse sete ma più lunghe, alla pagina inferiore, limitatamen- te però ai nervi che non hanno le ascelle bar- |bate. Foglie giovani pure colle ‘ascelle dei nervi Infiorescenza coper perta da lunghe sete. Fiori grandi o di |screti, ha “deg setoso 3 all’ es Qorolla e spesso molto più grande del calice. Stili lunghi Messico Apice del fusto co- perto di pulvinuli e sete brev Pieciuolo sottile, bre vemente setuloso. . ovato di dimensioni lara, r pulvinuli e mueroni; gli uni sia altre non ab- bondan cn inferiore di aspetto granulare. Ascelle dei nervi arbate. Foglie giovani colle ‘ascelle dei nervi bar- b a Infiorescenza coperta da irta setule e pulvinu ulverulento tuberco- lato all’ esterno. Corolla di poco più grande del calice. SAS tili ridotti. America del Sud Caratteri comuni. to, ra Ner della fo Fiori uti a calice|- Picciuolo breve. «po Lembo serrulato ser- Si vi 15. ;. Infiorescenza più breve a oglia. a Brattee lineari. Stami 20-25. PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPTE MUSCATELLO — Caratteri differenziali Caratteri comuni S, pedurculata Hook S. intermedia var. granulosa Buse. Cicatrici fogliari) Cicatrici s ne-| Fusto glabro. __|bianchiccie. riccie al cen Foglie giovani . setose. sli Apice del fusto se- di ur del Pe spar-| Picciuolo breve, setu- È toso o di sete e pulvinuli. loso o subglabro. Picciuolo rossiccio. Piega nericcio. Lembo sottile (non sem-{ Margine serrulato| Margine serrulato-|pre nella Pedunculata), : deo PARA mucronato. |cuneiforme obovato, sca- $ | |Berrato setuloso. Pagina inferiore dis-|bro, sopra di color ver- E. arenchima non gra |seminata di pulvinuli/diecio bruno (non sempre nulos9 alla pagina in-|d' aspetto granulare, la\alla pagina superiore nella feriore che porta per|superiore scabra per pornera na ta). di lo più setule e mu tera e tubercoli. "Base croni sui nervi, ma|j Nervi 14-15. iaia pre nervi bar - non abbondanti. Fiori. bari rossie-|bate. Pagina superiore par-|ci, minutamente setu Nervi curvi, obliqui, camente setulosa, ollosi, alla lente, sulle!\subdicotomi. i | glabra. parti esterne del ca Reticolo dei nervi dil | Nervi 15-22. lice scoperte nel boccio.|4° ordine poco distinte. Fiori disereti, bian-| Corolla di poco più| Infiorescenza multiflora chi, tubercolati pulve-|grande del calice. setulosa, rulent ti nelle parti e- America del Sud Brattee lineari minute. sterne del calice sco- Sepali glabri all’interno perte nel boccio. come pure pressochè u- Corolla più grande î gualmente pulverulenti del calice. all’ esterno, sulle parti Messico scoperte nel boccio. | Stami 25. Nella S. strigillosa Tr. e PI. troviamo, come nella nostra varietà, — un'apice del fusto rossiccio, cosparso di sete gialliecie e dilatate alla base, lunghe 1/,-1 mm., ma le sete sono ivi miste a tubercoli e non già a | Pulvinuli. Le foglie giovani sono pure setose; il pieciuolo è anche breve, robusto, parcamente setuloso; il lembo, di dimensioni pure discrete, è del ; Pari acuto agli estremi, granuloso inferiormente, tubercolato setuloso sui nervi, ma differisce per esser più grossolanamente serrato e coriaceo, per SP avere la faccia superiore rossiccia bruna, non verdiceia; pressochè uguale Di b il numero dei nervi che po: sono pa curvi da. ma nd s ) MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE BOC, cano di barbatura alle ascelle: i nervi di 3° ordine non formano come nelle var. granulosa della 8. intermedia un reticolo delicato; 1’ infiore- x . scenza nella Stigillosa è più grande, più distintamente pulverulenta se- tulosa e porta delle brattee lineari più sviluppate. In entrambe le forme cc fiori sono discretamente pedicellati, ma si mostrano più sviluppati nella | S. strigillosa, inoltre hanno, in questa, i calici più distintamente setu- i losi nelle parti esterne scoperte nel boccio e per di più pulverulenti anche all’ interno. - Per quanto concerne la S. barbigera non occorre spender molte parole per dimostrare come questa sia abbastanza distinta dalla nostra — | specie. Le prove furono discusse nel capitolo relativo a detta specie. Pg La specie che ho testè descritto ha richiamato l’ attenzione pure 5 dell’ Hemsley il quale sospettò che fosse nuova, per quanto non troppo ben distinta dalla S. pedunculata Hook: egli però non avendo avuto sufficente materiale di confronto non la potè studiare a fondo e si li- mitò perciò, nel cartellino annesso all’ esemplare, a segnalare che si tratta di una forma affine alla S. pedunculata Hook. Ed invece l’ Hemsley aveva colpito nel segno, non solo accen- nando alla fisonomia sui generis della nuova forma, ma anche ai suoi A rapporti colla Pedunculata. Debbo però far subito rilevare che egli avrebbe forse meglio compreso il problema della S. intermedia asse: gnando a questa un posto vicinissimo alla S. ne anzichè alla S. pedunculata. Abbiamo infatti rilevato che le differenze nei Sai di quest'ul- tima sono parecchie, mentre per quanto concerne la prima l’ unica dif- | ferenza veramente un po importante va ricercata nel calice che è pol verulento nella S. intermedia glabro nella S. pauciserrata. Ritengo quindi che la nostra specie sia da questa derivata e quindi la parati colla S. pedunculata sia un po più indiretta. Chiunque mi abbia seguito nell’ esame comparativo delle varie forme colla nostra specie avrà per altro potuto rilevare quanto evane: scenti siano i caratteri specifici diffenziali per cui alla Anana: sì ar PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO 101 riva solo tenendo conto di tutte quante le caratteristiche e più di tutto confrontando direttamente gli esemplari fra loro. Qualche dubbio tuttavia permane ancora intorno alla S. inter ai 4 Ci LI media var. glabrata, a riguardo della quale è noto solo che fu rac- colta nel Sud America dal Pearce. Le caratteristiche essenziali sono «Quelle della forma tipica, ma essa presenta inoltre delle particolarità ab - bastanza rilevanti che forse da sole ci obbligherebbero a separarla del tutto dalla compagna per elevarla al grado di specie a se. La man - canza di dati relativi alla distribuzione della forma, i quali costituiscono uno dei criteri diagnostici più importanti nel caso delle Saurawia, non mi ha permesso tuttavia di arrivare a un risultato sicuro, e persino avrei dovuto inserire la varietà fra le forme dubbie se non mi avesse deciso altrimenti la grandissima rassomiglianza di detta forma con | Quella genuina. Alle ricerche future quindi è riservato il compito di precisare meglio siffatta entità, ma intanto il lettore troverà giustificata la denominazione di intermedia che ho dato alla nuova specie, la quale ci indica appunto come la stessa coi suoi due rappresentanti contragga molteplici rapporti con altri tipi, in specie della regione centro Ame- rica e anzi trapassi per gradi quasi inservibili all’ una o all’ altra delle specie, ARI EE 54) Saurauia leucocarp: ScAlecht. Linnaea X 247. È, Sinonimia: S. barbigera Hook Icon. Tav. 331. ‘8. kegeliana Schlecht. Bot. Zeit. 1853 (pro parte). Foliis minoribus oblongo ellipticis, basi longe attenuatis acutis apice insigniter acutesque anguste acuminatis, margine angusto dentato serratis, dentibus recto subulato mucronatis, pagina foliorum supra glabra, infera et petiolis, pilis paucis rigidulis adpressis, pedunculis paniculae scabro puberulis. Frutex corolla alba baccis albis; semina in mucilaggine ni- - dulantia. Questa Grande de Chiconquiaco Sept. 1829. » et serrata) recedens cum $. serrata axillis barbatis nullo autem pallidiora glabra, venarum axillis albide barbatis ramulorum apicibus ‘Species glabritiae et foliis minoribus jam a praecedentibus (S. vil- allio charactere conveniens. Folia hine maxima 45 pol. longa et su- done 41% pol lata; pel. his 6-8 lin. pong. Lamina folii STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. deorsum fere rectilinee cuneata, in petiolum acute excurrens, in supe- riore parte dilatata, deine incurva in acumen augustum transit, quae forma in omnibus species Mexicanis vario modo evoluta oeurrit. In medio circiter margine, rarius jam a basi dentes incipiunt arguti ser raturis similes, mucrone subulato erecto aut laevitur incurvo, eviden. tiore terminati. Venas numero in utroque nervi prominenti latere sub- denas laeviter arcuatas in quorum axilla supera pilos animadvertis | breves lutescentes crispator, in nervi latere aliquantum assurgentes. Ra- mulorum apices summi et petiolorum basis pilis brevibus rigidulis ad- pressis rufescentibus (im antecedentium specierum similibus) sunt strì gosa, eosdem et in foliorum sese evolventium venis nervisque animad- vertore potest. Rami adulti glabri, cortice fusco tecti. Inflorescentia: panicula parva foliis brevior ad summum 2 '/, pol late pedunculata, axillaris, irregulariter ramosa, bracteolis valde exiguis instrueta. Calycis fruetiferi laciniae rotundatae, concavae, glabrae, mar- gine breviter ciliatae fere 2 lin. longae et latae. Fructus depresso globosus, diametro 4 fere lineari: junior stylis quatuor tribusque filifor- sie: mibus lineam fere longis mox deciduis superatus; 3-4 locularis, septis. | tenuibus in columna media cylindrica erassiuscula orientibus. Semina globosa seu ovoidea, impresso punctata et subrugulosa, diametro di <> midiae lineae. Fructus aqua maceratus in valvulas numero loculamen torum respondentes loculicidas rumpere videbatur (Schlechtendal). Esemplari studiati. sa Es. N. 330 stato raccolto a Questa Grande di Chiconquiaco e co- | I | municato da Sehlechtendal (1839): tipico! Appartiene agli Erbari di Gottingen, Lipsia, Kensigton (sub nom. S. Zeucocarpa Sehlecht. Schiede). Ginevra, Berlino, Vienna, Pietroburgo (Reliq. Ledebour). È Es. N. 3088 del Museo di Parigi (Collez. Galeotti) stato raccolto & Gialappa {Cordil. di Vera Cruz) dallo Schmidt e dall’ Hemsley deter- minato sotto il nome di S. Zeucocarpa Schlecht (Rosacea: h fiori gialli o rossi crescente a circa 4000). Frutice (?) a fusto rossiccio bruno, glabro, reticolato-ruguloso sparso di cicatrici fogliari ombellicate triangolari. Apice del fusto | dei rami nigrescente 0 bruno castagno (Es. di Parigi), cosparso @' rare e minute setule, visibili appena ad occhio nudo, dilatate alla Loog e talora anche un po barbate ivi. 0 c pomnsaiale a aa sotto forma di cuscinetti minuti; solo nell’ Es. di Vienna abbiamo un fusto notevolmente setuloso. Giovani foglie coperte di un rivestimento fulvo, costituito da bre- vissime sete; le stesse più 0 meno fornite di peli all’ ascella delle nervature secondarie (Es. di Vienna). E° Picciuolo sottile lungo 1 '/,-2'/, cm. nigrescente o rossiccio bruno, 4 scanalato-striato (non sempre) subglabro, con qualche raro pulvinulo e qualche minuta setula appressata, fulva quasi appena visibile alla lente. Lembo sottile (Es. di Ginevra), cartaceo 0 subcoriaceo (Es. di Pa- rigi), Zungo 7-13 em. largo 3-5 cm., lanceolato ovalare, obovato od ovale (piuttosto largo nell’ es. di Ginevra), rossiccio bruno sopra, gialliccio sotto, lisciò o subscabro sopra, liscio alla pagina inferiore, gradata- mente assottigliato, cuneiforme verso la base che è acuta, un po asim- metrica e talora un po decorrente. Estremità anteriore del lembo, spesso molto dilrtata al 3° anteriore, si prolunga più o meno bru- scamente (Es. di Ginevra e Parigi) in punta stretta, acuta, denticolata- serrulata, lunga 1-1,5 cm. Margine del lembo integro o denticolato allu base, serrulato, serrato, irregolarmente e spesso doppiamente serrato (Es. di Parigi) verso l’ esterno anteriore, con serrature talora assai manifeste (Es. di Ginevra). Pagina superior: del tutto glabra, o con rarissime setule e mu- croni sui nervi principali (Es. di Parigi), cosparsa, nell’ Es. di Gi- nevra, di finissimi rialzi lungo î nervi; pagina inferiore pure glabra ad eccezione, talora, di qualche rara setula, ben distinta solo alla lente, grani. pai ppt sita e; x sulla costa e di qualche rarissimo mucrone, pure minutissimo, sui nervi secondari. Solo l’ esemplare di Vienna si presenta un po più | distintamente setulos» sulla costa, mentre quello di Ginevra offre sui nervi minori dei minutissimi incavi corrispondenti ai rialzi della a superiore (1). Nervi secondari circa 9 (Es. di Ginevra) -15, poco distinti sopra, sottili, un po prominenti e rossicci sotto, distanti gli uni dagli altri, a decorso spesso un po irregolare, obliquo e curvo, subdicotomi. Nervi di s ) Questa struttura è comune in altre forme affini pure più o meno glabre , la Yasicae, la Barbi; PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO 108 i STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. 3° ordine fini, rossicci, appressati fra loro e terminanti in un reti- colo compatto, assieme a quelli di 4° ordine, da cui differiscono per maggior robustezza. Infiorescenza a pannocchia piramidale ramosa, pauciflora, sube- guale alla foglia, oppure più lunga, o più breve (Es. di Parigi e di Ginevra) di questa, con una ’unghezza media di 11-13 cm. ed unalar- ghezza di 5 6 cm. Peduncolo lungo 6-8 cm. fino, bruniccio rossiccio, striato, subglabro. Rami delicati pulverulenti, brevi (lungh. 12 cm.) a lor volta ramosi, patenti od obliqui, lassi e distanziati fra loro. Brattee minute lineari (lunghe 25 mm. (Es. di Pietroburgo), lar- ghe 11/, mm. 0 meno di 1 mm.), pulverulente. | Pedicelli lunghi 6-8 mm. fini, pulverulenti (pulverulenza fatta in parte, di peli stellati minutissimi nell Es. di Pietroburgo). Fiori discretamente sviluppati o tendenti all’ impicciolimento, con calice di 4-5 divisioni subeguali, ovali ottuse, lunghe 3-4 mm. glabre ad ecce- zione del margine che è ciglizto. Corolla più grande del calice. Stami ? Ovario globoso, a stili discreti, o brevi, o lunghi (Es. di Ginevra) spesso in numero variabile da 4-5 (Es. di Pietroburgo). Semi minuti, alveolati inelusi in mucilaggine. I) Forma Veranii Busc.. Esemplare studiato. Es. N. 330 di Questa Grande di Chichon» quiaco comunicato dallo Schlechtend. (Erb. di Gottingen). a In taluni esemplari portanti questo numero si nota che le brattee È basali dell’ infiorescenza diventano fogliacee: vi ha in esse un lembo lungo 2 cm. largo 1 em. glabro, ovale percorso da 3-4 nervi secondari A non barbati alle ascelle e coi nervi di 3° ordine pure in reticolo. Il picciuolo è lungo 8-10 mm. ed assai fino. a) Saurauia leucocarpa Schlecht. var. e: Buse. Esemplari studiati. o Es. N. 3103 raccolto il 21 Giugno 1896 da C. ed E. Seler presso — S. Martin (Depart. Huchuetenango, Guatemala) nella formazione di | Schrub. (Erb. di Berlino). Es. N. 3114 (Collez. Galeotti) stato raccolto nella Cordillera di Oaxaca. Erb. di Bruxelles (sub nom. S. setosa Mart. et Gal.) 0) 105 PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO n È, i pai A Es. N. 8380 dell’ Erb. di Christiania, stato raccolto a Tactie (Gua- | temala) dal Turckheim (Es. herb. Field Columb. Mus.) A Idem d. Erb. Berlin. «Ex. pl. Guatem. nec non Sabvador ete. D. 3 Sm.). Es. stati raccolti da Karwinsky (an. 1863) nel Messico e più pre- cisamente nel Iukatan (in temper.). Di proprietà degli Erb. di Monaco (Erb. Zuccarini), di Vienna (Erb. Endlicher), di Bruxelles (Erb. Martius). Sub. nom. S. serrata DC. si h a caule liscio, 0 rugoso striato (Es. 3114 e Es. Karwinsky) cene- i __rognolo, o gialliccio più o meno carico (Es. 3114), o rossiccio (Es. 8380), glabro (Es. Karwinsky) o subdglabro, con qualche lenticella e con ci- catrici fogliari tonde, piccole, sormontate da una gemma non molto POSE, gr RR grossa, alla lente minutamente setulosa. n: i Apice del caule bruno, ma ricoperto abbondantemente da setule «o da sete bianchiccie gialliccie, od anco ferruginee (Es. 8380) lunghe ma « —1mm. (Es. 3102), 2-4 mm. (Es. 3114, Es. 8380, Es. Karwinsky), di- | latate alla base, o sottili (Es. 3114 e Es. 8380), entrambe le forme es- sendo presenti nello stesso esemplare (Es. Karwinsky). FER K Le sete sono pure presenti nelle foglie giovani, dove però sono quasi sempre sottili e ferruginee (Es Karwinsky). |, Picciuolo sottile, bruno, lungo 8-15-30 mm. (Es. Keeway più meno cosparso delle stesse sete presenti sul caule, ma talora anche P subglabro (Es. Karwinsky); è duopo notare che trovansi al riguardo elle notevoli variazioni da esemplare ad esemplare i ad essiccata collo stesso numero (Es. Karwinsky). Lembo stretto (Es. Karwinsky), lanceolato (Es. 8380), ovalare od | Obovato (Es. 3114 e Es. Karwinsky), di /ur ghezza e larghezza però assai variabili (lungh. 7-16 em. largh. 1,5-4 cm.), bruniccio 0 giallo rossastro superiormente, gialliccio ferrugineo sotto, un po coriaceo (Es. 3103 e Es, 8380), sudcoriaceo o cartaceo (Es. 3114 e Es. Karwinsky, 0 sottile Es. Karwinsky), d’ aspetto opaco sopra e sotto, pocò 0 tons scabro, Un po curvo talora sul piano delle faccie. Apice di rado subottuso (Es. 8380), per lo più acuto 0 lerinate RE in punta: base pure acuta, oppure leggermente ottusa (Es. 8380), asim- | metrica, spesso un po decorrente (Es. 3114) Margine denticolato- serrulato (Es. 8380 e 3114), di rado serrato, alla base, quasi sempre serrulato serrato, doppiamente od irregolarmente serrato dal mezzo in su (Es. Karwnisky e Es. 3114), con serrature mucrònate (mueroni diritti o curvi Es. 8380), più di rado setulose (con sete diritte o curve): nell’ esemplare 8388 il margine è talvolta oscuramente crenulato. Pagina superiore d’ aspetto granulosa alla lente, glabra (foglie molto grandi), o parcamente setulosa mucronata lungo la costa (Es. 8380) e sui nervi (foglie relativamente piccole), con setule lunghe circa 0,5 mm. bianchiccie appressate (Es. Karwinsky), Pagina inferiore più o meno setulosa (sete fine, più o meno lun- ghe, talora però appena visibili ad occhio (Es. 8380) ), ma sempre molto parcamente, sulla costa e sui nervi, mucronulata setulosa in scarsa misura sugli altri nervi e spesso anche sul parenchima (Es. Karwin- sky). Ze ascelle dei nervi non sono barbate neppure nelle foglie gio- vani, fatta eccezione per l’ esemplare n. 8380 dove si nota talora un accenno assai dubbio di barbatura. Nervi secondari bianchicci (Es. Karwinky), in numero variabile da 9 a 18 & seconda delle dimensioni del lembo, poco o punto visi- bili alla pagina superiore, fatta tuttavia eccezione per l'esemplare 8380, prominenti, ma sottili alla pagina inferiore. Essi sono appressati, patenti od obliqui, curvi, subdicotomici e subanastomotici. / nervi di 3° ordine sono finissimi, perpendicolari ai secondarì, poco distinti da quelli di 4° ordine coi quali formano un reticolo. Nell’ esemplare 8380 e in quello di Karwinsky essi sono tuttavia da questi indipendenti e formano un lasso reticolo a se. Lungo i nervi si notano delle minute granu- lazioni, visibili per altro solo alla lente (Es. 3114) La costa è di- scretamente robusta. Infiorescenza subeguale alla foglia (Es. 8380), o più breve di questa, lunga circa 7-8 cm. larga 5 cm., pauciflora (8-10 fiori nel- l’ es. 8380) a pannocchia, 0 subcorimbo, spesso contratto. Peduncolo lungo 1-2 cm. (Es. 3114) 4-5 cm. (Es. Karwinsky) fino, bruno-rossiccio, parcamente setuloso con setule minute (0,5-1 mm.), dilatate un po alla base ed appressate. S Rami patenti (Es. Karwinsky), brevi o discreti (nell’Es. Karwinsky sono lunghi 3-4 cm.), un po furfuracei ferrugineo-fulvi per lo stesso rivestimento di setule, ma più abbondanti. | PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO E Brattee fine, lineari, di varia lunghezza (3-10 mm.), setulose bru- 3 niccie; qualche volta mancanti (Es. Karwinsky). È Fiori discretamente sviluppati (18 mm. di diametro nell’ Es. Karwinsky), o tendenti all’ impicciolimento (12 mm. nell’ Es. 8280), portati da pedicelli discreti o brevi. Calice a 5 sepali, lunghi 4-5 mm. ottusi o subacuti, cigliati al margine, del resto glabri. In qualche esemplare si nota tuttavia più «© meno accidentalmente qualche mucrone sulla faccia esterna di uno dei sepali (sepalo esterno nell’Es. Karwinsky) e non mancano i casi in cui anche la faccia interna presso l’orlo e subpulverulenta (Es. È Karwinsky). È Petali lunghi 7-8 mm. talora grandi il doppio del calice (Es* _ Karwinsky), subquadrangolari ovali, o smarginati. Stami 15 30 subeguali E al calice, ad antere lunghe, strette (Es. Karwinsky) bifide, poricide, a È filamento tozzo (Es. 8380), dilatato alquanto alla base che è barbata con peli rossicci o bianchicci (Es. Karwinsky e Es. 8380). Il punto di at- tacco del filamento all’ antere trovasi a mezzo il dorso di ara dove __ vî ha un’area oscura (Es. 8380). 23 Ovario globoso glabro, a stili obsoleti 0 brevi, ssa mancante, od atrofico e senza stili (Es. Karwinsky). I) Forma Veranti Busc. Esemplari studiati. Es. del Museo di Bealiao (N. 3103) stato raccolto da C. ed E. Seler (21 giugno 1896) nel Guatemala presso S. Martino (Dipart. di Hnehue- tenango) nelle formazioni di Schrub. Es. di Karwinsky, stato raccolto nel Yucatan, Le brattee sono fogliacee piccole, con un picciuolo lungo 0,5 mm. (Es. di Seler) e con Zembo lungo 1-15 cm. largo 4-6 mm. verdiccio, dentico- | lato mueronulato, acuto agli estremi e percorso da pochi nervi setulosi, 8) Saurauia leucocarpa Schlecht. var. anisopoda Buse. Sinonimia. -Turez, et. Bull. Soc. Imp. Moscou). Saurauia anisopoda Turez. (Arimadv. in Secund. Part. Herb. pre» La Sr sn sl foliis. oblongis lan- STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. ceolatis, acuminatis basis subobliquis serrato-denticulatis ad costam v nasque et supra etiam inter venas setosis, subtus pallidioribus axillis nudis, denticulis seta decidua terminatis, pedunculis axillaris ad me- diam nudis, medio racemiferis superioribus folii dimidio attingentibus; — inferioribus petioli longitudine; petalis calycem duplo superantibus obo- E vatis; folia 4'/, pol. longa 18 lin. lata, flores pallide rosei. Mexico: © . Oaxaca 3000 p. Galeotti N. 4198 (Turez.). ; Esemplari studiati. i + Es. N. 4198 d. Collez. Galeotti, stato raccolto ad Oaxaca (30004;

Picciuolo sottile lungo 1 cm. (Es. 359) — 3 cm. — 5 cm. (Es. 198 Parigi), bruno nerastro, coperto più o meno da sete o setule di varie dimensioni talora tubercoliformi, più o meno espanse alla base, __gialliccio fulve o brune, lunghe da 0,5-1 mm. (Es. 198 Parigi) a 2-83 _ —mm.(Es. 30887?) Lembo lanceolato ovale, o subovato (Es. 198 Parigi), quasi sempre | piuttosto stretto (Es. 3088? Es. 359), terminato bruscamente in punta d breve, 0 lunga od anco solo acuto, o persino ottuso. Base fogliare a- È cuta, o un po ottusa (Es. 198 Vien, Gin. e Es. 3088 ?) diseguale, talora È un po decorrente. Margine serrulato denticolato alla base, serrato «(foglie piccole ed Es. 198 Parigi) dal mezzo in su, a serrature sor- montate da un mucrone, o da seta curva o diritta, caduca. ) Lembo sottile, membranaceo, subcoriaceo 0 coriaceo (Es. 3088 ?) bruno rossastro sopra, giallo bruno sotto od anco un’ po verdiccio (Es. 3088 ? e Es. 359), di Zunghezza assai variabile (7-17 cm.), largo da 2a 6 cm., ma in generale assai stretto (Es. 11713). Pagina superiore liscia e talora persino lucida (Es. 3088 ?), od all’ opposto reticolata (Es. 3088 ?), cosparsa di rari punti minuti e di rade sete bianchiccie, finissime, lunghe 2-3 mm. appressate, presenti în più gran copia, per quanto sempre rare, sulla costa. Alla sete si associano spesso i mucroni setuliformi e tubercoli ed anche talora questi sostituiscono quelli. Il parenchima è per lo più glabro. di anco rugulosa (Es. 11713), più densamente coperta di sete e mucroni (Es. 3088 ?) sulZa costa e sui nervi secondari. Le sete raggiungono una lunghezza massima di 0,51 mm. (Es. ove sono anche dilatate alla base. Il parenchima è glabro, come pure 3088 2), fini ma ciò non di meno prominenti sotto, in numero di 15-20 (Es. Ci di «mi z i SE * Pet a, rate da: È Pagina inferiore un po aspra al tatto, granulosa (Es. 8395), od 359) -- 3 mm. (Es. 3088?) e Ze maggiori sono reperibili sulla costa i nervi di 3° ordine, se si fa eccezione per qualche rarissima setula. Nervi secondari piani, bianco giallicci alla pagina superiore (Es. STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC, 198 di Vienna) per lato, obliqui, curvi subdicotomici, distanziati gli uni ( dagli altri od avvicinati (Es. 198 Vien.), a seconda della grandezza del lembo. Nervi di 3° ordine un po sporgenti Es. 198 Vienna), perpendicolari ‘od obliqui (Es. 3088 ?) ai secondari, od alla costa, distanziati fra loro, ben distinti da quelli di 4’ ordine sebbene fini, a decorso un po ir- regolare e spesso terminanti în reticolo lasso (Es. 198 Ginetra) o stretto (Es. 3088 ?). Nervi di 4° ordine pure risolventisi in fine reticolo. C'osta sporgente e per lo più setosa. Ascelle dei nervi secondari quasi sempre imberbi, o tutt’ al Bo oscuramente barbate (Es. 198 Parigi). Infiorescenza a pannocchia subdeguale alla foglia (Es. 3088), ma quasi sempre più breve di questa e talora anche di molto (Es. 198 Vienna), Zwnga 9-13 cm. larga 6 cm. pauciflora (10-12 fiori Es. 198 Ginevra), o molto ramosa, con rami patenti (Es. 359), distanziati gli uni dagli altri, non molto Zunghi 1-3 cm. (Es. 198 Vienna). Peduncolo rosso bruno, solcato, striato (Es. 3088 ?), lungo 5-9 em. (Es. 30882) — esile, coperto parcamente (Es. 3088 ?) o abbondantemente di sete va- riamente lunghe (0,5 mm. (Es. 11713)) — 8 mm., patenti (Es. 3395) — o appressate, bianco sporche o fulve, a base larga. Sui rami e sui pedicelli si incontrano pure delle sete o più esat- tamente delle setule ferruginco brune (Es. 315) o cenerognole, fine, brevi (1 mm. nell’ Es. 359) e più abbondanti. Brattee pure lungamente setulose, lineari, più o meno brevi (lungh. 47 mm. largh. 1-2 mm.) A Fiori portati da pedicelli brevi (5 mm.) oppure quasi sessili, grandi ho o discreti (16-18 mm. negli Es. 198 di Vienna ed in quello 359). Calice @ 5 sepali ottusi o subacuti, lunghi 4-5 mm. ovali, un po diseguali, glabri all’ interno, cigliolati o glabri al margine, setulosi più o meno parca- mente su tutta la faccia esterna, su un lato, o su una metà a seconda della posizione del sepalo nel boccio. In qualche esemplare taluni sepali sono del tutto g!abri (Es. 198 Parigi), oppure le setule sono straordinariamente rare e neppure. ovunque presenti (Es. 359). Le se tule sono fulve lunghe 0,5-1 mm., ma talora anche appena visibili all’ occhio (Es. 3088 ?) e spesso miste a tubercoli (Es. 3088). 2 Petali 5 obovati arrontodati, o subquadrangolri smarginati, circa ‘/s più lunghi del calice, ma spesso anche appena più lunghi o vice. PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELÎ() versa grandi il doppio (13 mm.). Stami subeguali al calice ammontanti a 20-24, caduchi, ad antere lunghe, bifide ma poco divaricate, strette, poricide all’ apice, di color giallo bruno; filamento bruno, barbato alla base con peli rossicci (Es. 3088 ?), o fulvi. Ovario glabro a 5 stili lunghi fini, c»pocchiati o brevi (Es. 11713 in cui però vi ha solo 4 stili). Negli esemplari 198 di Parigi 359-8395 LI l’ovario è ridot o, con stili obsoleti (1). 7 Semi reticolati finamente alla superficie. Y) Saurauia leucocarpa Schlecht. var. Willdemanii Busc. Tav. XX. Esemplari studiati. Es. N. 3088 della Collez. Galeotti determinati dall’ Hemsley sotto il nome di £. Zeucocarpa Schlecht. (Rosaceae ?) e stato raccolto dallo Schiede nella Cordillera di Vera Cruz. la a fiori rossio gialli crescente sulle pendici presso Jalapa a circa 4000”. Caule giallo fulvo reticolato solcato o rugoso pulverulento, cou cicatrici fogliari piccole, ovali o a ferro di cavallo, con un cerchio bianco all'interno. Apice del caule e foglie giovani coperte di sete fulve, appressate, corte, dilatate e barbate alla base. Picciuolo discretamente robusto, irto di setule, lunghe 1 mm., sottili, fulve miste a pulverulenza bianchiccia. Lembo cartaceo 0 subcoriaceo (raro) ovale lanceolato, acuto od | ottuso e spesso dissimmetrico alla base, con /” estremità anteriore acuta ia as FX 5a. . 23 aL LI 0 anche terminata in punta lunga. Pagina superiore rossiccia e scabra, l’ inferiore giallo verdiccia e del pari scabra. Margine per lo più denticolato alla base, serrulato serrato dal mezzo in su, spesso anche doppiamente serrato o disu- gualmente (foglie grandi). Serrature sormontate da seta curva decidua _ 0 persistente, Pagina superiore coperta, sulla costa, da sete appressate gialliccie: ; le stesse sete, ma più brevi, sono pure presenti sulle nervature, mentre | Si fanno rarissime sul parenchima. Analoga disposizione, ma in grado più accentuato si ha alla pagina inferiore, dove poi le ascelle dei 7 D) Negli esemplari 8088? l’ ovario non fu studiato perchè rovinato da insetti. a rai ret O se SU e thee e ESE f Si cs: STRA : EE 3 Se e RR A to PO Ei SI È Siani o né Fano E 112 STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. ‘ordine che sono molto addensati. Costa robusta assai. su RI O i e ARI PE E AR a RT TA E AT 381 nervi secondari sono barbate. Le sete danno un aspetto oscuramente — pulverulento alla pagina inferiore. Nervi secondari 11-18 obliqui distanziati gli uni dagli altri sub- paralleli, bruscamente curvi al margine e subdicotomici, poco o punto manifesti alla pagina superiore, fini ma sporgenti sotto. Nervi di 3° ordine finissimi, distanziati fra loro, perpendicolari ai secondari 0 alla costa, a decorso vario, ma non formanti reticolo con quelli di 4° — Lembo lungo 8-19 cm. largo da 4-5 cm. Infiorescenza più breve della foglia (9-10 em. di lunghezzaX5-6 cem. di larghezza) o subeguale a questa, ramosa, a rami patenti obliqui brevi (2-3 cm.) tripartiti. Peduncolo lungo 3-6 cm., sottile, solcato, cilindrico, pulverulento setuloso, con sete fulve appressate lunghe 1-2 mm. Rami e pedicelli pure analogamente rivestiti, sordidamente bru- nastri. Brattee e bratteole triangolari o lineari minute (lungh. 3-7 mm. largh. 2-3 mm.) fulve setulose. Fiori piuttosto esigui, brevemente pedicellati. Calice glabro o un po pulverulento al punto d’ impianto del pedicello (1) o sulla linea mediana di qualche sepalo, cigliato al margine, glabro internamente. Sepali acuti od ottusi, diseguali, lunghi 4 mm. Corolla */, più lunga del calice a petali smarginati od interi obovati ottnsi. - Stami circa 25 con antere brevi, piccole, impiantate a san del dorso e a filamento pure breve barbato alla base con peli rossicci. ‘ Ovario globoso con 3-5 stili discreti a stimma puntiforme. Semi piccoli rugulosi. ò) Saurauia leucocarpa Schlecht. var. angustifolia Buse. Sinonimia. ; Saurauia angustifolia Turez Bull. Soc. Nat. Moscow XXXI 1858. (continua) (1) Questo carattere si ritrova nella $S. pauciserrata Hemsl. forma kege- i “Illegao crittogamico del fascio vascolare seminale di talune Agiosperme I ‘considerato nei suoi rapporti colle moderne teorie filogenetiche NOTA peL Pror. Lurair BUSscALIONI (continuazione) altrove illustrata la storia evolutiva. Le prime tracheidi centripete com- paiono a ridosso dei protoxilemi e di qui la organizzazione procede | verso il chilario (Fig. 13 e 15 Tav. II). ; 4 «| ——»— Non pochi di questi elementi centripeti appartengono al cordone È f- procambiale, ma altri derivano indubbiamente dal tessuto fondamen - tale interposto fra il fascio vascolare ed il chilario. È difficile tuttavia si assegnare la parte che spetta agli uni e quella che spetta agli altri, poichè non sempre il cordone procambiale appare nettamente circo- | Scritto rispetto al tessuto fondamentale dell’ ovulo, in specie dal lato sg che guarda verso il chilario. Io ho potuto assistere a quasi tutti gli stadi di sviluppo del legno | ©entripeto, a cominciare dai preparati in cui le cellule addossate ai pro- toxilemi erano ancora ricche di plasma e solo presentavano i primi ac- enni degli ispessimenti delle membrane, colla relativa formazione di ; | trabecole e sbarre. E Data la difficoltà, per le ragioni sovra esposte e per essere gli ele- menti centripeti strettamente addossati gli uni agli altri, di distinguere le due sorta di legno centripeto (genuino e di trasfusione) in diretta "continuazione l’uno coll’altro ed entrambi compatti, possiamo, per de- cidere la questione, fare assegnamento, oltre che sull’estensione dal cor- done procambiale, sin sui rapporti che il legno contrae coll’endodermide, là dove questa è presente, sia sulla direzione dei tracheidi e sulla loro SARA ARE dA 0 . Colla scorta di questi criteri ritengo che, fino a un certo punto, si Possa considerare come legno realmente centripeto, anzichè di trasfu- sione, tutti quegli elementi che stanno interposti tra il protoxilema e a guaina endodermida sebbene non si possa escludere che qualcuno ap partenga al periciclo. Sono pure di natura prettamente centripeta quegli elementi che addossati al protoxilema, dal polo opposto al libro, non Presentano notevoli differenze, in quanto a grandezza, rispetto a quelli del legno centrifugo (cordone mesarco del funicolo). Sono invece pro- : = 2300 x - fascio vascolare (Fig. 14 Tav. II). colo che nello spessore del tegumento. Ciò non apparirà privo di im- di guisa che non sarebbe lecito trarne la conelusione che non esistano. «le Leguminose e quanto la aa etologia e l’ Anatomia vegetale mar: rivelato in altre piante. nascono al dietro del xilema, al confine fra il procambio ed il tessuto fondamentale, nella qual zona tuttavia non sempre si può distinguere l’ elemento procambiale dall’ altro. Infine debbono pure appartenere, e questa volta incondizionatamente, al legno di trasfusione i grandi ele - menti reticolati, irregolari, a varia direzione rispetto a quelli propri del cordone, i quali compaiono nel fascio tegumentale poco al di la del | punto dove questo abbandona i rapporti col chilario (Fig. 21 e 25 Tav. III). La loro forma ricorda, allo stato adulto, un po quella delle cellule del tessuto fondamentale, di cui tuttavia sono più grossi, e da questo riesce avvalorato il concetto che si ha sulla loro natura, tanto più che spesso, formando essi una serie arrivante fino a contatto del chilario, ci indicano che veramente derivano da. elementi estranei al Questi sono i criteri ai quali mi sono attenuto per decidere se un dato tracheide sia di trasfusione, o non appartenga piuttosto al legno centripeto : devo qui dichiarare tuttavia, a scanso di equivoci, che mol te volte sono rimasto incerto sulla vera natura degli elementi centri- peti di un dato preparato. Prima di chiudere la presente rassegna sull’evoluzione del cordone | reputo opportuno far rilevare che il legno centripeto nelle Leguminose si sviluppa certamente più tardi di quello centrifugo, sia lungo il funi. — portanza qualora si consideri il fenomeno alla luce della filogenesi la quale dimostra che nelle stele delle forme arcaiche il legno centripeto d’ordinario si sviluppa più precocemente di quello centrifugo, con un comportamento che è pertanto antitetico con quello osservato nella Pa pilionacee. Noi non dobbiamo tuttavia dimenticare che ogni regola ha. le sue eccezioni e che anche nelle stesse forme arcaiche si osserva t& lora che la comparsa del legno centriseto è posteriore a quella del xilema centrifugo. Un esempio di questo genere l'abbiamo, per citare solo qualche caso, nelle Cycadaceae e forse anco in Lyginodendron, rapporti filogenetici tra quanto io ho pel primo posto in evidenza nel PROF. LUIGI BUSCALIONI 116 D. — Studio comparativo e critico di taluni fasci diploxilei. Nelle precedenti pagine abbiamo già accennato all’ interpretazione Bots il Worsdell ha dato circa l'origine dei cordoni centripeti, i quali laisserebbero da un fascio concentrico per scomparsa del libro da una delle metà; ivi si sono pure addotti gli argomenti che non ci per- | metfono di applicare tale principio ai fasci tegumentali delle Legu- minose. Poco pertanto rimane da aggiungere ed io mi limiterò quì a rilevare che il concetto del Worsdell richiede, per esser accettato nella sua integrità, che i fasci diploxilei abbiano legno ugualmente conformato al davanti del protoxilema ed al di dietro di questo, poichè nessuna differenza deve sussistere fra gli elementi xilemici dei differenti settori di un cordone concentrico periliberiano, altrimenti la | condizione concentrica diventa dubbia. Invece quasi sempre si hanno differenze, e talora notevoli, sia a riguardo della grandezza che della struttura negli elementi xilemici centripeti o centifughi, di guisa che Appare più logico far derivare il legno centripeto ex novo, da speciali elementi. i | Assai più complesso diventa il problema del legno centripeto se si Il Chodat, utilizzando pei suoi studi sulle Pteridosperme paleozoiche la notazione, a De il vero, poco ara dei Sigg. Bertrand e se er successivo ripiegamento e saldatura di un capo coll’ altro, nel qual ©aso si hanno delle catene chiuse (stato di divergente chiuso). di Ora, nella fronda delle Felci il legno, stando a questa notazione, si vilupperebbe in senso centrifugo, essendo il protoxilema situato dal lato ‘erno. Per converso tale struttura giammai è applicabile alla Cicada- * i cui fasci, a tipo Gimnospermico ed endarchi nel fusto, cambiano i ituzione nel picciuolo per sviluppare del legno centripeto primario. o carattere si trova nelle Bennettitee, Cordaiti, Medullosa (fos- AI protoxilema esterno di questi fasci si aggiunge, più tardi, dal pure esterno, ma in discontinuità col protoxilema, qualche tracheide È da ie sati ; die 116 IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL #ASCIO VASCOLARE IS di metaxilema, per effetto della comparsa di una zona generatrice . Siffatti cordoni dapprima prettamente a: diventano ora tip mente diploxilei. Assodato questo principio il Chodat stabilisce che la struttura del Felci è del tutto differente da quella delle Cicadacee, avendo le pri un protoxilema interno, le seconde un protoxilema esterno, ed essend il metaxilema sviluppato in senso centrifugo nelle Felci, in senso cen- tripeto nelle Cicadali. 4. Ora come si fa, seguendo questi prineipii, conciliare le idee Williamson, Scott, Worsdell, et., i quali vedono nei fasci mesarchi è Lyginodendron un’ identità costituzionale con quella di Stangeria di altre Cicadacee ? Il Chodat trova la soluzione nella constatazior da lui fatta che l’ identità è solo apparente. Infatti nella Stangeri paradoxa (peduncolo fiorale) il protoxilema è situato nettamente all sommità esterna del fascio primordiale centripeto, al contrario Lyginodendron il protoxilema, pure centrale, si continua col meta lema centrifugo. In altre parole si avrebbe nelle Cicadali e nel Ly nodendron le seguenti differenze strutturali : Fascio vascolare di Lyginodendron. | Fascio vascolare di Cycas. Esiste il legno primario centrifugo. Manca il legno primario centrifu Il protoxilema è seriato col legno | Il protoxilema è seriato col centrifugo. gno centripeto. La struttura è mesarca. La struttura è esarca. L’ apparente analogia sta in ciò che in entrambi i tipi (/Stange: e Lyginodendron) il protoxilema appare in posizione centrale, ovun- que cinto dal metaxilema, il che ha fatto dire al Williamson e a $ che la struttura dei fasci di Lyginodendron è identica a quella de Cicadacee. Anche l’ Oliver, pur ritenendo che l'abito di ZLyginodendron quello di una Felce, ritiene che la struttura di tale Genere indichi 4 ‘affinità colle Cicadali. Questo unanime consenso di opinioni contrarie, cui si -potre aggiungere quella di Worsdell, urta coi principii formulati da Berte e Cornaille (1902), i quali non trovano nelle Cicadali attuali alcun rattere delle traccie fogliari delle Megatillidi (Filicinee), mancando i | vergenti ed i fasci bipolari. Cicadacee e Felci hanno solo, come cè «comuni, gli elementi primari scalariformi e SA reperibili pure al trove. Per Chodat i fasci primari attorniati da midollo nel Lyginodendron peo a ipo osmundaceo cioè a ©, le due ali del divergente riunendosi i loro poli, dopo essersi rovesciate all’ indietro (come nelle Felci). La sposizione è particolarmente affine a quella reperibile in Z'odea ed unda i cui fasci dallo stipite passano al tipo di divergenti chiusi l protoxilema ineluso, interno. L’analogia non è peraltro sfuggita a Williamson e a Scott i quali, grado ciò, mantengono le loro affermazioni circa le affinità, ritenendo analogia puramente accidentale. Lo stesso dicasi pel Seward e Ford e, dopo aver riconosciuta la somiglianza strutturale colle Osmundacee, ngono pur sempre mesarco il fascio di Lyginodendron. A questa conclusione evidentemente si oppone il Chodat il quale I discute altri caratteri di Zyginodendron, su di che non insisto, bene egli cerchi anche col sussidio di questi avvalorare la sua inione. La conclusione dell’autore si è che il fascio mesarca di Lygino- ndron è un divergente filicineo, cioè endarco, colle ali del metaxi - ema ripiegate in addietro come nei divergenti annulari delle Felci: lla Cicadaces il protoxilema è esarca e lo sviluppo del cordone le- noso centripeto, poichè il legno centrifugo è solamente del metaxilema Ituato lateralmente. Concepito alla stregua del Chodat il problema del legno centri - ‘0 appare oltremodo complesso: noteremo tuttavia che le vedute del- lustre botanico ginevrino non vennero accettate dalla grande mag- anza degli autori che più o meno recentemente si occuparono dalla ione, salvo forse lo Sprecher (1) che nel suo studio sul Ginkgo Ma osserva che si ha discordanza fra lo sviluppo del fascio delle leadacee e quello dei cordoni di Ginkgo. Nelle Cycas al protoxilema seguito del metaxilema centripeto che si sviluppa in massa compatta va di divergente, essendo il metaxilema centrifugo che rappresenta ittosto un divergente. Invece nel doppio fascio cotriledonare di Ginkgo v Si potrebbe ancora citare il Sinot i cai lavori tendevebbero, entro certi dar ragione on Chodat che però neppure cita. LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO prato SEMINALE ECC. si forma del protoxilema esteso in senso tangenziale, poi un bicegi metaxilema centrifugo (trachee amnellate, o reticolate all’ interno, tra- cheidi areolati all’esterno). Intanto sui lati del doppio fascio si svilup. pano delle ali di tessuto di trasfusione (metaxilema centripeto) curve. in addietro e formate da elementi reticolari e annulati, isolati od ag: gruppati, corrispondenti per le punteggiature alle prime cellule del metaxilema centrifugo. Il fascio è adunque inverso di quello di Cycas poichè qui vi ha un blocco di metaxilema centripeto, in Ginkgo un blocco di metaxilema centrifugo: in Cycas un divergente di metaxilema centrifugo in Ginkgo un divergente di metaxilema centripeto (laterale). Il Ginkgo adunque avrebbe più analogia con Lyginodendron che con Cycas, e ciò malgrado che sistematicamente sia più affine a quest’ ul tima che al primo, stando almeno alle vedute del Chodat. Ma come sopra dissi, i moderni autori fra cui Mars, Le Godi Seward et. sono concordi nel rilevare che in Cycas ed altri generi af-_ fini la massa centrale di legno centripeto addossata al protoxilema si. : continua in una doppia ala di legno pure centripeto. Questi due di- o vergenti si ripiegano verso il libro per continuarsi, indirettamente, col legno centrifugo discontinuo. Solo alla base dalla fronda tutto il legno. è centrifugo e intimamente addossato al protoxilema, mentre all’ apice della stessa, od anco ps, si ha il caso inverso, per riduzione del legno. centrifugo. Per conto mio osservo, innanzi tutto, che il criterio genetico, rife- rentesi alla successione dei vari elementi sarebbe un’ ottima guida per. risolvere il controverso problema, qualora la genesi degli elementi centrifughi e centripeti avvenisse in modo uniforme per i vari tipi di piante fornite di legno diploxileo. i Per converso noi vediamo che talora si sviluppa dapprima il legno. centrifugo, talora il legno centripeto: in alcuni casi il [legno centripeto procede nello sviluppo dai fianchi verso la linea di simmetria del fascio: in altri casi invece nasce dapprima sull’ asse di simmetria e poi si estende in fianchi. I ! i Ma v' ha di più: se egli è vero che in Lyginodendron il legno centrifugo sì attacca al protoxilema mentre in Cycas è quello centri- peto che si raccorda col medesimo noi vediamo che nelle stesse Cica dacee non vi ha costanza nella seriazione, in Lore a, ad esemp Dioon edule il legno centrifugo non si sviluppa più radialmente, i riduce, e finisce per addossarsi al protoxilema (come in Lygino- dendron), assumendo pertanto struttura mesarca (affinità colla Cyca- deoidea). Potrei ancora citare i fasci cotidedonari di Bowenia che, secondo Worsdell, diventano pure tipicamente mesarchi (ritorno al tipo Botryop: terideae) ed infine non mi resta che rimandare il lettore a quando scrissi sul fascio delle foglioline atrofiche situate alla base delle fronde di Cycas revoluta. E assai probabile che il tipo mesarco (endarco) Iyginodendroideo sia più arcaico per costituzione e rassomigli forse più al tipo filicineo, | rispetto a quello mesarca (esarco) alquanto più evoluto (anche per ciò che concerne la costituzione dei semi) e dal quale, secondo Siunot, sa- | rebbe sorto il tipo gimnospermico attuale, assieme alle Cordaiti e alle | Bennettitali. Ma queste ipotesi perdono di valore di fronte alla grande incertezza che si ha nei rapporti filogenetici tra i vari gruppi di piante questione dell’ origine del legno centripeto. Viceversa noi sappiamo che | questo legno si riscontra, oserei dire, in via eccezionale negli attuali Tappresentanti del regno vegetale, mentre è largamente rappresentato tra le forme fossili. Ora dacchè è questione di confronti tra forme vive e scomparse noi dobbiamo scegliere dei termini di confronto che siano reperibili nei due gruppi, e poichè il carattere genetico è pressochè da eliminarsi, allorchè si tratta di forme fossili, è necessario far esclusivo assegna- mento, pel confronto, sul carattere topografico degli elementi. Stando a questo criterio «tutto il legno formatosi al di dietro del protoxilema sarebbe da ritenersi centripeto; lo è pure quello situato di fianco al medesimo e persino, in molti casi, i tracheidi che, conti- nuando a svilupparsi in sovrapposizione ai precedenti elementi, finiscono per passare sui fianchi o persino al davanti del libro. Ma, forse più che centripeto, siffatti elementi che esorbitano dal dominio ordinario del xilema vanno ritenuti come elementi di trasfusione, il che nella grande maggioranza dei casi non arreca confusione (1). In questo nostro apprezzamento ci può servire anche di quid | l'estensione del cambio e del libro rispetto all’area occupata dal legno centripeto. - Infatti quasi sempre ci riescirà a constatare che libro e cambio hanno un’area assai più limitata, del legno centripeto; che l’ ampiezza | del cambio, se corrisponde all’estensione del libro, è per nulla in rap- porto coll’area occupata dal legno di trasfusione i cui elementi poi, separati spesso dal cambio per mezzo di cellule di parenchima, paiono piuttosto derivati da queste che dagli elementi del cambio. In altri termini in tali casi il legno centripeto appare piuttosto originarsi da elementi procambiali del desma, anzicchè da elementi cambiali. Così, ad esempio, nella Zamia macrophyila deseritta dal Sinnot il libro occupa solo una porzione della fronte del xilema (circa !/;) lo stesso sviluppo presenta il cambio sottostante. Viceversa il legno centripeto retrostante al protoxilema continuasi sui fianchi unicamente col tessuto fondamentale. Il Sinnot dice che esso nasce a guisa di due ali ai lati del protoxilema e che poi le stesse si portano all’ indietro ‘convergendo fino a che si fondano colle estremità. Ammessa la derivazione del legno centripeto laterale dal cambio non si comprende come questo si limiti a formar solo legno senza dar origine a cellule liberiane, come avviene di norma (salvo le debite ec- cezioni, come ad es. in Bignonia). Il Chodat e con lui non pochi altri autori, per illustrare le diffe- renti posizioni assunte dai successivi elementi legnosi centrifughi e centripeti ricorrono ad una terminologia, che viene pure largamente utilizzata per interpretare il passaggio dei fasci dal fusto alla radice. Essi, in altri termini, ammettono quasi che il fascio vascolare, a varia altezza dall’organo, vada subendo una specie di torsione. Sono espes- sioni quasi necessarie per render palesi le variazioni di struttura ed io stesso le ho adottate. Però questo concetto, secondo il quale il fascio (1) In un prossimo lavoro siasi in extenso di siffatti elementi che i0 ritengo costituire il legno diacentrico. 7 1 | sì piegherebbe come una bacchetta premuta agli estremi, anziechè di- lucidare il nostro problema, vale a renderlo più oscuro. Non si tratta di torsioni e di giramenti, bensì di origine in punti successivamente dif- ferenti delle cellule xilemiche sottoposte le une alle altre, 0 viceversa sovrapposte. Il che è ben altra cosa, come varrà a dimostrarlo un’ e- sempio. Nessuno vorrà ritenere che una fillotassi qualsiasi sia dovuta a torsione dell’asse che porta i centri formatori delle successive foglie; si avrebbe invece realmente torsione qualora i centri di origine dei fil- __ lomi nascessero soprapposti e poi venissero a collocarsi nel posto loro assegnato definitivamente dalla divergenza. Ora noi sappiamo dai iavori di Sehwender, Vochting et. che un'origine di una data fillotassi per tale meccanismo è piuttosto rara (Muschi, /’andanus et.) Ciò posto, se noi applichiamo questi principi a quei fasci nei quali si suppone avvenga una rotazione noi vediamo ben tosto che questa non ha luogo. Se in Lyginodendron pertanto, stando alle vedute di qualche autore, il fascio dapprima endarca diventa mesarca perchè le due ali di xilema fian- cheggianti il protoxilema si incurvano e ci incontrano all’ indietro di quest'ultimo ciò non è l’espressione di una torsione delle detti ali, ma bensi la conseguenza di spostamento di sede delle cellule tracheidali che, a poco a poco ed a misura che ci portiamo in alto nella traccia, si vanno formando sempre più all'indietro del protoxilema per finir di avvolgerlo, assieme a un pò di parenchima. Data una tale condi- | zione di cose il protoxilema deve di necessità restar unito al legno centrifugo, ma non per questo il fascio fogliare cessa di esser mesarca, o diploxileo (collaterale), almeno per un certo tratto del sao percorso. D’ altra parte noi vediamo che la stela di Lyginodendron è confor- mato sullo stesso stampo dalla traccia e del fascio fogliare, a prescin- dere ben inteso dallo sviluppo s:condario che si ha nel fusto e dalla trasformazione in fascio concentrico che si verifica nel cordone fogliare. Or bene io non eredo che nel fusto i cordoni siano conformati sullo Stampo esarco, troppo evidenti essendo i loro rapporti col mesarchismo di altre forme fossili. Ma vi ha di più: in Zyginodendron la traccia fogliare, come nell’affine Heterangium, ha il legno centripeto formato da elementi 1 molto più grandi di quelli che costituiscono il legno centrifugo; inoltre ssì sono differentemente punteggiati (areolati anzichè ri ra Su. - questo punto anche il Chodat insiste senza, tuttavia, a mio parere, accordarvi quell’importanza che esso merita e che è stato da altri messa in valore per spiegare la costituzione di non pochi fasci diploxilemici. Ben ponderati i fatti se si tiene conto dell’ampiezza del cambio e - del libro in rapporto alla estensione del xilema; se si confronta la strut tura e la forma degli elementi del legno retrostante e antistante ai pro- | toxilemi; se si accorda il dovuto significato alla così detta torsione degli elementi dei fasci (1); se infine non sì da troppo peso alla posizione dei protoxilemi rispetto al legno centripeto o centrifugo si arriva alla conclusione che non esistono grandi differenze fra il cordone fogliare di — Lyginodendron e quello delle Cycadacene (almeno nei tratti in cui è 3 possibile un confronto), essendo entrambi mesarchi collaterali, e solo | differendo per accidentalità di secondario valore. Interpretando a questo modo la struttura dei fasci il problema si semplifica, ma non lo si risolve completamente, essendovi molta diffi- coltà da superare, specialmente nei legni fossili, che difficilmente tro - “veranno una soluzione data la scarsità, la frammentarietà e il cattivo stato di conservazione dei documenti paleontologici e dato anche che tra le forme fossili vi hanno delle enormi variazioni strutturali nel pas- saggio dal fusto alla foglia e da una specie all’altra. Lo studio della struttura del fascio vascolare nelle Cicadee fu af frontato, pochi anni or sono dal D.r Carano il quale, in certo qual modo ne interpreta la costituzione quasi alla rovescia di quanto venne dal Chodat segnalato per il Lyginodendron e Cycas. Il Carano ritiene che si formi dapprima sulla finea di simmetria del seme un pò di pro- toxilema. A questo però si agg giungono ben tosto, dal polo opposto al libro, nuovi elementi i quali non sono altro che i tracheidi centripeti. Il tutto acquista quasi una forma triangolare col vertice, costituito dai | protoxilemi, rivolto verso il cambio ed il libro. Successivamente, e qui sta la nuova interpretazione dal Carano, dal cambio foggiato quasi a V capovolto ed incappucciante, col vertice, il protoxilema si staccano (1) Ad analoghe considerazioni arriva il Bertrand P. trattando dell’intru- sione della corteccia nella regione midollare. Infatti egli si domanda se vi ha penetrazione in senso assoluto o non piuttosto creare progressiva di un tessuto al posto di un altro. | nuovi elementi tracheidali abbastanza ampi e qualche volta anzi sempre | più ampi, in modo da formar come due ali che prendendo contatto col legno centripeto si estendono lateralmente a questo ed anco incurvansi un poco all’innanzi, cioè verso il libro. Si avrebbe così, secondo me, di nuovo il classico Omega osmundaceo delle Zyginodendraceae, colla differenza che in queste l’Omega è in senso inverso rispetto a quello delle Cicadee studiate dal Carano. Le due ali, ana- logamente tuttavia alla notazione del Chodat, sarebbero costituite da legno centrifugo. Mentre si vanno formando questi rimaneggiamenti, al davanti del protoxilema, ma separato da questo per mezzo di qualche elemento di tessuto fondamentale, si formerebbe un secondo legno cen- | trifugo, al pari del precedente derivante dall’attività del cambio. _Il D.r Carano conchiude che il primo legno centrifugo nascerebbe quasi dal centripeto di cui sarebbe la continuazione. La interpretazione data dal Carano non è stata accettata, per quanto almeno mi consta, dagli autori più recenti, come ad es. dal Seward che ha pubblicato poco tempo addietro (1917) un volume sulle Cicadacee fossili ed io ritengo del pari che i fatti osservati dall’ottimo mio amico s siano suscettibili di altra spiegazione, ma tuttavia non in antitesi ad- sa dirittura irriducibile come lo sono le opinioni di molti autori attuali. Secondo il mio modo di vedere il legno nel picciuolo di Cycas si sviluppi alla stregua dei xilemi atavistici. Si forma, cioè, dapprima il protoxilema, poi a questo si addossa, oppostamente al libro, del legno centripeto che si continua nelle due ali o divergenti che perciò non vanno considerati come appartenenti al xilema centrifugo. Per il ri- manente dello sviluppo vien meno il disaccordo, non allontanandosi gran che l’ interpretazione del Carano da quella degli altri autori, se si fa astrazione dal significato della notazione di legno secondario che subisce una leggera variante rispetto a quello ad esso accordato dal Seward ed altri autori (V. in proposito Marsh). Le obbiezioni mosse all’ interpretazione data dal Chodat valori quasi integralmente per quella del Carano, di guisa che non occorre insistervi a lungo. Farò solo osservare pertanto che quanto questi a- serive ad attività cambiale va riportato alla trasformazione di elementi | procambiali, di varia natura, in tracheidi che perciò solo con una certa | | Testrizione sono da ritenersi di natura prettamente centripeta, almeno . senso dato a questo legno dagli autori, poichè io li ritengo piuttosto. appartenenti al legno che io chiamo diacentrico, sul quale dovrò ritor- n fascio giovanissimo di C'ycas, quando, cioè, molti elementi sono an - ra allo stato procambiale, riesce oltremodo difficile distinguere questi - a quelli cambiali, tanto più se entrambi, come nel caso dei fasci di «cambio non è che un residuo procambiale rimanente attivo per un tempo più o meno lungo, a seconda dei tipi vegetali: di qui la diffi- coltà, nel caso nostro, di nettamente distinguerlo da un procambio pure ttivo a lungo (come generatore di elementi xilemici). Questa mia interpretazione trova conferma con quanto si verifica cordoni vascolari di Cycas circ 'nnalis dove, in determinati punti del picciuolo fogliare, si ha un legno centripeto (intersecato di paren- chima) molto più esteso dal corrispondente cambio e libro. In taluni fasci entre è più marcatamente differente in Ginkgo (1). — Indubbiamente il protendersi delle due ali divergenti centripete prolungano dietro il protoxilema, può avvalorare il sospetto che le a ali siano state formate dal cambio. Questo però nel solo caso che i avessero nella stessa Cycas dei fasci diversamente conformati, che ha luogo, poichè in non pochi cordoni tale incurvamento non si ica, o per lo meno i tracheidi di cui le ali constano non contrag- no rapporti col cambio (formatore di legno e di libro ad un tempo), pare ne abbiano contratti, data la loro orientazione, durante il loro È Non v'ha dubbio che il problema del legno centripeto trova gra- (1 Secondc Miss Stopes anche la gunina a doppio ordine di cellule dei fasci sri dalla Cordaiti apparterrebbe al legno centripeto, il che avvalerebbe la sosizione che anche in Cycas si abbia analoga disposizione. Non ritengo tut- che appartenga al sistema di trasfusione il cordone di van sclerose elle Cordaiti unisce un fascio cs all’altro. 24 vissime difficoltà alla sua soluzione precisamente nelle ( Cycadaceae, poi. chè in Cycas dal legno centrifugo della stela si passa, a poco a poco, al legno centripeto e centrifugo del picciuolo per arrivare, più o meno. presto, al legno quasi esclusivamente centripeto. Egli è appunto nella zona che oserei dire neutra, perchè i due legni si pareggiano, che una. esatta interpretazione dei fatti riesce più malagevole. : Giunti ora al termine di questa rassegna eritica è duopo metter in confronto i fatti discussi con quanto si è rilevato dallo studio del fascio vascolare del funicolo e del tegumento seminale delle Legumi- nose, per poter stabilire se esso appartenga piuttosto al tipo di Lygi-. nodendron, o a quello di Cycas. Premesso che il mesarchismo delle Papilionacee trae origine, al-. l’ingrosso, da un cordone concentrico endarca midollato per perdita del libro da un lato, riesce evidente, dalle molte osservazioni fatte e dallo studio di sviluppo, che'il cordone diventa dapprima mesarca col pro- toxilema però in seriazione col legno centrifugo, permanendo tra gli elementi protoxilemici è il legno. centripeto alquanto parenchima a tipo. midollare. La struttura concorda pertanto in tali punti con quella di Tani nodendron. Però, scartata la nozione della torsione a ripiegatura dalle ali xilemiche, si è potuto stabilire che il legno centripeto nasce tardi- vamente e con elementi affatto differenti da quelli del legno centrifugo. Sotto questo punto di vista adunque non vi sarebbe più analogia col Lyginodendron; noi sappiamo per altro che fino ad ora nessuno è riu scito a seguir la storia di sviluppo della traccia fogliare in questa ar caica Pteridosperma, per cui non possiamo escludere che anche qui s ripeta quando ha luogo nelle Papilionacee. Avvicinandosi il fascio al tegumento seminale, od anco nel pun in cui esso perfora lo strato malpighiano cambia nuovamente la sua struttura poichè non presenta più traccia del così detto midollo che sì interponeva fra il legno centripeto ed il protoxilema. Questi restano così. incorporati intimamente nel fascio divenuto tipicamente mesarca. Nel punto dove avvengono siffatti rimaneggiamenti i protoxilemi che prima erano più o meno oscuramente, in seriazione col legno cen - trifugo, lo diventano pur con quello centripeto; non mancano però i casi, come altrove sì de in cui essi non mantengono una deter- | minata relazione di posizione con l’ uno o coll’ altro. Intanto anche in | questa regione permane la condizione di prima caratterizzata dal tar- divo sviluppo del legno centripeto. d Al fine nell’ interno del seme il fascio ritorna al pi evoluto en - £ darca collaterale. È La differenza più cospicua che intercede fra il fascio delle Legu- — minose a quello delle Pteridosperme e Cicadali segnalate sta, più che e altro, nella tardiva comparsa del legno centripeto che ha luogo nei semi - delle prime, mentre è noto che in C'ycas e forse anche in Z yginoden- Fdrda il legno centripeto è il primo a comparire. 5 3 Ma poichè sappiamo che nelle Gimnosperme il legno centripeto può comparire dopo quello centrifugo, tanta differenza non può infirmare la conclusione che anche nei semi delle Papilionacee si ha un vero fascio | mesarca. ù Sta intanto il fatto che lungo un determinato cordone vascolare (Papilionacee) si incontrano parecchie variazioni strutturali nel xilema che si manifestano isolate in altri tipi vegetali ed in conseguenza una grande importanza non si può accordare alla differente struttura di Lyginodendron rispetto alle Cicadali, allo stesso modo che non pos- siamo dar grande importanza alla formazione del legno di trasfusione piuttosto sui fianchi che sull’ asse del cordone vascolare allo scopo di poter negare il significato di legno centripeto accordato da altri al me . desimo, come da Miss Charter si è fatto a proposito del legno delle imnosperme. In conelusione allo stesso modo che il legno di trasfusione può avere fer-nte origine, s:nza che tuttavia porda la sua natura (laterale in inkgo, opposto al protoxilema în altre piante, di origine puriciclica (?) © provenients dal t-ssuto fondamentale (legno di trasfusione del chilario e dal cordone funicolare di Lotus tetragonolobus ete.) così anche il vero :gno centrip:to può aver diff.rente origine come anche differenti mo - dalità di sviluppo, ed al riguardo si possono aver i s:guenti casi: a) legno centripeto precocissimo (forme arcaiche); b) legno centripeto tardivo (Seme delle Papilionacee); i c) legno sat accollato al centrifugo e in seriazione con questo yginodendron). . e) legno ia d’ ii non desmica. Quest’ ultimo trapa- PROF. LUIGI BUSCALIONI nante e confondentesi col tessuto di trasfusione. (Taluni elementi del | fascio tegumentale delle Papilionacee, taluni elementi delle Cicadacee); f) legno centripeto d’ origine desmica e più precisamente da ele- menti che altrove dannc vasi o tracheidi (1. centrip. d. Worsdell). Di fronte a tanta varietà strutturale e genetica del legno centri | peto, di fronte al suo frequente trapasso al legno di trasfusione, dal quale non sempre si riesce a individualizzarlo, di fronte infine alle divergenze di eriteri che si hanno sulle due sorta di legni resta asso- | dato che molto cammino rimane a percorrere prima che il complesso problema dei legni diploxilei, preso nel suo più ampio significato, ab- bia a vedere la soluzione (1. Intarito nasce spontanea la domanda: perchè il legno diploxileo è ‘scomparso dalle piante superiori (salvo le debite eccezioni) che frui- scono sol più del legno centrifugo ? La ragione è ovvia: perchè il le- gno centripeto mal prestandosi alla sua funzione di elemento condut- tore ha dato il sopravvento a quello centrifugo più adatto allo scopo. La sua permanenza però nelle foglie delle Cicadacee, (come legno cen- | tripeto genuino) e nelle Conifere (come legno di trasfusione), mentre accenna ad un atavismo, indica pure che le foglie, funzionando per | mezzo delle due faccie richiedono un’ abbondante provvista di acqua | per cui si capisce fino a un certo punto che ivi il legno centripeto abbia tardato a scomparire. Anche per gli assi fiorali (Coni et.) vale la stessa spiegazione: atavismo e attitudine al funzionamento, poichè siffatti organi che dan- no attacco a fillomi e ad organi di riproduzione richiedenti un attivo ricambio trovano nel legno centripeto delle vie di conduzione non del tutto inutili. | Per converso nei semi delle Papilionacee il legno centripeto svreli. be molto probabilmente soltanto significato di organo atavistico che. na nuova funzione (meccanismo di deiscenza dei semi) ha però reso. v sempre più perfetto. Zrrandal ica è "pare la presenza del legno centripeto nell'ipocotle, e | (D Su questo intricato argomento ritornerò, salini un pò a tango, nel a cea sulla costituzione delle cen ipa superiori. | CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECC. nei cotiledoni (oltre che nelle radici) di molte plantule ed io ritengo. che le piante più arcaiche del nostro pianeta dovevano avere analoga costituzione ricordante la struttura di una radice. In qualche Botryop teridea ciò è ancora manifesto ed io pertanto non credo di andar lon: tano dal vero ammettendo che in origine la coppia foglia-radice rap- presentasse tutto quanto l'organismo vegeta'e non ancora fornito di un dif gr LI vero fusto che del resto, colla teoria del fillopodio, non è altro che una fusione di basi fogliari. Questa mia ipotesi, che non si allontana alquanto da quella espressa dal Bower sull’originario filloma riprodut- tore, trova la sua conferma nella costituzione delle plantule di molte Felci, in cui vi ha appunto solamente una sequela di foglie annesse ad | una radice, nell’embrione di talune Licopodiacee e degli Jsoetes in cui ; prima del fusto compare il cotile e la radice, ma più ancora nella co: stituzione delle Stigmarie. Questi singolari organi sotterranei, lontanamente affini ai porta radici delle attuali Selaginelle, costituivano probabilmente l’apparato ra- dicale delle Sigillarie e dei Lepidodendri paleozoici, benchè presen- | tassero una struttura non del tutto radicale, avendo i protoxilemi in posizione endarea (1). In quinconcia tutto all’ingiro di questi singolari | organi stavano impiantate le così dette Appendici dicotome, nelle quali il fascio vascolare xilemico aveva forma triangolare con i protoxilemi all’apice di uno degli spigoli (radice monarca). Però la struttura radi- cale riusciva alquanto complessa per la presenza di un cordone di tra- cheidi spiralati che staccandosi dai protoxilemi si portava all’ esterno | attraverso la corteccia per espandersi, un po’ al di sotto della superfi- | cie dell’Appendice, in una lamina tracheidale costituente, a quanto pare, un ampio tessuto di trasfusione. In taluni casi il fascio delle Ap- pendici mostrava non dubbi indizi di accrescimento secondario. Data una struttura così aberrante delle Appendici taluni autori credettero di poterle omologare a foglie (pel legno centripeto, per la a dispcsizione in quinconcia, et.) mentre altri, dando maggior peso alla | circostanza che siffatti organi mostransi spesso dicotomi e sono dotati | di accrescimento secondario, reputarono più logico assimilarli a radici. Vela LS: AI sp IAA (1) In talune specie si aveva però anche legno centripeto (Renault e Solms-. | Noi abbiamo intanto in queste antichissime e sia anatomicamente | che morfologicamente arcaiche piante un sistema radico-fogliare quanto mai aberrante che conferma le mie vedute sull’originaria costituzione dei primordiali, ma per ora ipotetici, organismi vegetali vascolari. E le presenti deduzioni parrebbero trovar conferma nei lavori, se non erro, di Lignier il quale ritiene, che dall’ apparato radico-fogliare (poichè la Stigmaria rappresenta un organo intermedio fra fusto e radice) si svilup- passero di poi gli assi fogliuti epigei. Perciò anche nelle Lepidoden- dracee e Sigillarie fossili la costituzione cormofita fu preceduta da una coppia radico-fogliare. Nelle altre forme più evolute il fusto comparve .quasi contemporaneamente ai predetti organi e così si stabili l’ 0- dierna costituzione vegetale, per quanto in certi tipi arcaici perma- nesse anche nel fusto, o nelle fronde (poco da un fusto dissimili) una struttura non del tutto allontanantesi da quella di una radice (Staw- ropteris et.) (1). Conclusioni. Essendo stato assodato che nelle Papilionacee vi ha un organo spe- ciale, il Chilario, insignito di una struttura arcaica (legno centripeto e di trasfusione) che nelle piante superiori attualmente viventi trovasi accantonata, e per ragioni fisiologiche, nella sola radice, (almeno per quanto riguarda il legno centripeto) o tutt’ al più da queste si estende per un certo tratto lungo l’ ipocotile, parmi che sia conveniente ana- lizzare prima di tutto il singolare reperto anatomico alla luce delle moderne teorie filosofiche poichè tale rassegna varrà ad illustrare la breve sintesi che farò di tutto il lavoro. Recentemente il mio illustre e carissimo collega Prof. Daniele Rosa dell’ Università di Torino svolse nel suo volume | « Ologenesi » una nuova teoria sull’ evoluzione degli esseri, secondo la quale la specie, (1) Del resto anche nelle forme attuali la coppia radico-fogliare si appa- lesa oscuramente ancora allorchè si ha di già un fusto conclamato (Felci . ed altri tipi degradati), nascendo le radici accanto alle foglie. ta quasi tutte le specie attuali, o per lo meno i generi delle stesse. Il | Rosa non trova nel campo della zoologia accenni manifesti di dicotomia | epoche geologiche più o meno recenti vanno ripudiate, perdendosi il tratto di unione al di del paleozoico e ciò per effetto della « Bais- gano tuttavia a questa legge gli organismi inferiori, essendo noto che sempre tal quali con un idioplasma poco differenziato, ma l’ eccezione . fu, e solo raggiunse presto l’ acme, di guisa che tali specie andarono ‘IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE HCÙ. generi ed i gruppi anche più estesi, oggigiorno presenti sulla terra, non si concatenano fra loro, come da tutti si ammette, in una data epoca geologica più o meno recente, ma continuano per lo più ben differen- ziati gli uni dagli altri come Phylum, o come Filomeri fin al di là del paleozoico. Ognuno di siffatti gruppi rappresenta adunque una linea filetica terminale di un grande albero filogenetico arcaico. L’ Olo- genesi fa cominciare la vita su tutta la terra e con un unico tipo di viventi il quale, raggiunto un certo grado di sviluppo evolutivo carat, terizzato da una maggior complicazione dell’ idioplasma che lo co- stituisce, si trovò costretto a scindersi per dicotomia in due nuove unità specificamente differenti, cioè dotate di idioplasmi in certo qual modo complementari. La causa della scissione va cercata appunto nel- bea WOMEN l’ eccessiva complicazione raggiunta del protoplasma del progenitore (del filomero), il quale, per l’ atto stesso della dicotomia, viene a morire e a scomparire (salvo rari casi). Le nuove specie e i nuovi tipi così for- matisi continnano ad evolversi colle stesse norme, di guisa che già prima del termine dell’ arcaico, per le ripetute suddivisioni verificatesi in seno alle successive forme, dovettero esser rappresentate sulla terra tardivi, vale a dire dal periodo pa'eozoico in qua, almeno peri generi e grandi gruppi, e ciò lo porta a dichiarare che le pretese concatena - zioni degli esseri attualmente viventi sia fra loro, sia con quelli delle sinfilia ». La teoria dell’ Ologenesi richiede che nelle successive generazioni di specie, sorte tutte quante per dicotomie, l’idioplasma sia andato sempre più complicandosi e perfezionandosi. Parrebbe che si sottrag- dall’ epoca della loro comparsa sulla terra sono rimasti, si può dire, è più apparente che reale in quanto che anche per essi evoluzione ci incontro precocemente ad una fissità specifica. PROF. LUIGI BUSCALIONI Qualunque sia l’ energia con cui l’ evoluzione si compie in un dato gruppo avviene sempre che, malgrado il perfezionamento successivo | dell’idioplasma, gli organismi appartenenti a linee filetiche sempre più | distanziate dal ceppo originario vanno di pari passo riducendo la loro prospettiva filogenetica, vale a dire si trovano sempre più costrutti a moderare l’ ampiezza delle variazioni specifiche. Una tale attenuazione nell’ indice della variabilità non fluttuante è una conseguenza del modo con cui la specie ed i generi si formano, cioè è un postato delle dicotomie stesse. Assodato pertanto che gli idioplasmi nelle successive generazioni si vanno sempre più perfezionando non si può più ammettere che una struttura più o meno primordiale, già superata, abbia a ritornare nei» discendenti. I ritorni atavistici restano perciò esclusi e se noi pertanto crediamo di ravvisarli nell’ evoluzione di una data specie, genere etc. od altrimenti in un filomero, siamo tratti in inganno da una grossolana parvenza. Il fenomeno va pertanto interpretato nel senso che le strutture atavistiche sono semplicemente dei caratteri più o meno primordiali ri- masti quasi del tutto. immutati in tutto quanto il filomero, fin dal suo primo esordire in grazia alla dicotomia pregressa. Si tratta in altre pa- role di caratteri specifici, generici etc. evidentemente ereditati, ma giam- mai originati, o meglio ricomparsi ex novo durante il cielo di sviluppo di un filomeno, di una specie e via dicendo. Le due principali conclusioni dell’ Ologenesi che, cioè, da un lato le Specie abbiano pressochè costantemente le loro radici al di là del | Paleozoico e dall’ altro che non esista la ricomparsa di caratteri andati perduti devono certamente colpire non poco i botanici abituati ad ogni istante a trovarsi di fronte a variazioni per gemme che essi ritengono come atavismi, o come neotenie. Particolarmente queste ultime (V. la- vori di Diels e di Buscalioni) presentano le stimmate di un’ indivi- - dualità regredita, o per lo meno soffermatasi sulla strada evolutiva alle prime fasi ontogenetiche rispecchianti appunto, il più delle volte, una condizione di cose pregresse, in omaggio alla nota legge che 1° Ontoge- esi ripete in via accelerata la filogenesi, Stando le cose in questi termini egli è ora duopo investigare se quanto ho riscontrato nei semi delle Papilionacee (Chilario, tessuto di ‘usione, legno centripeto etc.) sia in accordo colle vedute dell’ Olo- questa teoria. L’ unica via per risolvere il quesito .è quella indicataci dalla Paleontologia vegetale. Egli è vero che le due grandi ramificazioni della Paleontologia basano sopra documenti ancora alquanto frammentari, | ma ciò non di meno, grazie le conquiste scientifiche degli ultimi anni, le dottrine paleontologiche oramai sono in grado di indicarci le grandi linee filogenetiche seguite dai due regni della natura nella loro evoluzione. Orbene, la paleontologia vegetale ci attesta che nel paleozoico vive. vano unicamente delle forme inferiori, o di media evoluzione rappresentate dalle Crittogame e dalle Gimnosperme. Siffatta flora rimase immutata, nel suo complesso, fino al Mesozoico, dacchè solo nel Cretaceo, o. poco , giù, comparvero, e si può dire quasi improvvisamente, i due grandi ° gruppi delle Angiosperme, le Dicotiledoni e le Monocotiledoni. È pro- babile, anzi, che siano apparse dapprima le Dicotiledonee e da queste derivate le Monocotiledonee, la cui struttura ricorda quelle di talune Policarpiche ritenute da molti botanici come tipi primitivi di Dicotiledoni. Un po incerta è l'origine delle Dicotili, ma a grandi tratti si può tuttavia ritenere che esse siano sorte dalle Gimnosperme più evolute (Gnetali), come 1’ attesta il fatto che le forme più base di Dicotiledoni sono assai spesso, al pari delle Gimnosperme, forme legnose, anemofile, a sessi separati, a perianzio spesso mancante; talune poi hanno persino i fasci vascolari costituiti da tracheidi analoghi a quelli delle Conifere. In particolar modo l’ affinità delle Gnetali colle arcaiche Dicotiledonee trova, più che altro, la sua più bella espressione nella presenza, in siffatte — Gimnosperme di veri vasi (ma un po sui generis, come del resto lo è anche il libro). Alcuni vorrebbero trovare il nesso fra le Dicotili e le forme inferiori nel Gruppo delle Policarpiee, altri in quello delle Monoclami-. date ed io non starò qui a discutere le ragioni che militano a favore dell’ una o dell’ altra ipotesi, non avendo questo grande importanza per le condusioni a cui arriverò fra poco. Piuttosto non posso passar sotto silenzio che qualche botanico, ed anche più di un paleontologo, vorreb- bero far derivare le Angiosperme dalle Bennettitali del Mesozoico, le quali sarebbero già insignite di un vero fiore, ricordante lontanamente. quello di un’Angiosperme Policarpica. Non tutti però sono d’ accordo sU questa interpretazione ed io sono convinto che noi abbiamo nelle Ben- nettitali piuttosto un’ infiorescenza che un fiore, nella quale poi l' or- ano maschile formerebbe come un collare basilare, probabilmente solo apparentemente collegato con l’ apparato femmineo. _ Si ammetta o l’ una o l’altra delle derivazioni resta sempre asso- dato che le Dicotiledoni non si mostrano al di là del Mesozoico. I so- stenitori : dell’ Ologenesi potrebbero obbiettare che ’ origine sia più arcaica, prepaleozoica, ma che non sia dimostrabile perchè i documenti (impronte, resti fossili) andarono perduti. Una tale interpretazione dei . fatti mi pare, per altro, poco attendibile poichè se a noi sono perve- nuti i resti fossili, o le impronte di forme paleozoiche rappresentate da organismi a struttura delicata, ben avrebbero potuto pervenire i resti dellé supposte Dicotiledonee paleozoiche, dal momento che le Angio- sperme più arcaiche costituenti i tratti di unione colle Gimnosperme sono per lo più fornite di foglie coriacee, di semi e frutti duri, di fusti legnosi, vale‘a dire di parti quanto mai adatte a resistere all’ in- giuria dei millenii. Del resto trattandosi di impronte poco importa, dal punto di vista della conservazione, la costituzione dura o molle della parte (almeno entro certi limiti), dacchè vediamo che sono giunte fino a noi le im- pronte di Felci paleozoiche, tutt’ altro che provviste di fogliame rigido. Il non aver pertanto trovato i rappresentanti, o i progenitori delle Angiosperme al di là del Mesozoico, e l'aver inoltre ritrovato nume - rosissimi resti fossili di Archegoniate e di altre forme maggiormente | degradate nei terreni più antichi del Mesozoico ci obbliga a conclu- | dere che le Angiosperme non sono molto arcaiche. Per converso la di- mostrazione, oramai da tutti accettata, che queste convergono verso un tipo gimnospermico, ci porta a credere che tanto le Dicotili che le Mo- nocotili rappresentino due gruppi derivati complessivamente da un tipo Proangiospermico insignito di caratteri gimnospermici (in largo senso), sia lo stesso una Gnetale, una Conifera, una Cicadacea, o una Ben- nettitale, La convergenza delle Angiosperme verso siffatto tipo esiste indub- iamente: resta a vedere se piuttosto un gruppo che l’altro di Dicotili (Monoelamidate, oppure Policarpiee) rappresenti il tratto di unione, ma ciò non infirma in alcun modo le conelusioni. Sta sempre il fatto che le supposte forme connettenti sono per lo più legnose e persino arboree. Le Papilionacee, per quanto non eccessivamente evolute, sono di già abbastanza lontane da questi due gruppi connettenti ed esse poi fanno parte di una vasta Famiglia (Leguminose) che si è smembrata in 3 sottogruppi, secondo uno schema, cioè, che non è molto in armonia colle divisioni dicotomiche formanti parte essenziale della Teoria del l’ Ologenesi. Ma nel regno vegetale troviamo ad ogni passo delle divi- sioni di gruppi per un processo di politomia più che dl dicotomia, di:4 guisa che il botanico, anche da questo lato, vede non poche difficoltà a inquadrare i fatti nella cornice dell’ Ologenesi. Ciò premesso, la presenza nei semi delle Papilionacee di strutture Qiianto mai primordiali (Chilario, tessuto di trasfusione, legno centripeto etc.) e la quasi costante assenza delle stesse, almeno per quanto risulta dalle ricerche abbastanza estese, ma non del tutto esaurienti che io ho fatto sui semi di altri gruppi di Dicotiledonee indicano che le dette strutture arcaiche dovettero comparire ex novo nelle Papilionacee sole, senza che le stesse fossero già presenti, allo stato almeno di strutture riconosci- bili, nel gruppo di piante capostipiti della Famiglia, altrimenti questo le avrebbe semplicemente ereditati. Quando poi in base a quanto so- pra è stato detto si consideri che la Famiglia delle Papilionacee non rimonta, in senso retrogrado, al di la del Mesozoico, ne viene, come lo gica conseguenza, che non sia possibile ammettere col Rosa che le ca- | ratteristiche arcaiche di un dato Phylum o di un dato Filomero, nella loro essenza eminentemente continuative, siano rimaste immutate fino alla loro origine avvenuta di la del Paleozoico e al di là del Phylum e del Filomero stesso. + Le strutture in questione sono invece relativamente moderne e rap- presentano degli stati atavistici rimasti per parecchie generazioni di Phy- lum latenti e poi improvvisamente ricomparsi. Taluni potrebbero obiet: tare che il Chilario rappresenti, è vero, un quid di nuovo, ma che esso abbia nulla a vedere coll’ atavismo, malgrado la sindrome anatomica; essendosi esso formato per assolvere una funzione importantissima, emi- nentemente evoluta, quale è quella di determinare l’ apertura del seme, durante la germinazione, in un dato punto e con un meccanismo quanto | mai perfetto. L’atavismo sarebbe in tal caso solo apparente, ma noi faremo su- bito notare che il Chilario deriva dal legno centripeto e di trasfusione e questo già trovasi nelle oe cioè nella Fonigia a stessa delle «SH RE È e: Ei E $i ‘PROF, LUIGI BUSCALIONI ppssninoee, dove non essendo acconipagnato dal Chilario deve di ne- cessità rappresentare una costituzione prettamente atavistica. Nelle affi- nissime Papilionicee l’ organo atavistico si sarebbe evoluto raggiun- gendo la complicazione del Chilario, o se si vuole accettare la tesi La- markista, la funzione avrebbe trasformato il legno di trasfusione delle Cesalpiniee nel Chilario delle Papilionacee. Qualunque sia |’ interpre- tazione che si vuol dare la pianta avrebbe raggiunto lo scopo sfruttando la presenza di un banale tessuto atavistico. | L’aver io indarno cercato traccia di Chilario in altri gruppi di Dicotiledonee sta a provare che tale disposizione anatomica rappre - senta un fatto isolato, saltuario e come tale è perciò indubbiamente un ritorno. Per trovare una traccia, non dico dell’organo chilariale, ma del semplice legno centripeto, o di trasfusione bisogna scendere a qualche tipo non molto evoluto di Dicotiledonee, quale Laurinee, Juglandatee, Casuarinee et. dove troviamo — ma quasi sempre in via sporadica — 0 nel tegumento, o nella nucella traccia di siffatto legno. Ed anche qui però si può provare che si tratta di ricomparsa saltuaria e perciò ata- vistica di determinati elementi conduttori del xilema. Viceversa se noi scendiamo fino a livello delle Gimnosperme, delle Pteridofite ed ai tipi affini viventi e fossili (Pteridosperme et.) vediamo che le due sorta di legni si affacciano come caratteri costanti, genera- lizzati a tutta la pianta, o per lo meno a qualche parte di essa (assi | fiorali, foglie, semi et.). Egli è pertanto da questo ceppo che le.Leguminose hanno attinto la loro struttura atavistica, allo stesso modo che l’ hanno attinta quelle altre forme di Dicotiledonee a semi presentanti traccie di legno cen- £ tripeto nei loro fasci vascolari (Laurinee et.). ; Questo legno atavistico, crittogamico come lo chiamano giustamente i paleontologi, è divenuto il Chilario, cioè un organo speciale con una | Speciale funzione (1) nelle Papilionacee. Esso però non si è diffuso (1) Il Rosa, dopo di aver affermato che gli organi preposti a determinati Processi vitali non possono sottostare a camb'amento di funzione, vale n dire “= possono essere adibiti ad una funzione novella che implichi una vera sosti- one nei processi fisiologici, e dopo aver affermato che le così dette nuove rietà vitali non sono altro che l’ esagerazione di una delle varie fuuzioni. IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECC. di là dei limiti della Famiglia poichè fino ad ora, per “dia almeno | mi consta, non venne incontrato al di là delle Papilionacee. Due altri esempi di atavismo li abbiamo nelle Palme. In uno studio. che io ho fatto, assieme al Prof. Lopriore, sulla Phoenio dactyliferasi è notato che le radici avventizie di questa pianta, convenientemente trattate, vanno incontro ad una tipica dicotomia: nello stesso tempo — la loro struttura si degrada alquanto poichè nella parte dicotomizzata, » o alla base di questa compaiono più cilindri centrali (polistelia’) nei quali poi si hanno accenni di endodermide De gin e di altre caratteri. stiche più o meno primordiali. na In altre Palme è stata segnalata la dicotomia del fusto (Hyphaene | thebaica descritta dallo Schoute ed in altri generi studiati dal Velenovsky) IT, VE. primitive cui un organo era destinato, il quale esaltafnento funzionale coin- cide colla soppressione od attenuazioni delle altre funzioni, distingue funzioni ed uffici. Le prime sarebbero della proprietà inerenti ai fenomeni vitali, i sacondi subordinati a processi fisici, meccanici et., e quindi non legati inesorabilmente alla vita. L’assimilazione clorifilliana, ad esempio, è una funzione, il trasp.rto dell’acqua lungo i vasi piuttosto un ufficio. Stando a siffatta terminologia, che ‘a me pace corrispondente ai fatti, il compito del chilario, come organo di dei- scenza d-i semi, sarebbe riducibile ad un’ufficio, in quanto chè mostrasi colle- gato alle proprietà fisiche delle membrane delle labbre chilariali e della lamina - tracheidale sottostante. L'accordo coll’ ottimo mio collega cessa yerò a questo | punto, non potendo ammettere che non si abbiano mai cambiamenti radicali di funzione durante il processo filogenetico di un determinato gruppo cellulare; sebbene io sia convinto che una vera innovazione funzionale costituisca un caso piuttosto raro. Essi poi richiedono molto acume per esser sceverati da altri in cui trattasi solo di esaltamento di una funzione dî un organo, ascapito delle altre. A conferma del mio asserto ricorderò qui soltanto il caso del protallo di talune | Felci le cui cellule vegetative, esclusivamente #ssimilatrici, possono dar origine alla generazione a 2x cromosomi pel fatto che il nucleo di una di esse em' ‘gra | per penetrare in un elemento vicino ed ivi fondersi col nucleo di questo. Per effetto di siffatta fusione dalla cellula binuclsata si sviluppa di poi una pianta. | di Felce (Apogamia), vale a dire la generazione sporofitica che altrimenti ha luogo solo per un atto sessuale. Probabilmente trattasi pure di.un cambiamento di funzione quando da un nettario si sviluppa una fogliolina, o viceversa per atrofia di questa compare un nettario (Rosacee). In entrambi i casi il fenomeno ha le stimmate di un atavismo, * e tale disposizione si accompagna alla comparsa della cosidetta « Angu- larblatt » in corrispondenza del punto di biforcazione dell’ asse. La dictomia del fusto è propria delle piante primordiali ed invero noi la troviamo nelle Archègoniate, dove appunto coincide colla com- | parsa dell’Angularblatt (LZycopodiaceae). Parimenti primordiale sono la struttura dietomica delle radici e la polistelia, entrambe accompagnate, quasi sempre, dalla presenza di un endodermide interna e da altre di -. sposizioni anatomiche, più o. meno aberranti, reperibili in molte Critto- | game superiori, Talune di siffatte disposizioni furono, è vero, riscontrate in qual- che Dicotiledonea (Gunnera, da una studiata, Ranunculacee, Primulacee et. state investigate dal Van Tieghen ed altri), ma sempre perciò spo- radicamente ed in Famiglie fra loro disparate. ‘Ora anche per questi casi vale il ragionamento che si è fatto per le Leguminose. Le Palme, per soffermarmi alle sole Monocotiledoni, sono apparse nel Mesozoico, assieme alle Dicotiledoni da cui forse derivarono. Manca è vero un tipo che rappresenti il tratto di unione, in modo in - dubbio, fra i due grandi gruppi, ma noi non andiamo probabilmente lontano dal vero, ammettendo che il tratto d’ unione debba esser ricer - cato fra le Ranuncolacee, o fra tipi aventi assi ipogei. Se le Palme avessero esistito fino al di là del Paleozoico, indub- biamente avrebbero lasciato indizi della loro presenza in quelle lontane epoche geologiche, poichè poche piante hanno un fusto così rigido, fo- | glie così coriacee, frutti così duri come esse; all’ opposto i fossili loro non arrivano al di là del Mesozoico, il che è segno che la Famiglia iniziò in questa epoca la sua esistenza indicandoci a chiare note che non è lecito estendere di più a ritroso una ipotetica filogenesi. Ma assodato che le Palme nacquero nel Mesozoico, che forse deri- i varono, come le altre Monocotiledoni, da un gruppo dicotiledoneo, che infine esse hanno caratteri primordiali mancanti alle altre Famiglie della Ciaste anche s meno evolute, è duopo convenire che la dicotomia 0 le altre anomalie del cilindro centrale radicale siano l’ espressione di un’ atavismo, Tale struttura atavista è normalmente presente nelle Ar- chegoniate e dalle stesse poi sarebbe passata alle Monocotiledoni ri- manendo per altro allo stato latente in quasi tutti i gruppi, dacchè è © enuta dominante (mi si permetta la parola) solo nelle Palme. | IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECC. Se nelle piante adunque si riscontrano delle disposizioni saltuarie, che non possono altrimenti spiegarsi che come espressione di un ata. logia io non mi azzardo ad avventurarmi nel dedalo di siffatto pro- fu ed è tuttora ammesso. A me sembra inoltre che il Rosa, preoccupato di portare l’ origine delle specie, dei generi ete. al di là del Paleozoico, non xbbia a sufficenza sviscerato il problema dell’ eredità e della con- ridurre entro confini troppo angusti. fatto, più che altro da dilettante, sull’uomo fossile mi portano tuttavia a conclusioni ben differenti da quelle sostenute dal Rosa, in accordo invece colle moderne concezioni paleontologiche, poichè non vi ha oggi antropologo o paleontologo che ardisca a sostenere che l’ uomo abbia vissuto sulla terra al di là del Terziario. dotti a termine con maggior successo, noi troviamo le prime traccie dell’uomo nel Pliocene di Savona, dove lo scoprì l’ Issel, in quello di Siena (Ricerche del Cappellini), della California (a Calaveras). Studi recenti per altro hanno dimostrato che lo scheletro savonese appartiene ad un terreno stato rimaneggiato, o per lo meno di dubbia antichità, e lo stesso può forse dirsi per le altre scoperte in Italia, mentre per quanto concerne il Cranio di Calaveras pare che si tratti di una mì stificazione degli operai addetti agli scavi. i Traccie sicure dell’uomo le troviamo nei frammenti dell’ Homo Heidelbergensis rappresentato da una mandibola a branca montante ro- piccoli quanto quelli dell’uomo civile che non li utilizza più per difesa). | Interessante è il fatto che il 5° denticolo dei molari tende, nella razza di Heidelberg, ad atrofizzarsi, analogamente a quanto si è constatato nelle razze attuali degradate. Si ha pertanto in siffatta razza primordiale (Chelle&nne degli autori 3 RISDR) una costituzione ancora sintetica, primordiale che concatena vismo, è lecito supporre che lo stesso fenomeno debba riscontrarsi anche | negli animali. Date le mie scarse cognizioni in questo ramo delle bio- blema, limitandomi a far rilevare che anche per gli animali l’atavismo catenazione degli esseri che egli si limita unicamente a ripudiare, o a Fra gli animali vi ha però anche l’uomo ed i pochi studi che ho. Nell’Europa e nel Nord America, dove gli studi sono stati con- o . busta, senza mento (tipo scimmiesco), ma a dentatura umana (canini i caratteri prettamente scimmieschi a quelli umani meno evoluti. Si comprende e come il Bonarelli abbia elevato I’ Homo Heidel - bergensis alla dignità di genere (Palacanthropus), sebbene in questa ‘via non sia stato seguito da altri (Schoetensack). All’ uomo prettamente chelleenne fa seguito l’ Homo di Pittdower (Eoanthropus Dawsoni), pure del Paleolitico inferiore ( Pleistocene inferiore? ). Anche in questo la mandibola, per l’uso bestiale a cui serve, ha caratteri scimmieschi (di Schimpanzè), mentre il eranio è umano e per capacità corrispondente a quello degli attuali selvaggi. Non si può tuttavia escludere che il solo cranio appartenga ad un uomo. Fa pure parte dei reperti paleolitici l’Homo neanderthalensis, vi- vente di già nelle Caverne, in molte località, durante le ultime inva- . sioni glaciali. Il cranio platicefalo e dolilocefalo è ancora molto scim- ‘ miesco e la stessa costituzione presenta la colonna vertebrale ad apofisi spinose lunghe, nonchè il bacino diversamente conformato rispetto a quello dell’ uomo attuale. Il piede poggiante sul loi esterno richiama una condizione di cose reperibile nei neonati umani, mentre il grosso dito divergente da- gli altri, accenna ad una disposizione che noi troviamo nei Dedica e nei Negritos, a piede ancora un po’ prensile. ‘ Anche abbastanza differenziata, rispetto all’ uomo attuale, è la fac- cia, molto più sviluppata del cranio, per cui il foro occipitale spostato all'indietro dà una fisonomia scimmiesca alla testa. Ben ponderati i fatti noi ci troviamo di fronte a una razza più scimmiesca che umana e ricordante, se mai, molti tipi degradati attuali, quali i Caraibi, i Fuegiani e, per la statura, anche i Giapponesi. L’Homo di Neanderthal sarebbe il rappresentante di una razza, o Specie scomparsa, a tipo pitecoide, forse coeva all’ Homo sapiens più o | Meno tipico, dotata di un cervello povero di circonvoluzioni (modelli endocranici) ed a lobi frontali nettamente scimmieschi. Data cotanta inferiorità rispetto alla razza umana attuale l’Homo quella dell’Homo di Heidelberg, di Maner e Weimar, poichè se si ar- ticolano il cranio dell'Uomo di La Chapelle (appartenente al tipo di Neanderthal) sulla mascella dell'Uomo di Mauer (ascritto al tipo di Hei- delberg) la fisonomia non muta. neanderthalensis fu pure ascritto ad una specie a parte, molto affine a Noi arriviamo così all'Uomo Moustiérien degli A. fr. e con questo — la mia rassegna dell’uomo fossile europeo deve aver termine, poichè le — razze successive (tipi dell’Aurignacien, Solutrèen, Magdalénien degli À stessi A. e costituenti le razze di Grimaldi, di Cro-Magnon, di Chan- celade, et.), hanno propaggini che raggiungono l’uomo attuale, rasso- migliando taluni di essi a qualche tipo diffuso ora in Francia, nella Spagna, alle Canarie, fra i Negritos, gli Esquimesi e via dicendo. È duopo però ricordare che molti dei tipi fossili testè annoverati presentano ancora la particolarità dell’alluce divergente ed altre ca- ratteristiche di scimmia. Fuori d'Europa le Colline di Sivalik (appartenenti al Miocene e | Pliocene superiore) ci hanno forniti, accanto a resti di Scimmie antro- | pomorfe, il Sivapithecus che secondo il Pilgrim sarebbe un probabile | antenato dell’uomo. Un sacro umano trovato nel Pleistocene di Honan in China, accanto a resti di E/ephas affine al Mammouth, ricorderebbe analogo osso della razza di Neanderthal. Infine altri crani, stati rinve- nuti in altre regioni dell’Asia, indicano l’esistenza ivi di una razza estinta ricord inte i tipi europei di Cro Magnon. Tale caratteristica è in particolar modo reperibile nei crani del Tonchino. Erano razze bian- che? Ardua è la risposta. | Forse poche scoperte di fossili umani hanno dato luogo a tante discussioni quanto quella fatta dal D.r Dubois nell’Isola di Giova. Trat- tasi di un femore, di due denti e di una calotta cranica, s stati rinve- nuti in un terreno che il Dabois assegnò al Pliocene superiore, la sì | gnora Selenka invece al quaternario. Per il Dubois le ossa appartengono al gen. Pithecanthropus, da cui be derivata l’attuale umanità, a condizione tuttavia che il terreno — ‘sia realmente pliocenico, poichè se si trattasse di un orizzonte quater- nario la cosa cambierebbe radicalmente di aspetto, essendo 1’ uomo eu- ropeo già da tempo apparso. La questione è ancora un po dibattuta, per quanto i fossili vegetali stati rinvenuti nel terreno circostante, stu- diati dall’ egregio mio amico il Dott. Schuster, accennino al quater-. ‘nario, più che al terziario. É duopo però convenire che nella località del Pithecanthropus riesce cinesi) malagevole stabilire il confine fra si; due orizzonti geologici. i Il eranio è dolicocefalo, intermedio per capacità (850 e. c.) fra quello di un selvaggio e quello di una scimmia antropomorfa. La sua } ‘ma ricorda poi quella di un cranio di Schimpanzè, avvicinandosi anche notevolmente al cranio dell’uomo di Neanderthal. Anche il cer - . vello doveva esser intermedio fra quello di una scimmia e quello di “un uomo. La mandibola ha molari a radici divergenti (tipo scimmieseo), «ma la corona dentale sviluppata trasversalmente indiea costituzione umana, per quanto anche 1 Ourang Outang abbia lo stesso tipo dentale. Il femore, da ultimo, accenna alla stazione eretta. I fossili in questione furono oggetto di molti studi per parte di valentissimi anatomici ed antropologi (Wirkow, Manouvrier, Houzè, Martins, Schwalbe, Selenka e Blankenborn ed altri), ma ciò non di meno essi non hanno permesso di arrivare ad una conclusione: taluni fanno del Pithecanthropus un progenitore dell’uomo: altri il rappresentante di un ramo collaterale umano estintosi; molti infine lo ritengono una specie dello stipite scimmiesco nella quale i caratteri umani sarebbero, più che altro, dovuti a fenomeni di convergenza. | L’australia ci ha fornito il Cranio di Talgai, proprio del pleistocene dal Quaensland, il quale ricorda di già il tipo australiano attuale, per quanto sia più prognoto, a fronte più sfuggente, ad orbite enormi; in- somma un teschio a tipo primitivò. | Pochissimi dati possediamo sull’ Uomo primitivo dell’ Africa, il — quale però indubbiamente l’abitò nel paleolitico (contemporaneo molto probabilmente di quello europeo), rappresentato dai così detti periodi Getulien e Capsien degli A. fr. durante i quali l’ uomo visse in rico- veri, sotto massi, o nelle grotte. : Da siffatte popolazioni e da quelle posteripri vissute, fosse, nei È periodi Acheuléen, Moustiérien, Aurignacien e Solutréen d, A. fr. sarebbero derivati i tipi boschimani di oggi. Però fino a questo momento, che io mi sappia, non vennero scoperti crani od altre ossa nelle formazioni | paleolitiche arcaiche: si deve poi ancora aggiungere che le scoperte. riferentisi al Neanderthal non sarebbero sinerone con quella dell’ epoca 720 omonima in Europa, bensi più recenti. |. L'Africa del Nord ha fornito ai paleontologi il tipo di Cro Ma gnon e quello Negroide. Una certa sorpresa ha destato tuttavia la re- cente scoperta del Cranio di Oldoway (Africa orientale già tedesca) da- e dalle ultime grozdi glatiazioni, il quale sarebbe dolicocefalo ed din LEGNO aa dar FASCIO VASCOLARE SEMINALE so. - avrebbe la mandibola fornita di 36 denti stati limati, come si usa an cora attualmente fra le popolazioni selvaggie. Un teschio paleolitico (Pleistocene superiore) fu pure rinvenuto a Boskop ed al medesimo è associata una mandibola più evoluta. Il tipo. è negroide e corrisponde abbastanza bene ai crani di Neanderthal. Anche oltremodo discussa è l’antichità dell’ uomo nel Nord-Ame. rica, non sapendosi neppure se esso sia originario del sito, o non piut tosto immigrato, Le incertezze dipendono anche dalla diversità delle specie animali presenti nelle stazioni ossifere rispetto a quelle d’ Eu- ropa. Ciò non di meno pare accertato che le ossa trovate in talune località (scheletro di uomo adulto, mandibole di bambini del Kansas) | rimontano al Paleolitico (Pleistocene superiore), o al principio del Neo- |. litico, il che si accorderebbe col concetto di un’immigrazione resasi possibile solo dopo le glaciazioni. Più interessanti e più discusse sono le scoperte dell’ Uomo fossile nell’ America del Sud. I due Ameghino, che studiarono particolarmente la regione Argentina e i territori limitrofi, tendono ad invecchiare i terreni racchiudenti fossili umani, mentre, forse con ragione, altri au | tori più recenti sono proclivi a ritenerli assai più giovani. Ameghino F. trovò nel pleistocene superiore di Samboranbon uno — scheletro a sterno perforato e fornito di 18 costole. Sarebbe l’ Homo pliocenicus: poi a Santiago di Esterro scoprì gli scheletri di due pre tese razze scomparse che però non sono altro che resti di attuali Indios, per nulla appartenenti ad uno speciale gruppo di Negritos, come voleva il loro scopritore. Ne? Pliocene (Pampeano inferiore) egli poi esuma PHomo pampaeus, dalla fronte sfuggente, che studi recenti hanno però riconosciuto esser parimenti parti scheletriche dell’uomo indigeno attuale il quale, come è noto, in alcune regioni sud americane usa tutt’ ora deformare i crani per mezzo di adatti mezzi. Inoltre il terreno che ha servito di sepoltura sarebbe assai più recente di quanto ritenne l’A- meghino, il quale arrivò fino a segnalare delle sepolture umane mio- ‘3 ceniche. Il terreno in questione apparterrebbe al prepampeano ed i resti umani sarebbero ridotti ad un atlante e ad un femore che assursero | alla dignità del Tetraprothomo. Disgraziatamente anche questa celebre scoperta doveva miseramente cadere, poichè l’ atlante appartenne ad uno Indio dell’ epoca attuale ed il femore spettava ad un init Tutto ben considerato gli Ameghino han lavorato, più che altrò, » fantasia che culminò colla descrizione di Omunculi prettamente ter- | ziari a tipo scimmiesco, capaci di lavorare la Silice ! Non pochi dati i paleontologi ci hanno fornito relativamente al- | l’antichità dell’uomo basandosi sullo studio dei prodotti delle primor- diali industrie e dei resti della vita domestica primitiva. Interessanti sotto questo punto di vista sono le pietre scheggiate e lavorate, nonchè i depositi di cucina, (Kjò5kkenméddings e Sambaquis) i disegni sulle pareti delle caverne, o sugli oggetti più in uso ed infine le traccie di riti funerari, le ossa scheggiate e lavorate e via dicendo. Io mi limito ad accennare alle scoperte che si riferiscono i primordi | dell'umanità, essendo le sole che ci interessano. Le silici, pietre semplicemente scheggiate, oppure tagliate sulle due faccie, od anco più o meno lavorate (coup de poing), rimontano al vecchio paleolitico (Chelléen ed Acheulgen), od anco più addietro e come tali vennero descritte sotto il nome di Eoliti. Colla scorta di questo documento mineralogico si potrebbe affer- | mare che l’ uomo ha vissuto in Europa ed altrove nel Terziario, ma noi | Sappiamo oggigiorno che le così dette Eoliti sono assai spesso delle banali | pietre state scheggiate da agenti naturali (fuoco, gelo et.), tanto che qualche volta si potè rinvenire la scheggia accanto al blocco. Perciò nulla ti autorizza ad ammettere un uomo terziario, tanto più che le silici scheggiate si trovano per estensioni colossali nei terreni silicei, ma non in quelli di altra natura, dove sarebbero state indubbiamente portate dall’ uomo, qualora fossero state un prodotto della sua industria litica. L’ esperimento di laboratorio e l’ osservazione di quanto avviene in natura hanno dimostrato che le Eoliti possono benissimo formarsi all’ infuori di qualsiasi azione umana, il che verrebbe indirettamente confermato dal fatto che esse appaiono sempre sullo stesso tipo dall’ Eo cene al Pliocene, il che non avrebbe potuto accadere se esse fossero ate il prodotto di un’ industria umana, sia pure primitiva, sempre tut- tavia progressiva. Aggiungasi ancora che giammai frammenti di schele- umano vennero ritrovati accanto alle Eoliti terziarie. Tutto som- ento la teoria delle Eoliti umane poggia su basi quanto mai incerte. ‘ autenticità delle silici amigdloidi, come prodotto industriale, sì Mikhifenta indubbiamente nel pleistocene. Così è provato che nel ple- istocene inferiore l’ Homme chelléen già praticava un’ industria liti ma estremamente primitiva (Homo di Weimar). | Molti dubbi si sono elevati sul sincronismo dell’ età della. pietra in Europa e fuori di questo continente. In Asia silici scheggiate. ven- $: È nero riscontrate nella Birmania, nell’ India, ma quelle della prima con- trada sono forse delle banali Eoliti, mentre quelle della seconda appar tengono al Paleolitico (Pleistocene di Madras) dove si trovano associate ad animali scomparsi. L’ industria litica (paleolitica) è pure rappresentata a Ceylon ed. altrove, mentre pare che manchi, ad esempio, nella China e territori limitrofi. Nell’Australia l’ epoca della pietra si continua (come anche nell’A- merica) fino al giorno d’ oggi, ed ivi non è possibile separare gli uni dagli altri i differenti stadi per cui passò l’ industria litica essendo, 2 seconda delle regioni, spesso contemporanei. Ad ogni modo in tutto il Continente fu riscontrata l’industria litica eolitica, corrispondentemente al chelléen, moustiéerien e magdalenien. i L’età della pietra, a partire dal paleolitico, si è affacciata ovun: | que in Africa e le pietre scheggiate si trovano ivi di preferenza alla superficie del suolo. L’ età corrisponderebbe abbastanza bene a quella as segnata, per analoghi prodotti, in Europa. Singolare poi è il fatto che mentre l’ industria paleolitica è diffusa in tutto il Continente nero le successive vanno accantonandosi da un lato nelle regioni cireummedi- terranee, dall’ altro nelle meridionali, probabilmente per effetto della comparsa della grande area di separazione, il Sahara. __Nell’Africa il paleolitico è rappresentato dal Getulien, dal Cap sien e dagli Escargotier tunisini; questi ultimi, accanto a mucchi di ‘conchiglie e di ceneri, albergano pietre semplicemente scheggiate. I de- | positi corrisponderebbero cronologicamente, forse, a quelli di Aurignae ; Traccie di industria litica più o meno arcaica si hanno in Egitto pr però vi ha una lacuna fra il Solutreen ed il neolitico), nel | Sahara (lungo i letti di fiumi ora secchi del tutto), nel Sudan, Sifie (dove si sarebbe estinta soltanto da poco tempo) ed altrove. Zambesi, nell’ Orange et., taluni dei quali, superficiali, appartengono forse al Chelléen. Particolare menzione meritano i depositi di pietre scheggiate riscontrate nelle alte terrazze (a 130 m. sul livello attuale del fiume) delle Cascate di Victoria. Esse rimontano, del pari, al Chelléen e attestano come le celebri cascate siano di origine abbastanza recente. Analoghi depositi furono poi trovati alla base delle cascate e perciò sarebbero ancor più moderni. Lasciando da parte i depositi relativamente recenti del Capo e di altre regioni, noterò ancora che eoliti appartenenti all’Acheuléen e al Solu- | tréen accanto adova di struzzo lavorate e pietre perforate, furono scoperte nell’Orange. È però dubbio se le industrie appartenenti ai vari orizzonti siansi in Africa, costantemente sovrapposte, o non fossero piuttosto contemporanee. Neppure si può affermare che esse corrispondano sempre a quelle dello stesso periodo in Europa. Poco si conosce della civiltà primordiale degli Amerindios al di là del neolitico. Egli è vero che, associate a resti di Mastodonte, furono trovate punte di pietra, ascie, et., ma non si può stabilire a quanto risalga la loro antichità, essendo probabile che il Mastodonte abbia vis- nto in America più a lungo-che in Europa. Taluni oggetti di pietra stati esumati nel Kansas risalgono tutta- via indubbiamente al paleolitico e lo stesso dicasi pei depositi dell'Ohio, del Nuovo Messico et. Al pleistocene appartengono infine gli strumenti di pietra, grossolanamente lavorata, che vennero rinvenuti nelle Allu- | vioni del Delawarre, e corrisponderebbero, cronologicamente, all'ultima i glaciazione; però alcuni autori sarebbero proclivi a rieondurli ad un’e- Poca più recente (Herliska ed altri). «Tutto sommato l’ uomo dell’ America del Nord non rimonta al di là del Pleistocene, come l’attestano le pietre tagliate del Trenton, di Quisa che appare plausibile l'ipotesi della immigrazione dell’uomo pri- mordiale americano. i Non parlo, per quanto concerne l'America del Sud, degli oggetti | di pietra stati lavorati dalle scimmie coceniche antenate dell’uomo, ma unicamente nella fantasia degli Ameghino, per soffermarmi a rilevare. some © dalle ricerche fatte dal Lund in ben 800 caverne brasiliane @_ atti a riportare l’uomo sud-americano primordiale al di là del pleistocene. Dello stesso parere è I’ Hrdlicka. Quasi nulla ci rimane a dire delle altre industrie umane; il fuoco, le ceneri, i carboni, le ossa lavorate, le pietre levigate indicano già una certa evoluzione nella razza umana e più ancora lo affermano le | pitture e sculture sulle pareti delle grotte e degli oggetti di uso’ do- mestico, per cui è inutile insistervi, dovendo io occuparmi esclusiva- mente delle origini dell’ umanità, “ Però non posso passare sotto silenzio che non poche ossa scheg- giate accennanti ad un’ azione traumatica per parte dell’uomo sono do- — ‘ umenti piuttosto fallaci, potendo le incisioni esser il risultato di agenti. fisici, o del morso di animali carnivori. E il dubbio è tanto più legit- timo inquantochè di tali ossa scheggiate, scanalate, incise, se ne hanno esemplari in tutte le età. Così pure le famose trappole per gli Ele- fanti, quali sono ancora in uso fra i nostri selvaggi africani, benchè abbiano fornito a qualche paleontologo indicazioni preziose sulla vita. . dell’uomo primordiale, non sono altro, alla luce della scienza moderna; che delle cavità naturali in cui caddero e morirono gli animali. E però indubbio che le ossa venivano di già bruciate nel paleoli- tico, essendo state riscontrate a Weimar, accanto a selci scheggiata sd a resti dell’ Elephas antiquus (Celleano). L’ industria del fuoco, già nota adunque nell'epoca « Chelleenne ed Acheuleenne » si continua in quella « Mustierienne », dove troviamo già la pietra lavorata. Ma l’ industria del fuoco implica l’ esistenza di un vero Homo sapiens e perciò non insisterò su di essa ulteriormente. Piuttosto mi conviene far rilevare che al Pleistocene appartengono alcuni Sambaquis brasiliani e lo stesso dicasi per altri ammassi di cu- - cina e di conchiglie stati rinvenuti al Perù ed altrove e nei Paraderos Taluni però sono meno arcaichi, risalendo solo al Neolitico. o Da ultimo voglio far rilevare che, stando ai primordiali disegni. umani, nonchè alle arcaiche sculture eseguite sulle pareti delle caverne : sugli oggetti di. ‘uso, si deve ammettere che l’uomo primordiale fosse pelosissimo (carattere bestiale). Intanto non meno interessante è il fatto che, mentre i disegni di animali sono abbastanza fedeli ed anco talo: artistici, quelli di uomini, ma specialmente quelli di donne, ricorda Jegn n aging cs gn et n lettera PROF, LUIGI BUSCALIONI tura abbastanza estesa. Io credo che ci sia qualche cosa di più: l’uomo antico, più bestialmente sessuale ed erotico del moderno, quando dise- gnava forme muliebri, od organi sessuali doveva rappresentarli alla stregua dei suoi sentimenti erotici e perciò deformarli a seconda dei propri gusti: di qui le forme muliebri forse esageratamente grasse in in alcune parti e uomini forniti di verghe colossali. Ciò spiega anche ‘come il maschio sia disegnato, forse, più al naturale della donna. In conclusione se noi seguiamo l’evoluzione dell’uomo e degli ani- mali a lui più affini troviamo che nel terziario antico comparvero dap- prima le scimmie, le più arcaiche delle quali hanno ancora caratteri che ricordano altri gruppi, come insettivori e lemuridi, e sono perciò | ancora tipi sintetici. Le scoperte che si fecero al riguardo nel Faioum (Egitto) e a Sivalik (India) indicano tuttavia che già esistevano nel | terziario antico dei primati a carattere decisamente antropoid:, tanto che aleuni autori si affrettarono, forse con eccesso di zelo, a fare degli Stessi i veri antenati della razza umana attuale (Sivapiteco delle colline mioceniche di Sivalik). Possibile è l’ esistenza dell’ uomo nel terziario (non più al di là), ma nessun documento (salvo qualche dubbio eolite e qualche 0sso scheg- giato non meno dubbio) vale a stabilirlo. Le osservazioni in contrario fatte nell'America del Sud, per parte degli Ameghino, come è stato detto, sono destituite di qualsiasi fondamento. Anche molto incerti e frammentari sono i dati che ci ha fornito il Pitecantropo, per quanto concerne i suoi rapporti coll’ Homo fossile; gli stessi sono tuttavia una prova ‘della stretta affinità che tra scimmia ed uomo già esisteva all’ alba del Quaternario e forse prima. «Con sicurezzal’uomo compare nell’epoca Chelleenne (Pleistocene in- feriore) col tipo di Heidelberg, di Piltdown e di Weimar, ma si tratta di Una razza Eoanthropus Dawsoni, Homo Heidelbergensis et.), o di più Tazze estinte che andrebbero collocate di fianco all’uomo attuale. Secondo aleuni ‘autori le stesse meriterebbero di assurgere alla dignità di specie, di generi differenti. I caratteri sono, per vero, in gran parte seim - mMieschi, specialmente per quanto concerne gli organi della vita vege- tativa (mascella, piede, et.) che son rimasti più conservativi, come era Prevedersi, in siffatte razze robuste. ; Alquanto più affine alla razza attuale, ma però ancora probabil- | I IL LEGNO CRITTOGAMICÒ DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE BOC. mente da essa distinto è il tipo di Neanderthal abitatore delle caverne, in parecchie località di Europa e di altre regioni, durante la glacia- zione. La razza è ancora notevolmente insignita di caratteri pitecoidi. Succedono a questa le razze di Cro-Magnon, di Chancelade et. che già si possono inglobare nell’ Homo sapiens di oggi, il qualecia in | talune regioni presenta ancor le stimmate di siffatti antenati. La stessa seriazione, all'ingrosso; si ha nelle regioni estraeuropee, ma quivi i documenti sono molto più monchi. Aggiungasi ancora che lo studio comparativo è reso difficile dal fatto che non si può stabilire un ordine cronologico costante e tanto meno è lecito omologare, dal. | punto di vista pure cronologico, i diversi tipi incontrati nelle varie ‘epoche a quelli europei corrispondenti. Ad ogni modo quà e colà pare constata l’esistenza dei tipi, o razze Chelleenne, Acheuleenne, Cro-Magnon et. di guisa che, se non si hanno, si; preconcetti, si può affermare che anche in Asia, Africa, Australia ed A- merica l’uomo risale al Paleoletico: ma non al di là, per quanto al- “meno ce lo attestano i documenti, salvo che non si vogliano tener per buone le vedute fantastiche degli Ameghino sul tri e tetrap» utobone ) del Pliocene e Miocene. 3 ..«. Le razze che sono susseguite le une alle altre nei cinque conti- nenti indicano delle affinità più o meno strette colle razze locali at- tuali e talune anche con quelle di altre terre (affinità cogli europei dell’uomo fossile africano). Esse, in pari tempo, attestano un’ involu- zione - verso un tipo sempre più bestiale a misura che appaiono in ter- d sw difficoltà delle omologazioni trovano la loro ragione anche nella differenza degli animali che accompagnano i resti fossili nelle varie. Aringe della terra e specialmente nell’ America del Sud. i .; Ben panderati i fatti l’uomo è sorto più recentemente dalle scim mie. che si i differenziano già di buom’ora nel terziario: egli poi, in di : suoi primi rappresentanti fossili (siano generi, o specie, o razze), MO del Vecchio continente) dalle anomalie di i via. nell ne PROF. LUIGI BUSCALIONI (corrispondenti a strutture normalmente reperibili nelle scimmie in questione) e infine dal reperto paleontologico (Sivapiteco, Pitecantropo, Paleantropo et.). so Una luce nuovissima ha diffuso sui problemi della affinità V'appli- ba cazione dei principî della siero diagnosi per parte di Bruck, Corin, I Friedenthal, Nuttall, Stern, Uhlenhuth, Ziemke ed altri autori. i Le ricerche fatte in proposito per stabilire le relazioni di paren- » tela tra uomo ed animali hanno dimostrato che la razza umana non è unica e che essa poi ha maggiore affinità colle scimmie dell'Antico con- tinente (Klaats), che con quelle del Nuovo Mondo. L’ affinità è poi masshna collo Chimpanzè. Tutto questo è perfettamente in accordo coi dati paleontologiei, dai quali risulta, del pari, una grande affinità anatomica tra le razze | 0 le specie di uomo fossile e le scimmie dell’ antico continente e più di tutto precisamente col Chimpanzè. Ed io ritengo che un complesso così grande di dati, miranti allo stesso fine, ci autorizzi a ripudiare la tesi del Voigt e di Sera che vedrebbero nell'uomo un discendente del Gen. Tarsius. Ciò premesso poco chiaro appare l’ accordo fra i dati della Siero | diagnosi e le teorie dell’Ologenesi, per quanto concerne l'origine dell’uomo. Secondo il Rosa molto probabilmente già fin durante la grande notte dell'era azoica si sarebbero formate; per successive dicotomie, le scimmie edi diversi gruppi di queste, o per lo meno i loro progenitori e del pari molto probabilmente il Gen. uomo si sarebbe emancipato da un ipote- tico antenato affatto distinto dalle Scimmie, o tutto al più collegato con ùn grande gruppo che avrebbe dato origine ai Primati. Tanto nel-. "un caso che nell’ altro l’ affinità dell’ Uomo colle Scimmie sarebbe molto problematica e ad ogni modo sempre soltanto di indole generale. così pertanto stessero le cose la siero diagnosi non ci indicherebbe colle Precipitine, che un’ affinità comune, generale. Dacchè invece, oltre che colle precipitine, anche colla conglutinazione si può dimostrare ‘una. maggior affinità delle nostre razze non solo com un gruppo moderno di mati (scimmie dell'Antico continente), ma più specialmente | con un rappresentante di questo, devesi di necessità ritenere che la pa 150 IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECO. scimmie dell’ antico Continente antropomorfe e più precisamente in seno al Gen. Chimpanzè. L’accordo tra la filogenesi, i dati paleontologici e la zoologia sa- rebbe allora perfetto. Aggiungasi ancora che tutte le ricerche d’indole paleontologica ed antropologia fino ad ora eseguite tendono a riportare la culla dell’ u- manità nell’ Asia (altipiano centrale e regioni limitrofe): io potrei ag- giungere che il centro d'origine doveva esser sfornito di animali car. nivori un pò forti altrimenti difficilmente l’umanità, sprovvista di validi mezzi di difesa, avrebbe potuto sopravvivere (il che, forse, non sareb- be stato un gran male). Non si può tuttavia escludere l'origine in qual- che territorio attualmente sommerso, sempre però nell’ambito del Conti - nente Antico. È vero che lo Chimpanzè è originario delle regioni West africane e perciò non potrebbe aver dato origine all’ uomo asia- tico, ma poichè non si tratta di rapporti diretti di affinità del genuino | Chimpanzè, bensì di qualche suo più o meno lontano progenitore, nulla ci vieta ad ammettere che tale antenato esistesse nel terziario, in Asia, dal momento che l’ Asia e l’ Africa associate hanno in comune i tipi antropomorfi (Gorilla, Ourang Outang, Chimpanzè et.) che dànno una più o meno netta reazione di affinità coll’ uomo ai saggi della siero 81, .L’uomo è dunque derivato recentemente da un ramo molto colla- terale dei primati e di poi seguì un’evoluzione discontinua che ha dato origine sia a razze o specie fossili, sia a razze viventi. Queste ultime continuano a reagire fra loro alla siero-diagnosi in modo quasi analogo quanto si è osservato nei riguardi fra uomo e scimmia, poichè non tutte le razze umane dànno eguale reazione alle precipitine coll’ uomo bianco. Sta adunque di fatto che nel campo della zoologia e dell’antropo. logia il disaccordo colle vedute del Rosa è altrettanto grande, se i dati esposti corrispondono, come io ritengo, al vero, quanto lo è nel campo della botanica. L'uomo assolutamente non può esser nato al di là del paleozoico, anche per il fatto che è quasi assurdo ammettere che esso abbia vissuto allo stato bestiale, pochissimo progredito, per tutto il ungo lasso di tempo che decorre dal prepaleozoico al postpliocene per 7 di poi in un »_leezimono perioda. alla e dell’ Homo sa- PROF. LUIGI BU; SCALIONI piens, culminando infine col genio di un Gauss, di un Leonardo da . Vinci, di un Kant. Depongono pure non troppo a favore della teoria di Rosa i non dubbi indizi di disposizioni convergenti, state riscontrare negli uomini fossili, e grazie alle quali questi si avvicinano straordinariamente alle scimmie estinte, più o meno antropomorfe, tanto che non pochi antro- | pologi e paleontologi sono rimasti incerti circa la posizione sistematica da accordarsi a taluni dei resti fossili esumati nelle varie plaghe della terra (Sivapiteus, Pithecanthropus st.). È mai possibile, domando io, che malgrado una così evidente convergenza di caratteri anatomici esplicaiasi in tempi geologici recentissimi la specie Homo ed i Scim- | miadi camminino poì di pari passo e parallelemente, nell’orbita ognuno del proprio cielo involutivo, dal terziario fino al di la del paleozoico ? A me pare che un simile comportamento debba escludersi. di Se poi noi, da ultimo, alla stregua dell’ ologenesi, facciamo nascere . l’uomo assieme ad un ipotetico tipo antropomorfo prepaleozoico, allora se | ne deve inferire che questo, rappresentando uno dei rami della dicotomia. dalla quale sarebbe di poi sorto l’uomo, avrebbe dato dei discendenti diret. | tili filomeri) aventi maggiore affinità coll’Homo sapiens di quanto non l'abbiano colle altre scimmie. Ora io ritengo che nessuno vorrà ammet- tere che il Chimpanzè, il Gorilla, V Ourang Outang, i quali rappresen- tano, con molta probabilità, i discendenti di quell’ ipotetico primato antropomorfo da cui si staccò per dicotomia l’uomo, siano più affini a Questo che alle altre scimmie. La siero diagnosi, per quanto mi consta, non appoggia una tale veduta. — | Esaurita questa non breve, ma necessaria digressione nel campo. dell’ antropologia e della zoologia atta a ringiovanire l'umanità di fronte. : all’Ologenesi mi si permetta che io ritorni di nuovo nel campo della tanica allo scopo di mietere in questo nuovi dati a sostegno della mia tesi e di tratteggiare da ultimo alcuni punti controversi del por 3 ’lema del legno centripeto. 1) Ho già accennato nelle pisesdantià pagine come mal si concilii concetto della dicotomia colla classificazione delle piante dove ad ogni sospinto troviamo evidenti indizi di suddivisioni in base di polito- .- Debbo poi aggiungere che l’ evoluzione non è sempre progressiva, — da molti si ammette, essendo talvolta anche semplificativa. Questo — 362° IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECC, è stato da me osservato nelle Pteridofite, dove dà un tipo arcaico a spo- rangi di natura, oserei dire, rameale (peduncoli sporangiferi forniti di fasci vascolari) si trapassa al tipo di emergenza (peduncoli senza fasci) caratteristico delle forme di media arcaicità, per terminare col tipo di semplice pelo caratteristico delle Polipodiacee eminentemente moderne. Semplificata pure appare l’ evoluzione dell’ovulo se si passa dalle ar- . caiche Pteridosperme alle più moderne Conifere, dacchè noi vediamo. una grande complicazione nell’apparato micropilare (lagenostoma, plinto, disposizioni per la chiusura della evoluta camera pollinica, volta di questa, apparato tracheidale nucellare e tessuto acquifero al servizio della fecondazione zoidiogama et.) nelle forme arcaiche e per con- verso una notevole semplificazione, riduzione e persino la scomparsa di | siffatti apparati nelle forme gimnospermiche moderne. Anche il sistema. | dei fasci vascolari ovulari si semplifica allorchè si rimonta dalle forme | "primordiali alle recenti, inquantochè si perde dapprima il legno nucel lare, poi il legno centripeto e da ultimo persino tutto quanto il sistema vascolare ovulare si riduce, od anco scompare. vi: | | Cai E E ani E non avviene forse lo stesso processo nell’ ambito della sfera ve- getativa, dove a poco a poco, nelle Gimnosperme si riduce il numero Salle serie delle areolature nei tracheidi del fusto, della radice e delle | Sarebbe da discutersi se tutti questi processi di semplicazione fu- rono correlativi ad altri accennanti ad una complicazione: io non lo. credo, ma per talune piante non potrei con la dovuta sicurezza pronun- ciarmi. Intanto è ovvio che tali semplificazioni assai spesso nulla hanno do a vedere colla riduzione numerica delle parti, essendo questo un carattere legato al perfezionamento organico. | II) Riesce poi anche difficile conciliare il sistema dicotomico del Rosa ) quanto è stato messo in evidenza nelle Felci dal Bower nei suoi ressantissimi studi « The origin of Land Flora». Questi ha trovato che nelle Felci arcaiche gli sporangi sono a tipo « semplice », nelle rne a tipo « misto », mentre nelle forme intermedie, per data di ine, mostransi a tipo « gradato ». Nelle prime gli sporangi di un acolo si sviluppano tutti quanti contemporaneamente: nelle Felei li sporangi nascono invece in tempi differenti, ma senza ordine * seno i lori par cui “noganto. a sporangi adulti ne tro- PROF. LUIGI BUSCALIONI viamo altri giovani; infine nelle gradate gli sporangi di un ricettacolo si evolvono in un determinato senso, sia nello spazio, sia nel tempo. * Ciò posto noi vediamo che le arcaiche Felei semplici seguirono due linee evolutive differenti: le une trapassarono al tipo moderno evoluto di miste senza passare per lo stadio di gradate, altre invece passarono dapprima per quest’ ultimo tipo che a sua volta progredì allo stato di miste. Evidentemente un tale comportamento è in perfetta dissonanza colle leggi della ologenesi e specialmente col concetto di un’ evoluzione a base di dicotomie, perchè nella flora attuale delle Felci troviamo rappre- sentati non solo tutti e tre 1 gruppi, cioè le semplici, le gradate e le miste, ma persino certe forme di passaggio dall’uno all’altro tipo. Stando all’ologenesi che vede nelle dictomie e nell’evoluzione dei filomeri un con- tinuo ed inesorabile perfezionamento degli idioplasmi, nonchè la morte. delle forme precedenti le dicotomie, assolutamente non si avrebbero più tanti tipi concomitanti ed in differente fase evolutiva. III) La discussione che ho fatto altrove sul legno delle radici delle. Phoenix e sul Chilario delle Papilionacee ha, oserei credere, abba- stanza esaurientemente tratteggiata la questione dell’ atavismo; ciò non di meno qualche aggiunta in questo luogo non sarà del tutto inopportuna. Condivido coll’egregio mio collega di Torino che molti casi di ata- | | vismo non siano altro che arresti sulla via dell’ evoluzione ontogenetica. 5 | (vale a dire delle Hemmungsbildungen nel senso di Gòbel), ma non | posso assolutamente accettare la conclusione che tutti i così detti casi di regresso atavistico ripetano a tale fattore la loro essenza. Chiunque si accinga a compulsare l opera del De Vries non potrà far a meno — di convincersi della bontà del mio asserto. n . Qui entriamo nel dominio alquanto nebuloso delle Neotenie, delle variazioni per gemme e in genere della più o meno palese comparsa di organi aberranti durante l’ evoluzione ontogenetica, a riguardo dei quali mi corre l’ obbligo di dimostrare che la loro apparizione difficil- mente trova una spiegazione plausibile se non si fa appello al momento. atavistico. Non riuscendo nell’ intento le mie obbiezioni sarebbero i dentemente destituite di fondamento. Già il fatto che l’ ontogenesi è per lo più la rienpitolimisla della ; filogenesi, a priori ci dice che un arresto sulla via ontogenetica rap- ta anche l’esplicazione di un dato stadio filogenetico, ma io, per IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECC. dar corpo al mio concetto, voglio qui attenermi a qualche esempio pra: © tico, attingend»lo alle fonti della Neotenia e dei processi aventi con questa un addentellato. Alcuni Trifogli, già allo stato giovanile, sviluppano parecchie fo glioline e giunti a quello adulto diventano a foglie pennate, dando così. al De Vries la prova di un ritorno atavistico. Un altro esempio bellissimo ci viene offerto da talune Acacie fil- lodiniche le quali allo stato adulto sviluppano delle foglie composte (per cui trattasi più che altro di variazione di gemme), ma con un nw- mero di foglioline superiore a quello presentato dalle foglie primor- diali. Che si tratti adunque in entrambi i casi di un ritorno ad una forma ancestrale e non già di un semplice arresto è ovvio per tutti i - botanici. | Citerò da ultimo le Iridacee aventi 3 stami come carattere di Fa- miglia, per la scomparsa di un verticillo (1’ interno) dell’ androceo, pre- | sente invece nelle affinissime Liliacee (salvo casi eccezionali, come Sta wellia, Johnsonia et. dove però è il cielo esterno che manca). Orbene è tato osservato dall’Heinricher (Sitzunsb. d. K. Ak. d. Wiss. Wien Bd. 87) che talvolta in Crocus, Iris e Gladiolus compaiono entrambi i cieli staminali, avendosi così un trapasso al tipo Liliaceo. Il fenomeno non è accompagnato, per quanto almeno ini consta, da alcuna sempli - ficazione in altre parti della pianta, tanto che non lo si può ricondurre ad un processo di correlazione, come ama ritenere, per alcuni casì de - sunti essa zoologia, l’ egregio mio Collega di Torino. Tanto meno è poi parlare di « Hemmungsbildung » dacchè 1’ arresto, anzichè forma anomala, si ha qui nel tipo di Famiglia avente solo 3 stami. PROF. LUIGI BUSCALIONI stegno della sua tesi, fa dipendere il regresso dell’azione del mezzo esterno, evidentemente sempre per lo stesso scopo di sottrarre il feno- meno al dominio dell'evoluzione, dacchè, secondo lui, il mezzo esterno ha poca presa su questa. Ma, permetta l’ottimo ‘ mio amico, che io dichiari di non trovar alcun nesso fra l’azione di questo mezzo e la costante comparsa di 6 stami, anzichè di un altro numero qualsiasi, nelle sopra ricordate Iridacee anomale. .. Molte volte è vero che facendo mutare le condizioni esterne si può evocare la comparsa di qualche disposizione regressiva, ma ciò | indica semplicemente che tale fattore concorre pure a provocare l’ evo- luzione degli organismi. IV) So benissimo che questo mio concetto non è da tutti condi- viso e so pure quanto spinosa sia la questione del mezzo esterno, come fattore di evoluzione, per cui ammettendone la influenza batto una via irta di insidie, A tutti è noto che nelle piante i caratteri specifici filogenetici sono in gran parte superticiali, morfologici, ed in relazione, più che altro, col mezzo esterno (forma delle foglie, pelosità, et.), mal prestandosi assai spesso quelli interni alla discriminazione delle specie. In particolar modo abbastanza fissi si presentano i caratteri anatomici delle radici e quelli eccezione notevole l’ abbiamo, ad esempio, nelle Orchidee ed Aroidee, ciò dipende dalla vita aerea delle radici di siffatte piante. Ciò posto, | se quasi esclusivamente all’ idioplasma spettasse il compito dell’ evolu- zione filogenetica, non si comprenderebbe perchè anche gli organi in- terni non avessero ad evolversi in misura eguale a quelli esterni. V) Coloro che accordano l’ incontestato predominio ai fattori in- fissare un po’ di più l’attenzione. Non insisto tuttavia oltre sull’ argo- risolverlo, A mio parere tuttavia molte delle strutture ataviche da me segnalate delle piante acquatiche viventi in un mezzo molto uniforme, e se una terni nel processo dell’ evoluzione non cessano di far rilevare che come la selezione artificiale non è stata capace di produrre nuovi tipi spe- cifici, così non lo deve essere stata la selezione naturale. Ma quest’ ul- time, affermo io, ha avuto a disposizione un tempo ben più lungo per esercitare la sua azione, su di che, a quanto parmi, sarebbe necessario. mento, non avendo la pretesa di esser il primo a dan e tanto meno di dina IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECC. nelle Palme sono in rapporto eol mezzo esterno, quelle inerenti al Chila- rio di preferenza od esclusivamente dipendenti dall’idioplasma (1) di guisa che ritengo che sia più logico risolvere il problema ammettendo ora l'intervento di uno, ora l’ intervento di entrambi i fattori nell’ evolu- zione e chs malgrado la corrente contraria, in specie fra i zoplogi, non si possa escludere in moltissimi casi che anche il mezzo esterno valga ad elevate, assieme al mezzo interno (idioplasma), il livello specifico. Vita a mezzo esterno son troppo collegati fra loro perchè si possa ne- gare costantemente l’ influenza di questo sull'evoluzione della prima. Neppur su questa questione tuttavia intendo ulteriormente insistere persuaso che essa potrà solo aver una soluzione soddisfacente per tutti in avvenire più o meno lontano. VI) La ricomparsa delle forme giovanili ci porta a considerare le forme parassite che, secondo il Rosa, non sarebbero da considerarsi come regredite nel senso filogenetico, inquantochè se sì prende in esa- ‘me tutto il ciclo evolutivo delle forme in questione si nota invece un | progresso, talora persino romanzesco (Sacculina Carcini). Per le Fa- è de) È discutibile secondo alcuni (rd es. Hill e D. Fraine) so la presenza di una data struttura a tipo arcaico abbia sempre valore filogetietico, trattandosi di disposizioni per lo più utili e perciò aventi significato fisiologico. Tale sa- rebbe ad es, il caso per il tessuto di trasfusione nei cotiledoni di Persooni7, al- meno per gli autori sopra ricordati. Però negli esempi da me segnalati nel corso dal presente lavoro io credo che l’.ffermazione non regga. Il legno di trasfusione — nel fascio del tegumento seminale è certamente di natura arcaica, essendo spesse volte mancante nei semi di una data specie, oppure ridotto a pochi elementi. | Depone. parimenti in questo sens> la costituzione mesarca dei xilemi all’ingresso nel seme del fascio funicolare, salvo che non si voglia ritenere che il mesarchi- | smo dipenda da condensazione del cordone per ridurre al minimo il diametro del sistema conduttore nell’atto in cui attraversa il tegumento delle Papilio- CI . Assai più irta è la questione del Chilario poichè ad esso compete real- mente un significato fisiologico, ma ciò non può par se stesso escludere che la struttura riapparsa così improvvisamente e saltuariamente non abbia un signi-. ficato filogenetico. La funzione fisiologica, non vi ha dubbio, contribuì poten- temente, secondo me, a p>rfezionare un organo che già era presente allo stato rudimentale (nella Ceselpiniee), ma per nulla collegato a un determinato offi- Ia duet casi adunque sro a sd pvoluzione ‘non sono termini sg si PROF, LUIGI BUSCALIONI — nerogame parassite possiamo dire altrettanto ? Per qualche specie è le- cito dubitarne dacchè la sua evoluzione, a partire dall’ovulo è piutto- sto inspirata ad una involuzione che solo ha termine colla formazione del primordio del fiore. È vero che talora compaiono organi speciali, ad esempio il protocormo, ma questo va interpretato piuttosto come un ricordo atavistico, di una costituzione presente appunto in altre piante degradate. VII) Fissati questi concetti possiamo domandarci se le forme neo- teniche riescono a diventar progenitrici di nuovi Phyium. Il Rosa è portato ad eseluderlo ed io non ho alcun dato positivo per dare un giudizio tassativamente contrario. Ciò non di meno la presenza sul- l'Alto Etna di un Senecio etnense a foglie intere, cioè primordiali, nonchè la grande diffussione nell’ Eremea Australiano di Eucalipti a | foglie opposte, indicanti pure una costituzione REDIICA accennereb- bero ad un tale evento. Se mancano però le prove sicure pel mio asserto neppure esistono | tuttavia prove in contrario decisive e perciò parmi che le osservazioni S del mio carissimo amico il Prof. Diels sulle « Iugendformen » del- | l'Australia e quelle mie sul Senecio, sopra citato, non segnino un in- dirizzo tanto errato come sospetta il Rosa, il quale fa rilevare, pero | combattere la portata delle nostre osservazioni, che lo ammettere ancora la creazione di nuovi Phylum a spese delle forme giovanili costituisce, in Zoologia, un modo di interpretare i problemi filogenetici da lunga. mano sorpassato. i A scanso di equivoci insisto nell’ ammettere che il Senecio cdl l'Etna, come entità specifica geografica, rimarrà tale fino a che l° Etna. non sarà demolito a peneplaine (salvo ben inteso la scomparsa della. Specie) e gli Eucalipti dell’Eremea conserveranno, in tesì generale, le. oro foglie opposte, fino a che dureranno le condizioni esterne attuali: gli unì e gli altri poi a misura che progrediranno ì secoli, senza che abbiano a mutarsi le condizioni ambientali, consolideranno sempre pre loro caratteri neotenici ed in conseguenza la loro organizzazione spe ; cifica, Per il Senecio dell’ Lina, data la giovane età del Vuleano, la isolidazione specifica non è ancora troppo accentuata, per gli Euca- lipti oserei sospettarlo, essendo più da tempo abitatori di un territorio jnentemente. te ua: l’Eremea. TL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE EUÙ. LI VIII) Sancisce l’ Ologenesi, come si è visto nelle pagine prece- denti, che l’Idioplasma si vada sempre più complicando ed io, in linea generale, nulla ho in contrario: solo mi pare che 1’ asserzione diventa alquanto azzardata se si vuole anche pei Batteri ammettere un movi- mento evolutivo degno di esser preso in considerazione ai fini della teoria. Un mierococco saprofita, o parassita, è rimasto, a mio parere, tale anche nelle passate epoche geologiche e forse fin dai primi albori della vita sulla terra. Qualora sia giuocoforza considerare come evo- luto un organismo siffatto a nuclei indifferenziati o diffusi, dedito per tutta l’esistenza tutt'al più alla secrezione di qualche enzima, che forse | ha secreto fin dalle prime epoche geologiche, allora bisogna convenire | A che la teoria ologenetica del perfezionamento inesorabile, ineluttabile te Ammettere adunque anche qui un perfezionamento consono alle esigenze dell’ Ologenesi mi pare che significhi forzare alquanto i fatti | e ciò aumenta, più che togliere, lo scetticismo in chi non è troppo proclive ad accettare le nuove concezioni filosofiche; tanto più poi che nel caso dagli esseri degradati si ha spesso tale attitudine al polimor- fismo da infondere il sospetto che esso avrebbe dovuto spianar la via dell'evoluzione, per quanto differente sia l'essenza delle variazioni flut- tuanti rispetto a quelle filogenetiche, stando almeno ai concetti domi - ‘nanti oggigiorno. — E vero che il Rosa parla di esseri precellulari, come capostipiti dei Phylum, di fronte ai quali i batteri sarebbero già perfezionati & sufficenza per esser presi in considerazione dell’ Ologenesi, ma chiun- . que converrà meco che qualsiasi discussione sull’ evoluzione non può prendere le mosse da ipotetici esseri precellulari, bensi da quanto si ‘conosce di più degradato nel mondo organico costituito da cellule. >; _ IX) Il cavallo di battaglia dell Ologenesi ci è fornito dalla bati stati, secondo la quale, come si è detto, dopo l’avvento di nuove specie, generi et. al di la del paleozoico, cioè di un. nebuloso periodo geologico caratterizzato dal frequente dicotomizzarsi del sistema orga- nico questo si è in certo qual modo stabilizzato nelle epoche successive; di guisa che le specie attuali rappresenterebbero unicamente le termi- nazioni o i filomeri quasi cristallizzati di tutto il sistema. Le dicotomie si sro, inoltre: Sca in forme basse, dog”. ; si accontenta di ben poco. Tanto varrebbe a passarvi sopra. . i | date, non aventi ancora i caratteri dei tipi attuali. Il fatto potrà esser vero per gli animali, assai più evoluti delle piante, ma non mi pare | che sia dimostrabile per queste ultime, poichè anche in tempi geologici | relativamente recenti la Fitopaleontologia ci rivela la presenza di nu-. | merose forme che lo Scott ed altri, a giusto titolo, chiamano sintetiche . (Cicadofilici, Pteridosperme Araucaryoxylon et.) le quali da tempo avrebbero dovuto essere scomparse qualora il Rosa avesse ragione, 0 | qualora tali sintetismi non rappresentassero che forme convergenti, ciò che io escludo. Aggiunge ancora il Rosa che al momento di ogni dicotomia la specie madre dovette estinguersi quasi inesorabilmente, per cui la sua . esistenza accanto le specie figlie costituirebbe un avvenimento piuttosto raro. Ma io rilevo, col Solms Laubach, col De Vries ed altri autori che la sopravivenza della specie madre ha luogo più di frequenti di Quanto appaia a prima vista ed un caso classico di questo genere ci venne offerto dalla Capsella Reegeri derivata dalla vivente C. Bursa pastoris (e non già probabilmente per dicotomia). . Ma vi ha di più: per quanto sia negato dal Rosa che le specie figlie possano inerociarsi fra loro (salvo casi eccezionali), i botanici non | sì sentono obbligati a seguire tassativamente tale concetto ed allora ne viene che se due specie (in largo senso) A e B ci incrociamo fra loro e lo stesso fanno î discendenti si deve tornare a ricostituire il tipo. progenitore, secondo le leggi di Mendel. Esempi di questo genere non | mancano nel regno vegetale. Ma anche lasciando da parte il fatto ben conclamato della com- parsa di nuove specie in tempi moderni e l’ altro non meno attendibile lla costante variazione della specie in tutti i sensi per effetto del- ‘ibridismo (quale fattore di nuove specie) la costituzione stessa delle. | Piante, quale ci viene prospettata dall’ologenesi, ci autorizza a ritenere che non debba essere chiuso il cielo evolutivo per gli organismi vege tali. Questi infatti, a _motivo della minor evoluzione rispetto agli ani mali anche assai primordiali, o degradati, non hanno ancor fissata © idotta quella prospettiva filogenetica atta a stabilizzare i tipi che negli ui animali, molto più complessi nella struttura, si è raggiunta da temp; n conformità delle osservazioni del Rosa. Ciò premesso se noi troviamo talora fra gli organismi vegetali, IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE OC. siano appartenenti a gruppi elevati o a forme degradate, dei caratteri di pseudo convergenza, non saremo forse autorizzati, salvo le debite ee- cezioni, a considerarli come indizio di derivazione comune ? A mio parere la risposta non può essere che affermativa e lo è ancor di più se noi ri- | volgiamo l’attenzione alle forme vegetali fossili, fra le quali, malgrado Sc la frammentarietà dei documenti, non difettano i legami a carattere di apparente convergenza. Così ad esempio, a prescindere che le varie. specie di Sigillaria passano dall’ una all’ altra (Clathraria, Leioder- x maria et.), tanto che alcuni uniscono le varie forme in una, è stato (a libro primario isolato in gruppi, o più o meno ad anello disconti- Sint nuo) grazie al quale esse si distinguono dai Lepidodendron talora vien ua meno, tanto che lo studioso trova non poche difficoltà a distinguere l'uno dall'altro i due Generi. "A Non occorre pertanto risalire fino ai pretesi esseri cellulari, o pre- cellulari del Rosa per trovar la spiegazione dell’affinità tra due gruppi, «a qualunque grado della scala evolutiva questi appartengono. Quanto 3 ho detto sopra a riguardo delle origine delle Angiosperme mi dispensa dall’ addentrarmi ulteriormente nell’argomento. Del resto noi abbiamo nella sierodiagnosi una conferma del mio asserto. ce DE x) Egli è vero che coll’ ammettere la terra originariamente coperta. da un’ unica specie, rappresentata da ‘un numero ‘colossale di individui ‘ovunque disseminati (monofiletismo polifiletico del Rosa), si potrebbero trovare molti argomenti atti ad interpretare non solo l’ odierna pre- senza delle flore e delle faune in dati territori, ma sibbene ancora la ro mancanza, su certe aree. Gli accantonamenti riescono benissimo ‘spiegati qualora si ammetta la scomparsa dei progenitori, cioè delle pregresse dicotomie nelle aree incriminate. Ma è facile dimostrare che altrettanto bene si interpretano le disposizioni di geografia zoologica botanica con le altre teorie, e più specialmente con quella del poli- filetismo, che ammetterebbe l’ origine di determinati organismi su più punti della terra, adottando un concetto alquanto più circoscritto di. juello enunciato dal Rosa. Limitando l’ analisi ai soli vegetali farò ri- se che ca flora del sistema se aura AURA UE circo- ; i | da più di un paleontologo osservato che il carattere anatomico del legno PROF. LUIGI BUSCALIONI , adi in Russia non può certamente costituire un esempio in armonia colla teoria dell’ Ologenesi e della Batinsifilia. È Non vi ha infatti aleuna ragione per ammettere che una flora così arcaica e così diffusa nelle regioni australi non avesse potuto trovar adatte condizioni di esistenza, durante il lungo lasso del suo sviluppo, anche nelle regioni boreali. È vero che queste erano in parte separate. mercè bracci di mare dal continente di Gondwana, ma ciò non di meno le connessioni non mancavano, come del resto l’ attesta la comparsa, sia pure tardiva, delle G/ossopteris in Russia. Trattandosi poi di Felci a spore facilmente trasportabili anche a distanza dal vento, la diffu- sione era, anche sotto questo punto di vista, agevolata. D’ altra parte col principio delle dicotomie sancito dall’ Ologenesi indubbiamente non dovevano mancare nell’ Emisfero boreale i progenitori delle Glossopteris e delle Gangamopteris. Perciò questi tipi di Felci, col loro peculiare. modo di diffusione, costituiscono un documento contrario, più che a favore, della Teoria del Rosa. ; XI) L’ accantonamento della flora a G/ossopferis ci porta ora a | considerare il problema fitogeografico dal punto di vista della più o mero tardiva emersione delle terre, essendo stato esso pure considerato da molti autori, fra cui il Rosa stesso, come fattore di accantonamento floristico. Anche a questo proposito ritengo che l’ Egregio mio Collega. esageri l’importanza di tale elemento, a detrimento delle migrazioni. Rilevo inoltre che, dati i differenti espedienti cui spesso ricorrono e’ piante ed animali per allargare la cerchia del loro dominio, non si può sempre applicare ad un regno quanto si è constatato nell’ altro. Io mi appello qui a quanto è noto circa la diffusione delle Acacie fillodiniche, quasi esclusivamente australiane, essendosi trovato fuori di questo Continente, se non erro, solo una specie a Madagascar ed alle Isole Sandwie, I progenitori del Genere Acacia, da cui il tipo fillodi nico trasse origine, erano già insediati in quasi tutte le regioni tropi- cali. ed estratropicali, per cui nessun ostacolo doveva frapporsì Alla nazione di tipi dotati di fillodio, derivati evidentemente da qu Pinnati, sia in Africa che in America. Daechè adunque questo non è avvenuto il gruppo filodinia. en- ec darete: nascere da immediati prgn pure iiba i quali vis- 162 | IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECÙ. sero associati ai progenitori non meno endemici degli Eucalipti e di. altri tipi prettamente australiani. | Indubbiamente poi il fillodinismo si coneretò in Australia senza . alcun nesso coll’ epoca di emersione di questo Continente che già nel paleozoico aveva fatto la sua comparsa, vale a dire molto prima della individualizzazione, non solo delle Acacie, ma di tutte le Fanerogame. £ E ad un’emersione altrettanto precoce andarono incontro gli altri Con- tinenti che ora albergano il Genere Acacia, senza che tuttavia questo abbia dato ivi alcun rappresentante fillodinico. Contro al mio modo di interpretare i documenti fitogeografici sta- È rebbero i risultati delle ricsrche paleontologiche dell’ Ettingshansen, dalle quali risulterebbe che la Flora australiana era diffusa, illo tem- pore, in Europa ed altrove; ma io osservo che i dati comprovanti una. tale diffusione non furono accolti con troppo entusiasmo dai moderni fitogeografi (Engler) e paleontologi. E poi la diffusione sarebbe av- 7a | venuta in epoca troppo recente per infirmare le mie obbiezioni. Limitando sempre il campo di studio alle Acacie fillodiniche, poi chè queste costituiscono un esempio classico di accantonamento, parmi di non andar errato ammettendo che esse siansi organizzate in un ter- i ritorio xerofitico australiano (come ho rilevato infatti in un mio la- ‘voro, non ancor reso di pubblica ragione). L’ Australia, a quell’Epoca, non era ancora probabilmente così estesi come oggi, anzi ritengo che. fosse frazionata in isole che più tardi si fusero nella massa continen- tale attuale. Ma poichè le flore insulari sono sempre povere ed im- prontate spesso ad un forte endemismo egli è probabile che coll’ am- pliamento delle terre le Acacie fillodiniche avessero trovate le condi- | zioni opportune, non solo per estendersi, ma sibbene ancora per mol | tiplicare i loro rappresentanti specifici, senza tuttivia uscire, che in via eccezionale, dal dominio australiano. Tutto questo intanto ha ben poco a + vedere coll’ epoca di emersione di questo Continente. Le acacie non fillodiniche, diffuse in tutto il mondo, in specie sie i tropici, nacquero probabilmente da progenitori altrettanto dif ® sviluppo rigoglioso d delle Acacie fillodimiche in Australia. Se pertanto una or a ag del eo non ebbe Dee è segno che altri PROF. LUIGI BUSCALI ost fattori, ben differenti da quelli vagheggiati delle Ologenesi, hanno de- terminato 1’ accantonamento. E quanto affermo per le Acacie fillodimiche è applicabile a molti altri tipi, essendo quasi assurdo infatti ammettere che i discendenti sia delle primitive che delle successive dicotomie ologenetiche, data l’immensa diffusione dei progenitori, non avessero potuto trovare in un punto o l’altro di ognuno dei cinque Continenti (0 per lo meno nei quattro continenti compresi fra i tropici (1)) le condizioni adatte alla loro esi- stenza. Se pertanto molti tipi mancano all’una ad all’altra regione dalla terra è segno che ivi mancarono i loro progenitori non solo immediati, ma probabilmente anche quelli primordiali. Con questo non intendo affermare che un progenitore anche primordiale non abbia potuto coesistere su più punti della terra, o ad un tempo o in tempi differenti, ma anche in questo caso col polifiletismo si spiegherebbe benissimo la distribu - zione accantonata di molte specie, senza dover ricorrere ad un mono - fitalismo così colossale come vorrebbe il Rosa. XII) D'altronde parmi, a priori, molto discutibile che nelle epoche primordiali della vita questa fosse riusciuta a delinearsi contempora- neamente ai poli ed all’ equatore, poichè in quel lontanissimo periodo forse, più che adesso, le condizioni ambientali (in specie di tempera- tura) dovevano circoscrivere la sede di origine dei viventi, o all’equa- tore o più probabilmente ai poli di allora, in conformità, ritengo, dei concetti esposti dal Pfeiffer. Ma scartato il sincronismo evolutivo non riesce anche compromesso il monofiletismo poligenetico ? Parrebbe di sì: per quanto io non abbia la pretesa colle mie vedute di aver risolto un problema attorno al quale da tempo stanno combattendo e botanici e zoologi. (1) Io ritengo che la diffusione della specie possa avvenire (ed in realtà è Fesso avvenuto) con maggior facilità nel senso dei gradi di latitudine che in Quello dei meridiani, almeno nelle regioni fredie o temperate, perchè le con- dizioni di vita son più uniformi lungo i paralleli che lungo i meridiani, ma uno pres non basterebba a dar ragione all’ Ologenesi. L’ eccezione che si l’equatore è in relazione coll’esuberanza dalle. vita ivi pulsante sotto con- i realizzanti l’optimum. Ben inteso che nel passato diversamente loca- reno essere e poli ed Sona ma questo non cambia la condizione IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECC XIII) Una breve discussione richiede ancora la distinzione che Rosa vorrebbe fare circa il comportamento dei rami filetici nati da una | dicotomia qualsiasi. Egli distingue al riguardo un ramo precoce ed uno tardivo, il primo dei quali, oltrechè svilupparsi filogeneticamente assai È più presto dal secondo, presenterebbe, come nota caratteristica, un mi- nor numero di forme rispetto a quest’ cuni anche al momento dell’a pogeo evolutivo. Se bene ho compreso il concetto dell’ottimo collega le Tallofite rap- | presenterebbero il ramo precoce rispetto alle Cormofite, e lo stesso do- | vrebbe dirsi per le Gimnosperme rispetto alle Angiosperme, come altrove ho riportato. Ora io non eredo che le Tallofite costituiscano un ramo i di pari grado rispetto alle Cormofite e tanto meno lo ritengo per le Gimnosperme nei riguardi delle Angiosperme. Quanto ho scritto sopra a proposito delle Dicotiledoni mi dispensa dall’ entrare nuovamente | nei particolari del problema, salvo su un punto che qui intendo il- lustrare. È mia opinione che non si abbia assolutamente a far nascere | | contemporaneamente le Gimnosperme ed Angiosperme perchè le ul- “time hanno costantemente un tubetto pollinico, quale organo di fecon- dazione, mentre le prime, almeno nei rappresentanti più arcaici, sono ancora fornite di un anterozoide. Il tubetto pollinico potè coneretarsi | soltanto dopo che le piante si adattarono alla vita terrestre e per ciò esso è evidentemente una disposizione assai più moderna rispetto all’anterozoide. I due rami adunque non dovettero nascere ad un tempo eda una vera dicotomia. Il singolare comportamento delle Ginkgoacee e le Cicadee, fra le Gimnosperme, munite ad un tempo di tubetto pollinico. ‘dianterozoide stanno ad attestare che l'evoluzione, cioè il passaggio dalla zoidiogamia alla sifonogamia, dovette effettuarsi nell’ ambito stesso delle Gimnosperme cioè in un phylum più antiquato assai di quello 7 Angiosperme. Queste ultime, tassativamente sifonogame, nacquero dal gruppo delle Gimnosperme e più precisamente da un tipo secondario. queste che aveva già perduto non solo il sistema di riproduzione. sprint ma persino il pronueleo maschile fornito di ciglia. L’ affi Gimnosperme. In questa lunga serie di gruppi muniti di anterozoidi e a partire dalle Pteridosperme fornite di veri semi, si constata la ten- denza a ridursi degli apparati acquiferi in seno alla nucella ed al mi- eropilo, il che, a grandi tratti, corrisponde alla crescente indipendenza dell'elemento maschile rispetto al mezzo acquatico, quale veicolo di ! fecondazione. Per me, ed io credo di interpretare il pensiero di quasi tutti i botanici che si occupano di problemi filogenetici, le Angiosperme non solo appaiono più recenti delle Gimnosperme, ma sono realmente tali, allo stesso modo che lo sono le Fanerogame e talune Pteridofite rispetto alle Crittogume inferiori. Nelle piante; forse meglio che negli animali, sì può constatare la più o meno tardiva apparizione di forme in fun- zione dal perfezionamento organico, ben inteso quando si consideri i problema solo nelle sue grandi linee, -° Allo scopo di spiegare come le forme apparentemente più moderne il così detto ramo tardivo) non abbiano lasciati fossili di antichità geologica pari a quella dei progenitori del ramo precoce, il Rosa ri- corre all’ ipotesi che le prime fossero sull’ inizio rappresentate da tipi Piccoli a struttura soggetta alle alterazioni postmortali e quindi poco. 0 punto atta a fossilizzarsi, mentre i tipi del ramo precoce, per aver - raggiunto più presto l’ acme del perfezionamento, anche più presto avrebbero dato dei fossili. Ho già esposto nelle pagine precedenti, a riguardo delle Palme o delle Leguminose, le ragioni che mi paiono atte ad infirmare il concetto e non starò pertanto qui a ripeterle. On posso tuttavia esimermi dal notare che, data la relativa faci- à con cui le piante fossilizzano, o per lo meno lasciano nei ter- i perennemente scolpite le loro impronte, parmi assai problematico che le forme angiospermiche non avessero lasciato le loro traccie al là del mesozoico qualora fossero realmente esistite e dacchè tipi molto più bassi, come sono le Crittogame e perciò indubbiamente an- alle Fanerogame, le hanno lasciato nel Paleozoico e fosse al dà, malgrado che essi avessero strutture assai delicate. ; È poi sempre vero che il ramo precoce (dato che si possa mante- 3 la distinzione nell’ambito dei vegetali, il che mi par poco pro- e), oltre percorrere il cielo evolutivo con ritmo più rapido, IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECC. sofa con le stimmate di una costituzione fondamentale più seme plice, più omogenea, di guisa che, per tale fatto appunto, le suoi rapi presentanti dovettero scomparire in toto allorchè vennero meno buone le condizioni di esistenza ? Così la pensa il Rosa, ma i documenti paleontologici botanici ten- dono a sminuire la portata dell’ assioma, per quanto esso contenga un nocciolo di vero. Le Lepidodendracee, che stando allo schema dell’Ologe - nesi, sarebbero il ramo precoce rispetto alle Licopodiali attuali (in I. s.) avevano una costituzione assai più complicata di queste ultime, es- sendo arboree, dotate di accrescimento secondario, di. ritidoma e via dicendo: tutte strutture, vale a dire, che mancano alle forme moderne. Lo stesso dicasi per le Calamariee rispetto colle Equisetali: quest’ ul- time presentano tuttavia ancor traccie dell’originaria organizzazione più complessa nei residui di legno secondario e negli accenni (dubbi per altro) di legno centripeto. Noi siamo dunque ben lungi dall'avere, fra | i vegetali appartenenti al così detto tipo precoce, delle forme csì sem- Ù plici da costituir quasi un anacronismo anatomico. È t: Dirò da ultimo che il regno vegetale, malgrado che sia meno cele vato nella sua organizzazione rispetto a quello animale (metameria delle forme vegetali superiori !), pur tuttavia si presenta ugualmente antico (grafiti dell’arcaico), mentre si dovrebbe aspettare una ben altra con- "dizione di cose se i concetti informarti la‘ teoria del ramo precoce è tardivo fossero superiori a qualsiasi dubbio. Ad ogni modo se questi sono conformi al vero l’uomo stesso dovrebbe guardare con senso d’in-. ‘vidia il regno vegetale cui sarebbe riserbato l’ avvenire. Neppure dai documenti paleontologici siamo sempre autorizzati ‘a trarre la conclusione che il gruppo precoce abbia dato anche all’apo- geo un minor gruppo di forme rispetto a quello tardivo. Se noi pren. diamo infatti in considerazione da un lato il grande gruppo delle Ca- lamariae (in largo senso) rappresentante (per chi accetta le teorie del. ’Ologenesi) il ramo precoce, dalle oltre quello delle Equisetali, costi tuenti invece quello tardivo, vediamo subito che il principio non è P applicabile, poichè non risulta che il Gen. Equisetum, comparso, modo almeno indubbio, nel mesozoico ed oggigiorno già in via se non di estinzione, di sofferenza filogenetica, abbia dato un numero di forme ‘ada a Sogna che la ie ha rilevato sk: \ha dda PROF. LUIGI BUSCALIONI j gruppo precoce. Quasi all: stesse conclusioni ci porterebbe lo studio delle Lepidodendracee e Sigillarie fossili in confronto delle Licopodiacee a Selaginellacee attuali, per quanto poi non si possa affermare che le forme viventi, come sarebbe invece il caso per gli Equiseti, abbiano già superato l’apogeo. Tutto questo mi induce a ritenere che la teoria dell’ Ologenesi, la quale in quanto è applicabile alla Zoologia, ha trovato nel Rosa un | geniale ed elegante propugnatore, richieda di esser ulteriormente va- gliata qualora si voglia ricorrere ai suoi principi fondamentali per sta- bilire i capisaldi dell’ evoluzione del Regno vegetale. XIV. Se bene ho compreso il concetto del Rosa, un filomero, che rappresenta, in fondo, una specie (collettiva), mentre riesce a mante- nersi sistematicamente sompre eguale a se stesso, ad esempio, dal paleo- zoico in qua può nel frattempo accumulare, col perfezionamento cro- nologico, tale massa di pangeni da risultar costituito, all’inizio, da una forma bassissima (ad es. un invertebrato), all’estremo da un tipo antro pomorfo, o dall’ u>»mo stesso. Evidentemente il numero dei pangeni che tale specie avrebbe accumulato nel lasso di tempo intercedente fra il paleozoico ed il quaternario sarebbe adunque enorme e pari appunto alla enorme differ-nza di costituzione. | Non occorre pertanto spendere molte parole pr dimostrare che di fronte a un tale concetto qualsiasi sistematico viene a trovarsi diso - rientato, dal momento che egli è solito a separare due forme, elevandole al grado di entità specificamente differenti, non si tosto che le stesse differiscono fra loro per pochissimi determinanti in più o in meno. XV) Data l'uniformità di costituzione di tutto il regno organico, — malgrado il caleidoscopio delle accidentalità fisiologiche, anatomiche morfologiche ed istologiche, quanto è valido per un regno deve esser valido per l’altro. Se pertanto la teoria dell’ Ologenesi, dopo di aver trovato una conferma ai suoi postulati ampia e logica nel dominio della. ealtà dei fatti e va quindi, non dico messa da parte, ma almeno ritoccata, tendo le incongruenze esser inerenti a fattori di indole secondaria che ne rendano solo difficile la sua applicazione, o ne limitano. Vapplicazione i POrIAse, È vero. che il Rosa è.di avviso che segnale la teoria; basata | IL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECC. più che altro su osservazioni di indole zoologica, non armonizzi colle. leggi che regolano la vita dei vegetali essa debba, senz'altro, esser ri-. pudiata, ma io non voglio esser così pessimista ed all’uopo riporto qui un esempio che convalida il mio asserto. Imbevuti delle concezioni ri- flettenti le linee germinali e le linee somatiche i zoologi, fra cui il mio ottimo amico il Rosa, accettano il pretederminismo del sesso se- condo il quale, negli animali le cellule germinali che si formano molto | presto contengono già i primordi della sessualità. Or bene tutto questo, * perfettamente in armonia colle leggi fondamentali dell’ Ologenesi Zoo- logica, riesce più o meno mascherato nei vegetali, poichè qui i tipi dioici riuscendo, come è noto, a cambiare talora np di | sesso, starebbero a dimostrare il contrario. ; La ragione di tanta discrepanza va ricercata, fra l’ altro, nella | presenza di taluni ormoni ai quali io ho fissato l’ attenzione in una precedente nota, per spiegare appunto certe variazioni nella sessualità delle piante: qui aggiungo solo che il diverso comportamento può trovar ‘ la soluzione qualora si consìderi che le piante, come esseri assai meno evoluti della maggioranza degli animali, hanno un sistema vegetativo sessualmente indifferenziato, per cui le caratteristiche sessuali nelle È forme dioiche si individualizzano quasi soltanto al momento delle com- parse degli organi di riproduzione. Negli animali tale periodo si ae- corcia fino al punto che la sessualità riesce già manifesta e fissata nelle prime cellule germinali, come ben disse il Rosa. Tale interpretazione mette l'accordo fra le esperienze del Russo sugli animali e quelle di più di un autore sulle piante dirette appunto a fissar le condizioni della omparsa del sesso negli organismi, la quale negli uni ha luogo preco- ‘cemente (animali), negli altri può essere ritardata quasi ad libitum del i l’esperimentatore (piante). Il singolare comportamento delle piante dioi- he e degli animali pure tali ci fa ricordare quanto avviene nella ge- nerazione a X cromosomi dei vegetali; lo sviluppo del protallo sessual- mente indifferenziato è tanto tar lungo e tanto are fap sa Con questa mia n dichiarazione ‘eredo di | risongilari in ipia: pol PROF. LUIGI BUSCALIONI |». | ferenza di qualche altro biologo (0 pseudobiologo locale), sarà lieto delle mie obbiezioni dirette unicamente a spianare la via a quella scienza per la quale egli con indiscusso successo ha dedicato la sua carriera e la sua vita. Dopo questa lunga i nel campo delle speculazioni scien- tifiche, le quali se a primo aspetto paiono esorbitare dall’ indole delle ricerche informanti il presente lavoro, costituiscono, all'atto pratico, una | conferma indiretta dei risultati a cui sono giunto, che eioè il chilario è un organo atavico, avente mutato la sua costituzione e la sua fun zione, possiamo riprendere il filo dell’ argomento fondamentale, essendo necessario esporre in alcune considerazioni di indole generale che dallo stesso sono venute in luce. Le riassumerò per sommi capi, facendo in- | nanzi tutto rilevare che molti dei fatti qui esposti saranno più larga-- ‘mente discussi nel mio lavoro sull’ evoluzione delle Pteridofite. 1°) Sulla natura del legno centripeto e su quella del legno di tra- sfusione, nonchè sui rapporti che corrono tra l'uno e l’altra, o fra le due sorta di legno ed i circostanti tessuti noi siamo ben lontani dallo aver detta l ultima parola. Una specie di legno trapassa nell’ altra ed alla costituzione delle due sorta di xilemi prendono spesso parte tes. | suti svariatissimi, oltre a quelli propri del cordone vascolare e tipica- | mente conduttori, 2°) Il legno di trasfusione occupa due posizioni particolari rispetto al xilema del cordone vascolare. Talora esso è la continuazione di - | retta del fascio vascolare (legno di trasfusione terminale), come si ve- rifica in molte antere (secondo Jaffrey), nelle Coppe calaziali di talune | Gimnosperme e Pteridosperme; oppure esso si limita, assieme al legno centripeto, a rivestire il xilema ordinario sui fianchi e al polo opposto - al libro (fasci vascolari fogliari delle Cicadee e Conifere, degli assi delle. Crittogame superiori fossili et.) ed allora rappresenta il legno di. tra - Questo si verifica, ad esempio, nel Chilario, nei cordoni vascolari de- correnti al limite interno del tegumento in talune Gimnosperme, nelle Laurinee (semi), di guisa che ne risultano dei cordoni costituiti unica- mente da legno di trasfusione, o centripeto, senza traccia di legno cen - trifugo e tanto meno di libro. In altri casi, assieme al legno centripeto, sì stacca anche il protoxilema e questa condizione si verifica assai spesso (Cycadaceae, Poroxyleae et.). Il così detto midollo misto di molte piante fossili è spesso in gran parte costituito da tracheidi evidentemente centripeti emancipatisi (per | parenchimatizzazione dei circostanti elementi) dal resto del cordone va- scolare. Un esempio classico di questo tipo di legno centripeto isolato — l'abbiamo in Heterangium dove tutto il midollo è pieno di fascetti le- gnosi di varia forma. Solo alla periferia del tessuto in questione incon. triamo dei cordoni primari forniti di protoxilemi (quasi endarchi) e di legno secondario. : 4°) Il legno eentripeto, come è noto, t:nde a scomparire colla evo- luzione; rimane tuttavia conservato pelle radici, dove però rappresenta, “come si è detto altrove, un caso sui generis di detto xilema, dacchè le primane si sviluppano dopo il metaxilema. Esso persiste del pari nelle foglie delle Gimnosperme attuali, forse pel fatto che i fillomi; ‘funzionando tanto dal lato superiore che da quello inferiore, ricavano ‘ qualche vantaggio dalla presenza del legno centripeto che coadiuva, ne! trasporto dell’ acqua, il legno ordinario centrifugo. La persistenza del legno di trasfusione negli assi fiorali di talune i Gimnosperme può esser in relazione col bisogno di notevole quantità di nutrimento e perciò di acqua, in un organo destinato a sorreggere ‘apparati di riproduzione in via di attivissimo sviluppo. Non si può tuttavia eseludere che non entri in giuoco l’ atavismo. o 5°) Alquanto divergenti sono le opinioni degli autori a riguardo dell’ interpretazione che si deve dare al legno centripeto, o di trasfu- | sione. Taluni ritengono che sia. tale tutto il legno che si sviluppa al di dietro del protoxilema, dal lato cioè opposto al libro. Questa è la concezione primordiale. Autori più recenti opinano invece, assieme al Bertrand, che si debbano trascurare i rapporti tra i vari costituenti dell fascio, dovendosi cercare la soluzione del problema e la definizione. Scar gn delle v varie parti del sta rispetto al centro di pe tibi PROF. LUIGI BUSCALIONI dall’asse, tanto che sì tratti di legno appartenente a questo, quanto a - quello di un organo appendicolare. Per questi autori il legno centripeto sarebbe adunque rappresen- tato da quella porzione del xilema che è situata più 0 meno a ridosso del protoxilema, ma dal lato che guarda il centro dell'asse, se si tratta di | un fusto, o dal lato rivolto verso l’asse stesso (lato adaxiale) se si tratta di un filloma, od altro organo appendicolare. Così, ad esempio, in una foglia di Cicadea è centripeto il legno situato dal lato superiore, od in- terno del filloma, e poggiante contro i protoxilemi. Tale lato, ben si comprende, è rivolto verso l’asse che sorregge la foglia. È mia opinioue invece che debba prevalere il primo concetto per le seguenti ragioni : a) Quando in un asse vi ha un sistema vascolare polistelico, con stele tipicamente ad anello, situate alla periferia del midollo, si do- vrebbe considerare tutta la porzione delle singole stele vascolari guar- dante verso il centro di figura dell’ organo, come costituita da legno centripeto. La presenza di gruppi protoxilemici tutto all’ingiro dei mi. dolli parziali potrebbe avvalorare questa interpretazione. Ma chiunque consideri le cose un po’ da vicino rileva subito l’assurdità del concetto. b) Nei fasci inversi caulinari di talune piante fossili (Pticomylon Levyi ) dovrebbe esser ritenuto come legno centripeto tutto quanto il xilema della porzione inversa dei fasci. Molti infatti interpretano a questa stregua siffatti fas:i, ma per le ragioni sovra esposte io non | posso condividere tale opinione, tanto più che l’ applicazione di un tale | Principio porterebbe alla singolare conseguenza che anche nelle Angio- sperme, dove talvolta si incontrano fasci inversi, il legno centripeto sia largamente rappresentato, oppostamente a quanto sì ammette da tutti i botanici. : x . Eguale ragionamento si potrebbe fare per i picciuoli fogliari, molti | deì quali, e specialmente quelli delle piante attuali più arcaiche, sono ; a dovizia forniti di legno inverso. ‘© Fra le forme fossili merita in proposito esser segnalato il gen. Stau- ropteris in cui avvi una stela (picciolare !) formata da quattro gruppi | xilemici disposti in eroce avvolti da floema comune penetrante anco fra. i quattro cordoni legnosi che mantiene così separati del tutto (salvo la. Miifentale presenza di sovn ponti di congiunzione). a È: 4 Tae ti È; ARIA 4 EG I RIOT, | JL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE ECC. Nei quattro aggruppamenti xilemici i protoxilemi sono alla peri- — | feria di ognuno di essi, o tutto al più ricoperti da un unico strato di piccoli tracheidi. Si ha dunque, quando si consideri ogni fascio in se stesso, esarchismo tipico, o mesarchismo incipiente. Ora se noi consideriamo i quattro cordoni in rapporto alPaesal che, se non erro, non fu ancora con sicurezza trovato, ne risulta che due di essi voltano i protoxilemi verso questo, i due altri li portano in posizione abaxiale. In conseguenza due dei cordoni sarebbero costituiti in massima parte da legno centripeto, i due rimanenti da legno pressochè esclusiva mente centrifugo. Una tale interpretazione mi pare quanto mai illogica, trattandosi di quattro cordoni per lo più separati l’ un dall’ altro, a pro- | toxilemi, è vero, periferici, ma inclusi, e perciò in ultime analisi, debol- ‘mente mesarchi. Perciò io considero i quattro cordoni omologhi fra loro e come forniti tutti quanti di pochissimo legno centrifugo essendo — quasi del tutto rappresentati da legno centripeto. Se si considera i xile- :S ‘mi nei rapporti coll’asse stesso dell’organo (picciuolo), tale concezione | resta giustificata e lo stesso deve dirsi se si studiano, per la definizione lel cordone, i rapporti tra xilema e libro periferico. . Quasi analoghe discussioni si dovrebbero mettere sul tappeto se si ovesse portare un giudizio sulle stele (picciolari) delle Zygopteris a nardo delle quali i paleontologi non sì sono nettamente pronunciate 2 appunto per le difficoltà che si incontrano, qualora si applicano i vari riteri differenziali. Io non voglio tuttavia qui insistere nell’ analisi di uesto complesso fascio vascolare, perchè troppo lungi mi porterebbe discussione; affermo soltanto che applicando i criteri del divergente, del legno diacentrico di cui parlerò ben tosto, si Pe arrivare ad una uzione del problema. i; c) Una traccia fogliare che si emancipa allo stato di cordone pro- j tostelico (coi. protoxilemi al centro) dal cilindro centrale dell’ asse @ ercorra, così costituita, la corteccia di questo, alla stregua delle moderne cezioni del cordone vascolare, non sarebbe più una protostela, ma un | fascio mesarca. Così infatti venne considerata la traccia delle rundacee, ed anzi fu data a proposito una speciale interpretazione | | Worsdell, ma io ritengo che a ben altri concetti l'osservatore si ba informare per stabilire la natura di siffatti cordoni corticali. Se - mio tondo di vede da traccia costituita dal un unico” ds PROF, LUTGI BUSCALIONI x i di xilema lungo tutti quanti i settori ed ha ovunque presente il libro, allora dobbiamo ammettere che si tratti di una protostela. Quando per converso il xilema di uno dei settori della stela (per lo più quello ri- volto verso l’ asse dell’ organo) è formato da tracheidi altrimenti co- stituiti rispetto agli altri, è di necessità ammettere che si abbia a fare con un fascio mesarca sia che il libro avvolga completamente il legno, o si riduca dal lato abaxiale. In altre parole una traccia corticale con- centrica se è a struttura dorso ventrale o zigomorfa rispetto al legno va ritenuta come mesarca, se invece ha struttura actinomorfa o raggiata deve essere annoverata fra i cordoni concentrici protostelici. Egli è evidente che nel caso in questione, trattandosi di un fascio vascolare a struttura per lo più concentrica, circondato da tutti i lati dal libro, il criterio dei rapporti fra i protoxilemi e il legno retrostante a questo da un lato, il libro dall’ alto, per stabilire la natura del fascio LI non è più applicabile, essendo valido soltanto per cordcni collaterali. Perciò si ha qui un'eccezione alla regola sopra enunciata, ad uno dei pochi esempi in cui per stabilire l’ esistenza del legno centripeto si deve ricorrere all'analisi dei rapporti fra le varie parti di un cor- done vascolare e l’asse che lo contiene. Mi questo criterio, applicato da solo, non sarebbe sufficente allo scopo: occorre tener presente se il cordone è a un solo piano di simmetria Ea dorsoventrale) o simmetria raggiata (actinomorfo). i Quando poi, come avviene nella traccia corticale delle Oris dacee, in specie fossili, la protostela si fa midollata allora si può ancor Sempre distinguere i due tipì di cordoni vascolari, tenendo conto della. Posizione dei protoxilemi alla periferia del pseudo midollo. Se questi sono. collocati tutti all’ingiro della stela, in corrispondenza del lato interno ‘centrale del legno, allora si ha a fare con un cordone coneentrico : se invece i protoxilemi sono accantonati da un lato solo del cordone (per lo più nel piano di simmetria dell'organo) allora la porzione di Xilema abaxiale diventa pane quelle abaxiale centripeta ed il cordone mesarca, i d) Nei lembi sla REA quasi sempre di fasci collatera dpi legno del lato superiore cioè abaxiale, il legno. ‘mesarca è ape LL asse, quanto in rapporto alla posizione zion | IL LEGNO ORITTOGAMICO DIL ÎAZCIO VASCOLARE SEMINALE H0Ù. la porzione di legno situato a ridosso del protoxilema, e decorrente. dal lato opposto al libro e perciò in posizione adaxiale, è costantemente centripeta. Questo almeno si verifica nelle foglie normalmente orientate. Se per altro noi addottiamo il criterio moderno per decidere in merito alla presenza, o meno di legno centripeto allorchè ci troviamo di fronte a una foglia invertita (che talora non possiamo neppur sospettare che sia tale), come avviene nelle doppie foglie di Sciadopitys, nelle foglie o squame ovulari di molte Conifere, cadiamo in un grossolano errore, | poichè in tal e:so il legno realmente centripeto appare centrifugo, e quello realmente centrifugo sì presenta come centripeto. Perciò più logica appare la distinzione dei due legni in base ai rapporti col libro dei xilemi retrostanti al protoxilema. . e) Infine i fasci mesarchi dei semi inseriti sulle foglie della Pte- ridosperme, o di altri tipi affini possono esser variamente interpretati, a seconda del settore del seme che essi percorrono, qualora si applichi il eriterio moderno di interpretazione. Non più, se al solito, invochiamo rapporti tra legno e libro come elemento di criterio diagnostico. Per queste ed altre ragioni che qui ometto, ma che troveranno | posto nel mio studio sulle Pteridofite, ritengo che in generale si debba accordare la preferenza ai rapporti tra legno e libro, anzichè a quelli tra legno ed asse, come vorrebbe Bertrand ed altri, allorchè si tratta di decidere quale è la porzione centripeta, quale la centrifuga di uno cordone vascolare di un organo appendicolare, di un fascio apparte- er alla acela fogliare, o infine di un cordone assile formante parte ; 6) Molte Sint e specialmente non poche fra quelle arcaiche @ fossili, presentano i xilemi siffattamente orientati che mal si prestano ad essere inquadrati nello schema scolastico dal legno centripeto e cen ugo. Trattasi per lo più di xilemi i cui protoxilemi, anzichè esser Îlimanti, per posizione, con uno dei piani di simmetria dell’ organo trattandosi di un asse i protoxilemi verrebbero a trovarsi nel piano PROF. LUIGI BUSCALIONI Le traccie fogliari, allungate tangenzialmente allorchè si emanci- pano dal cilindro centrale del fusto di Zygopteris, portano i protoxi- lemi in posizione polare cioè agli estremi della sbarra xilemica. Data una tale posizione è assolutamente impossibile che un piano di sim- metria qualunque dell’ asse, a tipo raggiato, comprenda il centro di figura dell'organo, il legno centrifugo, quello centripeto (dato che esi - ste), il libro e i protofloemi della traccia. Il piano di simmetria di questa non ha più alcun rapporto con quello dell’ asse e perciò nello studio dei differenti tipi di legno dobbiamo considerare la traccia in se stessa, senza preoccuparci dei suoi rapporti di orientazione rispetto all’asse, \ Lo stesso criterio è valido, e forse con maggior ragione, allorchè prendiamo in esame il fascio vascolare del picciuolo delle foglie delle stesse Zygopteris, in quanto che qui abbiamo per lo più una struttura. quanto mai aberrante. Il fascio è foggiato ad H colla benda trasversale (apolare di Bertrand) tangenzialmente diretta rispetto all'asse e colle due branche verticali dell’ H dirette dall’interno verso |’ esterno per cui, un estremo di ognuno di esse è adaxiale l’ altro abaxiale. Da ultimo i protoxilemi sono situati in vicinanza degli estremi delle branche ver- ticali, entro ad una insenatura, o quasi ai 2 fuochi di un occhiello elissoidale, (Z. bibractensis). Dato questo singolare accantonamento dei protoxilemi taluni au- tori considerano, col Bertrand, una metà delle singole branche verticali | come costituita da legno centripeto, l’altra come formata da legno cen- | trifugo. E mia opinione invece che anche qui non si possa più parlare. di legno genuinamente centripeto, o centrifugo e ciò per le ragioni sopra | addotte, ma bensì di legno divergente, come vedremo fra poco. Prima però di chiarire la mia idea reputo opportuno considerare ancora qualche altro esempio. i: Nelle Sph:nophylleae il legno centripeto del fusto si sviluppa in | Parte in senso radiale, in parte — ed è la maggiore — in direzione più © meno tangenziale di guisa che la stela acquista una configurazione. trigona nella sezione trasversale. I protoxilemi poi sono situati ai vor: tici dei tre spigoli, immersi nel legno centrifugo che si estende nebe al davanti della porzione tangenziale del centripeto. . Learcaiche Asteropteris ed Cladoxylon sono rappresentate da talune. ie nelle quali i fasci, o meglio le bende vascolari—coi protoxilemi più 0 meno affondati, ma d’ordinario accantonati alla estremità dei rami — sono variamente orientate rispetto all'asse di figura dell'organo e spesso disordinatamente fra lcro anastomotiche. Ciò ad es. in Cladoxylon mi- | rabile, in Asteropteris noveboracensis, mentre in altri tipi (Cladoxy- Ton taeniatum) i cordoni vascolari sono più ben ordinati e in grande mag- gioranza coll’asse più lungo orientato secondo i piani di simmetria del fusto, vale a dire in posizione radiale. Nelle forme appartenenti alla prima ; | categoria sarebbe impossibile trovare un rapporto qualsiasi tra la sim= © | metria del fusto e il decorso (nelle sezioni trasversali) dei fasci vascolari. Anche nelle Licopodiali attuali i cordoni vascolari hanno spesso 4 un decorso che è per nulla in accordo colla simmetria dal fusto in cui essi (i tanno immersi, essendo il più delle volte disposti a guisa di lamine paral: lele alla superficie del suolo nelle forme, o parti plagiotrope. La direzione è pertanto tangenziale (nelle sezioni trasverse), salvo per i fasci di 3 mezzo che attraversano, per necessità delle cose, il fusto radialmente. | © Osservo inoltre che anche in molte Felci i cordoni vascolari for RT MATE DEE get miti di protoxilemi agli estremi, presentano il metaxilema (centrifugo — moderno) raccolto in una benda per nulla coincidente coi piani di metria dell’ organo, come avviene del resto anche nelle Marsiliacee. | Sa Ricorderò da ultimo che i picciuoli fogliari delle Cicadee presen È tano qualche cosa sa ana in quanto che Hi ns centripeto è orien- . Sa che si pretendono fin contro la guaina e che perciò hanno una direzione | orientazione destituita di qualsiasi rapporto col piano di simmetria no o ai piani di simmetria dell’organo, per lo più anzi compresi assie- ne ai protofloemi neg gli stessi, noi abbiamo da considerare ancora ul tro tipo di legno, il più delle volte derivato dal centripeto, ma spesso origine indecisa. perchè non si è potuto seguire il suo sviluppo; ale si estende in senso più o meno tangenziale rispetto all’ asse i sta immerso il fascio, o o se si tratta di foglie, in direzione più. perpendicolare al piano o ai piani di simmetria del filloma: mi seppia il Bertrand. fu uno stona a iran pa PROF. LUIGI BUSCALIONI tenzione dei botanici su disposizioni analoghe a quelle testè accennate in quanto che egli ha rilevato la presenza, nei fasci vascolari, di due poli (protoxilema e protofloema), di un centro di figura del fascio e in- fine di un divergente (aperto, o chiuso). Quest'ultimo sarebbe rappresen- tato dalle espansioni xilemiche fiancheggianti i protoxilemi e più o meno divaricate rispetto al piano di simmetria del cordone stesso. Il Bertrand ha, per altro, adottato una strana notazione per interpretare la struttura dei differenti fasci vascolari e questo ha fatto sì che il concetto, abbastanza buono dell’anatomico francese, non venisse accet- tato che da qualche botanico. Con questo non intendo affermare che le mie vedute rispecchino quelle del Bertrand ed infatti chiunque con- fronta il mio modo di interpretare i fasci potrà facilmente convincersi che fra me e il Bertrand vi sono delle divergenze notevoli, in quanto che questi considera per fascio vascolare quella porzione di cordone vascolare che sta sotto la dipendenza di un doppio polo (protoxilema e profloema), io invece non mi preoccupo se il polo xilemico consta di un solo, o di più gruppi protoxilemici (purchè non troppo lontani gli uri dagli altri), non do alcuna importanza al centro di figura del cor- done vascolare e solo prendo in considerazione, da un lato la direzione del cordone rispetto al piano, o ai piani di simmetria dell’ organo (per lo più il fusto), dall’ altro la posizione dei protoxilemi, in quanto la linea tracciata da questi al centro di figura dell’ organo si prolunga o no attraverso l’ asse maggiore della rimanente porzione di legno, il metaxilema. Se lo attraversa per il lungo allora si può affermare, salvo casì specialissimi, che il fascio è orientato nel piano di simmetria del - l'organo, se non lo tocca o lo sfiora soltanto allora è segno che la di- lezione del fascio nulla ha a vedere col detto piano di simmetria, o tutto al più gli è perpendicolare. È Ben ponderati i fatti mentre il principio costruttivo è eguale, ben ifferenti sono i significati delle due notazioni, essendo la mia ‘assai Più semplificata rispetto a quella proposta dal Bertrand. Or bene io trovo che nelle forme a tipo arcaico dei vegetali su- periori, ordinariamente fossili e spesso appartenenti ai terreni fossiliferi Più vecchi, come pure nelle forme degradate delle Cormofite attuali, per. lo più il fascio vascolare si evolve in certo qual modo per proprio conto, senza contrarre cioè una stretta relazione col piano di simmetria. | iL LEGNO CRITTOGAMICO DEL FASCIO VASCOLARE SEMINALE BCC. | dell'organo, che è per lo più raggiata quando trattasi di un caule | eretto. Di qui il decorso frequentemente tangenziale dei fasci vasco- lari formanti il cilindro centrale di siffatti assi primordiali, quando, ben inteso, siano esaminati nelle sezioni trasversali (Felci, Licopodiali et.). ; Coll’evoluzione del sistema vegetativo si ha, innanzi tutto, una moltiplicazione dei gruppi protoxilemici, colla corrispondente riduzione dei singoli cordoni comandati da uno di siffatti gruppi e, quel che più monta, si verifica, in secondo luogo, una decisa orientazione dei | singoli cordoni secondo i piani di simmetria dell'organo. Infatti nelle | piante moderne superiori gli assi verticali hanno tutti quanti i cordo. — ni della stela allungati nella direzione dei piani di simmetria dell’ or- _gano, vale a dire orientati radialmente. È questo per me un principio evolutivo del fascio vascolare che rimase fino ad ora alquanto trascu- rato, o del tutto sconosciuto. In conseguenza io distinguo tre sorta di legni: a) Legno centrifugo. Questo tipo di legno è orientato secondo i piani di simmetria dell'organo ed è un legno eminentemente moderno (per quanto già presente nelle forme arcaiche), perchè compare da solo nelle Cormofite superiori attuali. i — b) Legno centripeto. Analogamente al precedente esso è orientato secondo i piani di simmetria dell'organo, di guisa che se si tratta di un fusto è disposto come i raggi di una ruota attorno al centro di fi- | gura dell’organo. | ©) Legno diacentrico. Sotto questo nome intendo considerare quella. porzione dal xilema che, derivato dal legno centripeto, o da quello centri- go (forse più raramente), o da tutti e due (forse nei picciuoli di Cycas), i si estende in guisa da presentare il suo maggior diametro diretto in vario senso, ma per lo più tangenzialmente o perpendicolarmente, rispetto alla direzione dei piani (o del piano) di simmetria dell'organo. Di guisa. che trattandosi di un fusto tale legno non è mai orientato come raggi di una ruota. î Appartengono a questa categoria di xilema tutti quanti gli sessi : ho riportato sopra, desumendoli da differenti famiglie (Zygopteri- e, Lycopodiaceae, Marsiliaceae, Filicinae et.) e molte altri che per ometto, ma sui chose avrò mani di insistere in altra pubb PROF. LUIGI BUSCALIONI 9 a Merita per altro che mi soffermi alquanto sul fascio vascolare ad H dal picciuolo di Zygopteris. Secondo me, ein accordo colle vedute del I Tansly, qui abbiamo un organo intermedio tra asse e filloma, come lo attestano del resto le 4 serie di foglioline che l’appendice emette. Il piano di simmetria dell'organo, considerato come foglia, dovrebbe esser unico trattandosi di un organo dorsoventrale nella grande maggio- i ranza delle piante. Qui invece, data la sua stretta affinità con un asse, sa si ha ancora una simmetria raggiata, più o meno mascherata tuttavia | dalla presenza dell’ apolare. Nell’ affine Stauropteris dove 1’ apolare ; manca, la simmetria raggiata è ancora più netta. Ma se l'organo ha, ak SA È Wa in Re, Rol ae TTT RI, nel complesso, una struttura raggiata il fascio vascolare, almeno in Zygopteris, non l’ha più, poichè il metoxilema che continua i protoxi- an lemi e forma le braccia verticali dell’H decorre non già dalla periferia verso il centro di figura dell'organo ma bensi più o meno tangenzial- mente, come appare in particolar modo manifesto in Z. dibractensis. . Ritengo pertanto che anche qui le braccia verticali siano, in massima | parte, costituite da legano diacentrico, derivato per altro dal centripeto. Nelle piante moderne evolute (Conifere, Dicotiledoni et.) il legno, | per lo più esclusivamente centrifugo (almeno nei fusti), è sempre orien- tato secondo il piano (o i piani) di simmetria dell'organo, come si può. | facilmente riconoscere all’ispezione di un asse: inoltre i singoli cordoni legnosi sono stretti, di guisa che numerosi diventano i poli protoxile- mici, quasi costantemente endarchi. Non credo di andar errato affermando che con questo nuovo modo | di interpretare i fatti si riesca più facilmente, che coi soliti metodi, a decifrare la struttura di certi cordoni un po’ aberranti. Citerò un solo ‘esempio. La grandissima maggioranza dei botanici considera come legno centripeto quella proporzione di xilema che nel picciuolo delle Cica- dee fiancheggia i protoxilemi dal lato opposto al libro, estendendosi fin Quasi contro la guaina del fascio, o torcendosi in avanti per portarsi verso il libro, Il Prof. Carano, come si è visto nelle precedenti pagine, Titiene siffatta porzione di xilema quale legno centrifugo innestato di- rettamente sul centripsto. Quest'ultimo, normalmente orientato, sarebbe | pel mio egregio collega, ridotto a pochi elementi localizzati sul piano. di simmetria del fascio. Or bene, colla. mia ipotesi, la controversia si in Scr chè tutto Zed il legno retrostante al protoxilema, > ® : x ma più o meno allontanantesi dalla linea mediana di simmetria del fascio e diretto nel complesso quasi in senso perpendicolare a questa, apparterrebbe al legno diacentrico. Con tale notazione, che quì corri- sponde abbastanza bene a quella del Bertrand, si lascia impregiudicata, la questione se tale legno sia di origine centripeta, o non piuttosto centrifuga, per quanto tuttavia io ritenga, colla maggioranza dei bo- tanici, che esso appartenga di preferenza al legno centripeto. Analoghe considerazioni potrebbero farsi pel legno così detto se- condario centrifugo dello stesso pieciuolo, ma su di esso non insisto. 7.) Colla nuova notazione del legno diacentrico siamo pure in grado di | interpretare alcune strutture vascolari un po sui generis reperibili in talune piante viventi, ma più di tutto nelle forme fossili. Noi abbiamo nelle Calamariee più arcaiche una cerchia legnosa continua attorno al mi- dollo del fusto. Essa comprende pochi protoxilemi immersi nelle la- cune carinali (dove pure, a quanto pare si troverebbe il legno centri- peto che non sarebbe scomparso del tutto neppur nelle moderne Equi - satacee). Perciò se consideriamo i singoli fasci (rappresentati ognuno dalla porzione di xilema comandata da un polo protoxilemico) vediamo che da essi si prolungano lateralmente con due divergenti, uno per lato. Grazie alla presenza di questo legno, che per me non è altro che legno diacentrico, tutti quanti i cordoni vascolari si fondono in una cerchia continua avviluppante il midollo integro, o cavo. A quanto pare. | i divergenti (legno diacentrico) dei singoli fasci non apparterrebbero al legno centripeto, ma su questo dato anatomico non ho potuto farmi un chiaro concetto. Se noi ora passiamo alle Calamariee meno arcaiche, vediamo che i fasci tendono ad individualizzarsi, a separarsigli uni dagli altri mercè la formazione di raggi midollari, di guisa che ogni polo protoxilemico appare collegato nettamente con un unico aggruppamento metaxilemico. I raggi midollari poi sono notevolmente larghi in proporzione dell’am- piezza delle foglie e d>lle rispsttive traccie. «Ma a questa forma evoluta precedono delle altre in certo qual modo intermedie, in cui, come ad esempio nel Calamodendron inter- medium, una notevole porzione di tessuto fiancheggiante i singoli fasci vascolari (ognuno provvisto del proprio protoxilema endarca {?)), n0n ancora acquistato la costituzione di parenchima qual è quella propri®. dei raggi midollari, ancor ridotti a poca cosa nello spazio compreso fra due cordoni. La porzione infatti del raggio addossata a questi risulta costituita da fibre che hanno aspetto più di elementi del legno che di cellule dei raggi. Credo pertanto che in questo caso si assista realmente alla graduale metamorfosi del legno diacentrieo in elementi dei raggi midollari, colla conseguente separazione dei singoli cordoni, comandato ognuno dal proprio gruppo protoxilemico. . Qualche cosa di analogo si trova ancora attualmente nei fusti di Sedum, dove talune specie hanno i cordoni vascolari cementati assieme da un ammasso di legno secondario sviluppatosi in senso tangenziale alla periferia del midollo. Qui, più ancora che nelle Calamariae sopra descritte, è appariscente la mancanza dei raggi midollari. 8.) La posizione dei protoxilemi deve servirci di guida allorchè si tratta di stabilire la natura dei fasci, come ne abbiamo dato e prove ed esempi nelle pagine precedenti; quì aggiungeremo solo che quando | trattasi di fasci ad anello si può affermare che si ha a fare con un | fascio veramente concentrico solo nel caso che i protoxilemi siano uni- formemente distribuiti lungo tutti i settori dell’anello vascolare. In caso differente il fascio è solo apparentemente concentrico. Così, ad esempio, sono realmente concentrici i fasci di molte piante polisteliche, poichè dal lato dei singoli midolli i protoxilemi sono uniformemente ripartiti tutti all’ ingiro del xilema. Per converso sono pseudoconcentrici i fasci, — ritenuti sino ad ora per concentrici, di Dracaena ed altre Monocotile- Li donee in cui i protoxilemi (quando esistono) sono accantonati da un lato (opportamento al libro). Qui è evidente che si tratta di un fascio collaterale i cui divergenti di Bertrand si sono chiusi al davanti del libro, come lo attesta il fatto che talora la chiusura si presenta in- completa. Catania Maggio 1920. Pror. Lurei BuscaLiIonI © “asa — L’ antiquidad de l’ Hombre en la Plata. Paris 1880-81. Id. I. — Les formations sedimentaires du Cretacee superieur et du ter- tiaire de la Patagonie. Annals du Museo de Buenos Ayres XV, 1906. Arcangeli G. — Sulla struttura del seme di Nuphar luteum. N. Giorn, Bot. Ital. 21, 1889. Ò ; — Sulla struttura dei semi della Victoria Regia Lindl. 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Per converso nelle fig. 2 e 8 accenno a sezioni trasversali del Chilario poichè qui, facendo astrazione dai suoi legami col cordone vascolare considero unicamente i rapporti dal Chilario col piano di simmetria del seme sezionato in questo caso pure trasversalmente. — Se si fosse tenuto conto invece unic«mente dei rapporti del Chilario col fascio vascolare di cni esso è emanazione avrei dovuto considerare la sezione come tangenziale, tale essendo essa rispetto alla direzione del cordone. Le figure 1, 7, 18 e 21 riferentisi a sezioni praticate nel piano di simmetria (longitudinale) del seme valgono a chiarire ancor meglio il mio concetto. Fig. 1. Gleditschia triochanthos. Fascio mesarca del tegumento seminale. i PAR Parenchima del tegumento a cellule ispessite e a contenuto giallo. LEG CENTRIP. Legno sonnaipeto del fascio. FRX Protoxilema. LCF Legno centrifugo. | LIBR Libro del fascio collaterale. ISP Cordoni di ispessimento lignificati periciclici ? Sei 2. Pisum satirum. Sezione tangenziale del seme dal lato del Chilario. | Fascio vascolare del funicolo che diventa mesarca nel punto in cu un libro si trova ‘soltanto da un lato del cordone di xilema essendo sul 7 1, del cordone vascolare di foglia di Sciadopitys vercelli del tessuto di i infatasionei sono sione di granul. lignificati, altre. presentano ispessimenti reticolati ed altre infins reticoli ed arcolature. Ob. Immer. omog. 1/15 Koristka Oc. 2 Reichert. tag Foantà Gttenuto gni vricpogine dle strato. profondo del tego ap lo a 00. 2 Reichert. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Il tessuto fondamentale è rappresentato da una lamina jalina in cui non i è possibile distinguere le singole cellule. Immersi nello stesso spiccano, per le loro reticolature, numerosi tracheidi rappresentanti il tessuto di trasfusione del cordone vascolare tegumentale. La porzione sottile delle membrane di alcuni tracheidi è andata distrutta, per cui rimangono solo più le fibrille di ispessimento, sotto forma di cordoni variamente intrecciati. Ob. 1/15 Imm. omogenea Koristka Oc. 2 Reichert. Fig. 5. Seme in via di sviluppo di Pisello sezionato secondo il piano di sim- metria. i MI Micropilo. PAL Malpighiane del Chilario. CL Chilario non ancora completamente organizzato dal lato profondo CH interno. Fascio vascola e separato dal Chilario mercè cellule parenchimatose. Ob. 8 Oc. 2 Reichert. Fig. 6. Sezione trasversale di una foglia di Sciadopitys verticillata. Il tessuto , di trasfusione è rappresentato da tracheidi pieni di granuli TG e da tra- cheidi reticolati TS. Legn Fig. 7. Lathyrus Ochrus. Sezione trasversale del funicolo quasi all’ attacco del | sem» si EPID Epidermide a cellule a palizzata. FLOEM ES. Floema esterno del fascio concentrico periliberiano. FLOEM INT. Floema interno del fuscio concentrico periliberiano. PROTOX Protoxilema in posizione centrale. X Xilema. La stela è tipicamente protostelica. Ob. 5 Reichert Oc. 4 Comp. Koristka. | Fig. 8. Giovane seme di Vicia Faba sezionato trasversalmente. A Cellule Malpighiane esterne in v adi sviluppo nella regione chilariale, Ancora poco lunghe, esse derivano dagli elementi superficiali del funicolo, B Lamina chilariale sezionata trasvers.lmente e costituita tuttora in | parte da cellule piene di plasma e a grossi nuclei, in parte da tracheidi gi svuotati (non visibili però nella figura). C Cellule malpighiane interne derivanti dal tegumento seminale. Esse sono già notevolmente allungate, ma difettano ancora di ispessimenti. dk 8 0c.2 Reicheck, ssh irerigon al seme. Vicia Faba. - LIB Libro i guns Legno — tessuto formante come una specie di midollo nel fiscio vascolare del funicolo all’ attacco al baccello). PRX Protoxilema. LCP Legno centripeto. PS Parenchima perifascicolare. Obb. 3 Oc. 2 Re'chert : La 10. Foglia di Shiadapis verticillata. Sezione trasversale in corrispon- denza di una lesione. Le cellule attigue a questa ed appartenenti al. pa- renchima fondamentale sono lignificate e piene di granuli pure legnosi, analogamente a quanto si osserva nel tessuto di trasfusione della stessa foglia A Ob, 1/15 Imm. Omog. Koristka Oc. 2 Reichert. Fig. 11. Sezione tangenziale, in corrispondenza del chilario e del funicolo, dol i seme di Vicia Faba. Il fascio vascolare mostra in PRX il protoxilema separato mercè alcune — gellule parenchimatose dal Chilario (CHI.). Ob. 8 Oc. 2 Reichert. he. 12. Lathyrus Ochrus. Sezione Cilea del fascio tegumentale e del Obi- | lario che qui non è separato dal cordone vascolare. CHIL Chilario. LEGN CENTRF. Legno centrifugo del fascio che è tiricamente mesarca, LIBR Libro. END Endodermide subcontinua del cordone vascolare tegumentale. Essa cessa ai lati del xilema dopo essersi ivi sdoppiata. __—©O Cordone vascolare, Ob. 8 Oc. 2 Reichert. ig. 18. Giovane cordone vascolare del funicolo di Vicia Faba. |A ridosso del protoxilema (PRX) si stanno formando gli elementi del legno centripeto (CPT) assai grandi, taluni dei quali incompletamente ligni= ficati, contengono ancora molto protoplasma. Anche sui fianchi del cordone si sviluppano nuovi elementi di xilema Il legno centripeto qui probabilmente der.va dal tessuto foridemen tal ad eccezione di una a incunsata nell’ ansa circoscritta dai protoxilemi.. | CPF Legno centrifugo Ob. 1/15 Imm. dai Koristke Oc. 2 Reichert i, o 14. mind Ochrus. Seme sezionato losialiaetint e nel piano di sim-. metria. ME Malpighiane esterno | della sezione chilarialo. derivanti dal tonichi SPIFGAZIONE DELLE FIGURE CHIL Chilerio. TRASF Tessuto di trasfusione (centripeto) del fascio tegumentale. XIL Xilema del fascio tegumentale. TS Parenchima d. Tegumento seminale. LIB Libro del cordone vascolare collaterale mesarca. END Endodermid» avvolgente il fascio tanto dal lato del libro che dal lato del Chilario. Le sue cellule formano attorno al f«scio un’ astuccio di- scontinuo. La guaina cessa sia un po al di sotto, sia un po al di sopra delle Malpighiane. Ob. 5 Oc. 2 Reichert. Fig. 15. Giovane funicolo di Vicia Faba. Il fascio vascolare, in via di formazione, è immerso nel cordone procam- biale le cui cellule sono assai più piccole di quelle del tessuto fondamentale e più abbondantemente fornite di protoplasma. A ridosso del protoxilema (PRX) si va sviluppando tanto il legno centri- peto GP che quello centrifugo F: quest’ ultimo si continua con elementi pro- cambiali allungati in direzione prevalentemente radiale. Al di là compare il procambio liberiano a elementi con direzione prevalentemente tangenziale. Qualche tubo cribroso CF e già pressante. Il fascio sta immerso nel tessuto fondamentale fatto di elementi assai grandi e perciò ben distinti da quelli del cordone. Ob. 5 Koristka Oc. 2 Reichert. Fig. 16. Sezione del cordone vascolare del seme di Momordica Charantia. Il cordone vascolare ha due elementi piccolissimi di protoxilema PRX nel centro del xilema. LCP Legno centripeto. LCF Legno centrifugo. Obb. 1/15 Koristka Oc. 2 Reichert. Fig. 17. Cordone vascolare del tegumanto seminale di Capsicum annuum. La sezione cadde nel punto in cui il fascio si insinua nel tegumento. Il grappo dei protoxilemi (PX) anche qui è centrale. I tracheidi del me- taxilema sono in parte disposti radialmente attorno ai protoxilemi, in pa tangenzialmente, ; Il libro che circonda completamente il xilema consta di fascetti immersa | nel tessuto fondamentale. \ Obb. 1/15 Immers. Omog. Koristka Oc. 2 Reichert. 18. Fascio vascolare del funicolo di un giovane seme di Vicia Faba. Anche qui lo sviluppo del iegno centripeto (CPT) è appena iniziato e ta- luni elementi di questo tessuto (quelli ad immediato contatto col protozi- risma) sono probabilmente dani dalle cellale del cordone ag . SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Ob. 1/15 Immers. Omog. Koristka Oc. 2 Reichert. Fig. 19. Vicia Faba. Fascio endarca del tegumento seminale ad una certa di- stanza dal Chilario. LIB Libro. PRX Protoxilema. Oc. 8 Ob. 2 IReichert. Fig. 20. Capsicum annuum. Sezione tangenziale del tegumento seminale nel punto attraversato dal cordone vascolare. Tutto quanto il cordone è costituito da un tessuto che per la forma, le dimensioni ed il contenuto cellulare accenna ad un’ origine dal procambio. Gli elementi del xi ema sono disposti irregolarmente in file radiali ateo “terno ai protoxilemi (FX) che occupano il centro del sistema. Qua e là qualche tracheide isolato. Tra i cordoni di tracheidi si incunea il parenchima «del fascio. Ob. 1/15 Imm. Omog. Koristka Oc. 2 Reichert. Fig. 21. Sezione mediana longitudinale del fascio tegumentale e di un tratto — del Chilario. Seme di Pisello. MP Malpighiane (base delle cellule). CHIL Chilario. PA Parenchima. MX Legno centrifugo del fascio. PRX Protoxilema del fascio. | TRAS Legno di trasfusione del fascio. Ob. 3 Oc. 2 Rsichert. | Laurus nobilis. La da profonda del tegumento è costituita da uno 23. Gein ira del funicolo di Vicia Faba presso l’attacco ni baccello. - RAG M Raggi midollari d-1 fascio vascolare concentrico. | PRX Protoxilemi endarchi.. . L Metaxilema. i x LIB Libro del fascio, | Ob. 5 Oe, 2 Reichert. È ascio tegumentale mesarca del seme di Vicia Faba nel momento | in esso penetra attraverso le malpighiane. DSi Lario AA egli i IE SOL li RE Protozilema al di dietro del quale, dal al lato del legno centeipto, i ancora lement P ( d Si SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Ob. 3 Ve. 2 Reichert. i Fig 25. Lotus tetragonolobus. Sezione longitudinale del funicolo, del Chilario e del fascio tegumentale. TRASF EST Tessuto centripeto di trasfusione del cordone vascolare del funicolo. XIL Xilema del cordone fascicolare. PRX Protoxilema del cordone funicolo-tegumentale. LIBR Libro del fascio vascolare. CHIL Chilario addossato al cordone vascolare. MALP Cellule malpighiane della regione chilariale. Se ne incontra un’unico strato essendo la sezione non perf:ttamente mediana rispetto al Chilario. EG. Parenchima del tegumento seminale. INTTR TES. Tessuto di trasfusione del fascio vascolare tegumentale. Esso è in continuazione col Chilario. PAR F Parenchima del funicolo. Ob. 5 Oc. 8 Reichert. i ‘Fig. 26. Sezione trasversale del cordone vascolare tegumentale e del Chilarig - nel seme di Lathyrus Ochrus. È: END Endodermide ininterrotta circostante il fascio sdoppiata ai lati del ‘legno. Uua cellula endodermica separa il fascio dal Chilar o. | Libro del fascio collaterale mesarca. FCG Legno centrifugo. | CFP Legno centripeto. PRX Protoxilema. CHIL Chilario separato dal xilema del funico'o mercè una cellula en- dodermica. Ob. 5 Oc. 2 Reichert. Fig. 27. Un fascio vascolare di un funicolo assai poco evoluto della stessa pianta. Il libro (L) ha gli elementi pieni di plasma, salvo i tubi cribosi (T) in formazione che appaiono per lo più vuoti, o poveri di plasma ed a pareti | ispessite. Il xilema (XIL) è immerso in una zona pressochè procambiale (PR) i aa | elementi stanno strasformandosi in tracheidi centrifughi (NF) a ridosso A | quelli già d>I tutto evoluti. Obb. 8 Oc. 2 Reichert. Fig. 28. Giovane cordone vascolare del funicolo di Vicia Faba. I leguo e da ) è in via di IO per quanto agg sua ] | Manea il legno centripeto, ma probabilmente talune cellule giovani x collate al Vtagcranii sono destinate a diventar tali. distinte da quelle ancor procambiali del cordone (C). i Ob. & Oc. 2 Reichert. Fig. 29. Giovanissimo fascio del cordone vascolare funicolare di Vicia Faba. Sono formati gli elementi del protoxilema PRX e pochi tracheidi del ‘legno centrifugo (CF. Il libro (L) consta di Lealtate a contenuto abbondante: Tra il libro e il legno — | stanno interposti gli elementi destinati a trasformarsi in metaxilema (ACF). iii 8 Oc. 2 Reichert, Fig, 80. Vicia Faba. Sezione trasversale del Chilario giovane. A Malpighiane esterne provenienti dal funicolo. B Malpighiane interne dipendenti dal tegumento seminale. C Chilario a cellule reticolate nella metà esterna, ad elementi giovani pieni di protoplasma in quella interna. Ob. 5 Oc. 2 Reichert. dei ‘precipitazioni i gi NOTA pel Pror. L. BuscaLionI È; Il Prof. C. Sehròter, nel suo interessante volume « Das Pfianzen- leben d. Alpen, Eine Schilderung d. Hochgebirgsflora (1908, Zurigo) » riporta, a pagina 50, una tabella del Fritz Kerner, nella quale sono illu- strate graficamente tanto l’epoca della fusione delle nevi, in primavera, quanto quella della comparsa autunnale delle stesse allo stato dì man - PE tello persistente, in funzione sia dell’ altitudine che dell’ orientazione, N. o S., del versante preso in esame. Le osservazioni si riferiscono ai monti della Vallata dell’ Inn. Per quanto, a ragione del grave momento attuale, non mi sia stato dato di leggere la Memoria del Kerner pubblicata, in esteso, a Vienna nel 1887 (Ueb. d. Schneegrenze im Gebiete d. mittleren Innthal) com- prendente i risultati di 16 anni di ricerche, (1) ritengo tuttavia che 1 dati, | i quali formano oggetto della presente nota, non siano stati presi in Hd d n considerazione dall'autore, non trovando alcun cenno degli stessi nel lavoro dello Schròter che pure ci informa sulle, principali questioni trattate dal Kerner. i Le mie osservazioni, avendo per base la tabella di quest’ ultimo autore, richiedono che io la riporti quasi nella sua integrità (fig. I), senza di che il lettore non potrebbe, che difficilmente, seguirmi nel- l’ esposizione dei fatti. (1) Neppure mi fu dato di consultare quella del Blumer I. C. dal titolo « Comparaison between two mountain sides: The Plant World o 1910 P. 134140, nonchè l’altra del Vallenbòek R. D. » klimatische Uaterscheide auf RI u. Peline et: Ju zentralbì Ges. Forstwirt. XXXVII, Wien, 1911. LE PRECIPITAZIONI IN MONTAGNA ECC Fusione delle nevi e comparsa di queste dal lato soleggiato e da quello ombreggiato nella media a partire dal piano per valle dell’ Inn arrivare al limite dalle nevi perpetue Sposina "RR n LI Lal FEE x RIEIRE Bpgnasinazei UTO PET EH L + SHE? ETTI FEO ne ni = Rotstrazstnnicnea LI. th ® # SHiEstE i gna DAL suna PPRSTTTÀ tiri A siegtatza i GERE Siani > PROF. LUIGI BUSCALIONI Emerge dalla tabella, come ben osserva lo Schréter, che la durata. del mantello di neve aumenta coll’ elevazione, ciò che è ovvio, con una 2 media di prolungamento pari a 11 ‘/, giorni per ogni 100 m. di al- A tezza e per un’esposizione a N., mentre si riduce a 10 giorni per quella i a S. Le quali cifre collimano abbastanza bene con quelle di Thurmann pel Giura, di Birkner per gli Herzengebirge sassoni (per quanto qui si elevi la cifra a 13 giorni), di Denzler per il territorio del Stintis e infine dello Schwendener. Sempre stando ai dati dello Schròter ed in correlazione ai risul- | tati sovra esposti l’ insediamento delle nevi perpetue ha pure luogo in | epoche diverse e n differente altezza, a seconda del versante che si | considera, abbassandosi, come ben si comprende, il limite delle stesse per lo più dal lato N. Risulta inoltre che la primavera (cioè la fusione . delle nevi) si innalza molto più lentamente di quanto non faccia l’in- | verro (cioè la comparsa delle nevi autunnali invernali) nella sua di- scesa. Prova ne sia che dalla quota di 600 m. la fusione delle nevi impiega, per arrivare al limite delle nevi perenni, circa 6 mesi (Gennaio - Luglio) ritardando in media di 7-8 giorni per ogni elevazione di 100 m. L'inverno, cioè la comparsa delle nevi autunnali, raggiunge invece la quota di 600 m., a partire dal limite delle nevi perenni, in soli 4 mesi, verificandosi così un ritardo nella copertura nivale di circa 3, 8 giorni. per ogni 100 m. di abbassamento altitudinare. La discesa init è lenta, poi rapida. ; Questo singolare comportamento, stato anche altrove constatato (nel Tirolo sud ete.), dipende da parecchi fattori ed è perciò di diffi- | cile interpretazione. Io ritengo tuttavia che vi sia un certo nesso col fatto che l’aria dei bassi strati riscaldandosi, in primavera tende ad elevarsi, espan- dendosi e raffreldandosi adiabaticamente fino a raggiungere una posi- zione di equilibro perfettamente determinata e determinabile con equa- Zioni dedotte dalla meccanica e dalla termodinamica: questo spiega il lento elevarsi della temperatura di fusione delle nevi in tale stagione. ‘er converso, nell'autunno, l’atmosfera assai fredda delle zone elevate trova facile la via della discesa, in blocco, non essendo più ostacolata a i tabella del Kerner, intercedono fra lo scioglimento delle nevi sul versante Sud rispetto a quello Nord, a differenti altezze, rica- | viamo i seguenti dati: si dell Data Differenza, tan vie; in giorni, fra illatoi. S e quello N. iù Data Altezza sul mare | dello scioglimento delle nevi ‘in metri). ( si sul versante S. sul versaute N. 14 Febbraio 27 Febbraio 19 » 9 Marzo 3 Colla scorta di questi dati si è tracciato una grafica (fig. 2) allo di rendere più tangibili le particolarità che presenta il fenomeno —L-° delle nevi a varia altezza ed a varia eri. SOIA i la i AIRIS i la riti! L'agal.. dit Au.a Walt, Diagramma indicante il maggior tempo che impiega la neve a sciogliersi. (in primavera-estate) sui versanti ombreggiati, rispetto aquelli soleggiati delle montagne (Valle d. Inn) e a differenti altezze. La curva, come si vede, ha un decorso piuttosto irregolare. Essa sale lentamente e quasi senza notevoli oscillazioni dalla quota di 600 m. (alla quale la fusione delle nevi ha luogo in febbraio) fino a 1000 m. (ove la fusione si verifica in Marzo). Di qui essa si abbassa lievemente fino alla quota di 1200 m. {alla cui altezza le nevi fondono fra Marzo ed Aprile) per decorrere di poi quasi orizzontale, o con una lieve ascesa, k verso la quota di 1300 m. (epoca di fusione Marzo-Aprile). Alla quale succede una parimente lieve discesa verso i 1500 m. (fusione delle nevi in Aprile- Maggio) sussegrita questa a sua volta da un’ insignifi-_ cante ascesa fino a 1700 m. (fusione delle nevi in Aprile e Maggio). A questa altezza ed a questo periodo di fusione avviene una brusca discesa nella curva che segna la differenza di tempo di fusione fra ill _S. e N. e la stessa raggiunge il minimum a 2000 ni. (periodo di fu- sione Maggio-Giugno), alla quale quota troviamo che fra il versante Sud e quello Nord intercedono sol più 9 giorni di differenza nel pe- riodo di fusione. Da questo momento la curva torna a risalire abba- stanza rapidamente e regolarmente, toccando quasi il vertice del dia - gramma alla quota di 2300 m. (epoca di fusione Giugno-Luglio). Rag-_ So parso la a rappresentante la differenza di to; torna a LE PRECIPITAZIONI IN MONTAGNA EC0. decorrere quasi orizzontale, elevandosi solo più lievemente al limite destro del tracciato corrispondente alla quota di 2500 m. A questa al tezza la neve fonde, come sta scritto neila grafica, tra Giugno e Lu-° | glio e quivi la differenza di fusione raggiunge 22 giorni tra il lato N. «e quello S. Presa adunque nel suo complesso la grafica indicherebbe che la differenza nel tempo di fusione della neve sui due versanti va a grandi tratti aumentando coll’ altezza. La curva però presenta dei minimi e dei massimi più o meno numerosi. Un minimo secondario si ha alla quota di 600 m., dove la differenza è solo di 13 giorni; un altro mi- _nimo secondario, di gran lunga meno importante si ha a quella di. 1500 m. Infine un minimo principale importantissimo si osserva & 2000 m., dove la differenza è soltanto più di 9 giorni (minimo asso- luto). Per converso il massimo assoluto di differenza si ha in marzo ‘alla quota di 1000 m., dove l’ intervallo nel tempo di fusione rag- 2 giunge 25 giorni. Tre ‘altri massimi secondari si hanno alle quote di 1300, 1400, 1600, 1700, dove si osservano 23 giorni di intervallo e fine alla quota di 2500 m. con 22 giorni. i Non è il caso di occuparci delle lievi oscillazioni distribuite va- riamente lungo la curva e che determinano la maggior parte dei mase simi e dei minimi secondari. Per converso l’ enorme e regolare abbas- samento della curva, che iniziatosi alla quota di 1700 m. raggiunge. i minimo alla quota di 2000 m. e la successiva ascesa che si arresta. a 2300 m., meritano di fissare la nostra attenzione, costituendo esse. due disposizioni di cose che hanno la loro radice, secondo il mio modo di vedere, in un importante fattore meteorologico. Prima però di illustrare le cause, ed anzi per farle meglio com-. prendere, noi dobbiamo soffermarci alquanto sul comportamento della ‘bulosità, causa di precipitazioni nelle varie regioni altitudinari delle 2, Se in pas all’ uopo considereremo il fenomeno in rapporto PROF. LUIGI BUSCALIONI metria, risulta (mercè misure praticate a varia altezza con termometro a bulbo nero esposto ora al sole, ora all’ombra) che la temperatura va elevandosi al sole, rispetto a quella notata all'ombra, a misura che si procede dalla base di un monte verso la cima di questo. Fig. 3. Le linee in gras setto segnano la temperatura al so- le: quelle punteg- giate la temperatu- ra all'ombra. Così sulla Diavolezza, a 2980 m. sul mare, si hanno 53° di dif. ferenza, mentre a Wilby, situato solo a 20 m. sul mare, se ne notano appena 5° (fig. 3). In accordo a questa legge le nevi devono fondere relativamente assai | più presto in alta montagna (dal lato soleggiato rispetto a quello ombreg- | giato) di quanto avvenga in pianura, pur tenendo il debito conto dell’abbas- | «samento termico che ha luogo a grandi altezze. Ed invero la tabella del Kerner depone in questo senso, quando venga considerata nel suo as- ‘sieme, senza tener conto delle lievi oscillazioni e tanto meno della grande depressione che essa presenta fra 1700 m. e 2300 m. Il motivo delle lievi differenze di tempo che si osservano net scioglimento delle nevi in bassa montagna, quando si confrontino fra loro i due versanti S. e N. va ascritto, în gran parte, all’assorbimento — atmosferico, specialmente forte quando l’ aria si carica di vapore acqueo i essendo noto che detto assorbimento si accentua tanto più quanto più grande è lo strato d’aria che i raggi solari devono attraversare pria, di raggiungere il suolo. (V. in proposito i lavori di Violle). «Questo per quanto concerne |’ insolazione. Ma noi dobbiamo ancora. tener conto della nebulosità, la quale, secondo le ricerche, di Hann e di altri autori, raggiunge il massimo — rispettivamente il minimo — — di intensità in differenti periodi, a seconda dell’ altezza sul mare del A ter Moro. Po in esame. o a LE “ia IN MONTAGNA L_t00. I Hann riporta, all’ uopo, i seguenti valori: AREE Inverno |Primavera| Estate Autunno | Piana svizzera . 420 m. td 5, 8 5,2 Santis. .....] 2500 » 5,1 6,1 6,5 Sonnblick. . ..| 3100 » 5,2 726, Sp 6,2 ai quali risultati si avvicinano quelli ottenuti dallo Streun (Die Ne- : belverhiiltnisse-d. Schweiz. Ann. d. Schweiz. Meteor. Centralamt. Jahrg. 1899, Zurik 1901). i L’ analisi della tabella dimostra, a chiare note, che la nebulosità d inverno è massima nella pianura svizzera (7, 3), minima a 2500- 3000 m. (5, 1 - 5,3). _ In primavera e nell'estate il fenomeno mostrasi invertito, poichè si ha il massimo di nebulosità verso i 2500-3000 m. (6,1 - 7,3), mir imum invece in pianura (5,8 - 5, 2). Nell’ autunno le differenze si k attenuano, od anco si annullano, per cui si ha un’ omogeneità, più 0 marcata, nel grado di nebulosità dal piano all’ alta montagna. L'azione della nebulosità è quella di attenuare le differenze di temperatura fra il versante esposto a N. (poco soleggiato normalmente) quello s S. Ma una tale condizione di cose è quanto mai proprizia & vocare una quasi contemporanea fusione delle nevi sui due versanti lla montagna. È Colla scorta di questo bal noi siamo ora in grado di comprendere PROF. LUIGI BUSCALIONI gette appunto, in quell’ epoca, alle nebbie e conseguentemente ad una radiazione diminuita. Torna pertanto ad agire quel fattore che, per quanto si è detto sopra, attenua la differenza di tempo nella fusione. Al disopra del punto di massima nebulosità primaverile-estiva le diffe- renze, di tempo nuovamente si accentuano e tanto più quanto l’eleva - zione diventa maggiore, in ossequio ai risultati delle osservazioni che ho altrove riportato. Con questi criteri riesce così spiegata, innanzi tutto, l’ ascesa con- tinua della grafica rappresentante le differenze nel tempo di fusione della neve sul due versanti, a partire dalla base per arrivare all’ alta | montagna, secondariamente l’ abbassamento notevole della curva che si è constatata alla quota di 1700-2300 m. sottoposta alla nebulosità pri- maverile-estiva, nel qual periolo ha ivi appunto luogo la fusione delle nevi (1). Alcuni potrebbero oblbiettare che la zona di massima nebulosità è | spesso molto più clevata di quella in cui, nella mia grafica, avviene. l’avvallamento nella curva, ma io credo che I’ obbiezione non sia seria poichè noi sappiamo che l’ accumulo delle nebbie estive nelle nostre | alpi va soggetto a notevoli spostamenti e poi con grandissima frequenza. non è decessi vamente elevato. Fin qui per quanto concerne la fusione delle nevi in primavera. e i suoi rapporti con la nebulosità. La mia ipotesi, per essere attendi- * bile, deve ancora trovarsi in armonia con quanto avviene all’ autunno, nel qual pericdo vediamo comparire le nevi dapprima in alta montagna — @ poi gradatamente sempre più basso, ma pure in giorni differenti — ad ogui livello — a secondo che si considera il versante Sud o Nord. Dal tracciato del Kerner si ricavano in proposito i seguenti dati: (1) La grande (anzi m ssima nella curva tracciata nella fig. 2 a pag. 200) za di tempo che si osserva in marzo e a 1000 m. sul mare può, per 3 | ho sopra esposto, esser relativa a una spiare a ridotta a sie per asi: Lasa LE PRECIPITAZIONI IN MONTAGNA ECC. 1 | Altezza sul mare, in metri Data della comparsa delle prime nevi sul versante Sud. Data della comparsa delle prime nevi sul versante Nord. D fferen in giorni, fra i due Versa i 23 Settembre 1 Ottobre 5 » 29 » 2 Dicembre » 4 » 4 » ngn 21 Ottobre 26 » 8 » 6 Novembre 6 = 4 » 2 Dicembre u $ V YI 0 YI Vw OO OA4AIOIUÙ N N fr dd 28 25 23 24 19 20 21 22 19 22 22 18 18 10 9 8 5 6 6 6 PROF. LUIGI BUSCALIONI PIL) LEE \ MR UTO " ILE ssaauani PASSI Lp] EA eci H FEEESIHE ETRE IIS Pe e E e ER PATTI a HEI LE - $ + pt LA PERE FF È FRRTHH È sun TRE og à DL FIL it DD Hi ha I Fig. 4. Diagramma indicante il maggior tempo che impiega a formarsi il mantello di neve sul versante sud rispetto a quello nori nel semestre autunno-invernale @ a varia altezza sui morti della valle dell’ Inn. Qui il massimo del ritardo nella formazione del mantello di neve, se si confronta il lato volto a Sud con quello a Nord, si ha nella parte più alta della montagna (a 2500 met. con 28 giorni d’intervallo). A misura che | | noi discendiamo esso si attenua, ma con dolce ritmo. Lungo la curva le oscillazioni sono lievi, fatta eccezione per i tratti corrispondenti a 2200 2100-1300 1200 m. di altezza, in corrispondenza dei quali la discesa, cioè l’attenuazione dell'intervallo, si accentua bruscamente. In- fine la minor differenza si ha verso i 900 met. di altezza (5 giorni), al disotto della quale la linea procede quasi orizzontale, avendosi ovun- | que solo 6 giorni di intervallo. In questo tracciato il fenomeno che maggiormente colpisce, è quali della mancanza della profonda depressione stata incontrata alla quota preso tra 1700-2300 m. nella grafica riflettente la fusione delle nevi. Il tracciato si mantiene ovunque molto elevato sulla ascissa ed è solo a partire da 1500 m. per arrivare alla quota di 600 che si veri- fica una forte depressione di esso indicandoci così una attenuazione negli intervalli di tempo fra S. e N, pr quanto riguarda la CORISne | Noi dobbiamo inferirne che ella o nel tardo estate in cor- Ddanza delle os atiia ch 1500 « e rn sel il Digenno LE PRECIPITAZIONI IN MONTAGNA ECC è soggetto prevalentemente alla radiazione. Se le cose andassero altri menti, vale a dire, se si avesse un'alta nebulosità nelle quote elevate e medie dvrebbe la stessa determinare indubbiamente un’attenuazion nella differenza di tempo fra la comparsa della neve a S. e a N., il che, come si è visto, non avviene. Il risultato è conforme ai dati dell’ Hann, secondo i quali analo- gamente a quanto si è constatato nelle pagine precedenti (Tab. a pag. 212) la nebulosità in autunno, o tende rapidamente a portarsi in basso, 0, ‘se è uniformemente distribuita, è però ovunque poco accentuata. “Non crediamo di andar errati affermando che la formazione del mantello nevoso, sempre più in basso, va coneretandosi meno rapida- mente di quanto non discenda la nebulosità per ‘cui in alta e media. montagna la radiazione termica esercita quasi continuamente quell’ in- fluenza che provoca il marcato asineronismo nella formazione del me- desimo. ; Però se questa è la causa la quale fa sì che venga a mancare il ; momeno della depressione nella eurva che si è osservato nell’ altro diagramma, non è certo che ad essa sola debba aseriversi |’ accoreia- mento negli intervalli di tempo fra il S. e il N., a misura che consi- deriamo delle quote sempre più basse, a partire all'incirca dalla quota. di 1500 m. Qui interviene il fattore più generale della temperatura. he si eleva, come è noto, di circa 4 grado per ogni 170 m. di abbas samento di livello, senza contare poi che una parte non indifferente va. imputata al potere assorbente dell’aria umida Ma intanto se lo abbas- mento relativamente rapido della nebulosità (relativamente all’abbas: delle nevi) elimina la depressione che abbiamo trovato nell’ altra. 3 (per la fusione della neve) in alta montagna l’addensarsi delle e nelle basse quote durante l'autunno e l’inverno, a prescindere i altri fattori indicati, deve determinare nella zona compresa fra. 1500 e 300 m. la brusca depressione nella curva e fra 300 e 300 quel- l'andamento quasi orizzontale nella stessa, accennanti quasi ad un iso-. mo della caduta della neve sui due versanti N. e S. Basterà ab po, per illustrare il concetto, aver. presente che, sempre secondo Î È dell’ Hann, a 400 m. sul mare nelle pianure svizzere la nebulosità. mn ta tassa a 5, 1e5,2 sea in tale peo PROF. LUIGI BUSCALIONI © do dell’anno sugli alti monti del Sàintis (2500 m.), o del Sonnblick (3100 m) 5; Anche il Prof. Tellini nel suo accurato lavoro « Sulla distriba- zione della neve nelle Alpi orientali e nel Veneto (in Atti del R. Isti-. tuto Veneto E. LXVII P. I. 1908) » occupandosi delle isostromate ed isonife ci ha fornito dei dati che hanno un certo interesse pel nostro studio, per quanto l’autore non entri in merito alla questione che ui oggetto delle presente indagini. Nelle regioni prese in esame dal Tellini, che sono, a grandi tend anche quelle che hanno servito al Kerner per la redazi.ne della sua tavola, il manto di neve aumenterebbe rapidamente e abbastanza re- golarmente coll’altitudine: oltre a ciò in talune località si avrebbero due massimi nella caduta della neve (Dicembre-Gennaio, o Gennaio. Aprile e via dicendo) i quali poi, a differenza di quanto avviene in ‘pianura, oltre che legati alle temperature basse, sarebbero anche di pendenti dal ritmo delle precipitazioni. Notevole è il fatto che le stazioni aventi il massimo di neve in. Dicembre sono basse (205 m.), quelle col massimo in febbraio un pò più elevate (583 m.) ed anc.r di più in ritardo quelle situate via via. più in alto sulla montagna. Le ragioni sono ovvie, ma tuttavia merita. di esser segnalata che la maggiore elevazione del massimo di febbraio. è in gran parte inerente, secondo me, da un lato alla minore tensione del vapor acqueo in questo mese rispetto a dicembre, dall’ altro alla temperatura pure alquanto più elevata in tale mese, in confronto pure di dicembre, presupposte non elevate le zone montane prese in consi - derazione. A primo aspetto poco adi a SERE appare il fenomen dell’ elevazione abbastanza forte delle stazioni aventi due massimi di | precipitazioni, per quanto se si tien conto che la nebulosità sale in pi mavera scende all'autunno, sia lecito trovare in questa condizione | cose la interpretazione. i Accennando alla durata del mantello nevoso il Tellini afferma solo | Che essa è in relazione coi soliti fattori (altitudine, ripidezza del pendio, venti, esposizione, temperatura, ecc.). Le linee poi di egual durata della neve sarebbero però, più che altro, proporzionali, entro certi limiti, all'altezza della neve caduta ad una data queta | LE PRECIPITAZIONI IN MONTAGNA ECC. Un pò più attinenti al nostro argomento sono le osservazioni del o predetto ri agri e sulla durata del St di neve in re- ria 196 idoriiope solo fino alla quota di 1900 m. circa, poichè per zone più elevate si è dovuto ricorrere alle interpolazioni, difettando | Ta sia la differenza nella durata del mantello di neve in rapporto all’alti-. tudine, sia le a spiana media e ale sega di neve in cor- . LUIGI BUSCALIONI da neve Durata del m-n- Durata del man- neve (in Alt: zza media del Differenza di al- tello di Altezza media delle || stazieni sul livello del mare (in metri). ni, nella durata me din del mantello di neve tra due sta- zioni successive. tezza media del mantello di tra due stazioni Ditte renza nell’al B!\CCPSS'VA, stazioni (in metri.. Differenza in gior- giorni ). (er DI O Ke) 0 Come abbiamo fatto per gli altri dati tradurremo sigle | qui i va | trovati in "ga (fig. 5) o e deil naso, daranno ac ; È "nr i O in < Zi na] È (©; tai Z Lai zi (Si N < fa [cal & (©) E pa fa A lei rara - * e £ 1309 2 DISCI ARE dogs: PU N IRA iii è bi La grafica I, che rappresenta la durata del mantello di neve a seconda dell'altezza sul livello del mare, ci indica che esso, a grandi tratti, persiste tanto più a lungo quanto più si forma in alto. Il decorso della grafica è però quanto mai irregolare. L’altezza media del mantello di neve è rappresentata nella gra- fica II la quale pure addimostra che la quantità di neve cresce con | l'altezza, ma in modo altrettanto irregolare quanto è il ritmo della durata. : Confrontando però le due grafiche sì rileva subito che i loro mas-. simi e minimi non coincidono perfettamente e che inoltre le due linee si allontanano, nell’ assieme, nella parte mediana del tracciato (tra 350. e 1450 m. di altezza sul mare), per avvicinarsi alquanto verso gli estremi. Ciò indica che nella parte media della montagna (in specie tra 850 e 1450 m. circa), pur diminuendo l’altezza del mantello, cresce la durata di tempo richiesto per la sua fusione, di guisa che non vi ha proporzionalità fra i due termini. L’opposto si verifica agli estremi del tracciato. La grafica V, che ci dà il tracciato della durata del mantello di neve a varia altezza, presupposto costante il suo spessore (1000), di- mostra come il tempo che impiega a disciogliersi un tale strato dimi- nuisce verso i 250 m. (per effetto dell’ inversione della temperatura ?), — per aumentare, con decorso irregolare, fino a 650 m., da quì scende di nuovo per risalire verso gli 850 950 m.), con forti oscillazioni, fino alla quota 1150 dalla quale, infine, ridiscende con decorso pure irre - golare. Il minimo di tempo si ha appunto alle estremità del tracciato (1900 m.), mentre il massimo della durata del mantello teorico si ve- Tifica a 650 m. i Si deve quindi dedurre che in alta montagna il tempo che im- | piega la radiazione termica a disciogliere un dato strato è minore che altrove. Ciò dipende dal fatto, su cui abbiamo altrove insistito, della - maggiore efficienza della radiazione in alta montagna. Il fenomeno forse. si mostrerebbe ancor più evidente qualora nelle osservazioni del Tel- lini e degli altri studiosi si fossero tenuti separati i dati, a seconda. del versante soleggiato o no dei monti, essendo noto che il versante espo- a N., per non godere del beneficio di una intensa radiazione, modifica | alori in senso quasi antitetico nelle pes relative, facendo si ai iti altitudinaria di soluzione riesca più o meno mascherat: È: tracciati che abbiamo ottenuto colle cifre del Tellini costituiscono pertanto solo dei valori medi. Le stesse poi, arrestandosi alla quota di 1900 m. sul mare, non ci permettono di fare entrare nel tracciato, quindi nel computo, l’azione della nebulosità di alta montagna quale ‘ attore che ritarda, come si è visto, la fusione della neve alla quota pa essa campeggia. Non è dapeebabie | tuttavia che il rialzo cha si supposto il suo tello di neve pre- spessore. Durata del man- Durata del man- tello di neve Altezza del man- a ) Le cifre in parentesi pan ven nero fornite dagli osserva Mas eci e sono quindi d' interpo” laz i Dalla I Altezza del mantello di neve II durata del mantello di neve III durata del mantello di neve pa 1000 m. di spessore. - non dubbio i ì seguenti fatti: 1. lo spessore del mantello di neve è in È rapporto diretto coll’altitudine, 2. la sua maggior durata è pure in re-- lazione all’elevazione, ma non è mai rigorosamente proporzionale, allo Spessore, poichè nella parte iniziale del tracciato la curva ci indica. una maggior lentezza relativa di fusione (fra O e 2000, col massimo | & 1400 m.) e per converso una maggior velocità di dissoluzione rela- tiva tra 2000 e 3000 col massimo a 3000). 3. Infine si ha una pro - | gressiva diminuzione nella durata del mantello, presupposto ovunque 1000 il suo spessore, a misura che ci eleviamo, a partire dalla quota 1600. Da questa fino a O il decorso è invece quasi uniforme. Noi riteniamo tuttavia che le cifre riferentisi alle quote elevat (cifre in parentesi) non siano rigorosamente esatte, poichè la eccessiva regolarità del decorso grafico, specialmente per quanto concerne la du rata del mantello, appare in urto con quanto abbiamo riscontrato al trove. Ma nessuno appunto si può muovere in proposito al Tellini a Osservatori meteorologici, ma bensì interpolate. 33 3 Ci resta a considerare le grafiche III e IV delle fig. 5 le quali furono ottenute determinando da un canto l'aumento, o la dinnionatefi del mantello di neve tra due quote successive, dall’altro l’aùmento o la diminuzione della durata del mantello per le stesse altitudini. ) La grafica IV (i cui dati sono consegnati nella casella 4 della ta- ola a pag. 219) permette di rilevare come varii enormemente la du- Ò rata da una quota all’ altra, come le oscillazioni siano più ampie nelle parti basse della montagna e come infine la curva, nel suo assieme, omaggio a quanto si è visto sopra, tenda a discendere (fusibilità più rapida) in alta montagna. Per converso la grafica III icatriipoiidonto ai dati della casella 6 Ia tabella sopraricordata) ka un comportamento del tutto differente | | antitetico, in quanto che nelle regioni basse essa procede con lievi oscillazioni e senza presentare notevoli altezze (debole spessore del man- tende poi ad abbassarsi ancor più verso la parte media del cciato corrispondente alle quote 750-1150 m., per risalire infine no- evolmente e ag aio verso le 195 elevate, dove poi prospetti : tra due quote successive la durata relativa del mantello è mas- bassa montagna, dove è minimo il suo spessore: tra due quo- essive in media montagna altezza del mantello e durata di que- corrispondono : tra due quote infine di alta montagna a breve relativa del mantello corrisponde uno spessore relativo assai. dello strato di neve. ; Giunti a questo punto possiamo domandarei perchè mai aumen - | l’altezza media del mantello da una zona all’altra in alta, mon- | diminuisca la durata relativa di esso quando vengano paragonate ra loro successive sempre più elevate ? Perchè mai, possiamo domandarei, ha luogo nella parte bassa della montagna un com- to opposto ? Il problema esaminato in tutti i suoi più minuti Ceorantni i icozhie mai irto di Ret quanti, in ispecie perso i PROF. LUIGI BUSCALIONI ‘hotevole del mantello di neve, anche se poco spesso, verificantesi in bassa montagna è in istrettissima relazione col fatto che ivi la neve. cade nel periodo più freddo dell’anno, durante il quale l’insolazione è nelle basse quote assai spesso attenuata, Questa è la vera causa del rapporto antitetico : durata lunga e spessore moderato della neve. Ben diversamente vanno le cose in alta montagna, dove la neve sì forma anche nei mesi di primavera inoltrata, d’ autunno presto, e persino d’estate, vale a dire nel periodo caldo dell’anno. Quivi per ra- {gioni ben note, il mantello di neve, pur variando di spessore da zona a zona, tende a farsi imponente, ma la sua solubilità non è più pro- porzionale allo spessore, bensi alquanto maggiore (in termini relativi). La radiazione solare in alta montagna nel semestre estivo spiega, in- " fatti, sulla co'tre di neve ivi campeggiante un’ azione dissolvente cer- tamente maggiore di quella che essa può spiegare, in quello invernale, nello strato di neve della bassa montagna, o della collina. Per questa | Fagione si riesce del pari a comprendere come i valori indicanti la solubilità della neve presentino assai minori oscillazioni in alta mon- tagna che nelle quote basse. 3 È ovvio che le grafiche III e IV non presentino alcun Fappostà 29 colle sovrastanti grafiche I-II. Viceversa abbastanza chiarita riesce, esposti, l'analogia tra la grafica III e quella V. I singolari fenomeni, d'ordine metereologico e climatico, v.nuti in uce devono avere una ripercussione sullo sviluppo e sulla fisonomia della vegetazione in montagna. E indubbiamente lo hanno. : Già è noto, infatti, da tempo che sui deelivi montagnardi, in spe. — tie delle regioni tropicali, piovose, la vegetazione, nelle zone di alta nebulosità e di frequenti precipitazioni, rivela un carattere più o meno igrofito, che va perduto in quelle superiori, dove l’insolazione si fa in- tensa e quasi continua (osservazioni fatte a Giava ed altrove). Nel mio Viaggio dall’Asmara a Massaua ho potuto constatare che lungo l’ alti- a Piano sì attraversano zone di differente costituzione rispetto alla vege- tazione, in rapporto appanto alle differenti condizioni metereologiche e climatiche. Poco al di sotto dell’Asmara (altipiano), il cui cielo è bano bastanza limpido, incontransi frequentemente (almeno nell’epoca in cui effettuai il mio viaggio) una zona soggetta a nebbie, nell’ rontai I Sarai il termometro scendé alquanto per risalire allorchè si è pe- ECO. ITAZIONI ÎN MONTAGNA RO © E El (©) lasentei ei Vv fu o a cd ;% [i bo (>) dn (©) mn > z («b) g (Si b © e s 5 S ° N ® 5 E 5 3 @ er v sr E (=i Gen io ho ti dati che isulta da come rIisu di più avvolta da nebbie, i seguen i viaggio (27 vati, assieme all’ ing. G. Pastore mio compagno d 1916). . nalo ‘enesseT{ -BIVUSY VS908 -OIZBAI9SSO OT 888 OC‘ELEI IL9I 7906 VPOEG "PI "PI O]UAA Ip ewi]e? :0312d09 0919] OQuoA Ip ugo :Iquu »18801d VpruI vIqqou 8ISSord 0 erqqou ‘e[oqop oquaa a gIqqou 0710} OQuoA 0 BIQqou 611] tIiqqou RITERCE 064%9 GaTTI 0941. * pgfados To Yo dPIO, mp ste) OM VqoIVq VIVUISY, Map cuvdnp top snotio 2U0?2DALISSO 1193901 UT ese ]nS _UZZ0VW 01919 op Tuorzipuog ‘OMOLBq QUOISSOI]| YIITYOOT PROF, LUIGI BUSCALIONIO Orale tre regioni si presentano floristicamente, differenti, inquantochè lla zona delle nebbie gli alberi e gli arbusti (in specie l’Olea chry- phy!!a), mostransi carichi di epifite (Usnea ete.) di cui sono privi in quella sottostante e in parte anche nella sovrastante. Lo stesso fe- mnomeno ho osservato passando dall’ altipiano elevato e fresco dell’ Abis-. sinia ai valloni incassati del Nilo azzurro. Nel prim> si hanno terri- rì caratterizzati da associazioni forestali cireoseritte (Kousso, Junipe- rus ete ) i cui elementi, nei siti di umidità maggiore, si mostrano ri- perti del tutto dalle sovra citate epifite, tanto da ricordare, in mi- niatura, quanto mi fu dato osservare nelle grandi foreste udiche del Parà (Vedi Tav. IV fig. 7). Nei vallori aridi, caldi e soleggiati del Nilo azzurro si ha invece. una vegetazione di boscaglia le cui essenze, sia arbustiformi che ar- boree, presentavano all’epoca del mio viaggio, una fisonomia invernale perchè in gran parte sprovviste di foglie. . E vero che i valloni del Nilo sono un pò meno elevati delle re- gioni dove ebbi a riscontrare la vegetazione letteralmente coperta da epifite, ma questo non infirma le osservazioni, perchè in talune conche | elevate, prossime al vulcano spento Zucuala, dove le pioggie e le nebbie sono poco abbondanti (almeno in certe stagioni), la vegetazione è pure î spoglia di epifite e poi costituita in gran parte di essenze spinose (Aca- cie mirmecofile) (Vedi Tav. IV fig. 8). Il Fiori, nel suo utilissimo ed interessante studio dal titolo « Boschi € piante legnose in Eritrea-Firenze 1902 » ci dà pure preziosi rag- guagli al riguardo, facendo osservare che nelle regioni più aride del- PEritrea la vegetazione è costituita da essenze caducifoglie (ressifille), mentre in quelle meno aride conta molte essenze a foglie persistenti. Egli ne conchiude che il sempreverdismo non è l’espressione di un to xerofitismo, o per lo meno indica un xerofitismo meno accentuato. rispetto al tipo filloressico. Per avvalorare meglio il suo asserto egli riporta una tabella in cui sono numerate le piante a foglie caduche e quelle a foglie persistenti, a partire dal basso piano dell’ Eritrea fron- *ggiante il Mar Rosso, per venir su, mano mano, alle regioni elevate del Voina Degà. Alla tabella relativa, qui sotto riportata, io ho ag- unto, per maggior chiarezza, il numero delle essenze a foglie. caduche | ispetto a 100 specie a foglie persistenti per le singole regioni: | LE PRECIPITAZIONI IN MONTAGNA ROO. Alberi | ed arbusti/ j . 1 B:sso piano | ESE Quolla za e Quolla e Voina Degà | a foglie | persistenti 20 93 | a foglie caduche | Numero del- $ | Dalla tabella risulta, a grandi tratti, evidente il rapporto tra il mpreverdismo e l’ umidità da un lato, tra il tipo ceducifoglio e la. Il concetto del Fiori è giusto, quando venga applicata convenien- oa come ha ind l’esimio botanico per l’ Eritrea. Non va peri PROF. LUIGI BUSCALIONI cessivo e via dicendo, di cui qui non ci occupiamo) sia un carattere di xerofilia, ma legato in particolar modo al ritmo nelle precipitazioni. Ei La dove queste si fanno irregolarissime, saltuarie e ridotte essa è van- \taggiosamente sostituita dalla persistenza del filloma che però si mo-. difica spesso profondamente, e forse con maggior frequenza che nei siti. di precipitazioni ritmiche. È È noto che il fattore termico, in montagna, si comporta spesso in . modo anomalo, il che dà luogo anche a comportamento anomalo nella ] ‘vegetazione locale. Fra le anomalie termiche più interessanti vanno ; ficordate quelle relative all’ inversione di temperatura verificantesi in | bassa montagna rispetto alla sottostante pianura e grazie alla quali ; | vediamo ad es. comparire elementi mediterranei nella zona prealpina . del Piemonte, della Lombardia, della Svizzera e via dicendo, sebbene a più di un fattore debbasi imputare questo comportamento floristi- co (1). Ora in modo non molto dissimile si comportano /ocalmente, la nebulosità e lo stato igrometrico, per cui abbiamo delle regioni diver- samente umide interposte fra altre più secche, ciò che provoca delle curiose inversioni locali nelle zone di vegetazione e l’avvicendarsi delle | forme xerofite con altre igrofite, su tratti estesi e differenti per altitu- dini. sa In conclusione, i fatti esposti mettono sotto una nuova luce ii fe. nomeno della distribuzione della radiazione e della nebulosità da un lato, del comportamento delle precipitazioni dall’ altro lungo i declivi montagnosi. Il fenomeno più interessante che si è manifestato nelle mie. ricerche 6 quello del notevole abbassamento nella differenza di tempo di dissoluzione delle nevi in alta montagna, quando si confrontino fra loro i versanti esposti a S. con quelli rivolti a N. Tornerebbe utile analizzare se il fenomeno, dovuto, forse, come si è detto, alla nebulosità, abbia il suo contracolpo sulla ripresa della vegeta- | zione locale, nel senso che la dove le differenze nell'epoca della fusione delle nevi si attenuano, si attenuino pure le differenze di tempo nello inizio della vegetazione lungo i declivi S. rispetto a quelli N. della di: (1) V. Buscalioni e Muscatello « Endemismi ed esodemismi nella Flora ita LE PRECIPITAZIONI IN MONTAGNA ECO. montagna. Noteremo al riguardo che specialmente in alta montagna molte piante le quali hanno, a tempo debito, imagazzinato i materiali ‘nutritivi non aspettano che la tusione della neve per sbocciare e fio- rire e talora sono già più o meno evolute (Soldanella) quando ancora sono coperte di neve. È a queste che noi dobbiamo rivolgere in par- ticolar modo la ‘nostra attenzione, non essendo improbabile che molte di esse crescano e fioriscano in epoche differenti, a seconda dell’espo- sizione, solo in alta montagna, o viceversa in zone più o meno basse, con minore differenze orarie invece là dove dominano le nebbie pri- maverili- estive (1). | Giunto ora al termine del lavoro mi è caro esternare le mie vi- vissime azioni di grazie all'ottimo amico ed illustre Ccllega il Profes- sore L. Palazzo direttore dell'Ufficio centrale di Meteorologia in Roma, i quale mi fu largo di consigli e di aiuti. Catania 25 Gennaio 1918. Pror. Luigi BUSCALIONI I fatti da me asscdati no1 hanno tuttavia un valore assoluto poichè — I te si potrebbero applicare le conclusioni nel caso in cui il sistema gnardo 0 fronteggi i ‘venti umidi con il versante Sad, quelli seechi coll’op- o Nipercrna. espongi alle correnti aeree umidi le pendici nord, quelle me- i ai cen poveri ci vapor ssgusO:: In questi casi il comportamento dei verso Pia legge ha pes: Jeeg so delle © Tav. I Malpighia - Anno XXIX - Vol. XXIX (IDA RESP RITA pa CETREPTIE (I ART po c De az - Tnt e: SARA VIT VERO LEA AA PE I RANAN DOS ‘ LAP, ren ® oa È 4 Le N va) Ve Dili ii db Lr pax Pep rQ7CQ PRI O Ds: Pi ue ti) 4 ee ustibbit Soi » , SRI ARTT @ “Si PRX LCFLIBR ISP PAR LEG M Fig. 1 È. { ; ” nt ib ca 3 Ya ces -- Fig. 4 À x ) GA, CISL ig Pa Ù, Fig. 5 va { \je6d ray 9® TIT IT dios biiade YI 8e, % &. pà, A) Li & SY preda a a 29 : { è Av “ SNA Fig. 11 d/ Vi si j ; di _, Pi i î x An n ra va À È P gggse * PUB; da et, pis Se 4 SETTI i de Pre Td Po O a cl” mat \ = } la Lia } rt \ OR O = LA de go he di e 2 e E; DETE in Pe e ce he a $ ; a BE 4 GETS XT |A LA ASINI) af ) DA A ra a A a FÀ Le Fig. 9 Fig. 8 Fig. 7 Tav. II PRX * LCF Fig. 16 LCP fa © | [Ten] ear è Gio (ca bd et RA DEE, @- er € dee n M La] Ce) du ETA SS Co * vo SAR, La i Pan dd 4 4; 4 CVA DI TA ME ON \w gi Wa, al Pa VS Br Cern AO > SIN ERI » . * A Ni auf: dee n ta (e (ca) 5 = 2 a = = > no Eo ep Gi Lu Sì cem E Eu bu x Seca t> O vl > si I fi bd LA E ” 2 KA bel 6) ve D © Sa Q OH CN Z - TH < S sb ' Gu mu Pci Fa SD DE e e NA Cc : ui (ae G e_S deli CI Pa i) tI ati, als oala CA ghi Tav. III ig trici cn < ADIO PERE VOL AXIO ghia Ì Malp Ala è RR x Vi CS PIA sv De cd sed N14 73 S RE AVIRA : ROL e î da Cei, 4 * ERA (eee TR sa \ an Ki COS È Lt, 33 OSS ua (ai Fig. 28 Fig. 29 GN duo XHd DOI HIT ANH e \ i \ i hi i i P. 16% sa it sr i see Mati taz ea ue c, 1A — » Pa Se Sy A apra Ni dee” a "ui "®% uo « dt, ; » "e SITI AIAZCIOA e EA [ta Pucri 4 sai pet / » av RS * xt dre boe Tse fe [o] è yi gd e ap: e pa “a a BIEL » + te. PA di sata (I Fig. 26 ° di >) ; ) he | Ît CS OT. VEN®' 3 L dd a CR dts IAS 0) 23 i) Ci £ è ta i (PERE fa io: Vea SINTI LAVO Li * LI Fig. h AI ci Sono” Fig. 21 QISSSINA | p°, -$ 4 ca “i Pit "a Ti Prati RO Da e, RTTAITORO r Meg 3a, PASTE) #, Yi A LI, PIRATA e E A isa. pesi LIB Li X RAGM Fig. 30 ig. 27 Fig. 24 Malpighia - Anno XXIX - Vol. XXIX Tav. IV Fig. 7 Una forra umida dell’altipiano dell’ A nella boscaglia. smara. Esuberante sviluppo di Usnea Fig. 8 Formazione xerofita al Acacie mirmecofile in vicinanza del Zucuala, la cui sommità emerge confusamente nel centro della fotografia. BASSEGNA MENSILE DI BOTANICA DIRETTA, DAL DOTT. L. BUSCALIONI SI OrD.: DI BOTANICA NELLA R. UNIVERSITÀ DI CATANIA — Studiv monogrefico sulle Specie americane del Gen. “Saurauia , Wild. (continuazione) Ramis petiolis pedunculisque nate foliis obovato oblongis utriu- sque attenuatis serratis, praeter costam et partim venas setosas glabris, subtus pallidioribus, axillis nudis, serraturis incurviseta decidua termi» | natis, pedunculis axillaribus solitariis, supra medium bibracteatis, co- “ rymboso multifloris; calycibus glabriuseulis petalis cuneato obovatis duplo brevioribus. Folia semipedalia 13 lin. in parte latiore lata. Af- finis S. barbigera Hook (Icon. T. 331) quae eodem est ac S. setosa Mart. et Gal. (in Schedula) sed folia angustiora, inter venas glaberrima reticulata in axillis imberbia. Corymbus in specimine meo unicus, in axilla superiore hortus an semper? Mexico S. Pedro Nolasco Talea et Caet. Jurgensens N. 898. .. Esemplari studiati. Es. N. 898 di C. Jurgensens stati raccolti al Messico (Sierra S. Pedro di Nolasco, Talea et.) nell’ anno 1843-44. Erb. di. Lipsia, Gi- evra e Kew. Caule vuguloso striato, gialliccio-chiaro, glabro 0 subglabro, co- sparso di minute verruche visibili alla lente e di piccole cicatrici fo- gliari semilunari, con cerchio bianchiecio al centro. Gemme non molto grandi, finamente setulose. Apici dei rami coperti di tubercoli e di setule brune ferruginee, sottili, lunghe 1-2 mm. Picciuolo sottilissimo, lungo 15-20 mm. bruno, ma coperto da setule ferruginee appressate, dilatate leggermente alla base, non molto . abbondanti e di varia dimensione (1-2 mm). | Lembo coria e0 0 subcoriaceo, stretto, lungo, lanceolato, co l'apice acuto 0 terminato in breve punta, colla base acuta o leggermente ar- rotondata, spesso irregolare, col margine integro, mucronulato denti- ; | colato, serrulato od anche oscuramente crenulato, con crenature piane È assai lunghe. Accidentalità del lembo sormontate da sete curve caduche. — _ Pagina superiore liscia o un po scabra, bruno rossiceia, disse- : minata sulla costa di rare e brevi setule (miste a mucroni) appressate, talora appena visibili alla lente, tal’ altra ben distinte ad occhio. Sul ; parenchima e sui nervi maggiori le setule e î mucroni si fanno ra- rissimi. Talvolta il parenchima si mostra del tutto g/abro e in geo. “da n opta si estende anche ai nervi ed alla costa. So FS i È E E, 3 i « E ! = STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Pagina inferiore collo stesso rivestimento di setule e mucroni sulla | costa e sui nervi maggiori (setule lunghe 1 mm.) del resto glabra e gialliccia. Nervature secondarie circa 12-14 distanziate fra loro, oblique, Pa eurve, subdicotome ed in parte fra loro anastomotiche alla periferia del lembo, più o meno sporgenti alla pagina inferiore, pochissimo distinte invece alla superiore. Nervi di 3° ordine fini, fra loro distanziati, a decorso un po irregolare, abbastanza distinti da quelli di 4° ordine, | pur formando con questi un fitto reticolo. — —Lembo lungo 11-15 cm. largo 2-3,5 cm. Infiorescenza più breve della foglia, lunga 7 cm. larga 3 cm., pauciflora, bruna vestita di setule finissime appressate, corte, poco ab- bondanti. Pedunculi lunghi 4-5 em. rossicci. Rami brevi (1-2 em.) a lor volta ramosi. Brattee lineari o triangolari, lunghe 4-5 mm. fine, spesso caduche, situate alla biforcazione dei rami, oppure anche sul peduncolo, in più o meno grande vicinannza della biforcazione principale. Fiori brevemente pedicellati, non molto grandi. Calice. per lo , glabro, ad eccezione del margine che è cigliato, ma talora por- tante qualche brevissima setula tozza, visibile quasi solo alla lente, inserita sulla parte scoperta, nel boccio, dei sepali esterni. Sepali lunghi 3-4 em. in numero variabile da 4 a 5, ovali ottusi od acuti. | Corolla a petali ottusi, lunghi it doppio del calice. Stami pochi, | barbati alla base ma con scarsi peli rossicci: antere poricide relativa- mente lunghe, inserite quasi a mezzo dorso sul filamento. Ovario dini 2 sormontato da 3 (?) stili corti. 3 AD lepivearna Schlecht. var. Smithiana Busc. Tav. XXI. Esemplari studiati. Es, N. 1445 degli Erbari di Parigi, Kew, Berlino, Washington Unit. St. Nat. Mus.), Monaco, provenienti dal Guatemala (Es. Plant Guatem. quas edid. I. D. Sm.) stati raccolti a Panzamali (Dept. Al Fer: Paz) a circa 3000. p. dal Turkheim. (Agosto 1888) e dal D. Smith, terminati nel cartellino, sotto il nome di S. pedunculata Hook. Fusto caro, cenerogno i coll’ apice bruno coperto, al pari delle Î giovani, da mucroni giallicci dì varia dimensione, pulvera i affinità < colla sete: a a base. dilatata è | evidente, PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Cicatrici fogliari ovali, piccole, un po’ rilevate nel mezzo. Picciuolo lungo 2,5-3 cm. con qualche cuscinetto pulverulento. Lembo coriaceo o subcoriaceo, lungo 8-14 cm. largo 3 6 em., perciò a più lungo che largo, lanceolato ovalare o lanceolato obovato, di rado obovale od ovale, bruscamente appuntito, 0 viceversa molto ottuso anteriormente, disimmetrico e un po’ decorrente alla base che é acuta o per lo meno ristretta. Margine del lembo denticolato dal © mezzo in su, integro 0 subintegro alla base. i ; Pagina superiore rossiccia, non molto liscia, con qualche mucro- ne, visibile solo alla lente, sulle nervature, del resto glabra e gra-. nulosa. Pagina inferiore più chiara, di aspetto punteggiato (alla lente) glabra, fatta eccezione per qualche mucrone pulverulento gialticnn, sui nervi maggiori. Ascelle dei nervi secondari non barbate. i Nervature secondarie circa 8-12 oblique, molto curve, sottili, di- stinte solo alla pagine inferiore, molto distanziate le une dalle altre. Nervi di 3° ordine formanti un reticolo con quelli di 4° ordine. Infiorescenza di poco più breve della foglia, ramosa, ampia (3- em.) Peduncolo lungo e sottile; rami bruni, patenti od obliqui, a dor. volta ramosi. Il peduncolo è glabro alla base, parcamente mucronu- lato all apice; i rami più abbondantemente cosparsi di mucroni bian- co-giallicci ed inoltre portanti dei peli stellati; le due sorta di sco comi distinte bene solo alla lente. Brattee minutissime (1-2 mm.) spesso spostate. Pedicelli brevi tubercolati pulverulenti. el Fiori piccoli (1 cm. di diametro). Calice subglabro. o glabro eccezione tuttavia dei margini che sono cigliolati un po’ diffi mente, con peli stellati (2). Sepali lunghi 3-4 mm. ovali. Petali un po’ più grandi del calice, talora ridotti a 4. £ circa 20, corti, barbati alla ine ad antere po miglio. x Orario con. 1a, Correa sani; n aîano l'oporto fra i colle delle forme. Verani nii, non ondari: STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. ‘Caratteri differenziali n S. leucocarva Schlecht. var. stenophylla Busc. S. leucocarpa Schlecht. hyll Caratteri comuni Apice del fusto co- ascelle barbate. . Pieciuolo subglabro, o co "Pagina inferiore as la. foglia edicelli ‘palestra: no Giovani foglie colle Sete dell’apice dei irami lunghe e sottili, Pieciuolo setuloso, o subglabro embo stretto, lan- ceolato obovat Margine Lia ere nulatò. Ascelle dei nervi barbate (raro !). Pagina inferiore sen- pre c) iisiabiati ap- Infiorescenza setulo pulverulenti all’ inter no presso l'orlo che è ti (peli stellati). Calice cigliato al. ‘gine, del resto gla. ‘cigliato, e con qualche tubercolo (non sempre; ra) all’ esterno. Fusto glabro, rugoso, rossiccio. Picciuolo discreto, bru no, Lembo rossiccio s0- pra, cartaceo subcoriaceo.| Base acuta o subottusa, ecorrente. Apice fogliare acuto. Margine serrulato serrato. Pagina superiore ed in-| eriore parcamente setu- loso-mutronate sui nervi, del resto glabre. Ascelle dei nervi berbi. Nervi secondari 9-15. Nervi di 3° ordine in reticolo con quelli di 4°.| Infiorescenza subegua-! le alla foglia o più bre im- ute. EA Pedicelli asia Fiori] èipiù o meno gran | Corolle più ali deij sepali. li di diffe! Ovario con sti rente forma e grandezza]. PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Caratteri differenziali S. leucocarpa Schlecht. S. leucocarpa Schlecht. var. anisopoda Buse. Caratteri comuni tate. Picciuolo con qual- che pulvinulo mbo piuttosto obo sccie, cigliato al mar ne. Sepali 4-5. «| Caule glabro, coper- {to all'apice di minute setule pulvirulenti, di- la Pagina superiore con; sa Ì Caule sparso di tu- bercoli o di sete lun- ghe. Apice coperto di unghe sete barbate al la base e dilatat sete. Lembo fogliare piu) tosto lanceolato. Sete della pagina su- periore ed inferiore| Infiorescenza setaulo for ovunque. Calice setuloso al- l'esterno, cigliato al margine. Sepali 5. e. Pieciuolo con sole n Caule rossiccio ari aperti foglie più o) o oscuramente bar-| | halo alle ascelle dei ner-f vi, setulose altrove. u Picciuolo setuloso bru-f em l pra, iù sotto .f subeoriaceo o sottile, acutof. agli estremi o con punta] o manifesta, più meno Margine serrulato serrato. Infiorescenza più brevef della foglia, parvifiora. Bra minute lineari.| Pedicelli ed Fiori di-| screti. gi Corolla più grande del| | Ovario con stili di callce (RE ria forma. rossiccio sO-f STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Caratteri differenziali 'S. pagine Schlecht. r. Willdemanii |S. leueocarpa Schlecht. Caratteri comuni | Fusto rossiccio bru- Fusto gialliccio pul- no, glabro. Cicatrici fo- verulento. Cicatrici fo- glie ombellicate,trian- Vaso con centro chia- ferro di cavallo. Fe superiore del- eine le pagine a foglia con sli prive dei rialzi, rispet- ner- tivamente egli incavi vagina inferiore. En ‘lati più setulos rambe le pagine sub-| nuo elle dei pei bre, o con pochi mu- bat e sui! Setule della pagina; ri, senza barbatura|inferiore un po pulve | ascelle dei nerviyrulente. Fusto reticolato n ice del da setule a pon barbate si 09 e ivi un po dilat Pieciuolo Fagin qual. SA seta e qualche pul- inulo. agili lanceolato ova- lare, acuto agli m gialliccio sotto. LISA serrato serrula- ,0 doppiamente serrato. I nervi di 3° AR gliato gine | Ovario a stili eti.. . Sig alte ale "er secondari circa disc : Corolla più Si cai rulenta setosa sul pe del Calice. duncolo e «sui rami. scabre. Fiori mr a si PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Caratteri differenziali leucocarpa Schlecht. S. leucocarpa Schlecht. var. angustifolia Buse. Caratteri comuni enti. Pieciuolo parca- Mente setuloso, qualche pulvinulo in arsa, sui nervi, di mi- uti rialzi corrispon - nti ad incavi della rattee non une lla sede no ce pebro sulle faccie. con|ceolato, per lo più sub- Fusto gialliccio chia- ro, Apice del fusto tu- bercolato setuloso. Picciuolo setuloso tu- ibercolato. Lembo stretto lan- coriaceo, denticolato rior GS: itubercolate, col parenchi- incavi sulle ner- ture Brattee spostatedalla sede normale e inserite iminute e rare setule sulla faccia esterna. Ì (non sempre!) sul pe- de, cigliato al ‘margine,|. Fusto glabro ruguloso.! | 4 Pieciuolo discreto. Lembo acuto agli estre- mi, o terminato in punta, Pagina superiore ed infe- e parcamente setuloso-| ma glabro o subglabro. Nervi secondari 12-20| | gr rvi di 3° ordine uniti! in reticolo con quelli di Base minute, Calice non molto gran: del resto glabro 7 agg più grande dell livio a stili corti el in numero variabile. 2880 STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC, . Per quanto concerne i rapporti colla var. smithiana troviamo dalle differenze assai più notevoli. Infatti: Caratteri differenziali Caratteri comuni Ss. leucocarpa Schlecht.|S- leucocarpa Sehlecht. var. smithiana Busc. Piccinolo con Te Pieciuolo sparso dij Apice del fusto bruno, inetto pulvinuli. Lembo pre- coperto. di pulvinuli e stretto (lanceolato obo-| Lembo PRRAR A a- vato). cu MARginS. isa I o subinte Pagina infei riore Quali |camente mucronulatalsa di pulvinuli mu- setulosa. cronati, | Infiorescenza col pe-{ Infiorescenza a pe-/ticolo con i nervi di 4 , duneolo subglabro ed i i pi ine | Infiorescenza più breve sui rami, di peli ce della foglia, pauciflora. silappati, o a e i-|latf. Brattee ; ati al margine. Fiori piccoli cigliati! Peli stellati sui bra Messico |al margine, ma diffusa celli. mente, con peli stel- 7 Stili brevi. lati. | Ì Guatemala a) Affinità della forma genuina: x Altrove abbiamo già accennato alle affinità colla S. pedunculata Hook, colla S. pseudopringlei, colla S. intermedia, colla 8. barbigera, a S. pauciserrata ed altre forme similari e Coast non ritorniamo Sopra a questo argomento. La S. floccifera Tr. e PI. differisce pei seguenti caratteri: l'apice dal fusto è è più abbondantemente pulverulento: le foglie giovani por- a e dei minuti pulvinuli e non presentano le ascelle dei nervi barbati;. : lembo delle foglie adulte, piuttosto grande, è cosparso di pulvinul bianchieci sia sopra che sotto, anzichè di sete e di mueroni e la stessa stituzione. differenziale. presenta pure Da picciuolo: i nervi secondari molto di numerosi; ss infiorescenza è Lug o] Lee mi- PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO nuti cuscinetti cenerognoli: i calici si presentano pulverulenti dentro e fuori; infine la specie abita una ragione assai discosta dal Messico. Le affinità sono pertanto troppo scarse perchè meritino di esser ricordate. Nella ,S. aequatoriensis Sprague, riscontriamo i seguenti caratteri differenziali: le foglie, a metà sviluppo, sono poco o punto tubercolate setulose, all'opposto presentano dei peli stellati alla pagina inferiore sulla quale non vi ha traccia di barbature in corrispondenza delle ascelle dei nervi: il margine delle foglie è un po revoluto mueromu- lato serrulato, mai grossolanamente serrato; le due pagine del lembo | sono quasi glabre edi pochi peli che presentano sono ridotti a mucroni, o sì mostrano stellati; l’infiorescenza è più lunga della foglia o sube- guale a questa, subglabra, con pedicelli robusti; i calici un po tuber- colati setulosi sulla faccia esterna; gli stami numerosi; la patria infine è diversa. Nella varietà glabrata la S. aequatoriensis rassomiglia assai più alla nostra poichè ha un calice glabro coll’apice però rivestito di scarsi tubercoli dilatati alla base (mancano ivi però i cuscinetti pulverulenti); le foglie giovani setose (non però barbate all’ascella dei nervi); il pic- | ciuolo delle foglie adulte discreto, con qualche muerone o setula (senza | pulvinuli !): il lembo breve, terminato in punta (ma quasi sempre co- | riaceo, a base ottusa, con bordi serrati rivoltati): i nervi poco nume. rosi: la pagina superiore glabra, l inferiore provvista di qualche mu- erone e setula: l’ infiorescenza più breve della foglia pauciflora, con ‘brattee minute. Ma, a prescindere dalle differenze sopra accennate nelle. parentesi troviamo che i caratteri differenziali principali si hanno nei ca- lici del tutto glabri, nei fiori subsessili, nell’infiorescenza po: glabra e nella differente patria. Pressochè per gli stessi caratteri differisce la forma gibbosa della; S. aequatoriensis la quale poi presenta dei tubercoli stellati alla pa- gina inferiore. Nella forma longepetiolata della stessa a questi carat- | teri differenziali si aggiunge il pieciuolo molto. lungo. A . Poche sono pure le affinità colla S. parviflora Tr. e PI della fra! vincia di Coco e Cauca (America meridionale !). In questa specie infatti il Usto presenta appena qualche pulvinulo; il lembo è molto grande sub- Mriaceo, denticolato dentato ed inoltre su entrambe le faccie soltanto. - di minutissimi Lar e di Lupia mucrone ra visi- o STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. ‘ bile alla lente, senza contare poi chei pulvinuli constano di peli stellati; le foglie giovani non hanno le ascelle barbate: l’infiorescenza è subglabra, | grande e colle brattee minutissime: i fiori sono molto piecoli e brevemente | pedicellati. | La $S. Briqueti Busc. ha il caule coperto, all’ apice, con minuti mueroni e pulvinuli, il picciuolo breve, pareamente tubereulato setuloso, il lembo serrato obovato lanceolato, a base acuta e ad apice terminato in punta, i nervi secondari scarsi in numero, l’infiorescenza breve dalle brattee minute e dai rami disseminati di pochi pulvinuli, infine i fiori piccoli. Di fronte a questi caratteri di affinità essa offre le seguenti ca. ratteristiche differenziali: il lembo è piccolo, coriaceo ruvido da ambo i lati e molto meno ricco di setule e tubercoli, l’ infiorescenza presso che glabra sul peduncolo, disseminata di rari pulvinuli sui rami. La specie infine cresce al Perù. .. Non è il caso di addivenire a confronti colla S. Rusbyi della Bo- ivia avendo questa fusto, picciuolo e lembo più decisamente setulosi, mentre poi alla pagina inferiore dell’ ultimo porta delle placche tormen- (sempre ?), Aggiungasi ancora che l’infiorescenza è più pulveru- lenta setulosa furfuracea e con brattee più lunghe ed infine porta dei ‘i più grandi, purverulenti sul calice. alta affine alla nostra è invece la var. g/adrata la quale però dif ice pure per le sete più lunghe all’ apice del caule e sul picciuolo, ol lembo più grande, assai dilatato anteriormente, con molti nervi e più distintamente setoso, per l’infiorescenza più grande e più ricca di fiorì, osa ferruginea, pei fiori setulosi sul calice. Lo stesso dicasi per la spectabilis e per quella macrophyla. La S. Maroni differisce per esser del tutto glabra, pel picciuolo più robusto, per il lembo più ampio coriaceo denticolato, pei fiori grandi PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPTE MUSCATELLO Caratteri differenziali -S. Yasicae Loesen. S.leucocarpa Schlecht. Caratteri comuni Apice del fusto spar- di pulvinuli, o di Ile ascelle arb Apice del fusto spar- so di setule minute, commiste per lo più Ì. Foglie giovani mi- nutamente setulose, col dei arbate. Pieciuolo breve, dis- i-|lseminato di sete e pul vinuli. Lembo fogliare lan- iceolato obovato, sottile o subcoriaceo, più o meno serrato, a punta nga. Pagina superiore ed |inferiore parcamente ‘disseminate, suì nervi, mue mi -[alle ascelle, almeno nel- foglie, durazito il loro svilup iui ana pauci- flora, pulverulenta. Calice glabro all’e sterno. Messico nervi ca Fusto striato, glabro. Lembo rossiccio sopra pistone sotto, non mol- v imitatamente alle nerva | ture. f Nervi di 3 ordine for-| manti reticolo con que ellif di 4° ordine. Pedicelli dere Fiori picco Calice a 4- 5 divisioni do cigliate al margine. i Stili di daga va. iabile _La S. Zahlbrukneri Buse. presenta i seguenti caratteri differen- ® o grande, acuto ai duej ; l apice del fusto è pulverulento; il picciuolo è discretamente 1g0; il lembo ottuso alla base, coriaceo, integro, o al più serrulato di. lor ab brunastro; i nervi sono più numerosi e quelli di 3° ordine. distinti da quelli di 4°: le due pagine del lembo sono glabre o so che bit ma SE e dei nervi diffusamente cai lin ‘vemente pedicellati, pulverulenti all’esterno. STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. fiorescenza più grande multiflora: infine i fiori spesso sessili, o bre- a Caratteri differenziali S. laevigata Tr. e PI. S. leucocarpa Sehlecht:. Caratteri comuni Fusto coperto, all’a- Sign inolo lungo 4 Hinibo fogliare rela- vieni grande, a to. Nervi 13-18. Pagina superiore ed eriore su glab re, ojr on rarissimi mueroni. | Infiorescenza gran-| Fiori brevemente Quindio |bordo dentato crenu-| la Fusto coperto di mi nute sete e di cusci netti pulverulenti. Lo stesso rivestimento sul- le foglie giovani che anno inoltre le ascel le dai nervi barbate. Picciuolo breve, discreto. Lembo non molto grande, a bordo serru lato, doppiamente ser- rato. (o) Nervi 9-15. Pagina superiore ed inferiore alquanto più arcatamente setuloso i.ltubercolate (non sem- ò! erò ! Infiorescenza non mente pedicellati. _ Calice rea si e sterno ed all’interno. blico Pieciuolo un po pulve rulento per cuscinetti mi sti e minute setule, o tu bercoli. Lembo rossiecio sopra, più pallido sotto, mem branaceo cartaceo, obo vato. Nervi dicotomi distan ziati: quelli di 3° ordine in reticolo con quelli di 4°. vature, corrispondenti &| Tres incavi alla pagina; ùfinfer Ì superiore ed! inferiore subglabre. Rami dell’infiorescenza pulverulenti setulosi, ma Corolla più ampia del calice. g Stami 25. Stili obsoleti. Caratteri differenziali S. smithiana Buse. S. leucocarpa Sehlecht. Caratteri comuni Picciuolo lungo. embo discretamen te grande, dal margine crenulato serrulato, spesso a base un po ottusa, lucido, talora verdiecio. Pagina superiore ed| inferiore glabre, o con mucroni e pulvinuli minuti. Nervi di terz’ordine numerosi avvicinati. Infiorescenza grande e multiflora. Fiori piccoli, a 4 se- i. America del sud. Picciuolo breve. o non molto grande, rossiccio sopra, più chiaro sotto, ser- rato. O serrato acuto alla base. Pagina superiore ed inferiore glabre, © al quanto più a rn te Fani setu lose sui nerv Nervi di 3) sigialii idistanziati. Fiori discreti o pie- 5 sepali Me coli a 4-5 ico. doppiamente] Apice dal fasto cosparso di pulvinuli e minute sete. Lo stesso rivesti- mento sulle foglie giovani. Piceiuolo con qualche cuscinetto e sparso di mi nute sete. Lembo acuto od acu minato. urine inferiore pun eggiata in incavo. quelli si Luffenessenich pulveru- Ovario con 3-5 lunghi. Nervi 10-12: quelli ail È: i in reticolo con) | La S. pseudo'eucocarpa Buse., a prescindere che è propria dell’A- i merica meridionale, differisce pel iembo stretto, pel margine serrulato. nervature di 3’ ordine ben distinte da quelle di 4° ordine, per l’ infio- rescenza multiflora ampia, a brattee lineari, ma discretamente svilup- pate, pei calici pulverulenti, o subglabri all’ esterno. Le rassomiglia si riferiscono all’ apice dei rami sparsi di pulvinuli e di tubercoli setali formi, alle foglie giovani rivestite dello stesso indumento, al picciuolo adulto breve (però non munito di pulvinuli !), al lembo evoluto non molto grande, appuntito bruscamente, acuto alla base, alle due pagine coperte minuti mucroni (più abbondanti però nella specie columbiana !) al- E infiorescenza pulverulenta furfuracea, ai pedicelli brevi el alla costi tuzione del fiore, ‘agua den inteso il calice. 4: . |stinto. | STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Caratteri differenziali S. coroicoana Buse. Caratteri comuni S. leucocarpa Busc. Apice del fusto co- perto di sete discrete! |e commiste a pulveru- lenza. | Margine del lembo [di 4° ordine poco di- | Pagina inferiore d’a- {spetto pulverulenta, alla lente, per mucroni e setule. Infiorescenza pulve- iene vu multi- — Calice minutissimo. Bolivi nervi. flora, a peduncolo sub- glabro, a rulenti. Fusto coperto, all’a- pice, da sete minute e barbate alla base, o nuti pulvinuli). miste a pulverulenza. | Lembo cuneiforme o- Margine del lembo'vale, acuto agli estremi, serrato e persino dop-, non molto grande, sub- ilpiamente serrato. ‘eoriaceo membranaceo. Reticolo dei nervi: Pagina superiore rosso- di 4° ordine fino, ma rn l’ inferiore gial- distinto. Pagina inferiore sub- glabra, o con pochi e mi- nuti tubercoli, accom pagnati da setule, sui Picciuolo breve, setu- loso pulverulento (per mi pane s'condari 9-15. Pagina superiore con qualche setula minuta sui nervi. Bratte nute. Calice raplinio al mar- gine, del resto glabro. Infiorescenza pauci- a rami pulve- Calice discreto. ssico La S. pseudoparviflora ha calici, è vero, glabri, ma differisce per ì fiori minuti, per la più abbondante setosità delle varie parti e perla | b) Affinità della var. stenophylla Buse. i Dan insisto sulle affinità colla S. pedunculata Hook, troppo poco di videnti a causa del calice pulverulento di questa, dell’ infiorescenza i i grande e di altri caratteri. La s pseudopringlei differisce dalla nostra varietà per l’ apice re pulverulento, non setuloso, pel picciuolo più lungo, pure pul. >, pel lembo sottile, verde -oscuro sopra, anzichè gialliccio ros: ‘o, molto più largo, per la pagina inferiore barbata in corrispon- delle ascelle san nervi e i svrine di osssgai pulverulenti sulla PROFF. LUIGI BUSCALIONI E ciusEPPE setulosa, ed jtioltre Satta pei i pedicelli spesso più vida È lufine pei calici subglabri acerescenti. La var. /luviatilis della pseudopringlei differisce del pari per il i caule pulverulento setuloso all’ apice, per le foglie giovani dalle ascelle | barbate e portanti dei peli stellati minuti, per il picciuolo lungo, pul-. verulento setuloso come il caule, per il Jembo molto grande, verdiccio, È dalle ascelle dei nervi barbate, disseminato sopra e sotto di pulvinuli, oltrechè di mucroni, pei nervi più numerosi, per l’infiorescenza più grande molto pulverulenta-setulosa, pei calici infine portanti talora qualche. lo stellato. Ancor meno evidente è l’ affinità colla S. Reticulata Rose. STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Caratteri differenziali Caratteri comuni S. barbigera Hook S. leucocarpa Schlecht. È var. stenophylla Busc. Lembo fogliarelungo| Lembo lungo da| Caule cenerognolo, col- da 4 a 5 cm., per lo più}7-16 em., giallo o ros-;V apice setuloso (talora verdiccio. siceio hruno superior |pulverulento setuloso nel | Ascelle dei nervi for |mente. la S. barbigera !) temente barbate. Ascelle dei nervi im: Picciuolo setuloso noni rvi secondarifberbi. molto lungo, sottile. 8-14, distanziati. Nervi secondari) Lembo lanceolato ova- Infiorescenza nonj9-18, appressati. lare obovato, sottile o sub. molto pulverulenta fer-i Infiorescenza un pol|coriaceo, era agli e-| ruginea, dal palio più pulverulenta se soi o anche terminato | {inoltre setos tulosa. n punta, fortemente ser- alice slabeo sullet Calice talora con Lul o. |faccie, cigliato al mar {qualche mucrone sulla] Pagina superiore glabra gine. faccia ice cigl: ‘atolgranulosa, con poche €| Messico |al margin minute setule sui nervi Lisio Messico principali. Pagina inferiore aziché | parcamente e minuta- , Imente setulosa muceronata.| Nervi di 3° e 4° or-| alla foglia, pauciflora. Brattee lineari brevi,| setulose Pedicelli discreti. Corolla più grande del calice Stami circa 15-30. Stili] di varia forma. + | Rispetto alla S. pauciserrata la nostra varietà differisce per Fab ce del fusto molto più abbondantemente setuloso, per le foglie gio- vani pure analogamente costituite, per il pieciuolo adulto del pari alquanto più coperto di minute sete, per il lembo fogliare di color rossiccio bruniecio,. non verdiccio, per la pagina inferiore un po più setulosa, per il mag- r numero ln nervi, Lai le roles non Iogtnsso, pei fiori più piccoli. LEOPOLDO NICOTRA & 0, -- Flora mediterranea australiore e Sahara ù Riprendendo ora, dopo un lustro, questo mio lavoro sulla st.ria della flora mediterranea, torno con maggiore convinzione ad affermare l'intimo nesso, che avvince la ricerca fitogeografica alla geologia; quindi continuo, con più alacrità, a rilevare ove la botanica debba domandare alla geologia ajuto, per assolvere il suo lavoro induttivo con essa ri- | cerca; ove invece potrà esser d’ ajuto, o di spinta, alla ricerca geolo- | gica, e nell’ un caso e nell’ altro gratificare il geologo del beneficio da lui ricevuto, protestare così sempre contro l’ inconsulta mania di pro- “muovere il progresso de'la storia naturale solo procurando un crescente sorgere di specialisti fra i cultori della stessa. E quì, prima d’ogni altro, chiamo la fitogeografia, ajutata dalla fitosistematica, a contradire direttamente il Matthews; la cui obiezione alla recente somm rsione del Sahara abbiamo respinto (1); e per aggiun- | gere prove fitogeografiche a quanto così abbiam fatto, recherò quelle ; deducibili da un saggio filugenetico sulle crocifere. 2) Tutto questo complesso di ragioni infine poggia sulla persuasione dell’ unità rilevatasi nella ftora della zona australiore mediterranea ; che le vicissitudini geografiche e biologiche, facienti ostacolo a facile Visione scientifica (immemore dei. principii razionali, onde va governata oggidi la ricerca fitografica) potranno un momento dissimulare, ma, bene interpretate, convalideranno indiscutibilmente. E la necessità ap “punto di rivolgersi quì allo studio di esse vicissitudini, e di addurre le conclusioni filogenetiche attinte dall’ esame d’una famiglia d: piante _ forse più opportuna a trattare il tema quì assunto ) spero d’ averla. sentita a sufficienza; tanto anche, da non farmi accorgere del difetto delle mie forze, e quindi da rischiare di attirarmi tutti i rimproveri, e meritano i prosuntuosi. — La persuasione di quell’ unità fitogeografica intanto sorge anche. dal fatto stesso della disgiunzione; poggia sulla contemplazione di uno stato pregresso di cose; si affaccia spontanea e forse indipendentemente cai opportunità fa scia no. $ » RC SI o LI FLORA MEDITERRANEA AUSTRALIORE E SAHARA da una teoria intorno al modo, onde gli organismi sono stati generati. Questo fatto adunque ci autorizza a tenere l’ anzianità qual carattere indiscutibile del mondo vegetale creatosi in quella zona originariamente; un'anzianità, che dati dal mioceno, se vogliamo accennare al tempo, in cui esso mostrò il suo più antico sviluppo, la continuità ed estensione d’area più ragguardevoli; e che a ragione assegna a tal flora la spic- cata tropicalità o subtropicalità ond’ era insignita. Riconoscere la sua esistenza e le determinazioni, che essa flora col tempo andò acquistando, ci fa quasi trovare nell’ errata opinione di Drude, che riguarda la fitogeografia come una disciplina mediana fra botanica e geografia (1), qualcosa di vero; quando arriviamo a vedere come tal riconoscimento ci tragga a conseguenze paleogeografiche, cooperi a convincere di falso la tesi Matthews. Riconoscerne poi l’unità è obbedire al sano principio di Unger, già ventilato; col quale collima perfettamente e necessaria - mente la legge fitogeografica, formulata da Alfonso De Candolle, della coacervazione delle forme congeneri e coordinali; e quindi vi collima la maniera, onde”coteste forme si creano. Lo sguardo di Grisebach ab- biamo visto quanto fosse incapace di fruire d’ una tal visione scien- | ziale, da comprender questo nesso di cose; quanto fosse inceppato dalla ristretta contemplazione della semplice geografia del Mediterraneo pre- | sente, e quindi menato ad una divisione volgare del dominio floristico relativo, ad una sua insufficiente delimitazione. Certamente men difficile sarebbe la partizione della flora mondiale e quella di un dominio; qualora essa legge non avesse patito gli oscu- ramenti intervenuti da cause geografiche e biologiche: la continuità, che essa esprime, è stata al contrario lesa in varie guise, e per l’azione di fattori diversi; come lesa è stata la continuità d’ un genere © d'un ‘ordine di piante per via dell’estinzione di numerosissime forme, che la restituirebbero, se risuscitate. Ma al naturalista incombe il dovere d’in- I tuirle queste continuità, di metterle in luce, di reintegrarle idealmente. Di per lui perciò una felice contingenza; se le difficoltà, naturalmente opposte all’espansione d’una forma, concorran ad attenuare quell’ oscu- Co I | (1) Stando all’ essenza d’ una disciplina, la fitogeografia è parte della bo- LHOPOLDO NICOTRA ramento, e tendano a facilitargli il compito suo. Queste difficoltà è uopo considerino meglio i naturalisti, pronti ad ammettere irradiazioni geo -. grafiche di una specie vegetale, per attingere facilmente una spiega - zione riguardante l’ abitato di essa; uopo sarebbe che considerassero, come una ricostituzione continentale spesso non è valsa a ridarei la” continuità di abitato una volta esistente, poi dismessa mercè estinzioni o irruzioni marine (1); il che è un fatto contradicente a quell’am- o | messione, i Giustissimo è includere, come parte, e più cospicua anzi, la flora africana limitr fa al Mediterraneo nell’anzidetta zona australiors; giu- stissimo escluderne quella di aleune terre europee, benchè mostranti DG reciproche attinenze floristiche, da qualche naturalista esageratamente È rilevate. 2 Lo Chodat (2), che riconobbe una flora ispanomauritanica (e che quindi dovette aver sentore dell’autonomia floristica di tale zona au- straliore, vorrebbe sostenere l’idea d’una contrapposizione tra la flora così da lui riconosciuta e la cireummediterranea. Certo, una contrappo- sizione c’è, e forte, floristicamente fra taluni punti cireummediterranei e l’Ispanomauritania; ma non è da riconoscersi solamente così limitata; è da estendersi l’un termine di essa contrapposizione alla zona austra- liore tutta quanta, e l’altro a quasi tutto quanto il resto cireummedi. terraneo. Così parmi, che la tesi del botanico svizzero acquisti tutta la sua esattezza, porgami destro a confutar meglio la tesi del Blanchard ; la quale potrà illudere alquanto (perchè una porzione di verità sembra che vi si trovi), ma occorre sia accuratamente vagliata. Non faccio, che considerarla appena, standomi ad attinenze rile - vate in Ispagna e in Francia Se mai, trattasi di modicissime comu nanze floristiche: non ò potuto contare che 40 o 50 vascolari comuni alla Spagna e alla zona gallica mediterranea fra le escluse dall’ altra. x_r_ (1) La legge di success'one dei tipi, o la parentela fra morti e vivi dello ste so continente è stata ciò che di buon’ora è toccito la mente di Darwin; e l’ordinaria continuità perfetta dell’area abitata da una specie uno dei più co-. Spicui fatti per sostenere la sua teoria da lui addotti. Si noti anche, che Unger fu uno dei suoi preeursori. E Bull. d. l. soc. bot. i sppari 1904-5). FLORA MEDITERRANEA AUSTRALIORE E SAHARA Europa; dalle quali, rimosse le non appartenenti all'Africa, si à un resto trascurabilissimo (1). A questo modo di vedere non eredo possa opporsi 3 la somiglianza paesistica, che la vegetazione poniamo della Provenza | presenterà con quella indovata equilongitudinalmente in Africa. Tal so- I miglianza presentasi infatti anche ad occhio non botanico (2); presen : tasi anche comparando paesi interrotti da una barriera alpina, lonta - ‘ nissimi fra loro, come quella rilevata dal Durieu fra la vegetazione delle Asturie e la vegetazione della Bretagna. L'unità floristica, che offri un grande sviluppo negli ultimi tempi miocenici, è ben altro: essa era prevalentemente improntata da carat- tere di steppa alofitica (come già dissesi), onde qua e là forse ancor ‘oggi se ne può incontrare qualche avanzo. L’ Herzog accennavi talora nel suo pregevole lavoro sulla flora di Sardegna (3); e d’una distribu- zione di piante non armonica con le circostanze climatiche, nè quale sarebbe stata discesa da rapporti di vicinanza mi sono accorto anch'io, percorrendo quell’isola; ed è anch'io pensato ad una certa pernianenza di formazioni originali: la stazionarietà, l’ incapacità di espandersi mo- strata da qualche specie me ne dava occasione, e spontaneamente ve- nivo alla conclusione dell’Herzog: hier so gut wie in Nordafrica und Spanien ursprunglich vorhanden war, und eher als ein Relikt aus er wirmeren Epoche aufzufassen ist, wie als eine nachtréigliche Einwanderung. La grande estensione territoriale propria di questa pa- leoflora d'aspetto tropicale o quasi ci fa oggi trovare rapporti fra terre lontane; spiega a meraviglia il fenomeno della disgiunzione, e pro- ove a scienza razionale la empirica, quella, che, impotente, dovette redere eccezione, enimma, evento da dirsi casuale, un risultato spie - (1) Resto risultante dall’Anemone palmata, dalla Nigella hispanica, dalla Malcolmia litorea, dall’Helianthemum intermedium, dalla Polygala rupestris, ll’Erodiun petraeum, dalla Trigonella polycerata, dall’Astragalus Stella, dalla Chlora imperfoliata, dal Damasonium polyspermum. (2) Il gran romanziere V. Cherbuliez descrive mirabilmente, nel suo volume ‘8 fortune faite (Paris 1896), le foreste e le macchie delle scarpate dei Mauri, done scorgere tutta la caratteristica africana, che vi si incontra, e che ni , con quella della razza etnografica, ) Ueber die Vegetationverhdltnisse Sardiniens (Bot. Iahrb. Bd. XLII). Di essa estensione ci su le Canarie pei loro loi con l Spagna e il Marocco, con l'Egitto, con l'Asia. La flora della Macaronesia ne è la più eloquente testimonianza; essendo la più grande associazione dei superstiti d’ una paleoflora me è diterranea; essendo ricchissima d’endemismi, distribuiti in guisa da tra- dirsi tipi antichissimi, abitatori d’ un continente disfattosi. I Nelum- bium d'Egitto, il gran numero di Nymphaea africane, le laurinee mio- ceniehe, il Paleopinus, i Iuniperus, le Dracaena, le Woodwardia, le Callitris confermano abbondantemente l’esistenza ampia di questa pa- leoflora; la confermano le estesissime steppe iberiche, notevolissime pel grande numero di endemiche a'ofitiche (che accennano a un remoto insieme di cose tutt'oggi in parte illeso), e riuscenti idonee a tenere quasi tutt'uno Canarie, Algeria, Andalusia, Sahara. Non àn mancato di fare impressione vivissima a floristi nostri patrie entità singolari; la cui distribuzione sarebbe inconcepibile senza il conforto d’un’idea, sia pure inadeguata, di una larghissima espansione già ricevuta, onde al pre - sente non sì riscontrano che reliquati (1). Notabil cosa però è il potersi discernere quella zona australiore; — in cui dovettero persistere i caratteri della paleoflora anzidetta, quando e le incursioni marine e il sopravvenire dell’ep.ca glaciale indussero il disfacimento e della pregressa continentalità e dell'unità floristica pre- liori, e la maggiore persistenza di continentalità dovettero in esse pro- durre la costituzione peculiare d’una flora australiore mediterranea, in. sediatasi specialmente in Ispagna e in Africa. Notabilissima cosa poi ‘che essa zona discernasi magari dove la perdita di continentalità no: sia stata così profonda. Ciò milita sempre contro l’ ammessione d’ facile propagazione di vegetali assunta così sommariamente. Ed in ve Sierra Nevada alimenta una flora diversissima da quella alimentat sulle Sierre di Gredos e di Guadarrama; una consimile differenza c È (1) Forniti dai generi Reaumuria, Zygophylum, Rhus, Retama, Zizyphu imoniastrum, Cressa, Cynomorium, Halocnemum, Halopeplis, Euro'ia, Nitra- ria, Leysera, Aizoon, Cucumis, Iuncus, Cyperus, Lygeum, Dactyloctenium | Chaetaria, Catapodium, Triplacne, Tricholaena, Castellia, in parte > già rogeare NI nas FLORA MEDITERRANEA AUSTRALIORE E SAHARA ‘fra la flora della Sicilia meridionale e quella della nordica; ed ancora per essa occorre, che si contrapponga una flora jonica alla restante dell’ Italia peninsulare. Io non è potuto far a meno di pensare a una continentalità in ad dietro più estesa, scoprendo nella Sicilia occidentale la Pulularia mi- nuta; e presso Capo dell’ Armi la Fagonia cretica. Nel corso dei tempi "una frammentazione di continente e di flora omogenea dovette aver luogo, in grazia delle irruzioni plioceniche, distruggitrici di quell’am- | pissimo territorio, che permise le scorrerie di tanti erbirori enormi; in grazia del sopravvenire d’un clima glaciale, che indusse tante emigra- zioni ed immigrazioni, tante distruzioni di organismi e tante neofor- Laddove però la continentalità sia stata meno compromessa, come è successo per la penisola iberica, dovrà aspettarsi un maggiore rispetto per la paleoflora, quindi una maggiore affinità con la flora presente dell’Africa. Infatti io è potuto constatare, che, mentre enorme è la quota di piante africane probabilissimamente paleomediterranee, sin fra le terre opee la Spagna regione più d’ogni altra notevole pel numero di cie condivise con l'Africa, se trattasi di quelle che sono esclusiva- mente iberiche fra le europee; ciò che m’indusse a vedere una ragione di più per ammettere una sommersione del Sahara, e ciò che collima con la maggior convenienza, con la quasi continuità anzi, scorgentesi fra le stazioni iberiche e le sui (1). Anche l'Africa però offre discontinuità nella sua zona RA talora anche più risentite che in Europa. Integra piuttosto è la con. nità nella flora desertica africana. Chiara la discontinuità: c’è diver- genza fra Tripolitania e Cirenaica: scarsa questa di endemismi, di genio icano; quella invece caratterizzata da decisa affinità floristica con (1) Cfr. i miei Rapporti floristici afroitaliani (Boll. Soc. bot. it. 1912). Dei fatti, che militino a provare, ancora per questo verso, la maggiore affinità su asserita, son quelli, che il Bourguignat desume da statistiche malacologiche; , che i molluschi non presentino in Algeria, che specie spagnuole; che nè nbara nè Tripolitania abbiano endemiche (La malacol. de V Algerie). Ma può rsi che trattisi d’endemicità affatto spagnuola ? Non sarebbe meglio parlare una endemicità ibercafricana ? Ml at l'Egitto, Algeria e il Marocco, e da una debole con la Tunisia, quindi da impronta subdesertica piuttosto. Nel Tell il carattere mediterraneo è più pronunciato, per via specialmente di monotipi. Sorprende poi una comparsa di flora mediterranea affatto, anche in pieno Sahara, qualora un altipiano si incontri (1). È importante quì il rilevare intanto pel fatto nostro, che la flora sahariana non sia sempre insignita da profondo endemismo. Essa monta di latitudine (in linea generale) andando da ovest ad est. Però essa resta aperta all’immigrazione di piante mediterranee; e ci viene quindi spontaneo domandare, quanto tale immigrazione sia stata pos- sibile nei tempi andati, sino a che segno si potrebbe pensare, che essa flora sia un derivato della mediterranea. Qui dunque è necessità, che il botanico si avvalga della geologia, perchè vengano interrogate le condizioni paleogeografiche spettanti all’ardua questione; e qui sarebbe desiderabile un largo conforto della filogenia, perchè venisse schiarita l'origine di cotal flora; mentre non possediamo, che solo prove condu- centici a scarsa probabilità, per ammettere una davvero larga deriva- zione di entità sahariane da mediterranee. Entrambe le vie è uopo battere, comunque aspre del pari; se qualche raggio di luce possa venirci, atta a rischiarare il complesso problema. sahariano cotanto vessato. La necessità di tentare questo doppio cammino procede dall’ es- senza stessa della fitogeografia; dacchè un doppio ordine di cognizioni la costituisce: l'ordine botanico e il geografico. Ma ll fine ora propo stoci sorpassa il giro dei fatti sperimentabili, trattandosi invece di quelli, che non possono affermarsi, se non a via di congetture, sian pure que. ste molto deboli. Sono però essi necessariamente fatti dell’istesso doppio ordine, ma primogeniti sempre: dunque o spettanti alla paleogeografia, o alla paleosistematica del regno vegetale, cioè alla sfera filogenetica. Sicchè io m'ingegnerò prima a consultare i geologi, ancora raccogliendo altri responsi loro circa il detto problema; indi recherò un saggio filo. genetico, pigliando in considerazione la famiglia delle crocifere, insì- (1) In generale puossi dire che l’ Africa mediterranea più puramante e ric- camente dotata mostri di elementi mediterranei il su» tappeto vegetale, ove oc- corrano rilievi di terreno. FLORA MEDITERRANEA AUSTRALIORE E SAHARA stendo cioè sopra un accenno già fatto (nel $ antecedente), e giovan - domi d’una geniale intuizione del sommo botanico nostrale Federico Delpino (1); che fu primo a notare quanta importanza grande questa bellissima famiglia spieghi nella storia della flora, onde qui mi sto oc- cupando. Sempre più vado convincendomi, che le difficoltà oggi insorte per l'’ammessione di una recente origine del Sahara sian principalmente di- pese dall’ammessione gratuita di unico abbassamento e di consecutivo sollevamento unico dell’aria sahariana; mentre in verità i dislivelli do- vettero essere limitati di spazio, magari contrari di segno talora i con- | temporaneamente prodottisi; contrari, e forse tanto vicini, da farne risultare un moto a basculo. Tale ammessione però è chiarita priva di validità dalle difformità del Sahara, dall'essere esso come picchiettato: ora steppico, ora cosparso di dune, qua e là geognosticamente vario. Per questo, Pomel si pronunciò abbastanza precisamente: secondo lui il Sahara non potè esser tutto colpito da sommersione in unico tempo; di tutto il bacino occidentale ne à subito di eterocroniche. Sfata per me le ipotesi facili a questo riguardo l’indole generale delle, oscillazioni accadute nell’area mediterranea nei periodi pliocenico e pleistocenico, quindi nel sahariano: Forsyth Major (2) sostiene non esservi ragione di porre, invece di esse oscillazioni, abbassamento uniforme nel mare nostro; esservi anzi prove ad escludere uniformità. Contro la quale parlano ancora le serie pleistoceniche di alternanti i depositi d’origine salmastra o lacustre segnalate nell’estremo meridio- | nale della penisola italiana; e le conelusioni generali, dedotte dal Bas- sani, mercè le sue indagini sull’ittiofanua pliocenica e pleistocenica, mi pare che condannino perentoriamente l’idea semplicistica di un conti- nuo inalzamento del fondo marino dal pliocene fin qui. Il compianto ed illustre paleontologo trovò non mista a specie mioceniche e meso- zoiche la prima ittiofauna; quasi affatto costituita da specie viventi la seconda. Quelle certamente subirono migrazioni ed estinzioni (almeno in gran parte), sopravvenendo l’eccesso di continentalità col progresso dei | (1) Eferoc. ed eteromeric. nelle angiosp. (Mem. Acad. Bol. 1894). | (2) Arch. p.VA-tr. e l’Etnol. (Vol. X, fasc. 3°). el LEOPOLDO NICOTRA tempi miocenici; se poi queste restaron prive della compagnia di pro dotti pliocenici, vuol dire, che una riduzione dei mari dovette aver luogo spirando l'epoca pliocenica; in grazia di che dovetter perire o e- migrare essi prodotti; e, per contro, attingere una fase cospicua di crea- zione l’ittiofauna, che oggi popola il nostro mare, stante le incursioni pleistoceniche distruggitriei della parte non piccola di continente me - diterraneo, cui le plioceniche avevano rispettato. E quì è l’ora, in cui si svolge il sahariano; in cui anche le specie veg-tali, per questa per- dita di terreno e per l’abbassamento di temperatura, emigrano o peri - scono; in cui dominano le alluvioni a torto invocate come escludenti ogni supposto di regime marino nel Sahara), che precedettero il domi- nio della siccità, diventato sempre maggiore col decorso del tempo, ed | esteso dall’Algeria all’Arabia ed al Mare morto. Negare l’ esistenza di regime cotale, sia nel pleistocene che nel pliocene, è affermare dunque cosa improbabilissima: affermare cioè una completa indipendenza del- l’area sahariana dalle oscillazioni compiutesi nel Meditertaneo. La frammentazione subita dal continente insediato nel Mediterraneo fin da tempi remoti dovette condurre ad una trasformazione della flora terziaria; ma più presto nella porzione occidentale essa trasformazione dovette quindi aver luogo, stante la persistenza di continentalità orien- | tale, che non fu affatto lesa prima del pleistocene. Siechè l’ Asia e | l’Africa potevano seguitare ancora a condividere con l'Europa i loro prodotti floristici (1), quando già gli arcipelaghi nel bacino mediter- raneo occidentale mostravano resti di quell’ antica flora e prodotti di | filiazione dei tanti componenti di essa. Se l’ Africa intanto» manca di varii generi ellenici, come di varii generi africani vediamo mancare. la penisola balkanica; è uopo concludere che trattisi di entità guada- gnate dopo la distruzione di quel continente orientale; quindi la paleo- geografia può, sino a certo segno alméno, ben ajutarci in una ricerca vietata alla statistica, cioè nell’assegnare la cronologia delle vicissitu- | dini floristiche, nel moderare la facile supposizione di tanti acquisti | della flora europea fattisi pel tramite africano. Essa ci aiuta a spiegare | l’esimio endemismo cretico ed anatolico, l'affinità fra Cipro e Creta, la scarsezza di Cipro rispetto a prodotti caratteristici del Mediterraneo, e (1) Ad esempio, palme, afroasiane oggi, si trovan fossili in Europa. FLORA MEDITERRANEA AUSTRALIORE E SAHARA precisamente rispetto ai guadagnatisi negli ultimi tempi (1). Insomma, è impossibile impedire al botanico di avvicinarsi al geologo, se pur non vogliasi lasciarlo digiuno di vera scienza. Mercè tale avvicinamento potei spiegarmi quelle condivisioni floristiche, che osservansi fra Africa ed Ungheria o Russia meridionale, e che riguardano entità rare, pre- ziosissime, di remota diffusione, ora disgiuntesi, un tempo estesamente sparse mercè la predetta continentalità orientale, o migrate attraverso l'Asia, per la via del distretto araboegiz ano (2). E non altrimenti credo possasi trovare ragione dell'avvento di certi elementi tropicali o sub tropicali nell'Italia australe, com’è il caso di varie graminacee, di sin- golari Cyperus. Passando ora a raccogliere dalla filogenia gli opportuni responsi alla questione, che qui c’inter.ssano, debbo fermarmi a fatto splendido della monotipia; e giusto voglio a preferenza considerarlo in quella fa miglia, ov’esso si presenta così rilevante, e sulla quale ò detto ci sia forte ragione ‘di riflettere in vista di essa questione. Però non mi è dato qui di diffondermi tanto, quanto potrebbero le crocifere darmene campo; e mi è forza per adesso limitarmi a presentare un semplice saggio delle | ricerche fattevi, a questo intento. Che in generale le piante desertiche siano derivazione dell’ antica popolazione vegetale mediterranea è consentito da autorità somme; che il principale processo poi, onde tali piante siansi originate, debba ve | dersi in una riduzione più o meno accusata è facile concedere. E tal | riduzione vuolsi scorgere tanto rispetto agli organi della pianta consi derata, quanto rispetto al numero delle specie d’ un genere; sicchè ac- canto all’accomodazione dell’ organismo secondo la stazione sua possi- bile, si vedrà sorgere la monotipia. È noto che, i monotipi sian quasi — unanimamente riguardati come residui, e la loro importanza perciò riesce doppia: sistematica cioè, “e geografica (3). 1 (1) Cfr. la nota di Tchihatcheff sul mare miocenico grecoanatolico rivelato dalla fauna di Kumi e di Pikermi, e il corrispondente testo di Grisebach (op. cit. Vol. I pagg. 509-14). (2) V. Disgiunz. flor. med. già cit. L’Egitto è tramite fra Siria e Mediter- (3) Die noch vorhanden ganz isolirt Arten miissen Reste sein. (Engler, OP. cit. I, 75). LEOPOLDO NICOTRA I monotipi, non e'è dubbio, confermano mirabilmente e l’ autono È , e Vunità ed antichità della flora mediterranea, essendovi larga - ite rappresentati; confermano parimenti la estensione, che tal domi- floreale deve a dritto sostenere ‘come sua. Basterebbe la loro ab- ondanza in Ispagna, nell'Africa nordica, nell’Oriente, per attestarla. Sono la prova palmare poi della relazione intima fra due località; , presentando il possedimento d'un monotipo istesso, dimostrano con (meglio che altrimenti) la comune origine del loro tappeto vegetale. 5 tal prova s’intensifica, se esse località presentino comunanza di più monotipi. Ove frammentazioni continentali non siano avvenute, o sian modicamente avvenute, i monotipi occupano area meno ristretta. La onotipia adunque è un accidente senza dubbio preziosissimo nella ma dell’ affinità, che corre fra due flore (1); però tale importanza antendono coloro, che dalle modalità di essa àn voluto trarre comun- que partito a negare sia stata recente la comparsa d’un deserto saha- 0. . Imprescindibile dovere di chi voglia approfondire un argomento ile a questo, il non contentarsi di principii solo apparentemente atti, quindi labili, quale sarebbe quello, che accorda sic et simplici- r una antichità al monotipo, senza precisare la maniera, onde esso sce. Ora quì siamo con una flora oriunda da un’altra, ed a quest'altra quindi dobbiamo rivolgerci per aver cont zza di essa maniera, ed ov- viare quindi alle illusioni, cui un principio mal posto potrebbe con- durre. Per non ine»rrere in questo fallo, proposimi indi di dare uno ardo alle crocifere, data l’importanza da esse spiegatasi sullo svi- ppo della flora mediterranea. Cercherò di rilevar così una via, per ll siasi costituito un genere presentantesi monotipo. Mi è necessario però, data la natura della mia ricerca, l’ esordire ! dalla prima generazione di una crocifera; e respingo senz’ altro l’ idea una provenienza da papaveracce o berberidee, abbracciata avendo ‘altra, da varii proposta, cioè quella d’ una provenienza di crocifere (1) Si sa, che nel Tell :1 carattere mediterraneo è ben pronunciato; ed il jon, allegato da Grisebach (op. cit. I, pp. 363-70, 502-6 II, pp. 138-44, 673) îssegna i monotipi, donde egli attinge indubbia testimonianza. FLORA MEDITERRANEA AUSTRALIORE E SAHARA dalle cleomee .1). Le più vetuste forme di questa famiglia debbono dunque essere le insiguite da dinamia staminale ancora incerta, e da architettura carpica prossima a follicolo, caratteri essendo questi ricor- danti le protocleomee. Nell'ambito delle capparidacee però abbiamo pre- senza di forme carpiche, dalle quali è impossibile la derivazione di una siliqua; ma è reale invece quell’involuzione convergente, che potrebbe far confondere una crocifera con una capparidea (2). Ed è bene qui tener d’occhio al principio dello seemamento d’energia, che la plastica subisce col passaggio dallo stato potenziale, creatore di forme, all’ at- tuale, cioè con le m tamorfosi successive, con la successiva esplicazione plastica. Compreso infatti tal principio, riesce chiaro, che, in un frutto ridotto, insieme all’impossibilità di iniziare un differente philum di en- tità ragguardevoli, si à la possib lità di darne insigniti da differenze. minori, e ad un tempo numerose (3). Ora un tal frutto è frequente nelle erocifere; e la loro abitazione mediterranea, così informata da esse pro- fondamente, così da esse individualizzata in certe stazioni scelte di preferenza, si renderà razionale; mentre tali fatti riescono enimmaticì ignorandosi il nesso fra forma vegetale e sua topografia, non sapendosi il perchè del facile adattamento concesso al tipo carpico, il privilegio cioè di un frutto ridotto, le vie multeplici e spesso concorrenti ad ef: fettuare una riduzione carpica insigne. Anch’esse le capparidee son dotate di frutto riduttibile, ed anch'esse sono a larga mano distribuite verso l'oriente mediterraneo; accennano a indubbia anzianità; forse trovaronsi più diffuse nella mediterranea paleoflora. Da esse procedendo le erocifere, dovettero ereditarne Pa cumbenza del caudiculo; sicchè questo carattere è primordiale fra ! costituenti il tipo eruciferale. Al quale carattere accompagnasi, e sin da principio, la forma li (1) Cfr. il mio op. Sulla simetr. fior. delle croc. (Rend. Congr. Palermo (2) Si ricordi lo scambio fra cleomee e crocifere a proposito di qualche Cleome, e del genere Dipterygium. Si ricordi l’oscura tetradinamia di Macro- podium, Stanleya, Raphanus, Heliophila. (3) Cfr. i miei opp. Sepa'i è petali (Atti acc. rel. 1899; Teor. d. fr. 1909); Stud.; s. sinant . (Sassari 1899); Sull’eter. carp. (N. G. B. I. 1910). divi e dei cotiledoni; donde l’antecedenza del gruppo, che potrebbe dirsi. delle Zeptocotyleae; ove troverebbero luogo le Heliophileae, crocifere cer- tamente primitive, rimaste come segregate in massima parte dal resto della famiglia geograficamente, occupanti l’ Africa australe quasi esclu- sivamente, contrassegnate da un parallelismo di forme rapporto ad esso resto, come fu osservato dallo stesso De Candolle, che descriveva le Heliophila come analoghe rappresentanti di Sisymbrium, di Arubis, Lunaria, di Senebiera, di Draba (1). Alle Zeptocotyleae si contrappongono le platycotyleae, come secon. dogenite; e sotto a questo titolo raccoglierebbonsi le spirolobee e le diplecolobee del De Candolle, cioè resterebbero fra loro esse congiunte; e intanto le Heliophilee ne resterebbero segregate sistematicamente, come lo sono geograficamente. Qui sento il piacere di seguire il Prantl dunque; il quale trovava nelle sisymbrieae qualcosa di originale. Per prova credo potersene allegare l'incertezza, che c’è in esse fra depres- one e compressione; donde potrebbe ottenersi l’abbrivo verso l’una o ‘ altra, — Una progenie di angustisectae rappresenterebbero dapprima le /e- pidineae; indi quelle forme, su cui notasi a preferenza il processo ri- duttivo (onde mi occuperò poco appresso), senza che si perda il mar chio fondamentale della noforizia, che parlerà a favore dell’ antichità del tipo. E non è da negarsi una importanza grande all’ angustia o meno del setto; poichè quest’alternativa è connessa con una differenza Profonda, toccante cioè la simetria carpica. Infatti il piano commissu- rale essendo anteroposteriore, col setto /ato coesiste la bibilateralità; mentre l’ angusto obliga due semivalve non compagne a formare una lle facce del frutto, e quindi importa dorsoventralità. Sicchè que- St'ultimo caso può darci frutto convessoconcavo, bicolorato, avente cioè Una diversa determinazione biologica sulle due facce. Stabilita su questi pochi caratteri spermici e carpici la classifica Bone fondamentale delle crocifere, ed avuta così contezza dei tipi di | famiglia, le suddivisioni non poggeranno che su caratteri relativa- mente lievi, non alteranti l’ architettura carpica, effetti d’ elaborazione (1) Systema II, p. 678. FLORA MEDITERRANEA AUSTRALIORE E SAHARA isterotipa, prevalentemente riduttoria; ma spesso nociva al sistemati perchè nasconde all'occhio suo il piano carpico fondamentale. Questa recisa discriminazione parmi che manchi talora nelle più classiche si. stemazioni di essa famiglia; poichè ci vedo elevata a dignità di carat- tere fondamentale uno derivato da tal neoformazione riduttoria. Ne sia | esempio la septulazione. I septuli inducono concamerazioni nel frutto, separandovi seme da seme, come si à nell’ Anastatica; ma esso genere è setto lato, ed illesa serba la deiscenza; sicchè, fuori della metamor- fosi sopravvenuta, nulla c'è, che autorizzi a porre ivi una divisione di alto ne Meno importanza è poi l’ obliterazione del setto originale: È LL non m' neanche a creare un genere; essendo essa varia di grado dentro un genere stesso, naturalissimo per altro ( Aethionema, Didesmus, Raphanus, Neslin, Peltaria), quindi più o meno spinta, diversa magari da una ad altra affinissima specie (1). Generi fondati su cotali differenze, anche volendosi rispettare, de- vono essere riguardati come creazioni relativamente giovani, come pro duzioni di mera plastica, diretta a raggiungere certi adattamenti af monici con l’ambiente; ai quali tendono spesso varii processi simulta- nei, cospiranti, che complicano l'organismo tutto magari che àn fatto. | avverare scambii incredibili nella determinazione di alcune erocifere (2). Ora è notabilissimo, che i generi, ove questo lavorio accade, siano in {gran parte i destinati a stazioni desertiche; coabitino spesso, contri buendo potentemente a dare una caratteristica al paesaggio abitato, ® lande inospitali, desolate, solitarie; si appartino dai loro congiunti di sangue, per convivere insieme a men propinqui compagni; i quali 4- mano gli stessi luoghi, sonosi contraffatti come loro, assumendo mede-. sime stimmati biologiche, passando per analoghe plastiche modificazioni, e si ritirino tutti come in romitaggio sulle rive dell’ Obi, attorno al Caspio, lungo arene marittime; qua e lA disperdendosi, e formando var rie adunanze per l’Egitto, il Turkestan, l'Algeria, il Marocco, l'Arabia, . (1) Ae. cristatum ed Ae. Buxbaumti. Talora si dà una fenestrazione (Zude- ma, Graellsia). È perciò che nou porn A fare grande assegnamento sull’ Eremo- phyton d-l Begu not. 2 | (2) Il genere Pugionum è stato giudicato di salsolacee, arrivando ad ingan: nare fitografi cella forza di Bunge e di Moquin Tandon. la Nubia; installandosi in luoghi salsi, argillosi, gessiferi; mostrando fin nella loro interna struttura quale sforzo abbian dovuto fare per eco - nomizzare l’acqua, per vincere l’ostilità ostinata di un’ arida e cocente atmosfera. Per via di svariate metamorfosi assunte da pericarpii e da semi, magari con la comparsa di eterocarpia (1), di eteromericarpia e di ete- rospermia, si ottempera all’esigenza di esaltare i poteri disseminatori, stante la difficoltà ordinaria, opposta da cotali stazioni alla dissemina- zione ed alla germinazione. Non dobbiamo intanto avvalerci di certe riechezze floristiche, di certi end-mismi, di certe monotipie; che non esiggon sempre, incondizionatamente, un lasso di tempo stragrande per compiersi; nè devono stimarsi in ogni caso autoctonie; e condurrebbero i botanici ad associare le loro ragioni a quelle dei geologi avversi al- l’idea di un mare sahariano, convinti di tale esigenza. Ed è bello, che la ricerca filogenetica reclamata quì a fare sor- gere una sistematica irreprensibile e ad iniziare rettamente l’ induzione fitogeografica, possa qualche volta esser sostenuta non da semplice rifles- | sione, da mere congetture, ma dall’osservazione pura dei fatti ontoge- nici. Nel genere Bunias, ad esempio, si ànno allo stato giovane frutti biloculari; i septuli trasversali col progresso dell'età compariscono in- tanto, formandosi i quattro locelli proprii di questo genere, e mostrando la vera importanza, secondaria cioè, isterotipicamente nata, di cotale determinazione. Allora ogni serupolo è fuori luogo: siamo in pieno po- sitivismo, Procediamo ora con ordine nella breve esposizione di quel ridut- torio luvorio, che accade nella siliqua: analizziamolo, seguiamone i passi. 3 La siliqua dirigesi già verso l’indeiscenza col cominciare a farne vedere quel primo passo, che i descrittori esprimono con la frase aegre dehiscens; anzi talora evvi una differenziazione più lieve, affatto fisio- logica, cioè un’eferocronia della deiscenza, osservata dal Borzi nella (i) Delpino mi pare non avverta l’eterocarpia dei Diptychocarpus. Essa è visibilissima, e sogue la legge da me formulata (Cfr. l’ op. cit. sull’Eteromorf- carp.); poichè A frutti di Arabis e di Chorispora. Vi s’accompagna etero- Spermia ! FLORA MEDITERRANEA AUSTRALIORE E SAHARA Matthiola incana (1). Ma già i descrittori avevano espresso questo fatto per le Malcolmia e le Hesperis con la frase: tarde dehiscentes. Il transito verso l’indeiscenza può esser collegato a quello, che mena verso l’oligospermia, e che conduce finalmente alla monospermia (Ae- thionema). E l’indeiscenza può manifestarsi soltanto all’apice del frutto, dando così luogo a un caso di eteromericarpia (Coluteocarpus). Una seconda modificazione si à, quando si costituisce una siliqu-tta. Essa può manifestarsi nello stesso genere però, e provarci così la sua secondaria importanza (Farsetia, Camelina, Nasturtium): ciò dunque | contrariamentè al grande assegnamento, che la sistematica empirica ne aveva fatto. Nè sempre i descrittori sannosi del resto decidere se trat- tisi di siliqua o di silicu’a; e per uscire d’ impaccio adoprano evasive espressioni, cercando di conciliare grossamente la rigidità del giudizio loro con la mutabilità gradatamente rivelataci dalla natura. Col progresso dei tempi, altra via si apre all’ involuzione, ed in- sieme il servizio biologico va ampliandosi: vi si riferiscono due nota - ge”: bilissimi processi: la /omentazione e la rostrazione, entrambi conducenti ad eteromericarpia, non manifestantesì în tutto un carpello, maa varia altezza di un medesimo carpello (2). | Mi è forza respingere l’ affermazione di F. Delpino intorno alla rostrazione; essendo per me il rostro, certamente organo postumo, ela- | boratosi in seno alla famiglia, che qui vado considerando; mentre il | venerato maestro lo voleva provenuto ad essa dalla famiglia sua geni | trice (3). Io perciò nol direi organo propriamente evoluto, ma piutto- sto involuto; poichè il processo genitore suo è una complicata riduzione, risultante da transito verso l’ \ligospermia, l indeiscenza, la lomenta- | zione, l’ obliterazione del tramezzo carpico originale, lo sviluppo di | pseudotramezzi isterotipici. Come sarebbemi possibile accordarmi qui | con Delpino? La lomentazione può restarsi ora :d una s mplice strozzatura; ora | spingersi fino all’ usticolazione, e terminare con la secedenza. Questo (1) Boll. d. soc. bot. it., 1908. | (@) L’ eteromericarpia può dirsi allora mericarpellare. Ne ò avvertita la di- Milia trattando della Classificazione dei frutti (Cfr. N. G. B. I. 1898). | (8) Cfe. Eteroc. et eteromeric. già cit. termine può attingersi di una maniera irregolare, e dentro lo stesso genere talora /Hesperis). Altra volta si del frutto, una dilatazione all'apice, ov’esso è colpito da sterilità (Mya E: grum). La rostrazione è un processo più complicato; implica una pia cita à solo un’attenuazione alla base indeiscenza, un’inclinazione all’aspermia, una ereazione di scomparti ‘menti isterotipici; insomma una concorrenza di fattori eteromericarpici, che bastano senza alcun dubbio a giustificare quella mia repulsa, ed ovviare qualche proposta lesiva alla riuscita di una buona sistematica delle erocifere. Oggi inoltre possiedesi una dimostrazione istologica del- l'opinione, che qui ò dovuto presentare (1). L’aspermia del rostro in. contrasi nelle Eruca; l’escavazione svariata, che esso organo subisce, che vi forma falsi locelli schizogenici, fa presumere una destinazione idrofila; il confonderlo con lo stilo è una sconvenienza grossolana; il suo proteiforme atteggiamento, rivelantesi dentro uno stesso genere, ci obliga a non fidarci di esso nella costituzione di generi nuovi. Però esso vale moltissimo, con questa sua eccessiva mobilità, a ingenerare casi di eteromericarpia; potendo questa riconoscersi, anche quando non | paia utile, stante la prodottasi aspermia, la parte carpica così elaborata. L'utilità del resto c’è talora; o può rivelarsi nell’avvenire, se pur non trattasi del residuo di un adattamento già ottenuto. Nell’un modo o nell'altro si dichiara una ragione di più a credere fermamente nella teoria della discendenza, ed a sbandire a un tempo quella misera te leologia, che non arriverà a comprendere il perchè una forma organica non sia inutile talora, assolutamente parlando; ma soltanto frustranea ad uno, G pochi esseri, che la rivestono. Essa sarà inizio, ossia primo. stadio d’accomodazione, che appresso riceverà il suo compimento, e di- mostrerà così la sua efficacia; ovvero reliquato, un ultimo stadio d’ac- ‘comodazione ora dismessa, d’utilità ora sfuggente all’oechio nostro. Ed è detto qui, che l'utilità talora ci sia: il rostro aspermo, se spec al |‘ (1) Vedasi il coscenzioso e delicato lavoro del Calestrani (N. G. B. / 1908). Esso illustrerà il problema embriogenico, non bastando certo il solo nicroscopio ;® risolverlo, non cogliendo questo che singoli momanti di una successione di rme, ed esigendosi a tal risoluzione la conoscenza della fisicomeccanica rela- tiva e all’aceresci mento. SRI FLORA MEDITERRANEA AUSTRALIORE E SAHARA mente offre una larga superficie, può servire alla deiseenza della parte carpica spermifera tardi amente deiscente; come ò potuto osservare in una specie di Sinapis (non ricordo se l alba, o altra specie affine), ove mi riuscì più volte di ottenere lo scatto della deiscenza premendo ap pena il rostro sopra una delle sue facce, come avrebbevi fatto il vento (1). «E un’altra riduzione ancora è fonte di polimorfismo carpico presso. le crocifere: la nucamentazione. Con la quale si attinge un provvedi “mento per la protezione dei semi straordinario; sicchè arriva il caso, in cui si parla di achenii (Aethionema, Aubrietia, Lepidium, Biscu- . tella, Senebiera). Il processo riduttorio qui arriva ad un maximum; ed è talora continuazione di quello, che si è raggiunto da un l>mento, i cui articoli sono esageratamente involuti; tal’ altra arriva a forme drupacee, o si complica di neoformazioni istologiche, diventando coria ‘ceo il pericarpio, suberoso, fungoso, crostaceo, osseo, assai lontano dal suo stato primitivo. Finalmente si ànno appendici sul frutto e sui semi, alle quali de: vonsi funzioni biologiche, e manifestazioni di polimorfismo. La margi- ‘nazione dei semi è cosa variabile in seno ad uno stesso genere; è di | vario grado; certamente organo anemofilo, non è però destinata alla | sola funzione anemofila l’ala, avendo il Borzi riconosciuto in essa ta- Jora una funzione statica importante nella disseminazione (2). Alate, è vero, sono per lo più le siliquette, e le indeiscenti a preferenza; ove talora l’oligospermia, anzi la monospermia associasi all’indeiscenza, alla separabilità delle valve dall’ asse loro; ma non si può qui vedere co- stanza, e lo sviluppo di alipare doversi tenere qual cosa indipendente. «In questo passaggio però all’indeiscenza ed alla monospermia pos: sonsi veder sorgere altre neoformazioni sui frutti (villi. denti, sete ri- gide ete.); che sono dello stesso ordine degli or detti mutamenti isto- | logici comitanti la nucamentazione; danno la conversione apparente di un frutto in seme; servono a tutelare questo; più frequentemente perciò | esse vengono a mostrarsi, ove incontransi per esso circostanze ostili. | Soddisfacente sarebbe il poter trovare le ragioni efficienti della coesi- | stenza di tali neoformazioni; di spiegare la genesi di tanto sintesismo, ga Questo effetto, secondo Delpino, può provocarsi da animali (I. c.). (2 Cfr 1. e. La protezione dei semi vi è raggiunta altrimenti. 4 di tal maximum della riduzione carpica. di una convergenza, che . maschera la diversità tipica; e imbrogliando la visione della discendenza, . ci rende perplessi nella distinzione dei philum. E e nsenziente a tanta trasformazione carpica può trovarsi tutto l’ crganismo d’ una pianta, “anche senza che arrivi a stadio inoltrato essa trasformazione. Così è che nell’Anastatica i rami si atteggiano in modo da formare come una gabbia faciente ufficio di pericarpio, mentre i frutti non sono giunti a mentire la forma di seme: è un succedaneo pericarpio, improvvisato da organi estrafiorali, provvidente al riparo dalla nociva siccità ed aprentesi (quando s'incontra amico l’ambiente), raggiungendo la finalità propria della deiscenza (1). L’indeiscenza conseguibile da una parte di siliqua può essere ri- mandata a più tardo momento, come accade per l’articolo inferiore dei Cakile; e la disseminazione esser procurata da marcescenza, da distru- zione delle pareti pericarpiche, giusta quanto è stato osservato da Be-. gninot (il che ravvicina più il frutto alla condizione di seme). Con- corron frequentemente con questi passi riduttori l’unilocalarità del frutto, >’ * . gi . » . l’ obliterazione delle valve, la monospernia, la formazione di ali, come . SÌ à da quanto occorre nei Myngrum, nelle Calepina, nelle Isatis, _ nelle Tauscheria. E tal concorso si avvera mano mano nell’ambito d’un | genere ( Aethionema ), potendosi determinarvi il termine iniziatorio (Ae, polygaloides), ed il termine, in cui esso concorso attinge un grado assai cospicuo (Ae, monosperma). Constatare poi, che in questa ridu- Zione si avveri l’esercizio di energia plastica non eccessivamente vetusto è agevole, stante esperimenti culturali; stante il vedersi, mereè cultura, annullate alcune delle sopravvenute modalità riduttive, e quasi messo in evidenza il tipo, indi assoggettato all’azione della plastica, ind: colto da modificazioni poco atte a tramandarsi. Da tutto ciò credo possa cavarsi una importante direttiva della sistematica. Per prima se ne ha il valore piccolo dei caratteri spesso (1) Notai qualcosa di simile nei Daucus (Eter. carp. già cit.); ed assimilai a quel che vedesi nella Rosa di Gerico quanto occorre in certe piccole comp site (Altre part. eteroc. delle Sinant. nel N. G. B. I. 1911). Puossi iutsnto negare che tal pianta sia trasportata dal vento ? I piccoli assembramenti suoi, osserva- bili passim nel deserto, non vengono da semi di unico individuo ? usati a discriminare i generi di crocifere; il che ci suggerisce un’ in- duzione, facendoci così presumere la modernità di sviluppo dominante; in esse. L’affinità fra le forme diverse dei componenti suoi è complessa, più di sovente scorta a via d’intuito, che a via di criterii tassonomici; anzi, qualche volta, con un certo contrasto rispetto a tali criterii, in guisa da aversene una tacita persuasione dell’ invalidità loro. Non è sfuggito, mi pare, cotal condizione della sistematica in questa famiglia. al De Candolle; il quale ratifica l’innaturalezza delle tribù da lui stesso. proposte, palesandoci un certo paralle'ismo di forme fra le serie ap- appartenenti a tribù diverse. (1) Questo parallelismo intralcia la po- sizione e l’ ambito dei generi, appunio per la invalidità dei caratteri assegnati come discriminatorii fra i tipi costituenti esse tribù; ma in- tanto ci rivela l’ uniformità di svolgimento di essi tipi, se mai; ci rì vela la necessità insita nell’ organismo di una crocifera a seguire con- simili trasformazioni col passare pei varii livelli evolutivi. Le differenze, or prodottesi però, per via di tal passaggio, tornano a noi vantaggiose: dacchè ci servono a capire alquanto la ragione della relativa antichità delle forme generiche; e, senza negare quell’antichità, che per alcune è già sancita, ad affermare la modernità di certe altre, - stando ai criterii desunti dal breve esume qui or fatto delle riduzioni | carpiche in esse avveratesi. Cecorre però fruire di ogni dato, per in- tegrare tutta la storia delle stesse; e tal risultato non si potrà raggiun- gere, che attraverso un lavorio lungo e difficile di filogenetica e di pa leogeografia insieme accordate. I sahariani endemismi non potranno es- sere indipendenti da quella vicissitudine complicata, da quelle alterna- tive, che l’area oggi desertica subì attraverso i tempi; dalla differenza | di sorte subita contemporaneamente in diversi punti di essa area. La quale fu abbandonata dal mare una prima volta e in epoca assai re mota; indi fu riguadagnata da esso, ma in parte; finalmente fu riabban donata man mano. L’età delle sue sabbie, ciò stante, non può essere | unica; rimaneggiamenti delle stesse e multiformi dovettero avvenire; È cataclismi alluvionali dovettero concorrervi, e variamente, e con soste | (1) Cfr. Syst. v. II pgg 162, 372, 434-5, 455 e segg. 495, 521, 574, 576, | 581-2, 628, 626, 678. LEOPOLDO NICOTRA e riprese. Le alternative risultano provate dalle odierne osservazioni; siechè ne risulta condannata ogni inprovvisata affermazione relativa alla genesi del Sahara. Quindi deve risultarne condannata ogni relativa af- fermazione unilaterale circa la genesi della flora sahariana: paleoende- mismi e neoendemismi dovettero concorrere a generare essa flora; e forse più d’an monotipo avrà potuto sorgere, per opera di lieve crea - zione generica in tempi non troppo remoti, purchè una tal creazione fosse già stata resa possibile da creazioni antecedenti; e il genere, poi coner.tatosi, non che essere entità venuta ex nihilo (o da fonte lasciata indebitamente oscura, senza determinazione di sorta), fosse magari un figlio a genere tutt'oggi vivente; forse più d’un monotipo è conseguenza di un’estinzione completa di congeneri specie, meno una soltanto, come si è avvertito nell’antecedente $. Ma, in quest’ ultimo caso, una oligo- tipia è necessario si ammetta; per non urtare con una improbabilità, cioè con l’estinzione di numerose congeneri avvenuta su poco ampio terreno, e in poco tempo. Tutto questo potrà bastare a mettere in sospetto le conclusioni poggiate sui semplici responsi delle statistiche; cioè sopra dati raccolti «con un metodo, che enumera, senza ponderare l’entità delle cose enu- merate. E la botanica viene ancora a documentare, nii sembra, una con elusione geologica relativa al Sahara, parlandoci del regime pluviale, che sul terreno oggi desertico dovette già dominare: J]o attesterebbero questo regime le Senedierà endemiche, una vistosa quantità di Nastur- tium (in cui viene rappresentata la peculiare sezione Roripa). Riesce però più splendida assai l'attestazione del nesso, che avvince il tappeto vegetale sahariano al dominio mediterraneo, mercè la ricchezza delle brassicee, che tanti endemismi realizzano in entrambi, e dei generi Malcolmia, Cheiranthus, Sisymbrium, Iberis, Matthiola (1); splendida forse ancor più, per la Leptocrambe e la Succowia. Così accennasi a SI (1) Mi premetto di toccare, a proposito delle Ma/colmia, un punto singo- . lare relativo allo sviluppo doppio, che un genere può subire, acco nodando le Sue specie a due ambienti fra loro diversissimi, forse però paleogeograficamente connessi. Mi à fatto sempre forte impressione l’abituale indovazione delle Sta- ‘ice e delle Armeria (generi tanto vicini fra loro) stante tal nesso, FLORA MEDITERRANEA AUSTRALIORE E SAHARA quella più larga distribuzione antecessa, all’inconcutibile anzianità, onde più volte quì si è fatto parola. Però notisi, che questi rapporti vengon talora mascherati per difetto di esattezza tassinomica, o può | affinità esser dimostrata da collaterale neoendemismo, come accade pel genere Ionopsidium (1); nondimeno il detto nesso rimane evidentissimo. Ed importante diventa agli occhi di chi anche per poco considera la famiglia delle erocifere, che la monotipia vedasi più frequentemente costituirsi presso le arabidee, le raphanee, le cakilinee, le isatidee, le brassicee; cioè ove più accade l’avvento di stimmati d’una elaborazione profonda della siliqua, quali sono l’indeiscenza, la settiferazione, 1’ oli- gospermia, la nucamentazione, l’articolazione, la rostrazione, l’eterocar- pia e l’eteromericarpia. E conferma dell'idea che seguo rispetto all’età . filogenetica del rostro è la instabilità di esso in seno a uno stesso ge nere, la mancanza di esso in una tribù, che ne è più largamente do- tata (brassicee). La quale non viene esclusa perciò nell’ enumerarsi piante vetuste; benchè certamente non si potrà pensare, che l’ assenza = di rostro sia un fatto cronologicamente secondario; e quindi, che i ge- neri erostrati e le spezie erostrate siano prime creazioni fra la tribù. . La vetustà della tribù permane a sufficienza documentata dai generi Sinapidendron, Disaccium, Enzomodendron, Corynelobus; documentata dall’ubicazione di certe specie, che ora si mostrano quali residui di una | distribuzione geografica ampissima Antica, come sono la Sinupis am- plexicanlis, la Diplotaxis crassifolia, la Brassica rupestris. Ma esimia ad un tempo è da stimarsi la plasticità di esso gruppo; che talora ci | presenta un garbuglio sistematico, facendoci trovare una Sinapis 0 E- ruca menziente aspetto di Brassica; Brassica menziente aspetto di E- rucastrum o di Diplotaxis; siechè se ne originano viluppi sinonimici. | dispiacevolissimi, che intralciano il fitografo, e ostacolano la retta vi- sione del fitogèografo (2). Credo, che la considerazione delle forme ve- i (1) Il I. albiflorum è certamente un capostipite, altra volta largamente dif- fuso assai più; probabilmente genitore delle Bivonga, se pure è da ammettersi tal genere. È notabile, che le specie diana microendemismi, talora of- frenti eterospermia. - | (@) Perplesso m'à fatto restare sempre una Brassica o Erucastrum appat- tenente a una sezione, che potrebbesi dire Pseudobrassica: la B. fruticulosa La Ser chiamarsi B. messanensis sia wi tuste abbia ingenerato il giudizio falso relativamente alla dignità ero nologica del rostro; ma io mi sono affldato meglio alla considerazione filogenetica, e credo d’essermi incontrato col vero, seguendola. L’indei- \scenza è avvento sempre posteriore evidentemente: esso occorre in linea eccezionale, ed ingenera l’eterocarpia del D/ptycocarpus e dell’ Andr- zejowskia. Meno infrequente è laddove la siliqua è breve, cioè laddove altro carattere di riduzione si avvera; e quì frequenti sono i casi della comparsa sua indecisa. Stabilita perfettamente mostrasi nelle isatidee, ove a un tempo altre stimmati riduttorie fanno mostra (oligospermia, brachicarpia, involuzioni istologiche). Presso le caX:inee l’indeiscenza è di regola; genera eteromericarpia, e si accompagna d’ articolazione sempre. Presso le raphanee è di regola parimenti; ma il frutto, inar- ticolato, vi è soltanto moniliforme. Queste due ultime tribù adunque rivelano più completamente una modernità inoppugnabile, rispetto alle altre, almeno per quanto se ne può essere edotti dallo studio delle cro- cifere viventi. Ed eteromericarpia l’ indeiscefza genera, effettuando il rostro nelle brassicee; sicchè qui due processi riduttorii concorrono, e la mia proposizione riceve una prova più forte. Fermo adunque in questo buon criterio, non dubito di dare il pri. mato cronologico ai generi Diplotaris e Moricandia, per l’indecisione che in essi mostra il rostro a costituirsi; anzi, fra i due, credo che meglio al primo esso spetti, stante la disposizione dei semi. Il genere Savignya sarebbe così il più antico fra i monotipi. Ma questo primato è da intendersi cum grano salis: vale a dire che tali generi rivelino meglio d’altri lo stato primitivo di una crocifera. Nell’ Eruca, ac- canto allo sviluppo del rostro, permane quella disposizione primigenia. La quale si perde in tutti gli altri, e s'accompagna alla rostrazione, e si complica inoltre d’un’oligospermia, che arriva alla monospermia nelle Succorwia. La monotipia allora è di regola; e quando manca (il che succede in quest’ultimo genere), una diffusione, che s’estende per tutto il dominio mediterraneo, arrivando sino alle Canarie, segna geografica- mente la grande vetustà di un genere, i. cui avi passarono per una — lunga via di riduzioni. ila RA “Sopra alcuni apparecchi I per attenuare l'inquinamento dei por 6 delle cisterne Nora peL Pror. L. BuscaLIoNI Direttore del R. Istituto Botanico dell’Università di Catania 1. — Secchio fisso igienico Ancora oggigiorno, in non poche regioni e specialmente nei Co- muni rurali, si suole attingere acqua dai pozzi con secchi che vengono tenuti in casa, in luoghi di dubbia pulizia, come sono cucine, stalle, camere di ammalati ete., di guisa che ogni qual volta si utilizza il pozzo si introduce in questo il sudiciume aderente al tondo del secchio. Per ovviare a tanto inconveniente si è proposto il così detto Secchio fisso che rimane sempre attaccato alla corda, o catena colla quale si attinge l’acqua; sistema certamente più igienico, ma che non toglie il | pericolo che le persone incaricate di attingere acqua inquinino il pozzo maneggiando colle mani, eventualmente o normalmente sporche, il Sec- s chio fisso per far passare il liquido da questo al dia che viene. adoperato in casa. Devesi ancora aver presente che i pozzi forniti di Secchio fisso debbono restare aperti, al momento almeno in eni si at- tinga acqua: di qui una nuova causa non trascurabile di inquinazione, nelle giornate di vento, o quando si utilizzi frequentemente il pozzo, come avviene in alcuni caseggiati abitati da molte famiglie. Furono perciò proposti altri tipi di Secchio fisso, che stanno nascosti dentro il vano del pozzo o nella botola a questo sovrastante e che si aprono automaticamente all’ esterno; alcuni di tali tipi, anzi, vennero adottati da Comuni per le pubbliche piazze in luogo delle pompe, ma essi sono per lo più complicati, costosi e vanno pica incontro ° | ‘Avendone ideato uno abbastanza modesto e di poco prezzo, che io aveva adottato, alcuni anni in una mia - villa sul colle di Super- ga (Torino) (1), ho creduto doveroso farne la descrizione particolareggia- (1) L'apparecchio mi venne fornito dal Sig. Bertoglio G. ben noto fabbri- > di pompe idrauliche in Torino, il quale lo costruì a proprie spese. Mi ) ara esprimere qu le mie azioni di grazie al valente industriale. 5 sa DIES ao SRO. p i pn sei i PROF. LUIGI BUSCALIONI ta (1), nell'intento di recare un modesto, ma non inutile contributo al- l'igiene rurale, pur troppo generalmente trascurate. Sarebbe perciò inutile una nuova pubblicazione in proposito: scopo tuttavia della presente nota si è quello di indicare alcune innovazioni che ho apportato allo intento di rendere l’ apparecchio più semplice e più esatto nel suo funziona- mento, sebbene quello primitivamente costrutto e che mi accingo qui a descrivere in succinto corrispondesse benissimo all’ufficio. x #* L’apparecchio è costituito (Fig. {1 e 2) dal Secchio fisso H, da un cilindro cavo, aperto lateralmente che, per la sua forma, denomino Pen- nino (Fig. 1 e 2 E} e dalla Vaschetta di raccolta dell’ acqua attinta dal Secchio fisso (Fig. 1 e 2 L). 1.) La Vaschetta di raccolta. In corrispondenza della hocca del pozzo, ad un lato del vano, e nello spessore della parete (se il diametro del pozzo fosse piccolo) viene fissata una cassetta in cemento lunga circa 50 cem., larga da 30 a 40 cm. ed alta 25 30, cm. a fondo degradante da un lato (Fig. 1 e 2 L). Alla cassetta fa seguito un tubo di scarico, O assicurato alla parte più declive della stessa: esso attraversa la parete del pozzo e porta l’acqua al sec- chio mobile P che, restando fuori del pozzo, non può in alcun modo inquinare l’acqua. Al tubo di scarico si innesta, in corrispondenza della chiavetta di chiusura, un altro tubo N che all’ occorrenza riporta, at- traverso la parete del pozzo, l’acqua in questo ultimo. Nel punto di incontro dei due tubi trovasi un ribinetto a due vie M, dalla cui orientazione dipende se l’acqua deve restare nella cassetta di raccolta M, scendere nel secchio mobile P,o ritornare al pozzo (per la via N). Questo dispositivo è necessario per evitare disperdimento di acqua quando il secchio mobile P, per la sua piccolezza, non potesse con- tenere tutto il liquido versato da quello fisso nella cassetta di raccolta. | (1) La nota venne pubblicata nella Rivista d’Ingegneria Sanitaria e di Edi- lizia moderna diretta da Pagliani L. e Marcovigi G. (anno XII N. 24 1916. Fio. I A Verricello B Puleggia C Arresto (per er- rore nelia fig. è 4 Big (>) RE 9a Q$ ss Ca: dA e D |a DI; 07, ni MT e Ten ea i ? . I Catenella di ar- K Asta ad L del =—-{ps sh gi. LI ù L Vaschetta di rac-o PROF. LUIGI BUSCALIONI le2He Fig 3), 2.) Il Secchio fisso, (Fig. Fire. II A Verricello H Secchio in posizione di s-uotamento K Asta snodata (ad L) la quale si è aggan- ciata al fondo della vaschetta di raccolta L Vaschetta di rac- colta è A e ae ole Signo M Rubinetto a tre vie, una delle quali (O) scarica l’acqua nel secchio esterno, l’al- tra N. nel pozzo P Secchio esterno In questa Figura, per un errore litografico, è stata omessa la catenella Tr che della Fig. I unisce il secchio alla maniglia. È un ordinario recipiente cilindrico comico di metallo (A Fig. 3). che, un pò al di sopra della sua metà porta, in senso diametrale due. perni BB muniti ognuno di una rotella. Questa si incastra in un oc- chiello di cui è fornito il manico F, il quale si continua con un'asta. di metallo D lunga circa 30 em. Verso l'estremità superiore dell’ asta incontrasi un perno su cui gira la rotella E. La direzione del perno è | ortogonale a quella di un piano verticale passante per il manico dell | secchio ed i due perni cui esso si annoda. Vedremo fra poco lo mer di ) di Pea fan ì SOPRA ALCUNI APPARECCHI PER ATTENUARE L'INQUINAMENTO ECC. Da un lato del secchio, e più precisamente sulla stessa verticale | passante pel perno inserito sull'asta D (e dallo stesso lato di esso), vi è un ferro ad L (H nella Fig. 3 K nella Fig. 1 e 2)attaccato all’orlo. del secchio mercè una corniera K (Fig. 3), e portante verso la metà della branca verticale, una snodatura I. Al secchio va annessa una catenella metallica robusta (C nella Fig. 3,1 nella Fig. 1) che prende attacco, da un lato, all’estremità in- feriore dell'asta metallica D Fig. 1-3), dall’altro all’ orlo del secchio e precisamente all'estremità di questo diametralmente opposta al punto in cui si inserisce il ferro ad L. i La catena deve esser sufficientemente lunga da permettere al sec- | chio di passare dalla posizione eretta a quella orizzontale, girando sui perni BB, ma non al di là di questa, e tanto meno di capovolgersi al — momento dello svaotamento. Fic. III A Secchio fisso B Perni del scechio C Catenella di arresto del secchio. D Asta del secchio E perno e rotella dell'asta D F Maniglia del secchio CT Pennino H Asta ad L pel capovolgimento del secchio _K Snodature dell’asta ad L Pioli di arresto del pezzo scorrevole T | Porzione a becco di flauto del pennino s Fessura del pennino r Arresto Di Questa catenella è assolutamente necessaria, poichè, senza di essa il secchio, scendendo nel pozzo, pel peso del manico e dell’asta di ferro, tenderebbe a capovolgersi completamente non si tosto incontra il pelo . a ed in conseguenza 1 non posbbe riempirsi. Aggiungasi ug PROF. LUIGI BUSCALIONI cora che, senza di essa, il secchio, essendo libero di girare attorno ai perni B (Fig. 3), nel momento dello svuotamento finirebbe coll’ urtare contro la punta del pennino (E Fig. 2) il che determinerebbe, dopo un pò di tempo, la perforazione delle pareti del recipiente. 3.) Il pennino: (Fig. 1, 2, 3). Questo strumento (E Fig. 1, 2 G Fig. 3. è rappresentato da un tubo metallico sufficentemente ampio da permettere il passaggio della corda o catena (Fig. 3), nonchè dell’ asta verticale D del secchio. Da un lato esso è percorso da una fessura in quasi tutta la sua lunghezza (S Fig. 3) , terminando la rima a brevissima distanza dall’estremità superiore. In ARMI dell'estremo inferiore l’apparecchio è tagliato a becco di clarinetto (R Fig. 3), per cui esso assume grossolanamente l’aspetto di un colossale pennino: d’onde il nome. Per il pozzo della mia villa ho adottato un pennino lungo circa 50 cm. del diametro di 6,7 cm., con la fessura laterale larga 1,5 cm. circa e colla porzione a becco di cla - rino lunga circa 12 cm. Alla parte inferiore della fessura laterale trovasi una sbarretta o ar- resto (T Fig. 3) scorrevole lungo la stessa, da un capo all’altro, senza che tut- tavia possa uscirne, venendo inferiormente fermata da due pioli (Fig. 3). Il pennino viene fissato mediante due spranghe dì ferro assicurate al muro del pozzo, al dì sotto della puleggia, ad una certa altezza al di sopra della vaschetta di raccolta, in posizione esattamente verticale, in modo che la corda, o catena, lo attraversi assilmente senza urtare le pareti e ciò per evitare l'attrito e l'usura della stessa. La fessura infine deve esser rivolta dal lato della cassetta di raccolta. n'a Funzionamento. Il secchio ripieno d’acqua, nel salire va soggetto a parecchi mo- vimenti (circolari, rotatori, pendolari et.). Nel momento però in cui l'asta del manico penetra ne! pennino, il perno E (Fig. 3) urtando nel becco di clarino di questo è obbligato, pel movimento ascensionale di cui è dotato, a scivolare lungo detto orlo obliquo e poscia ad im- | boccare la fessura S. La rotella che riveste il perno E ha appunto. l’ufficio di agevolare, girando, il movimento di scivolamento dal perno Misto, attenuando così gli attriti contro il becco di elarino. È SÙ “ ì, Se: Sage ds LI 1 id K A CR APPARECCHI PER ATTENUARE L'INQUINAMENTO CC, Giunto il perno (E) dell’asta all'imboccatura inferiore della fes-. sura (S Fig. 3) la rimonta (mentre F asta trascinata dalla corda o ca- - tena percorre risalendo l’asse del pennino) ed intanto trascina seco il | pezzo d’arresto incastrato nella fessura. L'ufficio di questo pezzo d’arresto è quello di inspedire che, du- rante l’ascensione del secchio e prima che l’asta sia penetrata nel pen- nino, la ccrda, o la catena, per i movimenti pendolari di cui è dotato il secchio, si incastri nella fessura del pennino, ciò che provocherebbe un arresto, o per lo meno un’ ostacolo al movimento ascensionale del | secchio. Ciò premesso, è evidente che il secchio, che fa corpo col perno, si innalza girando nella stessa misura che questo si innalza a spirale mentre percorre la porzione a becco di flauto del pennino. Quando poi il perno (E) è penetrato nella fessura (S) laterale del pennino, il secchio ha assunto una orientazione fissa che non muterà più, vale a dire si è disposto in modo che il pezzo snodato a L sia rivolto ‘verso il settore del pozzo a cui è fissa la cassetta di raccolta. In virtù di questa orientazione, continuando l'asta rigida del secchio ad elevarsi, mentre il perno scorre nella fessura del pennino, la branca ad L urterà il fondo della cassetta: allora il secchio, tirato in alto dalla corda ed în pari tempo trattenuto dall’ostacolo incontrato, girerà sui suoi perni laterali (B Fig. 3) e svuoterà così il contenuto nella cassetta (Fig. 2). La persona incaricata di attingere acqua non ha che da manovrare opportunamente il rubinetto a due vie per raggiungere l’intento, senza che avvenga il minimo contatto col secchio fisso. Questo è il primo tipo di secchio fisso igienico che ho applicato ‘con successo al mio pozzo, ciò che mi ha offerto l'occasione di consta- tare come lo stesso, con eventuali lievi modificazioni possa esser appli- cato a qualunque pozzo, anche se questo presentasse la bocca molto stretta; in tal caso basterebbe collocare la cassetta di raccolta, come sopra è stato detto, quasi del tutto nello spessore delle pareti del pozzo. Il sistema, oltre all’esser pratico ed igienico, è anche economico, — i non raggiungendo il costo di una pompa aspirante e premente e forse neppure quello di una pompa semplicemente aspirante (le così dette « = Sorbe >), senza tener conto che esso non va soggetto ai logoramenti i PROF. LUIGI BUSCALIONI \ ed ai guasti tanto frequenti nelle pompe durante l’ inverno, in specie nei paesi a clima invernale molto rigido. L'apparecchio infatti che io ho adottato pel mio pozzo fu, sul prin - cipio della guerra, stimato del valore di circa 100 lire sebbene, trattando- si di un primo impianto di prova, avessi dovuto procedere per tentativi allo esatto collocamento delle varie parti, allo scopo di ottener un funziona- mento regolare del sistema. Aggiungerò ancora che il prezzo del ferro era già notevolmente aumentato a causa della guerra. Per evitare quaisiasi inquinamento proveniente dall’ esterno si po - trebbe racchiudere in una botola in muratura od in legno l’ apertura del pozzo, il meccanismo di scarico, la puleggia e persino il tornio, ad eccezione della manovella di questo, essendo sufficente che una porta permetta l’accesso al locale per le opportune riparazioni dell'apparecchio. * * * Difetti del sistema. Sebbene, per quant» ho detto sopra, l'apparec - chio proposto funzioni da parecchi annì molto bene, all’atto pratico ha dimostrato di non andar esente da piccoli difetti, ognuno dei quali, per quanto lieve per se stesso, richiede tuttavia di esser eliminat», più che altro pel fatto che i contadini mal si adattano ad innovazioni quando non vedano in queste una superiorità incontrastabile sui vecchi sistemi cui essi sono tenacemente ligi. Il primo difetto consiste nei rapporti tra pennino e puleggia i quali dovendo essere immutabili richiedono che la puleggia non sia più girevole sull’asse verticale come è il caso invece per quella degli ordinari pozzi: il secondo è inerente alla grande lunghezza che si deve dare all’ asta” annessa al secchio affinchè la stessa si impegni nel pennino, annullando così le oscillazioni del secchio, prima che questo abbia affiorato la su- perficie inferiore della cassetta di raccolta: un pò più grave infine è il difetto inerente all’attacco centrale della maniglia al secchio a causa. del quale questo, al momento in cui raggiunge il pelo dell’acqua, mal- grado la catena d’arresto C, si adagia sul liquido col fondo in alto. «_ Analizziamo i vari difetti per far comprendere di poi meglio le ragioni delle innovazioni apportate allo apparecchio allo scopo di eli | minare ni inconvenienti pati i SOPRA ALCUNI APPARECCHI PER ATTENUARH L'INQUINAMENTO ECC. Per quanto concerne il primo difetto osservo innanzitutto che i sistemi ordinari di presa d’acqua dai pozzi rurali sono per lo più fatti in modo che la corda, o catena, avvolgendosi, nell’ elevare il secchio, attorno al verricello si sposta lungo questo, in modo che i successivi giri di corda si dispongono l’uno accanto all’ altro. Solo dopo di aver percorso un certo tratto del verricello la corda, o catena, ritorna, in certo qual modo, sui suoi passi sovrapponendosi, coi giri successivi a quelli fatti in precedenza. Data una tale condizione di cose se si vuole evitare che la corda, passando nella gronda della puleggia, abbia ad incontrare un attrito sulle parti laterali di questa occorre che la carrucola sia girevole anche su un asse verticale. Grazie a questa di sposizione il piano della puleggia passerà continuamente per quello verticale comprendente il tratto di corda interposto fra la carrucola e il verricello e la puleggia accompagnerà in certo qual modo, orientan- dosi opportunamente, l’ escursione della corda sul verricello. Quando invece la puleggia è fissa in un determinato piano verticale la corda prr effetto dello spostamento cui va soggetta verrà a un dato istante a fare un angolo col piano verticale della corrucola, d’onde l’ attrito suo contro i bordi della gronda di questa. Ora ‘egli è evidente che nel mio apparecchio la carrucola, do vendo trovarsi costantemente orientata in modo tale che la corda, nel | tratto che scende nel vano del pozzo, scorra esattamente nell’ asse del pennino, non è più libera di girar sull’asse verticale come sarebbe ne- cessario qualora dovesse accompagnar la corda nel suo spostamento lungo il verricello, ed in conseguenza di siffatta sua immobilità la pu leggia fa sì che la corda subisce l’attrito cui sopra si è accennato. Il secondo difetto, inerente alla grande lunghezza che si deve dare all’asta, può esser trascurato quando si hanno pozzi alquanto ampi: .non più quando il vano è ristretto poichè e facile che l'asta, passando dalla posizione verticale all’inclinata od orizzontale (il che avviene allorchè il secchio tocca la superficie dell’acqua), vada ad urtare contro le pa. reti del pozzo incastrandosi in qualche accidentalità di queste. L’accor- ciamento dell'asta non è possibile poichè, dati i movimenti circolari, pendolari et. cui va soggetto il secchio nella sua ascesa (in specie se il pozzo è profondo), se il recipiente non viene immobilizzato mercè a rogna nel pae. inte di aver raggiunto il bordo infe- PROF. LUIGI BUSCALIONI 279 riore della cassetta di raccolta esso urterà facilmente col suo orlo su- periore contro il medesimo riversando il liquido nel pozzo. Or bene l’asta lunga ha appunto lo scopo di fermare il secchio prima che avvenga tale contatto. Si richiede poi ancora un’ asta un pò lunga affinchè il secchio, nel movimento di rotazione attorno ai perni d’ attacco della maniglia all’atto in cui svuota l’acqua nella cassetta, non abbia ad ur- tare contro la punta del pennin> che ne perforerebbe le pareti. Per quanto infine concerne il capovolgimento del sezchio che ha luogo nell’ istante in cui il percipiente affiora il pelo dell’ acqua nel pozzo farò notare che esso è in stretta relazione col punto di attacco della maniglia ai due perni i quali, invece di esser collocati presso la bocca del secchio, come nei recipienti ordinarî, stanno invece quasi alla parte mediana di questo. Tale spostamento è di somma utilità poi- chè rende più facile il giuoco di leva che eseguisce 1’ asta H sul sec- chio allorchè rovescia questo, allo scopo di versare l’acqua nella cas- setta di raccolta. Quanto più i perni BB sono inseriti vicino alla boc- ea del secchio tanto è più grande lo sforzo che, infatti, dovrebbe fare la leva (l'asta H) per svuotare il secchio, d’ onde la necessità del loro avvicinamento verso la base del recipiente. i Ma se i perni W, collocati nel mezzo del secchio agevolano questo compito, permettono per converso al secchio che si capovolga, col fondo in alto, allorchè arriva a eontatto col pelo dell’acqua nel pozzo e ciò per effetto di una poco congrua posizione che viene ad assumere il centro di gravità del secchio rispetto ai perni W. Col capovolgimento l’aria, come si è detto sopra, resta immagazzinata al fondo del recipiente, costituendo così un ostacolo a che questo si affondi e si riempia, per superare il quale occorre svo gere un certo tratto di corda, o di catena - affinchè l'una, o l’altra col proprio peso, trascini il secchio sott'acqua. Lovin è abbastanza serio e perciò va evitato. Tutti quanti i sopra lamentati inconvenienti sono eliminati col si - stema che sto per descrivere (Fig. 4), il quale, pur essendo inspirato allo tesso prineipio di quello illustrato, ne differisce sotto moltissimi aspetti. Innanzi tutto, dovendo l'apparecchio di svuot:mento del secchio far i ea colla si F (perchè questa possa girare sull’asse verti *INQUINAMENTO ECC # LE a. Br OMPO:110A A 0179998 ]op ere. ][ap eaosn.] 10d wanziody fl ( 3[OA]8A [[op ou10d L v10QI| VIUI9AISO,] -[8 0388801801 O 6388,I[9P vaio 0199001] 8 Iod 0389117 Y q0g89118,] 0. #FusIds 7] 019U09 0189138 IP @uoIzIBOd UI 6]B91319A O199BIQ 09 e1:qoua 387 O O 9jrqow #38%,] 8113 ino ns onIeg N H ouzed Ip 0998198,P #I8V NW vi(s00* "E posso Mie, opuoz |w t8IR10 pe VISRDISE 088] 0149908 ]9p vivpous ia NM WIOATSA f OSS] 0149998 I #][9201 Ip ogtunui 0UI8T H H cused pe epin$ ip eAIes 649 o][eus po ordde) Vooniaso 0 pui A SI y VISe.I ‘osodta tp euoIzisod ul 0guewtsgonAS Tp 01990018dd y Fig. ba — L'asta A è immobilizzata da quella O che poggia, in corrispondenza dell’estremità superiore, contro la spranga B’, urtando contro l'arresto R. Fig. 5» — Il perno H premendo contro il braccio curvo S dell'asta O obbliga questa a nersi dall’asta O, può ora liberamente elevarsi. Per le lettere dell'alfabeto vedasi la ALINA: zione nella precedente Aguta, ‘078] un sp #}upIeqqR pe 038 ur 83uids ‘Y 09se1I8.[[*p 33er0uzSs QIed è O 83887 (} vIndg] 3] ISVpoA 010999] e[[op euorzederds è] 184 oguewruToIZUnz Tp euoizisod ur o) uewIsgonas Tp oqsagddy cale E) occorre allungare alquanto le staffe D che sorreggono la car. rucola e si imperniano per mezzo dell’ asse E alla volta della botola del pozzo, o ad un trave. Tutto quanto l’apparecchio può pertanto accompagnare la puleggia nel suo moto di rotazione orizzontale attorno al perno E. Il pennino è stato sostituito dall’ asta A, terminante in alto col disco C, cui è assicurata la guida Q scorrente fra le due staffe D allo scopo di mantenere fissa l’ orientazione dell’ asta A e dell’ annesso a- nello G. L’asta A è scorrevole negli occhielli delle spranghe BB’ che si fissano alla staffa D, ma allorchè discende essa viene arrestata nella sua corsa dal disco C nel momento in cui questo urta contro il margine superiore della spranga B. L’asta A porta all’estremità inferiore un anello, o cappio G obli- quo e piuttosto largo, il quale rappresenta, in ultima analisi, la por- zione a becco di flauto del pennino e lo sostituisce nella funzione. Uno dei bordi dell’ anello da attacco al perno N attorno al quale può girare l’asta ad L (O), il cui braccio verticale, allo stato di riposo, e quando l’asta A è abbassata, poggia contro il bordo inferiore della. spranga B’ munita dell’arresto R, mentre quello trasversale S più breve, ma più pesante perchè gravato dal cilindro metallico che si vede nella ‘figura, passa al davanti del cappio G, in corrispondenza dell’estremità superiore di questo. In correlazione a queste innovazioni .il secchio (I) ha subito a sua volta dalle leggere modificazioni che illustrerò qui brevemente. L'asta M che sorregge la maniglia è stata notevolmente accorciata, non avendo altro scopo che quello di dare attacco al perno H ed il . fondo del secchio fu munito di valvola J (Fig. 4 e fig. 6) analoga a quella delle ordinarie catenelle per toeletta, o delle vasche da bagno, colla differenza però che essa, anzichè esser assicurata ad una catenella, | € girevole attorno al perno T (Fig. 4 e fig. 6). Vediamo ora come funziona l’ apparecchio (Fig. 4 e fig. 6) ed al. l’uopo consideriamo dapprima il caso che il secchio sia tirato in su dalla corda PP avvolgentesi attorno al verricello V ed alla puleggia F. Durante l’ascesa del secchio la valvola J (Fig. 4) chiude erme- | ticamente il foro U, per cui l’acqua non sfugge dal recipiente. Questo n DA % SICA i : i PRRNT Bait Rane a SOPRA ALCUNI APPARECCHI PER ATTENUARE L'INQUINAMENTO BCC. | però nel suo innalzamento, in specie se il pozzo è profondo, va soge | getto a varî movimenti ai quali l’A. ha altrove accennato, ma gli stessi saranno annullati non sì tosto l’asta M del secchio si sarà impegnata nel cappio G (Fig. 4, 5°, 5° e fig. 6) il quale, quando l’asta A è abbassata, deve esser ad un livello tale che l’incastro dell'asta M avvenga prima che il secchio abbia affiorato il livello della superficie inferiore della vaschetta di raccolta, come si vede nella (Fig. 4). In caso contrario, come sopra è stato esposto, il secchio, animato da varî movimenti, po trebbe urtare contro questa svuotandosi intempestivamente nel pozzo. Incastrandosi l’ asta M nel cappio G il perno H (Fig. 4, 5*, 5» e fig. 6), coll’annessa rotella avente lo scopo di attenuare gli attriti, viene a* poggiare contro l’orlo inferiore dello stesso, qualunque sia la sua orientazione, ed allora nel suo movimento di ascesa è costretto a percorrere detto orlo per portarsi inesorabilmente al vertice dell’anello. Ma durante questo movimento a spirale il pernio H finisce per rivolgersi dal lato dove si trova la vaschetta di raccolta, orientando dalla stessa | parte anche l'asta K annessa al secchio I (Fig. 4 e fig. 6). Un po prima tuttavia di aver raggiunta la sommità del cappio il | pernio H urta contro il bordo inferiore della branca orizzontale S del. | l'asta ad L, la quale venendo spinta in alto gira sull’asse orizzontale N e libera così il braccio verticale O dal contatto colla spranga B, (Fig. 4 e fig. 6). ; Il perno H in questo momento raggiunge il vertice dell’anello, di guisa che continuando a salire (trascinato dalla corda P) porta con se l'asta A che gli sta ora a cavaliere e che scorre negli occhielli della. spranga B B'’. L'asta A trascina a sua vo Ita quella ad L sganciata come si vede nella fig. 6. Descriverò ben tosto un’ altra disposizione ente lo stesso scopo. Appare adunque manifesto che il movimento di ascesa dell’asta A non può effettuarsi prima che l'asta O sis stata sganciata dalla spran- ga B’. Vedremo ben tosto la ragione di questa disposizione. Intanto continuando ad elevarsi il secchio si arriva alla fase in cui l'asta K urta contro il bordo inferiore della vaschetta di raccolta ed allora il secchio girando sni perni W svuota il contenuto nella vaschetta (fig. 6). E ovvio, come sopra si è detto, che l’asta A ha lo scopo, grazie il cappio G che guida il pernio H, di determinare l’orientazione del sec- PROP. LUIGI BUSCALIONI chio affinchè questo abbia ad afferrare inesorabilmente, mercè l'asta K, il fondo della vaschetta ed a svuotarsi così in questa. L’asta O ha in- vece l’ufficio di impedire che l'asta A, spinta in alto dal perno H al- lorchè questo si innalza lungo il bordo inferiore del cappio, inizi il mo- vimento di ascesa prima che il perno abbia raggiunto la sommità del l'anello, poichè solo a questa condizione l'orientazione, sia del perno H sia dell'asta snodata K, è tale da effettuare il versamento del secchio I nella vaschetta di raccolta L (1). i Ù Nelle fig. 5° e 5” l’ asta O, destinata ad immobilizzare l’ asta A (col relativo cappio) fino al momento in cui il perno H abbia raggiunta la sommità del cappio G, è stata alquanto modificata allo scopo di ren-. derla più leggera. Essa è assicurata al perno N attorno cui può girare, ma nello stato di riposo e di agganciamento è verticale e poggia contro l'arresto R (Fig. 5* ). Allorchè invece il perno H viene ad urtare contro la porzione orizzontale S dell'asta O questa, girando sull’asse N, viene ad incastrarsi nella doccia dell’ asta A costituita di ferro scanalato (Fig. 5.) Per effetto di questo movimento l’asta O resasi libera, ‘cioè sgan- ciatasi in corrispondenza dell’arresto R, può esser così sollevata dal per- no H e scorrere, assieme all’asta A, negli anelli delle due spranghe B e B’ (Fig. 5°). Abbassandosi il secchio, il perno H torna a lasciare il con- tatto colla branca $S dell’asta O ed allora questa, a causa del peso del braccio S, esce dalla doccia, si raddrizza e torna ad immobilizzare l'asta A puntando col suo estremo contro la spranga B’ e l’arresto R. In fondo il meccanismo di azione è' eguale a quello illustrato nelle fi- gure 4 e 6, colla differenza che i movimenti dell'asta O si riducono a poca cosa (Fig. 5* e 5°). Non insisto sulle particolarità inerenti allo svuotamento della va- schetta di raccolta nel secchio esterno X (Fig. 4 e 6) non essendosi ef- (1) È probabile che, all’atto pratico, si possa far a meno dell’asta O pel 5 fatto che l’elevazione dell’asta A, forse, non si effettua che al momento in cui il perno H ba raggiunto la sommità del cappio G, non essendo l’attrito tra il bordo inferiore ili questo e la rotella del perno così forte da dadi il solleva- nto dell'asta A prima del tempo utile. SOPRA ALCUNI ‘der A slicciti PER ATTENUARE L'INQUINAMENTO ECC, fettuata alcuna innovazione e perciò passo senz’ altro a traiteggiare come funziona l'apparecchio allorehè la secchia scende nel pozzo. Pos'zione che assu-. me il secchio allorchè affiora l acqua del pozzo. La valvola A apre il tubo B attraverso il quale sfugge l’aria immagazzinata nel fondo del secchio. C Perno munito di rotella dell'asta D E Maniglia del sec- chio F Asta snodata del secchio PIC 4 Al momento del versamento dell’acqua nella vaschetta di raccolta SL.il secchio I è, come si è detto, in posizione orizzontale (Fig. 6) l'asta 0, sganciata, viene ad incastrarsi nella doccia di A (Fig 5°) oppure pende col braccio verticale da un lato (Fig. 6), mentre. col braccio ad angolo retto, caricato del peso S, poggia sul perno H, infine l'asta A raggiunge il massimo di elevazione. Il secchio ora viene fatto discendere e con esso scendendo l’asta M ed il pernio H ne avviene che l’asta A, la quale sta a cavaliere di quest'ultimo, si abbassa a sua volta per arrestarsi al momento in cui il bottone C viene ad urtare contro il margine superiore della spranga B. Il perno H nello stesso istante abbandona il contatto col cappio e scen- dendo permette al braccio S dell'asta O, che poggia su di lui, di ri- render la posizione orizzontale, con che il braccio verticale (0) dell'asta, raddrizzandosi, torna a contatto col bordo inferiore della spranga B' e e. coll’arresto R. a sistema rientra nella pen: di riposo e non è ‘PROF. LUIGI BUSCALIONI Il secchio arriva al fine al contatto della raccolta acquea al fondo . del pozzo: per il peso dell’asta M e di quella K, non chè per gli in- ‘congrui rapporti tra il centro di gravità e i perni della maniglia del recipiente questo si capovolge quasi completamente, imprigionando mol- taria che rende difficile il riempimento. Ma l’ineonveniente è subito eliminato poichè per effetto della posizione assunta dal recipiente (fig. 7) la valvola (I nelle fig. 4 e 6, A nella fig. 7), trascinata dal proprio peso, gira sul perno T aprendo il foro U da cui l'aria può sfuggire liberamente. (1) Il secchio si riempie ben tosto di acqua, si affonda ed assume la posizione verticale che conserverà per tutto il periodo di ascesa durante il quale, come si vede nelle figure la valvola (A fig. 7, J fig. 4) chiude il foro (U fig. 4 B fig. 7. Giunto poi il secchio a contatto del cappio G inizia tutta quella serie di movimenti che abbiamo testè de- scritti e grazie ai quali il recipiente si svuota nella cassetta di raccolta. Il sistema, come si vede, non solo è molto semplice (e può essere forse, ancor più semplificato all’atto pratico [V. nota]) e poco costoso, ma funziona in modo perfetto, essendosi eliminati tutti i difetti che presentava l’apparecchio a pennino ete. (asta M molto lunga, pennino indipendente dalla carrucola, imprigionamento de’l’aria nel secchio). Del resto anche l'apparecchio a pennino, purchè assicurato alle staffe della carrucola e purchè munito di secchio con valvola, può funzionare otti - i mamente. Pur II. — Dispositivo igienico per la distribuzione semiautomatica dell’acqua piovana. Se i pozzi aperti sono soggetti ad inquinazione di varia indole, ancor più lo sono le cisterne che raccolgono l’acqua piovana dai tetti delle case sui quali, durante i periodi di siccità, si accumulano im- mondizie di varia natura, come foglie, animali morti, stereo di uccelli, (1) Forse si può soppr.mare la valvola qualor. si «bbassi il centro di gra: Vità del secchio circondando l’orlo inferiore di questo con un cerchio di ferro, ma con tale innovazione lo svuotamento nella vaschetia di raccolta riesca difficile. pulviscolo et., senza contare la microflora annoverante talora germi di malattie. Si attenua l'inquinamento mercè dispositivi già noti, cui io per- tanto non accennerò, per descriverne uno da me ideato che ha il van- taggio di esser oltremodo semplice, di poco costo e di funzionare in modo perfetto, come lo attesta il modello che da parecchi anni ho in esperimento nella mia villa. Esso venne già descritto nella pubblica - zione fatta nella Rivista di Ingegneria sanitaria diretta dal Prof. Di Pagliani e dall’ Ing. G. Marcovigi. L’apparecchio, a funzione semiautomatica, è rappresentato (fig. 8, "d 9, 10) da una cassetta rettangolare, di ferro zincato, alta circa 30 cm. La cassetta di distribuzione vista dall’esterno. È A Grondaia che porta l’acqua del tetto al GR secchio B Arresti della scatola L E Tubo che porta al pozzo l’acqua dopo che questa ha attraversato il compartimento di destra P | F Tubo che disperde nel suolo l’ acqua dopo che questa ha attraverso il compartimento di sinistra O I Foro pratico al fondo della scatola L L Scatola mobile, aperta da un lito e che si deve riempire d’acqua piovana, nelle due posizioni erette e abbattute M Manubrio scorrevole lungo l'anello N, il quale funziona da contropreso alla scatola L MM Posizione che assume il manubrio M al- lorchè la scatola L è abbattuta N Anello fornito di vite di pressione. Esso è saldato al perno attorno cui gira la scatola L (0) ie di sinistra della cassetta di distribuz P iii di destra della stessa Q Molla di arresto dell’asta M e larga 20 cm. Esso è diviso in due compartimenti uguali (C e D, fi gure 9 e 10; O e P. fig. 8) mediante un setto verticale fisso fino 2 metà altezza (M) della cassetta, mobile nella metà superivre, costituita da una scatola (fig. 9 e 10 G; fig. 8 L). Questa poggia sul margine li. bero della metà fissa mercè l’asse o cerniera K (fig. 9) che le permette OF. LUIGI BUSCALIONI RI Spaccuto dalla Cassetta di distribuzione PRA scatola G in posizione verticale. — A Grondaia proveniente dal tetto. L'acqua che essa ANIA: Lit: attraversando il compar- timento C, nel tubo di scarico F che Ja dif- fonde nel s ale: B Molla di arresto della scatola G. C Computimento di destr. della cassetta attraverso al qu-le passa l’acqua allorchè, come si vede nella figura, la scatola G è in posizione retta. D Compartimento di sinistra. ; E Tubo che scarica nel Luigi l’acqua passante pel compartimento di sin F Tubo di searico Pronta nel suolo. G Scatola mobile, fornita del foto L, in posizione verticale. I Forellino situato nella parte più declive della scatola G e destinato a svuotare, a poco a poco, l’acqua in questa contenuta. K Ceru'era attorno cui gira la scatola G nei suoi movimenti di abbassamento e di innalzamento. M Setto verticale fisso che divide i due compar- timenti delln cassetta di distribuzione. Fio. 9 di abbattersi contro la -parete esterna del comportamento di destra (fig. 10G), 0 viceversa restare nella posizione verticale (fig. 9 G) nel qual | caso viene chiusa ogni comunicazione tra i due compartimenti. Nel punto dove la scatola G urta contro le parti della cassétta trovansi le molle BB che attutiscono gli urti stessi. | Spaccato dalla Cassetta di distribuzione colla scatola G in posizione obliqua p r avviare l’acqua dei tetti al pozzo. La scatola G è piena d’acqua: l’eccesso di questa arriva al compartimento D, donde poi pel tubo E giunge nel pozzo. Dal foro I, praticato sul fondo della scatola G, un pò d’acqua scende continuamente e per il compartimento di destra, nonchè per il tubo F, si avvia al suolo. Per la spiegazione delle altre isso! vedasi la figura precedente. La scatola G ha forma romboidale, colla base, perforata nel mezzo (L), rivolta verso il compartimento di sinistra allorchè essa è in posi- | zione verticale (fig. 9) ed obliquamente in alto quando è abbattuta sul compartimento i destra (fig. 10). In corrispondenza della posizione più declive della cassetta, sia questa in posizione verticale od orizzontale, trovasi un forellino (I fig. 8,9 e 10). | La scatola G è comandata da una manovella di ferro esterna a alla | cassetta, lunga da 20 a 25 cm. (M, MM fig. 8) e scorrevole in un anel- lo N che si attacca alla cerniera della scatola G. La manovella è vinco lata ad una vite di pressione (annessa all’anello N) che la fissa in una: posizione qualsiasi della sua corsa. Per fare funzionare l’apparecchio si abbatte, girando opportuna’ mente la manovella M (fig. 8), innanzi tutto la scatola G verso il com- | partimento di destra C, (fig. 10) poscia si fa scorrere la manovella (M) nell’ anello (N) (fig. 8) della cerniera fino al punto in cui, lasciando | libera l’asta metallica, questa, pel peso del suo braccio più lungo (M), situato sempre a sinistra dell’ anello N, sia ancora capace di riportare la scatola G nella posizione verticale. Trovato questo punto di bilanciamento quasi perfetto si fissa colla vite di pressione N (fig. 8) la manovella M, dopo di che VETO] è in posizione per funzionare. ‘ Ecco ora come avviene il funzionamento. L’acqua piovana che cade sul tetto, talora dopo un periodo di sic- cità assai lungo, è dapprima guidata nel compartimento di destra C dal tubo A (fig. 9) il quale essendo obliquo dall'alto al basso e da sinistra a destra spingerà il liquido contro la parete esterna di detto comparti - mento, senza che la scatola mobile G, ora in posizione verticale, venga a contatto coll’acqua piovana (1). Dal compartimento di destra l’acqua passa nel tubo di scarico F e da questo nel suolo senza che una sola goccia entri nella cisterna (fig. 9). Le prime acque, come si sa, esportano il sudiciume dal tetto di guisa che le successive sono sufficientemente pure da poter esser avviate al pozzo. Ciò posto il personale incaricato della cura del pozzo, qualora voglia immettere in questo l’ acqua piovana, non sì tosto è divenuta pota- bile, farà girare la manovella M portandola dalla posizione M a quella di MM (fig. 8). In virtù di questa manovra la scatola G passerà dalla posizione verticale (fig. 9 a quella inclinata (fig. 10), andando così a poggiare contro la parete esterna del compartimento di destra C, e ben tosto l’acqua piovana, dopo avere, attraverso il forame L, riempita la scatola, precipiterà nel compartimento di sinistra e per mezzo di questo arriverà alla conduttura E che la verserà nella cisterna. Il peso. dell’ acqua che continua a giungere nella scatola G, finchè dura la pioggia, od anco per un certo tempo dopo che questa è cessata, con- trobilanciando ad usura il peso del braccio lungo della manovella M funzionante da contrappeso alla scatola, manterrà quest’ultima inclinata, (1) La cassetta va innestata alla grondaia proveniente dal tetto, ma a poca altezza tale dal suolo affinchè si possa staccarla e ripulirla con facilità qualora | l'apparecchio avesse a insudiciarsi col materiale proveniente dal tetto assieme all'acqua piovana. di i questa nel pozzo, | SOPRA ALCUNI APPARECCHI PER ATTENUARE L'INQUINAMENTO ECC. ed abbattuta contro il compartimento di destra, malgrado che un pò di liquido vada perduto attraverso il forellino I (fig. 10). Cessata la pioggia e tornato asciutto il tetto, dal forellino I l’acqua continuerà ad abbandonare, a goccia a goccia, la scatola G (sfuggendo pel tubo F) di guisa che questa non tarderà a svuotarsi; allora il peso leggermente eccedente del braccio lungo della manovella M obbligherà la scatola G a raddrizzarsi, mentre la manovella girando sulla cerniera cui va unito l’anello N ripasserà dalla posizione MM a quella M (fig. 8). Da questo momento resta chiusa automaticamente la comunicazione fra il compartimento di destra a quello di sinistra (fig. 9), per cui se una. nuova pioggia venisse a cadere l’acqua nen fluirebbe più al pozzo, ma andrebbe condotta dal tubo F al suolo fino a tanto che la scatola G non venisse da qualche persona rimessa nella posizione inclinata od abbattuta. (1) * * * In conclusione una lunga esperienza personale mi ha convinto che, associando il sistema dello svvotamento semi-automatico del secchio fisso al distributore pure semi-automati 0 dell’acqua piovana si po- trebbe evitare in gran parte l’inquinamento dei pozzi e delle cisterne, in ispecie se si avesse cura di chiudere questi assieme al verricello (ad | eccezione della manovella di questo) in un camera. I due apparecchi possono quindi esser consigliati ai contadini delle nostre campagne ed ai municipi dei Comuni rurali, nelle regioni in cui si è obbligati a convertire l’acqua meteorica, caduta sui tetti delle case, in acqua potabile. Con questo non voglio affermare che altri sistemi non possano me- ritare la preferenza: osservo solo che i miei apparecchi hanno il van- (1) Con tutta facilità e con un meccanismo di pochissimo prezzo si potrebbe ‘rendere automatico del tutto il funzionamento della cassetta di distribuzione, | ma è ovvio che sia da preferirsi il sistema semiautomatico poichè solo la persona incaricata di far arrivare l’ acqua alla cisterna è in grado di giudicare, dalla "quantità di acqua piovana caduta, quando è il momento "a eseguire: lo scarico taggio di costar poco, di funzionare in modo molto semplice, di esser. poco ingombranti e di poter infine esser costruiti, 0 per lo meno ripa-. rati da qualsiasi fabbro o lattoniere, anche in un piccolo Comune (1). Catania aprile 1922. È Pror. Lurcr BuscaLIONI più alto: sucido, venga. a contattò ia Altran: - ondi di funzionare n a lungo come apparato. i de) RAR a A) Pn i al i atei SONNO Mirra LD Sì 5 Si ge ai IRRRAE i si e - : lora CA DEC - n ra DIECI STUDI PEI DOTTORI 4 UIGI BUSCALIONI L Prof. di Botanica nella R. Università di Catania e GUIDO ROCCELLA Assistente al R. O:to Botanico I° STUDIO Intorno ad alcune singolari anomalie delle radici di una plantula di AMYGDALUS COMMUNIS L. INTRODUZIONE Le presenti ricerche non hanno la pretesa di costituire dei lavori completi in quanto esse hanno attinenza con precedenti pubblicazioni della stessa indole, dacchè dato l’immane accumulo della bibliografia e date le difficoltà di aver a disposizione lavori in giornali poco diffusi, e dato infine l’arresto che hanno subìto le recensioni, per opera della guerra, tanto nel Just. Jahresber., quanto nel Bot. Centralbl., fu neces- sario licenziare alle stampe i fatti venuti in luce senza preoccuparsi minutamente di quanto era stato reso di pubblica ragione da altri autori. Trattandosi, per altro, assai spesso di modesti contributi scientifici osiamo sperare che le lacune storiche non abbiano a costituire un gra- | ve danno al lavoro; anche perchè è ovvio che i fatti osservati e de- scritti da un autore raramente collimano esattamente con quelli analiz- zati da un altro. Del resto per taluni lavori, come ad esempio per quello sulla flora ruderale e più ancora per l’altro sopra l’ emissione di Ossigeno attivo da parte degli stomi, dei peli delle foglie e dai granelli pollinici, ab | biamo creduto opportuno fare una eccezione alla regola soffermandoci un po’ a lungo sulle indagini d’indole storiche essendo nostro intendi- mento, per quello che ha attinenza colla flora ruderale, pubblicare un lavoro di maggiore mole ed imponendosi per l’altro, relativo all'uscita di ossigeno attivo (essidasi o perossidasi ?), la ricerca bibliografica 4 | causa dell’ importanza dell’ argomento impreso a trattare. Infatti l’ap- plicazione delle pellicole di collodio impregnate di tintara di guaiaco allo studio dell’emissione di gas (0) dalle piante costituisce un metodo . abbastanza originale di ricerca indubbiamente fecondo di risultati come è stato quello delle stesse pellicole di collodio impiegate da sole, o col l'aggiunta di differenti sali, per lo studio della traspirazione vegetale. In omaggio a questa premessa il lettore ci vorrà concedere venia per le lacune che l’opera nostra presenta dal punto di vista storico : «dal canto nostro crediamo di far cosa non del tutto inutile segnalando | ai botanici talune disposizioni anatomiche, o patologiche, non che taluni fatti aventi attinenza colla distribuzione geografica e colla fisiologia dei vegetali, persuasi che se ci possono esser eventualmente delle ripetizioni vi devono pure esser dei dati nuovi nella nostra esposizione succinta | e puramente descrittiva. I lavori furono assegnati da uno di noi, il Prof. Buscalioni, ma dato il loro numero, i due collaboratori si sono fra loro ripartito il lavoro di indagini, come apparirà meglio in seguito. A Catania, 27 Marzo 1922. - Io STUDIO (Pror. L. RE E DorT. G. RoccELLA) Intorno ad alcune singolari anomelie delle radici di una plantula di AMYGDALUS COMMUNIS L. Nel mese di Gennaio del corrente anno si erano affidati al terreno, entro una piccola serra annessa al laboratorio botanico catanese, pa recchi semi Amygdalus communis allo scorso di utilizzare di poi. - le plantule per talune ricerche scientifiche. Disgraziatamente, a causa delle cattive condizioni di clima, della mancanza di riscaldamento nella serra e di altri fattori molti semi non germinarono e i rimanenti die - dero delle piantine che si svilupparono stentat mente, o più o meno presto andarono a male, in particolar modo sotto l’azione di parassiti, taluni dei quali rovinarono le radici, e sotto il morso dei topi che ave vano trovato un asilo abbastanza tiepido nella serra. La plantula che forma oggetto delle presenti ricerche ha presen | tato uno sviluppo quanto mai abnorme poichè la radice principale si smembrava, in cima, in quattro appendici assai brevi, disuguali per lun- ghezza, costituenti delle radici secondarie, nate, evidentemente da una politomia vera (?) di quella principale: Tanto le radici secondarie, quanto quella primaria avevano aspetto un pò malato che si tradiva ad una colorazione bruno-caffè del sistema radicale politomo e dell’a- pice della radice principale. Sezionate trasversalmente, come meglio si potè fare, dato il cattivo stato dei tessuti, le radici secondarie ‘addimostrano una costituzione quanto mai singolare. Infatti tutte quante sono più o meno profonda - te alterate nella forma: una si presenta quasi foggiata a rene, un’altra ha una disposizione ricordante lontanamente un piede, due infine ‘sono ancor più aberranti, tanto che non si possano paragonare a qualche oggetto. Una di esse poi è stata sezionata più o meno in senso longi- tudinale a causa della direzione che essa aveva assunta rispetto alle compagne (fig. 1 Tav. I). Anche abnorme si è dimostrata la struttura inquantochè i fasci va ari, in tutte quante le radici, invece di occupare la parte centrale "organo, sono spostati verso il lato che guarda verso il centro del s: nple radicale (ig. ba o, a dire verso la seri interna di Li ta PROF. L. BUSCALIO; I E DOTT. G. ROCCELLA i Due delle radici sono ancora brevemente a contatto fra loro per un certo tratto, le altre separate dalle compagne: però a breve distanza dal punto dove si ha questa disposizione si è notato che le stesse si di - spongono quasi all’ ingiro di uno spazio triangolare centrale. Dal lat) esterno i quattro organi in questione non portano che scarsi peli, atrofici, giallicci, i quali invece si fanno più lunghi e più nu- merosi sulle faccie laterali e su quelle che circoserivono lo spazio cen- | trale, quì appena in via di formazione, Il grosso del tessuto nelle quattro radici è | ma corticale, formato da elementi di discrete dimensioni, a pareti leg- | germente giallo bruniccie e sottili, tondi, quasi privi di contenuto, di | guisa che rassomigliano un poco a quelli dei tessuti acquiferi. Solo alla: costituito da parenchi - periferia, dal lato esterno, il tessuto si fa intensamente bruno e le cellule assumono forme poligonali, o mostransi schiacciate dall’ esterno verso l’ interno. x La corteccia è molto robusta in confronto dei cilindri centrali. . Questi sono in numero vario nelle differenti radici, due di queste hanno una sola stela (monostelia), un’altra invece è tristelica, mentre la quarta . lascia scorgere una stela foggiata a clessidra, indicando così che il suo — | cilindro centrale sta per passare dal tipo monostelico al distelico, o è derivata da questo. Le stele ben individualizzate sono, nel'e sezioni trasversali, quasi | perfettamente rotonde; quella aggruppata in sistema polistelico forma un tutto allungato parallelamente alla superficie della radice rivolta verso il centro del complesso radicale. La stessa orientazione si osserva : nella stela in via di scissione. Le stele circolari hanno struttura perfettamente normale; esse pr. per lo più tetrarche ed all’ingiro dei cordoni legnosi e liberiari presen- tano più o meno distinti un periciclo ed un endodermide (che però può La stela a e foggiata a clessidra la quale, come si è detto, ‘sta per diventar distelica, 0 viceversa deriva da questo tipo, accenna in corrispondenza di uno degli estremi, a distaccare un’altra stela tetrarca». per cui ammettendo la prima delle ipotesi sarebbe lecito ritenere che se si fosse potuto seguirne il percorso della stela verso l’ apice della ra ce si PAREbbE- constatata forse la sua divisione in tre stele, probabil- 298 INTORNO AD ALCUNE SINGOLARI ANOMALIE ECC. mente anche tetrarche come sori quelle della radice che le sta di fronte (Fig. 1). Sul sistema polistelico non oecorre soffermarei;. diremo solo che esso è incompleto, avendo pericielo ed endodermide comuni e solo le stele separate. “Tra le stele e la superficie interna delle singole radici v’ ha un esile strato di tessuto corticale costituito sullo stampo di quello, assai più robusto, che sta all’esterno dei cilindri centrali. Vedremo ben tosto . - quanta importanza abbia questa constatazione. Per quanto concerne la struttura delle singole stele noteremo che, oltre al periciclo ed al'a endodermide, oltre ai fasei legnosi con le primane normalmente in posizione esarca, oltre ai libri (male distinti) interposti tra i legni, v'ha quasi sempre un midollo ridotto a poca cosa e costituito da piccole cellule che si continuano con quelle dei raggi midollari cui rassomigliano. Sulla presenza di questo midollo intendia- mo pure richiamare l’attenzione del lettore perchè vedremo ben tosto che esso è destinat» a scomparire per esser sostituito da un altro. Poco o nulla possiamo dire sulla struttura delle radici in quanto ha attinenza alla costituzione degli elementi in sezione longitudinale. Solo nella radice a decorso obliquo, o longitudinale si è potuto notare che le cellule della corteccia sono rettangolari ed i vasi spiralato-reticolati. Se noi ora ci portiamo verso la base delle radici vediamo che queste si avvicinano sempre più fra loro tanto che ben tosto finiscono | per contrarre una mutua aderenza. mercò le faccie laterali, cambiando in pari tempo più o meno di configurazione. Per effetto poi di questa | coadescenza viene a circoseriversi una verà e propria cavità centrale, cui sopra si è accennato, piena di lunghi peli radicali contorti, i quali del resto non mancano neppure sulle faccie laterali delle singole radici, per lo meno la dove vengono meno i contatti. A questo livello, mentre muta notevolmente la configurazione delle singole radici che tendono ad assumere forma lontanamente poligonale, cambia pure l’assetto dei fasci vascolari in quanto che si hanno due radici incompletamente tristeliche, tetrarche, alterne con altre due radici mono- steliche. parimenti tetrarche. Una delle radici trisieliche si fa ben tosto. istelica. Le stele sono sempre avvicinate al bordo interno, 0 o centrale, del complesso radicale e la loro reca in cerchia interrotta ap- PROF. L. BUSCALIONI E DOTT. G. ROCCELLA © Pvco più in alto, verso la base, avviene un fenomeno molto singo- lare: le radici, rimaste sino ad ora isolate, sebbene per un certo tratto a | mutuo contatto fra loro lateralmente, anzi ivi persino saldate in parte le une all’altre, si fondono in un unico corpo dal lato esterno, e la fu- sione viene effettuata dallo strato pilifero e da parecchi piani di cel- lule corticali superficiali. Si ha pertanto, nelle sezioni trasversali, un’u - nica radice a sezione subeircolare la quale si prolunga verso il centro in quattro cun-i a due a due opposti fig. 6 Tav. II). Le faccie di contatto dei cunei, divenute frattanto piane, continuano a mostrare, e ben distinto, lo strato pilifero che se ha perduto i peli, non ha mutato la forma delle cellule, sebbene la saldatura lungo le linee di contatto si mostri ora, su certi tratti, quanto mai intima. AI centro dell'organo i quattro cunei terminano con un apice ot- tuso, od anco più o meno espanso, dal quale si dipartono numerosi peli radicali che penetrano più o meno profondamente nella cavità centrale intrecciandosi variamente fra loro. i Se si seguon» le linee di Saldatura nel loro percorso dall’ interno verso l’esterno si nota che talora, a metà circa del loro percorso, si divi- dono in due rami, uno dei quali, quello più breve, dirigesi obliquamente | verso la superficie, accennando a passare fra due stele contigue nelle radici polisteliche (fi. 6 Tav. II, fig. 2 Tav. I), mentre l’altro non appare spostato dalla sua originaria direzione radiale. Di qui la ten denza nei cunei a dividersi a loro volta in pseudo radicomi secondari ‘minori, il che però ha luogo in una misura molto limitata dacchè le ramificazioni secondarie delle fessure si arrestano, come sopra è detto, 5, a breve distanza dalla loro inserzione quella principale. Ma quello che più ei interessa si è che le quattro principali linee | di fessura, giunte a poca distanza dalla superficie esterna della ra. dice adelfica, si espandono tangenzialmente in una cavità più o meno ampia, talora di forma trapezoidale piena di quegli stessi peli che ab biamo visto tappezzare la cavità centrale d-Il’organo (fig. 6 Tav. II). Per effetto di questa espansion» le linee principali di sutura assumono rossolanamente la figura di un T col braccio corto et alla su erficie esterna dell’organo. i All’esterno delle espansioni trapezoidali vi ha solo più la corteccia. ide, comuni entrambe a tutti quanti i cunei, INTORNO AD ALCUNE SINGOLARI ANOMALIE ECC. 300 Continua intanto a variare la costituzione delle singole stele tut» tora midollate, una delle quali si allarga sempre più tangenzialmente per assumere la forma di una benda con otto cordoni legnosi ed al- trettanti liberiani posti all’ingiro di un midollo formato da piccole cel- lule. Le altre stele o si mantengono tetrarche, o diventano pentarche, senza tuttavia modificare la loro forma circolare. Il tipo radicale è però ovunque conservato sia che si tratti di monostelismo, che di poliste- lismo: i protoxilemi poi, come vede ordinarie radici, sono fatti di ele - menti spiralati, mentre i metaxilemi costituiti da vasi abbastanza larghi, non hanno punto modificate le scu'ture delle loro pareti. Mentre avvengan » siffatti rimaneggiamenti le stele vanno a poco a poco allontanandosi da' centro dell’ organo per portarsi definitiva- mente ad una distanza pressochè uguale dalle due superfici interna ed esterna. Ma in questo spostamento non va perduta la disposizione in cerchia attorno alla cavità centrale; le stele poi restano del pari co- stantemente immerse nell’ordinario tessuto corticale assai voluminoso. . L’endodermide attorno ad ogni stela si rende qui molto più distinta che altrove e presenta i Punti di Caspary piuttosto avvicinati al. lato interno della parete cellulare. Il periciclo è pure presente in forma di piccoli elementi, non molto dissimili da quelli midollari, disposti in più piani, Si è notato però che talora il midollo ispessisce alquanto le pareti, di natura cellulosica, ed allora assume una fisonomia speciale. Continuando le nstre ricerche sempre più avvicinandoci alla base arriviamo a un punto in cui ia stela di maggiori dimensioni, che prima - aveva forma di clessidra, accenna sempre più a scindersi in tre stele indi pendenti, come lo attesta il rimaneggiamento cui vanno incontro sia 1 legni che i libri. Ma anche le stele piccole subiscono notevoli variazioni che si effettuano però con una certa lentezza: in esse i cordoni xilemici si ineurvano gli uni verso gli altri in corrispondenza dell’ estremità in- terna per fondersi a due a due mercè gli ultimi vasi di metaxilema. (fig. 6 e 8 Tav. II, fig, 2 Tav. I). Ne risultano così delle figure a V e cui branche rivolte all’ esterno sono sormontate dai protoxilemi e elle cui concavità resta incluso un fascetto di libro. Tale struttura, che ricorda un po da vicino ‘quanto uno di noi ebbe a riscontrare sa ; ocotiledoni, rende le stele irregolari, cioè costituite in parte ( te conformati in dae semdigainel Dal è trim ey DI PROF. L, BUSCALIONI E DOTT. G, ROCCELLA © desmi indipendenti si passa a un apparente triarchismo (fig. 6 e 8 Tav. II) e al fine, quando la fusione è talmente accentuata che tutti i xilemi sono uniti a due a due, si arriva a un diarchismo pure apparente (1). Mentre avvengono questi rimaneggiamenti i cunei si atrofizzano ‘sempre più pel fatto che le linee di sutura vanno gradatamente termi- nando ad una distanza sempre maggiore dalla superficie della radice, il che porta ad un corrispondente aumento della posizione di corteccia in - volucrante, come un mantello comune, i cunei radicali (fig. 2 e 3 Tav. I, fig. 11 Tav. III. Grazie ad una confluenza sempre più accentuata dei desmi delle singole stele si arrivi al fine alla fusione del corpo legnoso di queste in un’unica massa la quale, a seconda del numero dei cordoni xilemici primordiali (triarchismo, tetrarchismo ete.), presentasi di forma trigona quadrangolare, pentagonale et. In corrispondenza dei vertici o spigoli si. incontrano i protoxilemi, mentre il centro del tessuto è occupato dai larghi vasi del metaxilema. Il libro si distende per lo più al davanti delle faccie piane delle masse legnose (fig. 3 Tav-I, fig. 12 Tav. III e fig. 10 Tav. II). Per effetto di queste successive fusioni di desmi, che si accompa- /gnano talora ad aumento dei poli xilemici, compare alfine una struttura | quando mai modificata che noi cercheremo quì di riassumere brevemente. Dapprima si costituisce una radice a sezione trasversale circolare, attraversata al centro da un’ampia cavità subquadraugolare, i cui ver tici si prolungano alquanto nello spessore della corteccia divenuta oramai continua per la riduzione quasi totale dei cunei (fig. 11 Tav. III). Tali spigoli penetranti nello spessore del parenchima corticale, i quali talora possono essere più di quattro (fig. 3 Tav. I), rappresentano perciò gli ultimi accenni. delle linee di sutura dei cunei destinate ala tardi a sparire completamente (tig. 12 Tav. III, fig. 7 Tav. II). Le originarie radici, oramai fuse in una sola e disposte in cerchia. attorno alla cavità centrale (divenuta quasi glabra, o soltanto più for- nita di corti peli) sono ancora disuguali per forma e struttura. Due di è avvenuti la fusione ; I) Ni lo chiamiamo «pp na perchè anche quanto è “dei desmi or: iginariamen'e separati permangono tanti protoxilemi quanti sci primitivi Balbo, di Con che il tetrarchismo è ancor sempre. INTORNO AD ALCUNE SINGOLARI ANOMALIE ECC. esse, in posizione diametrale, constano di tre stele, mentre le altre due intermedie persistono allo stato monostelico (fig. 3 Tav. I, fig. 11 Tav. III) Nel caso di polistelia la endodermide avvolge in un solo cordone le stele le quali per altro attestano ancora la loro costituzione tipicamente stelica grazie all’aspetto particolare dei loro desmi. A seconda però del punto in cui cade la sezione la costituzione varia notevolmente, tanto che in certi punti si può, ad esempio, incontrare una stela separata dalle altre due, e rivestita da una endodermide propria (fig. 2 Tav. I). Fra una stela e l’altra l’endodermide, quando è comune, si affonda alquanto nel pericielo da tempo divenuto, al pari dell’endodermide, comune alle tre stele e l’ affondamento è più accentuato dal lato delle stele che guarda verso la cavità centrale (fig. 2 e 3 Tav. I, fig. 11 e 12 Tav. III. Egli è evidente che, data una così singolare costituzione degli elementi xilemici delle radici, l’anatomico che esamini solo un po su- perficialmente la struttura, o non abbia seguito la contrazione e la fusione dei desmi della singole stele può esser indotto a ritenere i membri tri- stelici come costituenti un sempliée cordone tripartito e avvolto dalla | propria endodermide. Il pericolo di una falsa interpretazione è acere- i £ sciuto dal fatto che, come sopra è stato detto, i pericieli di ogni singola stela si fondono al di sotto delle endodermide in un unico parenchima. Qualcuno potrebbe vedere in siffatti cordoni conduttori aberranti una disposizione astelica: ma contro questa interpetrazione sta il fatto che i pro» | toxilemi in ogni membro tristelico sono situati tutti all’ingiro degli am | massi legnosi, in corrispondenza dei vertici di questi (fig. 9 e 10 Tav. II. D'altra parte non si ha neppure una genuina polistelia poichè, se si fa astrazione dalle stele semplici, le altre bitristeliche sono in- volucrate da un endodermide e pericielo comuni, mentre nei casi di polistelia vera ogni stela ha. in proprio questo tessuto. Tutto sommato ci troviamo di fronte a una struttura sui generis che tuttavia ricorda più da vicino la polistelia di Van Tieghem che |’ astelia. . Ogni stela dei membri od aggruppamenti bi-tristelici è divenuto ora — un ammasso compatto di legno a metaxilema centrale (fig. 3 Tav. 1 fig. 12 Tav. III e fig. 9 e 10 Tav. II), analogamente a quanto si veri. fica pure nei cordoni monostelici, per la scomparsa del midollo. . Intanto che avvengono questi profondi cambiamenti strutturali - nel libro e nel xilema il periciclo comune alle stele dei cordoni poli=. PROF. L. BUSCALIONI E DOTT. G. ROCCELLA stelici e quello dei cordoni monostelici si fa sempre più robusto, allon- tanando e libro e legno dall’endodermide. Se si considera frattanto ognuna delle stele indipendentemente dalla vicina non si può far a meno di riconosceré che la struttura delle stesse è ancora tipicamente radicale avendo sempre i protoxilemi esarchi: se si considera invece tutto il sistema vascolare nel suo tom- plesso si constata l’esistenza, attorno alla cavità centrale, di una cerchia vascolare ricordante una monostela con forti raggi midollari. È però una monostela fino ad ora solo apparente, per quanto appunto sopra è detto (fig. 3 Tav. I, fig. 12 Tav. III e fig. 7 Tav. Il) Più in alto, sempre verso la base radicale, appaiono nella cavità mi dollare dei corpi di color gialliceio (fig. 13 e 14 Tav. III), i quali non presentano traccia di struttura vegetale. Sono ammassi informi, in cui non si incontrano nè accenni di organi, nè aleunchè di organizzazione cellulare ben chiara, di guisa che noi sospettiamo che siano resti animali, i quali colla loro presenza avrebber> determinato le anomalie nella eo- stituzione della radice. È più o meno în corrispondenza di questi corpi che furono in- contrate le prime radici di terz’ ordine. Esse nascono, come avviene spesso normalmente, in faccia ai cordoni legnosi nel pericielo, ma an- zichè trarre origine da quel lito della stela che guarda verso la super- ficie dall'organo hanno ben altra orientazione. Infatti una di esse emerge dal lato interno della steia per portarsi verso la cavità centrale, la se conda si porta invece verso la linea di sutura di uno dei cunei radicali ancora abbastanza ben caratterizzato (fig. 11 Tav. III) In generale si è notato che le stele le quali sviluppano siffatte radici presentano ancora i desmi legnosi separati gli uni degli altri per non essersi PARA la costituzione protostelica esarca. La cavità centrale si allarga sempre più, a misura che si va esau- rendo il sistema pilifero; in pari tempo la struttura degli organi che la circondano ci riserva nuove sorprese. Innanzi tutto si osserva che le endodermidi rivestenti le stele variamente conformate, dopo essersi allontanate dai cordoni conduttori, a causa degli strati di pericielo neo-. formati, finiscono per emettere, in corrispondenza delle faccie laterali delle singole stele, dei prolungamenti o gavoccioli, spesso ordinati in serie dr a Ain. di grani di rosario, i quali; si avanzano nel paren- INTORNO AD ALCUNE SINGOLARI ANOMALIE ECC. chima corticale interposto fra le stele, mentre si vanno sempre più stroz- zando nel punto di impianto, tanto che al fine le nuove produzioni si emancipano dalle stele da cui trassero origine (fig. 12 e 17 Tav. III, fig. 10 Tav. II). Ad un attento esame al microscopio i gavoccioli ap paiono variamente conformati: talora essi constano unicamente di en- dodermide e di accluso parenchima evidentemente di natura periciclica, come del resto l’ attesta la forma delle cellule, in altri casi invece presentano in s-no al periciclo dei minuti aggruppamenti liberiani, in “numero vario, e mai accompagnati dai rispettivi cordoni xilemici. Ciò posto appare evidente, come meglio apparirà in seguito, che le propag - gini liberiane divenute, per effett» delle svaginazioni endodermiche, in- terfascicolari saranno più tardi destinate a rappresentare i nuclei libe- riani dei futuri cordoni libero -legnosi a tipo caulinare, (interstelici !) che per effetto del passaggio ‘dalla radice al fusto non tarderanno a formarsi. Tali propaggini endodermiche pericicliche e ta'ora anche liberiane, a misura che si procede verso la base della radice, si espandono sem- | pre più in senso tangenziale di guisa che finiscono per ragginngere non | soltanto la stela da cui emanarono, ma anche quelle situate di fianco, 0 le propaggine che questa a sua volta ha emesso. Il fenomeno ripeten dosi tutto all’ingiro della cerchia vascolare ne risulta che tutte le stele di questa (in numero di 8 circa) si fondono in un unico anello circon- dante la cavità centrale (fig. 12 e 13 Tav. III, fig. 10 e 7 Tav. Il Ogni stela per altro conserva per un certo tratto la sua costituzione di protostela esarca, circondata, salvo in corrispondenza dai vertici pro -- toxilemici, dal libro. Tra una stela e l’altra campeggia una benda di periciclo, (a piccoli elementi) in cui stanno immerse le isole di libro > interfascicolare (o meglio interstelico). Questo aberrante sistema veto lare è circondato da una doppia endodermide (fig. 12 e 13 Tav. III, fig. e 10 Tav. II), l’una esterna, l’altra interna e ciò pel fatto che le pos indodermidi steliche non solo si sono concatenate con quelle delle stele vi ine, ma nei punti di contatto, sulle faccie laterali delle stele hanno tra-- sformato gli elementi endodermici in cellule del pericielo, o se si vuole di raggi midollari. Si ha così una disposizione anatomica che ricorda, 2° indere ben inteso della presenza delle stele e della polistelia, la tuzione anfifloica sifonostelica di alcuni cauli arcaici, 0 primordiali. d lodermide interna, che sta ad una certa distanza dalla cage PROF. L BUSCALIONI E DOTT. G, ROCCELLA centrale, ha sempre un EROS: assai più sinnoso di ata esterna, ad- dentrandosi essa profondamente fra le singole stele, il che dimostra a chiare note che la sua origine deriva dalla scomparsa degli elementi endodermici sui fianchi delle stele (fig. 12 Tav. III). Siamo ora arrivati al punto critico in cui la struttura radicale trapassa, con brusca variazione, a quella del caule. Dobbiamo disgra - ziatamente dich arare che le nostre ricerche su questo tratto del ri. maneggiamento stelieo e morfologico sono alquanto frammentarie per l'insufficienza di materiale di studio. Ad ogni modo erediamo che quanto verremo illustrando sia sufficiente per darci, a grandi tratti, una no- zione sulle principali innovazioni che hanno luogo in connessione col cambiamento di costituzione morfologica. L’ inizio del trapasso è segnato dalla scomparsa di alcuni protoxi- lemi, che come si sa, occupano i vertici deì poligoni xilemici. Non si ha, a quanto pare, regola alcuna circa la loro scomparsa poichè talora sono i protoxilemi situati dal lato centrale, talora quelli laterali che vengono sacrificati. Spesso poi si osserva che due poli pro- | toxillemici si avvicinano l’uno all’altro per fondersi assieme. Contemporaneamente i xilemi si allargano e, dacchè sono scom. parsi i setti endodermici che separarono una stela dalla vicina, molte di queste non tardano a fondersi parzialmente fra loro in corrispondenza. dei bordi laterali. Si stabilisce così una cerchia vascolare irregolarmente discontinua formata da stele più o meno grandi, poligonali, a benda. e via dicendo (fig. 13 e 14 Tav. III). Intanto per effetto dell’ isolamento, inerente alla presenza di una . doppia endodermide, cui soggiace la cortecitia centrale, completamente stacccata ora da quella periferica ne viene che il tessuto fondamentale, dapprima unico. si differenzia qui in una porzione perilacunare, o cen - trale, costituita da cellule piccole che simulano perciò un midollo edi in un’altra periferica che non ha mutato costituzione cellulare e per la quale sola spetta d’ora in poi la denominazione di tessuto corticale | (fig. 7 e 10 Tav. II, fig. 12, 13 e 14 Tav. III). La cavità, ora dive- nuta realmente midollare, resta ancora circondata da cellule allungate, circonvolute, irregolari che sarebbero gli ultimi accenni della originaria struttura: di peli genuini non è però più il caso di parlarne (fig. 7 e (0) Tav. 15 e gi Li 14 Tav. III) INTORNO AD ALCUNE SINGOLARI ANOMALIE ECC, Quà e là al davanti di taluni protoxilemi e specialmente di quelli volti verso |’ esterno compaiono dei grossi vasi di neoformazione, I protoxilemi così involuerati nel metaxilema tendono ad affondarsi nella massa di legno che assume per effetto di tale innovazione quasi la forma di un V, le cui due branche sono formate da vasi abbastanza larghi, mentre la porzione mediana risulta in gran parte costituita dagli originarî protoxilemi che si portano verso il polo interno del cordone legnoso (originaria stela). Si ha pertanto una struttura che ricorda un pò da vicino quella di un fascio mesarca. A queste innovazioni nell’ambito dei xilemi tiene dietro la fram mentazione dapprima e la scomparsa di poi dell’ endodermide interna (fig. 7 Tav. II, fig. 12, 13 e 14 Tav. III). Avviene frattanto che nuovi elementi di metaxilema più o meno larghi, si sviluppino in ogni stela, ma limitatamente dal lato interno di questa, o sui fianchi e gli stessi si sovrappongono gli uni agli altri in senso tangenziale per dar origine così a delle bende xilemiche le quali stabiliscono, o rendono sempre più intimo il raccordo tra due stele vicine (fig. 14 Tav. III). Poco possiamo dire a riguardo delle modificazioni cui va incontro il libro, e ciò a causa dell’esiguità dei suoi elementi. Esso continua per un certo tempo a involuerare le singole protostele xilemiche, pre- sentandosi tuttavia come una faccia discontinua in faccia ai protoxilemi, ‘0 al posto che essi oceuperebbero qualora non fossero scomparsi. Ben | tosto può dal lato interno di ogni stela il libro si spezza in più isolotti che diventano sempre più gracili, indicando così che esso non deve tar- dare a scomparire da questo lato, come infatti avvi-ne. In compenso fa più robusta quella porzione di floema che campeggia tra due stele. Non sì tosto il rimaneggiamento è compiuto comincia a delinearsi la costituzione caulinare pel fatto che le originarie stele, in numero di sette od otto, hanno trasportato i loro protoxilemi dal lato interno, guardante la cavità midollare, e spostati in pari tempo i vasi mag giori verso il polo opposto. Le originarie stele si addentrano ora nel tessuto midollare di nuova | ione come tanti cunei (fig. 14 e 15 Tav. III) i cui vertici sono — voce pati dai protoxilemi divenuti endarchi, mentre le basi rivolte verso esterno sono costituite da sore ed anzi dai vasi Magi Te: 5 PROF. L. BUSCALIONI E DOTT. G. ROCCHLLA . centemente formati (secondari), di questo tessuto. Tutti quanti i cunei poi sono fra loro congiunti da bende xilemiche sottoposte al libre in- terfascicolare (già interstelare) originariamente incluso nei gavoccioli endodermici, Si stabilisce adunque una vera monostela caulinare subeontinua (fig. 14, 15 e 16 Tav. III), un po irregolare, nella quale il libro è del tutto all’esterno (salvo qualche residuo accanto ai proxilemi affondati, endarchi), il legno all’interno. La monostela poi è cinta dal periciclo, a sua volta circondato dell’endodermide esterna, essendo l’interna scomparsa. Avviene spesso che i protoxilemi, sia che abbiano raggiunta la posizione endarca, sia che non s'ano arrivati alla loro sede definitiva (e perciò si presentino ancora in posizione mesarca), si circondino di isole di metaxilema (secondario) separate dal resto del legno per mezzo di zone — parenchimatose appartenenti al tessuto fondamentale. In tal caso la strut tura ha qualche lontana analogia con certi cordoni a tipo arcaico di qualche pianta fossile (Pytis, Poroxyilon et.). Nelle ultime fasi della trasformazione desmica il cambio fra legno e libro entra in piena attività, mentre si estende tutto all’ingiro della cerchia libero legnosa divenuta tipicamente caulinare. Compaiono frat- tanto i raggi midollari (genuini) di vario ordine ed il midollo, che prima ‘era ampiamente cavo, ben presto si riempie di tessuto parenchimatoso ed in questo si vanno differenziandosi delle tracheidi, isolate o a piccoli gruppi, più o meno nettamente separate da quelle che tormano il legno dai fasci vascolari (fig. 16 Tav. III, fig. 5 Tav. I). Si ha pertanto una specie di midollo misto, quale si osserva in Heterangium ed altre forme ‘primordiali e noi crediamo che l’analogia sia abbastanza intima, dae- | chè tanto nelle forme arcaiche a midollo caulinare misto, quanto nel nostro caso i vasi sparsi nel midollo sono gli ultimi rappresentanti del legno metaxilemico dei cordoni mesarchi, o esarchi. Siffatti vasi in po- sizione atipica finiscono però ben tosto per scomparire. Noi siamo qui in piena struttura caulinare, quale si ha al di sotto . dei cotiledoni, ed invero le anomalie ed i termini di passaggio tra radice _ e caule sono del tutto scomparsi (fig. 15 e 16 Tav. III, fig. 5 Tav. I). E cordoni sono ora tipicamente collaterali endarchi, separati gli uni dagli altri dai raggi pae normali Solo, come ultimo e neppure persistente ac- ‘cenno della orig ttura stelica di taluni cordoni (i principali), si ha INTORNO AD ALCUNE SINGOLARI ANOMALIE ECC. un certo disordine nello assetto dei vasi fiancheggianti i protox1lemi). I cor- doni che presentano siffatti particolarità sporgono di più degli altri, cioè degli interfascicolari, nel midollo. Questi ultimi poi mancano di protoxilemi. Dai cordoni maggiori completi, per quanto a struttura, si staccano i desmi che vanno ai propinqui cotiledoni; gli altri fasci se- guitano la loro corsa nel successivo internodio. Diremo da ultimo che nel periciclo compaiono degli archi selerosi davanti al libro interfasci- colare (fig. 16 Tav. III). Conclusioni. Le radici, in generale, per la loro ubicazione quasi sempre ipogea, sono, assai più dei cauli, sottratte alle vicende del mezzo esterno, per per cui si comprende come molti autori abbiano affermato che esse | sono più tenacemente insignite di strutture arcaiche o primordiali, come l’attesta la costituzione esarca del sistema conduttore loro che sì ri- trova quasi solamente nei cauli delle piante fossili arcaiche. Reca pertanto non poca meraviglia il constatare tuttavia che al- lorquando siffatti membri della pianta vengono stimolati da qualche causa 0 fattore insolito, come ad esempio traumatismi, parassiti, nutri- zione eccessiva et., reagiscano in modo così vivace e così disordinato che difficilmente si ottiene un analogo comportamento nell’ ambito del caule. (V. in proposito Ledoux sur les variations morphol. et anat. de quelques racines consecutives aux lesions mechaniques Rev. Gen. Bot. 1909 XXI e Kidston e Gwinne Vaugham: On the fossil Genus Tem- | pskia. Rep. Brit. Assoc, Sheffield 1910). Le osservazioni che uno di noi (Buscalioni) ha fatto col Professore Lopriore sulle radici fasciate, nonchè le ricerche di Nemec sugli apici radicali lesi (per citare solo qualche esempio) provano a chiare note che, sotto determinati stimoli, le radici modificano profondamente la loro « costituzione anatomica, tanto da generare delle combinazioni istologiche uanto mai aberranti che difficilmente si potrebbero evocare nei caulìi. Il caso che noi abbiamo illustrato costituisce la più bella conferma del nostro asserto. Qui si ha una radice fittonante che, a partir dal midollo, si smembra a poco a poco ed in senso acropeto e centrifugo in quattro membri secondari i ‘quali restano così a a collegati dal rmazitelio: a comune. : Avviene pertanto una vera politomia, ma così atipica che nulla ha a vedere con i casi illustrati dal Buse ilioni, Lopriore, Schoute, Veleno- yscky ed altri autori per le radici, o pei cauli. Completatasi la politomia compaiono le radici nettamente indivi- dualizzate e abbastanza normalmente conformate, se si fa astrazione tuttavia dalla posizione eccentrica delle stele. È vero che talune di esse sono ancora polisteliche, ma il modo con cui si presentano le stele lascia supporre che si abbiano ad affettuare nuove dicotomie, risultandone da ultimo tante radici monosteliche quante son le stele. Ogni stela è avvolta dalla endodermide e, analogamente a quanto avviene nelle radici normali, ha il suo pericielo, in seno al quale na- scono pure le radici di terz’ordine, come avviene di norma. Se noi ora risaliamo le radici in senso basipeto vediamo che le stele midollate a poco a poco si fanno protost-liche (1) per la perdita del midollo, coi protoxilemi situati in posizione esarca, ai vertici dei singoli poligoni, il che stabilisce una non lontana analogia con quanto si ha nei cauli di Lepidodendron. Ma prima ancora che si formi un blocco unico legnoso, ha luogo una deviazione dei cordoni xilemici dalla linea radiale per cui essi si avvicinano gli uni agli altri colle loro estremità interne metaxilemiche e finiscono per fondersi fra loro da questo lato, dando origine a strutture che non tanto lontanamente ri - — cordano quelle della Sfenofillacee, o delle Marsiliacee. Non meno singolare ed atipico è il modo con cui, nel passaggio dalla struttura radicale a quella caulinare, il libro si porta (ci sia permessa l’e- spressione) in posizione interfascicolare, od interstelare. Un tale rimaneg - giamento si affettua in grazia ad una singolare proliferazione, o meglio estroflessione dell’endodermide delle singole stele, la quale invade i grandi raggi midollari {o meglio i pseudo raggi midollari poichè interposti fra stela e stela e non già fra desmi e desmi) trascinando seco delle isole di libro immerse nel pericielo. I cordoni di libro, divenuti così interfasci- INTORNO AD ALCUNE SINGOLARI ANOMALIE ECC. torsione o forse, per esprimerci più esattamente, per spostamento tan. genziale dalle loro cellule madri. L’origine pertanto dei cordoni libero legnosi a tipo caulinare interfascicolare è, per quanto concerne il libro, così aberrante che noi non conosciamo alcun che di simile nè nelle forme attuali, nè in quelle fossili, state studiate dal punto di vista del raccordo della radice col fusto. Più in armonia colle strutture reperibili quà e la nelle piante at- " tuali, o in quelle fossili (specialmente a tipo un po primordiale) è la comparsa di una doppia endodermide per effetto dello espandimento in senso tangenziale del tessuto in questione avvolgente ognuna delle stele. 3 La sifonostelia anfifloica che per tale processo ne deriva e però quanto mai abberrante, rivestendo le due endodermidi a volta a volta delle stele e dei libri interstelici, o dei veri cordoni libero legnosi interstelici, e non già dei desmi bicollaterali, od altrimenti conformati. Ma frattanto l'analogia tra lo due strutture appare via via sempre più manifesta pel fatto che le stele si dispongono tutt’ all’ ingiro di una cavità e di un tessuto centrale, comportandosi come semplici desmi di una banale mo- I nostela anfifloica. Oltremodo singolare è poi il fatto che il tessuto testè È ricordato campeggiante tra la cavità centrale e |’ endodermide interna si organizza poco alla volta in guisa da diventar del tutto dissimile da quello corticale con cui aveva comune origine. Noi pertanto ere- diamo di colpire nel segno assegnando ad esso il significato di midollo. Intanto finchè permane una cavità midollare un po cospicua, questa si | mostra ripiena di peli radicali i quali, mentre complicano sempre può la costituzione aberrante, stanno ad indicarci come il midollo, ben- chè istologicamente differente dalla corteccia, non è, in ultima analisi, che un’emanazione di questa. Un altro tipo di midollo si aveva più in basso (nel senso acropeto) al centro di molte delle originarie stele, | ma poichè i cordoni legnosi di ognuna di queste si sono fusi in un blocco unico per formare un’ actinostela (o protostela) esso è andato ben tosto perduto definitivamente. | Fra le più aberranti innovazioni che ci fu dato di esaminare me- ritano di esser segnalati gli spostamenti che taluni protoxilemi subi- scono per passare dalla posizione esarca all’endarca. Abbiamo visto che taluni protoxilemi scompaiono, gli altri o restano in sito (se sono già in posizione endarca rispetto alla radice considerata come un tutto), 0p- zo Te ey È DI STRO ge PROF. L. BUSCALIONI D G. ROCCELLA pure si affondano nel metaxilema che quasi spezzano in due cordoni, mentre essi diventano dapprima mesarchi, poi endarchi. Ma questo ri - maneggiamento, che si ha del resto anche nei desmi delle radici nor- mali di Amygdalus communis, determina un mutamento completo nel - l’organizzazione del sistema conduttore che dalla dignità di un’ asso- ciazione di stele si degrada fino al punto da diventare un banale cor- done collaterale endarea. La trasformazione è agevolata dalla comparsa di grossi vasi metaxilemici al posto dei protoxilemi emigrati, o sui fianchi delle stele originarie e della scomparsa Vagrant interna (fig. 4 Tav. I). Nell'esempio da noi preso in esame le otto stele originarie diven- tano gli otto grossi cordoni principali libero legnosi collaterali endarchi del caule in via di formazione, i quali restano fra loro collegati dai | libri emigrati nei territori interfascicolari assieme ai gavoccioli endoder- mici e dai metaxilemi che si distribuiscono al di dietro degli stessi per torsione o meglio per spostamento di taluni vasi metaxilemici dei cor- doni principali. In conclusione quanto è venuto in luce dalle nostre ricerche rende sempre più precaria le definizioni scolastiche più in voga sulla costitu- zione dei fasci vascolari, a riguardo dei quali Van Tieghem, Bertrand, Jeffrey e molti altri autori hanno cercato, coll’ interpolazione di nuove formole strutturali, portare un po di ordine e di luce, ma forse senza un risultato decisivo essendo il problema della stela e del desma quanto mai complesso. Che cosa è, in ultima analisi, un fascio vascolare, che cosa una stela? Qual’è la vera essenza dell’ astelia, della p listelia, della mono- stelia et.? A priori si può affermare che ognuno di questi termini ha avuto la sua definizione, tanto da rappresentare uno schema, o un’entità Yen . definita nelle descrizioni di molti anatomici che si oceuparono della co- stituzione degli elementi conduttori libero legnosi. Ma all’atto pratico le cose vanno un po diversamente poichè se, ad esempio, colla scorta dei dati stabiliti come tante pietre migliari della dottrina desmica ci proviamo a caratterizzare la costituzione de- smica dei vari tratti delle radici anomale di Amygdalus communis cei INTORNO AD ALCUNE SINGOLARI ANOMALIE ECC, bE troviamo subito imbarazzati a raggruppare i reperti venuti in luce at- Ò torno alle varie definizioni scolastiche. 0 Una stela tetrarca che diventa dapprima un actinostela, poi un desma collaterale di un cilindro libero legnoso caulinare: un sistema di stele che si dispongano in modo da simulare una mopostelia ordinaria: delle stele che distaccano sui lati dei gavoccioli endodermici con cor- doni liberiani: delle stele che si cementano fra loro, per mezzo dei cor- doni libero legnosi collaterali interfascicolari, come i desmi di un caule nel periodo di accrescimento secondario: un midollo genuino che scom- pare per esser sostituito altrove da un altro dì origine corticale: una sifonostelia anfifloica formata in parte di stele, in parte di desmi col- laterali, la quale poi non si genera per invaginazione di un endoder- mide esterna, ma per fusione delle endodermidi di stele separate: da ultimo un passaggio dalla struttura radicale atipica (ma apparente- mente normale) a quella di un caule prettamente normale: ecco quali sono le particolarità anatomiche sulle quali il botanico deve pronunciarsi per inquadrarle in uno dei soliti schemi scolastici di definizione dei sistemi vascolari. E noi non crediamo pertanto di andar errati affer- mando che l’incorporamento in detti sistemi sia qui tutt'altro che facile, dacchè troppo le strutture poste in evidenza differiscono da quelle fino ad ora note. Riassumendo pertanto i fatti possiamo concludere che di entità reali nella costituzione del cilindro centrale, in quanto esso rappresenta un apparato di conduzione, non rimane altro che il desma, cioè il cor- done o liberiano, o legnoso, o libero legnoso. Quest’entità appare ben circoscritta quando è fornita’ di poli nel senso di Bertrand, cioè di primane xilemiche e liberiane, un po meno quando ne difetta. Dal vario aggruppamento dei desmi fra loro ne risultano dipoi le più svariate strutture desmiche e steliche che fino ad ora vennero prese in considerazione, le quali, come è noto, spesso trapassano le une nelle altre per gradi. (1) Catania, Marzo 1922. (1) V. in proposito Gein Vaughan: On the fossil Genus Pompskia Rep. Cera Assoc. Sc. Sheffield 1920. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Tav, L Fig. 1. Estremità della rad'ce fittonante di Amygdalus communis divisa, per po- litomia, in quattro radici secondarie, le une monosteliche le altre polisteliche. Fig. 2. La corteccia comune si è ispessita, i cunei, per converso, ridotti. Le stele tendono a fondersi in cordoni foggiati a benda (nei cunei poli- stelici). I desmi di una stela s fondono a due a due per gli estremi interni. Le linee di sutura si allargano a T verso l’estremità esterna, ed ivi sono piene di peli radicali: questi pure presente nella cavità centrale. Fig. 3. Le endodermidi cominciano ad emettere dei gavocc.oli in direzione dei grossi raggi midollari; tra una stela monostelica ed un’altra tristelica si in- contrano due di siffatti gavoceioli del tutto individualizzati, l'uno grosso l’altro piccolo: nelle stele i legni si sono aggruppati al centro, provocando la scomparsa dei singoli midolli. Fig. 4. Midollo in parte cavo circondato da 7 stele (una risultante dalla fusione di due minori); vi ha una doppia endodermide, ma l’interna è in via di atrofizzarsi. Fig. 5. Cilindro centrale a struttura caulinare. Midollo disseminato di tra- cheidi A per lo più riuniti.in fascetti (midollo misto). Tav. II. Fig. 6. Quattro cunei radicali provenienti dalle radici sopra illustrate (fig. 1) riuniti da uno strato di corteccia comune. . Taluni cunei sono polistelici, altri monostelici. Le linee di sutura con- fluiscono al centro dell'organo in una cavità piena di peli radicali e si al- largano verso l'esterno per formare delle insenature pure ripiene degli stessi peli, presenti del resto anche alla superficie dell'organo. Una delle linee di suturi tende a biforcarsi. Lo strato comune di corteccia è poco ispessito e le stele sono tutte midel- late, a tipo per lo più tri-tetrarco. In qualche stela i desmi legnosi tendono a fondersi fra loro per mezzo dei metaxi'emi. Fig. 7. Le stele tendono a disporsi ad uguali distanze fra loro, tutto all’ingiro de la cavità midollare ceutrale: l’endodermide interna è già in via di disso- luzione; quella esterna, nettamente differenziata, individualizza un tessuto ue» midollare attorno alla cavità assile (midollare): la corteccia pre- ta delle cellule a ampie di quelle del midollo: i grossi raggi mi DI Se ai o 6 Tot 9: PT ST na Sg SPIEGAZIONE DELLE FIGURE lari primari separano ancora l’ una dall’ altra le stele e non sono quindi omologabili a quelli che intercedono fra gli ordinari cordoni vascolari nei fusti e nelle radici. Fig. 8. Quattro cunei radicali: uno di essi presenta una stela pantarca, un’altro è percorso da tre stele, gli altri due lasciano scorgere solo il pirenchima fondamentale. In ognuna delle stels i cordoni legnosi tendono a fondersi, o si son già fusi parzialmente fra loro, in guisa che ne risultano delle stele tri-diarche, Il midollo contiene numerosi peli radicali. In uno dei cunei (quello a tre stele) la linea di saldatura col cuneo vicino ha dato origine a un breve ramo che si porta verso le stele, Fiy. 9. In ogni stela è evidente la struttura actinost»lica coi protoxilemi a' ver- tici del blocco xilemico. L’endod+rmide (col sottoposto periciclo) circonda tanto la stela semplice quanto i cordoni tristelici. Midollo lacunoso con peli radicali. Fig. 10. I sistemi di stele sono aggruppati fra loro dall’en’odermide e dal pe- riciclo. Accanto alle due stele maggiori si incorcono i gavoccioli endoder- mici-periciclici grazie ai quali si stabilisce la fusione delle stele tutto al- l’ingiro del midollo cavo. Questo senza peli e a cellule differentemente co- stituite rispetto alle corticali. Vi ha un endodermide interna ed una esterna. Le singole stele hanno ancora struttura actinostelica, coi protoxilemi ai vertici degli spigoli xilemici. Tav. III Fig. 11. Le linee di sutura son notevolmente ridotte: l’endodermide attorno alle stele è poco evidente: una delle stele in un cuneo tristelico emette una ra- dice che si porta al centro dell’organo, obliquando verso una delle linee di sutura: la cavità midollare centrale si è ingrandita. Fig. 12. La cavità midollare centrale si è notevolmente ampliata: le endodermidi sono molto distinte, come pure i gavoccioli che esse emettono, taluni dei quali si sono resi indipendenti; i xilemi delle singole stele formano un ammasso ricordante le actinostele. | Fig. 13. Nella cavità midollare compaiono due corpi che probabilmente rappresen- tano i parassiti i quali hanno provocato le anomalie: l’endodermide interna è ancora quà e là distinta attorno al midollo neoformato. Le cellule midollari sono ben distinte da quelle corticali. Fig. 14. La cerchia vascolare accenna ad assumere la costituzione caulinare; si forma una monostela costituita in parte dalle originarie stele divenute cor- doni libero-legnosi collaterali e in parte dal libro-legno interfascicolaré: nel midollo si incontrano ancora i resti dei presunti parassiti, | Fig. 15. Asse ipocotileo un poco al disotto dei cotiledoni. La struttura del cilindro centrale è tipicamente caulinare: talune stele | tendono a staccarsi dalle altre per portarsi ai cotiledoni: il libro è molto SPIEGAZIONE DELLE FIGURE sviluppato; il midollo è pieno e le sue cellule tornano simili a quelle della corteccia: l’endodermide esterna è poco nett.. Fig. 16. Sezione praticata un po al disotto dei cotiledoni. Il midollo, ampio e ben distinto per la costituzione delle sue cellule ass i diverse da quelle della corteccia, presenta, verso la periferia, non pochi tracheidi scalariformi reti- colati, gra-ie ai quali esso assume i caratteri di midollo misto. La cerchia vascolare è continua e nella stessa si notano alcuni fasci mag- giori che sporgono più degli altri nel midollo coi loro metaxilemi e proto- xilemi. Essi sono derivati dalle originaris stele radic li. I tratti di legno a benda poco sporgente nel midollo costituiscono il sistema vascolare inter - fascicolare, I libro è ben distinto, in forma di isols separate da raggi mi- dollari. L’endo ‘ermide esterna e pure nettamente cost tuita. Fig. 17. Due stele con doppia endodermide. Fra le stesse si nota un gavocciolo endodermico-periciclico liberiano. Mi- dollo a cellule diversamente conformate rispetto a quelle corticali, circo- scrivente una cavità midollare mon più pelosa. Frammenti di storia della botanica contemporanea italiana Note peL Pror. L. BuscaLIONI INTRODUZIONE La storia della botanica italiana contemporanea è stata in particolar modo compendiata dal Sen. Prof. B. Grassi nel volume « I progressi della Biologia e delle sue applicazioni pratiche conseguiti in Italia nell’ultimo cinquantennio. Roma 1911»'e dal Saceardo nel libro « La botanica in Italia: Venezia 1895 e 1901. Brevissimi cenni abbiamo poi ancora sul « Curriculum » di qualche nostro botanico maggiormente in vista, non dico per valore scientifico, ma per posizione gerarchica universitaria, per parte del Garollo nei Manuali Hoepli (Biblioteca dei contemporanei ita. liani), del Bilancioni nella stessa Raccolta (Dizionario di Botanica Generale 1906) e infine del Marco Carlo nel Dizionario botanico (Varallo 1903). Potrei ancora aggiungere, per completare l'elenco, le numerose pubbli- cazioni biografiche riflettenti b,tanici da poco estinti, molte delle quali sono dovute alla penna del Prof. Mattirolo che così è riuscito ad im bottire con poca spesa e con minore dispendio cerebrale, le sue « opera omnia » della cui importanza tratterò a suo tempo. Parrebbe pertanto pressochè inutile ritornare su un’ argomento già abbastanza sfruttato ed io me ne sarei certamente astenuto se non poche considerazioni non mi avessero indotto a dedicargli qualche ora della mia modesta attività scientifica. Innanzi tutto faccio osservare in proposito che il Saccardo *llustra solo a grandi tratti ed incompletamente (anche per la data della sua pubblicazione) l’opera scientifica dei nostri cultori dell’amabile scienza; secondariamente che tanto lo seritto del Bilancioni, quanto quello del Marco e del Garollo lasciano nell'ombra spesso i veri scienziati, f rse troppo modesti per esser degni di una parola di encomio, e per con- verso si soffermano a lungo (ad usum Delphini ?) sui grossi bonnets della botanica italica, cioè su colero che il più delle volte, pur non 4 vendo meriti speciali, od anco non avendone tengono pel manico il coltello botanico nel nostro paese; più di tutto per altro mi preme far notare che l’opera del Grassi — la più completa sotto il punto di vista. che mi interessa ed alla quale pertanto mi atterrò quasi esclusivamente | PROF. LUIGI BUSCALIONI d'ora in poi — lascia scorgere nell’autore una costante preoccupazione di non allarmare la suscettibilità di chiechessia, sia pure con critiche benigne le quali per taluni a mio parere, sarebbero state più che op- portune e doverose. Ora è mia ferma opinione che chiunque si accinga a far della storia contemporanea debba lasciarsi guidare da un solo principio fondamen- tale che è quello di dire la verità, la sola verità e tutta la verità, piac cia o non piaccia ad altri, in quanto che nel caso differente il lavoro storico riesce impari allo scopo. E dacchè siffatto concetto informatore pare che esuli dal libro dell’insigne Maestro nutro fiducia che la pre - sente pubblicazione varrà da una parte ad integrarne l’opera e dall’al- tra, grazie al sussidio di una critica leale, ipa i fatti storici sulla via maestra della verità genuina. Sotto queste punto di vista le mie modeste fatiche torneranno, oso sperare, gradite a botanici onesti, vantaggiose per la scienza che potrà d’ora in poi seguire una falsariga storica meno infida e infine non del tutto inutili pel buon nome italico. Infatti indebbiamente avrò compiuto un lavoro proficuo di epurazione storica, scientifica e morale se riescirò, fra l’altro, a cacciare dal tempio della scienza qualche Fariseo camuffato da grande sacerdote di Minerva e a dimostrare in pari tempo quanto tristi siano divenute le condizioni della botanica italiana contemporanea per causa precipua di coloro che per aver raggiunto, o per fas o per nefas le migliori posizioni universitarie se ne avvalgono, anzichè per completare la propria cultura scientifica, unicamente per tentar di rag - giungere alte posizioni politiche, per aggiogare al proprio carro tutta una classe di professionisti dalla schiena malleabile e per manipolare infine a proprio talento, e spesso con ina reconditi ed immorali, l’in - granaggio botanico universitario. A Jove il principio e perciò comincerò ad illustrare la: scien - tifica, didattica ed universitaria del Prof. Romualdo Pirotta dell'Ateneo di Roma. Catania Maggio 1922. Igfc pipi È at Li tI ti [54 7A Tav: Ai - Vol. XXIX Anno XXIX i Malpighia - * E CET È URI SE dea vara È st fà LA Do sa ia SE CEE MT e O ai CI î ri eci * re. e Ra * rete ei Pr Si La È sno ae = % È i; sel ib (PC n [a PORT dada Anno XXIX la - h Valpig | È 2 E sio pù a svi a a A Lo Zegl * Malpighia - Anno XXIX - Vol. XXIX Tav. VIU | Le sea pa pa n) di AE ‘dea Specie ameri” scPag 231 È » 247 . LALPIGIHIA RASSEGNA MENSILE DI BOTANICA DIRETTA DAL DOTT. L. BUSCALIONI Pror. Orp. pI.BoranIica NELLA R. UniversiTA bi CATANIA Peli ANNO XXIX — FASC. VH-VHI | L'intiero volume annuale 66 fogli in go con circa 20 9 tavole) sarà messo in vendita prezzo di L. 30. ; i Non saranno venduti fascicoli separati. } Agli autori saranno corrisposte 50 copie estratte dal ‘periodico, 15 giorni dopo pubblicazione del fascicolo. Qualora fosse da loro. richiesto ‘un maggior numero di e aplari,. le copie in più verranno pagate in ragione di L. 40 al foglio (di 16 pag.) I 00 copie. Quanto alle tavole nn Liaok soltanto rimborsare le spese psn Prof LL BuscaLioNI, Ri Univer= - ricevono > presso. ù Prof. L. Bosco in Catania e preso de: ss RASSEGNA MENSILE DI BOTANICA DIRETTA DAL DOTT. L. BUSCALIONI Pror. Orp. DI BOTANICA NELLA R. UNIVERSITÀ DI CATANIA ANNO XXIX — FASC VII-VIII MARCELLO MALPIGHI 1627-1694. CATANIA STAB. TIP. € LA SICILIANA » CIURCA & STRANO 1922 | Proff. LUIGI BUSCALIONI e GIUSEPPE MUSCATELLO Stadio monografico sulle Specie americane del Gen, ‘ Saurauia Wild. , (continuazione) La varietà Kegeliana della S. pauciflora differisce per 1 apice caulinare non pulverulento, o pressochè glabro, per le ascelle dei nervi non barbate, siano le foglie giovani, o adulte, pel picciuolo più sottile, un po più setuloso e non coperto di placche suberose (sempre ?), pel lembo rossiccio gialliecio, mai verdiccio, un po più setuloso sui nervi, per le nervature non disseminate di incavi minuti, per i rami dell’ infiore- scenza non ricoperti di pulvinuli di peli stellati, per le brattee più pic- cole, non pulverulente, o coperte di cuscinetti, per i calici più piccoli e non subpulverulenti all’esterno presso i punti d’attaceo al pedicello. La $. intermedia differisce pel caule pnlverulento all’apice, per le foglie giovani, dalle ascelle dei nervi barbate, portanti qualche minuto | pelo stellato, pel pieciuolo più lungo e pulverulento mucronato, pel lembo verdiccio, più debolmente serrato e portante alla pagina superiore. qualche mucrone barbato, mentre all’inferiore porta dei minuti peli stel- lati, per le ascelle dei nervi secondari barbati come nelle foglie giova- ni, pel minor numero di nervi, per l’ infiorescenza più marcatamente pulverulenta e inoltre munita, sui rami, di peli stellati minuti, pei pe- dicelli più lunghi, pei fiori più grandi, a calice parzialmente mucronula- to pulverulento sulla faccia esterna. La var. granulosa della S. intermedia differisce per l’apice cau- linare pure pulverulento, per il lembo verdiccio granuloso alla pagina inferiore, sparso di pulvinuli alla superiore, pei nervi barbati alle a- scelle, per il margine finamente serrulato, per la base fogliare tonda e È per l’infiorescenza multiflora. I calici sono, come nella nostra varietà della Leucocarpa, parcamente setulosi. Nella S. floccifera Tr. e PI. troviamo dei pulvinuli Sh del ni caule, sul picciuolo e sulla lamina, un maggior numero di nervature ino rapporto alle maggiori dimensioni del lembo, fiori portati da brevi pe- dicelli, o subsessili, con calici tubercolati pulverulenti. n La &. aequatoriensis Sprague differisce pei peli stellati sulle foglie giovani, pel lembo coriacco a margini revoluti denticolati, per un mi- nor sviluppo di tubercoli sulle due pagine delle foglie e sull’ infiore- topi? pei calici. più. ‘costantemente setulosi sulla faccia esterna. lla-var. boliviana fante ed fori sono, < come nella varietà che STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANI ECC. | stiamo studiando, tubercolati setulosi, ma il lembo si mostra fortemente reticolato, coriaceo denticolato; per di più l’infiorescenza è assai ampia ed i calici mucronati pulverulenti; nella var. gladrata della S. aequato- riensis vha una glabredine più accentuata la quale interessa anche i calici. La patria di tutte quante le forme di'Aequatoriensis è infine di. Versa. l I caratteri differenziali della S. parviflora Tr. e PI. si riferiscono | all'apice del caule ed al piccinolo del lembo cosparsi di minutissimi mu- eroni, o di pulvinuli e di peli stellati anzichè di sete, e perciò più ten- denti alla glabredine, al lembo più grande, alle brattee minutissime, ai fiori molto piccoli, glabri, brevemente pedicellati ed infine alla PEA | diversa. La S. Briqueti Busc., a prescindere che è lembo piccolo, coriaceo, ruvido, glabro superiormente ed inferiormente ma verruculoso; l’infiorescenza è subeguale alla foglia, sparsa di pul- vinuli e porta dei fiori minuti e glabri. | Ancor meno affine è la S. strigillosa Tr. e PI. delle regioni di Quindio, la quale ha un lembo spesso un po’ ottuso alla base, serrulato glabro superiormente, l’infiorescenza grande, i calici setulosi all’esterno, del resto più o meno paulverulenti. La S. Rusbyi presenta un apice caulinare coperto di pulvinuli | (oltre alla sete) e così pure il picciuolo; ha un lembo assai più grande, reticolato superiormente, mucronato serralato; presenta infine l’ infiore- scenza più grande, con brattee più sviluppate, a fiori grandi, pulverulenti nelle parti esterne. La var. glabrata presenta un lembo un po’ arroton- dato alla base, con molti nervi, un’infiorescenza pure sviluppata, dalle brattee più grandi, i fiori coi sepali pulverulenti: la var. spectabilis e macrophylla, oltre che hanno foglie grandissime, sono caratterizzate da un lembo coriaceo ricco di nervi, da un’infiorescenza grandissima e da fiori pure tubercolati setulosi. La specie poi è propria delle regioni bo- liviane. dal Perù, presenta un Per il fusto, pieciuolo, lembo e infiorescenza glabri, pel lembo gran i, coriaceo, a margine denticolato, per i nervi scarsi, per l’ infiorescenza de portante dei fiori sviluppati e glabri la S. Maxoni si riconosce | Quasi lo stesso può dirsi per la Zahibruckneri che è un po’ pul- PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLI) 321 verulenta all’apice del fusto, presenta un picciuolo lungo, un lembo a base ottusa, coriaceo, integro, o serrulato, verdiccio, attraversato da molti nervi, glabro, ma colle ascelle dei nervi barbate, i calici pulverulenti e mi- nutamente tubercolati all’esterno. Caratteri differenzia'i Caratteri comuni leucocarpa var. 4 B : S. S. Yasicae stenophylla Buse. Apice del fusto co-| Apice del fusto mi-| Fusto cenerognolo. sparso di cuscinetti e/nutamente setuloso. embo rossiccio sopra, |di sete pulverulente| Picciuolo subglabro,| angie sotto, subcoria - alla base. o setuloso. ceo, acuto all’ apice ed] Picciuolo lungo circa] Lembo molto serrato,|alla base dem., sottile, nericcio,|obovato, lungo da 8a 15| Nervi di 3° ordine for- con pulvinuli. em. largo da 3 a 7 cm.|manti reticolo con quelli Lembo denticolato| Entrambe le pagine/di 4° ordine. serrato, stretto, lungo'cosparse di pulvinuli| Rami dell’infiorescenza 6 em. largo 1,5-4 minuti, l’ inferiore i-|pulverulenti. cm. ‘inoltre punteggiata i Pagina superiore edl incavo. inferiore mucronato-se-' Nervi 9-1 t Infiorescenza pauci- Nervi 6-10. flora , più breve della Infiorescenza multi- foglia, o subeguale a flora, talora più lunga questa, col peduncolo della foglia, col pedun- setuloso. colo cosparso di pub leto glabri, o sub- vinuli. Fiori discreti. Fiori piccoli, a se- Messico, Guatemala. | pali pulverulenti den- e fuori TE 1 pa Guatemala La S. laevigata Tr. e PI. differisce per le stesse caratteristiche della Yasicae, ma per di più ha un picciuolo fogliare più lungo, un molto più grande. La specie poi cresce a Quindio. _ La 8 parviflora delle Yungas boliviane presenta, quali caratteri i, l'apice caulinare cagna cifra un lembo più grande o, l’infiore nisi ea molto più largo, l’infi Jembo più grande, poco dentato, talora crenulato, ed infine infiorescenza 322 STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. lunghe, sormontata da fiori minutissimi, subsessili o sessili, circondati da bratteole. L’apice del caule coperto da cuscinetti, oltrechè da setule, il pie- ciuolo lungo, il lembo grande, spesso verdiccio, cartaceo, ovale quasi del tutto glabro, a base talora arrotondata, a margine erenulato, l’infio- rescenza lunga, i fiori piccoli, a calice glabro (eccezione fatta pei mar- gini) fanno subito distinguere la S. Smithiana dell'America del Sud dalla nostra varietà. Da ultimo pei cuscinetti pulverulenti all'apice dei rami, pel lembo . ruvido, pel maggior numero di nervi (non sempre!) poco o punto di- cotomici, per il rivestimento di tubercoli sulle due pagine della foglia, per l’infiorescenza fornita di brattee discretamente lunghe, ma più di tutto per la differente patria la S. pseudoleucocarpa si differenzia dalla nostra. Per quanto riguarda le differenze rispetto alle altre varietà della S. leucocarpa noteremo che dalla var. angustifolia differisce unicamente per le brattee non spostate; dalla var. anisopoda pel caule meno decisamente setoso, pei picciuoli più brevi, pel lembo più stretto, per le sete meno lunghe sulle due pagine di questo, per l’infiorescenza più pulverulenta che setosa e pei calici meno decisamente setulosi alla faccia esterna: dalla var. Willdemanii può esser facilmente distinta per non portare | delle sete barbate all’apice del fusto, pei picciuoli più brevi, per una minor setulosità del lembo e per le ascelle dei nervi glabre; differisce infine dalla var. Smithiana per il difetto di muceroni pulverulenti al- (pl apice del fusto, pel picciuolo setoso, non cosparso di pulvinuli, pel lembo più serrato e privo di mucroni barbati alla pagina inferiore; pel ‘maggior numero di nervature, da ultimo per la mancanza di peli stellati sull’infiorescenza. e) Affinità della var. angustifslia. Sono analoghe a quelle della var. stenophylla, costituendo lo spostamento delle brattee un carattere di poco valore. d) Affinità della var. anisopoda. Per ragioni di brevità passeremo solo in rassegna le specie a calice più o meno setuloso, costituendo questa. disposizione una delle caratteristiche più importanti della varietà che stiamo studiando. La S. Pittieri presenta un’apice caulinare tubercolato, anzichè prov: visto di sete lunghe; lo stesso rivestimento mostra sulle foglie giovani, sui lembi adulti, sull’infiorescenza e sul calice: ha un picciuolo più lungo e portante un lembo molto ruvido, assai più grande, più ricco di nervi, cosparso di peli stellati alla pagina inferiore; infine è fornita di un’infiorescenza assai più sviluppata, multiflora, con brattee più lun- ghe e i fiori più piccoli. Nella S. floccifera Tr. e PI. alle sete si sostituiscono, o si associano ovunque dei pulvinnli spesso bianchieci, i lembi sono più larghi e i fiori presentano i calici pulverulenti dentro e fuori. La specie è inoltre | propria delle Ande di Bogota. È Nella S. aequatoriensis troviamo, come nella nostra varietà, ica- lici setosi, ma le seguenti differenze sono più che sufficenti a farla di- stinguere facilmente. È propria dell’Equatore; le foglie giovani sono quasi glabre sopra, rivestite di peli stellati sotto: i lembi di quelle a- dulte si mostrano coriacei, revoluti e per di più pochissimo serrati al margine: la pagina superiore è quasi glabra: l’infiorescenza molto più lunga, molto meno setulosa è fornita di brattee più sviluppate: gli stami infine sono più numerosi. Pressochè le stesse caratteristiche notiamo nella var. boliviana della cequatoriensis, la quale poi ha fiori subsessili con sepali glabri: nella varietà Zongepetiolata si ha invece un avvicinamento al- l'anisopoda poichè il lembo è cartaceo, con 15-20 nervi, ma in pari tempo questo differisce per molti caratteri essendo solo tubercolato ed avendo i nervi di terz’ordine non più in reticolo con quelli di 4°. Assai diffe- rente è infine l’infiorescenza dacchè è glabrescente e porta dei fiori coi calici nudi alla superficie esterna. La S. strigillosa Tr. e Pi. differisce pei seguenti caratteri: il pic- ciuolo è più breve: il lembo più largo (non sempre però !), meno ricco di nervi secondari, colle nervature di 3° ordine poco distinte da quelle di 4°; la pagina superiore pressochè glabra, o solo tubercolata, l’inferiore meno setulosa; l’infiorescenza è pulverulenta setulosa, ma senza sete bian- chiccie; i fiori sono lungamente pedicellati, con il calice pulverulento dentro e fuori ed inoltre tubercolato sulle parti scoperte nel boecio: la patria è diversa. La S. Rusbyi Brit. presenta le seguenti caratteristiche ddl. il pieciuolo è cosparso di sete barbate alla base e di pulvinuli: il lembo lodi più largo, verde bruniccio, disseminato di pulvinuli. (oltrechè di setule e mueroni) ed inoltre alla pagina inferiore presenta delle placche to- | mentose: i nervi sono meno numerosi: l’infiorescenza pure più ricca di pulvinuli: i fiori grandi, a calice pulverulento tubercolato sulle parti scoperte nel boccio; gli stami più numerosi: la patria, al pari delle va- rietà, è differente. La var. gladrata differisce per l’infiorescenza più de- cisamente tubercolata, pei fiori cosparsi di setule barbate sulle parti esterne del calice. La var. spectadilis e macrophylla hanno il caule e picciuolo più decisamente mucronulati, il lembo coriaceo cosparso solo di mueroni, l’infioreseenza molto grande, mucronulata, o al più minuta- mente .setulosa pulverulenta, infine i fiori col calice tubercolato pulve= rulento. | La confusione colla S. Maxoni non è possibile. Non così colla $. Zahlbruckneri la quale però differisce per l’apice del caule e pel pic- ciuolo pulverulento mueronato, pel lembo ottuso alla base, verdiccio, glabro superiormente ed infericrmente, ad eccezione delle ascelle dei |. nervi, per l’infiorescenza cosparsa di sete pulverulente, pei fiori sessili, a calice pulverulento tubercolato sulle parti scoperte nel boccio. pae sa di ri praga ci # tao PROFF, LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Caratteri differenziali Caratteri comuni i S. Yasicae Loesen. |S- leucocarpa Schlecht. : ‘| var. anisopoda Buse. | | Foglie giovani ed} Apice del fausto el Piceiuolo lungo, nerie- | |apice del fusto coperti foglie giovani copertilei da bea pulverulente, da sete dilatate allal Lembo rossiccio supe ha) min ase, o sottili. riormente, gialliccio sotto, Bissiuvio subglabro, Aa ) Cosparso I acuto agli estremi e spesso] | o con qualche cusci-(se on punta acuta. ° netto. Te mbo per lo più. Lembo per lo più as ‘lanceolato obovato, re 5 sai largo,ovale obovato. lativamente stretto. a rgine mucronula-| argine serrulato, .|to-denticolato, serrato più o meno for- Pagina superiore ed'temente. inferiore pressochè gla | Pagina superiore ed bre, o con qualche pul ‘inferiore setose (sete vinulo. ibianchiecie) mucronu- Nervi 6-10, quelli da late di 3° ordine Sega Nervi 15-20: | quelli con quelli di 4°. 3° ordine distinti Infiorescenza sparsa = quelli di di cuscinetti sul pe-| Infiorescenza setu duncolo, Snia losa (setule Leonie, furfuracea altrov alla w ase, furfuracea al- Fiori piccoli, a sutice trov |glabro, subglabro, o pul- Piori discreti, a cali verulento fuo ci e par-|ce setuloso all’esterno. |zialmente den Messico e Guatemala] | Nicaragua e Vos Rica Pressochè per gli stessi caratteri differisce la £. iiepisata Tr è; PI. la quale ha foglie più g andi, più ricche di nervi ed inoltre abita le regioni dell'America del Sud (Mariquita). Lo stesso dicasi per la S. Smithiana Busc. LV RIRE IE a È s sE. pi a di x 5 i STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Caratteri differenziali S. pseudoleucocarpa |S. leucocarpa Schlecht. Caratteri comuni Buse, var. anisopoda Busc. 3 Rami con qualche| Rami setosi tuber | Picciuolo setuloso. muerone appena visi-|colati: sete lunghe. Lembo lanceolato stret bile ad occhio. Apice dei rami irtilto, Nicla acuto alla base Apice dei rami co |di sete lunghe, talorale all’a apie sparsi di pulvinuli e di{pulverulente. Nervi 15-20: quelli di tubercoli setuliformi. Foglie giovani setu |3° ordine distinti da quelli Foglie giovani pul-|lose. di 4°. verulente setulose. Margine del lembo| Pagina inferiore setu- Margine del lembo|serrato, o doppiamentellosa mucronata. serrulato mucronato. |serrato. Infiorescenza più breve Nervi poco o punto] Nervi dicotomi. della foglia dicotomi. agina superiore Lia a brattee Pagina superiore|sparsa di lunghe setellineari, brevi. sparsa di tubercoli e di{bianchiccie. Pedicelli discreti. brevi sete bianchiccie i prote multi- (non molto abbondanti). flora, setosa Infiorescenza pauci Olico setoso all’e flora, per lo più pulve |sterno. Messico, Guatemala.| nta. Calice pulverulento, o subglabro all’esterno. Columbia. Per quanto concerne le differenze della S. Zeucocarpa var. anisopoda dalle altre varietà della stessa specie noteremo che essa differisce dalla var. Willdemanii pel picciuolo sottile, non pulverulento setoso, ma solo | setoso, per le ascelle dei nervi secondari non barbate, per l’infiorescenza | piuttosto setulosa, anzichè setulosa pulverulenta, pel calice nè glabro, nè pulverulento, ma setuloso. Per gli altri caratteri vi ha invece assoluta identità. Rispetto alla var. Smithiana è facile a riconoscersi perchè questa presenta l’apice caulinare coperto da pulvinuli pure disseminati sul pieciuolo; ha un lembo molto stretto, con margine solo denticolato, e colle due pagine poco o punto ricoperte di pulvinuli; presenta infine una infiorescenza mucronulata alla base, sparsa di peli stellati sui rami, | fornita di brattee minutissime e sormontata da fiori piccoli, a calice gla- - bro, o con pochi peli stellati al margine. e) Affinità della var. Willdemani Buse. Caratteri differenziali S. Willdemani Buse. S. leucocarpa Schlecht. var. Willdemani Caratteri comuni Caule glabro, o sub- glabro. Apice del caule pul verulento -stoso. Pul- verulenza cenerognola: sete riccie, lunghe, pa tenti o appressate. Pagina iaferiore mor ida. Pagina inferiore co giori. Peli steli, le trove, i quali poi sono bianchicci; e là peli semplici. Peduncolo coperto da sete giallo-cenerognole| po nigra per peli stellati Stam Toguila (Messico) Caule pulverulento. co- res sate, dilatate alla base e barbate, fulve. sicari inferiore age lembo scabra. LR inferiore co- calizzate pressochè solo sui nervi. Peduncolo coperto da sete fulve e pulveru- lenza. Sepali glabri, o Ring verulenti all’ estern (sulla linea nai o all’inserzione al pedi cello). — Stam Vera ini (Messico) Caule gialliccio, retico- lato ruguloso, solcato. Cicatrici fogliari piccole. agli estremi e ui ter- minato in pun Pagina soperiore un scabra, rossiccia, l’inferio- re gialliccia. Margine serrulato-ser rato, doppiamente serrato, ojcon ene acute. gina superiore coper ta a sete gialliccie sulla costa, da sete più corte al - Sii PRESIDE però glabr para dei nervi più 0 meno Varela Nervie ditta quelli 3° ne fini e in reticolo, oi più breve della foglia. Brattee minute, trian- golari lineari, se apr Fiori esigui sepali | cstani al snargine, bal ghi 4 ottusi od a rca 15-18 cury vi, ordi- . cuti. Ante ai. tere | Seta in numero vario. STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Dalla S. peduncolata Hook differisce pei caratteri esposti gina 374; dalla S. barbigera per quelli riportati a pag. 420. La S. pauciserrata del Guatemala differisce pei seguenti caratteri: l’apice del caule è parcamente setuloso; il picciuolo è sottile, subglabro, con qualche placca suberosa; il lembo è glabro o subglabro, colle ascelle dei nervi secondari non barbate: i nervi secondari molto più scarsi: quelli terziarii sono fusi in reticolo con quelli di 4° ordine: l’ infiore scenza è pauciflora, meno setulosa e inoltre fornita di qualche pelo stellato; i fiori grandi, glabri sulle faccie. La var. Kegeliana differisce pressochè per gli stessi caratteri (ad eccezione tuttavia delle ascelle dei nervi che sono barbate come nella varietà che stiamo studiando) ed inol tre per i pulvinuli (rari) sull’infiorescenza. Come carattere di rassomi- glianza merita di esser annoverato il calice un po’ pulverulento all’in- serzione. i i La S. intermedia, pure del Guatemala, si riconosce per le brevissime ‘setule barbate, pei cuscinetti pulverulenti dall’ apice caulinare, pel pic- ciuolo sottile, glabro, o sparso di mucroni pulverulenti e di placche su- berose, pel lembo verdiccio sotto, mucronulato serrulato, subglabro {colle ‘ascelle dei nervi però barbate!), per le nervature secondarie scarse e quelle di terz’ordine formanti reticolo con quello di 4° ordine, per l’infiorescenza mueronato setuloso pulverulenta, e disseminata, sui rami, di peli stel lati, pei pedicelli lunghi, pei fiori grandi, pei sepali infine più netta mente pulverulento-mucronati. La var. granulosna presenta le seguenti caratteristiche specifiche: il fusto è coperto all’apice di pulvinuli, oltrechè di sete: il lembo è ver- diccio e più grande, finamente serrulato, piuttosto pulverulento muero - nulato che setuloso sopra e sotto; i nervi più numerosi: l’ infiorescenza più glabrescente e priva ad ogni modo di sete lunghe: i calici più de. cisamente pulverulento setulosi. Per quanto concerne le altre specie o più o meno possono aver attinenza colla nostra varietà limiteremo lo studio quasi esclusivamente a quelle che sono proprie del Messico e delle regioni contigue, poichè ragioni di brevità ci vietano di estendere i confronti alle forme sud-americane. «La S. Mazoni D. Sm. non puòesser confusa colla nostra pel fusto e picciuolo glabri, pel lembo molto coriaceo e pure glabro, denticolato, ica ricco di pit per l’infiorescenza pere pei calici pulverulenti MUSCATELLO verso il margine in corrispondenza della faccia interna, per gli stami più abbondanti. Nella S. Zahbruckneri Busc. l’apice caulinare è pulverulento mu- eronulato, come il picciuolo, il lembo ottuso alla base, coriaceo, integro o serrulato, glabro o subglabro (per qualche pulvinulo o muerone), ad eccezione delle ascelle dei nervi che sono barbate, come nelle nostra varietà. L'infiorescenza è pulverulenta e porta rare sete, i fiori subsessili, i calici pulverulenti, ma in varia estensione, sulla faccia esterna dei dif - ferenti sepali, I cuscinetti pulverulenti all'apice del caule e sul pitetitalo; il lembo un pò coriaceo, mucronulato, cosparso al più di pulvinulie percorso da pochi nervi, i calici giabri e un pò pulveralenti dentro e fuori, la pa - tria differente sono caratteristiche le quali fanno distinguere subito la $S. Yasicae Loesen. dalla nostra. Quasi per gli stessi caratteri differisce la S. Smithiana Buse. la quale presenta il caule coperto, all’apice, da pulvinuli e minute setule, il picciuolo rivestito di pochi cuscinetti pulverulenti, ìl lembo verdiccio serru- lato crenulato, pressochè glabro, più lungo e più largo, l’ infiorescenza pulverulenta e con qualche setula, i calici glabri. La specie poi, occorre notarlo, è del Sud America (Columbia). Dalla S. pseudoleucocarpa, anche propria dalla Columbia! la no- stra varietà differisce per l’apice caulinare setoso, anzichè pulverulento tubercolato, pel picciuolo più ricco di sete, pel lembo più tipicamente serrato, meno fortemente setuloso e più decisamente mucronulato e infine per l’infiorescenza pure meno setosa. Condivide invece con essa i calici pulverulenti. A La nostra varietà infine differisce dalla var. Smithiana per non avere l’apice caulinare coperto da mucroni pulverulenti, per il picciuolo co- sparso di cuscinetti, pel margine del lembo solo denticolato, per la pagina i superiore appena disseminata da qualche mucrone visibile alla lente, per la pagina inferiore parcamente cosparsa di mucroni pulverulenti e colle ascelle dei nervi secondarie glabre. Differisce inoltre pei nervi secon- dari più numerosi, per l’ infiorescenza setulosa anzichè mucronulata, o cosparsa di peli stellati e pei calici spesso parcamente palverulenti alla base e non coperti da peli stellati all’orlo. f) Affinità della S. e. Schleet. var. Smithiana Bui. Colla S. floccifera Tr. e PI. ha comuni i pulvinuli del fusto, del picciuolo e del lembo, la lunghezza non eccessiva del picciuolo, la la- mina rossiccia superiormente, ma differisce dalla stessa per i pulvinuli di color non bianchiecio, pel lembo più piccolo, meno fortemente ser - rato, pel minor numero di nervi, per la pagina superiore mucronulata, per l’infiorescenza più breve e ia calici pressochè glabri. La patria poi e del tutto diversa. La $S. aequatoriensis (propria dell’ Equador!) differisce per la pre- senza di sete al più barbate (ma mai di pulvinuli) all’ apice del caule, | pel picciuolo pure setuloso, pel lembo a margini revoluti, per la pa- gina inferiore setulosr tubercolata, per l’infiorescenza priva di peli stel- lati e solo setulosa, pei calici un pò setulosi sulla faccia esterna, op- pure glabri. Pochissimi sono i caratteri comuni colla S. pauciflora Tr. e PI. della N. Granata la quale ha un fusto pulverulento con qualche tuber- colo, un picciuolo analogamente conformato, un lembo assai grande, denticolato, portante appena qualche pulvinulo e qualche muerone, infine i fiori minutissimi a sepali glabri. Nella S. Briqueti il fusto è coperto di mucroni pulverulenti, come | nella nostra varietà, ma si può dire che questo è il solo carattere di ‘affinità un pò importante. Essa differisce per il picciuolo più breve, per il lembo più piccolo, ruvido ma glabro, con molti nervi e pei fiori pie - coli a calice glabro. «Non credo utile stabilire dei confronti colla S. Rusbyi e sua va- rietà poichè queste sono della Bolivia ed hanno i calici pulverulenti tubercolati, foglie molto più grandi e più distintamente setulose, oltre a molti altri caratteri differenziali di minor importanza. Neppure la S. Maroni, benchè propria del Guatemala, può esser confusa con essa poichè tutta quanta la pianta è glaberrima, col lembo molto coriaceo denticolato, assai più grande e coi fiori infine presentanti re maggiori dimensioni. PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLÒ 381 Caratteri differenziali Caratteri comuni S. leucocarpa Schlecht. P digita . Yasi i, ris Yasicae Loesen var. Smithiana Buse. Lì 3 Cicatrici fogliari gib-| Cicatrici fogliari un]. Lamina appuntita, a dI bose. pò rilevate nel mezzo.|base cuneata acuta. I Apice del fusto squa.| Apice del fust» co-| Nervi 11 2 . uloso. i erto da mucroni pul-| Fiori Picciuolo lungo, squa |verulenti e dilatati alla vara iure lungo| muloso subsetacno per base rari cuscinetti. Picciuolo breve o suli petali e sepali in È: amina cartacea ni !disereto, sparso di cu-|numero vario (4-5). _ —grescente, obovato ob |scinetti pulverulenti. lunga, lunga 10 18 em.| Lamina subcoriacea| Pagina superioreicoriacea, rossiccia so0- Srna squamulosa! pra, gialliccia sotto, 0- tra i nervi per la pre-|bovato- ag un- senza di rari pulvinuli.;iga 8-1 Pagina inferiore collo bipina. supettore con stesso rivestimento tra qualche muerone sui i nervi e sulla costa. (nervi, del resto glabra. Infiorescenza squa- Pagina inferiore con mulosa pubescente. |qualche muerone pul \ Nicaragna andrai sui nervi maggio Locana sparsa, verso l'apice, di mu eroni e peli stellati. > Guatemala | La var. Zaevigata della Yasicae presenta, come la nostra varietà, dei minuti cuscinetti sul caule e sul picciuolo, porta un’infiorescenza con brattee minute, ha il lembo coriaceo, acuto agli estremi, con pochi nervi secon dari, colle nervature di 3° e 4° ordine formanti assieme un reticolo, colla pagina superiore munita di qualche cuscinetto e col margine dentico lato: essa presenta, da ultimo, i fiori piccoli con numero vario di sepali. Le distinzioni però non mancano e le troviamo nei seguenti caratteri propri della var. Zaevigata della S. Yasicae: il picciuolo è spesso più lungo, talora neriecio, sparso di placche suberose e spesso glabro; il lembo - è più distintamente ob»vato, liscio un po più glabrescente, privo di mu- “e pone si pa più lunga della foglia o subeguale, 892 | STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. cosparsa di cuscinetti, anzichè di mucroni e ‘peli stellati, e colle brattee spesso fogliacee; i calici per lo più con un rivestimento pulverulento, alquanto più abbondante sia fuori che dentro. Occorre notare (però come carattere di affinità) che la patria è del pari il Guatemala. La $. laevigata di Quindio presenta le stesse caratteristiche della var. laevigata della S. Yasicae, ha però foglie più grandi, maggior nu- mero di nervi, infiorescenza più vistosa e infine i calici più decisamente pulverulenti tubercolati all’esterno ed in parte anche all’ interno. Quasi nessuna affinità si rileva colla S. Zah/bruckneri Busc. del Guatemala dalle foglie ovali ottuse alla base, rieche di nervi, pressochè glabre, ma intensamente e diffusamente barbate alle ascelle dei nervi | secondari, dall’infiorescenza setosa e dai calici pubescenti, tubercolato, o al più setulosi sulle parti scoperte. Nella S. pseudoparviflora Busc. delle Yungas (Bolivia) troviamo ‘un caule setoso, un picciuolo coperto da sete dilatate alla base, mi- nute, un lembo molto dilatato anteriormente colla pagina superiore mu- ceronulata-setulosa ma parcamente, mentre l’inferiore è quasi pulveru- lenta per lo stesso rivestimento, una infiorescenza ferruginea per mi- iute sete, i fiori subsessili e minuti, a calice subglabro. PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSUATELLO Caratteri differenziali | S. Smithiina Busc. S. leucocarpa Schlecht. mithiana Buse. Caratteri comuni Caule nigrescente al- l'apice, coperto di pul- . |vinuli ferruginei e mi- LA setule a base di- ata Prediudlo lungo 3-5 bruno Meo, ovale |lanceo Caule gialliccio al- l’apice, cosparso di mu- eroni giallicci pulveru- lenti. Picciuolo lungo 2-3 Base del lembo acuta e così pure l’apice. Pagina superiore gra- nulare, con rari mueroni, em. con qualche cusci retto. embo ARRONE coriaceo, lungo da 8 a 14 cm. stretto lanceo- lato ovalare, rossiccio| agina inferiore con nngalaha ba | CIUIIO mucrone pulve - rulento. Nervi 10-12 obliqui, curvi. Nervi di 3° ordine con- data con quelli di 4° dODEa; gialliecio sotto argine détitioblato! : #3 SHARE a rami 8 serrulato erenulato. a molto lunga e -larg Pidancolo i satiglabro, | cosparso di cie, | Columbia. Mar, ra ne denticolato| la serrulato. . Infiorescenza non molto svilu Peduncolo mueronu-| lato. Rami cosparsi di mu croni e peli stellati. Brattee spesso spostate. Sepali talora un PÒ! pulverulenti all’orlo lella faccia interna ed ‘all’esterno. atenti Brattee minute. Sepali cigliati al mar- gine, lunghi 3-4 mm. Petali più grandi del calice. Stami 20. Ovario a stili in numero variabile. Guatemala. 334 STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Caratteri differenziali Caratteri comuni S. pseudoleucocarpa S. leucocarpa Schlecht. Buse. Ì | var. Smithiana Busc. Apice del fusto co-| ‘Apice dal fusto co-| Picciuolo lungo 1-3 em. perto da “pag chie pul- perto da mueroni pul.| Lembo lanceolato stret- verulenti e da brevi verulenti to lungo 11-14 cm. largo setule. Pieciuolo con qual-|3-6 cm. subeoriaceo, ros- Piecinolo con qual- {che cuscinetto. siccio sopra, gialliccio sot che seta appressata e| Lembo non ruvido,|to, appuntito anteriormen dilatata alla base serrulato. te, acuto alla base, muero Lembo ruvido, talora Nervi 8 12 distan |nato serrulato. crenulato. ziati, per lo più dico-| Pagina superiore con Nervi 16-20 appres-|tomi. ualche mucrone. sati, poco o punto di-| Pagina inferiore co | Fiori subglabri. Stami ©) cotomi. sparsa di mucroni pul Pagina inferiore se-|verulenti. tulosa mucronulata. Infiorescenza breve, Infiorescenza grande,'mucronulata e inoltre |pulverulenta setulosa cosparsa di peli stellati. |mucronulata. Brattee minute. ratte lineari. Guatemala Columbia Nella S. coroicoana Buse. troviamo un apice caulinare coperto di sete e pulverulenza; lo stesso rivestimento si ha sul picciuolo. Il lembo è subglabro, avendo solo pochi mucroni e rare sete; i calici sono glabri ed i fiori minutissimi portati da una infiorescenza mucronulata setulosa. Non insisteremo sulle affinità colla S. Weberbaueri Busc. (del Perù) perchè la stessa ha fusto, pieciuolo e lembo mueronati; lembi molto ser - rati; infiorescenza ferruginea per tubercoli; fiori infine piccoli breve- mente pedicellati, a calice glabro. Pag La S. leucocarpa Schlecht. è una forma piuttosto polimorfa la quale poi non ha molte caratteristiche spiccate, ben delineate, di guisa ‘ si comprende come sia stata confusa con altre specie quali la darbige- raela > assiaa Viene quindi giustificata la nostra scissione in PROFF. LUIGI PUERIIA E loci MUSCATELLO Innanzi tutto giova considerare che la stessa deserizi»ne dello Sch- lechtendal non è sufficientemente scultoria e a non comprende le va- riazioni a cui la specie va incontro, e questa è stata forse di poi una . delle cause di erronee interpretazioni e di assimilazioni infondate. Infatti dal seguente specchietto emerge chiaramente quanto mal ‘corrisponda, 0 per lo meno quanto insufficiente sia la diagnosi dallo Schlschtendal rispetto a quella da noi formulata la quale non solo. è basata sull’esemplare studiato dallo Schlechtendal, ma ne comprende molti altri. STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Caratteri differenziali Esemplare studiato dallo Sehlechtendal! Esemplari da me stu diati (Forma genuina) Caratteri comuni Foglie oblungo-elit- tiche. ine finamento |dentato, serrato. agina superiore glabra. Pagina inferiore CSS ra. Ascelle dei nervi bidlà te. Apice dei rami e pic- . {ciuoli pt pochi peli ‘|Appres lacanienti scabro, pu- o. Pannocchia lunga al Li -pol. Brattee minute. Foglie lanceolate o valari, obovate, ovali. Margine integro; o) Identicolato alla base, serrulato, serrato e od serrato irregolar dal % mezzo bra, o con rarissime se tule e mucroni sui nervi rincipali, cosparsa spesso lungo i nervi di ni rialzi. Pagina inferiore ta- lora con qualche setula (distinta solo alla lente) sulla costa, e qualche mucrone sui nervi secondari. alora dei minuti in cavi lungo la nervatura. scelle dei nervi im- berti (nelle forme ti iche !). Apice del fusto co- di minute sete za sotto forma di pul- i. Piceciuolo zed i ; iena e en minuta! ressata, Pedubeolo dell’infio- i otra: imente attenuata. anche doppia-|p su Pagina superiore gla-| minutissimo| poi miste a pulverulen-; Base fogliare lunga- Apice terminato in pun ta stretta. Pagina inferiore più allida. Rami adulti a corteccia bruna, glabra. Pannocchia breve. Calici cigliati al mar gine. 4-5 sepali e 4-5 stili. Semi reticolati, minuti. Questa Grande di Chicenquiaco. PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO 337 Oltre a questa divergenza nei caratteri principali la diagnosi della Schlechtandel non tiene conto di m.lIti altri dati di non poco interesse che sono reperibili invece nella nostra, formulata, come si disse sullo stesso esemplare. Ail opposto lo stesso Schlechtendal fa assegnamento grande sui fascicoli di peli ascellari che, a nostro parere, sono un’accidentalità oltremodo variabile. Più importanti secondo noi sono: la costituzione del reticolo dei nervi minuti, la forma del lembo, per lo più obovato, gli incavi lungo le nervature alla pagina inferiore e infine i calici glabri sulle faccie. i Per quanto riguarda la forma genuina e duopo vile che l’He - _msley assegna anche alla stessa gli esemplari N. 999 di Botteri stati ‘raccolti a Orizaba e quelli di Linden (N. 652), proprii dell’ Erb. di Kew. Non avendoli studiati non possiamo pronunciarei in merito alla loro posizione sistematica. — Nel gruppo della S. leucocarpa troviamo anche frequentemente le forme Veranii dotate però quasi sempre di brattee non molto grandi, ‘in cui a mala pena si può distinguere il lenibo del picciuolo. Della forma gentiina si è studiato, innanzi tutto, una varietà sfe- nophylia la quale comprende delle forme che vivono per lo più in re- | gioni meno nordiche rispetto alla forma genuina (Guatemala, Yukatan), solo una di essa essendo stata rinvenuta presso Oaxaca. La differente | posizione geografica spiegherebbe la comparsa di questa varietà carat- terizzata da una maggior setosità e più di tutto dal lembo più stretto, a prescindere dagli altri caratteri riportati negli specchietti comparativi. Stando alle sue caratteristiche si potrebb quasi affermare che la var. stenophylla abbia più affinità colla forma dello Schlechtendal che con quella da me a questa riportata. Infatti i denti del margine sono più o meno retti, le foglie oblungo llittiche, attenuate alla base, acute anteriormente e con l’apice prolunga- tesi in punta, glabre superiormente (non sempre però !): inoltre i rami (ed i pieciuoli si presentano scabro puberuli (talora però anche setalosi !): infine la pannocchia è piecola, colle brattee esili ed i calici si mostrano ci. liati. Ma anche quì troviamo tuttavia, quale carattere differenziale di un certa importanza, le ascelle dei nervi glabre, senza contare poi che a delle forme: da noi studiate È Cri ped da Qopate Grande di Chi - STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. conquiaco. Dunque non si tratta della forma studiata dallo Schlechtendal, per quanto non manchino le forme di passaggio. Nell’ ambito della S. leucocarpa la var. stenophy!ia contrae due ordini d’ affinità: l’una colla var. angustifolia, ! altra colla var. aniso- poda. I passaggi a quest’ ultima sono molteplici e noi abbiamo ad es. negli esemplari di Karwinisky e in quelli segnati col N. 8380 delle forme di Stenophylla in cui vi sono, innanzi tutto, rarissime sete sul calice ed inoltre foglie meno setose, crenulate, anzichè serrulate, le quali dispo- sizioni, in un grado più accentuato, costituiscono le più importanti ca- ratterîstiche della var. anisopoda. . D'altra parte gli specchietti altrove riportati ci indicano che tra la var. stenophylla e la var. angustifolia l’unica differenza essenziale sta nello spostamento delle brattee lungo il peduncolo che si osserva in quest’ultima, mentre gli organi in questione sono reperibili nella sede nor- male nella prima. Il fenomeno dello spostamento delle brattee, l'abbiamo già accennato più volte, rappresenta -una disposizione fluttuante reperi- bile in tutto il Genere, per cui non si può accordare ad esso un valor realmente specifico, come ha voluto affermare il Turezianinow. Ma «venendo meno questo carattere le differenze fra la S. angustifolia e la 8. stenophylla si riducono a pvca cosa, di guisa che appena riesce giustificata la separazione della prima della seconda, sin pure a titolo di semplice varietà. D'altra parte, a maggior conferma del nostro asserito, giova rilevare che neppure nei più classici esemplari dell’ Angustifolia lo spostamento . delle brattee si presenta costante e per converso può trovarsi acciden - talmente in una delle infiorescenze di altre varietà della stessa specie (Es. 359 Jurgensens). Da ultimo non possiamo far a meno di rilevare che il nome di S. angustifolia proposto dal Turezianinow è stato mal scelto | essendo noto che colla stessa denominazione il Reinwardt ha descritto si una specie malese di Saurauia. Al pari della S. angustifo’ia la S. italo pata del Turez. non è. ‘una specie buona, avendo noi potuto dimostrare che essa trapassa per gradi alla stenophylla dapprima, per arrivare alla forma genuina. Un attento esame di molti esemplari provenienti da regioni differenti ci trato infatti che la setosità subisce notevoli variazioni, ridu- | in alcuni aaa riparata in un sul calice. Siffatta PROFF. LUIGI BUSCALIONI E pure NUSCATELLO 339 varietà è localizzata di Lai ad Oaxaca, ma non mancano gli esemplari provenienti da regioni più meridionali (Taetic) e queste, oe- corre notarlo, tendono ad assumere la fisonomia della forma genuina . per la riduzione delle sete. Bisogna, da ultimo, aver presente che in quasi tutti gli esemplari di anisopoda gli stili sono lunghi, la quale caratteristica è reperibile di pre- ferenza nella var. Willdemani. Fanno tuttavia eccezione un esemplare del Museo di Parigi ed un’altro portante il N. 359 i quali, per la ridu- zione delle sete, potrebbero fosse esser inglobati nella var. stenophylla. Molto più complesso è il problema della var. Willdemani la quale porta il N. 3088 della Collezione di Galeotti reperibile nel Museo di Braxelles. Ora noi sappiamo che esemplari portanti le stesse indi- cazioni, compreso il numero !, sono state da noi e da altri autori asse - gnati alla S. barbdigera, alla forma genuina della S$. leucocarpa (Es, di Parig) e via dicendo. È vero però che alcuni esemplari, accanto al N. 3088, portano un punto di interrogazione e la notazione an. Saurauia leucocarpa, ma ciò non toglie «che f rme indubbiamente similari state raccolte da un dato individuo in una data località e conservate, si può dire, negli stessi Musei siano state assegnate a tipi differenti. Quale ne è la ravione? Nelle npstre ricerche in proposito siamo stati a lungo perplessi, ma poi ci siamo convinti che la var. Willdemani è una forma straordinariamente poliforma, in quanto ha riguardo il sistema pilifero, per cui si hanno esemplari pressochè glabri accanto ad altri setosi. I primi devono perciò esser inscritti nelle forme genuine della. $S. leucocarpa, gli altri in una delle sue varietà. Si tratta dunque di fenomeni di convergenza i quali finchè fos- sero compresi nell’ambito della specie forse avrebbero pochissima impor- ‘tanza; ne acquistano invece moltissima poichè è noto che altri esem - plari della Collezione Gaelotti N. 3088 sono stati da noi determinati col nome di S. Wi//demani e inglobati nel gruppo delle Oreofile, ca- | ratterizzato come si sa, fra l’altro pei peli stellati alla pagina inferiore del lembo i quali mancano al gruppo della /ewcocarpa. Nel caso adunque della var. Willdemani ci troviamo di fronte a un meraviglioso feno - | meno di convergenza (e non è il solo però nel gen. Saurauia /!) grazie al quale una specie ben individualizzata per certi caratteri a poco al presa assume tic Avon, dia un ‘altra. STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Qui la riduzione dei peli stellati ci ha dato un tipo provvisto sol- tanto di sete, perciò ìl primo di essi va nel gruppo delle Oreophila il secondo in quello della fencocarpa. Alcuni potrebbero obbiettarci che sarebbe stato più prudente in» globare la varietà a tipo diciamo così leucocarpico nella forma origi. naria oreophila, ma noi riteniamo che accettando questo prine'pio si ap- portava una confusione non indifferente nella classificazione. Noi ci siamo attenuti invece serupolosamente ai dati morfologici nella classificazione i quali ci dicono che la var. Wildemani è una leucocarpa un po più setosa dell’ordinario e ad ascelle barbate, come i tipi della Oreophila. Però ora risalendo dal concetto morfologico a quello filogenetico non possiamo far a meno di rilevare la su» affinità colla $ Willdemani del gruppo oreofilo. Perciò riesce anche giustificato il nome che noi abbiamo imposto alla varietà. Una forma aberrante e che forse prese essere inglobata nel gruppo della Yasicae è la var. Smithiana la quale differisce dalle forme sorelle per la presenza di cuscinetti disseminati ovunque sulle parti vegetative e pei fiori piccoli, a sepali leggermente pulverulenti. Si è esposto altrove quali siano le sue affinità e i suoi caratteri diffe- renziali: qui reputiamo solo di far notare che se ci siamo indotti a stac- LI carla dal gruppo della Yasicae per inglobarla colla Zeucocarpa lo ‘si è fatto in considerazione della forma delle foglie e di altri caratteristiche Egli è certo però che questa varietà segna il passaggio al gruppo della Yasicae. Stabiliti così i vari vagoni che contraggono fra loro le diverse varietà della Zeucocarpa è duopo vedere ora quali siano le specie cui | questa è imparentata. Già abbiamo veduto come per mezzo della var. Smithiana sia collegata alla Yasicae. Questo legame appare anche più | evidente se si considera che nella var. stenophyMla V esemplare di Ker- winisky (raccolto nelle regioni meridionali del Messico!) .e il N. 31083. ‘hanno i calici pulverulenti, come ta'une forme della Yusicae del Gua- temala e del Nicaragna. La contiguità delle regioni dove vivono siffatte specie ci da la ragione di questi graduali trapassi. Ben inteso che noi non vogliamo spingere l'analogia e le affinità filogenetiche fino al punto da incorporare in un’unico gruppo la leucocarpa e la laevigata. Que- tima ara ad un altro territorio per discosto dat: "Menaio, e A e I O O e, er ie ARE, ann È d di DE ue si TREN VEE 4 Alia a nt, PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO dal Guatemala e solo per un fenomeno di convergenza affatto acciden- tale essa ha assunto, come vedremo in seguito, la fisonomia della Yasicae. | Le affinità colla S. Willdemani furono sopra discusse: qui perciò dobbiamo accennare ai rapporti colla S. pedunculata Hook. e con altre forme non più viventi in regioni alquanto più meridionali, ma bensì nello stesso territorio messicano. | Per quanto concerne la $S. pedunculata Hook, osserviamo, innanzi tutto, che abbiamo deseritto, sotto il nome di var. Zleucocarpa, non poche forme che per le foglie strette ricordano il tipo stenofillo della nostra Zeuco - carpa. Le differenze principali vanno ricercate nei calici pulverulento - tubercolati all’esterno, nelle ascelle dei nervi barbate e nella gran - dezza dell’infiorescenza, ma noi sappiamo che queste tre caratteristiche nella S. pedunculata sono soggette a notevoli variazioni. Non è quindi improbabile che certe forme stenofille di questa siano piuttosto da in - globarsi nella S. /eucocarpa var. stanophylia, o fors’ anco in quella anisopoda. L’affinità tra la pedunculata e la leuciodipà: è anche reso mani. festo da talune forme di quest’ultima le quali, come ad es. l’es. 359 del Museo di Ginevra proveniente da Oaxaca, presentano un calice con qual-. che mucrone, quasi ad indicarci la loro origine da forme a calice pul- verulento tubercolato. Le ascelle dei nervi non sono però ivi barbate. A proposito della questione che ci interessa non possiamo tacere che la .S. pedunculata fu da non pochi autori assimilata alia S. serrata — DU. Abbiamo accennato altrove ai motivi che ci hanno indotto a ripudiare questa denominazione basata sopra una diagnosi enigmatica. Qui però sa- rebbe il caso di vedere se le forme della /eucocarpa, e in specie quelle a calice glabro e ad ascell» barbate, non rappresentino appunto la specie descritta dal De Candolle. Non siamo di questo avviso, prima di tutto perchè non è ben certo che quest’autore abbia assegnato un calice glabro alla S. serrata, in secondo luogo perchè la Serrafa ha infiorescenze molto | più ampie, quali si convengono alla Peduncolata, e infine perchè le ascelle barbate sono accidentalità troppo variabili per essere prese in seria consi. | ‘derazione le quali poi, quando sono reperibili, si accompagnano spesso MR pulverulenza del calice. Venzone che più si avvicina al tipo della serrata è, secondo quello: di Friakegt 842 STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPNCIE AMERICANE ECC. Rimane a discutere le affinità colla S. Smithiana, colla S. inter- ‘media, colla $S. pauciserrata e colla S. barbigera Hook. Per quanto eon- | ‘cerne quest’ultima esse sono evidenti, tanto che l’Hemsley aveva in fo cluso in questa l’Esemplare N. 330 di Schiede stato raccolto a Costa P ‘Grande di Chiconquiaco! Le differenze che si osservano sono di poco momento (calice glabro, ‘ascelle molto barbate, color verde del lembo, margine molto serrato, foglie piccole e meno setose nella $. bardigera Hook.) e le stesse vanno ani soggette a notevoli oscillazioni perchè su di esse si possa far molto as- segnamento. È in ispecie in talune forme stenofille della Leucocarpa che l’affinità colla barbigera appare più evidente, mentre altrettanto non può dirsi per l'esemplare 898 studiato dal Turezianinow, sebbene questi l’abbia appunto indicato come affine alla S. sefosa Mart. che non è altro che la S. dbarbdigera. Più incerte sono le affinità colla S. intermedia e colla Pauciserrata, per quanto queste siano pure collegate colla S. barbigera: altrettanto può dirsi per la parentela colla S. Smizhiana, sebbene la var. Smithiama (1) ‘della Jeucocarpa abbia molti tratti comuni con questa cpu molto prossima alla Yasicae. In conclusione la S. Zeucocarpa è una specie polimorfa avente rap porti multipli con altre forme delle regioni messicane e centro ame- ricane dalle quali probabilmente è derivata, od alle quali ha dato ori gine, in seguito a lievi mutazioni nella costituzione. Perciò si comprende | come le forme estreme dei vari tipi in cui è stata scissa non siano sempre ben definite. < 55) Saurau'a pseudoleucocarpa Busc. n. sp. Tav. VII Vol. XXV i Fig. 12, Esemplari studiati. Es. N. 1173 dell’Erbario di Leida e di Bruxelles formanti parte delle Collezioni Colombiane di Lehmann. Nei cartellini annessi trovansi . (1) Forse sarebbe più opportuno chiamarla var. /aevigata della /eucocarpa avendo più diretta attinenza colla var. Zaevigata della Yasicae; psarò abbiamo | evitato. questa denominazione essendo già stata utilizzata per la specie sud ame- ricana di Triana e Planihon. Si ARR RIOLO SRO IAS TIE ES IA SI MLT ORA CIA certo ii VOTE ti 0 PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPTE MUSCATELLO 348 le seguenti indicazioni; raccolti nelle foreste di Buonaventura a circa 300 m. sul mare. Fioritura in Marzo. Es. N. 545 dell’Unit. St. Nat. Museum Washington, proveniente dalla Provincia di Caucha (Columbia) e più precisamente da Cordoba Dague Valley (Pacifical Coast Zone) dove fu raccolto da Pittier nel Di. cembre 1905, a circa 30100 m. d’altezza sul mare. (in s:hedula mera nom. S. Serrata DC.). Ramuli striati parce et minute mucronulati vel glabrescentes, apice tubere lato pulverulenti. Petiolus substilis, brevis setis raris ferrugineis obtectus, Lamina lanceolata vel lanceolata-Obovata scabra, subcoriacea, superne scabra subtus luteo-ferruginea. Apice apiculato vel acuto, basi a- cuta aut subobtusa, margine denticulato vel crenulato semper mueronulato, Nervi secundari 16-22 raro dycotomi; tertiari a minoribus distineti. Pagina superior parce secus costam et nervi tubercula'a, paren - chimate vero glabro aut tuberculis raris scabro. Pagina inferior ad costam parce setulosa; nervi secundari et pa. renchima mucronibus raris obtecta. Infiorescentia folias subaequans laxa, ramosa, subcorymbosa ramulis inter se distantibus. Pedunculus glaber ant parce muceronulato-setosus, _ramuli setuloso pulverulenti furfuracei. Bracteae lineares minutae. Flores parvi breviter pedicellati. Calyce extra pulverulento intus glabro ad marginem ciliolato, Corolla ca'ycem superante. Stamina pauca calycem subequantia anteris ferrugineis. Ovario stylis obsoletis aut brevibus. Albero basso, o frutice di 23 m. a rami divaricati, nigrescenti debolmente striati, o anco oscuramente scanalati, oppure levigati cilin- . driei, con qualche raro mucrone appena distinguibile ad occhio (Es. _ N. 1173) e qualche lenticella. Cicatrici fogliari piccole. Apici dei rami nericci, cosparsi parcamente di cuscinetti pulverulenti e di brevi tu- bercoli setuliformi di color gialliecio sporco. Questi ultimi presenti, da soli, nell’esemplare 545. — Foglie giovani brevemente setulose se: alla lente anche pulverulente. Picciuolo sottile, non molto lungo (1,5.3 em.}, neriecio con qualche rara setula appressata (lunga !/x1 mm.), dilatata talora alla base (Es. aa a cea curva. STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Lembo lnceolato stretto, talora un po obovato cuneiforme, lungo 11-16 cm., largo 3-6 cm. subcoriaceo o cartaceo, un po’ ruvido sopra e sotto, rosso bruniccio alla pagina superiore, gialliccio ferrugineo al- V inferiore. Apice del lembo' terminato bruscamente in punta acuta diretta 0 curva, lunga 1 '/, cm., oppure gradatamente assottigliato; base un po” ottusa, gradatamente assottigliata (Es. di Bruxelles), ed acuta, quasi sempre un po’ diseguale: margine mucronulato denticolato serrulato, in ispecie all'apice, talora anche leggermente crenulato, con acciden- talità di rilievo, sormontate da mucroni diretti o curvi, mai setulose. Nervature variabili da 16 a 22 (Es. 545), oblique, dirette o un po’ curve, appressate fra loro o distanziate, poco distinte sopra fine ma prominenti sotto, poco 0 punto dicotomiche. Nervi di 3° ordine fini, perpendicolari o quasi ai secondari, dirit- ti, ben distinti da quelli di 4° ordine. Pagina superiore con rarissimi tubercoli, talora setuliformi, sulla costa e sulle nervature (dove sono ancor più rari), spesse volte bian- castri. I tubercoli della costa sono lunghi 0,5 mm., quelli dei nervi più brevi e perciò visibili solo alla lente. Qua/che raro e minutissimo tubercolo si nota pure (alla lente) sopra il parenchima. Pagina inferiore provvista sulla costa di sete brevi dilatate alla | base, gialliccie, molto rare. Mucroni talora setuliformi pure assai rari suì nervi secondari; il resto coperto di tubercoli solo distinqui- bili con una buona lente, i quali rendono la superficie granulosa - (Es. 545). Infiorescenza subeguale alla foglia, o un po’ più breve di questa, multiflora, a fiori piccoli, lassa, ramosa, ampia, a pannocchia 0 sub- ‘corimbosa, con rami fini distanti gli uni dagli altri, obliqui. Lunghezza dell’infiorescenza 14-16 cm., di cui 6-8 pel peduncolo, larghezza 67 cm. Peduncolo bruno, nericcio, subglabro 0 con qualche minuto mu - - crone 0 setula appressata, talora anche un po’ pulverulento all’ apice, . esile, striato per lungo e persino alquanto appiattito. - Rami lunghi due o tre centimetri, a lor volta ramosi, risolventisi in 2, 0 3 pedicelli, lunghi da 3 a 5 mm., subglabri o parcamente se PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO tosi alla base, pulverulenti, setulosi, furfuracei all’apice (setule lunghe 0,3-05 mm. ferruginee). Nell’esemplare 545 la setulosità è molto distinta. Brattee lineari lunghe, 68 mm., anch’ esse minutamente setulose pulverulente, ferruginee, caduche. Fiori del diametro di circr 8.12 mm. Calice con 5 sepali lunghi , 3 mm., variamente pulrerulenti, ferruginei all’esterno, glabri all’in- terno, cigliuti al margine. Nell’Es. 545 la superficie esterna, sempre limitatamente alle parti scoperte nel boccio, appare pressochè soltanto punteggiata, granulosa alla lente. Corolla lunga quasi il doppio del calice, o almeno !/, più lunga, Ù a petali stretti, subquadrangolari, ottusi. Sfami pochi (20 circa), sub- eguali al calice, barbati alla base con peli di color bianco sperco, a fi- lamento brunastro, ad amiere ferruginee giallastre, profondamente bifide, poricide all'apice, con rima piuttosto ampia, strette, piccole o lunghe (545 aderenti pel mezzo del dorso al filamento. Ovario minuto, a stili obsoleti (Es. N. 1170), o brevi (Es. 545-1173), in numero variabile da. a D(P) Caratteri differenziali e di affinità. Data la mancanza di. peli al- l’ ascelle dei nervi, la forma della foglia e lo speciale rivestimento di tricomi, le affinità non sono molte. Per la mancanza di peli alle ascelle dei nervi, per la forma delle ‘foglie, per il calice glabro, per la patria e Ps altri caratteri, non può essere confusa colla 8 barbigera. La S. pauciserrata colle sue varietà condivide pressochè i carat- teri della barbigera, per cui anche qui la confusione non può aver luogo. Nella pauciserrata troviamo la corteccia rugosissima, le foglie. giovani colle ascelle dei nervi barbate, il lembo di quelle adulte sot-o tile, di color: verdiccio, più fortemente serrato, meno setuloso, muero - | nulato alla pagina inferiore, i nervi di 3° ordine formanti un fine re- ticolo con quelli di 4°, il pieciuolo sparso di placche suberose, l’infio- rescenza breve, pauciflora pressochè glabra o poco pulverulenta all'apice, i fiori poi molto più grandi a cal ce pressochè glabro, o del tutto enna | La patria poi è affatto differente. Le stesse caratteristiche si hanno, a ‘prescindere da lievi divergenze, nella var. crenata della pauciserrata e in quella Kegeliana, le quali poi sono facili a en o per le ascelle ne o pe i nervi scarsi, STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC, Nella R.-intermediuria troviamo non pochi caratteri differenziali che furono altrove messi in evidenza. A questi bisogna ora aggiungere il calice grande (non sempre però) e la patria differente. Caratteri differenziali S. parviflora Tr. e PI. S. pseudoleucocarpa Buse Caratteri comuni Fusto parcamente Itubercolato, pulveru- lento. Picciuolo tubercola- to. pulverulento. mbo ohovato , piut- tosto largo e anche lungo. Margine appe denticolato, O) aa ro. Pagina inferiore sparsa, sulla costa, di i ferruginei e ucroni appena vi 3 sibili alla lente; qua e lla dg peli stellati; mi a 12 = distan Provincia di Cauca e Co Fusto parcamente tubercolato. Pieciuolo lato setuloso. Lemb) di discrete dimensioni, ma stretto. Margine talora ere- nato o serrulato. Pagina inferiore sparsa di minute se. ule e mueroni che la rendono granulosa. Nervi 16-20 appres- sati, o distanziati, poco o punto dieotomi. ) guale, o più breve della oglia, @parcamente setulosa pulverulenta i furfuracea. Calice pulverulento all’esterno o subglabro.| oreste di Buonaventura so tuberco- | Picciuolo lungo 2-3 cm. ttile. L terminato in unta, - Base del lembo acuta ‘cuneiforme, Entrambe le pagine del lembo un po scabre, la superiore bruniccia, l’in- stinti da quelli di 4°. dicelli brevi. Fiori piccoli. di Te e si ilraliazi per la agiegi sul fusto e PROFF, LUIGI BUSCALIONI P ; GIUSEPPE pendii ti alla pagina superiore ed all’inferiore, per la lamina molto più grande e in ispecie più larga, per l’infiorescenza a peduncolo un po piatto, per le brattee più piccole e infine pei fiori più grandi e per la patria. Nella S. Briqueti, come nella nostra, troviamo un fusto sparso di cicatrici fogliari piccole e di minuti mueroni, le foglie munite di pie - ciuolo sottile, breve, parcamente setuloso, i fiori piccoli. Qui cessano le affinità poichè nella Briqueti incontrasi un lembo molto piccolo, setuloso allo stato giovane, granulos> allo stato adulto, o tutt'al più portante qualche raro pulvinulo nella: costa; i nervi secondari son) in essa più scarsi e quelli di 3° ordine formano reticolo con quelli di 4°; l’infio- rescenza è breve, pressochè glabra, o con rari pulvinuli e porta delle brattee brevi; i fiori hanno calice glabro; la patria infine è diversa. Caratteri differenziali Caratteri comuni S. strigillosa Tr. e PI. {S.pseudoleucarpa Buse. Apice del fusto spar | Apice del fusto spar-} Fusto minutamente so di sete dilatate allalso di cuscinetti pulve |striato. i base e di tubercoli. |rulenti e di brevi tu Pieciuolo setuloso. Foglie giovani setu-|bercoli. Lembo coriaceo o sub-| ose. Foglie giovani setu-|coriaceo, obovato, con pun-|. Picciuolo breve. lose pulverulente. ta e colla base acuta, © Pagine del lembo| Picciuolo disereto. Margine minutamente) iscie. Pagine del lembol|serrulato. Nervi secondarijun po scabre Infiorescenza subeguale 11-15 distanziati, sub | Nervi 16- 29, spesso|al lembo che è di deo va ‘|dicotomi. appressati poco dico-|sioni discrete. Pagina suveriore]tomi, In niorescenza pulvera quasi del tutto glabra,|. Pagina superiorejlenta setulosa. o al più con rari mu-jmolto parcamente mu| Brattee lineari lunghe.| croni. cronulata setulosa. Stili di varia forma. | Fiori brevemente, oi Fiori brevemente pe. lungamente pedicellati dice'lati, piccoli. grandi. Calice pulverulento,) È Calice setuloso pul-\e solo parzialmente, verulento fuori, pul-|all’esterno. verulento dentro. . Stami 20. Stami 25-30, Stili 4-5. Stili 5. ; oreste 1358 Quindio | di Buonaventural ve a POE via Pica é Stanca STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. La $. coroicoana Buse. del Vallone di Coroico presenta, quali ca. ratteri differenziali, il fusto ed il picciuolo coperti di sete e di pulve- rulenza, il lembo piccolo solo acuto anteriormente, percorso da poche nervature, l’infiorescenza più breve della foglia, colle brattee spesso spo state, i fiori a calice glabro sulle faccie. Corrisponde invece abbastanza bene alla’ nostra pei fiori piccoli con pochi stami e un numero variabile di stili, per la foglia subcoriacea r ssiccia sopra, più chiara sotto, mu- cronulata serrulata parcamente setulosa tubercolata almeno alla pagina muperiore, per l’infiorescenza pulverulenta setulosa. Nella S. Weberbaueri Buse. vi ha il fusto, il pieciuclo, il lembo «mucronulato-setulosi come nella nostra specie, ma il lembo è più forte- mente serrato e più largo; i fiori hanno glabro il calice; il pieciuolo è molto lungo e privo di pulvinuli; il lemb >» molto cuneato obovato e l’infio. rescenza, infine, solo tubercolata. Poche sono le affinità colla S. Smithiana poichè questa ha il caule disseminato di pulvinuli (oltre alle setule) e lo stesso rivestimento pre- senta pure sul picciuolo che poi è molto più lungo. Il lembo differisce ‘per la grandezza maggiore, per il color spesso veriliccio, pel margine molte volte crenulato, per le due pagine pressochè glabre, pei nervi se condari. poco numerosi e per quelli terziari confusi in reticolo con quelli di 4° ordine. L'infiorescenza è anche un po più sviluppata e porta delle brattee minutissime. I fiori infine sono muniti di calici glabri sulle faccie, si mostrano più ricchi di stami, e presentano un’ovario a stili. lunghi. __Nonè il caso di insistere sulle affinità colla S. Zalbruckneri dalle foglie ottuse alla base, ovali, verdiccie, glabre, ad eccezione delle ascelle dei nervi che sono barbate. Basterà far rilevare che la patria è affatto erente. Lo stesso dicasi per la S. Maxoni la quale poi spicca pei ‘hi nervi e per la glabredine ancor più accentuata. Caratteri differenziali S. Yasicae Loesen. S. pseudopedunculata Buse Caratteri comuni Piccinolo molto Inn go, con qualche cusci netto. Apice del lembo acu- to, o con breve punta. Pagina superiore del tutto glabra, o con rari enscinetti co nerva ture maggior Pagina inferiore pun-|g teggiata in incavo. Lembo stretto. Nervi 8-10. Nervi di 3° ordine i 4-5 sepali Bidone spesso al l’interno. Stili talora lunghi. America Centrale Picciuolo breve se lo so. Apice del lembo con punta lunga. Pagina superiore con minuti tubercoli ] parenchima e con qual che tubercolo setuli- forme sui nervi mag - giori e sulla costa. Pagina inferiore con tubercoli p non presenta alcuna alveo- atura, Lembo spesso ovale. Nervi 16-22 e quelli di 3° asia distinti da quelli di 4°, Calice di 5 sepali non pulverulenti al- l'interno. Stili brevi. Columbia Fusto cilindrico leg- o on balreraléna e tozze sete. Lo stesso rivestimento sulle foglie giovani. Pieciuolo nericcio gla ro. Lembo rossiccio bruno alla pagina superiore, gial liceio all’ inferiore, coria- ceo, talora cuneiforme, o con base acuta disimme- * Margine del lembo mu RR entato. Costa e nervi sparsi di mueroni e di setule sulle due faccie Infiorescenza subeguale i pete setulosi furfuracei. Calice subglabro o pul- verulento all’esterno, gla - bro all interno, cigliato Stami 20 con antere aj rima ampia. Ovario a stili obsoleti,| D) brevi. _ Parga far notare, a Aa della patria, che una forma della Ya- G sicae sarebbe stata segnalata nella N. Granata, ma tale indicazione, re peribile in uno degli esemplari di Kew, è seritta a lapis (seguita da un, punto di interrogazione) sul cartellino, per cui è più che dubbia. Colla 8. laevigata Tr. e. PI. dell'America meridionale esistono pure notevoli punti di contatto: in entrambe vi sono dei tubercoli sul fusto, il piceiuolo è bruniccio, Vinfiorescenza multiflora con qualche mucrone — sul peduncolo, mentre i rami si presentano pulverulenti setulosi, le | brattee sono brevi, i fiori mediocri, brevemente pedicellati, col calice pul- | verulento all’esterno, cigliato al margine, gli stami si presentano pres - . sochè ugualmente conformati e infine l’ovario si mostra sormontato da stili obsoleti. Le differenze sono tuttavia notevoli poichè nella Zaevigata abbiamo dei picciuoli molto lunghi, un lembo con punta breve, molto più grande, | colle nervature di 3° ordine formanti un reticolo con quelle di 4%; i- noltre il lembo presenta dei minuti alveoli alla pagina inferiore lungo i nervi minori, l’infiorescenza è assai più breve della foglia ed i calici, infine, sono talora puberuli all’interno. Colla S. Pittieri e colla S. Pseudopittieri si hanno delle affinità | apparenti abbastanza numerose, ma la presenza di peli stellati alla pa- gina inferiore del lembo in queste due forme e la patria differente esclu- dono qualsiasi avvicinamento. PROFEF, LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Caratteri differenziali S. aequatoriensis Sprague S. pseudoleucocarpa Buse Caratteri comuni Apice del fusto co- sparso di sete abba- stanza lunghe. Lo stesso rivesti- mento sulle foglie gio vani, dove le sete sono inoltre barbate alla ase. Pieciuolo robusto, co perto di lunghe sete (23 mm.) Lembo non molto grande, a pagina infe- Apice del fusto co- Bradl pulveru- e sulle foglie gio- van Pincieolo sottile, co - erto di sete più brevi. Lembo discreto, a pa- gina inferiore gial- cia. Apice del lembo ter minato in punta lunga. Margine non revo- luto. Nervi 16-22; quelli punta. paterne revoluto. i i 12-18 e quelli di 3 aria nen distinti) da quelli di 4°. agina inferiore sparsa di sete e di pul. vinuli. Infiorescenza spesso più lunga delle foglie, subglabra. Fiori discreti, a se- pali bruno-rossicci, se- tulosi sulle parti sco perte nel boccio. Stami 25. di 3° Srsino distinti da quelli di DE DIE tu- berco ni al ,subeguale alla foglia, urfuracea fra i rami. Fiori piccoli pulve- rulenti sulle parti del calice scoperte nel Ovario brevistilo. Columbia, Ovario longistilo. Equador -'eirca, ‘siccia. Pieciuolo lungo 2. em. Pagina superiore ros- Lembo denticolato-ser - rattee minute. Nella varietà doliviana della S. aequatoriensis troviamo pressochè gli stessi caratteri differenziali e per di più la pagina superiore delta foglia reticolata, l’inferiore cosparsa di mueroni un po barbati, l’infiorescenza — molto più ampia della foglia, le brattee più grandi triangolari. Le dif- STUDIO MONOGRAFICO iaia SPECIE AMERICANE ECC. {9 si accentuano nella var. glabrata, ma per quanto concerne | questa e le altre varietà della aequatoriensis vedasi il relativo capitolo. La S. Rusbyi Britt. della Bolicia differisce pel caule cosparso; ol- | trechè di sete, anche di pulvinuli, pel,lembo un po’ reticolato superior- mente, molto largo e più lungo, obovato, sparso di placche tomentose - ferruginee alla pagina inferiore, serrato, pei nervi meno numerosi, pei sani grandi, pei molti stami. | La var. glabrata porta delle sete abbastanza lunghe sul caule, presenta il lembo obovato serrato, i nervi distanziati, le brattee minute, i fiori n lungamente pedicellati. Pressochè le stesse caratteristiche differenziano di la var. spectcbilis, ma più di tutto il lembo assai grande, relativamente | poco ricco di nervi (15-18) ed i fiori più grandi. Le affinità in tutte queste specie si riducono, più che altro, al si- stema pilifero posa eguale sul piccinolo, sul lembo, sull’infiorescenza e sul calice. Nella S. pseudoparviffora, delle Yungas boliviane! si hanno pic- ciuoli più lunghi, furfuracei per sete dilatate alla base, lembi sottili verdicci, ovali, ma assai larghi, poco innervati, infiorescenze più brevi delle foglie, fiori minutissimi con sepali subglabri, ad eccezione del margine. «Non è il caso di analizzare le affinità colla Pedunculata e forme affini, dalle ascelle dei nervi barbate e dal lembo serrato, crescenti tutte quante nel centro America e nel Messico: reputiamo invece opportuno di insistere sui caratteri comuni alla Zeucocarpa e sue varietà, ben- chè la questione sia stata trattata in parte nel capitolo dedicato a questa PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSUATELLO Caratteri differenziali Saurauia leucocarpa Sehlecht Saurauia pseudo - leucocarpa Buse. Caratteri comuni Lembo tipicamente |obovato cuneiforme, ta- lora setuloso al mar- gine Pagina inferiore gla- bra sul parenchima, con minuti alveoli ad ineavo corrispondenti a rialzi alla pagina su- periore. Ascelle leggermente barbat ina superiore del Nervi 9- 15 distan- ziati, subdic quelli di 3° pera for- mantì un reticolo con] quelli di 4° ordine. Infiorescenza multi- ora. Calice a 4-5 divisio- ni, cigliato al margi- {ne, glabro sulle faccie. Stili lunghi. Messico otomi:jcoto Lembo un po obo- vato cuneiforme, ma per lo più lanceolato, con margine mucro nulato. Pagina inferiore mi. nutamente tubercolata sul parenchima, senza alveoli in incavo. Ascelle dei nervi glabre. - Maucroni sui nervi e parenchima. Nervi da 16 a 20, appressati, non subdi. omi, Nervi di 3° ordine distinti da quelli di 4°, Infiorescenza pauci. flora. 5, pulveru- lenti all’esterno, cigliati margine. Stili obsoleti, o brevi. Columbia Fusto rossiccio bruno, coll’apice sparso di rare e minute sete dilatate e ta- lora un po’ pulverulentel alla base. Picciuolo sottile, non imolto lungo, nigrescente,| subglabro o con qualche pulvinulo, od anco fornito di minute sete. Lembo rossiecio bruno sopra, gialliccio e scabro sotto, serrulato denticula to pa con serrature muceronula © Apice con | punta acuta lunga Bse acuta, disimme- trica. ’agina inferiore con rari mucroni sulla costa] e sui nervi. Infiorescenza subeguale alla Lc, o più breve di| ques Ped inglo lungo, fino, bruniccio, subglabro. Rami delicati, pulveru- lenti, lassi, spesso obliqui. "Po rattee minute, lineari ipulverulente Stili brevi. = | |subdicotomi: quelli di 13° STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Caratteri differenziali S. leucocarpa Schlecht. var. stenophylla Buse. S. pseudoleucocarpa Buse Caratteri comuni Caule setuloso ru- con setule assai ordine poco distinti [da quelli di 4° (non sempre però). Infivurescenza vari glabro, o) ‘cigliato al Stami 25 30. Guatemala i udine unta. ora, a rami bre | Fiori discreti (talo- ra grandi), a calice; Caule liscio: sete al- l’apice del caule scarse e multi mbo un po scabro, in lunga Parenchima fogliare iminutamente tuberco- lato. Nervi da 16 a 20, non dicotomi e quelli tami ANA .|bass i-[margine serrulato muero- .|nato o erenulato. no, cigliato al margine. S calice Caule liscio, a cicatrici fogliari tonde, coll’apice bruno setoso (sete a base spesso dilatate). lie: giovani setu lose. Pieciuolo bruno, sottile o di dimensioni discrete, setoso Lembo lanecolato bru- niecio sopra, giallo fer rugineo sotto, coriaceo; del lembo acuta; Rari mucroni e setule ui nervi maggiori e sul- la costa delle due pagine. Ascelle dei nervi se condari glabre. Nervi appressati (non Infiorescenza di poc più breve della foglia, a peduncolo fino, bruno, parcamente setoso. Rami furfuracei fer- ruginei. rattee lineari brevi (talora però lunghe). Calice glabro all’in erno. Corolla più grande del Stili brevi, od obsoleti. La $. Zeucocarpa var. smithiana, del Guatemala! ha pure dei mu- eroni pulveralonti all'apice del fusto, sul pieciuolo e sull’infiorescenza, ‘presenta i picciuoli più lunghi e i lembi per lo più ottusi all’apice. è son è del pari lanceolato obovato, ma ha le faccie più liscie ed PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO © 9550 inoltre porta un minor numero di nervi, distanziati gli uni dagli altri. I nrvi di 3° ordine formano un reticolo con quelli di 4°. In entrambe le forme troviamo un’infiorescenza ampia, ma questa nella Zeucocarpa è coperta in parte da peli stellati minuti (oltre ai mu-_ croni); inoltre porta dei fiori glabri, o cosparsi di peli stellati. La var. Wildemanii della /eucocarpa (del Messico !) differisce ancor più notevolmente per le sete caulinari distintamente barbate alla base e pel picciuolo più robusto, setuloso, pulverulento. Il lembo, come nella nostra specie, è terminato in punta lunga con la pagina superiore rosso bruna, con quella inferiore gialliccia; inoltre esso è acuto all’estre - mo basale, denticolato serrulato, ma molte volte è molto serrato, con ser - rature diseguali sormontate da sete decidue. I nervi poi nella S. Wil. demanii sono in minor numero distanti gli uni dagli altri, mentre quelli di 3° ordine, al pari di quelli omologhi della nostra specie, -—_ sono distinti da quelli di 4°. Le due pag ne hanno pure, oltre alle sete dei nervi e della costa; dei piccoli e rari mueroni nel parenchima, ma la setulosità della pa- gina inferiore è più marcata nella Wildemanii, la quale poi presenta le ascelle dei nervi barbate. Per quanto concerne l’infiorescenza non si hanno differenze: i sepali della Wi'demanii sono però più glabri, gli stami più numerosi, gli stili lunghi. Colla var. anisopoda e coll’angustifolia non si hanno più affinità trovandosi in queste o le brattee spostate, o i calici glabri, o eccessiva- mente setosi, * * * Dai fatti esposti risulta evidente che le reali affinità della S. pseudo leucocarpa sono colla S. Yasicae e colla S. Zeucocarpa, ma contro un tale affratellamento sta il reperto geografico il quale ci dice che la prima abita la Columbia, le altre il Messico, o le regioni circostanti del Cen- tro America. Noi sappiamo quanto si imponga la distribuzione geogra | fiea sul criterio sistematico del genere che stiamo studiando, e perciò ci affrettiamo a segna'are che la patria della pseudoleucocarpa non è in- | dicata su vgni cartellino ed inoltre l'indicazione « Herb. Columb. Leh= . man; Buonaventara », inserita sulla schedula, neppure ci permette di risolvere la questione trovandosi anche la località Buonaventura nelle. STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Insistiamo su questo punto poichè qualora venisse stabilito che la specie da noi segnalata fosse stata rinvenuta realmente nel Mes- “sico si verrebbe a confermare maggiormente le affinità colla /eucocarpa. e colla Yasicae. La questione è pertanto sub iudice. 56) Saurauia laevigata Tr. e PI. Prodr. Fl. Granat. ou enumer. d. plants de la Nouvelle Grenade e Ann. Sc. Nat. Ser. IV Tav. XVIII 1862. Arbor ramis petiolis inflorescentis calycibusque tenuissime pulve- rulaceo puberulis, foliis longe petiolatis caneato oblongis breviter et abrupte acuminatis utrinque acutis, laevitere serrulatis nitidis glabris; thyrsis axillaribus folio brevioribus trichotome divisis, bracteis parvis linearibus recurvis floribus pro genere parvis, breviter pedicellatis, pe - talis oblongo-obovatis retusis calyce longioribus staminibus paucis (circa - 20) ovario depresse globoso glabro. Foreste di Quindio (Vers. Orient.) 1400 m.; aff. a Palava glabra de Ruitz et Pav., ma distinta dalle altre specie della regione Pe le foglie glabre (Tr. e PI.) i Esemplari studiati. . Es. del Museo di Parigi e degli Erb. di Vienna e di Kew stati raccolti nel viaggio di I. Triana (1851-57) a Quindio (N. Granata | Prov. di Mariquita) sul versante orient. della Cordillera, a circa 1400 m. in regione boscosa. Tipici! Es. stato raccolto nella località sopra accennata da Goudot (1844). - Erb. di Parigi. Es. del Museo di Kensington, stato raccolto da Triana ad Ibaque presso Quindio (Erb. di Triana). | Fusto rossiccio, cavo, striato, quasi glabro, o parcamente coperto Aa minutissimi cuscinetti pulverulenti. Foglie giovani nericcie, collo stesso rivestimento del caule. Picciuolo lungo 4 cm. circa, un po sottile, rossiccio hrunastro, scanalato, spesso sparso di lenticelle, glabro o con qualche minutis- simo pulvinulo, o tubercolo (gli uni e gli altri visibili bene solo alla lente). — . Lembo lungo 12-23 cm. largo 410. em. (nella parte anteriore - ampia) subcoriaceo, membranaceo, cartaceo, rosso bruno sopra, PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO 357 più pallido sotto, giallo, ferrugineo, (raro), ovale od obovato, brusca - mente terminato in breve punta, cuneiforme verso la base che è acuta subdecorrente, un po diseguale. Bordo intero od oscuramente crenu - lato, o più o meno manifestamente serrato, dentato a denti larghi o piani, con un piccolo mucrone nella parte incavata. caiuz Esemplare di. Kensington la dentatura è pochissimo accentuata. o Nervi secondari 13-18, poco o molto curvi, distanti, poco manifesti sopra ove si presentauo rossicci, non molto sporgenti e fini sotto e nono sempre raggiungenti il margine fogliare (Es. di Kew). Nervi di 3° ordine finissimi, distanziati tra loro, taluni perpendicolari ai secondari o alla costola, formanti con quelli di 4° ordine, da cui spesso mal si distinguono, un fitto reticolo. Costa molto robusta. Nervi glabri: tutt'al più qualche minutissimo mucrone visibile alla lente sulla costa. Superficie del lembo del tutto glabra, sia superiormente che in- feriormente, da ambo i lati /ucida. La pagina inferiore, porta spesso dei minuti incavi lungo le nervature più piccole, mentre quella supe riore si mostra un po granulosa alla lente. Infiorescenza a pannocchia pauciflora 0 multiflora, ei più brev, assai della foglia, o a questa subeguale (lungh. circa 21 em. o meno di cui 10 pel peduncolo). Peduncolo rossastro, striato, appiattito, glabro, o tutt'al più con qualche minuto cuscinetto visibile solo con lenti un po forti. Rami lunghi 6-7 em. a lor volta divisi, finamente pulverulenti e provvisti inoltre di qualche setula minutissima, tozza, visibile però solo alla lente. Brattee e bratteole brevi (2-3 mm. XX 12 mm.) triangolari, acute | pulverulenti. Fiori mediocri per grandezza, brevemente pedicellati o subsessili (?) Calice a 4-5 divisioni ovali, subacute od ottuse, un po disuguali, lun- ghe 4-5 mm. pulverulente (Es. di Kensington) ed anco un po tuberco- late (alla lente) sulla faccia esterna, glabre, o un po puberule al- l'interno, cigliate al margine. Corolla quasi !/, più ampia del calice. Stami circa 25-30 corti, barbati alla base con peli rossicci, a filamento sottile e ad antere lun. ghe, rossiccie, o gialliccio-scure, più o meno ampiamente aperte (per STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. poro) all’ apice (poro piccolo nell’ Es. di Kensington). Ovario glabro a stili obsoleti o brevi (Es. di Kensington). Caratteri differenziali e di affinità. Per quanto concerne le affi nità con altre forme più o meno glabre precedentemente descritte ve dansi i relativi capitoli. La S. Weberbaueri Busc. differisce notevolmente per il caule e le foglie giovani cosparsi di numerosi mucroni, senza alcuna comparteci- pazione di pulvinuli, per il picciuolo soltanto mucronato setuloso, per il lembo a margine doppiamente serrata, per le vene più numerose, per la pagina superiore scabra, d’aspetto granuloso, cosparsa .di mu. oroni e di sete e per analogo rivestimento, ancor più abbondante però alla pagina inferiore: infine differisce per le brattee più sviluppate, per l’infiorescenza più setulosa, pei fiori piccoli a calice glabro e con pochi stami. Nella S. coroicoana Buse. il fusto è coperto all’apice, oltrechè da . cuscinetti pulverulenti, anche da sete appressate, il picciuolo non è molto lungo collo stesso rivestimento del fusto, il lembo assai piccolo meno ricco di nervi e colle due pagine, ma in specie l’inferiore, cosparse di mucroni e sete. L'infiorescenza è breve e porta dei fiori minut ssimi a . calice glabro sulle faccie, poco forniti di stami. La S. Zahlbruchneri Buse., a prescindere che abita il Guatemala, - è facile a riconoscersi pel bordo ottuso del lembo che è verde bruno e | per essere fornita di pochi nervi le cui ascelle sono barbate. Concorda | colla nostra specie per il caule sparso di pulvinuli, pel lembo quasi glabro, per l’ infiorescenza pulverulenta e infine pei calici sparsi di pulvinuli esternamente. PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Caratteri differenziali |S. strigillosa Tr. e PI. S. laevigata Tr. e PI. Caratteri comuni Apice del fusto irto |di minute sete e tu. bercoli. Analogo rivestimen to sulle foglie giovani, Pieciuolo breve co- sparso di sete. Lembo serrato. Pagina inferiore gra nulosa, con brevi sete e mueroni pula costa e sui ner Lembo Lai 12-16 Infiorescenza lunga 10-14 + no lunghe 6-7 “Fiori brevemente ‘0 \lungamente } em. tutta quanta, setulosa pulverulenta.| Apice del fusto spar- so di minuti pulvinuli. nalogo rivestimen- to sulle foglie giovani. Picciuolo lungo, sparso di pulvinuli. Lembo crenulato dentato. Pagina inferiore gla- bra, con minuti incavi lungo i nervi minori. Lembo lungo 12-23 em. Infiorescenza lunga em. a peduncolo 21 glabro o con qualche ca pulvinulo, a rami pul- I e con qualche minuta * Brattee cre 23 Calice a 6 ni * Tod brevemente pe- icellati o subsessili. Calice a 45 divi sioni. . Pieciuolo cosparso di lenticelle, Lembo subcoriaceo, o membranaceo, obovato. Pagina superiore ros. siecia bruna, l’inferiore galliceia: la prima glabra. Nervi 15: quelli a di 3° ordine poco distinti da quelli di 4°. Calice pulverulento e anche minutamente tu- bercolat» all’esterno, ta lora pulverulento dentro. 5° più ampia del ma i 25-30. Stili aio o brevi. Quindio o ani Sa pf STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMBERICANE PCC. Caratteri differenziali S. smithiana Busc. S. laevigata Tr. e PI. Caratteri comuni Caule cosparso, al- l’apice, di pulvinuli e di minute sete. stesso sulle rivesti- foglie vani. | Lembo ovale-lanceo- lato, gni verdiecio bru sopra, 0 solo odia — Qualche cuscinetto talora sui nervi mag giori alla pagina in ‘eriore. Nervi 10-12.. | Nervi di 3" ordine avvicinati fra loro. | Caule ecsparso al- l'apice di pulvinuli. Lo stesso rivesti. mento sulle foglie giovani, Lembo rossiecio, 0o- bovato Pagina inferiore gla- bra punteggiata in in- cavo lungo i nervi, Nervi 13 18: quelli i 3° ordine distan ziati fra loro. Margine oscuramente erenato serrato dentato, Fiori mediceri, pro- babilmente sempre u | Margine fogliare cre nato-serrato. Fiori piccoli dioici, a calice glabro. Stili lunghi. Infiorescenza multi- flora sparsa di pulveru- lenza e di peli stellati.| S. Marta e Guatemala] inisessuali, a calice pul verulento all’esterno e un po anche dentro. | Stili. vpi brevi o discre i RUDERE talora pauciflora pulverulenta| tubercolata. Pieciuolo discretamente lungo, con qualche minuto tubereolo e qualche pul- vinulo Lembo liscio (non sem- pre nel'a S. smithiana) rossiccio sopra, più chiaro dotta, terminato in punta, acuto alla base, crenulato dentato. Pagina superiore pres- sochè glabra e così pure l’inferiore. Lembo grande lungo cir- ca 11-25 cm. largo 5-9 em. Infiorescenza grande. Peduncolo subglabro o con qualche pulvinulo. Brattee minutissime| triangolari. Sepali 4-5. Stami 25. uindio PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO 861 Caratteri differenziali Caratteri comuni S. Yasicae ng S. laevigata Tr. e PI. var. laevigata Fusto gialliccio ce-| Fusto rossiccio. Fusto striato coll’apice nerognolo sulle parti] Lembo subcoriaceo|cosparso di pulvinuli. Lo adulte, nericcio a l’a |cartaceo, membrana /stesso DA sulle pice. ceo, lungo 12-23 em.lfoglie giova Lembo coriaceo, lun-|largo 4-10 cm. Picciuolo tango 4 ecm. igo 8-15 cm. largo 3-7 Lembo glabro. bruno, sparso di lenticel- ‘em. talora con qualche] . Nervi 13-18 quelli/le, con qualche cuscinetto, ‘minutissimo cuscinetto!/di 3° ordine distanti. |o glabro. ‘gialliceio pulverulento| Infiorescenza lunga] Pagina superiore bru. ‘sulla costa em. a peduncolo!niccia, l’inferiore gial- Nervi 6-10: quelli di rossiccio. liecia. terz’ordine numerosi, Fiori discreti, a cal. Lembo un po’ cunei- lice pulverulento tu |forme, acuminato tuttavia bereolato all’esterno e|ai due estremi, con mar- un po’ all’interno. gino denticolato muero- Stami.25 30. na Quindio Ta mina glabra a pagina i PRES punteggiata in o pulverulento all’orlo internamente. Nervi di 3° ordine con- tami 20. fusi con quelli di 4°. Costarica Peduncolo lungo 10-11 em. striato, appiattito, con si (minutamente), o sparsi] , di cuscinetti. rattee minute. Stili obsoleti o corti. La forma di S. Yasicae descritta dal Loesen. e proveniente da | Nicaragua differirebbe pei seguenti caratteri: Le cicatrici fogliari sono gibbose, il caule è all'apice squamuloso, il picciuolo mostrasi subsetaceo la lamina raggiunge 18 cm. con 11-15 nervi, l’infiorescenza è talora fuori dell’ascella, a peduncolo squamuloso pubescente, i fiori presentasi piccoli a calice a 4 sepali, puberuli all’esterno e in parte all’interno verso l’apice, gli stami oscillano fra 25 30, l’ovario infine ha 4 stili brevi. A ER AN AIM E STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPYCIE AMERICANE ECC. La S. Maxoni, del Guatemala! è del tutto glabra nelle parti ve - getative, poi ha pochi nervi e infine presenta i calici pulverulenti solo verso l’orlo della faccia interna, di guisa che non ‘bud esser confusa = colla nostra. Neppure la confusione può avvenire colla S. Briqueti a causa delle foglie più piccole e verrucose, pei fiori piccoli e glabri e infine per la patria differente. La S. pseudoparcviflora della Bolivia si distingue facilmente per il picciuolo molto setuloso, pel lembo meno fornito di nervi, setuloso sia sopra che sotto, pei fiori minutissimi, a calice glabr:c con pochi stami, portati da un’infiorescenza pure setulosa. La var. Rusbyana ha un maggior numero di nervi, ma presenta del pari il lembo setoso, un’in- norescenza con brattee sviluppate, fiori a calice glabro e con pochi stami. e AE a IR pe PST SET ee e La 5 RE JO PES SICA Ùi Caratteri differenziali Caratteri comuni S. floccifera Tr. e PI.|S. laevigata Tr. e PI. Fusto coperto all’a-| Apice del fusto co-! Pagin: superiore ros: pice da pulvinuli e|perto da pulvinuli. siccia, l’inferiore giallie sete dilatate alla base] Foglie aa collo cia. ate. stesso rivestimento. | Le talsei lungo da 12-23 Foglie gio ani collo Pieciuolo lungo 4em. largo 6-10 em stesso rivestimento. em. wi sparso di ara sparsa di Piccinolo lungo 2-3{pulvinuli e tubercoli. ipulvinuli, con qualche se- em. robusto, sparso dil Lembo giabro: la'ta o muerone. pulvinuli bianchicci. pagina inferiore è prov.| Ficri brevemente pe Lembo cosparso so-'vista di minuti incavi dicellati o subsessili, pul- pra e sotto di pulvi {lungo i nervi. verulenti dentro e fuori. [null bianchieci o gial-| Nervi 13-18. Stili corti. licci. Stami 25-30. Nervi 20: quelli di Quindio 3° ordine più o meno distinti da quelli di 4°. La $S. Rusbyi presenta non pochi punti di contatto colla S. laevi- | gata pei palvinuli all’apice del fanle; nale foglie giovani e sul pieciuolo, | pel lembo discretamente grande, , serrulato acuto agli estremi, PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO per ugual numero di nervi, per l’infibrescenza grande, pulverulenta se - tulosa, per i calici parzialmente tubercolati pulve ulenti all’esterno. Dif- | ferisce per altro per il picciuolo più breve, per il lembo cosparso di pulvinuli e mucroni, per l’infiorescenza più setulosa pulverulenta, pei fiori più grandi, pei calici glabri all’interno e per gli stami più numerosi. La S. Rusbyi var. glabrata differisce per l’apice caulinare coperto parcamente di sete discretamente lunghe, pel picciuolo più breve, per il lembo cosparso superiormen'e di minuti mueroni e di setule visibili alla lente, per le lunghe sete sulle nervature della pagina inferiore, per l’infiorescenza setulosa, pei pedicelli talora lunghi, pei calici distinta- mente setulosi pulverulenti all’esternc, glabri all’interno, per gli stami meno numerosi. Quasi le stesse caratteristiche differenzia'i si notano sulla £. spectabilis, per quanto il lembo sia più glabr-scente alla pagina superiore. Colla S. aequat:riensis lo scambio è alquanto più difficile trattan- dosi, per l’aequatoriensis, di una specie che abita l’Equador, la quale ha un fusto cosparso all’upice di rare sete, le foglie giovani fornite di «minuti peli stellati, un picciuolo setuloso, un lembo non molto grande | cosparso di minuti tubercoli (misti però a qualche pulvinulo), a margi- ne revoluto. L'infiorescenza, se non è più breve, è caratterizzata da sete robuste e porta dei fiori a calice setuloso sulla faccia esterna. In talune Varietà le differenze sono ancor più spiccate avendosi il calice glabro, al pari dell’ir fiorescenza (V. capitolo relativo). Non ci soffermiamo a discutere le rassomiglianze colla Pseudopit- tieri, la quale al pari della Pittieri, è una forma centro americana for- nita di peli o mucroni stellati alla pagina inferiore del lembo, e perciò passiamo alla S. parviflora della Provincia di Cauca e Coco. Anche in ‘questa, come nella nostra, troviamo l’apice caulinare ed i piccioli pul- verulenti (oltre però a qualche tubercolo nella S. parviflora); il lembo è del pari grande obovato denticolato dentato, bruniccio sopra fine ‘chiaro sotto, subcoriaceo, con circa 14 nervi: l’infiorescenza porta delle ‘brattee minute e dei pulvinuli. Essa però differisce per il lembo co- ‘sparso di minuti mucroni alla pagina superiore e di miuuti mucroni e di pulvinuli alla pagina inferiore sulla quale poi troviamo ancora dei piccoli peli stellati. I fiori infine sono piccolissimi, a calice glabro. STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECU. * * * Quando tratteremo della S. Yasicae metteremo in evidenza i reali rapporti che la S. Zaevigata contrae colla stessa facendo rilevare il grave errore in cui sono caduti i nostri predecessori omologando delle forme fra loro differenti, ma rese analoghe da fenomeni di convergenza. - Qui perciò ci limitiamo a rilevare che la S. laevigata Tr. e PI. contrae non pochi rapporti di affinità con molte altre forme delle re- gioni in cui essa vive o delle regioni circostanti, quali le varietà della S. Rusbyi, la S. strig:llosa, la S. floccifera e via dicendo, essendo probabilmente dalle stesse derivata per un processo di depilamento fa- cile a comprendersi qualora si consideri che la S. laevigata vegeta in regioni abbastanza umide e boscose delle regioni orientali delle Cordil- lere Columbiane. Pur facendo le debite riserve abbiamo ragione di ritenere che le maggiori affinità filogenetiche si abbiano colla S. strigillosa e . colla S. floccifera. All’opp sto la pretesa affinità colla S. Yasicae è già di per se stessa improbabile trattandosi di specie viventi in territori dif- ferenti, ad area disgiunta. In caso diverso si dovrebbe ammettere che la spiccata tendenza all’accantonamento reperibile nel nostro genere faccia «qui eccezione o difetto. 57) Saurauia Yas/cae Loesen. Beitr. Z. Kenntn. d. fl. Centr. Amer. Engler. Jahrb. XXIII n. 125. Frutex 6 metralis, coma trimetrali: Ramulus obtuse angulatus fo- liorum cicatricibus gibberosus circa 56 mm. crassus, praecipue apice densiuscule subfuscescenti squamulosum. Folia alterna longe petiolata, petiolo parce subsetaceo squamuloso subtenui 2,7-4,5 em. largo: lamina obovata oblonga, chartacea... nigrescente, margine minuto serrulato, basi cuneata vel acuta, apice plerumque breviter acuminato, supra praecipua, , inter nerv.s, subtus tantum in costa ed in nervis subsetaceo squamu- losa, glabrescente 10-18 cm. longa (folia igitur toto cirea 12,5-22 em. longa), 4,2-6,5, cm. lata, costa media et nervis supra planis vel sub-. | prominulis, subtus prominentibus, curvis lateralibus utrinque circa 11-15 subangulo 65°, 75°; veljuxta basis sub angulis angustioribus patentibus, | commissuris tenuissimis numerossimis et densissimis in costa ipsa per-. pendicularibus, vel reflexo-perpendicularibus inter se se conjunetis. 2) È Di Vea ps, tel "Vo è s teca E PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPTE MUSCATELLO 365 nflorescentiae paniculatae, in foliorum axillis solitariae, interduum paullum supra axillares, in peduneolo ipso cirea 36 em. longo spar- sius, densius in axibus secundariis praecipuesque in pedicellis ultimis | dense fusco squamuloso-pubescentes, cirea 11.14 em. longae; axibus | secundariis ipsis paniculatis. Flores parvuli subanthesi circa 56 em. diametro hermafroditi. Calyx 4 merus, sepalis 2 minoribus, 2 majo. ribus rotundatis extrinsecus et intus praecipue iuxta marginem pube- rulis, sub lente ciliolatis. Corolla 5 petala petalis rotundatis vel elli. pticis, basi rufo hirsutis: Ovarium subglobosum 4 loculare, loculis plu- riovulatis. Styli 4 liberi. Ovario ipso paullo breviores. Stigmata pun- ctiformia. Habitat in Nicaragua in Dept. Matagalpa juxta Cafiada Yasica in sylvaticis in 1000 m. altitudine. Rotschuh. N. 246. Flor. Aug. dulce fragrantes. © L’A. aggiunge che la specie appartiene alla Paniculatae di Gilg ed è affine assai alla S. pedunculata Hook., la quale tuttavia differisce per le foglie ed i picciuoli più corti, per l’infiorescenza meno ramosa, pei fiori più graodi e per le antere chiare. É anche affine alla S. Zaevigata Tr. e PI. e alla S. parviflora Tr. e PI. entrambe proprie della Co- lumbia e differenti, la prima per le foglie glabre e per portare solo 20 tami, la seconda per le foglie pulveracee alla pagina inferiore. i Es. studiato. i i Es. N. 246 (Rothschuh.) stato raccolto nel Cafiada Yasica (Dip. Matagalpa e Nicaragua) a circa 1000 m. d’altezza (Tipico !) La descrizione che della nuova specie ci ha dato l’autore è così seultoria che noi non erediamo di doverla illustrare, ampliandola, Solo dobbiamo osservare che, se ben ricordiamo, le parti che VA. indica come coperte di squamule alla lente si presentano coperte di pulvi- nuli. Questa circostanza non è priva di importanza poichè ci permette di unire la specie del nostro illustre collega ed amico Prof. Loesener alla var, laevigata che passiamo a descrivere. | Facciamo pure osservare che fra le differenze assegnate nei ri- guardi della S. Zaevigata Tr. e PI. vi ha anche quella basata sul nu- mero degli stami; ora è d’uopo rilevare che non si può far molto asse - gnamento su tale criterio avendo noi trovato degli esemplari di questa con circa 25 30 stami. Pasi TERRA ni USER," TON PONOIRE ORTE RI ESTRAE ROTA DEA a E IRE RENEÒ] STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. a) Saurauia Yasicae Loesen. var. laevigata Busc. Sinonimia. Saurauia laevigata Tr. e PI. (Pro parte). Es. dell’Erb. di Kew (Herb. Hook. 1867) proveniente da N. Gra. nata? (scritto a lapis). Es. N. 7320 dell’Ist. di Kensington e dell’Unit. St. Mus. dell’Erb. di Berlino, stato raccolto a Tuis (Cosia Rica) a circa 630 m. d’altezza sul mare. Es. N. 7359 stato raccolto da Pittier a Turrialba (Prov. di Car- tago, Costa Rica) a circa 600 m. d'altezza. Erb. di Kew. L’esemplare porta anche il N. 11242 dell’Erb. Nat. Costaric. Es. N. 10846, stato raccolto dal Cooper. (X 1896) nei boschi di S. Pedro de la Calebaza a 1300 m. di proprietà dell’Erb. di Vienna (sub nom. S. laevigata Tr. e PI.). Es. N. 11247 degli Erb. di Bruxelles, Monaco, Unit. St. Nat. Mus. Washington. stato raccolto da Pittier (11 Maggio 1897) presso Turrialba di Reventagon, Costa Rica, a circa 620.650 m. d'altezza (sub nom. $S. serrata DC.) Es. N. 11247 del Museo di Bruxelles stato raccolto da Pittier nel Guatemala ? (Turrialba); sub nom. in schedula di S. /aevigata Tr. e PI. Es. N. 11427 dell’Erb. di Vienna stato raccolto da Pittier nella foresta di Tuis (V. 1897) a circa 150 m. d’altezza (sub nom. S&S. ser rata DC.) Es. N. 11452 del Nat. Herb. Unit. St. Nat. Mus. Woakizvo, degli Erb. di Bruxelles e Monaco, stato raccolto da Pittier a Turrialba (Fo- resta di Tuis) a circa 600-630 m. d’altezza (sub. nom. S. serrata DC.). Es. 11453 degl’Istituti Bot. di Vienna e Monaco e dell’Unit. St. Nat. Mus. di Washington, stato raccolto nei prati di Tuis a circa 650 tese di altezza sul mare (Leg. Touduz. 1897, XI). Es. N. 13147 degli Erb. di Berlino, Kew, dell’Ist. Imp. di Pie troburgo (Ex. Herb. Tonduz.), stato raccolto in Gennaio a. Tucurrique (Les Vueltas) a circa 635 m. Es. N. 14892 dell’Erb. di Berlino, stato siii a Guacino (Costa Rica, versante dell’atlantico) a circa 141 m. sul mare. Leg. Touduz 1901. (continua) Frammenti ri sori a dell haa contemporanea italiana Norte peL Pror. L. BuscaLIoNI (cont. v. fascicolo precedente) Rustica progenies..... Racconta una tradizione assai diffusa fra gli abitanti delle Nuove Ebridi (V. Ratzel: Le razze umane) che Tangaroa creò dapprima gli uomini, ma camminanti su quattro gambe, poscia i maiali che batte- vano pettoruti la strada su due piedi. Allarmati gli uccelli di ciò in un comizio di animali reclamarono un trattamento inverso». La proposta fu combattuta dalla coditremola, amica forse dei maiali: bastò per altro, che la lucertola, irritata per la petulante albagia dei fedeli se- guaci di S. Antonio, saltasse loro sul groppone perchè i maiali ca- dessero sulle gambe anteriori. Da quel giorno i porci camminano su quattro estremità e gli uomini, consci della propria superiorità, su due, La leggenda, alquanto infantile, ha un alto significato morale ed io mi auguro che il mio scritto, rappresentante un pò la lucertola, ab- bia ad ottenere il successo di questa, elevando i buoni e deprimendo i cattivi, anche in\barba ai coditremola. Premetto che quanto verrò esponendo è frutto di ricordi e di ri- cerche personali, nonchè di informazioni desunte a fonti non sospette e perciò attendibili. Ma poichè errare humanum est ed io non ho la pretesa di essere infallibile dichiaro, sin d’ora, che se per avventura nell'esposizione di fatti e di documenti fossi caduto in qualche errore son disposto a farne ammenda nel decorso della presente pubblicazione, premendomi unicamente di esser f-dele interprete della verità. D'altra | parte sono sicuro che le inevitabili mende, reperibili dei resto in qualsiasi lavoro il quale; oltrechè mirare ad uno scopo prettamente storico, ha più specialmente il compito di segnalare al pubblico come si manipolano le faccende universitarie in Italia, non varranno a rendere meno nitide, di fronte ai lettori, le figure delle persone che sto illustrando: de mi- nimis non curat praetor, Il Prof. Romualdo Pirotta nato a Pavia nel 1853 da un bidello delle scuole secondarie, appunto in grazia di questa condizione di cose percorse la carriera di studente, nell'ambiente pavese, usufruendo di tutte quelle agevolazioni che ai diseredati della fortuna con troppa fa- cilità vengono concesse (dispensa dalle tasse, ammissione gratuita, se non erro, in uno degli istituti locali et. et.). Ed a questo riguardo mi sia concesso di aprire una parentesi. Ho la ferma convinzione che il sistema di facilitare in tutti i modi la car- riera scolastica ed in specie quella universitaria, come si usa su larga scala in Italia, a tutti coloro che mancano di mezzi se può, a priori, sembrare razionale ed altamente civile, come una istituzione mirante a far emergere un eventuale genio, all'atto pratico. porta a risultati spesso disastrosi perchè aumenta il numero dei professionisti e con questo la pletora degli spostati, mentre poi, invece della araba fenice, il genio, fa balzar fuori, d’ordinario, un Pirotta qualsiasi. Ma vi ha di più: la legge, colle sovvenzioni e colle borse di studio, intende unica- mente premiare lo studio, la diligenza ed il merito di chi è a corto di mezzi : il sentimentalismo invece capovolge i termini facendo sì che chiunque, purchè povero, arrivi ad ottenere una votazione di favore negli esami, il più delle volte non meritata, e ciò allo scopo poco lode- vole che i vantaggi sopra ricordati non vadano perduti. Una lunga pratica universitaria mi ha dimostrato che con questo sistema non solo si aumenta la pletora dei professionisti, ma si mettono quasi ad sul | mercato dell’intelligenza delle vere nullità. Ho poi notato che, in generale, queste, perchè appunto venute dai bassi strati sociali, si imbrancano quasi sempre fra coloro che mag- giormente mestano e intrugliano per salire, mirando solo alla conquista di onorificenze e di posizioni privilegiate nella politica, per cui (anche se essi sono impari alla bisogna) tutto acciuffano e tutto concentrano attorno al proprio io come incarichi, commissioni di vario genere, pur di | raggiungere lo scopo e crearsi, oserei dire, una verginità sociale. E ciò | con grave danno sia della scienza che trascurano, sia dei colleghi, mi- | gliori per onestà e per acume scientifico, che, chiusi nella cerchia dei loro studioli o dei loro laboratori, si vergognerebbero di perdere un | tempo prezioso per annusare cagnescamente ed ostinatamente la porta | d’ingresso del senato. Non è vero forse questo, egregio collega Pirotta ? Non sarebbe dunque meglio sopprimere e borse di studi e posti gra tuiti quando il risultato che si raggiunge è così meschino ? Io so che, prima della guerra, in Germania la carriera degli studi PROF, LUIGI BUSCALIONI 869 era molto meglio disciplinata al riguardo, per cui rari erano i paria che riuscivano a sortire con un diploma dalle aule universitarie; eppure nessuno vorrà negare che, malgrado la selezione finanziaria, la Germa- nia fu sempre alla testa del movimento intellettuale. Ciò posto torniamo di nuovo all'argomento storico. Ottenuta la laurea in Scienze Naturali il Pirotta divenne ben tosto | assistente del Prof. Garovaglio che in quell'epoca aveva fondato, ac- canto all'Istituto botanico dell'università di Pavia, un laboratorio erit- togamico. Il nostro protagonista inizia così le sue prime armi nella bo» tanica collo studio dei funghi: poscia, accalappiata una borsa di studio non so a quale titolo, si recò a Strasburgo per perfezionarsi (mi si per- metta l’impropria parola) sotto la guida illuminata del celebre De Bary. Ivi conobbe il compare Mattirolo col quale, forse per una perfetta ‘ omogeneità di costituzione cerebrale, contrasse ben tosto quella intima ‘amicizia che doveva più tardi, come fra poco avremo da mettere in evidenza, riuscire quanto mai dannosa alla botanica italiana, soggetta da un trentennio alla cervellottica e partigiana volontà di un solo in virtù, pur troppo, dei regolamenti di concorso che paiono fatti apposta | per favorire e sancire le più plateali ingiustizie, anzichè gli interessi. sacrosanti delle università. ._ Ne riparleremo: per ora mi limito a far rilevare che il Pirotta, fi- nito il famoso tirocinio all’estero, ritorna in Italia, dove quasi subito | ottiene la direzione della Stazione agraria di Modena che resse senza infamia e senza lodo, e più tardi !a direzione dell’ Orto Botanico in quell’università, chiamatovi in virtù di un concorso. Merita adunque di segnalare ai posteri l'elenco delle pubblicazioni, razie alle quali l’eminente botanico pavese ottenne i due posti ed io cercherò di illustrare tanta opera scientifica alla meglio, colla persua- sione di aver dimenticato nulla o quasi nulla: se per altro la mia me- «moria mi tradisse non credo che il male sarebbe grande. Ne fanno suffi- cente e bella prova le pubblicazioni qui citate che sono quelle indubbia - ente più in vista (ab uno disce omnes) e poi chiunque vorrà ammet- tere che se qualche relazioncella è rimasta nella penna è segno che essa non era di tale importanza da imporsi alla « mneme ». _ 1.) Sulla ruggine del grano turco (6 pag.) È un lavoro che contiene FRAMMENTI DI STORIA DELLA BOTANICA CONTEMPORANEA ITALIANA nulla di nuovo, salvo una trascurabile rivendicazione di priorità a favore del Carradori. Lo seritto è in collaborazione con Garovaglio. 2.) Sulla ruggine della Malva (1886). Contiene delie azzardate ed anco erronee ipotesi sopra la sessualità; inoltre sono raffigurati oogoni ed anteridi mai più visti! 3.) Sull’Helminthosporium vitis. É un banale cambiamento del” nome generico, del resto non accettato dal Saccardo. 4.) I funghi parassiti dei vitigni. Lavoro di pura compilazione perchè le specie nuove trovate sulla corteccia non meritano neppure il titolo di parassiti, sebbene l'A. le gabelli come tali, evidentemente per far numero. 5.) Sull’annebbiamento del grano. È una conferma di un prece - dente lavoro di Passerini. 6.) Pirotta e Riboni. Studi sul latte (55 pag.) È forse la meno in- sulsa delle produzioni. Ma intendiamoci : anche qui, nulla di nuovo, nulla di importante poichè, disgraziatamente, il merito della scoperta di uno almeno dei molti fermenti lattici (batteri etc.) spetta al Pasteur, se non forse al Remak. Anche le idee degli A. sulla fermentazione alcoolica del latte andrebbero molto, ma molto modificate, senza contare poi che il con- cetto di un intervento di Saccaromiceti era già stato, nelle linee gene- rali, enunciato dal Pasteur stesso. Il lavoro adunque, tarlato da qualche errore, è, more solito, pede - stre e ben lontano dal costituire un contributo che abbia il significato di una pietra miliare sul cammino della scienza, di guisa che non dob- biamo meravigliarci se le altrui pubblicazioni, venute in luce poco tempo ‘dopo, dimostrando la moltiplicità dei fermenti lattici e prospettando i risultati delle ricerche da nuovi punti di vista, abbiano travolto quasi del tutto nell’ oblio il parto scientifico del nostro pseudobatteriologo. 7.) Studio monografico sul Gen. Sporormia. Contiene ben poche novità ed è molto arretrato di fronte a quelli della Scuola del Saccardo, ed alle accurate monografie del Berlese etc. sulla stessa indole. 8.) La percnospora o falso oidio della vite (1879). Il parassita, già da un anno noto in Francia, fu segnalato in Italia dal Cattaneo, ottimo | erittogamista, assieme al Pirotta, Poi, non so per quale ingranaggio, . PROF. LUIGI BUSCALIONI 371 quest’ultimo, studente o forse neo dottore, bazzicando l’Istituto dove il Cattaneo era vice direttore del laboratorio crittogamico, fece suo lo studio. Ad ogni modo per me tanta scoperta non ha maggior valore di quella che riesce a fire un medico condotto di un paese di confine se - i gnalando ivi la comparsa, ad es., del mierobo del colera infuriante, da «| un anno e più, nella nazione vicina. he 9-10.) L’autore infine ha un paio di lavoretti sugli Ortotteri e Mi - i riapodi del Varesotto, e sulle Libellule italiane. Non eredo di compiere È un delitto citandoli puramente e semplicemente. Neppure ritengo di andare errato affermando che nessuna delle pub- blicazioni qui elencate può vantare diritto di perenne cittadinanza nelle altrui cellule cerebrali, trattandosi, come può constatare anche il lettore più profano, di lavoretti più che modesti atti ad esser condotti a termine da uno studentello. Ed io mi domando: valeva la pena che lo Stato assegnasse una borsa di studio all’estero per ottenere un risultato scien- tifico così banale da cui esula qualsiasi accenno di genialità ? Dove sta il perfezionamento ? In soffitta con Marx. Sta intanto il fatto che il Pirotta con 10 meschini lavoretti (1), salvo forse qualche altro che si può dimenticare a buon diritto, rag- giunse una cattedra universitaria, e la raggiunse evidentemente non col volo dell'aquila, ma col faticoso battito di ali di uno di quegli or - totteri studiati, coll’aggravante che parecchi lavori fatti in collabora - zione non avrebbero dovuto esser presi in considerazione dalla com - missione di concorso, in omaggio ad un principio ribadito recentemente, ad usum Delphini, dallo stesso Pirotta e dal Mattirolo come si vedrà fra poco. E vero che a quei tempi l’università di Modena non era all’altezza della situazione ed i professori di essa venivano scandalosamente retri- buiti, per cui colla nomina del Pirotta non si perturbavano in alcun modo le vere istituzioni universitarie, ma noi dobbiamo prender qui in con- siderazione solo l’uomo, tanto più che, grazie a quella nomina, l’univer. sità di Roma, accanto ad un Volterra, a un Grassi, a un Cannizzaro, per citare solo alcuni dei luminari della facoltà di scienze, doveva di li a poco aver l’alta onore di collocare l’autore di così peregrine pubblicazioni DIO (1) Un mio egregio collega li battezzò, con frase scultoria, starnuti botanici. a BIRRE TT age AE LIA ti 4 — 872 FRAMMENTI DI STORIA DELLA BOTANICA CONTEMPORANEA ITALIANA e di altre che illustrerò quanto prima, fra cui uno strepitoso catalogo di i lavori italiani sui funghi mangerecci ed immangiabili per l’anno 1880. È: Il Pirotta rimase all’università di Modena dal 1881 al 1883. nel quale periodo diede alla luce le seguenti pubblicazioni: 11.) Ancora sul Falso oidio della vite. Nihil sub sole novi. 12.) Parecchi articoletti inconcludenti di botanica e di patologia ve- getale pei giornali agricoli. 13.) Sull’attuale indirizzo degli studi botanici: prolusione al Corso (1881). Dal titolo più che pedestre, e più ancora del contenuto (una ‘ chiacchierata) chiunque potrà giudicare le mentalità del debuttante alla cattedra universitaria, ma se il lettore nun arrivasse a tanto bastereb- be che confrontasse il titolo di qualsiasi altra prolusiono universitaria | per convincersi come da un professore perfezionatosi all’estero si poteva | pretendere qualche cosa di più e di meglio. 14.) Ancora sul Mildew (basta il titolo) 1880. titolo dice tutto e la collaborazione ancor di più. 3 16.) Sullo sviluppo della Peziza Fuckeliana e della P. Sclerotio rum: 1881. n.17.) Sulla i delle spore del Sorosporium primulicola (Magn.) Pr. 1881. Il lavoro è così geniale che il Saccardo continua a chiamare il fungo Urocystis primulicola Magn. È proprio il caso di dire che il per. fezionato all’estero non ne imbrocca una in fatto di botanica sistematica ! : 18.) Di un raro Ibrido tra la Primula vulgaris e la Pr. suaveolens. 19.) Di nuovo un articolo sulla Peronospora viticola. 20.) Primi studi sul mal nero della Vite: Alba 1882. Questi pochi studi, in gran parte di compilazione, lasciano il tempo che trovano, o per lo meno aspettano un secondo Avetta che li riporti CM luce del sole.- Qualche raro studio (ad es. quello sul mal nero della Vite) è stato citato all’ estero, per quanto in forma tale da infondere nel let- ore la convinzione che il tema sia stato trattato in modo superficiale non porti ad aleuna conclusione. Del resto, dacchè siamo nel. campo ella notorietà scientifica, posso assicurare i lettori senza timore di re * smentito, cod il Prof. Pirotta Costa ben IS volte | ono - 15.) Bibliografia micologica italiana (1880) in collaborazione !! Il | re di esser citato all’estero, anche in merito alle pubblicazioni più recenti, eccezione fatta per quelle in collaborazione delle quali avremo più tardi occasione di discorrere. E reputo pure di colpire nel segno affermando che se si istituissero in proposito dei eonfronti, scegliendo all'uopo la produzione di quegli autori stati fino ad ora dal Pirotta e C." tenuti lontani dalle Cattedre universitarie (Lopriore, Pantanelli, Pe - , Chiovenda et. etc.) il risultato riuscirebbe indubbiamente disastroso per il Prof. Pirotta. A suo tempo non mancherò di provarlo. | 21.) Finalmente abbiamo la Flora del Reggiano e del Modenese (in collaborazione). Questo lavoro del Bentham, o dell’Hooker della ine- spiorata cinta daziaria modenese costituisce un modestissimo elenco di piante ‘e di località senza alcuna osservazione critica, senza accenni fi- togeografici, senza vita, ma ohimè! non senza mende di determinazioni, come ebbe a rilevare più di un autore. ' Nella prefazione gli A. fanno rilevare di aver utilizzato i mate- riali raccolti da E. Ferrari « che percorse tutto solo buon tratto del Panaro dal punto in cui prende il nome fino al territorio di Castel- vetro, e riscoperse specie molto interessanti ». Nel testo, invece, il nome del Ferrari non compare, ciò che è cosa poco corretta e certo inusitata. L’elenco è poi redatto su materiali raccolti in gran parte da altri: | neppur il merito di averli presi e studiati in sito! (1) All’ultimo momento mi assilla il dubbio che avendo tenuto in non . cale la produzione scientifica del perfezionato all'Estero abbia portato | un giudizio troppo severo che qualcuno potrebbe ascrivere ad invidia. Ed invero il dubbio è giustificato in quanto che recentemente e a più riprese il trittico sulla Peronospora fu oggetto di particolareggiata men- zione in un Trattato di botanica italiano (traduzione del tedesco di Carlo Avetta). Mi conforta, per altro, il pensiero che in altre pagine avrò campo di intrattenermi abbastanza su questa pubblicazione ed allora riuscirò a dimostrare come l’A., svisando la serietà del lavoro origi- nale colle sue chiose quanto mai partigiane, metta nell'ombra, a bella ® Non intendo. affatto colla mia parola menomare l’aureola del suo colla- boratore il compianto Prof. Gibelli, la cui opera scientifica è di mille cubiti, e I vastità e da aoni di Se superiore a quella del Pirotta, ge se RO TAR he » È FIVE di ST FRAMMENTI DI STORIA DELLA BOTANICA CONTEMPORANEA ITALIANA posta, le pubblicazioni degli studiosi onesti per battere la gran cassa attorno a quelle della cricca fatta per lo più da mediocrità scientifiche, come ho ragione di ritenere da un lato il Prof. Pirotta ed il compare Mattirolo, dall’altro l’autore stesso delle note. Tirando le somme, dacchè con pochi e meschinissimi lavori il Pi rotta fu fatto professore a Modena e con altri pochissimi e non meno inconcludenti passò a Roma (per la via degli intrighi, non già per quella maestra del concorso) non dovremo meravigliarei allorchè, dal ‘contesto delle pagine successive del presente scritto, vedremo come quest'uomo, assieme alla cricca del Valentino torinese, abbia tentato in ogni tempo di attraversare la strada, o comunque rendere difficile il normale svolgimento della carriera ai botanici ben altrimenti agguer riti (e ci voleva poco !) fra i quali segnaleremo il De Toni, il Cavara, il Terracciano. Il motivo è assai chiaro: da un. lato, così operando, egli veniva a sfuggire a confronti disastrosi, dall’altro apriva la strada a persone che, appunto per essere scientificamente meno in gambe erano ligie ai suoi voleri essendo esse fucinate nella fabbrica S. P. Q. R. © portando il marchio, anche un po scadente, di quella dell’Augusta Tau- rinorum. Ne riparleremo. In un prossimo fascicolo seguiremo il Pirotta, a partire dal suo ‘trasloco all’università di Roma. Lò analizzeremo nei suoi rapporti coi colleghi, nei suoi giudizi partigiani o cervellottici quale membro delle commissioni di concorso, nell'opera sua di botanico e di professore, come direttore di laboratori, come collaboratore e infine nella sua qua- lità di socio tanto dell’Accademia dei Lincei, quanto di quella delle Scienze di Torino. (continua) | H° STUDIO (Pror. L. PEBRORDA E DorT. G. RoccELLA) pori una particolare reazione delle foglie di taluni EUCALYPTUS tenute all oscuro, sotto stagnola Nello scorso anno uno di noi (Buscalioni) pubblicava una nota pre- ventiva (Bollettino della Accademia Gioenia in Catania, anno 1922) so- pra talune intumescenze che eransi formate sui lembi fogliari di Zw- calyptus diversicolor stati a lungo avvolti in carta stagnola. Il singolare comportamento di siffatte foglie ci ha indotto ora a stu- diare un pò più da vicino il processo patologico e ad estendere le 0s- servazioni ad altre piante dello stesso genere, per vedere in quale mi- sura i differenti fillomi reagiscono allo stimolo abnorme. Le poche specie avute a disposizione hanno tutte quante più o meno reagito e perciò crediamo utile riportare qui brevemente i fatti os- servati. Eucalyptus cornuta (fig. 1 Tav. I.) La foglia, venne avvolta con stagnola il 15 gennaio del corrente anno e lasciata coperta fino al 3 marzo, durante il quale periodo di tempo si ebbero frequenti pioggie. Per effetto di queste, essendo le piante iri piena terra ed all'aperto, veniva indubbiamente a stabilirsi, per capillarità, un velo acqueo tra la superficie del lembo ed il foglio di stagnola. E più che logico pertanto ammettere che una condizione di cose così abnorme abbia provocato tanto nella pianta che stiamo ora illustrando, quanto in quelle cui accenne- remo in seguito, le reazioni patologiche. Non abbiamo, per altro, ricorso ad fina prova sperimentale allo intento di stabilire a quale dei due fat- tori, oscurità od umidità, o se ad entrambi ad un tempo si debbano ascrivere le produzioni patologiche. La foglia sottoposta allo esperimento è di tipo giovanile. Essa, al - l’esame, effettuato il 3 Marzo, si presenta un pò sofferente per la lunga privazione della luce. La reazione alle abnormi condizioni vitali è stata | piuttosto vivace poichè si sono formate, tanto alla pagina superiore che a quella inferiore, delle eserescenze furfuracee circoscritte, bianchiccie, | piuttosto rilevate, spesso confluenti. ) Ad un esame pda: lente le dsdforarigliohi: si appalesano come mi- “nuti accumuli di sostanza quasi vitrea e granulosa. Non tutto quanto il se SOPRA UNA PARTICOLARE REAZIONE ECC. lembo è interessato nel processo, ma solo determinati tratti di esso, nei quali però le escrescenze sono piuttosto abbondanti. Un lembo fogliare, nei punti non ammalati, consta di un epider - mide superiore a piccole cellule rivestite di cuticola piuttosto ispessita cui seguono due o tre piani di palizzata formati da elementi stretti, poco lunghi: taluni di questi però sono alquanto allargati indicandoci così di non esser più completamente normali. Al palizzata tiene dietro il lacunoso costituito da cellule prevalentemente allungate in senso perpendicolare alla superficie dell’organo, irregolari, le quali circoserivono quà e colà degli ampi meati. Gh elementi situati sotto l'epidermide inferiore sono | foggiati un pò sul tipo di quello del palizzata, sebbene ne differiscano per essere leggermente strozzati nel mezzo, in guisa da assumere l’a spetto di una c'epsidra. Compare infine l’epidermide inferiore quasi foggiata sullo stampo di quella superiore, ma rivestita da una cuticola più sot. tile. Aggiungeremo, a complemento di questi monchi cenni sulla struttura del lembo, che le ben note borse ghiandolari sono distribuite di prefe- ‘renza nel palizzata, che quà e colà vi hamio, in tutto il mesofillo, delle ‘cellule cristalligere e che infine i fasei vascolari maggiori, incuneati tra il palizzata ed il lacunoso, hanno spesso un’ arco scleroso al davanti del libro. L'esame microscopico delle sezioni praticate attraverso le regioni ammalate ci rivela che le proliferazioni sono dovute ad un esube- rante sviluppo, più che a neoformazione, delle cellule del palizzata e di quelle del lacunoso. Le prime si allungano notevolmente, per segmen- tarsi di poi parcamente in senso trasversale ed assumere così la forma di otricoli che diventano tanto più voluminosi quanto più sono perife - rici, o superficiali. Grazie a siffatto esuberante sviluppo la epidermide viene scollata, ‘rotta e rovesciata, tanto che ben tosto noi la ritroviamo sui fianchi deila neoformazione, sotto forma di brandelli appiccicati a gruppi di cel Tule neoformate, o sotto quella di un collare che circonda la base dalla ‘escrescenza. La cuticola non subisce tuttavia alcuna alterazione e neppure ne su ‘biscono le rimanenti pareti delle cellule. . Le proliferazioni, quando compaiono alla pagina superiore del lem- bo, risultano prevalentemente costituite dal tessuto a palizzata : però PROF: L. BUSCALIONI E DOTT. G. ROCCELLA non di rado hanno radici profonde e allora constano anche di elementi del lacunoso. I tumori sono abbastanza circoscritti e delimitati nettamente, di. guisa che il trapasso della zona malata a quella sana è spesso assai bru sco. Essi poi hanno per lo più la forma di ammassi cellulari, foggiati a guisa di ventaglio, che sporgono spesso notevolmente sulla superficie del lembo e constano di otricoli che in vicinanza del punto di impianto sono molto lunghi, stretti e fittamente fra loro stipati, a clava invece nelle parti periferiche. Le pareti delle cellule giganti non danno alcuna reazione ai Sudan III e trattate col elorojoduro di zinco non si colorano, od assumono una colorazione bleu sbiadita. Spesso poi sono rigonfiate, mucilagginizzate. Il contenuto cellulare è notevolmente cambiato : manca l’amido ed il plasma è ridotto a poche granulazioni in cui non si notano che rari corpuscoli clorofilliani degenerati. Il nucleo è presente in non poche cellule, ma piccolo, tanto che risulta notevolmente alterato il rapporto tra le sue dimensioni e quelle della cavità cellulare rispetto agli elementi normali. Se si seguono le proliferazioni verso l’interno della foglia si con- stata che allorquando esse sono addossate ai fasci vascolari si arrestano costantemente a contatto della guaina meccanica degli stessi, per cui il sistema AE o non prende parte alla proliferazione. Bisogna tutta- via fare un’ eccezione per la guaina parenchimatosa che prolifera in certa misura. Neppure sono interessate gran che nel processo le borse ghiandolari, tanto che spesso, benchè immerse nel tessuto in via di al- lungamento, non mostrano alcuna traccia di deformazione. Le cellule tumefatte che si trovano nel piano del tessuto a palizzata ‘parrebbe che derivino da queste in seguito ad ampliamento di tutti i ‘diametri, ma date le loro dimensioni e gli spostamenti che subiscono, è difficile assodarne l'origine, se non si lianno a disposizione parecchi stadi di sviluppo del tumore. Quando anche la pagina inferiore è fornita di siffatte tumefazioni ellulari, può verificarsi il caso che questi nascano allo stesso punto di quelli che occupano la pagina superiore, o viceversa che traggano ori- gine in territori normalmente sani dal lato opposto. DI Anche Lp si hanno. a un dipresso gli stessi fatti della pagina su. ch trattasi del dee di cellule na zig a nucleo i SOPRA UNA PARTICOLARE REAZIONE ECC. relativamente piccolo, (per quanto più grosso di quello reperibile nelle 9 cellule normali del palizzata e lacunoso), spesso tramezzate, povere di È contenuto, e talora alberganti una drusa di ossalato calcico. Più di una volta ci occorse di notare che le borse ghiandolari en- trane a far parte della tumefazione; ma anche qui esse non presentano anomalie di sorta, rimanendo indifferenti allo stimolo. Allorchè la proliferazione ha luogo sulla faccia superiore ed infe- riore dello stesso punto tutto il tessuto del mesofillo si mostra alterato, ri. sultando costituito, anche nello spessore del lembo, da cellule otricoli: . formi, sebbene un pò più piccole di quelle che formano la grande massa delle porzione emergente. Nelle foglie avute a disposizione le tumefazioni erano assai più numerose alla pagina superiore; non sappiamo tuttavia se il fenomeno sia costante. i Degno di nota è il fatto che le alterazioni comparvero soltanto nelle foglie a tipo giovanile: non possiamo tuttavia escludere che ripe. | tendo su vasta scala le esperienze non si abbiamo anche a provocarle ‘in quelle a tipo adulto. Eucalyptus diversicolor (fig. 3 Tav. I e 6 Tav. II. Questa specie ha servito come punto di partenza delle nostre ri- cerche, essendo stata la prima a presentare le anomalie ed è perciò a questa che si riferisce la nota pubblicata negli Atti dell’Accademia Gioenia. Le foglie vennero avvolte colla stagnola il 15 gennaio del 1922 ed ‘esaminate il 3 marzo dello stesso anno. «Ad un esame ad occhio nudo, o munito di lente, le foglie, che appar- tengono al tipo adulto, presentansi abbastanza in buone condizioni, salvo all'apice dove vi ha un aerea di tessuto secco. Spicca per altro qua e là una chiazzatura brunastra indicante forse uno stato di non per fetto funzionamento e ciò tanto alla parte superiore che all’inferiore. Evidentemente l’oscurità prolungata ne è stata la causa, sebbene ci sia noto che talune foglie si mantengano quasi immutate in condizioni si- ilari ancor più a lungo protratte. Alla pagina inferiore compaiono delle ampie zone rivestite da una fflorescenza di aspetto fungoide, o furfuraceo per la presenza di nume aminette. o squamuccie gialliccie, o di color ruggine, appena di- ri Medoro nudo, L'accgmalo non è ‘uniforme, bensì a strie pa PROF. L. BUSCALIONI E DOTT. G. ROCCELLA 879 rallele alle nervature laterali, essendo esse inserite sul parenchima in - terposto fra queste (fig. 6). Di efflorescenze se ne avevano parecchi gruppi, più abbondanti da un lato che dall'altro del lembo. L'esame microscopico delle parti sane ci rivela un epidermide su- periore formata di due piani di cellule, sebbene assai probabilmente l'interno costituisca una ipodermide genuina. Tengono dietro due piani di cellule a palizzata, Jesterno a cellule strette, appressate le une alle altre, l’ interno ad elementi ugualmente lunghi, ma più ampi e per lo più distanziati gli uni dagli altri per cui trapassano al lacunoso. Que- st'ultimo è molto ispessito e consta di parecchi piani di cellule allun- gate prevalentemente nel senso perpendicolare alla superficie. Seguono da ultimo l’ipoderma e l’epidermide inferiore, entrambe a cellule più piccole delle corrispondenti della pagina superiore. Nello spessore del palizzata si trovano delle grosse borse ghiando- lari, mentre al limite fra lacunoso e palizzata decorrono i fasci va- scolari. Questi sono per lo più rivestiti, sia dal lato del libro che da quello del legno, da un arco scleroso che si continua, fino a raggiungere le due epidermidi, con un tessuto di cellule poligonali piccole, ispessite poco rieche di contenuto. Il tutto costituisce la guaina del fascio. I cordoni. vascolari minori sono più semplicemente costituiti, mancando degli archi sclerosi. Le proliferazioni cellulari presenti soltanto (sempre ?) alla pagina inferiore sono strettamente collegate, nel loro sviluppo, con la costitu - zione anatomica. Esse infaiti sono, di regola, localizzate là dove vi ha il tessuto parenchimatoso, o per lo meno si formano esclusivamente a spese di questo, come lo dimostrano le sezioni un pò estese del meso- fillo, nelle quali riesce facile di sorprendere le proliferazioni in quasi - tutti gli stadi della loro evoluzione. Al loro inizio le neoformazioni sono rappresentate unicamente da cellule del lacunoso alquanto più allungate delle campagne, divenute in pari tempo più povere di contenuto, di guisa che spiecano come zolle di parenchima jalino in mezzo al resto del tessuto co'orato in giallo | verdiccio. ; ; I cloroplasti delle cellule ipertrofiche sono piccoli, distanziati gli | uni dagli altri, ma del resto neppure grossi sono quelli delle cellule 880 | —’‘’‘‘SOPRA UNA PARTICOLARE REAZIONE ECO. normali a causa appunto della lunga dimora della foglia sotto stagnola, all'oscuro. "0 Quando le proliferazioni hanno raggiunto un certo sviluppo rom - b pono l’epidermide inferiore (probabilmente al di s.tto di qualche stoma) È la quale si rovescia formando, al solito, un collaretto (costituito tanto dalle cellule epidermiche quanto da quelle ipodermiche) alla base della ù tumefazione. In molti casi si è constatato tuttavia che le cellule ipo- | dermiche non restano indifferenti, in quanto che si allungano al pari di quelle sottostanti o poco meno, prendendo così parte attiva al pro- È cesso neoformativo. i Il grosso delle eftlorescenze è fatto dal parenchima lacunoso le cui cellule diventano smisuratamente larghe, otricoliformi, senza punto tramez- ; zarsi, o solo presentando qualche rar» setto trasversale. Una tale condi- s zione di cose lascia supporre che solo un piano di cellule clorofilliane, quello Se sottoposte all’ipoderma inferiore, entri-a far parte dei tumori, ma una osservazione un pò attenta permette di constatare come assai spesso due o più piani del lacunoso siano interessati nel processo. Perciò i setti de- vono essere in parte andati distrutti. Non è però raro il caso di ri- scontrare verso l’ estremità libera, o in vicinanza dei margini laterali delle neoformazioni taluni gruppi cellulari più corti sovrapposti ad altri assai lunghi. I primi rappresenterebbero le cellule del lacunoso sotto stanti all’ipoderma, gli altri quelle profondamente situate. | Gili otricoli sono in generale straordinariamente lunghi, appressati gli uni agli altri in modo da formare, nell’assieme, una specie di pen. nello di cellule che alla periferia si allarga tuttavia un pò a ventaglio. Le terminazioni libere delle cellule neoformate sono assai ampie, quelle interne, addossate al tessuto normale del lembo, invece assai strette. In qualche punto le proliferazioni compaiono al di sopra dei fasci vascolari ed allora entrano anche in attività le cellule della guaina vasco- SA lare più vicina all'area malata; solo la parte veramente sclerosa della | guaina, come sì è visto sopra, non prende parte al processo. Molte volte i però anche le cellule a tipo più parenchimoso della guaina rimangono inattive ed allora l’astuecio vasale viene avvolto da un mantello di ele- — menti ipertrofici. | Non èraro il caso di trovare delle neoformazioni che arrivano fino palizzata interno pel fatto che tutte le cellule fiancheggianti un fa PROF. L. BUSCALIONI E DOTT. G. ROCCELLA 881 scio prendono parte al processo patologico. Ne deriva che il fascio va- scolare coi suoi involucri di cellule selerose e parenchimatose viene a tro- varsi in mezzo ad un’atmosfera di lunghi otricoli, rimanendo tuttavia in sito perchè impiantato (mercè un peduncolo rappresentato da una por- zione dell’arco scleroso e dal suo prolungamento) all’ ipoderma della pagina superiore. Avviene pure frequentamente che le proliferazioni, benchè si formino a destra ed a sinistra del fascio, rispettino il tessuto REP esili verde che confina con questo ed allora il sistema vascolare resta seque- strato entro un mantello di tessuto quasi normale. Allorchè le proliferazioni si sviluppano al di sopra, od all’ ingiro di una borsa ghiandolare quasi mai questa prende parte attiva al pro- cesso: essa rimane in sito, sebbene circondata da tutti i lati da elementi in via di allungamento, indicandoci così che le cellule, a funzione spe- cializzata, della ghiandola non sono atte a proliferare. Ci è parso tuttavia che talora le ghiandole sottoposte alla lesione subiscano un ingrandimento rispetto a quelle incorporate nei tessuti sani. Tutto sommato il processo neoformativo è in certo qual modo re- golato, nella sua genesi, dalla costituzione varia del mesofillo, poichè esso si limita alle cellule del tessuto fondamentale rispettando gli seleren- chimi, laonde ne risultano delle fungosità distribuite in modo speciale, vale a dire allineate parallelamente alle nervature di second’ordine che fiancheggiano per un tratto più o meno lungo. Le fungosità trattate col clorojoduro presentano le pareti di saai bleu notevolmente ingrossate : le cellule sono poco ricche di contenuto e ‘non presentano traccia di amido; i plastidi poi sono ovunque più o meno alterati benchè numerosi. Il Sadan III ci rivela che i cloroplasti, in vicinanza della lesione, sono più grossi della norma e più intensamente rossi per abbondanza di lipoidi. Pet converso nelle cellule ipertrofiche essi si presentano più piccoli e un pò più pallidi per esser diminuita la provvista lipoidea. Le foglie da noi esaminate erano tutte a tipo adulto: resterebbe pertanto a vedersi se non si potrebbero provocare le stesse anomalie | su quelle a tipo gioyanile che disgraziatimente mancavano alle piante | dell’orto botanico catanese. SOPRA UNA PARTICOLARE REAZIONE ECC. Le foglie, a tipo adulto, furono tenute sotto stagnola dal 15 gen naio al 4 marzo 1922 e poi esaminate. Il lembo, malgrado la lunga dimora all'oscuro, non presenta notevoli variazioni rispetto al colore; solo in vicinanza dell’apice appare per un certo tratto appassito. Le efflorescenze si sono foina anche qui alia pagina inferiore dove appaiono come isole a contorno irregolare, di colore ruggine e di aspetto furfuraceo squamoso. La foglia piuttosto ispessita, consta di un epidermide superiore a cellule abbastanza grandi con robusta cuticola papillosa. Seguono per lo meno tre piani gi cellule a palizzata ben conformate, lunghe e poco larghe, ed a questo tessuto tengono dietro parecchi strati di cellule pure alquanto allungate perpendicolarmente alla superficie dell'organo e perciò simili a quelle del palizzata. Siffatti elementi peraltro costituiscono il lacunoso, qui ben poco individualizzato. Data una tale struttura ne risulta che i mea ti intercellulari, 0 sono poco vistosi, o appaiono allungati prevalente - mente nello stesso senso delle cellule poichè le serie cellulari tendono ad allontanarsi sempre più le une dale altre a misura che si avvici- nano alla pagina inferiore. L’epidermide di questa è costituita sullo stampo della superiore, ma presenta elementi alquanto più piccoli. Le borse ghiandolari sono distribuite sotto le due epidermidi, ma con maggiore frequenza dal lato del palizzata. Esse sono ampie ed a contenuto abbondante. Quà e la vi ha qualche cellula cristalligera e nel palizzata taluni elementi, forse non in condizioni normali, sono for- niti di pareti alquanto ispessite. I fasci vascolari non presentano alcunchè di notevole e come nelle specie precedentemente descritte, quando sono un po’ grossi, vengono involucrati da una guaina scelerosa mancante soltanto sui fianchi e da un’altra a tipo piuttosto parenchimatoso che raggiunge le due epidermidi. I primi accenni di proliferazione si appalesano con un allunga- | mento ed un allargamento notevole delle cellule del mesofillo sotto l’e ‘pidermide. Gli elementi ipertrofici ispessiscono alquanto le pareti, di- | ventano poveri di contenuto e presentano dei cloroplasti più piccoli della norma e meno ricchi dî lipoidi, i quali sono invece abbondanti, | benchè parimenti minuti, nelle cellule normali. n «Col progredire del processo patologico avviene la lacerazione PROF. L. BUSCALIONI E DOTT. G, ROCCELLA 883 della epidermide che si rovescia per forniare, al solito, una specie di cercine alla base delle neoformazioni. Le cellule proliferanti diventano ben tosto enormemente lunghe, quasi simili a budelli pollinici contorti, essendo raro il caso che presentino dei tramezzi. Solo gli elementi situati alla periferia del tumore torna - no a farsi più corti, ma in compenso si allargano. Ovanque si nota un leggero ispessimento della membrana, mentre nei protoplasmi, ridotti a poca cosa, abbondano i eloropasti i quali però, dato l’enorme allunga- mento delle cellule, appaiono assai distanziati gli uni dagli altri. La costituzione dei plastidi è evidentemente patologica, essendo, come si disse, più piccoli e più poveri di lipoidi rispetto a quelli normali. Tutte quante le cellule sono abbastanza strettamente congiunte fra loro, in guisa da formare un tessuto alquanto compatto che si allarga a pennello, o meglio a ventaglio. Gli otricoli sono più o meno profon- damente impiantati nel parenchima verde del lembo, i cui elementi, im- mediatamente al di sotto delle proliferazioni, si mostrano un po defor- mati, leggermente compressi, o persino schiacciati. : Quando le produzioni patologiche si stabiliscono in vicinanza di un fascio vascolare stimolano pure gli elementi della guaina che si al- lungano, diventando irregolari. L’ingrandimento loro non è però mai notevole. Le borse secretrici subiscono un'alterazione al contatto col tessuto neoformato, la quale si tradisce colla suberificazione delle pareti delle cellule secretici e di quelle propinque, nonchè colla comparsa di goe- cioline che fissano energicamente il Sudan III nei due o tre strati ad immediato contatto delle cavità ghiandolari. . In qualche caso abbiamo assistito alla enucleazione delle ghiandole stesse (fig. 2) e ciò pel fatto che la proliferazione cellulare, essendosi ef- fettuata tutto all’ingiro della ghiandola, riuscì a staccar questa dalla sua sede per portarla più o meno in alto nel tessuto di nuova formazione, al di sopra dell’epidermide. Qualche ghiandola venne riscontrata per- sino all’apice del tumore cellulare. Le ghiandole emigrate dal mesofillo non presentano alterazioni di sorta, all'infuori di quelle testè descritte. Eucalyptus rostrata. Le efflorescenze si formano qui sulle due pagine ad un tempo e per un processo che non si allontana gran che da quello illustrato negli 884 | —BOPRA UNA PARTICOLARE REAZIONE ECC. esempi precedenti. Perciò, a scanso di ripetizioni, ci limitiamo a riportare una microfotogratia del processo patologico (fig. 4 Tav. I) la quale dimostra come gli otricoli alla pagina inferiore siano molto lunghi ed anche molto larghi. Sviluppo degli ctricoli. Per completare il nostro studio abbiamo creduto opportuno di se guire sulle foglie a tipo adulto di un Eucalyptus, non altrimenti de terminato, passo a passo i primi accenni dello sviluppo dei singolari otricoli, essendo quanto mai istruttivo comparare i primi stadi della malattia colle strutture delle foglie normali. Nei lembi sani (fig. 7 Tav. II) vi ha un epidermide superiore a cuticola piuttosto ispessita rivestente degli elementi tabulari poco elevati in senso radiale, i Segue il palizzata formato da lunghe. cellule strette, densamente fra loro stipate e disposte in un solo piano. Le cellule sottostanti hanno ancora molti caratteri dello strato pre- cedentemente descritto, essendo pure allungate perpendicolarmente alla superficie, ma differiscono per esser lassamente fra loro congiunte. ._ A questo strato fa seguito il lacunoso tipico formato da elementi | rettangolari disposti di preferenza in senso perpendicolare alle due fac ‘cie, ma molto spesso anche obliquamente rispetto a queste. Tutto il tessuto, che è abbastanza robusto, forma un vero reticolo a maglie così lasse che ne nascono degli enormi spazi intercellulari. Solo in corri- spondenza dell’estremità inferiore le cellule si sdraiano ‘ parallelamente alla superficie e diventano più compatte. «_ L'’epidermide. inferiore è pressochè uguale. a a quella della pagina superiore e stomatifera. ì I fasci vascolari, quando sono un po sviluppati, formano delle tra | becole che smembrano il parenchima verde in compartimenti poichè 0- elementi a membrana abbastanza robusta. In seno al parenchima, tanto nel palizzata quanto sul lacunoso, si riscontrano delle grosse borse ghiandolari a contenuto fortemente colo- gni fascio, oltre ad avere una guaina discontinua fatta di cellule sclerose | ‘a pareti molto ispessite ed a lume ristrettissimo, è congiunto alle due ‘epidermidi per mezzo d un tessuto meccanico rappresentato da grandi PROF. L. 'LOsOALIE E DOTT. G. ROCCELLA rabile col Sudan III. Ogni borsa è circondata da una guaina di csl- lule a pareti sottili alquanto schiacciate, disposte in due o più ordini concentrici. In corrispondenza di esso il tessuto a palizzata tipico si ispessisce essendo spesso rappresentato da due piani allo scopo di invo - lucrare gran parte della borsa. In tutto il parenchima si incontrano delle druse di ossalato cal cico, ma non molto numerose. Questa struttura subisce delle profonde modificazioni già al se- condo e al terzo giorno dopo che le foglie sono state ricoperte colla sta- gnola. Questo fatto, che noi abbiamo constatat» nelle esperienze eseguite a Catania durante il mese di maggio, quando il caldo già era intenso e più. non avevano luogo precipitazioni atmosferiche, potrebbe forse indurei a modificare la nostra opinione espressa nelle prime pagine nel senso che le alterazioni, più che all’umidità la quale potrebbe infiltrarsi fra la sta- gnola ed il lembo, siano dovute al rivestimento che ostacola la traspi- razione e l'assimilazione. L'inizio del processo patologico si appalesa in forma di aree o chiazze più o meno grandi e più o meno numerose, irregolari, frangiate di color verde oseuro uniforme, le quali spiccano sulle parti scoperte e sane che hanno una colorazione meno uniforme e più chiara. All'esame colla lente il tessuto ancora sano presenta numerosissimi punticini bian ‘chicci, d'aspetto farinoso (stomi), i quali mancano del tutto nelle parti malate. Dato il colore assunto dalle parti ricoperte dalla stagnola si di- rebbe quasi che fa malattia si inizi con una infiltrazione acquea degli spazi intercellulari. Ma nulla sappiamo di preciso al riguardo. Alla sezione ed all'esame microscopico le parti malate si presen- tano di già notevolmente modificate rispetto alle sane poichè le grandi lacune del inesofillo sono quasi del tutto scomparse in seguito a forte ingrandimento (e proliferazione ?) degli elementi del lacunoso. Gli otri- coli così formati si stipano fra loro al punto che è difficile trovare an- cora-un piccolo spazio intercellulare (fig. 8 Tav. II). La struttura delle macrocellule è apparentemente normale: solo gli elementi spiccano per un color più jalino non essendosi verificato un aumento nella massa. | plasmica proporzionale allo ingrandimento. Nuelei e cloropasti sono, fino Si questo momento almeno, ottimamente conservati. i Landa delle: cellule comincia per lo più ad immediato 386 i SOPRA UNA PARTICOLARE REAZIONE ECC. contatto dell’epidermide inferiore, ma ben tosto guadagna tutto quanto il mesofillo, restando per lo più rispettato soltanto il palizzata genuino. Non tutte le cellule però vanno incontro a gigantismo: parecchie anzi rimangono immutate quando non vengano persino schiacciate dalle cellule vicine, È a questo momento che l'epidermide inferiore comincia a solle- varsi come una cupula, mentre essa rimane in posto sui fasci vascolari. Per lo più durante queste prime fasi il palizzata e le ghiandole non sono in alcun modo alterati, ma, da quanto si è visio nella pagina pre cedente appare manifesto che le due sorta di elementi o presto o tardi dovranno pure sentir più o meno l’influenza delle alterazioni e prendere parte più o meno attiva al processo. Queste, per sommi capi, è la sindrome con cui si inizia il pro. cesso patologico: noi non la seguiremo ulteriormente nella sua evolu zione dacchè il passaggio da queste prime fasi a quelle definitive e stato illustrato nelle pagine precedenti. Si è pure tentato di coltivare in soluzioni nutritizie di Knop le foglie presentanti i primi accenni di lesioni, ed all’uopo le abbiamo poste a galleggiare nel liquido colla faccia malata a contatto di questo. L'esperienza non ha tuttavia portato a qualche risultato degno di nota, . inquantochè gli otricoli, raggiunto un certo sviluppo e lacerata la cu- ticola, hanno cessato di crescere, si sono mucilagginizzati e finirono per andare a male sotto l’influenza di un micelio. Contemporaneamente le foglie imbrunirono sia in seguito all’ invasione dei funghi, sia per ef- fetto dell’unibilizione acquea. Conciusioni. A grandi tratti le neoformazioni da noi studiate ricordano quelle provocate dalle cosidette Schorfkrankeiten e Lohkrankeiten in cui ha luogo pure la formazione di lunghi otricoli sotto gli stomi, o al posto . delle lenticelle sul fusto, sulle radici (Pomi, Pinus) e persino sui pe- | duncoli dei frutti (Vite). Più grande è l'analogia colle alterazioni pro | vocate dall’edema (V. Kiister e Sperlich) che si ha quando spalmasi. di paraffina il fusto (Ribes), o si piantano le talee in terra troppo % mida, o altrimenti si produca un’accumulo d’acqua nei tessuti della. Ì paso E cond stiamo prada di fusti malati possiamo AESiBnEnI PROF. L. BUSCALIONI E DOTT. G. ROCCELLA | 387 | che ipertrofie cellulari simili alle nostre vennero riscontrate nella cor- teccia dei fusti di talune Acacie, Malvacee e di qualche Eucalipto. Taluni osservatori hanno rilevato una ipertrofia cellulare anche nell’interno degli organi (intumescenze nel cavo ovarieo dei Pomi, state studiate da Sorauer). Con una certa frequenza furono riscontrate intumescenze similari sulle foglie e talune anzi aventi una strettissima analogia con quelle da noi osservate. Qualche cosa che ricorda i primi stadi della malattia delle foglie di Eucalipto si ha nella Ge/bsprenkelung delle foglie di Dracena e nell’ Aurigo delle Araliacee, delle Cassia e delle Myrmeco- dia coltivate in terra molto umida. Ma l' analogia diventa ancora più grande se prendiamo in considerazione le ipertrofie iperidriche delle foglie di Pelargonio, Vite, ete. crescenti pure all’umido, sebbene in molti di questi casi si abbia quasi sempre suberificazione del tessuto malato, scomparsa dallo stesso dei cloroplasti e infine aumento dello zucchero. Probabilmente anche molto affini sono le così dette Per/drusen della . Vite e del Partenocisso studiate da Penzig, per quanto l'A. accenni ad altra origine delle stesse e ad altra funzione (V. lavori di Viola e Pacottet). Secondo il Backmann talune intamescenze fogliari sono di breve darata (quelle dei fusti di Eucalipto, ZZeax, Dammara), altre persistenti (neoformazioni dei fillodi di Acacie): le nostre apparterrebbero forse a un tipo intermedio poichè durano a lungo, pur andando soggette ad im- brunimento e raggrinzamento. A complemento di questi dati diremo an- cora che simili alle nostre sono le ipertrofie che compaiono sul perigonio di Cymbidium (Sorauer) le quali però terminano pure colla suberifica- zione delle cellule malate. A riguardo delle cause che provocano la comparsa delle tumefazio- ni quasi tutti ammettono che un fattore importantissimo sia l’ eccesso dell’ umidità, formandosi esse in culture all’ umido, nelle serre caldo- umide e sui fillodi di Acacie a stomi chiusi. Convalida quest’ipotesi il fatto che le lenticelle, le quali come si | è visto sopra, hanno una stretta relazione colla localizzazione delle iper- ‘trofie idriche, sono più numerose sui rami orizzontali dal lato inferiore, ove perdura più a lungo l’umidità (Stapf, Haberlandt). Occorre per’altro assai spesso la compartecipazione di altri fattori, — che’ feliglia; rag agire anche da soli. Da taluni fu infatti segna- | SOPRA UNA PARTICOLARE REAZIONE ECO. lata la comparsa degli otricoli sulle foglie di patate, cavoli, vite et. spruzzate colla mistura bordolese (Muth, Sorauer, Schrenk). Altri incol parono il freddo (donde il nome il Frostblasen) che provoca lo scolla - mento epidermico (a causa dell’acqua che congela negli intercellulari fogliari), col conseguente allungamento delle cellule del mesofillo, come venne ad arte ottenuto in Buxus (Sorauer, Noack, Montemartini). Calore e radiazione attenuata quando si accompagnino ad una eccessi - va umidità d’ambiente, entrano pure in causa e noi ricorderemo qui i la vori di Atkinson e Trotter su piante coltivate a debole luce e quelli di Dale sull’ Hidiscus le cui foglie venivano incastrate fra due vetri co - lorati in giallo, o in rosso. Conformemente alle nostre osservazioni ba ; sta talora un’oscurità di pochi giorni per provocare la ipertrofia, pur - chè l'umidità sia forte (Steiner). Meritano pure di aver segnalate le ipertrofie idriche (ottenute talora artificialmente) delle foglie per lo più giovani di Ficus sottoposte a brusche variazioni di temperatura e di umidità (Sorauer). Da ultimo possiamo annoverare le ferite (Buscalioni e Muscatello, | Bakmann e Matthaei). In generale si ammette che organi giovani (foglie) e con assimi - lazione ridotta reagiscano meglio di quelli adulti, ma i fatti da noi os- servati deporrebbero poco favorevolmente a tale concezione. Piuttosto si può affermare che il sempreverdismo costituisca una condizione fa - I, a Bacata. tà nia Sn TE | vorevole. Non si può escludere, talvolta, una certa relazione fra ipertrofie . idriche e taluni idatodi, ed anzi sarebbe quasi lecito avanzare l’ipotesi | che qualche idatode abbia potuto trarre origine da un processo analogo a «quello che porta alla formazione delle intumescenze. È stato infatti rilevato dal Taub (nelle Urticacee) e dal Haber. landt (in Conocephalus), che se si avvelenano gli idatodi fogliari questi organi si riproducono in seguito a proliferazione del tessuto a palizzata, le cui cellule si allungano enormemente. - _ : Se ora, edotti dai documenti storici sulle cause che producono le | ipertrofie, cerchiamo analizzare i fattori che hanno determinato quelle | da noi studiate negli Eucalipti possiamo affermare che l’ umidità ha una parte grandissima nella produzione dei tumori, ma non tanto per dread che si i infiltra tra la foglia e la stagnola durante la pioggia,” dacchè in Maggio non si ebbero temporali, quanto per l’ostaealo che la stagnola oppone alla traspirazione. Non si può tuttavia parlare di un’esuberante nutrizione come vor- rebbero taluni, in quanto che sotto la stagnola, non effettuandosi più l’as- similazione del carbonio, viene meno la formazione di uno degli elementi più importanti della nutrizione, l’amido o lo zucchero. A conf@rma del nostro asserto aggiunger-mo che i cloroplasti, nelle regioni ammalate, | sono alterati, più piccoli, «assai spesso pieni di lipoidi, che, come si sa | per gli studi di uno di noi (Buscalioni), sono in antitesi colla forma - zione dell’amido. 1 Le foglie prese in esame erano assai spesso rimaste molto a lun | go sotto stagnola (quasi due mesi): ma un così lungo lasso di tempo non occorre tuttavia perchè si abbiano le neoformazioni, in quantochè, come si è visto in un caso, bastarono pochi giorni di dimora sotto lo involuero perchè si iniziasse il processo patologico. A quanto pare però non tutte le specie reagiscono in egual sid | e talune forse non reagiscono neppure: così abbiamo trovato che in una ‘specie, di cui al momento ci sfugge il nome, si era soltanto formato, sotto la stagnola, un piccolo tamore sulla nervatura mediana il quale, | poteva, per altro, ripetere la sun origine da altre cause (fig. 5 Tav. II). Pr Alcune specie proliferano dalla pagina inferiore, altre dalla supe- riore, o da tutte e due ad un tempo, ma noi non sappiamo se questi diversi comportamenti siano puramente accidentali, o non piuttosto i- nerenti, ad esempio, alle maggiori difficoltà che il tumore incontra ad emergere dalla superficie fogliare dal lato dove la cuticola è più ro- busta, o il tessuto più compatto. E nostra intenzione estendere lo studio, non solamente a qualche Itra specie di Eucalyptus sottoponendo allo esperimento le diverse forme di foglie di siffatte piante, ma sibbene ancora ad alcuni tipi a fillomi aberranti aventi qualche loutana analogia con quelli degli Eu- calipti (altre Myrtaceae, Acacie fillodiniche etc.). Catania, marzo 1923. LETTERATURA DELL'ARGOMENTO Atkinson G. F. — Oedema of Tomato. Bul!. Cornell Agrie. Exp. Stat. 1893. Backmann — Ueb. Korkwucherung auf Blittern Pringsh Jahrb. 1879-81 Blackmann F. u. Matthaei G. — On the reaction of leaves to traumatic sti- mulation. Ann. of Bot. 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Estroflessioni gigantesche localizzate alla pa- gina inferiore. Fig. 4. Estroflessioni Eucalyptus rostrata. Fig. 5. Eucalyptus sp. Tumori cellulari inseriti sulla nervatura mediana di una foglia stata oscuratà a lungo. Probabilmente però gli stessi ripetono la i loro origine a qualche causa non inerente all’ oscurità ed all'umidità. | Fig. 6. Foglia di Eucalyptus diversicolor ricoperta di tumefazioni. Fig. 7. Sezione trasversale di un pezzo di lembo normale di Eucalyptus sp. Nel centro del tessuto si nota una ghiandola ed al di sotto di questa il la- cunoso colle grandi cavità aeree. In questo tessuto vi hanno pure borse ghiandolari. a - Fig. 8. La stessa foglia sezionata in un punto ammalato. Il palizzata è uniformemente tratteggiato in nero. Il lacunoso che comincia ad ispessirsi e a sollevare l’epidermide inferiore è formato di grossi otricoli che hanno riempito completamente le lacune aeree. Le cel- lule malate sono povere di contenuto. III° STUDIO (Pror. L. BuscaLioni E DorT. G. ROoccELLA) Sopra alcuni inclusi delle cellule della corteccia secondaria 9 | di LANTANA ALBA Mill. 3 La Lantana alba Mill è un frutice delle regioni tropicali dell’ A- 3 frica e dell'Asia il quale vegeta di preferenza nelle regioni monta- “gnarde (Imalaja, Nilgeri et.). È duopo tuttavia avvertire che regna Fi un po’ di confusione circa la identità della specie e la sua distri- 3 buzione geografica, in quantochè mentre nell’ Index Kewensis la pianta è indicata come propria dell'America tropicale e così infatti viene contrassegnata nel cartellino annesso all’ esemplare del Giardino bo - tanico catanese, nel Prodromus del De Candolle la stessa viene as segnata, come sopra è stato detto, all’ India Orientale. Aggiungasi ancora che l’ Index Kewensis fa per di più cenno di una Lantana a!ba Schau, propria dell'Asia ed Africa tropicali, la quale non sarebbe altro la L. indica Roxb., e rimanda il lettore appunto al Prodromus di De Candolle, nel quale al Vol. XI pag. 606 la pianta sarebbe de- scritta. Ora in detto volume nessun accenno si trova della Lontana alba di Shau e quella descritta a pag. 606 è la L. alba di Mill. di guisa che a questa dovrebbe riferirsi la sinonimia di L. indica Roxb, propria appunto dell'Asia e dell’Africa. Noi non intendiamo tuttavia indugiarei ulteriormente su questa controversa questione di botanica sistematica, essendo il nostro scopo unicamente quello di descrivere certe particolarità istologiche reperibili tanto nel fusto, quanto nelle radici della pianta adulta. Fusto. La pianta giovane, o le parti in via di sviluppo, presentano il fusto e gli assi di vario ordine a sezione poligonale, irti di spine curve commiste a peli, i quali sono muniti di costole appena accennate e di solchi naturalmente pure poco manifesti. Il rivestimento di tricomi e di emergenze di queste parti ricorda «molto da vicino quello delle Ortiche, poichè all’ esame microscopico i tricomi (emergenze) di maggiori dimensioni risu'tano costituiti da lun- ghe cellule appuntite all’estremo libero, vescicolari alla base che sì af- # 394 SOPRA ALCUNI INCLUSI DELLE CELLULE DELLA CORTECCIA ECC. fondano in un cuscinetto di piccoli elementi, mentre quelli minori hanno la costituzione tipica di un pelo semplice. EE All’epidermide, che non presenta altre particolarità degne di nota, d .. fanno seguito pochi strati di collenchima, le cui cellule sotto gli spi- i: golî e sotto i tricomi maggiori presentansi più grandi e disposte in ‘maggior numero di piani. Spesso il collenchima è interrotto da trabe- cole di parenchima verde che raggiunge l'epidermide in corrispondenza degli stomi. | Al collenchima fa seguito un sottile strato di parenchima clorofil- liano che involucra completamente il libro e gli archi selerosi a questo sovrapposti i quali in corrispondenza delle costole sono molto svilup - pati. Nulla di notevole presenta il cilindro centrale, se si accettua che il midollo è assai ampio. Noi non seguiremo lo sviluppo delle produzioni secondarie della corteccia perchè la pianta, stata trapiantata e potata generosamente al - l'epoca in cui vennero iniziate le ricerche, non si prestava per tale stu- . dio. Diremo solo che il sughero si sviluppa profondamente, in quanto- chè, nelle parti vecchie; al di sotto di esso non si trova che un po’ di parenchima verde addossato direttamente al libro molle, il che ind:ca che il fellogeno si è organizzato all’ indentro degli archi sclerosi peri - cielici, o liberiani. Il sughero, non molto ispessito, consta di parecchi piani di cellule a parete sottile, rettangolari, disposte in file radiali e concentriche, salvo in corrispondenza delle lenticelle dove la stratificazione è meno re- . golare. |A’ di sotto del sughero vi ha il fellogeno seguito da più piani di felloderma recente, in cui, occorre subito notarlo, fino a che è gio- vane, non esistono le produzioni che stiamo per descrivere. | Il resto della corteccia è formato in massima parte da grossi ele | menti parenchimatosi, poligonali, a pareti sottili, i quali circoserivono | solo dei minuti meati intercellulari. In questo tessuto sono disseminati, ! i ma senza norma alcuna, delle fibre piuttosto grandi, jaline, isolate 0 aggruppate, a lume assai ristretto ed a pareti relativamente ispessite. | Siffatti elementi compaiono anche più profondamente i in seno al libro, — hate pot, sia che si mostrino faglati, sia che appariscano a groppio PROF. L. BUSCALIONI E DOTT. G, ROCCELLA IT tendono a disporsi in modo da formare dai giri concentrici, più o meno però ampiamente discontinuì ed alterni col libro molle. In tutto lo spessore della corteccia le cellule contengono dei elo - roplasti che al Sudan III assumono una colorazione rosso viva: qua è colà poi vi ha qualche cristallo di ossalato di calce. Per quanto con- cerne il cilindro centrale noteremo solo che il libro è molto sviluppato e percorso da ampi raggi midcllari che si allargano a ventaglio verso la corteccia. Le produzioni che formano oggetto della presente nota e che noi denominiamo «inclusi » sono disseminate in tutta la corteccia (persino, | sebbene parcamente, nel sughero), nei raggi midollari liberiani maggiori «e attorno al libro duro, cioè alla periferia degli ammassi di fibre (fig. Ù 3 Tav. IV). Esse mancano del tutto nelle parti giovani ed anzi; a rigor di ter- mini, appaiono soltanto in quelle molte vecchie, alla base del fusto, dove sono abbondantissime per scomparire, per altro, poco al di so- pra, quasi improvvisamente. Esaminati a fresco gli inclusi appaiono come masse oleose jaline, o pallidamente gialle, semilunari, addossate ad una delle pareti delle cel-. lule ed invadenti, colla parte libera un tratto più o meno esteso del lume cellulare. Al pari di quanto avviene nell’inulina, capita assai spesso — che due ammassi situati in cellule vicine poggino contro la stessa pa- rete comune divisoria. Talora poi sì riceve l'impressione come se un unico ammasso si fosse diffuso a più cellule contigue non essendo stato influenzato, nella sua distribuzione, dalla presenza delle membrane cel- lulari. Anche questa disposizione ha molti tratti in comune coll’inulina. Con forti ingrandimenti si può constatare che gli ammassi sono stratificati più o meno nettamente, (fig. 5 Tav. IV) in senso concentri. — co, il che fa ricordare tanto la struttura dei granuli d’amido, quanto — quella dell’ inulina precipitata coll’aleool. Per lo più le stratificazioni sono tutte eguali fra loro, alternativamente chiare ed oscure, ma assai spesso anche si riscontra, in seno alle masse, uno o parecchi strati più marcati, il che indica un saltuario processo di formazione delle masse. Queste sono poi ancora, con. estrema frequenza, attraversate da | striature o meglio fratture dirette in senso radiale, e tale condizione. di cose, mentre aumenta la rassomiglianza coll’amido e coll’inulina, la- SOPRA ALCUNI INCLUSI DELLE CELLULE DELLA CORTECCIA ECC. scia sospettare che gli inclusi abbiano, in ultima analisi, una costitu- zione cristallina ricordante quella dei trichiti di A. Mayer i quali, come vorrebbe questo autore, formerebbero l'elemento sostanziale del granulo d’amido (1). Il contenuto cellulare è quasi costantemente separato dagli inclusi per mezzo di una delicata membrana che appare in particolar modo di stinta quando con adatti mezzi si sciolgono gli inclusi stessi, Le cellule che contengono questi non differiscono dalle compagne sia per forma, sia per grandezza: la struttura però è talora alquanto mo- __ dificata per la presenza, nei plasmi, di numerosi corpi granulari, simili a batteri, i quali però da noi non vennero ulteriormente analizzati. Essi si colorano leggermente in rosa col Sudan III. In seno al libro gli ammassi scompaiono rapidamente. Essi inva- dono, come sopra è stato detto, qualche cellula dei raggi midollari, là dove questi sboccano nella corteccia, oppure sono reperibili quà e colà sui margini laterali dai cordoni liberiani, od anco in seno al libro stesso. Costantemente poi si incontrano a ridosso dei gruppi fibrosi sclerosi superficiali che spesso circondano completamente essendo sempre im- piantati, colla base più larga, sulle pareti delle cellule parenchimatose a contatto delle fibre in questione. La stessa disposizione di cose si ha attorno alle fibre disseminate nella corteccia, mentre quelle situate pro- ‘ fondamente nel libro mancano del singolare involuero (Fig. 1, Tav. III e Fig. 3, Tav. IV). Non meno istruttive sono le sezioni longitudinali dei vecchi assi. Ad uno strato più o meno grosso di sughero, a cellule rettangolari, succede una corteccia parenchimatosa, più o meno sviluppata e formata di elementi poli- gonali, più piccoli verso l'esterno grandi ed allungati nel senso longitu. dinale altrove (felloderma). Le fibre ivi disseminate sono notevolmente i- spessite, punteggiate ed a lume stretto, tanto che appartengano alla cortec - cia p. d. quanto al libro. Pochi cristalli di ossalato di calcio sono disse- minati quà e colà nel tessuto verde corticale. Gli inelusi abbondantissimi conservando la forma semilunare, occupano tutta quanta una delle pareti cellulari e spesso sono contrapposti in due cellule vicine. Anche qui le . (3.) Non da tutti gli istologi è ammessa siffatta struttura per l’amido. tre le strie in senso radiale mostransi spesso poco distinte. Qualche volta compaiono pure talune stratificazioni tangenziali più marcate delle altre, simili perciò a quelle precedentemente deseritte. Non mancano #f però i casì in cui gli ammassi sono quasi del tutto omogenei. Distinta E. del pari, quasi sempre, è la membrana che li delimita dal resto delle cellule. Gli elementi a inclusi sono anche nelle sezioni longitudinali simili a quelli che ne sono privi. È in questi preparati che i rapporti tra gli inclusi e le fibre ap- paiono particolarmente netti perchè tutte le cellule che fiancheggiano gli elementi meccanici ne sono provviste, donde la formazione di una vera corazza attorno a siffatti ammassi. (Fig. 1 Tav. III). È Radici. (Fig. 4 Tav. IV). È Per mancanza di materiale adatto non abbiamo potuto seguire lo . sviluppo della corteccia di questo organo : ci limitiamo pertanto ad in- È dicare le particolarità che offrono le radici adulte e vecchie già insi- gnite di strutture secondarie. La corteccia esaminata nelle sezioni trasversali è costituita all’ e sterno da-un debole strato di cellule suberose, tabulari, cui fanno seguito quà e colà delle grandi cellule allungate prevalentemente in senso per- pendicolare alla superficie. Tutto il resto della corteccia, fino a con - tatto degli elementi genuini del libro, è formata di grandi elementi ro- tondi e poligonali, a pareti sottili, poverì di contenuto e questo spesso costituito da quelle fine granulazioni ricordanti i bacteri, cui sopra ab- biamo accennato e che qui si mostrano assai più numerose che nei fusti allorchè si tratta di cellule contenenti gli ammassi. Analogamente a quanto avviene nel fusto i granuli si colorano pallidamente in rossiccio roseo col Sudan III, Le fibre corticali sono oltremodo rare e nelle pre’ parazioni esaminate non si è trovato traccia di archi sclerosi periciclici. In tutto lo spessore della corteccia si incontrano gli inelusi, og - getto del nostro studio; essi mostransi, come nel fusto, rinfrangenti e leg- delle fibre attorno alle quali si accantonano di preferenza. ze notevoli rispetto a quelli della corteccia caulinare: addossati ad una delle stratificazioni in senso tangenziale sono più o meno nette e manifeste, men. germente giallicci. Sono però assai meno numerosi, forse per la scarsità. Per il loro comportamento gli inelusi non lasciano riconoscere differen- pareti solo da un lato, o da due lati di queste ad un tempo, sì presentano ERRE I: TREE He E e n A i pronti sit pe A LA pi "LIA > SOA RR 398 SOPRA ALCUNI INCLUSI DELLE CELLULE DELLA CORTECCIA ECC. anche striati sia concentricamente, e con strie spesso di diversa grandezza, sia radialmente. È pure presente la membrana che li separa dal contenuto cellulare. Come carattere differenziale rispetto al fusto noteremo solo che gli ammassi occupanti più cellule contigue, quasi a guisa di un unico corpo, sono qui più rari. Gli ammassi si estendono anche lungo i raggi midollari, o sulle parti laterali del libro, senza tuttavia mai addentrarsi profondamente in questo tessuto. Le scarsissime fibre liberiane ed i non meno scarsi selereidi di questo tessuto ne sono costantemente privi (alla periferia). Foglie e Fiori. * In queste parti della pianta non è stata segnalata la presenza di alcun ineluso : noi non sappiamo per altro se nei frutti maturi non se ne abbiano a formare, non avendo l’esemplare studiato abbonito i semi. Sviluppo degli inclusi. Le nostre osservazioni sui primi accenni degli inclusi sono molto monche a causa dello scarso materiale avuto a disposizione e dell’epoca poco propizia in cui venne eseguita la ricerca (inverno), ma più di tutto per esser stata la pianta inopportunamente potata. Abbiamo tuttavia po- tuto constatare che gli inelusi compaiono sui rami e sull’ asse molto tardi, vale a dire dopo parecchi anni di vita della parte. Essi si ini - ziano sotto forma di bastoncini simili a cristalli aciculari, impiantati radialmente su una delle membrane cellulari, o sdraiati, parallelamente alla stessa. Il loro numero .si accresce rapidamente, di guisa che in poco. spazio si trovano accanto ai primi accenni di depositi le forma zioni a termine di sviluppo. Singolare è il fatto che sin dall’inizio del loro PESATA gli inclusi sono già incorporati in una membranella che li isola dal resto del con- tenuto cellulare. Si riceve pertanto l’ impressione che essi nascano in seno alla parete cellulare stessa, quasi come una secrezione, analoga - mente a quanto si verifica, secondo qualche autore, per gli oli eterei di molti peli ghiandolari. Forse uno studio eseguito su materiale più ab- bondante ©@ più convenientemente scelto permetterà di risolvere il pro- blema della sede di origine, se cioè questa è parietale, od endocellulare: ‘ora possiamo emettere soltanto l’ipotesi, che malgrado la presenza, phgi inizi, di una lamelle divisoria, le produzioni in questione, PROF. L. BUSCALIONI E DOTT. G. ROCCELLA 399 abbiamo origine in seno al protoplasto, per cui l’incapsulamento non differirebbe gran che da quello che vediamo effettuarsi attorno alle macle d’ossalato caleieo, pure d'origine endoplasmica, costituenti i eri- stalli di Rosanoff. 3 Questi sono, per sommi capi, i fatti principali che sono venuti in A luce dalle nostre ricerche. Per quanto a noi sia mancato il tempo di compulsare esaurientemente le vecchie annate sia del Just: Bot. Ja- resb., sia del Bot. Centralbl., per indagare se per avventura altri assai prima di noi avesse fatto cenno delle singolari produzioni, riteniamo tuttavia che le disposizioni citologiche messe in evidenza costituiscano un reperto avente sapore di novità, dacchè non se ne trova menzione nei moderni trattati di tecnica e di chimica microscopica delle piante, quali son quelli di Czapeck e di Molisch e neppure vien fatta menzione de- gli inelusi nel Trattato di Anatomia sistematica delle Dicotiledoni del Solereder (1908) il quale riporta i lavori di Briquet e di altri Autori che si occuparono dell’anatomia delle Verbenacee. Ciò posto, ora che abbiamo abbastanza esurientemente trattato il problema degli inclusi dal punto di vista citologico ed istologico, dob- biamo ancora sviscerarlo da e microchimico per stabilire la natura delle curiose masse. Reazioni. 1.) Acqua a freddo. Gli inclusi non presentano alterazione di sorta. 2.) Acqua bollente. Subiscono un leggero grade di disorganizzazione che si inizia con la scomparsa, o per lo meno coll’attenuazione delle | striature e delle stratificazioni per terminare colla risoluzione delle masse . in granulazioni. 3.) Alcool a freddo. Permangono immutate, purchè l’ azione del reattivo non venga troppo protratta. Si dissolvono in questo dopo tre, o quattro giorni. 4.) Alcool bollente. Scompaiono del tutto, 0 al loro posto compaiono . dei fini granuli isolati che ne rappresentano gli ultimi residui. Lo spa- \zio originariamente occupato dagli inclusi appare nettamente circoseritto dalle membranelle sottilissime cui abbiamo altrove accennato. Talora poi tra questo involucro e la parete cellulare contro cui poggiavano gli inclusi compare una seconda membranella la quale dovea esser perciò immersa nella massa degli inelusi stessi. Un tale reperto lascia sup- Ted ri bi CASA Gia st CTER ORA TRAI ML RO ITS TO IRE RI DO iS sE 400 SOPRA ALCUNI INCLUSI DELLE CELLULE DELLA CORTECCIA ECC. porre che la formazione di questi abbia avuto luogo in dne tempi al meno, separati da un periodo di sosta più o meno lunga, durante il quale si sarebbe organizzata la seconda lamella (fig. 5, Tav. IV). La presenza poi di due membrane involucrate luna dentro l’altra avvalora il nostro sospetto che gli ammassi traggano origine in seno al protoplasma, an- zichè nello spessore della parete cellulare. Qualche volta venne pure osservata, sempre sotto l’ azione dell’ alcool, o di altro reattivo dissol- vente una membrana diretta radialmente ed impiantatesi con un estre- mo alla parete cellulare, coll’ altro all’ involucro degli inclusi. Proba. bilmente si doveva trattare di due inclusi indipendenti, ognuno invo- lucrato dalla propria membrana, venuti, per effetto dell’accrescimento, a mutuo contatto. . Le pareti involueranti sono sempre assai più fine di quelle che de. limitano le cellule. 5.) Etere a freddo. Si disorganizzano in parte, assumendo la forma di granulazioni, o di goccioline che si diffondono nel protoplasto. Se l’a x zione del reattivo è stata breve di verifica soltanto una più netta stra- | tificazione tangenziale, BE 6.) Cloroformio a freddo. La disgregaziene è pronta. Qualche in eluso tuttavia permane, mostrando soltanto una più marcata straficazione: talvolta, per altro, la massa si risolve in goccie. 7.) Benzolo. Si gonfiano straordinariamente e si disorganizzano in parte, o per lo meno accentuano la nettezza delle stratificazioni. 5 8.) Trementina. Si disorganizzano solo parzialmente. Quelli che restano intatti mettono in mostra le striature in modo evidentissimo. 9.) Idrato di Cloralio. Scompaiono gli inclusi, lasciando in sito solo le membrane delimitanti. ; 10.) Potassa caustica. Gli inclusi resistono, ma rigonfiano alquanto - mettendo in evidenza le striature: non abbiamo osservata perciò trae. Pa e A i A Tae Sa e La Dedica e ne cia di saponificazione. 11.) Potassa caustica ed ammoniaca concentrata. (Metodo del Mol lisch). Nelle sezioni di radici tratiate col processo in questione la mag- gior parte degli inclusi si scioglie: quelli che resistono mostransi co- | stituiti da un ammasso di fittissimi e lunghi cristalli acieulari ricor- _ danti un pò quelli della margarina. Talvolta il pacco di cristalli è anche | involucrato dalla stessa membrana delimitante gli inclusi, tal’ altra PROF. L. BUSCALIONI E DOTT. G. ROCCELLA 401 invece i cristalli si sparpagliano nella cellule, spesso irraggiando a guisa di ventaglio da uno o più canti. Le sezioni di fusto ci hanno offerto un comportamento un pò diffe rente, in quantochè gli insclusi si mostrarono ivi più resistenti all’azione del reattivo. Infatti il più delle volte essi, dopo aver assunto una tinta decisamente gialliccia, apparvero soltanto notevolmente rigonfiati e per- sino più nettamente striati. I cristalli, a causa del rigonfiamento, occu - pano talvolta tutto quanto il lume cellulare. 12.) Acido solforico. Non si sciolgono, anche se l’azione del reattivo fu così protratta da provocare la disorganizzazione delle pareti cellulari. 13.) Acido nitrico. Nessuna reazione. 14.) Acido cromico. Nessuna reazione decisa: tutto al più si gon- fiano e diventanto più nettamente striati. 15.) Reazione xwantoproteica. Non si ottiene una chiara reazione delle sostanze proteiche. 16.) Acido cloridrico e floroglucina. Le fibre di colorano in rosso, gli inclusi restano incolori. 17.) Iodio e acido solfurico. Le pareti delle cellule della cortec - cia si colorano in bleu, mentre gli inclusi, leggermente modificati nella | costituzione, spiccano per una colorazione gialliecia. La membranella che li isola dalla cavità cellulare appare pallidamente colorata in bleu. 18.) Clorojoduro di zinco. Tanto nella radice che nel fusto le pa- reti delle cellule corticali assumono colorazione bleu. Gli inclusi ap - paiono alquanto rigonfiati e nettamente striati: in pari tempo assumono una tinta gialla, più o meno intensa. Asportando di poi coll’alcool gli inclusi si può mettere in evidenza la parete degli stessi, la quale per effetto del cloroioduro di zinco si è colorata in bleu. | 19.) Reazione di Fehling. Non si ottiene colorazione di sorta: gli inclusi però si rigonfiano notevolmente, o si dissolvono in granulazioni ed in piccoli blocchi poliedrici. Quando la disorganizzazione è meno | avanzata le masse appaiono nettamente striate e le striature si risol vono in granuli. o 20.) Acetato di rame. Non si ottiene la ben nota colorazione bleu caratteristica della resine. (Reazione del Franchimonti). | 21.) Cloruro di ferro. Nessuna reazione, o tutt'al più un leggero. REI AS ER Re TO o ceto VEL LORI RETE II RETI DR ENI E RE ST pi ii n gi x dava are À - A + SOPRA ALCUNI INCLUSI DBLLE CELLULE DELLA CORTECCIA ECC. 22). Molibdato di ammonio. Gli ammassi accentuano alquanto la colorazione gialliccia, o restano pressochè inalterati per quanto concer- ne la tinta. 23.) Solfato di ferro. Accennano ad assumere una leggera tinta bruna, ben lontana però, per intensità, da quella che acquistano i tannini. 24.) Acido osmico. Nessuna reazione decisa. Tutt'al più un legge - rissimo imbrunimento. 25.) Bleu di anilina. Cesi intensamente gli inclusi, e le mem- brane delimitanti gli stessi. La tinta di queste è però meno intensa di quella assunta dalle masse che involucrano. Anche le pareti cellulari sono alquanto tinte. 26.) Safranina. I corpi. in questione assumono una colorazione rossa e appaiono nettamente striati, o fibrillari. Una colorazione rosea, più o meno intensa, assumono le fibre e le cellule suberose, mentre pres- sochè incolore si mostrano le pareti cellulari degli altri elementi. 27.) Sudan III. Conferisce agli inclusi una colorazione rossa molto intensa, mentre tinge appena in roseo le membrane che li involucrano. 28.) Tintura di alkanna. Si colorano in rossiccio più 0 meno intenso. | 29.) Azione della luce polarizzata. Per lo più le masse si mostrano inattive: nei casi in cui abbiamo incontrato una luminosità nell’interno delle stesse, a Nicols incrociati, abbiamo quasi sempre riscontrato che essa emanava, o dalle ineluse pareti cellulari, o dalle fibre attorno alle quali si erano depositati gli inclusi. Talvolta però venne osservato uno splendore particolare, senza che ci fosse una causa apparente atta a provocarlo. Risulta dalle numerose reazioni fatte che gl’inclusi non contengono tannini (fatta eccezione per qualche traccia), sono probabilmente costi- tuiti da ammassi cristallini aciculari (trichiti nel senso di Mayer), ai quali appunto si devono le stratificazioni tangenziali e le strie radiali. Ciò non di meno non danno una chiara reazione alla luce paralizzata, | in opposizione a quanto si osserva nei trichiti dell’amido e della cel- lulosa. (1) ® Il Wiesner trovò anche che i depositi di cera estracellulari sono un pò lamince: alla lace paralizzata. io 1 disc OI 408 La grande maggioranza deì reattivi impiegati ci induce a credere che noi ci troviamo di fronte a corpi di natura varia, o grassa, o resinosa, 0 cerosa, vale a dire a un gruppo di sostanze che hanno comuni moltis - sime reazioni microchimiche, per cui non sempre si riesce a distinguerle le une dalle altre, tanto più che si hanno dei casi in cui due almeno di queste sostanze possono benissimo trovarsi associate. Malgrado l’incertezza del criterio mierochimico, dovuto al fatto che noi difettiamo di reattivi veramente specifici per i tre corpì accen nati, abbiamo tuttavia delle buone ragioni per ammettere che gli inclusi abbiano piuttosto la costituzione delle cere, anzichè quella dei grassi, o delle resine, senza parlare degli oli eteri cui rassomigliano anche un poco pel comportamento mierochimico. Risulta infatti poco probabile che appartengano ai grassi in quanto che non saponificano cogli alcali (Metodo del Molisch). È però vero che con questo metodo avviene un abbondante precipitato fibrillare, di aspetto cristallino, come si ottiene con taluni corpi grassi, ma noi dob - biamo aver presente che anche senza l'intervento del reattivo gli inclusi mostransi costituiti da cristalli aciculari. Del resto nel fusto i corpi in questione si sono appalesati più resi - stenti, in quantochè non si sono risolti in un ammasso informe di eri - stalli aciculari, ma hanno semplicemente accentuatà la striatura. Nei no- stri preparati poi sono mancate le forme mieliniche che compaiono al- lorchè si trattano i grassi col reattivo sopra citato. (1) Poco in armonia pure colla natura grassa è la solubilità degli in- clusi nell’idrato di Cloralio, la loro insolubilità nell’alcool a freddo, per quanto sia noto che anche qualche grasso sì comporta allo stesso modo. L'indifferenza dei corpì in questione di fronte all’acido osmico depone pure a favore del nostro asserto: bisogna tuttavia aver presente che il reattivo non è specifico, essendo noto che i grassi costituiti da acidi grassi saturi non vengano da esso colorati, mentre poi si colorano taluni corpi che nulla hanno a vedere colle sostanze che stiamo studiando. Per quanto concerne i rapporti colle resine basta considerare che (1) Se sia specifico dei grassi è del resto dubbio, e lo stesso Molisch si man- tiene alquanto riservato in proposito. 40£ SOPRA ALCUNI INCLUSI DELLE CELLULE DELLA CORTECCIA EC°. le sezioni, lasciate anche per parecchi giorni a contatto col Reattivo di Franchimonti, non hanno fissato il colore, dal che è lecito affermare che non appartengono a questo gruppo dì sostanze. Gli inclusi poi si eolorano poco con la tintura di aleanna, non assumono la colorazione rosso bruna coll’H, SO,, sono poco solubili in alcool, sebbene siano solubili in al- tri solventi delle resine. Se si considera, da ultimo, che gli alcali non sciolgono le masse endocellulari di Lantana alba si ha una prova in più per escluderle dalla categoria delle sostanze resinose. Se ora passiamo in rassegna le reazioni mierochimiche, che, se non specifiche, valgono tuttavia a caratterizzare con una certa sicurezza le cere, troviamo che i nostri inelusi condividono con queste non poche reazioni. Sono infatti entro certi limiti, poco o punto solubili in acqua, nonchè in alcool a freddo, solubili invece negli altri solventi delle so- | stanze cerose (Etere, Cloroformio, Idrato Cloralio ete.), per quanto par- | zialmente resistano ad alcuni di essi, come Benzolo e Trementina. Ag | giungeremo ancora che si colorano in giallo con jodio ed acido solfo - rico e sono insolubili negli alcali e negli acidi. Concludendo non crediamo andare arrati affermando che gli inclusi della Lantana alba offrono molti caratteri microchimici propri delle cere e delle resine, presentando tuttavia un comportamento che li avvi- | cina di più alle prime. Se. La presenza di cere nello interno delle cellule non cotistuisce una novità, daechè siffatti corpi vennero segnalati nei frutti di Myristica | Occuba, nel latice di Ficus ceriflua, nel parenchima del fusto di qual- | che Balanoforea (Molisch) ed altrove ancora. Secondo Mayer anche li frutto di taluni Rus presenta nello strato | medio dello involucro esterno dei depositi cerosi trasparenti, od oscura- mente granulari. Il Mobuis che li ha pure studiati accuratamente trova che le masse cerose in questione formano uno strato a ridosso delle mem- brane, sporgendo più o meno nel lume cellulare, per cui gli elementi acqui - stano l’aspetto di sclereidi, come si verifica del resto pure nel caso nostro. . Nel parenchima del fusto delle Balanforacee la cera è in tale quantità che viene adoperata per la fabbricazione di candele, a uso dell’illumina- zione domestica. Il Simon vi dedicò uno studio in cui ha segnalato la presenza di balanoforina e di acido palmitico. Se si tratta una sezione di Malanofata con Bagle sotto il coprioggetto, si constata la primato PROF. L. BUSCALIONI E DOTT. G. ROCCRLLA 405 della sostanza tutto all’ingiro del vetrino: i cristalli hanno l’aspetto di aghi, di stelle, di sferiti, o di produzioni simili a un cavolfiore. Nulla sì sa circa l’ufficio di questa sostanza, poiche nella. germinazione essa non si scioglie: tutto al più parrebbe che vi sia una certa relazione con una lunga permanenza dei frutti sulle piante. Ci preme frattanto di far notare che neppure a riguardo di sif- fatti corpi, abbondanti talora al punto da prestarsi per le reazioni chi- miche, è stata detta l’ultima parola in merito alla loro intima costitu - zione. Così, ad esempio, mentre il Buri ammette nella cera del Giap- pone la presenza di acido palmitico e di altri acidi a più elevato punto di fusione, l’Eberhardet vi trova un acido bibasico dalla formula: C 18 H 36 (CO O H)? Questa formula, per altro, è stata modificata da Gèitel e Van Des Want in quest'altra : C 20 H 40 (CO O H)? (acido japonico). Nelle soluzioni acquose, dopo la saponificazione, venne pure riscen- trata la glicerina, il che accenna ad un’affinità coi grassi. Sulla pro- prietà di questo singolare corpo possediamo anche una relazione di Arens e Hett. Secondo il Wiesner la cera delle Balaroforacee sarebbe probabil- mente una resina, il che dimostra quanto poca fiducia si debba accor- dare alle reazioni microchimiche se quelle macrochimiche, ben più atten- dibili, presentano cotante lacune. Il Titmann osserva che negli organi sotterranei e nelle piante acqua. tiche mancherebbe la cera, e questa constatazione è poco in armonia col nostro reperto, dacchè noi abbiamo riscontrato depositi cerosi anche nelle radici sotterranee della Lantana alba. Una speciale menzione meritano le secrezioni di taluni epidermidi, poi- chè, a prescindere da quelle di Gymnogramme, Notochlaena, Cheilanthes ed altre Felci, le quali sono indubbiamente di natura resinosa, le altre, state in particolar modo studiate dal De Bary, dell’Hohnel, dal Wilhelm etc., presentano più o meno reazioni concordanti con quelle offerte dei nostri inclusi. Non possiamo tuttavia esimerci dal notare che alcune di siffatte secrezioni, ritenute da molti autori come omologhe alle cere (ad esempio quelle studiate dal Kunth), vanno riferite piuttosto ai grassi | che alle cere genuine. SOPRA ALCUNI INCLUSI DELLE CO DELLA CORTECCIA ECC. Anche mulo dubbia è la costituzione delle cere dei laticiferi: in- fatti gl’ inclusi studiati dal Boussingault presentano le caratteristiche dei grassi, mentre quelli stati analizzati dal Sack e da Gresshoff nel Ficus ceriflua costituiscono dei composti ad alto punto di fusione. Tutto sommato egli è eerto che dagli studi di moltissimi autori, sia sulle cere vegetali, sia su quelle delle’ Api (Senebier, Treviranus, Proust, Faure, Cadet, Boussingault, Bouastre et.) risulta che noi ci troviamo | di fronte a corpi aventi notevoli differenze costituzionali e che presen- tano perciò reazioni chimiche specifiche. Secondo il Wiesner siffatti corpi andrebbero aggruppati, ora fra le fitostearine, ora fra gli alcooli, ora fra i gliceridi di acidi grassi et., per cui la denominazione di cera vegetale avrebbe più un significato biologico che chimico. . Noi non insisteremo ulteriormente sopra questi particolari in quan- tochè chiunque può trovare ampi ragguagli nei lavori dello Czapeck, del Mayer e del Molisch, per citare solo alcuni autori. Aggiungeremo soltanto che nella Tamariscinea Fuquiera splendens la cera, reperibile nella membrana della fibre, sarebbe affine alla Carnauba e che furono os- ‘servate produzioni cerose in piante legnose sotto determinati stimoli pa- tologici (nella corteccia del Faggio, secondo Flukiger), od in reazione probabilmente a punture di insetti. A questo proposito dobbiamo di- | stinguere due modalità, a secondo che la cera viene prodotta dalla | pianta, o non piuttosto dallo insetto (Cocos ceriferus). Li Nell'esempio che noi abbiamo illustrato si può del tutto escludere un'azione patologica avente attinenza col parassitismo, salvo che non si voglia ascrivere a batteri le minutissime granulazioni presenti nella corteccia sia delle cellule normali, sia ancora (ed in più grande abbon- danza) di quelle inerostate di cera nella radice (e un pò anche nel fusto) della Lantana. Poco si conosce sul modo con eui si formano le cere e neppure. noi siamo in grado di aggiungere in proposito qualche dato di un certo interesse, non avendo avuto materiale sufficiente per tale studio. Tutto al più possiamo asserire, con un pochino di cautela, che esse si formano nel pla- sma e vengono in seguito sequestrate, rispetto a questo corpo, per mezzo di una sottile lamella cellulosica. Le nostre riterche furono estese anche ad altre Verbenacee, ma con esito Cani (Lantana Mieairiiotta Cytarexylon qua- drangulare, Verbena bonariensis). Solo in un altra Lantana (L. melis- saefolia Soland, flava Medic.) abbiamo riscontrato le singolari produ- zioni e queste erano del pari localizzate nella corteccia del fusto e delle radici vecchie. Gli inclusi, che presentavane le stesse caratteristiche di quelli della L. alba, erano tuttavia assai scarsi, per cui non meritano di fissare ulteriormente la nostra attenzione. Quale sarebbe la funzione degli inelusi ? Difficile è dare un giu= dizio in proposito. Se per altro si considera che essi si formano, almeno per quanto ci consta, solo nelle parti invecchiate delle piante sarebbe lecito supporre che non compiano alcuna funzione nella vita delle parti e costituiscano quindi dei prodotti di rifiuto che le cellule all’ uopo se- questrano, analogamente e quanto si verifica pec altri corpi similari (Cristalli di Rosanoff). Sarebbero, in altre parole, la espressione della se- nilità cellulare e della quale ne abbiamo non pochi nelle cellule vegetali, ma ancor di più in quelle animali. Catania, Giugno 1922. LETTERATURA DELL'ARGOMENTO | Ahrens C. e Helf. — Zeitsch. ang. Chem. 1901 p. 664. | Beccari O. — Illustr. di nuove specie malesi. Buri E. — Arch. p. Pharm. Bd. COXLIII p. 408, 1879.. Czapeck — Bioch. a. Pfl, Jena. Eberhardet L. A. — Disse:t. Strassburg. 1882. | Gentel u. G. van d. Want. — Journ, prakt. Chem. Bd. LXI p. 151, 1900. Goppert — N. acta Nat. Cur. XXIII. Hanauseck — Ber. d. signi bot. Ges. XXXII, 1914. | Meyer — Arch. f. Pharm. 1838. Meyer A. — Analyse vi 1 Jena 1921. Moebius M M. — Ueb. Wachsausscheidung in Innern d. Zellen. Ber. d. deutsche Bot. mA 1872. Bi. XV, 4, 439. folisch H. — Mikrochemie d. Pflanzen. Jena 1913. Netolisky N. — Notizien ib Inklusen in Gerbstoff-Idioblasten. Bot. Zeit. 1914. leck — Chem. Unters. d. Wachsihn. Bestandteil d. Balanophora)elongata. N. Act. Leop. Ak. Nat. Cur. XXI. oft E. — Ueb. d. Funktion v. d. sogennanten Inklusen d. Radix liguiritiae. | Vestrick V. Sjez. Ces Pur. 1915. i. Sbkon — Ueb. d. Balanophora. Siteungsb. di K. Ak. Wien, 1910. Bd. 119. Trommsdorf B. — Journ. prakt. Chem. B. 1834, £. Wiesner — Rohstoffe. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Tav. III (Lantana alba). Fig. 1. Fibre corticali del fusto sezionato per lungo coll’ involuero di cellule contenenti gli inclusi che qui app iono nniformemente colorati in nero. Fig. 2. Corteccia del fusto sezionata longitudinalmente. Gli inclusi, colorati in nero, sono abbondant ss mi in tutta la corteccia, in specie attorno alle fibre. Il lib:o ne contiene, ma in scarsa quantità Obb. Immers. Om. Koristka 1/15. Oc. 2 Reichert. Tav. IV. (Lantana alba). Fig. 8. Sezione trasversale della cortecc'a del fusto con numerose cellule conte- | nenti gli inclusi di color nero. Questi sono presenti, in scarsa misura, anche nel libro. \ Fig. 4. Corteccia della radice sezionata trasversalmente. Gli inclusi, sbbosdiadi nella corteccia, si infiltrano nei raggi midollari. Fig. 5. Corteccia del fusto contenente dus inclusi (C e B) uso I è costituito da due masse striate in senso differente e separate per mezzo di una membrana. i .C membrana delimitante l’incluso B. A Fibra cui è addossato l’incluso D. Obb. Imers. Om. Koristka 1/15. Oc. 2 Reichert. Tav: I Fig. 4 È e a E > x p< a O S — al 8 asi Da (-* @ = i) # be ‘ Mie Ni ia a È da i : ) x É or È 9 : "o } Tala Malpighia - Anno XXIX - Vol. XXIX DI £ » ba è È À o di dti Li Malpighia - Anno XXIX - Vol. XXIX Tav. III a si | î dc Nalpighia - Anno XXIX - Vol. XXIX LOVED: Fig. 3 » 367 » 375. RASSEGNA MENSILE DI BOTANICK DIRETTA DAL I DOTT. L. BUSCALIONI a - Pror. Orp. pi Boranica NELLA R. UNIvERSITÀ DI CATANIA 1% ANNO XXIX — FASC. IX-X-XI-XII pori i ea? MARCELLO MALPIGHI er Aa Ce La MALPIGHIA si ‘pubblica dani ea in biscicoli di 6 De di sua almeno no in fascicoli doppî corredati; secondo il bisogno, da tavo | L'abbonamento annuale. ie L. 25, pagabili alla ricezione del 1. fascicolo del-. - L'intiero volume. annuale 66 fogli in se: con circa 20 tavole) sarà messo în vendita : ese copie i in L più. verranno pagate in ragione di L. 40 al foglio (di .16 pag) ‘ RS “Quanto. alle tavole supplementari occorrerà. i Soltanto pappone le spese RASSEGNA MENSILE DI BOTANICA DIRETTA DAL DOTT. L. BUSCALIONI ProFr. Orp. DI BoranICA NELLA R. UNIVERSITÀ DI CATANIA ANNO XXIX — FASC. IX-X-XI-XII MARCELLO MALPIGHI 1627-1694. Prof. LUIGI BUSCALIONI e GIUSEPPE MUSCATELLO Studio monografico sulle Specie americane del Gen, “Sauran'a Willd.,, | i (continuazione) Piccolo albero a fusto gialliccio, cenerognolo, cavo, leggermente striato per lungo o rugoso, sparso di lenticelle, glabro, con cicatrici fogliari rotonde, od ovali, o a ferro di cavallo (Es. 11247), cenero- gnole brune, solcate lungitudinalmente nel mezzo (Es. 13147), talora È. cerchiate di bianco internamente e spesso rilevate dal lato inferiore, 3 (Es, 11452). Gemme minute pulverulente od anco un po’ setulose (Es. 11247). { : Apice del fusto nericcio 0 cenerognolo, con rari cuscinetti gial - pi licci o ferruginei, commisti a tubercoli dello stesso colore pulverulenti alla base e appena visibili alla lente: in qualche caso si hanno pure ‘I delle sete tozze, oppure si nota una pulverulenza diffusa (Es. 11247, Es. 10346). Gli stessi tipi di rivestimento si notano sulle nervature delle fo- glie giovani le quali sono mnericcie, senza barbatura alle ascelle dei nervi. Distintamente setulose ferruginee mostransi le nervature nel a ia lEs. 11247. I Foglie adulte con picciuolo lungo 2-5 cm. robusto (Es. 7320), 0 sottile, < talora un po’ ondulato, nericcio bruno, striato o liscio, cosparso di lenti. celle, superiormente scanalato, glabro, oppure portante qualche raro cu: scinetto gialliccio (Es. 11452), od anco infine diffusamente pulverulento cenerognolo (Es. 11427 - Es. 14892), con qualche minuta seta ferru-. ginea e qualche tubercolo appena visibile alla lente. Lembo lungo 8 - 18 cm. (Es. 10848), largo 3-7 cm. liscio 0 ru guloso, nericcio (Es. 10846), o rossiccio brunastro (Es. 11247), od anche | verdiccio (Es. 11452 - Es. di N. Granata), alla pagina superiore, gial - liccio cenerognolo (Es. 10846) o verdiccio (Es. 11452), inferiormente, di consistenza cartacea (Es. 11452. Es. 14892), o subcoriacea (Es. 10847), od anco coriacea, ovale (Es. 10846), obovato cuneiforme (Es. 11547), a base acuta, disimmetrica, ad apice acuto o terminato in punta stretta breve, o lunga (Es. 14892), a margine integro alla base, denticolato mucronulato serrulato dal mezzo in suod anco fortemente serrato mu- cronato anteriormente. (Es. 10846), con denti un po’ disuguali, irrego lari e De tiro da sete bianchiccie, (Es. 11247). Solo nell’Es. ii STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECS. della N. Granata s’incotrano delle crenature portanti alla base dei sot. tili mueroni. Pagina superiore del tutto glabra (Es. della N. Gran.), ma d’aspetto granuloso e sparsa di minutissimi rilievi sulle nervature minori, ta- lora però anche portante sulla costa dei minutissimi cuscinetti gial - lieci (basi di sete) pulverulenti, mentre sui nervi maggiori si hanno dei tubercoli setuliformi appena visibili ad occhio, più o meno bar , bati alla base (Es. 11247). Nell'Es. della N. Granata si hanno soltanto dei rari mucroni sulle nervature. Pagina inferiore cosparsa di minuti incavi lungo iî nervi mi- mori, (corrispondenti alle sporgenze della pagina superiore), del resto Sostituita come la superiore per quanto riguarda il rivestimento peloso. Nervi secondari variabili da 6 a 15 poco distinti sopra, fini, ros- | sicci e discretamente prominenti alla pagina inferiore, a decorso curvo obliquo, non barbati alle ascelle, più o meno distanziati. Nervi di 3° ordine più numerosi e confusi con quelli di 4° ordine per formare un fino reticolo a maglie allungate col massimo diametro obliquo all’asse fogliare. Costa molto sporgente. Infiorescenza talora del tutto nigrescente (Es. 11427), subeguale alla foglia più lunga o viceversa più corta, a corimbo o a panno chia piramidale, lunga 13 - 18 cm. larga 4 - 8 cm. multiflora, a rami fini, lunghi 2-5 cm. lassi, distanziati (Es. 11892). Peduncolo nericcio o cenerognolo, lungo 8-12 cm. fino, un po’ appiattito, leggermente striato, subglabro (Es. di N. Granata), o sparso parcamente di pulvinuli giallicci (Es. 11452), o di mucroni dello stesso aspetto (Es. 14892), gli uni e gli altri più abbondanti all’apice. Non ancano però gli esemplari in cui si ha una diffusa pulverulenza (Es. 11247-Es. 10846). _ Kami a pedicelli di preferenza ferruginei, bruni o cenerognoli per una minuta pulverulenza diffusa, 0 per cuscinetti addensati e com- misti a setule visibili solo alla lente, o per lo meno molto piccole. (Es. 10846). — i Brattee minute (lunghe 3 - 4 mm. larghe 1 mm.), setulose (Es. 1892), o pulverulente, non sempre presenti, oppure spostate dalla sede e (Es. N. Granata): bratteole ancor più ridotte. ori (per lo pù in cattivo ass del diametro di 10 mm., subsessili PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO 418 (Es. 11453), o portati da pedicelli quasi sempre brevi (4- 5 mm.), es- sendo /Zunghi solo nell’Es. di N. Granata. Calice a 4-5 sepali lunghi 4- 5 mm. un po’ disuguali, gl’interni ottusi e cenerognoli, quelli esterni «quasi acuti e brunicei (Es. 11247). 8 Il margine è sempre cigliolato, mentre diverso è il rivestimento sulle due faccie sia a seconda degli esemplari, sia della posizione del sepalo nel boccio. Talora i sepali sono del tutto glabri sulle due faccie, talvolta invece variamente pulverulenti sulla superficie esterna essendo subgla- | bre le parti coperte nel boccio, in molti casi infine la pulverulenza é diffusa. Per quanto concerne la faccia interna noteremo solo che | questa si presenta quasi sempre solamente pulverulenta verso l’ orlo. a Si sono incontrati pure degli esemplari in cui la faccia interna era è puberula parzialmente, mentre l’esterna si presentava glabra. A Corolla molto più lunga del calice ('/, circa) a petali obovati ottusi. Stami poco numerosi (20 - 25) (Es. N. Granata Es. 11453) ad an- tere bifide, ampiamente aperte all'apice, brevi, rossiccie (Es. di N. Gra nata Es. 11427), a filamento breve, barbato alla base con peli talora bianchicci (Es. di N. Granata). Ovario atrofico, o sormontato da 3 - 5 stili, ma questi talora an- ch’essi atrofici, talora brevi (Es. 11452-Es. 11247), 0 lunghi e in que st'ultimo caso a stimma puntiforme (Es. 11247-Es. 11527). Semi rugulosi minuti. I. S. Yasicae Loesen. var. laevigata Buse. forma Veranii Busc. Es. studiato : Es. N. 13147 degli Erb. di Berlino, Kew, Pietroburgo (Es. Herb. Tonduz) stato raccolto a Tucurrique (Les Vueltas) a circa 635 m. di altezza (Gennajo). Brattee basali dell’infiorescenza fogliacee, con picciuolo lungo da 6 a 10 mm. sparso di pulvinuli e con lembo ovale lungo 12 - 15 mm. largo 5 8 mm. glubro o disseminato di rari cuscinetti conformati se- condo norma. Le altre brattee e le bratteole hanno forma ordinaria, sono cioè minutissime (lunghe 13 mm. larghe 1 mm.) Caratteri differenziali e di affinità. Le affinità nil S. pseudo. pringlei, colla Reticulata, colla Barbigera, colla Pauciserrata, colla Intermedia, colla nre e sue varietà, colla Pseudopedunculata furono o SUB nei iaarin cri a queste specie. SRO I n STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPSCIE AMERICANE ECC. Caratteri differenziali | Caratteri comuni S. pedunculata Hook. S. Yasica (var. laevigata) Apice del fusto co-| Apice del fusto spar-| Cicatrici fogliari spesso perto di rare sete ap-|so di pulvinuli,o pulve rilevate, ovali. pressate rulento uniformemen | Apice del fusto nericcio. | Foglie giovani setu-|te, con qualche mu-' Picciuolo lungo 3- lose e colle ascelle deilerone e minuta setula. em., fino, o robusto. nervi barbate. Foglie giovani setu-! Lembo sottile, cartaceo, Picciuolo sparso dillose sui nervi ed inol- o subcoriaceo, cuneiforme,| sete appressate, o sub-[tre portanti lo stesso rossiccio bruno superior glabro. rivestimento di pulvi-|mente, gialliccio inferior- Margine fogliare pre nuli o di pulverulenza.| mente, acuto od acumi {valentemente serrato. Picciuolo subglabro[nato all'apice, acuto alla mbo glabro, o se [ma il più delle volte|base. tuloso tubercolato, diltubercolato pulveru-| Infiorescenza multiflora, rado un po pulverulen-|lento, o disseminato di piramidale; più o meno etule abbastanza|pulvinuli. subeguale alla foglia. (sviluppate. Margine fogliare Peduncolo lungo 8-12 | Ascelle dei nervi se- Sairalato debriestato. dijecm. rami pulverulenti pedi barbate, di rado|rado serrato. setulos Lembo glabro, o spar- Pedicelli brevi o lunghi. Phat lungo 11-22|so di rari pulvinuli, dij Calice cigliato. em.largo da 4,5 a 10cm.|setule e di mucroni mi. fia più lunga del “vin secondari|nutissimi. ca Ascelle dei nervi Stili di varia forma. Noci di 4° ordine/secondari non barbate. larga 4-8] Nervi secondari 6-15. Peduncolo sub-| Nervi di 3° ordine ro o setuloso. in reticolo con quelli E di 4° Infiorescenza lunga 13-18 em. larga 4-5 .|jem Peduncolo pulveru- illento, 0 sparso di pul- |vinuli. Brattee minute. . |pulverulento, o glabro |dentro e fuori nei |ferenti esemplari mi 20-25. Stili 345, "Oa Rica, Nicaragua. PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO 4150 Le stesse differenze si osservano nella var. Zeucocarpa della S. pe- dunculata, a prescindere ben inteso da lievi: variazioni. La S. Weberbaueri del Perù presenta il fusto, il picciuolo, il lembo setuloso mucronati e lo stesso rivestimento offre pure sull’infiorescenza: differisce inoltre pel lembo più fortemente serrato, più grande, più ricco di nervi e per i fiori dal calice glabro sulle faccie (per quando anch'essi piccoli). Fra i caratteri similari più importanti ricordiamo l’' ovario con 4 stili. Uno scambio colla S. Briqueti non LI (È) possibile: questa presenta disseminati di muceroni il fusto ed il breve picciuolo, glabri i lembi, che son piccoli, ed i calici. Anche qui, come nella nostra, abbiamo a far con una-specie a fiori piccoli e poco fornita di stami. Caratteri differenziali S. coroicoana Busc. S. Yasicae Loesen. var. laevigata Caratteri comuni Lembo scabro. * Pagina inferiore di aspetto pulverulento per lo stesso rivesti- mento della pagina su- periore, ma più in- tensamente rivestita. Lembo non molto de. Nervi di 3° distinti da quelli di 4”. | Infiorescenza più bre- ve della foglia e non {| Calice glabro sulle accie, Vallone di Coroico. Nella Lembo liscio. Pagina superiore sparsa di pulvinuli, se- tule, mucroni, o glabra. Pagina inferiore col lo stesso rivestimento della 2g nana ra di- sereto. Nervi di 3' ordine confusi con quelli di ordine|4° Infiorescenza grande subeguale alla foglia. dicellati. alice variamente pulverulento sulle accie America Centrale. S. Zahlbruckneri, abbiamo, quali caratteri similari, il caule Fiori brevemente pe-| pice del fusto setu- loso pulcino Cicatrici fogliari tonde, sormontate pe | piccole gemme setulos Picciuolo Siri 3 em. con lo stesso rivestimen - to del fusto. - Lembo cuneiforme a- cuto agli estremi, subco. riaceo, membranaceo, ser siccio bruna, - iaferionei gialliccia. Nervi sSacondari 16. Infiorescenza . pulveru- nata #16 STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. ‘pulverulento mueronulato all’apice e così pure il picciuolo, molti nervi secondari, i nervi di terz'ordine distinti da quelli di 4°, la infiore- scenza subeguale alla foglia, i fiori brevemente pedic ellati, non molto grandi, con 20 stami. Le differenze si rivelano, per altro, al lembo ot - tuso alla base, oscuramente serrulato od integro, glabro o con qualche pulvinulo, reticolato alla pagina superiore, alle ascelle dei nervi bar- bate, all’infiorescenza portante delle sete ben distinte, al calice con 5 se- pali setosi pulverulenti sulla faccia esterna, glabri all’interno.- La Strigillosa differisce, innanzi tutto, per la patria, poi per l’apice caulinare tubercolato setuloso, per il picciuolo breve setoso, pel lembo pressochè glabro, per le brattee lunghe, pei fiori piuttosto sviluppati a calice setuloso pulverulento all’esterno, pulverulento all’interno, per gli SF stami numerosi. PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO 417 Caratteri differenziali S. Smithiana Busec. S. Yasicae Loesen. var. laevigata Busc. Caratteri comuni È Foglie giovani fer- Fog ; ruginee per brevi sete riccie, pulverulente per 3 |appressate e miste sagra verdiccio o 39 ase. i argine marcata - i. mente crenulato (non è sempre). a Pagina superiore gla- br bra o mucronata. Nervi 10 12. em., largo £ Stili lunghi. lie giovani ne- È: Pagina inferiore gla- i bra, o con qualche mu- crone e cuscinetto. Lembo. Foa 11-25 Sepali di pr sterno ed all’interno. Serra di S. Marta (Columbia). a cuscine Lembo per lo più rossiccio sopra, rugu- loso o liscio, quasi sempre obovato, a base acuta. Margine per lo più serrulato Pagina superiore gla- ra, o cosparsa di pul- vinuli e di tubercoli. Pagina inferiore gla- bra, disseminata, lungo i nervi minori, ‘di mi E incavi. i 6-15. pata lungo 8-18|te em., largo da 3-7 em. Sepali variamente] L-Abiaza o glabri all’ esterno ed’ all’ in- terno. Stili di varia forma. America Centrale. scente, arso di cusci- tti commisti aljnetti palvernlenti giallio” minute setule e mu-[ci e di Lembo “sublucido, croni. rossiecio sopra, ovale lanceolato, talora arrotondato alla cen sei fusto pui con qualche cuscinetto e qualche setula. Lembo per lo più liscio, terminato in punta, ser- rulato mucronulato. Nervi di 3° ordine con- tusi con quelli di 4.° Infiorescenza lunga da 8-10 em. sparso di pulvi- nuli: rami più densamen-| Mi dgr furfuracei.| rattee m Fiori iccoli. Calici a 4 sepali. Stami 20-25. Ovario a 3-4-5 stili. STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Caratteri differenziali S. floccifera Tr. e PI. S. Yasicae Loesen. var. laevigata Busec. Caratteri comuni Picciuolo lungo 2-3 i cusci- Pagina superiore gla- [bra, o con qualche cu- i Lembo Bri 15-23 |em., la 0 em. Fiori Ùi discrete di- |mensioni, talora sub- sessili, pulverulenti [dentro e fuori. { America del Sud. {tro e fuo. Picciuolo lungo 2-5 em. sparso di cuscì- netti giallicci. Lamina spesso sub- coriacea o coriacea. Pagina superiore |subglabra, o con qual che cuscinetto gial liccio Pagina inferiore gla- bra e disseminata lungo i nervi minori di fini "Nori secondari 6-15 distanziati. Nervi di 3° ordine confusi con quelli di 4°. ungo 8-18 cm., largo 3-7 cm. - Fiori piccoli ron sub- sessili, variamente pul. verulenti o glabri den- ori. America Centrale. ilS. floccifera Apice del fusto cospar- so di ego se- rbate. alie giovani stesso rivestimento. Picciuolo sottile, sparso di cuscinetti pulverulenti. amina obovata ter- di collo minata in punta, serru- lata serrata, a base acuta (talora però ottusa nella Infiorescenza lunga 18 cm. (subeguale alla foglia) sparsa di pulvinuli e tu- bercoli. Rami furfuracei. Brattee piccole. Fiori su pedicelli brevi. Stami 20-25. Stili corti. PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Colla pseudoparviflora lo scambio non è possibile poichè, a pre - scindere dai fiori piccoli, con pochi stami e col calice a 4-5 pezzi, ciò che costituisce un carattere di affinità, le differenze sono notevoli. La Pseudoparviflora infatti cresce in Bolivia, ha il caule ed i picciuoli . setosi, i lembi grandi, cartacei, setulosi, mueronati, l’ infiorescenza più breve della foglia e setosa, i calici infine glabri. La S. parviflora Tr. e PI. è della N. Granata, ha un fusto pulve- rulento tubercolato, il pieciuolo più breve, un lembo assai largo, scabro e mucronulato superiormente, sparso di pulvinuli e di numerosi peli stel- lati inferiormente, presenta un maggior numero di nervi secondari, ad «quelli di 3° ordine distinti da quelli di 4°, l’infiorescenza più breve della foglia, con breve peduncolo e coi fiori a calice glabro. 3 Sulla S. Pittieri D. Sm. e sulla S. pseudopittieri Buse. non occorre spendere molte parole. Entrambe hanno dei peli stellati alla pagina in- feriore del lembo che è appena denticolato : presentano inoltre un maggior numero di nervi, la ottuso anteriormente od obovato, più grande, . infiorescenza molto sviluppata e infine i fiori col calice pulverulento dentro e fuori. Il carattere differenziale più dec'sivo sta nella pagina superiore del lembo assai scabra per tubercoli, per quanto tale carattere si attenui nella S. pseudopittieri. Se la S. Rusby Brit. per i suoi fiori grandi, per le cor setulose ap- pare abbastanza distinta dalla nostra specie, altrettanto non può dirsi per le sue varietà. La var. glabrata si distingue per il caule e il picciuolo se- tosi, per il lembo assai grande, costantemente più largo, più ricco di nervi, mucronato setoso, per le brattee più sviluppate, pei fiori di discrete di- mensioni, a calice setoloso sulla faccia interna. La var. spectabdilis con- divide pressochè i caratteri della var. glabrafa, ma ha un lembo unica- ‘mente tubercolato setuloso superiormente ed inferiormente, inoltre pre - senta analogo rivestimento sull’infiorescenza, porta dei fiori grandi (12 15 mm.) dai calici a 5 pezzi pulverulenti tubercolati all’ esterno, glabri all’interno, infine ha 25 stami e 5 stili. Lo stesso dicasi per la var. ma- ‘crophylla inquantochè le foglie ampie assai, le infiorescenze notevol- mente più brevi dei lembi, i fiori lungamente pedicellati non possono dar luogo a confusione. In questa varietà troviamo però, quale carattere -_ Nella. Sd. + aequatoriensis pagar se si fa astrazione della foglia 420 STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. che può esser scambiata con quella della S. Yasicae, le differenze sono troppo grandi perchè lo scambio sia possibile. Innanzi tutto il fusto è setoso tubercolato, le foglie giovani presentano dei peli stellati, il pic- ciuolo è breve e setoso, il lembo ha i margini rivoltati, minutamente ‘ denticolati e mostrasi inoltre tubercolato (la costa però ha qualche pul vinulo!) In secondo luogo l’infiorescenza è setulosa, o glabra e por dei fiori grandi, setulosi o glabri all’esterno, con molti stami. La S. Maxoni D. Sm. ha fusto, picciuolo e lembo glabri. La la- mina è poi grande, coriacea, con pochi nervi, l’infiorescenza glabra, dai pedicelli lunghi, portanti dei fiori grandi il cui calice è pulverulento sulla faccia interna, presso l’orlo, ed i cui stami si mostrano numerosi. n'a Il ricco materiale di studio avuto a disposizione ci ha permesso di distinguere, nell’ambito della S. Yasfcae, due forme, l’una tipica, stata illustrata dal Loesener, l’altra assimilata da più di un autore alla $. serrata, alla $. laevicata e via dicendo. Le differenze tra le due for. me sono di poco momento (picciuoli molto lunghi, fusto e lembo nericci, cicatrici fogliari rilevate nel S. Yasicae genuina) e noi abbiamo potuto constatare come ognuna di siffatte caratteristiche differenziali abbia sol tanto un valore relativo, avendo trovato molte forme di passaggio. Forse fra tatti i sopracitati caratteri quello che più serve di distinguere la S. Yasicae genuina è dato dalle cicatrici fogliari molto rilevate. Il Loe- sener accenna ancora a un rivestimento di squamule, ma questo, quanto venga esaminato con lenti, appare piuttosto pulverulento, anzichè squa- muloso per cui rientra nella categoria di quello che abbiamo riscontrato nella var. Zaevigata. I fatti sopra esposti ci hanno pertanto indotto a_ riunire in una sola specie ie due forme. A questo punto però è duopo far rilevare che ci troviamo di fronte a un caso molto imbarazzante di sinominia e di priorità. Il Loesener ha voluto distinguere una S. Yasicae dalla ben nota S. Zaevigata Tr. e PI. e bene si appose essendo la S. Zaevigata, delle regioni di Quin- dio, affatto differente della 1 MAR: come abbiamo dimostrato in prece - dente tabella. È hi Ja: ernia sdegno fra le due forme sarebbe dova ani- A td: PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO 421 camente a processi di convergenza, senza che i motivi siano da ricercarsi in una parentela più o meno prossima. Già lo eselude la differente pa tria, ma in particolar modo non poche caratteristiche differenziali. Si tratta adunque di un nuovo caso di affinità morfologica, non già filogenetica. Ma è noto che in tutti i maggiori erbari di Europa, accanto alla S. laevigata Tr.e PI., di Quindio vennero classificate come tali, moltissimi esemplari del Centro America, che però ricevettero pure altri nomi, fra cui quelli di S. serrata D. C. Chiunque abbia presente la marcata tendenza nelle specie del Gen. Saurauia a crescere accantonate avrebbe già, a priori, potuto convincersi che le pretese £. /aevigata Tr. e PÌ. del Cen- | —tro America non dovevano esser tali, troppo lontana essendo l’area loro di distribuzione geografica da Quindio, dove cresce la forma genuina di Tr. e Planchon. Così pure tali forme non potrebbero essere ascritte alla S. serrata D. C. per le stesse ragioni. Per questo motivo, ma più di tutto perchè le dette forme vivono in regioni prossime al Nicaragua dove cresce la S. Yasicae tipica e con questa hanno innumerevoli caratteri d’affinità noi ci siamo decisi a stac- carle dalla Zaevigata di Tr. e PI. per unirle alla S. Yasicae di cui sa - rebbero una varietà. Giunti a questo punto è duopo domandarci se il Loesener ha inteso distinguere la sua specie della forma da Quindio, o da quella della forésta di Tuis. La risposta evidentemente è molto asdua, tanto più che nel- l’Erbario di Berlino, dal quale il Loesener ha ricavato le sue conclusioni, manca la forma di Tr. e PI., mentre esistono parecchi esemplari della forma propria delle regioni Centro americane, controsegnata pure come si è detto col nome di S&S. laevigata. Il predetto autore ha quindi con sano criterio distinto una nuova specie, ma non si è curato di analizzarla comparativamente nei riguardi delle forme Centro americane poichè in tal caso sarebbe forse giunto, | con noi, alla conclusione che si tratta di un cielo di forme più o meno polimorfe, ma fra loro imparentate. | Ed invero le variazioni efarmoniche del tipo Yasicae non sono po- che ed interessano pressochè tutti gli organi. Segnaleremo le principali : 1 fusto è pulverulento all’apice, o cosparso di tubercoli pulverulenti giallie- ‘o anco infine di brevi sete. Le stesse disposizioni sono reperibili sul pic- sla sull’infiorescenza, i quali organi perciò si presentano ora uniforme. 422 STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. ‘mente cenerognoli, ora nigrescenti con minute prominenze gialliccie ferru- ginee (squamule di Loesener) che alla lente appaiono pulve rulenti. Le cicatrici fogliari sono piane, o prominenti e variamente costituite all’in terno. Le foglie sono piecole o grandi, verdiccie sopra e sotto, oppure ros siccie sopra, gialliccie sotto, od anco infine nigrescenti sopra, ferruginee brune sotto. Vario pure è il numero delle nervature secondarie, varia la reciproca loro distanza, varia infine la lunghezza dello sgocciolatoio, e lo sviluppo delle dentature-serrature, ed anzi in proposito giova ricor. dare che talune foglie hanno un margine crenulato. Il lembo poi può esser liscio, o finamente punteggiato in rilievo alla pagina superiore, finemente alveolato o liscio sotto, sottile o coriaceo. Notevoli sono le | variazioni del picciuolo che può esser sottile e breve, lungo, robusto. Lo studio comparativo delle infiorescenze ci ha dimostrato che queste possono avere un vario sviluppo e portare delle brattee ora minute, ora fogliacee (forma Veranii). I fiori sono brevemente o lungamente pedicellati, hanno un calice glabro allo esterno, o pulverulento parzial- mente, o viceversa totalmente: inoltre la faccia interna dei sepali per lo più è glabra, ma molte volte si presenta un po’ pulverulenta al mar gine. Varia è la grandezza della corolla rispetto al calice e varia la barbatura degli stami poichè può essere rossiccia o bianchiccia, mentre | poî si hanno delle antere lunghe o brevi, rossiccie o gialliccie, munite di pori apicali minuti o ampi. L’ovario infine bha stili brevi o lunghi in numero variabile da 3 a 5, come del resto variabile pure da 4 a 5 è il numero dei pezzi calicinali. Una fisonomia comune si ha nella forma delle fine nervature di 4 ordine che si fondano con quelle di 3° ordine, pure assai fine, per formare | alla pagina inferiore del lembo un sottile reticolo a maglie un po’ al . lungate nel senso dell’asse fogliare. Poi abbiamo le punteggiature in in- ; cavo alla pagina inferiore che però non sono sempre presenti. Le variazioni abbastanza forti cui va incontro la specie collettiva della S. Yasicae potrebbero indurci a smembrarla in parecchie forme secondarie, il che non è conforme al nostro modo di vedere, essendo troppo caratteristiche, per le specie del gen. sonia le oscillazioni dei caratteri specifici. Rimane ora a trattarsi la questione delle affinità della nostra spe- . Prescindendo dalle Sele colla : S. laevigata Tr, PL » PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPTE MUSCATELLO 423 Quindio dovute unicamente a fenomeni di convergenza, molto singolari invero, ma molto frequenti nel nostro Genere, rimane fuor di dubbio che la più grande affinità si ha colla S. leucocarpa Schlecht. È una affinità probabilmente filogenetica, come parrebbe plausibile pel fatto che le due forme abitano regioni pressochè contigue. Si tratta probabilmente di forme vicarianti le quali, essendo forse emigrate in altro territorio hanno per - duto la barbatura delle ascelle dei nervi (che manca spesso anche alla Leucocarpa !) e modificata lievemente la forma del lembo. Anche la pul - verulenza del calice indica una differente costituzione, ma essa va sog- getta a tali oscillazioni nella S. Yasicae da scomparire talora del tutto, dandoci così dei calici del tipo /ewucocarpico. (1) Una nota dominante comune l’abbiamo nei minuti incavi alla pagina inferiore del lembo, il quale reperto si incontra pure nella Leucocarpa (non è però caratteri- stico di queste due forme !). Da ultimo fra i caratteri di affinità meri- tano di esser segnalate la piccolezza dei fiori, i cui calici contano da 4 a 5 sepali e i cui ovari sono sormontati anche da un numero variabile di stili. Stabilito il nesso filogenetico colla Leucocarpa appare evidente che le affinità si fanno in particolar modo intime colla var. Smithiana di questa specie, come chiunque può convincersi analizzando gli specchietti | comparativi. Meno evidenti sono le affinità con altre terni: del Messico, o del Centro America, quale la S. Serrata DC., la Barbdigera Hook, la Paw- ciserrata Hemsl. e colla S. floccifera del Sud America, per quanto quest’ultima, a causa sempre dei soliti fenomeni di convergenza, offra non poche caratteristiche della nostra specie. Esistono nel gruppo della Yasicae forme ibride ? Non lo possiamo affermare, ma sta il fatto che la presenza di forme brevistile ed altre longistile può agevolare gli ineroci fra forme più o meno disgiunte dal punto di vista delle affinità filogenetiche. 58) Saurauia Maxoni D.: Sm. Coult. Bot. Gaz. XXVIII. Glaberrima. Folia nitida obovata oblunga in apicem angulo obtuso Au Abbiamo pure veduto, per converso, che talora i calici nella. Leucocarpa o pulvi erulenti. STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. in basim angulo acuto desinentia, calloso denticulata, nervis lateralis remotissimis arcuatis. Paniculae subterminales longe pedunculatae folia subaequantes. Sepala paene glabra. Frutex 3-4 metralis, ramulis laevibus. Folia crassa 14-20 cm. longa 6-8 cm. lata margine vix ac ne vix ondulato nervis lateralibus haud parallelis 1,5-2 em. inter se distantibus, petiolis validis 2-3 em. longis. Pedunculi 10 - 17 em. longi et panicularum axes complanati striati, nitidi, axibus primariis alternis 1,5-2,5 em. longis pedicellis 4-5 em. longis bracteis linearibus 4 mm. lodfigis et bracteolis ciliolatis, floribus 2,5 ‘em. diametralibus. Sepala ovalia 7 - 8 cm. longa juxta mar ginem basinque intus pubescentia. Petala discreta oblongo - obovata bi lobulata. Filamenta basi cinereo - barbata antheris aequilonga, loculis dimidio diseretis. Ovarium glabrum 5 vel rarius 3 loculare, stylis di scretis 4 5 mm. longis. (D. Sm.). Esemplare studiato : Es. N. 3221 d. Museo di Washington stato raccolto da William R. | Maxon e Hay (Gennaio 1905) presso Secanquin (Alta Vera Paz. Gua- temala) a circa 550 m. di altezza sul mare e in siti aperti, ma boscosi (Tipica !) Fusto gialliccio, rugoso, sparso di int ovalari, giabro. Pic- ciuolo robusto, lungo 2-3 mm., bruno rossiccio, o verdiccio, striato, | glabro. Lembo di dimensioni variabili (lunghezza 11-20 cm. larghez- za 4,5-8,5 cm.) bruno verdiccio sopra, più chiaro sotto, obovato od. ovale, molto coriaceo, lucido da ambo le parti, liscio e glabro. Apice del lembo acuto 0 sormontato da punta ottusa, più di rado ottuso; base cuneiforme acuta, un po asimmetrica. Margine revoluto oscuramente crenulato denticolato serrato, con crenature e serrature larghe assai (1 em. più), mucronulato nelle insenature. Nervi secondari circa 8 molto curvi, distanziati gli uni dagli altri, appena visibili alla pagina superiore, fini, poco o punto prominenti all’inferiore, uniti fra loro wi margine fogliare. Nervi di 3° ordine inseriti o alla costa o ai | nervi secondari, finissimi, formanti un lasso reticolo nel parenchima: interposto fra due nervature secondarie. Nervi di 4° poco distinti. Costa scenes molto sporgente. Ascelle dei nervi ni non i bruno rossiccia, diagie alla foglia o più br n A rn e da ELA ui» RT Ra) PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLI) (10-18 cm. di lunghezzaX6 cm. di larghezza) a pannocchia pirami- dale a rami distanziati patenti od obliqui. Peduncolo, rami, pedicelli e brattee del tutto glabri, o al più con qualche rarissimo mucrone, appena visibile alla lente. i Peduncolo robusto, striato, lungo 6-10 cm. talora sparso di plac- Che sugherose. Jtami lunghi 2-3 cm. Pedicelli lunghi 1 cm. circa. Brat F tee minute, triangolari o lineari, lunghe al più 4-5 mm., larghe 1-2 È mm. Fiori grandi (18 mm. di diametro) a calice di 5 pezzi raria- | mente grandi, ottusi od acuti, ovali, rossicci e glabri all’esterno, ci- ‘2 gliati o glabri al margine, pulverulenti lungo il bordo, dal lato della faccia interna, del resto glabri. Corolla a petali obovati smarginati, F: o interi, lunga il doppio del calice. Stami 30 e più, a filamenti ros - sieci e barbati alla base con peli rosei. Antere gialle, lunghe, strette, bi | fide, poricide. Ovario a 5 stili lunghi, o discreti. ) | Caratteri differenziali e di affinità. Data la particolare struttura del lembo e la glabredine generale le affinità sono poche. î STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE. ECC, Caratteri differenziali S. Smithiana Buse. Fd S. Maxoni D. Sm. Caratteri comuni Caule cosparso, al- peli stellati. Picciuolo con qualche seta o tubercolo Base fogliare spesso tonda. | ari mucroni due faccie della foglia. Superficie del lembo ì Pi di 3° ordine appressati fra loro, par- tenti dalle nervature di 2° ordine e confusi Alveoli lungo i nervi alla pagina inferiore, Infiorescenza furfu- sulle|. in reticolo con quelli! di 4° poro pini a 3-4-5 stili. di. Nella £. Levi Busc. troviamo i seguenti caratteri differenziali: il caule puberulo, il lembo rossiccio alla pagina superiore con minuti | bercoli sui nervi secondari i quali poi sono numerosi: la pagina infe | riore minutamente tubercolata: il picciuolo setuloso: l’infiorescenza ciflora, pulverulenta-mucronulata: i fiori molto grandi con numerosi (60-80) e coi sepali pulverulenti all’esterno ed in parte anche all’interno. Caule glabro all’a- ce. Picciuolo glabro. Base fogliare acuta. Lembo glabro. Hopariielo granulosa alla pagina inferiore. Nervi secondari 83. ervi di 3° ordine fra loro distanziati e partenti anche dalla|t costa. Nervi di non distinti. Nervi senza alveoli. Infiorescenza glabra,, Sepali 5 glabri al- l'esterno parzialmente puberuli all’interno. Stami 25 e più a poro piccolo. Stili 5. 4° ordine Caule nigrescente al ‘apice. Picciuolo discreto. Lembo liscio sublucido, | bruno verdiccio sopra, più chiaro sotto. Base talora acuta, a- pice acuto. Margine crenato mu-| cronato (talora però in- tegro, o serrato nella $. mithiana). distanziati loro obliqui e dicotom - Infiorescenza subeguale alla foglia o più breve. rattee minute. Stili lunghi. Guatemala. fra . ; sPROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO Caratteri differenziali S. Zahlbruckneri Busc. S. Maxoni D. Sm.. Caratteri comuni Apice del fusto co- perto da fina pulveru- lenza (mucroni barbati) ferruginea, del resto ‘nigrescente. |base, ovale, coriaceo o ‘subcoriaceo Pagina superiore glabra, o con qualche |pulvinulo biancastro |sui nervi. Pagina inferiore gla. |bra, fatta eccezione per le as dei nervi ondari portanti una barbatura diffusa, gial-| ia nervi neolo e al margine. Picciuolo lungo 2-4] .|8 secondari i lab se-|grandi. Sepali - pulverulenti| alla pio a alice. e rami lla lunga de vol Apice del fusto gla-|_ bro, gialliccio icciuolo lungo 23 em. rossiccio o ver- iccio, glabro. Lembo acuto alla ba- se, TORTO molto. co- Hari 8. Pagina superiore voci inferiore Costa e nervi glabra: Peduncolo gla | Brattee Sg mi- nute non spostate. Fiori con pedicelli lunghi, discretamente n parzialmente all’inter- no, glabri all’esterno. Corolla lunga il dop- Stili fb Lembo di dimensionif iscrete, acuto all’apice o terminato in punta, ver- mucronulato] Infiorescenza subeguale alla foglia o più breve. Sepali pulverulenti. Guatemala. 428 STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. La S. parviflora Tr. e PI., pur prescindendo che è della N. Gra- nata, differisce pel caule tubercolato all'apice, pel picciuolo cosparso di cuscinetti, per la pagina superiore del lembo finamente mucronulata, per l’inferiore cosparsa di minuti peli stellati, di mucroni e di pulvi - nuli, per le nervature più numerose e visibili alla pagina superiore, per l’infiorescenza più breve della foglia e cosparsa di pulvinali e pei fiori minutissimi. La S. coroicoana si distingue subito alla pulverulenza del lembo, ai fiori minutissimi, alle foglie piccole e ad altri caratteri. Lo stesso dicasi per la S. Pittieri a causa dei peli stellati alla pagina inferiore e dei mueroni della pagina superiore, dei fiori a calice tubercolato al- l'esterno e via dicendo. A Meno differenziata è la S. pseudopittieri la quale tuttavia si rico- nosce ai seguenti caratteri: fusto pulverulento setuloso all’apice: pie - cinolo lungo, finamente pulverulento mucronulato: nervi secondari circa ELI pagina superiore con qualche tubercolo pulverulento, l’inferiore con i tubercoli stellati ed inoltre cosparsa di lieve pulverulenza: calice queen, cenerognolo all’esterno. La S. Weberbaueri è irta di tubercoli sulle parti vegetative, ha i margini fogliari pronunciatamente serrati, i calici glabri e poi presenta ancora altri caratteri di minor importanza, per cui non può esser confusa. PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO 429 Caratteri differenziali i Caratteri comuni S. Briqueti Busec. S. Maxoni D. Sm. d Fusto rossiccio. Fusto gialliccio. Fusto glabro. 4 Apice del fusto co-| Apice del, fusto emo cuneiforme co- - |perto da minutilglabro. ceo. _ |mucroni e pulvinuli. Pieciuolo RATA sie, acuto o termi- 3 Picciuolo breve, par-|glabro. minato in punta. «. |camente ISP Lembo verdiccio| Margine serrulato. . |setuloso alla len piuttosto grande. Base a Lembo Dicoolk, veri Pagina inferiore gla- diario superiore gla- to, rossiccio sopra. ra. elia glabra agina inferiore gla- Infiorescenza relati-| Brattee minute. bra, o con qualche pul- vinulo. vamente sviluppata, Nervi 15. con pedicelli lunghi. Infiorescenza breve,j Fiori discreti o con pedicelli corti. |grandi, con 30 e più Fiori piccoli, con 20 stami, a calice pulve- stami e a calice glabro. dra parzialmente | Stili brevi. Perù. “Seli lunghi. Guatemala. Non è possibile la confusione colla S. pulchra nto a causa della i | sotto forma per lo più di cuscinetti) reperibile in tutte le parti, dei fiori grandi, delle nervature più numerose, di altri carat- teri, fra cui l’area di distribuzione. | La S. Strigillosa Tr. e PI. differisce pei seguenti caratteri : pa- tria diversa : apice del fusto setuloso: picciuolo breve setuloso : lembo rossiccio sopra, gialliecio sotto, talora con qualche muerone o setula alla pa gina superiore, quasi sempre parcamente tubercolato setuloso inferior - mente : nervi numerosi : infiorescenza un pò setulosa pulverulenta : brattee lunghe: fiori a calice pulverulento dentro e fuori. Quasi per gli stessi caratteri differisce la S. floccifera la quale però, e di tubercoli e setule, presenta dei minuti pulvinuli bianchicci Anche la S. pseudoparviflora si riconosce subito alla setulosità e STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. pulverulenza ovunque diffusa, ai calici minuti con 4-5 sepali subglabri, ai pochi stami e a qualche altro carattere. A riguardo della Rusby le sole forme che possono aver attinenza colla nostra sono le var. glabrata, spectabilis e macrophylla. Nella var. | glabrata il fusto è setuloso all’apice, il picciuolo presentasi anche rivestito di sete, il lembo è ricco di nervi setulosi sulla costa e sulle nervature di tutti gli ordini, l’infiorescenza tubercolata setulosa, i calici setulosi all’esterno, gli stami poco numerosi. Nella var. spectabilis abbiano pres- sochè le stesse caratteristiche, colla differenza che alle setule si sosti- iscono per lo più i mucroni e lo stesso dicasi per la var. macrophylia. s |rari tubercoli e qualche der qualolio seta all’esterno. u PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO * Caratteri d ifferenziali S. aequatoriensis Sprague S. Maxoni D. Sm. Caratteri comuni Apice del fusto tu- bercolato. Pieciuolo breve con qualche mucrone. Lembo non molto grande, a base talora ton Lembo scabro alla pagina inferiore. Margine serrato, co- perto di mucroni bian- chicci. Nervi secondari 12-15, distinti solo sotto. Nervi di 3° ordine Apice del fusto abro. | Pieciuolo di discrete secreto, a base Lembo liscio alla pa- gina inferiore. Margine integro o serrulato, non coperto da mueroni bianchicci. Nervi secondari 8 e pae sopra. er ordins bean casi a se. Nervi di 4° ordine in reticolo con quelli’ di Pagina superiore rossiccia, l inferiore) gialliccia. Pagina inferiore con, pelo .stellato, Infiorescenza pauci- flora a peduncolo bre- ve, o setulosa. Fiori dioici sessili brevemente pedicellati. Sepali glabri o con or. Nella var. boliviana della S. aequatoriensis ì caratteri differen - poco o punto visibili. Pagina superiore ver- diccia come l’inferior Pagina inferio Infiorescenza non pauciflora, glabra, a pe- uncolo lungo. iori ermafroditi (sempre ?) pedicellati. Sepali glabri all’e- terno, pulverulenti al- l'interno presso l’orlo.| Guat atemala. Si re Apice del fusto bru- iccio. Piceinolo con qualche placca su Lembo sota coria-| ceo con apice acuto, li-| scio sopra. n foglia o più corta, fd è P Margine revoluto. e. Infiorescenza a p occhia, subeguale silla ros-|- siccia, ghe Peduncolo robusto, latto. Brattee foina tl Stami «e antere lun- ic "i Orario a Y stili lunghi. ziali sono pressochè gli stessi : inoltre bisogna aggiungere che il lembo è reticolato, la pagina superiore tubercolata, l’infiorescenza. pulverulenta tubercolata con brattee sviluppate, i sepali pubescenti : nella var. gla. ua n "peer an del nre ma e così at fasi STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. differenziali della forma tipica, Non insistiamo sulle altre varietà della aequatoriensis poichè corrispondono più o meno a quelle passate in ras- segna. 3 Nella S. Yasicae abbiamo i seguenti caratteri differenziali: fusto munito di cuscinetti all’apice, picciuolo pulverulento, lembo non molto grande con qualche cuscinetto alla pagina superiore e con minuti alveoli all’inferiore, nervature in numero variabili da 6-16, infiorescenza pulveru- lenta, calice a 4-6 divisioni, piccolo, glabro (però talora ha un po’ di ‘pulverulenza all’interno!) stami pochi colle antere ampiamente aperte, ovario a stili obsoleti e in numero variabile da 5 a 3. Quasi per gli stessi caratteri differisce infine la S. laevigata di Tr. e PI. dal fusto sparso di pulvinuli all'apice, dal picciuolo tubercolato (talora però glabro !) dal lembo più ricco di nervi seconfari (15-18) e coi nervi di 3° ordine formanti un reticolo con quelli di 4°, dall’infiorescenza pulveru- lenta tubercolata, dal calice formato di 4-5 divisioni, pulverulento al- l'esterno (talora anche un po’ all’interno !) La $S. pedunculata Hook ha comune colla nostra specie ben pochi caratteri, per cui vale subito a distinguerla la barbatura delle ascelle 0, ‘se questa manca, la setulosità dei lembi e delle altre parti, nonchè il calice pulverulento. Lo stesso dicasi per la S. barbigera i cui lembi | fortemente serrati forniscono ottimi caratteri differenziali. Per le differenze colla S. pauciserrata e la sua varietà vedasi il relativo capitolo e altrettanto dicasi per la S. intermedia e per la S. i leucocarpa. * * * La S. Maxoni è una forma sui generis ad affinità non ben chiare. È probabile però che essa sia strettamente imparentata colla S. Zahl= | bruckneri, da cui si sarebbe venuta staccando per un processo di de- | pilazione. Infatti anche la Zah/bruckneri è quasi glabrescente e si di- | stingue dalla Maroni più che altro per le ascelle dei nervi barbate. A | conferma del nostro asserto facciamo notare che entrambe appartengon | alla sezione guatemalese. Forse lé affinità vanno pure ricercate nella Ss | intermedia e nella S. pauciserrata, tutte forme viventi nel Guateme e più o meno presse di rivestimento tricomatoso, alcune colle ascelle PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPTE MUSCATELLO © LI barbate, altre imberbi, ma è certo però che se affinità ha da esservi con % queste essa è alquanto meno evidente. È Anche la S. Yasicae è glabrescente, ma ciò non ostante troppi ca- |» ratteri differenziali presenta per esser inglobata in un ciclo colla Ma- coni. Da ultimo osserveremo che molti punti di contatto si hanno an- che colla S. laevigata, colla S. smithiana. e colla Aequatoriensis, che però solo per caratteri di convergenza hanno assunto una fisionomia che ricord», sempre incompletamente, la nostra specie. Esse infatti abitano regioni lontane del Guatemala. | 59) Saurauia Zahibruckneri Busc. n. sp. Tav. IX fig. 18 (vedi vo-. i lume XXVI). : Esemplari studiati. i Es. N. 1286 di H. v. Turkheim, stato raccolto nel Guatemala (Dip. Alta Vera Paz) a circa 1350 m. (giugno 1907), di proprietà dell’ Er- bario Palat. di Vienna. Caulis cinereus apice nigrescente aut ferrugineo, pulverulento mu- cronulato. Petiolus 2-4 em. longus mucronulato puberulus. Lamina co- riacea, subcoriacea, viridis, ovalis lanceolata, basi obtusa, apice acuta vel apiculata, margine integro aut serrulato. Nervi secondarii superne ‘albidi subtus prominuli 16-18, nervi inter se distantes, subdicotomi, Nervi tertiarii a minoribus distinti. Pagina inferior, praeter axillas nervorum majorum diffusa barbatas, glabra: superior glabra vel pulvi- nulis minutis secus nervos parca ornata. Costa saepe setis et pulvinulis. minutis et raris subtus instructa. Inflorescentia foliorum brevior aut foliam subaequans multiflora. Pe- dunculus rufescens puberulo-setosus, (setis barbatis appressatis). Bracteae. setosae, minutae, lineares. Flores breviter pedicellati subsessiles, medio-. cres sepalis inaequalibus margine ciliolatis extra pulverulento-tuber - | colatis intus glabris. Petala calycem superantia. Stamina 20 ovario ptylia obsoleti instrueto. 1 Fusto rugoso cenerino nelle parti adulte, nigrescente all'apice, sparso Ley rea fogliari rotonde, grosse, molto prominenti da un lato, ne- dglica del fusto ricoperto da una fine pelata * forsigjiata che all'esame colla lente mostrasi costituita da mucroni barbati mi- 1 434 STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. nutissimi. Foglie giovani ricoperte di sete corte (0,5 mm. o meno) ferruginee. Picciuolo fogliare lungo 2-4 cm. nericcio, robusto, en di radi mucroni pulverulenti e di placche suberose rossiccie, molto espanse. 3 Lembo discreto per grandezza, ovalare, lanceolato, per lo più ot- tuso alla base acuminato all’apice 0 terminato in breve punta, coriaceo o subcoriaceo, integro o parcamente ed oscuramente serrulato al mar- gine, di color verde o verde brunastro sulle due faccie che sono pres - sochè concolori e liscie. Pagina supierore completamente glabra e, alla lente, anche un po’ granulosa. Talora si nota tuttavia qualche pulvinulo biancastro | sulle nervature di tutti gli ordini. La superficie appare inoltre gros- — solanamente reticolata (reticolo bruno) lungo il decorso dei nervi nello spessore del parenchima. Pagina inferiore glabra, fatta eccezione pei lati della nervatura mediana ricoperti da un fitto tomento gialliccio che aumenta in cor- i rispondenza delle ascelle dei nervi secondari le quali appariscono | così diffusamente barbate. Qua e Zà si riscontra lo stesso rivestimento al- lascella delle nervature di 3° ordine. La costa e î nervi sono glabri, ma talvolta si notano sulla prima delle rarissime e brevi sete, oppure. pochi pulvinuli. i: Nervature secondarie 16-18 curve, parallele fra loro, distanziate | l'una dalle altre, subdicotome verso l’estremità anteriore del lembo poco . distinte alla pagina superiore dove sono piane, di color un po’ più. 3 chiaro della rimanente superficie. Le stesse invece marcate alla pagina inferiore sulla quale sporgono assai. Nervi di 3° ordine perpendicolari ai secondari ed alla costa, ben distinti da quelli di 4° ordine, a decorso ondulato o Fatiitinoni anasto- motici fra loro. Infiorescenza più breve della foglia o subeguale a questa, matti flora, ramosa, lassa o un po’ contratta, a rami patenti, di rado obliqui, lunga da 6-16 cm. larga da 3-8 cm. Peduncolo robusto, piatto, striato, lungo da 3-8 em. rossiccio bruno, coperto di corte e rade sete ap pressate ferruginee spesso dilatate e pulverulenti alla base 0,511 mm. miste a puizernionee. Rami brevi (1-2 cm.) 0 lunghi (5 cm. circa) conformati come il peduncolo. Brattee spesso allontanate dalla posizione normale, ferruginee setulose curve, lunghe 3-8 mm. e più, larghe 2 mm. e più, ottuse od acute, lanceolate triangolari, lineari. Fiori brevemente pedicellati o sessili, non molto grandi (12-15 mm.). Calice u 5 sepali diseguali, lunghi 4-5 mm. ovali rossicci, dei quali i 2 esterni più stretti e acuti, gli altri ottusi. Sepali pulveru- lenti all’esterno (ed alla lente anche minutamente tubercolati setulosi), ma in vario grado a seconda della loro posizione poichè i due esterni lo sono su tutta la faccia, altri due solo nel mezzo e uno su un lato di detta faccia. La superficie interna dei sepali è glabra, il margine cigliato. Petali !/, più lunghi del calice o anche più, spesso smarginati o L, incavati all’apice, ottusi. Stami 20 circa ad antere lunghe bianchiccie, molto profondamente bifide, inserite a mezzo il dorso al filamento, minutamente poricide al- l'apice delle teche. Filamento breve, barbato alla base con peli rossicci. Ovario glabro a stili obsoleti. È Caratteri differenziali e di affinità. La S. pedunculata differisce per le cicatrici fogliari non molto grandi, per l'apice del fusto ricoperto di sete, per le foglie giovani colle ascelle barbate, per il picciuolo privo di placche suberose e coperto invece di sete appressate non pulveru- lente, pel lembo più grande (non sempre però !) frequentemente rossic - cio sopra, gialliccio sotto, intensamente e fortemente serrulato serrato, per la base fogliare quasi sempre acuta o subacuta, per la pagina su - periore d’ordinario più o meno setulosa sui nervi maggiori, non reti. colata, per l’inferiore pure analogamente rivestita, per le ascelle dei nervi secondari a barbatura meno diffusa, per il peduncolo dell’ infio- rescenza non coperto da setule puiverulenti e dilatate alla base, pei fiori più o meno pedicellati, più grandi e infine per un maggior numero - di stami. Concordano le due forme in particolar modo per la pulveru - lenza dei calici. © i Nella var. leucocarpa le differenze sono ancora maggiori pei lembi stretti, acuti alla base, doppiamente serrati. i . STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE EC©. Caratteri differenziali S. scabrida Hemgsl. S. Zahlbruckneri usc Caratteri comuni Fusto bruno rossa- stro o gialliccio. Cicatrici fogliari ‘bianchiccie. Partì giovani coperte squamiformi Pagina superiore ros- |siccia, l’inferiore più pallida. Pagina superiore |parcamente setulosa |muceronata. Pagina inferiore se. tulosa mucronulata! |(minutamente) inoltre] ilsubero Fusto cenerognolo. Cicatrici fogliari ne- riccie Parti giovani del fu- sto coperte da mucro- ni pulverulenti. Pieciuolo discreto coperto da placche se e mucroni pulverulenti. Margine oscuramen te serrulato, o integro. Lembo coriaceo, o ubcoriaceo. Lembo ovale lanceolato| a base pa aiar all'apice o termin in nervi se- dei b secondari cir- Infiorescenza subeguale| alla fog Binttso: minute, spesso spostate. Sepali pulverulenti tubercolati sulle parti sco- Enirambe le pagine di color verdiccio. Pagina superiore gla- bra o granulosa o (all lente), cosparsa «di rari reticolata Pagina ‘inferiore da: bra sul parenchima, quà e là provvista di pulvinuli Nervi di 3° inon barbati. scel Infiorescenza pauci- ordine| alle a ora, a Peduncolo pulveru- nto. Stili brevi o lunghi.| Messico, portante qualche raro ulvinulo e qualche seta sulla costa. 3° ordine “Infiorescenza multi- -Podmicolo sparso di sete barbate e di pul- verulenza. Stili obsoleti. Guatemala. ulvinuli bianchicci,| sini nel boccio, glabri nel resto e alla faccia interna; cigliati al margine. . Nel cielo della Pseudopringlei Busc. la var. Fluviatilis Buse. po trebbe esser scambiata colla nostra, ma essa presenta l’apice del pulverulento setuloso ‘colle sete inoltre abbastanza sla il Hi PROFF., LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO ciuolo è più setuloso pulverulento che mucronato pulverulento : il lembo | è molto grande e, sebbene verdiccio sopra e sotto come nella nostra specie, per lo più sottile, scabro, colla base acuta, col margine più de- cisamente serrulato : la pagina superiore non è punto glabra, ma all’op- posto variamente disseminata di mucroni, sete barbate e cuscinetti, men - tre l’inferiore presenta pure lo stesso rivestimento, pur mostrando una analogia colla nostra specie a causa delle ascelle dei nervi barbate: i nervi di 3° ordine sono poco distinti da quelli di 4°. L’infiorescenza non presenta notevoli differenze essendo anch’essa sviluppata pulveru- Jento setulosa e portando, del pari, delle brattee minute spostate. I fiori, all’apposto, differiscono per esser portati da pedicelli spesso allungati, per il calice quasi glabro sulla faccia, per gli stami più numerosi e per altri caratteri. La S. pseudopeduncolata Busc. presenta, quali caratteri differen - ziali, l’apice del fusto setuloso, il pieciuolo tubercolato e setuloso, il lembo decisamente serrato serrulato, la pagina superiore del lembo rossiccia setulosa mucronata, l’inferiore gialliccia pure rivestita di sete e mucroni. ed inoltre priva di barbature all’ascella dei nervi. Aggiungasi ancora che i fiori hanno un calice cosparso di tubercoli fulvi sulle parti sco- perte nel boccio. È Collima invece colla nostra per le seguerti caratteristiche : il pic- ciuolo è discretamente lungo, il lembo ha una base arrotondata, l’in- fiorescenza è pulverulenta setulosa, le brattee sono esili, i fiori infine sì presentano tone pedicellati. Occorre intanto notare che la PS È delle due specie è è differente. STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPYCIE AMERICANE ECO. Caratteri differenziali i Caratteri comuni S. Zahlbruekneri Uusc. S. Smithiana Busc. - Apice del caule co-| Apice cosparso dij Caule all'apice nigre sparso di mueroni, o|mucroni pulverulenti. \scente. setule a base larga, e| Foglie giovani co-| Picciuo'o lungo 3-4 di cuscinetti. erte. da sete corte em. brunice o. Foglie giovani fer |appressate. embo per lo piùl ruginee per brevi sete|: Pieciuolo cosparso di Vuttiasio oscuramente| |appressate, miste a pul-|mucroni pulverulenti serrulato al margine, ter- verulenza. e di placche suberose. minato in punta. Picciuolo cosparso di ,embo subcoriaceo. Paginasuperiore glabra. |euscinetti e di pochelcoriaceo, ottuso alla! Pagina inferiore con| ase, non crenato. rari mueroni 6 pulvinuli Lembo cartaceo, perl Pagina superiore ta- sulla costa. |lo più acuto alla base, lora con rari pulvinuli.| Infiorescenza grande,| {talora crenato. Ascelle dei nervi un po’ pulverulenta mal . agina superiore ta-|barbate. a peduncolo subglabro,|_ lora con rari mucroni. Pagina inferiorellungo. x Ascelle dei nervi senza alveoli. Brattee minute. imberbi. Nervi 16-18 e quelli Stami 20-25. Pagina inferiore di 3° ordine distinti mera di minuti al-|da quelli di 4°. "iori discreti. PRtervi 10-12. Quelli] Calice con 5 sepali di 3° ordine confusi variamente tubercolati con quelli di 4°, ipulverulenti all’e | Fiori piccoli, acalice sterno con 4 sepali glabri. Stili obsoleti. Stili 3-4-5 lunghi. Guatemala. olumbia. La $. Leoi Buse. differisce per le foglie acuminate alla base, per un. | maggior numero di nervi secondari, per la pagina superiore rossiccia, per il pieciuolo setuloso pulverulento, pei fiori molto grandi ricchissim di stami, dal calice pulverulento agri anche all’interno e infilo per la patria. ida aequatoriensis è è facile a riconoscersi pel fusto tubercolato: all'apice, 1 ig le een atton vanale di minuti ro celo gni i} PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO. croni, ma colle ascelle dei nervi nen barbate, per l’infiorescenza pres- sochè glabra, per le brattee spesso sviluppate, pei fiori setulosi sulla . faccia esterna, con 35 stami, longistili. Nella var. Boliviana troviamo pressochè gli stessi caratteri, ma le differenze si attenuano per la pre- senza di pulvinuli sul lembo e per l’infiorescenza pulverulenta, pei fiori subsessili a calice pulverulento esternamente. Esiste però sempre, come carattere differenziale iniportantissimo la mancanza di peli alle ascelle dei nervi. Le altre varietà della £. cequatoriensis si allontanano ancor di più dalla nostra specie per cui non meritano di esser virare Tutte queste poi. differiscono per la patria. La S. parviflora Tr. e PI. della N. Granata presenta i seguenti caratteri di affinità: apice del fusto pulverulento tubercolato: picciuolo lungo 2-3 cm. cosparso di pulvinuli e mucroni: lembo subcoriaceo, discreto, terminato in punta denticolata : pagina inferiore cosparsa di pulvinuli e mucroni sulla costa: nervi di 3° ordine inserentisi alla costa e ai nervi secon- dari, distinti da quelli di 4° ordine: nervi visibili anche alla pagina superiore come linee nere: infiorescenza grande, più corta però della fo- glia, a peduncolo robusto, a brattee minute. Differisce però notevol ‘mente per il minor numero di nervi sul lembo, per le ascelle degli stessi non barbate, per l’infioreseenza non setulosa, ma solo pulverulenta, per la pagina superiore minutamente mucrolata, l’inferiore cosparsa di minuti peli stellati sul parenchima, ‘per i fiori minutissimi a calice gla- bro e infine per la patria. cc picciuolo breve, il lembo cartaceo acuto alla base, con 20-21 ervi secondari, le ascelle dei nervi non barbate, i fiori grandi (3 cm.!) calice un po’ nta internamente e con molti stami permettono di riconoscere la S. pulchra Sprague, la quale però condivide colla no. stra i seguenti caratteri: fusto pulverulento all’apice, picciuolo cosparso i pulvinuli, lembo glabro superiormente o disseminato di radi cuscinetti | anchicci pure presenti alla pagina inferiore, margine minutamente errulato, nervi di 4° ordine distinti da quelli di 3°, calici pulverulenti olati. Nei casi dubbi la patria differente pren permette re di arrivare alla Bani differenziale. | i STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Caratteri differenziali S. pseudopittieri Busc. S. Zahlbruckpneri Bu Caratteri comuni Lembo cartaceo, ot- tuso od acuminato anteriormente. B |ceuta. Pagina superiore ros- |siccia, un po scabra. . Nervi circa 14. Pagina superiore con crone minuto sui nervi giori, Pedicelli discreta- |mente lunghi. Calice pulverulento e I |le parti scoperte . nel boecio, Costa Rica. pun del lembo a- bar Lembo a a- cuto o terminato in du del lembo ot- tusa. Pagina e, verdiccia liscia. Nervi circa 16-18. Pagina superiore glabra, o con qualche ilpulvinulo sui nervi. Pagina inferiore con qualehe pulvinulo sulla costa, del resto glabra. verdi dei nervi Pedicalli diati o bre- vissim Calice pulverulento itubercolato solo sulle parti scoperte nel occ'o, Guatemala. Cicatrici fogliari tonde, grosse, rilevate Apice del fusto pulve- rulento, con qualche mi- nuta seta. Fia adulto cenero- E° picornalò lungo 30-50 mm. pulverulento muero- nulato. Lembo discreto, a mar- gine denticolato. Nervi distinti sopra e i di 3° ordine di- rimini tubercolata. Fiori disc Corolla n grande del calice. Stami 25. Orio a stili li obsoleti. La S. strigillosa Tr. e PI. presenta i seguenti caratteri diffenziali : l'apice del fusto porta delle sete e dei tubercoli, il picciuolo è breve, setuloso, il lembo ha la base spesso acuta, i nervi secondari sono poco numerosi con qualche mucrone, quelli di terz’ordine si presentano mal distinti da quelli di 4°, le ascelle dei nervi sono imberbi, i fiori talora. lungamente pedicellati a calice pulverulento dentro e fuori, l’ovario ha stili spesso lunghi. I caratteri di affinità si riferiscono all’ apice del cnr nericcio, alle foglie giovani setulose, al picciuolo cosparso di len- alla Le margine minutamente serrulato, alla pagina superi PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO per lo più glabra, all’inferiore parimenti tale o pressochè tale, all’in- fiorescenza pulverulenta più breve della foglia e portante delle brattee minute, agli stami in numero di 25 circa, all’ovario con stili spesso obsoleti. Nella S. floccifera Tr. e PI. il fusto è pulverulento (per pulvinuli) tubercolato all'apice, il pieciuolo lungo 2-3 em. cosparso di pulvinuli, il lembo è spesso ottuso alla base, l’infiorescenza presentasi pulverulenta sui rami e porta delle bratte minute, i fiori subsessili, gli stami sono circa 25. A questi caratteri di affinità si contrappongono i seguenti dif ferenziali : lembo cartaceo, serrato, colla pagina superiore sparsa più o meno abbondantemente di pulv'nuli bianchicci, coll’inferiore disseminata di cuscinetti cenerognoli, nervi secondari più numerosi e non barbati alle ascelle, peduncolo dell’infiorescenza cosparso di pulvinuli, calici pulve- rulenti dentro e fuori. Aggiungasi ancora che la patria è differente. Nel ciclo della Rusbyi possono esser scambiate colla nostra spe- cialmente le sue varietà. La forma genuina differisce per le lunghe sete dell’apice caulinare e delle foglie giovani, pel picciuolo breve, pel lembo aspro al tatto, col margine serrato, colle ascelle dei nervi im berbi, pei fiori molto grandi ricchi di stami. La var. glabrata presenta pure caule e picciuolo setosi, inoltre è ricca di nervi, ha un lembo mu cronulato setuloso alla pagina superiore, setuloso ferrugineo all’inferiore. La var. spectabilis presenta il caule e il picciuolo mucronulati, la pa- gina superiore sparsa di mucroni sui nervi o glabra, l’inferiore analo gamente costituita e del pari priva di barbatura alle ascelle, l’infiore- scenza subglabra o tubercolata, i pedicelli lunghi. Lo stesso dicasi per la var. macrophylla, per cui, tutto ben considerato, la Rusbyi e le sue. varietà se hanno moltissimi punti di contatto colla ZaA/bruckneri dif-. feriscono sempre per le ascelle dei nervi secondari imberbi, per il si- ‘stema peloso costituito prevalentemente da sete e mueroni, anzichè da pulvinuli, e per la patria. La presenza di una base fogliare larga nella S. Za&hlbruckneri è ha indotti a stabilire dei confronti anche colla S. Rubiformis cosa. : Tinga za Buse. e vena Turez. STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC, LN Caratteri differenziali Caratteri comuni S. Zahlbruekneri B S. rubiformis Vatche Apice caulinare| Apice caulinare co-] Caule adulto glabro. i pro di sete pa- sparso di tubercoli puri Picciuolo lungo robusto, verulenti. mucronulato pulveru- "Set del picciuolo| Picciuolo con mu-|lento. eroni pulverulenti. pu di dimensioni] Mileinbo cartaceo sca-| Lembo coriaceo, liscio|medio sopra e sotto, verdiccio. A del lembo acuto Pagina superiore gla-|o con punt bra o subglabra. Base del bi ottusa. Pagina inferiore pres-| Infiorescenza ampia. sochè glabra: ascellel Calice variamente pul- dei nervi barbate; qual.|verulento tubercolato al- Pagina inferiore co-|che mucrone e pulvi-|l’esterno. 1 di sete e pelilnulo sulla costa. Stami poco numerosi. Ì Infiorescenza pulve- Brattee lineari. rulen Infiorescenza ispida. Bratt un po’ dila- Calice pulverulento Inte rno. Calice glabro all’in- Ovario a stili lun tern Stili obsoleti. Costa Rica. Guatemala. La S. aspera Turez differisce per la pagina superiore del lembo ‘5mucronata setulosa, per l’inferiore ancor più fornita di pulverulenza, > e mucroni, per l’infiorescenza breve, molto pulverulenta setulosa, r le brattee lunghe. La grande pulverulenza e setosità permette subito distinguerla dalla nostra specie, per quanto abbia comune con questa ; ascelle dei nervi barbate. La patria è poi diversa. 2 x Per ipa re Ja Lie ii na dobbiamo studiare | en- PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCAT Caratteri differenziali S. pseudorubiformis Buse. S. Zahlbruckneri Buse. Caratteri comuni Sete del caule lunghe. Pagina superiore o del [lembo scabra, tuberco- lata. Nervi sporgenti e sopra. Costa irta di setel ‘alla pagina superiore. an- -|gina. inferno presso- Setule brevissime, vi- sibili alla lente. Pagina FARSCISRO del lembo lisce sopra. Costa pressochè glabra alla pagina superiore. Nervature della pa- chè glabre. Pardichissi glabro!. alla pagina inferiore. | Ascelle dei nervi \barbate. revi bercolato n' tu 9 alla vee sg Ci lento sulle Nervi non sporgenti |P Infiorescenza grande. patenti, solcato reamente, setuloso al Fusto bruno, pa saeie con setule dilatate ‘Piceinolo Poet: ne- dea e|pette nel boccio, glak all’interno. 5 Stami Guatemala. Li 444 STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Caratteri d ifferenziali S. pseudorubiformis | Busc.,- var. guatema- lensis Busc. S. Zahlbruekneri Busc. Caratteri comuni Apice del caule co- perto da sete fulve e da pulverulenza mi- nuta. Piccinolo ela da sete e da Apice del fusto co- perto minuti e pulverulenti. Picciuolo rivestito da minuti mucroni pulve- rulenti e da placche Lembo dottile; obo- vato. ‘ - Margine doppiamen. te serrato, serrulato- dentato. Pagina piegato rossiccia, scabra, r stita di setule valle costa, di mucroni mi- nuti altrove. Pagina inferiore co- sparsa, sul parenchima, di minuti peli stellati, inoltre un po’ pulve- rulenta e fornita infine di mueroni e sete. > ps dei nervi non| barba Losi pauci esige iene 10-15 Calice pulverulento dentro e fuori, setoso sulle parti scoperte ne occio. Stili lunghi, o brevi. suberose. embo coriaceo 0 subeoriaceo, ovale-lan- ceolato. Margine oscuramen- te serrulato. Pagina superiorelg verdiccia, liscia, gla- bra, con qualche ulvinulo sui nervi. Pagina cre gla- bra, o a 0 qualita dba ulo e qualche breve seta sulla costa. Ascelle dei nervi barbate diffusamente. Infiorescenza con brevi pedicelli. Rage lunghe 8 . circa. * Galida pulverulento sulle parti scoperte ne boccio, del resto glabro. Stili obsoleti. da mucronilchiaro ‘calice. * ® * Fusto cenerognolo, Soi lungo 2-4 em. e del lembo ottusa. terminato in sea minute, spesso sposta Infiorescenza setulosa pulverulen “0 e calice ci D Corolla più grande del Stami in numero di- secreto. | Guatemala. La glabredine delle varie parti, se si fa eccezione pel calice e per le ascelle dei nervi, la forma della base fogliare, il margine foglint > den PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO || 0° db ticolato ed altri caratteri danno una posizione un po’ isolata alla nostra specie. i Noi abbiamo però, a proposito della S. Maxoni, accennato alle pro- babili affinità tra queste due forme. Qui sarebbe il caso di indagare se la S. Zahlbruckneri è ancora affine ad altre. Per questo studio non | potendo allontanarci dalla regione guatemalese, e ciò per ovvie ragio- ni (1), faremo rilevare che nel Guatemala stesso vi sono la S. rudiformis. e la pseudorubiformis che per la forma della base togliare e per altri . caratteri rassomigliano molto alla nostra specie. Però le stesse acqui- stano, per l’intensa pelosità, una fisonomia molto differente, di guisa che | a primo aspetto può parere strano che possano esser filogeneticamente af fini alla Zahlbruckneri. Se noi però consideriamo che nel Gen. Sau- rauia pressochè ogni cielo di specie è rappresentato da forme setose, da forme mueronate e da forme, infine, quasi glabre, possiamo trarne | conseguenza che la S. ZoAlbruckneri possa esser derivata dalla Pseudo- rubiformis, o dalla Rubiformis. per un processo di depilazione. Alle ri- pre future spetterà il compito di decidere in merito alla oscura di pa venne posta a nostra disposizione per lo stadio: ; ms Saurauia smithiana Buse. n. sp. ig XXI) STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE ARRICAR ECO. | Es. stato raccolto nel Guatemala e più Belsito a Retalhuleu > ai. 2000-2055 p. p.) dal Don. Smith. (Ex. pl. guat. ia ed. D. Sm.) o (Erb. di Kew, Berlino, Monaco, Washington). Frutex apice ramulorum nigrescente, vel luteo ferrugineo setis et pul- | vinulis instructo. Petiolus levis, sulcatus pulvinulis et setis minutis parce . obteetus. Lamina laevigata sublucida viridi-fuscescente, chartacea, obo- : vata, lanceolato ovata: basi acuminata vel rotundata, apice acuto aut ; apiculato, margine integro serrulato, crenato, erenaturis ampliis setoso- £ . Pagina superior et inferior glabre aut secus nervos ii rica parce. Nervi secundari 10-14 subdicotomi: tertiarii appressati a nervis minoribus non satis distineti. Nervi minores alveolati. . Inflorescentia multiflora ramosa ampla pyramidalis, peduncolo si fescente aut nigrescente subglabro vel pulvinulis et setis minutis parce obteeto : «ramulis dense ferrugineo-pulverulentis : pedicellis brevibw . Flores, Dai minores. vani 4 glabri aut puberuli extra et in- A) Biagi pauca, a datti Jolla divaricatis FALia Ihiocentibi rium glabrum stylis 4-2 brevibus aut longis. : aule nigrescente, solcato, coperto all'apice di cuscinetti siasi che ruginei e di minute setule dalla base larga, distinte talora bene solo la ente: : in qualche esemplare (Es. guatemalese) si riscontrano solo setule barbate alla base, minute e miste a _pacolitnt pale | ca cui pai grosse, un po. rialzatò, ar, con. anello e | cento (Rs E gi er di brevi sete o appressate, miste PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPTE MUSCATELLO 2/0 AT bro o granuloso_su entrambe le faccie, bruno verdiccio sopra, ed anche rossiecio bruno, più chiaro sotto e talvolta gialliccio verdiccio, cartaceo, ovale od obovato (Es. 1774), lanceolato ovale, molto variabile nelle di- mensioni (11-25) cm. di lunghezzaa 5-23 cm. di largh. (22 13 nel- l'esempl. di Guatemala dell’Erb. di Washington). Base gradatamente assottigliata, diseguale, ottusa od acuta, talvolta però anche notevolmente arrotondata e larga (Es. 1774): apice acuto od ottuso, oppure prolungantesi in punta robusta, acuta, lunga circa 60 cm.: margine integro, o denticolato alla base, oscuramente e forte- mente cerenato (in specie all'apice) altrove, oppure serrulato serrato. Crenature ampie portanti un mucrone o una seta minuta e curva, caduca. Nell'Es. 1774 il margine è fortemente serrato, ma le serrature tendono ad assumere l’aspetto di crenature all'apice del lembo. Saia Pagina superiore glabra 0 con rarissimi mucroni o setule bar- ; bate (Es. Guatem.) sulle nervature maggiori; è primi talora solo di- tinguibili alla lente. Superficie del resto liscia, ma alla lente fina-o mente punteggiata granulare. Pagina inferiore finamente punteggiata. per leggieri alveoli lungo i nervi minori, quasi del tutto glabra, ad. eccezione di qualche rarissimo mucrone, di qualche setula barbata Es. di Guatem.), 0 di qualche cuscinetto pulverulento, appena visibile. ad occhio, sulle nervature maggiori, sebbene nelle foglie crivani il ri. estimento sia più abbondante (Es. di Guatem.). so Nervi secondari circa 10-14, distanziati fra loro fin dalla base del lembo, alterni, obliqui, piuttosto curvi, subdicotomi, poco o punto ma: festi. sopra, finî, rossicci, non molto sporgenti sotto. Nervi di 3° or 3 finissimi, numerosi, avvicinati gli uni agli altri, a decorso on o, perpendicolari na ai ai eg cono onu di è 448 STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC, che rara setula barbata alla base, gli unije le altre ben distinti solo alla lente. Il rivestimento si fa più abbondante all’apice (Es. 1774). Rami pure rossicci, sottili o robusti (nella infiorescenza abbreviate), più densamente ferruginei pulrerulento-furfuracei per peli stellati (talora bianchicci Es. 1774), o per mucroni pulverulenti, visibili gli uni e gli altri alla lente e più o meno abbondanti a seconda degli esemplari. ‘Pedicelli brevi (3-7 mm.) o discretamente sviluppati, furfuracei pul- verulenti (Es. 1774). In generale i pedicelli sono brevi od anco. brevis. simi nelle infiorescenze abbreviate. Brattee minutissime, triangolari o lineari, lunghe 2-4 mm., larghe 1 mm.: bratteole spesso spostate lungo i pedicelli. Nell'Es. di Guate- mala le prime raggiungono tuttavia 1 em. di lunghezza, pur restando lineari. Fiori piuttosto piccoli (8-10 mm. di diametro) unisessuali (?) Calice con 4 sepali glabri, fatta però eccezione del margine che é sempre ci- gliato, subglabri o viceversa pulverulenti sulle parti scoperte nel boc- cio per peli stellati appena visibili come tali alla lente (Es. di Gua- temala): in qualche caso (Es. 1774) pulverulenti all’uttacco al pedi- cello, cioè verso la base che è nericcia mentre l’apice è rossiccio: in- SIRO pe SARNO RETI RIPON, SSR LES RARE SO IPA SERRATO RIO REN LT PA fine molte volte un po’ pulverulenti anche all’interno (Es. 1774). Se pali ottusi, o subacuti, diseguali, lunghi 3-4 mm. Corolla circa !/, più ampia del calice, o anche meno (Es. di Guatem.), a petali smarginati obovati. Petali 4 (?) 3 Stami pochi (20), o in numero discreto (30), più brevi della corolla, zi a filamento lungo, barbato alla base con peli bianchi (Es. 1774), adan. tere brevi o lunghe (Es. 1774), rossiccie, bifide, a feche molto divaricate aprentisi per un poco che si prolunga in rima più o meno lunga sulla faccia interna dell’antera. (Es. 1774 Es. di Guatem.). L'attacco , dell’antera al filamento avviene in un punto non molto lontano dalla | base della prima. Ovario glabro con 2-4 stili fini, brevi (infiorescenze brevi), 0 lun- ghi, con stimma puntiforme, o poco manifesto. Caratteri differenziali e di affinità. Le affinità colla S. pseudo- pringlei, pseudoleucocarpa, reticulata, barbigera, pauciserrata, inter- media, laevigata, Yasicae, Maxoni, Zahlbruckneri furono altrove di- scusse C i a PROFF, LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO — Colla 8. pedunculata Hook non si hanno che lontani accenni di . affinità e perciò è del tutto erroneo assimilare, come hanno fatto taluni, le due forme. La S. pedunculata infatti presenta fiori più grandi, ca: | lice a 5 sepali, più uniformemente pulverulento all’esterno e persino un po’ tubercolato., Poi porta costantemente 5 stili (brevi o lunghi). Per. quanto concerne le foglie troviamo che le stesse hanno un’altra forma e sono sempre serrate, rossiccie sopra e gialliccie sotto con nervature più © marcate sotto e più numerose, colle ascelle barbate e colle ‘vene di 3 ordine. ben distinte da quelle di 4’. Da ultimo più intensa è la setulosità > dalle varie parti, come picciuolo, fusto, infiorescenza e costole. ‘a Nella forma genuina della $S. /eucocarpa si hanno i seguenti carat: teri differenziali : fusto cosparso di minute sete dilatate alla base, lembo obovato cuneiforme, non molto grande, serrato e a serrature setulose, colla base acuta, coll’apice terminato in lunga punta stretta e colle ascelle dei nervi barbate : nervi più numerosi, infiorescenza parviflora e calici glabri. Le var. stenopylla e angustifolia differiscono ancor di più per le sete dell’ap'ce caulinare, pel pieciuolo breve e setuloso, pel lembo ì uo; Laos un po’ coriaceo, giallo ferrugineo, per la base fogliare p r lo più acuta, o subottusa, pel margine serrulato, per le sete che ri- numerosi, per l’infiorescenza parviflora (sebbene questa, al pari dell’in- fiorescenza della nostra specie, porti delle sete commiste a peli stellati), sa glabri e mucronati all’esterno e infine per gli stami più nu . Lo stesso sicari pe le altre. varietà della pece STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Caratteri differenziali . leucocarpa S. smithiana Buse. var. amithiana Buse. Caratteri comuni Foglie lunghe, stret-|- Foglie grandi, ovali e lunghe 20 mm., larghe 8 cm. colla base ot- tusa (non sempre però), sottili, verdiccie, brune sopra, più chiare sotto. Peduncolo talora ro- sto. Brattee credi di- ca o lun S. Marta (Columbia). Fusto bruno all’apice,| coperto di mucroni gial-| licci, pulverulenti e È setule a base larga. Picciuolo disereto, con. qualche cuscinetto pulve- È rulento Lembo ottuso anterior-| mente od appuntito. Pagina superiore con qualche mucrone. Pagina inferiore pun teggiata e pari ualehe mucrone. della SEE ampia. runi, sparsi di tubercoli gialli. e di peli PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO È 450 a vivono nel Guatemala ed inoltre hanno gli apici caulinari pulverulenti | per setule barbate, i picciuoli collo stesso fn pr i lembi verdicci, sottili e granulosi, pressochè glabri, con pochi nervi, sparsi di alveoli, V’in- fiorescenza munita di pulvinuli e di peli stellati, i pedicelli brevi, le brattee lineari, le bratteole spesso spostate lungo i pedicelli, i calici subglabri e infine gli stami scarsi. Nella varietà Crenata la rassomiglianza è ancor maggior per la presenza delle crenature, per le ascelle dei nervi non barbate, ma le differenze sono sempre reperibili nel pieciuolo più breve, nel lembo più piccolo e colla base fogliare acuta, nella mancanza di pulvinuli sulla fo. glia, nell’infiorescenza breve, parviflora, a fiori più grandi, con 5 sepali 3 glabri sulle faccie e con molti stami. / Nella S. intermedia var. granulosa l'apice caulinare è fornito di sete lunghe, il piceiuolo corto e setuloso, il lembo più breve, il margine | fogliare mucronulato, i nervi più abbondanti, l’infiorescenza assai corta, a rami setulosi setosi, i fiori più grandi e dal calice setuloso nelle Det 3 scoperte nel boecio. Nella S. strigillosa Tr. e PI. l'apice del fusto e le foglie porti solo sete e tubercoli, il picciuolo è ornato di lenticelle e setoso, il lembo coriaceo, glabro, o parcamente setuloso mucronato con margine serrulato, | colla pagina superiore rossiccia, coll’inferiore gialliccia, l’ infiorescenza è distintamente setosa (però anche pulverulenta), i calici a 5 sepali setosi all’esterno sulle parti scoperte nel boecio, del resto pulverulenti dentro. e fuori, gli stami più numerosi, l’ovario con 5 stili. La Pea ho la pra GS CA : Lt 3 Fi | STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. Caratteri differenziali t Caratteri comuni parviflora Tr. e PI. S. smithiana Buse. i Picciuolo lungo 2-3 Pieciuolo lungo 2-5| Apice del caule pulve- cm. : verulento-setuloso. Base fogliare acuta. Dea fogliare spesso| Picciuolo sparso di tu- Lembo obovato assai ‘ottus bercoli e di pulvinali. | ene ovale, lanceo-| Apice del lembo ter-|. fogliarellato-obovato. minato in punta | |. Margine foaliata Pagina inferiore un po’ crenato, serrato serru- alveolata lungo i nervi. a lato. Foglie giovani vestite Pagina superioreldi - pulvinuli e verdiceia, liscia, o alid | (più con rarissimi mu-!- Rami dell’infiorescenza eroni, pulveniont: .| Paginainferioresub-| Pedicelli brevi. laceo. aa. o con rarissimi Mi Pu TORnRI sui nervi. ko: pale alla foglia, o più _ |brege, con brattee li-| i, discrete o minute.j " Fiori Coen a cc si 6 Igino! Ha base rg 0, “gla bro: sulle Ae "e cora = Marta NG PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO presentando un’ infiorescenza breve, con fiori minutissimi dal calice. glabro. CA La $S. Pittieri vive anche nel Guatemala; ma è scabra assai per ue n tubercoli alla pagina superiore del lembo e per i minuti peli stellati al- * l’inferiore, inoltre è pure contraddistinta per una lunga infiorescenza sparsa parimenti di tubercoli e portante dei fiori piccoli a calice tu- . bercolato all’esterno, pulverulento dentro e fuori. Perciò non può in alcun. modo esser confusa colla nostra. Più facile è la confusione colla S. Pseudopittieri che, al pari della S. smithiana; ha un fusto con cicatrici fogliari rilevate e grosse, pul verulento setoloso all’apice, come le foglie giovani, il pieciuolo lungo, pulverulento tubercolato, il lembo di discrete dimensioni, con pochi nervi, parcamente tubercolato alla pagina superiore e all’ inferiore (dove poi sonvi pure dei minuti pulvinuli), l’infiorescenza ampia, portante delle. brattee lineari o triangolari, pulverulenta ferruginea, i fiori a calice pulverulen dentro e fuori. Le differenze però non mancano e fra queste meritano di esser tenute in conto da un lato la pulverulenza più diffusa sul fu sto e picciuolo, dall'altro il lembo dilatato anteriormente, acuto alla 80; scabro e. rossiccio sopra, vestito di peli’ stellati (rari!) ao, STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPSCIE AMERICANE ECC. Caratteri differenziali :S. floccifera Tr. e PI. S. smithiana Buse. Caratteri comuni Piecinolo lungo 2-3 em., non cosparso di etule, è Lamina rossiccia scabra pei pulvinuli. Nervi secondari Pit È ervi di 3° ordine ti da quelli di roi ri discreti. ice di 5 pezzi,| enti dentro. e inoltrè t LI so Margine sempre ser- (‘è A n Pieciuolo lungo 2-5 em., cosparso di setule (oltre ai pulvinuli). Lamina verdiccia pra. Margine spesso cre- ato. Pagina superiore non sl punteggiata di bianco. Pagina inferiore li- scia e pressochè glabra, rari essendo i pulvinuli. ervi secondari ct e “ii di 3° ordine confusi con quelli di 40, | Fiori piecoli. Calice di 4 pezzi/@ glabri, î vence ol variamen | pulveru-| lenti. i ne Marta. l’apice li ferruginei. Foglie giovani stesso rivestimento. vinuli. — Laminacartacea, ovale- obovata, terminata in punta, a base ottusa (non serrata. vinulo sui nervi. Lanbé grande, Infiorescenza gran d e, nulti a pulvinuli. Caule nigrescente al-| che è coperto da setule barbate e pulvinu- collo Pieciuolo sparso di pul- sempre nella /loccifera),| : Pagina superiore sub- ; glabra o con qualche pul-; Se obliqui sudieoto | 1 uncolo] subglabro, o con minuti Pedicali brevi Stam 3 "ali o PROFF. LUIGI BUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO "#6 o subglabro, un lembo lanceolato, stretto, rossiccio, bruno sopra, ruvido sebbene glabro, (ad eccezione di qualche pulvinulo sulla costa dal lato inferiore), e infine i fiori portati da una infiorescenza breve, a calice. glabro e con pochi stami. Tanto la Weberdbaueri quanto la FRS sono del Perù. Da ultimo, per quanto concerne i caratteri d fferenziali della so Rusbyi e varietà, il confronto r'esce utile soltanto con queste: nella i) Rusbyi genuina abbiamo infatti dei caratteri differenziali facili a for servarsi, quali i fiori grandi con molti stami, il caule formato da lunghe | sete (oltre ai pulvinuli), il pieciuolo pure setoso pulverulento e infine | il lembo coriaceo, setuloso mueronato sui* nervi. Più difficile è invero a riconoscersi la vat. glabrata la quale però presenta pure il caule setoso all’apice, il picciuolo setuloso, il lembo. rossiccio sopra, gialliccio sotto, sempre serrato, un po’ ruvido, granu- loso, ricco di nervi, minutamente setuloso mucronato superiormente ed inferiormente lungo i nervi e anche un po’ sul parench'ma, l’infiore- “scenza un po’ più breve della foglia, tubercolata setulosa furfuracea, pedicelli talora lunghi, i sepali infine minutamente setulosi. La var. spectabilis si riconosce al caule mueronato, al picciuolo par ivi ‘coperto di minuti mucroni e meno lungo, al lembo coriaceo 0 nt sempre Nerzulato senato, Abamisisio alla bas alla pagina, 456 STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC. stato raccolto da D. Smith, poichè nello stesso si legge la seguente no- tazione: N. 1493 S. pedunculata Hook = 1445. Abbiamo cercato gli esemplari portanti il Numero 1445 di D. Smith (Es. plant. Guat. et.) ed abbiamo constatato che essi provengono da un’altra località, cioè da Pansamalà dove furono raccolti a 3500 m. (V. gli esemplari corrispon denti di Kew, Monaco e Berlino). Gli stessi, pure contrassegnati appun- to col nome di S. pedunculata Hook., furono da noi descritti sotto la denominazione di $. leucocarpa var. smithiana. Pertanto, ben considerando i fatti, se ne deve concludere che la $. smithiana cresce realmente nel Guatemala dove ha dato origine a una forma la quale per presentare ad un tempo i caratteri della Jeucocarpa . e della smithiana fu appunto da noi battezzata con questi due nomi. ; Se le nuove condizioni di esistenza offerte dall’Hab tat nel Guatemala 5 ic hanno provocato la variazione esse non valsero tuttavia a modificare ; inesorabilmente la specie la quale perciò si presenta ivi con non pochi esemplari che hanno la fisonomia tipica delle forme di S. Martha. A questo punto sarebbs il caso di domandarci quale delle due sta- zioni va ritenuta come primitiva. La risposta. non è facile e solo potrà ‘essere data quando ci siano chiarite sufficientemente le affinità della nostra specie colle altre delle due regioni sopra ricordate. Per ora pos-. siamo solamente affermare che da una part» la S. smithiana ha una grande affinità colla S. floccifera delle regioni un po’ più meridionali del Sud America e dell’ altra per mezzo della var. smithiana si col- lega colla Zeucocarpa, colla Yasicae, colla pauciserrata, colla intermedia, colla Zaevigata, colla parviflora. E’ tutto un cielo di forme tendenti #7 e alla glabredine, alla crenatura dei margini, all’impicciolimento dei fiori (pauciserrata e intermedia eccettuate !), alla riduzione dei sepali estili, alla formazione di cuscinetti e pulvinuli. Indubbiamente molte di queste caratteristiche sono il portato di condizioni climatiche similari, e quindi ROBA 30 in riportabili ai caratteri di convergenza, ma ‘non poche sono invece l’e- spressione di reali affinità filogenetiche. Il territorio occupato da queste forme a struttura convergente è immenso estendendosi dal Messico alla Bolivia, ma in questa ampia zona vediamo però delinearsi le forme locali che il sistematico arriva pressocchè sempre a sceverare dalle altre quando si attenga serupolo samente all’esame di tutti i più minuti caratteri. Dalla forma steno-- =» PROFF. LUIGI RUSCALIONI E GIUSEPPE MUSCATELLO | 457 phylla della Zeucocarpa si passa infatti aila forma a lembo obovato della. Yasicae nicaraguense, da questa ai tipi crenati micranti della pauci serrata e intermedia del Guatemala, di qui, infine, ai tipi erenati mal erofilli e micranti della Smithiana e di ‘altre forme Sud americane. Quest’immenso polimosfismo ci vieta quindi di fissare il centro pri- mordiale di origine della S. Smithiana: ciò non ostante non ered'amo | di andar errati sospettando che esso sia da cercarsi nelle montagne di S. Martha, sia perchè detta forma è ivi abbondante e sia ancora perchè la affine S. floccifera cresce pure in interritori propinqui. Ma non po- trebbe spiegarsi il doppio Habitat con l’ ammiss' one di due centri di origine ? Rimane frattanto sempre il ciipite fenomeno della variazione chie la specie ha subito nel dominio del Gualemala dove, come si è detto, ha con alcuni rappresentanti, assunto la fisonomia leucocarpica. Noi a | biamo accennato a questo par ticolare a proposito appunto della $S. Teu | cocarpa ed abbiamo anche esposto ivi le ragioni che ci hanno indotto | a separare la « variazione » dalla forma Smithiana pe jniglobarl quella leucocarpica, di guisa che non intendiamo ora’ | ritornare: .tale argomento. : 61) Saurauia aequatoriensis. Sprague. ‘Pri da of the: Bot Cap. Dowding Col. Exped. Trans. Proc. Bot. SSARMERTE XXI. — _ Sinonimia: Saurauia glabrata Choisy DE Ma Soe. big Gen. 1855 xIV ‘Palava glabrata R. Pav (?) Syst pl. Peruv. 0 Ramuli superne nigri ut. petioli strigoso setosi, ARI Vv lanceolata apice breviter acuminata, 10,5-14 em. longa, margine ser rulato, venis lateralibus. utrinque 19.17 tertiariis. irregolaribus : a, cadi vane n inferior mirate cca STUDIO MONOGRAFICO SULLE SPECIE AMERICANE ECC, . (Cordillera orientale), dove la raccolse Wagner fra Banos e Rio Verde “a circa 4000-5000”. Frutice o arboscello a legno molle, alto circa 15 piedi, @ fiori. bianchi, o esternamente rubescenti. Fusto bruno rossiccio solcato, striato, lavigato, cavo, sparso di lenticelle, con qualche rara seta gialliccia fulva, abbastanza lunga (2-4 mm.) e talora un po dilatata alla base. Il rive- stimento di sete si fa più abbondante all’apice, in specie ai nodi, dove acquista un colore ferrugineo e così pure sulle foglie giovani che ne Tastgno. del tutto coperte. Le sete esaminate alla lente si mostrano leg- ( ‘costa della pagina inferiore, mentre sul ic dello stesso ) appaiono ricoperte da numerosi e minuti peli stellati distingui-. ili però solo alla lente. La pagina superiore è pressocchè glabra. Picciuolo delle foglie adulte rossiccio, bruno, solcato, lungo 2 em. ; cosparso gra od abbondantemente degli pihar: è quasi dimipre revoluto verso chi la ‘ 956, superiore liscia 0) nd rossiccia- caino v acre, Prof. LUIGI BUSCALIONI | Ae Frammenti di storia della botanica contemporanea italiana 0 N Nelle precedenti pagine abbiamo lasciato il Pirotta in accinto di (0 partire, con un inconcludente e poco pesante bagaglio scientifico, alla volta | della capitale d’Italia, dove gli era stata affidata la direzione dell’Istituto + botanico universitario, Indubbiamente il lettore stenterà a credere che un i botanico sia giunto, come affermo io, alla più importante cattedra bo. | tanica italiana con tanta disinvoltura (malgrado le strombazzature del collega Avetta sull’opera scientifica del Pirotta), laonde è necessario che i io dia le prove del mio asserto, con documenti alla mano atti a mete SL tere in debita luce il fenomeno veramente stupefacente ed immorale ma pur troppo non unico negli annali universitari italiani. Colgo intanto la palla al balzo per elevare qualche spunto di critica sui moderni s’stemi di nomina dei professori universitari. 33 A. Il Prof. Pirotta non ottenne la cattedra botanica presso vU- e niversità di Roma in virtù di un concorso. È Sul significato morale dei concorsi universitari e an sazia | che essi danno, come criterio del valore scientifico dei concorrenti alla. ‘cattedre, i pareri sono alquanto discordi daechè taluni non nutrono al-_ cuna fiducia sulla serietà e persino sulla moralità delle commissioni. giudicatrici, mentre altri, fra cuì il sottoseritto, ritengono che, tutto presso, il concorso rappresenti ancora il sistema che offre maggiori. Pirotta, da un Mattirolo e C.* Non mi dissimulo tuttavia che, a tenore dei vigenti regolamenti per la nomina della commissione, atti a favorire avorio larvato, o palese da parte di coloro che desiderano e esser membri . ] commissioni, queste risultano per lo più costituite da professori mestatori prriene r9 BS rasi: avidi di immeritate miniati fittizie 2 ) "cena Mattirolo e ca, ma sio tutt 460 FRAMMENTI DI STORIA DELLA BOTANICA CONTEMPORANEA ITALIANA ed impari spesso al mandato, ì quali, pur di mantenere un predominio sui colleghi, giudicano e mandano in base a eriteri immorali, talvolta delittuosi e poi sempre vigliacchi in quantochè il verdetto delle com - missioni è inappellabile. La botanica italiana che da 20 anni circa è asservita al giudizio di una commissione costituita pressochè sempre dagli stessi nomi, offre appunto la più bella prova e il più miserando spettacolo di quanto vado affermando. Ma, non ostante questi gravissimi difetti ritengo, che in linea di massima, il sistema del Concorso sia ancor sempre il migliore e non | evidentemente con tale procedimento di frustrare l’opera mia di avversario alla triade. È) correttezza questa ? No. Ciò posto mi permetto qui di contrapporre l’o- perato mio facendo rilevare che nessun collega delle università di Roma, Torino e Pisa (per citare solo le sedi universitarie occupate dalla triade in questione) può produrre una mia sollecitazione, o diretta od indiretta, tendente a far esclu- dere dalle commissioni i miei avversari Pirotta, Mattirolo e C.% sebbene io avessi, assieme ad altri botanici, tutt» l’interesse ad escluderli. Ma la mia cor- rettezza, o per esser più esatti la mia dabbenaggine, andò tant’oltre che una volta ebbi ad attirarmi i fulmini di qualche botanico per essermi dimostrato proclive ad introdurre nelle commissioni di concorso il Mattirolo (che io scioc- + camente ritenevo ancora degno di far parte di commissioni) purchè questi non avesse un Pirotta ai fianchi. Era evidentemente una dabbenaggine poichè io non considerava che un Pirotta‘dietro le quinte poteva benissimo rappresentare la parte di suggeritore ascoltato. È tanto per finire aggiungerò ancora che con- corrente anch’io in un recente concorso universitario, essendo stato invitato dal Preside di Facoltà a procedere alla votazione per le commissioni di concorso sentii il dovere (e i colleghi possono attestarlo) di non influire sugli amici nella scelta dei nomi dei commissari, di guisa che cortesemente richiesto dagli stessi di indicar loro una terna (che evidentemente doveva essere a me favorevole) non ne proposi alcuna, facendo esplicitamente rilevare che, data la mia posizione di concorrente, non era lecito agire diversamente. Naturalmente non votai la terna Ppirottiana a me notoriamente ostile come quella che, a buon diritto, era già stata fustigata a sangue in una mia pubblicazione! Ho per altro ragione di ere- dere che neppure gli altri professori della Facoltà di Catania votarono siffatta terna essendo dall’Alpi a Trapani ben noti i sistemi adottati dai pirottiani per. la. scelta dei professori universitari. Possono vantare altrettanta onestà di agire i miei avversari? Ne dubito e con me ne dubitano tutti i botanici che conosco — ed saison il "read della pesa moralità. " mancherà di meritare ancor di più la preferenza su tutti gli altri A quando si abbia cura di apportarvi opportune modificazioni. Ed io sono. lieto di poter dichiarare quì che ho in preparazione un progetto di ri- forma che se verrà accettato dal Ministero eviterà indubbiamente l’in- feudamento del posto di commissario, escluderà inesorabilmente dalle commissioni i professori notoriamente trafficanti e partigiani e porterà, infine, uno spirito di moralità nell’istituzione dei concorsi. Ed allota le crieche dei Mattirolo e dei Pirotta esuleranno dalle commissioni, pa- — rola mia d’onore, per quanto attivo possa esser l’armeggio di costoro — per riuscire a tener in mano il mestolo dei concorsi. Sarà così tanto di | guadagnato alla causa dell’amabile scienza e al prestigio universitario, O | ma appunto per questo è dubbio che il mio progetto abbia ad gin bene accolto. 18 Fatta ora questa mia Li di fede in fatto di concorsi tiniversi- 5 tari osservo che il Pirotta non raggiunse la cattedra di Roma in virtù di un. | concorso: anzi è mia intima convinzione, condivisa da pressochè tutti i bota: nici italiani (Mattirolo e C.* esclusi) che se egli avesse dovuto passare sotto. ca all ‘epoca in cui era vacante la Cattedra di Roma si avevano, fortuna= tamente, in Italia dei nomi abbastanza illustri di botanici che qualora fosse bandito il concorso per tale Cattedra avrebbero indubbiamente superato il cimento, lasciandosi addietro il Pirotta, a condizione ben in- teso che la Commissione non fosse costituita da membri dello stampo li un Mattirolo e C.* La chiamata del Pirotta a. Roma costituì per tanto un vero delitto di lesa botanica, poichè è cosa indegna che lau re di una dozzina di miserabili lavoretti, quasi tutti pressochè pseudo ptifici, riesca a passar avanti a chi ha meriti reali, saggi 4 ubblicazioni e una produzione scientifica più elevata. orse qualcuno potrebbe farmi rilevare che se il Phrotéi non Pea illo tempore, per la Cattedra di Roma, lo divenne in seguito, >, il suo insediamento. Ma è una futile obiezione poichè chium ghezza di canna la an scientifica sa rg Ì 462 —FRAMMENTI DI STORIA DELLA BOTANICA CONTEMPORANEA ITALIANA massimo si riduce sempre a ben poca cosa. E non mancherò di dimo- strarlo a suo tempo. B. Il Pirotta non ottenne la cattedra botanica di Roma per voto di Facoltà. Premetterò due parole di critica al sistema che secondo taluni offre s ‘maggiori garanzie rispetto al concorso, sebbene moltissimi facciano rile- vare giustamente che dove una cattedra è vacante la Facoltà, costituita, in tesi generale, da persone incompetenti, non può addivenire ad una scelta. basata su criteri scientifici. Per costoro la chiamata dovrebbe essere ammessa solo in casi eccezionali, come ad esempio quando si abbia a coprire una cattedra avente un determinato indirizzo e oltremodo spe. cializzato, ma allora la facoltà dovrebbe motivare, con fondati argo - enti, il suo deliberato. Anche io sono di questo parere, avendomi una unga pratica universitaria dimostrato che dozzine e dozzine di profes» ‘i furono chiamati a coprire determinate cattedre non già per la loro | coltura, il più delle volte anzi deficente, ma perchè essi erano stati evi ed i beniamini dei componenti la Facoltà, oppure perchè così voleva PROF, LUIGI BUSCALIONI tere falangi di nullità scientifiche che non sarebbero riuscite a con- quistarle percorrendo la via maestra del concorso. Io potrei senza al- cun sforzo mnemonico citare per lo meno 20 di siffatte pseudocelebrità (qualcuna arrivata in tempi recentissimi), mentre a mala pena potrei - tirar fuori un paio di nomi meritevoli di tanto trattamento di favore. Si vorrebbe, affermano i fautori del sistema, con questo mezzo sottrarre il grande scienziato, cioè la celebrità di fama mondiale, al giudizio di quei professori che gli sono inferiori intellettualmente, ma a prescin- LI dere che non è possibile stabilire dove cominci il genio e dove cessi il puro scienziato, a prescindere che definire il genio è cosa ardua poi, E chè se diventa facilmente tale chi fa cosa utile al prossimo, o si de- . dica a scempiaggini letterarie non raggiunge che difficilmente la meta 5 .. chi lavora nel campo della scienza pura, astratta e senza immediate — : applicazioni, non comprendo come una persona colta, superiore, ge- niale abbia ad offendersi, quasi avesse a subire una diminutio capitis, | qualora venga costretta a subire l’alea di un concorso per arrivare ad una cattedra. sa Egli la otterrà certamente e prontamente (salvo, forse, che nella ‘commissione entri un Pirotta o un Mattirolo) e perciò il suo amor pro- prio di scienziato si troverà pienamente soddisfatto. Ed è appunto. co causa, sia dell’impossibilità in cui ci troviamo di applicare gli art. 69, 2 e 24 con sani criteri di scelta, sia delle difficoltà contro la quale. dd imbattiamo quando vogliamo stabi:ire se un dato scienziato appar-. e ga ssi classe ia veri geni, ne e articoli in -aueotgio sua servito. FRAMMENTI DI STORIA DELLA BOTANICA CONTEMPORANBA ITALIANA i D) Il Pirotta fu chiamato a Roma per via dell’intrigo e gi amicizia, o per lo meno per vie estra regolamentari. Data la miseria delle pubblicazioni pirottiane non si potrebbe a- spettare un’altra soluzione, come del resto lo attesta quanto verrò espo- nendo, sebbene io, non abbia potuto seguire il filo d'Arianna della trama che ha portato |’ autore delle famose recensioni d’indole agraria alla .. Stando alle informazioni avute da fonti diversissime, non tutte per itro conformi, sotto alcuni punti di vista, risulterebbe come cosa certa ‘il Pirotta deve la conquista della cattedra al Pala a Cinesbips istro della Pubblica Istruzione. ù È cosa saputa che il Baccelli, avendo concepito un ampio piano di f Mna;uolzcipitaria, non si curò più gran che delle. ‘cattedre rimaste an i durante l’elaborazione del progetto ed anzi per ottenere che questo sse a conseguire più facile applicazione, oserei dire più libera at. one, stimò opportuno di coprire, temporaneamente, i posti vuoti a mezzo di incaricati e dì straordinari, scelti il più delle ‘ volte fra gli i raccomandati, e pressochè sempre poi senza criterio scientifico. rta. In tal guisa le migliori cattedre universitarie vennero asse ‘a dei Carneadi della scienza. Baccelli, però, edotto del danno che così ta apportava alle nza , nel progetto in gestazione, che il vero e si può i bdo: professore. universitario fosse quello ordinario, | per cui chiun avesse: aspirato all’ordinariato doveva inesorab. Imente sottostare ad o che avrebbe radiato gli inetti, anche se costoro. già aves Lacuna du di, L’inearico e lo straordinariato erano adunque per a rare, aleatorio; ma per converso ahimè! ‘avendo il ‘ PROF. LUIGI BUSCALIONI categorie formata l’una dagli ordinari, l’altra dagli straordinari (a pre- si scindere dagli incaricati che figuravano solo come un'appendice nel ruolo vero e proprio degli insegnanti). Si naviga pertanto sempre in piena — ingiustizia poichè un professore straordinario che ha vinto il suo bravo concorso e che ha il più delle volte cultura eguale, od anco superiore a quella di un ordinario, merita pari trattamento, senza contare poi che si stabiliscono delle gerarchie fra persone che vanno invece considerate ex jure eguali in quanto sono, in teoria almeno, di pari grado intellet- tualmente, si dà motivo agli studenti di considerare tutta una categoria di insegnanti (gli straordinari) come meno rispettabile, e infine si mette. «un gruppo di professori in balia ed in certo modo quasi sotto. tutela di un altro più elevato burocraticamente. Lo Stato, è vero, mantenendo | siffatte categorie di insegnanti risparmia’ sugli stipendi, ma io osservo che è un risparmio esoso, un vero furto che esso commette, dacchè l | insegnamento di una data disciplina, quando venga impartita da persona . degna per aver vinto un concorso deve esser retribuito a un’ unica | stregua, non essendovi disparità tra le due sorta di insegnamenti (1 Se ora passiamo all'incarico (quando non si tratti di un provvedi | mento a brevissima scadenza) poche parole varranno a dimostrare che esso costituisce una disposizione di cose ancor più deplorevole, bastando ug ‘nopo qonsiderare ehy la, studente, il us paga fior di ppi: fa «cagna pedestremente, sulica allievi. non avendo È preso par pres o con esito negativo. SOTA da 466 —RAMMENTI DI STORIA DELLA BOTANICA CONTEMPORANEA ITALIANA | tuna, di intrighi e di amicizie, inquantochè nulla aveva egli a sperare — dai suoi più che modesti e inconcludenti titoli scientifici. Sostengono o alcuni che il Baccelli, in occasione di una sua visita all’ateneo mode- nese, avvenuta appunto in un momento in cui la cattedra botanica ro- “ mana era rimasta vacante, avendo incontrato il Pirotta proponesse a questi, quasi a bruciapelo e senza alcuna plausibile ragione, il passaggio a Roma che fu naturalmente accettato al volo. Mi assicurarono altri che vi entrò di mezzo l’azione del Prof. Caracol iti professore di zoologia presso l'università romana, il quale, per esser intimo amico del Baccelli, propose a questi la chiamata del non meno amico Pirotta che però non sembra serbasse troppa gratitudine al suo benefattore. Infine non mancano coloro che affermano che la pratica fu con tta a termine dal Dott. Scarenzi professore di clinica dermosifilopatica | ll’università di Pavia, il quale, per la sua posizione e per aver coperto so quale incarico a Roma, essendosi trovato più volte a contatto col Baccelli, riescì facilmente a piegare il clinico ministro a favore del no compaesano. In questo caso, si vera sunt erposita, la conquista della | ttedra universitaria avrebbe avuto un addentellato col famoso motto : ‘icero pro domo sua » inquantochè poco dopo lo Scarenzi accordava Lon ia in moglie al neo ev. di Balpatte dell Università PROP. LuISI USCALIONI poco dopo il primo raggiunse lo straordinariato (se pur non "Padova di già ottenuto, grazie a quanto ho sopra esposto) e l’ ordinariato, senza alcun concorso, imbrancato come era nella falange abbastanza cospicua delle nallità baccelliane. Come le favole anche queste verità, pur troppo dolorose per le università italiane, hanno la loro morale: ed io mi permetto rivelarla al Pirotta facendogli osservare che egli, avendo raggiunto una cattedra tanto importante con una procedura così scorretta, avrebbe dovuto sentir | il bisogno, in certo qual modo, di redimersi appartandosi nel proprio - laboratorio per sanare, collo studio e con pubblicazioni degne di Roma, | l'ingiustizia fatta ai terzi. Invece ahimè! nulla di tutto questo avvenne: | il Pirotta, anzichè esser assillato dal dovere di elevare, coi grandi mezzi FS SET di cui egli disponeva, la botanica italiana ad un livello superiore a quella turca, pensò unicamente di metter la posizioné, ingiustamente acquistata | dal punto di vista morale, al servizio del proprio io preoccupato dalla | ricerca febbrile di vani onori, di incarichi e di varie posizioni politi- che. Si intrufolò pertanto in tutte le commissioni, pur mon avendo. spesso la debita competenza, tenne continuamente fisso lo sguardo e’ la mente su un certo palazzo di Piazza Madama in Roma che fino ad ora, per il decoro del buon nome italiano, fortunatamente gli ha te- nuta chiusa la porta, e, quel che più è deplorevole, cercò di asservire la botanica italiana ai suoi voleri, rendendola mancipia di una cricca tut- altro che prona all’ara della scienza. | Ora tutto questo un Pirotta che avesse avuto una capra coscienza (o) scandalo che ha suscitato la sua nomina a Roma avrebbe dovuto, da di ngn e Ul i proprio pra "aac ee e tanto IV° STUDIO (Pror. L. Ania E Dot. G. RoccELLA) Le emissioni di ossigeno attivo da alcuni organi delle piante Storia dell'argomento. I fenomeni di ossidazione delle sostanze organiche, i quali costitui scono una delle principali sorgenti di energia, hanno ricevuto varia inter pretazione, il che si comprende facilmente quando si consideri che talune sostanze attivatrici dell'ossigeno sono ancor poco note nella loro intima essenza e d’altra parte incerto è qualche volta il meccanismo della loro a- zione. Non è nostra intenzione addentrarci eccessivamente in un argomento così complesso, ma poichè i fatti che sono venuti in luce colle nostre ricerche collimano e completano le osservazioni di non pochi studiosi. cercheremo di illustrare, il più brevemente che sia possibile, l’ opera di ‘costoro in quanto ha attinenza colle nostre indagini. c Dopo le classiche ricerche del Schònbein e del Treub (1) che hanno segnato per un certo tempo una notevole tappa nel cammino scientifico | | î tano di esser segnalate quelle del Pfeffer sui ‘processi di ossida zione, essendo giunto. l’Autore alla conclusione che le ossidazioni en- Iulari si compiono a spese dell’ ossigeno molecolare, non essend bile ammettere l'intervento di perossidi e specialmente dell’H, (0) perchè questo corpo è dannoso, sia perchè la sua presenza verrebbe na da sostanze coloranti, facilmente ossidabili e dee nai 0, introdotto ad arte. LE EMISSIONI DI OSSIGENO ATTIVO DA ALCUNI ORGANI DELLE PIANTE 469 È possano mascherare i risultati, essendo tale eventualità stata posta in È evidenza e su salde basi dal Bergengruen. Ciò posto, come non esistono i perossidi nelle cellule, non può nep pure sussistere l’ozono (ammesso dal Schòrbein) essendo del pari vele- noso, mentre si ‘riscontra l’O molecolare che permette ai parassiti di vivere nelle cellule e provoca le lente ossidazioni caratteristiche di ti molti processi vitali. Aa Tuttavia giunto al termine dell’interessante studio l'A. dichiara leal - mente che talora, come vide il Molisch, da vecchie radici coltivate in mezzi colorati colla tintura di guaiaco escono delle sostanze che danno — | la reazione caratteristica ed egli non sa se tali corpi siano il prodotto — di secrez one di elementi vivi o morti. . Aggiunge pure, infine, che solo quando i sughi cellulari emigrano dagl: elementi si ha una reazione rivelante la presenza di O atomico © e ciò per la mescolanza di sostanze attive che nelle cellule vive erano separate le une dalle altre. ro Tutti sanno però che le conelusioni dell’illustre fisiologo di cosi hanno subito non pochi rimaneggiamenti in tempi recenti grazie, spe- | cialmente agli studi di Bokorni, Low, Griiss, Raciborski VAOAR o DEA i Ara ed altri autori. i Dal complesso degli studi di Chodat e Bach, cui molto dobbimabi su questo interessante argomento, è risultato che anche nelle cellule vive esistono differenti sostanze attivatrici dell’ ossigeno molecolare. Una i queste sarebbe costituita dal gruppo delle ossidasi capaci di far di- ntare bleu la tintura di guaiaco e di mettere in libertà V’J dell’HJ. Esse si scindono in perossidi organici ed in perossidasi. Si hanno poi i pe ossidi, che da soli poco attivi, accentuano la loro azione sull’ossigen o vengano a contatto colle perossidasi pure presenti nelle cellule uesto tipo apparterebbero molte delle cusì dette ossigenasi state stu e da vari autori, non risultando esse attive che da miscogli di È xa organici (a tipo di Ro i e di perossidasi di binotazio, i Del resto 16 stato di sa costituisce un termine di passaggio processo. ossidativo e le perossidasi, per se poco energiche (contraria quanto vide il Low), si fanno attive coll’ invecchiamento hè ca alla “condizione di reni, | PROF. L. BUSCALIONI E DOTT G. ROCCELLA Insomma le ossidazioni, caratterizzate fra l’altro dalla colorazione bleu che assume la tintura di guaiaco per ossidazione dell’acido guaia- conico, possono avvenir o sotto l’influenza delle ossidasi, o di un’as- | sociazione di perossidi e di perossidasi. Perossidi e perossidasi da sole. non colorano il guaiaco come non colorano |’ Ursol, danno invece la | reazione se associate allo stesso modo che, da sole però, la danno le ossidasi. Secondo i due autori il Pfeffer dunque non avrebbe ragione negare la presenza di fermenti ossidanti (ossidasi perossidasi) nelle. cellule ed essi spiegano l'insuccesso da questi ottenuto col fatto che il feffer limitò le sue ricerche all’H,0, senza curarsi della eventuale pre za di altri perossidi. Per Chodat e Bach poi l’acqua ossigenata non be, entro certi limiti, neppure velenosa per le cellule essendo essì riusciti a coltivare ‘organismi in presenza di questo liquido. E ridi e delle perossidasi sul vivo (50 piante furono studiate), tanto acendo uso del guaiaco, che dell’JK e della salda d’amido. Non tutti però sono di accordo con queste idee, nè tutti sono con rdi col significato dei vari nomi. Il Griss, ad esempio, divide le so stanze ossidanti delle piante nei tre gruppi &, $, y, uno dei quali sa- be: costituito da fermenti attivi da soli, gli altri due da sostanze che dono l’ intervento di speciali composti eccitatori per entrare In fondo fin qui siamo sempre nell'orbita delle idee del Chodat, l'A, se ne stacca notevolmente quando ammette l’esistenza di ossidasi di trasformare ro Inoiscolae La Afainno e ala stesso e. LE EMISSIONI DI OSSIGENO ATTIVO DA ALCUNI ORGANI DELLE PIANTE 471 cora spianata, poichè ricerche di varia indole e da parte di non pochi studiosi ci inducono nuovamente a ritenere che nelle cellule esistano gli ineriminati fermenti. Depongono in questo senso innanzi tutto le osservazioni del Pal- ladin sui cromogeni di respirazione, per quanto esse abbiano trovato un'opposizione, secondo noi fuori di posto, nelle ricerche di Schulze e di Dony Herault, nonchè in quelle del Reinitzer che trova spesso i por tatori di ossigeno del tutto scolorati. > Secondo il Palladin nelle cellule esisterebbe un procromogeno il quale. per un processo alquanto oscuro, passerebbe allo stato di cromo- geno a funzione perossidica. Quest'ultimo, grazie. alla presenza dell’ossi- | geno attivo che in questa trasformazione viene eliminato, assumerebbe una determinata colorazione. Trattasi insomma del così detto cromo» geno di respirazione stato isolato dal Reink, per lo più di natura | tannica oppure costituito da pirocatechina come ad es. nel fagiolo Il cromogeno di respirazione ripasserebbe di poi allo stato di leu-. ‘cobase scolorata per iniziare nuovamente il processo , respiratorio. Le ‘varie fasi del processo starebbaro intanto sotto il dominio regolatore del protoplasma che, una volta morto, lascierebbe i fermenti in questione li- eri di agire in modo disordinato sui costituenti cellulari. Mi HM concetto del Palladin trova un certo appoggio nelle recenti os vazioni di Miss Wheldale che con Moore, Weewers e Passerini ri ome la reazione al guaiaco sia spesso accompagnata da una 001; I one bruna «delle parti venute a contatto del reattivo e quale si quani o sì trattano taluni tessuti mise col cloroforana. ves 472 PROF L. BUSCALIONI E DOTT. & ROCCELLA ozonidi e l'ozono. Miss Wheldale trova del pari che taluni succhi cel- lulari danno la reazione delle ossidasi dirette (ossigenasi) altri, quelle delle indirette, ma rileva per altro che in alcuni casi si hanno tutti e due i fermenti associati e di questo parere sono pure il Keeble ed il Jost, anzi quest'ultimo ammette persino l'intervento di ‘un terzo enzima, tutti | quanti sottoposti al controllo del protoplasma, senza del quale si avreb- bero delle combustioni abnormi endocellulari. E dacchè abbiamo incidentalmente accennato all’intervento del pla- sma faremo osservare che da taluni è stato appunto assegnato ad esso il poter di scindere i perossidi provocando così le ossidazioni cui ab- biamo sopra accennato. Altri (Wager) fanno derivare le ossidasi da scomposizione della clorofilla, della xantofilla e delle carotine, sotto ‘azione della luce, ma noi faremo subito notare che i recenti studi del. lillstiitter sono tutt'altro che favorevoli per una simile interpretazione. snsibilizzata spieghi pure analoga azione. Ben altrimenti va la cosa oi fissiamo la nostra attenzione ai lipoidi endoclorofilliani la cui ne respiratoria è stata presa in esame da uno di noi (ussstibal vedremo fra poco. LO) 'ntto ben sommato noi non siamo ancora sortiti dal campo delle speculazioni teoriche per quanto concerne il modo di concepire rigine e la funzione delle ossidasi (in l. s.) negli organismi viventi. però si è ‘che nelle cellule esistono degli speciali corpi. ‘incolori i sotto l’azione di determinati fermenti assumono» lui pe: % LE EMISSIONI DI OSSIGENO ATTIVO DA ALCUNI ORGANI DELLE PIANTE i 478 a vedere con quali mezzi gli autori riuscirono a rivelare la loro pre- senza nelle cellule, o viceversa a eseluderle. Per trattare però l’argo mento in modo esauriente occorre anche fare qualche osservazione sul valore dei vari reattivi adoperati come mezzo di prova. Abbiamo già accennato sopra al metodo del Pfeffer che consiste nel fare penetrare nelle cellule sostanze coloranti capaci di scolorarsi a contatto di fermenti ossidanti endocellulari, o viceversa di subire varia - zione di colore per opera di perossidi venuti dal difuori: rimane pertanto . da discutere qualche altro reattivo proposto in tempi più o meno recenti, Da lungo tempo si usa la tintura di guaiaco ottenuta colla resina fresca, la quale a contatto di O attivo si colora in bleu. La reazione è molto probatoria, ma non è tuttavia specifica. Lasciando da parte l’af - a, fermazione, forse erronea, del Posodko, del Franzen e di altri che senza la presenza di O il guaiaco non reagisca, noi ci limitiamo qui a rile vare che il reattivo si colora in azzurro in presenza di sali metallici, che, come si sa (ferro, manganese et.) funzionando da catalizzatori i. norganici attivano l’azione dei fermenti ossidanti. La reazione avverrebbe pure in seguito a fotossidazione, in presenza di ossigeno molecolare, perchè, a quanto pare, si formerebbe qui un perossido trasportatore di 0. Del resto, secondo il Bach, il guaiaco si colora pure a contatto del. ‘acqua sbattuta, dell'alcool, stato un pò a lungo alla luce, dell’ammo. ca, del cloro, del bromo, dell’indol (Molisch, Pardewski) dell'acido mico, della gelatina, dei peptoni, del cloruro di ferro e via dicendo. (08 molecolare, secondo il Chodat, non riuscirebbe tuttavia a dare una zione sufficentemente pronta col reattivo in questione : d'altra ; p: premo di far notare che la grande maggioranza dei corpi più ene attivatori del gnaiaco non sono inglobati nel contenuto cellulare reattivo oltremodo sensibile, anzi forse fin eccessivamente, i pei di spes “n però» secondo og non è ri 404 PROF. L. BUSCALIONI E DOTT. G. ROCCELLA anilina sulle foglie, in considerazione che il reattivo assume una colo- ‘razione bruna per formazione di anilofilla là dove si ha emissione di ossigeno attivo. Pare però che il processo non sia sicuro, in quantochè . è stato dimostrato da più di un autore, fra cui il Cho, che il cam-. | biamento di colore è indipendente dal’H,0, avvenendo ad es. col tan. nino. Ad ogni modo il metodo fu pure usato dal Bach, ma convenien- temente modificato. in quantochè quest’autore usa associare l’anilina al ; Bicromato di potassa ed acido ossalico per ottenere una colorazione iolacea la dove si hanno ossidazioni. H Cho si è pur attenuto ad una reazione simile in cui però entrava talora il nero di platin:: egli «fa ferma però che i risultati sono alquanto incerti. . Molto usato è stato pure il Reattivo di Schiitzenberger addizionato di iposolfito di soda, adoperato da Kny e Reynard, che però, occorre i notarlo, serve quasi esclusivamente ad indicare l'uscita di ossigeno, tanto molecolare che attivo. Il metodo adunque non ha maggior valore di quello LE EMISSIONI DI OSSIGENO ATTIVO DA ALCUNI ORGANI DELLE PIANTE w ranio che però col tannino o cogli albuminoidi può dar le reazioni dei perossidi (intorbidamento e ingiallimento che resiste all’acido acetico), il bicromato di potassa (che pure reagisce coi tannoidi) associato all’e- tere ed infine la tetrametilparafenildiamina (papier tetra di Wuster) che per altro da la reazione dell’H,0, col cloruro di caleio e persino a con tatto di acqua agitata, senza contare che è un reattivo piuttosto lento. L'elenco a dir il vero non è completo ma noi segnaleremo soltanto | più, per la loro originalità, il processo di Griiss conosciuto col nome d capillarizzazione e quello di Williamson e Russel. Il Griss imbeve un pezzo di carta bibula col guaiaco e poi fa assorbire dalla stessa. “un succo che si sospetta contenere dei fermenti ossidanti i quali, qualo. ra siano presenti, diffondendosi, a seconda della loro cost tuzione fisico ‘chimica, con varia velocità si appalesano all’osservatore grazie al ca i lore assunto dal guaiaco da solo o associato all’ H,O, (1) Il sistema del Wiltiamson è basato sulla facoltà che avrebbe l’H,0, di impressionare le lastre fotografiche; noi osserviamo, per altro, che anche gli idrocarbur | producono lo stesso effetto, come ebbe a dimostrare uno di noi (Bossa i lioni) coll'Ambra di Catania. nu s Abbastanza ricca adunque è la lista dei reatiivi per la ricerca | dell'O attivo, ma appunto in questo si ha la prova che nessuna so ‘stanza è realmente atta allo scopo, potendo tutte quante reagire ora con un corpo ora con un'altro, senza rapporto coll'ossigeno. Si noti poi che spesso i differenti fermenti ossidauti si ‘comportano pure a loro. volta variamente, taluno reagendo, ad esempio, solo col guaiaco, o col papie tetra (Loeb), altri richiedendo di essere associati, per agire, a sostanze speciali (sali minerali, alcoli, acidi et.) e tutti poi riescendo inibiti 0. ttasi, (Lubimenko, dies: o: o dal dt o da lecitine ico ki 476 I PROF. L, BUSCALIONI E DOTT. G. ROCCELLA .0 dagli acidi organici a causa dei Ioni H (Clarke), o degli zuccheri et. e infine comportandosi taluni in senso reversibile (1). Molto opportuno, ai fini del nostro lavoro, è la conoscenza della . localizzazione dei fermenti ossidanti in relazione alle modalità della ‘tecnica usata per rivelarne la presenza. I fermenti ossidanti furono trovati nei tricomi delle Felci, o almeno ad essi si attribuisce la colorazione bruna delle membrane della squame di siffatte piante e degli sporangi che, in fondo, morfologicamente pos- sono esser omologati ai peli (V. Buscalioni studio sui tricomi delle Felci in Malpighia). E PES quasi una identica colorazione si ha nelle guaine dei i vascolari e nei vasi di molte filicine si è anche ammesso ivi la pre senza di un cromogeno. Non sappiamo per altro se si siano approfondite ricerche coll’uso dei soliti reattivi coloranti. L’Atkins, colla benzi- , oppure col guaiaco, trova gli enzimi ossidanti indiretti nelle pa- i degli sclerenchimi, delle cellule stomaziche (in specie la dove vi gli ispessimenti caratteristici) e di quelle annesse (Vicia et.), nelle papille dello stimma nei vasi di taluni organi vegetativi ed in quelli che percorrono lo stilo e che ultimo nel polline e nell’ epidermide di Edera. Noi ci affrettiamo, tuttavia, a far rilevare che in tutte queste erche l'A. ha fatto uso dell’ alcool che, come si sa, uccide le cellule infatti egli più volte accenna alla coagulazione di protoplasmi delle i n; presenza di siffatti Golana nei deli radicali di Heleo 20 sottoposti. all’azione dell’alcool. Il Rasiboski segnala la presenz le pitomina nelle pareti. e nel contenuto delle cellule liberiane £ ) da rilevare che il fermento emigra di cellula in cellula, tant alora lo si riesce a Cniagia lange: la via, cioè perl sie: in 3 LE EMISSIONI DI OSSIGENO ATTIVO DA ALCUNI ORGANI DELLE PIANTE 477 aver segnalato le ossidasi nelle parti albicate e variegate delle foglie, accenna pure alla derivazione di siffatti fermenti dal leptoma. Una tale origine è per noi, a priori, possibile, ma non ci dissimuliamo tuttavia che il fermento in questicne non possa anche nascere localmente. Il Jost è di avviso che i fermenti respiratori non riescano ad attraversare le pareti cellulari, ma quanto abbiamo testè esposto e quanto verremo esa - minando più tardi allorchè illustreremo le nostre ricerche in proposito costituiscono una smentita a tanta affermazione, sebbene questa trovi una indiretta conferma nelle osservazioni del Czapek che rinviene l’aria degli apazi intercellulari povera (relativamente ) di ossigeno. Abbiamo già accennato alle esperienze colle lastre fotografiche del Williamson e Ruggel: quì aggiungeremo solo che gli autori riscontrano quasi del tutto privo di ossidasi il legno autunnale, il che è in accordo con le idee del Griiss accennanti parimenti alla povertà, in ossidasi, dei tessuti in riposo, mentre trova che son ricche le gemme in via di sbocciamento (nel lep - toma), Il Clark, da ultimo, segnala come fornite abbondantemente di ossida- sile foglie, In tutte queste ricerche, occorre segnalarlo non s'è tenuto conto, per parte degli osservatori, dello stato in cui venivano a trovarsi gli e- lementi cellulari sotto l’ azione dei reattivi impiegati per la ricerca, ma” molto probabilmente è da aspettarsi che gli stessi fossero stati uccisi : dai solventi (alcool, etere et.) usati per preparare i reattivi stessi, di guisa che i reperti collimano, a grandi tratti, con quelli del Pfeffer sui sana i estratti delle cellule. Abbiamo poi ancora da aggiungere alcuni cenni storici relativi pt; | presenza di ossidasi entro determinati territori del plasma e in determinati organiti, tanto più che talora è chiaramente indicato che la ricerca venne effettuata in elementi, i quali, dopo aver rivelata la.presenza dei fermenti, presentavano ancora vivi perchè erano ancor capaci plasmonizzare (os “one di Chodat e di Raciborski). Però è appunto sui fermenti ossi. danti (in larghissimo senso) endoplasmiei e sui loro attivatori pure inelus provola che le figa di a sono più acecatante negate % 5 menti ossidanti furono. riscontrati in moltissimi tessuti delle pia 478 PROF. L. BUSCALIONI E DOTT @. ROCCELLA Buscalioni e Pollacci: Le antocianine in Atti d. Istituto botan co di Pavia) ritengono che i pigmenti antocianini si formino in virtù appunto delle ossidasi presenti nelle cellule e scompaiano per azione delle riduttasi; il Bachmann ci segnala i perossidi nelle parti verdi ed il Meyer conferma tanta: conclusione avendo trovato un agente ossidante nella clorofilla sottoposta alla luce (V. anche in proposito gli studi recenti dei sig. Willstitter e Stoll). Del resto già il Rejnard aveva trovato che pezzi di cellule verdi, trattati col reattivo di Schutzenberger addizionato di bisolfito di soda lasciano chiaramente rilevare la presenza, nel loro in. terno, delle ossidasi, contro la quale affermazione si è ce tuttavia il Pringsheim. Il Gola trova le ossidasi legate al ferro nelle piante acquatiche e la segue nella loro emigrazione di cellula in cellula. Aggiungeremo da ul timo che nelle sue ricerche recenti (non però ancora terminata) il Busca lioni accenna del pari all’esistenza di siffatti fermenti (in |. s.) nei lipoidi dei cloroplasti cui abbiamo già accennato nelle pagine precedenti, e sui. quali dovremo ben tosto ritornare sopra. Per completare il quadro storico, ‘che tuttavia non ha la pretesa di aver esaurito l’argomento, sarebbe opportuno far rilevare che le ‘ossidasi (in I. s.) furono rinvenute da dove si hanno scambi attivi (malattia dell’accartoceiamento fogliare, secondo Bunzel, lesioni fogliari (Krasmowsek, et.) ), e si incontrano tanto in tes suti rimasti alla luce quanto in quelli oscurati, anzi talora più in questi che in quelli (Armstrong, Atkins), o infine si appalesano in organi do “tati di movimenti, come è il caso per gli apici radicali dove è stato se gnalato l’acido omogentinico. Sull’intima costituzione degli agenti ossidanti (ossidasi) poco sappia «mo: taluni li ritengono di natura albuminoidea, altri vedono in essi unica mente uno stato particolare delle cellule (Arthus), mentre i più confes sano, forse più logiei, la loro ignoranza in proposito. Coll’ esame al- l'ultramieroscopio da taluni autori furono scoperti dei corpicciuoli ba- stonciniformi e agli stessi venne accordato il significato di enzimi, ma la cosa è più che dubbia. Nè a migliori risultati ha portato l'isolamento dei fermenti per mezzo delle manipolazioni chimiche in quantochè non si è mai ricavato un corpo chimicamente puro. In base ai fatti esposti possiamo quindi coneludere che se i for | LE EMISSIONI DI OSSIGENO . ATTIVO Ca | oroaNI DeL DO PIANTE © ha ca a È ; (midollo, corteccia, libro, parenchima verde et) (1) e in varie sud. ) delle relative cellule la loro presenza fu segnalata pressochè sempre a mezzo di reattivi che mentre nulla ci dicono in merito alla intima natura.‘ dei singolari corpi uccidono le cellule, provocando così la mescolanza di succhi, il che ha indotto il Pfeffer ad affermare che l’O attivo si forma fuori dela cellula, non già dentro questa. ni Ed a noi preme segnalare questo fatto, in ispecie per quanto con- cerne i tessuti superficiali della pianta (epidermide, peli, stomi, cellule. annesse) in quantochè, dato il grande contrasto di opinioni, avrebbe un — significato non indifferente la scoperta di fermenti ossidanti (in l. s.) nelle cellule vive dei tessuti epidermici, o nella cavità (spazi intercel- - lulari) che fanno capo all’epidermide. A questo compito è appunto de ‘ dicato il presente lavoro, ma prima di entrare in argomento è d'uopo «che analiziamo il fenomeno dell’assimilazione come quello dhe è in in tima relazione coll’eliminazione di ossigeno. ba i In questa funzione, stando alle ricerche di quasi tutti gli csservatatià ‘viene eliminato dell'ossigeno; ma non si è ancora ben chiarita la sua natura, per quanto appaia probabile che, data la costituzione chimica del biossido di carbonio da cui deriva, debba esser allo stato di ossigeno lecolare. Le esperienze dell’Engelmann coi batteri deporrebbero ip questo senso, come del resto le analisi chimiche eseguite sui gas e messi dalla pianta. E d’uopo tuttavia far rilevare che in tutte queste cerche si analizzano i prodotti finali, oseremo dire, postumi del pro sso di assimilazione e non già quelli che si formano nelle prim esso, durante le quali potrebbe benissimo formarsi dell’ ossigeno Tale infatti è l'idea di più di un autore (Chodat, Usher e Pri- te.) e noi sappiamo dalle ricerche di. Willstàtter. e di altri i ) ei momenti del processo di assimilazione, grazie all'unione. le | coll’acido. carbonico si forma un perossido, di. guisa che. recar meraviglia se a è nai ira cad affermare in considerazione solo le dda: semini per non allun 480) PROF. L. BUSCALIONI FR DOTT. G. ROCCELLA | che del corpo vegetale possa sortire H,0,, O atomico, od un’altra combi - | nazione atta a sviluppare ossigeno attivo (1). Recentemente questo concetto è stato validamente sostenuto dal Kleinstuck, come abbiamo rilevato nelle precedenti pagine nelle quali però abbiamo del pari fatto notare che il | Molisch mise il fenomeno in rapporto unicamente colla presenza di ferro- | batteri sopra le membrane delle piante prese in esame. Il fenomeno dell’uscita dell’H,O, o di O atomico mal si concilia col- l'osservazione di qualche autore che avrebbe segnalata l'emissione di idro- geno, e talora allo stato nascente, sia in relazione coll’assimilazione, sia indipendentemente da questa. Il Prof. Pollacci Egidio aveva infatti rilevato ‘che se vi sospende una cartina di acetato di piombo in vicinanza di acini d’uva racchiusi in recipiente contenente dello zolfo in polvere (fiori di zolfo) la cartina imbrunisce per formazione di idrogeno solfo- rato, il che varrebbe a provare l'emissione di H dalle cellule epidermi dei frutti. Il figlio Prof. Gino nei suoi interessanti studi sull’assi- ilazione clorofilliana ebbe pure a constatare l’emissione di H, oltre. ; di metano confermando così e completando le osservazioni di quenne. Stando le cose in questi termini appare sempre più dubbio che dalle parti verdi in attiva assimilazione possa uscire, assieme all’ H, anche dell’ ossigeno attivo, dacchè un tale corpo si combine- be! subito coll’H proveniente dal processo di Lenga formando li so è il risultato se si ammette con Maquenne, l’uscita del lo metano, salvo il caso un po dubbio invero, che si voglia ritenere i alcuni stomi diano luogo alla sortita di O, altri a quella di H. Un fatto potrebbe accordarsi con questa ipotesi. Esperimentando colle LE EMISSIONI DI OSSIGENO ATTIVO DA ALCUNI ORGANI DELLE PIANTE © 4810 È i ; S| la via di uscita esclusivamente attraverso agli stomi più propinqui che ii son quelli sovrapposti ai desmi, lasciando piena libertà agli altri stomi del parenchima di emettere idrogeno. È un'ipotesi attendibile ? Può darsi, La questione è oltremodo complessa e noi pertanto ci limitiamo a riportare i documenti e i dati, senza sottoporli ad un esame critico un. | pò accurato, anche pel fatto che questo troverà posto più adatto in uno lavoro sui eloropasti che uno di noi (Buscalioni) ha ormai pronto per. le stampe. Non ci possiamo tuttavia dissimulare e dello stesso parere sono del — resto tutti gli osservatori che si occuparono dell’ ione clorofil- liana che la formazione di H,0, e di O atomico durante il processo fotosintetico costituisce un punto debole di tutte le teorie relative all’as-. . similazione, daechè il perossido così formato, o l’ ossigeno attivo con tutta facilità intaccherebbero la clorofilla. Perciò ben si comprende come si siano tentat» parecchie vie per conciliare i dati di fatt> colle ipo tesi chimiche. Il Willstitter dapprima ammetteva che PO libero servissi a far passare la clorofilla « allo stato di pigmento $ più ossidato e trasformare la carotina in Xantofilla pure più ricca di ossigeno, nei suoi ultimi studi ripudia questa trasformazione e nega pure l’int vento dell’H,0,. Altri, fra cui il Wurmser ritengono, che ga. a quanto sospettava il Pringsheim, il processo assimilatorio si comp so'o in una prima fase in seno alla clorofilla effettuandosi in quella successiva fuori di questa sostanza che così non viene intaccatta; mo tribuiscono invece la difesa unicamente allo stato ‘colloidale della cl rofilla: infine uno di noi (Buscalioni) avendo osservato che i lipoidi contenuti nei cloropasti (trattati con H 0 + tintura di guaiaco. fresc po) e ua di sedtioni diluita) | sì si talora in. i PROF. Li BUSCALIONI E DOTT. G. ROCCELLA uu ro Voisigeno alle varie parti della cellula, fun- ionando così da elementi di respirazione. Questa teoria, che è in gran parte basata sulla identità tra i lipoidi dei cloroplasti e quelli plasmici per quanto concerne la forma e la colorazione col Sudan III) e che appare avvalorata dal fatto che il tessuto lacunoso, più a contatto del palizzata. coll’aria atmosferica, presenta maggior copia di lipoidi endopla- mici, e stata pienamente confermata dall'A. Meyer nei suoi lavori sulla clorofilla e specialmente in quello riguardante l’Analysis der Zellen ini drypone una ii usa, (pol spiegare l’assimilazione, in per 0 nei PR corpi invece. SA definiti chimicamente più Itri per la Fazione che. s'ignorava l’unione di questi ai lipoidi ato pertanto. che i perossidi si formano nell’assimilazione e molto | bilmente. anzi sì pia Den durante ° fotosintesi BREE: ci vieta Li LE EMISSIONI DI OSSIGENO ATTIVO DA ALCUNI ORGANI DELLE PIANTE 483 Metodo di studio. Molti anni addietro uno di noi (Buscalioni), in associazione col Dr. G. Pollacci, pubblicava una nota sulle pellicole di collodio facendo ri. levare come le stesse si presentassero quanto mai adatte a stabilire le vie di uscita del vapor acqueo dagli stomi delle piante Ne mercè un pen: nello, osservavano gli autori, si spalma la superficie di una foglia con uno straterello sottile di collodio semplice, o di collodio elastico (cioè Di mescolato ad coli») e poscia, lasciata essiccare la soluzione che assume l'aspetto di una pellicola facilmente staccabile, si es:mina questa al microscopio si osserva che la figura delle cellule epidermiche riesce. meravigliosamente improntata e ricalcata nella pellicola di collodio. É non solo si mostrano ben definiti i contorni delle cellule, ma sibbene ancora tutti i particolari della superficie, come le rugosità, le stria I ‘ture, i batteri, i funghi et. che accidentalmente ricoprono la cuticola. — Non occorre aggiungere che cog'i elementi ordinari dell'epidermide ap- pare anche riprodotta la tigura dei peli, degli stami e di altri elementi reperibili, talora in via accidentale, sul tessuto in questione. ; Il collodio, avendo poi la proprietà di emulsionare a contatto di | minime quantità di vapor acqueo, di necessità deve assumere aspetto i di Hina ed Escombe Gai imall di ne iop servono di veicolo *i aogna: che dal ata fogliare ala PROF. L. BUSCALIONI E DOTT. @. ROCCELLA cesso impregnando il collodio di una soluzione alcoolica eterea (alcool ed etere a parti eguali) di resina di guaiaco, che, come è noto, a con- tatto di taluni enzimi ossidanti assume una colorazione bleu. Nelle nostre | ricerche si è avuto cura di utilizzare unicamente la parte centrale dei grossi blocchi di resina, poichè la superficie di questa, come del resto | anche la resina in polvere, mal si prestano all’esperimento, essendo d’or n dinario più o meno ossidate e perciò alterate. Preparata così la soluzione di collodio al guaiaco (che si aveva cura di rinnovare a brevi intervalli perchè va soggetta ad »ssidazione) iva spalmata sopra le foglie in sottile straterello, usando all'uopo. pennello che si faceva scorrere rapidamente in un unico senso sulla t perficie fogliare, dove averlo immerso nella soluzione. Il soffregamento del pennello sulla fog'ia in vario senso torna dan. perchè rovina gli organi delicati, quali peli et., che son quelli ap punto che emettono le ossidasi (in l. s.) e poi disperde nel solvente queste ultime attenuando così la colorazione bleu. Impiegando invece un unico trisciamento |’. ssidasi, se presente, si sofferma attorno all'organo da sì 17 dando un atene colorazione bleu più o meno nettamente. n una pinza viene staccata, qualora non si salti spontaneamente set avviene per lo Dale nello uprato di un quarto d’ora 0. di pur; nno, nelle pellicole, un'immagine circondata da un alone. O culeso,. i dovuto. a formazione di neri guaiaconico e così si INDICE DEL VOLUME Luici BuscaLIoNnI E GiusePrpre MuscaTELLO — Studio monografico sulle specie ameri- cane del Gen, « Saurauia » Willd a É ° è î s ; Idem x a ; A x ; ; È : Ù ; Idem sl . A 4 : ; È i ù i 7 Idem È - hi 7 i 3 5 * Idem (contin.) . 5 i i è A i S Luigi BuscarLioni — La critica del Prof. G. Negri al lavoro sugli « Ende- mismi ed esodemismi del!a Flora italiana » i e n » Luii BuscaLioni — Il legno crittogamico del fascio vascolare seminale di talune Angiosperme considerato nei suoi rapporti colle moderne teorie filogenetiche (con III tavole) . ; ; ì 4 : È » Idem ; . 4 ì È * 3 $ a . a » Luici BuscaLionI — Contributo allo studio delle precipitazioni in montagna e loro rapporti colla veget:zione (con I tavola). < 5 i » Lurci BuscaLioni — Sulle radici aeree fasciate di Carallia integerrima DC. (con I tavola) . i ; ; . ; ‘ x A È : »o Lurci BuscaLioni — Sopra alcuni ide per attenuire 1’ inquinamento dei pozzi e delle cisterne . . ; Ù : . > ‘99 | Lursi BuscaLioni — Frammenti di Storia della botanica contemporanea italiana o i e e È ; ; ; = F ci : Idem à + ? * i 4 è ; ; i Idem ii 3 . È % Ù " È È male delle radici di gno Communis L. (con III Senda P; Luici BuscaLioni E Guipo ROCCELLA — Sopra una particolare reazione del le foglie di taluni Eucalyptus tenute all’oscuro sutto stagnuola (c. II t.) (a) O ai @ a pe) sw 5 5 o) Bi ta) A n È R n S s a 2 8 fed ded E < 2, fa on: E Guipo RocceLLa — Le emissioni di ossigeno attivo da ni delle piante (contin.) . . È i " za SEE; Troporno Nicoraa — Flora mediterranea Australiore e Sahara. | —’SOMMARIO i Pag. 411 ONT « — Frammentì di Storia della Dono contemporanéa ) >. i ; ; ASD PL) » 459 Ù i Buscationi E Gupo EIZIZA - st emissioni di ossigeno attivo da . - . è » . ». » ®