HARVARD UNIVERSITY. LIBRARY OF THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY. чад. AN Кү La M ASAA A TT 1 DEL REALE | | rm nm гр ni | ISTITUTO VENETO | | DI | SCIENZE, LETTERE ED ARTI | (TOMO XXXVIII) SERIE SETTIMA — TOMO SECONDO { \ \ il ATTI DEL REALE ISTITUTO VENETO SCIENZE, LETTERE ED ARTI DAL NOVEMBRE 1800 ALL OTTOBRE 1301 VENEZIA PRESSO LA SEGRETERIA DELL'ISTITUTO TIP. DI О. ANTONELLI س ATTI Ff DEL REALE ISTI UTO VENDEIO SCIENZE, LETTERE ED ARTI (TOMO XXXVII) SERIE SETTIMA — TOMO SECONDO DISPENSA PRIMA VENEZIA PRESSO LA SEGRETERIA DELL’ ISTITUTO NEL PALAZZO DUCALE TIP. DI G. ANTONELLI 890-941 ino ИЕ Pubbl. il 21 Dicembre 1890. INDICE Elenco dei membri e soci di questo R. Istituto pag. II-XXXVI Atto verbale dell’ adunanza ordinaria del giorno 16 no- vembre 1890. ue pagi 1-2 Lavori letti per la pubblicazione negli Atti. C. CIPOLLA, s. c. — Appunti sulla Storia di Asti, dalla caduta dell’ Impero romano sino al prin- cipio del X secolo (continuazione) . . » 3 A. MINICH, m. e. — Sulla Laringotomia inter-crico-tiroidea, Memoria dos Sto) tieu Appendice all’ Elenco dei Libri e delle Opere periodiche - pervenute dal 17 marzo a tutto 4 agosto 1890 pag. XXXVII-XL MEMBRI E SOCI DEL REALE ISTITUTO VENETO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI (e mo OE Ато accademico 1890-99 I. PRESIDENTE GIAMPA OLO VLAGCOVYIGH. VICEPRESIDENTE GIULIO ANDREA PIRONA. SEGRETARIO GIOVANNI BIZIO VICESEGRETARIO CESARE VIGNA. AMMINISTRATORE MEMBRI EFFETTIVI PENSIONATI (20 giugno 1843 — 4 ottobre 4854) Turazza dottor DowENico, Senatore del Regno, Cavaliere dell'Ordine del merito civile di Savoja, Comm. +} dy, uno dei XL della Società italiana delle scienze, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei ecc., profes- sore di meccanica razionale ed incaricato per 1° idrau- lica pratica, nonchè direttore della Scuola degli inge- gneri presso la R. Università di Padova (Via Rovina, 4200). (*) Il segno Ў indica l’ Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro ; il segno xp l Ordine della Corona g Italia. — IV — (16 gennaio 1844 — 26 aprile 1869) FREScH Conte GHERARDO, Ufficiale #4, Comm. Jp, presi- DE dente onorario dell’Associazione agraria friulana e del Comizio agrario di Pordenone, socio onorario di scienze e lettere di Udine, patrizio della Republica di S. Ma- rino, membro della Società generale degli agricoltori italiani e di quella degli agricoltori di Francia, corri- spondente della Società economica di Chiavari, nonchè socio di varie Accademie italiane ed estere. — S. Vito al Tagliamento. | 23 marzo 1855 — 6 aprile 1872) Ziano Barone ACHILLE, Comm. cf , Ufficiale s& , Cav. dell’ I. R. Ordine austriaco della Corona ferrea, Cav. del R. Ordine Portoghese della Concezione, Ufficiale dell’ Accademia di Francia, decorato della Croce di S. Lodovico pel merito civile, uno dei XL della Società italiana delle scienze, membro del R. Comitato geolo- gico del Regno, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, ordinario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, della R. Accademia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli, della R. Acca- demia delle scienze di Torino, del R. Istituto delle scienze di Bologna, delle Società geologiche di Londra › e Parigi, dell’ I. К. Istituto geologico di Vienna, dell’ Imp. Accademia Leopoldino-Carolina naturae cu- riosorum, della К. Accademia delle scienze di Lisbona, della Società Imp. dei Naturalisti di Mosca, della So- cietà Granducale di mineralogia e geologia di Jena, della R. Società botanica di Ratisbona, della R. Acca- demia dei fisio-critici di Siena, socio onorario del- l Accademia fisio-medico-statistica di Milano, dell’ Ac- cademia Olimpica di Vicenza, delle Accademie di Augu- sta e Dresda e di altre Accademie nazionali ed estere. — Padova (S. Nicoló, Via Maggiore). — ү س‎ (28 aprile 1856 — 30 settembre 1803) Pazienti dottor ANTONIO, Ж, socio di varie Accademie scientifiche, emerito professore titolare di fisica nel К. Liceo Pigafetta. - Vicenza (Monte Berico; Campe- dello, 190. (30 settembre 1863 — 4 luglio 1869) Bizio Giovanni, dottore in filosofia ed in chimica, +}, Comm. oW , fregiato della medaglia dell’ Unità d’Italia e di quella d’argento ai benemeriti della salute pub- blica, socio di varie Accademie nazionali e straniere, membro ordinario del Consiglio provinciale sanitario, professore ordinario della R. Scuola superiore di com- mercio e del R. Istituto tecnico di Venezia ece. (San Samuele, Ramo Corte Lezze, N. 3316). (6 ottobre 1864 — 2 luglio 1890). LAMPERTICO FEDELE, dottore nelle leggi, Senatore del Re- gno, Uff. sk, Gran Uff. 4, socio onorario dell’ Istituto statistico internazionale, socio della R. Accademia dei Lincei e di altri Corpi scientifici. — Vicenza (Corso Principe Umberto, 2338). (10 aprile 1868 — 10 marzo 1875) Prrona GIULIO ANDREA, dott. in medicina e chirurgia, Uff. dà, Conservatore del Museo civico e della Biblioteca di Udine, membro di quel Consiglio provinciale di Sa- nità e della Commissione per la conservazione dei mo- numenti, socio di più Accademie nazionali e straniere, emerito professore di scienze naturali nel R. Ginna- sio-Liceo Stellini di Udine (Via del sale, 24) , 24). (26 aprile 1869 — febbraio 1874) Мппон dott. ANGELO, Senatore del Regno, Uff. 4%, Comm. uj, Uff. dell’ Ordine della Guadalupa, socio della Società “ш NI medico-chirurgica di Bologna, membro onorario della R. Accademia di medicina in Torino, Socio dell’ Ateneo veneto, emerito chirurgo primario anziano dell’ Ospe- dale civile generale di Venezia. (S. Giovanni Grisosto- mo, Calle Morosini, 5808). (1 luglio 1869 — $ dicembre 1883) LuzzattI Lusi, Cav. dell'Ordine del merito civile di Sa- DE DE voja, Gr. Uff. +, Cav. Gran Croce decorato del Gran Cordone x, Gr. Uff. della Legion d'onore di Francia e dell' Ordine di Leopoldo del Belgio, deputato al Par- lamento, membro della R. Accademia dei Lincei, del Consiglio superiore del commercio e dell'industria, della Giunta superiore di statistica, e di quella supe- riore degl Istituti di previdenza ecc., professore di di- ritto costituzionale nella R. Università di Padova. (Via Santa Eufemia, 2991). (6 aprile 1872 —- 23 dicembre 1876) DETTA nob. Еролвро, Uff. »&, Comm. d, membro di varie Accademie e Società scientifiche nazionali ed estere, cittadino onorario di Torino, consigliere sco- lastico provinciale di Verona, membro del Consiglio direttivo del R. Collegio femminile agli Angeli e pre- sidente della Giunta di vigilanza dell'Istituto tecnico in Verona. (Corso Castelvecchio, 11). (10 marzo 1873 — 7 gennaio 1875) Leva GIUSEPPE, dottore in filosofia e in ambe le leggi, Uff. **, Comm. xk, Ufficiale d' Accademia di Francia, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, corri- spondente della R. Accademia delle scienze di Torino e di altre, nonché straniero della R. Aecademia bava- rese di Monaco ecc., professore ordinario di storia mo- derna e incaricato della storia antica nella R. Uni- versità di Padova. (Via Forzaté, 1436). — ҮП — (4 maggio 1878 — 13 dicembre 1877) VLAcovicH GIAMPAOLO, dottore in medicina, Comm. rp, Cav. Uff. 56, socio corrispondente della К. Accademia delle scienze di Napoli, socio ordinario dell’ Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, socio corrispondente dell'Ateneo Veneto e di altre Accademie, professore d'anatomia umana e Rettore della R. Università di Padova. (Largo del Santo, 2613). (11 luglio 1877 — 18 agosto 1888) l'AMBRI PAULO, dottore in matematica, Comm. oe, già Ca- pitano del Genio militare, ingegnere Capo della So- cietà Veneta di costruzioni, presidente dell’ Ateneo di Venezia. (Sant Agnese, Rio terrà, 880). (13 dicembre 1877 — 17 febbraio 1881) LORENZONI GIUSEPPE, sje, Uff. of, socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei, professore ordinario di astro- nomia e direttore dell'Osservatorio astronomico nella R. Università di Padova. (Osservatorio astronomico, 2366). (11 aprile 1878 — 27 agosto 1883) Trois EnRIco FILIPPO, db, socio dell’ Accademia di micro- scopia del Belgio e dell’ Ateneo di Venezia, conserva- tore e custode delle Raccolte scientifiche e della Espo- sizione industriale. permanente di questo R. Istituto, Consigliere provinciale — Venezia. (San Luca, Rio terrà degli Assassini, 3702). (7 luglio 1878 — 5 gennaio 1890). CANESTRINI GIOVANNI, %%, Comm. dk, membro estero della Società zoologica di Londra, membro della Commis- sione consultiva per la pesca e di quella superiore per la filossera, delegato governativo per la ricerca della n mew b NIU ee filossera nella provincia di Padova, membro della Com- missione provinciale di enologia e viticoltura, profes- sore di zoologia, anatomia е fisiologia comparate presso la R. Università di Padova. (Piazza Forzatè, 1506). (7 luglio 1878 — 15 febbraio 1885) BERNARDI ENRICO, dé, socio effettivo della К. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, professore di macchine agricole, idrauliche e termiche presso la R. Università di Padova. (Agli Eremitani, Via S. Barto- lomeo, 3158). (7 luglio 1878 — 95 settembre 1885) BERNARDI, mons. dott. Jacopo, Comm. s, db, Uff. della Legion d'onore di Francia, socio onorario della Depu- tazione sopra gli studi di storia patria di Torino, del- l'Accademia di geografia e storia di Parigi, del Pan- theon di Roma e dell’ Accademia di belle arti, di quella di storia patria in Venezia e Genova, dell'Ateneo di Venezia, dei Georgofili di Firenze, ecc., Vicario gene- vale onorario della diocesi di Pinerolo, ecc. — Venezia. (Campo di S. Canciano, 6053). (17 febbraio 1881 — 15 febbraio 1885) BELTRAME sac. GIOVANNI, ex missionario dell’ Africa centrale, Comm. s, membro d'onore della Società geografica italiana e del Comitato italiano . per l'esplorazione e l’incivilimento dell’ Africa centrale, membro dell’ Ac- sademia d’ agricoltura, arti e commercio e della So- cietà letteraria, professore di storia e geografia nella R. Scuola normale femminile, direttore e professore nella Scuola normale maschile provinciale pareggiata, nonchè direttore spirituale dell’Orfanatrofio femminile e Rettore dell'Istituto. Mazza in Verona. (Via Nicola Mazza, 16). IX (29 maggio 1884 — 21 maggio 1885) Favaro nob. ANTONIO, Comm. d, Uff. della pubblica Istru- zione di Francia, Comm. dell'Ordine di San Marino e decorato della medaglia d'oro del merito, membro ef- fettivo della R. Deputazione veneta sopra gli studi di storia patria e della R. Accademia di Padova, onora- rio dell' Ateneo di Bergamo, della Società Copperni- cana di Thorn e della Società delle scienze del Mes- sico, corrispondente del К. Istituto di Napoli, delle hegie Deputazioni di storia patria per le provincie della Romagna, della Toscana, dell' Umbria e delle Marche, della Società Colombaria di Firenze, della R. Società economica di Salerno, della R. Accademia Peloritana di Messina, dell’ Accademia Gioenia di Catania, della R. Accademia di Modena, dell’ Ateneo veneto, della So- cietà delle scienze di Hermannstadt, della Società Ba- tavica di filosofia sperimentale di Rotterdam, dell I. К. Istituto geologico di Vienna, ecc., Direttore della Edi- zione Nazionale delle Opere di Galileo Galilei sotto gli auspicii di S. M. il Re d’Italia, professore ordinario di statica grafica, incaricato di geometria proiettiva, e li- bero docente di storia delle matematiche nella R. Uni- versità di Padova. (Via Zitelle, 3656). MEMBRI EFFETTIVI NON PENSIONATI (6 ottobre 1864) MESSEDAGLIA ANGELO, Senatore del Regno, Cav. dell’ Ordine civile di Savoja, Comm. 4, Gr. Uff. 4p, socio nazio- nale della R. Accademia dei Lincei, vicepresidente della Commissione centrale del Catasto del Regno, profes- sore emerito della R. Università di Padova, ed ora professore ordinario di economia politica nella R. Uni- versità di Roma, (4 luglio 1869) Rossi ALESSANDRO, Senatore del Regno, Comm. sj, Gran Cordone wj, socio di varie Accademie. — Schio. (17 febbraio 1881) ''onoMEI GIAMPAOLO, Senatore del Regno, Comm. +, Gr. Uff. wm, socio ordinario e già presidente della К. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, socio corrispondente di quella di Palermo, dell’Olimpica di Vicenza, della Vir- giliana di Mantova e di altre, già presidente della Com- missione generale di seconda istanza nelle questioni delle servitù di pensionatico, e già membro della Commissione governativa compilatrice del primo schema (a. 1868) del nuovo Codice penale pel Regno, e di quella di rie- same del progetto Senatorio (a. 1876), nonchè della R. Commissione pel coordinamento del Codice (a. 1889); professore ordinario di diritto e di procedura penale, ed incaricato della storia dei trattati e diplomazia presso la R. Università di Padova; già Direttore, ora Preside della Facoltà di giurisprudenza, e già Rettore dal 1868-69 e poscia dal 18783 al 1879 della stessa Uni- versità di Padova. (Via del Santo, 4178). (29 maggio 1881) SACCARDO dott. PIER’ ANDREA, 5%, op, membro della Società micologica di Francia e della crittogamologica italiana, della R. Accademia delle scienze di Torino, della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova del- l'Ateneo Veneto, dell' Accademia dei Concordi di Ro- vigo, dell' Ateneo di Treviso, della Società del Museo in Rovereto, della Società Veneto Trentina di scienze naturali in Padova, della Società botanica italiana in Firenze, della R. Società botanica del Belgio residente a Bruxelles, della Società Belga di microscopia in Bru- xelles, della Società botanica di Lione, della Società ХІ — botanica di Germania residente in Berlino, della R. So- cietà botanica di Ratisbona, della Società botanica di Francia in Parigi, della Società Slesiana in Breslavia, della I. R. Società zoologico-botanica di Vienna, della Società delle scienze naturali di Brünn, dell’ Accademia delle scienze di S. Francisco in California, della Società delle scienze naturali e matematiche di Cherbourg, della Società entomologica di Firenze, della Società italiana di scienze naturali di Milano, ecc., professore ordinario di botanica e direttore del R. Orto botanico presso l'Università di Padova. (Orto Botanico, 2625). (25 febbraio 1883) Lussana dott. FILIPPO, Comm. uk, socio delle Accademie medico-chirurgiche di Torino, Ferrara, Padova, Peru- gia e del Belgio; dell’ Ateneo di Bergamo, della So- cietà francese d'igiene, della Società delle scienze me- diche-naturali di Bruxelles, della Società frenologica italiana, della Società di psicologia fisiologica di Parigi, del R. Istituto lombardo; membro onorario della So- cietà di antropologia del Belgio, emerito professore di fisiologia nella R. Università di Padova. — Cenate di sotto, provincia di Bergamo. (27 agosto 1883) GLORIA ANDREA, 3k, socio ordinario dell’ Accademia di Pa- dova, onorario dell’ Ateneo di Bergamo, corrispon- dente di altre Accademie ed Atenei ecc., professore ordinario di paleografia e direttore emerito del Museo civico di Padova. (Ognissanti - Via S. Eufemia, 2983). (5 dicembre 1883) Viana CESARE, dottore in medicina, chirurgia, ostetricia, oculistica e filosofia, ШЙ. sb, reintegrato con Decreto Reale nel grado militare di medico di battaglione, socio ordinario dell’ Ateneo Veneto, del Comitato me- XII dico italiano, dell’ Accademia dei Concordi di Rovigo, m. e. della Società italiana d’igiene e della Società freniatrica italiana, socio corrispondente dell’ Associa- zione dei benemeriti italiani con' medaglia d'oro per meriti scientifici ed umanitarii, premiato con medaglia argentea dall’ Esposizione internazionale musicale di Milano per opere scientifiche, direttore del Manicomio centrale femminile in Venezia. (Isola di S. Clemente). MARINELLI GIOVANNI, K, u, membro effettivo della Depu- ; WR, I ўа tazione veneta di storia patria, socio corrispondente della Società geografica italiana e dell’ Ateneo Veneto, membro onorario della Società geografica Olandese, so- cio onorario dell’ Accademia scientifica e letteraria di Udine, socio effettivo e segretario per le lettere del- l' Accademia di Padova, presidente della Società alpina friulana, membro del Consiglio direttivo dell’ Associa- zione meteorologica italiana, deputato al Parlamento nazionale, professore ordinario di geografia e preside della Facoltà di filosofia e lettere pel triennio 1889-90, 90-91 e 91-92 nella К. Università, di Padova. (Via Schiavin, 1479). (15 febbraio 1885) Ninni ALESSANDRO, dottore in scienze naturali, membro della Commissione consultiva per la pesca residente presso il К. Ministero dQ’ agricoltura, industria e com- mercio, di quella distrettuale (Bari, Ancona, Rimini e Venezia), per la pesca marittima e del Comitato diret- tivo del Civico Museo e della Raccolta Oorrer. — Ve- nezia. (S. Lorenzo, Calle Lion, 3391). De GIOVANNI cav. ACHILLE, Uff. 4, socio di varie Accade- mie, professore e direttore dell’ Istituto di clinica me- dica generale nella R. Università di Padova. (Via della Gatta). ANLE (21 maggio 1885) OMBONI GIOVANNI, s, professore di geologia nella Regia Università di Padova, socio effettivo delle Società geo- logiche d'Halia, di Francia e del Belgio, della Società italiana di scienze naturali, della Società toscana di scienze naturali, della Società antropologica italiana, ecc., socio corrispondente dell’I. R. Istituto geologico austriaco, del К. Istituto lombardo di scienze e lettere, delle Accademie delle scienze di Bologna e Palermo, nonché della Società dei Naturalisti di Mosca ecc. — Padova. (Via Torresino, 2334 A). (3 dicembre 1885) PERTILE ANTONIO, Comm. о, socio ordinario e vicepresi- dente della Deputazione veneta di storia patria, socio corrispondente della R. Accademia di Torino e del Ve- neto Ateneo, onorario. dell' Accademia Olimpica e so- cio effettivo della R. Accademia di Padova, accademico attuale della R. Accademia Virgiliana di Mantova, pro- fessore ordinario della storia del diritto nella R. Uni- versità di Padova. (Via Patriarcato, 785). BEgLLATI nob. dott. MANFREDO, socio effettivo е Segretario per le scienze della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova, membro del Consiglio della Società francese di fisica, professore di fisica tecnica nella R. Università di Padova. (Vicolo dei Servi, 1742). (17 maggio 1888) KELLER dottor Antonio, Uff. s, Uff. db, socio dell’ Acca- demia di Padova, socio onorario delle RR. Accademie di agricoltura di Torino e Verona, dell’ Accademia di veterinaria di Torino, dell’ Ateneo di Venezia, della So- cietà di acclimatazione di Palermo, di quella d'inco- raggiamento in Padova, dell’ Accademia Olimpica di — XIV — Vicenza e dei Concordi di Rovigo, del Comizio agrario di Torino, socio corrispondente delle II. RR. Società agrarie di Vienna, di Graz ecc., professore di agraria e stima dei poderi presso la R. Università di Padova. (Corso Vittorio Emanuele, 2128). DeopATI avv. EDOARDO, Senatore del Regno, sk, G. U. о, socio corrispondente dell’ Ateneo veneto, dell’ Accade- mia scientifico-letteraria dei Concordi di Rovigo e di Bovolenta, Presidente del Consiglio direttivo della R. Scuola Superiore di commercio e Presidente del Con- siglio dell’ Ordine degli avvocati di Venezia. (S.'9 Ste- fano, Calle Cà Garzoni, 3417). (18 agosto 1888) BoNATELLI FRANCESCO, е, socio nazionale della R. Acca- demia dei Lincei, socio effettivo della Società Reale di Napoli, dell’ Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, socio corrispondente dell’Accademia Reale delle scienze di Torino e dell’ Ateneo Veneto, effettivo del- l'Ateneo di Brescia e dell’ Accademia Urbinate, pro- fessore di filosofia teoretica nella R. Università di Pa- dova. (Via Rogati, 2326). (7 febbraio 4 889) GABELLI prof. ARISTIDE, Comm. +}, so, membro del Consi- glio superiore della pubblica istruzione. — Padova. (Santa Sofia, Via Zucco). (11 luglio 1889) STEFANI FEDERICO, Comm. о, Uff. 3#, membro della Regia Deputazione veneta sopra gli studî di Storia patria, Direttore del R. Archivio di Stato di Venezia e Sovrin- tendente agli Archivi veneti, Presidente della Commis- sione araldica per la Venezia. (S.'? Apollinare, ponte storto, 1500). — XV س‎ (5 gennaio 1890) Serca PrETRO, dottore nelle scienze fisico-chimiche ed in chimica e farmacia, membro della Società chimica di Berlino e della Società di scienze naturali ed econo- miche di Palermo, membro della R. Commissione per l’ accertamento dei reati di veneficio e del Consiglio sanitario provinciale di Padova, professore ordinario di chimica farmaceutica e tossicologica, insegnante di chi- mica bromatologica e direttore della Scuola di farma- cia nella R. Università di Padova. (Via Ospitale, Isti- tuto chimico-farmaceutico). (2 luglio 1890) BERCHET GUGLIELMO, dottore in legge, Comm. sb, Uff. *, Cav. della Legion d'onore di Francia, Cav. del Leone e Sole di Persia, Comm. dell’ Ordine di Francesco Giu- seppe e dell' Ordine imperiale giapponese del sole le- vante, decorato della grande medaglia d’oro di I Classe da S. M. l'Imperatore di Germania, socio degli Ate- nei di Venezia, Milano, Treviso e Bassano, delle Acca- demie di Modena e di Rovigo e della Società ligure di storia patria, membro dell'Istituto storico di Francia e delle Società geografiche di Roma, Vienna e Tokio, membro effettivo del Consiglio superiore degli Archivi e della Consulta araldica, m. e. e segretario della Regia Deputazione veneta di storia patria. — Venezia. (San Martino, fondamenta dell’ Arsenale, 2169) (!). (1) Art. 13 degti Statuti interni: «I membri effettivi dell'Istituto lombardo sono di diritto aggregati all'Istituto veneto, e godono nelle adunanze di tutti i diritti dei membri effettivi, meno il diritto di voto.» ТОЙ, Si ҮЙ с — xvi — MEMBRI ONORARI Don PEDROS D’ ALCANTARA, ex Imperatore del Brasile. S. E. MENABREA Conte Lurar FEDERICO, marchese di Val- dora, professore emerito di costruzione nella R. Uni- versità di Torino, dottore in leggi, honoris causa, nelle RR. Università di Oxford e Cambridge, Senatore del Regno, Cav. dell’ Ordine supremo della SS. Annunziata, Gr. Cord. s, Gr. Croce cy, Gr. Croce dell’ Ordine mi- litare di Savoja, Cons. dell’ Ordine civile di Savoja, e Cav. dell'Ordine militare di Savoja, decorato della me- daglia d’oro al valore militare, e della medaglia d’oro Mauriziana, Gr. Croce dell’ Ordine Sup. del Seraf. di Svezia, dell'Ordine di St. Alessandro di Newki di Rus- sia, di Danebrog di Danimarca, Gr. Cr. dell'Ordine di Torre e Spada di Portogallo, dell’ Ordine del Leone Neerlandese, di Leopoldo del Belgio (categ. militare), della Probità di Sassonia, della Cor. di Wiirtemberg e di Carlo Ш di Spagna, dell’ Ordine di St.° Stefano d' Ungheria, dell’ Ordine di Leopoldo d’ Austria, di quelli della Fedeltà e del Leone di Zoehring di Baden ecc., Comm. della legione d'onore di Francia ecc., Luogo- Tenente Generale, Ambasciatore di S. M. a Parigi, primo Aiutante di campo e Generale onorario di Sua Maestà. SOCI CORRISPONDENTI DELLE PROVINCIE VENETE Liov nob. PaoLo, Comm. cj, deputato al Parlamento, Pre- sidente del Club alpino italiano, membro della Dire- zione della Società geologica, Vicepresidente del Con- siglio provinciale di Vicenza. (S. Michele, 1995). VaLussi dottor Pacirico, Comm. sk, sk, pubblicista. — Udine. (Via Savorgnana, 14). — XVII — FERRARA FRANCESCO, già professore di economia politica e Ministro delle finanze, Senatore del Regno, Cavaliere dell'Ordine del merito civile di Savoja, Gran Croce s, Comm. d, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uff. della Rosa del Brasile, direttore della R. Scuola superiore di commercio in Venezia, ecc. (S. Bar- naba, Palazzo Foscari). MarsonEG sac. ANTONIO, %, socio della К. Deputazione ve- neta di storia patria, del veneto Ateneo, dell'Assemblea di storia patria di Palermo, dell'Accademia dei Con- cordi di Rovigo e della Roveretana di scienze, lettere ed arti, professore emerito di storia e geografia nel R. Liceo Marco Foscarini di Venezia. (Madonna del- l'Orto, Fondamenta della Sensa, 3296). ÜACOIANIGA ANTONIO, cittadino onorario della città di To- rino, se, Comm. о, socio degli Atenei di Venezia e Treviso, nonchè della R. Accademia di scienze e let- tere in Padova. — Treviso. (Villa Saltore). Ротко dottor GIORGIO, 3k, professore di filosofia nel К. Liceo Marco Foscarini di Venezia. (SS. Apostoli, Fon- damenta Sartori, 4805). DALL’ Acqua Grusti nob. dott. AwToNIO 3k, professore di let- tere e storia nel R. Istituto di belle arti in Venezia. (San Gallo, Calle Tron, 1124). MORSOLIN sac. BERNARDO, s, socio dell’ Accademia Olim- pica di Vicenza, della R. Accademia di Padova e de- gli Atenei di Venezia e Bassano, membro della Regia Deputazione di Storia patria per le provincie venete, della Commissione preposta, alla conservazione dei mo- numenti, della Commissione al civico Museo e di quella di vigilanza alla Biblioteca comunale di Vicenza, pro- fessore di lettere italiane nel К. Liceo Pigafetta. — Vicenza. (Via Canove presso il Teatro Olimpico, 959). SCHIO (DA) AnMERIOO, direttore dell’ Ufficio meteorologico dell’ Accademia Olimpica di Vicenza, presidente della Хут — Sezione di Vicenza del Club alpino italiano. — Vicenza. (Corso Principe Umberto, 873). Teza Emiio, Comm. v, prof. di sanscrito e di gram. comp. delle lingue classiche nella R. Università di Pa- dova. (Via S. Daniele, 2221). FERRAI dott. EUGENIO, s, Comm. e, socio dell’ Imperiale Istituto archeologico germanico, socio straniero dell'Ac- cademia di Atene, e di varie altre Accademie, pro- fessore ordinario di lettere greche, nonchè incaricato dell’ insegnamento dell’archeologia nella К. Università di Padova. (Via S. Gaetano, 3393). Tamassia dott. ARRIGO, socio corsispondente del Reale Istituto lombardo di scienze e lettere, professore or- dinario di medicina legale sperimentale nella Regia Università di Padova. (Via S. Prosdocimo, 5051). PaPADOPOLI conte NicoLò; Uff. 4e, Grande Ufficiale « , Uf- ficiale onorario di cavalleria, socio straniero della So- cietà Reale di numismatica in Bruxelles, Accademico di merito residente della R. Accademia di belle arti, socio residente dell’ Ateneo veneto, Presidente della Regia Commissione ampelografica per la provincia di Venezia. (S.t Apollinare, 1364). MARTINI Trro, xy, membro effettivo dell'Ateneo di Venezia e della Società Veneto-Trentina di scienze naturali, residente in Padova, socio corrispondente della R. Ac- cademia dei Georgofili e della Colombaria di Firenze, professore titolare di matematiche nella R. Scuola su- periore di commercio e professore titolare di fisica e chimica nel К. Liceo Marco Foscarini di Venezia. (5. Felice; campiello del Pistor, 3842). VERONESE GIUSEPPE, socio corrispondente dell’ Accademia Reale dei Lincei e straordinario della R. Accademia di Padova, nonché dell'Ateneo Veneto, professore di geo- metria analitica e incaricato di geometria superiore pres- | i і | | | { | xix во la R. Università di Padova. (Piazza Vittorio Emanuele, 2517). Сшсош dott. Pro, s, ingegnere ed architetto, professore ordinario di costruzioni stradali, metalliche e ferrovia- rie nella R. Università di Padova. (Via S. Gaetano, 3200). Occioni-Bonarrons Giuseppe, dott. in filosofia, sj, socio onorario dell' Accademia di Udine, socio residente e segretario per le lettere dell' Ateneo Veneto, membro effettivo della R. Deputazione veneta di storia patria, socio corrispondente dell’ Accademia dei Concordi di Rovigo, della Colombaria di Firenze e della Minerva di Trieste, professore titolare di storia e geografia nel R. Liceo Marco Polo di Venezia. (S. Vio, 740). M nei di Venezia e Treviso, dell’ Accademia dei Concordi di Rovigo e dell’ Accademia di Bovolenta, professore di matematica nel R. Istituto tecnico Paolo Sarpi e professore di scienze naturali nell’ Istituto femminile superiore di Venezia. (S. Martino, Campo della Tana, 2160). GALANTI prof. FERDINANDO, Uff. +, 4p, Preside del К. Gin- nasio-Liceo Tito Livio di Padova, libero docente nella R. Università di Padova. (Via del Santo, 3905). Cassani Pietro, dottore in matematica, 4, socio degli Ate- CARPENE prof. ANTONIO, Uff. 4, dottore in chimica, membro del Consiglio permanente della Società generale degli agricoltori italiani, socio onorario della Società pro- motrice della popolare istruzione di Govone e del Co- mizio agrario di Treviso, membro onorario della Società di scienze mediche in Conegliano, membro della Com- missione ampelografica governaliva, socio effettivo della Società veneto-trentina di scienze naturali, socio corri- spondente della R. Società economica del Principato Citeriore in Salerno, ecc. — Conegliano. — XX FoGAZZARO dott. ANTONIO, Presidente dell’Accademia Olim- pica. — Vicenza. (Ai Carmini, 132). MoLmEnTI prof. P. G., Deputato al Parlamento Nazionale. — Venezia. (S. Tomà, 2511). FERRARIS CARLO FRANCESCO, Comm. Wk, 56, socio corri- spondente del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, membro dell’ Istituto internazionale di statistica, del Consiglio superiore di statistica e del Comitato del Con- siglo stesso, della Commissione consultiva sulle Istitu- zioni di previdenza e sul lavoro e dell'American Aca- demy of political and social Science, professore ordi- nario di statistica nella R. Università di Padova. (Via i 5. Luca, 165). BERTOLINI avv. dott. DARIO, sr, s, socio effettivo della R, Deputazione Veneta sopra gli studi di Storia patria, socio corrispondente estero de la Academia della Hi- storia di Madrid, dell'Istituto Archeologico germanico, dell'Ateneo veneto, dell’Accademia di Udine, socio del- l'Accademia araldico-genealogica italiana, Vicedirettore di musei, gallerie, scavi e monumenti. — Portogruaro. GnADENIGO nob. dott. PIETRO, 4, socio di varie Accademie, professore ordinario di oculistica presso la R. Univer- sità di Padova. (Piazza Vittorio Emanuele, 2157). PoLETTI prof. Francesco, licenziato negli studi di legge all'Università di Padova, professore di lettere con di- ploma dell’Università di Torino, preside del R. Ginna- sio-Liceo Stellini di Udine (Via Poscolle, 57). Bassini dott. EpoARDO, professore ordinario di clinica e me- È dicina operativa nella R. Università di Padova (Ogni- | santi, Via 5. Eufemia, 2988 С). Mazzoni Gumo, dottore in lettere, Socio della R. Coni- missione pei testi di lingua, Socio corrispondente della К. Accademia di lettere, scienze ed arti in Pa- — XXI dova, professore ordinario di lettere italiane nella R. Università di Padova. (S. Francesco, Via Pozzo dipin- to, 3825). OrPOLLA prof. Francesco, Verona (Via Stella, 21). SOCI CORRISPONDENTI CHE CESSARONO DI APPARTENERE ALLE PROVINCIE VENETE Cossa nob. dott. ALFONSO, Comm. sf, f, cav. di più Or- dini, socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, uno dei XL della Società italiana delle scienze e lette- re, dell’Accademia delle scienze dell’ Istituto di Dolo- gna, socio ordinario dell'Istituto d' incoraggiamento alle scienze naturali di Napoli, dell’ Accademia Gioenia di scienze naturali in Catania, membro delle Reali Ac- cademie delle scienze e di agricoltura in Torino, pro- fessore di chimica docimastica e direttore della R. Scuola d'applieazione per gl’ ingegneri in Torino, non- chè professore di chimica minerale presso il Regio Museo industriale italiano. NaccarI ANDREA, dottore in matematica, 5$, professore di fisica sperimentale e direttore del relativo vabinetto | g nella R. Università di Torino. теш Augusto, Jp, membro pensionato della R. Accade- mia delle scienze di Bologna, membro corrispondente dell’ Accademia di scienze naturali ed economiche di Palermo, della R. Accademia di Torino e della R. Ac- cademia dei Lincei, professore ‘ordinario di fisica nella R. Università di Bologna. — XXII — SOCI CORRISPONDENT! ITALIANI ALBINI GIUSEPPE, Uff. ў, Comm. dp, professore di fisio- logia, oftalmologia ed esercizi di semiotica e terapeu- tica oculare, nonchè direttore del relativo gabinetto presso la R. Università di Napoli. ALFIERI DI SOSTEGNO march. CARLO, Senatore del Regno, Gr. Cr. *, Gr. Uff. xp, Uff. della Legione d'onore di Francia, presidente e soprintendente del R. Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento, nonché soprintendente e Preside onorario perpetuo del Colle- gio degl'insegnanti nell'Istituto Cesare Alfieri di Fi- renze. ALIANELLI prof. NicoLò, comm. sje, ci», Senatore del Regno, — Napoli. Bassani dott. FRANCESCO, professore ordinario di geologia e direttore del gabinetto geologico nella R. Università di Napoli. BarraGLINI GIUSEPPE, Uff. +, Comm. d, Cav. dell'Ordine civile di Savoja, professore di calcolo differenziale ed integrale e preside della facoltà di scienze fisiche, ma- tematiche e naturali nella R. Università di Napoli. Berti prof. Domenico, deputato al Parlamento, Cav. del- l’Ordine civile di Savoja, Gran Cord. +, Xp, Primo Segretario di S. M. per il Gran Magistero dell’Ordine Mauriziano. — Roma. Berti EnRIco, Senatore del Regno, Cavaliere dell’ Ordine civile di Savoja, Comm. sje, Uff. о, Commendatore della Stella polare di Svezia, membro del Consiglio su- periore di pubblica istruzione, direttore della R. Scuola normale superiore, professore di fisica matematica nella R. Università di Pisa. sca — XXII — Bizzozero dottor GIULIO, *, vb, membro del Consiglio su- periore della pubblica istruzione, professore e direttore del laboratorio di patologia generale nella R. Univer- sità di Torino. DLAsERNA Рівтво, Uff. 3€, Comm. x, Сау. dell'Ordine ci- vile di Savoja, membro del Consiglio superiore della Istruzione pubblica, preside della Facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali nella R. Università di Roma. BoccarDo avv. prof. GrroLamo, Senatore del Regno, Con- sigliere di Stato, Cav. dell'Ordine civile di Savoja Gr. Uff. 56, 5р. — Genova. BOLLATI DI SAI T-PIERRE bar. FEDERICO EMANUELE, dott. in leggi, Uff. +, x, soprintendente degli archivi piemon- tesi, consigliere d'amministrazione presso il R. Econo- mato generale delle antiche provincie, membro della H. Deputazione sovra gli studi di storia patria per le antiche provincie piemontesi e la lombardia, socio cor- rispondente della Società ligure di storia patria, della Colombaria di Firenze, della R. Deputazione di storia patria per le provincie della Romagna e della So- cietà, per la storia di Sicilia, membro della R. Acca- demia delle scienze e direttore dell'Archivio di Stato in Torino. Downroot Luci, Comm. Æ, ci, professore di mineralogia е direttore del relativo Museo nella R. Università di Bologna, incaricato anche dell’ insegnamento della geologia in quella К. Scuola d' applicazione per gli in- gegneri. DoNcoweAGN: D. BALDASSARE, dei Principi di Piombino. — Roma. Boneur prof. RuacEro, deputato al Parlamento, comm. + Gr. Uff. d, Cavaliere dell'Ordine civile di Savoja. — Roma. T HIE S- win d CaLorI dott. Lurar, Comm. sk, , membro dell’Accademia delle scienze dell’istituto di Bologna, professore di ana- tomia umana e direttore del relativo gabinetto nella h. Università di Bologna. o CANNIZZARO STANISLAO, Senatore del Regno, Cav. dell'Ordi- ne civile di Savoja, Comm. Ж, dr, professore di chi- mica generale e direttore dell'Istituto chimico nella Università di Roma. CAPPELLINI GIOVANNI, Comm. s, Gr. Uff. dk, Cavaliere dell'ordine civile di Savoja e di altri Ordini cavallere- schi stranieri, professore e direttore del gabinetto di geologia nella R. Università di bologna. Carpucci GrosuE, Uff. +, Comm. Jk, membro del Consi- glio superiore della pubblica Istruzione, professore di letteratura nella R. Università di Bologna. eot DI Noua barone Domenico, Senatore del Regno, Gr. Uff. +, и, decorato di più ordini cavallereschi don а ieri, Consigliere di Stato, membro del Consiglio degli Archivi ecc. — Roma. CIPOLLA co. CARLO, Uff. dj, socio della R. Deputazione di storia patria di Torino, m. e. della Deputazione veneta di storia patria, corrispondente della Società storica di Berlino, professore di storia moderna nella R. Uni- versità di Torino. СомрАҚЕТТІ Domenico, Uff. $, Comm. d, membro del consiglio superiore di pubblica Istruzione, professore di letteratura e antichità greca nella R. Università di Roma. Conti Augusto, Comm. же, xp, Cavaliere dell'Ordine della Legione d’onore di Himmel, professore di filosofia teorica e morale nel R. Istituto di studi superiori in Firenze. — XXV — CorLro Simone, Gr. Uff. =, Comm. dp, professore di > filosofia teoretica nella R. Università di Palermo. D'ACHIARDI ANTONIO, 4, professore e direttore del gabi- netto di mineralogia nella R. Università di Pisa. DALLA Vepova dott. GIUSEPPE, $, Comm. а, e di altri Ordini cavallereschi esteri, pro”essore di geografia pres- So la R. Università di Roma e incaricato dell’ insegna- mento della geografia fisica nel R. Istituto Superiore di Magistero femminile in Roma. D’ ANCONA ALESSANDRO, 3k, d, membro del Consiglio Su- periore della pubblica istruzione e del Consiglio di- rettivo nella R. Scuola normale Superiore di Pisa e professore di letteratura italiana in quella R. Università. Y lE Gasparis ANNIBALE, Senatore del Regno, Comm. del- l'Ordine civile di Savoja, Uff. *, Comm. uf, e di più Urdini stranieri, professore emerito di astronomia e già direttore della S,ec ola Reale presso la Università di Napoli. Пв, LUNGO Isimoro, Uff. Æ, d, membro della R. Accade- mia della Crusca. — Firenze. y DENZA P. roî. FRANCESCO, sk, Comm. &, socio di più Accademie, membro del Consiglio direttivo di meteo- rologia, Direttore dell'Osservatorio meteorologico di Moncalieri. « Гоҳатт dott. CESARE, cav. dell'Ordine del merito civile di Savoja, Comm. f, sk, Direttore dei Musei e delle Gal- lerie del Regno, Direttore Cajo-divisione del Segreta- rato generale jresso il R. Ministero della pubblica Istruzione in Roma. De Rossr Grovansi BATTISTA, Comm. +, e della Legion d'onore di Francia. — Roma. DESIMONI avv. dott. CORNELIO, sk, Uff. «, Sovrintendente agli Archivi liguri. — Genova. De Vrconi Ezio, Comm. sé, v, e del Reale Ordine mili- Di BÈRENGER prof. ApoLro, Uff. ж, Comm. d, Ispettore FABRETTI ARIODANTE, Comm. d, Uff. FELICI RICCARDO, *, Comm. h, cav. dell'Ordine civile di FERRARIS ingegnere GALILEO, Uff. sje, c, Comm. dell’ Or- FERRERO ANNIBALE, %, Comm. vi, decorato delle medaglie FERRI dott. Lurar, Uff. sf, Comm. ор, cav. dell’ Ordine ci- С УТ T tare di Savoja, decorato della medaglia d'argento al valor militare, Luogotenente generale Comandante di Corpo d'esercito. — Milano. generale forestale a riposo. — Pontassieve, provincia di Firenze. s cav. dell'Ordine civile di Savoja, cav. della Legione d'onore di Francia e della Rosa del Brasile, membro del Consiglio supe- riore della pubblica Istruzione, professore di archeolo- gia greco-romana nella К. Università di Torino. Savoja, professore e direttore del gabinetto di fisica sperimentale nella R. Università di Pisa. dine di Francesco Giuseppe d'Austria, dottore aggre- gato, membro della R. Accademia delle scienze e socio della R. Accademia di agricoltura di Torino, nonché dell’ Accademia di fisica. nella К. Scuola di guerra, membro della Commissione superiore metrica e del Saggio delle monete e dei metalli preziosi, membro del Consiglio direttivo di meteorologia e geodinamica e della R. Scuola d’applicazione per gl’ ingegneri nella Università di Torino, prof. di fisica tecnica nel К. Mu- seo industriale italiano. al valor militare, Colonello del Corpo di Stato Mag- giore, Direttore dell’Istituto topografico militare, Se- gretario della Commissione geodetica italiana. — Fi- renze. vile di Savoja, membro del Consiglio superiore della pubblica Istruzione, professore di filosofia teoretica e $ — XXVII — preside della Facoltà di filosofia e lettere presso la R. Università di Roma. FIORELLI GrusEPPE, Senatore del Regno, Cons. dell'Ordine civile di Savoja, Comm. +, Gr. Uff. фи, Direttore generale di antichità e belle arti. — Roma. FORNARI Sac. VITO, Æ, vh, corrispondente della R. Ac- cademia della Crusca, socio dell’Accademia d’archeolo- gia, lettere e belle arti e Prefetto della Biblioteca nazionale di Napoli. 3 Y AT; ; ў, 2 y р GEMELLARO GAETANO GIORGIO, Comm. s, Uff. ый, profes- sore e direttore del gabinetto di geologia e mineralo- gia, nonchè direttore della Scuola di farmacia presso la R. Università di Palermo. "IORDANO ingegnere FELICE, Comm. s, a, Ispettore generale delle Miniere. — Roma. 3 GORRESIO GASPARE, Senatore del Regno, Comm. sk j e di più Ordini esteri, Prefetto della Biblioteca nazio- nale di Torino. Xi GueLIELMOTTI P. Maestro ALBE vro, de’ Predicatori. ~ Roma. HYLLIBR GIGLIOLI ENRICO, Uff. se, Comm. dj, e dell'Or- dine di Francesco Giuseppe d' Austria, Uff. dell'Ordine della Rosa del Brasile, prof. ordinario e direttore del gabinetto di ‘zoologia e anatomia degli animali verte- beati nel R. Istituto di studi Superiori pratici e di perfezionamento in Firenze. Manno barone D. ANTONIO, Gr. Uff. ж, ж. — Torino. ү , Pat MiLossgvion prof. Eura, membro della Commissione supe- riore metrica e del Saggio delle monete e dei metalli preziosi, vicedirettore del R. Ufficio meteorologico in Roma. MoLEscHoTT GIACOMO, Senatore del Regno, Comm. sk, dk, membro del Consiglio superiore della. pubblica Istru- zione, prof. di fisiologia nella R. Università di Roma. мо ТОКИ ++ Mosso dottor ANGELO, +, d», membro del Consiglio su- periore della Istruzione pubblica, professore di fisiologia presso la R. Università di Torino. NEGRI barone CRISTOFORO, Gran Uff. 5, &, inviato straor- dinario e ministro plenipotenziario a riposo. - Torino. NICOLUCOI GIUSTINIANO, Uff. œ, membro della Commissione per la conservazione dei monumenti e degli oggetti d’antichità e belle arti in Caserta, professore di an- tropologia e direttore del gabinetto nella R. Università di Napoli. i», Cavaliere dell'Ordine È Occioni Onorato, Uff. 3#, Comm. i | civile di Savoja, professore di letteratura latina nella R. Università di Roma. PALMIERI Luien, Senatore del Regno, Comm. s, Gr. Uff. | ug, professore di fisica terrestre e meteorologica, pre- I side della sezione di scienze fisiche e naturali, nonché direttore dell' Osservatorio meteorologico Vesuviano e del gabinetto di fisica terrestre in Napoli. PATERNÒ DI SESSA dott. EMANUELE, Senatore del Regno, Comm. s, ж e dell'Ordine del merito civile di Savoja, prof. ordinario di chimica generale, direttore dell’ Isti- tuto chimico e Rettore nella R. Università di Palermo, nonche prof. di chimica docim. in quella R. Scuola d' applicazione per gl’ ingegneri. 3 PEYRON BERNARDINO, Comm. sf, prof. di lettere, membro della R. Accademia delle scienze e Bibliotecario ono- " rario della Biblioteca Nazionale in Torino. 1 Pigorini dott. Luror, Uff. >, Comm. оф, e di più Ordini stranieri, consigliere della Società geografica italiana, socio della R. Accademia dei Lincei e prof. di paleo- etnologia presso la R. Università di Roma. » | Ragona prof. DOMENICO, *, Comm. он, Direttore del R. 1 Osservatorio astronomico di Modena. RANALLI prof. FERDINANDO, Comm. se, db. professore di letteratura e bibliotecario nella R. Accademia di belle arti in Firenze. RazzABONI CESARE, Uff. +, Gr. Uff. «о, professore di idrau- іса pratica e direttore della К. Scuola d' applicazione degl'ingegneri nella R. Università di Bologna. Rorri ANTONIO, Uff. i, Cavaliere della Legione d'onore di Francia, professore di fisica e direttore del relativo gabinetto nel R. Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento in Firenze. Rurrini dott. FERDINANDO, sje, professore di meccanica ra- zionale presso la R. Università di Bologna. SALVADORI conte Tommaso, xp, Cav. dell’ Ordine di S. Gia- como del merito scientifico, letterario ed ‘artistico, dottore in medicina e chirurgia, membro della R. Ac- cademia delle scienze, socio della К. Accademia @'а- gricoltura di Torino, della Società italiana di scienze naturali, dell’Accademia Gioenia di Catania e di altre Società scientifiche straniere, professore di storia na- turale nel R. Liceo Cavour in Torino, nonché vicedi- rettore del Museo zoologico in quella R. Università. Scaccni ARCANGELO, Senatore del Regno, Cav. dell'Ordine civile di Savoja, Comm. +, Uff. de, professore di mi- neralogia presso la R. Università di Napoli, ScARABELLI-GOMMI FLAMINJ conte GIUSEPPE, Comm. >, oi, Senatore, presidente della Società geologica italiana, corrispondente della R. Accademia dei Lincei, membro del R. Comitato geologico, presidente del Comizio agra- rio d' Imola. SemmoLa Mariano, Senatore del Regno, sk, Comm. di, Comm. del R. Ordine di S. Lodovico e di quello del Nisciam Eftihkar, professore e Direttore del Gabinetto di materia medica e tossicologica presso la R. Univer- - sità di Napoli. — XXX — TABARRINI avv. Marco, Senatore del Regno, Consigliere di Stato, Comm. sf, d, ecc. — Firenze TaccHINI prof. Prergo, Comm. dj, Direttore dell'ufficio cen- trale di meteorologia in Roma. TARDY prof. PLACIDO, Comm. s, Gr. Uff. Wn. — Firenze. TARGIONI-TOZZETTI ADOLFO, Comm. К, Uff «8, Cavaliere dell'Ordine dl Leopoldo d'Austria, membro della Com- missione consultiva per la pesca e di quella per i prov- vedimenti contro la filossera, professore di anatomia comparata degli animali invertebrati e direttore del gabinetto presso il R. Istituto di studî superiori pratici e di perfezionamento in Firenze. TOMMASINI ORESTE. — Roma. Tosti don Lurer, Ab. Benedettino Cassinese, socio ordina- rio della R. Società delle scienze di Napoli, consigliere onorario degli archivi di Stato, Ispettore generale dei monumenti sacri del Regno. ViLLARI PASQUALE, Senatore del Regno, Comm. sé, Gr. Uff. 4, membro del Consiglio superiore della pubblica Istruzione, professore di storia moderna e preside del- la Sezione di filosofi e filologia presso il R. Istituto di studi superiori in Firenze. ZAMBALDI dott. FRANCESCO, oih, professore di lettere greche nella R. Università di Pisa. SOCI CORRISPONDENTI ESTERI AIRY BIDDEL б. — Greenwich. ARNETH (di) ALFREDO. — Vienna. BAZIN ENRICO. — Parigi. BENEDEN (VAN) PIBTRO. — Lovanio. BERGHAUS ENRICO. — Gotha. — XXXI PzRTHELOT MARCELLINO. — Parigi. BERTRAND J. — Ivi. Brens DE HAAN Dave. — Leida. BILLROTH TEODORO. — Vienna. BoussmEsQ VALENTINO б. — Parigi. Brücke ERNESTO. — Vienna. BüprNaER MASSIMILIANO. — Vienna. CARRUTHERS GUGLIELMO. — Londra. CHARCOT Gro. MARTINO. — Parigi. DauBRÉE GABRIELE. — Parigi. De Husk RomuaLDo. — Varsavia. DELISLE LEOPOLDO. — Parigi. De Lorou PrRoEvAL. — Ginevra. Dn Болк Euernio. — Parigi. Dg SyBrL Enrico. — Berlino. Di Haver FRANCESCO. — Vienna. Di SAPORTA GASTONE. — Aix (Provenza). Faye HERvÉ Ave. E. A. — Parigi. liscHeR TEOBALDO. — Marburg. Förster GueLIELMO. — Berlino. GAUDRY ALBERTO. — Parigi. GEGENBAUR CARLO. — Heidelberg. GILBERT FILIPPO. — Lovanio. GREGOROvIUS FERDINANDO. — Monaco. GinTHER SIGISMONDO. — Monaco. Han, Gracomo. — New York. HeLmmoLtz Ermano Lurer FEDERICO. — Berlino. Herr CARLO. — Parigi. Hormann AvGUsTO GueLIELMO. — Berlino. Horts Arro. — Trieste. Нүвтї Giuseppe. — Vienna. KÖLLIKER ALBERTO. — Würzburg, Моммвкх Troporo. — Berlino. UELLER (von) FERDINANDO. — Melbourne MussarIA ADOLFO. — Vienna. NORDENSKIÖLD A. E. — Stockholm. TSI XXXII OpPERT GIULIO. — Parigi. OWEN RICCARDO. — Londra. PASTEUR LUIGI. — Londra. PERTZ GUGLIELMO. — Berlino. QUATREFAGES ARMANDO. — Parigi. Каро ANTONIO. — Budapest. RENDU EUGENIO. — Parigi. Rant PaoLo. — Parigi. RueLLENS CARLO. — Bruxelles. Say LEONE. — Parigi. Scurr MAURIZIO. — Ginevra. ScHimper W. PH. — Strasburgo. SIMONSFELD ENRICO. — Monaco. STUR Dionisio. — Vienna. Suess EDOARDO. — lvi. THOMSON GUGLIELMO. — Glasgow. TYNDALL GIOVANNI. — Londra. WIEDEMANN GUSTAVO. — Lipsia. WOLKMANN RICCARDO. — Halle. ZITTEL CARLO. — Monaco. COMMISSIONI DEL R. ISTITUTO а) سوق‎ + Giunta permanente al Pantheon Veneto eretto dall’ Istituto nel 1847. Membri che la compongono: 4. Jacopo Bernardi 2. Antonio Favaro 3. Fedele Lampertico 4. Andrea Gloria 5. Federico Stefani. Commissione triennale alle Raccolte tecnologiche. (articoli 105 e seg. degli Statuti interni) Membri che la compongono: i) [7 5 I componenti la Presidenza in Consiglio t 4. | 5. Enrico Bernardi 6. Domenico Turazza 7. Antonio Pazienti 8. Edoardo De Betta 9. Antonio Reller. — XXXIV — Commissione triennale alle Raccolte di storia naturale. (articoli 110 е seg. dei suddetti Statuti) Membri che la compongono: 1. 9 =. 5 i б ^ ‘ y p I componenti la Presidenza in Consiglio 1.) 5. Edoardo De Betta 6. Achille De Zigno 7. Antonio Pazienti 8. Giovanni Canestrini Pier Andrea Saecardo. m 2 Commissione triennale per lo studio della lingua e letteratura italiana. (art. 121 degli Statuti interni) Membri che la compongono: 1. Fedele Lampertico 2. Andrea Gloria 8. Giambattista Beltrame 4. Jacopo Bernardi 5. Domenico Turazza Giulio Andrea Pirona e^ ХОШ. c Commissione triennale per le antichità, la storia e gli studi di erudizione. (art. 122 dei citati Statuti) Membri che la compongono: 1. Giuseppe Юе Leva 2 | 1 M Bernardi . Andrea Gloria 4. Antonio Favaro Federico Stefani. Commissione biennale per le proposte di soci corrispondenti. (art. 11-22 degli stessi Statuti) I. Presidente 2. Vicepresidente 3. Segretario 4. Vicesegretario 5. Domenico Turazza ЖОО 6. Antonio Favaro co, 7. Enrico Bernardi VUE Giovanni Marinelli c 9. Fedele Lampertico per la lette- 4 A rat. e per) 10. Andrea Gloria le a 11. Giambattista Beltrame sociali 12. Francesco Bonatelli Commissione annuale alla Biblioteca. a= MANVI m I componenti la Presidenza Giuseppe De Leva Antonio Favaro Giovanni Marinelli Andrea Gloria . . L] . . . ANNO 1890-91 DISPENSA I. ADUNANZA ORDINARIA DEL GIORNO 16 novemprE 1890 DE PRESIDENZA DEL COMMENDATORE GIAMPAOLO VLACOVICH PRESIDENTE. Sono presenti i membri effettivi: PrmoNA vicepresidente , Viana vicesegretario, TURAZZA, PAZIENTI, LAMPERTICO, Miniou, De Leva, FAMBRL LorENZONI, TROIS, E. BER- NARDI, TOLOMEI, FAvARO, SACCARDO, OMBONI, BELLATI, KELLER, STEFANI, SpicA BERCHET e Bizio segretario; nonché i soci corrispondenti: TAMASSIA, MARTINI, CHIC- сш, OccroNI-BONAFFONS, BERTOLINI e MAZZONI. Viene giustificata l'assenza del membro effettivo: Bel- trame. Letto ed approvato l'atto verbale dell’ ultima ordinaria adunanza, il Presidente comunica la lettera di ringrazia- mento, inviata dal nuovo socio corrispondente sig. prof." Guido Mazzoni. Vengono poscia annunziati i doni di pubblicazioni scien- tifiche, pervenute durante il periodo delle vacanze, facen- dosi speciale menzione delle seguenti: a) R. Bettazzi. — Teoria delle grandezze, Opera premia- ta. - Pisa, 1890. b) A. Brunialti. — La legge e la libertà nello Stato mo- derno. Parti I e IL. - Torino, 1888 e 1890. с) A. Buzzati. — Bibliografia bellunese ecc., - Venezia, 1890. Pubbl. il 21 dicembre 1890. 1 9 dei d) 1. C. Buzzati e C. Castori. — De l'emploi abusif du signe et du nom de la croix-rouge. - Deux Mémoires couronnés etc. - Genéve, 1890. e) V. Ceresole. — La République de Venise et les Suisses eic. - Venise, 1890. f) E. Daday de Deés. - Myriopoda Regni Ungariae. - Buda- pest 1889 (cum tabulis). 9) Ministero di agricoltura, industria e commercio. — Sulle associazioni cooperative in Italia. Saggio stati- stico. - Roma, 1890. h) A. Tommasi. — Rivista della fauna raibliana del Friuli (con tav.). - Udine, 1890. 1) S. Vecchi. — L’ essenza reale delle quantità ora dette immaginarie etc. - Parma, 1890 (con tav.) J) Тр. 1-14 dell'Anno I della Rivista d' igiene e sanità pubblica, del dott. P. Canalis e ing. R. Bentivegna. - Roma, 1890. Dopo di ciò, il socio P. Chicchi legge l'applaudita sua Commemorazione del compianto m. e. Senatore Gustavo Bucchia. П m. е. Sen. A. Minich comunica una sua Memoria «sulla laringotomia inter-crico-tiroidea »; ed il socio D. Bertolini un suo scritto « sulle recenti scoperte Concor- diest ». L'aliro socio A. Tamassia fa orale esposizione delle sue ricerche sperimentali « sulla dottrina di Brown Se- quard circa le lesioni al collo ». Vengono infine ammesse, giusta l'articolo 8.° del Re- golamento interno, le due seguenti letture: Studio del prof. Pietro Ragnisco « Sul filosofo Nicoletto Vernia etc. », e le « Ricerche anatomiche» del dott. Rodolfo Penzo « Sul ganglio genicolato e sui nervi, che gli sono CONNESSI ». Terminate le letture, l'Istituto: procede in adunanza segreta a votazioni, a nomina di Giunte e infine ad altri affari registrati all’ordine del giorno. LAVORI LETTI РЕК LA PUBBLICAZIONE NEGLI ATTI APPUNTI SULLA STORIA DI ASTI DALLA CADUTA DELL'IMPERO ROMANO SINO AL PRINCIPIO DEL X SECOLO DEL 8.0 CARLO OIPOLLA (Contin. della р. 109 del precedente tomo), VIII. sti e la Liguria marittima. In questo luogo si presenta una questione gravissima e tale che se potesse essere risolta con sicurezza, se ne avrebbe uno sprazzo luminoso, con cui illuminare gran parte della storia Astese, nei suoi secoli più oscuri. Avremo più volte occasione, nel seguito delle nostre ricerche, di mo- strare le strettissime attinenze, che Asti ebbe, lungo il secolo IX, colla Liguria marittima occidentale, e special- mente con Savona e i territori contermini Anche Torino ebbe relazioni con quella regione; ma nell’elogio funebre di Erico duca del Friuli sembra che Asti ed Albenga ven- gano associate insieme assai strettamente. Il Durandi (111) sì è chiesto il motivo delle relazioni posteriori di Asti con quella parte della Liguria marittima; e suppose che lo si debba cercare nella conquista di re Rotari (661), di cui parla Paolo diacono (14°), scrivendo che quel re « Roma- (144) Pieni. Cisalp., р. 280. (145). I8 Lang, LY, c. 40, аы (4) [50] norum civitates ab urbe "Tusci Lunensi universas que in litore maris site sunt usque ad Francorum fines cepit ». Durandi suppone che in tale circostanza, dato da Rotari un nuovo assetto al ducato Astese, questo siasi esteso sino alla riva del mare. Per verità, l'opinione del Durandi, quantunque non sia sorretta da vere prove, tuttavia si pre- senta come molto seria. Anzi tutto, la costituzione della provincia delle Alpes Cottia aveva determinato stretti rap- porti tra i due versanti dell'Apennino, checché si pensi del- la appartenenza o meno di Asti a quella provincia. In se- condo luogo è un fatto che le città liguri, allora conquistate, furono da Rotari trattate nel modo peggiore. Si spiega fa- cilmente che Paolo diacono, longobardo di nascita e di pensiero, ammolcisca le tinte; ma il Chronicon di Frede- gario (146) narra, che il re longobardo disfece e diede al fuoco Genova, Albenga, Varigotti, Savona (^?) e Luni (148): il popolo fu posto in schiavitù e le mura delle città fu- rono distrutte, anzi « vicos has civitates nominare præce- pit». Trattasi dunque di una distruzione completa. Non dobbiamo quindi aspettarci di trovare colà istituito qual- che ducato; e nella serie dei ducati longobardi, fatta da Pabst (14°), manca per conseguenza il ricordo di qualsiasi città della Liguria marittima. La storia della Liguria marittima a questo tempo è mol- to scarsa di fatti. Il Canale (!5°) non dice proprio nulla (146) Fredeg. Ghron., ed. B. Krusch, in Script. rr. Merov., Ш, 156; Bouquet-Delisle, Recueil des historiens des Gaules et de la France, I, 440-1. (147) Nel testo si legge Soana, o simile, a seconda delle lezioni, Inesattamente il Canale (Istoria della repubbl. di Genova, I, 31) iden- Ийса questo nome con Sabbione nella contea di Nizza, (148) Fredegario ricorda anche Ubitergio; ma questa città non è a cercarsi in Liguria, E Oderzo, la cui distruzione per mano di Rotari, è pur nota dalla hist. di Paolo diac. (149) Gesch. des Langob. Herzogsthums in Forsch. z, d. Gesch., П, 437-8. (150) Jsi. della тер. di Gen., I, 31. 51] (5) di Genova per il tempo longobardo e l'età immediata- mente successiva. Il prof. Girolamo Rossi (°°); che con ogni cura ricercò la storia di Ventimiglia e di Alben- ga, due città che per noi sono della massima importan- za, passa affatto sotto silenzio il loro governo politico durante il periodo longobardo, e viene tosto all’età franca. Ambedue furono erette in comitato; Albenga è ricordata come contea per la prima volta nell'869, e intorno a Ven- timiglia le notizie sono anche più scarse; è ben vero che si affermò che essa fosse di già costituita in comitato nell’ 806, ma di questa supposizione manca qualsiasi pro- va (15%), Se nella Liguria marittima non possiamo trovare 1 (151) Storia della città di Ventimiglia, Tor., 1859, p. 34, 37; id. St. d. città e dioc. di Albenga, Albenga, 1870, p. 84-5, 87. (152) Sulla storia di Ventimiglia e di Albenga, è conveniente ri- chiamare qui una questione assai grave e che diede occasione di recente a dotte indagini critiche. Fu sostenuto, cioè, che i comitati di Ventimiglia e di Albenga, o almeno il primo di essi abbiano ap- pàrtenuto alla Marca di Toscana. Questo deduce il ch. Cais de Pier- las (1 Conti di Ventimiglia, in Miscell. di stor, ital, XXIIT, 11) da Una epistola di Giovanni УШ (Jatfe, 2 ed; 3234 [2458 |) a Bosone conte di Provenza, nella quale 11 pontefice parla di Adalberto mar- chese (di Toscana) e di Rotilde sua moglie, i quali possedevano certi « comitata in Provincia (Provenza) posita ». Non è fatto il nome di quei Comitati; ma il Pierlas suppone, che siano quelli di Ventimiglia e di Albenga, quasi che essi si possano considerare siccome situati in Provenza, Tuttavia Pierlas (Le XI siècle dans les Alpes Maritti- me, estr. dalle Mem. dell’ Ассай. di Torino, ser. П, t. 99, Tor. 1889, P. 4) ammette, che quell’ Adalberto avesse possessi nella Proven- za propria. Anzi per meglio rafforzare questa sua supposizione, il Pierlas rammenta un documento del 1419, riguardante il comitato di Ventimiglia. E ancora, a sostegno della sua tesi, egli sostiene che i conti di Ventimiglia discendono dai marchesi di Toscana. Ma per Provare siffatta parentela, l' egregio storico non crede di poter ad- durre prove dirette, sibbene si limita a porre in campo alcune con- Betture, Anzi tutto egli stabilisce, che nell’ anno 884 Adalberto di l'oseana possedeva alcuni beni nella Lunigiana, E, in secondo luogo, (6) [52] centri politici che la reggessero (!**), dovremo cercarli а set- tentrione dell’Apennino. In tal caso Asti è tra le città, che prime si presentano alla nostra considerazione. Nell'età cita un documento apocrifo, colla data dell’anno 954, secondo il quale Guido, marchese delle Alpi marittime e conte di Ventimiglia, era anche conte della Lunigiana, Il Gais, riconoscendo la falsità di questo documento, suppone tuttavia che, nel suo contenuto, abbia qualche elemento di verità, poichè trova che un documento dell’anno 1177 accenna alla donazione di Guido, che forma oggetto all’ atto apocrifo del 954, Il Pierlas (p. 125) pubblica l’ atto del 1177, ma in questo si legge solamente, in riguardo agli offici tenuti da Guido : «d, Guidonem quondam comitem et dominum Ventimilii et dicti ca- stri de Sepulcro >, П medesimo Pierlas in altro suo importante la- voro (Statuts et priviléges accordés aw comté de Ventimille et val de Lantosque par les comtes de Provence, Genova, 1890, p. 9) fa menzione di un inventario del X secolo, in cui si enumerano parec- chie carte comprese sotto il nome di «iura Marche»; alcuna tra esse riguarda Tenda, Il Pierlas si chiede, se tale Marca sia quella di iudicata la questione, Albenga o quella di Toscana, e lascia impre Tenda appartenne ad una Marca, siccome risulta da un curioso do- cumento, che può leggersi presso Gioffredo (Storia delle Alpi ma- v ^ vittime, Torino, 1839, col. 308) ; è questa la conferma di certa con- suetudo, cui « dominus Ardoinus marchiso » fece a quelli di Tenda, Briga e Saorgio, Gioffredo attribuisce questo documento al 1002 e crede, che l'Ardoino, qui ricordato, sia quello d’ Ivrea, Ardoino dive- nuto allora celebre come re d' Italia, Cais (Misc. di stor. ital., XXIII, 24) non si scosta dal Gioffredo in quanto all'epoca cui attribuire quell’ atto, ma invece identifica l' enimmatico Ardoino con Ardoino V marchese di Susa. E infatti egli trova (р. 13) abbastanza sicure traccie di possessi tenuti dai marchesi di Susa nel contado e nella Marca di Albenga. Tutto questo dimostra quanto oscure siano le re- lazioni delle terre liguri coi paesi contermini, А proposito della citata epistola di Giovanni УШ si può notare che E. Dimmler (Ost. R., III, 92, ed ivi n. 2) non si occupa nep- pure della ricerca dei comitata in essa menzionati, Mentre l'epistola viene generalmente attribuita all'anno 878, il: Dümmler inclina a crederla del 3 marzo 879, e suppone che nel testo pervenutocene sia da mutare Y ind, XIV in ind. XIII. (453) Solo per congettura, il Balbo (Appunti per la storia delle [53] (7) romana, luoghi d’ importanza, insieme con Hasta, furono a SO, S e SE di essa, Augusta Bagennorum, Pollentia, Alba Pompeia ed Aqu: Statielle. Ma di queste quattro località, le due prime non conservarono una vera impor- tanza nell'età medioevale. Sembra che Alba abbia pure sofferto danni gravissimi; giacchè il suo comitato appari- sce per la prima volta nell’ 870 (154), col nome non di Al- bense, ma di Dianense dal nome del villaggio Diano. Aqui, che tuttavia rimane molto a levante, si conservò in mi- gliore floridezza. Quella città è ricordata come una delle più importanti delle Alpes Cotti@ nel Catalogo (°°) e in Paolo diacono (156); ma tuttavia neppur essa può parago- narsi di gran lunga con Asti, e il suo comitato non viene ricordato che in epoca relativamente assai tarda (57). In tutto il Piemonte, Paolo diacono ricorda soltanto i ducati di Asti e di Torino; al tempo di Desiderio si ha altrove menzione del ducato di Ivrea (19%); ma nè Alba, né Aqui ebbero, che si sappia, giammai l'onore del ducato. Ecco perché Asti si presenta da sè come un centro politico di molto rilievo e tale da rendere più о meno, e dentro а certi limiti, possibile 1’ ipotesi del Durandi. Coll'età franca abbiamo in questa parte del Piemonte odierno una assai grande divisione territoriale, che fa spic- catissimo contrasto colle condizioni delle cose al tempo longobardo. I comitati pullulano. Ci sono quelli di Auriate, città italiane in: Il regnò di Carlo Magno in Italia, Firenze, 1869, р. 341), suppone che Savona, Ventimiglia ecc. fossero ducati. Per Ventimiglia lo segue б. Rossi, Stor, di Venl., 2 ed., Oneglia, 1888, p. 28, (154) Durandi, Piem. Cisp., p. 180. (155) Script. rr. Lany., p. 188. (156) Hist. Lang. Il, c. 10. Di qui dipende Benzo d'Alessandria, Scrittore del sec, XIV (presso Moriondo, Mon. Aquensia, II, 284) seb- bene citi « Papias ». (157) Durandi, Piem. Cisp., p. 222 segg. (158) Pabst, op. cit., 438. (8) [54] di Diano, di Bredolo, il Tiniense ecc., dei quali parla il Durandi. In ciò evidentemente si deve vedere la conse- guenza dei nuovi ordinamenti franchi. Naturalmente è vano ricercare sopra quali parti della riviera ligure possa essersi estesa la giurisdizione di Asti; probabilmente bisogna pensare, come si è detto, ai terri- tori di Savona e di Albenga. Non c'è motivo а sospettare la dipendenza della Liguria marittima orientale da Asti. IX. Vescovi di Asti nel secolo VII; il supposto vescovo Secondo. In generale si colloca nella serie dei vescovi Astesi, tra la fine del VI ed il principio del VII secolo, il vescovo S. Secondo. Non lo si trova nel cata logo ms. di Mons. Agostino della Chiesa (15°); ma il medesimo storico lo re- gistra altrove 0799) scrivendo, all'anno 590: « S. Secundus non martyr, ut d allucinantur, sed episcopus, qui, ut asserit Bernardinus Corius, Agilulphum Longoba rdorum regem baptizavit ». Più diffusamente si parla di ciò nel Directorium Dio- cesamnum di M. A. Thomatus vescovo di Asti CS, dove si cerca di eliminare i dubbi di Mons. Della Chiesa, e accer- tare che Secondo fu veramente vescovo di Asti e battezzó re Agilulfo nel 591. Qui si ricorda come Filippo Malabay- la (46?) abbia sostenuto, che il testo di Paolo diacono, dove dice che Agilulfo fu battezzato da Secondo da Trento, è corrotto; mentre si deve intendere di Secondo di Asti. L’ ipotesi, svolta nel Directorium, è questa in sostanza : (159) Descr izione del Piemonte, 342 (ms. della bibl, di Sua Mae- stà in Torino): « Cathalogo delli vesc ovi d’Asti ». (460) S. R, E. Cardinalium, Archiep., episcop. et abbatum Pe- demontane regionis chronol. historia, Aug. Taur., 1645, p. 161. (161) Astae, 1670, p. 148-9. (162) Glypeus, p. 87. [55] (9) bisogna distinguere il battesimo di Agilulfo da quello di suo figlio Adoloaldo, quello avvenuto nel 591 e questo nel 599. -Adoloaldo fu battezzato da Secondino, non vescovo ma abate, mentre Agilulfo fu battezzato da Secondo ve- Scovo di Asti. Del battesimo di Adoloaldo tien parola Paolo diacono, mentre di quello di Agilulfo si può trovar traccia in una epistola di S. Gregorio I. Nessun Secondo vescovo di Trento può aver battezzato Agilulfo, perchè allora, 591, vescovo di Trento era Agnello; fatta anche astrazione dal- la questione del nome, il vescovo di Trento — secondo le parole di Paolo — era stato mandato allora come ora- tore in Francia per trattare della restituzione degli schia- vi. Secondo di Asti fu scelto a quel battesimo, da Lorenzo vescovo di Milano (e allora soggiornante a Genova), sia per la sua santità, sia in grazia di Gondoaldo duca di Asti, cognato di Agilulfo. Che tutto ciò sia un ammasso Strano di equivoci, lo si vedra facilmente. Né con precauzione maggiore procede 1’ Ughelli, o piuttosto Filippo Malabaila, che all'Ughelli somministrò i materiali per la storia dei vescovi Astesi. Infatti egli cre- de (463), che Liutprando concedesse il suo diploma proprio ad un vescovo Evasio effettivamente vivo, e questo ritie- ne fosse vescovo di Asti, identificando coll’Evasio del Ch». Novalic. e del diploma di Carlo Magno. Ricordisi poi, che Bugatti è incerto, se il Secondo, che battezzò Agilulfo, fosse, come si crede, il vescovo d'Asti, Ovvero fosse vescovo di Trento; ma il suo dubbio va eli- Minato, poichè allora sulla cattedra di Trento sedeva Agnello. Е il Baronio provò, che i figli di Agilulfo furono battezzati non da Secondo, siccome serive Paolo diacono, Ma da Secondino, ricordato da S. Gregorio, la cui lettera Serve a correggere il luogo depravato di Paolo. E ag- 510006, che si crede scelto Secondo di Asti, sia per la sua Specchiata vita, sia perchè era vescovo di quella città, di (163) It. sacr., IV, 337. 7 LI 2 (10) [56] cui era duca Gondoaldo cognato di Agilulfo. Almeno qui sono minori le affermazioni, e più schiettamente è riferita la leggenda letteraria (!6*). Abbiamo visto citarsi il Corio a provare 1] battesimo, somministrato a re Agilulfo da S. Secondo di Asti (195). Lo storico milanese Corio ('66) dice invece tutt'altro: «al qual (Agilulfo) ne la terra de Moncia: de Theodolinda in tal giorno nacque uno figliolo che fu appellato Adaloald: et in el tempio predicto (d£ S. Giovanni) dal sacro fonte fu levato da Secundo tridentino servo de Dio ». Qui non si parla affatto di re Agilulfo; e le parole di Paolo sono sol- tanto la traduzione di Paolo diacono (167): « Agilulfo quo- que regi tune nascitur filius de Theudelinda regina in Mo- dici palatio, qui Arioald est appellatus .... Tune etiam baptizatus est prenominatus puer Adoloald, filius Agilulfi regis, in Sancto Johanne in Modicia, et susceptus de fonte est a Secundo servo Christi de Tridento, cuius вре fe- cimus mentionem ». Segue la indicazione che in quell'an- no il giorno di Pasqua scadde il 7 aprile; locché significa che correva l anno 603. Il Baronio (!55) si limita a sostituire in Paolo diacono, a Secondo, il nome di Secondino, così leggendo egli nel testo da lui adoperato delle epistole Gregoriane; esclude che il battezzatore del figlio di Agilulfo fosse vescovo di Trento, ma null’altro aggiunge, nè allude affatto ad alcun (164) Esempio di gravissima confusione può essere il seguente luogo di uno storico astese del secolo scorso, б, А. Molina (Notizie storiche della città d'Asti, Asti, 1774, 1, 136): « Gondoaldo ariano di religione passò poi per opera di Teodolinda alla chiesa Cattolica, fu battezzato da S. Secondo vescovo d’ Asti ». (165) Nessuna traccia si ha della conversione di Agilulfo al cat- tolicismo, laonde Weise (Italien ecc., p. 260, 266) crede che egli sia rimasto ariano, (166) Hist. Mediol., Mediolani, 1503. (LOT), Hist. libi LV, 025. ө 27. (168) Aun. Eccl. 599, аг, 15. [57] (11) Secondo vescovo di Asti. La lettera (16°) da S. Gregorio Indirizzata a Teodolinda per congratularsi seco lei che ave- va dato alla luce il figlio Adulowaldo, e lo aveva ascritto alla fede cattolica, tocca anche di Secundus abbas, per dire che gli scriverà, appena la podagra da cui era oppresso gli laseierà un ро’ di tregua. Secondo i testi attuali, il nome ё Secundus (!99), e la lettera si ascrive al dicem- bre 603. Svanisce quindi il motivo di mutare il luogo di Paolo diacono ; e sopra tutto si elimina ogni ragione per distin- guere secondo da Secondino, e supporre che un Secondi- n0 abbia battezzato Agilulfo nel 591. Il supposto battesimo di Agilulfo, al momento della sua elevazione al trono, non è che la conseguenza di un equivoco. Il ricordo dell'an- tico martire 8. Secondo, si fuse col Secondo tridentino ; un altro equivoco fece di quest’ ultimo un vescovo, invece che un abate (17%). L'incertezza, che naturalmente si ave- Và circa alla identificazione del Secondo di Paolo dia- cono con quello di Gregorio I, contribui a rendere difficili le necessarie distinzioni. Si fini per inserire nella serie dei vescovi di Asti un vescovo la cui esistenza non si puó in modo aleuno provare (17%). (169) Jaffe, 1,° ed., 1514; 2." ed, (Ewald), 1925. (170) Egualmente nella lettera, aprile 596, da Gregorio inviata a Secondo servo ilei Ravenne, per ordinargli di procurare la pace con Agilulfo (Jaffé, 4,8 ed. 1041, 2.8 ей 1419), (171) In quest ultimo equivoco, in cui inciampò il Mommsen, cad- di io pure, Costanzo Rinaudo (Di alcune fonti della storia dei Lon- Job. di Paolo diae, Torino, 1882) tornò all antica е giusta interpre- lazione dei luoghi di Paulo (efr. Troya, Cod. dipl. long. dal 977). Riassunsi la questione in Fonti edite della storia della regione Ve- neia Ven., 1889-8, p. 169-8, (172) K tradizione Veneziana, che Giacomo Tiepolo, doge di Ve- nezia, nel 1237 avendo assediato Asti e depredatala, ne portó via il Corpo di $, Secondo; il quale si conserva a Venezia nella chiesa di 5. Secondo in Isola. 11 Corner (Eccl. Ven., V, p. 2; Venetiis, 1749) par- (12) [58] Non è impossibile che si riferisca anche ad Asti quanto viene riferito da Jonas (17°) monaco Bobbiense riguardo a S. Bernolfo abate di quel monastero. Narra Giona, che, dopo la morte di Attila, fu eletto a succedere nella detta abbazia, Bernolfo. Ma Proco (Peno?, Pino?, Procolo?) ve- scovo di Tortona pretese al dominio sul monastero, e a raggiungere questo suo scopo, cercò l'appoggio delle per- sone della corte di re Ariowaldo (626-36) e dei vescovi circonvicini: « agressus primum aulicos vel pontifices vici- nos muneribus tentare». Ciò ottenuto, ricorse al re, il quale rispose, che quelle non erano questioni, di cui egli dovesse impacciarsi. Bernulfo si recò allora a Roma, e da papa Onorio I ottenne sentenza favorevole. Il diploma di Onorio è dell’ 11 giugno 628 (^). Se tra i vescovi i quali favorirono il vescovo Tortonese, sia anche da comprendersi quello di Asti, non risulta naturalmente da prova alcuna; e può solamente supporsi in causa della relativa vicinanza di Asti a Tortona. Nessun fondamento storico ha il vescovo Pastor, che in alcune liste episcopali si legge all'anno 650 (125), Vies lando di ciò, ricorda (Ughelli, IV, 336 e 302; 2 ediz) la questione vertente tra Veneziani ed Astesi a proposito di queste reliquie, Pres- so l'Ughelli, si dice infatti che i Veneziani portarono seco da Asti non il corpo dell'antico martire, ma quello del (supposto) vescovo di egual nome, Il Corner (p. 10) si accontenta di éonchiudere: «.... id tamen fatendum censeo, haud spernenda esse documenta, quibus sus- sulti Astenses Corpus Divi Secundi Martyris adhuc apud se quiesce- re contendunt, Majorem veritati lucem afferre ex documentorum inopia prohibemur; hoc unum constat Divi Secundi Corpus (sive ille episcopus fuerit, sive ut perhibetur Martyr) Venetias allatum fuisse, cujus quidem Corporis sanctitatem plurimis Deusvoluit testa- tam esse miraculis ». (173) Vita s. Bernulfi abbatis, in Acta SS. Aug., ПІ, 752-3 (19 Aug.) (174) Jaffé 4.* ed, 1563, 2." ed. 2017. (175) Gfr. Prima Synodus Diaecesana Astensis sub J. Milliavacca episc. Astensi, Mediol., 1700, p. 359. j į | [59] ; (13) ne riferito anche dall’ Ughelli; ma ivi una nota marginale avverte saggiamente il lettore, che bisogna sospettare una confusione col Pastor, che nel 451 sottoscrisse l epistola sinodale di Eusebio vescovo di Milano р Sicura menzione di un vescovo Astese ricorre final- mente, siccome è noto (77), all'anno 680. Al concilio ro- mano del 27 marzo di quest'anno (!75) intervennero 125 vescovi, che presero una decisione contro l'eresia dei Mo- noteliti (199). Tra coloro, che firmarono (180) gli atti di quel Concilio, troviamo Mansueto vescovo di Milano, seguito dai suoi suffraganei (181). Tra questi, Benenato vescovo di Asti occupa 1’ undicesimo posto, essendo preceduto dai vescovi di Bergamo, Lodi, Pavia, Aqui, Cremona, Novara, Ivrea, Genova, Brescia e Tortona (182). Sembra che da ciò si possa dedurre, che non da moltissimi anni egli reggesse allora la sede episcopale di Asti. (176) Mansi, Concil, VI, 149-4, Dopo Eusebio di Milano, soscrivo- ПО i vescovi o i messi di Reggio, Piacenza, Bressello, Tortona, Pavia, Ivrea, Torino, Aosta, Lodi, Como, Genova, Asti, Novara, Cremona, Brescia, Vercelli, Albenga, Bergamo. (177) Ughelli, IV, 336; Thomatus, Direct. Dioces., p. 149. (178) Jaffé — Ewald [j^ 288, (179) Mansi, Conc., XI, 185. (180) Costantinopolitano ; Mansi, XI, 306-7 (nomi dei vescovi della provin- cia di Milano), L'elenco delle sottoscrizioni stanno negli atti del VI Conc, (181) Questo sia detto senza entrare nella intricate questioni sui diritti metropolitani di Milano sopra Pavia; intorno ai quali cfr, Mu- › Anecdota latina, I, 949, Cappelletti, Chiese d'Italia, XII, 400. (189) È seguito dai vescovi di Alba, Albenga, Vercelli, Torino, Ventimiglia, ratori (14) [60] X. Il supposto Evas:o Il vescovo di Asti e il diploma di Liutprando su tavola plumbea. Un altro vescovo viene attribuito, durante il periodo longobardo, alla chiesa Astese, cioè Evasio II, nel secolo VII, ai tempi di re Liutprando. Ughelli (85) lo registra infatti col nome di Evasio I, in confronto ad Evasio I del secolo Ш. Il Тотай (!8*) lo dice egli pure secondo, ma gli fa succedere un Evasino, ch'egli lamenta omesso dall’ U- ghelli. Per il Della Chiesa (1#°) il vescovo Evasio, che visse al tempo di Liutprando, è il primo, ed è Evasio П o Eva- sino il suo successore. Ma c’è chi pone, l'uno dopo l'al- tro, quattro Evasii tra il 270 e il 419: sicchè l’ Evasio del tempo di Liutprando è il quinto, ed Evasino è il suo successore (1*6). Confuse naturalmente sono le notizie sul- la vita di questi vescovi. Secondo Mons. Della Chiesa il primo Evasio è martire, beneventano; fatto vescovo di Asti da Gregorio Il per consiglio di Liutprando, fu ucciso dagli eretici a Sedula (ora Casale S. Evasio), e il secondo (o Eva- sino) intervenne alla donazione fatta da Carlomagno, 783, alla Novalesa. L' Ughelli gli attribuisce tre testimonianze, credendoló ricordato: «) in diploma di Liutprando dell'an- no 743; b) nella Cronaca della Novalesa; c) nel diploma da Carlomagno conceduto l'anno 810 a Frodoino abate della Novalesa. L'opinione dell' Ughelli combina con quella di Filippo Malabayla; e non è a meravigliarsene, mentre le biografie dei vescovi Astesi sono state comunicate all’ Ughelli ap- (183) It. sacra, IV, 336-7. (184) Dir. Dioc., p. 149. (185) Chron, hist, p. 161; similmente nella ms, Descr. del Pic- monte, V, 342. (186) Milliavacca, Prima Synodus coc, Mediol, 1700, p. 859. [61] (15) punto dal Malabayla. Nel Clypews, il Malabayla (187) dice essere identico 1 Evasio del diploma di Liutprando, con quello ricordato nel diploma di Carlomagno, non opponen- dosi a tale conclusione la distanza cronologica dei due do- cumenti (488). Cominciamo dal parlare del diploma di Liutprando, 743, intorno al quale c'è una questione intralciatissima; tanto più che, se ivi si parla di un vescovo Evasio, non è ben chiaro il motivo, per cui lo si vorrebbe ritenere di Asti, mentre la sua sede non è indicata. Lo si suppose di Asti, solamente perchè non si potea dirlo di Casale, città eretta in vescovato soltanto in tempi di gran lunga posteriori. Ma la mancanza del nome della diocesi doveva far andar cauti i critici nelle congetture, e non ammettere siccome cosa provata, ciò che è solamente una congettura, anche fondata sopra indizi ragionevoli. Nell'Archivio Capitolare di Casale si conserva la tavo- letta plumbea, che fu oggetto di tante dispute, e che die- de luogo a tante pubblicazioni (/5?). La lamina misura mm, 160 x 65. Spessore: mm. 2. Potei esaminarla, con ogni agio, in Casale, nell'Archi- (187) Clypeus civitatis Aslensis ad retundenda tela, qua auctor chronologic historic de proesulibus Pedemontanis în eam intorsit, Aste, 1647, pag. 20 segg. (188) Non potei vedere la vita di S, Evasio vescovo di Asti, scritta da Giovanni Maria Balliani, Torino, 1566. Costui è uno dei princi- pali tra coloro, che sostengono l'esistenza di un Evasio vescovo di Asti, al tempo di Liutprindo; egli pubblicò il falso diploma di Liut- prando del 743, (189) Il compianto comm, Vincenzo Promis mi mostrò un foglio vo- lante (conservato nella biblioteca di Sua Maestà, Miscell. patria, 169, n." 49) col titolo: Saggio de’ Caratteri, co’ quali viene espressa in picciol Lamina di piombo la donazione di Luitprando (sic) alla Chiesa di Casale; visi riproducono, come saggio paleografico, alcune lettere dell’ iserizione-diploma. Sembra trattarsi di un lavoro ese- guito nella prima metà di questo secolo. (4 6) [62] vio del Capitolo, dove sono stato accolto con ogni maniera di cortesie dal molto rev. canonico Giov. Datt. Alberti, di- rettore di quell’Archivio, al quale rendo le migliori grazie. Trascrivo il documento, avvertendo fin d'ora, che le due prime linee sono in Utere grosse. Le altre nove linee sono in maiuscoletto assai minore. + ANNO: AB ICARNAC (19) [ХО АШИ АШ. EGO LIPRAD' : GRA DI REX REGNI : ET SCE ECCLE (!?!) DEFESOR (499) I ОІВ; APLICE (°°) sEDIS Do ET COCEDO P НАС OFIRMAOIOIS NRE TABVLA BEATO EVASIO QCQD АВЕО M MEO DNJO Ï HAC CIVITATE SEDULE ET SVCOESSORIB; BI’ [PPE түум SJC A PDEOESSORIDB; (!?*) MEIS V'Q, NO I MEA POTESTATE (°) ET DIOCIOE TENEO (!?*) OGIVITATE ('97) су vioLIs (98) OIB; ET TERRITORIS (!??) ЕГ MOTANIS AO LITTORIB ; ET PORTIB; (9) ITA TRIBUO (°°) SCO EVASIO С CVTIS HONORID ; Q H' I FRIGERE (190) Le lettere NA sono congiunte, cosi che la terza asta della N serva come prima della A. (191) La L è tagliata trasversalmente, in segno di abbrevazione. (192) Le lettere OR sono unite, (193) La L è tagliata trasversalmente, (194) Le lettere OR congiunte. (195) In ambedue i casi le leltere TE sono in nesso, ottenuto colla semplice prolungazione verso sinistra della lineetta superiore orizzontale della E; la seconda T era stata dimenticata, e fu aggiun- ta un po’ in alto, (196) Le lettere TE in nesso, come nella voce potestate; in nesso anche NE, (197) Le lettere TE in nesso, al solito. (498) La L è tagliata, (199) Solito nesso per TE. (200) Solito nesso OR. (201) Nesso di TR. [63] (17) TETAVERIT (%0?) SIVE DVX ‘ MAROHIO * SEV ALIA POT SCIAT SE CPOSITVRV (59°). c * L LIB * AVRI MEDIETATE (0*) IMPATORIS (20°) CAMERE (06) ET MEDIETATE (207) ECOLE (90%) 4. (209) | Eco (210) oro IVPEX SAC" PALACI НАС TABOLA SCRIPSI сү ARICV' DUX NOLDEBERTVS COMES (°'') FLADOIN’ EPS TESTES (®). La lettura può dar luogo a pochissime incertezze: essa si presenta tosto da sè nella forma seguente, colle littere grosse, scritte in corsivo : | ANNO AB INCARNACIONE DOMINI.... IND. XIII. EGO LIPRANDUS GRATIA DEI REX REGNI ET SANCTE ECCLESIE DEFENSOR IN OMNIBUS apo- stolice sedis Do et concedo per hanc confirmacionis no- stre tabulam BEATO EVASIO quiequid abeo modo тео | dominio in hac civitate sedule et successoribus eius in per- | petuum, sicut a predecessoribus meis vsque nunc in mea potestate et diccione teneo civitatem cum viculis omnibus et territoriis eius montanis ac littoribus et portibus ita tribuo Sancto Evasio cum evntis honoribus. qui hic (== hec) infringere tentaverit sive dux marchio sev alia potestas sciat se conpositirvm . CL . libras auri, medietatem impera- toris camere et medietatem ecclesie. Ego Oto ivdex sacri palacii hane tabulam scripsi (202) Solito nesso di TE ; in nesso anche AV. (203) Le lettere VR in nesso. (204) Le lettere ТЕ in nesso. (205) In nesso OR. (206) In nesso ME. (207) In nesso ME, e ТЕ. (208) Colla L tagliata, (209) Segue un nodo ornamentale quale usavasi verso il sec, XII. (210) In nesso GO. (211) In nesso ME. (919) In nesso TE, in ambedue i casi, EM S УП 8 | Il | (18) [6/] ТТТ Aricvs dux. Noldebertus comes. Flandoinus episcopus testes. L'incisione delle lettere è, specialmente in qualche punto, leggerissima; e quindi facilmente si spiega il fatto, che le trascrizioni non furono ordinariamente esatte, nè tra di loro conformi. Basta vedere, p. ©., la trascrizione, che ne abbiamo nell'Ughelli, per comprendere in quali errori alcuni siansi lasciati trascorrere. Ivi (?!5) il docu- mento principia così: « Anno ab Incarnatione domini no- stri Jesu Christi 743. Ego Liutprandus ecc. » Finisce: «Ego Joannes Judex sacri Palatii scripsi tabulam plum- beam in testimonium. Amantius de Valdebrat Comes et Flondonius Episc. testes ». Tra le trascrizioni antiché me- rita speciale ricordo, per la cura con cui fu condotta, quella del Canonico Giuseppe Fabrizio de' Conti (de Comi- tibus), colla data 26 ottobre 1780, che si legge al princi- pio del I volume (ms.) dell'opera sua 7ransumptum præ- cipuorum documentorum pro ecclesia cathedrali Casa- len. servato chronologico ordine (?*^). Il de’ Conti, valente paleografo, cercò nella sua trascrizione di imitare i ca- ratteri dell'originale. Qualche svista sfuggi anche a lui; così p. e. al principio, in luogo della + iniziale, scrisse S. L'ultimo, che abbia esaminato la tavola, collazionandone il testo col volgato, fu il prof. Federico Calvanna, il quale comunicò le sue ricerche al dott. Giacomo Gorrini, affinchè quest’ultimo potesse dare del documento quella disamina storica, che pubblicò nel 1884 Ан (213) It. sacra, IV, 336 C-D (ed. Coleti). (214) Quest’ opera importante conservasi nell'Archivio Capitolare di Casale, (215) Gorrini, L'uso del piombo per i diplomi, in: Rivista sto- rica italiana, I, 209 segg. Anche la trascrizione del prof. Calvanna (p. 223) non è senza qualche svista, Così nelle sottoscrizioni scrive: « [Henricus] Dux [ Mal]debert, Comes Frandoinus episcopus », ommet- tendo anche la voce finale testes, Il sig. G. M. (Della Chiesa. Casa- © lese, Casale, 1887, p. 37) riferisce l’ iscrizione o diploma, con molti Í | $ f i [65] (19) Nel testo volgato, come abbiamo or ora notato parlando dell’ Ughelli, l’anno è segnato chiaramente: 748. Ma nel- l'originale nulla si può leggere con certezza; soltanto sembra si possa distinguere una doppia X verso la fine della lacuna. L'anno 743 contrasta coll’ indizione XIII, che dovrebbe essere sostituita da УШ. Intorno alla falsità del diploma, non c'è troppo a di- scutere. Essa si dimostra in tutte le forme, e sotto tutti gli aspetti evidentissima. Nel secolo scorso, avendo i Ca- salesi fatto ricorso alla Santa Sede per ottenere l'appro- vazione del culto di S. Evasio martire del III secolo, il consultore L. de Valentinis, nel febbraio 1737, diede voto negativo; fra le considerazioni — non tutte certo di egual valore — colle quali egli motiva il suo voto (?'5), una ri- guarda il nostro diploma. Il Valentini dice, che esso è di dubbia autenticità; e fosse anche buono, il b. Evasio dal medesimo rammentato non sarebbe l'antico, ma un con- temporaneo di Liutprando. Quest’ ultimo giudizio è certa- mente infondato, siccome si dirà; ma resta il primo. L'Iri- co (*!?) invece ammette per buono il diploma, e lo si com- prende, giacchè il suo libro è diretto a confutare la dis- sertazione del Valentini. Mi affretto a dire tuttavia, che la sua confutazione é poco concludente. G. T. Terraneo ha diritto di essere riguardato siccome uno dei più esimii ed acuti critici dello scorso secolo nel Piemonte. Egli si occupò con molta sagacia del documen- to di Liutprando, in una dissertazioncella (313) in forma errori di lettura; dal modo, con cui egli parla di questo documento, lascia credere, ch'egli nutre qualche lontano dubbio sulla sua auten- ticità. (216) Riferito da Giovanni Andrea Irico, De sancto Kvasio Asten- sium primo episcopo et martyre, Mediol., 1748, p. 4-22, (217) Op. cita p. 60 segg. (218) Accennata per la prima volta dal Glaretta, Notizie stori- che intorno alla vita ed agli scritti di б. Т, Terraneo, ecc. Torino, 1802, p. 64 e 80. (20) [66] di Lettera al signor d. Massimo Bolognino protonotario apostolico, sovra il Diploma del re Liutprando а favore del b. Evasio, che in piombo conservasi da’ Canonici di Casale del Monferrato; è datata « di casa a di xix di giugno mpccxLn ». Riporta anzi tutto il testo del docu- mento, secondo che esso è riferito da fra’ Fulgenzio Ma- ria Emilio, e ne nega l’autenticità. Gli argomenti, da lui ad- dotti, sono in generale così efficaci ed arguti, che merita di tenerne conto. Egli dice che la data con gli anni del Si- gnore è un fatto « contrario all’ uso di quegli antichissi- mi tempi ». E ben vero, che la tavola (almeno nel suo attuale stato di conservazione), non ha alcun numero, poi- ché il numero 743 non si vede nell'originale; ma è innega- bile d'altronde che il documento cominci con «anno ab in- carnacione domini ». Con molta ragione il Terraneo dichia- ra inusitata la formula della &/fwlat/o di re Liutprando: «Ego Luitprandus Rex Regni et in omnibus apostolica Se- dis et Sanctae Ecclesic Defensor». Prima di tutto, egli dice, il nome genuino del re è: Liutprando, e non Luitprando. Qui il suo argomento vale, quantunque la tavola non abbia proprio Luitprando, ma ha Liprandus, che torna lo stesso, o almeno alcun che di somigliante. Il Terraneo prosegue avvertendo, che, in luogo di re del regno, avrebbesi do- vuto scrivere Eccellentissimo; anche contro il Defensor ecc. ha i suoi dubbi. E proseguendo avverte doversi «osservar la diversità di stile, di formole, di titoli, che corre tra questo diploma, a dir poco, sospetto, ed altri di buon conio », e cita una legge di Liutprando (presso Si- gonio, de regno Italie, lib. 11, anno 718) ed un precet- to di Rachi (Muratori, Antig., I, 517). Rileva l’ assurdità della voce Marchio nella formula imprecatoria, mentre nel regno dei Longobardi non c'erano marchesi. Scen- dendo ad esaminare l’escatocollo, trova inammissibile, che Giovanni « iudex sacri palatii » abbia redatto il documen- to, mentre dal ricordato diploma di Rachis si vede « che non a'Giudici, ma alli Notaj toccava di scriver i diplomi, | | | | I | ] ji [67] (21) come uso fu sempre d'ogni tempo ». E ancora «s'indi- cava il luogo e 7 giorno, in cui concedevasi il privilegio, cose tutte mancanti nel nostro piombo ». Nega la possi- bilità dell’ esistenza dei testimoni. Trova strano « quel de Valdebrat » aggiungendo: «od è cognome d’ Amanzio, e in quel tempo i cognomi non eransi ancora introdotti, od è nome del luogo, ov'egli esercitava, e ciò è contra l'u- so ecc.» Ma pur egli = inganna, poichè nel documento non c'è effettivamente la voce de Valdebrat, che va at- tribuita ad inesattezza di trascrizione. Conclude stabilen- do la falsità del documento. Procede poi ad una citazio- ne, che è rilevante, poichè da essa apprendiamo, che quel valente storico, che fu mons. Della Chiesa, già nel XVII se- colo, aveva riconosciuto che il diploma non era autentico. «La falsità di questo diploma plumbeo (dice dunque il Ter- гапео) subodorò fin mons. Francesco Agostino Della Chiesa, il quale peraltro non era il miglior critico del mondo (?!?). Imperocchè rifacendo egli al cap. VI del suo Prontuario de’ documenti spettanti alle Chiese del Piemonte (scritto a penna, ch'io tengo da me ricopiato dall’ originale) ne dà questo giudizio: « Нес donatio contenta in Italia sa- cra Ughelli, et in Vita s. Evasti a Baliano pubblicata, que presumitur facta' a Liutprando predicto 5. Evasio episcopo Astensi de civitate бейш, qua prope Padum in dioecesi Vercellensi iacebat, ex quibus ruinis :edificatum fuit Casale, ex varijs coniecturis non parum nobis reddi- tur suspecta. Primum, quia, ut notavit Nicolaus Vigne- rius... ante tempora Caroli Calvi... non notabatur in chartis Regum et Imperatorum annus D. N. J. Ch., sed tantum dies, mensis et annus Regis tale privilegium con- cedentis, prout, etiam vidimus observatum in pluribus pri- (249) Ma era peraltro un critico per i suoi tempi valente. Lo dimostrano i suoi scritti stampati e manoscritti, In suo elogio si espresse pochi anni sono C, Merkel, Una pretesa dominazione pro- venzale in Piemonte, in Misc. di stor, ital, XXVI, 383, (22) [68] vilegijs et rescriptis . . . . Insuper, quia in ipsa donatione fit mentio de Marchionibus . . . . Prefecti Marcharum . . . fuerunt solummodo a С. M. Imp. pro custodia limitum re- gna Galli: et Germanis ab Italia disterminantium consti- tuti et Marchiones nominati.... quorum dignitas in re- scriptis Imperatorum et Regum nullubi ante ipsum Caro- lum M. nominatur, sed tantum Ducum, Gastaldionum, Co- mitum et agentium. Et tandem si Sedulæ Civitas erat Epi- scopo Vercellensi subjecta, prout fuit Casale, cum. toto suo Comitatu, non est verisimile eandem a Liutprando do- natam fuisse Evasio Episcopo Astensi». Di qui si vede, che per compilare la sua breve ma arguta memoria, il Ter- . raneo si era servito del ms. di mons. Della Chiesa (**°), iraendone almeno alcuni tra i principali argomenti, che lo guidarono alla riferita sua conclusione. (220) La lettera del Terraneo trovasi inserta (all'anno 743) nella voluminosissima sua opera ms. Tabularium Gelto-Ligusticum, che si conserva nella Biblioteca Nazionale-Universitaria di Torino. Nel medesimo Tabularium, pure all’ anno 743, il Terraneo inseri una breve nota in latino, alla quale serve appunto di dichiarazione la lettera al Bolognino, In questa nota, dopo avere trascritto per di- steso le osservazioni del Della Chiesa, che nella lettera al Bologni- no aveva citato solamente in parte, conchiude: «Hujus plumbei do- cumenti, quod apud Casalenses adhue adservari ajuni, nemo est paullo eruditus qui non videat... >, Di qui apparisce, che il Terraneo non soltanto non vide coi propri occhi la tavola plumbea, ma non sapeva neppur bene, e con certezza, dove essa si trovava, L'editto di Liutprando, che il Terraneo cita nella lettera secondo l edizione procuratane dal Sigonio, leggesi nell’ ediz. del Bluhme (Edicta re- gum Langob, in M. G. H., Leges, IV, 107-8) con qualche modificazione anche nella titulalio, Il diploma di Rachis, che spetta al 5 agosto 747, porta il n. 610 presso il Troya, ed il n. 16 presso Chroust, Lan- gob. Kónigs-und Herzogs-Urkunden, p. 188. Nella stessa esposizione latina, il Terraneo, dopo aver citato fra Fulgenzio, Maria Emilio (nella Storia di s, Evasio, par. I, cap. 3, p. 12, n. 13), aggiunge che il documento fu stampato « anche dall’ Ughelli, non so se in Episc. st, nel Casal.», mostrando di non aver sotl'occhio Italia dell Ughelli, LI ) o | | | ! [69] (23) In seguito il diploma andò sempre più perdendo nella stima degli eruditi. Una critica molto assennata ne fece nel 1838 Vincenzo de’ Conti (?*'), sopra tutto mostrando la stranezza del nome Sedula, che sarebbe, secondo il te- sto e l'interpretazione comune, la città di Casale. Egli (p. 46-7) osserva, che tale città è affatto ignota ai geografi, e crede che, anche al tempo di Liutprando, Casale portasse questo nome e non quello di Sedula, come apparisce da un diploma del medesimo Liutprando (2 aprile, ind. X, Pavia) a favore della ‘chiesa di S. Pietro in Ciel d'Oro di Pavia (2%). Tuttavia il De Conti, negando l'autenticità del diploma, non vuole (р. 52) spogliarlo «di tutta la fede ». Distinguendo l'autenticità del documento e la verità della donazione, opina che questa si possa ammettere, almeno fino ad un certo segno; e ne dà a prova la tradizione sempre conservatasi, senza alcuna contraddizione. Le re- lazioni tra Casale e Liutprando sfuggono all’argomento nostro; per certo il duomo di Casale, che nonostante i danni del tempo e quelli fors'anco dei restauri, conserva ancora splendidissime vestigia della sua antica grandezza, risale al tempo longobardo, secondo il giudizio di uomini competentissimi (**). In questo magnifico monumento ar- (221) Notizie storiche della ciltà di Casale e del Monferrato, I, 49 segg. Casale, 1838. (222) Questo diploma, il quale (come notò Chroust, o. c., p. 187) Si dovrebbe attribuire al 713, apr. 9, è almeno gravemente alterato ; e ancora non è esatto il dire che in esso si parli di Casale, Si parla ivi di alcuni casali, di Caselle Scindeale, di Caselle, ma non del nostro Casale, Sta pubblicato il diploma nei Мол, hist, patrie, XIII, 5-8, n.° 1. (223) Mothes, Die Bankunst des Mittelalters in Italien, Jena, 1884, р. 282-3, combatte Kugler, che attribui l’edificio al sec. XII e lo at- tribuisce all'epoca longobardica, osservandovi alcune particolarità dello stile romano antico, che presto si abbandonarono e che, risor- gendo più tardo, si rinnovarono in modo affatto diverso, Anche Hübsch (Die Alichristlichen Kirchen, Curlsruhe, 1862, р, 415 ; tav. 53, fig, 5 pianta, e tav. 54, fig. 2 e 8, spaccato dell'atrio, facciata) at- tribuisce a Liutprando l'erezione del duomo di Casale, (24) [70] tistico, la tradizione potrà ragionevolmente trovare una base assai più solida, che non nella tavola plumbea. Il Troya (**), con molta dottrina e sottigliezza di ricer- che, si studiò di difendere il documento, ch’egli esaminò solamente nell’edizione Ughelliana. Qui, egli dice, non si tratta di un documento trascritto integralmente, ma di una notizia; e l’autore di questa notizia egli lo chiama prenotatore Ughelliano; nè lo spaventa l’anno 743, con cui l’atto principia, poichè esso dovrà attribuirsi al prenota- tore; si può difendere anghe il titolo di difensore della Santa Sede e della santa Chiesa, giacchè nel prologo delle leggi emanate nel 726; Liutprando si intitola defensor della Chiesa: il titolo di difensore della Santa Sede si può spiegare ricordando, ch’ egli restitui alcune città a papa Zaccaria. Questa è una magra difesa, la quale è fatta im- possibile dall'esame della tavola; non si tratta qui di un riassunto, che un prenotatore qualunque abbia fatto, per suo uso, del diploma di Liutprando. La tavola pretende ad essere l'originale. Ben è vero, che nella tavola non c’è l’anno 743, ma c'è indicato anno «b incarnacione; la quale nota cronologica non può affatto esser patrocinata. Del resto il Troya non si nasconde, come si vede, che il documento può essere difeso solo a patto, che si voglia concedere esso non essere quale ci è pervenuto. La tavola pretende ad essere originale; non lo è, e quindi è diplo- maticamente una falsità, checchè pure si pensi del suo contenuto storico. Giustamente il Gorrini, nel suo citato lavoro, trova affatto insufficienti le ragioni del Troya, e mette innanzi nuove difficoltà in riguardo all’anno cri- stiano, e alla intitolazione regia. Tra le frasi, che il Gor- rini giustamente riferisce come più strane, ci sono que- ste: «sive dux, sive marchio», « medietatem imperatoris camere » ecc.; è vero che il Troya, secondo il suo siste- ma, attribuisce al prenotatore tutte queste enormi incon- (224) Cod. dipl. long., IV, 119, n.° 560. 74] (25) gruenze ed errori; ma ciò non toglie, che l’intero docu- mento formi un complesso impossibile. La mancanza delia solita partizione diplomatica, la deficenza cioè dell'arenga ecc., toglie ogni carattere cancelleresco al documento. Tra 1 testimoni, la presenza di un Comes costituisce un altro argomento contro alla bontà dell'atto, siccome anche il Gorrini mette in rilievo (*°). Un'ultima critica ebbe il documento da Antonio Ohro- ust (26), il quale lo riguarda come una goffa falsificazio- ne; si appoggia sulla datazione, che non doveva portare l'anno d'incarnazione, né trovar posto al principio, e si appoggia anche sui testimoni, la cui presenza è esclusa dall' uso longobardo. Queste sono ragioni evidenti cosi, da essere affatto su- perfluo l'insistervi sopra. Solamente si può con profitto rile- vare, che non dissimili sono in grosso anche le ragioni, colle quali il Terraneo negó l'autenticità del diploma; anzi è un fatto degno di molto rimarco questo, che la assurdità dei testimoni in un diploma longobardo sia stata veduta dal Terraneo. Piuttosto rimane a vedere in qual tempo siasi scritta la tavola plumbea attuale. Secondo il Gorrini, l'esame del documento guida a concludere: «la sua struttura ... lo fa ritenere non anteriore al XII secolo; ma, a mio cre- dere, esso dovrebb' essere ancora assai posteriore » (p. 220); «non piü antico del XV secolo» (p.223); « l'intrinseca (225) Il Gorrini (p. 219) trova una difficoltà proveniente dal co- gnome nelle parole « Amantius de Valdebrat Comes » (ch' egli sem- bra poi confondere col iudex sacri palatii), mentre se tale frase Occorre nel testo Ughelliano, non trovasi poi in quello da lui accet- tato (p. 223), inesatto easo pure (come si vide), ma pur privo del co- gnome, (226) Untersuchungen über die Langobardischen Kònigs-und Her- zogsurk, Graz, 1888, p. 61, 87. — Anche il nome di Liprandus in- dica una età tarda; cfr. Galvano Flamma, Manipolus florum; ap. Murat, XI, 597. NU PIS VIa ^ | | (26) [72] sua compilazione ci conduce a rifiutare assolutamente che esso risalga a tempi anteriori al XII secolo ». Il Gorrini, nella precisione geografica, di cui qui si fa sfoggio, ricono- sce un indizio, secondo il quale l’atto non è anteriore al- l'età comunale. Rinuncia invece all’ esame paleografico, perché, in questo campo, è difficile portarne giudizio trat- tandosi « di caratteri incisi su metallo e con evidente sfor- zo di ritrarre ed imitare l’antica scrittura epigrafica ». No- tisi che il Gorrini non vide la tavola, e dovette servirsi soltanto della relazione di un amico. Cercò egli di rag- giungere una maggiore precisione e sicurezza in tale ri- cerca, confrontando la tavola plumbea col Necrologium Casalese ~ che а me non riuscì fatto di trovare (???) - già edito, di sopra una copia del XVII secolo, da G. Avoga- dro (?*5). Secondo l'edizione, il diploma vi è accennato sotto il 28 gennaio (V kalen. Febr.) in questa forma: « Anni- versarium Liutprandi piissimi regis, qui dedit beato Eva- sio totum locum Casalis cum omnibus pertinentis suis: et fiet processio circa ecclesiam, sicut fit in festivitate omnium mortuorum » (°°°). — E sotto il 2 ottobre (VI nonas Oct.) si troverebbe trascritto, sebbene inesattamen- (227) Il rev." Can” б. B. Alberti, archivista della Cattedrale di Casale, m'indicó un vecchio catalogo di libri della biblioteca Capito- lare, dove un necrologio sta così descritto: Diclica Casalen . seu ne- crologium antiq. Benefactor. Basilicae Cathed, in membrana, inci- piens ab initio sciculà XIV usque ad annum 1500 circiter absque frontisp., constans ew foliis assol. 165 et est continuatio alterius an- tiquioris nunc asservati in bibliotheca Seminarii, vol, 4 in fol, Nean- che nella biblioteca del Seminario nulla esiste, secondo 1 assicura- ) zione datamene dal rev.” Can, Guido Raiteri, al quale pure, come all'Alberti, mi professo sommamente obbligato. (298) Necrol. ecclesie b. Evasit Casalensis in Моп. hist. patrie, Script. II, col, 453 segg. Pare che l’amico, dal quale il Gorrini ebbe le sue notizie sui documenti Casalesi, abbia veduto anche il Necro- logium. (229) Necrol., со]. 456. | | | | | [73] (27) te, il documento di Liutprando. Gorrini asserisce (p. 222), che nell’ originale Necrologium, della donazione di Liut- prando, non si fa menzione, nó sotto il 2 ottobre, nè altro- ve. Ma probabilmente dovrà intendersi tale osservazione nel senso che non c'è nel Necrologio la copia del diploma, & ottobre; è difficile supporre che manchi anche il ricordo di re Liutprando sotto il 28 gennaio. Questo ricordo sembra indipendente dal diploma in tavola plumbea, se non foss'al- iro nel nome di Casale, che vi sta in luogo dell'errato no- me Sedulia. Vi si potrebbe cercare un riflesso di tradi- zione legittima, e indipendente dalle alterazioni, che poscia si divulgarono, s'imposero. E danno per me non esser riuscito a trovare quel ms., sicchè devo limitarmi a dire che, per congettura, esaminando lo stile, non sembra sia molto antica neanche la notizia, che leggesi sotto il 28 gen- naio. Il Gorrini attribuisce il Necrologium ai secoli XII- XV, e, raffrontando questo colla tavola, suppone che questa sia stata fatta contemporaneamente alla fine del necrologio stesso, Per verità, la esitazione del ch. Gorrini, nel campo pa- leografico, mi sembra eccessiva, e si spiega per questo ch'e- gli non vide la tavola plumbea. Qualche cosa può dirsi. Una particolarità, che salta subito nell’ occhio, consiste nelle due prime linee in //fere grosse. Alcune di esse (р. e. la g di EGO, nella linea 2; Ја g di GRA, ecc.) sono notevoli, perché hanno gli ingrossamenti ottenuti col formare l'asta con due linee, l'una vicina all’altra. Le lineette di abbreviazione, sia in queste linee, sia nelle suc- cessive, in generale presentano due apici alle estremità, mentre verso il suo mezzo la linea ripiega a semicerchio, come si usava tra la fine del sec. XII e il sec. XII. La forma della M è duplice; l'una è la capitale, e l’altra è la onciale, colle due prime aste insieme unite a forma di 0. Talvolta la S ha la parte superiore inclinata sensibilmente a sinistra. Venendo ai segni ortografici e diacritici, rilevo che nelle parole in (еле grosse si usa talvolta. il se- (28) [74 | gno : а distinguere voce da voce, о meglio frase da fra- se. Alla linea 9 è caratteristico il nodo, che termina la linea, quale si usava sul cadere del secolo XII. In com- plesso i caratteri paleografici del documento lo indicano scritto tra il cadere del secolo XII e i primi decenni del XIII. Il Gorrini, in base ad argomenti di natura storica, aveva assegnato, come limite superiore all’età della tavola, il secolo XII; solamente era stato troppo largo nel se- gnarne il limite inferiore e troppo precipitato, parmi, era stato nel preferire il secolo XV ai secoli anteriori. Il limite inferiore per la falsificazione del documento è il diploma di Federico 1I, del 10 ottobre 1220, nel quale l'atto di Liutprando si trova trascritto. Il De Conti (#0) lo riferi da una vecchia traserizione. Avendoio potuto esami- nare l'originale di questa trascrizione nell'Archivio di Casa- le, ne riporto qui il principio, che è il brano importante per noi: «(S. T.) Jn nomine sancte et Jndividue Trinitatis. Anno dominice Jncar. Mille. duc. vicesimo, Jndic. octava, die lune duodecimo mensis octubris. dns Fredericus Romanorum Rex et semper augustus et hex sycilie . dedit et concessit titulo donationis Jmperpetuum valiture. ecclesie Beati Eva- sii de casali site prope padum in lombardia Civitatem sedule olim sic uocatam nunc autem vsitato vocabulo hominum Casale saneti Evasii dictam cum vicis omnibus. et territoriis eius . montanis . ac litoribus et portibus . cum cuntis honori- bus et confirmavit eidem Ecclesie predictum donum et pre- dictam concessionem auctoritate Regia Jmperpetuum vali- turum (sic). et generaliter dedit et concessit, predicte Ec- clesie quicquid Jn tabula quadam plumbi quam Jn suis ma- nibus habuit e legit. legebatur seu legitur Regem lipran- dum prefate Ecclesie dedisse et confirmasse . et omnia pre- dicta etiam Regia auctoritate Jam dicte ecclesie (sic) et (230) Notizie storiche della città di Casale, II, 293, Fa riprodotto negli Acta Imperii selecta di Bóhmer e Ficker, n.° 247. Porta cop 1190 nei Regesten di Federico П del Ficker. [75] (29) a predicto Rege liprando data et concessa et confirmata prefato Beato Euasio. et а se Jpso vt dietum est data et concessa sepefate Ecclesie confirmauit . penam etiam cen- tum quinquaginta librarum auri Jmposuit cuilibet homini qui predictam donationem et concessionem et confirmatio- nem Jnfringere temptauerit sine dux Marchio seu alia po- testas . statuens vt medietatem predicti auri soluat et com- ponat Jmperatoris Camere (*??!) et medietatem prenominate ecclesie. Tenor autem et littere predicte tabule plumbi hec erant. Ego (**) liprandus gra di rex regni & Sce ecclie defensor in omnib; aplice sedis. do . & concedo per hane confirmationis nre tabulam Beato euasio quicquid habeo modo meo dominio Jn hac ciuitate sedule & successorib; eius Jmperpetuum sicut a predecessorib; meis usque nunc in mea potestate et dictione teneo ciuitatem cum uicis (sic) omnibus & territoriis eius montanis ac littoribus & portibus jta tribuo sco Evasio cum cuntis honoribus . qui hoe infringere teptaverit siue dux . Marchio . seu alia potestas sciat se compositurum Centum quinquaginta li- bras auri medietatem Jmpatoris Camere & medietatem ecclie. Henricus dux . Nolderbert Comes. Flandoinus eps Testes. Ego Oto Judex sacri palacii hane tabulam scripsi . prenominatam autem tabulam blumbi (sic) et omnem scri- pturam que in Jpsa continebatur predictus dns rex Fre- dericus auctoritate regia approbauit et confirmauit — ». Le differenze tra il testo ora recato, quale lo fece tra- scrivere Federico II, e quello della tavola, sono tre: nel primo si ommette la linea 1 (M4 anno ~ XIII), si scrive ve cis per viculis, si fa precedere la serie dei testi dalla ri- cognizione del udev sacri palacii. Dubitai un momento non forse la prima linea sia stata aggiunta alla tavola: un esame un po' affrettato poteva far credere probabile tale (231) Il dittongo esprime qui la e con sediglia dell’ originale. (232) Nel trascrivere del diploma liutprandiano conservo le abbre- viazioni dell’originale fridericiano ; loeché non feci per il brano, che precede, (30) [76] supposizione. Infatti riesce un poco strana la presenza di due linee in littere grosse; oltre a ciò le majuscole della prima linea sono di qualche cosa più piccole che quel- le della seconda, e possono parere anche alquanto più tra- scurate. Ma sono molti gli indizî in senso contrario. Se quella prima linea non fosse esistita, a che serviva lo spa- zio abbandonato bianco tra il limite superiore della tavola e l’attuale linea seconda? mentre non ci sono nè i mar- gini laterali, пе l’ inferiore ? e come mai si poteva compi- lare un diploma, senza note cronologiche, mentre senza di queste niun atto poteva considerarsi per valido ? In base a tali considerazioni mi trovai indotto a credere, che an- che la prima linea della tavola, quantunque ommessa da Federico I, sia stata scritta, quando si scrissero le linee rimanenti. Le altre due differenze sono di assai piccola entità. L’ ordine alternato nell’ escatollo fu suggerito dall’ uso invalso nei diplomi degli Svevi. La sostituzione di vicis- a viculis è affatto trascurabile. Si può poscia avvertire, che le abbreviazioni, usate nella trascrizione fridericiana, fino ad un certo segno coincidono con quelle della tavola. In- somma non può mettersi in dubbio, che a Federico II sia stata presentata quella medesima tavola plumbea che tut- tora conservasi. Nó Federico II (2%), né i suoi predecessori, né i pon- tefici ricordarono mai, nei tempi anteriori, il diploma di re Liutprando; quantunque i privilegi di tal fatta siano molto numerosi (*). Nel che può aversi un indizio per credere, ch’esso sia stato falsificato poco innanzi al 1220. Aggiungo un raffronto paleografico, che, mentre può ser- vire di conferma a ciò, non riesce inutile all'esegesi del- l'atto pseudoliutprandiano. Vidi nell’ Archivio capitolare di Casale un atto dei marchesi Rainerio ed Oberto, dato (233) Nel diploma Ficker, Regesten, 1189. (934) De Conti, Not. di Casale, I, 326 segg. | UT] (31) «infra castrum Aucimiano » (Occimiano) nell'anno 1111. Essendoci nel documento occasione di ricordare due san- ti, come titoli di due chiese, se ne scrivono i nomi in grosso carattere onciale, mentre le parole, che stanno dappresso, sono in minuscolo romano. Ecco i due luoghi: « ecclam SCI MARTINI in zenzano»; «qui in eccla SCI EVASII prepositure ». ‘Nel primo caso la S di sce? è inclinata a si- nistra nella forma, che occorre tanto spesso nei sec. XI- XII, e come si trovò verificarsi più volte anche nel di- ploma liutprandiano. Non basta, ma anche la M di Mar- | tini è onciale, e colle due aste anteriori congiunte ad О. La E di Evasii è pure onciale; e nel diploma liutpran- | diano le E onciali si trovano miste colle E capitali. Que- sta osservazione paleografica non solo risponde allo scopo | nostro in quanto dà alcuni raffronti per le suddette let- | tere, ma sopra tutto risponde al quesito sulla interpreta- | zione delle voci BEATO EVASIO nella linea terza, le | quali sono scritte in fere grosse, a differenza da tutte | le altre parole di quella medesima linea. Diversa ricerca sarebbe quella sulle fonti del docu- mento. E inventato esso per intero? o qualche notizia sto- rica stava a disposizione del falsificatore ? Queste sono do- mande, alle quali, per fortuna, non siamo qui chiamati a dar risposta. E evidente, che nessun testo diretto di qual- siasi diploma di re Liutprando poté servire al falsificatore. Se egli avesse avuto, sia pure di udita, a sua disposizione un documento longobardo, il suo lavoro sarebbe riuscito meno goffo, meno assurdo. Il dottor Chroust, così com- petente in questa materia, non ha creduto di supporre alcun documento legittimo a base di questa falsificazione. Tuttavia se anche è impossibile ammettere, che sotto alla forma attuale sottostia un diploma genuino, non si è an- ! cora provato, che qualche notizia di donazione liutpran- diana esistesse, alla quale il falsificatore abbia voluto dar corpo. Il magnifico e colossale duomo di Casale — 10 si è veduto — viene attribuito all’ età longobarda da Oscar | | | | | | (32) [78] Mothes, anche soltanto in base a ragioni architettoniche, e indipentemente o quasi dai fallaci indizi storici; i quali, del resto, non erano ignoti al Mothes, sebbene egli non o conoscesse forse i dubbi esistenti sopra di ciò. Il grande atrio della cattedrale, egualmente che le forme di alcuni capitelli ornati a cauli e fogliami, di struttura spiccatamen- te caratteristica, rendono proclive il visitatore ad accedere all'opinione del valentissimo tedesco. L'indicazione, che abbiamo nel Necrologium sotto il 28 gennaio, non sembra sia da ammettersi interpolata, come la copia del diploma liutprandiano, che nell edizione si trova sotto il 2 otto- bre. Il Gorrini, è vero, dice espressamente, che questa ultima fu interpolata nella copia del secolo scorso; ma una dichiarazione della mancanza dell'anteriore notizia (28 genn.) pare ch'egli non la faccia. Pertanto quella breve no- tizia, anche se non molto antica, potrebbe fornirci un indi- zio, sia pur tenue, di una tradizione sulla donazione liut- prandiana diversa da quella della tavola. Dove in questa è essenziale il ricordo della città di Sedulia, colà si parla del totus locus Casalis, che è ben altro. E anche nel resto del- la dicitura si trovano varietà non frivole. Mancano i viculi (о vici) e si hanno invece le pertznentiw, ecc. Forse un indizio maggiore in favore di questa ipotesi lo abbiamo nel nome della città di Sedulia, nome falso senza dubbio, siccome osservò il De Conti; ma la сш fallacia può dar luogo a una supposizione. Ottone I largi nel 962 un diploma in favore della Chiesa di Asti, nel quale le si concedono : « omnes plebes abatias cortes senodohia omnesque res et utriusque se- xusque familias iuri eiusdem ecclesie» (**). Così nell'edi- zione accuratissima del prof. T. von Sichel; ma nelle vec- chie edizioni (**5) si leggeva per contro: «omnes plebes, abbatias, curtes, senedule omnesque res utriusque sexus (935) Sickel, Diplom. DO 247 (I, 354-! (2360) Ughelli, IV, 347-8 (ed. Goleti), f | ! ! M MM M EE [79] (33) quoque familias, iuris eiusdem ecclesie ». E l'Ughelli (*?7) opinò, che la Sedula del diploma di Liutprando vada iden- tificato col Senedula del diploma di Ottone; locchè gli giovò per ritenere, che Г Evasio del diploma di Liutpran- do fosse vescovo astese. Vincenzo de’ Conti (°°°) assenna- tamente osserva, che i due documenti non combinano tra di loro, perchè dove Liutprando parla della civitas di Sedu- la, Ottone scrive soltanto Senedula, e sospetta della lezione del testo Ughelliano. Nel che egli non s'ingannava affatto, come ora si vede dall’ edizione del Sickel. Rimane quindi possibile supporre, che anche nel diploma di Liutprando la parola Sedulia riproduca un antico senodohia mal letto. Una cosa sola può riuscire in tutto questo curiosa, come mai ciò nel secolo ХП-ХШ, quando la voce senodochium era ancora di pieno uso, possa essere avvenuta la presen- te strana confusione; ma per ammetterla, basta supporre che nel documento, che servi di fonte (diretta o indiretta) alla tavola plumbea, quella parola fosse anche leggermente sporca о consunta. Altre traccie del vero diploma liutprandiano si trovano, e abbastanza numerose, anteriormente al diploma del 1220 di Federico П. La più importante sta nel diploma di Fe- derico I, 1159 febbraio 1, dato «in territorio Vercellensi, apud Castrum Aucimianum ». Il diploma è in favore di Gre- gorio preposito della Chiesa di S. Evasio di Casale: l'im- peratore riceve la chiesa sotto la sua protezione imperia- le: «confirmantes donum illud quod rex Liprandus ec- clesiae saneti Evasii in vita sua legitur contulisse et iu- ste dedisse » (?*). Se paragoniamo il contenuto del diplo- ma liutprandeo, nella forma a noi pervenuta, col vago (237) Notizie storiche della città di Casale, I, 42 segg. (238) Op. cit., IV, 347. (239) Vine. De Conti, Notizie di Casale, I, 343, Non si dimentichi, che dalla espressione legitur contulisse non può dedursi che chi scriveva le citate parole ignorasse il testo del diploma di Liutprando e lo conoscesse solamente per citazione, Dom У 5 (34) [80] cenno qui fattone da Federico I, si viene alla conclusione che lo Svevo non abbia visto la tavola plumbea, nè abbia menomamente inteso di confermare Casale stessa alla chie- sa locale. Se anche altri indizi mancassero, questo sareb- be sufficiente per farci ritenere, che la tavola plumbea è posteriore al 1159. Troveremo ancora altre traccie per provare l'esistenza di un dono liutprandeo alla Chiesa di S. Evasio; anche il cenno di un Evasio vescovo di Asti, che si trova nel falso diploma di Carlomagno in favore del monastero della Novalesa, nonché il ricordo, che di quel supposto vescovo incontriamo nel Chronicon Nova- liciense, compilato intorno alla metà del secolo XI, pos- sono servire a guidarci a non dissimili conclusioni; poi- chè ambedue queste testimonianze si spiegano in modo con- veniente col farle derivare da una cattiva interpretazio- ne della frase beatus Evastus, che comparisce anche nella tavola plumbea. Leggendosi : ecclesia beati Evasii, con o senza l'aggiunta de Casale, potevasi agevolmente vedere nell’ Evastus il nome di persona viva: la quale non po- tea essere che un vescovo. Ma Casale non ebbe vescovo che in età molto tarda, quando Sisto IV, nel 1474, costitui quella diocesi con villaggi e castelli tolti dalle diocesi di Asti e Vercelli (0): altro legame tra Casale, S. Evasio e Asti la offrivano gli atti del martirio di s. Evasio, i quali, sebbene alterati assai, tuttavia non si possono riguardare come privi di base storica. Era quindi naturale che dell’ E- vasio della tavola plumbea si facesse un vescovo di Asti. Ciò premesso, rientriamo nelle serie delle nostre consi- derazioni. Infatti resta adesso a vedere in qual maniera si debba intendere il diploma liutprandiano, nelle sue relazioni colla storia Astese. Veramente potrebbesi dire; che distrutto una volta il suo valore storico, in quanto si attiene alla particolarità del suo testo, non sarebbe più da proseguire (240) Ughelli, IV, 568-9, [81] (35) questa specie d'indagini; ma è di vero vantaggio dell’ o- pera il procedere, specialmente, perchè si tratta di cose, che furono soggette a lunghe discussioni. Mons. Agostino della Chiesa (*4') dice, che la donazio- zione è fatta non alla chiesa di Casale, ma a S. Evasio e suoi successori, per i quali devesi intendere i vescovi di Asti, i quali, dopo di allora, conservarono il possesso di Sedula, come apparisce dal diploma di Ottone I, dell’anno 962, dove si legge : « omnes plebes, abbatias, cortes Sene- dulæ omnesque res ». Può essere curioso raffrontare que- sto giudizio del Della Chiesa con quello di Chroust (94%), | il quale non sa dove sia la chiesa S. Evasio, in favore della | quale si afferma conceduto il diploma; ma per verità non si possono nutrire molti dubbi, allorchè vediamo che, fino | dal primo momento in cui il diploma liutprandiano com- | parisce nella storia, esso s’ interpreta siccome conceduto | in favore della Chiesa Casalese. E Casale porta sempre l’ap- pellativo di S. Evasio. La confusione, in cui cadde il Della Chiesa, dipende dunque dalla somiglianza di civitas Sedulia colla parola già riferita del diploma Ottoniano per Asti. Ma, come si vide, il Sickel (?**) provò che, in luogo di senedule, sic- come si legge nel testo riferito dall’ Ughelli, è a leg- gersi senodohia, sicchè al nome proprio di una città viene | | | | a sostituirsi il nome comune di senodochi. Certamente la confusione è antica, se essa è presupposta dalla tavola plumbea, e se ne abbiamo ormai un indizio nel citato diploma di Federico П, 12 ottobre 1220 (4); ma, per quanto antica, non ha valore; nó acquista probabilità, | perchè l'ammise l'Ughelli (°). Piuttosto questa confusio- (241) Descrizione del Piemonte, V, 386 (ms, alla biblioteca di Sua Maestà). (242) Op. cit., p. 188. (243) DO, n". 247 (Dipl. reg. et imp., I, 355), (244) De Conti, Not. di Casale, 11, 393. (245) Italia sacra, IV, 886-7. (36) [82] ne ci può spiegare la leggenda sorta intorno ad Evasio presunto vescovo astese, e la sua relazione con Liutpran- do. La leggenda, sotto la penna del cinquecentista Bal- liano, aveva preso tali proporzioni, che il Della Chiesa (?6) rilevò come « molte cose » riferite in tal proposito da quello scrittore «non sono approvate da chi è pratico delle histo- rie ». Il documento più antico intorno alla leggenda di san- tEvasio II sta nella passio beatissimi Evasti martyris, che Irico (^?) pubblica da un Codice di Vercelli e da un Codice di Quargnento, dei quali il primo si attribuisce al 1123 e il secondo al 1118. Secondo la narrazione, data da questa Passio, Evasio è un beneventano, che operava grandi mi- racoli. L'Angelo del Signore gli annunciò, che doveva rice- vere l’onore dell’episcopato in Asti. Egli usci da Beneven- to, insieme col suo compagno Natale, e si avviò verso Ro- ma. Gli mossero incontro alcuni astesi, che lo accolsero con grande favore. C'era allora re Liutprando («in his enim diebus erat nobilis rex Luitprandus »), il quale lo fece con- secrare sacerdote dal Papa («ab apostolico ») nella chiesa di S. Pietro, presso all’altare di questo apostolo («iuxta cius- dem Apostoli aram »). Ricevuta l'ordinazione, usci da Ro- ma, accompagnato dalla turba del popolo accorso da Asti. Cosi giunse alla sua sede. Poscia scoppió la persecuzione ariana : «illis vero diebus erat quidam Sedulo civitatis ha- bitator dux nomine Attubolus arianorum dogmatum | zemu- lator existens ». Egli, preso di rabbia contro quanti con- fessavano il Figlio unigenito di Dio, chiamò a sè Evasio, e lo sottopose ad interrogazioni e a processo; e finalmen- ie lo pose alla morte. Segue il racconto di una guerra fan- tastica degli Astesi contro Sedulia, in cui si parla di Liut- prando, del duca Gaunio e di tante cose, che lo stesso Irico (246) Descr, del Piem., V, 392. (247) De Sancto Evasio astensium primo episcopo et martyre. Me- diol, 1748, p. 143 segg. | | | | | | | [83] (37) riguarda come immaginarie. Irico, che voleva fossero due gli Evasii, distacca questo da quello del diploma di Liutpran- do, dicendo che bisogna anzi tutto restituire il testo degli atti del martirio di Evasio alla loro forma genuina. E per ottenere ció, egli non solo ne espunse quanto ivi segue alla morte di s. Evasio, ma eon soverchia arditezza elimi- nó, nel passo sopra riferito, il nome di Liutprando per so- stituire ad esso quello di Constantinus; e, dic’ egli, con tale modificazione, tutto il testo è aggiustato. Anche Giu- seppe Cantore (48), il quale - come si dirà - recò senza dubbio qualche buon lume alla presente questione, accettò la sostituzione di Constantinus a Liutprando, credendo con ciò di aver detto cosa che aggiusti ogni controversia, e non avvedendosi che la parte, fatta sostenere a Costantino, era sempre ben difficile a venir storicamente spiegata (*49). Meno male avevano fatto i più antichi, riferendo senza al- terazioni la tradizione leggendaria locale. Giovanni Vin- cenzo Ciarlanti (°°), esponendola in forma assai più fan- tastica e colorita, di quello che essa si trovi nella Passio, pone all'anno 741 il martirio di s. Evasio. E meno male di altri ora citati scrisse fr. Fulgenzio Maria Emilio di Ca- sal Monferrato (75!) il quale riferi alla Chiesa Casalese la donazione liutprandea, senza vedere nel b. Evasio, da essa ricordato, alcun vescovo di Asti. Per lui l' Evasio martire Astese è l’antico, del secolo III: ammette tuttavia un ve- (248) Notizie della vita e del culto di S. Evasio proto -vescovo d’ Asti. Torino, 1808, (249) Dando (p. 106 segg.) il testo degli atti di S, Evasio, secondo è portato dall'Irico, il Cantore (p. 102-3) cita anche un ms, dell Ar- chivio della Cattedrale di Casale, ch’ egli attribuisce al secolo XI. (250) Memorie istoriche del Sannio, lsernia, 1644, p. 199 segg. Dal Ciarlanti e dal Sarnelli dipende il De Meo, Annali critico-diplo- matici del regno di Napoli, IT, 943-4, Napoli 1796, il quale pure ac- cetta l'anno 741. (291) Istoria e vita di s, Evasio vescovo e martire, Vercelli, 1708, p. 2 segg., p. 12-8, p. 63 segg; p. 66 segg. (38) [84] scovo Evasio del tempo di Liutprando e presente alla do- nazione di Carlomagno in favore dell' Abbazia della Nova- lesa. Naturalmente, dopo di aver tolto all’ Evasio astese il diploma di Liutprando, troppo deboli restano le testimo- nianze in favore di sua esistenza, limitandosi esse ad at- testazioni di scrittori moderni, i quali, in fin dei conti, di- pendono dalla indicata attribuzione. Frate Filippo Ferra- ri (°5°), al principio del secolo XVII, riassunse la leggen- da, mantenendo Evasio al tempo di Liutprando, e facen- dolo dal re raccomandare a papa Gregorio II. Che nella leggenda ci sia un buon fondo di verità, e quale esso sia, è argomento, che non riguarda noi affatto in questo mo- mento. Ci basta rilevare ch’ essa, così come suona, non è accettabile, e che non può neppur servire a fermare l’e- sistenza di un Evasio vescovo di Casale al tempo di Liut- prando; mentre quelli pure, che fecero ogni sforzo per mantenerne al possibile 1’ integrità, arbitrariamente mu- tarono in Costantino il nome del re longobardo. Ma il nome di Liutprando in realtà non occupa nella Passio un posto arbitrariamente concessogli: esso sta là coordinata- mente alle opinioni correnti intorno al falso diploma di Liutprando. Fino ad ora dunque non abbiamo trovato al- cun buon fondamento per ammettere l’esistenza di un Eva- sio Astese nel secolo VIII (°°). (252) Catalogus sanctorum Italic, Mediolani, 1613, р. 749-8, (253) Filippo Malabayla (Clypeus civitatis Astensis liber apologet., Lugduni, 1656, p. 84-6) combatte le osservazioni e critiche mossegli dal Della Chiesa (Mist. chronol, p. 40), e sostiene che quell’Evasio, di cui parlano gli Atti, non può essere del tempo dei Longobardi, per più motivi: a) in quella età la elezione dei vescovi non si fa- ceva dal papa, ma dal clero locale, locchè contraddice agli Atti; b) un martirio per cagione di fede all’ età longobarda non è guari ammissibile, Rispose a ciò il Della Chiesa (Illustratio historica un- decimi cap. Ghronologico historie Prasulum Pegemontii, Montere- gali, 1649, p. 40 segg.), ammettendo, che. il papa allora usasse no- minare i vescovi (e cita un esempio, ma del tempo di Giovanni VII), | | | | i | [85] (39) Ritorniamo al diploma di re Luitprando, per esaminare il senso della frase beato Evasto. Oi furono alcuni, che in questa frase videro indicata soltanto la Chiesa casalese ; altri dissero, che il diploma da Liutprando fu concesso ad un vescovo di nome Evasio, e al quale, in segno di ri- spetto, egli dà il titolo di beato. Così 1° Ughelli; ma il ri- cordato frate Fulgenzio (*) è dell'opposta opinione: « Fu dunque fatta la detta donatione alla Chiesa, che teneva il titolo di Sant’ Evasio, e non ad Evasio vescovo d'Asti al- l’hora vivente, come evidentemente si comprende da una | lamina di piombo есс.»; e qui raffronta le frasi do et con- | cedo beato Evasio, ita tribuo sancto Evasio colla for- mula di minaccia, in forza della quale metà della multa | inflitta ai contravventori al diploma, va attribuita eccle- sie prefate. « Dunque ~ conchiude - alla Chiesa di San- t Evasio fu fatta questa donatione, e non ad Evasio ve- scovo d'Asti all'hora vivente ». Se la donazione, aggiunge, (p. 19-20) fosse stata fattain favore di un vescovo di Asti, la tavola si sarebbe conservata in questa città e non a Casale. Il Valentini (°°) nella sua relazione sopra citata, dice che se il diploma liutprandeo è valido, bisogna inten- dere che il b. Hvasto, in esso menzionato, non sia un an- tico Evasio, ma persona allora vivente. Anche il Troya (**9) si occupó della presente questione, nella lunga nota da lui apposta alla riproduzione del medesimo. Riassume egli la questione sugli atti del martire s. Eusebio ed espone | | | | e che fosse possibile in quell’ età un martirio, Il Della Chiesa di- stingue questo Evasio dall’ Evasino, ricordato dal diploma di Carlo Magno in favore di Frodoino abbate della Novalesa; al qual propo- sito va avvertito che, secondo il medesimo Della Chiesa, questo di- ploma di Carlo Magno è dell’ anno 801, in causa del titolo d'impe- ratore, col quale vi é contraddistinto Garlo Magno. Avremo presto occasione di dire che cosa di quel diploma si debba pensare. (254) Op. cit., p. 17-8, (255) Presso Irico, De sancto Evasio, p. 4-22. (256) Cod. dipl. long., IV, 119, n." 560, (40) [86] la serie degli scrittori, che vi prestarono fede, nonchè di quelli, che seguirono opposta sentenza. Ma egli non potè vedere gli Atti nell’ opera dell’ Irico, sicchè il suo giudizio dipende da quello manifestato da altri, e specialmente dal Durandi (257), il quale si dimostrò propenso all'opinione del- l'Irico, ed accettò per sinceri gli atti da lui raffazzonati. Ma nonostante ciò, il Troya finisce per porsi in una po- sizione affatto diversa da quella dell’ Irico e del Durandi. Ed ecco per qual via. Il Troya insiste (p. 232-3) sull’ a- rianesimo e sulla sua diffusione nell’età della dominazione longobarda. Né qui s'inganna di certo, giacchè le contro- versie religiose ebbero in quella età una importanza quale soltanto col Troya si cominciò a conoscere, e che adesso сі fanno manifeste numerose ricerche di valenti eruditi. Ma il Troya si spinge troppo avanti cercando confer- mare la possibilità di un martirio per la persecuzione aria- na in quel tempo, col citare la iscrizione veronese del mar- tire Kiberto (%8), che sta incisa sopra una tavoletta di piombo, e che principia: A. D. O. C. CIII. Che cosa si- gnifichino queste strane lettere, con cui principia l’ epi- grafe, nel resto chiarissima, nessuno lo disse, e con poco fondamento fu esposta l'opinione, alla quale il Troya ade- risce, che vi si abbia a leggere l'anno 703 («a[nno] d[o- mini] D.C.C.HI »). L'iscrizione apparisce autentica a chi ne ha visto l'originale (#59); ma la sua interpretazione in questo luogo è oscura. Una nota cronologica nella forma quale apparisce essere stata giudicata e interpretata dal Troya presenta gravi difficoltà, e dovrebbe essere convali- data da riscontri. La dicitura « a[nno] d[omini]» non è di (257) Piemonte Cispadano, p. 33. (258) Sopra questa iscrizioncina, cfr, Gipolla, Fonti edite della regione Veneta, ecc. Venezia, 1882-8, p. 126; qui si osservò che Holder Egger, pur registrando l'epigrafe sotto il 703, dubitò di que- sta data, (259) Adesso si conserva nella chiesa di в, Lorenzo a Verona, dove anni sono la esaminai a tutto mio agio. | | | | | | | | | [87] (41) questa età. La O per D, ad indicare cinquecento, è poco spiegabile. Del resto il Troya stesso si avvolge in dubbi ed in- certezze ; poichè il suo giudizio sugli Atti di s. Evasio on- deggia fra motivi favorevoli e contrari. Le difficoltà sto- riche, che almeno intorno al preteso Atabulo, al tempo longobardo, doveano presentarsi all’ erudito napoletano, sono appena bilanciate dal giusto concetto sulla forza ot- tenuta in questi momenti dall’ arianesimo. Egli chiama creduti veri gli Atti editi da Irico, mentre lamenta che gli Atti falsi od interpolati siano stati invece maneggiati e deteriorati, per ridurli a forma esatta. Qui sta il nodo del- la questione. Egli crede, che Irico e Durandi volendo tra- sportare quegli Atti! all’ età antica, e fare di Evasio il martire dell’ idolatria, abbiano falsati gli Atti stessi. Non c'era, a suo parere, bisogno di questo. Qui si tratta di un martire ucciso dall’eresia ariana ritornata potente coi Longobardi. Sicchè, conchiude, ritorniamo agli Atti, quali 1 mss. ci danno, cioè in una forma, che all'Irico e ai suoi Seguitatori era giustamente sembrata inaccettabile. Egli stesso, il Troya, conviene che una densa caligine vela tutte le presenti questioni. Ma tutto non è qui. Bisogna vedere se l’Evasio, men- zionato nel diploma, sia contemporaneo od anteriore a Liut- prando. Il Troya (p. 120) risponde soltanto cosi: « Io credo più comodo e più naturale il dire, che la donazio- ne fu fatta dal re per divozione verso il primo Evasio, vescovo e martire, nella persona del secondo Evasio, e di tutti coloro, i quali doveano succeder nella sedia vesco- vile d' Asti. Così per molti secoli e molti dagli imperatori e da’ re si fecero donazioni a san Pietro; così parimente a san Geminiano di Modena ». Il Troya dice e non dice. Evidentemente egli per beatus Evas?us intende il Santo, simbolo della Chiesa; ma, e allora, come si può trovare nelle parole del documento alcuna allusione ad un secon- do Evasio? Il documento parla di un Evasio solo: non o S v 6 (42) [88] ne nomina due. Le parole del Troya si possono soltanto spiegare, quando si rifletta, ch'egli ammetteva l'esistenza di Evasio vescovo di Asti, al tempo di Liutprando, dedu- cendola dal Cronista della Novalesa. Vedremo in seguito qual valore si possa, in questo caso, attribuire alla testi- monianza del Chron. Novaliciense; qui accontentiamoci di conchiudere, che neppure il Troya seppe spiegare diver- samente il beatus Evasius, che ammettendo che con que- sta frase si alluda al Santo titolare della Chiesa, per cui il diploma fu dato o si suppone essere stato dato. Giustamen- te egli notó come il fare la donazione ad un santo, al santo titolare di una chiesa, è cosa comune. Per l’ oppo- sto non si poté mai citare un esempio, in cui una dona- zione ad un vescovo sia stata fatta in maniera simile a quella, che si vorrebbe attribuire a re Liutprando. Concludiamo : 1.° il diploma liutprandiano nella forma pervenutaci è apocrifo, e fu fatto prima del 1220, e proba- bilmente poco tempo prima; lo si direbbe anzi scritto per presentarlo a Federico II, allorchè se ne chiese la conferma. 2.° Con ciò non si esclude, che sia stato compilato sopra fonti preesistenti, о che almeno esistesse la tradizione (orale?) di una donazione fatta da Liutprando alla Chiesa Casalese. 3° Il beatus Evasius della donazione liutprandiana non è un vescovo, al quale il re abbia fatto personalmente il regalo, ma è il simbolo della Chiesa a cui il dono fu lar- gito. Forse questa frase, che tanto facilmente si prestava a diversa interpretazione, è un vestigio di qualche docu- mento buono, e in cui veramente si parlasse in realtà di una donazione di Liutprando alla Chiesa di s. Evasio. In mezzo a tante alterazioni, questa frase, per lungo tempo male intesa, può essere un faro di luce, che ci illumini a congetturare l’ esistenza di un atto sincero e perduto. Vi ritorneremo sopra. Si conchiude non esserci quindi nella tavola plumbea casalese alcuna prova in favore della esistenza di un Evasio vescovo di Asti nel secolo VIII. Quanto agli Atti del martirio di s. Evasio, abbiamo già | ж ———_—_—_—_——— _——— [89] (48) visto, che nella forma, in cui ci pervennero, non furono accettati neppure da coloro, che più calorosamente ne so- Stennero la bontà. Senza negare anche ad essi qualche lontano fondamento storico, essi si presentano almeno co- me rifacimenti tardi. L’ Atobolo, che manda al martirio 8. Evasio, non è un nome longobardo, come non 6, neppure perle sue attribuzioni e per la sua condotta, un nome del secolo VIII. Le sue attribuzioni e la sua condotta ricorda- no l'antichità romana e le persecuzioni imperiali; ma chi voglia coll'Irico pensare all'imperatore Costantino, pro- pone al quesito una soluzione inaccettabile, poiché un si- mile martirio non si potrebbe spiegare al tempo di Co- Stantino. Gli atti, almeno nella forma in cui giunsero а noi, e in quella che, di suo arbitrio, diede ad essi l I- rico, non sono un documento storico, cui si possa chie- dere la soluzione del quesito, che sta adesso dinanzi a noi. X. Evasio vescovo d' Asti secondo la Cronaca della Novalesa e secondo un diploma apocrifo di Carlomagno. Le altre due testimonianze in favore dell’ esistenza di un Evasio vescovo d’ Asti, a quest’ epoca, sono la Crona- ca della Novalesa ed un diploma di Carlomagno. Il Va- lentini (nella sua relazione presso l'Irico) fece buona sti- ma di queste due fonti, ch'egli disse optima note. Il Chronicon Novaliciense fu scritto in varie epoche, verso il 1020-1050 (260), e quindi trecento anni dopo Liut- prando, e quasi duecento prima che si scrivesse la tavola plumbea casalense. Nel libro Ш (S 1) il cronista parla di Liutprando e dice di lui: « Erat enim pius in pupillis et viduis, misericors in iudiciis, largus in :elimosinis paupe- (260) Cfr, Bethmann nella prefazione alla sua edizione del Chron. in M, G. H., Script, VIT, 73. = (44) [90] rum, beneficus et rector Dei ecclesiarum. Huius ergo tem- poribus apud Forovicum erat sanctus Baodelinus, et in epi- scopio Astensi sanctus praeerat Evasius episcopus». Que- ste ultime parole dipendono da Paolo diacono, come ave- va notato Giuseppe Cantore (*9'). Anche l’elogio di Liut- prando dipende dalla medesima fonte. «Fuit autem vir multz sapientie, consilio sagax, pius admodum et pacis amator, belli prepotens, delinquentibus clemens, castus, pudicus, orator pervigil, elemosinis largus, litterarum qui- dem ignarus, sed philosophis aequandus, nutritor gentis, legum augmentator », scrive Paolo diacono, che poche linee prime avea detto: « Huius regis temporibus fuit in loco cui Forum nomen est, iuxta fluvium Tanarum, vir mirz sanctitatis, Daodolinus nomine — Нис quoque non dissimilis apud Veronensem civitatem Teudelapius no- mine fuit, qui inter miranda quae patrabat — » (9%). Il ci- tato Cantore rilevò con molto acume, che il cronista della Novalesa sostitui il nome di Evasio di Asti a quello di Teu- delapio di Verona, e ne dedusse che il silenzio, intorno a lui mantenuto da Paolo diacono, mette gravemente in dub- bio il valore dell’ attestazione del cronico Novaliciense. Questa conclusione può essere soggetta ad esame ; poichè è anche a ricercarsi la fonte, in base alla quale il Cro- nista siasi permesso quella modificazione al suo testo. Pri- ma di tutto, viene spontaneo alla mente il pensiero, che l’autore del Chron. Novalic. poco abbia saputo di Evasio d’ Asti, se per parlarne dovette incastonarne il nome in un passo di Paolo diacono, dove è parola di tutt’ altra persona. Né basta questo. Le parole, che nel Chronicon fanno seguito a quelle ora riprodotte, ci fanno accorti che la fonte è leggendaria. Vi si narra infatti, che Pippino mandó suo figlio Carlo ad Evasio, perché gli tagliasse i ca- pelli e diventasse suo padrino, « pater spiritualis ». Questa (261) Notizie della vita e del culto di s. Evasio, Torino, 1808, p. 6. (262) Paulus, hist. lang., VI, 58. ___—_—rrr——————m————————TÉÈ____€_ —:— [91] (45) è evidentemente una favola. Essendo favolosa là fonte, la modificazione, dal cronista introdotta al testo di Paolo, ri- mane priva di sufficiente fondamento, Il terzo argomento in favore della esistenza di Eva- sio è il diploma, che Carlomagno nel (giugno) 774, da Pa- via, diede in favore del monastero della Novalesa, e di cui Pietro Datta. (°) dice di aver veduto l’ originale; quantunque in nota rammenti i dubbi del Muratori (*64) contro 1 autenticità del documento, e mostri di non di- sprezzarli affatto. Il Mühlbacher attribuisce al secolo XII la fonte ms., che Datta riguardava per originale, e ch’ e- gli giudica invece come un falso originale ; e, locchè è più importante, osserva che questo documento, il quale è una falsificazione senza alcuna base che abbia servito d'esempio («Fälschung ohne Vorlage») venne adoperato nel secolo XI dal cronista Novaliciense (795). In quel di- ploma si ha tra le signature: «Signum Euasius episcopi Astensis ». Essendo il documento di niun valore, non ser- ve neppure a stabilire l’esistenza del vescovo Evasio. So- lamente si può conchiudere - sempre supponendo, che si trovasse il nome di Evasio anche nel testo adoperato dal cronista - che la esistenza di un Evasio nel secolo VIII era largamente ammessa anche prima della compilazione del Chronicon. In questo documento abbiamo dunque una delle scritture diffuse nella prima metà del secolo XI, a proposito di Evasio (6%). Gli atti del martirio di s. Evasio (263) Chart., 1, 53-5, n° 32. Cfr, Sickel, Urkundenlehre, Rege- sten, 425, (264) Ant. It., TII, 32. (265) Lib. III, c. 14, 26, 30 (M. G. H., VID. (266) П Mühlbacher cita di questo diploma una copia del sec. XII, veduta in Torino da Carlo Pertz, Nell'Archivio di Stato di Torino ne vidi solamente alcune copie degli anni 1444 (14 nov.), 1468 (20 genn.), 1468 (27 genn.), 1490-3, inserte in alcuni diplomi del Conscilium del duca di Savoja per il territorio Cismontano, Stanno tra le carte Ab- bazia della Novalesa, busta 4. Con queste copie del secolo XV, (46) pag forse subirono, intorno al medesimo tempo, la grande tra- sformazione, per cui venne trasportato quel fatto e quel- l'uomo all'età di Liutprando. Causa di tutto ció fu, se- condo ogni verosimiglianza, la memoria conservataci di una donazione fatta alla ecclesia beati Evasii da Liutpran- do, che ad essa attribui non una civitas che non esiste- va, ma beni, senodochia, ecc. La tradizione legittima è rappresentata nel diploma di Federico I, 1159, che con- ferma vagamente il donum fatto da re Liutprando; la tradizione leggendaria si afferma e si sviluppa nella tavola plumbea, confermata da Federico П (?67). se ne trova una del secolo scorso, la quale porta alla fine alcune dotte, anonime Osservazioni; l'autore aderisce a Muratori e combatte il Ro- chex, che nel libro: La gloire de abbaye et vallée de la Novalese (Chambery, 1670), p. 71, lo riteneva autentico, Altre copie si tro- vano nell’ archivio dell’ Economato in Torino, tra le carte dell'ab- bazia stessa; ma non raggiungono per antichità neppure il XV secolo. (267) Il De Conti (Notizie della città di Casale, I, 56) assentireb- be a richiamare alla tradizione legittima un cenno dovuto ad uno scrittore del sec. XVII. Ecco le parole del De Conti: «... come vuole Marc'Antonio Cusano (Discorsi historiali concernenti la vita et attio- ni de' Vescovi di Vercelli, Vercelli, 1676, p. 100).., scrivendo, «Il medesimo Luitprando fondò la Preuostura in Casale Monferrato, hono- randolo ancor col trasportarvi il Sacro Corpo di Sant Evasio Mar- tire Vescovo dQ’ Asli, che tutto giontamente соп Casale istesso (che dinanzi chiamavasi Sedula) donò liberamente alla Chiesa di Vercelli ». Dal che appare aver egli tratlo tutto quanto asserisce dalle antiche carte di quella Chiesa », Queste ultime parole sono suggerite al De Conti dalla circostanza che il Cusano cita, in margine al tratto qui trascritto: Tab. Eccl. Vercell. Ad altri il procedere nelle indagini; per noi basterà rilevare, che forse il Cusano alludeva solamente alla tavola plumblea, esistente nel tabulario della Cattedrale Vercellese. Se с’ è qualche cosa di più, è il ricordo del corpo di s. Evasio e della sua traslazione; ma forse a tale ricordo non allude la recata citazione marginale, | | [93] (47) XS. Asti alla fine del dominio longobardo. Conquista Franca. Notizie artistiche. Non possiamo sapere, se, in occasione delle due spedi- zioni di Pippino contro Astolfo, il territorio Astigiano fos- Se percorso dall’ esercito Franco. La prima spedizione eb- be luogo subito dopo i patti di Quierzy, anzi dopo la fine di luglio del 754; la seconda è del 756 (268). Stefano (II) III quando (753) si era recato in Francia, dopo aver parlato con Astolfo in Pavia, aveva preso la via del Gran San Bernardo, cioè del «mons Jovis», volendo battere la «vias... Gallias respicientes» (%%); passò cioè le così dette « Fran- corum... clusas» (*7°). Invece Pippino per la sua spedi- zione preferi la via del Cenisio. Il continuatore di Fredega- rio, che può aversi come la fonte principale per questi fatti, narra che Astolfo venne coll’ esercito longobardo «usque ad Clusas qui (sic) cognominatur Valle Seusana» e che Pip- pino discese appunto dalla Morienna «in Valle Seusana ». Dopo la vittoria colà riportata, 1’ esercito franco «usque ad Ticinum accessit». Poi durante 1’ assedio di Pavia, Pippino «partes Italie maxime igne concremavit, totam regionem illam vastavit, castra Langobardorum omnia diri- (268) Mühlbacher, Reg. der Karoly I, 34-5, 37. (2609) Vita Chrodegangi episc. Mettensis, in M. G. P., ОРО. А, 566, 1 Gesta episc. Neap. (Script. rr. Lang., p. 423) dicono soltanto « alpium iuga ». (270) Vita Stephani II, ed, Duchesne, Lib. Ponlifical., I, 446-7. L’ esattezza di questa Vita riconosciuta dal Duchesne e da Scheffer- Boichorst (in Mitth, des öst. Inst, V, 204) fu occasione allo studio di б. Schnüder (Der Verfasser der Vita Stephani, in Hist. Jahrb., XI, 425 segg.), il quale crede che autore di essa fosse uno di coloro, che accompagnarono Stefano nel viaggio oltralpe, anzi designa come tale quel Cristoforo, che fu consigliere cosi di papa Stefano, come di Paolo I. (48) [94] puit, et multos thesauros tam auri et argenti et alia or- namenta quamplurima et eorum tentoria omnia rapuit et cepit»; per il che Astolfo chiese pace. La stessa cronaca, narra poi la successiva spedizione : Pippino, passato il Ce- nisio, pervenne « usque ad clusas, ubi Langobardi ei re- sistere nitebantur»; ma i Franchi ottengono vittoria; e Pippino, con suo nipote Tassilone duca dei Daioari, « par- tibus Italie usque ad Ticinum iterum accessit, et totam regionem illam fortiter devastans » assedia Pavia, così da costringere Astolfo nuovamente a domandar pace (?7!). Abbiam visto poco fa che le Francorum clusa si ri- trovavano sulla via del mons Jovis, cioè del Gran 5. Ber- nardo ; colà l’antichità classica aveva innalzato il celebre tempio di Giove Pennino, del quale gl’ importanti avanzi furono oggetto a studi recenti; e molti cimeli, raccolti nel luogo dove esso si alzava, oggidi si conservano diligen- temente e amorosamente nel bel museo dell’ospizio del Gran s. Bernardo. Ma nel caso nostro non si parla delle clusæ dei Franchi, ma si parla di altre chiuse. Queste da Anemarus di Rheims (*7") sono dette: «clusae montis Cenisii». La Vita Stephani (7), è alquanto confusa. Quivi si comincia dal dire, che Pippino invió i suoi eser- citati «ad custodiendum proprias Francorum clusas », per soggiungere poi che Astolfo assali « Francos illos qui ad custodiam propriarum advenerant clusarum» ; ma -in occasione della seconda spedizione, 756, il biografo di Stefano III è esatto dicendo (17°), che Pippino pre- se «clusas... Langobardorum». E le clusce del Ceni- sio sono appunto le longobarde, siccome conferma anche (974) FrepEGARI. Chronicon Continuatio IV, presso Bouquet-De- lisle, Rer, Gallic, et Frarcicar-Script. V, 2-3 (capi 120 e 121); e nell ediz. Krusch, in Script. rr. Meroving., IT, 184, (272) Annales, М. б. Н. Script., I, 908. (273) Ed. Duchesne, І, 450. (274) Ed, Duchesne, Т, 452, | | [95] (49) la Vita Hadriani (°) nominando le clusæ Langobardo- rum in occasione della discesa di Carlomagno (276). П Chronicon Moissiacense, che dipende dal Continuatore di l'redegario, costituisce del pari una fonte tutt'altro che inu- Ше per questo periodo ; esso narra (77) che Pippino, pas- sate le Alpi e viste riuscire inutili le trattative da lui aperte con Astolfo, «ad clusas Langobardorum pervenit» (754). Parlando poi della seconda spedizione, usa la voce clusæ, senz’ altra aggiunta dichiarativa. Nè in questa Cronaca, nó nelle altre numerose cro- nache, che espongono questi fatti, si fa allusione alcuna alla via percorsa da Pippino nella valle padana. Lo stesso va ripetuto per la spedizione di Carlomagno contro Deside- rio nel 773. In ambedue i casi, vediamo i longobardi re- spinti alle Chiuse di Susa fuggire a Pavia. Solamente nel Chronicon Novaliciense (%8), che per questi fatti non pre- senta sufficiente garanzia di esattezza, fa seguire alla no- tizia della sconfitta di Desiderio, alla Chiusa, quella della presa di Torino. Nel secolo VIII doveano essere ancora in uso le strade romane, intorno alle quali tuttavia non abbiamo ragguagli molto sicuri. Sappiamo, che una via (275) Lib. Pont., ed. Duchesne, I, 492, — Gaudenzio Glaretta (Sto- ria diplomatica dell antica abbazia di S. Michele della Chiusa, To- rino, 1870, p. 4) parla delle « famose chiuse de’ Longobardi». Soven- te si nominavano semplicemente clusc, siccome si è visto nella Cronica Fredegariana, Cfr. su queste chiuse anche le considerazioni fatte da Mommsen, C. I. L. V, 2, 812, Oggidi, appena a monte della Sacra di в. Michele, si vedono grandi rovine delle muraglie che in quel sito intercettavano la valle, (270) Le cluse Langobardorum s'identificano colle clusc montis Cinisii ricordate da Hincmarus Remensis, Annales (Script. I, 508) all’ anno 878. (277) Chr. Moissiacense, M. G. И. Script. I, 293-4, Secondo Agnello di Ravenna (Lib. pont. Rav: in Script, rr. Lang., p. 379) Pippino ri- tornò in Francia passando «Jovis montis.... iugum ». (218) M. G. I. Script VUOI Ла Шү Му УД. =з (50) [96] scendeva per Susa a Torino (°°). A questo punto, secon- do l'opinione del Durandi (?89) ed il tracciato del Momm- sen (°t), la strada si biforcava. Un ramo, tenendosi alla sinistra del Po, giungeva direttamente a Lomello (Lau- mellum); l’altro ramo invece attraversava subito il Po e rag- giungeva Asti dirigendosi a Lomello, e attraversando quin- di una seconda volta il Po. Così i due tratti diventavano di nuovo un solo, il quale raggiungeva tosto e diretta- mente il Ticino. Pippino e Carlomagno probabilmente se- guirono, col grosso dell’ esercito, la via diretta, la quale aveva il vantaggio di non costringere ad un doppio pas- saggio del fiume. Questo tuttavia non impedisce di credere, che qualche corpo di soldati possa anche aver seguita la strada di Asti. Questa città per certo non comparisce in nessuno di tali avvenimenti, e ciò forse piuttosto in cau- sa della sua posizione geografica, che non della sua relativa debolezza. Anche Torino, del resto, sebbene posta in luogo così importante, viene appena menzionata, nè servi di alcun ostacolo ai Franchi. «Haistulfus... manum conserere non ausus, in civitate Papia a rege Pippino obsessus est», dice (279) Fino a Torino, la strada romana fu ultimamente studiata con molta dottrina da Ermanno Ferrero, La strada Romana da Torino al Monginevro, in Mem, dell'Accad. di Torino, Serie П, t, XXXVIII, scienze morali, p. 427 segg. Torino, 1888, Fra gli studi anteriori sulla 7 vo 7 * ` via romana al passaggio del Monginevro, può ricordarsi qui W. John Law (The Alps of Hanibal, I, tav. corografica, London 1866), il quale descrive le vie del Piemonte con cura diligente ed erudita, relativa- mente al tempo in cui egli scriveva. Le vie romane, che a noi pos- sono interessare, dalla parte occidentale d’Italia, sono due: quella del Monginevro, che metteva a Susa, e quella del Piccolo San Ber- nardo, che sboccava nella Valle di Aosta. Delle questioni che, a proposito delle vie romane, si possono agitare in ‘correlazione colla Cronaca della Novalesa, spero di poter toccare in altra occasione. (280) Sopra la carta del Piemonte antico, in Mem. Acc, di Torino, IV, Littér., p.«090; Ке) Cab ba Vy parte g (АКШ 14 x ————————————————— 1 [97] (51) ша cronaca importante (*°), a proposito della discesa del 754; e per quella del 756 narra solamente che Pip- pino entró in Italia e assedió Desiderio in Pavia. Tuttavia neanche Asti puó essere andata esente dai danni della guerra. Sul governo interno di Asti in questo tempo, siamo per- fettamente all’ oscuro ; solamente potrà applicarsi anche a questo caso la regola generale, che ai duces si sostitui- Tono i comites, secondo la consuetudine franca, con que- sto che, almeno sul principio, i due titoli venivano in ge- nerale adoperati simultaneamente e promiscuamente (28). Ma è chiaro che la mutazione della costituzione avvenne soltanto più tardi, dopo che la conquista franca fu defini- tiva e dopo che fu sopito ogni tentativo di rivolta da parte dei Longobardi. Molto oscuri sono i casi, cui Asti andò soggetta nella guerra di Carlomagno contro Desiderio (773). Dopo la sinodo tenuta a Ginevra, Carlo divise l'eser- cito in due parti, di cui una ritenne sotto il suo coman- do diretto, ed era destinata a scendere in Italia per il Ce- nisio ; affidò l’altra parte a suo zio Bernardo, il quale do- veva calare «per Jovis montem» (8). Desiderio aveva raccolto il suo esercito alle cluse@ Langobardorum, ma Carlomagno riusci a raggiungere quelle valli, « que la- tera aperiunt in agros Taurinorum » (*85). Immediatamen- te Desiderio andò a chiudersi a Pavia; con lui non fu Adelchi, suo figlio e correggente, il quale invece trovò (282) Einhardi Annales, М, G. H., Script. I, 139, 141; Ann, Lauriss,, ib. 138, 440, (283) Hegel, Stüdteverfassung von Italien, M, 11. (284) Chron. Moissiacense, М. G. Н. Script, 1, 295; Einhardus, An- nales, ib. I, 151; Ann, Lauriss., I, 150. Ado (vescovo di Vienne, | 875) Chron. presso Bouquet-Delisle, Recueil, V, 318. (285) Айоар, Bouquet-Delisle, V, 318, La Chiuse Longobarde o chiu- Se di s, Michele intercettano la valle di Susa, la quale si apre verso la pianura su cui sorge Torino, (52) [98] riparo a Verona «eo quod fortissima pre omnibus civi- tatibus Langobardorum esse videtur» (*). Quindi si può ritenere che, fuori di queste due città, niun altro luogo oppose ai Franchi una veramente valida resistenza ; anzi sembra essere avvenuto un fuggi fuggi generale, dopo l'in- fortunio toccato a Desiderio nella valle di Susa. Una fonte del tempo, dopo avere accennato a Desiderio e ad Adelchi, che si rinchiusero in Pavia ed in Verona, soggiunge : « Porro Langobardi reliqui dispersi in proprias reversi sunt civitates ». Quindi apparisce, che se qualche resistenza ci fu, tutto si ridusse a fatti isolati e senza relazione con quanto operavano Adelchi e Desiderio. L'assedio di Pavia duró dieci mesi; o forse piuttosto Pavia cadde nel decimo mese dell'assedio (*9?). Aperse ai Franchi le sue porte nel giugno (775) (88). Quindi I’ as- sedio principió tra l'agosto e il settembre 774. Ci fu cli credette (8°), che l'assedio avesse principio solamente alla fine di settembre, poichè viene asserito (°°) che Carlo, (286) Vita Hadriani, nel Liber Pontific., ed, Duchesne, I, 495. (287) « Decimo ,... mense », Pauli Continuatio tertia, in Script. pri Lang p. 218. (988) « Karolus vero Papiam civitatem decem menses obsedit, et ita mense Junio capta est civitas a Francis » Chron, Moissiac. (M. G. H., Script. 1, 295), « Capta est Papia civitas, mense Junio die mai- tis» Chron. S. Benedicti (M. G. H., Script. ТЇЇ, 200); similmente il Chr. Salern. (ib., III, 488), Presso Abel.Simson (Karl der Grosse, 2 ed., Lipsia, 1888, I, 189) viene osservato, che Carlomagno iniziò Гега del suo regno Longobardico tra il 30 maggio e il 2 giugno, mentre il pri- mo martedi di giugno fu il 7, Quasi ugualmente si esprime il Mühlba- cher (Reg. der Kar., р. 67), il quale sembra disposto a preferire il 7 giugno per la resa di Pavia. Forse si può preferire il martedì 31 mag- gio; sela presa di Pavia avvenne sul far della sera di quel giorno, si potea benissimo attribuire l'avvenimento al mese di giugno, anzi che a quello di maggio, Anche il Chr. Mo?ss, come si disse, parla del giugno e dei dieci mesi dell'assedio, mentre tace del giorno, (989) Abel-Simson, о. c., I, 148. (290) Vita Hadriani, nel Lib, Pontif., I, 496 (ed. Duchesne), Leone, [99] (53) avvicinandosi la pasqua, mosse verso Roma, dopo sei mesi di assedio. Nel 775 la pasqua fu celebrata il 3 aprile, sicchè Carlo lasciò il campo di Pavia sulla fine di marzo. Così fu asserito da Abel e da Simson, ma ciò non è forse senza qualche incertezza, quantunque la Vita Hadriani dica che Carlo si mosse poco prima della pasqua; tali pa- role si possono tuttavia interpretare con certa larghezza; e quindi la data, ora indicata per il cominciamento dell’as- sedio, può essere accolta. Nel campo di Pavia celebrò il Natale, e colà si trovava ancora il 15 febbraio 774 NK Durante l'assedio di Pavia si recò contro Verona (??*); presa questa città e mandato in fuga Adelchi, ricominciò l'assedio di Pavia. Pare che Carlo si sia trattenuto assai breve tempo intorno a Verona, sia ció accaduto dopo o prima del febbraio 774 (°°). Una cronaca, per verità assai tarda, ma che puó avere attinto a buone sorgenti, lascia credere, che i Veronesi vedessero di buon occhio la fine del regno longobardo (°°). A Roma Carlomagno festeggió la Pasqua, ampliando o rinnovando le promesse di Kiersy ; ritornato da Roma al campo sotto Pavia, non tardò mol- to ad ottenere la dedizione di questa città. Una grande quantità di cronache più o meno autore- Chr, monast, Casinensis (M. G. H., Script. VII, 589) erroneamente ri- duce a sei mesi l'assedio di Pavia; ma Leone Marsicano è scrittore tardo, essendo vissuto nell’XI secolo (Wattenbach, Geschichtsquellen Ted (291) Mühlbacher, Reg. der Kara n.° 156. (292) Vita Hadriani, ed, Duchesne, T, 496. (293) Prima del Natale 773 Verona sarebbe già stata assogget- tata da Carlomagno, secondo Mihlbacher, Reg., p. 64. Siccome nel- l aprile 744 abbiamo un documento (Troya, n.° 989; Holder Egger, in N, Archiv, I, n.° 520) così Scipione Maffei (Ver. Ill., 1, 296; Verona, 1732, in fol.) ritardò la venuta di Carlo sotto Verona a un tempo po- steriore alla sua andata a Roma, (294) Continuatio Lombarda a Paolo diacono, Script, rr. Lang., р. 218. (51) [100] voli annunciano la dedizione degli altri Longobardi, con- temporaneamente о dopo della conquista di Verona e di "avia. Viva resistenza i Longobardi non fecero. Già vedem- mo ch'essi si dispersero, ciascuno nella sua città; locchè va specialmente riferito ai Longobardi dell’Italia Padana, cioè della regione, che sola qui ci interessa. Paolo diacono as- serisce di Carlo che « Langobardorum gentem .... sine gravi proelio sus subdidit dicioni » (°°). Secondo alcune fonti sembra, che le altre città siansi assoggettate a Car- lo, durante l'assedio di Pavia (??5); mentre altre testi- monianze parlano di dedizione, solamente dopo 1’ acquisto di Pavia. Probabilmente né l'una, né l’altra opinione è unicamente ed esclusivamente vera; non si puó tuttavia negare esser certo, che una gran parte delle città dovean- sj essere di già assoggettate sino dalla fine del 773 o dal principio del 774, se Carlo trovó impresa non solo possibile, ma prudente quella di compiere la spedizione contro Vero- nae il viaggio di Roma. E prima delle altre città devono essersi sottomesse quelle, che stavano ad occidente di Pavia, essendo naturale che la rotta, subita da Desiderio alle chiu- se di Susa, e la sua precipitosa ritirata a Pavia, sia stata accompagnata ‘dalla defezione delle città dei dintorni. Quando qui dagli storici si parla in generale delle città, che si assoggettarono a Carlo Magno, si deve intendere naturalmente di quelle situate nella valle Padana. Questo tratto d’Italia, che al tempo longobardo costitui le pro- vincie di Austria e Neustria, formò anche in progresso di tempo una unità, se non politica, о amministrativa, alme- no geografica. Nel sec. XI, Wipone parlando della spedi- zione italica di Corrado II, dell’anno 1026, usa più volte (295) Gesta episc, Meltens, in. M. G. H, Script. VI, 265. (296) Un: lunga difesa avrebbe fatta Brescia, se dovessimo cre- dere al Chronicon di Rodolfo notaio (Biemmi, Storia di Brescia, II, 46); ma quella cronaca è una manifesta falsificazione (cfr, Abel-Sim- son, Karl der Grosse, I, 188, 2 ed.) | 99 della espressione « Italia plana» (%9), che naturalmente riguarda la descritta parte d’Italia. Paolo diacono, la cui testimonianza sarebbe stata tanto preziosa per noi, qui è indeterminato; e anche Agnello da Ravenna compendia in poche parole (« regnum Lango- bardorum depopulavit ») la narrazione della fine del re- gno Longobardo (298). La Vita Hadriani (??) dopo aver detto, che Carlo prese Verona, aggiunge che di là ritornó [101] (55) ot all’ assedio di Pavia, e quindi: « qui confestim dirigens cu- neos exercituum bellatorum, comprehendit diversas civi- tates Langobardorum ultra Padum constitutas, susque redigit potestati ». E a ciò fa seguire il raeconto del viag- gio di Carlo a Roma. Indeterminato è Sigeberto, scrittore del resto assai tardo, essendo morto nel 1112. Secondo questo storico (°°°), durante l’assedio di Pavia, Carlo «mul- tus urbes ultra Padum comprehendit, inter quas Verona». Una continuazione di Paolo (9?!) ascrive al timore concepito dai Longobardi per la caduta di Verona, la loro dedizio- пе a Carlomagno, che così «omnes fere Longobardorum obtinuit ». Può supporsi, che qualcosa di più valga il Chron. Novaliciense (5°), poiché vi stanno raccolte non inutili tra- dizioni e leggende intorno a Carlomagno (°°). È ben vero peraltro, che quel Chronicon fu scritto solamente più di due Secoli e mezzo dopo questi avvenimenti e da persona, che поп sempre sapeva distinguere, con giusto criterio, il vero (297) Vita Chuorradi inp, in M. G, H., Script., XI, 904-5, (298) Lib. Pontif. Rav., in Script. rr. Lang., p. ouf. (299) Lib. Pani, ed. Duchesne, I, 496, (300) Chron., M, G. H., Script, VI, 334 (301) Puuli contin, Lang. in Script. rr. Lang., p. 918. (302) M. G. H., Script, VII, 99, (303) Pietro Vigo (Una leggendu longobarda, in Cronaca Minima, 1, n.° 16, Livorno 1887) studiasi di dare valore storico ad una leg- genda riferita dalla Cronaca della Novalesa sulla presa di Pavia da parte di Carlomagno, (56) [102] dal falso (39). Comunque, ecco il suo racconto. Dopo aver narrata la fuga di Desiderio a Pavia, prosegue: « Franci enim diffundentes se huc illucque, capiebant omnia, vastan- tes castella scilicet et vicos»: «Karolus denique capiens Taurinensem civitatem atque cunctas urbes et castra uni- versas, scilicet. Eporediensem, Vercellis, Novariam, Pla- centiam, Mediolanum, Parmam, Tertonam, atque eas qua circa mare sunt, cum suis castellis ». Questa narrazio- ne è mescolata con racconti, di cui niuna altra traccia abbiamo altrove, e che sono probabilmente di origine po- polare: Carlo per divina rivelazione seppe, che non avreb- be potuto impadronirsi di Pavia, finchè fosse stato vivo quel vescovo; dopo aver conquistate le riferite città, es- sendo morto nel frattempo il vescovo, ritornò sotto Pa- via e la prese. Quale valore abbia tutto questo racconto, è ben difficile il dirlo: forse si potrà ammettere, che esso conservi la eco popolare di quelle conquiste di Carloma- gno, delle quali qualche indizio abbiamo teste trovato. Mi permetto tuttavia di osservare, che colle parole «que cir- ca mare sunt», il Cronista allude alle città della Liguria marittima; e che quelle parole ritraggono molto dappresso le espressioni, colle quali le dette città sono indicate da Paolo diacono, là dove narra la spedizione militare di Prachi. Altre testimonianze invece ritardano la dedizione del- le città longobarde. Ritornó Carlo da Roma al campo sotto Pavia, «ibique venientes undique Langobardi de singu- lis civitatibus Italice, subdiderunt se dominio et regimini gloriosi regis Karoli»; Adalgiso fugge a Costantinopoli , «Karolus vero Papiam civitatem decem menses obsedit, et ita mense Junio capta est civitas a Francis». Così il (304) Pare che troppo sieno disposti a prestar fede a questa Cro- naca Abel e Simson, Karl der Grosse, I, 153, nota 2, La cronaca abbonda di leggende, e sembra contenere frammento di un qualehe embrione di poema longobardo o sui longobardi, | | | | | | | | [103] (57) Chron. Moissiacense (305). Somiglianti parole si trovano anche in altre cronache, ma vengono riferite al momento posteriore alla ‘caduta di Pavia. Negli Ann. Mettenses : « Papiam venit, ipsamque civitatem cepit et Desiderium... subegit. ]bique venientes undique Langobardi de singulis civitatibus Itali», subdiderunt se dominio gloriosi Karo- li » (#06). Similmente gli Annales Laurissenses (07) ug quelli di Rinhardo (°8). Altre frasi non dissimili si tro- vano anche in altre fonti più o meno autorevoli, come negli Annales Vedastini (30°) : «Papiam cepit, Desiderium- que regem cum uxore et filia et thesauro omni et cunctis Langobardis spontaneam fidem dantibus ei»; cosi nel Chron. universale di Ekkerardus (219), il quale dice che cadde Pavia, «quam caetaræ civitates secutæ, regis se potestati Subdiderunt ». Negli Annales Fuldenses di Einhardo (49 questo stesso pensiero si trasforma in un concetto gene- rale; quei celebri Annali dicono, che Carlo prese il teso- ro regio, e lo distribui ai suoi guerrieri « et cunctum Ita- lie regnum adeptus regreditur in Franciam ». Altra tra- Sformazione del medesimo pensiero ci viene offerta da una Continuazione di Paolo (hereto; parlando di Desiderio, dice che fu preso «cum cunctis eciam qui aderant regni Sui princibus ». A tutte le riferite testimonianze sotto- Stà sempre il pensiero che i Longobardi si assoggettàrono Senza opporre valida resistenza a Carlo o durante o subito dopo l'assedio di Pavia; sicchè egli potè partire d'Italia tranquillo, pur lasciando un presidio a Pavia (°°). Il poeta ? (305) M. G. H., Script., 1, 295, XIII, 99. (300) M. G. H., Script, ХШ, 99, (307) M, G. ipt., I, 459, (308) М. G. H., Script., I, 153, (309) M. G. H., Script, ХШ, 704. (910) M. G. H., Script., VI, 405. (811) M. G. H., Script, 1, 348, (312) Script. rr. Lang., p. 213. (513) Chr, Моіѕѕіас., M. G. H., Script., I, 295. Vi Ы (58) [104] Sassone (5!) può servirci a riassumere l'opinione dei più. Egli canta la caduta di Pavia, e poi soggiunge : « Dedita tum Francis hoc urbs clarissima, cunctis, Exemplo fuerat reliquis; nam protinus omnes Tradiderant Carolo sese concorditer urbes Eiusdem regni, quod iam sibi iure subactum Disposuit, quantum poluit pro tempore tali ». Intorno alle ultime vicende di Desiderio, condotto pri- gione in Francia, nulla ci tocca di dire (°°). Carlomagno si trattenne a Pavia fin verso la fine del luglio 774 (519). Può presupporsi, che Asti non sia stata tra le ultime città che si assoggettarono a Carlomagno, e ciò in causa della sua posizione geografica. La popolazione vi era sempre in non piccola parte romana, se tale si conservava ancora nel secolo X (*); ma un influsso longobardo non ve lo si può negare, se abbiamo visto qual parte essa ebbe in fiere lotte intestine nel secolo VII. Può quindi anche ri- cordarsi una carta del 16 agosto 788 (*!*), in cui si ri- corda Arimondo «filio bone memorie Desiderio de civitate Astense». Anche in un documento dell’ aprile 812 (?!?) comparisce, ricordato come defunto, un Desiderio. Il no- me di Desiderio fa fede probabilmente di aderenza alla causa longobarda e all'ultimo re di quel popolo (?*?). Prima di terminare il periodo longobardo, si può ci- (914) M. б. Ho, Script., 1, 290). (315) Parecchie citazioni al proposito si possono vedere raccolte da Felice Dahn, Urgeschichte der german. u. roman. Volker, Berlin, 1883, p. 914. (316) Mühlbacher, Reg., p. 68. (347) Gfr. quanto intorno a ciò dissi, Audace vescovo di Asti, To- rino, 1887, p. 154-5. (948) Mon, Hist. Patrice, Chartar, I, 23-4, оду (919). Chart..I,.81, 0.7.16. (390) Un Ratchis s'incontra in doc, dell'880 /Chart., I, 60-1, n," 36). | | | j | | | | | | [105] (59) tare una acuta osservazione del Gorrini (5!) : «quasi cer- tamente poi fra i negotiatores, che sono pareggiati nei diritti ai possessores e ottengono le prime concessioni Sotto re Astolfo (Ed. Aist. 3), vanno annoverati anche gli Astigiani». La disposizione cui qui si allude appartiene all'Editto (??*) dell’anno 750, che stabilisce le armi concesse ai negotiatores, secondo ch’ essi sono «maiores et poten- tes», ovvero « sequentes», ovvero «minores». Del resto Cerano negotiatores anche fuori di Asti (5), mentre, per verità, non si hanno ricordi di negoziatori astigiani. Di alcuni argomenti, come sarebbe a dire dei beni pub- blici e regi, sui quali nulla o poco si disse, mentre la mag- gior luce si potrebbe ricavare forse da documenti di età posteriore, e che per riflesso illuminino questa età, sarà opportuno non tener qui più largo discorso e riservarci a dirne in seguito. A questo luogo l'argomento ci guida à rammentare il battistero di S. Pietro, di cui si è detto altrove (94), mo- Strando come regni incertezza tra i critici intorno al tem- po cui attribuirlo. Oscar Mothes (8%), secondo che si è in- (321) IL comune Astigiano e la sua storiografia. Firenze, 1884, р. 8-9, (322) М, б. H., Leges IV, 196, (323) Un « Simplicianus negociator de intra civitate Mediolania, qui professus sum lege vivere Langobardorum » è ricordato all'an- по 835, Cod. dipl. Lang.,n." 338, Si ha un diploma, 30 luglio 629, di Dagoberto re Merovingio, in favore dei « negotiatores de Longobardia Siue Hyspanica et de Provencia ac de alias regiones» che si recas- Sero al mercato a Parigi in onore di 8. Dionigi (M. G. H., ed. in fol., I, 140-1) ; ma quel diploma è apocrifo, Degno di riguardo è il fatto, che Landolfo il vecchio, facendo l’ elogio dell’ arcivescovo di Milano, Eriberto (morto nel 1045), fra gli altri encoini, gli fa quello di essere Stato « pauperum et mercatorum protector (M. G. H., Seriot, VIII, 68), (324) Audace, in Misc, XXVII, 191. (325) Die Baukunst des Mittelalters in Italien, Jena, 1884, p. 263, (69) [106] dicato, crede che l’ottagono centrale (diametro m. 4,65), sia assai più antico dell’ edificio circostante (*°). Se cre- diamo al Mothes, la parte centrale serviva per la vasca ad immersione, che fu levata nel sec. X, e sostituita da vasca più piccola e accomodata al nuovo rito battesimale ; in tale occasione si sarebbe rifatto l’edificio di contorno, riducendolo allo stato odierno. Gli archi, che volteggiano sopra le otto colonne dell’ ottagono centrale, sono rial- zati, e affatto diversi dagli archi della parte circostante, cioè da quelli, che volteggiano dalle colonne indicate, alle Wie addossate agli angoli dell'ottagono maggiore Questi ultimi sono svelti, leggeri, e a sesto di gran a inferiore al pieno sesto. Il Mothes notò (ciò che peraltro non vale per tutti i casi), che in tali archi si direbbe che i cunei in tufo dovessero servire anteriormente ad archi minori, perchè furono immessi tra un cuneo e l’altro al- cuni cotti. L'intero ottagono ha m. 14 di diametro ; ed essendo così stretto l'ottagono centrale, ne prosegue una antinomia tra questa fabbrica centrale e la fabbrica latera- le: ed è questa un’altra particolarità rilevata dal Mothes. Egli osserva anche i capitelli cubici (o quasi cubici), gli uni diversi dagli altri, e che accennano ad essere lavori di assaggio: così che essi sembrano testilicare dell’ anti- (326) Chi volesse seguire questi cenni sopra una rappresenta- zione abbastanza buona, può ricorrere alla riproduzione che, toglien- dola da una fotografia, ne diede il ch, prof, Giulio von Plugk-Harttung, Das Mittelalter, 1, 411 (Berlin, 1888). Questa rappresentazione fu tolta da una grande fotografia, eseguita negli ultimi anni per cura del governo, Nel Il volume dell Atlas, annesso all’ opera Die kirchliche Baukunst des Abendlandes di б, Dehio e б, von Bezold (Stuttgart, Cotta, 1888) si trova (tav. 102, n.° 7) una piccolissima pianta del bat- tistero di Asti, Si sa che Ostern (Die Bawwerke in der Lombardei, Darmstadt, Leske, tav. 5-6), il quale reputava longobardo il batti- stero, ne rappresentò lo spaccato, ne diede la pianta, e parecchi particolari architettonici disegnati con molta diligenza. Uno studio completo su questo monumento non si ha peranco, f { [107] (61) chità dell’edificio. Gli archi dell’edificio centrale nella loro luce (o sott'arco) hanno un ornato notevole: cioè un ba- stone o toro tra due fascie abbassate; tale ornamento, se- condo Mothes, può essere tanto del sec. VIII, quanto del X. Qui tuttavia bisogna osservare, che le pietre furono ribattute più volte; sopra la faccia esterna di un capitello della parte interna si vede oggidi, a rilievo abbastanza alto, un santo, che è senza dubbio fattura del sec. ХІУ; evi- dentemente tale rialzo fu ottenuto coll'abbassare tutto il resto; anche il bastone sopra deseritto, che si osserva nella luce dei ricordati archi, sembra lavorato in posto, e puó anche ammettersi, ch'esso sia assal posteriore al resto del- l'arco e dell’ edificio. Il Mothes, e altri prima di lui, tro- vano qualche base di colonna con le foglie agli angoli, locchè può aversi per indizio di epoca tarda. Ma bisogna rivelare, che le poche basi, colle foglie ai lati, apparten- gono all edificio di contorno. Queste sono questioni difficili; e per iscioglierle biso- gnerebbe procedere ad una scrostatura generale interna ed esterna di quell’antico e prezioso battistero. Solamente può concedersi al Mothes, che l'impressione, prodotta in chinnque dalla vista dell’ edificio, è ch'esso sia duplice, l’ interno e l'esterno, e che le due sue parti portino l'im- pronta di differenti età. Anche i capitelli delle otto co- lonne centrali differiscono, come più massicci e pesanti, da quelli delle otto semicolonne, che sono assai più piccoli e sentono d'imitazione. Il collarino dei primi capitelli tal- volta prende la forma di un giro di perle, così come nel gu- sto classico anche dell’età decadente. Anche le basi delle colonne dell'ottagono centrale, che ricordano la base at- tica, assai differiscono da quelle, non dico affatto irriconosci- bili, ma certo meno perspicue in tal senso, delle semicolon- ne d'angolo. Tuttavia queste non possono essere prove ma indizi, e quindi si spiega il prudente riserbo di Fran- cesco von Reber, di cui si parlò nell’ Audace. (Gontinua.) тутт 7 memor — me Mte SULLA LARINGOTOMIA INTER-CRICO-TIROIDEA, MEMORIA LETTA DAL M. F. DOTT. ANGELO MINICH NELLA SEDUTA DEL 16 NOVEMBRE 1890 DEL В. ISTITUTO VENETO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI, Da alcuni anni per l’ etû avanzata, mi sono deciso, seb- bene con dispiacere, di lasciare il mio posto di primario nell’ ospedale civile. Mi manca perciò 1’ occasione di appli- care praticamente, e di sperimentare i nuovi trovati della chirurgia moderna, e di pubblicarne, come feci in passato, i risultati. Cessata l'occasione di agire chirurgicamente sono costretto adesso di circoscrivere i miei studi, limi- tandomi a ricordare operazioni da me eseguite, o fatti da me osservati, se mi sembrano degni di menzione, o ad oc- cuparmi con lavori di letteratura medica, come feci in questi ultimi anni. Oggi parlerò di un'operazione non co- Mune da me eseguita alcuni anni or sono, sulla quale si è molto discusso dai chirurghi ancora discordi sulla sua convenienza, e sulle sue indicazioni, cercando, dopo di a- ver descritta la sua breve istoria, di stabilirne le indica- zioni, ed il processo operativo. Nell’ anno 1883 ebbi occasione di eseguire nell’ ospe- dale civile di Venezia la laringotomia inter-crico-tiroidea. Trattavasi di un individuo di 60 anni da me veduto alcu- пе volte nell’ ospedale come ambulante, e che aveva un Cancro della laringe. Come non di rado succede in questa Malattia, le sue sofferenze erano tollerabili, e quindi non (64) [2] volle essere accolto nell’ ospedale. Era di professione fac- chino, e lo vedeva di tratto in tratto per le strade, ma- cilento di aspetto, con voce rauca, e deglutiva con qual- che difficoltà, ma respirava facilmente. Nel mese di aprile probabilmente per causa reumatica, passando la giornata sempre nelle strade esposto senza riguardo alle intemperie, fu preso da grave difficoltà di respiro, ed aumentando ra- pidamente le sofferenze, fu accolto per urgenza nell’ ospe- dale, ove fu collocato nella divisione del chiarissimo mio collega dott. Vecelli. Erano le 3 pom. ed io faceva nella mia sala la visita vespertina, quando fui chiamato dal me- dico di guardia, che trovava necessario immediatamente un’ atto operativo. Conobbi subito il malato, e mi imma- ginai che la ortopnea dipendesse da edema acutissimo delle corde vocali, o meglio dai legamenti ari-epiglottidei, le- sione da me confermata coll’ esplorazione digitale. Mi sem- brava indicata la laringotomia inter-crico-tiroidea, che ho eseguita immediatamente in circa un minuto, introducendo la cannula di Krishaber. L’ operazione fu facilissima, senza alcuna perdita di sangue, e l'ammalato potè subito respirare liberamente. I vantaggi però non potevano essere che pal- liativi, perchè dopo alcuni giorni l’ ammalato mori in con- seguenza del cancro della laringe. Era molto smagrito, ed anemico in parte per la difficoltà della deglutizione, ed in parte per l’ estensione, e la durata della malattia cance- rosa, che si era diffusa alla laringe, ed avea ingrossate le ghiandole del collo, come dimostró la necroscopia. Era anzi sorprendente, come un uomo ridotto in tale stato di emaciazione potesse reggersi in piedi, restando gran parte della giornata nelle strade, ed avesse aspettato di ricor- rere all' ospedale quando non poteva piü respirare. In varie epoche si è molto discussa dai chirurghi la convenienza di questa operazione da alcuni accolta con fa- vore, e da altri rifiutata. In questo breve lavoro dopo di avere descritta la sua breve storia, e le modificazioni proposte nell' atto operativo, | | | | | | | l | [3] (65) cercherò di stabilirne i vantaggi, e le indicazioni appro- fittando dei lavori pubblicati nelle opere più ac opeditate, e recenti. Vicq-d' Azir fu il primo a proporre la laringotomia in una comunicazione fatta nel 1776 alla Società Reale di medicina in Parigi, e A F. Fourcroy in una tesi sostenuta alla scuola di medicina nel 1779 col titolo: De nova la- ringotomia methodo ; descrisse la stessa operazione sen- za nominare Vicq-d' Алі. Siccome in quell’ epoca si pre- feriva di eseguire la tracheotomia con un trequarti piatto (broncotomo) munito di cannula d'argento, che veniva introdotto nella trachea attraverso la pelle, il dott. Fourcroy nella sua tesi insiste, con ragione, sulla convenienza di tagliare prima la pelle, che offre molta resistenza alla їп- troduzione del punteruolo. Il suo broncotomo era costi- tuito da un punteruolo triangolare, e piatto nella punta, oltrepassata la cannula di quattro a sei linee, ed era cur- vo con cannula d’ argento lunga un pollice, nella quale veniva introdotto. Anche Bichat (!) descrive con molta chiarezza, ed e- sattamente questa operazione nelle opere complete di De- sault, e la loda perchè valevole ad evitare l’ emorragia. Egli condanna l' uso dei broncotomi per la difficoltà di in- trodurli nella laringe, e propone l'operazione in un tem- po con un bisturi appuntito, aprendo contemporaneamente la pelle, ed il legamento conoideo, in direzione verticale. Nell’apertura di questo introduce una cannula d'argento piatta, curva, con due aperture laterali nella sua estremità inferiore. Nell'introdurre il bisturi nel legamento crico-tiroi- deo evita il margine inferiore della cartilagine tiroidea per impedire l’ emorragia prodotta dalla lesione dell’ ar- cata risultante dall’ anastomosi delle due arterie situate nel margine inferiore della cartilagine tiroidea. se lar- i (1) Oeuvres chirurgicales, ou esposé de la doctrine, et de la pra- tique de Р I. Default par Хау, Bichat, Paris, 1801, Tom. П, p. 276. KAL SUVA 9 (66) [4] teria fosse stata ferita consiglia di legarla, o di applicarvi il ferro candente. Si diede troppa importanza a questa piccola arteria, alla quale si attribuirono delle emorragie pericolose. Be- гага consigliava di esplorare col dito la pulsazione di que- sta arteria per conoscerne la posizione prima dell’ incisio- ne del legamento conoideo. І arteria laringea inferiore, o crico-tiroidea è assai piccola, passa sul muscolo сгісо- tiroideo, al quale fornisce dei piccoli rami, dopo si dirige all’ innanzi del legamento crico-tiroideo dove si anasto- mizza col ramo opposto, e si divide in piccolissimi rami, che attraversano il legamento per recarsi sulle corde vo- sali inferiori. Nella monografia sulla brocotomia di Lénoir ('), egli attribuisce a Carlo Bell l'idea di tagliare in croce la mem- brana crico-tiroidea, e di asportare gli apici dei lembi, di- sapprovando con ragione tale proposta. Nell’ opera da me consultata di Carlo Bell (°) non trovai però questa modi- ficazione al processo operativo. Il dott. Lénoir loda l'ope- razione descritta da Bichat. Boyer avea proposta l incisione trasversa del lega- mento conoideo per evitare la lesione dell’ arteria crico- tiroidea. Ma la situazione di questa arteria rispetto al le- gamento varia secondo i soggetti, di modo che si può fe- rirla anche coll’ incisione trasversa. Egli si dichiara favo- revole alla laringo-tracheotomia (*). Sembra che Roux (1831) e Blandin (1834) (^) abbiano (1) Thése de concours pour la chaire de médicine operatoire, par A. Lénoir. Paris, 1841. (2) Sistema di chirurgia operativa di Carlo Bell, tradotto da Giacomo Barovero, Tomo I, p. 23. Torino, 1817. (3) Traité des maladies chirurgicales par le Baron Boyer. Vol. V, p. 502. Paris, 1846, (4) Nouveau dictionnaire de médicine, et de chirurgie pratique Jaccoud, Tomo 36, р, 52. Paris, 1884. r5] (67) eseguite le due prime laringotomie inter-crico-tiroidee sull’ uomo. Il prof. Erichsen (*) paragonando le indicazioni della laringotomia inter-crico-tiroidea con quella della tracheo- tomia, preferisce la prima per essere di esecuzione facile, sicura e pronta, in tutti quei casi nei quali l’ impedimen- to alla respirazione dipende da infiltrazioni infiammatorie del tessuto sottomucoso della laringe, tanto se siano idio- patiche, risipelatose, o croniche, oppure dipendenti dal- l'azione di vapori di acqua bollente, o di acidi qualora il processo morboso non abbia oltrepassato le corde vo- cali vere, e nell’ edema della glottide. Rifiuta 1’ obiezione che la presenza della cannula aumenti la irritazione del- la laringe, e non possa venir tollerata, come conferma- rono altri operatori. Racconta la storia di un suo malato, che sopportó per dodici anni una cannula d'argento nella laringe. Nei corpi stranieri arrestati nella laringe prefe- lisce la laringotomia. Se ad una laringite cronica si associa un processo acuto sia meccanicamente, sia per contrattura, avviene ‘apidamente un’ ostacolo all’ introduzione dell’ aria, ed è necessario, per salvare la vita, aprire rapidamente una nuova strada all'ingresso dell’aria, ciò che si ottiene fa- cilmente colla laringotomia inter-crico-tiroidea. L'unica condizione necessaria. è che l'apertura artificiale sia fatta Sotto le parti malate. Lo stesso dicasi dell’ enfisema este- 50, e pericoloso in conseguenza di una ferita della larin- 8e, quando si possa operare sotto la ferita. Il prof. Erich- Sen si mostra caldo fautore della laringotomia inter-crico- tiroidea nei casi da lui indicati. Tuttavia bisogna confes- Sare, che tale operazione era quasi dimenticata dagli ope- ratori, sempre pel motivo dello spazio troppo ristretto fra la cartilagine tiroidea, e la cricoidea. (1) Praktisches Handbuch der Chirurgie von John Erichsen, über- setzt von dott, О. Thamhayn, Berlin, 1864 prone esce (68) (6) Chi rimise in onore la laringotomia inter-crico-tiroidea, e trovó molti aderenti, specialmente in Francia, fu il dott. Krishaber (!). Dovendo operare (febbr. 1878) una donna nella quale il gozzo rendeva assai difficile, e pericolosa la tracheotomia, egli preferi l'operazione di Vicq-d’ Azir u- sando però una cannula con buco conico fenestrato, ciò che rendeva facile la sua introduzione nello spazio crico- tiroideo senza ledere le cartilagini. Tuttavia preoccupato dalle idee fino allora emesse da tutti i chirurghi sulla ri- strettezza dello spazio, avea inciso in parte la cartilagine tiroidea, ma usando la cannula a becco conico, s'avvide dell’ inutilità di asportare una parte della porzione infe- riore della cartilagine tiroidea. Questo fatto lo indusse a ripetere i suoi esperimenti sui cadaveri di adulti, e sempre con buon successo. A testa ben distesa lo spazio crico-ti- roideo misura da 8 a 9 mill., e talora anche di più, e sfor- zando il passaggio, si può qualche volta introdurre una cannula il cui diametro maggiore è di mill. 13. Ora le cannule di tracheotomia per gli adulti variano da 8 a 10 mill., e più spesso anche meno. Egli denominò tale ope- razione laringotomia inter-crico-tiroidea per distinguerla da quella praticata da Nelaton con asportazione, ed inci- (1) IL dott, Maurizio Krishaber nacque nel 1836 in Feketehegg in Ungheria: studiò a Vienna, Praga, e Parigi dove si stabili nel 1864, Nell’ inverno 1870-71 soggiornò per alcuni mesi in Venezia, perché era molto sofferente, ed ebbi occasione di conoscerlo, e di stimarlo, Nel 1873 pubblicò una memoria sulla nevropatia cerebro-cardiaca di cui soffriva, Su questa malattia scrisse anche il compianto mio amico, e collega il senatore dott. Antonio Berti iutitolandola Malattia di Krishabev, Fu per molti anni 1' assistente privato, e l' amico di Trous- sceau, Fu uno dei direttori degli annali delle malattie della laringe, e dell orecchio, e scrisse pregiati lavori di fisiologia, parecchie me- morie pubblieate negli Atti della Società di Biologia, e negli Atti, e Memorie della Società di chirurgia di Parigi, oltre alcuni articoli stampati nel Dizionario enciclopedico delle scienze mediche. Morì nel 1883. IR [7] (69) sione di parte della cartilagine tiroidea nel suo margine inferiore. L’ operazione ha un grande vantaggio sulla tracheoto- mia, perchè lo spazio crico-tiroideo è molto superficiale, e quindi facilmente accessibile. Le sporgenze delle carti- lagini tiroidea, e cricoidea, che servono фи E dpa di ri- trovo sono facili a trovarsi in tutti i soggetti. L'incisione della cute necessaria in questa operazione è assai limita- ta, e divisa la pelle sia col bisturi, sia col termo-cauterio, come preferisce il dott. Krishaber, si può penetrare nella cavità della laringe con una semplice apertura, nella quale penetra facilmente la cannula a becco. Si ha quindi il van- laggio di un’ esecuzione rapida, e facile, senza il pericolo di ledere parti importanti, e la cannula è bene tollerata anche per mesi come fu dimostrato dall’ esperienza. Sulla Memoria del dott. Krishaber, pubblicata nel IV Vol. Des Annales des maladies de l'oreille, et du laryna, il dott. Nicaise fece alla Società di chirurgia di Parigi nella seduta del 20 novembre 1878 un rapporto piuttosto benevolo, ma con molte riserve, che ricordano le opposi- zioni finora fatte all’ operazione proposta da Vicq-d' Алі, е da Fourcroy, e conchiude che per fare un confronto fr: questa operazione, e la tracheotomia bisogna raccogliere Maggior numero di fatti. Lo stesso dott. Nicaise nella seduta del 26 aprile 1882 della Società di chirurgia di Parigi, lesse un rapporto so- pra una Memoria del dott. Richelot intitolata: Laringoto- mia inter-crico-tiroidea. Questa operazione era stata ese- guita preventivamente prima di accingersi all’ estirpazione di un’epitelioma del pavimento della bocca esteso alla lin- gua, ed al mascellare inferiore. Ma il dott. Richelot, in- ciso verticalmente il legamento conoideo non potè intro- durre la cannula comune per la tracheotomia del diame- tro di nove millimetri, e dovette tagliare anche la carti- lagine cricoidea, ed allora la cannula potè penetrare nella laringe, ma veniva spinta sopra, о sotto la cricoidea. E (70) [8] sebbene il dott. Krishaber dopo di aver praticata più volte l'operazione avesse dimostrato il nessun pericolo della le- sione delle corde vocali, e della necrosi delle cartilagini, pure il relatore si mostrò ancora molto riservato nel giu- dicare i vantaggi di tale operazione, quantunque ammet- tesse la sua superiorità in confronto della tracheoto- mia, se vi fosse ipertrofia della ghiandola tiroidea, o i vasi sanguigni fossero dilatati nella parte anteriore del collo. Nella discussione avvenuta dopo la lettura del rapporto, il prof. Verneuil si mostrò molto favorevole all’ operazio- ne eseguita col processo del dott. Krishaber, avendola eseguita più volte, e la dichiarò eccellente e facile non avendo nè gli inconvenienti, nè i pericoli della tracheo- tomia alla quale in alcuni casi è da preferirsi. I dott. Fa- гареп, Sée, L. Labbé furono della stessa opinione, ed il prof. Lannelongue dichiarò di averla eseguita in un bam- bino di quaitro anni affetto da crup, e con buonissimo ri- sultato. Finalmente nella seduta del 14 marzo 1886 il dott. Richelot fece una comunicazione alla Società di chirurgia di Parigi sulla laringotomia inter-crico-tiroidea. Egli pose chiaramente la questione, se dovendo fare la broncotomia si debba sempre eseguire la tracheotomia, oppure se in date circostanze sia da preferirsi l' operazione di Krisha- ber. Ricordó che sebbene molti membri della Società fos- sero favorevoli a quest’ ultima operazione, pure da altri, accettandola in massima, erano state fatte delle riserve, aspettando i risultati di una più estesa esperienza prima di dare un giudizio definit vo. Questa volta il dott. Riche- lot appoggiato su varii casi clinici da lui osservati, dichia- ra che la tracheotomia negli adulti è pericolosa, e colla laringotomia inter-crico-tiroidea, quando è indicata, si evi- tanò molte difficoltà operative. Lo stesso Trousseau le aveva riconosciute, e con ragione dice il dott. Richelot, che la tracheotomia negli adulti è operazione che può terminare con la morte, anche se eseguita da un abile c [9] (71) operatore, per le alterazioni patologiche della regione, e per la dilatazione dei vasi pieni di sangue, per la brevità del collo, la profondità della trachea, e racconta di alcu- ni malati, che morirono per emorragia durante l'atto o- perativo, o poco dopo. Il termo-cauterio usato abilmente evita fino ad un certo punto l’ emorragia, ma non in mo- do assoluto, e bisogna ricorrere alla legatura o di una grossa vena, о di una piccola arteria; giova con sicurezza quando le arterie sono assai piccole, ed allora serve an- che la incisione col bisturi. Nei casi di urgenza quando bisogna operare sollecitamente non è indicato il termo- cauterio, che deve essere adoperato con lentezza. In que- sti ultimi tempi si studiò con somma diligenza l’ anatomia della. regione anteriore del collo, si conosce la topografia de] legamento conoideo, la sua lunghezza nell'uomo, e nella donna, e la larghezza ed il diametro della laringe : i vasi venosi ed arteriosi non hanno importanza. Il pro- cesso operativo è semplicissimo quando si abbia la cannula di Kriskaber, e finora corrispose alle sue promesse, rispon- dendo vittoriosamente a tutte le obiezioni. Nell'adulto quando anche si possa scegliere fra la tracheotomia e la laringo- tomia inter-crico-tiroidea, la seconda sarà da preferirsi alla prima. I prof. Verneuil, e Le Dentu sono dello stesso parere, Non credo che sempre alla tracheotomia si debba so- Stituire la laringotomia inter-crico-tireoidea, come p. es. hell’ angina difterica malattia assai più frequente nei fan- ciulli, che negli adulti, e che è la indicazione più co- mune della broncotomia. Ma vi sono parecchi casi, e di Questi ora mi occuperò, nei quali, per motivi diversi, è da preferirsi la laringotomia. Nelle fratture della laringe l'aspetto del malato, ed i Sintomi sono molto diversi. Talvolta è manifesto trattarsi di un traumatismo grave : il paziente è sdrajato immobile Sul dorso con dispnea più, o meno forte, ed è afono. La regione laringea è tumefatta con ecchimosi, e con traccie ааыа (72) [10] di contusioni; vi è tosse con sputo sanguigno, rantolo la- ringeo per la lesione della mucosa, ed enfisema cutaneo. Comprimendo la laringe fra il pollice, e l'indice spesso si sente la crepitazione. Le fratture della laringe interessa- no la cartilagine tiroidea, e la cricoidea, assai di raro la aritnoidea, sono prodotte da cause traumatiche, che agiro- no dall'innanzi all'indietro, e lateralmente, e per lo più per compressione per tentata soffocazione, ed allora la parte curva di esse cede nella sua parte anteriore, 0 po- steriore. Sono frequenti le complicazioni con ferite della pelle, e della mucosa con ecchimosi sotto di essa. Nelle fratture della laringe è indicata l'operazione se vi è pericolo imminente. di asfissia per spostamento dei frammenti, ed anche per prevenire la stenosi consecutiva della laringe. Si rimetteranno in sito 1 frammenti mediante una tenta, od una tanaglia da polipi curva. Si opererà subito dopo la lesione, perchè più tardi la riposizione può essere difficile ed anche non riuscire, rimanendo una ste- nosi incurabile e molto molesta. Le fratture della laringe sono pericolose quantunque non vi siano spostamenti, е sembrano in principio di poca importanza, per la gonfiez- za infammatoria della mucosa laringea e specialmente per l'edema della glottide, che può rapidamente svilupparsi, ed essere causa di morte. Si ebbero casi letali per soffo- cazione poche ore dopo la lesione. Perciò autorevoli chi- rurghi ammettono per regola in ogni frattura delle car- tilagini della laringe e della trachea, di eseguire preven- tivamente l'operazione senza aspettare i fenomeni perico- losi. Nelle fratture della tiroidea é indicata la laringoto- mia inter-crico-tiroidea di facile esecuzione e senza peri- coli. Hüter (!) anzi crede urgente l'operazione anche se la diagnosi di frattura non è certa, attesa la benignità (1) Handbuch der allgemeinen, und speciellen Ghirurgie, redi- girt von prof. Pitha, und. Billroth, and Ш, Abtheil,, Absch, 3, p. 85. Stuttgard, 1880, [41] (73) dell' operazione, ed il grande e rapido pericolo della lesio- ne. In ogni caso non si aspetterà un'attaeco di soffoca- zione, perché può avvenire inaspettatamente la morte, come fu dimostrato dall’ esperienza. Se vi è enfisema considerevole per frattura della la- ringe con respirazione difficile, ed asfissia anche moderata si farà la broncotomia sotto il sito della ferita, per impe- dire le conseguenze pericolose di un enfisema generale. Anche nelle ferite da taglio gravi della laringe, come si osservano talora nei tentativi di suicidio, può essere indicata la laringotomia inter-crico-tiroidea per prevenire le conseguenze di una cicatrice irregolare con spostamento consecutivo delle pareti della laringe, causa di una con- secutiva stenosi. Una ferita apparentemente di piccola im- portanza può essere causa di morte, come avvenne a Blind, che aveva tentato di uccidere. Bismarch. Condotto in prigione si feri con un temperino sopra dell’osso joide, senza ledere alcun vaso importante. Tuttavia si formò len- tamente un’ ematoma, che produsse una compressione della glottide. Blind ebbe il coraggio di morire lentamente di asfissia senza chiamare ajuto. La tracheotomia, о la larin- gotomia inter-crico-tiroidea lo avrebbero salvato. Nei casì di stenosi cicatriziale è importante di cono- scere, se questa ha sede nella laringe o nella trachea. Quando avviene nella laringe, vi è costantemente un'al- lerazione nella voce fino dal principio, mentre se risiede nella trachea il mutamento della voce non è costante, e non si manifesta che tardi, e per lo più per iperemia, e catarro della mucosa laringea. In alcuni casi di stenosi tracheale coll’ ascoltazione si sente un rumore fischiante nell’ espirazione ‘in un determinato punto della trachea, ben inteso che con un'esame accurato prima deve venir eliminata la presenza di un tumore retrosternale (aneu- risma, neoplasma) oppure del collo. Stabilita la sede della stenosi nella laringe, bisognerà determinarne la natura, potendosi trattare di un processo infiammatorio, di cica- L'INDIA 10 a il | {| hi | | | | (74) [12] trici, di neoplasma. Il processo infiammatorio (ascesso del pericondrio) è acuto, doloroso alla pressione, con rauce- dine, con difficoltà nella deglutizione, spesso con febbre, e di raro è preceduto da una malattia infettiva (vajuolo, puerperio, tifo, risipola, tubercolosi, sifilide). Le stenosi cicatriziali sono state precedute da processi infiammatorii od ulcerosi, e specialmente da sifilide. Ben diverso è il decorso dei neoplasmi, che sono indolenti, di decorso len- to, accompagnati da raucedine, e poi da dispnea, da di- sturbi nella deglutizione, sempre progressivi. L'esame la- ringoscopico rischiara la loro diagnosi (!). La laringoto- mia è stata eseguita con vantaggio nelle stenosi laringee limitate, da Burow, e Mackenzie. Cosi operarono Bruns, e Bose per asportare dei tumori situati sotto le corde vo- cali, o nelle parti inferiori della parete posteriore della laringe, o delle parti superiori, e posteriori della trachea (?). Quando non è assolutamente indicata in modo manifesto la tireotomia (laringo-fissura) si incomincia coll’ eseguire la laringotomia inter-crico-tiroidea, e poi secondo le cir- costanze si fa la tireotomia. Nella pericondrite suppurante (tifo, sifilide, tubercolosi) avviene sempre la nevrosi, ed il chirurgo cercherà di apri- re l'ascesso all'esterno, appena è possibile, per evitare che si apra nella laringe, o sia causa di edema collaterale, e poi allontanerà la parte necrotica. Ma l'edema collate- rale può avvenire prima della formazione dell’ ascesso, e rendere necessaria la laringotomia, o la tracheotomia. In questi casi, specialmente se sono dipendenti da febbre ti- foide, rimane una stenosi laringea. La sifilide laringea si manifesta con fenomeni di ca- tarro: col laringoscopio la diagnosi ordinariamente non è difficile, e guarisce con una cura antisifilitica conveniente. Le forme terziarie sono più gravi, e si manifestano con (1) Albert, Lehrbuch der Chirurgie Wien und Leipzig, 1881, (2) Deutsche; Ghirurgie. Lief 37, Schüller, 1880, [18] (75) piccoli nodi nella parte interna dell’ epiglottide, e della laringe. I nodi confluiscono fra loro, e si esulcerano an- che profondamente, ed allora vi si associa la pericondrite, е la necrosi, e guarita questa, rimane una stenosi; ma prima di arrivare a questo esito, possono avvenire altre complicazioni da rendere necessaria l’apertura delle vie aeree. Può essere distrutta la epiglottide, ed allora facil- mente entrano nella glottide dei cibi con pericolo di sof- focazione, 0 di pneumonite settica, e la presenza delle ul- ceri può determinare l’ edema collaterale. La prognosi è più grave se le ulceri sifilitiche produssero la stenosi tra- cheale. Di raro la laringotomia, 0 la tracheotomia sono indi- cate nella tubercolosi della laringe. Nella tubercolosi acu- ta possono essere attaccate le cartilagini aritnoidee da ca- rie acuta per determinare 1’ edema delle pieghe ari-epi- glottidee in modo da rendere necessaria la laringotomia inter-crico-tiroidea. Invece nella tisi cronica di preferen- za sono ammalate le cartilagini cricoidea e tiroidea, ma queste assai più di raro possono produrre il pericolo della soffocazione, perchè sono malate parzialmente, e cosa stra- na, tali lesioni si osservano prevalentemente in individui ì cui polmoni sono meno malati della loro laringe. In questi casi sono frequenti le fistole esterne. Se vi sono degli accessi di soffocazione, la tracheotomia prolunga la vita. Se la infiltrazione tubercolosa ha sede nelle corde vocali, è preferibile la laringotomia inter-crico-tiroidea. Dovendosi estrarre dalle vie aeree un corpo straniero, bisogna conoscere il sito nel quale è situato, e la sua mobilità. La diagnosi non è sempre facile: serve l'ana- mnesi se l'ammalato era perfettamente sano, e mangiando fu preso da un violento accesso di soffocazione: se gli accessi si ripetono con tosse intermittente, se vi sia un dolore persistente, e localizzato in un punto delle vie aeree. L'applicazione della mano sulla laringe e sulla tra- chea può dare un segno importante per la diagnosi, se il (76) [14] corpo straniero è mobile, poichè talvolta si percepiscono degli urti contro le parti esplorate ad ogni colpo di tosse, o ad ogni atto di respirazione. Coll’ esame laringoscopico si potrà vederlo se è sporgente fra le corde vocali, ed allora si ‘cercherà di levarlo con adattati istrumenti. Ma quando si deve operare? L’esperienza ha dimostrato non essere rara l’ espulsione spontanea dei corpi stranieri dal- le vie aeree, ma d'altra parte la loro presenza prolungata puó essere causa di ascessi, uleeri, di lesioni polmonari, e di morte. La conoscenza esatta della natura del corpo straniero può determinare la condotta del chirurgo. Se si tratta di un corpo suscettibile di gonfiarsi è meglio agire per tempo, perché dall'aspettazione prolungata non si può avere alcun vantaggio: se invece può sperarsi la scompo- sizione, o la fusione di esso, come avviene dello zucchero, di una pastiglia, di un pezzo di succo di liquirizia, è me- glio di aspettare. Se il corpo straniero è mobile riesce indifferente il luogo. dell' apertura delle vie aeree: d'ordinario con una forte espirazione, o sotto un colpo di tosse esce fuori spon- taneamente dalla ferita. Il corpo straniero puó arrestar- si nell’ apertura della glottide , e chiuderla con pericolo imminente di soffocazione. Se non si puó estrarlo per la bocca si deve operare immedintamente. Se discende e si arresta nei ventricoli della laringe produce forti dolori, e violenti colpi di tosse e pericolosa dispnea talora a periodi; quando sia disceso nella trachea il dolore è mite e mi- nore lo stimolo della tosse, e come ho detto, colle dita applicate.sulla trachea si possono sentire degli urti sen- sibili anche collo stetoscopio. Se poi discende in un bron- co per lo più nel destro, si hanno gli stessi fenomeni co- me quando si ferma nella trachea. Qualora il corpo stra- niero otturi intieramente il bronco, nel relativo polmone non penetra l'aria; se lo chiude soltanto in parte si sente un rumore fischiante. Talora il corpo straniero si colloca fra le corde vo- e — [15] (77) cali, ed allora si può estrarlo con una pinzetta giovandosi del laringoscopio. Se ciò non riesce, si farà la laringoto- mia inter-crico-tiroidea perchè lo si può vedere e trova- re facilmente dalla ferita con una.tenta, ed è più acces- sibile agli istrumenti per farne l'estrazione, oppure si può respingerlo in bocca con una sonda elastica, o metallica; si farà invece la tracheotomia se il corpo straniero è fis- Sato nella trachea. Qualora poi il chirurgo sia incerto del luogo ove esso ha sede è preferibile la laringotomia inter- crico-tiroidea per essere di più facile, e pronta esecuzio- ne, e poi se è necessario, allargare l'incisione in basso recidendo la cartilagine cricoidea, ed uno o due anelli della trachea. in generale si può stabilire, che quando gli ostacoli che impediscono la respirazione sono al disopra dello spazio situato sopra la cartilagine cricoidea, la la- ringotomia è preferibile alla tracheotomia, e quindi nel- l'edema delle corde vocali (comunemente dei legamenti ari-epiglottidei), nelle confiezze molto considerevoli della P18 › 8 laringe, e delle tonsille per tumori, o processi infiamma- torii, nella glossite se le profonde scarificazioni non sono giovevoli a togliere la difficoltà della respirazione, nei polipi voluminosi della laringe, se dopo la loro legatura si gonfiano; nell’ arresto di un grosso boccone nella faccia o nella parte superiore dell’ esofago, nel crampo della glot- tide, nell'enfisema molto esteso del collo. In generale quando vi è grande pericolo di asfissia, e quindi è neces- sario di aprire immediatamente le vie aree, perchè l' ope- razione si puó fare con grande sollecitudine, e senza pe- ricolo. La denominazione edema della glottide, comunemente usata, non è corretta. La mucosa della glottide è unita strettamente ai tessuti sottoposti con fibre serrate, cosic- ché è assai raro in essi l’ edema, altrimenti dovrebbe ac- compagnare ogni catarro laringeo. Invece per la sua strut- tura vi è disposta la mucosa delle pieghe ari-epiglottidee e dell’ epiglottide e Г edema è secondario per infiamma- (78) [16] zione, о per pressione collaterale. Può ammettersi primi- tivo, se un’ individuo disposto agli edemi (nefrite parenchi- matosa, malattie di cuore) viene affetto da leggiero catarro della laringe. Il prof. König (!) osservò un caso di edema che rese necessaria la tracheotomia in individuo con risi- pola della faccia emigrata nella bocca, e nelle fanci. Ma generalmente la laringite edematosa è secondaria alle ma- lattie della laringe, e delle parti vicine e Г edema è cau- sato da pressione collaterale. Ciò si osserva nelle ulceri della laringe causate da vajuolo, tifo, sifilide, tubercolosi, negli ascessi sottomucosi. Anche un’ ascesso tonsillare, ed un’ angina tonsillare senza ascesso possono produrre l e- dema della glottide. I fenomeni dell’ edema laringeo si distinguono per la sede, e I’ estensione del processo morboso. Il prof. Ziemssen osservò in un giovane di 17 anni, che dal momento in cui si infisse una scheggia di legno nel seno piriforme (°), causa dell’ edema, fino al momento della sua estrazione, passarono soltanto quindici minuti, eppure 1’ edema della laringe era così forte, che già vi erano i fenomeni del- l' ortopnea. Nei casi ordinari gli ammalati hanno la sensazione di un corpo straniero con dolore nella deglutizione, la. voce rauca gutturale, bevono di traverso, e fanno l'impressione di soffrire per un'ascesso delle tonsille. Ma se esaminan- do le fauci si trovano le tonsille sane, bisogna rivolgere l'attenzione alla laringe, e fare un’ esame laringoscopico. Aumentando il male viene la disp nea, che si accresce col moto, e rapidamente assume grandi proporzioni. Spesso (1) Kónig. Leh:bunh der speciellen Chirurgie. L Band, p. 054; Berlin, 1885. (2) La lamina esterna della piega ari-epiglottidea copre il mu- scolo ari-epiglottideo. Per 1 infossamento della mucosa si forma un incavo detto feno piriforme, Henle, Handbuch der systematischen Anatomie, Braunshweig, 1873. [47] (79) l’inspirazione è difficile, e viene accompagnata da stridore specialmente se sono edematose le pieghe ari-epiglottidee. Queste ad ogni inspirazione sono spinte come una valvula nell’ apertura della glottide, e sono la causa della dispnea. Se poi è ammalata anche la parte laringea della epiglot- tide, allora anche l’ espirazione è impedita. In due malattie dipendenti dal sistema nervoso può essere indicata la laringotomia, cioè nell’ edema: acuto per angionevrosi, e nella paralisi dei muscoli dilatatori della glottide (crico-aritnoidei-posteriori). In un caso di edema acuto da nevro-angiosi fu eseguita la tracheotomia in un soldato nell’ ospedale militare di Bologna dal medico ca- pitano dott. Imbriaco. Nel 1887 nella Rivista Veneta di scienze mediche, I semestre, ho pubblicato uno studio cli- nico sull’ edema acuto da angio-nevrosi, e nel П semestre 1887 dello stesso giornale, ad alcune considerazioni clini- che sopra lo stesso argomento pubblicate dal. dott. Tebal- do Falcone, ho fatto una annotazione nella quale descrivo il caso importante sopra citato di un soldato al quale per edema acutissimo della laringe, sviluppatosi mentre pas- seggiava, e che ritengo d'indole angio-nevrotico, perché fino dall’ infanzia andava soggetto ad edemi improvvisi alle estremità superiori per lo più per azione del freddo, fu fatta la tracheotomia con buon successo dal dott. Imbriaco medico capitano nell’ ospedale di Bologna. Più volte alcu- ni medici furono per accingersi ad un’ operazione per sal- vare il ma'ato in pericolo di asfissia per edema da nevro- angiosi, ma un miglioramento sollecito, ed inaspettato rese inutile l’ operazione, che per la prima volta in tale malat- tia, almeno da quanto io sappia, fu eseguita dal dott. Im- briaco. Contro l'edema acuto nevro-angiotico della larin- ge fu consigliata l'applicazione del ghiaccio sul collo, e l’uso interno della morfina, e dal dott. Lesser invece l atropina. La paralisi dei muscoli crico-aritnoidei posteriori può produrre la soffocazione impedendo la dilatazione dell’ a- (80) [18] pertura della glottide nell’inspirazione. In questi casi fu esee la tracheotomia (Ziemssen) ma sarebbe la laringotomia inter-crico-tiroidea. Lo stesso più indicata TT 1 : И dicasi dei casi di asfissia prodotta da gas irrespirabili, e nella grave asfissia prodotta dalla nevrosi col cloroformio, quando si vuole introdurre più direttamente l’aria nei pol- moni, e con tal mezzo si vuole riattivare l'azione del cuore. Un’ altro accidente assai pericoloso può avvenire durante la cloroformizzazione, quando l’ individuo è nello stato di completa narcosi. Sotto un’accesso di vomito un corpo straniero può penetrare né olottide, e nella la- noa Y | | 3 no 201 ringe, con pericolo immediato di morte. Bisogna agire ў | Й m AU ? 'rande sollecitudine, e manca il tempo per fare un’ o- perazione lenta come la tracheotomia, specialmente. se le vene del collo, come succede di consueto in tali circo- stanze, sono turgide. Allora la laringotomia inter-crico- tiroidea è indicata. Se però si tratta di sangue penetrato per la laringe nella trachea, e nei bronchi, o di un corpo straniero rel { (mente voluminoso, sarebbe più efficace la crico-t tomia wverte, che in caso di mente, poiché se anc Y d ni 14 + A М dopo l'operazione il malato può respirare per poco tempo, ma presto muore per le conseguenze dell’ avvelenamento del sangue per l’ acido carbonico, come avvenne а] prof. racheotomia che ese oui nella cli- l | tide : duran- nica di Skoda. Si trattava di edema della glo 1. 7 1 П te l'operazione l'ammalato cessò di respirare. L'opera- tore continuó tranquillamente ad eseguire la tracheotomia, pol praticò la respirazione artificiale, e l’ ammalato potè respirare per due ore, e poi mori. (1) Handbuch der anatomischen, Chirurgie III Auflage. Tibin- gen, 1868, (2) Lehrbuch der Chirurgie, und Operationslehre, Band Т, p. 505 Wien und Leipzig, 1881. [19] i (81) Che il chirurgo esiti ad aprire la trachea, o la larin- ge nelle malattie acute, o croniche di natura infiammato- toria delle quali può sperare la guarigione con altri mezzi terapeutici, si capisce facilmente. Ma quale speranza può avere quando si tratta di un cancro della laringe? Fatta troppo tardi non può dare quei risultati vantaggiosi che si sarebbero ottenuti, qualora fosse stata praticata subito che con sicurezza potrà essere fatta la diagnosi di cancro della laringe. E certo che nel riposo completo dell’ orga- no della voce ottenuto coll’ operazione, ne risulta un mi- glioramento di durata diversa, ma gli accidenti gravi sono sempre ritardati. Negli uomini di bassa statura, e grassi spesso manca lo spazio fra la cartilagine cricoidea, e 10 sterno al quale bisogna troppo avvicinarsi. Allora si con- siglia la crico-tracheotomia, ma questa operazione non è da scegliersi nel cancro della laringe, proprio delle per- sone adulte, nelle quali la cricoide è ossificata, e quindi difficile ad essere divisa, e facile a necrosarsi come è già avvenuto. In questa malattia bisogna preferire la laringo- tomia inter-crico-tiroidea di facile esecuzione anche negli individui grassi, nei quali come punto di guida si trova sempre il margine angolare della cartilagine tiroidea. Il dito trova subito sotto di esso la membrana crico-tiroidea, ed incisa questa si fa penetrare la cannula d'argento senza apertura nella sua parte convessa, perchè un frammento del neoplasma potrebbe passare nel tubo metallico e pro- durre i fenomeni pericolosi dell’ asfissia. Se il cancro ol- trepassa lo spazio sotto-glottideo, e si prolunga il taglio verso la trachea, allora bisogna avere una cannula lunga la di cui estremità inferiore oltrepassa il tumore. Il dia- metro della cannula avrà un diametro di sette millim. che permetta al malato di respirare liberamente. Ma come rac- comanda il dott. Krishaber la cannula deve essere assicu- rata al collo solidamente, perchè siccome è posta fra ve- getazioni fungose, che vengono compresse dalla cannula e danno sangue, se la cannula esce fuori, le vegetazioni TIE S vH "T == І il | \ i Н Í | | } Vi (82) [20] si rialzano, riempiono lo spazio prima occupato dalla can- nula, e volendola introdurre di nuovo si trovano molte difficoltà, stracciano le vegetazioni che danno sangue con pericolo imminente di asfissia. Il dott. Isambert volendo introdurre di nuovo la cannula accidentalmente uscita, ebbe il dolore di veder morire il malato sotto i suoi oc- chi. Lo stesso avvenne al dott. Fauvel, ed al dott. Kri- shaber. Il cambiamento della cannula deve essere eseguito con molta cautela. Il termine medio della vita dopo l’operazione è di oltre un anno nel cancro della laringe. Bisogna però che l'am- malato possa nutrirsi sufficientemente, ed è frequente in questa malattia la disfagia contro la quale si adopera la siringa esofagea introdotta pel naso, e lasciata a perma- nenza anche per mesi, con la quale si introduce il cibo nello stomaco. In un caso dopo cinque mesi non dava al- cun incomodo. Gli ammalati migliorano nella nutrizione e possono vivere abbastanza bene per molti mesi. Non è raro che progredendo il male, come avviene sempre, qual- che volta per la ferita escano fuori delle vegetazioni can- cerose ai lati della cannula. Altre volte invece il male tende a progredire superiormente verso la faringe, più spesso verso l’orifizio superiore dell’ esofago, producendo una disfagia meccanica. Contro questa serve bene la son- da esofagea. Spetta al Dott. Krishaber l'onore di aver tolta la la- ringotomia inter-crico-tiroidea dall’ ingiusta dimenticanza in cui era caduta dimostrandone i vantaggi per la facilità dell’ esecuzione scevra da pericoli, quando venga adoperata la sua cannula a becco. Egli preferisce di dividere la cute col termo-cauterico, ma ciò prolunga inutilmente l’opera- zione senza presentare un reale vantaggio, perchè l'emor- ragia è minima, e si può arrestare immediatamente con un mordente emostatico. Le sue cannule del diametro di 5, e 7 millim. servono per gli adulti uomini, e donne. Re- centemente si studiò ad esuberanza la parte anatomica [24] (83) della regione, e sopra un gran numero di individui si pre- sero le misure dello spazio situato fra la cartilagine tiroi- dea, e la cricoidea, che nell’ adulto ha da 8 ad 11 mill., e nel fanciullo di 10 a 12 anni misura da 6 a 7 mill. Numerose esperienze eseguite dai dott. Farabæuf e Richelot dimostrano la grande facilità dell'operazione. Quand'anche avvenisse la frattura della cricoidea, questo accidente è senza gravità, ed in ogni caso è facile di evitarlo usando una cannula più piccola, ed impiegando poca forza nel- l introdurla. La pelle della regione è sottile, e sotto di essa si tro- va un tessuto cellulare senza grasso, e poi viene la mem- brana crico-tiroidea, e nella linea mediana, che ci inte- ressa, niente si trova di importante. Alcune venuzze ana- stomotiche fra le due vene jugulari anteriori, ed un pic- colissimo ramo arterioso, che costituisce l’ anastomosi fra le due arterie laringee. Il dott. Schüller (!) dice di aver trovato sul legamento conoideo una piccola ghiandola lin- fatica, talora ingrossata nei processi infiammatori, la quale serve ad indicare il sito dell’ arteria crico-tiroidea. Egli consiglia di prendere l'arteria con un'uncino, od una pin- zetta, e legarla fra due lacci, e poi tagliarla nel mezzo. Tuttavia, egli aggiunge, nel massimo numero dei casi finora conosciuti, era tanto piccola, da non meritare di occu- parsene. PROCESSO OPERATIVO L'ammalato sarà disteso sul letto con un cuscino ci- lindrico sotto il collo per rendere più sporgente la parte su cui si deve operare. Gli istrumenti necessarii sono un bisturi puntato; uno (1) Deutsche Chirurgie herausgegeben von prof. Billroth, und prof, Lücke Lieferung, 37, p. 174, Stuttgard, 1880. (84) [22] o due mordenti emostatici, e due cannule a becco di Kri- shaber di diametro diverso | › i | L'operatore si colloca а destra del malato. Fissati i due punti di ritrovo, il pomo di Adamo, e la sporgenza della cricoide, si colloca l’ unghia dell’ indice sinistro al- | l’innanzi della linea mediana dello spazio compreso fra la 1 | cartilagine tiroidea, e la cricoide. Col bisturi si fa l inci- | | sione della cute restando sempre nella linea di mezzo, е | poi si recide il tessuto cellulare, e si arriva sul legamen- to conoideo. È inutile, come consiglia il prof. König, di allontanare i margini della ferita cutanea con due uncini ottusi, e di —— [28] (85) tagliare il tessuto cellulare sulla guida della sonda sca- nalata, oppure di stracciare con due pinzette, о con una pinzetta, ed una sonda il tessuto connettivo sovrapposto al legamento conoideo per evitare 1 emorragia. Bisogna piuttosto aver presente in questa regione un’anomalia, che senza essere frequente non è molto rara, cioè la presenza di un terzo lobo della ghiandola tiroidea, chiamato pro- cesso piramidale. Questo potrebbe essere imbarazzante nel fare la laringotomia inter-crico-tiroidea ; esso è d'ordina- rio più vicino alla cartilagine cricoidea, che alla cartila- gine tiroidea, ma però si estende talvolta fino all’ osso joide. Per lo più il lobo piramidale è unito alla cartila- gine cricoidea con aderenzé floscie, che si possono facil- mente distaccare dalla linea mediana col manico dello scalpello, ma talvolta bisogna dividere il lobo medio della tiroidea dalle parti sottoposte con una diligente prepara- zione, e renderlo mobile onde evitare di ferirlo. Procedendo nell'operazione si apre colla punta del bisturi la membrana crico-tiroidea incidendo dal basso immediatamente sopra della cartilagine cricoide, e si ter- mina sotto la cartilagine tiroidea. Secondo il dott. Riche- lot basta anche una piccola incisione del legamento co- noideo attraverso la quale introducendo l’apice della can- nula a becco, questa penetra con tutta facilità nella la- ringe, perchè allarga la ferita della membrana crico-tiroi- dea, quando si spinga l’istrumento con una moderata in-. › q 8 sistenza. Se si trovasse della difficoltà per lo spazio ri- stretto, si diminuirà la distensione del collo, facendolo piegare all’innanzi per facilitare fra loro i movimenti delle cartilagini tiroidea e cricoidea. Ma se non si vuole esporsi ad imbarazzi, bisogna adoperare la cannula di Krishaber, perchè le cannule comuni per la tracheotomia, per la loro costruzione nella parte anteriore, penetrano difficilmente nella cavità della laringe. Tuttavia essendovi urgenza di fare la laringotomia, e non avendo il chirurgo la cannula di Krishaber, si consiglia di tagliare in croce il legamen- (86) [24] to conoideo, dilatando la ferita col dito mignolo. Resta un orificio sufficiente per l'ingresso dell'aria. Anche il prof. Esmarch (') nei casi urgenti raccomanda questa ope- razione. Terminata l'operazione, e respirando liberamente il malato, si assicura solidamente la cannula come dopo la iracheotomia, e con maggiori precauzioni per impedire la sua uscita, come si è detto trattandosi di cancro della laringe. Da questo studio si puó conchiudere, che in molte circostanze la laringotomia inter-crico-tiroidea deve essere preferita alla tracheotomia, perchè è operazione più oppor- tuna agendo ‘direttamente contro la causa morbosa, e perchè è di esecuzione più sollecita, e meno pericolosa. Sarebbe però esagerata la pretesa di sostituire sempre la laringotomia inter-crico-tiroidea alla tracheotomia special- mente nei bambini e fanciulli, e nella difterite. Mi sembra esagerata anche l'opinione del prof. Verneuil, che crede la tracheotomia destinata a scomparire dalla pratica ge- nerale della chirurgia, od almeno ad essere considerata una rara eccezione. Ma è egualmente ingiusto l’abbandono in cui è lasciata un'operazione che offre tanti vantaggi. L'operazione di Vieq-d'Azir, modificata nel processo ope- rativo, deve restare nella pratica chirurgica, perchè in varie circostanze è operazione di necessità, ed in altre può sostituire vantaggiosamente la tracheotomia, come nel- l'edema della glottide, e nel cancro della laringe. Se si confrontano fra loro il giudizio tanto riservato, sebbene favorevole, su questa operazione, espresso dal dott. Nicaise nel 1878 alla Società di Chirurgia di Parigi, e quelli pro- nunciati dal dott. Richelot, e dallo stesso dott. Nicaise alla stessa Società nel 1886, si vedrà come tutti i dubbi sorti contro questa bella, ed utile operazione siano svaniti. (1) Handbuch der Kriegschirurgischen Technik p. 293. Hanno- very 0977; [25] (87) Non ho la pretesa di conoscere tutto quanto si fa, e si pubblica in Italia, dove la chirurgia ha tanti dotti, ed attivi cultori, ma a me sembra, che fra noi la laringoto- mia inter-crico-tiroidea non sia apprezzata come merita, e per ciò mi sono ingegnato in questo studio di farne risal- tare i vantaggi, e specialmente di stabilirne le indicazioni. Sarei ben lieto se la mia modesta aspirazione trovasse ap- poggio, e venisse attuata. Prezzo della Dispensa Fogli 16 ad Italiani Cent. 12V, . e — АР ISTITUTO VENETO DI T tiri SCIENZE, LETTERE ED ARTI (TOMO XXXVIII) SERIE SETTIMA -- TOMO SECONDO DISPENSA SECONDA VENEZIA PRESSO LA SEGRETERIA DELL'ISTITUTO NEL PALAZZO DUCALE ТІР. DI б, ANTONELLI "M 1890-01 eee = Pubbl. il 1,° Febbraio 1891. INDICE Atto verbale dell’ adunanza ordinaria del giorno 24 Черте 4990 I I е рар, 90-01 t Lavori lettí per la pubblicazione negli Atti. С. A. Levi. — Di un vase del secolo decimoterzo e del cavaliere Tebaldo di Bessan. Studio (con OS OVO eu due ео 93 P. Cuccu s. e. — Commemorazione del m. e. Senatore Gusta o Башен N, geo cob D00 A. Favaro, m. e. — Sopra alcuni nuovi Studi Gali- A N E шу. DUO R. Penzo. — Sul Ganglio genicolato e sui nervi che gli sono connessi, Ricerche anatomiche . . » 441 С. Occioni-Bonarrons. — Intorno alla « Bibliografia bel- lunese » compilata da‘ Augusto Buzzati. . NOM uu MENT о Тае Elenco dei Libri e delle Opere periodiche pervenute dal 17 marzo a tutto 4 agosto 1890. . . . . pag. XLI-LVIU Société d'économie politique. Concours pour un prix de mille franes . ANNO 1890-91 DISPENSA II. ADUNANZA ORDINARIA DEL GIORNO 21 DICEMBRE 1890 PRESIDENZA DEL COMMENDATORE GIAMPAOLO VLACOVICH PRESIDENTE. Sono presenti i membri effettivi: Prrowa vicepresidente, VIGNA vicesegretario, LAMPERTICOo, MINIOH, DE BETTA, De LEVA, FAMBRI, LORENZONI, TROIS, CANESTRINI, E. BER- NARDI, J. BERNARDI, BEL TRAME, FAVARO, GLORIA, PERTILE; BELLATI, STEFANI, Serca e Bizio segretario; nonchè i soci corrispondenti: MARTINI, OccioNI-BoNAFFONS, Fo- GAZZARO e MAZZONI. Vengono giustificati gli assenti membri effettivi To- LOMEI, SACCARDO, MARINELLI, е OMBONI. Dopo la lettura ed approvazione dell'atto verbale del- la precedente adunanza, si annunzia ai membri Г elenco degli ultimi doni pervenuti alla Biblioteca. Il Presidente comunica poscia al Corpo una lettera cir- colare dell'Associazione artistica fra i cultori dell’ archi- tettura in Roma, affinchè per il progetto tecnico-finan- Ziario, relativo alla sede del Ministero di agricoltura, in- dustria e commercio, si cooperi dall'Istituto colla Com- missione della predetta Assemblea, acciò 1’ importante pubblico edifizio sia con liberale concetto posto a con- corso fra gli architetti italiani. Invita quindi a far perve- nire consimili voti al Ministro. "ere 90 Il membro effettivo F. Lampertico osserva, che man- cano elementi di fatto, e non gli parrebbe opportuno di assumere un'ingerenza. Opina pertanto, che l'Istituto non abbia ай occuparsene; e l'Istituto accoglie tale proposta. Indi il membro effettivo A. Favaro presenta la parte II de’ suoi: Nuovi Studi Galileiani; ed il membro effet- tivo P. Spica uno Studio, da lui instituito insieme al dott. G. Carrara, « Su alcuni composti tiazolici ». Lo stesso prof. Spica presenta alcune « Ricerche chi- miche sul Condurango » di G. Carrara; nonchè una Me- moria del prof. Gaetano Magnanini, col titolo: «Appli- » cazione del metodo fotometrico allo studio della rea- » zione fra i sali ferrici ed i solfocianati solubili. A questo punto il membro effettivo A. Minich, rife- rendosi al lavoro sul Condurango, ricorda che questo ri- medio, poco noto com'era, fu adoperato dal Friedreich in un caso di cancro dello stomaco, avendone conseguita la guarigione. Ulteriori ricerche non raffermarono tale azione; ma rimase peraltro un fatto che il Condurango,.non por- tando la guarigione a quel cancro, ha però un’utile azione tonica sullo stomaco. Il Minich domanda pertanto, se l’ana- lisi chimica possa chiarire l’esistenza di una sostanza, cui tale fatto possa attribuirsi. Il prof. Spica risponde, che fino adesso non si potrebbe affermare l’esistenza di una sostanza, la quale possegga azione specifica, nè tonica. Dopo ciò, proseguendo colle letture, il socio G. Oc- cioni-Bonaffons legge una Relazione « Intorno alla Bi- » bliografia Bellunese, compilata da Augusto Buzzati ». Appresso, conforme l'articolo 8.° del Regolamento in- terno, il prof. P. Ragnisco è ammesso ad intrattenere l’Isti- tuto « Sugli scritti editi ed inediti di Nicoletto Vernia ». Ed il Segretario, in base all’articolo stesso del Rego- lamento, presenta uno scritto del comm. Cesare Augusto Levi, impedito da malattia ad intervenire personalmente, 91 il quale scritto ha per titolo : « Studio sopra wn vase del secolo XIII ed il Cavaliere Tebaldo di Bessan ». Terminate le letture, l'Istituto si è raccolto in adu- nanza segreta, nella quale si procedette alla nomina di parecchie giunte e si trattarono gli altri argomenti, regi- strati all’ ordine del giorno. DI UN VASE DEL SECOLO DECIMOTERZO E DEL CAVALIERE TEBALDO DI BESSAN STUDIO »n CESARE AUGUSTO LEVI (con una Tavola) Questo bel vaso di marmo greco a due anse cui manca il coperchio alto circa m. 0.70, e della circonferenza. di m. 1.50 circa reca scritto a sinistra: — i АМО: DNI : M : CO L Ш: ME; FIST: LORENS : CRAS: DABOR +} NO : HODIE. | a destra: | db : LI : TRE. X“ NOBLES Ж | CHEVALIER РЄ ME : SIRE + TYBAVT : DE : BESSAN : ME: FIST, FAIRE. Come ben si vede dal disegno annesso esso è stato spezzato; non è impossibile che fosse originalmente chiu- so e che da mani barbare a scopo di lucro o per avidità dell'ignoto sia stato infranto. Fu trovato in una villa presso .Mestre e chi scrive ebbe ad acquistarlo da chi lo (94) LE conservava in una casa nei pressi dell’ Abbazia della Mi- sericordia in Venezia. _ Gli colpirono la forma, uno dei nomi, la bellezza dei caratteri, la bizzaria di parte della punteggiatura. L'iscrizione della faccia a destra significa: «Il molio nobile cavaliere messer Tebaldo di Bessan mi fece fare »; quella della faccia a sinistra: «l’anno del Signore Millesimo duecentesimo cinquantesimo terzo mi fece Lorenzo, do- mani sarò dato non oggi». Il vaso a che dovette servire? Non a contenere ceneri di qualche estinto e ciò, come altri bene si esprime, primieramente perchè siamo in un epoca, nella quale la cremazione era bandita dagli usi del mondo cristiano, in secondo luogo perchè niente vi allu- de nelle epigrafi. Tebaldo di Bessan fece eseguire o meglio ordinò, Lo- renzo, probabilmente scalpellino, certo l’artefice, lavorò. — Il contenuto del vaso dice: domani sarò dato, oggi no. — È troppo poco perchè si possa indurre un’accenno ad una risurrezione. Il contenuto del vaso vuol restarvi, per migliorarvi forse. Non è nella tomba che il morto si prepara a vita mi- gliore. Quindi il mistico più ostinato non può in questo motto trovar scale di nebbia per invadere spazii celesti deve accontentarsi della terra e convincersi che il con- tenuto del recipiente deve esser stato un liquido. Certo il motto « domani sarò dato, oggi по» non as- serisce che il contenuto sia propriamente un liquido è un motto di difesa o una piacevolezza sul genere del « cras credo hodie nihil», oggi non fo credenza, diman si. Si deve escludere che il vaso fosse di quelli usati a trasporto d'acqua benedetta che vennero alle nostre parti dall'oriente, perché tutti i noti di tale specie portavano un moto biblico in greco, od in latino alludente alla virtü delle acque contenutevi. [8] (95) Ne è opportuno ammettere che fosse destinato a con- tener materie esplosive, o che in esso si preparassero quelle miscele a noi non ben conosciute, colle quali poi faceasi il fuoco greco. Dunque è a credere che sia stato ordinato, come gli antichi dolii a contener del vino od altro liquido, che in- vecchiando migliorasse. Stanteché nella concavità del vase nessuna macchia colorante ritrovasi è più probabile che contenesse dell'olio, vuoi prelibato, vuoi ad usi speciali che investigar non gio- va deposto.. Tali. recipienti di pietra a contener il succo dell' olio furono adoperatissimi appunto nella zona medi- terranea dove la coltivazione dell'albero simbolo della pa- ce è industria che data dalle prime memorie degli anti- chissimi padri. Senza iscrizioni o motti chi scrive ebbe a vederne in Grecia, nel mezzogiorno d'Italia, ed ha avuto sentore che se ne conservano ancora presso qualche vecchia famiglia patrizia veneta. Osservando i caratteri delle epigrafi balza all’ occhio la loro analogia con quelli del famoso sigillo di Gianni d’Ibelin riportato anche dal Rey nelle « Colonie Franche in Siria ». Nell’ iscrizione di Tebaldo di Bessan colpiscono tre emblemi nella prima linea ed uno nella seconda. — Il primo è la croce dei crociati che sta appunto nel campo del sigillo, ed era la sigla dell'ordine come puossi vedere negli Ordini Cavallereschi del Giustiniano, il secondo é un fregio che puó aver notato un grado e rammenta uno di quelli intessuti nell'abito dei cavalieri del Toson d'Oro. Cosi dicasi del terzo della prima linea e del quarto о me- diano della seconda. È a supporre che Tebaldo di Bessan fosse cavalier Templario e di grado importante. — .Avvalorano questa supposizione i ricordi degli stretti vincoli avuti dai Bes- san coll’ordine del Tempio sia in Palestina che a Cipro, infine il sapere che Tebaldo (secondo il lignaggio d' 01- (96) [4] tremare) moriva nella catastrofe di Tripoli (avvenuta martedì 26 aprile 1289) la cui difesa era stata intrapresa ma non ottenuta dall’ Ordine del Tempio. E Tebaldo di zessan si sa che assistette ad un’assemblea di baroni nel 1250, tre anni prima della data del vase, ch’ ebbe in ispo- sa Isabella della Mandalea e non lasciò figli. Fu suo nipote quell'Ague od Angelo di Bessan capi- tano dei baroni di Cipro morto nel 1338; testimonio nel trattato di pace e di commercio trà Amaury di Lusignano e l'ambasciatore di Pietro Gradenigo ; datore di istruzioni ad una missione a Venezia. (У Commem. I fol. 13). La famiglia di Bessan fu più rinomata per gli uomini che per le terre, discendeva essa da un ceppo dei Béthune famiglia che diede poi alla Francia, tra altri personaggi famosi, Sully. Essa nello stemma, assevera il Du Chesne genealogista di quella casa portava quella fascia che si vede nello scudo scolpito in questa iscrizione. Il feudo di Bessan secondo il Rey non doveva essere di grande entità quantunque le rovine del castello sono di valore a crederne il Munk (Palestina) e 1’ Isambert (Iti- nerario in Siria e Terra Santa). Le Assise di Gerusalemme pongono i signori di Bes- san in dipendenza di quei di Sajette o Sidone (presa dai Crociati nel 1111 espugnata dagli Infedeli nel 1258, data del vase) e dovevano contribuire per 15 lancie su 100 che ne doveva questa baronia fra le quattro componenti il Regno di Gerusalemme; avevano dritto d'alta Corte e di batter moneta. I Bessan si estinsero nel XIV secolo con Tebaldo II nipote del nostro, in linea maschile, mentre per parte femminile ebbero lunga progenie nei reali di Cipro discen- denti tutti da Eschive d'Ibelin figlia di Richent di Bessan dama di Rames. Il vase ha dunque importanza non pell'officio cui fosse destinato, ma per uno dei personaggi che rammenta, e — [5] (97) questa illustrazione potrà servire in qualche picciol modo agli studiosi che s'interessano dell'epoca delle crociate, e di quella parte d'Oriente su cui sono sempre rivolti gli sguardi dei popoli europei, con un desiderio che i secoli non valgono a scemare. via tri 13 COMMEMORAZIONE DEL М. E. SENATORE GUSTAVO BUCCHIA LETTA DAL 8. C. P. CHICCHI viti) L'intendimento di far atto di omaggio a questo insigne Istituto, nonchè il vivo desiderio di rendere un tributo di gratitudine alla memoria del venerato Maestro, che più di amico mi fu padre, mi indussero ad accettare 1’ onorevole e grave incarico di commemorare dinanzi a Voi il com- pianto ed illustre membro Comm. GUSTAVO BucoHrA, a cui dal chiarissimo Presidente venni ófficiato con cortese insi- stenza, tale che reputai mio dovere di non sottrarmi a que- sta nuova prova della vostra fiducia. Conscio però della mia pochezza, tanto più ardito mi riesce il compimento di questo ufficio, quando io penso che l'autorevole voce del Vostro anziano, con ornata e sapiente parola, ebbe a dire degnamente e completamente di Lui nel patavino Ateneo ('), onde a me non resta che seguirne le traccie magistrali: troppo scarso tributo, ed as- sal debole omaggio invero, poichè, anche nell'arte del dire, con favella degna di questo illustre Consesso, io mi sento di troppo manchevole. Almeno la voce del cuore mi suggerisse quel poco, che fosse bastevole a ravvivare nella vostra memoria il caro Collega perduto: ma se non valgo col prestigio della for- Ma ad interpretare gli intendimenti vostri, così che rie- (4) Anche il chiariss." ing. Pietro Bonato ne fece la Comme- Morazione presso il Collegio degli ingegneri di Roma. (100) (2] sca atto di solenne onoranza verso 1’ illustre l'elogio della vita e delle opere sue, che gli avete decretato, valga in- vece il prestigio della vostra presenza, il palpito del me- more affetto, che a Lui vi legava; e vogliate benevoli ascol- tarmi con quel compatimento, che vi chiedo ed a cui mi affido. In Brescia, l’ eroica città lombarda, il cui nome suona ripetutamente invitto nei fasti del nazionale riscatto, ebbe i natali Gustavo Buccuia nel di 5 febbraio 1810. Del padre Tommaso Воссна, capo squadrone di un reg- gimento Cacciatori del primo esercito italiano, ebbe gli impeti generosi del soldato, le sante audacie del patriota, la maschia franchezza dell’uomo di carattere; della madre MARIANNA PALEOCAPA ebbe la grandissima bontà di cuore e la socievolezza cortese, per cui tanto cara tornava la sua compagnia. Nipote prediletto all’ insigne idraulico PIETRO PALEOCA= pa, gli fu emulo degno per l'acutezza dello ingegno е la straordinaria attitudine agli studi matematici; e fin da ra- gazzo diede sicura garanzia, che avrebbe continuato nelle nobili e chiare tradizioni delle due famiglie paterna e ma- terna. La famiglia dei Bucchia è oriunda della Dalmazia e pre- cisamente di Cattaro, e si hanno di essa memorie, che ri- salgono fino al decimoquarto secolo, le quali ricordano che in quell’ epoca essa si trasferi a Ragusa, nei cui annali sono indicati, a titolo d'onore, parecchi discendenti e fra gli altri distinto NicoLò BuccHia, inviato per una impor- tante missione alla corte di Francia, talchè questa chiara famiglia fu ascritta fra le nobili dal Senato ragusino. Nel sorgere del secolo decimonono si trasferi in Venezia, ove strinse amicizia dapprima e poi parentela coll’ altra nobile famiglia dei Paleocapa, oriunda da Creta. Gustavo Buccnia percorse in Venezia gli studi di gram- matica ed umanità, nonché il corso filosofico, dimostrando [3] (101) attitudine ed inclinazione speciale per la fisica e la mate- matica, nelle quali si distinse sotto la guida di quel cele- brato maestro, che fu STEFANO MARIANINI. — Inscrittosi poi nella Facoltà Matematica, presso l'Università di Padova, Egli consegui la laurea negli studi di ingegnere ed architet- to nel settembre del 1831. Percorse in seguito la scuola speciale di Architettura per gli ingegneri presso l’ Accademia di belle arti in Ve- nezia, ove educava la mano a rappresentare con grande maestria di segno e con innato sentimento dQ’ artista le concezioni del fecondo suo ingegno; e contemporaneamen- te applicavasi al pratico esercizio dell'ingegneria presso Г Ufficio tecnico municipale. Nel 1833 passava all’ Ufficio delle pubbliche costruzioni, sotto la direzione dello zio PALEOCAPA, che, quale ingegne- re capo, era già salito in alto grado di rinomanza. — Ebbe subito a cooperare, con felice successo, nello studio dei piani esecutivi dei lavori per la rete fluviale e stradale delle provincie Venete, che con metodo razionale dove- vano riordinarsi; ed in seguito eseguiva delicati rilievi geo- detici ed idrometrici alle foci del Po. Nel 1840 lo troviamo già a dirigere uno dei più im- portanti riparti idraulici e stradali della provincia di Udine, ove attualmente il figliuol suo Ropouro, ingegnere del Real Corpo del Genio Civile, segue con onore le splendide tra- dizioni del padre. — In quegli anni attese agli studi ed alla costruzione della lodatissima strada nazionale ponteb- bana, elaborando importantissimi progetti di opere d' arte di non comune difficoltà, fra cui va ricordato un ponte sospeso in ferro di 100 metri di luce pel varco del Fella, che per quei tempi riesciva di straordinaria importanza; dirigeva gli studi geodetici e sopraintendeva alla costru- zione della grande strada militare fra Verona ed Ala, at- traverso ai monti Lessini; e molteplici e difficili altri in- carichi vennergli affidati, che lo richiamavano ora alle rive dell Adige, ora a quelle del Tagliamento e del Fella, (102) [4] affermando sempre e dovunque quella sua magistrale va- lentia di savio costruttore, che rapidamente crebbe in as- sai bella fama il suo nome. Siamo al 1844 e nell’ Università di Padova rendevasi vacante la cattedra di Architettura civile ed idraulica, per la quale venne indetto il concorso per esame. All'ardua prova fu spinto da chi ne ammirava il non comune va- lore; e vinse, per merito proprio, non per amica fortuna, provando luminosamente come fosse provetto negli studi scientifici, quanto era esperto nell’ arte del costruire. E qui si dischiude per Lui un fecondo e largo campo d'azione, che, mentre gli assicura farma imperitura di maestro insuperato, rende l'opera sua altamente proficua e benefica in quella Scuola per gli Ingegneri, di cui fu vanto e decoro. La scienza delle Costruzioni, da angusti confini limita- ta, senza un sicuro e razionale indirizzo, se ne togli l'arte di reggere i fiumi, dai nostri sommi idraulici in alto pre- gio portata, confondevasi quasi cogli incerti dettami e le artistiche esigenze dell’ estetica. Ma il grandioso sviluppo preso dalle industrie metallurgiche, il conseguente rapido diffondersi dell’uso del ferro in ogni fatta di Costruzioni, le esigenze nuove, i sempre più ardui problemi presentati dalle strade ferrate, che, pel potente benefico influsso e- sercitato fino dai primordi sulla civiltà moderna, andavano moltiplicandosi dovunque con maravigliosa prontezza, si imposero si fattamente, che in Francia, in Svizzera, in Germania, vuoi negli Istituti tecnici superiori, vuoi nei laboratori, si affaticarono con febbrile impegno ad inda- gare con rigorose e razionali teorie, basate sui risultamenti di accurate esperienze, le relazioni, che esistono fra le for- ze esterne agenti sui vari sistemi costruttivi e le moleco- lari reazioni cimentate nelle singole parti, affine di por- gere una guida nelle ricerche statiche delle grandi costru- zioni, specie di metallica struttura. Mentre all’estero si facevano quotidiani progressi in [5] (103) questo nuovo гато di studi, da noi, per la completa man- canza delle industrie metallurgiche e delle grandi costru- zioni ferroviarie, essi erano affatto trascurati. Ed il BuocurA a far sue quelle ricerche, specialmente quelle del Bresse sulla flessione dei solidi ad asse rettili- neo ed inizialmente curvo, e, primo fra i primi in Italia, introdurle nell’insegnamento, a cui diede largo, profitte- vole sviluppo anche per ciò, che si riferisce alla statica delle volte a botte, a vela, a crociera, a cupola, a quella delle arginature e dei muri di sostegno dei terrapieni, nonchè a quella delle grandi coperture. Ma il merito suo principale stà nel maraviglioso metodo di esposizione, tal- mente limpido e dettagliato, da rendere facili e piane le più complesse questioni. Felicissimo altresi nell’ additare dove e quando i risultati delle teorie trovano conveniente applicazione nei casi della pratica, illustrando con lucidis- sime applicazioni i postulati della scienza. Per quanto si riferisce poi alla pratica del costruire ogni canone, ogni precetto, Egli suffragava con interessanti esempi che, nelle svariate occupazioni della sua carriera professionale, a Lui certo non facevano difetto, o ricorren- do all'uopo ai più recenti ed importanti lavori compiutisi sia in Italia, che all’ estero. Prezioso indirizzo questo per l'indole dell’ insegna- mento richiesto in una Scuola, come è quella per gli In- gegneri, pel quale dottrina e pratica devono integrarsi a vicenda. Non è a dirsi pertanto in quanto pregio fossero tenute le sue lezioni dagli scolari, che ne erano entu- slasti. Mentre, tutto dedicato all’ insegnamento, Egli conti- Nuava con sollecita cura ad ordinare e perfezionare il Suo vasto programma, sopraggiunse il fortunoso quaran- totto: e qui splendida di patriottismo e di civile virtù ci appare la sua maschia e nobile figura. Gli animosi suoi discepoli, formata una legione, impu- 8nando con generoso ardimento 1’ arma redentrice, lo ac- (104) [6] clamarono comandante; e fra essi vi era GILBERTO Govi, il cui spirito ardente affacciavasi nel di 30 giugno 1889 agli imperserutabili misteri dello infinito. П BuccHIa, con en- tusiasmo giovanile e con virile fermezza, li guidava ga- gliardo ai primi cimenti di quell’ epopea memoranda. — Nessuno più degno di Lui, padre amoroso ed inclito citta- dino, di impugnare il labaro della libertà a Sorio e Mon- tebello nella pugna dell’8 aprile; e nessuno più degno di sostituirsi a Lui, per risparmiarlo ai teneri figliuoletti, e non riescendovi, di combattere al suo fianco per farglisi scudo, del fratello Tommaso, allora comandante della Ve- neta marina, ora vice-ammiraglio in riposo. Ma quel manipolo di prodi, dopo dieci ore di spartana resistenza, dovette cedere di fronte allo sterminato nu- mero degli assalitori, ché in altri luoghi più utile ed ago- gnato era il sacrificio della vita per redimere la terra di- letta; ed il nostro Gustavo corre a Venezia, che, al pre- potente esecrato straniero, decretava coraggiosa ed indomi- ta: resistenza ad ogni costo: e quivi, durante l'anno im- piegato dall’ agguerrito nemico a fiaccare col fuoco e colla fame quest’ ultimo baluardo dell’ italiana indipendenza, Egli cooperava all’ eroica difesa quale ufficiale del Genio, dan- dovi anche, per incarico del Governo provvisorio, pubbliche lezioni di fortificazione. — Ed allorchè la gloriosa Caduta fu nuovamente calpestata dall’ oppressore, gli fu tolta la cattedra con ordine di sostituirvi altro titolare. Le Società costruttrici, ben liete di valersi dell’ opera dell’ ingegnere eminente, lo chiamarono tosto alla costru- zione della ferrovia Lucca-Pescia e poi ai lavori della li- nea Verona-Mantova e specialmente del grande ponte sul- l' Adige presso Verona. Ma la Facoltà Matematica ben s'accorse del vuoto ir- reparabile, che, per la mancanza del Buccma. veniva a subire; e l'illustre astronomo SANTINI, che ne teneva la direzione, insistendo da prima perchè non fosse coperta con un titolare quella cattedra, per nulla sgomento del | | | [7] (105) rifiuto sdegnoso, fu così efficace nella dignitosa, ma ferma richiesta di richiamarvi l’illustre dimesso, che, suffragato dal voto unanime della Facoltà, ebbe finalmente con essa (quel degnissimo Venerando) l’alta compiacenza di vedere nel 1851 restituito il desiderato collega al suo insegnamento. Non per questo menomossi nel BuocurA il sentimento dell’ italianità, che nei suoi atti pubblici e privati non ces- sava mal di manifestare. Dura tutt'ora vivissima la ri- cordanza e l'entusiasmo nei suoi antichi scolari di quella animosa lettura, ch' Egli, preludendo agli studi, fece nel- l'Aula Magna intorno a Nicolò Tartaglia, nella quale espo- se con parole di fuoco le vicende di quell’ epoca disastro- sa per l'Italia sotto il giogo di quegli occupanti, che fe- delmente riproducevano, quale stigma rovente, le condi- zioni non meno nefaste portate dagli ultimi stranieri do- minatori. Ripigliate, col plauso degli scolari, quelle celebri lezio- ni, che con diuturne ed assidue cure teneva al livello de- gli incessanti, rapidissimi progressi della scienza, così alta levossi l'estimazione del suo sapere, che nel 1863 fu ri- cercato quale direttore generale delle costruzioni ferro- viarie nelle Provincie meridionali; ma tale posizione, disto- gliendolo per sempre dall' insegnamento, Egli, con delica- tezza soverchia, ebbe a rifiutare il cospicuo eminente uf- ficio. Nello stesso anno 1863 accettava però la direzione dei lavori per conto della Società costruttrice della Ferro- via ligure occidentale, attrattovi dalla difficoltà ed impor- tanza straordinaria degli stessi, avendo potuto ottenere dal cessato Governo un permesso di cinque anni, che dal Go- verno nazionale venivagli confermato e prolungato fino al compimento della linea. Se l’Italia, per le vicissitudini politiche, venne tardi al cimento delle grandi costruzioni ferroviarie, pure le Principali sue linee per straordinaria difficoltà di esecu- zione, dipendente dall’ accidentata ed insidiosa natura del Te Lose WIT 14 (106) [8] suolo, riescirono di così grande importanza, da costituire esempi classici di lavori ferroviari. Tale fu la linea litoranea, che da Genova per Savona, Oneglia, Ventimiglia corre al confine di Francia. Profon- de trincee, muri di ripa e controripa, gallerie vere ed artificiali, difese della via contro gli insulti del mare, via- dotti e ponti di ogni fatta si moltiplicano e si alternano, con incessante vicenda, attraverso terreni mobili, franosi, ribelli ad ogni ordinario metodo di attacco, che ad ogni piè sospinto esigono artefici nuovi e speciali, quali solo può concepire con felice successo chi abbia educato il natu- rale intuito con una vasta coltura scientifica ed una pra- tica illuminata. Ed il Buccma a provvedere vittorioso а questo immenso cumolo di difficoltà, con quell’ arte pode- rosa e sicura, che lo rese celebre, ammirato. Quale immenso tesoro di cognizioni, frutto del suo in- gegno e della sua esperienza, riportava Egli nel 1872 quando, con tanta sua soddisfazione, riprendeva 1’ insegna- mento. Mi dura tutt'ora nell’ anima l'impressione pro- fonda della sua smagliante parola (che io per la prima volta, quale suo.assistente, ebbi la ventur: di udire) in quella splendida lettura, colla quale preludeva al suo cor- so, ove con sintesi mirabile tutte indicó, raffrontó, discus- se le piü insigni opere meccaniche, ferroviarie, civili, idrauliche dell'ingegneria moderna, la quale nel breve vol gere di mezzo secolo fece cosi maravigliosi ed inummere- voli progressi, da imporre la necessità di suddividersi in piü branche distinte, alla lor volta feconde di specialissimi studi. Che anzi tale divisione dovettesi portare anche nel- l'insegnamento, e nel riordino fattosi nel 1874 delle scuo- le. per gli ingegneri, ripartitosi lo insegnamento delle co- struzioni, il DBucoura assumeva la cattedra speciale di co- struzioni idrauliche e lavori marittimi, dalla quale con sapiente e nuova parola imparti lezioni, fra cui mi piace ricordare quelle sul moto ondoso del mare e sulla siste- | | | | [9] (107) mazione dei porti, che venivano avidamente ascoltate e con gelosa cura trascritte dagli alunni, per conservarle quale preziosa guida nella loro carriera professionale. Colla sua vasta coltura scientifica, col ricco tesoro di pratiche cognizioni, acquistate nei più gelosi offici dell'in- gegneria militante, U eletta sua mente non poteva a me- no di venir attratta allo studio delle più importanti que- stioni tecniche dibattutesi ai suoi giorni, ed allo sciogli- mento degli intricati problemi, che gli si presentavano nel disimpegno della sua eminente opera professionale; e ben 23 sono le memorie e note da Lui pubblicate, la maggior parte delle quali consegnate negli atti di questo Istituto, altre in quelli delle Accademie di Padova e di Udine, e numerosissimi sono i lavori tecnico-scientifici, che Egli la- sciò inediti. Troppo grande é il numero delle sue produzioni, per- chè io venga a prenderle in lungo esame con dettagliata analisi, che di soverchio mi dilungherebbe oltre i limiti, che la circostanza mi impone e la vostra benevola pazien- za mi acconsente. Mi limiteró, con rapido cenno, ad indi- sarne per gruppi l'indole loro ed i conseguiti risultamenti, usando possibilmente delle sue stesse parole per non tra- visarne il valore; e mi ingegnerò, con sintetica forma, di rilevare i pregi grandissimi di questa nuova estrinsecazione del fecondo suo ingegno. Allorché trattossi di risolvere 1’ antica ed assai grave questione di rendere irriguo il territorio della provincia di Udine, mediante le aeque del Ledra, chiamato nel 1858 dal Governo a prendere in esame i due contrapposti pro- getti e ad indicare, coll’ illuminato suo voto, la più confa- cente e sicura soluzione dell'arduo quesito, Egli pubbli- cava aecurata memoria, ove, condannando per soverchia (108) [10] spesa il tracciato lungo le colline di Fagagna, suggeriva l'altro per la valle del Corno, ideando, con una ben coor- dinata derivazione del Tagliamento, di allargare la zona, che il maggior corpo d’acqua era atto a vivificare. Ma le fortunate vicende di quell'epoca, che condusse al Naziona- le risorgimento, incepparono l'attuazione di questo gran- dioso progetto, il quale, solo in questi ultimi anni, ridotto in causa della forte spesa a piü modesti limiti dal Buc- chia stesso suggeriti e tracciati, potè con suo vivo com- piacimento aver parziale, se non completa esecuzione. La vitale questione delle bonifiche ebbe in Lui un cul- tore appassionato ed oltre ogni dire valente. L'apparire del turbine idroforo orizzontale, ideato dallo Schlegel « tra la schiera delle ruote a schiaffo, unicamente » impiegate prima, nel prosciugamento dei terreni palu- » stri del Polesine, divenne tosto fomite di un conflitto » di opinioni controverse fra i proprietari di quelle ma- » remme, i quali si divisero a parteggiare chi per le ruote » e chi per i turbini ». — Di fronte a tali discrepanze, Egli si fa ad indagare la reale utilità ed efficacia del tur- bine stesso nella sua prima Memoria, presentata all’ Isti- tuto nel 1859, e dallo svolgimento della teoria meccani- ca, suffragata da sue ricerche esperimentali, Egli viene a conchiudere : « essere il turbine idrovoro una eccellente » macchina acconcia al prosciugamento artificiale dei no- » stri terreni palustri, e per la semplicità del suo orga- » nismo, che la rende leggera, robusta, durevole, non sog- » getta a guasti, di facile applicazione e di modico costo; e » molto più per le proprietà dinamiche, di cui è dotata, » che la rendono potente a produrre grandi effetti, senza » notevole spreco di forza inutile ». In seguito Egli veniva osservando: «da che si comin- » ciò a dare all’ essicazione artificiale dei veneti paduli un » più ragionevole ordinamento, che le ruote a schiaffo via » via migliorarono assai di quello, che erano in principio [14] (109) » tanto nella materiale struttura e nella disposizione delle » loro membra, quanto negli artificii destinati a trasmet- » tere il loro movimento ». — Peró avvertendo le note- voli incertezze su tutti i particolari tecnici e meccanici di impianto e di esercizio di quest’ organo idroforo, nella no- ta del 1878 Egli viene esponendo la teorica delle proprie- tà meccaniche delle ruote a schiaffo, illustrandola con op- portune rego!e per la costruzione e l'impianto, e con pra- tici esempi, pei quali viene a conchiudere con l’aurea sen- tenza che « per ben provvedere al prosciugamento artifi- » ciale dei latifondi palustri, il punto principale, che vuol » molta attenzione e dello studio sopra, consista nello sno- » dare e risolvere prima la questione idraulica ; alla quale » è secondaria e subordinata la questione meccanica ... . » avvegnachè tale sia l’importanza di questo principale » punto del problema, che dalla non curanza di esso, as- » sai più che dalla imperfezione delle macchine, abbia di- » penduto e dipenda tuttavia il poco felice esito di pa- » recchie di cotali imprese ». Ed, in omaggio a questo principio, Egli stende fin dal 1875 l’altra Nota intorno ad alcune regole idrauliche per l ordinamento dei canali di scolo di wn basso terre- no pianeggiante, nella quale, con quella competenza tut- ta sua, volge le sue considerazioni: « alla determinazione » della portata da assegnarsi al condotto maestro colle- » tore....; al modo ovvio e naturale di stabilire la pen- » denza, che deve avere il condotto : alle avvertenze ne- ». сеѕѕагіе per ben fissare il luogo, dove convien condur- » re a sboccare il condotto, quando il recipiente, nel quale » deve aver termine, è un alveo d'acqua corrente: final- » mente al modo di applicare correttamente il canone del » Tadini alla determinazione della sezione competente al » condotto, affinchè adempia bene al proprio officio ». Preziose regole invero, per le quali anche i più pro- vetti ed esperimentati trovano quel sicuro lume, che fa di bisogno nel concepimento di cotali difficilissime opere, (110) [12] affinchè non venga a mancarne l'esito, nè d'altronde rie- scano di soverchio dispendio. Piü tardi, quando per la bonifica della provincia di Ro- vigo, fra le varie proposte « Comparve in campo un nuo- » vo spediente . . . . per felicitare gli scoli, che sbocca- » no in mare; lo spediente, cioè, di convertire l’ infimo » tronco del condotto in un amplissimo ricettacolo o ba- » cino di ragunata delle acque, capace di contenere ac- » cumulata ad un basso livello tutta l'acqua, che vi porta » il condotto turgido, nel tempo che, pel flusso marino » rimane chiusa la chiavica emissaria, che le dà esito in » mare»; allarmato per il favore con cui, stante la sua speciosità, cotesto provvedimento prendeva piede, lo com- batte energicamente nelle due Note del 1886 ed a dimo- strarne « la superfluità, il disordinato costo, l'incongruen- » za a petto dei veri ed utili provvedimenti insegnati dai » sommi maestri dell’ idraulica pratica», mette in eviden- za «l'enorme estensione, che dovrebbe avere il bacino, la » strabocchevole ampiezza dell’ edificio scaricatore, 1’ ine- » vitabile insabbiamento della foce, che non può tener > sgombra l’ intermittente e tardo deflusso dell’acqua del > bacino: e l'inevitabile impaludamento del bacino stesso, » per effetto dei lunghi periodi di asciutto nelle campa- » gne, che lo convertono in un ampio stagno limaccioso » di acqua dolce corruttibile ». — E qui, con quella sua arte mirabile, colla quale, indicato il male, suggerisce l’ef- ficace rimedio, si fa a richiamare le regole dei sommi maestri GUGLIELMINI е ZENDRINI, per le quali devesi tene- re separata l officiosità di scolo dei bassi terreni marem- mam da quelli sopraemergenti all’ alta comune marea e precisamente: « derivare i condotti dei vari Retratti in » un capace canale di corrivazione, che vada libero a sboc- » care in mare . . . . e le chiaviche munite di porta a » ventola automobili, si applicano agli sbocchi dei condotti » influenti nel collettore stesso. Ma la foce in mare di » questo, deve rimanere sempre aperta e libera, perché [ | [13] (111) » la mantenga sgombra e profonda il flusso e riflusso del » mare ». Veniamo ora a considerare il Buccma non solo come maestro, ma quale felice esecutore. L' annosa intricatis- sima questione delle bonifiche dei Consorzi Padani ebbe in Lui un saggio risolvitore, e per lunga serie d'anni un consi- gliere illuminato ed amoroso. — I vari progetti, elabora- ti fra 1 1845 ed il 1852, per rinsanicare l'esteso territorio raechiuso fra Po, Tartaro, e Canal Bianco, a cui Egli prese parte, naufragarono e per le vicende politiche e sopra- tutto perché i Consorzi Polesani volevano impedire 1’ uso di Canal Bianco, pretendendolo energicamente loro esclu- sivo colatore. Soccombenti però nella controversia, ed af- fidatisi gli uni e gli altri alla rettitudine ed all’ operato del Bucca, dopo lunghe vicende ed infruttuosi tentativi per conciliare le collisioni degli opposti interessi, potè Egli finalmente risolvere la questione con quel suo eccellente progetto, che, assegnando ai due consorzi un alveo comu- ne, lo porta a sfociare in Po di Levante, nella località di Cà Capello. Ed erano già iniziati i lavori, quando quelle infelici popolazioni furono duramente provate dall’ innon- dazione del 1882, che ne impedi, per manco di mezzi, lul- teriore esecuzione. La legge sulle bonifiche avendo posto parte di quei terreni in prima categoria, si deve ora ri- tornare sulla questione, a risolvere nuovamente la quale non si potranno dimenticare i dettami, così amorevolmente e saviamente indicati dal Buccma, di questa disgraziata bonifica veramente benemerito. Quando nel 1863 ebbe a dare quel magistrale suo voto sulla sistemazione del Guà, ammirando per profonda dot- trina, proficua erudizione storica, lucidità e squisitezza di stile, vero monumento di critica efficace, sapiente, Egli prese a difendere con maravigliosa sodezza di argomenta- zioni gli scoli della bassa campagna dei Gorzonisti, le cui condizioni andavano a diventar pericolanti, per la incon- sulta ideata immissione del Guà in Chiampo-Alpone. (142) [14] La statica delle costruzioni ebbe pure ad occuparlo con interessanti ricerche. Nella sua Nota del 1861 sulla fermezza delle arma- dure dei ponti all'americana, prendendo Egli in consi- derazione il ponte di Capo di Ponte sul Piave, costruito ad imitazione di quello eretto a Marburgo sulla Drava, ed incendiato dagli Austriaci nel 1866, viene ad indagare se le modificazioni, introdotte in confronto della struttura immaginata dall’ americano Town, fossero convenevoli, e, dallo sviluppo della teoria sulla flessione della trave reti- colare, ammirevole per lucidezza e semplicità di procedi- menti, viene nella conclusione che alcune membra del si- stema riescono oziose ed inutili, perlocché lo vorrebbe rejetto. Egli è però, che quelle armature furono costruite secondo il tipo dell'altro ingegnere americano Howe, nel quale appunto tutte le controdiagonali rimangono inerti, cosi ché, nei riguardi dell'economia, esso sarebbe da po- sporsi al sistema Town, nel quale tutte le diagonali resi- stono simultaneamente, come ben Egli osserva; ma è poi da notare, che esso sistema Ноте risponde ad un princi- pio assai razionale, quale è quello di impedire a tutte le parti dell’ armatura di esser soggette a sforzi di natura contraria, locché torna di sommo vantaggio nei ponti fer- roviari, specialmente metallici, nei riguardi della durata, in confronto dei ponti in legno, che di loro natura hanno un carattere di provvisorietà. Mentre nel 1863 si stava costruendo la ferrovia lito- rale, che corre lungo la sponda occidentale dell’ Adriatico nell’ Abruzzo Citeriore, i muri piantati a sostegno del terrapieno sulla spiaggia del mare venivano gravemente. danneggiati dalle burrasche. — Preoccupatosi del fatto, venne alla ricerca di un profilo più conveniente da sosti- tuire al rettangolare ed al trapezio, che fosse atto a reg- gere illeso l’azione distruttrice della risacca; e nella Me- moria, ove Egli risolve questo importantissimo problema, [15] (143) trova soddisfare il profilo curvo volgente il concavo al mare, in guisa da riescire tangente al pendio naturale della spiaggia, e pel quale dà le regole geometriche di costruzione; con che oltre di rassodare la compagine dei conci di rivestimento, e senza soverchio aumento della mole, che può anzi diventar nullo, si viene ad ottenere « che l'onda che correva all’ insù lungo il pendio della > spiaggia fino ad un’ altezza superiore a quella del col- » mo dell'onda libera, non troverà ostacolo ove percuo- » tere, e senza contrasto o renitenza volgerà il suo corso » pel curvo profilo del muro, rasentandolo e premendolo » dolcemente, finchè estinta la sua velocità, sollecitata » dal proprio peso discenderà rasente il muro stesso, ce- » dendo ed accomodandosi alla curvità del suo profilo, » dalla. quale verrà rejetta al largo senza stroscio, e » senza oprarvi perigliosi vuotamenti da piè ». Quale direttore di importanti lavori ferroviari, gli si presentava quotidianamente la necessità di occuparsi di quelle arrischiate opere dell’arte edificatoria, che sono i grandi muri di rivestimento ai profondi tagli di terra; ope- re queste, quanto semplici, di altrettanta grave difficoltà, per conciliare la loro fermezza durevole con un dispen- dio non troppo esagerato. Dovevagli essere dunque di gran- de stimolo la trattazione dell’importante argomento e di- fatti lo svolge completamente nella Memoria, presentata nel 1871 all Istituto, sulla spinta delle terre e sulla opportunità dei contrafforti interni applicati ai muri di rivestimento, la quale, considerato il tempo in cui fu scritta, riesce di capitale importanza. — Scorgendo, che il metodo del Sarmvr-GurLHEM, pubblicato nel 1858, sulle traccie del PowoELET, ed in base alla sana teorica del Cou- LOMB, comeché dotato di grande generalità computando oltre all'azione del peso proprio del terrapieno, anche quella procedente da un sopraccarico accidentale, appunto per questo, è reso di assai difficile e laboriosa applicazio- ne; osservando che detto carico dipende in special modo Vs Uds" O ИШЕ 15 (414) [16] dai treni ferroviari, i quali non possono ammettersi co- munque divisibili in strati verticali indipendenti, mentre il loro peso opera unito e largamente diffuso sul terra- pieno in virtù dell'armamento stradale, si fa ad estende- re la teoria del Соогомв, restituita all'originale sua sem- plicità, a tutti i casi che la sua lunga esperienza dimo- stragli occorrere, porgendo per ognuno d'essi speciali for- mule, che riescono invero di semplice ed assai facile ap- plicazione ; avvertendo che, a compensare la fatta trascu- ranza dell’azione del treno, il quale ben più che col pe- so, cimenta il terrapieno collo scuotimento e col tremito promovendo la frana, bisogna aumentare il coefficiente di stabilità fino a 3, come è consacrato dall’ esperienza. Le disastrose rotte, avvenute nel 1872 a Ronchi ed а a Guarda Ferrarese nell’ arginatura destra del Po, che pur aveva la grossezza in sommità di 7 metri, con scarpe sesquialtere, lo indussero a considerare in altra Memoria le cause del calamitoso fenomeno, per stabilire delle re- gole sicure intorno alla determinazione del profilo tra- sversale degli argini, proporzionato a garantirne la dure- vole fermezza. Impressionato dall’ enorme differenza fra i risultamenti delle teorie del VENTUROLI e del BorponI, per le quali basterebbe terminare l’ argine in sommità a spi- golo vivo, affine di equipararne la resistenza alla semplice pressione dell’acqua, mentre la pratica assegna una gros- sezza vistosa senza dare però norme precise e sicure per determinarla, Egli si domanda se debba « trovar confer- » ma il pensare, che intorno alla grossezza convenevole » agli argini di terra non si possa pigliar luce e gover- » no che dalla sola esperienza. — Ma approfondendo l'e- » same — Egli dice — si viene a formare diverso giudi- » zio; e si conosce che, anche rispetto alle dimensioni degli » argini, non solo le consuetudini della pratica sono con- » fortate dai raziocinii della teoria, ma ricevono ancora » da essi regola ferma e ben definita ». Con acume sapiente Egli considera che « nelle alte [17] (445) » piene persistenti l’acqua à poco a poco penetra entro » il corpo dell'argine, ammolla la terra, la rende facile » allo scorrimento ed alla corrosione, onde accadono smot- » tamenti e sbrottature, che deformano il profilo dell'ar- » gine e lo assottigliano in sommità. » Inoltre si generano copiosi gemitii e grossi trape- » lamenti alla base dell'argine, dove la pressione dell'ac- » qua opera con la maggior efficacia, i quali, a lungo anda- » re, rendono soventi volte il suolo, che sostiene l'argine » lubrico e pantanoso al punto di non opporre piü resi- » stenza allo scorrimento del piè della spalla, la quale per- » ciò, non potendo più tenersi col pendio originale, tra- » scorre e scoscende dimagrando l’argine ». Non dunque la sola azione meccanica derivante dalla pressione dell’acqua, che tende a far scorrere e rovesciare l'argine, ma Egli mette in conto «insieme e precipua- > mente l’ effetto dell’ azione fisica dell’acqua, che altera la » compagine delle minime particelle della terra ond'é l'ar- » gine composto, ed altera l’indole del suolo sul quale è ».imbasato », affine di determinare le alterazioni portate nell’ originale profilo e dedurre « la forma e la mole che » dovrebbe avere l'argine, affinchè le alterazioni stesse » non valgano a produrre la subitanea sua rovina; e ri- » manga tuttavia in piedi un solido di terra capace di te- » ner a segno la piena e di lasciare tempo allo appresta- » mento dei ripari efficaci ad impedire la rotta. » — Su di che basando la sua ricerca, quale risultato delle formule finali, Egli trova, che la grossezza in sommità degli argini deve pareggiare la loro altezza, assegnando altresi dolce pendio alle scampe, locché concorda colla regola di alcu- ni pratici, che prescrivono ?nterzati gli argini ordinari, ed znquartati quelli dei grandi fiumi. Dopo le rotte d’ Adige a Legnago ed ai Masi, nello straordinario diluvio del 1882, che portarono lo sterminio е la desolazione nelle ubertose terre del Polesine e del Padovano, venne dal compianto Ministro Baccarini eletta (116) [48] una Commissione idraulica « con mandato speciale di stu- » diare e proporre i provvedimenti efficaci ad assestare i » formidabili fiumi del Veneto, in guisa da rimuovere il » soprastante pericolo di nuove catastrofi ». — Questa Commissione, di cui fece parte il BuccHia, d'accordo colle massime stabilite dal PaLEocAPA e coi dettati dei più sti- mati trattatisti, ebbe a raccomandare, nei riguardi delle dimensioni convenienti agli argini, di mutarne la forma col mutare dell'altezza, a cui non corrisponde la consueta teoria, la quale prescinde dalla tenacità delle terre, e con- sidera solo la resistenza dQ’ attrito. Egli prese occasione da ciò per ripigliare, nella sua nota del 1885, lo studio della questione, е « per vedere » se con diversi raziocinii teorici si potesse per avven- » tura riescire ad una soluzione, che puntualmente rispon- » desse agli insegnamenti della pratica » - e - « sup- » ponendo la resistenza della terra allo scorrimento sulla » sezione di rottura dell'argine, indipendente dalla pres- » sione sulla sezione stessa » e soltanto dovuta alla coe- sione, riesce ad un risultamento pienamente concordante. Intorno alla proposta sull'uso della sabbia, adoperata come materiale di costruzione nelle opere architettoniche, fatta con soverchia leggerezza da taluni, che, pel fatto della sua incompressibilità, argomentarono avesse la virtü di non trasmettere alle pareti dei vasi, che la contengono, le pressioni generate dai pesi di cui fosse caricata, tanto che si corse « con la vivace fantasia fino ad immaginare » di poter sostituire ai massicci muri di rivestimento sor- » reggenti alti terrapieni, sottili cortecce di muro, cre- » dute di invincibile fermezza se un ammasso di sabbia » posto a tergo di quelle vada ad occupare il luogo della » rimossa parte spingente del terrapieno » confidando anche « di poter sostituire a colonne tutte di un pezzo » di marmo durissimo, cartocci cilindrici di esili pietre » riempiuti di sabbia destinata a reggere di se sola il ca- » rico del soprastante edificio », nella sua Nota del 1878, у [49] (417) richiamando le esperienze di DELANGES, HUBER-BURNAND, МовкАп е Næ, che dimostrano la fallacia della creduta virtù e la sconvenienza della fatta proposta, Egli sviluppa una semplice teoria, che va a suffragarle con piena con- cordanza. Prende invece argomento dall’accertata contraria pro- prietà della sabbia di trasmettere forti pressioni alle pa- reti contermini per mettere in piena evidenza e sostenere con serie considerazioni, la bontà del metodo di fondare sulla sabbia, che, incompressibile « e capace di premere » contro le pareti del cavo e di generare cosi una pode- » rosa resistenza d’ attrito, sgrava il fondo di una parte » notevole del carico della costruzione, ed adopera come » se questo peso fosse ripartito sopra una piü grande su- » perficie di terreno, e come si fondasse la fabbrica so- » pra più ampia base, capace di compartire la pressione » sul suolo proporzionatamente alla naturale sua forza » reattiva ». — Certo però che conviene assicurarsi della perfetta resistenza delle pareti del cavo contro la pres- sione, che vi esercita la sabbia, ed al caso provvedere con- venientemente, perché questa resistenza non venga mai a mancare. Anche nella difficile arte di reggere i fiumi, ed in ciò che alla loro fisica si attiene, Egli era profondamente ver- sato ed eccellente maestro. I molti studi, 1 vari suggerimenti e le controversie lungamente dibattute per regolare il vizioso e disordinato corso del Bacchiglione, allo scopo precipuo di salvare Pa- dova e la Provincia dai gravi danni recati colle sue grosse ө persistenti piene, ebbero fine colla approvazione e col- l intrapreso eseguimento dell’ottimo piano immaginato dal Fossomgroni, che collima negli effetti coll’ altro più anti- co e reputatissimo del Lorena, e nel quale «si avvisa » di convertire i due canali di Padova e Battaglia in due > canali regolati; non più soggetti all’ irruzione disordi- (118) [20) » nata delle piene, tenute in freno da sostegni a porte » da erigersi al loro incile », e ciò in omaggio al prin- cipio, che sempre e dovunque devonsi tenere separati i canali navigabili dai fiumi. — Senonchè, nel 1861, i reg- gitori d' allora entrarono in pensiero di sopprimere i due sostegni all’incile dei canali di Padova e Battaglia, limi- tandosi al taglio di nuova inalveazione, che con incile al Bassanello va a sfocciare nel canale Roncajette, snaturan- do così l’ originale concetto, ed il progettato scaricatore convertendo in semplice diversivo, con tutti i conseguen- ti dannosissimi effetti. Ed il Buccnia insorge a combattere l'insana proposta nella splendida Memoria, presentata all'Accademia di Pa- dova, dove con preclara dottrina e libera parola difende il primitivo progetto con tanta efficacia di ragionare, che esso viene fedelmente eseguito da chi la salvezza di Pa- dova о non avvertiva, o non voleva curare. In allora delle rotte sterminatrici d' Adige, nel 1882, quale membro della Commissione idraulica dinanzi cenna- ta, ebbe occasione di vedere e tener dietro ai lavori, che si sono fatti per chiuderle e s'accorse « come i lavori » fossero condotti a discrezione degli ingegneri, secondo » che loro pareva bene; neglette quelle regole generali, » che pur furono sempre nel passato indirizzo e guida » sicura in queste operazioni, che sono ben può dirsi delle » più ardue ed importanti dell’ Arte. » E veramente tutti i lavori, che si fecero per ridur- » re la rotta in Coronella, vale a dire per fermare il cor- » so dell’acqua, che trabocca dalla rotta, e ravviarla nel » proprio letto, furono lavori separati e distinti da quelli, » che si fecero dappoi per ricostruire l'argine squarcia- » to; onde di nessuna parte dei primi si potè prevalersi » nel rimettere l'arginamento (!). (1) Giova però ricordare che detti lavori furono eseguiti con felice e completo risultamento. | | | | [24] (149) » Al contrario, il vecchio metodo insegnato da ZEN- > DRINI, da Lorena, da CAVALIERI e da LOMBARDINI profitta » di tutti i lavori, che servono a ridurre la rotta in. co- » ronella, ordinandoli opportunamente a far parte integra- » le del nuovo argine » con notevole risparmio non solo di spesa, ma di tempo, forse più della spesa in queste ope- razioni computabile e prezioso. Con la solita lucidezza di esposizione Egli vien a ri- chiamare, nella Nota del 1883, le antiche regole di quei sommi idraulici, indicando tutte le successive fasi dei lavo- гї da eseguirsi; suggerisce pel paradore l’adozione del si- stema MaaISTRINI, di cui propone alcune importanti e giu- stificate modificazioni; precisa una conveniente forma da as- segnare al castello della rotta, che, con opportuni calcoli analitici, dimostra rispondere alle migliori condizioni di resistenza. Nella Memoria, presentata all'Accademia di Udine nel 1883, imprende a trattare la soluzione di un problema di idrometria di grande importanza e cioè: « quanto si sopra- » innalzerà il pelo della massima piena nel tronco di un » fiume arginato, dipendentemente dalle impedite traci- » mazioni nei tronchi superiori del fiume stesso », il quale problema proposto e teoricamente risolto per primo dal chiarissimo prof. PALADINI, fu ripreso dall’illustre Turazza, allo scopo di rinserrare dentro più stretti limiti 1’ incer- tezza pratica della soluzione. Se non che tale teoria, per avviso del BuccHIA, « esige, » per essere correttamente applicata, troppi dati di fatto; » la mancanza dei quali e la difficoltà di raccoglierli, > quand’ anche, alla sopravvenienza di una piena, avvisa- » tamente si seguissero di passo in passo i suoi progressi, » e se ne osservassero gli accidenti, mettono nella ne- » cessità di supplire al difetto di quelli, con dati conghiet- » turali; onde i risultamenti del calcolo riescono tali, da » non rassicurare pienamente 1 pratichisti ». Epperciò Egli si fa а « cercar modo di risolvere la (120) [22] » questione, cui possano bastare i pochi dati di fatto, che » nel tumulto di una grossa piena minacciosa ed eson- » dante, pure vien fatto di poter raccogliere »; e perviene, con sicura dottrina e chiaro sviluppo di calcoli, a conve- veniente soluzione, che, scopo precipuo della ricerca, ap- plica all’ Adige, il quale pei lavori in allora eseguentisi nel Tirolo, trovasi appunto in queste condizioni, minaccio- sissime per la Città di Verona, e trova in seguito ai dati raccolti nella funesta piena del 1882, che convien asse- gnare sopra il pelo di questa, un rialzo o franco alle ar- ginature d'Adige di cent. 60, onde mettersi al sicuro per l'avvenire, concordando in ciò col franco che il PALEOCAPA stabiliva sopra il pelo della piena del 1845. Della apparente discrepanza fra le opinioni del Lombardini e del Lorgna sul! alzamento del letto dei fiumi d' alveo stabilito, dipendentemente dal prolunga- mento della loro foce in mare, dà chiara e convincente ra- gione in altra sua Memoria, valendosi dell’ interpretazione suggerita dagli insegnamenti del GUGLIBLMIN circa all’ o- pinato del Lorana, e mostrando una volta di più l’eccel- À lenza del suo sapere in fatto di idrauliche discipline. Le leggi del moto dell'acqua nel mare e nelle lagune ebbero in Lui un interprete felice, sapientissimo e ne sono prova luminosa gli studi intrapresi in prò della Città per tanti legami a Lui carissima, cioè di Venezia; la mia di- letta città natia, in cui ho la ventura di dire di Lui, che lamava come una seconda patria; Venezia, sogno dei pensatori e dei poeti, faro luminoso а cui volge entusia- sta l’artista innamorato, ove multiformi creazioni di arte sublime 1’ idealismo plasmarono nella più eccelsa realtà, invitta per antichi e novelli atti di eroico patriottismo, di cui ogni via, ogni pietra tramanda il ricordo glorioso delle più illustri memorie. Una inconsulta trascuranza, ed una insipienza fatale lasciavano interrire i suoi porti, impalu- [23] (121) dare le sue lagune, condannando questa maravigliosa ге- gina dell’Adriatico ad ischeletrire nel miasma. Fra i benemeriti, che innalzarono la voce in sua dife- sa, autorevole, efficace, vorrei dir decisiva, sorse la calda, savissima, convincente parola del Buccnia, allorchè pre- sentava a questo Istituto le due Memorie intorno al porto di Lido ed alla laguna di Venezia. Nella prima del 1876 prende in considerazione il pro- getto della Commissione lagunare, istituita dal Governo nazionale nel 1866, perchè « dovesse studiare e proporre » quanto più abbisognasse al miglioramento e conserva- » zione dei porti di Venezia e delle lagune Venete, nelle » loro attinenze colla navigazione e colle comunicazioni » terrestri ». Premette una erudita ed importante esposizione delle vicissitudini, a cui soggiacque il porto di Lido, risalendo ai più antichi ricordi, cioè alla metà del quattordicesimo secolo, nel quale appunto cominciarono a manifestarsi dei danni; indica i successivi lavori intrapresi dalla Veneta Repubblica, le risultanze degli stessi, le cause efficienti di continuo peggioramento, i saggi. provvedimenti suggeriti dal SaspapIno nel ‘1551, dàl GUBERNI 24 anni dopo, più tardi dal LIBERAL DE Simoni nel 1666 ed infine da una speciale Deputazione nel 1776, i quali però non furono mandati ad effetto; ne altro più si aveva fatto in pro- cesso di tempo per questo porto, salvo che inutili studi e vane proposte. Fermata la sua attenzione sopra la dissertazione teori- ca del VENTUROLI — De Aestuariis — e scortavi un’ inav- vertenza nella ricerca delle formule esprimenti le leggi del Moto dell’acqua dentro agli estuari, comechè basata so- pra supposizione lontana dal vero, la restituisce in corret- ta forma e sviluppa colla sua mirabile chiarezza una maë gistrale teoria, che applica alla discussione del progetto, presentato dalla cennata Giunta, e lo trova « informato » agli stessi sani principii, che hanno servito a regolare ДОЙ, S, VII 16 (122) [24] » il porto di Malamocco ; i quali, come è noto, stabilisco- » no, che la bocca dei porti lacunali aperti nella spiaggia » sottile sì protegga con due dighe o moli guardiani pa- » ralleli attestati alle due corna della bocca, e protratti » in alto mare fino ad oltrepassare lo scanno che barra » la bocca medesima, e fino a che abbiano raggiunta la » profondità, alla quale l’ agitazione dei flutti non arriva » a scommuovere il fondo », divisandovisi però « di com- » prendere fra i due moli guardiani non solo la bocca del » porto del Lido, ma le bocche ancora degli altri due » porti di S. Erasmo e dei Treporti, e ciò allo scopo di » conservare eziandio le lagune, che da cotesti due porti » sono alimentate ». Colla scorta della teoria e di savie considerazioni pra- tiche, elogiando il concetto cardinale del progetto, Egli mostra « necessario diminuire la soverchia larghezza del canale, (avente un chilometro) allo imbocco in mare, ravvicinando i due tronchi foranei dei moli così che la rispettiva loro distanza riesca di m. 870, ed allungandoli inoltre fino a che il tronco rettilineo riesca di circa un chilometro e mezzo, affinchè più efficace sia l’azione della correntia, о zozana, a scavarne il fondo uniformemente e mantenerlo alla voluta profondità. Reputa poi, con ener- gica parola, che non vi sia altro spediente sicuro, oltre alle indicate modificazioni, per conseguire « lo scopo del » progetto, che quello tante volte e con tanta persisten- » za messo innanzi dalla Serenissima Repubblica, quello » cioè di chiudere il porto di S. Erasmo ed allacciare la » sua laguna a quella di Venezia », salvo di ricorrere pre- feribilmente all’altro artificio, se lo consentisse la spesa, « di regolare la bocca di quel porto con un sostegno a » porte automobili, che schiudano l'ingresso al flusso e » costringano le zozane a refluire al mare pel solo porto » di Lido ». Fu mosso a scrivere la seconda Memoria, del 1882, da uno Studio, pubblicato dal chiarissimo ing. Contin, nel quale [25] (123) saviamente si combatte l'opinione di convertire in cam- pagna coltivata l'ampio bacino della laguna morta, dimo- strando i danni gravissimi, che da questo inconsulto divisa- mento verrebbero a Venezia; discendendo però ad accor- dare, in caso disperato, il ripiego dei retratti, alternati con fosse. Il Воссніл, con profonda erudizione, ricorda gli inse- gnamenti del SABBADINI e del GueLIELMINI intorno al con- tinuo struggimento delle barene abbandonate alla sola azione dell’acqua di mare, virtù distruttrice riconfermata con appositi esperimenti dal celebre Tapini, nel principio . di questo secolo. — Mostra quanto fallace sia la creden- za di coloro, che credono la laguna morta, quale un ri- cettacolo fangoso di acqua stagnante e putrida; mentre « è un grande serbatojo, che aggiunge le acque in sô rac- » colte a quelle proprie della laguna viva nelle zozane, » e le fa più veloci e potenti a sgombrare le deposizioni » ed a conservare profondi il cratere ed i suoi canali ». — E per ciò si schiera risolutamente con quelli « che » ritengono migliore di tutti i partiti essere quello di non » toccare le barene per lasciarle subire i soli effetti del- Da din del mare » insistendo sulle proposte da Lui fatte nel 1876, relative al porto di S. Erasmo; ed aggiungendo « che bisogna con canali, cavati nei bassi fondi della la- » guna morta, agevolare in essa e velocitare la diffusione > della marea fino agli estremi termini del Catino » di conformità all’ efficacissimo provvedimento, ricordato nelle cronache dello ZENDRINI, e sperimentato felicemente fino dal 1630 nella laguna di Malamocco; e conclude: « Sgar- » rare di un punto da una dottrina, che crearono quat- » tordici secoli di osservazioni, di studi, di provvidenti » cure di un patrio Governo, geloso custode del suo fatale ^ Palladio, la laguna, sarebbe cospirare alla rovina inevi- » tabile di Venezia ». м Interessanti studi Egli pubblicò sulla portata dei fonta- nili, sul progetto di irrigazione dell’ Alto Agro monfaleo- (424) [26] nese, sul dimagramento del Sile, sull'Aequedotto di Reg- gio di Emilia, ed altri ancora; ma troppo mi sospinge la lunga via e convien che т’ arresti, non prima però di aver accennato ai suoi lavori manoscritti, preziosissimi per pratiche ricerche e voti, di cui, quale arbitro e consulente, veniva d'ogni parte richiesto, e ne è cosi grande il cu- molo, o dirò meglio il tesoro, da rendere altamente ma- | ravigliati della sua indefessa operosità. * * * Ad uomo siffatto, eminente non sai più se per virtù di dottrina o per virtü di carattere, dovevano ben presto ri- | volgere l’attenzione quegli elettori, che ambiscono garan- tire le sorti della Patria, mandando al Nazionale Parla- mento rappresentanti intemerati e di provato valore. — Ebbe largo suffragio prima dal Collegio di Udine, poi da quello di Padova per quattro legislature. Nè dottrinario, nè partigiano e meno ancora battaglie- ro, restio come fu sempre di mettersi in evidenza, Egli non appartenne alla politica militante; e quantunque for- bito e pronto parlatore, non fu di quegli oratori vani, per quanto magniloquenti, che, per richiamare l'attenzione e crearsi popolarità, parlano troppo spesso che la loro com- petenza nol consenta, o nei quali all'ampollosità delle frasi solo risponde la mancanza di concludenti concetti. Uomo di scienza e di pratica e grande conoscitore del civile consorzio, fermissimo di carattere e di schietto pa- triottismo, quando stimava suo dovere di interloquire, la | sua onesta e competente parola mirava veramente al bene | della Patria sopra ogni cosa ; ma, più che tutto, la sua | azione si esplicò negli Uffici e nelle Commissioni parla- mentari, ove la sua competenza tecnica e 1’ illuminato ed equo giudizio in grande estimazione vennero tenuti. E quanto Egli fosse autorevole, ma schivo ad un tem- po di mettersi fra « Color che ponno », lo prova l'offerta, [27] (125) che vennegli fatta nel 1870, dal Ministro Gadda, del se- gretariato generale dei Lavori Pubblici, da Lui non accolta. Chiamato al Senato nel novembre 1883 non cessò dal diligentissimo disimpegno dei suoi doveri parlamentari, se non negli ultimi tempi, in cui progressivo malore veniva ad offuscargli la vista, non l intelletto, fino all'ultimo di fulgidissimo. Non gli mancarono gli onori, i quali anzichè agognare, bramava nascondere, e molti sono i sodalizi, ai quali ap- partenne e di cui fu lustro e decoro. Socio corrisponden- te di questo Istituto fin dal 1853 e membro effettivo nel 1856, a Voi sono ben noti l’amore e la diuturna cura, che vi portava sia nell'arricchirne gli Atti, sia nel disimpegno dei molteplici incarichi affidati al suo senno ed alla sua Magistrale esperienza. Membro dell’ Accademia di Padova e di Udine, socio onorario dei Collegi degli ingegneri di Milano, di Torino, di Roma, e per le molte sue beneme- renze cittadino onorario di Oneglia e di Belluno, era an- che insignito di più ordini Cavallereschi. .Fu scrittore efficace e lucidissimo ed usò sempre eletta 9 purgata la frase; ed anche le più astruse questioni della severa disciplina dei simboli ebbe a trattare in modo co- lorito ed attraente. Con culto appassionato studiò e conobbe, nello intrinseco loro valore, le opere di quell’ immortale, che vide « Sotto l'etereo padiglion rotarsi Piü mondi, e il sole irradiarli immoto » © parmi degno di ricordare il fatto che, pubblicandosi da- gli studenti, allora delle innondazioni del 1882, l'unico numero di un giornale di beneficenza, richiesto nell’ aula Universitaria di preparare un suo autografo, senz’ altro Egli scrisse: « Non credo che mai abbia GALILEO più mi- » rabilmente espresso il suo concetto creatore della mo- » derna Filosofia, come lo espresse in questo suo arguto > pensiero: F'annost liti e dispute sopra Г interpretazio- (126) [28] > ne d'un testamento d'un tale, perchè й testatore è mor- » to, che se fusse vivo, sarebbe pazia ricorrere ad altri » che a lui medesimo per la determinazione del senso di > quanto egli aveva scritto. Ed an simil guisa è semplicità > landare cercando i sensi delle cose della Natura nelle » carte di questo e di quel filosofo pw che nelle opere del- » la Natura, la quale vive sempre, ed, operante ci sta > presente avanti gli occhi veridica ed immutabile in tut- » te le cose sue ». Prestantissimo della persona, era simpatico e marziale nell’ aspetto, che imponeva ed attraeva ad un tempo. La parola aveva facile e cortese, e cogli intimi festosa ed ar- guta. Modestissimo sempre e schivo di comparire, altret- tanto fu franco e leale; sdegnava dal raggiro, ed in ogni cosa mirava diritto alla meta; geloso sempre della sua di- gnità, di cui fu nobilmente altero. Molti ricorsero a Lui e ne ebbero largo beneficio; scarso nel promettere, sempre pronto ed indefesso nel- l'oprare, allignava così forte in Lui il sentimento di gio- vare altrui, che nell’ adoperarvisi non conosceva ostacoli, e nella sua azione era tetragono e fiero. Amó caramente i figliuoli, ma Egli, cosi pronto al be- neficio e così strenuo sostenitore di chi gli si affidava, volle che ognuno d’ essi, di per sè si aprisse la via, che tutti percorsero onorevolissima. Lo spasimo ineffabile del padre, che rotto l’ordine si consuma d’angoscia sopra il sepolero della prole, ebbe du- ramente a provarlo colla perdita del figliuolo TOMMASO, valente ingegnere, e, più che le mortali malattie, da cui fu colpito, valse a fiaccare la robusta sua fibra; ma a molcere l’affanno cumulò gli affetti nelle nipotine, tenera cura dei suoi ultimi anni. Amantissimo della sua scuola e dei discepoli, che sem- pre protesse, accompagnandoli nella vita civile col soccor- so del suo appoggio e del suo consiglio, Egli fu esemplar- mente zelante del suo dovere di docente, continuando nelle | | | [29] (127) lezioni anche quando, menomatogli il vigore dalle malat- tie, il progressivo indebolimento della vista lasciavagli scorgere confusi gli oggetti: e mentre nel meritato, au- tunnale riposo di Resiutta stava pensando ad alcune nuo- ve lezioni per l’anno imminente, colpivalo fatale malore che la sua utile esistenza, tutta spesa negli ardui e supe- rati cimenti dello intelletto, rapidamente sospinse alla ignota via, che non ha più ritorno. Il suo gran cuore cessò di battere nel giorno 9 no- vembre 1889, dopo 80 anni di nobilissimi palpiti. Colla serenità di colui, che ha compiuto laboriosamente il suo giorno, impose alla famiglia, ossequente, che la sua salma fosse sottratta ad ogni sorta di onoranze, ma, ve- nuta da Resiutta per desiderio degli intimi, nel trasporto dalla stazione alla tomba di famiglia nella Necropoli di Padova, un lungo stuolo di amici e di eletti cittadini ne faceva onorando e lagrimato corteo; — e non appena si Sparse la voce della sua dipartita, costituivasi un Comitato, che colle offerte di quasi cinquecento sottoscrittori com- Metteva all’ arte, in cui si immortalava Canova, decoroso Monumento, per tramandarne ai vegnenti il nome e Ief- figie; ed il Comune di Padova, di cui per lungo tempo fu illuminato consigliere, ne decretava la collocazione nella Loggia meridionale del Palazzo della Ragione, accanto a quello dell’ insigne PaLEocarAa. La Scuola degli ingegneri votavagli una lapide, che lo ricordasse degnamente in quell'Ateneo, dove per 7 lustri spese la sua attività in prò degli studî. Mio venerato Maestro! Se bastassero la viva riconoscen- za ed il reverente affetto, che con intenso sentire professo alla tua cara memoria, ben avrei potuto con fulgida luce lumeggiare quella tua stupenda figura di animoso patriota, di insuperabile docente, di dotto scienziato, di celebrato Costruttore, d’inelito cittadino, di padre amoroso: ma se un pallido e nebbioso contorno sono venuto a sostituire | lr | | \ | ni Il il (128) [30] a quel tuo spiccatissimo tipo di ogni civile virtü, è così grande però il cumulo delle feminenti]tue opere e dei soavi ricordi, che a rievocare nella sua interezza la tua splendida individualità, sacrata alla reverenza dei posteri, ed a tributarti condegno elogio, meglio che ogni altra cosa, basta pronuneiare il TUO NOME. | PUBBLICAZIONI DEL PROF. GUSTAVO BUCGHIA 1. Ricerche sul moto dell’acqua nel turbine idroforo dello Schlegel e sull’ effetto di questa macchina, ap- plicata al prosciugamento dei terreni palustri. — (Memorie del R. Istituto Veneto, Vol. VIII, Serie IV il - Venezia, 1859). | Alcune note sulla fermezza delle armature dei Ponti all americana. — (Memorie dello stesso Istituto, Vol. | X - Venezia, 1861). | . Alcune considerazioni circa al divisamento di sop- | | primere i due sostegni, proposti dal Conte Fossom- broni, all incile dei due Canali di Padova e di Bat- taglia. — (Atti della R. Accademia di Padova, 1861). Del profilo convenevole at muri di rivestimento dei | terrapieni piantati sulla spiaggia del mare. — (Me- | morie del R. Istituto Veneto, Vol. XI - Venezia, i | 1863). | 5. Voto sopra il progetto del Consigliere ministeriale | cav. Pasetti, relativo alla sistemazione del Сий mercè la sua immissione in Chiampo-Alpone, esteso | per commissione dei Consorzi e Comuni della pro- vincia Veronese opponenti al progetto medesimo. — (Tip. Vicentini e Franchini - Vicenza, 1863). | 6. Sul progetto d' irrigazione dell’ Agro Monfalconese, | compilato dall’ ing. dott. Raffale Angelo Vicentini. — | (Tip. Seitz - Gorizia, 1868). | 7. Sulla spinta delle terre, con appendice sulla oppor- i tunità dei contrafforti interni, applicati ai muri di | | | rivestimento. — (Memorie del R. Istituto Veneto, Vol. \ XVI - Venezia, 1872). "| | 8. Considerazioni sulla fermezza degli argini di terra. || — (Memorie, come sopra, Vol. XVIII - Venezia, 1874). | | DELI, SANI? 47 | Ды — (130) [32] 9. Relazione intorno alla Memoria, presentata al Con- corso scientifico della fondazione Querini-Stampalia per l’anno 1875. — (Atti dello stesso Istituto Veneto, Vol. I, Serie V - Venezia 1875). 10. Note intorno ad alcune regole idrauliche per lor- dinamento dei canali di scolo di un basso terreno pianeggiante. — (Atti della R. Accademia di Padova, 1875). 11. Considerazioni intorno al porto di Lido ed alla La- guna di Venezia. — (Atti del R. Istituto Veneto, Vol. II, Serie IV - Venezia 1876). 12. Relazione sul latifondo dei signori fratelli Grego di Verona, situato nel distretto di Portogruaro pro- vincia di Venezia. — (Tip. Vianini, Verona, 1877). 13. Sulle proprietà meccaniche delle ruote a schiaffo, disposte alla essicazione artificiale dei terreni palu- stri. — (Atti del К. Istituto Veneto, Vol. IV, Serie V - Venezia, 1878). 14. Intorno alla proposta di un nuovo uso della sabbia, adoperata come materiale da costruzione nelle opere architettoniche. — (Atti della R. Accademia di Pado- va, 1878). 15. Facile regola pratica di preconoscere la reale por- tata dei fontanili. — (Atti del R. Istituto Veneto, Vol. VIII, Serie V - Venezia 1881). Acquedotto di Reggio nell'Emilia. Appunti al ricorso degli utenti del canale Vernazza contro la dichia- razione di pubblica utilità, in data 27 febbraio 1882, dell’ ing. cav. Malagoli. Sèguito della relazione tec- nica dell on. ing. Giuseppe Saccani e d'un estratto del parere del prof. Comm. Gustavo Bucchia. — (Reggio, 1882). 17. La Laguna di Venezia. — (Atti del R. Istituto Ve- neto, Vol. VIII, Serie V - Venezia, 1882). Considerazioni sul dimagramento del fiume Sile in Treviso. — (Tip. del Commercio - Venezia, 1882). 16 18 [33] (131) 19. Di un apparente discrepanza fra le opinioni del Lombardini e del Lorgna sull'alzamento del letto dei fiumi d alveo stabilito, dipendentemente dal pro- lungamento della loro foce in mare. — (Atti del R. Istituto Veneto, Vol. I, Serie VI - Venezia, 1883). 20. Considerazioni sul modo di chiudere le grandi rotte dei fiumi reali. — (Atti suddetti, Vol. I, Serie II - Venezia, 1883). Rl. Come si debba regolare il franco, vale a dire la prevalenza degli argini di un fiume, per prevenire il trabocco di future piene, ingrossate dalla soppres- sione di estesi bacini di espansione. — (Tip. Doretti, Udine, 1884). 22. Proposta di una regola precisa per determinare la forma e le dimensioni, necessarie alla fermezza du- revole degli argini di terra, ordinati a contenere alte piene di grandi fiumi reali. — (Atti del R. Isti- tuto Veneto, Vol. III, Serie VI - Venezia, 1885). 23. Ricerca sulla reale utilità dei bacini di ragunata delle acque che portano i condotti di scolo, prima di dar ad esse esito in mare. — (Atti suddetti, Vol. IV, serie VI - Venezia 1886). 24. Dei bacini di ragunata delle acque degli scoli pri- ma del loro ingresso in mare. — Nota apologetica - (Padova, 1886). | | n SOPRA ALCUNI NUOVI Dah ULL. A ВАМ DEL M. E. ANTONIO FAVARO. Se la Edizione Nazionale delle Opere di Galileo Gali- lei, decretata quattro anni or sono dal Ministero della Istruzione Pubblica, ed accolta da Sua Maestà il Re sotto gli augusti suoi auspicii, potesse procedere con quella sol- lecitudine che è nel desiderio di tutti gli studiosi, e prin- cipalmente nel mio ed in quello dei miei compagni di la- voro, potrebbe stimarsi per lo meno poco opportuna la anticipata pubblicazione di alcuni tra i materiali che per questa grandiosa impresa io avevo già raccolti prima che me ne fosse affidata la direzione, e di quelli altri che son venuto poi, e vado via via continuamente mettendo in- sieme. Ma purtroppo da un lato sono così grandi le difficoltà che si oppongono al sodisfacimento del gravissi- mo mandato, e dall’ altro, di fronte ai troppo scarsi mezzi messi a nostra disposizione, son tante e tante le cure che esige lo scrupoloso adempimento del nostro disegno per dare quella edizione cosi definitiva e completa da corrispon- dere alla legittima aspettazione degli studiosi, che il lavoro deve procedere, almeno per ció che risguarda i primi vo- lumi, con tale una relativa lentezza, che se è incresciosa per chi aspetta, riesce incresciosissima a chi vi attende. Questa circostanza pertanto, del lungo tempo che si richiederà per avere completa la nuova edizione, inducen- do ragionevolmente a temere, con tanto maggior fonda- mento di quello che, per la natura umana, avviene anco nelle cose brevissime, che chi ha assistito ai primi albori t || | | (134) у [2] di una impresa non giunga a vederne il compimento, ор- pure anche sia ridotto, per motivi di indole diversa, nella impossibilità di accompagnarne il progresso, o che final- mente, come pur troppo di sovente accade alle cose lun- ghe, il corso pur di questa possa da impreveduti avveni- menti essere sospeso od arrestato, parve a me non solo opportuno, ma benanco doveroso il seguire i consigli di studiosi autorevolissimi, con venir via via dando qualche saggio di questi materiali che si vanno raccogliendo. I qua- li saggi appariranno di tanto più opportuna pubblicazione, quando si rifletta che anzitutto essi porgono il più auto- revole documento per provare che, se anco il lavoro del- l edizione prosegue con ineluttabile lentezza, pure degli eventuali ritardi non è da accagionare la inerzia o la po- ca solerzia di chi vi presiede, e che inoltre fra questi ma- teriali sonvene alcuni che esigono lunga e laboriosa pre- parazione, ed altri la pubblicazione dei quali può met- tere sulla buona via per iscoprirne altri ancora attinenti al medesimo argomento. E infine da considerare che di alcuni fra questi documenti può esser dubbio se o meno convenga di chiamarli a far parte della Edizione Nazionale : e così la pubblicazione loro mette le persone competenti in simili studi nella possibilità di pronunziare un parere e di giovare col proprio consiglio chi della edizione stessa ha la responsabilità. Non tacerò infine che, fra i motivi i quali mi determina- rono ad anticipare tale pubblicazione, è il desiderio di non vedermi prevenuto da altri a cui, anche seguendo ricer- che d’ordine diverso, gli stessi documenti da me rinvenuti cadessero sott’ occhio. E quantunque io non creda di ac- quistare alcun merito, col far vedere ad essi per la prima volta la luce, sono tuttavia ben certo che non sarò bia- simato da alcuno di coloro ai quali sia toccato il contrat- tempo di veder pubblicati da altri dei documenti, frutto di lunghe ricerche, e che tenevano gelosamente custoditi in attesa della opportuna occasione per pubblicarli. [8] (135) Documenti galileiani ho pubblicato io stesso in gran numero, prima che mi venisse affidata la cura della Edi- zione Nazionale, e non solo in forma staccata, ma anche insieme riuniti in raccolte, come, per modo d’ esempio, nelle varie serie degli « Scampoli Galileiani » che da un sessennio vengo annualmente presentando alla R. Accade- mia di Padova, gli « Inedita Galileiana » offertivi or sono più di dieci anni, e la « Miscellanea Galileiana Inedita » inserita pur essa nelle Memorie di questo Istituto. Informati ai fini, che sono venuto testè esponendo, e con materiali affini a quelli utilizzati nelle accennate pub- blicazioni, sono questi « Nuovi studi galileiani » che ho ora l’onore di presentare per la inserzione nel volume delle « Memorie, » e che ho chiamati « Nuovi, » per met- tere ben in evidenza che tutti vengono editi per la prima volta, e che non vi appartiene alcuno di quelli che die- dero argomento alle precedenti mie pubblicazioni. Salvo le modificazioni che eventualmente si rendessero necessarie all’atto della stampa, è intenzione mia di chia- mare a far parte di questi « Nuovi studi galileiani » i ca- pitoli seguenti : I. PARTICOLARI INEDITI SULLA GIOVINEZZA DI GALILEO. — Sono questi forniti da un curiosissimo documento inedito € rimasto fin qui totalmente sconosciuto agli studiosi di cose galileiane. Consiste esso in un processo assai volu- minoso, al quale ci accontenteremo di qui accennare bre- vemenie. Era Galileo entrato in molta dimestichezza con un patrizio fiorentino per nome Giovanni Battista Ricasoli Baroni, uomo di mente assai debole, ed al quale pare che, a danno di una sua sorella maritata ne’ Quaratesi, un parente avesse carpito una disposizione a proprio favore. Ne segui una lite, nel corso della quale si volle provare che il Ricasoli Baroni, quando così disponeva del suo, non era stato nel pieno esercizio delle sue facoltà mentali. In tale occasione furono chiamati a deporre parecchi testi- Moni, e fra essi, come intimo di Giovanni Battista Rica- (136) [4] soli Baroni, anche il nostro Galileo; e dalle sue deposi- zioni, e da quelle d’altri a lui relative, si traggono nuovi elementi per la sua biografia, di tanto maggiore impor- tanza, perchè si riferiscono ad un tempo, rispetto al quale ben poco di lui ci era noto. II. SULLA AUTENTICITA' DELLA SFERA GALILEIANA EDITA DAL P. D’AVISO, E INTORNO A TRE TRATTATI DI SFERA ERRO- NEAMENTE ATTRIBUITI A GALILEO. — Si dimostra qui con argomenti estrinseci ed intrinseci, e con l'appoggio della testimonianza di Vincenzio Viviani, che il trattato di Sfera edito in Roma dal P. Urbano D' Aviso nel 1656 come opera galileiana, appartiene realmente al nostro filosofo, e ciò provando non aver fondamento aleuno le argomentazioni in contrario allegate dal Nelli, dal Libri e dal Riccardi. Ciò premesso, si analizzano tre trattati di Sfera, il primo dei quali dal Gargani e gli altri due dal Libri erano stati a Galileo attribuiti, e si dimostra che in nessun modo ed in nessuna parte devono risguardarsi come opera di lui. III. POSTILLE GALILEIANE ALL’ OPERA CAPITALE DI NICCOLÒ CopperNIco. — Era già stato annunziato da un eminente cul- tore degli studi galileiani che la Biblioteca Nazionale di Fi- renze possedeva due esemplari dell’opera « De revolutionibus orbium caelestium » роз Шай da Galileo ; quando tuttavia ci siamo fatti ad esaminarli, abbiamo potuto acquistare la piena convinzione che le postille date per galileiane non erano tali, mentre invece la Biblioteca medesima possiede un altro esemplare della medesima opera effettivamente postillato da Galileo, e del quale, per quanto è a noi noto, non si sono ancora pubblicamente occupati gli studiosi. Si prendono qui in accurato esame questi tre esemplari, dando una particolareggiata esposizione di ció che in essi si contiene di notevole, e cogliendo in pari tempo la oc- casione per pubblicare, insieme con le postille già note, queste altre, le quali per la prima volta veggono la luce. IV. DAL CARTEGGIO DI MARCO VELSER con GIOVANNI FA- BER. — Dal voluminoso carteggio del Velser col Faber, 5) (437) il quale, per già note vicende, venne, insieme con altre carte preziose, a finire nell'Archivio dell'Ospizio di Santa Maria in Aquiro in Roma, noi ci siamo tenuti a trascrive- re con la massima diligenza le lettere risguardanti Galileo, e ciò, sia perché le lettere fra terzi e relative al sommo filosofo appartengono a quelle che, secondo il nostro dise- gno, devono essere comprese nell’epistolario della Edizione Nazionale, sia perché esse si riferiscono nella massima parte al tempo in cui erano in gestazione le famose lettere di Galileo sulle Macchie Solari, e servono pereió in qualche modo di complemento al carteggio di Galileo stesso col Cesi da noi altrove dato alla luce. YT V. DOCUMENTI INEDITI PER LA STORIA DEI NEGOZIATI CON LA SPAGNA PER LA DETERMINAZIONE DELLE LONGITUDINI. — Mentre, dopo le ripetute spogliazioni delle quali fu oggetto Archivio di Stato di Firenze, al tempo in cui si formò la Collezione Galileiana in Palatina, poteva credersi che ne fosse ormai stato tratto tutto ciò che si riferisce a Galileo, le indagini nel carteggio diplomatico del governo toscano con quello spagnuolo hanno messo in evidenza una ric- chissima messe di documenti relativi alle varie trattative delle quali fu oggetto la proposta di Galileo di approfitta- re delle ecclissi dei Pianeti Medicei per la determinazione delle longitudini in mare. Questi documenti vengono qui pubblicati e convenientemente illustrati non solo, ma an- cora integrati mercé altri relativi allo stesso argomento, 1 quali poterono essere rinvenuti nell’ Archivio Generale delle Indie in Siviglia, ed in quello generale di Simancas. VI. La « Disputatio de situ et quiete terrae contra Co- Pernici Systema » DI FRANOESCO INGOLI, CON LA RISPOSTA DI GIOVANNI KEPLERO. — La risposta di Galileo Sputa dell’Ingoli è ben nota: corse per 1 DOSCritta, fu letta e gradita da Urbano per la a questa di- ungo tempo ma- VII, pubblicata prima volta nei nn. 62-65 del Giornale Enci- Clopedico di Firenze dell'anno 1814, e poi riprodotta dal enturi ed in tutte le successive edizioni delle Opere di TT S УП 18 (138) [6] Galileo; ma non si pensó mai a dare alle stampe la scrit- tura che provocò quella risposta, ed alla quale facciamo qui vedere la luce, curandone il testo sopra due codici, uno della Vaticana, l’altro dell’Accademia dei Lincei. Ma ciò che aumenterà a mille doppii l'importanza di questa pubblicazione sarà il trovarvi edita per la prima volta una scrittura, fin qui affatto sconosciuta, di Giovanni Keplero, essa pure in risposta all'Ingoli, scrittura che noi teniamo per autentica, ma sulla quale si pronunzieranno gli stu- diosi più di noi competenti in fatto di cose Kepleriane. ҮП. DAL CARTEGGIO DEL PEIRESC NELLA BIBLIOTECA NA- ZIONALE Di Parar. — Qual fonte inesauribile per la storia delle scienze e delle lettere nei primi decennii del secolo decimosettimo costituisca la corrispondenza del Peiresc è noto ad ognuno. Nella presente occasione tuttavia noi ci siamo tenuti qua, per amore di brevità, esclusivamente a quei luoghi di esso che più direttamente si riferiscono а Galileo, imponendoci in pari tempo la massima concisione nelle illustrazioni, anzi limitandole espressamente a qual- che noterella in aiuto di chi con gli argomenti galileiani non fosse molto familiare. VII. CARTEGGIO INEDITO DI GALILEO GALILEI CON ELIA Diopati. — La fonte stessa che, or non ha molto, ci ave- ya somministrati aleuni materiali di questo importantissi- mo carteggio, consultata in seguito con maggior agio, ce ne ha forniti altri numerosi, col sussidio dei quali e dei già noti, tenendo conto anche delle lettere smarrite, abbiamo tentato di ricostruire tutta intera questa corrispondenza che è della più alta importanza, e per la qualità dei cor- rispondenti, e per gli argomenti dei quali trattano fra loro. Una lettera inedita di Galileo a Lorenzo Realio, rivelataci dalla medesima fonte e relativa all’ argomento precipuo del sarteggio, abbiamo stimato opportuno di comprender pure nella presente pubblicazione. IX. DOCUMENTI INEDIT! PER LA STORIA DEI NEGOZIATI CON GLI STATI GENERALI D'OLANDA PER LA DETERMINAZIONE DELLE | | | | 1 [7] (139) LONGITUDINI. — Perduta ogni speranza di giungere ad una conchiusione nelle trattative con la Spagna, Galileo si de- cise a proporre, mediante autorevolissime mediazioni, il suo ritrovato per la determinazione delle longitudini in mare, agli Stati Generali d’ Olanda. I documenti fin qui noti intorno a tale trattazione risguardano particolarmente 1 carteggi in questa circostanza tenuti fra Galileo ed i me- diatori, ed essi vengono completati dalla serie di materiali contenuti nell’ Archivio di Stato all’ Aja e che qui per la prima volta vengono pubblicati, insieme con alcune lettere trovate nei manoscritti Huygens posseduti dalla Biblioteca dell’Accademia delle Scienze di Amsterdam. X. TRE CONSULTI INEDITI IN FAVORE DI GALILEO. — È risaputo che tra le varie forme di persecuzione con le quali fu tormentato il nostro filosofo, vivo e morto, fu un tentativo per privarlo dello. stipendio assegnatogli dal Granduca sulla cassa dello Studio pisano, affermandosi che quelle rendite dovevano essere devolute ai professori leg- genti, e non a chi, come Galileo, aveva bensi titolo di lettore, ma non leggeva ; che inoltre si contestò a Gali- leo, penitenziato dalla Inquisizione, il diritto di testare ; che finalmente, per il medesimo titolo, si tentò di negar- gli la sepoltura in luogo sacro. Non giunsero purtroppo insino a noi le scritture degli avversari, ma soltanto i con- sulti dettati in tali circostanze in favore di Galileo, e sic- come questi non vennero mai pubblicati per le stampe, abbiamo stimato opportuno di cogliere la presente occa- sione per far loro vedere la luce. XI. MANOSORITTI GALILEIANI FUORI DELLA BIBLIOTECA NA- ZIONALE DI FIRENZE. — Della raccolta galileiana, altrevolte appartenuta alla Palatina ed incorporata poi nella Magliabe- chiana, è già da oltre quattro anni compiuto un indice ana- litico, e giova sperare che una volta o l’altra il Ministero della Istruzione Pubblica si deciderà a tenere l'impegno che ha assunto di pubblicarlo. Degno compimento di que- Sto ci sembra che sarebbe un indice delle cose galileiane | 1 | (140) [8] disperse nelle altre biblioteche italiane e straniere, pub- bliche e private. Per fermo non può sperarsi che questo lavoro riesca di primo colpo completo ; ma intanto ci sem- brò opportuno di approfittare a tale scopo dei materiali che noi siamo venuti raccogliendo in seguito agli appelli, i quali in più migliaia di esemplari abbiamo sparso per tutto il mondo, prima di accingerci ai lavori della Edizio- ne Nazionale Galileiana. XII. CRONOLOGIA GALILEIANA. — Più e più volte, nel corso ormai lungo dei nostri studi galileiani, abbiamo avuto motivo di riconoscere di quanta utilità ci sarebbe stato l'avere sott'occhio una cronologia delle cose galileiane esatta ed abbastanza particolareggiata. L' Alberi deve es- sere stato dello stesso nostro parere, poiché ne premise un abbozzo all'epistolario, col titolo di « Epoche princi- pali della vita di Galileo Galilei; » ma la scarsità delle voci, e le molte inesattezze lo rendono quasi inutile, anzi talvolta dannoso; qualche cosa di più fecero gli editori dell’ epistolario galileiano pubblicato dal Vigo di Livorno, »d incomparabilmente migliore è il saggio che il Campori ne premise al suo « Carteggio Galileano inedito ». La « Cronologia Galileiana, » che noi alla nostra volta pub- blichiamo, offre un numero di voci di gran lunga mag- giore, anche in confronto di quella del Campori; e tutte ci siamo studiati di controllare con la maggiore esattezza che ci fu possibile. Dedico questa serie di « Nuovi STUDI GALILEIANI » al- l'illustre Dottore Emilio Wohlwill di Amburgo, il più dotto e profondo fra i viventi studiosi di cose galileiane. Possa questo mio modesto e pubblico segno di reverenza ben dovuta, stimolarlo a compiere quel suo lavoro, per il quale è così grande e cosi giustificata l'aspettazione degli studiosi. Padova, 12 Novembre 1890. SUL GANGLIO GENICOLATO E SUI NERVI CHE GLI SONO CONNESSI. Ricerche anatomiche DEL. DOTT: R QD OLEO RENZO Durante lo spazio di tempo in cui ebbi l’ufficio di As- sistente straordinario alla cattedra di Anatomia normale nell’ Università di Padova, impresi ad eseguire nell’ uomo ed in alcuni animali, per consiglio e sotto la guida del Pror. VnAcovicH, una serie di ricerche anatomiche sul Ganglio genicolato e sui nervi che gli sono connessi. Certa- mente non mi riusci di risolvere per intero i diversi que- siti, che si riferiscono all’ argomento accennato; ma, di- chiaro subito, che il giungere a tanto non fu neppure mio intendimento. Nondimeno, avendo potuto dilucidare qual- che dubbio e rettificare taluna delle cognizioni che l'ana- tomia possiede intorno a questo punto, ho creduto giove- vole di pubblicare i risultati ottenuti in queste mie osser- vazioni. Ho diviso il mio piccolo lavoro in due parti: Nella pri- ma, ho raccolte le principali opinioni espresse dagli au- tori sulla struttura del ganglio genicolato e sui rapporti di esso coi nervi ai quali si connette. — Nella seconda, ho esposto quanto mi fu possibile di ricavare dallo studio ana- tomico di quello e di questi, sia nell’ uomo, sia negli ani- mali. Seguirà un riassunto nel quale, ricorderò i risultati | (4 42) (2] principali delle mie ricerche, a riscontro dei quali stanno parecchie preparazioni, che sono conservate nell'Istituto di Anatomia Normale della R. Università di Padova. Avverto del resto, che non ho fatte ricerche, nó sul- l'embriologia, né sull'origine centrale dei nervi, che for- mano il tema di questo mio piccolo lavoro: essendochè, per trattare di tutti, od anche di uno solo di questi argomenti, avrei dovuto differire troppo a lungo la pubblicazione di questo mio scritto. Anche riguardo ai nervi petrosi superficiali le mie ri- cerche sono per qualche punto incomplete; del che si vor- rà scusarmi, avendo riguardo alle difficoltà tecniche da vin- cersi per sottoporli ad esatte osservazioni anatomiche ; difficoltà a motivo delle quali si richiede molta cura e lungo tempo per riuscire ad un esito soddisfacente. Al termine di questi cenni preliminari, sento ancora il bisogno di esternare il profondo sentimento di riconoscenza che mi lega al Chiarissimo Pror. VLACOVICH, maestro mio amatissimo, ringraziandolo nuovamente di tutti quei con- sigli e mezzi, che volle favorirmi, e che mi facilitarono lo studio di questo tema. 1. IL NERVO INTERMEDIARIO DEL WRISBERG. a) La scoperta del nervo intermediario del Wrisberg. — La piccola radice del facciale, posta fra la grande e quella dell’acustico, fu scoperta verso il 1774 (e non già nel 1778 come si crede comunemente), da HENRICUS AUGUSTUS WmisBERG Professor el Incisor Gottin- gensis, che la additava ai propri discepoli nelle sue dimo- strazion!. Sam. Tuom. SoEMMERING, discepolo del WmrsBERG, au- torizzato dal suo maestro, affidò per il primo alla stampa questa scoperta, pubblicandola nel suo lavoro intitolato : ————— | | | | | [3] (143) « De basi encephali et originibus nervorum cranio egre- dientium, Gottingae, 1778 »; nel quale, alla pag. 152 si legge: (*) « 8. 74. — In limite enim pontis posteriore inter ner- vi communicantis faciei et auditorii radices, e spatio illos intercedente orti in utroque latere perpetuo inveniuntur nervuli, qui an alterutri pari communes sint, an vero ad communicantem faciei unice pertineant, exponere hujus non est loci, cum in opere illo, quod sub finem sectionis secundae hujus libri memoravi (*), ab inventore ipso optime descriptae exstent; eorum vero primordia ut hic expone- rem, benevole concessit idem Praeceptor dilectissimus ». « & 75. — Numero et loco maxime quidem variare, perpetuo tamen ab utroque pari separatam esse hanc por- tionem, inquirenti facile patebit, mox enim inferius dua- bus fibris ex ipsis medullae specialis primordiis, eo lo- co, quo cum margine posteriore pontis confluunt, prope nervum glossopharyngeum emergunt, quibus tertia vel (1) Non essendo facile procurarsi questa Memoria del SoEMME- RING, mi parve utile riprodurre tutto il brano che si riferisce al nervo intermediario del WRISBERG. (2) Questa opera del Wrispera (che però non mi fu possibile di consultare) fu pubblicata due anni dopo quella del SommERING; € sta inserita fra gli Atti dell'Accademia di Gottinga, col titolo: De Viscerum abdominalium nervis. Gottingae, 1780. Affinchè s'intenda meglio quello che, riguardo alla scoperta del Wrispera, si legge nel brano qui tratto dalla Memoria del SOEMMERING ; gioverà riprodurre il passo della Sezione II del Li- bro Ш, a cui si riferiscono le parole di quest'ultimo autore (p. 113): «Quae vero de ulteriore progressu non modo hujus sed et re- liquorum encephali parium memorari hic potuissent, Ill. WRISBER- GIUM in descriptione egregiæ tabule, qu: nervos capitis ossa egre- dientes sistit, splendido, quod parat de nervis viscerum operi in- serende, una cum supplementis ad ZINNII de oculo librum, prope- diem tecum, candide lector, communicaturum esse, lwtare. (144) [4] quarta quaedam a ponte ipso accedit; qoo tribus, qua- tuor vel quinque subtilibus admodum fibris in margi- ne posteriore pontis ita prodeunt, ut affirmare certo ne- queas, an a ponte, an vero a medulla spinali veniant ; interdum radices adeo altas agunt, ut e ponte ipso sine dubio propullulare videantur; interdum duabus crassiori- bus radicibus, interdum tenuioribus construuntur; semper vero alia ac nervum communicantem faciei ratione oriri illas animadverti (!); etenim hic non dispersis propagini- bus, sed toto quasi trunco simul e ponte enascitur, hi au- tem nervuli in origine a se invicem dissiti reperiuntur. Quocumque vero modo enatae hae radices, et ductum fere nervi communicantis faciei sequentes, aliquot linearum magnitudinem adeptae, in duo unumre trunculum quarto pari inferiorem coalescunt, сш portionis inter communi- cantem faciei et auditorium intermediae, vel si mavis, fibrarum inter duram et mollem intermediarum nomen imponere non ineptum videtur. Easdem et in infantibus, et in cerebris, quorum vasa, quantum fieri posset, vel sanguine vel arte repleta erant, reperi, tabulisque etiam, uti saepius in cadaveribus a me observatum est, diversas in alterutro latere, saepius tamen in dextro numero et crassitie potiores exhibui ». b) Origine centrale del nervo interme- diario. — Quanto all’ origine centrale del nervo inter- mediario, non mi consta che le osservazioni microscopiche sieno riuscite a dimostrare perentoriamente l’esistenza di un nucleo particolare di cellule nervose, che si colleghino con le sue radici; tuttavia non manchiamo del tutto di no- tizie in proposito (?). (1) Queste parole e le altre precedenti, stampate qui in corsivo, sono scritte, nel testo originale, con caratteri ordinari. (2) Parlando di origine centrale, l' espressione deve intendersi in senso puramente locale descrittivo ; prescindendo per conseguen- | | | [5] (145) Il HUGUENIN ritiene, che il nervo intermediario si ori- gini dalla porzione superficiale del nucleo anteriore del- l'acustico, che ha. sede negli strati superficiali del ponte e del corpo restiforme. Il Krause ammette pure, che il nervo intermediario si origini da un eumulo di cellule nervose situate nel ponte, е precisamente in prossimità del punto d'emergenza del- l acustico; cumulo di cellule nervose, che costituirebbero il nucleo laterale di origine per le radici anteriori del- l ottavo pajo. Lo SprrzkA fa derivare il nervo intermediario dal nu- cleo superiore о dorsale dell’ acustico. Come si vede, tutti questi Autori attribuiscono al nervo intermediario un nucleo centrale, che apparterebbe in pari tempo ad una porzione del nervo acustico; essi sono però discordi sul nome con cui denotarlo. Tuttavia (fatta eccezione per lo SPrrzkA), la descrizione particolareggiata ch'essi danno riguardo a quella porzione dell'acustico e del suo nucleo, donde nasce il nervo inter- Mediario, farebbe supporre, che l'origine centrale del ner- vo intermediario sia associata a quella porzione dell’ VIII pajo, che il BECHTEREW, in base alle sue ultime ricerche, denomina radice vestibolare dell’ acustico. Secondo questo autore, la radice anzidetta sarebbe co- Stituita, veramente da due porzioni. — La prima, da un fascio nervoso, che, raggiungendo la parte superiore del Nucleo del DerrERS, va in parte al nucleo del BEOHTEREW (0 nucleo angolare del RAUBER), collocato dietro e dorsal- mente a quello del DEITERS; e in parte si ripiega in basso, formando la cosidetta radice ascendente del nervo acusti- co. — La seconda porzione sarebbe data da un fascio, che Possiede il suo nucleo nel corpo restiforme, ed è anche in za dall andamento del processo genetico, quale sarebbe quello af- fermato di recente dal His. ТОП, S. ҮП 19 i | | | (146) [6] connessione coi nuclei centrali del cervelletto mediante un fascio nervoso particolare, che passerebbe per la parte interna del corpo restiforme. A queste origini intracerebrali del nervo intermedia- rio, sono forse da aggiungersi i cumuli microscopici di cel- lule nervose, che, stando all'asserzione dell’ ERLIZKY, sono sparsi in quantità variabile, secondo gl'individui, nel tron- co dell'acustico, e piü precisamente nella branca vestibo- lare di questo nervo; cumuli da cui si originano delicati fascetti di sottili fibre nervose, destinate al tronco del nervo intermediario ? Tuttavia non mancano osservazioni, che fanno dubitare, se v'abbia un nucleo centrale, che sia comune all’ inter- mediario e ad una porzione dell’ acustico. — Intorno a questo argomento è da citarsi specialmente il Duval; il quale afferma, che dal nucleo del IX pajo esce un fascio di fibre, le quali passano per la radice ascendente del V, e progrediscono poscia in direzione periferica associate al nervo acustico, costituendo il nervo intermediario. Egli o assicura d'avere osservato questa disposizione anatomica in una scimia appartenente al genere Cebus. — A suo avviso, il nervo intermediario altro non è che una radice del IX, divenuta indipendente. П Duvar vuole aver trovato rapporti simili anche nel- l'uomo; con la differenza peró, che, in quest'ultimo, la ra- dice del nervo intermediario attraversa non solo quella che dicesi ascendente del V, ma ben anche il nucleo acu- stico del MEYNERT. — Questo andamento del nervo in- termediario avrebbe causato, secondo il Duvar, l'errore del HUGUENIN ; il quale considerò il nucleo del nervo acu- stico, come nucleo del nervo intermediario. M'astengo da ogni discussione sull’ origine centrale o vera del nervo intermediario, perchè, non avendo fatta nessuna investigazione speciale su questo argomento, nulla posso dirne per esperienza mia propria. age e | | | | = [7] (147) с) Radici dell’ Intermediario. — A quanto scriveva il SoemmerINa, nel 1778, intorno alle radici del- l intermediario, ben poco (e, forse a ragione, potrebbe dirsi nulla) fu aggiunto fino ad oggi dagli anatomici nei loro trattati, o nelle Memorie speciali scritte intorno a questo argomento: essendoché, sebbene il nervo intermediario si formi veramente dall’ unione di due radici, come si vedrà più oltre; tuttavia i più si limitarono a tener conto sol- tanto di quella radice maggiore, che si origina fra il VII ed VIII pajo dei nervi cerebrali. Nel 1853, il dott. GENNARO BARBARINI pubblicò una Me- moria, nella (uale assegnó al nervo intermediario una du- plice origine l'una, generalmente conosciuta, è formata da fascetti di fibre che nascono dal peduncolo del cervelletto al ponte, nell’ interstizio fra le radici del VII e quelle dell’ VIII; l’altra, ch’egli reputa sua scoperta, risulta co- stituita da due « nervetti radicolari» che partono dai cor- pi restiformi; e precisamente, l’uno dietro (dorsalmente) alle origini del glossofaringeo ; 1’ altro, tra questo e l'acustico. Ma poco tempo dopo, nella sua risposta ad un articolo in- serito nella Gazzetta Medica Italiana (!), egli dichiarò, che questa sua osservazione non era punto nuova. — Tut- tavia gli si dovrebbe il merito, se non altro, di avere richia- mata l’attenzione degli anatomici sulle due origini del nervo intermediario del WRISBERG. Parecchi anni dopo (1884), il SAPoLINI negó le due ori- gini del nervo intermediario affermate dal BarpARISI. Egli asseri per giunta, di aver seguito l’ andamento di questo nervo entro al midollo allungato, su pezzi freschi, con l'aiu- to di una lente, di un ago e di poche goccie di alcool, fino quasi alla punta del calamus scriptorivs. Il metodo seguito dal SAPOLINI, in queste sue ricerche, deve dirsi di- sadatto rispetto alle proprietà anatomiche degli organi in cui furono eseguite; quindi non si può concedere valore al risultati che l'Autore sostiene d'aver ottenuto. (1) Non mi fu dato di rinvenire l'articolo qui citato. | | | | a (148) [8] 2. ANASTOMOSI DELLE DUE RADICI DEL VII coLL’ VIII PAJO, E FRA LE DUE RADICI DEL VII (‘). Riguardo al decorso ulteriore del nervo intermediario dal punto della sua origine apparente sino al fondo del meato auditivo interno, gli anatomici sono concordi nel- l’affermare ch'esso procede nel suo cammino stando collo- cato tra il facciale e l’acustico; ma sono discordi al con- trario riguardo alle sue anastomosi con l'acustico e con la grande radice del facciale, come pure riguardo all’ana- stomosi del primo con le due radici del facciale prese nel loro insieme. (4) Radice. grande, ossia nervo facciale in senso stretto; ra- dice piccola, ossia nervo intermediario. (Continua). | | } | | I I | 4 Í | ta Ed Е " наса INTORNO ALLA “BIBLIOGRAFIA BELLUNESE, N. GO A DEL 8. с. GIUSEPPE OCCIONI-BONAFFONS La bibliografia, non tanto considerata come l’arte che si occupa del libro, dei suoi ornamenti, della collocazione sua nelle biblioteche publiche e, private, quanto come un elenco sistematico di tutti gli scritti, riguardanti un dato paese e una particolar disciplina, o anche argomenti spe- cialissimi, ha raggiunto ai nostri di una tale importanza, è divenuta tale sussidio ad ogni studioso, da non potersene assolutamente far senza. Chi si accinge ad un lavoro qual- siasi, in particolare di ricerca e di erudizione, rimane ad- dirittura sgomento, non già forse pensando alla abbondan- za delle opere, ch'egli dovrebbe consultare per isvolgere con coscienza il suo argomento, bensi pel dubio che altri abbia impreso a trattare il medesimo subietto e ad esau- rirlo prima e meglio di quello che stia per fare egli stesso. L’autore italiano poi sarà maggiormente turbato in que- sto pensiero, ove riguardi alla immensa mole di lavoro straniero sopra temi nostrali, a cui avrebbe dovuto più naturalmente rivolgersi l’ ingegno nazionale, ove questo non ne fosse stato distratto da cause molte e complesse, di cui non è qui luogo a discorrere. Mi parve necessaria questa premessa al cenno che, per invito della Presidenza dell'Istituto, sto per dare della Bi- (150) [2) bliografia bellunese, compilata dal presidente cav. Augu- sto Buzzati, in un grosso volume in 8.° gr., di pag. VII- 939 (Venezia, Merlo, 1890). Fra le provincie della regio- ne veneta erano sin qua illustrate da simili lavori Vene- zia e il Friuli, e vi si dedicarono due autori per luogo, in quattro separate raccolte, condotte però con metodo ed intento diversi. Ora entrarono ad un tempo nel pa- ziente arringo Vicenza e Belluno, la prima per opera del Rumor, la seconda del Buzzati. L'esempio non vorrà es- sere infecondo; e come sono dotate di particolari biblio- grafie altre provincie fuori del Veneto, lo saranno, spero fra breve, anche le rimanenti della nostra regione, giac- chè nè Verona, nè Padova, nè Treviso, nó Rovigo man- cano di uomini diligenti e disinteressati, che possano de- dicarvisi. Dico anche disinteressati, non già alludendo ai vantaggi materiali, a cui non aspirano la maggior parte degli scrittori d'Italia, ma stimando che questi lavori non danno gloria a chi li fa, ma procurano immenso beneficio a chi ne approfitta. La Bibliografia bellunese si compone di ben 3924 nu- meri, cospicua produzione ove si pensi che quella provin- cia, non apprezzata fin qui secondo 1 meriti, rappresenta, quanto a superficie, meno che la 89." parte del nostro Regno, e, quanto a popolazione, poco più della 160."^, e che, per motivi a cui l'autore nobilmente accenna nella presentazione del libro, non furono inchiusi nella Biblio- grafia і distretti del Cadore e del Feltrese, di cui sarà dato un saggio in appresso, ricavandolo dai libri della ric- chissima raccolta privata dell'autore medesimo. Aggiun- gasi che il lavoro presente sarà seguito da un altro, de- stinato a tener conto degli autori bellunesi, che scrissero su svariati argomenti estranei al paese; e questo secondo volume servirà a dar notizia degli uomini che, senza ab- bandonare la piccola patria, o allontanandosene per re- carsi altrove in Italia o in paesi stranieri, hanno contri- buito a svolgere l'opera complessa della coltura, di che —————— penne [3] (451) vien lode al paese ove son nati. Ognuno intende pertanto come il Buzzati, uscito dalla schiera dei bibliofili, molte volte chiusi in se stessi, siasi posto liberalmente in prima linea fra i nostri bibliografi, sia per quello che fece, sia per quanto si propone di fare a compimento dell’opera sua. Nell'ordinamento della Bibliografia Y autore ha segui- to semplicemente il metodo cronologico, «come quello » egli dice « che meglio di ogni altro può dimostrare il pro- gressivo sviluppo morale e materiale del paeso ». È giu- 8to; ma per gli anni di maggior produzione letteraria, po- niamo dal 1850 (pag. 450), si sente maggiormente il bi- sogno, non solo di certi aggruppamenti che l'autore ha pure osservato, ma di una suddivisione per materie, la quale, sempre rispettando la cronologia, agevoli alquanto le ricerche, a cui non basta l'indice, che essendo molto esteso (pag. 907-036) pei nomi di persone, di famiglie e di luoghi, appare limitato a poche voci per riguardo alle cose. L'obiezione che l'indice delle materie possa riuscire di soverchia mole sarebbe offesa alla operosità del Buzzati, il quale certo risponderà a questo desiderio del publico studioso alla fine del secondo volume. Se gl'incunabuli della stampa non offrono notizie per la bibliografia bellunese, il primo libro, che a questa si rife- risce, risale bene addietro, al 1506, con una orazione fu- nebre latina, tenuta da Gianpietro Valeriano in onore di Gerolamo Torriano, e scovata dal nostro Buzzati. Egli re- gistra, pel secolo XVI, 37 numeri; pel XVII, 182; pel XVIII, 444; pel XIX, ben 3261, accrescimento, che atte- sta non meno la mirabile diligenza del raccoglitore, che lo sviluppo assunto dalla publicità ai nostri giorni, in un ordine progressivo quasi sempre crescente. Infatti i lavori di varia mole, stampati nel secolo nostro, e riferibili al Bellunese, meno il Cadore e il Feltrino, sono rappresen- tati dai seguenti numeri, corrispondenti ai singoli decen- nii, non compreso l'anno corrente: 57, 82, 97, 280, 348, 294, 511, 732, 920. Tale contingente cresce in ispecie, | | | | | (152) [4] come si vede, nell'ultimo trentennio, che figura per oltre la metà della produzione totale, dall epoca delle prime stampe. Mi porterebbe troppo lungi istituire un confron- to, fatta ragione dei tempi, tra il valore intrinseco dei libri più vecchi e dei moderni; ma non posso lasciare che gli odierni interessi amministrativi ed economici, lo svi- luppo di nuovi bisogni e perfino di nuovi gusti, hanno con- iribuito ad allargare anche la bibliografia bellunese, come s'impara, per via d'esempio, dai molti numeri, che trat- tano della Vena d'oro, delia Ferrovia e dell’ Alpinismo. Il libro prezioso del presidente Buzzati non è una ma- gra raccolta di titoli. Anzitutto il critico spesso si sosti- tuisce al bibliografo; e molti errori, ch'erano corsi fin qua impunemente intorno a fatti e personaggi, furono dall'au- tore corretti con rara franchezza, mostrandosi persuaso che in un repertorio, che tutti consulteranno, sarebbe stata colpa confermare tali errori con compiacente silenzio. Valgano, tra moltissimi esempi, le rettificazioni alla Bto- grafia degli artisti di Filippo de Boni (pag. 459-463), ch'era pur bellunese. — E poi, quando il libro lo domandi pel suo contenuto, il Buzzati ce ne porge un ampio rag- guaglio, in modo da render paghi coloro, a cui il titolo non dicesse a bastanza. Questo lavoro paziente fu fatto non meno per le publicazioni rare, che per quelle di ca- rattere collettivo. Eccone qualche prova come lo consente una breve relazione. Ampia notizia dà il Buzzati della celebre terza grama- tica greca del minorita bellunese Urbano Valeriano Bol- zanio, precettore del cardinal de’ Medici, che fu papa Leone X, stampata in Venezia nel 1545 da suo nipote Pierio Va- leriano e da Tomaso Miari suo discepolo. La prima lezio- ne di questa gramatica è un rarissimo incunabulo del 1497 (pag. 6-11). Di varia dottrina andava fornito anche Gian Pierio, dianzi nominato, vero genio universale. L'autore della Bi- bliografia s'indugia di proposito sull’ opera latina dei Ge- | | | [5] (153) roglifici, cioè dei segni occulti usati dagli egiziani e da altri popoli, commentario in 60 libri, di cui si fecero pa- recchie edizioni e versioni e compendii, tutti citati (pag. 14-20). Così pure si diffonde sull'altra opera latina dello stesso autore: Della infelicità dei letterati (pag. 41-43). Né fra gli storici va ricordato senza commenti il vec- chio, ma non sempre attendibile, Nicoló Doglioni e l'an- nalista Giorgio Piloni, di cui gli ultimi due libri sono tut- tora inediti. Non in tutti gli esemplari del Piloni si leg- gono le ultime diciassette carte, strappate forse per su- periore ingiunzione, in cui si raecontano « con troppa li- bertà » i successi di Belluno nel 1511. Anche del poeta latino e volgare Nicoló Cantilena, ca- nonico di Belluno, che si dedicó non meno al genere se- rio che al burlesco, è dato l'indice delle varie poesie, il che ci porge occasione di conoscere altri personaggi im- portanti per la storia di Belluno, e di entrare perfino in alcuni particolari dei vecchi costumi (pag. 37-40). Lo stesso sì dica per moltissime altre raccolte poetiche, le quali, fatta ragione delle iperboli laudative, di cui tutti i tempi furono prodighi a chi siede in alto, appaiono spesso un prezioso elemento di storia. Quanti autori affatto ignorati non ricompaiono così nella Bibliografia, e spesso non inutilmente, per offrirci qualche notizia caratteristica, che altrimenti sarebbe andata perduta per sempre! In questo volume del Buzzati possono largamente at- tingere studiosi di ogni maniera, che volessero ricostruire la storia di speciali colture, in un angolo remoto della penisola; ma altresì la storia politica di Belluno trova nella presente Bibliografia opportuno sussidio, essendo riportato per intero l'indice di ben 231 documenti su Bel- luno, che si trovano nella classica Storia della Marca Trivigiana e Veronese del Verci e vanno dal 969 al 1420, in cui i Bellunesi fecero dedizione di sè alla Republica ve- neta (pag. 191-221). Così pure è fatto uno spoglio com- pleto e copiosissimo di cose bellunesi dalle Iscrizioni del TgL VH 20 | (154) [6] Cicogna (pag. 300-311), e perfino da libri, di cui altri, che non fosse un consumato bibliografo, certo non avrebbe attinto, o perchè stampati fuori del Veneto, o perchè nessun indizio apparisse nel titolo da potersene giovare la bibliografia bellunese, e di questi se ne trovano a cen- tinaia, come sarebbe 1 Enciclopedia metodica dello Zani (pag. 284-286), o la Biblioteca critica delle corrispon- denze del Ciampi (pag. 940-343). Non ultimo pregio del volume, che esamino, ó l'aver svelato, quand’ era possibile farlo, iniziali di autori, anoni- mi e pseudonimi, o completate le indicazioni manchevoli, altra prova di singolare diligenza. Certo non vorrà farglisi appunto, se non abbia scoperto, sotto il vezzoso nome di Adolfo (n. 2451), il comune amico Angelo Arboit. Un’ altra particolarità della Bibliografia bellunese so- no le brevi, ma precise, biografie degli uomini più illustri, e le frequenti iscrizioni, inserite giusta l'opportunità. In- somma il Buzzati fece dono all’Italia di un libro, che dà più assai di quanto prometta, senza però che l’autore devii dal suo programma, anzi essendo riuscito appieno nel no- bile intento propostosi, quello, cioè, di « dimostrare » son sue parole « che anche Belluno prende parte alla vita della nazione, al culto e all'amore della sua grandezza ». Appena pochi giorni dopo la lettura di questo cenno, e prima che fosse stampato, Augusto Buzzati fu tolto in Venezia (12 gennaio 1891) all’ onore d'Italia, all’ amore, alla stima di parenti e di amici, ai prediletti suoi studi; e non ebbe nemmeno la compiacenza di udire anche que- st ultima fra le lodi meditate e sincere fatte alla sua Bibliografia bellunese; non potè intendere come gli am- miratori di lui facessero ulteriore assegnamento sopra la sua singolare diligenza e solerzia. La sollecita publicazione del volume, da intitolarsi: Bibliografia degli scrittori bellunesi, sarà un omaggio ben dovuto alla sua memoria. Prezzo della Dispensa Fogli 40°), ad Italiani Cent. A2'/, A Tavola litografata . L. 1:34 » 042 Totale L. 1:46 м EE س‎ | ———— —— | PERIA | | A iC I SR I 4 DEL REALE ISTITUTO VENET М | ENELO DI | SCIENZE, LETTERE ED ARTI | (TOMO XXXVIII) SERIE SETTIMA — TOMO SECONDO | 1 DISPENSA TERZA |. | VENEZIA PRESSO LA SEGRETERIA DELL. ISTITUTO NEL PALAZZO DUCALE TIP. DI G. ANTONELLI 5" 4890-91 «nni; pia == B لے‎ Pubbl. il 29 Febbraio 1891. DIN DIC He Atto verbale dell adunanza ordinaria del giorno 25 gennaio 1804... 5... е pae 155-150 Lavori letti per la pubblicazione negli Atti. A. Tamassia, 8. c. — Sulla inibizione cardiaco-respira- toria di Brown-Séquard. Esperienze medico- | forense c c uo. te qam fo | D. BERTOLINI, в. с. — Le recenti scoperte concordiesi. » 181 | A. Favaro, m. e. — Sulla Bibliotheca Mathematica | | di Gustavo Enestrim. Sesta comunicazione. » 205 | P. Spica е б. CARRARA. — Sopra alcuni composti tia- | ШИ. C M DS Elenco dei Libri e delle Opere periodiche pervenute dal 17 marzo a tutto 25 gennaio 1801 . . . pag. LXI-XCVIII Programma dei concorsi ai premi proposti dal R. Istituto Lombardo di scienze e lettere in Milano pag. XCIX-GXI ANNO 1890-91 DISPENSA III. ADUNANZA ORDINARIA DEL GIORNO 25 GENNAIO 1891 PRESIDENZA DEL COMMENDATORE GIAMPAOLO VLACOVICH PRESIDENTE. Sono presenti i membri effettivi: PrRONA vicepresidente, Vigna vicesegretario, MINIOH, FAMBRI, LORENZONI, ĈA- NESTRINI, Mons." J. BERNARDI, DE GIOVANNI, BELLATI, STE- FANI, BERCHET e Bizio segretario; nonché i soci cor- rispondenti: MARTINI, OocroNI-BoNAFFONS, e Mazzoni. Vengono giustificati gli assenti membri effettivi: DE Berra, Turazza, PAZIENTI, DE Leva, E. BERNARDI, BEL- TRAME, TROIS, Favaro, MARINELLI, OMBONI, DEODATI, KELLER, e SPICA. Dopo la lettura dell'Atto verbale della precedente adu- nanza ch'é approvato, il Presidente partecipa, che il R. Istituto lombardo e la Società italiana di scienze naturali annunziarono la morte dell’ illustre professore Sac. An- tonto Stoppani, che fu membro effettivo del suddetto Isti- tuto e presidente della prefata Società. Soggiunge, che a questi due Corpi scientifici furono espresse, con lettera, le più sentite condoglianze del nostro Sodalizio. Poscia comunica il programma, inviato dal Reale Mi- nistero della pubblica istruzione, e risguardante il secon- do Congresso internazionale ornitologico, che avrà luogo à Dudapest nel venturo mese di maggio; e annunzia in- Pubbl, il 22 febbraio 1891, 21 156 fine che la vedova e la figlia del lagrimato nostro collega prof. Tito Vanzetti fecero omaggio a questa biblioteca d'un esemplare della Raccolta degli scritti in compianto e ad onore dell’ egregio estinto, da esse data in luce nel terzo anniversario dal suo decesso. Aggiunge, che la Se- greteria ha loro scritta analoga lettera di ringraziamento, a nome dell’intero Istituto. Indi il membro effettivo G. Lorenzoni presenta, in nome degli autori, due pubblicazioni: l'una è del dott. A. Abetti «sull orbita della Cometa 1887, IV » , l'altra del dott. G. Ciscato « sulla velocità e direzione del vento a Padova dal 1870 al 1889 ecc.» — Anche il m. e. M. Bel- lati presenta un opuscolo del prof. E. Semmola, intitolato : «La scuola tecnica ed il ginnasio ». Dopo ciò, il Segretario, nell’assenza del membro ef- fettivo A. Favaro, presenta la VI di lui Comunicazione «sulla BIBLIOTHECA MATHEMATICA di Gustavo Enestròm ». Poi il membro effettivo Mons. J. Bernardi è invitato a leggere la sua « Recensione sul Dizionario Dantesco in sette volumi del prof. Giacomo Poletto, offerto in dono all’ Istituto ». Indi viene presentato dal socio corrispondente G. Maz- zoni un suo scritto, che ha per titolo : « Un pianto della Madonna in decima rima ». Infine, dietro il voto favorevole, del m. e. G. De Leva, è ammessa, in conformità all'articolo 8.° del Regolamen- to interno, una Memoria del dott. A. Medin, che tratta « sul probabile autore del poemetto, falsamente attribuito a Francesco il vecchio da Carrara. Terminate tali letture, l’Istituto si occupa, in adu- nanza segreta, de’ propri affari interni. l I f { { i SULLA INIBIZIONE JARDIACO-RESPIRATORIA DI BROWN-SEQUARD. Espericnz> medico-forensi DEL s.c. ARRIGO TAMASSIA Brown-Séquard, dopo d'aver accennato ad una ini- bizione della sensibilità indotta dal taglio della cute della regione cervicale anteriore, a tutto il collo, alla mascel- la inferiore, e ad una parte del torace, scrive: (t) « La pelle del collo e della laringe possiede altri poteri inibi- torj ben più degni di interesse di quelli di cui mi intrat- tenni. I medici-legali sanno che abbastanza soventi si dan- no individui, che perdettero la vita con un appiccamento insufficiente ed incapace ad impedire completamente — e talune volte ad inceppare soltanto — il passaggio dell’aria nella laringe e nella trachea. Io ho trovato la spiegazione di questo fatto in apparenza sì singolare. La laringe, so- prattutto, la trachea e probabilmente la pelle che la ri- copre, sono atte a produrre, sotto J’ influenza d'una irri- tazione meccanica, l’inibizione del cuore, della respirazione, e delle stesse attività cerebrali. Può quindi insorgere d'un (1) Brown-Séquard. Sur divers effets d'irritation de la partie anterieure du cou, et en particulier, la perte de la sensibilité et la mort subite. (Comptes rendus des séances de Гас, des sciences. 4 Avril 1887). (458) [2] tratto, per l'effetto di una irritazione meccanica di queste parti una perdita completa della coscienza ed una sincope respiratoria più o meno completa. Esperienze assai nume- rose mi hanno dimostrato correre grandissima. analogia fra gli effetti di questa irritazione e quella della puntura del bulbo rachidiano. Infatti in tutti i due casi vi ha : I. Perdita della coscienza ; II. Diminuzione ed anco (abbastanza assai raramente peró) cessazione improvvisa od assai rapida del- l'azione del cuore; III. Diminuzione o perdita completa dei movimenti respiratorj; IV. Arresto degli scambj tra i tes- suti ed il sangue. Quando riuscii ad uccidere dei cani con un colpo sulla regione cervicale anteriore, ho tro- vato che quasi sempre, se non sempre, la morte avvenne senza convulsioni, senza agonia, in uno stato sincopale completo, che permetteva ai tessuti di conservare assai a lungo le loro proprietà speciali. Il sangue passa allora rosso dalle arterie nelle vene, ed offre così un contrasto assoluto tra ciò che si osserva nella asfissia franca, ove il sangue diviene rapidamente nero nelle arterie. » Più tardi lo stesso Autore in un'altra Memoria (!) su questo argomento definisce l'inzbzz?one « come un atto pel quale una proprietà od una attività, e secondariamente una funzione od una semplice azione, dispare completamente о parzialmente, improvvisamente o rapidamente, per sempre о temporariamente in uno о parecchi punti dell'organismo a distanza dal punto irritato del sistema nervoso; e grazie ad un'influenza speciale esercitata dalla irritazione trasmes- sa da questo punto alle diverse parti in cui tale disposi- zione si manifesta. » Enumera poscia i casi possibili di ini- bizione, riferendosi prevalentemente all’ analgesia. E più tardi ancora (?), ritornando su questo tema, ricorda che (1) Brown-Séquard. Champ d'action de l'inhibition (Arch. de Physiol. Jan. Avril, 1889). (2) Id. De quélques règles générales relatives à P inhibition (Arch. de Phys. Oct. 1889). —— i | | Í | ЕЕ [3] (159) una emozione una ferita od un’altra lesione nel sistema nervoso può indurre questa specie di morte. Arrestiamoci ora al solo fatto della morte indotta per inibizione all’attività cardiaca da irritazione meccanica ai tessuti molli della regione laringea, o di tutta la regione cervicale anteriore. Dell analgesia d’ indole inibitoria ci occuperemo più avanti. Ristretto così l’ambito delle nostre ricerche, ci si pre- senta questo primo problema fondamentale: può real mente prodursi la morte istantanea 0 quasi, nelle con- dizioni sperimentali studiate dal Brown-Séquard? — Egli naturalmente non ne dubita, tanto che dice d'esser riu- scito ad wccider dei cani mediante un colpo sulla regio- ne cervicale anteriore; е ne adduce il meccanismo fisio- logico. Nel campo puramente fisiologico quanto in quello fo- rense, dopo Brown-Séquard la presente questione non ven- ne agitata. Solo un valente cultore degli studj medico-foren- si, il dott. Loye, nella sua monografia sulla Morte per deca- pitazione (*), studiando i fenomeni d'arresto provocati dal- la sezione del midollo, accenna alla dottrina di Brown- Séquard, ai reperti da questi descritti, e soggiunge: « a dire il vero io non ho mai riscontrato nelle mie nume- rose esperienze sui cani decapitati, 1’ inibizione completa, quale fu constatata da Brown-Séquard in seguito alla pun- tura del midollo al collo, od in seguito all'irritazione mec- canica della laringe. » Per quanto non v'abbia strettissima analogia tra le esperienze di Brown-Séquard e quelle del Loye, argo- mentasi però che questi non accetta, se non subordinata- mente, la dottrina del primo, non avendone avuto la con- ferma sperimentale. Riducendosi quanto fu scritto su questa inibizione car- 1) P. Loye. La mort par décapitation. Paris. 1888, Pagin, y I I g mc (160) [4] diaca-respiratoria a questo cenno indiretto, l'argomento resta ancora sfiorato; ed è bene approfondirlo nelle sue applicazioni forensi specialmente. Anzitutto noi dobbiamo fare le nostre riserve circa l'asserzione di Brown-Séquard, che concerne la non com- pleta interruzione del passaggio dell'aria attraverso il ca- nale laringo-tracheale in coloro, che soccombettero in se- guito a sospensione incompleta. Argomenta da questo 1 in- signe Maestro che, mancando la condizione meccanica di una vera asfissia, debbasi cercare in altri processi la causa del- la morte; uno, ad esempio, la inibizione dell’attività car- diaco-respiratoria, o dei centri nervosi, provocata da lesioni o da irritazioni al collo. Come si vede, sotto forma più mo- derna e più razionale, esuma Brown-Séquard l'antica dottrina della paralisi nervosa (Nervenschlag) in taluni casi di morte per appiccamento, cui 51 riferivano con una certa compiacenza i medici legali di qualche tempo fa (!). Ma ci permettiamo osservare al nostro Autore che per de- terminare una asfissia letale non è necessario un'occlusione assoluta del canale laringo-tracheale, poichè anche una pro- tratta insufficienza d’aria finisce per determinare l'asfissia, come lo provano appunto quei casi (abbastanza frequenti del resto) di cadaveri d’appiccati, ricordati dal Brown-Séquard, in cui il laccio od il mezzo di strettura non ottura comple- tamente le vie respiratorie, e nei quali (si badi bene) sì può escludere con piena certezza ogni altro momento genetico di morte, che non sia la asfissia franca. Ed ancora sareb- be da soggiungere che anche nei casi di rilasciamento dei mezzi di compressione o di stringimento, che sì veggono talora nella pratica forense, vi ha sempre il dubbio che in causa dell’ indole della occlusione (laccio scorrevole, mani ecc. ecc.) о per effetto di maneggi fatti subire al cadavere (1) Per non citare che il più autorevole, ricordo Casper (Hand. der ger. Med. Leichen-diagnostik. Berlin. 1857, p. 492). | j| | Zt [5] (161) nei trasporti, nelle prime indagini, od anco per effetto di fenomeni cadaverici, sia avvenuto quel rilasciamento, che dovrebbe escludere l’asfissia, e far riconoscere invece una causa diversa, fra cui, per ipotesi, l’ inibizione dell'attività cardiaca. Questo per quanto concerne la pratica)forense. Ma rispetto alla causa della morte nell’ appiccamento, noi crediamo che le ricerche nostre sulla compressione del vago al collo (*), ormai accolte dai principali scrittori, dieno diritto ad escludere che, per effetto di compressione о d'altra lesione a questi nervi, possa prodursi quella morte istantanea, di cui parla Brown-Séquard. E fuori di dubbio che tale compressione con quella dei vasi al collo contri- buisce ad aggravare il processo dell’asfissia iniziato e man- tenuto dalla occlusione più о meno violenta e completa delle prime vie respiratorie; ma per sè sola, ripetiamo (al meno argomentando da quanto hanno fornito i dati spe- rimentali nostri e degli altri autori sugli animali superiori) ё insufficiente a determinare la morte immediata. Ai quali nostri studi aggiungiamo pur quelli critico- sperimentali di Groeningen (°), il quale appunto con argo- menti fisiologici e con fatti clinici dà la prova che lo shock non può derivarsi da offese al decimo. — E giu- stamente il Maschka soggiunge, che se in taluni casi di (1) Tamassia. Sull azione del pneumogastrico nella morte per appiccamento (Riv. sp. di Fren. e Med. legale, 4880. F. III, IV.) Le conclusioni di queste nostre ricerche vennero accolte, come ау- vertimmo, dai principali serittori. V. Hofmann, Lehrb. der. ger. Med. V. Aufl, p. 520. (1890). Pellier. Contribution à l'étude médico légale de la pendaison. Lyon. 4883, pag. 51 e segg.; Tourdes nel suo magistrale art. Pen- daison sul Dizionario di Déchambre. Ció malgrado, l'anno passato, al congresso di medicina-legale a Parigi, discutendosi quest’ argomento, nessuno si ricordò di questi Nostri studj! Ed allora a che serve lavorare ? (2) Groeningen. Ueber den Shock. Wiesbaden. 1885, p. 93. (162) [6] morte per appiccamento, la morte, conseguisse ad un'azio- ne riflessa del decimo sull'attività cardiaca, si dovrebbe avere un arresto immediato della sistole e della diastole cardiaca; fatto questo che non si osserva mai in questo genere di morte, ove anzi l'attività cardiaca presenta una resistenza postuma assai notevole (!). Ma non é il solo decimo, che si irradii dal collo al cuore ed agli organi vicini; altri nervi (simpatico, spi- nali) con le loro diramazioni affluiscono alla laringe ed alla regione ad essa circostante, e di là al cuore, ed ai polmoni. E poiché il Brown-Séquard parla di irritazione meccanica della laringe, della trachea e probabilmente della cute che le ricopre atta a provocare l inibizione dell'attività cardiaco-respiratoria, conviene vedere se ap- punto irritando in blocco tutti 1 nervi di questa regione, quindi non più il solo pneumogastrico, si induca quella (4) Maschka. Lehr. der. ger. Med. Tubingen, 1884 (I Vol, pag. 987). Qui è bene ricordare il caso riferito da Groeningen (op. cit.) di un ussaro colpito da un calcio di cavallo alla sinistra del collo. Ne ebbe paralisi delle corde vocali corrispondenti durata parecchi giorni, riduzione del battito cardiaco a 30. Non si tralta quindi di morte istantanea, anche dopo un trauma sì gagliardo, AN incontro il dott. Fr. Ewens (The Lancet Sept. 27, 1890 - Some of the most frequent causes of sudden death) ammette nell'uomo la possibilità della morte istantanea per irritazione del vago « come avviene negli esperimenti sui bruti »; ed allega in prova un caso di morte improvvisa per infiammazione del vago compresso tra una ghian- dola bronchiale caseosa ed un sacco marcioso; ed un altro caso in cui «la morte occorse improvvisamente per compressione del cen- tro cerebrale del vago da dilatazione improvvisa del quarto ventri- colo. » Questi sono davvero ben poveri documenti in favore della pre- sunta azione letale delle offese del decimo. ny [7] (163) morte istantanea, che egli scrive di aver provocata nei cani. L'essenziale è dunque non di trovare una spiegazione fisiologica, ma di riuscire a produrre il fatto elementare della morte. Nè crediamo che sia il caso qui di dare, nello studio di questo problema, grande importanza all’eventuale compressione, stiramento dei grossi vasi del collo, giacchè è noto che si possono legare contemporaneamente tutti i grossi vasi del collo in un cane, fatta eccezione delle ver- tebrali, producendo solo alcuni fenomeni di ottundimento, di prostrazione passeggiera, senza l'esito di morte istanta- nea (1). Non rimane quindi per risolvere la questione che l’e- sperimento sugli animali; ed a questa via ci attennemmo, sperimentando nei modi, che andremo esponendo. І irritazione meccanica, di cui parla Brown-Séquard alla laringe, alla trachea ed alla pelle può esser rappre- sentata : 1° Dal semplice fatto della incisura e soffregamento più o meno protratto ed aspro sui tessuti denudati ; 2." Da soffregamenti gagliardi, ma piü ancora da per- cosse sulla regione stessa ; 3° Da compressioni più o meno energiche in senso antero-posteriore o bilaterale della regione stessa suffi- cientemente scoperta. 4." Da compressioni, o da percosse inferte sulla laringe € sulla trachea isolate dagli altri tessuti circostanti. Evidentemente qui troviamo un'enorme esagerazione negli effetti traumatici di queste lesioni, rispetto a quelli della semplice irritazione meccanica; ma dal lato spe- rimentale tale esagerazione ne sembra opportuna, giac- ché l'eventuale risultato negativo o quasi, troncherà ogni dubbio sugli effetti di azioni immensamente più lievi. (1) Tamassia. Op. cit., pag. 42. ILS 22 (164) [8] Serie L Non crediamo sia il caso di riferire che nessun taglio sulla cute della regione cervicale anteriore in cani, co- nigli ed altri animali superiori può dar luogo a fenomeni d’ inibizione cardiaca o respiratoria. Lo stesso diciamo di soffregamenti, di irritazioni meccaniche lievi sulla regione denudata o sulla cute cruenta. BS 218 Li Forti confricazioni e percosse sulla regione cervicale anteriore. Sperienza I. — Coniglio del peso di grammi 700; lo si lega agli arti, e lo si lascia tranquillo. Fissato då respirazioni 42 Pulsazioni cardiache 160 Si pratica un taglio sulla linea mediana della regione cervicale anteriore dal joide fino ai primi anelli della tra- chea, e si evita ogni perdita di sangue. Si passa ripetuta- mente col polpastrello delle dita sulla regione denudata, scorrendo prevalentemente sui lati della regione laringea. Questo periodo irritatorio dura per quasi due minuti primi. Nessun fenomeno di reazione, tranne qualche movimen- to degli arti. Respirazioni 40-42 Pulsazioni 140-150. L'animale viene liberato e cucito; gira vivacemente, come se non avesse subito nessuna operazione. | | یی ды | | | | | | [9] (165) Sperienza II. III. — In due conigli. della medesima grossezza si praticano le stesse manualità del coniglio nu- mero 1; e si ottengono assolutamente gli stessi risultati. Si rinnova dopo un giorno la esperienza sul coniglio N. 1, togliendo la cucitura fatta, e si notano gli stessi ef- fetti; qualche reazione muscolare ed una depressione mo- mentanea del battito cardiaco. Ma dopo alcuni minuti gli animali sono vispi e mangiano. Sperienza IV. — Grosso coniglio albino, maschio, del peso di chil. 1,870. Legati gli arti, presenta : Respirazioni: (50.099. 60 Pulsazioni cardiache 180. Si scopre la regione cervicale anteriore con taglio ver- ticale della cute dal joide ai primi anelli della trachea: si tengono dagli assistenti divaricati i lembi della cute. Col manico d'un grosso bistori si percuote con una certa forza ripetutamente per 25 secondi la regione la- ringea. L'animale si scuote appena; ma offre, dopo alcune per- cosse : Respirazioni 70 Pulsazioni 120. | Ma dopo due minuti primi, respirazioni e pulsazioni cardiache ritornano al loro ritmo e numero precedente. Dopo altri tre minuti primi si percuote ancora come antecedentemente per altri 25-26 minuti secondi ; leggiera succussione degli arti : | Pulsazioni 127 Respirazioni 30-35. Abbandonato l’animale e cucito alla regione, corre per la stanza; ed il giorno dopo non si distingue dagli altri per movimento ed energia. (166) [10] Sperienza V. — Grosso coniglio del peso di chil. 1,790. Fissato come gli altri, da Respirazioni . . . 29 Pulsazioni cardiache 140. Scoperta metodicamente la regione cervicale anteriore, si percuote la regione laringea, le regioni ad essa circo- stanti, e la parte scoperta della trachea con colpi ripe- tuti e gagliardi d'un manico di grosso bistori, e per lo spazio di 20-21 secondi. L'animale si agita, e presenta dopo 7-8 minuti secondi Respirazioni 18-20 Pulsazioni 120-112. Liberato, corre per la stanza: viene asfissiato per strangolamento il giorno dopo. Sperienza VI. — 1l coniglio che servi alla esperienza N. 4. Dopo due giorni. Fissato, dà respirazioni 47 pulsazioni 175. Si scopre la regione cervicale anteriore ; e si percuote come nei casi precedenti per 25 secondi con colpi di ma- nico di bistori. L'animale non si agita; anzi mostrasi assai depresso. Alla metà dell’ esperienza offre : Respirazioni . . . . 9-10 Pulsazioni cardiache 40. Per due-tre minuti resta come in preda a collasso ge- nerale; ma liberato, irrompe e corre vivacissimo per la stanza. Il giorno dopo è vispo, come se nulla avesse sofferto. Spertenza VII. — Cane maschio del peso di chilogr. 3,900 gr. Fissato all'apparecchio, dà: Pulsazioni cardiache 91 Respirazioni . ‘0019 | li | | | | ( = [11] (167) Si scopre, come nei casi precedenti, la regione laringo- tracheale, senza alcun accidente. Si percuote con colpi ripetuti e vivaci la regione la- ringea e la parte scoperta della trachea per circa 35 se- condi. L'animale non dà segni di reazione : c'é piuttosto de- pressione generale. Alla metà dell'esperienza, ed alla fine si notano: Respirazioni 10-9 Pulsazioni 26-28. deboli, superficiali. Slegato, si rianima, e corre vivacemente. Dopo, dieci minuti lo si riprende, lo si fissa ancora, avendosi notate pulsazioni 78, respirazioni 19-20. Si percuote come precedentemente sulla regione la- ringea, e tracheale, nonchè sui punti circostanti; l'ani- male non dà segno di dolore o di reazione; mostrasi de- presso, con pupille ristrette e relativa anestesia agli arti, con collasso muscolare. Ma durante la esperienza e subito dopo, non si hanno grandi mutazioni nella frequenza del battito cardiaco e delle respirazioni (75-80; 12-14); si os- Serva peró che le pulsazioni cardiache sono assai superfi- ciali, differenti nella loro intensità, aritmiche, si che ad ogni 5-6 pulsazioni vi ha una pausa lunga. L'animale resta fissato; è ancora depresso. Dopo un quarto d'ora si ripercuote la regione, come precedente- mente per 40 secondi; si accentua maggiormente la de- pressione generale con pulsazioni 70 e respirazioni 10. Liberato, si rianima, si rialza, e cammina lestamente. Nessun fenomeno morboso successivo. Sperienza VIII. — Cane del peso di chil. 4,950. Viene fissato come il precedente. hespirazioni 20-21 Pulsazioni 87-89. (168) [12] Si scopre, come nel caso precedente, la regione cervi- cale, senza gran segno di sofferenza. Si percuote con manico di bistorila regione stessa per un minuto primo. ! Nei primissimi momenti qualche succussione muscolare agli arti, ed al collo; più tardi una certa apatia generale. A metà del minuto, ed alla fine si notano Respirazioni 10-9. Pulsazioni 27-30. Le pulsazioni cardiache sono superficiali, con leggiere pause intermedie. Pupille ristrette. Liberato, l’ animale corre lesto e non mostra alcun altro sconcerto. Sperienza IX. — La stessa esperienza venne ese- guita nelle stesse condizioni sul cane dell'esperienza VIII, il giorno dopo. I risultati furono perfettamente congeneri, tranne che si osservò una minore diminuzione nel battito cardiaco: da 81 iniziali, dopo un minuto primo all’ incirca di per- cosse, si discese a 60-58 leggiere e superficiali. Nessun altro fenomeno degno di nota. L'animale viene fatto perire dopo parecchi giorni per avvelenamento da cianuro potassico. Serie III Compressioni sulla laringe e sulla trachea parzialmente scoperte. Sperienza X. — Coniglio del peso di grammi 780. Fissato dà Respirazioni 47 Pulsazioni cardiache 150. Si scopre la laringe, evitando la rottura dei grossi vasi ed il maltrattamento dei decimi, ^ | | e — = e [13] (169) Quindi con una pinzetta si comprime la laringe — non completamente però — in corrispondenza della cartilagine tiroidea nel senso bilaterale; la compressione si protrae per mezzo minuto primo. L'animale dà in movimenti dispnoici, convellimenti agli arti ed al collo. Si hanno lievi mutazioni nella frequenza del battito cardiaco, che da 150 giunge a 160, e dei movimenti re- spiratorj, che da 42 scendono a 37. Abbandonata la laringe, l’animale si rianima, e abban- donato, si muove liberissimamente. Sperienza XI. — Coniglio grosso, maschio, del peso di gr. 860. Fissato, dà Respirazioni 60 Pulsazioni 130. Si scopre, come nel caso precedente, la laringe. Questa viene compressa con la pinzetta per quasi tutta la sua lunghezza, nel senso bilaterale, e mediante un certo grado di forza, e durante 50 secondi. L'animale reagisce con movimenti bruschi degli arti е del collo, e durante e subito dopo la compressione, offre Respirazioni 82 Pulsazioni 105. Liberato, corre per la stanza indifferente. Dopo cinque minuti lo si fissa ancora, e si comprime con forza la laringe, evitando peró la protratta chiusura; € queste ritmiche compressioni si continuano per quasi un minuto primo. L'animale fa qualche movimento negli arti; poi si de- prime, rilasciando i muscoli: le pulsazioni cardiache verso la fine delle compressioni si riducono a 32-30; le respi- razioni a 8-10. Abbandonato e liberato, si rianima immediatamente, e la mattina seguente è vispo come gli altri. | (170) [14] Sperienza XII. — Coniglio di 640 gr. Viene fissato; si scopre la trachea come nei casi pre- cedenti. Lasciatolo tranquillo, si notano 120 pulsazioni e 40 respirazioni. Si eseguono, con la pinzetta, per circa un minuto pri- mo, compressioni abbastanza forti, alternate da rilascia- mento alla laringe in senso bilaterale. L'animale si eccita; agita gli arti, e nell’ istante del- l'ultima compressione presenta 40 pulsazioni cardiache e 9-10 respirazioni. Lo si libera dalla compressione, e subito il cuore dà 90 pulsazioni, la respirazione 47 movimenti. Dopo altri tre minuti primi si notano pulsazioni car- diache 128, respirazioni 60. Liberato anco negli arti, l'animale corre, e non offre sintomi evidenti di malessere. Il giorno dopo non si distin- gue dagli altri. Sperienza XIII. — Cane del peso di chilogrammi 4.50. Fissato come il solito, dà Pulsazioni cardiache 83 Respirazioni . . .. 21. Si scopre e si isola la laringe ed un tratto di trachea senza alcun accidente : lievissima depressione cardiaco- respiratoria (80-17). Si comprime con la pinzetta a piccoli intervalli, ed a ` regioni diverse, il canale laringo-tracheale, in senso bila- terale ed antero-posteriore. Ciò per circa un minuto primo. L'animale si contorce ed agita gli arti. Dopo 10-12 compressioni offre Pulsazioni 41-43, Respirazioni 8-11. Alla fine delle compressioni, si osservano pulsazioni cardiache 40-45, respirazioni 8-10; irregolari le prime (con | | س ENS [15] (171) pausa intermedia) superficiali, ed addominali di preferenza le seconde. Dopo tre minuti primi dalla liberazione, si hanno Pulsazioni 60-65 Respirazioni 16-18. “animale abbandonato a sè, cammina vivacemente, e non dà segno di perturbazioni organiche. Dopo circa 25 minuti lo si fissa ancora, osservandosi Respirazioni 19 Pulsazioni 78-80. Gli si fanno compressioni con la pinzetta e con le dita alternate da lievi pause, e si procede così per circa un minuto primo. Leggieri fenomeni di reazione muscolare; depressione dell’ attività cardiaca fino a 40-44 pulsazioni, e della re- spiratoria fino ad 8-9. Lo si libera; e dopo 5-6 minuti primi, si cuce la fe- rita e l’animale cammina tranquillamente, offrendo ritmo cardiaco e respiratorio di poco differente dal normale. Il giorno dopo è vispo come se non avesse subito nes- sun trauma. Sperienza XIV. — Sullo stesso animale, scucita la ferita e dopo quattro giorni, viene ripetuta la esperienza N. 13, con gli stessi risultati. L'animale dopo ripetute compressioni a tempi diffe- renti, tranne le perturbazioni cardiaco-respiratorie già descritte ed un grado relativo di adinamia, nulla offerse, sì ché al giorno dopo era normalmente vivace. ` Wie 1 NV. Compressioni 0 percosse sulla laringe e trachea isolate dagli organi circostanti. Le modalità sperimentali in questa serie poco diffe- rirono dalle precedenti: solo erano completamente iso- TS vM 93 ls \ | (172) 16] late la laringe € la trachea. A quest’ поро, mediante ta- glio delle parti molli, si scoprivano la laringe e la tra- chea; quindi con le dita si isolavano completamente dai tessuti molli circostanti, e si sollevavano mediante un'ansa di filo passata dalla parte posteriore. Ciò fatto, si comprimevano con le dita o con le pin- zette tratto tratto la laringe o la trachea, o si percuo- tevano questi organi con colpi secchi del bistori. Sperienza XV. XVI. XVII. XVIII. XX. — Si speri- mentó in questa guisa su cinque conigli non ancora stati operati e due già operati nelle esperienze precedenti, ma riavutisi completamente. Si sperimentó pure su un piccolo cane del peso di Chilogr. 3,50. I risultati furono costante- mente corrispondenti a quelli già conseguiti, si che sarebbe inutile ripetizione il voler qui trascrivere i momenti d’ogni singolo esperimento. Si ebbe, ciob, talune volte i sintomi d’un’asfissia passaggiera, ma non letale, specialmente quan- do si comprimeva la laringe o la trachea, fatto del resto necessariamente attendibile; in tutti depressione notevole delle pulsazioni cardiache, da scendere ad un terzo all'in- circa delle iniziali; prostrazione di tutte le attività musco- lari negli ultimi istanti dell’ esperimento. Ma anche quando la compressione о la percussione su gli organi messi a nudo ed isolati venne a protrarsi anche al di là di 80 minuti primi, ed anche quando dopo alcune pause di 10-15 minuti primi, si ritornò alle compressioni ed alle percussioni, non si ebbe alcun caso di morte, come scrive d'aver osservato Brown-Séquard. Ed aggiungiamo in prova di questi corollarj la circo- stanza che qualche animale veniva sperimentato dopo es- serlo stato il giorno avanti, e che tutti dopo pochissimo tempo (mezz’ora al più) ritornavano con vivacità pressochè normale alle loro funzioni. | | — ceo [17] (173) A complemento di queste ricerche esaminammo le con- seguenze fisio-patologiche di condizioni traumatiche rap- presentanti un’ esagerazione ancora più spinta dei fatti studiati. Sperienza XXI. — Si fissa un grosso coniglio del peso di gr. 830. Ha Pulsazioni 189-90, Respirazioni 80-75. Si taglia sulla linea mediana anteriore del collo la cute, е si scoprono senza alcuna conseguenza i due pneumoga- strici al di sotto della laringe. Subito l’animale offre 200 pulsazioni cardiache e 16-18 respirazioni. Si comprime ritmicamente e con forza la laringe in senso bilaterale: ciò per circa 20-30 secondi. L'animale si scuote; mostra nel momento della com- pressione fenomeni dispnoici, durante la pausa si rimette. Durante la compressione, e subito dopo, si hanno pul- sazioni cardiache 180-190, respirazioni 8-10 profonde. Liberato dalle compressioni, si hanno 190-195 pulsa- zioni e 10-11 respirazioni. Dopo cinque minuti primi di riposo, si torna a fissare l’animale, sperimentando come in precedenza. Da pulsazioni 200 all’incirca iniziali e da respirazioni 10-11, si discende a 180-185, a 8-10 con leggiere suc- cussioni muscolari. Si abbandona l’animale, che corre vivacemente. Dopo altri dieci minuti primi si riprendono sullo stesso le esperienze nel modo or ora indicato; ed i risultati sono sempre eguali ai precedenti. Liberato, corre; ed al giorno dopo è d'aspetto normale. Se noi ora compendiamo i risultati delle ricerche isti- tuite, vediamo emergere positivo questo fatto che è comune a tutte; e cioè: per quanto gravi sieno state le manipola- (474) [18] zioni praticate alla regione laringo-tracheale, ed ai tes- suti molli circostanti, non si potè mai constatare alcun caso di morte nè immediata, nè successiva. Noi quindi (almeno argomentando da quanto vedemmo ed ottenemmo) non riusciamo a spiegarci quelle uccisioni di cani mediante irritazioni meccaniche alla regione ac- cennata, di cui parla Brown-Séquard, avvertendo ancora che i traumi inflitti ai nostri animali furono spinti ad una tale esagerazione di gravezza, da non potersi considerare come semplici fenomeni d'irritazione locale, e che venne- ro rinnovati a brevissima distanza di tempo su uno stesso animale. Il quesito fondamentale quindi propostoci, deve essere risolto in senso negativo; e questa soluzione è nuova con- ferma ai dati conseguiti da noi nella compressione bilate- rale dal decimo al collo. Onde in quei casi di morte seguiti alle irritazioni di Brown-Séquard converrà ricorrere ad altre cause più in- time e più gravi, come lesioni о commozioni agli organi centrali. Però se non insorge la morte istantanea, avvengono coi traumi provocati, fenomeni abbastanza gravi, i quali in parte appartengono agli effetti dell’ asfissia pura, in parte a quelli delle azioni nervose riflesse o dirette. E non curandoci dei fenomeni d’indole asfittica, che facilmente si interpretano e si misurano, una certa at- tenzione conviene rivolgere a quelli d’indole nervosa. Nella maggioranza grande dei casi si notò in seguito a percosse, a stiramenti, a compressioni, una grande perturbazione nella funzione cardiaco-respiratoria, che si può riassumere nella diminuzione del numero dei battiti cardiaci, nella loro irregolarità (aritmia, pause intercorrenti), e minore energia, e nella irregolarità e minor frequenza degli atti respiratori. \ [19] (175) Tali alterazioni si possono sufficientemente spiegare con le dottrine fisiologiche oggi accolte sull’ innervazione cardiaco-respiratoria, e prevalentemente con un'irritazione | funzionale del nervo decimo. Se è vero che questo agisce | come moderatore del cuore, in seguito alla sua stimolazio- ne meccanica, l’azione sua moderatrice si rende più potente | e dà luogo, come si vide negli animali sperimentati, ad una | correlativa diminuzione del battito cardiaco. E lo stesso intervento del decimo si accorda nei disturbi respiratorj | osservati, poichè la diminuzione, nella maggior parte dei | casi osservata, nei movimenti respiratorj, si può ascrivere, | | | | | —J—— —t—m tanto ad eccitazione meccanica assai forte di questo nervo al di sotto dell’ origine del laringeo inferiore, quanto ad eccitazione debole di esso al disopra dell’origine del larin- geo superiore. Evidentemente non essendosi fissata una sede nelle compressioni, nelle percussioni, e non essendo stata assunta un’unica misura di azione traumatica, nulla esclude ) che sieno occorsi indifferentemente questi due momenti d'eceitazione, consoni ai dati ben noti della fisiologia. — In | qualche caso (esp. Х.), anzichè diminuzione del battito car- | | Часо, si ebbe un aumento ; pur questo si può derivare tanto da irritazione al simpatico, quanto da grave offesa al deci- | mo, interrotto per effetto della compressione troppo pro- tratta nella sua azione moderatrice. Da tutte le esperienze argomentasi poi come il rallentamento e le perturbazioni del | battito cardiaco, e dei movimenti respiratorj siano più gravi e più pronte, allorquando, per precedente irritazione mec- Canica, sia esaurita o eccitata l’innervazione della regione cervicale anteriore. | Parimenti l’esperienza N. XXI (compressione a decimi | recisi) ci fa sospettare nella diminuzione del battito саг- | Фасо un effetto di una forte compressione sui tronchi del | Simpatico, quando non si voglia pensare alle conseguenze di una semi-asfissia. Ma in tutti i casi — e questo crediamo importantissi- Mo sia segnalato — non solo non si ebbe morte istanta- | i | (176) [20] nea, nó successiva; ma appena allontanata la causa ledente (compressioni, irritazioni, occlusioni ecc.), la circolazione е la respirazione riprendevano tosto il loro corso normale, anche quando queste irritazioni meccaniche violentissime perdurarono per un tempo assai lungo, e quando sì rinno- varono, sempre esageratissime, dopo brevi intervalli. Resta ora il fatto dell’ anestesia prodotta dal taglio alla cute della regione cervicale anteriore, su cui, come sulla morte per inibizione cardiaca, insiste 3rown-Séquard. È fuor di dubbio che le operazioni abbastanza violenti con- seguenti al taglio, alla rimozione, agli stiramenti dei tes- suti molli e del canale laringo-tracheale sono dagli animali tollerate con una certa apatia. Dapprincipio (il cane prin- cipalmente) al primo taglio della cute I’ animale si agita, reagisce cogli arti, con le grida; ma tutto questo è affare di breve momento, si che si possono compiere e ripetere i maneggi alla regione, senza fenomeni di reazione attestanti alto senso di dolore. Ma qui possiamo proprio pensare ad un'azione specifica, inibitoria della sensibilità? Non vi sono cause che, indipendentemente da queste, valgano a spiegare quel certo grado di resistenza? Intanto chi non è nuovo alle vivisezioni deve tener conto d'un fattore affatto estraneo ad un processo locale inibitorio, cioó della profonda depres- sione psichica, che invade gli animali destinati ai nostri laboratori. I più intelligenti discernono nettamente che il laboratorio sarà il teatro dei loro tormenti e della loro morte : la novità dell'ambiente, le tracce odorose lasciate dai loro simili, l’immobilità, cui si condannano negli appa- recchi, costituiscono altrettanti depressori della sensibilità generale. A questo primo e profondo elemento di anestesia generale, si aggiunga la semi-asfissia 0 1’ asfissia brevissi- ma, che colle nostre ricerche necessariamente si venne 4 produrre; e si dovrà quindi prendere in considerazione quel non tenue grado di abbassamento della sensibilità generale e specifica conseguente a questo stato patologico, sia pur | i lad | L2] (177) passaggiero. Ancora, per quanto si vogliano giudicare vio- lenti e bruschi i maneggi richiesti dalle esperienze, non si deve dimenticare che questi si conducono con tatto il più prudente, per non far dolorare inutilmente l’animale, nè ledere, al di là del previsto, gli organi indagati e quelli che ad essi sono congiunti ; prova di ciò si ha nel fatto che anche quando l’animale sembra assopito in questa inibi- zione analgesica, un violento strappo, una puntura profon- da vale a ravvivare uno scatto di reazione. D'altro canto, conviene riflettere che un certo grado di resistenza dolorifica, quale si può sospettare nelle lesioni al collo da noi studiate, si osserva pure quando si offendo- no, ed anche profondamente, altre regioni, come ad esem- pio, i tessuti molli del capo, le pareti ed i visceri addomi- nali. Dovremmo anche in questi casi far derivare l'inibi- zione sensoria da irritazione di qualche tronco o filamento nervoso ? Riassumendo, noi ci troviamo poco inclinati ad ascri- vere la relativa resistenza dolorifica ad un'azione specifice inibitoria derivante da offesa o da irritazione dei nervi della cute e dei tessuti molli della regione cervicale an- teriore. Ora entro quali limiti le deduzioni cavate dagli esperi- menti sui bruti, trovano applicazione all’ uomo? È questa una domanda assai importante dal punto di vista forense, poichè potrebbe occorrere che in seguito a lesioni al collo, si volesse meramente a questa azione inibitoria cardiaco-re- Spiratoria ascrivere la avvenuta morte; e quindi, negletta ogni indagine esatta sulle condizioni anteriori ed attuali nel cadavere, si chiamasse a rispondere d'omicidio chi e per l'intenzióne sua e per l'entità meccanica del trauma da lui inferto, era ben lontano d'attendersi tanto sever: imputazione. Noi non siamo autorizzati a riferire letteralmente al- l’ organismo, umano quei dati, che ci vengono offerti dal- (178) (22) l'organismo dei bruti; poiché nel caso attuale la reazione psichica più profonda e più complessa nell'uomo, gli effetti più intensi dei disturbi circolatorj nell'encefalo debbono imporre non poche riserve. Pure trattandosi di fatti di in- nervazione, in cui prevale la funzionalità meramente or- ganica, e quindi involontaria, un certo adattamento delle conseguenze sperimentali desunte dai bruti all’ uomo non ne pare irrazionale, tanto più che i dati della traumato- logia sull’uomo corrispondono con quelli provocati dalla sperimentazione. Intanto noi possiamo asserire che non ci è noto nessun caso, positivamente provato, di morte istantanea о quasi, in seguito a compressioni, a percosse al collo, quando non siasi aggiunta l’asfissia da occlusione delle vie respiratorie od altra lesione dei centri nervosi. I casi numerosi, raccolti nella letteratura medica e registrati nel citato nostro la- voro, provano che in seguito a questi maneggi possono in- sorgere fenomeni di irregolarità cardiaco-respiratoria, mai morte istantanea; provano ancora che queste alterazioni, più che alla sola lesione diretta del decimo al collo, come sostennero Czermak (1868), Concato (1870), Waller (1871), Thanhofer (1875), Lówit (1879), Ewens (1890), si debbono ad un insieme di momenti patologici determinati da un in- ciampo momentaneo della respirazione, da disordini circo- latorj all'encefalo per compressione dei vasi maggiori al collo, per offese dirette o riflesse ai ganglii e filamenti del simpatico della regione compressa o percossa, da lesioni più o meno profonde e dinamiche dei centri nervosi. — Di piü si dimostra dallo studio di alcuni casi clinici non conseguire morte istantanea 0 quasi, se per ferita o altro accidente congenere venga tagliato uno dei decimi, o ven- gano ambidue offesi isolatamente; insorgeranno fenomeni morbosi cardiaco-respiratorj più tardi; ma la morte, che puó conseguire à questi dopo qualche ora (al minimo) non forma il tema di questa discussione; e nessuno la nega. Ora, per quanto si suppongano gravi le offese inferte ————— — [23] (179) al collo dell' uomo, non si raggiungerà mai quel grado esageratissimo da noi spinto negli animali sperimentati; e quindi accordata una certa analogia nelle azioni nervose, SÌ può con un certo diritto inferire, che anche nell’ uomo, questa morte istantanea non conseguirà; e se venne in qualche caso di compressione, di violenza al collo, pur con- Statata, dessa si deve attribuire non già ad un'azione ini- bitoria tutta dinamica, ma assai probabilmente all’ asfissia rapidissima tanto da compressione delle vie respiratorie, quanto da penetrazione nell’ albero respiratorio di sangue od altro materiale estraneo, agli effetti sinistri di commo- zione dei centri, allo squilibrio circolatorio encefalico ; cir- costanze queste che l indagine minuta sul cadavere (spes- so non istituita) potrebbe mettere in luce. Ma se nell'uomo e nei bruti non si provoca la morte istantanea con le compressioni od irritazioni al collo, si determinerà però una serie di fenomeni assai gravi, da an- nebbiare la coscienza e togliere ogni mezzo di resistenza ; la depressione dell'attività circolatoria e respiratoria con- remain manifestantesi in seguito a questi maneggi ba- sta a darne spiegazione; e la casistica medico-forense ne va fornendo qualche saggio, che conferma clinicamente quanto si mette in luce nel laboratorio sui bruti. Recentemente Hofmann (! ) ad esempio, ricorda il caso di una donna im- provvisamente assalita dà un uomo al collo; cadde a terra sì che questi potè derubarla. Dopo alcuni momenti fu tro- vata priva di sensi. Riavutasi, ricordossi q’ ogni dettaglio occorsole prima d'esser afferrata pel collo; dopo non senti né ambascia né dolore. — Trattasi realmente qui di azione puramente nervosa, oppure non puó pensarsi agli effetti, se non dell'asfissia, almeno del disturbo idraulico encefalico indotto dalla compressione delle carotidi ? Il Prof. Hofmann, à ragione, non esclude anche questo momento fisio-patolo- (1) Vom Hofmann. Lehrbuch der gerichtl. Medicin. V. Aull. pag. 564. | Tiboo vi 2 = (180) [24] gico; il quale, congiunto ad un immancabile grado di asfis- sia, renderà ancora più sinistre le conseguenze delle offese alle diramazioni nervose della regione. Ne pare quindi d’esser in diritto di riassumere questo nostro lavoro nei seguenti corollarj: 1.° Negli animali superiori (conigli, cani) l'azione ini- bitoria sul cuore e sui polmoni ammessa da Drown-Séquard come conseguente ad irritazioni alla cute ed alla reazione cervicale anteriore, non provoca la morte istantanea, nó gravi fenomeni morbosi permanenti. 2.' I casi di morte, più che con questa inibizione, si possono spiegare con l’asfissia, con i disturbi circolatorj all’encefalo, con le lesioni e commozioni ai centri nervosi. 3.° Disturbi profondi funzionali transitorj, come depres- sione delle attività cardiache e respiratorie, possono oc- correre in seguito alle irritazioni alla regione anteriore del collo ed agli organi qui giacenti; ma pur questi de- vono la loro origine all’insieme di molte altre cause mor- bose, provocate dalla stessa compressione od irritazione. 4.° L’analgesia da inibizione per le stesse irritazioni deve intendersi in un senso assai subordinato; e può spie- garsi anche senza di questa. 5. Nell'uomo possono occorrere, in seguito a tali vio- lenze al collo, fatti di depressione psichica derivanti da improvvisa diminuzione delle attività cardiaco-circolatorie, e che per sé soli possono acquistare una certa importanza forense, senza peró esser sufficienti a dar origine a morte immediata. | | | LE RECENTI SCOPERTE CONCORDIESI URL Bo O Т BEROLINI Ho accennato nel mio discorso sui Numeri alle sco- perte fatte in Concordia nei primi mesi dell’ anno in un fondo del Co: Faustino Persico, ed ho riferito in esso le epigrafi fino allora venute in luce che avevano relazione coll’ argomento del quale т” ега dato l' onore di intratte- nervi. E la cortese attenzione prestata da Voi a quella lettura m’ affida che sarete per accogliere non meno be- nevolmente il ragguaglio di quant’ altro fu fino ad oggi dis- Sotterato colà. Nei riguardi d’arte ben poco vi ha di notevole. Le tombe sono tutte senza fregi e del lavoro più grossolano ; alcune hanno sulla faccia l’ epigrafe in rozzi caratteri, una a’ lati dell’ epigrafe porta due geni con face rovesciata. Un frammento scultorio però degno di essere ricordato è un agnello a mezzo rilievo rivolto a destra che piega la testa verso sinistra e guarda in alto ; sopra un altro pezzo della stessa pietra e lavoro, staccato da quello, ma che nella frattura combacia perfettamente con esso, si vede invece a sinistra la parte inferiore del muso di un altro agnello inclinato a terra ed a destra un piede umano il quale accenna ad una persona stante fra i due. Tali resti fanno pensare al buon pastore, secondo la rappresentanza datagli ne'primi secoli della chiesa e conservatasi fino ai Nostri giorni; ma la esattezza del disegno e la maestria | (182) [2] del taglio, potrebbero far sorgere qualche dubbio, mostran- dosi nell’insieme un arte ancora florida e non certo decaduta al grado in cui si presenta nell’ eta, alla quale rimontano le tombe cristiane del sepolcreto. Copiosa è invece la parte epigrafica. Anche qui però, quanto appartiene ai bei tempi dell’ impero e riguarda i personaggi illustri e benemeriti della colonia, si trova manomesso e gettato a fondamento delle tombe dei bassi tempi; onde dobbiamo all'atto vandalico dei posteri la conservazione dei documenti che ci narrano le glorie degli avi. Fra i resti dei primordi dell'era colonica, il più importante è il seguente frammento : P: COM QOL O HONORAT™ E COR NV LENE ADI TR XP EXPEDITION MVRALI · HAS TORIB · CAES: AM ARMENIAC + МЕ PRAEF * ALAE * I: Si AD: XX - HERED - P REM-PROC-AD-F PER-ITALIAM- P CLASSIS- PR: MIS PB OO TUN DIN А Sopra una lastra di marmo cinerognolo alto m. 1.14, largo 0,32, pro*ondo 0,29, scritta im caratteri bellissimi che vanno digradando dalla prima alla quinta riga, (mm. 55 a 30), conservando nelle successive la misura di que- eng | | | | [3] (183) Sta. Al di sopra dell’epigrafe uno spazio di oltre 40 cent. solcato dallo scalpello grossolanamente [a palese che a bello studio venne distrutto un qualche fregio per spiana- ге la superficie e renderla atta a sostenere l’ arca oriz- zontalmente. Questo frammento è un altro titolo onorario di P. Co- minio Clemente della cui carriera militare ed amministra- tiva ci aveva dato notizia l'epigrafe trovata pure nel se- polereto sotto d'un'arca, pubblicata da me nel Bullettino dell Instituto di corrispondenza archeologica e successi- vamente nell’ Archivio Veneto del 1874 e riportata nelle additamenta al V vol. del CIL. sotto il n.° 8659. Quindi se non in tutto si puó con essa completare in buona parte la presente di tal guisa: В. СОМЕ ^P 0E CL.: CLEMENTI иШ ООА E COH-V:LINGOX-:T: ADIVTLB:SP'E«DON EXPEDITIONS MVRALI*HASTA- ЧИ. TORIB:CAES- ANTONINO. ARMENIAC: MEDIJ- PARTHIO PRAEF:ALAE поп so as- segnare un significato. Poi il de M(umero) Prim(a)e Marti(a)e non avrebbe per se che il duplice supposto, che qui la voce Numerus fosse usata nel senso generico di truppa qualunque e che il Primae Martiae, venisse in luogo di Martenses. La più accetta in fatti fra le opinioni è che i Martenses sieno la trasformazione d'una legione Martia avvenuta pel nuovi ordinamenti dati alle milizie da Co- ————————— t | I | | | | | [17] (197) stantino e Diocleziano. È un fatto poi che i Martensi figu- rano nella Notitia Dignitatum etc. in partibus occidentis fra le legioni comitatensi descritte nel c. V, le quali nel €. VII vengono sotto il nome di numeri (qui numeri ew praedictis ete.) e sono stanziate nelle Gallie. Se così fosse, com’ io suppongo, sarebbe autorevolmente provata la derivazione dei Martensi da una legione Mar- tia e giustificato il nome numerus applicatole qui. Ma per accettare l'ipotesi bisognerebbe ritenere che al tempo in cui veniva scritta questa lapide si fosse ancora alle ori- gini della trasformazione - (e ciò si presenta assai vero- simile pella forma dei caratteri che arieggiano marcata- mente a quelli dell’ età Costantiniana)- e quindi corresse tuttavia nel volgo la denominazione primitiva, anzichè la ufficiale nuova: ovvero che l'autore dell’ iscrizione, cono- Scendo l'origine dei Martensi, abbia voluto indicarli con una circonlocuzione, che, nel suo concetto, li nobilitava. Devo peró avvertire che non mi é nota altra legione Martia oltre la XIII Gemina. (!) Poco sicuri sono del pari i supplementi dati al verso terzo. Le tre prime lettere hanno l' aspetto d’un F e due I, 9 due L, ed adottai i due L essendomi parso che si inten- desse significare con essi avere ciascuno dei due nomi se- guenti il prenome di Flavio e cioè che i personaggi, i quali avevano sostenuto le spese della tomba si chiamavano Fla- vio Vitale e Flavio Massimiano, e non è raro trovar nelle lapidi esempi di simil fatta. Resta poi il Q frapposto col- ГЕТ ai due nomi, che il convicani fecerunt non mi per- mise d'interpretare рег qui et, come incontrasi frequente in titoli d' altra epoca, per indicare i due nomi sotto i quali passava la stessa persona; onde l'ho lasciato senza sup- plemento non sapendo trovarne uno di soddisfacente. Arduo in fine è il comprendere cosa venga a dirci l'AR- MAT con cui si chiude questa riga. Ho completato arma- (1) Orelli - Henzen, n. 5480 ed altri, Wilm. n.° 1179 ed altri. (198) [181 turarum) perchè nella succitata Notitia al c. XXXVIII trovo un cuneus armaturarum nelle Bretagne e nella lapide seguente abbiamo il numerus armaturarum. (^) Nella quinta linea poi un altro enigma ci affaccia l'AV- VITERARE, che non osai riformare perché avrei dovuto cangiar troppe lettere per dargli un significato accettevole. Le due prime peró sono separate dalle altre e potrebbero voler dire AV(tem), di cui si ha l'esempio in iscrizione che riporto più sotto; ma il VITERARE rimane pur sem- pre un incognita da attribuirsi al lapicida, il quale avendo sott occhio il manoscritto, probabilmente dalla voce V10- LARE mal tracciata ne ha ricavato questo aborto. Alla tutela del sepolero è messa qui la pena del capo unita alla pecuniaria, auri libras octo iuwta et poena ca- pitis. Ma pare più verosimile che nell’intendimento del- l’autore fosse comminata la multa, 0, dove il reo non vo- lesse o non potesse soddisfarla, la pena del capo. In tal caso la nostra lapide offrirebbe un esempio del guidrigildo prima che le leggi longobardiche lo portassero fra noi. Alla metà circa dell’agosto si sospesero un’altra volta gli scavi e ripresi nell’ottobre ci fornirono queste tre epi- grafi : 13 FL CASCINIVO DVCENARIO EX NVMERO ARMATVRA RVM VIXITANNIS XLIII ET MILITAVITAN XXIII ARCAM DE PROPRIOSVO VBI POSITVS EST COLLEGAS SVI CONPARAVERVNTSI QVIS EAM APERIREVOLVERIT DABIT INFISCOAVRI PONDO SEX (1) La Not. occ. сі dà anche una schola armaturarum senio- rum nel c. VIII sotto il Maestro degli offici, e quella Orientis una —— [19] (199) In questa iscrizione tutto è chiaro e nient' altro vi ha di notevole che il numero armaturarum, il quale riesce nuovo affatto ; ed appunto per questo sono indotto a ri- tenerlo identico col cuneus armaturarum accennato nel commento della lapide precedente. Ciò ammesso sarebbe provato una volta di più che anche a questi tempi la voce numerus veniva usata oltrecchè nel senso specifico, anche nel generico primitivo di corpo di milizia qualunque. Il COLLEGAS della sesta linea, nel mentre viene a mo- Strarci come fosse poco pratico della lingua e poco curante della grammatica l'autore dell’iscrizione, ci prova pure che altri militi della stessa truppa, la quale, come abbiamo avvertito, teneva le sue stanze nelle Bretagne, si trovas- Sero qui in compagnia del ducenario, od almeno come con- temporaneamente a lui vi fossero qui ducenari d' altri numeri, 14 1LUKVS : PATRI- Ету MEMORIAM · POSINSI ° ||| OLLLE^ || S RE SIQVISAVTEHANC · SEPVLTVRAMMOVE TEMPTAVERIT : INFEREDEB |, NFISCO * A ҮКІ: LIB: VI‘ FL: IOVINIANVS BEA |||, CVS DRACONARIVS: EXNVMERO OCTAVA * DALMATAS * MILITAVIT · ANNOS XXVIXIT · ANOS : XL: POSVIT - MEMORIA IOVINVS : PROT‘ PARENS - SYVS In buoni caratteri coi punti in parte a foglia d’ edera In parte rotondi. I due primi versi non si possono di leg- Schola armaturarum Juniorum, pure sotto il Maestro degli offici ; 3 Ma non avendosi qui l'indicazione seniorum o juniorum non mi Parvé trattarsi di tal genere d’ impiegati. (200) [20] gieri completare, specialmente il secondo in cui ricorrono insolite abbreviature. Non pertanto il significato dovrebbe essere ad un bel circa il seguente: Florus patri ei]us, nome del padre] memoriam pos(uit) insimul] colle[gi]s. Il resto è chiaro: si quis aute(m) hanc sepulturam mo- vere (il re sta sopra in coda alla riga seconda e staccato dalla lettera finale della parola precedente) temptaverit infere del|et ijn fisco auri libras sex. Flavius Jovinianus Беа” jeus Draconarius ею numero Octava Dalmatas, mi- litavit annos XX vixit an(n)os XL; posuit memoria(m) Jovinus prot(ector) parens. SUMS. Il testo non ha bisogno di molta chiosa. Si presenta un po’ strano il Bearcus Draconarius. Quanto al beareus per biarcus ne abbiamo altro esempio nel sepolcreto (!) e combinato col draconarius dovrebbe fornirci un’ idea del suo ufficio nel numero. Nel passo di S. Girolamo, riportato altravolta (*) il biarco, nella gradazione discendente, viene dopo il centenario, ed il porta insegna, draconarius, non vi é menzionato. All'incontro nel catalogo dei gradi mi- litari inferiori al centurionato, compilato dal Caver (°), il porta insegna figura tosto dopo il centurione, e il draco- nario è il signifero della coorte (4). Però non è compreso nel novero il biarco, e quindi resta tuttavia incerto se esso fosse un grado superiore od inferiore al draconario. Ove nelle epigrafi dell’ epoca delle nostre tombe potessero ritenersi osservate le regole dei bei tempi dell’impero nell’ enumerazione delle cariche, ci (0) СЭС VIS TT (2) V. i Numeri negli Atti di quest Istituto, Tomo XXXVIII, Г. 112076 ве; (3) De muneribus militaribus centurionatu inferioribus. ~ Kph. Epigr. 4 p. 355 e seg. (4) Dracones etiam per singulas cohortes a draconaris feruntur ad proelium (veg. 2, 13). Signiferi qui signa portant, quos nunc draconarios vocant. d." 2. 7.) [21] (201) sarebbe dato d’ argomentare con sicurezza sull’ ordine ge- rarchico di esse dal precedere о succedere dell' uno all'altro dei gradi; ma siamo ben lunge da quella regolarità del Cursus honorum e di conseguenza nulla possiamo dedurre dal venir qui prima il biarco poi il draconario. Questo però parmi indubbio che il biarco avesse in questo corpo lin- carico di draconario, appunto perché secondo S. Girolamo ll suo grado è l' inmediatamente sottoposto al centenario, e nel catalogo del Caver il porta insegna tiene lo stesso posto; vuol dirsi quindi che il nostro biarco fosse distinto dagli altri del corpo come signifero. Il Joviniano aveva quelle cariche, secondo l’ epigrafe, nel numero octava Dalmatas. La denominazione officiale di questa truppa è equitum octavo Dalmatas e viene no- verata fra le vexzllationes comitatenses nel capo VI della Not. occ. Ma giusta il capo successivo che, come sopra abbiamo avvertito, ci indica le stanze dei numeri, vale a dire delle varie milizie nominate nei due capi precedenti, essa aveva pure il titolo di numerus, il quale era una ne- cessifà per la precisione del linguaggio, mentre il generico appellativo di equitum non indicava punto la forma orga- nica del corpo. Il Jovinus parens suus si dice PROT, che non esitai à completare protector avendone un altro nel sepolcreto, FI. Pandicilus protector ex numero armigerorum, un pro- tettore di cui si ignora I ufficio, perchè non si sa com- prendere come e per qual effetto un individuo, faciente parte dell’illustre schiera dei protettori di corte, potesse trovar luogo nei numeri (1). A questi Joviniano e Jovino, dei quali non ci è spiegato dall’ epigrafe l'intervento, non so assegnare altra parte che quella di colleghi del tumulato, dei quali fa menzione il frammento della seconda riga - |||OLLLE]|[S, - che po- trebbe esser stato scritto nell’ esemplare passato allo scal- (йу бї Шү pars posterior р. 1059 e n. 8747. re = 202) [22] pellino CONLEGIS e da lui per ignoranza riformato così. Oppure, non avendo relazione la prima parte dell’ epigrafe, che si chiude col LIB · VI, colla seconda, potrebbe supporsi che in questa tomba avesse prima Floro deposto la salma del padre, poi Jovino quella di Joviniano suo figlio: ma all’ ipotesi farebbe ostacolo la omogeneità dei caratteri, non ammissibile col supposto di due tumulazioni in tempo diverso. 15 Е " pe i i cui le frazioni sono dell'anzidetta specie ———- (n < 50), 2n 4 1 i sli sì osserva che, 7 essendo compreso fra i limiti ей, Tad sarà sempre uguale all’ unità; vale a dire la prima delle frazioni fondamentali sarà — m Questa nostra rapidissima rassegna ci obbliga a passare bruscamente da un argomento all'altro; ma nessuno vo- © gliamo lasciare del tutto senza menzione, poichè tutte le note appartenenti a questo volume presentano, per titoli varii, uno speciale interesse per la storia scientifica. E interessantissimo è il nuovo contributo recato dal Giinther alla storia dello strumento noto sotto il nome di « Baculus Astronomicus » 0 « Radius Astronomicus » e nel quale l' egregio autore si pone i due seguenti quesiti: [9] (213) I. Chi inventò per il primo questo strumento, o per il primo ne fece l'applicazione alle osservazioni astrono- miche ? II. Fu questo strumento effettivamente introdotto ne- gli usi della navigazione da Martino Behaim ? Noi non possiamo seguire il nostro ottimo amico in tutta la sua argomentazione, la quale, corredata e sussi- diata da rigorose dimostrazioni, lo conduce a conchiudere essere stato realmente il Behaim, che ammaestrò i marinai portoghesi nel maneggio di questo strumento, il quale prima di lui era stato noto al Regiomontano, che alla sua volta aveva attinto il suo sapere in tal materia da Levi ben Gerson, ebreo Spagnuolo, o di Avignone, del secolo deci- moquarto. Né di più aggiungeremo, perché forse tornere- mo noi stessi su questo argomento, né possiamo farlo qui, ché non ci concederebbo la presente occasione di entrare, come si dovrebbe, in tutti i particolari necessarii. Il Levi ben Gerson fu fatto conoscere dallo Stein- Schneider, del quale sono tre preziose Note contenute in questo medesimo volume. Una di esse concerne una tradu- Zione latina della « Saphea » di Zarkali, opera di Giaco- Mo Laterano e contenuta in un codice della I. R. Biblio- teca Palatina di Vienna; la seconda contiene notizie in- torno ai manoscritti matematici della raccolta istituita alla fine del secolo decimoquarto da Amplonius de Berka, pre- Sentemente in Erfurt, e della quale il catalogo compilato da Guglielmo Schum, fu pubblicato nel 1887 a spese del ministero prussiano dell’ istruzione; la terza finalmente contenente due noterelle matematiche, la prima delle quali concerne quel Levi ben Gerson, di cui abbiamo testé tenuto parola, a proposito del quale, chiamato anche Leo de Balneolis, aggiunge lo Steinschneider nuovi particolari. Noi avremo esaurita la enumerazione delle note ori- Smali, quando avremo registrata una nota dell'editore ris- Suardante la somma dei valori inversi dei numeri quadrati, (214) [10] e nella quale, contro l'asserzione del Reiff, rivendica ad Eulero la scoperta e la dimostrazione della formula: WV 1 ) т? = 6 Bel complemento a questi lavori forniscono alcune re- censioni concernenti lavori di storia delle matematiche, e, come al solito, le accuratissime indicazioni somministrate dall’ Enestróm stesso intorno alle pubblicazioni relative a questa medesima disciplina. Oltre a quelle edite nel cor- so dell’anno, ne abbiamo avvertite anche altre con- cernenti gli anni precedenti, e che non erano state re- gistrate al loro luogo. Il volume si chiude con un indice dei nomi, il quale agevola in singolar modo le ricerche, e senza il quale ormai nessun libro di storia in generale, e di storia scientifica in particolare, dovrebbe esser pub- blicato. Padova, 4 Gennaio 1891. SOPRA ALGUNI COMPOSTI TIAZOLICI Di D SPLOAUS QUGARRATA. Nel 1888 (‘) Traumann facendo alcune esperienze nel campo delle ricerche di Hantzsch, per condensazione di tiouree e derivati alogenici di aldeidi o di chetoni ottenne tiazilammine sostituite della formola generale: BL O irta Ө RC l O-NHR' AA | | (Ш) / NR (1) Berichte d. deut. chem. Gesellsch., t. XXII. Refer., p. 19; Annalen 4. Ch., t. 249, 31. (216) [2] dimostrò che questi ultimi composti avuti partendo dalle tiouree bisostituite simmetriche sono identici ai prodotti che Hantzsch e Weber (') avevano ottenuto per l’azione dei ioduri alcolici sopra i composti della formola : | (Ш) e fece rilevare соте la primitiva formola di Hantzsch е Weber per i derivati dialchilici : (IV) doveva essere sostituita dalla (ll). Il Traumann dice giustamente che i composti della formola (IV) dovrebbero potersi produrre con facilità dalle tiouree bisostituite asimmetriche, che secondo lui, non sono ancora conosciute e che da lui non poterono essere ottenute con varii tentativi fatti come sarebbe per esempio quello dell’azione della xantogenammide sulla di- metilammina, sostanze le quali invece di dare alcole e di- metiltiourea asimmetrica forniscono mercaptane e dime- tilurea asimmetrica. Inoltre non fu possibile al Traumann di avere le tia- (1) Berichte d. deut. chem. Gesellsch., t. XX, 3118. [3] (217) zilammine della formola (IV) per l’azione delle ammine Secondarie sopra il solfocianato d’acetone. Avendo il prof. Paternò con uno di noi preparato sin dal 1875 (!) uree e tiouree dibenziliche asimmetriche se- guendo il classico processo di Wöhler, processo che fu in Seguito applicato da Franchimont (?) e da altri alla pre- parazione di altre analoghe uree e tiouree, e da uno di noi (* anco alla preparazione delle prime seleniouree co- Nosciute, ci parve non fuori di proposito occuparci dell'a- zione delle tiouree e delle seleniouree disostituite asim- Metriche sopra gli alogenochetoni dando con ciò corso al cenno preliminare che sul riguardo P. Spica fece nel- l adunanza del 17 marzo 1889 (* tenuta dal R. Istituto Veneto. Pertanto seguendo il processo menzionato preparammo le tiouree asimmetriche dibenziliche, metilfenilica, dimeti- lica, dietilica, diisoamilica e la diisoamilseleniourea asim- metrica allo scopo di farle agire successivamente col mo- Docloracetone e col bromuro di fenacile. Daremo sommariamente prima i caratteri delle tiouree che finora non erano state descritte e della diisoamilsele- niourea asimmetrica e passeremo poi alla descrizione delle *sSperienze fatte con gli alogenochetoni. CINA: Dimetiltiourea asimmetrica CS < 2 etiltiourea c ) N(CH,), E una sostanza bianca, cristallizzata in prismi duri, deliquescenti, fusibili a 81-82°, solubili molto nell’acqua e , nell’alcole assoluto. (1) Gazzetta chimica, vol. V, pag. 388. (2) Berl. Berichte, vol. XVI, 9074. (3) Gazzetta chimica, vol. VII, pag. 90. (4) Atti del R. Istituto Veneto, vol. VII, Ser. VI, pag. 460. (218) [4] NH, Dietiltiourea asimmetrica CS = E " TuS T NOV E una sostanza bianca, deliquescente, che cristallizza difficilmente anco nel vuoto secco, solubile in acqua ed in aleole assoluto fusibile a 169-170*. " "i Л ] NH, Diisoamiltiourea asimmetrica CS i i N(( 4H, i) È una sostanza bianca cristallizzata in scaglie incolo- re, trasparenti, discretamente solubili in acqua, facilmen- te in alcole assoluto, fusibili a 208-209" ('). Questa sostanza quando è ammassata ha l'aspetto come di can- fora, e gettata in briccioli sull’acqua tiepida resta alla su perficie acquistando movimento rotatorio come fa la can- fora. Motil foil Oo PT OT Q NH, Metilfeniltiourea asimmetrica CS N(CH,Y(0,H;) ` E stata descritta da W. Gebhardt (°) e con essa è stata trovata identica quella da noi preparata. Cristallizza in prismi incolori, fusibili a 107-108". (1) Il prodotto della reazione tra rodanato potassico e cloridrato di diisoamilammina quale si ottiene dopo breve riscaldamento delle soluzioni dei reagenti, evaporazione a secco a bagno-maria, spos- samento con alcole assoluto e cristallizzazione da questo solvente, fonde solo a 78-80°, ma dopo ebollizione prolungata delle solu- zioni il punto di fusione si eleva fino a 208-209°, (2) Berl. Berichte, t. XVII, pag. 2094. Il Gebhardt dà, come da lui studiata per la prima volta, la reazione tra rodanato potassico e cloridrati di ammine secondarie e non fa menzione ch'essa servi a Paternò e Spica per la preparazione della dibenziltionrea asim- metrica già nove anni prima, nel 1875. | | [5] (219) NH, Dibenziltiourea asimmetrica OS xè i КӨ =). Fu trovata identica a quella di Paternò e Spica (!) in cristalli incolori fusibili a 156°. Diisoamilseleniourea asimmetrica CSe ‚МН, 4 N(( Ha) Fu preparata dal selenocianato potassico con cloridrato di diisoamilammina. Si presenta in iscaglie incolori, fusi- biii con decomposizione a 171-172°. Alla luce o per de- bole riscaldamento diventa prima rossastra e poi grigia- Stra. Questa sostanza contiene acqua di cristallizzazione e пе trattiene ancora circa due molecole dopo essicamento Sull’acido solforico e nel vuoto. Infatti all'analisi si ebbe: I. Gr. 0.809 di selenocomposto, dopo essicazione sul- l’acido solforico nel vuoto, fornirono gr. 0.210 di selenio. Il. Gr. 1.1605 di selenocomposto, dopo disseccamento in corrente d'aria secca а 100°, fornirono gr. 0.944 di selenio. Cioè in 100 parti: trovato Calcolato per CSe. NHg. МС, Н), + 2H40 | Se 25.95 26.42 Galcolato per CSeNH,. МС; Н) Il Se 29.65 (nella sost. secca) 30.04 In queste analisi si segui il metodo di determinazione del selenio dato da P. Spica a proposito delle dibenzilse- leniouree. (1) Gazzetta chimica, vol. V, pag. 388. 1, IIl, S. VII 99 Azione della dimetiltiourea asimmetrica sul cloracetone. Pesi equimolecolari di dimetiltiourea e cloracetone ven- nero riscaldati a b. m. fino a che non si aveva più l'o- dore irritante del cloracetone. Indi si riprese con acqua, si rese alcalino il liquido con idrato sodico e si estrasse con etere. L'estratto etereo venne distillato a bagno-maria con che passò in soluzione eterea una sostanza basica non contenente solfo, che salificata con acido cloridrico e tra- sformata in cloroplatinato diede all’ analisi i seguenti ri- sultati : Gr. 0.4785 di cloroplatinato fornirono platino. ООУ " Cioè per cento: trovato Calcolato per ГССН,), МН, HCI],PLtCl, Ета" Рі 38.87 Questo risultato insieme ai caratteri che mostrava il cloridrato della base ci convinse che si trattava di sali di dimetilammina. Il residuo dell’ estratto etereo contenente ancora un ро’ d'etere e di reazione alcalina fu anch'esso trasformato in cloridrato e in cloroplatinato, e questo fu purificato per eristallizzazione frazionata da un po’ di sostanza resinosa che lo inquinava. Dopo tale purificazione il cloroplatinato fu riscontrato esente di solfo. All'analisi si ebbe dalla porzione più ab- bondante un percento di platino che sta tra quelli richie- sti dai cloroplatinati di dimetilammina (38.87) e di am- monio (43.7). Infatti: Gr. 0.346 di cloroplatinato fornirono gr. 0.1385 di platino. [7] (221) Cioè in 100 parti : Pt trovato 40.02. Il liquido alcalino per soda ch’era stato spossato con etere venne acidificato con acido cloridrico e se ne ot- tenne un precipitato giallastro, solubile parzialmente nel- l'aleole e nel cloroformio, difficilmente solubile in etere, quasi insolubile in etere di petrolio, mediocremente o par- Zialmente solubile in acqua. Questa sostanza che pel com- portamento con gli alcali somigliava ai fenoli, che con- teneva solfo, senza contenere cloro, che per riscaldamento fondeva parzialmente verso 90° e a temperatura superiore a 100° si decomponeva era con probabilità dell'a-metilossi- tiazol impuro. — La quantità di cui potemmo disporre non era sufficiente per sottoporlo a purificazione più spinta di quella che mettemmo in pratica, e le analisi fatte col prodotto di aspetto non molto attraente fornirono numeri non molto concordanti. Azione della dimetiltiourea asimmetrica sul bromacetofenone. Porzioni equimolecolari delle dette due sostanze ven- nero disciolte in alcole assoluto e la soluzione fu portata а secco a b. m., il residuo venne ripreso con alcole as- Soluto e fatto cristallizzare frazionatamente. Le frazioni avute purificate per ricristallizzazione dall’ acqua alcolica Si presentarono tutte con lo stesso aspetto in aghi lunghi, Splendenti, solubili in alcole, pochissimo in acqua e fu- Sibili a 71-79, Le ultimissime acque madri delle varie cri- Stallizzazioni dettero per evaporazione a secco a b. m. un residuo cristallino deliquescente che in principio era co- Orato in verde-azzurrognolo, ma che poi si ebbe incoloro Per replicati trattamenti con carbone animale. La sostanza fusibile a 71-72°, conteneva azoto e solfo 3 . B " Ө non conteneva alogeni. La sostanza deliquescente rima- | | p | (222) [8] sta nelle acque madri conteneva azoto e bromo e non conteneva solfo. All’analisi i cristalli fusibili a 71-72° dettero i seguenti risultati : I. Gr. 0.2815 di sostanza fornirono gr. 0.6271 di ani- dride carbonica e gr. 0.106 di acqua. II. Gr. 0.2630 di sostanza fornirono gr. 0.587 di ani- dride carbonica e gr. 0.101 di acqua. Cioè in 100 parti: I П Carbonio 60.75 60.83 Idrogeno 4.18 4.20. Questa composizione centesimale e i caratteri sopra- indicati corrispondono con quanto si dovrebbe avere se si trattasse di rodanfenacetone che fonde a 72° e che ri- chiede per 100 parti: Carbonio 61.01 Idrogeno 3.95. I caratteri della sostanza deliquescente corrispondono a quelli del bromidrato di dimetilammina. Azione della diisoamiltiourea asimmetrica sul bromacetofenone. Porzioni equimolecolari di diisoamiltiourea e bromace- tofenone vennero fatte agire nel modo indicato prece- dentemente a proposito della dimetiltiourea. Si fece anco qui replicate volte la cristallizzazione frazionata del pro- dotto e si giunse ad avere nelle prime quattro porzioni fusibili a 71-72° che pel una sostanza cristallizzata in aghi, comportamento e pei numeri forniti in una determina- zione di carbonio e di idrogeno si mostró identica a quella fusibile а 72° avuta nella reazione tra dimetiltiourea e | | | | | | | | | | | | | | БЕ [9] (223) bromacetofenone e nelle ultime porzioni una sostanza bianca cristallina che aveva tutti i caratteri del bromi- drato di diisoamilammina. Azione della dibenziltiourea asimmetrica con cloracetone. Porzioni equimolecolari delle due sostanze vennero trattate come per la dimetiltionrea a b. m. in soluzione alcolica. Per cristallizzazioni frazionate si ottenero tre porzioni di una sostanza cristallizzata in scagliette splen- denti inquinate da una sostanza bruno-oleosa che venne eliminata per ripetute soluzioni in alcole ed altrettante riprecipitazioni con etere di petrolio. Tutte queste porzioni e per l'aspetto, e per il punto di fusione (254°) e per i risultati forniti dalle analisi dei cloroplatinati corrispon- denti si dimostrarono come costituite da cloridrato di di- benzilammina. — Dalle soluzioni aleoliche od alcolo-pe- troliche madri si ricavò una sostanza resinosa bruna che fondeva sott? acqua, e dalla quale, applicando il processo Seguito da Hantzsch e Weber (t!) per la purificazione del Fodanacetone, si giunse ad avere un residuo giallognolo, mediocremente solubile in acqua, difficilmente solubile in etere, insolubile negli acidi, solubile negli alcali caustici ed insolubile nel carbonato ammonico, fusibile attorno a 96°. — Non potemmo analizzare questo prodotto per di- fetto di materiale, ma noi tendiamo a credere che tratta- vasi di metilossitiazol. Analoghi risultati avemmo trattando la dibenziltiourea col cloracetone a b. m. senza solvente, spossando con acqua, alealinizzando con soda ed estraendo con etere nel modo menzionato sopra pel trattamento del prodotto d'a- zione di dimetiltiourea e cloracetone. — Con questo stesso (1) Berl. Berichte, t. XX, 3497. (224) [10] processo dalla difeniltiourea simmetrica e cloracetone ot- tenemmo la base fusibile a 138° che ottenne e descrisse il Traumann. Azione della dibenziltiourea con bromacetofenone. La soluzione alcolica di queste sostanze fu svaporata a secco a bagno-maria e il residuo fatto cristallizzare fra- zionatamente dall’alcole assoluto forni nove porzioni delle quali le prime cinque fondevano a 240-250°, la sesta co- minciava a fondere a 180" e finiva verso 230" e le ul- time tre fondevano a 71-72". Dopo ricristallizzazioni oppor- tune si ebbero due prodotti principali uno meno solubile bromurato, azotato e non solforato, fusibile a 248-250° ed uno azotato e solforato, fusibile a 71-72. All’analisi queste sostanze fornirono i risultati seguenti: I. Gr. 0.3290 di sostanza fusibile a 71-72°, bruciata col processo Dumas e misurando l’azoto coll’ azotometro Schiff, fornirono с. с. 22° di azoto a 10° essendo la pres- sione ridotta a 0° — 763.3 mm. Cioè per 100 parti: Azoto trovato 8.13 0, Il rodanfenacetone richiederebbe: Azoto 7.91 0. П. Gr. 0.290 di prodotto fusibile a 248-250° fornirono gr. 0.195 di bromuro d’argento corrispondenti a gr. 0.0829 di bromo. Cioè in 100 parti: Bromo 28.58. Il bromidato di dibenzilammina che preparammo dalla dibenzilammina fonde a 250°, ha i caratteri della sostanza fusibile a 248-250" avuta nell’azione della dibenziltiourea asimmetrica col bromacetofenone e richiederebbe : BPOMO ESL doi Ü f |. [11] (225) Per assicurarci maggiormente che il prodotto fusibile a 72° era del rodanfenacetone noi provammo a strasfor- marlo per ebollizione poco protratta con acido cloridrico concentrato in cloridrato di carbamintioacetofenone e per ebollizione prolungata in afendlpossitiazol e riuscimmo ad avere questi due prodotti di trasformazione con tutti | loro caratteri fisici e coi loro speciali punti di fusione cioè il cloridrato di carbamintivacetofenone С.Н, . СО. CH,SCO . NH, . HOI in aghetti fusibili a 175° ed il feni- lossitiazol : in cristalli fusibili a 204°. Le reazioni praticate con le tiouree asimmetriche die- tilica e metilfenilica e il bromacetofenone condussero a risultati analoghi: si ottenne sempre come prodotto co- Mune il composto fusibile a 72° che fu identificato col TOdanacetofenone e pei caratteri fisici e per la sua tra- Sformazione in fenilossitiazol. Da tutti questi dati crediamo di poter dedurre che l’a- Zone tra le tiouree disostituite asimmetriche e gli aloge- hochetoni piuttosto che nel senso aspettato ed indicato dalla equazione seguente: но 8 | 08,01 HS ier A + P )-МЕ',= + HCI -+ H,O RCO HN 2 RC O-NR', : `2 N vada nel senso dell’ altra equazione : (226) [12] H,001 HS. „NH, N=0-8-0H, de C-NR,o 048 — | -FHOLNHR', RCO | HNZ SNR’, RCO Questo andamento della reazione sarebbe facilmente spiegabile se si fosse trattato dell’azione degli alogeno- chetoni sui rodanati delle ammine, e per parte nostra un dubbio su questo riguardo ci potrebbe restare relativa- mente alle reazioni coi composti dimetilici e forse anco diisoamilici, pei quali casi non siamo riusciti ad avere per- fettamente esente dalla reazione dei tiocianati coi sali fer- rici la tiourea corrispondente. Non è però così pei de- rivati benzilici la cui tiourea non dava la reazione coi persali di ferro. Cosicchè in tale caso bisogna o ammet- tere che lungo l'azione con gli alogeno-chetoni la tiourea sì trasformi in rodanato, od ammettere, il che forse è più probabile, che i composti tiazolici della formola: HO. S | | | NR 30 C-NR', BOL / 2 x J “2 N non siano molto stabili, e che non appena tendano a for- marsi reagiscano con l’acqua e forse più facilmente per la contemporanea presenza d'un idracido (ambidue prodotti di reazione) per dare origine all’ ossiazol corrispondente od al suo isomero il rodanchetone. Questo modo d’interpretare la reazione si accorda coi risultati ottenuti dal Traumann in quanto che questi ope- rando in varii modi e malgrado ogni cautela non potè ot- tenere le vere tiazilammine disostituite. E noi crediamo di non essere fuori delle probabilità col dire che la formazione delle dialchilimidotiazoline | | | | [13] (227) HC 5 RC C-NR NR per la alchilazione delle tiazilammine monosostituste (espe- rienze di Hantzsch,e Weber messe d'aecordo coi risul- tati del Traumann) o dipenda dal fatto della instabilità delle tiazilammine disostituite, o dipenda dal fatto che la tiazilammina stessa non sia che la diimidotiazolina (*) : (1) Probabilmente l isomeria tra veri monalchilamidotiazoli e imidoalchiltiazoline non é espressa dalle relazioni indicate dalle formole. Hc S нс е RG | C-NHR RG y C-NH N NR date da Traumann, ma dalle altre: ЖЧ ы а нс RC CzNR RC C-NH NH NR Ho già in corso delle esperienze per dimostrare che i rapporti indicati dalle ultime due formole sono i più probabili. ES P455 yu 30 1i il T [14] CZNH М M Ме? NH Infatti ammettendo questa formola per la tiazilammina si possono spiegare і fatti osservati da Hantzsch e Weber che secondo questi chimici servirebbero alla dimostrazione dell'esistenza d'un amidogruppo nella molecola, perchè la reazione con una molecola di ICH, si spiega ammettendo anco l’esistenza del gruppo NH; la reazione con due mo- lecole di ICH, non prova l’esistenza del gruppo NH, avendo il Traumann dimostrato l’ identità del prodotto così avuto da Hantzsch e Weber col suo dal cloracetone e dimetil- tiourea simmetrica ed avendo quindi dimostrato per detto prodotto la costituzione. HO —— S RC CZNKR NR invece di quella data da Hantzsch HO —__ 9 | 19, (229) l’esistenza del ioduro di trimetiltiazolio si può spiegare egualmente ammettendo che uno dei due atomi d’ azoto passi da tri-a pentavalente, e crediamo più possibile che tale atomo d'azoto sia quello del nucleo tiazolico anzichè l’altro, perché un fatto analogo si osserva nei composti piridici ai quali si somigliano molto i tiazolici, e perchè anco qui, come pel ioduro di etilpiridinio si ha la scompo- sizione del ioduro quaternario con la potassa in base ter- ziaria ed alcole ('), mentre d'ordinario i ioduri quaternarii normali reagiscono dando ioduro metallico e l’idrato qua= ternario. In ultimo abbiamo i fatti dell'esistenza d'un acetilderi- vato che si spiega bene anco coll'ammissione d'un grup- po immidico, e dell'esistenza d'un sodio-derivato del com- posto acetilico che si puó spiegare con la capacità di so- stituzione che assumerebbe l'idrogeno del gruppo NH del nucleo tiazolico analogamente a quanto avviene pel pirro- lo e derivati. La formola data sopra da noi per la tiazilammina (sa- rebbe invece diimidotiazolina) spiegherebbe tutti i fatti noti, e darebbe inoltre ragione del fatto che Hantzsch e Weber (?) avevano osservato, cioè che la «-metiltiazilam- mina non dà nè la reazione degl'isonitrili, nè la reazione dei senfoli che sono caratteristiche delle basi primarie. Istituto di chimica farmaceutica e tossicologica della R. Università di Padova, dicembre 1890. (1) Mem. di Hantzsch e Weber, Berl. Ber., t. ХХ, p. 3124. (2) Ivi, p. 3124. e Prezzo della Dispensa Fogli 16 ad Italiani Cent. 12 '/, Sa ol 6 AFTI DEL REALE ТОТО VENETO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI ` (TOMO XXXVIII) SERIE SETTIMA — TOMO SECONDO DISPENSA QUARTA VENEZIA PRESSO LA SEGRETERIA DELL'ISTITUTO NEL PALAZZO DUCALE TIP. DI G. ANTONELLI e im 1890-01 Pubbl. il 22 Marzo 1891, سا Alto verbale dell adunanza ordinaria del giorno 22 р) А. М. febbnàlo AOL. < ое рае. 291-284. Lavori letti per la pubblicazione negli Atti. J. BERNARDI, m. e. — Dizionario dantesco, compilato dal prof. D. Giacomo Poletto. Recen- Elenco dei Libri e delle Opere periodiche pervenute SUE. oc tra ui Dag OS iAGNISCO. — Nicoletto Vernia. Studi storici sulla filosofia padovana nella seconda metà del pecolo decimo Quo 10. 055 0 Woo o ОД i. MARINELLI, m. e. — Nuovo contributo all altime- iria della regione veneta. Breve nota. » 26 . CIPOLLA, в. c. — Appunti sulla Storia di Asti dal- la caduta dell'impero romano sino al principio del X secolo. Continuazione » 279 Мирт, — Il probabile autore del Poemetto falsa- mente attribuito a Francesco il vecchio da Carrara. Memoria » 909 Tono. — Bollettino meteorologico dell’ Osservato- rio Patriarcale di Venezia. Marzo-Aprile RIO 25 tun Y CXIIBQUSE dal 26 gennaio a tutto 22 febbraio 1891 > cxxr-cxxv Programma di concorso della Società italiana di elet- tricità pel progresso degli studi e delle APPUCOZONM OVINI ANNO 1890-91 DISPENSA IV. ADUNANZA ORDINARIA DEL GIORNO 22 FEBBRAIO 1891 PRESIDENZA DEL PROF. CAV. GIULIO ANDREA PIRONA PRESIDENTE. Sono presenti i membri effettivi : De Berra vicepresidente, Viana vicesegretario, TURAZZA, PAZIENTI, LAMPERTICO, Minicn, VLACOVICH, FAMBRI, LORENZONI, TROIS, CANESTRINI, E. BERNARDI, Mons." J. BERNARDI, FAvARO, ToLomEI, DE GIOVANNI, OMmBONI, PERTILE, BELLATI, KELLER, DEODATI, STEFANI, Spica, Bercuer e Bizio; nonché i soci cor- rispondenti: MORSOLIN, DA Sconto, PAPADOPOLI, MARTINI, Сніссні, Occioni-Bonarrons, Fogazzaro e MAZZONI. Vengono giustificati gli assenti membri effettivi: DE Ziano, De LEVA e BELTRAME. Letto ed approvato l’Atto verbale della precedente adu- nanza 25 gennaio decorso, il cessante Presidente G. Р. Vla- covich partecipa essere pervenuti i documenti, che si riferi- scono ai Reali Decreti del 14 dicembre 1890, coi quali l’attuale Vicepresidente prof. G. A. Pirona fu promosso a Presidente, e venne a lui sostituito pel biennio in corso il comm. Edoardo nob. De Betta. Il quale espresse in iscritto i suoi vivi ringraziamenti, per la conferitagli ono- rificenza, al Corpo scientifico. Il prof. Vlacovich, prima di cedere il seggio presiden- ziale, rivolge all’ Istituto le seguenti parole: Pubbl. il 15 marzo 1891. Colleghi onorandi, Nel lasciare P ufficio onorifico a cui voleste chiamarmi, sento il debito di ringraziarvi caldamente della lusinghiera testimo- nianza, che mi venne dalla vostra benevolenza, allorchè vi piacque eleggermi a Presidente dell’ Istituto. Del buono, che siasi fatto nel tempo che ne tenni la ca- rica, il merito si deve soprattutto alle vostre deliberazioni, delle quali mi studiai essere interprete ed esecutore fedele. Di quanto vi sia stato di manchevole nell’ opera mia, attri- buitene la ragione non a difetto in me di buon volere, ma in parte a cause non dipendenti dalle mie intenzioni, in parte al- la scarsezza delle mie forze; scarsezza, per la quale invoco la vostra indulgenza, che spero non mi sarà negata. Tre sono gli argomenti, ai quali rivolsi le mie cure du- rante la mia Presidenza: Miglioramento nell’ edizione degli Atti e delle Memorie del- P Istituto ; Riforma dell’ Istituto e del Regolamento; Trasferimento della sede. Non ho la soddisfazione di poter dire, che taluno di questi imprendimenti sia stato condotto a termine. Sono persuaso, che saranno compiuti dall’ egregio mio successore, al quale stringo la mano e cedo il seggio. П prof. Pirona, nell'assumere l’ ufficio di Presidente indirizza ai membri e soci il seguente discorso : Illustri Colleghi, Quando dal vostro cortese suffragio venni chiamato al po- sto onorifico di Vicepresidente, stetti dubbioso, se avessi dovuto accettare о meno. Mi traevano ad accettare il sentimento di gratitudine e il rispetto verso di Voi, che quasi unanimi mi onoraste del voto: mi spingevano a rifiutare il pensiero, che il più che quadrilustre nostro Sodalizio accademico, facendo inganno 288 alla vostra mente, vi avesse tratti ad elezione men opportuna, che ai bisogni dell’ Istituto convenisse, come pure la coscienza della mia poca attitudine all’ ufficio più elevato ancora, al quale sarei stato chiamato oggi, quello cioè di presiedere alle vostre adunanze. Né di questa mia titubanza alcuno si maraviglierà, quando pensi che io vengo dietro a quella serie di eminenti e valentissimi, sotto la direzione dei quali l'Istituto spiegò tanta attività scientifica; come ne fanno prova le 60 e più mila pa- gine, fin quì stampate nei 48 tomi de’ suoi Atti, e i 23 volu- mi delle Memorie, che rimangono non perituri titoli alla stima e alla gratitudine dei dotti, Prevalse in me il sentimento di ossequio al voler vostro, non disgiunto dalla speranza, che e gli amici Colleghi della Presidenza e Voi tutti vorrete illuminarmi e sorreggermi, se, malgrado il buon volere, la mia mano si mostrasse men abile o debole nel condurre il reggimento di quest’ Accademia, sic- chè per mia cagione non venga a scemare in Italia e fuori quell’ alta rinomanza, di cui gode tra i cultori di ogni ramo di scienza, e che a lei valse e vale la considerazione e la corri- spondenza delle più illustri consorelle dei due mondi. Sicuro d’ interpretare il sentimento dell’ intero Corpo acca- demico, faccio all’ illustre nostro ex Presidente i più sentiti ringraziamenti per le zelanti ed efficaci sue cure a prò del- l’Istituto. E del grande onore di seder qui primo, dalla cortese be- nevolenza vostra conferito a me, che doveva restar tra gli ul- limi, io serberó a Voi, illustri Golleghi, riconoscenza vivissima e perenne. Dopo ció, il Presidente comunica, che, in seguito a gentile invito, la Presidenza diede incarico al socio prof. Lwigi Palmieri di rappresentare questo R. Istituto alla festa, celebratasi nel giorno 8 febbraio corrente nella R. Università di Napoli, in onore dell'altro socio prof. Arcan- gelo Scacchi, pel quale ricorre il cinquantesimo anniver- sario del suo professorato 234 Poscia annunzia essere giunti in dono alla nostra bi- blioteca i seguenti libri : a) Un esemplare del « Codice dé Leonardo da Vinci, trascritto ed annotato dal signor Luca Beltrami di Mi- lano » ecc.; b) Parecchie pubblicazioni del signor dott. С. Massa- longo di Verona; c) Una copia della « Strenna a favore dei bambini rachitici per l'anno 1891, regalata dal m. e Mons. J. Bernardi ; Venendo alle letture, il membro effettivo A. De Gio- vanni fa una sua « Comunicazione intorno alla cura della tubercolosi polmonale mediante la linfa Koch, con cenni critici sulla teoria della patogenesi della tuberco- losi »; ed il membro effettivo A. Favaro presenta la par- te Ш." де’ suoi « Nuovi stud? Galilciani. » Viene pure presentata una breve Nota dell’ assente membro effettivo G. Marinelli, che ha per titolo: « Nuo- vo contributo all' altimetria della regione veneta ; ed il membro effettivo G. Lorenzoni presenta, a norma del- l'articolo 8.° del Regolamento interno, le « Osservazioni di comete e di pianeti, fatte a Padova nel 1890 dal dott. Antonio Abelti. » I soci corrispondenti G. Ма: municano appresso due loro scritti. Il 1.° contiene « Una lettera di G. G. Trissino a Giovanni Rucellai; » ed il 2. versa « Su presunti wutori del LAMENTUM VIRGINIS, zoni e B. Morsolin co- poema del secolo decimoquarto. » Legge infine un suo discorso il socio corrispondente dott. A. Fogazzaro, nel quale tratta « Di un recente raf- fronto delle dottrine di Sant Agostino e di Darwin cir- са ‘la creazione. » Terminate le letture, si è tenuta l adunanza segreta, nella quale il Corpo scientifico deliberò sulle relazioni di alcune Giunte e si occupò d'altri argomenti posti all'ordi- ne del giorno. —— == == im -— xe um = LAVORI LETTI PER LA PUBBLICAZIONE NEGLI ATTI DIZIONARIO DANTESCO COMPILATO DAL PROFESSORE D. GIACOMO POLRTTO, RECENSIONE DEL M. в. JACOPO BERNARDI. Monsignor Giacomo Poletto, ora professore di alta let- teratura nell’ Istituto Superiore Leoniano in Roma, allievo del Seminario di Padova, che diede principio agli studi suoi Lessicografici sotto alla scorta dell'illustre prof. Cor- radini, e poi recatosi a Firenze, strinse con Giambattista Giuliani, l'insigne Dantofilo, quella intimità di affetto e di conformi sollecitudini e aspirazioni, che lo fecero erede in parte degli scritti e volumi più cari al suo amico e mae- stro, nel 1885 si accinse a pubblicare in Siena il suo Di- zionario di quanto si contiene nelle Opere dell’ Allighieri, coll illustrazione dei momi propri mitologici, storici, geo- grafici e delle questioni più controverse. L'Opera fu pro- tratta fino al settimo volume, che intera porge in dono al nostro Istituto, e me ne raccomanda la presentazione, che oggi compio assai volentieri, percliè di lavoro fatto con molta intelligenza, pazienza ed amore. Il Poletto non è nuovo all’ Istituto nostro pe’ suoi Studi danteschi, mentre allorquando piegava al suo divino poeta l'ingegno e la forte applicazione dell' animo, vi lesse, € stampavasi negli atti, la sua erudita Memoria intorno alla Questione de aqua et terra, che più nessuno dubita appartenga all’ Alighieri. (236) [2] Ma lavoro d'altr'indole più largo, più utile, più pode- roso è quello, ch’egli porge all’ Italia e a tutta la moderna letteratura e civiltà in questi sette volumi del suo dizio- nario Dantesco. A tacere di molti altri nazionali e fore- stieri, un Dizionario critico e ragionato della Divina Com- media ci aveva dato il Blanc, recato in italiano dal Car- bone e pubblicato dal Barbera nel 1859; un altro Dizio- nario storico, geografico, universale contenente la bio- grafia der personaggi, la notizia dei paesi, la spiega- zione delle cose più difficili del sacro poema, usciva dalla stamperia Reale in Torino nel 1873, opera lodata del prof. Donato Bocci; e sopra tutti il valentissimo ed infaticabile bassanese Jacopo Ferrazzi nella sua Enciclopedia Dantesca, accuratamente data in luce dal Pozzato in Bassano, porgeva un ampio tesoro di notizie; che tutti, affermava il Lubin, tutti saccheggiano e pochi citano. Ma il Poletto spiegò più ampiamente la sua tela a tutte le opere dell’ Allighieri, dispose le singole citazioni delle parole, dei luoghi, dei fatti, delle persone e cose più segnalate, delle più singolari e difficili, e oscure, e dubbie in ordine alfabetico, е profittò d’ogni studio più recente, che siasi fatto intorno al sommo scrittore, sperando, ei dice, che nulla di essenziale gli sia sfuggito. Si ripromette poi, e dalla lettura fattane mi sembra, che abbia raggiunto lo scopo, di aver dato ai nomi pro- pri sia mitologici, sia storici o geografici quanto basta di erudizione; di non aver tralasciato qua e là, ove cada op- portuno in ispecie per allettamento di giovani studiosi, la parte aneddotica; e nelle questioni o gravi, o rese molto controverse da’ critici, di averne posto i tratti de’ migliori dantisti, o di quelli che gli sembrarono tali, a spiegazione. E confessa (nobile e giusta confessione) di valersi, notan- dole però fedelmente ad ogni luogo «di quelle postille inedite, che pel corso di trenta e più anni di sua propria mano il Giuliani venne facendo nei margini di quell’ esem- plare della Divina Commedia, che fu il compagno della sua vita, e che lasciavagli per ultima volontà. » — oa ы [8] (237) L'arduo, lungo, ordinato lavoro del Poletto, ebbe lieto accoglimento e fu comunemente encomiato dal giornalismo più serio e nostro e forestiero; e dagli intelligenti e dotti studiosi delle opere dell’ Allighieri, viensi a conchiudere, così nella Nuova Antologia (primo quaderno dell’agosto 1886) che « quest’ Opera di lunga lena e di coscienziosa erudizione sarà uno de’ più importanti e proficui contributi dati dal nostro secolo allo studio del Sommo Poeta, ed anche della scienza e della letteratura medioevale. » Siccome poi la perfezione non è raggiunta mai, e in opere di simil fatta segnatamente; cosi l'autore, che si professa riconoscente a coloro, che per tal guisa gli porgono incitamento a proseguire nell'ardua impresa, con quella modestia, che ben s’ addice a chi ha la vera coscienza di quanto occorra a rendere, se non compiuta affatto, meno imperfetta un’opera molto ardua e faticosa, soggiunge che, più ancor delle lodi, ringrazia dei consigli sapienti; non perdendo mai di mira il suo lavoro, correggendo, ritoccando, aggiungendo, perchè meglio riesca in una seconda edizione, che gli auguriamo sollecita. Al dizionario promise di apporre delle appendici sulle tre fiere, sulla selva selvaggia e il monte dilettoso, sul Veltro, sul Dominio temporale dei Papi, nella Beatrice reale e allegorica, sul Papato e Г impero, sul supremo intento del Poema, sull’ Opere di Dante. Promise l’intiero Commento del Sacro Poema, e insieme pure, col sussidio dei migliori Codici e di accreditate edizioni e coll’ aiuto di egregi dantisti, di provvedere che il testo riesca non inde- gno dell’autore e degli studi presenti. Il proposito è de- gno. Le ricerche fatte, i materiali raccolti, la forza dell’inge- gno, quella degli anni non lasciano dubitare, che la promessa abbia il pronto suo adempimento. Anzi potrei aggiungere, che il manoscritto delle appendici è già a Siena e sarà Stampato tra poco; e che pure altrove, forse dalla Società Belgica, stam perassi il testo, al quale sarà, come scrive l'au- tore, ‘improntato il commento. O (ole 2n (238) [4] Quando, un secolo e mezzo addietro, era l'Allighieri, anche nella maggiore e divina sua Opera, caduto in tanto abbandono ; quando dai legislatori d' allora della patria let- teratura andavasi ripetendo, che solo alcuni tratti qua e là ricerchi, e neppure gl’ interi canti, meritavano un riguardo speciale dagli studiosi; e il nostro Gozzi con quel brio, che gli è proprio, e con la forza delle ragioni, ch'egli sapea ve- stire così semplicemente e leggiadramente, affaticavasi a rompere una lancia in suo favore; sarebbesi mai creduto che nell’ Italia non solo, ma in tutta Europa, ma nel mondo civile la sovrana Opera dell'Allighieri, come maestro primo e profeta della moderna civiltà, sarebbe salita in tanto onore? che l’ edizioni delle Opere sue, in ispecie della Di- vina Commedia, sarebbersi tanto moltiplicate, avvicendate le traduzioni nelle dotte lingue mondiali, celebrati centenarii e commemorazioni a sua gloria, instituite in suo nome ac- cademie, e letterarie e scientifiche associazioni? che l'epi- grafi, le statue i monumenti a sua gloria nelle città e negl' istituti principali di tutta Italia. avrebbero trovato in- numerevoli ed efficaci promotori; che negli archivii, nelle biblioteche, dappertutto si muoverebbe in traccia di codici e stampe, per constatare le migliori lezioni e le infinite varianti? che, sopra la messe antica, de’ trecentisti massi- mamente e quattrocentisti, germoglierebbe una schiera in- finita di chiosatori ed interpreti, sino a edificare sulle spalle di questo Atlante, permettete che mi esprima così, una terra e un cielo nuovo, fosse pure il più strano e disfor- me e lontanissimo dalla mente dello scrittore? e che le cattedre della più alta letteratura piglierebbero titolo ed importanza da lui, anche là dove la sua parola potesse in alcune parti tornare acerba? Eppure così è. L'America stessa ripercote l'eco di questa Allighieriana agitazione europea. E già, da brevi anni, leggevo che taluno de’ nostri Missionarii, traversando le mute e ardenti sabbie del de- serto, frammetteva alle preghiere e confortavasi, nel viag- gio disastrosissimo e micidiale, ripetendo a memoria о leg- 5] (239) gendo il poema sacro, forse perchè non fosse ignoto a quelle solitudini; e quelle arene, segnate da tante orme di barbari pledi e funestate da tante vittime rammentassero il sacro Poema quando vi si ridestasse la fede e la cristiana civiltà. Molti davvero sono oggidi tra noi, come accennavo, i gagliardi propugnatovi dei diritti che ha la Divina Comme- dia per essere legittimamente ricondotta alle sue origini, e rettamente interpretata, affinchè nello affastellamento di tutto, nei sogni capricciosi o partigiani degli inetti, e dei pretenziosi di mala fede e nelle intenzioni forastiere, segnatamente germaniche, divenute ora per molti oggetto di adorazione, non si travii. E come il Poletto avrà com- piuto il suo faticosissimo lavoro, nel quale afferma, e age- volmente gli crediamo, di essere tutto avvolto, inteso, se- polto, e dovrà corrispondere allo splendido saggio che ne diede; ne uscirà per fermo un'opera monumentale che raccoglierà in sè il frutto degli antichi e de’ moderni studi, delle veglie pertinaci che in essi fecero macri tanti inge- gni eletti e pazientissimi; nè si arresti (dopo si lungo stu- dio ed amore è impossibile) per via. Alle volte, egli: scrive aprendo sinceramente l'interno del suo core. « Alle volte mi sento pien di coraggio, altre invece pare essermi messo con poco consiglio in lavoro superiore alle mie forze; spero e diffido; posso dire però che non ebbi altro intento che di servire a Dante e alla verità, e a nessun’ altra cosa ho pensato mai.» È la parola dello innamorato: di Dante a Virgilio; di Giambattista Giuliani all’ Allighieri; ed ora del suo degno discepolo allo stesso. E nei momenti dello scoraggiamento da cui fosse assalito durante la faticosa e difficile impresa, ricordi il Virgiliano . sic itur ad astra; © l’altro dali del: suo maestro ed autore di riprendere e ritornare all’ opera sua Rifatto si come piante novelle xinnovellate di novella fronda, Puro e disposto a salire alle stelle. do IS. VII 32 NICOLETTO VERNIA Studi Storici SULLA FILOSOFIA PADOVANA NELLA 2.4 META’ DEL SECOLO DECIMOQUINTO DEL pror. PIETRO RAGNISCO (s) rm PREFAZIONE Intraprendo lo studio аі un uomo che vissuto nell'epoca più florida dell’ Università di Padova, era stimato da una schiera di dotti non solo suoi colleghi ma anche estranei, di un uomo che vis- suto per più di 80 anni come insegnante ha avuto una lotta colle dottrine dei teologi e filosofi de’ tempi suoi; affinchè per mezzo di una tale ricerca che dapprincipio può parere esclusivamente indi- viduale, sia chiara la condizione generale dell’ U- niversità che lo conteneva e le varie dottrine quivi professate. Senza un protagonista la storia non si fa bene. I professori e gli scolari fanno l’ Univer- sità; ma questa la si conosce sopratutto da quelli. Un'altra cosa. Si dice che nella storia si possa far senza delle dottrine dei professori delle nostre Università, perché erano essi seguaci di filosofi (242) [2] più rinomati. Credo di no; perchè ignoriamo quale vita, quale modalità, quale fortuna ebbero queste dottrine insegnate. Ignoriamo le vicende progres- sive della lotta dello spirito che si concretó nei focolari del risorgimento generale della cultura italiana, che erano allora le nostre Università. Que- sto pensiero ci sorresse e ci animó di pazienza nella selva delle aridità scolastiche dei nostri pre- decessori antichi. [3] (243) ÇAP. I. І’ Umanesimo e l'averroismo padovano. Nel tempo appunto in cui Firenze fu detta dal Poliziano l’Atene risorta per il rinnovamento degli studi classici, e quando l’ardore per l’antichità aveva dato il nome dell'U- manesimo al secolo, l'Università di Padova era nel fiore e rigoglio di vita per lo studio della filosofia aristotelica araba. Ed é per questo, che Padova resta come divisa da quel comune indirizzo; ed a tutti fa pena nel vederla cosi tarda a seguire il nuovo corso del classicismo. Che se Venezia vicina fece anche essa gara con Firenze a risvegliare lo studio dei classici, le lettere a Padova non ebbero quello spirito fecondo che si manifestó a quei tempi in vari centri d'Italia. Ma quello che fa più maraviglia, era l'ostinazione a voler continuare gli studi filosofici sulle barbare traduzioni arabe, ed il mettere in ridicolo gli umanisti che disde- gnavano il rozzo modo di scrivere, specialmente dei pro- fessori padovani. E una pecca questa per Padova, che non so se sia più o meno grave di un’altra che le fanno, cioè di essere stata attaccata ad Aristotele al tempo, in cui Galileo smentiva col cannocchiale la dottrina de’ cieli dello Stagirita. E si diceva, che Cremonini chiudeva gli orecchi a tutte le osservazioni di Galileo, per non sentirsi distrutta la sua teoria del sistema celeste. Nelle lotte specialmente scientifiche rimane vinto sopratutto colui che è messo in ridicolo: poichè la risata che sopraggiunge non sempre dà luogo a continuare il filo della discussione. Il ridicolo è come il termine della discussione : epperò continua nella tradizione e nella storia. Riserbandomi di trattare più in là questi appunti gravis- simi alla filosofia padovana, è tempo ora di mostrare la parte (244) [4] positiva della mia tesi, far vedere cioè, che non era col risveglio generale dell’ Umanesimo in disarmonia l attac- camento alla filosofia aristotelica araba. Ed invero, la de- vozione che manifestarono gli umanisti per i classici non è maggiore del culto dei filosofi padovani per Aristotele. Per Virgilio si aveva una vera ‘adorazione; e si diceva che se avesse conosciuto Dio, nessun libro era più santo di quello. Daniele Barbaro era tanto innamorato di Ari- stotele, che se lo stato di Cristiano glielo avesse permesso sopra ogni punto avrebbe seguito il filosofo. Ma sopratutto fa impressione quello che dice il Pomponazzi, che se Averroe avesse conosciuto Dio, S. Tommaso l’avrebbe adorato (!). Il eulto per Aristotele era niente meno eccessivo di quello per Cicerone. La discussione sulla preferenza di Quinti- liano a Cicerone sostenuta dal Valla e combattuta dal Poggio non ti ricorda quella agitata tra 1 filosofi greci venuti in Italia che davano la preferenza ora a Platone, ora ad Aristotele? e se Padova dava la preferenza ad Aristotele sotto l’aspetto scientifico, un partito rappresen- tato da Ermolao Barbaro e da Leonico Tomeo che furono professori nella Università, voleva la preferenza di Platone sotto l'aspetto letterario piuttosto, anzichè scientifico. Ge- neralmente i puri letterati non potevano soffrire che Plato- ne fosse posposto ad Aristotele a Padova, come ега una bestemmia che Cicerone fosse posposto al Bartolo. Ma una delle ragioni più potenti per cui l'averroismo patavino è in armonia coll'umanesimo, è lo spirito di pa- ganità di cui era avido il secolo: e questa paganità si ravvisava più espressa in Averroe, anzi che nello stesso Aristotele. Il Prantl osserva a proposito, che gli arabi i quali avevano fecondato gli sterili lavori dei bizantini, scaccia- rono quel germe neoplatonico che si era dappertutto in- (1) et volo ut sciatis quod Thomas adorasset Averroem, nisi fuisset infidelis. Pag. 435-32 recto. Utrum dentur universalia rea- lia. Atti d. Acc. dei Lincei. Memoria di L. Ferri 1876. (5) (245) filtrato. (*) Il loro sistema va sino a finire collo Spinoza, la cui dottrina anche oggi ammiriamo. Il monopsichismo di Averroe aveva affascinato giustamente le menti, assopite dal dommatismo cristiano. Averroe perció era addivenuto il filo- sofo per eccellenza, come S. Tommaso lo era pei cattolici. Co- me il culto per l'arte faceva dimenticare d'esser cristiani ineb- briando lo spirito che s'inspirava ai tipi pagani, per cui si era pagano senza accorgersi; così a Padova lo studio di Aristotele sotto la condotta di una logica razionalità secon- do Averroe aveva preso tal possesso dell’intelligenza, che sì pensava solo con le forme quantunque aride, ma rigorose per logica, nella scuola. E la scuola era il culto alla ra- zionalità del processo della mente, era il luogo dove si di- menticava di esser cristiani; la disputatio era il più bel frutto della logica senza ombra di domma. La scuola era l'arca santa, ove erasi rifuggiata la libertà del pensiero. Ed anche qui la Chiesa faceva sentire il peso del suo domma. 1 poeti classici dovevano essere bruciati, come furono condan- nati i libri di Aristotele: eppure si studiava, si leggeva, com- mentando sotto le minaccie delle scomuniche. Si tentò di avvicinare per quanto si poteva, la poesia pagana al cri- stianesimo, come si congiunse alla meglio Aristotele con Platone cristiano. Ma il tentativo riusciva per lo più vuoto. Gli animi erano troppo infervorati dallo spirito dell'anti- chità: spesso si contentavano di essere piuttosto scomu- nicati, slanciandosi anima e corpo nel paganesimo, anzichè fare un falso connubio tra il domma e la scienza, tra le preghiere della chiesa e le poesie dei classici. I tipi pagani risvegliavano la voluttà di vivere e di scrivere liberamente: e se i poeti umanisti cantavano il piacere che sollevava la vita dalle penitenze patite, quantunque facevano dichia- razione di aborrirlo in teoria; non altrimenti, i filosofi pa- tavini, sebbene facevano professione di fede, cercavano l’in- dipendenza della scienza. Come questi si sottraevano dal (4) Pag. 298. 16 cap. Vol. 2 Storia della logica, Lipsia. 1864. (246) [6] peso del domma sotto il pretesto della disputa liberamente fatta nella scuola; così quelli rinfrescavano inspirandosi al bello pagano, la fantasia oppressa dalla degradazione con cui fu guardata la natura. E chi desse del falso ai filosofi patavini, sostenitori della doppia verità che segnò il distacco della scienza dalla placenta del domma, sarebbe obbligato a dare dell'impostore agli umanisti che trasfondendosi nel- l'antichità conservarono di cristiani il nome solamente. Ma con tutto ciò, Padova e Firenze stavano tra loro in opposizione. Barbari furono detti molti professori patavini: » questi davano del grammatico, ovvero del pedante ai let- terati che avevano la loro sede principale a Firenze. Gli studi hanno bisogno di una sede speciale, ove si propagano facilmente all' intorno. Prestabilire questa sede, è uno sforzo vano; perchè essa ordinariamente non seconda ciò che qual- cuno si prefigge. E miglior cosa invece secondare ed accre- scere quella dimora che si sono eletti da se stessi gli studi. E quello che fu Firenze per il classicismo, addivenne Padova per la filosofia. Nè credo si possa segnare nella storia una filosofia italiana che abbia avuto per del tempo un indirizzo costante ed una tradizione continua, come quella di Padova. Una scuola veramente filosofica ci fu a Padova. Perchè i filo- sofi correvano a Padova, come i letterati a Firenze; sì faceva dai filosofi una specie di tirocinio, il quale aveva il suo com- pimento come apice della carriera, a Padova. Antonio Fa- ventino e Francesco Piccolomini, per ricordare qualcuno che più presto mi viene a memoria, finiscono a Padova, l'uno nel quattrocento, l’altro nel cinquecento, dopo essere stati prima in molte Università italiane. Una vicendevole relazione di stima e di venerazione si osserva tra i pro- fessori di Padova, per cui non si trova uno che non no- mini il suo predecessore, o maestro. Così il Thiene ricorda Paolo Veneto, il Vernia il Thiene, il Nifo il Vernia, il Pomponazzi il Neritone, il Contarini il Pomponazzi, lo Za- borella Marco Genua, e via via. Ma per quanto sforzo si faccia per mostrare la rela- [7] (247) zione nell'unità dell'intento tra l’ umanesimo e laver- roismo padovano, nessuno potrà dimenticare come Padova sia stata tardiva a liberarsi da quel barbarismo. Prima di tutto, che Padova non fosse stata tanto tarda a sentire il bisogno di studiare il testo greco di Aristotele, lo prova il fatto che gli scolari col rettore portatisi a Venezia chie- sero al Senato che fosse istituita una cattedra, in cui si spiegavano i libri greci di Aristotele, ed altri autori an- tichi. E con decreto del 4 aprile 1497 fu eretta questa cattedra, e chiamato il Tomeo nel 1498. (t) Così Padova non fu disforme da Ferrara che ebbe il Leoniceno, da Fi- renze che aveva il Poliziano, da Venezia che ebbe Er- molao Barbaro. Ma se entriamo un po’ più addentro nella questione, è bene ricordare che gli umanisti facevano la guerra non solo ai filosofi patavini, ma anche ai medici ed ai giuristi. Il Poggio ed il Bruni assaltono i giuristi per il loro stile barbaro. Lo studio che si voleva fare sul di- gesto, era sotto l’aspetto dell’eleganza. Si parlava, sì, ma senza conoscere a fondo la cosa. Con buon senso notava Francesco Florido che i classici latini bastavano per in- tendere la parola, ma per capire il senso erano necessari il Bartolo e l’ Accorsi. Vana essere la pretesa, osservava giustamente, con un po’ di latino volersi applicare allo Studio delle leggi. Il Petrarca che fa la guerra ai medici in nome dell'umanesimo, non la può perdonare ai filosofi che lo mettevano in canzonatura per le sue credenze. Egli sì crede essere innanzi a loro, dice il Voigt, come Se fosse S. Agostino contro i Pelagiani. Il sostituire l’au- torità di Aristotele e di Averroe a quella della Chiesa, era una cosa che pungeva molto la sua vanagloria, avendo altri- Menti sempre pensato. Più che difendere il cristianesimo, di- lendeva se stesso, nel libro della ignoranza di se e di molti. In generale, quello spirito cristiano di platonismo misto alla eleganza non "produceva veramente fervore nella scienza, (1) Vedi il Morelli nel 3° Vol. dei suoi mss. T. II, $. VII (248) [8] perchè spense l’ardore delle discussioni che animarono la filosofia. Come si voleva la natura libera nell’arte, così si reclamava la scienza esente dal dogma. Non altrimenti andava la cosa pei filosofi patavini as- saltati dal Vives e da Ermolao Barbaro. Costui dopo essere stato già 10 anni prima prof. di Etica a Padova, nella let- tera del 1485 rallegrandosi con Pico che aveva studiato il greco, inveisce contro i filosofi moderni, chiamandoli sox- didi, rudes, inculti, barbari. (*) Pico gli risponde che dalla sua lettera si era commosso tanto, che si vergo- gnava di avere studiato per 6 anni S. Tommaso, Scoto, Al- berto ed Averroe. Ma si consolò pensando che i filosofi vivono non nelle scuole dei letterati, ma nei conventi dei sapienti, in cui si parlava delle cose divine ed umane, e non di cose leggieri. Imperoeché ci è pericolo che quelli fanno apparire le cose altrimenti da quello che sono. Con tale gente non ci può essere nessuna affinità. Cer- chiamo che cosa si deve scrivere, non come si deve scri- vere. Né scriviamo per il volgo, ma per te e per i simili a te. Una statua di marmo non riceve la pittura: alla fi- losofia non ci vuole adornamento. Se si vuole che i filo- sofi parlino il latino, egli risponde che o le parole sono arbitrarie ed allora sono sante presso i filosofi, come presso di noi le romane: ovvero sono dalla natura delle cose, e saranno più giuste quelle dei filosofi, anzi che quelle dei retori. Se ci è una discordia tra la lingua ed il cuore, certamente si può vivere a disagio senza la lingua; ma senza il cuore in nessun modo. La lettera di Pico merita tutta la considerazione, perchè dinota veramente lo stato di servilità e d’imitazione bassa in cui erano caduti gli umanisti. (°) E lungi dal cercare esempi altrove, basta (1) Nel libro IX delle lettere del Poliziano. (2) Il quaerimus mos quidnam scribamus, non quaerimus quomodo, il non exspectamus theatri plausum quod aures de- mulserit aequabilis clausula vel numerosa, il vulgo non serip- | | Ì | | [9] (249) notare quello che ha detto un suo contemporaneo intorno al'Umanesimo. Gli espositori dei tempi conoscono meglio di noi le piaghe dei loro contemporanei. Ma pure non bisogna dimenticare che Pico era un let- terato, più che un filosofo puro: e doveva certamente sen- tire in tale questione come il Barbaro, quantunque avesse pià larghezza di giudizio del suo amico. Epperó se da una parte espone al nudo i difetti dei retori, pure nella con- clusione della lettera si mostra molto chiaro sugli er- rori manifestati. Egli dice, che tutte le cose che ha detto, si potrebbero inventare dai barbari per la loro difesa. Al parere dei quali egli punto si accosta: e non crede che nessun uomo di buoni studi si debba accostare. Ma mi sono trattenuto in questa brutta materia come chi loda la febbre quartana non solo ut ingenium periclitarer, tum hoc consilio ut veluti Clauco ille apud Plato- nem injustitiam laudat non ew judicio, sed ut ad laudes justitiae Socratem ewstimulet. Ma con tutto ciò non si può trattenere dal dire nella chiusa della lettera: « quamvis, dicam quod sentio, movent mihi stomachum grammatistae quidam, qui quum duas tenuerint voca- bolorum origines, ita se ostentant, ita se venditant, ita circumferunt jactabundi, ut prae se ipsis pro nihilo habendos philosophos arbitrentur. Nolumus, inquiwnt, hasce vestras. philosophias ! el quid mirum! nec Faler- num canes. » A noi non passa nemmeno per il capo che Pico avesse voluto aderire pienamente al partito dei bar- bari, ma molto meno alle insulsaggini dei grammatici. Dal tono della lettera però risulta certo che egli non aderisce alle esagerazioni del Barbaro. (!) Simus, il nec ludendum tropis, nec verbis aut nimiis luxurian- dum, aut traslatis lascivendum, aut factitiis audendum in re lam seria, sono le più esatte condizioni degli umanisti. (1) Sulla pretensione e jattanza dei letterati il Barbaro dice a Pico: Jam ne illi quidem philosophos eloquentibus posponunt, non (250) [10] È questo per noi il senso della lettera: e prova ne sia la risposta del Barbaro, nella quale dice che gli fa mera- viglia come abbia scritto tante cose così presto in risposta alla sua lettera, come se le avesse studiate da molto tempo. E di fatti, Pico aveva dovuto già studiare prima quella questione. Gli dice, che ha avuto gran piacere nel vedere che ammazza sotto colore della difesa coloro che difen- de. (*) Ma se egli sente a favore dei filosofi quelle cose che ha scritto, i letterati lo chiamerebbero un fuggiasco, od almeno un prevaricatore, per stare nello scherzo con lui, perchè egli dipinge due pareti, e corrompe nella forma la causa che difende. (*) La lettera dunque lasciò dubbio nel Barbaro, come ad ognun di noi, perché non si mostró contrario del tutto ai filosofi barbari, come avrebbe vo- luto il Barbaro. Ed il dargli la notizia che un professore di Padova aveva poca stima di lui e lo aveva giudicato un retore dopo avere scritta l'Apologia, serve al Barbaro per dire a Pico: vedi, come ti trattano gli amici che difendi. Ma a me pare che questá notizia, se valeva a distaccare Pico dai patavini, non lo distaccò punto dalla verità che aveva espressa sulla condizione dell'umanesimo. Avrei da liberare la filosofia patavina da un altro piü grave attacco, cioè l'opposizione del Cremonini al Galileo. Ma oltre che, tutto ciò riguarda un’ epoca molto posteriore alla nostra che studiamo, io voglio anche sopra di ciò por- tare un poco più di luce. Già dai documenti pubblicati dal Berti risulta chiaro che se il Cremonini fu perseverante enim parum prudentes sunt, sed eloquentes philosophos infantibus praeferunt. (4) Ший sane plurimum me delectat quod sub specie defensio- nis exitialiter jugulas quos defendis. (9) Alioquin transfugam appellare te possemus, ві quemadmo- dum scribis etiam sentires. Quamquam, ut tecum jocer, si transfuga non es, praevaricator sis oportet, qui parietes duos linas, et cau- sam quam susceperis, schemate corrumpas. Nihil enim interest qua- cumque ratione barbaros clientes tuos prodas. Libro IX. | [14] (251) al tempo di Galileo nella teoria del cielo di Aristotele, Opposizione veramente al Galileo non fece (+). Questa fu ope- ra dei peripatetici infimi. Ma io voglio apportare un'autorità di un filosofo contemporaneo del Galileo nella stessa Uni- versità di Padova, che è il Piccolomini Francesco, di cui ha stima il Galileo stesso, quantunque di parere a lui con- trario. Costui nel de coelo che appartiene all' opera grande delle cose naturali, esponendo le varie opinioni sulla iden- tità o diversità delle due materie celesti e terrestri dice così: alcuni confessarono avere creduto Aristotele la ma- teria del cielo come distinta da quella dei mortali. Ma essi aderirono all’altro partito, come Filopono. Similmente Scoto asseri secondo Aristotele essere distinta, ma come teologo disse essere la medesima. Ma queste opinioni non mi si oppongono; poiché io cerco che cosa la ragione as- solutamente ci dimostra e specialmente secondo i principi di Aristotele. Quod autem coli materia vel eadem, vel distincta sit, ad articulos fidei non pertinet (*). Questa confessione di un cattedratico di Padova, vecchio, di no- bile famiglia senese, amico della corte toscana e del Pon- tefice, è la più bella difesa del Galileo contro il Cardinale Bellarmino. La distinzione della scienza dalla fede era una vecchia prerogativa specialmente della Università di Padova, la quale solamente poteva aprire il campo alla osservazione (1) Di С. Cremonini e della sua controversia con U Inqui- sizione di Roma. Nota di D. Berti. 15 aprile, 1877. Atti d. Ac- cad. dei Lincei, serie 3.° (2) Quidam enim confessi sunt Aristotelem existimasse mate- riam celi distinctam ab ea mortalium: ipsi tamen alteri parti ad- hæserunt, velut Philoponus in disputatione contra Proclum. Simi- liter Scotus in 90 sentent. 14 qui ex opinione Aristotelis asserit esse distinctam, absolute tamen et tanquam theologus affirmat eam- dem: sed hæ sententic mihi non adversantur: nam quero quid ab- Solute nobis ostendat ratio et praesertim per principia Aristotelis : quod autem coli materia vel eadem vel distineta sit, ad articulos lidei non pertinet. | (252) 12] della natura, alla quale i principii dello stesso Bruno mette- vano il più grave inciampo. Ciò che era soggetto al dubbio, al questionabile, si voleva distinto dalla fede. Aristotele stes- so continuamente studiato dava luogo a diversa opinione su quell’ argomento. Il Piccolomini nel capitolo 7 di quel- l’opera apporta ragioni desunte dallo stesso Aristotele che provano la identità di materie; p. e. del I.’ e del П." della fisica, e sopratutto dai luoghi del de ortw et interitu. Averroe stesso che ammise l intelligenza far l'atto del cielo, doveva dire che questo era pura potenza. Non la scienza di Aristotele libera dalla fede, professata nell’ U- niversità di Padova, ma taluni teologi più che filosofi, con- trastavano Galileo. E vero che la ragione era incerta, perché destituita dei fatti dell’ osservazione; ma era predi- sposta ad accoglierli, perché era senza l'incubo della fede, quando fossero bene accertati. Ma per ritornare al punto principale del mio argo- mento, io debbo notare che si è dimenticato una parte notevole della storia nella rigenerazione del pensiero, af- fascinati dalla venuta di Galileo, e dal periodo anche molto considerevole dell’ Umanesimo. Abbiamo dimenticato il con- tributo anche grande che portò alla risurrezione morale della scienza il pensiero filosofico. Noi abbiamo dimenticato osserva il Prantl, che se non si fosse radicata la disci- plina del pensiero con si grande tenacità della lettura di Aristotele, sarebbe allora subentrato il misticismo plato- nico che annegava ogni senno speculativo. (!) Gli umanisti avevano il gran difetto di parlar di tutto sotto la veste dell' eleganza latina, ma spoglia di ogni idea religiosa. Tutti apprezzar dobbiamo questa rigenerazione della lingua, ma sino ad un certo punto però. Ma chi non riconosce che una gran preparazione alla rinnovazione della scienza fu lo studio indefesso sopra Aristotele, costui nega un altro grande fattore nella storia della rinascenza. Nè posso ca- (4) Vedi Vol. 3 cap. 17 Storia della logica 1867. [13] (253) pire, perché lo studio scientifico debba essere inferiore a quello delle lettere nella potenza della rigenerazione dello spirito umano. Gli scienziati investivano tutto lo scibile coll'ombra di Aristotele, il quale era nella scienza ciò, che era la lingua del Lazio nelle lettere. Come non si conce- piva nulla senza la forma latina; così non vi era cattedra che non fosse designata dalla partizione delle opere di Aristotele. Ora quello che era Firenze nel culto delle lettere, ad- divenne Padova rispetto alla filosofia. Che se tra Padova e Firenze vi furono spesso lotte, non si deve negare che uno era il comune intento, l’affrancare, cioè, lo spirito dalla fede e dal dogma che aveva intorpidito l'ardore della virtù morale e scientifica dell’ umanità. Cap. П. Padova e la sua Università al tempo del Vernia Non sarà fuor di proposito dare un piccolo sguardo sullo stato della Università di Padova e sulle condizioni morali della cultura della città nella seconda metà del se- colo decimoquinto, durante il cui tempo quasi intero il Vernia fu professore. Riferirò solamente quelle notizie ac- sattate qua e là che hanno relazione all'argomento, e che servono a schiarimento dell'epoca della massima fioritura degli studi filosofici. Certo è, che l’Università di Padova guadagnò molto col passaggio dal dominio dei Carraresi a quello della repub- blica veneta. Perchè estendeva la sua grandezza non solo sopra tutte le altre Università italiane, ma anche alle- stero. In Italia si faceva dai professori come un tirocinio nelle Università inferiori per arrivare a quella di Padova. E gli scolari esteri davano un gran contingente; la qual cosa derivava dalla fama di questo studio. (*) Come sotto il dominio dei Carraresi l’ Università eleggeva i professori, ed i principi gli chiamavano ad insegnare ; così anche sotto il dominio veneto gli scolari, ovvero tutta l’Università, come nel caso degli artisti, eleggeva i suoi professori. Una eccezione bisogna fare per la cattedra di Teologia, la quale (1) Non è perciò una esagerazione ciò che si legge in un de- creto del Senato all’occasione della nomina di Pier Leone di Spo- leto a prof. di Medicina nel 1490. Sicuti Gymnasium nostrum pa- tavinum semper fuit celeberrimum ac ab omnibus judicatum quod in unaquaque facultate praestet ac superet omnia reliqua Italie gymnasia, ita dominium nostrum continue ac omni studio curavit illud florentissimum et in culmine tenere. Si legge nel Codice Ш. degli artisti. [15] (255) era proposta dal Vescovo di Padova: e quello che è più notabile, anche quella di Metafisica era approvata dal Se- nato dopo il parere del Vescovo. Ciò si spiega per l’ af- finità che aveva allora la Metafisica colla Teologia. (*) Alle volte la elezione dei professori era affidata al rettore coi suoi consiglieri, e ad alcuni scolari. Ed il Senato confer- mava. Nel 1445 per tumulti che sorsero nelle elezioni, il Senato decretò che i pubblici rappresentanti eleggessero і professori. Nel 1504 fu decretato dal Senato che i pro- fessori che avevano letto per 5 anni, non dovessero essere più soggetti alla ballottazione : (°) e nel 1523 il Senato si riserbò l'elezione alle principali cattedre. (°) Durante il loro servizio ai professori veniva spesso accresciuto il loro stipendio dietro domande che facevano alla repubblica. Il Vernia p. e. aveva ottenuto nel 1491 40 fiorini dippiù (*): e credo che questo stipendio di 365 fiorini avesse conservato fino alla fine del suo professorato. Alle volte il Senato stesso era costretto ad aumentare lo stipendio ai professori, per tema che andassero via da Pa- dova. Girolamo da Verona voleva andar via dall’ Univer- sità, perchè aveva 100 fiorini soli : ed il Senato gliene ac- cordò altri 100 nel 1485. E se ne dice la ragione: cioè, non solo pei meriti del professore, ma anche per l’onore del- lo studio, di cui la repubblica aveva ogni interessamento. (5) (1) Quindi è che come in questa, così anche in quella vi erano due professori per ciascuna cattedra: una secondo Scoto, l’altra se- condo S. Tommaso. E tutti e quattro i professori erano eletti dal Vescovo. La sacra scrittura fu stabilita nel 1551. (2) Il Vernia p. e. non fu più sottoposto a ballottazione dopo 5 anni d'insegnamento, cioè dal 1465 sino al 1470. (3) Molte notizie di questo genere si trovano nei Manoscritti del Morelli, e specialmente nel Vol. 8.° (4) Il Colle ci dice che una volta fu dato al Vernia tutto lo Stipendio dell'intero anno anticipato, per ragioni di famiglia. (5) Negli atti del Senato Veneto si legge: faciat pro nostro et Suo beneficio et commodo predicti studii, nel fargli questo au- Lal S V 34 (256) [16] Cosi anche, nel 1491 si accrebbe lo stipendio al Cor- setti, temendo che la sua partenza potesse cagionare anche quella degli scolari in altra Università. (t) Più no- tabile è quest'altra notizia. Pietro Trapolino voleva inse- gnare medicina prattica. Ma, e per la pochezza dello sti- pendio che aveva a Padova, e perché non vi era una cat- tedra vuota, voleva passare allo studio di Ferrara. Il Se- nato non solo gli accrebbe lo stipendio di 65 fiorini, ma dichiarò che gli fosse riserbata la cattedra di medicina, quando vacava. E di fatti gliela aggiudicó nel 1492, 15 febbraio, dopo la morte di Antonio da Rimini che l'occu- pava. (°) Non è qui necessario dire quale fosse l'autorità e la stima dei professori delle diverse facoltà. Si sa che tra quelli appartenenti al dritto, spesso venivano alcuni chiamati a dare il loro parere nelle più gravi contese che nascevano tra i diversi stati e la Chiesa. Mi basta un solo esempio che ho sotto gli occhi. Antonio Roicello prof. di leggi ecclesiastiche nella Università di Padova, disciplina a quei tempi molto difficile, fu chiamato da Martino pon- tefice per avere da lui consigli. E nella causa tra Sigis- mondo e Ladislao re di Polonia fu chiamato a difendere quest’ultimo contro l’imperatore. Il Senato veneto lo ado- però nei pericolosi negozii della repubblica. (°) Ai profes- mento. Il Morelli nel vol IL? ms. riferisce che gli fu concesso un sostituto alla cattedra nella persona di suo fratello Matteo; quia ob ejus prestantiam carentiamque phisicorum in hac urbe nostra sæ- penumero vocatur ad curandas sgritudines Nobilium civiumque. (1) Ms. del Morelli Vol. III.” pag. 366. (2) Colle Ms. (3) Queste notizie si leggono nella Oratio III P. Barrocii in fu- nere Ant. Roicelli. pag. 163. Aug. Valerii patavii 1819. Riporto una osservazione del Barozzi sulla difficoltà del dritto canonico. At in qua disciplina hoc? in ea que ob diversas cum veterum jurecon- sultorum, tum Imperatorum atque Pontificum sententias, et super eis jureconsultorum novorum partim glossas, partim expositiones, obscurissima, et laboris pæne infiniti nunc est. Ut enim volet quis- | | | [17] (257) sori di teologia e di metafisica qual altro onore maggiore poteva esser dato, se non quello di sedere nei Concilii ? Non parleró del Cardinale de Vio che dopo essere stato un anno a Padova e poi in altre città, giunto a Roma prese gran parte nel Concilio Lateranense. Ricorderò Maurizio Ibernico che lesse a Padova sino al 1509, e nel 1512 in- tervenne a due sessioni dello stesso Concilio. Il Trombetta prof. di Metafisica fu chiamato da Giulio II avendo biso- gno della sua opera, nel Concilio medesimo. (!) L'istesso Egidio da Viterbo aveva fatto i suoi studi sotto il Vernia ed il di lui scolaro, Agostino Nifo. Non era solo la elezione dei professori fatta dagli sco- lari, ma anche quella dei rettori, carica onorevolissima. E qui mi piace riportare l’autorità di un santo uomo, (*) che Que accipiat, ego veteres jureconsultos sive illi a Numa, sive ab Atheniensibus, sive ab aliis quibuscumque didicerint, peritos fuisse non nego; sed eam disciplinam, si umquam fuit, nostra aetate difficillimam scio; simul quod jus imperatorium istud quod ab Ju- Stiniano compositum est, veteres non habebant: simul quod pon- tificii quo nune utimur, juris Scientia, illis nulla erat: simul quod alio et quidem longe meliore modo responsa sua prisci illi jureconsulti exponebant, quam a nostri temporis jureconsultis mu- tilata nune exponantur et manca: simul quod multa prisci illi di- Xerunt quae succedente paullatim latinitati barbarie, a novis ju- reconsultis ne intelliguntur quidem: simul quod, contra quam Im- perator edixit, tot jureconsultorum novorum volumina priscis ex- ponendis edita sunt, tamqué inter eos diverse, immo vero etiam contrarie sententiae, ut eas etiam percurrere laboriosissimum sit, nedum in unum colligere, aut quae cui proferenda. sit, internoscere. (1) Lo Scardeone, a pag. 155, cosi di lui: verum tamen cum Ecclesia romana ejus opera plurimum indigeret, Julius II hominem Jam senem urbinatem Episcopum creatum Romam in concilium quod preparabat, accivit, ubi multum sibi authoritatis et nominis acquisivit. (2) Interim comitiorum tempus instare: de eligendo rectóre col- loquia fieri: cursitare huc atque illuc multi, et ne noctem quidem quietam esse permittere: precibus, minis, muneribus in suam quis- (258) [18] poi fu vescovo di Padova, il quale non giudica punto una stranezza questa elezione dei rettori fatta dai giovani. I quali sebbene in quelle rare circostanze erano distratti dagli studi, pure a parere di lui si esercitavano fin d'al- lora a trattare i piccoli affari per addestrarsi a maneggiare quelli più grandi della repubblica, in avvenire. E que- sta l'opinione del Barozzi che espone nella elezione del rettore Francesco Scledo da Vicenza, professore di dritto Civile ed ecclesiastico. L’arte della stampa inventata nel 1457 fu portata a Padova nel 1472 da Marsino dei sette alberi Pruteno: e que factionem quam multos posset, allicere: de magistratibus his, quos consiliarios vocant, deque illis quos in sequentem annum docen- di locum habere aut non habere oporteret, stipulationes clanculum fieri: et dum suarum quisque partium hominem, aut a quo sperare ipse quip- piam posset, quam alienarum, et a quo sperandum sibi nil esse intelligat, rectorem deligi mavult; non quid universis, sed quid sin- gulis utilius futurum sit, queri. Tota denique urbs, perinde atque si de summo imperio controversia foret, in partes trahi. At ubi in Franc. Scledum oculi conjecti sunt. .... major atque adeo melior universitatis pars eum rectorem esse conclamat...... Ubi enim a legum studiis ad ambitionem, nobilium atque ad honores et digni- tates educatorum juvenum cogitatio declinaverit, quod suecumbere aut non quæ voluere omnia consequi, grandem contumeliam ducant, ferociunt, ac propemodum efferantur; ne jam quid justum aut non justum sit, sed quid semel efficiendum receperint, quaerunt; neque hoc sine ingenti quadam utilitate; quamvis enim juris utriusque studiis hoc genus occupationes impedimento non mediocri sint, et ex his qui totos se illis immersere, per quam raros doctos eva- sisse perhibeant, nos tamen quia hujuscemodi juvenes ad honores, ac rerumpubblicarum administrationes educari non ignoramus, in quibus persaepe, quid Pomponius, aut Ulpianus censuerit scire nil prodest, nisi eliam qua ratione pericula que in communi vita 0C- currunt, quotidie depelli aut declinari debeant, in promptu habea- tur; istiusmodi impedimentum, presertim si non assiduum sit, et vincendi studio potius quam alicujus odio accidat, non omnino inu- tile arbitramur. P. Borrocii Oratio T. pag. 124, 42 Aug. Valerii ect. Patavii 1819. [19] (259) lo studio aveva già la sua stampa ; imperocchè nel 1476 si trovano stampati i commenti di G. Thiene sulla meteo- rologia di Aristotele. (*) Il Morelli ci dice che la prima opera stampata a Padova da Martino Pruteno è di Paolo Morosini, de @ternitate temporalique Christi generatione in judaices improbationem perfidiae, e dallo stesso la vita di S. Antonio di Siceone Polentone, alunno dello studio. (3) Un altro fatto che dichiara il progresso negli studi a Padova é la istituzione della biblioteca di Giovanni Mar- 'anova; il quale dopo essere stato a Bologna dal 1453, tornato a Padova nel 1467 lasciò molti autori antichi la- tini e scrittori di letteratura del secolo XV, ed alcune raccolte di anticaglie, alla canonica di S. Giovanni in Ver- dara. (3) Ma quello che a me ha fatto maggior peso intorno allo stato di coltura ed al fervore degli studî a Padova, è la floridezza dei conventi di quei tempi. І conventi si può dire che concorrevano insieme coll’ Università ad accre- scere il nome della dotta Padova. E come quella era la prima in Italia, così l’istesso punto di elevatezza tennero negli studi teologici i conventi. Come dalle altre Univer- sità a quella di Padova si faceva una specie di tirocinio ; così anche ai conventi di Padova chi veniva nominato reg- gente degli studi, aveva acquistata tanta fama, che spesso era degno di una cattedra nella Università stessa. Celebre (1) Così si legge nella fine: Gaetanis de Thienis Vicentini phi- los. preelarissimi methereorum Arist. libros expositioni finis im- positus est per me Petrum Manfer normannum Rothomagestum ci- vem in preclarissimo studio Patavino die 6 Augusti 1470. (2) Vol 8 ms. del Morelli. (3) Onde il Pignoria presso Giovanni Pinelli scrive cosi: magno ausu bibliotecam instruxit, codicibus scriptis, veteribus nummis et inscriptionibus antiquis. Morelli Vol. 2 Ms. Vedi pag. 36 «le biblio- teche padovane» di B. Brugi nel lavoro, la Scuola padovana di di- ritto romano nel secolo XVI. 1888. Padova. (260) [20] era quello degli Eremitani, (t) da cui era uscito Paolo Ve- neto che ricevette tanti onori dal Senato. Verso il 1390 studiò ad Oxford: e nel 1410, 30 Luglio, si legge che prese la laurea in medicina. Anche dallo stesso convento venne il Maestro Tommaso Anglico che fu professore di teologia nella Università. (°) Ma piu di tutto è notevole che in questo convento fu Egidio da Viterbo. A 19 anni andò a studiare a Padova dopo aver preso l'abito degli agostiniani alla età di 18. Allora non avevano difficoltà i monaci di uscire dal chiostro per sentire le lezioni nella Università. Egidio studiò sotto il Nifo e sotto il Vernia: ma lasciando Padova fu ispirato dal Ficino al platonismo, ed assali la filosofia peripapetica a Roma in una pubblica disputa. (*) (1) Gli eremitani appartenevano all’ ordine degli Agostiniani: e furono detti anche Egidiani per il loro fondatore Egidio Romano, scolaro di S. Tommaso, la cui dottrina era secondo la guida di S. Agostino. Egidio de Colonna, o Romano ammise la mutabilità dei cieli contro S. Tommaso. La dottrina dell’anima era, che il pensa- re, il conoscere e l'amar Dio era la somiglianza in noi della Tri- nità. Ammise l'interruzione del pensiero, l universale essere Іа collezione dei singoli fatta dall intelletto, e la pluralità dell’ an- gelo contro S. Tommaso. Vedi il Werner pag. 451, die August. Psy- chologie in ihrer mittelalt schol. Einkleidung und Gestaltung. (2) Di lui ci sono due opere, Le qæstiones metaphisicales An- tonii Andrec emendate da lui, il quale si firma: Reverendus pater а professor Magister Thomas de Anglia eximiusque sacre theolo; ordinis heremitarum actu in civitate patavina legens. Edizione di Vicenza del 4477. Nella Marciana ci sono le questiones super tri- bus principiis rerum naturalium et formalitates Antonii Andres et S. Thome de ente et essentia ab emo S. Theologiae prof. Thoma Pinchet anglico ex heremitarum ordine ingenti diligentia 'æmen- date. Padus 1475. Le sentenze di Scoto furono sotto la di lui cor- rezione stampate a Venezia nel 1477. (3) Veggasi la collezione delle lettere di Eg. di Martine; dice di se, Patavium реггехі, insudavi, uti si possen cognoscerem quid Aristoteles, quid sapientes alii de vita mortalium, quid de rebus divinis, quid de ipsa tandem anima sentirent. [21] (261) Ma fra tutti erano fiorenti i due conventi di S. An- tonio e di S. Agostino, cio» dei minoriti e dei tomisti. Francesco Nardó dopo aver dato, cosi giovane, prova del suo valore, fu nominato maestro di studio nell’ ordine dei domenicani a Padova, e poi ebbe la cattedra di Metafisica nella Università. Egli creò una scuola floridissima di va- lorosi tomisti: e da essa uscirono Girolamo da Monopoli, ed il Merlino che occuparono la cattedra di Metafisica nella Stessa Università, entrambi domenicani. Come reggente dello studio del convento di S. Agostino venne a Padova Frate Valentino da Perugia, ed occupò poi la cattedra di Metafisica nella Università dopo la morte del Neritone. (6) Al convento di S. Agostino faceva somma concor- renza quello di S. Antonio, ove era una florida scuola di teologi scotisti. Questa era sotto la direzione di due som- mi scotisti, Maurizio Ibernico ed Antonio Trombetta pa- dovano. Il primo dopo essere stato eletto reggente dello Studio nel convento a Milano nel 1488, fu nel 1491 chia- mato a reggere lo studio nel convento di S. Antonio, e- letto dal capitolo generale tenuto in Assisi e convocato dal Generale Francesco Sansone. Fu poi sino al 1509 prof. di Teologia nella Università, e scrisse sopra varie questioni secondo le dottrine di Giovanni Scoto. (°) Il secondo, il Trom- betta, fu per moltissimi anni prof. di Metafisica scotistica nella Università, ed insegnò prima in concorrenza col pa- (1) Vedi Contarini б. B. pag. 134. Notizie storiche dei pub- blici professori nello studio di Padova dell'ordine di S. Domenico. Venezia 1769. (2) Nella dedica dell’ opera, Clarissimi doctoris. J. Scoti qua- stiones super universalibus..... quibus sui discipuli. A. Andrea Quaestiones sex principiorum connectuntur, fatta da Maurizio e Mauro Santo dice: cupiens igitur studiosis omnibus prodesse et bri- tannis meis precipue et venetis quibus quia me in celeberimo gym- nasio patavino honorifice conduxerunt debeo. Venetiis 1500 die 90 martii. Nelle opere di A. Andrea ci è anche: in queestiones dia- lecticas expositio Mauritii Ibernici. Venetiis 1499. (262) [22] dre Neritone e con altri tomisti, sino al De Vio che era un zelante tomista, e giovane come era, non mancò mai di combattere a tutta oltranza la scuola scotistica, anche quan- do andò via da Padova. Il Trombetta fu nominato vescovo di Urbino; ma rinunciò presto e ritornò a Padova, e fu sepolto nella chiesa di S. Antonio, ove ancora si vede un magnifico sepolcro a lui eretto. Nel convento di S. Maria delle Grazie abitò nel 1491 il De Vio Caetano, il quale dopo avere studiato a Napoli ed a Bologna si perfezionò a Padova. All'età di 22 anni fece stupire tutti in una disputa tenuta a Ferrara nel ca- pitolo generale dei predicatori, per cui.fu nominato mae- stro dal generale Turriano. E di poi ritornato a Padova fu nominato così giovane prof. di Metafisica in concor- renza col Trombetta che era molto vecchio. Con chi di- sputò il De Vio? (t) Il Contarini (°) ci dice che argomentò contro Pico della Mirandola nel 1493, 19 marzo, di mar- tedi. È facile che alcune questioni dovettero cadere su quella dell'anima, questione allora vivente; e Pico, che erasi fatto platonico già da tempo, dovette ritenere di Pla- tone e di Aristotele la concordia nella dottrina della im- mortalità. Ed è facile anche il supporre che il Caetano dovette per il primo sostenere che secondo Aristotele non si poteva accettare l'immortalità dell’intelletto possibile, dottrina, di che poi usufrui il Pomponazzi senza nemmeno citarlo. (*) Pico era uno dei più grandi polemici d' allora ; e chi disputava con lui saliva in grande fama. Sappiamo che anche Lodovico Valenza di Ferrara, dopo aver tenuto una disputa con Pico per dare esame del suo sapere, ed (1) б. Battista Flavio aquilano, segretario del de Vio ha scritto la di lui vita che si trova nel commento al libro di Iob fatto dal de Vio stesso: dice solo: Vix dum matus annum ætatatis suae vi- gesimum secundum Ferrariam petiit, nobilissimam Italia civitatem. (2) Opera citata. (3) Come si vedrà più avanti. [23] (263) avere risposto bene a tutte le sue obbiezioni, si acquistó tanta fama da essere nominato prof. di Teologia a Pado- va. (‘) Il De Vio dopo Padova fu a Pavia, a Milano, come si legge dalle date di varie sue questioni trattate: final- mente all’età di circa 40 anni fu chiamato a Roma da Oliviero Caraffa cardinale di Napoli, (*) il quale lo fece nominare maestro generale dell’ordine dei predicatori. Chiuderò questo capitolo con qualche nota sui vescovi di Padova di quell’epoca; dalla quale risulta che se essi avevano molta ingerenza nella Università, pure sì man- tennero a tal punto, che la loro autorità lungi dall’ offu- scarne la elevatezza, contribui non poco ad accrescerne il lustro. Né io debbo dilungarmi di troppo in questo argo- mento, perchè mi si presenterebbe l'occasione non solo di dire intorno ai varii vescovi, ma anche qualche cosa di notabile intorno ad alcuni eminenti canonici. (*) Restrin- gendomi all’ epoca della seconda metà del secolo XV ricor- do solo che il vescovado di Padova aveva avuto uomini preclari. Francesco Zabarella che poi fu vescovo di Fi- renze, era stato già prima eletto dal capitolo generale dei canonici padovani, quando per l’ esistenza di tre papi legit- timi il capitolo pensò di ritornare al suo antico dritto da esso esercitato, di eleggersi i Vescovi. Ma questa elezione non fu riconosciuta, perchè il Senato veneto voleva sempre un (1) Nel libro І Historia almi Ferrariae gymnasii 4735, Fer- rari; , si legge: Ludovicus Valenza Ferrariensis cum insignem in Patavino archigymnasio Theologie Cathedram obtinuisset, Conelu- sionum de rebus difficillimis, ut sui experimentum proberet, libel- lum exposuit, magnoque Pico Mirandulano, inter cæteros ad ar- Suendum invitato, plurimis, et subtilissimis quidem ejusdem орјес- lis tanta ingenii vi restitit, ut immortalem apud omnes sibi famam comparaverit. (2) A costui dedicò il suo commento di Aristotele sul de anima, la cui prima edizione ha la data del 1509. (8) Vedi Serie cronologico-storica dei canonici di Padova del Marchese Orologio canonico 4805. TO BS (264) [24] patrizio; e Gregorio Xl; oiesse il Marcello. Vescovo di Padova fu anche Pietro Donato mandato da Eugenio IV qual delegato al concilio di Basilea. Per opera di questo Vescovo il Papa concesse ai professori beneficiati i frutti dei loro beneficii, sebbene non risedessero, eccettuata la distribuzione quotidiana. (') Ma venendo all’epoca di cui scrivo, tre alunni dello studio di Padova si successero nel vescovado, cioè Jacopo Zeno, Pietro Foscari, e Pietro Barozzi. Essi si erano molto distinti nello studio, specialmente il primo e l’ultimo; e l'Università godeva di essere sotto la vigilanza di uomini, che avevano dato nel tempo dello studentato ottima prova del loro ingegno. Lo Zeno era molto stimato dai letterati: a lui dedicó Zovenzonio la geografia di Strabone stampata a Venezia nel 1472. A lui Giorgio Merula dedicò le com- medie di Plauto ed alcune lettere dell’Aretino. E ciò, perché era un elegante scrittore. Egli è 1 autore delle vite dei papi sino a Clemente V,e della vita di suo avo, Carlo Zeno. Il suo nome è ricordato anche per una gran col- lezione di libri e di codici lasciata, che Pietro Foscari suo successore ricuperó, e con essa fondó la biblioteca per il Clero della cattedrale: anzi elesse un bibliotecario che as- sistesse la mattina ed il dopo pranzo alla biblioteca. Finalmente nel 1487 il Barozzi prese il possesso del Vescovado a Padova; ed Antonio Orazio gli recitó l'ora- zione gratulatoria nell' Università stessa, che fu stampata nel 1493 da Girolamo di Duranti. Quantunque nella ora- zione in funere fatta dal canonico Cristoforo Marcello tutto è esagerato, pure da vari altri scrittori si raccoglie che questo Vescovo fu un pio uomo, pieno di carità, e di non volgare dottrina. (?) Di lui si ricordano due cose so- (4) Vedi dissertazione nona sopra la Storia Ecclesiastica pado- vana di Fr. Scipione Dondi Orologio, Vescovo di Padova, Padova 1817. (2) Oltre del Bembo che ne parla con tanta lode, il Cardinale Contarini nel de officio Episcopi lo pone a modello dei Vescovi. a | | | [25] (265) pratutto, che in un anno di gran miseria a Padova erogò danaro e frumento, (!) e che con una somma cospicua concorse alla fondazione del Monte di Pietà insieme coi professori e studenti dell’ Università (°). Ho letto varie ora- zioni sue e molte poesie; e mi sono convinto pienamente che egli era un sommo umanista di quei tempi (°). E rac- comando la lettura di quei scritti a chi gusta lo scrivere Il Pomponazzi riferisce che mentre molti attribuivano alla magia che Apollonio vedeva lontanissimo, il Barozzi disse che ciò era natu- rale fenomeno, perchè le cose inferiori alle volte si riflettono nell’ a- ria fino al cielo, e di lì si riverberano nella terra, come uno specchio nell'altro: e lo chiama: virum non solum doctissimum sed etiam sanc- tissimum, et in Mathematicis universaliter apprime doctum, Pag. 57 Basilea 1567. (1) Vedi, Ghristophori Marcelli canonici patavini doctoris in R. Episcopi P. Barrocii funus oratio Paduc pubblice recitata, che si trova nel, de cautione adhibenda in edendis libris, di Agostino Va- lerio, Patavii 1819. (2) Nei manoscritti del Morelli vol. 3.° (3) Tre sono le orazioni stampate che si trovano nel de cau- tione del Valerio; una, pro Francisco Scledo Vicentino, la secon- da, pro Christophoro Mauro Venetiarum duce, la terza, in funere Antonii Roicelli Aretini. I tre libri, de ratione bene moriendi, a Marco Barbo Patriarca di Aquilea insieme con aleune preghiere, ad pestilen- tiam deprecandam, ad serenitatem tris impetrandam, Venetiis 1534, sono ascetici. E tali anche i due libri, consolationum ad Joannem Michælem Episcopum Veronensem in Victoris Michelis fratris pa- fuelis mortem, e la lettera di condoglianza a Pietro Foscari vescovo di Padova. Nella fine di questa lunga lettera si legge. Nunc ut alia eliam ratione, tuo suceurator dolori (nam et cantu nonnumquam leniri consuevit) quos Patavii, Belluni, Rome Versuum atque Him- norum cecini libros tres, tuo jamdudum nomini destinatos, tibi dono do. La data è da Belluno 1481. Di questi tre libri di poesie, al- cune furono fatte a Padova, e di queste ne bruciò varie, perché giovanili troppo, altre in Belluni montibus altis, ed altre final- mente a Roma nei momenti di ozio, cum respirare licebat. Cosi nel Prologus, sive Premium a P. Foscari. Pag. 210, Anecdota ve- neta Е. Joannis B. M. Contareni, Venetiis 1757. (266) [26] latino elegante e chiaro, a cui piace il periodare lungo ed oratorio, e specialmente a chi si diletta di rimembranze delle gesta romane unite ai fatti gloriosi di Venezia: le quali cose stavano molto a cuore al Barozzi descrivere, come veneziano. E non vi è dubbio che la eleganza del suo scrivere si sente vieppiü, quando tratta argomenti ci- vili, anzi che quando scrive intorno ai Santi, eccezione fatta della poesia di S. Martino che è bellissima, perchè contiene un soggetto quasi pagano. (t) Si sente davvero Virgilio, ma bene imitato, nella poesia sulla morte di Bertoldo nella guerra dei Veneziani contro i Turchi nel Peloponneso. (%) Nella orazione pro Franc. Scledo si nota il vero stile ci- ceroniano, cioè una facilità di pensieri unita alla elegante dicitura. Ciò che dice sulla nobiltà dei costumi della gio- ventü ti persuade che limitazione ha preso tal pro- fonda radice nel suo stile, che la lingua ed il pensare non sono punto disgiunti, come in altri umanisti di quei tempi. Il Barozzi non lasciò nulla, nè di danaro, e nemmeno di mobili: solo una bella raccolta di codici la quale andò venduta in Inghilterra. Perlocchè il Senato eresse a pub- bliche spese un monumento a si degno Sacerdote, il quale ancora si osserva nella cattedrale di Padova. Esso è di stile lombardo. Questa era Padova all’epoca, in cui il Vernia era pro- fessore. E se la scolaresca era così numerosa non solo per diverse parti d'Italia, ma anche per forestieri, nissuna meraviglia che il Vernia venne da Chieti a questa prin- cipal sede di studii per istruirsi in prima. (1) In B. Martini Confessoris atq. Pontificis, cujus titulo Ec- clesia Bellunensis censetur, natali die, ex voto, pag. 350, opera citata. (2) De Bertoldi morte, qui terrestri exercitui contra Turcos in Pe- loponeso cum preesset, saxo periit. pag. 213. Segue la poesia ad Christophorum Maurum venetorum ducem, anche bella. Mi dispiace non potere riportare alcuni tratti bellissimi, ove ci sono descrizioni di guerre dei Veneziani ben fatte; ma le raccomando ai letterati buongustai del latino. (Continua) NUOVO CONTRIBUTO ALL'ALTIMBTRIA DELLA REGIONE VENETA. BREVE NOTA DEL M. E. GIOVANNI MARINELLI. Ho l'onore di presentare al R. Istituto una pubblica- zione del chiarissimo signor colonn. L. De Stefanis, capo della sez. geodetica del nostro Istituto geografico militare, intitolata : « Sulla determinazione altimetrica dei punti trigonometrici compresi nell'alta regione Veneta Orien- tale» (!). È noto che il nostro Istituto geografico militare, per condurre a termine il grandioso lavoro della Carta d’Italia al 100,000, ha recentemente triangolata anche la regione Veneta, coprendola di molti punti quotati. Giusta i metodi seguiti dal" 1 Istituto, l'altitudine di questi punti è stata de- terminata mediante una serie di distanze zenitali, prese sia mediante osservazioni fatte da una sola stazione, sia me- diante osservazioni reciproche. Il colonnello De Stefanis ha creduto opportuno di pa- ragonare in via geometrica gli elementi di controllo, ot- tenuti per la ricerca delle varie altitudini, colla mira d’in- vestigarne il grado di esattezza e di fornire così dei risultati, che sl possono ritenere esattissimi per gli scopi, a cui mi- rano simili determinazioni. (1) Opus. in 4° di pag. 53, con alcune figure e una tavola cromolitografata. Estratto dalla « Rivista di Topografia e Catasto » vol. III, 1890. Roma, Civelli, 1891. (268) [2] Con questo si raggiunge ancora un altro fine, cioè quello di presentare una serie di caposaldi altimetrici si- curi a quegli studiosi, che mirano a determinare delle al- titudini di dettaglio non comprese nei lavori dell’ Istituto militare. Questo concetto, dichiarato esplicitamente dal De Ste- fanis, geodeta insigne, è incoraggiante per quanti si oc- cupano di queste ricerche, poi che, non mancava chi, non ostante la eccessiva scarsità di materiale altimetrico finora lamentata nella Regione Veneta, trovava non approvabili, o per lo meno non corrispondenti al vantaggio ricavatone, gli sforzi diretti ad aumentare siffatto materiale, anche determinando quote fornite di un valore soltanto appros- simativo, quali son quelle ricavate mediante il barometro e gli aneroidi. Jome dicemmo, il presente lavoro riguarda i dati, con- cernenti unicamente l'alta regione Veneta e precisamente il territorio compreso fra il confine coll'impero Austro- Ungarico a N. e ad E., la linea che dal monte Mataiur per Udine, Virco (presso Codroipo), S. Vito al Tagliamento, Pordenone, Oderzo e Conegliano va al monte Grappa a S., e la linea del Brenta e Cismone ad O. In seguito, J’ Istituto militare compirà un analogo la- voro per l’Italia in generale, aggiungendovi, oltre al col- legamento della livellazione trigonometrica con quella di precisione, anche il collegamento di questa coi varii ma- reografi disposti lungo le coste del Regno e coi capisaldi esteri della frontiera terrestre. Per ciò che riguarda il Veneto, l'origine delle diffe- renze di livello è stata fissata nello zero del mareografo di Genova. Una livellazione di precisione, condotta lungo le linee ferroviarie fino a Pordenone e ad Udine, offre parecchi punti di collegamento colla livellazione trigonometrica, e fra essi è stato preferito Pordenone (probabilmente perchè po- sto nella migliore posizione rispetto al territorio da illu- [3] (269) Strare altimetrieamente) a punto di partenza perle deter- minazioni trigonometriche di altezza. Queste poi vengono minutamente esposte si nel pro- cedimento seguito nell'istituirle, come nelle formule ado- perate e discusse in ordine agli errori possibili, sia a se- conda della provenienza diversa delle varie quote, sia Mediante un confronto (nei pochi casi, pei quali esistono elementi di confronto) coi risultati della livellazione di Precisione. Non è mio proposito (e non ne avrei nemmeno la com- Petenza) di seguire l'autore nella discussione, riguardante Îl procedimento delle operazioni e il valore delle formule adoperate. Però credo opportuno di avvertire come, in effetto, dal Suo minuto lavoro di analisi risulti evidente la piena at- tendibilità delle quote determinate. Ciò emerge chiaro dagli errori veramente minimi, che le affettano. Ё noto che quando, a partire da un caposaldo qualsiasi, mediante una serie di successive determinazioni di diffe- renze di livello, si viene a descrivere un poligono rien- trante, se le determinazioni sono esatte, chiudendo la fi- Sura e tornando quindi al punto di partenza, la somma delle differenze deve risultare eguale a zero. Questa con- dizione in via assoluta non si verifica mai; però si verifica con una approssimazione di consueto tanto maggiore quanto minori sono gli errori, dai quali è affetta Г operazione. Ora, se si prendono ad esame i varî gruppi di de- terminazioni, ognuno dei quali corrisponde a una figura chiusa, si vede che le differenze, con cui le figure si chiu- dono son veramente rappresentate da valori minimi, no- DOstante il numero delle successive determinazioni e Ја grandezza delle distanze e delle differenze di livello. Così la prima equazione di condizione, che comprende le suc- Cessive differenze di livello fra Pordenone e S. Vito, San Vito e Udine е, analogamente, proseguendo per Buja, (270) [4] monte Corno, monte Verzegnig, monte Pramaggiore, monte Pelf, col Vicentino e Oderzo, arriva daccapo a Pordenone, si chiude con una differenza di soli 1".06 fra il dato ac- cettato in partenza e quello che risulta dalle successive operazioni. E della stessa importanza sono le differenze, che offrono le altre equazioni di condizione, che, per brevità, non riporto. Si avverta poi che questa. stessa piccola di- vergenza tra la quota accettata in partenza ө quella, che risulta in arrivo va divisa tra le singole operazioni in modo che gli errori riflettenti singolarmente ogni de- terminazione altimetrica son così piccoli che, per i 3l punti trigonometrici principali che costituiscono i vertici della rete fondamentale, la correzione, di consueto, è af- fatto minima e in due casi soltanto oltrepassa di qual- che cosa il mezzo metro. E anche per gli altri punti determinati meno rigo- rosamente, compresivi pure quelli di 4.° ordine (punti di dettaglio della rete trigonometrica dell’Istituto), si hanno di- vergenze così poco notevoli che sopra circa mille corre- zioni parziali, due solamente superano 1 @ metri (con la massima correzione di 2" .36), 63 stanno fra 1 e 2 metri, le altre restano tutte inferiori al metro. Questo mostra che nel lavoro che presento al R. Istituto, le altitudini medie riportate possono tutte considerarsi perfette entro il li- mite del metro, quindi tutte considerarsi come buoni ca- pisaldi per intercalazioni di altre quote ricavabili o me- diante il barometro o mediante semplici strumenti geode- lici di uso facile e comodo. Le quote cosi messe a disposizione degli studiosi, in attesa della pubblicazione della grande Carta d’Italia e per di più colla ragione del loro essere, riguardano 131 punti di 1, 2, 3.° ordine, е 359 punti di 4.° ordine (come avverti, punti di dettaglio) della rete trigonometrica ita- liana, in complesso 490 punti, compresi tutti nella regione veneto-orientale e più fitti che ‘altrove sulla destra del Tagliamento che sulla sinistra, più nella parte montuosa [5] (271) che non nelle vallate, e nella pianura. Salvo i punti rap- presentanti i vertici della rete di base, le altre quote ri- guardano località poste a un’ altezza maggiore di 1500" e arrivano ad altitudini superiori ai 3000", come quelle dell'Antelao (3263 .15), del Pelmo (3168".07) del Civetta (8218m +24), del Marmolada (3341".87) il punto culminante di questo rilievo, anzi di tutte le Alpi Venete. Avvertii che lo zero fissato per punto di origine delle altezze è quello del mareografo della R. Marina in Genova. Esso è fissato a 0".33 sotto il livello medio del mare ivi, determinato dopo quattro anni di osservazioni mareogra- fiche (t). Collegato, mediante una livellazione di precisione condotta per la linea di Genova, Savona, Cuneo, Torino, Novara, Arona, Lecco, Brescia, Verona e Padova col ma- Peografo posto qui in Venezia nel palazzo Loredan (Ufficio del Genio Civile) e accettando per quest’ultimo la deter- Minazione dedotta dal comm. Betocchi, in seguito a 3 anni di osservazioni mareometriche, ne risulterebbe che quel primo punto apparirebbe quotato — 0".41 rispetto al li- vello medio del mare a Venezia. Questo, in altre parole, Verrebbe a dire che il livello medio del mare a Genova è di 8 cent. più basso che non a Venezia. Senonché ulte- riori confronti e controlli permettono finora di ritenere Che fra i livelli medi dei due mari non vi sia sensibile differenza, Tuttavia nell’ opuscolo che presento, per i 31 punti della rete di partenza, il De Stefanis credette di col- locare anche le quote aventi per origine il livello medio del mare a Venezia accanto a quelle aventi per origine lo zero del mareografo di Genova. L’ opuscolo è corredato da molte figure geometriche, che permettono di conoscere in quale modo sono со- stituiti i vari gruppi altimetrici e a quali punti si ri- (1) Processo Verbale delle sedute della Commissione Geo- detica italiana, tenute in Roma nei giorni 4 e 5 dic. 1889; Firenze, Barbèra, 1890, pag. 27. d ШП, 8, ҮП 96 (272) [6] feriscano le equazioni di condizione, poi da una carta al 500,000 che permette di identificarli e di conoscerne l ubicazione. Quanto ho esposto basterà, io penso, a far compren- dere ai miei chiarissimi Colleghi l’importanza della pub- blicazione del De Stefanis, in ordine tanto all’ altimetria in generale, quanto, e più ancora, a quella della nostra regione, per la cui conoscenza ipsometrica io non mi pe- rito a considerare i dati contenuti nel presente opuscolo come il più prezioso contributo che finora essa abbia avuto. Roma, 15 febb. 1891. G. MARINELLI. APPUNTI SI LLA STORIA DI ASTI DALLA CADUTA DELL'IMPERO ROMANO SINO AL PRINCIPIO DEL X SECOLO DEL 8. с. CARLO CIPOLLA (Contin. della р. 107 del presente tomo). ann JAPITOLO II. Dalla conquista Franca sino a Berengario I. Il Asti al principio della dominazione Carolingia. Le notizie intorno ad Asti per il periodo della domi- nazione Franca sono scarsissime. Asti faceva parte di quel- la regione dell’Italia geografica, che più propriamente costituiva l'Italia politica, cioè della regione padana. Al- cuni Annali franchi descrivendo la discesa di Carlomagno nell’anno 800, quando venne in Roma, dove ricevette poi la corona imperiale da Leone III, dicono che, dopo aver tenuto al principio di agosto una assemblea a Magonza, «iter in Italiam condixit atque inde profectus, cum exer- citu Ravennam venit» (???). Per venire dunque a Ravenna gra necessario uscir dall'Italia (5%). (327) Ann. Einhardi, e Ann. Lauriss., in M. G. H., Script, I, 188-9. (328 Di quì a poco parleremo della divisio regnorum di Car- I I | 9 lomagno, 806 (Capitul, regum Francor., ed. A. Boretius, I, 1, 127), love gi legge: « Italiam vero que et Langobardia dicitar ». Qui go che non sia Invece ambedue'i vocaboli hanno significato più lar (274) [63] Da Roma Carlomagno venne a Spoleto e quindi a Ra- venna, e di qui si avviò verso Pavia (529). Nel falso Me- moriale di Raimondo Turco (°3°) si riferisce J’ estratto di un diploma che Carlomagno avrebbe concesso ad Asti il 17 giugno 801 da Pavia, ringraziando quella città per il dono di 5000 solidi e accordando ad essa due mercati an- nuali. Ma non c'è alcuno che non riconosca falso quel documento (°); solamente si potrà chiedere se sia vero che già nel sec. XV si parlasse di quel diploma (°). Nei territori intorno ad Asti, in quei momenti e nei mesi successivi, altri fatti avvennero, che possiamo qui ac- la Valle Padana. Ma si ricordi ciò che abbiamo detto poco fa in- torno all Italia plana. E sopra tutto si rifletta ad una conclusione alla quale si è condotti dallo studio sull’ uso della voce Italia nel medioevo. Prima che, col risorgere degli studi classici, quella pa- rola riacquistasse il suo antico significato, pareva proprio ch’ essa dovesse restringersi a significare il regno d'Italia. È opportuno infatti di ricordare qui ‘due passi importanti, che si devono a due scrittori milanesi del sec. ХІ. Arnolfo (Gesta archiepp. Mediol., М. б. H, SS, VIII, 30-1) parlando di Gregorio VII, che parti da Roma per recarsi in Alemagna, dice che « venit Italiam », e sof- fermossi a Canossa, dove ricevette (1077) Enrico ТУ; il papa dopo essersi fermato alquanti giorni «in Italia », fece ritorno a Roma. ist. Mediol., ib., VIII, 87) scrive: «multi Similmente anche Landolfo | Romani . . . cum essent in Italia, et Mediolanum ob regni negotia convenissent ». Secondo Landolfo quindi, Milano era in Italia, ma non Roma. (329) Regino, Ghron., M. G H., Script., 1, 568; Einhardi, Ann, ib. 190; Ann. Francor. Mettenses, Bouquet Delisle, V, 350; Poe- ta Saco, М. G. Hi, Soripl..1,:200. (330) Pasini, Cod. ms. biblioth. Taurin; IL 109; (334) Mühlbacher, Лед. der Kar., n.° 365. Sickel, Urkunden- lere, TI, 398. (332) H. Bresslau, Handbuch der Urkundenlehre, Berlin 1889, 1 N [64] (275) cennare fuggevolmente. Trovandosi Carlo a Pavia, gli fu annunciato che erano sbarcati a Pavia, e venivano a lui gli ambasciatori di Aaron, re dei Persiani, cioè del califfo Harun Arraschid di Africa e di Ibrahim ben Aghlab (5*5). Ad Harun Arraschid Carlomagno avea mandato Lautfri- do, Sigismundo e 1’ ebreo Isacco : i due primi erano morti în viaggio e ritornava solamente Isacco, seco portando i re- gali inviati dal califfo all'imperatore. Gli ambasciatori mussul- (333) Costui era sultano di Abbàtija presso Kairvan a sud di Tunisi; cfr. Mihlbacher, Regesten p. 150. Il più conosciuto storico dei Califfi, Gustavo Weil (Gesch. der Chalifen, II, 162, Mannheim 1848) dice di Harun, che quanto più egli si dimostrava avverso ai Bi- zantini, tanto meglio disposto era in riguardo a Carlomagno, per quanto ci dicono le fonti occidentali. Egli stima che gli ambasciatori franchi SÌ recassero a Bagdad per chiedere ad Harun la sicurezza per i Cristiani che pellegrinavano in Terrasanta o che andavano in O- riento per iscopo di commercio; quegli oratori furono amichevol- Mente accolti dal saraceno, che, per loro mezzo, regalò a Carlo- Magno l’unico elefante da lui posseduto, e inoltre una tenda splen- dida е fatta delle migliori stoffe. In nota il Weil (p. 162-3) respinge i dubbi messi avanti da Ponqueville (Mém. de ? Acad. des inscript. X, 529) contro la verità di questa notizia, che si credibile appoggia sulla testimonianza di Eginardo; tuttavia è un fatto che gli Scrittori arabi passano tutto ciò sotto silenzio. Può credersi, sog- giunge il Weil, che essi si vergognassero di confessare che il loro Califfo, stimato quale uomo pio, stringesse alleanza con uno dei Maggiori nemici dell’ Islamismo. Anche dell’ ambasciata, mandata, Secondo gli annali Franchi, dal Califfo Mamum a Lodovico il Pio, hell anno 831, e quindi durante la sua guerra con Teofilo, tac- Clono le fonti orientali. Ernesto Mercier (Histoire de P Afri. que septentrionale (Bevbérie], Paris, 1888, Leroux, І, 267-8, dice che Ibrahim-ben-el-Ar'leb (cow egli scrive il suo nome) go- Vernatopo d' Africa, ricevette gli oratori di Carlomagno nella sua Nuova residenza, ch’ egli scrive cosi: El-Abbassia, e che è la città detta Più tardi El-Kasr-el-Kedim, cioè il vecchio castello. | | | | (276) [65] mani precedevano Isacco, anzi, come apparisce, diedero essi a Carlo la notizia della prossima venuta del medesimo, Carlo Magno mandò persone ad incontrare gli oratori mussulmani, i quali furono poscia da lui ricevuti tra Vercelli ed Ivrea (#94). Carlo mandò poscia in Liguria il notaio Erchembaldo per attendervi la venuta d’Isacco; egli poi, dopo aver cele- brata in Ivrea la festa di s. Giovanni Battista (24 giugno), passò le Alpi e si recò in Aquisgrana, dove celebrò il Na- tale (#55). Isacco sbarcò a Portovenere nell’ ottobre e di là venne a Vercelli, dove attese la prossima buona sta- gione per passare le Alpi, allora troppo coperte di neve. Giunse in Aquisgrana il 20 luglio (802), recando seco i doni di Harun Arraschid; tra questi regali il più curioso era un elefante di nome Ambulator (*86) ; altre fonti lo de- nominano Ambulebat (°7), Aaron, Amarmurmultus, Amar- murmulus (228), Ambulath (*5°). Alcune fonti non conserva- rono il nome dell’ elefante (*). Oltre all'elefante, Harun mandava altri doni, secondo la testimonianza concorde dei cronisti, da uno dei quali - ma di tarda data - potrebbesi (334) Jacopo Durandi, Del? antica condizione del Vercellese, Torino, 1806, p. 113 sgg., sostiene che l'incontro fra Carlo Magno e gli ambasciatori mussulmani abbia avuto luogo in Santhià. Dei quali oratori, uno era « Persa de Oriente » e l'altro «Sarracenus de Africa» (Regino, in MG., SS., I, 563). (835) Regino, 1. c, Ann. Franc. Mettenses, lûy 901; Poeta Saxo, 1. c., 260. (386) Regino, Chron. М. G. H., Script. I, 563. (337) Ann. Franc. Mettenses, Bouquet-Delisle, V, 851: (838) Ann. Quedlinch., Ann. Weissemburgensy Annales Lam- berti, in M. G. H., Script. III, 40. (339) Annalista Saxo, М. G. H., Script. VI, 565 (questi An- nali dipendono in generale dal Chronicon di Reginone). (340) Einhardus, Annales, М. G. H., Script. 1, 190; Annales Tilliani, ib. 1, 223; Einhardus Fuldensis, Annales, ib. I; 98595 A% do episc. Viennensis (T 875), ap. Jouquet-Delisle V, 324. [66] (277) credere ch'egli regalasse a Carlo Magno anche parecchie reliquie di santi (OC) Siccome il territorio astese si distendeva larg sull’ altro versante degli Apennini, così che, o gli uni o gli altri deg l'abbiano percorso. Carlo Magno nell'anno 806 (febbraio 6), divisio regnorum eM) amente è assai probabile li ambasciatori qui ricordati, fece la famosa tra i suoi figli, e la mandó poscia a Roma perchè fosse approvata da Leone III. Molte cose s'incontrano in questo documento che devono essere qui prese in considerazione. A Pippino, Carlomagno largi «Ita- liam quae et Langobardia dicitur, et Baiovariam...». А Car- lo e a Lodovico assegnò i paesi trasalpini, ma a ciascuno 1 essi concesse un passaggio sulle Alpi. Carlo lo ottenne <$ per vallem Augustanam, quae ad regnum eius pertinet», Parola rilevante in quanto decide del distacco della Valle di Aosta del regnum d'Italia. Lodovico doveva avere il Passo della Valle di Susa, e Pippino quello di Coria: « per Alpes Noricas atque Curiam». Se Pippino veniva а mori- Té, prescriveasi la divisione del suo regno tra Carlo e -9dovico, cosi che Carlo ottenesse « Per Augustanam civitatem... Eboreiam (Ivrea) », nonché Ver- celli, e Pavia, fino al Po; il confine seguisse questo fiume Sino ad oltrepassare Reggio, città che, insieme con Modena, rimaneva com presa negli stati di Carlo, al quale dovea pure essere dato quanto restava a sinistra dei dominii sancti Petri, in direzione di Roma. Asti non viene menzionata espressamente ; questo puó spiegarsi, sia perché non fos- Se città ragguardevole, sia piuttosto perchè si ricordano Soltanto le città di confine, quelle cioè che equivoci, unicamente meritavano di veni ab ingressu Italiae , a scanso di r menzionate. (341) Sigebertus, Chron. М. G. H., Script. VI, 886. (342) L’ ultima edizione di questo atto st rancorum ed. A. Boretius I, 1, 126 segg. * H., Leges I, 140 segg. a nei Capitul. regum Altra edizione nei M. G n —l1t14mDP___——_— td (278) [67] Si attribuisce a Lodovico il Pio, 1 agosto 815, un di- ploma in favore del monastero di S. Dalmazzo di Pedona, il quale fu nel 901 donato dall imperatore Lodovico di Provenza alla Chiesa d’ Asti (9*). È necessario quindi te- nerne conto. Il diploma è dato in favore e a preghiera di Benedetto abate, dopo che l’imperatore osservò i presen- tatigli diplomi di donazione della fondatrice regina Teo- dolinda, dei re Berthari, Grimoaldo, Cunipert e Liutprand, e vide la donazione fatta da suo padre Carlo, colla quale egli elargiva à quell’ abbazia la plebs Quadringentina. Sickel e Mühlbacher (°^*) ammisero come autentico questo documento, pervenutoci imperfetto, e che, nel testo at- tuale, non offre materia a critiche. Ma la fonte che ce lo tramandò è di tal maniera sospetta, da farcene abban- donare la difesa. Lo riferisce il Meyranesio (21°) nell'aned- doto Fragmenta chronice antique civitatis Pedone, che è una grossolana falsificazione (346). Il contesto e il modo col quale il documento si trova inserto a questi /ram- menti, dimostrano inamissibile la supposizione che il testo del documento sia anteriore alla cronaca stessa. Gli atti notarili rogati in Asti al tempo di Carloma- gno, e di cui si abbia notizia, sono pochissimi, e spettano agli anni 788 (342), 793, 812 (39). Da quest ultimo possia- mo ricavare il ricordo di finis Astensis per territorio an- (343) Cfr. quanto dissi nella monografia sopra Audace, p. 28 (Misc di stor. ital, XXVII, 155). (344) Urkundenlehre 11, 102. (845) Hegesten, n. 570. (346) Mon. hist. patrie, Script. III, al principio. (347) Cfr. Carlo Promis, in Atti della r. Accad. di Torino IH, 47; ‘Torino. Di questo parlai Audace Misc. XXVII, 449. (348) Chart. I, 23-4, n.° 13 (16 agosto 788, Agostino chierico al prezzo di 30 denari d’argento compera una terra di Arimondo figlio del fu Desiderio « de civitate Astensi »). [114] (279) nesso alla città. Il documento del 793, ottobre (*°), che è una commutazione, ha interesse maggiore, perchè illu- stra in qualche maniera le condizioni della pubblica pro- prietà in Asti (35°). In quel documento, il chierico Agostino dà in vigario (permuta) a « Sonderulf... dio domni re- gi» una terra, proprietà della Chiesa di s. Anastasio, si- tuata «de contra Tanaro». Quantunque l'atto non abbia la data del luogo dove fu rogato (5), tuttavia apparisce essere stato scritto in Asti, e la frase de contra Tana- ro, che occorre frequentemente nei documenti Astesi, sem- bra confermarlo (8%). Sicchè riguarderemo siccome situa- ta sulla destra del Tanaro - giacchè Asti trovasi sulla si- nistra, - e in non determinata lontananza dalla civitas, la terra di cui qui si parla, che sembra fosse nel locus detto Rouoredo (35°). Tra i confini di questa terra, abbiamo in- dicata «terrola publica de beneficio domni regi, quam (849) Chart. T, Н 30-1, n.° 16. (812 Aprile Ottone compera da Thevaprand un campo « in fine Astensi locus ubi nominatur ad Gerba »). (350) Chart. I, 24-6, n.° 14. (351) Il chierico Agostino del documento 793 è identico a quello del documento 788, e quest ultimo atto fu rogato appunto « in ci- vitate Astense >». (352) Nella licinia dei diritti Astesi che precede il Codex Asten- sis Malabayla (ed. Sella, II, 3) si distinguono i paesi ultra Ta- nagrum, a d. del Tanaro, da quelli situati citra T., а sin. del Tanaro. (353) Una piccola frazione di nome Rovereto si trova nel co- mune di Salicetto (circondario di Mondovi, prov. di Cuneo), il quale è nella valle della Bormida (e quindi sulla d. del Tanaro). Sali- cello comparisce come dipendente da Asti nella carta topografica La repubblica d'Asti nel 1800 in fine al I Tomo del Codex Astensis Malabayla, ed. Q. Sella (Roma 1887; cfr. ivi, p. 300). In detto Co- deo (IV, 115) i documenti che riguardano Salicetto vanno dal 1298 al 4999. ТОП, 8, V 37 (280) [445] ipse Sonderulf usavit ». Sonderulf poi dà in vigario ad Agostino, che riceve per la parte di s. Anastasio, una ter- ra che «fuit quondam Inefri » e ch'era «de ipso benefi- cio». Tra i confini di quest'ultima terra si ricordano i «camporas publicas», si menziona il campo di un « ho- minis ipsius Sonderulfi », ed un campo « de hominis regi». L'importanza di questo documento è evidente ; soltanto è da deplorare che manchi nella sua integrità il titolo del- l'ufficio portato da Sonderulf. Ma per facile congettura si può, nel passo citato, supplire : « Sonderulf (gastal)dio dom- ni regis». I beni pubblici o regi sono ordinariamente amministrati dai gastaldii, il cui ufficio non è quello di governare i romani e farsi loro protettori davanti al re, ma quello di amministrare gl’interessi regi, e sopra tutto і beni territoriali di proprietà pubblica (#4). Qui abbiamo anche traccia del modo con cui l'amministrazione era te- nuta, mentre la presenza di un ойо di Sonderulfo e di un homo regis accenna a condizione di servitù prediale; d'al- ira parte abbiamo evidenti e importanti prove della loca- zione concessa a privati (Inefrio), e alla Chiesa (di S. Ana- stasio) di parte del territorio formanteil beneficium regio. Sin d'ora quindi si prepara la trasformazione dei beni pubbliei in beni ecclesiastici. La storia in cui adesso en- triamo è quella dell'affievolirsi continuo e progressivo del- l'autorità e della proprietà pubblica in favore della Chiesa. Il Piemonte attuale è una regione specialmente rimar- chevole per la estensione del dominio regio. Secondo uno scrittore recente, la parte occidentale e meridionale di esso era quasi interamente composta di dominii pubblici (5°). Facilmente tale giudizio può riguardarsi come un’esagerazio- (354) Interessantissime osservazioni per P età longobarda fece а questo proposito Н. Pabst, Gesch. des Langobardischen Herzog- thums in Forsch. z deut. Gesch. Il, 442 segg. (355) б. Matthaei, Die lombardische. Politik Kaiser Friedrichs I, in Program des Progymn. zu Gross-Lichterfelde 4889, р. 8. | | | | | | | | | | [116] (281) ne; mentre anche i due documenti testé citati del 788 e dell’ 812 fanno fede della esistenza di proprietà partico- lari. Quello dell’anno 788 accenna a proprietà collettiva, tra le persone di una famiglia. Arimondo del fu Deside- rio, con quel documento, vendette al chierico Agostino la E a lui spettante sopra una pezza di terra in proprie- tà di lui, dei suoi fratelli e di altri consortes con quelli in tale diritto di proprietà. Egli dichiara di vendere la sua porzione, locchè sembra significare ch’egli venda non un dato terreno, ma il diritto di proprietà consorziale sopra il campo oggetto della vendita: « pro pecia una de campo quam auere uiso sum inter consortis et germanos meos et integrum mea porcione de ipso campo ». La proprietà indi- viduale si fa manifesta pure in questo documento, dacchè vi si parla della sors di Simpliciano fratello di Arimondo; e ciò vale anche per il chierico Agostino, il quale fa que- Sta compera non per una chiesa, ma per sè; infatti Ari- mondo dichiara di vendere la sua porcio al detto chieri- CO0, suoi eredi e successori. Nel documento dell’aprile 812 sono menzionate parecchie terre di privati, le quali tut- tavia potrebbero anche forse giudicarsi come semplicemen- le zenute е non come possedute da persone private; tut- tavia è assai rimarchevole, tra queste, quella terra la quale è appellata « terra Dondoni indeo » ; la quale sembra quindi attestare una proprietà privata di un ebreo. Ritornando al documento del 793, e supponendo che Sonderulf vi comparisca, siccome pare veramente, quale Yastaldio, ci si presenta il dubbio se esso aiuti a scioglie- re la questione sulla residenza di gastaldi, che general- Mente si crede abitassero non nelle città, ma nei villag- gi (#6). La ipotesi più naturale e più ovvia è, ch'egli abi- tasse in Asti, al pari che il chierico Agostino; in Asti trovavasi un luogo importantissimo, che si conservò a lun- 80 in proprietà regia, cioè.il « castellum vetus quod con- (856) Pabst, op. cit., p. 451; Matthaei, op. cit., p. 6. (282) [417] iacet in Asti », colla cappella di s. Ambrogio, secondo che si legge nel diploma 5 dicembre 924, con cui Rodolfo concedette il castello stesso ad Oberto suo fedele (°7). Sui vescovi astesi ben poco sappiamo in quest’ epoca. Vuolsi vescovo di Asti s. Bernolfo martire, venerato in Mondovi. L’ Ughelli (%58) lo registra dopo s. Evasio П (del quale si è parlato) e aggiunge « episcopus Astensis ex ali- quorum sententia fuit»; accenna al martirio subito dai Saraceni che occupavano F'rassineto e alla sua sepoltura a Mondovi. Non pare che prima della fine dell'età Caro- lingia (259) avessero principio le spedizioni saracene in Pie- monte, dalla parte di Provenza, dove infatti non ebbero stabile dimora, colla occupazione di Frassineto, prima di quel tempo (889 circa) (?9*). Siccome l'Ughelli pone all'età di Carlomagno il pontificato di Bernolfo, e lo fa marti- rizzato dai Saraceni di Frassineto, cosi egli si contraddi- ce (364). Monsig. Agostino della Chiesa, in uno dei suoi (357) Chart. 1, 123-4, n. 73. (358) Italia sacra IV, 33. (359) Amari, Storia dei Mussulmani in Sicilia, 11, 167. (360) Reinaud, Invasions des Sarrazin en France, Paris, 18306, p. 157-160. (361) Quanto all’ epoca in cui visse B., il Thomatis (Director. Diocesanum, Aste 1670) ripete l opinione dell’ Ughelli; e cosi il Milliavaeca (Prima Synodus ecc. Mediol. 1700, p. 259), secondo il quale egli visse verso l'anno 800; — egualmente Gams, Series episcop. p. 842. Gioachino Grassi ( Memorie istoriche della chiesa di Monteregale, Torino 1789 I, 54 segg) narra di Lorenzo Fie- schi vescovo di Mondovi che consecrò la sua chiesa cattedrale, te- nendone egli stesso memoria nel registro degli Ordinati capitolari, dove scrisse: «.... ho consacrato questa chiesa e quest’ altare in onore di S. Donato vescovo e martire e vi ho racchiuso le reli- quie dello stesso 8. Donato e di S. Bernulfo martire ». Al che il Grassi annota: « Non si sa il tempo in cui siasi portata in Monte- regale questa santa Reliquia (di S. Bernolfo), solamente consta | | [118] (283) cataloghi di vescovi astesi (?9?) lo pone tra Maioriano, cui ascrive l’anno 465, e s. Secondo che registra sotto il 590; in altro catalogo (36°) lo omette. I Bollandisti (*94) accol- sero nella loro raccolta gli atti del martirio di S. Ber- nolfo, scritti da Filippo Malabayla, il quale non cita le sue fonti. Secondo questi Atti S. Bernolfo fu ucciso dai Sara- ceni, nelle scorrerie che, partendo da Frassineto, essi an- davano facendo in Piemonte; il suo vescovado Astese è appena asserito, ma non suffragato neppure dal. racconto di qualche circostanza caratteristica. Sicchè anche i Bol- landisti, nella prefazione agli Atti, si accontentarono di dire: « Episcopus Astensis ex aliquorum sententia fuit». I punti di somiglianza tra il racconto dell Ughelli e il contenuto degli Atti compilati dal Malabayla si spiegano dagli Ordinati Consulari che i Monregalesi P hanno sempre ricono» sciuto per Patrono insieme a S. Donato, e si è parimente praticato da tempo immemorabile di portare solennemente in processione il Secondo giorno di Pasqua il capo di detto santo rinchiuso in una lesta d'argento colla comitiva della Civica Amministrazione e di numeroso popolo ». Alla consecrazione di detta cattedrale nel 1514, ma non alla reliquia di S. Bernolfo, accennò sul cadere del secolo scorso il P. Vittore Zugani (Monum. historica ad eccl. et urbem Montisregalis spectantia, p. 7, bibl. di S. Maestà, ms.). Dal Grassi dipende affatto Tommaso Canavese, Memoriale istorico della città di Mondovi, Mondovì Breo, 1851, p. 109. Nulla hanno su S. Ber- nulfo: б. A. Bessone, Sulla città e provincia di Mondovì, Mon- dovi 1856; Casimiro Danna, Monogr. intorno la città e il circon- dario di Mondovì. Torino, 1861 ; E. Morozzo della Rocca, Sulla storia del comune di Mondovi, Mondovì 1868; L. Lobera, Delle antichità della città di Mondovì, Mondovi 1794. (362) S. R. E. Cardinalium Archiepisc. ecc. chron. historia Aug. Taur. 4645, p. 464. (363) Descriz. del Piemonte V, 454 (ms. nella bibl. di S. Maestà). (364) Martii Ш, 488-9, sotto il giorno 24, (284) [119] facilmente; il Malabayla comunicò, com’ è noto, all’ Ughelli le notizie riguardanti la storia di Asti. Nel 794 Carlomagno tenne a Francoforte una sinodo, la quale si occupò dell’eresia di Felice vescovo di Urgel. Gli atti di questa sinodo cominciano così: « Coniungen- tes, Deo favente, apostolica auctoritate, atque piissimi dom- ni nostri Karoli regis iussione - cunctis regni Franco- rum seu Italie, Aquitaniw, Provintie episcopis ac sacerdo- tibus...» (#9). Anche gli Annales Xantenses (#96) scrivono: «cum omnis episcopis Gallia et Italie ». Può quindi con- getturarsi che a Francoforte fosse presente anche il ve- scovo di Asti. E questo vescovo forse fu anche uno dei vescovi che parteciparono al « Capitulare cum episcopis Langobardicis deliberatum » (267), e che ora si fa risalire al 780-790 circa. Nulla tuttavia può asserirsi con certezza. II. Asti e il Conte Erico. Una iscrizione scoperta fuori del territorio astigiano, ma non in grande lontananza da esso, deve trattenerci per brevi momenti, prima che ci sia permesso procedere nella narrazione storica. È l'iscrizione di Kvols filius co- metis Hirice, della quale è incerta e molto disputata l’e- poca. Non pretendo di dire alcuna cosa nuova e importan- te, ma non posso omettere di esporre lo stato della que- stione. (365) Capit. reg. Francor. ed. A. Boretius I. 1, р. 78 ; Mühl- bacher, Reg. der Karol., n. 1945. (366) M. G. H., Script. II 993. (367) Capitul. ed. Boretius I, 188-9 Baluzio e Pertz lo crede- vano dell’ 819 o dell’ 890. [120] (285) Il Meyranesio nella sua Dissertazione sopra i popoli Auriatesi e l'antico contado Auriatese, che pare sia stata composta nel 1764 (°68), ricorda varie iscrizioni cristiane trovate «due anni» prima, e quindi nel 1762; una di que- ste iscrizioni è quella di Evols. Qui la riferisco dalla la- pide che sta nel Museo archeologico di Torino : + HIC REQVIESCIT EVOLSI NNOCENS FILVS COMET IS HIRICE ANNORVM TRI VM С CE ; QEM DOMINVS SVSC 9. EPIT IN PACE QI RECESSIT ХУТУ Alla linea 5.* la E è spezzata. Prim a di esaminarne il contenuto deve osservarsi che la iscrizione manca di data. Nell'ultima linea havvi da una parte il numero XVI, forse incom pleto; dall'altra parte 2A ' n . . . . H . (368) Si conserva, in copia del sig. Nalino, nella biblioteca uni- Versitaria di Torino, ms. P. IV. 7. La iscrizione vi sta a p. 18. — Nella bibl. di Sua Maestà (Miscellanea Patria, n. 73) conservansi, In copia recente, le Memorie storiche del Meyranesio, dove li- Scrizione è riferita a pado, (286) [121] si hanno le lettere VS, forse residuo di AVGVS. La parte di mezzo è perduta. Può supplirsi: XVI KL AVGVS, ma la congettura non è del tutto sicura. Riserbo a più opportuno posto le osservazioni paleogra- fiche; e proseguo la storia della scoperta, ricordando una postilla apposta al ms. del Meyranesio : « E da me Angelo Paolo Carena, a cui fu dal s." Terraneo comunicata nel- l’anno 1765, fu osservato in quel punto che questo Hirice, cioè Hirico o Henrico, è lo stesso che il famoso duca En- rico, di cui tanto parlarono gli Annali de’ Franchi, nel fine del secolo VIII duca del limite orientale dell’ impero di Carlomagno. » L'illustre Jacopo Durandi annunciò l'iserizione, come scoperta nel territorio di Caraglio, presso la cappella di s. Lorenzo, nel suo libro: Delle antiche città di Pedona, Gaburro, Germanicia (Torino, 1769, p. 29), e vi ritornó sopra più volte. In un libro pubblicato cinque anni dopo Qu egli diede, inciso in legno, il facsimile della epigrafe, e l'accompagnó (p. 280) di notizie dichiarative, identificando Hirica con Erich, ma senza ricordare che tale identifica- zione era stata proposta dal Carena. Fa egli la storia del conte Irico, dicendo che sotto Carlomagno, Asti ed Al- benga vennero date a quel celebre guerriero, che fu po- scia duca del Friuli ; ricorda il carme di Paolo diacono (%7) per la morte di Irico, dove chiama a piangerlo anche Asti ed Albenga. Conclude dicendo che Irico, in qualità di co- mes, era «conte limitaneo della parte occidentale della provincia delle Alpi Cozie, che formava una marca ». Que- sta marca, di cui « verisimilmente » era capitale Asti, com- prendeva il territorio trail Tanaro, l'Orba e la spiaggia del mare. Ma intorno a questa Marca neppure il Durandi 82 369) Piemonte Gispadano, Torino 1774, p. 128. 1 اا‎ (370) Si sa che il carme in morte di Erico, ora attribuito a В. Paolino di Aquileja, lo si ascriveva a Paolo diacono. | || | | [122] (287) dare informazioni sicure. Altrove il Durandi (37), mentre rivendica per sè il merito di aver trovato nelle Disser- tations sur U histoire eccles. et civile de Paris dell’ ab. Le-Beuf il carme di Paolino o di Paolo diacono, dal quale egli deduce che Erico resse Asti ed Albenga, Hastensis humus - Ploret et Albengaunus , vale a dire egli resse la provincia delle Alpi Cozzie, cioè delle Alpi occidentali. Asti, sotto i Longobardi, aveva costituito un estesissimo ducato; al duca, Carlo sostituì Erico, e ne aumentò la giurisdizione, estendendo questa sino al mare, se già anche prima non lo raggiungeva: nei primi anni della conqui- Sta era suo interesse di fare di Asti una forte provincia, per resistere alle terribili invasioni saracene. 1 iscrizio- пе di Evols, trovata nel luogo dell’ antica Germanicia, prova, secondo il Durandi, che questa città facea parte del dominio di Erico, e che, in quel momento «i governatori delle provincie limitanee franche» vagavano da luogo a luogo, a seconda delle eventuali necessità. Germanicia è per il Durandi un’ antica distrutta città, di cui egli re- putó trovare traccia in una iscrizione romana US Mommsen (75) la chiama invece Forum Germa(norum), la colloca nella provincia delle Alpi Cozzie, e suppone possa identificarsi con S. Damiano nella Valle della Maira. Secondo il Durandi, Germanicia sarebbe invece da collocarsi nel luogo dove poi sorse l'attuale Caraglio sulla Grana. Se il Mommsen ha ragione, una certa distanza c’è tra Caraglio e il Forum Germanorum ; ambedue le località restano tuttavia nella stessa regione. (371) Memoria sopra Erico conte d'Asti e della occidental Liguria (Mem. Accad. di Torino, IV, Littèr., p. 647 segg. Torino, 1814). (872)-Q, ID V, 9, ú. 7886. (373) C. I. L., V, 9, p. 910. T. II, S. VII 38 (288) [123] Nel 1849 Costanzo Gazzera (7^), nel suo prezioso la- voro in cui raccolse le iscrizioni antiche cristiane del Pie- monte, si occupò anche della sepolcrale di Evols e la ri- produsse in facsimile, tuttavia con una variante abbastan- za grave nell’ ultima linea. Infatti la penultima lettera fu da lui rappresentata per una I; ma s'inganna, giacchè lascia scorgere senza alcuna incertezza un frammento di V. La attribuisce egli pure al figlio del conte Erich, e la raffronta col carme di Paolino. Anche il Cibrario (?7*) ac- cettò l'identica attribuzione. Contro di tutti costoro parlò con molta dottrina e con grande acume storico Carlo Promis (*7), il quale attri- buisce all'età gotica la iscrizione, che crede scoperta nel 1780, e che al suo tempo si conservava nella raccolta di iscrizioni infisse sotto i portici dell’ Università. Egli pure legge IS le due ultime lettere dell’ultima linea, in luogo di VS. Rammenta poi e condanna le imposture messe in giro per sostenere l’esistenza del conte Irico nei luoghi dove fu trovata l'epigrafe. Ecco di che si tratta. Giuseppe Ma- nuel di San Giovanni (57°), al quale Promis si riferisce, pubblicò una lettera scritta il 17 agosto 1783 da G. Е. Meiranesio a G. S. Nasi, nella quale si legge: « Arperto vivea nell'872, come si ha da due carte, delle quali una è del 15 luglio, ed è una donazione fatta dal C. Heirich (quale io credo essere il celebre conte Hirci, del quale 10 (974) Delle iscrizioni cristiane antiche del Piemonte. Torino, 1849, р. 35; fac-simile nella tav. II, n. 5. (375) De Conti d'Asti, in Mem. Ассай. di Torino, 1, Serie XXXVIII, Scienze morali, p. 203; id. Operette varie, Torino, 1860, p. 292. Sembra seguire la stessa opinione Domenico Promis, Mo- nete della zecca d’ Asti Torino, 1853, p. 9. Lo stesso ripetasi di Carlo Muletti, Storia di Saluzzo, I, 69-70. Saluzzo, 1829. (376) Storia dell'antica Torino. Torino, 1869 p. 103. (377) Dei Marchesi del Vasto. Torino, 1858, p. 195-201. [124] (289) il primo ho scoperta la lapide comunicata al sig. Durando) fatta a questa badia, regnando l’imperatore Lodovico an- ^o imperii eius XXXIII, VIII die mensis augusti per indicionem V, di certe possessioni in villa Germanica ecc.» Manuel di S. Giovanni, che fu critico dotto ed acu- to, non solo combatte l'autenticità del documento, loc- chè non gli era difficile, ma lo fa con pieno risultato. Osser- va che Errico era già morto nell’801, allorchè Paolo diaco- no (S. Paolino) compose il carme funebre in suo onore (375): "70 non potè dunque fare una donazione nell’872. Nota pure QI che l’imperatore Lodovico governò dall'855 all’875, così che non contó mai l'anno 33 d'impero. Egli quindi conchiu- de che il documento è falso (°). Carlo Promis passa poi ad osservazioni paleografiche (p. 104-5), scrivendo : « Oltreció non badarono que’ dotti che le lettere della nostra lapide sono grandi, di forma romana, e troppo migliori di quelle dei tempi di Carloma- gno, come consta dal facsimile del, Gazzera e dai marmi gotici, come dal Milanese, di Cuico (Labus, Monum. di S. Ambrogio, 1824, p. 24). Quel Franco di Strasburgo chia- mavasi ZMericus od Enricus, mentre il nostro è Comes Hirica, col nome goto al paro di Albia, Mundila, Uni- la, Livila e tant’ altri presso Procopio е 1’ Anonimo Va- lesiano, dei Comites Gudila ed Herila in Muratori e Fa- bretti, dell’ Herduic di S. Ennodio, e sopratutto dei re spa- Snuoli di sangue gotico Egica е Cillica ». Questo Herica Sarebbe quindi o un conte militare, o un personaggio de- (378) Anzi Erich morì nel 799. (379) Non si può dire tuttavia che il Carena, il Durandi, e il Gazzera si fondassero, nella loro identificazione, sul documento in- ventato dal Meyranesio. E ben vero (come provò il bar. Manuel di 8. Giovanni, Memorie storiche di Dronero, 1, 17), che il Durandi si affidò troppo al Meyranesio; ma questo non avvenne nel caso pre- Sente, — Il Meyranesio nacque nel 1731 morì nel 1793 (290) [125] corato del titolo di conte a distintivo di onore (880), Al- meno questa sarebbe la conclusione cui avvierebbe lo svolgimento ulteriore dell’ ipotesi di Carlo Promis. Il Mommsen mostra di aver giudicato l'epigrafe assai posteriore al tempo assegnatole dal Promis; mentre egli riferisce, nel corpo della sua Raccolta, secondo gli è co- stume, la epigrafe torinese di Anteria (?**), anzi perfino 1’ i- ‘scrizione sepolcrale di quell’età del vescovo Ursicino, di To- rino, che si attribuisce al principio del secolo VII CH questa di Evols egli la riporta tra le nuove, ed espres- samente annota: « Hic (lapis) quoque recens est, non falsus » (°8°). La paleografia dell’ iscrizione di Evols si distacca to- talmente da quella delle altre iscrizioni antiche o più preci- samente del tempo longobardo, riprodotte dal Gazzera (И Questo è ben evidente; ma con ciò non è tutto pro- vato, poichè l’influsso franco, e la diffusione della cul- tura portata da Carlomagno possono essere sufficienti a spie- gare tale differenza. Recentemente l'illustre De Rossi (#82) ha dato un esempio chiarissimo di tutto questo, col dimo- strare che l epigrafe di papa Adriano I (fF 795) fu fatta in Francia, ed è contemporanea, quantunque nei riguardi (380) Cfr. Mommsen, Ostgoth. Studien, N. Arch., XIV, 484, nota 2. (081) САУ бй, 1187, (OR) Qv d» LV ПШ 7180 (annota: « referunt ad sec. УП incipiens; neque tamen eicere volui ». (333) C. І. L., V. 2, p. 89*. n. 1004*. Mommsen vide egli stesso la lapide, come risulta dal descripsi che ad essa арропе. (334) Iscr. Crist. tav. I-II (385) L'inscription du tombeau d’ Hadrien I, Rome, 1888 (estr. dalle Mélanges d'archéol. et d'hist. de l'école franç. de Rome, t. VIIT). La tavola del De Rossi fu riprodotta, quantunque in modo non pienamente elegante, dal ch. prof. J. von Pflugk-Hartt- ung, Das Mittelalter, I, 611. | [ | | | | [426] (291) della scrittura essa sia di gran lunga superiore a quanto allora si sapesse fare in Roma (399), dove gli studi erano in grande decadimento. І epigrafe di papa Adriano è in bel maiuscolo capitale, con evidenti reminiscenze del ge- Nuino carattere romano. Il monogramma Costantiniano, entro un circolo, con € ed w negli angoli, si ha nell’ iscrizione di Ursicino, e in modo più elegantemente corretto, che non sia nella nostra. Nella iscrizione di Ursicino, e così in quella di Ru- stico, vescovo di Torino, che visse al tempo di re Cuni- berto (57), si trovò modo di dividere l'iscrizione in due parti, ponendo nel centro della lapide il solito gran circolo, col monogramma Costantiniano tra х ed w. La croce del- l’ iscrizione di Evols è una trasformazione, una semplifi- cazione del monogramma (58). Similmente, chi incise li- Scrizione di Evols pensava all'uso di porre il monogram- ma nel mezzo della lapide, ma sembra depravasse quel- l’uso. Nelle iscrizioni di Ursicino e di Rustico è un largo campo che rimane destinato al monogramma di Cristo, il quale vi tiene un posto veramente conveniente. Qui in- vece avviene ben diversamente, e il monogramma, come rimane storpiato nella sua forma. così resta rimpicciolito рег il posto ove si trova. Alcune forme di lettere sembrano riportarci addietro (386) Sotto Adriano I e Leone III rifiorì in Roma la coltura Per opera di Carlomagno, cfr. De Rossi, Inser. grin Ш, 5 99. (387) Gazzera, Iscriz. Grist., p. 144. (388) Dacchè l'illustre Carlo Promis rimanda alla illustrazione che dei monumenti Ambrosiani scoperti nel 1829 fece Giov. Labus © precisamente alla iscrizione di Cuico del 467 (cfr. anche Ferra- rio Monum. di S. Ambrogio, Mil. 1824, p. 67, dove è riportata Quasi per disteso l'illustrazione di Labus), si può osservare che in Questa c'è bensì la croce fra « ed o, ma essa non è inclusa nel circolo che, nel nostro caso, è notevole in quanto ricongiunge l’e- Digrafe di Evols con quella di Ursicino e di Rustico. (292) [427] coi tempi: gli apici che talvolta hanno la A e la M ri- portano il nostro pensiero al così detto carattere a pen- nello. Ma quegli apici non si trovano neanche nell’ epi- grafe di Cuico; quantunque non si possa dire che pur in epoche meno antiche siano comuni anche le A maiu- scole coll'apice (5?) Del resto nell’epigrafe di Evols si hanno forme evidente- mente tarde. La Q, dove l'asta orizzontale ó un arco ri- gido, di forma inelegante, puó trovare relazione colla Q dell’ iscrizione di Tricidio vescovo di Padova del secolo VII (?), ma si stacca dalle forme anche della classicità decadente: veggasi p. e. la Q di una epigrafe vercellese del secolo V riferita dal Bruzza (5). La E della nostra epigrafe è quasi identica a quella della iscrizione metrica di Pagno, che si vuole del secolo УШ (??9) ; tuttavia bi- sogna ammettere non trattarsi qui di una forma rara e caratteristica ; ricorre anche in iscrizioni di epoca piü an- tica, senza dire che la data attribuita all’ iscrizione di Pa- gno è tutt'altro che certa (595). La inserzione delle let- (389) Secondo E. Le Blant ( Inscript. chretiennes de la Gaule, II, р. XIV) questa forma della « maiuscola continuò a Roma sino al principio, e in Gallia, sino alla metà del sec. VI. (390) Gloria, Paleogr., Atlante, tav. DIL n. 25; Testo, p. 64. (391) Iscriz. Vercell., р. 178 (Iscrizione sepolcrale di un sol- dato della schola Armenionum]. (392) Manuel di 8. Giovanni, Notizie storiche di Pagno, in Misc. di stor. ital, XXVII, Torino, 1889. (893) L'iscrizione di Pagno era assai consunta allorchè la tra- scrisse nel XVII secolo Mons. Agostino della Chiesa ( Descrizione del Piemonte, ЇЇ, 1074-5, ms. nella biblioteca di Sua Maestà). Al- lora era intatta la pietra su cui stava incisa, la quale era il coper- Й I | chio d'un avello. Poscia andò spezzata in tre pezzi, e in tale stato la vide Jacopo Durandi (Delle antiche città di Pedona, Gaburro ecc., Torino, 1769, p. 102-4). La ripubblicò il Muletti (Storia di Saluzzo, 1, 46-7, Saluzzo, 1829), il quale nel commento (p. 48) sup- ong | | [128] (293) \ tere V in FILIVS, dove la seconda I è dentro alla V (men- tre la prima I è tanto picciola da restare quasi coperta pose che l'epigrafe parli della « regina Jerberga » vedova di Car- lomanno e fuggita in Italia alla corte di Desiderio, opinando che Oo ? 7 . . ' . J " l'Albino ricordato in essa epigrafe, sia quello, che nel 772 venne pig › | D m Italia quale messo di Carlomagno nelle questioni tra il papa ed 1 Longobardi; invece il Della Chiesa, nella « regina» menzio- nata nell epigrafe voleva vedere una regina longobarda. Costanzo ni . . Ù 1 Gazzera [Iscriz. crist. del Piemonte, nelle Mem. Acc. Tor, П Serie, t. XI, p. 166-7) la riprodusse, desumendone il testo dal Mu- letti e dal Dolla Chi oltre ad una interpretazione non sempre esatta; la voce « regina » e di suo vi aggiunse alcune congetture, dichiarò essere un nome proprio, e quindi negò che questa epi- rafe abbia attinenza con qualsiasi regina longobarda o franca. П Mommsen (C. I. L., V, 2, n. 7640), dando questo titolo tra quelli dell agro Saluzzese, lo riporta tra le iscrizioni pagane; egli non vide la pietra, ma si attenne alle edizioni antecedenti, che tutte conobbe. L illustre barone Manuel di San Giovanni ( Notizie storiche di Pa- gno, in Misc. di storia ital. XXVII, Torino, 1889), di desiderata ricordanza, la riprodusse, dopo una nuova revisione dei due pezzi della lapide, i soli rimasti, e che si conservarono per cura di lui medesimo; dopo la morte del Manuel fu preso un calco esatto dell iscrizione, e questo fu riprodotto in fotografia, formandone una favola, che decora assai bene lo scritto del compianto erudito, e for- hisce utili materiali a chi volesse occuparsi di quell' epigrafe, mo- dificando in parte la lezione del Manuel. Trascrivo Г epigrafe, po- Nendo in maiuscoletto quant’ dra se ne legge, in rotondo la lettura del Della Chiesa, e in corsivo le lezioni altrui e le congetture mie 9 di altri. La divisione dei versi è data dalla pietra o dal Durandi. 1 caelestes animae dannant quae crimina vitae, terrenas metvv NT LABES SVB IVDICE CRIST o CORPOREO LAETAE GAVDE [914 (294) [129] dalla F) sembra indicare un'età bassa, quantunque tale inserzione occorra anche in età abbastanza antiche (*?). NT SE CARCERE SOLVI. sic INA POTENS MERJTis post vincvla secli aeternam repetit se 10 dem nil noxia morti haec talamis Albine tuis sertoque fedelis virgineas casto servavit pectoR E T AEdas 15 coniuGII NOMem iam iam de dignATA SECVndi haec dAMNVM Natura tvvm quod INVIDA NAtos non TRIBVIS VOTIs matris 20 sub meNTE BENIGNA adfecTV SUPERARE volens nos iAMQVE VOCAVit AlbinI CLARO GENERAtam nomINE PROLEm 25 Exosum NOMen nil magNIs moribus obstat nam vere bea ti sunt na ti PEctore matris 7. Tutti leggono Regina. 8. post è congettura del Gazzera, giacchè qui tutte le trascri- zioni lasciano una lacuna. 9-40 ве... nil inoxia, Gazzera; se nil innoxia, Durandi. Momm- sen congettura: senili noxia; la quale lezione va incontro alla dif- ficoltà, che œternam rimane senza nome e che il verso è rotto, la e le due i essendo lunghe, Gazzera cone (Segue) 59 (Iscrizione dei sec. VIII-IX). e di senili essendo breve, getturò sedem. (394) Ofr. Bruzza, Op. cit., p. 3 | | | I | | | 1 | | | [130] (298) A eguali conseguenze potrebbe guidare lo studio della di- Sposizione delle parole e delle linee, che è affatto incerta ed irregolare. 12 ser.... quae fed .... lis, Della Chiesa; ser... i que fed lis, Muletti. Gazzera congetturó : servique fidelis. 14 todas, congetturò Gazzera. 15 coniugii от... Gazzera, Muletti. Il Manuel fu il primo а ve dere la n di nomen, e accettò dedignata. 26 Dopo moribus le trascrizioni lasciano una lacuna. 27 veras Della Chiesa, e gli altri. 28 pectore Della Chiesa, corpore Durandi. ll senso dell epigrafe non sembra molto oscuro; la donna di cui si parla, rimasta vedova di Albino, si conservò fedele alla memo- гіа e alla fede data al primo, che rimase l’unico suo sposo. La na- tura avendole negato prole, essa vinse la natura stessa colla forza dell'amore, chiamando a figli suoi e di Albino coloro che . le posero il monumento, e che sono quindi i figli del petto di lei. Non vedo come il Gazzera divaghi pensando alla prole di Albino Sepolta insieme colla madre, in un medesimo monumento. Che qui "on si parli di una regina, lo dimostra il tono stesso dell' epigrafe, Senza cercarne altre prove nella forma e nella sostanza della me- desima. Il Gazzera leggendo col Della Chiesa e cogli altri regina al v. 7, notò come quel nome dovea prendersi come nome perso» nale. Ma del nome femminile Regina, in epoca antica, egli non addus- Se esempi. C'è il vescovo Regalis di Vienne in Francia, di cui parla Gregorius Turun., Hist. Franc. I. X, c. 9 (ed. Arndt, I, 417); ma forse ciò non basta a dar base a cotale lezione. Può del resto sup- Porsi, che quella parola cosi consunta sia errata nelle lezioni anti- che; nè in questa epigrafe essa sarebbe P unico sbaglio. D agget- tivo potens diede forse occasione all’ errore; una regina potens *Sprimeva un concetto accettabile. Abbiamo una quantità grande di nomi femminili, e si potrebbe cercare se mai alcuno potesse esser {Ще da spiegare l'emosum nomen del verso 25, dove si dice che, Nella defunta, l'esosità del nome non fece ostacolo alla grandezza dei costumi. Albinus è nome famigliare anche all antichità romana; T. Il S. VII 39 (296) [131] La forma della iscrizione non dà un criterio sicuro, poiché dall’ ultimo decadimento del romanismo sino al suo risorgere coi Carolingi, si possono rinvenire iscrizioni di forma quadra, più o meno somiglianti alla presente. Chi esamini le lettere, una per una, trova in esse le traccie evidenti della decadenza estrema, le quali potreb- bero anche essere il risultato di una imitazione fatta nel- l'età carolingia. La F coll’ asta superiore rialzata e ripie- gata, le E, alcune delle quali sono qualcosa di mezzo tra la e capitale e la onciale, le rozze R e P sentono evi- dentemente dell’ ultimo decadimento romano; e alla me- desima età conducono i prolungamenti superiori negli api- ci della A e della M. Qualche lettera, come p. e. taluna fra le €, è assai bella; ma può dubitarsi se tale bellezza e regolarità dipenda dalla relativa antichità della epigrafe o da un tentativo di imitazione ‘seguito anche in epoca tarda. molti e gravissimi esempi ne reca l illustre De Vit (Onomast., 1, 197, 5 v. Albinus) sebbene occorra di frequente presso i Fran- chi (Greg. Turun., Opera, ed Arndt e Krusch, I, 177-8; П, 524, 808-9). Dal lato paleografico, le lettere, tuttochè dimostrino J’ età della decadenza assai inoltrata, tuttavia conservano ancora un ri- cordo vivacissimo della classicità; è chiaro, la lingua è dell’età corrotta, ma c'è anche in essa l eco del gusto antico. Abbandonando ogni ipo- tesi che accenni a una regina franca o longobarda — il Manuel pensa a Giseltrude moglie di Astolfo — troveremo conveniente di riportare molto addietro questa epigrafe, che puó senza difficoltà ascriversi al V secolo. — Per lo stile, i versi 14-5 possono con- frontarsi col v. 8 « intacto castum servarunt corpore mentem » del titolo di due vergini Vercellesi (C. I. L., V, 2, 6727) — D ben vero che il monastero di Pagno fu fondato dal re Astolfo ( Chron. Novalic., lib. Ш, c. 26, ed. Bethman), ma questo fatto niuna con- seguenza ha per l'età cui sia da assegnarsi il nostro sepolcro, il quale può essere anteriore al monastero stesso, di cui P epigrafe non fa ricordo. 4 [132] (297) L’ epoca carolingia riprodusse le forme epigrafiche ro- mane, con una potenza notevole di imitazione, siccome può vedersi nella citata epigrafe sepolcrale di papa Adria- no I, alla quale si accosta d'assai quella di Pacifico ar- cidiacono veronese (t 846). (°°°) Mentre la prima di queste iscrizioni fu, come si è veduto, riprodotta in facsimile dal De Rossi, dell’ altra non posso citare niuna riproduzione in facsimile. Chi esamina queste due iscrizioni carolingie, trova che la loro paleografia è molto diversa da quella dell’ epigrafe di Evols. In quest’ ultima, le lettere, se an- che sono l’una coll’altra disordinatamente accozzate, non producono l'impressione delle epigrafi carolingie. Colà le lettere sono disposte con maggiore larghezza, mentre qui l'una incalza l’altra. Senza dubbio è maggiore la rego- larità, la precisione delle lettere dei due titoli carolingici ; Ma la minore regolarità e precisione non involge la po- Steriorità di tempo. Anzi può dirsi che, paragonata l’epi- grafe di Evols, da una parte con quelle dell' estrema deca- denza del romanismo e dall’altra con quelle del romanismo rifatto, un vincolo meno lontano di tradizione scrittoria si appalesa fra i due membri del primo gruppo epigrafico, liuttosto che tra i due del secondo. La lingua e il formulario sono pure elementi per giu- dicare del monumento. L'antica e usitata formula viæit "Wh. pl(us) m(inus), sempre usata quando si vuol indi- саге l'età del defunto, e che occorre anche nell'epigrafe di Cuzco, nell’ epigrafe di Evols fa difetto, per essere sosti- {а da annorum trium. La vecchia formula ricorre an- che, con leggere modificazioni, negli epitaffi di Rustico e di Ursicino, quantunque anche la formula col genitivo non Manchi nella iscrizione torinese di Claudia (®). La scrit- (395) с. Cipolla, Fonti edite della regione Veneta, Venezia 1889, Di 126 (396) Gazzera p. 136. Mommsen С. I. L., V, 2, n. 7438. Le prime parole: « ## Titulus puellae Claudiae C. F, vixit, — » sem» (298) [133] tura qi e qem, per qui e quem, ha anche esempi abba- stanza antichi (°7), e così la e per £ in cometis (995). Quanto alla formula innocens filius, esempi di essa sono ovvi nell’ eta bizantina (°°). Veniamo alla prova dedotta dal nome. 11 chiar. Carlo Promis saggiamente notò quello che niuno prima di lui aveva veduto, cioè che Merce richiama al nominativo He- rica, dove la finale in а ben risponde all'uso gotico (400). Lo strasburghese £ric viene sempre chiamato Fhericus, Ericus, Hericus (!9'), ma non comparisce giammai nella forma Erica tradotto il germanico Erich, Erik ecc. (109). Il titolo di conte non impedisce l'identificazione coll’ K- ricus friulano, per il quale spesso vediamo alternarsi i titoli di comes e di dux. Può pensarsi che, come in co- metis la e sta per 2, così altrettanto sia avvenuto in He- brano ammettere al fine della prima linea la correzione di C. Е. in QE = que (397) De Rossi, Inscript. Christ., 1, n. 293 (Iscrizione dell'an- no 500). (398) De Rossi, op. cit., I, p. 490 (Iscrizione del sec. V, di Co- mo, con: penelens]. (399) De Rossi, op. cit., I, p. 488 (Iscriz. del 539). (400) Сїт. Labus, Mon. di S. Ambrogio, p. 24. (401) Simson-Abel, Karl de Grosse, I, p. 102 e 123. — Sul- P uso di Iringus, Ericus alla fine del sec. IX, cfr. Dümmler, Ostfr. Reich., III, 487, (8 ediz). (402) Forse si potrebbe ricondurre Herice ad Erick, suppo- nendo che il nome tedesco latinizzato abbia potuto prendere la for- ma della terza declinazione, oltre a quella della seconda ; per altro non abbiamo esempi di Eric, Ericis, quantunque si abbia Evaric, come vedremo di quì a poco. Secondo tale supposizione, potrebbe stare benissimo — come mi fa notare l'egregio amico mio prof. dott. Carlo Salvioni — Merice per Hericis. Si ha Oreste per Orestis, re- gione per regionis (Schuchard, Der Vokalismus des Vulgàrla- teins, Leipzig, 1867, II, 45). [134] (299) rice; ma tale supposizione va incontro alla insormonta- bile difficoltà, che nel primo caso vediamo mutarsi in e una 2 breve, mentre nel secondo caso la ¿ finale di He- rici essendo lunga, non si comprenderebbe il suo passag- gio ad una e (°°). Queste considerazioni consigliano a se- guire l'opinione di Carlo Promis, il quale vede in Herica un conte goto; ma d'altra parte non si deve dimentica- re che anche questa opinione incontra una grave difficol- tà. Abbiamo bensi il nome Herila (19, comes goto, ma non abbiamo esempi di Herica sotto 1 Goti. Nel carme di Paolino (405) vengono invitate parecchie città a piangere sulla morte dell’ eroe (strofe 2): « Hericum mihi dulce nomen plangite Sirmium, Pola, tellus Aquileiz, Julii Forus, Cormonis ruralia, Rupes Osopi, iuga Cenetensium, Abtensis humus ploret et Albengaunus». È l'ultimo verso che suggeri al Durandi la sua con- gettura. Saviamente fu detto che profferendo questi nomi, «allude forse il poeta ai luoghi da esso (Erico) gover- nati, ovverossia a quelli che aveano potuto vedere da pres- so le alte prove del suo valore. Noi non sapremmo indo- vinarlo » (196). Se non parve chiaro il valore di quelle pa- role, si dubitò della identificazione dei due nomi ricordati nell’ ultimo verso. La lezione del primo nome parve mal sicura, giacchè un ms. del secolo X legge Abtensis, mentre un altro ms. del medesimo secolo reca Astensis, ed uno del secolo IX ex. presenta Hastensis. П Dümmler dopo (403) La I rimane sempre i; cfr. Meyer, Grundriss der roma- nisch. Philologie, I, 360. (404) Labus, op. cit, p. 24; De Rossi, Incr. chr., I, 351, n. 807. (405) Presso Dümmler, Poéte cvi Carolini, I, 131. (406) Federico Stefani, I duchi e marchesi della Marcu del Friuli, Arch. Ven., VI, 916-7. i \ (300) [135] di avere con facilità e sicurezza identificati i luoghi men- zionati negli altri versi (Sirmio, Pola, Aquileja, Civi- dale, Cormons, Osopo e Ceneda), propone dubitativamente Asti ed Albenga per i due ultimi (407), Simson ed Abel (408) esponendo il contenuto del ritmo, ripetono i nomi sino a Ceneda. Vedendo che tutti gli altri nomi di città spetta- no alle terre Foriuliane e alle regioni di NE, egualmente che i nomi dei fiumi ricordati nella strofe 1, si potrebbe pensare che fosse fuor di luogo il volgere il pensiero ad Asti e ad Albenga. Tuttavia nella strofe 3 il poeta vaga molto lontano, ricordando Strasburgo, la città natale di Erico (409), E ancora si può notare che in quei nomi di città e terre non si dovrebbero vedere accennati i luoghi dove Erich riportò qualche vittoria, giacchè quasi non vi sa- rebbe stato motivo di invitarli a piangere sulla sua morte, e solamente si poteva rammentarli come titolo alla sua gloria. Ecco perchè si potrebbe supporre che quelle fos- sero città beneficate da Erich e quindi da lui governate. Sicché ritorneremmo, volendolo, | er tale via alla inter- pretazione antica. Quanto poi all’ ultimo verso, la va- riante accettata dal Diimmler Abtensis, sulla fede di un ms. del secolo X, per Zlastens?s od Astensis, può aver poco valore dinanzi alla lezione quasi uniforme di due mss. del secolo X e del secolo IX ex. E la rela- zione in cui quella terra si trova, nel carme, con Albenga, serve, per quanto pare, ad eliminare ogni motivo di dubbio. Il nome Herica non è tuttavia senza riscontri anche nell'età anteriore alla carolingia. E noto quel rex Go- thorum, che s. Gregorio Turunense Mol chiama Eoricus, (407) Forse in luogo di Albenga si potrebbe anche proporre Alba. (408) Karl der Grosse, 1, 197. (409) Fu fatto daca del Friuli nel 795; Simson-Abel, 1, 254. (410) Hist. Franc., II, c. 20 e 25; liber vita patrum (nell Opera, edd. Arndt e Krusch, I, 83, 84, 87; П, 673). [136] (301) Eurichus, Eorichus, Evarir. Egli mori nel 485. Sicchè 56 esso non può ritrovarsi tal quale in un’ epoca cosi an- tica, possiamo tuttavia trovare alcuni nomi ad esso somi- glianti. Le conseguenze cui siamo giunti sono molto ristrette. L’ iscrizione considerata dal lato paleografico non ci ha dati criteri del tutto sicuri; e neppure la dicitura ed il nome di Merica ci somministrarono dati sufficienti per giungere a conseguenze veramente certe, ma né l'uno né l'altro secolo è escluso (*!*). Supponendo anche che la iscrizione si riferisca ad Herich, quali conseguenze se ne possono dedurre? Tutto al più ci può provare la presenza di Erich nel luogo do- ve fu trovata la epigrafe, ma di una signoria qualsiasi da lui esercitata quel titolo non fa testimonianza. Ipotesi se пе possono fare; ma le prove difettano. La storia di Erich prima che ottenesse il ducato del Friuli è assai oscura ; eil carme di Paolino viene variamente interpretato. Tra i fiumi si ricordano il Danubio, il Tibisco, ecc.; vale a dire, si accenna a regioni sulle quali Erico Поп può avere esercitato diretto dominio. Siamo dunque in grandi dubbi non sapendosi con quale criterio e con quale scopo siano stati ricordati quei nomi dal poeta, pur- chè non si ammetta, come è verisimile, che nei diversi Casi abbia addottato criteri diversi. Quei fiumi doveano Pichiamare alla memoria le prove di valore militare date da Erich. Ad ogni modo si può asserire, che la iscrizione ed il ritmo non giustificano affatto l'ipotesi di quella Marca Occidentale, alla cui esistenza prestó fede il Durandi, e ció almene nella forma e nei modi con cui la descrisse questo erudito. Se Albenga e Asti sono ricordate come due città (414) L'intonazione del presente titolo ha qualcosa di comune con quella di un titolo Milanese del 519 (C. I. L., V, 2, n. 6176): € hie requiescit ii pace | Agate filia cometes | gattilanis » (302) (137) sulle quali Erich tenne dominio, parrebbe si dovesse colle- garne il ricordo piuttosto al comitato astese concessogli ; se l'iserizione fu trovata a Caraglio, e si riferisce al medesimo Erich, è veramente grave arditezza, sopra di cosi fragile i m ; i нү 0 | base innalzare un edificio storico di tanta gravità. | || La relazione tra Asti e la riviera ligure ci risulterà |. 1 da più fatti. La narrazione delle guerre da Claudio vesco- vo di Torino combattute per resistere alle incursioni dei Saraceni e un curiosissimo placito dell’ 887, del quale ci | | occuperemo, provano che Asti aveva comunicazioni соп- tinue e interessi gravi su quel lato del lido italiano. Non è quindi impossibile, che anche al principio del secolo IX | possa essere stato istituito un governo, la cui estensione 1 comprendesse Asti ed Albenga e forse qualche altro ter- ritorio. Da quel placito apparisce che Asti e Torino ave- vano o pretendevano avere possedimenti in quel di Savo- | na; qui sono relazioni di proprietà; ma tra queste e le | relazioni politiche non può negarsi esistere un rapporto | molto stretto (41°). | 1 Prima della fine del secolo IX (4!) trovasi traccia della | Marca d'Ivrea con Asti e Torino ; та questa Marca non ha niente a che fare con quella attribuita ad Erich, e di cui non si è trovato mai alcuna traccia nei cronisti. Se a qual- che conclusione può guidare la considerazione che, nel- l 825 Lotario assegnò quei di Albenga alle scuole di To- | rino e quelli di Asti alle scuole di Pavia, si può sospetta- (442) A chiarire le relazioni della Liguria marittima colla rc- gione che si stende a settentrione degli Apennini, giova tener pre- | sente che in Genova e Savona i Longobardi non istallarono i loro d duchi. Anzi mi non pare esatto quanto scrive il ch. prof. Pietro Pin- ton, Le donazioni barbariche ai Papi. Roma, Civelli, 1890, p. 39, « Sappiamo ... che in Genova a Savona, risiedendo dai tempi | di Rotari ,... i duchi longobardi nel pieno esercizio dei loro uf- | , fivi e della loro autorità ». | (Ж) Gir, Cipolla, Audace, in Mise, XXVII, 247. | | | | | [4138] Te che le due città non dipendessero almeno allora da un Signore medesimo. Concludiamo : la iscrizione di Evols pro- Và assai poco ; ma il carme di Paolino sulla morte di Erich ha il suo valore e fa credere che realmente quel famoso duce franco, prima di avere il ducato del Friuli, abbia tenuto il governo di Asti e di Albenga, sia cumulativa- Mente, sia separatamente. (303) IIl. Asti da Lodovico il Pio a Carlo il Calvo. Le relazioni di Asti colla costa ligure, delle quali si dovrà toccare in appresso, parlando di un placito dell'882, sconsigliano dal passare sotto silenzio la spedizione di Clau- dio vescovo di Torino contro i Saraceni. Per quanto pare, | episcopato di Claudio comincia coll'anno 817; il suo Successore Witgario è ricordato per la prima volta nel- l 832 (114). Claudio stesso (115) narra come, dopo la metà della primavera, andasse «ай excubias maritimas » per la Mesa, < adversus Agarenos et Mauros » (*16), Siccome ver- (414) Fedele Savio, Gli antichi vescovi di Torino, Torino, 1889, P. 38 е p. 97. Egli giustamente osserva (p. 40) che facili doveano essere le comunicazioni tra il Piemonte e la riviera L tario I c igure, se Lo- hiamò alle scuole di Torino anche gli abitanti di Ventimi- glia, Albenga e Vado. (415) Praefatio in Comment. suos ad epist. Pauli Apost. (ed. ai, Script. vet. nova collectio, VIII, 274). (416) Filiberto Pingonio (Augusta Taurinorum, Taurini, 1577, D H Р. 24) ricor dio, che (Реде, in Mon. giunge. la questa spedizione militare, citando gli scritti di Clau- al suo tempo erano naturalmente inediti. б. F. Meyranesio ntium sacrum, de episcopis Taurinensibus, ed. A. Bosio, hist. patrio, SS., IV, col 1207) cita il Pingonio, ma ag- « verum ego, ex quonam Claudii opere id Pingonius de- T.I» S, yp 40 | | | | | | | 1 P (304) [139] so l’anno 820 si fa parola di scorrerie saracene, così le azioni militari di Claudio vanno attribuite a quell’ epo- ca (117). La espressione usata da Claudio fa credere che non si tratti qui di un avvenimento unico, ma di una se- rie di lotte, più o meno gravi, le quali annualmente si rinnovassero (45) Tuttavia bisogna notare che Claudio sumserit, ignoro ». Attribuisce la spedizione all’ anno 835, nel quale anno secondo il citato prof. ab. F. Savio, Claudio era già morto. An- che Gioffredo (Storia delle Alpi marittime, Mon. hist. patr., Scipt., 1, 275) avea avuto notizia delle spedizioni di Claudio. (417) Savio, op. cit., p. 46. Questo scrittore si appoggia agli Annales di Einhardo (M. G. H., Script., I. p. 207) dove si ricorda, sotto l 820, la rottura dell’ alleanza tra i Franchi e i Saraceni di Spagna. Veramente l'annalista franco parla di pirati che presero otto navi di negozianti, ma senza che sia detto che questi pirati fossero saraceni. L'alleanza « foedus » tra Lodovico il Pio e i Saraceni d'Africa era stata stabilita nell’ 816, secondo Einhardus (ib. 903), che prima racconta, anno 813 (p. 200), le incursioni devastatrici dei Mori a Civitavecchia ed a Nizza marittima; ri- guardo a queste ultime scorrerie, dice Amari ( Mussulm. di Sicilia, I, 227) che noi non sappiamo se sieno da ascriversi ai Musul- mani di Sicilia o a quelli di Africa. Forse anche per le scorrerie di cui parla Claudio potrà aversi la medesima incertezza. Gfr. sopra di questi fatti la nota seguente. (418) Le parole di Claudio (Mai, VIII, 275) lasciano credere che i combattimenti contro i Saraceni, si rinnovassero annualmente» Claudio scrive all'abate Teodemiro, parlandogli delle sue cure dio- cesani ; nell'inverno, egli dice, sono occupato nel percorrere « vias palatinas », « post medium veris procedendo armatum (sarà da leggersi: armatus) pergamena pariter cum armis ferens, pergo ad excubias maritimas, cum timore excubando adversus Agarenos et Mauros; nocte tenens gladium et die libros et calamum ». Al me desimo abate, Claudio scrisse una lettera il 7 marzo 823 (Mabil- lon, Analecta, II, 31) scusandosi di non avergli prima di quel giorno mandato i suoi Commenti al Levitico, necessitandolo a ció « rei [140] (305) non era menomamente costretto a passare per l'Astigia- no per recarsi sulla sponda ligure; è anzi affatto verisi- Mile che altra via abbia tenuto. Claudio descrive la sua vita in quella spedizione: studiava e combatteva ad un tempo, Rammento qui che alla fine del capitolo precedente si è accennato alle relazioni di Asti colla costa ligure, non lasciando di avvertire come esse possano considerarsi quali indizi per far sospettare antichi diritti politici di Asti, al lempo longobardo, almeno sopra aleune delle terre con- quistate (661) da Rotari. La supposta estensione del du- Cato astese potrebbe trovare un riscontro col dominio di Erich, del quale si vorrebbe trovare una traccia abba- Stanza notevole nel carme di Paolino aquileiese. Ma sic- come dura grave incertezza anche sull’ effettiva estensio- Publice infestatio dira et malorum hominum nimia perversitas », dove le parole infestatio dira alludono alle incursioni, più volte ripetute, dei Saraceni. La prima lettera è senza data; sappiamo che Teodemiro, nel tempo stesso accusò il vescovo torinese anche da- vanti a papa Pasquale II (Claudius, Apolog., presso Dungallo, in: Bibl. Maxima Patrum, XVI, 900; Lugduni Batav., 1677), il quale Mori verso l’aprile o il maggio 824; dappoichè nella lettera del- r 823, Glaudio non reputa affatto di essere riguardato come eretico da Teodemiro, così può concludersi che la lettera senza data non sia Posteriore all 823. Ma sappiamo da una lettera di Teodemiro a Claudio che il commento di Claudio alle epistole di S. Paolo a lui inviato colla lettera senza data di cui si parla, è anteriore al com- Mento sull Esodo, il quale ultimo fu scritto al principio dell’ 824 (Savio, р. 43, 45), così la lettera in discorso non può essere po- Steriore all'820; al quale risultato cronologico giunse anche il Sal- vio (p, 45-6) sebbene per via non identica. Siccome poi nella let- tera stessa si parla delle invasioni Saracene, come di un fatto an- Nuale, così si dovrà ritenere che i combattimenti ai quali Claudio Partecipò, siano avvenuti non solo nell'820, ma anche in uno o in più anni auteriori, (306) [141] ne del dominio di Erich, così dobbiamo accontentarci di rimanere nel vago. Ma posciaché i Franchi ebbero asse- stato le cose loro, e tolte le vestigia del regnum Lango- bardorum quale Desiderio lo lasciò al momento di sua rovina, mutarono le sorti di Asti. La città, che costitui si potente ducato, i cui duchi avevano formato una dinastia reale, ebbe di nuovo diminuito il suo territorio entro con- fini relativamente ristretti, che avranno corrisposto alle più antiche ripartizioni territoriali. Nell' epoca franca, co- me abbiamo avuto occasione di avvertire, si moltiplicano i contadi: le città vescovili diventano tutte forse contadi, e non esse soltanto. Questo fatto segna una divisione recisa tra l'età longobarda e la franca per la regione di cui parliamo. Riguarda indubitamente Asti il decreto di Lotario I sugli studi. Le Constitutiones Olonnenses (*'9) contengono tra 1 capitula ecclesiastica un paragrafo de doctrina. Sic- come la « doctrina . . . . . . ob nimiam incuriam atque ignaviam quorumdam prepositorum, cunctis in locis est fun- ditus extincta », così l’imperatore affida 1 insegnamento a persone da lui stesso costituite; per le quali seglie ap- ta loca, collo scopo che « difficultas locorum longe posi- torum, ac paupertus nulli foret excusatio ». Le scuole istituite con queste costituzioni sono sedici, di cui quattor- dici nell’ Italia settentrionale. L’ attuale Piemonte, colla Liguria marittima, 6 distribuito tra le scuole di Pavia, Ivrea e Torino. Alla scuola d'Ivrea, posta sotto la direzio- ne del vescovo locale, non è detto che debbano accorre- re scolari di altre città. А Torino sono assegnati special- mente i giovani della parte occidente della Liguria ma- rittima con Ventimiglia, Albenga e Vado, oltre ad Al- ba. Alla Seuola di Pavia devono recarsi, oltre a quelli di Novara, Vercelli e Tortona, anche i giovani di Aqui, Ge- 419) M. б. H., ed, in fok, Leges, IV, 542; ed, in 4° I, 949. ) \ 142] (307) nova ed Asti, senza far cenno delle città dell’ odierna Lom- bardia (420), Qui abbiamo tracciata una divisione tra il Piemonte orientale e 1’ occidentale, prendendo la parola Piemonte nel senso moderno. Se questa divisione può aver valore nelle questioni sulle condizioni politiche di quel paese a quel tempo, si dovrà dedurre che Torino e Alba fossero in- dipendenti da Asti: e ancora che Asti, e, al pari di essa, Aqui e Tortona formassero altrettanti centri politici indipenden- ti (4%), Si osservi ancora che Alba e Aqui a mezzogiorno, Tortona ad oriente, Torino a NO, e Vercelli a settentrio- (420) A. Dresdner (Kultur und Sittengeschichte der italien. Geistlichkeit im X n. XI Jh., Breslau, Kóbner, 1890) in un libro che ha richezza di notizie, nonostante certe mancanze, raccoglie in "n quadro (р. 234 segg.) quello che si sa sopra i molteplici cen- iri di cultura nel regnum d’Italia, a Roma, Montecassino, ecc. Ha Quindi egli pure, come l’ebbero tanti altri prima di lui, l'occasio- ne di occuparsi del decreto di Lotario 1; specialmente è notevole l'appendice in fino al volume, dove il Dresdner, con molta acutezza e dottrina, modifica P opinione diffusa sulla estensione della col- tura letteraria nel laicato italiano. A questa opinione aperse |’ a- dito tanti anni or sono il Giesebrecht colla sua notissima disser- ‘azione de studiis litterariis apud Italos, dalla quale per la prima volta si ebbe un prospetto netto e lucido dello stato della cultura classica nell’ alto medioevo presso di noi. Il Dresdner prova che i Passi generalmente posti avanti per provare che i laici erano stu- diosi e che avevano in costume di frequentare le scuole, provano Poco; e che ad essi si oppongono altre e più esplicite testimo- nianze, Frequentavano le scuole quelli che volevano dedicarsi allo stato ecclesiastico, ovvero aspiravano a diventare magistri. Queste notizie d'ordine generale parvemi utile rammentare a questo luogo, dove ci occupiamo delle prime notizie pervenuteci sulla cultura letteraria degli antichi astigiani. (421) Troveremo tosto nel diploma di Lodovico II dell'a69 ri- cordato il Comitato di Tortona. { | | (308) [143] ne, indicano altrettanti centri politici, che con qualche ap- prossimazione possono designare presso a poco i limiti della contea Astese, la quale perciò, anche a quest’ epoca così remota, sembra non fosse molto diversa da quella che sì tentò di delineare altrove, parlando di tempi non poco po- steriori (^??). (422) Cipolla Audace, Misc., XXVII, 274. (Continua.) | | | И — À IL PROBABILE AUTORE DEL POEMETTO FALSAMENTE ATTRIBUITO А FRANCESCO IL VECCHIO DA CARRARA. MEMORIA DEL PROF. ANTONIO MEDIN. Cacciato Antonio Scaligero da Verona, il conte di Virtù, а compensare Francesco il vecchio, che lo aveva aiutato in questa impresa, collegatosi colla Repubblica Veneta, or- dinò al Dal Verme che si impadronisse di Padova. Il tra- dito Carrarese, di fronte all'imminente pericolo, fu co- stretto a cedere il reggimento della città al figlio Fran- Cesco Novello, che, nonostante il suo valore, indi a poco dovette abbandonare Padova al nemico e recarsi a Mila- no. Ma ben tosto, poco fidandosi della protezione Viscontea e agognando di ricuperare il dominio perduto, ei cercò nella fuga la sua salvezza; e per la Savoia e la Provenza, Genova e Pisa, superati innumerevoli ostacoli, si ridusse coll’eroica sua moglie Taddea d'Este e coi fratelli а Fi- l'enze, dove tese le fila di quella bene ordita trama, mercè la quale poté dalla Baviera e pel Friuli rientrare vitto- гіово a Padova, acclamato e festeggiato. Intanto il padre di lui, da Treviso ove si era rifugiato, tradotto astutamente prigioniero in Lombardia, aveva prov- veduto con tutti i mezzi possibili alla salvezza del fi- glio; e, se si dovesse prestar fede a quanto affermano € storici e critici, non contento di ciò, avrebbe consolato (310) [2] l'ozio della prigionia e della triste vecchiaia, narrando in versi non disadorni le vicende toccate al Novello dalla perdita al riacquisto di Padova. Bello, cavalleresco e com- movente spettacolo questo, d'un figlio che traverso mille ostacoli riesce a ricuperare il perduto dominio, mentre il padre, prigioniero del rivale, ne canta in versi le avven- ture, e ne celebra il trionfo! Sennonchè (e me ne duole jer la retorica, che indarno spiegò alti i suoi voli) il po- vero vecchio principe, se aiutò come e quanto meglio potè il figlio nella ricuperazione dello stato, non fu certamente autore del poemetto, che tramandò i ricordi delle disa- strose peregrinazioni di lui. Facciamo un po'la storia di questa operetta, che, come fu già osservato da altri, ba un doppio valore: storico е letterario. Michele o Michelino di Nofri del Gigante, fio- rentino, che teneva bottega di ragioniere nella piazza di S. Martino, ben noto per la sua partecipazione al famoso "ertame coronario del 1441 ('), scrisse in versi; ea mi- tigare le noie e gli ozi della sua professione, si dilettò pure a copiare parecchie operette (*), tra le quali anche i quindici Capitoli che andarono finora sotto il nome del (4) MicneLE nacque in Firenze nel 1387, come si rile- va dalla sua Portata al Catasto del 1457 (Quartiere S. Giovanni, Gonfalone Leon d'Oro; in Archivio di Stato fiorentino), e fu sot- terrato in S. Marco il primo dicembre del 1463 (Libro dei Morti dal 4457 al 4506 ad annum, nell Archivio di Stato suddetto). Circa alla parte ch'egli ebbe nel Certame coronario, vedi б. МАМ" сп, Vita di L. B. Alberti (Firenze, 1882), pp. 229, 230, 233. (2) Sono di sua mano anche i codici Ricardiani 2732 e 2734, e la seconda parte del codice Magliabechiano IL, IL, 39. cr e "sese [3] (341) Carrarese, traendoli da un'altra copia in qualche parte la- cunosa. Non ho creduto inutile di richiamare in questo Caso il nome dell’ amanuense, perchè noi dobbiamo essere certi, che non al Del Gigante, il quale essendo poeta ba- stantemente culto trascrisse certo con ogni fedeltà Ja co- pia che gli stava dinanzi, ma al copista anteriore va data la colpa delle lacune e delle oscurità. Giovanni Lami trovò la trascrizione di Michele del Gigante, senza riconoscerne la mano, nel codice Riccardiano ora 2735; e, stimando Questi Capitoli non privi di valore, li pubblicò abbastanza fedelmente nel volume XVI delle sue Delieiae Erudito- rum, parendogli dalla didascalia iniziale di poterli attri- buire eon sicurezza a Francesco il vecchio da Carrara. A] poemetto non precede nella stampa alcuna notizia, ma di esso il Lami aveva discorso nella introduzione alla Pietosa Fonte di Zenone da Pistoia, ch'e' trasse dallo stesso co- dice Riccardiano. (t) Ecco le sue parole: « Non è da ma- ravigliarsi che Messer Francesco da Carrara portasse tanto amore a' poeti, poiché egli stesso era un eccellente poeta ; ed aveva fatto maggiore profitto nella Poesia sotto la scorta del Petrarca, di quello che facesse il nostro Zenone : poi- «chè Messer Francesco da Carrara ha stile più pulito ; ed ha trattati argomenti gravi ed istorici; ed aveva molta e Castigata erudizione, come si conosce dai suoi 15 eleganti Capitoli fatti in occasione, che il suo figliuolo Messer Fran- Cesco Novello perdè Padova, e poi la riacquistò. Questa è Una bellissima istoria della disgrazia di questo Principe per (1) Deliciae Eruditorum, v. XIV, p. XII. Nelle Novelle Lettera- "ie pubblicate in Firenze, 1754 (T. XV, coll. 337-38) si dà notizia del Poemetto edito dal Lami; il quale poemetto, soggiunge il recenso- Те « chi il crederia ? è opera di Francesco da Carrara il vecchio. » Non è poi vero che in questo articolo delle Novelle Letterarie 51 trovino alcuni saggi dei Capitoli, come afferma lo ZAMBRINI, Op. volg. а stampa, col. 228 (Bologna, 1884). Т. ГТ, S VW) 4 ——Àá——. ——— MR ا م ت تد‎ EE E ETE ERE EE - | | | | | | | (312) [4] lo spazio di due anni, che sì conserva ms. nella Libreria Riccardiana in quello stesso codice, in cui è il Poema del nostro Zenone, al quale quasi subito succede; quasi non debbano stare disgiunte l’opere di quelli, che in vita fu- rono sì uniti di affetti e di conversazione. Questa erudi- zione di Messer Francesco da Carrara è toccata ancora dal nostro Poeta quando adduce la ragione, perchè il Pe- trarca, lasciati Principi maggiori, sì ritirasse sul fine della sua vita appresso il Signore di Padova. » Queste parole del Lami furono riferite senz'altro da Giovanni Cittadella (4), e ripubblicate con tutta la prefarione alla Pietosa Fonte da Francesco Zambrini (*). Antonio Tolomei nel suo no- tevole lavoro sul Volgare illustre in Padova al tempo di Dante (è) discorre in modo di questo poemetto, di cui pur egli dice autore Francesco il vecchio, da provare, come vedremo più innanzi, di averne fatto non tro; pa attenta lettura. Rodolfo Renier credé di trovare una forte prova della dimora di Fazio degli Uberti presso 1 Car- raresi, nel fatto, che Francesco il vecchio imitò nei quin- dici Capitoli il Diltamondo (*). Antonio Zardo sulle orme del Tolomei, di cui ripete le inesattezze, fu l'ultimo che ebbe a parlare di questo poemetto; del quale, come ave- vano fatto anche il Tolomei e il Renier, riportò qualche verso. (è) Ma se tutti gli scrittori ora nominati ripeterono con- cordi l'affermazione del Lami, che l'autore del poemetto (4) Storia della dominazione Carrarese (Padova, 1842), vol I, p. 469 e seg. (2) La Pietosa Fonte, Poema di ZgNoNE nA Pistosa, nella Scelta di curiosità letterarie, disp. CXXXVII (Bologna, 1874), р: XXVI e segg. (3) Dante e Padova (Padova, 1865), p. 321 e segg. i (4) Liriche di Fazio degli Uberti (Firenze, 1883), p. CLXV » 370O e sogg. (5) Il Petrarca e i Carraresi (Milano, 1887), pp. 52-55. | | | | I [5] (313) è Francesco il vecchio da Carrara, non mancò tuttavia chi | onesse in dubbio questa paternità. L'ab. Gianfrancesco Zac- Caria nella sua Storia letteraria d Italia (1) disse, che lo stesso codice Riccardiano, onde i lapitoli son tratti, ci tiene dubbiosi se veramente ne fosse autore il vecchio о поп piuttosto il Novello Carrarese ; e a questo dubbio egli fu indotto dalla sconcordanza tra le parole della didasca- lia iniziale e quelle della finale, come vedremo tra breve. Il Tiraboschi riferendo il dubbio dello Zaccaria, osservò essere assai verisimile che i Capitoli seno del padre e поп del figlio, perchè sappiamo cke il primo fu aman- te della poesia e dei poeti, e nelle sue prigioni di Monza ebbe quanto agio potè bramare per far versi. (*) Le quali ragioni, con tutto il rispetto dovuto all’ insigne berga- masco, non escluderebbero affatto l'ipotesi, da ben altri argomenti dimostrata insostenibile, che il Novello possa essere l’ autore dei Capitoli. Ma Giambattista Verci, che di questi Capitoli si giovó come di documento storico, è andato assai più in lû dello Zaccaria; egli cioè, non solo rimase incerto se si dovessero tribuire all'uno o all'altro dei due Carra esì, ma essendosi imbattuto in tale errore di data in cui essi ben difficilmente avrebbero potuto ca- dere, nella sua Marca Trivigiana (°) espresse il dubbio, che quel poemetto sia lavoro d'altra mano, affermando di poter addurre ulteriori ]rove dei suoi sospetti, | rese dalla serie di quel racconto. Questa nota del Verci, passò fino ad oggi affatto inosservata; e se non è gran mara- Viglia che sia rimasta sconosciuta a quanti parlarono del poemetto, mal si comprende come il Cittadella, che natural- mente sì giovò della famosa opera del Verci, non vi ab- bia fermato la sua attenzione, in luogo di ripetere le pa- Pole del Lami. Se egli avesse ricordato il dubbio del Verci, (1) Vol. X, p. 346 (Modena 1757). (2): Storia. della lett. 4t., T. V, lib. I, cap. II, $ IX, (3) Tomo XVII (Venezia, 1790), p. 138, n. 3 (314) [6] io eredo per certo che oggi non avrei avuto il compito di dimostrare errata l'attribuzione al Carrarese, perché sarei stato indubbiamente da altri preceduto. Quanto a me, con- fesso, che la nota del Verci mi è venuta sott' occhio solo quando, già convinto che Francesco il vecchio non poteva essere stato l'autore del poemetto, mi posi a confrontare minutamente la narrazione di questo con quelle dei cronisti e degli storici. Nè è a stupirsi di ciò, trattandosi di cos: che avrebbe potuto venire in mente a chiunque avesse in- trapreso senza prevenzioni l'attenta lettura dei Capitoli. Rassicurati del dubbio che questi non possano essere opera del Novello, perchè da tutto il poemetto e partico- larmente dalla chiusa, che riferirò in apjresso, apparisce ben chiaro che furono scritti da altri a gloria di lui e ad esaltazione del suo dominio, vediamo ora come stieno le cose. И, Il Lami giudicò che si dovessero attribuire a Fran- cesco il vecchio, per le notizie recate dalla didascalia ini- ziale, che suona cosi: « Capitoli del principio dell'uscita quando il Signore Messer Francesco perdè I adova, per? fino alla ritornata, che fè Messer Franciesco Novello da Carrara, quando ricoverò Padova . . . . tutti li cast e le fortune .... per lo detto Messer Pranciesco, dal principio per fino alla vitolta di Padova, li quali . . . furono fatti per Messer Franciesco Vecchio da € larrara nell’anno 1389, a dì 23 di Novembre, la vilia di Sanc ta Caterina. » (1). Il Lami, supposto che dopo il pronome (4) I puntini indicano le lacune del codice, da Michele del Gi- gante segnate pure con punti: segno che l'esemplare onde fu tratta questa copia era ancor esso mancante, SER [7] (345 li quali si dovesse leggere la parola Capitoli, ciò che noi ammettiamo facilmente, soggiunge che gli antichi amava- no dire per Messer Francesco invece di da Messer Fran- cesco, e cita due altri esempi in proposito tratti dallo stesso codice; e per ciò, secondo lui, i Capitoli sono senza dub- bio del Carrarese. Ma la regola non è così generale, come credè il Lami; e il per in antico toscano ebbe pure valo- re di ad istanza: quindi le parole ре” Messer France- sco potrebbero anche voler dire ad istanza di Messer Francesco. Concediamo tuttavia, che il per di questa rubrica voglia indicare in Francesco da Carrara l’ auto- ге dei Capitoli ; in tal caso leggiamo la didascalia finale: « Finito l'operetta fatta per Messer Franciesco Novello di Messer Francesco da Carrara, e come ritornò in casa sua ali 16 d'Agosto 1390. » Chi fu dunque 1’ au- tore: Francesco il vecchio o il Novello? Con ugual di- ritto del Lami, io, appoggiandomi su questa didascalia finale, potrei dire che fu il secondo; perchè è da osser- vare, che i criteri, i quali devono avere determinato il Lami, nella scelta tra i due, non possono essere stati che quelli assai speciosi addotti poi dal Tiraboschi. Ma le di- dascalie non furono dettate dall’ autore dei Capitoli, come riconosce il Lami stesso ; e poichè in esse non mancano Sri errori, quale autorità possono avere in siffatta que- stione? La didascalia iniziale direbbe che i Capitoli furo- По fatti (poniamo che si debba intendere cominciati) da Francesco il vecchio la vigilia di S. Caterina, cioè il 23 novembre del 1389, mentre i primi avvenimenti narrati si riferiscono al 1388, e la vigilia di S. Caterina non è il 23, Ma il 24 di novembre. (*) Nella finale i Capitoli vengono at- (1) Questi due errori si leggono anche nella Cronaca di Ga- leazzo Gattari (Rerum Ital. Script., T. XVII, col. 673); strana coin- ci lenza che non siamo riusciti a spiegare, perché da altri indizi si Scorge che le narrazioni del posta e del cronista sono affatto Indipendenti l'una dall'altra, | | | | (316) [8] tribuiti al Novello, e, ripetendo il grave errore del testo si dice che costui rientrò in casa sua il 16 d' Agosto 1390: troppo tardi, se con ciò si vuole alludere al suo ritorno in Padova, e troppo presto, se si accenna invece alla ri- cuperazione del castello, avvenuta soltanto il 27 di quel mese. Inoltre pare che l'autore di questa didascalia non si sia accorto come l’ultimo capitolo accenni ad imprese com- piute dal Novello fino a tutto settembre del 1890! L'edi- ficio del Lami poggia, dunque, su base assai malfida. In- fatti il poemetto scritto in onore del Novello non può vantare la paternità di Francesco il vecchio. Se è sempre azzardato e assai ipotetico il dire, che un protettore degli studi e mecenate dei letterati debba per ciò solo essere anche poeta, tanto più vaga e vorrei dire fantastica sarà questa congettura, qualora essa si ri- ferisca a tale che, non avendo per lo innanzi, a quanto si sa, mai scritto un verso, si sarebbe a settant’ anni pa- lesato di punto in bianco poeta abbastanza |rovetto. Ole nelle prigioni di Monza il vecchio Carrarese abbia avuto tutto l’ agio immaginabile di far versi, come vuole il Ti- raboschi, non si può negare; ma d'altra parte si chiede: ne poteva avere la voglia ed il modo? In verità non 50 immaginare, come il vecchio Francesco, che, dopo una vita travagliata, fu costretto suo malgrado a cedere il dominio al figlio Novello pe: indi abbandonarsi alla discre- zione del conte di Virtù, che lo tenne troppo bene cu- stodito tutto il resto della vita (6 ottobre 1593), avrebbe potuto a quella età, nelle condizioni d' animo di principe spodestato, prigioniero del rivale, agognante la sua libe- razione, esplicare d'un tratto le sue facoltà poetiche fino a questo tempo rimaste latenti! E ciò posto, avrebbe egli avuto l'opportunità di procurarsi notizia di tutti i più mi- nuti particolari delle peregrinazioni del Novello, quali sono narrati nel poemetto? E ammesso anche questo, sarebbe stato prudente, che egli, prigioniero del Visconti, cui nella speranza di ricuj erare la libertà ostentava sempre obbe- › | | | [9] (317) dienza e moderazione (le quali arti tuttavia non riusciro- no ad ingannare la volpe lombarda); sarebbe stato pru- dente, dico, che egli scrivesse dei versi in onore di suo figlio, e quel ch'è più, delle terribili invettive contro Gian Galeazzo? E se Francesco il vecchio fu l’autore del poe- metto, come mai non ricordò che 1’ esercito viscontéo era venuto contro Padova nel 1388 e non nel 1359, ri- petendo così (curiosa e inesplicabile coincidenza) l'errore della didascalia e di Galeazzo Gattari? Come mai parlarido dei Padovani che costrinsero il Novello ad arrendersi а] Visconti, avrebbe detto : Non era ancora ai cinque mesi giunto La guerra contro al mio diletto figlio Quando dai suoi fu tradito e punto. Ah, vituperio d'ogni rio consiglio, Quale acqua mai ti laverà si '] viso, Che non rimanga il segnio sopr'al ciglio ? E così questi ingrati, ch'io diviso, Trattaron patti, e nol fecier sentire Al buono antico, che regna a Treviso? (!) Il quale ultimo verso è, si noti bene, l'unico che in tutto il poemetto alluda a Francesco il vecchio. Ma da Treviso, che pur si era data a Gian Galeazzo, non era egli passato prigione prima a Cremona, poi a Como, indi а S. Colombano e finalmente a Monza, ove si trovava al tempo cui si riferisce 'a composizione dei Capitoli ? Pare egli ammissibile che potesse parlare a questo modo di sè Prigioniero? Come avrebbe asserito che il Novello fu ben ricevuto a Firenze, mentre è ben noto che vi trovò la Massima indifferenza e freddezza? Come avrebbe affermato che il castello fu ripreso il 16 d’ Agosto, mentre il figlio Suo lo riebbe soltanto il 27 di questo mese? (?) (1) Capitolo II. (2) Questo è P errore per cui il Verci sospetto che i Capitoli non fossero nè dell uno nè dell altro Carrarese. | { | | | | | (818) (10) Е se egli veramente fosse stato l'autore dei Capitoli, Pietro Paolo Vergerio e Francesco Zabarella si sarebbero forse astenuti di porre questo principe, mercé le consuete espressioni adulatorie degli umanisti, tra i poeti di primissimo ordine, nelle loro orazioni funebri in onore del Carrarese, ove invece non è alcun cenno di ció? (!) Ma se questi pur gravissimi indizi non fossero bastevoli a convincere coloro, che mal possono abbandonare le vec- chie tradizioni, i Capitoli ci offrono per buona ventura la prova certa dell’ errore commesso dal Lami e da quanti, ripetendo le parole di lui, li attribuirono a Francesco il ve:chio. Nel capitolo IV, dopo che la mistica donna, la quale informa il poeta dei fatti occorsi, ebbe accennato al gran freddo che il Novello sofferse traversando il Monce- nisio, il poeta in persona propria soggiunge: Et io el ver dirò, così m’ avera : Che io v'ebbi sì gran freddo d' Agosto, Ch'io mi pensai sentir J’ ultima sera. E più innanzi, toccando del passaggio fatto dal Carra- rese per la Savoja, il poeta osserva : Per que’ che io mi possa ricordare, q . . . Tanta iustizia trovai in quel paese, Ch’ ognun sicuramente vi può andare (1) RB. It. Scriptores, T. XVI, coll. 194-198, е 243-248. Dei meriti letterarî di Francesco il vecchio, ecco quanto dice Il (Vera gerio: « Pacis autem studia haec erant, ut aedificia tam publica, tam privata conderet, ut vetusta reficeret domos, templa ornaret, bonas Artes, atque in primis studia Literarum, quae maximum huic Urbi et decus, et commodum afferunt, foveret; suamque servaret, atque augeret dignitatem; ut praeclaris hominibus aut sanguine; sed magis virtute praeditis, quos adversa fortuna plerumque inopes, atque errantes agit, ope sua succurrere', ut bene de se meritos milites honore, donisque prosequeretur (col. 197). [44] (319) Dunque è certo che il poeta era stato e in Savoia € sul Moncenisio; e poichè Francesco il vecchio non si è mai recato in quei luoghi, resta dimostrato all’ evidenza, che egli non può essere l'autore dei Capitoli. Inoltre, dalla prima terzina testè citata apparisce anche che noi non possiamo ricercare questo autore tra coloro che ac- compagnarono il Novello ; perché questi traversó il Monce- nisio in Marzo, mentre qui si ricorda il freddo sofferto in Agosto. Ш. Ма se а Francesco il vecchio, e tanto meno, come di- cemmo, al Novello questi Capitoli non possono venire at- tribuiti, chi ne sarà dunque l'autore? A tale domanda non posso, purtroppo rispondere che con una ipotesi. Le mie ricerche in proposito sui rimatori di quella che si può chiamare scuola poetica padovana fiorita al tramontare del Secolo XIV con a capo il Vannozzo, riuscirono a vuoto ; tuttavia mi si è fitta nella mente una congettura, che non credo tanto azzardata ed improbabile da dover essere ta- auta, È noto che Zenone da Pistoia, partito giovane dalla Sua città natale, non si sa bene per qual motivo, venne à Padova, ove se propriamente non fu discepolo del Petrar- са, ebbe certo l'onore degli amorevoli ammaestramenti di lui, (') e godó la grazia dei principi Carraresi. Quando Ze- None ripatriasse s' ignora, e solo si sa che il figlio suo (1) Un sonetto di Zenone porta in fronte la seguente didasca- lia: « Sonetto mandato a Jacopo da Montepulciano detto, da Ze- попе da Pistoia familio che fu del Petrarca >, ecc. (Giornale Sto- "ico della lett. it, vol. ПІ, p. 227). Questo sonetto farebbe porre Îl ritorno in patria di Zenone tra il 1390 e il 4400. T. II, S. VII 49 а (320) [42] Niccolò nel 1422 era Gonfaloniere di Pistoia. (') La prova certa del sincero affetto, che lo legava ai Carrare- sì, si ha in quel suo veramente poco felice poemetto com- posto nel 1374 per la morte del Petrarca, intitolato la Pietosa Fonte e dedicato appunto a Francesco il vecchio. Anzi Zenone, conoscendo il grande amore che questi ave- va portato al Petrarca, si mise, forse ad istigazione di lui, a scrivere il suo poemetto, finito in due mesi. In questo, parlando del dolore provato dal Carrarese, che Zenone chiamò « signor grazioso e benigno, » per la morte del Petrarca, ei dice: Io non mi ammiro s'ó di lui dolente Pensando, che per esser a lui presso A’ più maggiori vuol esser esente. E questo è quasi natural commesso, Che la virtù ricorre alla virtude, Che l'uno all’ altro fu degno concesso. Così duo forme un abito conchiude, Ma così morte l’ essenza disforma, Facendo le speranze vane e nude. (?) Notevole elogio, che è, come ora accennai, una bella testimonianza dell'affetto verso i da Carrara nutrito dal Pistoiese, che allo stesso proposito ricorda puranche il Novello. La Pietosa Fonte è così nella forma come nell’ ordi- to una imitazione della Divina Commedia e del Ditta- mondo, 1 quali due poemi furono pure presi a modello dall’ autore dei nostri Capitoli. In questi, come anche nel- la Pietosa Fonte, è una mistica donna che ammaestra il M . oeta, ed in entrambi i casi in questa donna è simboleg- و‎ © (1) Le notizie sulla vita di Zenone furono date dal Lami nella prefazione alla Pietosa fonte. (2) Capitolo XIII, v. 22-30. Y =y [13] (321) giata la Provvidenza ; la quale, mentre nei Capitoli si no- mina sulla fine, nella Pietosa Fonte tace il suo nome, che tuttavia si indovina facilmente dal contesto. Anche nei Capitoli, come nella Pietosa Fonte si immagina che il poe- ta debba narrare in versi quanto la Provvidenza gli va dicendo e mostrando: « disciogli i tuoi pensieri Se hai di ciò che vedi il desiderio Ridir con rima sì leggiadra e tersa, Che non у’ opponga, chi oppone, al vero, si legge nella Pietosa Fonte; e nei Capitoli : E quando tu verrrai a proferire Ne’ versi tuoi, fa di scriver sì chiaro, Che ’ntesi sien da chi volesse udire, E far la rima tua tanto pulita E tanto chiara, che ciascun la ’ntenda, Che s' ell’ è scura, tanto è men gradita. Altri riscontri si potrebbero notare, ma tutti di mi- nor conto, che più facilmente dei ricordati potrebbero es- sere accidentali. Tuttavia ancora una cosa desidero che non passi inosservata, e ciò è che in entrambi i poemetti si trova il verbo avverare nel particolar significato dan- tesco di tenere per vero o accertarsi; del qual verbo nei Capitoli abbiamo anche non si sa bene se il sostantivo o l’ avverbio avera per il vero о veramente. (') Da Dante in poi io non so che altri nel Trecento abbia usato que- (1) Nel Capitolo П, v. 7: « Ora perché tu vegghi meglio ave- ra »; Capitolo IV, v. 47 già ricordato: « Ed io al ver dirò, cosi m'avera ». Nella Pietosa Fonte, cap. VIII, v. 30: « Che quanto più ne dico più m'avero » Сїт. Purgatorio XVIII, 35; XXII, 31. Negli altri esempi affini a questi, recati dalla Crusca, il verbo av- verare ha più precisamente il significato di alfermare (322) [44] sto verbo con tale significato, all’ infuori di Zenone, del- l'autore dei Capitoli e di Jacopo Gradenigo ('); ed è note- vole combinazione che di questo rarissimo uso si trovino esempi in entrambi i poemetti di cui si tratta. Da tutto ciò, considerando anche che questa nostra imitazione dantesca e ubertiana meglio assai conviene a un toscano che ad un padovano del Trecento, fui indotto a vedere in Zenone da Pistoia il probabile autore dei Ca- pitoli; e se a questa mia ipotesi si volesse obbiettare, che i Capitoli rivelano un poeta molto più esperto di quello della Pietosa Fonte, e che gli idiotismi del nostro ver- nacolo (ben pochi però) mostrano la patavinità del loro autore, risponderei: che Zenone nel 1374, quando scrisse la Pielosa Fonte, era giovane, e poetava (come appren- diamo da’ suoi versi) più per talento naturale che per istudio e scienza acquistata, promettendo di voler in av- venire fare assai meglio; e dalla composizione della Pie- tosa Fonte a quella dei Capitoli trascorsero 16 anni almeno. Quanto agli idiotismi, che non mancano del tutto neppure nella Pietosa Fonte, (°) è naturale che la lunga dimora in Padova dovesse assuefare l’orecchio di Zenone al nostro dialetto, e indurlo a servirsi talora di certe espressioni tutte di stampo padovano, quali: insonio per sogno, fiolo per figliuolo, sunanza per raccolta, che si leggono nei Capitoli. (1) Negli Evangeli concordati in uno, altra imitazione dante- sca, I, 7-10: In nel principio, come il vangelista Giovanni scrive, il figliol de Deo era, et sempre apresso la divina vista stava il figliol de Deo, come se avera. Questi versi mi furono gentilmente comunicati dall'amico prof. G. Mazzoni. (2) Noto tra questi rogo per roco, e quelli più generali di gotta (gutta) рег niente, crezzo per credo, [15] (323) Nella assoluta mancanza di indizi che suggeriscano al- tri nomi, e non trovando alcun poeta padovano di allo- ra cui si possa con qualche probabilità attribuire questo poemetto, a me veramente non pare strano il supporre, che il Pistoiese, venuto giovine a Padova ed entrato to- sto, certo coll'aiuto del Petrarca, in grazia dei Si- gnori ai quali nella Pietosa Fonte si mostra cosi affet- tuosamente legato, abbia celebrato coi versi le avventurose ed eroiche vicende di Francesco Novello durante i due anni in cui Padova fu in potere del Visconti; facendo cosi bello e gradito onore al principe amico, e imprecando nel tempo istesso a Gian Galeazzo che aveva usurpato il do- minio del Carrarese e che minacciava di continuo Firen- ze e la Toscana. Cosi lo stesso poeta, che ancora giovine ed inesperto aveva voluto quasi consacrare il dolore pro- vato dal vecchio Francesco alla morte del Petrarca con un poemetto di imitazione dantesca e ubertiana; fatto più adulto e meglio educato all’arte, coi Capitoli, che molto del- l’ordito e della forma derivano dai modelli della Pietosa Fonte e quindi, per quanto la materia diversa lo com- portava, da questa operetta stessa, avrebbe celebrato il figlio di lui Novello, vincitore di quel principe che tutta Italia, ma specialmente la Toscana allora temeva. Questa mia congettura non può sperare una ulteriore conferma, se non nel caso che si trovino nuovi docu- menti della vita di Zenone: colle notizie che abbia- mo ora di lui, la mia ipotesi deve essere accettata con molta riserva. Comunque sia di ciò, una volta dimo- strato che Francesco il vecchio non fu l’autore del poemetto attribuitogli, si spiega assai meglio come un altro poeta, chiunque fosse, potesse non ricordarsi più precisamente l’anno in che Gian Galeazzo Visconti era venuto contro Padova ('); e parlando della resa della (1) Avverto tuttavia, che lo scambio dell'anno 1388 col 1389, scritti probabilmente nell originale in cifre romane, può essere de- rivato da un error di lettura, (324) [16] città al conte di Virtù accennare, con verbo al tempo presente, alla contemporanea dimora del vecchio Carra- rese in Treviso, senza poi curarsi di narrare le succes- sive vicende del « buono antico » ch'egli perde affatto di vista." Parimenti, un’ altra persona qualunque, e me- glio d’ogni altro un toscano, potea dire che il Novello aveva ricevuto buona accoglienza dai Fiorentini, per le dimostrazioni di amicizia, sebbene non disinteressate, che costoro gli prod:igarono in seguito, fingendo di igno- rare « lo stomacoso ricetto » (') che in sulle prime gli avean fatto; e poteva ancora facilmente non ricordare più il giorno in cui il Carrarese aveva rioccupato il castello. IY: Passando ora dall'autore a dire qualche cosa del poe- metto, non ci dilungheremo troppo nell'esporne l'argo- mento. Nel primo capitolo apparisce sull’ aurora al poe- ta ancora addormentato una donna, che, destandolo, gli dice: tu devi narrare col piü bel sermone le vicende di un mio figlio « che virtà onora »: molti hanno scritto di Romolo, di Catone, di Bruto (e seguita via via ricor- dando gli scrittori che celebrarono i più famosi Romani, Greci e Giudei), in modo che tu perderesti la fatica se volessi ragionare nuovamente delle antiche istorie; ma se ascolti attentamente le mie parole, io ti darò un tema che « che da ogni altro d’Italia fia rimoto. » E col secondo capitolo la donna comincia a narrargli tutte le vicende di Francesco Novello da quando il Visconti, nel novembre del 1388, mandò le sue armi contro Pa- dova, fino al riacquisto del castello; con che si giunge al capitolo XIV : nell’ ultimo essa racconta, come il Novello (4) GALEAZZO GATTARI, in op. cit col. 739. [17] (825) movesse guerra al marchese di Ferrara, impadronendosi del Polesine, ciò che avvenne nel settembre 1390. Questi Capitoli, adunque, si riferiscono esclusivamente a Fran- cesco Novello, e mal disse il Tolomei, che in essi « sono narrate le vicende di Messer Francesco [il vecchio], dalla perdita di Padova fino al ritorno fattovi da Messer Fran- cesco Novello »; alle quali parole pare faccia eco lo Zardo, affermando che 1 fatti esposti nei Capitoli riguardavano in parte Francesco il vecchio, in parte il figlio Novello. A Francesco il vecchio, come ho detto più volte, non si rife- risce che quell'unico verso « il buono antico che regna a Treviso, » il quale ci offre anzi validissimo argomento a giudicare che i Capitoli non possono essere opera del vec- chio Carrarese. Questo poemetto, come si disse, pur rientrando nella numerosa famiglia delle imitazioni dantesche, è in gran parte foggiato alla maniera del Dittamondo, cui partico- larmente, come bene notò il Renier, somiglia nell’ into- nazione. Dalla Commedia e dal Dittamondo il nostro poe- ta tolse l'idea di far svolgere l'azione mediante l'inter- vento di una persona ideale e di far parlare in lingue stra- пеге i viandanti che 1 Novello incontra nel suo viaggio; da entrambi i modelli, ma più specialmente dalla Com- media, derivò e frasi e similitudni e versi intieri. (t) A (1) Oltre alle imitazioni dantesche che saranno venute e che verranno sot? occhio leggendo i brani dei Capitoli riferiti nel cor- so di questo lavoro, ricordo le seguenti: Capitolo I. Che la dol- cezza ancor m'è nella mente. П v. 9 E nella dritta man te- nea una sesta è tolto di peso dal Dittamondo. (L. І Gap. V, ү. 15) — Capitolo II. « Io stava attento come discepolo; Che?! ligliuol d'un beccar fu ve di Franza; Onesto si à '{ tacer più che'l sermone — Capitolo Ш. Altrove una favilla far grande assalto ; s'io 'l vedesse piangere o lagrimare un pochettino, Non mi potria tener ch'io non piangesse. A Folgore di San Gemi- gnano è tolto il v. Con la brigata nobile e cortese. — Capitolo ТУ, n i | | (826) [18] somiglianza di Beatrice e Vergilio nel poema dantesco, e di Solino in quello di Fazio degli Uberti, in cui abbia- mo anche la Virtù che apparisce al poeta dormente e lo sveglia, ammaestrandolo su ciò che deve fare, nei nostri Capitoli chi parla è una donna allegorica, e precisamente, come nella PZetosa Fonte, la Provvidenza, non già la Fortuna, secondo asserirono il Tolomei e lo Zardo. Strano errore veramente! perchè questa donna dice chiaro il suo nome nell'ultimo capitolo, e in sul principio del se- condo impreca proprio contro la Fortuna, che aveva ber- sagliato il Novello. Né avrebbe potuto essere diversamen- te; ed è curioso che i due scrittori testè citati abbiano creduto, che un imitatore di Dante, quindi un seguace della teorica dantesca sulla Fortuna, il quale scriveva : СШ S1 CODI Nelle cose terrene tutto perde, E tutto vince quel che ’n Dio si fida (С. V), scegliesse poi la Fortuna per sua guida e consigliera! Sul valore storico di questi Capitoli é inutile insistere, dopo ehe il Verci ha su di essi specialmente ritessuto la storia delle peregrinazioni del Novello. (‘) Piuttosto sarà meglio chiudere la presente memoria mostrando con esem- E s tu sapessi quanto gli fur lieve Le gran fatiche; Come co- lui cave grand’ amore. — Capitolo VI. Fu costretto per fame a mangiar sale; О giustizia di Dio, che mai non falla, Ben che s! indugi un poco a trar la spada Che fere più crudel quan- to più stalla. — Capitolo VII. Ma '{ venire e l'andar fosse a suu posta. Cap. VIII. Che Sesto m’ averia gridato, Omei! — Queste le principali; le altre omisi per brevità: tuttavia mi pare che basti. Giudichi adesso il lettore a qual regione d'Italia dovè appartenere il nostro poeta! (1) Giò nonostante avverto, che non sempre la narrazione dei Capitoli si accorda con quella dei Gattari ; e alcuni indizii mi fanno sospettare che il poeta abbia talvolta confuso il racconto dei fatti. ca i Í i | [19] (327) pi, che se la narrazione è in questo poemetto assai piana e talvolta anche sciatta, pure non mancano dei tratti no- tevoli per vigoria di stile, specialmente nelle imprecazio- ni aperte od ironiche contro i nemici dei Carraresi. L'au- tore era, come abbiamo veduto, un uomo culto: in lui alla conoscenza dei poeti e degli storici latini si ассор- piava lo studio dei poeti volgari e particolarmente di Dan- te, del quale era riuscito ad impadronirsi in tal modo, da non poter mai allontanare la sua mente dal maraviglioso modello; nè gli faceva difetto la conoscenza della lingua di Francia. (') Se а ciò si aggiunga, che in lui era l’in- dole di un vero poeta (e questo verrebbe a confermare sempre meglio la nostra ipotesi sul nome dell’ autore, chè Zenone confessò di avere incominciato a scrivere versi più per inclinazione naturale che per istudio), si compren- derà come in questo poemetto si ritrovino alcuni tratti di bella e alta poesia. A Niccolò 4 Este amico dei Carraresi, morto appunto nel 1388, era succeduto nel marchesato di Ferrata il fra- tello Alberto, il quale nella guerra del Visconti contro Padova, pensò meglio di stare col più forte ; onde il poeta, sempre per bocca della Provvidenza, nel secondo capitolo : Ma ben ti dico, per Dio onnipotente, Se Niccolò da Este, el buon marchese, Vivuto fosse fino al di presente, Tal vive, ed è signor d’un gran paese, Che proverebbe quanto la Fortuna Fa venir l’uomo e umile e cortese ; E tal gientil va vestito di bruna, Che vestirebbe drappo domaschino, E tale strebbe a mensa che digiuna. (1) Ignoro se questo poeta conoscesse anche la lingua proven- zale, perchè nel discorso del paesano incontrato dal Novello nel Delfinato non v ha di Provenzale che la sola particella affermativa hoc, il resto è tutto francese. T. II, S. VIL 43 (328) [20] Francesco Novello, giunto a Milano, aveva fatto chie- || dere udienza al Visconti, che non volendo abboccarsi con | lui, finché non gli fosse stato ufficialmente ceduto Pado- và, rispose di non poterlo ricevere, sicuro di non essere capace di trattenere le lagrime in sua presenza; e il poe- ta ironicamente: Odi risposta graziosa e cara! Odi parlar d'ogni doleezza pieno ! O divina virtù, che’! mondo schiara, Fu questo circa a tutto "| suo terreno, Fur questi i patti attesi della lega, ч D Quando quel dalla Scala venne meno? Che fa la falcie tua, ch’ ella non sega Questa malvagia ortica, 0 Signor mio? | Pur tutta Italia piangendo ti prega. (!) Fiera imprecazione, che rivela nell'autore un nobile animo e un forte ingegno! Evidente e vivace é la descrizione dell'ingresso del Car- rarese in Castello : La prima e principal, che più s'apprezza, Fu all’ entrar d'un cavalier Novelle, Che tutta la città gli fa carezza. Qui era giovinetti e damigielle Andar cantando con ghirlande in testa, Donne con volti dilicati, e belle. Qui era tanta gloria e tanta festa, Che poi che la città fu edificata Non senti tanta pace, quant'é questa. $ Ancor tutta la strada era adornata f D'erbe e di fiori e di tanti diletti: Ma lungo dire incresce alla fiata. Quivi era donne con gientili aspetti, (4) Capitolo HI. Sag” | 1 j (21] (329) Quivi gli antichi padri e’ lor figliuoli, Vedove, figlie e figlino’ pargoletti. Quivi era осп’ allegrezza, che tu vuoli: Le chiese piene e di lalde e di festa, E balli e canti per giardini e broli. Costui in tanti pericoli e tenpesta, In mare et in assai luoghi terreni Tornando in casa sua senza molesta ; Non con tossico già, пе con veleni, Non con inganni, non con tradimenti, Coi quai molt’ altri son coperti e pieni; Ma virilmente e con vivi argomenti, Con tal prudenza, che al buon Marcello Basterien di costui tanti ardimenti. Del, dimmi qual triunfo sarie quello, Che non dovesse triunfar costui, Che i Roman per pigliare un castello Promisser già il Consolato altrui? (!) Finalmente mi piace riportare la cliusa, anche perchè essa levi ogni dubbio dall’ animo di chi, pur dopo la let- tura de’ versi precedenti, potesse sospettare il Novello autore dei Capitoli. Et ancor vo’ che non ti paia strano S'io parlo di costui (°), però che degno Mi par più che alcun mio Taliano ; Ché, se tu guardi, egl' à passato il segno : Costui prudente, temperato e forte, Costante, schivo e con giusto disdegno. Le mie parole omai saranno corte, Però che questa tela è quasi ordita ; Sì che a te omai tocca la sorte, (1) Capitolo XIV. Vedi l’ Appendice. (2) Cioè dal Novello; ed è sempre la Provvidenza che parla al poeta. (330) E far la rima tua tanto pulita E tanto chiara, che ciascun la ’ntenda, Chè s'ell'é scura, tanto è men gradita. se vien mai che la tno man si stenda Scrivere alcun che sia degno d' onore, Che questo mio tra gli altri metta e prenda; ù se tu guardi el magnanimo core E le sue opre, mai ti fie fatica Porlo tra gli altri di sommo valore ; 1 se Fortuna gli è stata nemica, Ferma credenza tien, che gli fie ancora Benigna madre e cordiale amica; J se '] tenpo talora si scolora, Non tema stato di suo signoria, Che chiaro e bello fia qual l' aurora ». — j detto questo, ella disparse via. ii E LE Né mancano in questo poemetto similitudini talvolta felici: di un cavallo veloce, il poeta dice al modo dantesco: « che pare’ che volasse, Qual verreton uscito di balestra. » 0 Il Carrarese, giunto finalmente a Firenze, si racconsola : Simile a quel, che stando in gran fortuna, Che ha perduto l'albore e 'l governo, Vede '| sereno, e già levar la luna; E 7 villanel, che per l’orrendo inverno Ha già si consumato ogni pastura, Ch' agli agneletti suoi manca il governo; Ma pur vedendo il tenpo e l'aire pura, Al ciel si volse con gran reverenza, Reputando in conforto ogni paura: Соме el mio figliuo] giunto a Fiorenza Si rivolse a Colui, ch'è tre e uno, Con somma caritade e diligenza. (*) (1) Capitolo ^\, (2) Capitolo VII [23] (331) Passato il Novello arditamente il fiume presso Coda- lunga, il popolo padovano gli venne incontro festante : L'aquila è già partita dal suo nido Per prender l'esca, com’ è suo natura, Conosce i suo’ figliuoli al primo grido ; Se cagion nasce, ond’ egli abbian paura, Lascia la preda, e va con l'occhio sha: го, Non curando di parza (sic) o di pastura ; Così que’ cittadin, соо t'innarro, Corsono udendo la voce, che disse: — Cavalier santo Antonio, e viva il Carro! - (!) E basta: altre similitudini non ispregevoli, volendo, potrei ricordare, se non reputassi che già dai luoghi ci- tati chiunque può formarsi un gindizio adeguato del va- lore poetico di questo poemetto; cui quantunque ora sia stata tolta la maggior fama conferitagli dalla tradizio- ne, che lo voleva opera del più munifico trai principi Саг- raresi, rimane tuttavia il pregio di essere una delle migliori imitazioni della Divina Commedia dettate sulla fine del secolo XIV. (Шу ipitolo XIII. APPENDICE Il codice Riccardiano 1103, copiosa raccolta di rime varie trascritte in questo volume nel secolo XV, contie- ne anche parecchi sonetti di, argomento politico, la mag- gior parte noti e pubblicati : tra gli inediti trovo a carte 111 б. un sonetto pel.ritorno del Novello in Padova, e a | c. 112 a. un,frammento di sonetto sullo stesso argomen- | to. Non ho creduto inopportuno di . stampare qui questi | versi, i quali consuonano assai bene con quanto l'autore dei Capitoli disse in proposito dell’ accoglienza fatta dai Pa- dovani al Novello. ! Sonetto fatto per. la tornata del signior di Padova. 9 La fama vostra pasa piagia, monti, | pasa el mediterrano (') e 7 mar magiore, | vola velocie con sì gran vigore, ch'al cielo eterno converà che monti. Quel di Vertù, magior che gli altri conti, | 8 8 tolto v'av[i]a di stato con furore ; 0” со’ lardir del vostro gientil core 8 pasasti, e abasati furo i ponti. Qual Cieser, qual baron fu mai nel mondo, ch’ avendo a far[e] con si gran posanza, 5 1 esendo baso de la ròta al fondo, | ch’ avesse auto, come voi, osanza ' | di mettervi a pasar si grave pondo, | che basterebbe a l'alto re di Franza? Nol truovo serito, nè mai si potrà dire, ch'aleun pasato avesse il vostro ardire. (1) Il codice legge: mar di terano, У | | [25] (333) Soneto fato per lo deto signiore. Or ti ralegra, popol padovano, che là dov'eri in servitud[e] afrito, non avendo comeso alcun delito, (*) tu eri infermo, or se’ fato sano. Vostro signior con giusta spada i’ mano, sì come Muisè trase d' Egito il popol d' Israele ch’ era fito s i' man di Faraon, crudele e vano, (1) Il cod. ha: difeto. I versi qui riferiti der Capitoli e i sn- netti furono a mia istanza collazionati sui codici Riccardi ni dal mio carissimo S. Morpurgo. Prezzo della Dispensa Fogli 15 ad Italiani Cent. A9, . . . |, 1:88 Renn РИА ISTITUTO VENETO | А ti no DEL REALE i А! DI | SCIENZE, LETTERE ED ARTI Dl La | | (TOMO XXXVIII) | SERIE SETTIMA — TOMO SECONDO DISPENSA QUINTA VENEZIA PRESSO LA SEGRETERIA DELL'ISTITUTO ` ^ NEL PALAZZO DUCALE TIP. DI G. ANTONELLI 1890-91 | ج‎ seo — ————————————————— Pubbl. il 19 Aprile 1891. Atto verbale dell’ adunanza ordinaria del giorno 15 tus ee e a DUDIDOD Làvori letti per la pubblicazione negli Atti. Segue R. Penzo. — Sul ganglio genicolato e sui nervi che gli sono connessi. Ricerche anatomiche. Gontinwazione o uu 1 11 pag 994 G. MagnANINI. — Applicazione del metodo fotometri- co allo studio della reazione fra i sali ferrici ed i solfocianati solubili. Memoria » 365 (3. Mazzoni в. с. — Un pianto della Vergine in deci- Ша тиш L0 eo А. ABETTI. — Osservazioni astronomiche fatte a Pa- dova nel 1890- у. UIT V do A. FoGAZZARO, s. с. — Per un recente raffronto delle dottrine di S. Agostino e di Darwin cir- ба Та erede у. odes iuo suc MAT A. Dk Giovanni, m. e. — Comunicazione intorno alla cura della tubercolosi polmonale mediante la linfa Koch e cenni critici sulla teoria della patogenesi della tubercolosi . . . » 484 G. CARRARA. — Prime notizie sopra i principi imme- Фан della scorsa di Gonolobus Condu- Tango o NE . » 508 à G. Mazzoni, S. c. — Una lettera di G. G. Trissino a | C Rell <. r M T SL Е. GALANTI, s. с. — Saggio di versioni da Menandro » 533 ANNO 1890-91 DISPENSA V. ADUNANZA ORDINARIA DEL GIORNO 15 MARZO 1891 ——=== ани) 7 —— PRESIDENZA DEL PROF. CAV. GIULIO ANDREA PIRONA PRESIDENTE. Sono presenti i membri effettivi: De Berra vicepresidente, Vigna vicesegretario, PAZIENTI, MINIOH, FAMBRI, TROIS, Mons." J. BERNARDI, BELTRAME, DEODATI, STEFANI, BER- снет e Brizio segretario; nonché i soci corrispondenti : MARTINI, OCCIONI-BONAFFONS, CASSANI © GALANTI. Vengono giustificati gli assenti membri effettivi: LAMPERTICO, BELLATI, E. BERNARDI, BONATELLI, FAVARO, GLORIA, LORENZONI, SACCARDO е TURAZZA. Dopo la lettura dell’ Atto verbale della precedente adu- nanza, che viene approvato, il Presidente dichiara, che i membri e soci professori nella Regia Università Patavina sono impediti dall’ assistere alle odierne adunanze, essen- dovi le elezioni pel Consiglio Superiore d’ istruzione. Comunica poscia, che il Comitato organizzatore del V.° Congresso internazionale geologico, da tenersi a Washing- ton nel 26 agosto 1891, trasmise il relativo invito con programma al Reale Istituto ; ed aggiunge, che un eguale invito pervenne anche dalla Direzione del П. Congresso ornitologico internazionale, che avrà luogo a Budapest nel 14 maggio di quest’ anno. Indi partecipa, che il socio Sen. Augusto Conti man- dò in dono una sua Opera in due volumi « Sul vero nel Pubbl. il 19 aprile 1894. 1 44 336 l ordine »; che il membro effettivo prof. Giuseppe Lo- renzoni regalò un esemplare d' una sua Memoria « Sulle determinazioni di azimut eseguite nel Regio Osserva- torio astronomico di Padova »; e che l’altro socio prof. Francesco Poletti fece omaggio di alcune copie di una sua pubblicazione, che tratta « Sulla funzione della scuola classica ». Annunzia pure il dono di alcuni importanti lavori del sig. March. Pietro Amat di San Filippo, accompagnati con lettera dal membro effettivo comm. Guglielmo Ber- chet. Fatto conoscere ai presenti anche l'elenco di altri libri, giunti alla biblioteca dopo l'ultima tornata, e ve- nendo poscia alle letture, il membro effettivo Paulo Fam- bri riassume oralmente il contenuto della sua Memoria, che versa « Sull ingegneria militare e sulla sua trat- tazione melle Scuole d' applicazione degli ingegneri » ; ed il membro effettivo Cesare Vigna legge un suo scritto « Sulla responsabilità filosofica ». Il socio prof. Ferdinando Galanti comunica appresso un suo « Saggio di versioni da Menandro ». Infine vengono presentati due scritti; l'uno del socio prof. C. F. Ferraris, che ha per titolo: « Sulla stati- stica della coltura intellettuale e specialmente delle Università ; е 1 altro del prof. Pietro Ragnisco, ammesso a norma dell’ articolo 8.° del Regolamento interno, il cui argomento è il seguente: « I tomisti e i Scotisti a Pa- dova » ; dopo di che l'Istituto si restringe in adunanza segreta. { | LAVORI LETTI PER LA PUBBLICAZIONE NEGLI ATTI SUL GANGLIO GENICOLATO E SUI NERVI CHE GLI SONO CONNESSI. Ricerche anatomiche DEL DOTT. RODOLFO PENZO (Continuaz, della pag. 148 di questo tomo) MI Fra gli Autori, che. menzionano le anastomosi fra il VII e 1’ VIII, i più non dichiarano con precisione, se quel- la porzione del facciale che si unisce all’ acustico appar- tenga alla radice piccola del VII (n. intermediario), o alla grande. Nelle seguenti notizie storiche, terrò conto di questa distinzione, per quanto mi sarà possibile; e dirò poscia separatamente dell'anastomosi fra le due accenna- te porzioni del facciale A) Anastomosi delle due radicidelsettimo paio con l'ottavo.- Questi due nervi cerebrali anasto- mizzano l'uno con l'altro lungo quel tratto che si estende, per l'acustico, fra il suo punto d'origine apparente dal mi- dollo allungato sino al fondo del meato auditivo in- lerno; e per il facciale, preso nel suo insieme, fino al ganglio genicolato. Intorno a questa comunicazione fra і due nervi, l’HALLER scriveva, già prima che il WnIsBERG avesse fatta la scoperta del nervo intermediario: « por- tio dura .... ad organum auditus vel nullos vel exiguos ramos mittit. » (338) [9] L' ARNOLD fu il primo a notare la presenza di due ana- stomosi, che distinse coi titoli di interna ed esterna. De- scrive la prima, come rappresentata da filamenti interpo- sti fra l intermediario e 1’ VIII, prima che questi due nervi penetrino nel meato auditivo interno, o mentre lo vanno percorrendo ; la seconda, come formata da filamenti che stanno fra la branca vestibolare dell’acustico e il ginocchio del facciale; filamenti che vide connessi con la branca an- zidetta, prima ch’ essa giunga al fondo di quel meato, ove presenta una prominenza ganglionare, il ganglio vestibo- lare. (!) Tuttavia, alcuni anatomici posteriori di data tanto al- l’ HALLER, quanto all’ ARNOLD, non fanno punto menzione di anastomosi fra quei due nervi: così F. CALDANI, l’ IN- ZANI, il CRUVEILHIER (1837); e da ultimo anche il SAPPEY (nella terza edizione del suo trattato). П Sommerina le negó del tutto. — Lo SoARPA ci lascia in dubbio se le ammetta о no. Infatti, parlando dell’ inter- mediario, egli si esprime nei termini seguenti: « duo, ali- quando tria, huius census filamenta nervum acusticum in- tra canalem auditorium internum comitantur; mox, cana- lis huius fando proximo, ab acustico nervo abscedunt, ut communicantem faciei adeant, cuius fasciculi admixta una simul per Aquaeductum Falloppii ad faciem egrediuntur. ». (pag. 52). Vi sono inoltre Autori, che ammettono una sola ana- stomosi fra il VII e VIII, come si fece dal HYRTL e dai QUAIN - SuanPEYy = ELLIS. (°) Il primo di questi Autori nota che, nel meato auditivo interno, l'intermediario anastomizza (1) Le prime notizie intorno a questo ganglio si trovano nelle Disquisitiones anatomicae de audita et olfactu, pubblicate, or fa un secolo dallo Scarpa (1789), donde il nome di ganglio dello Scarpa. (2) In seguito, citeró per brevità solamente il primo di questi tre nomi. | | i i [10] (889) mediante un sottile ramoscello con l’acustico ; ove sembra sia da intendere, che il ramoscello vada dal primo al se- condo di questi nervi. П QUAIN dice: « in the meatus auditorius one or two minute filaments, pass betewen the facial and the trunk of the auditory nerve. » Il SAPPEY, nella prima edizione del suo trattato, asse- riva, che i due filamenti formanti l intermediario, distinti fra loro dapprima, e addossati, l'uno al facciale, l'altro all’ acustico, si riuniscono alla loro entrata nel meato au- ditivo interno, о verso la metà di questo, componendo un tronco unico; che questi due filamenti sembrano formare col loro riunirsi un’ astomosi fra il settimo pajo e l'ottavo; ma che tale anastomosi è soltanto apparente, trattandosi di semplice adesione mediante congiuntivo, e non di vero passaggio di fibre dall’ uno all’ altro di essi. Ma, come ho notato in precedenza, lo stesso autore, nell’ultima edi- zione del suo trattato, non fa nessuna menzione di ana- stomosi, nè vere, nè apparenti. Il Beck, che riconosce due anastomosi, le ritiene su- bordinate ad una condizione fortuita dei rapporti topogra- fici iniziali fra le radici dei due nervi. Questo significa, che, stante la grande vicinanza fra i due punti d'emer- genza del VII e dell' VIII paio dal midollo allungato, ac- cade frequentemente, che fibre del VII si trovino dapprin- cipio commiste all’ VIII, o viceversa: ma che, quando i due nervi arrivano al punto ove si separano, per avviarsi con cammino diverso all’ ulteriore loro destinazione ; le fibre passate in precedenza da quelle dell’ uno a quelle dell’ al- tro, ritornano a quel nervo con cui hanno comune l’ori- gine, e procedono poscia con esso alla loro terminazione periferica. E. Discuorr (') afferma di aver vedute le due anasto- (1) S'intende E. Ри. E. DBirscnorr, о BiscHore figlio, che ci- terò in seguito usando soltanto quest’ ultimo nome. i | (840) [11] mosi dirigersi talvolta dal VII all’ VII, tal altra in dire- zione inversa; quindi, sia per questo motivo, sia per l’in- costanza della loro direzione, sia infine perchè non po- trebbe comprendersi il fatto di un’ anastomosi vera fra due nervi tanto diversi tra loro nel proprio ufficio; egli le giudica anastomosi temporanee ed apparenti; costituite cioè da semplice addossamento temporaneo di fibre che vanno dall’ uno dei due nervi all'altro, ma poscia ritor- nano a quello da cui sembrano essere dapprima partite. L’ opinione del BiscHorr è citata dal DEBIERRE, ma in modo inesatto, ineompleto: « O’ est ainsi, » egli dice, « qu'il faut comprendre l'anastomose (dunque una sola) décrite par BIscnorr. » Ma poscia in nota si legge : « D'aprés Disonorr, il existerait des anastomoses (dunque più d'una) entre le nerf intermediaire de Wrisberg et le deux paires nerveuses entre les quelles il est placé. Ces anastomoses j'ai eu l’ occasion de les voir moi-meme .... » П HENLE riconosce il fatto delle anastomosi; ma non ne precisa il numero, nè dà alcun giudizio sulla loro di- rezione. Parecchi altri Autori, associandosi all’ ARNOLD, ammet- tono le due anastomosi, chiamando interna o superiore la più centrale (ch'io chiamerò invece mediale), ed inferio- re od esterna l'altra (ch'io chiamerò laterale). (!) a) Anastomosi mediale — Il VALENTIN si attie- ne alla descrizione dell'ARNOLD. Il RAUBER, crede che 1’ anastomosi in discorso sia alle volte vera, perché costituita da fibre, che dall’ acustico passano definitivamente al nervo intermediario ; che altre volte invece essa sia temporanea, perchè costituita da fibre (1) І due termini di anastomosi interna ed anastomosi esterna possono cagionare equivoco, facendo credere, che l'interna avvenga entro il meato auditivo, e l'esterna fuori di questo ; quindi credo preferibile di usare il litolo di mediale per la prima, e quello di laterale per la seconda. » | H | Ї | [12] (344) che passano dall’ VIII al nervo intermediario, ma che più oltre ritornano dall’ intermediario all’ VIII. Lo SCHWALBE si associa al RAUBER, per quanto riguarda il caso dell’ anastomosi temporanea. П Canoni sta presso a poco con l’ ARNOLD (У. pag. 9); ma descrive 1’ anastomosi come più complicata. Il Krausr, dopo aver detto, che al punto dell’ origine apparente dell’ acustico, questo nervo contiene in sé uniti i fascetti dell’ intermediario; afferma, che quest'ultimo, me- diante fila intermedia (com’ egli si esprime), passa nella radice grande del facciale, formando con essa un tronco unico. Da queste sue parole si dovrebbe concludere, che, secondo la sua opinione (certamente non giusta, o giusta al più in qualche caso speciale), 1 intermediario si fonde totalmente con la grande radice del facciale, prima che, avvenga il suo ingresso nel meato auditivo. Se così fosse, si avrebbe l’ apparenza di una prima anastomosi mediale, formata dal passaggio di fibre dell’ intermediario dall’ acu- stico al facciale. Del resto il Krause ammette due anastomosi, che so- migliano alla mediale ed alla laterale dell’ ARNOLD. Quanto alla mediale, questa sarebbe data da altre fila intermedia, che passano dall’ acustico al facciale, prima del loro in- gresso nel meato auditivo interno. (Riguardo all’ anasto- mosi laterale descritta dallo stesso autore, V. più oltre). Il FAESEBECK, il WARRENTRAPP e il MorGANTI credono, che J’ anastomosi mediale fra il VII e l’ VIII paio sia data da fibre inviate dal primo al secondo di quei due nervi. Il BarBARISI afferma (pag. 16 e 17), ch'essa risulta da rami i quali, partiti dal ganglio sfeno-palatino, passano col ner- vo petroso superficiale maggiore al ganglio genicolato, in- di al nervo intermediario; e da questo, mediante alcuni fascettini costituenti 1’ anastomosi in discorso, alla faccia superiore dell’ acustico. (!) (1) Il BarpaRISI asserisce, che questa anastomosi rappresen- (342) [13] 8) Anastomosi laterale. — L'AnNorD la ritenne formata da fibre, che dal ganglio vestibolare si volgono al genicolato. Egli soggiunge però, che, a far parte di que- sta anastomosi, concorrono anche filamenti del simpatico contenuti nei due nervi petrosi superficiali (maggiore e minore); filamenti che, mediante quest’anastomosi, sì av- viano all’ УШ. Il VALENTIN segue 1° Авмогр anche per 1 anastomosi laterale come per l'altra. Egli la ritiene del resto un’ a- nastomosi mutua; composta cioè di alcuni pochi filamenti, che passano dal ganglio genicolato al ganglio vestibola- re (1); e di altri, in numero maggiore, che passano da questo al ganglio genicolato. Il Krause descrive 1’ anastomosi laterale come costi- tuita, in parte da filamenti, che nell’interno del meato auditivo interno, passano dall’ acustico al tronco del fac- ciale; ed inoltre da un filamento interposto fra l’acustico stesso e il ganglio genicolato. П RAUBER crede invece, che l’ anastomosi in discorso sia fatta da fibre, che dal ganglio genicolato procedono al nervo acustico, unendosi tanto alla sua branca vestibo- lare, quanto alla cocleare. Lo ScHwALBE ammette pure 1’ anastomosi laterale in discorso, ma non dichiara il proprio giudizio intorno alla sua direzione. П Слові si associa anche per 1 anastomosi laterale, come per la mediale, all’ opinione del RAUBER. tata « ora da un sol tronco ora da molti filetti, forma quello che dagli autori si chiama nervo superiore di anastomosi col nervo uditivo. » Riguardo alla sua asserzione, che, mediante quest’ anasto- mosi, arrivino all’ acustico anche fibre del simpatico, dirò in altro punto di questo lavoro. 4) Il VALENTIN fa derivare questi filamenti dai due nervi pe- q р trosi superficiali. (4 4] (348) Il MorganTI che, rispetto all’ uomo, fa menzione del- l'anastomosi mediale, tace al contrario dell' anastomosi laterale. Il SAPoLINI vuole si tratti di fibre, che vanno quando nell'una, quando nell’ altra direzione. Il BARBARISI ritiene, che quest’ ultima rappresenti una unione del ganglio ойсо col ramo vestibolare dell’ acu- stico, lungo le vie seguenti: piccolo petroso superficiale, ganglio genicolato, e da ultimo un ramo che unisce questo ganglio alla branca vestibolare dell’acustico e forma quindi l’ anastomosi laterale. (') Ma si domanda: il ganglio otico, donde ritrae esso quelle fibre ? Od altrimenti : dato ch’ esse provengano dalle cellule nervose del ganglio ойсо, qual’ è il centro cere- brale da cui dipendono le fibre anzidette ? E questa do- manda dovrebbe ripetersi anche nel caso si supponesse, che, partite dal centro cerebrale, le fibre passassero per il ganglio otico senza connettersi con le cellule nervose, che ne formano parte. Riepilogando brevemente quanto fu detto dagli anato- mici intorno alle due anastomosi mediale e laterale in di- scorso, si può concludere: che, riguardo all’ anastomosi mediale, si hanno principalmente due opinioni differenti ; l'una, la dichiara apparente о temporanea, l’altra la crede costituita da fibre che dal VII vanno definitivamente al- РҮШ: e che, riguardo all’ anastomosi laterale, havvi pu- re diversità di opinioni; in quanto che, alcuni la riten- gono costituita da fibre che dal ganglio vestibolare vanno al ganglio genicolato ; ed altri all’ opposto da fibre, che dal genicolato passano al ganglio vestibolare del nervo acustico (VALENTIN, KRAUSE). B) Anastomosi fra le due radici (grande e piccola) del VII pajo. — Le due radici del VII, che (1) Essa è chiamata dal Barparisi il nervo inferiore di ana- stomosi col nervo uditivo. ns rU 45 | (344) [15] stanno separate l’una dall’altra presso al punto della loro origine apparente, si uniscono, dopo qualche tratto del successivo loro decorso, in un cordone unico, che si stacca dall’ acustico nel fondo del meato auditivo interno. Questo è un fatto anatomico, intorno al quale non vi può essere contestazione. Ma circa il modo secondo il quale accade questa unio- ne, gli anatomici ne dicono generalmente in modo vago; accontentandosi i più di accennare, che la piccola porzio- ne si associa ed unisce alla grande. Vi sono però alcuni, che, riguardo a questo punto, si esprimono con qualche precisione. Il Morganti, che è nel novero di essi, dichiara, che « solamente un fascio del VII accavalca la estremità gan- gliare dei filuzzi dell’ intermediario ('); e che quest’ ultimo alla sua volta, invia due filwzzi alla grossa porzione. » Il BarBARISI afferma, che il nervo intermediario, scor- rendo sotto al tronco (grande radice) del facciale, giunge al punto dove il VII si curva a ginocchio ; e che ivi l'in- termediario si divide in quattro fascetti, due dei quali van- no al genicolato, e gli altri due passano alla porzione pe- riferica del facciale. Il SapoLIni nega che la radice piccola del VII si con- giunga alla grande ; afferma invece, che ciascuna di queste ha una guaina di rivestimento; sicchè le due radici ri- mangono fra loro separate, con l’interposizione per giun- ta di un’ arteriuzza. (1) Vedi la pag. 525 della sua Memoria, citata nella Bibliogra- fia, е la spiegazione della fig. V. — І? Autore fà menzione di una estremità ganglionare del nervo intermediarlo, perchè reputa che il ganglio genicolato appartenga a questo nervo. L espressione del Morganti « che un fascio del VII accavalca la estremità gangliare dell’ intermediario, » si riferisce al fatto che l'intermediario, nel volgersi al ganglio genicolato, traversa spesso il tronco della radice grossa del facciale verso la faccia superiore di quest’ ultimo. e JM [16] (345) 3. GANGLIO CENICOLATO (!) Il nervo facciale, separatosi dall'VIII, continua poscia il suo cammino, entrando, come già sappiamo, nel canale del Faloppio ; ove, in corrispondenza della prima curvatu- ra di quel canale, si ripiega a ginocchio, si allarga e s'in- grossa, formando una piccola prominenza triangolare o pi- ramidale, a cui si diede il nome di ganglio genicolato. La base del ganglio corrisponde alla convessità del ginoc- chio; e l'angolo che, opposto ad essa, ne forma il verti- ce, giace rivolto all'interno e all’ innanzi verso 1’ hiatus del canale anzidetto. Dei due angoli rimanenti, il uno può : dirsi anteriore e posteriore T altro. (°) Sulla natura ganglionare di questa intumescenza, non havvi oggi nessun dubbio; ma non sono chiariti a suffi- cienza i suoi rapporti nó col VII, nè cogli altri rami ner- vosi che stanno in connessione con ganglio anzidetto. Il riserbo, usato dalla maggior parte degli Autori nella descrizione dei rapporti fra i fascetti del VII e il ganglio genicolato, come pure la diversità fra le opinioni di altri (1) W. His (sen.) ritiene, che il ganglio genicolato sia una por- zione del ganglio acustico-facciale; porzione che il nervo facciale, passando nel corso del proprio sviluppo traverso al secondo dei due gangli anzidetti, porterebbe seco staccandola dal complesso primitivo del ganglio acustico-facciale. (2) Per evitare errori d’ interpretazione, avverto che chiamerò in seguitò : Angolo interno del ganglio genicolato, quello che corrisponde al- Гарісв del nodulo triangolare, e si unisce col nervo petroso super- ficiale maggiore; Angolo anteriore quello a cui fa seguito la porzione periferica del VII, dopo la formazione del ganglio genicolato; Angolo posteriore quello rivolto verso l'estremità centrale del VII. e (346) [17] intorno ai rapporti accennati, fanno presumere con fon- damento, che questi non sieno per anco bene conosciuti, Infatti, taluno li significa affermando semplicemente, che il ganglio genicolato sta davanti al ginocchio del fac- ciale (Krause); tal’ altro li esprime dicendo, che il fac- ciale, in corrispondenza del ginocchio, s'ingrossa forman- do un ganglio, alla costituzione del quale contribuisce so- lamente una parte delle fibre del VII (HyRTL). Oggidi prevale l'opinione, che la radice piccola del facciale (nervo intermediario) sia quella, che specialmente passa nel ganglio (BiscHorr, HOFFMANN, RAUBER, HENLE, SCHWALBE, SAPPEY, MORGANTI, BARBARISI). Il FnümwALD fa cenno di un fascio del VII, che va al ganglio genicolato; non dice però se questo fascio appar- tenga alla radice grande, od alla piccola del VII. Dalla descrizione si dovrebbe dedurre tuttavia, che essa spetti veramente al nervo intermediario ; ma di quest’ultimo l'Au- tore non fa menzione, come se non fosse conosciuto. 4. NERVO GRANDE PETROSO SUPERFICIALE, O PETROSO SUPERFICIALE MAGGIORE. Chiunque nella descrizione dei rapporti del nervo gran- de petroso superficiale col ganglio genicolato e col gan- glio sfeno-palatino volesse attenersi rigorosamente a quan- to lascia vedere l’ ordinaria e più semplice osservazione anatomica, potrebbe dire in generale con sicurezza sola- mente questo: che il nervo anzidetto unisce J’ apice del ganglio genicolato alla periferia posteriore del ganglio sfe- no-palatino. Ma nella descrizione delle anastomosi nervose, oltre all’ indicare il puro fatto della connessione, importa si determini, come ben sappiamo, quale sia l’ estremità cen- trale, quale l’ estremità periferica del rispettivo ramo [18] (347) anastomotico ('); e sia chiarito per conseguenza quel fatto anatomico, che in brevi termini si chiama la direzione ve- ra dell’anastomosi. Quindi nel caso nostro, bisogna si ponga in chiaro, se i fascetti del nervo petroso superfi- ciale maggiore procedono dal ganglio genicolato al gan- glio sfeno-palatino ; oppure, all’ opposto, dal secondo al primo; o sia invece un’ anastomosi mutua. Per lo passato, gli anatomici si attenevano in genera- le a quest’ ultimo concetto, e lo esprimevano dicendo : a) che dalla periferia posteriore del ganglio sfeno-pa- latino parte il nervo Vidiano, costituito da un cordoncino superiore bianco, e da un cordoncino inferiore grigio ; b) che il nervo anzidetto percorre dall’ avanti all'indietro il ca- nale Vidiano; c) che, uscito dall'apertura posteriore di questo, 51 divide tosto nei due fascetti che lo com pongono fin dalla sua origine ; d) che il fascetto inferiore grigio, chiamato da molti grande n. petroso profondo (°), si porta al plesso (1) Occorre appena ricordare, che, nel caso di anastomosi mu- tua o reciproca, ciascuno dei capi del ramo anastomotico contie- ne P estremità centrale di una parte delle fibre nervose che lo compongono, e l'estremità periferica delle altre, Non può escludersi, che i rami anastomotici sieno formati tal- volta, almeno in parte, da fibre che uniscano le cellule d’un dato ganglio a quelle di un altro (fibre commissurati interganglionari, secondo la terminologia della nostra scuola; la quale, ritiene del resto che, in generale, il metodo descrittivo più corretto e più chiaro sia quello di esprimere semplicemente il fatto dell’ unione, deter- minando poscia separatamente, per quanto sia possibile, la direzione dell’ anastomosi). Ma l'esistenza di fibre siffatte, se anche si vo- glia crederla probabile, certamente non è dimostrata. Ne furono ammesse, per il simpatico, dal RANVIER (nervi cardiaci della rana); e recentemente anche dallo SMIRNOV. (2) Questo nome è usato nei trattati di anatomia di autori ger- Manici, ma non in quelli di francesi o italiani. Il Sappry lo chiama filamento simpatico, o carotico del nervo Vidiano; il Cru- (348) 119] del simpatico, che circonda nel canale carotico 1’ arteria carotide interna ; e) che il fascetto superiore bianco, chia- mato generalmente nervo petroso superficiale maggiore o grande petroso superficiale, perforata la massa fibro-car- tilaginea che riempie il vano fra l’apice della piramide del temporale e il corpo dello sfenoide, si colloca sulla faccia superiore della faccia del temporale in uno dei suoi solchi petrosi; lungo il quale si dirige al hiatus del canale del Falloppio, per unirsi al ginocchio del VII paio, e propria- mente all'apice del ganglio genicolato. Oggidi la descrizione suol farsi procedendo in ordine inverso : si parte cioè dal ganglio genicolato, come se il petroso superficiale maggiore avesse origine da questo gan- glio, e procedesse verso il ganglio sfeno-palatino accoglien- do nel suo corso il cosidetto n. petroso profondo maggiore, che forma col precedente il n. Vidiano. Seguirono la prima maniera: MECKEL, HILDEBRANDT-W E- BER, CRUVEILHIER (1837), HIRZEL Н. CLnoqQuET, Е. CALDANI, CORTESE ; i quali, rispetto al petroso superficiale maggiore, ammisero ch'esso parta dal V per andare al VII. Fra questi autori, Н. CLoquer e HIRZEL (ai quali sarebbe da aggiungere anche il Rrves) asserirono di aver vedute le VEILHIER (1837) e il CRUVEILHTIER-SEE (1877) ramo (filuzzo) inferio- те, o profondo, o carotideo dèl nervo Vidiano ; il DEAUNIS-Dou- CHARDT, filuzzo carotideo destinato al ganglio del Meckel; il DEBIERRE, radice simpatica grigia o ganglionare del ganglio del Meckel; il Lauru ramo inferiore о carotideo del nervo Vidia- то. — F. CALDANI eil CORTESE lo dicono ramo profondo del nervo Vidiano (l altro ramo di questo nervo, il grande petroso superfi- ciale, è per gli stessi anatomici il ramo superficiale del nervo Vi- diano); Y INZANI, lo intitola filamento del plesso carotico del simpatico. — Degl’ inglesi, il QuAIN gli dà il nome di porzione simpatica o carotica del nervo Vidiano; e il MACALISTER, come gli anatomici tedeschi, nervo grande petroso profondo. ———— "| rm [20] (349) fibre del petroso superficiale maggiore passare integral- mente nella corda del timpano. Alla seconda maniera di descrizione si attennero: AR- NoLD, BIDDER, HYRTL, LuscHKA, HENLE, SCHWALBE, Horr- MANN-hAUBER, GEGENBAUER, SAPPEY, BEAUNIS-BOUCHARDT, MORGANTI e INZANI; i quali pensarono, essere il petroso su- perficiale maggiore un ramo, che dal VII si porta al V. Quale fra queste due maniere di descrizione è la più giusta ? Prima di rispondere a questa interrogazione, credo op- portuno di osservare, che alcuni altri trattatisti danno le loro descrizioni tanto nell’una, quanto nell’altra di queste due maniere. Cito i seguenti: SOMMERING, QUAIN, CRUVEIL= HIER-SEE, LANGER, KRAUSE, DEBIERRE, QUAIN. — Il QUAIN, dopo averla data nella prima maniera, avverte poscia che la seconda deve ritenersi più giusta. Deve dirsi altrettan- to del OnvvEmUER-SEE, che veramente premette questo av- vertimento alla sua prima descrizione, che riguarda i rami del ganglio sfeno-palatino. — Il Krause si attiene alla pri- ma forma tanto nella descrizione del ganglio sfeno-pala- lino, quanto in quella del facciale ; ma poi la inverte, alla fine, con brevi parole. Ed ora, la risposta che mi pare più conveniente alla interrogazione accennata, è la seguente: avuto riguardo alla probabilità (V. più oltre, ed anche a suo luogo la Parte П), che il petroso superficiale maggiore sia costituito da un’a- nastomosi mutua; si potrebbe dire, che in parte hanno ra- gione i primi, in parte i secondi ; e avrebbero in fondo ra- gione anche quelli della terza maniera, se dichiarassero esplicitamente — ciò che non fanno — a quale dei fascetti costituenti il n. petroso superficiale maggiore abbiano in- teso riferirsi, sia nell’una, sia nell’altra delle due descri- zioni; se cioè al fascetto che proviene dal ganglio sfeno- palatino, oppure a quello che deriva dal ganglio geni- colato. Intorno agli intimi rapporti del petroso superficiale —_——+—T___————_—_—————————mù | (350) [21] maggiore col ganglio genicolato, il BiscHorr non esprime nessun giudizio. — All’ opposto il VALENTIN, il Lonerr, il RAUBER, e il CALORI asseriscono, che alcune delle sue fibre sono in continuità con le radici del VII; ed altre col tronco periferico dello stesso nervo (!). Questa opinione corrisponderebbe a quella di coloro i quali ritengono : a) che fascetti, appartenenti all'estremità centrale del- l’acustico, passino al petroso superficiale maggiore, attraver- sando il ganglio genicolato ; 0) che altri fascetti, provenienti dal ganglio sfeno-pa- latino, passino attraverso il genicolato, e si uniscano indi alla porzione periferica del facciale ; c) che questi ultimi fascetti si stacchino poscia dal fac- ciale, formando la corda del timpano (°); od escano invece col tronco del VII dal forame stilo-mastoideo (Beck) (°). (1) Queste ultime sarebbero da ritenersi motrici, se stessero associate alla grande radice del facciale; e al contrario sensiti- ve, se fossero comprese nella sua radice piccola (nervo intermedia- rio); oppure d'indole mista, se procedenti ab origine e con Puna e con l'altra di quelle due radici. (2) Dirò ben tosto di fibre nervose, che si ritengono annesse al grande petroso superficiale, e lo uniscono al nervo timpanico; e di altre che lo collegano col nervo, simpatico. (3) Non si potrebbe escludere la supposizione (ben poco però verisimile), che i fasci del petroso superficiale maggiore, i quali, procedendo lungo il ganglio genicolato, passano nella porzione peri- ferica del facciale (VALENTIN, LONGET, RAUBER, CALORI), appartenga- no per origine al tronco centrale del facciale; ma che, dopo aver percorso col tronco nervoso stesso un certo tratto del canale di Fal- loppia, ricorrano in direzione centrale avviandosi al ginocchio del facciale; e che, staccatisi poi da questa intumescenza nervosa, pas- sino al ganglio sfeno-palatino per la via del petroso superficiale mag- giore. Credo però superfluo ragionare sopra un ipotesi, che non ha l'appoggio di nessuna osservazione di fatto. o [ i i | | | |! [22) (351) Tre sono dunque le congetture che si possono formu- lare sull' andamento delle fibre del n. petroso superficiale maggiore. Si può supporre, cioè, (prescindendo dalla ipotesi di fibre commissurali) ch’ esso contenga : a) fibre nervose dirette dal tronco centrale del VII al ganglio sfeno-palatino, a cui giungano passando per il ganglio genicolato ; 0) fibre, che, derivando dal ganglio sfeno-palatino, si portino al ganglio genicolato, e passino da questo al tronco periferico del facciale (4); с) fibre, che, con l'andamento loro, rappresentano tutte e due le supposizioni accennate, e costituiscano quindi un’ anastomosi mutua. I risultati delle ricerche anatomiche fanno credere, come ho accennato in precedenza, che quest’ ultima opi- nione sia la più verisimile. — Non è accettabile però quella con cui si dichiara, che il fascetto proveniente dal ganglio sfeno-palatino divenga la corda del timpano (H. CLoqueT, HIRZEL etc.) = Apparisce meglio fondata quella che fa progredire quel fascetto col tronco periferico del fac- ciale, e uscire insieme ad esso dal forame stilo-mastoideo (BECK). Si attribuisce a questo associarsi di fibre del V a fibre del VII la sensibilità che manifesta quest’ ultimo alla sua uscita dal canale del Falloppio. Tuttavia questa opinione sembra contradetta dagli sperimenti del Prevost; il quale, fatta l’ estirpazione del ganglio sfeno-palatino, vide integre le fibre del grande petroso superficiale. Havvi però qualche motivo a credere, che le conclusioni alle quali fu tratto dalle sue ricerche non abbiano un valore incontestabile. (4) Sull andamento ulteriore di queste fibre, si troverà detto tanto nella Parte I, quanto nella Parte II, ove si discorre intorno alla corda del timpano. ls Мед, ҮП 46 (352) (23) Il Sappry, nella descrizione del n. facciale, afferma, che il n. petroso superficiale maggiore è unito non solo al fi- lamento carotico del n. Vidiano (n. petroso profondo maggiore) (t), ma ben anche ad un altro filamento ner- voso, che intitola nervo petroso interno. Egli lo fa deri- vare dal n. timpanico (n. del Jacobson); e lo dichiar: come un filamento, che il petroso superficiale maggiore ac- coglie nel suo cammino dopo la sua uscita dall'apertura spuria del canale del Falloppio (2). Il SAPPEY non in- dica con precisione il luogo dell' unione; si puo ricavare soltanto, dalle sue parole, ch'essa avvenga in un punto intermedio fra il ganglio genicolato ed il ganglio sfeno- palatino. — BEAUNIS-BOUCHARDT e i| DeBIERRE sono della medesima opinione; ma questo filamento, che dal n. del Jacob- son si porterebbe al petroso superficiale maggiore, è da essi denominato n. grande petroso profondo @ Queste descrizioni si accordano con quelle che ai leg- gono nel trattato dei CnUVEILHIER-SEE (1877); come pure con quelle del Quam e dell’ INZANI (4). Il Krause, J. HvyRmL, Е. CALDANI, il LusonkA, il GEGEN- (1) Vedi pag. 18. (2) Facendo la descrizione inversamente, si direbbe: che il grande petroso superficiale, poco prima del suo ingresso nel canale di Fal- loppio, si divide in due rami, l'uno dei quali si avvia al ganglio genicolato. (3) І trattatisti francesi fanno menzione anche di un nervo pe- troso profondo esterno; del quale, come pure del petroso profondo minore di altri autori, sarà detto nel paragrafo seguente. (4) Il ORUVELHIER, nel suo trattato del 1837, non ne fece nessuna menzione. A quel tempo, egli non ammetteva neppure l'e- sistenza del ganglio genicolato. — Il QUAIN e l'INZANI lo lasciano senza nome. Il primo ne tace alla pag. 554 del Vol. II, e non lo mostra in nessuna figura dell’opera; ne dice però alla pag. 573 del Vol. II, c alla pag. 54 del Vol. ПІ. | | [24] (353) BAUR, il LANGER non parlano di questa unione fra il pe- troso superficiale maggiore il n. del Jacobson ('). Neppure il HENLE ne fa cenno, nella descrizione del n. facciale ; ma, nel descrivere il glosso-faringeo, fa menzione di un’ anastomosi fra il grande petroso superficiale e il plesso timpanico ; affermando, ch’essa avviene mediante un ramoscello (n. communicans cum plexu tympanico) il quale si spicca dal ganglio genicolato, o dal petroso super- ficiale maggiore. Si osserva presso a poco altrettanto nei manuali dello SCHWALBE e del Н = RAUBER (°); si tace dell’ anastomosi, cioè dicendo dell’uno dei nervi che unisce, ma se ne parla al contrario dicendo dell’ altro. Qual è la direzione dell'anastomosi in discorso? Intorno a questo punto, la supposizione che apparisce meglio plausibile, si è, che essa si componga di fibre le quali procedano dal IX al V; che le fibre sieno gustatorie, e scendano poscia alla mucosa del palato, servendo ivi al senso del gusto. Il Krause ed il Disouorr fanno menzione inoltre di un anastomosi fra il grande petroso superficiale e il piccolo petroso superficiale; anastomosi di cui dirò fra poco in altro luogo. Dicendo del n. petroso superficiale maggiore, non pas- (1) Gli autori di trattati di anatomia umana, dovendo discorrere ripetutamente del grande petroso superficiale, cadono generalmente in certe inesattezze di redazione; essendochè, in alcuni luoghi fan- no menzione del ramoscello, che unisce il petroso anzidetto al ner- vo timpanico, ma ne tacciono affatto in altri : il che può far credere, quando non si badi bene, che non ne dicano punto. Queste om- missioni parziali si notano anche riguardo alla connessione del grande petroso superficiale col nervo simpatico. (2) H-RxuprR significa il trattato del HOFFMANN riformato dal Rauser (Vedi l'indice bibliografico alla fine della Memoria). (354) [25] serò sotto silenzio il nervo chiamato da C. TAVARES, №. gustativo del Souza (!). Questo nome si collega con l'ipotesi seguente, esposta dal Souza: che il IX paio funzioni come nervo di senso specifico gustative; col mezzo di fibre gustative conces- segli dall’ intermediario. Conviene avvertire però, che il Souza non riuscì mai a dimostrare 1° esistenza di fibre, che dall’ intermediario passino al glosso-faringeo. Più fortunato del suo maestro sarebbe stato il Tava- RES; il quale crede averle dimostrate anatomicamente. Infatti egli dichiara d'aver veduto, che una parte delle fibre dell’ intermediario, fibre ch'egli ritiene gustatorie, passano nel petroso superficiale maggiore procedendo tra- verso al ganglio genicolato; e che, nel punto di unione fra il petroso superficiale maggiore ed il nervo da lui chiamato petroso profondo (°), le fibre accennate dell’ in- termediario si staccano dal grande petroso superficiale per costituire 1° anzidetto n. petroso profondo, col quale arri- vano al n. timpanico (Vedi pag. 23), e per mezzo di questo al ganglio petroso del IX paio. Così, secondo l'Autore, il n. timpanico sarebbe formato, in parte da fibre del IX ascendenti dal suo ganglio petroso al plesso timpanico ; ed in parte da un fascio di fibre gustatorie derivanti dal- l'intermediario. Questo fascio è appunto quello che egli vorrebbe denominato n. gustatorio del Souza; perchè, secondo la sua opinione, il fascio anzidetto percorre ро- scia il ganglio petroso del IX e si associa quindi al tronco (1) П TAVARES, nel dargli quel nome, intese onorare il suo maestro M. Bento ре SOUZA; il quale, riguardo ai nervi del gu- sto, fu l’autore dell’ ipotesi di cui si parla nel testo; ipotesi che il Tavares crede aver dimostrata pienamente vera. (2) Nervo petroso profondo interno del Sappry e di altri, se- condo fu spiegato alla pag. 23. ( » A | [26] (355) periferico di quest’ ultimo nervo, per giungere in fine alla lingua. Pare che il Tavares abbia annunciata questa sua sco- perta, fondandosi sui risultati di una sola preparazione fatta nel gatto; e ch’egli ne abbia tratte le conclusioni poc'anzi esposte, benchè nell’ eseguire quella unica pre- parazione, il nervo siasi spezzato nella cavità timpanica. Egli non dichiara di aver fatta qualche ricerca nell’ uomo, o rinnovata almeno la preparazione nel gatto. Credo per- ciò, che la sua scoperta debba tenersi fortemente in dub- bio, finchè non venga dimostrata in modo sicuro l’ asse- rita unione del petroso superficiale maggiore col n. timpa- nico mediante un fascetto, che derivando dal n. interme- diario, passi al gran petroso superficiale, e da questo al n. timpanico mediante il ramoscello chiamato dal SaPPEY n. petroso interno. Alcuni anatomici, quali lo SCHWALBE, il RAUBER, il H-Ran- BER ed anche il BARBARISI ammettono, che il petroso su- perficiale maggiore contenga filamenti del simpatico, che vanno col petroso anzidetto al ganglio genicolato. Secondo i due primi autori, questi filamenti derivano dal plesso carotico interno ; e s' avviano, col petroso superficiale mag- giore, al ganglio genicolato (!). Il BarBARISI vuole, che fibre del simpatico, prove- nienti parimenti dal plesso carotico in lerno, si aggiungano al gran petroso superficiale per la via del petroso pro- fondo maggiore ; il quale, partito dal plesso anzidetto, quand’ è giunto all’ estremità posteriore del n. Vidiano, (1) Il Krause ammette egli pure, che fibre del simpatico ar- rivino al ganglio genicolato; ma la via ch’ esse tengono sarebbe quella d'un ramoscello, ch'egli ed alcuni altri anatomici chiamano petroso superficiale terzo; ramoscello interposto fra il plesso, col quale il nervo simpatico circonda l'arteria meningea media entro il cranio, e il ganglio genicolato —; ganglio a cui suol giungere Per la via del petroso superficiale maggiore. (356) [27] si dividerebbe in due rami divergenti in due direzioni diame- tralmente opposte : l'uno di essi, dirigendosi all’ innanzi, si unirebbe al gran petroso superficiale, accompagnandolo sino al ganglio sfeno-palatino, e formando con questo il n. Vidiano ; l'altro ramo, volgendosi in dietro e associandosi al gran petroso superficiale, procederebbe con esso verso il ganglio genicolato. 5. N. PICCOLO PETROSO SUPERFICIALE, 0 PETROSO SUPERFICIALE MINORE. Un altro ramo nervoso di cui si deve tener conto, parlando dei nervi che hanno relazione col ganglio ge- nicolato, è il n. petroso superficiale minore, scoperto dall’ ARNOLD. Questo ramo, che mette in comunicazione il ganglio otico col n. timpanico, è unito pure, come generalmente si ritiene, col ganglio genicolato. L'unione con quest'ultimo avviene alle volte diretta- mente, (anastomosi diretta); altre volte al contrario in- direttamente, (anastomosi indiretta). Nel secondo caso, la connessione si forma mediante un tralcio, che ha l’uno dei suoi capi al piccolo petroso superficiale, e l’altro al grande petroso superficiale, oppure al tronco periferico del facciale poco dopo la formazione del ganglio genico- lato ; al quale il ramo anastomotico arriva tuttavia, proce- dendo lungo l'uno o l’altro di questi ultimi due nervi. Quando nella descrizione del piccolo petroso super- ficiale si parta da questo o quello dei suoi due punti po- steriori estremi, che lo tengono congiunto l'uno col gan- glio genicolato, l'altro col n. timpanico, e si voglia pre- scindere dalla direzione vera delle fibre nervose; sa- rebbe da dire: ch'esso risulta composto dall’ unione di due ramoscelli, l'uno superiore, l'altro inferiore ; che il r. superiore si connette (direttamente o indirettamente) col ganglio genicolato, e il 7. inferiore col n. timpanico ; [28] (357) che dall’ incontro di questi due ramoscelli e dall’ addossa- mento loro reciproco si forma il tronco del n. petroso Superficiale minore; e che, per ultimo questo nervo si unisce al ganglio otico, collegandolo per tal modo col n. timpanico e col ganglio genicolato. Partendo invece dalla sua estremità anteriore, e quindi dal ganglio otico, si potrà dire: che il nervo anzidetto, dopo un certo tratto del suo decorso (già noto), si divide hei due rami divergenti poc’ anzi nominati (!). Ma, intorno al fatto dell'unione fra il ganglio genico- lato e il petroso superficiale minore v' ebbe per lo passato, e sussiste tuttora fra gli anatomici qualche dissenso. Il BECK sostenne, che il filamento di unione, fra il pie- colo petroso superficiale ed il ganglio genicolato, non sia che un traleio vascolare. — E peró questo Autore, esclu- dendo che il ganglio genicolato si connetta col piccolo petroso superficiale, vede in questo nervo niente più che un ramoscello, col quale fibre del n. Jacobson, e deri- (1) Il ramo inferiore è detto dal SAPPEY, nervo petroso pro- fondo esterno; dai BEAUNIS-DOUGHARDT piccolo petroso profondo. 1 CRUVBILIIBR-SBE gli danno il nome di petroso profondo esterno, come il SaAPPEY; e chiama petroso profondo interno, parimenti come il SAPPEY, il ramo superiore (Vedi pag. 23). Così nella loro descri- zione del ne SEE, in altri luoghi dell' opera, riguardo ai rami dei nervi petrosi rvo timpanico; ma la nomenclatura usata dai CRUVEILHIER= Superficiali, è inesatta, confusa. I trattati e le memorie di alcuni Autori fanno menzione anche di un nervo petroso profondo minore (ARNOLD, HYRTL, LUSGHKA, SCHWALBE, H-RAUBER, MACALISTER). — І più tra essi ritengono, che quel titolo sia equivalente a quello di nervo carotico timpa- nico Superiore. Havvi però motivo a credere, che il nervo deno- Minato da taluno di essi petroso profondo minore, corrisponda ad un. ramoscello diverso da quello che ho poc anzi ricordato con lo stesso nome. | | | | (358) [29] vanti perciò dal ganglio petroso del IX, si avviano al ganglio ойсо, e si uniscono ad esso. Il BiscHorF si associò dapprima all'opinione del BECK ; che cioè il filamento interposto fra il ganglio genicolato ed il piccolo petroso superficiale, altro non sia che un arteriuzza ; la quale, scorrendo fra i due petrosi superficiali, si divida in esili ramoscelli, e ne mandi uno al ganglio genicolato là dove il n. petroso superficiale minore si curva per discendere nella cavità timpanica. Il Krause sostenne all’ opposto, essere l’ anastomosi costituita veramente da un ramoscello nervoso interposto non già direttamente fra il ganglio genicolato e il piccolo petroso superficiale, ma fra quest’ ultimo e il petroso su- perficiale maggiore ; per la via del quale, il primo di questi due nervi si unisce in fine col ganglio genicolato. Ne ri- suiterebbe quindi la disposizione anatomica corrispondente all'una delle due forme dell’ anastomosi, che ho chiamata indiretta. In seguito lo stesso Biscmorr, postosi nuovamente allo studio dell’ argomento, concluse pure esservi unione anà- stomotica fra il petroso superficiale piccolo e il grande; e s'accostó per tal maniera all’ opinione del Krause (!). Osservo per altro, che, secondo le figure dateci dal KRAUSE stesso nel suo testo, si deve credere che l'ana- stomosi abbia forme diverse. Così p. e. nella figura che ci offre la pag. 926 di quell’ opera, l’anastomosi è rap- presentata come risultante da un ramoscello, che sembra essere veramente la continuazione in linea retta del pe- troso stesso; ramoscello ch’ ё impiantato direttamente nel ginocchio del facciale, senza nessuna anastomosi col pe- troso superficiale maggiore. La parte residua del piccolo (1) Questi due autori, il Krause e il Biscnorr, eseguirono su quest'argomento alcune indagini speciali; e ne fecero conoscere i risultati nella « Zeitschrift für rationelle Medicin » di HENLE e Preurer. Serie ПІ. Vol XXVIII e XXIX. ) n [30] (359) petroso superficiale si piega in modo da formare un angolo retto col tronchetto di quel nervo, e si conette ad un ‘amo del n. timpanico. Questa disposizione anatomica corri- sponderebbe ай” anastomosi diretta. Al contrario, la figura della pag. 936 rappresenta una delle due forme proprie all'anastomosi indiretta. Infatti quel- la figura offre disegnata una comunicazione fra il petroso Superficiale minore in forma di ansa arcuata, rivolta con la connessità verso l'avanti e l'interno (vale a dire, verso Г apice della piramide). Ad ogni modo, quando si enunzia, che il piccolo pe- troso superficiale, mediante il suo ramo superiore, mette in comunicazione il ganglio otico col ganglio genicolato ; e che, mediante il suo ramo inferiore, unisce il primo dei due gangli anzidetti al n. timpanico ; si esprime un fatto anatomico, intorno al quale non è possibile nessun dissenso. Ma questo può nascere, quando l'anastomosi sia indiretta, ed abbia p. e. la forma di ansa ad arco, come quella che si vede nella figura già citata del KRAuSE alla Pag. 936 del suo manuale. In simili casi, movendo nella descrizione dal ganglio genicolato, bisognerebbe supporre, che il r. superiore, giun- to al tronco del piccolo petroso, inverta la sua direzione, e si ripieghi quindi bruscamente all'i nnanzi per raggiun- gere il ganglio otico a cui deve metter capo. (1) Riguardo alla direzione vera dell’ anastomosi fra il gan- glio otico e il ganglio genicolato, si ritiene verisimile ge- neralmente l'opinione dell’ ARNOLD, che il ramo superiore del petroso superficiale porti al ganglio otico un contin- gente di fibre motrici provenienti dal facciale (*); fibre che passerebbero indi a qualche muscolo del velo palatino. — Simile a questa fu l'opinione del Lowazr; il quale sostenne però, che le fibre motrici derivano dal n. intermediario ; (1) Radice motoria, secondo ARNOLD. (2) Radice sensitiva, secondo 1 ARNOLD. {ДУБ УП 47 (360) [34] e che dal ganglio otico passano al muscolo tensore del timpano. Egli credette in pari tempo, che altre fibre, pro- venienti pur esse dal n. intermediario, andassero per la via del facciale al m. stapedio. Un altro autore, lo ScHmrr, pensò all’ opposto, che il r. superiore contenga fibre sensitive, dirette però an- che queste dal ganglio genicolato al ganglio otico. Intorno ad esse avrò motivo a dire ancora poco più oltre. Quanto all’ anastomosi fra il ganglio ойсо e il n. tim- panico per la via del ramo inferiore, sembra verisimile, anche rispetto ad essa, l’ opinione dell’ArnoLD; che si com- ponga, cioè, di fibre sensitive dirette dal glosso-faringeo al ganglio ойсо, per la via del n. timpanico (!). Il RAUBER va più oltre; e opina, che, mediante que- st’ anastomosi, il glosso-faringeo tributi al ganglio ойсо fibre gustatorie, che si volgono poi alla corda del timpano, mediante l’ anastomosi che la unisce al ganglio рос’ anzi menzionato. E qui citerò, a titolo di storia, se non altro, le idee dello Scurr ; il quale, appoggiandosi ai suoi esperimenti, suppose che, il piccolo petroso superficiale (mediante il suo ramo superiore) aggiunga fibre gustative al r. linguale del trigemino. Secondo la sua opinione, le fibre gusta- torie destinate al terzo anteriore della lingua provengono dalla seconda branca del V, passano per il ganglio sfeno- palatino, e si dirigono col grande petroso superficiale al ganglio genicolato. Giunte a quest’ ultimo, alcune poche (e non senza eccezione) procedono col facciale, e si ac- compagnano poscia alla corda del timpano ; le altre, op- pure tutte quelle che mediante il grande petroso superfi- ciale arrivano al ganglio genicolato, retrocedono lungo il piccolo petroso superficiale, si avviano al ganglio otico, (4) Non sarebbe da escludersi qualche altra ipotesi in propo- sito; mancando però l'appoggio dei fatti a loro favore, giova meglio tacerne. ue Er [32] (361) e si annettono in fine al r. linguale del trigemino, mediante taluno dei filamenti anastomotici che tengono unito quel ganglio alla terza branca del V pajo. Ma oltre alle comunicazioni, che, secondo ho finora esposto, sono effettuate col mezzo del piccolo petroso su- perficiale tra il ganglio otico e il ganglio genicolato, come pure fra il primo di questi due gangli e il n. timpanico ; 51 ammette inoltre una connessione anastomotica fra il gan- glio genicolato e il n. ümpanico; connessione costituita da fibre, che passerebbero dal primo al secondo. Tale fu l'opinione del Souza e del Tavares, che ho citata nel pa- ragrafo precedente (V. pag. 25.) Sarebbe certamente su- perfluo ragionarne qui per la seconda volta C) 6. CORDA DEL TIMPANO. Il n. facciale, dopo il suo ripiegamento a ginocchio, Segue, come è ben noto, landamento del canale del Fal- loppia, dal quale esce infine traverso l'orificio stilo-ma- stoideo. Gli autori non sono concordi circa il numero degli esili ramoscelli nervosi, che si staccano in questo tratto del suo decorso, e circa il loro andamento. Non intendo però tenerne qui discorso ; restringendomi a riferire so- lamente quanto fu detto riguardo all’ assegnare, quale sia nervo cerebrale a cui la corda del timpano appartiene fin dalla sua radice, e riguardo alla sua anastomosi col gan- glio otico. (1) L'ipotesi del Souza e del Tavares si riferisce veramente ad Una comunicazione del ganglio genicolato col plesso limpanico non Per la via del piccolo petroso superficiale, ma per quella del gran- de. Nondimeno, il primo di questi due potrebbe servire di guida all accennato ramo di comunicazione, quando il secondo si unisce col ganglio genicolato per anastamosi indiretta (362) [33] Le opinioni principali manifestate in proposito possono ridursi alle quattro seguenti: La corda del timpano deriva dal V pajo (A) ; » uu» » » » dal VII pajo (D) ; »5 a » » іп parte dal V e in parte dal VII; ma le fibre derivanti da quest'ultimo, non sono gustatorie (C); LAGE, MP, » » dal IX pajo, che, mediante aleuni dei suoi fascetti, for- ma il n. intermediario del Wrisberg (D). A). Della prima, tra queste opinioni, furono sostenitori : CLoquET, HIRZEL, WARRENTRAPP, RIBES, STIOH, SCHIFF. — I primi quattro (CLoquet, HIRZEL, WARRENTRAPP, Ri- BES) la credettero originata dalla 2.° branca del V; e che se ne staccasse per formar parte dei fascetti componenti il n. petroso superficiale maggiore. Quelle fibre dell’ ul- timo, che a loro avviso costituiranno la corda del timpa- no, procedono per la via del ganglio genicolato, e prose- guono poscia col facciale in direzione periferica fin poco sopra al forame stilo-mastoideo : nel quale punto, separan- dosi dal VII, costituiscono la corda. Lo Sron dichiarò pure, che le fibre della corda sono gustatorie, e derivano dal V pajo; ma credette, che, nell'u- scire dal tronco di quel nervo, seguano la via non già della seconda branca del medesimo, ma quella della terza. Partendo nella sua descrizione dalla loro estremità periferica, lo Sron tracció per esse il decorso seguente: dalla mucosa della lingua, tragitto lungo il ramo linguale del V fino al punto ove quel ramo incontra la corda del timpano ; passaggio dal linguale alla corda, e col mezzo di essa al facciale, nel luogo ove da questo si spicca la corda; addossamento di questa nel canale del Falloppio, al tronco del УП; uscita con esso dal forame stilo-ma- i Et мае — [84] (868) stoideo, staccandosene poscia per passare, col mezzo dei rami anastomotici fra il facciale e il nervo auricolo-tem- porale, alla З." branca del V; e finalmente passaggio con quest’ ultima alla radice sensitiva del V, e di là al loro cen- tro cerebrale (t). Lo Srıor però, in base ai suoi esperi- menti, attribuisce poco potere gustatorio alla corda del timpano. В). La seconda opinione, quella cioè che la corda del timpano derivi dal VII pajo, fu specialmente sostenuta dai seguenti autori : BERNARD, LUSSANA, BIGELOW, GUARINI, VALENTIN, BARBARISI, Cusco, MORGANTI е Birri, TAVARES, SAGOLINI ecc. Fra questi, il BIGELOW, il BarBARISI, il Cusco, il- Lus- SANA, il MoRGANTI col Brrri e il TAVARES, la ritengono continuazione del n. intermediario. С). La terza opinione appartiene allo бошке, ed è quella esposta nel paragrafo precedente (V. pag. 31); opi- nione giusta la quale, la corda possiede poche o punto fibre gustatorie; e quando ne abbia, esse provengono dal V. Le le altre fibre della corda (od anche tutte) derivano bensi dal VII, ma servono al gusto. D). La quarta delle opinioni accennate è quella del DARBARISI ; al quale parve, che le fibre gustatorie della corda spettino veramente per la loro origine al glosso- faringeo, e passino al facciale mediante le « radici poste- riori» dell’ intermediario del Wrisberg : radici che PAu- tore ammette appartengano al nono pajo. Il Lussana opinò pur egli, sebbene per altre ragioni, che la corda del timpano derivi dal glosso-faringeo. Si vedrà poi più oltre fino a qual segno i risultati delle mie ricerche, intorno a questo punto, si accordino con quelli ottenuti dal BARBARISI. Noteró per ultimo, che l'idea di far derivare le fibre (1) Questa deserizione, come ben si vede, procede in ordine Inverso a quello ch’ è di metodo nell’ anatomia sistematica, (86%) [35] gustatorie dalla corda del glosso-faringeo, corrisponde alle affermazioni del Роуд, sull’ origine centrale dell’ interme- diario (V. pag. 6). La corda del timpano, nel suo decorso dalla fessura del Glaser al n. linguale, ritrae dal ganglio otico un esile filamento nervoso (n. comunicante con la corda) scoperto dal FarseBEcK ; filamento che sembra avere, secondo fu affermato dal HENLE, un decorso assai vario. L’ ARNOLD nega l'esistenza di questo filamento. Il FAESEBECK, il KRAUSE, il Canoni ed altri 10 credet- tero costituito da fibre, che, provenendo dal ganglio otico, si addossano alla corda nel suo cammino periferico. (Continua). | y f | —À APPLICAZIONE DEL METODO FOTOMETRICO ALLO STUDIO DELLA REAZIONE FRA ПТ Тї RD T SOLFOGIANATI SOLUBILI. MEMORIA DI GAETANO MAGNANINI. Sy: DE L'applicazione dei metodi chimici allo studio de dizioni di equilibrio chimico in un sistema di corpi, ed alla determinazione quindi dello stato finale al quale con- duce, per determinate condizioni, il lavoro delle affinità, porta, in generale, ad un risultato solamente nei casi di equilibrio eterogeneo. Il metodo chimico ponderale implica infatti la separazione meccanica allo stato di purezza della Sostanza, o delle sostanze, la cui quantità deve darci un Criterio sulle condizioni dell’ equilibrio ; ed il metodo vo- lumetrico esige che, anche esclusa la possibilità di una se rea- od in generale più, delle sostanze presenti, uno 0 più determinati liquidi titolati, secondo quanto insegna la volumetria. 1 tanto venir applic ] 1 lle con parazione meccanica, si possa almeno mettere in zione l'una, con metodi chimici non possono per- ati allo studio delle condizioni di equili- rio dei sistemi omogenei, se non in quei casi dove le 'eazioni chimiche, che possono aver luogo fra le sostanze presenti, procedono con sufficiente lentezza perché durante il tempo impie ve gato nella determinazione, il sistema che 51 studia non subisca una alterazione notevole. (366) [2] Di applicazione molto più generale sono i cosidetti me- todi fisici, col mezzo dei quali la quantità di una о più delle sostanze, può venir determinata collo studio di una o più delle proprietà fisiche del sistema. Nel metodo fisico la separazione della sostanza che si determina non è più necessaria, perchè la quantità di questa viene dedotta dalla misura di una proprietà fisica che essa sostanza manifesta indipendentemente dalle altre alle quali si trova frammista. In generale, pertanto, è suscettibile di un’ applicazione di questo genere quella qualsivoglia proprietà fisica la quale venga manifestata e conservata da una sostanza come tale, anche se la misura diretta di quella conduca alla determi- nazione di una quantità, la quale sia a sua volta la somma delle quantità proprie a ciascuna delle sostanze frammiste ; purchè, naturalmente, per questa misura si possano ado- perare strumenti di una sufficiente precisione, tale da man- tenere gli errori di osservazione entro limiti sufficiente- mente piccoli. La teoria di questo metodo è stata data, da Steinheil (!) ; ma il primo che ha cercato di applicare, in modo sistema- tico, i metodi fisici allo studio degli equilibri chimici e, conseguentemente, alla soluzione dei problemi della affini- tà, è stato J. Н. Gladstone (°), il quale nei suoi lavori, a datare dal 1855 ha tracciato la via, applicando in molti esempi le sue ricerche allo studio della costituzione delle soluzioni omogenee. In generale però si può dire che Glad- stone si limitò più allo studio qualitativo dei fatti; tanto più in quanto egli non possedeva ancora una teoria di fenomeni osservati; è per questo che le sue misure come tali, hanno più che altro solamente un interesse storico (*). In una forma più completa il metodo fisico si trova (4) Ostwald, Lehrbuch der allg. Ch. II, 754. (2) Ostwald, Lehrbuch der allg. Gh. Шу 076. (3) Ibid. | [3] (367) applicato da J. Thomsen (t) nelle sue ricerche calorime- triche, le quali, portando luce sulle condizioni di equilibrio esistente nelle soluzioni acquose che contengono acidi dif- ferenti in presenza di una stessa base, hanno condotto alla scoperta ed alla determinazione dei coefficienti di affinità. Più tardi l’ Ostwald applicava allo studio dello stesso fe- nomeno la determinazione del volume specifico delle so- luzioni, arrivando in massima alle medesime conclusio- ni, le quali tutte convengono nell'attribuire a ciascun acido un coefficiente di affinità proprio, il quale, mentre regola da un lato l’azione catalitica che gli acidi eserci- tano sia sul fenomeno della inversione dello zucchero, sia sopra quello della saponificazione dell’ acetato di metile e simili, dall'altro lato stabilisce, accanto ad altri fattori, la conducibilità elettrica di esso acido, e trova poi final- mente nella teoria della dissociazione elettrolitica di Arrhe- nius la sua ragione d’ essere, presentando la spiegazione dei fenomeni a cui gli acidi possono, come tali, dar luogo. La presente ricerca è un’applicazione del metodo fisico e più specialmente del metodo fotometrico allo studio della reazione caratteristica che ha luogo in soluzione acquosa fra i sali ferrici ed i sali dell’ acido solfocianico. Si trova scritto nei trattati (*) che la reazione tra il cloruro fer- rico ed il solfocianato potassico ha luogo in soluzione acquo- sa secondo la seguente equazione : Весі, + 3KONS == Fe(ONS), + 3IKCI , con formazione di una sostanza molto solubile ed inten- samente colorata in rosso, la quale allo stato solido cor- risponde alla formola (CNS);Fe, +3H,0 . Questo solfocia- nato ferrico non è, come si dice, completamente stabile (1) Pogg. 1869. (2) Vedi Gmelin-Kraut, 3, 345; H.E. Roscoé e Schorlemmer, 529; Graham-Otto, 4 Aufl. II 2, 1064. nds v" 48 (368) [4] in presenza dell’ acqua, giacchè per azione della medesima viene sempre parzialmente decomposto, con separazione di un sale basico insolubile ('). E senza dubbio a questa decomposizione che deve ascriversi il fenomeno, constatato dal Vierordt (°), dello scoloramento che subiscono le so- luzioni di questo sale per diluizione ; iquozienti delle con- centrazioni per i rispettivi coefficienti di estinzione, non si avvicinano ad un unico valore costante o rapporto di as- sorbimento, ma accennano a questa decomposizione. Mag- giore è la quantità di acqua che tiene disciolta una de- terminata quantità di solfocianato di ferro, maggiore è anche la quantità che di questo viene decomposta ; il fe- nomeno é quello stesso come se il sale subisse per effetto dell’ acqua una dissociazione idrolitica, uno sdoppiamento cioè nell’ acido solfocianico libero e nell’ ossido di ferro. Oltre a questo vi ha ancora un fatto il quale contribuisce ad influire sulla intensità del colore delle soluzioni di sol- focianato ferrico, e che era stato già osservato dal Glad- stone (ë) allorchè si accorse che per un determinato vo- lume di soluzione contenente e cloruro ferrico, e solfocia- nato potassico, giammai tutto il ferro era combinato al- l’ acido solfocianico e viceversa. Prese quantità eguali dei due sali; egli osservò che il colore della soluzione veniva sempre aumentato tanto se si aggiungeva una quantità ognora crescente del sale ferrico, come se si aggiunge- vano quantità sempre maggiori del sale potassico. Questo è quanto fino ad oggi è noto sull’ argomento, e non è poco, giacché tutto questo dà luogo facilmente al sospetto, che nella reazione sopra menzionata si abbia un caso di equilibrio chimico esprimibile colla equazione simbolica : (4) Vedi Beilstein, Handb. d. Org. Ch. I, 1011. (2) Die Anwendung des Spectralapparates zur Phot. der. Absorp. Tübingen, 1873, pag. 64. (3) Loco citato. | | | | 5] (369) FeCl, + ЗКОМ ЖУ Fe(ONS), + KC! e dove entri come condizione attiva l’acqua. Questa reazione ricorda per analogia in modo sor- prendente un altro caso di equilibrio chimico, che io ho fatto conoscere alcuni mesi or sono in una Memoria presentata alla R. Accademia dei Lincei (!), e che si sta- bilisce ogniqualvolta si mescolano soluzioni concentrate di acido borico e mannite. Ha luogo la formazione par- ziale di una sostanza acida, la quale è dissociata dall'ac- qua, precisamente come lo è il solfocianato ferrico. Dallo studio della conducibilità elettrica, proprietà fisica propria all’acido formatosi, ed in grado trascurabile propria al- l’ acido borico ed alla mannite io potei dedurre in quelle soluzioni l'esistenza dell’ equilibrio : C,H,40, + 3Bo(OH), yam Combinazione , dove entra come condizione attiva l’acqua, applicando così per la prima volta la conducibilità elettrica a questo genere di studi. È stata appunto questa analogia, che mi ha spinto allo studio della reazione fra il cloruro ferrico ed il solfocia- nato potassico in soluzione acquosa, nell’intento di confer- mare in una tale soluzione l'esistenza del solfocianato ferrico Fe(ONS), , ed approffittando di una proprietà fisica che questa sostanza possiede in alto grado, cioè il colore, portare cosi un nuovo contributo allo studio della mec- canica chimica. Due fatti mi spingono alla pubblicazione di questo la- voro che io giudico non ancora completo; prima di tutto il mio trasloco a Messina, il quale mi obbliga almeno mo- mentaneamente ad interrompere questa ricerca, e poi la (1) Vedi Rendiconti 1890. (370) [6] comparsa di un lavoro dei signori Gerhard Krüss ed Her- mann Moraht: Ueber die Reaction zwischen Ferri- salzen nd löslichen Rhodaniden, nel quale gli autori sono pervenuti a risultati sperimentali, ed a conclusioni, completamente differenti da quelle alle quali sono giun- to io. Questa ricerca è stata eseguita nel laboratorio chimico di questa R. Università in Bologna; mi è grato pertanto ringraziare pubblicamente il mio illustre maestro 1] EON Ciamician il quale mi ha concesso il luogo ed i mezzi necessari. Lo strumento da me adoperato nelle misure è lo spet- tro-fotometro di Hüfner (!) col mezzo del quale, corri- spondentemente ad ogni gruppo di raggi di determinata rifrangibilità, si riesce con sufficiente esattezza a misurare la quantità di luce, che in generale viene assorbita nel passaggio attraverso alle sostanze colorate. Questa quan- tità di luce assorbita dipende naturalmente dallo spessore dello strato assorbente, o, ció che Beer e ha dimostrato sssere la medesima cosa, dalla concentrazione della so- stanza colorante, senza per questo esservi proporzionale. Il rapporto però fra la quantità di luce che entra attra- verso lo strato assorbente e quella che ne esce, è indi- pendente dalla intensità I della sorgente luminosa, e poi- chè 1’ assorbimento è esercitato da ogni strato elementare dello spessore assorbente, il fenomeno di questo assorbi- mento sarà determinato dalla equazione differenziale : dI - : — RI dae dove œ rappresenta lo spessore (ovvero la concentrazione) dello strato, e — A è un coefficiente il quale è caratte- (1) Zeitschrift für Physik Ch. III, 562. (2) Pogg. 1852. na go cera [7] (871) ristico per ogni raggio di determinata lunghezza di onda e per ogni sostanza, della quale misura dunque il potere di assorbimento. L'integrazione di questa equazione con- ducé naturalmente ad una relazione logaritmica fra la fra- zione di luce non assorbita ed il cofficiente specifico /, il quale, se si passa nel calcolo ai logaritmi decimali, acqui- / sta un valore a == 0.4248 £ ed è misurato da « = log. Е / dove- è il rapporto fra la quantità di luce non assorbita da uno strato dello spessore di un centimetro, e la quan- tità di luce totale. Questo coefficiente di estinzione « è direttamente proporzionale alla quantità della sostanza co- lorata. / } : 1 Nello strumento dell’ Hüfner il valore di I e dato dal quadrato del coseno dell'angolo c, del quale è neces- sario fare ruotare il nicol oculare per avere eguale in- tensità luminosa nelle due parti, la superiore e la infe- riore, della fessura (!); il valore di х è dunque determi- nato direttamente col mezzo della relazione : a = — 2108 cos ọ . In riguardo al metodo sperimentale non ho nulla da fare osservare, essendomi io attenuto a quanto prescrive Г Hüfner nella sua Memoria, e credo di avere raggiunto in queste misure, le quali non sono delle più facili, una esattezza sufficiente. П parallelepipedo di Schulz è stato trovato dello spessore di cent. 1.001 e la temperatura delle soluzioni che si esperimentavano oscillava fra i 20°-25°. É questo certamente uno sbalzo considerevole, il quale può anche talvolta rendere le misure, in questo genere di ricerche, illusorie ; mi sono però convinto che, nei casi da me contemplati, una simile variazione nella temperatura (1) Vedi Hüfner, loco citato. (372) [8] non ha una influenza tanto funesta. La maggior parte delle misure sono state fatte nel campo rosso e taluna anche nella parte meno refrangibile del verde, servendomi, per stabi- lire ogni volta la posizione del campo osservato, della vite micrometrica del cannocchiale : i diaframmi opachi necessarii nell’ oculare, a delimitare il campo da osservarsi furono fissati una volta per sempre col mezzo delle viti, e la loro posizione non venne cambiata durante tutto il corso delle misure. Allo scopo di determinare, in lunghezze di onda, le posizioni dello spettro in cui le misure vennero eseguite, io ho osservato nello strumento le posizioni della riga rossa del litio di quella gialla del sodio e di quella verde del tallio ('), facendo coincidere ciascuna di queste righe coi termini dei due diaframmi, e notando in cia- scun caso le posizioni del cannocchiale sulla scala. Ven- nero così determinati i numeri seguenti, dei quali il pri- mo sì riferisce al termine del campo verso il violetto, il secondo a quello verso la parte rossa dello spettro, ed accanto ho segnato anche la lunghezza di onda delle righe rispettive : Posizione del Valori di А micromelro della riga Li 239 — 253 6705 (Thalèn) Na 300 — 380 5892 (Thalén) T 488 — 508 5349 (Thalèn) Le determinazioni fatte nel campo rosso furono ese- guite nella posizione 310 del cannocchiale, e quelle fatte nel campo verde nella posizio:e 400. La determina- zione delle lunghezze di onda corrispondenti a queste po- sizioni, mi è riuscita più facile perchè ho potuto servirmi (1) Nella fiamma della lampada Bunsen. n | | [9] (973) della dispersione che, circa un anno addietro (^), trovai per lo spettroscopio di Krüss, il quale mi servi per lo studio degli spettri di emissione della ammoniaca, e per quello di assorbimento del Cloruro di Nitrosile. Riporto qui la parte della tabella che determinai allora per la regione dello spettro — 6705 — 5349: Ele- |Posiz.del À Ele- |Posiz.del À mentoj mierom.!(Thalén)| mento | microm. (Thalén) Li 2049 6705 No (?) 2699 5892 H 9141 6569 Hg 2800 5788 Са 2229 6486 Hg 2823 5768 H 2417 6199 CO 3005 5608 Li 2497 6102 Ba 3096 5535 H 2572 6021 MN 3355 5349 Se si comparano le posizioni del micrometro in questa tabella, con quelle della precedente, si osserva che le dif- ferenze Li — Na, e Na — ТІ sono per le due scale rispet- | | | ӨШ дк Фоо gi ун tivamente proporzionali. Infatti si ha I 08 8 656 5 ок IP 05 4) Data dunque la differenza fra le posizioni di una data riga del sodio sul micrometro del fotometro, si può cal- colare, con esattezza sufficiente, la differenza corrispon- dente misurata sul micrometro dello spettroscopio, al quale sì riferisce la seconda tabella, moltiplicando quella diffe- renza per 5.118 nel caso che la riga cada nel campo ^ = 6705 — 5892, e moltiplicandola per 5.125 nel caso in cui cada nel campo ^ == 5892 — 5349. (1) Rendiconti della R. Ace. Lincei, 1889, pag. 910. (2) Media delle due righe. (374) [10] Per conseguenza alla posizione 310 del cannocchiale del fotometro corrisponderà, in base alla prima tabella, il сатро rosso compreso fra le posizioni 2449 — 2341 della scala del micrometro di Krüss, cioó in lunghezza di onda у. == 6164 — 6288, ed alla posizione 400 il campo verde compreso fra 2904 — 2801 cioè interpolando di nuovo i == 5694 — 5789. Poichè il maggior numero di determinazioni è stato fatto nel campo rosso, così tutti i valori di o ed х non segnati con asterisco si intenderanno relativi a questo campo, riservando 1’ asterisco per quelle pochissime fatte nel campo ) == 5694 — 5789. Cloruro ferrico e Solfocianato potassico. La reazione fra il cloruro ferrico ed il solfocianato po- tassico, rappresentata dalla equazione : FeCl, + 3KONS — Fe(0NS), + 8KC/ è un esempio di reazione tetramolecolare nel senso di Van't Hoff, e per conseguenza la sua velocità, troppo grande naturalmente per potere venire apprezzata, do- vrebbe essere stabilita dal noto sistema generale di equa- zioni (!) : dO, nomo dx dO, SX ЕТУ, —— pa TX k,0,0,0,0, н n pee kyC,0,0;0, У аб, аб, 3 " x agire k,0,0,0,0, И te үл LATE k,0,0,0,0, . dt dt Indipendentemente peró da qualsiasi considerazione re- lativa alla influenza del volume su questa velocità, si può (4) Etudes de Dynamique chimique. Amsterdam. Vedi pag. 27. M EL — ———— р MER (375) coll’ Ostwald (') ed in conformità alla legge di Guldberg e Waage, classificare quella reazione, fra le reazioni di secondo ordine ed esprimerne la velocità colla equazione differenziale : da - س‎ k(l A — 0(B — 0 p cmd vy v) dove A rappresenta il numero di molecole di FeC/; con- tenute nella unità di volume, e B la massa attiva del solfocianato potassico, cioè il numero di (KONS), che si trovano presenti e possono quindi reagire colla quantità A del sale ferrico; œ sta ad indicare rispettivamente la quantità di FeC/, e di (KCNS), trasformata dopo un certo tempo trascorso. La condizione di esistenza quindi dell’ equilibrio chimico : FeCl, + 3KONS Жә, Fe(CNS), + 3KO! , è data dalla equazione : h(p—E)g —€&) == KE , dove E indica in ogni caso la quantità, per equivalenti, di sostanza trasformata. Mi sono proposto di verificare questa equazione, eli- minando l'influenza decomponente dell'acqua sul solfo- cianato ferrico, collo studio di quelle soluzioni le quali contengono in eguali volumi, eguali quantità di Fe(CNS),. E chiaro che stabilito in tal modo il valore & costante, le quantità molecolari (p— €) e (и — €) di cloruro fer- rico e solfocianato potassico che nel sistema contemplato si equivalgono, dovranno stare fra loro come il numero di molecole di FeCl, e KONS che reagiscono nella for- mazione del solfocianato di ferro, cioè come 1:3. (1) Lehrbuch, 11, 627. rs 49 (376) [121 La soluzione fondamentale di FeCl, venne preparata sciogliendo 85 gr. di cloruro ferrico, sublimato in grosse masse cristalüne, in 500 c. c. di acqua e filirando da una piccola quantità di residuo insolubile. 10 c. c. di questa soluzione estratti con una pipetta graduata diedero al- l’analisi, precipitando con ammoniaca, gr. 0.8097 di Fe,0, calcinato, corrispondenti a gr. 164.5 di cloruro ferrico per litro. In un’altra prova vennero portati 10 c.c. della soluzione al volume di 50 c.c. con acqua, e da 10 c.c. della soluzione così diluita, si ottennero pre- cipitando con nitrato di argento gr. 0.8526 di Ag Cl, corrispondenti a gr. 160.9 di cloruro ferrico per litro nella soluzione fondamentale. Il peso di FeCl, è 162. 5. Questa soluzione fondamentale venne poi senz’ altro di- luita in un volume 10 volte maggiore in modo da avere soluzi n una soluzione то adoperata. La soluzione corrispondente di KCNS (') venne poi titolata col metodo di Volhard e portata ad un con- tenuto di 3(KONS) in 10 litri (*). Ogni soluzione di solfocianato ferrico da studiarsi venne stabilita, introducendo in un palloncino graduato un de- terminato numero di c.c. delle due soluzioni di cloruro n 3n 10 * 10 poi acqua sino ad avere un volume totale di 100 c.c. ; spesso vennero anche studiate soluzioni piü diluite. Nel seguente quadro si trova indicato ogni volta il numero dei cent. cubici delle due soluzioni di FeC/, e (KCNS), messi in reazione; i valori di V indicano in c. c. i volumi nei quali queste quantità dei due sali sono con- tenute, e sotto ф si trovano i valori dell'angolo di di FeC/,, la quale è stata direttamente ferrico solfocianato potassico ed aggiungendo (1) Puriss. cristall. di Kahlbaum. (2) 29, 4 gr. di sale anidro per litro. [13] (377) cui è stato girato il nicol oculare, espresso dalla me- dia dei due angoli misurati da un lato e dall’ altro del quadrante. La parte intera indica il valore dell’ angolo in gradi e la parte frazionaria i decimi del grado misurati col- l’aiuto del nonio. Finalmente sotto « si trovano i ri- spettivi coefficienti di estinzione calcolati in base alla espressione о — 2 log cos م‎ n a OSE ITER CR n (378) [14] 5F есі, P (А A40F eC; 9 0 + 5(K CNS); + 1(KCNS); V — 100 653 | 0.7958 V — 400 484 | 0.9507 V —4150 49.0 0.3662 Vasto) 40,0 0.2314 БЕСІ, ес + 4(KCNS), :S(KCNS),. V coU 59.8 m 0.5968 ү n 100 59.8 0.5958 Ves 100 44,3 0.2906 V2 ү! ЭД, 44.6 0.2950 5FeCl, 3FeCl; да (KCNS); 3i B(KCNS), V 100 54.4 0.4700 y: wes LO (A, 54,6 0.4149 Анета lin 39.7 0.2278 22400 40.5 0,2380 5FeCl; 2r eC Ж: + AK CNS); F S(ECNS), Lr 100 47,6 m 3424 Y c2 100 46.1 0.3482 | A0FeCl, FeCl, + 2(KCNS); A 10K CNS), Y z- 100 54.6 0.4742 hf mr n 54.9 0. 4658 90FeCl; 9r eCls + XK CNS); l- 2(KCNS), Жов 100 59 0, 5049 79 -40 0 60.6 0.0180 30F eC ls AFeCl, ф HKCNS), + 30(KCNS); -400. 48,9 ET )594 "s - 400 48,9 0; 3644: 60FeCl; 1FeCl, + 1(KCNS), 4-60 CNS); M eT 48,6 0; 35 599 - 100 52,8 0.4370 90F eC, ЕТТЕ БЕ KKCNS), l- 904 KCNS); Y 100 00.9 0,3874 ү. 100. 58.9 dÉ Т 459 ү 267180 41.5 ).2510 б жалчы бй, 41,1 0.9458 ——€ US] (379) Osservando attentamente i valori dei coefficienti œ dati in questo quadro, si osserva prima di tutto che il loro andamento è regolare. Preso un volume costante — 100 с. с.,з1 osserva che il coefficiente di estinzione cioè la quantità di solfocianato ferrico formatasi, è una fun- zione, abbastanza regolare, delle quantità di cloruro fer- rico e solfocianato potassico disciolte. Mano mano che aumenta per es. la quantità di FeCl, per una quantità fissa di (KONS), si ha costantemente un aumento del valore di a, e questo aumento, notevole da principio, va poi mano mano dileguandosi, tantoché nelle soluzioni per es. le quali contengono rispettivamente le quantità 30FeC/, + 1(KONS), e 90FeC/, + 1(KONS) ô la differenza fra i coefficienti a= 0. 3524 ed с — 0.3874 arriva solamente 0.035 per un aumento di 60 molecole di FeCl, , mentre che nelle soluzioni contenenti rispetti- vamente per es. 5FeOl, + 2(KCNS), e 10FeCl, + 2(KONS), si ha una differenza di 0. 1318 per un aumento di sole 5 molecole. Si osserva inoltre il fatto più importante che per le soluzioni le quali contengono rispettivamente le quantità : pFeCl, + q(KONS), e qFeOl, + p(KONS), in un medesimo volume di acqua, si hanno coefficienti di estinzione i quali si possono considerare eguali, cioè la quantità di solfocianato ferrico che si è formata è la stessa. Questo dimostra che in quelle soluzioni realmente esiste la combinazione Fe(CNS), e che la reazione fra i due sali sperimentati, a parte l’azione dell’acqua, può venire espres- sa dalla equazione simbolica ; cg (380) [16] FeCl, + 8KONS =» Fe(CNS), + 3K0! . La concordanza ora accennata, cessa però dall’ essere soddisfacente nei casi nei quali si prese un eccesso troppo considerevole dell’ uno ovvero dell'altro sale e precisamente comincia a cessare là dove le soluzioni le quali contengono un eccesso di cloruro ferrico subiscono, come venne accennato, aumenti assai piccoli, per ulteriori aggiunte di questo sale ; mentre che soluzioni corrispon- denti contenenti un eccesso di solfocianato potassico offrono corrispondentemente degli aumenti alquanto maggiori. Que- sta discordanza non inferma la conclusione ; si deve osser- vare che essa ha luogo là dove l’ eccesso di sale potassico ar- riva a 180 — 270 molecole, per ogni molecola di cloruro fer- rico. Ora non è affatto escluso, anzi è assai probabile, che oltre al fatto chimico più generale che ha luogo nella reazione fra i due sali, per la massima parte se- condo la solita eguaglianza FeCl, + 3KONS = Fe(ONS), + 3KC! , abbia luogo anche, per piccole quantità, qualche altro feno- meno chimico d’ordine secondario nel quale sia parte attiva per es. il solfocianato potassico ; in tal caso è chiaro che la presenza di un eccesso assai considerevole di questo sale deve portare per questo solo ad una diffe- renza, senza che sia necessario ricorrere a qualsiasi altra spiegazione. Contemporaneamente ho fatto anche una serie più numerosa di misure prendendo anzichè le quantità di Cloruro ferrico e solfocianato potassico che reciproca- mente si equivalgono, quantità, in proporzione, deficienti di questo sale, allo scopo anche di provare la sensibi- lità del metodo. Queste misure si trovano riunite nel quadro seguente: И 11 (881) 5FeCl; Фф а 20F eG, Ф « + 5(KCNS),., no AKC) CNS); Y — 100 640 | 0464 V — 100 60.7 | 0.6208 V — 450 46.9 | 0:3196 To NN [TER V — 200 85,8 | 0.1810 di (c ү — 300 49.6*| 03767*| + 20(KCN5);. we жк qu RE] tei itd HN PETRI РА IN V — 400 36.6*| 0.1908 Y — 100 639 | 0.712 5FeCl; 6FeCl3 T GKONS),. 7 + 5(KCNS),.; ү —100 67,2 0 82; 34 ү — 100. 2 67.0 | 0.8163 ү=150 49.5 ). 3749 V 2150 49.6 | 03770 V — 900 384 0,208 | V — 900 38.8 | 0.2164 БЕ есі, AF ПИР 2 + КОМ) л + 5(KCNS),., V—400 58.7 | 0.5696 | v — 100 "884 | 0.5701 VASTO) 45.0 0.3010 1 — 300 44.1*| 0.9876* —— — — — 400 39.2*| 0.1451* 5FeCI; ЗЕ есі, + (KCN3),.; ДЕ BCK CNS). " V — 400 50.8 | 0.3982 | | v --400 51.3 | 0.4076 V кеке 34.6 | 0.1691 ү — 150 359 | 0.1754 V — 200 54.9*| 0.4658* V — 900 54.9*| 0.4658* V — 300 39.4*| 0 2239+ V — 300 3&4*| 0.9117* VL 400 96.0*| 0.0927* V == 400 96.3*| 0.0948* БЕеСЇ, 9p mm + 9(KCNS),.; Lp. BKC NS). Д ү 22100 49,7 | 0.9077 — 400 4354 | 0.9774 V 2150 60.3*| 0.6109* ds -450 60.4. 0.7197 V — 200 49.0*| 0.3661* V — 900 46.7 | 0.3976 BFeCl, Т есі, jh 1(KCNS),. n +5 5 КСМ... V — 100 32.6 | 0.1599 V — 100 99.5 | 0.1906 Ў 62.5*| 0.0785* » 56, 0,5169* V — 450 46,9*| 0.3201* V — 450 39.3*| 0,2225* V — 900 38,6*| 0.29441*] | v — 200 26.3*| 0.0948* 20F 9FeCl, LA X (КОМ), 5 sl 20(KONS)g.7 Y — 100 56.2 | 0.5094 V == 400 “з (882) [18] L’ osservazione attenta di queste misure ci fa vedere prima di tutto che i valori dei coefficienti di estinzione delle soluzioni pFeOL, + q(IKONS),., sono costantemente inferiori a quelli delle soluzioni corrispondenti pFeOL, + q(KONS),. Questo era da prevedersi inquantoché es- sendo inferiori le quantità di solfocianato potassico conte- nute in quelle soluzioni, inferiori devono pure essere le quantità di solfocianato ferrico formato. La differenza però non è così manifesta se sì compa- rano le soluzioni corrispondenti : pFe0l, + q(KONS),, е 101, + (КОМ), Le prime di queste soluzioni, dove la differenza tra i valori di p g non è molto grande, offrono coefficienti di estinzione molto vicini. Dal solo esame di quelle soluzioni sarebbe dunque difficile il decidersi in favore del rappor- to molecolare, pel solfocianato ferrico, 1:8, ovvero per quello 1:2.7, giacchè il metodo non è ancora sufficiente- mente sensibile. La cosa è però differente quando si pren- dono quantità maggiori dell’ uno, o rispettivamente del- l’altro sale. Per le soluzioni : 5Fe0/, + l(KONS),, e 1FeCl, + 5(KONS),., si ha già una assoluta divergenza. Si vede dunque come il metodo si presta ad una determinazione sufficientemente esatta, purché si comparino, come era anche da prevedersi, soluzioni corrispondenti piuttosto diverse tra loro. Ho riportato le misure del quadro precedente anche per illustrare meglio il fatto della dissociazione del solfo- cianato ferrico per azione dell' acqua. Comparando per es. i coefficienti di estinzione della soluzione 5FeC/, + 5(KCNS),., coi rispettivi volumi V, si ottengono i seguenti valori per i prodotti a V: [19] (388) V o. V V | CIA V o. V 100 11.64 200 36.38 400 76.32* 150 47.94 9007 18.0207 — — Questi prodotti, ж. V anzichè essere costanti, accen- nano, col loro rapido diminuire, al modo notevole nel quale il solfocianato ferrico viene decomposto. Allume ferrico e solfocianato potassico. Dopo di avere studiato il comportamento del cloruro ferrico col solfocianato potassico in soluzione acquosa mi ha interessato lo studio del comportamento di un altro sale ferrico, facile ad aversi allo stato puro, cioè del sol- fato doppio ferri-ammonico. Il sale venne cristallizzato dall’ acqua, ed alcuni dei cristalli, scelti, mi diedero all’ analisi il seguente risul- tato : gr. 1.6519 di sale dettero gr. 0.2748 di Fe,0, da cui si colcola in 100 parti : trovato calcolato per (№Н,)90 4A-F e9(8O ,)5-]-24H 9 O Fe 11.64 11.62 La soluzione fondamentale, adoperata, conteneva la mezza molecola (!) in un volume di 10 litri, cioè un atomo di ferro, corrispondentemente alla soluzione (IKONS), = 10/. Ecco le misure fatte: ә (1) In grammimolecole. DIL s vu 50 (384) [20] 5(1/, Allume) Ф х 4(1/, Allume) Ф 2 + 4KCNS); V zz 100 40.1 0.9876 10(!/yAllume) 4(!/gAllume) -- КСМ), + YO(KCNS); Vixce00 48,9 0.3644 Nasa 040) 58.8 0.5713 5(1 A, Allume) + S(KCNS); M 100 46.0 0.3164 Come si vede nel caso dell'allume ferrico soluzioni corrispondenti : pNH, ‘Fe(S0,), + (КСМ), e qNH,* Fe(S0,), +p(KONS), hanno coefficienti di estinzione completamente diversi. Non ho tardato a convincermi che, una delle ragioni principali di questa discrepanza consiste nella influenza perturbatri- ce del solfato ammonico. Si sa infatti che i sali doppi, propriamente detti (!), a differenza dei sali complessi si trovano nelle loro soluzioni acquose in uno stato maggiore o minore di dissociazione nei due sali semplici (*); si sa anzi di più che, per es., per il solfato doppio di rame ed ammonio, per l'allume ordinario, ed altri, questa decom- posizione, è, nelle soluzioni diluite, completa (*), e con ogni probabilità è anche completa per l'allume di ferro nelle soluzioni da me sperimentate. Ora per far vedere come l'influenza del solfato ammonico possa condurre alla (1) Vedi Ostwald Zeit. f. Phy. Ch. III, 596. (2) Graham, Marignac, N. Van de Wal, Rüdorff Walden ed altri. (3) Vedi WI. Kistiakowsky, Zeit für. Phy Gh. VI, 103. 21 (385) accennata discrepanza, ho ripetuto alcune delle misure fatte col cloruro ferrico, aggiungendo peró alle soluzioni, quantità di solfato ammonico corrispondenti alle quantità di ferro impiegate : BFeCls ae 2FeCl, | À -H (КСМ), ^ Я + 5(K CNS); ? ^ +5(!/y NH 280.) +2(!/,(NH)®S0,) V — 100 40.0 | 0,9439 V — 100 43.5 | 0.2788 5FeCI, + 5(KCNS); +5(1/,(NH )*S0,) йе О 59,5 0.5891 Confrontando i coefficienti di estinzione di queste so- luzioni con quelli delle corrispondenti senza aggiunta di solfato ammonico, (t) si osserva che Il influenza di questo sale si esercita nel senso di diminuire il valore assoluto di questi coefficienti, in una misura la quale dipende na- turalmente dalla sua quantità. Non sembra però che questa sia l’unica ragione della discrepanza osservata, la quale probabilmente sarà deter- minata anche da altri fattori, fra i quali il grado differente di dissociazione elettrolitica e sopratutto il numero diffe- rente degli joni contenuti nelle molecole dei solfati. Risultati di Kriss e Moraht. Nel lavoro già da me citato i signori G. Kriiss ed Н. Moraht (^) hanno studiato, collo spettroscopio a dop- | Į pia fessura (°), i coefficienti di assorbimento delle so- (1) Vedi pag. 14. (2) Liebig's Annalen, 260, 193 (3) Metodo di Vierordt. (386) [22] luzioni dei sali ferrici in presenza dei solfocianati solubili e sono arrivati alla conclusione che, per es. la reazione fra il cloruro ferrico ed il solfocianato potassico non debba esprimersi colla ordinaria equazione : FeCl, + ЗКОМ = Fe(ONS); + 8КС/ ma invece si compia nel modo espresso dell’ altra FeCl, + 12KONS — Fe(ONS), : 9KONS + 3KC/ , con formazione, se non si adoperi un difetto troppo con- siderevole di sale potassico, del sale doppio, che essi han- no potuto ottenere per evaporazione della soluzione allo stato solido, e le analisi del quale conducono alla formola Fe(ONS), . qKCNS + 4H,0. Questo sale si presenta sotto forma di prismi, i quali sono insolubili nell’ etere assolu- tamente anidro, ma che però trattati con etere umido si de- compongono nel solfocianato alcalino che rimane indisciol- to e nel solfocianato ferrico, che passa nell’ etere comple- tamente. Per dimostrare poi nelle soluzioni di FeO/, e KONS l'esistenza di un tale sale doppio essi hanno stu- diato, collo spettroscopio i coefficienti di estinzione di una serie di soluzioni, le quali in uno stesso volume di acqua contenevano quantità sempre crescenti di solfocianato po- tassico ed una costante quantità di cloruro ferrico. Essi hanno trovato che si raggiunge sempre un mas- simo di assorbimento, quando nelle soluzioni si sono ag- giunte esattamente 12 molecole di solfocianato potassico per ogni molecola di cloruro ferrico. Riporto per esem- pio, aleune delle misure fatte dai signori Krüss e Moraht : [23] (387) Quantita di soluzioni e acqua €. €. di soluz. di Кеб!» (0) (deo 1 molec.) Imm c, C, di solüuz, di KCNS оо, Z8 molec.)| с.о. di acqua Quantità di luce non assorbita 0,50 0.945 0.13 0.10 0.088 0.085 0.085 0.085 Coefficienti di estin- zione (**) 0.30103 0.61084 0.88600 1.00000 1.05552 1.07059 1.07059 1.07059 *) fc. с. conteneva! gr. © 0.00801 Fe. C) Osservati nella regione dello spettro X — 5802 — 5837. Gli autori conchiudono poi la loro ricerca colle seguenti parole : « Aus dem Erwühnten ergiebt sich also, dass beim » Verseizen Von Ferrisalzen mit überschüssigem Rhodan- » kalium stets das doppelsalz mit neun Molekülen Kalium- > rhodanid gebildet wird. Versetzi man einen Ueberschuss > von Ferrisalz mit nur wenig Rhodankalium, so ist es > vielleicht möglich, dass freies Ferrirhodanid in der Lósung » enthalten ist; wahrscheinlich ist dieses jedoch nicht, da > die Doppelverbindungen des Rhodaneisens mit Alkali- » rhodaniden bestündiger sind, als dieses selbst. Hütte » sich dennoch Ferrirhodanid gebildet, und es wird weiter » rhodaniden im Ueberschuss zu der Lüsung gefügt, » so entsteht jedenfalls das Doppelrhodanid mit neun Mo- Y lekülen Rhodankalium. Dass das freie rerrirhodanid ne- » ben Schwefelcyankalium nicht zu bestehen vermag, ist (388) 24) » besonders deutlich durch folgenden Versuch zu veran- » schaulichen. Verdünnt man eine Lósung von Eisenrho- » danid, die bei der Leichtigkeit der Darstellung von Rlio- » danwasserstoffsü&ure unschwer zu gewinnen ist, in einem » Becherglase mit destillirtem Wasser so weit, dass nur » noch eine schwach hellgelbe Färbung der Flüssigkeit » sichtbar ist, und setzt dann eine concentrirte Rhodanalkali- > lösung hinzu, so tritt sofort die dunkelkirschrothe Färbung » des Doppelrhodanides von der Formel Fe(CNS), . 9RONS » +4H,0 auf. » Ora se si comparano i risultati ottenuti da Krüss e Moraht con quelli ottenuti da me, e che si trovano com- presi nel quadro a pag. 14 di questa Memoria, si vede che essi sono completamente differenti. Per le seguenti soluzioni per es. 2FeOl, + 5(KONS), , 2Fe07, + 10(KONS) е 2FeCl, + 20(KCNS) E 2 3 i coefficienti di estinzione offrono un aumento continuo, come dimostrano le cifre seguenti che mi piace di ripor- tare : 0.8182, 0.4658, e 0.6180; e questo aumento lo si ha malgrado che per una mole- cola di FeC/, si abbiano in soluzione rispettivamente 7.5, 15, e 30 molecole di solfocianato potassico. Tuttavia 10 non sono rimasto pago di queste cifre, ma ho fatto una nuova serie di misure, aumentando successiva- mente le quantità di KONS come hanno fatto Krüss e Moraht, ed operando in soluzioni le quali contenevano la medesima quantità di ferro, per uno stesso volume, di quelle esperimentate dai suaccennati autori; fra parentesi accanto a V, ho segnato per ciascuna soluzione, il rap- porto di (KONS), : ЕеС/, : 3 [25] (389) 2.98F eC, 9 a 2.08F e Cl; о a WB 5.36(KGNS), 16.08 K CNS); (4.8) V — 100 | 55.3 | 0.4890 f (5.4) V —9200 | 433 | 0.2758 Vot:900 98.8 0.1146 Үү 2800 55.0* | 0,4828* 2.98F eC, 2 9.98F еси, 110.79(КСМ8), 4-13.40(КСМ8), (910) V Т) C5.3 0.7574 | (4.5) V — 100 66 0 T 8022 M 7000 38.5 0.2199 VEZIIZUO 421 0.2599 51,1*| 0.4300* V zz 300 58.5 | 0.45129 2.98FeCl, 2.98FeCI, + 26.8(KCNS), 453.00 CNS); qu) V 100 71.8 1.0108 (18) = am - 100 TOU 1.2636 Mss 400 49,2 0.3696 V — 200 565 0.5101 М 200 62.9*| 0.6830* - — Una analoga serie di misure è stata fatta pure con so- luzioni di allume ferriammonico, al quale gli autori at- tribuiscono un comportamento simile a quello del cloruro ferrico. Anche queste misure come quelle del quadro pre- cedente sono completamente in disaccordo coi risultati di Kriss e Moraht; i valori di x aumentano continuamente se per ogni molecola di Allume ferrico si prendono ri- Spettivamente 9, 12, 15, ovvero 21 molecole di KONS: 2 60! /, Allume + 7.8 (КСМ), (8) V — 100 2.0017, Allume + 10A(KCNS), "à i) Y-400 0.4 350. 2.60 !/, Allume I- 13 0(KCNS); (5) v=100 Di 60 PA Ella -+-18.2XKC NS» (7) V=100 57. o 0.5396 62.6 0.6742 (390) [26] Mi riesce invero difficile la spiegazione di questa com- pleta diserepanza fra i risultati dei signori Krüss e Mo- raht, ed i miei; probabilmente vi ha contribuito, in certa parte, il principio di misura fotometrica del Vierordt, da essi adoperato, ed il qual principio è imperfetto, per- ché non egualmente rigoroso come quello della pola- rizzazione che serve di base allo strumento dell'Hüfner; per una parte poi ancora maggiore puó avervi contri- buito il fatto che quegli autori hanno limitato le loro misure ad un campo dello spettro, à = 5892 — 5837, dove per le soluzioni contenenti maggiori quantità di solfocianato l’ assorbimento è assai considerevole (t). Gli autori stessi avevano quasi preveduto questo inconvenien- te quando scrissero in una nota a piè di pagina (*) della loro Memoria : « Allerdings ist zu bemerken, dass sich die letztere » Schlussfolgerung gerade auf jene Messungen stützt, » welche die geringsten tübrigbleibenden Lichtstürken » ergeben. » Io sono convinto che se essi rifarranno le loro misu- re in un campo rosso dello spettro dove l'assorbimento sia inferiore, ovvero anche nel medesimo campo, ma ado- perando invece soluzioni più diluite arriveranno ai miei risultati. Indipendentemente da questa discrepanza nei risul- tati sperimentali, devo però far osservare che io non posso associarmi alle conclusioni teoriche ed alle con- siderazioni che gli autori fanno, e che ho già riportato integralmente. In generale quello che si puó separare da una soluzione non rappresenta sempre ciò che vi era disciolto ; anzi forse il più delle volte è vero perfetta- mente l'opposto. Il sale Fe(CNS),. 0KCNS+4H,0 che i signori Krüss e Moraht hanno ottenuto allo stato so- (4) Vedi il quadro riportato a pag. 23 di questa Memoria. (2) Pag. 204. [27] (391) lido, non dimostra dunque, che questo sale esisteva nelle soluzioni dalle quali venne separato. Del resto nessuno vorrà attribuire a questo sale le proprietà di un sale complesso, giacchè gli stessi autori hanno riconosciuto che esso sale viene completamente decomposto anche da una quantità piccola di acqua, come quella che può essere contenuta nell’ etere non secco. Questo sale doppio non solo dunque non può esistere nelle soluzioni acquose di clo- ruro ferrico e solfocianato potassico, come i signori Krüss e Moraht affermano, ma non esiste diffatto nemmeno nelle soluzioni proprie. L'esperienza poi che gli autori citano per dimostra- re che il solfocianato ferrico non puó esistere in so- luzione accanto a quello potassico, dimostra invece per- fettamente l'opposto, quando prese soluzioni del sale dop- pio, e diluite con acqua fino a quasi scoloramento, si trova poi che una ulteriore aggiunta del solfocianato potassico fa ricomparire la tinta rossa. È ben naturale che lo stesso fenomeno abbia luogo se si adoperano soluzioni di ossido di ferro nell’ acido solfocianico, tantopiù inquantoché es- sendo questo acido, e con ogni probabilità anche il suo sale di potassio, in soluzioni diluite in gran parte disso- ciato negli joni, l’ aggiunta di KONS equivale ad aumen- tare la massa attiva del jone CNS, che più direttamente prende parte alla reazione. Cloruro ferrico ed acido solfocianico. In relazione ai miei risultati sulla reazione che ha luo- £0, in soluzione acquosa, fra il cloruro ferrico ed il solfo- cianato potassico, ho studiato anche, collo stesso me- todo, il comportamento dell’ acido solfocianico; ed ho sta- bilito prima di tutto una analoga serie di misure le qua- li si trovano riunite nel seguente quadro. In questo si trovano notati, per ciascun caso, il numero dei centi- 1 ll SE UL 51 м hi (392) [28] . 39 NV ‚ n metri cubici di soluzione 10 venne preparata decomponendo il solfocianato di piombo coll'acido solfidrico ; titolando poi col metodo di Volhard venne portata al contenuto di HONS (') in 10 litri. di acido solfocianico, la quale 15HCNS Ф a 15H CNS Ф o, + 5FeCl; -H 5FeCl; V=100 69.7 0.9196 C200 4T8 0.3456 V EM T0U 58.1 0.5540 34,7 0.1712 19HCNS 15HCNS - bFeCL, + 4FeCl; V="100 66.5 0.7986 V — 100 67.4 0.8198 V 22100 54.3 0.4678 Na 190 54.6 0.5186 ү 26200 48.8 0.2832 à hyrna N 43. 0.2832 9HCNS 15HCNS + 5FeCl; -+ 3FeCl, V 22100 60.6 0.6180 V —100 61.5 0.6498 NV TOU 40.7 0.3276 Е 190 498.7 0.3610 Mc 00 35,9 0.1830 54200, 38.1 0.2082 6HCNS 15HCNS + FeCl; -H FeCl; MV 100 54.8 0.4174 100 56.3 0.5116 Vo 190 37.0 0.1960 Nec) 42.7 0.9676 4HCNS 30HCNS -H A0FeCI; + 1.33F eCl; МЕ 100 49.0 0.3662 "100 55;8 0.5004 6HCNS 30HCNS + 10FeCL, -+ FeCl; V M 100 58.8 0.5590 Mss LUO 64.5 0.7320 (1) Grammi-molecole. 4 [29] (393) Dall’ esame dei coefficienti di estinzione riportati in questo quadro, si vede come, in apparente contraddizione colla eguaglianza FeCl, + 3HONS =— Fe(ONS), + 3HO! , in generale le quantità FeCl, ed (HONS), non si equi- valgono reciprocamente. Infatti osservando i coefficienti di estinzione delle soluzioni corrispondenti pFeCl, + ((HONS), e qFeCl, + p(HONS), si trova che i valori di « sono notevolmente diversi; so- no dunque anche diverse le quantità di solfocianato fer- rico che si formano. Cercando di dare ragione di questo fatto, in apparente contraddizione alla legge di Guldberg e Waage, sarà bene anzitutto esaminare in quali casi l'anda- mento dei fenomeni chimici presenta una eccezione a quella leggo. E stato dimostrato dal Van't Hoff (t), come anche indipendentemente da qualsiasi altra azione secondaria o disturbatrice, debbono, in certi casi, presentare eccezioni alla legge di Guldberg e Waage quelle reazioni le quali avven- gono in soluzione fra elettroliti. La ragione di questo com- portamento è quella stessa la quale porta in generale a delle eccezioni per tutte le proprietà molecolari di queste sostanze, e sulle quali eccezioni si basa la felicissima teo- ria di Arrhenius della dissociazione elettrolitica. Dato un sistema in equilibrio di corpi in soluzione (?), espresso in generale dal simbolo : / r / »— / / H HH a, M/4- ау Myr tt )س‎ 4, М0, M, * prim vy dove « indica il numero delle molecole ed M la formola (4) Zeitschr. für Physikal. Chem. 1, 484, (2) Le medesime considerazioni valgono naturalmente anche se Si tratta dello stato gazoso. (394) [30] chimica ; indicando con C,....e соп C,.... rispetti- vamente le concentrazioni, cioè anche le pressioni osmo- tiche, dei differenti corpi, 1’ equilibrio del sistema sarà re- golato in generale dalla equazione Sla, log О, — a, log ©) = cost. la quale non è altro che una forma logaritmica della leg- ge di Guldberg e Waage. Per il caso degli elettroliti, ed, in generale, se le sin- gole pressioni osmotiche dei corpi assumono valori č volte maggiori dei valori corrispondenti ai pesi molecolari, la equazione di Guldberg e Waage diventa : log ©, — а, log C) = cost.‏ ا La verificazione sperimentale di questa eguaglianza implica innanzi tutto, nel caso del sale ferrico ed acido solfocianico, la conoscenza dei valori ¿ relativi ai quat- tro corpi che fanno parte del sistema. Ora questi va- lori tanto per il cloruro, quanto per il solfocianato di fer- ro non sono conosciuti. Il cloruro, ferrico è, nelle sue so- luzioni acquose, in parte cospicua, dissociato in acido clo- ridrico ed in ossido di ferro allo stato cosidetto colloidale, come lo dimostrano l'azione che questo sale esercita sulla velocità di inversione dello zucchero, e le ricerche di G. Wiedemann (') sul potere magnetico di quelle soluzioni, lo studio della conducibilità elettrica delle quali non por- ta per conseguenza a nessuna conclusione sul valore di 7. Per il solfocianato ferrico non esistono, per quanto mi consta, ricerche sperimentali, ma è da prevedersi che le conclusioni di tali ricerche sarebbero altrettanto infrut- tuose. Non per questo però io ho voluto distogliermi dalle osservazioni, e, considerando che l’acido solfocianico ed il (1) Vedi Ostwald, Lehrbuch der allg. Chemie. нме "eugy9gI9ne | ii 15 DN TI [31] (395) cloridrico sono, nelle soluzioni molto diluite, dissociati per la maggior parte e quasi nell'egual grado, ho tentato di vedere se mi riusciva di trovare sperimentalmente un va- lore di 7, fattore comune degli altri, tale da permettermi per il fenomeno FeCl, + 3HCNS 4 M Fe(ONS), +3HC! , indipendentemente dalla influenza decomponente dall’ ac- qua, una espressione matematica. A questo scopo ho fatto le seguenti misure : ж (396) 49(HCNS),.9 4 5FeCl, VES TUU үлөр Moses vU 9(HCNS)o.s -- 5FeCL, Nez UU V nes 100 vues 200 6(HCN “0.9 -H FeCl, 6(HCNS)).9 + A0FeCL; М 000 6(HONS)).£ -F 10F eC, 6(HCNS),., -F 10FeCl, y. 22100 ((HCN3)., - + 40F^CL; VS 100 б(НСМ5) | + 10FeCl3 Nizza TUO 6(HCNS),., -F 10Fedl, V 2100 0.7070 0.3204 0.2178 0.5540 0.2890 0.1712 0.3768 0.1878 0.4894 0.6969 0.6949 0.7612 0.8162 15(HCNS)).9 + Pell Vx 190 ү 200 A5(HCNS)).9 -- 3FeCl; Vases LU V zz 100 VO UU 15(HCNS)o.9 + 2FeCl, Vc 100 Vos 050 30(HCNS 10.9 -H 2FeCl, УЛО) 30(HCNS),., + FeCl; Vos 100 30(H CNS),.o + 2FeCls V—4100. Vo TUU 30(HCNS),., + Весі, Via LUO x 0,7448 0.3968 0.2302 0.5390 0.3196 0.1930 0.3986 0.2082 0.6949 0.6568 0.7344 0.7746 0.7882 0.8270 EE ig | [881 (397) | IN 3(HCNS),., " a 6((HCNS).4 | е a | -H 20FeCl, -- 1FeCi; | — — ———é. س‎ — — decine —— À mg — | т | аы | LN V — 1400 53.7 | 0.4554 V — 1400 58.3 | 05590 | | Sv ылы) Li ting pts oat dtd Жид оле ci pit ж n 3(HCNS),.. 60(HCN3),.. у + 90FeCl ++ 1FeCl; t ۷ — 100 54,8 | 0.4786 58,7 | 0.5688 | B(HCNS), A5(HICNS), | + 5ЕЁеб, — +-4FeC, 1 dye e CNS NS о 523 | 04272] v— 400 52.5 | 04312 | 19(HCNS), 15(HCNS), 4 + 5FeCl; -H 4FeCty | i i - IBHCNS ; سے‎ O ^ с М V= 200 574 | 05372 |. ЭР ебі, 100 503 | 05116 | V = 300 44.5 | 0.9936 15HCNS H FeCl, —150| 49.7 | 0.9676 6 HCNS), Б 5 (HONS), | + FeCl, -H 2FeCL, —49HONS | un ptos EN VH at | {+ 5FeCi, =100| 995 | 0.7986 | Larect,—100| 645 | 0.7320 | —- — —— e | —Ü — —— — —— — | ست‎ E 9(HONS), 1h5(HCNS), -- SFeCi, + ЗЕесі, | V — 200 52,0 | 0.4332 ү —3900- 594 | 0.4232 3(HCNS), 30(HCNS), 1 +10FeCl; + 1FeCl; | V —400 58.6 | 0,5664 V —400 56.6 | 0.5186 1 19(HCNS),., AS(HCNS).. ^ | + 5FeCil, + 4FeCt; | V = 900 563 | 05116 V — 900 56.0 | 0.5048 | Esaminando attentamente le misure date in questo qua- dro si vede come le quantità FeCl, e АНОМ), che E di i 14 | | | | | à | | (398) [34] reciprocamente dovrebbero sostituirsi, (‘) non sono sod- disfatte per valori di < compresi fra 0.9 — 1.5; infatti se si osservano i valori dei coefficienti di estinzione delle so- luzioni corrispondenti, si vede subito che i primi valori di a della colonna a destra, sono maggiori di quelli della co- ү | lonna a sinistra, indicando un assorbimento maggiore рег a quelle soluzioni che contengono l'eccesso di acido solfo- cianico. Le differenze diminuiscono poi mano mano che | aumentano i valori di ¿ assunti, e corrispondentemente al valore 7 — 2 hanno già cambiato di segno. Si puó per- tanto ritenere che un valore di 7, dato che esista, deve essere compreso fra 1.5 — 2 ed osservando l'andamento delle differenze fra gli > di destra e quelli di sinistra si acquista la convinzione che approssimativamente un tal valore possa ritenersi eguale a 1.8. Infatti se si osserva il quadro si ha, entro il limite | degli errori, identità di assorbimento per le soluzioni T 19(HONS),., + 5FeC/, e 30(HONS),., + 2FeC/, , le quali [ non sono poi altro che le corrispondenti 6(HONS),., + 5FeCl, e 15(HONS),., + 2FeO/, . Dalla serie seguente di valori 4 determinata per le soluzioni : in 400-0, e. 9 60(HCNS),., + 1FeOl, 58°.6 3 60(HCNS),., + 1FeOl, 58.3 E. 30(HONS), + 1Ее0/, 56 .6 si può, per interpolazione, calcolare che per una soluzio- ne 30(HONS),., + 1FeC7;, e рег V — 100, il valore di Ф non può, in ogni caso, essere superiore a 56°.0; ora la soluzione corrispondente 3(HONS),., + 10FeCI, non è altro che l'altra 6(HONS),., + 10FeC/, per la quale, corrispon- (1) Anche nella applicazione della legge di Guldberg e Waage a questo fenomeno mi sono attenuto allo stesso concetto della mas- sa attiva. [35] (399) dentemente ad un volume V — 100, si è trovato — 55°.3. Così pure dalla medesima serie di determinazioni si può calcolare il valore di ọ per una soluzione 45(HONS),.; + 1Fe07, e si ha ф — 58".1. Per la soluzione corrispon- dente 3(HONS),., + 15FeO/, una determinazione diretta mi ha dato y= 57°.8. Indicando dunque con Cry; e con Cmoxsy; le concen- trazioni rispettivamente, molecolari e trimolecolari del cloruro ferrico e dell’ acido solfocianico nel sistema con- templato, si può ritenere che la formazione, da queste so- stanze, di una quantità determinata e costante di solfocia- nato ferrico, in soluzione in una determinata quantità di acqua, sia con una certa approssimazione rappresentabile dalla equazione: C reci >< 1.80 (исм); i CONT, il che è quanto dire: « Se la massa attiva del cloruro ferrico si pone eguale ad uno, quello dell’ acido solfocia- nico è eguale a circa 5.4 ». Sulla interpretazione di questo fatto non credo di po- tere per ora trarre delle conclusioni. Non mi sembra che il coefficiente 1.8 possa esprimero uu valore possibile del coefficiente è nel senso di Vant’ Hoff, tanto più che per la reazione fra il solfocianato potassico ed il cloruro ferrico io sono giunto a risultati normali (t). Io ritengo invece che in buona parte questa deviazione dalla legge di Guldberg e Waage sia da attribuirsi allo stato anormale nel quale si trovano le soluzioni acquose dei sali ferrici, i quali sono dissociati idroliticamente nell’ acido e nell’ os- sido. Non è dunque improbabile che l'azione di un acido (1) Non è detto che una serie più numerosa di misure non possa stabilire, anche in questo caso, un valore di i più appros- Simato del mio; questo valore deve però essere in ogni caso assai vicino all’ unità. ТОП, 8, VO jin (400) [36] energico, come il solfocianico, possa essere attiva anche nella reazione più complessa, e dare luogo così alla osser- vata anomalia. Alla dimostrazione però di tutto questo, occorrono quelle ricerche ulteriori che, il mio trasloco, non mi permette momentaneamente di continuare. Lo studio della reazione fra l’ acido solfocianico ed il solfato doppio ferriammonico, mi ha condotto naturalmen- te a dei risultati ancora più complessi. Credo inutile di riportare qui le misure relative; mi limito solamente ad accennare, che anche per l’ acido solfocianico, come era da attendersi, il solfato di ammoniaca ha una influenza perturbatrice, come si rileva per es. dalle seguenti mi- sure: 19(HCNS)o. 9 15(H CNS)o. ‘9 + Fel; Ф a + FeCl, Ф a - SCA QUE, калт, 504) 0а) V 5, 100 60:9 0.6202 V == 100 017 0.6489 9(H CNS),.9 IB(ICNS) .9 AA -H 3FeCl, SCA s ЗИМН), 01) 50, UN 53.9. 0.4472 Noa DUO 58.0 0. 5516 6( HONS). :9 15(H CNS), 9 abo SFeCl, -H 2FeCl, ЗИМН) a 2t (МН) $04) 50.) V —100 43. 9 0.9846 im М - 100 50.8 0.3986 15(HCN3)o. +9 15(HCNS s. +9 - FeCl; + FeCl, uv Gil b LE Sgh: 4 V.z2400 43.0 0.2804 1400 ET dii 0, м: "" [37] (401) Ho fatto anche alcune osservazioni sul comportamento delle soluzioni di ossido ferrico nell' acido solfocianico, con eccesso maggiore o minore di questo acido. La solu- zione fondamentale fu ottenuta sciogliendo dell’ ossido di ferro, calcinato e polverizzato, nell’ acido solfocianico de- cimo-normale ; essa conteneva gr. 0.0414 di Fe,0, per un volume di 100 e. `c.. Diluendo questa soluzione, V — 100, con acqua, si ebbero i seguenti risultati : V p а V 9 « 450 | 749 | 14084 | зоо | 578 | 0.5408 200 | 687 | 0.8796 | 400 | 478 | 0.3456 250 62.5 0.6712 : — — Diluendo invece la soluzione medesima con acido solfo- cianico decimo-normale si ebbero risultati differenti : 450 | 75.7 | 1.2446 | зоо | 645 | 07320 200 | 72.3 | 1.0349 | 400 | 584 | 0.5540 250 68.6 0.8758 600 49.7 0.5786 Se si comparano i valori di х delle soluzioni corrispon- denti nelle due tabelle, si osserva prima di tutto che le soluzioni le quali vennero diluite con acido solfocianico, contengono costantemente quantità notevolmente supe- riori di solfocianato ferrico. Facendo inoltre i prodotti dei valori di « della prima | І (402) [38] tabella per i corrispondenti valori di V, si ottiene una serie i cui termini accennano ad una diminuzione coll’au- mentare del volume: 150 175.3 250 167.8 400 138.2 200 175,9 300 164.0 — id Questo risultato, il quale si ottiene dunque in presen- za di un eccesso considerevole di acido solfocianico, di- mostra vieppiü quale sia / azione decomponente del- l' acqua. In secondo luogo, se si fanno i prodotti dei coefficienti di estinzione della seconda tabella per i volumi rispetti- vi, si trova che i valori di a V, invece di diminuire, ac- cennano ad un aumento costante coll'aumentare della n 10 di acido solfocianico aggiunta : quantità della soluzione V A V o. V у СА 150 192,9 250 218,9 400 291.6 200 206.8 300 219.6 600 221.2 Questo secondo risultato dimostra quale sia l'azione attiva dell’ acido solfocianico. In entrambi poii due casi, l'andamento dei valori «.V serve ad illustrare maggiormente i risultati contenuti in questa Memoria. \ \ UN PIANTO DELLA VERGINE IN DECIMA RIMA PER CURA DEL 8. с. GUIDO MAZZONI. Un antico verseggiatore di laudi latine, nel vantare gli strumenti della passione di Cristo e le ferite onde fu la redenzione del genere umano, giunto a dire di Maria a piè della croce, le si volgeva cosi : O Maria, plasma nati, cum vidisti natum pati quis te dolor tenuit ? non,est hoc humanitati scire datum nequi vati, nullus homo potuit. (4). Ma la fede induce ed eleva a meditazioni dove tutto il dramma rivive ; la pietà vede e sente ; l’ arte vuole ad ogni modo rappresentare. Da san Bernardo a Torquato Tasso, e più giù, è una serie di prove e riprove; ché il pianto della Vergine fu uno degli argomenti prediletti dagli scrittori ascetici е da’ raccontatori della passione, e più da quelli che san Francesco diceva giullari di Dio; fu caro poi, (4) Lateinische Hymnen des Mittelalters, aus Handscehriiten herausgegeben und erklärt von F. J, Моҳе; Freiburg, 1853; I, 160. P ü (404) [2] dopo le tante laudi e i poemetti che l'avean popolarmente ripetuto, a più d'un poeta colto, da farne terzine, ottave, canzoni, ed elegie latine; troppo spesso gara di retorica anzi che ardore di religione. Tali Pianti o Lamenti o La- grime (chó il genere ebbe tutt'e tre questi nomi) hanno, a considerar la cosa secondo le ragioni dell'arte, un di- fetto necessario: quanto piü narrano di quel gran dolore, quante piü parole di Maria riferiscono ad esprimerlo, tanto peggio riescono inefficaci: dolor vero, dolor forte, anche se umano, non cerca sfogo di lamenti: e in Maria, ma- dre di Cristo, il dolore dev'essere umano a un tempo e divino ; difficile a intenderlo intero, ineffabile. Da ciò, per amore d'una efficacia mal conseguibile, provennero o lunghe serie d'invocazioni e d'interiezioni, о stranezze di fantasie, nulla curanti del verisimile pur di giungere all’ effetto. Né i cantori popolari vi peccarono meno de’ poeti ne' conventi. Si salvano pochi; quelli che non si curano di riferire, e raccontano o interrogano per conto proprio: com’ è nello Stabat Mater, che nè pure un grido ha della madre, e dopo averla descritta dolente, si con- tenta dell’ invocarla : Eja, mater, fons amoris, me sentire vim doloris fac, ut tecum lugeam. Di ben altra sorta dallo Stabat 6 un poemetto, da attri- buire agli ultimi anni del secolo XIII o ai primi del XIV, che si conserva, per quel ch'io so, in tre manoscritti; un cortonese, un aretino, un senese. П rozzo cantore vi narra appena appena quel tanto che gli sembra necessario a che gli uditori intendano la ragione e 1’ occasione dei la- menti, e questi, che sono l'essenza dell'opera sua; at- teggia tutti ad un unico concetto di poesia; la Vergine piange che non le sia dato prendere essa il luogo degli strumenti pe’ quali fu ed è la passione del figlio, chè così almeno, [3] (405) in quelle forme, potrebbe essergli più da presso e toccarlo. Se non avessimo innanzi un canto che piacque ad antiche compagnie di laudesi, e fu raccolto da loro per ingenuità di fede, non crederemmo che fosse invenzione troppo sottile d'un ingegno secentistico? Tanto nella storia delle lettere è difficile intuire il vero e concludere rettamente, quando il giudizio muova dall’ esame incompiuto dei fatti. A che segno giunga, in sì curioso desiderio di straziare il figliolo, Maria, nessuno potrebbe indovinarlo ; lo dica il poeta : Dolgliosa me! or foss' io quel martello lo qual percosse e diede sì gran busso sopra le teste de ciaschun chiavello! Se pur uno poco t'avesse fallato, o elle mani o elli piei t' avarea dato: alora t'avarei un poco toccato, ché non t'agiongo, o humile agnello ! Ma non si potrebbe negare che qua e là pur questo Pianto non rompa in accenti di dolore schiettamente in- teso ed espresso: il poeta, fantasticando male, aveva cuor di cristiano ; ed il sentimento, per buona ventura, la vinse talvolta sull’ artificio. Concorre a far più notevole il lavoro di lui, l’uso raro della decima rima: l’ottava, con l ag- giunta d'un ultimo verso che rimasse col sesto, diede il metro dell’Intelligenza, la nona; e qui ritroviamo la deci- ma per l'aggiunta alla nona di un altro verso, tra l'ottavo € il nono, che insiste nella rima del settimo e dell'ottavo [ABABABCCCB |. Le stanze sono incatenate tra loro, come Spesso nelle laudi popolari per aiuto alla memoria de’ can- tori, col rappicco d'una voce che dall’ ultimo verso della stanza si ripete, o tale e quale, o nella radice sua, o anche Qualche volta non più che per affinità di suoni, nel primo emistichio della stanza seguente (5). (1) Senza dargli un nome speciale e per incidenza, ma, com'è Suo solito, con precise notizie, accennò a questo metro L. BiADE- 3 | | | 1 (406) [4] Fin da quando pubblicai Je laudi dell’ antica raccolta cortonese, promisi di dare in luce, dalla seconda parte di quel codice, il Pianto : altri mi ha prevenuto, e il poe- metto è già a stampa, ma non dal manoscritto di Oorto- na, si da uno di Arezzo (!). Spero perciò di far cosa non inutile e accetta agli studiosi, mantenendo per conto mio la promessa: tanto più che potrò valermi della edizione su detta, ed anche di un terzo manoscritto, il senese, di cui richiesi le varianti e le ebbi diligentissime dalla cor- tesia del prof. Fortunato Donati, che qui ringrazio. Ed NE, Il collegamento delle stanze mediante la rima mella can- zone italiana dei secoli XIII e XIV, Firenze, Carnesecchi, 1885, pag. 10, in nota. La decima rima si trova nel contrasto tra La Virgo Maria e La Santa Croce, edito da G. MAZZATINTI nelle Poesie reli- giose del secolo XIV pubblicate secondo un codice cugubino, Bolo- gna, Romagnoli, 1884 (Scelta di curiosità, disp. OLXXIX), a pag. 79 е segg., dove anche è l’incatenatura tra stanza e stanza; e nella poesia XVI delle edite da б. RonpoNI, di cui vedasi più sotto. Indicò inol- tre una Leggenda di Santa Caterina d’ Alessandria, nel metro stesso, in un codice senese, E. Teza, Otiwm Senense, nella Rivi- sta critica della lett. ital., I, 155. Dovè dunque essere metro po- polare, come 1 ottava da cui indubbiamente deriva; e di popolarità, oltre gli argomenti e P intonazione delle poesie, fa fede P incate- natura. Credo utile notare che del contrasto su detto diè un sag- gio, dal codice stesso ovè il Pianto, б. Ronponi, Laudi dram- matiche dei disciplinati di Siena, nel Giornale storico della lett. ital., 11, pag. 286 e segg. Questa decima rima, foggiata sul tipo della nona, non dev essere confusa col metro che P Arrò chiamò deca [ABABABABQG]: cfr. Dizionario precettivo, etc. Milano, Silvestri, 1824 ; pag. 188. (1) E. Berrazzi, Notizia di un laudario del sec. XIII, Arezzo, 1890; pag. 39 e segg. Il codice aretino si conserva in quella Bi- blioteca Comunale. " [5] (407) avrò così modo di rintegrare il testo d’ alcuni versi e di migliorarne d’ assai la lezione. (t) Il codice cortonese descrissi già io stesso: (°) basti ora aggiungere che il Pianto vi si legge nella seconda parte, a carte 1460-1590, di mano della prima metà del secolo XIV. I versi vi sono distinti l'uno dall'altro per una linea verticale; ciascuna delle stanze torna a capo. Ne do la lezione dividendo le parole, accentandole, inter- pungendo: ma non mi prendo la briga di raggiustare i versi, anche dove riuscirebbe facile col togliere qualche vocale in fin di parola: il lettore accorto provvede di suo, meglio clie non faccian la parentesi tonde e quadre, né mette conto accrescer le note per tali correzioni in un testo che fu cantato e che fin da principio dové per ció aver forte l'oscillamento delle sillabe. Correggo là dove il senso o la rima troppo guasti richiedano correzione, giovandomi spesso del codice senese. Il quale (nella Biblioteca Comunale di quella città: I, VI, 9) fu scritto prima del 1330, ed 6 molto autorevole ; tanto che fui in dubbio se porlo a fondamento del testo; ma, sommato tutto, mi risolvei a dare testual- mente il cortonese, ch'é di pari e forse maggiore antichità, € che, se gli cede in alcuni luoghi, lo vince in altri; valen- domi, come ho detto, per le correzioni, del senese, dove il Pianto si legge a carte 595-64a, decimo dei Lamenti che ne formano, insieme con le laudi di lacopone, la seconda parte. (*) (1) Mancano nella edizione su detta (le lacune vi sono segnate con puntolini) i versi: IX, 82-83; XXXIX, 390; XLII, 420. La- сипа segnata è anche in tine del v. 72, st. VIII. E vi si desidera la stanza di congedo. (2) Laudi cortonesi del sec. XIII; nel Propugnatore, N. S., Ill, fasc. 43-44. (3) бїт. б. Rondoni, Laudi drammatiche etc. loc. cit. Il Коҳроҳі pubblicò dal ms. senese, а pag. 283, soltanto due stanze del Pianto, la VI e la VII, che per isvista ritenne come le ultime del lungo poemetto. Ca vu 53 (408) II Ш Il, 4: guasta per la raschiatura che la pergamena subi nel tergo di que- 3. Pare debba leggersi ce mabassa : | III, 25. tanto pruovo pena. - della stanza 1V. I [la] Un piangere amoroso lamentando vi vòi contiare, commo porria dire, che fe’ Maria a la croce stando, dentorno giendo cum grave languire, lo suo dolce filgliuolo resguardando che da sè lo vedea departire : e dicea: Or lassa di te, o filgliuolo ; pregote che medichi el mio duolo, che sença me non muoia cosi solo, ché in tal porto vòi techo transire. Transir te veggio, filgliuolo, di me lassa: o dolorosa, quando fie ritorno ? la grande altecca di te or m'abassa in questo luogo dove teco segiorno. Lo tuo martirio dentro al core: me passa, e nullo aiuto mi trovo dentorno. Lo capo tuo ch'era l'alta [15] ensegna che soprastava a tucti li regna, or è ’nchinato. Or lasso, commo 1 dengna la sua grande potenca in questo giorno? , In questo giorno venta ben mi trovo; e per contrario de la tua persona (chó io te veggio figurato novo si che ciaschun menbro di dolor suona) non aggio poso; tanto pena pruovo sta carta. Accetto or dagli altri due manoscritti. avvertito sopra, fu raschiata. Valga lavvertenza anche pei v. ) o 10 24 ma la scrittura è qui - 27-30. La scrittura è ricalcata di mano più recente sull’ antica, e qui la pergamena, come ho 1-8 [7] (409) che ^7 sole n° è schurato colla luna. La faccia che rendea luminosi li angioli del cielo gloriosi, 28 or è turbata de li occhi lacrimosi ; e sso’ dolgliosa forte più che ciaschuna. 30 IV Ciaschun membro veg'io tormentare ; de le ingiurie tante sone aflitta ; | e le man ch'erano per disserrare || con forti [2a] aguti le veggio confitte. 24 | O lassa me! non te posso toccare, e le mie braccia sempre stano ritte ; se io guardo invér la mano dextra sanguinar la veggio e la sinistra. 38 О filgliuol, guarda invér la tua ministra, che le tue pene al cor mi son costrecte ! 40 V Costrengeme el dolor сһе 7 core mi fende, ché nullo amico quasi mi è presente, ch'io veggio chiavellato ciaschun pede che già menava a salute la gente. 44 O alto dio, comme lo concedi, che mi da’ tanto e fammene perdente ? cho’ più t'aguardo, figluolo, più afrango : perchè mi lassi a vita, per ciò piangho. 48 О trista me! con chui remangho che tu mi lassi, figluolo, si dolente ? 50 VI [25] Dolere mi posso più ch’ altra che sia, || ché perdo el bene und'io avea riposo. | Or é adempiuto el nome di Maria, | chè in amarecca so’ in mar tempestoso. 54 Abbo perduto el lume in questa dia, IV, 39. tanto. 36. ritti. V, 47. L ultima parola è di difficile lettura: seguo la lezione del co lice senese che conserva la rima: l aretino ha afrigo. tucto il mondo mi par tenebroso : e da li apostoli so’ abandonata, e da onn'altro amico dilongata : 58 di te, filgliuolo, sone scompagnata. Di consolanga damme alcun risposo. 60) VII Respose Cristo in voce molto queta, forte dolgliosa, così come puote: disse a la madre : Prego che sia discreta, ch'io so’ levato per l'altrui cadute : 64 aggi riposo in così grande pièta : eccho Giovanni cl’ è lo tuo nepote ; a lui te [3a] lasso come a nostro anticho ; che sia lo tuo figliuolo, a lui lo dicho: 68 a te, Giovanni, come a caro amico, la racomando, ch'é la tua salute. 70 VIII Quel ch’era la salute per dar luce a li smarriti per tornare al duomo, alor due volte mise grande voce e lamentosse al padre ch’ è '] più sommo: 74 puoi de presente bere li $ aduce: enchinó el capo e disse: Ora consumo. Alora l'anima dal corpo cessa, ed a la madre dolore li rapressa ; 78 e quasi morta in terra se confessa, puoi che transio lo filgliuolo de l'uomo. 80 IX Per l' omo s' entende la sacra [30 | scripturi quella beata vergene reina la qual sostenne el pondo cum la ’ngiura VI, 60. riposo. Correggo col senese, come meglio vuole il Re- spose che segue. Resposo per risposta è anche in GUITTONE (Ri- g me, Firenze, 1828, II, 66), e nelle Laudi cortonesi (in Propu- gnatore, N. S., Ш) Lauda V, 25, e XLI, 47. IX, 83. cum languive ; e così l'aretino: ma, come chiede la rima, seguo il senese che legge colla ingiura. del suo figlinolo che tanto se declina : 84 passolli el chuore, chè tanto fo dura la crudel morte cum grande roina: en terra stava quasi come morta ; ciaschuna donna pianto li raporta ; 88 fo resentita; alquanto se conforta e guarda vér la maiestà divina. 90 X O divina potenca che "n cielo regni, perché m'ài oggi tanto guerreggiata ? lo figliuolo che me desti e come el dengni che sia diviso da me, o sconsolata ! 94 el suo [4a] repost! à 'n su 'm quatro lengni; emfranta la sua carne e "nsanguenata. S'io lo reguardo, quasi non pare esso, tanto me pare lividato spesso: 98 già non pare quello che disse el tuo messo Gabriel, quando m' ebbe anuntiata. 100 XI Anuntiare lo posso a tucto el mondo che de cordolglio nulla me somelglia, de somma altecca caggio en profondo : oi lassa me! non é tal meravelglia, 104 ch'io © perduto lo sposo giocondo di me, tu padre, dolorosa figlia : generato fo del corpo e del sangue fue de me taupina che si langue. 108 O figliuol mio, onni [45] homo te tange, a me se’ tolto e ciaschun se ne реја! 110 XI, 108. Il verso è poco leggibile nelle prime parole e sembra corrotto: fiso de me taipina i che si lange. L aretino, con ripeti- zione di rima nel verso seguente, ha: de me taipina che pur langue (seguita nel v. 109. O figliuolo, chi me và tolto ? Non te langue). Accetto in parte la lezione del senese, che legge : fu di me taupinellu che si langue. Pilgliar vorrea la forma de ciascuno de li tormenti che t'ánno percosso. Per poterti toccare, or foss'io alcuno! Oi dolce sangue che t'esscie d'adosso! 114 tu eri biancho ; or se' tornato en bruno, sì crudelmente, figliuolo, se’ rimosso ; e li dolori tua m'àno venta, e ciaschun combattendo me spaventa. 118 O figliuol, de morir sirea contenta; de te bramando, avere non te posso. 120 XIII Or potess'io essere la colonna a la qual fosti si strecto legato, che de toccharti ben ne siria donna, ché non [5«] t'agiongo, tanto se' enalcato. 124 Oi lassa me, che n'era così donna, e or a me se' tolto e crociato ! Si come la colonna stette ritta, così con teco vorrei esser confitta. 1298 O figlinol, veggio che m'ài derelicta, e righi el sangue, si зе” scoriato. 150 XIV Le scoriate che t’ ano battuto la lor figura vorrea asimilgliare, ch'io ('avarea si stretto tenuto che cum larghecca te porrea tocchare. 134 O dolorosa, come t’ û perduto! chè senca te non posso reposare, et en tormento starò et in pianto enfin a l'ora ch'io t'avaró alquanto. 138 O figliuol mio, vivarabbo io tanto ch'io me [5b] potesse un poco apresimare? 140 ХШ, 130. de le scoriate. Mi valgo della lezione concorde del senese e dell aretino: si se’ scoreggialo. [11] (413) XV Apresso me te veggio, amor dolce, e per mesura d'uno corto spatio; ma el tempo me s'alonga e non folce, lo mio core de piangere non 6 satio: 141 e non me vale afatigare la boce perch'io te chiami, grande mio solatio. Or foss'io ne la forma de le fune, che te legaro come li presgioni! 148 siresti mecho, ché ora m’ abandoni e sença te non © pace al mio stato. 150 XVI Io sto en dolore, e ^7 core pena sente : taupina me! or foss'io quel velo che te coperse el viso splendiente de tanto lume che dir non porrelo! 154 Se io foss’ esso, ben sirea tacente, che sirea [64] teco, alto re del cielo ; al tuo viso ben sirea congiunta, avarea la vita, che so' già defunta. 158 O dolce amore, e come т’ ài degiunta ? e già el morire cum techo e’ pur vorrelo. 160 XVII Vorrea somelgliar ciaschuna canna, quante nel capo te fuoro destese : sirca pagata de chi m'enganna, de quel che perdo avarea ricche prese. 164 E nullo amico per me non s'amanna en tal batalglia de darme sue defese ! Sì come nel capo te fuoro poste, XV, 144. non se satia. Ristabilisco la rima, seguendo il se- nese, XVI, 154. Anche qui seguo il senese, che mi dà la rima: dir non potrelo. Il ms. legge: diri non se porreau. Così nel v. 160, per la rispondenza, accetto dal senese vorrelo ; il ms. ha: vorrea. || E | 13 nz (414) [12] li miei braccia li sirieno più ’coste; 168 o descaduta! de così grande hoste persone tante è ’nvêr me acese! 170 XVIII Lo ’incendimento è forte in me [65] taupina | per l'ardor grande che "| pianto me dona : | la core me batte, e sempre me langina, | chè ciaschuno encontra te sermona. | O dolorosa, or foss'io la spina | de la quale te fo facta la corona! | e ben mi siria satia de toccarte, | e cum dilecto sopra el capo starte. 178 О lassa me, figliuolo! chó 'n quatro parte ciaschuna punta dentro li s'abandona! 180 N ХІХ Abbandonata sone e tucta sola: o trista molto! e come deggio fare ? miro dentorno; pur una parola, non veggio che sia per me confortare. 184 O padre, dime sconsolata figliuola, che io non posso en croce teco stare! Or foss'io, figliuolo, quella biancha tonica che sopra el [7a] corpo tuo così rebrunica, 188 che te fece Herode; e sirea unica, | o figliuol mio, per me consolare. 190 XX Più consolanca non credo sentire, | di ch'io me parto da te pur piangendo. | | Or me potess’ io, trista, convertire en quella vesta che, per te schernendo, 194 che te fe’ Pilato spolgliare e vestire, coperta d’oro per più relucendo : . XVII, 168. Il senese e l'aretino leggono in fin del verso toste. Lascio coste, aggettivo, per aferesi di accoste, accostute. ХҮШ, 171. ê fuori di me. Cosi anche l'aretino. Seguo la le- zione del senese. dh [13] (415) dentro da me t'avarea tucto renchiuso e avaresti vestimento più gioioso : 198 el mio core n’ avarea più reposo ; chè si so’ venta; già più non me contendo. 200 XXI Contentione т’ о facta ben si feroce de te, figliuolo, che tanto m’ abassi. O dolorosa! or foss'io la croce perché tu [75] sopra me te riposasse ! 204 Del mare so descesa nella foce, non truovo porto che т pace me lassi. Se io fosse con teco, sirea francha, chè pur de lanciare sone stancha. 208 Or lassa, che la mia ententione me mancha, е '1 chuore del corpo pare che me fracassi. 210 XXII Ben sone fracassata tucta quanta, tanto so’ gita dentorno gridando : non truovo poso, si sonno infranta pur de l'aspecto, che te vo chiamando. 214 Or foss’ io el cedro che sta nella pianta dei quatro legni là due se’ a bando, che ben sirea cum potenca si forte che de quel pondo ben sirei consorte. 218 O figliuolo, de così gravosa morte non me |84] guardaria, pur te aspectando. 220 XXIII Te aspectando tuctora sospiro che descendesti a la mia bassecca : XX, 200. contento. E così anche l'aretino: che più non mi contento. Seguo il senese. XXI, 904. si forte. Correggo col senese e l aretino. XXII, 212. tanto fo vita. L'aretino: quando son ita. Accetto la lezione del senese. Cln. XXXIX, 386. — 913-14. si so’ desnodala e Per despecto ch io. Seguo il senese, col quale concorda, salvo lieve va- riante, l’aretino. — 948. conforto. Correggo con gli altri codici. Dn EY 51 cum grande pianto a la croce giro, pur per averte, grande mia ricchecca. 224 Or foss'io l’arcipresso a cui amiro, che t'à levato in cotale altecca ! teco sirei morta e chiavata, ei in grande pace sirei reposata ; 228 ma la speranca veggio che т” ё fallata che so’ da longa, et vivo in amaregga. 230 XXIV Соп amarecca el sole meco piange, e ’l mondo n'é scurato en omni verso. Io non t'agiongo, e ciaschuno te tange; schiernendo ciaschuno t'è perverso. 294 Or foss'io quello olivo che [8b] t’ enfrange ! le mani chiavate li stam per traverso. Avaresti me confitta enelli braccia ; sirea el mio viso congionto a la tua faccia: 238 o dolorosa! ché ciascuno me caccia e tucto el mondo encontra m'ó converso. 240 XXV Oonvertire me vorrea e trasformare en quella palma ch' é disopra stante. El capo te potarea toccare ; avarea reposo, ch'io ó pene tante: 244 sirea victoriosa sença pare de questa forte guerra soperchiante ; avareate, figliuolo mio, meco da ch'io fosse nella croce teco. 248 Ma vano è il pensiero ch'io m'arecho, e abbo el core de pianto abondante. 250 XXVI [94] Per l'abondanga del sangue che cade già non pari esso, facto ài tal colore. XXIV, 240. me encontra per verso. L'avetino: e tucto el mon- do è "n contra me perverso. Seguo il senese, come vuole anche il Convertire della stanza seguente; tanto più che perverso è in rima al v. 234. 3 ur [HR O gente che passate per le strade, vedete bene se fo mai tal dolore! 254 oi lassa me, ch'io nacque en tal contradie, che ci fo mille morte en amarore ! Or foss'io enella forma de quei chiovi E ch'io saparea che morte crudel provi. 258 f O filgliuol mio, de te ò tormenti nuovi, l quando me truovo sença te, amore. 260 3 XXVII О dolce amore, e соте se’ rimosso? È già non pare esso, ch'era tanto bello ! tu eri biancho ; or se’ livido e rosso. Dolgliosa me! or foss'io quel martello 264 È lo qual percosse e diede si gran busso | sopra le teste de ciaschun chiavello ! | Se [9b] pur uno poco t’ avesse fallato, | o elle mani o elli piei + avarea dato : 268 alora t'avarea un poco toccato, ché non t'agiongo, o humile agnello ! 210 | XXVIII О angnello sancto, e due so’ venuta à vederte morire en mia presenca ? lo per te vorrea avere recevuta | da Pontio Pilato la sentenca. 274 | O figliuol mio, or foss' io essuta la canna e la spongna en loro essenca ! | la bocca tua sancta et evangelica | che di salute gia facendo predica, 278 io l’avarea toccata come medica ; ch'enn amarecca fai da me partenca ! 280 i XXIX [о fo partença da te e mai non spero d'avere alegrecca a la mia vita, XXVI, 256. che fo. Aggiungo ci con gli altri due codici. XXVIII, 277. et angelica. Così anche l’aretino. Gorreggo col Senese, (418) [16] [104] da puoi ch'io perdo el grande desidéro de te, figliuolo, speranga conpita. 284 Or foss'io quell’ aceto cosi fero e ’1 fiele co la mirra tanto ardita ! nel tuo ventre sirea tucta renchiusa, e teco encarnata, come era usa. 288 Oi lassa, che de te me truovo schiusa e tu di me, figliuol, trista e smarrita. 290 XXX Іо so’ smarrita quasi nella mente e '| cuore è 'ntenebrato e forte è stancho, chè so’ percossa da cotanta gente, denante e derieto e dal lato ritto e 7 mancho. 294 Or foss'io quella lancia si talglente che te percosse e passò el fiancho ! si come essa, te sirea nel chuore; e mai non ne vorren uscirne fuore. 298 O dolce [107] amore, соте se’ pieno de lividore, de sangue nero, ch'eri così biancho ! 300 XXXI La tua bianchecca de te se deserra, e perdi el tuo colore, o frescho gilglio ; e ciasehuno me combatte e famme guerr: rimangho sola e non aggio conselglio. 304 Or foss'io en persona de la terra XXIX, 285-86. О [igliuol mio, or foss io l'aceto si Гето e la mirra tanto ardita. Seguo il senese, col quale concorda, ma con varianti in peggio, 1 aretino. — 289. me truovo cusa. Il senese dischiusa. Seguo Varetino. — 290. e tu me. Supplisco di con gli altri due codici. XXX, 292. straccho. Ristabilisco la rima con l'aretino. 299. Il verso può raggiustarsi: O amor, come se’ pien de. livi- dore. Il senese, e con lieve variante anche l’aretino, leggono: Oi lassa me, che tutto in gran rigore — li cuopre "| sangue. XXXI, 301. deserta. Seguo per la rima gli altri due codici. ———— { f [7 [1] (419) che "| sangue tuo ricevesse vermeglio ! En bagno ne starea de quel ch'é fuore ; bem me starea con esso, o dolce amore. 308 O figliuol mio, comme me lega el tuo dolore, chè so’ deserta e non so a cui m’ apilglio ! 310 XXXII O' preso el chuore di grande tristitia, o figliuolo mio, perché a vita regno ; la tua benignitade me torna en duritia, ch'io te lasso, figliuol mio, per sengno. 314 [lla] Ma'io non spero sença te letitia da ch'io te lasso nella croce pengno. Or foss'io en persona del ladrone che dal lato ritto fa sermone ! 318 sirebbero en viaggio due persone, chè so’ derelicta, e non abbo sostengno. 320 XXXIII Sostengno pena de pianto ed anco doglia pur aspectando, figliuol, che descendi : lo pianger me consuma più che folglia, e te pur bramo e non me t'arendi. 324 Lo core me batte et l'anima cordoglia chó tue larghecge si care me vendi: : 306. La pergamena evanida non consente leggere in modo certo la prima o le due prime sillabe dell ultima parola; il se- nese e l'aretino leggono riceve sì vermeglio ; ne accetto la lezione sebbene potrebbe supp rsi piuttosto nel cortonese : en sugelglio, cioè in suggello. — 340. apilgli. Questi versi 307-340 sono nel senese e nell aretino notevolmente diversi. Il senese: En bagno me starea di quello che riga — serei fuor del dolor che si mi lega — o figliuol mio che ciascun mi ti niega — son discaduta non , 50 ad chui m’ apillio. L aretino, con lievi varianti, concorda in questa lezione del senese. XXXII, 313-14. La pergamena è anche qui evanida pel volgere frequente delle carte. Il senese: en duritia me torna poi che se’ Posto per sengno. E così, press a poco, l'aretino. (420) | 18] àggiote adimandato en omne guisa, come ti fosse con meco e non devisa. 328 Or lasso, che "| contrario m’ à conquisa ; desnodando [11%] ongne nerbo se distende. 330 XXXIV Desteso stando sulla croce Cristo venne Giosep ab Arimathia ; e Nichodemo doloroso e tristo, puoi che Pilato li fe’ cortesia ; 394 e ?] suo fratel Giovanni el vangelista tuctor piangendo colla madre ра; e de la croce Г ebbeno desposto. Alor la madre venne molto tosto: 338 О #611001 mio, or о cum gran costo ; ogimai teco sirò en compagnia. 340 XXXV Per quella compagnia alor fo tolto e fo redotto invér lo monimento : in uno panno biancho fo envolto cum aloi et pretioso unguento ; 344 come e Giuderi costumano molto, arecó Nicodemo libre cento : en lo sepolcro [124] l'ebbero renchiuso ; lanima al Limbo n'andó giuso, 348 la madre nel sepolero stando suso, tuctor piangendo cum grande lamento. 350 XXXVI Nel suo lamento la madre dicea : O fieliuolo, arrivato in grave porto ! © Ш о XXXV, 344-46. е con altro tesauro e unguento - come ci Giu- deri costumano molto - argento e Nicodemo li prestò el sepol- cro. Il senese : con altre che prelio unguento - come li Giuderi costumavano molto - arrechò Nicodemo libre cento. Seguo in gran parte l’aretino. 847. alora logo [12 а] logo. Correggo con gli altri due codici. XXXVI, 352 е segg. L’ amanuense confuse qui le rime: O fi- gliuol mio, da puoi ch io Р aveva morto, = от me se’ tolto gran- [19] (421) o figliuol mio, ch'io tucto te tenea, e ora, mi se’ tolto, mio diporto ! 354 En gran reposo star ben me parea, puoi ch’ eri meco, ancor che fussi morto. Or foss'io el panno dove te legai! siresti en me renchiuso e come stai. 358 Oi lassa me! che non me soterrai con techo, ch’ avarea ongne conforto ? 360 XXXVII Perdo el conforto onde era [125] securi de te, figliuolo, dolce mio portato. Or foss'io stata quella sepoltura enella quale dentro io te veggio serrato ! 364 parebbeme de presente stare secura sì come meco tu fosse encarnato ; si come quando venne Gabriello, el chuore mio avarea gaudio novello. 308 O disolata, tu se’ nell’ avello ! giacere te lasso ferito e spolgliato. 370 XXXVIII Per dispogliare el Limbo de l’ onferno da me te parti, o figliuolo de me trista. Or ce foss'io stata en sempiterno e ch'io vedesse te cum tua maiesta! 374 e te vedesse colli sancti eterno; de mio deporto, - che 'n grande reposo stare a me parea - da ch'io t'avea anchor che fosse morto, - da te, figliuolo, a me so- desfacea.Il senese e l aretino dan lezione migliore : il senese leg- 9o: ge: O figliuolo arrivato in grave porto — o figliuol mio puoi ch'io t'aveva — ora mi se’ tolto mio diporto — in gran riposo stare ben mi pareva — poi с’ еті meco anco fussi morto. Seguo, con lievi ritocchi, P aretino: e ne ritocchi mi valgo del senese, XXXVII, 361-64. L’ aretino pospone l ordine delle due prime Coppie ; ma la parola di rappicco, Perdo, dà ragione al senese e al cortonese, | I | | | | (422) [20] ché t'ó perduto, e chi me te raquista ? Or foss'io quel Limbo en sua forma [13a] perchè tu sopra me facesse orma. 378 О lassa me! ché molto me trasforma lo scambio de Giovanni evangelista ! 380 XXXIX El vangelista Giovanni beato cum gran turbanca tuttora piangendo per mano la prese dal suo lato e pianamente se venne partendo. 384 Le tre Marie, de chui non ó parlato, cum grande lamento givano dicendo: O Maria madre, e come non moriamo ennance che senga lui retorniamo ? 388 o sconsolate! quatro vedove siamo del nostro padre! E sempre vien piangendo. 5390 XL Alor venendo cum grande piatade la madre sconsolata e le Marie, con molta gente de quella citade, da ogni [130] parte tràvano a le vie 394 per liei vedere cum gran tempestade ; e là v' era discordia de quel die. Da lato li venieno molte donne, sostenendola comme colonne. 398 Venia dicendo : О dolce madonne, el mio retorno en quale luogo fia! 400 ALI Fo retornata cum sancto Giovanni a la sua casa с’ ега en riecesso: XXXIX, 386. vivano: e forse sta per givano ; cfr. XXII, 212, dove in tal caso sarebbe da leggere so’ vita. XL, 396. Il senese: lû dov'erasi discorsa in. L’ aretino va per conto suo, non osservando la rima: quando venia si discon- solata. — 397. li vieno. Correggo col senese. — 399. veniacno. Sebbene anche il senese abbia venien, correggo pel senso con l' aretino. Ue (423) grande pieta era a vedere pur li panni ch'eran de sangue colorati si spesso. 404 Con forte tempo à compiuti i suoi anni cum quello sposo a eui fuo commessa. E tanto era de dolore asediata che ben parea nella mente errata ; 108 e quasi morta en terra é ffigurata e già nel colore niente parea essa. 410 XLII[14«] Essa stando nel suo tornare prese conforto de grande speranca : sì come ella lo vide encrociare e ancho morire per nostra salvanca, 414 così fo certa del suscitare, unde ella nonn ebbe giemai dubitanga ; ma sempre stette forte nella fede per la quale è salvo chi a lei crede. 418 Al terco di resuscitare lo vede, che li aparve con gran сопѕојапс̧а. 420 XLIII Per consolare cum devotione la mente de ciaschuno cum dilecto, aggio parlato de la passione et di quel pianto che fo si costrecto. 424 Però ve prego cum devotione che ciaschuno stea perfecto, e per colui che fece questa carmina XLI, 406. fuo!. 410. nel chuore. Sebbene così legga an- che l aretino, correggo col senese pel senso. XLII, 413. encrociato. Correggo con gli altri due codici. XLIII, 427. cammina. Correggo col senese. 430. chiami beati. Gorreggo col senese. Questa stanza manca nell’ aretino. Il cortonese segue con un'altra stanza, certamente fuori di po- sto. Ma non si vede dove potrebbe rappiccarsi al resto, che ha tutta la sua incatenatura ben salda; nè Waltra parte può esser dub- mue sy 55 (424) [22] | a Dio rendiamo grande precamina, 428 | quando verrà il | 140] Signore che desamina, | che dal suo lato ne chiami el benedecto. 430 | | | bio che, come è nel senese, termini con la stanza XLII, di con- | gedo, il poemetto stesso. ! | XLIV ’artendose la madre el benedisse ; | Cristo remase nella sepoltura. | La donna convenia che se partisse | ché del partire era gionta l ora; 434 | cum quella compagnia più non ste che s'asembrava verso la nocte scura; | e quando fommo presso a la citade, | posarli un velo de grande scuritade, 438 und’ onne gente ne prendea pietade ; | piccoli e grandi a liei ponieno cura. 440 | Così anche, con poche varianti e lievi, P aretino. Questo se- gue con un'altra stanza ancora; la quale neppure si rappicca, come | dovrebbe, con la precedente : XLV Рег acquistare lo rengno ai santi padri | da me te se' partito, oggi figliuolo, || e dentro al monimento morto giaci, | | e la tua madre al core sente gran duolo 444 | che vivo en guerra, e '| mio core non à pace. | Perch’ 10 te stesso en questo luogo solo, | o figliuol mio, perchè m' abandoni ? Lassime senza alcuno guidardone ? 448 | Priega la morte che non me perdoni | | ch'io non rimanga en questo mondo scuro. 450 | . it OSSERVAZIONI oSTRONO MEG ES FATTE A PADOVA NEL 1890 DA ANTONIO ABETTI toi La cometa scoperta da Borelly a Marsiglia il 12 di- cembre 1889, e che passando per il perielio il 26 gen- naio 1890, fu la 7890 I è stata da me citata a pag. 506 del tomo I serie VII di questi Atti, ed avendola osser- vata, nel dicembre 1889, ne ho pubblicate le osserva- zioni a pag. 513. Dopo di essa nel 1890 furono scoperte sei comete tuite telescopiche delle quali mi riusci di os- servarne quattro soltanto, mentre le altre due, vanamente cercate, furono tanto poco splendenti da riuscire affatto invisibili con un obbiettivo di 187 mm. quale si è quello del nostro equatoriale Dembowski. La Cometa 1890 II, di splendore all'incirca come una stella di 9.* grandezza che fosse veduta coll'oculare alquanto sfuocato, passó al perielio il 2 giugno 1890, cioé dopo di essere stata scoperta da Brooks in Geneva d' America il 19 marzo. Io potei osservarla, subito dopo avuta la sua posizione, per cinque notti di seguito, e per un'altra un mese più tardi. La Cometa 1890 III, che risplendette come la prece- dente, passò al perielio il 9 luglio poco prima che fosse scoperta da Coggia a Marsiglia il 18 dello stesso mese. Anche questa fu da me vista ed osservata subito per due volte di seguito al far della notte, ma con molta fretta (426) [2] perché, mentre il cielo s'oscurava di quel tanto che рег- metteva di vederla, essa $ avviava al tramonto, ed anzi ancor prima che questo si verificasse rimaneva occultata dai tetti delle case che stanno a nord-ovest del Dem- bowski. La Cometa 1890 IV assai meno splendente delle altre due, da me giudicata come una stellina di 11.* in 12.* gr." sfuocata, passò per il perielio ai primissimi d' agosto molto tempo prima che fosse scoperta da Zona a Palermo nella sera del 15 novembre (‘). Fu da me vista il 16 ed osser- vata in buone condizioni atmosferiche fino al 15 dicembre. La Cometa 1890 V passò al perielio il 16 settem- tembre (?) e veniva scoperta dopo, nel 6 ottobre, da Barnard nel grande osservatorio di Lick sul monte На- milton in California. Nella sera dell'8 ottobre l'osserva- torio di Kiel dove, come é noto, mettono capo i dispacci delle nuove scoperte, e da dove poscia si diramano in tutto il mondo, riceveva da Boston, e subito diffondeva, la posizione osservata da Darnard. Tale posizione colpi subito Berberich di Berlino e nella mattina del 9 replicando a Kiel richiamava l'attenzione del profess. Krueger sull'ef- femeride data da Leveau per la cometa d' Arrest che da più mesi era attesa, e veniva vanamente cercata, anche col 27 pollici di Vienna (°). Il profess. Krueger trovò l’effe- meride così concordante colla posizione di Barnard da non dubitare che la nuova cometa fosse la d' Arrest è come tale la riannunciò a tutti indicando a guida delle osservazioni l'effemeride Leveau riportata, dai Comptes Rendus nel numero 2959 delle Astr. Nach. (*), al principio (4) Sulla visibilità della Cometa Zona molto dopo il suo passag- gio al perielio ne scrisse Holetschek di Vienna nel num. 3007 delle Astr. Nach. (vol. 126, pag. 111). (2) Krueger Astr. Nachr. 2998 (vol. 125, pag. 383). (3) Astr. Nachr. 2993 (vol. 125, pag. 286). (4) Vol. 224, pag. 114. [3| (427) del 1890. Qui a Padova giunsero i telegrammi d’avviso della nuova scoperta, e della probabilità ch’essa si riferisse alla cometa d’Arrest mentre il cielo era sfavorevole alle osser- vazioni, ma fattosi sereno nell’ 11 ottobre, quantunque io fossi poco fiducioso di vedere un astro che fino allora si era sottratto alle indagini degli equatoriali più potenti, e che appena ravvisato nel più grande osservatorio del mondo veniva annunciato di debole splendore (A faint comet...) (4), tuttavia mi posi alla sua ricerca e dopo alcuni tentativi riuscii a persuadermi che si poteva distinguerlo, sebbene con somma difficoltà, nel campo perfettamente scuro del cannocchiale con un ingrandimento di 83 (*). Ma in quella sera stancatamisi la vista, ed abbassatasi la cometa fin quasi a tramontare non potei far altro se non verificare che l'effemeride Leveau aveva le piccole correzioni Ax — — 1" e A= — 1.5. In seguito a questa preparazione e con un cielo splen- didamente sereno, potei nella sera del 12 e fino al 17 fare delle buone osservazioni, e farne di mediocri nella sera del 18, guastandosi il tempo. Non farà maraviglia a chi vorrà, per i caleoli di questa cometa, utilizzare le mie osserva- Zioni se troverà che queste scartano da quelle fatte con maggiori strumenti più di quel tanto che a priori paresse at- tendibile, perchè per il Dembowski fu, in tutte le osserva- zioni, J’ astro debolissimo e per puntarlo io doveva sce- gliere alcuni momenti opportuni nei quali mai trovai ba- stante 11 tempo per individuare con sicurezza il centro del debolissimo albore da me veduto, per la qual cosa furono questa volta le oscillazioni di puntata maggiori del solito, (1) Astr. Nach. 2997 (vol. 195, pag. 367). (2) Ingrandimento che fu il preferito in tutte le ricerche e le osservazioni, eccettuate quelle della Cometa 1890 1l e dei pia- пей Glauke e Meliboea per le quali adoperai il 122. Una sol volta adoperai il 166 colla Cometa 1890 IV come è avvertito, a suo luogo, nelle note sulle osservazioni. K N | | (428) [4] e forse in medio non si sono bene compensate. Che la co- meta e per il suo debole splendore e per la sua sfavore- vole posizione nel cielo sia stata un oggetto difficile anche per altri osservatori, che dispongono di mezzi più potenti, lo confermano alcune note di loro che accompagnano le osservazioni pubblicate nelle Astronomische Nachrichten. Così Kobold a Strasburgo, che dispone di un 18 pollici (mm. 460), notò che le sue osservazioni del 9, 10, ed 11 ottobre furono « ausserst schwierig » (') Bauschinger a Monaco con un 10,5 pollici (mm. 270) la cercò invano il 9 ed il 10 e la trovò nell’ 11 «bei ausgezeichneter Luft aber so ausserordentlich schwach dass von einer gu- ien Messung keine Rede sein, konnte» (?); e finalmente Thome a Cordoba fattane una qualche ricerca infruttuosa la credette troppo debole, («to faint » scrisse, Astr. Nach. 3014 vol. 126 pag. 231) per il suo obbiettivo di 11 pol- lici (mm. 280) ; con questo però, a campo oscuro, l'avreb- be dovuta vedere se, forse, altre circostanze non gli fos- sero state avverse. La Cometa 1890 VI è una delle due che furono in- visibili al Dembowski, passò al perielio il 25 settembre, due mesi dopo della sua scoperta fatta in Bristol da Den- ning il 24 luglio. Io la cercai dal 24 al 27 luglio esplo- rando con tutta cura la regione celeste di 15",2 e + 78° identificando tutte le stelle della Durchmusterung com- prese fra 4, В, y, © dell’ orsa minore. In Italia fu vista soltanto a Palermo dal 7 al 9 agosto ed al limite di visi- bilità tanto che al 10 la non si potè più osservare. La Cometa 1890 VII che passò al perielio il 27 ot- tobre fu scoperta il 16 novembre da Spitaler a Vienna mentre aveva puntato il 27 pollici per cercare la cometa Zona, allora indicatagli da Kiel. In confronto di quest’ ul- tima fu la Spitaler assai più piccola ed invisibile per ob- (1) Astr. Nach. 2998 e. 3014 (v. 125, p. 352 e v. 126, p. 230). (2) Astr. Nach. 2998 (vol. 125, pag. 383). [5] (429) biettivi di mediocre apertura. Essa è dunque l'altra del 1890 che io non potei vedere malgrado le esplorazioni fatte nella sera del 5 dicembre essendo il cielo splendidis- simo e scrutando i campi del cannochiale contenenti le due stelle DM +37°1160 e 1175 fra loro vicine e fra le quali avrei dovuto vederla se il Dembowski fosse bastato. Questa cometina è periodica (') (6 ' , anni) e pare che lo sia divenuta in questi ultimi anni avvicinandosi (nel 1887) assai a Giove che le perturbó il suo primitivo cammino. L'ultimo degli asteroidi da me accennato nella mia precedente pubblicazione fu il (288) Glawke, del quale pubblicai due osservazioni, del 26 e 27 febbraio, a pag. 516 del tomo I Serie VII. Dopo di allora lo rividi e l’ osservai il 14 marzo ma non fui capace di ritrovarlo il 22 e 23 colla scorta della carta celeste num. 4 di Palisa. Siccome nel cannocchiale non sono riuscito a vedere le stelle di 13." in 14." grandezza in quella carta indicate, così le mie ricerche negative su Glauke stabiliscono che il pianeta in quelle sere certamente non: superava la 13." grandezza e questo può forse essere un dato di più da aggiungere alle stime di grandezza, che saranno state fatte da altri osser- vatori. Parimenti nel 22 e 23 marzo adoperando la carta num. 3 di Palisa, dove riscontrai tutte le stelle solo fino alla 12.* grandezza, non mi fu possibile vedere i nuovi pia- neti (289) e (290) scoperti il primo da Charlois a Nizza, il secondo da Palisa a Vienna. Di niuno dei seguenti sco- perti dagli stessi due astronomi fino al (301) di Palisa (del 16 novem. 1890) inferiori alla 12." grandezza, (e fino anche alla 14.*, od in media tutti di 13."), volli occuparmi giudican- a priori vana ogni fatica col nostro strumento, dopo gli insuccessi accennati, e dopo il ricordo delle difficoltà pro- vate in marzo con un pianeta di 12°, 5 gr. il (137) Meli- (1) Aste. Nach 3009 SprraLen, 3010 KRUEGER (v. 126, р. 155 è 158). 1 | | | | p (430) [6] boea, che è uno di quelli la di cui effemeride di opposi- zione si trova nel Berliner Astronomisches Jahrbuch 1892 pag. 417. Il Confronto di detta effemeride, fatto nel so- lito senso (0-C), cioè osservazione meno effemeride, colle osservazioni ch'io feci in tre sere si trova più avanti in- sieme a quello di Germania che ho ultimamente osservata senza fatica perché di 11% 2 gr., giovandomi dell’ esattis- sima effemeride di Luther pubblicata nel num. 3002 delle Astronomische Nachrichten. Padova г." Osservatorio astronomico 15 febbraio 1891. A. ABETTI AGGIUNTA, — Mentre le superiori informazioni erano state definitivamente concretate e trascritte, insieme alle osservazioni, per presentarle nell’ odierna adunanza di que- sto Reale Istituto, giungevano le notizie della scoperta dei quattro pianetini seguenti: (303) scoperto a Nizza da Charlois 1° 11 febbraio (304) » a Roma da Millosevich il 12 febbraio (305) » a Vienna da Palisa il 14 febbraio (306) » a Nizza da Charlois il 16 febbraio. I due primi annunciati di 12." gr. furono da me cer- cati ed osservati nelle notti 14, 15 e 16 corrente, ma avendo penato a vederli devo giudicare che sieno di 12° ! , 0 più precisamente della grandezza limite, oltre alla quale non è più possibile osservarne alcun di loro col Dem- bowski. E perciò il terzo di 13." non fu cercato, ed il quarto, sebbene di 11.", venne scoperto così vicino all'epoca del plenilunio che dopo l'avviso avutone non vi furono piü notti serene oscure in eui potessi osservarlo. La lacuna fra il (301) nominato avanti l'aggiunta ed 17] (231) | il primo di questi venne riempita da un pianetino di 13°, 6 | scoperto da Charlois il 14 novem. 1890 che fu dapprima : ritenuto per uno di quelli scoperti precedentemente, ma che ora è riconosciuto per nuovo ed ha dunque il nu- | mero (302). Anzichè ritardare di un anno la pubblicazione | | delle osservazioni del (308) e del (304), eseguite in que- | T sti ultimi giorni, stimo oppportuno pubblicarle subito in | Aggiunta alle osservazioni del 1890 di cui ho prima di- scorso e clie ora faccio seguire. Padova r. Osservatorio astronomico 22 febbraio 1891. | А. | | | { | | ТОЛ, Se ҮП 56 er _rr——————m—_—_—_t е | — re 1890 T. m. Pad. Aa Ad Confr. a app. log. på 2 app. log. pA | * [S COMETA 1890 II (Brooks marzo 19) hk ms з s | —h m s | Ci Marzo 23 16 34 7 | + 229.30] — 5 300 | 16. t| 21 9 57.00 | 9.589 2 IF taS 30.3| 0.114 1 23 16247 | + 023.67| — 5 54] 8. 4| % 9 5798 | 9.589 + 7 843.91 0.774 2 23 | 16347 | + 022.00| +0 118 | 32. 4| 2% 957.12] 9589, |+ 7 8497| 0774 | 3 23 16347| = 116.55] KILI 8. 4 | 21 9 57.20 | 9.589n | +7 842.0) 0.774 4 27 16 20 54| — 030.97| — 4 38.2 | 98. 19 | 21 10 36.61 | 9.586n | + 8 51 345) 0.764 5 27 | 16 20 54] — 042.16] + 0 139 | 28. 19| 21 10 3084 9.586n |+ 851337] 0.761 | 6 28 16 22 58| + 043.39] — 8 34.1 | 16. 12 | 21 10 44.94 | 9 582 n | + 9 18 10.5] 0.760 7 28 | 16 22 58| — 0 709] + 6 31.4 | 20.12] 21 40 4476 | 9587, |+ 9 18 343| 0760 | 8 29 | 15 19 59| + 049.03| —10 92.8) 24. 8| 21 10 5209 | 9588, |+ 9 45 482) 0.761 | 9 29 45 12 52| — 027.64| — 0 17.5 | 24. 8 | 21 40 51.73 | 9.588, |-1-9 45 372] 0.761 10 30 | 16 12 48| + 03992] — 6357] 22. 8| 21 10 57.63 | 9585n |41013 29.1] 0.758 | 1 30 | 16 12 48| + 01678| — 0 73| 22. 8| 21 10 57.71 | 9585, |-F10 13 226| 0758 | 12 30 | 16 19 48| — 1 5.73] — 2174| 22 8| 21 10 57.75 | 9.585, | +10 13266) 0.755 3 Aprile 21 13 55 45) + 02048] — 1 40.2] 24 8 | 91 7 48.81 | 9.643 y | 4-22 36 1.2| 0.723 14 21 13 55 45| + 042.88| — 6 56.6| 24. 8| 21 7 1&81 | 9.643 n | 422 35 58.4| 0723 15 | | | = | | E | — | | © 1890 T. i. Pad. | Аа АФ Confr. | а pp. log. p^ | è app. | log. på | L3 D COMETA 1890 Ш (Coggia luglio 18) Luglio 2A dU Уб Е ЕЕЕ | 8. — | 9 18 30.51 Өг i 4. 0.873 | 46 22 | 40 4 0|— 2 12.469| + 6 59.1 | 8.4 | 9489979 | 9.617 |4-41 47 11.9| 0.873 | 17 | 24 | 93752|— 2 039| + 0 20.71 16. 8 | 9 31 58.94 | 9.654 |4-40 10 16.01 0.848 18 24 | 93752 | — 3 11.63] — 5466] 16.8 | 931 59.14 | 9.654 |+ 40 10 18.9| 0.848 |19 COMETA D^ ARREST 1890 V Ottobre 42 7 23 49 | — 1 33.92; + 5 10. 2816| 19 36 5.01 | 9.164 1—27 71429] 0.917 | 20 12 123 49 | —2 327] — 3 84| 9846| 1936 5.03 | 9.164 |—97 711.7] 0.917 21 13 7 42 30 [+ 230.76] — 333. 24. 8| 19 40 9.69 | 9.088 |— 97 15 56.4| 0.921 | 90 13 71230 |4-2 1.30; —14 52.5) 24 8| 19 40 9.0 | 9.088 |—27 15 558| 0.921 | 24 13 7 12 30 |+ 0 21.94| + O 1L.5| 24 8; 19 40. 960 | 9088 |—27 15 541] 0.921 | 22 44 | 71814 |— 0 17.23 + 3 403| 3242, 19 44 4631 | 9.198 |—27 23 33.2| 0.920 | 23 14 748 14 | 0 4046! — 1 56 32.12 | 19 44 16.43 | 9.198 |—27 23 35.5| 0.990 | 24 17 | 753 9|—33022| —11 5. 2412, 19 56 4303 | 9:01 |— 97 43 20.8| 0.912 | 25 18 7 83 40 1+ 0 33.81] — 16 10. 36. 41 20 0 47.07 : 9210 i—97 48 26.01 0917 ! 95 = фә e —r rigor azz : иии EXm : 1890 T.m.Pad. Да Ad Confr « app. log. pà | è app log. pà | Z | | | LE. COMETA 1890 IV (Zona novemb. 15) _ 2 h m s s ET F зает л 8 gs 230; КЕ : Is Novembre 16 | 10 47 45 |+ 0 40.05 |— 12 51.3 36. 8 5 30 17.2] | 9.54m |4- 33 37 59.4| 0.443 | 26 16 | 40 47 45 |—0 1675 |+ 8368 | 36.8 | 530 17.69 | 9.547n |--33 38 3.1| 0.443 | 25 47 | 10 0 23 |--4 1830 |+ 0 465 | 2412 | 524 52.23 | 9.608n {4-33 51 515) 0.302 | 28 17 | 10 023 |-p4 281 |--11 485 | 2312 | 5 94 51.94 | 9.C08n [4-33 51 562) 0502 |29 21 | 104128 |.-0 2879 |+ 6 03 | 32.8| 5 43245 | 9.455п [+34 37 171] 0.349 30 Dicembre 3| 9 6 44 |--0 2431 |+ 1547 | 2816 | 35148581) 9.586n [+34 57 95) 0.303 |3 3| 9 641|—0 4559 |— 4 467 | 9816 | 3 51 4835 | 9386n [+34 57 93|] 0.303 132 ; | 10 4 20 |—0 5913 |+ 549.5 | 2049 | 3 404689 | 8932n |--34 44 23.6] 0.223 |33 5 | 10 120|—14287 |+ 9228 | 2012 | 340 46.91 | &952n |-I-34 44 242| 0.223 |34 5| 10 1 20 |—3 409 |— 1 462 | 20.12 | 340 4692 | 8932n [4-34 44 224| 0.993 |35 s | 1016 0 |-FA4524 |— 6309 | 16.8 | 3252126 | — co |4-34 19 10.7| 0.227 | 36 з | 1016 0 |+0 44.63 |+ 041.1 | 60. 8 | 32352149 | — © |--34 19 &5| 0.227 |37 9| 91637 |-03083 |+ 6510 | 3214 | 3204021 | 9033n |d-34 9 430| 0.250 |38 9| 91637 |-F0 5.12 |--16 42 8. 4 | 3 20 41.12 | 9.035 [+34 937.7] 0.250 | 36 ~ 3 ——& [ҮР] 1890 T. m Pad. Ax АЗ Confr. « арр. log.pA $ app. log. p^ COMETA 1890 IV (Zona novemb. 15) h ms j m s ‘3 Bus D 3 Dicembre 10 91049 4-4 2.85 +10 04 90. 8| 3 15 5757| 9.010n|-I-33 59 284) 0.254 | 39 10 91049 | + 0 38.27 — 1185 °0. 4| 3 15 56.96| 9.010n|4- 33 59 184] 0.254 40 10 91049 | — 0 53.14 — 2 43.3 2442| 3 15 5701] 9.010n|+ 33 59 19.7| 0.254 41 13 9 025 + 3 10.32 + 4 189 2442| -3 2 3212| 8.837n|4-33 25 19.4| 0.264 42 3 FOR + 4 56.14 — 5 22.9 2412] 3 2 31.60| 8.8370|-- 33 25 16.4| 0.264 43 14 85155 | — 1 1.50 — 7 55.0 392.12] 2 58 20.29] 8.837n|4-33 13 56| 0.271 42 14 851 55 — 1 21.51 + 0556 | 3212) 2 58 2047| 8 8370 Е 13-79] ;0271 44 15 8 54 55 — 5 32.54 = 93% 16. 8| 2 54 15.50| 8.686n|+33 0 488) 0.275 | 44 PIANETA (288) Glauke Gr. 12,* 5 Marzo 14 105431 + 4 29.15 — 10 12.8 20. 8| 10 4 283| 2.577 [+16 35 54.1 0.627 45 14 10 5431 + 0 36.50 — 4 164 20. 8| 40 4 2.89| 8.577 |+ 16 35 54.9] 0.627 46 (er) 4890 Ax | A3 « app. Parall | ж PIANETA (137) Meliboea Gr. 12.5 h s | Б s hi x „ „ Marzo 12 9 1143 — 7261 56.24| —0.09 4 16 35.8| + 2. 5 | 47 12 9 18.61 VERRI кш e da 43 9 4 00 — 05380 16 31| —0.09| – 4 9557/42 8 | 49 13 9 31.56 — 0414 16.37|—0.00|— 4 9 509|-- 2. 8 | 47 14 9 99 70 + 3373 3833|—002|— 4 2 490|-- 9. 6 | 50 14 9 9.88 + 6 15.8 34.92|—0.029|— 4 2 840|--2 6 | 47 PIANETA (241) Germania Gr. 11.2 Novem. — 0 14.73 — 1 230 15 46| —0.17|4- 25 48 49.0] + 1.9 51 2 9.90 | +42 6.0 1581|—0.17|-L 25 455] + 1.9 59 Dicem. 22.53 | - 4 28 32.63] —0.00 | -+ 24 54] + 1.5 53 5294 | 4-10 186 LEE 4 32 44| —0.00| + 21 4 7.6] + 1.5 | 54 2. 29.53 — 9 12.1 1 З 45.46| —0.09|-{-94 21.2] + 1.5 | 55 3 948 | + 0137 4 4867|—0.02|--24 9 167| + 15 | 53 35.65 | —43 58 і 2 58.58 | —0.04 | 4-24 27.6| + 1.5 | 55 56.70 | — 3 41.4 A 2 58.64| —0 01 |+ 24 21.71 + 4.5 53 АСС [er] CONFRONTO (137) MELIBOEA (241) GERMANIA 18 90 Osserv. — Effem. 1890 Osserv. — Effem. А2 Ad Au Ad ج‎ ~ — = rrrzy Per, s ы 8 " Marzo 12 | - 29.02 PF 20.9 Novem. 15] — 0.80 | + 1.6 LE ۹ а E E 15{— 0.45 р — 1.9 13 ] + 344 | + 19.3 Dicem. 13 1 — O78 33 13 + 347 | + 24.1 131] — 0.97 — 1.4 Wa as]-- 248 VUE OI E 0.2 14 | + 342 | + 19.8 14 | — 0.75 | — 4.3 15 ] — 106 | — 2 GE 1.00 | — 8.6 (Lev) Note sulle osservazioni со лет ш, COMETA 1890 H (Brooks Marzo 19) Marzo 23 Buone puntate. 27 Cielo orribile per nuvole. La cometa fu più sospettata che veduta. 28 Splendido. Si verificò qualche irregolarità nel moto del mierometro per cui i A2 potrebbero essere riusciti meno precisi dtl solito. Aprile 91 Brillò come una stella di 9° grandezza con nebulosità diffusa all’ intorno per 1'.5, ma più conden- sata dal centro della macchia verso una regione precedente è più australe. COMETA 1890 HI (Coggia Luglio 48) Luglio 22 Piccola macchia che eguaglia una stella di 9° sfuocata con nebulosità diffusa all’ intorno per 1.5, 5 lucente e non opaca. Osservazioni affrettate. 24 Prossima al tramonto. Orizzonte fosco e chiaro di luna. Osservazioni affrettate, puntata difficilissima. Vedevasi però meglio delle stelle di 9. 5 le ultime che sarebbero state osservabili sul fondo illumi- nato del cielo. COMETA DP’ ARREST 1890 V Ottobre 12-17 Cielo splendidamente sereno. Osservazioni difficili per la debolezza dell’ astro e per la sua prossi- mità all’ orizzonte. = 18 Cielo fosco e perciò la puntata fu ancora più difficile e più incerta che nelle altre sere: anzi il va- lore di A2 è molto grossolano perchè risulta da quattro confronti poco sicuri ed i soli che si sieno potuti fare agendo il micrometro ai limiti della sua corsa. (sey) [rr] М sR ITA ro COMETA 1890 IV (Zona novembre 15) Novem. 16-17 Sereno splendido, osservazioni eccelleuti. Dicem. 3 ә 8 Nebbia e chiaro di luna così che la cometa fu più sospettata che veduta, anzi per farla spiccare sul campo del cannocchiale si dovette far uso ‘deli’ ingrandimento 166: inoltre una stellina parimenti appena percettibile, e situata sulla visuale diretta alla cometa, disturbò le puntate. Piccola e debole come una stella di 12. Cielo nebbioso per cui le puntate furono dapprincipio | in- certe non così più tardie, specialmente in qualche intervallo di lucidità perfetta. Sereno splendido, osservazioni eccellenti. La cometa fu vista bene così come una stella di 12° con ne- bulosità abbastanza percettibile. Nessun nucleo, diametro 0.33. Sereno splendido, ma difficile ad essere osservata perchè piccola e debolissima. 9-10 Sereno splendido. Piecola e debolissima però fu osservata bene. 43-14 Sereno splendido. Debolissima. Os servazioni buone. sservazioni scarse per la deficienza di stelle di confronto prossime alla cometa: poco sicure per е zerm:eute nebbioso, per la debolezza dell'astro, е per una stellina che al me- !) di osservazione coincideva colla cometa. [с] (687) STELLE DI CONFRONTO = > ES a 1890.0 4 1890.0 Gr. AUTORITA h m E 8 er n і ар 749695 {ча E T4304 e) TT Weisse I 21h. 96 2 I PE VR, » » 152 3 a 93699 99 E р 8300 =I 88 » » 454 4 ЕТЕКТЕ 733299 191| H » 199 5 9p 4t 87b CRIS 8502413 Ah (WI 21. i95 4- 2 Monaco 27841 + Glasgow 2404) 6 94 11 20.13 — 143 | + 851323 — 12.5] 84 A (WI218 1200 + 2 М maco 27855 +2 Glasgow 5406) 7 21 40 266 — 110 | + 927271 — 12.5] 92 |í% (WI 215466 4- 2 Monico 27776) 8 21 40 58296 — 1.11 | + 9 12 12.4 — 12.5] 8.8 |i, (WI 190-+-M27829+ Schjel. 8591 + Rim. 9067) 9 21 10 415 — 1.09 | + 936 235 — 12.5] 88 |, (WI 24^ 108 + Monaco 27778) 10 21 41 20.46 — 1.09 | + 946 7.9 — 12.5| 87 у (W 121b 1203 4- M 27856 -- Gl. 5407 + Sant. 1479) 11 21 10 18.78 LO: 40:90 ERES —AZI 80: iv, i 3 219174 + M 27790 + Schjeller up 8585) 12 21 40 42.00 — 107 | + 10 13 42.6 — 127] 75 | (2Gla.5402 4-9 M 27319-4 WI212186 + L141297) 18 21 42 4.55 — 1.07 | -- 40 15 56.4 — 427] DI icone 218291 15 91 6 5911 — 0.48 | е 2237 564 — 45.0] 79 Weisse Il 215109 15 2) 73217 — 048 + 22 43 100 — 15.0 8.2 » » 117 16 9 19 50.01 — 063 | + 4120 7.0 + 51| 73 » » 9368 17 9 20 42.93 — 0.68 | +- 21 40 347 + 54|. 7.3 » 389 18 9 33 59.95 — 0.62 | +- 40 9 501 4- 52| 95 вв M 4- 40." 2238 Fal ear T Si È 2 чу pa = = cn y cc 2 v w — a 18900 4 1890.0 AUTORITA' m Q2 4 К н> 1139 31.92 6.59 43.95 31.83 4 54.88 11.52 53.68 0 30.89 30. 20 Sonus SETTE + | D DO‏ = تا Qo go YO DL фо Li Ue po go po соте e e ج‎ == ©; C. ون ون‎ кк ек е ا سے‎ су I MMM бу бе фо usd LIL III СУ C» ur ur сл 00 000%; tay +++++44++4++41 [111 С‏ 0202 دب ډب Y © Q2 Us O2 G2 Q2 КО he DO = ل حل‎ х ت٤ ل‎ ч lam к» СО بدا‎ Q9 Q2 C2 фо ل‎ e 1 = n Or 32.3 + 5.9 5 — 0.5 2:8 — 0.5 54 — 0.5 34 — 0.4 94 — 0.4 5.9 + 0.1 8.0 4- 2.7 86 T 23 1.8 + 3.2 34.5 4 3.2 113 + 55 1.8 +43.0 43.0 +43.0 20.0 14.1 41.3 TMi 54.9 -14.14 25.6 +46.0 оо 2% 00 tO tO 06 00 C» n O O 00 ;1‹© 00 Qo O л be Q2 Q2 н> کے‎ 00 C» 00 me 00 Ne Ф С Un 00 ut Ur 0 43 Lyncis = 1/3 (Br Auw + Pulk + Glasg Catalogo generale di Cordoba 27020 » » » 27032 » » 97068 » » 27110 » DI 27179 » » 27520 33" 1099 dalle Zone di Leida (inedite) 1102 idem 1049 idem 1053 idem 956 idem 715 idem BA 180 + + Zona 79 di Lund pag. 82 * 51) ДО т< 94339 dalle Zone di Leida (inedite) 746 idem 653 idem (rrr) E oe === n — -— E x 2 : | t * a 1860.0 5 1889.0 Gr. | AUTORITA' x H | hm 5 E o m 37 З 24 33.20 + 366 | + 3i 18 114 160 | 88 DM + 34" 669 dalle Zone di Leida (inedite) 38 3 20 4-L 304 |.L34 9357 EIT 10 » + 33 649 idem 39 3 11 45.14 + 3.61 | + 33 49 412 168 | 50 » » 619 idem 40 З 15 8-- 3.61 | +34 8901 4168 87 » » 697 idem 4l З 16 46.54 + 3.61 | + 34 1462 416.8 | 82 » » 632 idem 49 2 59 + 3.50 | + 33 20 42.5 +180 | 8.2 » » 576 idem 4j 3 0 + 3.50 + 33 30 213 +18.0 94 BB VI+330 580 -—- 44 2 59 4455 + 3.49 | + 33 14 542 1181 7.7 DM + 33° 578 dalle Zone di Leida (inedite) 45 |10 232904 0.78 | + 16 46 104 — 29| 95 BB VI + 16° 2083 46 | 10 325.61 + 0.78 | + 16 40 139 — 29] 94 S8 VI + 16° 2086 АЛ 10 45 34.99 + 082 COO ES E18 7.5 1/6 (Weisse + M. + S. + Vienna + 2 Val.) за {404745 POS | — X AN TI- кер SD — 4? 2967 19 | 1045 1149 + 0.82 | л 9194 +17 | 87 wi 108.778 50 | 10 42 482 + 081 — 4589280 -r 17 |] 91 те 10% 738 + Monaco 3812) 51 4 39 26.88 + 331 zo2g-30 RA EOE TI WIL 4 b 823 89 4 41 2240 + 3.31 T 28 36 31.6 + 7.9 | 84 Wil 4h.868 53 4 16 51.53 E 3.63 | + 24 8 519 4-10]. 73 Br. Auwers 54 ААТ 3035 1-290311 -L4—29 зво H0 [65 pcm 55 4 H 19.32 + 3.62 | + 24 18 922 4a! | 89 WII 4^ 471 = E = — = ="=== == = » = ceo la ж NOTE SULLE STELLE DI CONFRONTO = 42 Le singole posizioni dedotte dai cataloghi di Glasgow, di Monaco (Erste Münchener Sternverzeichniss. Neue Annalen 1), di Weisse е di Lalande concordano molto bene tra loro. => Nel Catalogo generale argentino, o di Cordoba, fa seguito a questa stella la 27174 di 9 Vy gran- dezza che ivi sembra essere un’altra stella, ma io non fui capace di distinguerla nel Dembowski, e nel calcolo ho tenuto conto soltanto della prima 27170. ** 26-44 Le posizioni delle stelle dedotte dalle Zone di Leida mi furono comunicate gentilmente, in iscritto, dietro domanda, dall’ osservatorio di Leida. Furono trovate tutte concordanti colle posizioni di Weisse che si hanno per molte di quelle stelle, e colla posizione di Lalande per la * 27, e colle posizioni di Parigi e di Bruxelles per la * 29. Per la 43 che trovai solo nel BB VI è da notare che la differenza osservata da me all'equatoriale rispetto alla 42 mostrerebbe che l' ascen. ret. del catalogo è troppo pic- cola di circa 0,55. fM Le posizioni date dai vari cataloghi, Weisse I 10^796, Monaco (Neue Annalen 1) * 5885 Santini П 259, Vienna Zone 97.98 e Velentiner (Karlsruhe) * 336 b sono molto concordanti. Al Valentiner che ha sette osservazioni per la * 336 b si diede peso doppio degli altri cataloghi. *— t Le differenze fra Kam II 64 e Weisse, sono K—W-— — 0523 e + 4^4 x gd Non esiste in Rumker come è erroneamente indicato in DM + 24° 641. ** 83 54 Le differenze con Weisse, e con A N 97. 327 Pola sono: W - Br. Auw Р - Вг. Auw *53 ош 4-60] —0-08 #5 с TIE SDI SR RC TI Ai (erp) ns — i = ze — < =» -— z pt "(unssiogip ejejung 'osordqeu әзпәсолә88әр ору 9F « "neueid т enp 13303 uoo цор rrorzeAdessQ) Zg; Oyneunpue4su] оршу пой opor) GF « "SI[eg Ip y "unu езлеә ецәр „бү IP әцәјѕ әре muopueJej;ti сер] “18 тр neuins әш ер ополу neuerd 1 әпр тууп], £g о}пәширпелбпү OUA ә оррәлд 'opipue]ds opor) ‘pi ofezqqoj 9 ТЕЛО |0658 LF 6 JES'ES LE 6 925 s eror or L |ewo [osta 11| 9896 [ores zv 6 OSE E €95 | 9I + |6890 19950 LI+| cere [9787 Sv 6 L'6E 8r 68 I | SI 9 | 690 [+850 LI+| ec*6 |9287 87 6 Qe $I 6S УР | SH g «00 [ЄТ ss or + 96:6 figor 6F 6 065 SE 86 Vt | vi ғ lesoo less zg or +1 9666 [egor 67 6 9:86 SE $6 FI Î ¥ отелдә ps i su qb 29 m am | еар ә (4992/ gp 421020) (0p) Y LAN FI d i 6890 [F9 rr ST+| v8r6|toS LF 6 |s e | FEYO — | 9175 o— | 65 8G FF | 9t e 6890 |281 v) 9Y-F| tSv 6|I€S LE 6 È "s | v*e€ 0 + | FOE O0— | 66 8S8 у | o I 8990 |F9 0rSI+| 21661790 8% 6 |8 WETE 5 Jur о ги б 0890 |06 9 cr+| 9oroejiess sre |78 | gge — | ore r— | са ЄР | vl i osgo jes 9 cr+| 90019.09 SF 6 | Y 85 | ogg — | seseo i+ [ars ЄР | Fr огеладәя H- <> o = ш Ч | „ d s ш was Wu сср 49 (4999/ үр S1014040) (c0) VLANVId ж | vd ‘$0] "dde р vd So] 'dde » "juo ev zy ‘peq uti 1681 | E VINNI9I9Y (445) [21] “apus 01}]8 pe o fojueume 03njoA [8 ополләѕ uou ә e[oooid 0ddos) L „1р euoiSea цәй ‘ouos jessag 1р auoz e] ләй (eSJeqsSiuow тр LE "[ол) ләп 1р 1џо12әллоә әт *9 , w[[09 9,5 < еүвАләѕ=0 ezuoi1epgrp e] әләрәлә ву 0] әш a „0F epueJ$ oddo:, ә [ossog 1р ouorzeuimoop ej әѕлод "OyetreAur isenb әџецил 010] тр отрәш ү Ouau 1р eun po nid rp eun euopuejuduioo ago o[ej ә 100121504 a] 933nj елу opioo9e,[ ojsei [0G ‘91% £z NF 8318 {100 eurersut 03000 ut еѕәлі оц $10 J9quInY U09 ?9HUopr IS (сү "ez МҮ 9uoizisod e] euo әлелолі e opueosnir UON "ejeg0]ejeo шеу ep nj uou Joywuny Ip Opussse ед -[&] 089] "Umu [e шеу ur ISEA04) epuooes e| “915 ә (е ‘Fed eg “OA ‘UN ‘Hs¥ ur muorzisod enp alle 7.70 1р epensue nid ә pe ze. 1р Зәл “әзв UI 80LI9jUI ә « әш "вод » AIU әшоә sQ IP купир [L6 ц'6 II OSSM 1р euotzisod е7 'éeuoZ әцер о « "ueurq 'sog » e][ep Lyns әшоә 0g IP eimuruup nj обогезво тәр euorzeuioep ет 'L,€ ip epeujsue nid ә рә ‘RLO IP "joi "ose ш ITOM -әрщ ә © aejepueurg seuonisoq » PU озер ә әшоә ÅF IP ejmurump 086 цб П SSIM 1р euomis d Eq T6 цб II 9SS19AA sin- | 14 590-1 Susp OV B 7 6867 1exuny 68 | rz — ese L| 7830 F 8628 Lr 6 | 9 A ‹90 q6 IT OSSA 06 | 15 — #9 +| £80 T учу 166 | € (€6 N "v T- SH шау + grog way + p AD V ү, | ra — 065 95 91 | E1 + 0898186 | V STE Хаз [BUX 06 | 1z — 667 erst +| 180 + rise LF 6 | € 1801 Q6 I 9sstoA _ FL | Ta — LLY р SI + | 380 + 2971 08 6 | = (уур; шлу + 85 sug итд) % gL | rz — ct 8181 4| 680 + 9806/76 | F = = А ° 5 S ш q YLIYOLNY u9 0 "7681 ¢ 0 168) © ж OLNOUANOOD IG HATTHALS аа n c dim س‎ — * E = + — e — Е cie ai = = — E -p | | PER UN RECENTE RAFFRONTO DELLE DOTTRINE DI S, AGOSTINO E DI DARWIN CIRCA LA CREAZIONE. DEL $0. ANTONIO POCA DNA RO. == Nel 1884 la Facoltà teologica dell’ Università di Mo- naco pose a concorso il tema seguente : « Si espongano e si raffrontino le teorie di S. Ago- stino e di Darwin circa la Creazione. » Il prof. Grassmann, del Seminario di Freising, vinse il concorso e pubblicó nel 1889 la sua dotta e lucida Me- moria, in cui le due dottrine sono sommariamente descritte con perfetta lealtà. (!) Nel compararle il Grassmann mira, in fatto, a porne in luce ogni dissomiglianza. Intende di- mostrare che S. Agostino e Darwin avevano un diverso concetto dell’individuo e della specie ; che, se S. Agostino һа meditato sulla origine della Vita, Darwin stimò follia il proporsi un tale problema; che il naturalista esclude, contro il Santo, ogni differenza specifica fra lo spirito del- luomo e quello del bruto ; che Darwin non vide nel mondo Se non la operazione di cause fisico-meccaniche, e deplorò, Secondo scrisse a Hooker, di avere una volta usato la pa- (1) Е. L. Grassmann, Die Schópfungslehre des heiligen. Augu- Slinus und Darwins. Regensburg. Manz, 1889. DUI Ө, VIL 58 адашы (448) [2] rola « Creato » invece di queste altre «comparso in se- guito ad un processo totalmente sconosciuto. » Avrò a ri- cordare di passaggio, più avanti, fatti assai noti che non concordano con questo giudizio sulle opinioni religiose di Darwin; mi basta ora osservare che la via seguita dal prof. Grassmann era sufficientemente facile, non solo per- chè le due teorie procedono evidentemente in un campo diverso, con intendimenti diversi, secondo leggi diverse di ragionamento, criteri diversi di verità; ma perché, altresi, nessuno potrebbe ragionevolmente attendersi dal più colto e forte pensatore del secolo IV o del secolo V una dot- trina rispondente in tutto a quell’ altra che il pensiero umano ha generata quattordici o quindici secoli più tardi, dopo una trasformazione completa di metodi scientifici, una immensa conquista di strumenti straordinariamente pode- rosi ed esatti, una intensità, una molteplicità di lavoro che gli antichi neppur potevano immaginare, un meritato pre- mio di scoperte meravigliose che hanno contraddetto in- teramente о quasi le opinioni e i giudizi dei contempora- nei di S. Agostino circai fatti naturali, e hanno dato alla osservazione e alla meditazione umana campi nuovi, senza paragone più estesi e più fertili. A me sembra che la Facoltà teologica della Ludovico- Maximilianea non abbia posto bene il suo tema. La dottri- па di Darwin, in quanto è propria dell’illustre naturalista, va-distinta dalla ipotesi fondamentale della Evoluzione ; in- tende a porre in luce i fattori e le forme di questo supposto processo, limitatamente al nostro pianeta e con particolare riguardo alle specie animali. Poichè altri naturalisti e pen- satori, sì prima che dopo di lui, hanno costrutto sulla stessa base teorie scientifiche diverse, non appare sufficientemente dimostrata la opportunità di paragonare le intuizioni teolo- ) giche e metafisiche di S. Agostino con alcuno di questi siste- mi particolari. Di fronte alle idee di 8. Agostino nulla impor- ta che fattori della Evoluzione sieno la influenza dell'ambien- te, gli effetti dell’ esercizio e dell’inerzia degli organi come [3] (449) parve a Lamark, o la selezione naturale di Darwin, o quella growthforce nella quale, modificata dall’ ambiente o dallo sforzo del soggetto, il prof. Cope vede l'origine delle varia- zioni individuali, o la selezione fisiologica proposta nel 1886 dal Romanes, il maggior passo, secondo qualcuno, fatto dalla scienza su questa via; di fronte a S. Agostino solo è rilevante la ipotesi della derivazione genealogica di ogni specie da una comune origine sia per insensibili gradi come vogliono i suddetti naturalisti, sia per salti e per via di eterogenesi come vogliono il Kölliker e il Wigand. Se la immensa celebrità di Darwin lo indicava alla Facoltà teo- logica come il massimo rappresentante del trasformismo, i dotti professori di Monaco non potevano ignorare che la selezione naturale è combattuta vigorosamente nello Stesso campo evoluzionista, e viene a ogni modo giudicata insufficiente, per confessione del suo medesimo autore, a Spiegare la variabilità delle specie, poichè parte da un fatto inesplicato, le variazioni individuali entro i limiti di cia- scuna specie. Era la ipotesi fondamentale comune a Darwin e al teo- logo Henslow, al materialista Haeckel e allo spiritualista Le Conte, al prof. Huxley e al suo contraddittore Mivart, che conveniva porre a fronte della teoria di S. Agostino ; anzi non la ipotesi di una evoluzione ristretta agli orga- nismi terrestri, ma la ipotesi di una evoluzione universale della materia, la grande ipotesi che si chiama nebulare prima di chiamarsi trasformista. Proposto il tema così, i concorrenti avrebbero fatto bene a esaminare se le due dottrine offrissero qualche somiglianza sostanziale, qualche mutuo contatto. La inconciliabilità del dogma cristiano della Creazione con la dottrina evoluzionista è predicata, come un osser- vatore imparziale facilmente noterebbe, dagli scienziati più lontani dal Cristianesimo е dai credenti più lontani dalla scienza, cioè da coloro che poco conoscono almeno una metà della materia di cui ragionano. E uno strano (450) [4] accordo fatto di odio da un lato, di terrore dall'altro. Dal lato della scienza irreligiosa l’odium antitheologicum ha turbato parecchi pensatori più misurati del Vogt al quale parve probabile che gli apostoli offrissero nella. struttura del cranio spiccati caratteri scimmieschi. (') Haeckel, im- petuoso discepolo di un prudente maestro, sebbene dichiari che la Creazione, in quanto significa origine della. mate- ria dal niente, non può essere oggetto di considerazioni scientifiche, subito soggiunge che la materia è dalla scienza giudicata eterna, esclude il concetto teleologico dell’ Uni- verso e a proposito di evoluzione mette in campo i Papi e la gerarchia (?); riconosce nel racconto mosaico due grandi e fondamentali idee comuni ad esso е alla teoria evoluzionista ossia l’idea di differenziazione, e l’idea di progressivo perfezionamento degli organismi, ma tutta l'ope- ra sua è intesa a dimostrare l'antagonismo delle tradi- zioni religiose e della dottrina ch'egli vede combattuta dai preti di tutte le chiese, e di cui riverisce il massimo autore in quel Carlo Darwin che protestó sempre contro l accusa di irreligiosità, che in tutte le edizioni del suo libro sull’ Origine delle specie mantenne, malgrado la nota lettera a Hooker, il vocabolo Creato. In fronte alla se- conda edizione di quel libro Carlo Darwin scrisse le pa- role con le quali il vescovo Butler riconosce nelle leggi naturali la stabile volontà di una mente intelligente ; Hae- ске] prese il motto della sua An/Aropogenie nel Prometeo di Goethe, nel poema dell’ odio contro Dio. Anche il Virchow, che racchiude in sè uno scienziato e un filosofo tra loro discordi, dopo avere assalito con violenza le stesse basi scientifiche del trasformismo, si ab- bandona all’ odium antitheologicum cui dà l’ onesto nome di Gefühlsstandpwunkt; oppone, con argomenti morali, ai (4) Vogt, Vorlesungen über den Menschen. Vedi Mivart, Ge- nesis of Species, Introductory. (2) Haeckel, Natürliche Schòpfungsgeschiehte, Сар. П. [5] (451) teologi cristiani quella stessa teoria sulla origine dell’uomo di cui prima ha voluto demolire le prove scientifiche, ed esce in queste parole ben singolari per uno scienziato : « Wo die Thatsachen fehlen, da bleibt auch für die Gefühls- wissenschaft ein Platz. » (!) Ancora più note sono le vio- lenze materialiste del Büchner. Cosi per opera principalmen- te di alcuni darwinisti tedeschi la passione ha preso in que- sto argomento il posto della scienza, e il vessillo monistico di Haeckel, inalberato sulla teoria dell’ Evoluzione, ha per- suaso parecchi che questa sia veramente una trincea di guerra, un lavoro d’approccio contro il Cristianesimo ; opi- nione confermata da moltissimi scritti che si vennero pub- blicando in ogni parte del mondo, nei quali è svolto con singolare compiacenza quel punto della teoria che si rife- risce alla discendenza della specie umana, punto supposto capitale nélla lite con le tradizioni religiose. Negli'Stati Uniti il monismo haeckeliano è penetrato malgrado l'attitudine ostile di alcuni dotti insigni sotto una veste mistica che attesta non tanto il buon giudizio, quanto la buona indole degli adepti. Uno dei più ardenti e dei più immaginosi fra questi, il Powell, ha scritto sulla Evoluzio- ne un libro (*) con propositi assai più metafisici che scien- tifici. L'autore, un calvinista che, non potendo sopportare le dure dottrine della sua chiesa, ne uscì di slancio e andò a cader fuori del Cristianesimo, afferma, nel bel principio del suo libro pieno di cuore, di caldo e torbido ingegno, il ne- cessario antagonismo della dottrina trasformista e della fede religiosa; e se il Laplace ha detto che ogni progresso della scienza spinge più indietro nella storia dell’ Universo l’azione di una Causa prima, il Powell si domanda se non si potrebbe con uno spintone definitivo « by one final push » (1) Virchow. Menschen und A[fenschüdel. Vedi Wigand, Der Darwinismus und die Naturforschung Newtons und Cuviers, Vol. Ш, pag. 171. (2) Powell, Our heredity from God. (452) [6] eliminarla del tutto ; e aspira evidentemente a questa gloria. Fra noi, per citare un esempio recentissimo, il prof. Morselli, riproducendo sostanzialmente nelle sue dottissime lezioni di antropologia generale, un passo del Saggio sull’ipotesi ne- bulare di H. Spencer, afferma che il concetto di Creazione, inconciliabile con quello di Evoluzione, appartiene a uno stadio inferiore della conoscenza umana. (!) Oggi, a suo avviso, l’unico sistema filosofico vitale è l’ evoluzionismo monistico. Segue tali maestri una folla anonima pigliando anzitutto delle nuove dottrine le due che più intende e più le vanno a grado e piü si sono identificate nella sua mente ; la derivazione dell' uomo dalla scimmia e la negazione del Creatore. Dall’ altro lato alcune Riviste inglesi e americane come la North British Review, M Christian Læaminer, la North American Review, denunciarono sin dal principio come atea la teoria trasformista di Darwin pure ammettendo il teismo dell’ autore. І accusa fu confermata da un teologo ameri- cano di grande riputazione, il dott. Hodge, e da altri. Agassiz, nella mente del quale, dice il Le Conte, (°) sorse la grande idea : della essenz'ale identità della serie tassinomica, ontogenica e filogenica, non volle edificare su questa base, come sa- rebbe stato logico, la teoria dell'Evoluzione, e la combattè Darwin perchè gli parve condurre alla negazione di una verità più alta e più certa, la esistenza del Creatore ; me- ritando così di venire citato dal Grassmann con grande fa- vore, quantunque non si tratti poi d' un ortodosso ma d'un poligenista. Il libro di Darwin sull’origine dell’uomo, l’asserita iden- tità di natura dello spirito umano e dello spirito delle be- stie, il ruvido dogmatismo di Haeckel gittarono lo spa- vento e il ribrezzo nei credenti. Insigni pensatori cattolici (1) Morselli. Lezioni di Antropologia, Lezione seconda, pag. 40. (2) Le Conte, Evolution and its relations to religious Thou- ght, pag. 43. Й [7] (453) quali lo Zanella e il Fornari scrissero della Evoluzione con abborrimento, e con ancor maggiore violenza ne parlò Au- sonio Franchi nell’ Ultima Critica. 1 professore Grass- mann, premiato, come dissi, dalla Facoltà teologica di Mo- naco, vuol dimostrare l'inconciliabilità della Fede con il trasformismo darwiniano per quanto riguarda l’ anima uma- па, considera vani i tentativi che si son fatti per accor- dare l’idea generale di evoluzione con l’idea di Creazione. Nel 1888 un’ assemblea ecclesiastica presbiteriana tolse la cattedra a un professore di teologia perchè insegnava che Adamo era stato formato con la polvere d’ altri or- ganismi e non con materia inorganica (‘); e io rammento aver udito il padre Agostino da Montefeltro chiudere una delle sue più eloquenti prediche con un aneddoto inteso a riprovare e a schernire la supposta derivazione dell’uomo dai bruti. E un’ altra folla anonima ‚ rifuggendo dalle nuove dottrine perchè le ode maledire dai suoi maestri, predicare dagli avversari d' ogni fede, e sopra tutto perché le paiono contraddire il racconto mosaico, prontamente e bonaria- mente accorda al nemico che Evoluzione e materialismo sono la stessa cosa, che Evoluzione e Cristianesimo non possono accordarsi. Ciò è quanto Haeckel e i suoi seguaci desiderano ; ogni Opposizione di carattere religioso è loro gradita; essi la prevengono proclamandola necessaria, inevitabile ; essi ignorano le opinioni e le testimonianze contrarie. Il Powell, pubblicando nel 1889 la. lunga nota degli au- tori da lui consultati per scrivere il suo libro, v'inchiude il Quatref: fages, avversario antico della variabilità delle spe- cie, non il Le Conte, americano come lui, professore al- l Università di California, { geologo insigne, che due anni prima, nel 1887, aveva publie ato un'apologia dell' Evolu- Zione, ispirata a profonde convinzioni cristiane. Il profes- (1) Mac Queary. Evolution of Man and Christianity, p. 72. 19 (454) [8] sore Morselli cita insieme il Le Conte e il Quatrefages tra gli avversari della selezione naturale. (') Queste inesattezze non dovrebbero commettersi perchè il monismo si trova a fronte di oppositori meno impauriti e meno compiacenti di quelli accennati, niente disposti di riconoscergli alcuna signoria sulla ipotesi dell’ Evoluzione, pronti a notare i suoi errori di fatto e persino l’ appa- renza di un artificio poco lodevole. Perciò Haeckel e i suoi partigiani commettono una imprudenza grave quando esponendo le origini storiche dell’ idea trasformista, trat- tando dei precursori, si occupano di Anassimandro, di Era- clito, di Empedocle, di Lucrezio Caro e tacciono del tutto le intuizioni potenti e chiare dei grandi pensatori cri- stiani. Non essendo in grado di sopprimere le testimonianze dei Padri della Chiesa, valeva assai meglio affrontarle e di- scuterle. Cosi il prof. Grassmann avrebbe dal canto suo me- glio provveduto, io credo, alla sua causa ove, notate le dis- somiglianze fra la ipotesi di S. Agostino e la ipotesi evo- luzionista, pure riservando ogni discussione circa la na- tura e la origine dell' anima umana, avesse altresi notate espressamente le coincidenze fra le due dottrine che si rilevano in parte dalla sua stessa analisi, poichè queste coincidenze sono evidenti e di singolare importanza. II. Nel trattato De Genesi ad litteram, S. Agostino, con- siderando principalmente il passo: « Deus creavit omnia simul» e i versetti 4." e 5.° del Capo II della Genesi « Hie est liber creaturae coeli et terrae, cum factus est dies, fecit Deus coelum et terram et omne viride agri an- tequam esset super terram et omne foenum agri antequam exortum est» giudica probabile che tutti gli organismi (1) Morselli, Op. Cil. Lezione III, pag. 70.» [9] (45 5) sieno stati creati simultaneamente e potenzialmente, po- tentialiter, causaliter, primordialiter, in una materia prima dalla quale si sarebbero poi svolti, ciascuno a suo tempo, nell’ ordine indicato dalla Genesi. Il mondo attuale con tutte le varie sue forme esisteva virtualmente nella ma- teria originaria come un albero esiste virtnalmente nel seme « Sicut autem in ipso grano invisibiliter erant om- nia simul qua per tempora in arborem surgant, ita ipse mundus cogitandus est, cum Deus simul omnia creavit, habuisse simul omnia quae in illo et cum illo facta sunt cum factus est dies » (!). S. Agostino non ha fatto ecce- zione per il corpo umano, non vi ha ravvisato una parti- colare nobiltà che lo distingua dal corpo delle bestie. « Si ergo et hominem de terra et bestias de terra ipse for- mavit, quid habet homo excellentius in hac re nisi quod ipse ad imaginem Dei creatus est? Nec tamen hoc se- cundum corpus sed secundum intellectum mentis (?). » Egli lo ha veduto esistere potenzialmente nella ma- leria prima e svolgersene « secundum caussalem rationem » come ha veduto esistere nel mondo, fin dalla prima crea- zione, l'anima umana. «Illud ergo videamus utrum for- sitan verum esse possit quod certe.humanae rationi to- lerabilius mihi videtur, Deum in illis primis operibus, quae Simul omnia creavit, animam etiam humanam creasse quam suo tempore membris ex limo formati corporis inspiraret, cuius corporis in illis simul conditis rebus rationem creas- set causaliter, secundum quam fieret, cum faciendum esset, corpus humanum. Oredatur ergo si nulla Scripturarum au- ctoritas seu veritatis ratio contradicit, hominem ita factum sexto die ut corporis quidem humani ratio caussalis in elementis mundi, anima vero jam ipsa crearetur sicut primitus conditus est dies et creata lateret in operi- bus Dei ». (?) (1) De Gen. ad litt. V, 45. (2) De Gen. ad litt. VI, 22. (3) De Gen. ad litt. VII, 35. de LAS, УЦ 59 (456) [10] La ipotesi che S. Agostino esprime con modestia е prudenza si accorda con l'ipotesi evoluzionista nell’ esclu- dere le creazioni speciali successive mediante atti creativi diretti, le quali a molti credenti e non credenti paiono indissolubili dal concetto cristiano di creazione, almeno per quanto riguarda il corpo umano. Su questo punto ca- pitale coincide; ammettendo poi la derivazione successiva di tutti gli organismi da una materia prima come di un albero dal seme, ammette circa la origine delle specie qualsiasi teoria fondata nella loro naturale evoluzione, con- ciliandosi tuttavia più facilmente con la opinione di que- gli evoluzionisti che ai fattori darwiniani antepongono l’azione di cause interne; sentenza che il Wigand stimò dover prossimamente riunire tutti gli scismatici della Evo- luzione, tutti coloro che sp'egando diversamente il pro- cesso genealogico degli organismi ne ammettono la unità. Ma se nel trattato De Genesi ad litteram S. Agostino ha esposte le sue idee sulla creazione quasi con peritanza, « sì nulla scripturarum auctoritas seu veritatis ratio con- tradicit » egli le ha invece manifestate altrove con un lin- guaggio sicuro e veemente che si direbbe mosso, come quello dei profeti, da un soffio superiore. Nel libro XII delle Confessioni, quest’ uomo che all’in- telletto altissimo congiunse un cuore ardente, riferendo le sue meditazioni sul secondo versetto del primo capitolo della Genesi, e singolarmente sulle parole ch’ egli cita così: «Terra autem erat invisibilis et incomposita» glorifica con entusiasmo Iddio che gliene ha rivelato il senso ar- cano. Nel significarlo gli scoppiano dal cuore accenti quasi intraducibili di preghiera, di gratitudine, di ammirazione; e io confesso non conoscere pagine di scrittore antico 0 moderno in cui una speculazione metafisica così eccelsa mandi per le regioni più alte del pensiero umano getti lirici così potenti. Nella « terra incomposita et invisibilis » egli ha ravvisato una sostanza di cui non può dire se sia ma- teria 0 spirito, una sostanza senza forma macapace di tutte [11] (457) le forme che verranno prendendo successivamente i corpi, causa, per meglio dire, delle loro variazioni continue, sem- pre permanente in essi. Questo «informe quiddam » per virtù del quale tutti i corpi passano di forma in forma, che non è visibile, che non è corpo, che non è spirito, che è e non è al tempo stesso, tanto da potersi chiamare nihil aliquid, non ha esso alcuni caratteri di ciò che noi moderni chiamiamo forza? Non sarebbe questa la vs es- sentialis di Wolf, il nisus formativus di Blumenbach, il principio senziente organizzatore di Rosmini, la innere Ur- sache di Kölliker e di Wigand, la unknown internal law di Mivart? Non sarebbe quella variabilità originaria che il dar- winismo lascia inesplicata, quella permutation o mutability, di cui il Powell scrisse che è «the original tendency in nature » ? « Mutabilitas enim rerum mutabilium ipsa ca- pax est formarum omnium in quas mutantur res mutabi- les. » (!). Questa è la verità ch’ egli narra di avere do- mandata «aestuans et anhelans» a Dio, e da Lui otte- nuta. « Nonn tu, Domine, docuisti me?» Che il senso da lui divinato nel testo mosaico sia diverso da quello accet- tato comunemente, non lo turba. Il testo si adatta alle in- telligenze umane; i sensi salutari sono più, chi ne può prendere uno, chi un altro; quale di tanti vi abbia inteso mettere Mosè non può affermarsi, senza temerità. Contro colui che gli opponesse « Mosè non ha pensato come tu dici, bensi come dico io, » S. Agostino si accende tanto da sup- plicar Dio che gli doni pazienzà. Secondo il Grassmann la ipotesi di S. Agostino non ebbe seguito ed è rimasta solitaria nella Chiesa. Il Mivart aveva prima dimostrato il contrario citando S. Tommaso, S. Bo- naventura, Alberto Magno e alcuni teologi meno antichi come il Cardinale Noris, Berti e il gesuita Pianciani, nostro contemporaneo. Anche Asa Gray citato dal Morselli come fautore di (1) Conf. XII, 6, 6. (458) [42] Darwin, ma fautore, se pur tale, assai misurato e circo- spetto, lontano, a ogni modo, dalle opinioni monistiche, ricordando come la dottrina della fissità della specie sia relativamente recente e come gli antichi teologi sapessero farne a meno, cita insieme S. Agostino e S. Tommaso chiamandoli « model evolutionists » (!). Forse il Mivart ci- tando S. Tommaso, ommise una distinzione opportuna, е certo la parola «evolutionists» usata da Asa Gray è im> > propria; ma queste inesattezze e improprietà posson levarsi senza scemare di molto il valore delle citazioni. In fatto S. Tommaso non ha risolutamente approvata la ipotesi di S. Agostino, quantunque né parli con grande rispetto e con l’ evidente studio di conciliare per quanto è possibile le vedute di S. Agostino con quelle degli altri teologi. Nella parte che riguarda la creazione dell’ anima umana e le giornate della Genesi cui S. Agostino, attri- buendo un senso figurato alle parole mane e vespere, con- sidera un giorno solo, S. Tommaso lo contraddice; ma nella parte che concerne la creazione potenziale degli or- ganismi, S. Tommaso, senza dipartirsi dal solito prudente linguaggio, gli si dimostra favorevole. Ne scrive nelle Sententiae : «Haec opinio plus mihi placet (*)» e, nella Somma teologica, trattando delle opere del quinto giorno, ossia della comune origine dei rettili e degli uccelli che S. Ambrogio cantò generati «stirpe ab una» e la cui parentela è oggi dimostrata dalla paleontologia, scrive : «In prima autem rerum institutione principium activum fuit verbum Dei, quod ex materia elementari produxit anima- lia, vel in actu secundum alios sanctos, vel virtute secun- dum Augustinum » (°). E altrove ha proposizioni che all' opinione di S. Ago- stino si conformano. «Species novae, si qua apparent, (4) Asa Gray, Darwiniana. (2) Thomas Aquinas, Sent. Dist. XII, Quaest I, art. 2. (3) Summ. Theol. P. I, Quaest. 74. ' [13] (459) praextiterunt in quibusdam activis virtutibus (')». Nella Expositio aurea in Genesim dissente da S. Agostino quanto alla interpretazione dei giorni ed esprime il dis- senso degli altri teologi « istam tamen viam non tenent doctores moderni» ma pronuncia giudizi e usa espressioni che ancor più nettamente, benché parzialmente, riprodu- cono le opinioni di S. Agostino circa il modo di creazione degli organismi. Nel germinet terra egli vede una potenza infusa nella terra, in virtù della quale segui la produ- zione dell’ erba e degli alberi. « Dicit igitur gerinznet : ad productionem enim sequitur collatio potestatis ipsi terrae ad producendum terrae nascentia, pro nihilo enim mate- ria requireretur nisi illi data esset seminalis potentia.... et subdit productionem actualem cum dicit: et protulit terra herbam virentem (®) ». S. Tommaso non ha pensato a una legge universale di trasformazione per la quale gli organismi vegetali tutti si sieno venuti successivamente svolgendo per effetto della potentia seminalis di specie in specie, bensi ha pensato a qualche possibile trasformazione particolare, come si de- sume dal passo seguente. « Si autem sunt aliqua ligna ad quae non est terra in potentia seminali ex se misi me- diante aliqua specie, sicut pinus et ficus et talia, exponi- tur quod protulit ista quia in eis ista prolata sint (3). » Non possono dunque nó $. Tommaso né S. Agostino dirsi « model evolutionists ». Essi non hanno pensato alla Successiva derivazione di tutti gli organismi da una o da poche forme primitive, ma le loro opinioni sullo sviluppo delle varie forme dalla materia originaria possono assai bene o nel tutto o almeno in qualche parte accordarsi con la ipotesi che nello stesso argomento hanno posto innanzi, secondo criteri propri, le scienze fisiche moderne. Questo (1) Summ. Theol. P. I, Quaest. 73. (2) Exp. Aur. in Gen. Cap. I. (3) Ibid. (460) EEA è da ricercare nelle opinioni dei grandi teologi cristiani e non se vi sieno differenze fra la loro metafisica e la fisica nostra, nė se si accordino fra loro nella interpreta- zione delle Scritture, ciò che si direbbe troppo importare al Grassmann quando vuol dimostrarci solitario il concetto di S Agostino. Coloro che hanno il glorioso ufficio di diffon- dere pubblicamente il Cristianesimo, dovrebbero guardarsi dal chiudere alcuna delle vie anche solitarie e remote per le quali taluno potrebbe indursi di venire alla fede cri- stiana; dovrebbero notare come S. Tommaso dica di pre- ferire la interpretazione di S. Agostino anche perché meno espone la Sacra Scrittura ad esser derisa dagli increduli, e con quale cura tenga aperte le vie della fede : « Sic ergo circa mundi principium aliquid est, quod ad substantiam fidei pertinet; scilicet mundum incepisse crea- tum; et hoc omnes concorditer dicunt; quo autem modo et ordine factum sit non pertinet ad fidem nisi per acci- dens, in quantum in scriptura traditur; cujus veritatem diversa expositione Sancti salvantes diversa tradiderunt (!) ». Perciò anche se le dottrine tras'ormiste e in particolare la Pythecoidentheorie ispirano a molti credenti viva ripu- gnanza, anche se è vano di ricercare negli antichi scrit- tori cristiani una teoria sulla discendenza in generale di tutte le specie da una o da poche forme primitive e in particolare della specie umana dai bruti, è tuttavia utile, nel senso religioso, di mantenere le ipotesi circa uno svol- gimento graduale degli organismi e segnatamente del corpo umano, che, concepite da queg?’ illustri teologi antichi, pos- sono conciliarsi col trasformismo moderno. È utile, per esempio, di ricordare che Suarez, il quale combatte la 1ро- tesi di S. Agostino e sostiene la creazione immediata е diretta dell’uomo, così riferisce le opinioni di S. Giovanni Grisostomo, dell’ Abulense e del Castro circa quest’ ultimo punto: « Intelligunt ergo corpus hominis delineatum et (1) Comm. in quat. Lib. Sent. Dist. ХП. Quaest. I, art. 2. ARR [151 (461) externa hominis forma compositum et imperfecte disposi- lum pracessisse tempore introductionem animae, ac proinde ab imperfecto ad perfectum successive producendo, tandem ad ultimam dispositionem pervenisse (!)». Questo corpo ab- bozzaio e imperfetto, che verrà confermandosi col tempo alla disposizione perfetta del corpo di Adamo e, raggiun- tala, acquisterà un’ anima ; questo corpo che vive e non è ancora uomo, non possiede ancora uno spirito umano, in che differirebbe dai bruti? Il Grisostomo professa circa le opere del quinto giorno una opinione rispondente al con- cetto di S. Agostino e di quegli evoluzionisti che poco sti- mando i fattori esterni attribuiscono principalmente ad una forza interna le trasformazioni degli esseri viventi. « Mihi videtur fuisse in aquis efficacem quandam et vita- lem operationem (?)». Infatti non sarà mai possibile di spiegare l'origine della vita con la virtù dell’ ambiente, né con l'uso o il disuso degli organi, né con la selezione naturale, по con la sessuale, né con la fisiologica; e se la prima cellula ha dovuto essere formata da una energia interna della materia, è difficile ammettere che una ener- gia capace di operare mutazioni così straordinarie come il passaggio della materia dallo stato inorganico all’ organico, поп abbia pure dato origine alle mutazioni meno radicali che i primi organismi subirono. Cornelio a Lapide, contrario come Suarez alla ipotesi di S. Agostino, ammette però la creazione potenziale di alcune specie. « Minora animalià quae ex sudore, exha- latione aut putrefactione nascuntur uti pulices, mures, aliique vermiculi, non fuerunt hoc sexto die creata for- Maliter sed potentialiter et quasi seminali ratione (°). » La Stessa concessione è fatta da Suarez per quelle specie Imperfette « qua per influentiam coelorum ex putrida ma- (1) Suarez De opere sex dierum. Lib. III, Cap. I. (2) Chrys. Gomm. in Gen. Hom. III. (3) Corn. a Lap. In Gen. Comm. Cap. Т. (462) [16] teria terrae aut aqua generari solent». La concessione sem- bra ma non è parziale, poichè accorda il principio che specie viventi possano aver origine da cause naturali preordi- nate, della cui azione s'ignorano il modo e il tempo. Il solo Huxley, ch'io sappia, fra i maggiori apostoli del trasformismo anticristiano, ha consentito a esaminare e a discutere alcuni documenti dell’ antica teologia cri- stiana che dimostrano come fra il Cristianesimo e la dot- trina dell’ Evoluzione non vi sia antagonismo. Huxley, se ha vigorosamente affermato di non essere ateo ('), non tacque però che la dottrina evoluzionista aveva agli occhi suoi, fra gli altri pregi, quello grandissimo di non potersi accordare con la religione cristiana (*). Egli espresse leal- mente il suo stupore quando vide asserita dal Mivart nella sua « Genesis of species » la possibile convivenza pacifica della ipotesi evoluzionista e della dottrina cristiana. Cercò ed esaminò i testi ma non seppe esercitarvi una critica im- parziale, commise 1’ errore che, a mio avviso, ha commesso, da un opposto punto di vista, il Grassmann. L’ uno e I’ altro si studiarono di rilevare le differenze fra opinioni metafisi- che antiche e ipotesi scientifiche moderne; e certo il dimostrare del Padre Suarez che non fosse fautore del trasformismo riesce ancora più facile che il dimostrarlo di S. Agostino. Però se il prof. Huxley pensò avere dimostrato con- tro il Mivart che la teologia cattolica non offriva concor- danze con le dottrine trasformiste, la risposta del Mivart dovette porlo in un serio imbarazzo. Il Mivart gli rispon- deva nel libro «Lessons from Nature » confutando le sue ragioni e adducendo nuovi testi a prova della. perfetta li- bertà dei cattolici rispetto alla teoria dell’ Evoluzione. I nuovi testi e i nuovi argomenti potevano discutersi, ma non poteva discutersi il fatto che 1 D." Newman aveva (4) Vedi Argyll, Reign of Law Ch. П. (2) Vedi Mivart, Lessons from Nature, A' Postscript. [17] (463) benignamente accettata la dedica del libro fattagli dal ! prof. St. George Mivart con parole che chiaramente at- | testano conformi le vedute dell'ecclesiastico a quelle del | laico. Ora poco importava metter fuori di combattimento il padre Suarez se si aveva poi a fronte, non con alcune testimonianze parziali e inconscie, ma con tutta la sua autorità, con la sua piena scienza e coscienza del pensiero moderno, uno fra i più illustri teologi del nostro tempo, cardinale di Santa Romana Chiesa. Questo ci conduce a osservare che il Grassmann, cat- tolico, si accorda col Morselli nel toccare alla sfuggita un tale nuovo atteggiarsi del pensiero religioso di fronte alle ipotesi trasformiste, nel tenerne ben poco conto. Ora tanto | nel campo della teologia quanto nel campo della scienza, il pensiero religioso moderno si viene senza dubbio ele- vando in modo da sottrarsi al conflitto fra evoluzionisti e antievoluzionisti , che rimarrà ben presto puramente scien- tifico. Non è un movimento di ieri. Sino dal 1851, otto anni prima che Darwin pubblicasse il suo libro sulla ori- gine delle specie, il padre G. B. Pianciani, gesuita, scri- veva un libro intitolato: «In historiam Creationis Mosai- cam Commentatio ». Trattando 1’ alto tema con piena no- | tizia della dottrina e delle investigazioni scientifiche del | suo tempo, il Pianciani argomentava essere il regno ani- male «successive, gradatim et paullatim in lucem edi- tum » (1). Se più avanti scrive, « potuerunt eae telluris per- turbationes quas indicavimus parvas aliquas modificationes in viventium corpora inducere» con che ammette solo l'azione trasformatrice dell'ambiente e la giudica poco ef- | ficace, egli non è venuto in questa opinione per ragioni teologiche, ma solamente per una ragione scientifica che fu poi ampiamente discussa, per le grandi lacune che si riscontrarono nelle specie fossili. Un altro gesuita, il padre Dellinck, posteriormente alla prima grande pubblicazione di (1) Pianciani, In hist. Creat. pag. 47. 1 45 9 uti ÛU (464) [18] Darwin, usciva in queste parole citate da un illustre, an- tico e tenace avversario inietta del trasformismo il Qua- trefages: « Qu'importe aprés cela qu'il y ait eu des Cr éations antérieures à celles dont Móise nous fait le récit; que les périodes de la génese de l’ Univers soient des jours ou des époques; que l'apparition de l'homme sur la terre soit plus ou moins reculée; que les animaux aient conservé leurs formes primitives ou qu'ils se soient transformés in- sensiblement; que le corps méme de l’ homme ait subi des modifications; qu’ importe enfin qu'en vertu de la volonté créatrice, la matiére inorganique puisse engendrer spon- tanément des plantes et des animaux? Toutes ces que- tions sont livrées aux disputes des hommes et с’ est à la science à faire ici justice de l'erreur (') ». È inutile c tare, dopo il Bellinck, altri scrittori eccle- siastici di gran fama, come il Bougaud, il Monsabré che con simile larghezza di vedute trattarono dell’ argomento. Il Monsabrè, per verità, in una lettera diretta al Jousset nel giugno del 1889 (*) si schiera contro il trasformismo, ma solamente per credute ragioni di fatto le quali lo inducono a giudicare, un pò alla lesta, che ce qui eut pu se faire ne s'est pas fait. Solamente riferirò honoris causa alcune pa- role di un ecclesiastico insigne che alle profonde convinzioni religiose e alla pietà singolare congiunse una grande riputa- zione scientifica, le seguenti chiare parole del compianto Stoppani, сһе vogliono essere e sono una succinta volga- rizzazione moderna dell'ipotesi di S. Agostino: « L’ individuarsi cioè il presentarsi e il sussistere l'una 8 l’altra delle creature nel tempo non dipende da un atto nuovo di Dio, quasi Dio operasse per atti succ essivi (1) Etudes réligieuses, historiques et littéraires par des Pères de la Compagnie de Jésus. XIII Année, Quatrième série, Avril 1868. (2) Jousset, Evolution et transformisme. Ouvrage précédé par une lettre du R. P. Monsabré. ‘ — [19] (465) di volontà, con mezzi diversi secondo 1 diversi fini, insomma а guisa dell’uomo; ma da quell’ atto primo, eterno, per cui l’ Universo, una volta creato con tutti i suoi sostanziali principii, con tutte le sue categorie, con tutte le sue naturali relazioni, con tutti i suoi legami attivi e passivi di causa e d'effetto, doveva svolgersi naturalmente nello spazio e nel tempo » (8. Chi ha seguito l'illustre scrittore di queste linee nei suoi lavori di preparazione all’ Hexemeron, sa che professò grande rispetto alla lettera del racconto mosaico, e può n quindi maggiormente apprezzare il valore del precedente giudizio. Ш. Se nel campo della fede si manifestarono concetti af- fini alle teorie trasformiste, se vi fu almeno autorevol ~ mente affermata la libertà di aderire al trasformismo, del pari nel campo trasformista sorsero teorie governate da, credenze e sentimenti cristiani e vi fu almeno autorevol- mente affermata la libertà di aderire alla fede. Quando nel 1866, in una seduta pubblica dell’ Acca- demia belga, (°) il suo venerabile decano ottantenne, D’ Omalius d’ Halloy, confermava fra gli applausi la propria antica fede trasformista e insieme il proprio ossequio alla Bibbia, egli, geologo insigne, non era il primo fra i tra- Sformisti a negare quell’ antagonismo fra l'idea di Evolu- zione e l'idea di Creazione che odin antitheologicum ha posto in campo, turbando la discussione scientifica di una teo- ria non ancora uscita dallo stato d' ipotesi. E noto che La- mark, il vero fondatore del trasformismo, e Geoffroy St. Hilaire credevano in un Dio autore di tutte le cose; che (1) Stoppani. Sulla Cosmogonia Mosaica XVI, p. 905. (2) Bulletin de l'Académie de Belgique, 2.e Serie, Tome XXXVI ———— ——M (466) [20] lo stesso Darwin, anche nel suo libro sulla discendenza dell’ uomo ha protestato contro 1’ accusa di ateismo, e che, secondo il Wallace, uno fra i più autorevoli suoi fautori, le leggi della Evoluzione si ricercano solo per sapere « come il Creatore abbia operato (!) ». Delle opinioni religiose che professarono Lamarck, Geoffroy St. Hilaire e Darwin parlò più volte, anche assai recentemente, il Quatrefages (°) volendo appunto dimostrare con il loro esempio come le teorie trasformiste da lui combattute non abbiano re- lazioni necessarie nè con la filosofia nè col dogma. Ma il Quatrefages, avrebbe potuto udirsi rispondere che v'era contraddizione logica fra le dottrine di quei naturalisti e i loro sentimenti personali. Infatti fu detto di Darwin che l uomo non era imputabile di ateismo ma che Ja sua dottrina lo era. A ció rispose uno scienziato americano eminente, il prof. Asa Gray (*), cui piacque appunto di considerare la ipotesi trasformista nelle sue attinenze con la filosofia e la religione; e la sua analisi completa e avvalora gli argomenti del Quatrefages. Asa Gray intraprese questo studio con le disposizio i intellettuali più opportune a condurlo imparzialmente. Egli giudica la dottrina dell'Evoluzione una ipotesi probabile mal- grado alcune forti obbiezioni, ma impossibile, ora e sempre, a dimostrarsi. Coloro che la considerano provata devono avere, a suo avviso, un concetto molto inesatto di ciò che ё prova; coloro che pensano poterla facilmente porre da banda, devono avere una nozione imperfetta e molto pre- giudicata dei fatti. Esaminato con questo animo freddo e sereno le ob- biezioni teologiche mosse al libro di Darwin sull’ origine (1) Vedi Argyll, Reign of Law Chap. V. (2) Vedi Revue scientifique del 49 maggio 1888. Journal des Savants del febbraio 1890. (3) Asa Gray, Durwiniana, Darwin aud’ his reviewers. [21] (467) delle specie, le respinge e dimostra che la dottrina delle cause prime resta dopo Darwin quale era innanzi, che la sua ipotesi concerne l'ordine e non la causa, il come e non il perché dei fenomeni. Conchiude affermando che di fronte al problema inesplicato delle variazioni individuali la scienza inclina evidentemente non già verso l'onnipo- tenza della materia, ma verso l onnipotenza dello spi- rito (!). Agli imprudenti difensori della fede che non vogliono concedere aver il Creatore operato per via di evoluzione poichè a loro giudizio, dalla teoria dell’ Evoluzione discende che non vi ha Creatore, Asa Gray osserva come abbiano maggior zelo che giudizio, come non convenga loro di sca- gliare a pezzi sul nemico i baluardi più forti per difen- dere posizioni insostenibili, come sieno possibili sempre, con evoluzione o senza evoluzione, tanto il concetto ateo quanto il concetto teistico dell’ universo; la quale ultima opinione non gli pare ripugnante alle credenze religiose poiché si concilia col carattere di prova che ha la vita per l’uomo intero, con la necessità di una disposizione morale atta a determinare la scelta buona dell’ intelletto. Ragionando intorno all’ ordinamento teleologico, al pia- no divino dell'Universo, Asa Gray nota come coloro che credono in esso e che insieme professano la dottrina della fissità della specie, non sappiano lodevolmente giustificare la presenza di quegli organi privi di funzione e quasi abor- tivi che si trovano in moltissime specie; e come il pro- blema si affacci loro più grave quando, presso altre spe- cie, riconoscono gli stessi organi, ma idonei a una fun- zione utile (°). Se l' occhio fu dato squisitamente perfetto ad alcuni animali superiori, se meno perfetto ma tuttora utile lo ebbero altri animali inferiori, perchè in qualche Specie infima lo troviamo noi affatto rudimentale e inca- (1) Asa Gray, id. id. (2) Asa Gray, Darwiniana, Evolutionary teleology. | (468) [22] pace di visione ? Coloro che ammettono 4 priori un ordine provvidenziale possono trovare la soluzione del problema solo negando la stabilità delle specie, affermando che que- gli organi hanno servito in passato, o serviranno, forse in qualche nuovo modo, nell’ avvenire, che rispondono in- somma ad una finalità più larga e più comprensiva. Così la teoria della Evoluzione illumina, secondo Asa Gray, una serie intiera di oscuri fatti nel modo che più si conviene al concetto teistico dell’ Universo, all’ idea di un piano sa- piente della Creazione, di un ordine divino delle cose ; idea che infiniti pensatori e scienziati da Voltaire a Darwin, per tacere de’ più antichi, ebbero comune con i credenti. Mi piace notare qui che lo stesso Haeckel offre con la sua genealogia dell’uomo un’involontario aiuto a coloro che conciliano l’idea d' Evoluzione con l’idea di una Intelligenza ordinatrice; poichè secondo lui, nelle ventidue serie di forme animali onde consta quella genealogia, un solo in- dividuo o una sola coppia ha ogni volta prodotta la forma nuova che sale verso l’uomo; come se ad alcuni esseri viventi fosse stata affidata in particolare la missione glo- riosa di condurre la vita alla sua forma più elevata, at- traverso forme destinate a rimanere inferiori. ('). La prudente critica di Asa Gray si limita a dimostrare che la ipotesi dell’ Evoluzione, anche se provata, non può in alcuna maniera influire sulle dottrine filosofiche e reli- giose. Altri più convinti fantori della nuova teoria vi edi- ficarono sopra intieri sistemi di filosofia cristiana. Non par- lerò di coloro che, come il Savage e il Mac Queary (°) si finsero un cristianesimo di loro fattura, caldo, per ve- rità, di nobilissime aspirazioni al bene, ma troppo lontano dai dogmi; toccherò invece di un libro rigorosamente cri- stiano, dove le convinzioni scientifiche e le credenze reli- (1) Vedi Perrier, Le transformisme Chap. IV. (2) Savage, Religion of evolution. Mac Queary, Evolution of Man and Christianity. ' | | | [23] (469) giose sono fuse insieme tanto perfettamente, per opera di un così straordinario calore morale, che l’ autore avrebbe meritato, 10 credo, almeno una menzione speciale dal Grass- mann, ove parla di sforzi fatti per conciliare la teoria tra- sformista col dogma. Il professore Joseph Le Conte, della Università di Ca- lifornia, geologo riputatissimo, ha pubblicato nel 1887 un libro sulla Evoluzione e й pensiero religioso (') dove si dimostra, con una serie di elevatissime considerazioni, come si ingannino quei materialisti e quei credenti che si ac- cordano nel giudicare il valore filosofico della ipotesi evo- luzionista, la quale agli occhi suoi ha ormai rivestiti i ca- ratteri della certezza. È strano che quando non si sapeva immaginare come si fossero prodotte le varie forme or- ganiclre, si ammettesse 1’ opera d'un Creatore, e che poi, quando fu scoperta la loro origine dall'Evoluzione, questo Creatore figurasse posto da banda. Si giudica solitamente così l’opera di un ciurmadore ch'è ammirato soltanto fino a che non discopriamo il suo metodo; ma se si tratta di un lavoro sincero e serio, di uno strumento che operi vera- Mente cose mirabili, quando ne veniamo a conoscere i se- greti congegni, la nostra ammirazione, lungi dal dileguarsi, diventa un piacere intellettuale squisito ed intenso. E quan- do la scienza, adempiendo 1’ ufficio suo, ci discopre in parte il metodo col quale sono state fatte le specie viventi, essa non altro discopre che il lavoro sincero e serio d' Iddio. Chi contempla la natura a questa nuova luce prova un piacere intellettuale più squisito e più intenso, rende a Dio un culto più intelligente, più degno. Se da un lato coloro che confessano essere stati creati da Dio non ammettono per la specie quel metodo di creazione che ammettono per l'individuo, se dall'altro lato si pensa abbattere con l’idea di evoluzione l’idea di creazione, n’è causa quel dogmatismo (1) Joseph Le xonte, Evolution and its relations to religious Thought. (410) [24] che si tiene stretto alle idee vecchie solo perché son vecchie e quell’ altro dogmatismo che abbraccia le idee nuove solo per- chè son nuove. Ai primi si può rivolgere l'amaro sarca- smo di Giobbe: «voi siete uomini davvero e la sapienza тогга con voi ;» ai secondi, che ora sono in auge, si può dire colla stessa ironia : « voi siete uomini davvero e la sa- pienza è nata con voi. » Il Le Conte considera il problema del male nella nuova luce che gli viene da una teoria spiritnalista dell’ Evolu- zione. (1). Osserva come il dolore che precedette la uma- nità nel mondo fosse inseparabile da alcuni fattori di evo- luzione, dalla lotta per l’esistenza, dal conflitto con Гат- biente e non possa chiamarsi male se ha condotto la na- tura terrestre alla sua sommità, l’uomo. Osserva quindi come non possa chiamarsi male neppur più tardi, se, movendo l'uomo a difendersi dagli elementi, dalle fiere, dai morbi, a studiare e usare le leggi del mondo fisico, è stato po- tente strumento del suo progresso. Ma vi ha un male peg- giore di tutti, quello che dagli organismi è passato nello spirito, il male morale. Anche lo spirito si trova in conflitto con un ambiente nemico; deve vincere о soccombere. Come vincerà ? Con lo studio e la pratica delle leggi del mondo morale. La evo- luzione ideale dello spirito umano lo conduce dalla innocenza alla virtù; nella virtù stà la suprema grandezza dell’ uomo, e chi dice virtù dice libertà, dice violenza contro il male, che divien così necessaria condizione di questo glorioso in- nalzarsi. Come il mondo inorganico, scrive Le Conte, ali- menta il mondo organico, come il mondo organico ali- menta il mondo razionale e morale, come i sensi alimen- tano l’ intelletto, così le stesse cupidigie sensuali alimen- tano i sentimenti morali più nobili purchè non sia violato l'ordine delle cose come la storia dell’ Evoluzione lo in- dica, e le inferiori non si sovrappongano alle superiori. (4) Le Conte Op. Cit. The problem of evil. | | 25) (471) Più è forte l’ impulso dell’ animalità inferiore più s'innalza il sentimento morale che la tien soggiogata, più grandeggia l'umanità. Male vi ha solamente quando cupidigie e sen- timento morale mutano posto, quando contro 1’ ordine sto- rico, per così dire, delle cose, la parte inferiore dell’ uomo, il senso, si sovrappone alla superiore, la ragione. Nessuno dirà che queste nobili pagine sciolgano il pro- blema del male; nessuno negherà che ne rischiarino un lato di vivida luce cristiana. Tuttavia conviene ammettere che se l edificio del Le Conte non pericola qui, pericola in un’ altro punto, nel punto dove il prof. Grassmann si trin- cierò per respingere qualsiasi trattativa pacifica con i fau- tori di Darwin. Il Mivart ha chiaramente affermato che la supposta derivazione del corpo umano da una specie animale infe- riore non contraddirebbe alla fede e il Grassmann con- fessa che infatti una tale ipotesi avrebbe i caratteri di ciò che i teologi chiamano sententia temeraria, non di una eresia. (1) Ma fe cose corrono diversamente quanto all’ altra ipotesi trasformista, secondo la quale anche le facoltà dello spirito umano sarebbero venute svolgendosi е preparandosi nei bruti, avrebbero compiuto una evolu- zione come il corpo. Ora la religione cristiana non con- cede ai bruti un'anima sostanzialmente identica all'umana, un’ anima che solo differisca dalla nostra per l’ imperfetto Sviluppo delle sue facoltà. Circa questo punto le sentenze dei teologi cristiani d' ogni tempo sono chiare e concordi. Il Le Conte procede peritoso sopra un terreno diffi- cile esprimendo modestamente la sua opinione personale. Egli tiene che l’anima umana abbia origine da qualche cosa di preesistente, da germi che nascendo per così dire, a questo nuovo stato, si trasformano, acquistano la im- mortalità. Non si avrebbe così fra lo spirito umano e l’anima dei bruti diversità di grado ma diversità di specie, (1) Grassmann Op. Git. Menschen und Tierseele. T. 1,8. VII 61 (472) [26] quale si ha tra le forze fisico-chimiche e quella energia vitale in cui pure si trasmutano. Il principio vitale delle piante, l'anima dei bruti sarebbero stadii della vita em- brionale dello spirito, nato finalmente nell’ uomo ('). Il Le Conte che comprese bene la opportunità di pa- ragonare per questo rispetto la evoluzione filogenica alla evoluzione ontogenica, avrebbe potuto approfondire il suo studio con l'aiuto di 5. Tommaso, e più ancora, di Ro- smini. S. Tommaso trattando dell'anima nell’ embrione umano, scrive: « Dicendum est quod anima existit in em- brione, a principio quidem nutritiva, postmodum autem sensitiva et tandem intellectiva » (?). E, parlando del succe- dersi di queste anime: «superadditio maioris perfectio- nis facit aliam speciem ... quando perfectior forma advenit, fit corruptio | rioris... sequens forma habet quidquid habebat prima ed adhuc amplius. » (?) Egli non divide, per verità, l’ opinione di coloro che stimano l'anima vegetativa venir poi acquistando la fa- coltà di sentire e finalmente la facoltà d'intendere, sia pure che questa le venga conferita direttamente da Dio. « Et ideo alii dicunt quod illa eadem anima quae fuit ve- getativa tantum, postmodum per actionem virtutis quae est in semine perducitur ad hoc ut ipsa eadem fiat intel- lectiva non quidem per virtutem activam seminis sed per virtutem superioris agentis, scilicet Dei, deforis illustran- tis... Sed hoc stare non potest.» (^) S. Tommaso dimo- stra che la superadditio perfectionis non può lasciar sussistere l’anima precedente e dà origine a una nuova specie, facit aliam speciem, come l'aggiunta di una unità fa un'altra specie nei numeri. Perció chi dicesse; «in un dato momento della vita embrionale 1’ anima inferiore (4) Le Conte Op. Cit. The relation of Man to Nature. (2) Th. Aqu Summ. Theol. Quaest. 118, art. :2. (3) Ibid. (4) Ibid. , [27] (473) cessa, come tale, di esistere, e si trasforma in un’anima superiore di specie diversa » consentirebbe con S. Tom- maso. Ma se cosi avviene nella evoluzione ontogenica, sa- rà illecito l'opinare che ció avvenga pure nella evolu- zione filogenica e che se il corpo umano è derivato da un organismo inferiore di specie diversa, anche l’ anima umana abbia origine da un'anima inferiore, di specie diversa ? Seil Grassmann e il Le Conte avessero conosciuto la Psicologia di Antonio Rosmini, del maggior filosofo catto- lico moderno, il primo avrebbe dovuto sicuramente tenerne conto nel capitolo Menschen und Tiersecle, il secondo avrebbe, io eredo, corrette in parte le sue idee sulla evo- luzione dell’ anima umana, le avrebbe insieme posate so- pra una. ben solida e ferma autorità. Il Rosmini, attri- buendo al principio senziente la facoltà di organizzare la materia, viene implieitamente a confermare la ipotesi della evoluzione fisica per, effetto di cause interne, e viene poi implicitamente a includervi l’uomo con queste parole: «Conviene che l'animalità e il suo organismo sia recato alla maggior perfezione acciocchè l'anima intellettiva о razionale vi si aggiunga, ma questa coll’ aggiungervisi dà poi a tale «organismo quel cotale finimento, quell’ attualità quell’ indole di finimento, quel guizzo, quella vita che in niun ente che fosse meramente animale potrebbe essere » (!). Parole che fanno pensare al giudizio di Wallace, non ba- stare le leggi comuni della Evoluzione a spiegare l'uomo, e doversi ammettere che una In telligenza superiore ne ha diretto lo sviluppo in un dato senso per vie speciali. Ma come e di dove ha origine, secondo il Rosmini, quest’ anima intellettiva? Ha origine da ciò che Iddio rivela 1” essere in- telligibile all’ anima sensitiva, la quale diventa così intel- ligente. « E che ripugna» esclama Rosmini « che un prin- cipio senziente, come direbbe Aristotele, sia in potenza (1) Rosmini, Psicologia, Lib. IV, Cap. 23 —_ vii: $i \ | (414) [28] intelligente ? Cioé, che ripugna ch'egli venga elevato a condizione intelligente (^) ? » Nella mente del Rosmini lo spirito dei bruti, l'anima sensitiva è pure immortale ma non conserva la propria individualità; rappresenta uno stadio nella evoluzione da lui tratteggiata con le seguenti parole : « Qualora sia vero che ogni elemento materiale ha seco essenzialmente congiunto un principio senziente e che, avendosi più elementi. ... più principii senzienti si unifi- cano in uno, rimane vero che il sentimento creato non perisce giammai, ma solo collo scomporsi dei corpi o col ricomporsi si modifica in mille maniere continuamente е prende mille forme diverse. Le quali mutazioni essendo prevedute e provvedute dalla Sapientissima Provvidenza devono essere rivolte a ridurre lo spirito ‘della vita che anima il mondo a stato e condizione sempre migliore, а perfezionarsi senza posa» (°). Poteva dunque il Le Conte appoggiare la sua opinione circa l’origine dell’ anima umana ad un’ autorità insigne, e, con l’ autorità stessa, mantenere l'immortalità dell'anima dei bruti insieme alla differenza spe- cifica delle due anime. IV. Si potrebbe finalmente, a mio giudizio, portare nella di- scussione una intatta e vigorosa schiera di argomenti tratti dalla essenza stessa della religione cristiana. Non solo non vi ha dissidio fra questa e il concetto fondamentale dell’Evo- luzione, non solo è libera di aderirvi la più severa co- scienza cattolica, ma esso risponde, se non т” illudo, alla natura stessa e all'indirizzo del Cristianesimo. Non è la prima volta che una teoria combattuta sulle prime in (D Lod, (2) Psic. Lib. V, Cap. 2. ' [29] (415) nome della Fede trionfa di ogni opposizione e rivela un accordo della verità scientifica con la verità religiosa, che innalza lo spirito umano e lo avvicina ad entrambe. A tutti è noto come la esistenza degli antipodi fosse antica- mente combattuta da molti, anche da S. Agostino, in nome della Fede. Si sostenne, con maggior ragione e con mi- glior successo, che doveva invece confermarsi e tornare a maggior gloria di Dio. La teoria eliocentrica onde si allargò il concetto dell’ Universo e quindi l’idea di Dio, ebbe la stessa sorte. La dottrina dell’attrazione universale fu al suo nascere accusata dagli uni, glorificata dagli altri come una ipotesi atea che togliesse a Dio il governo dei mondi per concederlo alle cieche forze della materia. Тоссо al pio Leibnitz di combatterla e toccò a Voltaire di dimostrare che Newton aveva.con la sua scoperta magnificamente illustrate la sapienza e la potenza divina. La generazione spontanea parve ai materialisti una prova del loro sistema e fu perciò combattuta dagli spiritualisti; ma, come scrisse Antonio Ro- smini (t), erravano gli uni, e gli altri, poichè, se vi è una ge- nerazione spontanea, essa non prova già come voleva il Ca- banis che la materia morta diventa viva da sè, ma ch'essa viveva anche prima, e che un principio vitale, operando in lei, produsse l’organismo; il qual principio vitale delle cose venne ravvisato da alcuni Padri, secondo scrive più oltre lo Stesso Rosmini, in quelle parole della Genesi, « et Spiritus Dei ferebatur super aquas.» Dopo la scoperta di Newton che dimostra 1’ unità del Creato nello spazio, venne la ipotesi sulla discendenza delle specie che, affermando la comune Origine e la continuità di tutti gli esseri viventi, dal prin- Clpio delle cose fino a noi, dimostra la unità del Creato nel tempo. L'accordo di queste due unità nell’ Universo offre allo spirito umano la più sublime visione del Crea- tore ch’ egli abbia raggiunta mai, e fu poeticamente pa- ragonato dal Le Conte all'accordo dell’ armonia, la unità (1) Psic. Lib. IV, Cap. 44. (476) [30] nello spazio, con la melodia, la unità nel tempo, accordo che è la vera musica delle sfere (1). Il tumulto e il disordine intellettuale che accompa- gnano ciascuna di queste grandi fasi del progresso scien- tifico atterriscono gli spiriti conservatori, ma si ricompon- gono dopo ciascuna di esse in un ordine superiore, dove l intelletto umano si trova più alto a fronte di un Dio più visibilmente grande. Così dopo ciascuna delle maggiori rivoluzioni politiche come la inglese, 1’ americana, la fran- cese e la nostra, l’ ordine civile si vede ricomporsi più ele- vato, più conforme al diritto eterno, ricco di conquiste imperiture come il rispetto al diritto nazionale, la egua- glianza civile, la separazione dei poteri giusta la loro na- tura. Ma vi ha di più. Alcuno potrebbe notare che il Cristiane- simo, col suo dogma di una umanità futura derivata dalla pre- sente, dotata di potenze superiori, vestita del suo corpo attua- le ma meglio conformato al predominio dello spirito, corpus spiritale, indica nel futuro una continuazione diretta e lo- gica, un compimento del processo evolutivo trascorso, è essenzialmente una religione evoluzionista; come è evolu- zionista in sostanza la morale cristiana che insegna il con- tinuo sforzo di liberarsi maggiormente da quell’ animalità onde l'essere umano si è svolto, di preparare appunto in sè quel predominio dello spirito che naturalmente appar- tiene alla specie futura, come un tempo da pochi o molti individui di qualehe specie infima fu, secondo si asserisce, istintivamente iniziato e conquistato ai loro discendenti il palpito del cuore (°). Ma vi ha di più. Né il professore Asa Gray che a proposito di un giudizio di Agassiz espri- meva scherzando il suo scarso desiderio di rifar cono- scenza, in una vita futura, con tutto il regno animale (°), (1) Le Conte, Op. Git. Relation of Agassiz to Evolution. (2) Vedi Powell. Op. Git, pag. 195. (3) Asa Gray, Op. Cit, Darwin and his reviewers. E EM‏ س E | | | [31] (477) né il signor Powell, tanto fidente nel progresso degli ani- mali da intitolare un capitolo del suo libro « Animals on the road » (*), paiono sospettare che i libri sacri del Cri- Stianesimo promettono solennemente una evoluzione fu- tura non all’ uomo soltanto ma benanco ai bruti e'a tutto il Creato. La expectatio creaturae è bandita da S. Paolo. Se- condo S. Paolo tutta la natura aspira a uno stato supe- riore che conseguirà quando anche l'umanità sia trasfi- gurata nello splendore futuro. « Ipsa creatura liberabitur a servitute corruptionis in libertatem gloriae filiorum Dei. Scimus enim quod omnis creatura ingemiscit et parturit "sque adhuc (°) ». Molti indizi, dice un commentatore cat- tolico della Bibbia, il teologo Allioli, rispondono, specie nella «creazione vivente, nel mondo delle piante e degli animali, alla rivelazione divina comunicataci da S. Paolo; la cupidità, comune alle creature viventi, di formare, di riprodursi, ch’ è infallibile segno del loro tendere incon- scio a una forma migliore, la costanza di questo impulso, perfino la tristezza impressa nel volto degli animali (bi Come l'uomo, soggiunge l’ Allioli citando Toletus e. Cor- nelio a Lapide, anche le altre creature ascenderanno dallo stato imperfetto in cui giacciono come prigioniere, ad una simile libertà, stabilità, immortalità. « Tota creatura sen- sibilis » commenta S. Tommaso « quandam novitatem glo- riae consequetur » (*). Il commento di S. Ambrogio é pieno di triste e grandiosa poesia. Egli considera il travaglio. e la pena di tutta la Natura, dagli astri che faticosamente percorrono il loro cammino, sorgono, cadono, risorgono, sino allo Spirito degli animali che servono e gemono per- ché р opera loro servile è caduca, non ó per il servizio di (1) Powell Op. cit. Lecture IV. (2) Ep. ad Rom. NALI, DN bp (3) Ep. ad Rom. VIII, nota 33. (4) In epistolas D. Pauli Expositio. ае (478) [32] Dio e per l’eternità, ma per il servizio dell’uomo peccatore e per la corruzione. « Quantum ergo datur intelligi, satis de nostra salute sollicita sunt, scientes ad liberationem suam proficere maturius, si modo nos citius agnoscamus aucto- rem (!)» S. Ambrogio ne trae quindi una esortazione ai cristiani di operare il bene anche per pietà della natura inferiore « quae diebus ac noctibus iniurias patiens inge- miscit. » A chi considera nella divina rivelazione comuni- cataci da S. Paolo quella sola parte che riguarda la evo- luzione futura dei bruti, non deve poi ripugnare la ipotesi della evoluzione passata dell' uomo. Per queste ragioni di ordine diverso giudicai non oppor- tuno quell' indirizzo del pensiero religioso che si manifesta e si afferma nel lavoro sicuramente assai dotto e serio del prof. Grassmann. E l'argomento, oltre alla sua importanza gene- rale, mi parve averne una particolare perl'arte che crea con la parola, per l'artista cristiano che non intende operare con- tro la sua fede ; poiché la teoria della discendenza di tutti gli esseri viventi da una origine sola, la idea di una attività vitale immensa, intesa a produrre dalla prima nebulosa, grado a grado, l'essere intelligente e libero, intesa in paritempo e in pari modo a preparargli con le proprie deviazioni un contor- no che lo regga e gli serva per salire ancora, mi parvero conferire alla rappresentazione intellettuale dell' Universo una meravigliosa ispiratrice bellezza cui non si rinuncie- rebbe senza violenza e dolore. E se io penso che do- vunque certe leggi eterne sono, involontariamente nel mondo della necessità, volontariamente nel mondo della libertà contraddette, evoluzione non significa progresso ma decadenza; se io penso che non vi è ascensione della vita a forme superiori senza lotta contro una resistenza universale e costante nella natura; se mi persuado che l'essere libero deve partecipare a questa lotta, sia pur fa- ticosa e dolorosa, con la propria volontà, sento che l'arte (1) Ambr. Comm. in Ep. ad Rom. [33] (479) obbedisce a un’indicazione tacita della nuova scienza e combatte veramente sulla fronte della razza quando da ogni animalità inferiore trae lo spirito umano all' accesa ricerca, sia pur faticosa e dolorosa, di quella bellezza com- plessa che più è pura di animalità, che compenetra in una luce indissolubile la bellezza intellettuale e la bellezza morale, I 8S, VII 62 rr ——ru o سسب‎ ~ = e COMUNICAZIONE INTORNO ADIA CURA DELLA TUBRROOLOSI POLMONALE MEDIANTE LA LINFA КООН E CENNI CRITICI SULLA TRORIA DELLA PATOGENESI DELLA TUBERCOLOSI, DEL M. E. ACHILLE DE GIOVANNI Direttore della Clinica Medica Generale in Padova, Oredo corrispondere ad un mio dovere ed insieme al desiderio di aleuni Colleghi, se porto davanti a questo illustre Consesso il frutto de’ miei modesti studi intorno all’ argomento che ha suscitato tanta curiosità e tante Speranze nel mondo medico, tanti sogni dorati negli infe- lici colpiti, o minacciati, dalla tubercolosi, tanta gratitu- dine ed ammirazione per lo scienziato scopritore della Linfa antitubercolare. Le mie osservazioni riguardano 16 individui. Non ho voluto sottoporre alla cura ammalati a stadio troppo avan- zato e mi sono circoscritto allo stadio della tubercolosi Polmonale e viscerale concomitante. Prima di dare mano alla Linfa ho voluto avere della sin tomatologia e dell’ andamento della malattia in ogni in- dividuo la maggiore possibile conoscenza e ciò per apprez- Zare più esattamente gli effetti del nuovo rimedio. Quindi ho affidato a' miei assistenti, oltre la relazione della sto- ria clinica tutte le ricerche sulla temperatura, sul pol- 50, sull'escreato, sulle urine, sul sangue prima dell'in- comincjamento della cura e durante questa, secondo il | | I (482) (2] programma che m'ero proposto in una conferenza scola- stica premessa allo studio, del quale intendo ora intrat- tenere J’ Istituto ('). In tutti gli ammalati ho cominciato le injezioni di linfa alla dose di 1 millg. e praticai le injezioni successivamente ad intervalli di 24 ore, di due giorni, o di piü, secondo che mi consigliavano le condizioni de’ pazienti. Secondo la tolleranza aumentai la dose della linfa. Seguii sempre le più scrupolose regole dell’ antisepsi. Avverto subito che nell'istituire la cura ho provveduto perchè i pazienti si trovassero nelle volute condizioni igieniche, escludendo l intervento di altri medicamenti. I punti cardinali dell’ osservazione clinica sono : 1 La reazione generale ; 2 la reazione locale ; 3 i segni della guarigione. Io dirò quanto ho osservato in proposito, aggiungerò poi qualche altra osservazione non oziosa certo per il giudi- zio che dovremo emettere. 1 La reazione generale. Non la descriveró, perchè è anche troppo nota nella sua espressione caratteristica ; dirò subito che non fu nè costante, né caratteristica sem- pre come venne insegnato da Koch. Alcuni individui, anche aumentando la dose del rime- dio da 1 millg. a 5, 6, 8 successivamente, non diedero alcuno indizio di questa reazione. — Altri si limitarono ad accusare lieve, indefinito malessere. In un caso ho os- servato il vomito. In generale gli ammalati dopo la prima injezione in- distintamente sono ottimisti; dichiarano di stare meglio: chi ha meglio dormito, chi sente più vivo l'appetito etc. (4) Voglio dare meritata lode ai miei assistenti dottori Lussana lomaro, Tessaro, Spallici, Сессопі, Chiaruttini, Maggi per la di- ligente, assidua ed intelligentissima prestazione colla quale cola- , borarono a questo studio. [8] (488) е questo tanto abbiano presentato fenomeni palesi di rea- zione quanto non ne abbiano presentato. L’ ottimismo degli ammalati è facile a spiegarsi ; tanto è vero che uno, al quale in luogo della linfa injettai sotto cute dell’acqua stillata semplice, il giorno appresso era lietissimo e parevagli essere presso che guarito. Quando gli injettai la linfa continuò ad accennare al miglioramento Suo, ma con minore entusiasmo, perchè questo liquore, introdotto nell' organismo, non rimane inerte, anche se non suscita fenomeni di reazione caratteristica, come av- veniva nel paziente che ricordo. Il quale quando appena ebbe in corpo due millg. di linfa, si accorse di non istar bene come prima: — sentivasi debole abbattuto, aveva tinta più pallida, era languido. E perchè questi fenomeni non mancarono più ad ogni injezione, ma andarono au- mentando, cosi si rallentó il processo della cura. Il pa- ziente, anche lasciato in riposo, non riprese le injezioni col solito entusiasmo ; dopo la injezione di tre milligr. provó sintomi di vero collasso generale, dimostrato dalle Curve sfismografiche, accompagnato da peptonuria. — Que- Sti fenomeni, in misura sempre varia a norma degli indi- vidui, può dirsi che non mancano mai. Non è inerte, come si vede, la linfa anche quando ap- paréntemente non determina reazione generale, il meno che può aversi è un fatto che credo sempre di alta im- portanza fisiologica — cioó l abbassamento della pres- sione intra-arteriosa, come rilevasi dai traciati sfigmici regolarmente presi prima di incominciare la cura e du- rante questa. L’abbassamento della pressione arteriosa s'ha — co- ne è ben naturale — anche negli ammalati nei quali ha avuto luogo la reazione febbrile. — Non sono in ogni Caso cospicui, della medesima importanza fisiologica, tutta- via fa impressione vedere le curve del polso prese ‘pri- ma della cura in confronto dell’ altre ottenute durante questa. Anche esaurita la reazione caratteristica, la nota- (484) [4] ta alterazione del polso non scompare così presto ed in- leramente; ma la durata del fenomeno varia a seconda che si protraggono i segni di debolezza nel paziente. Mi sono chiesto durante le prime osservazioni e mi chiedo ora: — deve ritenersi questo fenomeno favo- revole, o sfavorevole, allo scopo curativo? — Mi limiterò a denunziarlo come un fatto, che certamente non corri- | sponde alle esigenze fisiologiche dei pazienti. | Fra i fenomeni della reazione generale devo ricordare la peptonuria. — L'ho riscontrata in tutti i casi meno uno. — In due ammalati vennero riscontrate traccie di peptone nella urina, che aumentó subito dopo la prima injezione di linfa. Che nell’ urina possano trovarsi traccia di peptone in sani ed ammalati non farà specie; ma qui non si tratta di ciò, si bene di individui affetti da lenta malattia polmo- nale, nei quali la ricerca clinica del peptone è fatta per sapere se desso esista nella urina e se offra per la sua quantità qualche rapporto colla introduzione del rimedio || e quindi coi fenomeni generali che questo può suscitare. il Come ho detto della diminuita pressione intraarteriosa, | così della peptonuria devo ripetere, che il fenomeno mi è apparso non conforme alle norme fisiologiche, ma quale smtomo cui clinicamente s’ attribuisce un significato spe- ciale, del quale ragioneremo poi. | | v | È In un caso ho riscontrato lievissimo grado di abumi- ili nuria. dl Fra i fenomeni di reazione generale noteró una sen- Hi sazione vaga, indeterminata di malessere, che non si pa- n lesa addirittura chiaro, distinto nemmeno con segni sub- у dii bietivi, che quindi a principio passa anche inavvertito dai {| paz.enti medesimi e che continuano in preda all’ ottimi- li smo loro, a dire di sentirsi meglio. Ma il vago malessere , sì fa poscia sentire più vivo, aumenta ad ogni ripetersi dell’ injezione ; ed il paziente allora solo s'accorge che v [5] (485) ciò che prova è il prodotto della somma degli effetti delle Injezioni. Tutto ciò ho osservato in individui che presentarono la reazione caratteristica ed in altri che non la presen- tarono e costituisce un fatto che è degno di nota; come ne è degno un’altro che pongo a descrivere. Qualche individuo alle prime injezioni resta, dirò così, impassibile ; qualche altro non ne sente effetti che quando la dose della linfa è altissima. Quella specie di immumità che hanno presentato nei primi giorni dà a questi ammalati Una apparenza di soddisfazione che accompagna l’ espres- sione subbietiva del benessere e costruisce cosi la promessa di risultati terapeutici che si chiedono alla linfa. Ciò nulla meno, dal di nel quale si manifestarono i primi per quanto leggieri effetti di questa, tanto più se saranno stati quelli della caratteristica reazione, gli ammalati cominciano a diffidare, a temere. Ma continuano ad accusare il benes- Sere, il miglioramento, per questo vogliono andarsene. Altri più esplicitamente chiedono un'altra cura. Cui non piaccia Г apparenza delle cose, ma la sostanza di queste, tanto più se medico esperto, apprezzerà cotesta Osservazione dal giusto punto di vista scientifico e pratico. — Tant è che mi sono deciso di continuare l' osserva- Zione sull' argomento, senza peró mai annunziare il nome del rimedio che si vuole applicare, non appena abbia in- trodotto nella Clinica ammalati nuovi. Fu detto che la reazione generale è caratteristica ө che l’ avrebbero presentata solo i tubercolosi ; quindi avreb- be importanza diagnostica. Ho già detto che è un fenomeno incostante nei tu- bercolosi ; ora aggiungo, che non ha valore diagnostico attendibile. È già molto che manchi in individui nei quali, benchè incipienti fossero le alterazioni polmonali, s' aveva la presenza dei bacilli nell’ escreato ; basterebbe questo а rendere sospetto, infedele il fenomeno. Ma v' ha di più: (486) [6] può presentare la reazione caratteristica quegli che non è affetto da tubercolosi e può non presentarla quegli che ne è affetto. Due ammalati — un contadino ed un facchino, questo tubercoloso, quello in preda a fenomeni di esauri- mento per eccesso di lavoro con cronico catarro bronchiale — facevano strano contrasto alle nostre aspettative: il contadino aveva la reazione febrile, il facchino restava im- passibile. Questo poi non principiò a risentirsi della inje- zione della linfa che quando s’ arrivò alla dose di 30 millg. Si dirà per questo che in ogni modo nel tubercoloso non mancó la reazione caratteristica? — Sia pure; ma l'importante sta in ció, che operando colle dosi iniziali, quelle che devono adoperarsi in principio, quando cioè si volesse premettere l'uso della linfa anche a scopo diagno- stico, si può essere tratti in errore. E d'altronde abbisogniamo forse di questo mezzo dia- gnostico ? — Io non lo credo. — Anche quando non ci è possibile 1’ esplorazione dell'esereato pel riscontro del ba- cillo, si può arrivare alla diagnosi della malattia con cri- teri già lungamente sperimentati dalla osservazione clinica. Se la ricerca dei bacilli nell’ escreato conferma il diagno- stico della tubercolosi, 1’ injezione della linfa, anche quando fosse seguita dai fenomeni della reazione, ci lascierebbe nel dubbio per quello che ho detto. 2. Fenomeni locali. — Li dividerò in due categorie : a) quelli che si osservano nel luogo della injezione : 0) quelli che si osservano nel focolajo morboso. Quanto ai primi: — dopo l'injezione ho veduto pro- dursi intorno intorno al punto d'ingresso dell’ ago una zona rotondeggiante di iperemia cutanea, ora più, ora meno viva, ora più, ora meno persistente, del diametro di circa 2 centim. Alcune volte la cute intumidisce alquanto. Quasi sempre il luogo della injezione si fa sede di dolore, o me- glio, di una sensazione molesta che di raro toccò le pro- [7] (487) porzioni di vivo dolore. Tutto questo però ha breve durata — uno, due giorni. Quanto ai fenomeni del focolajo morboso, che per me Sta nei polmoni, li ho studiati nei riguardi plessici e ste- toscopici, nei riguardi della tosse e dell’ escreato. Colla percussione non ho mai potuto convincermi d'u- па modificazione favorevole del focolajo morboso. — In alcuni casi la stazionarietà, in alcuni altri un lieve seb- bene lento progresso, in altri un progresso rapido delle Ottusità. In qualche caso mi parve avere ottenuto qual- che diminuzione delle ottusità; ma non tale da potere riconoscere un vero miglioramento del fatto morboso, tanto più che negli altri sintomi della malattia non si verificavano corrispondenti modificazioni. Colla ascoltazione ho potuto registrare delle varianti, nella quantità dei rantoli, nella modalità del respiro ; Ma in complesso anche per questa via non sono giunto а reperti migliori di quelli che ottenni mediante la per- Cussione. La percussione e l’ ascoltazione, anche praticate duran- te lo svolgersi dei fenomeni della reazione caratteristica, non mi hanno condotto a rilevare fatti costanti, attendi- bili nel senso che da altri si ammette. Delle lievi moditi- cazioni che nell’ordine dei fenomeni plessici ed acustici Possono aversi in un tubercoloso durante la febbre, ogni me- dico è consapevole. E giusto dunque obbliare quelle che ordinariamente si rilevano sugli ammalati quando vengono colti dalla febre in essi abituale, e fare calcolo di quelle che possono darsi quando in essi producesi la febre arti- ficiale ? Se io dovessi far calcolo solamente di questa ultima, dovrei venire ad una conclusione desolante, perché dovrei attribuire alla influenza delle injezioni l'aumento dei fe- Momeni di percussione e di ascoltazione in quegli amma- lati nei quali, in luogo della stazionarietà ho notato feno- Meni di progresso della malattia. 1 JS Vl (488) [8] Bisogna bene intendersi su questo proposito prima di È venire a certe conclusioni; sopra tutto bisogna riconoscere, | | che in questo genere di fatti col troppo sottilizzare l’ os- P servazione si arrischia di perdere di vista l'interesse prin- | cipale e scientifico e pratico. Per questo io, contrariamente > D a quelli che vanno speculando fatti minimi e di valore se- 10 condario per convincersi della virtù medicatrice della linfa, non voglio troppo arrestarmi sopra fenomeni che so essere osservabili nei tubercolosi durante la febre propria della malattia, per non essere portato a conclusione che mi pare grave, anzi gravissima, ma che potrebb' essere non affatto sicura da obbiezioni. La tosse. Anche questa si disse aumentare durante lo sviluppo della caratteristica reazione. Io ho constatato che aumenta in aleuni, non in tutti, proprio cosi come avviene nei tubercolosi, i quali durante la febre possono avere | | | aumento della tosse, ma non tutti l'hanno necessaria- 1 mente. » 119 L'esereato visto microscopicamente non mi ha mai | | presentato mutamenti che mi dovessero impressionare in | || modo soddisfacente, — о rimase quello che ега, o subi | | mutamenti che indicavano peggioramento ; — quando si faceva più abbondante la parte sierosa, qnando complessi- vamente aumentava questa e la parte formata. | Coll’ esame microscopico non si sono mai trovati fatti || accennanti a modificazione favorevole del processo morboso. | | Furono registrate da altri. e date come importanti, alcune | modificazioni dei bacilli. Ma in proposito ho da fare una con- di siderazione analoga a quella che ho fatto testè ragionando dei mutamenti del focolajo durante la febre. Se prima che » venisse raccomandata la cura di Koch erano conosciute le diverse apparenze che possono avere i bacilli della tu- bercolosi nell’ escreato, perché si vorrà attribuire la causa di queste alla influenza della linfa? — Ma io ricordo be- nissimo dello studio che si metteva per riconoscere il ba- cillo quando se ne facevano le prime ricerche a scopo -— [9] (489) clinico ; e fu veduto più sottile e più grosso, diritto e ri- curvo, isolato ed a gruppi. Ora che s' injetti la linfa, che Si vegga poscia qualche modificazione del bacillo, e sen- 2 altro si dica che questa modificazione è prova della virtù della linfa, credo non sia abbastanza rigoroso. — Ma si va anche un po’ più avanti, si lascia viva l’idea, che le accennate modificazioni dei bacilli provino la virtà medi- catrice della linfa. Ebbene io non ho saputo farmi le stesse idee di fronte ai medesimi fatti, perchè — lo ripeto — questi fatti, relativi alle modificazioni morfologiche dei bacilli, т” erano noti anche prima che si tentasse la cura di Koch e li riferisco ad ammalati a differenti stadi della Malattia ed in condizioni diverse. Non ho mai constatata la scomparsa dei bacilli dall’e- Screato; ma solo dalle modificazioni quantitative, di poco va- lore. Ed in proposito mi piace ricordare un caso della mia Clinica importantissimo, osservato cinque anni sono. — Era una. donna con tutti i sintomi locali e generali della tubercolosi polmonali, con un escreato che s' avrebbe detto una cultura pura di bacilli. Mi valsi del fatto per dimo- Strare agli allievi, che la quantità di bacilli non è sicuro fondamento pronostico. In vero — dopo la cura che cre- detti più opportuna nel caso — vedemmo scemare e scom- parire la febre vespertina, i sudori, poi rimontarsi la nutri- zione, diminuire i bacilli e l’esereato ed infine 8сотра- rire affatto affatto i bacilli. La donna fu dimmessa gua- rita, figliò un'altra volta e dopo tre anni, durante i quali Sostenne le durezze e gli stenti della sua posizione mise- rabile, scapitò nella nutrizione e colle parvenze d’un raf- freddore di gola fini colla tubercolosi laringea. . 9. Veniamo ora ai segni della guarigione. — La sta- tistica, per quanto mi consta, non ci fornisce materiale a sufficienza per ragionare di ciò. Si danno dei casi miglio- rati ed il miglioramento si desume dall’ aumento del peso dell’ammalato е dalla mitigazione di alcuni dei fenomeni della malattia. (490) [10] Secondo il mio modo di vedere la questione deve trat- tarsi con un po’ più di rigore di quello che si fa. Io mi domando: per una questione cosi grossa, per un metodo curativo, che doveva essere quasi uno specifico, quale va- lore hanno alcuni casi di miglioramento rispetto ai molti che non migliorano, ai non pochi che durante la cura peggiorano, a quelli che morirono ? — Quale valore hanno se riflettiamo inoltre, che anche prima della linfa Koch si numeravano casi di miglioramento. e di guarigione? — Quale valore, trattandosi di una malatia che rispetto al decorso offre una infinita varietà di forme ? Premesso ciò ecco i fatti miei. Ho constatato in tre casi la morte, negli altri la stazionarietà, in nessuno fran- co miglioramento. Ho constatato l'aumento di peso in un caso, che pur troppo non migliorava nelle condizioni del focolajo ; la diminuzione della tosse in individui che rima- nevano stazionari ; il senso di relativo benessere, la cessa- zione di sudori notturni in altri che vidi e vedo destinati, pur troppo, a soccombere, perchè malgrado la cura non migliorano nelle condizioni polmonali. I pretesi segni della guarigione che io ho constatato non mi generano alcuna fiducia, massima poi se conside- ro, che segni eguali possono aversi indipendemente dalla linfa e che, anche fossero da questa prodotti, sono tutta- via troppo misera cosa rispetto a quello che ci attende- vamo. ; quanto ai morti le cose stanno come segue : — Un uomo a 45 anni che aveva tubercolosi giunta oltre lo stadio incipiente, che non mostrò il più. piccolo indizio di miglioramento malgrado la reazione caratteristica, un bel giorno, dopo la 6.* injezione, cioè dopo averlo influito con 18 millig. di linfa complessivamente, peggiorò nello 3 stato generale, diede fenomeni di collasso e sintomi di meningite tubercolare diffusa, constatata poi dall’ anatomo- patologo. Una donna al 2.° stadio della malattia in se- guito alle injezioni, che furono 7 (complessivamente 18 [11] (491) millig.) peggiorò rapidamente come non si attendeva cal- colando il lento decorso precedente della malattia. — Una ragazza a stadio incipiente dopo 1” 8.* injezione (comples- sivamente 26 millig.) malgrado il subbiettivo miglioramento dei primi giorni, notammo aggravarsi i sintomi primitivi all’ apice polmonale sinistro, insorgere fenomeni analoghi a destra, dove la funzione respiratoria era intatta, e ma- nifestarsi una forma asfitica colla quale venne a morte. Il reporto cadaverico raccolto dall'anatomo-patologo ricorda quello fatto conoscere dal Virchow. Recentamente il dott. Lipmann di Trieste ha riferito avere egli riscontrato il bacillo tubercolare nel sangue degli infermi durante la reazione caratteristica ed anche dopo, — In proposito osservo, che nella mia clinica le indagini che istituimmo espressamente non ebbero eguale risultato, devo poi aggiungere, che se anco l' avessi ve- duto il bacillo nel sangue, mi sarei ricordato di un caso singolare che ho avuto nella mia clinica, nel quale alla diagnosi di febre intermittente, colla quale era entrata nell’ ospitale, sostitni quella probabile di malattia di Ad- dison, e poi quella di tubercolosi acuta, che venne riscon- trata insieme coll’ alterazione di una capsula succentariata. Nelle vene della milza si trovarono bacilli numerosissimi quasi come in una coltura pura. Con questo voglio dire, che il reperto del bacillo nel sangue deve avere rapporto colle particolari condizioni del processo morboso; condi- zioni le quali, se fossero indotte dal trattamento mediante la linfa, indurrebbero a concepire un grave sospetto a ca- rico della sua influenza, quando i bacilli non fossero in- trodotti nell’ organismo colla linfa che, per vizio di pre- parazione, li dovrebbe contenere. Per questi fatti, secondo il mio sommesso parere, non st può accogliere finora la linfa Koch nè come un mezzo diagnostico, nó come un rimedio antituber- colare. (492) [127 A questa mia conclusione si obbietterà, che contraria- mente opinano coloro i quali hanno constatato manifeste modificazioni e palese miglioramento ne’ tessuti morbosi del lupus. Rispendo che la identità del processo morboso per cui si ha il lupus e dell'altro per cui si manifestano le forme tubercolari interne, non è da tutti egualmente ammessa ed è ancora molto discuttibile. Inoltre vere e stabili gua- rigioni del lupus non sono state riferite ; guarigioni appa- renti ebbero luogo anche in seguito ad altro condizioni morbose ricorrenti negli affetti da lupus, come sarebbe in seguito alla erisipela. Dal canto mio posso ricordare due casi importantissi- mi, dei quali ho fatto menzione in altro lavoro, e che si riferiscono alla risoluzione di focolaj caseosi mel pol- mone, avvenuta in seguito alla tifoide ed al processo puerperale. Sono due casi, di uno dei quali posso mostrare la sto- ria clinica estesa a quanti la desiderano conoscere, del- l’altro, che mi ha offerto una signora nella cui famiglia fu constatata da me stesso la tubercolosi, posso citare la testimonianza di un valentissimo collega. D’ altronde l'esperienza clinica insegna, come possono modificarsi antichi processi morbosi per influenza di una malattia febrile. I1 vajuolo fece scomparire una nefrite dia- gnosticata dal Concato; ma come era infondato 1 pro- getto che questi ne traeva di ricorrere alla vaccinazione per curare la nefrite, altrettanto azzardato parmi il so- stenere, che la linfa di Koch come tale produce i feno- meni osservati nel Lupus e quelli che si sorprendono ne- gli altri focolaj morbosi. А me sembra più logico e secondo esperienza il dire, che l'alterazione indetta del processo febrile della linfa nel lavorio bio-chimico dei tessuti, é la ragione dei mutamenti che in questi possono presen- tarsi. Se alla constatazione del processo risolutivo dei vecchi focolaj caseosi polmonali ‘in seguito alla tifoide e [1 5] (498) alla febre puerperale, a me fosse caduto in mente. il poco felice pensiero di ricorrere all'innesto del virus puerperale, o del virus tifoso, per guarire la malattia, avrei certo suscitato il buon umore de’ miei colleghi, anche se avessi invocata l'autorità della antica dottri- na della metasincrisi. I miei colleghi mi avrebbero giu- stamente richiamato sui dettami della esperienza; mi avrebbero ricordato, che la coincidenza dei fatti da me constatati non può essere fondamento ad una massima terapeutica; che altre coincidenze parlano in senso al fatto contrario ; precisamente come avviene di questi, dei quali ci oceupiamo ne'riguardi della linfa Koch ; i quali, anziché dinotare una specie di azione elettiva del ri- medio, una virtù specifica antitubercolare, significano una alterazione del processo nutritivo degli elementi fragili, instabili costituenti il tessuto morboso, indotto dalla fe- bre dellà linfa: — alterazione 0 modificazione, che nella Maggioranza dei casi, per non dire in tutti, non ha in- dirizzo decisamente curativo. Mi si opporranno i casi di miglioramento conseguiti da alcuni. Ma vorrei Sapere se in questi ha meglio agito la linfa Koch o piuttosto l'insieme della cura, non esclusi tutti i riguardi della igiene, della cura ricostituente ecc., perché in quegli individui nei quali il processo mor- boso è per sua natura mite e di andamento lentissimo, quasi stazionario, nel mentre si pratica la cura colla linfa, si consigliano anche tutte l’ altre cure che meglio con- vengono. E queste che hanno sempre giovato in casi con- simili, non avranno giovato a nulla quando contempora- Paneamente s'injetta la linfa? — Come si fa a discernere scientificamente ciò che spetta all'una e all'altra cura nel miglioramento conseguito? — Come attribuire tutto il meglio alla linfa, quando questa nella maggioranza dei casi non si mostra capace di altrettanto effetto? — Per- chè ciò quando si vede che ove malgrado la reazione ca- laWteristica, il focolajo non cambia, e tuttavia puó darsi (494) [14] l aumento del peso dell’ammalato che in ciò mostra i buoni effetti della igiene e della cura ricostituente ? Per me i casi di miglioramento devono essere discussi, perché e la scienza e la pratica vogliono che si distin- guano fatti che possono avere tra loro rapporti veramente causali o quelli di mere coincidenze. Vecheró un importante esempio. Mi venne condotto da un comune vicentino un giovane d'anni 18 perché lo cu- rassi colla linfa di Koch. Era anemico, aveva avuto due volte emoftoe ; accusava debolezza generale, tosse, dispe- psia, dimagramento ; presentava ipofonesi agli apici pol- monali, massime alla fossa sotto-clavicolare destra; non espettorava, quindi non si potè constatare il bacillo tu- bercolare, però vi si ascoltava il respiro scarso, aspro, ө rantoli frequenti e minuti. Dopo diligente esame dell’ in- fermo, mi proposi istituire la semplice cura dell’igieno e quella ricostituente, anche perchè gli allievi potessero fare qualche osservazione comparativa. Ebbene i risultati che ottenni sono dei più brillanti, il paziente guadagnò di giorno in giorno nella nutrizione generale ed i sintomi locali sonosi interamente dissipati. Potrò ingannarmi, ma sono convinto che i fenomeni che suole produrre la linfa accennino ad un genere d’ a- zione che non mi pare favorevole agli organismi in preda alla tubercolosi; — la prostrazione generale, l'abbassa- mento della pressione arteriosa, il vomito, la salivazione, i dolori muscolari, l’itterizia, 1” albuminuria, la peptonuria ecc. che 1 diversi osservatori hanno constatato, voglio- no dire, che la linfa agisce come un tossico, il quale disturba ogni ordine di funzione — nervose, circola- torie e trofiche — non spiega azione specifica sul fo- colajo — non accresce, ma attenua la resistenza or- ganica. Se prendiamo in considerazione tutto ciò che finora fu pubblicato in argomento, è facile arguire che contendono fra loro due principi, vorrei dire due amori — l’ uno per la [45] (495) verità, l'altro per l’ indirizzo scientifico. Il primo fa dire, più 0 meno apertamente a tutti gli osservatori, che finora vere guarigioni colla Linfa Koch non si sono ottenute ; l'al- tro ispira l'opinione, che pure qualche cosa di utile e pro- Mettente s° è ottenuto E si profonda la convinzione nella do- Minante teoria patologica della tubercolosi, che parve impos- sibile che la proposta terapeutica derivatane, non avesse, ora 9 poi, a produrre il frutto desiderato ; quindi si raccolsero dei fatti, ma non si serutarono, non si sottoposero a cri- tica abbastanza larga e severa da tutti gli osservatori. Ora, a dir vero, sono sbolliti i primi entusiasmi, tuttavia non manca quegli che vorrebbe persino soffocare i dubbi Ch’ altri hanno esternati sulla importanza terapeutica della Linfa, nella tema che il pubblico abbandoni le speranze concepite e non sia incoraggiato a chiedere la nuova cu- га di Koch. Vi fu chi nella mia clinica, mentre io espo- neva all'uditorio i fatti raccolti collo scrupolo maggiore ¢ con tutta l'onestà scientifica, che nessuno mi puó con- tendere, diffondeva tra gli allievi miei la voce che io non era atto a questo genere di ricerche, perchè — secondo Costui, о costoro, — il trovato di Koch deve fare epoca, è frutto di scienza nuova, segna una rivoluziune nella medicina -.. non si può dire ancora nulla . . . vi sono dei fatti importanti degni di molta considerazione . . . ed a idee sulla tubercolosi che non sono condivise dagli altri, Intorno a questo mi si permettano poche ma franche parole, lo sono degli ultimi a riferire pubblicamente risultati conseguiti nella cura della tubercolosi polmonale mediante la linfa del dott. Koch; ed avendo avuto oggi l’ onore di nferirne davanti a questo illustre Consesso, mi piace fare una dichiarazione — ed è, che io, a differenza di altri che per le stampe, o innanzi ad Accademie, mi hanno preceduto, non venni a deporre entusiasmi in me solle- LL S VI] 64 UTE | | | (496) [16] vati dall’annunzio della proposta di Koch per la cura della tubercolosi; e che per le risultanze dei tentativi te- rapeutici, da me eseguiti per dovere accademico e per sentimento umanitario, sono indotto a ribadire aleune mie convinzioni scientifiche circa la patogenesi della tuberco- losi ed a confermare le gravi dubbiezze che ho dovuto concepire fin dall'esame dei primi fatti, che dalla capitale dell'Impero germanico venivano giornalmente segnalati alle Gazzette ed ai Telegrafi; — dubbiezze che manifestai in una conferenza scolastica quando mi accingeva alle espe- rienze cliniche. Forse aleuni potranno muovermi accerbo appunto per i dubbi concepiti prima ancora di vedere i fatti; perché non è lecito — si dice — non è lecito ragionare ma si deve invece solo sperimentare. Abbiate pazienza, aristarchi del metodo sperimentale scolastico, il quale talvolta non è conforme al metodo sperimentale — diciamolo pure — filosofico. — Abbiate pazienza e mi accordate, in nome della libertà e del prin- cipio del libero esame, che lo stesso diritto e la stessa autorità colla quale ha ragionato il Koch sui fatti della tubercolosi da lui studiata sulle cavie, per giungere fino a ideare un processo di cura di questa malattia, lo stesso diritto, la stessa autorità io abbia adoperata meditando sopra i fatti della tubercolosi ; e ne sia venuto fuori con dei convincimenti diversi da quelli di Koch; qualcuno di questi convincimenti sia un argomento serio e grave da opporre, tanto al concetto della genesi della tubercolosi, quanto al progetto terapeutico che ne è il corollario. Im- perocchè se vi sono questioni in patologia che meglio ri- solve lo esperimento sugli animali, altre pure vi sono nelle quali meglio si presenta con lunga ed esperta osser- vazione clinica. Alle corte. — Voi volete che io ammetta come un dogma la teoria che insegna, essere la tubercolosi una malattia da infezione, cagionata dalla introduzione del ba- [17] (497) cillo tubercolare, scoperto da Koch, nell’ organismo uma- n0. — Ed io sono convinto, che la tubercolosi umana è il risultato di cause parecchie, non tutte conosciute, ma un risultato che si manifesta prima di tutto con una de- terminata predisposizione individuale e poi si manifesta colle note alterazioni generali e locali dove s'incontra anche il bacillo di Koch. Queste mie convinzioni hanno radice nella Storia naturale dell'uomo e nella osservazione clinica, e per questo non possono essere facilmente sradicate dai fatti della storia naturale del bacillo, studiata sperimental- mente in alcuni animali, non già negli animali. Prego porre attenzione a ciò: — ho detto studiata in alcuni animali, non già negli animali ; perchè io, che ho imparato dalla embriologia e dalla anatomia comparata ad apprezzare le differenze dell’ ambiente interno nei di- versi stadi dell’ evoluzione dell’ Essere, comprendo la ra- gione per la quale i conigli e le cavie dovessero essere scelte come terreno sperimentale più opportuno e non venissero scelti altri animali, come sarebbe il cane; e comprendo conseguentemente, che non si possa prendere il risultato sperimentale come una definitiva conclusione dottrinale sulla tubercolosi dell’ uomo, senza preoccuparsi di illustrare il fenomeno della refratarietà del cane e Senza penetrare in tutti i misteri della patologia di alcuni animali e di alcuni uomini. Si che essendo per me la teo- ria patogenica della tubercolosi seguita da Koch una ipo- tesi che non è basata sopra tutti i momenti naturali e necessariamente operosi nella manifestazione patologica allo studio, come della teoria e più ancora della teoria, 10 doveva logicamente diffidare della proposta terapeutica. La quale, dopo tutto, non è che un altro risultato speri- Mentale conseguito sopra alcuni animali, con troppe lu- Singhe portato nel campo della clinica. ll mio ragionamento era giusto quanto fondato il suo Punto di partenza; e le mie dubbiezze, non erano pen- Seri aprioristici d'un tempo, ma logica, irrefragabile de- (498) [18] duzione da principi scientifici; che, pur non escludendo la ricerca sperimentale di Koch dal programma degli studi da compiersi sulla tubercolosi, tuttavia non possono acco- glierla come fondamento principale della dottrina che si vuole comporre, come chiave unica colla quale penetrare in tutti i misteri della vasta e complessa questione della tubercolosi. Le mie dubbiezze, come si vede da quello che ho som- mariamente accennato, sono la conseguenza di studi, di osservazioni condotte fuori dirò così — della chiesa che raccoglie i credenti moderni nell’ autorità di un no- me; — sono — se vuolsi — espressioni eterodosse ; ma di questo non mi preoccupo, se non per il fatto che, per essere eterodosse, contengono qualche verità, alla quale penso debba essere richiamata la mente dei molti che si interessano alla questione della tubercolosi, oggi special- mente che una delusione si dolorosa nel campo delle aspi- razioni scientifiche ed umanitarie deve avere consigliato maggiore temperanza nel costruire teorie ad ogni piè so- spinto, diffidenza nelle teorie proclamate celebri troppo corrivamente, e deve avere consigliato altresi maggiore coraggio nell'esprimere i propri pensieri, anche se di- sformi da quelli che vengono dettati da chi si tengono come rappresentanti 1’ autorità nella repubblica della scien- za — dove, a dir vero, non dovrebbe mai prevalere il principio dell’ Autorità. Troppo mi dilungherei se volessi anche in iscorcio pre- sentare la storia della teoria parassitaria della tubercolosi, e quella degli esperimenti di Koch per la cura antituber- colare e quella di un fenomeno psicologico avvenuto nel mondo medico, quando medici di ogni rango e da tutte le parti mossero alla volta di Berlino, per toccare con mano i frutti della teoria che professavano cecamente e quando se ne tornarono senza avere nulla toccato, ma pure convinti ancora, che Koch aveva fatto una grande Й [19] (499) scoperta, pronti a celebrarla sui giornali, nelle conversa- zioni e sulla cattedra. Mi accontenterò di affermare, che da tutto questo ap- рагіѕсе chiaro come il sole un fatto, ed è, che lo spirito critico — il vero moderatore, il sapiente censore di ogni fattura del pensiero — giace soffocato dalla smania del Produrre, del riuscire, del vincere sul terreno della lotta, dove ciascuno si sforza rapire un dettaglio, per poi mo- dellare sovr’ esso un corpo di scienza. E nella fretta del fare, non si consente alla critica la sua parte. Quelli poi che accolgono il fatto altrui, non esercita- 10 la critica, perchè sono tratti in un equivoco, frutto dei tempi. Detto che la scienza dev’ essere sperimentale, accolgono il dettaglio che sta in fondo a ciò che loro si presenta e credono tutto sia il più naturale prodotto. . Ma se il dettaglio sperimentale è un fatto che appar- tiene alla scienza, quando ne venga staccato, e non sia più in armonia col resto, perde gran parte del suo valore, delle sue espressione. Se anche per ragione di analisi tu lo dovessi isolare, ma tu hai poscia a ricongiungere col Corpo intero della scienza, per comprendere esattamente, la sua funzione, tanto se la nuova cognizione derivata dallo studio del dettaglio venga ad accrescere, quanto a riformare il corpo della Dottrina cui appartiene. Nella storia della tubercolosi dei nostri giorni il det- taglio sperimentale concernente il bacillo tubercolare, Па servito di base alla concezione teorica, ed alle con- getture terapeutiche d'ogni stampo, che fallirono ; perché, In fondo, il bacillo è un episodio della storia della tuber- colosi. Non è, come si pensò, il fulcro intorno al quale 8! svolgono tutti gli avvenimenti del dramma desolante della tubercolosi; ma è uno degli avvenimenti, direi, una comparsa che deve intervenire nello sviluppo del dramma. E un fenomeno necessario, se consideriamo l’ evoluzione del tubercolo ; è un fenomeno anche invadente dal punto nel quale ha cominciato ad essere ; ma per essere, e per es- (500) [20] sere рій o meno invadente, richiede una precedente dispo- sizione morfologica nell’ individuo, un ambiente, necessario per essere nella già avviata alterazione dei tessuti, oppor- tuno alle sue multiformi manifestazioni. Però, secondo me, altra è la tubercolosi delle cavie, dei conigli, altra la tu- bercolosi dell’ uomo, per quanto v' abbiano momenti biologi e morfologici somiglianti; e così pure io credo, che data la varietà della disposizione individuale, che implica il con- cetto della varia intensità di questa, siano da riguardarsi, clinicamente parlando, non tutti identici i casi di tuberco- losi umana. Per questo ho ritenuto sempre, che la scoperta del bacillo non segna la nostra vittoria: bisogna scoprire 1 rapporti naturali, non supposti, ch’ esso tiene cogli orga- nismi, colle speciali condizioni di ambiente bio-chimico, colle fasi del processo morboso negli individui predi- sposti. Se è stato, come non dubito, un progresso la scoperta del bacillo, io mi attendo altro progresso sul terreno della morfologia applicata alla patologia clinica, ciò che vuol dire sull' indirizzo il più largo della storia naturale dell’ Essere considerato nella sua interezza in rapporto collo esterno ambiente durante le successive fasi di evoluzione, consi- derato nella varietà della organizzazione, quindi nella va- rietà dello ambiente interno, considerato infine ne’ suoi minimi fattori cellulari, i quali, in conformità dell’ ambien- te nel quale si trovano, seguono leggi di evoluzione e d’ involuzione tutte proprie, costituendo 1 atteggiamento morboso in prima, poi l'atto morboso iniziale, che sfugge alla ricerca istologica, come alla osservazione sperimen- tale, ma che precede necessariamente ogni altra manife- stazione morbosa, compresa quella del bacillo. Non isfugge però alla ricerca morfologica e clinica in traccia della disposizione morbosa individuale, nè alla intui- zione clinica esercitata in questo lavoro di analisi e di sintesi fisiologica. È sfuggita a Koch perchè, lontano da queste idee, (21) (501) crede che tutto il processo inizi quando entra il bacillo, ed ha potuto concepire una frase che certamente imbarazza tutti i clinici del mondo, lorchè ha proposto che la sua linfa debba introdursi nei casi di tubercolosi incipiente : con- cetto vago per tutti, che vuol dire per me, quando già Sono palesi i fenomeni di un organismo che era predesti- nato e che molto prima doveva essere rivendicato colla migliore cura preventiva. Se a questa può contribuire il Koch sull'indirizzo sul quale s'è gettato a tutt’ uomo, io sul mio indirizzo, dove non pochi anni sto studiando sotto la parvenza clinica fatti che rispecchiano le leggi generali della organizzazio- ne dell’ Essere più elevato, come dell’ Essere infinitamente piccolo, plaudirò alla scoperta di un’altra linfa, che non dovrà curare, ma prevenire la tubercolosi. PRIME NOTIZIE SOPRA I PRINCIPII IMMEDIATI DELLA SCORZA GONOLOBUS CONDURANGO DI GIACOMO CARRARA ——— jo —— La scorza di Gonolobus Condurango (') Triana della famiglia delle Asclepiadee proviene dal Chili, dal Perù, dal Guatemala, dall’ Equatore, ecc. Si usa in medicina contro la sifilide, il carcinoma; ma adesso più specialmente come Stomatico. . Le conoscenze chimiche su quanto riguarda i principii immediati di detta scorza sono ancora molto vaghe. Antisell (?) nel 1871 non vi rinvenne né alcaloide nè olio etereo ma il 12 ° o di cenere. . Vulpius (5) nel 1872 confermò il 12 ?, di cenere, vi PInvenne tracce di manganese, e accennò all’ esistenza di una sostanza amara. F. A. Flückiger «Pharmakognosie des Pflanzenrei- 3 ^ " k А (1) Secondo il console Nord-Americano di Guayaquil, Gondu- ango è nome che proviene da Condur Aquila-Avvoltoio e Sango Vite, perchè questa pianta attortigliandosi a guisa di tralcio di vite Y al più alti alberi ne raggiunge la cima (Archiv. der Pharmacie, an, 58: pag. 78). (2) American Journal of Pharm., 1874, 289. (9) Taba ili (3) Jahrb. der Pharm., 1879, maggio-giugno. ILS VIT 05 (504) [2] ches (*) » conferma l'esistenza di questa sostanza amara, ed accenna ad un alcaloide che egli ebbe fin dal 1882, ag- giunge che li ebbe entrambi amorfi ed in piccolissime quantità; non ne dà però la composizione. Nel 1885 Tanret (*) dall’ Axlepias Vincetoxicum isolò due glucosidi col seguente processo. Fa una digestione a freddo con leggero latte di calce (10 per 1000) e liscivia con acqua fredda; satura il liquido acquoso con cloruro 80- dico e precipita così i glucosidi. Li raccoglie, li lava con acqua salata, li asciuga, e li ridiscioglie in cloroformio. Scolora poi la soluzione con carbone animale, ed eva- pora il cloroformio. Il residuo lo scioglie in alcool e lo addiziona di etere fino a precipitazione; indi aggiunge acqua fino a che si separano i due strati, agita e poi lascia ri- posare. Ottiene così nei due liquidi i due glucosidi che egli chiamò Vincetorina solubile nell acqua е Vinceto- wina insolubile. Ad entrambe dà la formola С, H,, Og. Di queste so- stanze la prima si scompone a 130° senza fondere; l’ altra fonde a 59°. In seguito alla pubblicazione del lavoro di Tanret; Vulpius nel 1885 (*) ritornò sul lavoro fatto nel 1872 perché aveva osservato che la soluzione acquosa fredda del Condurango si intorbida per riscaldamento come quella dell' Asclepias Vincetoxicum ; e ripetendo precisamente il processo di Tanret, ottenne due glucosidi; senza però farne l'analisi nè determinarne il punto di fusione. Constatò solo alcuni caratteri che trovò coincidenti con quelli delle Vincetoxine, e cioè il rapprendersi per riscal- damento, il disciogliersi del glucoside insolubile nell'acqua allorchè si trova in presenza di quello solubile, il ridurre il (4) Flükiger Pharmocognosie des Pflangenreiches. 1883, 555. (2) Journal de Pharmacie et Chimie. Ann. 6.?, serie V, Tom. XI, pag. 210. (3) Archiv. der Pharmacie, (3) t. 23, 299. [3] (505) liquido di Fehling dopo qualche ora di ebollizione con acido solforico all’ 1 ?|,,la precipitazione della soluzione acquosa in presenza di acidi minerali con ioduro di mercurio e po- tassio ovvero con ioduro di potassio iodurato. E dopo ció espresse il dubbio che possano essere iden- tici ai glucosidi di Tanret, molto più che provengono da piante della stessa famiglia delle Asclepiadee; però sog- giunge solo l'analisi elementare potrà dire qualche cosa in proposito. In commercio col nome di Condurangina veniva messa una sostanza che il Vulpius (!) stesso non sa se sia 0 no un miseuglio de'suoi glucosidi, ma nella quale afferma l' esistenza di tracce di un alcaloide; e soggiunge che pare che a questa condurangina il giudizio medico si sia già pronunciato contrario. Per completare la storia del Condurango aggiungeró che R. Kobert (*) dice esistere nel condurango due o tre glucosidi ed una resina che agiscono tutti nello stesso modo, Afferma che la Condurangina di Vulpius non è una so- stanza unica e possiede un’ azione venefica sul sistema ner- voso centrale. In piccole dosi produce nei movimenti degli animali atassia che ha una grande somiglianza con quella che si riscontra nella tabe dorsale. La dose letale nei carni- vori è gr. 0.02 per kilog. di peso di corpo, e negli erbi- vori tre volte maggiore. Indi soggiunge non essere ancora assodato se la condurangina abbia azione specifica sul car- cinoma. : Questo lo stato attuale delle conoscenze chimiche e fisiologiche intorno alla scorza del Condurango. Da esse si vede che se qualche cosa si incomincia a Sapere intorno all’ azione fisiologica, in seguito ai lavori del Kobert; quasi nulla di certo si sa intorno alla natura (1) Archiv. der Pharmacio, (9) t. 28, 299. (2) Pharmaceutische Centralballe, XXX, pag. 340 (dalla Phar- "aceutischo Zeitung, 1889, 118). (506) [4] chimica dei principii immediati. Appunto partendo da que- sto concetto ho intrapreso queste ricerche, delle quali dò oggi una notizia preliminare riservandomi di ritornarvi in seguito, quando avrò maggior materiale a mia dispo- sizione. La scorza di Condurango sulla quale io feci lo studio è del Condurango Mataperro sceltissimo e proviene dalla ditta T. Schuchardt di Görlitz. ‘ La scorza venne grossolanamente polverizzata, poi spossata in apparecchio a ricadere con alcool a 95 ^° ,. Nella soluzione alcoolica fredda restava una notevole porzione indisciolta. Separai per filtrazione le due porzioni ed ebbi così (А) porzione insolubile ridotta ad una poltiglia verdastra, e (B) soluzione alcoolica fredda colorata in bruno-giallastro. La porzione (А) venne prima lavata con alcool freddo ed in seguito con etere, il quale disciolse completamente una parte peciosa verde (4) e lasciò insolubile una pol- vere giallastra (b). Dopo ripetuti saggi fatti allo scopo di purificare la so- stanza (0) mi convinsi che il miglior modo di ottenerla in istato analizzabile, era quello di lasciarla deporre dalla soluzione alcolica bollente, e lavarla ripetute volte con al- cool e con etere. Questo fu dunque il processo seguito e parecchie volte ripetuto onde essere certo della purezza del prodotto. All’ analisi dopo averlo asciugato nel vuoto forni iri- sultati seguenti : I. gr. 0.273 di sost. diedero gr. 0.740 di CO, e gr. 0.285 Gi Ma O. II. gr. 0.208 di sost. diedero gr. 0.5622 di CO, e gr. 0.2145 ar Eh 0: Cioè per cento: I Il Calcolato per Cio H;, Og C,..78.92 78.71 73.88 Н 11.59 11.45 11.38 [5] (507) Ricorro a questa formola cosi complessa perché un de- rivato monobenzoilico, come dirò, ha una composizione che s'accorda con essa. Questa sostanza non contiene azoto, 6 insolubile in etere ed in etere di petrolio, poco solubile in alcool freddo e si scioglie molto bene nell’ alcool bollente e nel cloro- formio, è pochissimo solubile in acqua e la sua soluzione acquosa fredda non si intorbida per riscaldamento; non Precipita in soluzione acida per acido cloridico con ioduro di potassio iodurato, nè con ioduro di mercurio e potassio. Fonde a 112° e molto meglio per un brusco riscalda- Mento anzichè per lenta elevazione di temperatura; nel qual caso il punto di fusione è anche di parecchi gradi più elevato. Bollita questa sostanza (b) per cinque ore con acido solforico diluito al 9 per 100, mostra la sua soluzione acquosa una marcatissima riduzione del liquido di Fehling. E evidentemente un glucoside. Dopo ebollizione con acido solforico diluito lascia in- disciolta una massa bruno-rossastra che è l'altro prodotto di scissione. Il liquido acquoso acido, dopo essere stato privato del- l’acido solforico per mezzo del CO,Pb venne portato a secco ? ripreso con alcool assoluto onde asportare il glucosio for- Matosi, Scacciato 1’ alcool e ripreso con acqua venne trat- tato con soluzione acetica di fenilidrazina con che ebbi "n precipitato giallastro. | La piccola quantità di glucosio avuta non mi permise di esaminare con esattezza se avesse azione sulla luce polarizzata. Questo glucoside sarebbe evidentemente diverso da quelli avuti da Vulpius, i quali ài scioglievano bene in al- cool freddo ed uno di essi precipitava per aggiunta di etere. Ji più le loro soluzioni acquose si intorbidavano per ri- Scaldamento e [recipitavano con l'ioduro di mercurio e (508) [6) potassio e con l'ioduro di potassio iodurato in soluzione cloridrica. Sarebbe anche diverso da quelli di Tanret oltre che peri fatti sopra accennati per la proporzione di carbonio e idrogeno ch'esso contiene e per il punto di fusione. Sopra questo glucoside feci agire il cloruro di ben- zoile, (per gr. 2.00, gr. 3.5 di cloruro), Sealdai a b. m., cessato lo sviluppo di acido cloridrico e dopo raffreddamento aggiunsi acqua e soluzione di carbonato ammonico fino a netta reazione alcalina e ripetei il trattamento fino a che il liquido alealino non si intorbidava piü per aggiunta di acido cloridrico, poscia sciolsi in cloroformio e precipitai con alcool. Rimase indisciolta una polvere rosso-bruna, insolubile in alcool, in acqua, di etere in petrolio, poco solubile in etere, solubilissima invece nel cloroformio. Annerisce per riscaldamento a 250° e fonde scomponendosi a 270°. Le soluzioni sì eteree che cloroformiche, anche di- luite imbevono prima e poi rendono ulteriormente imper- meabile la carta da filtro, in modo che non passa altro liquido anche aspirando alla pompa. In questi casi dovei filtrare per vetro pesto. Viene saponificato dall’ idrato di potassio e dalla soluzione alcalina per acidificazione si pre- cipita l’acido benzoico. All’ analisi ebbi : I. da gr. 0.2275 di sost. gr. 0.6215 di CO, e gr. 0.208 di HO Cioè per cento: Calcolato per (O,4H],,0,0, HO) С 74.50 74.80 ҢҮ 10.58 10.84 La soluzione alcoolica cloroformica della quale si preci- pitò il benzoilderivato ; рег evaporazione lasciò una pol- vere bianca pure insolubile nel carbonato ammonico e fu- È i i [7] (509) sibile a 72°, Anche essa per ebollizione con potassa e suc- cessiva acidificazione mostra la presenza di acido benzoico combinato. Di questa sostanza non potei farne uno studio in causa della piccola quantità. La porzione (4) che come dissi è costituita da una pol- tiglia verde attaccaticcia con odore come di cera; poco solubile in alcool freddo e solubile in etere (col qual mezzo Si era separata dal glucoside precedente) venne scolorata trattandone la soluzione alcoolico-eterea con carbone ani- male, Ciò non pertanto il residuo non presentando i carat- teri di una sostanza unica, credetti opportuno scinderlo ne’ suoi componenti per saponificazione. A tal uopo lo sciolsi a caldo in alcool assoluto e dopo parecchie ore di riscaldamento соп soluzione alcoolica di idrato di potassio, scacciai in parte l'aleool per distilla- zione e ripresi la massa con acqua. Dalla soluzione acquosa si separò una sostanza gialla- Stra. Spossai il liquido alcalino con etere nel quale si Sciolse benissimo la parte insolubile in acqua. . L'etere venne lavato prima con acqua e poi evaporato diede un residuo giallo-canarino che venne posto nel vuoto sull’ acido solforico per asciugarlo. . La massa, forse per qualche traccia di etere rimasto S1 gonfia assai, diventa spugnosa e si solidifica. Questa sostanza così ottenuta è solubile in alcool, in etere e insolubile in acqua. Le sue soluzioni sì alcooliche che cloroformiche lasciate evaporare sul portaoggetti ed osservate al microscopio non presentano alcuna traccia di cristallizzazione; si os- Servano dei globuli tondeggianti solamente. Fonde a 52 gradi. Presenta le reazioni della colesterina; e cioè: 510) |8] 1° Le sue soluzioni cloroformiche addizionate di acido solforico concentrato si colorano in rosso-cupo con di- croismo verdastro nel liquido acido, la soluzione clorofor- mica poi, versata in una capsula di porcellana, passa rapi- damente al rosso, al violaceo, al verdastro, al giallo. 2.° In soluzione satura con anidride acetica e a freddo per azione di acido solforico si ha fugacissima colorazione violacea che diventa poi rossastra ed in ultimo di un verde- azzurrastro persistente. 3.° Evaporando a secco un po’ йі sostanza con qualche goccia di acido nitrico resta una macchia gialla che di- venta rossa con ammoniaca. 4.° Evaporando un po'di sostanza con acido cloridrico contenente tracce di cloruro ferrico si ha un residuo co- lorato in violaceo. La reazione con H,SO, e iodio non dà che colorazione rossastra senza accennare punto al vio- laceo. All’ analisi I. Gr. 0.315 di sostanza diedero gr. 0.942 di CO, e gr. 0.324 di H,0. II. Gr. 0,2555 di sostanza diedero gr. 0.765 di CO, e gr. 0.267 di H40, Cioè per cento: I II calcolato per (Ci; Hag О), С 81.55 81.33 81.47 H 11.42 11.56 11.30 Questa formola potrebbe anche modificarsi con l altra C,;Hy0 che corrisponderebbe alla formola generale de- | gli alcooli aromatici C,H», GO per la quale si richiede- | e rebbe ?|, C= 81.81 ed Н 10.90. In quest'ultima vi sa- | rebbe un po’ d’idrogeno in meno di quello trovato nell'ana- lisi, ma non è improbabile cle la natura incristalizzabile Й | | | [9] (544) della sostanza possa trattenere un po'di umidità malgrado una lunga permanenza nel vuoto e sull'acido solforico. Tentai di determinare pure col metodo di Raoult il suo peso molecolare, usando 1 acido acetico come solvente. . Gram. 0.3562 di sostanza sciolti in gr. 22.8270 di acido acetico mi diedero un abbassamento di 0.27". П. Gram. 0.4476 di sostanza sciolti in gr. 18.0702 di acido acetico diedero un abbassamento di 0.38". E riferendo le concentrazioni a 100 parti in peso di — Solvente si calcola colla formola 22 : уй Treo ts Ta BEN È Concentrazione coefficiente di abbassamento peso molecolare 1. 1.5608 0.1730 223 П. 2.4757 0.1538 251 Per C,;H,;0 si avrebbe 221 di р. m. per C,,H,,0 — 990. Questa sostanza dunque sarebbe l’ alcool della sostanza Céroso-grassa del condurango; e sebbene presentile rea- zioni della colesterina ne differisce notevolmente, sia per l aspetto amorfo, sia per la composizione centesimale, sia per il punto di fusione. Io proporrei di chiamarla Condu- ransterina. E probabile che questa sostanza oltre ad esistere sotto forma di etere con un acido ben noto, come vedremo, © anche con qualche altro che studierò, esista allo stato libero nella sostanza ceroso-grassa, perchè si hanno an- che direttamente dalla sostanza grassa le reazioni della Conduransterina. Su questa sostanza che per le analogie che ha con la colesterina diventa interessante mi propongo di ritornare. La soluzione acquosa alcalina separata dalla condu- Pansterina per mezzo dell’ etere, venne scaldata per scac- (1) W. Ostwald, Grundriss der Allgemeinen Chem. pag. 138 е 142, TODOS VII 66 (512) [10] ciar l’ etere filtrato e poscia acidificata con acido clo- ridrico. Si separò una sostanza come oleosa, che asportata con etere si rapprese dopo l’ evaporazione del solvente, in una massa cristallina con odore aromatico. Questa massa sciolta nella minor quantità possibile di alcool venne addizionata di acqua bollente e rapidamente filtrata per separarla da una sostanza oleosa giallastra che vi era mescolata (c). Il liquido opalescente depose una massa cristallina in laminette rombiche. Questa sostanza fu ottenuta pura per ricristallizzazione dell’ etere di petrolio. Aveva odore aromatico e trovai essere acido cinna- mico, perchè fondeva a 132°, perchè ossidato con per- manganato potassico mi dava l'aldeide benzoica col suo odore caratteristico, e perché infine il suo sale d'argento ottenuto precipitando la soluzione neutra del sale ammo- nico con NO,Ag corrisponde al cinnamato d' argento. In- fatti forni Ag.——42.44 "|,; mentre per il cinnamato si cal- cola 42.950 ji La porzione (c) sciolta in carbonato di sodio e poi di- stillata al vapor d’acqua fornisce pochissime goccie di una sostanza liquida con odore di idrocarburo. La stessa soluzione alcalina precipitata con un acido e distillata ancora al vapor d’acqua fornisce un acido bianco, di odore di grasso e fusibile a 49-50°, la cui piccola quantità non mi permise finora di occuparmene. Nel pallone come porzione che non distilla più al va- por d’acqua restano ancora acidi diversi fra i quali uno che viene separato dall’ anidride carbonica colla quale so- prasaturai la sua soluzione acquosa alcalina per idrato po- tassico. Su questi prodotti tornerò appena avrò materiale sufficiente. [7] (513) La porzione (5) soluzione alcoolica fredda primitiva venne evaporata a secco e ripresa con acqua, filtrata pel leg- gero intorbidamento formatosi, indi alcalinizzata con car- bonato ammonico con che si separò una sostanza rosso-bru- astra insolubile (а). ll liquido filtrato acidificato con acido cloridrico precipitò una sostanza rossastra 8. Il precipitato (x) prodotto dal carbonato ammonico si Sospese e in gran parte si sciolse in un miscuglio di al- cool ed acqua. Indi venne trattato con acetato basico di piombo. Si ebbe così un abbondantissimo precipitato gial- lo (4,) che raccolsi su filtro e un liquido appena colorato m giallo (2,,) Il liquido spiombato con il gas solfidrico, e acido per l’aci- acetico restato e bollito fino a scacciarne il gas, venne Оро raffreddamento spossato con etere, il quale asportò una resina gialla amarissima, però in piccola quantità. Questa © Indubbiamente la sostanza amara già accennata dal Vul- Plus e dal Flikiger, la cui natura chimica deve essere in- Ifferente o acida se si pensa alla soluzione acida dalla "ale venne estratta. Il precipitato (x) prodotto dall'acetato basico di piombo vato prima con Acqua»; venne sospeso in acqua e scom- posto col solfidrico; serbandone peró una porzione da ag- Slungere al liquido saturo di solfidrico in modo d'averlo tutto eliminato per precipitazione, senza dover poi scaldare Per scacciarlo. | Separato il solfuro di piombo saturai il liquido con ipid ebbi un’ abbondante precipitato gelati- 16) foco 2 i pare © etel come già dissi che Tan- ‚706 per estrarre la vincetoxina. Solo che io non sco- oral con carbone animale credendo sufficiente i tratta- а precedenti. Seguii insomma interamente quel pro- EV E DA i due glucosidi uno solubile e l'altro ELI. e ке cke già Vulpius ebbe occasione di de- da REA tutte le reazioni accennate in modo re il dubbio sulla loro identità. (514) Quello che per ora però non posso ancora asserire con certezza è la loro identità con le Vincetoxine di Tanret perchè riscontrai le reazioni per le condurangine accen- nate in principio a questa nota, riscontrai il loro punto di fusione che trovai abbastanza vicino 60-62" per la Condurangina insolubile, 133-185? per la Condurangina solubile ; però quest'ul- tima sopporta benissimo 170 gradi senza scomporsi men- tre la vincetoxina solubile si scompone a 130°. Non potei ancora analizzarle stante la loro quantità. Presto però conto di poterlo fare. Riassumendo dunque il processo tenuto in un quadro si ha: 'Insolub. in tede (a) ono Won» Quee. qai Glucoside ia Insolub.in nsolub. : ie Е ОСВЕН ИР YN Gonduran- | freddo (A) stel SolubilefSolubile . . . . Acido Cinna- T ^f) р io rattam. mico Solub.,sa- alcoolico acquoso a caldo su-(Insol. tf residuo ponificaz. \ con KOH gli acidi |per distil.} residuo Acidi diversi precipit. jal vapore da studiare dalla sol.f d'aequa in | alcalina | sol. жай sobing Idrocarb. li- quido Precipitato (’)[Condurangi - Scomposto colf na solubile solfidrico, preci- pitato con CINa separato con Ге- tere e l acqua Condurangi- dalla sol. alcool. | na insolub. Insolubile (2). S0- spesa in НО e alcool e precip. Soluzione alcoo-| con acetato ba- lica fredda (B).| sico di Pb Si riduce in so- мл ў Liquido (4")estr. luz. acquosa e А | per CO,(NH;)o etereo . . . Sost amara \ Corteccia di Condurango per trattamento aleoclico a ricadere Parte solubile. Si(Insolubile (6) acidif. la 80102, con НСІ, Solubile (у) [13] (815) Dopo questo non mi resta che di ringraziare viva- mente il mio egregio professore P. Spica, alla cui corte- sia debbo se questo lavoro, appena iniziato nell’ Istituto Tecnico di Bergamo, potè svilupparsi ed avviarsi al compi- mento e questo perchè egli mi concesse nelle ora scorse racanze di lavorare nel suo laboratorio. Laboratorio di chimica farmaceutica e tossicologica della R. Università di Padova, novembre 1890. UNA LETTERA DI 6. G TRISSINO 1 6. RUGELLAI EDITA DAL 5. с. GUIDO MAZZONI. ——0«7)(1»0—— Si avevano quattro lettere di Giovanni Rucellai al Trissino; tutte del 1515; ma nessuna del Trissino al Ru- cellai. (t) Eppure l'amicizia fu, tra quei due, strettissima e costante; e dovè per ciò mostrarsi in uno scambio fre- quente di notizie e di saluli: onde era da sperare che prima о poi ne uscisse in luce qualche altra testimonianza. Eccone una, dall’ autografo che se ne conserva nella rac- colta di lettere che è in un codice vaticano. (3) S." messer Giovanni, l'altro giorno essendo in Mantoa, ove Cra stato molli giorni, intesi de la morte del nostro Diaceto, che Molto me ne dolsi, perchè in effetto questa nostra età ha per- dulo un huomo, che passerano molti et molti anni che non se ne truoverà un simile, la cui dottrina et i cui santissimi co- Stumi erano degni non che di. lunghissima ma di eterna vita ; ma poi che ciascuno è nato mortale, assai acquista il mio do- lore, che in la sua non molto lunga vita ha scritto cose, che (1) Le Opere di G. RucELLAI; Bologna, 1887; pag. 944-54. (2) A carte 393 del cod. vaticano 9064. Me ne procurò copia il sig. Mario Pelaez, cui rendo le debite grazie. Non fo che ritoc- Care lievissimamente 1а interpunzione, separando o sciogliendo i Segni di qualche parola, distinguendo gli u dai v, e ponendo le Maluscole ai nomi proprii. (518) [2] saranno di lunghissima anzi eterna memoria di lui. Oltre di questo intesi anchora de la morte del nostro messer Pietro йе” Pazi, di cui parimente molto m increbbe : et ben si può dir quel di Petr. che morte fura prima i migliori et lassa stare i rei. Dapoi tornato a Vicensa, intesi dal nostro Lascari haver lettere vostre, ne le quali scrivevate V. S. trovarsi in disordine de le cose vostre; di che Dio sa quanto me ne dole, e tanto più ch’ el dice che voi non havete più la pensione. Però, mes- ser Giovanni, io di novo (quantunque sia forse superfluo fare quello che già molt anni è fatto) vi offerisco tutto quello che ho, et vi priego che vi dignate di venir a goderlo qui con noi, che mi sarà somma gratia et viveremo assai lieti, et mi farete scordare queste importunità de le liti, ne le quali sono hora- mai fatto sì prattico che deffendo le cause mie senza avocati ; et pure heri ne vinsi una qui in Venetia, ove hora sono. Sì che vi priego non vi dispiaccia venirci a vedere, et partecipare di queste nostre fortune, che tutto quello che ho reputo et è ve- ramente più vostro che mio. Appresso, perchè quando venni de qui lasciai i miei libri in Fiorenza, vi priego mi avisate che sono (sic] di essi et se li potrò havere in Ferrara senza ch’ io mandi uno a posta per essi, perchè havea deliberato. mandar uno, o forse venir io a torli: et di questo vi priego mi avisate subito. In questo тело a V. S. molto mi raccomando, et così al з." messer Palla, et vi priego mi raccomandate al Corso et agli altri communi amici. In Venetia, a XIII di ottobre de MDXXII. Il vostro TRISSINO A] R." Prothonotario messer Giovanni Rucellai mio come fratello h,"° in Fiorensa La lettera è, innanzi tutto, notevole pel caldo elogio che il Trissino vi fa del Diacceto, cioè di Francesco Cat- tani da Diacceto, detto il Pagonazzo perchè usava vestir panni di quel colore; e questa denominazione serviva а meglio distinguerlo dall’ omonimo e contemporaneo suo, [3] (519) filosofo anche egli, cui dicevano il Nero. Il Cattani er: morto fin dal 10 aprile; ma le notizie non correvano al- lora tanto veloci, come oggi fanno e le liete e le tristi. Questa, a lui triste, giunse dunque al Trissino a mezz’ ot- tobre in Mantova. Il Cattani era stato maestro al Rucel- lai nello Studio fiorentino, che non aveva mai voluto scam- biare col padovano; maestro di filosofia platonica, nella quale il Ficino lo reputava l’ottimo tra’ suoi discepoli, tanto da chiamarlo complatonico suo e da poter dire а’ Suoi uditori: « Io me ne vo, ma se bene mi parto, io vi lascio lo scambio. » (^) A Giovanni aveva dedicate scrit- lure con parole di molto affetto (°); e il Trissino, condo- lendosi della morte di lui con l'amico, sapeva perció di dare a questo un conforto gradito nelle lodi dell' estinto. Alla biografia del Trissino, così bene e compiutamente Svolta da Bernardo Morsolin, riescono non inutili gli ac- cenni alla dimora di lui in Mantova, in Vicenza, in Ve- Пелја, con data certa, e quello ad un viaggio, di qualche tempo più lontano, a Firenze. A Mantova andò per l’ in- Vito della Marchesa Isabella che il 19 luglio gli aveva Scritto: « Per esser già gran tempo, che non siamo sta- ta visitata da voi, siamo in tanto maggior desiderio di ve- dervi ; et però, quando la venuta vostra a noi potesse esser senza incommodo vostro, ve pregaressimo, che vole- Ste venir fin qua, et ve vederessimo volentieri. » Si trat- tava di un esame che il Trissino doveva fare a un figlio della Marchesa, a quell’ Ercole che fu poi presidente del (1) B. Vana, Vita di M. Е. Cattani da Diacceto ; in fine а 1 tre libri d'amore del CATTANI stesso; Venezia, Gabriel Giolito de’ Ferrari, 454 ; pag. 483. (2) I libri De pulchro a Giovanni e Palla; una lettera sul si- Snificato di Cielo, Saturno e Giove nelle opere di Platone e degli antichi teolo gi, a Giovanni solo: si leggono nelle Opera omnia Fr. С ATTANI DracETIT, Basilea, 1564. T Ii S vir 67 | | | | | (520) [4] concilio di Trento (!). Isabella, pur pregando Giangiorgio a prendersi pel viaggio i suoi comodi, tanto aveva desi- derio che venisse presto, da volere che intanto mandasse subito la risposta « per questo nostro Cavallaro, che man- дато a posta . . . a ciò che sappiamo, quando doveremo aspettar la venuta vostra. » Dalla lettera al Rucellai si arguisce che il Trissino andò a Mantova quasi subito; e il lettore non si lascerà indurre in errore da quel « l’altro giorno essendo in Mantoa » onde essa ha principio ; la frase non significa «ieri l’ altro », non significa cioè che egli fosse colà il 12 ot- tobre, ma soltanto « ne’ giorni passati. » Da Mantova in- fatti ha avuto il tempo di andare a Vicenza e da Vicenza a Venezia, e qui ha vinta una causa, prima di porre ma- no alla penna. La causa era senza dubbio quella delle de- cime contestategli dai Comuni della vallata di Trissino: eredeva che la vittoria gli fosse ormai sicura, e dovó in- vece combattere dieci anni ancora (*). L'accenno ai libri che il Trissino aveva a Firenze con- ferma ciò che suo figlio Giulio scriveva tre anni dopo al marchese di Mantova: « Veramente molto mi duole, ch'io non sappia dove siano li libri che V. Exc. gli richiede, che per il presente apportatore gli manderei: ma ben (1) B. MorsoLin, G. G. Trissino, Vicenza, 1878; pag. 124-25. La lettera d' Isabella vi è riferita per intero a pag. 486-87. L'e- same riusci bene: nel decembre la marchesa mandava Ercole а Bologna, per gli studii, raccomandandolo al Pomponazzi. Vedi su ciò A. Luzio, Ercole Gonzaga allo Studio di Bologna, nel Gior- nale storico della letteratura italiana, VIII, 1886, pag. 874-86. (2) Vedi Orazione di б. б. Trissino in difesa de’ diritti di decima ne’ Comuni della valle del? Agno, edita per le nozze Lampertico-Balbi a Vicenza nel 1881. È del 1532, è fu dal Tris- sino recitata davanti al Consiglio de’ Quaranta in Venezia: soltanto allora ottenne in favore suo ‘una definitiva sentenza. [5] (521) potrebbe essere, che essi fusseno in Roma о in Fiorenza, dove sono quasi tutti i soi libri.» (!) Alla biografia del Rucellai importa la notizia delle sue Strettezze pecuniarie, alle quali l’amico vuol sopperire, con si affettuose profferte. Erano i duri tempi del ponte- ficato di Adriano VI, spregiatore degli umanisti, odiato da loro : eppure, proprio il giorno innanzi che il Trissino Scrivesse, il 13, anche Giovanni era stato designato da’ Fiorentini a andare fin a Roma per congratularsi della elezione, e a lui toccava scrivere il discorso gratulatorio ! La pestilenza impedi che 1 ambasceria si movesse fino all’ aprile del 23. A lui toccava scrivere; e sappiamo ora dalla lettera del Trissino che papa Adriano gli aveva tolta Una pensione, assegnatagli, certo, da Leone X pe’ servigi Tesi col Canossa alla corte di Francia. (°) Mentre il Rucellai si affannava così, e per buona ven- (ага delle nostre lettere, cercava sollievo a’ tristi pen- Sleri nel tradurre il quarto libro delle Georgiche virgiliane, ll Trissino si accendeva d' amore per una delle più belle donne di quei tempi, la Bianca Trissino, vedova da pochi giorni, nell’agosto, di Alvise che aveva nominato lui suo esecutore testamentario. Sei mesi dopo, nel marzo, sì facevan le nozze. Ma anche al Rucellai presto le cose si volsero in meglio: mori nel settembre papa Adriano; e Clemente VII, che di Giovanni era cugino, lo fe’ subito Castellano di Sant? Angelo. G. MAZZONI (1) B. MORSOLIN, op. cit., pag. 487. (2) Vedi la Prefazione alle Opere di G. RUCBLLAI, ediz. cit., pag. XXXVIII, SAGGIO DI VERSIONI DA MENANDRO. DEL 8. 0 FERDINANDO GALANTJ. Frammento N. 65, Kock, pag. 29. [Commedia 'Afpseópos ovvero LA SONATRICE DI FLAUTO.] Tu,s'hai buon senno, non condur mai moglie, Il tuo stato presente abbandonando ; Ché presi moglie io pure, e perció appunto A non pigliarla ora t'esorto. — — Ё cosa Già stabilita: ormai sia tratto il dado. — — Fa dunque; e salvo tu ne possa uscire ; Ché ti metti in un mar. vero d' affanni ; Mar che non è né il Libico о Г Egeo... Dove di trenta navi van perdute Non piü di tre; nel matrimonio un solo Non s'é salvato. Avvertenza, I ‘ edizione seguita in queste versioni è quella di Teodoro Kock (Lipsia, Teubner, 1888, vol. III dell’opera Comicorum Atticorum Frammento N. 223, p. 63. [Commedia L’ INDOVINA.] Se un dio venisse a dirmi: - « Dopo morte, Dal principio, o Cratone, rivivrai ; Divenendo qual più ti sarà caro, Cane, pecora, capro, uomo, cavallo ; Giacché due volte vivere ti tocca; Vuole il fato cosi; scegli tu dunque Quel che desii» - mi par che a lui di botto Risponderei: ~ « Tutto che vuoi pur fammi, Uomo giammai, perché fra gli animali Il solo egli é, senza ragion, felice Ed infelice. L' ottimo cavallo Trova cure amorose più d'un altro; Se buon cane tu sei, molto più pregio Hai d'un cane cattivo; un gallo nato Da buona razza con più scelto cibo È pasciuto e, di più, quel di cattiva На paura dell'altro ch’ è più forte. fragmenta), ch'è la più recente, ed universalmente preferita perchè si attiene agli ultimi risultati della critica moderna. Ebbi però presenti anche i testi, sebbene anteriori pur sem- pre pregevoli, del Meineke e del Dindorf (Meineke, Fragmenta Gomicorum Graecorum, pars П. Ed. minor. Berlino, 1847. Dindorf, Volume della Collezione Didot contenente le Commedie di Aristofane ed i Frammenti delle Commedie di Menandro e di Filemone. Parigi, 1854). Per quanto però concerne 1 Frammenti che qui dò tradotti, lieve è la differenza che si riscontra fra le tre edizioni. Dal Kock mi allontanai soltanto in un punto, ch'è indicato nella nota al Fram- mento 530. ' [3] (525) Ma l'uomo, ancor che onesto e ben sortito E generoso sia, non ha per questo Alcun bene a’ di nostri. Più di tutti Gode l'adulator, poi chi calunnia, Indi il maligno. Un asino è ben meglio Nascere, che veder più di sè stesso Splendidamente vivere i peggiori. | Frammento 281, р. 79. [Commedia IL soNATORE DI СЕТКА. ] уе se oMensava. о Fania, Che i ricchi, non costretti a indebitarsi, Non gemesser le notti, nè pel letto Dando volta, mandassero lamenti, Ma dormissero un dolce e queto sonno, E fosse sol de’ miseri tal cruccio. Ma or veggo che voi pur, detti beati, Provate affanni al par di noi. V'ha dunque Fra la vita e il dolore intimo nesso. È compagno il dolore a molle vita ; A una vita di gloria è pur compagno ; Con una vita di miserie invecchia. Frammento, 472 p. 135. [Commedia Імміре. | E, per Atena! l’onestà davvero Un prezioso bene in ogni cosa, E mirabil viatico alla vita. Con quest’ uomo parlai per poca parte Dindorf, [4] Del giorno; or ben gli voglio. — « Le parole Son che t'han persuaso » — un sapiente Forse dirmi potrebbe. Perché dunque Gli altri bei parlatori mi dan nausea ? Sono i costumi di colui che parla, Che convinto ti fan, non le parole, Poiché pericoloso é il parlar bene Se qualche danno arreca. (') Frammento 481, p. 138. [Commedia IL BASTARDO ovvero IL VILLANO.] più felice tra i mortali io credo, O Parmenone, quei che tornò presto Là donde venne, dopo aver sereno Contemplata la splendida grandezza Di queste cose, il comun sole, gli astri, L’ acqua, le nubi e il fuoco. О che tu viva Lungo secolo, o brevi anni soltanto, Queste cose vedrai sempre presenti, Né di queste vedrai cose più belle. Credi che questo tempo di cui parlo Sia, come un gran convegno di diversa Gente, ovvero un ritrovo in сш с’ è folla, Mercato e ladri e giuocator' di dadi, Е passatempi. Se tu parti prima, Con miglior viatico alla meta Arriverai senza lasciar nemici ; Ma chi s’indugia nel guardar, consuma (1) Le parole greche corrispondenti a queste ultime: poiché pericoloso eccetera non ci sono nei testi dati dal Meineke e dal [5] (527) La sua scorta e invecchiando malamente Jisognoso diventa, e triste errando Trova nemici e insidie, ed arrivato A tarda età non buona morte il coglie. Frammento N. 531, p. 155. [Commedia incerta. ] O Trofimo, se quando la tua madre Ti partoriva, fra i mortali tutti Fossi nato tu solo con tal patto . Di viver sempre come a te piacesse ; | Sempre felice; se tal cosa un dio Assentito Ё avesse, ora a ragione Te ne dorresti, ch’ ei t avria ingannato, E fatta cosa fuori d'ogni norma. Ma se alle stesse leggi di noi tutti Tu spirasti codesto aere comune, Per parlarti più tragico linguaggio, Devi meglio soffrir quel che t’ accade E ragionare; e dei ragionamenti Questa è l’ultima somma: uomo tu sei, Ed essere non havvi tra i viventi, Che, pari all'uomo, provi più improvvisi Mutamenti or su tratto, or giù travolto. Ed è ben giusto; perché mentre l'uomo Debile è molto per natura, attende A grandi imprese e, s'egli cade, seco Volge in rovina molte cose belle. Tu, Trofimo, gran beni non perdesti, E i presenti tuoi mali non son gravi, Sicchè li porta, in avvenir, sereno. ll S. VIT 68 (528) [6] Frammento N. 534. p. 158. [Commedia incerta. | Gli animali son tutti più felici, E assai dell'uom più savi. E primamente Veder si può quest’ asino. Da tutti È chiamato infelice, ma non soffre Male ch’ ei stesso si procuri, e ha quelli Che natura gli dié ; noi, per contrario, Oltre dei necessari, altri malanni Ci procuriam da noi; se alcun starnuta Oi rattristiamo ; se di noi si sparla, L’ira ci coglie; se сі avviene un sogno, Di spavento siam presi; se uno strido Dà la civetta ne proviamo angustia. Ansanti lotte, onori, ambizioni, Leggi,son tutti mali aggiunti a quelli Che cı dié la natura. Frammento 536, p. 159. [Commedia incerta.] Per Atena! trovar non so, о compagni, Un'immagine acconcia a quel ch'io provo Quando indago entro a me qual cosa mai In rapida rovina un uom travolge. Un turbine? — Ma infin ch’ esso s' aggira, E s'avanza e t'investe e porta via, Un secol corre. — Un furibondo assalto Nei versi 4." e 7." di questo frammento ho preferita 1’ inter- punzione del Dindorf perché colla forma interrogativa il pensiero acquista qui più artistica effieacia. [7] (529) Di flutti in mare ? — Di gridar hai tempo : - « O Giove salvatore! » - oppure - « Attienti Alle funi! » - e aspettare una seconda, Ed una terza ondata e afferrar forse Qualche resto di nave. lo invece, appena Ho abbracciata e baciata la mia amante, Nell’ abisso mi trovo. Frammento №. VIS Pe IOL [Commedia incerta.] Se vuoi sapere quel che sei, riguarda, Quando le vie cammini, i monumenti. Ivi stan l'ossa e Ja leggera polve Di tiranni, di re, di sapienti, D' uomini che superbi eran di loro Nascita, degli averi, della fama, E della lor bellezza. Ma nessuno Di questi beni a lor mantenne il tempo. (!) Tutti i mortali ebber comune Г Ade, A ció mirando, quel che sei conosci! (1) Ho tradotto cosi il verso 7," di questo frammento non aven- ( , . , . m P lo voluto scostarmi dal xoéves dei codici, accettato dal Kock, dal Meinek | ^ Mox ict leineko e dal Dindorf nelle loro edizioni. Qualora peró si volesse "vece accogliere la variante accennata dal Kock (vedi note р. 161) per 1 enso di vim temporis, si potrebbe allora tradurre il verso cosi: a quale con lieve emendamento è mutato Xpovos in xpévov, nel Ma nessuna Cosa domo l'alto poter del tempo. Frammento 541, p. 163. [Commedia incerta. | Da che gli uomini mai son fatti schiavi ? Dal volto ? — Ciance! poichè tutti presi Sarien d’amore per la stessa donna ; Perché gli occhi di tutti egual maniera Hanno di giudicare. O invece é il dolce Senso che avvince l'uno all'altro amante ? E come dunque avvien che l' un godendo Di questa donna indifferente resta, E se ne va ridendo, e l'altro invece Di passion ne muore? — È la segreta Malattia dello spirto che da impulso АП’ amor; chi n’ è colto, entro è ferito. (254 pl . . ` M. Tono. — Bollettino meteorologico dell’ Osservato- rio Patriarcale di Venezia. Maggio-Giugno 1890 v Edu OE ON M ON DS Dogo екоо Prezzo della Dispensa Fogli 25 */, ad Italiani Cent. 12/2. L. 349 | LHC M UN AIT ISTITUTO VENETO SCIENZE, LETTERE ED ARTI (TOMO XXXVIII) SERIE SETTIMA — TOMO SECONDO DISPENSA SESTA | VENEZIA PRESSO LA SEGRETERIA DELL'ISTITUTO NEL PALAZZO DUCALE TIP. DI G. ANTONELLI 7^^1890.91 ااافا REA CIA a‏ و ا د Pubbl. il 24 Maggio 1891. INDICE | Atto verbale dell’ adunanza ordinaria del giorno 19 © D | аре 4o91) sou o pu NC ур 531-539 Lavori letti per la pubblicazione negli Atti. | MoRSOLIN, & с. — I presunti Autori del Lamen- tum Virginis, poema del secolo decimo quarto pag. 595 | C Е. FERRARIS, s. с. == La statistica della coltura | \ i ; 2d К | intellettuale e specialmente delle Università . » 557 R. Ркхло. — Sul ganglio genicolato e sui nervi che gli sono connessi. Ricerche anatomiche. Con- OO e P. Racnisco. — Nicoletto Vernia. Studi storici sulla filosofia . padovana nella 2. metà del secolo decimoquinto. Continuazione. . . < = . = ? 617 С. CIPOLLA, s. c. — Appunti sulla storia d Asti, dalla caduta dell Impero romano sino al principio | del X So | A. P. Ninni, m. e. — Carla topografica delle coste italiane da Porto Buso a Monte Conero, colle denominazioni usate dai pescatori veneti. (Con N e ud M. Tono. — Bollettino meteorologico dell'Osservatorio Patriarcale di Venezia. Luglio-Agosto 1890 » схххуп Elenco dei Libri e delle Opere periodiche, pervenute dal 5 agosto 1890 a tutto 22 febbraio 1891 » CXLY | Programme des concours de l Académie Royale de: Medecimo de BOGE ve ss urn GLXI ANNO 1890-91 DISPENSA. VI. ADUNANZA ORDINARIA DEL GIORNO 19 APRILE 1891 PRESIDENZA DEL PROF. CAV. GIULIO ANDREA PIRONA PRESIDENTE. Sono presenti i membri effettivi: ре BETTA vicepresidente, DE Ziano, PAZIENTI, LAMPERTIOO, MINICH, ре LEVA, FAM- BRI, LoRENZONI, TROIS, CANESTRINI, E. BERNARDI, Mons." J. BERNARDI, FAVARO, ToLoMEI SACCARDO, OMBONI, PER- TILE, BELLATI, KELLER, DEODATI, BONATELLI, STEFANI, SPICA е DBERCHET; nonchè i soci corrispondenti: DA Усно, TAMASSIA, MARTINI, е OccIONI-BONAFFONS. Vengono giustificati gli assenti: Bizio segretario, per grave malattia, Viana vicesegretario, per do- mestico lutto, ed i mm. ee. TURAZZA, DELTRAME, GLORIA е MARINELLI. Il Presidente apre l'adunanza, invitando il m. e. G. Derchet ad assumere le funzioni di Segretario; e l Isti- tuto commette alla Presidenza di esprimere al Vicese- Sretario dott. C. Vigna le vive condoglianze dei colleghi per la grave sciagura domestica, da cui venne colpito. Pubbl. il 24 maggio 1891, 69 532 Letto quindi ed approvato 1’ Atto verbale della prece- dente adunanza, il Presidente partecipa la perdita del socio corrispondente prof. Simeone Corleo, alla famiglia del quale la Presidenza mandó in iscritto le proprie con- doglianze, anche a nome di tutto il Corpo scientifico. Comunica poscia l'elenco dei libri donati dopo J’ ulti- ma adunanza, e fa particolare menzione dei seguenti: a) del II Supplemento alla parte 1." (Scritti biografici е critici) del Catalogo metodico degli scritti, contenuti nelle pubblicazioni periodiche italiane e straniere, della Biblioteca della Camera dei Deputati ; b) del Volume III delle Opere complete di Chr. Huygens, inviato dalla editrice Società Olandese delle scienze in Harlem; c) il Volume del sig. E. Mattei, intitolato: « Le econo- mie nel bilancio della guerra » ; d) la Relazione sul servizio minerario nel 1889 (con. 1 tav.), donata dal Reale Ministero di agricoltura ete. e) il Volume V dei « Lavori preparatorii del Codice Civile », generoso dono del A. Ministero di grazia € giustizia e dei culti. Venendo alle letture poste all'ordine del giorno, il m. . F. Bonatelli presenta la sua « Intorno al concetto di causa » ; il m. e. G. Canestrini « L'abozzo del sistema acarologico » ; il socio A. Tamassia le sue « Ricerche sulla cronologia della obliterazione dei vasi ombeli- cali»; ed il Presidente infine presenta « La Carta topo- Solon delle coste italiane da Porto Buso a Monte Co- nero, colle denominazioni usate dai pescatori veneti »› del m. e. A. P. Ninni, mentre il m. e. P. Fambri prega che sia, portata all'ordine del giorno di un’ altra 533 Р тат a a fissata per la odiern: d la sua lettura, ch’ era fissata | adunanza la su: Ee soglie in adunanza per la Dopo di che l’Istituto 51 raccog m i ou я on ii ni, fra 1 qual vi 6 | i affari interni, fra i q | Queri- trattazione di affari i1 fn lell iforma all’ attuale Statuto della Fon della riforma all’ attuale ni-Stampalia. I Ì I | I PRESUNTI AUTORI DEL LAMENTUM VIRGINIS POEMA DEL SECOLO DECIMO QUARTO DEL 8. с. BERNARDO MORSOLIN oo fl Codice, di proprietà un giorno della Compagnia de’ Bat- tuti ed ora dell'Istituto degli Esposti in Vicenza, т” һа fatto pensare che il Lamentum Virginis, o altrimenti il « Pianto della Beata Vergine Maria », fosse lavoro di Biagio Saraceni, un notaio morto in Vicenza nel 1548, (') l'anno Memorando della peste, descritta da Giovanni Boccaccio. l'ermo in questo proposito e avvalorato d’ altra parte dal giudizio di chi, senza determinarne l'autore, faceva risa- lire le origini del poemetto alla prima metà del secolo decimo quarto (*), non mi sono curato di discorrere, gran fatto, de'codici e delle edizioni, che sembrerebbero con- durre a ben altre conclusioni. Io parlo d’alcuni Codici e d'al- cune edizioni, accennate appena, 0 pretermesse del tutto nel mio qualsivoglia scritto sul Lementwm, per le quali (1) В. Morsolin, Frammento del Lamentum Virginis poema TN secolo decimo quarto. Venezia, Тїр. Antonelli 1890. (Estr. dal Tomo 1, Serio VII degli Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ad Arti). | (2) Bini, Rime e Poesie del buon secolo della Lingua, Pre- lazione. Lucca, Tip. Giusti 1852. 536) [2] parrebbe che si dovesse riconoscere in ben altri che non sia il vicentino, l'autor del poemetto. Che il difetto nuo- cesse alla dimostrazione dell'assunto, non credo: ben credo che il ritornare alquanto su ciò, che ho pretermesso, 0 toccato piuttosto di volo che di proposito, non deva riu- scire né superfluo, nó inutile a lumeggiare, anche negli accessori, il soggetto. Il tipografo Francesco Móucke, vissuto in Firenze nella prima metà del secolo decimottavo, il quale secondo il Lami, citato dal Moreni, sapeva anche « scrivere le cose da stamparsi », non lasció d'avvertire che nella copia, da lui fatta nel 1740, d'un codice di Casa Albizzi, si conte- nevano i Capitoli sul « Lamento » della Vergine, attribuiti, сот’ egli aggiungeva, al Petrarca. Quel Codice, trafugato e venduto in Inghilterra dal Libri, fu cercato indarno dal Bini, che, deluso nelle sue indagini, ebbe a dolersi gli fosse tolto modo» di vedere come e da chi e con quali ragioni si attribuissero quei capitoli al Cantor di Madonna Lau- ra» (!). La disparità però delle maniere tra il Canzoniere e il « Lamento », che rivelava così appassionato lo studio della Divina Commedia, non tardò a persuaderlo che ben altro ne dovesse esser l'autore. In egual modo non si 080 da lui nemmen sospettare che il « Lamento » potesse essere uscito dalla penna di Antonio del Beccaio, 0 altrimenti da Ferrara, il cui nome leggevasi a tergo del capitolo unde- cimo ed ultimo, riferito isolatamente e come componi- mento a parte, in un Codice della Vaticana col titolo di (1) Bini, ор. cit. Prefazione. [3] (537) Capitolo «in lande di Nostra Donna » ('). Devo però dire che il giudizio del Bini procedeva in ciò da un precon- cetto. П valentuomo erasi fisso in mente che il poemetto dovesse essere lavoro non d'un veneto, ma d'un 1о- Scano. E perciò parve non tenere nel debito conto le asso- Danze in luogo delle rime, le forme de’ dialetti in uso nella Venezia e gl'indizi, a dir breve e le prove tutte, che fa- | сеуапо contro il suo pensiero. Si contentò, invece, di ri- | ferire l'opinione del Paganini, che, interrogato in propo- | sto, si dichiarava di parere diverso, risuscitando, senza nem- dar, riereduto Apostolo Zeno (?). Le ragioni poi, con le quali il Paganini si faceva a sostener la sua tesi, erano, presso | a poco, le stesse, onde il Bini avvalorava la propria sen- tenza. Si giostravano cioè «le assonanze in luogo delle rime, le parole, che sanno di dialetti in uso fuor di To- ѕсапа e le amplificazioni dei concetti, che » nel Lamento « rendono non poco, al dir di lui, del Ferrarese verseg- giatore ». Ma anche questo giudizio non si corrobora, Mi pare, di prove così valide da guadagnarsi gran verosi- miglianza. Vero è che Antonio, morto nel 1363, viveva in un’ eta, che, tenuto conto de’ Codici più antichi 6 se- Snatamente del Marciano, copiato da un prigioniero trie- Stino nel 1369 () e del Riccardiano, scritto per man di notaio nel 1371, non disdirebbe, come avvertivasi anche dal 1 | Men farne cenno, un sospetto, di cui erasi, a breve an- | 'aganini, al «Lamento » ; ma contro l'età sta il verso Misericordia di mia senettute, (1) Bini, op. cit. cap. ХІ del « Lamento ». (2) Zeno, Lettere, Ad Anton Francesco Marmi, da Venezia 5 ’ ӯ ? luglio 4704, vol. I, pag. 980. Venezia 1785. (3) Morpurgo, Un codice scritto da un prigioniero Triestino, а pag. e 391 del vol. IT dell Archivio storico per Trieste, Р Istria il Trentino. Roma, 1883. ONU RE O ETE TEE T (538) [4] riferito dal solo Codice della Vaticana (t), che mal si con- farebbe alla fine della vita di lui, chiusasi a soli quaranta quattro anni(*): come contro il giudizio del Paganini sta la maniera del poetare, quale si rivela ne' capitoli, che ha pubblicato di lui nello stesso volume del « Lamento » della Vergine il Bini. In que’ capitoli le assonanze e le voci in uso fuor di Toscana son così scarse da non potersi pa- ragonare, in alcun modo, con quelle assai numerose del « Lamento » (*). Se si dovesse procedere con si fatti cri- teri, reggerebbe anche un paragone con la Divina Com- media, non immune talvolta essa pure di assonanze e di voci, tolte da’ dialetti dell’ alta Italia e segnatamente della Lombardia. E dato anche che le rarissime assonanze e le rarissime parole non toscane potessero giustificare, fino a un certo punto, la sentenza del Paganini, non lascierebbe, per questo, di farvi contro l'uso strano e scorretto delle regole della grammatica, violate, come si è avvertito an- che altrove, assai di frequente nel « Lamento » (^) e os- servate, oserei dir quasi sempre, ne’ capitoli del Ferrarese. Al Ferrarese crederei piuttosto non isconosciuto il « La- mento»; e lo dedurrei dalla identicità di certi concetti e talvolta anche di certe forme, comuni all’ ultimo capitolo del poemetto e a una porzione di quel capitolo, in cui dal poeta, giovine di non per anco vent'anni, si, fa voto alla Vergine di non giuocare più a'dadi per lo spazio di dieci anni (5). Al Bini, che discorreva in largo del « Lamento », non é sfuggito che dalla stamperia del Portese di Venezia ne usciva nel 1505 una edizione col titolo di «Pianto della (O Биа, om. on (2) Tiraboschi, Storia della Letteratura Italiana, vol. V, pag. 758. Venezia 1825. (2) Bini, op, cit. Capitoli di Antonio da Ferrara. (4) Morsolin, ‘op. cit. (5) Bini, op. cit. Capitolo I d' Antonio da Ferrara. [5] (539) Beata vergine Maria». Ma il nome di Leonardo Giusti- niani, impressovi dal tipografo, non valse a distoglierlo dal licercarne in altri l’ autore. Che il pio Veneziano si eser- citasse in componimento d' indole religiosa, è un fatto, non ignoto di certo a'eultori della storia e della critica lette- raria d’Italia. Ma dalle sue « Laudi spirituali » уа così lontano per concetto e per forma il far del « Lamento » da non potersi neppur sospettare, come fu avvertito dal Bini stesso, che le une e 1’ altre scaturissero da una iden- tica fonte. E quando la diversità della maniera di poetare Sembrasse insufficiente а togliere ogni dubbio, non man- cherebbe 1’ argomento perentorio, che deriva da’ Codici Marciano e hiecardiano, scritti l'uno nel 1369, l’altro nel 1371, diciannove, o diciasette anni avanti la nascita del Giustiniani; non mancherebbe la prova di quasi uguale valore, pórta dal codice, custodito nell’ Archivio della Casa degli Esposti in Vicenza, trascritto nel 1589, un’anno dopo la nascita dello stesso. Il « Lamento » correva nel 1505 da oltre, forse, un secolo e mezzo per le mani delle anime religiose a pascolo di pietà e di divozione. Che d 9880 s'avesse copia anche di mano del Giustiniani, de- dito, com’ è noto, a vita ascetica, non è certo cosa, che possa destar meraviglia. Sicchè non è inverosimile pensa- re, che il tipografo o altri, ignari dell’ autor vero e del tempo, in cui fu dettato il poemetto, lo giudicassero del Giustiniani e che come opera del Giustiniani lo facessero, In buona fede, stampare. . Non cosi vuolsi pensare dell’ « Opera nuova spirituale » di Marco Bandarini, uscita in Venezia, non si sa bene se nel 1552, o nel 1556 ( Lo Zambrini, giudicandola un unico e identico poemetto col « Lamento », ne ha tacciato (1) Zambrini, Le Opere volgari a stampa dei secoli XIII. e XIV, Bologna 1878. Devo avvertire che a pag. 386 del volume si dice che 1° « Opera nuova spirituale » è uscita nel 4552, mentre a Pag. 719 si dice nel 1556. DIIS D 70 | | T | | | | | (540) [6] l'autore di «sfacciato plagiario » (!). І accusa è però av- ventata ed ingiusta. Mi sentirei quasi tentato a sospettare che il bibliografo bolognese non abbia avuto sott'occhio né il « Lamento », al quale pure accenna, nè l’ « Opera nuova spirituale » ; o che non vi si sieno fatti, per lo meno, da lui i debiti raffronti. Lo deduco, anzi tutto, dal verso Ogni acerbo dolore angoscia e pianto, ch'egli pur cita e dal quale dovrebbero aver incominciamen- to il poemetto e il plagio « sfacciato » (Йу Quel verso è, in- vece, il primo dell’ « Opera nuova» e non s'incontra in nessuno de’ capitoli, onde si compone il « Lamento ». Oltre di che è a sapere che l' « Opera nuova spirituale » del Ban- darini non risulta, come il « Lamento », di undici, ma di soli dieci capitoli; all’ ultimo de’ quali succede una breve laude a Maria, che incomincia col verso Vergine sola, in cui tutta mia speme. Non lascierò anzi di dire che i dieci capitoli son prece- duti dalla dedicatoria a Margherita Paleologo, Marchesana di Monferrato, seguita da quattro ottave e un sonetto Їй ben vero che la Passione di Gesù Cristo vi si recita, come nel « Lamento », dalla Vergine; ma questo particolare e le reminiscenze, che, forse, vi si possono sorprendere, non (4) Zambrini, op. OU pagr: 710. (2) Zambrini, op. cit., Ibid. (3) Devo questi particolari alla squisita cortesia del Gomm. Carlo Castellani, dotto prefetto della Marciana di Venezia, il quale mi av- verte inoltre che P « Opera nuova spirituale » del Bandarini « non ha alcuna nota tipografica » e che nemmeno la dedicatoria « porta la data ». Questi particolari desume egli dall esemplare, che si custodisce nella Marciana: onde nascerebbe la curiosità di conoscere in quali edizioni s' incontrino le date 1552, 01550, | | | [ [7] (541) bastano a farvi conoscere, come vorrebbe il Zambrini, il plagio «sfaeciato ». Porgeranno, tutto il più, i caratteri di una imitazione e, se vuolsi anche, d'una imitazione servile. HI. Ma più che sul Petrarca, su Antonio da Ferrara, sul Giustiniani e sul Bandarini, è forza fermar l’attenzione su frate Enselmino, un Eremitano dell'Ordine di san t Agostino. Non è ben definito qual fosse la patria di costui, chiamandolo i Codici ora da Treviso ora da Montebelluna, una terra po- polata e ridente della Trevigiana. È però ragionevole pensare che egli fosse denominato indifferentemente o dal- luna о dall'altra, secondochè talentava meglio, o dal capo- luogo, onde si chiamava il contado, o dalla terra propria- Mente nativa, che di quello faceva allora е fa tuttor parte. E noto che il Bini non ebbe a incontrare ne’ parecchi Codici, da lui veduti ed esaminati, il nome dell’ autor del « Lamento ». E pure il nome di Enselmino sta scritto in fronte al testo non dirò d'uno, ma di ben sei Codici, almeno. Devo anzi dire che de' sei uno era già noto Sin dagli ultimi decenni del secolo decimottavo. Ne faceva cenno in un’avvertenza della sua « Storia della Lettera- tura Italiana » il Tiraboschi. In quel Codice, posseduto allora da Giacomo Bianconi, professore di antichità nel- l Istituto di Bologna, l’ Enselmino, del cui valore poetico non faceva conto alcuno il celebre storico, è detto di Mon- tebelluna ('). E di Montebelluna è detto ugualmente in un Codice della Comunale di Treviso, dove il nome è tuttora (1) Tiraboschi, Storia : della Letteratura. Italiana, vol. V, Dag. 778. Venezia 1895, | ] i | (542) [8] leggibile in onta all’abrasione, operatavi da non si sa quale mano. Treviso anziché Montebelluna, s'incontra, invece, in due altri Codici, posseduti l'uno dalla Marciana ('), l’altro dal professore Luigi Bailo di Treviso. Due Codici finalmente, i quali recano il nome d'Enselmino, senz'accen- narne però la patria, sì custodiscono, l’uno nella Bibliote- ca dell’ Università di Padova, (°) l’altro nella Bertolia- na di Vicenza. È questo un cimelio, che venivale in dono da Giuseppe Riva, un vicentino intelligente e ap- passionato di cose d'arte e di erudizione, morto da circa quarant’ anni; cimelio veduto da Apostolo Zeno (°), (1) Cod. 182. Cl. IX, Ital. La Marciana possiede inoltre altri due Codici, пе? quali si dà il testo del Lamento, cioè il Cod. 3. Cl. I, Ital., ch'è il trascritto dal prigioniere triestino, e il Cod. 9, CLX D Ital. (2) Biadene, Codice Hamilton in Giornale Storico della Lel- tevatura Italiana vol. IX, pag. 204, in nota. Torino, 1887. (3) Zeno, Lettere vol. I. Ad Antonfrancesco Marmi, da Venezia 5 luglio 1704. Venezia 1785. Il Zeno dice che il Codice «іп cartape- cora» è «in forma ottava». Ed io aggiungo ch’ esso risulta di carte quarantanove e ha la dimensione di 15,09 <11,05. Di mezza legatura moderna, arieggiante all'antico, reca sul dorso, in pelle bruna, la scritta: ENSELMINI VERSI A MARIA. Il poemetto con l’intestatura in rosso si compone di undici capitoli, comprese le preghiere di introdu- zione e di chiusa. Ma la preghiera d'introduzione diletta di titolo; e il capitolo primo capitulum primum, è segna o dopo di quella, là dove altri Codici danno il capitolo secondo; dopo il quale si procede ordina- tamente fino al capitulum octavum, in seguito al quale, omesso il nono, succede al capitulum decimum. La lettera prima della preghiera d introduzione è miniata in oro e adorna di fregi; e di fregi vanno pure adorne le lettere prime di ciascun capitolo. Le iniziali poi dei versi sono precedute da una specie di richiamo, alternato tra il rosso e il celeste. La calligrafia non è di caratteri pienamente gotici, ma piega а? latini; e così che dagl'intelligenti e tra gli altri dal padre Francesco da Fanna il Codice fu giudicato del secolo decimo A حح‎ “ | ИД (543) quand'esso facea parte della Libreria degli Eremitani di Padova, com’è dato argomentare da un sonetto, che vi si legge nell’ ultima pagina, dedicato il 25 agosto del 1578 a non so quale frate Ottavio pure di Padova (!). III. По già avvertito che de’ parecchi Codici, veduti dal Bini, nessuno ebbe a recare il nome di Enselmino da Treviso, о da Montebelluna. Il « Lamento » vi si leggeva siccome la- quinto contro P autorità del Zeno stesso, che lo riputava del secolo decimo quarto. Al poemetto tengon dietro, nel Codice stesso, cinque Salmi di Davide, con le iniziali colorate e adorne di fregi e con le iniziali di ciascun versetto alternate tra il rosso e il celeste. (1) П Sonetto è indirizzato alla Vergine. lgnoro di chi sia е 86, о no pubblicato. Comunque, credo non inutile il farlo conoscere. «О sovra J altre donne alma e beata, Che nel tuo virginal sacrato velo Ghiudesti quel, che in se non copre il Cielo, De lo spirto di Dio caldo infiammata; Tu, quanto più tra noi fosti essaltata Pur da colui, che tempra il caldo e il gelo, Tanto più d'humiltade arse in te zelo Tal che non ti fu eguale alma creata. O doppo il tuo figliuol unico essempio, Per cui le corna alla superbia abbassi, Che quel, che non è suo, qui cerca e vuole: Si come in te si pose il vero Sole, Che scorge a dritto calle i nostri passi, Così l'anima mia sia di lui tempio. Al vener. pre. M.° Ottavio da Padova dell Ordine di sant Ago- slino. Padova agli Eremitani ». | | (544) [10] voro di poeta anonimo. L' unico nome che s'incontra nel Codice della Vaticana è, come fu detto, quello d' Antonio del Deccaio, o altrimenti da Ferrara, al quale sì attribuirebbe, tutto il più, l'ultimo capitolo 0, con altre parole, la preghiera di ringraziamento. Nè le inda- gini, fatte dal Bini, valsero a disseppellire alcuna edizione del poemetto, che recasse il nome d’ Enselmino. E pure la stampa, fatta in Venezia nel 1505 co’ tipi del Por- tese, dove del « Lamento », facevasi autore Leonardo Giu- stiniani, non era la più antica. Ventiquattro anni prima ne era già uscita un’altra, ch’ io tengo sott'occhio. I; Vedi- zione, impressa, ugualmente in Venezia, il 1481 nelle of- ficine di Luca Veneziano ('), e additata, non volgono molti anni, dal Zambrini; dove, come ne' due Codici della Mar- ciana e del Dailo, si legge il nome d' Enselmino non da Montebelluna, ma da Treviso. L’ egregio bibliografo, regi- strandola, non si perita, mi pare, di riconoscere autore del « Lamento » l'Enselmino (*). E con l'edizione di Ve- nezia s'accordano, più o meno, i sei Codici, onde s'è fatta parola, ne’ quali leggesi il nome dell’Eremitano di Sant’ À- gostino. Da questo fatto non risulta però giustificata a pieno la sentenza del Zambrini. In cinque di que’ Codici, come nell’ edizione di Venezia, 1’ Enselmino non ё dichia- rato, a rigor di termine, che autore di una porzione sol- tanto del poemetto. Dove si stesse all’ edizione, bisogne- rebbe dire clie lavoro di lui fosse l’ unico capitolo unde- cimo ed ultimo, che porta il titolo di orazione, о di rin- graziamento (°). Il Codice della Comunale di Treviso gli (1) Finisce il devotissimo Pianto della gloriosa Virgine Maria cum summa diligentia impresso per maestro Luca Venetiano: in Venetia a di XVII marzo M.CCCC.LXXXI. (2) Zambrini, Le Opere volgari a stampa dei secoli XIII € XIV, pag. 386. Bologna 1878. (3) Ecco le parole, che precedono il capitolo undecimo ed ul- timo: Incipit oratio sive gratiarum actio supradicti compilato- vis (Enselmini). — و TE [14] (545) attribuirebbe pur esso il ringraziamento ('); mentre del- l’intero poemetto, stando ai Codici della Comunale урш cenza (*), del Bailo (*), del Biancani (^ e della Mar- ciana di Venezia (*), non dovrebbesi riconoscere nel buon frate che un semplice compilatore , voce, che nel latino del medio evo suonerebbe, secondo il Duchange, quanto un copista. E un copista lo qualificherebbero del pari l'edizione del 1481 e il Codice della Comunale «di Treviso ; lo qualificherebbero anzi un ràpsodo de’ secoli de- cimo quarto e decimo quinto, il quale ne declamasse, al- l occorrenza, anche i versi ҮР) autore, è il Codice Padovano (7). / unico, che ne lo farebbe (1) A carte 88 del Codice della Comunale di Treviso si legge: Incipit oratio sive gratiarum actio ejusdem etc. (2) Incipit oratio beate Marie Virginis compilata а fratre Ienselmino Ordinis fratrum heremitarum. Sancti Augustini, (3) Incipit oratio sive obsecratio ad postulandam lamen- tationem beate virginis compilatam a fratre Enselmino de Tre- vizio ordinis heremitunum Suncti Augustini. (4) Uguale intestatura а quella del Codice del Bailo leggesi nel Tiraboschi: Storia della letteratura italiana, Vol. Vi pe VIS. (nota). Venezia 1825. Devesi soltanto avvertire che al Sostituito Montebelluna. (9) God. 189, cl. IX, Ital. nella Marciana; (6) Infine al Gapitolo X del Lamento nell’ edizione del 1481 si Trevixio è leggo: Explicit virginis beate lamentatio et intacle vulgariter compilata cum ritimis (sic) prolata ore fratris Enselmini de Trivi- sio ordinis fratrum hevemitanum sancti Augustini. E nel Co- dice della Gomunale di Treviso sta scritto a carte 88: Ewplicit Virginis Marie lamentatio intacte vulgariter compilata et cum rilimis (sic) prolata ore fratris Enselmini ordinis sancti Augustini. (7) Incipit ploratus virginis Marie de morte Filii sui in vulyari sermone, quem composuit ven. frater Anselmus. V. Bia- dene nol Giornale Storico della Letteratura Italiana, vol. 1X, Pag. 204. Torino, 1887. (546) [12] Ora io non diró se l'espressioni de' sei Codici si devano aecogliere o no nello stretto senso della parola. Avverto anzitutto che, stando al Codice di Vicenza par- rebbe che la preghiera d'introduzione dovesse stare anche a sè e si potesse ritenere, allargando il significato del- l’espressione, lavoro d'Enselmino. E ch'essa corresse sicco- me un componimento isolato, risulta, senza dubbio, da una lettera del Zeno ad Antonfrancesco Marmi. « Devo soggiun- gere, scriveva il dotto uomo il 5 luglio 1704, una mia osserva- zione intorno a quel capitolo spirituale in terza rima in lode di Maria Vergine, ch'io le scrissi la volta passata, che poteva essere di Antonio da Ferrara, contemporaneo al Pe- trarca. І? ај” ieri rivoltando un mio zibaldone di varie cose da me vedute e notate, ho ritrovato che quello è il princijio d'un'opera in undici capitoli, composta da un frate Romitano, per nome Enselmino » ('). Quanto poi al capitolo undecimo, il Dini ha già avvertito ch’ esso legge- vasi nel Codice della Vaticana a parte e siccome lavoro d' Antonio da Ferrara sotto il titolo: «in laude di Nostra Donna » (*); ha notato che il Codice De Rossi, sul quale fu esemplata 1° edizione, che egli ha curata, del « La- mento», dava il poemetto siccome compiuto anche senza l' undecimo ed ultimo capitolo (°). E come componimento a parte leggesi anche in un Codice illustrato dal Diade- ne (4). È questo un fatto, che potrebbe forse indurre a pensare, almeno per un momento, che le due preghiere d'introduzione e di chiusa, per le quali si hanno il primo e l’ultimo capitolo del poemetto, potessero essere anche lavoro di Enselmino; tanto più che l'identico autore accuserebbe anche la medesimezza de’ concetti e, di- (4) Zeno, Lettere, vol. I, pag. 280. Venezia 1785. (2) Bini, op. cit. pag. 157. (3) Bini, op. cit. Prefazione. (4) Giornale Storico della Letteratura Italiana, vol. IX, joo. cit. [13] (547) ciamo anche di alcuni emistichi. Se non che a così fatta conclusione farebbero contro altre e più gravi ragioni. Toccando di frate Enselmino, lo Zeno, così diligente e infaticabile nelle ricerche, dichiarava di non « aver trovato memoria » alcuna negli « Annali » degli Eremitani di San- t Agostino. Nó cenno alcuno pare gli venisse più tardi dal Marmi, al quale il dotto uomo erasi rivolto (*). Unico il Zambrini si restringe a dichiarare che il buon Eremitano «fioriva sul terminare del secolo decimo quarto », senza però citare la fonte, dond’ egli attingea la notizia. Non è fuor di proposito, ciò non ostante, il pensare ch'essa si desumesse dall'età, a cui si fa risalire la compilazione de” Codici. Dei sei, che recano il nome d'Enselmino da Treviso, o da Montebelluna, due soltanto erano conosciuti, come s'è pure avvertito, nel secolo decimottavo, il citato dal Tira- boschi e il citato dal Zeno. E il Zeno e il Tirabo- schi dichiaravano il Codice, veduto da ciascuno di 10- ro, fattura del secolo decimo quarto, senza però dire se del principio, del mezzo, o della fine. Lo studio della paleografia, progredito di molto da quel tempo in poi, ha modificato di alquanto i giudizî. Io non so dir nulla del Codice, posseduto dal Biancani e veduto dal Tiraboschi, al- l'infuori del cenno, che si legge nella « Storia della Let- teratura italiana » (*). Ma quanto al Codice degli Eremi- tani di Padova, che si custodisce nella Comunale di Vi- cenza, posso dire che ben altro è il giudizio de’ moderni dal pronunciato dal Zeno. Il Capparozzo potè definire per mezzo di raffronti con altri Codici e con T autorità del padre Francesco da Fanna, ch’esso non risale più in su del principio del secolo decimo quinto. E così è a credere si riformerebbe oggidi il giudizio del Tirabo- schi. Nè più antichi voglionsi riputare, secondo 1° opinione del Bailo e del Castellani, prefetto della Marciana, i Co- (1) Zeno, Lettere, vol. I, loc. cit. (2) Tiraboschi, op. e loc. cit. La Iy S. КП 1 (548) [14] dici di Treviso e di Venezia. Sicché l'asserzione del Zam- brini, ove si fosse fermata, come vorrebbesi credere, sui Codici, dei quali si fa parola, vuol essere corretta: è forza ammettere, cioè, che l’ Enselmino fiorisse men presto sul finire del secolo decimo quarto che sull'entrare del suc- cessivo. Quanto al Codice di Padova, l'unico, che faccia autore dell'intero poemetto frate Anselmo, il Diadene dichiara, senz’ altro, ch’ esso è del secolo decimo quinto. Ora vuolsi notare che i Codici, de' quali si 6 fatto cenno, non sono i piü antichi. Io so bene che il Dini fa risalire à mezzo, almeno, il secolo decimo quarto, aleuni dei Co- dici, da lui veduti o esaminati (!); ma 1’ autorità del dotto uomo non basta a compensare il difetto del millesimo, che vi si desidera, e a farmi acquietare al suo giudizio. Ben non lascio di dire che alla fine del secolo decimo quarto, о più propriamente al 1389 risale la copia del Codice, cu- stodito nell’ Archivio della Casa degli Esposti in Vicen- za; che nel 1571 fu scritto per man di notaio il Riccardiano ; e che due anni più a dietro, nel 1369, copiavasi dal pri- gioniero triestino il Marciano; codici, difettivi tutti e tre del nome d' Enselmino e anteriori, più о meno, al fiorire del frate. Nè vuolsi credere che il «Lamento» cominciasse a farsi noto trent'anni appena avanti al secolo decimo quinto. Fu già notato per le prove, dedotte dalle molte varianti e alterazioni del testo, che il poemetto, allora divulgatissimo, doveva essere in possesso da parecchio tempo del popolo : doveva recitarsi ne’ Sodalizi de’ Sette Dolori della Vergine, istituiti fin dalla seconda metà del secolo decimo terzo da Fi- lippo Benizi e propagatisi rapidamente ne’ primi decenni del decimo quarto in Italia e altrove; doveva leggersi nelle Compagnie ‘de’ Battuti, fondate dal Fasani, e nelle. Congre- gazioni de’ Laudesi a pascolo di devota pietà (°). Il che vuol dire, mi pare, che la sua origine doveva rimontare a pa- (1) Bimi, ор. db. 100, cit, (2) Morsolin, op. cit. [15] (519) recchi anni più a dietro, quanti occorrevano cioè a farlo co- noscere cosi diffusamente; dovesse perdersi, per lo me- no, nella prima metà del secolo decimo quarto. E пе” Codici del 1389, del 1371 e del 1369 il poemetto non si dà già mutilato delle preghiere d'introduzione e di ringraziamento, ma intero in tutte le sue parti. Il che, senza tenere conto che il ringraziamento fu attribuito ad Antonio del Beccaio, o altrimenti da Ferrara, morto, come s'è detto, nel 1363, vorrebbe anche dire che di Enselmi- no, dato ch'egli fiorisse verso la fine del secolo deci- mo quarto, non è a riputarsi nó l'intero poemetto, né alcuna delle due preghiere, che gli si attribuirebbero forse, dal Codice di Vicenza e dalla edizione, fatta in Venezia nel 1481 per Luca Veneziano. E in si fatta sentenza avvalorerebbe, vorrei aggiungere, sino a un certo punto, anche il Codice della Comunale di Treviso; dove il nome del buon Eremitano, che vi era scritto nella in- testatura, appare evidentemente abraso senza peró quella totale cancellatura, che ne impedisca, come che si vo- glia, la lettura. Devo dire finalmente che il « Lamento » non è il solo poemetto, che sia corso sotto il nome di Enselmino da Treviso, o da Montebelluna. Il Zambrini, sull’ autorità del Catalogo Capponi, ne cita un altro pure in versi : cita cioè la « Infanzia del Salvatore, sua vita, miracoli e passione », uscito in Roma nel 1541 coi tipi di Valerio Luisi Dorici. L’ « Infanzia » è seguita da un « Lamento » della Vergine pure in verso, ma non è detto in qual metro. Il Zambrini nel darne la notizia confessa di non avere veduta l’ edi- zione ('). La somiglianza del titolo gli fa però sospettare che esso non possa essere cosa diversa da un altro poemetto, diviso in tre parti, l’ « Infanzia » cioè, la « Passione » e la « Risurrezione » di Cristo, in ottava rima, pubblicato più (1) Zambrini, op. cit. pag. 387. (550) [16] volte e talora sotto il nome d'altri autori (1). Diro anzi che alcuni saggi dell’ « Infanzia », tolti da un Codice di Bologna, furono pubblicati dal Zambrini stesso, (?) e che il Zambrini era stato preceduto alla sua volta dal Sorio (?). Ma il fare dell’ « Infanzia », dato che il Zambrini abbia colto nel segno facendola tutt’ uno col poemetto pubblicato dal Dorici nel 1541, è ben altro dal fare del « Lamento ». Nulla incontrasi in quella delle forme, che sono così fre- quenti in questo; non assonanze cioè in luogo di rime, non forme di dialetti in uso specialmente nella Venezia, non modi in pieno contrasto con le norme fondamentali della grammatica. La narrazione procede facile, disinvolta, spigliata e con un fare che sente più di scrittore toscano, che d’ altre terre d' Italia. Sicchè, dove il poemetto dell'«Infanzia », il quale fu attribuito anche а Fra Felice da Massa, al Cicerchia e ad altri (*), fosse veramente di frate Enselmino, andrebbe, non v'ha dubbio, da se che del « Lamento » si dovesse ricercare in ben altri l'autore. 1] che vuolsi anche dedurre da un altro fatto, degno certa- mente di qualche considerazione. Che il « Lamento « fosse notissimo da un capo all’ al- tro d’Italia sin dalla seconda metà del secolo decimo quarto, risulta, mi pare, dal numero de’ testi, de’ quali s'incon- (rano esemplari in molte biblioteche e in qualche archi- vio. Che il nome poi di Enselmino, il presunto autore del poemetto, fosse ugualmente conosciuto, non è certo cosa, che si possa nello stesso modo affermare. Vi fa contro anzi tutto il numero più copioso di testi scritti e talvolta anche a stampa, ne’ quali si desidera il nome. Né deve ta- cersi che in Venezia stessa, dove usciva l'unica edizio- (1) Zambrini, op. cit, pag. 769, 770. (9) Propugnatore, Anno I, pag. 123 e 124, Bologna 1868. (3) Cento Meditazioni di Sun Bonaventura, tom. I. Roma 1847. (4) Zambrini, op. cit. pag. 769 e 770. ARTT ad [17] (551) ne del poemetto attribuito, come che si voglia, al buon Ere- mitano, il nome d’Enselmino era ben lontano dal godere al- trettanta popolarità, quanta il «Lamento». Lo deduco dalla nuova edizione, che si fece di esso coi tipi di Bartolommeo Portese nel 1505. In essa al nome d'Enselmino da Treviso s'è sostituito, com'è noto, il nome di Leonardo Giustiniani. La distanza di ventiquattr' anni dall’ edizione di Luca Ve- neziano, quanti ne corrono cioè dal 1481 al 1505, è, mi pare, un tratto di tempo troppo breve, perché si possa pensare che il nome d' un individuo, annesso a un poe- metto, già popolarissimo, dovesse spegnersi non solo, ma surrogarsi interamente da un altro, vale a dire, dal Giu- stiniani, che noto in Italia e notissimo in Venezia per i suoi studi d' umane lettere e per una buona serie di Laudi spirituali, non avea certo bisogno di abbellirsi delle penne altrui; è un periodo di tempo troppo corto, perché il fatto si potesse compiere nella regione stessa, ov'eran vissuti l'uno e l'altro de’ due, per non dire anche, nella medesima città, dond'uscivano, alla distanza di cinque lustri non interi, le due edizioni. У. Поро quanto s'é detto non è, mi pare, cosa immeri- tevole di considerazione avvertire che i testi del « Lamen- о», difettivi del nome d'Enselmino, si incontrano nelle biblioteche fuori della Venezia, tranne il posseduto dal Bian- cani di Bologna, città, d’altra parte, che alla Venezia è pur così prossima. Non altri sono i Codici, veduti e consultati dal Dini. Il nome d'Enselmino si reca da alcuni soltanto di quelli, che si custodiscono nelle raecolte della Vene- zia, la parte d' Italia, dov’ ebbe i natali e trasse, per quanto giova pensare, la vita il buon frate. E in Venezia s'im- | | Î | | | (552) [18] presse egualmente l’unica edizione del « Lamento », che porti, come che si voglia, il nome d' Enselmino. Ho detto l'unica edizione col nome d’ Enselmino, giacchè nulla si si della riproduzione, che, stando al Zambrini, dovrebbesi cre- dere uscita contemporaneamente pure a Venezia sotto il nome di Guglielmo da Treviso. Dico dovrebbesi credere, giacchè l’ egregio uomo non dichiara d’ averne avuto sot- t occhio l’ esemplare, né aggiunge da chi e come gliene fosse venuta la notizia. Il che mi fa sospettare ch’ essa possa essere un'unica e identica cosa con l'edizione del 1481, dove l'analogia del suono abbia fatto scambiare, Dio sa come e da chi, il nome di Guglielmo con quello d'An- selmo o d' Enselmino. Ed è un sospetto, che si ravvalora dal fatto dell’identità della patria, Treviso, comune all'uno e all'altro de’ due. (') La dizione del Zambrini non è però ben chiara. Parrebbe. quasi che il nome di Guglielmo si do- vesse incontrare in un periodico letterario di Lipsia, dove del poemetto sarebbesi pubblicato il primo capitolo « con grande varietà di lezione (?) ». Nulla di men vero. Carlo Bartsch vi parla bensi del « Lamento », secondo il testo, che leggesi in un Codice della Casanatense di Roma (°); ma non accenna nemmeno all'autore, contento di darne il prin- cipio e senza nessun discernimento critico anche la fine. Ho detto senza nessun discernimento critico, giacchè la (4) Zambrini, op. e loc. cit. (2) Jahrbuch für Romanische, und Englische Literatur, pag. 184, XI, Leipzig 1879. V. Zambrini op. e loc. cit. (3) Il Codice reca il N. 817. D. VI, 36, non ha titolo, né nome d’ autore. IL « Lamento » comincia col foglio 124 e il verso ‘ i i А Ave regina virgo gloriosa e finisce al foglio 159 con il verso Si ch'io mi trovi chon li Santi beati. Devo questa notizia alla squisita cortesia del Prefetto della Gasa- natense. os [19] (553) fine non é del «Lamento», ma d'un frammento del « Cre- do» di Dante Alighieri, che nel Codice vi fa seguito (!). ll Bartsch non avverti, cioè, come e dove avesse termine il poemetto; ma confuse l'uno con altro, facendo de’ due una sola e identica cosa. Né il « Lamento » si pubblicava in Venezia soltanto. Si sa che un poemetto d'ugual titolo, impresso con l'«In- fanzia del Salvatore » usciva per Valerio Luisi Dorici nel 1541 anche in Roma; ma il Zambrini ne allega soltanto l' edizione sulla fede, come si è detto, del Catalogo Cap- poni (*). L' Hain segnala inoltre un’ edizione de’ « Pianti devotissimi della Madonna », impressa in Milano da Filippo Lavagna nel secolo decimo quinto (°). Che in quelli si (1) L illustre Enrico Simonsfeld di Monaco, a cui devo le reti- ficazioni sul Jahrbuck, mi scrive che P incominciameuto del poe- metto è: Ave regina virgo gloriosa Che de Dio padre te chiamasti (fehls filla) Del fiol fosti madre fiola et sposa; e la’ fine: De le qual pene l anime tapine Ti salve et guardi lo spirito santo Quel che terza persona in le ‘divine. Amen. Il prefetto poi della Casanatense m! avverte che «le terzine, che seguono » al foglio 159, dove finisce il poemetto, e propria- mente « dal fol. 160 al fol. 161 sono un frammento del redo di Dante, che comincia con il verso lo scrissi via d'amor più volte rime, e finisce col verso Quel che terza persona in le divine. È ciò, che avvertiva anche il chiarissimo Prof. Graf nel Gior- nale Storico della Letteratura Italiana, vol. MI, pag. 404. To- rino 1884. (2) Zambrini, op. cit. pag. 387. (3) Ibidem, pag. 70. | (554) [20] contenga di certo il « Lamento », io non diró. Avverto peró che contemporaneamente ad esso correva pure altri componimenti di eguale natura; correva il « Lamento nuo- vo della Vergine Maria» in ottava rima, uscito in antico à Parma e, non son molti anni, per ben due volte in Dologna a cura del Zambrini (t); correva il « Lamento della Madonna » in decima rima, illustrato di fresco da Guido Mazzoni (°), e non so quali altri ancora. Ma la popolarità, acquistata, già un pezzo, dal « Lamento » in terza rima, mi trae nel sospetto ch'esso non vi si do- vesse desiderare. E questo sospetto mi s'insinua nell'animo dal Catalogo Pinelli, che, al dir del Zambrini, registrava il poemetto sotto il titolo di « Pianto devotissimo della Madonna», edito, come s'é detto, per Filippo Lavagna, nol secolo decimo quinto, in Milano (°), ch'è il titolo iden- tico dell'edizione del 1505 in Venezia sotto il nome di Leonardo Giustiniani. La conclusione pertanto, a cui, tutto considerato, è forza discendere, risulta, mi pare, ben diversa da quella, che si offrirebbe, di primo tratto, da’ testi in iscritto e a stampa del «Lamento» ne’ quali incontrasi il nome d’ Enselmino da Treviso, о da Montebelluna. L'età anzi tutto, ойе, secondo il Zambrini, lo avrebbe veduto fiorire, posta di fronte a quella de’ Codici più antichi, esclude, se non m'inganno,ch' egli possa esserne l'autore. La popola- rità, della quale godeva il « Lamento » nella seconda metà del secolo decimo quarto, esige, non v'ha dubbio, che l'au- tore fiorisse qualche diecina d' anni più a dietro; fiorisse prima che il'secolo toccasse, per lo meno, il suo mezzo. 1 (1) Zambrini, op. cit. pag. 534 e 539, (2) Mazzoni, Il Lamento della Madonna in decima rima. Venezia 1891. (3) Zambrini, op. cit. pag. 387. à 1211 (555) Codici e l'edizioni, de’ quali si è parlato e dove leggesi il nome di Enselmino fanno piuttosto pensare che il buon Eremitano, anziché l’ autore, fosse nel secolo decimo quinto il divulgatore più zelante e più appassionato cosi per iscritto, come a voce, del già popolare poemetto, tanto da guadagnarsi nella Venezia, ov’ era nato e vi conduceva forse la vita, un certo grido tra le anime de- vote e diciamo anche tra’ menanti e i tipografi, che ne fre- giavano del nome gli esemplari da loro condotti. Nella Ve- nezia, ripeto, e non in altre regioni d’Italia, non essendo- mi noto, come pur ho detto, Codice alcuno, ove leggasi il nome d' Enselmino, tranne i Codici di Vicenza, di Tre- viso e di Venezia e se vuolsi anche di Bologna, così prossima ‘alle terre, ove nasceva e forse viveva il buon Kremitano. Siechó l'autore del « Lamento», dove поп piacessero le mie congetture sul Biagio Saraceni, vuolsi ricercare in ben altri, mi pare, che non siano il Petrarca, Antonio da Ferrara, Leonardo Giustiniani ed Enselmino da Treviso, o da Montebelluna. TID SUMI 73 — "x È - — pies ———— LA STATISTICA DELLA COLTURA INTELLETTUALE E SPECIALMENTE DELLE UNIVERSITÀ NOTA | , DELS. с. CARLO F. FERRARIS. امسق س د Mi sia concesso incominciare questo studio con un ri- cordo personale. Fin dal 1877, in uno scritto giovanile, di cui sono il primo a confessare le molte imperfezioni, mi fermai al- quanto lungamente a delineare il contenuto e l ufficio di una statistica della coltura intellettuale, che io allora proposi di chiamare Statistica sociale pedagogica. (') Nel 1885, assumendo l’insegnamento della Statistica nella R. Università di Padova, trattai nella mia prelezione Г ar- gomento speciale della Statistica delle università, mo- strando come vi si trovassero elementi preziosi per porre in luce le tendenze intellettuali del secolo nostro (?). Ri- (4) Vedi il mio scritto La Statistica e lu Scienza dell Ammi- nistrazione nelle Facoltà giuridiche, pubblicato nel Giornale degli Economisti, luglio-novembre 4877 e poi a parte, Padova (Salmin) 1878. Vedi ivi, p. 42 e segg. (2) La Statistica nelle Università с la Statistica delle Uni- versità, prolusione letta il 3 dicembre 1885 e stampata nel Gior- (558) [4] piglio quindi volentieri uno studio interrotto da parecchi anni, traendone occasione da recenti pubblicazioni, per di- scorrere brevemente della statistica della coltura intellet- tuale in genere e poscia più ampiamente della statistica delle Università, che forma di quella la parte precipua. I fatti della coltura intellettuale sono essi suscettivi di osservazione quantitativa? Si è tentati di rispondere che non, notando che nella coltura intellettuale l’ essenziale é la qualità e non la quantità, e che colle cifre non si po- trà mai determinare l’importanza di un'opera letteraria, scientifica, artistica, giudicare del valore intrinseco della produzione intellettuale. Ma ciò non avviene neppure per altri ordini di feno- meni, ove pure l'indagine statistica ha celebrati i suoi trionfi. Essa parte dal concetto qualitativo, che dei fenomeni le viene fornito dalla logica e dalle speciali discipline, e cerca di fissarne la manifestazione quantitativa con tutte le cir- costanze esteriori che 1’ hanno accompagnata, e così, ridu- cendo i loro rapporti qualitativi, le somiglianze e differenze, in rapporti quantitativi, procura uno dei mezzi per giun- gere alla cognizione delle cause sociali e delle leggi che li regolano. Non soltanto quindi riusci a darci copiose in- for mazioni sui fenomeni di ordine economico, cioè sui fattor i tutti della produzione; sugli strumenti della circolazione; sulle forme della distribuzione e del consumo della ricc shez- za, non soltanto pose in luce le regolarità nella manifesta- t nale deyli Economisti, Marzo 1886 e pol a parte, Verona-Padova (Drucker) 1886. Vedi ivi, p. 23 e segg. [5] (559) zione a masse dei fenomeni fisiologici delle nascite е delle morti, non soltanto rivelò la composizione della popolazione rispetto al sesso, all’età, allo stato civile, e via dicendo, ma, assoggettando alle sue ricerche fenomeni di ordine fisico- morale-giuridico, come matrimoni, divorzii, nascite illegit- time, prostituzione, suicidi, delitti, seppe indicare, o porre almeno sulla via per scoprire, le cause generali e spe- ciali di ordine sociale, che determinano la misura della loro manifestazione quantitativa, e cosi ci diede indizi preziosi per giudicare della vita morale di un popolo. E tutto ciò non deve recar meraviglia, ove si pensi che quei fatti Sono opera dell' uomo, il quale agisce sotto l'impulso di condizioni individuali e sociali (i due ordini di condizio- ni sono inseparabili, perché l’uomo vive nella società), sono l' esplicazione della attività individuale nel seno della col- lettività, e soggetta quindi alle circostanze di tempo e di luogo, all'impero delle leggi di coesistenza e di succes- sione. Anche la coltura intellettuale dipende da condizioni esteriori, che la favoriscono od ostacolano, si estrinseca in mezzi materiali e con mezzi materiali si diffonde, dà luogo à forme apparenti di attività umana, richiede nell’ uomo anche operazioni estrinseche e visibili per acquistarla e promuoverla: i beni intellettuali, perchè così è lecito chia- marli, per soddisfare il bisogno, che l'uomo ne sente, si producono, circolano, si distribuiscono, si consumano nella società al pari degli economici, mediante una serie di pub- blici istituti, che ne sono il veicolo e lo strumento. Sot- loponiamo ad osservazione e fissiamo con cifre tutti questi elementi esteriori, mediante cui si effettua la produzione e il movimento dei beni intellettuali, persone, istituti, mezzi materiali, notandone in pari tempo la natura, e ve- dremo derivarne elementi preziosi per studiare quello che io chiamarei / ordine sociale della coltura intellettuale, come si studia l'ordine sociale della ricchezza dalla eco- (560) [6] nomia sociale, е l'orline sociale della popolazione dalla scienza della popolazione. La pedagogia, la storia delle lettere, delle arti, delle scienze, non cesseranno di essere le discipline (mi si passi la parola) tecniche per la materia : ma come la tecnologia agraria industriale commerciale non impedi la formazione dell’ economia sociale, come 1’ antropologia е 1’ igiene non usurparono il posto della scienza della popolazione, cosi quelle discipline non escludono la possibilità e la necessità di una eoria sociale della coltura intellettuale. Ed il primo passo per crearla dev’ esser dato colla scorta della statistica. Vediamo il possibile contenuto di questa per tale ordine di indagini ('). Il punto di partenza resta naturalmente la grande di- stinzione sociale fra le persone che sono destituite anche dei primi rudimenti della coltura, gli analfabeti, e le per- sone che in qualsiasi misura sono della coltura intellet- tuale partecipi. Il fatto dell’ analfabetismo (°) si può col- pire statisticamente in molte guise: colla risposta alla do- manda, se si sa leggere e scrivere, nel censimento gene- rale della popolazione, col fare la relativa annotazione per ogni coscritto militare, col segnare gli sposi che sotto- scrissero o non l’ atto di matrimonio, e via dicendo: lo 51 può esaminare nella sua distribuzione, secondo i sessi, nelle varie regioni, nella città e nelle campagne; se ne possono argomentare le nocive conseguenze notando gli analfabeti fra i delinquenti, le prostitute, i soccorsi dalla (1) А tutt oggi il miglior lavoro riassuntivo rimane sempre ; "M € А М i1 129 OETȚINGEN, Die Moralstatistik (3. ediz. Erlangen 1882), Dez. 4 , : jp RA: Сар. 2. Interessante, benché conciso secondo P indole dell’ opera i : А mor sua, il Lzvassgun, La population française, tome TI (Paris 1891) Livre HI, ch. 2 (D! instruction et V education]. (2) Vedi il diligente lavoro del prof. Amati, L’ Analfabetismo in Italia, Studio Statistico. (Novara 1888). (7 (56!) pubblica carità, e secondo lo stato. economico e morale delle varie regioni di un paese, o di più Stati. Succede l’indagine sulle manifestazioni estrinseche della formazione della coltura intellettuale, che si può compiere colle cifre relative agli istituti di istruzione, agli inse- gnanti, agli allievi. Dei primi si può facilmente determinare il numero in ogni grado di istruzione, sia elementare, sia secondaria, sia supe- riore, e per ogni qualità di essa, sia letteraria, sia scientifica, sia tecnica, sia artistica. Per ciascuno di tali istituti sì pos- sono fissar con cifre il numero degli insegnanti (distinti per grado e sesso), il numero degli allievi (distinti per sesso e per età), il risultato degli esami, la dotazione e і mezzi materiali, di cui dispongono, ecc. (') Gli istituti possono ancora distinguersi in pubblici e privati, e questi in laici e religiosi, e così determinare il concorso delle ammini- strazioni centrali e locali, e dei privati o singoli o riuniti in associazioni laiche o religiose, nella produzione dei beni in- tellettuali. Per tal modo apparisce pure in quale misu- ra la popolazione trae profitto da quei potenti mezzi di coltura, e la indagine si completa comparando regione e regione di uno stesso Stato, popolo a popolo di diversi Stati, razza a razza in uno stesso o in diversi Stati, così cercando di colpire nel processo di formazione il diverso grado di coltura delle collettività osservate. E di qui si passa a studiare il movimento della col- tura, la sua distribuzione, circolazione e consumo, chè parmi lecito applicare ai beni intellettuali queste parole, le quali acconciamente si usano pei beni economici. Precipuo veicolo della coltura è il linguaggio, che si diffonde col diffondersi della popolazione. Si può quindi stu- diare la distribuzione geografica di ciascun linguaggio in relazione al numero delle persone che lo parlano. Limitan- (1) Questa è la parte, cui sono dedicate le principali pub- blicazioni ufficiali relative alla coltura intellettuale. ee. (562) \ 8] doci, come è opportuno, al linguaggio dei popoli più civili, se ne può studiare la diffusione presente e la probabile futura (tenendo conto in questo secondo caso dell'aumento della popolazione e della sua espansione internazionale), e cosi conoscere la presente e futura partecipazione di ogni popolo o razza alla coltura umanitaria ('). Di qui, lasciando per un momento da parte la coltura artistica, possiamo tener dietro al movimento della coltura letteraria e scientifica mediante la statistica della parola stampata, che si fissa nel libro e nel periodico. Classificate le pubblicazioni secondo la materia si vede l'intensità in ciascun ramo di attività letteraria, la misura in cui cia- scuna materia contribuisce alla totalità della produzione libraria (°). Con acconci aggruppamenti si può tener die- tro alle differenze che in queste manifestazioni derivano dalla varia indole, dai varii bisogni e dal vario grado di civiltà dei popoli, o delle varie razze, prendendone come criterio differenziale il linguaggio (°). L’ indagine può essere (1) Vedi le belle indagini del Dr GANnpoLLE, Histoires des sciences el des savants depuis deux siécles (2 ediz. Genève-Bale, 1885) p. 531 segg. sulla lingua dominante in passato, nel presente e nell’ avvenire. (2) Per la Germania vedi OgrrINGEN, op. cit. S 43. Sulla pro- duzione libraria inglese si trovano dati pel 4888, 1889 e 1890 nel Journal of the R. Statistical Society, marzo 1889, p. 148, marzo 1890, p. 151, e marzo 1891, p. 158-161. (3) Bellissimo tentativo ha fatto il MISCHLER, Zur Literatur- Statistik in Oesterreich. Wien 1886 (estratto dalla Statistische Monatschrift], mostrando non soltanto come si distribuiva la produ- zione libraria dell' Austria Gisleitena nel 1888 secondo le materie, ma le modificazioni prodotte in questa distribuzione dalle tre nazionalità o razze, la tedesca, la czeca, la polacca. Basti il dire che su 100 opere stampate in tedesco solo 10,02 erano di letteratura amena, mentre su 100 stampate in lingua ezeca se ne contavano 51,15, e su 100 in lingua polacca 35,56: invece per le scienze naturali, ma- [9] (563) resa più completa tenendo conto a parte sia dei libri pro- priamente detti, sia dei periodici ('). Anche la parola parlata a scopo pedagogico può giovare per tale investigazione, perchè il culto delle varie materie e la loro rispondenza ai bisogni sociali si rispecchia parimenti nel numero delle lezioni spettanti a ciascuna materia nei vari rami di istruzione e non è impresa di insuperabile difficoltà il farne la statistica (°). Le grandi correnti intellettuali del secolo in quanto dipendono dalle condizioni sociali si possono fissare colle cifre in varia guisa. Serve a tale scopo la statistica libra- ria studiata per un certo periodo di tempo (?), e la stati- tematiche e mediche le tre cifre erano rispettivamente 15,99; 3,13; 8,94. Chi non scorge colà la prevalenza della immaginazione, al facoltà più potente in popoli di giovanile civiltà, qui la preva- lenza della ragione, la facoltà prevalente nella maturità della col- tura? La letteratura polacca supera fortemente le altre per nu- mero di opere di teologia e divozione: altra caratteristica dell’ in- dole della popolazione. (1) Per questi ultimi vedi: WixckLer, Die periodische Presse Oesterreich's. Eine historisch-statistische Studie (Wien 1875) Statistica della stampa periodica nell’anno 1889 (pubblicata dalla nostra Direzione generale di Statistica). Roma, 1890. (2) Una diligente indagine speciale fu fatta dal Rows, Instru- clion im public law and political economy in German Univer- sities, negli Annals of the American Academy of Political and Social Science, Vol. І, N. 1, (July, 1890) p. 78 segg. o dal iias KNER, Academic Instruction in political and economie Science in Italy, negli stessi Annals, vol. I, n.° 4 (april, 1801), p. 035 Segg. (3) L’ OMITINGEN, op. cit. $ 43, ad esempio rilevò in Germa- nia la diminuzione nelle opere di teologia e di divozione, l'aumento in quelle di pedagogia ed istruzione giovanile ed in quelle di scienze tecniche, eec. Шу Б VII 73 (564) [10] stica delle opere date in lettura nelle biblioteche (!) Ма quelle correnti meglio si manifestano nella frequenza sco- lastica, distinguendo 1 istruzione classica dalla tecnica, e particolarmente nella frequenza universitaria secondo le singole facoltà, che abbracciano tutte le manifestazioni dello spirito, letterarie e scientifiche. Tale frequenza colle sue oscillazioni è l'indice appunto del maggiore o minor bi- sogno sociale, delle singole forme di coltura, sia esso mosso da pratici interessi oppure da semplice inclinazione al godi- mento dei piaceri intellettuali (°). Meno agevole è sottoporre ad esame le manifestazioni e la diffusione della coltura artistica. (°?) Uno scarso, ma pur non dispregevole materiale, può esserci fornito dalle sta- tistiche delle esposizioni artistiche, specialmente di quelle annuali dei grandi centri, distinguendo le opere secondo la qualità (pittura, disegno, incisione, scultura, architettura, есе.) e secondo il sesso e la nazionalità degli espositori ("). (1) Su questo punto si trovano dati assai copiosi nella nostra Statistica dell istruzione secondaria e superiore, anno 1887-88 (Roma 1890), р. LXXXIII, e segg. (2) Vedi quanto dissi a proposito della Germania nella citata prelezione, p. 23, e segg. Ampie notizie comparative si trovano ora in CONRAD, Die Frequenzverhültnisse der Universitäten der haupt- süchlichsten Kulturlindern auf dem europäischen Kontinent nei Jahrbücher für Nationalökonomie, 1801, D. F., B. I $. 376 fig. (3) Un geniale tentativo, ma che esce d.i limiti della statistica, per determinare P influenzi della razza sulla produzione artistica fu fatto dAl Berrio nello studio: Rapporti fra Vetnografia antica dell’ Italia e la sua produttività artistica, pubblicato nel Bollet- tino della Società geografica italiana, Aprile 1886 р. 264-279 con alcuni cartogrammi. | (4) L Annuaire statistique de la France pubblica sempre tali dati per le esposizioni annuali di Parigi. Vedi: Année 1889, р. 198, Année 1890, р. 184-185. Veggasi pure Бото, La prima [II ] (565) E forse non inutile sarebbe una statistica delle nuove. pro- duzioni teatrali secondo i generi, mentre ora per giudicare delle tendenze del pubblico non abbiamo che lo scarso sus- sidio per alcuni paesi delle notizie sugli introiti pecuniarii delle varie qualità dei teatri ('). E neppure inutile sareb- be osservare, colla frequenza negli istituti musicali, anche ad esempio quella delle bande e società musicali come cri- terio della diffusione di tale forma di coltura artistica. Sorgono poscia molte questioni speciali. Citiamone alcune e vediamo come la statistica ci fornisca, per le risposte, il materiale. Quali classi partecipano meglio vuoi come produttrici vuoi come consumatrici alla coltura intellettuale? La rispo- sta può esser data in una certa misura (e lo vedremo più a lungo parlando della statistica universitaria) notando la professione dei padri degli studenti. Così si riconosce come esposizione italiana di architettura, nella Nuova Antologia, 1. gennaio 1891, р. 47, segg. (1) Nei citati Annuaires francesi si trovano i dati relativi agli introiti dei varii teatri parigini. Essi sono riprodotti nell Album de Statistique. graphique de 1889 (Paris 1890), pubblicato dal Ministero dei Lavori pubblici, a p. XXII del testo. Essi sono ac- oompagnati da una curiosa ed elegante illustrazione grafica (tavo- la 96), che (fatta eccezione degli anni di Esposizione, in cui la frequenza dei forestieri agi come causa accidentale per modificare la manifestazione quantitativa del fatto) mostra come i teatri serii ed ove larte ha vero culto (es. l’ Opéra, il Theatre français) hanno una grande costanza negli incassi, mentre altri di genere meno Serio o di genere leggiero (es. Variétés, Palais-Royal, e sopratutto Bouffes parisiens, Guité, Menus-Plaisirs) mostrano forti oscilla- zioni in più od in meno da anno ad anno, cof variare cioè del- p d "more e del gusto del pubblico che segue la moda pure in fatto arte destinata al solo divertimento. Veggasi anche Lova, Le grand Opéra nel Journal de la Société de Statistique, Mars 1891, p. 97. (566) [12) la condizione sociale, determinata normalmente dalla pro- fessione del capo della famiglia, influisca sulla vocazione dei figli: sarà la tradizione domestica di coltura, la quale discende per li rami, sara la forma della ricchezza e tutto quel complesso di abitudini, di sentimenti, di tendenze, di ostacoli, che quelle due circostanze cagionano: ma così apparisce il presentarsi proporzionale di elementi che hanno già, dirò così, per la posizione, in cui sono nati, la ten- denza alla coltura, e di elementi nuovi, che aspirano а grado di coltura più alto di quello della famiglia о ceto, in cui videro la luce. Come avviene l'uso e il consumo dei beni intellettuali nella società? E qui abbiamo la statistica delle professioni, che colle sue svariate combinazioni getta molta luce sulla condizione delle professioni cosidette liberali. Ed a questo proposito giova avvertire che la statistica sola porge il mezzo di risolvere un problema di grande importanza so- ciale: cioè se vi sia eccesso di concorso a tali professioni e quali forme di istruzione ne abbiano specialmente colpa. Soltanto determinando (e la sola indagine statistica 10 può fare) sia quale numero proporzionale degli individui, che abbiamo percorso l’ una o l'altra forma d' istruzione, riusci nella vita, sia il numero normale di nuovi venuti occorrente nelle singole professioni liberali o jer pren- dere il posto di quelli che scompaiono, o per soddisfare un crescente bisogno, si potrà conchiudere se esista esu- beranza o deficienza o stato di equilibrio, e se la istru- zione contribuisca, o non, a creare spostati, che meglio chiamerei svrati (!). (1) Vedi Prerzxer und TREUTLEIN, Der Zudramg zu den ge- lehrten Berufsarten, seine Ursachen und etwaigen Heilmittel (Braunschweig 1889). La seconda di queste due memcrie, quella del TreutLEIN, è in ispecial modo ampia ed interessante e compo- sta con rigoroso metodo statistico. Cfr. CONRAD, loc. cit., p. 393-394. [13] (567) Ancora una domanda: quali cause promuovono od in- ceppano lo sviluppo delle scienze, e quindi determinano la partecipazione dei singoli popoli all’ incremento della col- tura intellettuale ? Alla superba domanda fu giå fatta la ri- sposta da un insigne scrittore (!), servendosi del materiale fornitogli dalla statistica di aleune grandi Accademie, e in- terpretandolo con una mirabile indagine secondo i canoni del metodo statistico. Non ne posso riassumere qui 1 risul- tati: ma l'opera esiste, e può servire di guida e modello per tal genere di studi. Cosi la statistica della coltura intellettuale puó in di- versi modi dare gli elementi per giudicare del grado com- parativo di civiltà dei varii popoli, per scrivere la storia della coltura, e sopratutto per preparare la teoria sociale della coltura intellettuale. E quando tale lavoro sarà compiuto, ne ritrarrà sommo giovamento l’ amministrazione della pubblica istruzione. La politica economica e l’assistenza pubblica sono uscite dall’ empirismo soltanto quando la scienza dell’ economia Sociale e la scienza della popolazione hanno rivelate le leggi che regolano la produzione, la circolazione, la distri- buzione, il consumo della ricchezza, e lo stato ed il movi- mento della popolazione. Così soltanto quando coi mate- riali raccolti dalla statistica avremo rivelato l’ ordine so- ciale della coltura intellettuale, e dimostrato specialmente in quale misura essa dipenda dalle condizioni sociali, po- tremo avere una politica scolastica meno incerta, meno brancolante, meno indeterminata di quella che oggi impera. (1) Dal De CanpoLLE nell’ opera citata alla nota 4 , pag. 562. (568) [14] П. Ma affinchè la statistica possa adunare tutti questi pre- ziosi materiali per una (pur troppo futura) teoria sociale della coltura intellettuale, è necessario che essa rivolga maggior attenzione a quei fenomeni attinenti alla medesima, che sono suscettivi di espressione quantitativa, e li rilevi accurata- mente: la statistica deve quindi migliorare i suoi metodi di raccolta dei dati, ed attendere a questa col duplice fine, che essa deve proporsi costantemente ed inseparabilmente, giovare alla scienza, dar lume alla pubblica amministrazione. L'elaborazione più diligente, l’interpretazione più accurata, la investigazione di carattere veramente scientifico, verrà con prontezza quando il materiale sarà copioso e buono. Il posto supremo come fattori della coltura intellet- tuale spettando alle Università, gli osservatorii statistici devono appunto cominciare la riforma dalla statistica delle Università. Finora pur troppo uno solo di questi osservatorii si con- vinse di tale verità, l'Ufficio reale prussiano di statistica. Esso riconobbe vere le lagnanze che vennero fatte da in- signi professori (!) sulle imperfezioni della statistica uni- versitaria, e cominció a compilarla su nuove basi dal se- mestre scolastico invernale 1886-87. 11 lavoro, affidato alla intelligente direzione del prof. A. Petersilie, il quale elaboró anche con somma cura il materiale raccolto, si trova ora dinanzi a noi in un grosso volume (°), che inizia un nuovo (1) Primo fra tutti il CONRAD, nell’ opera Das Universitäts- studium in Deutschland (Jena 1884). Vedi la mia citata prelezione, p. 23, nota. (2) Statistik der preussischen Landesuniversitàüten mit Ein- schluss der theologisch-philosophischen Akademie zu Munster g Di (15) (569) periodo nella forma e nella sostanza dell'indagine. Giova sperare che il progresso non siarresterà qui: ma intanto prendiamo nota del già fatto. Siccome la statistica contiene alcuni dati dedotti dalla precedente statistica universitaria prussiana dal 1859 in poi, non sarà inutile riassumerli, per poi meglio porre in evidenza i risultati delia nuova statistica, migliorata nei suoi metodi e assai più larga nei suoi risultati. 1.° Vediamo innanzi tutto il corpo insegnante. Gli in- segnanti dal 1859 al 1887 crebbero del 53,13 per 100. Si osservi però che gli ordinari crebbero del 42,84, gli straordinari del 101,02, i privati docenti soltanto del 38,28. Inoltre su 100 straordinarii nel 1859-60 si trovavano 252 ordinarii, nel 1887-88 soltanto 178: su 100. privati docenti si trovavano, nel 1859-60, 67 straordinarii, nel 1887-88 ben 98. Il numero degli straordinari rispetto agli ordinarii nel 1887-88 era di due quinti (41,4 per cento) superiore a quello del 1859-60. Quindi si scorge una modificazione in- teressante avvenuta nella posizione degli straordinarii e dei privati docenti. Prima si faceva a fidanza sull’ opera di questi per gli insegnamenti nuovi, speciali, complemen- tari. Ma la loro posizione apparve troppo precaria e troppo deficiente dall’ aspetto economico per assicurare la conti- пий nell’ insegnamento, per chiamare forze giovanili e Vigorose al culto della scienza, per indurre i giovani a pre- pararsi collo studio all’ insegnamento, colle pubblicazioni all’ ordinariato: quindi si diede assai maggior importanza che non prima all'istituto degli straordinari, e così si au- mentó la facilità pei privati docenti di ottenere una posi- zione relativamente stabile. Viceversa, non essendo in pari und des Lyceum Hosianum zu Braunsberg, für das Studienjahr Michaelis 1886 87. In Auflrage des Herrn Ministers der geistlichen, Unterrichts-und Medizinal-Angelegenheiten bearbeitet vom Köni- glichen statistischen. Bureau ( Preussische Statistik. Heft 102). Ber- lin, 4890. i (570) [46] misura cresciuto il numero degli ordinarii, perché i posti di ordinario sono in cifra assoluta piü numerosi, ma non in cifra relativa, cioè rispetto all’ aumentato numero degli straordinari, questi si trovano reso meno agevole il pas- saggio all' ordinariato. Ad ogni modo le necessità dei tempi (e lo si potrebbe dimostrare anche da noi) portano ad attribuire agli stra- ordinarii nell' insegnamento superiore un' importanza mag- giore di prima, mentre l'istituto dei privati docenti scade d' importanza anche nel paese stesso dove era fiorentissimo, la Germania. Il fatto si avverò in misura diversa nelle singole fa- coltà. Avvertendo una volta per sempre una cosa del resto nota, cioè che la facoltà filosofica nelle Università prussian e comprende tutte le materie delle due nostre facoltà di filosofia e lettere, e di scienze fisiche matematiche natu- rali, più alcune delle scienze politico-amministrative inse- gnate nella nostra facoltà giuridica, le scuole di farmacia e di odontologia, e varie materie non insegnate da noi 0 contenute nella scuola di applicazione (es. l'economia rurale), si riconosce che l’ aumento degli straordinarii fu massimo nella facoltà medica, come pure massimo in essa quello dei privati docenti, mentre la facoltà giuridica presenta un au- mento minimo negli straordinarii ed una forte diminuzione nelnumero dei privati docenti, e la facoltà filosofica un mo- derato aumento in entrambe le classi. La facoltà di teologia evangelica aumentò notevolmente negli ordinarii, e anche nei privati docenti, scemó negli straordinarii: quella di teologia cattolica aumentò negli ordinarii e negli straor- dinarii, scemò notevolmente nei privati docenti (ne fu causa anche la lotta fra Chiesa e Stato, di cui parleremo più tardi). Ecco il prospetto. [17] (571) Aumento (+) 0 diminuzione (—) percentuale degli insegnanti dal 1859 al 1887. Professori Professori Privati ordinarii straordinarii docenti Facoltà di teol. evangelica + 24,44 — 33,83 -+ 16,67 » » cattolica + 25,00 + 25,00 — 300,00 » giuridica + 1491 + $800 — 55,56 » * medica + 30,28 + 282,00 + 86,05 » filosofica + 63,98 + 100,62 -+ 35,51 Nonostante questi aumenti, il numero degli insegnanti non solo non si presenta eccessivo, ma è assai più scarso che prima. E basterebbe a dimostrarlo il seguente pro- spetto, il quale prova che ogni insegnante (tranne che nella facoltà di teologia cattolica, ove, come vedremo, scemò la frequenza) ha ora individualmente un maggior numero di allievi. Studenti per ogni insegnante 1859-60 1886-87 l'aeoltà di teologia evangelica Lio 30,60 » » cattolica 26,28 19,47 » giuridica 10,53 22,09 » medica 6,75 12,16 » filosofica 4,86 7,74 2." Passando a parlar degli studenti, la statistica che abbiamo dinanzi ci permette di gettare uno sguardo su tutta la Germania. TU ү 14 (572) [18] L'aumento degli studenti in tutti gli istituti di istru- zione superiore vi fu costante dal 1869 in poi come ri- sulta dal seguente prospetto. Media annuale quanti abitanti Anno studenti popolazione per 4 studente 1869 17,631 40,492,000 2297 1872 20,418 41,228,000 2019 1875 20,201 2,516,000 1828 1880 26,032 45,093,000 04 1885 31,755 46,705,000 1471 1888 34,118 48,056,000 1409 L'aumento nel numero degli studenti fu assai più ra- pido che non quello della popolazione e sì spiega quindi come in Germania si discuta da alcuni anni assai viva- mente il problema, se non esista un eccesso nel numero delle persone, che si avviano alle professioni liberali (9. Sembra che davvero vi sia un soverchio affollamento, il che sta preparando un nuovo sofferente e pericoloso ceto sociale, il proletariato dotto. La cifra del 1875 (1 studente ogni 1828 abitanti) sem- bra rappresentare il punto di saturazione, il punto al quale l'aumento del numero degli studenti avrebbe dovuto co- minciare a procedere normalmente, cioè mantenendosi co- stantemente nello stesso rapporto coll’ aumento della po- polazione. Invece non fu cosi: la corrente continua a salire e minaccia di straripare. E poichè se ne porge il destro, voglio osservare col- l'esempio della Germania con quanta cautela debba il Go- verno secondare le domande di nuovi istituti per nuovi (4) Vedi le opere citate alla nota 1, pag. 566. і › Pag [453 (573) bisogni, che si allegano esser sopravvenuti; si corre peri- colo di far opera dispendiosa ed inutile. La Germania vide dal 1869 al 1875 quasi raddoppiarsi, cioè salire da 2928 a 5449, il numero dei frequentatori dei suoi 9 istituti tecnici superiori. Se in Italia un simile fatto si fosse avverato, avremmo visto crearsi subito due о tre nuove scuole di applicazione o istituti tecnici superiori: in Germania non lo si fece: e si fu previdenti, perchè il numero ridiscese rapidamente e nel 1888 si ebbero soltanto 2887 studenti cioè meno che non vent'anni prima, nel 1869. 3.0 Questo argomento ci conduce (limitando di nuovo le nostre considerazioni alla sola Prussia) a studiare nella frequenza scolastica universitaria le varie tendenze e i bisogni intellettuali dell’ epoca (*). Ed a tale proposito gio- verà aver sott'occhio il seguente prospetto : Numero medio degli studenti nei rispettivi periodi dal 1859-60 al 1886-87. 1859 1864 1869 1874 1879 1884 1886-37 al al al al al al (sem. inv.) Facoltà 1863 1868 1873 1878 1883 1886 1887 (sem. est. Facoltà di teol. evang. 1422 1941 091 795 1511 2563 2677 » » cattol. 690 640 476 319 293 eU 597 » giuridica 1109 4340 4564 9393 2449 9095 294172 » medica 1181 1541 1708 4418 2266 3564 3717 » filosofica 9118 9555 2746 3701 5169 4701 4496 Turre Le FAcorrA! 6508 7237 7412 8486 11759 13459 13659 Cosi la popolazione scolastica delle Università prussiane andó aumentando (come avvenne in tutta la Germania) ; ció (1) La frequenza nelle singole facoltà fu da me esaminata per più lungo periodo di tempo e per tutta la Germania nella mia ci- tata prelezione, p. 25 e segg. (574) [20] è dovuto in parte alla depressione economica, che distolse molti studenti dal cercare professioni di carattere econo- mico, preferendo le professioni liberali e i pubblici im- pieghi, e in parte ad una maggior tendenza a frequentare l' Università piuttosto che altri istituti, perché quelle sono e devono restare i veri centri della coltura anche per co- loro che poi vogliono darsi ad occupazioni di carattere eco- nomico, tanto più aprendo esse ladito a maggior numero di professioni. Ma le cifre riflettono mirabilmente la dipendenza della coltura dai bisogni sociali e dalle condizioni dei tempi anche per le singole discipline. La facoltà di teologia subi una depressione terribile proprio negli anni più gloriosi pella Germania, il periodo della formazione e del consolidamento della sua unità: an- che la Prussia, benchè Stato unitario più che secolare, segui le sorti generali della gran patria tedesca. Le altre pro- fessioni esercitarono assai più attrattiva che non l’eccle- siastica: la ricerca delle ricchezze e degli impieghi civili e militari attuti le religiose aspirazioni. Per la facoltà di teologia cattolica si aggiunse la lotta fra la Chiesa e lo Stato, il Kulturkampf, che scompiglió alquanto in Prussia appunto le condizioni del clero cattolico: ‘e per questo motivo, mentre nel periodo 1879-83 la facoltà di teologia evangelica tendeva già a ripopolarsi (tanto più avendo lo Stato procurato qualche miglioramento alla professione del pastore protestante), la facoltà di teologia cattolica scendeva invece in tale periodo al minimo della frequenza, e soltanto riprendeva qualche vigore nel periodo successivo, di mano in mano cioè che la lotta fra Chiesa e Stato an- dava facendosi meno aspra. La facoltà giuridica, la quale non comprende, come è noto, in Prussia, che l'insegnamento delle scienze strettamente giuridiche, ebbe anch’ essa il suo incremento dal 1874 al 1883, perchè apriva l’adito al massimo nu- mero degli impieghi nell’ amministrazione pubblica, alla ETIN (575) Magistratura, alle luerose professioni dell’ avvocato e pro curatore: ma scemata la richiesta di nuovi impiegati per essersi chiuso il più vivace periodo delle riforme am- ministrative e giudiziarie, e trovatasi affollata la professione libera legale, mentre se ne assottigliavano i lucri per le meno buone condizioni economiche, il numero degli inscritti alla facoltà diminui in modo cospicuo nel periodo 1884-87. La facoltà medica invece celebrò i suoi trionfi. La se- verità dei metodi scientifici, che in alcuni rami specialmente ottennero splendidi risultati e tali da farne sperare di ancor più mirabili nell'avvenire, la tendenza spiccatissima del nostro tempo a creare buone condizioni igieniche generali, riconosciute fattrici di progresso non meno efficaci che l incremento della ricchezza, e il desiderio delle pronte cure mediche divenuto più forte ed agevolato dalla cre- Scente agiatezza (d’onde le spese enormi dello Stato e degli enti locali per le riforme sanitarie, e la richiesta di numeroso personale sanitario): ecco le cause, per cui la frequenza nella facoltà medica si è letteralmente triplicata dal 1859 al 1887. La facoltà filosofica anch’ essa sta vicina per incremento alla medica. Risultando essa di vari elementi, molteplici Cause giovarono a promuovere tale fioritura. L' ardore me- raviglioso, con cui i tedeschi per felicissima disposizione di natura attesero agli studi storici e filologici, e lo incre- mento della frequenza scolastica negli eccellenti istituti di istruzione secondaria, il quale generò il bisogno di più COpiose forze insegnanti, portarono nuovi studenti alla Sezione di filosofia, storia e filologia: le scienze politiche ebbero culto vivacissimo, perchè si destò l’ amore alla vita parlamentare, si rinnovò la legislazione economica, finan- ziaria e sociale, si mutò la composizione e si accrebbero le attribuzioni delle amministrazioni e rappresentanze locali, € così sorse un numero non prima veduto di studiosi di quelle materie; infine le faticose, ma fruttuose investi- gazioni sulla natura esterna, la creazione della grande (576) [22] industria col sussidio delle scienze meccaniche e chimiche, la costruzione di nuovi mezzi di comunicazione spinta alacremente, il bisogno di insegnanti di scienze positive negli istituti di istruzione secondaria, e simili, chiamarono una vera folla alla sezione di scienze matematiche e natu- vali. Tale febbrile attività raggiunse il suo colmo nel pe- riodo 1879-83; d'allora in poi si rallentó, e così l’ultimo quadriennio segna una diminuzione. Siamo al principio di un decremento progressivo, о soltanto in un momento di sosta, dopo di che si ripiglierà il movimento ascendente ? Ce lo diranno le statistiche future. L'attuale ci fornisce per ora i seguenti dati sulla ripartizione degli studenti nella facoltà filosofica : Semestre Semestre Media invern. estivo dell'intiero Studenti 1886-87 1887 anno scolastico di Filosofia, filologia e storia 2026 2054 2040 Matematica e scienze naturali 1484 1435 1434 Scienze economico-am- ministrative Bo 368 401 Farmacia, odontojatria 500 508 529 Altre materie 98 85 92 Cosi la nuova statistica più particolareggiata ci permet- terà in avvenire di meglio tener dietro alla manifestazione della frequenza secondo le materie assai disparate com- prese nella facoltà filosofica. 42 Vediamo ora la ripartizione degli studenti nelle va- rie facoltà secondo la cittadinanza e la nazionalità loro. Gli studenti prussiani (di nascita e con domicilio in Prussia) e gli studenti tedeschi provenienti da al- [28] (577) tri Stati della Germania, presentarono, nell'anno sco- lastico 1886-87 (prendendo la media dei due semestri in- vernale ed estivo), la seguente distribuzione : su 100 su 100 studenti prussiani studenti di altri l'acoltà Stati tedeschi di teologia evangelica 21 1{ » » cattolica 6 1 giuridica 15 20 medica ` 28 Pas] filosofica 30 39 Pegli stranieri propriamente detti (cioè non apparte- nenti per cittadinanza ad uno degli Stati della Germania), che studiarono nelle Università prussiane, le cifre rappre- sentanti la media dei due semestri, invernale 1886-87, ed estivo 1887, sono le seguenti : СОЛЕ udi .4eologia evangellon.. a. sir ig SÛ bor» » СЕО iure e ARD B ШП ФЕ ДА nube ari eei lai И ООВ уи ы зум Ни жун der denied oe A UO » filosofica : a) filologi e storici 189 [ 0) matematici e naturalisti 148 €) economisti, ecc. 82 468 @) farmacisti e dentisti 9 TOTALE ul La facoltà medica, e, in gran parte, la facoltà filosofica hanno il vantaggio di insegnare discipline, che meno sono (578) [24] influenzate dalle condizioni nazionali di legislazione, di credenze religiose, di utilità pratica, e quindi chiamano a зё un numero cospicuo di stranieri; al che deve pure contribuire 1’ omai ottenuta uniformità internazionale nei metodi e nell’ indirizzo delle indagini per tali discipline. E vero che non poche famiglie di questi studenti stra- nieri abitano in Germania; ma ciò non impedisce di con- chiudere dalle or riprodotte cifre come la tendenza, pre- cedentemente avvertita, ad una maggior frequenza nella facoltà medica e nella filosofica sia un fenomeno di carattere internazionale, e non speciale alla Germania in genere ed alla Prussia in particolare. Fra gli stranieri, 73 per cento venivano da uno Stato europeo, 22 р. с. da uno Stato americano, 4 р. с. dal- l'Asia e 1 p. е. dall’ Africa e dall’ Australia. Fra gli europei prevalgono i seguenti paesi : Facoltà Russia Svizzera Ungheria Austria Cis. studenti, in media, nell anno scol. 1886-87 di teologia evangelica 5 97 19 10 » » cattolica ә — == 2 giuridica 10 20 8 9 medica 46 9 11 9 filosofica 99 30 40 39 TOTALE [62 96 78 69 . Anche queste cifre confermano la precedente osserva- zione, mostrando in pari tempo il carattere cosmopolita, che hanno le università prussiane, come in genere le ger- maniche. 25) (579) III. La parte più nuova di tale statistica è quella che si ri- ferisce alla composizione ed origine della scolaresca. E si potè farla con un’ utilissima innovazione nella tec- nica della rilevazione, cioè adoperando il bollettino o scheda individuale. Sul principio del semestre invernale 1886-87 ciascun studente delle Università prussiane fu obbligato a riem- pire una scheda indicante: il cognome e il nome, l'anno e giorno di nascita, il luogo di nascita, il domicilio suo e dei genitori, la cittadinanza, la religione, la facoltà е se- zione di facoltà, in cui era inscritto, la provenienza da quale istituto d’ istruzione secondaria, in quali università e fa- coltà fu successivamente inscritto, quale la sua condizione rispetto al servizio militare, la professione del padre (chiesta con speciale annotazione, che raccomanda l’ esat- tezza), se aveva sussidio e di quale ammontare da qualche fondazione e di che genere era quello, ecc. I dati così raccolti diedero notevoli risultati: alcuni già ne riferimmo relativi alla ripartizione degli studenti nella facoltà filosofica, ed alla nazionalità degli studenti : vediamo gli altri, limitandoci peró a quelli, che hanno mag- giore importanza per la storia della coltura. Avvertiamo che, salvo indicazione in contrario, le cifre assolute e pro- porzionali si riferiscono alla media frequenza nell'anno Scolastico 1886-87, cioè nei due semestri, invernale 1886-87 ed estivo 1887, e che colle parole « studenti prussiani » indichiamo in senso stretto quelli che studiavano nelle uni- versità prussiane ed in pari tempo erano sudditi prussiani e ciò per distinguerli dagli « altri tedeschi » cioè sudditi di altri Stati tedeschi, benchè studenti nelle Università prussiane, T So UI 75 (580) [26] e dagli « stranieri » cioè studenti nelle università prussiane che non avevano la cittadinanza in nessun Stato dell’ Impero germanico: colla parola « studenti » senz’ altro indichiamo tutti 1 frequentatori dell’ Università, qualunque ne sia la nazionalità. 1." Gli studenti per la massima parte, cioè l’ 81,44 per cento provengono dagli studi secondarii classici, perchè questi aprono l’ adito a tutte le Facoltà; i provenienti dal- l’ istruzione secondaria tecnica sono 1’ 8,53 per cento. Il resto, cioè il 9,03, non ha nè l'una né l'altra prepara- zione: sono quelli che o vogliono dedicarsi a professioni pratiche, per cui non hanno bisogno di aver percorso tutti i gradi dell'istruzione secondaria, o che frequentano l'Uni- versità per solo scopo di coltura; per buona parte sono stranieri; si trovano pel massimo numero nella facoltà filosofica come quella che, avendo studi di coltura gene- rale (storia, letteratura, scienze politiche) o di scienza ap- plicata (economia agraria, farmacia, odontojatria), meglio corrisponde a quelle forme di bisogno. Fra gli studenti prussiani e gli altri tedeschi aventi licenza da istruzione secondaria, il 90,54 per cento lo avevano dalla classica, il 9,46 soltanto dalla tecnica. Tale provenienza è studio interessante per la facoltà filosofica, giacchè alle altre non si ha accesso che dall’ istruzione secondaria classica. Si hanno le seguenti cifre: Studenti della Facoltà filosofica provenienti da istr. classica da istr. tecnica 1° nella sezione ( Prussiani 1197 361 filosofico - stori- € Altri tedeschi 196 36 co-filologica TOTALE 1393 397 2.°nella sezione di | Prussiani 449 495 scienze matema- 4 Altri tedeschi 53 T tiche e naturali | TOTALE 503 572 2 ] 581) Appare quindi che nella prima sezione, ove i prove- nienti dall' istruzione tecnica si iscrivono per scopo di col- tura e non professionale, il loro numero è relativamente scarso: nella seconda sezione, che é quella a cui nórmal- mente si avviano, essendo propriamente per tale sezione stato aperto loro l' adito all'Università, essi prevalgono ma per cifra esigua, di guisa che si può dire che anche in tal sezione circa la metà proviene dall’ istruzione classica : il che riduce a limiti assai ristretti l’ importanza dell’istru- zione secondaria tecnica come avviamento all’ istruzione superiore, tecnica. 2. Secondo l'età gli studenti (esclusi soltanto gli stra- nieri) si distinguono nel seguente modo: le) provenienti in generale da istr. classica da istr. tecnica ^ MI 96 da meno a 19 anni 3,75 Sig 2,40 da 19 a 22 pq op f2, 32,65 da 22 a 25 » 41,41 ا‎ 12,59 da 22 a 23 DU TTD {Фе 17,00 da meno a 28 » 62,60 09,02 OR da 25 a 28 » 10,30 9,55 17,48 da 28 a 30 n OE 3009 2,57 da 30 in su 1,41 1,34 2,04 etå ignota 0.99 0,30 0,27 TorALE 100,00 100,00 100,00 Quindi il massimo numero si concentra nella età diui 19 ai 25 anni; quelli però da 23 in giù costituiscono più che i tre quinti di tutta la scolaresca. In tali anni quelli pro- venienti dagli istituti secondari classici erano in: media più giovani che non quelli provenienti da istituti secon- il { ARI | (582) [28] dari. tecnici. In generale gli studenti sono assai maturi o perché arrivano tardi all'Università о perché vi restano lungamente. Studieremo più oltre il fenomeno e le sue cause e conseguenze. La ripartizione dell’ età è naturalmente diversa se- condo le varie facoltà, come risulta dal seguente pro- spetto, Facoltà Facoltà Facoltà Facoltà Facoltà di teol. ov. teol. catt. giuridica medica filosofica Età o A n m m "| Da meno a 23 anni 67,55 59,49 к ый) 55,30 07 4. dameno a49 » UT 2,09 6,29 3,03 3,72 da 19 а 22 » 43,76 38,01 53,46 35,56 38,00 da' 22: a: 25 » 44,38 47,30 34,05 43,96 39,80 ONEN m BB 20,78 18,95 17,42 10,71 10,70 da 2599.28 № add 7,43 47105 0 195,90 19,09 La facoltà giuridica prevale per l'elemento giovanile, forse perché, oltre alla minor durata degli studi, vi si av- viano in gran parte giovani di famiglie agiate, che po- terono frequentare la scuola fin dalla prima età e percor- rere senza interruzione tutti i gradi della istruzione primaria e secondaria : la facoltà medica è quella che inve - ce ha la prevalenza dell’ elemento maturo, anche per la maggior durata degli studi, ed in ciò la facoltà filosofica le sta dappresso. Escludendo sempre gli stranieri, giova investigare se realmente i giovani arrivano troppo vecchi all’ Università. Confrontando la totalità dei giovani dai 19 anni in giü e la totalità di quelli, che si trovano nel primo semestre, sì riscontra notevole preponderanza dei secondi, il che in- dica che la forte maggioranza giunge all’ Università dopo superato già il 19.^ anno di età. Ciò risulta dal seguente prospetto. [29] (583) Studenti in Studenti età di 19 anni nel 1." semestre à; b come e meno di corso Facoltà (a) (b) di teol. evang. JR giocato O N 201207 n 1:4,20 » COMOLCA ОШОО ДӘ » 99216,72 > 1:6,00 giuridica TREO $ 309—14,84 » 1:29:96 medica 107293108 *» 948-7 "0,877 139,25 filosofica.» TOSE o d кети о 1:2,89 TOTALE qae IO » ТАТЕ" > 1:8,18 Ora è certo che questo tardo arrivo all’ Università (e si tratta di circa 1000 studenti) è dannoso ai giovani pel loro avvenire, alle famiglie, che sono obbligate a spender un capitale troppo cospicuo per l educazione, al paese, giacchè troppo tardi i giovani passano dalla classe dei consumatori a quelli dei produttori. 3.° Anche il prolungamento degli studi è in un certo humero di casi eccessivo, come si vede dal seguente pro- Spetto, ove è segnata la durata normale per consuetudine degli studi per ogni facoltà. Studiarono : dei teologi evangelici più di 7, semestri il 7,76 ver cento ) » cattolici » 1 » » 12,67 » » giuristi » 1 » 3.104,40 » » medici » 10 » D on » » lilosofi » 8 » » 24.09 » Ciò può derivare dal passaggio da una facoltà all'altra per cambiamento di studii, da malattia od altro impedi- mento, da volontà o bisogno di studiare di più nella stessa facoltà per scopo scientifico, da desiderio di passar molti (584) [30] anni nella baraonda sempre gioconda della vita univer- sitaria, ecc. Quale parte spetti del fenomeno a ciascuna di queste cause non si può accertare: sulla prima soltanto, come or vedremo, si hanno notizie, che permettono di studiarne le conseguenze : in ogni caso è un merito della statistica quello di permetterci di riconoscere la misura della mani- festazione quantitativa di un fenomeno relativamente anor- male della vita universitaria. Gome il fenomeno si ripartisca fra le varie facoltà può dedursi dai seguenti dati, ovo si tien conto della minima durata legale degli studi : Durata legale Su 100 studenti Dimora all’ Università d gli studi in delle rispettive in semestri semestri facoltà finirono durata media in più il corso nel ter- del termine facoltà mine legale legale di teologia evangelica 6 29,5 7,85 1,85 » cattolica в 38,7 10,70 4,70 giuridica 6 59,8 7,17 17 medica 9 52,0 12,20 9.20 filosofic: : {7 5.0 a) sezione filologico-storica ! 8 4,6 | 11,70 4.70 6 15,7 x b) sezione matematica e di 1 10,6 ( 14,16 b16 scienze naturali 90,8 4.° П cambiamento di facoltà, che porta con sè la per- dita di uno o più semestri ed è causa del prolungamento, poco fa avvertito, di dimora all’ Università, presenta un triplice carattere: 1.°un carattere patologico, quando vi in- fluiscono o le condizioni economiche delle famiglie che ob- bligano il giovano a passare a studi di più breve durata o coi quali gli sarà più pronto il guadagno dopo la laurea О l'esame di Stato, — o la inettitudine (fisica od intellet- tuale) o poca volontà dello studente a proseguire nel- [31] (585) l'ordine di studi prescelto, — 2.° un carattere di pratica necessità, creato talvolta dagli ordinamenti amministra- tivi: così per gli esami di Stato e per entrare nei pubblici impieghi devono gli uscenti dalla facoltà giuridica aver frequentato alcuni corsi di scienze economiche ammini- strative compresi nella facoltà filosofica. Entrambi tali ca- ratteri porgono una forte prova del dispotico impero che sul- l'indirizzo della coltura intellettuale esercitano le esigenze della vita quotidiana: — 3." un carattere di alta vigoria scien- tifica, quando un numero cospicuo di studenti passa da una fa- coltà all'altra per avere o voluto prima compiere gli stu- di preliminari e propedeutici, o voluto poi approfondire gli studi complementari ed affini: e ciò succede in Germania abbastanza spesso per desiderio di più varia e solida coltura. Nelle singole facoltà il passaggio è rappresentato dalle seguenti cifre, le quali si riferiscono ai soli studenti prus- Siani, che appartennero prima ad altra facoltà. Su 100 studenti Guadagno (4-) e perdita (—) appartennero ad altra facoltà delle singole facoltà nell'anno nell’ anno anno scolastico anno scolast. scolastico — scolastico 1886-87 1887-88 Facoltà 1886-87 1887-88 di teol. evang. . 6,24 5,75 “0,08 1,43 » cattolica 14,71 14,99 {- 1,74 + 1,33 giuridica 8,85 10,03 0,50 + 4,94 Medica 11,48 11,64" + 9,17 -|- 8,91 filosofica 6,07 6,03 6,97 14209. MEDIA GENERALE 8,33 8.09 A schiarimento di tali dati bisogna tener presente il se- Suente prospetto, che meglio chiarisce il movimento da facoltà a facoltà. Le cifre si riferiscono pure ai soli stu- denti prussiani : | | | (586) [32] Facoltà a cui si era passato negli anni scolastici 1886-87 e 1887-88 Facoltà di teol, di teol, giuridica medica filosofica а eui si appar- evangel. cattolica teneva anno scolast, anno scolast, anno scolast. anno scolast. anno scol. 86-87 87-88 86-87 87-88 86-87 87-88 86-87 87-88 86-87 87-88 di teol, evang. — _ 1 — 22 35 44 56 64 80 » cattolica — — — — 8 10 19 24 30 38 giuridica 22 19 12 16 — — 91 84 45 39 medica 13 13 8 14 28 38 ` — 24 26 filosofica и 404 45 48 94 1407 342. 109 — س‎ di scienze politiche (esistente in uni- versità non prus- siane) (*) — — sa -— 1 1 ad Mns 10 1 da un ist, tec. sup, 4 1 1 1 8 10 4 4 42 48 TOTALE 147 187 67 79 1601 196 370 367 915 209 Le facoltà di teologia presentano il passaggio special- mente dalla facoltà filosofica (sezione di scienze filosofico- storico-filologiche) per affinità di studi. Peró per la facoltà di teologia evangelica li guadagno fu lieve nell’ anno scola- stico 1886-87, e si mutò in perdita nell’anno seguente. Notevole invece il guadagno della facoltà di teologia cat- tolica, probabilmente per l’ affievolirsi della precedente lotta fra la Chiesa e lo Stato, che aveva indotto molti giovani a rivolgersi prima ad altri studi, specialmente ai filosofico- storico-filologici. La medica ne chiamò da tutte le altre facoltà in gran copia, quindi il suo guadagno è cospicuo: і passaggi in ge- nere furono probabilmente determinati dalla speranza di più pronto lucro per l’ aumentata richiesta di personale sa- (*) Esiste una speciale facoltà di scienze politiche ed economiche nelle Università ci Monaco e "Tübingen. Quindi le cifre del pro- spetto non riguardano che i pochi studenti prussiani prima inscritti in tale facoltà di quelle due Università. [33] (587) nitario e i passaggi dalla facoltà filosofica in ispecie dal- l'aver dovuto i futuri medici farvi gli studi preparatorii helle scienze naturali in essa compresi. La giuridica ne chiamò pure da tutte le facoltà ed ebbe un certo guadagno nell’anno scolastico 1887-88. Lo scorgere però, che il maggior numero proviene dalla fa- coltà filosofica, lascia supporre, che qui il passaggio fosse determinato da scopo scientifico, essendo notorio che molti giovani prima si inscrivono, per compiere i relativi studi, alla sezione di scienze economico-amministrative della fa- coltà filosofica, per poi passare definitivamente alla giuri- dica, dove poi prendono il dottorato o si avviano agli esami di Stato per gli impieghi o la professione libera. La facoltà filosofica ne trasse pure da tutte le altre facoltà. I passaggi si spiegano per affinità di studi: dalle facoltà di teologia si passa specialmente alla sezione di scienze filosofiche-storiche-filologiche, dalla facoltà giuridic: alla sezione di scienze economico-amministrative, dalla fa- coltà medica e dagli istituti d'istruzione superiore tecnica alla Sezione di scienze naturali e matematiche. In complesso peró la facoltà filosofica cede più che non acquisti ele- menti dalle altre facoltà, servendo molti suoi corsi di pre- parazione о complemento agli studi delle medesime : quindi 51 spiega la sua cospicua perdita. Tali dati confermano quanto sopra dicemmo sul triplice Ordine di cause che danno occasione al passaggio da fa- coltà a facoltà; mentre in Italia non ha che un solo ca- Pattere, quello patologico. In Prussia si è potnto rilevare poi il frequente passag- niversità, che è una delle più belle Caratteristiche della vita universitaria tedesca (!), perché gio da Università ad U (4) Su questo costume si possono leggere interessanti notizie, relative a tutta la Germania, nello HAUSMANN, Zur Statistik. der deutschen Universitàlen, nell’ Allgemeines. statistisches Archiv, 1890, 1. Halbband, p. 230 e segg. ab үп 76 (588) [34] così gli studenti possono conoscere territorio e popolo nei loro svariati aspetti, si affrattellano fra di loro anche appartenendo a diverse regioni, veggono e possono udire le più insigni celebrità scientifiche nelle rispettive materie di studio, ecc. Così nell’anno scolastico 1886-87 su 100 studenti prussiani soltanto 83 si immatricolarono per la prima volta in una università prussiana; gli altri 17 sì sciolsero dal vingolo regionale. 5.9 Quale influenza esercita la confessione religiosa sulla tendenza allo studio in genere e nelle singole facoltà? La statistica dimostra, contrariamente a quanto si potrebbe supporre, che la composizione, secondo la confessione re- ligiosa, della scolaresca non corrisponde a quella della po- polazione, come risulta dal seguente prospetto, che si rife- risce esclusivamente alla popolazione della Prussia ed agli studenti prussiani, non agli altri tedeschi nó agli studenti stranieri nelle Università prussiane. Su 100 abitanti maschi Su 100 studenti anno scol. 1886-87 Evangelici 64,24 69,94 Cattolici 34.15 20,12 Israeliti 1,29 9,58 Negli istituti di istruzione secondaria vi erano nell'in- verno 1885-86 le stesse proporzioni all’ incirca; cioè evan- gelici 72,5, cattolici 17,6, israeliti 9,7 per cento degli allievi. Il fatto si spiega avvertendo che la popolazione cattolica è in generale più povera del restante della popo- lazione, ed abita in regioni ove essa è più sparsa nella campagna: la popolazione israelitica invece, oltre alla mag- giore media agiatezza, è concentrata nelle città. Gli israe- liti poi si distinguono per precocità e rapidità di studio: entrano all’Università più giovani degli altri e vi dimorano meno. Su 100 studenti della rispettiva confessione si tro- [35] (589) vano in età da meno fino a 22 anni 43,5 evangelici, 37,9 cattolici, e 56,6 israeliti. Nella facoltà giuridica (parlando sempre dei soli prussiani) studiarono più di 7 semestri l'8,18 per cen- to degli studenti evangelici, il 7,67 dei cattolici, e sol- tanto il 4,35 degli israeliti. Nella facoltà medica studia- rono più di 10 semestri il 9,09 per cento degli studenti evangelici, il 7,69 per cento dei cattolici, е soltanto il 5,10 per cento degli israeliti. Nelle due sezioni filolo- gico-storica e di matematica e scienze naturali della fa- coltà filosofica studiarono più di 8 semestri il 22,76 per cento degli studenti evangelici, il 22,25 per cento dei cat- tolici e soltanto il 19,63 рег cento degli israeliti. L’ impulso all’ istruzione appare anche molto maggiore fra gli israeliti che non nelle altre due confessioni; la cattolica sta più basso della evangelica, ma entrambe sono a grande distanza dalla israelitica, come risulta dal seguente prospetto : Su 10,000 abit. della Prussia masc. israeliti studiarono 61,20 » » » » » evangelici » 9,04 » » » » » cattolici » 1,89 Nelle singole facoltà, traseurando naturalmente quelle di teologia frequentate dai soli evangelici, risp. cattolici, е tenendo conto dei prussiani e degli altri tedeschi, si ave- vano le seguenti proporzioni : (590) [36] su 100 studenti l'acoltà filosofica ingenerale sezione sezione di Confessione Facoltà Facoltà filosofico- — scienze religiosa giuridica medica filologico- matemati- storica che e naturali evangelici Vig E les 58,78 TOO AO cattolici 19,47 ЛУ 16,40 [ШҮ [Ор israeliti 8,87 19,59 7545 7,45 8,2 La diversità di questi risultati non dipenderà soltanto dal fatto della diversa confessione, se si intende tale pa- rola in senso stretto (forma del culto che si presta alla divinità): ma usando la parola confessione per significare un complesso di abitudini e condizioni individuali, fami- liari, sociali, e di stirpe, che si riannodano alla credenza religiosa (ed è in tal senso che la confessione si clas- sifica dalla statistica fra le cause, che modificano la mani- festazione quantitativa dei fenomeni), troviamo qui messo in evidenza un fenomeno di sommo interesse per lo studio della coltura contemporanea. 6.° La più nuova fra le indagini della statistica prussiana in esame è la ricerca della influ :nza della condizione sociale sulla scelta dello studio per parte dei frequentatori delle Università. Come criterio si è presa la professione del padre, essendo quella che determina, sia dall’ aspetto. economico che dall’ intellettuale, la condizione sociale della famiglia. L’ istruzione universitaria è accessibile soltanto con una certa spesa: quindi non è a stupirsi che, mentre nel cen- simento professionale su 100 persone soltanto 26,7 appar- vero indipendenti e ben 62,9 si riconobbero appartenenti [37] (591) al personale di lavoro ed esecutivo, fra i padri degli stu- denti prussiani invece 78,4 siano stati riconosciuti in- dipendenti e soltanto 12,1 appartenenti all’ altra categoria. Tuttavia appare non esiguo il numero di coloro che, ap- partenendo alle classi meno favorite dalla fortuna, cercano di appropriarsi (sia pure per solo scopo di futuro lu- cro) un elevato grado di coltura. Su 1000 studenti prus- siani 297 erano figli di impiegati e maestri privi di istru- © zione universitaria, di sottoufficiali, di personale dipendente nelle industrie, nei commerci, nell’ agricoltura, e di con- tadini, di servi, di operai; il che mostra una diffusione della coltura in basso, che non sarà sempre giovevole a chi l'aequista, ma risponde alle tendenze democratiche del tempo. Vediamo più minutamente la combinata influenza della tradizione domestica (caso in cui il padre ebbe esso stesso un'istruzione accademica) e della forma di ricchezza pos- seduta. Parlando di classe dei professionisti sottoindicati, 51 intende la totalità di coloro che esercitano in modo prin- cipale quella data professione. 1.” I padri, che sono militari, impiegati governativi, pro- lessionisti liberali, presentano il 51 per cento di persone con istruzione accademica, e si trova uno studente su ogni 131 individui appartenenti a tali classi. Ciò sarà anche l'effetto della relativa agiatezza: ma la tradizione dome- Stica di coltura è qui molto potente. 2. Fra i padri viventi di reddito vi è il 12 per cento con istruzione accademica: e si trova un studente ogni 603 individui di tale classe : qui contribuiscono in pari modo € la relativa agiatezza e l’istruzione dei genitori, tanto più che in tale classe vi è un certo numero di pensionati che furono impiegati ed insegnanti (sia pure senza istru- zione accademica). 3.° Fra i padri appartenenti alla: classe degli agricol- tori (proprietari e contadini) si trova pure il 12 per cento Con Istruzione accademica come nella classe dei redditieri : (592) [38] ma non si trova uno studente che ogni 2461 individui della classe. Fra i padri industriali si ha il 13 per cento, poco più che nella classe degli agricoltori, di persone con istruzione accademica: eppure si trova già uno studente ogni 1484 individui della classe. Fra i padri commercianti (compresi gli esercenti l'industria del trasporto) il nume- ro delle persone con istruzione accademica è minimo, ap- pena il 2 per cento: eppure vi si trova uno studente ogni 321 individui della classe. Quindi la ricchezza im- mobiliare agraria, che tiene alla campagna e suscita meno o può meno secondire il desiderio di coltura, dà un lieve contingente all'Università; la ricchezza in- dustriale, che è semi-immobiliare, ed anche sparsa in pic- coli centri, tiene un posto di mezzo quanto a efficacia nello spingere alla ricerca della coltura scientifica, men- tre invece tale efficacia è massima nella ricchezza mobi- liare impiegata nei commerci, la quale, concentrata mag- giormente nelle città, fornisce un notevolissimo contingente di studenti. 4.° Nella classe, per ultimo, in genere destituita di ric- chezza e in cui non si riscontra persona che abbia avuto istruzione accademica, la classe dei servi e degli operai, manca il duplice impulso quasi intieramente, mentre gli ostacoli all’ acquisto della coltura sono fortissimi: quindi si rinviene appena uno studente ogni 14680 persone della classe. La professione del padre influisce sulla scelta della fa- coltà da parte del figlio? Veggasi il seguente prospetto (anno scolastico 1886-87). Facoltà filosofica Elle ome delle. stadio Fac. | Fac. Sez | Sez. | Sez. | Sez. E | Figli di persone della sottoindicata J di di Poe me ; di ns di di “a professione si rivolsero alla ) teol. | teol. | giurie. medica A i filos. | scien. | scien. | farin. ot fevang.| cattol. | Ota e нот mais! econ| ed E \ | | e stor.| e nat. | amm. |odont. Proporzioni a 100 studenti in totale] Proporzioni а 100 studenti della Fac, ne E 1 Impiegali di Stato e comunali con istruzione accademica 1 44 23 23 31 8,5 3 9 у senza istruzione accadem. 4 14 23,5 | 35,5 29 4 2,5 3 Clero — TO 20 16 21 5,2 0,8 4 Medici ta E16 58 26 32 6,2 0,8 (fra cui medici mililari) - (33,4) | (31) |(83,4) { (40) | (27) == (6) 5 Veterinari — j 53 15,5 ] 25 SELF 426 25 6 Farmacisti 93 51 12 21 5 0,8 7 Militari a) ufficiali 3 9,4 28,7 4) 30 24 — 8 » b) sottoufficiali 6,4 392 26 62,5 37,9 sa == m 9 Impiegati militari 995 17 43,5 | 42 32 — 26 — 10 Commercianti ed albergatori a) indipendenti 11 а 16 39 34 43 51 5 13 2 b) personale dipendente 19,5 3 11 24,5 | 42 90 27 15 10 1,5 11 Industriali a) indipendenti 17,5 8 11 26,5 | 37 46 37 10 3 b) personale dipendente 24,5 da 8 30 34 53 38 6 0,7 19 Proprietarii fondiarii 16 75] FE 955 | 27 27 2 9 4 13 Contadmi 30 18 5 25 29 47,5 | 41 6 2 14 Personale dip. ed aiut. nell’ag 23 3 4,5 | 345 | 35 46 33,5 12,5 2 15 Redditieri (compresi i pensionati) 9 2 19 30 40 39,5 | 30 21 16 Insegnanti eon istruzione accad. +7 2 20 23 38 95 39 7 2 47 » senza » » 42,5 6 4 21,5-] 906 65 24 8,5 2 18 Basso personale di servizio 19,5 | 33,3 2,8 ч | 446 ] 80 20 -- — 19 Operai 30 24 2,7 40 6 60 40 — — 20 Senza professione = — — = EIU 30 26 — Media generale 20,5 5 i57 £8 30,8 | 45,5 | 32 18 2,5 [с T3 (869) (594) [40] La condizione sociale determinata dall’ istruzione dei padri, e quindi la tradizione domestica, influisce a far si che i figli di impiegati con istruzione accademica si rivol- gano di preferenza alla facoltà giuridica, dalla quale esce in Prussia il maggior numero degli impiegati superiori. Lo stesso avviene pei figli degli ufficiali: essi si avviano alla facoltà giuridica per entrare poi, come impiegati civili, al servizio dello Stato, cui il padre presta l'opera sua come militare: i figli del clero protestante prescelgono la fa- coltà di teologia evangelica, i figli dei medici borghesi la facoltà medica, i figli dei farmacisti la sezione di farma- cia della facoltà filosofica, i figli dei redditierî (compresi i pensionati), degli impiegati senza istruzione accademica e degli insegnanti con istruzione accademica, la facoltà di filosofia, il vivaio dei futuri insegnanti. Non sarà quella la influenza esclusiva, ma è certo la prevalente: la condi- zione economica resta causa secondaria. Lo si scorge osservando come, dei figli degli impiegati con istruzione accademica, quasi la metà (44 9%) cerchi la facoltà giuridica, dei figli del clero protestante e dei me- dici più che la metà (56,5, risp. 56 ?|;) cerchi la facoltà di teologia protestante, risp. la facoltà medica. Invece 1 figli degli insegnanti con istruzione accademica e degli im- piegati senza istruzione accademica, pur dando la prefe- renza alla facoltà filosofica per la ragione notata, si distri- buiscono anche nelle altre tre facoltà, specialmente in pari grado nella medica; allora soltanto entra in azione la causa secondaria, cosicchè i primi, di regola più agiati, cercano la giuridica piuttostoché la teologica, i secondi la teologica piuttostoché la giuridica. Dove è debolissimo l'impulso della tradizione domestica di coltura sorge 1’ influenza non esclusiva ma prevalente della condizione sociale determinata dalla professione del padre nelle sue conseguenze economiche, nel grado di ricchezza [41] (595) che procura alla famiglia, al che naturalmente si accompa- gna un particolare complesso di sentimenti (frutto dell’ edu- cazione), di aspirazioni (frutto del tenor di vita), di bisogni e di ostacoli (frutto della dimora e della misura del reddito disponibile), il quale si riflette nell’avviamento professionale della prole. I contadini e gli insegnanti senza istruzione accademica, generalmente poveri, e quindi dotati meglio di sentimento religioso che non di coltura intellettuale, spingono i loro figli alla facoltà teologica e poi, ma a notevole distanza, alle due facoltà medica e filosofica. Del pari i fi operai e del basso personale di servizio sono anch’ essi co- gli degli spicui alimentatori della facoltà teologica (i primi special- mente della protestante, i secondi della cattolica), mentre il resto si rifugia quasi tutto nella filosofica, forse perchè la vita delle città, che essi godono più delle due classi prece- denti, suscita meglio al desiderio di entrare nella classe de- gli insegnanti : il che è co nfermato dalla loro preferenza per la sezione filosofico-storico-filologica, d'onde esce propor- zionalmente maggior numero di insegnanti, che non dalla sezione di scienze matematiche e naturali. Il personale dipendente, sia militare che civile, aspira pei propri figli ad una posizione, se non lucrosa sempre, almeno con guadagno più pronto, ma in ogni caso indipen- dente ed onorifica. Quindi i figli dei sottoufficiali vanno pri- ma nella facoltà teologica (la rude disciplina militare non 81 assomiglia forse alla rude disciplina ecclesiastica, il soldato al sacerdote ?), poi nella medica, e poi nella filosofica. Il personale dipendente nelle industrie, nei commerci, nell’agri- coltura ha, salvo una, però non grave, differenza d’in- tensità per ciascuna, quest'ordine di preferenza; prima la facoltà filosofica, seconda la medica, terza la teologica. Che cosa fa invece pei figli il personale indipendente Sia borghese sia militare (impiegati militari)? Qui le due Cause sovranotate si intrecciano ed agiscono in diversa Misura secondo le classi. TIL S vi Д (596) [421 I proprietarii fondiarii ripartiscono i loro figli in pro- porzione quasi identica fra le quattro facoltà: e parmi poterne arguire che i grossi proprietarii fondiarii, essi stessi giuristi, essendo la facoltà giuridica quella dei ricchi, avviano i figli a questa, mentre i minori proprietarii scel- gono le altre. I negozianti ed albergatori preferiscono la facoltà me- dica, e poi la filosofica, indi la giuridica : probabilmente, vivendo essi in maggioranza nelle città, i meno agiati vo- gliono dare ai figli la professione medica, di facile eser- cizio nelle città, e poi quella dell’ insegnante: i più ricchi invece cercano pei figli la giuridica e le professioni ed impieghi che ne conseguono. — G?’ industriali preferiscono largamente la facoltà filosofica e quasi in pari grado la medica e la teologica, poco la giuridica : probabilmente a quest’ ultima accorrono soltanto i figli dei maggiori indu- striali, mentre i figli dei minori si volgono alle altre tre. In ogni caso anche la tradizione domestica influisce in tutte e tre le classi : i proprietarii fondiarii danno notevole contingente alla sezione di scienze economiche della facoltà filosofica, i negozianti ed industriali alla sezione di scienze matematiche e naturali della facoltà stessa. Gli impiegati militari volgono di preferenza i figli alla facoltà filosofica e poi alla giuridica, meno assai alle altre due: forse alla prima vanno i figli degli impiegati militari inferiori, alla seconda quelli dei superiori: e così anche qui il figlio mo- stra di voler in massima seguire la sorte del padre, aspi- rando 1 primi a più modesto ma pronto impiego, i secondi a più alto ma più remoto. I veterinarii, che per la pro- fessione vivono in gran parte alla campagna, e quindi ri- traggono della vita e delle abitudini dei contadini, ma in pari tempo esercitano una professione che si connette alla medica, mandano più della metà dei figli (53 9) alla fa- coltà medica e più che un quarto (25,5 °|,) alla teologica. Un solo fatto eccezionale e non facilmente spiegabile è come mai 1 figli dei medici militari si volgano alla fa- [48] (597) coltà giuridica ed alla filosofica, piuttostochè alla medica, se anche la differenza a disfavore di questa è esigua. Sono forse i loro padri in media più agiati che non i medici borghesi ? Non sembra, perchè vanno in numero cospicuo (33.4 °|,) alla facoltà filosofica e specialmente alla sezione di farmacia ed odontojatria. Sono in media i loro padri meno agiati dei medici borghesi? Non sembra, perchè un pari humero (33,4 ?|) si volge alla facoltà giuridica. Forse la gerarchia militare medica influisce coi diversi gradi e sti- pendii: i figli dei medici militari nei gradi superiori vanno alla facoltà giuridica, per poi entrare negli impieghi su- periori civili: i figli dei medici militari nei gradi medii ed inferiori vanno alle altre due facoltà : il che sembra confer- Mato dal fatto, che i primi sono un terzo (33,4 01), questi quasi i due terzi (31 + 88,4 ^|,) del totale. Possiamo da un altro aspetto studiare in quale misura le varie classi sociali alimentano le varie facolta. In generale ossia prendendo come criterio le cifre Superiori alla media generale considerata come il limite più basso, la facoltà teologica recluta i suoi allievi dalle classi meno ricche, cioè dal clero protestante, dagl’ inse- nanti ed impiegati inferiori, dai veterinari, e dalle classi meno ricche e meno colte in pari tempo, cioè dal per- Sonal e dipendente e dai contadini, dagli operai, dal basso per- Sonale di servizio : di qui le umili, veramente popolari ori- gini del clero, il che è più appariscente ancora pel cat- tolico che non pel protestante. E la vera facoltà demo- Cratica. La facoltà giuridica trova i suoi frequentatori special- Mente nei figli dei proprietarii fondiari, dei redditieri, degli impiegati superiori civili e militari, degli ufficiali, degli insegnanti superiori : si tratta di famiglie di una re- lativa agiatezza, perchè proba bilmente qui abbiam che fare ^on quelle che realmente prevalgono, per ricchezza, anche nella rispettiva classe, ed il eui capo è dotato di un grado (598) [44] notevole di istruzione. È la-facoltà aristocratica o pluto- cratica. La facoltà medica è alimentata dai figli dei medici e veterinarii in prima linea, e chiama a sè pure in cifre co- spicue la prole di genitori occupati nella. produzione ed acquisto della ricchezza materiale, come negozianti e per- sonale dipendente nelle industrie e nei commerci: note- volmente poi anche i figli dei sottufficiali. In generale però, forse per la lunghezza del corso, è frequentata dalle classi poco agiate e colte meno di quello che si suppone, e vi prepondera la classe media. E Ja facoltà borghese, sia pure con prevalenza della borghesia minuta. Nella facoltà filosofica si spiega come alla frequenza con- tribuiscano tutte le classi, osservando che essa contiene corsi propedeutici е complementari a quelli delle altre facoltà, e più specialmente corsi di coltura generale, ri- cercatissimi in Germania, dove l’amore a tali studi è acceso e tenuto desto per molti anni dalla coltura secon- daria classica. La sua complessione così svariata poi attrae anche permanentemente dalle varie classi, e quindi dall’aspetto sociale non ha carattere così spiccato come le altre fa- coltà. Vi concorrono J’ aristocrazia intellettuale rappre- sentata dai figli degli insegnanti superiori e dei medici militari, la grassa borghesia rappresentata dai figli degli industriali e dei negozianti indipendenti; non mancano le classi di fortuna media e di coltura anche media, come i figli dei redditieri, dei farmacisti, degli impiegati militari, degli impiegati senza istruzione accademica, ed, in un grado ‘anche inferiore, i figli del personale dipendente nelle industrie, nei commerci, nell’ agricoltura, fin che si arriva alle classi veramente infime per coltura e ricchezza, i figli di operai e del basso personale di servizio. Per lo esame delle singole sezioni, bisogna occuparsi soltanto delle classi che danno in complesso alla facoltà un contingente superiore alla media generale (30,8 "|, [45] (599) degli studenti) e poi per ogni sezione trascurare le cifre inferiori alla media generale della sezione stessa, con- siderata come il limite più basso. Ne risulta che la se- zione filosofico-storico-filologica attira proporzionalmen- te la parte maggiore dei figli di tutte le or accenna- te classi: stanno in prima linea i due estremi, la classe più colta, cioè i figli degli insegnanti superiori, e la meno colta e più povera, cioe i figli degli operai e del basso personale di servizio: fra tali estremi si scende giù giù gradatamente nella scala o della coltura o della ricchezza, o di entrambe, coi figli degli impiegati senza istruzione accademica, degli industriali indipendenti, del personale dipendente nelle industrie, nei commerci, nell’ agricoltura. Così quei valorosi insegnanti, che tanto alto portarono l'istruzione secondaria classica in Prussia, si trovano pro- venire da tali classi in numero cospicuo. Nella sezione di scienze matematiche e naturali non soltanto si formano gli insegnanti, ma anche i tecnici, e perciò vi prevalgono proporzionalmente coloro che cercano, secondo i casì, entrambe tali occupazioni, come i figli degli operai, del personale sia dipendente che indipendente nelle industrie e nei commerci, del personale dipendente nel- l'agricoltura. Per quelle altre professioni poi, che in totale mandano alla facoltà filosofica un contingente superiore alla media generale, si vede che nella sezione di farmacia e di odon- lojatria sono numerosi i figli dei farmacisti, dei medici militari, degli impiegati militari, dei redditieri. Quindi la sezione filosofico-storico-filologica tende ad essere più democratica, che non le sezioni di scienze ma- tematiche e naturali e di farmacia e di odontojatria, le quali servono principalmente alla classe media, appunto come la facoltà medica. L’ osservazione si riferisce a troppo breve periodo di tempo per poter dire che queste conclusioni hanno il valore di leggi empiriche e rappresentano lo stato normale del fe- (600) [46] nomeno. Quindi per ora considerando i risultati piuttosto come primi indizii del vero stato delle cose, compiaccia- moci che sia stato fatto un serio energico cosciente tentati- vo di studiare col sussidio della statistica l’influenza delle condizioni sociali sullo svolgimento e i caratteri della istru- zione superiore. К mentre penso con una certa mestizia, che questi ri- sultati si ottennero specialmente con una riforma nella tecnica della rilevazione statistica, 1° adozione, da me pro- posta per tale indagine fin dal 1885 ('), della scheda о bollettino individuale, mentre mi spiace di dover dire che la nostra statistica dell'istruzione superiore è la più trascu- rata, anzi la sola trascurata delle nostre pubblicazioni stati- stiche ufficiali, esprimo la speranza che l'esempio della Prussia possa trovar presto solerti imitatori negli egregi uomini, a cui sono presso di noi affidate le sorti della sta- tistica ufficiale e della istruzione superiore. (4) Nella mia citata prelezione, p. 33, nota. SUL GANGLIO GENICOLATO E SUI NERVI CHE GLI SONO CONNESSI. Ricerche anatomiche DEL, DOTT RIOD OLAKO P ENZO (Continuaz, della pag. 364 di questo tomo) Il Discnorr nella sua tav. XI ci presenta la corda unita al ganglio otico mediante parecchi cordoncini, che sem- brano originarsi dal ganglio anzidetto ; cordoncini forniti di piccoli gangli, che danno origine a ramoscelli nervosi. Al- cuni di questi accompagnano la corda nel suo decorso pe- riferico ; altri pochi si volgono al contrario centralmente verso il tronco della corda del timpano. Ho accennato altrove all’ asserzione del xAUBER, che, Mediante queste anastomosi col ganglio ойсо, la corda ottenga fibre gustatorie provenienti dal glosso-faringeo. Nel punto di unione del linguale con la corda del timpano si forma, secondo il Sarpry, il Вїзснокк e il CA- LORI, un plesso intricatissimo, attraverso il quale sarebbe Impossibile seguire anatomicamente l' andamento dei fa- Scelti nervosi, che lo compongono. ` “II (602) [36] ПП. Ommetto, per amore di brevità, la descrizione dei me- todi usati in questo mio studio, essendoché essi non sono che applicazioni di quelli già conosciuti. Dirò nondime- no, a suo luogo, di qualche maniera speciale con cui mi valsi di alcuno tra essi, e di qualche modificazione con la quale mi studiai di adattarli allo scopo delle mie ri- cerche. Qui noteró soltanto, che mi riuscirono assai utili le dilacerazioni col mezzo degli aghi, eseguite con l'aiuto del microscopio semplice, o del sistema di ВийокЕ (a luce riflessa o rifratta); e che mi giovó pure molto la tratta- zione previa dei nervi freschi, o induriti nell’ alcool, con l acido acetico (immersione per parecchie ore in una so- luzione al З 9|,). Le mie ricerche furono eseguite non solamente nel- l'uomo, ma ben anche in alcuni bruti. Il MoRrGANTI studiò con diligenza il ganglio genicolato, oltreché nell’ uomo, negli animali seguenti: cavallo, bue, mulo, asino, vitello, agnello, cane, ghiro. Le mie osservazioni, fatta eccezione per il mulo e per il ghiro, si riferiscono alle stesse specie; ma si estesero inoltre a queste altre: maiale, gatto, coniglio, ratto, sor- cio, ed ad un rappresentante della classe degii uccelli, al pollo d' India. A) Uomo. 1) Radici esterne del n. intermediario. Il n. intermediario possiede nell’ uomo due radici [87] (603) esterne (1): l'una anteriore, e l’altra posteriore. L' an- teriore si presenta più grossa dell’altra; ed è costituita da uno o più fascetti di fibre nervose, che emergo- no fra le origini apparenti del facciale e dell’ acusti- co. La radice posteriore, più gracile della prima senza eccezione, spunta nelle vicinanze del glosso-faringeo (sem- pre però vicina all’ VIII) ; e si pone, insieme alla prima, fra il VII e l'VIII pajo dei nervi cerebrali. Tale è il tipo nella sua essenza. Queste due radici offrono spesso però, secondo i vari individui, ed anche fra i due lati di un medesimo soggetto, alcune differenze. Esse riguardano : 1) la loro grossezza, che varia non solamente per cia- Scuna d’ esse, ma ben anche per l’ intermediario conside- rato nel suo insieme ; 2) il luogo d'origine della radice anteriore ; la qua- le, sebbene esca sempre fra il VII e P VIII, qualche Volta si vede nascere insieme all' acustico, come il RAUBER Mostra nella fig. 1 della tav. IV."; ed esce pure alcune volte dal tronco di quel nervo. 3) il luogo d’ origine della sua radice posteriore ; il quale si presenta, quando più quando meno vicino a quello proprio alle radici del glosso-faringeo, ma vicinissimo a queste in ogni caso. (1) Intendo denotare con questo titolo due gruppi di fascetti, che si uniscono poscia in un cordone unico, formando il nervo in- termediario. Delle due radici, chiamo anteriore l’ una e posteriore Y altra, invece che maggiore e minore, per evitare la confusione con le due radici del facciale tutto intero. Per queste due ultime resta- "0 conservati i titoli di radice grossa (n. facciale in senso stretto) ¢ radice sottile (n. intermediario). Intorno alla descrizione datane dal WRISRERG-SOEMMERING, V la parte 1, Dac. o. ТОЛ, S VI 78 (604) [38] La descrizione data dal BARBARISI, riguardo al punto d'origine della radice posteriore prossima al IX pajo, non è conforme a quanto fu da me osservato ; anzi devo dire, che non ebbi mai a vederla sorgere nel luogo da esso in- dicato, né comportarsi ulteriormente come egli ebbe a dichiarare. Richiamata l'attenzione degli Anatomici e dei Fisiologi sulla prossimità che presenta | origine d'una porzione del . intermediario rispetto alla origine del IX; noterò al- ч che in un caso trovai, appunto nel luogo stesso, un’a- nastomosi fra i due nervi, come lo dimostro nella ШИ tav. I, corrispondente ad una preparazione, che si con- serva tutt’ ora in alcool in questo Istituto d'Anatomia. Si vede in essa, che la radice posteriore dell’ interme- diario nasce, con uno dei suoi fascetti, subito davanti al punto d’origine del glosso-faringeo ; il quale si pre- senta unito a quel fascetto mediante un esile filamento anastomotico (4) foggiato ad arco, che rivolge la sua con- vessità verso il centro midollare. Delle due estremità dell’ arco, l’ una si connette peri- fericamente con la radice posteriore dell'intermediario, l'altra con quello tra i fascetti delle radici esterne del glosso-faringeo, che si trova più vicino all’ acustico. Attenendosi alla direzione apparente del tralcio ana- stomotico in discorso, dovrebbe dirsi, ch’ esso unisce fibre periferiche del glosso-faringeo con fibre periferiche del- l’ intermediario ; od in altri termini, ch’esso costituisce un'ansa anastomotica, che, chiusa verso il centro, rivolge le due branche del suo arco alla periferia. Ma in tal caso, le fibre dell’anastomosi costituirebbero un nervo mancante affatto di connessione con cellule nervose di ‘un nucleo centrale. Non potendosi ammettere che siffatta connessio- ne manchi, si dovrebbe ritenere, che le fibre in discorso si congiungano all’ uno dei loro capi con le cellule gan- glionari del genicolato ; oppure con quelle del ganglio pe- [39] (605) troso del IX ; od anche simultaneamente, aléune con le prime ed altre con le seconde. Si possono quindi formulare teoricamente sulla dire- zione di quest’ anastomosi le ipotesi seguenti : a) ch'essa sia data da fibre, le quali passino dall’ in- lermediario al IX, previo ripiegamento in direzione cen- trale; e proseguano poscia nel loro cammino con la por- zione periferica del glosso-faringeo. 8) che l’anastomosi sia data da fibre del glosso-farin- 8 l' opposto dal IX allintermediario , seguendo poscia in direzione periferica l' andamento di quest’ ultimo. geo, che, dopo essersi ripiegate verso il centro, passino al- ү) che l'anastomosi avvenga per alcune sue fibre se- condo la forma «), e per altre secondo la forma p). L' andamento dell' intermediario nel condotto auditivo interno offre tante varietà, da non poterne dare una de- serizione che le comprenda tutte; varietà che riguardano | suoi rapporti tanto coi due nervi fra i quali procede, quanto quelli che passano fra le due radici ad esso proprie. Infatti, procedendo nel meato auditivo interno, l’ inter- mediario rimane alle volte distinto nelle due porzioni cor- rispondenti alle sue radici; altre volte queste si presen- tano al contrario unite; altre volte infine benché di rado, esse sono divise in molti fascetti. Ad ogni modo, il suo posto è costamente fra il VII e lvi pajo (fatto esposto in forma semplice e chiara dal SOEMMERING quando lo chiamó « portio inter nervum com- Municantem faciei et auditorium intermedia »). Ma stando pure fra quei due nervi, l'intermediario. si addossa, a se- conda dei casi, quando più all'uno, quando più all’altro; Ma poi da ultimo, ad un certo punto del suo decorso, punto non uguale in ogni caso, si unisce al tronco del ‘acciale (alcune di queste varietà sono discusse e dise- State nel lavoro del Drsenorr più volte citato). È І (606) [40] 2). Anastomosi fra il. VII рајоне ТУШИ, — Anastomosi. fra le due radici del VII a) Anastomosi fra il VII pajo e l'VIII. — Nel tratto percorso dalle radici di questi due nervi, avvengono tra essi le due anastomosi, l'una mediale, l'altra laterale, altrove già menzionate ('). L anastomosi mediale (interna) avviene, о al punto d'ingresso dell’ intermediario nel meato auditivo interno, oppure nel suo corso lungo il meato anzidetto. Credo in parte abbiano ragione gli autori (SCARPA, LON- GET, BISCHOFF, BECK, CRUVEILMIER, SAPPEY, RAUBER, Ca- LORI) che ritengono essere l’ anastomosi mediale apparente o a dir meglio temporanea; che sia costituita cioè da fibre, che dapprima passano dal facciale all’ acustico, secondo al- cuni, o dall’ intermediario all’ acustico secondo altri; ma che poscia ritornano più oltre al facciale о rispettivamente all’intermediario. Ad ammettere che abbiano ragione in par- te, sono indotto da ciò, che, attenendomi ai risultati delle mie ricerche, mi credo autorizzato ad affermare, che la- nastomosi in discorso avviene tra l intermediario e l acustico; ch essa è in parte apparente, ma in parte anche anastomosi vera, perché alcune delle sue fibre, do- po esser passate dall’ intermediario all’acustico, procedono poscia unite a quest’ ultimo. L'anastomosi comincia mediante un numero vario di filamenti che vanno dall’ intermediario all’ VIII pajo; ma alcuni tra essi stanno semplicemente addossati a quest’ ul- timo, dal quale possono staccarsi con tutta facilità me- diante l'aiuto di agli adoperati col sussidio del microsco- pio semplice, oppure giovandosi del sistema di DRÜCKE (1) V. Parte I pag. 10. Intorno alla scelta dei due termini « mediale e laterale » si veda quanto ne fu detto nella Parte 1 alla pag. 11. [41] (607) (fibre dell'anastomosi apparente); altri filamenti non si possono assolutamente disgiungere dalla branca vestibolare dell'acustico (fibre dell' anastomosi vera). I fascetti di fibre appartenenti all'anastomosi tempo- ranea od apparente (tav. I, fig. 2, ap), passati che sieno dall’ intermediario all'aeustico, si portano fino al ganglio vestibolare, lo attraversano e tornano al VII assocciandosi ài filamenti dell’ anastomosi laterale fra il VII e PVII (!), raggiungendo in seguito il ginocchio del facciale. Intorno alla verità di quanto affermo in proposito, non havvi alcun dubbio. Tengo tuttora una preparazione, ricavata da un bambino (di undici mesi), la quale mostra questo fatto anatomico in maniera evidente. Vedesi, in questa preparazione, un fascio piuttosto gros- Setto dell’intermediario (Tav. I fig. 3-4, ap) portarsi alla branca vestibolare dell’ acustico come ramo di anastomosi mediale; poi, girando intorno all'anzidetta branca vestibola- re, avviarsi al ganglio vestibolare ; giunto al quale, lo attra Versa, volgendosi poscia insieme ai rami dell'anastomosi laterale al ginocchio del facciale. (1) Il His (jun.) afferma, che nel feto umano di 3 mesi, non 8I vede il n. intermediario, perchè questo non occupa, come nel- P adulto, P interstizio compreso fra il VII e P VIII pajo; ma de- corre unito ai tronchi dei due nervi anzidetti. Secondo quel- P Autore, le anastomosi tra il facciale e T acustico, quali si pre- sentano nell'adulto, sarebbero conseguenza della disposizione ana- tomica che il n. del Wrisberg presenta, rispetto ad essi, nei primi Mesi dello sviluppo embrionale. I risultati delle ricerche embriologiche confermano adunque in parte le conclusioni tratte dalle mie ricerche: che cioè le anasto- mosi fra il VIT e P VIII pajo sono formate da fascetti nervosi ap- partenenti alla porzione piccola del facciale, ch'è quanto dire al n. intermediario. (608) [42] I fascetti di fibre dell’ anastomosi mediale, rappresen- tanti l’ anastomosi vera, passano dall’ intermediario all’ a- custico, ed in questo si fermano stabilmente. Resta a vedersi però, se, come pensa il DEck, le fibre di questa seconda forma di anastomosi non sieno altro che fibre dell’ VII, le quali accidentalmente commiste fin dalla loro origine apparente alle fibre della piccola por- zione del facciale, giungano per la via dell’ anastomosi mediale all’ acustico, col quale sono destinate a procedere perifericamente. Bisogna riconoscere, che per ragioni em- briologiche (‘), questa opinione apparisce ammissibile. A mettere in chiaro questo punto, gioverebbe l'esame paziente di tagli seriali parallelli all'asse di quei nervi, sottoponendo a quest’ analisi tutto il tratto compreso fra il punto della loro origine apparente e il fondo del meato auditivo interno. Non sarà forse superfluo ch'io noti qui, come alcune sezioni traversali dell’ intermediario, fatte a livello della sua origine apparente, mi abbiamo lasciato vedere, insieme a sezioni di fibre nervose midollari, appartenenti indubbia- mente all'intermediario, anche areole particolari, le im- magini delle quali (V. più oltre) corrispondevano pie- namente a quelle di sezioni trasversali dell'acustico (bran- ca vestibolare). Il BARBARISI ammette, come si è detto altrove (V. pag. 13), che l’ anastomosi mediale sia formata da fibre, che dal ganglio sfeno-palatino vanno per la via del n. petroso superficiale maggiore al ganglio genicolato, da questo al n. intermediario, e poscia per la via dell'ana- stomosi mediale alla faccia superiore dell' acustico. L’ Autore poi asserisce, che le fibre di quest’ anasto- mosi mediale si portano all organo dell’ udito insieme а (1) Vedi la pag. 10. [43] (609) quelle proprie all’ acustico. Bisognerebbe quindi ammette- re, che le fibre in discorso, passate centripetamente dal- l’intermediario all'aeustico, in questo si ripiegassero di nuovo periferieamente per raggiungere la loro destina- zione nell'organo dell’ udito. L'anastomosi laterale (esterna) fra il ganglio genico- lato e il ganglio vestibolare, è ammessa generalmente da- gli autori che ne scrissero più di recente, quali il RAUBER il KRAUSE, lo SqmwALBRE. Il ganglio vestibolare o dello Scanpa, contiene cellule ganglionari ovalari, fornite dei comuni caratteri. Sono di grandezza varia; misurando le più piccole nel loro dia- Metro maggiore 27 p, nel minore 24 y; e le più grandi 17 w nel maggiore e 36 y nel minore. Questo ganglio è in rapporto di unione col ginocchio del facciale mediante due sorta di filamenti, che formano nel loro insieme l'anastomosi laterale. Essi sono. a) filamenti (di colorito bianco), che, provenienti dal- l'intermediario per la via dell'anastomosi mediale, vanno al ginocchio del facciale traversando, come si è detto, il ganglio vestibolare. 8) filamenti (di colorito alquanto grigio) che uniscono direttamente il ganglio vestibolare al ginocchio del facciale, e che non si possono seguire centralmente, fra le fibre della branca vestibolare, al di là dell’ anzidetto ganglio vesti- bolare. Riguardo alla direzione di questi filamenti, visto il loro colore, avrebbe fondamento la supposizione, che l’anastomosi sia costituita da fibre appartenenti al sistema del n. simpatico, e dirette dal VII all’ УШ. Ma non sa- rebbe da escludersi però in modo assoluto la direzione versa; o se non per tutte, almeno per una parte delle fibre che la compongono. I filamenti anastomotici о) e 0) camminano uniti gli uni agli altri fino al primo ripiegamento a ginocchio del facciale. (610) [41] Ivi, alcuni passano al ganglio genicolato, dirigendosi verso il suo apice, come se tendessero ad unirsi col n. petroso superficiale maggiore (sino al quale non mi riusci però di seguirli); altri invece, passano perifericamente nel tronco del facciale, ove del resto non potei tener loro dietro che per pochi millimetri (tav. I, fig. 2, al). In un caso mi sembrò vedere questi ultimi filamenti addossarsi ad un fascio (C) di fibre, che uscivano dall’ an- golo anteriore del genicolato (fascio che sarà descritto più avanti). Secondo pensano il KRAUSE, l’ ARNOLD e il VALENTIN, fibre del simpatico, contenute nel petroso superficiale mag- giore, passano da quest'ultimo al ganglio vestibolare, o inversamente dal ganglio vestibolare al n. petroso super- ficiale maggiore. Non ho motivo a contestare la verità di queste loro asserzioni: ma da qual luogo provengono nel primo caso fibre siffatte? e dove vanno a terminare nel secondo ? (!). b) Anastomosi fra l'intermediario (radice piccola del VIT) e il facciale in senso ristretto (radice grande del VII). — Il modo di unione, fra le due porzioni accennate del facciale, mi offri molte varietà. Queste sono ricordate da alcuni autori mediante l'asserzione semplice, che la pic- cola porzione del facciale si unisce alla grossa; ma questa asserzione non può dirsi sufficiente quando, come si fa (1) Giusta l’asserzione del Krause (pag. 935), i filamenti deri- verebbero dal plesso meningeo medio, mediante il n. petroso su- perficiale terzo (V. pag. 26). Allora bisognerebbe ammettere, 0 un’ anastomosi fra il piccolo e il grande petroso superficiale (e sarebbe 1 anastomosi descritta alla pag. 29); o che il ramo supe- riore pel piccolo petroso superficiale (V. pag. 97) tributasse al ganglio genicolato fibre del simpatico. [45] (611) da quelli, si taccia 0 si dica troppo scarsamente di alcuni particolari, che credo meritevoli di nota. L'unione avviene entro al condotto auditivo interno, in un punto che varia, tanto riguardo alla sua distanza dal fondo di quel meato, quanto riguardo al punto lungo la circonferenza del facciale su cui accade l’anastomosi : essendo questo punto alle volte prossimo alla periferia superiore, altre volte presso al mezzo della periferia po- steriore, ed altre infine verso la parte inferiore di quel nervo. . Avuto riguardo alla massa principale delle fibre pro- prie all' intermediario, si potrebbe dire, che, nella gran maggioranza dei casi, esso incrocia obbliquamente i fasci del facciale (la sua porzione grossa); che nel luogo d’ in- contro alcuni di questi ultimi formano un plesso con altri dell’ intermediario, il quale si dirige poscia verso l'angolo posteriore e verso la base del ganglio genicolato. In qualche preparazione mi riusci di constatare, che il n. del Wrisberg, nel punto in cui si addossa alla radice grossa del facciale, cede qualche filamento a quest’ ul- lima. Non ho mai veduta la grossa e la piccola porzione del facciale separate 1’ una dall’ altra per mezzo di una guaina particolare e di un arteriuzza, come descrive il SA- POLINI. Quantunque il facciale presenti, com'é già noto, in corrispondenza del ginocchio un considerevole intrec- cio dei suoi fasci, tuttavia mi fu possibile distinguervi in ogni caso due gruppi: l'uno formato da fasci; che, senza intrecciarsi fra loro, continuano poscia il loro cammino in direzione periferica senza unirsi al ganglio; l'altro composto da fasci, che, variamente intrecciati fra loro, Seguono in parte (e sono i più) col primo gruppo il cam- mino periferico del facciale, ed in parte (e sono in nu- Mero minore) si uniscono alla base del ganglio colato. geni- © AS VIT 19 (612) [46] Egli è fuori di dubbio, che ivi alcuni fascetti nervosi passano dal facciale al ganglio ('). L’ esame attento sul- l andamento degli esili fascetti nervosi che formano que- sta unione, fa pensare, che alcuni sieno dati da fibre, le quali dalla porzione centrale del facciale si portano al ganglio genicolato; ed altri, molto più numerosi, sieno costuiti da fibre, che, uscendo dalla base del ganglio ge- nicolato, si portano perifericamente al tronco del fac- ciale. 3) Ganglio genicolato. Il margine convesso del ginocchio del facciale offre una prominenza triangolare (a rigore, piramidale schiac- ciata), rivolta con l'apice al hiatus del canale del Fal- loppio; apice che sta in continuità col n. petroso su- perficiale maggiore. — Questa prominenza, che contiene cellule ganglionari, ottenne il nome di ganglio genicolato. La sua grandezza non è eguale in tutti gli individni. Gli elementi cellulari nervosi che ne formano parte, sono ton- deggianti e variano nel diametro da 30 u a 60 y (°). L’ opinione del CmavEAUx, che il -ganglio genicolato faccia corpo col facciale (v.a. d. e con l' una e con l'altra delle sue radici), se vale per il cavallo, non corrisponde à quanto si osserva nell'uomo. Del resto non posso con- venire col BARBARISI ed altri, che negarono ogni rapporto di unione fra il ganglio genicolato ed i fasci del facciale ; ma bensi con la maggioranza degli Autori (HENLE, BISCHOFF, RAUBER, SAPPEY, MORGANTI, BRINTON ecc.), che ritennero (1) Attenendosi alle indagini embriologiche del His (sen.), do- vrebbe dirsi, che vadano dal ganglio alla radice. A prevenire qual- che confusione che potrebbe derivare se nell’ esposizione dei fatti mi attenessi alle ragioni embriologiche, li descriverò nella maniera che è comunemente in uso. (2) Non ho fatta nessuna ricerca sulle connessioni delle cellule ganglionari con le fibre nervose. [47] (618) essere la piccola radice del facciale quella che specialmente, quantunque non essa soltanto, entra nel ganglio genicolato. Il n. intermediario del Wrisberg s'insinua nel ganglio genicolato in corrispondenza dell’ angolo posteriore ed an- che della parte posteriore della sua base, ove sparpaglia le sue fibre. In qualche caso ho veduto, nel modo più chiaro, un esile fascetto dell’ intermediario portarsi, lungo il margine posteriore del ganglio, al n. petroso superficiale maggiore. Nell’ analisi anatomica del ganglio genicolato, tentai più volte di seguire nel suo interno i vari fascetti ner- vosi che lo percorrono; ma il loro andamento è si com- Plicato, che i miei tentativi non riuscirono ad un risultato definitivo. Tanto con tagli eseguiti in direzione tangenziale alle faccie del ganglio, quanto con quelli condotti in direzione perpendicolare alle stesse, ottenni una serie di sezioni, le quali, all’ esame microscopico, davano immagini talmente complicate, che, nei tentativi di coordinarle tra loro, non pervenni mai a farmi un'idea chiara intorno ai rapporti degli elementi nervosi che ne formano parte. Avrei avuto forse miglior fortuna, con l'insistere in questo Metodo di ricerche, e valendomi di buone immagini fotogra- fiche; ma nè il tempo, nè i mezzi Чї studio mi avrebbero concesso di tenere questa via. Forse la resezione dei nervi, col provocare la degene- razione nell’ uno о nell’ altro tra quelli che entrano nel ganglio genicolato, potrebbe giovare a darci più esatte cognizioni sull'argomento. Tuttavia, poiché questi esperi- menti non potrebbero eseguirsi che negli animali, reste- rebbe il dubbio se le conclusioni ricavate dalle prove spe- "mentali fossero applicabili anche all’ uomo. Sarebbero meglio fondate certamente, quelle che si traessero da condizioni patologiche ; ma l' esame preciso e l'esatta interpretazione di queste presenterebbe per altro gravi difficoltà. 1) N. petrosò superficiale maggiore. Questo nervo si unisce con 1’ apice del ganglio geni- colato. L'esame microscopico di tagli condotti in direzione pa- rallela alla tangenziale sulla faccia superiore del ganglio, mostra che il petroso superficiale maggiore, raggiunto il ganglio, vi penetra e si disperde in esso con le sue fibro. In qualche caso ho veduto chiaramente un fascetto del petroso superficiale maggiore ripiegarsi lungo il margine anteriore del ganglio verso il tronco periferico del fac- ciale; non mi è però riuscito mai di isolare o seguire di- stintamente questo fascetto in modo tale, da rimanere affatto certo del suo passaggio nel tronco anzidetto. Secondo il BarBaRISI, il petroso superficiale maggiore riceve dal ramo carotideo del ganglio cervicale supe- riore del simpatico (0 n. petroso profondo) un fascettino di fibre, le quali si assoccierebbero al petroso superficiale maggiore per raggiungere con questo il ganglio geni- colato (!). A verificare tale asserzione, ho eseguite quattro pre- parazioni, sottoponendo sempre all'esame microscopico il punto d’ unione del petroso superficiale maggiore col pe- troso profondo ; ma devo dichiarare, che non mi venne mai dato di scorgere, in questo punto, alcun passaggio di fibre nervose dal petroso profondo al petroso superficiale maggiore nella direzione del ganglio genicolato, come il BARBARISI descrive e disegna nella fig. 4 della sua Memo- ria più volte citata. Nelle mie preparazioni non ebbi mai a vedere neppure il ramoscello, che, secondo alcuni anatomici, congiunge il petroso superficiale maggiore col plesso timpanico (У. Parte I, pag. 23). (1). V. Parte I, alla pag. 26. [49] (615) Devo avvertire però, che la mia attenzione non fu diretta in modo particolare su questo punto. Quindi non nego che quel ramoscello abbia potuto sfuggire alle mie osservazioni ; del che la facilità sarebbe stata maggiore se fosse vero, che la sua presenza non è costante. 5) N. petroso superficiale minore. Riferendomi a quanto dissi altrove sull'origine sull'an- damento e sulle connessioni di questo ramoscello nervoso, aggiungo qui: che non lo vidi mai corrispondere alla de- serizione che ne danno alcuni anatomici, per quanto con- cerne il ramoscello anastomotico con cui lo vogliono unito al ganglio genicolato (V. Parte I pag. 29). Constatai invece qualche volta la disposizione ricordata dal Krause, e la presenza dei piccoli vasi descritti dal Biscuorr (V. Parte I. pag. 29). Devo notare però che le le mie ricerche sul petroso superficiale minore furono poco numesose, sicchè vale anche рег esso quanto dichia- rai riguardo alle mie osservazioni sul petroso superficiale Maggiore. Studi Storici SULLA FILOSOFIA PADOVANA NELLA 2.4 META” DEI, SECOLO DECIMOQUINTO DEL PROF. PIETRO RAGNISCO (Seguito della pag. 266 del presei te lomo) ә к САР. Ш. Alcuni cenni sulla vita del Vernia. Non essendo di quest’ uomo conosciuto quasi nulla della Sua vita, e financo ignorata la sua patria, cercherò, per quanto ho potuto, di raccogliere varie notizie attinte dai Suoi stessi scritti e dal suo testamento, perché si possa avere come una piccola biografia. Il Vernia aveva nome Paolo Nicola, ed era propria- Mente della città di Chieti ('). Il padre aveva nome An- tonio : ed una sua sorella chiamata Caterina ebbe varii figliuoli. | Credo che abbia avuto altri parenti già morti nella sua età avanzata, perchè quando era giovane, si recava da Padova a Chieti per rivederli, nel tempo delle vacanze universi- tarie. La moglie sua di nome Margherita era morta da (1) Statueram in dulcem patriam, hoc est Theatinam urbem redire, dice nella lettera ad Enrico, Arcivescovo di Matera, gover- Паќоге dello studio di Napoli. Nicola Manupello è da lui nominato 8"0 compaesano: tum quia affinis et conterraneus meus clarissimus Phisieus ei medicus Nicholaus Manupellus Theatinus in tuis lari- bus fuit aeducatus. Nella lettera a Sebastiano Daduario, censore di enezia. (618) [28] molto; alla quale aveva fatta la donazione dei suoi beni che aveva a Chieti, perché il cognato Pietro de Salvato, se il Vernia si fosse negato, aveva minacciato di ucciderlo. Ma questa donazione fu rivocata da lui in fin di vita, e fu fatta invece ai figliuoli di Caterina. La casa che aveva a Chieti, era vicina all’ ospedale dello Spirito Santo ; e non era la sola proprietà che vi aveva, ma eziandio molti beni, » sopratutto un bel podere di olivi e di vigne nel sito Vagraria, del distretto di Chieti. Come venne a Padova, non è detto; ma è facile sup- porre che sia quivi venuto attratto dall’ amore degli studii per perfezionarsi in questa Università. E non era una cosa nuova e straordinaria pei meridionali d’Italia ('), perché sappiamo che il Nifo venne anche lui a Padova a studiare ; ma siccome non aveva mezzi per mantenersi e fare il viaggio, egli venne come precettore di alcuni giovani na- poletani (°). Non credo che il Vernia sia stato privo di mezzi, perchè i beni che aveva а Chieti, non erano stati da lui acquistati, e questi li cedette ai nipoti di sua sorella; mentre quelli che aveva a Vicenza, come che acquistati dalla sua fatica professionale, furono donati ad altri (°). Egli dunque si mantenne a sue spese a Padova. Pare ad Eloy che il Vernia sia stato chiamato da Chieti ad insegnare a Padova, e che abbia preferito questa Uni- versità per la gran libertà che vi si godeva, di ragionare (1) Fra gli abbruzzesi si annovera Teodoro de Lellis di Tera- mo che studiò a Padova verso il 1450, e poi fu vescovo di Feltre. Morelli Mni Vol. 3. Il Vernia nota nella lettera all’ Arcivescovo Enrico complures neapolitani scholares, che erano a Padova. (2) Neapolim juvenis aufugit, indeque postea Patavium cum nobilibus quibusdam adolescentibus quorum in se curam receperat profectus est. Aug. Niphi .... opuscula moralia cum Gab. Nau- daei de eorum actore judicio. Parisiis 1645. (3) Si rileva dal suo testamento. [29] (649) ¢ di disputare in qualunque cosa (!5 La notizia non è ben precisa : il Vernia dovette preferire questa Università, come la più fiorente allora in Italia, per gli studi di filo- sofià e di medicina che voleva compiere. Imperocchè egli Stesso ci dice di avere avuto a maestro Paolo Pergolese che era un occamista (^) e Gaetano Thiene, il quale era filosofo e medico, quantunque canonico (5). Il Bruchero ha osservato che era costume in Italia che coloro che non erano ecclesiastici, congiungevano la medicina cogli studii della filosofia (4). La quale notizia è vera, come avvenne nel caso del Vernia, del Pomponazzi, del Genua, e del Bagolino, e molto prima, anche del Marsilio da Padova, e di Paolo Veneto. І uso di congiungere la medicina colla filosofia venne propriamente dagli arabi. Tali furono Avi- cenna e Averroe. Che se si dice che allora la medicina era troppo ristretta, epperò poteva congiungersi colla filo- Sofia, questa noto però che ne traeva gran vantaggio поп solo per la questione dell’ anima (°) la quale poteva (d) (Pag, 108.dal; Тото. VIL. Dizionario storico della medicina, Napoli 1765. Riferisce una sentenza del Vernia: il filosofo a nis- Suno deve esser soggetto. (2) Paulus Pergulensis olim praeceptor noster, dice nella que- stione degli Universali. (3) Nel de unitate intellectus, leggesi: dimissis omnibus ra- tionibus quatenus solutiones claras et bonas habes a Praeceptore nostro Gaetano Thienensi, Vincentiae oriundo. (4) Quem morem Ttalorum fuisse, ut qui ecclesiastico ordini Бе non tradidissent, philosophiae studiis medicinam jungerent, com- Pluribus exemplis ejus temporis historia testatur litteraria. Pag. 186, Tom; 4. Non è sempre vero che gli ecclesiastici non avevano le due lauree. Il Thiene che era canonico di Padova, fu ascritto al collegio dei medici per sovrano comando, (Angiologabriello di S.* Maria, storia di Vicenza 1772): e la facoltà di medicina mostrò vivo risentimento, perchè ciò fu fatto senza il suo parere. (5) Ecco perché la questione dell'anima. aveva quasi come sede Principale, a quei tempi, l Università di Padova e di Bologna. IOS, VII 80 (620) [30] esser meglio trattata colla luce della medicina, ma anche per un senso naturale che poteva esserle infuso da tale connubio. Epperò la filosofia rimase per del tempo aver- roistica, appunto perché era congiunta alla medicina (4). Non possiamo dire con certezza, se il Vernia dopo gli studi fatti sia tornato a Chieti, ovvero sia rimasto a Pa- dova. La prima sua laurea fu nel 1444, 22 ‘aprile, e fu la laurea nelle arti (5). Nel 1458 negli stessi archivi epi- scopali si legge un’ altra laurea del Vernia: dovette essere quella in medicina certamente. Credo che a Padova avesse di già acquistata fama per esservi stato del tempo dopo le lauree. Epperò fu nominato supplente fin dal 1465; e dopo un corto tirocinio, professore ordinario nel 1468. Così sì può intendere ciò che egli stesso dice nel testamen- to del 8 agosto 1499, di essere stato, per 33 anni già scorsi, professore a Padova : e nel 1480 dice di essere stato pubblico professore da 12 anni nel posto di Gaetano Thiene (*). Non credo che il filosofo chietino sia pervenuto (4) Negli statuti di Federico per | Università di Bologna era detto la logica essere via alla medicina. Ma in appresso si pren- д devano distintamente le due lauree. Il Prantl nel cap. 22 del vol. della logica, Lipsia 1870, dice: è un fenomeno proprio e lo- devole, che allora i medici erano profondi conoscitori di logica, ed i filosofi s' interessavano con amore delle questioni naturali. La notizia riguarda propriamente i tempi di che discorriamo. (5) Nei codici vescovili si legge: examen artium Mag. Nicolai de civitate theatina. Morelli Mni. Vol. 3. (1) Come si legge nella lettera all’ Arcivescovo Enrico. Il Thie- ne fu professore per 40 anni a Padova. € è una lettera di Franc. Jarbaro che raccomanda a lui già canonico di far nominare cano- nico di Padova suo nipote, Ermolao. Il testamento di Thiene passò alla cancelleria di Padova il 1466; dunque in quell’ anno mori ; ed il Vernia dovette succedergli forse un anno prima. Dagli atti del Senato veneto nel 1495 è detto che Nicoletto era prof. da più di 30 anni. Dunque può tenersi per certo che egli cominciò P in- segnamento nel 1465, e forse anche qualche anno prima, ma come lettore semplice. [81] (621) alla cattedra molto giovane; perchè egli stesso confessa nel 1499 di essere in età decrepita. Comunque si voglia precisare questa età, è certo che non fu professore che dopo ai 40 anni, e non prima ; a differenza del Pomponazzi e del Nifo che molto giovani entrarono nel pubblico in- segnamento. Sorge qui una difficoltà che dobbiamo sciogliere. Spesso il Vernia appone alla sua firma l'aggiunzione, sine con- currente. È forse stata una eccezione per il Vernia, che ebbe questa speciale prerogativa ? Ma negli usi della scuola di Padova questo fatto sarebbe stato troppo anormale (t). Prima di tutto, questa aggiunzione alla firma, sine concurrente, non si trova sempre: dunque quando egli non lo dice, è supponibile che certamente 1 concorrente lo avesse. Per toglierci questa difficoltà, abbiamo visitati gli atti del Senato (Terra), di varii anni, e da questi e da altre notizie abbiamo potuto capire, come è andata la cosa. Il Vernia ebbe concorrenti, molti e vari; ma non erano Spesso concorrenti a lui eguali nell' insegnamento suo pro- prio, che era quello di fisica. Il Colle ci dice che nel 1481 Facino Conte nel 8 novembre legge va in concorrenza col Vernia (°). Dagli atti del Senato risulta che Pietro Tra- polino (^) era già professore nel 1491, e concorrente del Nicoletto. Anche Pietro di Mantova è citato negli stessi Archivi come concorrente del Vernia sino al 1495. Ma prima del Trapolino erano stati concorrenti del Vernia il Roccabonella (4), e dopo di questo, il Sermoneta. Ma tutti (1) Taluni professori mettevano il nome del concorrente per qualche ragione speciale, p. e. se lo scritto era tutlo polemico, Cosi si legge: questiones Metaphisicales eximii sacrae "Theologiae doc- loris Marci Antonii Trombetae patavini ordinis Minorum in pha- mosissima Universitate pad. ab eodein aeditae, lectae et disputatae ad concurrentiam М. Frat. Neritonensis ord. praedic. sequuntur. (2) Vedi i Ми. che sono nella biblioteca universitaria. (3) Pietro Trapolino fu scolaro del Nardo. (4) Pietro Roccabonella si laureò sotto С. Thiene nel 1449, Fu (622) [32] questi concorrenti o stettero poco nell’ insegnamento, ov- vero non erano propriamente insegnanti di fisica, ma di medicina piuttosto. Tale era p. e. il Sermoneta; ed il Roccabonella non fu sempre prof. a Padova, avendo avuto una missione in Francia, senza però perdere il posto. L'i- stesso Trapolino passò ad insegnare medicina prattica nel posto di Antonio da Rimini nel 15 febb. del 1492 ('). E Pietro di Mantova stette pochissimo nell’ insegnamento. Che il Vernia avesse desiderio di far lezione a sua co- modità per le ore, è certo. П Colle dice che del 1482 nel 21 agosto ottenne il Vernia di poter leggere Гола esso solo, e il dopo desinare due altri Girolamo Blaustro e Giov. Giacomo da Feltre leggevano in concorrenza. Que- sto permesso che ottenne, gli fu tolto immediatamente, quando si seppe che egli ne abusava sino al punto di es- sere stato tacciato di negligenza dal Senato. E non debbo tacere un decreto della Repubblica che sebbene faccia poco onore al Vernia, pure mostra la cura che essa prendeva dell’ Università. In esso fu ordinato che il filosofo chietino leggesse in concorrenza, perché gli scolari si erano la- gnati della sua negligenza (?). prima prof. di logica, poi di filosofia, ¢ finalmente di medicina. Mori nel 1491. Andò in Francia coll ambasciatore veneto, Niccolò Canale. Nella chiesa di S. Francesc’, a Padova, si legge di lui: omnium liberalium artium, medicinae in primis professori eminen- tissimo. Vedi mni. del Morelli, Volume 3. (4) Lo si sa dal Colle, Mni. (2) Si legge nel Senato, Terra, 4. M° 10 1486, 89. In virtù degli statuti del Ginnasio patavino sono obbligati ad avere concor- renti nella stessa ora coloro che leggono in qualunque facoltà. E poiché Nicola da Chieti sotto pretesto che non aveva concorrente a lui eguale ottenne prima da noi (cioó nel 1482 secondo dice il Colle) di poter leggere in ora straordinaria, quindi fu privo del concorrente. Ma non curandosi di studiare ed essendo negligente con grande lagnanza degli scolari, questi hanno fatto querela di ciò presso noi. E volendo soddisfarli pel bene dell’ Università, si co- [33] (623) Ciò non ostante, che il Senato Veneto avesse usato verso il Vernia molti riguardi e che avesse cercato di accontentarlo in molti suoi desiderii, ne fanno prova molti fatti. P. e. nel 1470 gli fu accordato с.е non dovesse es- sere più soggetto alle ballottazioni degli scolari, vale a dire che fu fatto prof. ordinario. Nel 1475 il 2 settembre gli fu accresciuto lo stipendio per la sua diligenza e pro- fitto della scolaresca (!) Nel 1491 con decreto del 20 Aprile si legge che lo stipendio suo di 325 fiorini veniva portato a 365. Credo che fu questo lo stipendio che con- servò sino alla morte. Finalmente nel 9 settembre del 1495 è detto in un decreto del Senato che il Vernia aven- do insegnato da più di 30 anni ed essendo desiderata dagli scolari la sua lezione, gli si conceda la prerogativa di non avere concorrente e d'insegnare nell’ ora che egli sce- gheva. ll Senato ricorda che questa eccezione fu fatta al suo predecessore Gaetano Thiene, ed a qualche altro. Que- sto titolo sine concurrente, fu quello di vera onorificenza che egli conservò negli ultimi anni di sua vita ed anche nel testamento. Invece, quando si trova la stessa firma nel suo scritto, del 1492, si deve intendere che in quel tempo il concorrente mancava: ed era forse il Trapolino che da concorrente di fisica era passato ad insegnare medici- па prattica. Che la sua statura fosse piuttosto piccola, si deduce dalla lettera del Barozzi, il quale lo rassomiglia a S. Paolo convertito, perché gli dice esser lui di nome e di sta- manda al Rettore P inviolabilità dello statuto, e che il Maestro Nicoletto legga in concorrenza con colui che gli è stato scelto a concorrente. Il decreto da noi letto non nomina il concorrente, perchè probabilmente o era il Roccabonella che non era a Padova; e se fosse stato il Sermoneta, tanto l'uno. che l'altro. erano medici e non fisici, come il Vernia. (1) M." Nicoletto Theatino legenti Philos. diligentissime et ac- Curatissime facienti eum laude sua et fructu scholarium non me- diocri. Morelli Mui. Vol. 3. (624) [84] tura simile a Paolo (!). Ed è curioso, che come Pomponazzi fu soprannominato Peretto perchè piccolo, così del di lui predecessore si disse il Nicoletto. Ma non saprei dire, sc tale diminutivo di nome l'avesse acquistato a Padova per la sua fama; perché non solo la sua firma a stampa, ma anche quella autografa che si trova nella fine del trattato de generatione di Marsilio Inghen stampato a Padova nel 1483 colla data del 21 luglio, è segnata col Nicoletto. Mentre negli archivi dell’ Università si trova quella del Nicolaus Theatinus. Quando ebbe la cittadinanza di Vicenza (°)? Noi argo mentiamo che egli ebbe questa onorificenza dalle firme fatte nel 1482 e da quelle del 1492, cioó nello spazio di questo decennio. Il Vernia aveva acquistato una villa a Golzé tra Padova e Vicenza nel distretto di Montegaldo, e poi anche altri poderi piuttosto vasti. Anche per questa circo- stanza, e più di tutto pella sua fama ebbe quest’ onore. Che fosse stato ben voluto ed amato dai Vicentini, lo dice lui stesso nel testamento. Ed in prova dell’ affezione che egli sentiva a questa città, volle donare tutti i suoi libri alla biblioteca di S. Bartolomeo, che era nel Monastero dei ca- nonici regolari. Egli intendeva fare un'ottima donazione per il valore dei suoi libri: epperó prescrisse di vigilare coloro che studiavano i suoi libri, e di non far giammai (1) Il Barozzi dice nella sua risposta al Vernia, che ha la da ta dell’ Agosto 1499, che come S. Paolo da persecutore fattosi cri- stiano faceva stupire quelli che l’ avevano ascoltato prima, così si può adattare questo paragone a te, o Vernia, qui et statura et nomine Paulus es, hoc est parvus. Nel de Unitate intellectus. (2) Da molti è stato detto che il Vernia fosse nativo di Vicenza, ed hanno perciò inteso il Theatinus per teatino. Non è meraviglia, se dopo tanti molti, anche il Werner dice: und der Theatiner- Mónch Nic. Vernia pag. 288 der Averroismus in der christ: pe- rip. Psichologie Wien 1881. Rendo giustizia al Gennari, e sopra- tutto al Toppi che avevano da tempo attribuito agli abbruzzesi que sta gloria. [35] (625) restar soli nella biblioteca i lettori. E noi che abbiamo visto parecchi di questi volumi che portano a tergo la notizia del dono, possiamo attestarne le eccellenti edizioni, specialmente di aleuni (!). Insieme con essi furono donati parecchi codici che il Vernia doveva aver cari, p. e. il manoscritto della fisica di Burleo, il codice della fisica di Alberto di Sassonia, quello de interpretatione di Alberto Magno, finito a Bologna (°). I suoi libri e il suo corpo la- sciò a Vicenza per manifestargli 1’ amore che le portava, ed il rispetto all’ amicizia e benevolenza dei suoi concitta- dini vicentini. Sopra parecchi di questi libri ed anche so- pra qualche codice ci sono note marginali del Vernia, ri- cordo dei suoi studi. Ma sebbene negli ultimi anni avesse avuto grande amore per questa città, pure non dimenticò la sua antica patria. Imperoeché non solo preponeva il Theati- nus al civis Vicentinus nelle sue firme, ma anche lasciò molti beni all’ ospedale di Chieti prima di morire. Negli ultimi anni non tornava più in patria. Egli aveva contratta amicizia colla famiglia Scrofa di Vicenza, ed aveva dichia- rato suo figlio adottivo quello di Pietro Antonio, dottore in medicina, del fu Francesco Scrofa. Questo figliuolo era il primogenito di Antonio Scrofa: aveva nome Nicoletto ; e doveva sottoscriversi, Nicoletto Scrofa figlio adottivo di Nicoletto chietino. È facile il supporre che negli ultimi (1) Così nella fisica del Gianluno, ove si vedono alcune note marginali manoscritte dal Vernia stesso, si legge: hunc librum reliquit eximius artium doctor magister Nicoletus Theatinus huie monasterio S. Bartolomeo de Vicentia commorantium in dicto monasterio ad usum Canonicorum regularium qui pro eo faustas ad deum preces me- minerint porrigere. Presso a poco si trovano le stesse parole, in altre opere, come di Scoto, di Temistio, di Alberto Magno, in de animalibus, di Blanchelli Faventino sulla logica di P. Veneto. Que- Sli libri sono nella biblioteca Universitaria di Padova. (2) Questi codici sono nella Marciana a Venezia. (626) [36] anni, essendo solo, senza nissun parente attorno, fosse as- sistito da questa famiglia che lo accolse nel suo seno (!). Che il Vernia fosse stato пото faceto, lo attesta il Nifo, il quale dice che di scherzi spesso si dilettava; e ne ri- porta due (°) che non hanno nissuno spirito, ma conface- vano piuttosto al carattere scurrile, e poco delicato del Nifo stesso. Narra che essendo andati a Verona tutti e due insieme per tenere a battesimo un figlio di un co- mune loro discepolo, essendosi fatta notte, domandarono ospitalità ad un oste che era fuori la città. Ai quali questi rispose che il Nifo l’ avrebbe accolto ben volentieri ; ma che non poteva ricevere il Vernia, perché era un ebreo, essendogli proibito di alloggiare gli ebrei. Allora il Vernia lo chiamò in disparte, e dopo avergli mostrate le sue nudità, fu da lui accolto. Ed essendo venuti ad ossequiarli molti della città, l'oste dimandó scusa al Vernia ; il quale narrò poscia il caso agli uomini ed alle donne, soggiunge il Nifo (5). Rac- conta anche, che essendosi reso vacante il posto di dritto canonico per la morte di un professore, gli studenti di Pado- va fecero premure presso il pretore Agostino Barbarigo, perchè avesse chiamato un siciliano. Io vi proporrei il Ni- coletto, disse agli scolari il pretore, i quali risposero che era un filosofo, non un giurista. Ed intanto il pretore chiamò il Nicoletto a quell’ uffizio colla retribuzione di 300 fiorini d’oro, coll’ obbligo di fare la lezione di dritto canonico alla mattina, ed alla sera di filosofia. Gli studenti (1) Lascio libertà al lettore, leggendo il testamento in questa parte, d’ intendere quest adozione e questa imposizione di nome, come lui crede. (2) Nella parte quarta degli opuscoli morali, cap." 87 del de re aulica, Parigi 1645 col giudizio di Gabriele Naudó. (3) Questo fatto ci mostra non solo come erano maltrattati gli ebrei in quei tempi, ma che il Vernia era creduto tale per dot- trine che insegnava. Anche al tempo medesimo vi era un insigne ebreo, Elia del Medigo, che insegnava le stesse dottrine del , D? © Vernia. [37] (627) supplicarono il Vernia, perchè avesse detto al pretore che non era quello il suo insegnamento. Ma dopo del tem- po, il Vernia persuase il pretore, che egli era vecchio e non poteva adattarsi a tanto lavoro. Il Nifo soggiunge che il Vernia per venire a questa decisione accettò regali non mediocri dagli scolari (1). Notevole nella sua vita è 1 avvenimento della scomu- nica latae sententiae comminatagli dal Vescovo di Padova, I ietro Barozzi. Il quale tenne contro il Vernia una con- dotta simile ai vescovi di Parigi, che inspirati allo zelo del tomismo proibirono l’ insegnamento dell’ averroismo, specialmente per la parte che riguardava l’ unità dell’ in- telletto, la quale offendeva l’ immortalità dell’ anima. Se lo splendore dell' Università di Padova nella seconda metà del secolo decimo quinto aveva offuscato le due Università tipiche di Bologna e di Parigi, avvenne anche perciò, che l’ averroismo parigino si era trapiantato in anima e che il trattato del Vernia sull unità dell intelletto (li- bro, per cui gli fu lanciata la scomunica) annunciato come prossimo ad avere la luce fin dal 1480, sia tosto sparito; è certo solo che di esso ne parla il Nifo nel primo suo lavoro giovanile (?). Il tempo in cui avrebbe potuto avere la luce, sarebbe stato tra il 1480 ed il 1490. La proibizione di tale dottrina fatta dal Barozzi, è del te- поге medesimo di quelle che si fecero a Parigi, cioè, che (1) Non è questa una facezia del Vernia, come crede il Nilo, ma poca delicatezza. Questo fatto dovette avvenire quando il Ver- nia era senza concorrente, e poteva far lezione, hora sibi grata, come diceva il decreto del Senato. (2) Alla pag. 50 bis del trattato de inteltectu dice il Nifo: expositor novus alium finxit modum in opinione Averrois in trac- tatu suo de intellectu. La frase eapositor novus si trova ripetuta Più volte per indicare precisamente il Vernia. Т.П, УП 81 (628) [38] di siffatta questione non si doveva disputare sotto qualsiasi colore. Essa fu affissa il 4 maggio 1489 sulle porte della cattedrale e di S. Antonio; ed il 6 maggio fu pubblicata nelle scuole. Questo editto dovette scomporre non poco lanimo del Vernia, intento da lungo tempo a rendere libera la discussione filosofica da ogni idea preconcetta di religione. Egli era credente: ma nella scienza voleva il rigore logico. Lo si potrebbe dire un naturalista bello e buono, di quei tempi, secondo quelle idee averroistiche che pur rappresentavano un progresso razionalistico. Ma la sco- munica non gli guasta la libertà dei suoi studii, perché egli continua nel suo averroismo. Sarà dubbio, se l'abbia seguitato ad insegnare nelle scuole. Stando alle sue pa- role, par di no; ma nei suoi scritti continuò fiducioso nella dottrina, cui colle sue laboriose meditazioni attendeva. E che ciò sia vero, si rileva dalla questione sugli univer- sali, che mandó al maestro Alabante di Bologna, e che terminò nel 17 febbraio 1492. In essa professa l’averroismo albertistico, cercando d’intendere Alberto Magno coll'ispira- zione razionale di Averroe. Anzi, aveva in animo di scrivere un’altra questione sulla pluralità delle forme, che si riferiva a quella degli universali; e confida in Dio che potrà termi- narla. Ad onta dunque della scomunica del Barozzi, egli è averroista sino al 17 febbraio 1492, Questo averroismo dove- va anche animare molti suoi scritti sulle cose naturali (!). Il fatto è questo però: che dopo meno di tre mesi, egli compie l’opuscolo contro l’averroismo, accettando non solo la pluralità dell’ intelletto, e quindi intendeva Aristotele, (1) Sed Plato et Pythagoras idem dixerunt; sed .nesciverunt exprimere potentiam materiae, quae est inchoatio formae, ed ideo dixerunt a datore primo dari formas et non esse in materia, sed tantum formas materiam mereri: meritum materiae vocantes id quod Aristoteles vocat formae inchoationes, sive potentiam sive privationem; et de his in nostris libris naturalibus satis disputatum est. Nella questione sugli universali. [39] (629) Alessandro d' Afrodisea, Avicenna, Teofrasto e specialmente Temisteo, secondo S. Tommaso; ma anche la creazione secondo lo stesso Aristotele, cosa che aveva del tutto ri- flutata prima. Come si ammette questo cambiamento rapido di sistema nella scienza, quando vi aveva consumato un 25 anni di studio? Se un po' di amore si ha alla dottrina acquistata colla propria fatica, non si può supporre la ra- pida mutazione di essa in un filosofo come il Vernia, senza un qualche grave incidente che l'abbia a ciò obbligato. LI, ignoto è dunque, come il Vernia da averroista si fosse fatto tomista in meno di tre mesi. Nella minaccia della sco- munica del Barozzi si accenna anche di procedere contro i trasgressori ad altri rimedi di dritto, se fa bisogno. Che abbia subito qualche pena, ovvero qualche minaccia ulteriore per la sua dissertazione sugli universali, questo è ignoto a noi, mancandoci documenti a qualunque ipotesi che po- tessimo fare. Il Vernia stesso nella prefazione dice che il Barozzi non aveva mai cessato di ammonirlo con parole a pubblicare un opuscolo sulla sua ritrattazione. E se egli non avesse obbedito alla sua onestissima volontà, credeva per lui una sciagura non lieve ('). Né noi vogliamo esa- gerare nell’ interpretare questa frase. La pietà del Barozzi forse non si restrinse ad esortare il Vernia colle buone Solamente. Ma pure la minaccia della scomunica era già Stata emanata dal 1489; e la sciagura che accenna il Vernia, non poteva essere che l’ incorrere in quella pena. A me pare che il Vernia dovette cedere, vistesi le mi- haccie della scomunica troppo vicine. Si trattava di un filosofo che fu causa colle sue dispute e colle sue dottrine di aver fatto errare tutta I Italia, a detta del Barozzi. La quale cosa, se è la più chiara prova del nome illustre del (1) Hajus voluntati honestissimae si non obtemperarem, flagi- üum non mediocre putavi. Nam jampridem ut hoc opuscolum in apertum proferrem, pluribus verbis me monere et hortari non destitit. Nella prefazione al de Unitate intellectus. (630) [40] Vernia, faceva si che la sua. ritrattazione, più che desi- derata, era comandata. : Ho tenuto conto di un’altra circostanza che spinse il Vernia a fare questa ritrattazione; e non era punto estra- nea. Domenico Grimani, quando il Vernia profetizzò che egli sarebbe stato creato patriarca di Aquilea, gli aveva fatto concepire speranza di dargli il titolo di canonico nella stessa città. Era un reciproco augurio che si facevano entrambi. Un grande ostacolo a tale conseguimento, credo che potesse essere al Vernia il suo averroismo. E quando fu fatto patriarca il Grimani, gli dedicò quest’ opuscolo della sua ritrattazione, promettendogli di consacrargli tutto il suo lavoro dei commenti sopra Aristotele. Il quale doveva subire una riforma secondo l'indirizzo dell’ opu- scolo, in cui faceva la sua ritrattazione ; si augurava il Vernia di segnare la sua firma allora col titolo di cano- nico di Aquilea più che col titolo di professore sempli- ce. Ma questo desiderato canonicato non avvenne, quan- tunque il Grimani, venuto a Padova dopo la sua no- mina al Patriarcato ed accolto con grandi feste, avesse detto alla presenza di molti padovani e del suo fra- tello Vincenzo Grimani, che avrebbe mantenuto la pro- messa (‘). Intese perciò il Vernia non solo evitare la scomunica che gli era imminente, ma anche mettersi in maggior grazia col nuovo Patriarca per ottenere questa onorificenza. Per ciò in alcuni versi diretti al Barozzi dice il Vernia del suo opuscolo, che dopo essere stato nelle mani del Barozzi, poteva andare alla casa Grimani. In altri termini, voleva prendere due piccioni con una fava. Ma rimase abbastanza deluso, perchè il Grimani non gli conferi l'umbita onorificenza, e l' istesso Barozzi, anche dopo la ri- trattazione non gli credeva mica tanto. Il Vernia fece il testamento il 8 agosto 1499; e di- (1) Tutte queste cose le dice il Vernia stesso nella prefazione al trattato de unitate intellectus. [41] (631) spose che il suo corpo fosse seppellito nella chiesa di S. Bartolomeo in Vicenza nel luogo che avrebbero designato i canonici regolari di quel monastero. Volle che nessuna funebre pompa accompagnasse la sua salma : quattro cande- labri fossero posti intorno al feretro: pochi religiosi del monastero di Vicenza, ovvero di S. Giovanni in Verdara, se morisse a Padova, bastavano ai funebri. Raccomandò al suo Antonio Scrofa di fargli un sepolcro come credeva, ingiungendogli che quanto più semplice era, tanto gli era più caro ('). Il 4 ottobre dello stesso anno mori. Il Colle dice invece che mori il 81 ottobre. Lo Schradero riporta questa iscrizione : Nicoleto Vernia Theatino, toto orbi ob philosophiam notissimo de Patavino Gymnasio optime merito, a Vicentinis civitate donato... Н. M. Н. N. S. (°). Queste cinque lettere iniziali vogliono dire; hoc monu- mentum haeres Nicoleti Seropha. Lo Schradero riporta so- lamente questa iscrizione. Intanto la chiesa di S. Bartolo- meo fu disfatta, ed il monumento che si trova ora a Vi- cenza nella cappella dell’ ospedale civile ha un’ altra iscri- zione che è la seguente; Nico. Phil. cla. de animi plu. ac fel. edito libro. Pat. in Acc. Annis XL. Flor. obiit nonas octobris MOCCCLX XXXVIII. Noi non possiamo dire se la prima iscrizione fosse stata cambiata colla seconda. Certo è che in questa ci è un errore, cioè annis XL, mentre dev'essere annis XXXII. (1) Nella visita al monumento che feci a Vicenza nella cappella dell’ ospedale civile il 19 maggio del 1889, vidi nella parte sini- Stra dell’ oratorio un alto rilievo: il viso è di lato, con un piccolo berretto in testa, pochi baffi. Il Vernia è seduto sur una poltrona con una mano sopra un libro e laltra molto scarna sul petto: più in là si vedono molti libri. Si può giudicare dal tutto che il corpo era veramente piccolo di statura. П monumento non è niente bello, (2) Monumentorum Italiae quae in hoc nostro saeculo ef a christianis posita punt, libri 4 Editi a Laurentio Schradero 1592. _— = eiii na | (632) [42] E da ciò si può dubitare anche della data della sua morte. Forse si può credere che la seconda iscrizione era posta sotto la figura di marmo, ed a {егга era poi la prima (is. e siccome si era conservata più quella che questa, cosi si ritenne la seconda. Il Vernia volle pensare anche alla eura dei suoi ma- noscritti. Dispose nel testamento che Antonio Serofa do- veva fare rivedere uno dopo l'altro, i manoscritti sopra Aristotele al suo amico Timoteo dei canonici regolari, patrizio Vicentino : e questi poi insieme con 1 due suoi amati scolari, Girolamo Bagolino ed Agostino del Ben, tutti e due veronesi, dovevano rivederli ancora, aggiungendo o diminuendo, a loro talento. E dopo, Pietro Antonio li faceva stampare, e gli autografi rimanevano presso di lui, e poi presso suo figlio Nicoletto. Credo però che il suo erede si diede ben poco pensiero di farli pubblicare. Poiché questi manoscritti furono usu- fruiti da altri, e forse dagli stessi discepoli del Vernia. Ed il mio sospetto cade un poco sul Nifo, ma più di tutto sullo stesso Bagolino (°). Per altro,il Vernia non cono- sceva affatto il greco, perché i suoi studi erano sulle tra- duzioni. Quindi caduto l'averroismo nelle scuole, finiva l'importanza dei commenti in quel senso sopra Aristotele. Egli peró si teneva al corrente delle buone traduzioni. (1) Vedi Faccioli Musaeum lapidarium Vicenza 1776. (2) Nella dediea del commento sul de anima di Nifo a Giulio dei Medici, cardinale, ci è una frase che mi dà questo sospetto. Nam collectanea in libris de anima quae mihi Posne Puero e manibus exciderunt, furto mihi sublata fuere, typisque, me inscio, excussa ect.; furono forse dettati dal Vernia questi. commenti ? Giambattista Bagolino figlio di Girolamo fece un’ edizione dei com- menti di Averroe sopra Aristotele nel 1552 in 11 tomi in foglio, e non la finì. Sono forse i commenti del Vernia in senso averroi- stico, che egli non potette più limare e correggere in senso tomi- stico? E questione molto difficile a risolversi; e l'ho dovuta ab- bandonare, mio malgrado. [43] (633) Cita р. e. la traduzione della parafrasi di Temistio fatta dal Barbaro ('); e nel de unitate ricorda quella del de anima di Alessandro d’ Afrodisea fatta dal Girolamo Donato (*). Il Vernia non era da annoverarsi tra quelli (come il Nifo) che osteggiavano l'unione della filosofia colle lettere: anzi, che avesse sentito il bisogno di in- coraggiare le tendenze dell' Umanesimo, si. rileva da qual- che circostanza. La prova più certa è una lettera inedita di Ermolao Barbaro, (è) colla quale lo incoraggia a perseve- rare nel condannare quella stolta imperizia che aveva Messo radice nello studio di Padova, di disprezzare 1° Uma- nesimo. Il Barbaro gli dice che se continuera così, è il più gran beneficio che egli possa loro fare, per l’ autorità Sua. Qual differenza tra questa lettera e quell'altra a Pico, in cui parla di uno sciocco Patavino che aveva fatto di- scorsi contro le tendenze dei letterati. Io suppongo che costui cui allude velatamente il Barbaro, sia stato il Nifo, che fu professore dal 1492 al 1496. Giovine affatto come era, con poca coltura di lettere, quale sì mostra nei suoi Scritti, quantunque dica di avere studiato il greco, osten- tava nei suoi discorsi molta vanità, ed una certa burbanza. Ciò troviamo confermato nella sua prefazione alla metafisica, Ove dice che i filosofi dovevano imitare lo stile di Aristo- tele, е disprezzare le parole per pensare alle cose (udi (1) Questa traduzione porta la data del 1480. Vedi libro 12 lettera. di Poliziano, ove è la dedica a Sisto IV. (2) Il Donato prega Poliziano di vedere se nella biblioteca me- dicea vi è il codice incolume di quest opera, perchè il suo è mu- tilato, e di trascrivergli il principio e di mandarglielo. Lett. di Poliz. lib. 9, (3) Vedi documenti. (4) Valga su di lui il giudizio del Giovio : scripsit in omnes Arist. е libros perampla commentaria, sed radi et incondita quadam ubertate ; ut tum mos erat, crassis et plane barbaris auribus accomodata, quod la- tine recteque scribendi facultatem tamquam inimicam optimis di- Sciplinis ab ipsa praesertim philosophia segregabant. — (634) [44] precisamente quello stesso che fa dire Pico ai filosofi in loro difesa nella risposta al Barbaro, il quale poi rispondendo nomina colle parole, patavinus ille simius, colui pre- cisamente che si era più pronunziato in tale questione. Il Vernia fu da tutti stimato a Padova e fuori. Non parlo del Nifo e del Barbaro (!), ma del Pomponazzi (°) e del Barozzi, quantunque a lui contrarii. Fu fondata questa buona opinione? fu meritata la stima del filosofo chietino ? (4) I più celebri scolari suoi sono, Barbaro, Sermoneta, Tracan- ciano, Nifo, Pico d. Mirandola, Vincenzo Querino, Pellenegra, e tanti altri. Valerio Superchio nella orazione de Laudibus astro- nomiae recitata a Padova dice: Memini quandoque te Nicolae Theatine, decus peripatetica» nostra aetate facile princeps, cum mecum de Vincentio Querino alumno tuo in sermonem incideres ele. Morelli Vol. IV. Mns. Lo Zannoni ha riportato a pag. 311 nel giornale storico di letteratura un componimento del Pellenegra, ove dopo il Barbaro, il Ficino e Poliziano si legge : Et tu de cui ognhor piange e sospira Et studio naturale, o Nicoletto ect. (2) Apologia, Bologna 1517. Ab obitu Nicoleti philosophi cele- una berrimi, illi subrogatus perhonorifice fuerim a P. Bembo. In lettera a Mauroceno del 1504 Pomp. si firma: philosophiae na- turalis ordinario. Era proprio la cattedra del Vernia. [45] (635) Cap. IV. Gli scritti del Vernia Esaminiamo in prima quali sieno le sue cose stampate, le quali sono poco conosciute, si perchè si trovano inse- rite in altre opere, si perchè scritte con caratteri molto fitti, danno pena all’ occhio anche molto paziente. La dissertazione più conosciuta è l'ultima, contro l’ unità del- l’intelletto di Averroe; tanto è vero, che nella seconda iscrizione apposta al monumento trasportato dalla chiesa di S. Bartolomeo all’ oratorio dell’ ospedale civile di Vi- cenza, è precisamente questo ultimo scritto ricordato. Del Vernia sono stampate sei dissertazioni. La prima porta la data del 1480 (!) ed è: quaestio an ens mobile sit totius (1) Nella edizione rarissima stampata a Padova, e che ho tro- vato solo a Venezia, che ha per titolo: Quaestiones per Magi- Strum Joannem Herbort de Silgenstat impressae Patavii, dopo il trattato de generat. di Ingnen e di Egidio, ci è la firma del Nicoletto che dice di averla emendate nel 29 febbraro 1480. Poi € à una firma autografa dello stesso Nicoletto che dice di avere finite certe correzioni marginali che si veggono in quello stesso esemplare (complevi hoc opus) ed anche di altre opere, cioè de sensu et sensato, de memoria et reminiscentia, e del libro de interpretatione di Aristotele, nel 24 luglio 1483. Viene dopo una lettera ad Enrico Arcivescovo di Matera, governatore dello studio di Napoli, che abbiamo ere lulo doverla stampare per alcune noti- zie interessanti; finalmente si trova la sua dissertazione. I ag 82 (636) [46] philosopiae naturalis subjectum (*) ; essa sì trova nel commento sul de generat. et corrupt. di Aristotele, di Egi- dio Romano, di Marsilio Ingnen, e di Alberto di Sassonia. La seconda é collegata colla terza, e tratta della partizione della filosofia; è una prolusione ad un corso di un anno intorno alla fisica di Aristotele. La terza 6: utrum me- dicina jure civili sit nobilior : è come una conclusione della seconda (2); tutte e due sono nella fisica di Burleo, e sono precedute da una lettera a Sebastiano Daduario, censore di Vicenza (*), nella quale ricorda il Vernia la gran- dezza della di lui famiglia, di cui i capitani sono scolpiti nelle immagini del Palazzo Ducale di Venezia. Il adua- rio fu discepolo, come il Vernia, di Paolo della Pergola, ed addivenne illustre scotista. In sua casa fu educato il compaesano del Vernia, Nicola Manupello, di Chieti, che fu fisico e medico. E qui soggiunge, che essendo stato pregato dagli stampatori di emendare il libro sulla fisica di Burleo che era corrotto e che doveva leggere agli scolari, volle premettere la divisione della filosofia e l’am- pia questione de inchoatione formarum da lui trattata, ed al Baduario dedicata. Questa ultima questione è andata perduta ; almeno finora non Ја rinvenni. La partizione della filosofia e l’altra sulla medicina portano la data della fine di febbraro 1482 (*). La quarta dissertazione è sul (4) Completa est ista quaestio 12 febbruarii 1480 per me Nic. in florentissimo gymnasio Patavino philosophiam ordinarie legentem. Si legge in fine. (3) Ut videbitur in conclusione, quae ad doctrinae bonitatem introducitur, qua quearitur, utrnm medicina jure civili sit nobilior. Così si esprime il Vernia. (3) Nelle edizioni posteriori è stata soppressa questa lettera, come la lettera all’ arcivescovo Enrico si trova in altre edizioni parimenti omessa. (4) Istam quaestionem complevi ego Nic. Vernia Theatinus in celeberrimo gymnasio Patavino, dum pubblice ordinarie philoso- [41] (687) de gravibus et laevibus, dedicata a Berardo Bolderio filo- sofo e medico veronese; tratta se i gravi ed i leggeri inanimati si muovano da se stessi о da altro, quando sia rimosso ogni impedimento. Essa si trova nello scritto sul- l’ intelletto contro Averroe. La data non ci è veramente segnata ; ma siccome essa è citata nella quinta dis- sertazione, e non nelle altre precedenti, è da dirsi essere la quarta. La quinta dissertazione è: quaestio an dentur universalia realia, ed è premessa al commento sulla fisica di Urbano Servita, Averroista. Il Renan seguendo P Hain, ha creduto che sia una prefazione (!); invece è una questione a se, che ha poca relazione propriamente colla fisica. Antonio Alabante scrive al Vernia di leggere ed esaminare il manoscritto di Urbano Servita, e di vedere se ne sia stato l' autore Giovanni Marcanova, ovvero Ur- bano. Il Vernia risponde che il manoscritto nel primo esemplare è di Urbano: Marcanova lo copiò e fu trovato nei libro di costui senza indice: che è degno di essere stampato, perche Urbano supera moltissimi averroisti, е non isfugge le questioni le più difficili della fisica. Corri- sponde alla gentilezza e stima di Alabante di bologna con pari condotta, mandandogli la dissertazione sugli uni- versali, perchè la legga e gli dica se può essere stampata. La lettera di accompagnamento porta la data del giugno 1492 da Padova; e la dissertazione è stata terminata nel 17 febbraio 1492 (*). Sino a questo tempo il Vernia è un pretto averroista, mostrando nei suoi scritti un phiam legerem, 4 Kal. Martii 1482. Burlacus super octo phisico- rum. Venetiis 1501. Impressa per Simonem de Luere. (1) Pag. 343 Averroes et l averroisme. Paris 4864. (2) Per in» Nicholetum Verniam Theatinam Givem Vicentinum legentem philosophiam Patavii ordinarie. La dissertazione del Ver- Ma insieme al commento di Urbano fu stampata a Venezia nel 14, 1499, (638) [48] lampo di razionalità e di libertà di filosofare pregevole e rarissima a quei tempi. Ma alla sorveglianza del Vescovo di Padova e alla pietà di un uomo dottissimo quale era il Barozzi non po- teva sfuggire il libero pensiero del Vernia. Imperocchè il Barozzi nel 4 maggio 1489 aveva emanata la scomu- nica latae sententiae a tutti quelli che disputavano pub- blicamente quovis quaesito colore, sull'unità dell’ intelletto. Il Vernia con tutto ció si mantiene ancora fermo ai suoi principii; sperava che essi fossero mantenuti illesi colla pubblicazione delle sue dottrine, affidata alla prote- zione di uomo colto ed autorevole che l'aveva accolta. Ció non bastó a salvarlo: una piü severa minaccia di sco- munica direttamente al Vernia dovette venire, la quale l'obbligava a ritrattarsi. Non si può spiegare diversamente la vicinanza delle due date, della quarta e della sesta dissertazione, nella quale ultima il Vernia si ritratta in- teramente del suo averroismo. La questione degli universali porta ladata del 17 febbraio. La lettera poi di accompagna- mento di questa dissertazione diretta ad Antonio Alabante porta la data di giugno 1492; mentre quella contro l’unità dell’intelletto è del 18 settembre, dello stesso anno, 1492. Non obstante ophtalmia quae me tunc molestabat, sog- giunge il Vernia in fine: una circostanza tutt'altro favorevole a fare scrittura. Argomento da ciò, che il Vernia ha dovuto affrettarsi a fare questa ritrattazione. Che la dissertazione sesta sia un ро’ affrettata ed un poco anche confusa, ё in qualche parte evidente. Che rimanga il dubbio di avere abbandonato l'averroismo perfettamente, è evidentissimo ; ed il Barozzi se n'era già accorto. Epperò non possiamo nol accettare come veridica la sua confessione, cioè, che solo per disputare e per aguzzare l'ingegno tentò di corroborare con argomenti l’opinione di Averroe intorno all’unico intelletto. Contro tale dichiarazione sta non solo la dissertazione prece- dente dello stesso anno sugli universali, in cui sì professa pu- ro averroista, ma anche un’altra che è sparita, intorno al- ت [49] (639) l’unità dell’ intelletto, la quale è già accennata fin dal 1480 nella prima questione preliminare intorno al sog- getto della fisica (!). Ma la vita di insegnante per 33 anni nell’ università di Padova sarebbe stata troppo scarsa di frutti intellettivi, se il Vernia si fosse limitato a queste sole sei disserta- zioni. Già abbiamo visto che egli emendò la fisica di Bur- leo. Anche ai tempi di Pomponazzi il Burleo godeva an- сога grande autorità nella scienza. Ed alcune opere di lui erano già andate perdute (*). Un altro lavoro di cor- rezione di edizione lo fece intorno al de caelo et mundo del Gianduno. Il Pellenegra di Troja che insegnò filosofia morale a Padova, ci dà notizia di avere più accuratamen- le stampate le questioni del Gianduno che furono emen- date dal Vernia (è). Noto questa notizia molto rilevan- (1) Plura possem hie tangere argumenta difficilia, sed nimium ^ proposito digrederer. quae reservo ad questionem de unitate in- tellectus. (2) Pomp. nel de nutritione et augm. libro 1, dice: Burleusque Se citat in tractatu de augmento quem curavi videre (numquam enim. vidi impressum) sed hie Bononiae post multam inquisitio- Пот reperire non potui .. .. Fuit nam Burleus. vir: admodum acutus, clarus, et multarum opinionum inventor, et acerrimus ab 00 inventorum defensor ; quapropter ut opinor, dieta sua non sunt Spernenda. (3) In questo libro che ha per titolo, Questiones Joannis Ian- doni de coelo et mundo, Jacobus Philippus de pellibus nigris Troja- Nus, artium et medicinae doctor moralemque philosophiam Patavii ordinarie legens, ei è una poesia ad librum nuper а Nicoletlo Vernia Theatino emendatum. Docte liber, quo tendis iter, qua incude sigillum Fronte geris, nomen et genus unde trahis ? Nanque stagirei vatis enigmata solvis Errata, ut Phebus utque Stagira sonas. lm lucem propéro: stygiis Nicoletus in oris Me cudit; sophiae post pia fata memor. (640) [50] te, non per la cosa, ma per la fedeltà dell’ espositore. Imperocchè sono di credere che molti hanno pubblicato dei lavori del Vernia, non originali però, ma intorno ai commenti di Aristotele, appropriandosi in tutto e per tutto gli scritti del filosofo chietino. Che il Vernia non abbia perduto il tempo sulla cattedra, si rileva dalle sue stesse parole nelle quali dice che essendo stato professore per 3: anni a Padova, credeva essere poco decoroso, se non avesse pubblicato ciò che avea raccolto con diligenza per tanti anni dagli autori greci e latini. Egli non cessava tutti i giorni di forbire e ritrattare i commenti che aveva fatto su tutti i libri di Aristotele, perchè potessero meritare di essere pubblicati (t). Ma mandava alla stampa in prima J’ opuscolo sulla immortalità secondo la fede cattolica, af- finchè fosse esso come il conduttiero delle altre opere. Prega inoltre Domenico Grimani di accettare questo dono durante il tempo, che egli dà un’ аңга mano ai commenti di Aristotele. Se la lettera dedicatoria è scritta nel 1499, nella quale confessa che egli ha già pronti questi commenti, ma non li pubblica perchè hanno bisogno di essere ricor- Joannes opicis dicor regionibus ortus Vix bene qui paucis cognita multa dedi. Ergo eymerii vidisti gurgitis umbras Pallentes, Erebi sulphureamque domum? Vidi; haec inde fero quae docta mente revisit Vernia qui campis nunc legit elisiis. Velifera tumidum lector mare finde carina, Me duce, nam portus aura secunda dabit. Venetiis mandato et expensis heredum nobilis viri Octaviani Scoti, anno 1519 die 24 settembris. (1) Itaque commentationes quas in omnes Arist. libros summis vigiliis elucubravi, ut editionem mereantur in dies retractare et ex- polire non desino. Sed prius opusculum quod de immortalite animae inscribitur, et quod plures animae sint et non una pro fide catho- lica emittere volui ut sit quod aliorum operum velut agmen ducat. Nella prefazione al de Unitute. È { [51] (641) retti; ciò fa supporre che la correzione doveva esser fatta secondo il tenore del suo opuscolo, cioè contraria ad Averroe, di cui era stato per tanti anni fautore. Quindi si può supporre, o che egli non li abbia pubblicati prima per la minaccia del Barozzi, ovvero che dal 1499 egli siasi messo a ritrattare tutti i commenti in senso anti- averroistico, e che non li abbia finiti per gli acciacchi della sua età. Pochissimo è stato anche il tempo dalla pubblicazione dell’ opuscolo alla sua morte; quindi si può ritenere che i suoi scritti sieno andati nelle mani degli altri. Una caratteristica quasi costante si può notare negli scritti del Vernia, la quale è duplice, materiale e formale. Il Vernia è molto ordinato nol suo scrivere : quasi tutte le sue dissertazioni sono divise in tre parti: la prima espone tutti coloro che hanno deviato da Aristotele e dal suo commentatore, Averroe ; la seconda, che cosa ab- bano sentito entrambi intorno al quesito proposto, e la terza confuta le opposizioni addotte dagli avversari. Que- Sto tenore di dividere in tre parti l’ argomento era però comune a tutti i tomisti e scotisti. Ciò riguarda la mate- ria dei suoi argomenti. Circa la sua opinione, a quale cioè, dei filosofi più si accostava, è da dire in genere, che egli sebbene averroista, era più veramente un albertista. To- mista non mai perfettamente. Il suo sforzo è di mostrare che l'opinione di Averroe poco differisce da quella di Al- berto. Lo dice finanche nella sua sesta questione contro l’unità dell'intelletto. Sebbene in quest’ultima sia stato costretto ad essere tomista, per avvalorare la sua ritratta- zione. Il Vernia insegnava propriamente la tisica nell’ Uni- versità di Padova (5, e. non poteva sottrarsi all’ esame (1) Nel testamento si legge: Ego magister Nicoletus Vernias Theatinus pubbliee legens in florentissimo Gymnasio Patavino or- dinariam Philosophi: ie Naturalis sine aliquo concurrente quam legi per annos triginta tres el apsos, ac disputavi. E nel de Unitate: иш (642) [52] di una questione scolastica che designava di chi si era seguace, di S. Tommaso, o di Alberto ('). Tale questione era, se l'oggetto della filosofia naturale era lens mobile, come disse S. Tommaso, ovvero il corpus mobile, come opinó Alberto. Osserva che Egidio Romano combattè l'o- pinione di S. Tommaso, perché la scienza naturale non è subalterna della metafisica; poichè tre sono gli abiti speculativi, il metafisico, il matematico, ed il naturale. E se la mobilità è un’ accidentalità, questa non deriva punto dall’ essere, in quanto questo è obbietto della metafisica. La scienza naturale non è parte della metafisica, ma que- sta e quelle sono diverse parti della filosofia. Di S. Tom- maso ha la più buona opinione, dicendolo il migliore espo- sitore tra i latini; ma pure non solo in questa, ma in altre questioni gli è spesso contrario. Lo Scoto voleva invece che l'oggetto dalla fisica fosse la sostanza naturale, DD che è soggetto del moto е di altre affezioni. Ma se рег naturale s'intende il sensibile, soggiunge il Vernia, esso è il soggetto che è principio di moto e di quiete. Sostiene perciò che il corpo mobile sia il soggetto della fisica (*). Otto sono le condizioni requisite per un subbietto di una scienza: che sia reale, uno almeno per unità analogica, universale, adeguato, primo noto in quanto alla sua ragion formale, che abbia parti, che abbia affe- zioni, che abbia principii. Ora 1 errore di Antonio Andrea è di aver posto l’ essere come comune a Dio ed alla crea- tura. Queste otto condizioni si trovano nel corpo mobile, nam cum tertius et trigesimus annus agatur ex quo primum gra- dum profitendi eam philosophiae partem, quae a graecis physicae dieitur in gymnasio patavino consequutus sim. | (1) Di costui fu scritto dall Huet pag. 84: dum subtilitatem saecularis philosophiae nimis sequitur; splendorem aliquantulum theologiae puritatis obnubilat. (2) Dico intentionem Arist. et sui commentatoris Averrois fuisse quod corpus mobile est subjectam in scientia naturali, [53] (643) come soggetto della fisica. Che se si trova difficoltà nel- l'ammettere il moto come Soggetto di scienza, risponde che quell’ accidente solo non entra nella scienza, il quale non ha causa. Due difficoltà considerevoli s’ incontravano in tale de- finizione della fisica. Se il corpo mobile è il subbietto della fisica, gli angeli sono mobili, ma non sono corpi: inoltre, il cielo non è composto di materia e forma, e quindi come può essere l'obbietto della fisica? La questione dell’ an- gelo intorbidava la libertà di filoso%are nella scienza na- turale. Intorno alle specie ci era quella della plurabilità, o moltiplicabilità dell'angelo, che non era ammessa da S. Tommaso, perché ogni angelo rappresentava la specie tutta. Per l’anima umana invece si doveva sostenere la plu- rabilità, altrimenti si cadeva nell'averroismo, e si ri- conosceva l'unità dell’ intelletto umano. Il Vernia con- fessa che egli intende di parlare secondo la ragion na- turale in tale questione: e dice che gli angeli non si possono muovere con una velocità infinita, perché la ve- locità dura un certo tempo: il loro moto locale, se fosse veloce infinitamente, dovrebbe avere uno spazio infinito ; locchè non conviene all’ angelo. Esso è dunque una so- stanza semplice ricettiva di luogo, e quindi di moto. Era gia il primo indizio, con cui egli si dipartiva dalle verità di fede e della teologia ('). I teologi invero volevano con- cedere all’angelo il moto infinitamente veloce, ovvero Г ubiquità, negandogli il luogo. Locchè è contraddittorio per il. Vernia ()..H.se;09n. S, Tammaso ammetteva che l angelo rappresentando tutta la specie, era impluri- (1) Licet secundum fidem et veritatem sit aliter dicendum, ut sacri theologi declarant. (2) Non decet nos qui naturaliter loqui intendimus contra eos (i teologi) arguere. E per la fisica dice: Contra negantes princi- pia non debet artifex speciatitatis arguere. Il Vernia vuol dire : $e negano i principii della fisica, non si può più argomentare contro. CINA FI 83 (644) [54] ficabile, lo stesso sosteneva rispetto all'intelletto umano ('). Ma si riserva di trattare tale questione in quella dell’ in- telletto. Se questo scritto sia stato pubblicato, non si за: forse dovette sparire dietro la persecuzione del Barozzi; non credo però che gli fu impedito di pubblicarlo. Il Nifo pare che lo accenni. Imperocchè è chiaro che la citazione sua con- corda perfettamente colla dottrina che espone e che poi il Nifo combatte. Cioè, che per sostenere l’ unità dell’ in- telletto, disse un nuovo espositore, che una stessa forma spirituale informa subbiettivamente la fantasia e P intel- letto. Imperocchè la forma spirituale può essere una di numero in diversi soggetti, come il colore nell’ аспа e nell’ aria. L'intelletto in se come uno in atto informa il nostro intelletto, ed è la specie intelligibile; informa an- che la fantasia, ed è il fantasma (?). La seconda difficoltà era: se Averroe aveva ammes- so che il cielo non è composto di materia e forma, per- chè è ingenerabile e pur tuttavolta è mobile, come poteva abbracciare l’idea del corpo mobile il cielo e le cose terre- stri? Il Vernia risponde che la sostanza mobile è ciò che è soggetto alla triplice dimensione. Pare accostarsi per ciò all’ opinione di Egidio romano che poneva identica natura nel cielo e nella terra. Ma pure non è veramente così; perchè confessa altrove che il cielo è atto, e non si dà in esso passaggio dall’ essere al non essere. Il punto di vista interessante per caratterizzare fin da ora il chietino filosofo è questo nel primo suo lavoro, di- (4) Vedi la disputa tra il de Vio ed il Trombetta più avanti. (2) IL Nifo parla di questo libro come noto ; e dice, vide, multa alia accepit quae sunt superflua pag. 50 bis. nel libro de intel- lectu cap. XVI. trattato quinto. Nasce il dubbio se il novus espo- sitor possa essere il Vernia, od Elia del Medigo che anche aveva sostenuto la stessa dottrina in un simile trattato. Ma le relazioni scientifiche del Nifo erano più col suo maestro che con Elia. [55] (6 45) chiarare, cioè, la fisica indipendente della metafisica: sot- trarre la natura, per quanto poteva, dall'influenza della teologia. Fin da ora i fisici non stanno in accordo coi metafisici. È una linea di condotta che è troppo costante nel Vernia. La seconda dissertazione intorno alla partizione della filosofia è una prolusione che fece in un anno del suo insegnamento ; nel quale dovendo esporre la filosofia. na- turale, esamina quali sieno le relazioni delle varie parti del sapere al tutto. La filosofia, dice il Vernia, è la perfezione del sapere ; essa è prattica, speculativa e razionale; e riducendo, reale e razionale. Questa ultima è la logica; dando a questa il solo valore razionale e non reale, il Vernia si dichiara vero occamista: non tomista, nó scotista. In tal guisa seguiva la tradizione patavina circa la logi- ca, la quale, non solo da Nicoletto Veneto e da Ni- cola della Pergola era stata ritenuta come speculativa secondo Alberto, a differenza di alcuni tomisti che la dissero pratica, ma anche di valore nominale ; е ciò @- era la massima distinzione degli occamisti moderni dai logici antichi che erano о tomisti, o scotisti ('). Siccome tre sono gli atti di ragione in cui possiamo errare, tre sono le parti della logica che servono a dirigerci alla verità. Le categorie che Aristotele e Platone ricevettero da Archita Tarentino, servono a non attribuire ad una cosa una qualità che conviene ad un'altra. Il libro de interpretatione tratta delle enunciazioni singole, in cui vi è la composizione, o la divisione dell’ intelletto. Il terzo atto è il sillogismo perfetto: ed è questa l’arte nuova che fu da Aristotele ritrovata. Questa parte è divisa nell'inventiva © nella giudicativa : quindi la topica e la sofistica. La giu- dicativa è l'analitica, di cui la prima tratta del sillogismo Comune in cui si risolve la conclusione nella premessa ; (1) Prantl, vol. 4, storia d. Log. pag. 184, 185 cec (646) 56] la seconda è quella che riduce gli effetti alle loro cause. La risoluzione prima è relativa alla seconda ; perchè quella è comune ad ogni sillogismo, questa è speciale al sillogismo che versa intorno alle cose necessarie. AI libro dei primi analitici viene quello dei topici; e poi quello dei secondi analitici, e finalmente quello degli elen- chi. Dopo, la rettorica e la pratica. La scienza reale poi è divisa in prattica e speculativa. Quella in fattiva come la medicina, ed in attiva che com- prende l'etica, l'economica e la politica. Questa com- prenle la naturale, la matematica e la divina. La consi- derazione intorno al mobile in se è della fisica, che è pri- ma tra le parti della filosofia naturale: se si considera il solo moto locale, ecco la trattazione del cielo ; se verso la forma, ecco il libro della generazione ; se verso il mi- sto, si ha il libro dei meteorologici, e quello dei minerali: se è animato, questo o è in genere ed ecco il libro de parvis naturalibus, o è specifico, ed è il de plantis et de animalibus. La scienza dell' anima contiene tre parli: la pri- ma il trattato della vita e della morte, poi quello de respiratione e il de juventute et senectute, de causis lougitudinis et brevitatis vitae, de sanitate et aegritu- dine el de nutrimento, i quali due ultimi libri non ci pervennero. La seconda ciò che riguarda il motivo, de causis motus animalium et de progressu animalium. La terza ciò che è propriamente del sensitivo, quindi de sensu et sensato, de memoria et reminiscentia, de sonno el vigilia. Ma perchè dai simili si procede al dissimile, per- ciò dopo il libro dell'anima in genere, vien quello del senso, del sonno e della veglia. І intelletto non a endo concretezza nel corpo, é delle sostanze separate che ap- partengono alla metafisica. Sbagliano perciò coloro che dicono soggetto del libro dell’ anima il corpo animato e che l'anima sia sostanza del corpo. Perché il corpo ani- mato secondo le operazioni comuni a tutti 1 corpi animati, 57] (647) è soggetto del libro parworum animalium: considerato poi secondo le operazioni specifiche è il soggetto dei libri de animalibus et plantis. Il Vernia è nella dottrina dell’ anima ìn armonia colla dottrina del cielo. Т anima è propriamente l’ intelligenza, così nel cielo, come nell'uomo І intelligenza è sostanza separata; epperó non appartiene veramente alle cose né celesti, nè umane. L'anima come senso, come fantasia, appartiene alla natura, siccome la forma e la materia del cielo danno il cielo nella sua pienezza. Questa dottrina del 1482 è in pieno accordo colla dissertazione inedita del 1491, se il cielo è animato. Di qui è chiaro l’ordine delle arti liberali: cioè, prima apprendiamo la grammatica, indi la logica e la parola, poi la filosofia naturale e la matematica: da ultimo la divina sapienza. Da questa seconda dissertazione non comparisce per noi nulla di notevole, salvo una mente abbastanza ordinata in mezzo a tutto il ginepraio dei trattati aristotelici. Si può ritenere che il Vernia già si era dichiarato per l u- nità dell’ intelletto fin dal 1482, perché dichiara I intel- letto non avere concretezza nel corpo, essendo una potenza separata. Una dottrina che aveva per conseguenza la mortalità dell’ anima. Imperoeché egli confessa che non Solo la sensazione, ma anche la memoria appartengono alla vita sensitiva. Il senso non è che una specie dell'anima. L'intelletto come unico appartiene alla metafisica. Non sap- ато se a quest'ora avesse già pubblicato il suo trattato de unitate intelleclus. Forse no: ma questa dichiarazione è già abbastanza, oltre quella che si trova nella prima dis- Sertazione, per dichiararlo rigido averroista. La terza dissertazione, se sia più nobile la professione della medicina о quella del dritto civile ('), ha qualche (1) E enunciata così: quaestio, utra sit ewcellentior profes- Sto, au juris civilis, an medicinae. (648) (58) che di spiritoso. Nissuno si deve meravigliare che il Ver- nia abbia preso a trattare quest’ argomento; poiché era egli un medico e filosofo. Difatti, distingue in questo la- voro la medicina come scienza di cui parla, dalla medicina come arte, la quale dipende da quella. I medici artisti sono quelli che discreditano la nostra medicina, dice 1ш: e dovrebbero essere espulsi dalle città ('). Dopo avere esposto alcuni argomenti in contrario, tra cui, che il fine del dritto è fare 1° uomo virtuoso, quello della medicina conservarlo nel suo essere solamente, che con questa si sana il corpo, con quello si sana l'anima, ragiona così per la parte vera. La medicina riguarda la conservazione dell’ individuo, che è come la sostanza mi- gliore di ogni accidente. Il dritto si appoggia sull’autorità dei dottori, la medicina dà una certezza dimostrativa. Essa veramente dipende immediatamente dalla filosofia na- turale. Senza di quella nulla si conoscerebbe : ed in essa consiste la felicità, anzi che nella convivenza, che è una certa felicità. Dimostra a lungo la felicità consistere nella speculazione; e gli pare che il giurista sia più lontano dall'ultimo fine che attinge il naturalista. La medicina fu sempre avuta più in onore, epperò fu bene ricompensata. Qui non gli mancano varî esempi dalla storia. Una scien- za indeterminata e variabile non può mai essere davvero scientifica. Tale è la legge degli atti umani, in cui è im- possibile dire universalmente un vero: anzi è utile in certi casi particolari osservare l'opposto di una legge (B | forestieri che entrano nella città, sono puniti: ma ве questa è assediata, ed entrano per liberarla, sono degni (1) Et isti sunt qui faciant nostram medicinam in vilissimo praecio haberi; unde isti sunt ab urbibus expellendi solo experi- mento utentes, sicut quondam Romani fecerunt, plinio referente. (2) Est ipsa lex de actibus humanis in quibus est impossibile universaliter verum dicere: utile est in aliquo particulari casu oppositum legis observari. [59] (649) di premio. Unde leges variantur secundum locorum commoditates et ad libitum hominum. Leges enim Ju- stiniani in Gallia nihil valent. Aristotele nel V dell’etica le rassomiglia alle misure del vino e del frumento. Simi- liter non naturalia et humana justa non eadem ubi- que. Dopo aver distinto la medicina come scienza da quella come arte, osserva che gli scienziati medici non solo fanno gli esperimenti, ma ricercano le cause di essi dalle cose naturali. E se ad Esculapio gli Ateniesi, ad Antonio Musso i Romani per avere sanato Ottavio Augusto eres- sero una statua di bronzo, che cosa dovremmo fare noi a Gerardo Bolderio di Verona, principe tra i moderni medici? (!). Osserva che i legislatori dei suoi tempi sono privi di cultura e li disprezza, perché non conoscono le scienze morali, né quelle dell' anima. Tali non furono gli antichi legislatori, come Solone ed Aristotele, che erano periti nella scienza naturale. Dopo aver riferita l'autorità di Cicerone nella pro Murena, in cui dice che se Servio Sulpicio apprese dritto civile, non perciò trova aperta la Via al consolato, mette in ridicolo aleune glosse che si trovano nel codice giustinianeo (*). Fra le risoluzioni delle difficoltà poste nella prima parte della discussione, noto questa. Sebbene la virtù sia (1) Credo che questo sia quel Girolamo da Verona, di cui si legge negli atti del Senato Veneto che volendo rinunciare alla Scuola per la pochezza del salario, e per la molta famiglia che aveva, gli si dettero altri 100 fiorini all'anno oltre i iprimi 100 che già aveva. La data di questo decreto è del 1485. Certo però è quel Gerardo cui il Senato usò il riguardo di dargli un sostituto in nome di suo fratello. (2) Verba textus, mulam equus olficit: verba glosae, ollecit, idest nasum ad culum posuit. O mirabilis interpretatio! Item exponentes quid nomine faeni importantur, inquiunt. Nota quod faenum est herba sieca. Infinitis similibus sunt plena, quae seriptura digna non sunt, 1 л == = == pren — Sr (650) [60] preferibile alla vita nel genere dei costumi, perché la morte è preferibile alla vita turpe, perchè è più lodevole chi muore per virtù di chi vive ozioso; pure nel genere della natura non è così, anzi è l’ opposto, essendo prefe- ribile l’ essere alla virtù. E siccome, più essenziale è il genere di natura di quello del costume, è meglio vivere che è il fine della medicina, che essere virtuoso che è il fine della legge. Acuta riflessione! Questa dissertazione mi è apparsa la più originale tra tutte, perchè, oltre che è lasciata interamente la forma scolastica, essendo scritta in maniera molto spigliata e libera, è piena di osserva- zioni punto sprezzabili ('). Né si dica che era usuale a quei tempi l'invettiva dei professori di vari studi contro i legisti, i quali erano decaduti nella stima yer 1’ aridità delle loro dottrine (°). Imperocchè il Vernia si mostre piuttosto inspirato ad un altissimo concetto che è vero : cioè, che la scienza della natura è la sola che ci procac- cia una felicità per le verità conosciute, le quali non sono variabili come le leggi umane. Comprendo che da ess: risulta pure evidente lo stato di decadimento della giuri- (1) Serve poi molto questa dissertazione a far: noto, che il Vernia si era schierato decisamente nel partito dei medici a Pa» dova, і quali erano averroisti decisi, e non vedevano di buon grado i filosofi metafisici che ingombravano la scienza di dottrine teolo- giche. ' (2) Sulle cause di questo decadimento leggasi una pregevole memoria nell archivio giuridico diretto da F. Serafini, Pisa 1881, Volume 26, fasc. 4, dell' avv. Luigi Chiappelli, la polemica contro i legisti dei secoli XIV, XV e XVI. Ed anche il cap. IV sui giu- reconsulti antichi e sui glossatori medioevali di Remigio Sabba- dini nella storia del Ciceronianismo, Torino 1886. П l'avaro in un lavoro sulle matematiche nello studio di Padova negli atti del'Ac- cademia padovana del 1880 nota lalterigia dei giuristi sopra gli artisti: e che mentre quelli insegnavano nel locale attuale dell’ U- niversità, questi invece in locali, le cui strade erano inaccessibili e sporche. [61] (654) sprudenza a quei tempi. Ma il Vernia indica pure il modo come rinsanguare quegli studi coll’estendere la coltura a quelle sorgenti, da cui può fluire la vita del pensiero che era rimasta assiderata nella forma e nella parola. La questione de gravibus et levibus è di poca impor- tanza: tratta se i gravi e leggieri inanimati, rimosso l impedimento, si muovono localmente da se, o da altro. Espone secondo il solito, le opinioni devianti da Aristotele e le confuta, quella di Averroe che è la stessa di Ari- stotele, e finalmente risponde alle obbiezioni. Platone che pose l'anima e le cose inanimate muoversi da ве, è in opposizione ad Aristotele, che volle nissuna cosa poter muovere se stessa. Alberto disse muoversi per accidente ; e che non ci è bisogno del movente nel moto naturale, ma solo nel violento: e questo è l'aria. Ma Osserva che ogni moto ricerca per se il movente, e tali Sono i gravi. Contro S. Tommaso che disse i gravi /0r- aliler si muovono da se, ed effective dal movente, dice che per il moto in atto ci è bisogno del movente in atto. Neppure l'opinione di Gianduno che disse il movente es- Sere la forma, e la materia la cosa mossa, sta bene, per- chè allora la forma sarebbe movente e mossa, perchè il Moto in atto è distinto dal motore. Alcuni teologi sepa- rarono la gravità dalla sostanza ; e dissero che l'ostia con- Sacrata cade in giù come gravità, non come sostanza. Ma questa opinione non è naturale: e non ne parla per- ciò (*). Egli dice che i gravi e leggieri, dopo che sono ge- nerati, si muovono da se, rimosso 1’ ostacolo, ai luoghi Naturali propri, e fuori di essi sono mossi dall’ aria per | dall’ aria secondo Averroe, la quale è causa della velocità. Imperocchè il mobile in fine è più veloce, perchè mag- giore quantità d’aria lo segue nel fine, che nel principio. impeto dato dal movente violento. I proiettili sono mossi (1) Et quia illa opinio non loquitur naturaliter, ideo nihil de [unt t ad praesens dicere intendo pag. 13. FE POSU VI 54 me CI (652) [62] Lo stesso succede per l’acqua, perchè aria ed acqua sono corpi interminati, indifferenti a qualunque figura, come non è dei solidi. Così si spiega, perchè la balista percuote più a certa distanza che vicino, perchè i raggi si unisco- no nello specchio a certa distanza. È curioso che si man- tiene più fedele ad Averroe che ad Alberto, il quale ве- condo lui non ha detto bene che i gravi sono mossi dal- l'impeto ad essi dato e non dall’ aria e dall'acqua, perché i gravi misti terminati non sono nati a ricevere tali vio- lenze. Altrimenti un uomo getterebbe a maggiore distanza t una piuma che un pezzo di ferro ; locchè è contro Te- sperienza. E se il maestro Gaetano risponde, che avendo il ferro più materia, riceve più impeto e va quindi a mag- giore distanza, gli osserva il Vernia che, data una pietra ed un pezzo di ferro della stessa quantità, il ferro do- vrebbe andare a maggiore distanza. Ciò proviene perchè la mano si applica meglio alla pietra, che alla piuma (!). Questa dissertazione fa troppo desiderare la venuta di Galileo per isciogliere questo quesito della fisica che avvi- luppò nel buio le povere menti aristoteliche (°). Nella quinta dissertazione, an dentur universalia rea- lia, il Vernia è ancora pretto averroista, cioè sino al (1) La stessa dottrina è chiarita dalla dissertazione ine- dita, ulrum coelum sit animatum, ove dice che il moto del cielo è dall’ anima, o meglio dall’ intelligenza, cioè mediante gli spiriti vitali la natura umana muove mediatamente, locchè non fu inteso bene dal nostro maestro Gaetano che disse la gravità essere im- mediata, cioè senza mezzo sostanziale, a differenza delP anima; mentre solo muove immediatamente P intelligenza. (2) La stessa dottrina segue Elia del Medigo, suo contempora- neo, nel commento all' Ottavo della fisica: lapis igitur non mo- vet essentialiter nisi aerem in quo est et movet se quia hoc quod movet se, sequitur motum aeris, sicut de homine cum navi, et cum ita sit, aer igitur et aqua sunt necessaria in motu lapidis. Gonchiude secondo Averroe: quod medium est necessarium in esse motus gravium et levium modo proprio. pag. 180. | [63] (653) giugno del 1492. Espone secondo il solito le opinioni de- vianti da Aristotele e dal commentatore, poi quella di questi due, e finalmente risolve un numero immenso di obbiezioni. Dice che gli universali о sono concetti puri secondo Occam, ovvero sono reali secondo Burleo nel prologo della fisica ; oppure ci è la via media in quanto sono reali nella cosa singolare e formali nell’ intenzione. Il Vernia prende lo stato della questione non dai primor- di della discussione, ma dalle ultime forme che aveva as- sunte nella scienza ('). Perchè il Burleo discepolo di Occam stando alla pura questione filosofica, aveva guardato рій alla parte fisica dei generi e delle specie, ed Occam aveva ridotto la soluzione al puro nominalismo. Non crede do- ver fare lunga discussione sugli universali ante rem, pa- rendogli fuori proposito pei tempi della scienza. Noi che camminiamo nella via media, dice lui, affermiamo che l' essenza di ogni cosa si può considerare doppiamente, cioè in se, e nella materia, in quanto è quell’ aptitudo realis che non è particolare, perchè è una essenza non di unità di numero, ma l’unità secondo l’aptiludinem communicabilitatis. È una comunità non di materia, ma di forma. Ed è appunto questa Znchoat?o formae che è reale. Cosi nello sperma non cessa mai la forma umana, fin tanto che 1’ uomo si perfeziona, Altrimenti la forma sarebbe creata dal niente di se. Il Vernia è un fisico, е non può trattare la questione degli universali, se non dal lato della sua scienza. Essa si può dire che si identifica (1) Il. Vernia prende 1а questione non da S. Tom. e da .G. Scoto che avevano logorate le scuole per tanto tempo, ma da Oc- cam terminista cui molto si avvicina e da Burleo che è realista fisico per trovare una soluzione tra il Trombetta e il de Vio e il Neritone, Un bel lavoro si trova sull'Oceam fatto dal Werner, Die hominalisirende Psychologie der Scholastik des späteren Mil- lelulters, pag. 213, Sitzungsberichte der philosoph-Historischen clas- Se, Wien 1889, (654) [61] con quella dei germi della vita, sino ad un certo punto. Occam aveva sciolto la questione degli universali negando ogni esistenza astratta e tutto riducendo il loro valore al puro termine. Ma la specie non ha valore in se? Ecco il Burleo che ammette quest’ universale nella specie : il Vernia lo chiama unità di forma che è increata, eterna, appunto per negare la creazione temporanea della specie. La difficoltà era per l’anima intellettiva, ritenendosi che essa è creata prima e poi infusa nel corpo. Sebbene ciò, dice il Vernia, è secondo la mente dei sacri teologi, non è però secondo la mente di Aristotele (t). Poiché secon- do Averroe nel settimo della metafisica non può uno stesso effetto essere prodotto da due agenti che non sono su- bordinati nell’ operare, e che non concorrono aggiustata- mente allo stesso effetto. Così sarebbe di Dio e di un par- ticolare agente nella generazione di Socrate. Epperò egli è di opinione che la dottrina di Alberto a questo punto poco differisca da quella di Averroe. Il quale volle tutte le forme prodotte ed emanate dalla potenza della materia e non per creazione, la quale credette essere impossibi- le (°). Quindi l'anima intellettiva non è creata, ma (4) Sulla infusione dell’ anima intellettiva nel corpo (ісе: quamvis ista, responsio sit ad mentem sacrorun theologorum, non tamen ad mentem Aristot. nam ut colligitur ab Avervoe VII metaphisicace, a duobus ayentibus in agendo non subordinutis, neque co uequo concurrentibus ad effectum non potest idem effectus produci: ita est de Deo et particulari agente in gene- ratione Socralis. (2) Il Vernia secondo lo spirito averroistico ammette P eter- nità delle forme per negare la creazione sotto ogni punto di vista non solo per l anima, ma anche per tutte le cose della natura. L'eternità delle forme serviva a lui piü per togliere di mezzo dalla scienza totalmente la questione della origine delle specie. In questo il Vernia era opposto ad Elia del Medigo il quale nella disputa, utrum mundus sit effectus, ammette la creazione decisamente: [65] (655) è eterna. Alberto invece si oppose secondo la fede, per- chè la volle creata. Ma ciò che ha esistenza preesistente, è ab aeterno. Il Vernia nella questione dell'anima vede la cosa se- condo il fatto. І uomo genera l’uomo per 1 appetito na- turale che non può essere indarno. L'agente fa la mu- tazione, trasmutando la materia dalla potenza all’atto, non congregando due cose jer fare l’unità di un effetto: così si approssima alla creazione. La forma non si crea, ma si produce per generazione. La creazione de novo non gli va. La generazione non è per trasferimento secondo Anassagora, nè per le idee secondo Platone. Per Averroe quando succede la generazione, vi è qualche cosa che si completa: la forma è il termine di essa. La forma parti- colare è distinta dalla essenza che la include ; perciò essa non si crea, ma si genera. Se Alberto dice che è creata dal niente di se stessa, rispondo che è per accidente» ge- nerata. E se soggiunge che incomincia ad essere de novo, r.spondo anche dicendo non dal niente di se stessa, ma da qualche che di se, cioè dalla essenza che è l'incoazio- ne ed il seme nella stessa specie. E coloro che non in- tendono queste cose, non hanno il cervello abilitato al bene, e non sono atti a filosofare secondo i principi di Aristotele (t) il cui assioma è dal niente niente farsi. La quale dottrina fu accolta da tutti quelli che parlano na- turalmente. Ottima confessione ! Ma osserva ancora che la forma della specie non è distinta da quella dell’ individuo; perché nell’ uomo vi è una forma particolare che si dice l’anima cogitativa. Nel- lo sperma da cui si ha l'uomo, non si distruggono le parti di esso, ma si generano successivamente le forme dell’ uomo, finché si perfeziona la forma umana. L'incoa- (1) Et qui ista non recipiunt, non habent cerebrum habilitatum ad bonum, neque sunt apti ad philosophandum secundum princi- ра Aristotelis. (656) (66) tivo seme non è una potenza subbiettiva, ma potenza formale, distinta dalla materia (t). Da ciò segue darsi gli universali reali. Anzi arriva a dire che tutte le specie rimangono in ogni ora, altrimenti tutto sarebbe corrutti- bile, locché appartiene al solo singolare. Perfino il con- cetto di finalità nella natura non lo ammette; poichè il fine è ens rationis, il quale è ben diverso dal processo naturale, che non dipende dall’ anima nostra. L'incoazio- ne è reale, dice più prima, è nella materia, non è nel- l’ intuizione delle cause agenti (*). Segue una immensità di obbiezioni che tralascio per brevità: qualcuna solo vo- glio menzionare. Con questa teoria in ogni uomo vi sa- rebbe qualche che dell’ asino ; risponde : in potenza vi è questa indifferenza della specie, in atto no. (*) Essendo questi universali separati dall’individuo, non vi sarebbe la necessità dell’ intelletto agente. Risponde: questo essere necessario a produrre nell’intelletto possibile mediante 1 fantasmi le intenzioni dell’intelletto in atto. Nota poi con Alberto che questi universali incorporei sono semplici (1) Lo Scoto aveva distrutto l universale nelle cose riducendolo ad una virtù delP intelletto: è questa la potenza subbiettiva. Ма il Vernia ritiene questa virtà avere un fondamento reale nella esi- stenza potenziale del germe. Così ei si trova in. opposizione coi tomisti non solo, ritenendo la loro dottrina degli universali come non degna nemmeno di essere confutata, ma anche cogli scotisti. (2) In questo punto il Vernia è tutto opposto ad Elia del Medigo secondo il quale Dio dans finem dat formas et esse, sed dans formam est efficiens, causa ordinis in istis entibus dat sub- stantias. (3) Anche su questo punto il Vernia come in altri è di avviso contrario ad Elia del Medigo il quale dice nella pag. 182 del com. sullottavo della fisica: quod autem formae propriae requirunt materias proprias, est, nam, si hoc non esset, quod- libet generaretur ex quolibet et homo vivus ex homine mor- tuo, et sic entia non essent propria et determinata. [67 67] (657) E ubique existentes, come la quantità indetermi- nata. Infine a Burleo che nega gli universali nella mente, altrimenti si andrebbe all'infinito nei concetti comuni, e cosi non vi sarebbero principi primi della scienza, rispon- de, che il concetto dell’ essenza in ratione entis è singo- lare, ¿n ratione signi è comunissimo. Un uomo e un uomo sono lo stesso ratione signi, ma differiscono mate- rialiter. Per questa dottrina egli si avvicina di molto ad Occam che è un puro terminista; ritiene con lui gli uni- versali nella mente ratione signi, e combatte Burleo che li negò nella mente: ma ritiene con costui la realtà de- gli universali come enti obbiettivi, che negó 1’ Occam. In questa dissertazione vi è del buono, vi è del fal- Ad ogni modo è la ultima manifestazione del suo averroismo. Il Vernia nega la creazione perchè riconosce in natura la sola generazione : ed arriva sino a toccare la questione nebulosa della generazione spontanea colla dottrina della indifferenza dei generi. Non fa eccezione per l'uomo e nemmeno per l’anima cogitativa, dicendola una specie non diversa dall’ individuo, un’accidentalità della natura, per cui non ci è bisogno della creazione de novo. Nega l'infondersi dell'anima nel corpo umano Secondo S. Tommaso, reputando sufficiente la generazione per l?’ appetito naturale inerente all’ uomo. Questo è il lato più vero dell’ averroismo professato dal Vernia. E Se ritiene gli universali separati dai singolari in quanto sono in se, non è meraviglia che sia costretto ad ammet- tere anche l'intelletto agente che completa nell’ uomo la Cognizione. Il Vernia mi pare proprio sospeso tra il cielo € la terra, tra la scolastica antica a cui non puó dare un totale addio, e la nuova dottrina della realtà della natu- га di cui ne ha qualche presagio. È certo però, che se altro scritto mancasse a conoscere qualche valore negli Studi naturali, questa quinta dissertazione è la più valida prova del suo talento negli studi filosofici. Con questa dissertazione quinta preceduta dall’ altra, se il cielo è | | (658) [68] animato, inedita, il Vernia chiude il suo averroismo il più deciso. E si noti che è una dissertazione pubblicata dopo il 1479 in cui fu minacciato della scomunica ; cioè nel giugno del 1492 ovvero tre mesi prima della sua ritrattazione, due mesi prima del trattato de intellectu del Nifo, che ne era il preludio. Nel 26 agosto (') e nel 18 settembre (°) dello stesso anno, 1492, avviene, che discepolo e maestro, cioè il Nifo prima e poi il Vernia scrivono due trattatelli contro l’ unità del- l’ intelletto di Averroo. Il trattato de intellectu del Nifo è molto più lungo: ma in sostanza contiene nulla di più di quello del suo maestro. E come quello di Nifo fu pubblicato nel 1503, così quello del Vernia vidde la luce nel 1499. Il Naudó | ha detto che il de intellectu di Nifo fu prima di quello de | unitate del Vernia (°). E vero, perché nella dedica del libro a Sebastiano Baduario, patrizio Veneto, dice che gli aveva (1) Et sic consummatus est liber de intellectu 26 augusti 1492 in Patavino studio, nell’ edizione del 4503, 3 agosto, per Petrum de Querengis ; ed in quella del 4597, 10 aprile: Roc opus Augustini Niphi Suessani de intellectu consumatum est Patavii 1492 : Venetiis autem bis impressum, Semel 1503, Iterum vero longe emendatius opera et impensa lleredum q. d. Octaviani Scoti. Il libro de demonibus stampato insieme col de intellectu è dedi- cato a Daldass.? Utiliano, patrizio partenopeo, е porta la data di Sessa. (2) Et sic est finis hujus nobilissimae quaestionis per me Nic. Verniam Theat. civem Vicentinus (sic) ord." philos. ad primam sedem legentem sine concurrentia in almo studio Patav. in villa Vicentini Golzade dieta non obstante ophtalmia quae me tunc molestabat 1492, 18 septembris. (3) Prodiit autem liber iste Nicoleti Vern. anno MGGGGXCIX, octavo seilicet post dictam illam haereseos Augustino Nipho inu- slam, . .. . Et sane quo facilius adversarios suos placaret seriptis suis de intellectu et daemonibus priusquam anno MCCCCXCII in pubblicum exirent, lituras quasdam allinere coactus est. б. Naudei de Aug. Nip. judicium. [69] (659) dedicata la questione de intellectu, anno superiori, ed avreb- be procurato di stamparla, se non ci fossero stati gli invidiosi che lo accusavano di eresia. Da ciò si è argomentato che nel 1491 il Nifo aveva già fatto il trattato; e che avendo difeso il Vernia, si attirò sopra di lui accuse di eresia ; epperó fu costretto a pubblicarlo nell'anno dopo, aven- dolo prima del tutto emendato ('). E questo ha potuto essere sino al Giugno del 1492, quando 11 Vernia era ancora averroista. Ma mutatosi d'o- pinione il maestro, si mutó anche lo scolaro (?. Ri- mane la difficoltà rispetto al Vernia, che è maggiore di quella del Nifo, come dopo più di due mesi soltanto cambiò Opinione, cioè da averroista addivenne antiaveroista col trattato de unitate intellectus contro Averroe. Di così su- bitanea mutazione la causa dovette essere la scomunica del Barozzi fattasi sentire un po’ più efficacemente. Che il Nifo ricevette dal Vernia l'indirizzo fondamen- tale dalla sua ritrattazione, risulta non solo dall'andamento del libro de intellectu nel tutto insieme, ma anche da un'al- (1) In molti luoghi del de intellectu il Nifo confessa di essere Stato averroista: p. e. nel cap. 24 del 2." trattato; tametsi positio- nem Averrois plus consonare verbis ac fundamentis antiquorum et maxime Aristotelis diu crediderim, a proposito della questio- ne se lanima razionale, ovvero la cogitativa sia la differenza del- l'uomo. Ma soggiunge; videtur quod expositor novus (è il Vernia) in libro de unitate intellectus contra Averroym quampulere ponde- rans ea omnia verba Aristotelis quae dicit in secundo de anima ostendit positionem Averrois ex toto verbis Aristotelis ibi contrá- dieere : ideo nolui inducere omnia illa, cum liber ille comunis est cuilibet et facilis visu. Da ciò si può argomentare che il cam- biamento del maestro influi sul discepolo. (2) Si è fatta questione se il Nifo abbia insegnato a Padova. Dai suoi scritti è certo; perché nel de anima dice : reliquum est ut me convertam a scholaribus meis qui olim Patavii saectati Sunt me. Ci è poi il decreto del Senato veneto, in cui è detto che nel 1495 insegnava da tre anni. DLL SVI 85 RE 660) [70] tra circostanza che c' induce a credere cosi. Il Nifo confessa nella dedica del commento de anima (t) al Giulio cardinale dei Medici, che tutte le cose raccolte sul de anima da lui fin da quasi fanciullo gli furono rubate e stampate a sua insaputa e col suo nome, acciocché la cosa fosse più verosimile (*). Si capisce che queste cose raccolte furono sotto scuola del Vernia. E se il de intellectu a confessione del Nifo si intende per il commento de anima, e deve succedere a questo, ed è giudicato il primo parto suo giovanile, è ‘agionevole supporre che l'un e 1’ altro libro sieno stati in- spirati dal suo maestro nei punti principali della ritrat- tazione. Percorriamo ora brevemente la sesta dissertazione, per vederne il contenuto. Dice che Anassagora, Esiodo, senofane, Melisso e Parmenide convengono nel porre che sia lo stesso Dio e l’anima intellettiva: unico Dio, unico intelletto. Di qui nacque l'errore di Averroe e di altri peripatetici che dicono uno essere l’intelletto in tutti. Democrito e Leucippo non facendo differenza tra senso ed intelletto, ammisero l’anima fatta di atomi. Empedocle volle l'anima composta degli stessi principii delle cose, perché conosce queste cose. Costoro dunque ammettono l'anima generabile. Riferisce l'opinione di Pitagora che pose l’anima immortale per la metempsicosi, e di Platone che disse l’ anima da Dio creata, infusa nei corpi. Ma Ori- gene secondo S. Tommaso volle l'anima creata de novo (1) П de anima è stato compiuto nel 1498 e stampato а Ve- nezia nel 1522. Nifo era già via da Padova: vi ricorda nella fine alcuni scolari più distinti dello studio patavino. Anche nel libro VII, disputatio undecima pag. 197 del dilucidarium della metafisica dice: Patavii etiam dum illic legebamus, pueri nostri multas ra- liones moverunt contra istam (positionem), verum quia omnes illae rationes tunc a nobis fuerunt solutae, ect. (2) Typisque (me inscio) excussa, atque qui hanc notam mihi inusserunt, quo res foret verisimilior, meo nomine inscripta edide- runt. [717] (661) e non eterna, rinchiusa ‘nel corpo pel peccato originale. Avicenna che ammise l'immortalità, disse le specie non causate dai fantasmi per l'agente intelletto, ma che questi dispongano l’anima a ricevere le specie. Dopo ciò, magna discordia inter peripateticos, perchè in Aristotele non 51 trova sciolta né la prima né la seconda questione, cioè an anima intellectiva sit forma substantialis humani corporis, utrumwve sit in co felicitabilis. Alessandro ammise l’anima intellettiva essere eterna, e pose l'intelletto agente e possibile come eterni. Averroe non avendo conosciuto il libro dell'anima di Aristotele, disse l'intelletto possibile corruttibile, ed intese per in- telletto possibile l’anima cogitativa. Ma se è immortale l'agente, tale è anche il possibile. La sua attitudine a tutto ricevere è in consonanza colla libertà. Qui ci è una esposizione delle ragioni per cui Averroe ammise l'unità dell’ intelletto; perchè è impossibile l’ infinita moltitudine d’intelletti, perchè non non vi è moltitudine nella stessa Specie se non per là materia, perchè è impossibile la Creazione. E subito dopo una imprecazione ad Averroe. Conchiude coi peripatetici più famosi che tra Platone ed Aristotele non ci è discordia, se non nelle parole, e che l' anima sia sostanziale dans esse formaliter corpori humano, moltiplicata in singulis hominibus, ab aeter- no creata a deo et corporibus infusa. E ciò secundum sacrosanctam Rom. Ecclesiam et veritatem. Ma ci è qualche cosa di più: sostiene che queste cose поп solo bisogna credere ex fide, sed philosophice, non dicendo nulla di contrario ai principii di Aristotele. Arriva ad ascrivere ad Aristotele anche la creazione : locchè è la Cosa più strana per il Vernia, che a questo proposito si era cosi decisamente espresso ('). (1) Il Vernia fa una rittrattazione in tutta la psicologia. Vale à dire, egli deve ammettere una natura tutta spiritnale, inaltera- bile, immutabile: e siccome l'intelletto si muta per la conoscenza (662) [172] Cambiata la dottrina sull’ intelletto possibile, era ne- cessario cambiarne altre con quella connesse. Ritiene per- ciò che all’ anima non conviene mutazione per l'acquisto della scienza. Per Г unione ai fantasmi è 1° universale co- nosciuto. Ma il singolare поп può essere conosciuto pri- ma dall’intelletto, ma solo dal senso in cui vi è mutazione. Nega quindi al Gianduno che 1 intelletto per conoscere l’ universale abbia prima bisogno della conoscenza del par- ticolare ; altrimenti vi sarebbe mutazione nella scienza, e quindi alterazione nell’ intelletto. Cosi spiega che Г inten- dere è per reminiscenza. Similmente circa la indivisibilità dell’ anima, il cui opposto ammise Averroe, osserva che se l'anima non fosse tale, l' uomo non sarebbe lo stesso da mane a sera. Un altro inciampo era, come 1' anima in- tellettiva da l’ essere al corpo umano. Crede una stoltezza l’affermare col Gianduno che non può avvenire se non per miracolo, che una forma inestesa dia J’ estensione. Qui intanto anche lui si rifugia alla fede, ut fideles po- nunt. Finalmente ne dimostra la immortalità : ciò che è indebilitabile per la esistenza dell’ oggetto, è immortale. L'intelletto è tale: è eterno, come gli universali, non è organico, perchè la sua operazione non è corporea. Un argomento spesso riprodotto dal Pomponazzi, è questo: non si va da un estremo all’ altro senza un mezzo. Tra la forma astratta e la materiale ci è la media che dà J’ essere alla materiale : e per questo conviene colla be- stia, ed è incorrutibile come la celeste natura. In mezzo a tante difficoltà che tratta, egli è però convinto che la particolare, così confina il solo senso al particolare, e P intelletto all universale. La stessa indivisibilità dell’ anima non dovette es- sere da lui ammessa: | uomo per lui non doveva essere lo stesso da mane a sera. Così anche l'idea della libertà come indifferenza; non doveva essere sostenuta da lui. Che l intendere sia una reminiscenza è contro il principio del Vernia che pone l’attività di intendere nell’ intelletto possibile che lavora sui fantasmi. [75] (668) soluzione si trova nella fede: е se Platone si accostò alla verità, non la vidde completamente. Sed solum fideles inspirationis lumine fidei illuminati veritatem attingere complete, et soli complete satisfaciunt omnibus quaesi= tis in his difficultatibus. Da questa dissertazione si vede che il Vernia mostra di aver perduto ogni vigoria speculativa, ed ogni connes- sione stretta di pensare. Ed essa si può piuttosto ac- cettare come una confessione di fede, anzi che come una vera tesi scientiflca. 11 rifugio nella scienza era S. Tommaso, od un Platonismo cristiano. Tale era l'intonazione che aveva dato il Bessarione venendo in Italia: e questa si seguitó piut- tosto a Firenze, che a Padova. E nissnn dubbio che questo indirizzo lo segue il Vernia. E credo che gli faceva com- modo per levarsi dagli impicci che gli dava il Baroz- zi, e perchè desiderava il canonicato di Aquileia, al quale avrebbe trovato aperta la via con tale pubblica con- fessione. Ma, siccome è troppo difficile abbandonare quelle idee che sono state il nutrimento di un gio- vane intelletto; cosi anche qui si vede in mezzo alle imprecazioni ad Averroe ed alle eccessive dottrine di fede, una tendenza a mitigare l'averroismo, cioè а con- temperarlo colle dottrine della chiesa. Ed il Barozzi gli dice nella lettera di risposta che lui ha fatto bene di fare questo opuscolo, sia che senta cosi, sia che no, perché la Sua autorità è grandissima. E lo paragona a S. Paolo con- vertito ; ma pure il sospetto sulla sua fede non cessò to- talmente. Epperò egli replica la sua confessione dopo pochi mesi dalla pubblicazione del suo opuscolo nel suo testamento. Il Nifo nella età giovane imitò in tutto il suo maestro Nella tarda età colla sua barcollante fede nell’ averroi- smo. Cosa che il Pomponazzi gli osservò bene nel de- fensoriuwm. Che autorità ha quest'uomo (ei dice) che men- tre ora segue l’unità dell’intelletto che noi diciamo essere di Averroe, prima l’ha condannata! Allude appunto al trat- (664) [72] tato de intellectu. Questo vacillamento lo apportava con se il sistema secondo il Bessarione, di non avere nissun criterio proprio. E nella prefazione al de Anima egli professa col Bessarione (') che nè Platone ne Aristotele ar- rivarono perfettamente alla fede ortodossa; ma in loro si os- serva una parvenza della nostra religione, che poi il creatore per mezzo della dottrina del suo figlio rivelò più manife- stamente. Le sentenze perciò di Platone e di Aristotele si debbono accomodare a quella di Cristo. Tale fu il Ver- nia nell’ eta decrepita, e tale il Nifo nella gioventù. Il sistema era molto commodo non solo a non avere disturbi quali ebbe il Vernia, ma anche ad aprirsi una via sicura agli onori che la chiesa impartiva. Era il tem- po della simonia allora: una fede anche larvata ci voleva sempre, come scala alle lucrose onorificenze. Noi non ci meraviglieremo della confessione del Ver- nia, o meglio della sna ritrattazione, perchè anche il po- vero Pomponazzi fu obbligato a confessare che gli argo- menti del Padre Crisostomo, dell'ordine dei predicatori, contro il suo trattato de immortalitate erano fuori ogni dubbio. E si obbliga che il suo libro non puó esser ven- duto senza quella aggiunzione! Solo ci possiamo meravi- gliare del suo discepolo che seppe imitare a proprio vantag- gio ciò che fu un tratto di debolezza senile del suo maestro, senza aver mai dato in tutte le sue 44 opere un lampo di ingegno un po’ libero e meno servile alla chiesa. (4) Ma senza citare le parole che sono prese in tutto dal Bes- sarione. Vedi il nostro opuscolo: Un autografo del Gardin.* Bes- sarione. | | e di | | | APPUNTI SULLA STORIA DI ASTI DALLA CADUTA DELL'IMPERO ROMANO: SINO AL PRINCIPIO DEL X SECOLO DEL $. C. CARLO CIPOLLA (Contin. della р. 308 del presente tomo). (|G — Si toccò ora della contea Astese, quantunque finora nessun documento ce ne abbia parlato. Si può supporre che Asti fosse costituita in comitato sino dal tempo di Car- lomagno (**?) La prima notizia del comitato Astese è del- l’ 839, (+) e indica la tendenza dell’ Astigiano ad esten- dersi in direzione di SO. Con diploma 4 maggio 839 (1%), da Pavia, Lotario I concedette « cuidum fideli nostro Eremberto nomine ex comitatu Hastense » la corte di Borio, a SO, dell Astigiana, sulla sinistra del Tanaro, « quemdam (sic) curtem nostram Eburias ('*) cum om- nibus mancipiis, pertinentiis et adiacentiis ad se pertinen- tibus et aspicientibus, proprietario iure cont tulimus, hac de (423) Gorrini, Il Comune Astigiano, p. 10. Egli suppone che Carlomagno abbia appunto costituito Asti in Comitato, facendo conte quell’ Irico di cui si è detto. (424) Il valore di questa carta per provare l'esistenza del co- mitato Astese fu rilevato da С. Dionisotti, Le famiglie celebri me- dioevali dell Italia superiore, Torino, 1887, p. 114-5. Egli sem- bra disposto a crederne Conte Trico. (425) Muratori, Ant. Ital, I, 579-80. (426) Nell’ ediz. Muratoriana si legge Eburlas, ma il Durandi (Piem. Gisp., Torino, 1774, p. 47) corregge in Eburias, che (p. 284) identifica con Burio (Borio). | | ? (666) [144] nostro in suo suorumque heredum dominio libere transtu- limus possidendo ». Questa è una prova di più da aggiungersi a quelle raccolte dal citato dott. Matthei ('°) in favore della larga estensione dei beni regi nella regione Astese е nelle contermini. Ma il feudalismo incipiente, porta seco la trasformazione dei possessi regi, in possessi privati o ecclesiastici. Lodovico IF da Venosa, 25 maggio 869, (4*8) conces- se alla moglie imperatrice Angilberga, iure proprietario « cortem Sigillam in Toresiano comitatu una cum Vara et Lancillo inde pertinentibus; et alias quatuor curtes idest Doveno in Terdonensi, Palmata in Aibigauno, Vac- carigas et Civisi in Astensi comitatibus, cum omnibus vi- delicet ad ipsas cortes respicientibus, idest utriusque sexus mancipiis, villis, capellis, casis, casaritiis, vineis, pratis, pascuis, sylvis, cultis sive incultis, arboribus pomiferis sive non pomiferis, aquarum aquarumque decursibus, vectigali- bus seu redditibus cunctis sub omni integritate et districtis iudicialibus. » Qui si parla di due corti Astesi, una delle quali è Cinaglio, dovendosi leggere Cinisi in luogo di Civisi, siccome rilevò il Durandi (**%) ; invece rimane а de- terminarsi l'attuale. corrispondente di Vaccarigas. Se- condo Mühlbacher Aibigauno (cioè Albigawno) non è AL benga, come a primo aspetto (+30) parrebbe, ma Alba. Il (427) Dei lombard. Politik ecc. p. 8-9. (498) Muratori, Ant. It., VI, 97-8; cfr. Mühlbacher (n.1 207) il qua- le si servi della copia che dell'originale di questo diploma esistente nell'Archivio di Stato di Parma, venne eseguita da Carlo Pertz. (429) Piem. Cisp., p. 296 е 298. (430) Cosi la pensó, e pare giustamente, Gir. Rossi, Storia della cillà e diocesi di Albenga, Albenga, 1870, p. 87. Nella do- nazione di Ermengarda al monastero di S. Sisto, 30 nov. 890 (Cam- pi, Mist. eccl. di Piac., I 472, God. dipl. Lang., nv. 940) leg- gesi: «In comitatu Albiganense partibus maritimis im loco ubi di- citur Palmate >. | М енда [145] (667) comitato Toresiano o Turisiano riesce sempre un enigma. Credette il Muratori che lo si possa identificare con Co- mitatus Tigurinus, cioè Zurigo. Mühlbacher, impugnan do questa congettura, ammette che il detto comitato si debba cercare nel Piemonte, ma confessa di non avervelo tro- vato. Pensando che Vara può riscontrarsi in quel di Sa- vona, dubitai dapprima che in quei dintorni si potesse tro- vare anche l'antico contado Turisiano. Ma le mie ricer- che rimasero infruttuose. Nó si può pensare a Turbia, che (almeno nel XII secolo) chiamavasi Turbia o Turbida. Ad Angilberga si deve la fondazione del monastero di S. Sisto nel Piacentino, coll’ approvazione e il favore del marito (19). Morta Angilberga, la figlia di lei e di Lodovico II, Ermengarda, donó a S. Sisto, a. 890, varie terre, tra cui Sigilla in comitatu Torisiano, e Palmate nel co- mitato di Albenga; ma delle due corti Astesi non è detto che passassero al monastero piacentino. Nel documento ora citato abbiamo dunque ricordato di nuovo l’enigmatico comitato, che da un illustre eru- dito dello scorso secolo fu identificato con Tortona. Del resto neppur tale ipotesi si presenta come, non dico sicura, ma almeno probabile. П comitatus | Toresta- nus dal documento di Lodovico II apparisce come diverso da Tortona, giacché in esso si ricorda poi il comitato Terdonensis. Abbiamo un placito del 902 tenuto in Ver- celli da Garibaldo Vescovo di Novara, il quale dichiara di essere il misso, diretto da Lodovico III (+3?) а giudicare « in finibus Torsesianensis, Astensis, Taurinensis, Epo(ro diensis) . .. . ». Cosi leggesi nell’ edizione fattane dal Tiraboschi (4), che si giovò dell’ originale stesso. Attesa (431) Diploma di Lodovico И, 3 ottobre 859, Campi, Historia eccl. di Piacenza, I, 458. (432) E non da Guido come per errore dissi altrove Audace, in Miscell, XXVII, 900. (433) Nonant., II, 85-7. Th Dess ҮП 80 (668) [146] la somiglianza esistente tra la s e la 7, nel carattere cor- sivo, si può agevolmente pensare che sia da leggese Tor- resianensis. Il Tiraboschi non sapendo con che identifica- re quel nome, pensò che il notaio abbia errato nello scri- vere, e giudicò che quel luogo si possa identificare con Torto- na. Ma paragonando questo documento col diploma dell’ 869, vediamo invece che il comitato Torresianus o Torresia- nensis non è né Tortona, nè Torino, almeno se quei due aggettivi sono derivati dal medesimo nome geografico ; al quale si può far risalire un’altra forma, che abbiamo nel documento del gennaio 892, che si aggiunge in fine alla presente Memoria. Quivi, in luogo di iudiciaria Astensis, com'era stato interpretato per l'addietro, bisogna leggere iudiciaria Torensi; е a questa iudiciaria ap- parteneva Alfiano. Segnando i confini dell' Astese io ave- va in altra occasione (4) indicata la terra di Alfiano, come compresa in essi; e a ciò fare mi consigliavano le molte relazioni che quella terra ebbe con Asti, nonchè il docu- mento dell’892, giusta la vecchia edizione (^5). Ma adesso non parmi che ciò sia apiù possibile sostenerlo, e bisogna escludere quel villaggio dal novero delle terre Astesi. Del resto, anche secondo la descrizione dell’ Astese, che ab- biamo nella Licinia, che sta in testa al Codex Astensis Sd il confine passava tra Tonco ed Alfiano. Molti nomi che hanno per radicale Torre possono aver dato l'appellativo ad un paese probabilmente ora distrutto, da cui sia derivato il nome di Comitato Torense, o Toresiano. Torre entra spessissimo come elemento ra- dicale in nomi geografici; perlocché noi non possiamo nep- (434) Audace, 1. c., 277. (435) Chart., II, 11-7 nr. 9. (436) Ed. Quintino Sella, II, 32; cfr. le ricerche geografiche di Pietro Viarengo, ibit, I, 303, e cart. geogr. [147] (669) pur stabilire con certezza che i tre documenti 869, 899, 902, parlino di una identica località (+37). П 12 agosto 875 mori nel bresciano Lodovico П (35) ; fu sepolto a Milano nella basilica di s. Ambrogio (159). Appena della sua morte ebbe notizia Carlo il Calvo, suo fratello, che regnava in Francia « ilico regnum Ita- liae invasit et omnes thesauros quos invenire potuit, unca manu collegit. » Così gli Annales Fuldenses. Carlo il Calvo era invitato in Italia da Giovanni VIII, e non da esso soltanto. Secondo gli annales di Hinemaro da Rheims (***, fino dal principio del settembre Carlo il Calvo prese la via d'Italia, passando per St. Maurice e per il mons Jovis ; quest’ ultima località o più pre- cisamente l’ « hospitale quod est in monte Jovis » era stata espressamente eccettuata dalle terre, che, cor- rendo l'anno 859, Lotario di Lorena diede a Lodovi- co П (4). Di certo, ed è chiaro, Carlo il Calvo non aveva bisogno di inviti; ma se ne avesse avuto bisogno, non gli sarebbero mancati, perchè i maiores nati si (437) Certo Umfredus de Torentiano compare quale testimo- nio in un documento Vercellese del 996 (Chart.. I, 307, nr. 188). (438) Andrea da Bergamo, Historia, Script. rr. Lang., p. 229. (439) Ann. Fuldenses, M. G. H.. Script., I, 389. (440) M. G. H., Script., 1, 498. (441) Come sappiamo da Prudentius Trecensis, Annales, M. б. Н. Script. I, 453. — І? attuale Ospizio del Gran S. Bernardo deve la sua fondazione a S. Bernardo, che lo eresse forse al cadere del X Secolo, giovandosi dei materiali del rovinoso tempio di Giove. Le cose che qui veniamo dicendo, servono dunque a dare qualche leg- sero raggio di luce sulla oscura storia di quella località prima del nuovo edificio cristiano, e dopo l abbandono del tempio antico, il ) 1 Й quale ci fu fatto conoscere, nelle sue particolarità, solamente testé dal prof. Ermanno Ferrero, Notizie degli Scavi, 1890, pp. 294-306. La cronologia di S. Bernardo è contrastata ; ora C. Ducis ( L' épo- que de St. Bernard de Menthon, Annecy, Abry, 1890) lo sostie- he nato nel 983 e morto nel 4080, [148] raccolsero in Pavia, insieme colla regina vedova Angil- berga, e « pravum agentes consilium » deliberarono di invitare tanto Carlo il Calvo di Francia, quanto Lodovico il Tedesco di Baviera. Quest'ultimo mandò il figlio Carlo, detto K«roleto, o Carlito, che giunto in Italia. si trovò in lotta col pretendente di Francia (14%), Carletto fu pre- sto costretto a varcare nuovamente le Alpi, ma in suo luogo venne Carlomanno, fratello di lui, ma di lui assai più valente. Ma si piegò per doni ricevuti, e in seguito ad un abbocamento, ch’ ebbe luogo presso il fiume Brenta, i due pretendenti convennero di fare una tregua fino al maggio 876, e Carlomanno ritornò in Baviera. Della tregua approfittò Carlo il Calvo per recarsi a Roma, a ricevere la corona imperiale (25 dic. 875); nel gennaio (876) era già ritornato a Pavia (4). Quivi rac- colse nel febbraio (876) una assemblea, alla quale conven- nero vescovi, abbati e conti, cioè « Italici regni optima- tes » (444); costoro con un atto solenne e da essi sotto- scritto, confermarongli la dignità imperiale, concessagli da Giovanni VIII, e lo elessero nuovamente a proprio si- gnore. AI giuramento di Ansperto arcivescovo di Milano di essere fidelis a Carlo (il Calvo) « quamdiu vixero » risponde il giuramento che il medesimo Carlo presta « optimatibus regni Italici » di onorare e difendere cia- scuno dei detti ottimati. Vengono in appresso i Capitoli, che si dicono fatti da Carlo « una cum consensu et sug- gestione venerabilium episcoporum et illustrium optimatum reliquorumque fidelium suorum ». Tra le disposizioni conte- nute in questi capitoli, vuol essere qui ricordato il § 8: « ut (442) Andrea da Bergamo, op. cit, pag. 229-230. (443) Andrea da Bergamo, p. 230; Annales Fuldenses, M. H. H., Scis D 989, (444) Gli atti di questa assemblea stanno in M. б. H., Leges; I, 528; Mansi, XVII, 322-5. [149] (671) episcopi in civitatibus suis proximum ecclesie sue castrum instituant in quo soli cum clero suo secundum canonicam regulam Deo militent. — » Staurace vescovo di Asti, isti- {ш il chiostro canonicale nella sua chiesa nell’ 899. Il S. 12 prova la crescente autorità del clero, in maniera veramente rimarchevole: « Ut episcopi, comites et vassos in parrocchia eorum manentes paterno amore, secundum ecclesiasticum, ministerium diligant ; ipsi vero comites et vassalli seu reliqua generalitas predictos episcopos ut sanctos patres honorent et venerentur, et ad ministerium illorum peragendum, ubicunque potuerint, eos adiuvare decertent — ». Il soggiorno e continuo soggiorno dei conti e dei vescovi nelle proprie sedi riesce quindi assicurato da questo documento. Il primo dei vescovi firmato, tanto alla conferma della elezione di Carlo il Calvo, quanto ai capitoli è sempre Ansperto arcivescovo di Milano. I vescovi che a noi interessano sono i seguenti, che qui riferisco secondo il posto da essi ottenuto, nel loro posto, nella prima colonna dando la prima serie, e nella seconda co- lonna la seconda serie delle sottoscrizioni : Giovanni di Pavia (4) Adalgaudo di Vercelli Teudulfo di Tortona Azone di Ivrea Adalgaudo di Vercelli Ildrado di Alba Azone di Ivrea Giovanni di Pavia llduino di Asti (146) Teudulfo di Tortona Карогпо di Aosta Ilduino di Asti Dodo di Aqui (445) Come ho già detto, non mi sfugge la questione sulla di- pendenza del vescovo di Pavia dall arcivescovo di Milano; ma essa non ha relazione diretta colle questioni che al presente ci occupano. (440) « Hilduinus Astensis ecclesia episcopus subscripsi ». (672) [150] Essendo tanto diverso l'ordine con cui i vescovi si trovano disposti nel primo e nel secondo caso, risulta evidente che nessun motivo di anzianità, nè di importanza o celebrità della rispettiva diocesi, determinó che uno fir- masse prima di un altro. Tra i signa dei laici, nel primo caso, ci sono i quelli di Liutfridus comes, di Albericus comes e di Suppo comes; e nel secondo quelli di Suppo comes e di Albericus comes. È probabile che anche all’ assemblea Pavese del settem- bre 875 sia intervenuto il vescovo di Asti, quantunque ció non si possa con certezza dimostrare. Ilduino è qui ricordato per la prima volta, come ve- scovo di Asti. Dopo il dubbio, anzi più che dubbio ері- scopato di Bernulfo, siamo in grande incertezza circa la serie dei vescovi Astesi. Spero in appresso di poter pro- vare che Eilulfus, che vuolsi (+17) ricordato in una dona- zione dell’812, è per l’opposto da identificarsi con l’omonimo, che sappiamo esser vissuto al principio del sec. X (14). Fal- samente del pari l’ Ughelli ammette un Roserius, ch'egli reputa ricordato nella donazione di Emelda dell’ anno 827: « Rosserius anno 827, quo Emelda Ecclesie s. Ma- rie majoris pro Canonicorum victu donavit omnia, que habuit in villa et finibus Solii, consentiente Berto eius iugali » (44°). Qui è chiaro essere successa una confusio- ne colla ben nota donazione di Emelda, moglie di Roberto (nome deteriorato in Berto), il quale dà a ciò il suo consen- so ; Emelda cede i suoi beni «in villa vel fine Solis» a van- taggio dei Canonici ('9). Le note cronologiche : Lodovico рие" (21), marzo, ind. 5, con cui si allude al 902, quand’ ега imperatore Lodovico Ш di Provenza. Ma chi (447) Ughelli, IV, 337. (448) Cfr. Audace, l. c., 144. (449) Ughelli, IV, 337. (450) Ghart., I, 101-8, nr. 60. (451) L'anno manca per guasto subito dalla pergamena. [154] (675) somministró i materiali all’ Ughelli segui un’ altra inter- pretazione, e pensó non a Lodovico III, ma a Lodovico il Pio (452), prescegliendo ad ogni altro l'anno 897, perché è nell’ impero di quel monarca l’ unico in cui cada lin- dizione quinta (4). Egualmente infondata è la supposi- zione che Roserio abbia nell'835 — come scrivono l’ U- ghelli e il Della Chiesa — partecipato alla spedizione di Claudio da Torino contro i Saraceni. È una ipotesi basata soltanto sulla supposizione che Claudio abbia fatta in que- st'anno la sua spedizione. Si è veduto come ciò sia una asserzione mancante di ogni base. Nella vecchia serie dei vescovi di Asti di quell’ epoca 81 Suppongono a questo punto parecchi vescovi, la cui esistenza non è suffragata da prova alcuna. Il Gams 0 ammette un Gisulfo, о Egilulfo verso l’ 820, Roserio 827, Staurace 856 circa — 862, Egilulfo II 820. Tutti questi nomi non hanno altra ragione d’ essere, se non gli errori fatti nell’ attribuire le date ai documenti. I vescovi esi- Sstettero, ma variamente sbagliandosi gli eruditi nell’ as- segnare le date dei documenti in cui sono ricordati, essi vennero moltiplicati. L’ esempio dato ora per Ro- Serio può essere prova sufficiente di ciò che asseriamo. In realtà la serie dei vescovi Astesi, ci è oscura fino alla elezione di Carlo il Calvo a re d’Italia, avvenuta a Pavia nell’ 876, in una assemblea di сш fece parte il Vescovo di Asti Ilduino. È da questo momento che può Segnarsi veramente l’importanza politica del vescovato Astese, E quindi è cosa importante, che, di mezzo alla (452) Il Della Chiesa (S. R. E. Cardinalium, Archiep. episcop. ece. chronologica historia, Aug. Taur, 1645, p. 161). (153) Nella donazione non si ha il nome del vescovo d' Asti, che allora ponteficava: Rosarius dipenderà da cattiva lettura. (454) Series episcop., p. 842 Cfr. Milliavacca, Prima synodus dicecesana (sic) Astensis, Mediol., 1700, p. 359. (674) [152] perdita di tanti altri nomi, almeno il nome di Ilduino ci sia pervenuto. Nel documento della elezione di Carlo il Calvo, tra 1 signati comparisce, come si rilevò, il comes Suppo, la vita del quale, come si è detto altra volta (^55), fu studiata da molti e particolarmente dal Dümmler (156), Sono parecchi i Supponi noti dai documenti (1) : il nostro fu duca di Spoleto dall’ 871 all’ 875, era cugino dell’ imperatrice En- gelberga, e probabilmente era legato in parentela col conte palatino Suppo, che tenne il ducato di Spoleto dal- ] 822 all’ 829 (19%). Lodovico П concesse a Suppone il ducato di Spoleto nell’ 871, allorchè lo tolse a Lamberto, fattosi reo di aver partecipato ad una congiura ordita dal duca Adalgiso di Benevento. Ottenne Lamberto che gli fosse restituito il ducato da Carlo il Calvo appunto nel- l' 875, allorchè ebbe da Giovanni VIII la corona imperiale e insieme con Lamberto tenne quel ducato anche suo fra- tello Guido, che poscia troveremo competitore а Beren- (455) Audace, p. 89 segg. (Misc.., XXVII, 221 segg). (456) Osifr. R., 11, 20 segg.; 2 ediz. (457) Diploma di Lodovico И, 863 ag. 3, a « Supponi strenuo vasso dileétoque consiliario nostro » ; cli concede le corti Fe- lina e Maliaco nel contado di Parma (Muratori, Ant. Ip 569; АР Storia di Parma, I, 287, doc. 12). Questo diploma fu con- fermato da Lodovico stesso, 870 aprile З (Mühbacher, 1209), е da Berengario, 12 maggio 890, a « Supponi marchioni » e al figlio di lui Hunroch (Murat. Ant. It, I, 279; Tiraboschi, Mod. 1, 68; Allo, Parma, I, 310). Nel parmense era situata quella terra di Supponis comilis di cui parla un documento parmense 9 maggio 889 (Affò, St. di Parma, I, 302). Suppo Gomes avea possessi nel Hist. piacentino, secondo un diploma di Lodovico II, 852 (Campi ecel. di Piac., 1, 458). (458) 11 quale Suppo, che fu sostituito al duca d nigiso, allorchè egli, 822, si fece monaco, è indicato 8 di Brescia (Einardus, Ann., М. б. H. Seript., Т, 209). i Spoletto Wi- iccome conte [153] (675) gario, nell’ 889 (159), Suppone, allontanato da Spoleto, ac- compagnò Carlo il Calvo nell’ Italia settentrionale, al- l'assemblea di Pavia (876), ed ottenne il comitato Tori- nese. Il Dümmler (46°) suppone ch'egli governasse prima d’ora la contea di Torino. Questo non è provato, ma bensi risulta (18), che, pochi anni dopo, nell’anno 880, egli è conte contemporaneamente di Asti e di Torino, e giudica di affari riguardanti il Monastero e la Valle di Susa, la quale spettava senza alcun dubbio alla contea di Torino (*€?). Egli apparisce come investito di una estesa autorità ai piedi delle Alpi. Dopo la dieta di Pavia, Carlo il Calvo ritornó in Fran- cia. In quell’anno stesso mori Lodovico il Tedesco, e i suoi stati andarono divisi tra i figli di lui, Carlomanno, Lodovico il giovane e Carlo (il Grosso). Giovanni VIII, ch' era stato cosi favorito da Carlo il Calvo, ne sostenne la causa gagliardamente in Italia, du- rante il lungo periodo della sua assenza. A tale scopo raccolse il 1 agosto 877 la sinodo di Pavia (49), alla quale intervennero 180 vescovi, per confermare a Carlo il Calvo l'impero ed anatezzimare quanti glielo contrastassero. Tra 1 vescovi presenti a questa sinodo incontriamo il vescovo (459) Dümmler, Ostfr. Reich, 11l (460) Ostfr. R. VIT, 21. (461) Audace, in Misc., XXXII, 220. (462) In antico (forse avanti al 547) la Morienna «locus . . . Mauriennensis » spettava « ad Taurinensem urbem », come at- , 90. festa s. Gregorio di Tours, Gloria Martyrum, in Opera edd. Arndt e Krusch, П, 497. (463) Jaffè, 2 ediz., I, 394; Dümmler, П, 49. Nella nuova edizione dei Regesta del Jaffè, il compianto Paolo Ewald trasse profitto dal lavo- ro di G. Levi (Il primo tomo dei vegesti Vaticani, in Arch. stor. della soc. rom. di St. Patria, IV, 161 sgg.), dove si esamina il l"egesto di Giovanni УШ. Ma per la distribuzione delle epistole in quanto riguarda l'anno 879 ci staccheremo dall’ Ewald. TU TIAS SUIT 87 (676) di Asti, Ilduino, registrato dopo Ansperto arciv. di Milano e insieme con Paolo di Aqui, T'eudulfo di Tortona, Giovanni di Pavia, Adalgaudo di Vercelli, Ildrado di Alba, Bono di Aqui e Ratborno di Aosta (4). Avuta conoscenza di que- ste deliberazioni, Carlo il Calvo affrettò la sua venuta in Italia; e passando per l’ odierno s. Bernardo, venne а Ver- celli, dove diede un diploma, addi 9 settembre (877). A Pavia i abboccò con papa Giovanni, il quale a Tortona incoronó 'imperatrice Richilde ('). Mentre era insieme col papa in Pavia, ebbe Carlo l’ annunzio che Carlomanno stava per calare in Italia, e che veniva coll'animo di combatterlo ; que- sto è attestato da parecchie fonti. Gli Annales Vedastini (169) aggiungono ch'egli prese tosto la fuga, poiché vedeva di S | non poter resistere ; e,fatti alcuni doni a s. Pietro, prese la via delle Alpi di Provenza, diretto alla volta di Francia ; ma nel viaggio mori, addi 6 ottobre (876). i Hinemar (167) ha qualche notizia di più anche su questi ultimi giorni della vita di Carlo il Calvo, così com’ egli è pur lo scrittore che meglio illustra anche la storia della discesa di quest'imperatore e delle sue relazioni col papa nei mesi precedenti. Egli sa il papa andò incontro a Carlo « apud Vercellis civitatem », che vuol dire in Ver- celli; sa che vennero insieme, il papa e l’imperatore, a Pavia; ma non appena s'intese l'approssimarsi di Carlo- manno, lasciarono ambedue Pavia: « veneruntque ad Ter- dunam (Tortona), et consecrata Richildis a papa Joanne in imperatricem, mox retrorsum fugam arripuit (/Zmpe- ratrice) cum thesauro versus Moriennam. Imperator au- (464) Mansi, XVII, 374. (465) Dümmler, HI, 51-2. (266) Script, И, 196-07. Ann. Floriacenses, ib. 254; cfr. Ann Bresnenses, ib. 248. Рег errore Ekkerardus (Ghr. Univ., Scripty VI, 173) registra la morte di Carlo « cognomento Gal- vus » sotto l'anno 878. (467) Ann., Script, T, 503. B [158] (677) tem aliquandiu una cum Joanne papa in eisdem locis im- morans, expectavit primores regni sui..... »i ma primores non vennero, anzi quasi tutti congiurarono coi vescovi contro di lui. Perció anche l'imperatore « post Richildem, fugam arripuit », e il papa tornò a Roma (KERN Frattanto Carlomanno, dubitando di non esser da tanto da resistere a Carlo il Calvo e al pontefice, ritornò ad- dietro ; contemporaneamente, Carlo il Calvo, attraversato il Moncenisio, pervenne a Bros (== Briançon? ovvero da identificarsi come Brides-aux-bains in Savoja ?). Quivi, sententosi mancare, invitò a sè dalla Morienna la moglie, ed ivi mori il 6 ottobre. Tale è il racconto di Hinemaro, che combina con quelli delle altre fonti. e li completa. Andrea da Bergamo (46°) aggiunge qualche particolare non indifferente, sulla defezione accennata da Hincmaro. « Cumque exercitum suum adunare vellet (dice Andrea parlando di Carlo il Calvo) et cum eo bellum gerere, qui- dam de suis, in quorum fidelitatem maxime confidebat, ad Carlemannum se coniungebat », per il che egli affrettò а far ritorno in Francia. Secondo gli Annales Fulden- ses (470) « Carlomannus optimates Italie ad se venientes Suscepit et disposita prius prout voluit regione, reversus est in Baioariam. » Difficilmente può porsi in dubbio che Carlo il Calvo, e forse anche Giovanni VIII, abbiamo toccato il territorio Asteso : può ammettersi che l’imperatore, per venire da Tortona al Moncenisio, abbia preso la via di Asti e di Torino. Tuttavia di ció non abbiamo esplicita testimonianza, Se non si volesse riguardare come tale l'attestazione di Regino (171), secondo la quale Carlo il Calvo per ritor- (468) Era già a Roma nell’ ottobre, Jaltè, 2 ed., 1, 395. (469) Hist, in Script. тт. Lang, p. 230. Сїт. ‘Sacile, Алт. Tortonesi, 1, 104, Tortona, 1869. (470) SERIO dy dol. (474) Chron, M. G., Script, 1, 589. ? mni (678) [156] nare in Francia passò il Ticino ed il Po; abbiamo poi 1 ac- certata notizia del suo soggiorno a Tortona, sulla destra del Po. Del tutto si tace intorno alla condotta che abbia tenuto Ilduino. Soltanto possiamo asserire ch'egli, al pari che Suppone, continuarono nei rispettivi uffici. Le relazioni che ora noteremo essere esistite nell'878 e nell'anno successivo tra Suppone e Giovanni VIII po- tranno, con luce di riverbero, rischiarare un tantino an- che le cose presenti. Carlomanno si inoltrò fino a Pavia, dove assunse il regno italico, com’ egli stesso dice in un suo diploma del 16 ottobre 877, datato da Pavia (47), « regnum italicum obtinuimus. » Le testimonianze che abbiamo testè recate fanno vedere che gli ottimati e i vescovi d’Italia a lui fecero omaggio, e furono da lui ricevuti in grazia. Non può revocarsi in dubbio, che tra coloro che gli si recarono a fargli omaggio devono essersi trovati anche Suppone e Ilduino. Da Pavia Carlomanno ritornò indietro, subito dopo aver lasciato il diploma ora citato ; il 22 novembre (877) era a Verona, dove sembra essersi fermato lungamente (175), Del tempo di Carlo il Calvo è una carta pagense Asti- giana (471) (« in civitate Astense ») coll’ anno 2 dell’ im- pero di Carlo « ihe in Italia », ind. 10, dicembre. Evi- dentemente il documento spetta all’ 876. In esso i fra- telli Teutto, Паегісо (49°), Wolo e Clerio « ex genere Alamanorum », abitanti « in comitatum Astense », per rimedio dell’ anima del loro fratello Cunimundo, donano alcuni beni in Marsaciano (9) « ad sacerdotes qui sunt cu- (479) Muratori, В. J. S, П, 2, 818; Mühlbacher, nr. 1484. (473) Dümmler, II, 66-7. (474) Chart., 11, 7-8, nr. З (ed. Cibrario). (575) Così lesse il Cibrario, ma certo inesaltamente; non 80 tuttavia sostituire la lezione vera. (476) Marciano. [157] (679) stodes sancti Secundi in civitate Astense, ubi dictus Саго+ lus episcopus preest episcopi episcopatus Astense ». Cosi legge il Cibrario; il nome di Carolus si manifesta tosto come sbagliato, poiché Ilduino lo troviamo vescovo di Asti ancora nell’ 880 (177). (471). Онаа, T, 68-1, m. 4. ( Continua) CARTA TOPOGRAFICA DELLE COSTE ITALIANE DA PORTO BUSO A MONTE CONERO COLLE DENOMINAZIONI USATE DAI PESCATORI VENETI. COMPOSTA DAL мәд А, OD, NINNI Credo sieno ancora generalmente ignorati i nomi, coi quali i pescatori veneti designano le acque marine pros- sime alle coste dell' Adriatico. Riservandomi di completare le mie ricerche sui lidi orientali del mare nostro, pre- sento ora una carta topografica, che si estende da Porto Buso a Monte Conero. Le coste d’ Italia, comprese tra i due limiti da me indicati, portano nel linguaggio pesca- torio le seguenti denominazioni : 1. Da Porto Buso a Caorle : CAMARA. ё. Da Caorle ul porto di Lido : Riva. Forse così deno- minato dalla vicinanza del Lido detto anticamente: Ri- valto. 3. Dal porto di Lido a quello di Malamocco : Lieto. Dal porto di Malamocco a quello di Chioggia : Caroman. Dal canale di caroman che trovasi in linea parallela ai Murazzi dalla parte della laguna, il quale sbocca nel porto di Chioggia. И (682) 5. Dal porto di Chioggia a porto Fossone: SACA DE al 10. [2] LA Mapona. Si chiama de la Madona, per la celebre immagine della B. V. di Marina, invocata da quasi tutti i pescatori di mare della nostra regione. Nella carta unita all’ opera: Della laguna di Venezia del Trevisan. Venezia, 1715, la lingua di terra tra il porto di Chioggia ed il porto di Brondolo, s' intitola : La Madonna. Da porto Fossone a porto Levante: Tornasa. Dal Po delle Fornaci, nome questo dato ad un ramo del massimo fiume Italiano, e che trovasi segnato nelle antiche carte. Da porto Levante alla punta di Goro: IL: Taco. Dal nuovo taglio del Po, aperto nel 1604, che dal Po delle Fornaci mette nella Sacca di Goro. Dalla punta di Goro al porto di Magnavacca : SACA DI MAGNAVACA. Dal porto di Magnavacca al Po di Primaro : Saca pr BeLocro. Le acque, comprese tra il porto di Ma- gnavacca e la foce del Po di Primaro (volg. Preméro), assumono il nome dell’antico porto di Bellocchio, ora interrito. Sussiste però il canale di Bellocchio, che corre parallelamente alla spiaggia. Dal Po di Primaro a Porto Corsini: Saca DI Ra- VENA. ll porto Corsini, in unione ad altri canali cir- convicini che si trovano entro terra, si chiama dai pescatori 4 fossi. Da porto Corsini al porto della Giara: SACA A LA BROGNOLA. Dal porto Giara alla foce del Savio: Ju CANDIAN. Dall'antica Valle Candiana o meglio dalla torre del Candiano, che trovasi alla foce del fosso vecchio con- dotto, come può vedersi nella carta delle Pinete Ra- vennati (anno 1764) del Ginanni. Sui nomi Candidiano; Candiniano, Candidio e Candiano, vedi V Istoria | | | [3] (683) dello stesso Ginanni. П fiume Savio, che è lanti- chissimo Sapis, dai pescatori viene denominato Sadio 13. Dalla foce del Savio a Cervia г Lino DE SERVIA. 14. Da Cervia a Cesenatico : Libo DE SESENADEGO. 5. Da Cesenatico a Rimini: А RIMANO. 16. Da Rimini a Cattolica: Van DI CATOLICA 17. Da Cattolica a Fano: VAL DI Fano. 18. Da Fano a Senigallia: VAL DI SENEGAGIA. 19. Da Senigallia a Falconara: Vau тї FALCONERA. 20). Da Falconara a Monte Conero : IN ANCONA. ll monte Conero dai pescatori vien detto Monte Moro, presen- tando esso, dalla parte del mare, un tratto che rimane sempre nell’ ombra, ragione per cui apparisce di co- lore oscuro (1070). Le Romagne, pei pescatori, cominciano al porto di Magnavacca e terminano a Monte Conero. — П Mare Adriatico si chiama semplicemente J| mar. Fossa dicesi quel tratto, posto nel mezzo dell’ Adriatico, tra il Taglio e la punta Sud dell’ Istria. Co/fo, il Golfo di Trieste. I pescatori di paranza (bragozzi e coccie) hanno sulla punta delle dita la nomenclatura, che io indico nella unita carta, e non intenderebbero certo le denominazioni, che si leggono nei Portulani e nelle Carte. Da questo saggio di cognizioni topografiche de’ nostri pescatori, che io qui offro, nonché da qualche altro già da me pubblicato, si può vedere quanto sia interessante lo studio di questa classe, che deve tutto a sò stessa e che dal linguaggio (come ad e. andao, picao, desnombo- lao ecc. ecc.) al vestito (p. e. il berretto frigio) conserva ancora intatti molti caratteri delle passate generazioni. Venezia, Marzo 1891. A Pi NISN Prezzo della Dispensa Fogli 23 ad Italiani Cent. 12 У, . . L. 2:88 4 Tavola doppia litografata . . ~.o 0:20 Totale L. 343 Srna dira creme mie MEA А i А ТЕЧ DEC DEL REALE SCIENZE, LETTERE ED ARTI (TOMO XXXVIII) SERIE SETTIMA — TOMO SECONDO | DISPENSA SETTIMA . VENEZIA PRESSO LA SEGRETERIA DELL'ISTITUTO NEL PALAZZO DUCALE TIP. DI G. ANTONELLI ? 1890.91 ISEITDTO VENEIO = د ————=—— Pubbl. il 21 Giugno 1891. — 4o WNODOICGC E Alto verbale dell’ adunanza ordinaria del giorno 93 maggio 1894 , Lavori letti per la pubblicazione negli Atti. G. CANESTRINI, m, e, — Abbozzo del Sistema Acaro- Оо Adunanza solenne del giorno 24 maggio 1891. Atto verbale... A E UR QUE C, Viana, m. e. — Relazione sull’ esito dei concorsi scientifici e sui premi conferiti agli industriali veneti ессе LOS O A G. OCCIONI-BONAFFONS, s. c. — Del commercio di Venezia nel secolo XVIII. Discorso storico Programma dei concorsi scientifici, proposti dal R. Istituto e dalle Fondazioni Querini-Stampalia, Cavalli e Balbi-Valier per gli anni 1890-91-92 F. BoNATELLI, m. e, — Intorno al concetto di causa. Programma di concorso al Premio Speranza, del Mu- nicipio di Parma . N P дь, » » » » » 699 ANNO 1890-91 DISPENSA VII. ADUNANZA ORDINARIA DEL GIORNO 23 MAGOTO 1894 === PRESIDENZA DEL PROF. CAV. GIULIO ANDREA PIRONA PRESIDENTE. Sono presenti i membri effettivi: ре Berra vicepresidente, Turazza, PAZIENTI, Мімісн, Rossi, De LEVA, FAMBRI, TROIS, CANESTRINI, Mons." J. BERNARDI, BELTRAME, To- LOMEI, SACCARDO, GLORIA, BONATELLI, SPICA BERCHET e VIGNA vicesegretario. Vi assistono pure i soci corrispondenti: MARTINI, OccioNI-BoNAFFONS e BERTOLINI. Vengono pure giustificati gli assenti membri effet- tivi: DE GIOVANNI, DEODATI, FRESCHI, LAMPERTICO, e OMBONI. Letto ed approvato l’ Atto verbale della precedente tornata, il Presidente apre questa adunanza, ricordando, con affettuose, opportunissime parole la gravissima perdita dell’ operoso e benemerito Segretario prof. comm. Gio- vanni Bizio, stata già annunziata ai membri e soci dal Pubbl, il 21 giugno 1891. 88 686 m. e. com. G. Berchet ('). Soggiunse che ai suoi funerali intervennero i membri e soci dimoranti in Venezia, e che il lagrimato estinto legava al nostro Istituto una co- (1) Ecco la lettera circolare del m. e. G. Berchet : Venezia, 19 aprile 1891. Ai chiarissimi Signori Membri effettivi e Soci corrispondenti del R. Istituto Veneto di scienze lettere ed arti. Invitato dal nostro Presidente ad assumere, provvisoriamente, nella seduta odierna del К. Istituto, l’incarico della Segreteria, per le fatali circostanze della grave malattia del Segretario e della do- mestica sciagura da cui fu colpito il Vicesegretario, devo, oggi stesso, con animo turbato e con intenso cordoglio, adempiere anche al tristissimo ufficio di partecipare, in nome della Presidenza, agli egregi Colleghi, la dolorosissima perdita del comm. Giovanni prof. B5ízio, membro effettivo fra gli anziani dell'Istituto e, da 17 anni, suo Segretario. Egli non ha potuto resistere alla violenza del g male, che questa sera, alle 5, lo rapiva all'affetto della famiglia e alla sollecitudine devota dei colleghi e degli amici. La stima, della quale egli era onorato da questo Corpo scien- tifico, rimane documentata dalla elezione e dalle ripetute conferme al carico di Segretario, e dalla simpatia, colla quale si ascoltavano le sue dotte Memorie, le sue brillanti Relazioni, la sua parola au- torevole e ponderata. Educato in patria alla scuola del padre suo, ed all’ estero in quelle del Redtenbacher e del Liebig a Vienna e del Bunsen a Heidelberg, fin da giovane, con severi studi, con perspicue e pazienti ricerche, contribui ai progressi delle scienze chimiche. Del suo valore scientifico lascia, negli Atti dell’Istituto, ed in altre pubbli- 687 pia si delle Memorie in 4.° e si degli Atti in 8." per cui la Presidenza, a nome di tutto il Corpo Accademico espri- meva agli eredi di lui le più sentite azioni di grazie per la sollecitudine con cui recó ad effetto una tale elargizione. azioni, pregevolissime testimonianze ed importanti lavori, come : L' analisi delle acque minerali del Veneto; le monografie del caffè, dello zucchero, del petrolio ; le numerose ricerche chimiche ; la scoperta del glicogeno negli animali invertebrati ; le indagini sulla Fenilsinnamina, sulla determinazione quantitativa del ru- bidio e del cesio; l’analisi dello sferococco confervoide, dell’ olio di camomilla ; le note sulla scomposizione dell'acido ossalico sciolto nell acqua ; sul protosulfuro di fosforo; sull azione ri- duttrice della gelatina ; la magistrale lotta scientifica, da lui so- stenuta, sul grave argomento della miscela degli olii; l'applicazio- ne della chimica alle arti ed industrie ecc. ecc. E non solamente nell’ azione del R. Istituto e nei lavori scien- tifici egli portò la sua grande operosità, la sua dottrina e lo esem- pio di scrupoloso adempimento del proprio dovere; ma altresì nel pubblico insegnamento fu valentissimo e benemerito, rendendo, per oltre 40 anni, segnalati servizi nell’ Università di Padova come assistente, nell’ Istituto Tecnico e nella Scuola Superiore di Com- mercio come professore, servizi che non saranno mai dimenticati. Nei Congressi scientifici, nei Consigli amministrativi del Co- mune di Venezia e della Fondazione Querini, portò pure alta, ri- Spettata e autorevole la sua voce; e gli studi e le relazioni sue furono causa feconda di utili provvedimenti. Abuserei del temporaneo mio ufficio, se mi permettessi di pre- Venire, con più lungo discorso, chi in nome dell’ Istituto si farà a commemorare degnamente il Collega, che deploriamo perduto. A me hasti, nel dare la tristissima partecipazione, rendermi interprete del dolore dei Colleghi, farmi eco del generale rimpianto. Dev. serv. e collega uU BE GMT. m e 688 Comunica infine, che il m. e. Р. Spica aderi all'invito della Presidenza di commemorare all’ Istituto il desiderato collega. Dopo di ciò, annunzia, che dai Ministeri della pubblica istruzione e dell’ agricoltura, industria e commercio, non- ché da varii Corpi Accademici, da Stabilimenti scientifici e da illustri persone pervennero alla Presidenza scritti contenenti le più vive condoglianze per tanto luttuoso avvenimento ; i quali vengono inseriti in questi Atti, quale appendice del presente P. V. Il Prosidente partecipa inoltre la morte dell’ illustre socio estero Ferdinando Gregorovius, e l'incarico dato all'altro socio Enrico Simonsfeld di rappresentare I" Isti- tuto ai funerali. Si presenta poscia una Memoria dell’ assente m. e. sen. E. Lampertico, che tratta di « Giulio Thiene, uomo d armi e di scienza del secolo XVI. » Il m. e. P. A. Saccardo comunica il suo scritto « In- torno ad un microscopio di Eustachio Divini conservato nel museo di fisica dell'Università di Padova » ; ed il m. e. ab. prof. G. Beltrame dà lettura di una sua Memoria « Sui costumi, pregiudizj e superstizioni dei Bardbria della Nubia settentrionale ecc.» Terminate le letture, l’Istituto si occupò, in adunanza segreta, de' propri affari interni, fra i quali fuvvi pur quello del nulla osta, impartito da questo R. Istituto, alla nomina dell’ avvocato Dott. Andrea Bizio a succes- sore del proprio zio avv. dott. Leopoldo Bizio nell’ ufficio di Curatore della Fondazione Querini-Stampalia. APPENDICE ALL'ATTO VERBALE DELL’ ADUNANZA 23 MAGGIO 1891. R. MINISTERO DELLA ISTRUZIONE PUBBLICA N. 8013 di Pr. Gen. Roma, 80 aprile 1891. Mi condolgo con codesto Corpo scientifico per la perdita, che ha fatto nella morte del suo benemerito ed operoso Segretario, comm. prof. GIOVANNI Bizio. D. IL MINISTRO VALLE Al Sig. Presidente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti VENEZIA. 690 R. MINISTERO DI AGRICOLTURA, INDUSTRIA E COMMERCIO N. 32927-10734 Roma, 29 aprile 1891. Но appreso con vivo rammarico la morte del prof. comm. Gro- VANNI Вілто, Segretario di cotesto Reale Istituto. La perdita del prof. Bizió non è soltanto un lutto pel Reale Istituto, del quale egli era membro effettivo e Segretario da tanti anni, ma un lutto eziandio per la scienza, della quale Egli fu così distinto cultore. Prego la S. V. di esternare al R. Istituto, cui Ella presiede, i sensi di vivo rammarico del Governo per la dolorosa e .grave perdita, da Esso fatta, ed in pari tempo le mie condoglianze parti- colari. i p- IL MINISTRO firm. G. ARGOLEO Sig.. Presidente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti VENEZIA. REALE ISTITUTO LOMBARDO DI SCIENZE E LETTERE Milano, il 24 aprile 1891. Опо". Presidenza, La Presidenza del R. Istituto. lombardo di scienze e lettere; facendosi interprete dei sentimenti dell intero Gorpo Accademico, — 691 le esprime le più vive e sincere condoglianze per la morte del- l illustre M. E. e Segretario di codesto Istituto, comm. prof. Gio- VANNI Bizio. U veramente una perdita grave per la scienza e per il paese. IL PRESIDENTE Dorr. BIFFI Il Segretario A. FERRARI. REGIA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA N. 704 Prot. Roma, addi 27 aprile 1891. Con vivo dolore ho appreso la triste notizia della irreparabile perdita, fatta da codesto Reale Istituto e dalla scienza, con la morte dello illustre prof. comm. GIOVANNI Biz10; ed a nome anche di questo Corpo Accademico porgo le più sentite condoglianze. Con profonda stima. IL RETTORE V. GARUTI Al Chiar. Signor Presidente del Reale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti VENEZIA. 692 REGIA UNIVERSITÀ DI PAVIA N. di Prot. 554. Pavia, li 24 aprile 1801. Apprendo con forte dispiacere il triste annunzio della morte del chiarissimo professore comm. GIOVANNI Bizio; ed а nome proprio e di tutti gli altri Colleghi di questa Università faccio alla S. V. lll.ma sentite condoglianze per la perdita di un sì egre- gio scienziato. IL RETTOTE T. TARAMELLI Al? Ill.mo Sig. Presidente del R. Istituto Veneto di Scienze, lettere ed arti in VENEZIA. UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAMERINO 2 maggio 1891. A nome del Corpo Accademico si esprimono a cotesto Ateneo le più vive condoglianze per la recente luttuosa perdita. g I IL RETTORE FABRINI 695 К. ISTITUTO TECNICO SUPERIORE DI MILANO N. di Prot. 284 Milano, addi 25 aprile 1891. La Direzione del R. Istituto Tecnico Superiore di Milano, in- sieme al Collegio de’ Professori, esprime a codesto R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti le più vive е sentite condo- glianze per la dolorosissima perdita dell’ egregio Comm. GIOVANNI prof. Brizio. p. TI. DIRETTORE A. F. JORINI Al R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti in VENEZIA. SOVRINTENDENZA DEGLI ARGHIVI PIEMONTESI N. 814 Torino, 11 95 aprile 1891. Il sottoscritto si associa pienamente ai mobili sensi, espressi dall'egregio signor Commendatore, per la deplorata perdita di quel- l'uomo insigne come cittadino e come scienziato, che fu il profes- sore GIOVANNI Bizio. E lo prega di voler partecipare agli onorevoli Membri di codesto Istituto il profondo cordoglio, col quale anche © ? ] fra noi venne accolto il tristissimo annunzio. IL SOPRINTENDENTE BOLLATI DI S. PIERRE T S m 89 All’ Onorevole Signor Commendatore G. Berchet . di Segretario del R. Istituto Veneto g di Scienze, Lettere ed Arti VENEZIA. REALE ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI IN PADOVA Ill. Sig. Presidente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti VENEZIA A nome della Presidenza di questa Accademia esprimo a co- desto illustre Istituto vive condoglianze per la perdita del chiar. Segretario prof. comm. GIOVANNI Bizio. Ho Г onore. di professarmi della S. У, Padova, 23 aprile 1801. devot. M. BELLATI SEGRETARIO 695 ACCADEMIA. GIOENIA DI SCIENZE NATURALI IN CATANIA Catania, 27 aprile 1891. L Accademia Gioenia ha appreso con rincrescimento la dolo- rosa notizia della morte dell’illustre chimico, comm. prof. GIOVANNI Bizio già Segretario generale di cotesto R. Istituto; e nella seduta di ieri mi ha incaricato di esprimere alla S. V. Ш. i sentimenti del più vivo rammarico, Nell adempiere il superiore incarico, mi è grato palesarle le espressioni della mia particolare stima. IL SEGRETARIO GENERALE PROF. А. BARTOLI Ilmo Sig. Presidente del R. Istituto Veneto di scienze ecc. VENEZIA. SOCIETA' D' INCORAGGIAMENTO PER L'AGRICOLTURA E L'INDUSTRIA NELLA PROVINGIA DI PADOVA E GABINETTO DI. LETTURA Padova, li 25 aprile 1891. Spettabile Presidenza del R. Istituto Veneto di scienze lettere ed arli VENEZIA. La notizia della morte dell illustré. prof. comm. Giovanni Bizio produsse, anche tra i membri di questa Società, un sentimento di profondo e vivo cordoglio. 696 Nè poteva essere altrimenti, quando si pensi alle doti elevate della mente e del cuore, delle quali era fornito il lagrimato Estinto, e alle grandi benemerenze, che Egli aveva saputo procurarsi nel campo scientifico. Preghiamo quindi l Onorevole Presidenza di farsi interprete, i presso gli illustri membri del Reale Istituto, delle sentite: condo- glianze della Società, che abbiamo Г onore di rappresentare. Colla più alta considerazione IL PRESIDENTE EMILIANO BARBARO Il Direttore di Segreteria Avv. GIUSEPPE VITERBI ALESSANDRO Rossi coi sensi del più profondo rammarico per la perdita del Prof. Gro. Brizio. Schio, 26 aprile 1891. П P. Francesco Denza attesta al R. Istituto Veneto le sue più sentite condoglianze per la dolorosa perdita dell’ il'ustre collega comm. prof. GIOVANNI Bizio. I soci corrispondenti : Prof. Giuseppe Dalla Vedova di Roma, Comm. Avv. Cornelio Desimoni di Genova, Y P. Maestro Alberto Guglielmotti di Roma, Bar. Antonio Manno di Torino, Prof. Angelo Mosso di Torino, Prof. Edoardo Suess di Vienna, Prof. Oreste Tommasini di Roma, nonché L'Ing. Mario Zecchini di Asti, inviarono le loro sentite condoglianze. Chiarissimo Signor Dottore ! Ho ricevuto la triste notizia della morte del Prof. Bizio, e La ringrazio. Sì, ben dolorosa la perdita del comm. Bizio non solo al Corpo scientifico, al quale appartenne per lunghi anni, ma bene alla famiglia, a parenti, amici, alla scienza; ed anche io stesso con viva condoglianza mi associo al generale compianto. Con particolare stima Vienna, 27 aprite 1891. obblig. servo SENONER ABBOZZO DEL SISTEMA ACAROLOGICO M. E. GIOVANNI CANESTRINI I tentativi fatti per dare alla zoologia un buon siste- ma acarologico sono ormai numerosi. Linneo comprendeva tutti gli acari in un unico genere, il gen. Acarus; ma Successivamente sì distinsero parecchi generi e famiglie tenendo conto della struttura di organi diversi. La clas- Sificazione, che merita qui speciale menzione, è quella del prof. Kramer, il quale nel 1877 divideva gli acari in Aca- rina tracheata e Acarina atracheata, ed accennava alla diversa posizione degli stigmi che poteva servire a stabi- lire i gruppi inferiori. Questo criterio è degno della nostra attenzione, ma chi si attenesse unicamente alla presenza о mancanza delle trachee come principio sistematico, sareb- be condotto ad una classificazione degli acari artificiale, € non naturale. Cosi non sarebbe giusto di collocare gli Halacaridi fra gli atracheati, benchè non abbiano trachee, perché la intera loro organizzazione li avvicina agli acari Superiori. Più tardi il sistema del Kramer venne per- fezionato dal Mégnin (1880), dal Michael (1884) e dal Derlese (1885) (700) [4] I sistemi proposti in questi ultimi decenni si limi- tano alle categorie superiori, e qualora si prescinda dalle monografie, non abbiamo ancora un sistema aca- rologico che discenda fino ai generi. Il più completo è quello esposto dal Berlese, nel sno Acarorum sist. specimen, ma esso risale a 5 anni fa e da allora in poi le nostre conoscenze acarologiche vennero grandemente am- pliate a merito di parecchi naturalisti, fra i quali citerò Berlese, Fockeu, Haller, Karpelles, Kramer, Mégnin, Mi- chael, Moniez, Nalepa, Neuman, Nórner, Targioni-Tozzetti, Trouessart; di più T Acarorum systematis specimen е redatto in forma di chiave analitica e quindi non riferi- sce che incompletamente i caratteri degli ordini e delle famiglie. Sembra quindi utile di fare un nuovo tentativo per conseguire un sistema acarologico rispondente allo stato presente di questo ramo di scienza, col quale intendimento pubblico il breve lavoro che segue. Forse non sì trove- ranno in appresso enumerati tutti i generi finora istituiti, ma in quest'abbozzo non reputai cosa essenziale di anno- verarli tutti, tanto più che taluno ha un valore proble- matico, nè credo che tutti quelli che citerò potranno esser conservati dopo ulteriori ricerche. Nell’ elaborare il sistema che segue ho potuto valermi, con grande van- taggio, di alcune Note manoscritte che il prof. Berlese ha messo, con somma cortesia, a mia disposizione. [5] (701) CLASSE ACAROIDE A. Metazoi acordati, appartenenti al tipo dei Tracheati. Animali alteri, sforniti di antenne, di statura piccola (mm. 0,12 a 12,00), che respirano per la cute о col mezzo di trachee, le quali mettono all’esterno con due stigmi. Corpo a metameri indistinti, talvolta però sud- diviso in due porzioni separate tra loro da un solco trasversale e fornite ciascuna di due paja di arti. Tra gli organi boccali sono bene sviluppati le mandibole e i palpi, gli altri indistinti. Sessi separati; dimorfismo sessuale sovente accentuato. І’ embrione non possiede un numero di arti maggiore di quello delle forme per- fette, non essendo provveduto di appendici provvisorie, ed attraversa lo stadio di deutovo e talvolta anche di tritovo. Larve quasi sempre esapode, ninfe e forme adulte, tranne rare eccezioni (fitoptidi), octopode. Nello sviluppo postembrionale la ninfa manca raramente, di solito si osservano una, due o tre ninfe { Ho fatto degli Acaroidei una classe a sè, scostandomi in ciò dalla maggioranza degli zoologi. Il mio procedi- mento, già consigliato dal dott. Haller nel 1881, trova una giustificazione negli studi di anatomia e piü ancora di embriologia fatti intorno a questi animali nei tempi piü recenti, ed é reso necessario dal grande numero di forme svariatissime di acari che si vanno scoprendo di continuo. Se, dietro le vedute del Dalfour, si decompon- gono gli artropodi in due tipi distinti, crostacei e tra- cheati, perché ambedue sembrano derivare direttamente (1) Per la brevità del dire esprimeró in seguito questi modi di sviluppo coi termini metamorfosi aninfale, unininfale, bininfale e trininfale. T ILS. VII 90 (702) [6] dagli anellidi, 1’ elevazione dell’ ordine degli acari al ran- go di classe può considerarsi come un semplice corollario di questa modificazione del sistema zoologico. In questo stesso anno (1891) il Villot (La classification zoologique dans l état actuel de la science, Revue biologique du nord de la France, num. 7, l." avril) ha seguito una via opposta, riunendo gli acari in una sola famiglia (sous- ordre des acariens, famille: Acarides); ma io credo che ben pochi conoscitori di questi animali sieno disposti a seguire le orme del citato naturalista francese. Se taluno preferisce di seguire il sistema zoologico ora dominante, può egualmente accogliere J’ acarologico che esporrò in appresso, considerando gli acari come un ordine e attribuendo il valore e il nome di sottordini a quelli ch'io chiamo ordini. Il numero delle famiglie e dei generi non ne soffrirebbe alcun mutamento. |. Ordine. Astigmata. Mancano le trachee, e quindi anche gli stigmi non soltanto allo stato giovanile, ma anche nelle forme adulte. Palpi composti di tre a quattro articoli, semplici, aventi il primo articolo fisso. Mandibole chelate o stiliformi. Man- cano gli occhi. Cuticola debolmente chitinizzata. Arti for- mati di 3 a 5 articoli. Organizzazione generale molto im- perfetta. i. Sottordine. Vermiformia. Corpo allungato, vermiforme ; addome fornito di strie superficiali circolari. Esistono, allo stato perfetto, 2 o 4 paja di arti. Mandibole a stiletto. Mancano le ventose co- pulatrici e genitali. Animali parassiti, zoofagi o fitofagi. 1. Famiglia. Demodicidae. Esistono, allo stato perfetto, quattro paja di arti triar- ticolati. Palpi composti di quattro articoli, di cui il primo ё immobile e molto lungo, il quarto sferoidale e munito in cadaun lato di due papille ed all’ apice di un forte un- cino. Mandibole a stiletto tronco, fisse. Generazione ovo- vivipara. Larve fornite di tre paja di tubercoli eonici che servono alla reptazione ('); metamorfosi bininfale, ninfe octopode. Animali zoofagi. ) ) Generi: Demodex Ow. (1843). 2. Famiglia. Phytoptidae. Esistono, tanto nelle forme giovanili che adulte, due sole paja di arti quinquearticolati. Palpi triarticolati. Man- dibole a stiletto acuto. Generazione ovipara. Animali fito- fagi. Generi: Phytoptus Duj. (1851), Cecidophyes Nal. (1889), Phyllocoptes Nal. (1889), Tegonotus Nal. (1890) (2). II. Sottordine. Sarcoptina. Corpo rotondato, non vermiforme ; addome non striato. Esistono, nelle forme adulte, quattro paja di arti. Palpi triarticolati, generalmente semplici e filiformi. Mandibole (4) Secondo il Mégnin la larva è dapprima apoda, ma il Csocor ritiene ehe queste supposte larve siano le uova dell aniinalc. (2) Il gen. Tegonotus Nal. (1890) è il genere Acanthonotus Nal. (1889) riveduto e ribattezzato. (704) [8] chelate. Arti composti di cinque articoli. Larve esapode ; metamorfosi, almeno in alcuni membri, bininfale talvolta complicata coll’ apparsa di forme ipopiali. 3. Famiglia. Cytoleichidae. Mancano ventose copulatrici e genitali. Corpo non co- razzato. Tarsi tutti, od almeno quelli del terzo e quarto pajo, inermi, muniti di ventosa a lungo picciuolo. Vulva sotto forma di rima longitudinale. Vivono nel tessuto cel- lulare sottocutaneo o nei serbatoi degli uccelli. Generi: Cytoleichus Меда. (1880), Laminisioptes Mégn. (1880). 4. Famiglia. Psoroptidae. Le ventose copulatrici ora esistono ed ora mancano ; le ventose genitali mancano. I tarsi portano generalmen- te delle ventose a lungo picciuolo; quelli del terzo e quarto pajo, o soltanto quelli del terzo pajo, sono di so- lito incompleti e finiscono con lunghe setole. Raramente tutti i tarsi portano nella femmina ovigera unghie brevi e grosse. Vulva trasversale. Vivono nella cute dei Mam- miferi e producono colla loro saliva irritante le varie for- me di scabbia. Generi: Sarcoptes Latr. (1806), Psoroptes Gerv. (1844), Chorioptes бегу. (1841). 5. Famiglia. Linocoptidae. Le ventose copulatrici ora esistono ed. ora mancano. Le ventose genitali esistono e sono bene sviluppate in [9] (705) ambedue i sessi. Ventose tarsali sessili, con visibile un- cino mediano, in tutti gli arti. Corpo nudo. Lo sterno è ora più ed ora meno prolungato in dietro. Acari parassiti degli insetti. Generi : Canestrinia Berl. (1881), Coleopterophagus Berl. (1882), Linocoptes Berl. (1884, 1887) (1). 6. Famiglia. Listrophoridae. Esistono le ventose copulatrici. I tarsi portano tutti, о soltanto quelli del. primo e secondo pajo, ventose a breve pieciuolo. Vulva trasversale. Esistono organi pecu- liari, riposti nelle labbra o negli arti, per la fissazione ai peli dei Mammiferi. Animali gliricoli. Generi: Listrophorus Pag. (1860), Myocoptes Clap. (1868), Criniscansor Poppe (1887). 7. Famiglia. Dermoglyphidae. Mancano le ventose copulatrici e genitali. Il corpo non è corazzato о tutt'alpiü la placca notogastrica è ru- dimentale. Nessun dimorfismo sessuale. Sono acari plu- ШШ Generi : Dermoglyphus Mégn. (1877), Cheylabis Tr. et Mégn. (1885), Chirodiscus Tr. et Neum. (1890). (1) Il Berlese, che raccolse i sunnominati tre generi in una Sottofamiglia, chiamò dapprima (1884) Р ultimo genere Linobia, e Più tardi (40 giugno 1887) mutò questo nome in quello di Lino- Coptes, (706) [10] 8. Famigha. Analgesidae. Esistono ventose copulatrici, mancano le ventose geni- tali. Corpo corazzato. Vulva trasversale. Dimorfismo ses- suale manifesto, talvolta marcatissimo. Acari plumicoli. Generi: Freyana Hall. (1877), Pterolichus Rob. (1877), Protolichus Tr. et Mégn. (4885), Falciger Tr. et Mégn. (1885), Bdellorhynchus Tr. et; Mégn. (1885), Paralges Tr. et Mégn. (1885), Xoloptes Cn. (1879), Pteronyssus Rob. (1877), Me- gninia Berl. (1882), Protalges Tr. et Mégn. (1885), Analloptes Tr. et Mégn. (1885), Xolalges Tr. et Mégu. (1885), Alloptes Cn. (1879), Pterocolus Hall. (1878-1881), Proctophyllodes Rob. (1877), Pterodectes Rob (1877), Pterophagus Меп. (1877). 9. Famiglia. Tyroglyphidae. Le ventose copulatrici (paranali) possono mancare nella forma adulta, oppure vi esistono in numero di un рајо nei maschi; le ventose aberranti, in numero di due paja, trovansi in ambedue i sessi delle specie che ne sono prov- vedute. Le ventose genitali esistono quasi sempre. Arti terminati da un’ unghia e da una ventosa sessile, о da uno solo di questi apparecchi ordinarii di adesione, re- stando l'altro rudimentale. Allo stato maturo mancano apparecchi peculiari di adesione ad altri animali. Corpo nudo. Acari che allo stato perfetto conducono vita libera. Generi: Histiostoma Kr. (1876), Homopus K. (1842), Gly- ciphagus Her. (1835), Hericia Cn. (1888), Phycobius Cn. (1888), [11] (707) Trichotarsus Cn. (1888), Histiogaster Berl. (1883), Chortogly- phus Berl. (1884), Aleurobius Cn. (1888), Tyroglyphus Latr. (1797), Rhizoglyphus Clap. (1869), Рива Cn. (1884). (1) II. Ordine Hydracarina, Le trachee ora mancano ed ora esistono; in questo Secondo caso si distinguono. due qualità di trachee, quelle cioè che mettono all’esterno con due stigmi collocati sull’ epistoma, е quelle che formano un fitto strato sotto- cutaneo ed hanno un’ estremità clavata. Palpi formati di tre a cinque articoli. Mandibola terminata da un’ unghia diritta o ricurva. Arti laterali, composti di sei articoli. Esistono occhi. Acari acquatici adatti al nuoto od alla repta- zione sugli oggetti sommersi. Metamorfosi, almeno in al- cuni membri, unininfale (°). 1. Famiglia. Halacaridae. Palpi liberi, fusiformi, composti di tre o quattro arti- coli, dei quali il primo e terzo sono brevi, il secondo al- lungato, il quarto o terminale pontuto e stiliforme. Man- (1) Il genere Dermacarus di Haller (1879) è sinonimo del ge- Nere Homopus K. (4 842), nel quale è pure compreso il gen. La- bidophorus Kr. (1877). Il gen. Serrator Mégnin (1880) é sinonimo del gen. Histiostoma Kr. (1876). Il gen. Caepophagus Mègn. (1880) è sinonimo del gen. Rhizoglyphus Clap. (1869). (2) Stante Р organizzazione abbastanza complicata di questi ani- Mali, la mancanza delle trachee nella famiglia Halacaridae e la ri- duzione delle trachee principali nelle altre due famiglie dell’ ordi- Пе devonsi interpretare come fenomeni di adattamento alla vita acquatica. (708) [12] dibole terminate da un’ unghia diritta o ricurva che rap- presenta .il dito fisso di una chela, essendo abortito il dito mobile. Tegumento rafforzato da placche dermatiche dorsali e ventrali. Arti laterali, bene sviluppati, terminati da una doppia unghia generalmente pettinata. Tre occhi, due dei quali laterali, il terzo impari sull’ epistoma. Acari marini. Generi : Rhombognathus Tr. (1888), Simognathus Tr. (1889), Caloboceras Tr. (1889), Halacarus Gosse (1855), Agaue Lohm. (1889), Scaptognathus Tr. (1889), Leptognathus Hodge (1860) (1). 2. Famiglia. Limnocharidae. Gli occhi sono avvicinati I" uno all’altro presso la li- nea mediana del corpo, ed i loro occhiali sono concresciuti insieme interamente o nella metà anteriore. L'apparato boccale è adatto al succhiamento. Mancano le ventose genitali. Le ghiandole cutanee hanno condotti escretori larghi, sacciformi. Generi: Limnocharis Latr (1796), Eylais Latr. (1 796). 3. Famiglia. Hydrachnidae. Gli occhi sono lontani dalla linea mediana del corpo, e i loro occhiali sono staccati I’ uno dall’ altro. Gli orga- ni boccali sono liberi, non fusi insieme per formare un apparecchio succhiatore. Generalmente esistono ventose genitali distinte. Le ghiandole cutanee hanno condotti escretori brevi e sottili. (4) 1 gen. Copidognathus Tr. (1888) e Leptosalis Tr, (1888) rientrano nel genere Halaearus Gosse. (709) Generi: Atax Fabr. (1805), Nesaea К. (1842), Piona К. (1849), Hydrochoreustes К. (1842), Hygrobates К. (1842), Pachygaster Leb (1879), Megapus Neum (1880), Sperchon Kr, (1877), Midea Bruz. (1854), Mideopsis Neum (1580), Le- bertia Neum. (1880), Pseudomarica Neum. (1880), Marica K, (18421, Axona Kr. (1875), Forelia Hall. (1882), Arrhenurus Dug. (1834), Asperia Hall. (1885), Limnesia K. (1842), Oxus Kr. (1877), Diplodontus Dug. (1834), Hydrachna Müll. (1769), Hydrodroma K. (1842), Bradybates Neum. (1873). (*) III. Ordine. Prostigmata. Esistono trachee; gli stigmi sono collocati davanti agli arti del primo pajo alla base del rostro sulla faccia ventrale. Palpi liberi, semplici, rapaci, chelati od antenni- formi, composti di tre a cinque articoli. Arti atti al cam- mino od all’ adesione. Tegumento di solito molle, rara- mente rinforzato da forti placche chitinose. Gli occhi esi- Stono o mancano, e nel primo caso sono sessili o pedun- colati. Acari terrestri, generalmente liberi, almeno allo stato adulto, alcuni parassiti. I. Sottordine. Trombidina. Tegumento molle, assai raramente fornito di deboli e limitati scudi dorsali. Metamorfosi aninfale od unininfale. (1) La seconda famiglia di questo ordine è chiamata da Haller Medioculatae, la terza Lateroculatae. -— Ai generi succitati se пе devono aggiungere due che meritano di essere meglio co- nosciuti : Pontarachna Phil. (1840), Nautarachna Moniez (1888). du diy S VII 91 d. Famiglia. Tarsonemidae. Corpo di forma diversa, con traccie di segmentazione. Palpi semplici, minuti, poco distinti. Mandibole deboli, con- formate a stiletto. Esistono due grosse clave sulla faccia ventrale fra gli arti del primo e quelli del secondo pajo. Arti del primo pajo terminati da un solo uncino ; in tutti mancano peli adesivi e pulvilli. Dimorfismo sessuale bene pronunciato. Metamorfosi aninfale. Animali parassiti o li- beri. (!) Generi: Tarsonemus Cn. F. (1876), Pediculoides Targ. (1875), Pygmaephorus Kr. (1877), Disparipes Mich. (1884). (?) 2. Famiglia. Cheyletidae. Palpi liberi, composti di tre a cinque articoli e forniti di uno 0 più uncini o di spine per adattamento alla vita parassitaria. Mandibole stiliformi od uncinate. Arti atti al cammino od all’ adesione. Apertura sessuale maschile ge- neralmente dorsale. Corpo diviso in capotorace e addome. (1) Questa famiglia sembra meritare una posizione separata dalle altre dell’ ordine, sia per il corpo meglio articolato che in altri acari, sia perchè nella metamorfosi di questi animali manca la ninfa octopoda; ma il primo fatto costituisce una semplice dif- ferenza quantitativa, ed il secondo va ascritto ai fenomeni di svi- Inppo abbreviato, ed a giudicare da fatti analoghi, riscontrati in altre classi, nè P ипо, nè l'altro hanno grande valore sistematico. (2) I gen. Dendroptus Kr. (1876) e Cheylurus Trouess (1885) sono sinonimi del gen. Tarsonemus Cn. (1876); i generi Hetero- pus Newp. (1850), Physogaster Licht. (1868), Sphaerogyna Lab. et Mégn. (1885) sono sinonimi del gen. Pediculoides Targ. (1875). [45] (744) Gli occhi mancano quasi sempre. Tegumento molle e di solito nudo. Larve poco diverse dalle forme adulte, quelle e queste libere o parassite. Generi: Cheyletus Latr. (1797), Cheiletiella Cn. (1880), Муома Heyd (1826), Picobia Hall. (1877), Harpicephalus Cn. (1886), Syringophilus Nórn. (1882), Geckobia Mégn (1878), Pseudochey'us Berl. (1888). (1) 9. Famiglia. Erytracidae. Palpi rapaci, liberi, bene sviluppati, coll’ ultimo arti- colo trasformato in un’ appendice tentacolare, oppure col penultimo articolo armato di robuste spine. Mandibole un- cinate. Zampe tutte di uniforme struttura, assai lunghe in proporzione alla massa del corpo, tra di loro avvici- nate, fortemente setolose, distese lateralmente e termi- hate da uncini ed altri organi adesivi. Corpo suddiviso in rostro e addome, questo secondo è indiviso. Orifizio ses- suale, sotto forma di stretta fenditura longitudinale. Esi- stono occhi sessili. Tegumento molle ed intensamente co- lorato. Larve e forme adulte libere. Generi : Erythracus Latr. (1804), Actinaeda К. (1842). (1) In seguito alla scoperta del maschio di Geckobia, fatta dal prof. Berlese, maschio che ha P apertura sessuale .sul dorso, ho inscritto il genere predetto in questa famiglia, anzi che nella fa- Miglia Erythraeidae, nella quale figura a pag. 162 del mio Pro- Spetto dell’ Acarofauna Italiana. — Il genere. Pseudocheylus. costi- tuisce forse il tipo:di una nuova famiglia, ma essendo esso. finora incompletamente conosciuto, l'ho accolto in via provvisoria. nella presente. . 4. Famiglia. Tetranychidae. ?^alpi prensili, con variabile sviluppo dell’ appendice tentacolare. Mandibole -stiliformi. Arti, tranne talvolta quelli del jrimo pajo, terminati da unghia e da peli di adesione. Esistono uno о due occhi sessili per parte L'a- pertura sessuale è collocata davanti all’ anale. Larve poco diverse dalle forme adulte; queste e quelle libere. Acari planticoli. Generi: Tetranychus Duf. (1832), Tetranychopsis Cn. R. (1890), Heteronychus Cn. Е, (1876), Oligonychus Berl. (1886), Tenuipalpus Donn. (1875), Neophyllobius Berl. (1886), Bryo- bia К. (1842). 5. Famiglia. Raphignathidae. Palpi prensili, con variabile sviluppo dell’ appendice tentacolare. Mandibole rostrate. Arti terminati da due unghie e da peli di adesione che possono essere sostituiti da una setola pettinata. Esistono uno о due occhi sessili per parte. L'apertura sessuale è collocata davanti all’ a- nale. Larve poco diverse dalle forme adulte, queste e quelle libere. Acari terricoli. Generi: Raphignathus Dug. (1834), Stigmaeus К. (1842), Stismaeodes Cn R. (1890), Caligonus K. (1842), Eupalopsis Cn. (1886), Cryptognathus Kr. (1879) (!). (4) Il gen. Mediolata Cn. R. (1890) è sinonimo del gen. Eu- palopsis Cn. (1886). — 1l gen. Cryptognathus, cui nel mio Pro- spetto dell Acarofauna italiana, p. 189, aveva, sulle orme del Kra- mer, negato il possesso di occhi, che inveco esistono, ed attribuito [17] (713) 6. Famiglia. Eupodidae. Palpi liberi, semplici, formati di solito di quattro ar- ticoli, dei quali gli ultimi stanno generalmente piegati verso i primi come una lama da coltello verso il manico. Mandibole terminate ciascuna da una chela a dita sden- tate. Arti o tutti od almeno quelli delle tre paja poste- riori atti al cammino od al salto, e tutti o soltano quelli delle tre paja citate terminati da due unghie e da una pala cigliata che sta in mezzo ad essi; raramente essi finiscono con una semplice unghia. Apertura sessuale po- sta al lato ventrale, nella linea mediana dietro l'origine degli arti del quarto pajo. Apertura anale collocata quasi sempre dietro l'apertura sessuale. Tegumento molle. Se- tole del corpo ordinariamente a rosario, sovente cigliate. Larve simili alle forme adulte. Animali delicati che con- ducono vita libera. Generi: Linopodes К. (1842), Notophallus Cn. К. (1886). Noerneria Cn. R. (1886), Scyphiodes Karp. (1891), Eupodes К. (4842), Penthaleus K. (1842), Pronematus Cn. К. (1886), Ereynetes Berl. (1883), Tydeus К. (1842), Nanorchestes Tops, et Tr, (1890) (). mandibole semplici, che invece sono rostrate, trova in questa fa- miglia un posto più adatto che in quella degli Bdellidi. (1) Il gen. Noerneria è l antico genere Scyphius di Koch (1842), Cui si è dovuto mutare nome, perchè già nel 1826 il Risso aveva chiamato Scyphius un genere di Lofobranchi. Il genere Nanor- Chestes Tops. et Tr. ha bisogno di essere meglio conosciuto prima che gli si possa assegnare un posto definitivo nel sistema. — Il gen. Scyphiodes Karp. non mi è noto che da un cenno contenuto nelle Verh. der K. К. zool. bot. Ges. in Wien, 1891, p. 305. 7T. Famiglia. Bdellidae. Palpi liberi, lunghi, antenniformi, composti di tre a cinque articoli, sprovveduti di appendice tentacolare. Man- dibole terminate da chela od uncinate; rostro atto al succhiamento. Il corpo è diviso in rostro e addome, il quale, alla sua volta, è generalmente suddiviso in una por- zione anteriore ed una posteriore separate tra di loro da un soleo piü o meno manifesto. Arti di uniforme strut- tura, atti al cammino, terminati da uncini e da altre ap- pendici di adesione. Esistono occhi. Tegumento molle e di solito intensamente colorato. Larve simili alle forme adul- ie, quelle e queste libere. Generi: Bdella Latr, (1797), Ammonia K. (1842) Enpalur К, (1842), Scirus Herm, (1804), Scirula Berl. (1888). 8, Famiglia. Alychidae. Palpi liberi, semplici, diritti, formati di cinque articoli, di cui l'ultimo porta un ciuffo di setole rigide e talvolta anche un’unghia. Mandibole terminate ciascuna da una chela. Arti uniformi, atti al cammino, terminati da due unghie ed un pulvillo. Esistono uno o due occhi sessili sul capotorace che è bene distinto dall’ addome. Integu- mente molle, estensibile, munito di pieghe trasversali che danno all'acaro apparenza di essere segmentato. Forme ' adulte libere. Generi: Alychus K, (1842), Michaelia Berl. (1884). (1) (4) 1 gen. Michaelia è stato istituto nello, stesso, anno (1884). per due animali ‘diversi da Haller e Berlese. Gaduto. il genere nek. [49] (745) 9. Famiglia. Rhwyncholophidae. Palpi rapaci, liberi, bene sviluppati; essi constano di quattro a cinque articoli, dei quali il penultimo è armato di unghia e porta l'ultimo articolo sotto forma di appen- dice tentacolare. Mandibole lunghissime, aghiformi od a stiletto. Arti atti al cammino, terminati ciascuno da due unghie, sforniti di pulvillo e di peli di adesione; quelli del primo pajo hanno 1° ultimo articolo diversamente con- formato gli altri perchè serve da organo tattile. Alla faccia ventrale esistono le aperture sessuale ed anale; la prima è munita di ventose. Tegumento molle, con fitta peluria variamente conformata. Capotorace poco o punto distinto dall’addome. Esistono occhi sessili. Larve assai diverse dagli adulti e parassite ; forme adulte libere. Generi: Rhyncholophus Dug. (1834), Smaris Latr. (1797) Smaridia Dug. (1834), Caeculisoma Berl. (1888). (1) , 10. Famiglia. Trombididae. g Palpi rapaci, liberi, bene sviluppati; essi constano di cinque articoli, dei quali il secondo è molto più robusto degli altri, il quarto unguicolato ed il quinto appendicu- liforme. Mandibole uncinate. Arti atti al cammino, termi- nati ciascuno da due uncini e qualche volta anche da un pulvillo; quelli del primo pajo funzionano da organi del tatto е quindi hanno una struttura peculiare. Apertura Senso di Haller, può conservarsi per gli animali illustrati e de- scritti dal Berlese, (1) Il genere Rhyncholophus com rende il gen. Ritteria Kr. y І | L (1877) (716) [20] sessuale munita di ventose. Capotorace ben distinto dal- l addome. Occhi bene sviluppati, sessili o pedunculati. Te- gumento molle, coperto di peli variamente conformati; nessun scudo dorsale, soltanto esiste talvolta la cresta metopica. Larve assai diverse dall’ adulto, parassite ; forme adulte libere. Generi: Trombidium “Latr. (1795), Ottonia Kr. (1877), 'rombella Berl, (1887). (') II, Sotterdine. Hoplopina. Tegumento rinforzato al dorso da robuste placche chi- tinose. 11. Famiglia. Hoplopidae. Palpi rapaci, liberi, brevissimi ; essi constano di cinque articoli, dei quali il quarto è armato di un'unghia prin- cipale e di un'altra alquanto più breve accessoria, ed il quinto è rappresentato da ип’ appendice tentacolare. Man- dibole uncinate. Arti atti al cammino, terminati ciascuno da due uncini, sprovveduti di pulvillo. Alla faccia ventrale, dietro gli arti del quarto pajo, vedonsi due aperture lon- gitudinali quasi contigue, Г una anteriore sessuale, l'altra posteriore anale. Tegumento coriaceo, assai consistente. Esistono occhi. Generi: Caeculus Duf. (1892) (*). (1) Il gen. Tanaupodus di Haller (1882) è compreso nel gen. Ottonia Kr., dicasi altrettanto del gen. Microtrombidium dello stesso antore (1882). (2) Nel 1877 il Fanzago ed io abbiamo sostituito al nome di Caeculus, che fu ispirato da un errore, quello di Hoplopus; ma E9 t2 La a ч a IV. Ordine. Cryptostigmata. Acari tracheati. Stigmi principali, quando esistono ri- posti negli acetaboli degli arti. Si osservano due cosi detti pseudostigmi sul capotorace, ciascuno con un organo pseudostigmatico di forma svariata. Palpi liberi, a cinque articoli. Mandibole chelate. Arti composti di cinque arti- coli, terminati da una o più unghie, s‘orniti di ventose, atti al cammino od al salto. Cute negli adulti di solito fortemente chitinizzata. Mancano gli occhi. Larve esapo- de, ad arti monodattili. Metamorfosi trininfale. Animali terrestri, liberi о falsi parassiti. l. Famiglia. Oribatidae. Capotorace anchilosato coll’ addome. Esistono neli'ad- dome delle espansioni chitinose simili ad ali. Piastra ven- trale fusa colla dorsale. Generi: Pelops К. (1842), Oribata Late. (1804). (!) 2. Famiglia. Nothridae. Capotorace anchilosato coll’ addome. Mancano all’ ad- dome espansioni chitinose aliformi. Piastra ventrale fusa colla dorsale. lo regole della priorità vietando di farlo ho ripristinato nel mio Prospetto dell’ Acarofauna italiana (fp. 125) il nome. primitivo, ni Servando alla famiglia quello di Hoplopidae da noi già usato nol 1887, (1) Questa famiglia collima colla sottofamiglia Pterogasterinae di Michael. d^ Df, S VII 92 (718) Generi: Serrarius. Mich. (1833), Leiosoma Nic. (1885), Zetorchestes Berl. (1888), Cepheus К. (1842), Scutovertex Mich. (1879), Carabodes К, (1842), Notaspis Herm. (1804), Damaeus K. (1849), Hermannia Nic. (1855), Eremaeus K. (1842), Nothrus K. (1842), Hypochthonius К. (1842) (У). 3. Famiglia. Hoplophoridae. Capotorace mobile sull'addome. Piastra ventrale non fusa colla dorsale. Mancano all'addome espansioni chiti- nose aliformi. Generi : Hoplophora К, (1842), Тема Berl. (1883). (°) V. Ordine. Metastigmata. Acari tracheati. Gli stigmi trovansi dietro le coscie degli arti del quarto pajo, oppure fra gli arti del terzo e quelli del quarto pajo nascosti sotto le coscie del terzo pajo. Mandibole terminate da una pseudochela. Esiste un (1) Il gen. Neozetes Berl. (1855) è sinonimo del gen. Serra- rius Mich. (1883). - Per l'intelligenza del mio Prospetto del- P Acaro(auna italiana si osservi che il gen. Oppia К. corrisponde al gen. Notaspis Herm., e che, sulle orme del Berlese, distinsi dal gen. Damaeus K. il gen. Delba Heyd. Il gen. Tegeocranus Nic. (1855) è sinonimo del gen. Carabodes К. (1842). Questa famiglia corrisponde alla sottofamiglia Apterogasterinae di Michael, detratto il gen. Hoplophora. IQ (2) I genere Michaelia di Haller (1884) altro non è che una ninfa di Hoplophora. 28 (719) dardo rostrale, munito di denti alla sua faccia inferiore. Arti composti di sei 0 più articoli. Gli occhi mancano od esistono, ed in questo secondo caso sono sessili. Tegu- mento elastico, assai estensibile. Larve esapode. Acari parassiti. 1. Famiglia. Lodlac. Palpi liberi, brevi, guainanti, composti di quattro arti- coli, dei quali il quarto è brevissimo e conico e collocato a guisa di appendice in una infossatura del terzo. Mandi- bole terminate da una pseudochela, formata di due dita dentate, rivolte all’ esterno e rivestite di una guaina mem- branosa. Sotto di esse trovasi il dardo rostrale, munito di denti alla sua faccia inferiore, Bocca terminale. Arti composti di sei articoli e terminati da unghie e da una ventosa. Tegumento coriaceo, assai elastico ; esistono uno scudo dorsale, e talora nei maschi degli scudi ventrali. Gli occhi esistono o mancano. Nelle femmine osservansi tal- volta due fovee cefaliche. Dimorfismo sessuale marcatissi- mo. Ninfe talvolta assai diverse dalle forme adulte. Acari parassiti dei Vertebrati superiori. Generi: Ixodes Latr. (1797), Hyalomma K. (1847), Rhipice- phalus K, (1847), Dermacentor К, (1347), Haemaphysalis K. (1847), Herpetobia Cn. (1890). (!) (1) I generi Herpetobia Cn. e Haemalastor K. sono incomple- tamente conosciuti, e forse il primo rappresenta la forma giovanile di qualehe altro genere noto. Il gen. Phaulixodes di Berlese (1889), secondo le mie osservazioni, pubblicate nel Bulletiino della Società Veneto-Trentina di scienze naturali, tom. IV, p. 243 (1890), è una ninfa di Rhipicephalus. Il gen. Amblyomma К. (1847) Merita di essere soppresso. 2. Famiglia. Argasidae, Palpi liberi, brevi, cilindrici, composti di quattro arti- coli, dei quali i tre ultimi hanno uniforme sviluppo. Man- dibole terminate da una pseudochela, formata di due dita, uno maggiore ed uno minore, rivestite di una gu ina mem- branosa. Sotto di esse trovasi il dardo rostrale, munito di denti alla sua faccia inferiore. Bocca infera. Esistono trachee ; gli stimmi trovansi fra le zampe del terzo e quelle del quarto pajo nascosti sotto le coscie del terzo pajo. Tegumento coriaceo ; il dorso manca di scudo in ambedue i sessi; mancano scudi ventrali. Arti composti di otto articoli e terminati da due unghie; la ventosa manca. Mancano fovee cefaliche. Messun dimorfismo ses- suale. Sono animali parassiti esterni di Vertebrati supe- riori. Generi; Argas Latr. (1797), Ornithodoros К. (1847). (1) VI, Ordine. Mesostigmata. Acari tracheati. Gli stigmi sono collocati al lato ven- trale tra gli arti del secondo e terzo, oppure tra quelli del terzo e quarto pajo, raramente spostati verso il dorso dietro quelli del quarto pajo. Peritrema tubulare, diretto innanzi, raramente mancante. Palpi semplici, liberi, com- posti di quattro о cinque articoli. Mandibole chelate, talvolta modificate in vario modo, quasi sempre protrattili. Arti (1) Il genere Orfithodoros merita di essere riveduto e meglio definito, [25] (721) composti di sei o più articoli. Mancano gli occhi. Meta- morfosi, almeno in alcuni membri, bininfale, Acari liberi o parassiti. 1. Famiglia. Nicoletiellidae. Palpi semplici, liberi, filiformi, composti di quattro ar- ticoli. Le mandibole sono conformate a chela, non pro- trattili; le due branche della chela sono sdentate. Arti Composti ciascuno di sei articoli, dei quali l'ultimo, in quelli del primo pajo, porta due uncini, in quelle delle altre раја, tre uncini; mancano ventose. Corpo coperto di minute piastrine poligonali. Tutti gli epimeri s' unisco- no allo sterno che trovasi nella linea mediana del petto. L’ apertura sessuale è collocata sulla faccia ventrale del corpo presso l'ano dietro gli arti del quarto pajo. Nessun dimorfismo sessuale negli arti e nelle mandibole. Acari liberi, Generi: Nicoletiella Cn. (4877, 1882) (1). 2. Famiglia. Uropodidae. Scudo dorsale negli adulti e nella seconda ninfa general- mente intero. Nessuna differenza sessuale nella forma ed ar- matura degli arti e delle mandibole. Apertura sessuale ma- Schile o femminile collocata nel centro dello scudo ventrale che quindi è perforato. Gli arti sono tutti, od almeno quelli delle tre paja posteriori, terminati da una ventosa e due (1) Il Berlese (1885) istituisce su questo genere la sottofami- glia Panopliidae, ritenendo che la Nicoletiella cornuta sia Acar us denticulatus di Linneo, e quindi il genere Panoplia di Heyden (1827), ciò che non è dimostrato. Ш gen. Lalilostona di Kramer 87١ EY : 0 : (1879) & sinonimo del gen. Nicoletiella. | il | | | | | (722) [261 uncini. Peritrema bene sviluppato. Scudi del dorso e del ventre strettamente uniti insieme. Generalmente esistono due forme di ninfe, l’ una eteromorfa e l’altra omeomorfa. Forme adulte libere. Generi: Uropoda (1804), Uropodella Berl, (1888), Disco- poma Cn. (1882), Fedrizzia Cn. (1884), Polyaspis Berl. (1884), Urosejts Вегі. (1888), Dinychus Berl (19889), Celaeno К. (1842). ‹ 3. Famiglia. Zerconidae. Scudo dorsale, nelle forme adulte, semplice o doppio. Chela mandibolare egualmente conformata nei due sessi ; arti dei medesimi egualmente o diversamente conformati. Apertura sessuale maschile collocata lungi dall’ orlo an- teriore dello sterno presso il centro di questo. Esiste o manca il peritrema. Acari liberi allo stato adulto. Generi: Zercon К. (1842), Sejodes Berl. (1881), Epicrius Cn. (1877), Magistanus Thor. (1882). 1. Famiglia. Laelaptidae. Scudo dorsale unico o doppio. Arti egualmente con- formati nei due sessi, mandibole egualmente o diversa- mente conformate. Apertura sessuale maschile collocata all'orlo anteriore dello sterno. Esiste il peritrema. Acari liberi allo stato adulto о pseudoparassiti di altri artropodi. Generi: Podocinum Berl. (1881), Caelenopsis Berl, (1886), 37] (723) Cyrtolaelaps Berl (1888), Iphis K. ((1842), Iphiopsis Berl. (1882), Laelaps K, (1842), Sejus K. (1849), Antennophorus Hall. (1877), Euzercon Berl (1888) (!). 5. Famiglia. Gamasidae. Scudo dorsale, nelle forme adulte, unico o doppio. Man- dibole in ambedue i sessi, od almeno in uno di essi, ter- minate da una chela, retrattili nell’ interno del corpo sia insieme, sia singolarmente. Apertura sessnale maschile collocata all’orlo anteriore dello sterno. Arti del maschio, specialmente quelli del secondo pajo, armati di sproni o spine. Esiste il peritrema. Dimorfismo sessuale, oltre che negli arti, anche nella chela mandibolare. Acari quasi tutti liberi allo stato adulto. Generi: Gamasus Latr. (1806), Holostaspis Kol. (1857), Hypoaspis Cn. (1885), Pachylaelaps Berl. (1888), Haemoga- masus Berl. (1889) (°). гъ 6. Famiglia. Dermanyssidae. Seudo dorsale intero o doppio. Mandibole didattili, tal- volta con un dito abortito, variamente modificate a Scopo di parassitismo, diversamente conformate nei due sessi. Apertura sessuale maschile collocata all’ orlo anteriore (1) Il gen. Diplogynium Cn. (1888) è sinonimo del gen. Gae- lenopsis Berl. (2) I seguenti generi, perchè incompletamente conosciuti, non possono al presente essere collocati nelle famiglie eui apparten- Sono fra i mesostigmati : Podolaelaps Berl. (1888), Heterozercon Berl. (1888), Berlesia Cn. (1884), Poccilochirusf@n. (1882), Stilo- chirus Cn. (1889), IHalolaelaps Ber. et Tr. (1889). (724) [28] dello sterno. Arti tutti forniti di ventosa e di uncini, egualmente sviluppati in ambedue i sessi e sempre iner- mi. Stigmi quasi sempre forniti di peritrema, ora ventrali, ora spostati verso il dorso. Generazione ovovivipara od ovipara. Larve esapode od octopode, ninfe ibontoidi. Acari parassiti dei vertebrati. Generi : Dermanyssus Dug. (1834), Leiognathus Cn. (1885), Ophionyssus Mégn. (1884), Ptilonyssus Berl еб, (18800, км Sternostoma Berl, et Tr. (1389), Leiostaspis Kol. (1857), Pte- roptus ри, (1832). (1) (1) Il parto di larve octopode è un fenomeno di sviluppo ab- breviato. [29] (725) Prospetto generale del Sistema Acarologico. fore m^ P ORDINI SOTTORDINI FAMIGLIE са d vi © E "t Zo : = Rf du DONO Ае 1 | I, Vermiformia 2, Phyloptidae n 3 Cyloleichidae 2 ^. Psoroptidae 3 I. Astigmata | 5 Linocoptidae 2 | И], Surcoptina 0 Listrophoridae 3 | | A Dermoglyphid: € M | 8. Analgesidae ү \ 9. Tyroglyphidae 12 à ( 1. Halacaridae y II. Hydracarina < 2. Limnocharidae 2 | ) З. Hydrachnidae 29 1. Tarsonemidae 4 2. Cheyletidae 8 9. Erythraeidae 2 4. Tetranychidae 7 Ж Ше, RU No s n 7. Blellidae D 8. Alychidae p 9. Rhyneholophidae Д, 10. Trombididae Ù П. Hoplopina 4. Hoplopidae 1 | | 1. Oribatidae 2 IV. Cry, tostigmata 9. Nothridae 12 ! | 3. Hoplophoridae P А { 1. Ixodidae 6 V. Motastigmata { 2. Argasidae 2 4. Nicoletiellidae 1 | | 9, Uropodidae 8 i / | 9. Zerconidae 4 Ы Mesostigmata 4. Laelaptidae 9 5 Gamasidae 5 6. Dermanyssidae Y * . . " E . * . . () Non sono contati i generi che nelle Note dissi di incerta Sede, T SV 93 ADUNANZA SOLENNE DEL GIORNO 24 MAGGIO. 1891 PRESIDENZA DEL PROF. CAV. GIULIO ANDREA PIRONA PRESIDENTE Sono presenti i membri effettivi : De BETTA vicepresidente, Turazza, DE Ziano, Minion, Rossi, VLAcovICH, FAMBRI, LORENZONI, CANESTRINI, E. BERNARDI, Mons. J. BERNARDI, BELTRAME, FAvARO, TOLOMEI, MARINELLI, PERTILE, KEL- LER, DEODATI, SPICA, BERCHET e VIGNA vicesegretario ; nonché i soci: DALL’ Acqua GIUSTI, MARTINI, OOCIONI- BONAFFONS e GALANTI. Sono giustificati i membri effettivi De GIOVANNI, DE LEVA, FRESOHI, LAMPERTICO, OMBONI, PAZIENTI е TROIS. Come negli anni trascorsi, 1’ adunanza si tenne nella Sala dei Pregadi in Palazzo Ducale, e fu onorata dalla presenza delle Loro Altezze Realii Duchi di Genova, dalla Principessa Elvira, dal R. Prefetto, dal Sindaco di Vene- zia, dal Generale Billia, dalle principali Autorità militari е civili, nonchè da uno scelto pubblico, fra cui parecchie signore. Il Presidente diede per primo la parola al Vicesegre- tario dottor C. Vigna, il quale riferi sui risultatati dei concorsi scientifici e sulle premiazioni concesse in que- 728 st’ anno ai veneti industriali, proclamando infine i temi posti al concorso per i premî degli anni avvenire. Dopo di lui, il socio corrispondente prof. G. Occioni- Bonaffons lesse sul seguente argomento : « Del commer- cio di Venezia nel Secolo XVIII, discorso storico. » RELAZIONE ҺЕТТА DAL М. E. VICESEGRETARIO DOTT. CESARE VIGNA NELLA ODIERNA SOLENNE ADUNANZA E Altezza Reale, egregi Signori ed onorevoli 7011017! Volge un anno, o Signori, dacché in si solenne adu- nanza io mi presentava innanzi a Voi, coll’ animo giusta- Mente compreso da grande trepidazione, perchè chiamato а tener le veci dello illustre nostro segretario prof. Gio. Bizio nel darvi ragguaglio sull’ esito dei concorsi scienti- fici e sulle onorificenze ai veneti industriali : ufficio, nel quale egli portò sempre quella parola assennaia, dotta, faconda, elegante e ben spesso festiva, da meritarsi ogni volta la estimazione ed il plauso del fiore più eletto della nostra cittadinanza. lo vi confesso fin da principio, che nell’anno trascorso fu grande ajuto per me un maggior numero di premiazioni а rendermi meno arduo il compito, men difficile la parola ; Ma in quest'anno, in cui l'egregio uomo, da circa un mese, ahimé! funestamente e rapidamente ha reso deserto quel Seggio, da lui in si splendido modo illustrato, saprò io, come si conviene, sdebitarmi di tale ufficio ? io, che proprio alla vigilia del di che perdetti in lui un caro amico ed un valente collega, m’ ebbi il cuore straziato da uno dei più (730) ' r2) forti dolori, che possano render triste la vita di un affet- tuoso padre di famiglia ? Voi ben vedete, che l’ animo perturbato mal si presta all'arte del dire, e che, di fronte alle meste imagini del passato, è malagevole al presente trovare la venustà delle forme e la vivacità del pensiero. П perché sorreggetemi voi con quella benevolenza, che ho tante volte sperimen- tata, e di cui oggi ho specialmente bisogno, affinchè, il meno che sia possibile, comparisca indegna delle circostanze la mia parola. Per l anno corrente il nostro Istituto invitava gli studiosi a risolvere due quesiti. І uno di essi, col pre- mio di lire 1500, pel concorso biennale dell’ Istituto me- desimo, richiamava uno Studio sopra le odierne condizioni sociali, limitandolo però nell’estensione e rendendolo più determinato nell’ oggetto. Tale quesito richiedeva una « Storia sull'emigrazione delle provincie venete all'America», con dati statistici, con indagini di fatti ecc., allo scopo che da una tale Storia sincera, esatta e compiuta potessero giovarsene la scienza economica, l’arte, di governo е la legislazione nazionale. L'altro quesito, col premio di L. 3000 della Fonda- zione Querini-Stampalia, domandava uno Studio « Sulla le- gislazione delle caldaie a vapore e sulla costituzione delle Società per la sorveglianza di siffatti apparecchi.» Alla scelta di tale tema porgevano argomento il difetto di una uniforme legislazione fra noi in siffatta materia, ed il fatto (che sembra, a dir vero, incredibile), pel quale sono tut- tora in vigore nel lombardo-veneto le austriache disposi- zioni in proposito, che risalgono al febbraio del 1854. Molto utile parve all'Istituto un. simile Studio: il tema, bene svolto, avrebbe il duplice vantaggio di schiudere al [3] (731) Governo la via per fare una legge razionale e pratica sui generatori di vapore, e per agevolare la formazione di quelle Società per la sorveglianza di siffatti apparecchi, tanto fiorenti in America, in Inghilterra, nella Germania, in Francia, in Austria, in Svizzera, nel Belgio ed in Russia. — Miravasi altresi allo scopo umanitario di vedere scemato di molto il numero di quelle tremende catastrofi, che Sogliono quasi sempre accompagnare le esplosioni dei pre- lali generatori. Se per l'uno e per l'altro dei quesiti mancarono ela- borati, il R. Istituto non se ne impensierisce, perché le frequenti, numerose domande, che pervengono alla Segre- teria di Esso per schiarimenti e per conoscere i programmi dei due concorsi, lo rendono convinto esservi chi a tali Studi si 6 già accinto: é persuaso, che ai valenti studiosi Mancò il tempo di approfondire le ricerche e di risolvere convenientemente i temi proposti. L' Istituto quindi riapre entrambi i concorsi, assegnando un altro biennio pel desiderato loro svolgimento; e nutre ferma lusinga, che una tale proroga avrà per effetto la presentazione di elaborati meritevoli di conseguire l’ ago- o Snata palma. Ma non sono questi i due soli concorsi pendenti. Scade alla fine dell’anno corrente quello del premio di italiane un 3000 della Fondazione Querini-Stampalia, concernente Compendio di storia delle matematiche, corredato da una Crestomazia matematica ecc.: alla fine del venturo anno 1892 scade pur l’altro, che domanda la Storia della politica commerciale internazionale nella seconda metà di questo secolo ecc., pel cui scioglimento è assegnato pure "n premio di L. 3000 della succitata Fondazione Querini- Stampalia. E da aggiungersi, che nel medesimo anno 1892 sarà conferito fuori di concorso un premio di L. 3000, che, Per la disposizione del munifico patrizio veneziano Balbi- (732) [4] Valier verrà assegnato all’ italiano, & quale nel biennio 1890-91 avrà fatto progredire le scienze’ mediche е chirurgiche, sia coll’ invenzione di qualche strumento, o di qualche ritrovato, che valga a lenire le umane sofferenze, sia pubblicando qualche opera di sommo pregio. Aggiungasi in fine, che pende tuttora il premio trien- nale di it. L. 3000, istituito dal benemerito nostro collega Senatore Ferdinando Cavalli, il cui tema. riguarda uno «Studio sulle attuali condizioni delle popolazioni agri- cole della nostra veneta regione. » Dopo aver richiamati questi concorsi, non mi resta che proclamare il quesito scientifico pel premio di L. 3000, da conferirsi nell'anno 1893, giusta le tavole di fondazione del benemerito Conte Gio. Querini-Stampalia. Il quesito, prescelto dalla Giunta ed approvato dall’ Istituto nell’ adu- nanza del 19 aprile, è il seguente : «Fare uno studio litologico, mineralogico e chimico dei materiali pietrosi, sabbiosi, terrosi e salini, che uno dei principali fiumi del Veneto, nelle diverse condizioni di piena, di magra e di media, porta fuori dalle valli alpine e depone a diverse distanze dal piede delle alpi e fino al mare: ed applicazione di questo studio а quello delle antiche e moderne alluvioni della veneta pianura, ed ai cambiamenti di posto, che possono es- sere avvenuti in epoche preistoriche e storiche nell al- veo di detto fiume. » Non è certo necessario, (notò la Giunta che pre- scelse tale quesito) di spendere parole per dimostrare, che questo tema soddisfa a tutti i requisiti. Sarebbe utilissimo, (essa aggiunse) per la scienza, per la ingegneria e per l'agricoltura, che uno studio di questo genere fosse fatto per tutti i fiumi della nostra regione. Se non che, tenuto conto della vastità dell’ argomento, del tempo concesso ai concorrenti e della stessa somma del premio, Essa ha creduto di limitare lo studio ad un solo fiume. [5] (733) Compiuta così Ја parte, che si riferisce ai premi ed ai concorsi scientifici, vengo alle onorificenze assegnate nel corrente anno accademico, e seguendo il metodo consueto, agli industriali veneti, che si cimentarono alla gara e si resero meritevoli dei sussidî, elargiti dal R. Ministero di agricoltura industria e commercio. Diploma d’ onore. Il concorrente, ch'emerge in quest'anno, giusta le condizioni statuite dal pubblicato avviso di concorso, è il Conte Carlo Vittorio di Asarta per l'insieme delle miglio- rie e delle applicazioni meccaniche ed elettriche, introdotte nel suo tenimento di Fraforeano in quel di Latisana. Convinto che 1’ agricoltura deve partecipare all’ odierno movimento intellettuale ed avere per guida e per base la scienza, sì che, sparito l'empirismo, il crogiuolo, il micro- Scopio ed il dinamometro devano essere gli usuali suoi istrumenti ; convinto, a dir breve, che 1” agricoltura devasi trasformare in una vera industria; egli, nel precitato suo tenimento, con molta sagacia e intelligenza volle pie- namente raggiungere tale scopo, porgendo lo splendido esempio di un sicuro criterio e di un finissimo gusto. Dal 1884 al 1887, in terreni d'infima qualità, e sino à quell' epoca improduttivi, seppe creare ben 42 ettari di marcite, cosicché dal dicembre all’ ottobre successivo potè fornire d'erba fresca le armente, ed ottenere dagli otto ai nove sfalci annuali. Senza citare le piantagioni, egli è meritevole di enco- mio per la costruzione dei fabbricati, che consistono in stalle, talune delle quali capaci di oltre 200 bestie bovine, in porcili, magazzeni, case per lavoranti, concimaje co- perte con cisterne, e tutto ciò con ingenti spese. MILA VII 94 (784) [6] Nella sua possessione introdusse nuovi e importanti meccanismi che tuttora funzionano: ma egli, che segue col massimo fervore i progressi della scienza, non poteva ap- pagarsi di tutte queste macchine, le quali benché rechino molta economia nella mano d'opera e,sopperiscano alla sua deficienza, permettendo di applicare in parte il trito assioma che // tempo è denaro, hanno però un capitale difetto, quello, cioè, che per farle agire si richiede la forza animale. Egli è perciò, che nel suo latifondo applicò un motore instancabile, continuo e non costoso, il motore elettrico. L'origine della forza è una caduta d'acqua di 2 metri, della portata di circa 3 metri cubi al minuto se- condo. Sino dal 1889 costrui una ruota Poncelet in ferro, avente il diametro di metri 7.50, che col consumo di 1000 litri può sviluppare oltre 20 cavalli. La generatrice elettrica, da questa ruota messa in moto, è una dinamo Alioth tipo Helvetia 1890, di 720 volts e 18 amperes, capace di sviluppare 1000 volts e 22 amperes; macchina a nessuna seconda, premiata con me- daglia d'oro a Parigi nel 1889, preferibile per l’ esterne sue forme, essendo induttore ed indotto completamente coperti di una carapace in ferro, e non avendo al di fuori che le spazzole e i collettori. Ad essa generatrice è identica la ricettrice, о motrice: ambedue sono ad av- volgimento Compound. Omessi gli altri particolari, accenneremo che il sistema di aratura è il Round About dei fratelli Howard di Bed- fort: sistema, in cui la motrice a vapore è rimpiazzata da quella elettrica. Con una tensione di 7 о 800 volts e con un consumo di 18-20 ampéres, si arò una terra argil- losa, bagnata e in cattive condizioni. Un’ altra macchina dinamo-elettrica illumina le stalle, le scuderie, i laboratorj ed altro. Per essa, nella stagione estiva è consentito ai lavoratori, con vantaggio della loro salute, di eseguire durante la notte il lavoro delle treb- biature, che riesce tanto penoso di giorno. Tale macchina [7] (785) serve altresì a mettere in moto il trincia- foraggio. e ser- virà pure ad abburattare i grani ; mentre la dinamo grande sarà utile per comprimere fieni e paglie. Le spese d'impianto salirono alla cifra di 1. 67 mila circa. Ma ciò non è tutto. Non pago di avere impiantato nel 1885 il caseificio a Sistema lombardo, e di averlo migliorato nel 1886, intro- ducendovi le macchine a vapore ed altri meccanismi, nel 1889 lo trasportò in un nuovo locale, appositamente fab- bricato. Ivi la motrice rimase quale ausiliaria, ma il mo- tore principale fu ed è un motore elettri лсо, tipo Tecno- masio, il quale riceve la corrente da una generatrice, che dista circa 1000 metri, ed è posta in azione da una ruota idraulica Poncelet in ferro. Rimasero tutti gli stessi mec- canismi, salvo la caldaja pel foraggio, ora riscaldata con una caldaja a vapore Barford e Perkins, la quale serve ad un tempo a far cuocere gli alimenti per un porcile capace di 74 majali. La stessa generatrice elettrica dà anche luce al caseificio, ai porcili ecc. e serve eziandio а trasporto di forze per altri usi. L'annua di Mid е di ettol. 3800 di latte, e Kilog. 15 mila di burro e 2 . di formaggio. Col latte centri- fugato si alimentano vitelli e giovani majali. La nostra città di Venezia è il luogo di smercio prin- Cipale. Il burro di questo caseificio gode tale favore, che alle ricerche rendesi insufficiente il quantitativo. Conta distinti clienti, fra questi i primi nostri alberghi. Esso è conosciuto anche all’ estero , ed ottenne gli encomi dei più riputa'i periodici nazionali e stranieri. La latteria di Fraforeano ha il vanto di essere stata ш ata per iniziativa unica del suo proprietario, che dietro gini suoi vi fece eseguire tutti i lavori. L’ impianto elettrico è opera della Ditta Volpe-Malignani di Udine. Da tutto ciò luminosamente siii, che il Conte Carlo d (736) [8] Vittorio di Asarta ha tutti i titoli per essere proclamato degno del diploma d’ onore, che ad unanimità gli viene conferito dal R. Istituto. Medaglia d’ argento Venendo alle altre onorificenze, devesi innanzi tutto dichiarare, che nel 6 febbraio 1887 costituivasi nel Co- mune di Cavaso presso Possagno, avente una popolazione di 8500 abitanti dediti in massima parte all’ agricoltura, una Società anonima cooperativa, allo scopo di sostituire agli scarsi е incerti prodotti del suolo quelli più larghi e rimuneratori delle stalle, aumentando 1’ allevamento delle mucche fruttifere, organizzando la produzione dei latticini, e sostituendo alle deboli e scarse forze degli individui quella che è più potente, cioè la forza collettiva. Per tal modo il latte, da elemento secondario, doveva divenir prin- cipale : l'impulso, dato all'allevamento delle mucche, e la introduzione di nuovi metodi acconci a dar prodotti su- periori si in qualità che in quantità a quelli delle dome- stiche aziende, dovevano contribuire al plausibile scopo. Le oblazioni di alcuni filantropi, che verso un’ esiguo interesse anticiparono una ingente somma, consentirono di attuare l’idea. Acquistata l'area conveniente, col diritto d'uso di una caduta d'acqua della forza media di 5 cavalli- vapore, nel luglio 1887 s’ iniziarono i lavori e nel gennaio 1888 inauguravasi la Latteria. L’ ampio suo edifizio misura metri quadr. 450 ; si divide in due piani; in esso hannovi spaziosi locali pel ricevi- mento dei generi, pei laboratori e per gli uffizi. Nella lavorazione del latte si adottarono i meccanismi di ultima invenzione, dalla scienza e dalla pratica trovati i più idonei all’ поро; e tale lavorazione produce burro, formaggio, ricotte, più il siero per allevare majali. [9] (737) Questi prodotti soddisfano in parte al consumo locale, e in parte vengono esportati nelle principali piazze del Regno ed all'estero. Il burro si invia ai privati in pac- chetti postali e in piccole quantità, ai negozianti poi in grandi partite ; ed oltrecché fra noi, lo si apprezza e lo si consuma a Londra, Parigi, Costantinopoli, Salonicco, nel Cairo e in Alessandria. Dall'esame dei bilanci sociali risulta, che dal 15 gen- naio 1888 al 81 dicembre 1890, la Latteria acquistò Kil. 1.794,480 di latte. Con essi produsse Kilogr. 71,661 di burro, 146,555 di formaggio, oltre a 56,499 ricotte. In quel territorio si allevano circa 700 mucche fruttifere, possedute da circa 200 agricoltori o portatori di latte ; fra i quali si riparti la somma esborsata in questo mezzo tempo dall’ azienda sociale per acquisti di latte. La Società annovera 267 soci, possessori di 1482 azioni, ‘appresentanti un capitale di L. 27640. Considerando, che si venne ad esplicare una forza la- tente dell’ agricola economia; che la produzione divenne si rigogliosa, da supplire all’ insufficienza o mancanza dei prodotti del suolo; che, impedendo la esportazione, si raddoppió la produzione del concime, che sparso quindi in Maggior copia sul terreno, rese più feraci i vigneti, più ubertosi i pascoli, convertendo i magri in grassi, e mi- gliorando le qualità del fieno col raddoppiarne il prodotto; considerando inoltre, che col corrispondersi agli agri- coltori in luogo del latte una somma, si ha una corrente di denaro, che vivifica l'economia locale, soddisfa larga- mente i più frequenti e imperiosi bisogni, e s'impedisce di incorrere a quell’ iniqua usura, che specula sulla fame ; considerati tutti questi vantaggi, l'Istituto incoraggia la Latteria sociale di Cavaso colla medaglia d'argento, e fa voti che i suoi rapporti commerciali trovino tale esten- Stone ed incremento, da renderla sempre più benemerita nella storia del risorgimento economico del suo paese. (738) [10] Degno d’ una eguale ricompensa si ravvisa pure il Sig. Silvio de Pretto, Ing. costruttore in Schio, dove ha pian- tato un sno Stabilimento con sano giudizio e con massi- ma economia. Ha due sale con due forni ed un ventilatore Rot per la fonderia in ghisa: altre due per la torneria ed una pei modellisti. Tre stanze sono riservate per 1а Direzione ed Amministrazione, nonchè pei disegnatori; tutto ciò modestamente, ma giudiziosamente ordinato. Una ruota idraulica somministra la forza motrice : nei tempi di massima magra del canale che l’ alimenta, è for- nita di una macchina a vapore. Il laboratorio conta circa 80 operai. L'ing. De Pretto si dedica particolarmente a costruire le trasmissi.ni per gli stabilimenti industriali ; gli innesti o frizioni poi costituiscono una specialità brevettata, me- ritevoli della massima considerazione, essendo combinati razionalmente e con pratico criterio. Tali innesti sono in molti casi preziosissimi meccanismi, quindi vanno sempre diffondendosi come parti delle moderne trasmissioni. Per quanto si sa, egli è l’unico costruttore in Italia che si dedichi a siffatte fabbricazioni ; egli li costruisce con un proprio e bene studiato sistema ; funzionano pienamente ed hanno lunga durata, come lo attestano le molte appli- cazioni che vi si fecero. Il concorrente è veramente meritevole d' encomio pel modo giudizioso, con cui conduce il suo opificio, e sopra- tutto per aver egli ideato e diffuso un sistema d’ innesto a frizione, il quale razionalmente e praticamente soddisfa ad ogni esigenza. Anche la Ditta Lacchin, Pagotto e C. di Sacile Veneto favorevolmente si è presentata ai concorsi industriali. Preoccupandosi del limitatissimo e stentato lavoro, che si faceva colà, e da molti anni, per macinare il carbonato [44] (739) di calce, dessa volle dare nna spinta ed un incremento a siffatta industria. Cominciò dall’ attuare pratiche per lo Spaccio di tale prodotto in Levante sotto il nome di talco veneto; e con notevole dispendio vi mandó un suo inca- ricato, al fine di far conoscere in quelle piazze un tale articolo. — Colla sua tenace perseveranza giunse a dare un crescente sviluppo alla produzione, tanto da essere in grado di spedire 300 vagoni dalla Stazione di Sacile. — Possiede poi a Francenigo, Vigonovo e Sacile sei molini, che danno cirea 300 quintali al giorno. Le qualità, che produce, sono il raffinatissimo impalpa- bile, il granuloso e quello in natura. Del prodotto si val- gono le fabbricazioni di vetro, saponi, ceralacca, carte, Stoviglie, maioliche, guttaperca, cere, colla d' amido, ciprie, gessi in genere, prodotti chimici, brillatura del riso, into- nachi levigati, asfalti, mosaici, gazose. Il maggior consumo fu nelle fabbriche di sapone invece del talco: in quelle di stoviglie, majoliche e carte in luogo del caolino; e nelle vetriere in sostituzione della calce viva. — Quelli allo stato greggio, mediante vagliatura eseguita nelle cave, Somministrano diversi scacchi a piacere, idonei per fabbri- Care mattonelle a pressione, ed opportuni per asfalti, Mosaici e terrazzi. Anzi su tale argomento dalla Ditta con- Corrente si studia l'applicazione di nuovi ingegni automa- tici nei molini; innovazione, che contribuirà al migliora- mento del prodotto. Per l'impulso, dato a tale industria con siffatto avvia- Mento da rivaleggiare coi prodotti stranieri, la Ditta Lac- Chin, Pagotto e С. è meritevole di essere incoraggiata colla medaglia d' argento. Nell’ anno corrente si ripetè un fatto, di cui non ci Mancarono, a dir vero, esempi anche nel passato, cioè che Uno dei concorrenti si ripresentò con una industria altre Volte premiata; ma però con tali migliorie e perfeziona- Menti da doverlasi prendere in considerazione. (740) [42] Il nostro concittadino Sig. Gio. Batta Lizier, gerente e comproprietario fino dal 1881 della Ditta Lizier e Pia- netti, premiata nel 1888 per confetture, cioccolata, mo- starde e torroni, divenuto nel 1890 il successore di essa, si cimentó. nuovamente alla gara cogli stessi prodotti, ma perfezionati. Lottando con molti ostacoli per poter sostenere la concorrenza di vetusti e rinomati Stabilimenti, anche per la deficiente pratica dei nostri operai in tale fabbricazione, egli seppe raggiungere la meta, mercè l'opera di un valente ed operoso tecnico ed il buon volere dei lavo- ranti. L'opificio è provveduto di un molino per la macinazione delle droghe, di speciali apparecchi per la fabbricazione a vapore delle mostarde e dei torroni, nonché di una macchina a vapore della forza di 10 cavalli: dà mezzi per vivere à 30 operai, i quali diventano anche 50, quando si confezionano i torroni. Il lavoro dura ogni di 10 ore, e cogli attuali nuovi meccanismi la produzione è di kilog. 150 di cioccolata, 300 di confetture, 200 di dro- ghe macinate, e di 600 di torroni e mostarde nei due mesi di novembre e dicembre. Il signor Lizier potè introdurre nei mercati di Oriente anche i suoi torroni, che per la qualità competono con quelli importati dalla Francia. Essendo poi il suo opificio l’unico in questa veneta regione, che, per importante е ben lavorato prodotto, possa gareggiare colle primarie consimili fabbriche del Regno, tanto da avere nuovi clienti a Costantinopoli, Smirne, Salonicco e in vari siti della Grecia, il signor Lizzer ha veramente titolo per con- seguire una medaglia d’ argento. [13] ( -t =ч м Medaglie di bronzo. Anche la Latterza di Cison di Valmarino è ben degna di una onorificenza, come quella cui si deve in massima parte attribuire il merito della introduzione nella Provin- cia di Treviso dell'industria razionale casearia, fondata sull’ associazione dei piccoli produttori, ed inspirata dal nobilissimo ideale di togliere la miseria e lo squallore di quella zona, impoverita. per la scarsezza dei principali prodotti agrari. Nel 22 settembre 1887, col capitale di L. 35000, si è costituita una società per azioni; e a merito del disinte- ressato Conte Brandolini si acquistò uno stabile fornito di forza motrice idraulica, ottenendosi dal Comune un getto d’acqua potabile. Il caseificio consta di due corpi di fabbrica e di un annesso podere. Il corpo principale occupa un’area di Metri quadrati 581; ha piano sotterraneo, piano terreno, altri due piani ed adiacenze. Tredici locali sono destinati per gli uffici, per le consegne e depositi, nonchè per la lavorazione. Il secondo corpo è riservato esclusivamente ad allevare i majali. Tre scrematrici, una zangola ed un impastatore da burro sono animati dalla forza idraulica. Il corpo di fabbrica si ultimó nell'agosto 1888, e nel Successivo settembre vi si trasportò l'intero caseificio, il quale venne provveduto di macchine, attrezzi e mobili relativi. Si ebbe poi in mira di scegliere quanto poteva Contribuire ad ottenere pulitezza, facilità nella fabbrica- zione dei prodotti, risparmio di tempo, mano d'opera e combustibili, acciò riuscisse un pratico e vantaggioso ca- Seificio, [II S, VII 95 (742) [14] I portatori inscritti sono circa 300 e posseggono 550 mucche. Gli effettivi in primavera, autunno ed inverno sono 200, posseggono 800 mucche, che danno dai 15 ai 20 ettolitri di latte. Nei mesi di giugno, luglio e agosto le mandrie emigrano in gran parte ai pascoli montani ; restano quindi circa 100 portatori di latte con 200 muc- che, che offrono in media 12 ettolitri di latte al giorno. Circa 150 litri di latte intero si rivendono ai privati; gli altri sono scremati colle centrifughe. Ai privati si spac- ciano ogni di 150 litri di latte scremato, che costa 5 centesimi al litro; un ettolitro circa si dà agli allevatori di vitelli, e circa un ettolitro quotidianamente s’ impiega per esperimento nell’ allevare i majali, lavorandosi il resto nel formaggio magro. Recentemente si produssero kilog. 20,443 di burro, che si vendettero in pacchi postali, e si spacciò anche per esportazione nei grandi alberghi e mercati d’Italia e fuori. — Si è anche introdotta la fabbricazione della panna condensata, che, alla foggia inglese, si vende in piccoli ed eleganti vasi di porcellana, inviandola anche per pacchi postali ai committenti. Questa nuova confezionatura viene ora limitata alla stagione fredda in cui dura, nella quale si confeziona anche la ricotta. — Si fanno poi varie sorta di formaggi; e la contabilità dell’ azienda è a scrittura doppia. Annesso alla Latteria trovasi l’ osservatorio del casei- e per formare gli allievi-casari vi è un apposito corso d'i- struzione. — I vantaggi, che ne risente la popolazione agricola dei dintorni, facendo ogni anno entrare del de- naro ‘nelle vuote tasche degli agricoltori; la vita e l'im- pulso dato colà ad un ramo di commercio dapprima insi- gnificante e negletto ; sono 1 titoli, che rendono meritevole la Latteria di Cison d' una medaglia di bronzo. [15 (748) Dalla operosità di un'azienda sociale ci conviene ога passare all’ attività individuale ; e innanzi tutto a quella del signor prof. cav. Pio Berti, che a Padova tiene un opificio annesso all'Istituto Camerini, piantato con qualche larghezza e coi propri. capitali, con numerosi ed ampi locali, fornito di una piccola motrice a vapore, nonclé di torni, trapani, macchine per fresare, tagliare e trafo- rare. — In esso lavorano circa 30 persone, compresi i giovanetti dell’ anzidetto Istituto; e vi si eseguiscono con molta cura le fusioni in ghisa, bronzo e ottone, le quali y » In generale riescono assai bene. Scopo precipuo sarebbe quello di produrre un’ infinità retti d'uso comune, nei quali la solidità ed di piccoli 0gg una certà eleganza devono associarsi al buon mercato. L'amore che il Cav. Berti porta alla sua industria, e l’attività con cui conduce le sue officine, fanno desiderare che egli riesca veramente, e su larga scala, a far con- correnza ai consimili prodotti, che ci vengono dall'estero. L'Istituto trova pertanto d'incoraggiarlo, assegnandogli "na medaglia di bronzo; e fa voti acció 1 lodevoli inten- dimenti del Prof. Berti siano coronati dal jiù felice suc- cesso. I fratelli Federico e. Marco Visentini di Venezia, Successi fino dal 1882 al padre loro nell’ esercizio della tipografia da lui fondata nel 1856, si sono dedicati in questi anni a pubblicare buon numero di opere scientifiche, letterarie ecc., oltre a molti opuscoli. Valutando il fatto che diedero in luce opere storiche, quanto utili agli stu- diosi, altrettanto poco rimuneratrici qual | imprese econo- Miche; ed avuto eziandio riguardo alle molte peripezie, che dovettero superare fino dai primordi ; il R. Istituto conferi- sce aj fratelli Visentini la medaglia di bronzo, e si lusinga (744) [16] che tale onorificenza sarà ad essi di sprone ed incitamento a tener alto il decoro di un’arte che, sino dalla sua in- venzione, ebbe culla nella nostra diletta Venezia. Un altro operaio, della industre e сага isoletta di Murano, si è presentato al eoncorso coi pregevoli suoi lavori di decorazione sui vetri, colla foglia d' oro lavorata a grafito ed alla maniera antica. 6 1] signor Francesco Toso-Borella, adetto alla Società Venezia-Murano, il quale fu uno dei primi nel perfezionare siffatti lavori. — Il merito di essi fu bene giudicato dalle medaglie conces- segli dalla locale Camera di Commercio, nonchè dalle Esposizioni di Treviso e di Verona. Senza spendere altre parole, l'Istituto è lieto di unirvi anche il suo incorag- giamento, assegnando al modesto, ma valente operaio la dovuta ricompensa d'una medaglia di bronzo. Né qui hanno termine le premiazioni. Giustizia ri- chiede, che si tributi il debito encomio anche al signor Pesaro Achille di Padova, che da poco tempo ha fatto sorgere colà un laboratorio per la fabbricazione giorna- lera di 8000 ai 10000 turaccioli assortiti di sughero. Egli possiede tre macchine del solito tipo, senza impor- tanti modificazioni, maneggiate da З operai. Possiede pure un coltello circolare pel taglio delle fette e dei tubi di sughero, più una caldaja aperta col relativo forno, per rammollire il sughero in istato greggio, proveniente dal- l’ Africa. Se l'impianto è modestissimo, i prodotti sono buoni, l'industria è assai utile e nuova per Padova; ben si merita dunque il signor Pesaro una menzione ono- m ] revole. [17] (143) Proclamate di tal guisa le premiazioni, in quest’ anno assegnate ai concorrenti industriali della veneta regione, amore di verità e di giustizia mi obbligano ad accennare che, fra i non premiati, si presentarono aspiranti con industrie bene ideate ed iniziate, le quali con ulteriori perfezionamenti, giusta le condizioni dei concorsi, potranno nell’anno futuro o nei successivi meritare una onorificenza. E sempre vero che la mente umana si può assomigliare ad una selce: battila e dà fuoco. E sempre vero, che la speranza di premio e di gloria vieppiù induce l'uomo alla prova ed acuisce mirabilmente l ingegno. Tutto, ad ogni modo, accenna ad una lusinghiera Operosità: e questo felice risveglio di vita nei nostri indu- striali m’infonde nell'animo una cara speranza, ed è, che come per le scienze e per le belle arti inneggiamo ogni ànno ai nomi dei generosi mecenati Querini-Stampalia, Balbi-Valier e Cavalli, cosi anche per le industrie ci sarà dato di aeclamare nell’ odierna solennità a qualche muni- fico. benefattore, che ci ponga in grado di allargare la cerchia delle premiazioni e degli incoraggiamenti alle venete industrie. Esempi di utili istituzioni, inspirate all'amore più santo Verso il nostro popolo, non difettarono mai in ogni tempo in questa nostra Venezia. Da ciò io traggo il lieto presagio. Me ne affida anche uno splendido esempio di nobilissima carità, che ci ha porto in questi ultimi mesi una egregia nostra concittadina, e che fu già annunziato coi ben me- Citati encomi dai nostri giornali. Alludo, o Signori, al cospicuo lascito della Signora Rosa Corinaldi vedova Namias, la quale volle instituire "n legato pel mantenimento agli studi universitari di un bisognoso giovane veneziano, affidandone la scelta al nostro Istituto. Ed Esso, osservate scrupolosamente le pratiche legali рег l eseguimento della provvida instituzione, sarà ben lieto d'adoperarsi per vedere attuate le plausibili (746) [18] disposizioni della benefica testatrice, la quale si rese in tal modo degna interprete di quell’ affetto alla scienza ed al nostro sodalizio, che nutri sempre il chiarissimo suo con- sorte, e benemerito nostro Segretario, il compianto dott. Giacinto Namias ; sarà ben lieto di assecondare altresi i liberali intendimenti degli eredi della coltissima donna, veramente emuli della sua generosità. ID questo, o Signori, un tributo, che rendo con tutta coscienza alla memoria di Lei, accompagnato dall'augurio che altri, con parola più fervida della mia, possa in avve- nire rendere un pari omaggio al futuro benefattore dei veneti industriali. Con questo voto io chiudo, o Signori, la mia relazione, certo che voi tutti, in unione agli onorevoli miei colleghi, vorrete prenderlo in buona parte, ben persuasi che io nell’ esprimerlo sono mosso, più che altro, dal potente affetto verso i cultori delle scienze, delle arti e dell’ in- dustria in questa nobilissima regione, cui mi glorio di avere eletta e sempre amata come seconda mia patria ; in questa Venezia, che, in aggiunta alle antiche sue glorie, sa farsi tuttora oggetto di alta meraviglia agli stranieri, anche a quelli, che furono sempre alteri delle proprie grandezze, fino а proclamarla (come fece poc'anzi uno dei più accreditati periodici francesi) la vera sede deli’ arte italiana, specialmente decorativa ed industriale. E tale sarà sempre, noi lo speriamo, finchè il nobile sentimento, l' amor proprio e della patria saranno il re- taggio di questo popolo; finché la generosità dei buoni non lascierà estinguere la scintilla del genio; finché il bel sole ‘d'Italia susciterà, dalle tradizioni e da ogni pietra di questa monumentale e prodigiosa città, la sublime ispi- razione dell'arte e dell'industria. DEL COMMERCIO DI VENEZIA NEL SECOLO XVIII DISCORSO STORICO DEL 8. o. GIUSEPPE OCCIONI-BONAFFONS Adunanza solenne del 24 maggio 1891 Altezza Reale ! Il primo pensiero a Voi, alla Vostra degna consorte e alla gentile ospite Vostra | ds. Un Duca di Genova residente a Venezia! Ma ciò significa la completa cessazione delle vecchie lotte fra due città rivali, che si riabbracciano nell unità della patria. Venezia non disconosce il primato commerciale di Genova in Italia, anzi se пе compiace e non l invidia, ripetendo, in senso buono, che Il mondo è largo”da bastare a tutti. i j D D 3 f- 32770 3 у i (1) L’ adunanza fu onorata dalla presenza dell Altezze Reali Mm \ 1 Ч Ì e 1 T l'omaso e Isabella duchi di Genova ed Elvira di Baviera. e — (7 48) [2] Noi intanto salutiamo nel Duca Tomaso di Savoia un degno figlio della dinastia che ci regge, la quale predilige in lui gl’ interessi del mare, dacchè, avuto in sorte il triplice lido d'Italia, si sente largamente compensata per ora del sacrifi- zio di Nizza, suo primo aquisto sul Mediterraneo. [3] Signo ! Nel chiudere col presente discorso la solennità annuale che oggi ci raccoglie, abbellita, come suole, dal concorso di tante persone gentili, parvemi non inopportuno svolgere un subbietto che, trattando storicamente d' interessi ma- teriali, non perdesse di vista il carattere che la nostra festa suole in parte assumere, di premio e di incoraggia- Mento ai volonterosi della regione veneta che appunto si segnalarono nel far progredire siffatti interessi, ai quali Spesso tengono dietro ben più alte sodisfazioni. Che se il crederci da più di quello che siamo può esserci d'impedi- mento ad avanzare nel meglio, non abbiamo d'altro canto diritto alcuno di calunniarci, perchè lo spirito delle feconde iniziative che animò, nei tempi più fortunati della loro sto- ria, i nostri maggiori, non è spento fra noi; e se parve Covare sotto la cenere quando avevamo riperduta la patria, rivive oggi, nel campo commerciale, meglio che con pro- Messe, con fatti, di cui la statistica comparativa ci porge l'eloquente riprova. E pure non voglio, nó potrei, trattare, per manco di qualunque competenza, il seducente argo- mento delle condizioni odierne del nostro commercio, che Potrebbero essere anche migliori ove l'iniziativa privata traesse suo pro dalla posizione geografica privilegiata della Nostra regione. Discorrere invece brevemente del com- Mercio di Venezia nel secolo XVIII può parere una ste- rile m ania di richiamare alla memoria un passato doloroso, Se non si sapesse quanto maggior lume di esperienza si glia trarre dalle sventure dei popoli che dalla loro pro- Тош, ҮЙ 90 NO (750) [4] sperità. Né le sventure sono colpevoli quando sieno dovute più alle circostanze che agli uomini, quando poco o nulla valgano gli sforzi di questi per rialzare dallo scadimento la patria di cui è prossima a sonare l’ultima ora. Quello spirito riformatore che anima, rinovandole in parte, le istituzioni di quasi tutti gli altri Stati d'Italia, nel secolo passato, non fu estraneo alla republica di Venezia, la quale, se ebbe il grande torto di non toccare fino dai secoli precedenti alla rigorosa tradizionale compagine della sua oligarchia, volle però nei varii campi della legislazione, della economia, della coltura tentare rinovamenti non sempre privi di effetto. Ed è questo un bel campo aperto alle indagini del futuro storico del secolo XVIII, sul quale si sono accumulati oggimai tanti materiali preziosi, atti a farcelo conoscere in tutti i suoi particolari, in quel misto di pensieri nuovi ed arditi, e perciò stesso lontani dalla pratica, in quella contradizione di lusso smodato e di mi- serie strazianti, di frivolezza e di austerità nei costumi, di fiacchezza e di rigidità nella morale, in quella lotta impegnatasi fra libertà e dispotismo, onde la prima riesce a vincere il secondo, giovandosi delle violenze e anche delle frodi che sono le sicure vie della tirannide. Se non che, prima di affrontare direttamente il mio umile tema, non posso, per ragion dei contrasti, sottrarmi all’ allettamento di presentare, come. in un quadro, le con- dizioni del commercio veneziano fin dai tempi gloriosi, in cui per dirla con un poeta quasi dimenticato, Venezia mattiniera correva i mari d’ Oriente Sopra dromóni di natio cipresso E su la tolda de le fuste snelle, Quando ancora dormian le sue rivali ('). E infatti, lasciando delle prime età in cui Venezia si giovò del ricco commercio del sale pur non uscendo dal (1) ALEARDI A. Le città italiane marinare e commercianti. [5] (81) proprio golfo, fino dal secolo IX la troviamo frequente nei porti dell’ Egitto e della Siria, fino dal X essa forma a Costantinopoli una vera comunità. Interrogando con prudente sagacia le proprie forze, mostrandosi umile а tempo, a tempo audace, Venezia procurava a se stessa grandi vantaggi; onde puossi dire che per quasi tutto il medio evo la sua storia politica e civile s'identificasse in gran parte con quella del suo commercio, da cui le venne ricchezza, gloria e potenza. Nessuna trascurò delle vie che valsero a promuovere e ad accrescere, mediante gli scambi, la publica e la privata prosperità: vascelli di mercanzie, alla cui fabrica erano rivolte ben quattordici arti (!), percorrevano i mari, protetti dalle galere armate, di cui si contavano sette flotte, ed erano le tre principali della Tana, di Siria e di Fiandra; fondaci che a Tedeschi, Ungheresi, Boemi, Turchi, Armeni e fors' anche a Mori della Barberia dessero modo di depositare lor merci che dovevano necessariamente fare scalo a Venezia, secondo il noto decreto degli Avogadori (°); manifatture floridis- sime di varia maniera che al commercio davano singolare alimento; banche che qui ebbero l’ origine prima fin dal secolo XII e il Bancogiro che venne molto più tardi libe- ralmente istituito per rialzare il credito e facilitare i pa- gamenti con semplici giri di partita ; trattati di commercio che assicuravano a Venezia non solo quella libertà di che gli altri non potevano godere, ma la fondazione e la sta- (1) Bon GiANNANDREA. Relazione storica dell'origine, pro- gresso e decadenza del commercio de Veneziani, scritta e com- posta per ordine pubblico nel 1737 ; ms. alla Marciana di Venezia, it Cl. VII, cod. MDXXXI. (2) « Mercantiae caricatae per Venetias nom possint per scalas exonerari. . .. J Mercantiae de Ponente non conducantur аа partes Levantis nisi prius conducantur Venetias » in MARIN CARLO ANTONIO. Storia del commercio dei Veneziani, 1798-1808; '4 : QAM Volume VII, Documenti, pag. 343. (752) [6] bilità di scali e di emporii, di quartieri e di colonie, onde i paesi lontani figuravano quasi sobborghi della madre pa- tria; e con lo scambio incessante delle merci un accor- rere continuo dei nostri fino alle ultime regioni dell’ o- riente e dell’ occidente, e un convenire a Venezia e un formicolarvi di gente d' ogni nazione e d' ogni foggia, come molti di noi ricordiamo averne veduti nella prima fanciul- lezza gli ultimi saggi aggirarsi, con gravità orientale, sotto le proeuratie nuove, presso i caffè in cui essi tenevan recapito. Tutte le istituzioni di commercio erano regolate e tutelate da appositi magistrati, risalendo ai salinarii, più tardi provveditori al sal, ai visdomini alla dogana, е ve- nendo giù giù ai consoli dei mercanti, fino al famoso be- nemerito tribunale dei Cinque Savi, e fuori al podestà di Costantinopoli e ai Consoli Veneziani che dapprima ebbero residenza a Damasco, a Sinope, a Caffa, diffondendosi in seguito ai porti di Armenia, della Siria, di Cipro (!), della Tauride, dell’ Egitto e degli Stati barbareschi. Tenacità mirabile ebbero i nostri progenitori che, co- stretti a fuggire la terraferma, ripararono sugli estuarii : la necessità li trasforma in pescatori e in marinai, atti ad affrontare un’ insolita vita di stenti. Presto dall’ altezza di Ravenna e di capo Promontore procedono a percorrere tutto il Golfo e a superarlo, corazzati contro i pericoli degli uomini e della natura. Mancano invero gli elementi per giudicare del merito personale di quegli uomini pratici che, sebbene destituiti di cognizioni scientifiche, giovandosi di carte голле, che non sono giunte fino a noi (°), diven- (4) I Veneziani, riferisce il Marin, parlando di Cipro, «non lassavano bever ai corsari l’ aqua di quell insula ». (2) MarinELLI G. Venezia mella storia della geografia ecc. discorso in Atti del R. Istituto veneto, Tomo VII, Serie VI, anno 1888-80, pag. 942-951; Furi R. Dell altitudine. di Venezia dinanzi ai grandi viaggi marittimi del secolo XV, discorso in Serie V, anno 1880-81, Atti medesimi, Tomo VII, pag. 1455. [7] (758) gono famigliari delle più lontane regioni marittime e pro- curano alla patria i vantaggi di un esteso commercio. Essi non ci lasciarono relazioni dei loro viaggi; ma l’ avere Venezia piantate stabilmente le sue tende in luoghi tanto remoti è il maggiore elogio che si possa fare di quegli ignorati pionieri, giacchè, bene scriveva Giosafatte Ваг- baro nel prologo dei suoi viaggi, molta parte di terra sa- rebbe incognita « se la mercanzia e marinarezza dei Ve- neziani non l’ avesse aperta e fatta chiara (!) ». Ma tanto maggiore è il merito dei nostri che si avventurarono per propria iniziativa, come fecero Marco e Nicolò Amadi, recandosi in Francia e in Inghilterra, in un tempo (1280) che il commercio non era per anco soggetto a publica regolare disciplina (°). L' industria ed il commercio del sale furono, come si disse, il vero principio della fortuna dei nostri, i quali lennero in soggezione i popoli vicini disponendo di questo loro bisogno; e quando ben presto le saline di Chioggia divennero insufficienti, i Veneziani aquistarono il prodotto di quelle di Cervia (1293). Anche i grani del mar Nero € della Barberia passavano per le nostre mani; anzi la republica, dogando Lorenzo Tiepolo, vinse in guerra i Bolognesi che, in tempo di carestia, non avevano voluto rilasciarle il grano a basso prezzo (1271). Così, per otte- nere le materie prime del vetro, importavano dal Ticino i ciottoli per farne sabbia quarzosa e dalla Siria la soda ; Per dispensare la cera a tutti gli Stati cristiani, Venezia ricorreva non meno ai porti d’Italia che alle isole della (1) MonkLLI I. Dissertazione intorno ad alcuni viaggiatori eruditi veneziani poco noti, in Operette del medesimo. Venezia, 1820, Тото Ш, pag: 28: (2) Gennari ab. б. Sopra il commercio e la navigazione dei Veneziani dal principio di quella republica fino allu metà del Secolo XVI, Memoria letta in Padova nel 49 mageio 1791 e ivi publieata per nozze Gaudio-Meneghini nel 1823, pag. 24. (751) [8] Grecia e al mar Nero donde quella merce giungeva in gran copia dalla Moldavia e dalla Valacchia. Lo sviluppo straordinario che presero le arti di lusso degli orefici e dei diamanteri, le arti pur troppo necessarie degli spadari e dei sagittarii è attestato perfino dal nome di alcune vie cittadine. Che dire delle antiche fabriche di panni, scar- latti pel Levante, neri per l'Italia, alimentate dalla lana che andavasi a prendere in Fiandra e in Inghilterra, quando i panni stessi non si traessero direttamente da quei paesi (+)? che dire delle manifatture di seta introdotte qui dai Luc- chesi, fuggiti alle baratterie di Bonturo, alle tirannidi di Uguccione e di Castruccio ? O gentili signore, udite va- rietà di stoffe seriche, che usavano le vostre gravi e pur capricciose antenate, e ditemi di grazia se non dovevano compiacersene nell’ atto di sfoggiarle, a rischio di provo- care contro di sè le leggi suntuarie, sempre impotenti : ormesini, vasi, rasetti, restagni, lame e tele d' oro e d'ar- gento, ferrandine, velluti semplici e con oro, rizzi, felpa, dimiti, canevazze, terzanelle, tabini, zendadi, capizzuole, orsogli ed organzini (°). Parlando del commercio marittimo e terrestre di Ve- nezia nei tempi floridi, la verità, per essere creduta, è costretta a servirsi del linguaggio dell’ iperbole. I cronisti e gli storici, per quanto severi, fanno descrizioni smaglianti del movimento incredibile della nostra città che da sola faceva il commercio marittimo nei porti di Alessandria, di Alessandretta o Scanderona, ricca di oltre quaranta (1) Nel 1424 i Veneziani, di soli panni e drappi, facevano un giro di un milione e sessantamila zecchini nell Italia settentrio- nale, e dieci milioni ne giravano altrove. Fintasi б. Memorie storiche dei Veneti primi e secondi. Venezia, 1797, Tomo VI, parte 2.?, pag. 238. (2) Сксснетті В. Dell introduzione dell arte della seta m Venezia, per nozze Agosti-Franceschini. Venezia, 1866. | [9] (00) stabilimenti ('), di Smirne, di Costantinopoli (dove più tardi rimase soppiantata da Genova), di Salonicco; e commer- ciava per terra cogli Arabi, coi Persi, alle Indie, alla Cina, divenendo, per dirla con uno scrittore, « la motrice dei piaceri e dei comodi degli Europei, 1’ arbitra delle loro ricchezze, qualche volta dei loro regni e del loro desti- no (*) » Non è chi non sappia l'influenza che ebbero le crociate sulla prosperità del commercio veneziano ; i nostri avveduti maggiori furono i soli cristiani che da quelle spedizioni d'oltre mare traessero vero profitto, perfino in occasione delle imprese infelici di Luigi il Santo. E quando ì cristiani sognarono di far risorgere le crociate prendendo la via dell’ Egitto, Venezia si pose all’ avanguardia del movimento, e ottenuta licenza dal papa di poter mercan- leggiare nelle terre degli infedeli, a condizione però di non portarvi armi, si spinse di nuovo fino al mar Nero, e venne, con Nicolò Zane, alla corte del soldano di Ba- bilonia (3). Molto esteso era altresì il commercio di Venezia ool Ponente. A tacere dell’ antichissimo traffico con Pavia, alla quale fin dal 775 si trasferirono le riechezze orien- lali (^), a tacer delle vendite fatte in Lombardia che ascen- devano a due milioni e mezzo di zecchini annui, doviziosis- Simo era il commercio con le Fiandre e con l’ Inghilterra a mezzo delle famose galere di Fiandra, il cui primo viag- gio risale al 1273 (6), e si ripetè annualmente per oltre (1) Morana G. A. M. Relazione del commercio di Aleppo ed altre scale della Siria e Palestina. Venezia, 1799, pag. 24. (2) Saggio del commercio generale delle Nazioni d' Europa ecc. Venezia, 1792, pag. 26. (3) GENNARI, op. cit, pag. 24. (4) FILTASI, op. cit., pag. 188. (5) MARINELLI, op. cit., pag. 954, in nota. (756) [10] due secoli (!). La gioventù patrizia preposta in ogni nave al comando dei balestrieri ordinati a difesa, aveva modo, dice il decreto, di sfidare i pericoli, di espor la vita « in honoribus et laboribus terre quando fuerit necessarium ». Nelle tabelle, che corredano il discorso storico premesso dal Brown ai suoi famosi Regesti, è data precisa contezza delle spezie grosse e minute, dei prodotti e delle mani- fatture che i Veneziani compravano nei mercati d’ Oriente, o caricavano durante il viaggio nei varii porti, esercitando un proficuo commercio intermediario tra i luoghi d'origine e quelli di destinazione (?). Nè meno importante era il ca- rico di ritorno, esigendo Venezia, con sistema che i suoi scrittori validamente difendono contro gli stranieri (*), che i suoi commercianti riportassero dall’ estero mercanzie, non denaro: così i panni inglesi, le tele di Frisia, le lane franzesche, le pelli conciate, lo stagno in verga o lavo- rato venivano a noi ad alimentare il mercato e ad ecci- tare, con la qualità, la concorrenza. Il floridissimo commercio marittimo di Venezia non tornava però a decremento del fluviatile e del terrestre. Basti, quanto al primo, che le barche dei fiumi, condotte da trentamila tra barcaiuoli e marinai, trasportavano in media da tre a quattromila carra di merci al giorno (4). D’ altra parte è noto che, quando fosse impedita la via marittima per l’ Oriente, le merci tenevano la via terre- stre della Dalmazia, della Bosnia, della Bulgaria. Venezia era legata alla Germania con diverse strade che, pel Ti- rolo e Ratisbona, o per Villacco ed Augusta, mettevano (1) Brown R. L’ Archivio di Venezia con riguardo speciale alla storia inglese. Venezia, 1865, pag. 144-161. (2) Brown, op. cit., pag. 280-292. (3) Deppina б. В. Histoire du commerce entre le Levant et Г Europe, depuis les Croisades jusqu'à la fondation des colonics d' Amerique. Paris, 1830, Vol. I, pag. 166-171. (4) FILIASI, op. cit, pag. 244. [11] (7587) capo a Norimberga, la quale alla sua volta, stava in co- mmnieazione diretta con le famose città fiamminghe, con- giunte per interessi alla Scandinavia e alla Russia (1). Anche Vienna, e Pettau residenza dei margravi della bassa Stiria, avevano relazioni commerciali eon Venezia. Delle vie prineipali che congiungevano nel medio evo lO- triente alla Germania, sola estranea a Venezia era quella della Slesia. Stavano a suggello di tutti questi vantaggi i trattati commerciali, stretti con cristiani d’ ogni nazione, con mu- sulmani, saraceni e barbareschi, con greci, armeni, tartari, bulgari, russi e croati, non meno еһе con piccoli re e con singole città francesi, spagnuole, inglesi, fiamminghe, tedesche. Se non che il poderoso edificio che secolari providenze e sottili accorgimenti avevano inalzato e mantenuto in piedi, già mostrava, per forza imeluttabile di eventi, i primi segni della sua debolezza. Ognuno sa, e voi più di tutti, quali sieno state le cause iniziali della decadenza marit- tima e quindi commerciale della gloriosa republica; è la legge fatale dei ricorsi storici che ai periodi ascendenti della prosperità fa succedere quelli discendenti della sven- tura. La оташе persever a. degli uomini puó combat- tere questi ultimi con la speranza, ma non con la sicu- rezza del finale trionfo. Infatti chi solo miri al precipitar delle nostre fortune affermerebbe cosa ingiusta che Ve- nezia, conoscendo la fatalità che veniva assegnandole un posto secondario in Europa, non siasi adoperata con ogni mezzo a scongiurarla. Come, in ordine alla politica, nulla sfuggiva all’ occhio vigile dei suoi rappresentanti presso (1) BenepetTI B. Intorno alle relazioni commerciali delle republiche di Venezia e ‘di Norimberga. Venezia, 1864. Vedi anche, fra altro, Tmomas б. M. Beiträge zur Geschichte des Handelsverkehrs zwischen Venedig und der deutschen Nation, aus dem Ulmer Archiv. München, 1869. ТОП, ИП 97 (758) (127 le varie corti europee, e notavasi perfino quello che поп pareva aver diretta attinenza cogli interessi della republica, che pur ne faceva suo pro, imaginarsi se potè rimanere, colle braccia piegate, spettatrice inerte delle prime mi- nacce rivolte alla sua prosperità dalla caduta di Costan- tinopoli e dalla scoperta del Capo! No; come dagli studi recenti rimane chiarito, essa previde le conseguenze di quei due grandi avvenimenti, e cercò di trarne il minor danno possibile (*). Ma appunto intorno a quel tempo si aggravò minacciosa ed armata contro Venezia la gelosia delle maggiori potenze, anche di quelle che non ritraendo diretto vantaggio dalle mirabili navigazioni portoghese e spagnuola, avrebbero dovuto, per proprio interesse, venirle in aiuto. Ben lungi da ciò, le potenze europee, che erano scese a dividersi le spoglie d’Italia, sperarono anche porre le sorti sul recente dominio veneto di terraferma, e troncati i nervi alla nostra republica, la lasciarono, con pensata iniquità, dibattersi per mare quasi sola contro il Turco, che moveva sempre più baldanzoso verso occi- dente. Qual crollo ne derivasse al commercio di Venezia non è qui luogo a riferire. Maometto II, il terribile conqui- statore di Costantinopoli, parve e fu inoffensivo agli inte- ressi di lei in confronto di Solimano e di Selim. Andarono perdute le isole dell’ Arcipelago, e mancarono i mezzi da mantenere in fiore la flotta; andò perduta Cipro, dopo eroica ma inutile resistenza, e il commercio, disturbato da quella guerra, non rialzossi nemmeno per la vittoria di Lepanto. Stava il Turco pieno di gelosia e di mal animo contro i Veneti, confinanti per terra in Dalmazia e in Al- bania; voleva per sé, oltre il dominio del Mediterraneo (1) È interessante, per questi tempi: Darı Omo. Informazione sul commercio dei Veneziani in Portogallo ecc. (18 maggio 1584), con annotazioni di Feperico STEFANI. Venezia, 1869, per nozze Da Schio-Thiene. | di | | | [18] (759) orientale, quello dell’ Adriatico ; e ben presto colse I’ ор- portunità di allettare inglesi e olandesi a negoziar nel levante, lasciando che vi fondassero case; che stabilissero in ogni scalo consoli propri. Fu questo il colpo decisivo per Venezia, cui divenne impossibile ogni gara; essa ri- mase col rimpianto della passata prosperità commerciale, giacchè « era una lusinga troppo falace lo credere, che 1 Ponentini, come per innanzi, si provvegano in Venezia in seconda mano delle merci di Levante, se pono aver li stessi prodotti in prima (') ». Le navi delle due grandi nazioni marittime d' Europa, invitate dal viaggio più breve е più agevole, anteposero al nostro i porti di Genova e di Livorno, a cui perfino affluivano, sviate in parte da Venezia, le merci della Lombardia. La nobiltà veneta si astenne da rischi e da pericoli che non le assicuravano più immancabili vantaggi, e le ricchezze accumulate im- piegò nell’aquisto di beni in quella terraferma che, da parecchio tempo, era divenuta quasi unica ambizione del governo aristocratico. Non si può negare per altro che la republica non andasse studiando i rimedii per rimettere in piedi il com- mercio sviato e anneghittito, e non andasse applicandoli con febrile ansietà. Preoccupata dell’incremento di Ancona, emanò cinque decreti che toglievano affatto i due dazi generali ed altri aggravii minori alle merci che entrassero dalla parte di mare. Inutile generosità, che danneggiando l’ erario parve sollevare i sudditi, senza vantaggio delle Mercanzie che si trovavano ancora aggravate dal dazio di uscita, nó si potevano facilmente spacciare, e. nemmeno affluivano, come erasi sperato. Onde ventidue anni appres- 80 (1684), fu ristabilito il dazio marittimo d' entrata (nuovo Stallaggio) nella misura del quattro per cento, mentre quello d’ uscita era del nove. Ma il guaio maggiore derivato dalla franchigia fu l'abbandono della custodia del golfo, (1) Bon, ms. cit. (760) | 14] daeché ai sorveglianti (Rettori da mar) erasi tolto il pre- mio del quattro per cento sul dazio. Così i prodotti si sparsero impunemente per tutti i luoghi della republica senza far capo a Venezia, da che ebbero incoraggiamento e pratica attuazione le idee del portofranco di Ancona. Oramai facevasi strada il principio del mare liberum, ostico. alla republica nostra, volendo esso significare la libertà di tutti a percorrere anche quel golfo adriatico che Venezia considerava da tanti secoli, in diritto ed in fatto, come lago suo proprio. Si, 0 signori, i tempi e le condizioni erano mutate, ma al governo veneto, giova ripeterlo, vuol darsi la lode di aver continuato, con. perseveranza mirabile nel tentativo di rialzare anche nel secolo scorso gli interessi economici della. patria ; e la storia coscienziosa raccoglie questa lode. Se. oltre i nobili, anche alcuni cittadini sembrarono tenere a vile il commercio, vagheggiando questi ultimi, con più meschina ambizione, trasformarsi « da ricchi mercanti in poveri proprietarii di terreni,» sempre in attesa di potere un «giorno disseccare i loro giri (!) », la magistratura s'adoperava con ogni possa a correggere il fatale indirizzo, impiegando, il senno, politico ad affrontare 1 più grandi ostacoli, sostenendosi con meno ricchezza ma con più dignità (*), e, nella mancanza di forza aperta, che spesso riesce ad effetti contrarii alle. speranze, infondendo, negli animi la persuasione che, i disastri lamentati non fossero irreparabili. Certo molte volte si andava a tentoni nello studiare il rimedio. Come, ad esempio, non vedere la vanità (1) Daxpono M. Discorso intorno al procurare il wisorgi- mento del veneto commercio, premesso ai Saggi dell Пуми. Venezia, 1767, e 1798, pag. XL. (2) 0р. ..... Essa? sur la marine et sur le commerce, Amsterdam, 1743, pag. 181. [45] (764) della proposta (t) che ciascuno Stato d’ Italia, per assicu- rarsi dalle straniere ingordigie, facesse un Atto di Na- vigazione, come quello dell’ Inghilterra? In capo a venti anni, privati, gli stranieri delle nostre derrate, chiusi ad essi i nostri porti, avrebbero dovuto ricadere nella miseria. Era una povera speranza, ma anche. un concetto sbagliato, che mirava a disseccare le stesse fonti di un ben regolato Commercio, e poteva soltanto sorridere nei tempi agitati della guerra per la successione spagnuola. Ma di queste idee non trovi traccia negli atti governativi; bensì, fino dal principio del secolo, per « consolare le lagrime di tanti sudditi circondati dalla povertà e dalla miseria e rimettere nell’ antica estimazione l afflitta Piazza Senato, (29 novembre 1703) aveva accresciuto di altri cinque membri, col nome di Deputati al Commercio, il corpo, dei V Savi, dando a quelli l’ incarico di « migliorare il negozio del Levante, reintrodurre quello, del Ponente, togliere dalla soggezione e da pesi le Manifatture di questa città, facilitar 1° esito delle Mercanzie (°), ». La Deputazione al Commercio ebbe vita per circa mezzo secolo; aquistò, 8e. vuolsi, alcune benemerenze, ma trovavasi spesso in colli» sione col magistrato dei V Savi e ne avveniva inevitabile (агана nelle deliberazioni (4). Anche in ordine al commercio i due grandi sistemi stavano armati nel secolo scorso l’ uno contro 1 altro, il proibitivo e quello della libertà. Aderiva al primo la re- publica di Venezia, che non accorgevasi dell’ analogia tra » il (1) CAPELLO PIERGIOVANNI (non Pierandrea come lo chiama il Cicogna, Bibl. n." 1544). Principii ovvero massime. regolatrici raccolte dalle leggi e documenti della Republica di Venezia, ms, alla Marciana di Venezia, it. Cl. VIT, cod. MDXL, pag. 981. (2) Ms. al Museo Civico, Raccolta Cicogna, n.° 1342 (3542), (3) Raccolta Cicogna, ms. cit., filza n." 1849 cit. (4) In Pregadi, 13 gennaio 1756 m. v. Raccolta Cicogna, vs, filza cit, n." 1342 cit. “nn (762) [16] le proprie condizioni e quelle di altri Stati marittimi di Europa, e professava, contro il Condillac, il Raynal e il nostro Filangieri, essere la libertà altresi perniciosa allo sviluppo delle industrie, dovendo le nazioni più deboli rimanere annientate dal commercio traboccante delle più industriose e potenti (!). Venezia non ebbe il coraggio di dar franchigia assoluta al proprio porto, prevenendo la guerra che nello stesso suo golfo, a cui erasi ridotta, sì disponevano а muoverle Ancona e Trieste. In vero, da quando i Veneziani sottentrarono ai Ravennati nel domi- nio dell’ Adriatico, furono in lotta con quelli di Ancona (°) che si stimarono legittimi eredi della potenza romana sul mare. L'ultima fase della contesa fu lo stabilimento del portofranco di Ancona (°). La corte di Roma diventava di un tratto novatrice ; tenera del proprio interesse, di- menticando che altre volte aveva perseguitato con le sco- muniche chi avesse commercio con gl’ infedeli, ora invi- tava questi ultimi a trafficare nello Stato, assicurando loro libertà di coscienza, e donandoli di speciali protezioni (*). Cosi al porto d' Ancona, che ebbe maggiori agevolezze di altri porti privilegiati, affluivano non solo i prodotti di (4) Giornale d’ Italia, spettante alla scienza naturale е principulmente all'agricoltura, alle arti e al commercio, Tomo I. Venezia, 1790, n." XXIII, 3 ottobre 1789, pag. 180-183. (2) Bow, ms. cit. (3) Fu stabilito con motuproprio di Clemente XII del 14 fe- braio 1789 e posto in esecuzione due giorni dopo. Archivio di Stato di Venezia, Senato, Roma Ordinaria, Dispacci, filza 253 ms. — Esso offri maggiori agevolezze della muda di Trieste e dello stallaggio di Livorno. Bibl. Marciana, Cod. Contarini MDGCXXIII, cl. VII, it. — Per rovinare i prodotti nostri era stato accresciuto; con bando 9 maggio 1734, il dazio d'importazione sopra la carta e le cere forestiere. Archivio di Stato, Archivio dei V Savi alla Mercanzia, filza n.° 965 ms. (4) Bon. ms. cit. [17] (763) Ragusi e dell’ Albania turca, ma quelli perfino dell’ Istria, della Dalmazia e delle Isole. — Che dirò di Trieste, la quale trovandosi a distanza pressocchè trascurabile dal veneto confine di Monfalcone, e avendo accanto a sè la veneta Istria, cercava sostituirsi alla fiacca republica, all'antica rivale? essa rispondeva con giovanile energia agli eccitamenti che le venivano da Carlo VI, giunto all’ apogeo della sua fortuna; e dacchè gl’ Istriani non si adattavano a veder inaridite le fonti del loro commercio (!), essi accorrevano nel porto di Trieste che fino dal 1717 aveva ottenuta la franchigia. Divenne regola il contra- bando dei principali prodotti istriani, quali l'olio, il sale, il pesce salato, il vino e la legna, ma non tutti i com- mercianti si ponevano a tale cimento, non volendo calpe- Stare affatto le leggi proibitive dell’ amata republica. Perciò la produzione, anziché trarre incoraggiamento della ille- cita avidità del guadagno, ne rimase fiaccata senza ri- medio. Mentre J’ Istria si sentiva congiunta economicamente alle sorti di Trieste, che andava sorgendo e sviluppandosi, Specialmente sotto Maria Teresa (?) e i suoi successori, nelle parti più estreme del golfo, il nuovo emporio allet- tava gli stranieri (°), e pur troppo anche i nostri, a pian- (1) MORTEANI L. Condizioni economiche di Trieste ed Istria nel secolo XVIII, studiate dalle relazioni dei Podestà-Capilani di Capodistria, in Programma del Ginnasio Comunale Supe- riore di Trieste, Trieste, 1888, pag. 61-62. (2) MarcHEsI V. Le condizioni commerciali di Venezia di fronte a Trieste alla prima metà del secolo XVIII. Venezia, Ferrari, 1885, (3) « Ai Greci, oltre esserle accordata la Chiesa col essercizio della lor religione, sono anche con ultimo editto fatti esenti per le merci, e persone, d'ogni gabella, e permessole unirsi in Capi- tolo, e formar corpo particolare per loro affari.» Da lettera del Proveditore generale di Palma, 18 febraio 1746 т. у., e prima, | | | | (764) [18] tarvisi, richiamava a sè anche il commercio della Dalmazia e della Puglia, e mettevasi in comunicazione di affari con Livorno, con Ancona e con la stessa Chioggia, pronto a sfruttare il traffico dell’ Oriente, congiungendolo con quello della Germania. Invece qui a Venezia il fondaco dei Te- deschi non avea quasi più ragione di essere. La Germania più non veniva in cerca da noi delle merci marittime ; e, quanto alle terrestri, essendo stato stato ‘concesso ad al- cuni sudditi di provedersene al passaggio ('), e furono del numero, oltre i paesi di val d' Adige, anche Feltre, Udine, Treviso e Bassano (*), giungeva alla Dominante solo quanto bastasse al consumo locale. Onde fu detto che se nel fon- daco « mal sta in piedi la dogana d' ingresso, zoppica affatto quello d'uscita (°). > Le città e 1 territorii di terraferma oltre il Mincio, ma compresa Verona, facevano il traffico marittimo con Genova e con Livorno. Bisognava salvare ad ogni costo la nave pericolante dello Stato, е, se anche il publico erario avesse a patirne, conveniva almeno pro- vedere alla particolare prosperità dei mercanti, gridandosi 3 novembre 1749: alla Chiesa dei Greci è «destinato il terreno delle saline ‘che si va abbonendo.» Erano aspettati anche mercanti da Norimberga, da Ostenda есе. Archivio dei V Savi cit, filza n.° 843 ms. — La republica era informata minutamente di quanto concerneva Trieste e il suo ‘commercio anche dall’ ambasciatore Tron in Vienna, dal podestà di Capodistria, dagli Inquisitori iN Dalmazia ‘ed Albania e da confidenti in Trieste stessa. (1) I petenti si obligavano di pagare i dazi di entrata e Û 0 scità per e dalla Dominante. Ma «chi il crederebbe? ottennero molto ‘più di ‘quello adimandarono, e mentre chiedevano di евв@г liberi dai trasporti, furono liberati dai trasporti e dai dazi. » BON; ms. cit. (2) Serie di scritture е decreti che dimostrano essenziale sue l'aggravio di Dazio forle a peso delle merci estere in con ino. Raccolta Cicogna, ms. cit, filza n.° 1494 (2510). (8) Бом, ms. eit. [19] (765) ai quattro venti la savia massima : divitiae populi, divi- tiae Principis. Infatti suggerivano i V Savi di togliere al tutto il dazio d'uscita delle merci, asserendo che «quando li piccoli tagli non rissanano, la necessità ci consiglia di ricorrere alli maggiori (') » ; senonché il senato peritoso ridusse bensi quello d'ingresso a un solo ducato per сойо, ma pose all’ uscita il dazio di mezzo ducato (*). E anche questa benefica disposizione, che corrispondeva a una vera franchigia, fu abolita con la nuova tariffa, 2 ottobre 1751 (°), perchè non se ne vedevano gli effetti sperati (^), perchè in fatto di commercio è « da qualche tempo illan- guidita la concordia dei Veneti, l'unanime affetto al comun bene (5) ». Le relazioni di cui erano incaricate a quest e- poca le publiche magistrature sopra le mercanzie e sopre i dazi, sono unanimi nel suggerire che si debba riattivare il commercio con le Isole rimaste sotto il dominio del (1) Cod. Contarini cit, MDCCXXIII. (2) Decreto 21 aprile 1736 e tariffa 5 maggio, stampata dal Magistrato della Deputazione alla Regolazione del Commercio, cod. Contarini cit. (3) Non in саро a quattro anni, come asserisce il ROMANIN, Storia documentata di Venezia, Tomo VIII, pag. 73, forse ingan- nato dalle preoccupazioni del Senato che, visto il poco profitto del Dazio, accennava (16 luglio 1740) a crescerlo di nuovo. Archivio dei V Savi cit., filza n.° 84. (4) Veramente nei primi due anni dall'applicazione della tariffa 1736, lo Stato aveva avuto un profitto, tra entrata e uscita, di du- cati 7,748787 о 45 grossi, in confronto dei due ultimi anni con la vecehia tariffa. Archivio dei V Savi cit., filza n.° 178, carte 45 à 48 verso. Peggio fu con la nuova tariffa del 1754, aggravata del 34 Oo sulla precedente, mentre la spedizione dei colli diminuì del 38 Oo Questa tariffa di protezione pesava con dazio doppio sulle merci caricate nei porti del golfo, in odio ad Ancona e a Trieste. Archivio V Savi cit, filza n.° 965 bis. V. Deputati alla Tariffa. (5) CAPELLO, ms, cit, pag. 237-940. IS fn 98 | (766) [20] veneto Leone, osservandosi che «tolte poche berette e fascie ad uso dei marinai, qualche quantità di vetri, un po’ di legname, la città di Venezia poco ad esse sommi- nistra, tutto il resto necessariamente venendo loro da fo- restieri con iscapito di questa Piazza (') ». Né della de- cadenza presente si poteva consolarsi al pensiero che, in confronto del secolo anteriore, lungi dallo scemare, fosse accresciuto il numero delle merci (°), e che Venezia con- tasse ancora, pel suo commercio, buon numero di navi da punta e di altre congeneri, come anche di marciliane, е infine di tartane, allestite dall’ Istria, dalla Dalmazia е dalle Isole Ionie (?). tale condizione di cose, e non potendosi sperare che la providenza venisse dal di fuori dello Stato, sembrò ottimo partito, per alimentare il commercio, offrire premii e incoraggiamenti alle industrie, e lasciare, contro la legge restrittiva fino allora vigente, che si allargassero alle pro- vincie. Da ciò quel mirabile sforzo che nel campo vitale degli interessi non fu meno ardente che in quello della speculazione e dell’ universa coltura, sforzo da cui doveva uscire, a traverso il sangue e le rovine, la società ri- novata, ma non altrettanto tranquilla, del secolo nostro. Nella dominante molto in vero si fece per dar vigore alle industrie cessate, per introdurne di nuove, ma è debito di giustizia aggiungere che molte città e luoghi di terra- ferma si misero nella nobile gara con tutto 1 ardore, con vero patriotismo. Dai nomi ignorati dei nuovi benemer iti (1) Bon, ms. cit. (2) Girca nel 1600 alla dogana di mare furono spediti colli 94973; nel 1725, colli 109497. Bow, ms. cit. (3) Nel 1735, Venezia ha ancora 45 legni da punta con ban- diera veneta, 6 con estera, altri legni che suppliscono all'uso delle navi 22, marciliane 84, in tutto 107; e poi tartane Cattarine e delle bocche 18, Perastine 10, da Rovigno 9, di Cefalonia e Zante 15,1n tito O2. DON, me. S [21] (767) operai che combatterono l'ultima battaglia del risorgimento economico va la nostra riconoscenza a quelli dei capi, e giunge fino a coloro che con gli scritti non meno che col lavoro schiudono la nuova éra di prosperità. Splende fra tutti l'udinese Antonio Zanon che, dai confini orien- tali della terraferma veneta, reca nel 1738 a Venezia i frutti della sua esperienza, fondandovi una manifattura e una scuola dell’arte serica. Il Zanon sapeva congiungere in un innesto felice l'economia pratica con l'economia scientifica, risalire dai fatti minuti ai principii generali (t), e per questo meritó di essere consultato con fiducia e con successo dai suoi contemporanei, che apprezzavano in lui la mente equilibrata di un osservatore senza preconcetti. Era nel Zanon la stoffa di un vero filantropo, il che, se non fosse da altro, sarebbe chiarito dalla forma perpiscua, pratica, accessibile a tutti, delle sue proposte, alcune delle quali, combattute lui vivo, furono attuate, come avviene, dopo la sua morte, avvenuta nel 1770, quattro anni prima che il nostro veneziano Giammaria Ortes (*), ingegno potente, versatile, e forse non scevro di contradizioni, sostenesse francamente non solo la libertà del commercio interno, ma altresi quella del commercio estero. Questa massima trovavasi in opposizione col sistema economico della republica, e non è a maravigliare che l'Ortes, per difenderne la bontà e l'opportunità, combattesse 1 inge- renza del governo nell’ economia nazionale, proclamandola in molti casi affatto rovinosa. E in vero « se si guardi alla pratica » scrive l’ Ortes « i Governi assistono 1 par- ticolari nel promuovere i propri interessi, ancorchè questi nuocano agli interessi degli altri, e sono essi stessi che (1) Pismontr L. Antonio Zanon economista friulano. Padova, Ч » 1804, pag. 6. € м . . - . . (2) Lampintico Е. Giammaria Ortes e la scienza economica al suo tempo. Venezia, 1865. (768) [22] astringono i più miserabili all’ estrema miseria, purché i più ricchi arricchiscano maggiormente (!) ». Al governo veneto in particolare, che giaceva quasi svigorito, non si può scagliare quest’ ultima accusa. In- tanto, è doveroso raccogliere gli estremi fuggevoli docu- menti della sua energia. Giacchè, mentre nella guerra settenne si combatteva tra la Francia e l’ Inghilterra per il primato dei mari, e questa ne approfittava per trarre all’ ultima rovina la neutrale Olanda, violando con la ra- gione del forte il trattato del 1674 (°), la republica di Venezia ebbe coscienza di doversi sollevare dalle infelici sue condizioni. E perciò, non appena fu ristabilita in Eu- ropa la quiete, un insolito fervore occupò gli animi di tutti, incoraggiati dalle buone disposizioni delle magistra- ture. Per fatalità il movimento fu più intenso che dure- vole. Ma intanto migliorossi il Commercio emettendo 50 mila azioni con premi e rinovando il trattato coll’ elet- tore di Sassonia, per mantenere a noi dischiusa la fiera di Lipsia (5). Così pure furono conchiusi trattati coi quat- tro cantoni barbareschi d’ Africa e con la corte di Tori- no (5) ; s iniziarono maneggi col Portogallo, con la Spagna, con l’Inghilterra, о a nostra volta si fece huon viso alle aperture della Danimarca e della Russia (*). Già da qualche anno innanzi la scorta a tutela, contro i corsari, dei legni mercantili. del convoglio di Cipro, Palestina, Soria ed (1) LAMPERTICO, Op. cit, pag. 334. (2) Giornale di commercio. Venezia, con la falsa data di Amsterdam, 1760. (3) La prima data del trattato con la Sassonia è del 1750; durò fino al cadere della republica. Archivio dei V Savi cit., filza n." 280 ms. (4) Quest'ultimo nel 1751. Archivio dei V Savi cita filza n.° 62, 965 ms. (5) Romanın, op. cit, VIII, 149-153. [23] (769) Egitto erasi accresciuta a cinque navi e tre fregate ('). Ed ora, fatta la pace con le potenze barbaresche (1765), il naviglio mercantile si senti più tranquillo, tanto che, da trentasei vascelli, crebbe, dice il Marin (?), a trecento е fino a cinquecentoquaranta legni muniti di patente. Ed è noto che, subito dopo la pace, quarantasei navi partirono pel Ponente, cariche di merci veneziane, una delle quali per Londra, recando in gran copia cotone di Smirne e incenso di Alessandria (?). L' Agricoltura, che meriterebbe, per questi tempi, un discorso a parte, era oggetto anch'essa di vive sollecitu- dini, che miravano a migliorare la condizione dei coloni, à svincolare la terra dai soverchi pesi di privilegi e d' im- poste, ad estenderne la produzione, asciugando e riducendo luoghi incolti, studiando l'aumento dei varii frutti e l’ in- troduzione di nuovi, in ragione della qualità dei terreni. Cattedre in Padova, società agrarie istituite con publico decreto nei luoghi primarii dello Stato, giornali promo- vevano a gara i nobili propositi (^). Ma incremento solenne presero le Arti, come, con vo- cabolo classico, пѕауапо chiamarsi le industrie. Le mani- fatture di seta, nel principio del secolo scorso, godevano in tutto il resto d’Italia, in Francia, in Baviera di privi- legi tali, da persuaderci che da noi, al confronto, giaces- sero quasi al tutto abbandonate, tanto più che i prove- ditori di Comun, per mantenere l'arte fra le lagune, po- (1) Pregadi 20 marzo e 5 giugno 1751. Archivio dei V Savi cit., filza n.° 62 ms. (2) MARIN, op. cit, Tomo VIII, pag. 325. (3) Vedi il seguente importantissimo lavoro: MARCHESI. Le relazioni tra la repubblica veneta ed il Marocco dal 1750 al 1797. Torino, Rivista storica, 1886, pag. 17-18. (4) Raccolta (in 18 volumi) delle Memorie delle Publiche Accademie di Agricoltura, Arti e Commercio dello Stato Ve» neto. Venezia, Perlini, 1793, (770) [24] tevano perseguitarla nella terraferma a segno da « abbat- tere ed abbruciare i teleri che vi fossero (!) ». Però il Senato, mutato sistema, vide il suo meglio e vi si appiglió. Ché mentre in Udine un mio umile antenato, compatriota e fratello d' arte del Bortolo manzoniano, trasferendosi da Venezia, vi aveva piantato fin dal 1685 il primo telaio per damaschi di seta (°), e forse la sua industria fu tronca dai decreti che la strozzavano nella culla, tolto alla ter- raferma il divieto (*), sorsero fabriche di tessuti serici in Vicenza che ritraeva la materia prima anche dalla Piave e dal Friuli. I damaschini ed altri lavori con oro ed ar- gento erano riservati alla Dominante, gli altri molti spe- diti anche all'estero in Germania, Moscovia, Ungheria, Polonia ed altrove. Sorgeva in Vicenza la fabrica famosa di Jacopo Franceschini, prevalente fra le dieci principali della città e del territorio (^). Altre fabriche allestivano le trame e gli organzini da spedirsi in Amburgo ed in Danzica, dove si foggiavano in calzette di seta e in fet- tuccie, le quali ultime anche qui si ottenevano dagli Or- fani della Pietà (^) e più tardi nelle speciali fabviche padovane, per le quali il governo spese quasi un milione di lire venete (5). Finalmente stoffe di seta con miniature che sembravano opera di pennello davano alimento ad (1) CEGGHETTI, ор. cit. (2) Zanon. Scritti d' agricollura, arti e commercio. Udine, 1899, vol. IV, pag. 207. (3) Ben fece il Governo, « perché uno Stato 6 simile ad un corpo animale, che ha bisogno della circolazione del sangue in tutte le rispettive sue parti. » MARIN, op. cit, VIII, 242. (4) Giornale d’ Ialia, spettante alle scienze naturali ects parte compilata da FRANCESCO GRISELLINI, Vol. XII. Venezia; Mi- lano, 1765-1776, Tomo I, n.° IX, 1.° settembre 1764, pag. 65. (5) Giornale d’ Italia cit, Tomo IX, З aprile 1773, pag. 327. (0) Romanın, op. cit, VITI, 380. [25] (774) altri opificii, di fresco aperti in Venezia (t), senza dire delle manifatture di merli di seta, detti biondi, tanto schietti quanto misti d'oro e d'argento (°). Dell’ industria laniera di Schio, nata anch’ essa nel set- tecento, e ivi trapiantatasi da Vicenza, abbiamo ricche notizie che ne attestano l'abondanza, la varietà, la no- vità della produzione. L'aspetto florido della Terra, che era divenuta quasi una fabrica sola, per lo stabilimento di ben venticinque fabriche privilegiate, si dovette all'opera intelligente e patriotica del senatore Nicolò Tron (°). Gli scarlatti, che ne furono il prodotto più cospicuo, non avevano nulla da invidiare a quelli di Leiden (4). In oltre, alla Follina, si cominciavano a lavorare le Lon- drine seconde a uso francese, e a Venezia Leone Gentili apriva alla Madonna dell’ Orto uno stabilimento con otto generi di manifatture di pannilani, fra cui le schiavine e i Тајер « o sian Fazzuoli coi quali gli ebrei si cuoprono le spalle quando stanno orando (5) ». Le tele erano lavorate nella celebre fabrica del Li- nussio in Tolmezzo da ben duemila persone e da infinito numero di filatrici, e ascendevano a quarantamila pezze annue, traendosene la materia prima anche dalla Livonia, dalla Pomerania e perfino dall’ Egitto. Venivano destinati al lavoro oltre a millecento telai, fra cui figuravano quelli da tovagliate, dell’ altezza, per allora straordinaria, di (1) Giornale d' Italia cit., Tomo IX, pag. 327 cit. (2) Archivio dei V Savi cit., filza n.° 460. (3) Da Scuro A. Schio nel corso dei tempi, discorso letto Nel 28 settembre 1890, in Archivio Veneto, anno XX, fasc. 79-80, pag. XLII-XLVIIT. (4) Giornale d' Italia cit, Tomo 1, n.° XLIX, 8 giugno 1765, pag. 385. (5) Giornale d' Italia cit., Tomo I, n.° VI, 16 agosto 1764, pag. 46, Hi (172) [26] quindici quarte ('). A Cividale il Fabro e il Foramiti pro- ducevano undicimila pezze di tela; a Bovolenta i Carrari eseguivano lavori a basso prezzo di trecentotrentaquattro maniere ; a Mirano i Moro, a Venezia e a Maerne i Li- schiuta fondavano nuove fabriche di telerie, mentre il со» tone era qui filato e tessuto dal Cavalli e dal Daggio (^) mentre gli Alessandri armeni filarono prima ad Este poi a Padova stami e pelo di capra d’Angora sotto il mentito nome di pelo di cammello, per farne « valdrappe grandi (camellotti), delle quali si vagliono li signori Turchi in oc- casione di loro Fontioni in Costantinopoli (°) ». Finalmente il canape per le gomene a uso di legni esteri e per le spedizioni di commercio si potè lavorare fuori della Tana, e ne era vieppiù incoraggiata la coltivazione della materia prima nei distretti di Montagnana e di Cologna ( Fra le manifatture sórte appunto in questo tempo trovo accennate le cere di Spagna (°), e in Bergamo i bottoni (1) Cass Carnia, ristampato dal prof. G. GLopia per nozze. Udine, 1890; ттї б. Di Jacopo Linussio e della tessitura in Scuavi G. Relazione al Senato dei V Savi della mercanzia. Udine, 1884. Anche nel 1788 la fabrica eva in gran fiore, come apparisce dalla seguente statistica degli operai. Impiegati in lavori (uno per telaio) 771, garzoni per la spola e donne per incannar 800, operai di attuale servizio 145, filoni 36, filatrici da lino 28000, dette da cotone 350, carradori 30, uomini da bosco 60, pettinatori da lino 90, agenti attuali 14, gramolatrici di lino 1(0: totale 30396 persone. Archivio dei V Savi cit., filza n° 472. (2) Giornale d’ Italia cit, Tomo I, п? X, 8 settembre 1769, pag. 76. (9) Archivio dei V Savi cit, filza n.° 472 cit. — Giornale @ Italia cit. Tomo I, n.° XXI, 24 novembre 1764, pag. 165. (4) Archivio dei V Savi cit, filza n.° 460 cit. (5) Di Agostino del Bene. Archivio dei V Savi cit, filza n^ 400 cit. [27] (118) di metallo dorati e argentati a uso di Francia (‘), industrie di pelli e di ferrarezza nella riviera di Salò (*), e fino dal principio del secolo, qui in Venezia, le fabriche di cremor di tartaro, che, nel 1777, ascesero ad otto (°), e le porcel- lane, perfezionate poi nella fabrica di S. Giobbe, e in Nove le famose maioliche dell'Antonibon (^). Infine, tratto il co- rallo dagli scogli del seno dalmatico, sorse nel 1750 la fabrica di Mezzavia tra Padova e Monselice (5), ma più tardi Marco Foscarini, insigne letterato e statista, sviluppò fra noi la lavorazione del gentile prodotto, che, digrossato In Pontelungo al Bacchiglione in riva (6), riceveva l’ultima mano dalla macchina inventata da Fran- cesco Zagagnini « parrucchiere di professione, ma gran dilettante dell’arte del tornio a scacco (7) ». Il notevole incremento delle arti era anche derivato dall’ essersi quelle d' industria rese accessibili a tutti, anche ai forestieri, sebbene gli studi e i decreti fatti a tale scopo, 1 quali risalgono al 1714, abbiano trovato resistenza nelle consorterie stesse, che si volevano tener chiuse e riser- vate agli antichi aderenti e a quelli che, secondo gli spe- ciali statuti, avevano diritto ad accedervi. Però le industrie non зі mantennero sempre e dovunque nello Stato aperte ( Giornale. d'italia cit, Tomo X, m od, 180106110 1779, pag. 4-6. (2) Esse cagionarono la rovina di molte industrie di ferro di Val Trompia. Archivio dei V Savi cit, filza n.° 464. (3) Archivio dei V Savi cit., filza n.° 460 cit. (4) Fino dal 1739. Archivio dei V Savi cit., filza n.° 463. Gior- nale d’ Italia city Тото 1, n.° XLI, 13 aprile 1765, pag. 394. (5) Archivio dei V Savi cit., filza n.° 460 cit. (6) Gozzi G. Sermone XIII. (7) Giornale d'Italia cit. pag. 84. ddl S. VII 99 , Tomo 1, n.° V, 4 agosto 1764, 7 \ И 3 bi (774) [28] e libere, e, quello che è peggio, dopo appena una gene- razione dal tempo del loro risorgimento, erano di nuovo decadute (1782) ('), andando di pari con 1’ accasciamento generale d’ogni istituzione republicana. Si direbbe che il governo fosse stanco di lottare, che, avendo il desiderio e anche la visione del meglio, gli mancasse il coraggio di applicarlo, se non rimanessero alcuni documenti che il governo, finchè ebbe vita, non venne meno a proposte e ad utili tentativi, accogliendo anche i consigli della ge- nerale preoccupazione, gli venissero dalla speciale magi- stratura dei V Savi o degli Inquisitori alle Arti, o anche da Accademie o da privati, fossero nobili o cittadini, abi- tassero nella Dominante o nelle provincie. Una delle maggiori proposte di questo tempo riguarda un nuovo piano commerciale e daziale. Il Senato (Decreto 1° giugno 1775 (*)) avrebbe voluto che ai dazi esistenti, resi quasi illusorii dal contrabando e dalle frodi, special- mente sulle merci estere, fosse sostituito un solo dazio di consumo. La sua istituzione doveva farsi possibilmente in più luoghi (e a questo intento lo Stato dividevasi in tredici territorii), gravando dei pesi maggiori le manifat- ture forestiere che, nutrendo il lusso privato, erano causa che la terraferma mancasse di specie monetaria, quan- (1) Archivio di Stato in Venezia. Atti dell’ Inquisitorato alle arti. Raccolta Cicogna ms. cit., filza n.° 1342 (3543). Lasciando di quelle industrie che godevano ancora di una vita sicura, poche ne trovo stabilite di pianta sul cadere della republica. La lavora- zione dell’ osso di balena in Vicenza, privilegiata per quindici anni nel 19 novembre 1794, era disturbata dal contrabando. Archivio dei V Savi cit, filza n.° 462. (2) Archivio dei V Savi cit, filza n.° 105. Consulta anche : Rossini P. Piano commerciale e daziale soavemente concisivo l'interesse della Nazione con quello del Principato, diviso 1" IV Scritture ed un Foglio apparte, ms. nell'Archivio dei Depu- alle tariffe tati mercantili nell’ Archivio di Stato. [20] (775) tunque il solo commercio della seta, da circa mezzo se- colo, le desse un profitto annuo di un milione e dugen- tomila zecchini. $ invocava, con poca opportunità, l’ esem- pio dell’ Inghilterra, che pur gravando talune merci in consumo perfino del 400 ?|,, nonché scemare, vedeva ac- crescere la sua prosperità. Però la riforma del sistema daziale riferivasi a sole 64 voci sopra 1239 (!). E già i due celebri consultori della republica, Trifone Vrachien e Giambattista Billesimo, avevano vinto gli ultimi scrupoli che l'esecuzione del piano daziale offendesse privilegi ac- quisiti, che si potevano facilmente, in tutto o in parte, comporre, sull' esempio di Benedetto XIV nei propri Stati (1753), di Maria Teresa per Milano (1771) e recentemente dal gran Leopoldo in Toscana (1775) (°). Ma la cosa si trascinò in lungo, giacchè la mala riuscita delle dogane stabilite ai confini dello Stato, a Bassano (1741), a Thiene e a Belluno (1756), i lunghi studii per una quarta dogana in Friuli (1756-1761), lo scarso profitto della stadella (stadera) di Verona, che era dogana di transito, riformata da poco (1754), impedivano di fare soverchio assegnamento sulle nuove proposte, e tutto andò a monte (*). Ma la republica non venne meno ai suoi tentativi, in ordine al commercio. Le ricordanze dei tempi floridi non le davano pace, e voleva toglier credito alla facile accusa che non avesse fatto ogni sforzo per disarmare la fatalità che l’incalzava. Sapendo che la sola minaccia di voler rimaneggiare ad ogni piè sospinto il sistema dei dazi è cosa esiziale al commercio, a cui l’ incertezza sce- ma ogni coraggio, ogni spirito d'iniziativa, non ebbe ad occuparsene più ; e si rivolse invece a rinunziare a talune esigenze, a cercar nuovi sfoghi ai suoi prodotti, stringendo (4) Raccolta Cicogna ms. cit., filza n.° 1494 (2510). (2) Serie di soritture e decreti cit. in Raccolta Cicogna, ms. cit., filza n.° 1494 (9510) cit. (3) Raccolta Cicogna, ms. cit, filza n.° 1494 (2510) cit. (776) [30] vieppiù le relazioni dirette con la Siria e sperando di av- viarne col Mar Nero e perfino con la Russia. Quale esempio del primo proposito si vuol notare che la republica, non avendo ricavato nessun profitto dall’ e- senzione quasi assoluta all’ entrata sugli oli di Puglia (t), che dovevano fare scalo a Venezia, per essere poi cari- cati pel Ponente, pensò permettere ai sudditi di aquistarli sul luogo, come facevano gli esteri, non potendo venirne detrimento al consumo dello Stato, a cui bastavano i pro- dotti del Zante, di Corfù e dell’ Istria (°). Così la republica era costretta a deviare alquanto dalle sue massime, come quando, regnante Carlo II di Borbone, dovette concedere alle Due Sicilie qualche eccezione al divieto di commerciare nella Dalmazia e nelle isole del Quarnero (?). Anche dall’ Albania si traevano olio, sorgoturco, foglia di tabacco e specialmente la pece delle montagne della Vallona, tutta impegnata dai Veneziani per un milione e mezzo di libre grosse all’ anno. Ed eranvi importati per otto milioni di lire venete i panni delle nostre fabriche, fra cui primeggiava il saglia parangone, color rosso car- mino, onde si formavano le vesti turche, dette baracani (4). №, per la scala di Alessandretta, trovavasi affatto (4) « Perchè il Mercante che può comprar la robba a prima mano con beneficio di 20 e più per % et in lochi più vicini, non va comprarla da revenderigoli in Paesi più lontani.» Raccolta Cicogna, ms. cit., filza n.° 871 (2584), carta 17. (2) Raccolta Cicogna, ms. cit, filza n.° 871 (9534), carta 17: (3) Archivio dei V Savi cit, filza n.° 178 cit., carta 22-81. (4) Venti bastimenti erano impiegati nel cabotaggio agli scali albanesi, e si facevano quattro viaggi annui di andata е quattro di ritorno, con un totale di centosessanta carichi di merci impor- tate ed esportate. Morana G. A. M. Saggio delli commerciali rapporti dei Veneziani colle ottomane scale di Durazzo ed ‚ ii ч.» ‚ 1 vi “с ) Albania, ms. in Raccolta Cicogna cit., filza n.° 1797 (2728). [34] (777) isterilito l'antico traffico con Aleppo, dove affluiva la no- stra carta da scrivere, le varie specie di margarite, e i cristalli e gli specchi, dacchè vigeva nella Siria il costu- me « che tutte le Donne aver devono in dote almeno uno specchio di Venezia con cornice dorata, della gran- dezza, dal più al meno, dei propri modi, ed una cassa di Noce, pur di Venezia (!) ». E di la le manifatture venete, asserisce un testimonio oculare, erano portate all’ estremo Oriente, formando due terzi del carico delle principali ca- rovane di Bassora e di Bagdad, mentre noi si riceveva in ricambio il cotone quasi tutto destinato per la Germania, la cera da noi lavorata per l’ estero, e in oltre la galla, il rame, le droghe che restavano in casa nostra (°). Ma, per incoraggiare il commercio col mar Nero, da cui repugnavano i negozianti, si volle soltanto favorire con premii una Società che stava per costituirsi, invece di farle maggiori concessioni, e ciò per timore che po- tesse risentirsene il commercio avviato con Costantinopoli, Smirne e Salonicco (°). Però le publiche mire stavano da tempo rivolte alla Russia, nella speranza di poter stringer con essa relazioni commerciali (^). Già fin dal 1740 il Senato erasi compiaciuto del risveglio del com- mercio in Ponente: s’ erano veduti dei legni veneti in Alicante, in Lisbona e perfino in Amsterdam (5), e al tempo della pace di Aquisgrana, la republica, lusingata dalle cortesi accoglienze fatte nel Baltico a una nave ve- neta, condotta dal capitano Smecchia e diretta alla volta di Pietroburgo, aveva dato incarico ai propri ambasciatori (1) Morana, Relazione del commercio di Aleppo cit., pag. 26. (2) Morana, Relazione cit, pag. 51. (3) Pregadi, 2 giugno 1787. Raccolta Cicogna cit., filza n. 1942 (3543). о (4) MancnEsr Le condizioni commerciali ecc., opera citata, pag. 29-30. (9) Archivio dei V Savi cit., filza 84 cit. (778) [32] a Vienna, a Parigi, a Madrid e al residente in Inghilterra di esprimere ai ministri di Danimarca, di Russia e di Prussia, accreditati presso quelle corti « la disposizione che in noi si nutre di ricalcare le traccie dei tempi an- dati, stringendo con quei principi nuova corrispondenza di commercio (') ». Si dichiararono pronte all’ accordo quelle tre potenze, alle quali si aggiunse, di propria ini- ziativa, la Svezia. E intanto s'era pensato quali generi potessero scambiarsi con la Moscovia. Tali pratiche, come fu accennato più sopra, furono ri- novate al cessare della terza guerra slesiana. Solo per rispetto alla Russia, intendevasi abbandonare la recente strada del Baltico, riprendendo 1 апіса del mar Nero. Venezia diventerebbe naturalmente distributrice all’ Eu- ropa delle merci russe: i greci e gli armeni qui domici- liati potrebbero secondare l'impresa, più sicura di quella che l’ Inghilterra aveva invano tentata nel 1741, quando diedesi a fabricare due vascelli a Kasan sul Volga. La principale importazione sarebbe alimentata dalle pelli, dai lini, perfino dal rabarbaro della gran Tartaria, che « và impiegato nella manipolazioue delle nostre Triache le quali si spargono poco men che per tutta la Terra, » e delle cere che ci verrebbero a così mite prezzo e in tale ab- bondanza da « smantellare » le fabriche di Trieste e di Fiume. Cosi i Russi riceverebbero da noi aquavite, mara- schini, olio, uve passe, zafferano, carta, conterie, cristalli e specchi preferibili agli inglesi e ai francesi, е pannilant, e sete di varia maniera, anche i fazzoletti, « accostumando le donne moscovite di portarne almeno tre per cadauna quando escono, uno sopra il capo, l’ altro al collo à riparo dal freddo, e il terzo in scarsella per 1’ occorrente biso- gno (?) ». Il nobile in corte di Pietroburgo, Ferigo Fo- (4) Pregadi, 12 dicembre 1748. Archivio dei V Savi cit., filza 965 cit. * М | o A*0^ yë arta 99. (2) Raccolta Cicogna, ms. cit., filza n.° 1794 (2728), carta 49 [33] (770) scari, aveva facoltà di dichiarare che alla republica sarebbe stato a cuore di conchiudere con la Russia un trattato di commercio (!). Progetti, progetti, pari a quelli che fa il moribondo prima di spegnersi, i quali danno ai circostanti l'illusione di una vita ancora tenace. Certo la publicazione del Codice della veneta marina mercantile, fatta appunto in questi anni (1786), è l’atto sapiente di un governo che non sì rassegna a morire; ma tutte le buone disposizioni si fran- gevano contro una forza maggiore inesorabile, e bisognava che gli spiriti meno timidi tentassero qualche cosa in prò del commercio. Alludo alla compagnia di assicurazioni ma- rittime, fondata nel 1793, alla cui testa si pose il celebre novatore Girolamo Zulian. Cinquecento azioni da mille ducati dovevano dar sicurtà pei viaggi di Levante, di Po- nente, del Baltico e dell' America, escluse dal rischio le Indie orientali (°). Consigliavasi pure la fondazione di compagnie di commercio, e una ne fu anche istituita (?), ma l'esempio dei tentativi fatti negli anni addietro per dare incremento alla navigazione, doveva porger motivo a giu- sta diffidenza. Infatti se, ad assicurare il commercio e a vincere la prepotenza dei corsari, che coi loro sciambecchi penetravano impunemente nell’ Adriatico, si era bensì in» coraggiata la costruzione di navi atte (*) allo scopo, so~ Stituendole ai piccoli legni senza difesa, non potevano esse navi far concorrenza alle imbarcazioni francesi, che tra- (1) Pregadi, 1.° febraio 1282 m. v. Raccolta Cicogna, ms. cit., filza n.° 4797 (2728) cit. Il Foscari era partito da Venezia per Pietroburgo nel 5 aprile 1783 e vi rimase fino al 18 aprile 1789, poi fu trasferito bailo a Costantinopoli. La legazione a Pietroburgo era costata 96461 ducati. (2) Raccolta Cicogna, ms., cit., filza n.° 963 (8195). (3) ROMANIN, op. cit IX, 116. (4) Tale appunto era il loro nome. Archivio dei V Savi cit., filza n.° 84, carta 67. (780) [34] sportavano le merci con noli di favore (t). Che più? la glo- riosa impresa contro Tunisi, compiuta da Angelo Emo (°), dovette apparire quasi inutile, dacchè i corsari tornarono ad infestare il Mediterraneo, tanto da richiamare gli ulti- mi tempi della republica romana. E quando, morto Emo, il suo successore Condulmer pose fine alla nuova guerra di Tunisi, molti consigli si diedero per avviarvi un attivo commercio, e le navi nostre entrarono pur numerose nei porti africani, dianzi vietati, ma non sorgendo colà delle case commerciali, ogni cosa ricadeva nel nulla (?), giac- chè, non è inutile ripeterlo, tutto congiurava alla comune rovina. Signori ! Ега il 29 maggio, tredici anni innanzi che la Venezia republicana rimanesse travolta, quasi fosse un fuscello di paglia, del primo infuriare dell'uragano napoleonico, quando da questa splendida sala, di cui non sai bene se la storia o l'arte abbia maggior ragione di giusto orgoglio, ebbe a tuonare la sincera e coraggiosa voce di Andrea Tron, primo inquisitore alle Arti, il quale non dissimulando а che triste decadimento fosse venuto il nostro commercio, (4) Sommario delle scritture relative alla pace coi Barba- schi 1749-1764. Archivio dei V Savi cit., filza n.° 230. (2) Marcnesi V. Tunisi е la republica di Venezia nel secolo XVIII. Venezia, tip. del « Tempo », 1882. In questo studio è detto anche delle misere condizioni del commercio veneto intorno al 1750, pag. 9-14; e si torna sull'argomento in occasione della guerra di Tunisi, pag. 47-49 e 75. (3) Marcnesi V. Le relazioni tra Tunisi e Venezia, dal 1792 al 1797. Venezia, Ateneo Veneto, 1883; pag. 17-21, 93-24. [35] (781) né accennava le cause, ne proponeva i rimedii (*). Andrea Tron era dei magnanimi pochi, da eui la republica avrebbe dovuto trarre la sua salvezza, se la vo'ontà degli uomini potesse sempre aver ragione degli avvenimenti, preparati anzi tratto da cause complesse e fatali. Al mare ! al mare ! in questo grido compendiavasi il discorso del grande cit- tadino. La marina veneta tolgasi di dosso l’ accusa di es- sere « mal sostenuta e peggio disciplinata, meno sobria e meno istrutta » di quella « delle industriose e attente nazioni » che tengono il dominio dell' Oceano, del Medi- terraneo e perfino dell’ Adriatico; vogliano i nobili darsi tutti al commercio, sull’ esempio degli antenati (°); i no- stri mercanti all’ estero cessino dall’ umile condizione di commissionarii dei forestieri, i quali poi giungono nella stessa Venezia al punto da sfruttare i nostri consumi. In- somma gli eccitamenti del Tron trovarono eco in Senato; la republica scosse alquanto le membra intorpidite, e i fatti già secondavano le promesse, allorchó le fu sopra l'estrema catastrofe. Il nuovo avviamento rimase in tronco, prima impedito dagli sconvolgimenti guerreschi, poi dal- l'aperto proposito dell’ Austria di mantenere, anzi di ac- crescere, favore al porto di-Trieste. In questo fatto Ve- nezia trova la maggiore scusa, giacchè se la legge con- cede ai rei l’ultima parola, è giusto che la storia non la tolga agli infelici. Ma il passato è chiuso per sempre, e taciono con esso gli sterili rimpianti e le puerili recriminazioni. Oggi anche Venezia, schiuso a tutti il suo porto, sta conqui- standosi un degno posto nel commercio internazionale. E l’Italia, fatta donna di sè, lungi da ricordare i tempi (1) ROMANIN, op. cit; IX, 79-1415. (2) Editto a stampa, 29 maggio 1784, рет eccitare li Nobili di Venezia e Terraferma a dedicarsi al Commercio. DU S VI 100 (782) [36] men lieti della vecchia republica, che pur racchiudono tanto tesoro d'insegnamenti, ne rievoca i secoli più lon- tani, pieni di grandezza e di gloria, e ripete il vaticinio del poeta: Magnus ab integro saeclorum nascitur ordo. PROGRAMMI DEI CONCORSI SCIENTIFICI PROPOSTI DA QUESTO R. ISTITUTO E DALLE FONDAZIONI QUERINI-STAMPALIA E BALDI VALIER Per gli ammi 1890, 91 e 92 ea PREMIO ORDINARIO BIENNALE DEL REALE ISTITUTO Concorso per I ammo 1890 e riproposto per l'anno 1892. Tema prescelto nell'adunanza del 18 marzo 1888. « Avuto riguardo all ingente incremento della » emigrazione, l’Istituto conferirà il premio all'au- » tore di una Storia del emigrazione delle provin- » cie venete all’ America, temporanea e permanente, » distinta per professioni, stato, condisione, età de- » gli emigranti, indicandone U imbarco, il viaggio, » la destinazione; determinandone le date, inda- » gandone le cagioni e le conseguenze, non meno » per gli stessi emigranti, che per le provincie d’ o- » rigine ; anche per via di confronti, chiarendo in ж WE: == ERA 784 » qual modo possano di tale storia, sincera, esatta, » compiuta, giovarsi la scienza economica, l’arte di » governo, la legislazione nazionale ». l| concorso resta aperto sino alle ore quattro pomeridiane | del giorno 34 dicembre 1892. Il premio è d'ital. lire 1500. Concorso per I ammo n $90 e riproposto per l'anno 1892. Tema prescelto nell adunanza del 26 febbraio 1888. « Coll’ajuto di dati scientifici, pratici e statistici, | » si determinino le basi, su cui oggi giorno dovreb- » be essere fondata una legge sulla costruzione, » prova e sorveglianza delle caldaje a vapore, е la » costituzione in Italia di quelle Società, che già » fioriscono presso altre nazioni, e che 8 incarica- » no di tenere in attenta osservazione le caldaje der » loro clienti. » Il concorrente, nello svolgere il tema, non do- » vrå dimenticare gli accidenti, relativamente nu- merosi e talora assai gravi, che avvengono nel 785 » grossi tubi bollitori, le cui pareti sono soggette » a compressione (caldaje Cornovaglia) ». Il concorso rimane aperto sino alle ore 4 pomeridiane del giorno 31 dicembre 1892. = ) z = » » » » » Il premio è d'italiane lire 3000. Concorso per l'anno 1891 Tema prescelto nell'adunanza del 17 marzo 1889. « Si domanda un Compendio di storia delle ma- tematiche, corredato da una Crestomazia mate- matica, contenente estratti delle opere matematiche dell’ antichità, del medio evo, del rinascimento e dei tempi moderni. Di questi estratti basterà che, oltre all’ autore, al titolo dell’opera ed all’ esten- sione, sia indicata la edizione. Il concorrente poi dovrà, per ogni squarcio, indicare i motivi, pei quali si è trovato indotto ad accoglierlo nella Cre- slomazia ». AVVERTENZA. «Il Manuale farebbe conoscere rapidamente ed a grandi linee, sotto forma necessariamente moderna, lo sviluppo della scienza ; la Grestomazia, al contrario, dispensando dalla ne- cessità di ricorrere alle fonti, porrebbe lo studioso a contatto col pensiero dei geometri del passato solto la sua forma con- creta », | | | 786 Il concorso resta aperto a tutto il 34 dicembre 1891, Il premio è dQ’ italiane lire 3000. Concorso per l'anno 1892, Tema prescelto nel? adunanza del 20 aprile 1890. « Premessa una breve storia della politica com- » merciale internazionale nella seconda metà del » nostro secolo, esporre le varie fasi della politica » commerciale italiana, e indicare i criteri generali » e speciali, dai quali dovrebbe essere guidata, te- » nendo conto delle condizioni delle singole forme » di produzione, e supposto che la Francia nel 1892 » abbandoni il sistema dei trattati, per adottare » quello della tariffu autonoma ». ж Il concorso resla aperto a tutto il 31 dicembre 1892, Il premio è dQ’ italiane lire 3000. Concorso per l’anno 1893, Tema prescelto nell adunanza del 19 aprile 1894. « Fare uno studio litologico, mineralogico е » chimico dei materiali pietrosi, sabbiosi, Lerrost » e salini, che uno dei principali fiumi del Veneto, 787 » nelle diverse condizioni di piena, di magra e di » media, porta fuori dalle valli alpine e depone a » diverse distanze dal piede delle alpi e fino al » mare. Ed applicazione di questo studio a quello » delle alluvioni antiche e moderne della pianura » veneta ed ai cambiamenti di posto, che possano » essere avvenuti in epoche preistoriche e storiclie » nell’ alveo di detto fiume ». z Il concorso resta aperto a tutto il ЗІ dicembre 1893, Il prernio è dQ’ italiane lire 3000. PREMIO DELLA FONDAZIONE CAVALLI — — ET Concorso pel triennio 1891-93, Tema prescelto nell'adunanza del 20 aprile 1890. » Studiando le attuali condizioni delle popola- » zioni agricole del Veneto e confrontandole con quelle delle altre popolazioni italiane, rilevare » quale parte abbia in esse il sistema di locazione » agraria vigente fra noi, e indicare gli eventuali » rimedi ». x Il concorso resta aperto a tutto il 34 dicembre 1893. Il premio è d italiane lire 3000, | | | | | Il = | I | 788 DISCIPLINE COMUNI AI CONCORSI BIENNALI DEL R. ISTITUTO, A QUELLI ANNUI DELLA FONDAZIONE QUERINI-STAMPALIA E A QUELLI TRIENNALI DELLA FONDAZIONE CAVALLI. Nazionali e stranieri, eccettuati i membri effettivi del Reale Isti- tuto Veneto, sono ammessi al concorso. Le Memorie potranno es- sere scritte nelle lingue italiana, latina, francese, tedesca ed ingle- se, Tutte poi dovranno essere presentate, franche di porto, alla Se- greteria dell'Istituto medesimo. Secondo l'uso, esse porteranno una epigrafe ripetuta sopra un , 6 D | I viglietto suggellato, contenente il nome, cognome e domicilio del- e l’autore. Verrà aperto il solo viglietto della Memoria premiata ; tutti i manoscritti rimarranno nell'archivio del К, Istituto a guarenti- gia dei proferiti giudizi, con la sola facoltà agli autori di farne trarre copia autentica dalla Cancelleria di questo Istituto a proprie spese. Il risultato dei concorsi si proclama nell’anvua pubblica solenne adunanza dell’ Istituto. DISCIPLINE PARTICOLARI AI CONCORSI ORDINARII BIENNALI DEL REALE ISTITUTO. La proprietà delle Memorie premiate resta all’ Istituto che, 8 proprie spese, le pubblica ne’ suoi Atti, Il danaro si consegna dopo la stampa dei lavori, DISCIPLINE PARTICOLARI AI CONCORSI DELLE FONDAZIONI QUERINI-STAMPALIA E CAVALLI: sono La proprietà delle Memorie premiate resta agli autori, che rdo obbligati a pubblicarle entro il termine di un anno, dietro acco colla Segreteria dell’ Istituto per il formato ed i caratteri della stam- pa, e per la successiva consegna di 50 copie alla medesima. Nella stampa del lavoro premiato si dovrà premettere la intiera relazione della Giunta esaminatrice del R. Istituto, Il danaro del premio non potrà conseguirsi, che dopo aver soddisfatto a queste prescrizioni. L'Istituto, quando lo trovasse opportuno, si mantiene peraltro il diritto di farne imprimere, a proprie spese, quel numero qualunque di copie, che reputasse conveniente. 789 PREMO DI FONDAZIONE BALBI-VALLBR per il progresso delle scienze mediche e chirurgiche. Sara conferito fuori di concorso un premio d'ita- liane lire 3000 all italiano «che avesse fatto progre- » dire nel biennio 1890-94 le scienze mediche e » chirurgiche, sia colla invenzione di qualche istru- » mento о di qualche ritrovato, che servisse a lenire » le umane sofferenze, sia pubblicando qualche ope- » ra di sommo pregio ». Venezia, 28 maggio 1891. Il Presidente i oo PIRONAL Il Vicesegretario C. VIGNA. T MS VII 101 INTORNO AL i HIE e DEL м. E. FRANCESCO BONATELLI. Daeché gli uomini hanno incominciato a meditare in- torno alle cose che li circondano e a’ fatti che vedono accadere sotto 1 loro occhi, dacché insomma s' è incomin - ciato a filosofare, l'idea di causa e il principio di causa- lità furono sempre, come a dire, il perno attorno al quale sì aggirarono i loro ragionamenti. Non già che questa idea e questo principio fossero subbietto essi medesimi di di- scussione o che si formulassero distintamente ; bensi erano per lo prù implicitamente e tacitamente presupposti. Onde avvenne che, quando la riflessione più matura ed eserci- tata si ripiegò sul pensiero stesso e cercò rendersi conto dello strumento e dei processi, cui prima erasi inconscia- mente affidata, l’idea di causa si ritenne ingenita allo Spirito e il principio di causalità fu riguardato come un assioma. Solo in tempi recenti ci fu chi, non solamente negò all’ idea di causa l’ apriorità, facendone un mero prodotto dell’ esperienza, ma la disse vuota d'ogni contenuto pro- prio, riducendo il suo nome a rappresentare nulla più che una cieca abitudine dello spirito, generata dalla costante successione dei fenomeni. (792) [2] Altri, pur non disconoscendone il tenore e rivendi- candone il carattere apréoristico, le tolse poi ogni valore | con abbassarla da un lato al grado di mera forma sub- | biettiva del nostro pensiero e dall’ altro con circoscriverne | l'applicazione: al solo mondo, subbiettivo anch’ esso, dei | | fenomeni. | | Per altro, com'era da aspettarsi, tutti seguitarono come prima, non solamente nel pensar comune ma anche | nel pensare scientifico, a servirsi dell’ una, cioè dell’ idea | di causa, e ad appoggiarsi sull’ altro, cioè. sul principio di causalità. E non si poteva a meno, perchè altrimenti il | pensiero avrebbe dovuto rinunciare a occuparsi dei fatti | e delle cose reali, racchiudendosi, quando mai, nel mondo immobile delle idee pure, nelle leggi del numero e dello spazio, ne’ rapporti formali insomma. Ма, il lavorio analitico dei. filosofi: non per questo .s*ar- restava; si cercò di sviscerare quel concetto e di rintrac- ciare e criticare i titoli di legittimità di quel principio. ‘ Così a poco a poco si venne a riconoscere che l'idea di | | causa contiene in. sè due elementi principali, quello di antecedente necessario per una parte e quello d’ energia | o d'azione per l'altra. Onde taluni finirono соп isdop- | piare il concetto medesimo e distinguere due maniere о Il specie di cause, che non male furono designate coi nomi di meccanica l una, di dinamica l’ altra. In quanto all’assioma di causalità, che per ogni effetto, ossia per ogni fatto nuovo, domanda una causa adeguata, | si sospettò e da taluno si ammise come cosa dimostrata, | che non sia veramente un principio primo in modo asso- luto, ma ben piuttosto un’ applicazione о un corollario di iN quello d'identità. E infatti se quest’ ultimo. principio, che II è il fondamento indubitabilmente primo del pensiero, ri- chiede che ogni cosa sia fedele a se stessa, sotto pena di di risolversi in nulla e а annientare lo stesso pensiero; come à. possibile, che questo accetti senza ‘più il cangia» [3] (793) mento? Se A è — A necessariamente, come può ammet- torsi A — A? ID dunque mestieri che il pensiero, a salvare se stesso e il suo obbietto dal naufragio assoluto, ristabilisca l'e- guaglianza tra i due membri dell' equazione ; il che fa in- troducendo un termine acconcio all’ поро. Il qual termine potrà essere noto o ignoto, ma in ogni caso dovrà contenere quel che basti per soddisfare alle condizioni dell’ eguaglianza. Sarà dunque A + x = A’; e questa 27 è la causa. Così chi avendo, poniamo, un litro d’un dato liquido contenuto in un vaso scoperto, dopo tre giorni lo trova ridotto a ?, non potendo accet- tare che un litro sia == * di litro, deve supporre qual- cosa che ristabilisca l'identità; e dato ch’egli ignori la legge dell’ evaporazione, supporrà un qualsiasi altro feno- meno; ma in ogni caso terrà per certissimo che qualche fattore sconosciuto è entrato a produrre il cangiamento di quantità del liquido. Siccome poi quell’ x, introdotta a ristabilire l'equazione, è essa medesima un quid nuovo, l’ esigenza medesima del pensiero domanda daccapo un qualche cosa che renda ra- gione di codesta novità e così risale a un’altra causa e da questa a un’altra senza posar mai. Ma su questo torneremo tra poco. Ripigliando dall’ idea di causa, dobbiamo anzitutto far menzione d'uno scritto pubblicato pochi mesi or sono dal signor Andrea Lalan- de (t) il quale quanto piccolo di mole, altrettanto 6 grave e importante per le questioni che solleva, per la novità de’ concetti e per l’acume critico con cui è dettato. E sebbene noi non possiamo accettare le sue conclusioni, pure crediamo che in parecchi punti sia en- entrato, più che altri abbia forse mai fatto, nel vivo del- l'argomento. Anzi le osservazioni e le analisi del signor Lalande ci riescono preziose, come quelle che ci servono (1) V. Revue philosophique, septembre 1890. , (794) [4] di mirabile aiuto a mettere in luce quello che noi cre- diamo essere il vero concetto della causalità. Egli osserva dunque come nelle scienze matema- tiche propriamente dette e anche nella meccanica, non è mai questione di cause e d' effetti, ma soltanto di trasfor- mazione e d equivalenza di movimenti; dovechè nella fisica e massime nelle scienze naturali, psicologiche e mo- rali l’ idea di causa ha una parte considerevole e prepon- derante (t). « Ora s' egli è vero » — prosegue l’ А. — « che in fondo ogni scienza si riduce a un problema di matematica, del che non possiamo dubitare, come c' entra qui codesta idea di causa che non è matematica? » « Che nella nozione di causalità, malgrado il suo ap- parente rigore, non s'abbia a vedere che un'idea in- compiuta e vaga, una grossolana approssimazione, buona tutt'al più per la vita cotidiana, ma che gli avanzamenti della scienza finiranno con eliminare ? (?) » La causalità, per essere applicata scientificamente, ri- chiede che i vari fenomeni, che si considerano come cause o effetti, siano distinti e come a dire, isolati gli uni dagli dagli altri. « Ma d’ altra parte, se vogliamo rappresentarci le cose siccome formate di successioni costanti tra feno- meni concatenati, la confusione in сш зі cade è ancora maggiore e non si riesce nè a definire la causa d'un dato fenomeno, nè a determinarlo scientificamente e nè anche a dire che cosa significhi con esattezza la parola feno- meno (?) ». In vero gli antecedenti, da cui un fatto qualsiasi di- pende, sono infiniti e se uno solo di questi fosse mancato, il fatto non sarebbe avvenuto. Né giova quel distinguere, che si fa da molti, tra cause (ТУРЕ 220: (2) Ibid. (8) Pag. 229. [5] (795) e condizioni; perchè come potrebbe farsi con esattezza codesta distinzione ? Voi potete prendere per causa quella particolare circostanza che volete, a seconda del rispetto sotto cui considerate il fatto. « Onde lo stesso Stuart Mill è forzato ad abbandonare questa distinzione e a scri- vere: La causa, filosoficamente parlando, è la somma delle condizioni positive e negative prese insieme, il tut- l'insieme dei fenomeni, i quali, realizzati che sieno, sa- ranno invariabilmente susseguiti dal conseguente, (кў; Ora, a parlare con rigore matematico, ogni fatto ha per causa tutti i fatti concomitanti dell’ universo. « Ciò in rispetto al legame dei fatti nello spazio; ma il carat- tere vago e provvisorio del principio di causalità appa- Pisce ancor meglio ove si guardi questo legame nel lempo (?) ». Che se altri dica « la vera causa non poter essere che l'antecedente immediato », qual parte del fenomeno Causa s'avrà egli a prendere? 1' ultimo minuto ? l ultimo Secondo ? l’ultimo decimo di secondo? Non c’è veruna ragione per arrestarci, siamo alle prese coll’ infinitamente Piccolo e la causa vi si smarrisce. Bisognerà o dire che non c’è più causa, o prendere come causa ciò che avviene nell’ istante, in cui quella cessa d'essere per cedere il posto all'effetto. Se all'incontro vorremo prendere il fatto antecedente tutto intero, non avrem modo di fermarci né anche nel risalire all’indietro e avremo una serie infinita d’ antece- denti (9, « Ogni causa d'un fenomeno puó dunque essere con- siderata ad libitum come infinita o come nulla; in ambi 1 casi la ci sfugge (4) ». (1) Pag. 281. (2) Ibid. (3) Pag. 232. (4) Ibid. | | li | | | | | | | | | (796) [6] Un'altra difficoltà ancor più grave, anzi il nodo e la sorgente di tutte, è 1’ impossibilità di far quella ` distin- zione, di cui во detto sopra, tra i vari fenomeni. Quando noi vogliamo raffigurarci l’ ordine delle cose come un rapporto tra fenomeni, come gruppi separati, соте tante unità fra loro distinte, noi facciamo un tagliò arbitrario nell’ assoluta continuità delle trasformazioni fisiche. « Il mondo non è una successione più di quel che il cerchio sia una somma di triangoli o la linea una serie di punti, per quanto possa esser utile, in certe occasioni, di concepirli a questo modo (') ». « In fondo quest’ errore, di cui ci occupiamo qui, non è che una forma dell’ antinomia perpetua fra il continuo e il discreto, le cui differenti fasi riempiono la storia della matematica e della filosofia ». « Lo spirito umano procede per discontinuità, senza dubbio per la ragione ch'egli è uno (?) ». Di qui si capisce « che l’idea di causa e il principio di causalità sono idee ausiliarie destinate a mettere la scienza a nostra portata, deformandola e semplifican- dola (*) ». П principio di causalità serve dunque di filo conduttore alla nostra intelligenza e perciò è utile anzi necessario. « Ma non bisogna esca dal suo dominio proprio. Dal Leib- niz in poi noi dividiamo volentieri i differenti aspetti, sotto cui si può guardare il mondo, in tre classi soprap- poste l’ una all'altra: il mondo sensibile, fatto di qualità seconde e di grossolane intuizioni sensate . . . . ; il mondo scientifico, fatto d' estensione e di movimenti, che è quello del geometra, del fisico, del chimico, in una parola, del dotto e che riduce tutto a formole e a rapporti matematici; (4) Pag. 235. (2) Ibid. (8) Ibid. 1 | | | | | | L| | | [7] (797) finalmente, sopra a tutti, il mondo degli esseri in sé, mo- nadi о noumeni, idee o forze, che è il campo della me- tafisica (^) ». « Ebbene, al primo e al primo solamente di questi tre mondi appartiene il principio di causalità. Esso rap- presenta in confuso pei nostri sensi la continuità e la inerzia, che sono proprie del secondo stadio, come i colori ci rappresentano imperfettamente le ondulazioni dell’ etere e i suoni le vibrazioni della materia ponderabile (°) ». « Il mondo sensibile è fatto di qualità svariate; il suono, in quanto suono, non ha veruna attinenza con un odore ; le percezioni, dati primi della nostra conoscenza esterna, sono di natura tra loro diversa, anzi opposta, e irreducibili 1° una all'altra, per chi non oltrepassa questo aspetto del mondo. Di qui le unità, i fenomeni distinti, la discontinuità, finalmente la causalità. Ma fare di que- sta una proprietà scientifica delle cose, una legge del mondo fenomenico e meccanico, val quanto sostenere che i corpi conservano il loro colore quando non c'è occhio che li veda, e la loro sonorità quando nessuno li ode (?) ». Di maniera che la causalita non sarebbe che una for- mola approssimativa « d'una continuità fra elementi omo- genei la divisione dei quali è puramente arbitraria. » Ciò dimostra, a detta dell’ А., « nel modo più naturale e più semplice una delle proposizioni fondamentali della filosofia critica, cioè che il principio di causalità e tutto- ciò che ne deriva, non si può applicare se non entro la cerchia del mondo fenomenico e non guari a un’ attinenza tra questo e una realità soprassensibile. Difatti in questa ultima ipotesi esso rappresenterebbe una relazione fra termini eterogenei, ciò che, data la sua natura, riescirebbe assurdo, perchè in fondo esso non è che un’ equazione е (1) Pag. 206, (2) Ibid. (3) Pag. 936-7, Bis vi va | (798) [8 | soltanto una quantità matematica può essere eguale a una quantità matematica (') ». Il signor Lalande poi ripudia affatto la causalità dina- mica. L'idea d’ efficacia (efficace) a suo dire « è un con- cetto artificiale, nato da ciò che il mondo fu scompartito in fenomeni, ossia in unità elementari; talché non si poteva spiegare l'azione dell’ uno sull’ altro, se non facendo in- tervenire un potere misterioso, che emani dal primo per creare il suo effetto. E, non essendovi comunanza di na- tura fra i due, l’effetto non potrebbe più essere una parte aliquota della causa (*) ». Non per questo il Lalande vuol negare la libertà umana; che anzi scrive: « Se no’ avessimo a scegliere tra il libero arbitrio, da cui dipende tutta intera la morale, e il determinismo, senza del quale la fisica e la matematica sono un sogno, non dovremmo esitare un istante a sacrificare la scienza e a giudicar false le leggi in apparenza meglio assodate. Ma fortunatamente non è cosi... . Non c’è opposizione tra il meccanesimo e la libertà; essi espri- mono un solo e identico stato di cose, secondo che lo si guarda da dentro o da fuori (*) ». Come si raccoglie da questa breve esposizione, che abbiamo fatto servendoci per lo più delle parole medesime dell'autore, in riguardo al mondo metafisico, ossia delle cose in sè, la causalità non ci avrebbe punto che fare. In questo egli sta col criticismo. Ma contro di lui vale quell'argomento, che tante volte fu già opposto alla dot- trina del Kant, cioè L" che vietando una siffatta applica- zione del principio di causalità mancherebbe ogni ragione per ammettere il mondo delle cose in sè; diguisachè il (4) Pag. 23 (2) Pag. 238. (3) Pag. 240. E aggiunge in nota ch'egli ha in animo di dimostrare questa tesi in un altro lavoro. Sopra di che staremo à vedere, | чя | | [9] (799) solo fatto del riconoscere un ordine di enti assoluti con- traddice alla tesi 2.° Che codesta limitazione della causa- lità al campo dei fenomeni è arbitraria. E ciò è tanto vero che il Kant medesimo fu trascinato suo malgrado a servirsene anche fuori della cerchia a eui voleva circo- scriverla. In secondo luogo il signor Lalande, come già s' è no- tato, rigetta addirittura la causalità dinamica, come quella che consisterebbe in un potere misterioso senza veruna proporzione coll’ effetto. Questo potere occulto sarebbe uno di quei concetti spurii, figli dell’ ignoranza, coi quali l'uomo, non essendo ancora riuscito a scomporre i fe- nomeni ne' loro elementi, cerca di riempire il vuoto cle resta tra l'antecedente e il conseguente. Ora io dico anzitutto che o l'idea di causa non ha contenuto nessuno, o il suo significato proprio é precisa- mente questo; vale a dire che se alla nozione di causa 51 toglie l'energia, l'efficacia, la forza efficiente, quello che rimane non è più causa affatto (!). (4) « Nel rispetto filosofico » — scrive anche Ermanno Lotze ( Grundzüge der Naturphilosophie, pag. 37) ТТТ convenire in una proposta, che la scienza della natura alla sua volta è in diritto di fare, cicè a dire in questa. Mettere affatto da banda il concetto dell’azione /des Wirkens] e contentarsi di con- Cepire gli elementi del mondo come determinati da innumerevoli equazioni, a tenor delle quali da rapporti dati fra un determinato numero di questi elementi dovrà derivarne una determinata alte- razione mello stato esistente delle cose... Perciò, sebbene il con- cetto dell azione sia un concetto limite, il cui contenuto non è Suscettivo d’ essere più oltre analizzato tuttavia non se ne può , Rate a meno Senza fallo P investigazione pratica dei processi natu- rali può non tenerne conto, per la ragione ch’ esso è un presup- posto identico per tutti i casi; ma non si può farne a meno ogni qualvolta si voglia pensare compiutamente e senza lacune quello che si sottintende, qu ndo si parla d'una siffatta condizionalità (500) [10) Di qui si spiega come tutti coloro che, reputando inac- cessibile al nostro pensiero questo elemento essenziale della causalità, hanno tentato di sostituirvi altri elementi, 0 negarono addirittura, come lo Hume, l’idea di causa о, come lo Stuart Mill, la ridussero al solo rapporto fra antecedente e conseguente. Credo poi che sia avvenuto di questo concetto quello che di altri parecchi, nella filosofia moderna; cioè che cercando in essi quello che non ci si poteva trovare, fu- rono rigettati quasi fittizi, illusorii, nude parole che ser- vissero solamente a coprire un vuoto nel nostro pensiero. O non è intervenuto all’ idea stessa dell’ Essere, che non ci si ravvisando quelle determinazioni che si reputavano necessarie a rendersene conto, fu pareggiato nientemeno che al suo contradittorio, al nulla? Eppure gli uomini hanno continuato e continueranno a credere fermissima- mente che 1’ essere è 1 opposto del nulla, a credere di capire che cosa vogliasi esprimere con la voce essere е le sue derivate, a servirsene, senza un sospetto al mondo, in tutti i loro ragionamenti. Né potevano fare a meno, perché esso entra dapper- tutto come elemento indispensabile e chi volesse esclu- derlo da’ suoi pensieri e da’ suoi discorsi, dovrebbe con- dannarsi a non pensare e a non aprir più bocca. È questo anzi il carattere di tutti i concetti fonda= mentali, che, appunto perchè primi e supremi, non sono riducibili ad altri nè quindi, a rigor di termini, definibili. Ma che la nostra mente li possieda e li distingua da ogni altro e sappia giustamente applicarli, è un fatto indubi- tabile. E cosi è del concetto di causa efficiente. Questo effi- cere, effettuare, produrre, senza dubbio non lo definiscono; anzi sono piuttosto altrettanti sinonimi più o meno esatti, reciproca dei singoli elementi, che può essere espressa per via d' equazioni >, и) (801) i quali alla loro volta non si possono intendere se non per l’idea di causa, Nondimeno quello che il signor Lalande osserva nelle sue sottili analisi dei fenomeni che si succedono e di cui gli uni determinano gli altri, in grandissima parte è vero e perciò è pur vero che in rispetto a questi l’idea di causa vuol essere trasformata in quella d’un’ equivalenza mate- matica. Sia che trattisi della semplice trasmissione del moto per via dell’urto di un corpo contro un altro, o che si tratti del riscaldamento, dell’ evaporazione, dell’ elettriz= zazione ecc., la scienza о è riuscita a mostrare, о è sulla via di riuscirvi, che è pur sempre un problema di mec- canica; movimenti, che si trasformano in altri movimenti, senza che nulla di nuovo si produca e nulla si perda. Codesto, ho detto, è vero in grandissima parte, ma non del tutto; perchè nel mondo, oltre a’ fenomeni fisici e chimici (e sia pure che anche i vitali si riducano a questi, su di che non voglio qui entrare in discussione (!)), ce n'ha pure degli altri e sono i fenomeni psichici. Questi a bon conto nessuna analisi li ridurrà mai a movimenti e però sulla soglia della psiche finisce il dominio dell’ equiva- lenza meccanica. Vorremo noi per questo sottrarli anche al dominio della causalità ? Ciò è impossibile, perchè anzi Se c'è ordine di fatti, nei quali sia evidente e necessario l applicare il principio di causalità, gli è quello. О vor- rem noi negare che le nostre sensazioni dipendono cau- salmente dagli stimoli esteriori e dalla costituzione dei nostri organi, benché senza fallo non dipendano unicamente da questi fattori ? E del pari, come sottrarre alla legge di causalità tutti gli altri fenomeni psichici, come i pen- sieri, i sentimenti, le passioni e via dicendo ? (1) 10 per me credo che tutti i fenomeni vitali siano, conside- rati in sè, di natura fisico-chimica; non però la stessa vita. Ma non é-qui il luogo d'entrare in un ginepraio come questo, (802) (12] Dunque nell’ ordine de’ fatti psichici e s! impone asso- lutamente la necessità d’ applicare il principio di causa e questa non puó essere trasformata in un' equivalenza ma- tematica. Il che riesce a dire che le conclusioni del signor Lalande valgono solamente in rispetto ai fenomeni del mondo esterno. Ma valgono assolutamente e senza restrizione qui pure? È più che dubbio. Perché, a non tener conto di quelle che finora si sono chiamate forze fisiche e chimi- che, come la gravitazione, l’ affinità, ece., le quali potrebbe darsi che fossero anch’ esse un asylum ignorantiae е che quandochessia, se non subito, possano essere sostituite da movimenti, resta sempre aperto il problema dell’ esi- stenza della materia, della sua natura e di quelle che col Mill possono chiamarsi collocazioni prime. Tuttociò, è troppo chiaro, non si può ridurre a trasformazioni di mo- vimenti ; tuttociò costituisce un dato, anzi una serie di dati, intorno ai quali non sono aperte al nostro pensiero che due vie. Cioè o rinunciare a rendersene veruna ra- gione, accettarli tali e quali e, abbassando la testa, dire : più in là di costi non ci vado ; o applicarvi alla loro volta il principio di causalità. La prima via potrà esser più co- moda; ma per la stessa ragione si poteva fermarsi anche prima e in qualunque ordine di ricerche. Così fa il sel- vaggio e in generale l' uomo del volgo, il quale non si rompe il capo neppure a investigare perchè e come la fiamma gli scaldi l' aequa nel paiuolo. Rimane dunque che si elegga la seconda, cioè che si domandi la cagione e dell'esistenza della materia e del- l'esser questa fatta così com'ó e non altrimenti e di quella distribuzione o collocazione primitiva, data la quale e date le leggi della matematica, aveva poi a venirne tutto quello che n’ è venuto. Dove se qualcuno osservasse che, per domandar che se ne faccia, questa cagione non Sl potrà scoprir mai, io gli risponderei che anche in tal supposto il principio di causalità non si potrebbe ristarsi [43] (803) dall’ applicarlo, benché la eausa avesse a rimanere pêr- petuamente ignota. Perocehé questo principio non riehiede mica che la causa si scopra, sibbene che si conceda che la ci deve essere, quale poi che la sia. Ma, lasciando per ora di questo, vogliamo considerare se sia vero che quella divisione arbitraria, come il Lalande scrive, che l'uomo fa del processo continuo della natura, alteri e deformi la verità obbiettiva per ridurla alle pro- porzioni della nostra intelligenza. Certo é cosa indubitabile che se noi potessimo ab- bracciare, a dir così, con una sola occhiata tutto il erande insieme delle cose nello spazio e nel tempo, conoscendo del pari il tutto e le minime parti, con tutti i più minuti particolari, questa sarebbe la scienza perfetta e assoluta della natura. Ma se tanto à negato a uno spirito finito, se anzi dobbiamo chiamarci fortunati, qualora di questa scienza s'arrivi a possederne una minima particella, non perció quel pochissimo, che possiamo saperne, sarà neces- sariamente viziato da una menda incurabile, cioè dalla subbiettività. Chi tiene questa sentenza, tanto fa che ri- rinunci a ogni investigazione ; perchè se quello che a forza di studi s' arriva a scoprire non è poi vero in sè, non Metteva conto travagliarcisi attorno, Г ignoranza essendo un minor male dell’ errore, sopratutto d'un errore uni- versale e incurabile. Ma a persuaderci che la necessità, in cui è il nostro pensiero, di guardare di mano in mano qualche parte del processo totale, non toglie la verità obbiettiva di quel che vediamo, ci serva l'esempio medesimo allegato dal signor Lalande a sostegno della sua tesi, П mondo, egli scrive, non è una somma di fenomeni, più di quel che il cerchio sta una somma di triangoli. Ora il cerchio è molto più che una somma di triangoli; ma è anche codesto. E sia ch'io lo scomponga materialmente in tre o in dieci o in mille, io lo concepisco sempre conforme a verità; perchè il cerchio è un tutto che contiene realmente tutti quei % (804) [44] triangoli, di che io lo concepisco risultare, quantunque ne contenga del pari infiniti altri. Similmente, se nella totalità del processo cosmico io segno ad arbitrio una divisione, poniamo di ciò che av- viene da un dato istante a un altro, ovvero entro uno spazio determinato, il mio concetto sarebbe erroneo sola- mente se io credessi che ciò che avviene entro i limiti da me fissati fosse staccato e indipendente da ciò che re- sta fuori di essi. Ma se io, senza negare o mettere in forse il legame che connette la э da me fissata con tutto il resto, circoscrivo а quella la mia considerazione, io posso rappresentarmi l’ oggetto del mio studio confor- memente a quello che è in realtà. E così avv.ene pure che, data una pluralità di cose quali si vogliono, le si possono classificare a aggruppare in molte e differenti ma- niere, senza che però nessuna di queste sia manco vera dell’ altra. Così poniamo che s'avesse una moltitudine di libri, nulla vieta che si disponessero secondo la materia di cui trattano, ovvero secondo la lingua in cui sono scritti, secondo l'ordine cronologico della loro pubblica- zione, secondo la grandezza dei volumi, secondo la ma- niera della legatura e in altre guise; ciascuno di tali aggruppamenti corrisponderebbe pur sempre alla realtà. Ma oltre a ciò non credo manchino di buone ragioni per sostenere che certi aggruppamenti siano più ni огап di certi altri, ossia che nella natura medesima siano, come a dire, segnate e indicate alcune partizioni e distribuzioni, senza che per altro questo tolga via la continuità asso- luta del tutto. E ciò massimamente nei corpi organici, ciascuno dei quali, sebbene si continui per una parte con quelli da cui è generato e per l'altra con quelli che na- scono da lui, oltre all'incessante commercio che ha coi corpi di fuori vuoi per la respirazione, vuoi per la nutri- zione e per le secrezioni, pure ha una propria unità © B [45] (805) individualità ; il che s' avvera in modo speciale negli orga- nismi animali, massime se d'ordine superiore (!). Dimodoché, se noi consideriamo un organismo in rela- zione ad un altro, questa divisione e questo isolamento, che ci fa risguardar l'uno come causa e l'altro come effetto, non manca d'avere una corrispondenza obbiettiva colla realtà delle cose. E perché dunque dovrebbe la scienza sminuzzare e polverizzare, a dir così, queste unità per risalire in. ogni caso alle trasformazioni de' movimenti ato- mici? Il qual modo di procedere non solamente, per le condizioni del nostro intendimento, renderebbe impossibile la scienza del mondo organico, ma, dato pure che fosse possibile, la deformerebbe e la falserebbe molto più che non facciano quelle divisioni e quella discontinuità, in parte arbitraria, che 1 A assegna alla veduta fenomenica del mondo in opposizione alla veduta scientifica. Perocchè, almeno nell’ ordine degli animali, si smarrirebbe al tutto quell’ unità inscindibile, che è il carattere proprio della vita del senziente. E ci sono ancora alcune osservazioni, che noi vogliamo fare al signor Lalande, le quali mostrano, se non c’ingan- niamo grossamente, che, pur sostenendo un principio giusto, egli è andato in alcuni casi di là dal segno. Noi abbiamo veduto, p. e., com' egli asserisca che il principio di causalità appartenga soltanto al mondo sen- sibile e rappresenti in confuso pei nostri sensi quella con- tinuità e quell’ inerzia, che sono proprie del mondo scien- tifico, in quella guisa che i colori rappresentano imperfet- tamente le ondulazioni dell’ etere e i suoni le vibrazioni della materia ponderabile ». (1) Io credo che le dottrine di coloro che, come 1 Eimer, so» stengono che non esistono nel mondo animale individui e che quelli che si riguardano come tali non sono se non organi d'un gran tutto, siano da relegare fra i sogni. Mai come ora si ricorse al paradossi о alle stramberie per attirare Гогессћіо del pubblico! WL S VI 103 I. Il | | | | | (806) [16] Ora ciò non è punto esatto; il colore e il suono non si può dire che rappresentino quelle ondulazioni e quelle vibrazioni se non metaforicamente e in quel modo che p. e. una sinfonia eseguita dall’ orchestra rappresenta i caratteri musicali della partizione o questi quella. Perocché colori e suoni, guardati in sè, sono fatti assolutamente eterogenei alle ondulazioni e alle vibrazioni, a produrre i quali interviene un fattore straniero del tutto al mondo matematico, che ё la psiche. Anzi, chi non ammettesse verun principio psichico distinto dall'organismo, anche per lui colori e suoni, e così dicasi dell’altre sensazioni, sa- rebbero pur sempre un fatto nuovo, eterogeneo, rispetto alle ondulazioni, alle vibrazioni e a qualsiasi processo mec- canico consistente in movimenti, non meno che lo siano per lo spiritualista. Un altro punto, sul quale pare a me che il sig. La- lande sia caduto in errore, si è là dov'egli, dopo d'avere distinto nettamente i tre mondi o rispetti del mondo, che sono il sensibile, il matematico o scientifico e quello delle cose in só, ci parla poi del mondo fenomenico come se fosse tutt'uno non già col primo ma col secondo. Egli scrive infatti, secondo che s'é veduto, che a voler fare del principio di causalità una legge del mondo fenomenico, gli è come sostenere che i corpi sono colorati quando non c’è chi li veda e sonori quand'anche nessuno li oda. Ora il mondo fenomenico non é punto la stessa cosa col matematico o meccanico o scientifico, che voglia dirsi. Perché i veri fenomeni sono appunto i colori, i suoni e l’altre parvenze sensibili, doveché le ondulazioni dell'etere e tutti que' movimenti impercettibili in cui la scienza risolve i fenomeni sensati, sono argomentati dai fenomeni concepiti e supposti a render ragione di questi, e non fenomeni, essi medesimi. In somma il mondo fatto d'estensione e di movi- mento è un mondo concepito dal pensiero; sebbene, a dir vero, il pensiero anche in codeste sue sottili elucubrazioni non sia spoglio interamente de’ fantasmi creati dalla sensibi- [47] (807) lità, come forse si dà a credere. Che se così non. fosse, non troverebbero tanti increduli le quattro o le » dimensioni dello spazio. Da ultimo osserveremo che se la causalità si riducesse a una pura equivalenza matematica, com’ egli vuole, non solamente la non si potrebbe applicare alle. relazioni tra il mondo fenomenico e la realtà soprassensibile, ossia le cose in sè, ma per la stessa ragione non sarebbe applica- bile nemmeno al mondo fenomenico, che, secondo i placiti della filosofia critica, avrebbe a essere il solo e vero suo campo. Perocchè il mondo fenomenico comprende in sò l’eterogeneo, essendo le percezioni sensate, di che codesto mondo si compone, tra di loro diverse anzi irreducibili, come egli medesimo scrive nel luogo che abbiamo di sopra riportato. Ma lasciando star questo, che potrebbe almeno in parte dipendere dal significato che il nostro A. attribuisce alle voci fenomeno e fenomenico, quello che a me importa di fermare, sul fondamento delle analisi ch’ egli ha fatto del- l'idea di causa.e d'effetto in quanto s’ applicano al con- cetto matematico del mondo, si è questo. Che, data la per- fetta continuità nell’ ordine dei processi cosmici e J’ equi- valenza nelle trasformazioni di questi, quella che si chiama causa non è più vera causa, sibbene veicolo 0 trasmissore della causalità e nulla più. E infatti, se un corpo in moto, incontrandosi in un altro che sia in quiete, gli comunica il proprio movimento e questo daccapo fa il medesimo con un terzo e il terzo con un quarto e cosi via, non è egli evidente che ognuno de’ corpi intermedi non fa che trasmettere al susseguente quello ch'egli ha ricevuto dal precedente ? Senza fallo, se lo sì consideri solamente in riguardo a quello a cui comunica il proprio movimento, noi possiamo chiamarlo causa del moto di questo ; ma poi riportando indietro lo sguardo e ve- dendo che е’ non ha operato quell’ effetto per niuna virtù che fosse in lui, ma sibbene per l’essere esso in movimento, (808) [18] il che fu operato in lui da altro, apparisce chiaro quello ch'io dissi testé delle cause meccaniche in generale, cioè che piuttosto che cause, s' hanno a chiamare veicoli o tras- mettitrici della causalità. E così dovrà dirsi via via di ognuno dei termini precedenti della serie infino al primo. Qnello poi che s'abbia a giudicare del primo è un’ altra questione, la quale ci riporta a quella causalità primigenia, di cui s'ó fatto cenno più sopra, e dal campo delle scienze fisiche e matematiche entra in quello della metafisica. La causa pertanto, dico la vera causa, sarà quella che ha in sè quanto occorre a produrre l'effetto, sarà quella che si designa coll’ aggettivo dinamica. Ma forse nell'idea di causa ci verrà fatto di scoprire, oltre a quello d’ e/fi- саста. о d'energia, un altro ingrediente o almeno un ca- rattere, che quando veggasi appartenere a un agente non ci lasci più dubitare che noi siamo in cospetto d'una vera causa. Intanto io dico che tra gli esseri e i processi che ca- dono sotto la nostra esperienza, un solo ce n'ó al quale si deve indubbiamente applicare il nome di causa e questo è il volere. Il volere, intendiamoci, qual è e si manifesta nell’ uomo ; chè non lo s' avesse a confondere con l'appe- tire, che appartiene anche al bruto, о, come fece lo Scho- penhauer, con la forza in generale. Dove per altro giovi osservare che se lo Schopenhauer ha creduto di dare al termine volontà una così grande estensione, e’ l’ha fatto, per sua stessa confessione, appunto per questo che nella volontà ravvisava il genere più spiccato ed eccellente del- l'energia. Ciò che non ha poca importanza in rispetto alla nostra tesi. So bene del resto quello che taluni mi obbietteranno, cioè a dire che quel difetto d’ iniziativa propria, per cui abbiamo detto che la causa meccanica. поп è veramente causa, ma più presto veicolo della causalità, si riscontra non meno nel volere che in qualsivoglia altro fatto o fe- nomeno dell universo. Perché, diranno, il determinismo [19] (809) universale richiede che anche il fatto del volere sia non più che un resultato degli antecedenti fisiologici e psichici e il non avere noi modo il più delle volte di conoscerli non toglie che non ci abbiano a essere. Al che rispondo: 1° che un cosifatto ragionamento contiene una manifesta petizione di principio, come quello che premettendo la universalità del determinismo, suppone quel medesimo che si voleva dimostrare. Il determinismo si deve riconoscere dappertutto là dove, apparisce indubi- tabile e dimostrato, non già supporlo « priori per cavarne poi la conseguenza che egli deve esserci anche dove non è dimostrato che sia. 2° Che se il fondamento, su cui si appoggiano per ne- gare la libera iniziativa del volere, è il principio di cau- salità, questo argomento perde ogni sua forza quando si riconosca che anzi, togliendo questa prerogativa al volere, | la causalità viene a essere sbandita dal mondo; se è vero quello che col Lalande abbiamo veduto circa la causalità meccanica. Del resto il principio di causalità domanda che per ogni effetto si assegni una causa, non già che ogni cosa sia un effetto. 3` Che l'andar ripetendo, come fanno, su tutti i toni | | che la libertà del volere è un’ illusione, un controsenso, | una teoria sfatata dalla scienza moderna, non toglie che | quella libertà sia un fatto inconcusso e molto più certo che non sia verun pronunziato scientifico. Perocché a suo | favore, lasciando stare tanti altri argomenti diretti e in- | diretti, stanno le due prove più irrepugnabili che si pos- sano avere, voglio dire la testimonianza immediata della J coscienza e l'esigenza morale. La quale ultima, chi non | voglia rinunciare alla dignità d'uomo, ha maggiore evi- denza che non abbia qualsivoglia assioma logico o mate- | matico. D’ altra parte non è questo il luogo da trattare | in disteso siffatto argomento; noi l’ abbiamo fatto, almeno de Ыг... (810) [20] in parte, in altra occasione (') e non, si può né si deve in ogni questione. ripigliar tutto da capo. In ogni caso io potrei dire : per me la libertà del vo- lere è provata e però la presuppongo nella trattazione del tema presente. Chi non l’ accetta faccia conto ch'io non abbia seritto per lui. Tornando alla causalità propria del volere io sostengo che in questo abbiamo e l efficacia e l'iniziativa е quel- l’altro carattere ancora, a cul ho accennato dianzi senza nominarlo. L’ efficacia è manifesta dal momento che all'atto voli- tivo, senza l'intervento di verun altro principio, vediamo tener dietro e i movimenti delle nostre membra e i pro- cessi intimi del pensiero. — Ма і processi de’ centri nervei e la trasmissione ai nervi motori e da questi а” muscoli, li conti tu per nulla? — Li conto sicuro; ma tuttociò fa parte per l'appunto dei movimenti provocati dal volere. — Ma noi non sappiamo come faccia la volontà a pro- vocare quei processi. — Non lo sappiamo ; ma che perciò? Il comando del vo- lere è obbedito e. ciò basta per conchiuderne che il volere è una forza. Anzi, quanto meno ci è dato di poter inten- dere come il comando della volontà trovi la via da farsi obbedire ai nervi, tanto più chiaro apparisce che qui non si tratta di trasformazione e d’equivalenza, sibbene di vera e propria efficacia causale, essendochè l'ordine emanato | dal volere e la esecuzione di esso sono cose nonchè non omogenee, ma neppure paragonabili tra loro. In quanto all'iniziativa ci riportiamo a quello che s'é Y detto quassù intorno alla libertà. Se il volere non è de- | terminato piuttosto ad operare che a non operare, nè ad (4) V. la Memoria: Intorno alla libertà del volere, pubbli- cata negli Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Tomo V, serie VI. [24] (841) operare piuttosto in un modo che in un altro, eppure opera e opera in un dato modo, J’ iniziativa viene da lui del sicuro. Quell’ altro carattere per ultimo, dal quale massima- mente ho detto che la causalità sì fa mauifesta, gli è questo che nella causa sia in certa maniera rappresentato 'e'eon- tenuto l’effetto. La qual eosail più delle volte non si può dire della trasformazione de’ movimenti, se-non per questo rispetto che sono ‘tutti movimenti. Chi infatti può vedere per es. іп un movimento rettilineo di va'e vieni prefor- mato e rappresentato quel movimento rotatorio in cui spesso si trasforma? Ma questo ben si ravvisa пе”. аёо della volontà, nel quale é contenuto e preformato ideal- mente l'effetto che esso produrrà. О che altra guida ha V. gr. il cantante per eseguire una certa melodia, se' non la rappreseritazione fantastica della melodia medesima, che egli si figura quasi la udisse cantare ad altri? E chi vuole saltare ‘un fesso o lanciare una pietra, non ha nell’atto stesso del volere la rappresentazione del salto'o del getto? Del resto sarebbe cosa sciocca a moltiplicare ‘gli esempi, poiché tutti sappiamo che non si può volere niuna cosa che stia in noi d'eseguire, se non ce la figuriamo ‘nell’atto del volerla ; tantochè per taluni il volere non è altro che la viva rappresentazione dell'atto da eseguirsi. Sieché рег ‘questo solo fatto, ‘quand’ anche mancasse ogni altro argomento, il volere si addimostra indubbiamente vera causa, per questo, dico, del contenere in sé prefor- mato idealmente l'effétto. Per questo infatti si vede Tef- fetto ‘uscire "veramente dalla eausa, come ‘ci persuadiamo che i pulcini escono dall’ ovo aprendone taluno prima che Sì rompa e vedendo che ci è dentro un pulcino simile a quelli che già nati corrono per laia; e che la pianta esce dal seme si fa palese àmohe a un bambino, quando aprendo un nocciolo di pesca o "un fagiolo, ci trovi dentro la piu- metta e la radichetta bell'e formate. Da queste considerazioni si ‘deve per nostro avviso con- (812) chiudere che, se c'è al mondo una vera causalità, questa si ritrova nel volere. Con che non intendo già negare che ce ne sia dell’ altre e basterebbe a dimostrarlo quel legame causale che indubbiamente connette gli altri fatti psichici coi fisiologici e questi con quelli, come già s° è accennato più addietro; ma in nessuno di tali fatti è dato scorgere così chiaramente come nel volere, raffrontato alla esecuzione, quel procedere dell’ effetto dalla causa, che è il carattere principale da cui il concetto di questa ri- sulta. E con ciò è risoluto anche il problema circa l’ori- gine psicologica dell'idea di causa e spiegata la genesi dei miti, avendo l’uomo primitivo, dovunque avvertiva un ef- fetto, supposto come causa un volere personale. E qui avrei finito se non mi paresse opportuno di ca- vare da questo principio un corollario della più alta im- portanza. Se la volontà, non solamente 51 dimostra vera causa, ma è causa, a dir così, x&:' ёЁоуту, eppure, in quanto attività dell’uomo è finita e dipendente e perciò causa seconda, che cosa s’ avrà a dire della causa vera- mente prima ? Perocché d'altra parte una causa prima converrà pure convenire che la ci sia per qualunque serie e ordine di fatti; e quello che s'è detto delle cause meccaniche, che di necessità mettono capo a una che è fuori della loro serie, si dovrà dire non meno delle dinamiche. Sicché, ripeto, che cosa diremo della causa prima ? Anzi tutto, se c'è cosa che meriti il nome di causa, sarà questa senza fallo; poi la dovremo mettere con pari certezza tra le cause dinamiche, essendosi veduto che le meccaniche non sono se non termini intermedi, i quali trasmettono la causalità più di quello che ne siano essi medesimi il subbietto e la fonte; finalmente — e questa è la importantissima conseguenza a cui dianzi accennavo — ella non puó essere che una volontà. Né già potrebbe ossere una volontà cieca, inconscia, irrazionale (come sognarono lo Schopenhauer e lo Hartmann), essendochè [23] (818) un volere disgiunto dall’ intelligenza non è più volere ma impulso, tendenza fatale, forza bruta. Il che era stato ben compreso fin da Aristotele, il quale stava in dubbio se la volontà 5’ avesse a chiamare intelletto appetitivo о appetito intellettivo. Nel volere concorrono tre dei quattro generi di causa che il medesimo Aristotele soleva distinguere ; egli è causa efficiente, perchè energia operativa, è causa finale, perchè opera in vista del fine che s'è proposto, per ultimo è causa formale perchè contiene in sè idealmente preformato l effetto. Si faccia ora l'applicazione di questo concetto alla causa prima; vedremo uscirne indubbiamente l’idea d'un Dio personale e della creazione. T. IJ, S. VII 104 Prezzo della Dispensa Fogli 11 ad Italiani Cent. 42 Yy RE 200 AILL DEL REALE ` ISTITUITO VENETO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI | (TOMO XXXVIII) SERIE SETTIMA — TOMO SECONDO DISPENSA OTTAVA VENEZIA PRESSO LA SEGRETERIA DELL'ISTITUTO NEL PALAZZO DUCALE TIP. DI G. ANTONELLI эү 1890-91 E Pubbl. il 42 Luglio 1904, INDICE Alto verbale dell’ adunanza ordinaria del giorno 24 mano GEO a e a DA 845 Lavori letti per la pubblicazione negli Atti. Р. А. Saccarpo, m. e. — Intorno ad un microscopio | di Eustachio Divini, conservato nel Museo di | fisica: dell Università di Padova. Notizie . . > 847 R. PExzo. — Sul ganglio genicolato e sui nervi che gli sono connessi. Ricerche anatomiche. Con- mirine о Аи С. CIPOLLA, в. с. — Appunti sulla storia d’ Asti, dalla saduta dell’ Impero romano sino al principio qe X dear QS оа Tua cR дй Elenco dei Libri e delle Opere periodiche, pervenute dal 5 agosto 1890 a tutto 22 febbraio 1891 » crxix ANNO 1890-91 DISPENSA. VIII. ADUNANZA ORDINARIA DEL GIORNO A1 GIUGNO 1991 PRESIDENZA DEL PROF. CAV. GIULIO ANDREA PIRONA PRESIDENTE. Sono presenti 1 membri effettivi: De Berra vicepresidente, Turazza, DE Zieno, PAZIENTI, LAMPERTICO, MESSEDAGLIA, Мімісн, De Leva, VrnAooviou, FAMBRI, LORENZONI, TROIS, CANESTRINI, E. BERNARDI, Mons. J. BERNARDI, DELTRAME, Favaro, ToLomri, GLORIA, MARINELLI, DE (GIOVANNI, OmBONI, BELLATI, KELLER, DEODATI, BONATELLI, STEFANI, Sprca, DERCHET; nonché i soci corrispondenti: MARTINI, VERONESE, OccioNI-BOoNAFFONS, Cassani e MAZZONI. Vengono pure giustificati gli assenti membri effet- tivi: Viana vicesegretario, FRESCHI, ROSSI, e SACCARDO. Essendo vacante il posto di Segretario e mancando il Vicesegretario, il m. e. A. Favaro è invitato dal Presi- dente a voler fungere da Segretario. Viene letto il Processo Vérbale dell’ ultima ordinaria adunanza, ch’ è approvato coll’ aggiunta, a richiesta del Presidente, che ai funerali del compianto Segretario (7. Bizio intervenne anche il membro effettivo e cessato Pre- sidente G. P. Vlacovich. Pubbl. il 12 luglio 1891, 105 816 Si da comunicazione dell’ elenco dei libri pervenuti in dono all’ Istituto dopo l'ultima adunanza, fra i quali si fa speciale menzione delle 5 pubblicazioni donate dall’ avv. F. Contuzzi professore di diritto nella К. Università di Napoli, nonchè del I volume delle Note storiche risguar- danti i1 Monte dei Paschi di Siena, e infine dell' Opera in 2 volumi « Sul bello nel vero» del s. с. prof.. Augusto Conti. Poscia il membro effettivo P. Fabri dà lettura della sua Memoria, col titolo: « Quanto vi sia e possa esservi d' assoluto e quanto di relativo nel concetto dell'onore»; ed il socio prof. G. Veronese presenta una Nota del dott. Guido Castelnuovo, intitolata: « Ricerche di geometria della retta nello spazio a quattro dimensioni ». Da ultimo, a termini dell’articolo 8.° del Regolamento interno, il sig. prof. E. Callegari è ammesso a leggere una sua Nota, col titolo : « Nerone e la sua Corte nella storia e nell arte. » Esaurito così l’ordine del giorno dell’adunanza pubblica, l’Istituto si è raccolto in adunanza segreta, nella quale si diede annunzio della nomina, partecipata dal Sindaco di Venezia, del conte Antonio Dona dalle Rose a Curatore della Fondazione Balbi-Valier, e si diede comunicazione del Conto Consuntivo per l'anno 1890, della Fondazione stessa. INTORNO AD UN MICROSCOPIO DI EUSTACHIO DIVINI CONSERVATO NEL MUSEO DI FISICA DELL:UNIVERSITAÀ DI PADOVA: NOTIZIE DEL M. E. P. A. SACCARDO Dalla cortese amicizia del chiarissimo direttore di que- sto antico e prezioso Museo, il prof. Manfredo Nob. Bellati, ebbi l' agio di esaminare i vecchi microscopî che vi si con- Servano e che insieme a moltissimi stromenti fisici де] secolo scorso e qualcuno del secolo XVII costituiscono un Importante documento per la storia della scienza. Tralasciando di parlare di 3 modelli di microscopio composto piuttosto rozzi, in legno e cartone, senza autore e senza data, che probabilmente risalgono ai primi anni del 1700 (!); di un altro pure anonimo, in osso e metallo, forse del Campani (°); nonché di un microscopio semplice (1) Sono sul tipo di quelli descritti e figurati dallo Zahn Ocu- lus artif, IL ed., 1709, pag. 87 e 588. (2) È sul tipo di quello”di G. Campani, ehe si vede figurato nellà tavola in rame annessa АШ opuscolo intitolato. Nuove inven- tioni di tubi ottici, Roma, Komarek, 1686. A quest'ultimo è simi- (818) [2] finamente lavorato e che quasi senza dubbio va attribuito all’ artefice Cuff di Londra e all’ epoca 1750-1760 ('); mi parve degno e quasi doveroso di brevemente illustrare uno dei primi e più notevoli modelli di microscopio com- posto uscito dalle mani del celebre ottico Eustachio Divini in Roma, modello veramente autentico, portante sopra l’ anello o fascia d’ ottone, che lo regge, incisa la scritta Eustachio Divini in Roma 1671. Mi parve, dissi, degno e doveroso illustrare questo istromento e rendere il dovuto onore al suo autore, in quanto che nella ricca letteratura sulla storia del micro- scopio che consultai (*) detto istromento non si trova che molto imperfettamente descritto e punto figurato, come vedremo. Premetto un cenno biografico sull’ ottico valente. Eu- stachio Divini nacque di nobile casato in S. Severino nella lissimo pure quello attribuito a G. A. ‘Portoni (non Tortona) dal- Harting Das. Mikrosk. HI p. 107 c. fig. Due microscopi che si conservano nel Museo degli strumenti antichi di fisica nell Isti- tuto sup. di Firenze, attribuiti senza fondamento al Galilei e dei quali vidi una fotografia favoritami dal prof. Favaro, somigliano piuttosto a quelli lavorati dal Campani e dal Tortoni. (1) Questo microscopio fa parte. del nostro Museo di, Fisica fino dal 25 sett. 1767, come risulta dall inventario Ms. del prof. Colombo, ivi esistente. Il Gulf era valente ottico in Fleetstreet a Londra ed il suo microscopico semplice (similissimo a quello del nostro Museo) trovasi esattamente illustrato nella tavola ultima del bellissimo Essay towards а Nat. History of the Corallines by John Ellis. Lond. 1755. Ved. anche Harting. Das Mikrosk. 111, p. 55-50. (2) L'elenco dei libri che sulla storia del microscopio consul- tai, trovasi in fine della mia memoria Sull'invenzione del miero- scopio composlo, Genova 1891. [8 | (819) Marca d'Ancona nel 1610 (*) e mori, assai probabilmente in Roma, nel 1695. (*) Fu eccellente fabbricatore di telescopi a 4 lenti e gareggiò con G. Campani, altro artefice ro- mano valentissimo, che costruiva gli stromenti, per quei tempi assai poderosi, coi quali il Cassini fece in Bologna importanti scoperte astronomiche. Fu il Divini inventore di un nuovo sistema di oculari a due lenti piano-convesse toccantisi al centro delle con- vessità (°). Fino dal 1668 perfezionò il microscopio com- posto (!), anzi, lo si può affermare, fu il primo a dare in (1) La Nouvelle Biogr. générale, vol. XIV p. 334, del pari che il Dizion. storico di Bassano, assegnano come anno di nascita del Divini il 1620, ma l’ amicissimo di lui С. A. Manzini. nell opera L’ occhiale all'occhio, Bologna, 1669, ne dà il ritratto in fine della prefazione con questa iscrizione « Eustachio Divini da S. Severino » nella Marca Anconitana, di anni 49, giudicato da scientifici del- » l’arte il primo che fin hora habbia perfettamente praticato il fab- ? bricare occhialoni e però degno di perpetua memoria, 1659 luglio »а di 30.» Se adunque nel 1659 aveva 49 anni, dovette nascere nel 1610. (2) Vedi Vecchietti, Bibl. ‘Picena. Osimo t. lvi» 1296: pito. Altre indicazioni biografiche sul Divini si trovano. nelle Opere: V. Santini, Picenorum Mathein. elogia. Macerata 1779 p. 32; Gen- tili, Elogio storico di B. Eustachio e memorie di E. Divini. Anche il Tiraboschi, 8/0». della Letter. ital. VIII р. 128, discusse con una certa larghezza del Divini. Debbo ringraziare il ch. prof. comm. nob. A. Favaro per avermi gentilmente comunicato parecchi importanti dati bibliografici sul nostro ottico. (3) Il Fabri nella sua Synopsis optica, Lugd. 1667, illustra questa scoperta del Divini nella Prop. XLVI. (4) La fama che il Divini si era acquistata nella fabbricazione dei suoi stromenti ottici si può dedurre dalle parole di Emanuele Maignan nella sua Perspectiva. et Dioptrica horaria, riportate da P. Borel De Vero Teleso. inv. Mags * Сот. 1655, ТІ pag. 9: (à M — — sere (820) [4] Italia uno stromento relativamente perfetto, che posto fra le mani e sotto gli occhi di un. Malpighi ('), di un Redi (?) e di altri sommi, contribui potentemente all'avan- zamento vero, perchè sperimentale, della storia naturale. Fece anche parecchie osservazioni astronomiche, ma nella confutazione che volle fare contro l Huygens sul sistema di Saturno e nella quale fu soccombente, ei non » Tubi optici conficiendi ars mirabilis, in Belgio orta est, Floren- » tie educata est a Galileo et Neapoli a Fontana, ac iterum Flo- » rentice a Torricellio cülta, nunc Rome felicius ab Eustachio Di- » vini, divina manu excolitur. » (4);In un opuscolo intitolato: Lettera scritta e dedicata: da Carlo Antonio Tortoni all’ ill,mo рер.то e dott.no Sig... D. Giro- lamo Ambrogio de Langmantel, nella quale si accennano le prerogative del Microscopio ete. Roma, Komarek, 1686, a pag. 10 si legge: « Vero è che l eruditissimo Rhedi nel trattato dei vi- » venti nei viventi ha posto diverse figure in carta . . . . come » anche l'ingegnosissimo Malpichi (sic) ehe tratta dell’ Anatomia » delle piante si servi di alcuni piccoli cristalli fatti dal sig. E. » Divini, i di cui ordegni, dove furono fatti, hebbi in mie proprie » mani dal med. .Divini, poco prima che partisse da Roma, quali » erano diverse lenti ligate nelle sue bussoline a guisa delle pri- » me antiche figure col suo manubrio di quelli microscopii che » descrive Filarete. » Da queste linee emerge veramente che il Malpighi e il Redi adoperavano gli stromenti del Divini. Dell'o- puscolo ora citato e dell'altro ricordato alla nota 2, p. 1, ora raris- simi, consultai l'esemplare che si conserva nella Biblioteca Estense di Modena. (2) Un’ altra prova che il Redi si servisse utilmente dei mi- croscopi di Divini J’ abbiamo nelle parole stesse del Redi ( Opusc. di Stor. nat., Firenze 1858, pag. 202. « E perchè possiate con- » ghietturare le proporzioni delle grandezze di queste bestiolucce, » quando F ho fatte disegnare mi sono servito sempre d’ uno stesso » microscopio di tre vetri, lavorato in Roma da Eustachio Divini » con lodevole e delicata squisitezza. [5] (821) fece che prestare il proprio nome al padre gesuita Fabri (!). Pubblicó pochi e poco importanti lavori (?). Ed ora torniamo allo stromento del Museo Padovano di Fisica. Ma prima di descriverlo, esporró tutte le vecchie no- tizie che sui microscopi del Divini mi venne fatto di rac- cogliere. E prima di tutto riproduco un'interessante relazione comparsa nel N. IV del Giornale dei Letterati sotto la data 98 Aprile 1668, Bologna, tip. Recaldini. (1) Riporto una nota di C. Livi, dagli Opuscoli di Redi p. 909, su questa controversia: « Dei suoi (del Divini) telescopii lunghi 72 palmi romani, giovossi moltissimo il granduca Ferdi- » fino » nando, che gli regalò una gran collana d'oro con medaglione » appeso. Dolcezza fu di buono e di semplice uomo, direbbe il » Redi, far da prestanome al Fabri nelle sue contese coll’ Huygens. » Ma levar la castagna dal fuoco con le altrui mani fu arte vec- » chia dei Reverendi: in quel caso però la gatta era troppo co- » nosciuta e vi lasciò li ugnelli. » Vedi anche Heller Geschichte der Physik, Stuttgart 1884, II, р. 244. (2) 1. Brevis Annotatio in systema Saturnium Christiani Ilugenii ad Sereniss. Principem Leopoldum Magni Ducis. He- truriœ Fratrem una cum Christiani Hugenii Responso ad eundem Seren. Principem, Hage Comit. 1660. 4." ( lavoro tutto o quasi tutto del Fabri, come fu detto). II. Lettera di Eustachio Divini all’ illustr. Sig. Conte Carl Antonio Manzini. Si ragguaglia di un nuovo lavoro e componimento di lenti che Servono a oechialoni semplici o composti. Roma per Giac. Dragon- delli, 1003, 0 ПІ. Lettera di Eustachio Divini con altra del P. Egidio Francesco Gottignies intorno alle macchie nuova- mente scoperte nel mese di luglio 1665 con i suoi Cannocchiali nel pianeta Giove. Roma, per Giac. Dragondelli, 1663, 8.0 ی | 93 (822) [6] « Osservazione di un animaletto. — I canocchiali, » & altri stromenti da vista, ritrovati nel principio di » questo secolo, sempre più andarono crescendo in per- » fettione, e grandezza: principalmente in Roma coll in- » dustria del sig. Eustachio Divini, che li migliorò con la » finezza del lavoro, e con nuove combinationi di vetri. » Ha egli fatto un Microscopio, alto due palmi Romani » (circa 45 cm.) con le lenti duplicate, e rovesciate di » sua inventione (riferita nel secondo nostro Giornale) » cioè in vece di lente oculare v'ha posti due vetri con- » vessi da una parte, e piani dall’ altra, in modo che am- » bedue si tocchino nel colmo della loro superficie con- » vessa. Соп questa inventione si vede il Campo apparente » piano, e non curvato, come fanno gli altri Microscopi » composti di lenti ordinarie. » Si adopera questo Microscopio in 4 longhezze, o po- » siture, e secondo la proportione nella quale il campo | » veduto comparisce all’ occhio libero, viene l'ingrandi- » mento qui sotto, calcolato dal P. Gottignies Matem. del » Collegio Romano. » Nella prima o minor grandezza, appariscono le linee | » 41, le superficie 1681, li corpi 68921 volte più grandi, | » che all’ occhio libero. | | » Nella seconda larghezza appariscono le linee 90, le | » superficie 8100, li corpi 729000 volte piü grandi. » Nella terza larghezza appariscono le linee 111, le » superficie 12321, li corpi 1267631 volte più grandi. » Nella quarta appariscono le linee 143, le superficie » 20449, li corpi 2924207 volte più grandi. | » In oltre nella prima longhezza il Diametro del Campo | | » apparente è oncie 12 '|„ del Palmo Romano, nella зе- | 0 » conda oncie 18, nella terza 21, e nella quarta 23. | M » Mentre con questo microscopio si osservano certi || » granellini di arena, passato per sedaccio, comparve а [7] (823) » caso un animaletto di molti piedi, col dorso bianco e > squamoso; ma cosi piccolo che alcuni degli spettatori » lo chiamarono l’ Atomo de Sensitivi. Imperocchè i gra- » nellini d'arena crescevano col microscopio alla gran- » dezza di una noce ordinaria, & egli non appariva piü » grande di quel che fosse all'occhio nudo uno. di que’ > medesimi granellini. Ogn’ uno argomenti la picciolezza > di questo animale, alla quale facendo sode riflessioni, » può essere che non disprezzi molte, opinioni de’ Filosofi » moderni: stimate false, perchè non si concepisce la » sottigliezza, con cui la Natura fa i suoi lavori. » Ha fabbricato il medesimo Sig. Eustachio un Canoc- » chiale di 93 palmi col quale si spera di fare nuovi sco- » primenti nel Cielo, 0 assicurarsi meglio de’ già fatti, » ma non per anco evidenti. » Questo microscopio alto, come ora abbiamo veduto, cirea 45 cm. e riducibile a quattro altezze, è assai pro- babilmente un modello simile a quello di cui ci occupiamo. Anche il Birch nell’ History of the royal Society of London, IV vol, 1757, p. 313 (') descrive brevemente un microscopio del Divini, che però è certamente diverso dal precedente. Dice il Birch infatti che aveva l’ oculare del diametro d'una mano ed il tubo del diametro d'una coscia; una cosa enorme, se vera. In un opuscolo rarissimo intitolato Nuove inventioni di tubi ottici dimostrate nell’ Accademia fisico-matema- tica Romana l’anno 1680, firmato Carlo di Napoli Dottor dell una e dell’ altra legge e Prosegretario, Roma, Ko- marek, MDOLXXXVI, si legge a pag. 3, una breve descri- zione e si vede nella tav. Il f. 6 una immagine d' un mi- eroscopio che ricorda assai quello che è arrivato ino a (1) Non potei vedere l opera del Birch: trassi il sunto dal- V Harting, Das Milirosk. Ш p.1100. TONS v 106 (824) [8] noi dal Divini. Non vi è il nome di пе!" осо, ma co- noscendosi la rivalità e l'invidia onde questi era fatto segno in Roma, sopra tutto da parte degli altri ottici più giovani Campani e Tortoni, la. omissione del nome è spie- gabile facilmente. Da questa figura però il microscopio Divini differisce: 1." pel movimento del tubo inferiore a vite come vedremo, e non a sfregamento entro un anello di ottone fesso e quindi elastico (modificazione questa intro- : dotta, secondo il citato opuscolo, da un certo signor Hom- berg gentiluomo indiano); 2.° per constare di 4 e non di 3 tubi allungabili e, 3.9, finalmente, per esser fornito d’un sistema di porta-oggetti, mancante affatto nella figura citata. Ed ora finalmente vengo a descrivere lo strumento del Museo fisico di Padova. Benché sia indubbiamente il piü antico fra i microscopi ivi conservati, non fu possibile trovarlo registrato nei vecchi inventarî del Museo, com- pilati dal Colombo (1764), dal Poleni (1769), dallo Stratico (1778) e solo dal п." 552, сре porta attaccato, si riconosce con certezza che faceva parte della raccolta fino dagli anni 1841-1843, come risulta dall'inventario Belli di quell'epoca. Donde, come e quando codesto raro istromento sia per- venuto nel gabinetto, dove ora si conserva, é finora del tutto ignorato. Consta di 4 tubi scorrenti a sfregamento, uno entro l’altro, di grosso cartone assai esattamente sagomato, rivestito all’esterno di pergamena colorita in verde ed arabescata in oro. Ogni tubo ha segnato in oro i punti dei diversi ingrandimenti (Ij Hj HI, 1V); Il tubo maggiore ha un diametro di 8 cm. Quando i 4 tubi sono accorciati al massimo, la lunghezza totale dall’ oculare all’ obbiettivo è di cent. 36.5. Se i quattro tubi si allungano fino al segno I si ha lunghezza di 41 ст. ; se si allungano fino al segno II la lunghezza riesce di 49 em.; se si allungano fino al segno III, questa rag- giunge i 54 em. e finalmente se si allungano fino al [9] (825) segno IV si ha una totale lunghezza di cm. 56.5. Il tubo inferiore porta nella metà più bassa ed esternamente una larga spira piana e un po' sporgente, in cartone, vestita di pergamena ed entra girando in un corrispondente sol- co spirale scolpito entro un anello di cartone rinchiuso in una fascia di ottone, sulla quale sta incisa la scritta già ricordata. Detta fascia è sorretta da tre piedi diver- genti, pure di ottone, lunghi 15 cm. Il sistema obbiettivo è formato di un tubo dQ’ ottone lungo em. 5,5 e del diametro esterno di cm. 2,5, alle- sterno del quale è fissata la lente obbiettiva mediante una calottina d’ ottone bucata, la quale si ferma a vite sul tubo. Questa lente è di vetro bianchissimo, biconvessa, erosa un po' al margine, del diam. di 8 mm. e grossa nel centro 2 mm. Il foro nelle calotta, per cui passa l'im- magine, è di mm. 1,5. Intorno al tubo di ottone ora de- scritto è scolpita una fitta spirale, sulla quale scorre un altro tubo porta-oggetti, pure di ottone, alla base del quale per due fessi laterali entrano le targhette o pia- strine cogli oggetti, che rimangono ferme mediante una molla elastica. Girando il tubo portaggetti si ottiene la più esatta posizione in fuoco. E probabile che (mancando allora lo specchio riflettore) per vedere per trarparenza gli oggetti bene illuminati si collocasse il microscopio in posizioni orizzontale contro la luce viva o contro una fiamma. Si poteva anche levare il tubo porta-oggetti e allora gli oggetti si mettevano in un piattino sotto l’ obbiettivo e venivano rischiarati diret- tamente dalla luce solare, come apparisce da parecchie figure di quel tempo. Il sistema oculare è fornito di una grossa e grande lente di vetro bianco-gialliccio, biconvessa, del diam. di 6 cm. e grossa nel centro 5 mm. È incluso in due anelli di legno vitati assieme assai esattamente, i quali entrano nel L^ tubo del microscopio. Alla parte somma di questo evvi un anello in legno con un foro nel mezzo di 23 mm. (826) [16] di diam.. accuratamente sagomato, sul quale a vite gira un coperchio di legno. Vi manca il sistema oculare spe- ciale del Divini, costituito come fu detto, dalle due lenti piano-convesse toccantisi colle convessità, ma l'imbocca- tura dello strumento è tale, che ammette la possibilità, anzi la probabilità che vi fosse — e che sia andato smar- rito — nel quale caso la lente dianzi descritta andrebbe considerata come lente di campo. Il fatto è che, anche senza quest’ oculare speciale, si ottiene colla sola lente di campo una visione ingrandita dell'oggetto relativamente buona, sopra tutto allontanando alquanto l'occhio dal foro, ossia dalla lente; ma se vi si aggiunge — come esperimentai — о una lente biconvessa o il sistema Di- viniano, l’ ingrandimento si ottiene più netto e maggiore. Gli ingrandimenti conseguiti oscillavano, a seconda delle lunghezze del tubo, fra 50 e 150 diametri, tali da giustificare i risultati importantissimi ottenuti nelle ricer- che naturali dal Redi e dal Malpighi. Nel Museo fisico pa- dovano si conservano presso i vecchi microscopi le tar- ghette o lastrine dei preparati, che allora si adoperavano ; sono di legno о di osso con più buchi rotondi allineati, nei quali fra due laminette di mica o di vetro stanno eli oggetti minuti. Questi, benché vecchi o alterati, si possono ancora riconoscere e sono capelli, pulci, uova e squame d’ insetti, piccole alghe ecc. [11] (827) SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Vi si vede il microscopio del Divini (ridotto ad t|; circa), intero, coi tubi collocati al segno П. La targhetta dei preparati è a suo posto. Si vede pure un frammento, un pò ingrandito, del microscopio allo scopo di far vedere meglio la seritta dell artefice, scolpita sull’ anello di ottone. SUL GANGLIO GENICOLATO I9 UT NERVI CHE GLI SONO CONNESSI. n Ricerche anatomiche DEL Dott. RODOLFO PENZO (Continuaz, della pag. 615 di questo tomo) iS 9) N. facciale. - Corda del timpano. Riguardo al legame fra il ganglio genicolato e il tronco periferico del facciale, nel tratto susseguente al ganglio anzidetto, le mie osservazioni mi pongono in grado di affermare: che dall'angolo anteriore del ganglio esce co- Stantemente un fascio relativamente grosso di fibre ner- vose, che si continuano perifericamente nel facciale. f Fatta eccezione per un fascetto, di cui dirò ben tosto, | esse lo accompagnano certamente almeno fino alla sua | | uscita dal temporale, che rappresenta il punto estremo | del suo cammino compreso nelle mie ricerche. | L’ eccezione accennata riguarda un fascetto, che mi i | Ж | riusci di veder penetrare nella corda del timpano. | 3 | (830) | [50] Nel tratto che sta fra l'angolo anteriore del ganglio genicolato e il punto in cui la corda del timpano si stacca dal tronco del facciale, vi ha ricambio frequente di fibre fra, questo nervo ed 1l fascetto poc'anzi menzionato. l'evó ‘notare inoltre, ‘che là ove la corda si stacca dal faeciale, havvi non poca difficoltà per determinare, stante l’incrociamento che avviene colà fra il facciale ed il ramo auricolare del vago, quali sieno veramente i fascetti nervosi che passano dal facciale alla corda. La difficoltà dipende dall’ essere avvolti tutti e tre (facciale, n. auri- colare del vago e corda del timpano) entro una robusta guaina di congiuntivo, la quale in questo punto diventa più grossa. Ho potuto tuttavia riconoscere, che la grossezza della corda del timpano supera quella del fascetto proveniente (come ne ho fatto menzione рос’ anzi) dall’ angolo ante- riore del ganglio genicolato ('); il che significa (essendo inverosimile che questa differenza dipenda da un aumento in grossezza delle fibre nervose), che la corda riceve fibre anche da qualche altra parte. Nell'uomo non mi fu possibile rinvenire l'origine di questo secondo gruppo di fibre costituenti la corda; mi (4) Forse una parte delle fibre costituenti questo fascetto, che passa nella corda del timpano, si origina dalle cellule ganglionari del genicolato, conformemente a quanto pensa il His (jun.) (p. 16): il quale è d avviso, che la corda prenda origine dal ganglio in discorso (che cioè cellule nervose del ganglio sieno' interposte nol corso dells fibre, che formano la corda). Questa sua affermazione si con- forma alla dottrina del His (sen.), sulle origini delle fibre sensi- tive. E poche vi sono cellule nervose e nell’acustico e nel facciale stesso nel corso delle loro radici esterne; non contradirebbe a quella dottrina il supporre, che fibre sensitive (gustative o no) pro- vengano da un luogo più centrale che non sia quello ove ha sede il ganglio genicolato. (513 (831) riusci al contrario abbastanza facilmente di rinvenirle nél cavallo e nel gatto. L'esame microscopico delle fibre nervose appartenenti al VII ed all' VIII pajo mi diede risultati, che passo ad esporre brevemente : a) Nellanalisi microscopica del n. cocleare, osservai che a buona parte delle sue fibre sono proprii alcuni saratteri istologici, diversi da quelli che si offrono d’ ordi- nario negli altri nervi. Infatti, in tagli trasversali dell' acustico, potei vedere nella sua branca cocleare fibre sottilissime ; e nella vesti- bolare, la presenza di un reticolo, i cui filamenti dotati di nuclei grossi e spiccati, circoscrivevano areole tondeg- gianti, occupate da una sostanza che rinfrangeva forte- mente la luce, e che non si colorava nó con le soluzioni di carminio, nè con l'ematossilina del FLEMMING. L'osservazione di tagli longitudinali confermó, per la branca cocleare, la presenza di fibre nervose assai sottili e col caratteri delle fibre pallide. Nella vestibolare vidi immagini del tutto corrispondenti a quelle osservate nei tagli trasversali. L’ ERLITZKY riconobbe pure l'estrema sottiglienza delle fibre nervose della branca cocleare dell’ acustico, fatto confermato in seguito dalle osservazioni del HORBASCEWSKY. П primo di questi due osservatori ritenne siffatta sot- tigliezza come un carattere proprio alle fibre della branca cocleare ; carattere che le distingue da quelle della vesti- bolare. A suo dire, i cilindrassi di una parte delle fibre spet- tanti alla branca cocleare non si colorano colle soluzioni d carminio (1), mancano di nuclei e degli anelli di (1) La differenza qui accennata fra aleune fibre del ramo co- cleare ed altre dello stesso nervo si collega forse col fatto, che una parte del n. cocleare, anzichè alla chiocciola, si distribuisce alla ТОП, s VIE 107 | | | | 52 (852) strozzamento del RANVIER ; ma possiedono invece, lungo il loro decorso, rigonfiamenti di varia forma. Le fibre del ramo vestibolare, secondo lo stesso Autore, mostrano invece grosse guaine midollari e grossi cilin- drassi; e, lungo il loro decorso, si presentano isole di sostanza nervosa grigia, costituite da un reticolo di con- giuntivo contenente fibre nervose, cellule ganglionari e nuclei. Da queste isole nascerebbero fibre destinate al n. del WmnisBERG. A me non riusci di constatare interamente quanto fu osservato in proposito dall’ ErLITZKY ; forse. perchè le mie ricerche su questo argomento furono poche, e non variate a sufficienza. Si potrebbe quindi affermare, che la nomen- clatura da lungo tempo invalsa nell'uso, di applicare il titolo di « portio dura » al VII pajo, e quello di « portio mollis» all VIII, torna bene appropriata, in quanto espri- me una differenza nel grado di consistenza fra il facciale e quella parte almeno dell’ acustico, ch'è rappresentata dai fascetti del n. cocleare destinati alla chiocciola ; dif- erenza che sta in relazione coll'accennata proprietà isto- logica dei fascetti qui menzionati del n. cocleare. 8) Nella porzione grossa del facciale trovai fibre ner- vose midollari di varia grossezza, misuravano dad LTR nel loro diametro. Le fibre grosse sono senza confronto più numerose delle sottili. Non ho mai veduto in questo nervo cellule nervose, come le descrisse il VARAGLIA; non posso però negarne l’esistenza, non avendo fatte insistenti ricerche speciali per rinvenirle. y) Nell’ intermediario, le fibre midollari variano in grossezza da 4.6 a 12.5 u di diametro. macchia acustica del sacchetto rotondo ed all’ ampolla del canale semicircolare posteriore. 53] (838) 2) Il petroso superficiale maggiore presenta fibre simili per grossezza a quelle dell’intermediario, misurando esse da 5.8 а 1.7 р nel loro diametro. e) Nella porzione periferica del VII, dominano fibre grosse da 7.8 a 8.4 p; per quelle di diametro maggiore si và da 11.2 a 15 p. т) Nella corda del timpano, il diametro delle fibre più grosse sta fra 7 e 13.3 р; quello delle più sottili fre 3.2 e 5.6 и. Queste ultime sono senza confronto più numerose delle prime. B) Oxvauno (4) (Tav. II.*, fig. 1-2). 1) N. Inte»vmedzarzo.- Anastomosi fra il ICARO LD Il nervo intermediario del cavallo è relativamente alquanto grosso. Esso è costituito da alcuni (5-7) fasci nervosi, che nascono dal midollo allungato nell’ interstizio. compreso fra la grande radice del facciale e quella del VIII PaO М. ipe ШӨ @ mo» Questi fasci formano quasi due gruppi di radici; l'uno dei quali si origina in. un punto più basso o ventrale dell’ interstizio anzidetto, l’altro in un punto poco più alto о dorsale. l| gruppo delle radici che spuntano verso la parte ventrale dell'interstizio, (fig. 1 e 2 wr,,), giace più vicino al VII; ed é- formato da due fascettini, l'uno (1) Esaminai tre esemplari di questa specie, trovando sempre un identica disposizione anatomica delle. parti che. interessano il mio studio. (834) {И posteriore, l'altro anteriore. — Il primo (ibid.) manda durante il suo cammino un’ esilissimo ramoscello alla branca vestibolare (') (fig. 1, m) contribuendo a for- mare in tal modo l'anastomosi mediale fra il VII e ГУШ, di cui dirò più oltre. Il resto del primo fascettino si uni- sce in parte all'intumescenza ganglionare, che giace alla concavità del ginocchio ; in parte, passando sotto alle fibre del VII, od anche fra i fascetti di questo, si porta alla base del ganglio genicolato. — L'altro fascettino, Il’ an- teriore (fig. 1, 1/4) non dà rami all’ УШ; e ‘per il resto, si comporta analogamente al precedente, mettendo capo cioò alla base dell'intumescenza ganglionare annessa al ginocchio del facciale. L'altro gruppo di radici dell’ intermediario, che si origina verso la parte dorsale del l'interstizio fra quelle del VII e dell’ УШ pajo, è più grosso del precedente ; e s'avvia diritto verso la parte concava del ginocchio, eccettuati due o tre filamenti, che passano al tronco del- l'acustico, quali rami di anastomosi mediale. (fig. 2, 10; , 5,6) I fascetti di questo gruppo procedono lungo il ironco del VII, senza dargli nessun ramo, fino al punto ove il (4) Se il ramoscello procedesse dall’ intermediario al n. vesti- bolare, sarebbe da ritenerlo qual ramo nervoso vascolare; se al contrario fosse diretto: dal secondo al primo, si potrebbe crederlo d’ indole puramente sensitiva. Questa opinione non sarebbe punto strana, visto il risultato degli esperimenti fisiologici sull’ufficio dei canali semicircolari. — Infatti P energia del ramo vestibolare sem- bra ben diversa. dall'energia specifica delle fibre del ramo cocleare, destinate a trasmettere le impressioni veramente acustiche. Quindi risulta ammissibile, che il ramoscello anzidetto sia d’indole sensi- tiva, ma ben diversa da quella ch’ è specifica rispetto all’ udito. (Sappiamo ehe il nucleo centrale del r. vestibolare è diverso Ча quello del r. cocleare; ma le fibre dell’ uno si associano. a quelle dell’ altro nel loro decorso verso la periferia). [55] (835) facciale si piega a ginocchio, e si divide in due porzioni, luna superiore, l'altra inferiore. Fra esse rimane una fessura orizzontale, traverso alla quale passano i fascetti dell’ intermediario, che vanno alla convessità ganglionare del ginocchio (fig. 2, er a 5,6)» come pure il filamento dell’anastomosi laterale, di cui farò menzione fra poco. Sollevando qui i fascetti del facciale, che formano 1а parete superiore della fessura descritta, apparisce mani- festa la divisione del ganglio genicolato (fig. 1 e 2, у) in due gruppi di cellule ganglionari, come si è detto in pre- cedenza. Dei fascetti dell'intermediario appartenenti al gruppo stesso poc'anzi menzionato, alcuni (fig. 2 Л) si uniscono ad un fascio, che, come nell’ uomo, esce dall'angolo an- teriore del ganglio, e procede ulteriormente in parte col facciale, in parte con la corda (pe, c). Altri pochissimi лк direttamente al tronco periferico del facciale (fig. ?, pf). Nel cavallo, come nell’ uomo, si nota che fra la por- zione piccola del facciale (n. intermediario) e l'acustico, vi sono due anastomosi: l' una mediale, Y altra laterale. Forma parte dell’ una e dell’ altra. un’ astomosi apparente come sarà spiegato più oltre. L’ anastomosi mediale è formata da quattro o cinque esili filamenti (fig. 2, 20; M) della porzione dell’ inter- mediario, che si origina verso la parte dorsale dell’ inter- Stizio fra Ш VIL ve l'VIII si quali, insieme al ramoscello già descritto (m; V. pag. 54) si addossano all’ acustico nel luogo ove questo entra nel meato auditivo interno, Oppure nel suo corso lungo il meato anzidetto. Uno di questi filamenti, dopo esser | assato traverso il ganglio vestibolare, si unisce alle fibre dell’ anasto nosi laterale, con le quali abbandona il tronco dell’ acustico, Questo filamento dell’intermediario, che si assoccia soltanto temporaneamente ai fascetti dell' acustico, deve riguardarsi (836) [56] quale anastomosi apparente ; le fibre della quale formano parte della mediale (nel tratto dalla origine di questa sino al ganglio vestibolare) e della /aterale (nel tratto ch'essa percorre fra il ganglio anzidetto e il genicolato). L'anastomosi laterale è costituita da un filamento (fig. 2, al), che, staccatosi dal ganglio vestibolare (') del- l acustico circa 3 mm. prima del ginocchio del facciale, si dirige a questo; e, dopo averlo attraversato, si volge con una parte delle sue fibre verso il petroso superficiale maggiore, e con l'altra si associa ai fasci periferici del facciale. L' esame di questo filamento lascia riconoscere, che esso, al pari di quanto avviene nell’uomo, è costituito anche nel cavallo : a) da fibre che uniscono direttamente il ginocchio del facciale al ganglio vestibolare, oltre al quale non riesce di seguirle centralmente fra le fibre della branca vestibolare ; b) da fibre che passano traverso il ganglio vestibola- re, oltre al quale si possono con tutta facilità seguire centralmente nella branca vestibolare dell’ acustico, e vederle continuarsi in uno dei filamenti dell'anastomosi mediale apparente, propria, come si è detto, all'interme - diario. Come si vede, la disposizione anatomica delle anasto- mosi fra il VIT e I’ VIII pajo nel cavallo non differisce punto da quella che si osserva nell’ uomo. — Valgono per conseguenza, anche per il primo, quelle considerazioni che ho esposte dicendo delle anastomosi analoghe, ‘che sono proprie al secondo. (1) Il ganglio vestibolare (fig. 2 gv) del cavallo è netabile per la sua grandezza, misurando nel suo diametro massimo più di un millimetro in lunghezza. [57] у (837) 2.) Ganglio genicolato. Anche nel cavallo, il ganglio genicolato si vede posto in corrispondenza del primo ripiegamento del facciale, si presenta diviso in due gruppi di cellule ganglionari (fig. l e2, g); l'uno è situato verso la parte convessa del ginocchio, ove forma l’ eminenza triangolare o piramidale che è Г ordinaria forma del ‹ ganglio genicolato : P ats. tondeggiante, della gr andezza di un granello di miglio, giace alla parte concava del ginocchio, ove forma una piccola sporgenza. Questi due gruppi di cellule ganglionari non sono però nettamente separati fra loro ; essendochè alcune cellule ganglionari, sparpagliate fra i fasci del facciale, uniscono l'uno con l’altro. La porzione triangolare, corr ispondente alla convessità del ginocchio, misura mm. 2,25 alla base, e mm. 4 nella linea che unisce questa all’ apice, ove sta in continuazione col petroso superficiale maggiore. Le cellule del ganglio genicolato del cavallo, che sono di forma ovale, presentano 1 consueti caratteri delle cel- lule ganglionari, e misurano : ali o dl 69.5 nel diametro maggiore e più grosse ; РВ 47.5.» » minore \ || 55.6 nel diametro maggiore le più piccole \ РД ATES » minore. Intorno alla loro connessione con le fibre nervose, non ho fatto nessuna investigazione. La base del ganglio genicolato è unita al facciale Mediante alcuni fascettini di fibre, che procedono poscia annesse alla porzione periferica di quel nervo. (838) [58] ‹ 3) N. petroso superficiale maggiore. Questo nervo (fig. 1 e 2, pm) si perde con parte delle sue fibre nella porzione del ganglio genicolato, che giace addossata alla convessità del ginocchio del fac- ciale. Dilacerando con gli aghi per seguirne ed isolarne i fascetti, e facendo la preparazione con l'ajuto di un in- grandimento di 50 diametri (*), si riesce ad accompagnare alcuno dei fascetti in discorso (fig. 1 e 2 ip) fino a quella porzione dell'intermediario sopradescritta, che si unisce con la base del ganglio genicolato. 4) N. facciale. - Corda del limpano. Il tronco del facciale, dalla sua origine apparente fino al ganglio genicolato, misura mm. 16; dal ginocchio al punto in cui se ne stacca la corda, mm. 2 Dall'angolo anteriore del ganglio genicolato si stacca un grosso fascio (fig. 1 e 2, c), che, unito alle poche fibre che gli vengono dall’ intermediario, cammina periferica- mente addossato al facciale, rimanendo però da questo ben distinto. Anche qui sembra, che almeno alcune tra le fibre del petroso superficiale maggiore passino semplicemente fra- mezzo agli elementi del ganglio genicolato, e sì continuino con quelle che costituiscono il fascio in parola. Seguendo questo fascio (c), si può accompagnarlo fino alla corda (fig. 1 e 2 ct) ed entro la stessa. 4) A facilitare il lavoro, giova servirsi d'un raddrizzatore delle Д immagini, [59] (839) Questa si spicca dal facciale, poco sopra il forame stilo-mastoideo, ed ascende formando un angolo acuto con quel nervo. Il ramo auricolare del vago (fig. 1 e 2, v), che qui incrocia il facciale, cede a questo un fascetto di fibre, che poi si associano a quelle costituenti la corda. ( Continua). Lo d sy VI 108 APPUNTI SULLA STORIA DE ASTI D'ALTA CADUTA DELL'IMPERO ROMANO SINO AL PRINCIPIO DEL X SECOLO DEL S б, CARLO OLEI LM (Contin, de'la р. 679 del presente tomo). Esaminai diligentemente questo luogo, nella pergamena originale conservata nell’ archivio Capitolare di Asti (478), e:trovai che il Cibrario si era lasciato trarre in inganno dal Malabayla. Essendo molto evanito il carattere della pergamena, specialmente in alcuni punti, il Malabayla re- stitui, com’ egli poteva e credeva, il carattere, ripassando a inchiostro nero le lettere antiche; ma, com’ è naturale, talvolta colse nel segno e talvolta no. П Cibrario in molti luoghi emendò il Malabayla, ma non sempre, Nel passo presente, il Malabayla restituì chiaramente a penna lé voci. .'carolus epus... c.Astense ; la voce precedente carolus non si vede chiaro come la le- gesse Malabayla; lo stesso si ripeta delle voci tra epws e astense, quantunque queste, almeno in alcune sillabe, preludano manifestamente alla lezione del Cibrario. Il Ma- labayla anche nel regesto, sul verso del rotolo, ripetà il nome del vescovo Carolus. Ma le lettere originali non giustificano affatto tale lezione, e ci danno: « ubi scus (!) corpus etus . . . . », dove sanclus (!) risponde a dictus, corpus a Carolus ed eius ad episcopus. Così è affatto elimi- (478) Jura capitoli, mazzo 84, nr. 2. Debbo molti ringrazia» menti al m. ‘r. canonico Paolo Bianchi, archivista dei. canonici di Asti, il quale con tutta cortesia: mi concesse di studiare de- carte affidate alle sue cure (812) [158] nato il vescovo Carlo; sarebbe stato un nome assai stra- no in un vescovo di quest’ epoca, massime in un ita- liano. DV. Giovanni VIII e Carlo III, il conte Suppone. Nella primavera dell’ 878 Giovanni VIII, il quale si ri- teneva malsicuro in Roma per la guerra mossagli da Lam- berto duca di Spoleto, recossi per mare in Francia, dove coronó a re Lodovico il Balbo, e si vide ricolmo di cor- tesie e favori da Bosone di Provenza, cognato di Carlo il Calvo. Con Bosone egli strinse alleanza, (7?) e ne ebbe aiuto nel suo ritorno in Italia, sul cadere dell’ autunno (48°). Il Papa da Troyes (Trocas), venne a Chalons-sur-Saòne (Cabillio) e quindi per St. Jean de Maurienne raggiunse le « Clusas monti Cinisii ». E così toccò P Italia (98). Nell'estate egli aveva scritto da Trecis (%#?) ringraziando Suppone della fedeltà ch'egli aveva dimostrato « circa san- ctam Romanam ecclesiam » ; in quella lettera fa esplicite dichiarazioni della favorevole disposizione sua verso di lui. Siccome in quel momento egli cercava l'accordo coi re tedeschi ("8:), Lodovico il giovane, Carlo IIl e Carlomanno, (479) Annales Vedastini, Script, I, 517. (480) Pietro Barlan (Il Pontificato di Giovanni VIII, Roma, 1880, pag. 55, 62) nega che Giovanni УШ volesse dar P Italia a Bosone; pare tuttavia che egli affermi, più che non provi. (484) Hincmarus Remensis, Annales, Script., 1, 508. (482) Mansi, XVII, 78; Jafè, 2 ed., 3166 (1 ed., 2387). (483) Dümmler, Ostfr. fi HI, 81. [159] (843) così anche la lettera a Suppone è informata al medesimo pensiero, e riguarda specialmente Carlomanno re di Ba- viera, siccome colui il quale aveva assunto il titolo di re d’Italia, e come tale era da molti riconosciuto. Il papa, nella lettera ora citata, dà ordine a Suppone di agire d'ac- cordo con Ansperto arcivescovo di Milano e con Wibbodo vescovo di Parma, e quanto alle relazioni da tenersi con Carlomanno, gli fa raccomandazioni di buona concordia, che possano riuscire anche in proprio vantaggio: « Tantum vobiscum Anspertum et Wibbodum episcopos assumite: et apud Carolomannum regem отта nostra ordinabiliter po- nite » ; perché egli, Suppone, possa tenersi sicuro della sincerità sua, di Giovanni, gli fa conoscere ch’egli mandava a Carlomanno due lettere, una delle quali la trasmette a Suppone stesso; egli la legga, e poi, o in persona o per qualche suo komo, la invii а Carlomanno. Nell’agosto si raccolse la dieta di Troyes, dopo la quale Giovanni VIII prese la via d’Italia; nel settembre strinse con Bosone quella lega di cui si è toccato, « et cum eo machinari studuit, quomodo regnum Italicum de potestate Carlomanni auferret et ei tuendum committere potuis- set (181) ». Con tali disposizioni si avvicinò alle Alpi. Spetta all'ottobre o al novembre 878 la lettera che il papa seris- se (485) a Sup[one in riguardo alla sua venuta. Comincia la lettera dal dire che mentre erasi recato ad Gallias, con uno scopo assolutamente pacifico, era stato nei suoi piani disilluso, e invita a venirgli incontro al Cenisio, lui (Suppone), Angilberta imperatrice (vedova di Lodovico II), Ansperto di Milano e Wibbodo di Parma (486). (484) Ann. Fuldenses, M. G. H., Script., I, 392. (485) Jaffè-Ewald, nr. 3201 (1 ed., 2414); Mansi, XVIII, 223. (486) « Quapropter vestre dilectioni fidentissimae et probate fidei mandamus, ut nobis . . . . ad montem Cinisem obvii quato- clus veniatis, ut pariter convenientes, quie ad utilitatem congruunt ($14) [160] Ma costoro non gli mossero incontro allorché passó le Alpi, locchè avvenne al più tardi verso la metà di novem- bre. П 24 di questo mese (878) giunse a Torino, come dice egli stesso scrivendo ai vescovi Wibbodo di Parma, Paolo di Piacenza, Paolo di Reggio, e Liudorno di Mode- na (157); annunciando a costoro il suo arrivo, li invita a venire a Pavia, dove intende raccogliere una sinodo per il giorno 2 dicembre. Come non accorse Wibbodo, così non si mosse neppure il conte Suppone. È interessante assai la lettera, che il papa gli indirizzò a questo riguar- do (538): si meraviglia che non sia venuto a lui, e che anzi gli abbia chiusa la via, « iter clausisse », mentre per l’addietro era stato così sollecito di recarsi alla sua pre- senzia, appena lo sapeva vicino: « unde cernimus quoniam istud non ex corde, sed pro fidelitate tui senioris (Carlo- manno) taliter feceris, quod ideo parcimus ». Narra a Sup- pone di aver parlato con Lodovico il Balbo, e di essersi accordato, per mezzo e volontà di lui, con Bosone: Lodo- vico gli aveva dato Bosone, perché lo conducesse a Roma « sine impedimento maledicti Lamberti (di Spoleto). » Lo eccita quindi, con appassionate e calde parole, a recarsi a lui, proesentialiter, e procurare che altrettanto facciano, anche gli altri, ai quali egli si era, col medesimo scopo, rivolto per lettera; Dio sa, che noi non vogliamo - dice il papa - trattarecon voi di null’altro fuorché della condizione delle sante chiese di Dio e della quiete dello Stato, «sancta- rum Dei ecclesiarum statum et reipublicae quietem ». Segue poi questo periodo, che prova quanta fosse la fiducia da Gio- tractare valeamus. Simulque hoc precamini dilectam filiam nostram Angelbengam imperatricem atque Anspertuni archiepisco- pum Mediolanensem, Wibbodumque Parmensem episcopum, alios- que fideles atque amicos. » (487) Mansi, XVII, 108; Jafè, 4 ed., 2445, 2 ed., 3202. (488) Mansi, XVII, 98; Jalfe, 4 ediz., 2418, 9 ed., 3206. [161] (845) vanni VIII riposta in Suppone: « tamen ante alios venite satage, ut quidquid cum aliis fecerimus, tecum familiariter antea terminare queamus ». Come si vede, Bosone era insieme col Papa, e lo accompagno fino a Pavia, ma non . più avanti. Forse la presenza di Bosone formava una delle 'agioni, per cui Suppone nè incontrò il Pontefice nella valle di Susa, che era pure dominio suo, nó venne a lui in Torino. Scrivendo anche ad Ansperto di Milano (189), il papa significó le cose da lui fatte in Francia e fece parola di Bosone, che lo aveva accompagnato in Italia ; gli ram- menta di averlo invitato più volte alla sua presenza, ed ora lo chiama a Pavia, per # prossimo venerdi. — An- sperto aveva, come si vede, lungamente resistito alle esor- tazioni del papa, e naturalmente per causa di Carlo- manno. Quando Giovanni VIII sia venuto da Pavia a Roma, non lo si può con precisione determinare (‘99); questo soltanto sappiamo che la sinodo Pavese sfumò, che Bosone fece ritorno in Francia, e che di Roma, al principio della primavera, Giovanni VIII riprese i suoi piani, per il rior- dinamento delle cose italiane. Carlomanno sino dal finire dell’878 era caduto ammalato, e nell'estate dell’anno suc- cessivo cedette i suoi diritti al fratello Carlo (il Grosso) re di Svevia. Nella sinodo, che il papa indisse per il 1 maggio 879, si doveva trattare della elezione di un nuovo re, poseiaché Carlomanno, per causa della malattia che lo opprimeva, non poteva più « regnum retinere ». Cosi egli scrive ad Ansperto arcivescovo di Milano invitandolo a quella. sino- do ead Ma Ansperto non venne e la sinodo lo scomu- (489) Jalfè, 4 ed., 2420, 2 cd., 8209 (Mansi, XVII, 90); 4 ed., 2417, 9 ed., 3904 (Mansi, XVII, 96). (490) Jaffè, 2 ed., I, 406. (491) Mansi, XVII, 108; Jaffe, 4 ed., 2449, 2 ed., 3994. (846) [162] nicò (19°). Scrivendogli il 19 di quel mese (‘*), gli rim- provera di non essersi recato nè a Pavia, né a Roma, nonostante i duplicati e triplicati inviti; proibisce a lui ed ai suoi suffraganei di trattare per il reggimento d'Italia « cum eo qui de regibus Francorum Italiam fuerit ingres- sus », е gli intima di venire a Roma alla sinodo indetta per il 12 ottobre. Altra lettera, colla data del 20 maggio, porta in fronte il nome di Ansperto, ma in г alta è in- dirizzata a tutti i vescovi della diocesi di Milano, ai quali il pontefice fa aspro rimprovero, perchè non erano venuti nó a Pavia, nó a Roma; termina comandando loro di tro- varsi a Roma per la sinodo del 12 ottobre (191). A Milano papa Giovanni aveva inviati quali suoi am- basciatori Giovanni vescovo di Pavia e Walperto vescovo di Porto, ma Ansperto aveva trattato con disprezzo i legati del pontefice, per il che questi mosse a quell’ arcivescovo nuovi rimproveri (!*). La rottura tra Ansperto e Giovanni era profonda; pregato dall’ imperatrice Angilberga di as- solvere l’ arcivescovo di Milano, papa Giovanni rispose non poterlo fare; se ne tratterebbe nella sinodo deli’ ot- || tobre in Roma (196). | Dai doeumenti ora citati emerge che Giovanni di Pavia erasi staccato da Ansperto, era venuto a Roma, e tor- nando alla sua sede aveva recato a Milano le lettere e i comandi pontifici. Può supporsi che Ilduino d’Asti non par- teggiasse per Ansperto ; tuttavia non possiamo alcuna cosa affermare per deficienza di prove. Giovanni VIII in questi momenti era in buona rela- zione con Carlo III di Svevia (*??) ; e riconoscendo sempre (492) Mansi, XVII, 199-8, 165; Jaffe, 1 ed., 2461, 2 ed., 3240. (493) Mansi, XVII, 122; Jaffe, 4 ed., 2472, 2 ed., 3252. (494) Mansi, XVII, 123; Jaftè, 1 ed. 2473, 2 ed., 3253. (495) Mansi, XVII, 133 ; Jaffe, 1 cd., 2488, 2 ed., 3269. (496) Mansi, XVII, 154; Jaffe, 1 ed., 9489, 9 ed., 3270. (497) Jaffe, 9 vd., 3243-5. [163] (847) i diritti di Carlomanno al regno d'Italia, gli indirizzó il diacono Consperto (7 giugno 879) (195) pregandolo (rogamus) di concedere al medesimo l’ episcopato di Vercelli. Tale cir- costanza dimostra una volta di più i diritti esercitati dal re d'Italia nelle nomine episcopali. Carlomanno, quantunque malato, viveva sempre; mori, ormai inebetito, nel marzo 880 (°°) e il papa riguardavasi come suo rappresentante in Italia (°°°). Intanto Carlo III, discese in Italia, passando per il gran S. Bernardo (59), e toccò la Lombardia prima della fine di ottobre (879) (5°). Venuto a Ravenna, vi si incontrò con papa Giovanni (°°), il quale nel frattempo nella sinodo del 15 ottobre aveva deposto Ansperto di Milano (5%), e їп questa città aveva mandato i suoi legati, cioò Giovanni vescovo di Pavia e Weltone vescovo di Rimini per procedere alla elezione del successore di Ausperto (595). Prima che Carlo III avesse raggiunto il suolo italico, altri fatti erano avvenuti, che hanno importanza рег noi. Annunciando a Carlo II la deposizione di Ansperto, il papa gli partecipò anche quella di Giuseppe vescovo di Vercelli (498) Mansi XVII, 427; Jate 4 radu 2477, 2 ed., 8257. (499) Muhlbacher, Rey., pag. 612. (500) Jaffe, 2 ed., 3297; Mansi XVII, 175. Mühlbacher ( Rege- sten der Karl, pag. 595) lamenta che sia andata perduta la let- tera con cui Carlomanno affidò a papa Giovanni la difesa d' Italia. (501) Hincmarus Remensis, Annales, М. б. H., Script., 1, 519. (502) Cal. Brix., Script. vr. Lung., 503. (503) Inesattamente nelle Regesta del Jalfè (9 ed., I, 410-1) si trasporta all agosto 879 l assemblea di Ravenna, che forse fu rac- colta soltanto al principio dell 880; cfr. Mühlbacher, pag. 614. L?’ errore del Jaffè era stato rilevato dal Levi (Arch. Stor. Rom., IV, 182). (504) Mansi, XVII, 164-5; Jalto, 9. ed., I, 413. (505) Mansi, XVII, 164; Jalló, 4 ed., 9519, 2.ed., 8294 (forse del 94 ottobre 879). I dis S, VI 109 (8498) [16] avvenuta nella medesima sinodo : gli raccomandò Cosperto, ch’ egli, a preghiera di Carlomanno, aveva consecrato in vescovo di Vercelli (599). Scrivendo ai preti, diaconi ecc. e a tutto il popolo di Vercelli, loro annunzia che Carlo- manno « more predecessorum suorum regum et impera- lorum » aveva concesso (concessit) a Cosperto l'episcopato Vercellese; egli l'aveva consecrato, opponendolo a un Giuseppe, « quemdam virum Joseph nomine », che Ansperto ‚« contra regem et nostram apostolicam auctoritatem », aveva istituito a vescovo in quella sede; egli, il papa, col consenso della sinodo, depone quell'invasore, « invasorem et presumptorem », quantunque « intuitu misericordia » Јо lascii nel grado e nell’ ordine, ch’ egli aveva per l'in- nanzi (°°). Siccome questo Giuseppe ottenne in seguito il vescovato di Asti; così i suoi casi hanno per noi diretto interesse. Alcune lettere dell’ ottobre di quest’ anno ci fanno co- noscere che i beni dell’ imperatrice Angelberga pativano gravissimi danni ed offese, in causa della divisione politica e religiosa, in cui si trovava l’Italia settentrionale. No- lingo Vescovo di Novara avendo occupato alcuni possessi dell' imperatrice, ebbe dal јара, con lettera del 19 ottobre, l'ordine di restituirli (508). Il papa affidò a Gisulto abate di S. Cristina la tutela e la difesa del monastero (di 5. Sisto) in Piacenza (59): a Cuniberto conte commise di restituire ad Angilberga i beni di lei, che egli aveva invasi (^'^). (506) Mansi, XVII, 165; Jaffe, 4 cd., 2513, 2 od., 3305. (507) Mansi; XVII, 166; Jaffè, 1 ed., 2514, 2 ed., 3806. Si congratulò (Mansi, XVII, 172; Jaffe, 2523, 3313) poi con Carlo П per quanto egli aveva fatto in favore di Gosperto ; dichiara di non poter mutare la sentenza pronunciata contro l’ arcivescovo Ausperto. (508) Mansi, XVII, 167; Jaffè, 4 ed., 2515, 2 ed., 3309. (509) Mansi, XVII, 476; Julfe, 4 cd., 2539, 2 ed., 3304. (510) Mansi, XVII, 175; Тае, A gd 2531, 2 gdi 3300. П Mansi stampa Euniberto, per Cuniberto. | [165] (849) Anche il conte Liutfrido danneggiò i possessi dell’impera- trice (5!*), per cui fu scomunicato al pari che il conte Odel- rico (5!*). Assai più importante è la lettera ai conti Egi- fredo, Suppone, Eripaldo, Berengario figlio di Bonifazio (5) e Cotefredo (^'^). Il conte Suppone, qui ricordato, è senza dubbio ilnostro. Liutfredo menzionato nei precedenti docu- menti, e del quale non conosciamo il comitato, si può con verosimiglianza identificare coll’ omonimo che, nell’ 876, prese parte all'assemblea Pavese in cui fu eletto a re d'ita- Carlo il Calvo. Pertanto, papa Giovanni, rivolgendosi al conte Suppone ed agli altri sopra ricordati, fa loro le più vive preghiere, perchè essi vogliano prendersi « curam et solicitudinem maximam » dei beni di Angilberga, « omnium rerum eius ubicumque consistentium », affinché tutti 1 suoi possessi siano salvi e sicuri: chi vi si opporrà, verrà da noi, conchiude Giovanni VIII, colpito colle pene spirituali. Esce dal nostro scopo il descrivere più minutamente le contingenze politiche che tenevano in agitazione gli animi nell’ Italia superiore; quivi c'era chi accettava la reggenza del regno italico, che dentro a certi limiti, ri- vendiva per se stesso il pontefice, mentre altri. decisa- mente se ne staccavano. La venuta di Carlo Ш non sciolse le quistioni. Prima ancora che il re tedesco fosse a Ravenna, papa Giovanni gli scrisse lagnandosi, perchè, dopo essere giunto a Pavia, non gli avesse mandato i suoi ambasciatori ad annunciargli (541) Mansi, XVII, 175; Jalfè, 2528, 3297. (519) Mansi, XVII, 173; Jall'è, 2529, 3298. (513) Per dilferenziarlo da Berengario del Friuli, eh’ era figlio di Eberardo, il quale ebbe la Marca del Friuli sotto Lodovico il il Pio; efr. Dümmler, Gesta, p. 17. Angilberg: era zia di Beren- gario del Friuli, in quanto il suo defunto marito Lodovico I era suo zio. (914) Mansi, XVII, 474; Jal; 2530, .3299. | | | (850) [166] la propria venuta (55), Questo non era un augurio di buon successo e di buona concordia. L'assemblea di Ravenna non ebbe un pieno risultato e il papa se ne parti malcon- tento (5%). L' assemblea tuttavolta fu splendida. Carlo vi chiamò il patriarca friulano e | arcivescovo Milanese « omnesque episcopos et comites seu reliquos primores ex Italia», e si fece da essi riconoscere a re; «ab eis rex constituitus », da tutti, fuor che dal papa, ricevette il giu- ramento «ad devotionem servitii» (° °). Ansperto venne da Giovanni VIII riammesso nella sua grazia, e conservò la sua sede; e Carlo, sebbene ogni questione non rima- nesse appianata , tuttavia affermò gagliardamente il suo dominio in Italia. Egli aveva assunto il titolo di re d’Italia sino dalla metà in circa del novembre (?!5*), forse in Pavia. La sua elezione tuttavia non ebbe luogo che due mesi dopo, a Ravenna, dov'egli indubitatamente si trovava addi 11 gennaio (*'?). Ritornò in Germania verso il giugno, per essere di nuovo in Italia nell' autunno. Era a Pavia nel novembre (880) (5%0), Finalmente possiamo ritornare ad Asti, dove addi ! agosto (880) (?*') si tenne un placito assai rilevante per noi. Le note cronologiche assicurano che Asti accettava il dominio di Carlo Ш: « regnante domno Carlus rex ihe in Italia anno I » (ind. 13). Baterico vicecomes siede « in iudicio » « in mallo publico in curte ducati civitate Astense »; egli siede in luogo del conte Suppone « in (510) Mans» ХУТ dale: 2592, 8914 (516) Jaffè 2507, 3288. (547) Monachi Augiensis Contin. Erchanberti, M. G. H., Script, 1, 899. (518) Mühlbacher, 1548 ; Dimmler, IIT, 408. (519) Mühlbacher, 1554. (520) Mühlbacher, 1562. (521) Chart., I; 60-4, nr. 36. 1167 | (851) vice Supponi inluster comes » (°), è ciò fa « ad singo- lorum hominum iusticias faciendum. » Questo è sicuro do- cumento a provare che Suppone era conte d' Asti; ricor- deremo nel tempo stesso il placito torinese dell’ aprile dell’anno stesso (5%), dal quale si prova ch’ egli era conte di Torino. Non può supporsi ch'egli sia stato istituito conte di questa contea da Carlo III, mentre la epistola direttagli da Giovanni VIII, quando stava per calare in Italia, pre- suppone che Suppone tenesse appunto la, valle di Susa, la quale faceva parte del Comitato Torinese. Non con altret- tanta certezza possiamo asserire che Suppone governasse fin d’allora, cioè fino dalla discesa del papa in Italia, anche l'Astese; ma è una supposizione del tutto ragionevole. (522) In questo placito l antica legione era Sappone, ma già il Terraneo (Adelaide illustrata, Il, 272; cfr., I, 170) aveva cor- retto l’ errore. (523) Inserto nel documento Chart. I, nr. 37. (Continua.) Prezzo della Dispensa Fogli 6 '/, ad Italiani Cent. 12 y . L. 0:84 A Tavola Wografata . ; . . , e a 049 Totale L. 0:93 oy Ht AT RE ISTILUIO VENETO SCIENZE, LETTERE ED ARTI (TOMO XXXVIII) SERIE SETTIMA — TOMO SECONDO DISPENSA NONA VENEZIA PRESSO LA SEGRETERIA DELL'ISTITUTO NEL PALAZZO DUCALE ТІР, DI 0. ANTONELLI d P™m4890-91 إل Pubbl, il 2 Agosto 1891. Atto verbale dell’ adunanza ordinaria del giorno. 12 waho EROL C cv Pe Lavori letti per la pubblicazione negli Atti. GASTEENUOVO. — Ricerche di geometria della retta nello spazio a quattro dimensioni. . . . pag 855 ү. BERCHET, m. e. — Comunicazione sulle lettere di Angelo Trevisan intorno ai viaggi di Colombo » 903 ANNO 1890-91 ' DISPENSA IX. ADUNANZA ORDINARIA DEL GIORNO 19 COL 1894 PRESIDENZA DEL PROF. CAV. GIULIO ANDREA PIRONA PRESIDENTE. Sono presenti i membri effettivi: De BETTA vicepresidente, LAMPERTICO, MinicH, LoRENZONI, TROIS, CANESTRINI, Mons. J. BERNARDI, E. BERNARDI, SACCARDO, DEODATI, STEFANI, SPICA, BERCHET e FAMBRI Segretario; nonchè i soci cor- rispondenti: TEZA, MARTINI е OccioNI-DONAFFONS. SI giustifica l'assenza del vicesegretario Viana, nonché dei membri effettivi DE Zidno, Pazienti, De LEVA, KEL- LER e del socio BERTOLINI. Letto ed approvato 1’ Atto verbale della precedente adunanza, viene comunicato l'elenco dei libri recente- mente venuti in dono a questa biblioteca, facendosi spe- ciale menzione dei seguenti : Pietragrande. Ateste nella milizia imperiale. Giolito. Annali. Vol. I, fasc. 2 (inviato dal R. Mini- stero della pubblica istruzione). Hyllier Giglioli. Primo resoconto dei risultati della richiesta ornitologica in Italia. Parte Tu 2.° e 3. — Avifauna italiana. Elenco delle specie di uccelli stazionarie o di passaggio in Italia. Pubbl, il 2 agosto 1891. 110 54 Dopo di ciò, viene presentata la parte IV." ed ultima dei « Nuovi Studi Galileiani », dell’ assente membro ef- fettivo A. Favaro destinata, come le precedenti, pel vo- lume delle Memorie in 4.° Il membro effettivo G. Berchet presenta una pubbli- cazione del sig. Stefano Davari « Su Federico Gonzaga e sulla famiglia paleologa del Monferrato (1515-1533); e fa poscia una « Comunicazione sulle lettere di Angelo Trevisan intorno ai viaggi di Colombo. » Infine il membro effettivo Æ. Teza, presentando in omaggio alcune pregevoli recenti sue pubblicazioni, fa una lettura intitolata: « II Coccio, poemetto indiano ; osservazioni. » Terminate tali letture, l'Istituto si è raccolto in adu- nanza segreta, per trattare di affari interni. XICERCHE DI GEOMETRIA DELLA RETTA NELLO SPAZIO A QUATTRO DIMENSIONI. NOTA DI GUIDO CASTELNUOVO Nello studio di questioni geometriche elevate accade Spesso di dover ricorrere a risultati appartenenti alla Geo- metria proiettiva elementare degli iperspazi. Ma in molti Casi quei risultati sono una estensione così immediata di note proprietà dello spazio ordinario, che chiunque ne abbi- Sogna può procurarseli direttamente senza difficoltà. Tal- volta invece si presentano teorie nelle quali non apparisce una semplice legge, che permetta di dedurre da note pro- prietà di uno spazio, nuove proprietà di uno spazio superio- ге; ed allora è opportuno che alla ricerca di tali proprietà si rivolga l'attenzione del geometra. Una appunto di siffatte teorie comprende la Geometria della retta, le cui propo- sizioni fondamentali differiscono sostanzialmente secondo che lo spazio ambiente ha un numero dispari о pari di dimensioni (come segue dall'intimo legame che passa fra la rappresentazione analitica dello spazio rigato e le pro- prietà dei determinanti sghembi simmetrici d'ordine pari P (856) (2) e dispari) Ho voluto perció trattare la geometria dei complessi lineari di rette nello spazio a quattro dimen- sioni; al quale mi sono limitato, sia perché conoscendo il modo di comportarsi della retta in uno spazio dispari e in uno spazio pari (rispett. a 3, 4 dimensioni),si possono prevedere alcuni teoreni che valgono per uno spazio a quantesivogliano dimensioni, (V. ad es. una nota alla fine del n.° 5), sia perchè la geometria della retta in 8, mi condusse a tante questioni riguardanti lo spazio ordinario (pentaedro, superficie di Kummer . . . ), che pensai valesse la pena di spendervi più parole di ciò che il seguito del lavoro poteva esigerne. Alludo sopratutto ai $$ 9, 10, 11, nei quali ritorno a quella varietà cubica con dieci punti doppi di S, che fu già studiata anni or sono dal Sig. Segre (1887-88) e da me (1888). La rappresentazione della va- rietà sullo spazio ordinario mediante il sistema delle qua- driche circoscritte ad un pentagono, pose in luce un gruppo molto notevole (sebbene, a quanto credo, inavvertito finora) di sei quadriche del sistema che sono pure iscritte nel pentaedro polare del pentagono, e le cui equazioni in coordinate pentaedrali /, , Z... t; si ottengono annullando le radici di una celebre risolvente della equazione di quinto grado ([—4,)...(£— t) == 0. Le sei quadriche sono imagini di sei spazi a tre dimensioni di S,, rispetto ai quali la varietà cubica ha l’ equazione canonica а? +... + x’ = 0 (essendo 2, + ... + à, = 0). Alle radici di una risolvente di 6.° grado. della sestica da сш dipendono i sei spazi, corrispondono sei noti sistemi ©? di rette giacenti nella varietà; da ogni punto di questa escono sei. rette dei sei sistemi, giacenti sopra un cono quadrico ordinario. Il calcolo delle coordinate del punto, quando è data la se- stica binaria rappresentante le sei. rette considerate come elementi del cono, conduce spontaneamente alla determi- nazione di una funzione cubica di sei variabili che (a parte il segno) assume soltanto sei valori distinti in cor- rispondenza alle permutazioni delle variabili; e una tale [8] (857) funzione coincide con quella scoperta nel 1867 dal Joubert. I risultati qui riassunti mostrano quali strette relazioni passino tra la varietà cubica con 10 punti doppi di S,.e la teoria delle sostituzioni di cinque о sei lettere; rela- zioni che possono esser sfruttate sia a vantaggio della teoria delle equazioni di quinto о sesto grado, seguendo la via tracciata dal Clebsch e dal Klein, sia per traspor- {аге agli enti geometrici i risultati della teoria delle so- stituzioni nella direzione indicata da un noto lavoro del Sig. Veronese. È questo un campo fecondo in cui molto rimane. ancora da raccogliere. 1. Coordinate della retta in S, — Assunto nello spazio a quattro dimensioni S, un cinque-spazio di riferi- mento, i cui vertici indicheremo con 1, 2, 3, 4, 5, siano $,, y; (i=1,2...5) le coordinate omogenee di due punti ш, y; come coordinate della retta ^ = 2 у (consi- derata come luogo dei suoi punti) assumeremo i dieci .de- terminanti di secondo ordine estratti dalla matrice | УО Уу Ja Ys che indicheremo con (1) Pty — Wa 0 о alle dieci combinazioni binarie 7% di 1, 2... 5 corrispon- dono le dieci coordinate di ;; e se talvolta per simmetria ci serviremo dei 25 valori di cui è suscettibile il simbolo ү (quando 7? e k sono scelti comunque tra 1, 2... 0) terremo presenti le relazioni 858) (4] Le espressioni »;, hanno, come è noto ('), la proprietà di alterarsi tutte per uno stesso fattore quando si cal- colano mediante altri due punti »/, »/ della stessa retta r; proprietà che le rende atte a rappresentare omoge- neamente una retta di S, . Le dieci coordinate di una retta sono legate da piü relazioni quadratiche che si possono compendiare nella (2) ah mn AF km u " кп im — 0 essendo ¿himn una permutazione pari dei numeri 1,2... 5. Si può anche dire che se le #;, sono coordinate di una retta, sono nulli tutti i subdeterminanti del quarto ordine del determinante gobbo simmetrico (e viceversa); e perció basta che siano nulli i subdeter- minanti degli elementi principali, I, , Reg, kK i quali per un noto teorema di Cayley sui determinanti gobbi simmetrici, sono i quadrati dei cinque trinomi (2) (pfaffiani). Ma nemmeno le cinque relazioni (2) sono tutte indipendenti; infatti se ad es. r,—7,— r,— 0), sono pur nulli 7, ed 7; n generale (cioè quando 7,, non è 0). Sicchè a tre si riducono le relazioni indipendenti fra le dieci coordinate omogenee di una retta (d'accordo col fatto che ооб sono le rette di S,); è però utile tener (1) Le proprietà delle vj; c le relazioni da cui sono congiunte, che qui mi limito ad accennare, si troveranno dimostrate (sotto ipotesi molto più larghe) nella Memoria del Prof. d’ Ovidio Le funzioni metriche fondamentali . . . . (Mem. dell Ассай. dei Lincei, 1877). [5] (859) presenti tutte le cinque relazioni (2), sia per evitare il caso eccezionale accennato, sia per ragioni di simmetria. Dalla definizione di coordinate di una retta seguono subito le osservazioni : a) Se r,8,t... sono più rette uscenti da uno stesso punto, №; + ps; + vé; +... sono le coordinate di una retta uscente da quel punto e giacente nello spazio (a due о più dimensioni) a cui 7, 5,7... appartengono ; ed ogni retta per quel punto e in quello spazio ha coor- dinate che possono scriversi sotto quella forma. а ) Se v, s, t sono tre rette di un piano non passanti per uno stesso punto, №", + 5; + Ylin rappresenta una retta di quel piano, ed ogni retta del piano ha coordinate di quel tipo. b) Le condizioni affiché la retta #;, stia nell’ Zperp?ano (spazio a tre dimensioni) di coordinate È, , Ё,,... Ё, sono espresse dalle cinque eguaglianze : (3) 2I d eU (seg C0) delle quali due sono indipendenti. с) L’iperpiano determinato dalle due rette 7»;, , $;, ha per coordinate le cinque espressióni bilineari dr; ds; dela Ec Suspe E ep = MTM Our E TUN " di In d, (1, m combinazione binaria di 1, 2...5); sicchè lan- nullarsi delle cinque espressioni (/s); dà le condizioni (due indip.) affinchè le due rette si seghino in un punto. 2. La retta > anzichè come luogo di oo! punti può definirsi come inviluppo di oo? iperpiani; se Ё, 7, © sono ire indipendenti fra questi, come «coordinate della retta- asse si assumeranno i dieci determinanti di terzo ordine estratti dalla matrice (860) [6] và „Ё, өгө еее) е sg , а аа AER | se indichiamo con ;";, il determinante formato dalle ver- сан imm (essendo zklmn» una permutazione pari di 1; 2:..5) le nuove coordinate 7/;, sono proporzionali aq Р To > i alle antiche »;, (!). 9. Complesso lineare in S, — Le oo rette le cui coordinate soddisfanno all’ equazione lineare 15) @ ٣و‎ t ais Tis db وړا ا‎ ri = formano un complesso lineare di S,, che indicheremo con: C.. Il complesso lineare è individuato (in generale) da nove delle sue rette. Se al posto delle 7 poniamo le loro espressioni (1), vediamo subito che i punti y di tutte quelle rette che appartengono a O,, e passano per un punto assegnato а, riempiono l'iperpiano * (6) y, (E lir Vr) Ao (аа) 4...0 (аа) 0, le cui coordinate sono: (6) En = i+ ty iy +: + pg (i142... 5) Queste equazioni definiscono una correlazione in S, ; e nel caso presente si tratta di una correlazione nulla perché ogni punto sta nell'iperpiano che gli corrisponde. Siccome però il determinante dei coefficienti | (1) In virtù di un teorema di Clebsch (Ueber cine Funda- moentalaufgabe der Invariantentheorie, Abhandl. d. G. d. Wiss. | EN Göttingen, 1872). q - oc | Migone QE | б О ОЬ | | ч | dz, Ugg 0 è nullo (perchè gobbo simmetrico d'ordine dispari) la correlazione è degenere; e precisamente nel caso gene- rale, in cui non sono nulli tutti i subdeterminanti del quarto ordine di | aN, |, gli iperpiani corrispondenti ai punti di S, passano tutti per quel punto a, centro del complesso, le cui coordinate sono proporzionali ai sub- determinanti di una linea di |«;,|, e quindi ai tri- nomi (7) Qi Akl Amn ch Akm Oy + Akn Aim Poiché la (6), quando in luogo delle œ, si pongono le ар © soddisfatta per valori arbitrari delle y;, si conchiude intanto che ogni retta uscente dal centro del complesso appartiene al complesso. E dal fatto che la (6) non si altera quando al posto di œ, si scrive œ, + 24, (qualunque sia A), segue che se la retta (2, y) giace in C, , vi giace pure la retta (2 4 ла, y), ossia ogni retta del piano (a, 0, y). Riassumendo : Un complesso lineare di S, determina un sistema nullo, per il quale ad ogni punto di S, corrisponde l’iperpiano che contiene le оох rette del complesso uscenti dal punto. Tutti gli iperpiani corrispondenti ai punti di S, passano per uno stesso punto a, centro del com- plesso, il quale gode la proprietà che ogni retta uscente da esso sta nel complesso. Ed al complesso apparten- gono tutte le rette di ogni piano che congiunga il centro con una retta del complesso non passante pel centro; (in Ogni altro piano le rette del complesso formano un fascio). Se di più si osserva che le rette di C, appartenenti ad un iperpiano formano ivi un complesso lineare (00°), T OMS УП 111 (862) [8] (perché ad es. l’ intersezione di С, coll’ iperpiano ~; = 0 si trova ponendo nella (1) Pig rg ЖЕЛ: «uS con che si ottiene ав + 043745 + Aa ria F aas os + a Ta F а "а 0), si giunge subito al notevole risultato che : Dal centro di С, (е da questo solo punto) le rette di C; sono proiettate sopra un iperpiano nelle co? rette di un complesso lineare; e viceversa dato un complesso lineare in un iperpiano e un punto fuori di questo, resta indivi- duato un complesso lineare in S,. L' ultimo teorema per- mette di trasportare subito al complesso С, molte pro- prietà del complesso lineare entro 5, . Possiamo anche dire che nove rette di S, individua- no, in generale, un punto dal quale sono proiettate in nore rette di un complesso lineare di S, . 4. Complesso singolare. — Il caso particolare note- vole del complesso lineare in S, è quello in cui sono nulli tutti i subdeterminanti del quarto ordine di |а, |. Poichè nulli risultano pure (per le proprietà dei determin. gobbi simm. d'ord. dispari) i subdeterminanti del terzo ordine, segue che gli iperpiani (6°) al variare di w gene- rano un fascio, il cui piano base è incontrato da tutte le rette del complesso; ed anzi un complesso singolare è costituito da tutte le rette che segano uno stesso piano (piano fondamentale del complesso). Dato il piano, il complesso è individuato ; sicchè i dieci coefficienti @,, della (5) potranno essere assunti come coordinate omogenee del piano, quando sono nulli i sub- determinanti del quarto ordine di | 4;, | . Ne viene, per ciò che dissi al n.° 1, che le coordinate di un piano soddisfanno alle stesse relazioni quadratiche che le coordinate di una [9] (863) retta; e ciò del resto risulta dal fatto. che le о... e, sono proporzionali ai determinanti di secondo ordine che si possono estrarre da una matrice formata colle coordi- nate di due iperpiani passanti per il piano (ad es. dalla matrice formata con due linee di | @;, | ), oppure ai deter- minanti di terzo ordine che si possono estrarre da una matrice formata colle coordinate di tre punti indipendenti del piano. Se @,„, ";j, sono coordinate rispett. di un piano e di una retta, la (5) da la condizione di incidenza fra vetta е piano. 5. Fascio di complessi. — Gli infiniti complessi С, ‘rappresentati dall’ equazione (8) У (aj, + ybi) i, = 0 al variare di — formano un fascio, al quale appartengono {> 1 complessi А е B che hanno le equazioni NY è D " Dadi Кыша Озо n TA e Le rette comuni a questi due, e quindi ad ogni altro complesso del fascio, costituiscono un sistema oo* che sarà indicato con C, e può dirsi base del fascio. Le vette di С, passanti per un punto generico formano un fascio, il cui piano sostegno (che diremo brevemente pano so- stegno di C,) è intersezione dei due iperpiani che i com- plessi A e B fanno corrispondere al punto; le coordinate del piano corrispondente al punto o (in virtù delle (6) e delle analoghe formole relative al complesso B) sono date dai determinanti di secondo ordine estratti dalla matrice (9) A QUO CR Ust à бй, Уау o Ж бы д | | (864) [10] Esistono però certi punti singolari ai quali apparten- gono oo* raggi di С, formanti una stella; le coordinate di uno di questi punti annullano i dieci determinanti della matrice; e si ha così una via per scrivere le equazioni del luogo dei punti singolari. Però conviene di più notare che se x annulla quei dieci determinanti, esiste una coppia (non nulla) A, ү. che verifica insieme le cinque equazioni Silk) а Оо s Era Cb SU, e viceversa, sicchè 1 punti singolari di С, sono i centri dei complessi del fascio ; e le loro coordinate sono date dai subdeterminanti del quarto ordine di una stessa linea del determinante | ^ @,, + u d;, | relativo al complesso (8), ossia (tenendo presenti le (7) ) da LOT O, mq ATE QD AU eve O 1 t 7 | il › dove @,, b; sono date dalle (7) e dalle analoghe per B, ed 7 QE da; Ex db; (1 1) (ab); — i UN da Dim im dh, im’ im Poichè le coordinate di un punto singolare dipendono quadraticamente da un parametro ), possiamo conclu- | dere (he: | IL luogo dei punti singolari di О, (ossia il luogo det | centri dei complessi di un fascio) è una conica К; il piano у della conica è determinato dai tre punti a; , d;» (ab); , l'ultimo dei quali è polo della retta congiungente i due primi rispetto alla conica. Per ìl punto (10) di К passano come sappiamo oo" rette di C, formanti una stella contenuta nell’ iperpiano | рег] le cui coordinate sono (se lo consideriamo come iperpiano | focale del punto (10) rispetto al complesso A, ed appli- chiamo le (6) ) T oro Sie А № 24 0440; TA; а, (аф), 4-р Харо; [14] (865) questa, tenendo presenti le identità int Mw га CT ЕО у d Uu (00 х può esser sostituita dalla 9 . кч} > у (12) En A Xj Oni а + а; 0 i? la quale dimostra che gli iperpiani in cui stanno le stelle di С, corrispondenti ai punti di K, formano un fascio protettivo a K intorno al piano у. Ogni retta di x appartiene a Cy Per ogni punto p di S, una retta di C, secante K ed una sola, ed essa sì ottiene che non giaccia in y passa congiungendo p a quel punto di K che nella nominata proiettività corrisponde all’iperpiano у p. Ne viene che ciascuno degli o.* piani sostegni di О, sega la conica К in un punto ; gli oo? piani passanti per uno stesso punto di K hanno per traccie sopra un iperpiano le rette di un complesso lineare, che varia in un fascio quando il punto descrive la conica K. La seconda parte del teorema segue dall’ osservazione che (per il penultimo teorema del n.° 3) le vette di C, sono protettate sopra un iperpiano da ogni punto di K nelle rette di un complesso lineare, insieme all’ altra che le vette di C, che giacciono in un iperpiano, formano ivi una con- gruenza lineare (le cui direttrici si appoggiano a K). E dalla prima osservazione e dal fatto che otto rette indi- viduano in generale un sistema C, che le contiene, segue pure che : Il luogo di un punto da cui otto vette generiche di S, sono proiettate n otto rette di S, appartenenti ad un complesso lineare, è una conica ('). (1) Per lo spazio a.n dimensioni Sn, adottando locuzioni ana- loghe a quelle qui usate, si trova che il luogo dei punti singo- lavi in un fascio generale di complessi di vette è una curva (866) [12] 6. Fasci particolari. — Ciò che precede vale nella ipotesi che i due complessi A e B e la loro reciproca po- sizione siano affatto generali. Ora tratterò brevemente dei più importanti casi particolari che può presentare il fascio dei complessi, in corrispondenza colle singolarità offerte dal determinante | Aagt vd | del complesso generico. І. Fsista una coppia di valori (А, w ) (tra cui uno almeno non nullo) la quale annulli tutti i subdetermi= nati del quarto ordine di | ۸ Cik + di Dik | ; per il che basta in generale che (X, w) soddisfi a tre delle equazioni (10°) a № + (a0); Xp + dj 0 (e quindi alle due rimanenti) (t). ME s : i { d'ordine 5 appartenente a Sn, quando n è pari, mentre 51 spezza di у n-+ 1 2 i К Я n-i gi j le quali sono fondamentali per gli sa complessi singolari del 2 in rette sgembe a due a due, quando n è dispari (rette fascio). (4) La condizione analitica qui espressa equivale ‘all’ altra : che siano nulli tutti i determinanti di terzo ordine estratti dalla ma- trice GA 5 ET аз, Un mL UY ; (ry cv da CAU è facile provarlo ricorrendo alle identità DONA [13] (867) Allora al fascio appartiene un complesso singolare il cui piano fondamentale т è segato da ogni retta di Û, . I centri degli altri complessi del fascio stanno sopra una retta (di coordinate @, 5, — 4,0, ) la quale incontra il piano т. Per ogni punto della retta, o di x, passano o°? rette di C, appartenenti ad un iperpiano che passa rispet- tivamente рег т, o per la retta. II. Un caso piü particolare del fascio di complessi si ha quando esistono due coppie (№, w), (7, у”) che annullano tutti i subdeterminanti del quarto ordine di | хла E |> (ossia verificano le (10')). Allora due qualsivogliano tra i cinque trinomi (107) differiscono solo per un fattore e quindi : Clg ДИ А 5. Pus cw (condizioni queste non solo necessarie ma pur sufficienti affinché si presenti il caso II); tutti i complessi del fascio hanno lo stesso centro 4, e tra essi due sono singolari ed hanno i loro piani fondamentali passanti per a; ed il fascio può considerarsi ottenuto proiettando da « un fascio di complessi oo? giacenti in un ірегріапо non passanté per a. Il sistema base del complesso è costituito dalle rette che segano entrambi i piani fondamentali (tra le quali оо? escono da а). Va notato che le ultime proporzioni sussistono quando le cinque espressioni (ab); sono nulle (come si verifica valendosi delle identità 7), j)). Ma in questo caso i due у 7 ٠ XE Mat i rapporti +, —; differiscono solo nel segno (poiché le equa- | |> zioni quadratiche (107) di cui sono radici mancano del coefficiente medio); quindi i complessi A e B separano armonicamente i due complessi singolari del loro fascio ; dunque : (868) [14] L'annullarsi identico del contravariante simultaneo X; (ab); E; di due complessi esprime la condizione af- finchè i due complessi siano concentrici, ed inoltre se- parino armonicamente i due complessi singolari del loro fascio (!). ПІ. Poiché le equazioni (10°) sono quadratiche, non possono esistere nel fascio più di due complessi singolari senza che si annullino insieme le d; le bis ele (WD), Se poi queste quindici espressioni sono nulle (e perciò basta in generale che siano nulle tre a, tre b e due («b)), allora ogni complesso del fascio è singolare ; il piano fon- damentale del complesso generico ha le coordinate Ма + o; e quindi, poiché i due piani 4;,, 5;, si segano lungo una retta (come dicono le (ab), = 0 per le formole duali alle (4), segue (n. 1, «)) che i piani fondamentali degli infiniti complessi del fascio passano per una stessa retta e giacciono in uno stesso iperpiano. Il sistema base del fascio si scinde nelle rette secanti quella retta, e nelle rette giacenti in quell’ iperpiano. 7. kete di complessi. — Tre complessi A, В, € di equazioni ў! 0 by " Sa à Lidi = 2057, O, cero, 1 quali non appartengano ad un medesimo fascio determi- nano una rete di complessi, il cui complesso generico ha Г equazione (1) Nel caso generale, (per quanto si disse al n.° 5) il nomi- nato contravariante .uguagliato a zero dà l'equazione del polo della relta congiungente i centri dei complessi A, D rispetto alla conica singolare del fascio. [15] (869) (13) Za куу eats Le rette comuni ai tre complessi costituiscono un si- stema (base della rete), in generale, œ, che sara indi- ato con O,. Per un punto generico dello spazio passa un solo raggio di O,; le cui coordinate, se œw è il punto, sono date (im virtù delle (6 )) dai determinanti di terze ordine estratti dalla matrice ‚М ме, ЖЫ og o NON КҮ 4 у " by à (14) A Up. i gom DRM \ У à > E ~ A ej Ci Vin . و‎ di Су; 7 Dal che segue subito il significato geometrico dell’ an- nullaesi di uno tra questi determinanti: ad es, se A; è il determinante formato colle ultime tre verticali della Matrice, Аа 0 ё la varietà del lerzo ordine costituita da quelle rette di U, che segano il DNO ш OS Esistono però im S, certi punti, singolari, (0 fuochi), da ciascuno dei quali escono œ! rette di С, costituenti un fascio, (il eui piano si dirà piano singolare о focale corrispondente) ; e questi punti (analogamente a quanto S1 è visto per il fascio di complessi) sono i centri degli œ° complessi della rete. I punti singolari di ©, costitui- Scono adunque in generale una superficie F, che diremo Superficie singolare (o focale) di C, o della rete. Essa è formata da quei punti le cui coordinate annullano tutti 1 determinanti di terzo ordine estratti dalla matrice (14) ; per F passano adunque le varietà cubiche А 0,850. Anzi un raggio ; di C, che non seghi il piano w= а, 0, contra la A — 0 in tre punti, ciascuno dei quali gia» da db Vid IR) | | | | (870) ۲16| cendo sul raggio ^, ed inoltre sopra un raggio di С, se- cante x, — 2, == 0, appartiene ad Е; dunque: Le rette di €, sono trisecanti della superficie sin- golare (y. Il piano singolare x di un punto p di F sega la A, = 0 lungo una cubica, la quale si spezza in quel raggio di С, che esce da р e incontra il piano a, = 2, == 0, ed inol- tre in una conica che, in generale, non passa per p, e che, per il ragionamento ora fatto, deve appartenere ad Е. Il piano singolare di un punto di F sega ulterior- mente la F lungo una conica, la quale in generale non passa per il punto. Su F stanno quindi infinite coniche, come del resto sì poteva prevedere osservando che la conica singolare di un fascio di complessi giacente nella rete, deve appar- tenere ad F. Ed anzi, poichè ogni corda della conica sin- golare del fascio di complessi (A, B) appartiene ai due complessi A, B, e d’altra parte nel piano della conica sta un fascio di rette appartenenti al terzo complesso ©, si può anche affermare che ognuna delle oo* coniche sin- golari dei fasci di complessi contenuti nella rete sta in un piano singolare. Quanto alla superficie singolare F, per approfondirne lo studio, giova esprimere le coordinate dei suoi punti me- diante i parametri del complesso generico della rete. A tal fine si consideri il determinante | Aa; + dix F VE | relativo a quel complesso: le coordinate del centro del (1) Un teorema più generale di questo, riguardante i sistemi ооп —1 di rette di Sn, fu dimostrato dal sig. Segre nella Nota: Un’ osservazione sui sistemi di rette degli iperspazi (Rend. Gir- colo Mat. di Palermo, t. 11). ro) (571) complesso saranno date (adottando notazioni conformi alle precedenti) da (15) gr; — a, M + b, y^ + 0; V^ + (be); ру + (ca); vt (ab); dp; sicchè questo punto al variare di (A, U, у) descrive la su- perficie Е. Se ora Л, р, v si considerano come coordinate omogenee di un piano Il, si vede che la superficie può ‘appresentarsi univocamente su П, e precisamente in guisa che alle sezioni di F con iperpiani corrispondano le coniche del sistema lineare (in generale) oo* determinato dalle cinque coniche (15) а... + (9 = 0. Dunque, nel caso generale La superficie singolare di una rete di complessi è del quarto ordine a sezioni razionali, e può rappresen- tarsi univocamente sul piano mediante un sistema li- neare X o di coniche (ed è quindi proiezione da un punto esterno della superficie di S, studiata dal Sig. Ve- ronese (')). Le coniche della superficie hanno per imagi- ne le rette di II. La sezione della F con un iperpiano é una curva ra- zionale del quarto ordine, la quale, come è noto, ammette со! rette trisecanti costituenti una. schiera rigata (qua- drica). Ora poichè le rette di О, appartenenti ad un iper- piano devono in fatto costituire una schiera rigata (comu- ne ai tre complessi oo? intersezioni dell’ iperpiano con A, В, C), si conchiude che anche og»? l»'isecante di F ap- partiene a C,, e ciò completa una proprietà prima di- mostrata. | (1) La superficie omaloide normale . . . Mem. Accad. dei Lincei. 4883.84; v. pure Segre: Considerazioni intorno alla geometria delle coniche, Alti Accad. delle Scienze. Torino, 1885. [18] Tre punti di F giacenti in linea retta hanno per ima- gine nel piano JI tre punti i quali, imponendo due sole condizioni indipendenti ad una conica del sistema X che deb- ba contenerl, devono costituire un triangolo autoconiu- gato rispetto a quella conica X di П che, considerata eome inviluppo, é armonica a tutte le coniche di X; e reciprocamente. Gli оо? triangoli autoconiugati rispetto ad X rappresentano adunque su П i raggi di C,. Alla conica X di II corrisponde su F una curva del quarto ordine X^ (appartenente ad S,) la quale è luogo di wn punto il cui piano singolare tocca ivi la Е; ogni tri- secante uscente da un punto di y* ha una sola ulteriore intersezione con F sopra una conica passante рег il punto, ed esiste un iperpiano che sega F lungo due coniche coincidenti con quella. La curva ү" è anche il luogo dei punti di contatto delle tangenti che dai punti di F si 4 possono condurre alle coniche dei corrispondenti piani singolari. 8. Per esaurire lo studio del caso generale delfa rete di complessi, rimane a dimostrare che la superficie singolare F è la più generale superficie che si possa rappresentare sul piano mediante wn sistema lineare oo* di coniche. E ciò si vede nel seguente modo. Nel piano II scegliamo come trilatero di riferimento qn trilatero autocomiugato rispetto alla comica inviluppo X coniugata alle оо? coniche luoghi del sistema ; ed anzi l'equazione di X (considerata come inviluppo) sia › 2 2 б, (16) + س ر سل‎ Allora al sistema oo* apparterrà ogni conica nella cui equazione i coefficienti di /,*, /,*, {,° diano per somma zero; in particolare le sei coniche Ө] (873) O, d, 4 0, ET, (f dt) (S — 169 £0, (t — 09 £0, EA 5 3 = V — 1), tra le quali cinque prese ad arbitrio sono linearmente indipendenti. Ne viene che se stabiliamo le relazioni еМ EE S. Ie RUI A TAM б ‹ . g 4 | 2 P WA (f — it) > ра, (5 —4$6)*, po —(t — 20), considerando le sei quantità а? (tra le quali passa la identità puer m ccu come coordinate sovrabbondanti in S,, al variare delle / il punto (2, . . . a) descrive la più generale superficie rappresentabile mediante un sistema оо" di coniche; sic- ché dobbiamo dimostrare che le trisecanti di una tal superficie appartengono a oo* complessi lineari. Dalla costruzione ora fatta risulta intanto che a tre punti /, #, /" di П coniugati a due a due rispetto alla (16) corrispondono tre punti in linea retta della superfi- cie; le 15 coordinate sovrabbondanti 7,3, ... gg di que- sta retta (tra le quali passano oltre alle relazioni quadra- tiche del n.° 1 anche le relazioni lineari wr Pj 9 ) A Pac UPON 5555 Sono date dai determinanti di secondo ordine estratti dalla matrice о eo pet aU iv ums qe 983 In particolare si trova [20] o RAT mn ru ir v, — Rit (f y ا‎ 0 U,) rg — 2i v. (ala А U.), о; , f A Pap m س‎ Ri t; (ti ti F to l'o) dove ту, t,, т; sono le coordinate pliickeriane (nel piano II) della retta 4. Se ora si ricorda che / e /' sono coniu- gati rispetto alla conica (16), e quindi tU, 7p GU. 3 60,0, risultano subito le relazioni fy pira m0, ru Era —0, rat Rirag=0, le quali rappresentano tre complessi non appartenenti ad uno stesso fascio e passanti per il sistema delle oo* rette trisecanti della superficie. Dunque : Una superficie del quarto ordine di S, che si possa rappresentare univocamente sul piano mediante un sistema lineare generale oo* di coniche, individua una rete di complessi di S,, dl cui sistema base è costituito dalle trisecanti della superficie. Una superficie di tal natura resta individuata in gene- rale quando sono assegnate sette delle sue rette trisecanti, ed è il luogo dei punti da cui quelle sette rette sono proiettate sopra un iperpiano in sette rette di un com- plesso lineare. 9. Reti particolari. I. Se le equazioni (15') sono soddisfatte da una stessa terna non nulla di valori (X, w, у), esiste nella rete un complesso singolare, e la superficie singolare F si spezza nel piano fondamentale di quel complesso ed in una rigata cubica di S,, la cui retta direttrice sta nel piano. [21] (875) II. Se le equazioni (15 ) hanno due soluzioni distinte comuni, alla rete appartengono due complessi singolari, e la superficie singolare si spezza nei piani fondamentali dei due complessi ed in una quadrica (a 2 dimens., apparte- nente ad un iperpiano), la quale passa per il punto comune ai due piani e ne sega ciascuno lungo una retta. Ш. Se le equazioni (15 ) hanno tre soluzioni distinte comuni, tre complessi della rete sono singolari, e la superficie singolare si spezza nei tre piani fondamentali e nel piano v che li sega lungo rette (!). Supponiamo ora che ad una rete appartengano quat- tro complessi singolari, tre dei quali A, В, О riterremo per ora non appartengano ad un fascio. Assunti 1 com- plessi A, B, C per determinare la rete, nelle formole del n.° 7 dovremo porre eguali a zero le «;, 0; KOS quindi le (15) si ridurranno а (be); ууу + (са), УХ + (ab); Xy 0. Le cinque equazioni qui compendiate sono soddisfatte da una stessa terna di valori A, pw, v (due almeno dei quali non nulli), quando nella rete esiste un quarto com- plesso singolare. Dunque, in questa ipotesi, devono esser nulli i determinanti di terzo ordine estratti dalla matrice (17) (ca), , | : i | sod (AD) y oen ab aga Se ora si osserva che gli elementi di una orizzontale, ad es. della prima, quando non sono tutti nulli, danno le (4) Il sistema base della particolare rete di complessi qui no- minata fu già considerato dal sig. Segre nella Nota: Alcune consi- derazioni elementari sull'incidenza fra rette e piani... Wendic. “e i Circolo Mat. di Palermo, t. IL (876) [22 coordinate del punto di incontro dei piani fondamen- tali B, ү dei complessi B e С, mentre se sono tutti nulli indicano che i piani В e y si segano lungo una retta (n.° 1, c) ), si giunge ai due casi seguenti : IV. Non siano tutti nulli gli elementi di una stessa orizzontale della matrice (17). Allora, come si vede fa- cilmente, i tre piani x, B, ү passano per uno stesso punto, il quale è centro comune a tutti 1 complessi. della rete ; questa può ottenersi proiettando da quel punto una rete di complessi oo? di un ірегріапо non passante per il punto. Alla rete appartengono оо! complessi singolari i спі piani fondamentali costituiscono un cono quadrico. V. Siano nulli tutti gli elementi di una stessa oriz- zontale (ad es. della prima) nella matrice (17). — I due piani § е y si segano lungo una retta.» e giacciono in un iperpiano К; ogni complesso del fascio B O (A == 0) è singolare ed il suo piano fondamentale passa per » e sta in R. In generale nella rete non esistono altri complessi singolari oltre a quelli del fascio ed al complesso A (w == у == 0). I centri dei complessi non singolari della rete si trovano sulla intersezione del piano « coll'iper- piano R. : Se però sono nulli tutti gli elementi della (17) (!) ogni complesso della rete è singolare, e gli oo? piani fon- damentali о passano per una stessa retta, o passano per uno stesso punto e giacciono in uno stesso iperpiano. VI. Per esaurire la discussione resta solo da esami- nare il caso finora eccettuato che tutti i complessi sin- golari di una rete stiano in uno stesso fascio ; i loro piani (1) Se si annullassero tutti i determinanti di 2,' ordine formati colle due ultime orizzontali della (17), senza che fossero nulli tutti gli elementi della matrice, si avrebbe una rete particolare di com- plessi concentrici. [28] | (877) fondamentali passano allora per una stessa retta е giac- сіопо in uno stesso iperpiano; e i centri dei complessi non singolari della rete riempiono un piano. 10. Sistema lineare oc? di complessi. — Per il sistema lineare costituito dai complessi (18) У (Ха, # pO; F ve; + odia Vir = 0, le cui equazioni sono combinazioni lineari delle equazioni di quattro complessi A, B, C, D, (non appartenenti ad una rete), la questione più importante è di esaminare quale varietà formino i punti che appartengono ad una retta comune a tutti i complessi del sistema. Queste rette co- stituiscono infatti un sistema базе, (che in generale si compone di 00° rette e sarà indicato con O,), di tal na- tura che per un punto generico dello spazio non passa nessuna retta di C,. Gli oo? punti (singolari) che appar- tengono alle rette di C, formano, nel caso generale, una varietà singolare V la quale è pure il luogo dei centri degli oo? complessi del sistema. Ragionando come nel caso dei fasci e delle reti, si riconosce che i punti а di questa varietà sono caratteriz- zati dalla proprietà di annullare i determinanti del quarto ordine estratti dalla matrice | Ugg ntn DOT (19) >, OOs » б; v; | 2; Cii Vi E р Zi Сы Л DI ДҮ» CL Se indichiamo ad es. con A, il determinante formato colle verticali 2, 3, 4, 5, è facile riconoscere (aggiungen= do alla prima verticale di A, moltiplicata per w, la se- conda, terza e quarta moltiplicate rispettivamente per 25, 9,4, жу) che di nes PI 113 (878) (24] Ma dj 200, до, BOO. sicchè, in fine, la equazione della varietà singolare si ot- tiene uguagliando a zero uno dei polinomi di terzo grado Albi Vi Va 206.) I centri dei complessi di un sistema lineare oo? co- stituiscono, în generale, una varietà del terzo ordine. Però dall’ esame della matrice (19) non sarebbe facile dedurre le proprietà più notevoli di V, mentre si rag- giunge lo scopo se si esprimono le coordinate del punto generico di V mediante i parametri X, р, v, р del com- plesso di cui quel punto è centro. Si troverà y= a M + + Ба + (аб), + T) ve lidi o più brevemente ip AO VH e) Di qua vediamo che la varietà V può rappresentarsi univocamente sui punti dello spazio a tre dimensioni X (di cui le coordinate omogenee sono X, w, v, p) e pre- cisamente in modo che alle sezioni di V cogli iperpiani Е, di S, corrispondano in X le quadriche del sistema li- neare œt Gili hf. ا‎ 60. Queste quadriche hanno tanti punti comuni, quante sono le soluzioni (>, w, v, р) delle cinque equazioni (20) О, во э, p). Per contarle consideriamo il determinante | xa, +... +4 edi, ^ [25] (879) e ricordiamo che le /; sono le radici quadrate dei sub- determinanti (di 4.° ordine) degli elementi principali, ed inoltre (v. n.° 1) che se sono nulli tre fra questi subde- terminanti ad es. /,?, f4, f;", senza che si annulli 1° e- lemento ха, "M ET BUE рц; ? allora sono nulli anche gli altri due subd.; il numero delle soluzioni (A, t, v, p) richieste si otterrà dunque sottraendo da 8 (n. delle soluzioni di fi: D A mU, - 0) il numero delle soluzioni comuni alle quattro equazioni EU, =0, 0, AQ Ade + pag mU, ossia (tenendo conto della espressione di /;) il numero delle soluzioni comuni alle quattro equazioni ( (л + << Pdga) (№: +... t eds) + + (а +... H edos) O3 +-+ + pd) = 0 еа) Qs ела енн) o Qat) Aas He) (а +) (ag +) 0 ^а Des. + puc. Ora risulta subito che le soluzioni comuni alle due prime ed all’ ultima sono soluzioni anche della terza, pur- chè non si annullino contemporaneamente i tre quadri- nomi М: Ag A YAO E ali, sicchè alla fine il sistema s) ha tre soluzioni, e quindi 1 cinque sono i sistemi (X, p, v, p) che soddisfanno alle | Cinque equazioni (20). Fra i complessi di un sistema lineare оо? si tro- vano in generale cinque complessi singolari, i cui piani f, (880) [26] fondamentili appartengono alla varietà: V ; d cinque piani sono segati da ogni retta di €,. Le quadriche (20) hanno adunque cingue punti comuni, e poiché le quadriche di Y per cinque punti formano ap- punto un sistema œ, e tre di esse hanno tre punti ul- teriori in comune, resta confermato che la varietà V è del terzo ordine, ed inoltre che La varietà У si può rappresentare sopra X mediante le o^ quadriche circoscritte ad un pentagono sghembo. Dalla rappresentazione seguono subito le proprietà di V. Oltre ai cinque piani già nominati che hanno per imagini 1 vertici 123 4 5 del pentagono, a V appartengo- no altri 10 piani che hanno per imagini le 10 faccie del pentagono. Ai dieci spigoli del pentagono corrispondono dieci punti doppi di V, e si vede subito che 7 dieci punti doppi di V stanno a quattro a quattro sui quindici. piani; е per ogni punto doppio passano sei piani, Le oo* rette di V che costituiscono il sistema base C,, segano i primi cinque piani nominati, (e stanno cia- scuna in oo* iperpiani); esse hanno quindi per imagine in X le œ? cubiche sghembe circoscritte al pentagono. Tra le quali esistendo dieci semphci infinità di cubiche che degenerano in una retta fissa (spigolo) e nelle coni- che di un fascio, si conchiude che 4 С, appartengono dieci fasci di raggi aventi per centri i dieci punti doppi di V e per piani sostegni è dieci piani di V che non sono attraversati da tutte le rette di СЕ così continuando si ritroverebbero le altre notevoli pro- prietà di V che furono diffusamente studiate, anni ov sono, sia dal. Sig. Segre (') sia da me (?). (1) Sulla varietà cubica con dieci punti doppi... (Atti dell Ac- cad. delle Scienze di: Torino, 1887). Sulle varietà cubiche dello spazio a quattro dimensioni. (Mem. Accad. d. 8. di Torino, 1888). (2) Sulle congruenze del 3." ord. dello spazio a 4 dim. 2° Memoria, $ 16 е seg. Atti Tstituto Veneto, 1888. [2] (881) 10. Varietà cubica. con 10 punti doppi. — Qui però voglio seguire un'altra via. Cercherò l'equazione ca- nonica di quella varietà di S, che si rappresenta sullo spa- zio ordinario X mediante il sistema delle quadriche circo- scritte ad un pentagono sghembo generale, e studierò la varietà valendomi dell’ equazione ; ritroverò così che essa è varietà singolare per un sistema lineare oo? di complessi, il che proverà che il sistema di quadriche rappresentativo della V di cui si parla nel S precedente, è del tutto ge- nerale. Per procedere in modo simmetrico assumiamo come piani fondamentali #, =0,..., £, — 0 in X le faccie del pentaedro polare del pentagono 1 2 3 4 5 che stiamo con- siderando ('). Ogni punto dello spazio X avrà allora cin- (1) Ad ogni pentagono sghembo è collegato un determinato pentaedro polure, le cui faccie sono i piani polari dei singoli ver- tici del. pentagono rispetto ai tetraedri formati coi rimanenti vertici (V. De Paolis, Ricerche sulle superficie di 3. ordine. Mem. Accad. dei Lincei, 1880-81). Un altro sistema di riferimento per lo stu io del sistema оо! di quadriche, che sebbene non simmetrico, può presentare alcuni vantaggi, si ha quando si assuma 1934 come tetraedro fondamen- tale è 5 come punto unità; allora 1. quadrica generica del siste- ma ha l'equazione Үк ока — 0 (i, k numeri distinti tra 1, 2... 4) colla condizione sir ci = 0: Se consideriamo le vik come coordinate (sovrabbondanti) dell'iper- piano di S; corrispondente alla quadrica, poiché un tale iperpiano risulta tangente alla varietà cubica di S4 quando la quadrica acqui- sta un punto doppio, ne viene che 0 “9 e13 714 {о О б; *04 L19423 I | i | Ii il li | (882) [28] que coordinate legate da una identità lineare, che possia- mo ritenere sia la 3...0, In particolare i cinque vertici del pentagono hanno in questo sistema di riferimento le coordinate Per scrivere l’ equazione della quadrica generica cir- coscritta al pentagono, dobbiamo procurarci le equazioni di un certo numero у 2 5 di quadriche particolari del si- stema, e, sempre per ragioni di simmetria, sceglieremo le у quadriche in guisa che il loro insieme costituisca un covariante del pentaedro. Dal punto di vista algebrico, si tratta di costruire una forma quadratica delle variabili lis ts... t5, la quale assuma soltanto v valori diversi (fatta astrazione da fattori numerici) in corrispondenza alle 120 permutazioni delle variabili, e di più sia annul- lata dalle coordinate’ di ciascun vertice del pentago - no. Naturalmente preferiremo quella soluzione del pro- blema che corrisponde al minimo possibile valore di у (2 5), Ora ricorrendo alla nota teoria delle sostituzioni di cinque lettere, si riconosce subito che per y — 5 una forma quadratica la quale soddisfi alla prima condizione (di assumere 5 valori) non può esser costretta a verifi- care la seconda (cioè il passaggio per i vertici del pen- tagono). Invece per v= 6 ci si presenta un modo molto sem- plice di risolvere il problema. (insieme coll’ identità yin 0; = 0) è T equazione tangenziale della varietà, la quale è adunque di quarta classe. [29] (883) Poniamo 7 واا وا‎ [s + è, бнк Л t; + és t 12345-:28451.2...—54821z... e indichiamo con 12354..., le analoghe forme qua- dratiche che si ottengono permutando le /. È evidente che otterremo soltanto 12 forme distinte ; ma queste 51 possono riunire in sei coppie (ad ез. 12845 con 13 524), per modo che ogni coppia sia trasformata in se stessa da 20 sostituzioni. Ne viene che la forma qua- dratica 12345 — 13524 è suscettibile (fatta astrazione dal segno) di sez soli va- lori distinti, che noi scriveremo in questo ordine v=12345—13524,ax,=12453—14325, o, 12534415428, Vy —12543-4-15324, a, =— 12354-413425, =— 12435+1452: 9% Le sei equazioni, quadratiche nelle /, (21) Qu = 0 › Ue: 0 у 194 9. b -0 %: rappresentano sei quadriche, le quali sono circoscritte al pentagono 12345, perchè ciascuno dei dodici polinomi 12345,... assume il valore —5 quando al posto delle / si scrivono le coordinate di un vertice qualunque del pentagono. Dunque potremo assumere le sei quadri~ Che (21) (cinque delle quali sono linearmente indipen= denti) come elementi di riferimento nel sistema оо“ delle quadriche circoscritte al pentagono, Le sei espressioni 4,,...,«g possono considerarsi Come radici di una equazione di sesto grado in 2, p(w) = 0 | cui coefficienti dipendono dai coefficienti di quella equa- zione di quinto grado /(/)— 0, le cui radici sono (884) [30] ту плуга, 5 la ọ(x)= 0 è una risolvente dell’ equazione f(t)==0, e precisamente quella risolvente i cui coefficienti furono espressi dal Cayley mediante funzioni razionali dei coef- ficienti della f e della radice quadrata del discriminante di f (!). (1) Philosophical Transaction, 1861. I risultati si trovano riportati nelle Vorlesungen über die Algebra del Salmon (trad. Fiedler) nel capitolo dedicato alla quintica. La risolvente 9 (x) = 0 è una semplice trasformata Чї quella data molto anteriormente (1771) da Malfatti. (V. à ques'o proposito una Nota del prof. Brio- schi negli Annali di Matematica, serie 1, tomo V). Le sei quadriche а, Ds s. We Uy Io (НП MON ВВТ siano state considerate finora nelle ricerche sul pentagono e pen- taedro, hanno proprietà così notevoli che val la pena di esporne le principali. Se scriviamo l equazione a, — 0 sotto la forma tillo — ta — ta det) de tea — GG Ge) H- sse EROL ig И) ny vediamo subito che la polarità rispetto alla quadrica fonda- mentale по ele КА О muta la quadrica x, — 0 in se stessa; e precisamente trasforma il punto (H, fo, £5, t4, б) in quel piano tangente il cui punto di contatto ha le coordinate lg ml m libr ann Analogamente per le altre cinque quadriche Pro ca peo UR Ora poichè il pentagono e il pentaedro sono trasformati l'uno nell'altro dalla nominata polarità, segue che le sei quadriche x; =0 [31] (885) Qui però è sufficiente notare che nella (æ) risultano nulli i coefficienti di à? e œ; da ciò seguono le identità (22) Didone 0 ©, Lg Vz E DT + Ly Vr Ve 0 all’ ultima delle quali può, in virtù della prima, esser so- stituita la (23) mè +o H: 4 о 0. Ora volendo scrivere in S, l'equazione di quella varietà cubica che è rappresentata in X mediante le quadriche circoscritte al pentagono, basta uguagliare i primi membri delle equazioni di quelle quadriche che si assumono come fondamentali,.a certe nuove variabili 0, , Wg bÛ ET eliminare le cinque antiche variabili ¢ fra le sei equa- zioni che così si ottengono e la X;;=0: come risul- tati dell’eliminazione si avranno appunto le (22) e (23); dunque concludiamo in fine che ; oltre ad essere circoscritte al pentagono, sono iscritte nel pen- taedro ; e come toccano in ciascun vertice del pentagono ито dei piani diagonali (del quadrispigolo proiettante da quel vertice gli altri quattro), così hanno per punto di contatto in ciascuna faccia del pentaedro uno dei punti diagonali (del quadrila- lero ecc.) Ciascuna delle sei quadriche sega la quadrica fondamentale lungo un quadrilatero. Invece due tra le sei quadriche si segano lungo una coppia di coniche appartenenti a faccie del penta- gono; е per dualità ss Le 15 equazioni Xx A x30, .. . rappresentano quelle tra le coi quadriche circoscritte al pentagono che si spezzano in due faccie del pentagono, mentre le 15 equazioni x, — xo 0... rappresentano quelle tra le œ quadriche che passano per i lati di un quadrilatero semplice contenuto nel pentagono. de dl 9v. VII 344 (886) [32] L'equazione della varietà cubica V di S, che è rap- presentata nello spazio ordinario mediante le quadri- che circoscritte ad un pentagono, può sempre porsi sotto la forma canonica quie... +x: 0, dove le sei variabili sono legate dall identità quM v Me Bm 0. Gli spazi fondamentali in questo sistema di coordinate (ai quali corrispondono in X le quadriche (21)) costitui- scono un sez-spazio covariante delle varietà V. Ed ora l'equazione canonica mostra subito che la V possiede 10 punti doppi (in quei punti di S, che hanno tre coordinate uguali a +1 e tre uguali a + 1), e che V contiene i quindici piani dati dalle terne di equa- zioni (!) æi +o — 0, x +H v — 0, о, -+v — 0 piano (1 $,-42,—0,0,--x2,2-0,9,-4- 0, 0 » (І " Й Li . ۰ H . ۰ . ' 2)(34)(56) Per avere le rette di V osserviamo che l equazione s;anonica può anche scriversi sotto la forma a, pos ...چ‎ 0 (0 о +03) + (ш, +0, а) perché il secondo membro, contenendo il fattore а +20, MT... F2, è identico a zero; l'ultima equazione si trasforma nella (1) Questi 15 piani costituiscono la completa intersezione di V colla varietà Hessiana (del 5.° ordine) X == = 0. Т [33] (887 ossia (an, -Еа»)(@, e 03) (0g +03) = (s ars (oy -Е 0; og + 226): Quindi le oo? rette date (al variare di à, p, y) dalle lerne di equazioni (24) u (00, + a) = m» (ш, H 06), Y 0, 4e 0) — — ۸ (7, +2) ГА (2+ 03) E M (04 + V)» appartengono alla varietà V. Queste rette si ottengono mediante intersezioni di terne di iperpiani omologhi nei tre fasci (12) (34) (56), (13) (25) (46) , (16) (23) (45) riferiti in relazione trilineare. Ma oltre ai tre piani base dei tre fasci, le oo* rette segano altri due piani di У; infatti se sommiamo membro a membro le tre equa- zioni (24) otteniamo (ау) (ш Ба) + (2-42) (y f s) + (а) (9% + а) =O la quale ci dimostra che quelle rette segano il piano (15) (24) (86); e finalmente se sommiamo le equazioni (24) dopo di aver moltiplicato la prima per A, la seconda per poe la terza per у; troviamo (ue) (0, + m) F V (v 4-۸) (00; + 0) 4 y (He p) (2,4 = Or la quale dimostra che la oo* rette segano anche il piano (14) (26) (35). E pur facile di scrivere le equazioni di cinque com» plessi singolari (uno dei quali è una combinaZione lineare dei rimanenti) che passano per il sistema oe* di rette, Adoperando le coordinate sovrabbondanti 7,9 . » + » della (888) | [34] retta (come luogo di punti), tra le quali passano (oltre alle relazioni quadratiche) le relazioni "ubera m0 (h—1,2...6), si vede subito che i nominati complessi singolari, nell' or- dine in cui li abbiamo trovati, hanno le equazioni I loro piani fondamentali si trovano in una relazione geometrica molto notevole; infatti ciascuno dei cinque piani passa per i quattro punti determinati sui rima- nenti quattro dai piani che segano lungo vette i rima- manenti tre; ad ез. il piano (12) (34) (56) contiene il puntol,—1,1,—1,1,— Lin cui il piano (16)(23)(45) é segato da quel piano (onde а 0), # йб Ou iy my ee 0) che taglia lungo rette i rimanenti tre piani della quin- tupla (13) (25) (46) , (15) (24) (36) , (14) (26) (35) , eec. (!) Ed ora ritornando alle equazioni (24) vediamo subito che in modo analogo si potrebbero ottenere le equazioni di altri cinque sistemi co” di rette appartenenti a У, e godenti di proprietà identiche a quelle del sistema ora studiato. Ad ognuno di questi sistemi corrisponde una quintupla di piani attraversati da tutte le rette del siste- ma stesso, ecc.; sicchè alla fine si arriva al teorema : (4) Si vede facilmente che partendo da quattro piani generici di S, sì ‘può costruire un quinto piano formante coi primitivi una quintupla, completare la configurazione dei punti e piani singolari di V, e generare poi proiettivamente la varietà stessa, V. a questo proposito i citati lavori. [35] (889) I quindici piani della varietà cubica V si POSSORO raggruppare, in sei quintuple notevoli, in guisa che ogni quintupla è collegata con un sistema œ? di rette ap- partenenti alla varietà, il quale è costituito dalle vette che segano (quattro е quindi) 7 cinque piani della quin- Гира. Il nominato sistema è base di un sistema lineare o»? di complessi, i спі centri sono i punti di V. Per ogni punto di V passano sei rette, (una per cia- scun sistema) le quali stanno sopra uno stesso cono quadrico a due dimensioni (di un iperpiano) ; le sei rette uscenti dal punto y costituiscono la completa intersezione delle tre varietà Sud тол Soi 2 0, 2c ушш О! MM 0 Dei sei sistemi di rette di V uno, come fu già detto, ha per imagine nello spazio a tre dimensioni X il sistema delle eubiche circoscritte al pentagono, gli altri cinque. le stelle di rette uscenti dai vertici del pentagono. Le considerazioni che precedono rispondono comple- tamente alle questioni che mi ero proposto nel presente paragrafo. Ma la varietà cubica V mi sembra presenti tanto in- teresse, che credo utile di aggiungere (nel. seguente pa» ragrafo) nuove proprietà alle già note, sebbene non abbia- no stretto legame colla geometria della retta in S,. 11. Una trasformazione collineare della varietà V in 5e stessa muta il sei-spazio in se stesso, e viceversa : sicchè le trasformazioni collineari di V in se stessa sono in numero di 6!, e sono rappresentate analitica- mente dalle 6! sostituzioni clie si possono formare con 6 lettere Cis Oy... Qu. Le 6! collineazioni applicate ad "n ente di S, conducono ad una classe composta, in ge- herale, di 6! enti che si trovano tutti nelle identiche relazioni proiettive rispetto a V. Esistono però in Sy (390) [36] certi enti che sono trasformati in se stessi da alcune, у ad es., fra le 6! collineazioni; ciascuno di essi dà luogo mo i Н А ad una classe composta solo di — enti. A tali enti si y : 4 )! aw possono far corrispondere univocamente le — espressioni y che assume, mediante sostituzioni delle œ, una funzione delle а, а... X, la quale rimanga inalterata per quelle sostituzioni che rappresentano le v collineazioni. Così ad es. ai 15 plani (12)(34)(56) , ... della varietà possiamo far corrispondere le 15 espressioni assunte dalla funzione quay de aum, А mediante sostituzioni. Le 15 espressioni si possono, come è noto, (Serret, Cours d’ Algèbre) riunire in sei quintuple, per modo che ciascuna quintupla ammetta un gruppo di 120 sostituzioni (triplamente transitive); ad ognuna delle sei quintuple corrisponde (una delle nostre quintuple di piani e quindi) uno dei sei sistemi 00° di rette giacenti nella varietà. Possiamo quindi dire che se 2, , à . . . æ, indicano gli iperpiani faccie del sei-spazio, e si forma una funzione triplamente transitiva delle æ, avente sei valori distinti, ai sez valori della funzione corrispondono univocamente 4 sei sistemi di rette della varietà. Ci conviene di rappresentare mediante simboli i sei sistemi di rette U,, U, . . . U,; perciò basterebbe scri- } + ad essi collegate, ma per semplicità di scrittura preferisco vere per disteso le sei quintuple U,, U, ... U, di piani dare in uno schema i simboli dei piani 4;, comuni a due U,, U, delle sei quintuple, mediante i quali si potranno subito comporre le sei quintuple. Porremo adunque (891) .(19)(85)(40) , м == (19)(43)(56) =(13)(46)(52), н = (13)(54)(69) (14)(52)(63), a; = (14)(65)(23) (15)(63)(24), tts, = (15)(20)(34) -(16)(24)(35), u , =(16)(32)(45) Per un punto generico œ della varietà V passano, соте sappiamo, sei rette Uj, We... Wg appartenenti rispettivamente ai sistemi U,, U,... Ug, e giacenti Sopra un cono quadrico K contenuto nell'iperpiano X tangente alla varietà in a. La sestupla K(v, , )...و‎ formata dai sei raggi sopra il cono K è certo proiettiva in ordine conveniente alla sestupla analoga formata dai Sei raggi che escono da uno qualunque dei punti, in cui 4 sj trasforma mediante una delle 6! trasformazioni col- lineari di V in se stessa (punto che avrà le stesse coordi- nate di ж prese in ordine diverso). Ma esisteranno poi altri | punti di V per cui le corrispondenti sestuple siano proiet- | tive alla K(w,, wu, . . . WA) ¢ La risposta negativa si può dar facilmente, sia ricorrendo alla rappresentazione di V Sulla Spazio a tre dimensioni X ('), sia direttamente per Via analitica determinando le coordinate di quei punti le Cui sestuple possono esser rappresentate mediante una data sestica binaria. Seguirò quest’ ultima via. (1) I 6! punti di V dati dalle 6! permutazioni delle coordinate di æ hanno per imagini sopra x altrettanti punti, i quali si possono dividere in 6 gruppi, ciascuno composto di 5! punti aventi tutti le stesse coordinate pentaedrali ty, to . . . t5, prese in ordine diverso. Ciascuno dei sei gruppi dà luogo adunque ad una equa- zione di quinto grado f; (t) —0 avente рег radici le coordinate dei pun i che formano il gruppo. Le sei equazioni О most y ‚› fg = 0 hanno la stessa visolvente 9 (а) — 0, le cui radici Sono le coordinate in Si de6! punti di V. (892) [38] Comincio ad osservare che un piano œ il quale ruoti intorno al raggio м, nell'iperpiano X, stabilisce una cor- rispondenza proiettiva fra le forme K ed w,, per la quale al raggio. variabile che @ sega su К, corrisponde il punto variabile che sopra u, sega la conica intersezione di х con V: in particolare nella nominata proiettività i raggi May Ug, Mg + + + % del cono hanno per omologhi sopra 95 ^4, il punto œ e le intersezioni di 4, coi piani Vig yn Maga ee MORIA Sicché abbiamo la relazione IC (9, , Ugg prr. WO ASIE, Way MVigs «+1 Vago e analogamente le altre cinque E fps, Vu M oro S MUN Ma QU, Mega Malt. р А. . " ^ " E . " . ` О ^ ^ . . . + . ۰ I set raggi di V uscenti da un punto x della varietà formano sul cono quadrico che li contiene, un gruppo protettivo (in ordine conveniente) alla sestupla di punti che sopra uno dei ser raggi determinano il punto x е ? cinque piani di V segati da quel raggio. Riprendiamo il raggio w, e notiamo che i tre punti in cui esso sega i piani Wig, 1g, ,,, Sono proiettati dal piano w;, (che ha le equazioni c, +3 — 0, 2, +a,=0) mediante gli iperpiani Si ha quindi il doppio rapporto Cita Wi (ig v Жүр Кү» q) „шшш Ca 20 OSSIA [39] (893) In modo analogo si riesce ad esprimere tutti i 6 X 6 | j 90 | | J doppi rapporti a cui danno luogo i sei raggi м, Wg.. и, mediante rapporti di somme di due tra le coordinate del punto 2 a due delle rimanenti coordinate del punto stesso. Se consideriamo le wj, wy . . . u, come coordi- 9 15 nate proiettive dei raggi uj, wv, . .. ^, in un qualsiasi sistema di riferimento su К, avremo ad es. (wu, — из) (иа Ua) WE v (ug и) (Ио Ue) а Va (wu — (о U3) Quy ag (M и) (и из) E^ к (и, — м)(% m W4) 207-05 ты i ; (te, = uns — s) D + Nelle tre eguaglianze scritte riduciamo i primi membri allo stesso denominatore ed uguagliamo questo denomi- natore ad 2, 4-4, il che (per l'omogeneità) siamo liberi di fare; avremo e quindi Se poi adoperiamo le rimanenti espressioni dei doppi rapporti delle # mediante le i, riusciremo a calcolarci facilmente le 15 somme 2, 4-00, mediante le u , ed otter- remo quindici uguaglianze fra le w e le w, che risultano dalle (25) quando al posto di «;, si legga 2; +2, e al posto dei simboli (7A) si ponga (u; — ur): TUTTI S. V 115 (894) [40] Da queste uguaglianze poi si ricavano subito le 2, аео Oe 80481 Osserva: che 22.90, 2250.5. 6080. SL ANTA == (uu T g (Ug M uu 2) (un T wy yeu) H (wm g(t — tt; ) (gn) A Qm 2 um tt (U; — tg) ( ) U T en U (UU), 2 € Le funzioni cubiche delle 4 che ci esprimono 4%, , | 4g, + + +, 4%; 81 trasformano evidentemente l’ una nel- | l’altra mediante sostituzioni delle lettere wj, Ugs... Ugs sicchè una qualunque di queste funzioni assume (fatta | astrazione dal segno) soltanto sei valori distinti quando si il permutano comunque le w. Così adunque una ricerca ti puramente geometrica ci ha spontaneamente guidato ad | un gruppo notevole di funzioni; le quali furono scoperte il nel 1867 dal Joubert (') che si era proposto di costruire 1А una risolvente di sesto grado dell’ equazione di sesto grado. | Come egli osserva le sei funzioni danno identicamente per somma zero e per somma dei cubi ancora zero; la quale | proprietà, interpretata nel caso nostro, ci dice che sulla | V esistono punti per cui la sestica delle rette è proiettiv ad una sestica data ad arbitrio. Questa osservazione in- sieme alle precedenti ci conduce al notevole risultato : | | Data una qualunque sestica binaria, esiste sulla va- | ii rietà cubica V un punto tale, che le sei rette di V uscenti da esso formano sul cono quadrico a cui appar- tengono una sestupla protettiva alla sestica data; il punto è unico se è assegnato Г ordine di corrispondenza tra le sei rette e le radici della sestica, e in caso opposto il punto può assumere 6! posizioni che si ottengono da una tra esse mediante le 61 trasformazioni collineari di V in se stessa. Le coordinate di questi 6! punti (4) Comptes Rendus de l'Acad. des Sciences, 1 semestre 1867, pag. 1025 e 1081. —— Кини DERE [41] (895) coincidono (in ordini diversi) coz sez valori che assume la funzione di Joubert formata colle radici della sestica. Le relazioni tra la risolvente di Joubert e gli inva- rianti della sestica primitiva, conducono subito ad espri- mere gli invarianti della sestica formata dalle sei rette uscenti da un punto 2 di У, mediante funzioni simme- triche delle coordinate del punto. Ma per ciò rimandiamo il lettore alla Nota citata del Joubert dove tali relazioni Sì trovano esposte ('). (1) Non voglio abbandonare la varietà V senza averne prima determinato U equazione tangenziale, quando si assume come esa- gono di riferimento quello costituito dai poli dei sei spazi иче U те ni j rispetto alla quadrica fondamentale la quale ricerca mi condurrà ad una nuova equazione (esaedrale) della nota superficie di Kummer. Il problema analitico propostomi coincide con quello di deter- minare la equazione in coordinate di punti а, ж... ж della Varietà del quarto ordine W polare reciproca della V rispetto alla quadriea fondamentale. Per giungervi indichiamo con y un punto della varietà V , e con z quel punto della varietà W il cui spazio polare rispetto alla quadrica fondamentale è tangente а V in y; allora lo spazio tan- sente in y VI о. Е gts 2—0 QUIS Spazio polare di z zi, -- 0 « « H- 2698 0 devono coincidere, per il che è necessario e sufficiente che si pos- Sano determinare due nunieri р e с tali che sussistano le | | | ar ج PE, m | ww (896) 19. Conzugio fra complessi di rette e di piani. — Non mi fermo sui casi particolari del sistema lineare oo? di complessi, poichè potendo esso ritenersi sempre defi- &) £21 Д Buen Ba ere А l'equazione di W si otlerrà eliminando le otto quantità VisVwus «у у pw о fra le sei uguaglianze «) e le p) И О 0 Xem. Per eseguire l'eliminazione si formi l'equazione di sesto grado in y di cui уу, Yy» „, ye sono le radici; tenendo conto delle due prime uguaglianze f), questa equazione assumerà la formá ЕН у ио e dis 0s si formi poi la trasformata in oz—y?-|-2, e si troverà tenendo conto della terza f) ») (5323 -1- apz + B)? — ур2 Le sei radici di questa equazione (qualunque siano «, f, у, р) sono coordinate di un punto di W, in virtù delle о). Per avere l'equazione di W resta solo da eliminare le «„, у ер fra le sei relazioni indipendenti che legano le radici della ») ai coef- ficienti. Mediante questa eliminazione giungeremo (oltre che alla Ут; — 0) ad una equazione, la richiesta, che, prevediamo sarà data dall annullarsi di una funzione simmetrica del quarto grado delle z (poiché la W è del quarto ordine). E per poterla scrivere basta osservare che dalla >) seguono le zzi? — 429 292524 ep sicchè in fine d) (221°)? — 16 X2,292424, — 0 [43] (897) nito da quattro complessi singolari, la ricerca di tali casi si riduce alla semplice questione di discutere quali parti- colari posizioni si possano attribuire a quattro piani di S,. è l equazione cercula di W, in coordinate di punti (o ciò che fa lo stesso, è l’ equazione tangenziale di V rispetto all’ esagono). Ai 10 punti doppi di V corrispondono dieci iperpiani i quali toccano W lungo quadriche; questi iperpiani passano a quattro a quattro per quindici rette doppie della W , ecc. La W è segata da un iperpiano generico (dove si può supporre хх :0) in una supcrficie del quarto ordine w con quindici punti doppi e dieci piani tangenti lungo coniche, la cui equazione è data dalla 2), insieme alla e) e alla Dep ez, di sei) congruenza di rette del secondo ordine e terza classe, che la w è la ben nota superficie focale di una (e quindi fu scoperta dal Kummer. L'equazione esaedrale della w qui data, sì ottiene quando si riferisca la superficie al suo esaedro covariante, di cui parla il Caporali nella Nota Sopra i piani ed i punti sin- golari della superficie di Kummer (Mem. Accad. dei Lincei, 1877-78). Se poi lo spazio «) è tangente alla W , nel qual caso le « oltre ad aver la somma nulla hanno pure nulla la somma dei cubi, la w ha un sedicesimo punto doppio nel punto di contatto, di coor- dinate 64,2 — Xo;i?, . . ., e possiede altri sei piani tangenti lungo coniche che escono da quel punto doppio; la w è adunque la su- Perficie di Kummer focale di sei congruenze (2, 2), riferita ad uno dei suoi sedici esaedri (corrispondenti ai sedici nodi) Che ogni superficie di Kummer si possa ottenere dalla W mediante un conveniente iperpiano tangente, e quindi si possa rappresentare mediante la 2), e la ) segue dal fatto che, data ad arbitrio Ja sestica da cui, come è noto, resta determinato (a meno di trasfor- (898) [44] Accenneró invece alle principali proprietà del sistema. co! di complessi. Ma per procedere più speditamente, premet- terò la nozione di coniugio tra complesso di rette e com- plesso di piani (forma duale), nozione che avrebbe potuto trovar posto nelle prime pagine di questa Nota, ma qui soltanto mi riesce veramente utile. L’ equazione OR y è - (26) Zik Pinin = 0 (6 k combin. di 1, 2... 5) quando le Pin Sono coeffi- cienti costanti, e le rj, sono cordinate variabili di rette. rappresenta come sappiamo un complesso di rette С. di S; , di cui le p;, possono chiamarsi coordinate (omogenee). Ma se invece riguardiamo le ;;, come costanti e lo Pra come coordinate correnti di piani, la (26) ci rappresenta la varietà duale di С, cioè un complesso di piani X del quale le »;, sono le coordinate. Quando tra le coordinate Piro Tip de due complessi, l uno di rette, Г altro di piani passa la relazione (26), , › diremo che i due complessi sono coniugati (apolari) ra loro. Se uno tra i due complessi è singolare, esso ha come retta o piano fondamentale, una retta od un piano che appartiene all’altro complesso; e viceversa ogni elemento del complesso primitivo è fondamentale per un complesso (singolare) coniugato. Infatti se il complesso di piani X, ad es. è singolare, la (26) ci dice che la sua retta fondamen- tale ;;, appartiene al complesso di rette C, . mazioni proiettive) un numero finito di superficie di Kummer, si possono calcolare le а (come valori delle sei funzioni di Joubert formate colle radici della sestica) in guisa che la д) insieme alla с) e alla 2; == 0, rappresenti precisamente una di quelle super- ficie. | | | [45] (899) In particolare affinchè due complessi singolari siano coniugati, è necessario e sufficiente che i loro elementi fondamentali sì seghino. Per trovare nel modo più semplice una relazione geo- metrica che leghi due complessi generali €;, X, coniu- gati, osservato il carattere invariantivo della equazione (26), assumiamo come punto fondamentale eda Е il) il centro del complesso C, , e come spazio fondamentale V; = 0 l’iperpiano centrale del complesso X,;. allora essendo ^ 45 1 95 ! 8b ! 45 0, pis P35 Pas 0, la (26) diventa Pig Pao Tas Part 7а Рза == 0, la quale interpretata nello spazio œ; == 0, ci esprime il coniugio (involuzione) fra il complesso oo? di rette-raggi che ha per coordinate р, . . . p,,, ed il complesso оо? di rette-assi che ha per coordinate о, . . . 7,4. Ora il primo complesso è formato da quelle rette di С, che giacciono nello spazio w, = 0, mentre il secondo complesso è co- Stituito da quelle rette di a, — 0 per ciascuna delle quali passano 00° piani di X;. Dunque (osservando che il ra- 8lonamento è invertibile). Se i due complessi Og, X, sono coniugati, le rette del primo che stanno nell’ iperpiano centrale del se- condo, formano un complesso o3 involutorio col com- plesso œ' costituito da quelle rette che sono assi di Stelle (00%) di piani appartenenti a X, , (ed i piani di X, che passano per il centro di С, formano un complesso, ecc.) ; e viceversa ('). (1) Un' altra. via per dimostrare lo stesso teorema, la quale ha il vantaggio di estendersi ai complessi degli spazi superiori, con- n È | | | (900) [46] Ad ogni complesso di rette o di piani la (26) fa cor- rispondere un sistema lineare oo* di complessi coniugati di piani o di rette; più in generale ad ogni sistema li- neare оо! (k< 9) di complessi di rette (di piani) è co- niugato un sistema lineare ооё — " di complessi di piani (di rette), costituito da quei complessi che sono coniugati a tutti i complessi del primitivo sistema. Una retta (piano) comune ai complessi del primo sistema è fondamentale per un complesso singolare nel secondo sistema, e sega tutti i piani (le rette) comuni ai complessi del secondo sistema. In particolare i cinque piani fondamentali dei com- plessi singolari che appartengono ad un sistema lineare co? di complessi di rette, costituiscono il gruppo base di un sistema lineare oo? di complessi di piani; dunque: Sei complessi di piani (di rette) hanno in generale cinque elementi comuni. 13. Sistema lineare оо“ di complessi di rette. — Ad osso è coniugato un sistema oo“ di complessi di piani, per modo che le oo! rette costituenti (nel caso generale) la base del primitivo sistema, segano gli оо! piani costi- tuenti la base del secondo sistema. La rigata G delle oo! rette e la varietà Г degli оо! piani sono forme duali. La prima è formata da quelle rette che segano cinque piani siste nel considerare la collineazione prodotto dei sistemi nulli individuati dai due complessi. Questa collineazione ha per deter- minante il prodotto dei determinanti dei due complessi; quando sia soddisfatta la condizione di coniugio è nullo quell’ invariante che si ottiene sommando gli elementi principali del determinante prodotto; dal che segue (Pasch, Math. Annalen, 13, per il piano; Segre, Math. Ann. 24, per lo spazio ordinario) una proprietà geo- metrica caratteristica della nominata collineazione. [47] (901) generici di Г, la seconda da quei piani, che segano cinque rette generiche di G; ogni piano di I° sega G lungo una cubica; da ogni retta di G i piani di Г sono proiettati mediante un inviluppo cubico di iperpiani. La rigata С e la varietà T sono del quinto ordine, ellittici collo stesso mo- 2 dulo, ecc. (?) Ormai appare evidente come valendosi del principio del coniugio tra complessi di rette e di piani, e traspor- tando per dualità ai secondi le proprietà già dimostrate per i primi, si possano stabilire subito le principali propo- sizioni sui sistemi lineari 00°... oo* di complessi di rette. Perciò ritengo inutile di fermarmi su questa facile ricerca. Torino, giugno 1891. (1) Tutte queste proprietà sono note; V- Segre, Alcune consi- derazioni elementari . . . n.° 8. Ше INS. VI 116 — Trr==—rrrr_—==>yFyxx=x======xx=—_x=——="%acoutonoe € M, ست‎ COMUNICAZIONE SULLE LETTERE DI ANGELO TREVISAN © INTORNO AI VIAGGI DI COLOMBO . DEL м. в,” GUGLIELMO BERCHET Per celebrare il quarto centenario dalla scoperta del- l' America, il governo del Re ha divisato di pubblicare una raccolta di documenti e di studi intorno a Colombo ed agli altri navigatori che compirono l'opera sua; ed a questo fine ha nominato una commissione alla quale io (1) Trevisan Angelo di Bernardino, di famiglia cittadinesca ve- neziana, dell ordine dei Segretari della Cancelleria, nel 1497 era a Savona segretario di Domenico Malipiero provveditore della veneta armata, quando questo celebre ammiraglio, е poi eronis' a, operò nel Ginovesato (Sanuto, Diari Т, pag. 560), poi nel 1501 fu segretario di Domenico Pisani ambasciatore veneto in Portogallo e in Spagna. Il 23 febbraio fu dal Pisani mandato da Lisbona ai reali di Spagna, in Granata, dove lo troviamo ai 20 di marzo ed agli 11 di aprile 1501 (Sanuto, III, 1597, IV, 19). Nel 1508 passò coll ambascia- tore Vincenzo Querini in Alemagna, e lo troviamo a Ems il 20 giugno (Sanuto, V, 43) poi collo stesso Querini a Falmouth in Inghilterra il 20 giugno 1506 (Sanuto, VJ, 344) col quale ri- tornò in Spagna. А” 10 di ottobre 1506 il Querini leggendo in Til (90 4) [2) ho l’ onore di appartenere ('). A me anzi fu affidata la collezione dei documenti diplomatici e delle narrazioni sin- crone. Non è qui il luogo né il momento di dire come il lavoro sarà condotto. Pregio sarà della Commissione, e particolare debito mio, di presentarlo in omaggio ed al giudizio dell’ Istituto, quando sarà compiuto. Ma intanto reputo mio dovere di rappresentare, che in particolare mi venivano affidati due incarichi che si riferiscono pro- priamente a Venezia, il primo cioè di verificare se Co- lombo, come venne asserito da Francesco Pesaro e sulla sua fede dal Marin (*) e dal Bossi (*), e poi ripetutamente da altri, avesse chiesto sussidi alla Signoria di Venezia per intraprendere la sua fortunata navigazione ; il secondo di rintracciare le famose lettere che Angelo Trevisan se- gretario di Domenico Pisani ambasciatore veneto in Spa- gna, e contemporaneo ed amico di Colombo, ha dirette, Senato la relazione delle sue ambascerie lodava altamente il suo segretario Trevisan (Sanuto, VI, 443). Nel 1507 in agosto e in set- tembre fu a Innspruck presso l imperatore (Sanuto, VII, 148) e nell’ ottobre in Ala (Id., УП, 155) e nel novembre a di 25 il Querini di nuovo lo lodava in Senato (Id., VIT, 193). Pare morisse poco dopo, perché troviamo nel Sanuto, vol. VII, pag. 416, che il 28 di aprile 1508 «feno do segretari ordinari a la Canzeleria in luogo di An- gelo Trevisan e Domenico Сејо morti. » Harrisse invece, Christ. Golomb., 11, pag. 193-24, crede che nel 1502 il Trevisan sia stato a Venezia, ma è una sua congettura, e che nel 1499 facesse parte di una spedizione contro i turchi, e si sbaglia. Quel Trevisan Angelo era un altro, di famiglia patrizia, e figlio di Paolo e non di Bernardino. (1) Reale Decreto 4." novembre 1887. (2) Marin, Storia morale e politica del commercio dei venc- ziani. Venezia, 1798, vol. VII, pag. 230. (3) Bossi, Vita di Cristoforo Colombo. Milano, 4818. Nota a pag. 10. = — | —— [3] (903) qui, all'annalista Malipiero, colla narrazione delle sco- perte. perciò credetti inutile di intrattenerne l’ Istituto. Pubbli- cal una relazione in proposito nella Nuova Antologia (1). La seconda invece riuscì fortunata, e quindi su questa mi permetto di brevemente riferire. La prima ricerca condusse a conclusioni negative, e Nell’ anno 1507 usciva in luce col titolo: Paesi nuo- vamente trovati et Mondo Novo di Almerico Visputio una fra le prime e più importanti raccolte di viaggi, rara edizione e preziosa (?) la quale fu il prototipo della (1) Nuova Antologia. Roma, 1890, vol. XXV, serie TII. (2) П testo vicentino, che si conserva nella Biblioteca Marciana al п." 26431, porta precisamente questo titolo: Puesi nuovamente trovati, ct Mondo novo di Almerico Vesputio. Comincia con una lettera di Montalboddo Fracan al suo ami- cissimo Joanni Maria Anzolello vicentino. È diviso in sei libri che contengono : I. Incomenza el libro de la prima navigation per loceano e le terre de’ Nigri de la bassa Ethiopia per comandamento dell'illustre Sig. infante don Hurich (sic) Iratello de don Deurth (Sic) re di Portogallo. II. Libro secondo de la navigatione da Lisbona a Callicut, de lengua portoghellese in taliana [ sic]. IIT. Libro tercio de la navigatione de Lisbona a Calicut de lengua portogallese in taliana. IV. Incomenza la navigatione del re di Chastiglia de le isole ct paese novamente retrovate, V. El Mondo novo de lengua spagnuola interpretato in idioma romano. VI. De le cose de Calichut, conforme a la navigatione de Pedro Aliares, nel secondo et tercio libro, le quale se hanno verissime per la copia de alcune lettere, secundo l ordine de li millesimi in questa ultima raccolta. (906) [4] famosa raccolta Ramusiana, e successivamente venne ri- prodotta con varianti ed errori, in parecchie edizioni, e tra- dotta in latino, in tedesco e in francese (!). In questa raccolta fatta da Fracanzio di Montalboddo (*) E termina colla indicazione : Stampato in Vicentia, cum la impensa del magistro Henrico Vicentino, et diligente cura et industria de Zamaria suo fiol nel МСССССҮП a ПІ de Novembre. Cum gratia et privilegio per anni X, como nella sua bolla appare, che persona del Dominio Veneto non ardisca imprimerlo. (1) Della Raccolta vicentina comparvero ben presto nuove ri- produzioni a Milano nel 1508, nel 1512 e 1519 « con la industria di Jo. Jacopo e fratelli da Lignano e cura di Jo. Angelo Scinzen- zecler », a Venezia nel 1517 e nel 1524 per Zorzi de Rusconi. Fu tradotta in latino con molta negligenza da Arcangelo Madrignano col titolo: « Itinerarium portugallensium e Lusitania in Indiam et inde in occidentem et demum ad aquilonem » Milano, 1508; e così riprodotta nel Novus Orbis del Grineo a Parigi nel 1539 ed a Basilea nel 1532 e 1555. Pure nel 4508 fu tradotta in tedesco da Jobst Ruchamer, il quale vi introdusse molti errori, basti notare che tradusse Colombo per Taube (piccione), Nino per Schwarz (nero), Lorenzo dei Medici per Lorenzo Arzi (medico). Nel 1516 fu tradotta in francese, non senza inesattezze, da Mathurin de Re- dourer, e riprodotta nel 1524 e 1528. (2) Fracanzio o Fracanzano fu professore di lettere in Vicenza e di molta fama. È detto da Montalboddo dal nome della sua patria, castello nella Marca d' Ancona, e non è altrimenti vicentino, della nobile famiglia dei Fracanzani, come ingannato dal nome suppose il Foscarini. Quanto al tempo in cui tenne la cattedra non si può dirlo con precisione, ma secondo ogni apparenza sarà stato tra il 1502 in cui la scuola di umane lettere erasi resa vacante, ed il 1505 in cui si vede coperta da Celio Rodigino. Fracanzio era an- cora a Vicenza l'anno 1507, allorchè colla stampa di Enrico da Sant Orso diede in luce la sua Raccolta di Viaggi. Panfilo di San b { | [5] (907) la parte che riguarda i viaggi di Colombo, di Alonzo Niño e di Vicentianes Pinzon, cioè il libro IV, è semplicemente la riproduzione di un libretto di anonimo autore, stam- pato a Venezia da Albertino Vercellese da Lisona ('), libretto che credevasi perduto dopo che il Morelli (*) ne avea dato notizia, e fu ritrovato nel 1869 dal barone Varnhagen (5) nella Marciana di Venezia, e da Enrico Harrisse poi (*) dichiarato il solo ed unico esemplare che si conosca. La data della edizione del libretto è del 10 aprile 1504, ma vi è luogo a supporre che le prime carte appartengano ad una precedente edizione, forse del 1502. Di fatto, le quattro ultime carte del libretto, tre stampate e una bianca, quelle cioè che recano la data dell’ aprile 1504, sono diverse da tutte le precedenti, sono più bian- che, più sottili, hanno per marca di fabbrica la bilancia, mentre le prime cinque hanno per marca cinque cumuli Severino e Durastanti di San Giusto parlano di lui nel loro celebre poema intitolato Picenum. Ecco le loro parole: Mons gelidam Bodius paulum declinat in Arcton ; Ditior hie pinguem vertit arator humum 9 quattro distiei dopo: teddidit hane celebrem sapiens Fracantius oram Grammaticus, rhetor, vir geometra bonus Viderat hunc gratum Vincentia tota legentem Stipabat juvenum magna caterva latus. (1) « Libretto de tutta la navigatione de’ Re de Spagna de le isole et terreni novamente trovati. » E in fine: Stampato in Venetia per Albertino Vercellese da Lessona ai X di Aprile MCCCCCIV cum gratia et privilegio. (2) Lettera rarissima di Cristoforo Colombo. Bassano, 1810, (3) Amerigo Vespucci. Nouvelles Récherches. Vienne, 1869. (4) Bibliotheca Americana Vetustissima. New York, 1860, e Additions, Paris, 1872, pag. 91. (908) [6] e una croce, e una filigrana più fitta e più evidente. I 'aratteri, sebbene di corpo eguale, sono nelle ultime 4 carte disposti per 39 linee, mentre nelle prime lo sono per 40, e quel che più importa la dicitura del testo scorre nelle ultime pagine più purgata e corretta. Comunque sia il libretto è precisamente il testo del- l'edizione vicentina del Fracanzio, per quanto riguarda i primi viaggi di scoperta del nuovo mondo, e sarebbe an- che il solo testo originale, se tre codici del tempo, uno conservato nella biblioteca Comunale di Ferrara, uno nella Marciana di Venezia, e il terzo, con alcune carte stam- pate dell’edizione vicentina del 1507, nella Magliabecchiana di Firenze, non avessero posta la questione sulla prefe- renza da darsi all’ uno о all’ altro testo, nella riproduzione da farsi per la raccolta Colombiana (!). (1) Il ms. di Ferrara è contrassegnato in quella Biblioteca Comunale 10. P. 9. 4: (prima era 10; №. A. 1) conta carte 84 non numerate, alte centimetri 18 larghe 10 con circa 17 linee per pagina verso e retro. Porta per titolo: « Successo della prima navigatione di Colombo admirante del Re di Spagna delle insule et terreni noviter scoperti dalli antiqui incogniti. » È foderato di cartone rozzamente legato, sul quale sta scritto: Ludo- vici Carboni Epistole varie et Navigatione del Colombo, perchè entro la stesa legatura stava, e fu poi levato come chiaramente si vede, un fascicolo di poesie latine dal lodato poeta ferrarese Gar- bone, morto nel 1485. Il carattere del manoscritto evidentemente è del primo quarto del secolo XVI, e la carta porta per marca di fabbrica ora una balestra, ora una bilancia. Nel margine, dove sono richiamati dal testo, si vedono disegni a penna delle cose ricordate, ed è curioso che taluni più grossolani pajono fatti dalla stessa mano e penna che scrisse il testo, altri più finamente condotti sono certamente Ф altra mano, ma fatti collo stesso inchiostro sopra un abozzo di- segnato prima col lapis. E (909) Ma tale questione, che ha pure il suo valore, ne fece j più importante, quella cioè di stabili- sorgere un’altra assa Il Codice ferrarese non reca i primi libri dei Paesi, comincia col IV, cioè col Libretto di tutta la navigazione, ma con alcune notevoli varianti. Questi viaggi del Colombo, Nino e Pinzon sono divisi in sette libri, mancano però due carte nelle quali dovrebbe terminare il libro terzo e cominciare il quarto. A carta 45 co- mincia il libro VIII degli Antipodi colla lettera di Vespucci a Lorenzo dei Medici, a carte 60 vi è la lettera di Colombo da Ga- lese, e a pagina 75 la lettera di Girolamo Vianello, 98 decem- bre 1506. Questo Codice che è forse il più corretto dei tre fu nel 1875 pubblicato a Bologna dal prof. Ferraro, sgraziatamente con molti errori. Tale pubblicazione diede argomento ad un dottissimo e ma- gistrale lavoro del comm. Desimoni che comparve nel Giornale Ligustico. 1876, fasc. IX e X. Il manoscritto di Venezia, è un bel Codice legato in pelle col titolo: Viaggiatori Antichi, contrassegnato nella Marciana, classe VI, cod. 908 già appartenente al Morelli. Comprende carte 260, fili- granate senza chiara marca di fabbrica. La carta è molto mac- chiata e ingiallita dal tempo. Il carattere pure è ingiallito e si manifesta evidentemente del principio del secolo XVI, mantenendo la origine quadra del carattere del secolo precedente. Dopo un copioso indice, comincia a carte 1 il Viaggio del Beato Odorico e quello di Marco Polo, a pagine 64 e’ è 1° epistola da Montalboddo a Jo. Maria Anzolello vicentino, a cui fa seguito el tractato chia- mato Mondo Novo compillato dal nobil homo mess. Alvise da Ca da Mosto venetiano, che è eguale ai « Paesi» fino a tutta Ja lettera di Amerigo della quale manca la chiusa. Poi non C'è il libro VI, cioè manca la lettera del Сгейсо 1501, la lettera del mercante di Spagna ai suoi corrispondenti di Venezia (sul trattato di pace di Calicut) nè quella delP Affaitada, invece e’ è quella del Pasqualigo 1501, e il capitolo: Como Joseph Indiano... Quindi a pagina 150 Cominciano altri viaggi di Mandeville ecc. БОЛ б; ҮП 117 1] (910) [8] re, con sicurezza, e definitivamente, chi sia stato l'autore del Libretto e quale veramente fosse lo scritto che vi diede origine. In questa ultima parte a pag. 165 parlando, dell’ eresia mao- | meltana dice che persevera fin oggi 1518 a due agosto, ed a pag. | 178: finivi hanc materiam in die ascensionis 1520 17 maggio, ed a pagina 247 in un capitolo de Mahumeto propheta, è detto haec eum docuit quidam Pergius apostata... qui ipsam legem compo- suit et nunc pene totus mundus eam tenet usque hodie sive 1523. Le quali date peró non escludono minimamente che le pagine precedenti del Codice sieno state scrilte assai tempo prima, pe- rocché dal carattere e dalla disposizione della materia e delle note chiaro apparisce che lo serittore vergó quei fogli successivamente in un lungo periodo di tempo, riscontrandosi sempre la stessa mano con una. scrittura più stanca nelle ultime pagine. Noto che nel Saggio di Bibliografia Francescana del padre d Marcellino da Civezza (Prato, 1879, pag. 434), parlandosi del viag- gio del Beato Odorico, è detto che le traduzioni italiane di quel viaggio cominciando da quella del Ramusio sono incomplete, e che forse la vera, tuttora inedita, è appunto questa del Codice Marciano, cl. VI a 208, oppure dell’altro, egualmente Marciano, cl. XI, cod. 32. | Il Codice di Firenze ha una singolare particolarità ed impor- tanza. Esso apparteneva alla Biblioteca Magliabecchiana, ed or: trovasi nella Nazionale, contrassegnato classe XIII, n.° 84. È una collezione in quarto, parte stampata con note manoscritte e parte manoscritta, e contiene, oltre alla parte dei « Paesi» che riflette i viaggi di Colombo, altri documenti, lettere, relazioni ecc., che per $ la loro importanza e contemporaneità, prenderanno posto nella Raccolta della Commissione Colombiana. І? ab. Follini, bibliotecario, vi scriveva sopra nel 1820 Ја se- guente nota: Si vede a pag. 32 che l autore è un Alessandro Zorzi. Di fatto il conte Baldelli Boni (IT Milione di Marco Polo. Firenze, 1827, tomo 1, pag. XXXII), accennando a questo Codice, | | E [9] (911) Dopo quanto ne scrissero il Foscarini (!), il Mo- relli (2), Jo Zurla (ê), e poi l'Humboldt (*), il D'Ave- dice: « Ho con diligenza studiata questa raccolta ed ho scoperto chi ne fosse il raccoglitore. Dopo la lettera di Simone dal Verde e la informazione di Bartolomeo Colombo, si racconta che questa, tro- vandosi Bartolomeo a Roma nel 1505 dopo la morte di suo fratello Cristoforo, fu da lui data ad un frate Hierorimo canonico regolare a S. Giovanni Luiterano, il quale essendo a Venezia la diede ad Alessandro Zorzi suo amico e compilatore della presente rac- colta. » Foscarini Lett. Ven. Viaggiatori eruditi, pag. 315, menziona questo Zorzi. Per ciò appunto prima l’Humboldt nel suo Examen critique de U histoire de géographie du nouveau continent, poi | Harrisse B. A. V. non esitarono a sostituire il nome di Alessandro Zorzi a quello di Fraeanzio Montalboddo quale autore della raccolta i « Paesi.» L’ Harrisse però successivamente modi- ficò integralmente questa affermazione. Basta in fatti prendere in mano quel Codice, per vedere, che la parte dei « Paesi» che si riferisce a Golombo, meno le prime carte manoscritte di carattere del Zorzi, ed altre due carte ag- giunte sono precisamente pagine dell’ edizione di Vicenza del 1507, con note marginali manoscritte, е cogli stessi disegni marginali a penna che si riscontrano nel Godice ferrarese. Non si può quindi dubitare che il testo fiorentino non sia posteriore al vicentino, di cui reca le pagine stampate e non semplici bozze, dal momento che le aggiunte e modificazioni non si vedono riportate nella edi- zione vicentina del 1507, la quale deve assolutamente ritenersi del Fracanzio da Montalboddo. (1) Il Foscarini, Letteratura Veneziana, pag. 498, segnalò per primo le lettere di Angelo Trevisan quasi tre secoli dopo che furono scritte. Ө) ДЕЕ argu. (3) Zurl», Di Marco Polo е degli altri viaggiatori veneziani. Venezia, 1848, vol. II. (4) Humboldt, Examen critique de U histoire de la géogra- phie de Nouveau continent. Paris, 1837, vol. IV. 1 Ì | | | | | (912) [40] гас (!), il Varnhagen (°), e l’Harrisse (*) e più chiaramente di tutti il Desimoni (^) non poteva esservi dubbio, che il Libretto fosse stato compilato nel 1502 colle lettere che dal- l'agosto 1501 al gennaio 1502, Angelo Trevisan segretario dell’ ambasciatore veneto in Spagna Domenico Pisani, avea scritte a Domenico Malipiero (°), che stava compilando i suoi diarî, dei quali pur troppo, non rimase che un rias- sunto scritto dal Longo (°). E di fatto il Foscarini dapprima nel 1752, Morelli nel 1810, Zurla nel 1818, attestarono di aver veduto quattro lettere del Trevisan al Malipiero, le quali più non si tro- varono (7), e ne riportarono anzi alcuni periodi, colle quali lettere egli mandava al diarista veneziano le descrizioni dei nuovi viaggi, avute o dalla bocca stessa di Colombo, che irovavasi in Granata nel 1501, e « col quale ho preso pratica e gran amicizia», oppure «translatade in volgar da (1) D' Avezac, Année veritable de la naissance de Chr. Co- lomb. Paris, 1873. (2) Opis cit (3) Harrisse, op. cit. (4) Giornale Ligustico, 1870, fase. TX e X. (5) Domenico Malipiero nacque nel 1428, passò la gioventù nei commerci e nelle navigazioni, sedette nei consigli della repubblica nel 1465. Eletto capitano delle navi nel 1488 militò sotto gli or- dini del capitano generale Jacopo Marcello, morto il quale prese il governo dell’ armata e raccolse il frutto della vittoria di Galli- poli. Durante la guerra di Ferrara, pugnò nel Genovesato. Fu quindi podestà a Rovigo, a Rimini ed a Treviso. dove nel 1515 chiuse la sua vita onorata ed operosa. Scrisse i Diarii veneti dal 1457 al 1500, dei quali sgraziatamente non esiste che il compen- dio compilato dal Longo. (6) Arch. storico italiano. Firenze, 1843, tomo VII. (7) In data di agosto, settembre e decembre 1501 e gennaio EI 1 =" ans 11] (913) una dizeria molto longa composta da un valentuomo . . . che è lo ambasciatore de questi serenissimi re che va al Soldano, el qual vien de li (a Venezia) con animo da pre- sentarla al Ser." Principe (!) » evidentemente Pietro Mar- tire d'Anghiera, il quale è bensi venuto.a Venezia ma non consta abbia presentato il suo manoscritto. (°) Quanti si occuparono di studi Colombiani, manifesta- rono il voto, che queste lettere del Trevisan si ritrovas- sero, perocché i passaggi pubblicati dal Foscarini, dal Mo- reli, dal Zurla e riprodotti dall’ Harrisse (?), accennano bensi alla spedizione delle relazioni dei viaggi, ma non ne danno parte alcuna benchè minima. Naturalmente le prime ricerche si fecero nella Biblio- teca Marciana, dove affluirono i più preziosi libri е ma- noscritti veneziani, ma rimasero senza frutto. Parimenti negli archivi pubblici e nelle private collezioni non si trovò traccia alcuna di questi documenti. Per procedere con ordine e non a caso nelle ricerche, ho dovuto formarmi una specie di genealogica derivazione delle carte del Malipiero fino ai nostri giorni. Ovvio era in fatto che se il Trevisan scrisse al Ma- lipiero, le lettere originali о la copia di esse dovessero trovarsi presso il Malipiero. Una serie non piccola nè fa- cile di studi venne a dimostrarmi che le carte del Mali- piero passarono nei Soranzo, confermandosi così la asser- zione del Foscarini di avere veduto le lettere di Angelo Trevisan presso Jacopo Soranzo, al codice DOLXI (*). (1) Lettera 24 agosto 1501 da Granata. (2) Legatio babilonica, 1502, nel De Orbe novo. Alcalà, 1516 e Sanuto Diarii, An. 1502. (3) Harrisse, Christophe Colomb, II, 148, dice che la lettera del 94 agosto 4504 fu pubblicata integralmente dal Zurla, e la riproduce, ma non è così. (4) Foscarini, Della letteratura veneziana. Padova, 1752, pag. A, i " r { i 427. 11 Morelli poi avea veduto il Codice, contenente queste lettere, А | | | | I (914) [12] La libreria Soranzo passò parte in proprietà dell’ ab. Canonici, e parte di Amedeo Svajer. La libreria Ca- nonici nel principio di questo secolo andò a finire in In- ghilterra e principalmente nella biblioteca di Oxford, e quella dello Svajer fu divisa fra la Marciana, l’ Archivio di Stato e la libreria dei conti Manin. Ho dovuto per- tanto intraprendere le piü insistenti e minute ricerche, consultare i cataloghi di tutte quelle librerie, ricorrere alla benevola assistenza di molte persone, ma tutto fu inutile. Una nota però del Cicogna venne a portarmi un raggio di luce. Egli scriveva che nel principio di questo secolo alcuni codici Soranzo furono aquistati, a mezzo Peri- sinotti, dal rev. Walter Sneyd, di Londra. Scrissi a Londra, dove, dapprima, mi risposero che questo nome era ignoto, poi, che da molti anni il rev. Sneyd era morto e fuori di Londra, e che non si sapeva cosa fosse avvenuto della sua libreria, la quale sicuramente non trovansi più in quella città. Fu allora che pensai di rivolgermi a un illustre рег- sonaggio inglese, che possiamo annoverare fra i nostri concittadini, pel suo soggiorno a Venezia e per l'amore che porta alle venete cose. Sir Layard mi fu cortese d'aiuto, e in breve si venne a sapere dove era il codice Soranzo contenente le lettere del Trevisan al Malipiero. Ега a Newcastle, presso gli eredi Sneyd. Essi gentilmente aderirono a che ne venisse fatta una copia esattissima, e ne venissero tratte alcune fotografie. Fu una distinta si- gnora, Ellen Salmon, che si occupò della cosa, recandosi espressamente a Newcastle, e mi favori la trascrizione di tutto il codice, e le fotografie, con che ho potuto esau- nella libreria Canonici, e il co. Fernazza de Frenay vi faceva ac- cenno a pag. 355 del suo libro Sulla Patria di Colombo. Pisa, 1808. «v E x y Jj A [18] (915) rire il mio incarico, e le lettere del Trevisan sono ormai in corso di stampa ('). Come furono fra i più desiderati, esse saranno certa- mente fra i più graditi documenti della raccolta Colom- biana. La loro importanza consiste in ciò, che contengono la più antica descrizione che si abbia della persona di Cri- stoforo Colombo, mettono al loro giusto valore e alla cor- retta lezione le rare e preziose compilazioni, riproduzioni e traduzioni che se ne fecero, e tolgono di mezzo una quantità di discussioni sopra parole, frasi e date male ri- portate. Ma nulla più. Imperocchè il Trevisan, come ben osservava il Morelli (°), meno le poche aggiunte sue, le quali però hanno il gran pregio di recare notizie attinte dallo stesso Colombo, non fece che tradurre in italiano, molto veneziano, il mano- scritto di parte della 1 Decade, o meglio delle lettere, di Pietro Martire d' Anghiera (?) al Cardinale Ascanio Sforza (1) Il Codice Sorunzo porta per titolo: Angelo Trevisan, Lettere a Domenico Malipiero sulta navigazione di Colombo, dietro le relaziani avute dallo stesso Colombo, ecc. Cod. cart. sec. XVI in 4" legato in pergamena. Lib. Sneyd. 4, 2, 168 e contiene oltre la copia le lettere del Trevisan, la relazione del Gretico, ed altro, come ‘si, riferirà nella Raccolta Colombiana. (2) Lett. rar, cit. (3) Pietro Martire d'Anghiera, nacque ad Anghiera nel Milanese l’anno 4455. Andò nel 1477 a Roma ai servigi del cardinale Ascanio Sforza-Visconti vice cancelliere della S. R. Chiesa, e poscia andò a quelli del cardinale Arcimboldo arcivescovo di Milano. Condottosi nel 1487 al seguito delP ambasciatore spagnolo Mendoza conte di Ten- dilla, si recó in Spagna per dedicarsi alle ormi. Fu presentato al Re in Saragozzi, e prese parte alla guerra di Granala e alesse- dio di Baeca. Spinto dalla passione per gli studi, e disgustato delle armi, passò allo stato ecclesiastico, prese gli ordini nel 1494 ed ebbe ufficio di precettore dei principi reali e consigliere della corona. | | | | | Ё (916) [44] ed all’ Arcimboldo che poi servirono per la compilazione delle famose sue Decadi, pubblicate per la prima volta in Alealà di Henares nel 1511 (!) e poi nel 1516. E peró da notare che le Decadi dell' Anghiera, essendo state pubblicate con molte inesattezze, acquista maggiore importanza la tradu- zione fatta molti anni prima dal Trevisan, sul manoscritto originale dell’ autore. Liberale dei suoi scritti, come lo afferma egli stesso, e come onestamente lo dichiara il Trevisan, Pietro. Mar- tire lasciava che altri li lesgessero e vi cavassero quanto lor talentava per informare le rispettive corti e i conna- zionali delle scoperte, le cui notizie egli andava racco- gliendo o dalle famose lettere o dalla bocca stessa di Co- lombo o dalle narrazioni dei compagni e continuatori del- l’opera sua. Il Trevisan, richiesto per l'oratore veneto Pisani, il manoscritto di Pietro Martire, ne approfittò largamente, Ferdinando lo mandò poi ambasciatore in Egitto per conse- guire un miglior trattamento ai cristiani residenti colà, dandogli pure le credenziali per la Signoria di Venezia. La sua storia intitolata; De rebus oceamicis, pubblicata in una prima edizione incompleta, e come sembra a sua insaputa, nel 1541, e poi nel 1516, lo colloca fra i più autorevoli storici del suo tempo, ed è tenuta ancora in sommo pregio ed ha il primo posto per la narrazione della scoperta del nuovo mondo. Anche le sue lettere raccolte nell'Opus epistolarum Amsterlodami 1670, sono molto importanti per la storia contemporanea. La sua dottrina ed: i suoi lavori lo indicarono al Governo di Spagna per ascriverlo al Consiglio delle Indie, nel quale’ seppe acquistarsi molta autorità in tutto ciò che si riferiva all’ ammini- strazione dei paesi allora scoperti. Morì nel 1526 e fu sepolto nella cattedrale di (Granata, della quale era canonico decano e priore. (1) Gompluti. | [15] (917) copiandovi quasi per intero 1 primi libri della prima decade non ancora pubblicata, per: modo, clie parecchi anni dopo, il d' Anghiera che stava preparando la seconda edizione delle sue opere, essendogli capitata fra mano la traduzione latina della Raccolta Vicentina dei Paesi nuovamente trovati, col titolo Itinerarium portugallensium (t) si adontò, e si dolse del plagio. Veramente egli se la prese con Alvise Cadamosto, perchè la raccolta vicentina inco- mincia colla narrazione dei viaggi del Cadamosto, ed egli ritenne che tutto fosse lavoro di un quidam Cadamustus, il quale per/ricata fronte scrivendo delle cose castigliane asseri di aver fatto e veduto mentre neque fecit unquam neque vidit, e si permise di dare come cosa propria quanto aveva copiato da lui (°). Ma come sbagliò nel nome, non fu giusto nel rimprovero, perché il Trevisan aveva esplici- tamente dichiarato al Malipiero, che la narrazione era stata da lui tradotta in volgare da una diceria dell’ ambasciatore di Spagna al soldano d’ Egitto, cioè precisamente di Pietro Martire d’ Anghiera Ho fatto un paziente studio su questo argomento, ponendo a confronto fra di loro non solo i varî testi stampati e manoscritti di questa narrazione dei viaggi di Colombo, ma eziandio questa colle lettere del Trevisan, e (1) V. note precedenti. (2) Anglerias P. Martyr. De orbe novo Decades. Alcalà, 1510. Dec. II. Crediti continentis, lib. VII. Propterea fui admiratus Aloisium quendam Gadamustum vene- tum scriptorem rerum Portugalensium ita perfricata fronte scrip- sisse de rebus castellanis: fecimus, vidimus, ivimus : quae neque fecit unquam neque venetus quisquam vidit. ex tribus meae de- cadis primis libellis: ad cardinalem Ascanium еї Areimboldum : quibus eram conterraneus: quando illa fiebant: scriptitata: ea excerpsit et suffuratus est: existimans nostra nunquam proditura in publicum: Potuit et forte apud oratorum aliquem | venetum in il | | T | | | f | E (918) [16] le lettere colle Decadi di Pietro Martire d'Anghiera, e questo lavoro uscirà nella Raccolta Colombiana (0 Intanto stimai debito mio, offrire la primizia all'Istituto. Come ho detto, sono cose venete, e sta bene che ne sia per primo informato il primo Corpo scientifico e lettera- rio della Venezia. D’ altra parte parevami conveniente esporre la storia e fermare la data del rinvenimento delle lettere del Tre- visan, per evitare possibili malintesi. Potrebbe infatti ac- cadere, e si diedero di questi casi, che altri servendosi delle traccie lasciate dalle nostre ricerche, e forse con maggior fortuna e minore fatica, ritrovasse quelle lettere e le pubblicasse, in Italia od all’ estero, prima della Com- missione Colombiana che darà fuori il suo lavoro solo nell’ agosto del 1892, togliendo così ad essa il merito ed a me la soddisfazione d’ aver fatto il nostro dovere. eos libellos incidisse. Gelebres nanque viri ab illustrissimo senatu illo missi sunt ad reges hos catholicos: quibus ego ipse illa osten- debam libens: utque exemplaria ab eis caperent facile assentiebat. Uteunque sit, bonus vir Aloisius Cadamustus alieni laboris fructum sibi studuit vendicare. Ù naturale che, cominciando i Paesi colle Navigazioni di Ca- damosto, l' Anghiera abbia creduto che tutto il libro fosse di lui. Nella traduzione o parafrasi stampata in Venezia nel 1584 col titolo: Della historia de V Indie occidentali (riprodotta dal Ra- musio, vol. IIT) è ommesso naturalmente il periodetto relativo ai furti. del Cadamosto. (1) In questo lungo e paziente lavoro di confronto fui efficace» mente coadiuvato dal prof. Alberto Salvagnini, collaboratore nella Raccolta Colombiana. Prezzo della Dispensa Fogli 8 Жу ad Italiani Cent. 19 V... L. 4:00 OT \ Porto Buso Sag Val sì Muggia | Barlolomio (XE CAPODISTRIA i k ò CHIOGGIA eJ... _ АУ га тты” «ааа rin Iis P sd енисе ¬ FANO” Val di Senigagia У Val аг SINIGAGLIA È Falconera * S S M. CONERO Vines аатина NR iO Iu. Pellixxalo -Venexia ATTI DEL R.ISTITUTO VENETO ТОМО IL SERE VIL TAV. II LUI 3 2044 106 264 294