mm.^mmf: * r ^i //ài^lBJ- NUOVI SAGGI ^^, DELLA CESAREO - REGIA ACCADEMIA DI SCIENZE LETTERE ED ARTI DI PADOVA VOLUME PRIMO PADOVA PER NICOLÒ ZANON BETTONI M. DCCC. XVII. ALLA MAESTÀ IMPERIALE E REALE DI FRANCESCO PRIMO IMPERATORE D'AUSTRIA RE DI GERUSALEMME, UTNGHERIA, BOEMIA, LOMBARDIA VENEZIA, DALMAZIA, CROAZIA SCHIAVONIA, GALIZIA E LODOMIRIA ARCIDUCA D'AUSTRIA DUCA DI LORENA, SALISBURGO, STIRI A, CARINTIA CARNIOLA, ALTA E BASSA SLESIA GRAN PRINCIPE DI TRANSILVANIA MARGRAVIO DI MORAVIA CONTE PRINCIPESCO DI HABSBURG E TIROLO EC. EC. SACRA MAESTÀ lAiceve grandissimo onore, ed assume gravissimo carico l'Accademia presentando a Vostra MAESTÀ questo Volume di Saggi: che l'essere accolta sotto agli auspicj d'un tanto MONARCA è argomento di singolare onorificenza, e a tanto invito rispondere degnamente, è debito sacro e solenne della nostra divozione. Perciò l'Accademia reputando seco stessa la dignità delle proprie funzioni, e l'altezza di quei destini che l'animo generoso di Vostra MAESTÀ le schiude davanti, prende oggimai nuovi spiriti, e VI dimenticando le passate \icende, solleva l'animo a nuove speranze. E questo Volume, che osiamo inti- tolare al Nome glorioso di Vostra MAESTÀ, questo sia segno e testimonio de' nostri sentimenti, promes- sa inviolabile di consecrare gì' ingegni e gli studii nostri a servigio del Trono, ad utile della Patria e della Società. L'Accademia di Padova non potrà mai obbliare né l'origine illustre che trasse dai Veneti, né quello più fortunato risorgimento a che la invita il muni- fico genio di un CESARE che mostra congiunte all' Europa le virtù di Trajano e di Tito. DI VOSTRA MAESTÀ I. R. A. Padova li 26 giugno 1817. Fedelissimi Devotissimi Ubbidientissimi Sudditi Il Presidente e gli Accademicl VII CATALOGO DEI MEMBRI COMPONENTI L'I. R. ACCADEMIA DI SCIENZE LETTERE ED ARTI DI PADOVA CONSIGLIO ACCADEMICO Presidente. Signor Giovanni Santini, Professore O. di Astronomia Teorica e Pratica neir I. R. Università. Vice - Presidente. Signor Cavaliere Dottore Valeriano Luigi Brera, Consigliere Attuale di S. M. I. R. A., Professore O. di Medicina Pratica, e di Clinica Me- dica nell'I. R. Università. Direttore per la Classe delle Scienze Sperimentali. Signor Dottore Girolamo Melandri, Professore O. di Chimica Generale e Farmaceutica nell' I. R. Università. Direttore per la Classe delle Scienze Matematiche. Signor Professore Antonio CoUalto. Direttore per la Classe di Filosofia Speculatii>a, e Belle - Lettere. Signor Cavaliere Luigi Mabil, Professore O. di Eloquenza Latina ed Ita- liana, e Principj di Estetica nell' I, R. Università. vili Segretario per le Scienze. Signor Come e Cavaliere Ab. Francesco Maria Franceschinis, Professore O. di Matemaiica applicata e Geodesìa nell'I. R. Università. Segretario per le Lettere. Signor Ab. Giuseppe Barbieri, Professore O. di Diritto Naturale Privato, Pubblico e delle Genti nell' I. R. Università. Cassiere. Signor Dott. Giuseppe Antonio Donato, Professore O. di Botanica nell'I. R. Università. archivista - Bibliotecario. Signor Avvocato Luigi Lanfranchi, Professore O. di Diritto Civile Au- striaco, e Procedura Civile nell' I. R. Università. SOCI ONORARJ S. A. I. R. l'Arciduca Giovanni Battista d'Austria, Principe Reale d' Un- gheria, Boemia ec. ec, Cavaliere dell'Insigne Ordine del Toson d'Oro, Gran Croce dell'Ordine Militare di Maria Teresa, e dell'Ordine Im- periale Austriaco di Leopoldo, Generale di Cavalleria, Direttore del- l'I. R. Corpo del Genio, e dell'I. R. Accademia Militare di Neustadt, Proprietario d'un Pieggirnento di Dragoni ec. ec. ec. S. A. il Signor Clemente Venceslao Lotario, Principe di Metternith- Wiuneburg-Ochsenhausen, Duca del Regno delle due Sicilie, Cava- liere dell'Insigne Ordine del Toson d'Oro, Gran Croce di più Or- dini, Cancelliere dell'Ordine di Maria Teresa, Curatore dell' I. R. Accademia delle Belle Arti di Vienna, Ciambellano, Consigliere In- timo Attuale, Ministro di Stato, delle Conferenje e delle Relazioni Estere di S. M. I, R. A. eo. ec. ec. S. E. il Signor Conto Procopio de Lazansky, Barone di Buckovv, Si- gnore di Ehiseb, ec. ec. Ciambellano e Consigliere Inliiuo di S. M. I. R. A., Cavaliere Gran Croce di più Ordini, Cancelliere Aulico di Boemia, Austria e Galizia, Presidente dell'Eccelsa Aulica Commis- sione Centrale Organizzatrice ec. ec. S. E. il signor Conte Pietro di Goéss, Barone di Karolsberg e Morburg, Signore di Ebentbal, Pach ec. ec, Commendatore dell'I. R. Ordine Austriaco di Leopoldo, Cavaliere di Prima Classe dell' I. R. Ordine Austriaco della Corona di Ferro, Ciambellano e Consigliere Intimo di S. M. I. R. A,, Governatore delle Provincie ex- Venete ec. ec. Signor Barone e Cavaliere Andrea Giuseppe de Stifft, Consigliere di Sta- to e di Conferenze, e Primo Medico di S. M. I. R. A., Direttore dello Studio Medico nell'Impero Austriaco, e Presidente della Facoltà Medica nell'I. R. Università di Vienna. S. E. il Signor Marchese Federico Manfredini, Consigliere Intimo di Stato di S. A. I. R. il Gran Duca di Toscana ec. in Padova. S. E. j1 Signor Conte Giovanni Capodistria, Cavaliere Gran - Croce dì più Ordini, e Segretario di Stato di S. M. l'Imperatore di tutte le Russie nel Dipartimento degli Affari Esteri in Pietroburgo. S. E. il Signor Marchese Luigi Rangoni, Ciambellauo e Ministro di S. A. R. il Serenissimo Duca di Modena. Signor Cavaliere Giuseppe Mayer de Gravenegg, Consigliere Aulico di S. M. I. R. A. in Vienna. Monsignor Preposto Cavaliere Luigi de Jùstel, Consigliere Aulico di S. M. I. R. A. in Vienna. Monsignor Francesco Scipione Marchese e Cavaliere Doudl dall'Orolo- gio, Vescovo di Padova, Conte di Piove di Sacco ec. Signor Conte e Cavaliere Girolamo Polcastro in Padova. Signor Conte e Cavaliere Giovanni Paradisi, Presidente nel C. R. Istituto di Scienze, Lettere ed Arti in Milano. Signor Conte e Cavaliere Pietro Moscati, Direttore di Classe nel C. R. Istituto in Milano. Signor Conte e Cavaliere Simone Stratico, Direttore di Classe delC. R. Istituto in Milano. Signor Conte e Cavaliere Vincenzo Dandolo in Varese. Signor Marchese Aiborio di Breme iu Milano. Signor Cavaliere Gaudenzio Caccia in Novara. Signor Conte e Cavaliere Giuseppe Luosi in Milano. Signor Conte e Cavaliere Luigi Vaccari in Modena. Signor Conte e Cavaliere Francesco Mengotti, Primo Consigliere di S.M. I. R. A. nel Governo di Venezia. Signor Dottore e Professore Francesco Aglietti, Protomedico, ed I. R. Consigliere di Governo in Venezia. SOCJ ATTIVI Classe di Filosofìa Sperimentale. Signor Arduino Luigi, Professore O. di Agraria nell'I. R. Università. Signor Professore Bonato suddetto. Signor Consigliere e Professore Brera suddetto. Signor Dottore Caldani Floriano, Professore O. di Anatomia nell'I. R. Università. Signor Conte Dalia-Decima Angelo, Professore O. di Materia Medica ueir I. R. Università. Signor Ab. Dal-Negro Salvatore, Professore O. di Fisica Sperimentale neir I. R. Università. Signor Dottore Dalle Ore Marcantonio, Professore Provv. d' Introduzione allo studio della Medicina e della Chiiurgia nell'I. R. Università. Signor Conte E)a-Rio Nicolò, I. R. luiendunte di Finanza in Padova. Signor Dottore Fanzago Francesco, Professore O. di Patologia e Medi- cina Legale nell' I. R. Università. Signor Dottore Gallino Stefano, Professore O. di Fisiologia nell' I. R. Università. Signor Dottore Malacarne Gaetano, Professore Provv. di Fisica animale nell' 1. R. Università. Signor Dottore Mandruzzato Salvatore, Professore Emerito di Chimica Farmaceutica nell'I. R. Università. Si'nior Dottore e Professore Melandri Girolamo suddetto. Signor Dottore Moniesanto Giuseppe, Professore Provv. di Storia e Let- teratura Medica nell'I. R. Università. Signor Dottore Penada Jacopo, Medico della Commis. Provinciale di Sanità. XI Signor Dottore Renier Stefano Andrea, Professore O. di Storia Naturale neir I. R. Università. Signor Dottore Zecchinello Gio. Maria, Medico Consulente della R. Città di Padova, R. Ispettore alle Terme d'Abano e della Battaglia. Classe di Matematica. Signor Ab. Avanzini Giuseppe, Professore O. di Fisica Teorica nell' I. R. Università. Signor Dottore Ab. Bertirossi Busata Francesco, Astronomo Aggiunto neir Osservatorio dell' I. R. Università. Signor Professore CoUalto Antonio suddetto. Signor Dottore Farini Giovanni, Professore O. d'Introduzione al Calcolo Sublime nell'I. R. Università. Signor Conte e Cavaliere Ab. Franceschinis suddetto. Signor Ab. Prof. Francesconi Daniele, Bibliotecario dell'I. R. Università. Signor Professore Santini Giovanni suddetto. ^ Signor Ab. Zendrini Angelo, Professore Provv- di Elementi d'Algebra e Geometria nell' I. R. Università. Classe di Filosofia Speculativa e Belle Lettere. Signor Ab. Asseraani Simone, Professore O. d'Ermeneutica e di Lingue Orientali nell'I. R. Università. Signor Ab. Professore Barbieri suddetto. Signor Ab. Furlanetto Giuseppe, Direttore della Tipografia nel Semina- rio Vescovile di Padova. Signor Ab. Giuliani Giacomo, Professore O. di Scienze Politiche nel- l'I. R. Università. Signor Avvocato Professore Lanfranclii suddetto. Signor Cavaliere e Professore Mabil Luigi suddetto. Signor Ab. Menegbelli Pier'Antonlo, Sotto - Bibliotecario e Custode del Museo di Antichità e Numismatica dell'I. R. Università. Signor Ab. Menin Lodovico, Professore di Fisica generale e Sperimentale nel Seminario Vescovile di Padova. Signor Ab. Quaiui Gregorio. XII SOCI EMERITI Signor Cavaliere Ab. Bignami Angelo in Milano. Padre G. A. Braus, Maestro nel Collegio dei Gesuiti in Reggio. Signor Ab. Coi Giovanni, Rettore Emerito nel Seminario Vescovile. Signor Ab. Magarotto Francesco, Professore di Elementi di Geometria ed Algebra nel R. Liceo di Vicenza. SOCJ NAZIONALI SiTiior Conte Alessandri Achille in Bereamo. Signor Conte Bossi Luigi in Milano. Si''nor Professore Brocchi G. A., Ispettore alle Miniere iu Milano. Signor Cavaliere Brunacci Vincenzo, Professore di Calciolo Sublime uel- V I. R. Università di Pavia. Signor Ab. Comparelti Pietro in Padova. Signor Conte Coruianì Marco, Ispettore alle Miniere in Venezia. SÌL'nor Dei-Bene Benedetto in Verona. Signor Ab. Dianin Felice, Professore Provv. d'Istruzioni Religiose nell'I. R. Università. Signor Conte Filiasi Giacomo in Venezia. Si"uor Conte Franceschi Luigi, Supplente alla Cattedra di Calcolo Su- blime nell'I. R Università. Signor Ab. Giardini Elia, Professore O. di Codice Civile Austriaco, e Bi- bliotecario dell' I. R. Università di Pavia. Signor Cavaliere Hager Giuseppe, Vice-Bibliotecai io-Regio in Milano. Si"nor Dottore Manzoni Antonio, Prof, di Clinica Chirurgica in Verona. Sianor Ab. Marsand Antonio, Professore O. di Economia Pubblica, Sta- tistica, e Diritto Commerciale nell' I. R. Uùiversith. Si<'Uor Ab. Meneghelli Antonio, Professore Provv. d' Introduzione Ge- nerale allo Studio Politico-Legale, e di Diiitto Feudale nell'I. R. Università. Signor Cavaliere Monti Vincenzo in Milano. Signor Dottore Pieri IMario, Professore Provv. di Storia Universale e Par- ticolare Austriaca, e del Regno Lombardo-Vc-ueto nell'I. R. Università. XIII Signor Cavaliere Piudemonie Ippolito in Venezia. Signor Cavaliere Ab. Pini Ermenegildo, Ispettore generale di Pubblica Istruzione in Milano. Signor Dottore Pisoni Omobono, Professore Emerito d'Istituzioni Medi- che nell'I. R. Università. Signor Conte Ab. Ridolfi Angelo, Professore Provv. di Lingua e Let- teratura Tedesca nell'I. R. Università. Signor Dottore Ruggeri Cesare, Professore O. di Clinica Chirurgica e di Operazioni Chirurgiche nell'I. R. Università. Signor Come Cavaliere Scopoli Giovanni in Milano. Signor Avvocato Sografl Antonio Simone in Padova. Signor Conte Trevisan Girolamo, VivePresldcuie dell' I. R. Tribunale d'Appello Generale in Venezia. Signor Ab. Zabeo Prosdocinio, Professore Provv. di Teologia Pastorale neir I. R. Università. Signor Ab. Zandonella Gio. Battista, Professore Provv. di Storia Eccle- siastica nell'I. R. Università. SOCJ ESTERI Signor Cavaliere Angeli Luigi, Archiatro Onorario di S. S. Pio VII., e Professore di Medicina e d'Ostetricia in Imola. Signor Conte Balbo Prospero in Torino. Signor Barone di Corvi^art, Professore di Medicina in Parigi. Signor Dottore Curize Giorgio Luigi, Consigliere Medico presso S. A. S. il Duca di Anh;ilt. Signor Dottore De -- Ancora Gaetano, Emerito Bibliotecario Regio in Napoli. Signor Ab. Farini Pellegrino, Professore di Belle Lettere, e Rettore del Collegio di Ravenna. Signor Dottore Fattori Santo, Professore di Anatomia nella Ducale Uni- versità di Modena. Signor Ferroni Pietro, Regio Matematico in Firenze. Signor Dottore Frank Luigi, Archiatro di S. M. la Principessa Imperiale Duchessa di Parnìa. Signor Cavaliere Fuss Nicola, Consigliere Attuale di Stato di S. M. l'Ini- peralore di tutte le Russie, e Segretario Perpetuo dell'Accademia Imperiale delle Scienze di Pietroburgo. Signor Gbiliossi Coute di Leuiie Giuseppe Ignazio in Torino. Signor Consigliere Harles C. G., Professore di Medicina nella Regia Uni- versità di Erlangen. Signor Conte de Khuostof, Senatore e Cavaliere di S. Anna di Prima Classe in Russia. Signor Barone de Liudenau, Direttore dell'Osservatorio Astronomico iu Gotha. Signor Cavaliere Ab. Maffei, Professore di Letteratura e di Lingua Ita- liana nel R. Liceo di Salisburgo. Signor Dottore Rlltich (Federico di) Consigliere di Corte di S.M. l'Im- peratore di tulle le Russie. Signor Cavaliere Rossi Luigi in Reggio. Signor Dottore Cavaliere Ruffiui Paolo, Presidente della Società Italiana, e Professore nella Ducale Università di Modena. Signor Spada Andrea Consigliere di Corte, e Censore dell'Imperiale Bi- blioteca di Pietroburgo. Signor Tyscbea Olao Gerardo, Professore di Lingue Orientali in Rostoch. Signor Wismayr Giuseppe, Supremo Consigliere Ecclesiastico di S. M. il Re di Baviera, e Membro Residente dell'Accademia R. delle Scienze di Monaco. Signor Barone de Zach, Astronomo in Gotha. SOCJ CORRISPONDENTI Signor Dottore Aprilis Bartolommeo, Professore di Fisica nel R. Liceo di Udine. Signor Bettoni Nicolò, Tipografo dell'I. R. Accademia. Signor Dottore Bianchi Giovanni, Medico di Modena. Signor Dottore Bianchi Giuseppe, Matematico in Modena. Signor Dottore Bruni Carlo, Medico in Conegliano. Signor Dottore Cavaliere Colli Giuseppe, Medico- Chirurgo Maggiore nelle Cesareo-Regie Armate. Signor Cavaliere Coltellini Agostino di Cortona. Signor Ab. Configliachi Luigi, Profes. di Boiaoica nel R. Liceo di Mantova, Signor Dottore Dall'Oste Pietro, Medico Assistente, e Ripetitore della Cat- tedra di Cliaica Medica nell'I. R. Università. Signor Decol Pietro, Operatore del Laboratorio Chimico, e Pubblico Ripetitore di Chimica Generale e Farmaceutica nell'I. R. Università. Signor Dottore Fapanni Agostino, Deputato della Congregazione Provincia- le di Padova. Signor Dottore Farnese Tommaso, Medico Chirurgo in Firenze. Signor Ab. Formeutini Antonio, Custode della Biblioteca di Mousignor Vescovo di Padova. Signor Gualandris Antonio. Signor Ingegnere Leiter Pietro Antonio, Ispettore d'acque e strade in Venezia. Signor Losanna Matteo. Signor Dottore Macoppe Marino, Custode del Gabinetto di Fisica Spe- rimentale, e Pubblico Ripetitore delia stessa Scienza nell'I. R. Uni- versità. Signor Dottore Malagò Pietro Paolo, Professore di Medicina e Chirurgia in Ferrara. Signor Dottore Malfatto Luigi, P. Piipetitore di Calcolo Sublime nell'I. R. Università. Signor Dottore Manzoni Luigi, Professore d'Ostetricia in Verona. Signor Marabelli Francesco, Professore di Chimica Farmaceutica nell' I. R. Università di Pavia. Signor Ab. Martinato Pietro, Arciprete di Zimella. Signor Dottore Mazzoni, Medico- Chirurgo di Cesenatico. Signor Cavaliere Metaxà Andrizzl Marino, di Cefalonia. Signor Dottore Morelli Luigi, Professore di Medicina Pratica nell'I. Università di Pisa. Signor Ab. Nocca Domenico, Professore di Botanica nell'I. R. Univer- sità di Pavia. Signor Ab. Nodari Antonio, Professore dell'Accademia nel Seminario Ve- scovile di Padova. Signor Dottore Olmi Agostino, Professore di Medicina in Firenze. Signor Dottore Pasetti Floriano io Padova. Signor Dottore Penolazzi Ignazio, Medico in Montaguana. Signor Petrettini Spiridionc in Corfu. xVi Signor Dottore Filati N. N. in Brescia. Signor Conio Piinbiolo degli Engelfreddi Antonio, Professore Emerito d'Istituzioni Mediche, e Direttore della Facoltà Medico-Chirurgico- Farmaceutica presso 1' I. R. Università. Signor Conte Pimbiolo degli Engelfreddi Francesco, Prefetto dei-Ginnasio. Signor Dottore Quadri Gio. Battista, Professore di Chirurgia in Napoli. Sicnor Consigliere Barone di Reichenbach in Monaco. Signor Colonnello Romano Luigi in Venezia. Signor Dottore Ruggeri Gaetano, Medico in Venezia. Signor Ab. Scarabelio Nicolò di Este. Signor Dottore Scolari Filippo, Impiegato presso l'Eccelso I. R. Governo Generale in Venezia. Signor Cav. Serrisiori Ijuì^I di Firenze. Signor Dottore Soli-Muratori Fortunato, Legale in Modena. Signor Ab. Svegliato Gio. Battista, Professore di Rettorica nel Seminario Vescovile di Padova. Signor Ab. Tadiai Placido in Bergamo. Signor Dottore Tantioi Francesco, Professore di Medicina nell' I. Uni- versità di Pisa. Signor Dottore Thiene Domenico, Professore di Clinica Medica nello Spe- dale di Vicenza. Signor Dottore Tonelli Giuseppe, Medico in Peliano presso Roma. Signor Dottore Trinchinelti Giuseppe, Medico in Monza. Signor Dottore Venanzio Girolamo, Relatore presso la Congregazione Pro- vinciale di Padova. Signor Dottore Venturi Luigi, Medico Primario della città di S. Severino. Signor Ab. Vivorlo Agostino in Vicenza. Signor Dottore Zanini Paolo, Medico O. dello Spedale Civile di Venezia. Signor Ab. Zurla Placido, Rettore del Collegio di S. Michele di Murano in Venezia. APPENDICE AL CATALOGO DEI MEMBRI COMPONENTI LA C. R. ACCADEMIA DI SCIENZE LETTERE ED ARTI DI PADOVA SOCJ ONORARJ NOMINATI DURANTE LA STAMPA DEL PRESENTE \QJLVME S. E. il Signor Conte Francesco Sauraii, Barone a Ligist, e Wolkeilstein, Supremo Maresciallo Ereditario nella Stiria ec, Gran Croce del- l'Ordine di S. Stefano Re d'Ungheria, Cavaliere di Prima Classo deirOrdine Imp. Austriaco della Corona di Ferro, Croce d'oro del- l'Ordine Civile, Gran Croce dell'Ordine di S. Ferdinando delle Due Sicilie, e dell'Ordine Costantiniano di S Giorgio di Parma, Graa Croce del R. Ordine di Carlo III. di Spagna, Imp. Regio attuale Consigliere intimo, Ciambellano, e Supremo Cancelliere Ministro dell' Interno della Monarchia Austriaca. S. E. Il Signor Conte Giacomo Mellerio I. R. Consigliere intimo attuale Commeudaiore dell' Imp. R. Ordine di Leopoldo, e Aulico Cancel- liere Lomhardo-Vcncto. M. R. Signor Innocenzo Lang, Ch. R. delle Scuole Pie, Dottore di Filosofi.!, Imp. R attuale Consigliere Aulico, Direttore degli Studi pei Ginnasj dell'Austria sotto l'Enns, e dell' laip. R. Convitto in Vienna, e Rettore della chiesa dell' Imp R. Università di Vienna. Signor Giovanni Debrois, Dottore io Filosofia e lijritto. Membro delle Imperiali Regie Auliche Commissioni di Legislazione Pohtica e Cen- trale d'organizzazione, Membro Onorario deU'Tmp. Regia Accade- mia delle Belle Arti in Vienna, Socio estero della R. Boema Ac- cademia delle Scienze. Signor Luigi Barone di Tiirkheira, Dottore di Medicina, Referente ne- gli affari Sanitarj , Vice - Direttore dello Studio Medico - Chirur- gico neir Impero Austriaco. SOCJ NAZIONALI Signor Ab. Dottor Jacopo Bonfadloi, Prof. Ordinario di Filosofia Teore- tica e Pratica nell' I. R. Università di Padova. XVIt CENNI BIOGRAFICI DEGLI ACCADEMICI DEFONTI POPÒ LA PUBBLICAZIONE DELLA STORIA DEL l' ACCADEMIA PREMESSA ALLA PARTE II DEL TOMO HI DE' SAGGI SCIENTIFICI E LETTERARI STAMPATO NELl'AKHO MDCCXCIV. / J_Jappoicliè nel terzo Volume de'Saggi di quest'Accademia si annunciò la morte del P. Antonino Valsecchi, di Camillo Bonioli, e dell'Ab. Giam- battista Nicolai, Professori di quest'antichissima Università, e Membri rag- guardevolissimi della nostr'Accadcmia, soggiacquero molti altri nostri compagni allo stesso fatale destino, a' quali uopo è che noi rendiamo brevemente un tributo di onore, anche perchè a vanto ci torna che fosser nostri mentre viveano, e co' loro studj e con la lor fama il lustro accrebbero di questa Società Letteraria. Il primo che mancò a' vivi dopo il Nicolai fu Alberto ZARAniELLiNr, che nato in Padova di nobile famiglia nel giorno primo di aprile del- l'anno 1758, fu educato nel Collegio di S. Croce sotto la direzione de' Chierici Regolari della Congregazione di Somasca. Iniziato negli studi medici, ne ottenne la laureaj ma una certa predilezione ch'egli avea per le belle lettere e per le scienze razionali lo allontanò da quella carriera ch'ei già percorreva con onore, e per vie più secondare la propria in- clinazione ricercò ed ottenne nell'anno i-jSS una di quelle Cattedre nell'Università della Patria sua, che chiamavansi Cattedre della Città, e fu quella di Logica. Nell'anno 1770 interessando al Senato Veneto di promuovere - la pubblica istruzione nelle Isole Jouie, con altri distinti sogfjotii inviò a Corfìi il nostro Zaraniellini incaricandolo di dettar ivi la filosofìa. Erasi stabilito che per un quinquennio dovess'egli attendere e /' XVIII a quella istruzione, ed infatti spirato il tempo prefisso ritornò alla Patria dopo di avere visitato le isole dell'Arcipelago, la Troade, le coste del- l'Africa e quelle dell'Asia iniuore. lu quel viaggio il Zaramcllini volle essere accuralatncnte iufoniiato del clima, de' costumi, della religione, dil commercio de' popoli e de' paesi che incontrava, formandone una relazione che rimase inedita presso gli eredi di lui. Reduce in Padova fu promosso nel 1778 dal Senato Veneto alla Cattedra di Fisica, ch'a- rasi resa vacante per la morte del celebre P. Colombo, ed iu tale ono- rifico impiego cessò di vivere nel giorno 22 di settembre i794- Nella istituzione dell'Accademia delle Scienze, Lettere ed Arti, avvenuta nel- l'anno 1779, il Zaramellini fu ammesso tra gli Accademici Socj, o Soci ordinari, fino a che nell'anno 1787 entrò nella classe degli Acca- demici pensionar]'. Oltre la Memoria intorno alla imitazione considerata come principio attivo morale, eh' è pubblicata negli Atti di questa So- cietà, abbiamo alle stampe due Orazioni da lui dettate a nome della Patria sua all'occasione che due Veneti Podestà lasciarono il governo di questa Provincia. Inedile sono le altre dissertazioni che il Zaramellini comunicò all'Accademia, e quella singolarmente sulla schiavitù personale, della quale leggesi un brillante estratto nelle Relazioni Accademiche del nostro Segretario l'immortale Cesarotti. Nuovo lutto provò l'Accademia poco appresso, quando nel di i4 di febbraio dell'anno 1795 cessò di vivere in Padova l'Ab. Clemente Si- BiLiATO. Venuto questi al mondo nel villaggio di Bovolenla poco lungi dalla nostra Città li io di febbraio dell'anno 1729, ededucalo ne' primi studj entrò nel 1746 in questo celebre Seminario Vescovile, ove per l'assiduità e valore de' coltivatori aveasi lusinga che la tenera pianta cre- scesse orgogliosa, e de' più bel fiori si ornasse del sapere. Né a vuoto andarono le concepite speranze, perciocché istruito già nella rettorica attese il Sibiliato alla filosofia ed alla teologia, nella gravità de' quali studj ricreavasi egli sempre co' piaceri dell'amena letteratura. Che anzi tal fu l'estimazione che a lui ne venne per lo coltivamento delle belle lettere che a Maestro fu eletto di quelle ; ed allora non si può dire abbastanza quante volte da lui si ricercassero i poetici componimenti e volgari e latini per le Raccolte ch'erano a que' tempi di moda. La faci- lità da lui acquistata nel verseggiare lo invaghì principalmente dello siile comunemente chiamalo bernesco, in cui nusci a meraviglia, e come nelle ottave e nel sonetto. Accaduta iu quegli anni la morie del gran Poa- tefice Benedetto XIV, ne scrisse il Sibilialo l'elogio funebre, che pubbli- cato con le stampe riuscì oltremodo soddisfacente ai Cardinali radunati in Roma pe' nuovi Comizj. Nell'anno l'jGo ottenutasi dal cel. Cìio. An- tonio Volpi quella giubilazione che avea meritato co' suoi sludj e con le sue fatiche, furono proposti al Veneto Senato tre soggetti egualnieuie capaci a sostenere la Cattedra della eloquenza greca e latina nell' Univer- sità dello Stato, cioè il dotto Ab. Natale Dalle Laste, ed il chiarissimo Gaspare Gozzi col Slbiliato, e su quest'ultimo cadde la scelta. Agli ob- blighi che da quell' incarico a lui derivavano, altri ne aggiunse che dal suo fervore per le lettere veniano prescritti, polche oltre la notissima ope- retta che diede in luce col titolo de eloquentia Marci Fuscareni, ottenne corona dall'Accademia di Mantova per avere lodevolmente lisposto al problema: se la poesia uifluisca sul bene della Società, e come possa essere oggetto della politica. Questa Memoria fu Iella con piacere dal- l'immortale luipcratore Giuseppe II, che volle conoscerne l'Autore al- l'occasione che passò per la Cina di Padova, e grato gli si mostrò perchè celebralo avea co' versi il giorno natalizio dell'Augusta Madre sua l'Imperatrice Maria Teresa. Fu uno de' primi Socj pensionar] nel- la isliluzione di quest'Accademia, ed olire le dissertazioni di lui stam- pate negli Alti, molle altre rimasero agli eredi clie apparterrebbero al- l'archivio di questa Società, e specialmente quelle ch'ei scrisse sull'elo- quenza estemporanea. Fu sepolto nella chiesa di S. Tommaso Martire colla seguente iscrizione: CLEMENTI . S I B I L I A T O l'tVESBYTERO • PATAVINO H V AI A N I O R V M • L I T T E R A R V 1\I IN • 1> ATA VINO • GVMNASIO • DOCTORl SCRIPTIS • EDITIS • CLARISS, YIXIT • ANN • LXXVI DECESSIT • XVI • KAL ■ MAR • ANN • CIDIaCCVC IO • BAPT • FRATRIS • FILIVS PATRVO • IlE • ME • F. ISfe stampò l'elogio in Venezia Giuseppe Fossati, e ne scrissero elegan- lemente la vita Monsignor Aogelo Fabroui nel Volume XVIII delle Vitae Italorwn doctrina excelLcntium, e l'Ab. Gio. Battista Ferrai! nelle Kitae Plrorum illustrium Seminaril Patavini. Nessun pubblico encomio ebbe mai l'Ab. Alvisk Guerra, quantunque nello stesso Seminario celebratlsslmo abbia ricevuto la prima sua edu- cazione , e nella medesima Università educasse gli altri alle scienze. Trass'egli i suoi natali nel villaggio della Battaglia li 28 di marzo dell'anno 1712, e nel Seminario si diede agli studj delle belle lettere, della filosofia, della matematica e della teologia, e cosi profittò nella scienza sacra, che nel giorno 27 di luglio dell'anno 1754 fu decorato della laurea di teologia, e fu aggregato ai membri del Collegio Teologico. Della vita da lui condotta in appresso ci rimane qualcbe onorevole memoria nelle Lettere inedite di donne ed uomini illustri morti o 'viventi nel secolo XJ^IIL (Venezia in due Voi. 1795-1796). Ivi leg- gonsi due lettere di Gaetano Volpi intorno alla capacità ed agi' impie- ghi del Guerra. Nella prima, eh' è alla pag. 27 del primo Voi. si parla di lui senza nominarlo; ma dalla seconda, ov'è espressamente indicato, e ch'è alla pag. 67 dello stesso Volume, s'intende chiaramente, ch'egli è pure il soggetto della prima. Da un'altra lettera che segue poco ap- presso del cel. Girolamo Zanuetti appare che nell'anno 1749 il Guerra era partito per Dresda. Si applicò in seguito ed in singolare maniera alla erudizione ecclesiastica, e ciò gli procurò l'onore di essere desti- nato li 25 di agosto dell'anno 1775 alla Cattedra del ^Diritto pubblico ecclesiastico nell'Università di Padova. .Neil' anno seguente diede alla luce la solenne Lezione recitata nel suo ingresso alla Cattedra, dalla quale i Professori non poteano a' que' tempi dispensarsi in vigore di una provvidissima Legge Veneta, che [irescriveva doversi percepire l'assegnato emolumento dal giorno' appunto in cui il Professore novellamente eletto dal Senato dasse nella prolusione un pubblico saggio del suo sapere. Stampò il Sommario delle Bolle Pontificie, e tradusse in lingua latina la grande Opera del P. Valsecchi intitolata i fondamenti della lieii- eione. Fu il Guerra uno de'Membri pensionarj dell'Accademia. Inclinato alla critica uè facilmente lodava le produzioni altrui, ne sapea pruden- temente ristarsi dal favellarne; dal che derivò che non ebbe molti amici, o che l'Ab. Cesarotti non ne dimostrò grande estimazione, allorché ebbe XXI a parlare di lui nelle Relazioni Accademiche. Morì in Padova li 2 di marzo dell'anno 1795. Poco appresso, cioè a'g di maggio dell'anno slesso, perdemmo Gio- VANKi Marsilj, Professore di Botanica e Prefello del celebre nostro Giar- dino de' semplici. Da una famiglia originalmente Veneta vide la luce alla Pontieba li 4 '^^ gi'^g'^o dell'anno 1727. Benché veruna notizia non ci sia pervenuta della di lui prima educazione, pure a grande onore con- vien credere ch'essa corrispondesse degl' istitutori del Marsilj, se tanto ne approfittò provvedendo non meno al proprio decoro che al nome italiano. Imperocché assaporate le opere migliori de' nostri prosatori e poeti, recossi in Firenze per conversare con quel Cocchi, il di cui stile tanto avealo allettato, e da Firenze passò nella Francia e nell' Inghilterra in traccia sempre degli uomini più famosi nella letteratura. In questi viaggi sommamente approfittò il Marsilj dell'uso delle lingue, della bi- bliografia, e qualche inclinazione si destò in lui per la botanica, che ritornato in Venezia coltivò con fervore. La bella letteratura però ed il buon gusto della lingua latina ed italiana furono sempre un oggetto pre- diletto degli sludj suoi. Conosciuto il merito del Marsilj dal Veneto Senato nel giorno 18 gennaio 1760 lo elesse Professore di Botanica in luogo del chiarissimo Giulio Pontedera di recente defonto. Arricchì il giardino affidatogli di moltissime piante nuove, vi fondò l'ameno e pre- zioso boschetto degli alberi esotici i più rari, e stampò l'operetta inti- tolata Fungi Carrariensis historia, Patat^u 1766. 4° Eletto Accademico pensionario scrisse molle Memorie, alcune delle quali si pubblicarono ne' nostri Saggi, e nella Storia dell'Accademia. In mezzo però alle serie occupazioni, con le quali serviva alla Cattedra, all'Accademia, ed alla scienza che professava, non abbandonò mai il Marsilj la letteratura più amena, siccome ce ne fanno fede i di lui componimenti poetici, la novella data alle stampe dal benemerito signor Co. Antonmaria Bor- romeo in fine del Catalogo de' nocellieri italiani da lui posseduti, ( Bassano 1794» alla pag. '57 ) il commercio epistolare ch'ei tenne co' più celebri letterati, e finalmente l'accurato stile ch'egli usò ne' suoi scritti. Una lenta paralisi lo tolse di vita, e fu sepolto nel chiostro pri- mo prossimo alla Chiesa di S. Antonio in questa Città, ove fu collocata la seguente iscrizione, dettata dall'amico del defonto, il signor Ab. Giu- seppe Gennari. XXII H • S • E • lOANNES • MARSILIVS DOMO • VENETIIS QVI • CVM • POLITIOUE • HvniANITATE REI • HERBAHIAE • PERITIA TRANSALPINIS ■ PEREGRINATIONIBVS INCLARVISSET IVLIO • PONTEDERA BOTANICES • PROFESSORI • CI.ARISSIMO SEN • YEN • DECRETO • SVFFECTVS EVM • LOCVM • XXX • ET ■ AMPLIVS • ANNOS CVM • LAVDE • TENVIT DE • HORTO • MEDICO • OPT • MERITVS VIX • AAN • LXVII • M • Xr • DEC • VII • ID • MA tlJlJCCYG Il suIloJato Ab. Ferrari, e Mousiguore Fabroui s"i nell'Opera intiiolata T^ilae lialorum doctrina excelLentium, come nel Voi. Vili delle Memorie della illustre Società Italiana delle scienze, ci hanno dato un esatto rag- guaglio della vita e degli studj di un altro celebre nostro Accademico l'Ab. Giuseppe Toaldo. E bea meritava egli che i nostri e gli stranieri avessero nella diversità della lingua l'opportuno mezzo di conoscere per quali vie giuguess'egli a sì grande celebrità. A noi dunque non rimane che di richiamare qui l'epoche principali della vita di lui, che da noi dovcano pubblicarsi prima che da ogni altro, se all'Accademia fosse stato per- messo dalle circostanze di promulgare periodicamente i suoi fasti. Certo è, che se del uome di questo celebre Letterato si fregiarono le estere Società, non potea la nostra obbliarlo si presto, che ne fu uno de' pri- mi e più chiari ornamenti. Nato il Toaldo negli ameni colli Vicentini, e precisamente nella Parrocchia di S. Lorenzo di Pianezze gli i i di luglio dell'anno 17 19, fu educato nel Seminario Vescovile di Padova. Invaghito fino da' primi anni degli studj filosofici e matematici, non per- ciò trascurò la dottrina che forma il vero ecclesiastico, si che il Cardi- xxm naie Rezzonico Vescovo allora di Padova affidò al Toaldo ancor «lo- vaue l'Aicipieiura di Moutegalda. Aiteiuo a' doveri del suo ministero consacrava agli sliidj più severi, alle osservazioni, ed a' calcoli imte le ore che gli rimanevano, e la fama ne ripetea sovente il nome come d'uomo, da cui lo stato e le lettere poteano attendere lustro ed avan- zamento. Eletto infatti dal Veneto Senato Professore di astronomia geografia e metereologia nell'Università dello Stato, approfittò di quella occasione per essere utile a' suoi simili in più maniere. E per verità dobb.amo riconoscere dallo zelo e dalle sollecitazioni di lui che siasi eretta dal Governo Veneto la Specola astronomica, la quale prima noa esisteva, e che di tutte quelle macchine sia essa stata arricchita, che più interessano i coltivatori dell'astronomia. Da quella Specola egli osservò e calcolò esattamente i movimenti degli astri, ed in essa strinse un'ami- chevole relazione con la luna, che sembrò di avere svelato al solo Toaldo quanto influisca sulla terra col regolato suo movimento. Inventò il Saros o periodo ne' fenomeni metereologici e ne ottenne premio dall'estere Società. Nell'anno i„3 cominciò a pubblicare l'applaudito Giornale astro-metereologico, che continuò fino alla di lui morte avvenuta nel di ir d. novembre dell'anno 1797. Scrisse moltissime dissertazioni, delle quali leggesi l'elenco nell'Elogio che si è accennato di sopra, e si può asse- rire che il dovere di Accademico, di cui fu sempre osservatore scrupo- loso, abb.a servito talvolta al Toaldo di stimolo a produrre in iscritto co che pensava sui varj argomenti da lui trattati, se di tutte le sue dis- sertazioni amò sempre informarne l'Accademia, con la lettura di esse o degh estratti relativi. Fu di aureo carattere e lepidissimo, applaudito' ed accarezzato da' grandi, egualmente che dalle volgari persone. Il Re Ferdinando IV d. Napoh, giunto appena in Padova nell'anno ,791, chia- mò a se il Toaldo, il Caldani ed il Cesarotti, e volle che questi tre uomini co' loro discorsi lo trattenessero per due sere consecutive. Fu sepolto nella chiesa di S. Agata, e fu collocata sulle ceneri quella epi- g.afe che avcasi egli stesso preparata.- demolita però quella chiosa, fu la lapide trasferita al Cimitero comunale, ove leggesi : V XXIV IN • DIEBTS • ILLIS FVIT • HOMO • QVIDAM NOMINE lOSEPH-TOALDO QVr • COELVM EITSQ • CONDITOREM STVDIOSE • COLYIT NEC • NON • DVLCES • AMICOS ET • PROBOS • OMNES KVHC • noe • SVB • LAPIDE QVIESCERE • VIDETVR D • O • M • SIT • ILLI • PROPITIVS AMEN YIXIT • AN • LXXVIII OBIIT • ID • NOVEMB MDCCXtVH Uuo de'vaniaggi che lo Staio e le scienze ritraggono dalle Accademie, quello fuor di dubbio merita particolare considerazione, che dalla coope- razione di molte erudite persone ogni ramo dell'umano sapere sia pro- mosso contemporaneamente e con lodevole emulazione. Quindi è, che se anche il Professore Toaldo de' viaggi trattò, e del passaggio di An- nibale per l'Apennino, e dell'epoca della gran Muraglia della China, le belle lettere e l'erudizione contarono sempre nell'Accademia di Padova tra'loro zelanti coltivatori altri distinti soggetti, e tra questi l'Ab. Giu- seppe Gennari che nacque in Padova li io del mese di novembre del- l'anno 1721. Visse giovinetto nella società de' molti uomini dotti, che a quell'epoca trovavausi in questa Città, e colla scorta di quelli studiò la fisica, Ja matematica, la teologia, e di quest'ultima scienza divenne dot- tore. L'ameua letteratura però, la erudizione, e singolarmente la storia delle vicende ch'ebbe la Patria sua ne' tempi antichi, formarono l'oggetto precipuo delle sue occupazioui. Quindi non è a dire quanti poetici com- XXV ponlmenii ei dettasse ricercato dagli amici, e quante dissertazioni abbia pubblicale sopra diversi argomcuti storici ed eruditi; se uc vegga l'e- lenco afll'elogio dello stesso Geunari premesso agli Annali delia Città di Padova, ch'egli lasciò inediti, e che si stamparono in Bassauo uil- l'anno iSoj- Fu Segretario didl'aiuiea Accademia de' Ricovrati, e quando il Senato Veneto nell'anno 1779 volle che quell'Accademia unita all'Agia- ria costituissero un nuovo Corpo, ed acquistassero una più decorosa e più splendida esistenza, l'Ab. Gennari divenne Socio ordinario di questa recente Adunanza, e poscia passò alla classe di quelli che pe' loro la- vori ottenevano dal Principe un'annua rimunerazione. Mori li 5i d(;l mese di dicembre dell'anno 1800, e fu sepolto nella Chiesa di S. Pie- tro, ove trovasi l'epigrafe seguente ; QVIETl • ET • MEIWORIAE lOSEPHIGENNARI PRESBYTERI • PATAVINI POLITIORIS • HVMANITATI3 CVLTORIS • EXIMlI ANTIQVITATV.1I • ET • HISTORIAE • PATRIAE QTAM • EDITIS • VOLVMINIBVS • ILLVSTRAVIT PERITISSIMI NEPOTES • EX ■ FRATRE • POSVERVNT PIVS • VIXIT • AN • LXXIX • MEKS • I • D • XVUI DECESSIT • PRID • CALEND • lANVAR • MDCCC RE • IN • PACE Insieme col Gennari ebbe comune la Patria l'Ab. Alberto Fortis d'in- gegno straordinario e di sorprendente attività. Ebb'egli i natali nel mese di agosto dell'anno 17415 ed a' sedici anni vestì l'abito de'Romitaui di S. Agostino. Sciolto però alcuni anni dopo da' vincoli claustrali, dimostrò chiaramente quanto le naturali disposizioni dell'animo suo lo chiamavano pili alla geologia che agli studj teologici, e quanto più facilmente egli apprendesse da Omero le bellezze della lingua greca, che dalla lettura de' Padri. Ed infatti ritornato appena dal chiostro divenne viaggiatore, XXVI ualuralisia, filologo ed acquistossi molla celebrità tra i letterali; e quasi che rincliuazione ch'ei risentiva per le scienze le più sublimi non ba- stasse all'uopo, trovò egli nelle domestiche mura raccolta ogni dì la società dt;'piìi distinti Professori di questa Università, dell'amicizia de' quali vautossi sempre la di lui Geuitrice. Il Cesarotti, il Toaldo ed il Sibiliato gareggiavano ne' consigli, acciò il Fortis cooperasse all' iugegno, di cui la natura avealo abbondantemente provveduto. Ed egli lor corri- spose pienamente; poiché veggendo che, se alquanto allontanavasi dalla Patria, sommiuistravagli ogni viaggio l'argomento di qualche disseriazione, o vie meglio istruivasi su ciò che appreso avea dalle altrui descrizioni, visitò molte Provincie, e gli venne sempre fatto o d'iscuoprire ciò che dagli altri non era stato veduto, o d' interpretare i fenomeni che gli si presentavano colla piìi sicura scorta della sana filosofia. Celebri sono le scoperte ch'ei fece del'a nitriera naturale nel Pulo di Molfcita, della poz- zuolana ne' monti Vicentini per uso specialmente delle fabbriche alla riva del mare, della torba che può essere somministrata dal territorio pado- vano a risparmio degli ordinar] combustibili. Su questi e su molti altri 0""etii differentissimi e"li scrisse con franco e forbito stile, perchè le amene lettere e la poesia amò e coltivò, a sollievo dello spirito occu- pato ognora di cosi importami argomenti. La nostra Accademia, che lo ebbe sempre fra'Socj pensionar], pubblicò alcune di lui Memorie, e molte altre poteva essa attenderne, se le vicende de' tempi, e più quelle che soffrì la fortuna del Fortis, non lo avessero obbligato di cercare altrove quell'alitiiento, che dovea considerarsi per lo meno un moderato premio delle sue fatiche. Egli però ritrasse da' proprj talenti que' vantaggi che inutilmente potea attendere d'altronde, e le Memorie per servire all'isto- ria naturale e principalmente all'orittografia dell' Italia ne lo rassicura- rono; poiché conosciuto in Parigi il merito di quell'opera, l'Autore fu destinato Prefetto della grande Biblioteca di Bologna, e Segretario del- l' Istituto Nazionale Italiano delle scienze. Con questi titoli, onorifici in- sieme e lucrosi, mori egli in Bologna nel ventunesimo giorno di ottobre dell'anno i8o5, e cessò allora la giusta gloria che aver potea l'Accade- mia nostra di avere somministrato un letterato cosi rispettabile ad una città si celebre per la dottrina de' suoi. L'Ab. Carlo Amoretti, che avea gli siudj comuni col Fortis, ne pubblicò l'Elogio nel Voi. XIV delle Memorie della Società Italiana, alla quale apparleneano ambidue, ed il XXVII chiarissimo signor Cavaliere Schiassi Professore dell'Università di Bolo- gna dettò r Epigrafe collocata sul di lui sepolcro in quel Cimitero : CINERIBVS ALBERTI- F ORTIS DOMO • PATAVIO PRAEF • BIBLIOTHECAE • ARCHIGYMNASII AB • ACTIS • INSTITVTI • ITALICI PHYSlOGnAPHI • DISERTISSIMI QVl • VIXIT • A • LXU OBIIT • XH • KAL • NOVEIHBU • A • MDCCCIII SOPHIA • SELLIER. BERES FACIEND • CVRAVIT Tuti' i fenomeni della natura e tutte le produzioni dell'arte poteano essere illustrate ed interpretate dall'Ab. Foriis, che qual nuovo Briareo < sembrava occuparsi di tutte colla vastità dell' ingegno ond'era fornito. Con ingegno però più limitato seppe anche l'Ab. Pietro Zuliam procac- ciarsi una celebrità. Conduss'egli i primi venti anni di età in Atmis Bor- go del Friuli, ove avea veduto la luce nel di 3o di novembre dell'anno jySg. Il Seminario Vescovile di Padova lo accolse tra' suoi alunni nel lySg, ed ivi intraprese gli studj filosofici e teologici con singolare profitto, perchè nell'anno i-jGS fu destinalo da'Superiori del Seminario ad inse- gnare agli altri la filosofia, e nell'anno susseguente 1766 ottenne la laurea dottorale in sacra teologia. Ebbimo il primo Saggio del sapere dell'Ab. Zuliani nelle propositiones ex universa phiLosophia, che dede alle stampe nel 1777 all'occasione delle solenni conclusioni con le quali soglionsi esercitare gli allievi più valorosi del Seminario. Poco appresso, cioè nell'anno 1783, il Senato Veneto Io innalzò alla Cattedra primaria di fisica nell'Università di Padova, ed in quell'anno modesimo vidimo in luce il Piano per fortificare e restaurare gli argini de' fiumi e per chiudere le rotte. Quest'opera fece conoscere con quanto valore egli potesse riuscire in siffatte materie, sì che nella famosa quistione agitata xxvni tra' mateniallci sulla migliore sistemazione del fiume Brenta, l'Ai). Zn- lianl fa eletto dal Senato Veneto membro della Commissione incaricata di esaminare il Piano proposto dal signor Ingegnere Artico, ed in essa cLbe a compagni Giordano Riccaii, Nicolai, Cristiani e Cocoli. Onore e premio ne venne pure p.l nostro Accademico all'occasione di un Program- ma proposto dall'Accademia di Mantova sopra i vantaggi o i danni che produce un fiume con la mollipliciià de' suoi sbocchi nel mare. Prese in seguito a soggetto delle proprie riflessioni l'esperimento del celebre Marchese Poleni sulla caduta de' gravi nelle materie cedevoli: difese e confermò con altra Memoria la comune misura della velocità che hanno i fluidi uscenti pe' fori de' vasi : scrisse sulla forza repulsiva, non che sui principi che formano la natura dtl fluido. Negli Atti di questa So- cietà si legge una dissertazione di lui sull'azione di una vena d'acqua ch'esce da un vaso e colpisce direttamente un piano. Sopra molti altri argomenti egli trattenne più volte l'Accademia, e singolarmente ne- cli ultimi anni di sua vita con varie Memorie tendenti ad esaminare i nuovi principi d'idraulica del signor Bernard stampati in Parigi nell'an- no i''87, e se la morte non lo avesse tolto alle lettere nel giorno ig di dicembre dell'anno 1804, egli avrebbe veduto con piacere che quel- l'esame medesimo formò poco appresso un soggetto di programma e di premio offerto ai dotti dalla illustre Società Italiana delle scienze. So la fama ricorderà con onore l'Ab. Pieiio Zuliani che promosse iitilmente un qualche ramo della scienza fisico-matematica, non v' ha dubbio che celebre si manterrà eziandio la memoria di Pietro Arduins, che non promosse già, ma introdusse in queste contrade la scienza del- l'af'ricoltura. La Patria di lui fu la deliziosa terra di Caprino nella Pro- vincia di Verona, ov'ebbe la vita nell'anno ir 28. Essendo ancor giova- netto si giovò dell'opportuna occasione di conoscere il_ cel. botanico di jNimes sig. Seguier, allorché questi visitava il Monte Baldo per racco- glierne le piante che descrisse nella sua Flora Veronensis, e per tal modo acquistò mollo gusto per la filologia. Lusingato però di approfittare inaggiormenie in questo studio si trasferì iu Padova per ascoltare le le- zioni del chiarissinjo Professore di Botanica Poniedera, ch'era Direttore di questo rinomato Giardino de' semplici, e si grande vantaggio a lui derivò dagl'insegnamenti di quell'amoroso Precettore, che pe' rapidi suoi progressi l'Arduini nel 1755 fu nominalo Custode del Giardino ed As- sistente del Ponledera. Pubblicò egli allora due libri che iuiilolò. ^m- madversionum botanicarwn specimen, e qiiesii gli assicurarono tosto una tale rinomanza, che il più illustre tra 1 botanici di Europa, il Cav. Liuneo, col nome del nostro Accademico onorar volle un nuovo genere di piauia, chiamandola arduinia. Morto nel 1^57 il Pontedera, fu al- l'Assistente affidata l' immediata soprantendenza del Giardino, fiuo a che chiantato Giovanni Marsilj a succedere al Pontedera, l'Arduini fu con- fermato nell'impiego di Custode dell'orto, e di Assistente al nuovo Pro- fessore, loienta però sempre la Veneta Repubblica a procurare nello Stato l'avanzamento delle utili cognizioni e ad aumentare la prosperità de' sud- diti, immaginò saggiamente, che vie più si provvederebbe alla fertilità de' terreni se dall' Università di Padova quasi da un centro luminosissimo emanassero le dottrine le più alte ad istruire i proprietarj de' terreni ed i coloni sugl'importanti oggetti della rurale economia. Mosso perciò il Senato da queste verità istituì uelF Università dello Stato la Cattedra di agricoltura sperimentale, e con Decreto del giorno 3o di maggio del- l'anno ir65 impose all'Arduini d'insegnar quella scienza, ed un orto gli assegnò, in cui delle sperlenze si occupasse dirette a migliorare l'agri- coltura delle Provincie Venete. Le molle dissertazioni dell'Arduini (l'in- dice delle quali leggesi nel Catalogo primo delle piante che si colti- vano nel R. Orlo di agricoltura di Padova 1807, e nel Dizionario ragio- nalo de' libri di agricoltura ec. di Filippo Rt) e le risposte da lui date ai quesiti che il Principato e l'Accademia sovente gli dirigeva sopra qualche georgica proposizione, dichiarano ad evidenza come per opera dell'Arduini siensi migliorati i metodi nella comune agricoltura, come da lui sieno stale inirodotte alcune nuove specie utilissime di biade, come i prati ariificiali sieno stati moltiplicati e perfezionali, le arti abbiano approfit- tato di molle piante che per lo innanzi non si conosceano in Italia, i boschi e le siepi si sieno abbelliti con gli alberi e gli arbusti stranieri da lui propagali e diffusi, e come il pane, la carta e la tela siasi oite- uula da que' velegabili che senibravano per lo innanzi ingombrare inu- tilmente il terreno. Tali furono i saggi del sapere e dell' industria in- cessante del nostro Accademico; ed è ben chiaro che mancato egli a' vivi nel giorno i5 di aprile dell'anno i8o5 fu conqiianto dagli studenti, dagli amatori della campestre economia, dalle molte Società scienlificbe alle quali apparteneva, e dagli uomini dottissimi co' quali tenne episto- XXX lare commercio o per rendere vantaggiose all'Italia le scoperte degli oltramontani, o per comunicare alle nazioni lontane le utili nostre co- stumanze. Mentre l'Arduini si disponeva a.d arricchire colle proprie ricerclie e colla scorta dell'esperienza il celo degli uomini già facoltosi, nel 1742 sorse in Venezia un altro uomo, che colla mente animata dalla fervida fantasia, col freno imposto a questa dal vero gusto per il beilo poe- tico ed oratorio dovea erudire gli altri e guidarli per lo scabroso sen- tiero della letteratura. Fu questi l'Abate Antonio Gardin, che entrato nel Seminario di Padova nel di 22 di ottobre dell'anno 1755, vi ebbe l'Abate Cesarotti a maestro, e soddisfece pienamente all'aspettazione che di lui formata aveano i Direttori di quell' illustre Convitto. Compititi appena gli studj passò ad insegnare le umane lettere nel Seminario di Trevigi; ma ravvolgendo sempre nell'animo la società delle dotte per- sone die avea lasciate in Padova approfittò della mancanza a' vivi d(I- l'Abate D. Paolo Ceralo Precettore nelle scuole civiche elemeutaii di Padova, e questo soggiorno antepose al lucro di cui il proprio merito polca lusingarlo. Né però ne fu defraudato, poiché il Veneto Senato con Decreto dei 29 di gennaio dell'anno 1781 onorò l'Ab. Gardin collocan- dolo in quella Cattedra dell'Università, dalla quale apprendono 1 giovani le istituzioni del Diritto Canonico, ch'egli insegnò fino all'anno 1806, cioè fiuo a che gli fu accordato il riposo che sembrava esigere la sua malconcia salute. Ed infatti non ha il nostro Accademico goduto gran tempo quell'ozio onorato, perchè ai i3 di ottobre dell'anno 1807 cessò di vivere in Portogruaro, mentre co' piaceri della campagna procurava di rinforzare l'indebolita sua macchina. Sempre occupato nell' ammaeslra- nienlo della studiosa gioventù non lasciò mai trascorrere occasione alcu- na in cui a sommossa dogli amici o coi sonetti, o con le ottave, o coi canti non provasse singolare compiacimento quando nel celebrare qual- che meritevole personaggio distinto con le prime dignità dello Stato, quando nell'ornare i novelli talami con le ghirlande di Pindo, ora lo- dando il coraggio Romano in un privato Cittadino che spppe cangiare in ridente giardino una valle putrida e fetente a decoro di una grande Città ed a comodo de' suoi simili, ora piangendo la morte di qualche illustre letterato o volgendo nella nostra lingua i poetici pensamenti de- gli stranieri. L'Accademia nostra che dall'epoca della sua istituzione la XXXI noverò tra'Socj pensionarj applaudi sempre agli argomenti che formarono il soggetto delle sue Memorie, ed alio stile facile ed elegante con cui furono trattati; cosicché assai di frequente furono queste destinate a trattenere la numerosa udienza che suole intervenire alle pubbliche so- lenni sessioni della nostra Società. Poche Memorie dell'Ab. Gardin vi- dero la luce ne' Saggi da noi pubblicati; ma molt'oltre egli scrisse che meriterebbero di essere tra le mani di tutti, come pure la traduzione di molli salmi e delle opere di Ovidio in metri tra loro differenti , ed altri parecchi lavori, in ciascuno de' quali sì bene faceano mostra di se il talento dell'invenzione, l'eleganza degli ornamenti, l'accuratezza dello stile. L'uomo perì) originale nelle sue imprese letterarie, di cui può dirsi ciò rhe si disse di Aristotile, vale a dire, che combattuto, proscritto, adorato, scomunicato fu sempre vincitore, quest'uomo fu l'Ab. Mel- chiorre Cesarotti. Si esamini pure lo siile sì vario delle diverse sue prodazioni, si analizzino i suoi versi con la critica piìi scrupolosa, si con- danni la bberià da lui proposta per arricchire la lingua italiana, egli sarà sempre grande, ed il tempo farà conoscere ciò ch'egli era, ciò che ci lasciò, e come debbasi da noi temere pur troppo che nessuno possa agguagliarlo nell'avvenire. JNacque il Cesarotti in Padova nel dì i5 di maggio dell'anno i^So e studiò i principj grammaticali delle lingue greca, latina ed italiana nelle scuole esterne del Seminario. Siccome però fino dalla iufanzia died'egli non equivoci saggi di un Ingegno eccellente, COSI dal Vescovo di que' tempi si comandò che il Cesarotti fosse rice- vuto gratuitamente tra gli alunni di quel Collegio. Ciò avvenne a' 22 di ottobre dell'anno 1741 e fu ammesso allo studio dell'umanità e della rettorica, terminato il quale passò a quello della logica, dell'etica e della metafisica sotto la scorta dell'Abate Billesimo. Non istimarono i superiori del Seminario ch'egli si applicasse eziandio alle matematiche, per le quali sembrava loro non essere fatto dalla natura; e per verità se uscito egli dal Seminario tentò piìi volte ed inutilmente d' iutrapren- deie quello studio, se l'Ab. Toaldo che tanto affetto portava al Cesarotti, non curò che quell'ornamento si aggiugnesse al suo spirito, ciò dimostra, che siccome ogni mente non è fatta per qualunque scienza, così all'esat- tezza de' matematici non sa tutte le volte prestarsi agevolmente una fer- vida fantasia sempre distratta dagli oggetti che a lei presenta il gusto XXXII del bello ideale, del perfeilo e del grande. Beu istruito il Cesarotti in quelle scienze si diede allo studio delia giurisprudenza, della quale so- sieane cou grandissimo applauso uua pubblica disputa nell'anno i749' Il Cardinale Rezzonico Vescovo allora di Padova che beu vedea quanto lungi sentisse il Cesarotti nell'amena letteratura gli affidò ben tosto l' in- seguanieuio della rettorica, cb'ei ritenne fino all'anno 1769, in cui in- vitato a precettore presso una illustre famiglia della Veneta Aristocrazia, alla Dominante si trasferì accolto con giubilo da tutti quelli che ono- ravano le lettere. La scuola però del Seminarlo e la privala istruzione di un giovanetto era una palestra troppo angusta alle di lui forze, e quindi esercitava il proprio ingegno e cou la traduzione delle tragedie di Vol- taire e ne' poemetti e qiul ch'è più cou la ioimìtabìle versione de' poemi di Ossian. Venuto a morte là intorno il P. Carmeli Professore di lingua greca ed ebraica ncirUniversilà di Padova, non esitò il Senato Veneto nell'anno i^bS di scegliere a quella Cattedra il Cesarotti, acciò nuove occasioni egli avesse e nuovo sprone a segnalarsi uell' intrapresa carriera. 11 metodo stesso ch'egli seguì in quell' insegnamento fu degno di lui, poiché dopo aveie esercitati gli studiosi ne' primi mesi di ogni anno sugli elementi dulia lingua greca, trattenevali ogni giorno con la lettura di un qualciie lungo squarcio di un greco autore da lui tradotto, affinchè delle immagini, del gusto, del raziocinio fossero eglino informati de' gre- ci scrittori, più che di quelle grammaticali minuzie, clae mal si coufanuo con la dignità di una Università, ed affaticano ad un tempo medesimo senza fruito il maestro e lo scolare. Invogliava non pertanto gli studiosi ad impadronirsi del greco idioma coU'eruditissimc e forbite prelezioni latine, nelle quali ora dell'antichità ragionando della lingua, ora della sua forza e del meccanismo, ora del billo sempre apprezzato da' greci, ora della fantasia propria di quella nazione facea Tullio ravvisare in se Slesso ritornato da Atene. Conosciutasi perciò dal Veneto Magistrato Pre- side agli studj rutilila dell' insegnameuto introdotto dal Cesarotti, gli ven- ne l'ordine di pubblicare la traduzione di molle opere appartenenti alla greca letteratura, e le orazioni di Demostene ed i poemi di Omero, opere troppo note perchè dobbiam trattenerci a parlarne. Nell'anno i7'-9 sta- bilitasi dal Senato Veneto l'Accaderala delle scienze, lettere ed arti, ne fu il Cesarotti nominato da' Socj Segretario perpetuo per le belle lette- re, e col ragionamento sui doveri accademici, con le relazioni già rese XXXIII di pubblica ragione, e con la comunicazioue al rispettabile consesso di alcune sue versioni, e delle lettere che sopra qualche letteraria questione riceveva da' letterali stranieri abbondantemente dimostrò in qual conto egli tenesse quell'onorifico incarico, ed il corpo letterario che a lui lo aveva affidalo. La collezione delle opere del Cesarotti eseguitasi in Pisa tulle ce le presenta- in 4° volumi. Fu cavaliere e poi commendatore della corona di ferro, fu gratificalo di due straordinarie pensioni, ed ot- tenne il sollievo di quella cattedratica fatica che ormai per l'eia non polca più sostenere. A lui però non sembrò di abbandonare intera- mente l'Università e l'Accademia, poiché vide il proprio seggio occupato da quello stesso che aveasi egli prescelto a successore. Ma non gli fu daio di godere lungamente del frutto di tante fatiche, che la morte ne lo rapi nel giorno 4 di novembre dell'anno 1808. Più fiori sparse sulla tomba di quel grande uomo l'Ab. Giuseppe Barbieri con l'elogio che ne pubblicò e con le Memorie intorno la sua vita, scritte con quello stile che più conveniva al suo rispettabile maestro ed antecessore. Ma rjuasi che l'Accademia non avesse usate bastaniemenie le nere gra- maglie pel vuoto rimasto nella classe delle belle lettere con la perdita del Cesarotti, nel di 4 "i' dicembre dello stesso anno 1808 il lutto toccò p'-r trista sorte all'altra Classe della fisica sperimentale per la man- canza a' vivi del Come Marco Carburi. Nato questi in Cefalonia nel- l'anno 1731, fu mandato dagli amorosi genitori in Italia, affinchè nella fisica s' istruisse e nella medicina. La fama di Bartolommeo Beccari, Pro- fessore di chimica nella Università di Bologna, attirò il giovane Carburi, che concepito avea per quella scienza un diletto particolare. In Padova fino a que' tempi non crasi conosciuta la chimica, ne insegnavasi dalle cattedre. Giunta perciò al Veneto Senato la notizia che tanto avea in essa approfittato il Carburi suddito della Repubblica, chiamollo Bell'au- no 1769 alla Università di Padova col titolo di Professore di chimica. E siccome ben conosceva il Governo i vantaggi che da quella Cattedra po- teano derivare allo Stalo, se il nuovo Professore fosse fornito di quelle cognizioni che si acquistano nelle grandi officine, lo inviò l'anno ap- presso a pubbliche spese a visitare le miniere dell'Ungheria, della Ger- mania, della Prussia, della Svezia, e ad istruirsi presso gli uomini sommi che le faceano prosperare. Fu in quell'occasione ch'egli conobbe il Cav. Linneo, che questi strinse amicizia col Carburi, che seco bramò di avere e XXXIV un epistolare commercio, e chiese il di lui parere sul sistema roiueralo- gico che avea immaginalo. Ricco delle acquistate cognizioni, ed assicurato della corrispondenza de' più celehrl chimici che viveano in quella età ri- tornò il Carhuii in Padova nell'anno 1764, vi eresse il chimico lahorato- rio, intraprese il corso delle sue lezioni che continuò sempre con pro- fitto degli uditori, e soddisfece contemporaneamente a tutte le ricerche indirizzategli di sovente dal Governo sopra le miniere, le arti, il miglio- ramento delle manifatture. Il Carburi primo d'ogni altro scoprì la ma- niera di fondere il ferro dolce ne' crogiuoli e ne fece l'applicazione al- l'artiglieria. Fu egli che diresse la fusione de' mortaj che servirono al grande Ammiraglio Emo nel bombardamento di Tnuisi. Fu egli in (ine che ad uso dell'artiglieria ritrovò una carta incombustibile, che la Re- publdica Veneta serbò sempre con geloso segreto, onorando lo scopritore con una medaglia coniata espressamente ad oggetto di significargli la ri- conoscenza che per tale invenzione gli professava il Governo. L'Accade- mia, che lo ebbe a socio pensionarlo sino dalla sua fondazione, fu sem- pre a parte delle osservazioni di lui e ne pubblicò alcune interessanti Memorie. Pregievolissimi fuor di dubbio sono gli esperimenti da lui fatti sull'acido solforico glaciale e stellato, e sullo spolverino de'Colli Euganei, nel quale ravvisò egli un'abbondante miniera di ferro. Se in alcuno degli opuscoli da lui stampati apparisce il Carburi poco amante del nuovo si- stema de' chimici francesi, ciò dee ascriversi alla naturale difficoltà che hanno 1 grandi uomini nell'abbracciare le nuove opinioni, che si divul- gano tutto giorno, se prima dall'esperienza e dall'universale consenso de' dotti non sieno approvate. Tenne dietro al Carburi l'Ab. Matteo Frabzoja, di cui abbiamo un elogio a stampa scritto dal signor Ab. Casamatta. Nella Diocesi di Tri- ■vigi e precisamente nella Villa di Campo vide la luce nel giorno 3 di luglio dell'anno 17341 ^^ 'V' pu'c mancò di vita nel di i4 di giugno dell'anno 181 5. Agli undici anni entrò nel Seminario Vescovile di Pa- dova più vol'.e qui ricordato con lode, ove, terminati gli sludj consueti, ottenne nell'anno 1757 il magistero della grammatica, ed in seguito quello delia giurisprudenza, che fino all'anno 1763 insegnò agli allievi del Seminario. 11 tenore di vita che conducevano i Grandi del Governo Veneto l'occasione presentava frequentemente, in cui potessero essi co- noscere da vicino quegli uomini, che dedicati alle scienze, in alcuna di XXXV esse a preferenza degli altri si distiuguevauo, e poieano questi lusingarsi di ricevere uu giorno eoa qualche decoroso impiego il guiderdone me- ritato co'proprj studj. Conosciuto infatil il mei ito del Franzoja da pa- recchi illustri Patrizj con Decreto del Senato de' 5 dicembre 1764 fu dichiarato Professore della Università di Padova, e gli fu imposto di dettare le istituzioni civili e l'arte notarile in secondo luogo, come di- cevasi a que' giorni. Nell'anno scolastico 1768 insegnò le istituzioni ca- noniche, e dall'anno 1769 fino al 1773 ebbe la Cattedra in terzo luogo di diritto civile ; ma finalmente il Senato lodando lo zelo, con cui il Franzoja avea adempito a'proprj doveri nell'insegnamento del di- ritto civile con Decreto del giorno 33 di maggio dell'anno 1773 lo trasferì all'altra Cattedra primaria che trattava del diritto naturale, pub- blico e delie genti, ch'egli conservò fino a che il Governo Italiano in- troducendo neh' Università uu sistema di riforma, accordò al Franzoja nell'anno 1806 quel riposo che le leggi concedono ad un servigio per lunga serie di anni utilmente prestato. Nulla pubblicò che possa in- teressare la storia della letteratura, e soltanto si prestò a scrivere qual- che poetico componimento od a tradurre alcune operette die servirono agH amici di lui per festeggiare o l'onore di una dignità accordato ad un qualche veneto patrizio, o gli sponsali celebrati dalle famiglie più ragguardevoli. Fu Segretario dell'Accademia per le scienze per voto de- gli Accademici i ma l'elogista del Franzoja volle un po' troppo servire alla di lui memoria, quando scrisse, che la fondazione, creazione e la conservazione deli! Accademia devesi all'opera del Franzoja. Vive ancora in Milano chi può dimostrare che si è voluto attribuire al de- funto pili di quello che convenivasi. Potea egli dire piuttosto, che se nella qualità di Socio peusionario non fé' parte alla Società di alcuna Dissertazione, scrisse nondimeno ogni anno le sue Relazioni Accademi- che, con le quali sulla indefessa attività de' Socj ha dovuto informare la numerosa udienza che frequenta le nostre pubbliche sessioni. Se i due Segretarj della nostra Accademia furono scelti, siccome di- cemmo, dal voto de' Socj, allorché il Veneto Senato la instituì, il Ma- gistrato de' signori Piiformatori dello Studio volle serbarsi il diritto di destinare quale tra' Membri dovesse per la prima volia sostenere l'in- carico di Presidente di questo rispettabile Corpo scientifico. Siffatto onore fu conferito al Professore Leopoldo Marcantonio Caldam. Ebb'e-Ii a xxxyi Patria la città di Bologna, ove nacque nel dì 20 di novembre del- l'anno 1725. Giunto appena al quarto lustro di età fu eletto Medico Assistente nell'Ospedale detto allora di S. Maria della morte, e poco ap- presso, cioè nel 1760, consegui la laurea in medicina. Durante la sua dimora nell'Ospitale tagliò ed esaminò i cadaveri di tutti quelli che pas- savano all'altra vita, si per conoscere adeguatamente l'uso vero di cadaua \iscere, come per confrontare i fenomeni osservati nel corso della ma- lattia con le alterazioni morbose di qualche parte. Conoscca ben egli che l'anatomia è la base fondamentale della medicina e della chirurgia, e che non può dirsi buon medico e buon chirurgo quello che non co- nosce profondamente la struttura del corpo umano. E grande utilità a lui ne venne da quello studio fin da principio, poiché ppr la stima che facevao del Caldani e Pietro Paolo Molinelli, e l'Azzogiiidi, ed il Beccari, a lui ricorrevano gì' infermi in gran folla, e più volte fu invitato ad esercitare l'arte sua presso le corti, ed in alcune rinomate città. Solca però rispondere a quegl' inviti, che gli rimanea ancor molto a studiare, prima che potesse accettarli. Informato il Senato di Bologna del me- rito di lui e degl'indefessi suoi studj, nel 1765 gli conferì la Cat- tedra di medicina coU'obbligo d'insegnare l'anatomia. Dal metodo che a que' tempi seguivano i Bolognesi in tale insegnamento chiaro appa- risce r importanza ed il peso di un tale incarico ; ed in fatti dotto qual egli era non istimò di ascendere l'onorifico seggio ch'eragli desti- nato, se prima non si fosse recato a Padova ed assistito non avesse al- l' intero corso delle lezioni che dava in questa Università il chiarissimo Morgagni. Uditore di si rinomato Anatomico privatamente proponeagli i suoi dubbj, e sulle più famose queslioni lo interrogava che agitavanst allora tra' medici. Ciò avvenne nell'anno 1758, e solo nell'anno 1760 coiniuciò ad insegnare dalla Cattedra. Fu in quell'epoca che il celebre Alberto Haller iscuoprì l'irritabilità de' muscoli, e dimostrò che alcune pani dell'animale credute fino allora sensibili non godevano di questa prerogativa. Il Caldani immaginò che la dottrina dell' Haller fosse uno de' tanti sogni che sempre ritardarono l'avauzaineuto della scienza me- dica ; e siccome 1' Haller era giunto a quella scoperta col mezzo degli, esperimenti, cosi il Caldani colle armi stesse preparavasi a uegare 1" irri- tabilità de' muscoli, ed a difendere la sensibilità de' tendini, delle me- ningi ec. Beu allrlmeuli però andò la bisogna, e veggeudo egli che l'cspe- XXXTII rimcnto coiiispoudeva perfellamenlc agi' lusegnameuti dell'HalIer, che da quella scoperta nuovi vantaggi derivavano alla medicina, e con la voce e con gli scritti difese quella dotiriaa. Alcuni però non la pensavano COSI, e nelle dispute solenni egli si vide attaccato da' propij maestri, e con le stampe ha dovuto più volte rispondere alle obbiezioni che gli venian fatte pubblicamente. Per tal guisa accresciutasi la fama di lui fu invitato a Venezia, ed il Senato Veneto nell'anno i';64 lo giudicò de- gno di possedere con liberale emolumento la Cattedra primaria di me- dicina teorica nell'Università di Padova, e mancato a' vivi il Morgagni nel dì 5 dicembre dell'anno 1772, Io stesso Senato Veneto volle che il Cal- dani sostenesse la vacante Cattedra primaria di anatomia, e perciò fino all'anno i8u6 decorosamente insegnò da due Cattedre con sommo van- taggio degli studiosi. Il Governo Italiano premiar volle questo vecchio Professore chiamandolo a quell'ozio ch'egli non avea ricercato, ed anzi molli stupirono che ciò gì' increscesse, e che dimandasse egli medesimo, siccome ottenne, di poter continuare nell'esercizio delle sue lezioni quando più gli piacesse. Quantunque non possa qui aver luogo alcuna particolare indicazione degli studj di lui,de'suoi ammaestramenti, della felicità ch'ebbe sempre nel medico esercizio, e ch'egli attribuiva alla perfetta cognizione d;' pensionai j; e dopo la morte del eh. signor Ab. Natale dalle La- ste ch'era incaricato di scrivere la Storia di questa Università antichissima e famosissima, i Triumviri presidi allo Studio si lusingarono che qiul vasto argomento sarebbe stato trattato dal Colle più solliriiamente, e nel modo il più adegualo alla celebrità della scientifica istituzione, e de- "li uomini sommi che in ogni età ne mantennero lo splendore. La ter- minazione di quel Magistrato ha la data del giorno 17 di giugno del- l'anno 1786, e tra i meriti ch'esso riconosce nel Colle per incaricarlo della compilazione di siffatta Storia, quello si annovera di esser egli un membro pcnsionario dell'Accademia, tal'era la estimazione che questo Corpo godea 'presso uno de' primi Magistrali della Venda Bepubhlica. Leiierato, accademico, islojiografo non dimenticò giammai gii obblighi XLIII che gì' imponevano questi titoli. Due Dissertazioni di lui eLhero il pre- mio dall'Accademia di Mautova, quella cioè sulla musica de' Greci, e l'altra sulle piene del Po: scrisse sulla sistemazioue del fiume Breuiu : comunicò all'Accademia molte Memorin, alcune delle quali sono già impresse negli Ani; lasciò inediti finalmente due Volumi che conle- neaiio la più antica Storia della Padovana Università, e ch'egli avea già preparati per la stampa ilno dall'anno 1798. 11 nuovo ordine delle cose fé' giudicare che alla gloria della Università stessa non fosse necessaria una Storia ed una grave spesa per pubblicarla, e poco appresso si stimò inutile anche f Istoriografo. Ritiratosi perciò il Colle alla Patria, la gio\ò in mille guise, sì che per unanime voto de' concittadini nel i8o5 a lui ne fu dal Governo affidata l'amministrazione, ch'ei tenne cui titolo di Magistrato Civile, fino a che chiamato a Milano fé' conoscere nel Con- siglio di Stato l'equità de' suoi prinoipj mettendo sempre a confronto il diritto del jìrincipato coli' interesse del cittadino. Finalmente nell'anno i8i5 passò in Patria di questa vita, che ivi avea cominciata nell'an- no 1746. Non la sola Storia della Padovana Università, ma quella eziandio della letteratura italiana e specialmente della matematica avranno un srande argomento allorcbè dir vorranno dell'avanzamento e dell'onore che derivò alle scienze dal celebre Ab. Pietro Cossali. La nobilissima città di Verona il vide nascere nel giorno 29 di giugno dell'anno 1748, ed ammirò la prontezza d' ingegno con la quale sotto la direzione de' Gesuiti egli per- corse tutti gli siudj de' quali sogliousi informare i giovanetti. È però singoiar cosa che fino da quella età dasse a conoscere il suo trasporto per la matematica e per l'astronomia, le quali scienze stancano ordina- riamente la gioventù, presentandole un cammino che sembra aspro e difficile. Abbracciò in età ancor tenera la regola de' chierici Teatini, e fu inviato a Padova nella casa de' suoi confratelli, ove oltre di avere l'opportunità di erudirsi con ogni sorta di studj, seppe distinguersi nella sacra eloquenza, dando così un saggio luminosissimo della prima edu- cazione ricevuta. Circa l'anno 1780 ritornò alla Patria, ove col concorso di molte altre dotte persone stabih una privata accademia, nella quale Ogni dì duveasi ragionare di qualche scientifico argomento, e gli altrui pensamenti doveansi prendere in esame, e coll'esperimento lentavausi le nuove vie che condurre potessero allo scoprituemo delle verità fisiche XLIV e raatemaiiche. Nell'anno 1780 puLblicò le sue lettere apologetiche del- l'analisi alyebraica, che lodale molto in Parigi alla pieicnza dell'Amba- sciatore del Duca di Parma a quella R. Corte procacciarono al Cossali la Cattedra allora vacante di astronomia, metereologia ed idraulica nella Parmense Università. Chi conobbe il Cossali può asserire quanto egli debba essersi adoperato e con la voce ad istruire gli uditori e con gli scritti ad illustrare la scienza che professava, doude per il vasto di lui sapere e pel vantaggio che da si gran letterato derivava allo Stato il libéralissimo Sovrano lo amò, lo incoraggi, e del Cossali degnossi di essere più amico che protettore. Delle vicende politiche dell'Italia fu a parte anche la Università di Parma ed il Professore Cossali si vide costretto di ritornare a Verona. Lo accolsero di buon grado ì suoi cit- tadini, e la soprantendenza gli affidarono de' loro canali, de' ponti, delle strade. La fama però, che ripetea sovente il di lui nome, sembrava che di più luminosa destinazione lo assicurasse, ed in vero nell'auno 1807 ** trasferì in Padova per accrescere il numero de' Professori che mantengono il lustro della Università, essendogli stata conferita la Cattedra di calcolo sublime. Divenne in seguitò Ispettore onorario delle acque e delle strade, membro nell'Istituto Italiano delle scleuze, e più onori avrebb'egli ot- tenuti, se il sacro carattere di cui era rivestilo gli avesse permesso di awoenarll. L'Accademia di Padova lo accolse in quell'ordine de' suoi membri, che a norma delle proprie costituzioni godevano altra volta uà annuo premio degV intrapresi lavori, ed il Cossali per corrispondere alla distinzione che a lui ne veniva comunicò alla Società cou replicale Me- HKirle i suoi pensamenti sopra le svariate ed interessanti questioni della fisica e della matematica. Molte altre però egli ne avea ajitecedcntemeBte consegnate alle stampe, che assicurarono al di lui nome l' Immortalità, se pure a tal fine non avesse ballato la sola Opera pubblicata in Parma negli anni 1797 e 1799 sull'origine, trasporto in Italia, e primi pro- eressi in essa dell'algebra. Morì nel giorno 20 di dicembre dell'anno i&i5, e tra poco ci lusinghiamo di leggere 11 ragionato elogio di que- st'uomo celebre che sarà seguilo dall'elenco di tutte le opere sue. Accadde assai spesso per lo passato che solo la più tarda posterità rendesse al gran letterato la lode che m'-niava, e l'immortale Cartesio non ebbe dalla Francia il tributo che gli dovea se non prr opera drl Thomas ceulo anni dopo la morte. Questa ingiuriosa negligenza fu a' XLV tempi nostri giuslameute conetla, ed i letterati, le Accademie e le Uni- versità presero un particolare interesse nell'encomiare coloro che delle scienze e delle lettere meritarono in qualche modo particolare. Se non che o l'amor proprio di que' che tesson gli elogi, o la discrepanza degli studj tra il lodato ed il lodatore non ci pcrmeilouo talvolta di calco- larne i pregi ° *^' conoscere gli avvanzamenti che per opra del defunto fece una scienza. A siffatto discapito però non audrà certamente soggetta la memoria del Prof Vincenzo Malacarne perchè se pure verun elogio non si divulgasse di lui, delle produzioni scientifiche che ci lasciò fino all'anno 1811 ehhimo in quell'anno medesimo dal di lui figlio Claro Giuseppe un Catalogo ragionalo che mentre dimostra 1' interesse di questo per l'onore del Genitore, ci fa ravvisare pienamente la di lui istancablle attività. Saluzzo fu il luogo natio del nostro Professore, ove nel di 5o di settembre dell'anno 1744 ebbe la vita, ed ove ne' primi anni fu liberalmente educato. Giunto oltre il terzo lustro ottenne egli di essere collocato nel Collegio Pieale delle Provincie ch'era in Torino, ed impiegandosi negli studj medici, cosi ne profittò che dopo due anni seppe sostenere lodevolmente l'esame dell'anatomia e della fisiologia. Passato in seguito sotto la direzione del cel. Bertrandi, apprese da quel- r insigne maestro la pratica della chirurgia. Ma siccome e per gl'inse- gnamenti de' grandi medici e chirurghi, e per le ammonizioni dell'illu- stre e consumato Precettore, e per la propria esperienza crasi convinto che non avrebbe fatto i contemplati progressi nello studio della medi- cina e della chirurgia, se non fosse staio perito nell'anatomia, cosi par- ticolarmente si dedicò a quello studio, e vi riusci per modo che col vigoroso esame dell'Anatomia pratica si apri l'adito ad otlenere nel 1768 l'incarico di pubblico Ripetitore di Anatomia, e di sedere con lai titolo nel Collegio Chirurgico Torinese. Avanzando però sempre più nell'acqui- sto delle uCili cognizioni dava il Malacarne a conoscere quali speranze il Sovrano e lo Slato poteano formare sull'opera sua; ne andò molto che S. M. il Re di Sardegna lo noininò Direiiore delle R. Terme di Acqui, e Professore di Chirurgia, nel quale impiego continuò il Mala- carne a disÙDguersi per dieci anni, cioè fino all'anno 1785 in cui fu eletto Chirurgo Maggiore della città e della cittadella di Torino. Le Mne opeie che avea già pubblicale gli procacciarono in segnilo la Cat- tedra delle isliiuzioni chirurgiche e dcU'osietricia nella Università di XLVT Pavia, dalla qnale dopo poclii anni passò all'altra di chirurgia teorica a pratica uella Uaivtrsiià di Padova, che nell'anno iSuó oauy.ò nella cat- tedra delle istituzioni chirurf^iche e drll'oslciricia. Allorché uell'anuo 1794 venne in queste contrade, divenne anche Socio pensionano del- l'Accademia, ed attivo qual era le comunicò sessanta e piìi memorie di ditferente argomento, come può incontrarsi nel Catalogo sopraccitato. PJon possiamo passare sotto silenzio che la di lui Memoria sui sistemi nell'anno i8o3 fu premiata con una medaglia di onore dalla Società di emulazione di Parigi. Questo celebre Professoie ci fu dalla morte rapito nel giorno 4 d' settembre dell'anno 1816. L'ultimo de' compagni che perdemmo fu il cel. Ab. Giovanni Costa. spirò egli le prime aure di vita in Asiago Capo-luogo de'sette comuni nella Provincia di Vicenza, ed ebbe la bdl'avventuia di essere veduto ancor fan- ciullo dal Cardinale Rezzonico Vescovo allora di Padova cbe visitava qu' Ile contrade qual diligente Pastore. Ne animò egli 1' ingegno, e volle che il Costa gratuitamente e liberalmente fosse accolto ed educato nel suo Se- minario, quasi presago che ne dovea essere un ornamento distintissimo, e che avrebbe confluito a mantenere in quella sede del sapere il buoa gusto per le lettere greche e latine, che in tuti'i tempi vi signoreggiarono. Corrispose il Costa per modo alla beneficenza del Cardinale, che incammi- nato appena agli ordini sacri fu fatto Maestro, ed ascese rapidamente al primo rango del Magistero, vogliam dire fu destinato Maestro dell'Ac- cademia, scuola che ha per oggetto di perfezionare nel Bello oratorio e poetico gli alunni di miglior aspettazione. Fu allora principalmente ch'egli tutto si diede a coltivare in particolar maniera la poesia greca e latina, e sì bene riuscì nel contemplato divisamento, che iu tutti gli svariali metri degli antichi cantori del Lazio seppe dimostrare un'armonia, una elevatezza, un nerbo, un sapoie, una libertà di es[iressioni tutta Romana e tutta sua, per cui abbiamo il diritto di cliiamarlo il primo tra i ver- seggiatori latini dopo il secolo immortale di Augusto. Tale fu il giudi- zio che i dotti pronunciarono e sui due Volumi di varie poesie pub- blicate da lui negli anni 1796 e i8o5, e più di tutto sulla traduzione inimitabile delle odi di Pindaro stampata iu tre Volumi, e finalmente sul Ditirambo intitolato artemisia, col quale imraaginossi di dettare qualche nuova teoria sopra un sin)il genere di componimento. Quest'Ac- cademia che lo ebbe tra' sugi da bel principio ne pubblicò tre disser- XLVU tazioni. Ingenuo e semplice per caratipre e per costume accoppiò seni- pre airiinmeasa sua dottrina una sì grande modestia da porre in dub- bio quegli stessi che il conoscevano, s'egli fosse in fatti quel Costa che tanto ammiravano negli aurei suoi carmi e nelle sue egregie versioni. Qupsto illustre letterato, che mosse l'ammirazione degl'invidiosi stra- nieri, compì la sua carriera mortale nel giorno 29 di dicembre dell'an- no 1816 nella età di oiianl'anni all'incirca. IDROPE-ASGITE SIMUr.A.NTE Li GRAVIDANZA E CAGIONATO DA VERMI VESCICOLA*! ^E' TESSUTI ADDOMiNAH DISSEMINATI CASO COMUNICATO LI XX GIUGNO M. DCCC. XVc DA VALERIANO LUIGI BRERA I, Li basso ventre è la sede uon infrequente delle differenti forme mor- bose, clic insorgono per effetto delle acquose effusioni. La linfa, che vi si spande, non sempre liberamente fluttua nella sua cavità, e talvolta li- mitata la si osserva in certi tessuti, e in particolari sacchi racchiusa, pea- denti dalla superficie de' visceri addominali. Insorge in allora l'idropisia saccata, conosciuta già dal venerando Ippocrate (i), illustrata da Are- teo (u), esalto dipintore delle umane affezioni, e da altri insigni medici ed anatomici nelle età successive dilucidata con fatti, dai quali risulta ancora, cbc tutte le grandi e picciole cavità, non che tutti gli organi, e la massima parte do' tessuti possono diventare alircltante sedi di queste saccate raccolte. Conosciuta essendo adunque fino dalla piii limota antichità l'esistenza delle idropisie saccate, il riprodurre un tale argomento sembrar potreb- be senza dubbio inutile e superfluo, a meno che particolari circostanze ne illustrassero l'indole, e la via appianassero ad apprenderci il modo, (i) i Gigniiur etiam hydrothorax, ubi tuLer- nlur, quae aijuam conliaenlo. De internis effìct. Hcula ìq pulmoue fuerint eiorta, el aqua reple- Cap. XXI f^. ala in pectus erlpuerit. Quod autem etiam ia (i) «Alia quidem hydropis species talis agno- • luberculis oriatur liydrops , luilii argumento iisciturj in ca vesciculae quaedam pusillae, cre- isunt boves, canes el suos: in bis enim qua- ubrac, bumoris plecatr in loco, ubi liydrops fie- >>mupe(iibus maxime puimonis lubcrcula oriuu- sii solet, excitautur». col quale dato ci fosse di debellare uu' affeziofle il più delle volte ri- belle ai conosciuti sussidj dell'arte. Tale è il titolo, per cui questo caso viene riferito. Nel mese di ottobre dell'anno i8o4 entrò nel civico ospedale di Cre- ma una giovane villica, di 26 anni circa, la quale altro fenomeno non offriva che un abbattimento straordinario delle forze in tutto il corpo, in contraddizione coli' aspetto di lei alquanto passabile, ed una tumefazione regolarissima del basso ventre non dissimile da quella, che ;,i osserva nella gravidanza fra il quinto ed il sesto mese, senza potervi scorgere il benché minimo senso di ondulazione nel medesimo. Siccome accusava neir istcsso tempo e nausea ed inappetenza assoluta, così non si esitò di sospettare di gravidanza, tuttoché la medesima seriamente protestasse di non essere in questo stato, ed asserisse inoltre di non avere mai in vita sua troduto del benefizio della mestruazione. In tanta incertezza ed oscu- rità di cose fu sottoposta l'inferma all'esplorazione, il che fece accre- scere il sospetto della gravidanza, per essersi trovata la bocca dell'utero affatto chiusa. Venne perciò posta l'ammalata in osservazione, tanto piii che nessun morboso fenomeno esigeva una medicatura attiva ed efficace. Frattanto il ventre andava ogni giorno crescendo , precisamente come suole avvenire coU'avanzarsi della gestazione, ed a persuaderci maggior- mente dell'esistenza della gravidanza. In questa situazione passò l'infelice lo spazio di tre mesi, sul finire de'^quali il ventre ad un tratto si diminuì di volume , e totalmente si depresse, scoppiò una febbre quotidiana remittente, e l'aspetto dell'in- ferma r annunziò gravemente ammalata. Preso avendo la febbre il carat- tere della lenta dell' Huxbam , si previde ben tosto, che la tabe univer- sale avrebbe distrutto mi organismo da tanto tempo s'i male affetto. Di fatto inutili riescirono gli apprestati sussidj, imperocché in meno di tre settimane una celere consunzione la tolse dal numero de'vivcnii. All'epo- ca della morte il basso ventre era tanto depresso e contratto, che sem- brava affano vuoto nell'interna sua capacità. Un'affezione cotanto subdola, e in pochi giorni divenuta micidiale, senza che nulla di positivo s'avesse potuto pronunziare sulla verace sua natura, doveva giustamente desiare la curiosità di rintracciarne la causa neir estinta. Si passò quindi all'esame del cadavere, il quale nulla di straordinario dimostrò nella cavità della testa, uè in quella del torace 3 Il basso venire all'incoulro presentò uno spettacolo affatto inatteso, inipor- tantissiruo, e direi quasi del tutto nuovo negli Annali dell'Anatomia Patolo- gica. La Tavola in rame qui annessa (Tav. I) esprime con esattezza e verità il vulcanojla cui esplosione riuscì cotanto, e in si breve tempo fatale all'in- felice, che lo racchiudeva. Una prodigiosa quantità di vescichette, di colore giallo-pallido, semitrasparenti, e di grandezza varia e progressiva, emulando alcune quella d'una noce, altre quella d'una nocciuola, d'un pisello, e per- fino d'un grano di miglio, copriva per intiero tutta quanta la superficie del peritoneo A. A. A. A., e de'viiceri rinchiusi ne' varj diverticoli di questo sacco membranaceo: il fondo della vescica orinaiia B, e dell'utero an- cora C non n' erano esenti. Inoltre la sostanza parenclilmatosa de' vi- sceri coperti dal peritoneo, quali sono il fegato , la milza o 1' apparalo gastro-enterico, era affatto distrutta, cos'i che in quel basso ventre dire si poteva con tutta ragione, che unicamente esistessero i lineari deli accennati visceri coperti e disseminati dalle descritte vescichette. Il fe- gato, viscere voluminoso pel grandioso suo parenchima, era ridotto alla densità non maggiore d'un dito trasverso. La milza si vedeva rappresen- tata da una borsa avente la sua figura, e che si scorgeva esserne stata la membrana esteriore. Lo stomaco, ed il tubo intestinale offrivano il meraviglioso spettacolo d'essere nelle loro pareti divenuti assottigliati e trasparenti, come se fossero stati da un velo di tessitura animale costi- tuiti. L'omento trovavasi pienamente convertito in un ammasso di tali ve- scichette, ed acquistato aveva l'aspetto d'un' agitala acqua di sapone aven- te la conformazione naturale di questo rete. Un idrope-ascite costituito da uu numero presso che incredibile di vescichette di differente grandezza, distese tutte da umore linfatico, si riscontrò essere adunque la forma morbosa, cui dovette soccombere que- sta infelice, e mirabilmente saccata dire quindi si poteva una tale idro- pisia, il che doveva renderne la diagnosi necessariamente se non affatto impossibile almeno oscurissima a determinarsi. Parlano, è vero, molti Scrittori di collezioni acquose costituite da sac- chi più o meno voluminosi, ed anco da vescichette ripullulanti nelle dif- ferenti cavità del corpo umano. Al dottor Ranòe (i) si presentò una volta una femmina d'anni 3o, la quale, dopo d'aver dato alla luce con (i) àcu Kcgiae Societatis Medica* HaToiensis eie. Voi. UI, pag. jSi. "ran difficollk uu feto mono, si seuli in sef,'uito sorpresa dagViucomodi, che annunziavano la preceduta gravidanza, e luu' ad uu tratto poscia assalita da dolori transitorj al basso ventre, accoinpai^nati da tenesmo di vescica, eeitò fuori con impeto e strepilo dalle pudenda una massa di vescichette distese da linfa, e dell'indole delle da me descritte, che co- stituiva l'idropisia saccata dell'utero, e simulava una seconda gravidanza. Di fatti di natura presso a poco a questo uguali i:ic discorrono Vander- "wiel (i) e Costantini de Gregorini (2) e di queste idropisie limitale al fegato, al cervello, ai polmoni e ad altri visceri ne ahhiamo più esempj presso accreditati Scrittori, da me già ricordali nello Lezioni, e poscia nelle Memorie sui venni umani. In tutti questi casi la comparsa di sif- fatti sacchetti linfatici era limitata a particolari tessuti, e in nessuno, per quanto mi consta, disseminata la si vide per le pareti, e sui visceri tut- ti d'una eslesa cavità, r^ual si è l'addominale. Oltre una tale circostan- za, che rende già pregievole l'osservazione, l'altra dell' aspetto della gra- vidanza assunto dalla forma morbosa, vuota essendo la cavità dell'utero, manifesta come meritevole esser possa ancora dell' attenzione de' Paiolo- chi e de' Clinici. Ma quivi tulio non consiste il pregio e la novità della riferita osser- vazione. Si tralierebbe in fine d'una larva morbosa, che per quanto esser potesse interessante a nulla gioverebbe per illuminarci sul metodo da adottarsi, onde debellarla. L'essenziale di questa osservazione è, che l'idropisia saccata, e diremo ventrale, era costituita uon già da una con- gerie d' inorganiche vescichette da umore linfatico distese, ma da innu- merevoli drappelli di veri esseri organici viventi, per servirmi dell'es- pressione del celebre naturalista Pallas, entro d'un vivente. Così fu la cosa, perchè sottoposte avendo all'esame microscopico non poche di que- ste vescichette, tolte dai differenti tessuti addominali, e di differente grandezza, ho potuto riscontrarle tutte della natura di que'vermi visce- rali, che Trcuiler (5) descrisse ed indicò sotto il nome di tenia 'visce- rale, e che Joerdens ebbe occasione di poter a bell'agio contemplare nell'omeuio de' majali. Ad una specie di borsa rassomigliava la figura (1) Observat. rare! de Medècine etc. Tom. i. (3) Auctarium ad helmiuthologiaro etc. pag. p. 387. l'i, Xav. Ili, Fig. I, 4. (V De Hydrope uteri, et de hjdalidibus in ■ ti^ro yhh, ut aVi eo exclusis etc. HaUe 170^' 4- della capsola esteriore, ossia vaginale di questi vermi, il qualo tessuto cvidenlcmeule risultava dalla dilaiazionc del peritoneo, che vestiva e tap- pezzava gli organi e le pareli addominali, su cui eransi tali esseri svilup- pati. Non uniforme in tutti si ravvisò questa capsola vaginale, essendo in alcuni oblunga, in altri rotonda, ovale, piriforme, piii o meno con- tratta in altri a norma forse della maggiore o minore plnsiicità del pe- ritoneo ne' differenti punti affetto. Aperta in croce la parte superiore di questa capsola vaginale, e rovesciatine al di fuori i leniLi, immediatamente si presentava la parte posteriore del corpo globoso- acuminalo del verme contenutovi, formalo d'una vescichetta tenera, di superficie ineguale, e liberamente nuotante nella già dcscriiia capsola vaginale. Estratto poi dalla capsola questo verme vescicolare globoso-acr.minato, si scorgeva nel centro dell'anteriore sua estremità espansa un'appendice divisa in tre articoli al pari del corpo delle tenie intestinali, e questi disposti ad in- sinuarsi l'uno uell'aliro, e l'ultimo a ritirarsi e nascondersi intieramenie nella vescica istessa. Sulla sommità pendente di quest'appendice giaceva la testa di sì curioso animale, che in islato di rilasciamento al di dentro contratta fra le ruglie, che la circondavano, si presentò sotto la ligura di prominenza in tre distinti tubercoli divisa. In questa tesla non lul venne fatto di osservare nò le papille succhianti, ne la corona uncinata, parti proprie d'un gran numero di vermi vescicolari, ancorché abbia sot- tomessi all'esame microscopico molti indi\idui di questa specie tolti dai più grandi fra i raccolti nel già descritto caso. Vittima adunque d'una falsa idropisia addominale fu l'inferma sovrac- cennata, e pare che la di lei morte debba totalmente ripetersi dalla con- sunzione avanzatissima del parenchima du'visccri contenuti nel sacco del peritoneo, cagionata dall' immenso stuolo de'vermi vescicolari, che si svi- lupparono, e vissero in tutti i punti di lali tessuti. A pascolo di questi curiosi esseri serv'i perciò la materia, da cui risultavano l'assimilazione e l'integrità de'parenchimi de'già ricordati visceri; la quale considerazione ci porta alla non meno verace conclusione: i.che a torto, ed a torto gran- dissimo l'americano Rush volle sostenere per assoluto, che i verrai vescico- lari sono esseri necessarj per conservare la salme degl'individui, a spese de'quali si svolgono, crescono e s'i moltiplicano ; e 2. che la cura della Verminazione diventar deve pel clinico uu oggetto della massima impor- tanza, trattandosi di liberare il corpo umano, che a è affetto, dalle con-' 6 seguenze dell' irritazioue meccanica destatavi dalla presenza de' vermi , e dal guasto eziandio, che nell'assimilazione de'tessuti avviene per la sottra- zione della materia prescelta a nutrimento da questi esseri incomodissimi. Una tale verità punto non è sfuggita alla salacità de'moderni nostri clinici, unanime essendo la pratica (dietro quanto fino dall'anno i8o3 con qualche estensione parevaml di poter raccomandare nella Lezione III e IV della mia prima opera sui vermi umani) di ricorrere nell'am- mmistrazioue de'rimedj, onde vincere le gravi ed eslese venninazionij a quelli, che forniti sono della proprietà di rinvigorire e di consolidare l'assimilazione organica, 11 che equivale alla virtù d'impedire,- che man- chi ai vermi la nutrizione ne'iessuti dai medesimi defedati. Dietro siffatte viste diretto il medico pratico, io porto pure opinione, che porre si possa argine alla distruzione veramente orrenda, che si ef- fettua ne'tessutl organici dalla presenza degli accennali vermi, tosto che arrivare si potesse a congetiuraruo lo sviluppo nel suo principio. La mia proposizione non e consolidata dall'esperienza a segno da essere riguar- dala qual iufallihile assioma j ma ella parte da un dato, che mi per- mette di congetturarla propizia di felice successo. L'anno i8o5 entrò pure nello spedale civico di Crema una donna ascitica di 48 anni circa, la quale accusava per causa della malattia una tjebhre terzana da essa affatto trascurata. Il hasso ventre quantunque ma- nifestasse la conformazione dell'ascile, non si sentiva intieramente ondeg- giante, e qua e là percosso sembrava esservi in alcuni puuii soli limitato il movimento del liquido contenutovi. Accusava inoltre l'inferma un senso di puntura e di pizzicore esteso a tutto quanto l' interno dell'addome. Che si trattasse d'un idrope-ascite saccato, e che l' indole di questi sacchi esser potesse della natura di quelli, che ho già descritti, pareva che non se ne dovesse dubitare; tuttavia siccome mi premeva d'essere possibilmente assicurato sul conio diagnostico dell'affezione, feci sotto- porre la paziente all'operazione della puntura. L'esito convalidò la già concepita opinione, atteso che, onde liberarla da una porzione delle acque effuse, convenne pungere 11 ventre in più luoghi. Ad ogni puntura stil- lava dalla cannetta dello stromento un poco d'umore linfatico unitamente a qualrhe stralcio delle membrane organizzate, che costituiscono i vermi vescicolari. Stabilita quindi Y indole dell'affezione ebbi ricorso all'amminiitrazione s \ >" (>-) Vedi il Tom. XI clsUe Memorie della Società Italiana ilelle scienze cr. :^^ '«!?, f^ %^ ^^ / ^1 I , / / % ''''''•'''iiiiliiilwuill, '^ '■■v\v;s\\\iwNs^^ 7 del tabarco, il cui potere irritativo antelmintico e insieme diuretico è additato da non pochi scritlori, e segnatamente da! modenese signor Dall'Olio, che sopra di se stesso ne istituì felicissimo esperimento (i). Ne incominciai l'uso sotto la forma di siroppo preparato col metodo indicato dallo stesso signor Dall'Olio, che amministrai gradatamente fino alla dose di due oncie per giorno. Contemporaneamente feci mattina e sera col- l'uopo di opportuno soffietto applicare un clistere di fumo di questa stessa erba. Nel terzo giorno di cura le orine s'incamminarono in co- piai ed il ventre incominciò ad iscemare di volume, e scomparve ogni senso di puntura e pizzicore nell'interna capacità dell'addome. Conti- nuata la cura con questo metodo, e coU'aggiunta d'una decozione di china avvalorata coll'etere nitrico e d'un vitto nutriente, la mia inferma trovossi ben presto in istato di abbandonare ristabilita l'ospedale, ed anco otto anni dopo da me riveduta mi attestò d'essersi sempre uovata bene. (*■) Vedi il Tom. XI citile Memoiie della Società Italiana delle scicìue ce \ OSSERVAZIONE DI UN'ULCERA NELL'AORTA COMUNICATA DAL SIGNOR PROFESSOR FANZAGO IL GIORNO XXVII GEKKAIO M. DCCC. XIY .Deuchè le aperture dei cadaveri, e le lame scoperte patologiche fat- te di tempo ili tempo non sieuo siate feraci di grande vantaggio per la cura delle milallie, giacché li irovameuti di questo genere sono di raro accompagnati da una diligente ed esatta storia delle maialile slesse , ed il più delle volle ciò che si scopro, in luogo di sparger luce sul metodo curativo, ci dimostra piuiioslo infaustamenie l' impossibilità di guarire certe lesioni organiche profonde, uelle quali tulio al più e da raccomandarsi un re"ime palliativo, pure i medici osservatori non sonosi mai siaucati di coltivare l'anatomia patologica, unico suffragio che taule volle rimane per dar qualche plausibile spiegazione di molti morbosi fenomeni, che innanzi la morte ci lasciano iuceiti e dubbiosi sulla loro origine. A' giorni nostri questo genere di ricerche fu spinto quani'ollre mai fu possibile, tentando pure i ininisui dell'arte salutare di sostituire alla biil- lante illusione delle teoriche falli sensibili e dimostrazioni oculari; ond'è che non conienti di registrare minutamente le cose osservale, fecero an- che industriosa collezione di pezzi patologici, e si occuparono della loro conservazione, rattemperando cosi il naturale disgusto di lai lavori col- r ingenua compiacenza di recar nuovi lumi ai cultori della medicina, ris- chiarando sempie più le occulte morbose alterazioni. Quindi nacquero i Gabinetti patologici Islituiii specialmente in quelle Unlveisith, in cui si procura dui Governi di moltiplicale ed estendere i mezzi della pubblica istruzione. 9 Il Gabinetto di questa illustre Università, alle mie cure affidalo, di fre- sca istituzione, già comincia pur esso a far sentire i buoni effetti riiul- tanli da questi stabilimenti. Sebbene per esser ancora nella sua infanzia non possa vantar copia e dovizia, pure i pezzi che vi si racchiudono han- no quasi tutti qualche merito, e possono riuscire istruliivL Devo in questa occasione far sentire la mia riconoscenza ai signori Professori Sografi, Brera e Caldani, ed alla cortesia dei signori dottor Pe- nada, Fabris e Zecchlnello, i quali contribuirono all'arricchimento di questo Gabinetto con alcuni pezzi pregevoli, che ho potuto unire ad al- tri da me posseduti e raccolti sin da quando copriva il posto di Proto- medico di questa città, e mi si presentavano frequenti occasiooi di apri- re cadaveri- Parendomi doveroso di prestarmi all'illustrazione di essi, di quelli distin- tamente, che offrono qualche speciale singolarità, comincierò il mio la- voro da un pezzo patologico, che ho raccolto essendo Protomedico do- dici anni fa, cioè nel 1801, e ch'è appunto quello, che vi presento origi- nale e disegnato, sopra del quale intendo oggi di trattenervi, illustri Col- leghi, pregandovi di benigna attenzione. Poche cose posso dire intorno alle circostanze e fenomeni precedenti la morte dell' infelice, che offrì il morboso disordine di cui si tratta. Eali era un certo Bartolommeo Groppa d'anni 40 circa, veneziano, venuto a Pa- dova da circa un mese per affari e non per medicatura. Il dì 23 luglio 1801, essendo alloggiato presso la signora Elisabetta Peronesso, nella par- rocchia di S. Andrea, andò a casa alle ore dieci della sera, dicendo che sentlvasi poco bene, e che avea disposizione al vomito. Non avea bevuto che una limonata, e mangiato qualche cosa alla bottega di caffè. Entrò nella sua camera, e di là a poco persone che abitavano in una stanza vi- cina sentirono che si lamentava, e che faceva degli sforzi. Si portarono su- Bilo da. lui, e gli prestarono assistenza. Quando il vomito parve calmato domandò una boccia d'acqua ed un lume da tener acceso la notte, e poi si chiuse nella stanza. Non si sentì più nel corso della notte alcun movi- mento. La mattina venne un suo amico in cerca di lui. Si battè alla porta, e non rispondendo, si credè che potesse ancora dormire; ma pas- sato qualche tempo, battuta nuovamente la porta, e chiamatolo ad alta voce senza ottenere risposta nacque subito il sospetto di qualche disgra* zia. Si prese allora il partito di entrar nella stanza per una finestra, e si trovò il povcr'nomo mono col corpo disteso altiavei so il lello co' pie- di fuori. •li.l I 311. .• ■:■ i.a .. .•■-.:> >■■ j 1 •••ir. Null'altro si potè raccogliere. Solo mi fu riferito da un suo amico, che sempre lamentavasi di un molesto senso di oppressione allo scro- bicolo del cuore, e che spesso vi teneva appoggiala la mano. Trattandosi di morte improvvisa si fece la sera dei 24 1' apertura del cadavere. .• . -. -n.» • nti INiuna cosa essendosi trovata neli'esierior superlizle si passò al taglio del hasso ventre, che appariva qualche poco gonfio. Aperta appena la cavila si è. trovata gran copia di sangue effuso, sicché couobbesi tosto esser nata un' inierua emoiragia. Dopo molte indagini per discopiire il vaso, da cui era sgorgato tanto sangue, iìnalmeuie esaminando il tronco dell'aorta di- Scendente si trovò un largo foro nell'aorta stessa suhiio al di sopra della raeseraica superiore nel sito appunto, in cui fra le due punte della parte inferiore del diaframma 1' aorta discende accompagnala dalla vena aziga e dal condotto toracico. Sul momento si credè naturalmente, che l'aorta fes- sesi rolla di fresco, e nata quindi la mortale emorragia. Ma messa a nudo l'aorta, e meglio esaminata, si scorse con sorpresa, clic il largo foro era di una figura circolare e corredato di grossi e duri orli di data cerlamenle antica, come può ognuno riscontrare nel pezzo conservato (1). Trattandosi di un'osservazione rara, che polca esser soggetto di molte considerazioni, ho desiderato che il pezzo fosse veduto dal chiarissimo Professore signor Leopoldo Caldani, nóme che sarà sempre rispeitabilo e caro a quest'Accademia, di cui fu per lauti anni uno splendidissimo or- namento, il quale dopo averlo esaminato mi comunicò le sue conget- ture col seguente viglietto : « 11 foro singolare dell'aorta discendente, su- » bito al di sopra della njeseraica superiore, con orli callosi e grossi, » non pare che un vecchio ulcere. Formandosi a poco a poco , la na-' » tura apponeva probabilmpnte qualche porzione della materia fibrosa del » sangue, la quale impediva l'uscita del sangue stesso; e si era formalo qual-" » che tessuto inorganico, il quale finalmente staccatosi ha data occasione » all'emorragia mortale. Forse chi avesse minutamente osservato li massi y> duri sanguigni sparsi nell'addome all'origine del mesenterio è ira le sue » lame, trovalo avrebbe quel qualunque riparo iuoiganico , che dal san-' (>) Ln ((Ili nTiit.i T.ivola in rame diiQOStra chiaramente la qualità Jel foro tU cui 5.i iraua. 1 1 » glie erasi opposto all'ulcere, che col progresso di tempo s'ingrandì al » noto segno»: cosi il Caldani. l.io,i,.. ol>(f<«l Cosi nell'epist. XXVI iuconUansi altre consimili osservazioni. Al u. 21 raccoDia di una donna, in cui trovò molto sangue spaiso nel pericardio, ~e nell'aorta (jitaedam quasi exulcefatio occurrehat diiohus circiter su- pra semilunares vah'ulas digitis cjua arteria dexteriora special et pò- Steriora, in eaque exulceratione tria, quatuorve erant profundiora foramina, inter se proxima, singula lentis magnitudine, sed forma an- gulosa- potius qnam rotunda: ab iis oblique cuniculi extrorsum adi ad cxtimam aortae laminam pervenerant, ibi propterca ex Jusco ru- bentem quasi ab injlammatione, multoque humore crassioiem factum : in ejusque rubedinis medio lacerata demum lamina, sanguis sibi viam in pericardium fecerat per foramen inlcmis simile, et ejusdem fere inagnitudinis4 Ed al n. 17, narrando il caso di una donna morta im- provvisamente, dice di aver trovato l'aorta dilatala dal luogo, in cui man- da fuori la carotide sinistra sino al cuore, ed aggiunge: mox: ea dis- secca conspexi tota hoc ampio tracia quo dilatatam fuisse, dixi, intus asperam et inaequalem ob rigidas ac duras lamellas osseas ita crc- hras atque confertas, vix ut exigiia quaedam inten-alla rclinquerent inter se. In quibus intervallis cum arteriae tunicae interiores exesae et exulceratione quadam altenuatae perspìcerentur ; mirum erat, uno tantum loco haud procul a corde ad posteriorem, eandemque siniste- riorem parlem, id demum accidisse, quod tot aliis antea poterai. Sci- licei per unum ex ejuscemodi intervallis sibi viam sanguis paulatim fecerat, et sub tunicam venerai arteriae extimam, quam ab intimis pri- mula diducendo, attollendoque, sicut ampia quasi ecchymosis doce- bat, quam ipse ibi concrescens effeccrat, tum deinde magis, magìsque distendendo, uno in loco perruperat, intraque pericardium effuderat. E di un'altra rottura parla nella stessa epistola il n. i5, in un vecchio in cui si trovò il pericardio pieno di sangue. Cor, scriv'eijli, erat ma- gnum. Aorta autem arteria dilatata supra cor, et in cun'atura etiam tota, osseis bracteis, quales passim in arteriis quoque ai feria fuerunt, interiore facie distinguebalur. Jb eajlem facie, non magno supra cor I i5 intervallo, forameli digitunt admiltens initium sumebdt,. et obliquo trium fertile digitorum transversorum itinere per tunicas Mb, imo sitr- swii pergeiis, in Jacie deinum arteriae exteriorc intra pericardiuni Jdabat. Ea via sanguis in hoc irruperat. wi t»icitj> snom i>ni>*ii« Lascierò da parie alire osservazioni di Morgagni l'egislràte liell'epistblà XLA I, 26, LXVII, 145 nelle quali, trattasi di coirosioui e di esulceraziani prodotte comuuenieute da squame, e làmine ossose, ootne nei casi pr;e->' cedenti j ma non passerò sotto silenzio il caso riferito uell'epist. XXVII,.- 2,8, che può illustrare in qualche maniera ; una delle cause,,chó ho di sopra indicata. Narra egli di uu uomo dedito a Venere, che avca. sof- ferti piti volte dei huLoui, morto improvvlsaaiente, in cui si trovò molla copia di sangue nel pericardio versatovi dall'aricria magna. Illa 'niero, scrive, priinuni rupta intervallo a corde digiti circiter transversi. Et riiptio quidein non erat magna ; sed prope ipsam, et circa ornnem aortae basini vetus quasi sugillatio apparebat a nigro sanguine sub erteriore tunica restitante : quae sugillatio per universum pulmonem se exlendebat, praesertim vero circuin majores pulmonaris arteriae ramos. Nelle sue riflessioni poi ?opra questo caso (u. 5o ) massime per quanto concerne la causa sifilitica, ricorda ciò, ch'era staio scritto da Jane Fianco, il quale avendo notato, che avea veduto arteriam ma- gnani velati ulcerosani et corrosani, variisque pustulis scatentem, ag- giunge; quod saepe observavi in variis cadaveribus, eorwn praesertim, qui sjphilide laborarunt, et ad aneurisma aortae vel ad pectoris hr- dropern sunt dispositi. Queste osservazioni reudon però vie piìi verisimile la congettura, che nel caso nostro abbia potuto dar origine all'ulcera il velcr.o sifilitico. Malgrado tutto ciò egli e chiaro, che fra tante lesioni di vario genere dell'aorta notale da Morgagni, non ve n'ha una che alla nostra corris- ponda. Nel trattato di Notoniia patologica di Baillie nulla si riscontra che ricordi somiglianti lesioni dell'arteria magna j bensì nell'Anatomia palo- logica di Couradi (art. IV) ho trovato, che annoverando egli i varj stati morbosi dell'arterie, dice, che le arterie si esulcerano, e riporta l'osser- vazione di Litlre, il quale scopri un'ulcera upll'aorta, in cui non esiste- vano né ossificazioni, uè altri corpi estranei, che potessero esserne la causa. Siccome quest'osservazione è ivi esposta nudamente senza alcuna i6 indicazione del sito e dell' esteusione dell'ulcera , cosi ho voluto cono- scerla nella sua originalità, e come sta registrata nella storia dell'Accad. Reale delle Scienze di Parigi nell'anno 1713. Littre ivi racconta di una donna morta quasi improvvisamente, in cui trovò la mancanza di una delle valvule sigmoidee, la quale si era incollata (colée) contro il tronco dell'aorta, e al di sopra di questa vftlvula dice soltanto che vi era un'ul- cera superficiale. Ognun vede che questa osservazione è assai diversa dalla nostra. Dal fin qui detto parmi, che debbasi a buon dritto riconoscere una notabile singolarità nel caso riferito, e che il pezzo che ho assoggettato ai vostri illuminati riflessi, meriti un posto distinto in un Gabinetto pa- tologico ; tanto più ch'esso è una prova manifesta, che negl' interni re- cessi della macchina nostra, non solo si vanno appoco appoco formando dai lavori morbosi per cause assai difficili da determinarsi, senza che uè il malato né il medico ne abbiano alcun sentore ; ma che la natura provvida spesso vi oppone ad un tempo riparo onde impedirne le tristi conseguenze, per quanto però lo permette la fragile condizione del no- stro organismo. Quindi è che non deeSi creder un sogno, come alcuni moderni ci vorrebbero dar ad intendere, la così detta natura medica- trice. CONSIDERAZIONI MEDICO-PRATICHE SUL VAJUOLO SPURIO O RAVAGLIONE M E M OR I A DEL PROFESSORE MOINTESANTO LETTA all' IMPEUIALE REGIA ACCADEMIA DI PADOVA NELLA SEDUTA DEL DÌ VI APRILE M. OCCC. ST -Lja scoperta benefica dell'innesto vaccino, che riserbata agli ultimi anni del secolo trascorso, parve destinata a consolare 1' umanità afflitta, ed a riparare da sola a' suoi danni, avrebbe forse dovuto cedere agli sforzi del pregiudizio ed alle calunnie dell' ignoranza, se i medici illu- minati e filantropi non ne avessero assunta la difesa ed assicurata la vittoria. La verità, il di cui lento trionfo è pur troppo anche in medicina spes- se volte preceduto dal tumulto dell'errore, o dall'inquietudine dell' in- certezza, fu questa volta ben presto confermata da chi osservò bene, ed esperimentò senza prevenzioni. Scorsero appena quattro lustri da che Jonner annunciò il suo grande ritrovamento j e niuno adess.o più ne ignora, od osa contrastarne i prodigiosi successi. , Dopo molli secoli che il vajuolo umano, recato a noi, per quanto sembra, all'epoca delle Crociate dall' Oriente, infestava e cosi spesso desolava le contrade della nostra Europa, e dopo che di qua trasportato nel nuovo Mondo, produsse colà orribili stragi, questa crudele malattìa parve quasi sparire per incantesimo dovunque la provida vigilanza de' Governi, e la saggia docilità de' parenti promosse e diffuse ne' fanciulli la pratica salutare dell' innesto vaccino. 3 / Che se la più grave fra lo maialile csanlemaliche, il vajuolo limano cioè, non conniarisce piii colà ove il vaccino ha resi invulnerahìli da' suoi attacchi unii coloro che in altri tempi avrebbero dovuto riseuiinie la fatale iufluenza, così non avviene però di un'altra nialaitia pure esan- tematica, il piìi delle volle assai mite, ma talora molto rassomigliante per alcuni tratti al vajuolo vero, malattia che si conosce iu Italia fra i medici non meno che fra i non medici col nome di vajuolo spurio, o di rapaglioiie. Contro cos'i fatta malattia della pelle niun potere preservativo spiegò la vaccina, ond'è che coloro,! quali furono felicemente vaccinati, vengo- no presi non rade volle dal vajuolo spurio, appunto come accade altresì a quelli ch'ebbero il vajuolo vero, perchè anche questo è incapace al pari della vaccina d'impedire il successivo sviluppo del vajuolo spurio. Sembrava in passato che 1 medici poco o niun conto facessero del ravaglione , o vajuolo spurio, a motivo dell' ordinaria mitezza de' suoi sintomi, ove singolarmente si paragoni al vajuolo vero, la cui gravezza in vece, ed il cui frequente pericolo tanto li occupò iu ogni tempo. Ora però che andiamo a buon dritto si lieti di avere alla fine rinve- nuto nella vaccina un mezzo possente per allontanare da noi 11 legitiinio vajuolo, e che questo adesso richiama quindi assai meno che negli an- dati tempi la nostra attenzione, giova che del ravaglione facciamo par- ticolare argomento de' nostri studil coli' importantissimo fine di appren- der bene a discernere il vero vajuolo dallo spurio, essendo questo l'uni- co mezzo per guaranilre la vaccina dalle Ingiuste accuse che le potessero venJT fatte anche in progresso da coloro che non sanno distinguere sem- pre abbastanza una malattia dall'altra. E tanto più dobbiamo proporci un simile scopo , In quanto che non è, per quanto scorgo, ancora spenta del tutto quell' influenza di tal morbo che da molti mesi domina fra i nostri fanciulli, e che per al- cune sue singolarità diede a me non meno che ad altri medici di que- sto paese serio motivo di molli riflessi. Del ravaglione adunque considerato semplicemente sotto l'aspetto che Ila più immediata relazione colla pratica medicina vi terrò, dotti Acca- demici, ragionamento quest'oggi, non senza la confortante lusinga di ave- re scelto un soggetto degno per la sua Importanza della cortese vostra attenzione. »9 Temerei invano di scoprire e determinare l'origiue, non che 1' epoca primiera della comparsa del ravaglione. Questa ricerca diffìcile sempre, e spesso incertissima ne'suoi risultameuti per ogni malattia che nasca da contagio, e che sembri a noi venuta da lontane regioni, mercè il coni' rnercio coi popoli forestieri, riesce tanto più ardua pel vajuolo spurio, il quale rimase lungo tempo, per quanto mi è accaduto di rilevare, confuso con altre malattie eruttive, o quasi obbliato dagli scrittori di medicina come cosa di poco peso. Non credo però d'ingannarmi supponendo che l'arabo Rhazes, -che mori nel principio del X secolo dell'era nostra, e che fu il primo a darci un prezioso trattato de varioUs et morbillis, avesse avuto occa- sione di vedere fra' suoi il vajuolo spurio. Rhazes di fatto nel citato suo libro, al capinolo V, ove insegna a preservar dal vajuolo, allorché infierisce, chi non ne fu per anche infetto, dice ; oportet ut detrahatur sa/igais illis, qui pueri sunt et adolescen- tes et juvenes, qui vel nondum variolis fuere correpti, vel qui coirepti Juerunt olini variolis languìdis, debilibus. Questo languido, questo debole vajuolo di Rhazes, avuto il quale si poteva temere uoa nuova comparsa di un più grave vajuolo, uou sa- r''bbc forse slato il ravaglioue de' nostri giorni, che punto non difende, come nuli sappiamo, dall' incontrare dappoi il vajuolo vero? Farmi ragionevole assai il supporlo, ma non oserò di affermarlo con sicurezza, perchè tutto il nominato libro di Rhazes non me ne offre poi verun altro dato positivo. E qui mi è d'ucjpo riflettere, che parlando quell'arabo nel suo libro ad un tempo solo del vajuolo e de' morbilli, malattia esantematica, che ora dlccsl volgarmente fersa, era ben difficile che, occupato egli ad in- dicare i segni principali e caratteristici del vajuolo e del morbillo, giu- gnf sse poi a tulle particolarizzare le differenti forme del vajuolo e delle altre malattie ad esso più analoghe. Ella è forse questa la r^agione per cui continuandosi sulle tracce di quel maestro , in lempi anche a lui assai posteriori, a descrivere nelle opere mediche contemporaneamente il vajuolo ed il morbillo-, 11 ravaglione vi giacesse negletto, o non abba- stanza delineato e distinto. Noi dobbiamo, per mio avviso, la prima precisa notizia di questo ma- lore al celebre nustvo italiano Yldo Vidio, che nato in Firenze fu poi so archiatio di Frauccsco I Pic di Francia, e fu da lui nel i542 nomina- to Leiiore e Professore primario di Medicina nel Collegio Reale di Fran- cia, ove recò seco tanta fama, e spiegò tanto sapere, che di lui disse il francese Duval nella sua storia di quel Collegio allora celebralissimo: Vidus venit, Vidius vidit, f^idus vidi. Vidio dunque nel libro XIII della seconda parte delle sue opere al cap. VI, in cui tratta de varioUs et mnrbillis, scrìsse : « Sunt qui prae- » ter duas spccies , quas commenioravimus (vajuolo e morbillo cioè) » crj'stallos adjiciaut, sic uempe appellant quasdam velati vesciculas ple- » nas aquae instar crystalli splcudentes, quibus cutis vaiiis locis distia- )i guitur:has nano vulgo nominant ra^'aglione. In quas non ita incurrunt » omnes homines sicut in variolas et inorbillos, neque sub ipsis ita gravi- » ter affliguntur quamobrera non videntur tamquam terlia species morbil- » lis et variolis hae pustolae adjicieudae. » Dopo quanto del ravaglione aveva detto il nostro Vidio scrivendo cir- ca la metà del cinquecento, altri pure in progresso no parlò di propo-/ sito, come fece principalmente verso la fine di quello slesso secolo il tedesco Enrico Petrèo , ragione per cui fra' medici il vajuolo spurio si chiama anche da taluni col nome di variala Petrèa (i) quando, a dir vero, per quanto si riferì poco fa, appellar si dovrebbe piuttosto, volen- do onorare chi primo ne aveva data contezza co' suoi scritti, variolfi Widiana. Andò poscia a mano a mano diffondendosi qualche maggiore notizia di questo morbo, o s'incominciò almeno sull'orme di Vidio e di Petrèo a ricordarne l'esistenza ne'libri di medicina usciti successivamente in Italia e fuori. Fu allora che il ravaglione dei toscani venne in molti altri modi nominato in varii paesi e presso i diversi autori ch'ebbero a parlarne. Non più cristalli, o ravaglione soltanto, ma morbillioìie pur anco lo dis- sero i toscani, quasi esso fosse una specie di pustiile morbillose più gros- se del comune morbillo. In altri luoghi d' Italia dicevasi intanto vajuolo salvatico, schiopetti, vajuolo volante, vajuolo porcino, vajuolo matlo, come si suole anche in oggi fra il popolo padovano. (i) Low, Jean. Frane. Partus medicos, seu tractatus ooriftiinas d( TUielis et inoibilli«. ìkS' rimbergac 1699. Cap. UI, p. aS. 3t In Francia-prese i nomi di petite vérole -volante, véiolette, ver- rette. in Germania principalmente quelli di wasscr -blaltern, o spitz- blatlern ; di esclapele in Provenza j in Inghilterra poi di waterpocken, e di chickepoux. Brendelio chiamò il ravaglione variolae alituosac, seu aquosae. Sau- vages nella sua Nosologia lo distinse col nome di variala Ijniphatica, variala volatica ; variala Ijinphatica pure lo nominò Sagarj Macbri- dio Io disse variolae siinplices cristallinae j Vogel varicella, denomina- zione adottata dagli autori inglesi, e passata anche in molto uso fra di noi. Finalmente coi nomi di variolae cristallinae, aquosae, fatuae, du- rae, ocales, acwninatae, emphisematicae etc. etc. si volle dagli autori iudicai-e il ravaglione, a norma che sembrò ad essi convcuirgli meglio per la fornia, o per l'indole delle sue pustulc or l'una, or l'altra di tali denominazioni. Ma questa abbondanza di nomi atta assai più, come è chiaro da se, a generar confusione, che ad illustrare la storia della malattia di cui trat- tasi, non contribuì pur troppo che a rendere vaga ed incerta sempre piii r idea che se ne andava formando la comune de'niedici. Pensò di provvedere a questo disòrdine l'illustre Heberden comuni- eaudo una breve sua memoria al Collegio Medico di Edimburgo nell'ago- sto 1767, diretta ad indicare li caratteri pe'quali il vajuolo spurio si di- stingue dal legittimo. Questo scritto contiene per verità alcune notizie precise e ben fon- dale relativamente alla diagnosi del ravaglione, e meriii'i quindi che il ce- lebre Culleo ne facesse onorata menzione tanto nella sua Nosologia, quan- to nella sua Medicina pratica. Egli è certo tuttavia che anche dopo il lavoro di Heberden rimase molto a desiderare su di un tale argomento, perchè ivi egli tocca quasi di passaggio e dubitativamente, come ci accadrà più sotto di dimostra- re, quello, che sul ravaglione meritava maggiormente di fissare la sua « l'altrui alteozioue. Il D.r Muhrbeck svedese pubblicò in Gottinga nel 1794 la *ua dis- sertazione inaugurale de variolis spuriis. Questa dissertazione offre varie quistioni relative all'origine ed alla causa del ravaglione, e contiene inol- tre molte importanti ed accuratissime avvertenze pratiche sulla diagnosi di tale malattia. \ 22 Siccome io nou considero oggi il ravaglione, come avvertii sin da principio, che sotto quell'aspetto pel quale esso serba più immediata re- lazione colla pratica medicina, cosi mi astengo dal prender qui in esame ciò che Murhbeck dice volendo provare, che il ravaglione nasce dal contagio medesimo che gonera 11 vajuolo vero. Una tale quistione mi trarrebbe necessariamente seco lui sul fallace cammino delle ipotesi, e fra i più arcani recessi della Patologia (i). Andrò in vece nel progresso del mio discorso tenendo esalto conto di ciò, che nella citata dissertazione si raccoglie di utile pel medico prati- co, a cui il mio lavoro è principalmente consacrato. Fra gli scrittori del morbo di cui ragiono ricorderò per ultimo con sentimento di compiacenza un benemerito e rinomalo nostro vaccina lore il signor D.r Sacco di Milano, il quale nella sua splendida e classica opera intitolata Trattato dì f'accinazione, pubblicala nel i8og, alla pa- gina i58 discorre del ravaglione, o varicella con quella precisione e sicurezza, clie appartengono soliamo a chi vide cogli occhi proprii ed osservò aiieotamente le malattie. Desideroso questo autore di comprendere in pochi cenni tutto «io, ch'e<'li aveva a dire suHe varie forme cui prendono talora le pustole del ravaglione, e persuaso d'istruire mercè la precisione sistematica più ac- curatamente i suoi lettori, divide questa malattia in tre speclr, i cioè ravaglione appianato, 2 rav. emisferico, 5 rav. appuntato, o conoidale ; inscgua poscia a conoscere l'uua dall'altra queste specie, e fiualmen- (i) Sono convinto die ignoriamo ancora trop- «lime ha il signor HeUwag stabilite ancora del- pe cose per poter tranquillaraente ammettere, » \e nuove specie ? Quali affinità stabiliremo siccome prcLendono Murhbeck e Reilf" disserta- i> noi fra tutti questi miasmi apparentemente tio inauguralis medica monstrans variolarum u congeneri e il vajuolo, come suol dirsi, pro- spuriarum ci verarum pure ortum, Halae 1792) » priamente umano?» che quando il virus vajuoloso non è maturo, Ho citato con sommo piacere codesto passo od è comunque alterato e corrotto, in vece del di quel profondo e dottissimo medico rapito Tero prodvuca il falso, ossia il ravaglione' « Qua- immaturamente alla scienza ed all'Italia nostra » li sono le relazioni ( diceva il celebre profes- con tanta amarezza dVntrambe, perché egli in - » sore Testa, Discorso inaugurale alla Cattedra vita quivi il severo pratico a rivolgere i pro- li di Clinica Medica, Bologna i8o4- p. 96. ec. ) prj ritiessi sul vajuolo volante, il ravaglione M fra il cosi detto vajuolo volaiìle e spurio, ma- cioè, etl accenna inoltre rapidamente al teo- » lallia così comune e così poco descritta, e rico tutte le profonde indagini, di cui dee oc- M iratiuta dai Clinici, e il vajuolo dei cappo- cuparsi prima dì aspirare alla gloria di spar- I» ni e de?,li altri animali, e le puslule v;u:ci- gcrc qualche raggio di sicura luce sulP indole 4 ne, cosi delle vere e spurie, delle quali ul- del oontagio che n'ò la vera sorgente. 23 te deierniiiia ì caratteri parlicolaii pe'qiiall esse d'istinguonsi del vajuolo veio. Siccome però il D.r Sacco traila del raviiglioue in un capitolo o\o esaiiiiua complessivamente tulle l' espulsioni cutanee, che potrebbero per avventura esser confuse col vajuolo vero, e servir quindi di fallace argomento per accusar la vaccina d' ineflicacia contro di esso, cos'i per la sovercliia copia delle cose a dirsi, egli non potè sull'esteso ed intral- ciato argomento del ravaglione esporre ivi tutto (juollo, che l'importanza dell'oggetto richiedeva, e che servir poteva di sicura guida a'niedici nel giudicare e parlare di tale malattia. Vi ho fin qui ricordato, illustri Colleghi, tutto di', che per quanto io sappia, venne scritto di meglio circa il morbo in quistione. Concedetemi adesso che sottoponga a'vostri illuminati riflessi quel ai più, che su codesto soggetto mi suggeriscono i fatti raccolti da alcuni severi osservatori, o da me stesso veduti. È mio scopo principale di provare, mercè tale scorta, che il ravaglio- ne non è malattia sempre lieve e passeggiera, come da molti erroneamente si crede, e che può talora di leggieri esser confuso col vajuolo vero. Affinchè però si possa qui offerire a'medici pratici delle notizie po- sitive e veramente utili sul ravaglione fa d'uono ohhliare quelle sottigliezze nosologiche, e quelle vaghe e spesso arbitrarie denominazioni, che ten- dendo a descrivere questo morbo, come si fece di tanti altri, dalle sue esterne e multiformi sembianze, mirano più al lusso della scienza me- dica, che al vantaggio reale dell'arte di conoscere e di curare le ma- lattie. Non era forse già troppo copioso di per se stesso il novero de'malori, cui l'uomo è soggetto, senza che i medici ne moltiplicassero di tanto r iugratissimo catalogo col dare molti nomi diversi, come si fece del ra- vaglione, a identiche malattie, e lutto al più varie fra loro o pel grado, o per accidentali e inconcludenti differenze? Cadrei facilmente nell'errore contro cui mi sono or ora fatto lecito di ■ parlare, se per ottenere l' intento che mi sono prefisso imprendessi qui primieramente a descrivere in forma generale ed astratta 1 fenomeni pro- prii di ogni spezie di ravaglione e le apparenze tutte cui ponuo assumere le sue pustule. L'esatta analisi di alcuui casi di tale malattia da me, o da altri miei 2+ conipagui osservali mi guidò nelle mie passate ricerche ; seguirò ancbe adesso fedelmente le medesime tracce nel riferire a Voi le pratiche de- duzioni che da que'fatli mi risultarono. Io sono d'avviso che ove trattisi di rettificare le idee i,'ìà comunemente ammesse circa la forma in geue- rale di una determinala malattia sia necessario, che la storia dei fatti particolari additi innanzi tutto, e direi (juasi, prepari quanto vuoisi sulla malattia medesima stabilire di nuovo e dimostrare. Premetterò iniantOj onde progi edire con ordine, che il ravaglione è benissimo spesse fiate un'affezione si mite che merita appena il nome di malattìa, e che non di rado io ebbi solt'occhio de'casi, a cui era esat- tamente apphcabile ciò, che sta scritto nell'istesso Vocabolario della Cru- sca alla parola Ravaglione « sorta cioè di malattia detta comunemente » vajuolo sabatico, consistente in vescichette simili alle bolle del vajuolo, » ma piene di un siero trasparente, e che in tre giorni si seccano». Cosi ali" incirca sotto il nome di varicella ci descrive il ravaglione Clarke nel suo medicinae praxeos compendium, ove ne dice:» Puslulae » post brevem fcbrlculam erumpentes in pustulas variolae similes, sed » vix in suppuralionem euntes; post paucos dies in squaniulas nulla ci- » catrice plerumque relieta, desinenies ». Se prendiamo a scorrere le Nosologie di Sauvagcs, di Vogel, di Sagar e di Culleu, saremo convinti che Clarke in ciò che ha detto della va- ricella, ha esattamente ripetuto quanto essi ci avevano lasciato scritto sotto i nomi di vajuolo linfatico, spurio, volaiico, ed anco di varicella. Si è questo quel vajuolo spurio di cui parlando Girtanner nel suo Trattato delle malattie de'lainhini, dice: «Il vajuolo spurio suole da » principio manifestarsi al dorso. Le pustule sono presso a poco- della M stessa grandezza di quella del vero j talvolta però alquanto più pic- » ciole. Non sono mai coufluenti, nò in gran copia; il loro numero in » tutta la superficie del corpo non sorpassa mai le dugento ». Egli è principahuente di questo medesimo vajuolo spurio che intese di trattare Heberden nella citata sua memoria, da cui sembra anzi che Girtanner senza nominarlo abbia appreso a determinare il numero delle puslale (i). (ì) Fa d'uopo qui riOettere ad onore del vero mai più di dugento pustule, mai herL5\ che il md^- nhc Heberden non disse già positivamente, come gior numero da lui cedutone era di la cirea fere Girtanuer, elle il Tajuoio spurio non cagioni sulìafaccia^edi d'.t^enlo sul rimanente del corpo. 25 DI questo mìtissimo vajuolo spurio hanno finalmeme fatto parola molti altri autori anche recenti, tra'quali il signor Gardieu nella sua opera, i)0- chissinii anni sono pubblicata in Francia, Traile d'accoucheinens, des malaclies des femmes, de téducalion me'dicinale des enfaiis et des maiadies propre à cet age. Egli di fatto espone quivi un quadro comparativo delle differenze esi- stenti fra il vajuolo vero e Io spurio; quadro che non è applicabile se non ai casi in cui il vajuolo spurio contiensi ne' ristrettissimi limiti delle riferite descrizioni. Ma se ciò sempre avvenga, lo dicano ora que' pratici, i quali ebbero ed hanno tuttavia occasione di osservare non rade volle il ravaglioue o sporadico, od epidemico ? Prima però ch'io vi esponga, o Signori, ciò, ch'essi per la loro si- cura e giornaliera sperienza possono rispondermi, ragion vuole che si consultino su questo proposito le opere di alcuni medici illustri del pas- salo secolo, affinchè non nasca per avventura ii sospetto, che si voglia adesso, o si debba per qualche nuovo titolo dare al ravagllone quell'im- portanza, che in addietro non si sospettò neppure che potesse meritare. Cullen nel secondo tomo della medicina pratica alla pag. 102 dicie; K Ella è cosa sommamente rara che il vajuolo spurio sia accompagnato » da verun pericolo ^ sembra nonostante che appunto questo stesso mor- » bo abbia indotto piìi volte a far credere che lo stesso individuo abbia » avuto due volte il vajuolo: e però, continua egli, è bene studiarlo in w tutti i suoi rapporti, onde poterlo accuratamente distinguere dal vajuo- j> lo vero )> . Questo gran medico adunque non considerava il ravaglioue sempre COSI mite come da alcuni altri era slato dipinto, e come Girtanncr, Gar- dien ec. lo vollero far credere anche pocbi anni sono: il ravaglione po- teva anzi, secondo Cullon, recare, benché raramente assai, qualcbe pericolo ed era capace di simulare il vajuolo vero, cb' è quanto dire, di rivesiiie sembianze molto più gravi ed importanti di quelle, che comunemente si credevano e si credono dai più a lui proprie. Ludwig nelle sue istituzioni cliniche dice, che le pustule del vajuolo spurio raro copiosae suiit, lo che significa, ch'egli pure le aveva vedute m alcuni casi abbondanti piìi de! consueto. Sagar nel suo sjsteina morborum sjmptomaticum parlando del vajiia- 4 lo linfatico, che nel suo linguaggio corrispoDcle, come si disse a prin- cipio, al nostro ravaglione, racconta, che mentre alcuni suoi figli ne fu- rono presi « in cinque giorni al più se ne liberarono, un fanciullo d'altra famiglia, die due anni prima aveva superato il vajuolo vero » noclu cu- j) Laos, egli dice, cum raeis pri)ljbus laborantibus ex uunc descriptis )i variolis, contraxerat easdem lymphaticas, ex quibus cegrlus habuit, quam » mese proles«t. In quest'ultimo fanciullo adunque il vajuolo linfatico di Sagar, ossia il nostro ravaglione, non fu tanto mite. Sembra anzi che l'autore notasse a bella posta che quel ragazzo aveva due anni innanzi avuto il vajuolo vero, onde far sentire che senza questa circostanza, attesa la forza di quel vajuolo spurio, si avrebbe forse potuto confonderlo col vero. Non mi sareblìC difficile di andar raccogliendo ancora alcune altre testimonianze analoghe alle precedenti j ma sembrami inutile il farlo dopo avervi recata innanzi l'autorità di CuUen, di Ludwig e di Sagar. Né vi aspettaste poi, dotti Accademici, che io approfittar mi potessi a questo uopo delle opere insigni di Diemerbroechio, di Sydenhara, di Morton. Ciò, che noi conosciamo sotto il nome di vajuolo spurio venne da loro risguardalo per un vajuolo vero mitissimo ed anomalo, huenti que' grand'uomiui ad illustrare, e quasi dissi, a creare la dottrina del ve- ro vajuolo, ed a descriverne le specie più gravi, non fecero che qualche confuso e lontano cenno del vajuolo spurio. Che se Diamerbroechio, Sydenham, Morion o qualche altro celebre autore prima, o dopo di loro avesse fissali de'canoui pratici, positivi ed ahbastanza estesi e veritieri circa il ravaglione, vana opera per lo meno sarebbe che io ne facessi oggi particolare soggetto di questo mio ra- "lonaraento. La storia del ravaglione, giova ripeterlo, rimase sin qui imperfetta, perchè quando esso mostravasi mitissimo non se ne faceva alcun conto né dai malati, né dai medici, e quando era acccmpaguato da gravi e non ordinari sintomi, presto si giudicava senz'altra disamina esser un vajuolo vero bensì benigno, ma irregolare e dal più comune diverso; errore che fra non pochi medici regna pur tuttavia. Servirà a confermarci in questa opinione la serie di qne'casi, che o comunicati mi vennero gentilmente da alcuui espertissimi medici di que- sto medesimo paese, o che io stesso seco loro osservai, de'quah farò qui, come vi promisi, o Signori, in prova del mio assunto, una fodcle esposizione. La sera del 3o giugno 1810, il fanciullo Lodovico Casorcui del si- gnor Gio. Baitisla, abitante in Padova, iuconiiuciò a mostrarsi languido e svogliato; passò la notte inquieta, ed alla mattina successiva i luglio la madre amorosa trovò che il suo Lodovico aveva sulla spalla dtsiia una nascente pusluletta, la quale aumentando rapidamente prese l'aspetto di vaiuolosa; a questa prima pustula nel breve spazio di due giorni tenne dietro una generale copiosa eruzione di simili puslule. Il signor L).r Bernardi visitò il picciolo infermo, e trasmise nel di 5 luglio alla Deputazione comunale di Sanità la riferta del caso, dichiaran- do, che quell'esantema era à' indole pretta vajuolosa ; vi aggiunse pure che quel fanciullo era stato anni prima vaccinalo in Venezia, ma senza dire con qual esito. 11 chiarissimo nostro socio signor D.r Zecchinelli, medico consulente della Deputazione comunale di Sanità, ed il signor Salmaso pubblico vac- cinatore furono quindi per dovere d'uffizio tosto incaricati di fare esalta cognizione del caso. Nel dì 4 l'iglio veggono essi dunque il giovinetto Casoreitij rilevano dalla madre, donna intelligente ed attenta, che l'innesto della vaccina fatto mollo tempo prima in Venezia al suo figliuolo era stato felice, e che due delle sue pustulc avevano in aggiunta somministrato materia per al- tre vaccinazioni riuscite a bene. Que'diie esperti pratici esaminano di poi diligentemente le puslule, e sebbene queste presentino a primo aspetto anche ad essi l'abito di pu- slule vaiuolose, le trovano però, meglio osservandole, già pervenute ad un tale stalo di maturità, beucbè l'eruzione contasse allora solo quattro giorni, e taluna di esse persino mostrasi loro s'i vicina a disseccarsi, che tanto il signor D.r Zecchinelli, quanto il Chirurgo suo compagno inco- minciano già a credere ch'ossei- non possano puslule di vajuolo vero. Dichiarano rjuindl nella loro relazione, estesa sull'istante, che l'anda- mento di quell'esantema loro sembrava in quel punto quello del vajuo- lo spurio, o varicella, qualunque fosse d'altronde l'aspetto delle pu- slule. Si riserbarono essi tuttavia prudentemente a fare nuove indagini onde ripetere un nuovo ed anche più fondato giudizio sul caso indicato. Il ZecchinelH ed il Salmaso ne' due giorni successivi ebbero però a 28 - ' confermarsi vie più nel loro primiero giudizio, glaochè col proerediie del tempo era sempre più manifesta la sollecita disseccazione dt-lle pu- slule nate a principio, e la nuova insorgenza di altre simili bolle che andavano a mano a mano rapidamente maturandosi. Ma poiché si pro- lungava cos'i il corso dell'eruzione intera non siipcvi il curante signor D.r Bernardi cangiare d'avviso, e credeva che il male fosse vero 'vaino- lo, mentre gli altri due insistevano con nuovi scritti a dichiarare positi- vamente, ch'era in vece ravaglione (j). La dotta quistione, la rpiale, verificala che fu la sicurezza e regolarità della precpduta vaccinazione in quel fanciullo, veniva ad interessare di- rettamente la pubblica salute, fu portata come ad appello alla Commis- sione di Sanità dipartimentale. I Professori di essa, fra' quali siede meritamente in primo luogo il nostro Socio signor D.r Peuada, dopo attentissime perquisizioni sul ma- lato, convennero pienamente nell'opinione del D.r Zccchrtjelli, e stabili- rono che il Casoretti aveva il vajuolo spurio. Finalmente, affinchè nulla più mancasse alla formalità ed all'auiorilà dei giudici pronunciati su questo caso clamoroso, il signor Prefetto vol- le, che lo stesso professore di Clinica medica dell'Università, l' illustre signor Valeriano Luigi Brera, esponesse in iscrillo il proprio parere, col quale Egli, dopo aver veduto l' infermo nel settimo giorno di male, es- cluse in lui financo il sospetto di vajuolo vero, nel momento appunto che, se questo male a\esse realmente avuto luogo, doveva esserne plii certa e più palese l'esistenza. Un caso molto analogo al precedente mi era avvenuto qualche anno prima in Elisabetta Panciera, cui dominando allora un'epidemia di vajuo- lo vero, fui chiamato a vedere in quarta giornata di felibre ed in terza dall'apparizione di copiose pustole rassomigliami alle vajuolose e credute di già vero vajuolo da due medici, che ornai volevano avere in quella fanciulla un testimonio irrefragabile contro 1' efficacia della vaccina, poi- ché era stata dessa due anni innanzi felicemente vaccinata. Riconobbi però ed osai pronunciare che la giovinetta Panciera aveva (i) In fine morbi cum qu.ie primae prodfc- ul morbus nd aliauol hebdomatlas, vel nulla fc- Tunt varicellae jam exiccantur, nora interduru bre, vcl febricula Mipatus Icnia produratur, prodeunt tubercula, decursus rursnm facientes, et quaclibct varicella proprìum, quasi perficiat peractofjue hoc, reccutiora ilcrum eiumpunt, ita decarsum. MurhLcck ì. e. p. i5. =9 il rava(;lioDe copioso bensì e non tanlo mite quanto coniunemeuie si osserva, ma avente uulladimeno 1 principali e più luauifesll caratleiij che lo distinguono essenzialmente dal vero, come vedremo in appresso. Mi parve quindi di poter promettere che in pochi di l'ammalala, sebbene fosse aiiualniente in molte parli ricoperta di pusiule più e meno grosso e mature, si sarebbe presto liberata da ogni incomodo, e che sarebbe nata in breve l'esiccazione totale delle pustule medesime senza previa suppurazione, come suol appunto succedere nel ravaglione. Cosi avvenne in effetto prima dell'ottava giornata di male. Avveratosi in tal guisa pienamente il fatto pronostico non so se si convertissero i detrattori della vaccina, ma so bene che tosto almeno si tacquero. Il signor D.r I^orenzo Marchetti nella state scorsa mi scrisse il se- guente biglietto. « Portatevi, vi prego, presso il signor Giuseppe Olivicii «che abita a santa Lucia, onde esaminare Luigia sua figlia d'anni 1 3, » affetta da vajuolo benigno naturale, che percorre la sesta giornata di » eruzione, e pronunciatemi la vostra opinione sulla qualità del vajuolo » cui vedrete, essendo questa fanciulla stala inoculata colla vaccina un- }i dici anni fa « . Si noli che non era raro allora per la nostra città il vajuolo vero qua recato uellanno precedente da alcuni militari francesi, e qui riprodottosi in alcune famiglie a punizione, potrei dire, di parecchi inerti ed ostinati genitori. Impaziente io dunque di verificare il fatto mi recai subito ove l'ami- co medico m' invitava, ed ebbi la fortuna d' incontrai e lungo la via il bravo signor D.r Calvi, a cui raccontai la cosa, eccitandolo ad essermi compagno nel prudente esame cui faceva d'uopo istitu're. Entrati noi appena nella camera della malata e vedutala coperta il vi- so, il petto, le braccia e le mani di folte pustule simili a quelle del vajuolo, credemmo a prima giunta di avere sott'occhio un vajuolo vero e confluente. Le donne astanti tenevano la cosa per infallibile, giacché l'eruzione era stata preceduta, come tosto e più volte ci dissero, da vomiti e dalla febbre, e questa eruzione riscontravasi inoltre copiosa in ogni parte del corpo e persino sotto la pianta de'piedi. Esaminate però bene quelle numerosissime pustule io mi avvidi che non eraao depresse nel centro come le vajuoloscj e che molle ave\aiio 5o alla sommità loro una vescichetta pregna di una linfa pellucida, ed altre erano piene di una materia densa e giallastra; che tante altre erano giun- te aJ una maturità cui giammai non arrivano in sei giorni le vere vajuo- lose; che molte sembravano vicine ad esiccarsi cpiasi fossero abortite sen- za preventiva suppurazione ; che molte altre parevano spuutarc allora per subentrare a quelle che andavano sparendo; e che in fine non si sentiva punto quell'odore particolare cui spandono i vajuolosi. Vi riscon- trai in una parola l'aspetto di un ravaglioue, in questo solo differente dal più comune e noto, eh' era in esso copiosissima ed universale l'eru- zione, ed alquanto grave, rispetto al più ordinario corso di tal morbo, la serie degli accidenti che lo avevano preceduto e che lo accompagna- vano allora. Non doveva riuscirmi difficile lo scoprire prontamente e calcolare questi decisivi caratteri del ravaglione, perchè poche settimane piiraa aveva avuto nelle famiglie de'domestlci di un rispettabilissimo signore di questa città tre esempj di un simile ravaglione che sino alla quinta gior- nata mi aveva tenuto indeciso per le medesime ragioni se fosse o non fosse vaiuolo vero, e che col progresso riconobbi poi ad evidenza esse- re lo spurio. Ma volendo, tanto 11 signor D.r Calvi quanto io, prima di pronun- ciare aperto giudizio che la cosa fosse ridotta da se stessa indubitata e certissima a segno di poter convincer chiunque, si stabili fra di noi due di vedere giornalmente, ed in ore diverse, la picciola inferma onde ri- conoscere senza equivoco il progresso del male. Nel di appresso, nel settimo cioè dell' incominciata eruzione, trovam- mo sempre più palese quella disuguaglianza nello slato e nell'aspetto delle pustule che si era osservata nel d'i innanzi, e che forma uno del distintivi caratteri del ravaglione ; trovammo quella mitezza di febbre e di sintomi generali rispetto alla copia ed all'epoca dell'esantema che mal non havvl nel vero vajuolo confluente, quale avrebbe dovuto esser que- sto, supposto che fosse stato vajuolo vero. Piiconobbi così di non aver punto errato quando sino dalla prima vi- sita manifestai l'opinione che quello fosse il ravaglione e non già il so- spettato vajuolo vero, ed ebbi la compiacenza che anche il signor D.r Calvi fosse allora affatto del mio parere. Quando poi circa la nona giornata di malattia, ottava dalla prima com- 3i paisà di alcune pusiule, e quinta o sesta dalla mauifestazione del gene- rale esantema, la nostra giovinetta potè sortire di letto senza febbre, co- perta solo di una sollil crosta nerastra qua e là più o meno ferma, a norma che le pustule precedute si erano pritna o dopo esiccate (i), lo stesso medico curante cangiò d'avviso, e non credette più all'esistenza del vajuolo vero, ma bensì a quella del ravaglionc. Così credettero alla fine, udite prodigio, anche le donne di casa, lo quali in onta alla loro ferma prevenzione, dovettero in fine confessarmi, ch'esser non poteva quel male vajuolo vero, mentre esse medesime comprendevano bene, che per quanto quella eruzione si fosse ad esso rassomigliala nel suo nasce- re, aveva poi finito in un modo bea diverso da quello con cui suol ter- minare il vajuolo Ipgiilimo. 11 signor D.r Benvenisti ebbe un caso simile in Domenico figlio di Stefauo Maitolini, fanciullo d'anni cinque, vaccinato con incerto esito nel primo anno di età. Sorpreso codesto giovanetto nello scorso anno da improvvisa epilessia, seguita da febbre di tre giorni, incominciò a mostrare sulla faccia, e po- scia altrove, una couflueniissima eruzione di papnle, che per l'aspetto loro e singolarmente per la serie e l'indole de' preceduti e descritti accidenti, creder si dovevano rudimenti di altrettante pustule vajuolose. Cosi peraltro non era, giacché dopo cinque o sei giorni cessò la feb- bre, né più comparve, e le pustule quanto più rapidamente crescevano di volume presto altrettanto si rompevano senza spandere materia mar- ciosa, e senz'altro esiccavansi. Non erano ancora scorsi dodici giorni, contando dilla prima febbre, che il giovinetto Matiolin era già risanato, ed in breve gli caddero altresì le croste, né rimase sulla sua pelle alcuna traccia del superato malore. Avvertirò a questo proposito che la stessa fanciulla Olivieri, di cui vi narrai prima la storia, non conserva né sulla faccia, né altrove i segni della superata malattia, lo che giammai ar le nel vajuolo vero per poco che sia desso copioso, ed avvenga si- golar- niente in soggetti di già adulti. Tutti i qui riferiti casi erano csempj di quel ravaglioue che in Ger- mania chiamasi schwiinspocken, vajuolo porcino cioè, e che il celebre Ci) Murlibecl I. e. p. 37. Quinto aut ad siim- Tariccllae exhibent^ v.iriolis autem Teris decin niiiEi sello ab erupiione dicj crustam jam jam aut uudccimo die hoc conlingit. sa Vogcl circa la metà del passato secolo nominò vajuolo spurio duro ovale. Codesta specie di vajuolo spurio, dice il citato autore nella sua ope- ra de cognoscendis et curandis praecipuis corporis hiimani affectibus, T. I, p. g4- " Post fcbrera aliifuol pierumque dierum tuLercula format >i obscurius rubentia, dura ad ovalein figuram accedentia, baione rubro » cincta, verisque varlolis paulo majora; quae post duos vel tres dies » uounihìl ulceranlur, et paulatim cuir» uigrore exarescunt, denique pal- » lescuut et subsident; aliis iuterdum novis interea exclusis, ut octiduo » pierumque fìuitus morbus, nuuc ad aliquot Lebduiuodas producatur » vel sine febre vel cuni febricula lenta. » Anche Heberden nella lodala sua memoria, letta in Edimburgo nel 17761 discorre di una specie di vajuolo spurio più grave di quello comune- mente noto, cui non osava quasi di riguardar come tale, probabilmente perchè non sapeva, che fosse stato osservato e descritto da altri.» Que- sta malattia, egli dice, è preceduta per tre o quattro giorni da tutti i «sintomi che precedono il vajuolo spurio, ma in un grado più forte j » nel quarto o quinto giorno l'eruzione comparisce con assai poca diml- » nuzioue della febbre; le pustule sono piìi rosse e più numerose che » nel vajuolo spurio, di cui però serbano i caratteri particolari e l' an- » damento ». Coll'appoggio di così riputati autori del secolo passato, e di fatti no- torj accaduti sotto i nostri occhi, non posso certamente dubitare che dimostrata non sia l'esistenza di una specie di ravaglione assai più gra- ve ne'suoi sintomi di quella che p!Ù\ universalmente si couosce dai me- dici, e più di frequente regna nel popolo. Fa d'uopo dunque ammettere due diverse specie di tale esantema, il ravaglione mite cioè, ed il grave. 11 Tìiite per lo scarso numero delle sue pustule, per la ninna, o po- ca importanza de'suol accidenti, e per la celerità del suo corso meri- ta appena di essere risguardato quale vera malattia. Ce ne possiamo convincere richiamando al pensiero, ciò che ne abbiamo detto descriven- dolo brevemente, ma esattamente però colle parole istesse di Clarke e di Glitanner. Il grave, attesa la forza de'suol sintomi precursori e compagni, attesa la copia dell'eruzione e la durata del suo corso, può iu vece assumere, per qualche tempo alraeuo, un niinaccianie aspetto, sebbene non con- sti, che neppur esso sia mai giunto ad uccidere. Ella è questa quella specie di ravaglione, che viene preceduta da feb- bre più o meno intensa, accompagnata da nausea, da vomiti, da lassezza di membra, da tosse, da vegba e talora persino da qualche moto convulsivo. L'esantema comparisce per lo più nel corso del secondo giorno, ed in qualche caso anche sul finire del terzo, ed allora mitiga alquauio la febbre e con essa rallentano pure gì' indicati sintomi. I primi rudimenti delle pustole, cioè alcuni punti rilevati rossi, o pal- lidi soglionsi generalmente presentare al dorso: rapidamente poi diffou- donsi per tutto il tronco e per gli arti convertendosi in vere puslule. Sulla faccia queste pustule sogliono essere più tarde a comparire e me- no numerose che altrove. Nello spazio di un solo giorno, e rade volte di un giorno e mezzo, o poco più tutto il corpo si ricuopre per tal guisa di pustule. Queste si fanno ben tosto varie fra loro di figura, di grandezza, dì colorito, essendo ove più ove meno copiose, e mostrando sino da bel principio di non dover progredire con un andamento regolare e conia» ne a tutte. Ve n' ha in effetto di rotonde e quasi diafane ; altre sono piane ed opache : altre hanno alla loro superficie una vescichetta pregna di uà umore pellucido ; ninna è depressa nel centro ; molte presentano un con- torno rosso, ed alcune altre ne mancano. Intanto la febbre, benché più mite di prima sussiste, né cessano del tutto la veglia, il dolor di capo e la sete. Scorsi appena quattro giorni dalla prima comparsa dell'esantema, e spesso anche prima, si scorgono di già nelle pustule i segni manifesti di una vicina maturazione, ed entrano in questo stato senza punto ser- bare l'ordine con cui comparirono, talché le ultime venule talora sono le prime a maturarsi. Ma la materia contenuta in quelle pustule non si cangia già in pus. Essa subisce altrimenti diverse mutazioni a norma del vario esito cui vanno incontro le pustule nelle quali è racchiusa. Qui adunque alcune pustule si rompono assai presto, e n'esce una materia pellucida; e ciò accade principalmente di quelle, che avevano alla loro sommità l'accennata vescichetta. S H Là alcune altre pustule s' impiccioliscono in vece di crescere, ed eswc- cansi senza punto aver gettata materia. Altre avanzando compariscono rotonde ed ovali ; e di queste alcune sono diafane, ed alcune pieue di umore denso e giallastro o rossigno avendo un contorno rosso alla loro base. Queste ultime so>io quelle pustule del ravaglione che resistono più delle altre, giaccliè durano sette e più giorni, dopo il qual termine rom- ponsi. Neppure da queste però esce materia che mostri i caratteri del pus viijiioloso. Queste medesime pustule allora si convertono in altrettante croste sottili, nerastro che presto poi cadono lasciando la pelle macchiata di un rosso oscuro, ma immune da cicatrici. Le pustule che non ebbero la durata di queste lasciano dopo di se una sottilissima e picciola crosta di vario colore, la quale in breve si squama e sparisce. Mentre avviene lutto questo, nuove pustule vanno pullulando negl'in- terstizii delle altre, e questa ultime pure subiscono le vicende che in- contrarono—le prime. Cosi il male, comecché non s'i aggravi, si prolunga però, ed i malati eoi progredire de' giorni possono ricuoprirsi in ogni parte di pustule^ del ravaglione. Nata poi appena l'universale essiccazione dell'esantema, il che suol'ac- eadere in nove o dieci giorni, l'ammalato sorge dal letto, né ha quasi hisogoo di convalescenza per rimettersi toialmeiue. Se il ravaolione mite adunque non ò mai confondibile, tanto è lievCy Èol vajuolo vero anche il più discreto e benigno ; il ravaglione grave per lo contrario, a cagione degli or ora accennali fenomeni, può illude- re i meno esperti od attenti facendosi ad essi credere un vajuolo vero alquanto irregolare nel suo corso, ma abbondantissimo. Di qui nasceva ne' tempi andati che si asserisce erroneamente ( escluso forse solo qualche rarissimo caso) essere ritornato per due volte e più il vajuolo vero ad uà medesimo individuo (i); di qui nasce adesso che (i) Haec Taricella facillirae illudere metlicis laborare homines T.irioIÌ5 ejistimantiir. Vojel sub specie variolosa potcst, nisi ad decursum dcGuilioues gcncnim morbrrum, GoUingae ijGij, accuratissime attendant: unde dein bis vel ter p. 5. 55 taluno accusi, o per dir meglio caluunii la vaccina di non aver preservalo qualche soggello dal vajuolo umano. Cesseranno adunque le pericolose incertezze sulla diagnosi del ravaglio- no, se s'imparerà a ravvisarne l'esistenza qualunque sieno le sembianze on- d' esso si rivesta, e se non si aljbadeih più di quello, che l'utilità pratica ricerca a determinare la forma appianata, emisferica, ovale, conoidale ec. ec. delle sue pustole, ma si attenderà piuttosto al complesso de' sintomi ed all'intero andamento del male. L'esperienza ha fatto conoscere, che singolarmente nel ravaglione grave le copiosissime puslule sono per lo più proteiformi e svariate, talché le diresti ora emisferiche, ora ovali, ora acuminate ec. perchè appunto fra le molte ve n'ha di tutte le sorta, o caugian esse d' aspetto nelle varie fasi del male (i). Dopo tutto ciò, che ho fin qui esposto sulla base della più accurata osservazione e dell'autorità di classici scrittori , oso sperare di avere in questo mio ragionamento presentala una sufficiente suppellettile di notizie e di falli per giugnere alla conoscenza sicura di ogni specie di ravaglio- ne, e per convincere il pratico che osservando attentamente il corso di tale malattia egli riuscirà a saperla sempre distinguere dal vero vajuolo. Confido altres'i che chiunque vorrà istituire un'esatta analisi fra la storia di questo morbo, cui abbiamo delineata, e praticamente pure espressa rac- contando alcuni casi particolari, con quella tanto nota del vajuolo vero discreto, o confluente, o comunque, vedrà sorgere da se stessa la verità, e rischiarato da essa saprà risolvere que' problemi che la clinica può cos'i spesso offrirgli nelle circostanze di un ravaglione grave. Io mi era prefisso oggi unicamente di richiamare l'attenzione de'medici pratici su di una malattia non ancora con sufficiente accuratezza osser- vata (2), la quale simulando il vajuolo vero e non rispettando i vaccinati (i) Cura autem sccundum Hcberdcnii pjpc- Quando il doliissimo Corsieri nelle sue fsiitu- ricaliam in stadia varicellarum varia si resiù- zioni di MedÌ9Ìna jiralica ( T. Q.p. I. Cap. IX. p. cis, nonnulla genera, e. g. tria illa Vovelli, in 4*^') ™*^st^ò di dubitare che non fosse riivaf^lionc uno aegroto simul sacpius adesse pateat. Murh quello, che Vogcl aveva chiamalo duro ovale^ e beck \. e. p. 7. che noi abbiamo dcscrilLo colle parole istessc (a) GuUen, Medicina pratica. T. 2, p. 102. di questo illustre medico, diede a coiio.sccre Testa, Discorso inaugurale alla Cattedra di ch'egli medesimo non aveva avuto campo di os- Cliuica medica. Bologna 1804, p. 96. servare esattamculc la malattia di cui patliamc. 36 cagiona spesso, come udiste, o Signori, motivo d'inquietudine, se non di sventure, nelle famiglie , e genera quistioui, e dnbbj fra quegli uomini stessi dell'arte che dovrebbero allora istruirle e rassicurai le Crederò di avere raggiunta la meta propostami, se potrò dire a me stesso, che la tenue mia fatica ottenne il generoso vostro favore. Ctianmie poi avrà posto attenzione a quanto il non Iia creduto ncccssaifo neir epoca in citi celebre Pietro Frank dice del ravaglione sotto scrisse di trattenersi a discorrere del ravaglro^ il nome di pemfigo variolocU (Epitome de cu- ne cosi estesamente quanto é d'uopo di farlo randis hominum morbis, Ticinii Regii 1792. V. adesso per i molivi esposti nella presente me- 3, p.aS^ e 262.) comprenderà di leggieri ch'egli moria 3? SUL NICHELO MEMORIA DI GIROLAMO MELANDRI PnOFESSORE DI CHIMICA KELl'uNIVERSITA DI PADOVA. SI- ,1 LI nicliel, metallo che fu ìu altri tempi un soggetto di dispute -tra chimici rispettabilissimi (2), esercitò pur anche ai tempi nostri la saga- cità dei più valenti chimici sperimentatori, talmente che la storia chimica di un tal metallo è divenula più ricca di fatti, di quello clie lo sia la storia di qualche altro metallo di più remota scoperta. Una proprietà fisica, che si credea propria ed esclusiva del ferro, voglio dire il magne- tismo, fu secondo me la principale cagione, che molti chimici moltipli- cassero sul nichel le più accurate sperienze ed osservaxroni, per iscoprlre se puro e semplice riguardar si doveva un tal metallo dotato di magne- tismo. Il sommo Bergman, malgrado le numerose sperienze da essolui fatte sopra il nichel comprovanti l'esistenza propria di colai metallo contro le opinioni insorte' a' suoi tempi, malgrado il fino discernimento da essolui usato mai sempre nel dedurre dai fatti le vere ed immediate conseguenze, non potè in questa circostanza sottrarsi dall'influenza del comune pregiudizio, e restò nel dubbio che rimanesse associata al ni- fi) Questa Memoria fu letta airAccademia di ziato, ma pensò clie contener potesse un poco Padova il giorno io febbraio iSi^. di ferro inseparabile. V. (aj 'Sage considerò la miniera di nichel come iSa^e, Meinoircs de Cliimie. Paris 1773 pag. 116. cobalto misto di ferro, arsenico, rame ed oro, e Monnetf Dissolution de metaux. Amsterdam Monnst cotisidcro pure il QÌchel, come un co- '775, p. 273. kalio impuro. Bergman provò ch'era un me- Beri^tan, De niccolo, Opusc. Ups. 1780 p. tallo iui generis, come Cronstedt a^eva annua- a3i, voi. ». 53 chel una porzione inseparabile di ferro, dalla quale traesse la proprietà magnetica (i). 2. Non avvi ora più luogo a verun dubbio intorno a questa proprietà posseduta dal nicbel ; imperocché le sperieuze di TAe/zarJ (2), quelle di Proust (3) e di Richter (4) e le ultime che dobbiamo a Tupputi (5) , hanno fatto svanire ogni obbiezione che fare vi si poteva, se pure la- sciava luogo ad obbiezione il lavoro accurato e fedelmente descritto del- l'immortale Bergman. Di fatti se per anche dubitar si volesse del ma- gnetismo del ulclicl puro, non altra ragione si avrebbe di farlo, se uou pensando che la porzione di ferro in esso nichel esistente non solo fos- se inseparabile, ma ben anche indiscernibile con qual^mque mezzo chi- mico noto. Per lo che lecito poi sarebbe di dubitare ugualmente d'ogni altra proprietà fisica o chimica, che per avventura le diverse sostanze, ammesse siccome esistenti da se ed in istato d'assoluta purezza, hanno iu comune, come sarebbe colore, sapore, odore, combustibilità ec. , alla qual maniera di pensare diede assoluto bando la buona filosofia intro- dotti nelle scienze sperimentali. 5. Ma il magnetismo è una proprietà sola verificata bene nel nichel: molte altre proprietà fisiche e soprattutto chimiche possiede questo me- tallo, intorno alle quali non si è aucora sperimentato abbastanza e che tuttavia meritano di essere ugualmente verificate. E qualche tempo che mi vado occupando .in esperienze sul regolo di nichel germanico ch'eb- bi in dono dal celebre professore Carburi mio illustre predecessore. Potei verificare le osservazioni degli altri più esatti sperimentatori, e scuo- prire eziandio nel nichel nuove proprietà incognite, che spargono molto lume sulla natura di cotesto metallo, che insegnano la strada migliore da seguire per averlo puro, per riconoscerlo tale, per separarlo con fa- cilità dall'eterogenee sostanze senza incontrare dispersioni, in tuia pa- rola per analizzare bene li raiuerali di nichel. Il mio lavoro, ultimato {\) En i"ilur ferrunv sulum rcFlans et eju5 torqnetur niccolum diutiu':, ahunde testantur quantitatem ultra ccrtos limitcs diminuere non de separando ferro -vix ulbm superesse spem. potuimus.Ejasdempraesentiam magnasfaciUime Bergman, De niccolo, op. cit. pag. ■xS-,. prodi l, et non tantum regali diversimode Ioni (■%) Annales de Ch. T. 5o. eidem liibcnler adhaerent, sed non nulli cliam (3) Journal de phisique, T. 63. ipsi magncticam adquirant facultatem quod ob- (4) Annal. de Ch. T. 53. scrvatu est dignissimum. Caelerum tenacilas et (5; Annalcs de CUimie, T. 78, pag. i33, et fusionis diflicultas quae eo magis crcscuut quo 79, pag. l53. ' ^9 che sia, mi darà materia per alcune memorie, e fraltaulo con questa, che ho l'onore di leggere a questo rispettabile Corpo Accademico, per sod- disfare al dovere di socio, renderò conto di una parte delle mie ricerche conceraenti la depurazione del nichel, la di lui ossidazione minore, e le combinazioni dell'ossido minore di nichel cogli acidi e coll'ammouiaca, S II Depurazione del nichel. .\. Dalla lettura delle memorie di Bergman, del sig. Proust, di Richter, e idei signori Thcnard e Tupputi, e dalle molte esperienze che mi era occorso di fare nel periodo di varj anni, avevo già potuto sufficientemente apprendere di quali proprietà principali e caratteristiche sia fornito il ni- chel, e qual valore giustamente dare si debba ai metodi di depurazione, di cui si valsero i lodati chimici, per ottenerlo in istato di purezza. Quando poi volli far prova dei diversi processi conosciuti e descritti dai medesimi, mi fu forza il persuadermi, che il Lello ed il buono trasce- glìendo da tutti, restava però da aggiungere qualche cosa ad ognuno onde semplificare ed abbreviare il processo, o per renderlo più facile, sicuro ed economico. Abbenchè, a vero dire, non potessi lusingarmi di ottenere il nichel puro con metodo economico senza far uso di una se- rie di lunghe operazioni, attesa la natura dei metalli esistenti nel nichel germanico, che lutti possedono in analoghe combinazioni, vicinissimi rap- porti di coesione. Mi appigliai p'-rtanto ad un nir'todo che ha per base quello dei signor Proust (i), ed alcune modificazioni che ho trovate at- tissime a renderlo breve, non che ad assicurarmi della purezza del prodotto. 5. In vece di sottoporre a replicate torrefazioni il nichel arsenicale, più speditamente procedo all'ossidazione di questo metallo impuro col mezzo del nitraso di potassa, sia che dtbba tratiare un minerale di ni- chel, sia che il metallo da trattare si trovi in istato di lega più o meno complicala, rome sarebbe il regolo di nichel germanico, o lo speis. Pol- verizzalo il nichel impuro lo unisco con due parti di nitro secco, e fae- (0 Luogo citatoi 4o ciò pvojczlone della mescolacza in crogiuolo di ferro rovente : finita la deflagrazione do un colpo di fuoco. Succede sviluppo di vapori bianchi arsenicali, e la materia soffre una fusione pastosa (i). Levalo il crogiuolo dal fuoco la materia si mostra colorita di bruno, di verde e d'azzurro, indizj di ferro di nichel e di cobalto: la tolgo dal crogiuolo, la polverizzo e la liscivio col metodo delle lavazioni, lasciando poi che coll'aiuto del tempo la polvere di ossidi misti si deponga, onde separarne il liscivio per decantazione. Il sedimento lo lavo ancora e lo raccolgo sopra d'un filtro. Esso si presenta di color bruno. 6. La ragione delle accennate due operazioni è chiara per se : col mez- zo della deflagrazione col nitro si ossidano lutti li metalli della lega di nichel e si separa parte d'arsenico ; e colla lisciviazione si porta via quasi tutto il resto dell'arsenico sotto forma d'argento e d'arseniato di potassa ed anche una parte di cobalto. Di fatti il liscivio alcalino depo- se col tempo una polvere rossa cristallina d'arseniato di cobalto, e l'aci- do nitrico precipita da questo liscivio una polvere bianca d'ossido d'ar- senico, e dà una soluzione acidula rosea. n. Il sopradetto sedimento bruno d'ossidi misti di nichel, cobalto, fer- ro, rame, bismuto ed acido arsenico, già lavalo quanto basta, lo pongo in capsula di porcellana, vi unisco dell'acqua e dell'acido solforico con- centrato, oppure l'acido solforico residuo della distillazione dell'etere, come praticò anche il signor Proust, e ne faccio digestione alla tempe- ratura prossima dell'ebullizione. Decanto poscia l'acida soluzione in altro vase, e sostituisco ad essa nuovo acido solforico, replicandone la dige- stione conformemente alla prima, ciò che ripeto tante volte quante sono necessarie per ispogliare il sedimento di tutto l'ossido di nichel. Giunto questo termine l'acido non si colorisce ulteriormente in verde, ed allo- ra riunisco le soluzioni solforiche, le filtro, ed aggiungo alle medesime una soluzione saturata bollente di solfato di potassa, residuo della di- stillazione dell'acido nitrico, svaporando la risultante soluzione fino a pellicola. Col mezzo del raffreddamento si cristallizza il solfato di po- tassa e di nichel in prismi romboidali, che si sarebbe cristallizzato an- che senza la concentrazione, sebbene in minor quantità. Se l'acqua madre di questa cristallizzazione mescolata che sia a porzione di soluzione bol- (i) D fornello a Tento basta per ijuesta operaiione. 4« Ipnte e saturala di solfato di potassa dà senza concenlrazioue dei nuovi cristalli di solfato trisnlo, prima di sottoporla ad ulteriore svaporazione la unisco con quantità bastante della soluzione medesima, e poscia con- centro a pellicola. Sull'acqua madre della seconda cristallizzazione pra- tico le stesse avvertenze che su quella della prima, aggiungendo se oc- corre solfato di potassa, ed evaporando di nuovo: e ciò fino al puuio che l'acqua madre non resti più verde, ma bensì giallastra. 8. Colle operazioni menzionate nel numero precedente si disciolgono diversi ossidi costituenti il miscuglio bruno, quali sono gli ossidi di ni- chel, ferro, rame, cobalto e forse acido arsenico, e si ottiene una solu- zione molto acidula, nella quale i diversi solfati, ed i pochi arseniali sono molto bene solubili nell'acqua. L'aggiunta del solfato di potassa ne compone alcuni allo stato trisulo, quali sono quelli di nichel e di co- balto, e forse qualche poco auche quello di rame ; i quali solfati trisuli godendo di assai minore solubilità nell'acqua, si separano facilmente sotto forma di cristalli. Ma tra tutti questi solfati trisuli, quello eh' è meno solubile nell'acqua è il solfato di nichel e potassa, e quindi nelle acque madri vi resteranno in quantità gli altri solfati, non già quello di nichel. Ottenendosi la soluzione solforica molto acidula, si potrebbe in vece di solfato di potassa far uso del carbonato ossia potassa ordinaria del com- mercio, come praticò il signor Proust. Ma ciò non ostante io prescelgo sempre l'aggiunta del solfato anzi che della potassa, perchè amo meglio che l'acqua madre rimanga acidula molto, ciò che mi garantisce di più la purezza del solfato trisulo. Altronde pochi sono gli operanti laboratorj ne'qnali non abbiasi un deposilo abbondante di capi morti dell'acqua forte, di poco uso nei luoghi ove non vi sono fabbriche d'allume di rocca: per il che credo che anche ad altri chimici riuscirebbe econo- mico l'uso del solfato di potassa piuttosto che quello della potassa del commercio. g. Riuniti tutti li cristalli romboidali di solfato di nichel e potassa delle varie raccolte, lavati con poca acqua fredda, disseccati sufficiente- mente e ridotti in polvere, cimento questa polvere al fuoco, calcinan- dola moderatamente, come si calcinerebbe il viiriuolo di marte, acciocché se vi è solfato di ferro l'ossido passi al massimo d'ossidazione, e si ren- da insolubile nell'acqua. Quindi la polvere calcinata la tratto coll'acqua calda distillata, in cui si discioglie, a riserva dell'ossido di ferro, se vi 6 i2 era solfalo. Io non otienni che deboli ìadizj di ocra precipitala. Il ferro suole reslare disciolto nelle acque madri acidule. La soluzione del sol- fato di potassa e nichel calcinato, poiché fu filtrala ha un bel color verde di smeraldo. La trailo allora con una corrente di gas idrogeno solforato, il quale annerisce ed intorbida licn tosto la medesima preci- pitando 11 rame in istato di solfuro nero verdastro. E quando una por- zione di soluzione così trattata, filirata che sia, non nmta altrimenti col- l'acqua idrogeno solforata, filtro netta la soluzione, e la faccio svapo- rare a pellicola. Ne ottengo allora cristalli romboidali di miglior colore ma sempre verdi, di un verde d'acetato di rame polverizzalo. L'acqua madre, spogliata con ripetute concentrazioni e crisialHzzazioui di unto il solfalo di nichel e potassa, rimane colorita in roseo, e contiene il co- ballo. Abbandonala a se si dissecca col tempo, il solfalo di cobalto e potassa si arrampica su per le pareti dello svaporaiorio in forma di den- tritl rosee ed il restante di solfalo di nichel e potassa, impuro ancora di cobalto cristallizzalo, informemente sta nel mezzo del fondo dello sva- poraiorio slesso. IO. Ripetuta la soluzione del solfalo di nichel e potassa di seconda cristallizzazione, ed il trattamento con una corrente di gas idrogeno sol- forato un nuovo ed abbondante precipitalo nero-verdastro si presenta, e la soluzione fdtraia e posta alla svaporazione fino a pellicola, dà i soliti cristalli ed un'acqua madre rosea. Mi sono assicuralo coli' espe- rienza che nou basta né uno né due trattamenti coli' idrogeno solforalo per ispofliare questo solfalo trisulo di nichel da tutto il rame, uè due o tre cristallizzazioni per separare tutto il cobalto, e che per essere certi che uu tal sale di nichel sia veramente puro, è d'uopo di replicare le soluzioni, le precipitazioni coli' idrogeno solforato, e le crlstallizzazioui del sale trisulo fino a che non si ottenga più cangiamento uè all' istan- te ne poi col mezzo dell' idrogeno solforato versato nella di lui acquosa soluzioue, e che questa tutta cristallizzi in rombi verdi senza residuo roseo, o diverso dal verde. Li precipitali neri verdastri prodotti dall'idrogeno solforato nelle ul- time precipitazioni, sono attaccabili dall'acido nitrico che discioglie il rame lasciando a nudo lo zolfo. La soluzione azzurra non mi ha mo- strato alle prove dei di\eisi reagenti se nou se rame.- indarno vi ho cercato il nichel. 43 II. Ottenuto colle sopradcscrilfe operazioni il solfato di potassa e di nichel assolutamente puro, lo sciolgo nell'acqua stillata, e decompongo la soluzione con puro carbonaio alcalinulo di potassa, raccogliendo il precipitato sn di un filtro, e lavandolo a perfetta edulcorazione. Quindi lo sciolgo iiell'aceto distillato, precipito coU'acetato baritico qualche a- tomo d'acido solforico, che vi suole rimanere unito, e dopo flllraia la soluzione acetica, la decompongo colla soluzione di potassa pura. L'idra- to di nichel di un color verde pomo, che si precipita iu quest'ultima operazione, lo lavo perfettamente, lo dissecco e lo arrovento; esso ri- mane allora ossido di nichel di un colore cinericcio verdastro, intorno alla purezza del quale non si potrebbe concepire il minimo ragionevole dubbio, quando siasi operato con esattezza nella depurazione del solfato di nichel e potassa. § ni Riduzione dell'ossido di nichel. 12. L'ossido di nichel puro cimentato colla fiamma interna del tubo ferruminatorio diventa nero ed attirabile dalla calamita, come se fosse una polvere di ferro. Se dopo \\n tal cimento vi si aggiunga polvere di borace calcinalo, e si vetrifichi, il vetro di borace si combina all'ossido di nichel non metallizzato, tingendosi in verde olivastro scuro, ed il ni- chel si presenta col suo bianco e brillante metallico, sparso sulla super- ficie e neir interno del vetro slesso. L'ossido di nichel vetrificalo col borace dà sempre un vetro opaco, o quasi opaco olivastro scuro r ma se vi si aggiunga arscniato di potassa, il vetro diventa trasparente e giacin- tino : e lo stesso avviene se acido fosforico, o fosfaro ammoniacale si aggiunga in vece di arseniato suddetto. In modo che sembra una con- dizione necessaria all'ossido di nichel, perchè si disciolga e si vetrifichi perfellamente in color di giacinto, la presenza cioè dell'acido arsenico, o dell' acido fosforico. Se il borace si colorisce in giacintino coi mine- rali di nichel, egli è perchè questi sono sempre mineralizzati dall'arse- nico. i3. Ho tentata la riduzione e la fusione dell'ossido di nichel nella fucina del pubblico laboratorio, dove il ferro dolce in coulatlo col car- Loue si l'uudc Lene iu tre quaiti d'ora: ma non otienni la riduzione dell'ossido siiddeilo se non coH'aggiunta dtl carbone, e non otienni fu- sione veruna. Pigliai due denari metrici (granulie) di ossido di nichel puro, che introdussi in un piccolo crogiuolo d'argilla assai refrattaria, co- prendolo con coperchio d'argilla medesima, e lutandolo quasi perfetta- mente. Un altro crogiuolo simile preparai unendo all'ossido 0,1 65 di denaro di carbone di canape calcinato, ridotto in pezzetti e non in pol- vere j iu un terzo crogiuolo finalmente introdussi tre pozzetti d'arg Ila a pirometro di Wegdewodd. E questi tre crogiuoli li montai sopra soste- gni di giés nel centro del fornello di fusione, la cui interna parete è formata da un crogiuolo di piombaggine del diametro alla bocca di 28 in 29 centimetri sopra 5o d'altezza. Adattai inoltre alla bocca del for- nello una torre alla duo piedi, e larga quasi quanto il fornello ; e riem- piuto il fornello di carbone non che la torre, applicai il fuoco gradua- tamente e lo portai fino alla maggiore incandescenza, caricando il man- tice di un buon peso. II fuoco incandescente durò due ore e mezza, e la torre fu mautcnuta sempre piena di carbone in modo ch'esso giugueva nel fornello bello ed acceso. Terminata l'operazione e levati i crogiuoli dal fuoco, essi si erano conservati abbastanza bene^ giacche non avevano cominciato a fondersi clie sul fondo ove attaccati si erano ai sostegni fatti di terra più fusibile. L' interna parete della fucina si era fusa in alcune parti. 14. Aperto il crogiuolo che conteneva l'ossido puro lo trovai aucora ossido in polvere ; ma era singolarmente cangiato il suo colare cene- riccio verdastro in boi color verde simile al colore del verde di Schee- le. Esso scioglievasi negli acidi senza fenomeni straordinarj ad un ossido scuro eccettuato clie la soluzione nasceva più lentamente. Nel crogiuolo dell'ossido misto col carbone trovai il nichel metallico, ma agglutinato, spugnoso e non fuso. Nel fondo del crogiuolo eranvi alcune molecole, che forse avevano provato maggior calore, le quali si potevano battere ed appianare bene sull'incudine. Prescindendo da pochissime particelle sparse, e specialmente alla superficie superiore, tutto l'ossido fu ridotto allo stato metallico, ed il metallo era bianco come sarebbe il platino ridotto dal muriato di potassa e platino. Non trovai atomo di carbone, bensì leggierissime tracce di cenere che indicavano li punti dove eransi trovati li pezzetti più grossi del carbone. Nel terzo crogiuolo i cilindri 45 d'arcilla si erano di mollo rislielli, ed uno segnò io5, il secondo iio ed li terzo lao gradi del pirometro. Questa temperatura essendo di mol- to inferiore a quella necessaria per fondere il manganese, non poteva bastare per fondere il nichel, il quale, secondo le osservazioni di Rich- ler, ricerca almeno una temperatura uguale. Quando avrò fatte alcune ri- parazioni al fornello di Pott del pubblico laboratorio, lio in animo di ripetere in tal fornello il tentativo della fusione del nichel, e spero che otterrò un risultato piìi felice. i5. 11 signor Tuppuii ha osservato che il nichel scioglie del carbone alia guisa del ferro, e che gli acidi nel disciogliere poi il nichel lasciano dietro di se un carburo di nichel, come fanno disciogliendo il ferro cru- do e l'acciaio. Il nichel da me ottenuto non ha mostralo di contenere atomo di carbone. Basta dosare bene la quantità del carbone in pro- porzione dell'ossigeno dell'ossido. Io mi sono valso delle stesse determi- nazioni del signor Tupputi in mancanza delle mie proprie sulla com- posizione dell'ossido minore di nichel, e dall'oiteuiito risultato ho potuto giudicare ch'esse sono un po' scarse per l'ossigeno. Ciò non ostante avendo riguardo all'osservazione del mentovato chimico è bene di scar- seggiare piuttosto nella dose del carbone di quello, eh' esporsi al peri- colo di eccedere. Nelle ricerche ulteriori che mi propongo di fare sulla riduzione e sulla fusione del nichel non mi dipartirò dal metodo sud- detto. Unirò in un crogiuolo solo il nichel ridotto in diversi crogiuoli, e non fuso, indi col mezzo di un. poco di vetro di borace determinerò meglio la fusione del metallo, non che la separazione di qualche atomo di ossido che vi potesse restare. 11 nichel deve risultare purissimo. §IV Ossidazione minore del nichel. i6. Il nichel metallico ottenuto col metodo sopradescritto, quantun- que nou fuso ed unito, è però puro, sopratiulio ncil' interno della massa. Se ridotto in frammenti si faccia bollire nell'acido nitrico allungato, la supf'rfi<:ie superiore colorita in gialletto per un lievissimo principio d'os- sidazione, e qualche molecola d'ossido che vi fosse rimasto, vengono sciolti, ed il nichel fassi più bianco e lucente. La calamita attrae que- 46 sto nicliel con forza pressoché pari a quella colla quale attrae la lima- tura di ferro. 17. Le prime quantità di nichel che ottenui colla riduzione del suo ossido puro volli destinarle alla ricerca delle proporzioni d'ossigeno che costituiscono l'ossido minore di questo metallo (i). Questa determinazio- ne ral era necessaria per le ulteriori indagini, che mi proponevo di fare sul medesimo. Ho preso 600 parti di nichel puro, e postolo in hottiglia pesata ne ho fatta dissoluzione coll'acido nitrico puro. La soluzione era limpida senza sedimento e di bel color verde. Evaporata a siccità ed ar- roventala la materia ho ottenuto 770 parti d'ossido di nichel grigio ver- dastro. Ugual risultalo mi diede un secondo sperimento, e l'ossido di nichel dell'una e dell'ahra prova fu disciolto inlierameute dall'acido mu- riatico senza veruna effervescenza, e senza il minimo sviluppo d'acido muriatico ossigenato ; ciò che prova che l'ossido era minore, e non con- teneva piìj atomo d'acido nitrico. Dal sopradetto risultato si deduce adunque che l'ossido di nichel è composto in 100 pani di 777,922 di nichel e 22,078 d'ossigeno, e too parti di nichel assorbono 28 if5 d'os- sigeno per costituire l'ossido minore di nichel. Queste proporzioni si av- vicinano moltissimo a quelle di Richter, che sono di 100 di nichel e aS d'ossigeno, quantunque il metodo usato da questo abile chimico, debba condurre ad un risultato meno certo di quello conduca il meto- do usato da me. La dissoluzione del nichel nell'acido nitrico, la preci- pitazione dell'idrato colla potassa, e la calcinazione del medesimo sino ad ossido nero grigiastro furono le operazioni di cui fece uso Rlchter. IMa la precipitazione dell'ossido può dare una perdita, ed un alcali uou affatto puro può far crescere il prodotto, e nelle piccole differenze di centesimi e di frazioni di centesimi non è cosa rara che gli errori si compensino. Il signor Tuppuii si è servito egli pure del metodo di Ri- chier, e la sua determinazione è di 100 di nichel e 27 d'ossigeno, e quindi un po' scarsa la proporzione dell'ossigeno. Bergman, quantunque si possa dubitare eh' egli abbia operato sopra un nichel non assoluta- mente puro, ottenne ciò non pertanto da 100 di nichel 128 d'ossido secco (2). I metalli che sogliono imbrattare il nichel assorbono essi pu- (1) Dulie ricerche dei signori Proust e The- di due gradi d'ossidazione. Hard, si apprese già che il nichel è suscetubile (i) V. Op. cit. V. 2. de praecipitaU4 metallicis. re delle quauiità d'ossigeno quasi uguali a quelle, che assorbe il ulclicl nic- desinio, ed ecco una ragione del risultato del Bergmaa prossimamente concorde col mio. Aggiungasi che il giado di disseccamento del preci- pitato, la complicazione dell'ossido per la concorrenza di porzione di solvente o di precipitante, e le altre cause già addotte di sopra, possono avere contribuito ad aumeuti ed a diminuzioni, che accidentalmente siensi compensate. 11 signor Klaprotli in vece in un'analisi di .una nuo- va varietà di miniera d'autimonio (i) avendo bisogno di conoscere la proporzione d'ossigeno nell'ossido niinore di nicliel, ricercandola colla soluzione del nichel ottenuto dalla riduzione dell'ossido del crisopra- sio e della piinelile nell'acido nitrico, la precipitazione dell'ossido colla potassa e l'arroventamenlo del precipitato in crogiuolo di platino, da 100 di metallo ottenne i52 1/3 d'ossido di nichel, determinazione che differisce di 4 1/2 d'ossigeno in più per 100 di metallo, dalla mia. Il signor Proust all'incontro usando il metodo di cui mi valsi io stesso da 100 di metallo ottenne isS a 126 d'ossido grigio verdastro; delle qua- li differenze non saprei renderne ragione sufficiente. §V Sali di. nichel. \ 18. Il nichel metallico è attaccato dall'acido solforico e dal muriati- co allungati, che lo disciolgono con effervescenza e con sviluppo di gas idrogeno. La dissoluzione però succede lentamente. L'acido nitrico di- scioglie il nichel con vivissima effervescenza e grande sviluppo di gas nitroso. L'ossido di nichel puro è sciolto assai facilmente dai tre acidi minerali suddetti, e da molli altri acidi compresovi l'acetico, che Io scio- glie senza lasciar residuo. Tutti i sali di nichel hanno un color verde più o meno saturalo ed elegante, secondo la quantità d'ossido e d'acqua di cristallizzazione ch'entrano nella composizione loro. Deduco questa generalità dall'esame del solfato nitrato, murialo, acelato, arseniato, fos- fato, fosfito, carbonato, e solfato irisulo di potassa e di nichel. Il sapore dei sali di nichel è più o meno dolciastro, stitico ed aspro, secondo la (t) Aunales de Cliimie, T. 85, p.-ig. 6S. 48 natura degli acidi salificanti e la solubilità dei sali. L'ammoniaca pura decompone lutti i sali di nichel, e forma un liquore azzurro cilestro carico più o meno, od un precipitato azzurro di smalto, secondo lo stato di saturazione della soluzione (V, §VI)- H liquore d'ammoniaco si conserva permanentemenie in vasi chiusi, col contatto e senza il con- tatto dell'aria. L' idrogeno solforato non precipita i sali di nichel in ge- nerale, ma vi sono delle eccezioni. IO. Il solfato di nichel e di un Lellissimo color verde di smeraldo carico : cristallizza in prismi a (juatlro faccie, in tavole quadrale coi lati smussati, ed in altre forme secondarie, difficili anche da Leu determi- nare. Esposto al fuoco perde l'acqua di cristallizzazione e diventa giallo ; È questo uu carattere di molli sali di nichel. L'acqua lo scioglie be- nissimo e la soluzione verde di smeraldo non macchia una lamina di ferro pulita, e non è mutata dall'idrogeno solforato. Ha inoltre questo sale li caratteri dei sali di nichel, e quelli dei solfati metallici solubili, e quando è deacquificato contiene in loo parti, acido 53, base 47- 2o II nitrato di nichel ha un color verde di smeraldo carico; cri- stallizza in tavole quadrilungue con lati smussati, ed in paralellepipedi. Esposto all'aria umida presto si liquefa. Nello sciogliersi nell'acqua pro- duce freddo: avendone sciolta una porzione nell'acqua a gradi 17 di R., la temperatura della soluzione discese a gradi 11. Col fuoco si fon- de nella propria acqua di cristallizzazione di cui abbonda, e nella fiam- ma di una candela deflaijra un poco. Cento parti di questo nitrato, fuso nella sua acqua di cristallizzazione, contengono "Si d'ossido e 68 d'acido ed acqua, proporzioni che devono essere variabili dipendentemente dal grado di disseccamento del sale. Una goccia di soluzione di questo ni- trato posta sopra una lamina di stagno, non altera lo splendore di que- sto metallo, ma lo zinco, il piombo ed il ferro vengono un poco ot- tenebrati, sebbene veruna macchia color di rame o di ottone vi si produca. 21 II muriato di nichel è un sale assai deliquescente e difficile da cristallizzare. 11 suo colore è verde, ma quando è in cristalli tende un poco al "iallo. Disseccato col fuoco acquista un bellissimo color giallo puro (1). Attesa la grande solubilità di questo muriato, e la difficoltà di (i) Il colore giallo di questo muriate, è quello che mescolato all'aziurro del muriato puro 49 farlo cristallizzare avviene che nel sotlrargli coll'evaporazlone l'acqua di soluzione difficilmente si può non sottrarre comeniporaueamente una par- te anche di acqua di cristallizzazione, da cui deriva secondo me la ten- denza al color giallo che acquista sul sale cristallizzato. La sua foima mi è sembrata un prisma a quattro o a sei faccie. Cento parti di mu- riato di nichel spoglio di acqua mi sono risultate composte di 4^ asit etc. Per- ciò fu tradotto da Manilio « Longo tempo mi aveva accompagnato la ad- «versa infermità, et hora mi ha sprovvistamente assalito ee,» Lipsio addu- cendo ottime ragioni, al vocabolo comitatum sostituì commeatum , dal che risultò un opposto significato di quel primo periodo, cioè, che « la ncattifa salute da lungo tempo acca, non accompagnato Seneca, ma a i»lui dato comiato, ossia lo avea abbandonato». E che così di fatto, e non altrimenti, debbasi intendere, si viene anco a conoscere portando at- tenzione a tutto il periodo ; poiché soggiungendosi subito : repente me invasit, chiaramente risulta che prima di quel momento non dovea es- sere sialo da lei accompagnato da lungo tempo. Il notar questa cosa è per me di massima importanza, perchè ne deriva, che quando Seneca fu assalito dal suspirium, era lungo tempo che non era ammalalo. 8 5S Ciò premesso, vediamo quale maialila deLLasi argomenlaic aveie Seneca softerlo, dalla desciizioue ch'egli ne fa al suo umico Lucilio. La mag- gior pane dei commeniaiori inlesero ch'egli parli dell'asma, e passò iu comune credenza che Seneca sia stalo asmatico. Forse che si è più fa- cilmente pensata questa cosa sapendo cb'oj^'.i era stato sempre malaticcio» e che fu minaccialo di tisichezza. Lo stesso iHnstre signor cavaliere De- Rosmini nella sua bella vita di Seneca, stampata, in Ruvcreio nel 1795, ha tenuto quest'opinione. Se non che quanto scrive il De-Rosniioi delle ma- lattie di Seneca (pag. 21) è inesatto generalmente parlando. Prende egli indistiutainenie ciò che ne dice da due lettere di Seneca, e lo riferisce ad un tempo successivo, e non inlerotto della di lui vita, mentre Seneca nelle sue lettere ora parla di mali da lui già sofferti altra volta, ora di mali che lo travagliavano al momento nel quale scriveva. Mi perdonerà il celehratissimo letterato, non medico, s' io, medico, oso rilevar questa cosa a me importantissima. Già per questo, ne presso di Voi, o dotti Colle- ghi, né presso alcun altro d' Italia nostra, non resterà minimamente oscu- rata da si fatta minuzia la splendidissima luce che spande per ogni dove il dottissimo cavaliere colle classiche biografiche opere sue. Importa a noi di determinare innanzi a tutto quali mali abbiano pri- mamente molestato il nostro filosofo; se lo abbiano fatto in continuazione, o siano in qualche tempo cessati, od almeno siausi di molto diminuiti, e se stali siano sempre della stessa natura, oppur di diversa. Lucio Anneo Seneca nacque gracilissimo, ed appena nato ammalò gra- vemente, ma per le cure d' una sua zia guarì, come egli stesso ci fa sa- pere nel libro de consolatione ad Hehiain (X-VIl) per loìigiim tempus aeger convalidi e ciò nota anco il De-Rosmini. Applicatosi all'eloquenza, rischiò sotto Caligola d'esser morto, por una bassa invidia, clic avca di lui concepita quel furibondo e brutale imperatore udendolo trattare elo- quentemente una causa in Senato, e non iscappò la pazza sentenza, se non perchè, al dire di Dion Cassio ( Hist. lib. 58) il tiranno fu assicurato da una sua donna, che Seneca presto sarebbe morto di tisichezza, essendo egli estremamente magro. Anche questa circostanza è riportata dal De- Rosmini, e fin qui siamo d'accordo. Ma cgH soggiunge le seguenti pa- role: «ed in fatti a tale era egli condotto della sua sanità (al tempo di • Caligola) che poco si potea promettere di sua vita. Era egli passalo uper la trafila di tulle le malatlic, e niua morbo per isventura nou era »a lui sconosciuto. (Ep. 54.)Era niolcsialo da una tenue, ma giorualiera »fcLljicua, acconìpaguata da lesse, da dlstilazione, ch'egli non curò iu sulle epriniR, veggendosi nel fior degli anni; ma questa malaltia trascurata a tale »il condusse di magrezza, che parca ch'egli stesso, come egli si esprime; jisi disfacesse e si distillasse. (Ep- "/S.) La uialattia però che gli dava più jiuoia e spavento, e che gli era più familiare era l'asma, i cui accessi du- »ravano im'ora intera, e che gli davano, com'egli dice, un' idea della mor- ale. (Ep. 54) In tale slato infelice reggendosi gli venne più volte il peu- > siero di uccidersi, ma nel rilrasscro i riguardi dovuti alla vecchiezza del «padre». Fin qui il De-Rosmiui. Ora questi mali, che il De-Rosmini pone a fascio e confonde, quantun- que ne prenda la cognizione da due lettere di Seneca (la 54 e la 'yS ) dehbono essere fra loro separati, ed attribuiti a tempi della sua vita l'uDO dall'altro lontani. I mali di distillazione, e la fehbretta che lo minacciaron di tisi furono da lui sofferti in gioventù, e ciò è ben dello dal De-Ros- raini j ma al tempo del pericolo di vita corso sotto Caligola non era egli già passato per la trafila di tutte le malattie, come dice l'illustro biografo citando la lettera 54- Questa lettera scritta in vecchiaia, siccome le altre, come dice, ed è vero il, De-Rosmini medesimo (pag. 2 25) parla di male presente, ed in quella età polca in vero narrare d'esser passalo per la trafila di tutte le malattie, essendo spezialmeute stato allora assa- lito dal nuovo morbo da lui denominato suspii ium. Il rimanente del passo del De-Rosmini e da riferirsi alla minaccia di tisichezza da lui avuta in gioventù. In quel tempo e non dopo d'essere stato assalilo dal suspirium, gli venne più volle il pensiero d'uccidersi, e non si trattenne, che per riguardo del vecchio padre, e da questa circostanza eziandio si conosce oh' egli non poiea essere molto avanzato in età , se ancora vivevagli il genitore. Oltracciò in tutta la lettera 78 citala dal De-Rosmini non parla Seneca di male presente, ma di passalo. Adunque ciò ch'ivi ei dice non è da confondersi col suspirium descritto nella lettera 54- Dirò anche di più, clie dalla lettera "jS s'impara che Seneca dopo quella minaccia di tisi avuta in gioventù, aveva riacquistato la salute, il che ancora niaijgiuruieu- le ci prova, ch'egli parla di male passato. Scrive in futi in questa let- tera al suo amico Lucilio, il quale avt^asi a lui lagnato d' una sua malattia consistente iu frequenti febbrelie seguite da lunghe ed abituali distilla- 6o zioni « che ciò gli era lanio più molesta cosa ad udire, quanto che L »avea già anch'egli provato questo genere di male, e lo avea a principio ji trascurato a cagione della sua adolescenza, ma che in seguito vi era «soggiaciuto, ed era a tale ridotto da consumarsi» e fu allora che vo- lea uccidersi. Ma segue Seneca consolando l'amico col dirgli « che colle >■ distrazioni, e con tutto ciò eh' ergeva l'anima sua giovò anche al corpo, »e ch'ora deMtore alla filosofia d'essersi ristabilito in salute: philosophiae »acceptum fero,quod surrexi,quod convalui; e che gli amici molto con- «tribuirono alla sua buona salute: muZ^M/K mihi contuleruiU ad bonarn va- >detu(liiiern ». Adunque guari Seneca dalla minaccia di tisichezza avuta in gioventù. Restò però sempre, a dir vero, debolissimo e malaticcio^ ma animeiiono i medici una salute massima, ed una minima, e molti gradi di mezzo fra esse, e sanno che la minima può stare anche con qualche incomodo, e non esser però giammai vera malattia qual' era il suspìrium. Così sembra essere slato di Seneca. Egli fu sempre malaticcio, ma non apparisce dalle sue opere ch'egli sia slato gravemente ammalato se non cbe ire volte in sua vitaj appena nato e non si sa di qnal morbo; nella adolescenza e gioventìi di minaccia di lisi, che sembra aver durato assai lungo tempo, ma finalmente riacquistò una buona salute, come abbiamo veduto; e per tCizo in vecchiaia, in cui fu assalito dal suspiriuin «dopo che da lungo tempo »la cattiva salute gli avea dato coraiato, e ne fu assalito repentinamente». Neppure in vecchiaia, prescindendo dalla sua delicatezza di tempera- mento e dal suspìrium, malattia che coglievalo per accessioni di una sola ora, sembra ch'egli fosse poi malato coniiuuamcnte , giacché nella lettera io4 narra che si era involato dulia febbre, ed anzi dalle sole sue minacce , e si era tosto rifuggito nella sua famosa villa detta Nomen- taiiurn : lu Noiiicntatnim meuin /ugi, ijidd putas ? iirbem , imo febrem equidem surrepentem. Se fosse stato avvezzo alla febbre, non sarebbe cosi tosto fuggito dalla ciilà al primo suo indizio; egli in vece appena si senti da essa colpito montò in vettura, e passò alia campagna, ad onta che volesse Impedirnelo la sua affettuosa Paolina: jain mariurn mihi in- iecerat protinus, itaque paruri vehiculum jussi, Paulina mea retinente : alla villa provò subito un cambiamento nella sua salute, si riebbe, ed acqui- stò nutrizione: repeti\'i ergo j'am me, non pennansit marcar ille cor- poris dubbii etc. et Non so poi se questa pìccola malauia sia stata posienorp,o anteriore, o cctempoiaMea al sus;jinum, perchè s'ignora la data delle lettere di S.neca, e quali siano state scritte prima qual, dopo, .1 loro numero pro- gressivo essendo stato po.to dai raccoglitori. Si sa solamente, che tutte furono serate in vecchiaia. Sembrano però scritte in parecchi anni, e non i,. due solamente, come dice Giusto Lipsio, essendo consoh Mu'ra- m.o Regolo e Licinio, 8. 6 e 8,7 anni ab urbe condita, cioè non molto p.i.na della morie di Seneca, che avvenne, secondo lu slesso Lipsio, n,l- l'anno 8.8. ru,hk.,ff ( 1 e. Praelat.) dimostra evid, «temente, che non rei- tamente giudicò Giusto Lipsio, rd asserisce che si ha una chiara prova del tempo di queste lettere nella lettera 94. Parla Seneca in essa del- l'incendio di Lione, con cui rimase estima la colonia Lionese, ed ag- giunge, che questa colonia contava il centesimo anno, dal che inferisce, che furono scine 6 in 7 anni prima della morte d. Seneca. Nota poi lo stesso Ruhkoff che Seneca dice nella lettera 70, ch'era trascorso uà limgo intervallo da che avea vedu.o Pompeja. la città poscia coperta da un'ern^,o^e del Vesuvio, dove il suo amico Lucilio aveva i suoi beni, la quale d.ce poi nella lettera 49 di avere allora veduta; dal che si scorge che passò un luogo intervallo da una lettera all'altra : ;;o^f Zo«-,/r« /«;er- vallani Pompejanos tuos vidi. ( Ep. 70.) Può dunque essere,^he il su- Spinum sia stato posteriore anche alle citate minacce di febbre e di lungo intervallo. Ma qual malattia fu questo suspirium ? È d'uopo riportare la parte della lettera 5}, che lo scrive, per passare poi ad analizzarla. Longum mihi cemmeatum dederat mala valetttdo : repente me in- vasit, quo genere? inquis. prorsus merito interrogas: adeo nuUum mi- ht ignotum est: uni tamen morbo quasi assignatus sum: quem quare graeco nomine appelLem, nescio, satis enim opta dici suspirium potest Bre.is autem valde et procelLae similis impetus est: intra horam fere desmu. Quis enim dia expirat'ì Omnia corporis aut incommoda, aut pencuia. per me transierunt: nullum mihi videtur molestius. Quid ni? > E di questi euripi o fosse se ne facevano anche di temporarj, come fece Scauro, al dire di Plinio ( Hist. Nat. L. Vili (XXVI.) il quale fu il primo che in un temporario euripo abbia fatto mostra d'un ipopotamo e di cinque coco- drilli all'occasione dei giuochi della sua dignità di Edile. E negli euripi o stabili o temporarj si facevano combattimenti navali, o naumachie : e que- sti euripi per i giuochi navali Circensi non solamente enipievansi d'acqua, ma furono una volta riempiuti anche di vino da quel pazzo di Eliogaba- lo, quel Sardauapaio di Uonia. (Lamprid. in Heliogab. cap. XXIII.) 7" Oltre lutto quésto, e ciò a noi imporla ancora di più, è da sapersi, elle Seneca non dice già che gittavasi nell'Euripo e nel Tevere, essen- do egli vecchio, ma anzi che in veccliiezza non poteva soffrir più nep- pur di bagnarsi nell'acqua fredda, e die fredda era costretto chiamare la poco calda: ab hac faCigatione potius guani exercitalione, quella di correre a prova col fanciullo che cangiava i denti, in frigidam de- scendi, hoc apud me vocatiir panini calcda » io, segue a dire il vec- chio Seneca, in questa cosa laudaCor temporis acti ^ come tutti della sua «età, io quel tanto bagualor d'acqua, che alle calende di gennaio sal- utava nell'iì'ur/'po (cioè nell'acqua del suo giardino) che all'anno nuovo «siccome col leggere, collo scrivere e col dir qualche cosa, cos'i pren- ))dea buon augurio col saltare nell'acqua vergine (cioè di una particolare » fonte ch'era freddissima, come si ha da Marziale ( Lib. VI. epigr. 4^)- ticruda virgine, martiaquc mergi ; e da Ovidio (de Art. am. III. v. 585.) xnec vos campus habet, nec vos gelidissima virgo, passai in seguito «primamente a bagnarmi(non a nuotare ) nell'acqua del Tevere, cioè in «acqua meno fredda, perchè sebbene al dire di Bacci ( del Tev. L. II, ))pag. i35, ed Aldo Ven. 1576 ) l'acqua del Tevere per la sua freddezza » era slata cagione, che la nobiltà romana vi sostituisce le terme ad imitazione dei Greci, pure in confronto dell'acqua vergine era meno «cruda, al dire dello stesso Bacci (ivi pag. 102) e finalmente mi ri- «dussi a bagnarmi in mia casa nell'acqua temperata dal sole, quando pe- li rò sono foitissinao, e tutto in me procede con ordine, ma non mollo »uii manca di ridurmi al bagno (cioè al bagno caldo, di cui si gloria » in altra lettera, la loS, d'aversi sempre astenuto): ille taìilus psjchrolu- vtes, qui kalendis Jannuaijis in eitripum saltabam, qui anno noi'O, ì> quemadmodum legete, scrìbere, dicere aliquid, sic aiispicabar in vir- vginein desilire, primwn ad Tiberim transtuli castra, deinde in hoc TI soliiim, quod cum Jbrtissimus sum, et omnia bona fide fiunt, sol tem- »perat, non multavi mihi ad balneum superest. Adunque L. Anneo Seneca in vecchiezza tutt'allro faceva che correre e che giilarsi a nuoto nell'Euripo e nel Tevere, ma non polca fare nep- pure un leggiero esercizio ; e già chiaramente egli stesso ce lo fa sape- re nel principio della slessa leiiera 83 dal De-Rosmini citala in prova ch'egli correva e nuotava. «Oggi, egli dice, fu per me un solido giorno, j. nessuno me n'ha rubata una qualunque porzione; l'ho tutto impiegato 7« ») nello star coricalo e i:el leggerej uua minima parte concessi all'eser- )icizio, e su questo proposilo rendo grazie alla vecchiaia, perchè uou »gran cosa ella mi costa: appena mi muovo, sono già stanco. La a'cc- xchiaia è il termine degli esercizj anche per li fortissimi. Mi domandi ■»li miei compagni d'esercizio? Mi basta il solo Eariuo fanciullo, come » sopra si è dello. Hodienius dies solidus est; iiemo ex ilio quidquain «mìhi erìpuit ; totus inter stratum, lectionemque divisus est ■■ miniinwn y)exercitatio/ii corporis datum; et hoc nomine ago gratias senecluti s ynon magno mihi constai; cwn me movi lassus siim. Hic aiitein exer- yicitationis etiam fortissimis, finis est. Progjmnastas rucos quaeris'ì umis ytmihi sufficit Earinus, puer eie.» In vecchiaia adunque Seneca né cor- reva, ne nuotava, e non potea fare neppure un leggiero esercizio, che ogni esercizio gli era fatica, ed appena movevasi era già stanco, e per- ciò in altra letiera, la G'j, rende egli parimente grazie alla vecchiaia di averlo fissato nei letto : ago gratias senectuti, quod me ledalo affixit. Rettificalo così il passo del Dc-Rosmlni, niente egli opponesi, perchè possiamo credere che il suspirium di L. Annuo Seneca non si» già sta- lo un'affezion polmonare, od asmatica, ma cardiaca del genere deìì'an- ginose di petto. DEGLI ACCUMULAMENTI AEREI O CASOSI DEL CORPO UMANO MEMORIA DEL CONTE ANGELO DALL\-DECIMA LETTA NELLA. SESSIONE DEGLI XI GENNAIO M. DCCC. XVI Gì rli accumulamenti aerei in varie parti del corpo umano sono ed effetti e cause di parecchie e sovente molto gravi morbose affezioni. Nondimeno essi non sono siali esaminati quanto conviene, e ciò, che ne hanno detto gli antichi, non comprende che 1 fatti più evidenti e comuni, ed anche quesli in una maniera piìi volte confusa e vaga. Tra le opere, che passano sotto il nome d'Ippocrate, v'ha un libro intitolato De Flatibus, nel quale si stabilisce l'aria come uu principio necessario alla vita, e come causa principale di tutte le malattie. Si vuole, che l'aria venga nel corpo umano ed attratta dall'atmosfera, ed introdotta, mescolata ed unita agli alimenti, e quindi disciolta ne' nostri umori si porti per tutte le parti, che quello compongono, dove col suo accumulamento, temperatura e moto dia origine alle diverse malattie. Oltracciò si sa ch'Erasistrato credeva, che le arterie fossero piene di aria. Queste opi- nioni fondate sopra immaginarie induzioni e convenienze, e sopra una poco attenta considerazione de' fatti non potevano certamente sommini- strare alcun fondamento, nò lume ad utili conclusioni e giudiziose dot- trine. In più altri luoghi dell'opere d'Ippocrate s'accennano distensioni flaiuose od aeree nel canal alimentare, ed eziandio nell'utero. Le turno- rose distensioni di basso ventre congiunte ad un notabile grado di ela- sticità erano già distinte co'uomi di flatulenze, di raateorismo, e di tini- 7? paniilde, ma però non era sempre precisa, ne uniforme la spiegazione, oke se ne dava. Procolo, della sella melodica, pretendeva che l'anasarca, la timpanit'dc e l'ascile costiiuissero tre diversi periodi d'una stessa ma- laliia, l'idropisia; per modo che l'anasarca ne fosse il principio, la tim- paoitide lo slato e l' ascile la declinazione. Areico poi mostra confondere la timpaniiide coll'asciie, riguardandole pressoché come varietà d'una medesima specie di affezione. Celio Aureliano crede, die la timpaniiide provenga da un doppio accumulamento d'acqua e di vento nella cavità dell'addome fuori degl'intestini. Galeno poi nel suo iratiato de Tumo- ribus stabilisce la timpaniiide per un'cnfiagion« ventosa di basso ventre. Parlando però nel terzo libro dell'altro suo trattato, intitolato eie srm- ptomatum causis, delle flatulenze di basso ventre, egli le ripete da un liquido esistente nel canal alimentare convertito dal calore in un vapo- re od alito. Uoa simile sentenza, illustrata da ulteriori teorie sulla fer- mentazione e suir influenza del sistema nervoso, fu ne' tempi più a noi vicini prodotta dal cliiaris.imo Willis. Del resto riunendo varj passi del- l'opere di G.ìleuo, sembra ch'egli ammettesse queste distensioni flatulente o vaporose od aeree, e nella milza e nel fegato ed in altri visceri; né guari da questo fu differente il giudizio su tale proposilo di x\lessandro Tralllano. Dopo l' isiaurazione delle lettere, di mano in mano che s'an- darono diradando le tenebre dell'ignoranza, questo soggetto fu molto meglio conosciuto; ma sebbene molle cose interessanti e curiose siausi su questo argomento in varj tempi prodotte, e sebbene Pechlino, Ca- merario ed altri uomini diligenti e sagaci se ne siano in particolar modo occupati, nondimeno le osservazioni, che se ne sono finora pubblicate, non sono così per ogni conto perfette, onde bastare alla formazione d'una generale e soda patologica doltrina. Considerando però attenta- mente le patologiche osservazioni, che sopra un tal argomento si sono in vaij leinpi prodotte, e prevalendosi dell'aiuto delle moderne chimiche dottrine, e delle conosciute leggi dell'animale economia, si potrà cercare di stabilire un saggio di teoria, se non affatto certa, almeno a molto probabili congetture appoggiata, la quale serva di sprone ad ulieriori più variate ed ingegnose ricerche, che alte sieno od a pienamente con- fermarla, od a mostrare le modificazioni, di cui è suscettibile. Frattanto per procedere con fondamento verso quest'oggetto, tre cose debbono essere aueutameuie considerate; primieramente, in quali parti dell'umano IP 74 individuo, ed in quali circostanze s'abbiano trovati accumulamenti d' aria, o di gas ; in secondo luogo quale sia la natura di questi gas j finalmente come tali accumulamenti succedano. Quando si rifletta, che il canal alimentare è un tubo, a cui è sempre libero l'accesso -all'aria atmosferica, se uè conchiuderà, che una tal' aria più o meno alterata si dovrà in quello trovare anche nello slato natu- rale e sano. Ma l'aria in molti casi di distensioni e gonfiamenti di ven- tre, che in varie affezioni sì croniche, che acute accadono, trovarsi pre- ternaturalmcnte accumulala in qualche parte del tubo aliiaeutare o nello stomaco, o negl' intestini tenui, o ne'crassi un gran numero d'osserva- zioni apertamente dimostrano. Cos'i Arrigo Welse narra d'aver osservata nel cadavere d'una ragazza di due anni una porzione della cavità del colon, fra due spastiche contrazioni interposta, grandemente gonfia per l'aria in quella rinchiusa. S' ha un caso di Valsava, descritto dal Morga- gni, d'una femmina di circa treni'anni, la quale dopo lunghi dolori agli arti soggiacque ad una copiosa scabbia umida, la quale esscudo slata con rimedj esterni retropulsa, insorse una febbre acuta con grande ca- lore e sete e feroce cafalalgia ; successero delirio, respirazione difficile, ed enfiagione di tutto il corpo, ma specialmente del basso ventre, gran- de ambascia , e nel sesto giorno la morie. Apertone il cadavere, si tro- varono lo stomaco e gì' intestini molto gonfi dall'aria ivi rinchiusa. Ber- gero pure vide uno di robusta complessione e gran bevitore, il quale mori d'una malattia, di cui i sintomi princip.ili furono soppressione d'ori- na e peso al basso ventre senza alcun dolore. Nel cadavere vi trovò il colon grandemente dall'aria rinchiusa dilatato e teso. Io ommetto per brevità molti altri casi, che su tale proposito riferir potrei. Sebbene non siano ugualmente frequenti gli accumulamenti aerei nel- la cavità dell'addomine fuori del tubo alimentare e degli altri visceri in quella contenuti, pure anche di quelli più esempj vengono da diligenti osservatori riferiti. Io non ne citerò, che due soli casi, l'uno indicato da Portai, e l'altro da Heistero, ne' quali, forato l'addome di due soggetti morti di timpanltide, segui suU' istante una grand'esplosione d'aria mol- to fetida nel primo caso, ma nel secondo senza alcuna eslraordinaria prava qualilà, e senza alcun indizio di ferita, o di vizio ne' visceri sot- toposti. Di aria rinchiusa nell'utero fanno fede i pratici i plìi diligenti. Quin- \* 75 di s' hanno limpanitidì, e flatulenze uterine di varia durata e di vario esito. Io ho conosciuta una Signora nella Dalmazia, dalle pudende della quale tratto tratto sortivano flatuosità rumorose, che mentivano quelle, che dal retto intestino provengono, senza che nella medesima fosse al- cun indizio di una comunicazione dell'utero o della vagina col tuho in- testinale. Una tale affezione è già stata avvertita da Ippocrate, ma più apertamente poi da Aezio, il quale dopo aver detto» oiwZra interdum a tpartu refrigerata spiritu impleri solet, stve os ejus claudatur, sive »a gnimescente sanguine obstruatur » soggiunge « nonnumquam spiri- tus efjlalio per muliebre pudendum erumpit, ut ab aegris percipiatur.» Ad una tale categoria si deve riportare la timpanilide uterina vaga d'Astruc, ed il caso riferito da Sauvages, tratto dal giornale di Medici- na del Bianchi, di una femmina, che dopo una collera violenta soggiac- que ad un'enorme enfiagione d'utero, per cui messa a letto, le coperte erano alternativamente iollevate e depresse, come se un vento andasse ivi da un mantice sortendo, onde un fischio veniva prodotto ; la quale enfiagione terminò in una strepitosa impetuosa sortita d' aria. Un caso eziandio di simile sortita di flatuosità dall'uretra d'un uomo si legge nel- Yejfemeridi de'curiosi della natura. Somiglianti osservazioni hanno data occasione ai patologhi di stahilirc una particolare specie di malattia sot- to il nome d'Edopsofia. ■Glamhaiista Fantoni, citato dal Morgagni, trovò la vescichetta del fie- le grandemente gonfia d'aria sotto la sua tonaca esteriore, e suo figlio vide più volte sotto l'esterne memhrane ent cioè più di cinque volte e mezzo all' incirca del nostro Monte- Rosso, e quasi come se il Monte di Rua fosse sovrapposto alla nostra montagna di Venda. § IV. ^ Natura e determinazione della matrice del fdone. Giace dunque la miniera d'Agord fra lo scisto micaceo che le serve di matrice. Due varietà poi si osservano di questo scisto ; la prima molto più abbondante d'argilla contiene la mica argentea iu minutissime squa- (0 Saussure, Toyages, T. 3, J 146?. i5 95 luelte finamente e frequeniemenie dispersa; il suo colore è Ligio blìij la sua frattura longitudinale e trasversale è lamellare, e si divide in grosse lamine. Esso pertanto molto s'accosta all'ardesia, ossia scisto argilloso, o Thonschiefer degli Orittologi, da cui npvb ahjuanto si discosta per l'interposta mica, e mi sembra apparte^iere al V- genere delle rocce cristallizzale anisomeri di Brongniart, ed esser una Fillade micacea, la cui origine però sembra più dovuta alla deposizione meccanica, che alla cristallizzazione confusa ; ma lo studio delle rocce composte non è an- cora avanzato a segno da poter ritrovare l'esatta indicazione, e la giusta classificazione di tutte le specie e varietà che di esse si rinvengono. ~ La seconda varietà cotanto abbonda di mica che quasi passa in essa : il suo colore è bigio nerastro ; la sua lucentezza quella della seta e quasi raeiallica; la sua tessitura sfogiiosa a lamine sottili e leggiermente on- dulate; i suoi frammenti sono scheggiosi, che passano a quelli, ch'io dirò piasi riformi, nou sapendo meglio rendere, ciò che i Francesi dicono fragments en pLaques-, e i Tedesciii scheibenjòrmig, e le sue particelle squamose. Esso ha i caratteri orittologici dello scisto lucente di Bron- gniart, il quale per insensibili gradna/'ioni passa al mica-scislo, o glim- , mer-schieffer de'Tedeschi, ordinaria matrice de' filoni, e per mica-scisto considererei anche questa roccia, se non trovassi tutti gli autori concor- di nell'anuoverare come uno degli ingredienti essenziali del mira-scisto il quarzo, che pur manca nel nostro, sola ragione, per cui lo determi- no per lo scisto lucido di Brongniart piuiioslo che per il mica-scisto dell'autore medesimo, ossia il gliinmer-schieffer di Werner. Un altro fossile viene colà da'minatori e dalle guide consideralo come una terza varietà di scisto, e nominasi scisto steaiiiico, ma questo non è punto uno scisto steatilico, ma una vera e perfetta steatite in lulto il rigore del termine, la quale ivi si trova in un filone fra lo scisto lu- cido, come appunto non di rado sttole trovarsi. § V- Discesa nella miniera. Ma conosciuta abbastanza la formazione delle raontagne,in cui si tro- va la miniera, e la natura della roccia che le serve di matrice, è ornai tempo di scendere nel sotterraneo. Spogliamoci adunque de'vesiiti e in- dossiamo quelli di canopo, che troppo annerili e sucidi diverrebbero i nostri per la fuligiue delle lanipane, e troppo maccliiati e corrosi per l'acque vilrioliche che vi stillano. Già l'ottimo nostro Ispettore Corniani completo assoriimenlo ha preparalo fia dalla camicia e dalle scarpe, e di più un bel desco di sost.inziosa colazione ha fornito, che inavveduta cosa sarebbe stata a stomaco digiuno intraprcndtre la penosa visiia del sotterraneo. Le guide ci attendono all'ingresso della galleria di S. Bar- bara: le lampane souo accese : l'Ispettore ci accompagna; entriamo. Entrasi dunque per la galleiia, nominata di S. Barbara, galleria che s'inierna 896 moiri nella montagna; per lo spazio di metri 5|2 essa ò scavata nello scisto-micaceo, e por li restanti metri 384 ^ scavata pro- priamente nel filone. Un filetto d'acqua che lentamente cade sopra una picciola ruota a casselle è la potenza motrice d'un orologio, clic sia so- pra uoa twricella fabbricata all' ingresso della galleria, e che segna l'ore pel cangiamento degli operaj, che succede di cito in oit'ore. Due dis- pense sono a questa lorretia contigue, dall'una delle quali ricevono i minatori il lume, e dali'alira una medaglia di piombo indicante il lavo- ro cui sono addetti, la quale siccome non si dispensa che all'ora del cangiamento, e deve all'uscita esser riconsegnata al computista, perchè dia credilo all'operajo del suo lavoro, cos'i serve di scontro, non con- segnandosi che a quelli cli'entrano nell'ora prescritta, e serve inoltre a garantire l' interesse dell' ignorante minatore, al qual oggetto fu, sotto la direzione del co. Corniani, introdotta con ottimo successo questa di- sciplina. Dalla prima visita ch'io feci a questa miniera, molt'anni addletio, e in tempo ancora del veneto governo, al presente, mollo migliorala ho ritrovato questa galleria, ossia pel suolo reso più eguale ed asciutto, ossia per l'elevazione data allo scavo per cui si può camminar sempre ritti e non curvarsi, come prima far si doveva, per alcuni tratti con grave dba- gio della persona: progredendo por la medesima souo disceso per il pozzo Erizzo, uno dei principali pozzi della miniera ; pozzo che serve aireslrazione del minerale e alla discesa dei canopi che vi si calano per undici scale. Diretta principalmente la mia visita al sotterraneo, a conoscere i lavo- ri nuovi e gì' introdotti miglioramenti, e non già a visitar ogni pozzo, ogui galleria, ogni scavo, che troppo ci voleva, io sono disceso al secon- do piano della miniera, nel quale olire i lavori d'eslraiiione ho con mol- ta attenzione visitato un nuovo e iiiiportanlissimo lavoro che si slava fa- cendo, diretto a mettere in comunicazione tutte le acque di quel piano, por il che si rendono praticabili alcuni antichi lavori che per l'inonda- zione erano siali abbandonati. Una di'Ue gallerie di questo piano mette ad altro pozzo mollo pro- fondo dello dello Scarper : questo pozzo è verticalmente sca\alo tutto nel masso del filone j se la vena cadesse essa pure peipendicolarmen- te, ninna conseguenza trar si potrebbe a favore di sua potenza dallo scavo perpendicolare del pozzo, ma siccome il filone d'Agord cade obbli- quaiueute alquanto, cosi bisogna argomentare di sua molta potenza dall'os- servare che uno scavo verticale d'un piofoudissimo pozzo non vale ad attraversai lo. 11 nostro viaggio sotterraneo fu disposto in maniera che noi ci siamo trovali in lui'aiupia cavità del piano di mezzo, cavità che con vocaliolo tratto dal tedesco, benché con alterala significazione, ivi chiamano zecche, vi ci siamo dico trovati al momento in cui elTctiuandosi il caugiamenta de'minatori fu bello a vedersi lo' scendere dalle scale del piano supe- riore i canopi destinili a riprendere il lavoro, mentre quelli che avea- no terminato l'opera sbucavano dalla bocca del pozxo inferiore : il tetro lume delle fiaccole, l' incerto luccicar delle piriti, il cigolio delle mac- chine, il cupo fragor delle mine, la veste nera, la faccia scarna, la tinta palhda di que' canopi desiano un certo senso di piacevole orrore, che invano si tenta emulare sulle scene nelle tragiche rappresentazioni di Semiramide, o Aniletto. Finalmente per il pozzo Napoleone io sono disceso alla massima pro- fondità dei lavori, cioè a metri itS, calcolandosi dalla prima corona del pozzo Pizzini, eh' è al giorno, cioè prossimamente 8t tesa, profondità ben ragguardevole, poiché questo lavoro arriva ad essere, men poche te- se, tanto prolondo quanto ò allo il nostro Monte-Rossoj sorpassa in pro- fondità due volle l'altezza di Monte-Merlo, e solo che si sprofondasse ancora 21 metro vi starebbe due volte sepolto il campanile di S. Mar- co compreso l'angelo. Ad onta però che tanto siasi sprofondato lo scavo, il lavoro si mantiene perfettamente asciutto, vantaggio che devesi prin- cipalmente attribuire all'essere tutto scavato nella massa del filone stesso, lOt clif^ per la sua compattezza ed omogeneità non permette la fchiazioae dill'acqtif. Il fondo di questo pozzo tocca lo scisto j ma questo scisto forma esso il letto di Ila miniera, ovvero non costituisce che un salto che ne interrompa il corso, come tanto di frequente si osserva nelle miniere, così che sa ripieua di nif'conlo, si ricercò se le feccie eziandio dell'adulto clie si raccolgono nell' iiuesiiuo cieco peueiriuo in quella. La quistione, se io non m' ing.inno, non fu disclolta ancora; poiché, tranne alcuno degli antichi, nessuno degli Anatomici più recenti assicura di avere trovate le feccie nell'appendice vermiforme, ed a pochi venne in capo se in essa possano fa.tsi slidda o no. Che anzi il njedesimo Morgagni, che tutte ranno le osservazioni de' vecclii scrittori, ci lasciò poi nello stesso buio, quando scrisse, che nell'appendice di un cadavere nihii erat faecutn, aut fere nihil, idque in principio si adcrat, e che in quella di altro soggetto vijc rainenta erant (i). E chiaro che il nihil o fere nihil, il dire si aderaC, e la particella 'vix non c'istruiscono bastante- niente. Ho creduto perciò che simile questione non potesse meglio de- ciferarsi, che osservando l'appendice vermiforme in tutti li soggetti che per uso della scuola di Anatomia si fossero sparati nel corso di molti mesi. Ho dato principio a questo osservazioni nel mese di novembre dell'anno 1806, e le ho continuate fino al corrente mese di maggio iSogj e senza aver tenuto alcun registro de' cadaveri che mi vennero alle mani, come usano quelli, che vogliono ingannare gli allocchi, posso assicurare di averne aperti moltissimi, ed in due solamente ritrovai qualche por- zione di materia fecale nell'appendice vermiforme, ch'era dilatala in modo straordinario, come apprcs;-o dirò. E siccome il più delle volte videro gli altri ciò, ch'io pure ho veduto, cioè, che quell'appendice è vuota d'ogni escremento, così cercandone (1) Epist. Auai. XtV, S 3-]. 109 taluno la r.1j,'ione immaf,Mnò, che ciò si debba alla panicolarc direziono con cui qiiell'apppndice si riv(Jge iu alto, ut nihil ingredi /lisi adscen- dfìtido possìt, come cony.niura il citalo nostro Morgaj^ni (i). Ma può lifleltersi che codesto rivolgimento allo in su del picciolo intestino non è costante, e che se pine lo fosse, la svariala positura del nostro corpo agevolar potrebbe assai frequentemente il passaggio delle feccie fluide dalla cavità del tubo intestinale in quell'appendice, se nulla più che la dlrezioue di questa lor si opponesse. E bea facile c!ie ognuno' di Voi si persuada, o Signori, che ucll'esa- nie non mai interrotto dell'intestino cieco in cos'i gran numero di ca- daveri, io abbia avuto il comodo di bene osservarlo. (Jia in tutte le mie osservazioni ho veduto una piccola valvola nel sacco dell' intestino cieco là dove con esso comunica l'appendice vermiforme; e questa, a mio cre- dere, impedisce alle feccie il libero passaggio di cui parlai, né quindi è più duopo di cercare altra cagione di quell'impedimento o altro mec- canismo che non sia costante e dimostrato. Siccome però io leggo nella grande Fisiologia di Haller che vali'u- lam aliqui videnmt (2) senza che aggiunga di averla veduta egli stesso, siccome il signor Caldani mio zio scrive, che in quel luogo species (juaedam vahulae preaest (5), siccome il chiarissimo anatomico si- gnor Soemmerring c'insegna, che raro vah-idosus aliquis apparatus in eo conspicitur {\); cos'i io non pretendo di proporre agli Anatomici una cosa nuovissima parlando ad essi di questa valvola. Se però quelle incerte espressioni e quelle rare osservazioni si confrontino con la co- pia de' cadaveri, ne' quali vidi la valvola, che ho accennato, sembrerà for- se a taluno ch'io abbia veduto la cosa un poco più degli altri, e forse anclie più che non vide il Bona;;zoli, le osservazioni del quale registrale ^ei Commentar] dell'Accadcruia di Bologna (Tom. II. P, I, pag. i/p) non corrispondono a ciò, che in seguito fu insegnato dagli Anatomici più recenti. Morgagni in fatti riferisce che in due soggetti presso l'aper- tura dell'appendice era un'insigne ruga (5), e Soemmerring, oltre la rara apparenza di valvola acccrnala poco prima, scrive che il processo ver- miforme plicam praefixain hahet. Potrebbesi dunque conchiudere che (i) Aarersar. Anat. IH. Animad. XIV. [l^i De corp. human, fahrica, Tom. VI, § 23|). (1) Elem. Physiol.Uh.XXlV,Scct. UI, J 3. (5; Luog. cit. Adycrs. Auatom. 111. (ì) Inslit. Anatont. Tom. IV, fì"^. 3o. I IO la ruga veduta due volle dal Morgagni sia appunto la valvola da me tro- vala in tuli' i cadaveri che ho esaminati, e che il celebre Soemmerring- aLLia distinto la valvola dalla piega ossia ruga. Nelle sei preparazioni che presento all'Accademia del cicco intestino, pria rigonfiato coll'aria, poi seccalo ed aperto nel lato destro, cbiara- menle si vede che dalla faccia posteriore del sacco ha la propria origine il processo vermiforme ad incerta distanza dal labbro inferiore della val- vola del Falloppio. L'orificio che conduce a quell'appendice in tutte queste preparazioni ha una valvola o piega membranosa, di figura se- railunare, il di cui lembo disposto a foggia d'arco è rivolto inferior- mente (i). Questa membrana nell'intestino cosi disseccalo è tesa per modo, che augustissima è la via per la quale dalla cavità dell' intestino cieco si passa a quella dell'appendice. Diversa però è la foraia di quella valvola nell'intestino recente, per- chè il lembo n'è rotondeggiarne a guisa appunto di una ruga (2) sic- come si osserva tal differenza nella valvola del Falloppio (3) allorché si confronti negl'intestini molli ed in quelli che furono disseccali j per lo che il grande Anatomico Albino parlando del modo migliore con cui devesi osservare quella valvola avvertì, che iiijlalo exsiccatoque intestino plurimum miitatur natura et confonnatio (4). Ed in fatti essendo questi piccola valvola una piega o ruga delle due interne membrane, promi- nente là dove l'appendice vermiforme nasce dall' iuiestiuo e fa un an- golo con questo, e poiché tolta la cavità dell' iiUesliuo è sparsa di altre piccole rughe, non solo è facile cosa ch'essa sfugga dall'occhio dell'os- servatore, ma è pur necessaria una particolare attenzione per ravvisarne la forma, la disposizione e direi anche l'ufficio, se prima non sia staio dilatato dall'aria quel sacco membranoso e seccato. E per tal ragione io credo, che l' illustre mio antecessore Morgagni iu due soli soggetti ve- desse l'orificio dell'appendice insigni quadam ruga in palpehrae supe- rioris modum facla et disposila ita ohductum, ut nihil oinnino sive Jlatus, sive eo delabentis materiae subire appendiculani posset: e per (i) Vedi la TaT. I. Fig. II. e. pio, come appare dai manoscritti di lui con- (a) Vedi la Tav. I. Fig. I. e. servati nella Biblioteea di Gottinga. Vedi BIu- (3) Cos'i ho il costume di chiamare (juella menbach, InstUut. Physiolog. Sect. XXXIII, valvola, che alenai vogliono essere stata sco- § 4'9- perla da Postio, da Bauino e da altri. L'o- (4) Acad. Annoiai. Lib. Ili, Gap. 2. Bore di tale scoperta devesi all' italiano Fallop- 1 1 1 tal ragione eziandio nplla figura dell' intestino cieco, cliVgli pubblicò nella terza parte de'suoi Avversar], vedesi il forame del processo -vernù- forme sprovveduto di ogni valvola o ruga. Siccome poi il chiarissimo Hiiller nella stia Fisiologia, là dove dice che vah'ulain aliqui viJerunt, cita L testimonianza del Weitbrecht nel volutne XII de'Gorameniaii dall'Accademia di Pietroburso, così ho eiu- dicalo che fosse conveniente di esaminare quel volume. Ivi tra varie os- servazioni anatomiche raccolte in una dissertazione dal Wilde ( e non già dal Weiibrecht ) una ve n'ha sopra la strana forma che presentò l'appendice dell'intestino cieco di un uomo, ed a quella osservazione aggiunse l'Autore un cattivo diseguo, nel quale accennò con la lettera B la valvola di cui favello, quantunque io non ne abbia incontrato al- cun cenno nella dissertazione. La stravagante struttura dell'appendice de- scritta dal Wilde fu dalla natura imitata in un altro soggetto, eh' io ebbi occasione di esaminare nello scorso anno 1808, e qui vi presento quel- l'intestino (i), acciò col confronto delle altre preparazioni la differenza si conosca della conformazione nelle parti. In questo uomo molto dila- talo è il principio dell'appendice o processo, cosicché rappresenta piut- tosto un sacco comunicante con l'intestino cicco e continuo con la ri- manente appendice, die ha il diametro ordinario. La valvola di cliI ho parlato finora, scorgesl nel confine che separa il sacco straordinario dal- l'appendice, cosicché il sacco medesimo si potrebbe considerare da ta- luno qual porzione dell' intestino cieco più che del processo vermiforme, e tanto più perchè in quel sacco medesimo si raccoglieva alcuna quan- tità di materie fecali. Nell'esempio riportato dal Wilde l'orificio dell'ap- pendice era angusto come si osserva orduiariameute ed era provveduto di una valvola, dilitavasi poi per qualche tratto, superato il quale, 11 processo o l'appendice riacquistava il consueto vulinne. Nò l'accennata variet.ì di struttura incontrasi soltanto in questa pani- cella j ma siccome in altre parti d -1 corpo umano, cos'i in questa par- ticolari differenze si trovano da colui che 1' esamina iu molti cadaveri. Tale è per esempio quella, eh' io feci delincare nella figura 4 della Tavola CXXIII delle Ico/ies Aiìatomicae, ch'avea ail'oiiglue sua .!ue piccole labbra, com'è la valvola del l'alloppio. Nella spiegazione di cpel- {i) Tav. II, flg. ,. I 12 la figura dissi cslium appendiculae vermiformis, in quo saepissime vah'ulam inverti, perchè all'occasioue che fu disegnala quella figura io uon avea tante osservazioni per dirne di più. In altro cadavere l'appeu- dice discendeva dall'intestino cieco che sembrava ristringersi a poco a poco a guisa d' imbuto, ed è facile di credere che nello sviluppo di queir iudividuo rimanendo l'appendice nella situazione che ha nel feto, le feccie abbiano sempre tenuta aperta la via di comunicazione tra le due cavità, laonde uon fa meraviglia che in quel cadavere mancasse la valvola di cui ho parlato finora, che l'appendice fosse dilatata, e che penetrassero in essa le feccie. Eccettuate però queste insolite deviazioni dall'ordinaria struttura, ho ritrovato la valvola o ruga in tuit'i cadaveri che ho esaminati, e parmi che con un tal corredo di osservazioni io abbia ragione di conchiudere che né le feccie, uè l'aria passa liberamen- te dall'intesliuo cieco alla vicina appendice, perchè premendo le feccie dall'alto al basso, si applica essa vie più all'apertura dell'appendice, e quindi la via di comunicazione tra le due cavità viene interrotta, come accade appunto alla valvola del colon che impedisce il passaggio degli escrementi dal medesimo intestino cieco al tenue che gli è vicino, per- che quegli escrementi nell'asccndere all'intestino colon esercitano una compressione sul labbro inferiore delia valvola, e chiudono così di per loro stessi la via per la quale potrebbero facilmente ritornare. S'intende eosi perchè neppure di aria trovò piena quest'appendice il Valsalva in tuia vergine, rimestino colon della quale a;flWe erat Jlatu distentum, e l'appendice fosse lunga otto dita trasverse (i), e perchè così raramente si sia trovato in quella un qualche vestigio di materia fecale. Se dunque dalle cose esposte, fin qui è dimostrato che il passaggio dell'aria e degli escrementi dalla cavità dell'intestino cieco a quella del- l'appendice è impedito da una valvola che trovasi in tuit' i cadaveri, ri- mane a determinarsi il fine per cui la natura aggiunse all'intestino co- lon quell'appendice. Non oso negare che Fabricio d'Acquapendente, lo Spigello, il Morgagni ed il Santorini abbiano osservato tm qualche lom- brico nell'appendice vermiforme ; ma non credo che si possa perciò conchiudcre, che in quella i lombrichi depongano le uova, e che in veruu altro luogo più iranquillaiueute crescano e si sviluppino. Confes- (i) Morgagni. Epist. anat. XTV, § 3. ' / li5 sa lo stesso Morgagni, ch'esitò molto ad abbracciare questa idea, al- lorché gli si aftacciò alla meute, perchè non poiea credeic che una parte di noi fosse stata destinata a comodo, dìrem cosi, de'vormi, da' quali so- no certi i danni, ignoto il vantaggio che dobbiamo attendere; puro rammentando egli le osservazioni di molti raediciNche rinvennero i lom- brichi in quell'appendice, e mosso dall'approvazion? che questa conget- tura ottenne dal Santorini, r.on solo gli piacque, ma gli parve anche confermata dai fatti (i). Io dubito però moltissimo che il dotto mio antecessore rinunciato arebbe a quel pensamento, ed altro uso arebbe attribuito a questa particella del corpo umano, se avesse rammentato che non v'ha in noi organo alcuno, in cui non siensi iuconlratl i ver- mi in maggiore o minor quantità^ che i lombrichi forarono più volte le pareti degl'intestini, che s'introdussero nel condotto escreiorio del pan- creas, -e che la struttura dell'appendice medesima ci dimostra essere ben altro l'ufficio a cui fu destinata. E certo in fatti, che gli escrementi versati nell'intestino cieco hanno perduto molta parte de' liquidi che seco recavano passando dallo stoma- co al tubo intestinale, e quindi è certo che divenuti densi e tenaci sono vie più atti ad Irritare con qualche Incomodo l'interna membrana del- l' intestino cicco. Che se vogliamo aggiungere che quegli escrementi deggiono traitcuersi per qualche tempo ucll' intestino medesimo, ci sarà forza di conchiudere che questo irritamento dee farsi maggiore. A to- gliere o a minorare quella molesta impressione non era forse bastante il muco che sgorga da tutta l' Interna superficie del sacco j e siccome io alire parti del corpo umano furono collocali certi fonti particolari di questo umore, perchè gli organi per il loro ufficio più ne abbisognano, così è fuor di dubbio che lo stesso dovesse aver luogo nell'intestino cicco. Polche adunque oltre i molti follicoli che sono alla base della lingua e sull'Interna superficie delia faringe, e nella membrana interna dell'uretra, il forame cieco nella lingua, le tonsille presso il palalo, la prostata ed altri corpi glandolosi presso l'uretra somministrano a norma de' bisogni, e quando gli stimoli sono maggiori, nuovo muco ed abbon- dante j un pari ufficio a me sembra che debba ascriversi all'appendice vermiforme che di muco provvede continuamente rimestino cieco. E (2) Ivi, j 4r. 1.4 per verità, olire che quella particella vedesl ordinariamente ne'cadaven ripiena di muco, le sorgenti di siffatto liquore facilmente si seuoprouo da chiunque ne contem^ili l'interna superficie. Tagliata l'appendice per lo lungo, apparisce sparsa di molli follicoli rilevati o piccioli globeiii, a ciascheduno de'quali corrisponde un fnillino detto poro dagli anato- mici, por cui il liquore separato dal follicolo è versato nella cavità del- l'appendice (i). In quel serbatojo si condensa esso vie più, e per l'ef- fetto del movimento peristaltico dell'appendice accresciuto dalla dimora delle feci noli' intestino cieco ribocca di tempo iu tempo quando n' è maggiore il bisogno, cioè, quando la contrazione dell'intestino maggior- iiienie agisce sugli esciemenli stagnanti. Né perciocché alcuni cadaveri eran privi di quell'appendice, o dessa era divenuta legainentosa potrà rivoraisi in dubbio l'ufficio indicato, o po- trà ciodcrsi che non sia essa necessaria al tubo intestinale (2). E pur nolo ad ognuno che non in tutti gl'individui è scavalo egualmenie il forame cicco della lingua, ed anzi in qualche cadavere neppure si scor- ge j ne perciò si può dire ch'esso non raccolga il moccio somministrato dalle glandolo profondamente collocate, e non lo versi sulla superficie della lingua medesima. Diviene talvolta seìrrosa una tonsilla, o è estir- pata dal chirurgo, e scirrosa si fa la prostata; né perciò si pensò da alcuno che .eale Isti- tuto, del co. Moscati, co. Straiico, dell'ab. prof Cesaris, del cav. Araldi, fu segretario dell' Istituto, del prof. Bruuacci, del prof GerLi di Pisa e di molti altri. Dopo la mia partenza da Milano, il sopra lodato co. Moscati si com- piacque di ripetere anch'egli da se gli stessi esperimenti, e furono te- stimoni fra gli altri il celebre astronomo co. ah. Oriani, il chiarissimo matematico Prony, il cav. Isimhardi e il sig. astronomo Carlini. In queste esperienze dunque si è tenuto conio del tempo, che un grave impiega a discendere verticalmente da varie altezze, ed i tempi, avuto il debito riguardo alla resistenza dell'aria, riuscirono cos'i conformi a quelli determinali dalla teorica, eh' io ebbi il non leggiero conforto di veder lutti i già lodati ragguardevoli soggetti pienamente soddisfatti, e persuasi dall'esattezza ed utilità di questo mio nuovo metodo di mi- surare le minutissime frazioni del tempo. E per dare uu saggio dell'esattezza e della precisione con cui è co- strutta questa macchina, e come i vari ingegni che la compongono si possano sempre acconciars nelle medesime circostanze, ho tenuto conto dei tempuscoli, che un grave impiegò a descrivere gli spa?j verticali di ij 4) 9 piedi di Parigi, e poscia nel d"i seguente, ripetuti i medesimi esperimenti, il pendolo segnò lo stesso e precisissimo numero di mi- nuti terzi e quarti del giorno prima in tulli e tre i casi, cosicché quan- tunque volte si ripeta uno sperimento la macchina è costantissima nelle sue indicazioni. Quelli, che conoscono con quale accuratezza e preci- sione debbano essere combinate le parti componenti questo strumento, e quali avvertenze convenga usare in tali esperienze, terranno in gran- dissimo pregio l'accennala conformità di effetti. Avendo io fatto da prima dividere il quadrante del minuti terzi ia parti disuguali, cioè colla leggo, che un grave osserva allorché discende per xm piano inclinato, e riuscendo assai difficile che un artefice possa eseguire esattamente una divisione in parti non eguali, non si potea ri- ?2y posare affatto tranquillamente sulla verità delle indicazioni del mio stru- mento. Per allontanare dunque ogni sospizione e timore di poca esat- tezza, ho fatto ora dividere il quadrante dei terzi iu parti eguali iu ma- niera da poter dedurre facilmente i tempuscoli dal numero di dette parti percorse dal pendolo. E buon per me che i quadranti che divisi furono in parti disuguali dal macchinista di questo I. R. Gabinetto di Fisica riuscirono tali da rimanerne pienamente contento, come In fine di que- sto mio lavoro dimostrerò. Ma un'altra importantissima correzione era eziandio da fare a questo mio oligocronometro, e che mi stava già a cuore fino dal primo mo- mento che ho preso a metterlo a prova, ed è la seguente. Siccome in questo strumento l'estremità acuminata del pendolo serve d' indice dei minuti terzi, e questa estremità rimane necessariamente dis- costa dal quadrante circa una mezza linea, cos'i nell'osservare, a meno che non si adopri un'estrema diligenza, avvertendo specialmente alla posizione del proprio occhio rispetto all' Indice, succede una parallasse, che può facilmente indurre iu errore sull'estimazione precisa del tem- po. Ho dunqne tolto anche questo inconveniente, ed il mio oligocrono- metro è ridotto a quel grado di precisione e di esattezza, che si possa mai desiderare. Ecco pertanto senza più in che consiste questo mio nuovo lavoro, che presento al pubblico : 1.° JVell'esposizione deiprincipj teorici su cui è fondala questa mia nuova maniera di tener conto delle menomissirae frazioni del tempo. 2.0 Nella descrizione della macchina e degli artifizj, che servono a a porla in moto ed arrestarla. 3.0 Finalmente nell' indicare il modo di adoperare questa mia mac- cbiua^ ed i varj usi della medesima. 100 PARTE PRIMA Nuove indagini onde viisurare le più minuta //azioni del tempo. Ho già detto altrove, clie liuscirono affatto inulill i vaij artlficj imma- ginati da più fisici, con cui tener conto delle meuomissime frazioni del tempo. Ora dirò, che pensando anch'io sopra lo stesso argomento, mi venne fatto di ottenere qncste desiderale minutissime frazioni del minuto secondo, mercè un pendolo a secondi, approfittando dell'arco ch'egli de- scrive nell'intera sua osclUazioue. Di fatto un pendolo a secondi mosso da una forza animatrice costante, e costrutto in modo che riescano pure costantemente eguali le resistenze, comunque piccole, che dee vincere nel suo moto, dovrà in tempi eguali compiere vibrazioni eguali. Dietro questo principio basterà dividere gli archi delle semlvibrazioni colla già nota le-'ge che osservano i gravi nella loro discesa per un piano incli- nato e saremmo certi che gli spazj successivi determinati coU'accennata leuoe, verranno descritti dal pendolo in tempi eguali. Ecco in qual maniera si può dividere l'acccanalo arco per la misura dei minuti terzi e quarti. Determinato, col metodo che indicherò a suo luogo, l'arco descritto dal pendolo nelle sue intere vibrazioni, si divida in 25 pani eguali l'ar- co della semivibrazione, che nel mio pendolo è di circa 4° Or poiché n il pendolo impiega 5o"' a descrivere la semivibrazione, impiegherà — ossia 6" a descrivere la prima 25.™» parte dell'arco accennato. Di fatto discendendo per un arco così piccolo, torna lo stesso come se discendesse per la rispettiva corda ^ e perciò il pendolo descriverà l'accennato piccolissimo arco con un moto uniformemente accelerato. E giacche il pendolo, passando dall'estremità dell'accennato archetto al coniigiio, non perde niente della sua velocità acquistata (sapendosi be- ne che l'ostacolo che incontra in questo caso, essendo eguale al seno verso di un angolo infinitamente piccolo, equivale ad un infinitamente piccolo del secondo ordine, e più precisamente a zero, come il d'Alein- hert l'ha dimostrato )j così passando da un punto all'altro della curva ì5i senza perder nulla di sua velocità, dovrà ne! successivo tempuscolo, eguale al primo, descrivere uuo spazio triplo del primo, eh' è quanto dire UDO spazio = — . Per la stessa ragione nel terzo tempuscolo descriverà — ^ del nomiua- 1 0 to arco,^-^ nel quarto, e finalmente '- nel quinto. Trattandosi di un ar- co maggiore si potrà dividere il tempo della semivJbrazione in sei tem- puscoli di 5 " l'uno. Ora, quantunque per le già note teoriche del molo dei corpi per pia- ni inclinati, il moto del pendolo sia inegualmente accelerato, mercecchè può supporsi che discenda per una porzione di poligono di Iati infini- tamente piccoli egualmente inclinati tra loro, ma inegualmeoie incliuati all'orizzonte ; tuttavolta trattandosi di archi piccolissimi, come ho accen- nato, essi vanno a confondersi colle respeltive sottese ; e perciò senza timore di error sensibile potrà supporsi il suo moto egualmente acce- lerato. Non basta. Questa pressoché incalcolabile differenza si può compen- sare in qualche maniera dividendo coH'accennata legge della discesa dei gravigli spazj di 6 in 6", e dividendo altresì gl'intervalli in parli res- pettivamente eguali. In questa maniera la divisione del mio oligocrono- metro ha l'impronta di tutto il rigore geometrico; al che può aggiun- gersi quest'altra ragione, che in un tempo sommamente piccolo il moto si può supporre uniforme, giacche da un terzo all'altro non vi ha luo- go a cangiamento sensibile. Mi piace inoltre di far riflettere ohe con questo mio metodo riescono eguali le divisioni prossime alla metà dell'intera oscillazione, ch'è quan- to a dire, per lutto quel piccolo tratto dell'arco, che fisicamente con- fondendosi colla retta orizzontale, fa che il moto del pendolo si possa tenere come uniforme senza tema di notabile errore. Si aggiunga che dividendo l'arco colla legge che veramente osserva un grave discenden- do per una curva circolare, i tre primi spazj descritti nei tre accennati tempuscoli di 6 " l'uno, si uniformano quasi rigorosamente con quelli determinati dal calcolo, ma nel quarto e nel quinto si riscontrano dolle differenze, che quantunque piccolissime, non sono da trascurarsi. Quiu- i:«2 di affinchè la misura di sì minute frazioni del tempo riesca possihllmen- te esatta, converrà dividere l'accennato arco nel modo che indicherò uei due seguenti articoli. Del modo di dividere l'arco della scmifibrazione del pendolo ad oggetto di ottenere la precisa misura dei minuti terzi e quarti. Si sa dalla meccanica che quando un corpo pesante si muove so- pra una curva data DBD' ( T. II, Fig. IV. ) la sua velocità o) in un punto qualunque A della sua trajettoria è detcrminata dalla seguente equazione in cui A rappresenta la velocità del mobile al punto di partenza, che suppongo esser £*, g la gravità, e z la ordinata verticale del punto A presa dal punto D e diretta nel senso della gravità. Il tempo che il mobile impiega a fare una vibrazione Intera, o a de- scrivere tutta la circonferenza della trajettoria dipende dalla natura di questa curva. Per determinarlo si chiami s l'arco DA compreso tra il punto della partenza del mobile e un punto qualunque di questa curva; sia h il tempo impiegato a descrivere questo arco, e ponendo — in luo- go di 1» nell'equazione precedente avremo : di^—^-L— . - Allorché l'equazione della trajettoria sarà data si potrà ottenere s in fun- zione di 5 o i in funzione di z, e sostituendo l'uno o l'altro di questi due valori in quello di dt., non rimarrà che da integrare questa formula per avere il tempo corrispondente ad un valore qualunque di 5 o di z. Applichiamo queste considerazioni generali al moto del pendolo sem- plice. Sia C il punto di sospensione, CB la verticale condotta da questo punto, DC la posizione iniziale del pendolo : supponiamo che in que- sta posizione venga comunicala, al punto materiale attaccato all'estremità del filo, una velocità normale alla sua lunghezza, e diretta nel piano verticale DCB: egli è evidente che il pendolo, durante il suo movimen- i35 to, nou uscirà da questo piano verticale, e che il punto materiale descri- verà un cerchio che avià C per centro, e la lunghezza CD del filo per raggio. Si chiana a questo raggio, «, l'angolo iniziale DCB; sia a— e l'angolo DCJ, che corrisponde all'arco DJ descritto nel tempo qualunque t, ov- vero sia e l'angolo variahile JCB, compreso fra il pendolo e la verti- cale, il qual angolo diventerà negativo quando il pendolo avrà oltrepas- sata questa linea: sia finalmente h l'altezza dovuta alla velocità iniziale. Couducendo dai punii D,A le normali/?/?,//^ alla verticale C^ avremo; A' = :igh s = DA — a [a — e) ds ~ — ade z=pq =■ Cq — Cp = a cos. o — a cos. a Sostituendo questi valori nell'equazione ds dt ■^-_ avremo dt^ — ^ "ìlìffi-^icosO — a tos.a) Ora se si supponga la velocità iniziale uguale a zero, cioè se si pfen« da il principio di una vibrazione per origine del moto, avremo A = o. Di più se si supponga che il pendolo si allontani pochissimo tanto da uoa parte che dall'altra della verticale, ne siegue che gli angoli a, e e saranno parimente piccolissimi, per lo che trascurando le quarte potenze a' 6'^ . ,. , SI avrà cos. a=: i ,ecos. e=i i quali valori sostituiti in dt ci «2 2 de danno: dt = — !/ - . ■ ed integrando S Va' — e^' ^ si ottiene f = C -+- K' - -A. cos. 1 . S <* All'origine del moto si ha ad un tempo f = o, e^=:ae perciò C = o; sopprimendo dunque la costante, e risolvendo l'equazione relativamente a 0 sì ottiene e» =; a cos. t V H . \ Questo valore di e racchiude la legge del moto del pendolo. E qui fatto DCAz^x avremo «, — 0=^ x, —^ z=cos.tv^ ~ e perciò i34 X = tt ( I — COS. f V è\ dalla quale sì ha l'angolo espresso per lo tempo. Se si volesse l'arco converrebbe moltiplicare il valore precedente di x per a. Afllnchè il pendolo descriva un' intera oscillazione in i' conviene cLe quando f = i'' sia oc = 2a, e perciò dovrà essere K - = 180°. Avremo dunque a? = a ( t — cos. 180°^) essendo t un numero di se- condi. Cbe se vogliasi t espresso in terzi sarà a?= a( i — cos. 180° — ) da cui si ottiene ar =01.(1 — cos. 5"^) f esprimendo terzi. E siccome i^cos. = scn. V, cosi la nostra equazione si ridurrà alla seguente a? =^ a sen. v. 3° t, ovvero all'altra a;' = a,'sen. v. 3° t, intendendo che a.' rappresenti l'arco corrispondente all'ang. a. Ora, supponendo l'arco della semivibrazione diviso in looo parti egua- li, facendo cioè a' = 1000, e t successivamente = 0,5 I 1,5 2 2,5 3 3 , 5 29 , 5 3o si ottenà la seguente tavola, dalla quale si conosce con somma faci- lità a quali frazioni dell' arco, che il pendolo descrive nella senilvibra- zione, corrispondano i tempuscoli segnati nella prima colonna della ta- vola. i55 TAVOLA Ili Millesimi 0,0 .... 00,0 o,S . . 00,0 1,0 , . 00,1 1,5 . . 00,3 3,0 . . 00,6 a,S . ■ o^'^jO 3,0 . 01,3 3,5 . • o>,7 4.0 . • 02,a 4,5 . . 03,8 5.0 . • e3,4 5,3 . • 04,' 6,0 . • "4,9 6,5 . ■ °5,7 7.0 • - o^»7 7,5 . • o7,ff 8,0 . • 08,7 8,5 . ■ 09,8 9.0 • • «0,9 9/' ■ . 13,1 10,0 . • 13,4 7 0,5 . ■ >4,7 ii,o . . .6,1 11,5 . ,7,6 13,0 . • 19.1 13,5 . * 20,7 i3,o . 23,J i3,5 . 34,0 14,0 . • =5,7 i4>5 . • =7,5 i5,o . i5,5 . 3, ,3 j6,o . . 33.1 .6,5 . 35,1 17,0 . • 37,» 17,5 . - 39,1 i8,() . • 4',2 18,5 . 4^4 I9,n . . 45,5 19,5 . 47,8 30,0 . 5o,o 20,5 53,3 31,0 . 54,6 .21,5 . 57,0 33,0 . 59,3 33,5 . 6. ,7 a3,o . 64,3 33,5 . 60,0 34,0 . 69,1 34,5 . 7 i,G 25,0 . li.' a5.5 . 76,7 aC.o . 79,^ a6,5 . 81,8 37,0 . 84/f =7,5 . 87,0 28,0 . 89,6 3S,5 . 9',= 29,0 . 94.8 29,5 97,4 3c>,o . . 100,0 .x36 Dell'uso della sopra esposta tavola per la divisione del quadrante dei minuti terzi e quarti. Noa occorre già dividere realmente l'arco della semivibrazione in mille parti eguali, ma basterà dividerlo soltanto in ccuto parti. Nel calcolo si è tenuto conto di una cifra di più a fine cbe l'uliiraa dei centesimi riesca piìi esatta. Per distinguer poi colla stessa facilità i tempuscoli cor- rispondenti alle parli dell'arco maggiori della semivibrazione basterà ; primo, sottrarre la frazione 97,4 ( corrispondente al tempuscolo 29''', 5 ) dal 100,0 e la differenza 02,6 aggiunta a 100,0 darà 102,6 frazione corrispondente a 3o'',5: secondo, sottrarre 94i8 dal prossimo maggiore 97,4 e la differenza 02,6 aggiunta alla porzione • dell'arco 102,6 darà io5,2 spazio corrispondente al tempo 3i"', e così di seguito. Non è mestieri render ragione di questa operazione, giaccbè è per se manifesta. Con un tal metodo si otterrà la seguente tavola da cui si conoscerà facilmente il tempuscolo corrispondente a ciascun punto dell'arco descrit- to dal pendolo nella sua interra oscillazione. iZj TAVOLA Millesimi ^^^ Millesimi ^^^ °°>° ■ ■ ■ ■ 0,0 100,0 . .- ; : 3o,o ""'^ ■ ■ ■ • 0,5 ,03,6 .... 3o,5 °°'' • • . . 1,0 io5,a .... 3i,o ^°'^ • • ■■ 1,5 107,8 .... 3i,5 39,3 .... i5,o 5o. 110,4 .... 32,0 00,6 °°'9 • • • . =,5 ii3,ó .... 32,5 "'•^ ■ ■ . . 3,0 ,,5,0 .... 33,0 °''7 • ■ • , 3,5 1,8,3 .... 33,5 °='^ ■ • . . 4,0 ,20,8 .... 34,0 °,^'8 • • ■ ■ 4,5 ,23,3 .... 345 •^M .... 5,0 125,9 .... 35,0 "y .... 5,5 ,28,4 .... 35,5 °^'9 ■ . • ■ 6,0 i3o,9 .... 36,o °5,7 .... 6,5 ,33,4 .... 36,5 °'5>7 .... 7,0 ,35,8 .... 37,0 °l'^ .... 7,5 ,38,3 .... 3,,5 "8.7 • . . • 8,0 ,40,7 .... 3»,o ■^9.8 .... 8,5 ,43,0 .... 38,5 •0.9 .... 9,0 ,45,4 .... 39,0 \\'\ • • • • 9>5 147,7 .... 39,5 'M .... 10,0 ,5o,o .... 40,0 '4,7 .... 10,5 ,52,2 .... 40,5 'S,' .... i.,o ,54,5 .... 4,,a, '7>» .... 11,5 ,50,6 .... 4,,5 '9'' .... 12,0 ,58,8 .... 42,0 ^°'7 .... 12,5 160,9 .... 425 35.5 .... i3,o 162,8 .... 43,0 =•4.0 • • . . i3,5 ,64,9 .... 43,5 ^H .... t4,o ,66,9 .... 44,0 '7.5 .... .4,5 168,8 .... 44,5 170,7 .... 45,0 ^i'" ■ . • • «5,5 ,72,5 .... 45;5 33.1 .... .6,0 1,4,3 .... 46,0 , '• ■ • » • «6,5 176,0 .... 46,5 37.2 77,7 ■ - • . 4- ,5 ^9'' • • • . ■7,5 179,3 .... ^ ,, 4',^ .... ,8,0 itìo,9 .... 4a,o fj't ■ ■ ■ ■ 18,5 .82,4 .... 48,5 j^'^ .... 19,0 i83,9 .... 49,0 47,8 .... 19,5 185,3 . . . . 4qjf 20,0 ,86,6 .... 5o,o " .9 . . . . 5o,5 90,2 . . . . 5i,5 2.0 5^,3 .... 20,5 54.6 .... 21,0 189,' f?," .... 21,5 190,-. ...... 59,3 .... 22,0 ^ ,9, ,3 .... 5^_ °;'' ■ • • ■ ^^,5 ~ 192,4 52,5 ^4,2 .... 23,o 193,3 .... 53 o 6C,6 .... 23,5 ,9^,3 .... 5315 ^9'' .... 24,0 ,g5,, .... 54.0 7]fi . . . . 24,3 195,9 .... 5{;5 74,1 , . . . 2D,0 196,6 .... 55,0 76.7 .... 25,5 197,2 .... 55,5 79.3 .... 26,0 ,97,8 .... 56,o fj'8 .... 26,5 198,3 .... 5tì,S 84.4 .... 27,0 ,98,8 .... 57,0 87,0 .... 27,5 ,90,, .... 57,5 "9,6 .... 28,0 ,99,4 .... 5S,o 9^'2 ■ ■ . . a3,5 ,99,7 .... 5tì,5 91'° .... 39,0 199,9 .... 59,0 97,4 .... 29,5 ^ _ 200,0 .... 5,,_5 •00,0 .... 3o,o aoo,o .... Co,o 18 i38 Diviso dunque l'arco dell'intera vibrazione in 200 parli eguali, con- verrà segnare queste parti di cinque in cinque, o di dieci in dieci, co- minciando verbigrazia da dritta a sinistra sopra il quadrante XF ( T. I, Fig. I ) e poi di sotto si ripeterà la stessa indicazione di cinque in cin- que, o di dieci in dieci parti, incominciando da sinistra a destra per poter agevolmente riconoscere il numero dei terzi, tanto uell'audaia che nel ritorno del pendolo. PARTE SECO^s^DA Descrizione dell' Oligocronometro. La Fig. I (Tav. I ) rappresenta la macchina veduta di prospetto. AAA è uno stante di legno piantato sopra una base triangolare. A mag- gior fermezza dello stante, tre puntelli o contrafforti ricurvi addentano la base, e lo stante, come dimostra senza più la Fig. I, (T. II ) che rappresenta tutta la macchina. "~N E, E sono due cilindri di ottone fissi con vili nello stante di legno, e portano una solida lamina di ottone ah e d su cui è piantato il pen- dolo G H, e tutto il meccanismo, che serve a tenerlo in movimento. Una lamina di ottone e e e e ( Fig. II ) sostiene l'artificio con cui si pone in moto, e si arresta il pendolo. t t i I ( Fig. I ) è parimente una lamina di ottone mobile sovrapposta all'altra e e e e (Fig. 11) la quale porta un arco di ottone PQF. Nella Fig. I è delineata una parte del leste accennato artificio vedu- to di prospetto, e nella Fig. II è rappresentato tutto intero, ma veduto per di dietro. XY è il quadrante dei minuti terzi e quarti, e l'estremità ri' del pen- dolo serve d' indice. Le tre vili /// poste alla base triangolare ( Fig. I, T. II ) servono a livellare la macchina mediante il piombino, che ho preferito in questa circostanza al livello a bolla, per le ragioni che accennerò più sotto. Ora che, per farne conoscere la posizione, ho indicate rapidamente le parti componenti questo mio cronometro, passerò a descriverle panitamen- le, acciocché si conosca come son esse costrutte, e qual sia il loro uso. Del pendolo d del tneccanismo per cui si mantiene in moto. La lamina di ottone a b e d (Fig. I, T. I ) sostiene il movimento del pendolo comunemente noto. GcH è un pendolo composto, g G, H sono le sue due lenti. La lente H è munita di im micrometro r, onde ottenere i secondi esatti, avvicinandola od allontanandola dal centro di moto secondo il bisogno. Le menomissirne differenze si correggono anco mediante un secondo micrometro oud" è fornita la superior lente G. e è l'estremità anteriore dell'asse di moto, che si è costruito in mo- do che soffra possibilmente il minor attrito, e che non occorre indicare per la ragione eh' è cosa nota a tutti gli abili macchinisti. L'ancora, la ruota dello scappamento, il quadrante per 11 secondi col rispettivo indice si manifestano da se medesimi nella figura. BB è un piccolo tamburo entro cui vi ha una piccola susta, che serve, com'è già noto, al movimento del pendolo, unitamente a due pe- si, che vengono sostenuti da un sottil cordone di seta, che accavalcia la carrucola ee. La posizione dei detti due pesi scorgesl nella Fig. I, T. IL Dell'artifizio con cui si mette in moto e si arresta il pendolo. Vii Vii (Fig. I ) ed W (Fig. II) è una lamina di ottone, che tiensi attaccata alla posteriore eeee mediante quattro viti pppp, e che può andare su e giù, avvegnaché le viti possono scorrere anch'esse per dei canaletti. Alla detta lamina è fissato verticalmente con viti un bracciollno ri- curvo, che porta mediante due viti, Qtr l'arco di ottone PQ (Fig. I) e PF ( F'ig. II ) il quale serve ad arrestare, o a porre in libertà il pen- dolo. L'accennato arco ha la superficie convessa ricoperta di una sottil pelle bene stirata e fermata con due viti all'estremità PF,. JL qui dirò che il detto arco PF abbassandosi preme la vite oì' (Fig. II) che s'in- sinua nella madrevite C stabilmente fissa nel centro della lente II, ed arresta il pendolo in qualunque punto del suo moto, giacche l'arco PF h precisamente di un raggio eguale a quello, che descrive l'estremità della vite oi ' mediante il moto del pendolo. Una lamina irasversa di ottone A A A, fissala con \ite x all'alii'a ver- ticale e e e e, porta lutie le leve e le respetiive molle, che servono al movimento dell'arco PF. Ora indicherò in che consista l'artificio di sollevare e di abbassare colla maj^gior possibile celerità il detto arco. Nella Fig. Il è delineato questo meccanismo, e per niangioi- chiarezza supporremo che l'arco sia già abbassalo, e tenga il pendolo fermo in una dell'cslremilà dell'arco, che descrive col suo moto. Qui dunque si tratta di far conoscere prima in qual modo si sollevi rapidaiiieute l'arco T F, di poi come si abbassL La leva IGin gira intorno il suo asse di molo m, e colla sua estre- mila, tagliata obliquamente, s'insinua nell'angolo rientrante O della leva dCO, che gira intorno l'asse C. Questo asse è fissalo nella lamina po- steriore, la quale movendosi su e giìi solleva ed abbassa la leva dCO, giacché il suo asse di moto può scorrere per un canaletto C 6 scavato nella lamina slabile eeee. La leva IG se non fosse sostenuta dal puntello S caderebbe verso q rapidamente, giacché è spinta in giù dalle due molle di acciaro tn'h, che preme sopra di essa nel punto h, ed fu' a, che preme in direzione opposta di qua dell'asse di moto nel punto a. Questo puntello è posto per comodo dello sperimenlalore, come farò vedere a suo luogo ; del resto la leva IGm vien temila nella posizione, indicala dalla figura, dal- l'altra leva a squadra 3ff/L, che sollevala da un filo per l'estremità L va a toccare colla cavità v un risalto G per cui la sostiene, nel qual caso si abbassa il puntello S mediante una chiave iiu, e rimane nasco- sto in una cavila fatta a bella posta nella lamina ivasversa AAA. Ora, tosto che venga caglialo il filo, la leva 3fgL si abbassa rapida- mente mediante una nioWa jlz, c!ie preme sopra un picciolo lisallo z, e la leva IGm vien posta in libertà in modo, che coll'esuemità tagliala obliquamente solleva con rapidità, mediante la piccola leva dCO, l'arco PF, ed il pendolo rimane in lii)ertà sull'istante. Qui giova osservare che nell'atto che la leva dCO viene innalzata, preme culla sua esiremiià ricurva d contro la superficie del cilirrdreito b che gira intorno al suo asse, e perciò rcstremilà O si muove verso la de- stra in modo che rimane disimpegnato dall'esiremiià della magi^ior leva, e l'arco rimane libero in modo che si può abbassare sull'istante susseguente. MI "Vediamo ora come facilmeme si aLLassi quest'arco per arrestare il pendolo posto in molo. / è l'estremila di un cilludretto slalìilmenle fìsso nella laniiua moLile che porla l'arco. Questo cilindrctio scorre su e giù pel caualelto in tut- te le volle che s'iunulza o si abbassa la lamiua posierlore, cbe porta l'aico. Quando l'arco è abbassato per teuer fermo il pendolo, il cilia- d(ei!a l rimane discosto dall'csirciuità i della leva Ko'i, ma tosto clic si poue in libertà il pendolo, sollevando l'arco, il detto cilii:dretto si porla al couiatio dull'esiremilà i. Ora fjuesia leva Ko i è' tenuta nella pobizio- ne rappresentata dalla figura, meJiauie una seconda leva a squadra Nqh, che coU'estremo h preme contro un risalto poslo nel punto h della leva Ko'i. Uuu molla kns tende a muovere con forza verso l l'estremità i della leva, premendo sul punto s. E dunque chiaro che se una potenza abbassi l'esliemilà N della leva Nqh, l'altra Ko'i rimarrà in libertà, e premendo sul cilindretto l abbasserà l'arco, e fermerà il pciulolo sul- l'istante. Si avverta che nell'alto che si abbassa la lamina mobile per fermare il pendolo, una piccola molla arcuala fissata in a con vite pre- me fra C ed O la leva dCO, e la rlmetie in istalo di poter di nuovo sollevare 1' arco. D e una molla fissata con due viti nell'estremità della lamina mobile, e preme contro la stabile ecce acciocché rimangano scanibievolniente iu contatto. Le due viti T^ , V' poste alle due estremità della lamina mobile sor^o importantissime giacche regolano il moto di delta lamina, ed ecco come. La vite superiore preme sopì a il lato e e della lamina slabile, cosicché la mobile non può fare che quel movinienio che le vicn permesso dalla vite T^ il eh' e di sommo rilievo, giacché in altro modo potiebbe l'arco premere più o meno del bisogno la vite oi fissala nella lente del pen- dolo. La vile P'' inferiore rcijola l'alzamento della detta lamina iu modo che quando 11 cilindro l è in contallo con il braccio i della leva di depressione, si arresti il suo moto, urlando neh' iuferior lato e e della lamina fissa. Perchè poi lo strumento riesca più comodo ad un tempo, e più esat- to mi sono servito di un pendolo composto. E nel vero, usando di uà tal pendolo, si ha da vincere una miuor resistenza a metterlo repenii- nameule iu istato di quiete, giacche nel pendolo ACB ( Fig. V, T. II) i42 la forza da viucere è = B. BC — A. AC =^ h, cà. h dev'essere uni quantità positiva, se si vuole che A, oscillaodo il pendolo, non possa discendere. Ora per le noie teoriche del moto di oscillazione dei corpi d'iatoruo ad un punto fìsso, la distanza fra il centro di moto, e quello di osculazione del pendolo semplice isocrono sarà , ove ^ ^ B.BC—A.4C ' scorgesi che la lunghezza del pendolo semplice isocrono dipende dalla maggiore o minor ragione che hanno fra loro i pesi A, B , e le distan- ze AC , BC dei medesimi dal centro di moto. In questo modo si può ottenere un pendolo a secondi più comodo per la posizione dell'arco, che deve segnare i terzi, e da fermarsi poi facilissimo, giacche non si ha da vincere che una piccolissima resistenza : la qual cosa importa mol- tissimo acciocché non succeda il più piccolo sconcerto in uno strumento, iu cui richiedesi tanta esattezza e precisione. Chi volesse adoperare a tale oggetto un pendolo a secondi semplice, andrebbe incontro airi' inconvenienti che seguono. i.° Troverebbesi in necessità di vincere (ragguaglialo il resto) una forza molto maggiore onde arrestare il pendolo a qual si voglia istante del suo moto, e la macchina per conseguenza sarebbe soggetta ad urti troppo violenti, per cui essa, ancorché semplicissima, correrebbe a rischio non pure di sconcertarsi, ma di guastarsi ancora, e in brevissimo tempo. 2.0 L'abbandonar il pendolo sicché passi d' improvviso dalla quiete al moto, lo farebbe nei primi istanti, a motivo della sua lunghezza, oscil- lare incurvato, cosa che altererebbe l'uniformità e l'aggiustatezza delle vibrazioni. 3." Riuscirebbe finalmente incomodo a motivo che reuderebbesi ne- cessario il sospenderlo ad un sostegno tropp' alto per poter comoda- mente vedere le divisioni dei terzi. Questa mia maniera di misiu-are le più minute frazioni del secondo di tempo potrà essere ridotta al più alto grado di perfezione. Di fatto in luogo di un pendolo a secondi, si potrà costruirne uno a mezzi secondi, non già semplice, ma composto, a fine di ottenere i mezzi secondi con un pendolo un po' piìi lungo, giacche in rjuesto modo, restando eguale il resto, le divisioni dei terzi divengono non solo più esatte, ma ben anche più sensibili. Ora sia CB (Fig. VI, T. II) un pendolo composto, di cui C è il cen-. l4-> tio di sospensione, ed alle distanze CA, CB sono posti due pesi o lenii .4^ B- In uu tal pendolo, colla già nota foiiiiola A. AL + B. BC -^ si determinerà la posizione del ceuiio di oscillazione, il quale dovrà ca- dere in un punto fra A e B % chiaro dunque, che volendo ottenere i mezzi secondi dal pendolo CB dovrà il peso A essere collocalo ad una distanza dal centro di molo minore della nota lunghezza del pendolo semplice a mezzi secondi, e B ad una distanza maggiore. Ma siccome nel calcolo si suppone che la verga CB sia imuiaicriale ; così essendo essa necessariamente di un dato peso, si dovrà sostituire il suo peso iu luogo dfUa lente B, e si verrà ad ottenere il dcsideiato pendolo com- posto a mi-'zzi secondi con una sola lente, sostituendo nella furinola il peso della verga, e facendo BC eguale alla distanza del centro di oscil- lazione della verga dal punto C, che sarà facile determinare o col cal- colo o coll'esperienza. Un pendolo di tal sorta, oltreché potrà ridursi a soffcrire il minor possibile attrito intorno all'asse di molo, darà i mezzi secondi ed i quar- ti con rigore geometrico, e tutte altresì le frazioni intermedie, cioè i mezzi terzi, i quarti di terzo, e sino l'ottavo di terzo che corrispondono a So" ; iS"'^ ; 7,'^ 5 quanto prossime al vero che si vorrà. Si avverta che riuscendo questo pendolo più veloce del doppio, tanto più reudesi ne- cessario che l'ariiiicio di arrestarlo sia sommamente pronto. Dietro questi principj feci per appunto costruire il cronometro a mez- zi secondi, che ritrovasi in Milano nell'Osservatorio meieoroloaico del celebre professore Moscati, e con cui feci gli esj;erimenlì alla presenza dei sopra lodati rispettabili soggetti. Il dello pendolo si può fare a compensazione, ma trattandosi di uno strumento che non si dee porre iu molo che per pochi secondi, sarii sufficiente che il giorno, in cui si voirà porlo in opera, si rettifichi coi già conosciuti melodi, per assicurarsi che dà precisamente i secondi : co- sa che IO reputo necessaria da farsi anche nel caso che il pendolo sia a compensazione, e ciò per maggior esattezza e precisione, giacché si traila di uno strumento che dee segnare i minuti terzi e i quarti. i44 Del modo di determinare l'arco per la scala dei minuti terzi. CcstniUo il pendolo, e ildoito airuliinio grado di perfezione, non rimane che determinare i precisi limiti deirarco, ch'esso oscillando de- scrive. Ciò si ottiene facilmente col porlo in moto, e liducendolo col- l'acceunaio metodo in istato di dare i secondi esatti: indi mediante due indici moLili, che sull'arco medesimo XY ( Fig. I, T. I ) si fanno scor^ rere, cioè allontanare o avvicinare tra loro, se ne determina l'arco, come ognvmo può facilmente comprendere. Si potrà determinare l'ampiezza dell'arco anche col metodo dell'uL. Boscovich (i), ma quello, che testé ho accennato, è più facile e meno soggetto ad errore. Determinato rarco delle vibrazioni, non rimane che dividerlo nel so- praccennato modo. In tal maniera il mio pendolo darà i terzi, ed anco le frazioni del terzi con tutta quella maggior esattezza che mai da un fisico strumento si possa desiderare. Col mezzo de' suddetti due indici mobili potrassi anco esaminare se la ruota dello scappamento sia esaltamente divisa o no, del che con- verrà assicurarsi, acciocché le vibrazioni non vengano alterate uè in più né in meno. Del modo di rettificare il pendolo mediante il livello. Perchè poi trasportando la macchina da un luogo all'altro non suc- ceda alcuna alterazione nel moto del pendolo, converrà rettificarlo col porlo nella primiera posizione, e ciò si eseguisce nel modo seguente. Una volta che siasi posto il pendolo nel suo giusto ed esatto scappa- mento, convieu porre il piombino i ( Fig. I, T. II ) per diritto coli' in- dice m. E questo si ottiene facilmente, giacché l'estremità superiore del filo è sostenuta da una vite a, che ha un sufficiente moto orizzontale in tutte le direzioni, e che quando il piombino è al seguo desiderato, si ferma con una controvite. Occorrendo dunque di trasportare lo strumento, noa si avrà da far altro che rettificare il piombino mediante le tre viti/,/",/ della base triangolare. (i) R l'irli Joseph! Boscovich, opera pertiaeatia ad oplicain et astronoraiara, T. V, pag. 3i3, J IX. Del modo dì porro l'indice dei terzi allo zero del quadrante. Ogni volta cbe si vorrà fare un esperimento, converrà porre l' indice (Fig. I, T. I ) ri' del pendolo allo zero del quadrante dei terzi, il che si ottiene con una lamina di ottone ABE (Fig. Il, T. II ). La detta la- mina ha una scanalatura ^5 per cui si fa scorrere a mano, prendendola pel manico ET, lungo il lembo superiore dell'arco -Yi, e ricevendo l'estremità i nell'angolo rientrante C, lo colloca allo zero della divisio- ne a destra, senza ch'esca dal piano verticale in cui truovasi, cosa di somma importanza perchè le oscillazioni si facciano con tutta quella esattezza, che si ricerca. L'angolo rientrante C è formato in una lamina CD soprapposta alla prima ABE., e fermata con viti v, v. La lamina CD può scorrere sopra l'altra giacché le due viti v , ^> possono muo- versi per due canaletti. Ora si riduce questo piccolo strumento atto a porre facilmente l'estremità del pendolo allo zero della scala del terzi, facendolo descrivere un semicerchio intorno il punto 5, ed applicandolo in tal posizione all'arco XI in guisa che l'indice entri nell'angolo C , e fa- cendolo scorrere per la scanalatura sino che l'estremità A tocca il risalto che trovasi all'estremità Y dell'arco. Ciò fatto si ritiri o si porti innanzi la lamina CD sino a tanto che l'indice e precisamente allo zero, e po- scia si fermi colle viti la lamina CD. Fatto questo con somma diligen- za e con precisione la prima volta, si può in seguito porre l'indice allo zero dei terzi cogl'occhi chiusi, giacché facendo scorrere, come dis- si, la lamina per la scanalatura AB, quando A tocca il risalto saremo certi che l'indice corrisponde allo zero dei terzi. Collocato che sia l'indice allo zero, prima di levare la lamina ^5S si abbassa l'arco PF ( Fig. II, T. I ) prenunido con un dito l'estremità superiore V della lamina mobile, e l'indice rimarrà al sito in cui fu po- sto dalla lamina ABE. Avvertenze che dehhonsi avere perchè il pendolo descriva sempre lo stesso arco. Prima di tutto dirò, che le resistenze degli attriti e dell'aria sono af- fatto da trascurarsi in questo mio pendolo, che non deve oscillare che »9 i4<3 per pochi secondi. Di ciò ne assicura l'esperienza ; senza dire che que- ste resistenze vengono tolte dallo stesso modo con cui si dciermina l'ampiezza dell'arco. È da riflettersi inoltre che quantunque l'arco descritto da questo mio pendolo debba essere di una sufficiente ampiezza, a potervi segnare la divisione dei terzi j tuttavolta quando il detto arco rimanga entro certi limili, non vi ha differenza sensibile in confronto di un pendolo che descriva degli archi infinitamente piccoli. L'insigue inatematico Bezout ha calcolato questa differenza, e dalla formola in cui — è il seno verso dell'arco descritto in una semivibrazione fes- a ^ sondo il raggio = i ) dimostra che un pendolo della stessa lungliezza di quello a secondi, cui si facesse descrivere degli archi di 5.° da una p.irle e dall'aliia dulia verticale, senza computare gli allrlli, non ritar- derebbe per ogni minuto secondo clie del tempuscolo t= i" )( 0,0004757 :=; o", 00047^7 =o",ooo5, iu coufrouto di quello, che descrivesse degli archi infinitamente piccoli. Acciocché poi il pendolo segni lo stesso arco per quel piccolo nu- mero di secondi che si vorrii far oscillare, si avranno le seguenti av- vertenze. Prima di lutto converrà tener difesa dalla polvere e dalla continua impressioD dell'aria nata la macchina, e volendosi fare l'esperienze all'aria libera, il pendolo non dovrà sentirne la viva e varia impressione. A tale occetto si dovrà chiudere tutta la macchina, tranne l'estremità della leva che serve al molo del pendolo, in una custodia con crisialli. La puleggia scanalala intorno cui sta avvolto il cordoncino di seta, aver dee la sua gola precisamente circolare. 11 filo poi di seta, che por- la i pesi, dovrà essere applicalo in modo che nello svolgersi rimanga sempre egualmente distante dall'asse della puleggia. Di più converrà che il detto Uhi o cordoncino sia di un cgual diametro per tutta la sua lun- ghezza, e non si possa accavalciare. E poiché a mano a mano che il peso r (Fig. I, T. Il) discende, il cordoncino dal suo lato si allunga, e dal lalo del minor peso 5 si ac- corcia, il che taalo altera l'azione della forza animatrice quanto è il pe- so, quauiunque mìniino, del filo aggiunto al peso r inoliiplicato per duej così per avere un compenso, e perche la forza motrice che risulta dall'azione del peso r non si alievi uè punto ne poco, converrà al mi- nor peso s attaccare un cordoncino eguale a quello, che sostiene 1 due pesi: così l'aumento di peso rimarrà eguale da entrambi i lati, e la for- za animatrice rimarrà costante in qualunque punto ritrovisi il peso r. Finalmente i pesi r, s consistono in due cilindri di ottone voti, mu- niti del loro coperchio a vite, e contenenti dei piccoli pallini di piombo ad oggetto di aumentare o diminuire la forza animatrice, e regolare le oscillazioni in modo, che il moto del pendolo si mantenga fra i pre- scritti lìmiti. A conoscer poi senza equivoco se il pendolo siasi fermato verso il fine dell'andata, o sul principio del ritorno, basterà tener dietro coU'oc- chio all'andamento dell'indice dei terzi; tanto più che lo sperimentatore non avrà bisogno d' impiegarvi la sua attenzione che per li soli due o tre ultimi secondi. Tuttavolta, chi non volesse aver uemmen questa briga, basterà che noti la corrispondenza tra le due sfere, cioè tra quella dei secondi e quella dei terzi; e fatta un po' di pratica, non potrà giammai ingannarsi sul computo dei minuti secondi e terzi (i). La cosa riuscirà ancor piìi facile e piana, se lo scappamento in luogo di essere libero, sarà, come si dice, a riposo. Dell'artificio con cui si corregge il difetto della parallasse nelV osservare i minuti terzi. Siccome l'estremità acuminata del pendolo serve d'indice al quadran- te dei minuti terzi, e movendosi esso in un piano parallelo al detto met. quadrante, ma discosto di circa o , 002 così nell' osservare il numero dei terzi al momento che l' indice è fermo, se lo sperimentatore non usa molta diligenza, succede una parallasse, che potrebbe facilmente indurre in errore sull'estimazione del numero preciso dei minuti terzi e quarti; così per togliere questo inconveniente col mezzo di una vite Z ( Fig. I, (ij Per assicurarsi senza equivoco allorché il termine deirarco basta porre Tiadice di rincon- peodolo si ferma viciois^iino al priacipìo od al tro a (jueU'cslrciuitìt ìd cui fermasi il pendolq: i48 T. I ) fo camminare parallelo a se stesso l'arco X¥ finctè giunga in conlalto, coir indice. E lanio facile questo meccanismo, ed è cosi noto, che non occorre che mi prenda il pensiero di descriverlo. Si può torre l'inconveuienie dulia parallasse anco facendo scorrere pel lembo inferiore del quadrante un contro indice portante due fili ■tra loro paralleli egualmeuie che al quadrante, e facendo cadere nel mezzo ai detti fili la punta i dell' indice al momento dell'osservare. PARTE TERZA Del modo di porre in opra l' oligocronometro, e dei varj suoi usi. Ad oggetto di far conoscere ad un tempo e l'uso di questo mio strumento, e l'esattezza e precisione con cui misura le più minute fra- zioni del tempo, incominciai ad applicarlo alle sperienze relative alla discesa libera e verticale dei gravi. Per eseguire questi esperimenti dovetti immaginare due artificj, il pri- mo de quali servisse a porre nello stesso istante in balia delia gravità e il pendolo e una sfera metallica sostenuta ad una determinata altezza; ed il secondo fosse atto ad arrestare il pendolo nell' istante che la sfera compie lo spazio determinato. La Fig. Ili ( T. I ) rappresenta il detto meccanismo veduto lateral- mente, e la Fig. IV lo rappresenta veduto di prospetto. JNclia Fig. V scorgesi delineato il secondo artificio. In primo luogo dunque farò conoscere in che eonsislano questi due artificj , ed appresso passerò a indicare il modo di eseguire gli esperi- menti i49 Del modo di lasciar cadere un grave nello stesso istante che il pendolo comincia a muoversi. GG (T. I, Fig. Ili e IV ) è come una staffa quach-a, che va infilata uell'asta dritta SSSS (T. II, Fig. 1 ) iu guisa cLe possa scorrere su e giù por essa, e fermarsi con vite Q dove si vuole. A questa staffa è stabilmente fìssato un pezzo di ottone SSS ( T. I, Fig. Ili ) di figura rettangola, clic porla uno stante PP dello stesso metallo, in tut!a la lunghezza del quale vi ha un canaletto per cui passa liLeramenie la vi- te maschio />/^. lìC è un braccetto cha può essere abbassato o solle- vato mediante la vite Df^^ che lo infila verso il suo estremo J{. AUes- tremltà C dello slesso braccetto è fermato con vite un pezzo CZ che porta la leva ACB, li è una lamina di ottone tenuta in contano coij ó.S'^ mediante le due viti P'D^ ed EE. La detta lamina poi porta uà emisfero cavo di ottone OIO. TV^ è una sfera di ottone la quale es- sendo foracchiata per l'asse S'I, mediante un filo di seta si fa entrare uella cavità emisferica OIO, e si attacca all'estremità B della leva ACB, e quando all'altra estremità A della leva è attaccalo il fiì\) di ferro ( che tiene la leva la quale serve a porre in molo il pendolo ) mediante la vite D si solleva di tanto il braccetto RC , e per conseguenza la leva ylCB , quanto basta perchè la detta sfera sia iu contatto colia superfi- cie interna dell'emisfero, ed i rispettivi fili sieno sufficientemente lesi. Allorché la sfera TT^ e collocata entro la cavità emisferica, la tangen- te orizzontale S F passa per l'estremità dell' indice F eh' è attaccato alla staffa QG. Mediante una scanalatura che vi è in SSS lo stante PP, e per conseguenza la sfera //^ possono essere allontanati od avvicinati al- l'indice F per la ragione che dirò più sotto, quando cioè indicherò il modo di fare l'esperienze, e sarà in 1 allora che i miei leggitori com- prenderanno pienamente l'uso di questo meccanismo. Della maniera con cui si arresta il pendolo nello stesso istante che un grave cadente compie un determinato spazio. La Fig. V (T. I ) rappresenta l'arlificio, che serve ad arrestare il pen- dolo mediante l'urto di uu grave cadente. Ecco in che consiste. AA'A' è una staffa quadra di ottone clie va infilata all'estremità infe- riore della già accennata asta diritta, e che può scorrer su e giù, e fer- marsi ove più piace mediante due viti V , V. XXXX è una lamina di ferro su cui è segnato in rosso un cerchiò Z. La detta lamina può girare intorno al suo asse di molo QQ- Alla superficie A' A' della staffa è fissalo con viti I , I un fulcro C intorno cui gira la leva D'CE. Una vigorosa molla rimo, fissata in n con vite, premendo in o abbassa l'estremo D'', ed eleva necessariamenie l'altro E. La vite B serve di regolatore, giacché la molla solleva il braccio CE della leva fino che urta nell'estremiià della vite B e nulla più. DD' è un bracciolino parimente di ferro perpendicolare alla superfi- cie XXXX e fissalo con viti dalla figura chiaramente indicale. L'estre- mità superiore D ha un risaJlo col quale tiene la leva D'CE parallela al lato A' A' nel seguente modo. Si pone la lamina XXXX ad angolo reno col lato AA' della staffa, e si preme con la mano la leva in E sino che il risalto -O del bracciolino addenta la medesima leva. Ciò fat- to il piano XXXX rimane parallelo all'orizzonte venendo sostenuto dalla leva che rimane, come dissi, parallela al lato A A'. Essendo in tale stato le cose si attacca all'estremità D ' [\ filo che comunica colla leva destinata a fermare il pendolo. Ora è chiaro, che cadendo il grave, nell'atto medesimo che percuote il piano X.XXX vien posta in libertà la leva D'CE la quale venendo prontamente inclinata dalla molla n m o stira il filo, e chiude rapidamente il pendolo. Acciocché poi la lamina XXXX venga smossa colla maggior possibile prontezza e facilità, si è collocato al di sotto del piano un cursore MNS munito di ,un peso di piombo P che si porta di tanto vicino al punto N quanto basta, perchè ogni più piccolo urto faccia prontamente cadere il piano su cui urla il grave, che discende. Affinchè poi la sfera percuota il piano sempre nel medesimo punto, si attacca la delta sfera ad un lungo filo di seta, che passa per lo foro I ( Fig. Ili ) e facendola servire di piombino si esamina, abbassata che sia, se tocca il centro Z del cerchio colorato, e nel caso che non cor- rispondesse, si fa scorrere la lamina // innanzi o indietro, sinché lo tocchi, il che è di somma importanza come a suo luogo farò vedere. i5. Esperimenti. Vogliasi p. e. tener conio del tempo che un grave impiega a cadere liberamente da una delorniiGnia altezza: ecco come convien procedere. Si pianti nel mezzo di nna stanza o a canto di una delle pareli del- la medesima un'asta ritta iS3'i5'5 (Fig. I, T. II ) esattissimamente divisa in piedi e pollici di Parigi, od in metri, decimetri e centimetri, se cosi meglio piacesse. Ciò fallo si porti il pendolo accanto all'asta, come scorgcsi nella (ignra, e suppongasi che si voglia sapere quanto tempo impieghi un grave a discendere veriicalonente da un'altezza di g piedi parigini. Esperienza I. Si adatti l'artificio rappresentato dalla Fig. V (T. I ) alFasta ritta in maniera che il piano a? x , posto orizzontalmente, corrisponda allo zero della scala ; e si porga il meccanismo che sostiene il grave all'altra estre- mità dell'asta in guisa che l' indice y corrisponda al numero IX. In se- guilo si solleva la leva i g col puntello S (^\) (Fig. II, T. I), e si abbassa l'altra kh tenendola nella posizione, chiaramente indicata dalla figura, colla leva nqh nel modo di sopra accennato. Dopo tutto questo si pren- da una sfera di oilone o di altro metallo ( in tal sorta di esperimenti il platino è da preferirsi a tutti gli altri metalli ) e mediante nn filo di seta la si attacchi alla leva in b in modo che quando la leva è oriz- zontale, la sfera sia quasi al contallo coli' interna superficie deH'eniis.fero cavo. Poscia si prende un filo di acciaro la bene stiralo, un capo del quale si ferma all'estremità / della leva l(jg, e l'altro capo all'estremi- tà a' della leva a' b' . E/ siccome il filo' deve rimaner irso in modo che la leva /^g' sostenga l'al/ra ig, cos'i mediante la vite d' s'innalza la le- va' ab'' sino a tanto che il filo di acciaro la', e quello di sf^ta t" sie- no tesi cos'i che la sfera rimanga in coniano coli' interno della custodia emisferica, e la leva Iqg sostenga l'altra gi. È poi chiaro che la leva (i) Siccome il ptiniello S non si può vedere ritrovasi al momento di tagliare il do, cosi vo- DcUa Fig. J, T. II jiacclic questa figura rappre- leudo vedere la posizione del puntello S converta senta la macchina disegu.il» precisamente come sempre ricorrere alla T. I, Fig. I e li. l52 a' h" girando intorno il suo asse si piega verso il filo più teso sino à che riiuaugono tuttadue tesi egualmente. Terminalo tutto questo, si leva il puntello i^ ( T. I, Fig. I, e II ) e le leve, che servono a porre in li- Lerlà il pendolo, ed il grave sono i ordine. Si passi ora alle leve che servono ad arrestare il pendolo. Si attacchi il filo di acciaro nn alla le/a nqh, e l'altro d iX alla leva rf' e , e si congiungano tra loro mediante l'ingegno Q, il quale serve a tendere i due Gli, che rimangono in contallo colle dette due leve, in guisa che non possa l' inferior leva d e nìuoversl senza che couieniporaneamentc si muova anco la suprrldre. L'ingegno Q è rappresentato in grande dalla F^ig. Ili perchè se ne possa intendere più facilmente il meccanismo e l'uso, o o q q h un telajo di ottone: pp è un pezzo parimente di ottone le cui estremità p ,p ven- gono infilate dai due lati oq , oq del telajo, e può scorrere su e giù mediante la vite eei che s'insinua nella madrevite che truovasi nel mezzo di q q. Ai due uncini n,n si attaccano 1 fili di acciaro che si vogliono con- giungere. E quindi chiaro che girando in una direzione la vite e e il pezzo p p sì avvicina al lato oo, ed i fili si tendono, e girando in di- rezione opposta succede tutto al rovescio. Finalmente si pone il pendolo allo zero della scala dei terzi a destra o a sinistra, come più piace. Lo strumento ATB ( Fig. II ) serve per collocarlo dalla parte destra, ma se si faccia in D un angolo rientran- te si potrà far servire per tutti e due i casi, se mai cos'i piacesse allo esperimeutatore. Posto che sia allo zero il si arresta coll'ahLassare l'ar- co premendo leggermente con un dito la vite ii superiore. Dopo tutto questo lo strumento è all'ordine, ed altro non rimane che tagliare il filo di seta i. Tagliato con una forhice il filo di seta in mo- do che alla sfera ne rimanga attaccata la minor possibile quantità, il pendolo comincia ad oscillare, e nell'alto che la sfera urta il piano x x in z la leva ci e rimane in libertà, ed il pendolo si arresta sull' istante. Mediante la vite s si avvicina il quadrante x j all'indice, e nel nostro caso si trova che il tempo impiegato dal grave a descrivere g piedi è = o" 46" iS". Il tempo per le note teoriche è =0" 46 5", e la differenza tra il tempo della sperienza e quello della teorica non è che di soli 12 " = ■i55 Esperienza II. Con questa seconda esperieuza vuoisi tener conto del tempo, che la stessa sfera impiega a discendere daU'aliezza di quattro piedi di Parigi. Si levi il filo a"l di cui se ne terrà conto, giacché può servire per tutte le volte che si vorrà ripetere l'antecedente esperimento, e si abhassi la staffa g'g'g'g' sino che l' indice / giugne alla divisione IV. Si unisca- no le due leve a" b" , Iqg con un secondo filo di acciaro, e si monti il pendolo come ho accennato di sopra. E per assicurarsi che la sfera anche in questo caso cade precisamente sul punto z', prima di fare l'esperienza, si abbassi la sfera a guisa di piombino, e poi mediante la vite e", come sopra ho detto si fa che vi corrisponda esattamente, caso che si trovasse fuori di luogo. Si l'accia l'esperimento come sopra, e si troverà che il tempo in questo secondo caso sarà =^o" 3i"'5o" e le teoriche per la caduta di 4 piedi danno uà tempo ~ 0'' 3o"' 53" e la differenza è = 47" = Z circa di terzo, 4 Esperienza III. Che se si eleverà l'Indice e la sfera fino all'altezza di 16 piedi, la macchiua darà il tempo = i" 3'" 45", e la teorica dà il tempo J i i" 45" j e la differenza = 2'". Finalmente volendo tener conto dei tempi impiegati da un grave a descrivere degli spazj maggiori della lunghezza dell'asta dritta SSSS, con. verrà levare la staffa GGGG dall'asta e fermarla con vite ad un braccio di ferro da fissarsi in una parete in modo che il detto braccio riman- ga orizzontale e disfante dal piano a,' x' di quel numero di piedi o di metri che piacerà, deleminaudoue la precisa distauza coi metodi già conosciuti. 20 i54 Considerazioni sopra gli accennati esperimenti. Se si coufrontino i tempi indicati dal mio cronometro con quelli de- terminati dal calcolo in ciascuno dei sopraccennali esperimenti, si tro- verà una corrispondenza tale da rimanerne sorpresi j giacché non so se da un fisico strumento si po:;sauo ottenere dei risulian.emi più esatti e alle teoriche piìi conformi. E per dare una pruova ancora più solenne della somma utilità di questa mia macchina dirò che tenendo conto dei tempuscoli impiegali da un grave a descrivere verticalmente gli spazj di pollici 6, 7, 8, 9 e così di pollice in pollice fino a g piedi, si rinvenne una peifeilissima conispondenza fra i tempi indicali dalla spcrienza e quelli determinali dal calcolo, avuto però il debito riguardo alle meno- missime resistenze deiraria. DI alcune av^'ertenze che devonsi usare acciocché questa macchina dia sempre lo stesso e preciso risultamento. Questa macchina è poi così semplice, e tanto bene combinate sono tut- te le parti che servono a porla in moto ed arrestarla, che per quante volte si ripeta lo stesso esperimento uou solo successivamente, ma an- co dopo varii giorni, si ottengono sempre i medesimi effetti. In questa parte ha certamente vm grandissimo merito il valente R. macchinista Tessarolo clie seppe cosi bene eseguire questa mia nuova macchina. Siccome ad ottenere l'accennata uniformità di effeiii non basta che^ la macchina sia bene immaginata ed eseguita, ma di più rendesi neces- sario che sia maneggiata con particolari avvertente ; cosi reputo cosa necessaria il dare qui alcuni avvertimenti a lume di quelli, che vorran- no fare dell'esperienze col mio oligocronometro. Dapoichè dunque si sarà allestito quanto occorre per fare l'esperi- mento, prima di tagliare il filo converrà esaminare: I. Glie il filo di acciaro la' sia teso in modo che la sfera s sia iti contatto coir interna superficie della custodia emisferica, e che la leva lag tocchi il risalto g della leva gi sempre nel medesimo punto. Scu- sa «[ucsta avvenenzii la macchina potrebbe indurci in errore per due jagioui; J. perchè quando la sfera non è in contatto col punto più i55 elevato della custodia^ Ja tangente &f r.on si confondo più colla linea IX, ma passa di sotto, e perciò la sfera cade da un'altezza minore del- la contemplata : 2. se il contatto fra le duo leve accennale si faccia ìrx un punto più vicino o più discosto dall'angolo, per cui scappa la leva gi, ci sarà una differenza nella mossa del pendolo, e qon si otterranno due esperimenti conformi. ^ II. Converrà assicurarsi che i fili nn, d' d' sieno tesi in modo die tentando di sollevare l'ingegno Q non possa muoversi uè verso n nò verso d' , giacché se i detti fili non sono tesi, ed in perfetto contatto nei due punti estremi, nell'atto dell'esperienza, l'estremità d' della leva d' e, impiegherà il primo tempuscolo a stirare i fili, ed il pendolo si si fermerà più tardi che non dovrebbe. III. Sarà necessario avvertire che il piano x x' rimanga orizzontale in ogni esperimento, giacche se sarà inclinato, il punto z si abbasserà, lo spazio che descriverà la sfera riuscirà maggiore dello stabilito, e l' in- dicazione del tempo sarà erronea, perchè la si riferirà ad imo spazio diverso da quello, che la sfera realmente ha percorso. IV. Nel ti'gliare il filo converrà tenere la forbice in contatto colla lamina SS acciocché in ogni esperimento rimanga attaccala alla sfera la stessa quantità di filo. Converrà di piìi avvertire che il nodo inferio- re del filo non esca dalla sfera. V. .Rendcsi sommamente necessario che la leva Ko l ( Fig. II, T. I), posto che sia in moto il pendolo, rimanga precisamente in contatto col cilindretto l ; altrimenti il tempo impiegalo dalla detta leva a descrive- re lo spazio {'/ è perduto per l'esperienza, e la fermata non sarà con- temporanea all'urto della sfera contro il piano x x' . VI. Riprendendo gli esperimeail dopo qualche tempo che la mac- china è rimasta inoperosa, la prima cosa da faro sarà di assicurarsi che il pendolo, oscillando, descriva l'arco già stabilito. VII. Quantunque la lunghezza del filo à' L non influisca, almeno en* tro certi limili, a ritardare la mossa del pendolo ; tuttavolta per togliere anche questo scrupolo, volendo adoperare questo mio strumento per tener conto dei tempi impiegati da un grave a discendere liberamente da altezze maggiori di 32 piedi, si collocherà la macchina nel mezzo dello spazio, determinato in modo che la lunghezza del filo a' l riesca eguale a un di presso a quella di n d'. la questo caso vi sarà un .156 • compenso, e la qualunque perdita di tempo non influirà per niente sulla precisione, ed esattezza delle sperienze. Ho detto che la lunghezza del filo iC l non influisce, almeno entro certi limili, a ritardare la mossa i^el pendolo, per la ragione che ho l'appoggio delle seguenti esperienze. Esperienza I. Ho fatto cadere un grave dall'altezza di quattro piedi, facendo che la lunt-hczza del filo a" L riuscisse di uu piede ed ho tenuto conto del tempo, che fu, come ho detto, di o" 3i " So". Esperienza II. Ho ripetuto lo stesso esperimento combinando le cose in modo, che il filo a" l fosse lungo 32 piedi, ed il tempo anche in questo secondo caso fu ^= o" 3i" 3o". Dunque dopo tali esperimenti siamo certi che la lunghezza del detto filo,, almeno entro certi limiti, non influisce sull'esattezza dei tempusco- li misurati dal mio oligucronoraetro. Dopo tutto questo confido che il mio strumento verrà bene accollo dal fisici e dai matematici j giacche \ion so che si conosca altra mac- china che dia con maggior piecisione la misura di cosi minute frazioni del tempo. / i57 Tisi dell' oligocronometro^ o'- I più saggi fisici difficluuo di tulle le icoricLe astrane, che rigiiaida- no il moto dei fluidi, J gli stessi geometil più insigni confessano, clic quei melodi stessi a cui siamo debitori di così sorprnudenii progressi nella meccanica dei solidi, non ci danno in questo proposito se nou conclusioni assai generali, e nella maggior parie dei casi particolari del tutto incorte. Per la qiial cosa non debbono i fisici e i matematici oc- cuparsi intorno alle teoriche idrauliche se non sino a quel limite , in cui vanno esse d'accordo coi falli, e sembrano necessarie per riunire i fatti stessi sotto un sol punto di vista. Ma per assicurarsi se la teo- rica si accorda o no coi falli è necessario d'esser forniti di tutti quei mezzi, che giovano ad eseguire l'esperienze colla maggior precisione ed esattezza possibde. Dovranno dunque 1 fisici rivolgere una gran parte dei loro studj al perfezionamento degli slrumenii, giacché esperimenti esatti suppongono esalti strumenti. Ora questo mio oligocronometro si potrà adoperare con profitto ne- gli sperimenti relniivi alle resisii'nzo dei fluidi, e si poiri» del pari scor- gere le uliime differenze fra le teoriche e gli esperimenti in tulli quei ca- si nei quali entri l'elemento del te:npo. Le le""i della discesa dei gravi non abbisognano dì essere confer- male dall'esperienza, rna non sarà iuuide il determinare con precisione la differenza che passa tra il moto verticale/ di un corpo per un dato spazio voto di aria e quello d'Ilo slesso corpo per un eguale spazio non privo di aria. Questa differenza non fu per auco, ch'io mi sappia, da nessuno determinata con la debita precisione. Ho di già comincialo una serie di esperimenii sulle resistenze che l'aria oppone ai corpi che cadono verlicahnente^ ho fatto cadere dalle altezze di i, 4, 9, 16 piedi delle sfere dello stesso diametro, ma non eguali in densità ed ho tenuto conto dei tempuscoli impiegali in cia- scuna discesa. Voi dunque vedete, che dalle differenze di tali tempu- scoli potremo dedurre le diverse resistenze, che soffrono le accennate sfere, ed in una parola si potranno rettificare tutte le sperienze relativo alle resistenze dei mezzi intraprese già dal Neulon, dal Desaguiliers, e da alui parecchi. , i58 Si potrà non meno deicrmlnare con maggior precisione l'influenza della velocità nelle resistenze degli attriti, e parimente rettificare le spe- rienze sulla velocità del suono giacché quella determinata dalla teorica risulta sensibilmente piìi piccola di quella che si ottiene dall'esperienza. Queste, e moltissime altre esperienze di somma importanza si potran- no ripetere e rettificare mediante questo mio pendolo a minuti terzi, e che tralascio di venir più oltre indicando, perciocché ai dotti fisici e matematici sono già note, o da loro immaginar si potranno, ove sap- piano di avere l'aiuto di un fedele oligocronometro. Quanto è a me, non mancherò certamente di dar mano ad una serie di espeiimcnti, che conducano a meglio conoscere alcuni effetti del moto dei corpi, e mi studierò, per quanto il comporta la mia tenuità, di raggiungere, in tal sorta di esperimenti, quella precisione, e quella esattezza che pur si richiede in un tempo in cui le scienze fisiche, e matematiche hanno fatto tanti e si stupendi progressi. ta e or- ■ e ■tri- tio ! a ua- da an- '& = o n », o5 w,/. ~ì Tm jmi£,/fifi£. dei. Sidi' ^f^uiL ^J K / ta e or- ■ e ra- tio ! a ua- da in- = o n oi Tav 11. TivJr d" ^ -Iv ^^ Tnr Tiir ^tnr "^^ l'i^.ir. Fii/.in. iSg METAFISICA DELLE EQUAZIONI MEMORIA DEL CONTE ABATE PIETRO COSSALI LETTA nell'ateneo DI PADOVA l'anNO MDCCCXIH. / I PARTE I ARTICOLO I Sul t'ero senso delle molte radici in una equazione — sulla nascita e genuina significazione delle radici immaginarie — sulle originali e rette regole della moltiplicazione loro — sui misterj piìi recenti intor- no ad essa — sui paradossi della famosa Alemhertiana equazione — e sulle assurdità sopra della medesima dal Nicolai fabbricate. I. J_Ji prir § I. J_Ji primi algebristi italiani intendevano per equazione uu com- plesso di termini comprendenti una quantità sconosciuta uguale ad altro simile complesso, più una quantità determinata e nota, o solamente a questa: ciò che noi diremmo una funzione di quantità sconosciuta ugua- le ad altra funzione, od a quantità data. Presentemente, trasportando da una sola parte tutti i termini, diciamo equazione una funzione di quan- tità sconosciiua uguaj^liata a zero, e la sua formola generale si ò a?" -H Jx"--^ 4- Bx''-- -i- Cx"-^ + Mr«-4 -{- P x -\- Q = o e si dimostra, che una tale equazione si è il prodotto di numero n equazioni sempiici x — a=o, ar — b ^= o , oc — c=^ o oc — ?«:=o. Ma qui una ricerca si affaccia, cioè se queste componenti equazioni si debbano, o si possano cousiderar vere nello slesso tempo, o noi 'i6o Bisogna pertanto distinguere tre casi. Il primo si è allorché a,T?, e .. . , VI sono tulle quautità uguali, ed in tal caso siccome le delie equazioni conipouenii sono tulle le slesse, e moltiplicale insieme danno le poten- ze x" , ar"-', a?"-' di x, cosi si possono tutte insieme considerar ve- re. Ma va Lene diversamente la cosa, se a, b, e... m sicno valori diffe- renti. Fa d'uopo osservare, che a cagione della diversità ÒÀ a, b, e . . ■ .m diversi sarebbero pure nelle equazioni semplici ve — fl = o, a? — b = o, X — e ^^ o . . . ,x — m =o i valori di x, e perciò moltiplicando insieme esse equazioni, sarebbe impossibile, che ne risultassero le podestà x" , cr""', ar"-*. ...se- s'intendesse che tutte le equazioni si verificassero ad un tempo, ossia, che x ad un tempo medesimo rappresentasse le di- verse quantità a, ù, e ....m. La cosa deve concepirsi cosi: cioè che Ogni equazione semplice possa verificarsi in tempo diverso, e che ncl- l'atlc, che una di esse, per esempio la prima x — a =r o si verifica, rappresetMando x la quantità a, le alire tutte iu luogo dell'essere di equazioni ricevano l'essere di mere funzioni, rappresentando in tutte x la quantità a, e convertendosi conseguentemente In a — b, a — e, a — J, . . . . a — m. Lasciandovi però le lettere x si avrà per l'istante, iu cui si con- cepisce X — rt = o il prodotto {x — a = o)(x — L) {x—c) . . ..{x — m) — x"-\- ^x"-' + B.r""' + Cx"'^ h *? = <> e basta il fattore x — a = o a rendere esso prodotto effettivamente egua- le a zero. Di simil guisa concependo siicccssivamente x — b=^o,x — c=^o,... X — m = o si avrà (x—a) (X —b — o) ( a: — e ) . . . . (r — m) = a" -t- /Ix"'' + Bx"^-^ +Ch"'^ ....+ Q — o (x — a)ix — h)ix — c=zo) {x—m) = .1" + ^-'.""' + Bx"-'^ +C.x"'^ . . . . -j- () = o ix—a)(x—b){x-c)(x—d=io) ..{x — m) — x'' ■-\- Àx"'^ + Bx" ' + 6'^'="'* .... + Q=^o eie. In ciascheduno di questi prodotti il valore per la lettera x rappre- sentato si rende differente, ma però tutti essi prodotti sono simili, i termini conservano lo stesso coefficiente, lo slesso grado; e quantunque diversi valori di x rendano diversi prodotti eguali a zero, pure, usato in tulli lo stesso simbolo x, si mostrano tutti sotto la medesima mede- sissima forma : quinci è che si può iu uno concentrare la rappresenta- zione di tulli. Ed ecco il vero concetto di una equazione algebiaica di i6t radici luile disuguali : essa è una forma nella quale concentrasi la rap- preseutazioae di numero n equazioni particolari di grado n, successiva- mente, non siraultanearnente vere, ed i termini della quale^ tranne l'ul- timo cosiaute, hanno rappresentazioni numero n diverse : cosi esempi- grazia nell'equazione cubica x^ -{- Ax^-\-Bx + ^=o si concentra la rappreseatazione delle tre flS -\-Jà'-k-Ba-\-Q = o,h^ '\~yib^-j-Bb-\-Q=o,c^ -^r^c^-\-Bc+Q=.o e la ar ha rispetto alla prima in tutti i termini la rappresentazione di a, rispetto alla seconda la rappresentazione di b, rispetto alla terza la rap- presentazione di e. Li coefficienti ^, B, C generalmente li -■4,B, C .. . P sono costanti siccome l'ultimo termine Q. 11 terzo caso, eh' è allora quando le equazioni semplici sono in parte le stesse, ed in parte di- verse, partecipa del caso primo e del secondo. Si possono considerare ad nn tempo vere le equazioni, che sono le stesse, cioè che presentano valori di x uguali, ma non si ponno considerar vere, che una per volta, in tempo differente le equazioni diverse. Non avrebbe fabbricale l'anno 1783 tante accuse contro l'Algebra, e tante stranezze in questa scienza il Nicolai, che si era accinto all'impresa di riformarla, se avesse posse- duto tali principi- § II. Tra i valori di a, b, c,..m computano gli analisti le quantità immaginarle. Sia che sono esse mai, e d'onde procedono.? Non sono ch'effetti di violenza a considerare quali equazioni quelle, che non sono e non possono essere propriamente considerate, che quali mere funzioni. Dimostrasi da essi analisti, che in una equazione di grado n qualunque non può esservi un numero dispari di radici immaginarie, ma che de- vono sempre essere iu numero pari, e che in ogni palo si corrispon- dono le forme B -\-j 1/ — 1 , B — j V — i , onde risultano le equazioni semplici X — B — y j/ — 1=0, x — B -\-y \^ i =oe quinci il loro pro- dotto {x — B — yV — I = o) (a?— 5+j-i/— i), +ovvero(a: — B—j\/ — i) (a- — B'\-yy' — i r= 0 = x^ — aBar-t-^' +j-^=: o . Ma non è questa a parlare propriabiente un' equazione, ma sibhene una funzione irreso- lubile in due fattori, e dal farle violenza in trattarla qual equazione, e volerla in due fattori risolvere, ne provengono le quamlià immaginarie. § III. Un esempio di due tali fattori immaginarj in un problema dì 2.° grado mostrò a Cardano la regola della moliiplica delle quantità im- maginarie. Il problema si fu; dividere il 10 iu due parti, il prodotto 21 ì62 delle quali fosse /\o. Chiamate le parli oc , y si hanno le due erjua- s-.ioni x-\-j^=io, ocf ^= i^o, onde j-r=io — oc, e sostituito questo va- lore di _^ nella seconda, i ooc — oc^ ^ \o , ossia oc^' — i ooc = — 4° » ^ quin- di 07=5 + 1/(25 — 4o) = 5+v/ — i5, ed^;- = 5^1 v/ — i5, i quali valori, dovendo la somma loro essere =; io, significano, che se nel va- lore di oc si prende il radicale col sej^no + , si dehbe iu quello di y pigliare il radicale col spgno — , od al contrario. Or, per vedere quale dev'fsseie la regola nclia moltiplica delle quantità immaginarie, si mol- tiplichi S-\-V — '5 con 5 — l/ ^ i5, e dovendosi avere 4o> ed aven- dosi per la moliiplica di 5 con 5 il numero 25, e distruggendosi ira loro i prodotti di 5 per-|- (/ — 1 5, e di 5 per — y" — i5 no verrà di conseguenza, che il prodotto di -}- |/ — i5 con — y" — i5 debba essere -f- 1 5 . Ma li segni contrarj fuori dei radicali danno insieme moltiplicati il--; dunque a far-j-dovià il prodotto di i/ — i5 cou j/ — 1 5 dare — I 5 , laonde 1 i5-=-l-i5, e cos'i trovasi 25 + 1 5 = 4o. A Bom- Lr-lli si deve il merito di avere più pariitamente sviluppate le regole della moltiplica delle quantità immaginarie. Da lui ricavo le tre seguenti: i.=>-|- »/— a x+ i/ — i = i/rtv' — iX V b\/ — t^ — V ab 2.» — y,/— a X-^V —b = — \/ a ]/ — 1 X-^ V'b /— i = ]/ a b 5.»— v/ — « X— i/ — i =— v/a t/ — I X— Vb \/—i =— V ab Si sono pertanto ingannati coloro, che le immaginarie radici hanno creduto doversi onninamente tritare, siccome le reali senza veruu ri- guardo loro proprio, onde attesa la sola comune regola di — X — = -h insc"narono essere y' — n){\/ — b^]/ab. Se ciò fosse, reso nell'esem- pio di Cardano b ^-- a = i5, s\ avrebbe -Hi/ — i5 X — v^ — i5r= — § IV. Si è fatto un grande mistero di Algebra del risultare dalla mol- tiplica di due quantità immnginarie una (juantità reale. Ma posson es- servi mi-)ierj io Alg' bra ? il W ilfio passò a riguardare tal risultato quale solenne as-urdo, ed a volere relativamente alle quantità negative poste sotto i se"ui radicali nelle immaginarie radici far un'eccezione alla universa! reo(jla _ x — = -t-- ^"- "luUifilicaCio/ie, scrive egli nello scolio 3." del Piùb. 1 5, n. "I. £llem. Anal. delle immaginarie radici brevemente par- ^i) Fa meraviglia d' incontrare ancora ne- che V ^ • V 3 • = V " , e ne' suc- eVaurci elementi d'Alc;cbra dell'insigne Eule- cessivi esempii trovando le moltipliche e divi- JQ n. i48 uoa simile svista, leggendosi ivi, sioui ripetute coi fondamenti di tal regola. i63 laudo, in multiplicatione signum non viutatur, sed facto perinde ac factoribus praefigitur signum, — alias enim factores iniaginariì ejjice- rent factum reale, quod utique absurdum. Quamobrem regulae de signis tantummodo obscrcanlur respectu radicum, minime vero respe- ctu (juantitatum sub signo radicali positarum, e quinci calcola egli (l/ — 5 — ]/ — 7)Xv/ — 3 =^ ]/ — 15 — i/ — 21 iu luogo di = — i/ 1 5 ■j- ]/ 21 , che danno le regole Bombelliane. Io non ho mai saputo scor- gere assurdità veruna, nò la menoma ombra tampoco di mistero nel provenire dalla mohiplica di due quantità immaginarie una quantità rea- le. La quantità negativa — a diventa ella quantità immaginarla affiggen- dole il concetto incompatibile di quadralo, con affiggerle il segno radi- cale, o con segnare)/ — a. Il moltiplicare (/ — a per i/ — a , o l'elevare 1/ — a a quadrato, altro poi non" è, uè vuol dire, che ritogliere da \/ — a l'affissole segno)/, e da — a riniovcre il ripugnante aitaccatule con- cetto di quadrato: e che altro pcrtaulo può e dee uscirne, fuorché quella stessa stessissinia quantità negativa, ma reale — a, che prima di ogni mentale arbitraria ed assurda operazione si aveva? E poiché la mol- tiplica di due immaginarie quantità qualunque ]/ — a )( ]/ ■ — b risolvcsi nella moltiplica ]/ a b in \/ — i X V^ — ' j ossia nel quadrato di i/ — i, che per la metafisica spiegazione, cui vengo dal dare è =; — i j perciò tanto è lungi, che a me si presenti alcun paradosso sulla equazione j/ — a -\- v" — i = — y/ ab , che a tutta limpidezza anzi mi splende la verità, la ragione di essa, il modo di ritornare dall' immaginario al reale. Cardano e Bombelll non ritrovarono di che stupire, e menar rumore di fastidioso arcano nel prodotto di reale quantità per moltipllca di due quantità immaginarie, e lo usò il primo, ue^tese li precetti il secondo senza esprimere o lasciar traspirare il più leggiero senso di meraviglia, senza dubbio, perchè meglio di molti analisti moderni penetrarono la metafisica iu se semplice di esso prodotto. § V. Il Friii pretese che aliro modo si avesse a tenere in calcolare le quanlià immaginarie che le reali, per la ragione, che non si potrebbe che assurdamente stabilire oX V — i=;0. A recta vero, così egli al- la pag. 20 de Aritbmetica universali, a recta vero quantitatwn hujus- modi consideratione auctores celebres reccsserunt qui eas quantita- twn realiwn calculo citra impossibilem caswn aiiquein admiscentes, eodem modo ac quantitates quasvis reales ad calculum revocarunt, i64 cnin alia prorsus calcull ratio in iitraque quantitatwn specie esse de- heat. Ita non nisi absurcle statui posset o X V — i = o : cuin in muU tiplicatione quavis unilas, mullipUcator, multiplicandus et productuin esse dcheant continue proportionales, et nunquani assumi possit tam- quani continua proportio i ■■ V — 1=0: o , ncque cliam esset o y^ \/-\-i =0, et nihil imai^iiiarii realein potius quantitatem quam ludlam designaret. riispeito primiframenie a quest'uliime parole, io non saprò iniendi'ie per cpiale ragione il nulla d'immaginario, piuiiosto che nulla, significasse alcuna quantità reale, se il nulla di reale reciproca- luenie non significhi qualche cosa d' immaginario. Relulivaruenie alla proporziono, sussiste ella domando io la proporzioue i: a = o: o, qua- lunque sia, e comunque grande il numero notalo per a , anzi qualunque quantità pf r a si disegni, o razionale, o lirazionale, o Irascendeulo ? Se DO, quul meraviglia che non sussista la proporzione 1:1/ — 1 = 0; o? e sarà da conchiudersi che generalinenie dall'essere o ){ a = o qualuu- qne sia a , o vera quantità di qnalsisiasi specie, o quantità immagina- rla, non se ne può trarre la continua proporzione i: a =^0:0. E se f,\, spiegliisi il come, si vedrà poteisi la spiegozioue eziandio applicare al caso di « = 1/ — I . Io sono persuaso che il teorema della continua proporzione dcH'unilà, del moUiplicatore, dd raohipiicaudo e del pru- dono vaglia sinché il moltiplicaudo ritiene l'essere di quantità, ma che cessi air annientarsi di esso. E di fatto come al perdersi l'idea di mol- tiplica, eh' è l'addizione di una quantità tante volle a se stessa quante iiultà il moltiplicando contiene, all'annichilare in somma per lo conira- lio la quantità, conservare il teorema d(.lla moltiplica.' Del resto la maniera diversa di calcolare le quantità immaginaiie dalla maniera di calcolare le radici reali si è già dimostrata ed a posteriori coll'esempio del problema di Cardano, ed a priori dalla natura slessa delle imma- ginarie quantità senza bisogno di mettere in mistero col Frisi tale di- ■ycrsa maniera § VI. E qui cade aliresi in acconcio il dire in brevi cenni dei due paradossi, che il D'Alembert nel tomo 5 dei suoi opuscoli, § 40, pag. 5S5, espose intorno all'equazione ( i -4- /i / — i )"= = ( t — A 1/ — i )'" ©sservando così, il ne sansuit pas de là {ce qui est contraire en ap- parence auor principes recds dansValgèbre ordinaire) que i -^-h ì/— i -=x — hV' — i,ànioins que h ne soit —o; espéce de paradoxc di- i65 gne d'eCre ohsercé. Ce n'est pas lout ; de ce que ( i->rh\^ — i )"' n = ( I — h y' — ì )'" il neri faiit pas concline, que ( i -)- A 1/ — i) "* = (i — /il/ — 1)"' , n clant un nomhie quelconque ; e inoins que ce ne soit un noinbre entier positif, ou negatif. E qual cumulo di mi- ster], aii^l di aperte ripugnanze non vi fabbricò sopra il Nicolai nelle sue Memorie §38? sciogliendo l'equazioue (i -fVti/ — 1)'' = (i — h\/ — i)"' nella forma ( 1 -\^h V — 1)"= -|- X ( ' + "^^ ^ — 0^ — ( ' — ^ V' — ' ) X(i — hV — i)à e deducendone immediatamente ( I + /i V/ — I yl ( I — h Y — I )r ( I — ^i 1/ — I il . .- . . j i+ZiK— i i — hy—T. J e qumci tatto in = 2 tirandone ( I -f. ^ j/ _ , 3I i—hy—\ i—hYZ—i e posto Ai;^— I + Q cavandone 7- ;= , ,/, ;: poscia ò'§ jg , 40) 4' pretendendo d' indiretlameute dimostrare 2 1/(1 — 9) che importa it 1 = ]/ — i e lutto ciò, perchè queste equazioni non fauno che portare all'equazione (i-Hi/ — i)' — (i — 1/ — i)'j final- mente al § 44 affermando: suggerirgli il suo nuovo metodo, che V Alem- hertiana equazione deve sempre verificarsi in ogni valore di m , ma non poterlo per allora dimostrare direttamente. Intanto però, appli- cando alla stessa equazione il metodo Newtoniano per l'elevazione del Lluomio alla podestà m, ne ricava per necessarie conseguenze -|- v^ — i = — l/ — I ed I +1/^1^1 — V — I- Ma per abbattere tutto que- sto edificio di mostruosissimi paradossi basta rimontare all'origine del- l'Alembertiana equazione che consiste nelle due seguenti equazioni (i) ( COS. A -V- scn. J \/ — i)'"' — COS. in J-\- sea.mJ ]/ — i (2) (cos. ^ — seu. yé y" — I )'" = COS. m^ — sen. mA \/ — i fallo in queste scn. niA^^o, e conseguentemente cos. mA^^±i si ri- ducon esse alle due (3) ( COS. A -\- Siea. J ^ — 1)™ = COS. mA = ±,\ (4) ( COS. A — sexi.A \/ — lY — cos. mA — ±: i e quinci per la evldeuie equazione ± • ^^ ± ' "^c viene la (5) i66 (5) ( COS. A + scn. A V — ' )" "^ ( *^°^* ^ — ^^°* ^ ^' — ' )** dalla quale si deduce , js / . sen. /^ , V / j^ , sea. A (cos. /*)'"( I -\- i/— I V" — (cos.^y»( I i/— I V» ^ ' ^ . COS. A ' ^ ' ^ cos .i ' d'onde dividendo per (cos. A)"', e ponendo =iaug. v^ = A si ot- cos. A tiene ( i + A v' — i ) ™ = ( ' "^ ^ l/ — O'" Tale si è, secondo il D'Alembert medesimo, la derivazione della sua equazione. Oia riflettendo all'ipotesi fundameuiale sen. mA^=o, cos. mA =; it I distinguendo le due combinazioni sen. mA = o , cos. mA = r , e sen. ìnA^=o, cos. wi/^ = — i , ed espresso per N qualunque termine delle serie o, i2545...:e per '^ la circonferenza di un cerchio si vedrà facilmente, che nella i.* combinazione mA ^=^ N"" , e nella 2.» mA-={^iN-\-\')- laonde fatto 7?j = i , si ha per la prima combiua- Eea. A , o ../ 7,N/. N ziODe =tangh:=ft= — , e quinci (i 4- /ii/ — i)' =^(i— /ii/ — i)' riducesi ad i =: i ; e per la combinazione 2.» = tang. A=^h=: '-' ' ^ COS. A ^ — ■ e conseguentemente in luogo (i -\-h v' — i)' = (i — h\/ — i )• proviene 1 = 1. Che se facciasi m = 2 si couseguisce per la 1.» combinazione A =^ o, A z^—, A =^'n . A ^^ — T e sempre sen. A ^o, perlocchè sempre spariscono sull'equazione ( i -l- /i \/ — i)' =( i — h \/ — i)^i ter- mini immaginari hy' — ^i, — h y — i ; e nella combinazione a.* ritro- \as\A =; -r, A ^ T valori, che danno sen. -7= i i cos. -; = o ;sen. -; 4 4 4 4 4 = — I cos. -^ = o ,eperciò l'equazione (i -{-A v^ — i)\— (i— Ai/ — i)' ve- ste gli aspe iti (i + -^ i/-i)'= (i— ^ ^/-^)■il-~V-'y={^-h-^ 1/-1)' che trascurale le unità a confronto dell'infinito -ristrignesl ad ( - \/ — i)* = ( — — |/ — 1 V, cioè ad — I = — I . Ma senza questo trascuramento traendo fuori della potenza seconda lo zero, otterremo o'(o-|-iv/ — i)* = 0^(0 — II/ — I )', ossia dividendo per o^(o 4- II/ — ù)'=(o—i ^^ — 1)^ il che poi non è altro che in luogo dell'equazione (i-i-Ay' — i )■" 167 = ( 1 — h v^ — I )" adoperare quella dalla quale essa è derivata (cos. ^-t-scD. ^v/— 1)°> = ( cos.^— sen.^l/— i )■» Ma (o 4- i i/— 1)' = ( o — i i/— 1 )' non porge che (-|- i 1/ — 1 )' — ( — i 1/ — i )', e que- sta secondo le regole sopra spiegate della moltiplica delle quantità im- maginarie produce — i =: — i . Dunque a conchludcre, le cquazioui i-t-Zil/ — 1 = 1— /iv/— I, (i +h\/ — if — {i—h\/— if non sono in alcun modo comprese nell'equazione (1 + k 1/ — i)"" =r (1 — h]/ — i)"* sussistendo h, laonde crolla la specie di paradosso proposto in primo luogo dal D'Aleniljcri, e rovina tutto il monte dei paradossi, od a me- glio dire assurdi, fabbricato dal Nicolai. Dovrei da' suoi principi esami- nare quale verità abbia il secondo paradosso dal D'Alembert notato, di non potersi dall'equazione ( i + h ]/ — i)™=(i/il/ — i)™ conchiudere n n rjuest'alira (i-f-/ii/— i)™ =(i— /il/ — i)™ à moiris que ce ne soit un nombre eiUier posilif-, ou negalif, e dissipare l' altro assurdissimo -)-)/ — 1= — 1/ — I ricavato per il Nicolai dalla elevazione dell'equa- zione (i-f-A|/ — i)™ = (i — h \/ — i)"" con la formola delle potenze Newtoniana. Ma tutto ciò mi porterebbe troppo a lungo, e non potrei, che trascrivere la mia lettera al sig. D'Alembert stesso li 9 luglio i-j85 diretta, e nel tomo IX della Società Italiana inserita. Essa pertanto si legga, e vi si vedrà non solamente sviluppati, e tolti i paradossi tutti della famosa equazione, ma anche assegnati gli aspetti suoi moltiplicl e varj secondo il diverso esponente m- i68 ARTICOLO li Sulla omogeneità di grado, e sulla eterogeneità di specie, e di essere nei termini dell'equazione. § I. E specioso il modo, nel quale insegna F. Luca avverarsi un'equa- zione, quale ax'^ -\- bx =^ n ancorché i termini ax' , bx sieoo tra di loro dissimilissimi, e rappresentino quantllà di specie diversissima, il primo superficie, il secondo linee, concependo il termine noie n non già co- me un aggregato di unità, o di frazioni omogenee, ma siccome un mi- sto di unità, o di frazioni eterogenee, altre lineari, altre superficiali, e tante della prima specie quanto importa aa?'' tante della seconda quan- te ne importa bx. Cosi avverasi l'equazione 4a?' -+- 3x = -y fatto ar= i, e diviso il 7 in quattro quadrati dell'unità, ed in tre unità lineari. Ma F. Luca non co- nosceva le radici negative, e non potè quinci accorgerci del primo di- fetto , che soffre la sua spiegazione. Lo scioglimento dell' equazione 4x'^ox=rdax^'~l±vQ)' + f^ =" "^ "■=. i, e --^. Or fatto x=: -; si ha 4^?^ = 4 • ~(-d' superficie, e Zx = — 3 . r di linea. Or come da 4- "^ lato : de lega liomogeneorwn, et gradibus ac gencrlbus ma- gnitudiiiuin comparalarum. A norma di fallo della legge degli omogenei va egli assegnando le grandezze, che paragonare si possono ed insieme combinare a costituire le equazioni di diverso grado di 2.° di 3.° di 4.». NeH'effuazione di 2.° grado non possono aver luogo, che il quadrato della grandezza incognita, cli'egli segua ../, il piano di vina cognita con essa, ed iin piano noto. Non altre grandezze entrar possono a compor- re un'equazione di grado 3.°, che il cubo della incognita ^, il solido del qiiadiato dì essa con una nota, il solido della medesima semplice- mente priìsa con un piano noto ed un noto solido. Nò altre a com- porre un'equazione di 4° grado, che il quadrato — quadrato dell' inco- gnita A, il cubo di essa iu una nota, il quadrato della medesima in «a piano noto, la stessa iu suo stato semplice in un solido noto, ed un piano — piano nolo. Wallis dice, che Vieta si fu quegli, che al tei mine noto diede il nome di omogeneo di comparazione, e cos'i lo chiama nel capo VII, dove definisce; magnitudo certa cui coinparantur reli- {juae, est homogcneum comparationis. Nel libro di lui, de recognitione aequationum, in cui a far riconoscere la cosiiiuzioue delle equazioni, le risolve in problemi di continue proporzionali, apparisce quale, giusta tale risoluzione, origine e modo avere debbano 1 termini omogenei j ma questa via è estrinseca, e non presenta la verità che in aspetto partico- lare. Vida arrivò bens'i al couoscimculo della composizione imima delle 22 equazioDÌ; ma non si avanzò a dimostrare per via generale ed intrinse- ca J'omogcneiih di grado nei termini loro. § III. Analisti posteriori hanno distinto le equazioni, nflle quali salva è la Itgge degli omogenei, e quelle nelle quali essa niauca, ed i)anno studiato a produrre ripari di tal mancanza. Uno di tali ripuri e quello delle sostituzioni. Se esempigrazia l'equazioue sia ax -\- y'^ — ^'T^ =^ o» supponerdosi ^p'"^^^ z , e sostituendo si ottiene flar -j- z^ — bz = o, equa- zione omogenea. Se offerta venga l'equazione ia? — «^ j- -}- c4 j-^^ o, po- sto Y =r= — , e latta la sostituzione, proviene bx — _ -| = o nella qua- ^ z :» ^^3 ,4 . le equazione essendo „ , — . di due dimensioni, non altrimenti che bx '■ » si ha l'omogeneità desiderata. E evidente rimanere medesimi gli effetti se la variabile oc causisi in costante, cioè se le equazioni si traducono da equazioni a due variabili ad equazioni ad una sola variabile od inco- gnita. Addomando io però: il porre j'':=3, ovvero j-^— nonèegli fab- bricare equazioni eterogenee per rimediare aireterogeneità di altre? § IV. Ma vi sono due artiflnj coraunemcnte piìi pregiati. Uno è ro- vescio dell'altro, consistendo il primo in moltiplicare, il secondo in di- videre i termini deir<'quazione per lo convenevoli potenze dcU'uniià, sicché la somma delle dimensioni, che i termini già avevano, e delle dimensioni deiruiiità o la differenza riesca iu tutti i termini la stessa. Trattisi di rendere omogenei i termini dell'equazione 3:4 -i-^a:' -|- fiar^ -\- Cx -|- <^> = o , si faccia a maggiore perspicuità e gcnci.iliià r =^ ?« , per il primo artificio si avrà ar> -t- ylx^ -\- Binx^' -H Cmx'^ -\- Qtn^ rr-; o equazione omogenea, e per il secondo x4 yifx^ Bx'^ Cx ^. ?h' m-^ m in È manifesto che questa seconda si può trarre dalla prima dividcra- dola per w' nmliiplicator dell'ultimo termine Qni^ ; ed è pur evidente, che l'effetto d I primo aniticio, supposto che i coefficienti ^, B, C, Q significassero semplici numeri lineari sarebbe di recare tutti i termini dell'equazione al grado AA più alto fra essi, ed all'incontro l'effetto del seéondo il deprimerli lutti al grado del più basso. Ed è pur vero, che ... *7' . termini m questo inalzatnemo ed abbassamento di grado non soffri- rebbero alcuna alterazione nei mutui rapporti espressi per li coefficienti Po.chc un rettangolo per esempio di G piedi quadrali moltiplicato per r p.ede passa ad essere „„ solido di 6 piedi cubici, rilenendo nell'or- dine d. sol.duà la quantità numerica b, che prima aveva nell'ordine di superficie j e lo stesso rettangolo di 6 piedi quadrati, diviso per , piede s, riduce a 6 piedi lineari prendendo rispetto, al piede semplice lineare .1 rapporto, che aveva al piede superficiale quadrato. Questo è il mi- gl.or lume in cui possa essere posta l'odierna dottrina di quella, che di- cesi omogeneizzazione di un'equazione. § V. Ma qual bisogno di tali artificj ? qual ragione di supporre sem- pbc. numen lineari i coefficienti de'termini di un'equazione ? Anzi quali ripugnanze in non supporli prosressi^amenle lineari, piani, solidi ec ^ Io certameuie mi meraviglio che dopo i progressi dell'analisi, penetrata già perspicuamente l'intrinseca composizione delle equazioni, avvertila non sias. una bella verità che spontaneamente ne emana, e ch'io espou- go nel seguente Teorema I. Qualunque equazione cr" + ^/a:»-' + ^^n-» _[_ (7^u-j 4-Z>xn-4 ... + Q=o è da se, di natura sua necessariamente omogenea uel grado di tutti i suoi termini. Dimostrazione. Insegna la teoria delle equazioni, che una qualunque equazione d. grado n ha un numero n di radici, e che il coefficiente .4 di xn- è la somma di esse con segno contrario, il coefficiente B di :r-' è l'aggregato dei prodotti loro a due a due col proprio se^^no, il coefficiente C di 0.-3 è l'aggregato delle stesse a tre a tre con contra- rio segno, il coefficiente D di :r-4 , l'aggregato delle medesime a quat- tro a quattro con proprio segno, e così discorrendo il coefficiente in genere di a.n-h l'aggregato dei prodotti delle radici prese a numero h se- condo tulle le combinazioni, e con segno poi centrano o proprio giu- sta il luogo o pari o dispari di a.n-h nell'equazione, ed in fine con%i. mde condizione il termine uliimo Q, che si può considerare come il coefficiente di ^«-n = ^o _ , , ^ il prodo.to d. tutte le radici insieme. Non sono dunque tutti i coefficienti ^, £, C, D...Q numeri lineari, ma il solo ^ è di i.o grado o lineare, D di 2.0, C di 5.o, e general- mente il coefficiente di :r"-'' di grado /z-i-o ■ cosiccliè il grado del cocf- fic.enie compensa sempre il grado tolto ad oc- , sincLc finalmente l'ul- timo termine coefficieule di a?°-" , ossia di 3c° , sale al grado n, e si ugiiaj^lia al grado di x nel primo tcrniiue. lu lutti ppi tarilo i termini la somma del grado di ar , e del grado insieme del coefficiente riesce la stessa, cioè «; laonde lutti essi termini sono di grado tra loro omo- genei, è resta dimostnito, che quaiiinfjne equazione da se, di sua natu- ra, per ragione intrinseca di sua composizione, è necessariameule nell'al- tezza do'suoi termini tulli omogpuea. Ciò, c'ije delle equazioni ad una sola incognita si è per me dimostra- to, si tia-^porta alle equazioni a due incognite o variabili; per lo che soggiungo Teoi Clini II. Ogni equazione indeterminata a due incognite o va- riabili X, j è da se e naturalmente nel grado de' suoi termini omo- genea. J>imostraziniie. Qualunque valore s' immagini dalo ad arbitrio alla variabile j-, l'eciuazione si trasmuta in un'equazione alla sola variabile ar, e cade sotto il Teorema I. Dunque ee. Mi si opporrà rispetto ad esso Teorema I un' equazione, nella quale alcuno dei termini sia = o, ed il coefficiente di alcun altio, che do- vrebb' essere di grado 2.° 5." . . . sia numero primo, quale l'equazione ac^ — 5a7 -1- 2 :;= o, nella quale il secondo termine è zero ed il coefficien- te del terzo è 3. Or come si dirà, il termine zero è con gli altri omo- geneo ? e come il numero primo 5 si può considerare come composto e di 1.° grado? Ecco come: le radici della detta equazione sonoar=^i, x^=\, x = — 2. Or la somma loro i-t-i — 2 presa con segno contrario, siccome eziandio con proprio si distrugge, donde proviene il termine OX^ = o, e che questo termine sia omogeneo con gli altri, e conse- guentemente di 3 '^ grado qual meraviglia se o' =^ o ? Quanto al nume- ro 3 si avverta che le tre radici moltiplicate a due a due danno lY i + i X — J+i )( — 2 tre prodotti, che sono rettangoli ossia quantità di 2.° grado la somma de'quali risulla di — 5. Dunque questo 5 è di 2.0 grado sebbene abbia la sembianza di numero semplice pri- mo. Si discorre similmente di altri casi simili relativi ad equazione ad una sola variabile, e non diversamente rispetto a casi di una equazione a due variabili. § VI. La Datura di una equazione non acconsente, che i termini suoi sieno intrinsecamente eterogenei per diversità di grado, ma accousenie 17^ Lene, ed il pin delle volle avviene, che slcno eterogenei per diversità di specie. Denomino diversità di specie la diversità tra le quantità ra- zionnli e le irrazionali. In oj^ni equazione ridtiiiio terniliie è razionale ; ma sex sia irrazionale, gli altri leiinini, die lo comprendono, sono o per intero o in pai te irrazionali, e cosi l'equiizione sarà composta di due specie di quautiià, e sarà nella specie de'termini eterogenea. Nell'equa- zione generale di 2 ° g." x'' -h ax ^ b ^= o se a' — 4^ "O" *'''' "ii qua- drato, ed X sia cunsegueniemcnie misto di ra;.ioiiale e d'irrazionale, il primo e secondo t rnnuc sono ambidne misti, «oè in parte razionali ed in parte irrazionali. Ma uell'equazione di 3.° g " o:^ — px — q =^ o so- stituendo il general valore di e supponendo le due parti di qursio valore irrazionali, il secondo ter- mine px sarà iuleranieutc irrazionale, il primo a:^ in parte razionale, in parte irrazionale. Ed è poi evidente che a verificarsi l'equazione, sempre ciascuna delle specie deve distruggersi da se, l'aggregato dei termini irrazionali e delle parti irrazionali dei termini misti da se, e da se l'ag- gregato delle parli razionali di essi termini misti e dcll'ullimo termine razionale. La naturai necessaria omoorneiià di grado nei termini di oani ecjuaziouc nel Teorema I dimostrata reca il vantaggio d'illuminare la mente a comprendere con piena chiarezza come possano fia loro eli- dersi le quantità irrazionali di diversi termini, siccome le razionali pure tra loro: poiché essendo del medesimo grado, qual mera\lglia che si abballano, si distruggano, se tanto vagliano in quantità le negative, che le positive? Alla presenza altresì del teorema della naturale intrinseca omogeneità di grado nei termini di ogni equazione si dilegua la diffi- coltà, se mai potesse sorgere, sulla espressione del valore di x dell'equa- zione di 3° grado in vedere — p^ sottratto da — q^, dal che sembra uu 27 4 cubo sottratto da un quadrato; ma se ben riflettasi, clie p è una quan- tità di 2.0 g.o, e q di 3." si appaleserà evidentcraeuti^, che la sottrazio- ne e tra quantità di grado omogenee cioè tra quantiià di 6." g.°, e che la radice cpiadiata del residuo sì deve considerare di giado 5.° qual è pure ~ q, e che la radice cubica dell'aggregalo o della differenza sarà ';4 di i." g." siccome è x. D'onde apparisce trasferita dai termini dell'equa- zione ai termini della espressione della radice la considerazione, e dimo- strala anche nel termini di questa l'omogeneilà di grado. § VII. Ammettono le equazioni nei termini loro eziandio eterogeneità di essere, intendendo per tale diversità quella tra le quaniiià reali e le quantità immaginarle. Ciò avviene, essendo sempre l'ultimo termine reale, ogni qual volta abbia oc un valore immaginario. Cosi se nel- l'equazione di 2,0 g.o sia fl^< 4- ^ '1 valore di x sarà immagluavio, e sostiluito nell'equazione, il primo e secondo termine saranno ambidue misti di reale ed immaginario. Può asere in un' equazione luogo, in qualche senso, tale eteroge&eilà, eziandio senza che il valor di x sia immaginario, purché espresso sia per formola a parte a parte immagina- ria, sebbene in complesso reale. Tanto accade nella formola di x per l'equazione di 5.» g.» a?^ — px—g=o qualora (J^<~.P^ '• ciascuna parte della formola separatamente è immaginaria, il complesso loro è reale, il valore di x reale. Sostituita la formola nell'equazione, il secon- do termine — px sarà composto di due parti immaginarie, considerato però neir intero sarà reale ; ed il primo termine x^ consterà di una parte reale e di due pani immaginarie, la somma però delle quali sarà ! reale. La naturale intrinseca omogeneità di grado nei termini di qua- lunqne equazione rende facile ad intendere come possano tra loro ab- battersi ed annientarsi le quantità immaginarie dei diversi termini qua- lora sieoo in grandezze uguali e di contrario seguo. »'5 ARTICOLO III Sull'altezza delle equazioni sopra il S." grado. § 1. Dalla iiiiriiisena, naiurale e necessaria omogrnciià di grado nei tei'Tuiui tutti di uii' equazione ne segue clie nella generale equazione I ar" + ^a:°-' + Z?ar°-» \- <7j;°-5 + Z)a?"-4 Q = o tutti i terririni sono di grado n. Ma se l'equazione a geomeiria riferiscasi, se x sia linfa e conseguen- temente tutl'i valori per esso rappresentati, cioè le radici deire.^ g.» salendo al grado n qual' è ^ a:" -i- ^a:"-' -\- Bx"-'^ -+- Car"-5 . . . ^ Mx»-\ . . . -'r-Q = o. Per il Teorema I del precedente articolo, tutti i termini sono di gra- do n, ma essi non possono certamente concepirsi generali per geome- trica moltiplica e rappresentanti geometriche grandezze. L'estensione, oggetto della geometria, non ammette di distinguere in essa che tre di- mensioni, e quinci tre specie di grandezze: lluea, eh' è una dimensio- ne qualunque solitariamente per astrazione concepita; superficie, che si concepisce di una reità lungo un'altra condotta, ed è pure un essere intellettuale astratto ; e solido, che si concepisce, quale l'effelio di una superficie lungo vm'altezza condotta, e se è intellettuale conceiio riguar- do alla continuità che vi si suppone, riguardo però alla unione delle tre dunensioni, si assomiglia al volume dei veri solidi naturali, cioè dei i8o corpi. Può l'intclleiia iudufìnlianienie csleudere le tre diniensroai, lurt- gbezzn, larghezza, altezza del solido, ina non può oltre il solido salire e raffigurarsi uua grandezza, un volume di 4> di 5, di 6.... dimensio- ul: il solido da tre rette prodotto è un limile, oltre il quale, per quan- to si sforzi, gli è impossibile di andare. Quinci i vocaboli quadrato- quadrato, piano-piano, quadrato-cubo e piano solido, cubo-cubo e so- lido-solido SI usitati da Vieta, liauuo in geometria un suono mostruoso o piuttosto inane. Per la qual cosa tutt' i termini di un'equazione del Z." g.° più alla non possono avere significazione, né effetto di moltiplica geometrica: tali termini, prodotti di più di tre quantità sono, mi si permetta il nuovo vocabolo, iggeometrici. Ed indarno tenterebbesl di ri- mediare a siffatto inconveniente dividendo tutti i termini deirequazion& di grado n per i "-^ , cosicché risultasse a:" ^-/x"-' Bx'^-^ Cx"-^ Z?x"-4 ^ _ i«-3 jn-3 j^a-3 jn-3 jn-3 poiché sebbene paresse valere il rimedio sino a n =: 6, pure involgere b- Le il dividere una quantità iggeometrica di grado 6.° per una geometrica di grado 3.» il cb'è tanto ripugnante quanto il moltiplicare una quan- tità geometrica di grado i." per una quantità geometrica di grado 5.°, e quindi ascendere alla iggeometrica di grado 6.°, e supposto « >6 facil- mente comprendesi che a deprimere al solido i termini dell'equazione converrebbe dividerli per vm grado dell'unità più alto del 3.°, e ricorre- rebbe, pel concetto geometrico di questo la slessa impossibilità, oltre al- la divisione di una quantità iggeometrica per una quantità iggeome- trica. Secondo il pensamento del Des-Cartcs, la podestà x" non significa che una retta di posto /i + i nella progressione continua geometrica 1 : or: ar'': x^ ■ x^ : x^ : x^ x" ', il cui primo termine cioè i è lai rena presa per unità, il secondo la retta x. L'esposizione però delle rotte che seguono e Incompleta, e l'espressione loro completa é i ; cr ; ara a-3 x . ^ . ^ . . . . ^^ . Stando alla esposizione incompleta, e 7 ■• 7» -73 • ,4 * i5 ,«-• rappresentando x uua retta, i termini d-lla progressione successivi, in ve- ce di rappresentar tutti altrettante rette, parrebbero essere grandezze geon>etriche di grado progressivamente più alto, e ritorncrebbesi all'as- surdo già contemplato 5 che anzi vi si aggiugnerebbe quello del para- i8t gone tra grandezze affatto eterogenee, di rolla y: a superficie quadrata ar', di questa a cubo x^ ec. Questi assurdi si dissipano, e subentrano con- celli glusii e chiari nell'espressione completa. Siniilinente al volere del Des-Carles ogni prodotto ic di due rette date si deve considerare co- me il qviarto termine di una proporzione discreta i : h :: e : b e , e la bc sua espressione completa sarebbe — ,• ogni prodotto di tre rette date dej^ de de '^''f sarà l'effetto di due proporzioni discrete i : <;Z;: e : — , i: — '.:f: '^ , onde questa vedesi essere l'espressione completa di def; e di simil guisa il prodotto di quattro rette ghik sarà l'effetto di tre proporzioni discrete, ed avrà a sua completa espressione —z . Quinci la completa espres- sione dell'equazione p : e : di 4° g° sarà xi x'^ b e se'* (Icf dhik i'^ 1* I 1 1 1* Ma non scorgesi qui omogeneità di grado, essendo il primo e l'uliitno termine di 2.° g.°, e rappresentando conseguentemente linee, e li tre inter- medj essendo di i.° g.o, e rappresentando superficie. Sarebbe facile lo schi- vare questo inconveniente, il qiinle proviene dal formare per serie se- parale di proporzioni il coefiicienie e la rispciiiva potenza di x , legando • • • ■ r 1 . • ^ '^ 1- ^ "^ insieme le formazioni. Dopo formalo il coefficiente si dica i : — '•'■ * li bcce bcx bcx"* . def defx x: , \ : X :: : . similmente i : :: X : . Del ax ax ax'' ax^ ax^ pan i: a :; x : — , i : '.: x : , i : :: x : — — ,e raccoiilien- * I I p i» i3 '^ xi ax^ bcx^ defx ghik do SI avrà — --{- — -}- — , 1- — , — | — = o, equazione in lutti i |J |J \ I I termini omo'-cnea. Ma che più studiare su di tali riduzioni alle equazioni estrinseche, e nulla affano sulle loro generazioni immediale e naturali? Volgasi la mente alla composizione dell'equazione in genere x" +-y)x"-'^ -\- Bcx"-'' ..... -i- ^ ^^ o per il prodotto delle non simidiauee, ma successive equazio- ni X — a =; o, X — ^^o, X — 'V^=o, X — 7=0 nulla iu tale 182 composizione ci sì presenta di quelle proporzloul coniinue o diserete, ma sole immediate moltiplicazioni, che generano si i gradi ordinatamen- te decrescenti di x, e sì i coefficienti ^4, B, C . . . . Q, come negli ar- ticoli I e II fu dimostrato. Dunrjue non presentando per loro stesse le equazioni nella composizione loro che mohipliche, e non potendo que- ste, qualora le equazioni stesse superano il grado terzo, aver sigoificato ed effetto di moltipliche geometriche, e perciò dovendo necessariamen- te essere moltipliche aritmetiche ne viene per conclusione, i." Che ogni equazione algebrica di qualunque grado al 3.° superiore è in concetto immediato e naturale un' equazione aritmetica astretta iu simboli universali j e che qualora l'equazione esca da un problema geo- metrico, questo non e da essa riguardato, che come un problema arit- metico, nel quale x non rappresenta già per ciascuno degli n valori, che ha, una retta, ma il rapporto aritmetico di essa alla retta presa per unità, e li termini tutti di grado n dell'equazione non rappresentano prodotti geometrici di grado n, ma s'i mohipliche aritmetiche di or- 'dine n. 2.° Che anche nei problemi geometrici del Caso 11, li quali non su- perano il 5.° grado, si può tradurre la considerazione geometrica alla considerazione aritmetica addomandaudo per esempio un numero, che elevato per moltipliche in se stesso all'ordine 5,° ed aggiuntagli o sot- trattagli la somma o differenza delle moltipliche aritmetiche ax^±i>cx renda il prodotto aritmetico di 5.» ordine dej\ Laonde apparisce che il concetto più generale e più coerente alla composizione delle equa- zioni e più loro intrinseco è quello di considerarle quali composti di Aritmetica astratta universale. L'Algebra è un'Aritmetica universale, l'equa- -ziflue non ha oggetto determinato ne in individuo, uè iu ispecie, ha una mira, una capacità imtnensa. 3.° L'applicazione d ill'Algebra alla Geometria è l'applicazione del- l'Aritmetica universale alla Geometria, ed in un'equazione a due varia- bili ogni termine Mx'" j'' rappresenta non una grandezza geometrica del grado 1 -1- r/i -(- /i essendo 1 il grado di 31, poiché tale grandezza geo- metrica è impossibile, ma bensì un prodotto aritmetico di ordine 1 -i-m -\- /i. i83 ARTICOLO W Su di una ingiusta accusa \ della regola di doppia Jalsa posizione. La regola di doppia falsa posizione poggia a Lcn penetrare su tre equazioni di i.» grado, come in seguito sarà per me dichiaralo. L'esame adunque se giustaiuenie od lu^instamente essa si accusi di fallacia ap- partiene alla Metafisica delle equazioni. Storicaruenie della medesima ne ho già parlato nella mia storia dell'Aritmetica, dimostrando quanto fal- samente il Montucla attribuisca a Frate Luca Pacioli l'avere portato dal- l'Arabia in Italia le due regole di semplice e di doppia falsa posizione dagli Arabi inventate, e di averle il primo sotto nome di Regole Hcl- citaym agi' Italiani insegnate nella sua opera De Sumina Aritlimeticac et Geomelriae, stampata in Venezia l'anno i49'|j mentre che il trasporto ed il primo insegnamento nelle italiane contrade si fu di Leonardo Bigoli di Pisa detto il Fibonacci, perchè figlio di Bonaccio sino dal i2o3, cioè quasi tre secoli avanti. Anche dopo i progressi fatti dall'analisi in occidente e specialmente in Italia, si conservano in pregio le suddette regole, e non solo i volgari aritmetici le ostentano come l'apice della loro dottrina, e come il più fino artificio loro nella soluzione dei pro- blemi, ma anche gli analisti più elevati e gli astrouomi le invocano nei calcoli più sublimi ed astrusi, come in quello in cui trattasi di deter- minar le orbite delle comete. IMa che ? su la regola di doppia falsa po- sizione, la più estesa e più utile tra le due, leggesi nelle nuove prati- che di Geometria, prodotte in luce l'anno 1778 dal sig. Francesco f'"en- tretti, uomo in tali materie versatissimo, un esempio capace a mettere il leggitore in diffidenza, e far sospettare nella regola incertezza e fal- lacia, tanto più che non dubita il riputatissimo aritn>etico di farsi es- pressamente contro la delta regola autore di averla trovata fallace, e peib bisognosa di prova, sempre che si voglia praticarla, qualunque sia l'origine di questo difetto, di cui, soggiugnc, io non renderò ra- gione. Cbe discapito però non sarebbe egli, se la regola di doppia falsa posizione fosse in se stessa effettivamente mal sicura ed iiigaui]e\ole ? i84 L" Italia la vanterebbe a torto rjual prezioso fruito del suo commercio coirOrientc, l'Aritmetica rcslereLbe manca della sua pane migliore, e l'Astronomia perderebbe un utile soccorso. Lo zelo pertanto di conser- vare alla patria le sue glorie, alla scienza le sue riccbezze, mi ha indotto a volgere su la regola di doppia falsa posizione qualche studio, e quel- la ragion rintracciare del suo riuscir talvolta male, che il sig. J^entretti sin d'allora assai avanzato in età, spossato di forze e disturbato da abi- tuali indisposizioni, che poi il consumarono, non volle accingersi ad in- dagare. Ecco il quesito da lui proposto ad esempio. «Di due compagni «nel traffico il secondo pose più del priiiio ducati i4oo, e lutto il gua- udagno fu ducali looo; si vuol sapere il capitale del primo, dato che nel «guadagno abbia conseguilo ducati 4oO" li tre maniere l'autore tenta la risoluzione di questo quesito per mezzo della regola di doppia falsa po- sizione, e dando a ciascheduna di mano in mano la prova fa vedere, che le due prime conchiudon falsamente, e che giustamen'.e risponde la terza. Eccole. Maniera I. Si ponga che il cercato capitale del primo compagno fosse ducati looo e il capitale del secondo sarà stalo ducali 2400; dun- que 5400 ducati sarà slalf> il capitale intiero, il qual guadagnato avendo ducati 1000, il capitale del primo avrà guadagnalo ducali agi — ; ma iS ha guadagnato ducati 4oo > dunque si ha l'errore di ducati io5 — nel meno. Si ponga poi che il capitale del primo fosse 2000, e però quello del secondo sarà stato 34oo, e tutto insieme 54oo, il cui guadagno es- sendo 1000 costituisce S'jo — per guadagno del primoj ma dovea co- l n siituir 400 i dunque altro errore nel meno di 29 — . Ora operando se- l'i condo la regola, il capitale del primo dovrebbe esser = (io5 — X 2000 — 29 — X 1000) : (io5 — — 29 "X ) = 2388 — , e quindi il capitale del secondo = 3']88 —, e uniti insieme ambedue 61 ■^■j —, chepercoa- dizion del quesito avendo guadagnato 1000, il primo dovrebbe aver gua- 184 dannato 386 , ma ha guadagnato 400; ecco dunque falsa questa n- i85 soliuione, unicamente riconosciuta tale dalla prova, quando per altro sen- za di essa pare affatto giusta e legittima. Intanto è vero che nelle posi- zioni non vi Ila disordine j cosicché bisogna che tutto il fallo consista nel determinar gli errori. Maniera II. Faceudo uso tuttavia ^elle posizioni medesime si tenti un'altra strada nel determinar gli erro;i. E rispetto alla prima posizio- ne, se il capital looo del primo compagno ha guadagnato l^oo, ambe- due i capitali uniti o4oo avran guadagnato i36o, rua per condizioa del quesito han guadagnato loooj dunque si ha l'errore di 56o nel più. Rispetto poi alla posizion seconda, se il capitale 2000 del primo ha guadagnato 4^0, il capitale di entrambi 54oo avrà guadagnato 1080, ma avendo guadagnato 1000, si ha un altro errore nel più, cioè 80; cosic- ché operando come dice la regola, si trova che il capitale del primo 5 è ==( 36o X 2000 — 80 X 1000). -(360 — 80 ) = 2285 —, quello del se- condo 5685 — , e tutti due unitamente 5g8 1 -: numeri afTalto differenti da quelli che si sono trovati anteriormente, e nulla meno insufficienti a 5 soddisfar al quesito, come dimostra la prova. Poiché se 2285 — capitale 5 del primo ha guadagnato l^oo, la somma SgSi — di ambedue avrà gua- dagnato 1045, quando non ha guadagnalo che 1000: dunque falsa ancor questa risoluzione, poiché non regge a fronte della prova. Maniera III. Rimane fiualmcDie una terza via per determinare gli errori, serbando intatte le posizioni di prima. Si arguisca dunque così: se tutto il guadagno 1000 provicue da tutto il capitale 54oo, il guada- gno paiziale I^oo verrà da i56oj ma per la posizione dee venire da 1000, dunque si ha un erior che eccede di 56o. Di nuovo si arguisca : se lutto il guadagno 1000 dipende da 54oo di capitale, il guadagno 4oo dipende da 2160, ma deve dipender dalla posizione 2000^ dunque al- tro error eccedente di 160. Si operi come la regola insegna, e si tro- verà che 11 capitale del primo fu X (56o X 2000 — 160 X 1000 ) : (36o — 160) := aSoo, e conseguentemente quel del secondo 4200, e tutti due insie- me 7000. Se ne faccia la prova, e si troverà che di fatto, se tutto il guadagno 1000 riconosce per capitale "jooo, il guadagno 400 riconosce 24 i8<5 giustamente per capitale 2800. Sin qui il sig. T^entreltì. Ora studiamoci di scoprire la ragione intrinseca perchè le due prime maniere falsamen- te coucludano, la terza giustamente. Rimontiamo perciò all' origine ed alla dimostrazione della pratica regola di doppia falsa posizione. Sieuo X, y, a ... le incognite di un problema, delle quali presa una, per esempio la x per principale, sieno poi le relazioni di essa con le altre espresse per le equazioni y=^cx -\-d; z =^fx-\-g . . . ., e fatta in se- guito = ^ la somma dei coefficienti di x , = -C la somma di tutte le quantità note sia (I) j4x -\-£ = li l'equazione dell'ultima coudiziou del problema. Ora per prima falsa posizione di x si finga x' dalla quale per le coudizioni del problema ne nasca ^x -^ B ^^ R-\- e indicaudo e un errore qualunque positivo o negativo, o sia la differenza in più o in meno tra il risultato proveniente della falsa posizione ed il risul- tato corrispondente al vero valore di x. Poscia per seconda falsa posi- zione di a? si prenda x onde ne derivi Ax" -\-B=^ R-^ E. Si avran dunque le due equazioni ^ "^ (II) .Ix + £ = Jì-he {lllJx"-\-B^R-hE die chiamerò equazioni delle false posizioni. Si moltipllchi la prima per E, la seconda reciprocamente per e, poi questa da quella sottraggasi, e 8Ì troverà j4 {^Ex -ex )-\- B(^E— é)^= R (E -e) e dividendo per £ — e ne verrà (IV) A {Ex — ex"):{E-e)-\-B =-- R confrontando la quale coH'equaziouc (I) si ha (V) X -= {Ex— ex" ):{E-e) È facile vedere che la sottrazione de' termini sussisterà sinché gli er- rori E, e saranno della stessa natura", ambedue cioè in più o in meno; ma se saranno di natura contraria, uno positivo l'altro negativo le sot- trazioni si cangeranno allora in somme. C'insegna dunque l'equazione (V) che il valore di ac è eguale alla differenza, o somma dei prodotti delle false posizioni per gli errori reciprocamente moltiplicate, divisa per la differenza o somma degli errori medesimi, secondo che sono questi della stessa o di contraria natura. E tale è appunto la consueta regola di doppia falsa posizione. Siccome pertanto l'addotta dimostrazione è certa e senza eccezione , così essa regola dev'essere sicura ed infallibile quando sia a dovere applicala, né può coadurre a falsa conclusione, che 187 per esser adopprata fuori dì luogo. Quindi si esamini la condizione foa- damcDiale di questa regola. Per rilevarla si fìssi lo sguardo su le equa- zioni (1), (II), (III), e si vedrà che tanto il vero valore di ar, quanto le false posizioni cr', ar' vi stanno in figura assoluta, non in figura di de- nominatori di una qualche frazione. Questa pertanto è la condizion fon- damentale della regola, e questa stessa per conseguenza è la condizione da tenersi essenzialmente in vista nell'applicazione della medesima. Che sìa così , pongasi che per ultima condizion del problema l'equazione del vero valore di x sia — — — =i?, la qual con una divisione del nume- ralore riducesl alla forma piìi semplice (VI) ^ -^ ~^= -S, dove sì vede come il vero valore di oc sta a denominatore, e similmente vi staranno le false posizioni, le equazioni delle quali saranno : (VII) J-^ t^Jì + e (Vili) J + ^ = Ii-i-E Dalle quali, operando come sopia, si caverà B / E e \ (lX)^-j-^j -, — -„ y.(E—e)=B, e con (VI) confrontando la rpal' equazione ci dà una nuova regola, come apparisce, dalla con- sueta diversa. Si può anche questa stessa equazione ridurre ad ~ ^ (^Ex — ex' )'-{E — e^x X ,e rovesciando (XI) 3: = x'x' (^E — e):(^Ex'' — ex) con che si ha la stessa regola in fondo, ma sotto aspetto diverso. Per una terza ipotesi più generale suppongasi che l'ultima condizion del problema dia l'equazione ^t—7|-„ = .Sia quale si può ridurre alla forma (XII) ^ -f- -7— -^ = ^. Perciò le equazioni delle false posizioni sarnno (XIV)^ + ^^ = iì + £ i88 su le quali fatte le solile operazioni e le riduzioni qui necessarie per liberar l'x, si troverà (XV) x^ lEx\Cx"-^D) -€x\ Cx+D) ] ■.lE{Cx' -\-D)-e{Cx' ^0)1 equazione che ci porge una regola molto più con:plicaia delle altre, quantunvjue nel caso di -0=^0 ricada in quella dell'equazione (XI) come deve avvenire. Dopo aver esaminala l'arte della doppia falsa posizione nella sua base e averla seguita nella sua estensione, si ritorni adesso al quesito del si- gnor Ventretti, e si rifletta, che i quattro termini della proporzione In- clusa nella natjura del quesito essendo : il total capitale, il total guada- gno di ducati 1000, il capital parziale del primo compagno, ed il suo parziale lucro ducati l^QO: le tre maniere diverse tentate dall'Autore altro non sono che tre disposizioni differenti di essi quattro termiui. Laonde chiamando x 11 vero capitale del primo guadagno, x la prima falsa po- sizione looo di esso, a?" la seconda falsa posizione 2000, ecco come sotto un solo sguardo porre si possono le tre dette maniere. MANIERA I. PropoTzitìni Equazioni lono.r 2X 4- 1 400 : 1 000 :\x: 400 . . . - — — — — = 4«o = -" , 1000 r _ ox' -4- 1 4oo : 1000:: x .-400-1-6 ; ■ ^ 400 + e = Vf -f- e 1 000 x' '2x' + l 4OO 2a7"-4-i4.oo: 1000 ;:a?" r 4^*^ -+--£'; — :: — '■ — ^z/^oo+E— R + E MANIERA li. X : 4oo:: 2a? 4- i4oo: lOoo . . — ^ =c: looo =ix a:': Loo\\o.x -\- i4oo : looo+e; = 1000-+- e =n-^e ^ X _ 8oo.:c" -4- 560000 1 E» z? I 17 x":4oo::2a:"-+-i4oo;iooo-^£; J ^ = iooo-^£--iJ +ii MANIERA III. 1000: 207 -h i4oo::4oo:a? . . -^^ =37 —A 8oo.a' -\- 56oono , p , „ 1000:207' -^ i4oo::4oo:x + e; -^^ = x -H e = /(-+-e „ Soo.a:" 4- 560000 n , 77 T> \ V I ODO :2x"-+- 1400:: 400 :=^"-l-J^i ~- ^x ■^E^R-\-t. Vi La una quarta maniera non tentata dall'Aulore MANIERA. IV. looox 4oo:x :: looo: aa; -+- i4oo . . — , = 2a? + 14.00 = iJ 400 ir II laoox' 400 .x :: iooo:2a; -h 1400 -He; = 2x -f- i4ooH- e ^^ B-r-e 400 4oo : ar" : : 1 000 : 23?" -4- t ^oo-\-E ; ^- = 2x" -h 1 ioo -^ E — JR -\- S 400 Volgasi l'attenzione alle equazioni di queste quattro maniere, e maui- feslamente vedrassl non esservi che le equazioni della terza e della quar- ta, le quali sieno simili alle equazioni di sopra (I), (II), (HI), e con loro convengano nella condizione di non tenere il vero valore di x, ne le false posizioni x',x di esso a denominatore, condizione su la quale si fonda la consueta regola della doppia falsa posizione. Onde non è me- raviglia se solo per la terza maniera trovò il signor T' enti etti concluder essa bene, ed egualmente avrebbe trovato concluder bene per la quarta se in mente venuto gli fosse di esperimcntarla. Che se la stessa regola conduce a falsa conclusione per le altre due maniere, non è questo di- fetto della regola, ma effetto di strascinarla per vie non sue; non è fal- lacia, ma necessità di natura. Del resto anche per quelle due maniere giugneremo a buon termine qualora prendiamo per iscorta le regole loro proprie. Di fatto rapporto alla seconda valendoci dell'equazione (XI) trove- remo a?= 1000 X 2000 (80 — 36o) :(8o X 2000 — 56o X 1000) = 2800, 100 or e per quello spetta alla prima si riduca innanzi la quantità '■ — col r 'i i. ^ i- 2X-J-1400 mezzo della divisione alla forma 5oo la qnal paragonata colla x-\-]oo irò forma generale ^+^1 ^ dell'equazione (XII) darà C=; i, P^^oo, e quindi per la regola somministrata dell'equazione (XV) si troverà 07 = [ 29 — X 1000 ( 2000 4- -joo ) — io5 — X 2000 ( looo-i- 'joo ] ; (29 — ( 2000 -H 700) — io5 — ( 1000 + 700) )=:( 367 200000 — 1652400000 ): (567300 — 826200) = 2800. Tanto è vero che ogni vìa conclude bene per la regola sua, ed ogni regola per la sua via, e che il concluder male viene solo dui combinar una via ed una regola tra lor disparate. Osserverò tuUavolta, che i casi i quali per ior medesimi addomande* rebbero le regole espresse per le equazioni (X), (XI), (XV) si possono con una facile trasformazione ridurre al caso della regola comune, e per essa sciogliere. A cbiaro ciò intendere premettasi una riflessione, ed è: che nella equazione ^x-\-B=^ R, eh' è il caso della consueta regola, R può anche comprendere la quantità cercata x, poiché ciò anche posto, l'equazione resta di primo grado, e conseguentemente nel limite dell'arte della doppia posizione j laddove nell'equazione tt-j^ ^==^ R, f^G seconAa il valor di D = o, ovvero ad una quantità qualunque siasi, abbraccia am- bedue i casi delle altre regole, R dev' esser un termine interamente dato senza punto involger la quantità cercata a:, poiché altrimenti l'equazione, come ogni analista sa, estoUerebbesi a secondo grado, al quale l'artificio della doppia posizione non giugne. Tal riflesso premesso traspongasi dal priruo al secondo membro il denominatore Cx-\-D, e si avrà mx-\-n :^R {Cx -\- />) equazione che rientra nella sfera dell'equazione ^x -i-B=^R potendo in questa, come si è detto, R esser misto di quautiià date, e dell' incognita x. Dal che appasisce che, dato un problema la cui ultima !• • • • T • Tnx-\-n . , ,. , condizione importi 1 equazione u _, „ =:/?, per iscioglierlo colla consueta regola basta mutar aspetto all'ultima condizione medesima dandole in vece del proposto l'aspetto espresso per l'equazione ma? -+•«=; ^ (far-)- •^)- Di fatto saranno coerentemente le equazioni delle due false posizioni (contrassegnando per (e), {E) gli errori computati su l'ultima condizione così trasformata. ) mx' -^ n ^ R{Cx' -\-D) + (e) mx'-\-n=^R{ Cx" -^D)-^{E), dalle quali colle solite operazioni si tira m [ {E) X- (e) x" ];[(£)- (e)] +« = i? C [ (£) x' - (e) x' ] : [ (E) ^(e) -+-/JZ?, che paragonata coU'equazione mx-\-n::= RCx -\- RD, tanto per il primo, quanto per il secondo membro òk x =^ \_iE)x' — (e) x"'\: [(^) — (e)]. Io ho supposti gli errori computali su l'ultima condizione tras- formata diversi da quelli, che stanti le medesime false posizioni si avreb- bero lasciando l'ultima condizione nella sua propria forma ; ma è facile dimostrare questa diversità, anzi l'assegnare il rapporto tra gli uni er- rori e gli altri. Lasciando l'ultima coudizione nella forma sua propria. igi l'equazione della prima falsa posizione sarebbe- , - = lì-^ e, dalla qua- le moltiplicando per Cx' -{- D uè viene 7nx' -\- n^^ lì^Cx' -\- D) -{- ). Ec- co dunque l'effetto del cangiar forma all'ultima condizlon del problema: questo cangiamento produce una nuova maniera di computare gli errori, per questa nuova maniera 1 valori stessi degli errori risultano diversi da quelli che ritenendo l'ultima condizione nella forma proposta risultereb- bero, e mercè tale diversità avviene che la consueta regola ritolga alle altre regole il luogo. Per comodo degli aritmetici pratici raccoglierò in breve ordine e chiaro i distinti casi che possono occorrere con le rispettive regole da tenersi per arrivar sempre sicuramente a giusto scioglimento dci-pro- Llemi. Caso I.° Quando in un problema le condizioni su le quali si dee passo passo condurre l'esame dcllu falsa posizione si possono in varie maniere ordinare, tu disponile con tal ordine, che l'ultima condizione non ti metta la falsa posizione a denominatore di frazione; lo stesso osserva se l'ordine delle condizioni non fosse libero, anzi all'opposto ne- cessariamente determinati dalla natura delle condizioni stesse; ma se l'ultima condizione ammettesse varie forme, come se fosse una propor- zione, i cui quattro termini si possono in quattro diverse maniere dis- porre : metti pertanto a primo terraime una quantità data, siccliè il quarto termine uguale al prodotto dei medj diviso per il primo non tenga la falsa posizione al denominatore, ed usata questa cautela, e determinali per questa strada gli errori delle due false posizioni, applica con fran- chezza la consueta regola alia quale e per antichità e per semplicità tocca il primo luogo. Regola I. Moltiplica la prima falsa posizione coll'errore della seconda, e reciprocamente la seconda coU'error della prima, e dividi poi la dif- ferenza o la somma di questi due prodotti per la differenza o la som- ma dei due errori, secondo che sono ambedue della stessa natura, cioè tutù e due in più o in meno, ovvero di natura contraria uno in più, l'altro in meno: il quoziente di questa divisione sarà certamente il vero valore della quantità cercatii. 192 Esempio. Si ripigli il quesito del signor T^entretti, eli* è di trovare il capitale del primo di due compagni nel traffico poste queste condi- zioni: I.» che il suo guadagno sia stato ducali 4oo> 2.* che il secondo compagno abbia contribuito 1400 ducati di più del primo, 5.^ che il guadagno totale sia stalo 1000. Queste tre condizioni si ristringono ia due altre, l'uua conseguenza immediata della seconda, vale a dire, che la somma di due capitali sia uguale al doppio capitale del primo più 1400; l'altra non accennata ma sottintesa per le leggi del traffico, ed è la pro- porzione tra queste quattro cose: capital totale, guadagno totale, capitale parziale del primo, suo guadagno. L'ordine di queste due condizioni non è libero, dovendo necessariamente la sommazione dei capitali precedere alla notata proporzione, ma la disposizione dei termini di questa è libera. A poter però servirsi della consueta regola, fa mestieri porre a primo ter- mine uno dei due termini noli, che sono il guadagno totale 1000, e il guadagno parziale del primo compagno 4oo- Si è veduto sopra come l'applicazione della regola riesce bene, ponendo a primo termine della pro- porzione il guadagno totale looo, vediamo qui come riesca egualmente bene ponendo a primo termine il guadagno parziale 400. Fingendo per- tanto per prima falsa posizione, che il capitale del primo compagno sia stato 1000, e perciò la somma dei due capitali 3400, con fare la propor- zione: 400 guadagno del primo, a lOOO suo capitale, come 1000 guada- gno totale, alla somma dei capitali, risultando questa per tal proporzione di ducati 2600, si avrà l'errore di 900 in meno, di quanto cioè questa somma è minore di quella irnniediaiamenie dedotta dalla falsa posizio- ne 1000 del capitale del primo compagno. Preso poi per falsa posizione di questo stesso capitale ducati 2000, onde nascerebbe la somma dei due capitali 5400, facendo la proporzione 400 : 2090 :: 1000 alla somma dei due rapitali, risultando questa per la regola del tre di 'ducali 5ooo, si avrà errore 400 parimente in meno. Laonde applicando la redola, il ca- pitale cercalo del primo compagno dovrà essere = ( 2000 x 900 — 1000 X4^o)-(900 — 400) =2800, valore giustissimo e che si troverà reg- gere a qualunque prova. Caso 2.0 Se oltre ad essere necessariamente detcrminato l'ordine delle coudizioni, l'ultima fra esse ti mettesse ineviiabilmenle la falsa posizione a denomiuaiore, isolala però, o al più moltiplicata con una quantità nota, esclusa l'aggiunta o la sottrazione di altra qualunque quantità, in tal '95 caso in vece della regola superiore appigliali alle due seguenti, die io fondo coincidono, sebbene in aspetto sieno diverse. Regola II. Dividi li due errori per le due falsa posizioni reciproca- mente, e di nuovo dividi la differenza o la somma dei due quozienti per la d.fferenza o la somma dei due errori, e finalmente rovescia il quo- ziente di tal divisione se è frazione, e se fosse intiero rendilo frazione, prendendo l'unità per numeratore: questo quoziente cosi rovesciato sarà j1 giusto desiderato valore della quantità incognita. O pure _ Regola III. Moltiplica le due false posizioni fra loro, poi torna a mol- tiplicare il loro prodotto per la differenza o per la somma degli errori, ed m terzo luogo dividi ciò che hai ottenuto per la differenza, o per la somma dei prodotti formati, moltiplicando ciascuna delle false posi- zioni per il suo respetiivo errore. ^Esemplo. Un Signore ha venduto due cavalli, uno io zecchini piU dell'altro, e la somma di ambedue i prezzi divisa per \ del prezzo mi- nore dà 2 di quoziente: quali sono slati i prezzi? L'ordine delle condi- zioni è necessario, e la falsa posizione cade nell'ultima necessariamente al denominatore. Preso tosto per prima falsa posizione del minor prez- zoXio, sarà ii; prezzo maggiore 20, e la somma divisa per ^ del 3o 60 2 '""'°'"' = :;Z^-"^ = '"^ 5-' *'^*=l^è si ha l'errore di i in più, e preso per seconda falsa posizione del minor prezzo il i5, sarà il maggior 25, e la somma divisa per '-del minore =4 ^ll" ^ , + 4, onde^ errore 18- '■* '3 4 75 in più. Significando ora per x il vero prezzo minore si avrà per la Re- gola II -=(l:rS-- io]- ft 2] ^ ^ [^ ij- '*'y- ^ 5 —75 y=.- e rovesciando 37 = 20. EperlaRegolaIII.= .ox.5x(i_f^):^ixio-ix:5) = 20: al qual numero sodando la prova si troverà andar benissimo; poiché di fatto ^" = 1°:=. 2. All'incontro servendosi delia Regolai ordinaria troveresti a^^z/iGxr— 10^- ì • /i M q' , ^ 5 '*^X.5;- ^5-r5;='8-^checer. 25 '9\ t7-- + i7-. tamcnte non regge alla prova essendo — '- — 3"°__ ^ . ^ .lx.7^ '^5 55 Altro esempio. Per uua dimostrazione più sensibile degli strani risul- tati ai quali si va a fluire trasportando le regole fuori dei loro limiti, si proponga di ritrovare il divisore di 24 che dia 6 per quoziente. Egli è questo il secondo quesito del signor Ventretti, prodotto per dar a di- veder in una maniera più palpabile la fallacia della pratica regola di doppia falsa posizione. E di fatto vero che prendendo per divisore il 5 risulta — =8:=6-f-2, cioè errore di due in più, e preso per seconda falsa posizione il divisore 2 risulta — 1:^12 = 6-^-6, errore cioè di 6 parimente in più^ onde operando giusta la comune regola dovrebbe il j. . 3X6 — 2X2 14 2 j -p ricercato divisore essere =: =. -= 3 -f- — , quando maniie- t> — 2 4 4 stamcnte si sa esser il 4- Ma quale stupore se uua regola non scioglie a dovere i problemi che di sua ragione non sono? Questo quesito dun- que, non la fallacia della consueta regola, ma fa toccar con mano la necessità di distinguer i casi per applicare a ciascuno la regola sua pro- pria. La condizione del quesito mette a dirittura a denominatore la fal- sa posizione; dunque si adoperi la regola li o la regola III, e si avrà per quella (r — "" ]'(^ — ^)'^r' ^ rovesciando = 4» e per questa di- rittamente 5X2(6— 2). (6x3 — 2X5)= 4. Caso 5.° Che se oltre ad esser necessario l'ordine delle condizioni, oltre il cadere la falsa posizione per legge iudispensabile dell'ultima condizione a denominatore, vi si aggiugnesse l'incomodo di restar in esso denominatore, complicata o per via di somma o per via di sot- trazione con altre quantità date, uopo sarà allora che tu ricorra alla regola seguente. Rcola IV. Moltiplica la prima falsa posizione col denominatore com- plicalo della seconda e coll'errore di questa stessa; e scambievolmente la seconda posizione col complicato deuominator della prima e col suo errore : presa poi la differenza o la somma dei due prodotti, dividila per la differenza o per la somma de' prodotti dell'errore e del com- 195 plicato denominator della prima, e similmente dell'errore e del com- plicato denominatore della seconda : la divisione darà per quoziente il valor esatto della quantità che si cercava. Esempio. Vi sono due fontane, una dispensa 12 brente d'acqua al giorno più dell'altra, e la somma delle brente dispensate da tutte due insieme accresciuta di 20, e poi divisa per il numero delle brente dispensate dalla fontana più scarsa, meno 4» darebbe per quoziente parimente 4' quante ne dispensa l'ima e l'altra? Prendasi per prima falsa posizione della minor dispensa 16, sarà la maggior 28, e la somma 44' ^^^ accre- sciuta di 20 monterà a 64, la qual divisa per 16 — 4» cioè per 12, dark 4"+- j-.cioè errore dijin più. A seconda falsa posizione della minor dis- pensa si assuma 3o, così la maggior sarà 42, la somma -^2, ed ag- giunto 20 si avrà 92, cbe diviso per 3o — 4) cioè per 26, darà per quo- 7 6 . ziente 3 -+- -,, onde errore -_ in meno. Applicando la teste stabilita rè=~ gola troveremo il valore della minor dispensa = [ i6(3o — 4) -_-}- 3o(i6-4)jj :('(3o-4)73 4-(i6-4)5-j = (i6xi2-H3oX9): / 1 /?\ ^ o / T-w. r< 24-1-36 + 20 80 . . ,„ ( la -4-16) = 672: 28 = 24. Di fatto — ^ ==- = 4. All'opposto per la consueta regola I troverebbesl essa minor dispensa :^ ( i6 x -^ ^- ^'^x|")= (r3-^l') = (96x3-M20X i3).(6x 3-h4x i3)^ 496 : 70 = "j jv , valor, come vedesi, moltissimo lontano dal vero. artificio per assoggettar tutti i casi alla consueta regola. Non sono però i casi 2.0 e 3." avversi tanto alla regola comune che non si possano ad essa assoggettare: si otterrà benissimo di assoggettarli purché si cangi forma all'ultima condizione, vale a dire, se in vece della divisione da essa prescritta si faccia un prodotto del divisore assegnato col quoziente che dovrebbe risultare. Per esempio, nel problema ultimo- in vece di dire che la somma delle due dispense accresciuta di 20, se poscia si divida per la dispensa minore, meno 4» deve dare per quoziente parimente il 4» suppongasi detto che la somma delle due dispense ac- cresciuta di ao dev'esser uguale a quattro volte la dispensa minore di- minuita di 4> 6 su questo facile cangiamento dell'ultima condizione, com- putando gli errori delle due false posizioni 16 e 3o, si avrà rapporto alla prima 16 + 28 -h 2 = 64 = 4( 16 — 4) +i6,cioè errore di 16 in più, e rapporto alla seconda 3o -j- 42 -H 20 = 92 = 4 ( 3o — 4 ) — 1 2, vale dire, errore di i 2 in meno: errori ben differenti da quelli, che sopra risultarono dalla condizione nella forma sotto cui fu proposta ; servendoci perfine dell'ordinaria regola I, otterremo per valor della minor dispensa ( 16 X I2 -I- 5o X Iti): ( 12 -h 16 )= 672 : 28 = 24. La speditezza di questa regola, e la facilità del cangiamento da farsi nell'ultima condizione del proble- ma per poter di essa valersi, determineranno i pratici a preferirla a tutte le altre, ma non può negarsi che ancor esse non sieno eleganti, e con- veniva discoprirle per una completa teoria dell'arte della doppia falsa posizione, e ad appoggiamento di dà amasse scioglier ogni problema per la sua strada diritta e propria (i). (i) Era inlenzione dell'Autore di presentare vali, che non si rinvennero fra i suoi mano- all'Accademia delle riflessioni particolari sopra scritti, l'equaiioni di terio grado, e dei gradi più eie- *97 OSSERVAZIONI INTORNO ALLA COMETA DEL i8i5 MEMORIA DI GIOVANNI SANTINI LETTA all' I. R. ACCADEMIA DI PADOVA IL GIORNO S FEBBRAIO MDCCCXVI. Lia prima notizia della scoperta di questa cometa mi venne data dal chiarissimo nostro Socio Cons. Prof. Brera il giorno 8 d'aprile decorso, che gentilmente mi consegnò il N. 44 <^el foglio di Gottinga, ove tro- vavasi l'estratto di una lettera del signor D.r Olbers al valentissimo Matematico Gauss, al quale dava l'avviso di avere scoperta il 6 di marzo una cometa nella costellazione di Perseo. Essa era stata ricercata dal lodato signor D.r Gauss anche all'Osservatorio di Gottinga, e ravvisata la sera del i3 marzo fra le stelle i5g e 1G4 di Perseo, ma le nubi ne avevano impedito una regolare osservazione. Malgrado cos'i pochi dati avrei tentato di ricercarla anche al nostro Osservatorio, se una serie costante di cattivo tempo non me lo avesse iojpedito. Giunsero frattanto i seguenti fogli di Gottinga, e nel nume- ro 55 ritrovai gli elementi parabolici della cometa calcolati dal sionor D.r Gauss sulle prime osservazioni. Questi elementi erano i seguenti: Passaggio al Perielio.... 181 5 24 aprile iC». 37'. 4". T. Medio a Gottinga Longitudine d'. io" 35. 33. 24 4o. 21. 4,') O 0°. 26'. ip" 4i. il. 55 stì. 43. j4 los. R 9,()98687 o,oo3'^3 I Dietro queste posizioni io trovo i costanti come segue: T'^eS". 4'. 42' ; T" 58°. li'. 5- lo-. 71/'^ 9,948870 ; log. A/"r=9,933oG5 log. A"^=Q,575i5i ; log. iV' = 9,855222 lo^. jP' -=^9,(^41 663 ; log. /J":^ 9,385554 rn'<' „ ' T =^ 70°. 20 . 12 log. yi/''-^ 9.980925 log.7V"'=9.8385o8 log, P''' = 9,9597 52 \ . - ^ 2o5 Prempsso il calcolo di questi costami, stabilisco ora le tre seguenti ipotesi : I.» .xs = 1,24738 . . . . f = 114,69-49 I 2.a vr fa = l,25a58 . . . . f = 1 14,69749 \ 3.» ir =1,24758 . . Ì-l-a'-= Il4>94749 ) cosicché a, = + o,oo5 fll,' = + 0,2 5j otterremo cosi i seguenti risultati. I.» Ipotesi oj' =^ — 520. 26'. 4' • log. r' = 0,151267 X =z 2I°.22'. 48' ,5 . e' == io5. 39. 48 • ■ V =: 7. 4'J' ^2 : 0,0979 Ì9 . . . X" = l\i°. 8'. 1" e" = 146. 55. 57 . . v" = 48. 16. 35 . r' '=-. 0,175475 . . ^■" = 4o°-^"'-4o ' » C = 300. 27. I . Col mezzo di questi valori trovo poi log. r log. 2.» Ipotosi — 520, . 5'. 36" . 0,102620 2 10.23'. 43",5 io5. 29. 52 7. 57. 47 . 0,099663 42°. io'. 18 " . 146.09. 9 48. 2. 56 0,176441 . 400.22'. 39" 2o3. IO. 8 X =: 4*^ • ^ ^ • 4 1» ' — V = ^o. 6. 56 ^' = -{- 6. 28' Quindi la prima equazione x" = 81°. 57 . 4o' . v" — v' = 80. /^2. 39 h' ::=+ i. l5. I 40". 8 . 20' . 39. 53. 23 . c/'= -t- 14'. 57" . , . 5o9".a^-|-3i2",5.j=. — 588'' . . 810. 57'. 5i" . . 820. 3'. 48'' . . 80. i8. 32 . . 80 44. 58 3.» Ipotesi — 52°. 38'. 48'' o,i5i 737 210.25'. 8" io5. 36. 20 7. 25. 39 0,097825 42». 7.01 146. 57. IO 48. 6. IO 0,174886 40°. 19'. 28'' 2o3. 3i. 52 400.16'. 7",5 40. 4- 27 = -4- II'. 4ù",5 /j"r=-}-i. 3g. 19 /i"'=-\- i. 18. 5o d'onde formasi la seconda equazione .... i 458 '. a: -j- 229".^ :^ — 45oi''' Dalla ilsoluzionc di queste due equazioni deduco . . X ^- — Ojf^Sóo . . . . j-^^-i- 5,o3858j e però la correzione della distanza perìelia sarà . . la conezioiie del [lassag^io al pciii;lio sarà. Quindi la di-.laii/.a poiiclia coireua sarà _:; r,::2'j95, il teuip') del passi^'gio per il peiiulio :=^ i 15,96958. Prima di pas^aro alla d .loriuina/.iouG degli alla elementi, siccome le correzioni (,x, a/ sono ^ijultule piuttosto forti, così è necessario d' iu- 0^1 0,01944 - 1,27209 Qoff durre una nuova eorreziune alla precedente distaoza perielìa, ed al pas- saggio per il perielio. Faremo a tale oggetto le tre seguenti ipotesi : l.a ... T3- — 1,22795 . . . . t = l 15,96958 1 ,. 1 , . , r '•^ ^ '' I di modo cue Sia a. = + o,oo5 a.a ... iB--}.a= !,232q5 . . . . f= 115,96958} ' » I a'=-(-o,2 5 5.a....ir = 1,22795 ...t-^-a— 1 16,21958; Calcolando le formule superiormente esposte lu queste tre ipotesi trovo- i seguenti risultati. i.a Ipotesi v' = — 54".n3'. Il'' loii. r := o, i285oo X = 210.20.55 ,5 e' = 106. o. ig oj ' = 6.53.52 log. r'' = 0,090607 X-' = 410.57 .35'',5. e " = i48' 9-13. 0}'"=^ 48.16.43 log. r" ^^ 0,1 68663 X'" =; 4o°- 6'. 2 2 ' . e '' = 2o4-33.26 2.^ Ipotesi — 34°- 2'. 6" 0,129853 . 2 1°. 2 1 .49' io5. 50.28 6.51.29 0,092355 . 42°. o'. 9" i47.5i.35 48. 2!49 0,169645 . 40°. 8.29 3.» Ipotesi - 540. 2 5'. 5g'^ 0,128999 2 l0.2l'.l4" io5.56.33 6.17.22 0,090 190 4io.57'.25" 148.10.22 48. 6. 2 0,168060 40». 5'.4" 2o4.38.3o . . 204.1 5.1 5 Calcolando ora i valori di a:', a?", mediante i precedenti valori numerici., otterremo a?'=:4o<'. 48'. 5i ' 400. 45'. 9",5 400. 5i'. 43" v"—v' = /\o. 47- 5 4^»- 53. 34 4o- 45- 21 q= -+. i.28...7^-f-9.3D,5..7=+ 8. 22 Quindi la prima equazione . . . 487' ,5. a? -|- 4 «4 -J =^ — 8^ a:" =- 820. 29'. 37" S20. 29'. 26'',5 820. 36'. 8" 'v"'--v' ^82. 29. 55 83. 4. 54 .82 5i. r 71 =1 o'. 16" . . Il" =^-\- 24'. 52'',5' . 72"=-t- 5.7" Queste due equazioni risolute danno. , a: := -f- 0,0765 . • J^= — o,3o26 saranno pertanto le nuove correzioni . ax ;= -f- o,ooo382,a^^^ — 0,0756$ e perciù la vera distanza perielia =: 1,238332 il vero passaggio al perielio = 115,89393 Di qui o col calcolo 0 con una facile interpolazione deduconsi 1 se- {jucmi valori 20^ v' = — Zio. 8'. 27" . ; . v" = -+- 60. 38'. 18" . . v"'= 48°. i8'.45" V = 21. 20. 5 1,5 . . X" —- 4'- ^7' 48 • . l'" = 4o- 6. 55 e :=; Io6. O. 4' . . . c'' = 148. -J. 3o . . e'" =: 204. 21. 23 ricavando il valore di z dalle equazioui (a), dal confroDlo della prima e sccouda osservaziouc, e della prima e terza trovo ^ = 230. 16'. 3i" ~^ = 23. 16. 9 Medio =: 23. i6. 20 Quindi la longitudine del nodo =: 82». 44'' 21''. Le equazioni (b) danno per l' inclinazione i tre seguenti valori . . *= 440.41'. 22 " 12 40 Media luclinazione = 44°- 4 ' • ^5" Finalmente le equazioni (e) danno u — v' = 65°. 18'. 5o' u' — v' = 65. ig. 1 3 u ' = v'" = 65. 19. 21 Me^io = 6 50.^, qT^S" Long, del nodo = 82. 44- 2 1 ■Quindi lo. del per. =^ 148°. 5. 29" Ecco qui rìuuiti i precedenti elementi paraLolIci della cometa. Pas. al perielio i8i5 .. 1 15,89393, ossia i8i5, 25 aprile ai*». 27'. 16". T. Mcd. a Padova. distao. perielia ^ i, 228332 log. OT =^ 0,089516 long, del perielio ;= 1480. 5'. 29" long, del nodo =; 82.44-21 incl. air eccliiilca ^ 444 ■•25 Moto diretto Confiontaiido qucsii elpinctiii colle osservazioni, che hanno servilo di ba- 12 1 Mail.i 2MariS"> i8l.iiu^u(j >ii;i. (ifoc. Olir li. liiis; Opoo. ossciv fi ir j l.it. Geoc. cale osscrvata diff. gì • 8. 58 i5,. 28 9 (1 0 'fi'. iO'' () ' • 0- ^ \ ") 0 2 H 18 +5" — 10 — I( i<,o. 35'. 25" 35. 53 27 /|0. 2.7 3i- itjO.jS' io" "i5 33. 24 IO 27. 46 + i5" -t- 3 — i5 208 Avremo poi dietro i precedenù elementi le coordinate del luogo elio- centrico della cometa relativamente al piano dell'equatore espresse pei* le seguenti formule •ir. sen. rt. sen. ( j; + 255°. 9'. 3o" ) ^ = ; '-iJog- IT. sen. a =:^ 9,944504 COS.'— y \ •«r. sen.i. sen.(!;-|- iG;". 54'. i4") J' = ; . . . log. -VX. seu. h = o,o58342 COS.'— V ■73- sen.c ser. (u-j-9j°. 26'. 20") 2 = . . .log.o-.sen.c = 9,gS558r. COS.'— V a Quantunque i riferiti elementi parabolici rappresentino con una bastan- te precisione le tre osservazioni che hanno servito di base, tuttavia si allontanano sensibilmente dalle altre osservazioni intermedie, lo che di- mostra non potersi senza errore assumere l'orbita della cometa attuale per parabolica, ed essere necessario l'investigare l'orbita ellittica. Gauss il primo, ed iu seguito i signori Bessel e Nicolai intrapresero questa ricerca. Ecco gli elementi elliuici di questi due ultimi, che mi furono gentilmente comunicali dal signor Barone di Liudeuau con una sua lettera del 10 settembre 181 5. Secondo Bessel Secondo Nicolai Tempo del perielio i8i5.. aprile 26,00464 a Parigi 26,05857 a Seeberg Nodo ascendente . 83''.28'.46",i8 . . 85o.28'.52",3 Inclinazione . . . 44.29.53,71 . . . 44-29-46,o long, del perielio . 149. 2.29,14 . . . 149. 5.25,3 ' log. dist. perieba ^ 0,0837960 . dist.perielia= 1,2126878 eccentricità . . . =0,9511277 =0,9502934 semiasse maggiore = 17,60964 =17,39704 risoluzione siderale = 7 3''°,897 =72="',564 Noi termuieremo questa breve Memoria col confronto delle nostre os- servazioni sia cogli elementi parabolici surriferiti, sia cogli elementi el- littici del signor Bessel, d'onde apparirà quanto i primi si allontanino dalla verità, e quanto vi siano conformi 1 secondi. 209 eleuietili p,ir. Elem. Eiittici Giorni A.R. osserv. deci. bor. oss. crr. in eir. in err. iu err. in A.R. declin. A.R. declin. r'i O Marzo 20 54°.7'.49" 39°- 7' • 47" — o'.48" — o'.i5" 21 54. 55.2 1 59. 56 57 — 0. 39 — 0. 33 1^ — 54.54.21 39. 38 8 — 0. 23 — 0. 27 25 5G. 28. 5o 4i. 58 5 + 0. 40 + 0. u6 5. 3o 59 i5. 3 44- IO 27 — 0. 57 -H 0. 35 Aprile 24 80. 49. 55 56. 3. 16 + i'.48" + o'..4" -t- 4" -23"! 23 85. 57. 54 57. 37. 55 + 0. 9 + 1. .0 Maggio I 90. 16. i3 58. 41. 7 + 0. I -t-o. 16 -43 + 28 2 91. 47. i5 59. 0, 32 — • 0. 42 — 0. 5 + .8 + 9 91. 48. ',8 59. 0. 4o — 1. 1 1 — 0. 35 — 9 - i4 — 18 + 16 IDI. 4'>- 4 Co. 35. 36 -V'.g" — 0. 55 101. 4''. '3 60. 57. 0 — 4 29 + 0. 25 — 4' + 29 IO I o5. I "i. 4' 6q. 5g. 45-4- -4 2 _o. i± + i58 + 62 1 I 107. 4. 0 61. 6. 4 — 5.54 — 1. p + 25 — 82 107. 7. 18 6.. 7. 5o — 5.35 — 0. 32 ._> n — 5i 12 108.57.37 61. 16. 52± — 6.56 -H 0. 5o DI — 109 2.11 61. itì. 7 -5.57 -{- 0. 21 + 5o + 42 '7 .18.47,45 61. 5o. 35 — 8. 5o — 0. 32 — 27 - 48 1 18. 49- 55 61. 3o. 47 — 8 20 — 0. 19 — 4 — 35 21 126. 44- 21 — 921 + i5 i2fj. 46. 52 61.' i3. .5i — 10.22 + 0. 41 - 44 — 9 2 5 154. 5o. 46 60. 3i. Ì9± — 9. la • + 49 — iS-j. 52, 22 60. 27. 56 — 9. 3 + .. 5 + 65 2 3 Giugno 5 154.57.56 56. i3. 1 — 7. 5 + 2. 5a H- 4> + 33 — 1 54. 58.50 56. 12. 49 — 6.46 + 2. 52 + 62 + 52 i8 172 36.59 48. 7. 52 + 0. 8 + 0. i3 + 5o + "^7 — 172. 57. 18 48. 7. 28 — I. 2 + 0 28 + ,9 + 43 24 179. 5.55 43. 49. ±: + I. 5o — 3'. ; : — '4 — '79- 4- 9 . . -H 1.35 ~ 9 Luglio 2 18O. 19 10 57. 53. + 7- 5 — • 7. 22 - 4. I segni annessi alle ultime due colonne indicano quantità da aggiun- gersi alle posizioni calcolate per oticuerc le osservate. Nel calcolo dei luoghi paraLolici non si tenne conto dell'aberrazioncj ma se n'è tenuto conto nel calcolo dei luoghi ellittici. Quanto all'ultima osservazione del 2 luglio, è stata dedotta immedia- tamente dall'altezza, ed azimut osservala col piezzo dello stromenlo, 27 210 e può essere incerta, giacche il circolo azimutale dà soltaulo 2 minuti primi. P.S. Il signor Nicolai, valentissimo calcolatore ed astronomo a Gota La sulla totalità delle migliori osservazioni di questa cometa corretto i suoi superiori elementi, ed ha ottenuto i seguenti, che rappresentano assai bene le buone osservazioni di questa cometa. Passaggio al perielio . . i8i5 aprile 26,02294 T. M. a Seeberg. longitudine del perielio .... i49''.i'-57 ",74 \ Equin. Mcd. del del nodo 83.28.35,77 j 2G aprile. Inclinazione all'ecclittica .... 44.29.52,28 Moto diretto Eccentricità . . = 0,9516693 Log. dis. perielia =-- o,o838369 Semi-Asse maggiore = 17,750926 Rivol. siderale . =74,7895 an, Giul. D '^^ 210 e può essere in< primi. P.S. Il signor ha sulla totalità suol superiori el assai bene le bue Passaggio al perle longitudine del p del n Inclinazioue all'oc Moto diretto Eccentricità Log. dis. perielia Semi-Asse maggioi Rivol. siderale 1 , 311 SOPRA LA LATITUDINE GEOGRAFICA MEMORIA DI GIOVANNI SANTINI PROFESSORE d'ASTROKOMIA DELl' I. R. OSSERVATORIO DI PADOVA. E ino dal 1807 il siguor Barone di Zacli, Aslronorao rinomatissimo della Specola Evaeslioa situata nel Colle Seeberg vicino a Gota, gettò dei forti dubl)j sull' esattezza della latitudine di questo nostro Osser- vatorio, che a lui con le osservazioni fatte mediante un circolo molti- tipllcalore di nuova costruzione del celebre signor Reichenbacb di Mo- naco risultò di 45°- 24'. I 5 61, vale a dire, circa 22' secondi mag- giore di quella stabilita già dagl' illustri miei predecessori Toaldo e Chiminello. Dopo quell'epoca mi applicai alla ricerca della vera latitudine dell'Os- servatorio, e mancando di uno stroraento esalto per misurare le altezze, in cui vi fosse il comodo dell' inversione per poter scuoprire l'errore del principio di numerazloue, ricercai la latitudine con un nuovo me- todo indipendente affatto dall'esattezza delle divisioni di un quadrante, e dall'errore, eh' esser poteva nel suo principio di numerazione. Le mie ricerche lette prima a questa dotta Accademia, e quindi presentale alla insigne Società Italiana, trovansi inserite nel XVI Voi. dei suoi Atti; e furono coronate del più felice successo, avendomi dato la stessa latitu- tudiue già trovata dal Zach con metodo affatto differente, lo che forma al tempo slesso la più sicura riprova della verità dei priucipii da me adoperati, e della precisione del circolo del siguor Bar. di Zach. Nel decorso anno i8i5 sul finire di maggio, L'È. I. B. Governo, sem- pre intento a promuovere ogni sorta di studii, accordò a favore dell'Os- ;ìI2 servalorio la somma necessaria per l'acquislo di un circolo ripeiitore di 12 pollici di diameiio, come quello del signor Zach, coslruilo esso pure dal signor Cav. Consigliere Relcheubach, col mezzo del quale ho po- tuto, mediante molle osservazioni ripetute sopra diverse stelle, pienamente verificare e stabilire in modo incontrastabile, la latitudine del nostro Os- servatorio. Prima però di esporre le osservazioni stesse, non sarà inutile premet- tere alcuni cenni sul circolo ripetitore, indicando eziandio il modo di servirsere tanto per le osservazioni AstrocomicLe, che per le operazioni Geodetiche. La prima idea di slromenti moltiplicami gli angoli si deve al celebre Astronomo Mayer, il quale diede di un circolo moltiplicatore la descri- zione, che fu inserita nelle sue opere postume. Non avendo egli avuto il comodo di farlo eseguire, al signor Borda di Parigi siamo debitori della prima costruzione loro, e da lui furono poscia denominati Circoli di Borda. Diversi Artefici francesi continuarono a costruire dei circoli moltiplicatori, e già erano fra le mani di tutti, e godevano grande ri- putazione i circoli costruiti da Lenoir, quando il signor Cav. Reichen- bach distinto già per I-e sue mateinaiiche cognizioni, eretto nelle vici- nanze di Monaco un grande elaboratorio meccanico, richiamò l'attenzione dei dotti per la somma finezza e precisione, che seppe introdurre nelle divisioni del circolo, e per la sensibilità dei suol livelli, e per la per- fezione, a cui ridusse le parli tutte componenti le macchine di sua co- struzione, perfezione, che dimostra in Ini un genio particolare, ed una profonda conoscenza degli usi ai quali sono destinate (i). Ritornando ora al circolo ripetitore, col quale ho fatto le osservazioni-, che ho l'onore di presentarvi, dottissimi Accademici, non è mia inten- zione darvene una minuta descrizione, ed un esatto disegno, poiché e l'uno e l'altro aspettar dobbiamo dal Gli. nostro Socio CollaUv, che sIìe (i) Sì possono ottenere dalla sua officina non pcnsajione, in una |)arola ogni Boris d! luao- solo eccellenti circoli molliplicatori a livello chine Astronomiche e Geodetiche munite di mobile con due canocchiali, come il nostro, raa canocchiali acromatici di isna fona e di una eiiandio dei circoli a livello fisso, come quello chiarezza superiore a quelli, che avanti di lui di tre piedi, che si ammira nell'Osservatorio di ottener si potevano dai piii rinomati Mcccanwì Milano, degli stromenti di passaggi, degli equa- inglesi. toriali superiormente lavorati, pendoli a coav- SID prenaraudo un'interessante raccolta di stromcnll Geodetici; solo vi espor- rò i priucipii foudameutali, sopra i quali è appoggiata la teoria del circolo ripetitore, principii invero noti, ma che scmbranmi poter qui op- portunamente essere collocati, affinchè più universalmente anche presso di noi si conoscano i pregj di questo stromeuio. L'oggetto di questa macchina è di misurare con moltìplicl osservazioni la grandezza della distanza angolare di due oggetti, o la distanza loro dal Zenit. Essa è composta di un circolo intero esattamente diviso di cinque in cinque minuti con quattro squisitissimi nomi situati a 90° di distanza l'uno dall'altro, i quali danno 4 secondi, e si può col mezzo loro stimare l'arco di due secondi. Le divisioni sono scolpite in argen- to; due microscopi portati da un braccio girevole intorno al centro si portano sopra i nonii, i quali sono accompagnati da una carta lucida distesa in un piccolo telaio di ottone, che spande sulle divisioni una luce molto equabile per facilitare la lettura degli angoli osservati. Nel lembo superiore di questo circolo scorre intorno al suo centro un canocchiale acromatico di moka chiarezza iiel cui foco s' interse- cano due sottilissimi fili, ed un simile canocchiale può scorrere lungo il l'MTibo infeiiore, che di più è munito di un livello a bolla d'aria inter- namente lavorato per rendere l'asse di questo canocchiale orizzontale, quando ciò si richieda. 11 circolo si può fissare in tutti i plani, e quindi si possono prendere gli angoli, che fanno fra loro due oggetti qualunque situati in un dato piano col centro del nostro occhio. La macchina è montata sopra un piede di ottone sostenuto da tre viti, munito di un circolo orizzontale diviso di i5 in i5 minuti, e d'un nonio che dà 3o secondi. 11 circolo maggiore è girevole intorno ad un'asse verticale che passa pel centro del circolo orizzontalo, ed anche intorno ad un'asse perpendicolare al suo piano. Il canocchiale superiore si può illuminare per l'asse per poter di notte tempo osservare le stelle , ed è inoltre munito uell' ocu- lare di un prisma eccellentemente lavorato, che rifrangendo i raggi en- trati per robjetlivo porta l'asse ottico fuori dell'oculare in una direzione normale al piano dello stromento, lo che rende comodissime le osser- vazioni degli astri mollo elevati sopra l'orizzonte. Sullo stesso ass€, in cui è imperualo il circolo raaggiorcj vi è dall'ai- 3l4 tra parte ìmpernato un alno circolo di 2 poi. di raggio, diviso di mez- zo in mezzo grado con un nonio, che dà i minuti. Questo circolo serve a facilitare le osservazioni degli astri piccoli, ponendosi col suo mezzo il circolo maggiore in modo, che il canocchiale, fissato essendo in una certa divisione, si porti per la rotazione del circolo maggiore intorno al suo asse in quella distanza, che aver deve dal Zenit, perchè l'astro sia dentro il suo campo, distanza clie si calcola preventivamente a un pres- so a poco. Fig, I. Per misurare l'angolo, che fanno fra loro due oggetti qua- lunque, per es. due oggetti terrestri si disponga il piano del circolo nel piano del due oggetti D,2. Quindi posto il canocchiale superiore S nel zero della divisione, si giri il circolo intorno al suo asse, sinché il canocchiale S corrisponda a 2 , ed in allora si porli il canocchiale in- feriore / in D. Lasciando fissi i canocchiali, si giri tutto il circolo in- torno all'asse, che passa per C , finché il canocchiale / pervenuto in 2 guardi l'oggetto i", nel qual caso il canocchiale superiore S pervenuto in S' guarderà verso un punto //, la cui distanza angolare da D sarà l'angolo HCD doppio del cercato angolo 1CD. Egli è ora chiaro, che distaccando il canocchiale superiore S C... fissato in principio nel ze- ro, se si ricondurrà nella situazione ICD ^ in modo che guardi l'oggetto r> j egli dovrà scorrere lungo il lemho un arco, che misurerà il doppio di "ZCD. Pertanto la metà dell'arco percorso sarà la misura dell'angolo compreso fra i due oggetti, che ci eravamo proposti di misurare. -Se ora si considera il punto, in cui si ferma il canocchiale superio- re, coiue il zero, ripetendo le stesse operazioni, allorquando si dovrà muovere il canocchiale superiore per ricondurlo sull'oggetto Z> , sarà forza allontanarlo dal punto, in cui era stato fermalo, di un arco dop- pio di 26'D, e quindi fra la prima, e seconda operazione avrà percorso il canocchiale lungo il loniho un arco, che sarà quadruplo di 1CD, Avendolo letto, la sua quarta parte darà nuovamente l'angolo 2CD. lu tal guisa si otterrà successivamente il doppio, il quadruplo, sestuplo, ottuplo ec. dell'angolo cercalo. Ognuno sente il vantaggio sommo di questo stromenlo sopra tutti quelli, che danno l'angolo semplice compreso fra i due oggetti ; poiché in questi l'angolo misurato si risente per intero degli errori delle divi- sioni ; nel circolo molliplicature in vece l'errore delle divisioni viene diviso per il numero delle osservazioni, cosicché il suo influsso nell'an- golo misurato è tanto minore, quanto maggiore è il numero stesso della osservazioni, in modo che si può dire, che dall'osservatore dipende l'at- tenuarlo fino a renderlo insensihile. Le divisioni praticate dall'artefice nel nostro circolo sono di una tale precisione, che i risultati ottenuti con l'angolo quadruplo son già esalti a segno tale che con le ulteriori osservazioni di nessuna, o quasi nessuna correzione si trovano ahhi- sognare. Gli angoli terrestri ottenuti con questo stromcnto abbisognano di una piccola correzione, che 11 più delle volte è insensibile, massime se la distanza degli oggetti Z), 2 sia molto grande. Per ben concepire la na- tura di questa correzione, ed insieme valutarne la sua quantità, convicu notare, che il canocchiale inferiore nou è in modo impernato da girare nel centro stesso attorno a cui gira il canocchiale superiore, ma resta »n poco da una parte dell'asse dello siromento, attorno a cui gira il canocchiale superiore. Fig. 2. Posto ciò, consideriamo la figura 2. , la quale rappresenta il piano del circolo posto nel piano del due oggetti A , B, e ciò in mo- do, che il canocchiale superiore S fissalo in zero corrisponda all'oggetto ./ , mentre l'inferiore corrisponde all'oggetto B. Se il canocchiale inferiore fosse impernato in modo da girare intorno al centro G, iu allora avrebbe la direzione ICB, e saressimo nel caso di sopra. Ma io vece egli passa per un punto laterale D, ed è intorno a quello girevole, e mentre tutta la macchina si ravvolge intorno al centro C, il punto D descrive intorno ad esso un circolo di ransiio CD; il canocchiale inferiore nel caso nostro ha la direzione IDB. Gi- rando ora tutto lo strumento intorno a G, e lasciando sopra di esso fermi 1 canocchiali, il canocchiale inferiore iDB prenda la direzione Fyì, ed il superiore la direzione SCS'. Il moto angolare della mac- china sarà = DCF , e per ricondurre il canocchiale superiore S' in B converrà farli percorrere un angolo BCS = BCA-\-DCF. Ora si ha DCF = ACF — JCU = AFC — BCD ^ BCA = 90 - ./ — 90 4- B -h BCA ^ BCA -{-B- A. Quindi l'angolo percorso dal canocchiale superiore BCS' = 2 BCA -\rB — A e perciò l'angolo cercato ... BCA = ai6 Sia ora a la distanza dell'oggeilo ^ del centro dello strotnento b , la distanza di 5 j e la quantità CD , che si misura con un compasso, la quale nel nostro è = iP , o ', 8. Avremo a motivo della piccolezza di ^, B, e „ e y^=— j S=-r, e quindi l'angolo cercato BCS - ^ - ® BCA =: < -I- ^ ■ — t . Che se il numero delle osservazioni fos- 3 a è se in, in allora essendo BCS l'ultimo anco letto nel circolo, sarebbe.. BCA=^^^+ t-1. In ^d ih In generale si vede, ch'essendo a la distanza dell'oggetto, a cui si dirige il canocchiale superiore nella prima volta; b la distanza di quel- lo, a cui si dirige il canocchiale inferiore, la correzione additiva da farsi all'angolo osservato con qualunque numero di ripetizioni siasi egli d'altronde ottenuto, sarà (esprimendola in secondi) = _^ a sea. i' b sea. a" Che se il punto />, sul quale è fissato il canocchiale inferiore, avesse una posizione inversa rapporto agli oggetti A, B, questa correzione cambierebbe di segno. Tutta la difficoltà adunque nella misura dell'angolo, che fanno fra di loro due oggetti, è ridotta a disporre il circolo nel piano degli oggetti stessi. A ciò si perverrà sqmpre facilmente con un poco di pratica. Ma se si desiderasse una formola, col mezzo della quale a colpo d'occhio si veda qual posizione convenga dare al circolo per ridurlo nel piano dei due oggetti, ecconc una semplicissima. Avendo da principio orizzontato lo stromento, e resa verticale la co- lonna col mezzo delle viti del piede, si misurino le altezze dei 3. og- getti sopra l'orizzonte col metodo, di cui faremo fra poco parola, e nel tempo stesso si noti a qual divisione corrisponde l'indice nel piano orizzontale, quando il circolo verticale viene successivamente condotto nel verticale dei dati oggetti. Fig. 3. Posto ciò, sia HO l'orizzonte, nel cui piano si trova il cir- coleito orizzontale dello stromento, CAB rappresenti il circolo massimo della stessa, che contiene il piano condotto per due oggetti A, B, e pel centro del circolo j le altezze loro sopra l'orizzonte siano Aa = A, Bb=^1i. Allorquando il circolo verticale trovasi nel piano Aa, corri- sponda l'indice de! circolo orizzontale alla divisione L, e quando tro- vasi nel piano Bb corrisponda alla divisione B-, cosicché sìa ab^^B—L. Pongasi inoltre a C= e, ACa ^ i , e quindi per la trigonometria sfc- fatiR-ft lane, h' rica SI avrà .... tane, i = ■ = ■ ° se.i.s sen. [z+lS — L) donde con facili riduzioni si otterrà B—L\ B—L sen. (7i'-f.^) '- taiig. B—L\ tang. ( :; -1 —j »• 2 sen. {h' — h) B L Se ora si toglie dell'angolo. . .3-]- — — calcolato con questa formu- la l'angolo ; si otterrà l'angolo ... Z — L,e condotto l'indice del cir- colo orizzontale nella divisione marcata da Z — L, sarà il circolo verti- cale condotto nel piano verticale, che passa per il punto C. Fissato avendo in questo punto l'indice orizzontale, s' inclini il circolo verti- cale, sintantoché incontra uno dei due oggetti per es. A, ed il piano del circolo conterrà allora eziandio il secondo oggetto B ; fermata la macchina in questa posizione sarà essa disposta nel piano dei due og- getti. Resta ora a vedere come si adoperi il circolo nella misura delle di- stanze degli oggetti dal Zenit. Per ottenere le distanze dal Zenit, conviene prima di tutto condurre il circolo in un piano vellicale, e rendere eziandio verticale col mezzo delle viti del piede la colonna, che regge lo stromento. A tale oggetto vi sono due livelli, il maggiore dei quali è annesso al canocchiale in- feriore, l'altro è uornxalo al piano dello stromento. Avendo reso l'asse del primo livello orizzontale in due posizioni fra loro distanti di i8o° col mezzo delle vili del piede, si pone il circolo in una direzione tale, che faccia colla prima angolo retto, e reudesi, me- diante le viti del piede, il livello orizzontale. In tal guisa sarà la co- lonna verticale, e non resta che rendere verticale il piano del circolo, lo che tosto si ottiene movendolo leggermente, fìnclic l'asse del secon- do livello soprannominato sia orizzontale. Così la colonna ed il circolo essendo verticali, la prima prolungata fino al cielo stellato marcherà in esso il Zenit, ed il secondo determinerà un verticale qualunque. 38 2 t8 A riconoscere esaitaitìente se il secondo livello sia al piano del cir- colo perpeudicolaie, adoperavano i meccanici Francesi avanti di Rei- chenbach un filo a piombo, mediante il quale rendevano prima il cir- colo perpendicolare all'orizzonte, e se in allora il livello minore deno- tava la posizione orizzontale, era esso al circolo perpendicolare ; in caso diverso si movevano le vili in testa del medesimo, finché la sua bolla fosse ridotta nel mezzo, ed in allora tutte le volte, ch'esso livello de- noterà la posizione orizzontale sarà il circolo io un piano verticale. II si"Uor Reichenbach ha sostituito al filo a piombo uu terzo livello lavo- rato internamente come gli altri due con le divisioni scolpite nella canna, che si applica all'asse orizzontale di rotazione sporgente in fuori in due piccole punte d'acciaio, una delle quali è nascosta dal canoc- chiale superiore ; siccome l'asse di rotazione è per costruzione al piano del circolo esattamente perpeudicolaie, cosi facilissima riesce eoo que- sto mezzo la verificazione del secondo livello, la quale si deve di tem- po in tempo ripetere per assicurarsi che non si è alterato. Fig. 4 (■ go." 3.' 32/' o 4.»=^ o. 14. IO 33' 3 C.'*^ 180. 21. 20 35 3 8."= o. 28. 20 5,^' 5 10.0= 180. 55. 32 35 2 Non si è letto qui, che il solo primo nonio ; nelle osservazioni aslronomide «Ile riferiremo qui «otto, si è sempre preso il medio fra i quattro non,, che noti differiscono giammai di più di 4". Quando il primo nonio è in zero, il secondo se- gua 90.° + 4," il terzo 180" o'. o", ti quarto 27o.« o'. 0". 220 ze dell'astio dal Zenit, le quali da un istante all'altro iu grandi distan- ze dal meridiano variano presso a poco proporzionalnieuie al tempo, al- meno per piccoli Intervalli. Allorquando l'astro è nelle vicinanze del meridiano, si riducono tutte le osservazioni all' instante del passaggio dell'astro per il meridiano. Per vedere come far si debba tale riduzione, convien osservare, che l'arco totale osservalo col metodo sopra descritto non è già un raulli- plo dt'lla distanza meridiana, ma beasi la somma di tutte le distanze dell'altro al Zenit nei tempi corrispoudeuti ai successivi suoi appulsi all'asse ottico del canocchiale. Siano a cagion d'esempio sei gli appulsi osservati cunispoudenti ai tempi... t, t'\ t ', t", f , f', e le distan- ze incognite dell'astro al Zenit siano rispettivamente s', a'', s'", 2", z', 5»'. L'arco totale osservato nel circolo sia -^ ; la distanza cercata al Zenit sia =Z. Sarà . . . ^ = 5'-{-z"-}-s"'-l-s'^ -i-s* -fs^'. Ora la distanza del- l'astro al Zenit nel meridiano essendo la minima fra tutte le distanze iu vici^ianza del meridiano, se indicheremo per T il tempo del passag- gio dell'astro pel meriùiauo, e per r la quantità, di cui si avvicina ai Zenit ael tempo T — t", e cosi di seguito avremo .... s" = Z+ r . . 3" = Z-F r' z" = Z-h r" sv = Z-V rv ITI .^ Z "r r^^ dalla somma delle quali otterremo... s'+s"-hs"'. ^j^^-j-s»'^^ = 6Z A _{-,•'-}- r'-r- r' -\- /'^-f- r^ -t-r^' e quiadi avremo . . . Z = _ — '■'+'"4-' "•+"■''+ '-r' ■'' . , . .11- \ rw ■ — ■ ■ : , ciOtì SI troverà la distanza cercata al Zicnit sot- 6 sottraendo da A la somma delle correzioni r ■/' ec. e dividendo tutto per 11 numero totale delle osservazioni. Noi abbiamo tacitamente supposto l'astro nel suo passaggio superiore; che se si trovasse nel passaggio inferiore, allora essendo la distanza me- ridiana la massima, converrebbe aggiungere ad A la somma delle cor- rezioni, e dividere lutto per il numero delle osservazioni. 22i Resta ora a vedere come trovare si possano le quamltà r'r'r''..., o aliiieno la loro somma. JFig. 5. Sia a tale oggetto PZS il meridiano, Z il Zenit, P il polo, S l'astro nel meridiano, S lo stesso in molta vicinanza al meridiano. Se rappresentiamo per t il tempo, in cui si trova in S, e per T il tempo dui suo passaggio pel meridiano, sarà l'angolo orario ... -P = i5 (T" — t). Posto adunque ZP=^go — T,, pS=go-~", ZS' — Z-yr , avremo nel triangolo sferico ZPS.... cos. {Z-\-r) — cos. {L—S) — i cos. L. cos. ,j. sen."* , ed osservando, che L—^—Z, la precedente equivale alia cos Z — COS. /' Z + r ) 2. cos L. cos. 3 i5. { T — t ) = .scn. •••(0 Si; i: . Z Se n . Z 2 ^ ^ dalla quale convieu ricavare il valore di r. Ora in generale essendo q uu piccolo arco, si ha in virtù del notis- simo teorema di Taylor cos.(/?-+-^)= cos. p — {j sen.p cos.yy-|- ' - seu.p-{- — — cos. p... 1 1 j cos p ~ COS. ( p -\- -{- I ■) co!3 p q — u— - . cot.p -\ ;: . u — -^ :— . i^4 . . . ' 2 ' 2. J 2.Ì.4 Per applicare questa formula al nostro caso, pongasi p^ Z,qz=r, cosLcosS ^ !.';( T—t) SElìZ «= 2 ^— . sen' -, e non tenendo conto, che dei primi tre termini avremo . . . 2cr.stcnsé' iS(T—t. /2 cos LcosS y-ost Z , l5 (T—t) r = T — . sen^ ' — f <=• • seu.4 — ^^ - stu Z 2 V sen Z y. 2 a 0 /2 cos L cos 3 X'-OSt Z , — ( I '^' • seu.4 V sen Z /. 2 /i cos L cosS \5 y seo ^ / + 5rot^>7 /-ìcosL cosS\i ^U5 T—t) ' ' . sen.o Quando le osservazioni si facciano dentro i io minuti, che precedo- no, e seguono il passaggio della stella al meridiano, il primo termine 222 di questa serie dà con Sufficiente precisione il valore di r, e per ao' minuti avanti, e dopo bastano i primi due termini. Per una medesima stella i coefiicienti dei seni di ————...sono 2 costanti. . COS. L erti 3 r\ J t rr -i Ponendo quindi ... ^ = -r— , 5=^ A? cot Z, la sene preceden- j' • M ,^5(T—t ) i5( r_f ) ^ . ,. . le diviene . .r =2 ^. sen. 2 xj. sen.4 . Uuindi in- 2 2 ^ tendendo per 2 la sonima di tutti i valori simili che comprende, relativi ad ogni osservazione, avremo la somma delle correzioni da applicarsi all'arco osservalo espressa per ,.5(r— o iscr-o 2-r=A. 2. 3 sen. — jd. t- 2 sen.4 ; a 4 A facilitare il calcolo di questa formula, il chiarissimo signor Barone di Zach nella sua opera intitolala ; Valtraction des moiilagnes, et ses cjfects sur le niveaiix, eti sur Le fil a plomb des instruin. d' Artrono- vìie. Aviaiiun i8i4, ha dato una tavola molto comoda calcolata con somma cura, la quale per tulli gli angoli oiaij di secondo in secon- 1 . • • ■ j. ., , ,. a '5( T—t ) ^ do «no ai 20 muniti da il valore di 2 sen. • , 2 seu.l \5{T — () . 1- j- • j- 1 j- 1 '- espresso in secondi di arco, e quindi col niez;:o di tale tavo- 2 l ' la sempre con molta speditezza si potrà calcolare il valore di 2'' per ridtu-re al meridiano la distanza osservala. Questa è la sola correzione, che convenga adoperare per le stelle fisse. Ma per i pianeti e per il sole, che hanno un moto proprio in declinazione nell'intervallo fra l'una e l'alira, conviene adoperare ancora un'altra correzione dipendente dal camhianienio in decimazione. Egli e in falli evidente, che se l'astro ha un moto proprio in decli- nazione, in virtù di cui in un minuto piimo si avvicini al polo di m" secondi in T — t minuti si avvicinerà di m'\T — t); quindi in virtù di questo moto la distanza ^meridiana Z diverrà più piccola di quella osservata al tempo t di rrì\T — t ). Per lo contrario le distanze osser- vate dopo il passaggio dall'astro al meridiano saranno più piccole della distanza meridiana di m ' moltiplicato per l'angolo orario espresso in p^ 230 minuti primi. Adunque si troverà la cercata correzione moltiplicando la somma degli angoli orar] per m", riguardaiido in questa somma come positivi gli angoli orar] posteriori al passaggio per il meridiano, e come negativi gli anteriori. Se adunque l'astro si avvicina al polo boreale, con- verrà aggiungere la trovata correzione all'arco totale .^ percorso dal canocchiale sul lembo, se la somma degli angoli orarj è positiva, sot- trarla, se la somma è negativa, il contrario avendo luogo se l'astro si allontana dal polo boreale dell'equatore. Egli è inutile d'avvertire, che per le osservazioni delle stelle il pen- dolo dev' essere regolato sul tempo sidereo, e per le osservazioni del sole sul tempo vero, affincliè i5(r — f) sia l'angolo orario espresso in secondi, die se ciò non avesse esattamente luogo, dietro l'andamento conosciuto, converrebbe ridurre la differenza dei tempi T—t in tem- po sidereo, o in tempo vero secondo che si trattasse di osservazioni del sole o delle stelle. Quan'do la stella è molto vicina all'orizzonte, e si aspira a tutta la precisione, conviene di più tener conto della variazione della refrazione, lo che si otterrà con bastante precisione, aggiungendo oltre tutte le precedenti correzioni la variazione- della rifrazione presa nelle tavole per una quantità = y,r nella distanza Z dal Zenit. Corretto avendo con tutte le avvertenze precedenti l'arco totale per- corso ^/, si dividerà per il numero delle osservazioni, e si avrà la di- stanza apparente Z dal Zenit ridotta al meridiano, alla quale si appli- cherà la rifrazione, la paratasse ec. ; ed in generale tutte quelle cor- rezioni, che si sogliono applicare alle distanze meridiane osservate eoa gli altri slronunti d'Astronomia. Ad oggetto di determinare la latitudine dell'Osservatorio, ho osserva- lo la polare noi suo passaggio inferiore, e nel suo passaggio superiore, |S dell'orsa minore nelle stesse circostanze, a dell'aquila, e finalmente vi ho unito eziandio alcune osservazioni di sole, e due di a orione. Io ho sempre ridotto le disianze apparenti delle stelle al principio dell'anno, ed ho preso le declinazioni della polare, di /S deH'or.ia mi- nore, dalla citata opera del sig. Barone di Zach ; le quali due stelle si trovano ancora nel catalogo delle stelle circonipolari del chiarissimo sig. Oriani, e le loro declinazioni non differiscono sensibilmente da quelle di Zach. Per le rifrazioni ho costantemente adoperato la Tavola del chiaiissimo sig. Carlini, come pure ho preso i luoghi di sole dalie sue Tavole per la riduzione delle osservazioni solari. Finalmente io os- servo, che nel prendere il medio di un sistema di osservazioni, ho mol- tiplicato il risultato di ciascheduna osservazione pei il numero delle ri- petizioni, colle quali fu ottenuto, ed ho diviso la somma del prodotti per 11 numero totale delle ripetizioni. Dietro queste avvenenze passiamo ad esporre i risultali delle osser- vazioni di ciascuna stella- Passaggio inferiore della Polare Passaggio superiore della Polaic V Epoca ■ Z Distanze app. Dislanzemedie delle ridutle ridotte al prin Osservazioni 3 S, >4 al meridiano cipio del i8i5 181 5 Magg. 27 46.° 16'. 52, "7 46." 16. 37." I Giugno 3 16 53, 2 56, g 5 22 56, 5 39, ' / 24 57. 3. 40, 5 1 1 20 57, I 39> 9 13 20 57. 9 •>9, 7 14 IO 58, 0 4o. 5 i8i6 Giiig. 3 12 4 '>. i6. 58. 2 46. 16. 42, 0 4 2 0 37, 8 4', 5 9 20 57, 5 40, 7 1 1 i6 38, 7 42, I IC)i Meilio preso co- 1 mv si è indie. = ^6.''i6.'4°j"o5\ Declin. nied. Polare oGen. 181 5 = 88. 19. 17, 36 Somma . . 1 34. 35. 57, i> Latitudine . 45.024.' a, Sg Distanze uel passaggio supcriore di (J orsa minore Epoche -3 g Distanze app. Dist ridotte delle ridotte al principio ■ )sservaiioni - S 8 al meridiano del i8i5 i8i5 Giugn.i2 29.°5o.'45|"3 2903o.^35."6 -4 18 5o, 5 58, 5 16 20 Ì9> 2 56, 8 20 20 48, I 54, 8 i8i6Giugn.i I 16 20 18 29. 3o. 52, 7 32, 9 39. ' 3g, 5 22 IO 52, 6 ag, 0 fra le nubi 3o >4 56, 6 43, 0 i58 Medio di tutte 2g. 3o. 37, 5o Declinazione 74. 54. 40, 16 ^^^ Latitudine r= 45. 24. 2,66 Epoca delle Osservazioni i8i5 >ov. lO 29 3o Dee. I 3 1 1 12 i3 i5 lO é^ 20 20 20 20 20 20 16 20 20 Disi, osseiv. ridotte a) meridiano Distanza medi.-i ridotta al i8i5 42.0 55.' 57." 7 44, ° 43, 4 43, 7 43, « 43, ^ 43, 6 44, 7 44' ° 45, 2 46, 1 42 0 ji,' lò. ' 8 16, .5 >5, 5 i5, 4 i5, 2 '4, 8 .3, 5 14, 4 i5, 4 .4, 2 .5, 0 42. 55. i4,"7o :88. ig. 17, Titì Medio . , . Declinaz. . .= Latitudine = 45. 24; 2, 66 Disianze di ^ orsa minoro ucl suo pas- | saggio inferiore .... Epoche delle Osservazioni 1 8 1 ( j Gè u . 5 8 9 >7 5 = 0 z 1 2 20 20 Distanze app ridotte al meridiano 59. 4r. 45," 6 43, 8 46, 49, 5 5i, Dist. ridotte al primo del ■ 1816 59. 4i. Do, 52, 35, 34, a -i Medio . , Declinaz. Somma = i34- 55. 57, Latitudine ==3 45 24. 2," 5g. 4'. 02, 4 74 54. 25, 3 Che se piacesse escludere l'ultima osservazione co- me ÌQcerta, la latitu I 26, 3 27,8 5o, 2 =9' 9 3o, 8 =9' 9 29, 3 29,8 52-, , 52, I 5o, 6 3i, 4 34, 0 24,9 23, 0 25, 3 23,4 lume mal situato fra le nubi vento forte noho sciulillante 412 j Mediu Declinazione diZach Latitudine I45 .24 • 4» 5o Ó7» o 8.23 4^, OD 21, 45 ) osservate senza ) lume n<;l cre- ) pascolo Tale risulterebbe la latitudine impiegando per a dell'Aquila la decli- nazione data dal sig. Zach(Aitract des Mont.e voi. II pag. 474)- Secondo l'ultima edizione del catalogo del celebre Piazzi la declina- zione è minore della precedente di 2", i5. Si troverà la latitudine come segue . . . Distanza media dal Zenit . = 37"». o'. 43", o5 Declinazione secondo Piazzi = 8 . 25 . 19 , 5o Latitudine . . = 45- 24. 2", 35 aaf Di a d'Orione non si fecero, che le due segueiul osservazioni. 1816. i5 Marzo 18 Marzo I\unj. Distanza Ul=iaij/,u delle meridiana ridotta Osseiv. 13 osservala al 1816 5ao. 2'. 17 ', 4 58°. 2 . i5',8 20 38.2.19, 4 38. 2. i5,8 32 Medio . . 58 . 2 . i5,o Declinazione di Piazzi 7.21. 47,2 - 45. 24. 2'', 3 Distanze del Sole al Zenit. Num. Dist. di 0 Deci, di So le delle ridoUe colle Tavol e Lalitu dine • Osserv. al meridiano di Carlini i8i5. Settembre 21 20 440. 25'. 53", 5 + 0.58'. 7", 9 45. 24. ~i 23 12 45- 12. 37, 6 + 0. 1 1. 21, 9 23. 59, 5 Mj*^ fra le nubi 24 20 45- 36. 6, I — 0.12. 2, 1 24. 3, 4' 23 6 45. 5c,. 29, 3 0. 35. 27, 8 I, 5 <*t fra le nubi 29 18 47. 33. i5, 7 3. 9. IO, 4 5, 3 Ottobre 5 14 49. 53. 9, 5 4.39. 6, 6 'i 9 7 ] a 5o. 39. 26, 5 5. i5. 23, 2 2, 3 8 18 5i. 2. s5, 9 5.38.25, 5 0 4 IO 20 5i. 48. 18, 5 6. 24. 16, 8 ', 7 »8i6. Settembre 8 16 3y. 43. 32, 5 4-5.40.39, 3 j, 8 1 1 I 2 4o. 5i. 47, 9 4-32. .6, 5 4. 4 i4 1 2 42. 0. 4o, 1 3. 23. 20, 4 0, 5 16 i6 42. 46. 59, 0 2.37. 3, 0 2,0 J7 Med 16 43. IO. i5, 1 2. ,3.49, 2 4,3 0 212 mnr^r 45. 24. 2",32 238 Osservazloui del Sole nelle vicinanze del Solstizio Jemale i8i5. i8i5 Dicembre 12 i5 i4 i5 ili 1816 Ceiinaio 5 a 8 t Num. Distanze d # n-t • ' P^' '^^ di ridotte Kuiuzione al Solstizio 0 Dist. solsliziale Osseiv. al meridiano 20 68.27. 28" 7 + 24'. 82", 0 +'o", 4 68°. 5i'.5i".i 20 68. 5i. 56, 4 19. 5o, 3 + 0, 5 il! 0 20 68.36. I, .1 i5. 46, 4 + 0, 1 48, 0 20 68.39. 55, 7 '2- 9, 9 — 0, 0 45, 6 20 68. 43. 45, 9 9- •' 4 — 0, r 47> a 20 68. 7. 5, 4 44. 44, 4 — 0, 3 49, 5 20 68. 0. 21, 4 5i. 23, 6^ — 0, 3 44, 7 20 67. 43. 46, 4 6'• Quindi la latitudine sarà = 45». 24'. 1", i(i)- Riuniamo ora sótto un sol punto i risullamcntl superiormente ottenu- ti per la latitudine , e troveremo. Latitudine dedotta da ig4 osservaz. della Poi. passag. infer -= ^5°. 24 • 2". 5g da 1Q2 osservaz. della Poi. nel passag. saper. = 2 ,66 dai 38 ^ Ois. min. nel passag. supcriore . . = 2 , C6 da 82 (S Ors. min. nel passag. inferiore . . ^= 2 , 5o da 412 osservaz. di a Aquila = 2 , 55 da 32 osservaz. di «, Orione = 2 , 20 da 212 osserv. di^ verso l'Equin. Autun. . . =^ 2,52 da iGoosserv. di 0 verso ilsolst. d' iuv. i8i5 = i , io lium. tot. dell' oss. 1422 Mediocombinatocomesop.ee. =45- 24. 2", 5o (i) Non dobbiamo sorprenderci, che la la- delle differenie ancora maggiori. La latitudine titudine con le osservazioni del Sole ci risulti sarebbe a noi risultata un poco minore di quel- an poco minore, che con le osservazioni delle la che abbiamo assunto, se avessimo adattata stelle. Ad altri insigni osservatori è accaduto V oblitfuilà media ira la jemale e l'estiva. la stessa oosa; che ami hanno essi trovala 221 Si può adunque staLìlire la laiitudiue dell' Osservatorio di Padova = 45°. 24'. 2", 5, risultalo che combina con le osservazioni del signor Zach citale io principio, e con le mie proprie osservazioni inserite nel voi. XVI della Società Italiana dentro pochi decimi di secondo, e del- le quali qui annetto la finale tabella per comodo di coloro, che non avessero fra le mani quel mio primo scritto. I . . 45». 2 3'. 56", II • 45. 24, 5 7 III . . 45. 24. 4, 6 IV . . 45. 75. 56, 0 V . . 45. 24. 7, 2 VI . . 45. 24. 5, 2 VII . 45. 24. 3, 1 VIII . 45. 24. 3, 2 IX . 45. 24. 4, 5 X . . 45. 23. 59, 4 XI . • . 45. 23. 59. 0 XII . . 45. 24. 4, I XIII . . 45. 24. 4, 4 XIV . . 45. 24. 3, 0 XV . . 45. 23. 58, 5 XVI . 45. 24. 0, 7 tutte . . . . _ = 45. 2Ì. 2". iC N, 25 o SOPRA LA PRESSIONE DELL'ACQUA CORRENTE PER LUNGHI TUBI MEMORIA DELL'ABATE GIUSEPPE AVANZINI LETTA NELLA SESSIONE DEI XXVII APUILE MDCCCXV § L XT cr determinare la pressione dell'acqua corrfntn per lunghi tu- Li, un riputalo Idraulico ha, non è multo, proposto un metodo, dal quale per la misura di quella pressione si ottengono delle formolo assai discordi dalle ricevuto fino ad ora da tutti i Fisico-matematici, e ado- perate nella risoluzione dei più rilevanti problemi di teorica e di pra- tica Idraulica. A risolvere i duLbj, che per tale differenza potrebbero muoversi in- torno alla verità ed all'esattezza delle vecchie foimole, e perciò auclie dei risultati delle loro applicazioni, ho creduto necessario l'esaminare i." se il nuovo metodo contenga per avventura qualche intrinseca im- perfezione non avvertita dal chi. Autore. 2.0 Se a questa impeifezione, più tosto che a difetto delle ordinarie formolo, attribuire si debba la lo- ro discrepau/'.a dalle nuovamente proposte. Tanto più volentieri ho intrapreso questo esame, quanto che esso mi porge nuova occasione di mostrare 1' utilità e l'importanza di alcune dottrine idrauliche mesSe ia altri miei scritti, per quanto io credo, fuori d'ogni conlroversia o cavillo. 23l PARTE PRIMA ESAME DELLA PRIMA QUESTIONE ARTICOLO I. Esposizione del nuo^'o metodo. § 2. ^HDB (Fig. I.) rappresemi un giau vaso manlenuto coslante- meule pieno d'acqua, e ddee sia una lunga e sotiil canna cilindrica e orizzontale congiunta ad un corto tubo conico DDdd, che ne secondi la vena. Il metodo proposto dal sopra lodato Idraulico risguarda la pres- sione dell'acqua sopra un dato punto qualunque Z della parete della canna, cos'i nel caso del moto uniforme, che del moto accelerato del- l'acqua; e delia canna o tutta aperta nella bocca ee, o in parte chiusa da un orlo, o telaio oeeo ; ed è il seauente. » Si tro\i, die' egli (i), la velocità, che ha l'acqua nell'istante, nel »quale si vuol conoscere la pressione. Se il moto dell'acqua nel con- »dotlo SI è già fatto uniforme, la velocità in qualunque momento è la «stessa, e se il moto non è per anco giunto all'uniformità, la velocità »è variabile da un momento all'altro. »Sia u questa velocitai la quale sarà una funzione della lunghezza del j. condotto, e di altre quantità spellanti ad esso ed alla vasca, indichia- »mola con f(l), intendendo per ?>(/) una funzione della lunghezza / del «condotto. jiSia ora Z' la distanza della sezione ZZ (Fig. i) dalla bocca ee, e se )>il condotto avesse soltanto la lunghezza rfZ, cioè (l—l'), stando tuttB le «altre cose eguali, e rappresentando per U la velocità, che 1' acqua «nello stesso istante avrebbe in sì fallo condotto accorciato, sarebbe yiU ^f(l-t), e nella sezione ZZ, la quale diverrebbe la stessa bocca «del condotto, non vi sarebbe pressione alcuna; dunque l'aggiunta della «porzione di colonna fluida ZZee è cagione che la velocità, la quale sen- «za di essa sarebbe U, si riduca mercè di lei ad essere u; dunque in (>) Trattato dell'Ariete Idraulico , edizione seconda, J 319, aD2 «questa sezione ZZ l'acqua della colonna ddZZ è cos'i conirasiaia dall'ac- «qua della precedente ZZee, che nel conflato si perde la velocità t/—M j «dunque queste due colonne di acqua si premono per modo, che nella Dseziouc ZZ segue la perdita di U- u della velocità j dunque questa pres- ssione è quella, la quale farebbe zampillare l'acqua con una velocità i> U—u, se in un punto Z^ di questa sezione si facesse un foro piccolis- ssimo, o, come suol dirsi, infiuitesinio; sarà per tanto questa pressione "eguale al peso di una colonna d'acqua la quale abbia per altezza quel- ala dovuta alla velocità U—u, e per base quel piccolo foro o punto, » del quale si esamina la pressione. »Sia dunque C la velocità, con la quale l'acqua sgorgherebbe dalla vvasca se il condotto non ci fosse; supponiamo, che l'altezza dell'acqua «nella vasca sia yf , che D' sia il raggio medio del condotto, che la boc- »ca sia interamente aperta e libera ; e che l sia la lunghezza del con- ji dotto: l'equazione, che ci darà in questo caso (§ 204 ) la velocità del »molo uniforme sarà 3 (C u)' _ o,oonoyi6V ^ ^ ~~Z "^ D' ■ ovvero ( facendo ?i = 3 o, 00207261/^ D' u Ite la velocità nell'ipotesi che la lunghezza del condotto sia soltarjio (Z— /') sarà IC—U)- ,, ys (g)-- ^—jj ^ri(l-l)- si valori di u, ed U ricavati da queste due equazioni ci daranno !a ve- slociià perduta U-u, e perciò l'altezza, la quale misurerà la pressione jiin un punto delia sezione ZZ sarà quella dovuta alla velocità U—U, sa- 2 »rà cioè —-r (?/— «r = ," , ' ,' ^ ' 4/i 4. 4- 9040 (i) Chiamata h un'altera coDosciuta e prendendo i" per nniià de' tempi", sic- descriUa da uq corpo liberamente cadente come un grave liberamente cadente per- e e un tempo parimente conosciuto ira- metri 6^ r r corre 4)9o44 in 1 ; cosi — sar* piegato a descriverla, A' l'altezza dovuta 4» e* ' alla velocità i7-~«,«i aviàri' ?= -,(l^—"}^ = — — ;• 4ft 4, 4, yo4o 253 »Sc la Locca del condotto, dalla quale si versa l'acqua, fosse ristretta, «l'equazioni da cui si hauno da cavare i valori di u, di U sarebbero }) slate quelle (§204)- »Se poi vorremo la pressione su di uu punto del condotto, quando sii ruoto non è giunto all'uniformità, faremo così: «Essendo datala velocità che aver debbe l'acqua nell' istante, nel qua- «le esaminar si vuole la pressione, per mezzo di questa data velocità «colla formula (5) troveremo il tempo necessario per acquistarla j poi con «questo tempo per mezzo della formola (5) nella quale entro le quaa- «tità a, b, e por si debbe (l—l) invece di /, si troverà la velocità, che, «alla fine del detto tempo, ha l'acqua per entro del condotto, conosciu- «ta la differenza tra quest'ultima velocità e la data, si troverà allora la «pressione come è detto di sopra» (i). l'in qui l'Autore del nuovo metodo. (1) Per le cose da dirsi in segnilo mi coiivien avvenire 1. Che la formola (5) sopra citata espri- me la velocità, che l'acqua della canna senza 1' orlo oeeo acquista nel tempo t computato -éaìV istante, in cui si è aperta la bocca ee, e la formola (5) esprime il tempo in cui l'acqua della canna senza orlo ha acquistato la porzione — della ve- locita massima. 2. Che chiamate /;, 0 come nella nota precedente, e V l'altezza dovuta alla velocità C V l'altezza dovuta alla velocità u dell'ac- qua della canna e, supposto per brevità ei \ 01 j — =a.'; e un nu- 0 1 4c- mero il cui logaritmo iperbolico sia l'uni- tà, la formola (3) è \n> — -. 6-1- 2 ca — {b — 2ca)e'°' e la formola (5) è I y /i — "i-P f 2ea . \ "" c'è °^\ 9— p\ è — 2 e a) 7' veggansi i §§ 122, i25 del citato Trattalo. 5o 25 V ARTICOLO II Se il nuoi'o metodo contenga imperfezioni. §. 3. Osservo primieraraeute, non essere altrimente vero, che la pres- sione in zZ{Fig. I. ) se non ci fosse il resto zzee della cauna, sia, come si dice (§ precedente ) eguale a zero. pi mostrazione. Senza il resto ZZce della canna l'acqua sgorgherelibe da ZZ forman- do il getto ZyyZ {Fig- 2). zzzz rappresemi un sottilissimo straiicello, o falda di questo getto contigua alla bocca ZZ, è indubitato che l'ester- na superficie Zs di questa falda sarà tutl' all' intorno premuta dall'aria atmosferica, la quale pressione comunicandosi, per la nota proprietà dei fluidi, tutta intera ad ogni molecola giacente nelle due facce opposte ZZ, zz della falda medesima, reudcsi manifesto, che ogni molecola del- l'acqua ddzz sarà dalla pressione dell'aria atmosferica spinta m zz all'in- dentro, cioè contro il moto dell'acqua. Ora egli è pur ceno, che que- sta pressione dovrà essere contrabbilanciata da un'altra eguale ed oppo- sta, altrimente l'acqua ddzZi '» luogo di sgorgare da zZ, retrocederebbe^ oppure l'acqua della falda schizzerebbe da zz, z», secondo che la for- za o pressione dclFacqua ddzZ in ZZ fosse minore o maggiore della pressione atmosferica sopra z^, il che è contro quello che si osserva. E"li è dunque evidentemente certo, che senza la porzione zzee {Fig. i) della canna la pressione, che l'acqua dell'altra porzione ddzZ farebbe sopra un punto qualunque di zZ non sarebbe già eguale a zero, ma sibbene eguale alla pressione atmosferica, ossia eguale a gH, chiamata H l'altezza di una colonna d'acqua, il di cui peso gZf fosse eguale al- ia delta pressione. § 4- Osservo in secondo luogo non essere neppur vero, che la pres- sione in z nasca, come si dice (§2), della perdita della velocità U—u, che fa l'acqua ddzZ perì' ìnconlro dell'acqua ZZefij i. perchè a tal uopo sarebbe, siccome è manifesto, essenzialmente necessario che U—u fosse la velocità che perde ddzz nell' istante in cui vuoisi conoscere la pres- sione, cioè quando essa acqua ddzZ si muove congiuntamente all'acqua zzee con la velocità u. 2. perchè la velocità che l'acqua ddzZ perde 2d:) in questo istante è ben diversa della velocità U—u, come si raccoglie^ rà, io credo, evidentemente, quanto al caso del moto uniforme, dalle seguenti osservazioni. I. Se non ci fosse la canna ddee l'acqua del vaso JIB sgorghereb- be, siccome è dimostrato in Idraulica, da dd con la velocità C dovuta all'altezza viva C£ dell'acqua del detto vaso sopra il centro della lu- ce dd. 2. Essendovi la canna piena d'acqua corrente con velocità ic, l'acqua del vaso, formando un solo corpo continuo con l'acqua delia canno, sgorgherà da dd con la stessa velocità u. 3.' La velocità u, dovendo esser minore, a motivo dell'attrito, della velocità C, sarà dovuta ad un'altezza, per esempio C/, minore dell'al- tezza CB, alla quale è dovuta la velocità C. 4. Condotta la linea, o piano orizzontale ^//ì se fosse tolta la porzione d'acqua ^JJB, ed anche la canna ddee, la velocità, con la quale l' ac- qua del vaso HffD sgorgherebbe da dd, sarebbe 11, poiché sarebbe ([osserv. i) dovuta all'altezza viva C/" dell'acqua del vaso HffD. 5. Sgorgando l'acqua del vaso HABD con velocità u, quando e' è l'acqua yifjB e la canna ddee, lo sforzo o pressione, per esempio n, che il peso dell'acqua AffB dovrebbe pur fare in dd contro l'acqua ddee, sarà tutto equilibrato, o impiegato a vincere l'attrito dell'acqua medesima ddee; imperciocché se una parte di quella pressione s'im- piegasse a spingere l'acqua della canna, quest'acqua si muoverebbe con velocità maggiore di u, che è contro la ipotesi, 6. Se fosse, tutto ad un tratto, tolta via la canna ddee., siccome al- lora non vi sarebbe più attrito da vincere, tutta la pressione n s'impie- glaerebbe in quello istante a spinger l'acqua fuori da dd. •y. Se in luogo di tutta la canna ddee ne fosse tolta via la sola por- zione ZZee, a motivo dell'attrito che rimarrebbe nella porzione d'acqua ddzz, la forza che s' impiegherebbe a spinger l'acqua ddzz, sarebbe eguale a n meno la porzione, per esempio -k , che di quella pressione n s'impiegherebbe a vincere l'attrito di ddzZ- 8. Chiamata J la densità dell'acqua, g la gravità assoluta di una mo- lecola, a l'area della sezione dd, la pressione n, che ( osservaz. 5 ) l'ac- qua AffB impiegherebbe a vincere l'attrito di tutta l'acqua dtlla can- Ba, sarebbe eguale ad aSg.fB, ossia eguale ad aSg{CB — Cf) (essen- ìì5d senào fB=CB—Cf, ossia eguale ad cJg ( "-j, f essendo CB •.= _ , ^/= - > ( osservaz. i . e 3. ) ) 9. Cinamato gR l'atlrlio di una molecola dell'acqua ddz7. raoventesl con velocità «, e, come al § 2 , ( / — /' ) la lunghezza dZ della por- zione ddzz della canna, sarà a^ gR^L—V) l'aiirito di luna l'acqua ddzz, al quale dovendo essere eguale la forza o pressione che lo equi- libra (osservaz. 7)sarh}r, cioè ( osservaz. -j ) la porzione, che della pres- sione n s'impiegherà a vincer l'attrito di ddzZ, eguale ad aSgR (l — l). 10. Per conseguenza n — ir, cioè la forza con la quale V acqua ddzz sarebbe (osservaz. 7 ) spinta fuori da ZZ nell'istante in cui fosse levata via ìaZZee, sarebbe eguale ad agi - — "- gR(l—r) j li. Nell'istante suddetto l'acqua ddzZ sgorgherebbe con la velocità a, più con la velocità che nell'istante stesso, il quale chiameremo dt ^ produrrebbe la forza asi --— - —gR ( ' — ^' ]■> la quale velocità, sicco- me è noto dalla meccanica, sarebbe aS [ - — t- — gR(l^ — ^')] d t. 12. Finalmente essendo u-\- aS f - — - — gR{l — l )]dt, (oss. 11) la velocità che avrebbe l'acqua ddZZ, se non ci fosse ZZee, ed u la ve- locità che baia sless'aoqua ddzz essendovi 2rz«e, per cagione della ZZee, l'acqua ddzz perderà ad ogni istante del tempo, nel quale essa corre» '. '- gR {l — l)jdt, e non già, com' io diceva, la U — u. Quanto al caso del moto accelerato, dalle esposte osservazioni si comprenderà facilmente, che in tal caso la forza, dalla quale l'acqua ddzz sarebbe spinta fuori da ZZ nell'istante, in cui fosse tutto ad un tratto tolta via la porzione ZZee della canna, non sarebbe più, come nel caso del moto uniforme, eguale ( oss. 7) a n — n-, ossia ( oss. io) eguale ad a^ ( - — - — gR(l — l')j, ma sibbene eguale ad figl _ — "- gR{l- — i') ) uaeao la porzione del peso aSgJB, (oss. 8), che s' impief;lierh ad aumentare, nel tempetto dt, di du la velocità u dell'acqua ddzZ- t)ra questa porzione di peso dovendo essere eguale alla forza, a8 (L — t)— necessaria, siccome è noto dalla meccanica, a ^ ^ dt produrre nella massa acquea a3(l—l'), ossia ddzz-, il suddetto aumento du, s!iTÌLa3 (^l—--gR{l-l')—'^J!: ( l—t) ] la forza, della quale l'acqua ddzZ sarebbe spinta nell'istante in cui fosse tolta la porzione ZZce della canna. Perciò asf - __- —gJÌ(l — l')~''"(l—l') ] dù sarà la velocilà che per quella forza acquisterebbe l'acqua medesima ddzz nel detto istante. Dal che, e dalle osservazioni ii e la si rende chiaro, che nell'istan- te, nel quale l'acqua di tutta la canna ha la velocilà variabile u , per cagione dell'acqua zzee, l'acqua ddzZ perde la velocilà aS (_ — ". g R {l — ^') — - {I—i ] dt, e non già U — u, inten- dendo (§2) per U la velocità che l'acqua ddzZ avrebbe acquistalo, se non vi fosse la ZZee, nel tempo che tutta l'acqua dulia canna ha acqui- stato la u. § 5. Finalmente io dico , non esser giuste nemmeno le equazioni (/)' is)' ('')' °^ le formule (5), (5), dalle quali l'Autore del nuovo me- todo suggerisce di cavare i valori di £/, e di u, aftinché sostituiti nel- l'equazione generale _ (Z7— «)' da lui proposta della pressione in /?, porgano la misura delle pressioni nei casi particolari. Per comprenderne con precisione e facilità la ragione, couvien che si vegga il ragionamento dal quale sono dedotte. Il soprallodato Autore pone per bastantemente da '-in! provato; 1. Che chiamata S la densità dell'acqua, e' l'area di dd, la forza motrice dell'acqua della canna sia eguale a ^'(C — u ^j 2. Che ritenendo n il signifìcato del § 2 , la resistenza opposta al moto dell'acqua dall'attrito di una molecola moveniesi con velocità u , sia eguale ad nu; 3. Che fatta eguale ad Gl'altezza della superficie icqnea ^B (^Fig. i J sopra il centro della luce dd j 1»' l'area dell'orlo oeeo, di cui fosse :258 armata la bocca ee della canna, e'* l'area oo della porzione aperta, l la lunghezza ^e di tutta la canna j p = 3,835, ossia a , 865 secondo che a' fosse maggiore, o minore di è', ed assumendo il metro per unità di misura, la resistenza opposta dall'orlo o ee o ad una molecola dell' ac- qua della canna dotata della velocità ii , sia eguale a — — — . u . Dal che seguendo di legittima e necessaria conseguenza, che la forza acce- lerairice dell'acqua delia canna sarebbe, pel caso della bocca e e tutta aperta {l) • • C — U — nU{l — l) supposta Z71a velocità dell'acqua,/ — ì la lunghezza della canna t (m) . . C — u — Ttul supposta u la velocità dell'acqua, ed l la lunghezza della canna e nel caso della bocca ee in parie chiusa ' Pa^ (/j) .. C — u — nlu — -.u supposta u la velocità dell'acqua, è^l ed / la lunghezza della canna Egli conchiudo 1. Che nel caso del moto equabile, dovendo essere la forza accele- ralrice eguale a zero, si avranno per le leggi di questo moto, pei tre suddetti casi le equazioni (/)•• c~u n{l-l) u (g)-' C- u _ u ni w.. C - u' u pa'\^ ni -\ 3. Che nel caso del moto accelerato, la forza acceleratrice dovendo essere eguale all'aumento della velocità diviso pel tempetto nel quale si acquista, il rapporto tra gli elementi di questo moto, quando sia / la lunghezza della canna e la bocca e e tutta aperta, sarà espresso dal- du l'equazione — = C — it — nul, ossia dt 239 (A).. '{ff =: (a-i-5i/ìi-t-cr)v/l> (assumendo, come nella nota 2. del § 2, .' . \/^, . [/v in 6 6 luogo di C, e di u, . — in luogo dii du, e facendo el ei 01 3. Clic, nel caso del moto dell acqua giunto al suo maximum , do- vendo essere dv=zo, si avrà (ponendo per brevità .m^ = a, 1 (Q).. l/^ = • per l'espressione della velocità massima. 4. Che integrando Y equazione (k) con la condizione che f = o dia v = o , ed assumendo e pel numero, il cui logaritmo iperholico è l'unità, si avrà pel valore della velocità acquistata dall'acqua nel tempo t computato dall'istante in cui si è aperta la bocca e e „ 2 a (ecaf — I ) l/y^ = — , la quale è appunto la formola (5) b-\-2Ca — [b — 2Ca.)ecat citata nel § 2 j e I ( a e V^ + ^ — 2Ca)(^+ 2Ca) ( = Log ' • pel valore del tempo spe* e tu (3C\^-\-b-{-2CJ.){b — 2C«) so dall'acqua della canna ad acquistare la velocità dovuta all'altezza v. 5. Finalmente, che, sostituito in questa espressione del tempo, in in luogo di\/v, la porzione — del valore di J/^ espresso dalla for- mola {Q)r si otterrà c = — Log [I — . r-— — — 1 pel valore del tempo impiegato dall'acqna ad acquistare la porzione £ della velocità massima, la quale espressione è quella della formula (5) citata nel § 2. (1) § 6. Ora io osservo non essere altrimente vero, che la forza motrice dell'acqua della canna, nò la ritardalrice dell'attrito e dell'orlo sieuo, (') Vcggansi i §5 119, i»o, ut, uà, ia3, laj, laS^ j38, l88, 198, aoo, loì, 10^ del citato Trattato ec. siccome assume (§ precedente ) l'Autore del nnovo metodo, e — {U' — «')'; mentre pei me- todi comuni, cliiainata ^H la pressione atmosferica sopra un punto qualunque della superficie acquea AB ^ e coiupuiando l'attrito, ed assumendolo eguale ad ( Mu^ -{- ìVm ) , (§6), la pressione in Z do- vrebbe esprimersi con la formula C'-"— u' (a).. §H-\- — ( Mf/'-h-Vw) (i-/'), pel caso del moto a uniforme (è)., gH-h ^—Jt-(Mu''-hNu){l--l)~'!l'(l^l), nel caso del moto accelerato (i). (l) Vedi Daniella BcraouUi Idroctinamica. 2 4 a 3. Che i valori di U, e di»// desunti dalle equazioni (/) , (^g) , (^h) del § 2 essendo ^= ____ (____ — )_c. u = ii_ _ ( =Z= ) _ e. pel nuovo metodo la pressione in Z sarebbe espressa dalla formola (0).. i -J^_ ^)-c^- )-c^ ) (pel caso del moto uniforme, e della bocca e e tutta aperta) (pel casQ del moto uniforme, e della bocca ee ristretta dall' orlo oeeo); quando pei vecchi metodi la pressione medesima sarebbe espressa dal- la formula C I i-\-M{l-l') , . ^ . '■■ (e)., s^-^ f ( -iV/4-'^A^'/'H-C^(i-t-2ZiW)\ 2 2 V (i-4-2M)^ ^v ; — iV(/-/') I H- 2 /!// nel I. caso /_ ,V/ + V^N^ l'-\-C' ( I -h2/^/) ] (OBossut Idrodinamica. Gregorio Fontana, ddla pressione dcU'acqae in D'AIembcrl Traile' de 1' Eqniliìire, et du mou- moto, Tom. 9 delle Memorie deU. Tcraent des (Inides. Società Italiana delle Scienie. Coeoli, Dissertaiionc sopra il quesito: stabilire Vemuroli, Elementi d'Idraulica, e le memori, la -vera Teoria delle ac.^ue uscenti da intorno alle leggi delle resisterne che fori aperti uc' vasi. ritardano le ac Ì^IEE!! =^ Q , pei metodi or- \ el » / 4F' diuarj la suddetta pressione sarebbe misurata dalla formola ARTICOLO II Se la discrepanza tra le nuoi>e e le vecchie formule si debba attribuire alle dimostrate imperfezioni del nuovo metodo. § 8' Io dico, che la cosi grande differenza delle nuove dalle formo- le date dai vecchi metodi nasce dalle imperfezioni del nuovo metodo dimostrate nei §§ 3 , 4 > 5 , per la ragione che, ove queste imperfezioni fossero tolte, il nuovo metodo porgerebbe per la misura della pressio- ne, nei cinque casi fino ad ora considerati, delle formole perfettamente simili alle date nei casi slessi dal metodi comuni. In fatti, quanto al i. e 2. caso, se, in luogo dello zero, assunto nel nuovo metodo, per la pressione in Z, se non ci fosse ZZee , assume- remo {%^) gH; e in luogo delle velocità U—iì, If — u assumeremo (§4); in luogo delle formole (a) , (^). (S 7) si avranno le {J).. gH-^^J-^l-gRil-t) (5).. g^4-ii^-'£_^/^(Z_0-5(^-0 Imperciocché se, per cagione dell'acqua ZZee , l'acqua ddZZ perde (§4) la velocità aS[^--"-—gR{l — l') ]dt nel caso del moto uniforme, ed as( -—- —gHil — l') — -' {l — l')]dt nel caso del moto acceleralo, \ 2 2 di / (1) Vedi 1» Memoria di sopra citata del P. Gregorio Fontaoi. 2/(6 perderà pure le forxc necessarie a produrre quelle velocità. Ora la perdita di queste forze do- vendo produrre uua pressione in ZZ eguale .die forze medesime, ren- desi inaDifeslo che, per l'incontro dell'acqua zzee . V àcquì^ ddzZ pre- merà tutte le molecole di zz con forza eguale ad a^l- — S^i^ — ^) } pel moto uniforme , ed eguale ad «^1- — - -~gR(l — l) — 'j{_l—l') pel moto accelerato; alle quali pressioni aggiungendo la pressione aggH dell'aria atmosfe- rica (§ 5), si otterrà per la pressione totale sopra uua sola molecola di ZZ , e perciò sopra il punto Z gH-Jr i'— 'i' — g i? ( Z _ /' ) — ^' (Z-Z'), ossia (sosliluendo M «' -j- Nu in luo^o di gif ) forniole del tutto identiche delle (a), {h') dale(§ 7) dai vecchi metodi. § g. Parimente se, per determinare la pressione nel punto Z pel ca- so del moto uniforme, e della bocca della canna tntia aperta o in parte chiusa, si serviremo dell'espressione (//') iu luogo dclf espressione (o) data dal nuovo metodo (§ 7), ed in essa espressione .{^') si sostitui- ranno i valori di u desunti dalle giuste equazioni (g') , (/;'), (§ 6) e non già dalle {g) , (A), (§ 5), la pressione in z si tioverebbe espressa dalla formala 2 47 nel caso della bocca tutta aperta, e dalla (H-i>i(Z-Z) __Y g/J-i--~~ f -A'i-4- K iV^Z'+C^(n-2Ì>/ZH-r)) ^ ' (t-}-2 MI \- Ty\ - N{l-l') . /_ . ' [ -Nl-\-y N'I -^C'{i+2 MI -\-T) ] 1 + 2J/Z-+-2' V / pel caso della bocca ilstrelia : Ibrmole perfcilameole simili alle date (e'), (d) dai noti metodi (§7.) § IO. Finalmente se, per determinare, nel caso del moto accelerato e della bocca tutta aperta, la pressione in z nell'istante in cui la ve- locità variabile dell'acqua della canna fosse eguale alla porzione H della velocità massima^ in luogo dell'erronea espressione generale (b), ' — ( t/' — u) , date dal nuovo metodo (§ 7 ) , assumeremo l'esalta (B').. ^zr-+- £'-"-' -(iJ/^^ + iV«)(z- /') -|'(/_o>(§ s). • ed in questa espressione, in luogo del valore di -1' cavato dall'equazio- ne (k) , (§ 5), si scriverà il valore esatto cavato dalla (k) , (§ 6 ) , e nella formola risultante in luogo della velociti massima . "~ ?_ (§ 5) , si sostituirà la '■ i. , (§ 6) si avrà, per la misura della suddetta pressione , la formola w . «•/■ I /.- /- G - 2 /rO\V ..... ,, . e fi -\- ti — — - ( -^ J - , simile intieramente alia for- mola (e') somministrata dai metodi comuni (§ 7) • a48 CONCLUSIONE Dalle cose fiu qui dimostrale io credo di poter giiLslameute couchiu- dcre : non solamente, che la discrepanza delle formole date dal nuovo metodo non può, ne deve in alcun modo far dubitare della verità ed esattezza delle formole date dai vecchi metodi, ma inoltre che il me- todo recentemente proposto può servire di nuova prova della giustezza delle formole comuni, in quanto che, corretto nelle sue imperfezioni, esso ci porge, per la misura della pressioue, delle formole alle comu- ni perfeuameme conformi. A / J ia. /. n ,/ H / n jk <^J^«2^. 2. / JI e/ 7) ^ 2/. '*9 SOPRA UNA NUOVA MACCHINA DEL SIGNOR INGEGNERE GIUSEPPE ANTONIO BORGNIS PREMIATA DALL' I. R. ISTITUTO MEMORIA DI G. FAPvINI PROFESSORE d' INTRODDBIONE AL CALCOLO SUBLIME JLia macchina di cui intcudo di darue la teorica, è un tornio (Fig. i) a molli cilindri di differente calibro, che hanno il medesimo asse, e Gssi ad esso in un modo invariabile ; diverse corde abbracciano successiva- mente questi cilindri avviluppandosi intorno ad esse in senso contrario, e sopra ciascuna corda nel passaggio da un cilindro all'altro v' è adat- tata una carrucola mobile caricata nel centro di un peso. Ad uno dei capi del tornio si dispone al solito una ruota sopra la cui periferia è applicata una potenza, la quale è destinata o a mantener la macchina in equilibrio, o ad eccitarla al movimento. Per incominciare dalle cose le più semplici, suppongasi che le corde sieno fili privi di gravità, di grossezza, e perfettamente flessibili, dal che ne deriva che disponendo questi fili gli uni sopra gli altri attorno ai ci- liudri, la distanza dall'asse dei diversi giri del filo sarà sempre la me- desima, ed eguale al raggio del cilindro fasciato dal filo. Questa sup- posizione avrà luogo per tulle le ricerche che seguono sino a che noa si avverta espressamente al contrario. Ciò premesso ecco il più semplice. Problema i. In un tornio a due cilindri determinare le condizioni dell'equilibrio tra una potenza, che agisce in direzione di una retta tan- geutc la ruota, e rappresentata da un pesoj ed un altro peso applicai© 3a :25o al contro della cairuccola nella supposizione che i due rami del filo sieuo paralleli. Risoluzione. Sia il peso rappresentante la polenaa applicata alla cir- conferenza della ruota --^ P (i) Quello attaccalo al ceulio della carrucola .....= (7 11 raggio della ruota ^= R Il raggio del i.° cilindro dalla parte della ruota = R' Il raggio del 2.° cilindro minore del i.° . . . . . ■ . . • s= Ti ' Ciascuna delle tensioni de' due rami del filo ..*.,. ^^ t È cliiaro primieramente che sarà « = V j inoltre non avendo il tornio la libertà di prendere altro moto se non di rotazione intorno all'asse //', sarà assicurato l'equilibrio, quaudo la somma dei momenti delle forze, che tendono a farlo ruotare attorno all'asse medesimo, sia =- o. Ora in virtù del momento P. R il toruio tende a ruotare dalla parte di P, in virili di t. R' tende a ruotare in senso contrario , ed in virtù di t. R ruoterebbe di nuovo dalla parte di P; dunque si avrà l'equazione PR — tR'-{-tR'=o, donde PR ^ C (R' — R''), ossia sosiiiuendo peri il suo valore 9; Pn^9(R'-R'), da cui si deduce P= ^-^ 7— ^ • Corali. Da quest'ultimo risnltamcuto si vede, che la potenza necessa- ria air equilibrio riesco in ragion diretta del peso attaccato al centro della carrucola, della differenza dei raggi dei due cilindri, e ucU' inversa del raggio della ruota: cosicché mantenendo gli slessi valori per il rag- aio della ruota, e per la potenza ad essa applicata, col diminuire la dif- ferenza dei rag"! de' cilindri, la medesima forza terrà equilibrato un pe- so sempre maggiore. Caroli. Se R ~R', cioè se i raggi dei due cilindri sono eguili, la forza che si richiede per l'equilibrio è eguale a zero; ciò è evidente per se medesimo. Corali. Se R" = o , si ha p=i_^ donde P : Vi^ii' : R- ciò è con- ■2.R 2 (i) Per questo peso Q debte intendersi non riti di esser messo iu computo. Questa av- solo il peso eh' è attaccalo al centro della vertenza avrà luogo in lune le cose che se- carrucola, ma ancora quello della carrucola giiono, .•stessa, quando sia ab^a'^tanza grantVc, rl*c njc- forme all'ordinaria teorica del tornio, imperocché l'altra metà del peso O è sostenuta in questo caso dall'asse stesso del tornio. Scolio. Nella proposizione si è supposto, che i due rami del filo, che ahbracciaoo la carrucola mobile fossero paralleli. E facile però vedere, che supponendo condotti per i due punti in cui il filo tocca i cilindri del tornio due piani perpendicolari al suo asse, e chiamata a la loro distanza, affinchè quei due rami sleno paralleli si richiede che, chiamato ;• il raggio della carrucola, sia r = -i \y^a" -\-(R' ■+- M" )'. Infatti è chiaro, che condotti per i due punti, in cui il filo tocca i cilindri del tornio, due piani perpendicolari all'asse del tornio stesso ; il diametro della car- rucola (/''/g'. 2.) sarà noto, ed eguale alla retta ^4 £, perchè si supponga che siano lo rette C D ^^a, DB := R , CA=^lì', e che di più le due ul- time rette sieuo perpendicolari alla terza C D. Pertanto se si prolunghi la retta D B, e presa la porzione Z?^= C.^, si uniscano i punti C, E colla retta CE, sarà CE ^^ AB ^^ Problema 2. lu un tornio a tre cilindri di diverso calibro determinare le condizioni dell'equilibrio tra una potenza, che agisce in direzione di lina retta tangente la ruota, e rappresentala da un peso, ed altri due pesi attaccati a carrucole mobili, le quali sono abbracciate da fili tra loro paralleli, e che si avviluppano attorno ai cilindri del tornio successiva- mente in senso contrario. Bisoluzione. Sia al solito il peso rappresentante la potenza applicala alla circonferenza della ruota = jP Quello attaccalo al centro della 1.» carrucola dalla parte della ruota • =0 Quello attaccalo alla 2.' carrucola ^^ Q' 11 raggio della ruota ^ R Il raggio del i.° cilindro dalla parie della ruota . . . . = iJ' 11 raggio del 2.0 cilindro • ^= R" Il raggio del 3.» cilindro :^ R" Le tensioni dei due rami del filo, che abbraccia la i.» carrucola = t Le tensioni degli altri due rami del filo, che abbraccia la 2.» carrupcola = <' 25a E chiaro piiriia di tulio, che sarà t = Y. ,t' =z\~, di più il tornio aven- ' 2 2 do, secondo il Solito, la libertà di preuderc soltanto un movimento di ro- taxione attorno il suo asse, sarà assicurato 1' equilibrio, se la somma dei momenti delle forze che tendouo a farlo girare in mi senso, sia eguale alla somma dei raomeuti delle forze che tendono a farlo ruotare in senso contrario. Ora per le cose dette nella proposizione precedente, e dalla Figura slessa è facile raccogliere, che dovrà per questo aver luogo l'equa- zione P.R — t. R'-Jrt 11"— r.'ii' '+ 1! il'':=. o ; donde si ricava P. R^t (R'—R") -\-t'{R" — R'"), ovvero p = S.(R'-.R") ^-ÌfR"-R- )= |( R'-R- ) +%( R"-R" ) . Corali. Se sia IÌ' = R"; cioè se il 2.° e 5.° cilindro saranno deìlo stesso calibro, allora la formola precedente riducesi a />^= — i— ( R'—R" ) , eh' è 2 R l'equazione stabilita nella proposiaione precedente, ciò che appunto do- vca accadere. Scolio. Dalle condizioni dell'equilibrio assegnate nelle due precedenti proposizioni è facile il raccogliere, che se il tornio sarà composto di ìì cilindri di diverso calibro, e che si chiamino al solilo iì , R' ...R("\ rasai dei successivi cilindri cominciando a coniarli dalla ruota t, t', t'' . . . t ("--^^ ìe tensioni dei fili, che abbraciano le carrucole sup- ponendoli sempre paralleli, ed in conseguenza verticali : Q, O', Q" . ■ ■ (ì("-*) > pesi attaccati ai ceatrl delle (n — i) carrucole; ed in fine P il peso rap- presentante la potenza applicata alla circonferenza della ruota, si avrà per l'equilibrio Tequazione PR -^ t (/?'— ii")-t- t'(R" — R'")-h t"{R"' — R") -+■ -1- t f"-^) ( M (n-'.' — Ri") ) ossia P= i{R — R")-i-- (R' — R"')-+.t (R'" ^Rir)-\. -H- R fi R t (n-Jl) (n-O „ W , . • T . 0 . Q' _ ( J{ — R ); e siccome si uà f = _ , f = — < . n ^ ' 22 Osservaz. Siano i raggi dei successivi cilindri tulli decrescenti, sia cioè K >if" > PÌ' > R''' > . . . > Pi '■«-») ^Ri")- Giova osservare, che se in vece di tenere in equilibrio i pesi Q , Q', Q' . . . Q(«~*^ col mez- zo del tornio ad n cilindri si volessero teucre in equilibrio gli stessi pc- 20:) si considerati raccolti iu uno solo eguale alla loro somma per mezzo di uu tornio a due soli cilindrij il primo dei quali avesse per raggio R', e l'altro /J'"), la potenza necessaria all'equilibrio iu quest'ultimo caso sa- rebbe maggiore di quella nel i." In fatti chiamala P la potenza nel i." caso, e P' nel 2.0 si ha per lo scolio precedente ~ — ; — (/ifr->) —HM), e per il problema i. i>'r=(Q+Q'=:Q"H- i-0(«-») )- — fl_, ossia liti ''Jrt -jh iH Ora osservando i termini corrispondenti nei secoudi membri delle due trovate equazioni si vede subito, che essendo R'-RM > i?'-iJ" > 7ff«--:; _/?(") ne viene di consegueuza che sarà P ">? ; di qui si deduce un'avver- tenza di qualche utilità nella pratica, che cioè dovendo sostenere uu determinato peso con uu tornio a due cilindri, se quel peso potrà di- vidersi in varj altri, gioverà sempre farne delle parti, ed analogamente a quelle parti aumentare il numero dei cilindrij imperciocché dal con- fronto delle due precedenti formole si deduce, che ritenendo per l'equi- librio sempre la medesima potenza, e lo stesso raggio al i." cilindro, il tornio dovrebbe assottigliarsi di più conservando intiero il corpo, di quello che distribuito in varie parti, per lo che potrebbe talvolta esporsl al rischio di toglier alla macchi uà la necessaria robustezza. Coroll. Se per uu caso particolare si ponga nell'ultima formola dello scolio Q = <>'=: Q '= . . . Q(.n--') s\ avrà questa formola semplicissima p^^'liR-rfi'^.) Corali. Se per un altro caso particolare supponiamo che i raggi dei 354 successivi cilindri del tornio dlfferiscauo Ira loro di una quantità co- stante, che sia cioè R"=R'-a. H'^H'-a, Ii"=^R'''~a . .HW^Hi"-^) —a sarà p ^^ ^ ( Q-|- ()';= Q"-f- . . _j_^("-3j ) la qual'espressione ponen- do Q^Q' = Q"=,..= Q(''-^J si ridurrà a P^ ^"""'^ ^ " . Sin qui rispetto alle leggi dell'equilibrio per un tornio a molti cilin- dri di diverso calibro j passiamo ora a determinare quelle del movimen- to ritenendo le medesime supposizioni da principio assunte. Problema. 5.* Determinare le leggi del movimento di un tornio a due cilindri di diverso raggio, supponendolo animato da una forza rap- presentata da un peso che agisce alia circonferenza della ruota, a con- trastata da un altro peso attaccato al centro della carrucola, nell'ipotesi, che la carrucola stessa sia abbracciata da un filo, i cui rami mauten- gansi sempre paralleli, e si avvilluppiiio ai due cilindri in sensi diversi. Risoluzione. Ritenute tutte le determinazioni della i." proposizione. Sia la massa del corpo P , = m La massa del corpo Q = r« La gravità al livello del mare = §■ Il tempo alla fine del quale si considera il movimento . . . = £ La velocità con cui discende il corpo P alla fine di quel tempo = v Quella di ^ = v' La distanza del i.» corpo dal piano condotto per l'asse del tor- nio parallelo al livello del mare = 5 La distanza del centro della carrucola mobile a cui si considera attaccalo il 2.0 corpo dallo stesso piano =^ z' E chiaro, che se alla fine del tempo t si tagliassero tutti i fili, nel- l'istante seguente dt, i diie corpi P, Q acquisterebbero la medesima velocità gdt ^ ma non tagliando il filo, il i.° acquista nell'istante dt la velocità dv, ed il 2.° dv'; dunque nello slesso istante i due corpi per- deranno rispettivamente le velocità gdt ^ dv, gdt — dv ; e però in viriù del principio del signor d'Alembert, che in qualunque sistema, avendo riguardo alla sua struttura, le forze distrutte devono equilibrarsi, ne de- riverk l'equazione mR(^gdt — dv')r=iin' (S'^^ — '^^ )' "^^"^ quale dovrà aver luogo anche l'altra 2^1)'+ { h' — 2i ) v — 0, aÙìnchb secondo l' indole della macchiua, l'uno del corpi discenda nieulre l'aliro s' in- nalza. lu falli sia (Fig. 2) BD ^^ H\ CA = li'; di più queste due rette sieno perpendicolari alla terza C-O, o talmente distanti tra loro, che la retta ■AB, che unisce le loro estremità, eguagli 11 diametro della carrucola mo- Lile, apparisce evidentemente, che il punto di mezzo G della reità AB rappresenterà la posizione del centro della carrucola mohile rispetto al- l'asse del tornio, ossia che la perpendicolare GZT calata dal punto G sulla retta CD esprimerà il braccio di leva del peso attaccalo al centro l della corrucola mobile rispetto all'asse medesimo; si prolunghi in se- guilo la retta HG sino in A', ed è chiaro, che si avrà la proporzione CD KII: — =11 De : Cd, ossia KH: —=Z)e = ossia ancora 2 a li' -+-GH:~ = R -\-I{' -.1, donde si trae GH^ ^. Ora libraccio di leva del corpo Q mantenendosi nel movimenio costantemente lo stes- so, cioè = , mentre quello dell'altro corpo P è :^ B, ne deriva immediatamente, che ponendo ^= a» la velocità di P, e = — v quella di Q (a motivo, che questo sale, mentre l'altro discende) dovrà aver luogo la proporzione B: •='y; — v', ossia l'equazione 2 Rv'-^(R' -^ R")v = o. Eliminando pertanto còl mezzo dell'ultima equazione il valore di dv' dalla i.", e facendo le opportune riduzioni, si otterrà l'equazione differeni ziale j inR — ) gcit = ( mli -^ : . I av. se in que- st'ultima equazione si considerino m, m costanti è chiaro, che il moto sarà uniformememcnte accelerato, imperciocché integrando si avrà mR — m tiiB — m 2 2 v =^ r-f^i + B, ovvero v --^ -. — gt -+■ B- mR -+- TU — in lì + m ■ 4 ti .^ Trovato in tal guisa il valore di v, sarà poi facile ottenere lo spazio descritto dal corpo P anch'esso rappresentato per t: infatti essendo * quello spazio, si avrà per la nota formula 256 dz = vdt, ossìa dz = -^ gtdt+Bdt, e quindi mR'+ -(R'-r^'Y mR'—':ÌR(R'-R") iuicgrando z — ; g ■- -\- Bt -\- C , ove £, C rappresen- tauo le due costanti arbitrarie, che si determineranno conoscendo al principio del tempo la velocità che ha il corpo P, e Io spazio da lui descritto. Determinato come sopra lo spazio descritto nel tempo t dal corpo P, che discende, e la sua velocità potrà egualmente assegnarsi lo spazio descritto nello stesso tempo dall'altro corpo Q, che sale, e la sua ve- locità. Imperciocché per ottenere quest'ultima, basterà ricorrere all'equazione precedentemente stabilita 2.Rv -\-{^li — ij")'u=:o, donde si a\rà *^ — -III 2 ^ , n ' gt + B ) ■ p:— r' r i; =; V = — 2R 2R m rc+'^{É-ify \ Per avere poi il valore di z , dalla citata forraola del moto variato si dedurrà dz'^v'dt, donde integrando si ottiene a' =^0.' fZf -+- C, ossia f I mR^-'^R(R-R') 2 =z: — { g \- Bt ) -+- C , ove e e una ''' Uir+^iR:-iry ' ] nuova costante arbitraria, che si determinerà dal conoscere la posizione in cui si trova il corpo Q al principio del tempo. Caroli. Se nell'equazione differenziale precedentemente trovata mR--"^E(R'-R") ^. dv = . gdt, pongasi iiiR^ — —R(R'—R") = o os- mTC'-^ — R{R —R) 4 sia uiB (/?' — b") = o, e chiaro, ad ogni istante l'incremento dv sarà = o, e però la velocità nj costante. Ora quest'equazione, come chiaro apparisce, combina con quella irò- s5f vaia nella i.» proposizione, e ciò appunto dovea accadere, giacché si sa dalla meccanica che le relazioni, che richiedonsi tra le forze per con- servare una macchina nello stato permanente di moto equahile sono quelle stesse, che occorrono per mantenerla in equilibrio. Problema. 4*° Determinare le leggi del movimeulo di un tornio a tre cilindri di diversa grossezza, supponendolo animato da una forza rappre- sentata da un peso, che agisce alla circonferenza della ruota, e contra- stato da altri due pesi fermati ai centri delle due carrucole mobili, nella supposizione che le medesime carrucole siano abbracciale da fili, i cui rami si conservino sempre paralleli, ed avvolgausi sui cilindri successi- vamente in senso contrario. Risoluz. Sia al solito il raggio della ruota ....•.. = /? Quello del i.» cilindro della sua parte = R' Quello del 2.0 = H!' Quello del 3." = li'" La massa del corpo P = m Quella di ^ = m' Quella di <^' = to'' La gravità al livello del mare ^^ S Il tempo spirato al momento, che si considera il moto . . . = ( La velocità con cui discende il corpo Palla fine di quel tempo =: v Quella di Q =^ v' Quella di Q' = -u'' La distanza del corpo Pneì piano condotto per l'asse del tornio parallelo al livello del mare alla fine del medesimo tempo . = e Quella del centro della carrucola mobile a cui si considera at- taccalo il corpo Q = 3 La simile di ^' = : Ciò posto, se alla fine del tempo t si suppongono tagliati tulli i fili, è chiaro che i corpi P, Q, Q ucH' istante dt acquistei obbouo tutti la medesima velocità gdt, ma non tagliando 1 fili, il primo acquista in vece la velocità dv^ il 2." la velocità dv ; il 5 " la velociià dv i dunque le velocità perdute da quei corpi saranno rispettivamente espresse da gdt — dv; gdt — dv;gdt — dv", e però avendo riguardo alla costruzione della macchina per lo slesso principio del signor D'Alembert è facil cosa il vedere, che dovrà aver luogo requazione mJl(gdt — dv)=^ 53. 358 m {gdt — dv')-\-m" .f^gdt — dv"), ed insieme con essa le- altre due aA'u > ( /?'- -fi") y = o; 2/?y"-|-( fi'- /?'") y =o, le quali con un raglonamculo analogo a quill,) fallo nel pieccdeoie Problema deri- Taiio dal dovere i corpi Q, Q inalzarsi mentre il primo P discende. Eli- minando per mezzo di queste due ultime equazioni i valori di dv\ dv" dalla prima, e fatte le dovute riduzioni si avrà l'equazione differenziala /,„/?_ ^' ( iJ' - iJ") _ 'IL ( «" -R')] gdt = / m'(a'—n"';>- r,i" ( R" — R"' ]^ \ ( '"^-^-T — {< — "^T ~Ti — j'^^ «*■'•'* fmlP~R(^R'-]ì")-'^^E{R'-Ji') )sdi^ /«/f'-t-'!!!(ij'_7?"y4- -^ (A"-fi") ]dv, dalla quale ponendo mJÌ' -^'-R(R' — R" ) - '"" Jì(R"^R"') -A =^ ' , ed integrando si otiia-- mR'V\ (ii'-A")-i-"^ {tt ~ R y ne V ^: Agt + B (^essruiìo B la cosiauie introdotta con riniegrazionc ) Trovata questa velocità avrassi anche lo spazio coli' aiuto doll'equazio- ne dz=vdt, impereiocchè da essa si ricaverà z ^^ Ag- -h Bt-i- C (_csr- sendo C la nuova costante.) Pertanto per il corpo ^' le leggi del moto saranno contenute nelle (^ due equazioni v = Agt + B,z ^ -^g.' -^ Bt+ C. Killa stessa maniera osservando, che per il corpo Q si hanno le due equazioni :iRv' ->r(^l^ — R' )v ^ o.di —V dt, \e leggi doi suo m.-vi- p' _ /; ' mento saranno espresse d.ille due equazioni -v' =^ — ■ ( Agi -\- B), j' — [ Jg '-j-Bl ] 4- e', ove C sarà uu'alira costante ail)itrarla. Fiualniente per il movimento del corpo Q' considerando, che si liaiino ancoia le equazioni -ìRv' -+-{u" - R')v — o, dz — v" dt si avrà l'allr» «upia di equazioni V =^- -; — ■ (./^'f 4- J5 ), a =^ ;^j^ " j ^g--\~Bt ) + C'ove C rappvcseuterà la solila costante introdotta cella integrazione. Dalia soluzione de' due ultimi problemi facile ne deriva la determi- nazione del movimento di un tornio con un numero qualunque di ci- lindri di diverso calibro, come risulterà dal seguente Problema. 5.'^ Dato un tornio composto di un numero (n-\-i) di ci- lindri di diverse grossezze animato da una potenza rappresentata da uu peso, che pende dalla circonferenza della ruota, e contrastalo da un nu- mero («) di pesi fermati ai centri delle (ii) carrucole nobili, nell' ipotesi, che tutte queste carrucole siano abbracciale da fili, i cui rami si con- servino sempre paralleli, e che avvolgausl successivamente sui cilindri in senso contrario, determinare le leggi del suo movimento. Risoluz. Sia al solilo il raggio della ruota =2 R Quello del i." cilindro dalla sua pane = /i' Quello del 2.0 . = iì" Quello del 3.0 = ij" del (;j-<-i)esimo — ^(«+0 La massa del corpo P = m Quella di Q • — rti' ài Q' .= m' di Q" = m'" di onde si ottiene l'equazione differenziale ?nll{gdt -dv)= "l(R' - R' ) {gdt - dv' )-h'"- (R"-rx"')(gdt-dv")-h- ^1 {R"'> — rS'''^'^)(gdt-dv^''''), ed insieme con essa le altre («). 1 equazioni 2Rv' -\- (P'^' — K' ) v ^o i 2Rv'' + (R" —R"' )v = o ; 2Rv"'-ì-(R"' — R")v=o . . . 2/?i;W -t- ( 7?W — -«("+0 ) r = o, por mezzo delle quali eliminando dalla i.» i valori di dv' , dv', dv '. . . dv(''J si avrà l'equazione ridotta ,„fl._"ifi(R'_fl')_"-i:«(fi"_rn-..-^''«(Zi^'''-/""*"'^) dv — — — ^ gdt 4 4 4 ossia (ponendo il coefficiente ò\ gdt=^J)dv ^l Jgdt, e quindi Inte- grando v=:^gt-{-B^ essendo B una costante arbitraria. Per mezzo poi dell'equazione dz = vdt si avrà rappresentando per C una nuova co- Stante arbitraria, z = jÌ^~ -\-Bt-\-C ; e le due ultime equazioni espri- meranno il movimento del corpo P. Per conoscere quello del corpo Q converrà ricorrere alle altre due equazioni 2Ì?j)'-f-(^*' — R" ) v z=z o, dz ^^v' dt, dalle quali si avrà ' — ^^^^ Jgt ■+■ B, z' — -7— [^4g~ -\-Bt ) -+■ C Similmenle per V il movimento del corpo Q si avranno le due equazioni Nella stessa guisa seguitando si troveranno le leggi dei movimenti per tutti gl'altri corpi Q", Q'" — . . Q[n—\\ e manifestamente si vede, che per il corpo QC''— Ole leggi del moto saranno espresse dalle equa- zioni 1' = — . ■ r^ ;(.„+.), .«=_£!iz^^'(^,e-H^,)^c:". 2/; Le quantità C, C , C ' . . . €('*■' saranna le costanti arbitrarie intro- dotte colle successive integrazioni. Risoluto generalmente il Problema proposto giova fare alcune osser- vazioni sui risultamenti ottenuti. Osservaz. Qui ha luogo un'avvertenza analoga a quella, che si è fatta nel 2.» Problema, cioè, che se in vece di considerare il tornio ad (/z-t-i) cilindri di grossezze successivamente decrescenti, caricato da- gli n pesi (7, Q\ q" ... e messo in moto dall'altro peso P, che penda dalla ruota, si suppongono tutti quei pesi raccolti in un solo eguale alla loro somma, che penda da un altro tornio a due cilindri, di cui il i.o abbia per ragj^io -/i', e l'ultimo R[n-\-ì), e messo in moto dallo slesso peso P; il movimento in quest'ultimo caso sarà piìi lento, che nel i.® infatti per il 1.° caso secondo la risoluzione nel Problema sarà ,„fi^--fi(«_R")_':i^«(fi"_fl"')_.._z!l''(fl^'0_/'+o , 2 a 2 dv = — _ — ___ ._ „J^ 44 4 e pel secondo chiamata u la velocità, con cui discende il corpo P alla fine dello stesso tempo, si avrà per il Problema 3.° mPC-L{ m -^ m"-^m"' + — . . + m"^ ) R ( R' - R"'^') du — i __ gdt mfì^-^- L (ni 4- ni" + m " 4- . . + ,„("^ ) { R' - H'"'^' )' il quale valore di du scritto in quest'altra maniera, cioè mfl» R{R'—R) fl(fl'_/ì^^^_ '" R(R'—R ^ ) du — i^ ; ,- : adi mR^->r (h'—R ^ PJ (R' — K^ ^ >+..-|-fi_(K'_K ^ ■' f 4 4 t dimostra, che gì' incrementi delle velocità, in eguali istanti saranno dis- 262 eguali, e più piccoli per il tornio a due clllDdri, che per l'altro ad(n-\-i) ciliudri, e ciò per due ragioni, prima cioè perchè il numeratore del valore di du è pin piccolo del corrispondente numeratore di dv ; ed in 2.» luogo per essere il denominatore del valore di du più grande dell'analogo denominatore di dv; donde ne deriva evidentemente, che nel caso del tornio a due soli cilindri il movimento sarà più lento del- l'altro contemplato nel Problema. Caroli. i.° Sia in primo luogo ^ = o, è chiaro, che in questo caso sarà ad ogni istante dv^=o; però il corpo] P, ed insieme con esso gli al- tri tutti Q, Q', Q ec. si moveranno con moto uniforme; se poi A =^ o, si vede, che dovrà essere la qual equazione è evidentemente la slessa di quella assegnata prima per l'equilibrio della macchina medesima. Caroli. 2° Supponiamo in secondo luogo, che sia lì' — R" = Jì, li" — Jì" :^ R , . Ri — R{n+i) == lì: la quantità A diventa allora m m V (») ^ = - , donde si scorge che affinchè il corpo P m m" m{n) discenda realmente, siccome si è supposto, bisogna che sia in m ' m'" min) m > 1 — ^+ ' f~ • . H ì e quando questo rapporto di discgua- glianza non fosse soddisfatto, dovrà concludersi, che in vece i corpi Qì Q 1 Q • • discendono, e che l'altro P sale. Inoltre si osserverà, cbe nella stessa ipotesi si ha v' :^ v' ^ v"' =^ ■ . = r('')= — —, donde siamo avvertiti, che tutti i corpi Q, Q', Q" s'innalzeranno con pari velocità, e nello slesso tempo descriveranno spazi uguali. Caroli. 3.0 Si ponga per un altro caso particolare, che sia H' — R"=^ 0, R"— Iì"=z o , R'"— R'-' = 0 ... y?» -^ :«+■)= o , è chiaro che si avrà A=^i, donde ne deriva, che in questo caso il corpo P discende come se cadesse liberamente ; le equazioni poi rappresentanti i movi- menti degli altri corpi danno v= v' ^ a>'"= — — = o ; ^ z' ^=- e , z' = e', z' := e ' . . . z" ^= cC"), e fanno vedere, che i corpi Q, Q', Q'-.- riman- gonsi ferrai, come appunto dovea accadere. 2O0 Scolio. Nella soluzione doì ire ultimi problemi non si e fatta parola sulla niaoirra di dei'-nninaie le costanti, perchè la li.ro dclcrniinazione non può apportare alcuna dirflcoltà. Non ostante per darne im estmp.o siippuiiiamo, che per l'anse del tornio sia condotto il solito piano in- delinito parallelo al livello d.l maiej die da esso si parla il corpo P senza alcuna vflocllà impressa, e die dal munifiiio in cui si distacca dal piano s'incominci a coniare il tempo j è chiaro, rho in questo ca- so s.oà B-^o, C^o. Sup[Mjniamo inoltre, che lo steso corpo sj vo- glia far discendere per l'Jiezza h, e che quando il corpo P af,.giun;;e l'estieniiià dclk ielle A, tutte le carrucole, a cui sono attaccati i pesi nello stato fisico però essendo egli materiale, in virtù dcH'ineizia della materia, le leggi del moto della macchina saranno alquanto diverse da quelle stabilite avanti, come si deduce dal sef;ueiite Problema 6. Poste lune le cose come nel Problema precedente si frat- ta di assegnare le liggi del movimento del tornio, avmdo riguardo alla sua inerzia. Risoluzione. Per questo sia dp. un elemento della massa del tornio distante dal suo asse d< Ila qiiani là r : è manifesto, che se il corpo P aerpusta uell'istanie dt la velocità dv, l'elemento JA acquisteiù nel me- d simo istante la velocità tangenziale — . Ora si ponga, che se alla il fine del tempo t fossero tai;Iiati lutti i fili, la molecola d,^ acquistasse lo vece ueir istante dt una velocità tancenz'ale lappiesei'taia d.i a- ed evideniemeuie non lajjliauda i lili la velocità perduta da dy. = Z {R'-R") {gdt~dv)+'!l {R'-R"){gdt-dv")-h 265 ove per Jr'^du, che rappresenta il momento d' inerzia del tornio cou- verrà soslituire il suo valore. Per questo rappresentando per D la densità di un cilindro, il cui rag- gio sia r, e l'altezza ^ , si sa che — D^r esprime il suo momento d' inerzia rispetto all'asse ; pertanto se si chianiino p , h \ì densità e la grossezza della ruota: p , K la densità e la lunghezza del i.» cilindro; p\ K la densità e la lunghezza dei a.» cilindro j e cosi degl'altri ; ri- tenendo sempre, che R,It, R ec. rappresentino i raggi della ruota; del i.«, del 2.°, del 5.", ec. cilindro, si avrà il momento della ruota ris- petto all'asse del tornio =—^/i^ j quello del i.» cilindro =;—/)' A .fi' ; quello del 2.0^^—p" h" R" , e cosi di seguito, donde si conclude Jr-dur=:^phR' ^^p'KR'^-h ^p7i'R"^ + dv- -t-— . P à li _^ ^ p fi Ji , e pero 1 equazione precedente si cauibierà in quest'altra mR*— J^ fl(R'— R")— J-. R{R"—R"']—. . .— 1 R(R — R ) 22 a / ~ ~, (r,) («) (n-K^ ~ 4 ~ („+,) („_!_,, („+,)4é^^^ mR'+11(R'-~R'r'+..+"L (fì-fi )^^!!phR+.. + Zp h R 4 4 3 2 la quale s' integrerà nella stessa maniera delle precedenti, e condurrà a dei risultamenti analoghi ai già ottenuti. Osservaz. Nel coroll. 3.o del precedente problema supponendo jfÌ'—.R"=o,R'~R'"—o,R^"'R s o , si è ridotto il coefficiente di -gdt ^= i donde si concluse, die il corpo P discendeva, come se fosse stato libero. Questa conseguenza avendo riguardo all' inerzia della mac- china non ha più luogo ; di ciò ne avverte l'equazione generale sopra trovata 5 infatti essa in quel caso riducesi a mR ''gdt dv— mR^ + Z(^phR' +p-h-K'-i-p''h-'R''''-i-...-rp"'^'^ h}"-^'^ R^"-^''^ 34 a66 Da questo confronto pertanto si raccoglie, che nclV ipotrsi dì Jl — Ji -=^ o , R — R' ^^ o ce. se la massa dol tonno sarà cosi piccola da potersi trascurare, il corpo P discenderà prossimamente nella stessa maniera, come se fosse l'Leroj all'incontro se quella massa sarà molto grande, il corpo i? non discenderà più, come se fosse libero, ma la sua accelerazione sarà sempre meno seusibde a misura, che cresce il momento d'inerzia della maochina. Scotio. In tutti i movin)cnli precedentemente considerati si è trascu- rata la resistenza d'attrito, che delihonu sutlrire i perni del tornio gi- rando sni;Ii appoggi: per tale motivo le \ere leggi del molo della mac- china saranno diverse dalle stabilite sin ora ; per avvicinarsi però scm- T)re più al vero, ahbiasi ora riguardo agh attriti, e ( pfi' evitale de' cal- coli complicali) nella supposizione la pm semplice di tutte, cioè quando il tornio è composto di due soli cilindri. Problffiiia 7. Ritenute tutte le precedenti denoininayioni, e suppo- nendo il tornio a due scjIì cilindri di diversa grossezza, si tratta di asse- guare le h'ggi del suo movimento avendo riguardo all'attrito sugli appog- gi F, F ueir ipotesi, che l'asse / / conservi sempre la medesima po- sizione. Ilisoluz Sia per l'appoggio F l'inclinazione della faccia piana 3I.-Ì Col piano condotto por l'asse del tornio parallelo al livello di 1 mare =^ L L ( esprimendo come prima per ^ la massa di tutto il tornio ) e l'altro punto K' sarà caricato dai tre ^bs\ gmZ, , gm -m , g(i ^ . Pertanto con- L* Ld Lt siderando a parte il punto A' (Fig. 3.) se si conduca per esso la ver- ticale UP% dovrà esso in primo luogo considerarsi sottoposto all'azione di un peso agente nella direzione K V^ ed espresso da gm '^ l"g^' ""^ -\-géi — • Inoltre da una forza G agente nella direzione Kg da A' verso G in modo, che la retta Kg faccia con la iff7 l'angolo UKg =^

)-}-/// seu. ( 90 -h) = Gseo. (fi — // sen ip +/G cos.f-\-fll cos. 'e rappieseiita la Fi^. i, sia pili vicina all'appoggio F, ma di più, che anche A ceniio ddla car- rucola mobile, ed il centro di {pravità della macchina si Iroviuo tutti due piìi vicini allo slesso app"{^yio F, meniie allora apparisce chiarameiue, che il perno soNtennto daH'appojjyio F dovrà avere una n)a"f^ior gros- sezza dell'altro sostenuto dall'appoggio F . Ciò sia detto rispetto ai perni del tornio. Alcune cose cunviin av\erlire ancora rispetto "'o'' ■'PP'^'SS' P-it'- a questo line basta esaminare i xalmi di C, II; e C H' trovati prece- denienieule, i cjnali esprimono le pressioni sulle faecie digli apnogi,i ; es- sendo questi composti degli angoli arbitrar] (p, yp-^ ,p'^ ^'^ che le (accie de- li appoggi fanno col piano condotto per l'asse del toi nio paiallclo al livello del mare si vedu subito, che potrà supporsi ^ _j/', e di piìi sen. ■}!/ — fco^.di — o, dal che si avrà Q ::= G = o, donde si conclude, che le parti degli 'ippoggi F^F' corrispondenti alle (accie liJ^J, AJ'yj po- tranno nella pratica costruirsi meno massiccie ddh; altre due parti cor- rispondenti alle faecie NÀ,N'/1, e con ciò risparmiare della spesa, che in molti casi può essere di qualche riguardo particolarmente quando si debba costruire degli appoggi molto robusti e di metallo, come-appunto per l'ordinario occorre. Essendo poi G -= Q ^^ o ho detto, che le parli degli appoggi F,F corrispondenti alle faecie MA^MA' ponno costruirsi meno massiccie delle altre due, perchè su[)pongo, che discesi> il corpo P sino ad nu certo pnito, si debba far girare il tornio in senso contrario senza esser caricalo degli stessi pesi, dal che ne deriva, che le faecie MA, MA soffi iranno delle pressioni generalmente parlando molto piìi picct)le di quelle sofferte dalle altre faecie NA, N' A', mentre discen- d'va il corpo P. Convien osservare in fine, che essendo le quantità //,/i' qeueralniente diverse , diverse saranno ancora le pressioni sulle due fae- cie NA,N A\ donde si raccoglie, che gli slessi appoggi F ^F' nelle parti corrispondenti alle faccio NA, N' A' non dovranno costruirsi egualmente massicci ma di magginr r +(/?' — -fì''jv = o, e qui conviene osservare prima di tutto, che la quaniità — fr'dif- esprime il momento d'inerzia della macchina, la quale si è veduto prima sarebbe eguale a 1" (l pillili -h I p li R'^ -h - p"h"2ì''i \ se alla fine del tempo t una porzione dei fili non fosse avviluppata attorno alla ruota, ed ai cilindri. Piiflettendo però, che in questo caso alla fine di quel tempo, la lun- ghezza del filo, che rimane avvolto alla ruota è = i — z ; che quella del filo avvolto al i.° cilindro è^^ — s; e quella del filo rimasto avviluppato al 2.0 cilindro è = / — z.z' — nK — — z, risulterà chiaramente il valore di H Ùrr'du,= -(Z phRi-h ~ p'h K/, ^ Z p'h"R"^ )-^'!y.R'g{l-z) -h i". JR.'' q' -z-h 1". H" q' (l' —zz' — „K.^z\ il quale sostituito nel- l'equazione precedente la canibierà in quest'altra mR{gdt -\-dv)->rqzR{gdt — dv)-\- q s r" (gdt — du ) Z '^\Z(phRi-\-p'li'Ri-i-p"h"R"i)-pR^q(l-z)-''f H^l -^jR"q' fl'-2z- ^K-^z^=m' ^-IzE ^g,Ji_dv) + q'zR'{gdt-]-duy. Per ridurre ora questa equazione differenziale a due sole variagli z, e v si osservi^ che si ha -=zv,'t = v',e2Rv' -^(R' — R")v =o donde sì dt dt deduce dz' n' — R" R' — R" dz . , R'—^"i -. — __ v^ F— -j,» ossia dz = -^—dz, e s dt Q.R 2" at in :^C z, essendo C una costante arbitraria j inoltre 1 valori di iR u, u, v' sono dati per mezzo di v dall'equazloai precedenti, però l'equa- zione differenziale si camblerà in quest'altra R (gdt — dv)+ qzR {gdt — dv )+q z R' {gdt — ji^v) m -"Jf .Z{phRi -hp' li R^ -hp' h" R"i ) --" R' q (t-^) ri 3 " a^S fi' K" nella quale si potrà sostituire in vece di 2' la quantità C — — — ^ — x, e si avrà cos'i, sostituendo di più per dc il suo valore — , V (R' Fi"]» . K' •hq— [i- ^K- 2 (C- 2^l1'z)]H- jj . J (;;;ì/?4 -l-;5';i'ij'4 +p"h"R-^ )\.vdv equaziouo tra le due sole variabili z, e v. Si ponga ora per scrivere breve A^{^mR-<]'C{R'-R")-m'^^)g J'=mR-\-q C ^^ \-m' — -\-Rqt + ^p (/■ _ „Ar -h)'- . li (y7/.iì4 -h/i'A'iJ 4 -{-p"h"Jf'i ) e l'ultima equazione si cambierà in quest'altra (//+5z)Jz = (^'-t-5'z) v^i;, dalla quale, separando le variabili, si ottiene vdv ^^ , . S dz, che col- » » A -}- ti z le note regole integrate dà v^ := C ■+■ — z + 3 ÌO£r( /4'-hB's), essendo C la costante iatfudutta culi' integrazione. Trovato questo valore di a)\ si avrà subito 376 quello di ■v, 0 di - = 1^ C + — 3 -t-^ ^rj log. {A -i-B z), e quindi dt =^ - — ^^ — — Resterebbe periamo da imograre quest'ultima equazione per conosce- re lo spazio descritto dal corpo alia fine di qualunque tempo j ma que- st'operazione, non si può eseguire coi metodi conosciuti, e conviene quindi arresiaisl a questo punto. OsseTvaz. Si osservi, che il problema proposto si potrà sempre ri- solvere completamente tutte le volte che sarà jB' = o , imperciocché in tal caso lasciando da parte il valore trovato di o\ che si presenta sot- to un aspetto indeterminato, e ricorrendo all'equazione differenziale, essa prenderà la forma vdv — (^a-\-b z)dz, dalla quale evidentemente si deduce, che si potranno eseguire le due necessarie integrazioni. Corali. Sia per un caso particolare • — 'V^ < ordine, però integrata darà 3 ^ — -H- ce -he e , ove c,c rappre- 2- 77 sentano le due coslaiiil iuii-odotte con l'integrazione, !e quali, se si pon- ga, che quando t = o, sia a» = o, a =0, diventeranno e =; e' := -, e perà „. , , —" a / fl/i — ) perderà la ve- locità gdi' — du ; e che in fine la terza poizioue di filo di massa q n R perderà 278 graia, e determinate le costanti nelle stesse ipotesi di prima, cioè che quando t =■ o, sìSl v =02 =0 darà 2= — riH — a(^ i» . , {m — qI + (j-n:R\ ,• '"■"^ n J • »■ r ' ove sarà a = ■ f^i=^o Ponendo poscia* invece di * , m + i/l ° ni r'/l dalla equazione/^ ;-ì le, I sarà dato il tempo ^ b' -i/j' \ -\-e J ^ T', che scorre, affinchè il filo si distacchi intieramente dalla ruota fissa^ il qual tempo, come si è dello, sarà generalmente parlando diverso da quello impiegato dallo stesso filo per svilupparsi dalla ruota. Ritenendo la stessa ruota fissa, in vece di supporre come prima, che il filo penda dalle due pani della ruota, si supponga pendere soltanto dalia parte, a cui è attaccalo lo stesso jieso di prima, risyuardundo l'al- tra porzione distesa sopra un piano orizzontale condotto per la sommità delia ruota. E chiaro, che tenendo ferme le denominazioui di prima, e supponendo z' l'abbassamento del corpo alla fine del tempo t", le leggi del moto del filo saranno in questo caso rappresentate dall'equazione (^tn+qR -\-qz" )gdt" ^(^in-\- ql')dv" (1), che integrata, e deiermioaie le costanti nelle medesime ipotesi di prima, darà s ■■= — r7t -4--^|e , 1, ove sarà a ^= — ; — :— b :^ — , , * b'^-j.b \ -\-e / fw+y/, m-\-ql, nello stesso istante la velocità a. — dv'.Ver- che L^fL' rappresenti tutta la liingliezzt tanto col solilo principio si avrà subilo del filo nella posizione, in cui trovasi al- l'cquatìonc la fine di f", se si chiami v" la ve'ocità migdt' — dv';-\-:]z'[g<ìl' — dv')-\-qjrR[a — du') del corpo, ed u" quella del filo disteso sul :z^n{t — 2' — wR)(gdi' — du') piano oritionlale alla fine dello stesso dalla quale osservando, che «' =: — v', e tempo, è chiaro che fingendo nell' islanle che a:=:o (perchè tinti i punti del filo rfi" tagliato il filo nei due punti, in cui cessa /iVlB si risgiiardano soltoposli solamente di toccare la mola, il corpo m, e la por- all'aiione della gravità) si ottiene immedia- zione del filo, la cui lunghezza è z" acqui- tamenle l'altra aleranno la stessa velocità gdl, menile l'al- tra porzione AL', suppongo, ch'essendo [m-f-^i' 9 (/ — i' — nR) ^gttl „p)|^ 5,es,o istante in qualunque manitra animata da forze, acquisti in tutti i suoi =^m — qz'-\-<}^R + q{l-^'—nR))dv' ^^^^j. ,^ ^^|„^,|, ^, i„„|„e convien con- siderare nello stesso isijnte la porzione t=(rn + q l ytu' . j^l f^^^ rappresentala d^ .i WS che ab- (1) In tatti supponendo la ruota rap- braccia la quarta p^^rlc della circonferen- preseuiiU d»l circolo ^ V/S.i Fig. 5. , e za ilei la ruota: per questo poneudo CP=^, e qui di uuovo punoudo L i» vece di s" si avrà" t = — V' ~r'\. -4- e ) "''"'' quale si dedurrà il tempo T trascorso, perchè il (ilo si distacohi dalla ruota. Ora che questo tenino T sia sempre minore di Z" risulta evideutcmente osservaudo che dal principio del moto la forza acceleratrice in quest'ultimo movimento è ad ogu' istante maggiore, che nel precedente. D'altra parte poi, se si paragoni questo stesso ultimo movimento col primo, cou quello cioè, in cui il filo si risguardava avvolto alla ruota, facilmente si vedrà che PM^y, AM=^S; Telcmehto Jel filo sarà Mm :=: ds , e la sua massa ^=qds; qucll'elcraenlo poi è sottoposto unicamen- te alL' azione della forza di gravità g la quale decomposta in due l'una nella di- rezione dalia tangente al punto A/, e l'al- tra perpeudicolaie alta circonferenza del circolo nello stesso punto, si vedrà facil- mente che la 2. è distrutta, e che la pri- è espressa da ^ ; così che Io stesso ele- mento Mm nell'istante A" ( supponendo che il filo sia tagliato) acquisterà la ve- locità ^ dt", pertanto, non tagliando il filo, si vede subito che nell'istante dt" il corpo m perde la velocità gdt" — dv", e che questa è la velocità perduta anche dalla porzione del filo, la cui massa c^s", mentre l'altra porzione distesa sul piano orizzontale, ed espressa da {/ — ■!" — — ^'q perderà la velocità » — du" ; inoltre ap- parisce chiaramente, che la velocità per- duta dall'elemento qds del filo avvolto al- la mota, sarà °-~ dt" — dv", e ci» che si dice di questo elemento debbe estendersi a tutti gli altri elementi del filo, che co- prono il quarto del circolo AMB. In se- guito di tali considerazioni si avrà imme- diatamente col pilucipio Jel sig. D'Alem- bert l'equazione differenziale m R {gdt" —dv" )-ltqz" R {gdt" — dv" ) +fqds.R(^dt"~dv")=q(l— z"— - )R{a.—du' ') Stabilita poi quest'equazione si osservi pri- ma di lutto, ch'essa è divisibile per R,in seguito, che il filo disteso sul piano oriz- zontale non si risguardasottoposlo all'azio- ue di alcun'altra forza fuori della gravità, donde sarà a = o ; e che dalla conforma- zione della macchina u" e sempre eguale a — v": in fine convien trovare il valore dell' integrale /'ì'^^- (^ dc"—dv"\ ; e perciò si osservi, che lo stesso integrale sì può scrivere iu quest'altra maniera cioè fqds (fdt"- dv'y=qgdt"/-^-qdv"fds, il cui valore è evidentemente it R qgdc" R — — qdv" ; con queste avver- tenze l'equazione precedente diventerà m{gdt"— dv" )-{- qz"{gdt"—dv") ^qRgdt"- H^ qdv'^] ('-="- 1-) 'l"", ossia (^m-\-q R^qz" Jgdt" = = {m + qz" + !^7+9(/_."-^,; )dv' , o finalmente {m-\-qR-\-qz"]gdl"^m+ql)dv" . ■iéo anche il tr parte de^li usi qui'Sia supposizione dchba aver lungo; pure sul liflesso, die qualche volta può anche presentarsi il hisngno di adoperarla fermandola sulla vetta di una qualche montagna, o sulla cima di alte torri, sia per innal- nalzare, o per calare d^'i corpi fino alla snp'ifiMe della terra; e che altre volte essa può occorrere in ((ualrhe pi ufoiiilissima miniera; cosi rjer assegnare le leggi del suo iiiovìmeniu, comiimpie si trovi rispetto al livello del mire non sarà innlile risolvere i due seguenti piuLleuii: I .° iiosta la niacchioa talmente al disopra della snperlìcie lenestre, che ì corpi ad essa sospesi nei di\eisi punii della loio eorsa sieno animali da for/.e di gravità varianti in la-ion inversa dei i|na(liali delle distanze ; stabilire le regole del suo movimento; a» quelle della stessa macchina situata sotto la supeificio terrestre in qualche profoudissiuia miniera, e disposta in modo, che si debba aver riguardo alla diversa forza di gra- vità, ]u quale, come è noto, (considerando la terra uniformemente den- sa ) varia in ragion diretta delle distanze dal centro. Per rendere poi più semplici queste ricerche si risguarda al solito la macchina immate- riale, ed i fili perfettamente flessibili, senza grossezza e senza gravità. Problema g.° Sia un tornio a due cilindri avviluppati in senso con- trario da un filo, che abbraccia una carrucola mobile, al cui centro è attaccato un peso ; mentre un altro poso pende da un filo avvolto in- torno alla ruota del tornio stesso: supponendo, che il tornio sia tal- mente al di sopra della superficie terrestre, che convenga aver riguardo alla forza di gravità, la quale varia in ragion inversa del quadrati delle distanze. Si tratta di assegnare le leggi del moto dei due corpi. Risoluz. Immaginiamo al solito per l'asse del tornio condotto un piano parallelo al livello del mare ; e snppouianio, che il corpo attaccato al filo, che si avvolge sulla ruota, parla dal punto, in cui questo piano ta- glia la ruota : ritenute tutte le precedenti denominazioni sia 11 raggio della terra — - r l'altezza sopra il livello del mare del punto di partenza del corpo P = A la gravità al livello del mare ^ S quella alla distanza r -\- A — s dal centro della terra . . . . = ,^ la simile alla disianza r -\- A — jz' . . . . • = ?>' Con un ragionamento analogo ai precedenti, si ottiene immediatamente l'equazione differenziale tìiR ( cfdt — dv ) — m • ( (p'dt — dv ) = o, ed insieme con essa l'altra equazione iRv -t- (i?' — /t' ) d .=; o per mezzo delle quali eliminando la quantità v si ha ( ^ ,^'—^'\-, Ir, , («'— «")M , -, 1 \inR,f—m — ; 95 \dt^\mR-\-m — jj, — j dv \ e riducendo que- sta equazione ad un' altra, nella quale s'incontrino solamente le due variabili z, v si avrà / inB. , fi' — fi" I ^ . T ^f mR-\-m' j-E jvdv, ossia, ponendo per scriver breve r-{-A a8a esser separate le variabili ne deriva integrando m :z^C -{-r £!B- y- 1- IT, H^T— i essendo e la costante intro- 2 ° { n — Z p, , " — " j I a H r; — z I l 2/{ ; dotta con l'equazione. Questa costante si determini in guisa clie quando s = o, sia v=^o, e si avrà C = — '"^^ ( g 4" p )> o^'^^ l' integrale tro- vato diventerà t 2fi ; la velocità del corpo P alla fine di qualunque spazio, la velocità v' del- l'altro corpo Q si conosce dall'equazione 2lìv' -\-{Il' — ii ') v =: o, onde non rimane, che da trovare lo spazio s in funzione del tempo. Per que- sto si osservi che l'ultima equazione tra 3 e v si può scrivere in que- st'altra maniera ---• bb'-.{b'^-b)z-!^^ r»»R , R'—R" , , R' — R" ^° - ^.= ^'^^ =«'^— «— ^ =^'-^ = '^' R' — R" . , R'~R" , , ò'z + c'z-' mB''~ m B- — ^- ^b,(mB-{-mB) —^^ = e ,v^- . --^ ^-^^^:^,, C quindi v=^V^ -—- =7 » donde si ricava Jf = -— =- , la quale integrata dovrebbe dare la relazione l/^ Vb'z + c'z'^ ira t e z. Questa equazione però non ammette integrazione in termini finiti. Coroll. Prima di abbandonare questo Problema non rincresca di di- scendere ad un caso particolare. Sia per questo R' — K'z=io; è chiaro che in questo caso il corpo Q resterà sempre al suo posto, e che l'ai- :^85 tro P discenderà come s« fosse perfettamente libero. D'altronde iatro- dulta la condizione tt — R.= o nello formole precedenti si avrà è=^ — B\c =^ o,b' =t7iB\ti =0, jj, a conservando i medesimi valori di ,. . b' I Va->rb-. , , prima: quindi si avrà 1;^= az — e rff = rrT-dz —. -, donde * ^ ^ a-\-bz, Vff Vb'z ponendo per a,b,b',^ i suoi valori si avrà primieramente '/ \ • • ■ r ^=^mli{a motivo di R —H =0) si avrà in fine 4« V = ~, — " — : - - Similm<'n}<> PssRnHn (7^= — r—dz ^-ru .«fl/J lì — z B B — z V^^ y'i^'. - fatte le medesime sostituzioni si avrà «/= z=az r^ — 7T— =:— — , — ..— :;^ — -7= dz ossia ponendo in vece i/Ti^i. \/~B ■ i^ I ,/g V'fl^s ■^, ]/mH,d-t=- ~: 7= — 7= az=^— . k _• 77= Ja, ovvero ancora ri/sgK \/mVz r ■ìg y = i X— ^ — '^ j _. ( w -^- w' V — ^ .= c, el'ul- vima equazione si cambierà in quest'altra ^u"^ =^ bz — cz'', dalla quale si deduce v — - = ,/^ v/i;_ci^ ossia Jf =^ \'^^ ]/b~— -z'-' ' ® t ^= C -\- —Ai e. coi. (i — — z ) ; ove C" sarà la solila costante arbi- c b traria introdotta con l'integrazione; la quale se si ponga, che quando 3=^0, sia t^o dovrà determinarsi dall'equazione o =^ C' -t- —.yfrc. e COS. I = C , donde si avrà C" = o, e però t = t. Are. cos. ( i — ^s), od auche sostituendo per (9,c,a,^ i valori precedenti, t = — Are. COS. (i — _3 ). Pertanto la soluzione completa del Proble- & i ' ^ ma è contenuta nelle due equazioni a>= ; Z^. -2 « = K I . ^//C. cos. ( I -- -s ) : a86 Nel por fine a questa Teorica si osservi i", che se deve aver luogo la soluzione, si richiede, che h sia maggiore di zero. Infaiii essendo e lina quaoliia sempre posiliva, e v^=-r \X bz - cz' i ^e b fosse nega- tiva il valore di v sarebbe imniagiuano. D'altra parte ricorrendo al- l'equazione differenziale da principio stabilita, si vede egualmente, che dovrà verificarsi la medesima condi/.ione, perchè considerando in essa la quantità z prossimamente pguale a zero, come accade nei primi istan- ti del moto, non può 1' incremento dv esser positi\o, come debb'esse- re, giacché si suppone che il corpo abbia solamente la libertà di ab- bassarsi sotto il punto di partenza, a meno, che non sia 6 > o. 2." Risguardando il tornio situato al solito in una miniera, suppon- ghiamo, che sotto di esso sia fallo un pozzo, dentro al quale i corpi /", e Q sostenuti <ÌA tornio possano liberamente ascendere e discendere. Sia poi questo pozzo senza fondoj cioè fatto in modo, eh' esso passi per il centro della terra, e che si estenda al di là sempre in linea ret- ta sino alla superficie terrestre. Ritenendo, che i fiU siano perfettamente flessibili, senza grossezza, senza gravità, e che si avvolgano attorno i ci- lindri e la ruota con infiniti giri, vogliasi conoscere ^fino a qual punto discende il corpo P, ed il tempo che impiega per aggiungerlo, nell'ipo- tesi, che quando esso è giunto a questo punto l'altro ^... siasi innal- zato fino a toccare il tornio. Per questo è chiaro, che converrà far uso delle due equazioni precedentemente stahilite, cioè rv ^ [/f \/bz-cz- ,t= / L Are. cos. (^i--^zj, e'dalJa prima po- nendo (^ = o si avrà s _= o , z= — , dei quali valori di z il primo de- termina evidentemente il punto di partenza del corpo P, e l'altro il pun- to d'arrivo, che si era domandato ; ponendo poi nella seconda equa- zione — in vece di 5 si avrà subito t = \/~l. kvc. cos. ( i — 2) = n\/~^ ■> <-■ se il qual risultameulo manifesta, che qualunque siano le masse del corpi, qualunque i raggi del cilindri e della ruota del tornio, e qualunque la distanza di quella macchina dal centro della terra, il tempo che im- piega il corpo P nel discendere fino al punto piii basso di sua corsa sa- rà sempre lo stesso. Inoltre siccome si vuole, che quando il corpo P 2S7 è giunto al luogo più basso dì sua corsa, l'altro Q tocchi il tornio, co- s'i si potrà determinare la costante. S.» Ritenendo l'ipotesi fatta nell'osservazione precedente è facile di vedere, che il corpo P dopo disceso al punto più basso di sua corsa, rimonterà in segnilo al punto da cui prima era partito, ove giunto tor- nerà a discendere continuando a fare nella stessa guisa delle oscilla- zioni isocrone. Per persuadersene convien osservare, che le forze appli- cate al tornio tendono da principio a far discendere il corpo P fino ad un certo punto della sua corsa, dopo del quale di positive ch'erano diventano negative. Per trovare questo punto basterà ricorrere all'equa- zione differenziale stabilita nella proposizione, e facilmeate si vedrà, che esso sarà determinato dall'equazione „/ „ \ ,«'_«"/ K' _ /ì" \ . mltlB — zi — m — p— I B + j. — z j ^=--0 dalla quale si trac , „, K—R" m B — m B — -^i — p7^ = » e da CUI ne deriva, che il punto cer- m -\- m ^'^ cato, ove le forze di positive divengono negative, si trova alla metà della corsa del corpo P; d'altra parie poi si vede ancora, che in quello stesso punto la velocità è massima, imperocché dall'equazione , , , b — 1CZ V = —y-~ ìX h-^r~' differenziata si ottiene —=—-_. oi/, ^, la quale posta eguale a zero dìj js = — , dal die si raccoglie, che alla metà della corsa del corpo P la velocità è massima. Ora se in qutsto punto la velocità è massima j e se dopo questo punto le forze tendono sempre a far salire il corpo -P, ne viene necessariamente, che giunto al termine della sua corsa, in virtù delle forze riiardatricl rimonterà per la strada, che avea battuta discendendo, ed elevatosi allo stesso punto di mezzo avrà acquistata la velocità medesima di prima, onde in virtù di essa potrà però ascendere fino al punto di sua partenza. Giunto poi a questo punto e evidente, che il corpo tornerà a discendere, e moven- dosi sempre nella stessa guisa farà delle oscillazioni isocrone, in ciascuna delle quali impiegherà un tempo f =; 3^ \^~ • 288 4-° II lempo t^z^ y^ è quello, die imj.)legliciebbe un corpo la- g sciato cadere dal livello del mare dentro un pozzo senza fondo che passasse per il centro della terra, e terminasse dall'altra parte alla sua superficie ; imperocché si vede chiaramente, che le leggi del moto di questo corpo sarebbero le stesse di quelle del tornio supposto col- locato sopra il pozzo allo stesso livello del mare, e che i due cilindri fossero di ugual grossciza ,• ossia supponendo ^ ^^ o , R — R' ^=o: ni,i introdotte queste modificazioni nelle formole precedenti esse non cam- biano il valore di f =: ^ j/'_^ , donde si conchiuderà, che il tempo g impiegato dai corpi a fare un' oscillazione, essendo il tornio, che li so- stiene collocato in una miniera sopra un pozzo senza fondo, e uguale a quello, che ii^iplegliorebbe un corpo, che avesse la libertà di traver- sare la mole terrestre iu linea retta, e per il suo centro. Pertanto si concluderà, che avendo un tornio disposto iu qualunque modo in una miniera, sopra un pozzo senza fondo, i corpi da esso sostenuti faranno delle oscillazioni, in ciascuna delle quali impiegheranno 42', 12" pros- .^imamente. ^"W 289 TAVOLE GENERALI DI ABERRAZIONE E NUTAZIONE DELLE FISSE IN ASCENSION RETTA, E IN DECLINAZIONE. DEL l' ABATE FRANCESCO BERTIROSSI - BUSATA, J_l ella costruzione delle Tavole seguenti non ebbi in mira di dare alla luce una cosa nuova, o superiore a tutte le altre di questo genere, ma bensì di alleggerire, per quanto mi sembrò potersi conciliare e coll'au- mento non inutile delle Tavole medesime e colla loro disposizione, le fatiche degli Astronomi i quali hanno sempre bisogno di passare dai luo- ghi veri ai luoghi apparenti degli Astri, e da questi a quelli, ciò che reca noia e perdimento di tempo dovendosi ad ogni tratto ricalcolare le me- desime formule. Non negherò che vi siano a tal uopo delle Tavole molto estese, ma desse sono semplicemente particolari, e le Tavole generali che abbiamo fino ad ora non sembrami (a cagione della loro ristrettezza) che siano atte a dispensare il calcolatore da una gran parte del tedio che portano seco gli argomenti e gli angoli ausiliarj che vi s'introducono; per lo che mi sono accinto ben volentieri a dar loro tutta quella esten- sione che mi parve conveniente unitamente a quella precisione che si richiede in tempi in cui l'Astronomia, mercè i lavori e fatiche di quelli che con tanto onore di questo secolo la professano, è giunta ad un grado di perfezione cosi eminente che poco si può desiderare di più. Lungi pertanto dal pretendere che le Tavole che offro siano ( come dissi) in tutto migliori delle altre, o prive intieramente d'incomodo, mi contenterò solamente che possano venir giudicate adorne di qualche vantaggio e facilità in confronto di quelle che possediamo. E se questo 3? 290 lavoro, come oso sperare, non riuscirà discaro a^li Astronorui, mi cre- derò bastautemeute sodlisfatto della mia opera. Eccone frattanto la dis- posizione e i fondamcHti. Vogliasi, a cagione d'esempio, conoscere l'Aberrazione in Ascension Pietta, e in Declinazion di una Stella qualunque per un dato momento. Si prenda il luogo del Sole per quel dato tempo nella colonna verti- cale delle Tavole segnala Long. |^, e si prosegua orizzontalmente fino alla colonna che porta in fronte l'Ascension Retta della Stella, il numero ivi notato diviso pel coseno della Declinazion della Stella medesima darà l'Aberrazione totale in Ascension Retta senza bisogno di altro. Fa- ciasi lo stesso per trovare la prima parte dell'Aberrazione in Declinazione moltiplicando il numero ivi segnato pel seno della Declinazione stessa. Per aver poi la seconda parte, ho collocato in line una Tavoletta con dop- pio argomento, in cui il numero preso si dove moltiplicare pel coseno della declinazione, fattore che ha servito per trovare l'Aberrazione ia Ascension Retta. Riguardo all'esattezza delle Tavole da me costruite, dirò semplicemente, ch'esse sono state calcolate sulle formule seguenti che si trovano nella grande Astronomia del Ch. signor Delambre, Tom. III. pag. 1 15; cioè 20 '.253 ( sen'~ «. COS. (.//? + 0 ) — cos. L«. cos. {AR — 0) j cos. D- per l'Aberrazione in Ascension Rena. Dove JR indica l'Ascension Retta della Stella, . «92 sottraendo la seconda dalla prima si olterrll: f—o''.oot.scn.(JR — :^) — o". ooii7.sen. (^ì; + ^) jsen./)'! ''^ e qui si vede che l'errore è molto più piccolo che nella precedente. Anche all'Aberrazione in Declinazione ho aggiunta la parte dipendente dall'Eccentricità che non trovasi nelle altre Tavole, e la di cui espres- sione è : o". 34 ( (cos.La. scn.(^iJ-}-5r) — seo.L». sen. (^R — n) Isen.Z). «ssendo, come dissi, re il luogo del Perielio della Terra. La costruzione e la disposizione delle Tavole di Nutazione è la me- desima che quella delle precedenti di Aberrazione. Le formule sono le seguenti ; Prima Parte della Nutazione iu Ascension Retta { — i". 2268. cos. ( ^.S -1- a ) — 8''. 3732. cos. (v^iJ — fì) j tang. Z>. Seconda Parte : — 16". 462. sen. a- Nutazione in Declinazione 8". S732. san. ( ^/? — ft ) -I- I ". 2268. sen. ( ^i? -F a ) essendo 0. la Longitudine del Nodo della Luna. Ridotte in Tavole que- ste formule, si ottiene la prima parte della Nutazione in Ascension R.eita entrando nella colonna verticale col luogo del Nodo, e proseguendo orizzontalmente sino alla colonna che porta in fronte l'Ascensiou Retta della Stella proposta, come si fece per l'Aberrazione, moltiplicando il numero ivi notato per la tangente della Declinazione della Stella. Si av- verta che le Declinazioni Australi si prendono sempre negativamente, e le Boreali positivamente, e ciò intendasi anche per rAberrazionc. La se- conda parte della Nutazione, cosi pure la Nutazione in Declinazione si trovano distese senza bisogno di altro calcolo. In fine ho aggiunta una Tavoletta per la Nutazione solare presa dalle Effemeridi di Milano. Passiamo agli esempj. Vogliasi l'Aberrazione iu Ascension Retta e in Declinazione di a di Boote pel giorno 2 luglio 181 1 a mezzodì, essendo la Longitudine del Sole = 3.° g'. 56", l'Ascensiou Retta media della Stella per quel giorno 21 1.»45'. 56' , 82j la Declinazione 20.0 io. 21", g4 Boreale. Entrando col ago luogo del Sole unlla colonna verlicale delle Tavole a 5.5 0°, di fronte alla colonna che porta 210° di Ascension Retta si trova il niimero -|- 10 '.127. La parte proporzionale per 1.045 -56', 82 è -t-o". 535, e quindi il numero per l'Ascension Retta 2 1 i». (:f5'. 55 ', 82 essendo il Sole a 3.5 o", sarà -h io' .662. Entrando ancora col luogo dil Sole 3.5 io» si trova il numero competente per 211.045. 58" della Stella -j- ij". -^56^ differenza ^^ — 2''. go6. Parte proporzionale per 9.° 3tì del luogo del Sole =; — 2 '. "jgo che sottratta da-}- io". 662 si ottiene -|- -y'. 8'y2. Questo numero diviso pel coseno della Ueclinazioue della Stella ^= o. qSg, dà per totale aberrazione della Stella in Ascension Retta -f- 8 '. 385. Colle Taviile di Gauss si trova -<- 8' . 3go. Similmente per l'Aberrazione iu Declinazione si trova (fatta la parte proporzionale) il numero per l'Asceu- siou Retta 311.54.57, essendo il Soie a 3.5 o" = -+- it", 2 18, e col luogo del Sole 3.5 10.° — + 18 '. o65. La differenza è-|-i".457j parte proporzionale per g.» 36' = -+- 1" 58o che aggiunta a -h 17 ".218. dà 18 .598, il fjual numero moltiplicato pel seno della Declinaziouc = o. 345 farà conoscere la prima parte dell'Aberrazione in Declinazione ==; -hG' , 4 '6 11 Numero' per la seconda parte si prende con una semplice proporzione nella Tavoletta in line, ed è + 1". 344 che moltiplicalo pel coseno della Decliaaziaue o. g3g, già sopra trovato, dà la seconda parte di Aberrazione -+- i'. Ì162, a CUI aggiungendo la prima =6", 416 si ha la totale Aberra- zione in Ueclinazioue .=^ -t- 7 .678. Colie Tavole di Gauss si trova per la medesima Stella -j- 7 '. 667. Non ho aggiunto la pane dipendente dall'Ec- centricità afiiuchè si potesse meglio vedere l'accordo delle mie Tavole con quille del signor Gauss, ma in qualunque caso egli è facilissimo di tenerne conto osservando le regole scritte a piedi delie colonne delle Tavole stesse. Entrando similmente col luogo del Nodo 5.5 20.052' nelle Tavole di Nutazione si trova che all'Ascension Retta 211.45.57 corrisponde il nu- mero— 7". 45i il quale moltiplicato per la tangente della Declinazione 0.5674, dà la prima parte della Nutazione in AR-- — 2'. 737; la se- conda parte che si trova nella Tavola in hne è — 2". 6i2j sommando queste due parti, e correggendo la somma colla Nutazione Solare -^- o".ig si ha la Nutazione totale in Ascension Retta = — 5 ". iSg. colle Tavole di Gauss si trova — 5. ig5. In siimi guisa col luogo Nodo si trova la Nuiazioue in Declinazione, la quale per 211.045'. 57" d'Ascensiou Rena 294 è -4-5". 946; aggiungendo anche a questa la Nutazione Solare -f-o". i si ha la Nutazione della Stella in Declinazione = -+- 6". 046. Colle Tavole di Gauss si lrova-h5''.g85j Differenza o". o65 — SI domanda, per secondo esempio, l'Aberrazione e la Nutazione in Ascension Retta e Declinazione di ^ della Lepre pel giorno primo di gennaio 181 t nel qual giorno il luogo del Sole è g.^ io.» i4', il luogo del Nodo 6.5 0.0 2g'jrAscension Retta media della Stella = 80." 2'. 14' ,06; la Dechnazione 20.° 55'. 5'', og Australe. Col luogo del Sole g.5 io.» o' e di fronte a 80° di Ascension Retta si trova il numero -t- ig." o85, che colle parti proporzionali dovute a 2' d' Ascension Retta e a 14' pel luogo del Sole diventerà -f- ig''. 073, il qual numero di secondi diviso pel co- seno della Declinazione 20.» 55.', dà la totale Aberrazione in Ascension Retta =-i- 30" 421. Parimente collo stesso luogo del Sole, e colla medesima Ascension Retta della Stella (fatte le piccole parti proporzionali) si trova 11 nu- mero di secondi + 6", 7 i4 che moltiplicati pel seno della Declinazione, danno la prima parte dell'Aberrazione in Declinazione = ^ 2". 597; la se- conda parte si trova in fine col mezzo di una semplice proporzione è = i". 434; e quindi la totale Aberrazione in Declinazione = — 3. 85i. Colle Tavole di Gauss si trova l'Aberrazione in Ascension Retla+ao '.408, l'Aberrazione in Declinazione —3 '.752. Indi col luogo del Nodo 6.5 o.» ag' e coU'Ascension Retta soprannotata entrando nelle Tavole di Nutazione si trova il numero -4- 1". 721, il quale moltiplicato per la tangente della Declinazione dà la prima parte della Nutazione = — o". 658j la seconda parte che si trova distesa nella Tavola in fine col luogo del Nodo è -\- o". 143. La Nutazione solare prima e seconda parte -h o". 264; e quindi la Nutazione totale in Ascension Retta ^ — o". aSi. Colle Tavole di Gauss si trova— o". 397. E finalmente col luogo del Nodo 6.^ 0° e col- l'Ascension Retta si trova per la Nutazione in Declinazione -f- 9'. 4^5; parte proporzionale per ag' del luogo del Nodo = — o". 018. Nutazione Solare = — o".4i e perciò la totale Nutazione in Declinazione = + 9027. Col mezzo delle Tavole di Gauss si ha -|- 9". 081. 2f)5 i AfiEnKAZ.IOJNE UN ASCEJNMON KEUTA j Long. AR_o° del 2° 182 4" 184 6° 1S6 8° 1S8 io" 190 1 12" 192 .4^ •94 16" i ■96 i 5 o ,.5 eoo IO 20 — is',S78 -j- 18,296 ■7.458 — i8,S67-|- 18,407 17,689 _ 18,533+ 18,496 17,898 -.8,476+ 1 8,563 18,086 _.8',398+!_i8,296+ 18,607 18,629 18,252 18.396 —18,172+ 18,627 18,517 18,026 + i8,6o3 .8,6.5 _17',858+! i8,556 18,690 I^ 0» 7' IO 20 16,089 l4,23l 11,94^ 16,433 14,678 .2,476 16,757 i5,io6 12,995 17,039 i5,5i4 .3,498 17.342 i5,9c5 1 3,985 i7.(io3 16,276 ,4,454 '7-844 16,1,27 ■^,907 .8,o6i 16,959 15.34. 18,2.57 17,5''"-) i 15,755 ] 2* 0» 8^ IO 20 l».--i 9,95 0 7. e, 4 3,92» 10,490 7,666 4,609 11,07. 8,3o8 5,294 I .,640 8,94i 5,971 12,194 9,563 6,64. 12,733 10,172 7,703 .3,256 10,769 7,955 1.3,763 1 21,356 8,599 3' 0» 9^ IO DO -f- 0,000 — -i_ 3,226— 6,355 — 0,707-1- + 2,528 — 5,686 — i,'ii2+ + .,8^7- 5,014 — 2,1.8 + + 1,123—' 4,33c — 2,819+1— 3,5.6 + + 0,4.9 ' — 0,286 :- 3,644 + ^.952 4,211 — 0,995+ - 2,258 — 4,900 — .,695^- + .,56._ 5,583 ■ 2,397 + + 0,863 — — — , 4* O^IO* 10 20 9,^89 l4,23l 8,671 ii,3y4 «3,759 8,043 io,83o 1 3,288 n,4o5 10,255 .2,793 6,757 9,667 12,282 6,ic3 9,1 66 11,755 5,440 8,455 1 l,2l5 4.770 7,833 10,659 4>095 1 7,2o3 i 10,092 5' o'n^ 16,089 IO I7,ij8 20 ■ 18,296 1 5,7 27 17,205 18,072 15,343 16,932 18,006 '4,943 16,638 17,828 .4,523 .4,086 .3,632 i«,324 15,989 .5,636 .7.629 17,407 17,165 .3,, 61 1 5,263 16,901 1 2.G7 4 14,8,2 16,618 ABERRAZIONE IN DECLINAZIONE 0' 0» 6^ IO 20 — 0,000- .- 3,5.6 6,9^7 -f- ó',649_ _ ^876 , 6,3 14^ -^ 1,296 — . 2,233 1 5,693^ + i',942 - 1,5804. 5,064 ' 4- 2,5S5_ _ 0,937 1 4,430^ _U 3,226— + 3,863—1+ 4,494~ Ì~ 5,121—, 0,286.1.+ o,364— + i,o'.3— + .,663 — , 3,790^ — 3,i46+'_ 2,497-j 1,846 + : i •^0^7' TO 20 10,127 l3,ni8 i5,5.5 9,559 8,979 I2,5i4 11,994 15,079 14.644 8,389 ".459 14, .81 7,789 10,91 I i3,7oa 7.'79 10.3D0 i3,2o5 6,56o 9,775 1 12,693 5.934 9,189 I2,i65 1 5,^99 8.591 1 1 1,622 S 0 qS 208 10 20 17,539 19,032 '9,9Ì'J 17,-05 •8,799 19,820 1 6,849 18,542 19.G7» 16,473 1 3,264 19,500 16,077 17,962 i9,3o3 i5,fi6o .7,639 19,083 1 5,226 i7,'9'( 18,839 1^,771 '4.3o; .6,939 16,544 18,578 18,284 1 oS 0 s 3 09 I 0 20 20,2J,f i9,o32 20.241 20,045 19,243 1 20,204 20,142 20,122 20,173 19.4^9 19-592 2o,o55 20,201 19,730 19,946 20,2o3 19,846 j 9,8 1 0 20,18. 19,937 19,652 20, .33 20.oo3 • 9,468 2<»,o62 20,046 4^0» ^ 10 20 i '7,539 «5,5i5 i3,oi8 17,853 15,922 i3,aoS 18,145 16,3 II i',979 ■ 8,4i5 16,678 14,134 18,662 17,0-25 14.873 .S,S«7 '7,352 .5,292 19,088 i7,6''9 .5,693 19,265 •7-943 .6,075 19,4 = 1 l8,20D 17,437 5^o».i^ 10 20 10,127 6,9'7 3,5i6 10,672 7,532 4,i54 1 11,224 8,128 4,7.S5 11,753 8,7.4 5,4.0 11,268 9,^89 6,029 .2,766 0,853 6,64. i3,25. .o,!o6 7,^-11 1.3,718 10,9 i 5 7.8.39 • 4.'69 11,470 8,423 Costante airAsc.ret. — ó',o54 — ' 0,042 — o,o3i — 0,015 — 0,007 + 0,00 5 1 " + 0,0.7 + Ó',02S + o,o4o 1 Costante alla Dee!. 1 1 -f- o,336 + 0.338 + 0,338 + ó',338 + ó',339 + 0,339 + o,338 + 0,337 ' 1 ■ 296 aiìerrazio:ne in asce_\sion retta Long 1 dei 1 0 -VR— iS = 'ys 20'^ 200 22° 202 24- 204 26" 206 28° 208 3o'' ^ 32° 2,0 1 212 34° 214 1 s °,s 0 0 b ! 20 —1 7,669 J- i»,4s3 '«,:1i -.7.15S + 18,396 '^77Ì _,7,225-H ,8,281 18,782 —16,972-1- 18,, 45 18,766 _, 6,698-1- i 7,()85 18,727 — i6,4o4-(- 17,806 i8'6()7 — 16,089 +- i7,fio'3 —.'5,755 \~ i7,..3òo '8,475 — i5,4o2 17,135 18,347 s 0 ^ j 0 7 IO 20 '7.'5j i6,i5i 18,5 s3 18,7,1 17,826 18,073 i6,5'i3 16,88 '( 18,817 18,297 17,220 1 8,900 l8,4qS 17,534 18,960 18,677 17,828 iS,997 1 8,83 5 18,100 I(),OI t 18,968 i8,35o 19,001 19,078 18,576 1 . - ,s ■». 0 ■^ IO ao S J 3 0 9^ 10 20 i1,-.5ì j ii,723 £1,92 j ' I3,4''^0 9,232 : 9,8.3 i3,,84 1 3,021 io,463 1 5,620 13,545 1 1,060 i6,o38 i4,o54 II, 6 4 3 16,4 36 14,546 12,212 16,014 i5,oi8 12,766 17,172 i7,5oj .5,^74 '3,9" i3,3o6 1 3,823 6,259 6,926 - :;,o95+ 3,7 ,0 - 0,162 — 0, .3ó-|- 4,p' - 1,238-)- 8,238 5,1 65 — ',936 4- 8,878 (;,"ioS 5,ì44 6,3i6 — 2,63. -f- 3,32', 10,127 7,'78 4,0.3 10,733 7,833 1 4.(397 11,320 8.479 5,3,5 4' o-io^ lo 2.> 3,4,5 6,563 9,5i2 -H 3.7'9 — 5,915 8,921 -j- 2,042 — 5^61 8,3,8 4- i,35i — 4,599 •-,706 _U o,6Go — 3,932 7,oS4 0,082 -i- -L. 3,260 — 6,454 — 0,7254-, — .,4.6 4^ — 2,.o74- _i_ 2,584 U ',0o5 — 1_(_ 1,224 ^ 5,8i5 p 5,171 1 4,5,9 rS 0 s J 01 L IO 20 .2,, 73 .5,463 i6,3>4 11,655 i4,o35 15,989 11,124 l3,5q2 1 5,646 10,579 i3.i3i 1 5,233 10,022 12,654 14,903 9.45 2 12,163 i4,5o3 8,870 11,655 .4,086 8,278 i,,i34 1 3,652 7,6,6 io,->99 l3.20I ABERRAZIONE IN DECLINAZIONE 6* o'' 6 + 5','7:ii— ,+ 6,354 — IO ""h 2,309 ■+ 2,9->! 1!0 I»'94-4-; 0,533^ + 6,959 h 7,556- 3,593 4,229 -|- 0,1 ,3 r 0,772 — 4- 8;'.44- 4,860 + .,427- + 8,7,2- 5,484 -H 2,oSo — 4- 9:289— 6,102 + 2,729— + 9^855 1-10^389— 6,713 7,3i5 4- 3,377— 4,o'9 .^o%^ IO 20 4/'59 7.983 11,066 4,oi3 7,365 10,495 — 3,362-1- 6,7^9 9,912 — 2.707 -f- 6,io5 9,3 16 — 2,o48 4- 5,462 8,710 _ i,38S-h 4.8.4 8,092 — 0,725 + 4, ,58 7,465 — 0,061 4- 3,499 6,829 4" 0,601 — _ 2,834.-:- 6,, 35 1 1 = o <; ./ 0 8 i3,8ti 13 '6,137 20 '7.972 i3,3o5 i5,7 , 1 17,639 12,782 1 5,266 17,284 12, 24^ 14,801 16,909 1 1,692 14,320 i6,5i3 11,126 .0,546 i3,82i i3,3o5 16,097 i5,tì6o 9,952 12,772 1 5,206 9.310 12,225 ' »4,73. 3 0 9 la 20 19,063 I 9,966 2U,o64 19,03 2 19,846 ao,o58 '8.779 19,701 20,026 i8,5o2 .9.533 19,97° i8,3o4 '9,31' '9.S9' 17,882 ■9,126 .9,787 17,539 18,887 19,659 17,175 18,624 19.I07 16,790 18, 39 '9.33t IO 20 ig,55i i5,779 19,659 1 8,664 17,100 19.7I3 18,859 17.402 19,801 i9,o3o 17,682 19,836 1 9, 1 80 '7,94° 19,343 i9,3o5 18,176 19,835 19.^07 18,390 .9.797 19,486 i8,582 19.735 ' 19,540 18,753 0 o°il IO 20 i'(,6o3 1 1,982 1 j,o,8- 12, '180 0,363 i5,'ti7 12,963 1 0, 1 1 5 15,796 13,429 10,654 16,, 54 13,878 ii,iSi ifi,l9l 1 4,3 12 11.694 16,8,4 14,728 '2, .94 •7. "4 15,126 12,678 '-,397 i i5,5o5 i3,i46 Costante rt'aggiung. all'Ascret. H- o,oS» + o^.64 -f ó',075 + 0.087 ■4- 0,098 1 " 4" 0,120 4- ó^iSi -h o;i4. Costante (l'asj-liung. alla Occl. 4- ÓI335 + ó',333 + o','33i -h 0,328 -+• 0,325 4- 0,3 2. 4- 0,317 4- 0,3.3 ! 4- o,3o8 297 ABERRAZIONE IN ASCENSFON RETTA I.o„s. del AR = 3f," 21G 33" 2.S 4"^ 230 42» 222 4/,- 224. 46» 326 43» S28 5o° 236 232 O O*^ (l IO ■_'.a -.,:V,o3o+ i(),SG,) iS.Mjj .6,333 18,022 _.4',.95-f- 16,276 .7,326 — 3,So7^- ■5,949 17.609 — .3>,6'^-^- l5,6o', ■7,370 — i2,9o5-|- . 5,2 '(O 17,110 — 2/,32 + 1 4,856 16,829 ■4.434^ 16.528 — .I,',4.+ i4,o36 .6,-.!o0 .^ o^ 7^^ IO 20 18,963 19,165 18,781 18,9.3 i9,23o 13,962 1 8,835 19,27 ■ ig,i2[ ■ 8,732 .9.233 .9,2 36 .S,6o3 19,230 ■9,1'J7 iS,46i .9,251 ■9,1'''' 18,292 ■9, '9* i9;52i iS,ioo 19,121 19,561 .7,886 19,020 ■;v»s ,' o"S^ IO 20 17,825 16,327 .1.333 18,119 16,72$ .4,822 18,390 17,100 15,292 .8,64o ■7,457 i3,744 .8,867 ■7,79-» .6,176 ,9,070 ■8,1 04 i6,588 ig,25o 18,395 16,98. 19,40.7 18,66} ■7,352 19,541 18,910 .7,703 3' o°9' IO TO I 1,904 9,,. 3 6,040 12,469 9.737 6,710 i3,oiS io,35o 7,363 i3,552 ■0,949 tl,OI2 .4,069 i.,535 8,63o .4,508 12,106 9,'7'> .5,o5, 12,663 9,893 i5,5.5 i3,2o5 10,495 1 5,960 .3,73. 1 i,oS6 IO 9.0 + o.-iii- 3,362 3,l79, — o,.4i-r -f- 3,200 — i'5S — o,S25t~ + 2,533- 4,834 5,5o5 6,. 63 — i,5o7"r"| — 2,1874 2,H66"r + 1,865— ,-H .,.94—+ 0,52.— 6,,?.9 3,539 — o,.5i + 7,466 4,209 — 0,825+ 8,. 02 4.874 , ,-~ ',497+ IO 7,064 IO,o52 12,734 6,4H 9/t92 12,2 53 5,8.5 8,921 11,753 5,.Si 8,338 11,24. 4,539 7-746 10,7.8 3,892 7,i44 10,179 + 3,240 — 6,498 9,629 + 2,584 — 5,9.6 .9,066 + 1,925 — 5,290 8,493 ABERRAZIOlNE in DECLINAZIONE O* D'C'' IO ! -|-10,920 7 '90<) 4,658 + .'i',^37_ 8,193 5,290 + ii',94a_ 0,066 5,9.5 -1-12,432 1-12,905 9,629 10,179 6,534 7,144 +13,364- 10,7.8 7,746 +.3,807 — 11,243 8,338 +l4,23l 11,755 8,921 +1 4,740 — .2,253 9,492 IO 2,1(17 1 20 5,532^ + i,9j5_ — '.1974- 4,874 + 2,584_ _ 0,825 _L. 4,209 + 3,240 — o,.5i_)_ 3.339^ 3,892 "r" 0,52. — — 2,864-H , 4,339 "•" ■,■94— — 2,187 -t- 5,181 + 1,863 — — .-507 + 5,8.6 6,444 + 2,533— + 3,200 — — 0,823+' — 0,141 + IO »0 8,730 11,66» l4,2'|0 8,102 1 1 ,086 i3,73i 10,495 .3,2o5 6,8.9 9,893 1 2,663 6, .65 9,-'76 12,106 .5,502 8,65o 11,535 4,834 8,076 ■0,949 4,.58 7,366 io,35o 3,479 6,7 10 9,737 .;' 0° <,■* iG,336 ij i8,o33 ■jj 19,129 1 5,960 17,703 18,9.0 «5,479 17,352 18,664 i5,o5i 16,98. 18,395 .4,568 1 6,588 iS,io4 14,069 16,176 ■7,79^ 12,552 ■5.744 ■7,457 i3,oi8 15,292 17,100 12,465 '4,822 '6,724 4 0 £.> IO 20 19,600 i<).57i 13,897 '9,54' ■9,578 19,020 »9.4''7 .9,56. 1 9, . 2 1 i9,23o 19,520 19,198 19,070 19,456 i9,25i 18,867 .9,367 19,980 18,6^0 19,256 '9,287 iS.Sgo r9,.2i «9.27' 18,118 ' 18,962 '9>23o 10 20 >:A19 15,865 13,349 17,835 16,206 Ili ,«36 iS,ioo 16,528 18,292 16,829 ■ 4,856 18,461 ■7,1 .0 15,240 18.G08 ■ 7.370 1,5,604 18,732 17,609 15,949 1 8,835 17,826 16,276 18,913 1 3,022 .6,583 Costante all'ASC, ret. + o,.33 -f- ó',.63 + 0,17 + ó',.84 + 0,194 "T o,2o3 + 0 2l3 "T" 0,222 + ó'.23r Coslr-nte alla' Deci. + ó,3o3 h 0.297 -r 0,29. ■ 4- o',2S3 + o',27S + 0 -,72 + 0,264 + 0,257 + ó,24C 58 298 ABERIUZIONE Vi , \scel\sion retta 1 0 .3:, 5G» 230 58« 238 60* a 4» 63« 242 64» ••14 1 66" 246 68' 248 70" aSo 0^ o-'G^ IO 20 — io,g-^-o-|- i3,5g9 i5,8Gi — ió',3S()-|- i3,i4(J i5,3o.5 — 9,8-154- 12,688 1 5, X 26 — 9,-'S9+. >','9I 14,728 — 8:7224- 11.694 14,3 I 3 — 8;.44-f 11,18. .3,878 — 7,556-;_ 10,654 i3,Ì29 — 6,939-1- .0,1.5 12,963 — 6I355 1 9,563 i2,4So .^o^'7 = ac «7-G49 iS,S„7 «9>J7» >7.'593 18,751 19,540 17,114 1 8,583 '9.486 16,8.4 18,390 "8.Ì07 iG,i94 18,176 ig,3o5 16.. 54 17,940 19,180 15,796 17,682 . iy,o3i '5,4.7 17,402 .8,859 i5,oi8 17,100 18,664 IO 00 ig.Gjo I (), 1 3 1 iS,o33 19,735 19,33. 18,339 '9.797 19,507 18,624 19.335 19,659 18,887 .9,«iS 19,787 19,126 19,836 "9,891 '9,341 19,801 19. ■170 19,533 '9,7 13 20,026 19,701 19,659 2o.o58 19,846 .^5 ., * i ^ o« 9 IO 20 iG,3Sa i4,iic iijtìGi 16,790 ,4,73. 12,325 17,175 i5,2oG 12,773 17.539 i..,6Gu i3,3o5 17,882 16,097 l3,02I 18,204 16,3 .3 14,320 lS,5o2 10,909 14,802 '8,779 .7,284 .5,266 19,032 i7,63q 15,7.1 4^ o°.o* IO 7.0 8,730 5,533 — 2,.G7+ 9,346 6,. 85 _ 2,834 9,952 6,829 3,499 10,591 7, 166 4, .58 11,126 S,oy2 4,8.4 11,693 8,710 5,462 12,245 9,3 16 6,io5 .2,782 9,91^ ■6,;3y i3,3o5 10,495 7,366 5' o'.o» IO 20 -f T,^G4_ ■4,638 -|- o,6oi — 4, "19 7.3.5 — 0,061 "T" 4- 3,377- 6,7.3 — 0,7254- 4- 5,729_ 6,io3 _ i,38S-+- ^ 5,484 -, 2,0434- -+■ 'Ak— 4,80o — 2,708-1- 4- 0.77-— 4>"9 — 3,362 + 4. 0,1.8 — ^ 3,593 4,0.3 — o,53ST 4- 2,952- ArERRAZIONE IN DECLINAZIONE e' 0'' r/ IO -i-i5,ojo — ",7*4 10,OJ2 4-ij,4o2_ .3, -lo. 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'aR=9o« del 1 0 1 ''■' 92° ■7' 9^ 2,i 9?" 3,3 100 2 So 102 282 ,»4 284 106 2S6 o o 6 - In 20 Il — 0,000 -|- 3,5 16 -t- 0,64? - - 2,8,6 _i_ 6,3 1 4 -l- 'i',296— 2,233-1- 5,693 + '1,9')' — + 5,532 — + 3,226— i,585_|_ 0,93,.^ — o,286_|_ 5,06 1 4,'|3o 3,790 + 3,863— + 4,49', - + 0,364 ^ .,0.3 — 3,1 16H 2,498 -H + 5,121 + 1,662 — — 1,346-1- 5,299 8,591 11,622 I 0 ;' IO 20 lo,i2'; l3,oiS i5,j^i3 9,559 I2,5l.> 15,089 8,979 ",9:ii .4,tìì4 8,33, ,,,39 11,(59 1 IO,ylI i4,i3t 1 i3,,02 7.'79 10, ì5o i3,2o5 6,56o 9.775 12,692 5,93; 9,139 < ',i6,". 2^ 0= S^ IO 20 /.:.539 n).o3'i i9.:)4'5 I,,2o4 18,799 19,820 .8,542 19,6,2 .6.1,3 18,264 i9,Ì99 .6,0,, 17,962 ig,3o3 1 5.660 '7.639 .9,083 l5,226 17,294 i3,8J9 '4,77' 16,929 18,5,3 i4,3oo 16,543 .8,284 j o 9 2 0,i:>j IO iQ'DV' 20,241 20,046 19. 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'79 4,oi3 10,733 7,833 4,697 1 .M79 1 5,375 4^ o-'io' IO ao 3,i.5 6,563 9,5i2 _ 2,729-1- 5,916 8,921 5,261 8,3 18 — 1,352-1- 4,599 7,706 — o,C6o^- 3,932 7,066 + 0,032 — — 3.254.L. 6.454 "T" 0,720 — — 2,584 1 5,816 + 1,4 '7- — '-905-1- 5.17'^ , 1 -t- ",'07—1 — .,-24-1- 5' o«.i= IO 20 12,173 .4.463 i6,3i4 11,655 i4,o35 «5,989 13,592 1 5,646 10,579 i3,i3o 1 5,283 10,021 12,604 14,903 9,45» 12,. 63 i4,5o3 8,870 11,655 14,086 8,2-8 ii,i34 1 3,662 7,076 1 0,-099 IO,20i Costante d'aggiung. all'Ascret. + ó',336 + ó',334 + ó;33. 1 + 0,328 +'ó!325 -|- Ó"32I + ó',3i7 4- ó;3i3 -H o',3oS Costante (l'aE;^iung. alla Deci. 0,03» -— 0,064 — 0.075 — 0,087 — 0,098 (/ — 0,109 0,120 — 0,101 - o,'44 i 3o 502 ABERRAZIONE IN ASCENSION RETTA Long. AR==:i26« aef 128° 3o8 130° $10 132° 3ia i34° 3.4 i36 3i6 i38 3i8 ,40 320 r42 332 o S oS 006 . IO ao ^10,920 — 7.909 4,658 ■1-II.141 — 8,493 5,290 +11,942 — +12,432 — c),o66 9,629 5,916 6,498 +12,905 |-i3,364 — 10,179 10,718 7, '44 7>74G +1 3,807 — 11,243 8,338 +14,195— 11,755 8,931 +.4,640^ ■ 2,253 9.'l9» S 0 s 107, IO 20 4- i,264_ — 2,167 _ 5,533^ +- i,9^5_ — ".'197 4- 4,871 ^ 4- 2,584 — _ 0,825 1 4,209 + 3,240- o,i5i !_ 3,539^ 3,892 4,539 + 0,521— 1+ 1,194 — — 2,866+j— 2,187+ 3,181 + 1,868 — — 1,507 + , S,8i5_ ■+• 3,533 1 — o,325^ , G,444 + 3,200 — o,i4i + S 0 - 208^ 10 20 8,730 1 l,6(r2 8,102 ii,o36 i3,73i 7,466 lo.'igj 1 3,2o5 6,819 9,892 13,663 6,i65 5,5o2 9,276 8,6jo 12,106 11,535 4.834 8,0 1 2 10,949 4.158 7.563 io,35o 3,179 6,7 10 9.737 3'o%« IO 20 i6,386 i8,o3ì 19, i3i 15,960 ,7,703 18,910 i5,5i5 17,352 i8,66'| i5,o5i 16,981 ,8,395 i4,568 14,069 i6,588 16,176 i8,io4 17,792 i3,552 .5,744 ■7.457 ■ 3,0 18 ■5,392 17,100 ■2,469 14,832 16,724 4' o°.o' IO 20 i9,G5o 19,571 i8,cty7 '9.^'l> 19,578 19,020 19-407 19,561 19,121 19,350 19,531 19,198 19,070 18,867 19,456 19,467 19,251 19,280 i8,6|0 ■9,256 19,288 18,390 19,131 ■9.27' . ■S,^i9 1 8,963 ■9,23o s 5* o-n IO 20 17,^49 1 5,865 13,599 17,886 16,206 i4,o36 1 8, 1 00 16,528 14,454 18,292 16,829 1 4,836 18,461 17,110 15,240 18,60 8 17,570 1 5,604 ■ 8,732 17,609 ■5,949 1 8,83 5 17,826 itì.376 i8,9^3 ■ 8,022 ■ 6,583 ABERRAZIONE IN DEGLINAZIOlNE I 0^ 0" 6' +i5"o3o — ,0 16,869 30 18,195 +1 4,740 — i6,583 18,022 1 4-i4l23i— +i3','8o7 — 16,276 i5,9Ì9 17,826 17,609 +i3',364— i5,6o4 17,370 'i~i2,9o5 — 15,240 17,110 f 121432 - ■ 4,856 16,829 +11,943 — ■4,454 16,538 1 + '■','437- i4,o36 i6,ao6 . » 0° ,' 10 30 18,968 19,165 i8,,3. 18,913 19,210 1^,962 1 8,835 '!>,'-'7' 19,121 18,733 ■9,287 19,256 18,608 19,280 ly,367 i8,46i 19,351 19,456 18,293 19,198 ■ 9,120 18,100 19,121 »9,56i 17,883 19,020 ■9.578 3* 0 8 IO 30 17,8^5 16,3 i7 14,333 iS,ii8 16,72} 14,823 18,390 17,100 15,292 18,640 i7,'P7 .5,744 18,867 ':>792 16,176 ■9.070 I8,in4 i6,58o i9,a5o 18,395 ni,93i .9. 107 i8,6(>4 17,352 '9,54» ■ 8,910 17.703 .,s ° s j 0 9 10 20 II, gol 6,.yi6 12,465 9,737 6.710 i3,oi8 io,3io 7,366 13,552 io,9Ì9 8,076 14,069 11, 555 8,6 5 0 i4,56S 12,106 9,270 i5,o5i i2,(i63 9,892 i5.Ì79 i3,2o5 10,495 1 5,960 ■ 3,73i ■ 1,086 4' qOio* IO 10 4- 2,79i- 3,861^ , -r o,i4iT — 3,200— 4., 58 4,334 5,5o2_ :+ 0,825— "T" i,5o7 — ,-r 2.187 1 — 3,533-1-'— 1,865 hj— i.igr 6.1 65 -r 2,864— — 0,521+ 6,819 , 3,539 + 0,1 5 1— 7,465 . 4,209 + 0,825— 8,102 , 4,874 ;+ '.497 — 5* e"..' io 20 7.064 io,o:jrx «2,734 6,4 '.4 9,l9^ 12,253 5,816 8,931 11,755 5,181 4,539 8,333 7,7^6 11,243 10,718 3,892 7, '44 •o.«79 _ 3,240 -U 6,534 9,629 _ 2,584+ 5,91 5 9,oG6 — ■,925+ 5,290 8,493 Costante airAsc.ret + e,3o3 + 0,^97 + 0,291 -{- «.285 + 0,279 + 0,272 + 0,264 + ó',2 56 + tl',248 Go'taiiie tl'ag.^iiros. alla Deci. — ^',i55 — Ó',i65 — 0I176 — 0,186 — 1,096 ìt — 0,20 5 il — 0,214 — 0,223 0,233 ZoZ ABERRAZIONE IN ASCENSION RETTA Long, del 32', 146" 326 .48" 32S .So» 33o 152° 332 154» 334 .56» 336 158° 338 160° 340 0* 0° g' IO 20 -|-iV3o_ i-,724 10,0 ) 2 + I.V1o2_ l3,20I 10.599 +■^755- .1,134 -f .6,089 .4,086 .1,655 -|-,6;4o4_ i4,5o3 I2,i63 fl6,'6y8_ ii,9o3 .2,654 +.6,972 — .5,283 .3,i3x 1- 17,225 _ i5,616 1.3,592 + .7'>'p8_ .5,989 i4,o35 .' 00,^ Io ■So 7,o:;4 3,S(Ì2 ■+• o,Oii — 7,676 8,278 , 4.519 , 5,171 -t- 1,224—-+- 1.905— 8,870 5,8 15 + 2,584— 9,452 , ti,154 + 3,260 — 10,022 7,1.84 ' 3,932 ■0,579 7,706 4>3^ 6,739 .3,3o5 10,495 7,365 5» 0 ,.' IO ao — 1.264 f 4,6flS 7.909 _ 0,6014. 4." '9 7,3i5 4_ o,ofli '_|- 0,725 — 3,Ì77 1 — 2,729 1 6,713^^ 6,102^ +, i,388_'4- 2,o48— 2,oSo 1 . 1,427 4_ 5/i84^ 4,860"^ _|- 2,707_'_|_ 3,362 4,oi3 0,772 l! . 0,118 1 + o,i38 — 4,229 1 .3,.593"^ — 2,952 + Costante all'Asc. ret. -j- 0,240 + 0,232 -t- 0,22 3 •+■ Ó',2.4 -+- o,2o5 + ó',i96 -H Ó;i86 -\- 0,176 <- ó'.i66 Costante d'aggiuog. alla Deci. — 0,241 - 0,249 — o,j57 - ó',264 II — 0,272 — 0,278 1 — 0,285 — 0,29. — 0,297 5o4 ABERR-^ZIOJNE IN ASCENSIOM RETTA Long. del 343 ,64» 344 1660 346 168° 34S i70« 35o J73<> 352 •74" 354 176° 336 178» 338 0 06 10 2U i_i7,r)69_ i6,3i| i5,463 +i7',858- 16,618 .4,87^ + 18,036 16,901 1 5,363 + .8,173 — 17,16) .5,636 1 +18,396- '7.Ì07 15,989 +i8',398— 17.629 16,334 +•8,476— 17,838 16,638 + i8',533_ 18,006 '6,933 +.81567- .8,073 i7,3o5 .' 0» 1' I 0 ■30 13.173 9.5i2 6,563 13,674 10,093 7,3o3 i3,i6i 10,639 7,833 1 3,632 . 1 ,3 1 5 8,455 .4,086 11,755 9,066 14,533 12,283 9,367 '4,943 .2,793 10/255 .5,343 .3,288 io,83o 15,727 ,3,759 •',394 2 O** b IO 10 T^ u,l'ii — 3,.i95-l- , 4,095 1 "T" o,S63 — '-^97-H, , 4,770 + i,56i — — ',695-1- , 5,4 4o -t- 3,258 — - 0,999+ 6,io3 r" 3,953 — 0,286 + 6,757 3,644 -t- o,ii9 — 7,4o5 4,33o -h 1,133— 8,043 5,0,4 + 1,837 — 8,67, 5,686 + 2,528 — , 309 IO ■io 6,359 9,3 Ì3 11,94 5,583 8.599 ii,ij6 4,900 7>955 10,769 4,311 7,3o3 10,173 3,5i6 6,641 9,563 — 2,8'9 + 5,971 8,94' — 3,118 + 5,394 8,3o8 — •,4'2 + 4,609 7,666 — 0,707 +' 3,930 7,0.4 4^ 0^10^ IO 9.0 i4.i55 16, i5i 17,558 13,763 15,755 '7,^*'9 i3,356 .5,341 16,959 13,733 14,907 .6,637 15,194 •4,454 16,376 . 1,640 .3,985 1 5,905 11,071 .3,498 .5,5.4 10,190 13,995 .5,106 9>95o 12,476 .4,678 5^ 0»..' 10 20 iS,',3i iS,H!S8 j8,3S7 18,690 i8,556 i3,o6i i8,6i5 i8,6o3 '7,844 .8,5.7 .8,637 17,603 18,396 18,639 .7,343 18,333 18,607 •7,059 i»,o86 1 8,563 .6,757 .7,898 .8,496 .6,133 .7,689 .8,107 ABER RAZIONE E N DECLINA ZIONE 0 O** 6 IO 20 + 5,74. _ 8,998 1 1,983 -1- .5',I3I — 8,433 11,470 + ■1/i94 — 7,839 fu,9Ì5 + 3,S63_ io,4o6 _L. 3,336 — 6,641 9,853 + 3,585— 6,039 9,^89 + 1,943 — 5,4.0 8,7.4 + 1,296— 4,785 8,138 + 0,649- 4,154 7,332 10,672 .3,5o8 15,922 S 0 ^ 107 IO 20 i4,6o3 '6,779 .8,446 i1,'G9 ■7,'l37 i8,3o5 13,718 16,07 5 '7.94^' .3,2 5. «5,69) '7.659 .3,766 .5,393 '7,353 .1,368 •4,873 17,033 11,753 14,434 16,678 .1,324 •3,979 i6,3i. . s 2^ 0*» 8 IO 20 19,551 30, oG i 19,966 '9,1 •> 30,0 j6 30,063 19,36" 30,0 j3 30, i3'ì 19,033 «9,9'''7 30,lSl 18,887 19,846 20,3a3 .8,663 •9,730 ao,3o. i8,4i5 19,393 20,173 18,145 '9,429 20,123 .7,853 19,343 20,045 3^ 0° 9*" IO 20 19,363 17, ')7-'- 16,137 ■9,168 l8,!Sj ■ 6,54 j 19,653 18,573 '6,9^9 19,810 '8,839 '7>^9Ì '9,91 6 iO,o83 '7,639 3o,o55 '9,3o3 '7,96' 30,143 19,300 18,264 30,3o4 19,672 18,542 20,241 19,830 '8,799 f r o'.o" 10 30 1 3,8 II II,nr,6 7,9« l4.3oi 11,623 8,591 '^,77' i2,i65 9,'89 l5,336 12,693 9,775 1 3,660 i3,3o5 io,35o 16,077 13,703 10,9 II 16,173 14,181 ".459 16,849 ■ 4,644 ",994 .7,305 .3,079 ,3,5.4 D 0 i I I * IO 3 0 , 4,GJ9 T i,i94'~ — 3,309-+- , 5,399 -r i,8',6— — 1,663 f , 5,93', ~^ ',197 , — 1,01 3 -r , 6,56o -T- 3,1(6— — o,3G4 + 7>'79 3.790 + 0,286 — 7.789 , 4,430 + 0,937 — 8,389 5,o64 + 1,585— 8,979 , 5,693 + 3,233 — 9,559 6,3i4 2,876 Costante all'ASC. rf;t. + o,i5ò + 0,145 + 0..34 + ó',.33 + o,tii + 0,10. 1 " « + 0,089 1 " + 0,077 + o,o65 Costante il'-t si^iun:;. alla Deci. — 0, jo3 1^— I-'jJOS — q',3i3 0,3 17 - 0,33I — o,325 u — 0,328 — o,3Si - Ó;333 3o5 PARTE SECONDA DELL'ABERRAZIONE IN DECLINAZIONE N. B. In tutte le Tavole antecedenti da gradi i8o sino a 56o si mutino i segni cioè ■+■ in meno, e — in più. Parte seconda dell'Aberraz. in Decllnaz. ^— — — Argomento LoDgitud. del Sole 0« QO 6' IO 20 0° 7» 1 o 20 2' 0° 8' IO 20 3« 0° 9» IO 20 4* 0° I o* IO 20 5* o» 1 1 » IO 20 Quantità da mol- tiplicarsi pel coseno della declinaz della stella -8,o65- 7'945 7'579 6,985 6,178 5,184 4,o35 2,758 1,400 . 0,000 -+■ - 1,400 — 2,758 4,o53 5,184 6,178 6,985 7.579 ■7>943 Costante da aggiungersi prima della moltipli- cazione = — 0,024 All'Aberrazione in Ascension Retta di una Stella trovata col mezzo delle Tavole precedenti si dovrà ( se ricercasi mag- gior esattezza) aggiungere la costante (1) che si trova ap- piedi, e poi divider tutto pel coseno della Declinazione della Stella. Il Quoziente sarà l'Aberrazione iu Ascension Retta La prima parte dell'Aberrazjoiie in Declinazione dopo d'avervi aggiunta la costante ( se si vuole ) si dovrà moltiplicare pel seno della Declinazione della Stella : avvertendo di prende- re il seno negativamente per le Declinazioni Australi. La se- conda parte qui posta deve moltiplicarsi pel coseno. Il pro- dotto di queste due parti dà la totale Aberrazione in De- clinazione. (i) Sebbene quella qoantJtà non si possa a lutto rigore cbiamar conante, Ta- rlando essa al variare dell' A R ,• tuttavia ho creduto di poteri» cos'i Do- minare a cagione ch« non cambia punto Talore per tutti i Luoghi del Sole della colonna. 40 3o6 NUTAZIONE IN ASCENSION RETTA a \R=o« 180 2° 182 4" .84 60 186 8» 188 loo 190 12" 192 ■4" •94 16*' 196 o' 0= 6' IO 20 — 9,600+ <).|S4 9,02i — 9,594H 9.577+ ■ 9,49» 9,5 '7 9,100 9.^70 9,532 9,2=7 — 9,5o4+ 9.535 9,2,3 — 9,454 + 9,526 9,3o3 — 9,390+ 9,5o6 9,332 - 9.3.4-f- 9.4/4 9,344 - 9:223-1- 9,43o 9,343 l* 00 7' IO 20 8,3 1 3 7,354 0,1,1 8,433 7,DIO 6,338 8,543 ,.662 0,53, 8,64 1 7,794 6,709 8,,3o 7,922 0,872 8,808 8,o4o 7.0=7 8,875 8,148 7,«74 8,931 8,24, 7,3i2 8,976 8,335 7.44' 2' 008= 10 20 4,Soo 3,aS4 ■,677 5,oi3 3,5i6 i,9'> 5,220 3,744 2,1 54 5,4=1 3,968 2,394 5,0i6 4,i80 2,03o 5,802 4,4oo 2,864 5,982 4,Oo8 8,094 6,1 5 4 4,3 IO 3,320 6,320 5,008 3,543 3» 0 9' IO 20 0,000-1. — 0,249-)- ^ 3,2»4 1 ' 3,047 — o,498H 0.747+ _l- i,i72_ _i_ o,972_ ^ 2,807 ".5fi4 — 0,9924-— 1,24 i-f J_ 7,071 l_i_ o,4jo 2,317 j 2,007 — '.486+. 1 0,1 08 0,0 S 5 T" + i,50i — •,9=o — 0,337 + + i,3oj- 4' Odio' 10 20 4,Soo 6,171 7,354 4,58o 5,9/0 7.'»9 4,357 5,7:4 7,oi5 'i,'=7 5,504 6,833 3,892 5,349 0,043 3,653 5,127 6,444 3,4o3 4,398 6,233 1 3,160 4,663 6,025 3,908 4,4=3 5, 80 3 5* 0°.." IO 20 8,3 1 3 9,021 9.454 8,1 84 8,930 9,4"5 8,040 8,828 9.344 7,895 8,716 9, =7 3 7,736 »,593 9, '«9 7.567 8,459 9,09^ 7,389 8,3i5 8,989 7,202 7,ooq 8,162 7,998 »,S73 8,,4g NUTAZIONE IN DECLINAZIONE 0' 0-6' lo 20 — 0,000-+" 1,24, =-444 + ;.',336— o,9io-|- 2,127 -(_ 0,670^ 4- i,oo3 — 0,5 7 81 0,lr/;_J_ 1,809^ 1,488 + '.',334- -+■ 0,087 — i.itìSj., + l',607 — ,+ i',996 — + 0,420 — -U 0,752 — o,84i_|-| o,5i5 1 + 2,323 — _|- 2,696— + i,o33 — 1,412 — o,iS9_i. + o,i3, — IO ao 3,5,4 4,5y3 5.474 3,282 4,334 5,255 2,985 4,070 5,o3i 2,085 3,800 4,799 2,382 3,525 4,503 2,0,5 3,247 4, 3 20 1,176 =,964 4,Oj2 1,456 =,679 3,3,9 — x,i44+ 2,389 3,50i 3^ 0 « fts IO 6,189 6,715 ,,o38 6,018 0,596 6,975 5,/'(20 0,470 6,904 5,053 6,330 6,825 5,i6o 6,193 6,737 5,2(i. 6,043 6,041 5,o55 5,886 6,53, 4,844 5,3o3 6/|25 4,626 5,55o 6,3o6 3' 009* IO 7,146 7,o38 0,7 > 5 7,142 7,09^ 0,826 7,<»9 7,"37 6,928 7,107 7,'7't 7,021 ,,oSo 7 201 ;,io7 7,o38 6,990 ,,220 7,=3o 7,.84 7,252 6,934 7,232 7,3io 6,8,0 7. ==4 7,36. 4^ o^'io' IO 20 6,189 5,474 4,593 6,353 5,086 4,S48 6,509 5,892 5,095 6,637 6,090 5,337 6,796 6,280 5,5,2 6,928 6,462 5,»oi 7,o3i 0,633 6,022 ,,.07 O.So5 6,236 7. =7 = 6,963 6,4=5 5' 0^1.» IO ao 3,574 ',444 1,239 3,861 4,144 5,758 3,o6S 1,5,0 i.SgS 4,4=3 3,374 2,223 4,695 3,0,6 =p44 4,962 5,224 3,974 4,9.60 ' 2,804 3,094 5,4,8 4,554 3,49= 5,726 4 336 3,799 3o7 NUTAZIONE IN ASCENSION RETTA Long, del 198 20" 200 a2<< ao2 24« ao4 a68 206 28» ao8 So" aio Sa» ai2 . 34" 214 1 s a cS o 06 10 20 Il . 9,i3o_j- 9,375 9,335 — 9,021 + 9,3o8 9.3 1 3 _ 8,900+ 9,23o 9,280 — 8,77 ■> + 9,'4« 9,235 9,04 ' 9.'79 - 8,176 + 8,930 9,'i3 1 1 — 8,3i3 + 8,So8 9,035 — 8',i4i + 8,675 8,945 + 7.959 — 8,:.3i 8,845 .^ 0» 7' 10 20 9,011 8,4.3 7.561 9,o35 8,481 7.671 9.0 i 7 8,539 7,77» 9.048 8,587 7,864 9,039 8,023 7,946 9,018 S,6Jo 8,018 8,q86 8,660 8,081 8.944 8,671 8,i34 8,891 8,665 8.'77 2^ 0° s' IO 0,477 5,193 3,760 6,627 5,382 3.974 0,769 5,50o 4,182 6,902 5,7 '.o 4,385 7,028 7,144 5,895 6o5i 4,534 4,770 7,25. 6,201 4,962 7,436 6,853 5,143 7.440 5,3.7 3%S' IO 20 2,208 — 0,587 -i- + ','J17 — a.444 2,677 — 0,841+ 1,0,)2 + 4- 0,7 ;ì9 \- 0,529 — 2,907 — 1,340 — ^ 0,268 + 3,1 33 •+- 0,007 — 3,j55 1,832 -f o,25i — 3,574 2,075 — 0,5,4 + 3,787 2,3 16 — 0,774+ 3,996 — 1,034+ 4 o'-io 10 20 2,653 4, '77 5,575 2.394 3.920 5,340 2,l32 3,670 5,oy8 1,867 3,411 4,85o — 1,601 + 3,1 47 4,596 + o,332_ 2,879 4,33, + I,002_ 2,007 4,072 + 0,791 — 2,332 3,8oa + 0,5 19 — a,o54 3,528 5' o-.i' 10 20 6,80 3 7,8^4 S,Uo5 6,590 7,64. «,419 6,370 7,448 8,3oi 6,1 42 7,247 8,i32 5,906 7,o36 7,953 5,663 6,81 5 7,765 5,4.4 6,590 7.56; 5,15, 6,355 7,36o 4,S95 5,1 12 7, '44 NUTAZIONE IN DECLINAZIONE 0 0° 0 IO 20 _J_ 2,966 — , 1,739 -1- o,465 — + 3,284 — 2,oG7 + 0.789 — + 3,597 f- 3,9o5 — 2,390 [ 2,714 + 1,1 13 — i 1,436 + 4,209 — 3,029 1.757 + 4.507— 3,342 2,075 _|_ '4,800 — 3/553 2,394 Li- 5,087 — 3,9:.8 3,708 1 + 5,368 — 4, ,38 3,018 1 + 'f ^- f^ 0,30.4 — i,o8S+ 1 0° 7 IO 20 — 0,829 ^ 2,097 3,299 — o,5i4+ 1,802 3,o34 — 0,198+ l,Do4 2,764 + 0,127 '+ 0-433— — i,2o5_j_, — o,9oo_|^ 2,492 1 2,216 _|- 0,748 f- 1,062 — o,6o3 1 , o,3oi i 1,937 ^ 1,656 + ■''-^_ n^ 0,002 — .,372+ 2^ 0» 8 10 20 4,4o3 5,373 0,181 4,>74 5,107 6,o',3 3,9Ìo 4,'.)96 5,901 3,7 02 4,799 5,333 3,458 4.596 5.595 3,211 4,39 ■ 5,431 3,960 4.174 5,26. 2,705 3,955 5,084 2,447 3,732 4,902 s s 3 0° 9 IO 20 6,796 7.-->o9 7,401 6,7.5 7,>84 7,433 6,626 7,i5o 7.456 6,528 :,'07 7,Ì7' 6,423 7,0-;, 7.I7-' 6,3 10 6,996 7,471 6,189 6,928 7.457 6,061 0,85 1 7,435 5,5o6 6,767 7,4o3 4 0',J IO 20 7,369 7,1 1 3 6,0 il 7.457 7,2JJ 6,83 1 7,537 7,3S7 7,01 4 7,0 06 7,5ii 7,188 7,667. 7,625 7,352 7,7.8 7,730 - 7,5o8 7,760 7,826 7.655 7,792 7,9.3 7.792 7,8.5 7.989 7,92' 5 oJ u^ IO 20 5,967 5,1 12 4,102 6,201 5,382 4,400 0,127 5.0 16 4,692 6,646 6,856 5,902 6,1 5 1 4,979 1 5,3 IO 7,o58 6,393 5,534 7,25i 0,627 5,802 7.{36 0,8 >3 6,o03 7,6.2 7,07 r 6,205 i 5o8 NUTAZIONE IN ASCENSION RETTA AR= sec- ale 38° 218 40» 520 42° 322 44° 324 46« 226 48» 228 5o» 23o 52" 232 o' o°c' IO 20 — 7',766 + 8,735 8,21 4 8,61 3 _ 7.354 + 8,049 8,48 1 — 7,'4.+ 7,856 8,339 — 6,9o5 + 7,663 8,187 — 6^658 + 7,460 8.035 - 6,424 + 7.243 7,853 — 6;i7< + 7,027 7,671 — 5,910+ 6,798 7,480 i 0 7 1 IO 20 8,826 8,(J5o 8,210 8,752 8,6 2 3 8,233 8,666 8,586 8,246 8,56g 8,539 8,=t49 8,462 8,471 8,241 8,346 8,41 3 8,225 8,218 8,335 8, '97 8,081 8,246 8,1 60 7.934 8,147 8,ii3 2%° 8^ IO 20 J,52i 6,534 5,ij.55 7.59'» 6,722 5,646 7,635 6,83 1 5,801 7.708 6,933 5,949 7.752 7,027 6,oJS 7.736 ;,iii 6,221 7,811 7,'S7 6,346 7,826 7,255 6,462 7,832 7,3.5 6,572 i f 0" 9' lo 20 /i,20I = .7»9 , — 1,291 + 4,4oo 3,019 1,547 4,593 4,782 3,247 3,470 1,802 2,054 4,964 3,690 2,3o3 5,i4« 3,900 2,55o 5,3 IO 4, "5 2,793 5,174 4,320 3,o34 5,63 1 4,5»o 3,,7o 4* d'io' IO 20 ^ 0,246 — i>7 74 3,25o — 0,025+ + ■.49> — 2,967 _ o,3oi-| 0,574^ 0,847+ 1 1,208 f. 0,923 |_ o,636 "^ 2,681 2,391 3,099 i,ii«_|- + o,!49_ i,8o4 - «,337 + ]_, o,o63 ^ i,5o4 1,656 0,227 + + 1,208— 1,922 , 0,50+ + 0,908 — 5' o-.i' 10 20 4,626 5,861 6,921 4,349 5,6o4 6,686 4,072 5,340 6,444 3,787 5,068 6,195 3.498 4,792 5,939 3,2o5 4,509 5,674 2,908 4,220 5,4.4 2,607 3,926 5,127 a,3o3 3,627 4,843 NUTAZIONE m DECLINAZIONE 0 ^ 0° G* IO 20 + 5164^- 4,353 3,325 -r 5,910 — 4,843 3,627 4- e".,,— 3,92/i + 6:424- 5,404 4,220 + 6,668 H 6,9o5_ 5,674 5,939 4,509 4,792 4- 7;''34- 6,195 5,069 + 7Ì354- 6,444 5,340 + 7','565 — 6,686 5,6o4 . = 0° ,= IO 20 *T" 0,606 0,802 + 2,3oi + o,qo8 — — o,5i5 + 2,607 _ r 1,208 — 0,227 + 2,go8 i,5o7 + 0,061 — 3,2o5 1,804 "F" 0,349 3,498 + oÌ636— 3,787 2,389 — 0,920+ 4,072 2,681 + 1,208 — 4,352 , 2,967 -T ',492 — 2' o°S ' IO 20 2,1 86 3,'i..3 (■7 '3 — 1,92 5-f 3,270 4,320 1,636 3,034 4.320 — 1,387 + 2,794 4,"5 — 1,118-1- 2,55o 3,905 — 0,847+ 2,3o3 3.690 — 0,5,4 + 2,o34 3,470 — o,3oi + 1,802 3,247 0,027_1_ 0,019 IO '>0 5,78. H,6 8,o33 7,832 8,1 13 8,14, 7,826 8,160 8,2 ',6 7,811 «,'97 8,335 7,786 8,225 8,4i3 7,752 8,241 8,48 r 7,708 8,249 8,539 7,655 8,246 8,586 7.592 8,233 8,623 5^ 0°.,^ IO 20 7.777 7,33o 6,36i 7,934 7,'lSo 6,798 8,081 7,67. 7,027 8,218 7,853 7,247 8,346 7,975 7,460 8,5i2 3,187 7,663 8,569 8,339 7,356 8,666 8,48i 8,040 8,75» 8,61 3 8,214 1 3o9 ' ' ' NUTAZIONE IN ASCENSION RETTA Long. 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(j,i85 5,iS5 7,592 6,722 5,(J,i6 7,655 6,83. 5,801 7,708 6,j33 5,948 7,752 7,027 6,088 7,786 7,111 5,80» 7,811 7,'87 6,346 7,826 7,255 6,462 7,832 7,3.3 6,572 3' oog* IO 20 4,201 2,789 4- 1.^9' — 4,400 3,019 1,347 4,593 3,217 .,802 4,782 3,470 2,054 4,964 3,690 2,3o3 5,. 4. 3,905 a,55o 5,3 10 4.1.5 2,794 5.474 4,320 5,0;,4 5,63 1 4, ,20 3,270 4' Ciò* IO 20 — 0,246 j- '.774 3,25o -|- 0,027 — . — >,'t9>+ 2,967 _|_ o,3o. 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'34 5 * 3 0° 9 10 ao 5,782 4,7,3 3,;o3 5,5o6 4.9'52 3,732 6,061 5,084 3,955 6,189 5,261 4,.74 6,3io 5,43 1 4.391 6,423 5,595 4.596 5,528 5,333 4.799 6,626 5,qoI 4.996 6,7,5 6,043 5,187 4* O^IO^ IO 20 2,,86 2,4Ì7 ( ^7o5 ^ 0,802 h i,o»>i — |-h 1,372 — — o,Go6H o,3o4 j-i — o,oo3-|- 3,960 i,65i 4" o,3oi — 3,211 1,937 -p o,6o3 — 3,458 2,216 + 0,905— 3,702 2,492 -f- I,2o5 3.940 2.764 «.5°4 4,T74 3,034 i,8oa 5 ooii^ »o 2o 3,325 4,553 1,687 3,0,8 4,25^ f,375 2,708 3,958 — 1,061 0,7484. — 0,433-}- 3>394 2,"75 ',7^7 3,053 3,342 3,029 — ''."7,4- 0,198- 3,436 1 _ 1,1 13, 2.7 '7 1 2,390 4- 0.4 — o,:«9 2, 1G7 9iS NUTAZIONE IN ASCENSION RETTA Long, del AR-^iGa» 342 164» 344 ■ 66» 346 .68" 348 .70° 35a I72» 352 174° 354 .76^ 356 1 .78» 353 -1- 9;5o4_ 9, '89 8,593 -H 9,5 '17- 9,273 8,716 9.34+ 8,828 -f- 9,594- 9>|o5 8,930 5 o rS o o o IO 20 ■+• g,i3o — 8,6o5 7,824 + 9,228- 8,746 7,998 + 9.3.4— 8,873 8,162 + 9,390 — 8,989 8,3.6 + 9,454- 9,095 8,1 59 i 0 7 IO 20 6,8o3 5,575 4.>77 7,«95 6,833 5,564 8,045 7,01 5 5,774 8,. 84 7, "89 5,976 7,006 5,8o3 4,423 7,202 7,389 6,025 6,2 38 4,663 4,898 7.567 6,444 5,12 7 7,736 6,643 5,3 ',9 ,* „« q' 200 10 20 2,653 1 2,908 ~T- i,oÌ7 ,"P i,3o5 — 0,587 \-\~ 0,337-+- 3,160 + i,56i — — o,o85 -t- 3,408 .,8i5 -r o,i63 — 3,653 2,067 -|- 0,420 — 3,892 2,3,7 -t- 0,67,— 4,127 2,564 + 0,972 — 4,357 2,807 -f- 1,172 — 4,'8o 3,047 -r .,420 3' 0» 9' IO 10 2,208 3,760 5,198 I,Q20 3,543 5,oo3 ',7 '9 3,320 4,810 .,/,S6-(- 3,094 4,Go8 — 1,2414- 2,.f>4 4,400 — 0,992 -f- 2,63 > 4,186 — 0,7 17 -f- 2,3yi 3,968 — 0,4984- 2, [54 3,744 — 0,249 -j-^ 1,912 3,5i6 4^ O'^IO^ IO 20 6,477 7,)6i s,4iJ 6,320 7,4'M 8,335 6,1 54 7,ÌI2 •%2 47 5,982 7, '74 8, .48 5,802 7,027 S,o4o 5,6.5 6,872 7>9^» 5,42. 6,709 7.J94 5,220 6,537 7,662 5,oi3 6,358 7,5.0 5^o«„' IO lì q,oii 9,335 9.375 8,976 9,341 9,43o 8,543 9.'70 9.317 8,433 9,100 9.49» 8,93 1 9,3'.} 9,174 8,871 9,332 9,5o6 8,808 9,3o,5 9,526 8,730 8.64. 9,^73 9,535 9,227 9,532 NUTAZIONE EV DECLINAZIONE 0 , 0» 6' 0 3o + 2,966— 4,102 5,112 -j- 2,696 — 3,739 4,836 -j- 2,323 — 3,432 4,554 4- '',996 — 3,094 4,266 + ;',667_ 2,86 i 3,974 + .,334- 2,544 3,676 -|- i,oo3 — 2,222 3,374 4- 0,670 1,898 3,068 + 'of 6- 1,570 a,558 3,86. 4,848 5,686 * . s I o" 7 lo 20 5,967 6, i4 ' ,...3 5,726 6,425 6,963 5,478 6,236 6,8o5 5,224 6,022 6,638 4,96» 5,Soi 6,4Gi 4,695 5,572 6,280 4-423 5,337 6,090 4,. 44 5,095 5,892 2' 0» 8' IO 10 7,369 7,io« 7>J09 7,272 7,36. 7,224 7.167 7,3 10 7,232 7,o5r 7,232 7,23o 6,928 7,'84 7,220 6.796 7,107 7,20. 6,65, 7,02. 7, '74 6,509 6,928 7,'37 6,353 6,826 7,09» ! 3' 0» 9» 10 20 6,7 q6 6,870 6,181 6,3o6 5,372 5,55o 6,934 6,425 5,3o3 6,990 6,537 5,886 7.o38 6,64. 6,043 7,080 6,737 6,ly3 7,. 07 G,S25 6,536 7, "9 6,904 6,470 7,.4» 6,975 : 6,596 ; 4' o°io' 10 20 4,4o3 3,299 2,097 4,626 3,56 1 a,389 4,844 3,8.9 =",679 5,0 55 4,072 2,964 5,26. 5,46o 4,320 4.563 3,2Ì7 3,325 5,653 4,799 3,800 5,420 5,o3i 4,070 6,0.8 i 5,255 : 4,334 ! 1 S^ o^ii^ _|_ 0,829 _ IO 0,153 1 20 >.7 3j -(- ì,444-' .,456 o,'37 1 "t" 0,1 Sq — i,4«3''~— i,o3'3 + .,,66 -T o,5i5 — — 0,752-1- 2,075 2,382 -T" 0,^4." (~ .,i65 * — 0,4204 0,087-f- 2,685 1,4.18 -+- Oj.ge— 2,985 .,809 0,578 3,282 2,1 27 0,910 Si6 In tutte le tavole antecedenti da gradi i8o sino a 36o si mu- tino i segni cioè +ÌD — , e — iu -+- . Argomento Longitudine del IO 20 0° IO 20 85 0° IO 20 9^ 4' 0° IO* IO 20 5s 0° 1 1* IO 20 Parte seconda della Nutazione in Asc. Retta 0,000 -i- 2,869 5,63o 8,23 1 10,682 1 2,6 1 1 14,257 16,469 1 6, 2 1 2 16,162 16,2 1 2 i6,.,69 14,267 i2,bi I IO,5f<2 8,25i 5,6 3o 2.86c)- N. B. La prima parte della Nutazione iu Ascension Retta deve moltiplicarsi per la tan- gente della Declinazione della Slolla j avvertendo che le De- clinazioni Australi si conside- rano come negative. NUTAZIONE SOLARE IN ASCENSION RETTA E IN DECLINAZIONE ISutauone in Ascension Retta I. Parte Argomento o IO 20 5o 40 5o 60 70 80 100 I IO 120 i3o ,40 i5o 160 110 .80 — 0.00 -f- 0,18 0,35 n,5i 0,66 0,79 0,89 0,96 1.0 I i,o3 1.0 1 0.96 0,69 0,-9 0,66 0,5 1 0,35 0,18 — 0,00 II. Parte Argomeuto ,.0-AK 0,47 0,46 0,44 0.41 o,56 o,3o 0,24 0,16 — 0,08 — 0,00 4- 0,08-t- 0,16 0,24 o,5o 0,56 0.41 0,44 0,46 0,47- Nutazione in Declinazione Argomento 2O-AR* 0,00 0,08 0,16 0,24 o,3o 0,56 e,4i ^,44_ 0,46 0,47 0,46 0,44 0,4 1 0,56 o,3o o,?4 O, I t) 0,08 0,00 + 240 23o 220 2 IO 200 190 180 N. B. 0 è Io Stesso che Lougitudine di Sole AR=: Ascension Retta della Stella. 36o 55o 540 55o La seconda parte della Nutazione solare iu \R , si moltiplicherà per la r Tangente della Declinazione. S' è Au- ! strale la Declinazione, la Tangente si pre inderà negativamentp. La Nutazione in Declinazione si ap- plica secondo i segni alla Declinazio- ne, la quale s' è Australe, si conside- rerà come negativa. DEI METODI ANALITICO E SINTETICO MEMORIA BEL CONTE ABATE FRANCESCO xMARIA FRANCESCHINIS CAVALIERE DI TERZA CLASSE DELL* I. R. ORDINE DELLA CORONA DI FERRO LETTA NELLA SEZIONE PUBBLICA DELL'ANNO MDCCCXV. JT u già detto, clie meutre il grande Bacone apriva lumiiioso scnlicro alle scienze tutte, e posto quasi all'entrata di esso, chiamava a quella volta i trariati ingpgni, 1' immortale Galileo da interno impeto sospinto la strada medesima a passi di gigante divorava. Dal che molti trassero argomento di deridere, siccome inutili, i metodi e le maniere, che i grandi uomini propongono a ben condursi nella scientilica carriera: e quelli che tanto non ardivano, contendevano in vece, che, secdosì pur ora già eretto l'edlfizio delle scienze e delle arti migliori, dehhano quel metodi e que' precetti aversi in conto del palco, di cui è bensì mestieri valersi per costruire gran fabbrica, ma che via si toglie, non si tosto siasi la fabbrica compiuta. Quindi è. avvenuto che nelle moderne istitu- zioni si facciano animosi gli alunni, perchè s'introducano nel santuario delle scienze senza iniziazione veruna; e senza guida o filo di sorla s'inol- trino nei loro labirinti. Che, per islringor tutto in breve, l'aite stessa cosi reputala ai coltivatori delle discipline tulle necessaria, che niuno arri- schiava al limitare di qualsiasi facoltà avvicinarsi, che da quella non fosse come a mano condotto; quell'aite, in cui Tullio non credeva ppr- dula opera esercitarsi ne' provetti suoi anni con celebre dialpiiico, che 43 3i8 nella propria casa albergava, qnrlla da illustre rooderno autore vuoisi esser nulla, o uuli'altro «ssere che il naturale ahito di bea costrutta mente. Quasi che niuna arte vi fosse di quelle cose, a cui siamo dalla natura predisposti, e a cui per la straordiuaria forza dell' ingegno alcuni da Minerva prediletti, e da Apollo senza preparazione niuna pervengono. Che dir pur anche bisognerebbe, che niuna arte vi abbia di canto; per- chè molti piacevolmente cantano, che musiche note mai non cooobbeioj O niuna scienza di mecanica, perchè molti giunsero a meravigliose in- venzioni uelle arti, che mai le soglie della geometria, e della scienza del moto non salutarono. Senza di che troppo male avvlseria, cbi estimasse che nelle scienze nulla più rimanesse da farsi; costringendo con ciò tra molto angusti limiti, o l'ampiezza del loro regno, o il proceder ccjntinuo per esso dell'umano intelletto. E quando pur tutte da noi si fossero le verità conseguite, e le invenzioni, per coloro, che i priaii passi alle scienze indirizzano sarcLbono esse come nulle: giacché non le euun^ ciate, ma le dimostrate cose sono scienza. E quauiu plii le scienze am- plificate trovi, e cresciute, tanto più ti è mestieri di metodo e di ordine per non ismarrirli nella confusa copia, e per sapere accortamente legare in un sol lutto le parti moltiplicate; nel che la virtìi dei generali me- todi in siagolar tnodo risplende. Ma qua! meraviglia che Bacone pure ì suol Zoili si avesse, o i suoi Mevii, o i suoi Empirici; se nulla esser può saldo sotto l'impero dell'umana inquietezza ed incostanza? e se il lungo uso e godimento del vero e del bello produce talvolta ne' più casti petti un bizzarro disprezzo per essi ? Ma il poco caso che si fa dei metodi e delle regole non è la sola cagione, per cui gli studiosi giovani inciampino spesso per via, o vengano impediti: che lo è pur anco il poco iutendern-e la natura, la forza e l'uso. Da tutti si parla dei due celebri metodi analitico e sintetico, cou cui l'intelletto si conduce nell'acquisto del vero. Ma lauto è lungi che s'ab- bia sinora distinta idea dei medesimi, delle essenziali foro differenze, e della virtù ed estensione propria di ciascuno, non che della maniera con- veniente di adoperarli, che forastlera accademia non dubitò non ha molto di metter premio a chi chiaramente all'enunciale questioni satisfacesse. Nobile e deguo soggetto di occupare singolarmente gì' ingegni di coloro che alla pubblica istruzione sono ordinati; a cui nulla caler più deve, che di appianare l'ingresso alle professate discipline, di additarne i varii 3i9 seniierl, e di luettere a prova con gli esercitati talenti 1 metodi tutti di ritrovamento e di dimostrazione. L'esame perlauto dei metodi analitico e sintetico nelle indicate viste sarà l'argomento della presente memoria, di cui l'angustia del tempo non mi concede di sotloporne per ora al giudizio vostro che una parte ; nella quale principalmente discuterò se vi abbiano differenze essenziali tra i metodi suddetti j e quali se ben vi abbiano, pur sieno ; riserbando ad altro incontro il dirvi quello che avanza; e sopra tutto le cose che più dappresso le matematiche risguar- dano, alle quali per altro anche il presente discorso non lascia di rivol- gersi particolarmente. Metodo scientifico null'altro può significare che una via, o un mezzo per rettarnenle condursi nella ricerca del vero. Quindi è che se i me- todi analitico e sintetico sono tra loro essenzialmente differeati, ciò av- verrà, perchè sieno mezzi, o strade essenzialmente diverse d'investigazione del vero. E come in ogni scienza ed arte non è che il sauo ragiona- mento che a conseguire ne porli le verità non conosciute; così, se i metodi analitico e sintetico hauno tra loro differenze essenziali, saranno essi mezzi, o maniere di ragionamento esseuziahr.ente dissomiglianti, la prima delle qusli dirassi di risoluzione, e la seconda di composìzioue> come l'etimologia di quelle greche voci ne ìndica. Ma cercando nel modo del ragionamento la differenza dei due me- todi parmi là si cerchi distinzione, ove non può esservi distinzione ve- iuna; e quello avvenir debba, che ai filosofi accadde, che nel principio dell'amore trovar volevano la dissomiglianza dell'amor interessato dall'amor gratuito; il qual principio non sarà mai che uno; cioè il desiderio di felicità, che ne muove e ne lega sempre a ciò che piace. Cosi chi dirà mai che il principio, o il modo intrinseco del ragionamento sia di reale distinzione capace ? e vi abbiano maniere di ragionare essenzialmente di- verse ; e non si ragioni sempre di un modo ? Che altro al giusto ragio- namento ricliiedesi, che non è che serie di ben connesse proposizioni; se non che sieu queste primamente beu chiare? Al che domandasi che le idee sieno ben determinate e distinte; e i termini ben definiti; giacché allora si vedrà chiaramente l'identità, o l'opposizione dei due soggetti, o dei due termini, che si paragonano. Dopo di che a stabilire la contemplata connessione vorrassi solo che uno dei due termini della proposizione che precede trovisi in quella che segue. Né il cangiar l'or- 520 dine delle proposizions, dove la connessione tra esse rimanga, muierà il ragionamenio: cosi, per esempio, la forza del sillogismo uon varia, se muti il sito delle due premesse, tal che la prima divenga seconda, e la seconda prima. E bello sarebbe in ragionamento di lunga serie di pro- posizioni composto, il determinare in quante maniere diverse si possano esse combinare, senza che la catena delle connessioni iu alcan modo s' interrompa. Dirassi forse che i ragionamenti, e quindi i melodi sono diversi, quando per diversa via ne conducono allo stesso termine, mito che in ciascuna via procedano cullo slesso modo? Ma ciò facendo non altro farebbe.si che dare della stessa veriià dimosiiazioni diverse. Che se le diraosiia- zioni diverse coslituissero diversi modi di ragionamento, o diversi melodi di condursi nella ricerca del vero, non due sarebbero i metodi, ma lami, quante sono le dimostrazioni, cbe della stessa verità si possono iulessere. Per quante vie diverse non si arriva, per esempio, a stabilire, che la su- perfizie della sfera eguaglia qm-lla di quattto circoli massimi ? Che a quella verità ne conduce, « l'antica strada archimedea, e il teorema di Guidino del centro di gravità applicalo alla Geometria, e ii calcolo dif- ferenziale, o quello delle funzioni analiiiche. E la convinzione della esi- stenza di un essere perfeiti^simo, infinito, in quanti modi non fu ella da diversi sommi nomini nell'animo insinuata .? Platone quell'essere stabiliva, come intellettuale necessaria sede d 11' idee arclieiipe sempiterne, e did- l' immutabili ed eterne verità. Aristotile Dio riconosceva nella necessità di un primo movente; e quindi di virlii infinita, movente per intelligenza, uno, imraobil«, indivisibile, e non soggetto a reazione veruna. Cartesio il predicava, come unica cagione del movimento locale, che djUa materia affatto inerte sarebbesi in vano aspettato : o lui vedeva nella necessaria connessione che vi ha tra l' idea d' U'essere perfettissimo, e l'attuale di lui esistenza. Newton l'acclamava come unico possibile disposiiore del- l'ordine dell'universo ; ordine che ben possono le conosciute leggi con- servare j ma che non potevano mai per se sole introdurre. Leibnizio fi- nalmente omaasio alla divinità rendeva di conseutiiBento intero, come primo ente solo determinalo ad esistere pel principio di contraddizione, e come primo determinante di tutto ciò cbe per lo principio della ra- gion sufficiente ha da essere determinato. Ora chi queste prove diverse chiamerà diversi modi di ragionamcuto, o diversi metodi nel senso di 32£ cui si parla; e non dirà piuttosto altro non essere che differcmi con- nessioni e legami, che hauno le verità capitali, come quella dell'esiitenza di Dio con altre più diramate e particolari ? a quel modo che multi rami in mia loro estremità fra di essi disgiunti, cou l'altra tutti si coa- giungono in uà tronco comune; o come i raggi di un circolo che se- parati alla circonferenza tutti nel centro s'incontrano ? Né a stabilire essenziale differenza tra i due metodi sran fatto conduce la usata im- o' magiue della scala, o della catena che dall'analista, o dal sintetico ia Contrario senso si percorrano. Chi volesse di scala o di catena l'altezza aggiungere del primo gradino o del primo anello non dovrebbe superare la medesima distanza, riconoscere i medesimi nessi di quegli, che locato in cima si proponesse di toccarne l'uliima estremità? E in che altro sarebbon diversi se non nella prima posizione ? per cui all'uno non può venir talento che di ascendere, siccome all'altro non può venir voglia che di discendere ? Cosi chi da conosciuta cagione o principio voglia farsi strada a derivarne gli effetti, o le conseguenze, dovrà in certo qual modo io giù portarsi, come converrà che in su si volga, chi dagli effetti desidera alla conoscenza delle cagioni pervenire. L'oggetto sarà ben di- verso; ma il metodo sarà lo stesso, i passi i medesimi, somiglianti i ra- gionamenti. Per simll guisa se la discendenza dell'immortale Maria Teresa da Rodolfo di Haupsbourg volesse uno dimostrare, non farebbe egli egual sentiero discendendo da Rodolfo sino a Maria Teresa per la serie non interrotta degli illustri suol avi, che rimontando per la serie medesima da Maria Teresa sino a Ridolfo ? Non altra per mia fede avrebbevi ia ciò diversità se non che nell'un caso dovrebbesi, per esempio, mostrare che Carlo VI generò Maria Teresa, e nell'altro che Maria Teresa fu da Carlo VI generata ; la qual cosa se reale differenza induca nel ra- gionamento altri sei vegga. Ma se i fìlosoH, che mal ricercarono la distinzione dei due amorì in- teressato e gratuito nel principio dell'amore, la ritrovarono poi nella di- versità essenziale dei molivi, per cui le cose a noi piacciano, e ad esso in seguito ci attacchiamo; dei quali motivi quei tutti, c'iie sono io noi, come la grata sensazione che un liquore ne risveglia, l'amore definiscono d'interesse; e tutti quelli che sono fuori di noi, come il candor del- l'animo di una persona, o la bellezza di un quadro l'affetto distinguono, che gratuito si chiama ; i Olosofi stessi che dibiiuzioue verace dei due 522 metodi non poterono riconoscere nel principio del ragionamento la ve- dranno eglino nella diversità de' mezzi, o delle operazioni j cioè nella visoluzione e con)posizione slessa, da cui i metodi medesimi si deno- minano, e di cui si giovano ; che pur sono tra di loro diverse, anzi in certo modo contrarie? Ma la risoluzione e la composizione, che opera- zioni sono della intelligenza, o a più vero dire della immaginazione, che le idee compone e divide, sono assai volle l'oggetto immrdiato delle meditazioni del filosofo occupalo della conoscenza delle cose, anzi che metodi di condursi nell'acquisto delie verità; e sì nelle risoluzioni, che nelle composizioni in relazione al conseguimento del vero non vi ha che un metodo o una regola di condotta, eh' è il giusto ragionamento. Se un voglia di una specie rintracciare il genero, che altro si propone, se non di togliere dall' idea della specie quello che vi ha di proprio per non lasciarvi che quello che vi ha di comune alle specie tutte, onde risulta il genere ? E quando dall' idea del genere voglio le specie di- verse determinare aggiungo all'idea medesima delle condizioni successive che sempre pili la limitano e la compongono, e la riducono a minor numero sin che non sia presso a cadere negl'individui. Avendo sotto gli occhi un quadrato, il levarmi da esso all' idea universale del quadri- latero rettilineo non è lo slesso che il cercare le risoluzioni tutte, che possono aversi conservando l'idea a tutti i rettilinei quadrilateri comune, cioè di uno spazio chiuso da quattro rette linee? E quando dall'idea universale del quadrilatero voglio l'idea comporre del quadralo, che altro mi prefiggo, se non di restituire successivamente a quella idea tulle le determinazioni che aveva levate, e di comporre gradatameute il trapezio, il parallelogrammo, il romho, il rettangolo e finalmente il quadralo? Così ntUe fisiche disquisizioni, quando dei misti si cercano i componenti, la risoluzione è quella, che si ha in visla ; e so dagli elementi si parta per averne il composto, la composizione è la cosa stessa, che si vuole. Facendo 11 chimico l'analisi dell'acqua che altro intende egli se non ri- solverla ne' suoi elementi? E bramandone la sintesi che altro da lui in- tcndesi, se non di mescere insieme quegli elementi dei quali crede egli si componga, nelle note proporzioni? Che se la diversità dell'oggello delle proprie indagini la diversità ponesse del metodo ; e se cercando la composizione dovrà dirsi, che lo spirito con diverso ujetodo si con- duce di allora che cerca la risoluzione j perchè non dirassi egualmente rr IT- che altro metodo ei seguita, quando la dissomiglianza vuol conoscere dt'llu cose simili, che quando la legge, o la ragion deierminauie indaga di una serie di effetti o di fenomeni, e quando qualsiasi altra relazione nelle cose considera delle tante e si varie sotto cui possono raffrontarsi? Che se ben addentro le cose riguardinsi, iutenderassi, che come la natura non si sottopone mai nel di lei operare a lunga serie di maniere uuifuriiii ; così la mente nelle sue investigazioni non procede mai per multi successivi atti somiglianti. Qual contrasto diffaiti continuo, e qual perenue vicenda nell'universo non vedi di aspetti, di forze e di azioni tra loro diverse e contrarie, per cui l'eterno armonioso rivolgimento d'Ile cose lune si produce e si mantiene? La luce e l'ombre; la vi- vacità e lo squallore ; l'ordine e la confusione ; l'orridezza e la giocou- dità ; il caldo e il gelo; il torpore e la fermentazione; l'umidità e l'ar- sura ; la tempesta e la calma; la corruzione e la vegetazione; la vita a dir bieve e la morte come non si succedono a prova, non si mescono, e in certo modo non si toccano ? Qua vicino alla rosa il cardo germo- glia, là cresce tra il grano il loglio infelice. L'erbe medesime pasce l'agnello innocente e la serpe maligna; e suggono gli stessi fiori i no- cenli insetti e le api industriose. E come l'infinito accorgimento della natura nella semplicità riluce dtlle cagioni verso la prodigiosa diversità degli effetti, cosi la splendida di lei ricchezza oltre modo risplende nella sorprendente varietà delle primigenie forme ben tra loro separate, e di- stinte : e ciò assai piìi che non farebbe nelle supposte insensibili grada- zioni degli esseri, clic spesso sotto lente ampliatrice dileguano, e che tanto toglierebbero di vigore all'aspetto dell'universo, e tanto scemereb- bero ne' riguardanti l'ammirazione. Ora le forze cospiranti in una si com- pongono; ora negli urli diversi una forza in molte si risolve; vicino alle attrazioni si stanno le ripulsioni; dalle compressioni nascono le virtù espansive, dalle condensazioni le rarefazioni produconsi. Per siffatto al- terno contrasto di azioni e reazioni, per simile non interrotta succes- sione di congerie e secrezioni; di assorbimenti e di esalazioni; di dis- soluzioni e di precipitazioni ; di risoluzioni e di composizioni ; di sfaci- menti e di combinazioni l'economia della natura i sughi e gli alimenti prepara, e converte agli animali e alle piante nelle parli loro coslilucuti, ond(; si propagano, crescono, maturano, decadono, e si riproducono in- violate e lutane le specie loro infiniie. E le risoluzioni parlicolarmenie 5^4 e le composizioni non ìscorgi ne' più fìihnigliari fenomeni coutinuamenie avvicendaisi? Queiliicque marine, che in vapori si risolvono e si solle- vano in allo, non lardano a condensarsi ed a comporsi in nuvole; poi di nuovo ricadono in pioggia disclolte j e là nel seno del monti pene- trale in ampie couserve si raccolgono, e alimentano le fonti; qua stil- lano e gemono per gli umidi dossi in piccole vene; onde i rivi minori si formano; che poi al rivo della fonie riuniti compongono il fiume, che tra via sempre di nuove acque si accresce. E i procedimenti delle arti tulle non sono lavoro di alternate operazioni contrarie? A che ri- duconsi, per esempio, i mezzi dell'arie e della scienza di governare le acque, se non a scavare ed a colmare , a dividerle ed a raccoglierle ? Ora l'idraulico le acque raduna, perchè i (ìumi i leni scavando nelle proprie rive s' iufrcuiiic, né più minaccino le circostanti campagne: ora le torbide acque espande per paludi e per valli, onde rialzate ed asciutte sentano il grave aratro, e pascano le viciue ciità. Ora deriva i canali desiderati ad irrigare gli arsi terreni, o ad animare delle macchine, e degli ordigni cari all' iiìdustria operosa ; ora le sparse acrjue unisce ai voli della navigazione e del commercio. Che se ai movimenti ed alle sensazioni dell'animo si riguardi, a q\ral vicenda continua non vedrassi egli soggetto di agitazioni e di quiete, di timori e di speranze, di lan- guori e di attivila, d'infermila e di salute, di piaceri e di dolori, di beni e di mali ? Dalla cui mistura il bello morale risulta, come dagli urli e dal mutui insulti delle fisiche potenze contrarie la fisica bellezza dell'universo deriva e si ristora. Che ralteruare appunto continuo di beni e di mali, di prosperila e di sventure offre all'animo alla virtù educalo occasioni frequenti di spiegarne tutta la vaghezza, e di sempre accre- scerne il vigore, esercitandosi in successivi atti di magnanimità, di co- stanza, di modeiazioue, di llbcraliià e di pietà, i quali ben sono d'altro prezzo, che le delizie di vita voluttuosa ed inerte. Così nel mondo ia- tellettualo lo spirito non avanza, che per atti ed isforzi diversi e con- trarii all'acquisto di nuove idee e verità : e le risoluzioni e le compo- sizioni singolarmente ad ogni passo in suo cammino s' incontrano, si cambiano, e il dominio alternano, e la servitù. Né vi è forse verità che esclusivamente a un metodo solo si debba, e nella di cui ricerca la sintesi e l'analisi non siansi più volte avvicendate. E per trarre gli esem- pii ddlla Geouieliia mcdcsimj, e dall'analisi propiiameute delta non co- 525 niincla egli il geometra dalla risoluzione, che i;li prepara il soggetto delle di lui ricerche, separando da' corpi le proprietà tutte fuori della estensione ? E poiché si accorse esser (juesta dalla triplice dimensione determinata, non gli offre la risoluzione queste dimensioni separatamente, lo che tanto agevola al limitato nostro intelletto la discussione ? E le dcfÌDÌzioai tutte sono esse altro che risoluzioni delle idee complesse nelle semplici? Se poi il geometra tu seguili nelle sue dimostrazioni, quante volte non trovi, che di sottrazioni e di divisioni abbisogna che pure sono ani di risoluzione? E se la natiu-a consideri de' suoi problemi, a canto di uno che la composizione domanda, ne vedi posto un altro che richiede la risoluzione. Il trovare, data l'altezza e la base, l'area del pa- rallelogrammo corrispondente, non si fa componendo, come si trova, ri- solvendo, l'altezza, data l'area e la base ? AH' incontro se un problema venga all'analisi proposto, separate le cose note da quelle che noi sono, e conoscuUe le condizioni tutte del problema, non le lega essa insieme e non ne coin[)one eoo ciò delle equazioni ? Passando quindi alla riso- luzione delie formate equazioni; e alternando in ciò le somme, e le sot- trazioni, le moltipliche, e le divisioni, l'alzamento a potenza, e l'estrazione delle radiei, le differenziazioni, e le integrazioni, non alterna le compo- sizioni, e le decomposizioni? Che se ben di nuovo la natura si esplori, intenderassi, che tutto in està è composto; e che la di lei semplicità non è che nella maniera di agire; operando con generali mezzi fecondissimi. Quindi è, che ogni soggetto d'indagine ne si fa più complicalo, ed esteso, quanto più le cognizioni nostre si anqilificano, e 11 nostro atto d'inten- dere si perfeziona: essendo di ciò cagione quell'ordine infinito, che rifulge per ogni dove nelle opere della uatura; e di cui è proprio legare assieme ogni cosa, e infinita varietà di cose ridurre ad unità. Quell'atomo, che nuota nell'aria al capriccio delle aure, non segue meno esatte leggi di quelle, che conducono i movimenti degli astri. Quell'insetto che strìscia Su di una foglia è come inserita ruota nella macchina mondiale, che agisce con tutte e su tutte le altre; e quel fenomeno, che ti par figlio di sola cagione, è pur l'effetto di mille; anzi delle azioni perenni, e reci- proche degli esseri tutti. E come per la virtù dell'ordine, che la congerie intera degli esseri in un sol tutio rannoda, qual più minuto atoma può aversi, qual Leibniziaua monade, che sia cioè (piasi specchio dell'universo luterò; cosi ogni verità, che fosse in tutte le sue relazioni conosciuia 4'. tulle le altre in se medesima ne offrirebbe j e le sccjtfrtp delle voiie scienze verrebbero per l'iniellelio nosiro a confondersi nel gisn mare dell'essere, e del vero universale; e vedrebbe esso nel teatro dtlla naiuia tulli i fenomeni ridoni a un fenomeno solo, e i falli Uin ad un sol fallo. Ma se la fisica nalura seguitando, che non è niai seinpbci ne' suoi effetti, né geometricamente regolare nelle sue fomic, dilla risoluzione, ed astrazione si gioviamo, come di mezzo alla debobz/a del nosiio in- tendimento necessario, convicn ben guardarci di non anril)uiih le a.stia- zioni nostre , e di non considerare come esistenti cose, u aisierni, rbe non sono cbe nella nostra mente. Non v' è figura nell'universo, ch<> sia di geometrica esattezza vestita,- non orbita di piane'a, che a perfotia elssi rassomigli; non aspetto o rivoluzione di esso che all' istcsso punto riiorni e nel medesimo istante ; non azione di lui, clic non sia dall'azione di tutti gli altri perturbata; non legge di movimento, che non sia da caubC ritardatrici, o acceleralrici alterata ; come forse non v' è sensazione che non sia composta; non affetto dell'animo che non sia misto. Che se ri- solvendo i soggetti ne' loro elempnti per intendere quello, che di ciascuno di essi è proprio, non si ricompongan poi gli clementi stessi, e non si calcoli la vicendevole azione degli uni sopra degli aiiri, non si conoscerà mai la natura delle cose, né si sapranno esse giustamente estimare. Così se è lecito per modo di esemplo aircconomisla il risolvere la pubblica prosperità ne' suoi varii principii, popolazione, agricoltura, indusliia, com- mercio, sicurezza, ed altri; e il ricercare parlitameule quello ohe a ognuno di essi, o nuoce, o giova, farebbe egli grande stoltezza, se proponesse poi i regolamenti per esempio che la popolazione al massimo grado favori- scono, senza raffrontarli, e comporli con gli altri oggetti, che deve egual- mente rispettare, e promuovere; e cercasse cosi il massimo assoluto di ogni cosa ; del che non vi è nulla di più facile ; e non il massimo re- lativo, che nelle cose di molto composte diviene assai malagevole. Ma siffatta ricomposizione eccede il più delle volte le forze nostre, e pochi sono i casi, iu cui la risoluzione, e la composizione possano servirsi a vicenda di prova, e di conferma: come accade nelle operazioni aritme- tiche, e come adiviene per esempio nella chimica composizione e riso- luzione dell'acqua, e in alcune altre fisiche e mediche ricerche: nel quali casi pure la risoluzione e la composizione non indurranno mai nel ra- gionare metodo diverso: il qual n>eiodo, se io ben intendo, tanto più 327 varrà nella ricerca del vero, quanto più da presso seguiterà la naturai connessione delle cose, e introdurrà ne' suoi procedimeuii plia di ordine^ di cui è proprio il trovare la posizione conveniente, e la ragion deter- minante della posizion di ogni cosa : dal che tutti i nessi risultano, ondo le cose assieme si legano, e si sostengono,- dei quali assai ne sfuggono, subito che al loro posto locate non sieno : come non bene intenderai l'azione, e l'uso di un elemento di ben costrutta macchina, che a suo luogo inserito non trovi; uè vedrai chiaramente, come con gli altri tutti si annetta, e si congegni. Questa ragion determinante seguitando delle cose, vide per esempio il filosofo nella torricelliana scoperta della gra- vità dell'aria infiniti fatti diversi io una sola serie legarsi j come nel piin- cipio frankliniano dell'olotiricità la prodigiosa varietà de' fenomeni elettrici prender tutti fra loro come un'aria di famiglia. E sulle tracce camminando del naturale ordine altro nella carriera delle scienze non seguirà metodo, che quello di evitare i precipitati giudizii, e di rivolgere con tutto il vigore dell'attenzione in ogni maniera l'oggetto, che ha sotto gli occhi, onde tutti ne sonano gli aspetti che i vincoli ne appalesino con le ve- rità vicine: a qnella guisa che tutti si pingono i colori dell'Iride sovra collo di colomba che variamente si rivolga al sole. jNel qual, dirò così, movimento, e rivolgimento degli oggetti nella mente indagatrice gran parte della virtù d' invenzione è riposta. Ma che dirassl del nuovo organo delle scienze, o del nuovo metodo di filosofare che Bacone disse d'introdurre? Sarà esso un metodo dal- l'analitico, e dal sintetico diverso? Che tal sembra lo anuunzii il titolo di nuovo. E che vuol dire, che il sullodato ristoratore delle scienze il sillogismo proscrive, e vuole valersi della induzione, e d'induzione di nuova specie ? Primieramente conviene avvertire, che parla esso dello studio delle na- turali cose, nel quale condanna l'uso dei sistemi, e il passare, che face- vasi dalle prime nozioni del sensi ai principii generalissimi, per indi discendere alle proposizioni intermedie. Ma escludendo siffatta maniera di ragionare non esclude già egli per mia fé il sillogismo; lua sulo del sillogismo i vizii; ce nuovo metodo di ragionamento propone, ma i tra- viati al sano filosofare richiama. Se passando dalle prime osservazioni per via del sillogismo alle proposizioni generali tu il faccia per proposizioni evidenti, e per chiaia connessione, che tu scorga ti a le proposizioni, o 328 le preniessp, e la conclusione, non vi sarà certo in ciò inganno; né po- trai coudaunare il sillogismo; che altronde è la forma più naturale per rappresentare la counessione delle cose, e per convincersene; cous€nteudo lo stesso Bacone, esser geometricamente vero; che se due soggetti, o termini convengono con un termine medio debbaa tra loro convenire ; Io che è la hase di ogni sillogismo : ma condannare dovrai bensì, o il difetto di evidenza nelle premesse, o di connessione tra i termini estremi e il medio, che renda il sillogismo vizioso, e la conseguenza erronea, o inconcludente. Così se dalle proposizioni generali, a cui taluno temera- riamente sali, vorrà discendere a trovare le proposizioni, onde riempiere il vuoto della scienza, e tutta conosrpre la natura nella indagine intra- presa, sarà mero accidente, se incontrerà giusto: ma in questo ancora il sillogismo lo soccorrerà ; perchè non affermerà mai, che quel parti- colare sia inchiuso nel generale, se veramente noi vegga, o che quel fatto o quel fenomeno dipenda da quella cagione, o da quel principio, se non s'accorga, mettendoli a fronte, esservi tra essi vera relazione di effetto e di causa, o di principio, e di conseguenza. Che se ciò vedesse dovrebbe saperne grado per l'un verso alla sua fortuna; e dall'altro aver per ferma la sua conclusione. E coloro che a quelle generali proposizioni, o principi!, o combina- zioni di slancio si portarono, doviauno averle in conto d'ipotesi; che non potranno mai esser loro sotto altro aspetto indicate ; sinché nelle successive applicazioni ad ispiegare 1 fenomeni della natura non sentano venir questi a sotloporsi spontanei a quella legge, o a quella disposizione: lo che se accadesse, potrà quella legge, o quel sistema tenersi come legge, o sistema della natxu-a. Cartesio dalla materia, e dal moto credè tutta poterne dedurre la costituzione dell'universo. Passò quindi ad immaginare una origine, ed una disposizione primitiva ; la quale, se rimasta si fosse nella condizione di pura ipolesi, sarebbesi avuta come un volo ingegnoso di fantasia. Ma invaghitosene egli, e assumendola contro ogni precetto di logica come vera, fece violenza ai fatti, ed ai fenomeni, onde si pie- gassero a queir immaginato ardine di cose. I quali rifuggendo in varie maniere di prestarvisi, doveano con la ritrosia loro, che altro non vuol dire, che mancanza di connessione, dovean dissi farlo accorto, ch'egli non tesseva la storia , ma il romanzo della formazione e della conserva- zione del fisico mondo. 529 Newton, seguitando i Baconiani precetti, e fatto anclie più cauto dal- l'icario volo del francese, conosciute le principali leggi del ruovimeuto degli astri, tentò di derivarle da un generale principio j e studiò, se da una forza primamente impressa, e da altra da lui detta attrazione, o gra- vità universale, che fosse proporzionale alla massa, e decrescesse di at- tività a misura che crescono i quadrali delle distanze, potessero tutti quei moti procrearsi ; lo che avendo egli riconosciuto esattamente avve- rarsi, stabili la fisica cagione dei movimenti degli astri medesimi. Glie se Newton ignorando le Keppleriane leggi avesse subito immaginato il suo sistema, e l'avesse co' celesti moti confrontato, non ne avrebbe egli le leggi Keppleriane dedotte che poi l'osservazione gli avrebbe confer- mate ? Tanto è ciò vero, che, a trionfo del di lui sistema, ed a con- ferma della gravità universale, il calcolo, con cai si applica il suddetto principio al movimento dei pianeti, prevenne spesso l'osservazione a ri- conoscere delle perturbazioni, o delle ineguaglianze già dal calcolo as- segnate. Cos'i oggi giorno puossi egualmente dai fenomeni risalite alla legge o priiicìpii che li producono, che dalle leggi discendere ai feno- meni. Ma qui pure l'oggetto immediato, non il metodo è diverso.- mentre nel primo caso, dati ì fenomeni sen cerca la cagione ; nel secondo, data la cagione vuoisi la derivazione o la spiegazione dei fenomeni. Le quali due cose devono appunto provarsi a vicenda j con la sola differenza che la conclusione non può essere di uecessiià metafisica nel primo caso; giacché quantunque il Newtoniano sistema spieghi a meraviglia tutti i movimenti de' pianeti, non è metafisicamente dimostrato, uè il potrà mai, ch'essi non potessero da altti principii dipendere, e da altre cagioni deri- vare ; lo che per altro non toglie, che detto sistema non sia di lutla quella certezza vestilo, che può nella fisiche cose desiderarsi ; come lo è il moto annuo della terra, in quanto che per esso, combinato con la successiva propagazione della luce, eh' è verità da sicuri fatti dedotta, spiegasi a nieraNi-^La l'osservato fenomeno dell'annua aberrazione delle fisse j tutto- ché non aggiunga perciò esso moto la geometrica, o nintafisica cortezza: non essendo metafisicamente ripuguante, né che quelle aberrazioni siano, anzi che apparenti, reali j nò che quella supposta illusione non possa aver altra origine. Laddove dalia teoria delle centrali forze geometricamente vera conseguono necessariamente le Keppleriane leggi ; le quali per altro se astrattamente prese hauuo necessaria connessione con le forze suddette, 33o considerate come esistenti non l'hanuo con la esistenza delle forze me- desime; potendo nuelle da altri priucipii essere state condotte. E qui si parrà principalmente il valore, e la natura della Baconiana induzione, la quale non tanto conchiude dalla enumerazione dei parti- colari, che nou può mai, o quasi mai essere compita, quanto dalla esclu- sione, o per dir meglio dall'una, e dall'altra assieme riunite. Che se osser- vando la enumerazione, e la classiilcazione delle cagioni, e dei modi eoa cui esse possono concorrere alla produzione di un effetto nella Baco- niana induzione, non che i motivi delle esclusioni, si toglie per un verso ogni sospetto ed ogni dubio sulla verità della tesi, che si stabilisce; dal- l'altro sgomenta essa, ed allontana ogni meno appassionato indagatore della natura dal seguitar quella via, che pure in siffatti studii è la sola sicura. Ma tanto è lungi, che la induzione, qual Bacone la usa sia al sillo- gismo contraria, che essa può sempre, come ogu'altra forma di dimostra- zione al sillogismo ridursi. Che certo riducesi ella per esempio a dire: la tal cosa, il tal fenomeno non può, che iu una delie tali maniere esser prodotto : ma ninna potè aver luogo fuori che una tale. Dunque accadde m questa. Che se nelle fisiche cose l'enumerazione, e l'esclusione non ne conduco- no mai, die a fisica certezza, nelle metafisiche, e geometriche possono tale produrne, quale dal principio di contraddizione si ottiene. Quindi parmi non bene Locke la forza comprendesse di tal maniera di argomentare, quando rinfacciò a Malebranchio, clie male argomentava dalla falsità delle altre opinioni sull'origine delle idee, che fosse vera la sua. Poiché l'in- duzione di Malebranchio sul principio appunto di contraddizione fon- davasi. Mentre, come osserva il Cardinale Gerdil, da che le idee sono qualche cosa di reale, che tocca lo spirilo, come ne conviene pur Locke, è forza che sieno, o una modificazione dell'anima, o qualche realità creata, o che siano iu Dio; la qual divisione abbracciando le cinque maniere di vedere le cose esposte da Malebranchio, e non lasciando alcuna cosa di mezzo, conchiudeva egli giustamente, che nou si possono vedere gli oggetti, che in una di quelle maniere; e che quando le altre fossero dimostrate false, la sua dovea pur esser, vera. Il merito pertanto di Bacone nello studio della natura non è di avere 0 proscritto il sillogismo, o introdotto una nuova spezie d'induzione; ma bensì di avere ridotta la filosofia naturale ad una interpretazione della 53i natura, e ristretta la induzioup ne' suoi giusti limili, sicché per essa noa si couchiuda al di là di quella cli'essa può. Perciò rettamente aff« rmava egli, che quanto noi sap|)i:jmo iielle oaturali scienze riducesi a delle analogie, e a dei legami stabiliti dalla natura, e scoperti dall'osservazione, e dalla esperienza, di cui iu siguito l'accorto filosofo si vale, come di frcondi priiicipii per derivarne sene di brn dedotte cousegucnze. ]Noq male quindi pensò chi credette che alla troppo franca denominazione di cause naturali e di loro effetti convenisse sostituire la più modesta di naturali segni, e di cose designate. Giacché propriamente parlando nulla v' ha, cite provi esser dette cause in alcun modo cagioni efficienti : né altro puossi sicuramente asserire, se non che, come dice lleid, la natura ha stabilito uu legame costante tra di esse, ed i loro supposti effetti j e che a noi diede dei mezzi, e delle disposizioni convenienti per osservare questi vincoli, e l'uniformità loro coslanic; e per usarne ad aumento di nostre coguizioui, ed a perfezionamento di nostre facoltà. Venendo poi più particolarmente alle discipline matematiche, premesso che la indiizioije si è di maggior uso nelle analitiche, che nelle geo- niPtriche cose, couvien dire, che meno ad essa fidavansi gli antichi, che non i moderni j nel che crederei piuttosto di poter accusare i primi di troppa severità, che non di troppa facilità i secondi. Euclide a provare, che le aree dei cerehj sono fra loro, come i quadrali dei loro diametri, non credè bastargli l'avere provato, che i poligoni simili inscritti in due cerchj differenti seguivano appunto quel rapporto : dal che non avendo potuto non vedere, che detto rapporto era indipendente dal numero dei lati del poligono, e che questo tanto meuo differiva dal cerchio, che aveva più lati, avrebbe dovuto senz'altro conchiudere per induzione, che la proprietà dei primi dovea pure essere dei secondi. Ma esso volle ciò pure dimostrare per riduzione all'assurdo ; e provato, che poteasi sempre trovare uu poligono inscritto che non differisse dal circoscritto, e a più forte ragione dal cerchio stesso, che di quantità minore di qual- sivoglia data, dimostrò che quel rapporto non poteva esser mai né più grandi', né più piccolo di quello dei quadrali dei loro diametri. Che se si consideri, che quella induzione non é solo a esperimcutale osservazione appoggiata, ma altresì alla legge di continuità, e alla natura dei limiti, si vedrà, che possono i moderni senz'altro su di essa riposare. £ qui mi sia permesso di confessare di non bene iuteudere, come il sommo analista la Grange dopo aver deito nella teoria delle funzioni analitiche, che l'idea sotto cui Eulero e d'Alembert presentarono le quan- tità infinitesime era in se stessa giusta; ma non abbastanza chiara per istabilirvi sopra una scienza fondata sull'evidenza, aggravasse poi tale giu- dizio nelle sue lezioni sul calcolo delle suddette funzioni, dicendo, che l'idea di Eulero non presenta alcuna idea; lo che sarebbe ben altro, che non essere abbastanza cljiara. Poiché nell'espressione zero diviso per zero Eulero prende lo zero come un segno per indicare quello, che diviene il rapporto dell'incremento di una funzione all'incremento della variabile, che si assunse finito, o indefinito, quando questo incremento svanisce. E come della funzione x' il rapporto dell'incremento che essa assume, quan- do X cresce di a quantità fluita, o indefluiia, è 220+00:0 ossia 2^-4 o: i così -u significa 2x : i ossia n , rapporto in cui il primo si cangia nel dx 1 limite, ossia quando e> svanisce. E prendendo gì' incrementi disile \ariah'H indefiniti, le equazioni differenziali non hanno luogo che di vm modo di approssimazione; ma la loro esattezza, come secondo le idee di Carnet riflette la Croix è indefinita, quanto lo è la piccolezza degl' incrementi delle variabili; la quale non venendo in alcun modo limitata, per la legge di continuità ne condurrà sino al suo limite, nel quale solo di- venterà l'equazione determinata ed esalta. Ma l'induzione nelle matematiche discipline servì il più delle vtdte a riconoscere e stabilire i principii e i metodi generali; i quali nacquero comunemente dall'avere osservato, e separato ne' particolari melodi e prin- cipii, e ne' casi singolari quello che essi avevano di comune; come for- inaronsi le idee dei generi e delle specie con l'astrarre diille specie, o dagl' individui quello che in miti avca luogo. Cosi per esempio dal pa- ragonare tra di loro le condizioni di cqiiilibiio nelle macchiue semplici, ed esaminando quello, che esse avevano di comune, scoprissi per indu- zione la legge generale che regola qualunque sistema di forze in equili- hrio: nella qual legge è fondato il princìpio delle virtuali velocità. L'induzione poi non trovasi mai aver avuta tanta parte, che nella teoria delle serie: giacché le forme di esse generali da principio ordinariamente non nacquero, che dall' osservare l'andaraenio, ciie avevasi ne' casi parti- colari, o pure quello che con qualche lecita trasformazione potevasi otte- nere. Tale sarà slata l'origine della serie del così delto binomio Ncwto- tooianoj la quale di falli apparisce essersi da Newton raccoha per Indu- zloue nel caso delle potenze intere; dal qual caso subito senz'altro la tradusse al caso dell'esponente rotto. Ne quella formola generò rriai so- spetto; tuttoché generalmente per luti' 1 casi anche dell'esponente imma- ginario, non fosse che assai tardi dimostrata. E nelle serie l'induzione non tanto conchiude dall'osservazione su i casi, pariicolari, o su i lerniini successivi, quanto dall' intendere non esservi cosa che possa alterarne l'an- damento : tutto che possa in molli casi essere interrotlaj ossia terminala nel suo corso; come avviene tutte le volle, che i coefficienti del termini, e i termini stessi divenissero o zero, o infiniti; lo che per certo è fa- cile a conoscersi. Vi è nulladimeno qualche caso in cui la legge sco- perta viene in qualche termine interrotta; ma di cui egualmente se ne I — ix — a * intende il perchè. Lo sviluppo per esempio della frazione ^ nella serie i -|- 5af -|- 4a?' H- 62^ -|- (^xi ■+- i6a;5 -f- aGa?^ ec. che dar do- vrebbe, se fosse una frazione propria, una serie ricorrente , offre una eccezione nel quarto termine alla legge, per cui ogni coefficiente è la somma di due precedenti. Ma si vede che ciò nasce perchè la parte intiera di quella frazione impropria entra nella serie, e interrompe, come dice Eulero, la legge della progressione nei termini ch'ella accresce, o diminuisce. Ma siffatte ricerche troppo mi allontanerebbero dal mio sog- getto. Non posso per altro non fare qualche cenno della celebre serie che serve di base a tutta la bellissima teoria delle funzioni analitiche ; la quale fu attaccata dall' ingegnosissimo Wronski. Veramente non so in- tendere, come non debba essere vero, quello che già per induzione si trovò esserlo, cioè che lo sviluppo di (ji{x) accresciuta dell'aumento in- determinato i cioè di ,p(ar-f-*) non debba essere ^(x) -{-pi -{-qi' -{- ri^ ec. secondo le potenze ascendenti intere e positive di i, sino che x, ed i restino assolutamente indeterminate? e come ciò non si possa di- mostrare? Che debbano aversi nello sviluppo tutte le potenze di /, è evi- dente dal potere esservi ad una ad una tutte, e dal non esservi ragione di escluderne una, piuiiosto che qualunque altra, sino che stassi nella assoluta indeterminazione. Che poi non possan esser negative nasce dalla slessa indeterminazione ; la quale sarebbe lolla rispello alla x, nel caso di i eguale a zero, lo che darebbe a ,p(af)un valore infinito, e perciò ad x uu vAlore deteriniuaio. Che se poi fossero le dette potenze di esponente 45 354 rotto ne verrebbe che la funzione sviluppata avrebbe più valori che non avrebbe iu se slessa, lo che uon può essere. 1 casi di eccezione da Wronski prodotti furono già da la Grange in- dicati: ma come questi non portano, che sopra valori determinati della ar, e della i, cosi nulla fanno contro la espressione generale : a quel modo che non dirassi difettoso il metodo generale di differenziazione, perche talvolta ne mena a delle espressioni insignificanti, come — : le quali per altro ben lungi dell'essere un difetto sono una nuova forza dell'analisi, come il sono le quantità immaginarie ; giovandosi meravigliosamente di siffatte espressioni per tutti conoscere gli accidenti della funzione, o i capricci della curva che può esser dalla medesima espressa. Ma di ciò v'intratterrò a lungo in altro tempo. Né già si avvisi ora taluno di avere riconosciuta la vera distinzione degl'indicaii melodi, chiamando, come volgarmente si fa, il primo, ossia l'analitico, metodo di ritrovare, o inventare, e l'altro, cioè il siuiitico, di dimostrare. Poiché è bensì vero, che altro è il cercare una cosa che uon si sa, altro il dimostrare una cosa che si enuncia com'è. E la di- versità consiste nel conoscere nel secondo caso il punto da cui si parte e quello a cui si deve giungere, lo che la natura stabilisce del teorema : laddove nel primo, che è proprio del problema, s' ignora il termine a cui si arriverà. Ma uon farà ciò mai che nell'un caso lo Spirito debba proceder d'un modo nel di lui ragionamento, e di un altro nel secondo: quasi che, come suol dirsi, gli analisti sapessero valersi delle quantità incognite, come delle note, e per esse arrivare a conoscere quelle che cercano, e che ignoravano. So bene che essi, come graziosamente disse l'Algarotli, sono come gli amanti, i quali per poco, che loro si conceda, là si conducono ove non sarebbesi mai creduto che arrivassero. Ma, se nulla agli analisti si accordi^ se non partano da quantità, o da relazioni cono- sciute non faranno mai per mia fé passo veruno. Né so, che l'analisi, né scienza veruna dall'incognito mai strada si facesse all'incognito, né al- l'incognito mai si pervenisse, che per via del conosciuto: ed è grosso- lano equivoco il dire, che gli analisti dell'ignoto si valgano, come di cosa nota. Poiché se mescono insieme le quantità cognite e le incognite, e le legano iu una equazione, ciò fanno in virtù delle condizioni esposte nel problema, le quali esprimono delle relazioni ira le quantità che si 535 cercano e quelle con cui si conuellonoj le quali relazioni divengono come termini conosciuti che poi con gli opportuni artifizi! di trasfor- mazioni, ed altri ne conducono a ritrovare il valore delle quantità cer- cate. Né è nuovo agl'iniziali in questa scienza, che le quantità incognite possano avere con altre quantità delle conosciute relazioni. Così per esempio, tuttoché s'ignori la espressione generale delle radici di un'e- quazione di quinto grado, si sa per altro essere essa una funzione dei coefficienti dei termini dell'equazione medesima. Non è per altro che il teorema sia tale che la dimostrazione di esso divenga quasi un circolo vizioso, in quanto che sì supponga per vero quello che si vuol dimostrare: lo che parve credesse Begueliu dell'Ac- cademia di Berlino, quando asserì che il principio della ragion sufficiente non si poteva dimostrare. Il circolo vizioso, come è noto, consiste nel supporre una cosa, e nel dare la supposizione per prova di ciò che si suppone. Ora egli è ben vero, che chi intraprende di dimostrare il prin- cipio della ragion sufficiente il suppone dimostrabile; ma il circolo vi- zioso avrebbe luogo allora solo, che io mi valessi della ragion sufficiente per provare il principio della ragion sufficiente. Ma se perciò io mi servo di una idea intermedia, cioè del principio di contraddizione, al quale le idee le più chiare possono essere ricondotte, non vi sarà in siffatta dimostrazione, come nota Gerdil, circolo vizioso di sorla. Ma quando in analisi le dimostiazioui dei teoremi ne conducono ad equazioni identiche non le diremo noi essere petizion di principio? Nulla meno. Se nel dimostrare, che il quadrato della somma di due quantità eguagli i quadrali di ciascuna di esse, più due prodotti di una nell'altra, ossia che (a -\- ocf =^ a'-^ lax -\- x"* arrivo al primo membro identico «' -(- 2aa:-)-a:% ciò non è, perchè supponga quello, che è in questione; ma perchè a ciò mi porla la moltiplica fra di loro del due fattori a + x, a-\-x secondo l'idea, e la definizione del quadralo, o della seconda po- tenza. E questo teorema, come lutti quelli, che menano adequazioni iden- tiche può come problema proporsi; dicendo nel caso nostro: trovare il valore del quadralo di due quantiià prese assieme.' L'operazione condur- rebbe al risullamento del teorema. Il qual teorema applicalo alla Geome- tria non ha dimostrazione diversa; la quale è riposta nel combaciamento dei quadrali parziali delle due quantità, e dei due retlaugoli delle mede- sime col quadrato della loro somma. 336 Intorno poi alle equazioni Identiche fu già avvertito nascer esse par- ticolarmente, quando uelle quautith, che si cousiderauo, non vi si pone alcuna relaziono, o dipendenza,- oud' è, che l'equazione allora altro non indica, se non che una tal condizione è adempiuta, o che una tal ve- rità ha luogo. Ma quando tra le quantità, che l'equazione deve inchiudere, vi avrà un certo vincolo di dipendenza, questo uè pollerà sempre ad espressioni diverse della stessa quantità j lo che escluderà l'identità dell'equazione. E nel problemi slessi, nei quali si arriva ad equazione non identica, se si presenta in qualche modo la espressione della quantità incognita, e si sostituisca nell'equazione proposta, ella diverrebbe identica. Quindi, come si disse enunciando un teorema e provandolo col calcolo, si arriva ad un'equazione identica: ma si avverta, che in questo caso le combi- nazioni, ed il ragionamento sintetico non sono che le operazioni del calct)lo. Vedrassi in progrèsso che queste cose uon sono oziosamente dette ri- guardo al soggetto di cui parlasi. E seguitando aggiungerò che l'analisi di- viene un mezzo più efficace, ed esteso perchè versa sulle generali astratte proprietà delle quantità ; lo che costituisce quasi una parte metafìsca della medesima; ed è per questa maniera di considerare la quantità nell'ul- timo grado di astrazione possibile, che l'analisi algebrica ampliò i suoi limiti, e divenne, singolarmente uelle mani di Eulero, un metodo lumi- noso universale, ed agevole. Del che il metodo dei coefficienti indeter- minati, e il calcolo delle variazioni fondati l'uno sulla indeterminazione delle quantità, l'altra sulla indipendenza delle variabili, e dei loro incre- Bienti ne fauno ampia fede. Ma quelli, od altri siffatti, non sono già me- todi di ragionamento, ma principii su cui s'istituisce il ragionamento j ed appartengono in qualche modo egualmente all'analisi che alla geometria, o a più vero dire alla metafisica, che è la scienza delle generali rela- zioni delle cose. E di vero il ragionamento, che ne giustifica l'uso è, dirò cosi, metafisico, e scevro affatto di calcolo. Cosi per esempio nello sviluppo di una serie con i coefficienti indeterminati le equazioni, che nascono dal porre ogni termine eguale a zero, per le quali si giunge a determinare i coefficienti medesimi, si trovan legittimale dalla ragion me- tafisica, che dovendo quello sviluppo aver luogo indipendentemente da qualunque valore pailicolare delle quantità indeterminate, couvieue, che 33-^ tutt'i termini si distruggano tra di loro: senza di che verreLLesl a stabi- lire qualche relazione tra le quantità, che nella loro induterminazione assoluta non ne hanno alcuna. filale poi eslimerebbe taluno, che appunto in questa generaliià di principii, quand'anche essa non ìstabilisse diversità di metodo nel ragio- nare, possa essenziale differenza riconoscersi dei due metodi; singolar- mente, se si restringa il significato di analitico e sintetico alla geometria, e all'algebra : poiché la geometria medesima procede assai volte per ge- nerali metodi, e principii. Il metodo delle tangenti da Barrovio col suo triangolo caratteristico stabilito, è sulla proprietà del triangoli slmili fon- dato, e si applica a tutte le curve espresse da equazioni di esponente intiero. L'espressione analitica del limite del rapporto degl' incrementi delle coordinate lo estese poi alle curve qualunque siansi. Ma quanto spesso la geometria degl'infinitissimi a gf^nerali principii appoggiata non emula le forze del calcolo sublime? Non si deduce geo- metricaniento la teoria degl' isoperimetri dal principio degl'antichi; che se qualsivoglia quantità variabili, moltiplicate comunque fra loro, e divise, crescendo, e decrescendo sino a un certo termine, siabiliscano un mas- simo, o un minimo, si determinerà il luogo del massimo, o del minimo valore trasferendo il complesso delle quantità tutte nel luogo prossimo, e facendo che quanto alcune crescono, l'altre diminuiscano; così che compensandosi le differenze tutte, la variazione di tutte assieme sia nul- la? principio per se evidente, da cui nasce la regola di Fermat, la quale coi simboli del calcolo differenziale si esprime col dire, che nel caso del massimo e del minimo, i differenziali delle quantità devono essere eguali a zero. Con il suddetto principio senza uso tK calcolo sciolgonsi elegantissi- mamente le più belle questioni degl' isoperimetri. Che se le analitiche formole a maggiore generalità si estendono e comprendono assai spesso tutt' i casi possibili, sono alle volle incomodissime nella risoluzione di siffatti problemi geometrici condiiccudoci ad equazioni sommamente com- plesse, come succederebbe nel problema di tradurre in una curva qua- lunque riferita all'asse una retta, che tagli da una parte un'area massima, e dall'altra una minima; il quale geometricamente con l'esposto principio, come indica Frisio sclogliesi in pochi tratti. Ognuno poi sa, tacendo ogn'altia cosa, quanto i geometri si giovino de' geneialissimi principi!, 358 e de^ìì assiomi, nelle dimostrazioni indinute singolarmente, che bene spesso le sole sono, che usar possano j nelle quali dimostrasi l'enunciata verità per la connessione, che essa ha con qualche siffatto principio, od assioma, che verrebbe meno, dove quella non avesse luogo. £ da ciò può anche intendersi, quanto a torto il Coudillac con al- tri moderni filosofi i generali principii e gli assiomi e le idee univer- sali tengano in niun conto, e vogliano, che inutili siano essi nelle scienze, e a nulla conducano. Certo che niuna scienza particolare non sono siffatte idee, e principii : ma non vi è altronde niuna verità di ragionamento, che da qualcuno di essi non dipenda; come non vi è ragionamento conclu- dente, che di una idea universale almeno non abbisogni. Come ragione- rebbesi, se in noi non fossero le astratte idee dell'unità, della distinzione o pluralità; dell'identità, e diversità; della somiglianza, e dissomiglianza; del più e del meno? le quali esprimono i sommi generi delle relazioni delle cose fra di loro. E nelle astratte nozioni si fondano le proposizioni iiniversali, dalle quali le scienze e le arti tutte derivano col connettere ad esse molli particolari, con cui si forma come il corpo della scienza o dell'arte. Così la sola legge della rifrazione della luce introdotta nelle univer- sali proposizioni della geometria ti dark tutta la scienza della diottrica, eh' è tutta geometrica, posta quella legge: come dalla geometria appli- cata alla riflessione della luce secondo la legge conosciuta, avrai tutta ]a catadiottrica. 1 raggi ti si faranno linee, e un cieco nato, come Saun- dersoa potrà dalla luce insegnare e scrivere cose dai veggenti ignorate. E le dimostrazioni di Locke dell'esistenza di Dio non sono sul principio di contraddizione, che vuoisi essere sterilissimo, fondate? Poiché pane egli dal principio che il nulla non può cosa alcuna produrre, il quale da quello di contraddizione immediatamente deriva. Se non che, troppo forse concedendo al sistema dell'origine di ogni nostra idea dai sensi, favellando dell'anima sparse dubitazioni, che tutte le sue prove annullano dell'esistenza di Dio. So bene che quel sistema dell'origine dell'idee cautamente adoperato può starsi lontano da qualunque pericolosa con- seguenza : ma so altresi che assai facilmente di esso si abusa ; e so che non a torto rispondeva Elvezio, quando fu condannato per aver voluto ridurre gl'intellettuali atti alla fisica seuéibiliià, di avere egli ragionato se- condo i principii di Locke. 339 Ma la maniera più generale di considerar le quantità estende il poter dell'analisi altresì per le nuove operazioni che mercè di essa l'analisi in- troduce. Ogni nuova operazione fa nascere nuove relazioni, e queste producon nuove maniere di legare le quantità fra di loro. Così l'intro- duzione dei logaritmi, delle quantità esponenziali, delle funzioni circolari, dello sviluppo delle funzioni in serie, dalla reversione e interpolazione delle sprie medesime; non che le operazioni del calcolo sublime, e le infinite quantità trascendenti che in esso s'incontrano, sono tanti mezzi di progredire innanzi, e di moltiplicare le combinazioni tra le quantità. Non è per altro che la geometria talvolta di siffatte cose non si giovi ; come quando nel suo ragionamento introduce la considerazione dti limili delle quantità, cioè dello zero o dell'infinito. Cosi per esempio molle proprietà della parabola deducono i geometri immediatamente da quelle dell'elissi supposta infinita la distanza del fuco al centro. Tutto questo poi deve l'analisi singolarmente al di lei compendioso modo di esprimere le relazioni tutte anche impossibili delle quantità col mezzo delle sue cifre, le quali soccorrono infinitamente lo spirito nelle di lui operazioni, offerendogli in brevissimi tratti raccolte moltissime cose, e dandogli occasione di versare e trasformare agevolmente in mille maniere le prime relazioni, e così pili sempre accostarsi, ed arrivare a quelle che cerca. Quindi è che l'analista non si arresta mai nel suo corso, si familiarizza egualmente con le quantità immaginarie, che con le reali; né tratta diversamente le trascendenti, che le algebriche; e trova modo poi di eliminare l'espressioni incompatibili ed assurde; e inoltrandosi eoa le sue cifre quasi con magiche note per via cieca e sconosciuta, arriva a meravigliosi ritrovamenti: simile in ciò a quel fiume che per lungo tratto scorrendo sotterraneo, riesce d'improvviso di copiose acque arric- chito, e grave di molto oro alle metalliche vene rapito sopra di cui corse. Su di che conviene più cose osservare, i.» L'uso delle cifre e dei segni non è così dell'analista, che in parte non lo sia pure dei geometri, che esprimendo con lettere le dimensioni, e le relazioni loro, raccolgono di molto il loro ragionamento, e compendiano le loro dimostrazioni. 2." Dicesi impropriamente che l'analisi sia una via cieca ; giacche ogni operazione, ogni passo del calcolo può in ragionamento tradursi, sosti- tuendo ai segni le cose designate. Tanto è ciò vero che la Grange per «esempio calcola molto col ragionamento, laddove Eulero ragiona col cai- 54o colo: e il messinese Maurolico ragionando dedusse, ed espresse con pa- role rnohe proprietà delle serie da Wallis col calcolo, e con le cifre derivate, e presentate. Se non che lo spirito procede tra le cifre e le formole senza far conto della loro significazione quasi inaterialoienle, per il legame che tra esse formossi: a quel modo che il suonatore per l'a- bitudine contratta dirige con la vista delle note la mano alle posizioni corrispondenti sullo strumento, senza che ogni nota gli risvegli attual- mente l'idea della voce indicata; e come le parole, secondo che avverte Burke, per delle associazioni introdotte possono assai volte commovere senza eccitare le immagini corrispondenti. 5." La natura e l'uso delle al- gebriche formole presenta talvolta nelle espressioni contratte del sensi violenti, che possono facilmente indurre in errore, come il fecero, quando non ben s'abbia presente il modo con cui nacquero, e quello che si ebbero in vista di rappresentare. E come la generalità stessa delle for- inole suddette non che delle operazioni, che sovra di esse si fanno ne conduce alle volle a dei risultameuti indeterminali, in quanto che le for- inole, miste ai valori che si dimandano, ne offrano degli aliri che non si cercano, cosi allora gioverà sommamente ricorrere alla geometria, che col mezzo delle costruzioni le sforzerà a palesare tutto quello che in se stesse racchiudono. JNel che la geometria non assumerà già il carattere della così detta sintesi ; ma diverrà- solo una espressione sensibile, e dirò quasi una pittura dell'algebra : nel qual senso perciò emulerà la di lei generalità; in quanto che non v' è funzione che non possa costruirsi; né relazione alcuna tra quantità, qualunque esse siansi, che non si possa rappresentare per la relazione delle coordinate di una curva. 4-'' ^on credo sia vero quello che molti dicono, cioè, che la sintesi conosca il punto, da cui parte, e quello, a cui deve arrivare; dove l'analisi non ve- de, che il punto della partenza ; parendomi che ciò solo sia del teorema, e del problema; e sì l'uno che l'altro di essi appartengono egualmente alla sintesi, e all'analisi. Se non che il sintetico assai volle così propone e tratta i problemi, che ne suppone già nota la soluzione. Così, se gli si domandi di condurre una tangente alla parabola in un dato puuio, egli vi dirà: prendete sulla linea dell'assisse alla sinistra dell'ordmaia una linea doppia dell'assissa corrispondente, e unitene l'estremila con l'estre- mità dell'ordinata nella curva; e avrete la tangente. La qual risoluzione suppone noto il valore della sottotangente, che è quanto dire, la maniera 34 1 di condurre la tangente. Ma qua.ido primamente fu un geometrico o mec canico problema all'analista proposto, ed al sintetico, l'uno non avrà pJh deJl'ahru sentilo il punto a cui sard.Le pervenuto, e non avranno proce- duto per vie essenzialmente diverse: se non che potevano partire da pnncipii diversi, lo che non forma diversità di metodo; e dove il geo- metra Ir-ntamente avanzava condotto come da un delicato filo di n^eta- fisica, l'analista cosi.lngendo, e couducendo il ragionamento con le sue formule progrediva più rapido, e più sicuro, e trovava tra via nuove forze per portarsi al termine cercato. Quindi è che nei problemi procedendo col semplice ragionamento non si fa in certo modo che travederne la solu2Ìone e presentirne i ritrovamenti: a quel modo che avvieu ne' rozzi inventori di m.cc.uiche cw.e, che .jua,! pe. una specie d'istinto traveg- gono, anzi che chiaramente intendano nelle macchine la connessione dei mezzi ci fini. Dopo di che riandando il corso sentiero si riempiono tuit'i vuoti lasciali, e così si dispongono lo idee e si connettono che ne risulii una vera dimostrazione j ponendo in tal modo in teorema il risultamento del problema. E cos'i fa pure l'analista dopo il ritrovamento della cercata cosa, che tesse dirò cosi la catena al rovescio, e traduce in certo modo i segni suol geroglifici nelle cose designate, e veste di sinieiica luce l'analitica strada percorsa; nella quale per altro vi erano le stesse con- nessioni tutto che nascoste, o compendiate : che nulla avrebbe egli cou- chiuso, se non arrivava a connettere il punto della partenza con quello a cui giunse. Bello è il vedere nelle opere dogi' inven.ori, com'essi pro- cedessero nel loro cammino, quali diflicohà incontrassero, e come le superassero; lo che giova pur moltissimo a sviluppare e nutrire lo spi- nto d'invenzione. Ma convien confessare che non tutti, come faceva li- beralmente Cartesio e Gahleo, ci lasciarono nelle loro opere la storia dei loro pensieri. Newton fra gU altri ci nasconde il più delle volte il mudo con cu. s. condusse alla soluzione dei problemi, e non ne presenta or- d.nartamente, che i risultamenti in teoremi d. sinioiira luce vestiti. Dalle esposte cose spiegasi poi agevolmente una specie di opposi..iODe die trovasi nella storia de' primi studii del due sommi matematici New- ton, ed Eulero; l'ultimo dei quali nella prefazione alla sua meccanica racconta essergli accaduto di trovarsi nella soluzione dei problemi im- tarazzaio per poco che un nuovo yr^.hìcma gli si presentasse in diverga forma di quell. già risolti ; e che da lai imbarazzo si sciolse consac.an- 46 542 dosi più profondamente allo studio dell'analisi, e maneggiandoli dirò così più aualiiicamenie ; dove ]Newton confessa in vece che sendosi già molto iiell'analisi inoltrato si accorse che della sintesi degli antichi non era abbastanza provveduto, e a questa ritornò. Lo che mostra, che Eulero voleva nella massima generalità trattare i problemi, perlochè di tutte le iudustfie dell'algebra abbisognava; e che Wcwioii all'incontro cervava di spargere la sintetica luce sui ritrovameuti della piìi snblitne analisi ; la quale in niuna parte rispleudeva più evidente che nelle opere degli au- tichi. Le quali cose cosi essendo, parrai di poter conchiudere, che veramente tra il metodo sintetico e analitico, considerati generalmente, e come maniere di ra"ionameiito, o di conducimeuto al vtro, non v'abbia niuna essenziale differenza; e al più si possa dire con l'ingegnoso Autore della Geometria di posizione che la sintesi non diversa in questo dalla dia- lettica si occupi del ritrovare la serie delle trasformazioni, che può su- bire la forma di un argomento rimauendosi esso intatto, o si espriman queste con segni, o col linguaggio ordinario : dove l'anaiibi prrsa gene- ralmente non opera le trasformazioni suddette, che sopra parti del di- scorso troncate, e inintelligibili assai volle, prese isolate: ma che subordi- nate come le altre al meccanismo dell'argomentazione possono con una nuova serie di trasformazioni condurre a dei termini chiaii, e precisi, non meno di quelli a cui la sintesi ne mena. Questo meccanismo ana- litico puossi poi non rare volte applicare a degli oggetti alle matema- tiche stranieri; e divenir potria quella lingua universale, di cui parla Leibnitz ; per cui tutte le verità di ragione sarebbero ridotte ad una maniera di calcolo. Intanto i pochi cenni fattivi sui metodi analitico e sintetico applicati alle matematiche v'indicano abbastanza, che la seconda parte di questa memoria si occuperà del confronto della Geometria con l'Algebra, ossia delle funzioni con lo curve: campo sì vasto, e sì spinoso, che per quanto siasi corso, e mietuto offre ancora molli luoghi da ri- conoscere e uon poche spiche da cogliere. 343 OSSERVAZIONI DI FLORIANO CALDANI SOPRA ALCUNE ANNOTAZIONI DEL CELEBftE GIO. AINTONIO VOLPI ALLE POESIE DI CATULLO LETTE NELLA SESSIONE ACCADEMICA DEI XXV GIUGNO MDCCCXII. Ciò cbe avviene talvolta a coloro che di qualche voce ricercano il significato, cioè che alcune noiÌEÌe lor si presentino, che da essi meno attendevansi, accadde a me pure, allorché divisai di aggiungere qualche breve annota^ione alle mediche composi^ioni di Antonio Musa, celchrc medico dell'Imperatore Augusto. Nella composizione, che io collocai sotto il numero VII (.), è prescritto il rimedio contro la trichiasi, formato dal- laconito e dalia hile di un uccello chiamato cinaedus. Io volli sapere se con altro nome si conoscesse quell'animale, né credo di avere perciò dato nel segno. Svolgendo però a tale oggetto più libri, mi tornò alla memoria un passo di Catullo, che mi obbligò ad esaminare i commen- tatori di lui nella lusinga di approfittarne ^ e fu in quell'esame che al- cune annotazioni mi caddero soii'occhio di Giannantouio Volpi, le quali non mi sembrarono dettate con quella saggia critica, che procurò d'al- tronde SI gran fama al commento di questo Scrittore. Che se in altri tempi il dottissimo nostro Accademico l'Ah. Sib.liato recitò a questo Consesso medesimo le sue riflesMoui intorno alle annotazioni, che il Volpi aggiunse all'Epitalamio per le nozze di Peleo e di Telide, non (0 untomi Musac, ,,,U Augusti Cacsaris medicus fuU, frammenta quae extant. Bassani iSoo. 544 v'iacresca, o Signori, che abbandonata in quest'oggi l'austera logica de' Medici, e la curiosità sempre dubbiosa degli Aualouiici, a tenzone io venga per poco sopra alcune frasi di Catullo con queiruomo eruditis- simo, e delle buone leiiere zelantissimo sostenitore. 11 Coinponinieuto XXIX pieoo di rinibroiti e di scherni fu scritto da Catullo contro un ceito JNJamurra, ch'era di\cnnto assai liceo per la li- beralità che Cesare usata avca seco lui^ e inimaginaodo il Poela che alla generosità istessa del padrone attribuir si potesse l'uso tristo che Ma- murra facea di quell; ricchezze, soggiunge poco appresso : Cinaede Rn- inule, haec videbis et feres? E parere de' Coniiiu malori, dice il cliia- rissinio Volpi, che il Poeta si rivolga con tali voci a Giulio Ce>aie, che fama non godea d'uomo pudico, se pure non voglia credersi f he Ca- tullo addirizzi il motteggio allo stesso Romolo, o a qualunque alno cit- tadino di Roma (i). Di simile interpretazione non adduce il Volpi alcuna prova, o autorevole testimonianza, quanttuique avesse lo Scaligero dinio- stralo che non potea Catullo avere [>ailalo a' Piomani Ma uetnmeno a Romolo attribuir poteasj il carattere d'uomo effeminato e molle, quale vuoisi inteso nella voce cinaedus, poiché, al dire di Macrol)io, la vita del fondatore di Roma tu un esercizio non interrotto di specchiata virtù. Rimane adunque a congetturarsi che Catullo parli a Cesare, perchè chlamavausi Romoli viri fortes alque sa.-nenles tjui aliquaiii egiegiam operam patriae nauassent, perchè Livio ci narra che Marco Furio Ca- millo fu detto Romolo e padre d'Ila Patria, e perchè Sv ctonio e Floro ci dicono essersi proposto nel Senato di Roma, che Ottaviano Augusto, fondatore dell' impero, Romolo dovesse per ric(jnoscenza appellarsi. Ai Romani però, o a Romolo, o a Cesare è a cicdersi che Catullo volesse attribuire il titolo di cinaedus considerandoli viri foiles atque sapien- tes? E non troveremmo noi piuttosto nell'unione di quelle voci una piccante ironia? 11 Mureto ci avvertì che col nome di Romolo coloro spesse volte si deridevano, che pe' vizj degeneravano da lui, come fece Persio, il quale riprende in simil modo 1 cavalieri di Roma (a/z Roinule ce^'es ? Sat. I, ver. 87 ). Ed avrebbe avuto il Mureto altre prove di ciò se avesse rammentato che l'Autore della declamazione contro Marco Tulbo usò la frase di Row.ide Arpinas, e che Sallustio nell'orazione di Marco / (1) Follasse CatuUus Romulum ipsuni, primum Bovi a no rum Re^ern^ in Dcorum numerum rclatum, aiU Remannrn iirìuni fonemi/ uè alloi/tUtur. Emilio Lepido contro il governo di Siila ha dalo il nomo di Romolo (i) a quel Diiiatore, che da Cicerone era stalo dello trium pestiferorum vitiorum, luxuriae, avaritiae, crudelitatis magister (j). Tale è la significazione che dar si potrebbe al citato verso di CaluHo; ma a me sembra che lo scherno acquisti ancora una forza maggioro, se ci piaccia di richiamare alla memoria che i Romani con adulazione stra- nissima collocarono nel Tenapio di Romolo la stallia di Cesarp, coHVpi- grafe Deo iiwiclo (5), per lo che Cicerone in due luoghi lo chiamò contubernalem Quirini (.|). Catullo adunque che di mal cuore vedea profusi simili onori a quell'uomo, che adorato come una divinità, fu chia- mato il marito di tutte le donne, e la moglie universale d'gli uomini (5), poeiicamoute lo punse caratterizzandolo un novello Romolo effcmiiialo e privo di verecondia, cinaede Roinule. 11 celebre Doering, il più recente commentatore di Catullo si accorda Lenissimo all'opinione di quelli che riconoscono in quel verso un palese oltraggio diretto a Cesare o a qualunque Romano (su di che abbiamo poco innanzi parlalo); ma egli ci fa osservare che Catullo lo distinse in qua' versi medesimi col titolo à' imperator anice, e che quindi punto nou minorò quella fama che acquistata avea col valor militare : de vir- titte bellica nihil detrahit Caesari poeta, immo ewn vocat inipe- ratorein unicum (6). Cosi parrebbe invero, se nella lode affeitata il maggior biasimo non si nascondesse, e perciò a me sembra, che il mot- teggio prosegua in que' versi, e sì aumenti co' nuovi titoli apparente- mente onorifici. Consideriamo in fatti la serie di que' versi co' quali Ca- tullo rimprovera a Cesare perchè a' ladronecci non si opponga del favorito Mamurra: Cinaede Romide, Jiaec vidcbis et feres ? Es inipudicus, et vorax et aleo. Eo ne nomine, imperator anice, Fuiiti in ultima occidentis insula. (l) Quae cuncta saefits iste Roniuìiis fjuasi externis rapta tenet. Sallusl. Edil. Comin. 1722, pag. i36. (a) De finilus Lib. Ili, § aa. (3; Dion. Lib. XLIII. (4) Episi. ud kiÙQ. Lib. XII, Ep. 45. Lib. Xn, Ep. 28. (5) Mdinoires de ìiltvrature Je VAcad. d'iti' script, et belles leltres. Tom. V, in 13, pag. 3r8 ove souo citate le arringhe di Curione che ca- ratterizzò il costume di Cesare nel modo so- pracitato. ("Ci; Catullns. Lipsiae i;83. Tom. I, pag. 89. 546 Ut ista veslra diffiiluta menlula Ducenties coinesset aiit treceiUies ? Ora chi polla imniagiuare che nelle parole imperator unice si rac- chiuda uu elogio di Cesare, e che il nome di Romolo gli sia dato dal poeta, quia virtute helLica aeque ac RomuLus de patria meruerat ? Altri il creda, se così gli piace ; ma io giiidiro che Catullo portò a Ce- sare eoa quella lodo un altro insulto, non dettalo già dalla immagina- zione o dalla malivoglicnza del poeta, ma da un fatto storico non av- vertito dagli espositori delle opere sue. È noto in falli, clic a' tempi della Repubblica Piomana quel Generale che riportata avea una qualche se- gnalala vittoria era sahiiaio da' soldati col titolo à' Imperator, >^\-nAo che egli riteneva fino al momento del suo trionfo. Giulio Cesare però con nuovo esempio volle conservare il titolo sie.sso anche dopo jl trionfo, e non credo di audar lungi dal vero, se penso che Catullo si nel luogo citalo, come nel carme LIV, rinfacciò a Cesare un'ambizione così oltrag- giosa a' R.oinaui, deridendolo acerbamente col saluto à' imperator unice, quasi voglia dire: o tu, che solo tra' Romani vuoi contro Je costumanze vantare il titolo d'imperatore. Dalla storia dunque apprendiamo le ragioni per le quali Caiullo nel- l'usare coutro Ci.sare delle rampogne, quelle voci impiegò che piìi al vivo potcan ferirlo. E da ciò appunto deesi pensare, che sì celebii a que' tempi fossero i detti versi, poiché nelle lettere che Cicerone scrisse ad Attico, narra il Romaao Oiatoie di essere stato visitato da Cesare, il quale uscito appena dal bagno audivit de Mamuria, valium non mu^ tat'it (i). Lo stesso ci narra Svelonio, e dice che i versi recitati a Ce- sare erano di Catullo, e che in essi era egli slesso preso di mira. Tacito confermò la medesima cosa, ed aggiunge, che que' versi di comune con- senso si riputavano pieni di contumeliose espressioni contro di Cesare (3). Ma lasciamo di considerare più a luogo 1 commenti del Volpi su quel- l'epigramma, e passiamo al componimento XXII dello stesso Catullo. Scrive egli a Varo, e gli rammenta la vivacità d' ingegno che avea un certo Suffeno, le belle, giocose e facete cose che udivansi da lui, e poco appresso lo compiange e Io beffa quando pensa a' suoi versi: qui modo scurra, ^ut si quid in hac re tiilius videbatur, (i) Lib. XIU, Ep. Sa. (■i) Jnnal. Uh. IV, § 34- \ 347 Idem injiceto est ìnficelior rure Simul poemata atligic. Così grande è la difdcolià clie i) Volpi incontrò nell' indovinare il si- gnilìcato della vo^e tritìus, che non ha potuto a meno di dire: ftic aqiia haeret interpretibus. JXulla valse a persuaderlo l'aiuoriià del Muieio, il quale insegna ohe tritius sia lo stesso cho un uomo avvezzo o eserci- talo in omiii genere rerum agendarum, che nel caso nostro direuimo un uomo consumato nella buffoneria. JNulla valse quella dello Scaligero, il quale sospettò soltanto che legger debbasi aut sì quid hoc retrilius, quasi che la metafora sia presa dalle vesti logorale e consunte. Nulla finalmente si apprezzò dal Volpi l'uso die fecero i latini del verbo tero, per credere che Suffeno scurra tritus sia sialo detto dal Poeta, qual uomo cioè che con i motti graziosi e con le burlette ha la destrezza più che ogni altro di trattenere la brigata lepidamente. Moltissimi sono i tratti degli Scrittori che potrei citare a questo proposito; ma siccome l'argomento stesso noi richiede, e siccome io parlo iu una società di uomini, che ben conoscono la lingua del Lazio, cosi mi basterà di ri' cordarvi pochissimi esempj che dimostrano in qual senso fu dagli anti- chi adoperata quella voce. Cuin Brundusium, scii\e Cìcevoac (^i),itergue illud, cuod tritum in Graeciam est (cioè solilo a leuersi da q uè' che vanno nella Grecia) «o;2 siiie causa vitavissem etc. ed altrove leggiamo; (juid in graeco sermone tata tritum atque celebratum est (2), ed inol- tre faciamus tractando usilatius hoc verbum ac tritius (3), e più au- cora fauno al proposito nostro quelle aures tritae, cioè avvezze con la leilura a distinguere il differente stile de' poeti (4). La brama di ritrovare un non so che di nuovo e di sorprendente nelle voci, che il Volpi procurò d'illustrare, non gli permise di seguire qutile rancide opinioni, e gli presentò alla mente un nuovo significato della parola tritus, con la quale pensa che Suffeuo a Catullo in suspi- cionem impudicitiae vocari. U io m'inganno a parlilo, o con siffatta opinione parmì pretendersi dal Volpi, che se una voce venne usata talvolta dagli Scrittori metafo- ricamente, debba essa intendersi presso lutti nello stesso modo, e me- taforizzino tutti egualmente. Perchè da Properzio e da Petronio tritus (.) Pliilip. I, § 3. (3) Acad. It, S 7. (Il Pro fljcco § 27. f4; Eiiisl. ad lamil. Lib. IX, ep. 16, 348 chiamasi l'uomo e la femmina disoaesia, impudica giudicheremo la strada o le orecchie, o la favella cui Cicerone appose lo stesso aggiunio? No cerlameiile, ed il medesimo Volpi non pensò in tal guisa là dove noi couiponimeoto LXVII Catullo disse tritum il limitare della casa, quan- tunque avesse molte buone ragioni d' interpretarne la significazione alla sua nuova maniera^ perchè e quella soglia a disonesto uomo apparteneva, e perchè ricordando il poeta in que' versi l'amichevole dimestichezza di Manlio e la comunanza de' loro amoii, delle visite fa mollo, che dalla sua bella riceveva frequentemente. Pvè ciò basta: se Suffeuo che uatural- rricnte è uno scitrra tritus diviene un uomo inficetior, senza spirito, o dolce di sale quando verseggia, non sembra che sospettar si possa in lui veruna lascivia, senz'accusare il poeta di errore nell'aggiustatezza dcl- l'aniilesi che si propose. Ed in fatti il signor Doering, che ho lodato di sopra, osserva che scurra honeslioii ilio sensu, quein priuìwn habebat, interpretandus v'uletur, come appunto abbiatno presso Cicerone che So- crate fu denominato da Zenone scurra Auicus (i), perchè di facezie dileilavasi, di motti arguti, e di pungenti ironie. Se in queste poche osservazioni sui commenti del Volpi io abbia ra- gionalo giustamente, e se principalmente col primo articolo di questa breve Memoria io abbia contribuito alla più facile intelligenza di que' versi che ho prosi ad esaminare, siano vo.stro, o Signori, il giudizio. Io sarò ben cooienio, s'jllri dell'errore m'avverta in cui fossi caduto, e cosi l' istruzione altrui ed il coltivamento degli ameni sindj da noi tutti con unite forze si accroscerà njaggiormeute, ed avranno line una volta le con» traversie degli eruditi. ■\) Df Nat. Vuoi-. Lib. I, 34- INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE IN q VESTO rOLVME Dedica a S- M. I. R. Apostolica ..... pa». la Catalogo dei Membri dell' Accademia . . . . . ,> vu Cenili Biografici degli Accademici defonti . . . . » xvh MEMORIE Jdrope-Ascìte simulante la gravidanza ec, del Prof. Valeiiano Luigi Brera . . ......... i Osservazione di un'Ulcera nell'Aorta, del Prof. Frane. Fanzago » 8 Considerazioni Medico- Pratiche sul f^ajuolo Spurio, o Ravaglio- ne, del Prof. Giuscpjie Moniesanio . . . . . » 17 Sul Nichel, Memoria del Prof Girolamo Melandri . . . » 67 Sopra una malattia di Seneca il filosofo, del Don. Gio. Maria Zecchinello . . . . . . . . . . » 56 Degli accumulamenti aerei, o gasosi del corpo umano, del Prof Conte Angelo dilla Decinja . . . . . . , » 72 Osservazioni mineralogiche sulla miniera d'Agord, del Come Nicolò da Rio . . . . . . . . . » 02 Sull'appendice f^ermiforme dell' intestino Colon, del Prof. Flo- riano Caldani . . . . . . . . . » 107 Riflessioni sull'operazione dell'Aneurisma, Memoria del Prof Marc'Antonio dalle Ore . . . . . . . » 116 Nuoro Oligo-cronometro, Memoria del Prof Ab. Salvatore dal ]Ne>^ro . . . . . . . . . . . » 127 Metafisica delle equazioni, Memoria del Conte Ab. Pietro Cessali. » i5g Osservazioni intorno alla Cometa del 1 8 1 5, del Prof. Giovanm Santini pag- 197 Sopra la Latitudine Geografica dell' Osservatorio di Padova, del Prof. Giovanni Santini . . . • • • . » 211 Sopra la pressione dell'acqua corrente per lunghi tubi, del Prof. Ab. Giuseppe Avanzini . . . . . . • » 200 Sopra una nuova Macchina ec. Memoria del Prof. Giovanni Farini. » 24g Tavole generali d'aberrazione, e nutazione ec, Memoria dell' Ab. Dolt. Francesco Beriirossi Busatta ..... » 289 Dei metodi analitico e sintetico. Memoria del Conte Ab. Prof. Franceschinis . . . • • • • • . » oi^ Sopra alcune annotazioni del Folpi alle poesie di Catullo, Osservazioni del Prof. Floriano Caldani . . r • • » ^4^ J>