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OPERE

DI

TORQUATO

TASSO

COLLE CONTROVERSIE

SULLA

GERUSALEMME

POSTE IN MIGLIORE ORDINE, RICORRETTE SULl' EDIZIONE FIORENTINA , ED ILLU- STRATE DAL PROFESSORE GIO. ROSINI .

VOLUME XVI

PISA

PRESSO NICCOLÒ CAPURRO

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LETTERE

DI

TORQUATO

TASSO

TOMO QUARTO

PISA

PRESSO NICCOLÒ CAPURRO MDCCCXXVI.

LETTERE FAMILIARI

PARTE SECONDA

CVX. Al Signor Antonio Costantini.

.1 erdoiii V. S. di grazia alla mia smemorataggine, e se io ne lio maggior fatica , non voglia ella aver minor diligenza nel ricoprirla . Nel madrigale ho duplicato il relativo che: ed avendo pensalo di con- ciare il verso, ho mandata la lettera senza ricordar- mene:

Ch^ entra nel guado oscuro ^ si può conciare:

E passa il guado oscuro; o veramente :

E tenta il guado oscuro. Nel sonetto al Signor Fabio, dove dice vostra virth,, si può riporre in quella vece: il tuo valore. Ho ve- duto il sonetto di V. S. sovra 1' Indulgenze, che non poteva esser meglio , più felicemente spiegato, si può abbastanza lodare; ben è vero, che non mi fi- nisce di piacere quel verso :

E si vergogni chi gli aduna,, e serra; però quando ella se ne soddisfaccia, lo muterei in questo modo:

Che Scorno n ha chi gli aduna j e serra; o ver.imcntf :

Che n' ha disìior chi gli aduna, e serra; o piuttosto:

E non se n vanti chi gli aduna , e serra: non parendo bene che Toflesa vada a ferir tutti co-

l^ LETTERE

loro , che tesaurizzano , perchè alcuni potrebbono metter danari da parte con buona intenzione, fra i quai ragionevolmente si dee stimare, che sia Sua Santità : ma forse è avvenuto a V. S. come suole a me hent;' spesso , che per inavvertenza, o piuttosto smemorataggine do in simili incontri; ma chiamo in testimonio Iddio , che mai ho desiderio, pensiero ài vendetta, perchè io nelle lodi sono assai sempli- ce, e molto mi guardo di non olFendere il lodato: benché io cercassi che la lode fosse non solo am- maestramento, ma accrescimento della virtù, non posso nondimeno negare, che io mi doglio oltramisu- ra di essere stato tanto disprezzato dal mondo, quan- to non è altro scrittore di questo secolo . Laddove io credeva che la mia virtù, qualunque ella sia, do- vesse ricevere qualche premio, e qualche grazia dal- la giustizia, e dalla liberalità de' Principi, dopo tan- te pene e tante disgrazie , che molti anni mi hanno tenuto infelice ; ma questo dolore, a cui niun altro s'agguaglia, dee tenersi occulto quanto si può: però prego V. S. che non ne parli, e non lasci vedere que- sta lettera ad alcuno: e le bacio la mano . Da Roma, il primo di Dicembre del 1589.

GXVI. ^l medciiino.

Ln negligenza di M. Gasp arre avrà fatto parer me parimente, oltre il mio solito, negligente, o più del solito, per meglio dire: aspetto ancora che egli ven- ga per la lettera, che io avea apparecchiata , sino a quest'ordinario passato, col sonetto di V. S. che ho letto con mollo piai'cre, e lo rimando limalo colla mia , al sicuro più grossa della sua ben sottile e delicata limale se io in (juei due luoghi ritocchi 1 avessi pluUosio sconcio, che aceoucio , ne incolpi il suo proprio desiderio, non la mia ubbidienza.

t,t:ttf. RE 5

che se le farà sempre coaoscere prontissima in tutte le cose , che mi comanderà. Scrivo di nuovo al Si- gnor Fabio, dubitando che 1' ultima mia risposta non abbia per ancora avuto ricapito, e le mando un altro sonetto . Delle pellicce promessemi con qual- che condizione io avrei avuto bisogno in tutti i mo- di-, benché non l'avrei accettale se non per libero dono , o con certezza di essere atto a servire: sin ora sono tanto male acconcio alla servitù, quanto al viaggio. Non sarò più lungo, ma ricordo a \ostra Signoria il mio bisogno, e la sua cortesia . Da Santa Maria Nuova in Roma , il 4 di Dicembre del 1 589.

CX\ II. Al medesimo .

Vostra Signoria avrà fin'ora avuto molte mie lette- re , ed alcuni sonetti. Aspetto risposta della ricevu- ta almeno, e qualche deliberazione intorno al nego- zio delle stampe, acciocché non si prolunghi colla mia venuta : se dall' infermità , o da altro accidente io fossi costretto a tardare, è necessario qualche mez- zo ; e nel mio venire avrei avuto bisogno di compa- gnia^ e mi sarebbe stato caro ogni avviso della deli- berazione di Sua Altezza, e particolarmente dove pensava d' alloggiarmi , e se io doveva mandare i li- bri avanti, come è opinione di alcuno. Scrivo a V. S. un sonetto: so che é picciola cosa rispetto al suo gran merito ; ma ella dee nondimeno riceverlo, co- me d'amico affezionatissimo , e bisognosissimo del .suo ajuto in tutte le cose ^ ma particolarmente in questo negozio : e le bacio la mano , come faccio al Signor Fabio riverentemente . Da Roma , il 7 di Di- cembre del 1 589.

6 XETTERl»

Son vostre lodij AntoniOj, e degni pregi Puro slilj pura lingua ^ e puro core_. Che solo è di virtù, tempio j e d^ onore ^ Qiial non drizzaro i peregrini egregi.

E di fama immortai corone,, e fregi

Far voi potete al vostro ^ e mio Signore^ Degnissime non pur^ di' ei v^ onore ^ Ma d^ esser caro a' pili sublimi Regi.

Dogliomi solj che la mia pena accresca La vostra laude, e nel vergar le carte La stanca penna al jin la scemi intanto.

Ma fate voi, cK al mondo ornai n incresca j E gloria avrete di nobir arte. Pago de^ vostri merli j e d^altrui vanto.

ex Vili- Al medesimo.

Son forzato a scriver di nuovo al Signor Fabio , e a dare a V. S. nuova noja per lo ricapito deirinchiu- sa, la quale desidero che sia data in mano propria di Sua Signoria Illustrissima, e però qnanto più pos- so la prego a presentarla. Ne' miei Dialoghi, e nei Discorsi mi ricorderò della nostra amicizia, della sua virtù , e del mio debito. Non vorrei in modo al- cuno che II mondo sapesse tanti obblighi , che ten- go alla sua cortesia, acciocché tanto più stimasse che tutto il mio debito con lei deriva dalla sola vir- tù sua. Fra molti miei scritti n'ho alcuni più im- portanti, che hanno bisogno di esser ricuperati , e non so chi voglia farmi questo servigio. Laonde j)iù facilmente mi risolvo al venire^ ma aspetto lettere del Signor Fabio, e grazia da Nostro Signore di poter montare a cavallo senza tanto male. V. S. mi conser- vi nella sua, e viva felice. Da Roma, il 9 di Dicem- bre dell j8 9.

L E T T t; n F 7

CXIX. Al medesimo .

Le lettere del Signor Fabio e di V. S. ;, bencliè mi abbiano trovalo colla mia febbre , e colla mia irre- soluzione, mi hanno fatto nondimeno risolvere al venire, pur che io possa. Non mando il Dialogo per quest' ordinario , non avendolo ancora rivisto , penso di farlo stampare, perché questo sarebbe un privarmi della speranza di farli stampar tutti insie- me ; ma se il mondo non può esser contento, se non col farmi sempre qualche nuovo dispiacere in questa materia, io non ci posso provvedere. Al Serenissimo Signor Duca di Mantova, se non mi manca la vita , potrò presentare o questa, o altre composizioni. Frattanto avrei desiderato ildono,c]ie Sua Altezza mi avea fatto promettere avanti le feste , col mezzo di V.S.,[)erché sarebbe venuto a tempo per li miei bisogni; e mi spiace di non avere avviso degli altri sonetti mandati a V. S., particolarmente di quelli che mi dimandava . Il Signor Claudio Angelini, suo zio, in questa occasione poteva ajutarmi assai; ma io non gli posso esser più importuno di quello , che io sia stato per 1' addietro. Potrebbe ella racconiandarme- gli di nuovo, acciocché io non abbia a vergognarmi di ricorrere spesso ai suoi favori, ora che egli tan- to può in Vaticano: e bacio a V. S. la mano. Da Roma, il 22 di Dicembre del 1589.

CXX. Al medesimo.

Io aspettava avanti le feste qualche effetto, confor- me alh^ promesse di V. S., acciocché io possa conler- marmi nelle speranze datemi dalla benignità del Se- renissimo Signor Duca, che son quelle appunto clie io scrissi alla Signora Duchessa . Quella lettera fu

8 L T- T T F, R F.

piiucipìo di questo uegozio, nel quale io sono am- malato gravemente, e con tanta poca speranza di vi- ta ^ quanto mostrerà il fine, se non ho presto ajuto. Laonde non so, come possa fare alcuna certa delibe- razione o del mio venire, o del fermarmi insiijo a tanto, che io fossi libero della febbre , perche fer- mandomi in parte , dove io non conoscessi il favore di Sua Altezza, non sarebbe in mio potere ii vciiire a Mantova, come desidero. Al Signor Fabio illu- strissimo bacio la mano, e quanto \)ì\i posso mi rac- comando ali intercessione di V.S., mentre vo di ma- le in peggio. Da Roma, il 26 di Dicembre del 1 j8ì).

GXXl. vài medesimo .

Se tardi mando il madrigale , tante volte promes- so, niuno meglio di V. S. a cui son note le mie in- fermità, e l'altre cagioni che mi rendono inabile a tutte le operazioni, può scusare questa tardanza. Dovea esser mandato colle mìe ultime lettere; ma non fu possibile , perchè in modo alcuno io non po- tei quel giorno uscire un altra volta di casa. Questo esco con grande ed incredibile incomodità, perchè tutta questa notte passata, e 1' antecedente ancora, ho avuta la febbre più che mediocre, fspcro che 1 ma- drigale non spiacerà a Sua Alirzza, a V. S. che è più severo giudice-, perciocché in materia sacra , mi pare aver detto , con picciola composizione, cose da non spiacerc . Di me non posso dir altro, se non che tutte le mie deliberazioni sono sospese per 1' in- fermità , alla quale vedendo io mancare tutti quegli ajuti umani, che con tante speranze e da tante par- ti mi venivano ollèrti, se la grazia di Dio non prov- vede con miglior modo, la mia vita inf(;licissiim, al sicuro, è al suo line. V. S. viva lieta. Da Roma, il :W l)i(enibre d(;l 1389.

T. F T T !■ Il F 9

Sacraj e mirahil onda Dove natOj rinasce Nobilissimo fis,lio in ricche fasce: Chi V Acidalio fonie j O di Ninfe j o di Muse ampio las'ucro j^gguaglia a questo sacro ? O chi f.a_, che racconte Pili d" altre maraviglie antiche ^ e conte? Questa è sol ^^era grazia^ e maraviglia^ Cui nulV altra somiglia Tuffarsi nel sepolcro, e torsi a morte ^ E dell' eterna vita entrar le porte .

CXXII. Al medesimo .

Dal Reverendo Padre Don Niccolò degli Oddi , ultimamente mi fu data una lettera di V. S.: non so per qual mezzo fosse mandata. In risposta non solo della lettera, ma della poscritta , le dico che da un tempo in qua io ho fatto sempre parte a V. S. di tut- ti i miei componimenti: non ha molto, che gli man- dai alcuni sonetti , ed ultimamente il madrigale nel Battesimo del terzogenito di Sua Altezza. Del mio venire son risolutissimo-, ma venendo presto, come V, S. consiglia, ho bisogno di lettiga ; parten- domi tardi, l'alloggiamento, col favore del Serenis- simo Signor Duca, dove parrà più a Sua Altezza: nell'uno e nelT altro caso mi raccomando a V. S. , e per sua opera all' Illustrissimo Signor Fabio , suo e mio Signore: e le bacio la mano, pregandola che mi consigli con gli e fletti . Da Roma, il 6 di Genna- io del 1590.

V. S. mi raccomandi con ogni caldezza al Padre Don Gregorio Comanini, ed alla sua teologia, per la quale mi doveva esser più agevole ritornare a Man- tova , e l'andare in ciascuna altra parte-, ma io deli-

IO LFTTERr:

boro di tornare in tuitì i modi , se qualclie nuovo inipcdimcaio non mi distorna da (questa mia ferma deliberazione .

CXXIII. ^l medesimo .

All'ultima lettera di V. S. ho già risposto: perebè ogni tardanza può nuocere tanto alla mia salute, quanto diminuire l'opinione, che si dee avere della cortesia di colesti Signori , e particolarmente del Si- gnor Fabio, almeno insino a tanto che ogni mia speranza dipende principalmente dalla liberalità del Serenissimo Siguor Duca: rispondo nondimeno a V. S. di nuovo, che non essendo cessata hi mia febbre , qualunque ella sia, il presto ritorno ha bisogno di lettiga, e di ogni altra comodità promessami : il tar- do, di stanza , nella quale io possa aspettare la gra- zia del Signor i3uca, coH'ajuto de' medici^ e venire a ritrovarlo sano, se la sanità può essermi restituita per arte umana, o i)er ajuto divino, lo l'avrei desi- derata in casa dell' Illustrissimo Signor Cardinale Scipione; ma non ho quella grazia con Sua Signoria llhistrissima, che io soleva; coll'altro Cardinale non ebbi mai molto domestica servitù; ed avrei bisogno di più calda raccomandazione, e di più efricace col Vescovo, 0 con altri sarebbe necessario il medesimo ofìTicio . Io raccomando a V. S. ed al suo Signore 1^ mia vita , ora che sono al colmo delle miserie. 1^] de- bito del vero amico porgere all'amico ajuto, e soc- corso : sicché vedrò quanto il mio Signor Costantino mi ami ; non potendo superar queste dilTicoltà per mio ing(;gno , e molto meno per mia f()rza, le (piali appena possono essere su[)erate ihiH' autorità del Si- gnor Duca Serenissimo, e dalla cortesia di cotesti Signori . Piaccia al Signore Iddio che io possa ral- legrarmi della sanila ricuperata j senza la (|ualc non

L F T T K Pv E II

SO di quale altra cosa potessi mostrarmi lieto : ba- cio a V. S. la mano. Santa Maria Nuova in Roma, il 12 di Gennajodel 1590.

Io non posso acquietarmi nel desiderio de' libri : ne vo comprando alcuno di quelli cbe mi ba tolti la fortuna, stiimndo egual perdita , se io gli perdes- si, con quella della vita. V. S. mi farebbe favore a procurare da Venezia il privilegio , e farci ricercare il metodo del Bodino col giudicio di Dionigi i^licar- nasseo sovra Tucidide, co' Dialoghi del Patrizio, e del Viperauo, e d'altri, che trattano dell'istoria, che sono stampati insieme iu Basilea. Di moneta ho gran bisogno, però la prego che la deliberazione sia presta, o piuttosto l'esecuzione, se hanno deli- berato che io ritorni .

GXXIV. Al medesimo .

Io avrei voluto che nella grazia del Serenissimo Signor Duca fosser contenute tutte quelle, che Sua Altezza medesima avesse potuto impetrarmi o per mia quiete, 0 per sua cortesia, fra le quali senza dubbio era quella di questi Illustrissimi Signori del- la sua casa^ acciocché, innanzi alla mia partita, io conoscessi qualche effetto della sua benignità-, ma mi consolo con quella sentenza :

Tarde non furon mai s^rnzie divine . Tarde veramente ho riputate tutte le risposte di V. S. , perchè io nel rispondere sono stato diligentissi- mo; benché nelle deliberazioni sia stato assai tardo, ed impedito nell'esecuzioni. La compagnia di V. S. mi sarebbe stata carissima in ogni parte, non solo in Mantova^ e 1' ajuto necessario. ^li doglio che le promesse riescano fallaci 5 perché la comodità della lettiga importava qualche cosa alla riputazione , e

T2 T, rTTFTlK

molto alla salute^ altriraente sarò disprezzato da tut- ti coloro, che giudicheranno che io sia disprezzalo da Sua Altezza. Almeno in questo mezzo avessi a- vuto comodo alloggiamento da riposare^ e direi di risanare, se volessi ritardar più lungamente questo viaggio, al quale son consigliato dagli altri ^ ma più persuaso dalla mia divozione verso di Sua Altezza, e di tutta cotesta Serenissima Casa . V. S. baci le mani in mio nome al suo, e mio Signore, e mi tenga in sua grazia. Da Roma, il 12 di Gennajo del 159Q.

Sappia V. S. che io sono sprovvisto di tutte le co- se necessarie per venire, o per fermarmi.

GXXV. Al medesimo.

Kingrazio V. S. di tutte le risposte, che mi dà, e di tutte le speranze : degli effetti non posso ancora ringraziarla. M. Gasparre non ha voluto pagarmi i tre ducati, darmene uno, che mi doveva pagare seiiza dubbio , benché gli altri due ancora si ritenga senza buona coscienza : io ho rotto seco; ed avendo pagato il porto della lettera, son rlmaso senza mone- ta: ma poco importa. Più mi aggrava l'infermità, e r irresoluzione del viaggio . Dovevano mandarmi questi benedetti danari da vestirmi , senza dubitare che io gli spendessi nel viaggio di Napoli*, perchè sarebbe stato maggior riputazione di chi ne ha la cura, che danno. Io sono ancora colla mia febbre, e co' panni mezzi stracciali: ninna cosa più deside- ro, che di vivere in parte dove la cortesia vostra e l'amorevolezza possa giovarmi , o consolarmi alme- no. Non vogliate. Signor Antonio mio , che io sia ingannato nella salute; quando pure alcuna delle al- tre mie speranze, o delle altrui promesse fosse falla- ce : e vi bacio la mano , pregandovi che preghiate

T. F T T r r F ì ^

Iddio per me_, e sollecitiate V ordine del vestimento : potrete toccare una parola della lettiga , la quale sa- rebbe ancora a tempo: e vivete lieto. Da Roma, il 22 di Gennajo del 1590.

CXXYI. ^l medesimo.

Mi spiace ogni fatica durata invano , ma più ogni beatitudine invano sperata. Mando nondimeno al- cuni pochi versi da presentare a Sua Altezza, accioc- ché non paja che io medesimo sia cagione del mio male, o della vanità delle mie speranze. Sperai di esser simile a Virgilio nella fortuna, piuttosto che ad Ovidio, o ad Omero ; benché l'uno troppo vedes- se, e r altro poco: se io nelle poesie ho imitato al- cuno degli altri , non é gran colpa . Vorrei che la lettiga, la quale ha da essere apparecchiata per me, fosse simile ad una di quelle macchine ingegnose di cotesto teatro , che fanno talora calar le tavole appa- recchiate da cielo in terra. Non più: A V. S. mi rac- comando con ogni efficacia -, le scrivo cosa alcu- na del Ruspa , per non mettermi la spada , avendo io poste, già gran tempo fa, l'arme da banda. V. S. viva felice. Da Roma, il 30 di Gennajo del 1590.

CXXVII. jél medesimo .

Gran cosa è questa, che il Ruspa faccia poca stima delle vostre commissioni, e delle mie preghie- re; ma io gli ho parlato in modo, che se non ha di- screzione, dovrebbe aver vergogna; laonde le parole furon molte, per le quali se non ho qualche bravo Mantovano, che mi difenda, non mi par di esser ben sicuro: dell'altre cose V. Signoria se ne infor- mi, e la prego a non comportare che sia burlata la mia iufelicilà; e così infelice, come sono, ho voluto mandarle ciò che desidera , acciocché col-

l4 L r T T F ?. E

l'esempio mio, V. Signoria e cotesti Signori Im- pr>rino come si debbon consolare quei, clic si ama- no. Dalla venuta di quel nostro comune amico do- vrei sperare almeno tanto favore, che io potessi ri- schiarar la vista . Tutti i desiderj miei sarebhon va- ni, se io non potessi attendere a' mici studj : quod Deus avcrtat. Non so quel che debba avvenire di questo negozio simile al gomitolo di molte fila-, ma in tutti i casi non avendo io altro che ottima inten- zione, dovrei essere esaudito da Sua Altezza. Bacio a V. S. la mano, e la prego a ribaciarla, e rendere i saluti in mio nome aUlllustrlssimo Sig. Fabio, suo e mio Signore. Da Roma, li 8 Febbrajo del 1590.

GXXVIIl, Al medes

imo .

È venuto M. Giorgio Alario, e m'ha trovato in Roma , infelice, come io soglio: posso negare a V. S. la verità, che io mi sarei prima avviato, se prima avessi avuta comodità-, ma non ho potuto, posso pormi in viaggio . Bisogna che mi spedisca- no, se vofrllauo che io ven<>a a Mantova colla co- modità de' cento scudi, che V. S. mi scrive, altri- meule io non so come fare; e benché io sia ancora

Ammalato, la dilazione nasce daoli altri. L'aspettare

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il buon tempo non si può: lo schivare il disagio, è buon consiglio, ma difficile da porlo in esecuzione. Per conchiusione io non avrei presi questi cento scudi, se non avessi deliberato di venire a Manto- va: ma io non posso superare gl'impedimenti, che ho al fermarmi, non pur quelli de] venire, che son maggiori, se altri non m'ajuta: e dovendo risolver- mi senza rajuto altrui, che farò, se venir posso, debbo rimanere? Da M. Gasparre non ho avuto i tre scudi, che mi sarebbono stati necessarj in mil- le cosucce , non mi essendo prima sborsati i cento .

L E T T K R 1' T >

V. S. si conlenti dar V inchinsa al Signor Fabio, e mi tenga iiì sua grazia, acciocché egli si storzi di tenermi in quella del Serenissimo Slg. Duca ; poiché ogni mio sforzo è vano, o di debolissimo eiletto. Delle stanze il ringrazio, e non potendovi trovar contentezza, vorrei almeno trovarvi onoiata quiete: e bacio a V. S. la mauo. Da Roma, il 20 Febbrajo del 1590.

CXXIX. Jl medesimo .

Del mio stato ^e della mia infermità V. S. potrà avere informazione dagli altri , e della cagione si- milmente: io posso scriverle quella del non venire, e del ritardar la venuta, che è stata, oltre il male, la povertà, non potendo vestirmi del mio, por- mi in viaggio mal vestito. La lettiga non mi era ne- gata-, ma desiderava miglior compagnia, e più si- curo viaggio, e più certe promesse . Non so chi ac- cusare. Se non volete, che incolpi la vostra fede, la quale so che non merita di essere incolpata , incol- però la mia, per la quale troppo mi fido degli ami- ci, e de' padroni; o piuttosto la perfidia di chi s'in- terpone fra la grazia de' Principi , e la mia suppli- chevole )iecessità. Al Serenissltno Signor Duca non scrivo di nuovo, al Signor Fabio del mio venire, come più irresoluto che mai fossi. Prego Iddio, e gli amici che mi consigliano, a pigliar la via della salute. La nostra amicizia dovrebbe obbligarvi alla pubblicazione delle mie composizioni , benché io ri- manessi in Ptoma. Bacerò la mano al Slg. Cardinale del Mondevì. Vivete lieto. Da Roma, il 16 di Feb^ brajo del 1 590.

CXXX. ^l medesima.

Io non mancai ad alcun altro in alcuna occasione più che a me stesso e mi doglio , che la mia forlu- Ltu. T. ir.

l6 LETTERE

na mi costringa qualche volta a non potere osserva- re quanto io prometto. La mia parola dovrebbe es- ser da Re, come è l'animo: al Serenissimo Sig. Du- ca di Mantova io non promisi cosa alcuna , che io non avessi osservato intieramente, s'egli avesse vo- luto che io potessi osservarla. Questa del mio ve- nire è slata promessa a V. S. ed al Signor Fabio, più che a Sua Altezza: però l'uno, e l'altro dovrebbe avere il medesimo obbligo di fare quanto scrivono, se il Sig. Duca non volesse esaudirmi delle grazie, che io pensava di chiederle . Non le spero per servi- zio fatto , o da fare^ ma per sua benignità. Delle o- pere mie, non volendo il Signor Duca di Mantova prenderne una graziosa protezione, nel mio venir costà pensava di dedicarne le prime parli al Gran Duca di Toscana: e non potendo con questa condi- zione avere il privilegio da'Signori Veneziani, avrei deliberato di stamparle in Basilea. Io sono infermo più che mai fossi, e tanto mal vestito, che mi ver- gogno della mia miseria: non posso spender del mio, non avendo alcuno ajuto dal Regno di Napoli, o da altra parte. Dovevano il Signor Giorgio , o questi altri Signori darmi almeno trenta scudi da pagare i miei debiti, e da comprar qualche cosa necessaria per viaggio, e farmi le spese fino a Mantova, o farci piuttosto, che io sarei venuto. Fanno difficol- tà ne' miei libri, i quali avrei per la maggior parte fatti condur dapoi ^ perchè s' io fossi stato costretto al ritorno, mi rincresceva di far questa spesa soper- chia, e non poteva farla. Bacio a V. S. la mano, pregandola che non voglia avere maggior interesse di quel, che io abbia sincerità: e viva lieta. Da Ro- ma, 11 primo di Marzo del 1 j90.

L E T T F ÌT Iv 17

GXXX. Al medesimo .

Piacesse a Dio che io potessi pubblicare tuUe le lettere e vostre, e del Signor Fabio, e mie; accioc- cliè dopo tante mie tribolazioni avessi questa con- solazione di poter manifestare al mondo , chi di noi fosse 1' ingiuriato, o chi l'offeso, o chi avcise ragione di dolersi. Io non ebbi mai pro[)onì\neiitr» di fare ingiuria al Signor Fabio, ma sem|.re di ono- rarlo colla penna, e colle parole quanto io poteva . Se dissi alcuna parola nel tempo della mia lunga prigionia, che potesse dar sospetto della mia inten- zione, non me ne ricordo: e sarebbe stato ottimo consiglio seguir quello degli Ateniesi, deiroblivione dell' ingiurie-, ma esaminando la mia coscienza , so- no assai sicuro, che ogni mio pensiero era piuttosto di salvar me stesso, che d'ingiviriare alcuno, quan- tunque di bassa condizione. Quanto meno avrei pen- sato di offendere uomo di alto affare , come è il Si- gnor Fabio , o di nimicarmi una nobilissima Gasa, un gentilissimo Cavaliero , nn cortesissimo Signore. Credami dunque V. S. che se nella lingua, o nei detti fu alcuno errore, non fu nella mente, non fu nell'animo: non fu ne' più intrinseci affetti alcuna colpa, o alcuna malizia-, perchè io faceva aperta pro- fessione di essere amico, e servitore della Casa Gon- zaga, e nemico de' nemici ; a' quali fui costretto conceder molte cose e vere, e false, e comandate, ed accennate, e lecite, ed illecite, ed onorate, e vergo- gnose . Mi pento di esser vivo con queste condizio- ni, ma posso piuttosto riprender l'errore, che emen- darlo. Il Signor Fabio poteva consolarmi, e non ha voluto farlo; se pretende, che io di nuovo abbia da- ta o a lui, o agli amici alcuna occasione o di gasti- go, o di ammonizione, è in molto errore -^ perchè

l8 I. i: T T E R K

io, col pregarlo di cose oneste, non oficndo alcntio, clie stimi che a lui si convenga il far le cose ono- rate. Mi doglio che non mi sia osservata cosa, clie mi si prometta. V. S. sa quello che particolarmente aveva promesso a lei. lo poteva contentarmi delle parole universali , se avessi veduto alcuno efTetto conforme: tutti sono stati contrarj. Laonde poteva argomentare, anzi far certa conchiusione , che in Mantova mi fosse avvenuto il medesimo: e per di- chiararmi, se voleva che il Sig. Duca di Mantova mi desse la sua tavola , doveva scrivere al Sig. Car- dinale Scipione, die prima mi desse la sua medesi- ma, e mi trattasse o come gentiluomo del Sig. Duca, ricevuto in questo grado, o almeno come amico suo injprmo di molti anni , come egli sa; ma non tavola ha v(sluto darmi, non letto, non camera, non servi- tù, conhrjne al mio merito, ed alla sua antica cor- tesia, la ijiiale doveva bastar seuz altra cagione, e non esser minore, perchè nel Cardinale sia cresciu-- ta autorità, e dignità; in me mancata la fortuna, ed ogni altro bene. In somma io mi reputo ingiuriato dal Signor Fabio, di non essere stalo trattato dal Sig. Cardinale, come la sua persona medesima, a- vendomi il Signor Fabio ciò promesso per sue lette- re. Se vorrà emendar questo errore, farà quello che si conviene a Cavaliere, il qual non dee adoperarla spada o altro, che possa dar morte, contra un gen- tiluomo infermo e disarmato, come sono io . Egli abbonda di ricchezze, di amicizie, di favori: io soa j)Overo di tutte queste cose; ma spero in Dio, che non mi mancherà canij)i<)ne per .questa querela . Que- sto sarebbe olìicio degno del suo valore, il quale do- vrebbe esser conoinnlo con tanta nobiltà di sauiiue, p con tanto favor di fortniìa. Altra lettera in giusti- ficazione non penso di scrivere; ma scrivendola, fa- rà cosa degna di Cavaliero, non ingamiaudo chi si

L T- T T F R E '9

fida molto nelle parole altrui , pereliè nulla diffida della propria innocenza: e bacio a Y. S. la mano. Da Roma , il 9 di Marzo del lóyO.

CXXXI. Al medesimo .

lo aveva fatto fermo proponimento di non scrive- re altra lettera in mia giustificazione al Signor Fa- Lio; ma ho poi pensalo, che sia più accertato di non tralasciare quest'officio. Scrivo dunque a Sua Si- gnoria illustrissima giustificandomi ; ma forse la let- tera ha passati i termini della giustificazione . Merito nondimeno perdono, perchè se non avessi avuto ar- dire di scriverli di Roma liberamente , in Mantova non avrei usato di ragionare. Mi doglio che V. S. partecipi della disgrazia , nella quale lo vivo ; per- chè piuttosto era ragionevole che partlclpasse delia sua grazia; ma dee sapere, che il servar la fede nel- la felicità, non è cosa punto malagevole, o faticosa; ma l'esser costante nella calamità degli amici, è vir- tù degna di memoria eterna, e di gloria immorta- le. Io non posso prometterla co' miei scritti; ma il mondo non dovrebbe esser tanto nemico della veri- tà : e bacio a Y. S. la mano. Da Roma, il 9 Marzo del 1 j90 .

CXXXII. Al medesimo .

Molto mi maravlgllerei che mi fosse data non solamente la colpa, ma la pena degli altrui peccati, se questa non fosse mia solita felicità, e di molti anni . Così ha permesso Iddio, che sia esercitata la mia pazienza, che non potrebbe esser maggiore, se non tacendo; risponderò nondimeno brevemente al- l'ultima vostra lettera. Io non ho commesso errore in non venire, perchè io non ho potuto: doveva credere che il Signor Fabio si contentasse del mio

20 L T: T T r- R E

Veiìire, non facendomi alcun favore, giovandomi in alcuna cosa colle sue raccomandazioni. Bastereb- be l' infermità ad escusarmi per solamente; ma oltre l'infermità, ho le sue lettere e le vostre, nelle quali mi consigliavate ad aspettare il buon tempo : ancora è pessimo. Oltracciò, che importava aver mandati i cento scudi, se io non ne poteva avei'C un giulio, per comprarmi un pajo di guanti? Non vol- lero in conclusione vestirmi, dicendomi che sarei vestito in Mantova. Ed a me non pareva convenien- te venire così male in arnese, e passar per Tosca- na, o per altre parti con tanto disfavore: e non po- teva aver più certo argomento di questo, che il Si- gnor Fabio non volesse avere alcun obbligo di os- servare la parola. Dal Signor Duca non aveva rispo- sta; TAlario mi dava piuttosto licenza, che libertà ; però me ne rimasi: mi curo di venire contra vo- glia del Signor Duca a baciarli la mano, non poten- do far questa spesa del mio ; ma non posso tollerare di essere in tante guise ingiuriato, senza richiamar- mene . Se V. S. s' informasse, o volesse essere infor- mato di tutte le cose minutamente, s' avvederebbe <^ie era meglio non entrare in questa pratica. Iddio sa quanto si è accresciuta la mia infelicità senza mia colpa , se non è colpa il fidarsi di coloro , che fanno professione di amici . Il Signor Fabio mi ha conosciuto altre volte in Roma, non solo in Manto- va; ma non cos'i addenti o, come poteva. Io di lui porto quella opinione, che pare a Y. S.; però mi do- glio die egli sia placato, quasi egli si reputi offe- xo . piuttosto avrei voluto ciu; egli non si riputasse ingiuria, che io avessi suppiicato il Signor Duca per suo, e per vostro mezzo, che mi facesse ordinario gentiluomo della sua tavola. Pensava, se questo ne- gozio andava più in lungo, eiie mi facesse suo Am- basciatore residente in Roma; e scrivesse lettere in

LETTEEE al

mìa raccomandazione a Sua Santità, ed al Sagro Col- legio; ma sia finita questa pratica, quando a V. S. pare, o al Signor Duca medesinao. Dell'opere mie vorrei, che V. S. si prendesse la cura; ma io non penso dirizzar le rime , se non a Principi , non a- vendo amici : de' Principi non son risoluto, non sa- pendo l'intrinseco di alcuno; però ascolterei volen- tieri il parere di V. S. I due scudi , che ella dice mandarmi , non so a chi chiederli , se non al fortu- natissimo Alario, il qual non mi fé' pagar gli altri. Oggi mi sento tanto male , ohe non mi il cuore di lodare alcuno, di applicar l'animo a ninna sorte di componimento; e [)cvb mi scusi , se per ora lascio da parte i personaggi, che mi ricorda: altis- simi soggetti veramente, e degni di altissimo stile. Quest'altra settimana V. S. , giusta mia possa, fie compiaciuto . Baciale le mani al Signor Fabio, e sup- plicatelo che non voglia adirarsi con gì' infelici , l'amicizia de' quali non poteva esser più giovevole, di maggior trastullo. Da Roma, il 16 Marzo del 1590.

Al Signor Fabio scrissi una lettera di giustifica- zione, la quale non è necessaria, se Sua Signoria vorrà sapere come sian passate le cose .

GXXXIII. y// medesimo.

Questa sera, essendo in traificlii per andare a Fio- renza, ho ricevuto lettere del Signor Fabio , e di V. S. x\lle sue risponderò più a bell'agio, a quelle di V. S. rispondo brevemente , ne senza alquanto di febbre . De' due sonetti , che io pensava di fare , uno ho già mandato, l'altro voleva mandar questa sera senza fallo; ma ^1 negozio di Fiorenza l'ha impedi- to . y. S, l'avrà per la prima occasione o ordinaria ,

22 T. F. T T È R E

o Straordinaria. Avrei saputo volentieri, se questa Signora è ancora compagna della Gran Duchessa. Del mio venire a Mantova , che posso io promette- re ? se non pende dal mio volere alcuna mia delibe- razione. Sara mai, eh io possa dire, o me felice I, a- vendo ricuperala la grazia dil Gran Duca , e del Si- gnor Duca di Mantova, e quella del Duca di Ferra- ra, mio aulico padrone? Che triumvirato sarebbe questo, clie mi potrebbe liberare dal Regno dell'A- mazzoni , o d altro si fatto ! Io mi raccomando : pre- gate tutti per la mia salule. Stupisco che le campa- ne non comiucino a sonare per miracolo: V. S. mi risolva nel negozio delle stampe . Ho fatta una ope- retta : Della 'virth dei Jìomani j, contradicendo a Plutarco: e mi sono tanto compiaciuto di questa mia nuova fattura , e tanto insuperbito , che mi pa- re di esser parente, più che del Signore Scipion Gon- zaga , dell' Affricano divino^ laonde usurpo quelle parole: Ingrata patria non hahehis ossa niea . Se il Signor Fabio ha deliberato, che io miioja in Baja , dica, che io sarò risanato, perchè a ninna cosa pen- so più . O Santa Barbara, o Sani' Orsola con tutta la compagnia: o Santi, o Sante, che siete nelle Lita- nie, e nel Gulendario : o Patriarchi , o Profeti : o An- geli , ed Arcangeli , duiujue debbo morire , senza a- vere avuta la promessa grazia i' S'è per s.ilutc dell'a- nima, sia lodato Iddio, ma non alcun uomo del moudo; perchè io mi pentodi tutte le ludi antiche, e nuove; date, e da dare: false , e vere: pagate, e non pagate: almeno con quelle del Gran Duca pos- so pensare alle cassette di Simonide. Io ho lo studio- lino, ma nou è possibile portarlo sopra la schiena sino a !*ietoie : le cassette si porterebbono più per di leggieri . A Monsignor Segno bacio la mano : penso di scriverli un giorno un pajo di sonetti. Procurate la mia grazia, perchè ninna operazione è

I, F. T T !: R E 2^

più conveniente ad amico , od a Cristiano : e se lo non sono degno di albergare in Piti , o Marmiruo- lo , pregate Pielole, che non mi scacci: e ringrazia- te il Signor Fabio della volontà, perche sin' ora noa posso ringraziarlo d' efl'etto alcuno, \engo dispera- to per non potere, come dicono i Veneziani, far trarre il Signore Cardinale Scipione : ha mille galan- terie-, non me ne donerebbe pur una. Ma che? doni il mio , eh' io son contento: mia è la vita : ho errato: è sua^ donimi dunque almeno in questa parte quel che è suo: e bacio a V. S. T elegantissima mano. Da Roma, il 23 di Marzo deH590.

CXXXIV. Al medesimo .

Vostra Signoria non si maravigli , se non mando r altro sonetto promesso , perchè non ho voluto far- lo cosi alla cieca , per non dare in qualche sproposi- to. £ però necessario, per non inciampare, che io sia guidato da un' ampia informazione delle qualità della Dama da lodarsi , e particolarmenie V. S. mi dica , se sia bella, o brutta : giovane , o vecchia-, in Italia, 0 fuori: perchè insomma non sapendo di che lodarla, come, non veggio di poter fare cosa buona . I due scudi sin' ora non ho avuti dal Signor Giorgio : e più mi doglio , che con questa pratica ho perduti molti libri di mie scritture: e benché egli prometta di farmeli ricuperare, non ne veggio il li- ne: almeno in questa parte mi dovrebbono giovare le vostre raccomandazioni , e del Sig. Fabio . Io pen- so di non perdere, questa primavera, l'occasione di andare a' bagni : e senza la pietosa liberalità del Gran Duca avrei poca speranza, o gran disperazione. Non ho voluto raccomandarmi alla Signora Duches- sa di Mantova in cosa, che tanto importi la vita: parendomi che basti il dir la Corona, e il lasciar

•i4 LETTERE

del rimanente la cui-a agli amici , se alcuno è nel mondo che non ricusi la mia amicizia, per non ri- cusar quella del giusto e del diritto . La prego, se ne avrà l'occasione , che baci in niio nome riveren- temente la mano alla Signora Duchessa di Mantova: e viva lieto. Da Roma, il 26 di Marzo del 1590.

CXXXV. ^l medesimo .

Per me non mancherà di conservarmi amico il Si- gnor Fabio in questa, ed in ogni altra città, e mi doglio, che a me siano così mancale 1' occasioni di giovare altrui, e di far beneficio , come T animo di vendicarmi; ma se bene operando ì' uomo fa ven- detta de' nemici, non ne ricerco alcun' altra. Andrò in Toscana, se potrò, non dico a'servigj del Gran- Duca, perchè non ho alcuna certezza della sua vo- lontà -, ma a fai'le riverenza , a gettarmeli a' piedi , a chiedere la sua grazia-, dovrei dubitare della cle- menza, 0 della liberalità, perchè mi ha fatto offeri- re venti scudi il mese: e mi dicono, che me ne sarà fatto l'assegno -, ma non basteranno al bisogno , che io ho di medicarmi , e di andare a' bagni \ ma spero che debba supplire la sua cortesia : e se non fosse questa speranza , e il timore di mostrar quel sospet- to , che io debba avere della mia fortuna , avrei pre- gato il Signor Duca di Mantova a far questa spesa , che non sarebbe stata maggiore di mille scudi . Del- le mie stampe non so quel che io creda ; ma in tut- ti i modi desidero che mi avvisi a chi debba conse- gnarle in Fiorenza , perchè siano mandate sicura- mente-, e ne ho perduta una parte, anzi mi è stata involala sotto chiave: così ha voluto il nostro amico, alla cui venuta sperava tanta felicità. Rispondo alla lettera , e al sonetto del Siff. Conte Giulio Alberti . L' informazione della Dama non è ancora abbast^n-

LETTERE ^5

za: bisogna, che io sappi , se è vecchia , o giovane ; ed a V. S. bacio la mano. Da Roma, il 4 d'Aprile 1 590.

CXXXVI. Al medesimo .

Son giunto a Monte Oliveto di Toscana così stan- co , che non posso aver maggior prova per confer- mare, quanto mi fosse necessaria la lettiga, e quan- to più malagevole il lungo viaggio. Ho riposato al- cuni giorni: questa mattina mi parto per Siena. Non ho maggior dubbio, che quello di ricuperare la sanità, maggior pensiero. I Bagni estimo ne- cessari, almeno quegli d'acqua dolce: il secondo pensiero è quel mio vanissimo della stampa . Stampe- rei più volentieri in Fiorenza, che in altra parte, dovendomici fermare . Baciate le mani al Signor Fa- bio, e pregatelo in mio nome, che faccia riverenza al Sig. Duca, e alla Sig. Duchessa. Io non penso ad altra amicizia , che a quella che Sua Sig. Illustriss. può immaginare essermi giovevole: o almeno non potermi apportare quei danni e dispiaceri, che ho sentito fin' ora ^ e ancora mi ricordo d'Alcinoo, e di Nausicaa . Vivete lieti. Da monte Oliveto, il 13 d'Aprile del 1590.

CXXXVII. Al medesimo .

Io non vorrei colle mie lettere irritar la mia for- tuna, né provocar la nostra amicizia ad altri officj ^ che a quegli che V. S. medesima estima necessari . Pure essendo io già venuto a Fiorenza, raccolto dal Gran Duca con parole cortesi, e con dimostrazione di tanto onore, quanto bastavano a farmi dubitare piuttosto della mia fortuna, e di se stesso, che della sua benignità, vorrei finire in qualche modo que- sto negozio delle stampe: dell'altre cose non son;^

o6 L E T T E 1^ T!

resoluto. L'opero ^^nìe stampate hu perdute tutte: e drsidoro che V. S, le mi faccia ritrovare, e partico- larmente quelle rime in lode del Papa^ che io feci a sna riohesta, da porre fra le sue, e fra l'altre che ella avea raccolte 5 o stampate , o no , eh' elle sieno . Raccomandatemi al Sig. Fabio, il quale non so se si degnerà di fare in mio nome riverenza al Sig. Du- ca , e alla Sig. D ichessa. V. S. viva lieta . Da Fioren- za, il 26 di Aprile del 1 5^0.

CXXXYIII. Jlmed

esimo .

Aspetto da V. S. la conchìusione del negozio-, e si assicuri che io non potrei aver maggior consola- zione avanti la mia morte , che il veder le mie com- posizioni stampate a mio senno : e vo pensando talo- ra, che se i Principi in un palazzo, dove alloggiano molti Cavalieri e Dame, si contentano di sei , o di otto stanze, potrebbe alcuno degnarsi di averne gran numero , o non molto maggiore in questo ediiicio, del quale Amore è stato il fabro, e la Fede 1 archi- tetto . Al Sig. Fabio io bacio la mano : e mi giova di sperare, che avrò molte occasioni di rimanere obbli- gato al suo valore. Eccovi, Signor mio, il sonetto pro^ messo: se vi pia(;era, avrò io doppio piacere, l'uno di avervi servito , 1 altro di avere indovinalo: seno, mi doglio di non esser tanto galanlnomo , qiinnio po- trò divenire perla vostra gcifantcria , Vivete lieto. Da Fiorenza, il 6 di (iiugno del 1590.

CXXXIX. ^l medesimo .

In questi caldi io mi son riparato in casa del Sig. Barfolommeo Pannuzzi sotto l'ombra del Sig. Co- stantino; altrimente io non so come fuggire l'arsu- ra: veramente egli ha una galante stanza, ed uu

L K I' T E R K 27

gentile orticello, ed hacci bello e fresco stare, alme- no iijsino a tanto die il Sig. Cardinale Gonzaga, o altri A risolva ad essere il Tnio Mecenate*, e m'im- petri tanto di grazia da questo magnanimo Princi- pe , quanto basii per dare compimento al mio poe- ma : ma non essendomi conceduto nella vigna di Roma comodila di andare a diporto, con due stanze fornite nel [jala/.zo della Trinità, non so quel die io ne speri . A \ . S. io ricordo il negozio delle slam- pe : ed aspetto qualche risoluzione, e qualche rispo- sta dell' ultime sue lettere : e le bacio la mano , pre- gandola che mi vaglia , e mi giovi non solamente la nostra amista , ma quella ancora, che V. S. ha col Sig. Bartolommeo : e viva lieta . Di Fiorenza, li 23 di Giugno del 1 590.

CXL. y4l medesimo .

La venuta di V. S. a Fiorenza m avrebbe oltra- modo potuto consolare; perchè io sono, come sem- pre , sconsolatissimo . Ma essendo finito il negozio di Mantova , e non volendo ricominciare cosa, della quale debba pentirmi, non voglio pregarla che pi- gli per me questo incomodo: perchè non potrei ri- storarla né della fatica , della spesa . Sa che le co- se mie sono andate pessimamente^ però penso di ri- tornare in Roma, ed in Napoli, dove, se troverò stanze e letto da riposare , avrà line la mia peregri- nazione. Peregrinazione è ancora questa vita , della quale per mio avviso già sono ali estremo : e pur mi è fisso nell animo quel mio antico desiderio di stampar le mie composizioni^ ma nou posso pensa- re ad alcuna servitù di Priiicipi, d'altri. E discretissimi estimo quei Priucij)!, i quali , cono- scendo questa mia e 1 altre imperfezioni, insegna- no questa discrezione a'pi'ivati; ma ci bisosnerel).

aS LETTERA

be altro modo, accioccliè T imparassero : non più di questo. Io morrò libero, se non del corpo, al- meno deir animo: e se il Papa mi giudicherà inetto al suo servizio, avrò quesl' obbligo singolarissimo a Sua Santità , di non essere obbligato a servire alcun altro. Fra tante mie costantissime disperazioni mi resta una piccola speranza , che il Gran Duca mi do- ni stanze e letto nel palazzo della Trinità, ove io possa morirmene, senza mirar cosa che sia spiace- vole a riguardare . Io ho scritto di questa materia al Signor Cardinal Gonzaga: scio replicassi , repliche- rei per mezzo di V. S. ; ma non voglio parerle impor- tuno : le mie lettere sarebbono di maggiore ef- ficacia, che le sue medesime . Al Signor Fabio Illu- strissimo bacio la mano, ed a V. S. mi raccomando . Da Fiorenza, il 25 Giugno 1590.

CXLI. Al medesimo .

Questa mattina ho scritto a V. S. ed al Signor Fa- bio , e mandato la lettera a M. Bartolonimeo : oggi son venuto a vedere, se le lettere sono state mandate a buon recapito: e M. Bartolommeo mi ha risposto di non averle avuto. Replico al peggio, che io so j che per la continua intermità, che non mi abbando- na mai, non posso questa settimana mandare il so- netto al Cardinale; so se io il manderò più di Fiorenza ; perchè agevolmente domani , o V altro, partirò per Roma . Scrivo al Signor l'abio , e la con- clusione sarà la medesima che dell'altra lettera , che io desidero che il Signor Duca di iNJ.uilova mi faccia grazia di onorarmi , e di accomodarmi insieme del- la sua tavola, in tutte le occasioni pubbliche o j)ri- vate, e particolarmente in qualche solennità, e Ìjì qualche pubblico spettacolo che si facesse in Fio- renza , ed in Roma, dove Sua Altezza dovrà venirt

LETTERlt 29

wn giorno ; ma se viene dopo la mia morte, non mi avrà consolato a tempo di questa grazia . Io aspetta- va , che mi facesse questo favoie in questa città , e mi sarei trattenuto tutto questo mese a posta ; ma M. Bartolommeo non mi vuol dare alloggiamento , ed in altro albergo non so come si possa trattar questo negozio . Raccomando a V. S. l' inchiusa , e se 1* altra le sarà mandata a buon ricapito, mi faccia grazia similmente di presentarla : e bacio a V. S. la mano. Da Fiorenza, il 23 di Luglio del 1590.

M. Bartolommeo avrà quindici scudi il mese da me , volendomi dare albeigo sino a Settembre, o Ot- tobre : r amicizia fra V. S. e me basterà per sicurezza.

GXLII. Al medesimo ,

Ho raccomandato a V. S. in diverse volte diverse mie lettere -, perché non sono sicuro , che per altra mano , che per la sua , non men fedele che cortese , possano avere quel buon ricapito le mie lettere , che io desidero . Ora questa ancora io raccomando a V. S. , acciocché me ne faccia avere qualche benigna ri- sposta dal Signor Fabio, prima che io sia partito. Dovrei avere ancora la risoluzione di questo bene- detto negozio, acciocché io non pendessi sempre dal- le sue promesse con tante incomodità . Di grazia V. S. mi risponda particolarmente intorno alle stampe: e le bacio la mano. Da Fiorenza, il 5 di Agosto del 1590.

CXLIII. Al medesimo .

La lettera del Signor Fabio é così piena di corte- sia, com' io d'infelicità: minor bisognava per consolarmi. Io gli rispondo, ringraziandolo delle

promesse. Ringrazio V. S. ancora del premio, c])C mi oiìerisce per le mie fatiche , se fatiche sono quel- le che io duro per lei^ ma non potendo io affaticar- mi, né V. S. premiare altro che le fatiche, dovreli- be'^iuttosto aftalicarsi, acciocché la liberalità degli altri supplisse alle mie deboli forze. Io ho scritte molte poesie, ed alcuna non è stata così fortunata ^ che m'abbia acquistato un bacile di argeiìto , o un eecchio, o una tazza, o altra galanteria così fatta : e sperava, che le dedicazioni nuove, e l'opere vecchie mi facessero contento , non dico di un sajo, o di u- na cappa vecchia rifatta, secondo la foggia trasmu- tata in colletto, o in un tabarro, ma di una creden- za ribattuta : non più . Non vogliate che io entri nelle mie vanità; ma poiché io son risolulissirao di venire a Mantova, non per disperazione delle cose di Napoli, 0 degli amici, e de'padroni Napoletani, ma per disperazione di arrivarvi vivo, siate conten- to. Signor mìp, di presentar rinchiuse al Serenissi- mo Sig. Duca, ed all' Illustrissimo Sig. Fabio, e di procurarmi risposta dal Sig. Cardinal Gonzaga: al quale non avendo avuto ardimento di chieder per mia comodità un appartamento nella sua casa di Roma, ho dimandata grazia, che scriva in mio fa- vore a] Gran Duca: e bacio a V. S. la mano. Da Fio- renza, il 10 di Agosto del 1590.

Io sono ancora tanto infermo, che non rinfi'escan- do, non mi il cuore di arrivare a Mantova. x\- spetto ajulo di un servitore almeno.

GXLIV. Al medesimo.

Troppo \. S. diillda del suo bell'ingegno. Ho ve- duto, e considerato attentamente il suo sonetto, frit- to in lode di Nostro Signore, e mi è piaciuto oltra-

L E T T K 11 1 ^ ' .

modo. Mi pare c*he quel concetto, del quale ella mostra di dubitare:

Eguale a quelle j onde ebbe il mare i ponti : vi calzi molto bene; immaginando io che V. S. in- tenda del ponte fatto da Serse nell'Ellesponto, e dall' Imperadore nel seno di Baja \ Y uno per uso della guerra, T altro per ornamento della» pace: e che voglia inferire, che l'opere minori del grandis- simo Papa Sisto sono quelle della magni(jcenza , virtù per grande , come suona il nome. V. S. pen- si, che l'opere della liberalità saranno minime, per rispetto ali opei'e della carità, considerandosi quel- la come virtù morale, questa come teologica: e questo basti per la prima parte della sua graziosa lettera. Per dichiarare quale sia in me 1' espettazio- iie della limosina , poiché invano rifuggo alla cor- tesia, scrivo di nuovo al Signor Cardinale Scipione. V. S. mi favorisca di procurar la risposta, acciocché io possa risolvermi di questa pratica delle stampe. Io sono tuttavia in casa del Signor Bartolommeo , dove ho portata la mia valigia con tutte le scritture: attenderò così infermo all'espugnazione della terre- na Gerusalemme, per trionfare nella celeste *, dove almeno al pie del seggio Imperiale spero di poter sedere , come caudatario. Altra coda non posso for- mare neir idea della mia gatta: bacio a V. S. la ma- no . Da Fiorenza , il 1 2 di Agosto del 1 590 .

CXLV. Al medesimo.

Io sono stato tanti anni tanto infermo in tante parti del mondo, che lamentandomi dell'infermità, non estimo di accusai-e gli amici, di far nuova querela ; perchè questa è una delle vecchie accuse della mia 'fortuna, e direi della provvidenza, se la fortuna e la provvidenza fossero l'iste«5a^ ma l'a- Ltu. T. IV. j

Sa ' L E r T !■ R K

mlcizia, elle non può giovarmi alla salute del cor- po , dovrebbe almeno essermi giovevole alla quiete deir animo-, però non so , posso , voglio se non replicare le medesime cose-, son nulla, so nulla, posso nulla, e voglio nulla : e se a tanti zeri si ag- giungesse c[ualclie numero, sarei quel che piacesse a chi valesse numerare le mie sciagure, i danni ^ r infermità , le fatiche, gli studj, le composizioni, le promesse degli amici , le speranze de padroni , le messe udite, e le prediche ascoltate. Chi sa se per qualche numero aggiunto potessi predicare anch'io, e convertire il Signor Costantino, e l Signor Fabio suo Signore? Ma ninno vorrei vedere più volentieri convertito, che il Signor Giorgio, M. Ruggieri, e l nipote del Vescovo Giannotto. Or lasciam le burle da parte, che nella mia fiera malinconia sono co- me le risa dell'infermo, quando è vicino alla mor- te. Io vorici dal Gran Duca la medesima gi-azia, che io ho dimandala al Signor Duca di Mantova , per intercessione del Signor Fabio: e dal Duca di Man- tova quella , che io voleva dimandare al(jran Duca, come dissi al Signor Don Giovanni : e desidererei che quella fosse questa, e questa quella, o almeno che luna fosse uell' altra compresa , come il trigo- no nel tetragono ; e fra tanti desiderj , quello di non far nulla è il massimo: appresso a questo son gli altri -, essei-e adulato dagli amici , servito da' ser- vitori, accarezzato da' domestici , onorato da' padro- ni , celebrato da' poeti , e mostrato dal popolo a di- to. Ecco chi non fa nulla , se non ([uel che vuole: voglia Iddio; e sia questo il segno, e la lettera, non del fornaio,ma del mio poema: per conclusione mi rilinro per qualche giorno in Monte Oliveto , se que' Padri si degneranno di raccogliermi, ed aspet- terò risposta o di sua Altezza , o del Signor Cardi- nale, la qual tanto desidero, o del Signor Fabio . A

I, E T T K R F 33

tutti bacio le mani, pregandoli, clic- non mi voglia- no dar fatica d' interpretare le altrui parole , essen- do le mie così chiare . Di Fiorenza, il 1 8 di Agosto del 1590.

CXL\ I. j4l medesimo.

Del ritorno del Signor Cardinale molto mi son rallegrato , o rallegrerò , come di una universale al- legrezza di tutta Roma. Io ne spero l' istesso col Gran Duca, e col Duca di Mantova-, ma non voglio mancare a me stesso, privarmi di questa conso- lazione di parlarli a lungo, se lo potrò. De' Bagni avrei gran bisogno, ma la mia povertà è impedimen- to a tutte le cose , massimamente alla sanità . A Man- tova verrei avanti Settembre, se io avessi buona co- modità. Delle dedicazioni io seguirò il vostro con- siglio ; ma vorrei omai , che si venisse a qualche conclusione: e vi bacio le mani, pregandovi che presentiate rinchiusa. Da Fiorenza, il 22 di Agosto del 1 590 .

CXLYTT, Al medesimo.

Verrò, se io posso, col Signor Girolamo Rossi; ma licenza dal Gran Duca lo non ho avuto. Sono infer- mo ancora, ed avendo bisogno di molta comodità, temo di non arrivare a Mantova: egli non si vuol pigliar cura di far portare due miei tamburi , o uno almeno, il quale è quello delle mie scritture: non vuole aspettare il Cardinal Gonzaga, col quale avrei da ragionare di niolte cose, e particolarmente dei miei libri rimasi in Roma a beneficio della fortuna. Il Signor Duca mi dovrebbe far grazia di ajutarmi al venire, 0 almeno di ritornare a Napoli, dove ri- tornerò vecchio, povero , ed infermlsslmo , con spe- ranza di poca sanità, ma di seicento scudi l'anno di cortesia j perchè in altro modo io non potici ac-

X

34 I, E T T r u r;

cettarli , non essendo atto a cosa alcuna : e deside- rando questa grazia, che tutti i Principi e gli altri Signori mi facciano esente dal servizio: però scrivo a Sua Altezza, e parlerò al Signor Cardinale Scipione in questo medesimo soggetto: e se parrà a sua Si- gnoria Illustrissima , che io veuga a Mantova , se- guirò il suo consiglio. Frattanto cercherò di tratte- nermi come io posso. V. S, baci in mio nome le ma- ni al Signor Fabio, e li dica che due cose erano ne- cessarie a questo viaggio ^1' una, rajulodi un servi- tore, che avesse bisogno che io vi arrivassi, o almeno volontà; l'altra la cortesia del padrone , e le sue rac- comandazioni: e le bacio la mano. Da Fiorenza, il 3 di Settembre del 1 590.

CXLVIII. Al medesimo .

Ki.spondo infermo ad infermo-, ma V. S. per gra- zia d iddio risorgerà tosto del suo male . lo benché j)Ossa risorgere di questo letto, dove sono stato quin- dici giorni gravemente oppresso, non so quando mai risanerò di tante infermità: le infermità, senza fallo, sarebbono state sovercliie al Gavalier Sacrato, e ad ogni altro ricco gentiluomo della medesima opi- nione ; ma lasciamo di parlar d'altri. Di me posso senza dubbio affermare , che non ho mai compiaciu- to a' miei desideri ; benché io sia nato gentiluomo non povero, nondimeno mi son quasi dimenticato e del nascimento, di cui era informato, e dell'educa- zione che non fu plebea . Laonde mollo mi mara- viglio, che alcuno dica che io getti , o mandi a ma- le alcuna cosa, andando io vestito meno onoratamen- te , che non si converrebbe alla mia condizione , e non cavandomi pure un appetito soverchio: ajipena questa state ho comprato per mio gusto due paja di nu-loni ; e benché io sia stato quasi sempre infermo, molle volte mi sono contentato del manzo , per nou

LETTERE 35

jspendere in pollastro^ e la minestra di lattuga, o di zucca, quando ho potuto averne, mi é stata in vece di delizie. Ma se lo spendere in medicine è giltare, io confesso di avere mandato a male qualche scudo. JNon voglio confessare, che quei pochi spesi da me in libri siano gettati in modo alcuno*, perchè io ne lio molto bisogno o per imparare, come V. S. dice , 0 per ricordar le cose lette : ed in questo nu- mero èia maggior parte di quelli che io le chiedo, acquali aggiungerei l'Italia del Trissino, il Girone e r Avarchide dell' Alamanni, che altre volte le scris- si, l'Eneide del Caro, se io credessi di non venirle a noja . In quanto alle cortesie usatemi, V. S. non è in tutto male avvisata. Perchè cinquanta scudi mi donò 11 Signor Duca di Bracciano, e cinquanta il Gran Duca, e non fur d'oro; e oltre queste non può aver notizia d'altra cortesia, che Napolitana: do- gliomi nondimeno, che in tanta disagguaglianza di grandezza e di ricchezza, il Gran Duca abbia voluto nella liberalità esser paria Don Virginio, non aven- do alcun riguardo alle composizioni, che erano ine- guali . Io desiderava che non volendo considerare il mio bisogno, e l'importunità nata dalla fede , do- nasse almeno a proporzione della sua fortuna , e del mio componimento: e non voglio rimproverare a Sua Altezza , che colla Medicina ( così chiamo una mia orazione) ho rinunziato a tutte le speranze, che io aveva di leticar col Signor Duca di Ferrara, e di vin- cer la lite e la sua grazia: e rinunziato parimente ad ogni altra speranza di Principe Lombardo ; ma questi otlicj potevano esser fatti da qualche amico, ricordando a Sua Altezza la grandezza dell'animo suo nel particolare. Colla Signora Duchessa io aspet- to di vedere qualche risoluzione. Io le avea diman- dato un letto per gran bisogno:, ma non sarebbe a S.ua Altezza comodo il farmi questo presente, che

36 T, T: T T V !^ V,

mi era necessario più di ogti' altro: il chiederle una scodella di argento sarebbe poco , un bacino parreb- be troppo ; perchè non aveudo potuto sostenere la ripiitai^ioiie di dottore, col favore della casa Gonza- ga e de' Medici, non vorranno ancora, che io pos- sa sostenere quella di baciliero ^ ma tra il bacino e la scodella è il secchiello di argento, che da un gen- til cavaliero, coni è il Signor Fabio, potrà esser di- mandato in dono per lo povero Tasso, il quale pas- sa in questa guisa la maninconia della sua infermi- tà : l'aggiungerei a due coppe donatemi, le quali po- trebbono servire per saburra alla barca della mia fortuna, se fossero con molle altre. In tutti i modi desidero , che la Signora Duchessa mi favorisca di risposta per opera di V. S. Delle mie speranze di Napoli , che posso dire? se sono le più vane, come dicono; a me non si può negare, che siano le più giuste; e gran crudeltà sarà, che io perda la vita per dimandar giustizia . 11 dimandar grazia non giova: il trattar della Clemenza , della quale ho scritto due volle, 1' una in versi , l'altra in prosa-, al farmi prete non ho favore, ajuto, come sarebbe conve- niente ad un mio pari , ed infermo come son io, e maninconico più di tulli gli uomini, come i medici possono conoscere a molti segni, ed al sangue par- ticolarmente. Da' Cardinali , o da' Principi non ho trattenimento ; alle fatiche non sono atto; ne' miei studj sono appassionati.ssimo : laonde per tulle (|ue- ste cagioni sono disperato di tutte le cose , e della vita medesima; ed in tanta disperazione torno a par- lar delle slampe. Io non pensai mai di stampare a mie spese, perchè non ho molli scudi, oltre i cento, i quali non mi basteranno quest'anno a vestire, ed a mangiare: sono sfornitissimo di tulle le cose ne- ccessarie: avrei voluto (poiché gli stampatori non hauiio discrezione, o pietà, o coscienza alcuna) che

Ll'TTERE ^7

alcun mio amico facesse la spesa, e poi ritrnesse i danari. Oltre i privilegi del Papa, del Re, de' Vene- ziani, e del Gran Duca, gli aìtri non mi parevano necessari :pnr potevano chiedere-, ma lo non avrei mandate le lettere più volentieri de' bianchì. x\l Re non mi pare che si debba dirizzare cosa, che Sua Maestà non debba le^fiere, o almeno mirar con buon occhio. Io sono stanco, e non ho chi mi aiuti-, ma conchulcndosi qualche cosa, se questo è in suo po- tere, consegnerò l'opere in mano di chi le pare, j di questo Ambasciatore di Toscana, se intende questo. Aon posso esser più lungo, percliè è necessa- rio che io torni a letto. Se dal Signor Duca, o dalla Signora Duchessa sopraggiungei a qualche favore, oltre la mia speranza, ne ringrazierò Iddio, il qual sìa sempre laudato. Da Roma, il 12 Settembre dei 1590.

CXLIX. Al medesimo .

Dopo il mio ritorno Roma non ho avuto altra lettera di V. S. che 1 ultima, datami da un nipote del Signor Fabio , alla quale rispondo brevemente. Sono infermo , e vivo ancora colla medesima spe- ranza, 0 disperazione; però avrei veduto volentieri quel che mi scrìvete, benché piuttosto aspettassi voi stesso , che le vostre lettere. Se cotesti Signori Man- tovani non fanno officio col Signor Cardinale, per- chè io sia raccolto da Sua Signoria Illustrissima in casa, non so quel che che possa sperare in questo male, che non cessa. Scrivo al Signor Duca di Man- tova una lettera , e due sonetti, per mia opinione, bellissimi e degni della sua grazia, e de' suoi doni: serbatene copia , se io la perdessi: e vogliatemi be- ne. Da Roma, il 10 di Novembre del 1591 .

38 L E T T F R E

Di grazia ricordate a colesti Signori, che facciano buono e pietoso otlicio, perchè io sia invitato dal Signor Cardinale, non solamente raccolto.

CL. Al medesimo .

La venuta di V. S. se già fosse, mi parrebbe tar- da , tante sono le cose e di tanta importanza , delle quali ho bisogno di ragionar seco^ ma alle sue ulti- me lettere non ho risposto , perchè mi haniio trova- to in un povero e male agiato letto , gravemente oppresso dalla febbre e da altri mali : sono risorto colla buona nuova del nuovo Papa ; ma non tanto sano, che io sia libero di alcun male. Lettere, ed ogni cortesia usatami dal Signor Duca mi sarà tan- to cara, quanto possa essere alcun favore di carissi- mo padrone : però prego V. S. che non voglia , che io sia più lungameute defraudato di questa grazia , e non aspetto maggior consolazione . La mia infer- mità mi fa irresoluto di tutte le cose , eccetto che della mia divozione, e dell'antica affezione che io porto al Signor Duca di Mantova , della quale do- vrebbe esser sicuro in tutti i luoghi, in tutti i tem- pi, e in mite le occasioni : ed a V. S. bacio la raa- jio . Da Roma, il 14 di Dicembre del 1590.

CLL yil medesimo .

Se io misuro la venuta di V. S. col mio desiderio, tion può esser se non tarda : se col suo comodo , non può esser tarda : e forse è larda la mia risposta- ma la tardanza mia non dee rilardare la sua venula: ciò dico, non per affrettarla, ma per non mancare a me stesso, ed al desiderio che ho di riveder V. S., fidi parlar seco iungamenle. Niuno è maggiore, ninno più giii'-to. 11 mio proponimento è così fer-

LETTERE ^9

mo , quanto può esser quello di un Infermo: doglio- mi , che le cose costantemente deliberate non pos- sano esser eseguite con più costanza . "V'aspetto. Da PiOma il 4 di Gennajo, del 15^1 .

CLII. Al medesimo.

Oggi caduto d' altissima speranza, lio fatta delibe- razione di fuggire il mondo, e di ritirarmi dalla fre- quenza alla solitudine, e dalla fatica alla quiete. Però prego V. S. a favorirmi di mandare il mio for- ziero, e quelle poche robicciuole e 1 tamburo an- cora, che è nella vostra camera, a Santa Maria del Popolo , dove io credo di albergare , e d' essere ri- cettato da quei buoni Padri ;, non trovando alcun'al- tra stanza più solitaria e più lontana dall' indlgni- . Y. S. mi faccia piacere d' intendere dal mio oste quel che pretende di dover avere da mje , e di darli soddisfazione. Aggiunga a tanta sua cortesia il suo vecchio libro delle rime antiche: del quale, e dei miei toccati potrà fare un invoglio, e mandarlomi ; acciocché io questa sera non patisca disagio di co- sa alcuna. Vivete lieto. Signor mio, e lasciate me nella solita maninconia. Dalla vostra camera, il 7 di Febbrajo del 1591 .

CLIII. Al medesimo.

Se la nostra amicizia fosse mai stata rotta , avreb- be bisogno di reintegrazione, o se fosse stata mal amicizia , la quale non può esser di un solo , come l'altre virtù; però non si può pensare al ristoro di questo quasi edificio immaginato, ma all'edifica- zione del non cominciato . Io amo, e desidero ogni vostro bene : e questo è il più certo fondamento, che io possa gettare della nuova amicizia. Pensate, Si- gnor Antonio, se lo meriti che mi sia osservata Ih

4o LETTTvfF

fede e la parola^ non facendo altra professione che di verità , d' inefcnuità , d integrità e di costan- za . Preofov i , che dichiariate cosi la vostra opinione, e l'animo vostro, come io manifesto il mio propo- nimento, perchè non intendo i gerghi : e nella lin- gua greca ancora , nella quale voi siete così eccd- lente , vi avrei volato per maestro; ma voi non vo- leste durar questa fatica per me già attempalo, il quale, in questa parte almeno , vorrei esser simile a Catone. Siete oLMigato a voi stesso in ogni luogo, e non potrete soddisfare alla vostra coscienza eoa tanta mia mala soddisfazione. Noi} ho chi mi ricopj il mio poema, e non so a chi fidarlo. Ringrazio il Signor Duca di Monte Marciano, che tenga memo- ria di me in questa sua nuova dignità. Pregate M. Filippo die mi conservi il mio libro: e ricordatevi spesso dell'obbligo, che avete del mio ritorno: e confessate fra vostri peccati, al vostro confessore, l'astuzia usata meco, per non dir 1 inganno, che mi avete fatto a condurmi in questa citta con tante speranze , e poi ve ne siete dileguato voi colle spe- ranze insieme: e per 1 avvenire non date occasione alla mia tnaninconia di non onorarvi, quanto meri- ta la vostra virtù, la quale jiiio ric-evere accrescimen- to : e vi bacio la mano. Da Mantova, il 29 di Giu- gno del 1 òy I .

b

L'Osanna stampatore non vuole spedire il mio li- bro : vi prego che facciate sollecitarlo dal vostro

Signor Fabio

CLIV. Al medesimo.

Io credeva che V. S. non volesse più scrivermi , non avendo voluto visitarmi quando venne a Man- tova il Sig. Conte Alberto Scoto; ma se fa stima al- cuna o della nostra amicizia, o della sua fede, non

T, FTTF. RE /^l

voglia, che io abbia creduto vanamente alle sue let- tere, ed a quelle del Signor Fabio, col quale senza il suo mezzo non posso concludere cosa alcuna: e senza dubbio si dovrebbe tenere obbligato o alla mia soddisfazione in questa città, o al ritorno. So- no occupato nella Genealogia di Gasa Gonzaga: ricuserei appresso la fatica degli elogj ; ma non pos- so durare quella di più lungo poema, o altra mag- giore, come tante volte dissi a V. S., alla quale ia ([iiesta città non mancavano i comodi , V ami- cizia, l'informazione. Mi ha dilungato quasi seicento miglia dalla patria , vuole avvicinarsi tanto, che io possa venirle a parlare. Viva felice. Da Mantova, il 4 di Ottobre del 1 J91 .

CLV. ^l medesimo.

lo aveva già parlato al Signor Fabio del negozio di V. S., e prevenuto la sua dimanda, e forse il suo desiderio. Egli mi ripose che Sua Altezza, a cui sono molto ben note le virtuose qualità di V. S., la tratterrebbe senza dubbio, se venisse. Gercliero di nuovo occasione di parlarli^ ma non voglio, che il mio rispetto sia principal causa del trattenimento di V. S., essendo lei per altro tanto sofficiente ed intendente, che S. A. ne potrà esser molto ben ser- vita. Parte dimane il messo: ed io oggi sono stato occupalo nelle visite de' forestieri , e travagliato dal- la mia solita indisposizione di corpo ^ però non le mando quel che ella desidera , ma 1' avrà fra pochi giorni. Vorrei che le sue lettere, o le parole, fos- sero di maggiore autorità col Signor Fabio, che non son le mie. lo non posso parlarle se non del mede- simo soggetto, e colla medesima opinione: e le ba- cio la mano. Da Mantova, il 23 di Ottobre del 1591.

4^ L E T T T! n E

CLVl. Al inedcsinio.

Scrivo al Signor Fabio, come cousigliate \ ma io vorrei vedere qualche buono effetto de" vostri consi- gli. Volentieri avrei fatto qualche nuovo componi- mento, o vi avrei mandato con questa alcuno de'già fatti questi giorni addietro ^ ma in questa settimana santa bisogna pensare ad altro. \i prego che sen- z' altra dilazione facciate officio, che mi sia man- dato alcun volume della seconda parte delle mie ri- me stampate, colla giunta della corona. Darò al Si- gnor Giorgio alcuni sonetti in morte del Signor Car- dinale. V. S. mi raccomandi al Signor Ferrante Il- lustrissimo : e viva lieta. Da Roma.

CLVII. Al medesimo.

Ho avuto i sonetti e il libro , che a V. S. è pia- ciuto di mandarmi', ma più mi sarebbe stata cara la risposta del Signor Fabio colla copia del Messaggie- ro, e co' tre libri che io aspettava. Risponderò que- st'altra settimana al Padre Don Felice: ora scrivo al Signore Statillo assai brevemente. Piaccia a Dio, che nel suo Poniitìcato succedano le cose così con- formi al mio desiderio , come nella creazione sono state conformi all'opinione, che io ne aveva. Pen- sate di qualclic stanza per me, se io risolvessi di venire a Roma, il mio poema è finito: vorrei stam- parlo co' privilegi f^^ "^Lia Santità, e di Sua Maestà^ Cattolica , e del Gran Duca di Toscana: avvisatemi se fra gli amici di Sua Santità fosse il Signor Cardi- nal (Gonzaga , ed il Farnese : e se alcuno di questi sia stato fra gli escludenti di Sua Santità. Ne potre- te avere informazione, se non da altri, dal nostro Signor Maurizio, che sa tutte le cose : e vivete lieto. Di Napoli, il 5 di Fcbbrajo del 1 592 .

L K T T l'. R K 4^

CL\ ìli. yìl medesimo.

Vostra Signoria ni' invita a comporre^ ed io ne ho poca voglia, per 1 indiscrezione delle genti; tutta- via farò il sonetto , che desidera (chi può negare al mio Costantino alcuna cosa, che egli chieggia? )*, e 1 manderò per quest'altro ordinario , se altro non suc- cede: intanto apparecchiale voi, che avete più di ozio e di eloquenza, la lettera e la dedicazione. Vi ringrazio della stanza, e non la ricuso. Al Si- gnor Antonio Gherardo mi raccomando. In quanto al servitore, giacché mi fate piacere di plgliarvene pensiero, il vorrei Mantovano . Non si maravigli , se io nii son mutato di opinione: e forse invano cerco r idea del servitore, come si cercherebbe della feb- bre, 0 del mal di costa, se non si ritrovasse in Ippo- crate : potete conferire coir Alario questo mio segre- to. Baciate in mio nome le mani al Signor Cardinal Gonzaga , ed al Farnese: e procuratemi risposta del- la lettera, che io scrissi al Segretario di Sua Santità: e vivete lieto . Di Napoli, il 21 di Febbrajo del 1 592.

CLIX. ^l medesinio .

Non ho fatto 11 sonetto , ma non mancherò que- sl' altra settimana . Desidero la grazia di cotesto Car- dinale , non meno che io faccia quella del Cardi- nal Gonzaga: e non posso dir più , perchè non tro- vo iperbole, che trapassi questo segno; se io non vo- lessi alzarmi alle cose divine, come è la grazia di Sua Santità. SonsoUecito oltremodo della sua salu- te: e pregherò Iddio per la sua sanità. Desidero, che V. S. m'introduca a baciarle 1 piedi. Salutatemi il Signor Cavalier de' Pazzi : al Signor Fabio Gonzaga nou so che rispondere, non volendo corrIs])ondere

l^h L K T T F 11 Ir

con gli effetti alle sue e vostre promesse. Di tre, o quattro di quei miei libri avrei bisogno : fateli per cortesia mandare almeno insino a Roma. Procura- temi, vi prego, risposta dell' inchiusa a IMousignore Statilio \ al quale quest' altra settimana mi sforzerò di mandare un sonetto: e bacio le mani al Siouor Giorgio. Di Napoli, il 16 di Marzo del 1592.

CLX. Al medesimo .

La conchiusione è questa , che io vorrei o dal Si- gnor Duca di Mantova, o dal Signor Fabio Gonzaga per mezzo di V, S. trenta scudi, promessimi per il mio viaggio; benché sian pochi, perchè veramente non me ne bastarono quaranta. Rispondo, poiché così volete, a quel Signore che è stato meco tanto scarso de suoi favori;, ma tate opera, eh io sia sod- disfatto in questa mia picciola dimanda. JNapuli non concede quel premio alle virtù dell'animo, che do- vrebbe; ma vorrebbe premiar 1 opere, f^aoude di- verro uno della setta degli Stoici , per difendere che la felicità non consista nell' operare, ma nella virtù. Se potesse essere alcuna concordia fra la dot- trina di Gristo e l'ignoranza degli Epicurei , sce- glierei quel motto fra tutti gli altri: xùve hodie : e vi aggi ungei'ei : ta/77ya«/?i crfl,? morituruM . Mi ralle- gro sommamente che il Sig. Gardinal Gonzaga vi abbia chiamato a' suoi servigj con cosi onorato par- tito: e non so , rpial di due abbia fatta miglior ele- zione*, ma io vorrei pur camera pulita nel mio ritor- no: riè penso in alcun modo di esser il riccio. JNon posso più fare un verso: la vena è secca, e 1' inge- gno è statico-, può riposcirsi in altra parte, cIk; nella contemplazione delle cose divine. Faro i so- netti, (juando potrò: frattanto vi ricordo 1 idea . Ba- ciale in mio nome il Signor (jiorgio : chjjÌo homi-

r, r T T r R F 45

Tiem sunviari : e vi raccomando quanto più possa la lettera del Segretario del Papa. Di Napoli, il 20 di Marzo del 1 592.

CLXI. y4 medesimo .

Aspettava , clic mi rispondeste di avere avuta l'al- tra le Itera , che io scriveva al Segretario del Papa; e presentategliele in mio nome. \ orrei in ogni occa- sione del mio ritorno a Roma, che sarà forse tosto, avere una camera nel munistero del Popolo , col fa- vore del Si^. Gic. Batista Cerasola-, o quell'altra pro- messami dal l^ig. Alario nella Consolazione . Prega- te r uno, e l'altro da mia parte : e date l' inchiusa al Sig. Cardinale Gonzaga: e vi bacio la mano . Di Napoli , il 22 di Marzo del 1592.

CLXII. AL meclesinio.

Non mando versi, altra risposta; perchè io medesimo vorrei venire a Roma questa settimana , se 10 potessi. Ora sono stanco di scrivere, come di tutte l'altre cose; però V. S. mi raccomandi al Si- gnor Giorgio. Qiiest' altra settimana verro senza fal- lo, se pur questa fussi ritenuto . Ringraziate in mio nome il Segretario di Sua Santità . La deliberazione di casa, che tanto m'importa , non si può fare in al- tro luogo che in Roma, e col parere del Sig. Car- dinal Gonzaga , nostro padrone ; e se dopo tante mie sciagure non mi risplende un giorno lieto , non cre- derò più nella fede degli uomini ; benché mille non basterebbono a rallegrarmi, o a consolarmi, e pe- ravventura io non ne ho tanti di vita: e a V. S. ba- cio la mano. Di Napoli, il 2 di Aprile del 1592.

46 L li T T K n E

CLXIII. ^l medesimo .

Verrò., se io posso, quest'altra settimana, come sarei venuto questa, se avessi potuto . Mi conviene andar differendo inonesta maniera la mia venuta di una in un'altra settimana; ma queste dilazioni a- vranno ben tosto fine, a Dio piacendo . Mi rallegro, che V. S. abbia tanta autorità col Signor Cardinale nostro padrone ; onde potrà agevolmente farmi met- tere in ordine le stanze , che io desidero , e di ciò le avrò grande obbligo . Raccomandatemi al Sig. Gior- gio : date 1 inchiusa al Sig. Cardinale: e vivete lie- to. Di Napoli, il 10 di Aprile del 1592.

Ho scritto a V. S. molte lettere, delle quali sin'o- ra non mi ha mai accusato la ricevuta: di grazia me ne dica una sola parola, per liberarmi di quel tra- vaglio di animo, che suol recare 1' incertitudine in simil materia .

CLXIV. ^dl medesimo .

Non ricercate altro avviso, se non che io desidero di venire a Roma col medesimo desiderio, ch'ebbi sempre della grazia del Sig. Cardinale nostro padro- ne, e di quella di Sua Santità. Son trattenuto sotto pretesto di cortesia; ma questo è un far forza agli uomini. Verrò dunque co' miei impedimenti, fra i quali è grandissimo il mio tamburo, se mi sarà con- (•eduto che io possa spedirmi questa settimana, o l'altra: altri impedimenti diversi non mancano. Il quali lascerei tutti addietro ; tanta è la speranza , che io ho nella clemenza di Sua Santità: e quasi mi do- glio di non averle fatto ingiuria, perchè non le ho data 0(;casionc di usarla meco, siccome fa con tutti gli altri . Pregai il Sig. Cardinal Gonzaga , che seri-

L E T 1 K K K 4?

vesse in mia raccomandazione al Viceré ; ma se yof- favorirmi col Sig. Cardinal Gesualdo, o coli' Ar- civescovo di Napoli, io arriverò a Roma senza fallo. Vi raccomando l' inchiuse , e vi prego caldamente , che ne cerchiate la risposta. Da Napoli, il 17 di A- prile del 1 Jy2,

CLXV. Al medesimo^

Io non posso restar soddisfatto, come avrei voluto, di V- S., del Sig. Fabio, del Sig. Giulio Gi- rello , se alla seconda parte delle mie rime non é aggiunta la corona, la quale non voglio, che paja rifiutata da rae: e colle lodi della Sig. Duchessa di Mantova si debbono legger volentieri quelle della Sig. Duchessa di Ferrara . Però vi prego che faccia- te ofticio , perché io sia compiaciuto almeno in que- sta parte ; poiché nell' altre non ho meritato alcun favore . I sonetti in morte del Sig. Cardinale saran- no mostri al Sig. Ferrante Illusti'issimo : e vi bacio la mano. Di Roma, il 9 di Maggio del 1592,

GLXVI. Al medesimo ^

Questo sarà puro negozio, che mi costringe a scri- vervi : ozio doveva esser piuttosto . Scriverò dunque> non come ozioso lungamente, ma in poche parole. Aspetto dieci libri delle mie rime dalla cortesia del Sig. Fabio Gonzaga, dalla coscienza di M. France- sco Osanna, e dalla diligenza del mio Sig. Costan- tino : vorrei pagare il porto , ma vorrei che fos- sero portali gratis. Il caldo è grande: però si rin- nova il desiderio del picciol vaso di argento da bere acqua: nella forma non voglio essere importuno; ma noi volerei di men nobll materia : e sou più sol- lecito dell' artificio^ che del peso* descriverei le im- Lett. T. ly. 4

48 L E T T E 1{ K

magìni, clie io vi desidererei impresse, se io credes- si di e.«iser compiaciuto; ma non vos^lio far nuova e- àperienza dopo la coppa . In questa occasione della seconda parte delle mie rime , che dovrebbono es- sere appresentate alla Sig. Duchessa di Mantova, V. S. si faccia innanzi , e faccia buono ofUcio ; che al- la liberalità di cotesta Sereniss. Signora bastan poche parole, per rinnovar la memoria della sua cortesia e della mia divozione. Benché non fosse appreseutato il libro, basta la mia volontà: agli altri difetti può supplire la benignità della Signora Duchessa. Scri- vo per questa cagione a Monsignor Mafletti : al Si- gnor Cardinale, ed al Signor Fabio bacio le mani , e le vostre sian benedette . Di Roma, il IO di Luglio del 1 592.

CLX\ II. Al medesimo .

Alla lettera di V. S. e del Sig. Girello non rispon- do altro per questa settimana, se non che io ho data la emendazione degli errori , che furono fatti nella vStampa del primo libro delle mie rime, a M. Filip- po perchè la faccia ricopiare , e la mandi a Manto- va : la medesima è nelle mani di M. Francesco O- sanna. Ad altra dedicazione non penso; ma la mol- tiplicita delle forme mi sarebbe cara dopo la gran- de , o dopo quella che è in f[iiarto: ciascuno nel- l'altre, con mio piacere e soddisfazione, può farla dedicazione a chi le pare. Frattanto M. Francesco, che ne stampò tre o quattrocento , ma disse più di mille , me ne dovrebbe mandare più di quattro , nu- mero che a' Traci era termine del numero; per- ciocché io mi sono scordato del conto più lungo. A V. S. bacio la mano, al Sig. (liorgio la bocca, al Sig. Fabio fo riverenza . Di Konia , il 18 di luiglio del 1392.

L K T T K II K f^q

CLXVIII. yil medesimo.

Vostra Signorìa vorrà prolungar tanto le mie spe- ranze^ o le mie soddisfazioni, che io non ne possa vedere il fine. Non è cosa più nojosa dell' aspettare a clìi ha poco tempo 5 però mi doglio molto , che sia impedito lo stampatore di Bergamo, il quale per mia opinione doveva essere al mezzo , o al line del- l'opera . La dedicazione, se sarà necessario, V. S. potrà ricuperarla coli' altre cose per mezzo di Mon- signor MafFetti, al quale scrivo caldamente in que- sta materia. Del vaso d'argento avrei avuto grande obbligo a Sua Altezza , ma delle figure io burlava ; ma non potendo farle appresentare l'opera così to- sto ,si contenterà della buona volontà. Tre o quat- tro libri di quei , che furono stampati a Mantova , mi saranno carissimi , e n' avrò grand' obbligo al Sig. Fabio . Mi sforzerò dimani di fare il sonetto desiderato dal Padre Naldi-, ma in questi estremi caldi mi è soverchia fatica lo scrivere due lettere la settimana, oltre quella che io duro nella revisione della Gerusalemme, che si ricopia. A Y. S. mi rac- comando: ed al Sig. Cardinale bacio le mani rive- rentemente. Di Roma, l'ultimo di Luglio del 1592.

CLXIX. ^l medesimo .

L'ultima lettera di V. S. mi trovò in letto, dal quale appena son risorto ,come soglio ^ pero non ho prima mandato il sonetto al Padre Naldi, altra composizione . Ora mando tutte le cose promesse; così vedess' io gli effetti altrui . Non so se questi pochi versi piaceranno a V. S. che ha il gusto deli- cato •, ma io scrivo ora come stanco poeta , a cui Sfiancano le invenzioni e le parole : a questo difetto

5o L r T T K R It

dovrebbe supplir la cortesia degli amici . A V. S. non chiedo zaffiro , balascio , ma quei li])ri che può riscuotere da M. Francesco Osanna. Con Monsignor Mafìetti può spedii'C il negozio di Berga- mo , e la celerità mi farà restare maggiormente ob- bligato ad ambidue. Al Signor Cardinale bacio la mano, ed al Padre Naldi mi raccomando. Di Homa, il 14 di Agosto del 1^92.

CLXX. Al medesimo .

Ho veduto il sonetto di V. S., e m'è piaciuta mol- to Tinvenzione^ ma due parole in due versi volen- tieri vedrei mutate, parendomi errori d'inosservan- za-, perchè dove V. S. ha scritto, quelli, non se- guendo vocale in quel verso:

Quelli per cui fu monte imposto a monte: non mi piace 5 ma si può agevolmente conciare in questo modo:

Color , per cui fu monte imposto a monte ; e 1 seguente verso si potria parimente conciare in questo modo :

Frinii n anclaro , e ruiriosi a terrei-^ non mi ricordando io, clie quella parola cadder , nel numero del più usalo da \. S., sia mai slata u- sata da' più osservanti: riceva dal mio solilo amore questi ricordi. Mandatemi due o tre libri di (niel- li, che fece stampare M. Francesco Osanna \ ma non mi fate pagare il porto . Sei giuli vogliono di (piesii due, che mi manda il Signor Fabu) , ed io non ho se non tre in borsa : e se i procuratori , che voglion far lite per me , non mi ajutano, non so dove accat- tarli. Ancora vivo in desiderio di avere una perla legala in un anello^ ma non si trova al mondo tan- ta cortesia. ]\on pensate, che io la dimandi albi vo- stra liberalità, alla «piale son pur troppo obbligalo .

LKTTFRE 5l

Potessi almeno adempire l 'altro mio (desiderio, di fare una credenza di argento ^ perchè questo delle gemme è soverchio . Baciate le mani in mio nome al Signor Cardinale ; e se vedete il Signor Ferrante Gonzaga j, diteli per mia parte, che quella benedetta copia di lettera alla Maestà Cattolica , eh' egli mi tolse , mi potrebbe dar la vita in qualche occasione. Vivete lieto . Di Roma, il 20 di Agosto del 1592.

CLXXI. Al medesimo .

Nel libro ristampato in Brescia sono i medesimi errori, che erano nell'altro prima stampato in Man- tova: e per mia opinione ve n' è qualcuno di più ^ tuttoché M. Francesco Osanna avesse fatta la corre- zione de' molti errori , la qual poteva stampar come s usa : e non era ditficil cosa , che i Bresciani ne a- vessero avuto V avviso : pensate come sta il cemen- to , che io non ho avuto tempo di rivedere, e parti- colarmente nelle parole greche . Di questo libro Stamoato ho avuto \,\ medesima consolazione che degli altri, come dell' Alleluja di Monsignor T A- baie: vorrei che per farmi piacere, duraste fatica di correggerne tre o quattro, e mandarli per qualche buona occasione, o portarli da voi medesimo. Dite al Slg. Fabio, mio Signore, che m' è data speranza certissima, che ritornando a Napoli vincerò la litej ma io son tanto nemico del viaggio , quanto amico della comodità che si sente nell' esser giunto, al- lorché si trova comodo albergo di cortese alberga- tore. Laonde io vorrei che Roma fosse una scena , la qual si potesse trasmutare in Mantova, in Napo- li, in Palermo, come più piace al poeta. Sollecitate Monsignor Mafl'etti, perchè spedisca il negozio, se é possibile: e pregate il Signor Ferrante, che non polendo favorirmi iu altra guisa, mi sia almen li-

5a L E T T ìi R E

berale della copia di quella mia lettera, cìie ha in mano , scritta al Viceré. Al Signor Cardinale ba- ciate in mio nome le mani : e diteli clic io desidero di rivederlo nella celeste Gerusalemme, nella quale non fu mai Scipione Afl'rieano . Vivete felice. Si- gnor mio: e ricordatevi, come dovete, del vostro Tasso. Di Roma, il 28 di Agosto del 1592.

GLXXII. ^41 medesimo .

Che fate? dove siete ? debbo aspettarvi ? o pur di- spererò di non vedervi mai ? Si ricorda il Signor Cardinale di me? Io l'ho sempre in memoria, e ne ragiono poche volte per riverenza. Anderò in Palaz- zo, o a Napoli? Roma mi potrà chiamare a con altra speranza, o per altro servigio, che per quello di Monsignor Illustrissimo nostro? Ringraziate il Signor Giulio Girello in mio nome : e diteli che sempre avrò obbligo a chi ristamperà l'opere mie, purché le ristampi corrette. Portatemi di grazia due de' libri ristampati dall' Osanna , ed amatemi . Non vi do avviso di alcune disavventure avvenutemi, perchè non abbiate dispiacere di cosa , nella quale non abbiate colpa ; ma vorrei una giustizia univer- sale. Di Roma, il ò di Novembre dei 1592.

CLXXIII. yil medesimo .

Mandai alcuni giorni sono a V. S. le composizio- ni da lei desiderate, e mai non ho avuto risposta. Soglio vedere rarissime volte questi gculiluomini del Sig. Cardinale; e rade intendere avvizio di Sua Signoria Illustrissima: ma di ninna cosa son più desideroso, che della sua grazia ; però la sua venuta mi pare ornai tarda . Io credeva di ritornarmene a Napoli , ma non ho potuto : e trovo mille impedi-

T. F T T F n F 5^

menti nello spedire il negozio della mia lite. Mi fermerò adunque appresso V Illustrissimo Signof (ìintio Aldobrandino, il quale è già andato in Pa- lazzo, ed io vi andrò questa settimana. Pregovi che nel vostro ritorno mi portiate due o tre libri di (juelli , che stampò 1' Osanna: e ringraziate per me il Signor Ciiulio Girelli del favore, che vnol farmi nel ristampare la seconda parte delle mie rime ^ ma io non ho saputo mai quel che n'abbia fatto il Lici- no : ne Monsignor Mafl'etti ha voluto risolvermi. Baciate in mio nome le mani all' Illustrissimo Si- gnor Cardinale nostro padrone, ed al Signor Fabio insieme, benché egli non si ricoidi più di me ;e vi- vete lieto. Di Roma , il 20 di INovembre del I592.

CLXXIV. u4l medesimo .

Vostra Signoria è stata fortunatissima in que'negc** zj , ne' quali io non ho potuto esser felice •, però non posso acquietarmi , ma accuserei il difetto della sua virtù , se io sapessi a qual tribunale , 0 davanti qual giudice. INondimeno, lasciando le querele più gra- vi da parte, mi dorrò solamente, che voglia impe- dire la pubblicazione dell'opere mie, o procurare che si faccia altramente di quello , che io ho deter- minato : e benché io sia stato confermato da un gri- do quasi universale nella mia opinione , pensava almeno che V. S. avesse qualche riguardo alla mia riputazione, poiché non può averlo all'utile: ma questo pensiero è stato fallace, come gli altri. Laon- de non le ricordo più cos alcuna di alcun ìtiìo de- siderio, 0 di sua, od' altrui promessa^ ma la prego solamente , che non potendo il Signor Giulio Girel- lo ristampar la seconda parte dell opere mie, o del- le rime piuttosto , in quel modo che io le aveva raccolte, ed ordinate in quel libro che io mandai

54 LETTERE

à Bergamo, ne lasci la cura al Licino, clie spedirà questo negozio quando gli tornerà cotnodo. Rispon- do al Sig. (jiulio: all' lllustriss. Sig. Cardinale, ed al Sig. Fabio bacio la mano. Di Roma, il Ì di De- cembre del 1 5g2.

CLXXV. ^l medesimo .

Scrivo al Sig. Ferrante Gonzaga una breve lette- ra, ed un picciol sonetto: picciolo il chiamo, per rispetto del suo merito*, benché lutti i sonetti siano eguali di quantità . V. S. l'appresenti , e Y adorni colle sue parole, come si usa ne' doni ^ perchè dal mio carattere non può essere adornato. Scrivo col- r insolita infelicità, che altri chiama dappocaggine; però non se ne maravigli . Non so che risolva il Li- cino, o ^1 Signor Giulio Girello; ma volendo ristam- pare la seconda parte delle mie rime, in quel mo- do che io le mandai a Bergamo, mi farà piacere ad usare ogni diligenza, perchè sia corretta. Questo negozio si dovrebbe spedire avanti la mia morte. V. S. avrà comodità di trattarlo col Reverendo Li- cino, e tol Reverendissimo Maffetto, e coli' eccel- lente Signor Giulio, al quale io scrivo di nuovo. Mi doglio della tardanza del Signor Cardinale, e più della cagione, che è l'infermità, come dicono: li desidero quell' acci'escimento di fortuna , eh' è dovuto al suo merito , e quella sanità che vorrei per me stesso. V. S. gli baci la mano in mio nome, e la supplichi che si ricordi nell'occasioni di favo- rirmi. Vorrei che il mio poema si ristampasse, e temo di non vederne la fine. Vivete lieto, e pensa- te al ritorno di pi'ovedermi di un servitore fedele, e conforme al mio gusto. Di Roma , il 9 di Genna- io del 1 593 .

LETTERE 55

Mi scordava dire, che due libri ho ricevuti In casa del Signor Cardinale ; ma Don Paolo Faccione non mi ha dati ancora gli altri due .

GLXXVI. Al medesimo .

Mando a V. S. una lettera di credenza , da presen- tare col libro delle mie rime alla Signora Duchessa : e la prego, faccia quell'officio che si conviene alla sua cortesia, ed al nostro vicendevole amore. Se i dodici sonetti della corona non fossero ristampati , dovreb- bono essere ristampati in tutti i modi, benché nel libro scritto a mano non fosse ricopiato se non il primo ^ ma io non posso fidarmi della parola del Licino , della sufficienza , del giudicio , di quel degli altri . Onde tanto più mi doglio che V. S. non se ne pigliasse la cura , quando io ne la pregai e ripregai : e quello, che più mi dispiace, è , che dubito che abbiano fatta mescolanza di altre rime, che io non ho approvato, e non mi piaccio- no. Raccomandatemi al Signor Giulio Girello : e da- temi qualche avviso del vostro ritorno;, perchè io vi aspetto con impaziente desiderio. Di grazia, prima che V. S. appresenti il libro alla Signora Duchessa , acconci il primo Sonetto in questo modo , che mi ri- cordo che già fu conciato di mia mano:

Deir impero j, e delT armi il pregio a Roma Tolse barbara gente a lei ribella ; O gran nome fatale : ecco novella j ec. V, S. potrà farmi ancora favore di conciare alcune copie colla sua gentilissima mano : e viva lieta. Da Roma, il 1^ di Gennajo del 1593.

Poscrilta . Jeri fui avvisato della morte del Car dinaie, da me appena crediita , parendomi verisimi- le che V. S. mi avesse prima avvisato dell'infermi-

56 t V. 1 T E T. r.

. Rimasi tutto stordito : questa sellJmana V ho la- crimata , posso consolarmi , sperar più alcu- na soddisfazione in questa città .

CLXXVII. ^l medesimo .

Mando a V. S. l'inclusa, stata inviata da Lom- bardia, credendo forse clii scrive, eh' (dia dopo la morte del Sig. Gaidiuale se ne sia ritornata a que- sta patria couiune. Le ricordo che faccia buon oftl- cio nel presentar la seconda parte delle mie rime alla Sig. Duchessa*, perchè, se la sua dolce eloquen- za non m impetra qualche grata ricognizione delle mie fatiche da Sua Altezza , io non so quando mai più me ne possa sperare . Aspetto che V. S. me ne mandi , o porti due volumi almeno . Dall'Arcivesco- vo di Monreale ho inteso , che ella viene a' suoi ser- vigi, e '"^ ^^ ^"^'^ rallegrato, se io posso usare que- sta parola^ perchè è gentilissimo Prelato , virtuosis- simo, come il mio Sig. Costantino, e di molto meri- to. Raccomandatemi al Sig. Giorgio, ed amatemi . Di Roma, il 3 di PY^bbrajo del 1,593.

CLXXVIH. Al. medesimo.

Nel lesffcre il sonetto di V. S. sovra il mio riti-at- to , non ho saputo riconoscer me stesso-, perchè mi adorna in guisa col pennello gentilissimo della sua eloquenza, eh' io mi veggio tutto trasformato . M' è piaciuto molto più il delineamento delle mie scia- gure , che delle virtù: perchè di queste ha detto molto più di quello, che doveva ; di quelle molto meno di quello , che poteva. L'ho ritoccato in alcu- ni luoghi, acciocché mi rappresenti più al vivo: di che la prego a non isdegnarsi . Sto attendendo quel che \ . S. avrà fatto per me In questa occasione del-

L E T T r. K E 5 7

1 appresentare il raio libro, il quale mi scrisse che era già stampato , e poi non ne ho veduto altro . A- spetto con desiderio la vostra venuta, per sapere se il Cardinale si ricordò di me nella sua morte, o s'io gli fui ricordato . Vorrei conservar la memoria della servitù e deUa stima, che io feci di quel Signore, non solamente in qualche mio sonetto o canzone, ma in un libro dell immortalità dell'anima, nel quale vorrei introdurre Sua Signoria Illustrissima a ragionare , come lo Sperone introdusse già il Cardi- nale Gontareno ; ma non so, se io avrò ozio o co- modità di farlo , perchè io non posso supplire al mio proprio bisogno, quanto' meno al debito di tante ser- vitù. Desidero che mi portiate di Mantova il Fido Amante del Sig. Curzio Gonzaga , ed il Floridante di mio padre , se pure questa mia vi troverà in Man- tova : e vi bacio la mano . Di Roma, il 1 ò di Febbrajo del 1593.

CLXXIX. u4l medesimo.

Vostra Signoria s'è partito senza dirmi addio, e pure ella sa quanto V avrei abbracciata caramente nel suo dipartire: pazienza. Vi mando rinchiusa per la Sig. Duchessa di Mantova : e per penitenza del torto, che mi avete fatto a non lasciarvi vedere, vi obbligo alla risposta, ed a' libri promessimi. Alla cortesia della Sig. Duchessa io non desidero solleci- latore: basta uno, che le ricordi solamente, quanto io le viva servitore . V. S. mi avvisi , se io debba a- spettarla di ritorno , e quando: o pure, se sarà rite- nuta da cotesto magnanimo Principe: e viva lieta. Di Roma, il 5 di Marzo del 1593.

CLXXX. ^l medesimo .

Io voglio farvi maggior onore per gratitudine.

58 L r T T F R T'

che per alcuna speranza -, però aspetto il dono pro- messomi, il quale mi sarà più caro, se egli sarà or- nato dalle vostre parole. Ma vorrei , che la Sereaiss. Sig. Duchessa restasse servita ^ che la privazione di Koma non mi fosse causa della privazione della sua grazia; perchè io penso di andarmene questa state a diporto a Napoli , nella quale città , più che in al- cun'altra, mi rallegrerò di essere favorito dalla sua cortesia. In Roma non mi può, dee trattenere alcun altro disegno, che quel di portare la rosa a Sua Altezza: e son risoluto di chiedere questa gra- zia a Sua Beatitudine in ogni buona occasione , che mi si apprescnti . Delle mie rime non sono assai soddisfatto: e di V. S. sono nemico capitale, perchè non abbia voluto spendere per amor mio una dieci- na di scudi in farmi ristampar la corona per giun- ta, della quale mi basterebbono venti o trenta co- pie: e, se non voleva aver rispetto alla mia persona, doveva portarlo a quella di Sua Altezza, la quale, non si ristampando la corona, parrà meno liberale. Laddove io vorrei, che la sua liberalità risplendesse agli occlùdi lutto il mondo; però non dee donarvi nulla, perchè i suoi doni mescolati co' vostri tesori non si conoscercbbono; ma da me saranno dimo- strati, non sol posseduti con que'di pochi altri. Perdonatemi , se io vi sono importuno , perchè i ricchi e fortunali, come voi siete, sogliono alcuna volta aver questo fastidio: e cotiverrebbe , che ve ne fuggiste al Borislene o alla Tana , per fuggir la no- ]a che io vi darò in (juesla pratica. Fortunato Sig. Costantino! e siete pur ritornato a Mantova, la ([ual parte none così lonta/ia, che non vi possano arri- vare h; saette della mia faretra j)oeti<;a . La mia (ic- rusalemnie è iinita, e posso darla alla stampa in o- gui occasione: e l' induejìo è colpa d'altri, e non mia", perchè io non aspetterei più, benché poco ne

LETTERE 69

speri, e ne disegni molto meno \ e mi caverei vo* leniieri la voglia di mille scudi, se io potessi^ ma la stamperò con questo desiderio , il quale per mio giudicio non avrà mai e ite Ito : e vi bacio la mano. Di Roma, li 10 Maggio 1593.

Di grazia baciate le mani ip nalo nome al Sig. Ti- berio Aragona; il q-iale ringraziero poi con mie lettere della molta sua cortesia .

CLXXXI. ^l medesimo .

Scrivo a Sua Altezza di nuovo, ed al Sig. Tiberio Aragona , pregandolo che mandi quel che gli par- rà di donarmi, per via del Sig. Ambasciatore, 0 per quale altra gli pare. Ho avuto tre volumi delle mie rime, senza la corona, e senza la canrona della fa- ma; benché l'una, e l'altra si potesse ricopiare dai libri stampati, come io avea scritto molte volle, non solamente al Rev. Licino, ma forse al Sig. Giulio Girello, ed a V. S. Nell'altre rime sono molte scor- rezioni fatte a posta. La Testudine è guasta nella te- stura: e la canzona nelle nozze del Sig. Conte di Pa- leno similmente : e mi ricordo , die io l' avea raccon- cia assai bene. Mancano altre cose-, laonde io riman- derei la prima e la seconda parte ricorrette a Man- tova, se M. Francesco Osanna volesse ristamparle ^ ma avrei caro prima l'originale, se fosse possibile : ed a V. S. bacio la mano. Da Roma, il 16 di Mag- gio del 1 j93 .

CLXXXII. Al medesimo .

V. Signoria solleciti Torafo, poiché la donatrice è

così pronta , non perchè la lunga espetlazione possa diminuire il favore e la grazia, che estimerò di a- ver ricevuto da Sua Altezza; ma per accertarmi , che

6o L K T T r R V

io ne sarò consolato innanzi la morte. Manderò ben volentieri le composizioni che desiderate, di quel- le che son fatte ^ ma quelle da farsi non saranno mandate, se non quando la Musa il concederà . In questo caldo non m'inspira alcun favore, ed io ho bisogno di rallegrar l'animo; ma cercherò di ser- virvi in tutti i modi. Il Sig. Ferrante mi dovrebbe mandar la copia almeno , che mi tolse , della lettera di Sua Maestà, la quale per mia opinione non mi nocerebbe per certa occasione, che ho nell'animo. V. S. dia rinchiusa al Sig. Tiberio Aragona, e mi conservi in sua grazia. Di Roma , il 10 di Luglio del 1593.

CLXXXIII. y^l ineticsimo .

Aspetto da V. S. non solo risposta alle mie lette- re, ma il rubino promesso, del quale ho grandissi- mo desiderio, per aver qualche cortese dimostrazio- ne, o qualche segno almeno della grazia della Sig. Duchessa. Finalmente si è dato principio a stampa- re il mio poema-, ma si cammina assai lentamente, ed in vorrei vederne il fine avanti che quel della mia vita: e a V. S, bacio la mano. Di Roma, il 25 di Agosto del 1 593 .

CLXXXIV . Al incde.siìno.

Se e vero , che la Signora Duchessa mandasse 1' a- nello promessomi dopo il primo , come io debbo credere della sua duplicata cortesia , V. S. intenda a qual corriero fosse dato , o per qual via fosse man- dato , perchè io non l'ho avuto. Dal Cardinale mio nuovo padrone non ho lìn ora ricevuto comodo , o milita alcuna: riè so come trattenermi , aspettando la pensione, se pure mi sarà mai data. Quest'anno io non ho da vestire, come si converrebbe alla mia

LETTERE 6l

condizione^ però è necessario, che io mi raccoman- di a' vecchi padroni, dico al Serenissimo Signor Duca di Mantova , ed al Signor Ferrante ancora , tuttoché sia per altro molto per giovarmi : e dovreb- be con l'uno, e coli' altro valermi la memoria della mia servitù, e la menzione che io ho fatto di loro, e de' loro antecessori nel mio poema: e particolar- mente le lodi date a Sua Altezza , ed al Signor Car- lo , e ad alcuni altri Signori della Casa, passati a più gloriosa vita, sono tali e si fatte, che io ne sa- rò forse odioso ad alcun altro, o almeno poco rimu- nerato . A tutte queste cagioni si dee aggiungere la memoria del Cardinale, del quale io sono stato quel servitore , che è )ioto al mondo-, pero vi prego di nuovo, che facciate officio, perchè io sia consolato con qualche dimostrazione della liberalità, e della cortesia di cotesti Signori . Non mando il libro, per- chè io noi posso avere ^ ma è stampato già molti gior- ni : e sarà forse mandato al Signor Duca di Manto- va da chi non solamente vuole usurparsi il frutto delle mie fatiche, ma la grazia ancora de' miei pa- droni e l'antica benevolenza, per la quale io do- vrei esser riconosciuto dagli altri . Se potrò avere tre volumi, ne manderò uno al Serenissimo Signor Duca , r altro alla Serenissima Signora Duchessa , il terzo all'Illustrissimo Signor Ferrante; ma io non sono certo di poterli avere, come non ho alcu- na certezza di ristamparlo. Nella nuova edizione cercherò di soddisfare a Sua Altezza di più ampia menzione dell'origine, se non le piacerà che io lo aggiunga in quel luogo, che io dissi al Cardinale. V. S. mi risponda, e sappia che le promesse de' po- veri non sono adempite-, pero essendo gli altri po- veri di fede, sono poverissimo di fortuna. Avrei grand' obbligo a M. Francesco Osanna, se volesse ristampare le dnf prime paiti delle mie rime: e vi

1 T r r V w E

bacio le mani. Di Roma, il 20 di Novembre del 1593.

CLXXXV. ^l medesimo ,

Io sono ancor vivo: il che forse V. S. non crede- va, perchè non mi risposta alcuna a molte lette- re, che le ho scritto. Più mi maraviglio di M. Fi- lippo, dal quale non ho avviso de' libri mandatili : in cambio de' quali vorrei almeno quattro, o sei vo- lumi della prima e seconda pai'te delle mie rime^ se pur potrà mandarli a tempo, o se pur non è gran vanità la mia , il pensare più. ad alcuna cosa fat- ta. Pregate per me Iddio, e raccomandatemi a cote- sti Signori. Di Roma, il 12 di Marzo del 1594.

CLXXXV I. ^l medesimo.

La natura combatte ancora col male, e senzra la grazia di Dio non può in alcun modo restar supe- riore ; però son dubbio ancora della vita, posso scriver cosa , che mi piaccia. Supplirò alle promes- se, e pagherò il mio debito con qualche migliora- mento, che io spero. Frattanto V. S. non potendo ajutarmi, soddisfarmi in altra cosa, compiaccia al- meno alla mia vanità, che non mi abbandona nel pericolo della vita, e mandi quattro volumi della prima e seconda parte delle mie rime . Non intesi mai quel che avvenisse della perla , e se fosse man- data . V. S. baci in mio nome le mani a Monsignor Reverendissimo, ed all'Illustrissimo Signor Ferran- te: e preghi Iddio perla mia salute. Di Roma, il 2;> Marzo del 1 594 .

CLXXXVII. Jl medesimo.

Io non ho ricuperato la sanità, e, quel che é peg- gio , i medici me ne danno pochissima speranza.

I, E T T k H K (^'^

Non accenno cosa alcuna de' miei antichi desiderj , e deir altrui promesse; ma scrivo liberamente che mi doglio di M. Filippo , che non abbia mandati a Mantova quei libri, che io gli diedi da mandare. V. S. mi farà gran favore, se manderà i quattro vcdu- mi già promessimi 5 ma chi è nell'aspetla/.ione della morte, non può aspettar lungamente. La nuova, che mi date delle nozze del Signor Ferrante, m'è piaciu- ta, ma non mi ha rallegrato, perchè lo stato della mia disperata salute non ammette allegrezza alcuna. Se avrò qualche resjjìro , penso di scrivere appena qualche verso: e piaccia a Dio, che io possa farlo per mostrare anche nell'ultimo spirito la solita di- vozione ai padroni. Vivete lieto. Di Roma, il 7 Maggio del 1 j94 .

CLXXXVIII. ^l medesimo .

Mando a V. S. una lettera per T Illustrissimo Si- gnor Ferrante , colla quale mi rallegro delle sue fe- lici nozze, e in poche parole ho detto molto : e que- sta per ora servirà in vece di componimento poeti- co , il quale farò quando potrò : ma dove sono i vo- stri, Signor Costantino mio, avranno vergogna di comparire i miei, perchè sono infelici, com'è il poeta. Aspetto d'intendere, se a sua Signoria Illu- strissima parrà di farmi alcuna grazia, e che alme- no mi mandi quattro o cinque di quei volumi miei, dico della prima e della seconda parte delle mie rime, i quali potranno tanto indugiare, che mi troveranno partito per Napoli -, però V. S. dee inviar- li in mano di persona, che gli mandi in quella cit- tà, dove , se io sarò morto, saranno forse letti da qualcuno : e vi bacio la mano , Di Roma 1' ultimo di Maggio del 1594.

Lect. T. ir. 5

6^1. L F. T T E 11 I'.

CLXXXIX. ^l medesimo .

Son venuto a Napoli , come scrissi a V. S. che io era per fare. Qui aspetto lettere sue, e tre o quat- tro volumi almeno delle mie rime, perchè il parlar d' altro è peravveatura soverchio; benché in questa occasione di ricuperar qualche parte della sanità, e, se fosse possibile, della lacuha, desidero ajuto e fa- vore, non solo dal mio libéralissimo Costantino, ma da tutti gli amici e padroni miei ancora. Y. S. viva felice. Di Napoli, il 3 di Giugno del 1594.

CXG. Al medesimo .

Già V. Signoria sa , che vedendomi quasi abban- donato da tutti i vecclii padroni , fui forzato ad ap- pogj:,iarmi a nuovo padrone, ed a nuovo protettore, che fu il Signor Cardinal Cintio Nipote di Nostro Signore. Io vado acquistandomi la sua grazia al me- glio, che posso-, ma perchè sono poco atto a tutte le cose per natura, per fortuna, e per la mia contino- vata infermità, non ho altro mezzo da farmi grato a sua Signoria Illustrissima, che qualche mia mal com- ])Osta composizione, o altro fatto parto, più dello staui'O ingegno, che di molta fatica , la qual non pos- so durare nello stalo di |)nca salute, in cui mi tro- vo. Ora le mando un Dialogo dell'Imprese, che feci queste settimane passale, nel quale ho trattato que- sta materia molto diversamente dagli altri, che n'han- no scritto: e appunto mi son governato conforme ai ragionamenti, che V. S. ed io ne abbiamo avuti diverse volte. L'invio in sua mano, acciocché mi iavorisca d' ap!)resen'tarlo insieme colla lettera , che l'accompagna: e viva felice. Di Napoli, il 20 di A- ^oslo del 1 5D4.

I, a T T K I'. o;ì

GXGI. u4l medesimo .

Io, che In un mio Dialogo ìio difeso V ouor delle lettere da Socrate , e da Platone _, o se pur ragionava- no da scherzo, da Tamo Re degli Egizj -, ora sarei costretto di mutare opinione, se amassi più questa brevissima vita , che mi avanza , ci e una lunga me- moria di vita non oziosa : e se 1' ozio, e la quiete si dee desiderare , piaccia a Dio che lo ne possa go- dere nell'altra, o In questa, come se io fossi in Pa- radiso; ma questo non è possibile. Invano è il desi- derio, il conosco, il confesso , me ne pento-, ma tor- no a peccare in questa sola vanità. Se non volete ajutarmi a santificare, non mi negate ajuto al va- neggiare. Desidero che in Vinegla sian ristampate tutte le mie opere , o innanzi , o dopo la mia morte: dico le nuove e le riformate, o con danari o sen- za. Se non potrò aver questo favore in vita , deposi- terò 1 danari, che avanzeranno, alla sepoltura , pur- ché dicano di volermi compiacere . Intanto vi pre- go , che mi mandiate la prima e la seconda parte delle mie rime, perchè io vorrei farle ristampare correttamente; ma non indugiate alla terza confes- sione , pei'chè lo potrei pentirmi di questa vanità nn- cora . Di Napoli non risposi alle ultime vostre lette- re, perchè non ebbi i libri: di che mi maravigliai , perchè mi trattenni a bello studio , tanto che chi gli avea portati, o da portare , agevolmente avrebbe po- tuto farmegll avere . Nel munistei'o di quel dottissi- mi Padri , dove sono stato alloggiato molti giorni, lio imparato una nuova dottrina , che di un medesi- mo libro si possono far diversi doni, o diverse dedi- cazioni in vaile città: e vi bacio le mani. Di Roma, il 16 di Novembre del 1594.

66 L j: T T i; « K

CXGII. y^l ìncdesiiìio .

Mando alcuni versi all' Illuslrissimo Signor Fer- rante, latti questi giorni, che mi sono sentito assai manct) male del solito. Li versi sono pieni d' affet- to, e scuoprono r antico desiderio, die sempre !io avuto di onorare il suo valore-, ma non so quanto la mia fatica sarà stimata opportuna: tuttavia si dee aver riguardo alla volontà . Non ho potuto ricopiar- li ; pero prego V. S. riscriverli di sua mano, la quale può far che pajano belle ancora le brutte composi- zioni: e mi scusi con Sua Signoria Illustrissima, se questo componimento poetico non le desse quel gu- sto e quella soddisla/.ione , che io vorrei . Maudi poi il volume delle mie rime, il fjuale io aspetto: e le bacio la mano. Di Roma, il () di (lennajo del i595.

GXGIII. j4l medesimo .

Sono già passate tre settimane, che io le mandai un grosso piego, nel quale erano inchiusi alcuni versi, che io aveva fatti in lode dell' Illustrissimo Signor Ferrante, e la risposta ad u)ia lettera di Sua Signoria Illustrissima. Diedi il piego a Corinto, fra- tello di \. S. , il quale mi promise di mandarlo a buon ricapito: e mi dorrebbe oltriMUodo, se fosse andato in siuistro. Laonde Y. S, mi libererà di una passione straordinaria, quando mi avviserà di aver- lo ricevuto: e se io non sarò degno di alcuna corte- sia, clic mi debba essere usata dal Signor Ferrante, mandi almeno V. S. il volume delle mie rime, tan- te volte promesso, e tanto tem|io <la me indarno a- spctliilo . in quanto alla gravidanza della Siguora Donna Isabella, V. S. me ne doveva avvisare a tem- po, perchè siamo così vicini al fine del carnevale.

T, l' T T F R E 67

ed io così impedito da' medicatneati , clie è impos- sibile a fare alcuna cosa di buono. Piaccia a Sua Divina Maestà di conservarmi tanto, che io possa celebrare il suo parto. Ho avuta una lettera del Si- gnor Fabio: ringraziatelo in mio nome, e diteli, se lo vedrete, 0 almeno scriveteli che io aspetto l'Idea, ch'egli sa : e vi bacio la mano. Di Roma^ il 2j di Gennajo del 1o9j .

GXCIV. Al medesimo .

È capitato il volume delle rime, che V. S. mi ha mandato: ma chi l'ha portato ne ha avuto molto poca cura, perchè è di maniera lordo, che io non so se potrò servirmene in uiun conto -, però ne a- vrel bisogno di un altro, e n'obbligo la cortesia di V. S. non quella del Signor Ferrante, o di alcun al- tro di cotesti miei Signori , che potrà dimostrarsi in altro tempo in cose maggiori. Ora non voglio esse- re a ninno più obbligato che al mio Signor Costan- tino, a cui bacio la mano . Di lloma , il 13 di Feb- brajo del 1595 .

CXCV. Al medesimo .

Ho ricevuto il volume delle mie rime, nuovamen- te mandatomi per emenda della negligenza di chi porlo l'altro. Mi duole che per farmi cosa grata, a lei tocchi di far la penitenza degli altrui peccati : la ringrazio di questo favore, quanto più posso. Die- di, pochi giorni sono, al Signor Giacomo Pergaraini un altro mio libro stampato in Napoli, il quale po- trebbe ristamparsi in Mantova, se V. S. volesse fa- vorirmi con qualche sua lettera dedicatoria. Se il Signor Giacomo a sorte lo ritenesse per lui, ne man- derò un altro quanto prima a V. S. Al Signor Fer-

68 L t: T r E R K

rante Illustrissimo non ho per ora occasione di scri- vere altro 5 ma s egli vorrà che io possa ringraziar- lo di qualche sua cortesia, il l'arò con quell' istesso animo, col quale il supplicherei della sua grazia, se potesse ajutarmi a ricuperar la sanità, senza la qua- le non può la vita slessa in niuna maniera essermi cara : ed a Y. S. bacio la mano.

CXCVI. yil medesimo .

Che dirà il mio Signor Antonio , quando udirà la morte del suo Tasso? E per mio avviso non tar- derà molto la novella, perchè io mi sento al fine della mia vita, non essendosi potuto trovar mai ri- medio a questa mia fastidiosa indisposizione, soprav- venuta alle molte altre mie solite, quasi rapido tor- rente , dal quale senza potere avere alcun ritegno vedo chiaramente esser rapito. Non è più tempo, che io parli della mia ostinata fortuna, per non di- re dell ingratitudine del mondo, la quale ha pur voluto aver la vittoria di condurmi alla sepoltura mendico; quando io pensava che quella gloria, che mal grado di chi non vuole , avrà questo secolo dai mici scritti, non fosse per lasciarmi in alcun modo senza guiderdone. INIi sono fatto condurre in que- sto monastero di Sani Onofrio, non solo perchè l'a- ria è lodata da' medici, più. che d' alcun' altra parte di Koma, ma quasi per cominciare da questo luogo eminente , e colla conversazione di questi divoti Padri, la mia conversazione in Cielo. Pregate Iddio per me: e siate sicuro, che siccome vi ho amato ed onorato sempre nella presente vita , cosi farò per voi nell'altra più vera, ciò che alla non finta, ma verace carità s' appartiene : ed alla Divina grazia raccomando voi , e me slesso. Di Roma in Sant'O- nofrio .

L t: t t V. p. r. Gc)

CXGVII. ^l Signor Antonio Montecatini .

o

Rinjjra/io V. S. molto Illustre del libro donato- mi^ corr.e di cosa carissima e preziosissima*, perchè tale io lo stimo veramente, conservando ancor la memoria della grande stima, ch'io feci dt IT alto suo ingegno, e della profonda sua dottrina in leggendo l'altro, da cui molto più imparai in un sol mese, che da molti in molti anni . Ma se questo dee pur esser principio di nuova amicizia, o redintegrazio- ne dell'antica servitù, maggiore ancora è 1' utile, e l'acquisto, ch'io non credeva. Y. S. non mi tenga piti lungamente in questo dubbio , perchè se io sa- rò certo della sua benevolenza, come dell'autorità, non dubiterò della mia libertà; mi saranno fatte ogni nuove offese dai libra) , e dagli stampatori di Ferrara , i quali non hanno voluto pagare alcun debito, che avessero meco, osservarmi alcuna promessa-, ma in questa, in altra materia sa- rò più lungo, perché se ne viene costà il Signor An- tonio Costantini, il quale di tutte le cose è informa- tissimo, e particolarmente dell'affezione, e dell'os- servanza, eh' io le porto. A V. S. bacio le mani. Di Mantova, il 20 di Luglio del 1587.

CXGVIII. Al Sig. Cardinale Albano.

Io non mi son doluto con V. S. Illustrissima, a- spettando piuttosto occasione di rallegrarmi seco della falsità degli avvisi , che di consolarla in cosi grave ed inaspettato accidente. Piaccia a Dio che non sia vero, com'egli è tristo. Frattanto stimo as- sai minor male 1' incertiludine : e pi'Cgo Sua Divina Maestà che voglia conservar la sua vecchiezza a

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maggior prosperità; e le bacio con riverenza le ma- ni. Di Napoli, li 2 di Settembre del 1J88.

CXGIX. Al medesimo.

Io estimo che 1 dolore non abbia tanta forza nel- r animo di V. S. Illustrissima , che possa perturbar- la soverchiamente . Laonde ni un officio in questa oc- casione dovrà parerle importuno: e se pur nelle mie preghiere fosse o molla importunità, o poca consi- derazione , vinca la sua prudenza la mia passione, e mi perdoni, che troppo è giusta la causa, nella quale sono appassionato. Lasciai a Mcsser Giamba- tista Licino molte mie scritture , e son molti mesi eh' io cerco di ricuperarle . Prego V. S. Illustrissima, che voglia interponere la sua autorità, perchè que- sto vostro Bergamasco soddisfaccia a quanto dee ; imperocché uiun maggior obbligo ha un uomo dab- bene , elle di soddisfare alla sua parola: ed a chi non basta il tribunal della conscienza , al (Ine è prepara- to giudice, il qual non riceve inganno. Ma frattan- to non dovrebbe esser in tanta considerazione la mia infelicità, che fosse negata ogni fede alle mie parole, nelle quali non è alcuna bugia. Io nacqui povero gentiluomo, e però ho voluto procedere, com'è co- stume de' gentiluomini , non pensando che sempre dagli amici , o da chi ne fa professione , dovesse ne- garsi la verità, perchè i giudici avessero pretesto di negar la giustizia . Nostro Signore consoli V. S. Illu- strissima di questo colpo di fortuna , e me della mia lunga e continua avversità. Di Napoli, il 14 di Set- tembre del 1 j88.

LETTERE 7 I

ce. u4l Sig- Cardinal di Cosenza Datario di ]S ostro Signore.

Due occasioni mi sono offerte in un tempo mede-^ slmo : r ima carissima , eh' è di farmi conoscere a V. S. Illustrissima per servitore : F filtra amarissima , la quale è di cercare alcun utile nella morte degli ami- ci; nondimeno perchè il danno della morte è Irresto- rabile, non si dee accrescere con alcun altro. Io so- no servitore a Monsignor Illustrissimo Albano, e però molto mi son doluto della morte del Sig. Abate^ ma avendomi la Corte, già molt'anni sono, data qualche speranza d' una Badia , non ho voluto in questa occasione mostrar dilTTideuza o della nuova servitù, la quale io ho voluto cominciar con V. S. Illustrissima , o dell' antica , la quale io aveva col Sig. Cardinale Albano, o delle promesse quasi uni- versali della Corte Romana , o di me stesso , il quale son divotissimo servitore di Sua Santità; e però non perderei l'ardire di chiederle questa, o altra mag- gior grazia. MI spiace, che questo primo principio della mia servitù possa parere a V. S. Illustrissima pieno d'ardire, e di presunzione; ma spero, die debba parerle piuttosto pieno di fede, e di sinceri- tà; perchè ninna servitù è più stabile di quella , che si comincia colla grazia de' padroni ^ e colla bene- volenza de' servitori . Io son risoluto d'esserle In tutti i modi servitore , 1' esclusione di questa gra- zia mi farebbe meno ardilo a chieder l'altre; ma prego Y. S. Illustrissima, che non voglia far maggior prova del mio ardire, consentire che più lungamente sia esercitata la mia pazienza , la quale è stata molti anni Incredibile, non per altra cagione , che per non lasciar alcun dubbio a Sua Beatitudine della mia costantissima volontà, che sa-

'-j'ì. I E T T E R F

la piedesima In tutte le parti del mondo. Ma se questo mio procedere in qualche modo 1' ofFendesse, in vece di grazia le chiedo perdono , acciocché il mondo impari a perdonar col suo esempio \ perciiè senza qualche favorevole dichiarazione della Chiesa Apostolica in mio favore, niun altro rispetto, o ri- verenza deir onesto e del diritto può rad'renare la cupidità e la licenza de' malefici , non essendo al maleficio proposta alcuna pena . Ma non voglio ora in questo proposito esserle più lungamente nc^joso: si deorni di numerarmi fra «jli altri suoi servitori : e viva felice. Di Napoli, l'ultimo d'Agosto del 1588.

CCI. Al Signor Cardinal del Jlondovì .

Questa lettera almeno troverà la strada di venire a far riverenza a Y. S. lllastrlssima , perchè io la scrivo di Bologna, dove jersera arrivai, risorto ap- pena da una breve, ma pericolosa infermità. E se '1 pericolo si dee misurare col timore, o colla dispera- zione dell'infermo, non è stato maggiore già molti anni sono. Il Signor Antonio Costantini, antico ser- vitore di V. S. Illustrissima, come soao io, mi ha raccolto nelle sue stanze in casa del Signor Raflael Riario,e promessomi che verremo insieme a Roma: e benché ni una compagnia mi potesse esser più ca- ra, perchè la servitù, ch'abbiamo con V. S. Illustris- sima, unisce gli animi più d'ogni altro mezzo; non- dimeno ogni tardanza m' è molestissima: e tutto quello, che si diminuisce alla prestezza, mi par che s'accresca alla mia lunga malinconia, o infeli- cita piuttosto . Comunque si sia , mi raccomando umilmente a V. S. Illustrissima, e la prego che si degni di raccorml nella sua protezione. J)i Bologna, a' 26 di Ottobre del 1.587.

LETTERE

CGIL Al medesimo.

Questa mattina ho baciate le mani al Signor Du- ca di Nocera , il quale mi ha ritenuto seco a pranzo, e fatti molti favori : i quali tutti ho riconosciuti dalla sua cortesia, ed affabilità, perchè invero è un cortesissimo , affabilissimo, e splendidissimo Signo- re. Laonde in altro tempo , ed in altra fortuna avrei numerato questo giorno tra' felici, e segnatolo, co- me si dice, con bianca pietra; ma In questa mia in- fermità d' animo e di corpo niuna cosa mi può piacere, la qual mi tenga in maggior dubbio della salute . Credeva , che le raccomandazioni di V. S. Il- lustrissima, in questa parte almeno, mi dovessero giovar molto ; però nell' altre non volli esser impor- tuno , con V. S. Illustrissima, con questo Ec- cellentissimo Signore 5 ma nel chieder la sanità, o, s è lecito a dirlo , la vita , sono stato forse troppo timido con un cavaliero ; ma con un Cardinale ho voluto al fine lasciare ogni temenza da parte , non mi parendo fargli offesa in supplicatalo d'opera, se non m' inganno, pia e cristiana : e, s' io m' inganno, ci dovrebbe essere chi mi mostrasse il mio errore , acciocché io non fossi costretto a precipitare in qual- che altro maggiore . Ma forse V. S. Illustrissima non ha tanto vokito raccomandare altrui la mia vita e la sanità, quanto darmela ella medesima in casa sua. Se questa opinione é vera, com'è conveniente alla bontà di V. S. Illustrissima, io mi doglio di non a- verla pregata a tempo, che mi facesse medicare, ma il pentimento é forse tardo . Laonde la supplico che voglia giovarmi così lontano, e scrivere al Si- gnor Duca ed al medico di nuovo in mia raccoman- dazione 5 perchè senza ajuto de' medici , e di medici- ne io non so se mai più rivedrò Roma : tanto mi

•j4 I- ETTE n E

niJO'e il pregiudi/.!o (lei tempo, inveccliiandosi più sempre 1 infermità con gli anni, e divenendo quasi incurabile, o almeno malagevolissima a curare 5 ma nelle cose difficilissime si può conoscer la virtù di V. S. Illustrissima, la quale è stata prima medico dei corpi , e non se ne dee sdegnare, e poi degli animi-, ed ultimamente è salita, per molti suoi meriti colla Chiesa Apostolica , in cosi alto grado , clie non può negar grazia e pietà a chi gliele dimanda , senza far torto all' altre sue nobilissime e cri?tinnissinie azioni. Nostro Signore rinsplri a giovarmi tanto ccd- le raccomandazioni , eli io possa poi ricevere il gio- vamento della presenza : e bacio a V, S. Illustrissi- ma con riverenza le mani. Di Napoli, il 1G di Set- tembre del 1 J88.

CGTII. Al Sìgnof^e Claudio A?igeliui .

Io vorrei , che la grazia di Nostro Signore mi fa- cesse amica ogni parte della terra abitata, non sola- mente sicura, distendendosi dall'Oriente all' Occi- dente, e dal Mezzogiorno al Settentrione, come si stende la sua autorità, la quale non ha termine quaggiù j ma se \ alleano mi dee essere in vece del- l' universo , quanto la sua grazia per me sarà ujen diffusa, tanto dovrei sperarne maggior giovamento. Laonde accetto in questa parte le cortesi promesse di \ . S. , nell alira la prego che non voglia più ob- bligarmi , che non ni' obbliga la mia malvagia fortu- na: e bastile, che io sarò sempre ricordevole e gra- to di tanta cortesia: e le bacio le mani , ed insieme al Signor Antonio suo nipote . Di Napoli, 11 1 J di A- gosto del 1588.

LETTERE 7^

CCIV. Jll medesimo.

Ringrazio V. S. tanto efficacemente del buono of- ficio fallo per me con Monsignor Nunzio , quanto prontamente a lei è piaciuto di favorirmi. Aveva deliberato questa settimana venirmene a Roma 5 ma sono debile, che teiuo di restare in mezzo del cammino, bene Ile non sia molto lungo: pure mi ri- solverei a venir volentieri, se avessi qualche buona compagnia, se buona può esser per me in modo al- cuno. Sua Santità potrebbe agevolami il viaggio, e V. S. tanto inlimo suo servitore dovrebbe a buon proposito ricordarle, che la Santità Sua non può e- sercitar la sua beneficenza , e la sua liberalità in per- sona più bisognosa di me, più grata, più ri^ corde V ole de' benefìej ricevuti . Bacio a V. S. le ma- ni , ed al Signor Costantino appresso . Di Napoli, il 7 Settembre 1588.

GGV. ^l medesimo.

Raccomando a V. S. rinchiuse, e me stesso , per usar molte volte la medesima clau.sula, della qual non trovo la migliore . Scrivo al Sig. Antonio suo nipote d^ un mio importantissimo negozio : la prego che lo solleciti alla spedizione, avanti ch'egli parta di Roma. Un' altra grazia le chiedo, che mi conser- vi la sua camera , se bisognasse, fino al suo ritorno ^ perchè godendo io in sua vece la camera, procurerò ancora di servire a V. S. Diedi al Reverendissimo Nunzio la risposta all'altra sua lettera: ora le bacio le mani . Di Napoli, il 14 di Settembre 1588.

•j6 J. F. T r V. Vi r.

CGVI. yil medesimo .

Sono stato alcune settimane più infermo del soli- to, e senza lettere del Signor Costantino e di V. S. che mi potevano portare qualche consolazione . Del mio ritorno a Roma sarei quasi risoluto, se avessi qualclie comodità, o facilità di tornare: aspetterò dunque alcuna occasione di buona compagnia. F'rat- tanto mi raccomando a V. S., e la prego che voglia dar ricapito all' inchiusa, eh io scrivo a Monsignor Illustrissimo Cardinale del Mondovì , e procurarme- ne risposta: e bacio a V. S. le mani. Di Napoli^ il 16 di Settembre 1 588.

ce VII. y4l Collegio de^l' Illiistrissbni ^ e Reverendiss. Cardinali ,

Io sono molti anni stato soggetto a tutte le cala- mita, ed esposto a tutte l'ingiurie, che possono fa- re un povero gentiluomo, miserabile esempio d' in- felicita : nella quale non ha avuto minor parte la malizia e l maleticio degli altri , che la mia incon- siderazione*, nondimeno ancora son vivo, e la mia vita si conserva per niiracol di Dio , quasi un certo testimonio della mia innocenza. IVIa se non è alcu- no innocente, le colpe degli altri possono fare de- gni di scusa gli errori, ne'quali sono incorso molte volte : dee in Sua Beatitudine , o in W. SS. Illu- strissime manifestarsi minor clemenza nel perrlo- nare, che in me fragilità nel peccare. Però le suj)- plico , che mi facciano giustizia e grazia insieme: acciocché non sia conceduta ogni ardire alla scel- leraggine,o negata ogni consolazione all'infelicità: chi cerca d'impedir la ragione è ingiusto ^ chi 11 perdono, crudele. Io procuro di venire a Roma per

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Funa e per 1' altra cagione, e dopo si lunga prigio- nia, e lunga infermità, e tanti infortunj , e tanti affanni sostenuti. W. SS. Illustrissime si degnino di favorir la mia buona volontà, e di raccogliermi nella loro prolezione .

CGVIII. ^l Sig. Duca di Mantova .

Siccome 1 estrema età del Signor Bernardo Tasso, mio padre, fu spesa ne' servigi di Vostra Altezza, così r ultima sua opera fu a lei dedicata. \ ostra Al- tezza il conobbe mal riconosciuto dal primo padro- ne , il raccolse vecchio e stanco per molte fatiche, il sollevò depresso, e'I favorì disfavorito, e c(dla sua liberalità l'aiutò a sostenere nella solita riputazione gli anni ornai cadenti, e l'ingegno dopo la maturità invecchiato . Vostra Altezza può nell' isiesso moda onorar la sua memoria , perpetuar la sua fama , e consolar la sua successione, accettando da me, suo figliuolo, questo suo Poema 5 il quale egli non con- dusse a fine , corresse, come pensava, illustran- do, ed innalzando alcune parti; perchè fu prevenu- to da gravissima infermità. Ma io non ho voluto che sia nascosa agli uomini la fecondità del suo in- gegno, la qual dimostrò tino alla morte ; potendo in- sieme far manifesto l' obbligo , eli egli ebbe a Vo- stra Altezza. Mio padre a' suoi giorni acquisto mol- to onore co' suoi varj , e felicissimi componimenti , co quali arricchì questa lingua , e fece fiorire il se- colo , nel quale egli visse; laonde non può dispiace- re a Vostra Altezza die resti memoria immortale della servitù , eh egli ebbe colla sua nobilissima Ga- sa ; potendo dar quella riputazione a quest' opera sua , che l'altre diedero a mio padre; benché questa ancora per la piacevolezza , e varietà del soggetto debbe esser letta volentieri . Onde credo che per

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tutte le cagioni sarà cara a Vostra Altezza ed insie- me la mia affezione ed osservanza , come dee a Principe d'alto ingegno, di molte lettere, giudicio- sissimo , e libéralissimo , ed usato sempre alla cor- tesia , ed alla magnanimità, per costume ereditario osservato da tanti Principi antecessori: ed a Vostra Altezza bacio le mani. Di Mantova .

CCIX. ^l medesimo .

ÒNè io ho potuto ritenere il Signor Carlo, ed il Slg, Pirro Gonzaga , essi hanno voluto , per condur- mi a Mantova, ritardare il lor viaggio, e farmi de- gno della lor compagnia: e benché V autorità di Vo- stra Altezza potesse non solamente accompagnare i veloci co' tardi, ma accoppiare ancora i degni , e gli indegni; nondimeno mi doglio solo della mia fortu- na, né posso più lungamente dissimulare o la sua violenza , 0 la mia debolezza , per la quale non ho altro merito, che di pronta volontà . Attenderò dun- que (se mi sia lecito con sua grazia) a diminuir la febbre , perchè lo scacciarla peravventura non è conceduto alla virtù d'altra mano , che a quella di Vostra Altezza . Frattanto mi ritirerò in un mona- stero: e per ischi vare la soverchia malinconia, che mi rode l'animo, mi sforzerò di finire almeno quel- la parte del mio poema, dove ho pensato di seguir Sani' Agostino, descrivendo i due amori della terre- na, e della celeste Gerusalemme. Le lodi, che si convengono a Vostra Altezza , in ninna poesia po- trebbono esser meglio trattate, che nelT altissima , Ma io sarò prima dubbio di tutte le cose, ch'ella possa dubitare in modo alcuno della mia affezione antica, e della divozione dell'animo, per la quale sono ardito di sup]di(-arla, ch(^ non voglia impedir- mi, ma piuttosto aiutarmi a condurre quest' opera a

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perfezione , nella quale se altra cosa non le piaces- vse^ almeno le dovrà esser grata la gloriosa memoria d'alcuni suoi maggiori : e le bacio umilissimamen- te la mano . Di Roma, il 7 FeJjbrajo 1591.

CCX. Alla Signora Duchessa di Mantova .

La mia fortuna m' ha costretto a giacere con fasti- diosa infermità più volte per viaggio, ed in Fioren- za medesima , dove io vivo ancora colla speranza della sua grazia ; e la supplico, che scriva in mia raccomandazione al Gran Duca, ed al Signor Duca suo marito , affinchè io sia portato dal suo favore noumeno in Fiorenza, che in Roma. Conserverò sempre memoria della cortesia , che piaciuto usar- mi , e delle sue parole , che sono il più stabile fon- damento del mio stato, che non può più sostenersi , e minaccia rovina , se dalla sua autorità non è so- stenuto ; viva felice. Da Fiorenza, il 30 di Novem- bre del 1 591 .

GGXI. Alla medesima .

Mi è stato detto , che Vostra Altezza desidera di donarmi due turchine: io la ringrazio, quanto deb- bo , del buon animo, come farò di ogn' altro favore, che le piacerà di farmi ^ ma veramente le sarei più obbligato , se mi donasse un rubino ed una perla legata in oro , perchè se avvenisse mai che io do- vessi prender moglie, non mi mancherebbono colla sua grazia anella da sposarla: e senza questa occa- sione sarebbono quasi un rimedio alla malinconia. Vorrei questa state andare a Napoli , e questo au- tunno tornarmene in Lombardia , coli' occasione queste nozze fra '1 Signor Principe di Venosa e la Signora Donna Leonora . Ma a Vostra Altezza sono servitore in tutti i tempi ed in tutti i luoghi , e Lctt. T. IV. ti

$& L V. T T r- R !

non perdei'ò alcuna occasione di servirla: e la bacio le mani . Di Koma, il 14 di Aprile del 1593.

CCXII. Alla Tìiedcsinia.

Vivo ancora : e questa vita, che una volta fu do- no di \ oslra Altezza, non mi può esser molto cara senza la sua grazia: e benché io abbia perduta la speranza della sanità , non ho voluto perder quella della sua protezione. Però mandai la lettera di Vo- stra Altezza, conservata da me due anni intieri, al Gran Duca di Toscana, supplicandolo che mi fa- cesse grazia di qualche antidoto, se pur è possibile che io possa aver dono almeno di questa sorte, che non mi noccia . Vostra Altezza, se può, mi ajuti neir istesso modo , acciocché io ne speri Y istesso giovamento: e non potendo servir lei, servirò Mon- signor Carretto sempre che si degnerà di comaudai-- nii: e le bacio umilissimamente le mani . Di Romaj r ultimo di Aprile del 1594.

CGXIIL All^ Illustrissimo Sig. Don Fabio Orsino .

In questo picciolo Poema pastorale risplendono tanti lumi dell'ingegno di V. S. Illustrissima, quant'io piuttosto vorrei che rilucessero della sua grazia j pereiocchè sua è Y invenzione, suo quasi 1' ordine , suo lo spirito medesimo della poesia. Io a guisa d' instrumento senz'anima sono stato mosso dalla sua volontà, e dal suo favore; laonde ho parte solo nelle spiegature: e se io volessi stimar mia questa composizione, potrei fare un apologo della celerà, che volesse attribuirsi l'arte del citaredo -, ma non son cupido della propria laude . A V. S. Illustrissi- ma dunque lo dono, e lo consacro: e mi spiace di non donarle cosa che non sia sua ; ma ncU' istesso

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modo potrebbe rifiutar il dono di me stesso ; perchè io ancora sono tutto della sua cortesia , siccliè appe- na è rimasaa me stesso alcuna parte di me. Degnisi V. S. Illustrissima di accettare questo picciolo rogo per consolazione del suo dolore, e per testimonio della mia osservanza; e le bacio le mani. Di Ga- sa 1588.

CCXIV. ÀI Padre Don Gaspero Pasteriìii Ahate di Pontecchio .

II Signor Cavaliei'e Gio. Galeazzo ha voluto inter- porsi fra V. S. e me , laddove io aspettava piuttosto che V. S. Reverenda si frapponesse fra me e lui ; perchè io son stanca di ricever simili cortesie, ed egli non è stanco di farle. Questa sera appena me gli sono involato, e '1 mio ritiramento non è stato sen- za sua disfida 5 ma poiché la provocazione nasce da molta liberalità , allora risponderò prontamente, che io per grazia di Nostro Signore sarò atto ad usarla . Frattanto si contenti V. S. Reverenda , che io me ne stia ritirato , e non venga ad assalirci co' suo tanti doni, quasi con tante macchine da espugnare la mia volontà, perchè ella non si rende così di leggieri , se non al voler d' Iddio , col quale eonformianci . Vostra Paternità può esser certa dell' affezione e dell' osservanza , che io le porto : e le bacio le ma- ni . Di Bologna, il 26 di Ottobre del 1 587.

CCXV. Al Sig. Giacomo Pergamini .

Io credeva d'esser avvisato questa settimana dal Signor Antonio Costantini, eh' egli avesse ricevuto il libro , che io diedi a V. S. da mandargli, molti giorni sono , come scrissi a lui , che sarebbe segui- lo j ma perchè non ho alcuna nuova con due lettere.

Sa L F. T T K II E

che mi ha scritto, che gli sia capitato, mi fa sospet- tare, 0 che \. S. non gliele abbia inviato , o che sia andato in sinistro : e 1 una , e 1' altra di queste oc- casioni mi spiacerebbe egualmente; laonde per li- berarmi, collo sciolglmeuto di un dubbio, del tra- vaglio deir altro , prego Y. S. a farmi sapeie, col mezzo dell' istesso latore di questa mia, ciò ch'ella eseguisse di quel libro , che le consegnai , altrettan- to mal fortunato, quanto l'autore : e le bacio le ma- ni. Di Santa Maria del Popolo.

CCXVI. Al Sìg. Cnvalier Gio: Galeazzo Bossi.

Troppo m'obbliga Y. S. con tante belle poesie: e benclip io non sia in questa parte cattivo debitore , nondimeno pi-endo tempo a soddisfarla, parendomi che mi debba esser conceduto dalla sua cortesia; perchfi sono occupatissimo in racconciare alcuni miei Discorsi del Poema Eroico, come infenderà da! Signor Costantino : il quale ringrazierà V. S. da mia parte dell' altre cose; perchè io conservo le grazie occulte nel cuore per renderle a tempo tanto mag- giori, quanto sono stale più tarde. Mi vergogno di concederle quel che di.'nanda; perchè per la bruttezza d(d corpo merito d'esser ritratto, per la bassezza dell' ingegno, 11 luogo dell' immagine j nondinsciio a V. S. non si può negar cosa alcuna, perchè tutti hanno imparato da lei a conceder molte cose al desiderio degli amici. Mi spiace, che ornai non si rimuovano tulli impedl.menti , die sono tra Mantova e Bologna, acciocché io potessi venire alcuna volta a vederla; ma se i miei preghi non so- no slati di tanta autoiila, forse potrebboii essere un di le ragioni: ed a \. S. bacio le mani, piegandola che mi tenga tanto in grazia del Signor Papio , che

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io possa viverne sicuro. Di Mantova, il 19 di Luglio del ljd7.

CCXVII. j4.l inedesìtno.

Io ho così poca voglia eli far questione, quantun- que sia provocato da V. S., che ne fuggo tutte le oc- casioni con gli Abati , e co' Canonici ancora , i qua- li vogliono contendere di gentilezza, e vincer di cortesia con me, che posso agevolmente esser supe^ rato per difetto della mia fortuna in questo campo, e nell'altro per debolezza e per inesperienza. Ri- cuso dunque col dono tutte V occasioni del far que- stione^ e le rinunzio al Signor Antonio Costantini : il quale, benché sia di picciola statura, nondimeno, essendo generoso e di grande animo , e grande amico, potrà di leggieri esser campione. E se que- sta causa si può così difendere colla lingua, come colla spada, o meglio, è per se stessa così buona, che non durerà molta fatica in difenderla. Conten- tisi dunque V. S. ed insieme il Padre Abate, che se questo è cortesia , io lasci il Signor Antonio, che ne goda: se impedimento, ritenga lui, e non me, che t?nto sono impedito dell'intelletto, che non posso distinguer r cfl'ese dagli obblighi. E se questo è u- no degli altri, non dee spiacere alla sua Reveren- da, né alla Vostra Illustre Signoria, di avere obbli- gato persona, che può meglio pagare i debiti 5 per- che di esser povero, e disfavorito, e per poco di- sgraziato creditore, non posso rimaner contento in modo alcuno. La pace di Nostro Signore sia con esso loro. Di Bologna, il 26 di Ottobre del 1587.

CCXVIIL ^l medesimo .

Io tengo maggior memoria delle cortesie, che dell'ingiurie, se pure alcuno, che viva virtuosa-

§4 3L T? T T E R E

nieule^ può essere inguriato^ però son contento di separar minutissunamente 1 une dall'altre, come fanno coloro, che fra l'arene e fra la terra cercano 1 oro^ ma lasciam le burle da parte. Io sono lauto obbligato a Y. S., che doveva prender da me ogni cosa in giuoco, come io avea preso da lei ; eccettua- tone pero le gran lodi, che mi ne' suoi versi, le quali io numero fra le cose gravissime, ed impor- tantissime. Laonde tanto crescono gli obblighi miei, Cjuanto vanno moltiplicando le occasioni , che mi presenta di servirla. Insomma son tutto suo affezio- natissimo alla sua gentilezza, ammiratore de' suoi meriti , e quasi predicatore delle sue virtù: e se io non sono affatto, ciò avviene, perchè io non vorrei fare offesa alla sua modestia. Ho ringraziato il Sig. Antonio Costantini, che abbia voluto restringere quest'amicizia, beuchè dal mio lato non era punto rallentata: e prego V. S, che quanto mi ama, tanto voglia mostrarsi grato all' affezione portatale da que- sto gentiluomo, il'quale se non meritasse, come fa molto, perla sua sufficienza, dovrebbe almeno per la mia amicizia esser raccolto da qualche Principe o gran Signore: bacio a V. S. le mani. Di Roma, il 3 di Dicembre 1587.

CGXIX. ^l Signor Giulio Amici j a Loreto .

Tardi ho ringraziato V. S. d'essere arrivato a Ro- ma col suo favore ^ ma prima non ho avuto occa- sione di scriverle, comodità: ora una mia canzo- na fatta alla gloriosa Yergine di Loreto me ne occasione, perché fra gli altri suoi miracoli posso numerar questo ancora del mio arrivare a salvamen- to : e la comodità mi sarà data dal Signor Antonio Costantini, gentiluomo di rare qualità, mio amicis- simo, e degnissimo dell'amicizia di \'. S. parimcn-

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te. Pregola , che voglia legger questo componimen- to vol(^iitieri , e scusarmi, se ia alcuna cosa o man- casse la divozione, o l' informazione, o sovercliiasse il desiderio, che ho avuto di pubblicarlo; ma per me non sarà più divolgato di quel che parrà a V. S. ed a pochi altri , a' quali ne ho fatto parte . Viva feli- ce, e mi tenga in sua grazia , ed in quella del Sig. Governatore. Di Roma, il 18 di Novembi'e del 1587.

CCXX. Al Signor Giulio Girelli.

Voglio parere importuno con V. S. ripregandola che faccia aggiungere alla seconda parte delle mie rime la corona de' dodici sonetti , la quale è stam- pata. Perdoni V. S. a me T importunità, come io perdono agli altri molto maggiori offese, che mi ven- gon fatte . Credo, che agevolmente e con poca spe- sa potrò esser soddisfatto di picciol favore. Però non m'affaticherò più lungamente in pregarla: solo mi sovviene di avvertirla, che se in ciò si frappo- nesse difficoltà alcuna , voglia comunicarlo col Sig. Antonio Costantini: il quale avendo particolar cura di tutte le cose, nelle quali si tratti di qualsivoglia mio interesse, supererà ogni difricoltà,e leverà ogni intoppo, che impedisca la mia soddisfazione: ed a V. S. bacio le mani . Di Pvoraa, il 9 di Maggio del 1 592 .

CCXXI. yil Signor Luca Scalabrino .

Da che mi prometteste con una vostra lettera di venire a ^lantova, non ho più intesa novella di voi: non vorrei , che foste morto in modo alcuno. Vede- te artificio da costringere gli amici ad esser più sol- leciti d'ogni accidente! quasi senza questa cagione io non fossi stato assai desideroso della vostra salu- te . Scrivetemi di grazia, per quanto amore mi por-

N

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taste iin tempo , e mandate quel danari al Signore Scipion Gonzaga, o a Mantova, se potete mandarli sicuramente. Un altro piacere vorrei da voi, verbi grazia, che ricopiaste la tnia tragedia, che sarà nel- le mani del Signor Antonio Costantini, nostro co- mune amico, e ne mandaste la copia all' Illustrissi- mo Patriarca di Gerusalemme ^ e l'obbligo si rad- doppierebbe , s' egli l' avesse a tempo per questo Natale, perchè potrebbe leggerla a qualche amico , e Signor mio. L' un mio pensiero mi porta a Roma coir immaginazione, l'altro mi tira al Signor Mar- co de^Pij : baciateli la delicata mano da mia parte, e diteli che di leggieri si poti-ebbe recitar la mia tragedia questo Carnevale in Mantova . Se vuol ve- nire allo spettacolo, disse il Castelvetro , si contenti di non leggeila , e voi di non mostrargliela, accioc- ché meno il fastidisca nel rappresentarsi. Il Signor Principe gli farà carezze; laonde per mia opinione può venire a farmi questo favore : fate di grazia che io sia soddisfatto in tutte le cose, delle quali io vi prego, e vi bacio le mani. Di Mantova, il 14 di Dicembre del 1586.

GCXXII. Al Signor Marco Pio.

E stata cortesia la vostra di scriver così spesso ad tiomo piuttosto bisognoso de' suoi favori , che atto a' servigi: e sciocchezza sarebbe stata la mia il ne- gar risposta , e negligenza il darla tardi , e superbia il rispondere altrimente di quello, che si conveniva ai meriti V. S. Illustrissima ; ma tanti difetti non possono essere , ove è tanta afl'ezionc: queste non so- no mie colpe, ma della fortuna. Laonde io non do- vrei scusare me stesso, ma accusarne coloro, che se le hanno ritenute: io non gli conosco, nò, se voles- «i.cercarne , saprei dove . Rimarrò dunque, come ho

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latto altre volte, in questo dantio, il quale solo può esser ricompensato dalla vostra cortesia: credia- te già, Signor mio, che io volessi opporre a cotesta sola virtù tanti vizj di sciocchezza, di superbia , di negligenza, anzi mi sforzerò d' imitar tutte le vostre virtù, delle quali in età così giovenile siete adorno in guisa, che potete esser imitato da' più vecchi . lo entro ora malvolentieri nel campo delle vostre lodi, perchè mi stancherei nel primo arringo, se prima non riprendessi vigore, e non fossi ristorato dalle fatiche della mente. Ma se io avrò il potere pari alle forze, V. S. Illustrissima conoscerà che io non cedo ad alcuno in onorarla, ed in fare stima della sua grazia. Ho finita la tragedia, come può a- vere inteso da alcuni miei amici, i quali non mi hanno rimandata quella copia, che io ne avea fatto; onde non ho anche potuto porvi l'ultima mano: le mutazioni nondimeno saranno poche, passe- ranno sei, o sette versi in varj luoghi. Speditomi della tragedia, rivedrò il GolFrcdo, nel quale l'ac- crescimento sarà di quattro canti , e di qualclie cen- tiaajo di stanze, ancorché siano sparse negli altri canti. Vorrei, che quanti saranno i miei poemi , e gli altri miei componimenti, tanti fossero ancora e- terni testimonj dell' affezione, che lo le porto; ma V. S. Illustrissima può sapei'e quali siano gli obbli- ghi miei, e in quante parti bisogna che io quasi mi divida coli' opere, e colle fatiche : obblighi di li- bertà^ obblighi di servitù, obblighi di comodità, obblighi di salute ; tutti mi sono addosso , e questi quasi congiunti. Altri ve ne sono, oltre questi, a que- gli che mi procurano la grazia di Nostro Signore ^ di Sua Maestà, e di altri Serenissimi Principi, ed insieme colla sanità del corpo, la tranquillità dell'a- nimo, e l'ornamento della fortuna; ma fra tanti miei Signori , ed amici, V. S, Illustrissima ha preso

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COSÌ alto luogo nell'animo mio , come il merita la 8ua nobiltà, e la sua gentile ed officiosa natura ; e non può esserle tolto per avversità, o prosperila: per favore , o disfavore ; per grazia fatta , o negata- mi : per timore, o per isperanza : o per danno, o per guadagno: per nuova, o per vecchia amicizia : per cominciata, o per disegnata servitù -, ma troppo sarebbe lunga questa lettera, se io volessi persuader- le quel ciré non mi è stato per ancora creduto. Re- stringo dunque così questa parte deU'afFezion mia, come l'altra delle sue lodi, pregandola che non creda a veruno di me, più che a me stesso; perchè allora V. S. Illustrissima sarà meno ingannata, ed io più conlento di esser da lei conosciuto : e le ba- cio le mani . Di Maniova .

GGXXIII. Al Signor Maurizio Cntatieo .

All'improvvisa novella della morte del Signor A- bate Albano io mi son commosso, quanto si possa commovere alcun uomo aflctluoso: e benché molte siano state le passioni, e molti gli ailelti nell'animo mio-, nondimeno di ninna cosa più sono perturba- to, che dal timor che la morte dell'Abate possa es- ser cagione di quella del Cardinale. Ma conoscentlo la prudenza di Sua Signoria Illustrissima , credo che sarà così possente a sostener ([ucsto colpo con animo invitto, come per l' addietro ne ha soste- nuti tanti altri della nemica fortuna-, anzi tanto più, quanto in questa età avrà meglio imj)arat(> a confor- marsi colla volontà di Dio. Non posso scrivere a Sua Signoria Illustrissima (juesta settimana, percbè la propria perturbazione m' impedisce : scriverò que- st'altra. Frattanto son sicuro clic V. S. non lasce- rà alcnn officio di amorevol servitore verso il padro- ne . Però in questa occupazione non voglio aggiun--

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geme a V. S. alcuna altra . Mi rimetto a quel clic le scrissi per altre mie: e le bacio le mani. Di Napo- li, il 27 d'Agosto del 1588.

CCXXIV. uil medesimo.

Iddio mi dia tanta pazienza , quanta ha yoluto che io abbia tribolazione . Da Bergamo non ho ri- sposta , se non dal Signor Pietro Grasso , il qual mi scrive di mandarmi alcune mie scritture in casse di cinnamomi: fra le quali non scrive di mandare alcu- ni mìei libri del Poema Eroico. Dicendo il Licina di averli mandati a V. S., era ragionevole che io ne sapessi qualche cosa , perchè questi modi non sono altro, che trattamenti da farmi xiccidere. Io le ho detto più volte, che si dovrebbe far professione di nemico scoperto, o si dovrebbe aspettare il premio conveniente all'opera. Quando io credea di avere scritto tanto , che io meritassi di riposar con digni- tà, voi cercale che io mi affatichi in nuove opere senza frutto; perchè non so quale altra cagione vi possa indurre a negarmi le composizioni già fatte. Questo è troppo disprezzo di me, e delle cose mie: troppa ingiuria si fa all'amicizia, se pur ve ne fos- se alcun vestigio: troppa alla giustizia, troppa alla verità : assai torto mi si faceva negandomi i danari promessi , senza negarmi i componimenti medesimi. Non voglio parlar di tante pratiche , e di tante ami- cizie con tanti uomini, che fanno professione di lettere, ed in tante parti d'Italia, nelle quali si scrive, e si ragiona di me con tanta soddisfazione universale; ma non sono io soddisfatto, che molti si usurpino la mia opinione , molti gli scritti, altri vogliano impugnarmi sotto pretesto di amicizia, ed io sia costretto di tacere, e di simulare: e certo il farei, se potessero impugnarle opinioni senza la vi-

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ta, o se fosse disgiunta l'utlliià dalla ripuiazlone. Queste cose o si negano tutte, o tulle si debbono con- cedere. Non voglio che la mia fortuna mi spaventi di scriver quello, che potrebbe fare un Princii^e giustamente, dove egli avesse opinione che la giu- stizia fosse una generosa sapienza, non una genero- sa pazzia, come credevano i Solisti. Potrebbe, dico, così contentarsi che io otFendessi altrui senza pena , e senza pericolo, come io senza pena sono stato of- feso a torto molti anni-, ma questo Principe biso- gnerebbe che discendesse dal Cielo, o che fosse polito a guisa di una statua da un eccellentissimo fi- losofo; ma non trovandosi il filosofo, è soverchio il cercare del Principe: ed io non spero tanta felicità ; e se la sperassi, non son cupido d altra vendetta, che di potermi vendicar non volendo, e perdonan- do a coloro, che non sono ostinati. Ma lasciam que- sti discorsi, ne' quali sono stato trasportato da una giusta ira, quasi cavallo senza freno: e siami in ve- ce di freno il rispetto, che io porto ali Illustrissimo Signor Cardinale Albano. Frattanto V. S. si conten- ti di mandarmi quei libri in modo , clie non si [per- dano. Mi scrive il Signor Aatonio Costantini, che V. S. gli ha comunicata una certa nuova pratica da lei cominciata , perchè si stampino altre mie lettere in Vaticano . lo in quanto alla stampa non fo diife- renza da Vaticauo a Basilea-, perchè in tutti i luoghi porterei l' istesso rispetto a Sua Santità; ma dopo tan- ti volumi stampati, con tanto mio dispiacere, vor- rei compiacermi nell' impressione di tutte 1' opere mie , e poterle rivedere, e correggere: posso dis- simular questo appetito. Bacio a V. S. la mano, e la prego che non consenta, che io sia più tentato in questo modo: e viva lieta. Di Napoli, il 3 di Set- tembre del 1 JSS .

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CGXXV. Al medesimo .

MI doglio, die la mala novella sia confermala da Bergamo: e questo dolore mi si fa senlire fra gli altri miei , che sono inGniti in guisa , che ninno più mi perturba. Io non sono atto quasi a ricever consola- zione; e voi volete che io la dia : se io potessi ricu- sar quest'ufficio senza rifiutar la servitù con Mon- signor Illustrissimo Albano, il farei volentieri \ ma non posso, se non essergli servitore, o lieto, o do- lente, o come stima più convenevole. Scriverò dun- que quest'altra settimana o consolando, o piangen- do seco quésto inaspettato accidente: frattanto gli parrò forse soverchiamente nojoso , non perdendo le occasioni dello scrivere, e del raccomandarsi; ma quanto la sua prudenza è maggiore , tanto meglio conoscerà che in ogni tempo i buoni ufficj son con- venienti . lo son rimase molto debole per molto san- gue cavatomi, e molto maninconico per la qualità, la quale mi ha spaventato. Da Roma ho così piceio- la grazia, che non posso spedire in Napoli le mie cose per giustizia: e chi tiene contra le mie ragio- ni, non mi può essere amico. Il Lioino mi scrive di aver mandato a V. S. alcuni miei libri del Poema Eroico; però mi maraviglio di non averli avuti . Se Bergamo fosse stato in Gattaro, ed il Licino il Gran Cane, questo negozio si doveva spedire: e non mi può essere per modo alcuno persuaso , che se V. S. avesse voluto dirne una parola al Gardiuale, egli non si fosse risoluto a mandarle scritture, ed a pa- gar quel clic egli non può negar di dovermi già molto tempo fa. Piaccia a Dio, che io possa un gior- no respirar da tante oppressioni : ed a V. S. bacio le mani. Di Napoli, il 14 di Settembre del 1.188.

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CCXXVI. Al 3Ionsignor Barzellina Abate di S. Barbara .

Io ho trovato Roma bella, e cortese , come lo avca già pensato , e non mi è succeduta alcuna cosa oltre l'opinione. Piaccia a Nostro Signore, che io abbia ancora qualche grazia , oltre ogni mia espettazione , ed ogui credenza degli altri: la dispero dalla pietà d' Iddio . Frattanto io mi vo consolando co' fa- vori , che io ricevo ogni giorno da questi Illustrissi- mi^ Signori : e penso che questa debba esser mia stanza , quanto lunga , non so -, ma pur che debba esser mia stanza; però prego V. S. che voglia prega- re il Signor Duca, e la Signora Duchessa di una giustissima grazia, cioè, che si degnino di coman- dare che mi sieno mandati i miei libri sino a Roma, O almeno sino a Fiorenza; perchè il Sig. Antonio Costantini si plglierà questa cura per amor mio ; ed io mi rimarrò obbligatissimo a V. S. in questa cit- tà , la quale non avendo mancato mai all' industria d' alcuno, non mancherebbe alla mia, se io ne aves- se alcuna*, ma questa sarebbe cosa ordinaria: il nu- drire un uomo ozioso ne' suoi piacevoli studj , po- trebbe essei'e uno de' miracoli della sua maonihcen- za . Piaccia a Dio che io non m' inganni , acciocché io possa mostrare a V. S. quanto desideri di servir- la. Aspetto risposta senza fallo, ed appresso i libri: e le bacio le maui . Di Roma, il 4 di Novembre del 1587.

CCXX\ II. yl Monsignor Pnpio.

Io sono in Bologna, dove essendo scritto, o di- ^liuto il nome di libertà in molte parli , dovrebbe es- sere ancora scolpito nel cuore degli uomini ; benché non sia maggiore, più bella libertà, che il scr-

LETTERE 93

vire a Sua Beatitudine-, alcuna scienza, che possa insegnar cosa più lecita, o, per meglio dire, più do- vuta. E benché l'esser mio non sostenga alto co- noscitore , per parlare colle parole del Poeta; nondi- meno , come io slimo, non è alcuno così basso, o così indegno soggetto, che non possa esser cura del- la sua provideuza : culla quale reggendo i regni , ed i popoli, e le nazioni del mondo, si assomiglia a Dio, del quale è supremo Vicario in terra . V. S. Reve- rendissima dunque mi farà grazia di far sapere a Sua Santità, che io sono in Bologna, e scrivo questa dal- le stanze del Signor Antonio Costantini , dov' egli mMia raccolto con quelle dimostrazioni di amore e d'onore, che io non so se avessi saputo deside- rare di più, di meglio. A V. S. Reverendissima sono affezicnatissimo a quel mio modo antico , il qual cominciò colla cognizione degli intaniti suoi ineriti, e della sua profondissima dottrina: e mi rincresce che la mia fortuna mi costringa ad aver obbligo a molti altri, fra' quali non voglio numera- re il Signor Patriarca di Gerusalemme, benché egli colla sua autorità non abbia voluto aver parte nella mia licenza, o nella salute , o nel rimuovere alcuno di tanti impedimenti, che io ho trovati per questo viaggio. V. S. Reverendissima nondimeno si degni di raccomandarmeli: e viva felice. Di Bologna, il 26 di Ottobre del 1587.

CCXXVIII. ^l Si^. Principe di Mantova .

Mando a Vostr' Altezza i versi fatti per suo- pro- prio comandamento . Se saranno di suo gusto , avrò di che rallegrarmi per rispetto di lei stessa, che ri- conoscerà per effetto della sua autorità tutto ciò, che ella goderà di buono in questo breve componi- mento*, ma quando io non abbia accappata 1^ ven-

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tura in darle soddisfazione, 1 obbedienza potrà scu- sare qualunque mia imperfezione, e T ardimento poetico in particolare , che V. A. vedrà non mai più veduto, avendo io fatta Minerva innamorata, perchè non ho letto in alcun poeta, ch'ella fosse mai innamorata; ma il Petrarca nel Trionfo di A- more la comprende sotto quello universale:

Tutti son qui prigioìi gli Dei di Varrò; perciocché ella non solo ètra gli Dei di Varrone, ma fra' seletti. E dovendo obbedire V. A., ho preso ardire di fina;ere che Minerva sia vinta da Amore. Nel rimanente m\ porto a quanto le dira per me il Signor Antonio Costantini, ciie le renderà questa mia : ed a V. A. bacio umilmente la valorosa mano. Di S. Anna, il 4 di Luglio del 1 j86.

jimor contra costei , che ^n treccia , e "*/? gonna S^ arniaj e s^ accampa^ e i suoi guerrieri accoglie. Tra le schiere un desio , cìi in noi s^ indonna,

Guida un pensier hen mille ardite voglie; Tutte le stelle in del d^ invitta dorma Prometton r amorose e care spoglie:

E fede j e sofferenza _, e pronto schermo , Fanno a lei forza , e 'l suo destino è fermo . Scudo , eli avvolge al capo atri serpenti , E d' elmo e di lorica il doppio incarco , Grave faretra , e strali ancor pungenti , E Vasta d^ una Diva, e d^ altra V arco Amor sospende alle future genti , di pietà , ile di piacer mai parco,

Acciocch insieme un sol trofeo dimostri Due vittorie , e cento armi , e mille mostri .

GCXXIX. Jl Sig. Ricciardo Costantini.

Buoni, e ben intesi sono i riraedj , che V. S. mi

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ha mandati per la mia indisposizione : e direi anco- ra, che sariano moho bene applicati, e con speran- za di giovamento, se il male istesso pur troppo in- vecchiato non mi facesse perdere ogni speranza ne- gli ajuti umani, ed averla solo ne' divini. Resto nondimeno molto ©hhligato alla cortesia di V. S. -, e mi creda che se piacerà a Dio, ch'io viva ancora qualche tempa senza que' travagli, che l'infermità eonllno vomente mi al corpo, e la maniiiconia all'animo, ella goderà senza fallo gli effetti della gratitudine, che la mia mala fortuna non può vie- tarmi di usare verso di chi mi si mostra così corte- se, come ha fatto V. S.: e le bacio la mano. Di Roma.

CGXXX. Al Signor Scipione Gonzaga , Patriarca di Gerusalemme .

Niuna espettazion mi par più lunga, che quella delle lettere di V. S. Illustrissima , le quali potran- no far r effetto , che farebbe la presenza medesima, o non molto minore , e consolarmi quasi nell' istes- so modo. A niuno fui mai più affezionato, che a V. S. Illustrissima, a niuno più intrinseco, ed a nin- no pensai d'esser più obbligato, o avrei voluto: ed ei'a ragionevole, che quanto crescevano i suoi meri- ti, tanto ancora accrescessero gli obblighi miei^ per- chè meritando molto, potea aver molte occasioni di farmi favore . Però non si maravigli, se da lei sola aspetto quel rimedio, che può esser medicina all'a- nimo infermo , il quale non chiederei ad alcun al- tro, benché noi rifiutassi offertomi, o datomi volon- tariamente. Del corpo sono ancora infermo, come io era, o poco meno; e se l'infermità non fosse di molto pericolo, è almeno di grandissirata noja: ma io credo che non essendo risanato, non potrò vive? Leu. T. TV. 7

f)6 LETTE U r,

se non breve tempo . 11 Serenissimo Signor Principe, come V. S. sa, mi fece grazia di voler che io venis- si seco a Mantova: non ci pensando io, dovrebbe an- che risolversi al rimanente, e conceder tutte l'altre grazie, o al mio silenzio, o alle preghiere di V. S. Illustrissima; perchè tardando molto, toglie a me la speranza, ed a se medesimo l'occasione di una lode- vole operazione, e ad ambedue il piacere della salu- te data e ricevuta . In questa materia è soverchio l'essere eloquente, basta d'esser veritieri-, e non es- sendo S. A. ingannata dagli altri, non dovrebbe in- gannar se medesima, valer più l'esempio di al- cuno, che la ragion medesima. Onde basta che \. S. Illustrissima le scriva il vero, e lo scriva come amico mio, e padrone di molti anni, e come suo parente, benché non soglia scrivere se non ornata- mente-, laonde non sarà desiderata la sua eloquenza per la vita di un suo servitore, lo scrivo a V. S. Il- lustrissima con poca diligenza, come sempre soglio , perchè più mi assicura l'airezione, che mi porta, che non mi spaventa il suo giudicio: stimo che le lettere, che io le scrivo, saranno fra quelle che vogliano stampare , o questa almeno ; la quale vor- rei che slesse occulta in modo , che mai no a si ri- sapesse, che alla benignità del Signor Principe, o alla liberalità fossero stati uecessarj sproni, o stirao- li : della clemenza non parlo, percliè mi ricordo che mi fu vietato il ragionarne. Attendo a fornir la mia tragedia: e sono occupato ancora nel poema di mio padre, e sempre mi sopraggiungono altre occu- pazioni, acciocché io non possa spedire cosa alcuna. Non ho potuto mai riaver quei Dialoghi , pei-ò scri- vo di nuovo al Signor Maurizio, e mi raccomando a M. Giorgio: ed a V. S. Illustrissima bacio le maui . Di Mantova, il 22 di Ottobre del 1586 .

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CCXXXI. Al medesimo .

Io temo più la rovina di V. S. Illusivissima, che la mia propria: percìiè la sua, quasi di una gran macchina, potrebbe ricoprir me ancora, se le fossi vicino, e darmi morie e sepoltura in un medesimo tempo \ ma la mia caduta non potrebbe atterra- re, né crollar la sua nobissima Casa, che ha pre- fondi e si saldi fondamenti , anzi piuttosto non ha potuto 5 perchè io son già caduto e rovinato, e mol- ti anni sono che lo tento di risorgere invano nell'o- pinione degli uomini, e di ristorarmi colla grazia de' Principi. Laonde la mia partita di Mantova non potrà esser cagione di mia nuova rulna , di al- cun danno di V. S. Illustrissima , perchè io non consentirei, che vivesse lungamente in questo so- spetto ed in questa ansietà-, ma se mi fermassi in Mantova contro il mio proponimento , sarei oppres- so, come sono stato altre volte, non degnandosi questo Serenissimo Principe di porgermi la mano della sua grazia, e di sollevarmi da tante miserie. Verrò dunque, potendo venire, in tutti i modi, o in abito di pellegrino, o di mercante, a cavallo, o a piedi, 0 per barca ^ ma se M. Giorgio non mi ajuta, temo che mi bisognerà navigare, potrei far co- sa che più mi splacesse . Io son poco sano , e tanto malinconico , che son riputato matto dagli altri e da me stesso , quando non potendo tenere celati tan- ti pensieri nojosi , e tante Inquietudini e sollecitu- dini di animo infermo e pertubato,io prorompo in lunghissimi soliloqui 5 li quali, se sono da alcuni ascoltati ( e possono essere da molti), a molti son no- ti i miei disegni, e quel che io speri, e quel che io desideri. La medicina dell' animo è la filosofia, col- la quale io mi medico assai spesso . Laonde comin-

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fcio a ridere di tulli i miei infurluuj , e di tulli i di- sfavori che io ricevo: che più? rido ancora della mala opinione, che hanno gli uomini di me, e del- la mia passata sciocchezza, colla quale io la confer- mai ; ma questo riso è cosi vicino al furore , che ho bisogno di veratro , o di altro si fatto medicamento , che risani il corpo ripieno di cattivi umori, e pur- ghi lo stomaco , dal quale ascendono al cervello al- cuni vapori , che perturbano il discorso e la ragio- ne. Insomma non avendo speranza di risanare a Mantova, delibero di venire a Roma , se potrò , e mi raccomando a M. Giorgio, il quale può spedire que- sto negozio, e mi ha promesso di farlo. Dell'altre cose parlerò con V. S. Illustrissima, quando io sarò presente: perchè io slimo tutte le speranze e tutte le promesse vane, se non ricupero la sanità . Frat- tanto mi rarcomando a V. S. Illustrissima quanto più caldamente posso. Di Mantova, il primo di Ot- tobre del 1587.

GGXXXII. Franiento di lettera al mcdcsiino .

Scrissi r altro giorno quel che io aveva ragionato in Guastalla col Serenissimo Sign(»r Principe, e die- di la lettera al Signor Abate di S. Barbera-, e ne a- spetto risposta , che mi porti contentezza , o che non me ne tolga la speranza . Ho poi avuta una lettera del Signor Pirro, e veduto il Signor Ferrante mede- simo; ma 1 infermità dell'uno, e 1 negozio dell al- tro sono ora l'altre cose, che mi perturbano: ben- ché io non sappia appunto, quale egli sia , o di elie . Sono infermo, e T infermila non è da giuoco, senza pericolo . Laonde avrei di bisogno di medi- co e di concessore , e forse di ehi scongiurasse gli spiri'!, ed incantasse la fantasma: e se fra i mali dell'animo, uno de'più gravi è T ambizione, egli

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ammalò di questo male già molti anni sono , mai è risanalo in modo, elie io abbia potuto sprezzare afìalto i favori e gli onori del mondo, e chi può dargli; 0 non seguirli almeno, o non desiderarli: e se non mi affligge soverchiamente la privazione di essi, non concede luogo all' allegrezza , lo nega al cuore. Molte cose m'insegna la (ilosolìa , le quali io porrei in opera, se io potessi : e se tanto insegnasse dell'azioni agli altri, peravventura non sarebbe chi invidiasse il mio ozio, o impedisse il negozio , o ri- putasse la mia esaltazione principio di sua depres- sione. Non ho studialo altri più volentieri di Ari- stotile, e di Platone, benché abbia lette l'opere di molti: e ho deliberato per dilficoltà , che io trovi, di non ripararmi negli alloggiamenti degli Epicurei come fuggitivo : ed amo meglio di lasciar tutti i pia- ceri , e tutti i miei comodi , e tutte le mie speranze ancora a guisa d'impedimenti.

CGXXXllI. Supplica alla Santità di N. S. Papa Sisto V,

Torquato Tasso , umilissimo e divotissimo servo di Vostra Santità , avendo fatto ricorso alla sua cle- menza dopo molti anni di prigionia, e d'infermità, e m.olte ingiurie ricevute , e molti pericoli trapassa- ti in diverse parti d'Italia ; supplica Vostra Beatitu- dine umilissimamente, che gli faccia grazia di po- tersi fermare in Roma senza alcun sospetto di pri- vata violenza , o d'ingiustizia, perchè essendo egli nato nel Regno di Napoli , nel quale , oltre 1' amor della patiia, molti bisogni il costringono a ritorna- re, e riconosce , e riconoscerà sempre Vostra Santi- tà per suprenu) suo Signore; si appella al suo da tut- ti gli altri giudici , uer li quali è stnto prima con- dannato,clic sentenziato. Jl 20 di Dicembre del \~^'^1-

lOO LETTERE

CCXXXIV. AL Vescovo di Modana .

Mi spiace, che la prima lettera, che io scrivo a V. S. Reverendiss., iiou contenga cosa appartenente al suo servizio, ma al mio comodo, o al bisogno piuttosto. Male forze della necessità sono cosi gran- di, che non possono esser superate se non forse da quelle della virtù, della quale io me ne trovo men fornito, che non sarebbe mestieri*, nondimeno io mi ricorderò sempre ne'suoi servigj , non dirò il mio , ma il suo valore . Frattanto la pi'ego che si degni di far mandare iji Bologna al Signor Antonio Co- stantini la valigia, che io lasciai nel Vescovado, e mi tenga nel numero de' suoi più atfezionati servito- ri, fra' quali non mi può riporre lunghezza di tem- po , ma ampiezza di grazia, e di cortesia . Nostro Si- gnore la feliciti . DI Bologna, il 26 di Ottobre 1587.

GCXXXV. u4l Signor D. Virginio Orsino Duca di Bracciano .

Non mi sono dimenticato di quel che Vostra Ec- cellenza mi comando l'ultima volta, che io la vi- di; perchè gli obblighi miei, che sono molti, e grandi verso 1' Eccellenza Vostra , sempre mi rap- presentano all'animo (juanto io debbo fare per ser- virla. Le mando 11 sonetto , che tanto mostrò di de- siderare: e se io fossi così pieno di amore , come è Vostra Eccellenza , o che mi si facesse almeno sentir ne! cuore in qualche parte in vece di quella malin- conia , rhe di continuo mi travaglia , avrei forse con maggiore affetto , e più convenientemente lodata la bella donna, else Vostra Eccellenza o per sua gloria, o per segno di vendetta porta appesa al collo così gentilmente dipinta. Si degni di accettar lietamente

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ciò die può avere da povero debitore: e viva felice. Da Roma.

La bella donna , che nel fido core Stile amoroso del pensier dipinse ^ Co' dolci nodi pria così l' avvinse , Che al laccio suo il tien sospeso amore.

Ma voi per consolar V aspro dolore ^

Che per troppa dolcezza al fin lo strinse ^ Quale Apelle la Diva in carte finse ^ Tal r avete per man d' altro pittore .

E /" imniagin mirate al collo appesa

D' aurea catena ^ e quando amor v' assale j, Dolce xjcndetta a^^ua^lia a fera ojfesa.

Ahi! non è pari il giuoco ^ o pari il male , J\'è giusta legge in gentile impresa j Far sordo sìnalto a vivo cuore eguale .

GGXXXVI. ^/ 67^. Ercole Rondbwlli.

Io venni già due anni sono a Ferrara , chiamato dair autorità di Monsignor Illustrissimo Albano alle nozze della Signora Margherita Gonzaga , nelle qua- li non impetrando io dal Sereniss. Sig. Duca di Fer- rara quelle grazie , che '1 Gardinale m' aveva data in- tenzione che imjK-irerei, per soverchio d'ira e di immaginazione , e parte per necessità trascorsi in alcuni errori , per li quali fui imprigionato , ed in questa prigione sono stato aspramente trattato dallo sdegno, se non m' inganno , di Monsignor Illustris- simo d' E.stc . Sebben molte fiate mi son raccoman- dato all' Illustriss. ed Eccellentissimo Signor Lodovi- co (ionzaga, e raccomandate le lettere a V. S., il che fin'ora mi pare d'aver fatto indarno •, e quel che sia per fare il Sig. Lodovico non so, sebbeu dalL Illu- striss. ed Eccellentissimo Signor Scipion Gonzaga Prinoi|^)c dell Imperio , a cui Sua Eccellenza è mol-

T02 L K T T E R E

to amico, m' è data speranza , che queste nozze, le quali io lio stimate false, non sian disperate, e clie tutta la Gasa sua abbia buono animo verso me. Per- chè nondimeno 1' aspettare, e '1 patire più lunga- mente ra'è venuto a noja, prego V. S. a pregar Ma- dama la Duchessa di Nemis , e la supplichi in mi < nome, che voglia aver pietà di me, che sono nello spedale di Sant Anna, e che voglia riserbar la mia vita di tanto, che io possa fare alcun servizio a'suoi figliuoli, a' quali con affetto sincerissimo desidero ogni debita felicità. Se il Cardinale impedisce i miei negozj,ella può agevolarli, e dee farlo altrettanto per l'amor, che porto a' figli, quanto per l'infinita riverenza che porto alla madre. Dama veramente eroica, e di mente e d'animo grandissimo. L'au- torità di Madama la Duchessa si dee stendere non solo in Francia, ma anche in Germania, ed in Ita- lia: siccbè purché voglia, debbo creder che possa; ed a V. S. bacio le mani. Di Ferrara, il 2 di Gen- najo del ),>81.

CCXXXVIl. Al medesimo .

E mìa Mmiorid lasciatagli al medesimo da Tor- quato Tasso j, quando andò in Francia , che si conserta originale in Ferrara presso il Reve- rendiss. Sig. Canonico Girolamo Barnff'aldij in- sieme colla lettera antecedente .

Perche la vita è frale, se piacesse al Signor Iddio disporre altro di me in questo viaggio di Francia, sia pregato il Signor Ercole Rondinelli a prendere cura d' alcune mie cose: e prima in quanto alle mie composizioni, procuri di raccogliere i mici sonetti arji()rosi,c i madrigali , e gli mandi in Inee : gli al- tri o amorosi, o in altra materia che ho falli per scr-

LETTERE Io3

vìgio d' alcuu amico, desidero clie restino sepolti con esso meco , fuor che quel solo: Or che V aura mia dolce altrove spira . Tu' orazione eh' io feci in Ferrara nel principio dell'Accademia, avrei caro che fosse veduta, e similmente quattro libri del Poema Eroico : del Gottiffredo i sei ultimi canti , e de^ due primi quelle stanze, che saranno giudicate men ree, veramente che tutte queste cose siano riviste, e considerate prima dal Signor Sclpion Gonzaga, dal Sig. Domenico Veniero, e dal Slg. Batista Guarino, i quali per 1' amicizia e servitù ch'io ho con loro , mi persuado che non ricuseranno questo fastidio.

Sappiano però , che mia intenzione sarebbe che troncassero, e risecassero senza risparmio tutte le cose, che o men buone, o soperchia giudicassero ; ma neir aggiungnere , o nel mutare andassero più ritenuti , non potendosi questo Poema vedere se non imperfetto . Dell'altre mie composizioni se al suddet- to Sig. Rondinello, ed a' prefati Signori alcuna ne paresse non indegna d' esser veduta ,^ sia loro libero l'arbitrio di disporne. Le mie robbe , che sono in

pegno presso Abram per venticinque lire , e

sette pezzi di razzi, che sono in pegno per tredici scudi appresso il Sig Ascanlo , e quelle che sono in questa casa desidero che si vendano , e del sopra- vanzo de' denari se ne faccia uno epitaffio a mio padre, il cui corpo è in S. Polo, e l'epitaffio sarà rinfrascritto *, E se in alcuna cosa nascesse qualche impedimento , ricorra il Signor Ercole al favor del- l'Eccellentissima Madama Leonora, la qual confido che per amor mio gliene sarà liberale. Io Torquato ^ asso scrissi . Ferrara 1.j7j.

Sf^ur r Cjjìtufjìo

104 L E T T E R V

Bi;U\AnDO lAXi' MDSAR. UCIO, Et PRiNCIPUM

n;-GOTIIS summa ingenii iibeutate, atque

1x.cellentia, pari fortunae varietate,

ac inconstantia , rei.ictis ijtriijsque indu5tuiak

monumentls clarissimo

t0rqu4tus fimus posuit .

vtx.it an. stptuaginta it sex- (;bi. an. mdi.xix.

DIE IV. SIPiEMR.

CCXXXVIII. J Maurizio Cataneo .

La cortesia del Gran Duca ha Infili' ora superata quella di ciascun altro ^ ma non ha vinta la mali- gnità della mia fortuna , la quale ancora contende colla sua bontà . E benché la virtù di cosi allo Prin- cipe sia invitta, e la mia fortuna si possa vincere ; nondimeno mentre in questo campo delle tribolazio- ni, e delle avversità del mondo si combatte della mia salute, e della gloria degli ottimi Principi, io non posso aver più certo refuglo , che alla provvi- denza . E sempre , che io supplico Y Illustriss. Al- bano, o alcun altro Cardinale , stimo di ridurmi dal mare di queste turbolenze al porto d' una quiete, e di una tran<|ullità perpetua. Lo prego dun([ue,che mi sia in ciascuna occasione favorevole , acciocché io non sia defraudato della mia speranza , e della grazia di questo altissimo/ Principe . Veramente è tale, che in ogni sua azione dimostra cliiaramente, ch'egli è stato instrutto al regnare, non solamente dalla natura , ma dalla disciplina. Ed in tanta mu- tazione, 0 piuttosto esaltazione di stato, colla gran- dezza, che non ha pari in Italia , e coH'abbondanza di tulli i ])cni , conserva (fucila medesima umanità, quella inansuetudine , quella affabilità, che dimo- strava Cardiiì.ilc . To per la sua cortesia ho q\iasi di- mcritiiMita ogni alira mia sciagura, e mi stimo de-

L E T T K ;i H lo5

giio d'ogni favore, del quale 1' Altezza sua non mi abbia riputato immeritevole , bastandomi la sua di- chiarazione , in luogo di sentenza irrevocabile . Laon- de niun' altra cagione mi fai'ebbe pensare al ritorno, che la speranza di ricuperar la sanità ne' bagni d'ac- qua dolce, e negli altri, come fu parere de' medici Napoletani. Ma questo pensiero mi costringe a pre- garla a supplicare in mio nome 1 lllustiiss. Sig. Car- dinale Albano , che mi sia liberale del suo favore , e delle raccomandazioni , scrivendo a sua Altezza , o a Monsignor Arcivescovo di Pisa ,o a Monsignor Ve- scovo d'Arezzo, e V. S., che mi è amica, favorisca- mi colla sua penna. Di Fiorenza, a' 2o di Giugno del 1 590.

CGXXXIX. Al medesimo .

Non è alcuno, che ami la virtìi più di me , ovun- que ella si trovi o in alto, o in basso soggetto, o in oscuro, 0 in illustre; perchè ella suole innalzare ed illustrar ciascuno , e spesse volte mal grado della fortuna. Sia dunque V. S. sicura di participar tanto del mio amore, quanto della virtù-, pensi di po- ter esser tutto virtù, che io non sia tutto amore: voglia ella offendermi col persuadere ad altri, o a se stessa , che io possa odiare altro che l vizio , o co- loro che nel vizio sono indurati ; ma non ugual- mente, peiché l'odio non può esser uguale, non es- sendo uguali i peccati. Per mia natura sono inclina- tissimo alla benevolenza , alla pace , alla compagnia de' nobili e de' virtuosi, e mi sdegno agevolmente contra quelli, che vogliono dividerla, o perturbar- la : ma non sento fra me medesimo maggiore indi- gnazione di quella del vedere innalzati i pertubatori della quiete, o gli oppressori della virtù, i quali non dovrebbono esser tollerati nell'intimo stato , e neir abominevole, quanto meno in altro migliore:

lo6 L T; T T F T^ K

anz.i questa aLoni Inazione dovreLbe esser cacciata dal mondo con ogni rimedio umano e divino, co- me la peste e l'eresia. Questa è la mia opinione, questa è la volontà . E se furia è l' indignazione , non nego d'esser furioso: e vorrei poternela accertare coll'ultimo giudicio. Or se ne avete alcun dubbio, cercherò di rimuoverlo col lodare gli amatori della pace, della giustizia, e degli sludj , come furono sempre i Signori Veneziani , e particolarmente il Clarissimo Sig. Luigi Venioro, del quale iufiu dalla mia giovanezza fui amico, e servidore. L'esaltazio- ne del Sig. Gintio Aldobrandino è da me desiderata, come la quiete propria, e la propria riputazione, perchè non posso separare luna dall altra^ onde son più impaziente nell' aspettare la sua promozione al Cardinalato , che non sarei se aspellassi alcun mio bene, o soddisfazione particolare. V. S. viva lieta, e baci le mani al nostro Sig. Bartolommeo Zucclii . Di Valicano, a' 23 di Decenibre 1 j92 .

GCXL. A Monsio. Panigarola Vescovo d' Asti.

Grande usura hanno fatto le poche parole, che io scrissi a Y. S. Reverendiss. , poiché io ne ho guada- gnato il preziosissimo tesoro della sua lettera ; ma ridasi d(dla mia sciocchezza, perche io l'jìo eonlidato ad alcuni amici del Sig. iNLiurizio, il quale nega di averlo ricevuto, e d'essere obbligati» alla restituzione; ma essendo il V esrovo Panigarola Signore, e dispeii- salore delle induitc ricchezze dell' eloquenza , può semjìre farmene parte stniza temenza d'impoverire. Io fo, e feci sempre grandissima stima , anzi ebbi grandissima maraviglia del suo giudicio, della sua dottrina , e dell' eloquenza . E qut;sta maraviglia tan- to si fa maggioi-(> , fjnanto più invecchia. Ma sono adczionalissimo al nuovo poema, o novamenle rifor-

L E T T E R i: 107

mato, come a nuovo parto del mio iniclleito: dal primo sono alieno, come i padri da figliuoli ribel- li, e sospetti d'esser nati d' adulterio . Questo è nato dalla mia mente, come nacque Minerva da quella di Giove, onde gli conliderei la vita e l'anima me- desima , e vorrei che fosse dal giudicio e dall'au- torità di V. S. Reverendiss. onorato. Del Sig. Cintio non ho certa opinione, stimando che se una volta mi fece degno della sua tavola , dovesse per cortesia sempre stimarmene meritevole , quantunque io im- pazzi come Democrito^ o almeno privarmene per mia colpa , non per quella degli altri , la quale è ca- gione della mia malinconia: colpa non può essere nel dir vero, ma forse poco sottile avvedimento. Io penso di scusarmi, se non posso coli' esempio dei poeti e de" filosofi, almeno con quello di Papirio : tanto mi basta l'animo. Il Signor Cintio non può dimostrare altezza d'animo, se non facendo ver^o- gnare i Principi , che mi sono nemici per questa ca- gione, per la quale io non merito vergogna, ma o- nore . Mi parrà d'essere stimato a bastanza, c|uando alcuno non parli, o scriva contra la mia opinione, o non mi sforzi a consentirvi. Del mio dilettissimo Poema, come degli altri, fra' quali sono le Lagrime di Cristo e della Vergine , manderei copia a V. S. Reverendiss. se io potessi pagare il copista. Ma il Sig. Cintio, 0 il Sig. Maurizio, il quale è denajoso anzi che no, potrebbe fare a me questo servigio, e dare a lei questa soddisfazione. Di Roma, a' 10 d'A- prile I 59 j .

CCXLT. A Marco Velsero ,

Da Germania io non aspettava maggior onore, più caro dono-, perchè Tesser in questa guisa ono- rato con doni dell'opere sue da un dottissimo, e cor- tesissimo gentiluomo , è da ine appre/7ito qua 11 io

io8 L r T T K n r

gli stessi presenti de' Principi , e degl' Imperadori . Riugraziola adunque della sua cortesia, e vorrei po- terla lodare della sua molta erudizione; ma io non sono peravventura atto a farne giudicio. Può a V. S. bastare il parere del Sig. Baronio; leggerò nondime- no volentieri quel ch'ella ha scritto delle cose di Augusta, per non essere affatto stimato ignorante, se m'occorresse mai di formar nuovo poema , Della mia Gerusalemme Conquistata scusi ella il difetto della memoria, o del sapere, o dell'occasioni, o dell'al- trui volontà , e mi perdoni se io non ho fatto men- zione d' una nobllissiuia città di Germania , che dal- l'Italia ha origine, ed il nome dagli Imperadori medesimi, da' quali questo accrescimento d'Impe- rlo, e d'onore, e di riputazione fu trasportato tra' Germani. Perdonimi almeno infino a nuova pub- blicazione di questo stesso Poema , se pur mi sarà conceàuLa innanzi alla morte. Rallegromi trattanto, che io non sia tra' nostri disprezzato. Ed a V. S. ba- cio la mano. Di' Roma , al primo di Giugno 1594.

LETTERE

DI

TORQUATO TASSO

RACCOLTE DAL IVIURATOIU

E PUBBLICATE PER LA PRIMA VOLTA NELl' EDIZIONE DI VENEZIA DEL IjÒS-/^^.

ALr; ILLIISTISISSI :\I() SIGNOR

APOSTOLO ZENO

STOEIOGBAFO di S. M. CES. É CATT.

jCÌlla bella e piena edizione . che si fa costì del- l^ opere di Torquato Tasso, ben volentieri itengo a contribuire anch'io tutto quel poco d^ inedito, che in mia mano si truova di quelV incomparabile inge- gno . Forse di pochi si potrà dire ciò, cK io credo di poter dire del Tasso, cioè non esserci cosa scrit- ta, o dettata da lui, per picciola che sia, la quale non meriti d'essere comunicata al Pubblico per via delle stampe. Non già che sieno gemme tutti quanti i suoi detti, o scritti; ma perchè in ogni cosa del suo si sen- te o il filosofo^ o il poeta; essendosi appunto unite in lui fnè credo che alcuno ne dubiti J le rare prero- gative di gran poeta, e di gran filosofo. Oltre di che esige la venerazione dovuta a certi straordinarj e famosi ingegni, che si tenga e faccia conto anche d' ogni menoma cosa o scritta da essi, o spettante alla loro vita . E che non fanno gli eruditi per ca- var fuori delle tenebre i soli frammenti degli anti- chi Greci e Latini scrittori ? Tutto si reputa tesoro, perchè uscito di nobili vecchie miniere. Ora an- corché noi abbiamo gran copia di Lettere del Tas- so date alla luce, e tutte degne di questa luce; pu" re a me è riuscito di scoprirne e raunarne non po- che altre, prive finora, e pur meritevoli anch' esse del medesimo benefizio . E queste a tal fine appuiìr^

T. iF. y

TT2 TL MUBATORf

to trasmetto a voij amatissimo mio Sig. Apostolo, pe.ì'chè a voi piìi che ad altri so che saran care, da che meditate da tanto tempo la Storia de' Poeti Kolgari d"" Italia j e v^ è a cuore d^ avere nella co- piosa e scelta vostra Libreria specialmente le Let- tere di guanti mai potete trovare scrittori italiani. Ma voi mi chiederete , onde io abbia tratto queste non più vedute merci. Bispondo: dagli originali del Tasso medesimo, che si conservano in Modena, e specialmente nella Libreria del Sereniss. Sig. Duca di Modena, mio padrone E qui voglio m,ettervene il Catalogo sotto gli occhi, acciocché possiate giudi- care, s^ altra Ciltà possa gareggiar con Modena in posseder manuscritti di queir insigne ingegno. Ah- hiamo dunque de^ Dialoghi scritti di mano stessa del Tasso,\\ Calanco, ovvero degl'Idoli: 11 Forno, ovvero della Nobiltà: Il Nifo, ovvero del Piacere: Il Messag- giero : Il Trattato della Virtù Eroica, e della Carità: Il Trattato della Virtù feminlle e donnesca: Il (Gon- zaga, ovvero del Piacere Onesto. Infine di questo è notato per mano del Sig. Giulio Mosti, Nobile Fer- rarese, e grande amico del Tasso, il quale fu pos- sessore di non pochi di questi manuscritti : Mando fuori questa Scrittura dalle prigioni di Sant Anna nel Mese di Maggio MDLXXX. Seguita, Il Beltramo, ovvero della Cortesia : Il Forestiero Napolitano, ov- vero della Gelosia : Il Dialogo tra Agostino da Sessa, e Cesare Gonzaga, il cui principio è: Che cosa na- sconde sotto la cappa il Sig. Cesare ec. S^ aggiungo- no due Quaderni di Lettere del medesimo Tasso ; e due altri di varie sue Poesie ^m uno de' (Juali v'ha la lista de^ Libri e panni a lui spettanti. Tutto qua-

AT, ZENO r !3

Sto è di carattere di quel amlentuomo colle sue cas- sature e mutazioni . Succedono in fine altre Opere scritte di mano del suddetto Mosti,, ma corrette in qualche sito dal Tasso medesimo. E sono: un Qua- derno di 'Vàrie altre Lettere: La Tragedia imperfet- ta, che comincia: Figlia, e Signora mia: // Dialogo del Debito del Cavaliere , indirizzato dal Tasso ni suddetto Sig. Giulio Mosti.lì Gian Luca, o sia del- le Maschere: 11 Rangone, ovvero della Pace. Fra l^ altre cose j che in esse Lettere ho notato ^ una del- le riguardevoli f scritta al Sig- Curzio Ardizio, che comincia: La grazia di V. S. non fu mai ec. (1), ed è stampata J ha questa Data: Di Ferrara 9 Aprile 1586. Ho io trascelto alcuni pochi componimenti poetici j da me creduti inediti^ dai suddetti mano- scritti^ e probabilmente se ne potrebbono trar degli altri; ma non mi sento di mettermi a fatta caccia, che richiederebbe non poca pazienza e tempo .

Eccovi dunque il fondaco , onde io ho ricavato le mercij che ora a voi mando j con ferma credenza, che a -voi prima j e poscia al Pubblico j, debbano non mediocremente piacere . E tanto più, perchè questa giunta di notizie potrà somministrare un buon rin- forzo a chi ha preso ad illustrare maggiormente la -vita del Tasso . Ma strana cosa può parer tutta- via j che il passo piti scabroso e famoso d^ essa vita^, cioè /"* esser egli stato per non pochi anni confinato nello Spedale di S. Anna di Ferrara^ resti tut- tavia scuro, e non se ne sappiano addurre i veri e certi motivi. Quel che è piU, osse/ vate la Lettera

(i)Toino I. pag. 247 della presente edizione delle Lettere.

)

T r/i Ti. Mlin \TnKl

Vili, fra quelle j che a voi trasmetto . Ivi sembra che pure il Tasso medesimo sapesse il perchè egli fosse detenuto in quella (^diciamola pure schiet- ta ) poco gloriosa prigione . Egli ne attribuisce la cagione allo sdegno del Gran Duca, per essere sia- lo avvisalo, f^ice egli, eli io aveva rivelalo al Duca di Ferrara ec. Questo è il vangelo ^ confesso il mio fallo. Sotto queir etcetevci ho io coperta un' indecente pa- rola j che non era lecito di lasciar correre alle stam- pe . Ma dobbiamo noi credere, che questo veramen- te fosse il reato, per cui il pover^ uomo s' acquistò una stanza f rei puzzar eìli? Io per me son ben lon- tano dal figurarmelo; e tanto più, perchè in altre Lettere si scorge che il Tasso medesimo non istà sal- do nel suo costituto, e rifonde in altre cagioni la sua disavueutin a . A misura de suoi delirj egli si andava figurando , che or da questa, or da quella parte /osse a lui provenuta una fiera tempesta.

Ora ho io pili volte pensato e ripensalo , tentando , ma inutilmente, di scoprir le cagioni, per cui a lunga penitenza fosse condennato un uomo famo- so, e condennato da un Principe di mente alta , guai certo J II yilfonso II. Duca di Ferrara. Con- tuttociò dirò a voi quel poco, che mi corre pel pen- siero. Tu d avviso il Manso nella, l^ita d'esso Tas- so,che fosse indottò il Duca a rin serrarlo in S. An- na dal bisogno, in cui lo scorse di essere curato , e dal desiderio di rendere la sanità ad un personag- gio, già pervenuto mercè del suo Aminta e del suo Poema Eroico ad immortalare se stesso, e a recar sommo onore air Italia tutta, nonché alla sola Fer- rara. E senza fallo questa mira V ebbe il Duca ;

AL Zr.NO Il5

anzi non per altra cagione che per queata faceva dire al Tasao d' avergli assegnato tjutl disgustoso albergo. Fra le carte de/ T Archivio E steri se io tro- vai, molti anni sono , un biglietto scritto ad esso Du- ca y^l/onso da Guido Coccapane, suo fattor gene- rale, colle seguenti paro/e: H^ig- Tasso ha mandato a pi'egarmi , eli' lo vada sino da lui : il che avendo io fatto , m' ha tirato in disparte per non essere ndito^, e m' ha detto il saggetto della sua inclusa Lettera, la quale voleva eh io aprissi , e pregatomi di presentar- la a V. A., e di supplicarla delhi risposta. Ed io 1' ho dissuaso a non mandarla, perchè non ha avuto altro fine perla sua riteii'^ioae , se non per la salute sua , siccome gli dissi jerl sera; e che se ne ac([uctasse so- pra la fede mia. In somma ha voluto, eh' io la mandi, e ch'io la renda certa, se e ritenuto prigione, che ca- dera in disperazione, non potendo egli patire lo star rinchiusole promette di purgarsi, e di far tutto quello che Y. A. comanderà; ma dimanda la sua camera. Ella risolverà ciò , che giudicherà che sia bene per lui . // biglietto fa assai conoscere , che il Tasso dianzi era malconcio di sanità j e pure non voleva indursi a ricevere medicine: al che poi forzato dalla prigio- nia ^ si vede che consentì . Anzi fu solito da in- nanzi i l pover^ uomo di raccomandarsi ai pili accre- ditati medici di quel tempo, affinchè V ajutassero nelle infermità . Di ciò parlano varie sue Lettere ; e ne parla ancora un altro biglietto scritto da non so chi al Duca, e da me trovato nel medesimo sito . (^/«Vi è jcW«o; Il Tasso vuole, che scriviamo a V. A. che con nissuna cosa più si mantiene, che con la saldissima speranza che ha nell' A. V. , e che non

rt6 IL MURATORI

solo ella abbia da procurargli la salute , ma da co- mandare che quanto prima vi sia pigliata ottima provvisione .

Tutto ciò è vero ; io niego, che fra i motivi di rinserrare il Tasso non v" entrasse ancor quello di procurargli la guarigione. Contuttociò sempre resta una riflessione^ che si affaccia all^ incontro ; cioè, come sia maij non dirò possibile j ma verisimile, che un Principe magnanimo ,qualfu Alfonso II.d''Este, per desiderio di restituire la sanità a quel gran- de uomo del Tasso, altamente stimato anche da esso Principe , il facesse chiudere in un albergo ^comune a tanti poveri, ed aìiche ai p azzar elli . Mancavano forse a un Duca di Ferrara case , e maniere più, convenevoli e proprie per ritenervi il Tasso, genti' luomo infermo, e per procacciargli la salute del cor- po? Certamente quello spedale fa nascer ora, e fece anche nascere ne^tempi addietro un giusto sospetto, che il Duca per titolo non solo di carità, ma anche di gastigo, il confinasse in quelle stanze, e per pa- recchi anni dipoi vel ritenesse, con resistere a tan- ti, che imploravano la sua libertà. Ma e qual fu, direte voi, il delitto del Tasso? Oh questo è quello, che i nostri vecchi lasciarono scritto, sicura- mente si può ora raccogliere dalle Lettere di lui, e che perciò pur io saprei con sicurezza additar- vi . Fra i tanti misteri delle Corti, allo scoprimen- to de/ quali non giugne il guardo del popolo, pos- sinm forse annoverare ancor questo . Tuttavia, giac- ché i Principi saggi operano ciò, che lor delta, la prudenza politica, lasciando poi la libertà a cia- scuno di fantasticare per iscoprire gV ignoti motivi

AL ZftNO TT7

delle loro risoluzioni^ qui sia permesso anche a me di esporre a voi ciò che parmi più "verisimile in considerando la serie delle disavventure del Tasso. Essendo io giovinetto, ho conosciuto l^ j4hate Fran~ Cesco Carretta nostro Modenese assai vecchio per- sona di molta letteratura, e di giojosa conversazio" ne. Fu e^li ne\<:uoi verdi anni a^ scrvigj del famoso nostro Alessandro Tassoni, sotto il quale avea scritto Lettere, e da cui trasse molte notizie, massimamente spettanti al Poema della Secchia rapita, le quali è peccato che sieno perite con lui; io era allora in età e in credito da poterle pescare e raccogliere. In- terrogato questi della cagione delle disgrazie del Tasso, l'adduceva egli {con dire d averla intesa, non so se dal Tassoni contemporaneo del Tasso, o pure da altri vecchijjcioè che trovandosi il buon Torquato un giorho in Corte, dove era il Duca Alfonso colle Principesse Estensi, accostatosi alla Principessa Leonora sorella d^ esso Ducaper rispondere ad una interrogazione di lei, e trasportato da un estro piìi che poetico, la baciò in volto. Allora il Duca, ai cui occhi non fu nascoso quelV atto fuor di riga, da Principe saggio rivolto a^ suoi Cavalieri dome- stici, loro disse : Mirate che fiera disgrazia d^ un uomo grande, che in questo punto è diventato mat- tai Ma se la prudenza del Duca esentò il Tasso da risentimenti pili gravi, richiese poi che, coerente- mente al ripiego preso di trattarlo da mentecatto, egli appresso venisse condotto allo spedale, dove i veri pazzi si curavano in Ferrara.

Così il Carretta^ e il racconto suo non parrà già inveri simile a chiunque sa che il Tasso, secondo la

tt8 ìl ^^rrr, vtoht

moda di qiie tempijné'quali V essere poeta ed itma- morato era una stessa cosa^ardeva di amore -verso lasai'issima Principessa Leonora j siccome anche il Manso nella Vita di lui osseri^'ò, e provò. Notissimo è altresì^ ai^ere r umor malenconico avuta gran pos- sanza nella fantasia del Tasso j ch'egli di tanto in tanto si vedeva preso da gagliardissime astrazioni j da delirj ,e fino da una specie di frenesia. Il perchè nulla sarebbe da maravigliarsi ^ scegli fosse trascorso nel sopra mentovato eccesso. Ma nondimeno ritiene dal credere vera una tale avventura j il non sapere intendere come un fatto accaduto, per quanto si suppone , alla presenza di molti , e che perciò avreb- be cagionato di gran rumore e dicerie fra il popolo di Ferrara j sia stato ignoto al Manso j e a' Ferra- resi stessi j se pure il Duca non avesse anche potu- to e saputo mettere il sigillo alla bocca di chiunque fu spettatore del preteso trasporto . Lascio io qui la verità al suo luogo, e non niego, ma pure accet- to quel fatto . E vengo solamente dicendo, che se non da esso fatto, pure dal principio medesimo por' to io opinione, che traesse principio la tela de^guai, acquali soggiacque il Tasso. Prendeva la Princi- pessa Leonora piacere, non già, credo io, del per- sonale, poco avvenente, infermiccio, e fantastico del nostro Poeta, ma bene del mirabile ingegno e sa- pere di lui, disella al pari di tutti gì' intendenti ammirava ed amava . Il buon Tasso alf incontro pieno di filo sofia platonica, e massimamente di quei strepitosi ragionamenti, che intorno ad Amore la- sciò scritti Platone, e poscia, amplificò Marsilio Fi- cino, non solamente professava un singolare osse-

AL ZF^'0 J TQ

quio verso quella Principessa, ma eziandio, sicco- me dissi j covava per lei un incendio non lieve d umo- re. Non è già stato egli il primo, sarà r ultimo de' poeti, che si credono da tanto di poter alzare i loro affetti anche alle più alte cime, perchè la buo- na gente, siccome nel linguaggio si distingue dal volgo, così facilmente reputa che sopra il volgo sia lecito di salire a^ suoi affetti j e verisinnlmente ancora colla forza de' versi suoi si lusinga di poter tutto tentare, e tutto ottenere . Afa i precipizj stan preparati agli stravaganti cervelli^ la prudenza suol essere la virtù, favorita degV ingegni poetici, e molto meno fu essa del Tasso, a. cui non si fa torto con dire, che s^ altri gran poeti ebbero un ra- muscello di pazzia, due e tre, ed anche pili, e mne^' stosi n ebbe egli, essendo assai nota la delirante sua fantasia di quando in quando.

Infatti non seppe egli nascondere r ardilo e scon- sigliato suo affetto, o pure altri gli levò in fine la cortina. Adunque per paura di gastigo se ne fuggì egli da Ferrara^ ma vinto pili che dagli altrui in- viti, dal proprio genio, non istette molto a tornar- vi^ né andò poi guari, che fu condotto allo spedale di Sant^ Anna per ordine del Duca Alfonso. Fate ora. Signor Apostolo, i vostri conti : non per altro si può credere, che il buon Tasso venisse qui rin- serrato, se non per gastigo; e questo gastigo ad al- tro non è da, attribuire , se non a qualche operazio- ne disordinata, del Tasso, per cui egli s^ era tirato addosso lo sdegno del Duca . Confessa il Tasso medesimo in varie sue Lettere d'essere incorso neir indignazione di quel Principe, si sa che

T20 IL MURATORI

e^li potesse mai più rientrargli in grazia . Ma e per qual fallo? Non vijaceste ^ia a credere per aver e~ gli parlato male o del Gran Duca, come vedeste di sopra j o del Duca di Savoja, come egli stesso asse- risce neir ultima di f/ueste Lettere scritta a Scipio- ne Gonzaga : che tali sospetti nascevano nella sola sua fantasia j allorché era agitata da impetuosi fantasmi . pure perch^ egli avesse sparlato del Duca stesso di Ferrara suo padrone, siccome egli scrisse pia volte, confessando ancora^ che conosce- va se stesso troppo libero, e inconsiderato ne^ suoi ragionamenti j e d^ avere offeso non meno il Duca, che il magnanimo Cardinale Luigi d' Este suo fra- tello . I Principi saggi o non curano le lingue de- inferiori, o si sbrigano dc^ servi maldicenti con dar loro il congedo . Tutte dunque le congetture ci portano a giudicare non per altra cagione caduto il Tasso dalla grazia del Duca , e confinato nello spedai di Ferrara, che per i suoi folli amoreggia- rne nti . In materia d'' onore noi miriamo quanto sieno delicati, e con ragione, i nobili^ delicatissimi poi sono i Principi ,• voi avete bisogno ch^ io v'' insegni, anche senza suppor vero il fatto, che v^ ho narrato di sopra, se un Duca nobilissimo di Ferrara senzn grave disdegno potesse intendere fed è certo che /"* intese J come il buon Tasso si studiava di muovere affetti terreni in chi tanto era superiore di grado a lui , e ornata per consentimen- to d' ognuno di rarissime virtli . Non pertanto il ^^ggio Principe si lasciò prender la mano dalT ira; ma, rispettando nel Tasso r eccellenza dell' inge- gno, e il merito specialmente del suo incomparabil

AL ZFA^O I 2 r

Poema j senza volerlo per questo ahhandonare j il fece condurre in Sant'Anna _, a fine di far curare le infermità del corpo suOj e nello stesso tempo quelle della mente _, o per dir meglio j della sua fan- tasia, f^olete ojoi un buon testimonio di questo? Ascoltate il Tasso medesimo^ che in una lunga Lettera già stampata al Duca d'Urbino implora la sua protezione con dire: acciocch' io possa uscire da questa prigione di Sant'Anna senza ricever noja delle cose , che per frenesia ho dette e fatte in mate- ria d' amore . Ed ecco dove vanno a finire i tanto decantati amori platonici . Do anche ad esaminare a voi una scappata di penna, ma più di fantasia , che osservo nell'ultima delle Lettere da me raccol- te j scritta a Scipione Gonzaga j dove descrivendo le miserie sue nello spedale di Sant'Anna, salta a dire: E son sicuro, che se colei, che così poco alla mia amorevolezza ha corrisposto, in tale stato ed in tale afflizione mi vedesse, avrebbe alcuna compassione di me. I

Ma di questo abbastanza . Se poscia amate raccoglier altre notizie pertinenti alla Kita di que- sto immortai Poeta, allorché egli era detenuto nello spedai di Ferrara, come ancora dappoiché rimesso in libertà se ne andò a Napoli e a Roma ; le Lettere, che vi presento, potranno abbondevol- mente servirvi . Sopra tutto v' incontrerete qui nel registro de' va'j incomodi di sanità, che il tenne- ro in continua miseria, e il fecero invecchiare pri- ma del tempo . Anzi troverete delle nuove pruove dei delirj e delle frenesie, alle quali fu egli sotto- posto . Se non m'inganno, alcuna di queste mede-

T9,v TL MURATORI

siine Lettere fu scritta, allorché era in qualche tempesta la sua iniintiginazione : del che non s^ ac- corgerà già di leggieri, chi sa poco 'valersi della ri/lessione . Quel nondimeno elio sempre è a me sembrato, e dee sembrare anche agli altri, maravi- glioso e straordinario nel Tasso, si è che ne^ tra- sporti suoi egli non lasciala di parlare da filosofo, e di mostrare il suo profondo ingt^guo ; perchè in fatti egli non giunse mai ad essere veramente men- tecatto, né pazzo, quantunque la mente sua non fos- se sempre sana, e iunior nero fieramente V agitasse talvolta, e gli cagionasse delle astrazioni gagliar- de, ed empiendolo di sospetti e paure si collegasse con gli altri mali del corpo suo per farlo divenire talora poco prudente, e in tutto il rimanente di sua vita infelice. Finalmente as^rete osservato, es- serci persona dotta, la quale ha preteso che Febo- Bona, da cui riconosciamo la prima stampa corret- ta della Gerusalemme Liberata , sia un nome finto , sotto il quale si nascondesse il celebre Cavalier Batista Guarino, divenuto p6r così dire , balia o levadrice di queli ininiitabil Poema. Io tralascio, che non passò mai grande intrinsichezza fra quei due sublimi Ingegni^ e solamente vi dico, essere stato Febo Bona nome vero di persona, troppo di- versa dal Cavalier Guarino. Ve ne chiarirete in leggendo un passo della Lettera 172 di questa ima Raccolta, dove a Biagio Bernardi, nel l58Jj cosi scrive il Tasso: Febo m' è molto avaro, il cjuale avendo fatto (|TieirartP di stampare e di vendere i libri miei, eli' io pensava già di fare, se ne sta in Parigi fra dame e cavalieri , e si bello e buon

AL ZFIVO 10.^

tempo, mi fa parte alnina de' denari, che se ne ritraggono , come ra'avea promesso per sua polizza . Lo stesso si raccoglie da un altro passo di Lettera a Maurizio Cutaneo, già stampata nel Lih. II. delle Lettere d'esco Tasso in Bergamo ne IT anno i 588. Troi'erefe in fine tre Lettere di Monsignor Scipione Gonzaga, quel grande amico e protettore del Tasso, le quali perchè parlano di lui, ho cre- duto hen meritevoli della luce al pari dell^ altre . Lr dehho io al Signor Giuseppe Antenore Scala- brini Bettore in Ferrara della Parrocchiale di Santa Maria in Bocca, e pubblico Lettore di quel- la Università, p/^esso di cui se ne conservano gli originali scritti a Luca Scalabrino, cioè ad uno dei suoi antenati . OrsUj sia 'vostra cura di tener forte quel buono ed allegro umore j che unite alla vostra Letteratura, e per cui sapete guadagnarvi l^amore di tutti: che così avrete più senno, e potrete spera- re più. lieta e lunga vita che il Tasso . Me Inauguro ancK io : ma come può mai non dirò ridere j ma conservare il cuor giojoso, chi per sua sciagura si truova nel centro della guerra? cioè in mezzo a tante migliaia di soldati , i quali, se mi dessero li- cenza, chiamerei pur volentieri migliaja d^assassi- ni . u4ddio .

Modena, 28 Marzo 1735.

Tutto Vostro LoDOTi e' Antonio Muratori.

LETTERE

KACCOLTE DAL MURATORI

L Al Sig. Cardinale Albano .

Jo feci le raccomandazioni V. S. Illustriss. a que- sti Principi miei Signori, le quali furono raccolte da loro così graziosamente, che anch'io, che n'era rapportatore, venni a participare di questa grazia ^ e ad esserne ricevuto con maggior favore, conside- randomi essi non semplicemente come servitor loro, ma ancora come creatura di V. S. Illustriss. Del qual titolo io m'onoro non senza qualche ambizio- ne, ogni volta che mi s'appresenti l'occasione-, ben- cliè io conosca, che non sia picciolo obbligo il far professione di suo, essendo poi necessario di corri- spondere a questo nome con azioni, che se ne mo- strino meritevoli . Ma siccome io farò dal mio lato tutto ciò, che mi sarà possibile per apparir non in- degno dell' aniore e della protezion sua-, così prego V. S. Illustriss. che col comandarmi in qualche oc- correnza, voglia dichiararmi per suo servitore; ch'io l'assicuro, che non sarà cosa così picciola, eh' io mi sdegni di fare , così grande e difficile, ch'io mi spaventi d'intraprendere in suo servizio. Altro non m'occorre di dirle, se non che i miei padroni le ba- ciano le mani , ed io con ogni umiltà le fo riveren- za. Di Ferrara, il 4 di Maggio 1573.

II. Al Sig. Gio: Angelo Papio. A Bologna.

Io passai per Correggio , dove parlai a lungo con

ì'i(y L V T T T R K

la Signora Claudia di V. S., e le feci le sue raccoman- dazioni j com'ella ra^ avea ordinato, le quali a quel- la Signora , che già per fama è informala del valor suo, furono carissime, e mi prego eh' io volessi rendergliele duplicate; aggiungendo che desidera- va, che V. S. in ogni sua occorrenza si valesse di lei e di suo marito, come de' più cari e vecchi a- mlci, ch'abbia; e in somma si mostrò desiderosissi- ma di conoscerla, e di farle ogni piacere. Quivi in- tesi da lei , come il Signor Fabrizio non sarebbe quest'anno venuto altrimente in Bologna , percioc- ché il Cardinale, della cui volontà facea legge a se stesso, avea mutato opinione. Allora io non restai di darle informazione dello Studio di Bologna la mi- gliore ch'io potessi: ma io m'avvidi, che ciò non e- ra a proposito . Delle cose mie non so che dirle al- tro, se non che dimorai tre in Modena, solo a- spettando il Conte Fulvio Raugone, il quale era allora, ora è (per quel ch'io mi creda) ritornato da Ferrara. Solamente ho saputo di più, di' egli Ka lasciato il suo Segretario alla Corte, acciocché pro- curi la spedizione della cosa nostra. Il Sig. Dio fac- cia quello, che gli parrà migliore per noi. Mio pa- dre sta sano, e con una buona ciera-, ed egli , ed io desideriamo, che V. S. ci comandi per pagarle una picclola parte degli obblighi, che le abbiamo. Salu- tate 1 Signori Cusani, ed i Signori Nipoti del Reve- rendissimo Vicclegato, e vivete lieto. Di Mantova, il 1 5 di Luglio.

HI. ^l Sig. Sci/jìon Gonzaga . yl Bontà .

Ti' apportatore della presente sarà Messer Silvio B('lli, Matematico eccellentissimo, e per la sua eccel- lenza largamente provisionato dal Sig. Duca. Egli, se ben e mio conoscente di poco tempo , è noudirae-

L K T T K R E l 'X'J

110 molto amato da me , si perchè il suo valore mi obbliga a questo , com' anche perchè mostra d' amar- mi assai . E se 1 sembianti potessero esser testlmonj del cuore , ardirei d affermare che pochi desideras- sero più il mio bene di lui. Onde io, poiché con altro più efficace modo non posso per ora corrispon- dere a quelle dimostrazioni di benevolenza, ch'egli usa verso me, prego V. S. che voglia, mentr'egli starà in Roma, fargli ogni sorta di carezze, e parti- colarmente invitarlo talora seco a pranzo: il clie mi immagino che gli debba esser carissimo, perchè gli darà maggior occasione d Intrlnslcarsl nella servitù di V. S., della quale si mostra desideroso. Diedi rica- pito alla lettera di V. S., intorno alla quale lo le scri- verò più a lungo. E con questo fine le bacio le ma- ni . Di Ferrara il 14. d'Ottobre .

\^ . Al medesimo.

Ieri per la fretta della subita partita, e per molli fastidj , che m'ingombrano l'animo, mi scordai di

raccomandare a V. S. il negozio di Mess ed

ancora ch'io sappia, ch'egli e per se stesso, e per ramicizia che ha meco, sarà sempre particolarmen- te favorito da V. S. , nondimeno per 1' ardente desi- derio, ch'io ho della sua soddisfazione, e de' suoi comandi , non mi può parer soverchio questo uficio. Supplico dunque V. S. che faccia ogni Istanza , ac- ciocché secondo l'intenzione già datagli da Mess. Cipriano sia anteposto a' suoi competitori. E con questo facendo fine, a V. S. bacio le mani. Di Ferrara.

V. jil Sig. Gio: Angelo Papio . A Bologna,

Io scrissi già a V. S., e le mandai quella Canzone «he le avea promessa, ed alcune altre mie composi-' Leu. T. IV. 9

5 0. 8 LETTERE

zioni, le quali forse avranno smarrita la strada, perchè lor bisognava andar prima a Modena, e di venirsene a ventura in Milano. Pur quando cosi sia, le rimanderò di nuovo a V. S. accompagnate da certe Stanze, che feci questi giorni addietro ; e glie- i pvrei portate io stesso, se non fosse così tosto giun- to il tempo di leggere. Son molti dì, che non abbia- mo avuto novella della Corte. Credo che le prime lettere ci risolveranno in bene, o in male, ed io le darò avviso del tutto. Fra tanto mi conservi in gra- zia sua , e baci le mani in mio nome al Sig. Cusano , ed al Sig. Tuccia. Vivete lieto. Di Ferrara, il 15 di Novembre .

VI. j4l Sig. Cardinale Albano . A Roma .

Io, da che partii di Roma, in questa mia lonta- nanza di due anni ho sempre serbata vivissima me- moria de' favori fattimi da V. S. lllustriss., e degli obblighi miei. Dall'altra parte sebbene io so, ch'el- la con la solita grandezza d'animo suole scordarsi delle grazie, che fa altrui, non credo però che si scordi delle persone, in cui le impiega -, ma stimo che insieme la dimenticanza de'beneGcj conservi la memoria de' beneficali . Ond' io son certo che a V. S. lllustriss., non sovvenendo forse quanto io le sia tenuto, le sovviene di me, come di suo caro servi- tore . E tant' oltre mi confido della sua corlcsia , che non presumendo cosa alcuna di me stesso, ardisco nondimeno attribuirmi quest'onorato titolo, e me ne glorio e meco stesso e con altri . Ora assicurato da questa fidanza, lasciando da parte ogni scusa del mio lungo silenzio, vengo a pagarle un picciolo o- maggio della mia servitù: e queslo è l'avviso del mio stato e de' miei studj , rìserbandomi a ricono- scerla per mio soprano Signore con maggior segno ,

LETTERE I SC)

quando mi s' appresenterà maggior occasione di po- ter farlo . Sappia dunque V. S. Illustriss. che dopo una fastidiosa quartana sono ora per la Dio grazia assai sano, e dopo lunghe vigilie ho condotto final- mente al line il Poema di GolFredo. E questa liber- tà, che m' è rimasa del male ,e che tosto mi rimar- rà dalle occupazioni poetiche, per nissun' altra ca* gione m' è più cara, che per poterla impiegare in alcuna cosa di sua soddisfazione, ove si degni di comandarmi . E se, com'io spero, potrò col consiglio d'alcuni giudiciosi ed intendenti dare il Poema al- la stampa questo settembre , me ne verrò poi a stare alcun mese a Roma; il che prima non ho giudicato che mi fosse lecito di fare, non avendo soddisfatto a quel che mi pareva d esser obbligato col Serenissi- mo Signor Duca mio padrone , dal qual obbligo mi parrà d'essere in parte alleggerito con la dedicazio- ne del Poema. E certo molti desiderj mi tirano a Ro- ma 5 ma nissun maggior però, che quello di far ri- verenza a V. S, Illustriss., e col consiglio di lei di- rizzare il corso della mia vita . Fra tanto mi confi- do, che se in alcuna cosa avrò bisogno del suo favo- re (il che le sarà significato, quando occorrerà, dal Sig. Scipion Gonzaga), me ne sarà al solito liberale . E con questo umilmente le bacio le mani, deside- randole quella prosperità , della quale è degna la sua virtù. Di Ferrara, il 6 Aprile 1 575 .

VII. uél Sig. Scipione Gonzaga. A Roma.

Ho ricevuto 1' ultime di V. S. dei sette di marzo con lo scatolino, e ne la ringrazio. Il mio sospetto è nel termine, ch'io le scrissi per 1 altra mia. Sono in grandissima ansietà d' animo, vedendo clic V. S. non m'accusa la ricevuta de'quattro primi Canti, ch'io le mandai da Ferrara ,11 2. di Quaresima :

(

l3o LETTERE

meno la ricevuta del quinto , eli' io le mandai da Pa- dova quindici giorni sono ^ rispondere ad alcuiie mie lettere, clie vennero coi Canti di molta impor- tanza : di maniera che stimo, ch'ogni cosa sia mal capitata, almeno que' primi, nella perdita de' quali, olire la fatica del trascrivere , e '1 dispiacere ch'avrei che fossero in mano d'altri, vi sarehhe il danuo di molte correzioni, delle quali non ritenni copia, e non me ne ricordo. Io gì' indirizzai al Lamberto , consegnandoli a suo fratello. Parli con lui, e '1 pre- ghi in mio nome, che faccia tutta quella diligenza , che sarà possibile in si fatto caso . In quanto al quin- to Canto, vivo in alcuna speranza che possa esser comparso, dopo ch'Ella m' ebbe scritto . Però non replicherò quello , che si conteneva nella lettera al- ligata , sinché V. S. non mi certifichi s esso ancora si sia smarrito. Io aveva il Sesto apparecchiato per mandarlo con questo ordinario ; ma mi son risoluto di ritenerlo , sin'a tanto ch'abbia nuova degli altri ; che non vorrei, che tutti fessero la medesima strada.

Al particolare del , abl)astanza avrà risposta»

l'ultima mia lettera , se sarà arrivata. Verrà a Roma innanzi Pasqua jVIess. . . . , nato d'onorata famiglia, il quale verrà a baciar le mani a \ . S., desideroso di esserle servitore. dirò a V. S. ch'ecli sia inten- dentissimo delle Leggi , e mollo avanzatosi negli studj d'Umanità, e di buonissimo gusto nell'Elo- quenza così poetica , come oratoria ; perchè tutto questo credo ch'ella il conoscerà conversandolo. Le dirò solo due cose, le quali desidero che vagliano tanto appresso V. S. , cìi'cgli ne sia ricevuto da lei nel numero de' suoi più intrinsechi. L' una è ^ che se v' è lealtà e nobiltà d'animo negli uomini, é in lui quanto in alcun altro. T/allra, che (trattone V. S.) è colui, ch'io più amo, e da cui più sono amato; end' è ragione, che tenga appresso V. S. quel luogo

L K T T !■ n E i3j '

di servitù; che terrei io, se fossi a Pioina . È uomo a prima vista assai freddo , e niente ostentatore di molte cose die sa , e che in somma ha bisogno anzi di sprone, che di freno. Però sìa contenta (e con- ceda questa grazia all' amor, che mi porta) di uro- vocarlo talora a quella famigliarità, alla quale non so s'egli da se stesso saprebbe insinuarsi, per molto che 1 desideri. E nel rimanente mi persuado, che non gli mancherà in alcuna cosa del suo favore. E- gli è informato di ogni mia intenzione, e d'ogni mio fastidio, e con lui potrà V. S. parlar liberamen- te delle cose mie. Ben' è vero, che di quest'ultimo particolare del . . . . , vorrei che se ne perdesse affat- to la memoria, perch'io mi sono troppo ingannato, e me ne vergogno . E le bacio le mani . Di Padova, il 18 Aprile 1575.

Vili. Al medesimo . A Rom.a.

Gran conforto m'ha portato la lettera di V. S. per- chè io dubitava, che i Canti fossero perduti , e que- sto mi faceva temer di peggio . Non resti però d' av- visarmi, quanto prima potrà, elicgli altri sieno ca- pitati . E perchè sospetto , che la cagion della tar- danza non sia stata curiosità del Sig o del fra- tello, ch'abbia voluto leggerli, e forse trascriverli , supplico V. S. a farne dal canto suo quelle provisio- ni, che saran possibili, perchè non si divulghino, vadano in mano d'alcuno, com' avvenne del- l' Egloga . E certo io non potrei sentir cosa , che più mi dispiacesse per infiniti rispetti. Ne parli di gra- zia al Sig sul saldo, ch'io ne scriverò al fra- tello. Scriverò al Card. Albano, e chiederò che mi faccia grazia d'impetrarmi il privilegio. Frattanto procuri V. S. quel di Napoli, e di Parma-, che di Fiorenza non mi risolvo ancora come governarmi.

l32 LETTERE

Io son certissimo, che V. S. mi ama, e die ne' miei particolari non ha altro oggetto del mio bene ; però ogni testimonio in questo caso è soperchio . Non mi sarebbe discaro saper, quanto a dentro si può, ciò eh' io mi possa promettere del favor del .... Scri- verò anche a lui , e con la lettera aprirò la strada a V. S. ed al Sig. Lamberto d'investigare la verità. Desidero, che mi consigli nel particolare del . . . ^ come la pregai per l' altra mia . Le scrissi di Mess .... Ora le replico, che ogni favore che sarà impiegato da V. S. nella sua persona, mi sarà più caro, che se fosse impiegato nella mia propria . Egli se ne viene per viver nella Corte di Roma, e volentieri s'intro- durrebbe al servigio d' alcun Cardinale ^ e questo mi scordai di scriverle per V altra mia . Co' primi quat- tro Ganti è una lettera , dove dava ragguaglio a V. S. di molte mie intenzioni intorno al Poema , delle quali credo che sia bene, che sia informata, pe- rò m'avvisi, se l'avrà ricevuta. Le mando il se- sto Canto, e le mandarci il settimo, se non voles- si mutarvi una stanza . L' avrà per quest altro ordi- nario. In quanto ai nomi, non ho già dato l'arbi- trio a V. S. Voglio però che sappia, che mi servo più volentieri dei nomi dell'Istoria, quando vi so- no, che dei finti , come mi pare che per molte ra- gioni si debba fare . E Dudon di Consa fu un gran Gavaliero, che veramente fu a quella impresa. Ma Guidone, o Ugone , o Ottone alcuno non si legge che vi fosse ^ pur mi rimetto. Quel nome d' Eusta- zio vorrei ben , che mi fosse accomodato alquanto da V. S. Intorno ai concieri , credo che dica più che vero, ch'io in alcun luogo abbia peggiorato . Pur Tni sarà poi caro l'intenderne il loro giiidicio più particolarmente. Io credo tornarmene a Ferrara fat- te le Feste; ma di questo l'avviserò più risoluta- mente Venerdì che verrà . Avrei caro d' intendere

L E T T F. n E r ^3

se la pratica fu sopita con soddisfazione, e come. Non si maravigli, s' io non scrivo a questi Cardina- li oggi , perchè oltre le molte occupazioni , che mi la revisione, non posso supplire ai molti ban- chetti , e alla curiosità degli uomini , che mi tie- ne occupatissimo. E le bacio le man^. Di Padova, 26 Aprile 1575.

IX. y^l medesimo A Roina .

Io sono in letto a pagare il tributo solito ed or- dinario d' ogni anno alla mia fortuna , ed oggi è il terzo dì, che vi son posto. Questi due giorni passa- ti sono stato in guisa travagliato da febbre , e da do- lori, e da stupori di testa , che ho talora dubitato di non aver a lasciare V. S. esecutrice d'un duro uti- cio. Pur' oggi , la Iddio grazia , sono quasi libero di febbre, e col capo meno intronalo. Mi giunsero je- ri i tre Ganti trascritti di man di V. S., ma giunsero in modo conci dalla pioggia, che gran cosa sarà, ch'io gli possa leggere; altri certo non potrebbe. Pure almeno mi serviranno per memoria locale. Vo immaginando eh' alli due, che ho mandati nel me- desimo tempo a V. S. , sia avvenuta la medesima sciagura: e così deve esser certamente, acciocché queste sole mie scritture non sieno più privilegiate dell' alti-e . Ho inteso da Messer Luca , eh' ella se ne va a Tivoli a passare questo avanzo del caldo, e cre- do d' indovinare qual sia la compagnia , con ch'ella va. V. S. m'intende. S'io m'appongo, la prego di grazia a non voler che le mie cose servano per trat- tenimento, non già perch' io non mi rechi a favore, che le mie Poesie sieno ascoltate da così alti audito- ri, ma per que' tanti rispetti, ch'ella sa così bene com' io; li quali m' inducono anche a pregarla, che voglia procurare con ogni suo sforzo, che i Canti

I S4 L E T T E -R E

già divolgati non si divulghino maggiormente. Mi è stato di somma consolazione T udire ciie la testura di tutto il Poema sia stata approvata dai Signori re- visori in quella maniera, che mi scrive Messer Lu- ca. Con tutto ciò aspetto ch'essi le diano un'altra più diligente revisione. E perchè le cose spettanti all' arte a giudicio d' uomini così severi stanno pres- so che bene 5 e di quelle, ch'appartengono allo sti- le, m'assicui'a V. S.^ resta solo eh' io dubiti del di- letto. Io non mi proposi mai di piacere al vulgo stupido^ ma non vorrei però solamente soddisfare ai maestri dell'arte. Anzi sono ambiziosissimo del- l'applauso degli uomini mediocri, e quasiché al- trettanto affetto la buona opinione di questi tali , quanto quella de' piti intendenti. Prego dunque V. S. che me ne scriva quel tanto , ch'avrà potuto sot- trarre dal parere de' cortigiani galanti, e degli uo- mini mezzani. Io disegnava di fare che V. S. avesse il compimento del libro per tutto Agosto. Ora tro- vandomi in questo stato, non so quello che possa promettere. E quand' io guarisca prima della mia e- spettazione , non so s' io debba molto affrettare, tro- vandosi V. S. in luogo, che non può attendere. E qui facendo fine le bacio le mani , e la prego di non tramettere, perchè sia alquanto più lontana, il fa- vore che mi fa continuamente di scrivere. Di Fer- rara, il 1(i di Luglio 1575.

X. Al medesimo . A Rom,a .

Io credeva di trovar quiete in Modena, e v'ho tro- vato maogior disturbo , eh' io non aveva in Ferrara . Con lutto ciò mi son finalmente risoluto di voler prendere ogni cosa in pazienza, e ridermi del Mon- do. Emi son' anche risoluto di non poter partirmi dalla servitù del Sig. Duca; perchè oltre ch'io gli ho

LETTELE 135

lant' obbligo, che quando spendessi la vita per lui , non avrei appieno soddisfatto al debito mio , non credo ch'io potrei trovar maggior quiete altrove, che nel suo stato . Le persecuzioni , eh' io patisco , sono di maniera , che non meno mi lurberebbono altrove, che qua. Desiderio di maggior comodo, s' altre volte non ra' ha mosso , non vo' eh' ora mi muova. S'io debba procurar la scomunica, o no, col Sig. Giacopo , non ne sono ancor risoluto: ci penserò meglio , e poi ne scriverò a V. S. Illustris- sima, alla quale non men lontano, che vicino, sarò devotissimo servitore , e mi sforzerò in ogni occasio- ne di farglielo conoscere, per quanto s' estenderà la debolezza dell' ingegno, e delle forze mie . Fra tan- ti disturbi non m' abbandonano i pensieri della Poe- sia-, però riceverò in grazia singolare da lei , che mi scriva quel che le sarà paruto de' sonetti. E con questo a V. S. lUustriss. bacio le mani. Di Mode- na, il 7 di Gennajo 1575.

XI . Al medesimo . A Rofna .

Ho ricevuta questa mattina la lettera di V. S. man- datami dal Sig. Torquato Rangone , la quale m' è stata carissima per molti rispetti, e particolarmente per aver da essa compreso, che il Sig. Giacopo non ha perduta memoria di me. Ma se bene io mi pro- metto molto del favore di quel Signore , non voglio per ora dimandarle la grazia della scomunica. Per l'ultima, ch'io le scrissi, V. S. Illustriss. avrà in- teso, eh' lo finalmente mi son risoluto e di prende- re ogni persecuzione , che mi sia fatta , In pazienza, e di fermarmi perpetuamente ai servigi ^^^ ^^g- ^^' ca . E questa risoluzione è stata non meno necessa- ria, che volontaria: che certo io non solo non do- , veva, ma non poteva far altramente-, ma non ogni / 1

ioO L E T T K R F

cosa si può scrivere. Di Mess. Luca nostro che altro posso dirle , che quello che V. S. Illustriss. avrà po- tuto conoscere della sua pratica ? Egli è di somma bontà, di somma sufficienza; particolarmente il re- puto attissimo a questo ufficio dello scrivere. Quan- to egli ci sia inclinato , non so ; ma farà ciò che vuo- le . Io siccome persuado V. S. Illustriss. ad accettar- lo, così persuaderei lui a procurar questo servizio, se di già, per quanto ella scrive, non mi ci paresse inclinato . x\spetto con grandissimo desiderio di sentire, che questo negozio sia concluso. Ed a V. S. Illustriss. bacio le mani . Di Modena, li 11 di Gen- najo.

XII. Al medesimo . A Roma .

Desidero di sapere, se V. S. lUustsiss, è mal sod- disfatta in alcuna cosa di me, e s' io posso libera- mente credere tutto ciò, che da lei mi viene scrit- to. Le parrà strano questo quesito \ pur m' è venu- ta una lettera di Roma, che non posso dire da cui, intorno a che, che mi ha messo alquanto il cer- vello a partito. Ho finalmente conosciuto eh' è una mera malignità \ pur desidero d'esser certificato da lei medesima , s' io sono nella solita sua grazia . So che da Gavaliero , che è , se si tenesse offesa da me, mi direbbe 1' animo suo liberamente, ed a me da- rebbe il core di purgare ogni calunnia. Ho riserba- ta la lettera per mostrargliela, o per mandargliela, quando sarà tempo \ conoscerà ch'io non mento. Non posso vivere , scrivere . Non faccia parte di co- sa , eh' io le scrivo, ad alcuno di casa, o forestiero . Desidero d' intendere, che fine avrà avuto il nego- zio di iVIesser Luca. Mi si volge un non so che per r animo. Aspetto risposta per la via, che verrà que- sta , e le bacio le mani . Di Modena , il 1 ' di Gen- najo.

LETTURE IJ7

XIII. Al Sig. Maurizio Cutaneo . A Roma,

La Lèttera di V. S. m' è stata cara molto per se stessa, e carissima per la speranza , che mi della risposta di Monsignor Illustrissimo Albano, la qua- le se verrà, sarà un de' maggiori favori, eh' io ab- bia ricevuto in questi anni de' miei travagli j e mi parrà che mi restituisca alle leggi degli altri uo- mini, alle quali vorrei più tosto esser restituito, che guadagnare un milion d'oro. E se ben conosco, eh' io con le mie false immaginazioni ho dato occa- sione d'esserne escluso, credo nondimeno che ci abbia anche qualche parte la malignità della mia fortuna, per non dir degli uomini. Comunque sia, io mi presterò così ubbidiente a' comandamenti di V. S. Ulustriss. ( s' ei non ricusa la mia cura, come disperata), eh' ei non si pentirà d'averla tutta tolta sopra di : a cui rimango con infinito obbligo , che m'abbia impetrato il perdono dagl' Illustrissi- mi Signori Cardinali d' Este, e de' Medici , coraechè io non sappia in che aver mai offeso Monsignor Il- lustrissimo d' Este, se non forse in partirmi di ca- sa sua e da Roma , senza fargli riverenza . Ma il primo errore nacque per soverchio d'umore 5 nell'al- tro io non ebbi colpa alcuna , trovandomi in potere altrui . Il Sig. Cardinale de' Medici avrebbe forse maggior occasione di sdegno verso di me*, onde ch'e- gli l'abbia deposto, ne rimango con maggior obbli- go a Monsignor Ulustriss. E mi sarà caro ogni se- guo , che nelle occasioni mi darà il Cardinale de' Medici, d'avermi in quel grado di grazia, che pri- ma m'aveai tal che poche altre cose mi potrebbouo succedere alla mia vita, che mi fussero care . E tanto all'uno, ed all'altro nondimeno di questi due gran- dissimi Cardinali sono ugualmente umilissimo ser-

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vilore. Ed al Signor Scipione Gonz.Tga son quel ser- vitoresche sempre sono stato , e tanto or più, quan- to la mia fortuna e '1 mio intelletto mi fa da meno di quel che prima era. f.,' intelletto nondimeno , la quel che s' appartiene allo scrivere , è nel suo vi- gore , come V. S, potrà veder tosto da un Dialogo , eh' io scrivo della Nobiltà , il quale potrà esser un saggio di quel ch'io potrei fare, s'io scrivessi eoa quiete e con libri. Io aveva determinato d'andare a Ferrara: ma la speranza della lettera di Monsig^nor Illustrissimo m'ha ritenuto, e '1 dubbio di non i- sraarrirla , s' io mi partissi . Farò nondimeno quel- lo, ch'egli mi consiglierà , non solo d' arrivar fino a Ferrara , ma fino a Roma, se bisognasse. Sappia nondimeno V. S. Illustrissima che io credo aver par- ticolarmente obbligo al Serenissimo Sig. Duca di Sa- voja, e che ovunque possa sarei suo divotlsslmo, rlsparmlerei la vita in suo servizio, quando si presentasse occasione degna d' uomo dabbene . E di tale con la grazia di Dio , e col favore di Monsio^nor Illustrissimo spero di fare, e di mantenere esatta professione, che sopirò tutti i rumori della mia vi- ta passata, veri o falsi che sieno . Ed a S. Signoria Illustrissima bacio col desiderio 1 piedi , ed a V. S„ le rniani . Di Torino, il primo di Decembre 1578.

XIV. Al Sig. Cardinal Albano . A Roma .

Quanto avrò maggior speranza della protezione di V. S. Illustrissima, tanto gli effetti, che da me deri- veranno, saranno migliori; perciocché chi desidera d'esser suo, eonvien che si sforzi di esser degno lei; e quando il mio sforzo non bastasse, potrà o la grazia di V. S. Illustrissima adempire ogni nìio di- fetto, o 1 favore ricoprire Ogni imperfezione. Ala desidero anzi d'essere, che di parere, e d'asconder-

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mi ^ onde la supplico che i suoi favori procedan ver- so me corrispondenti al mio desiderio, sicch'io mi senta in efFelto sollevato da questa miseria , nella quale per poco accorgimento, e per soverchia im- maginazione son precipitalo. Il ÌNatale è tempo di grazia, e tuttodì ella sempre sia atta a procurarla, ed a farla; nondimeno par che la stagione possa a- jutar la sua naturale inclinazione di giovare altrui, la quale trova sinora in me tanta corrispondenza , e straordinaria afFezion di farle servizio, che poco potrà crescere, perchè dalla sua parte crescano i be- netìcj verso me, e dalla mia gli obblighi verso lei-, sebbene molto potran crescere i segni, co'quali io la manifesterò . E desiderandole ogni grado degno del- la sua virtù, con venerazione le fo riverenza. Di Torino ec.

XV. ^l medesimo . u4 Roma .

La lettera di V. S. Illustrissima m' è stata cara so- pra modo, pili tosto perdi' io me ne sento mollo fa- vorito, che perchMo ne abbia sentito alcuno alleg- gerimento aìle mie raisgrie . Spero nondimeno d'a- verlo a sentire. Ben la voglio supplicare umilmen- te , che volga tutta la forza del suo favore col Sere- nissimo Sig. Duca di Ferrara, col quale so ch'ella può, e dal quale anzi desidero di esser sollevato da questa miseria, che da niun altro: ed a V. S. Illu- strissima umilmente bacio le mani . Di Torino ce.

XVI. u4l Sig. Scipion Gonzaga. A Roma.

Io sono in Mantova desiderosissimo d'esser servi- tore di V. S. Illustrissima in quel modo, che sempre fui, non credendo in alcun nuovo modo di poterle esser più affezionato; e spero che continuando in

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me il desiderio di servirla, debba continuare in le» quel desiderio di favorirmi che comincio col prin- cipio della conoscenza ch'ebbe di me, deve sce- mare, mentre io da lei sarò conosciuto. So che può molto per se stessa, e molto più col favore del gran Cardinal de' Medici , della generosità del quale sa- rebbe degna opera, e corrispondente a quella di co- loro, de' quali rinnova il nome, il porre una volta lieto fine a' miei travagli. voglio credere eh' egli ceda punto di grandezza d'animo a coloro, i quali supera tanto di grandezza di fortuna^ meno, che non sia per corrispondere con alcun segno di bene- volenza ali ardentissimo desiderio, che io ho, d ono- rare quanto più per me si potrà la sua Serenissima e gloriosissima Casa^ ed in particolare ìa sua perso- na, alla quale ho sempre portata straordinaria afl'e- zione. E con questo a V. S. Illustrissima umilmen- te bacio le mani, supplicandola che in mio nome gli faccia umilissima riverenza. DI Mantova ec.

XVII. Al medesimo . A Roma .

Scrissi r altro giorno a V. S. Illustrissima a lun- go, e diedi la lettera al Sig. Conte Federico, la qual credo che a quest'ora sarà per istrada. Ora di nuo- vo le scrivo . non per darle ragguaglio più minuta- mente de'miei casi; perchè questa istoria è così lun- ga, e così intricata che non può essere scritta in mo- do, che il lettor ne sia capace-, ma solo per pregar- la che sospenda ogni credenza, che le potesse essere slata impressa della mia pazzia, ed anche ogni si- nistra opinione ch'ella possa avere di me per altro. Perchè, comech'io non nieghi di non aver commes- si molti errori d' imprudenza e di vanità , non son però consapevole d'alcuna malizia a me stesso, della quale senta rimordermi la coscienza. Che quando

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io sarò sicuro, eli' ella al solito m'ami, e che non mi reputi più stolto di quel eh' altre volte sia stato , non dubito ch'ella non sia per darmi in molte cose fermissima credenza, e per adoperarsi a mio benefi- cio con quella caldezza, che sempre ha dimostralo in tutte le mie occorrenze. Io ho grandissima speranza nel Sigjnor Duca d' Urbino, minore T ho in V. S. Illustrissima^ ma se per sorte (il che non credo) Sua Eccellenza non volesse torre sovra 1' assunto di cavarmi di travaglio, non avrebbe la mia speran- za in chi appoggiarsi, se non in V. S.; e quand'anco il Signor Duca non ricusi la mia protezione, non ri- marrà però V. S. Illustrissima senza alcuna parte di questo peso. Scriverò più risolutamente a \. S. Il- lustrissima com'io abbia parlato con Sua Eccellenza, la quale or si ritrova in Casteldurante . Fra tanto mi conservi in sua grazia, e si contenti di presentar le due inchiuse di sua mano , accompagnandole con qualche buon ufficio , e con dare a quei Signori , ai quali son dirizzate , quel ragguaglio che può dar loro di me. Ed a Vostra Signoria Illustrissima bacio le mani con ogni affetto. D' Ui-bino ec.

XVIII. Al Sig. Cardinale Albano . A Roma .

Il desiderio, che ho di servire V. S, Illustriss., e di mostrarle molti segni dell' affezione e dell' osser- vanza, ch'io le porto, mi porge altrettanto ardire di pregarla, quanta é la speranza, che ho d'ottenere la grazia eh io le dimando , non mi parendo in al- cun modo ragionevole, eh' ella come Principe ma- gnanimo e cortese , non debba in qualche modo , e con qualche effetto corrispondere a quella devozio- ne, con la quale io l'amo ed onoro. La supplico dunque , che voglia in mio favore scrivere al Signor Duca di Ferrara efficacemente, ch'egli per sua

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cortesia si compiaccia darmi la provisione, che già mi dava, e ^1 luogo eli' aveva ne' suoi servigj", o al- meno mi dia nella sua Corte alcun luogo eguale al primo, ch'io aveva. E perchè io spero che V. S. Illustrissima si debba più movere per la volontà , che ha di giovarmi, che per alcun artificio, o lun- ghezza di mie preghiere, umilissimamente bacian- dole le mani, farò fine. Di Ferrara.

XIX. Al Signor Lorenzo Canigiano .

Se ora la mia immaginazione più non m' ingannai di quel che m' abbia altre volte ingannato , la qua- le e qui in Ferrara prima, e mollo più poi in Roma fu molto fallace, io giudico di non poter aspettare da altre parti più certo, e più caro favore , che dal padre di V. S. e da lei medesima. Supplico dunque r uno e r altro, ed insieme la Signora sua madre a non voler indugiar tanto a favorirmi, ch'io o per- dendo la speranza del favore, o cominciando a du- bitarne, mi risolva a prender altro consiglio. As:(et- to il lor favore \ e se tale verrà , quale io 1' aspetto , verrà grati ssìmo e desideratissimo , ed io n' avrò loro maggior obbligo, e mi sforzerò di pagarlo, e 1 pagherò più volentieri, che non farei a molti Prin- cipi , a' quali finora non mi par d' essere molto ob- bligato . E s' assicuri V. S. che altrettanto ricono- scerò il favor di chi procura che sia fatto, quanto da chi il fa , e le bacio le mani . DI Ferrara ec.

XX. Al Signor Marchese d^ Este . A Torino .

Mi ricordo, che nel mio partir di Torino diedi a V. S. Illustriss. un mio Dialogo della Nobiltà, il quale- ora riduco a maggior perfezione , della quale quan- to gli mancherà, tanto non nicgo che si tolga do-

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nore al mio gludicio . Desidero di farlo stampare con molti privilegi , e con quello del Sig. Duca suo par- ticolarmente , e con quel di Milano . Tratterei que- sto negozio con molti , e con chi a V. S. lllustriss. più piacesse, dalla quale riceverei in grazia una ri- sposta a tante lettere , eh' io le ho scritte . E le bacio le mani , e insieme a Madama sua . Di Ferrara .

XXI. Al Signor Don Ferrante Gonzaga

Fu qui un di questi giorni un Gentiluomo di V. E. Illustrissima a vedermi , col quale io ragionai del mio stato , e li diedi un mio Dialogo , perchè il man- dasse a V. E. Illustrissima . Mi giova di credere che il suo Gentiluomo avrà col Signor Duca di Ferrara clementissimo adoperato alcuna cosa in mio giova- mento . Ed io la priego, che gli voglia dar sovra ciò particolar commissione . Questo ho voluto che sap- pia V. E. lllustriss. , sperando eh' ella per la servi- tù, che ho avuta col Signor suo padre di felice me- moria , e con tutta la Casa sua , debba in ogni occa- sione avermi per raccomandato . E ciò tanto più mi giova di sperare, quanto sono più consapevole a me stesso della buona e sincera volontà , die ho di ser- virla. Ed a V. E. lllustriss. bacio le mani. D'alcuni altri miei particolari ragionerò col suo Gentiluomo, se tornerà a vedermi . Di Ferrara .

XXII. All' Arciprete Lamberto .

Io sarò sempre servitore al Sig. Cardinal Guasta- villani , e gli desidererò sempre bene e felicità , quand'ancora fossi di fazione e d'opinione contra- ria alla sua . Tanto più gli debbo ora esser servito- re , che ho collocata buona parte delle mie speranze nel Re , del quah^ egli porta il nome, e dai quale la

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Casa sua ha ricevuti tauli bencficj . Mi sono dunque molto rallegrato d'intendere , che il Signor Filippo ;, fratello di V . S. , abbia fatto aver ricapito alle mie lettere , e che mi dia speranza di risposta, la quale se verrà conforme al mio desiderio, verrà gratissi- ma , ed a V. S. non che a Sua Signoria Illustrissima ne rimarrò con molt obbligo . V. S. m ami ,e m'aju- ti , se può; eh' io amo, ed onoro lei sovra modo-, e mi faccia favore di fare in mio nome umilissima riverenza a Monsignor Illustrissimo suo , ed al Si- gnor Cardinale Granvela.

XXIII. Al Sig. Pier Giovanni Martini. ji Mantova .

Sebbene ho in Mantova molti Signori ed amici , nondimejio scrivo a voi, perchè sollecitiate qual di loro conoscerete più inclinato a favorirmi. Il Sig. Cavaller Capilupo, eil Sig. Marcello sono miei ami- ci in modo, che non so qual più. Al Signor (liro- lamo del ^fero, ed a quel del Fermo porto qucll' af- fetto e quella riverenza, che merita il merito loro, e l'affezione, che portarono a mio padre. Il Signor Guido sarà sempi'e da me tanto onorato, quanto si conviene alla nobiltà sua , ed al luogo che tiene col Signor Principe . Siate contento di dar questa lette- ra ad alcun di loro , perchè 1' appresenti a S. A. Se- renissima. Pregate il Sig. Orazio Cavallo, che baci in mio nome le mani al Sig. Principe; e mi vi rac- comando, assicurandovi che s'io potrò mai cosa ahuna , vi sarò sempre buon amico in ogni occasio- ne. Di Ferrara.

XXIV. Al Conte Ferrante Estense Tassane.

Se l'autorità di V. S. è tale col Sig. Conf' Ercole

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suo nipote, qual deve, la voglia adoprare a prò di un suo servitore , qual son io , accioccli'egli si ri- cordi meglio delle promesse, e del debito suo . Ben- ché più caro mi sarebbe , che immediatamente mi favorisse col Sig. Don Cesare, acciocch' egli si mo- \esse ad usar meco quella cortesia e quella umani- tà, la qual suol essere propria di Casa sua , lun- gamente da me servita , e tanto lodata e celebrata . Insomma a V. S. raccomando la spedizion delle mie cose , e le bacio le mani . Di Ferrara.

XXV. yél Signor Maurizio Cutaneo . A Roma.

Altrettanto piacere m'ha portato la lettera di \. S. per r affezione, ch'ella mi dimostra, quanto di- spiacere-, perch'io ho compreso ch'ella non é bene informata del mio stato , del quale molto mi mara- viglio che dal Sig. Conte Ottavio Tassone non abbia avuto avviso . Ma poich' egli non 1' ha dato a V. S., il darò io medesimo nella sua venuta a Roma, la qua- le, com^ egli m'ha detto , sarà tosto. Intanto dia fe- de a quel che le scriverà il Sig. Giulio Mosti, per lo cui mezzo può mandar le lettere. Della buona volon- tà dell' Illustriss. Sig. Card. Albano son più certo, che mai fossi, perch'io l'onoro più che mai con tutto l'affetto dell' animo; onde ragionevolmente dal mio posso misurare il suo . Non dubito eh' egli non sia per fare ogni uficio, perch' io conseguisca 1' intento mio; ne la prego nondimeno quanto posso. Farò r altro sonetto a Sua Signoria Illustriss., e con mag- gior comodità le darò maggior segno della mia rive- renza , ed allora non mancherò di mostrare ancora a V. S. la stima, eh' io fo de' suoi meriti, pari alla mia benevoalienza . Di Sorrento non ho inteso cosa alcu- na , già molti mesi sono; ma ni' è dato speranza che io vi potrò andare a risanarmi . Piaccia a S. D. I\L di

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farmene grazia . V. S. baci in nome mio le mani al Sig. Abbate, ed agli altri gentiluomini di casa ^ ed in questi caldi mi faccia brindisi di quel buon vino, clie solevamo bere ad un tavolino medesimo. Dio la conservi . Di Ferrara .

XXVI. y4l Sig. Marchese Buon compagno General di S. Chiesa . A Roma .

Ho supplicato molte fiate V, E. Illustriss. che vo- lesse interceder per me appresso il Seren. di Ferrara, col quale è ragionevole che la sua intercessione sia non solo di molta autorità, ma molto cara, così per r alto luogo , eh ella tiene nella Chiesa , come per lo Stato di \ignola, che ha negli Stali di S. A.; e sovra tutto per lo suo proprio valore , per lo quale da Prin- cipe valor()SÌssimo non può esser se non molto ama- ta, e tenuta in pregio. Ma sinora non ho veduto ef- fetto alcuno della sua intercessione. E credo die i miei prleghi da V. E. non sieno stati esauditi, non tanto per gli miei difetti, i quali da lei , che è cle- mentissima , so che son riguardati con occhio com- passionevole, quanto per la natura del negozio , che in se stesso è molto difiicile. Pur confido che la sua autorità, e la sua destrezza sia per superare ogni difficultà. Ed a V. E. bacio umilissimamente le ma- ni. Di Ferrara .

XXVII. Al Sig. March. fV Este. A Torino.

Quant'io più mi confermo nella certezza di que- ste nozze, delle quali per alcune cagioni sono stato dnh])io , tanto più mi pare di non aver bisogrjo di altro favore, che di quello della Gasa d' Au.slria, e Gonzaga, che s'è con nuovo parentado congiunta col Duca mio Signore. Nondimeno percliè il (hside-

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vlo , che ho di servir V. E. per s(' è grandissimo, ed è fatto poi molto più granfie per la dipendeuza , che Ila dal Re mio Sovrano, e dal Serenissimo di Savoja, al quale io ho taut' obbligo , non ho voluto rimaner di replicare nuova lettera, e di supplicarla che si degni di agevolar questo mio desiderio eoo operare, che il Signor Duca di Sav^ja non voglia negarmi parte di quel favore, die inerito, se non per altro, per la riverenza ehc porto al suo nome glorioso , e meriterò anche, perehè farò in ogni mio componi- mento di prosa , onorata ed efficace menzione del suo nome e de^ meriti suoi. E con questo a V. E. bacio umilissimamente le mani , pregandola che ba- ci a S. A. il ginoccliio in mio nome, ed al Sig. Prin- cipe di Piemonte mi ricordi per devotissimo servi- tore , ed alla Sig. Marchesa sua . Di Ferrara .

XXVIII. Al Sig. Card. Borromeo . A Milano .

Io ho scritto molte volte a diversi Signori per a- vere il privilegio dello Stato di Milano del mio Poe- ma . Ora intendo, che lo stampatore di Parma F ha fatto stampare, e che n'ha il privilegio, il quale non so come gli sia stato concesso^ ma so bene che la servitù , eh' io aveva col Sig. Principe suo nipote, meritava che a me più tosto , che ad altri , dovesse esser concesso il frutto delle mie fatiche. Ed ora ne pricgo non men lui , che V. S. Tllustriss. che mi fa- vorisca ad averlo non men di questa , che d'alcune altre opere , delle quali le manderò la lista , se sa- prò che questa mia lettera sia stata mandata a Vo- stra Signoria Illustrissima, e ch'ella l'abbia giudica- ta degna di risposta . E le bacio le mani . Di Fer- rara .

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XXIX. u4l Sig. Federico Buonaventura A Pesaro .

Io non so quanto la Signora Duchessa d'Urbino sia informata del mio stato. Jeri nondimeno mi fu detto dal Sig. Strozza, che era già suo paggio , cheS. A. aveva buona volontà di favorirmi. Se Favrà, a- vrà bene occasion di mostrarla ne' particolari del mio Poema, ed in molti altri . E 1' Illustriss. Signor Ippolito dovrebbe esser di tanta autorità seco, che s' ella o per natura, o per rispetto fosse lenta , la po- tesse render più sollecita . Ed io per la servitù , che ho con Sua Signoria la prego aflettuosamente, che V0j.;lla pregarne la Signora Duchessa ; meno che scriva nel Regno in mio favore alla Signora Princi- pessa di Bisignano, acciocché S. E. prenda la mia protezione con quella città, nella quale so d'aver parenti , e nuovamente so d'aver alcuni beni , come mia sorella m'ha scritto per una lettera portatami dal Signor Gont' Ercole Tassone. Invlerò questa mia lettera per la medesima strada, e quella di mia so- rella. Presuppongo che V. S. sappia, che 1 mio Poe- ma sia stato stampato una volta ; e eh' ora si ristam- pi in più luoghi con mio danno non picciolo, ma con dolore ed afllizione masaiore dell'animo mio. lo ho domandati i privilegi d' alcuni Stati, mi è dato risposta a proposito, e mi pare quasi d'aver perduto quello , che 1 Serenissimo Gran Duca di To- scana m' avea concesso, col quale se '1 Signor Duca vostro ha quella buona amicizia , che già mi disse il Sig. Con. Federico Gallo, (juella stessa cagione, che lo mi ha fatto perdere , dovrebbe farlomi ricupe- rare, com' io direi ad alcun gentiluomo di cotesto Stato, s'io il vedessi j e come avrei detto al Sig. Fla-

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minio Buonaveninra, scegli fosse tornato a veder- mi . Ed a V. S. bacio le mani . Di Ferrara .

XXX. jilla Signora Duchessa {V Urbino .

Fui alcuni giorni addietro salutato in nome V. A. dal Sig. I|)polito Bosco , e da un Mess. Stefa- no utlciale qui di Gasa , e mi rallegrai iafinitamen- te che la sua umanità si fosse fatta incontro alla mia indignità , ed abilitatala a ricevere favori si fat- ti . Ma poi non ho più veduto il Bosco 5 e Mess. Ste- fano , che soleva esser qui mattino e sera, è spari- to-, sicché r intenzione , che mi fu data insieme col saluto , eh' io sarei tratto di questo luogo , non solo non è stata effettuata, ma quasi pare che mi sia tol- ta la speranza , che debba esser posta ad effetto . Ma- dama Sereniss., io la voglio supplicare, che se la sua umanità si fa incontro alla mia viltà , voglia anche la sua pietà farsi contro alla mia miseria, e porger- mi alcun ajuto in modo , eh' io ne senta alcun sol- levamento 5 e non potendomi favorire nella libertà , e nel ritaccare la mia servitù con S. A. , eh' è il fine d'ogni mio desiderio , e clie sarebbe l'estrema mia felicità, mi favorisca ora nella sanità. E quando che sia nella libertà, s'assicuri eh' è ben possibile che io serva altro Principe , o che da altro Principe di- penda , che dal Duca suo fratello •, ma non è già pos- sibile , ch'io m'induca a dipender da alcuno, che voglia ch'io disserva lui più oltre di quel che ho fatto . Perdi' io son risoluto di non voler accrescere le mie colpe con nuova pazzia, se ben ne sperassi per premio onori e comodi grandissimi , e la ricu- perazion della sanità •, p da questo proponimento non è per rimovermi la morte stessa . Io darò questa a un Mess. Antimo (perdi' altri non compare), il qua- le non mi porta proposta, risposta in nome

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d'alcuno, sperando che pur debba far capitarla nelle sue mani . E slaro aspettando da lei risposta o di parole , o d effetti-, e se dell une, e degli altri mi fosse data, mi riputerei avventuroso servo di V. A._, ed obbligato più che alcun mai le fosse. E le bacio le mani umilissimamente. Di Ferrara.

XXXI. Al Sig. Scipione Gonzaga. A Roma.

Sempre le lettere di V. S. Illustriss. di qualunque materia sieno, ed in qualunque tempo arrivino, mi sogliono esser non solo gratissime, ma dolcissime. JNissuna però n'ebbi mai più grata , più dol- ce di quella, che jersera ricevei-, perchè sebbene in essa avrei potuto leggere novella più da me deside- rata , e più atta a trarmi dalla irresoluzione del mio stalo presente; nondimeno, perchè nissun' altra sua mai non mi manifesto più cliiaramcnle insieme con l'amor, ch'ella mi porta, la bontà e la sincerità dell'animo suo geloso del mio onore, lìon meno che desideroso de' miei comodi, è giusto che questa a tutte r altre tanto si preponga , quanto si dee più stimare la vera benevoglienza d' un padrone, ch'o- gni acquisto d'oro e d' argento. E bench'io non sia mai stato punto in dubbio delV amor che mi porla, del (|uale ho veduto in tante occasioni tanti efficacissimi segni , non é però (a confessare il vero ) ch'io non abbia talora sospettato , che V. S. per so- verchio desiderio del mio utile, o per una certa te- nerezza d'alfetto d avermi o vicino, o men lonta- no, non abbia potuto essere alquanto trascurata in consid(n-are (juel che per legge d' onore mi si con- veniva . Ora s'ah'un sospetto mai ho avuto di ciò, tutto se dilcoualo al lesser della sua dei dodici del passalo, nella ([uah; ella mostra d'aver così riguar- do ad ogni cosa, che adempie ogni mio desiderio.

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Ed io ancora conosco, e conobbi anco , quando le scrissi la prima lettera, che s' altre volte fui richic" sto, e rifiutai, ora si conviene il richiedere ; e che non posso venire a questo, se non vengo risoluto \ ad altro avrei scritto così irresolutamente. Ma scrivendo a V. S. Illustrissima, eh' è una parte del- l'animo mio e la migliore, così ho con esso lei parlato, come suol 1' animo talvolta fra se stesso ra- gionare; e non mi son vergognato di scoprirle il flusso e '\ riflusso de' miei pensieri , e quella irre- soluzione, la quale è stata, e temo che non debba essere la rovina di tutte le mie azioni . E con questo a V. S. bacio le mani . Di Ferrara .

XXXII. ^l Cavalier Ercole Calo. A Lendenara.

Il Sig. Giulio Mosti mi diede questa settimana passata la copia della mia scrittura fatta per inter- pretazione del sonetto, col quale rispondo a quel di Y. S.; ed oggi m'ha portato una sua lettera de] pri- mo d'Ottobre, nella quale era inchiusa la copia del suo primo sonetto e della mia risposta, e d'un nuo- vo, che V. S. me ne scrive. E rispondendole partita- mente dico, che la ringrazio molto della diligenza, che usa in rimandarmi le mie scritture in lettera molto miglior della mia. E se le piacerà di mandar- mi similmente trascritte 1' altre due lettere dell' Or- dine , ne rimarrò a V. S. con molto obbligo; non ne la gravo però, se non quanto ella giudicherà, che possa esser comodo suo ; ma solo 1' avverlisco , che non voglia così facilmente mostrarle a chiun- que gliele dimanderà, perdi' io non riconosco in loro quella dottrina, che Vostra Signoria per sua cortesia dice di conoscere. Al sonetto di Vostra Si- gnoria rispondo, come vedrà, per ristesse parole:

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ed ancorché non (lliTfìì;!lniente avessi potuto servirmi della voce morale , la quale è da lei posta nel se- condo verso, nondimeno ho voluto più tosto sce- glierne un' altra, che più mi piaceva , che servar in- tieramente r ordine di risponder per l' islesse paro- le , il quale talvolta dal Petrarca è disprezzato , non so se per questa, o per altra cagione. Non ripren- do Vostra Signoria , eh' usala 1' abbia , perchè da Dante è stata usata in quel verso:

Tullio :, e Lino _, e Seneca morale ,• ma le ricordo solo , eh' alle delicate orecchie non potrebbe parer delicata abbastanza. Il sonetto sovra il nome di Pan . ..., o j)iù tosto In lode d una Gen- tildonna ch'abita sull Adige, che così è detta, che ella mi richiese questi giorn! passati , e eli ora di nuovo mi richiese in quesl' ultima lettera, fu da me dato questa settimana , o l' altra al Signor Giulio Mosti, perchè lo mandasse a Vostra Signoria, ed ivi scherzai sovra il nome di Pan . .. .,coine meglio sep- pi . E se '1 Signor Giulio lavrà mandato, couu; di- ce , a quest'ora Vostra Signoria l'avrà ricevuto. Io non me n' ho serbato copia alcuna; ma egli dire di averla: onde quando per isciagura il primo non a- vesse avuto ricapito, potr.à ricopiarlo, e rimandar- gliele. Mi sforzerò di farne un altro, Vhe scherzi sovra l'ultima parte solamente del nome di Pan .... , coni' ella mostra di desiderare*, benché non so per qnal cagione possa desideiare , eh' io tratti concetto trattato da lei, se non forse perch io rimanga infe- riore, il che facilmeute potrà avvenire-, ed io non negherò di pormi a (fiu-sto rischio per compiacerla, |)nrend()mi che sia una sorta d'onore il contendere col Signor Cato, e perdere in quelle composizioni particolarmente, delle quali egli come innamorato si compiace, o si sforza di compiacere. Il nome di Pan ra' ha fatto sovvenire della Gasa Ucllina ,

L E T T !• Il K 13.)

eh' è delle nobili , e delle grandi della nobilissima, e grandissima città di Venezia , con alcun della quale io ebbi già amicizia e servitù, ed ora non men volentieri vorrei che mi s' appresentasse occa- sione di fargli servitù, che di chiedergli favore. Que- sto scrivo a V, S. , acciò faccia testimonio dell'animo mio, quando le occorrerà d' andare, o di scrivere a, Venezia. E le bacio le mani . Di Ferrara, il 4 d'Ot- tobre 1581.

XXXIII. Al Sig. Gio. Martino Casario.A Napoli.

Mando a V. S. la risposta , che ho fatto al primo suo sonetto; risponderò air altro ancora. Fra tanto m'ami quanto mostra di stimarmi; e, s' è in Napoli, (com'io credo) baci in mio nome umilissimamente le mani a Monslg. Illustriss. l'Arcivescovo, ed al Sig. Lello Orsino mi ricordi affezionatissimo servi- tore ; ed al Sig. Fabrizio Carafa , dica che io gli so- no quell'amico , e parente, e servitore, che per ad- dietro gli sono stato, e viva felice. DI Ferrara .

XXXIV. Al Sig. Alessandro Pocaterra .

Vostra Signoria si contenti d'appresentar questo sonetto alla Signora Duchessa , e di far con questa occasione qualche buon uficio per me in modo, che io ne veda qualche effetto. VI priego anche, che vogliate sollecitar non meno voi stesso, che 1 Sig. Conte Scipione , accioccb' io abbia qualche risposta alle lettere, che ho scritte. E pregate il Signor Conte, che supplichi il Signor Duca a farmi le grazie, eh' lo gli ho richieste. Mi scrivete, che vostro figliuolo è intendente di Logica, e di Filosofia, però posso di- scorrer con voi , che quel che non intenderete, vi sarà da lui dichiarato. L'ultima scrittura, ch'io

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inandal al Caiclinal Cesareo, non s'allontana dalla dottrina Peripatetica , ed è scritta problematicamen- te in quel modo, eli' Alessandro Principe de' Peri- patetici scrisse le questioni Morali. E se v'è alcun ornamento di proemio e d'eloquenza, sappiate clie i Peripatetici greci coininciando da Teofrasto non rifiutaro fatti ornamenti. La dottrina anche del Dial(^go della Nobiltà, e della Dignità è Aristotelica, se ben v'è alcuna mistura di Platonica, la qual da Simplicio, da Fi]opono,e da Eusta/io è ricevuta. Ma nel Dialogo del Messaggriero la dottrina è Pla- tonica, con qualche mistura di Peripatetica in quel modo , che i Platonici la ricevono. Diseguo di scri- ver alcun' altre cose esattamente, e di queste servar la copia, e procurar che si stampino. Altre poi ne potrò scriver più popolarmente per compiacimento d'altri, delle quali non mi curerò di tener copia. E nello scriver alquanto più probabilmente, non solo avrò per guida Cicerone, Senofonte , e Platone, ma Aristotele medesimo , il quale scrisse opere , che chiamò Acromatiche, ed alcun' altre, che chiamò E- sotericlie. E le medesime cose alcuna volta nell' A- cromatiche, e nell'Esoteriche trattò, ma con diver- so modo. Tanto sia detto de' miei disegni . Voi ricor- datevi di sollecitar ch'io abbia alcun principio di consolazione . Di Ferrara .

XXXV. Al Sig. Antonio Forni . A Torino .

Ho scritte molte lettere al Sig. Marchese d'Este, da che sono qui in Ferrara, e di ninna d'esse ho a- vuta risposta, se ben 1' allezion ch'io gli porlo, e la pronta volontà che ho di servirlo , avrebbe forse da lui meritato questo favore. Voglio noudimeno sperare che Su.i Eccellenza alìneno si contenterà di farmi rispondere da V. S., ed a me sarà carissimo di

LETTERE l55

aver per suo mezzo alcuna risposta, per la quale possa più tosto, e più facilmente ottener la grazia , di cui S, A. m'ha data intenzione. Mi farà anche piacere a baciar in mio nome le mani al Sig. Ago- stino Buvi , ed a pregarlo in mio nome che mi rac- comandi umilissimamente al Signor Duca ed al Sig. Principe, e che gli assicuri che sou desiderosissi- mo di servirli. Baci umilissimamente le mani in mio nome a Madama, ed al Signor Marchese d' E- ste; e con questo a \. S. bacio le mani. Di Ferrara.

XXXVI. A Mess. Pier Gio<^anni Marini. A Mantova.

Vi scrissi questi mesi passati molte lettere; ora vi sollecito a procurare alcuna spedizione delle mie cose. 11 Signor Don Ferrante Gonzaga mandò qui due Gentiluomini. Io ho pregata Sua Eccellenza Il- lustrissima d'alcun favore, e gli ho raccomandata la mia vita. Ho scritto parimente all' Illustrissimo Signor Alessandro. Resta solo che voi vediate, che alcun d'essi si muova prontamente, e che voi glielo ricordiate, o almeno ne parliate con chi possa alcu- na cosa con esso loro. Emi vi raccomando, pregan- dovi che baciate in mio nome le mani a tutti quei Signori, a' quali vi scrissi, che le baciaste. Di Fer- ra ra .

XXXVIL Alla Signora D. Cecilia Buoncompagna Pepali. A Bologna.

Queir istessa fama , che ha portato agli orecchi miei il valore e i meriti di Vostra Signoria illu- strissima, deve aver apportato ai suoi i miei trava- gli e i dislavori , che mi son fatti da chi men do- vrebbe. Onde mi giova di credere, ch'ella senta

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alcuna compassione, e che non neglierà alcun giu- sto e cortese favore a' miei prieglii . La priego dun- que che voglia in mio favore scrivere al Signor Du- ca di Ferrara, perciocch' essendo egli Cavalier com- pitissimo , farà sempre quella stima che deve delle preghiere di si valorosa Signora . La voglio anche pregare, che si degni di far opera coirEccellentiss. Signor Giacomo , e con Monsignor lUustriss. suo fratello, ch'io sia restituito al commercio delle let- tere. Ed a V. S. Illustriss. baciando le mani , le prie- go felicità. Di Ferrara.

XXXVIIL Al Sig. Maurizio Cutaneo. A Roma.

AncorcVio dovrei più desiderare d'esser riputa- to buono, che dotto, nondimeno mi dee dispiacere d'esser giudicato ignorante. E se la virtù è scien- za, o se senza scienza non si fa alcuna perfetta azio- ne , tanto dovrei stimar la fama della dottrina, quanto quella della bontà. Onde se al Signor Iddio piacer;» di concedermi vita , mi sforzerò di rimuovere dal- l'animo degli uomini quell' opinione, che per mia sciagura, e per altrui malignità credo clic sia divol- gata. Ma perch'ella non può ora esser in tutto rimo.s- sa da me, darò solamente avviso a V. S. de' disturbi , ch'io ricevo nello studiare, e nello scrivere. Sappia dunque, che questi sono di due sorte: umani, e diabolici. Gli umani sono grida di uomini , e parti- colarmente di donne, e di fanciulli , e risa piene di scherni, e varie voci d'animali, che dagli uomini per inquietudine mia sono agitati, e strepiti di cose inanimate, che dalle mani degli uomini sono mos- se. I diabolici sono incanti, e malie-, e come che de- gl'incanti non sia assai certo, perciocché i topi, dei quali è piena la camera, che a me pajono indemo- niati, naturalmente ancora, non solo per arte diabo-

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llca, potrebbono far quello strepito, che fanno ^ ed alcuni altri suoni ch'io odo, pQlrebbono ad umano artificio, coni' a sua cagione, esser recati; nondime- no mi pare d'esser assai certo, ch'io sono stato am- maliato-, e l'operazioni della malia sono potentissi- me, conciossiachè quando io prendo il libro per i- studiare, o la penna , odo sonarmi gli orecchi d'al- cune voci , nelle quali quasi distinguo i nomi di Fa- volo , di Giacomo, di Girolamo, di Francesco, di Fulvio, e d'altri , che forse sono maligni , e della mia quiete invidiosi. E se tali non sono, cortesemen- te oprerebbono, se la mala opinione, che per le male arti di loro ho conceputa, cercassero di rimo- vcre. M'ascendono ancora più in quel tempo, che in alcun altro, molti vapori alla testa , quantunque as- sai volte scriva innanzi al mangiare, in modo che i fantasmi ne sono assai perturbati . E smessi tali so- no in me, non è maraviglia, se scrivendo al Cardi- nal suo gli chiamai impropriamente instrumenti deir intendere . è maraviglia, s' alcun' altre non propriamente da me sono state scritte. E s'avviene, che con questi interni impedimenti s'accordino gli esterni , come il più delle volte avviene , mi muovo ad ira grandissima, e molte liate non fornisco le lettere , ma le straccio, e poi le ricomincio a trascri- vere , come di questa ho fatto , che molte copie n'ho stracciate, e molte ricominciate. Alcun' altre tali ne mando, quali la prima volta scritte assai velocemen- te m' escono dalle mani . Nelle quali s' ho commesso alcun errore , dovrebbe da cortese lettore esser ripu- tato anzi error d'uomo perturbato, che d'ignoran- te. Perciocch' io ripensando a quel che ho scritto, me n'accorgo assai facilmente; ma non potendo cor- regger gli errori, ne sento fra me molto affanno. solo le lettere scritte da me, ma l'altre composizio- ni aiicora sono slate fatte con la medesima pcrlur-

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Lazion d'animo; onde non dirò mai , che sieno buo- ne, né mai confesserò, che sien mie, sinché non abbia tempo di rivederle . Perciocché non quelli , che da animo concitalo, ma quelli , che da intel- letto queto sono stati prodotti , debbon ragionevol- mente essere stimati miei componimenti . Oltre di ciò alcuni d'essi non sono stati scritti con quella, ch'io stimo buona arte, per molte cagioni, delle quali in altre occasioni, s'avrò vita, scriverò più a lungo. E tal fu una Scrittura, che due anni sono mandai all' Imperatore, ed alcune altre , che mandai alla Serenissima Signora Duchessa di Mantova, ed airillustriss. Sig. Scipion Gonzaga , alle quali non avendo potuto dar forma d'orazione, pensava que- st' anno passato di stendere in molte orazioni le pruove di molti affanni che ho sostenuti, e di molti torti che ho ricevuto, e quelle della qualità degli errori miei, i quali non son degni della pena, di cui i nemici gli han giudicati meritevoli, e sono per avventura minori dei loro. Ma spaventalo dalla fa- tica , e dagl' impedimenti eh' io aveva , lasciai di scrivere,© pure a miglior occasione differii di farlo. Ora m'è uscita in tutto di mente la divisione, ch'io Ile aveva fatta, perciocché la memoria molto mi s'è indebolita in questa mia infermità. me ne ricor- derei, se molto non ci ripensassi, e forse altramente le dividerei. Ma quando a Monsignor lllustriss. suo, il quale assai prudentemente m' ha sempre consiglia- to , paresse ch'io dovessi più tosto dimenticarmi delle offese, eh' io ho fatte altrui, e ch'altri ha fatte a me, che rinnovarle e nella mia e nell' altrui memo- ria con lo scrivere; porrò molto volentieri silenzio alle cose passate. Prego nondimeno Monsignor lllu- i>lrissimo, che li sia raccomandatala riputazione e la quiete mia, ed aspetto suo consiglio, senza il quale mal volentieri prenderei risoluzione alcuna. Ed ac-

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ciocché nel darlomi sia sicuro di quel eh' io mi prometto di me stesso, sappia che quando io non sia agitato da tanti strepiti, i quali in quest'ora ch'io scrivo non sono cessati , e certo tali sono, che po- trebbono far divenixe forsennati gli uomini più sa- vj j e sia purgato, e nutrito di cibi, che non accre- scano r umor melanconico, non dilTido di non saper esercitare l'uficio di Segretario. E sono assai sicu- ro , che poche lettere trascriverci, e quelle ch'io ri- scrivessi, non riscriverei più d' una volta. Non desi- dero nondimeno d' esercitarlo. E sedi due mila e cinquecento scudi, che nel Regno di Napoli posso dimandare per giustizia , e d' un migliajo e più , de' quali mi pare che il Slg mi sia quasi debi- tore, che tanti se ne debbono esser tratti da quelle stampe del mio Poema, ch'io ho vedute, io potessi averne almen la metà, penserei d'attendere agli stu- dj miei, non tanto per isperanza di gloria, quanto per desiderio di quiete, la ([uale piaccia al Signor iddio di concedermi in alcun modo . Ed a V. S, ba- cio le mani. Di Ferrara, il 18 d' Ottobre 1ó8l .

XXXIX. Al Vescovo di Feri ai a.

Feci questo sonetto jersera,e quando il cominciai, prima di tutti gli altri mi s'appresentò il verbo co' manda^ perciocché non così propriamente si dice , che le leggi insegnino, come si direbbe, ch'elle co- mandano. Ma il lasciai, perchè l'altre Rime, che seco concordano, non mi servivano a spiegar il mio concetto, e scelsi il verbo inse^nare^ come più ac- concio a dir quel eh' io voleva , ed anco di migliore, e più dolce suono. Potrebbe alcun dubitare, se sia ben detto, clic le virtù s'insegnino nelle leggi ^ ma chi vuole, che cognizion delle leggi sia filosofia de' costumi , come vogliouo i Legisti tutti , non dee Ltu. T. ir. ^ 1 1

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in alcun modo dubitare se s'insegnino^ o non sin* segnino. Io nondimeno confesso d aver men propria- mente usato questo verbo , come usano coloro , che d'alcuna scienza parlando, dicono eh in lei s' inse- gni. Perciocché dubbio sono se la cognizion delle leggi sia scienza, alle quali nella prima mia gioven- tù, prima ch'io studiassi Filosofia, attesi un anno^ anzi tanto per dir vero pendo all'opinione, ch'ella non sia scienza ^ che quasi affermar posso con sua pace, che sia di lei risoluto. Ma lasciando star que- sta quistione da parte, e l'altra che far si potrebbe, se la virtù si possa insegnare, dico che parlando in quel modo che i poeti sogliono, se la virtù si può imparare con lo spavento, e con 1' ammonizion delle pene, si può parimente insegnare. Ch'ella imparar si possa, n'adduco l'autorità di Virgilio, la qual dai legislatori ancora, non che dagl' interpreti fu stima- ta. Egli nel VI., parlando delle pene de'dannati, dice; Phlegy^as miserriinus oimies Achnonet:, et magna testatur ^^oce per umhras: Discite justitlam moniti j et non tcinnere Divos. Vedrei volentieri quel che scrive Orazio in questo proposito d' Omero , dal qual vuole che sia meglio insegnato quel che sia onesto ,e quel che sia utile , che da Grisippo, e da Crantore . Nondimeno l'inse- gnamento d'Omero non è propriamente insegnamen- to, e per avventura è più simile a quello che si fa nelle leggi, che a quello che si fa nelle ragioni dei filosofi. L'Orazio mio, il quale io conservo volentie- ri per memoria del Signor Scipion Gonzaga, e del gran Cardinal Ercole, del qual prima fu, e con al- tri miei libri in casa del Signor Borso Argenti \ e quantunque egli sia infermo, come mi dicono, suo fratello nondimeno il potrà agevolmente ritrovarla} e riceverò in grazia da V. S. Reverendissima , che gli faccia sapere che venga a vedermi, eh' io desidero

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eli parlargli . E le bacio le mani. Potrei mutare alcu- na parola del secondo quaternario , e particolarmen- te nel terzo verso . Se V. S. Reverendissima scriverà mai air Ecct llentissimo INIess. S]>crone, gli baci le mani in mio nome. Di Ferrara.

XL. Al Sig. Ercole Tasso . Jl Bergamo.

Raccomando la mia vita, e la spedizion delle gra- zie addimandate a V- S., la qual per 1' aulica amici- zia , eh' è fra noi, non dee rimaner di pregar per me il Signor Duca Serenissimo ed ogni altro Principe, al quale io son ricorso. E non meno al Signor Cri- stoforo suo fratello la raccomando^ e dall'uno, o dal- l' altro di loro riceverei a somma ventura il ricever lettere, e (se possibil fosse) d'esser per sollecitudi- ne loro posto in qualche casa, o in qualche villa piacevole. Ed a V. S. bacio le mani, ed a lui insie-» me, al quale riduco a memoria i principi della no- stra fanciullezza, che con tanto e onorato amore passammo insieme. E viva V. S. felice . Di Ferrara .

XLI. Jll Padre Francesco Panìgarola .

Ho inteso che V. P. molto Reveienda è in Ferrara, e n'ho sentito gran soddisfazione, e la prego che voglia essermi cortese della sua visita , che a lei age- volmente sarà concesso il poter venirmi a vedere, quando vorrà 5 e se così tosto non potesse farmi que- sta grazia, si degni di scrivermi. Iole ho scritte molte Ietterete non ne ho avuta risposta. O non son capitate le mie lettere in sua mano, o le sue non mi sono state date, che della sua cortesia non posso aver men che cortese opinione. Son di V. P. molto Reverenda r usato servitore, 0 l'usato ammiratore; e r amO; coni' io amo pochi altri, e^ coni' ella da pò-

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chi altri è amata. Se Madama Leonora migliorerà ^ come mi giova di credere , e come niolto desidero , V. P. molto Reverenda le baci umilissimamente le mani in mio nome, facendole sapere che n\ è molto incresciuto del suo male, il quale non ho pianto in versi, non so per qual tacita ripugnanza del mio genio. Ma s' in altro posso servirla , mi comandi , che son pronto ; dico particolarmente in cose di poe- sia più liete. Alla Serenissima Signora Duchessa faccia riverenza, e le ricordi eh' io son qui. Viva felice. Di Ferrara.

XLII. ^l Padre Marco Cappuccino da Ferrara .

Le lettere di V. R. mi sono sempre molto care-, ma questa che mi ha portato ultimamente il Signor Giulio Mosti, m'è stata carissima oltre tutte T altre sue, Percioccliè in lei mi promette di darmi, come sappia, qualche pensiero della sua venuta a Ferrara; nella quale vedrò molto volentieri quel che in que- sto proposito le risposi, perchè non mi riserbai co- pia alcuna della lettera; ed ora sono tanti mesi pas- sati, da che le scrissi, che non posso ricordarmi in- tieramente d'ogni parola. E volentieri le dirò an- cora per qual cagione mi movessi a credere, eh ella volesse accennarmi di saper tutti i miei pensieri: la qual conclusione nondimeno io non volli come Lo- gico trar necessariamente dalle sue parole. Tra tan- to sappia, che io non potrei aver più cari testimonj dcH'airezion sua verso di me, di quelli ch'ella m'ad- duce, s' io giudicassi che l'affezione sua n' avesse bisogno d' alcuno . Ma perch'io son altrettanto si- curo della benevolenza del Signor , assai mi sa- rebbe grato che V. R. o col proprio testimonio, o con quel fieli' jlhistriss. ed Eccellentiss. Signor Duca di Sabionetta confermasse in me V opinione che

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io già ne aveva. Ivi accioccli'ella abbia occasion di parlarne innanzi la sua venuta con S. R. lUustriss., le mando un sonetto, che feci quest'anno passato sovra il Signor Luigi, ed il Signor Carlo padre loro^ e le rimando 1' altro che mi chiede, scritto al Signor Duca, al quale do que' titoli che dagli altri Duchi sono usati, i quali allora lasciai, parendomi che il nome di così valoroso Principe assai fosse onorato per se stesso. Ed oltre questi due le ne rimando un altro, che le mandai questi mesi passati 5 ma non mi scrive d averlo ricevuto. Mi sforzerò anche di far l'altro sonetto che mi dimanda, e l'avrà alla sua venuta. All' lllustriss. Signor Pirro, al Signor Fer- rante suo cognato baci in mio nome le mani : e, se scrive a Novellara, ricordi a que'Signori ed al Signor Conte Pietro Bonarelli , eh' io son loro quell'affezio- nato servitore , ch'io sono stato per l' addietro. Ed a V. R. bacio le mani. Di Ferrara, il 3 di Decem- bre 1581.

XLIII. Al Fescoi^o di Beggio .

Io non so , se con V. S. Reverendiss. mi debba più lamentare di Monsignor lllustriss. suo padrone, o del Signor Conte Fulvio suo così intrinseco amico ^ ma dell'uno e dell'altro molto mi lamento. Dell' u- no, ch'io abbia avuto seco bisogno di favore e di protezione , quando ragionevolmente non doveva averne, poiché molto aveva fatto per suo rispetto, e molto lasciato di fare: dell'altro, che a me, che per tante cagioni doveva essergli così raccomandato, sia stato scarso del suo favore con persoua , con la quale egli può tanto. Ma cosi è piaciuto alla mia fortuna, alla quale anche è piaciuto, che molti altri abbian meco cangiato natura e costume, e non si muovano ad alcuna pietà di quelle miserie, che gli farebbono pietosi in ogni altro. Pur mi giova ore-

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dere, che la mìa fortuna debba mutarsi; e prego Vo- stra Signoria Reverendissima, che m' ajuti in que- sto ^ e le bacio con ogni riverenza le mani. Di Ferrara .

XLIV. Al Si'g. Ercole Sole.

Mando a V. S. la canzone, quale Tlio scrìtta la prima volta , me n' ho riserbata copia alcuna. Ho giunto alcuna cosa al concetto mandatomi da Y. S. , pferciocchè mi pare che niun obbligo s^ abbia altrui per lo dolore , se non in quanto egli è argomento d^ amore 5 onde non facendosi menziou dell' amore, mi pareva imperfetto. La dia al Sìg. Marchese, e non SI scordi di parlar del mio negozio il giorno di S. Silvestro. Desidero ch'egli sappia, acciocch' egli se ne vaglia in buon proposito, eh' io vo pensando di fare sovra ciascun de' Principi della Gasa d'Este, che son dipinti nel cortile, una piccola poesia. Vor- rei perciò che mi fosse mandato l'arbore della Gasa, e l'istoria del Pigna eh' è fra gli altri libri miei. Ed a V. S. bacio le mani, pregandola che non si lasci alc^ina occasione di sollecitare il Signor Marchese . E viva felice. Di Ferrara.

XLV. Al Sig. Antonio Forni . A Ferrara .

Dappoiché m' è stato fatto alcun motto in nome dell'Illustrissimo Signor Marchese d' Este , credo^ eh' egli non debba mostrarsi più affezionato ad al- cun de' nemici miei, che a me. E se si risolverà di confermarmi in questa opinione, mi troverà ri- solutissimo di non mancare in cosa alcuna alla ser- vitù eh' io ho con Sua Signoria Illustriss., al de- bito di gentiluomo. E prego V. S. che gliel dica in mio nome , « le bacio le mani . Di Ferrara ,

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XLVI. Al Sis- Giulio Mosti.

Ilo rescritti i sonetti, e imitate in loro alcune pa- role , come vedrà V. S. Sia contenta di mandar que- sta copia al Si<^. Ardizio, e potrà ritener, se la pare, q!iel primo del Principe Ranucio. Se è diminutivo di Rana, dee essere scritto con una sola N. , ma po- trebbe facilmente esser ch'egli derivasse dal Latino Bhammizio . Mi ricordo d' averlo letto nel Gasa:

AlessaìidrOj e Banniiccio tnieij, che fanno? e volentieri avrei veduto, come lo scrive. Ed a V. S. bacio le mani . Di Ferrara .

XLXII. Al Sig. Maurizio Cataneo . A Roma.

Dalla lettera, die V. S. scrive al Sig. Conte Ottavio Tassone, lio raccolto eli' ella m'ha scritte dell'altre lettere, le quali non hanno avuto ricapito*, il che m'è molto dispiaciuto, perciocché io le ho sempre aspet- tate con molto desiderio, ed orale aspetto con mag- giore, che mai facessi. Laonde prego V. S. che per l'avvenire voglia dirizzarle al Sig. Giulio Mosti , il qual promette di darmele. Da lui sarà informata del mio stato; ed io ora non le scriverò altro, se non ch'esfìi è molto diverso dall' informaziofle, ch'ella ne ha; sicché dee per l' amor che mi porta, del qua- le appieno è contraccambiata, procurare ch'egli sia migliorato in qualche parte . So che l' autorità del- l' lilustriss. Cardinal suo padrone è grande con ogni Principe, onde non può esser picciola con questi di Ferrara . Mando a V. S. un sonetto, che ho fatto al Sig. Cardinale, e le manderei alcuni altri, che gli ho fatto per lo passato, s'io n'avessi ritenuta copia; ma per l'avvenire sarò più cauto a mandarli. E con questo la bacio le mani, assicurandola che Sua Signoria

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lllastriss. ha servitore che più desideri la sua gran- dezza di me , V. S. amico che più l'ami. Le fac- cia riverenza in mio nome, ed insieme al Sig. Abba- te , e saluti gli altri gentiluomini di Casa, e viva fe- lice. Di Ferrara, il 10 di Giugno 1582.

XLVIII. ^l Sig. Alessandro Pocaterra .

M'ha detto Stefano , che ninno è più amorevole di voi 5 ed a me giova credere, ch'egli ni' abbia detto il vero , se ben non ho veduto effetto alcuno . Ma que- sta credenza ha bisogno di confermazion d' effetti . Procurate dunque, Sig. Alessandro mio onorando, che sia data alcuna risposta alle mie lettere, le quali tutte ho dirizzate per la vostra strada , o per quella del detto Stefano, con cui potete parlare. E ricorda- tevi , eh' avete nome Alessandro , e non Fabio 5 e se ben non slete il gi'ande Alessandro, slete però Ales- sandro , e non dovete a Fabio nella lentezza assomi- gliarvi . Ed a V. S. bacio le mani . Di Ferrara .

XLTX. Alla Sig- Cornelia Tassi, yi Sorrento.

Ogni di m' è portala nuova, che maggiormente m'attrista. Oggi m'è stalo confermato dal Sig. Seba- stiano Canella , al quale diedi una lettera che la drizzasse a V. S., che il mio Poema si ristampa, A me non può piacere, ch'in alcun modo sia ristam- pato; ma quando pur si ristampi, non vorrei ceder- ne altrui alcuna parte dell' utile, vorrei esser im- pedito che non potessi conciarlo in altro stato in al- tro modo , che mi piacesse . E quando pur da alcuni Principi potessi ricever convenevol ricompensa del danno, che per tal cagione ho ricevuto, non so qual ricompensa possan darmi, che sia eguale all'afflizio- ne. Prego V. S, che se è alcun Principe in cotesto

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Stato, cTi'aLLla servitù col Sereniss. Sig. Duca di Sa- voja , se gli getti appiedi, e '1 preghi a pregar S. A. che non conceda ad alcuno i privilegi dello Stato suo. Il medesimo ufficio vorrei , che facesse fare col Go- vernatore, e col Senato di Milano. Di Napoli lascio la cura a lei. Degli Stati di S. M. C. m'ha promesso i privilegi ^ Illustriss. ed Eccellentiss. Sig. Scipione Gonzaga. Ma Sua Maestà non ha Stati in Italia, se non di quelli de' Principi suoi vassalli, a' quali do- vrebbe in occasion si fatta ragionevolmente poter comandare^ perciocché la grazia, ch'io addimando, è grazia che non è mai stata negata ad alcuno, ed in un disfavor così universale, che non si può far al- tro , che ricorrere al sovrano Principe, ch'usi alcu- na grazia straordinaria. Ma non voglio gravar V. S. di cosa fatta -, ma sol di quello, che potrà assai agevolmente fare , di trovar alcuno di cotesti Prin- cipi del Regno, che abbia servitù col Sereniss. di Sa- vojajO ch'almeno non avendola, prenda occasione di scrivergli una lettera , che così cortese Signore non negherà si picciola grazia. Quel di Roma s'appartie- ne a Sua Beatitudine di concederlo, ed io potrei pre- garne r Illustriss. Sig. Duca di Bracciano, o l' Illu- striss. Sig. Giacomo Buoncompagno^ ma io non vo- glio dar molestia alle Signorie loro, e ne lascio il pensiero ad altri . Ed a V. S. bacio le mani . Di Fer- rara.

L. Al Sig. Cavaliere Camillo Guaiendo .

Mando a V. S. questo sonetto, il concetto del qua- le è tratto dal Civile di Platone, ove assomiglia Tar-t te regia all'arte del tessitore. Solo in questo da lui mi diparto , ch'egli parla dell'unione della cittadi- nanza, che si fa de' cittadini soli ; ed io di quella de' cortigiani , de' quali alcuni sono stranieri , altri cittadini, questa meno appartiene ali arte reo^ia

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die quella. Se a V. S. piacerà di tiiostiarlo al Signor Duca, mi farà favore . Ed a V. S. bacio le mani. Di Ferrara,

LI. Allo stesso .

Ho letto la lettera del Sig. Orazio Lombardelli, gio- vane, come V. S. scrive, mio affezionalo, ed a me pare molto erudito^ sicché peri' una e l'altra cagio- ne debbo amarlo, e stimarlo assai. E gli ho rispo- sto, come V. S. vedrà ; ma non ardisco di dar cjiudi- cio delle cose scritte da lui , e da me. Perche (quan- tunque colui, che sa, sia certo di sapere; nondimeno l'affetto può così perturbarlo, ch'egli non sia buon giudice di se stesso. Ben'è vero , eh' io mi spoglio d'ogni passione , qiiant io posso, e considero l'opi- nioni mie come altrui , e le altrui come mie, e le composizioni nell istesso modo; e questo non so che altri faccia. E però non mi contento di sottopormi al giudicio d'alcuno in questo secolo , particolarmente in quel eh' appartiene in questa sorta di lettere, per Je quali prima io sono stato onorato da alcuni più ch'io non meritava , poi perseguitato da nn)lti più che non era convenevole . E se vogliamo paragona- re 1' onor soverchio con le soverchie persecuzioni, molto maggiori senza alcun dubbio sono slate le per- secuzioni. Laonde stimo di potermene ragionevol- mente richiamare alla posterità. Ma nell'altre cose volentieri consentirò d'esser giudicato da Monsig. Illustriss. suo, il quale non fece mai professione di questi studj , benché n'abbia molto gusto; sicch'io intendo con gran mia soddisfazione, che gli piaccio- »io i miei componimenti . E saprei volentieri quel che gli paja, ch'io 1' abbia chiamato 'vecchio fortu- nato; percioccliè S. Agostino rifiuta il nome di /òr- tuinilo, come disdicevole al Cristiano. Nulladimeno j)ar clic sia ricevuto da' Dottori Scolastici, e dal Ve-

LETTERE i6 )

«COVO di Bitonlo particolarmente, il quale usa mol- te volte nelle sue Prediche Questo è quel fortu- natOjche derÌK^a da lui. Io ne scrissi questi giorni passati il mio parere a Monsig. Reverendiss. di Fer- rara. Pur queste son di quelle materie, nelle quali credo più all' altrui giudicio , che al mio medesimo. Del mio negozio, bench'io il desideri sopra ogn'al- tra cosa, non darei fretta alcuna al Sig. Cardinal suo, s'io credessi di poter senza lui ricuperare la sanità, la quale gli raccomando quanto posso. E tinche pia- cerà al Sig. Iddio, ch'io stia qui, il priego che mi procuri alcun comodo maggiore, eh' io non ho avu- to finora . E questo stesso ricordo al Sig. Abbate, al quale son servitor di cuore. Alla dote materna non mi pare or tempo di pensare, almeno per via di lite •, e volentieri cercherei d' impetrar per grazia quel che dicono esser mio per giustizia. Ma senza il consiglio di Monsig. Illustriss. suo non saprei a che mi volgere. Del Sig. Ferrante mio cognato non debbo ragionevolmente diffidare, perch'io son molto inclinato a fargli servizio . E se passerò mai a mi- gliore stato, conoscerà chiaramente, ch'io non man- cherò a me stesso , al parentado che ho seco . Mi maraviglio nondimeno, ch'egli non abbia risposto ad alcune lettere , eh' io gli scrissi , quando prima intesi, ch'egli aveva presa mia sorella per moglie j ma forse non ebbero ricapito. Al Sig. Lelio Tolomel risponderò senza fallo, perchè debbo molto stimare l'amicizia di così gentile spirito, nato di così nobll famiglia. V. S. baci in mio nome le mani a Monsig. Masetto, ed a tutti i gentiluomini di Casa. E viva fcr lice. Di Ferrara , il 29 di Settembre 1582.

Lll. Al Sig. Lelio Tolomeì. A Siena.

La famiglia de' Toloraei era prima non sol cono-

I-y-ì L E T T r TS T

scìuta da me per la fftraa dcoll nomini eccellenti , che son nati in leij ma amata per l'amicizia, che Mon- sig. Claudio ebbe con mio Padre, al quale scrisse qnel bel sonetto, che non si It'gge in'istampa: Lascia, Bernardo, la soave lira,

E ponti a bocca quelV altera tromba , Che , quando vuoi, chiarissima rimbomba ec. Ma ora debbo più amarla per rispetto di V. S. , del merito della quale, e dell'amor che mi porta, è te- stimonio bastevole il Signor Maurizio Calanco, il quale è così mio amico, che non vuole ingannarmi, e così buon conoscitor della natura , e della virtù al- trui, che non può esser ingannato. Laonde tutto quel di più, che V. S. me ne mostra nella lettera sua e nel sonetto, direi che fosse sovercbio , se il merito o l'amore potesse esser soverchio nell' ami- cizia , la quale col buono augurio del suo nome mi par di poter cominciare assai felicemente. E quantunque io tema, che a me più tosto , che a V . Ji. manchino le qualità in lei ricercate , mi sforzerò nondimeno di stabilirla dal mio lato con tutti gli uflicj convenevoli. Ed ora le mando la risposta del suo sonetto, nella quale non so se vedrà l'immagi- ne del mio ingegno così ben espressa , come a me è paruto di vedere quella del suo. Ma certo tanto in lui si conosce dell' alfctto, quanto dovrebbe farla certa, ch'io volentieri vivrei seco nella compagnia di quegli studj , per gli quali potrebb' essere meglio consapevole d'alcun mio concetto, che forse non è ora. Ma pur la ringrazio, ch^abbia voluto leggere un mio sonetto nell'Accademia de'Filomati. E for- se è stato mio vantaggio, che non abbia da me in- tesa la mia Intenzione, perciocché coli' ingegno suo ha saputo trovai nelle mie parole cose più belle, ch'io non pensai di dire. 1 saluti di Monsig. di Ro- di mi sono stati molto cari , e desidero molto di con-

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fermar seco quella servitù, ch'io comiuciai in Ru- ma. V. S. ^Yi baci in mio nome le mani, e contiuui ad amarmi. Di Ferrara, il 2, d'Ottobre 1582.

LUI. yll Sig. Maurizio Cutaneo. A Roma.

Ho scritto a Y. S. Mollo Rev. due altre lettere , le quali credo chele saran mandate questa settimana , e mi son poi risoluto di scriverle questa terza . Io mi son molto maravigliato, che il mio Poema sia .stato stampato col titolo di Gerusalemme Liberala, perciocché stando io in dubbio qua! titolo dovessi eleggere, o questo , o quel di Gerusalemme Racqui- stata, o Conquistata, inclinava più tosto ad uno de- gli ultimi due -, ed ora mi risolvo nel Conquistata; e cosi vorrei , die racconciasse nella replica , eh' io fo al Lombardello, ov'è scritto Rac qui stata . Vorrei nondimeno sapere, come sia scritto nell'esemplar di mia mano, ch'è in potere del Sig. Scipione Gonza- ga 5 che non bene me ne ricordo . E le bacio le ma- ni, ed insieme a tutti i gentiluomini di Casa. Di Ferrara, il 3 d'Ottobre 1582.

LIV. Al Sig. Bernardo Giunti . A Venezia .

L' amicizia cominciata tra V. S. e me co' suoi do- ni, è stata cominciata nel più caro modo, che possa essere, co' doni massimamente de' libri della sua bella e buona stampa, i quali mi sono carissimi oltre tutti gli altri: laonde molto ne la ringrazio, e volentieri vorrei poter servirla in quel ch'ella mi chiede. Ma 1 opere mie, che ha stampate, non solo sono state fatte da me fra molti disagj e molti di- sturbi-, ma mi sono uscite ancora dalle mani Incon- sideratamente , e frettolosissimamente 5 sicché io l'ho vedute stampate con molto mio dispiacere . Gre-

l-J-ì L K T T r K F.

^erei nondimeno ài poter soddisfarmene, facendo in tutte alcune mutazioni ed alcune aggiunte , salvo che nel Messaggiero , il quale ho più tosto scemato che accresciuto : ma pero non senza mutar molte cose, e molte migliorarne. E se mi sarà mai conces- so di farlo, avrò quella considerazione alla cortesia di V. S. che debbo. Fra tanto faccia della stampa di quelli che ha nelle mani , ciò che le pare, eh' io non r impedisco; e s'in altra cosa posso servirla, mi co- mandi . Della volgare Eloquenza di Dante , e della "Vita nuova, e della Monarcliia avrei gran bisogno; e se me li manderà, sarà soddisfatta da me o con da- nari, o in qual altro modo più le piacerà. E le bacio le mani . Di Ferrara, il 21 di Decembre 1582.

LV. ^l Si'g. Gio. angelo Papio. A Bologna.

Mi fu molto caro d'esser salutato dal Sig. Giaco- bino in nome di V. S. Eccellentiss.-, ma più cara m'è stata la nuova del Sig. Giulio Segni, il quale non è venuto a vedermi senza lettere di V. S. Eccellentiss. E perdi ella mostra desiderio di far alcuna cosa per amor mio, non saprei di quale pregarla principal- mente. Perciocché tante sono, e di tanta Importanza quelle eh' io desidero , che temerei di non parer poco discreto, s'io volessi costringerla co' prieghi a farne molte, o almeno alcuna delle principali. Non rimarrò nondimeno di dirle, ch'essendo io infermo d infermità più tosto nojosa che grave , la quale è non meno fastidiosa all' animo, ch'ai corpo, in niun medico avrei fede maggioi-e, che nel Sig. Vincenzo Laureo, tanto amico di mio padi*e e di V. S. Eccel- lentiss.; il quale benché ora sia Vescovo , non si dee essere scordato dell'arte del medieai'e già da lui eser- citata così felicemerrte , e con tanta eccellenza; e co- me Vescovo dee esser medico degli animi , ci mio

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Ilo già dello che iafei-mo, e per la nieinorìa delle cose passale non può esser soddisfallo delle presemi, spera che le future debbaao esser tali, ch'egli se ne possa contentare a pieno. Eccole, Sig. mio , ch'io le ho accennato tanto della mia infermità, quanto basta a buon intenditore. Faccia, che non in vano le sia slata uiauifestata -, e hC più oltre desidera di saperne, n'avrà avviso innanzi al tempo, nel quale si fauno ordinariamente le purghe. E bencliè io commetta ìiìaì volentieri alcune cose alle lettere , mi sforzerò nondimeno di far che le sappia in alcun modo. Ol- tre di ciò vorrei per sua intercessione impetrar li- cenza da Sua Beatitudine di tener l'A-pologiadi Grin- te, e il Decameron del Boccaccio di qualunque stam- pa egli sia, non ostante alcun divieto fatto in con- trario . Del Sig. Giulio Segni credo quel eh' ella me ne scrive, perchè so quanto sia buon giudice del- l' ingegno, e della dottrina, e delle composizioni al- trui, quantunque egli non me n'abbia mostrala al- cuna delle sue, ragionatomi di cosa, per la quale io abbia potuto conoscere quale egli sia. Da me avrà già avuti due sonetti, che son gli ultimi ch'io ab- bia fatti. L' ho pregato, che glieli mostri. S'ella an- dera a Roma, accompagnerò la sua partita con alcu- na mia poesia , e volentieri 1' accompagnerei con la persona, e m' adoprerei in tutto ciò che per me si iiotesse, acciocché intieramente avesse o«ni sua con- lentezza^ perciocclié non conosco persona più meri- tevole d' esser servita di quel ch'ella sia, da me par- ticolarmente , il quale le son tanto obbligato. Ma perchè non posso ora mostrarlemi in altra maniera più grato, che col volerle esser obbligalo maggior- menle, accetti la mia buona volontà, e accresca gli obblighi miei . E le bacio le mani . Di Ferrara, il 23 di Geunajo 15UÌ.

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LVI. ^l medesimo . A Bologna.

Oggi è tornato a vedermi l'amico di V. S. Ecc., e tn' ha mostrati alcuni versi Latini, che a me pajono assai belli. Ma in altro tempo mi riserbo a scriverle delle poesie. Ora la prego, che voglia con sue lette- re pregare il Sig. Giulio Cesare Brancaccio , del qua- le è tanto amica, che venga a vedermi, perciocché a lui dirò molte cose, che non posso, debbo confi- dare altrui. E se a V. S. Ecc. parrà di poter spende- re l'autorità sua in favor mio, le ne resterò molto ob- bligato, ed al Sig. Giulio Cesare ancora, col quale non ho molta intrinsichezza :, nondimeno so che è valoroso Cavaliere . E le bacio le mani . Di Ferrara, il 25 di Genuajo 1 j83.

L\1I. Al Sig. Maurizio Cataneo. A Roma.

L'avviso che V, S. mi de' miei nepoti , m'è sta- lo molto caro, perchè io gli amo assai ; e s'io potes- si far per loro quanto vorrei, essi non avrebbono ad alcuno maggior obbligo , che a me. Ma credo, che sappiano il mio stato. Nondimeno quel che potrà far per loro, il farò di buon cuore; e, s' io potrò par- lar questo Carnevale al Sig. Duca di Ferrara, il sup- plicherò che accetti 1 un di loro per suo paggio; se non potrò, pregherò alcun di questi Signori suoi fa- voriti , che gli chieda questa grazia in mio nome. E se mi sarà conceduta, n'avrò una delle gran conso- lazioni, die io possa ricevere. Ma percliè per mohe altre cagioni ho bisogno di parlar con S. A., se non mi riuscisse di poter ciò fare questo Carnevale , cer- cherò di trovare alcuna occasione questa Quaresima , o dopo Pasqua. Dell'altre cose le scrissi abbastanza la settimana passata, e le avrei scritto più a piciio.

L E T T *> R F. l":-*

se non fosse eh' io mal volentieri confido ogni se- greto alle lettere. Piaccia al Signor Iddio, che possia- mo ragionare un giorno insieme lungamente . Le mando due sonetti fatti nel nascimento del figliuolo del Sig. Conte Gio. Domenico, e la prego che gli mo- stri a Monsig. Illustriss. suo, ed a cotesti altri Signo- ri, a' quali rendo il saluto, e particolarmente a Mon- sig. Rev. di Sorrento . Al Sig. Abbate , ed a Monsi- gnor MafFelto , ed a V. S. bacio le mani. Di Ferrara, il 4 di Febbraio 1583.

LVIII. yél Sig. Gio. angelo Papio. A Bologna.

Mi piace grandemente , che V. S. Eccellentissima abbia prolungata la sua partita sino al fine d' Apri- le ^ perchè in questo mezzo avrò forse occasione di parlar al Sig. Brancaccio , al quale dirò alcuni parti- colari , che per molte cagioni non mi pare di poter confidar alle lettere. Fra tanto V. S. Eccellentissima creda certo, che non ha alcun amico, o servitore, che più di me sia per rallegrarsi d' ogni sua buona fortuna j e le bacio le mani . Di Ferrara, il 7 Marzo 1583.

LIX Al Sig. Torquato Rangone.

Risponderò al Sig. Paolo, e farò il sonetto che m' addimanda .^ Le canzoni furono da me fatte per servigio d' alcuni miei Signori, da' quali ne potrà fa- cilmente aver copia \ ma io non gliele darei volen- tieri senza licenza loro. Pur sarà servita in alcun modo \ non però così tosto, perchè ora sono occupato in iscrivere ad un mio amico, il quale già molti me- si sono mi mandò un'operetta volgare, per inten- derne il mio parere, ho potuto prima soddisfarlo. La prego dunque che mi perdoni, s' io tardassi al- Lttt. T.IF. Vi

1^6 L r T T K n K

eun giorno, e le bacio le mani . Di Ferrara , il 21 di" Marzo 1583.

LX. Al Sig. N. ^. J Modena .

Quantunque conservassi grata memoria di quel giorno , che V. S. mi visitò in compagnia del Signor Conte Gherardo Rangone, ra'è nondimeno stato assai caro, ch'ella abbia voluto rinnovarla^ e la ringrazio del desiderio , che ha di favorirmi , al quale ora non posso corrispondere in altro modo più prontamente che col mandarle il sonetto al Sig. Alberto Parma; e vorrei che fosse degno di lui, e di quella Signora ch'e- gli celebra . Ma qualitnque egli sia, V ho fatto volen- tieri per rispetto dell' una e dell' altro , e di V. S. che me n'ha pregato; e se sarà'accettato con quello stesso animo , col quale io V ho composto , non potrà se non piacere . E le bacio le mani . Di Ferrara , il 24 di Marzo 1583.

LXI. Al Sig. Gio. uiììgelo Papio . A Bologna.

La visita del Sig. Decio Cavenago,e del Sig. Be- nedetto Pieni , e del Sig. Alfonso Gasati, ra'è stata molto grata; e più sarebbe stata, s'avesse conferma- ta in me la speranza della venuta di V. S. a Ferrara. Stimo nondimeno d averle grand' obbligo, che m ab- bia data occasion di conoscere questi gentiluomini , i quali mi sono paruti degni d'esser onorati, non solo amati. E se non bastasse il testimonio delle sue parole, che persuadono ciascuno , cfììcacissimo sa- rebbe quello delle lor graziose maniere, che possono quasi sforzar gli animi. Però gli ho ricevuti nel nu- mero de' più cari amici, e Signori miei, e partico-. larmenie il Sig. Benedetto, col quale ho parlato li- beramente d'alcuni miei particolari ; e V. S. n'avrà

LETTERE 1']']

da lui Informazione. E credo che per l'avvenire ju'ajuterà, se non con le facoltà, che sono minori del suo merito, almeno con 1 autorità, che gli è eguale . E le bacio le mani . Di Ferrara . il di 26 Marzo 1583.

LXII. Al Sig. Antonio Fornì. A Torino.

Se V. S. dubita del desiderio, eh' io ho di servirla, per questa cagione non ha voluto liberamente co- mandarmi quella cosa , ch'ella chiama di maggior rilievo, ha fatto torlo all'amor che le porto, del quale ha potuto vedere alcuni indizj non oscuri. Ma se non ha voluto imporlami, dubitando del potere e del saper mio, del quale ha voluto prima far pruo- va in suggetto di minor importanza, ha in ciò ope- rato discretamente ; perciocché io confesso potere e di sapere assai poco, ora particolarmente ch'io so- no infermo. Nondimeno acciocché V. S. conosca, con quanto affetto io mi muova a servirla, ho fatto su- bito l'impresa che m'addomanda, la quale è un*ap- parenza di due Stelle erranti , la qual si fa secondo l'opinione d'Anassagora e di Democrito, quando elle s'avvicinano tanto, che pare che si tocchino in- sieme . motto é : Mutuus ardor. Ma se V. S. desi- derasse, che s'esprimesse più particolarmente quel ch'ella àìce^ r aura ardente/\o non ne saprei imma- ginare alcun' altra più atta a significar questo suo concetto del turbine acceso col motto : Torquetj, et torquetur; ovvero Urit^ et uritur. E se le pare, può mostrarle a cotesti Signori , i quali ne fan professio- ne, benché a me basti ch'ella se ne compiaccia. Baci in mio nome le mani al Sig, Marchese, ed a S. A., la quale von-ei che vedesse una mia Impresa nuova, in cui sono due olivi con due candelabri, e col motto : In conspectu Domini , Avrei uaate più

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volentieri le parole Greche, la quali si leggono nel- r Apocalisse di S. Giovanni al capo XI., ma non ho se non il testo Latino, perciò lascerò queste, e starò aspettando che V. S. mi comandi . E può mandar le lettere per mezzo del Sig. Ercole Greco, ch'è mol- to mio amico. E le bacio le mani. Di Ferrara, il 16 d' Aprile .

LXIII. Al Sig. Torquato Bangone .

Avrò caro di veder V. Signoria non per ricever da lei alcun ringraziamento di parole , il quale è so- verchio, ma perchè prendo tanto piacere della sua conversazione, quant' io sodi non poterle dar con la mia ; perciocché tot ohlita mihi sunt carmina^ e lant' altre cose, che per 1' avvenire io dovrei più to- sto ascoltare, che essere ascoltato. Dell' oiFerte, che poi mi fa , le resto con molt' obbligo , le ricuso iieir occasioni . E le bacio le mani'. Di Ferrara, il 4 di Giugno 1583.

LXIV. Al Sig. Cai'. Flaminio Cattabene . A Fosso rubro ne .

Avevo già prima intesa la nuova delle nozze fra'l, Sig. Marchese del Vasto e la Sig. Donna Lavinia, e m'era stata tanto cara, quanto é il desiderio ch'io lio della felicità loro 5 nel quale io non cedo ad al- cun de' loro servitori. Nondimeno m'é stato carissi- mo che V. S. me l'abbia confermata, non solo per- chè di dubbio, ch'io n'era, ne sono stato fatto cer- to^ ma ancora perché V. S. mi occasione di mo- strare all'uno ed all'altra alcuna parte della molta affezione ed osservanza, ch'io porto loro, la quale io prendo assai volentieri; e piaccia a N. S. di dar- mene spesso di simili, che sempre più volentieri le

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prenderò. Ma come V. S. può sapere, io soglio esser allora meu felice nelle composizioni, ch^io mi sfor- zo d'esser più presto, laonde non voglio prescriver- mi spazio alcuno di tempo. Ma le prometto di man- darle una Canzona quanto prima potrò , la quale se sarà presentata da V. S. con quelle parole, le quali le detterà la sua cortesia , non potrà se non piacere, perchè la grazia , nella quale è appresso cotesti Si- gnori, la farà parer bella, quantunqu'ella non fos- se. E con questo farò Gne , ringraziandola molto delle offerte fattemi da lei, le quali io non ricuso, e le bacio le mani. Di Ferrara, il 14 di Giugno del 1583.

LXV. Al Sig. Antonio Forni. A Torino.

A me possono mancar più tosto occasioni di scrl- rere a V. S., die volontà di servirla . Però venendo- sene ora costà il Sig. Gap. \incenzo Naldi, non ho voluto lasciar di baciarle le mani, e di pregarla, che faccia in mio nome riverenza al Sig. Marchese ; non dico a S. A., perchè quest'utìcio desidero che sia fatto dal Sig. Marchese, se gli parrà di dover farlo \ e con questo le prego dal Sig. Iddio ogni contentez- za . Di Ferrara .

LX VI. Al Sig. Maurizia Cataneo . A Roma .

La lettera di V. S. de' 17 d' Agosto m'è stata mol- to cara , come sono state tutte 1' altre sue , le quali conservo fra V altre eh' io ho di maggiore stima , e conserverò sempre per memoria sua e dell' Illustris- simo Sig. Card. Albano , la grazia del quale io desi- dero a par di quella di ciascun altro Principe . E s'io ne possiedo alcuna parte, me ne rallegro infi- nitamente 5 e priego V. S. che mi consigli in modo, eh' io non debba aver dubbio alcuno, perch'io co=

t8o lettere

iiosco d'averne bisogno, e d'esser caduto per poca prudenza in queste calamità, dalle quali non sono ancora in tutto risorto. Quantunque il Sereniss. Sig. Duca di Ferrara , e le Sereniss. Sig. Duchessa m' ab- biano usate assai cortesi parole, e facciano fatti , per gli quali io possa sperare di racquistare intiera- mente le grazie delle Loro Altezze; nondimeno cre- do che le raccomandazioni di Monsignor Illustriss. suo mi gioverà, no molto . E lo supplico per mezzo di V. S, (che è il più grato, ch'io possa adoperare) che riducendosi a mente V antica sua amorevolezza, impieghi ogni sua autorità, perch'io resti alfine contento. E tanto basti di questo sinora . Al sonetto della Sig. Margherita Sarrocchi ho risposto non pro- fumatamente , perch' io non sto fra' profumi , i qua- li nondimeno mi piacciono assai j ma come ho potu- to, e come mi pareva convenevole allo stato, nel quale mi ritrovo , dovendo particolarmente manda- re il sonetto in Roma . Mando ancora a V. S. un al- tro sonetto, il quale è scritto a lei medesima per un vivo testimonio dell' affezione, eh' io le porto, della quale vorrei poter mostrarle segni più manifesti . Ma accetti ora questo come da uomo sincerissimo, e m'ajuti in tutto quel che può col consiglio, e con l'autorità sua, e del suo padrone, o più tosto nostro, al quale desidero lunga vita, e l'adempimento dei suoi santi desiderj . E le bacio le mani, ed insieme al Sig. Abbate suo, ed a V. S.-, e la prego che mi rac- comandi a tutti i gentiluomini di Casa . Di Ferrara , il 24 d'Agosto 1583.

LXVn. Al Sig. Torquato JRangone . A Modena .

Il Sig. Bernardo Tasso mio padre, dal quale io

dovrei prendere esempio in tutte le cose, ma parti-

^ colarmente in quel che appartiene alla creanza , che

T, r T T F R F i8r

dee essere usata ti'a gentiluomini, soleva dire, che gli uomini generosi non debbono conservare alcuna inimicizia con le donne: e bench'io stimi d'essere stato disfavorilt) da tutte le gentildonne d'Italia, e non manco che dall' altre da quella Signora, la qua- le V. S. mi persuade, ch'io lodi-, nondimeno non debbo, voglio negarle quel che mi dimanda. Ma come dovrebbe sapere, ora son poco disposto al poetare, e potrebb' essere, che fra qualche giorno io mi sentissi manco male. Fra tanto saprei volentieri quel che mi dee dire in nome della Sig. Tarquinia, alla quale baci le mani da mia parte, e mi conservi in sua grazia. Di Ferrara, il 26 d'Agosto 1583.

LXVm. Al Sig. N. N.

Per eh' è manco male, o meglio l'alzar le compo- sizioni sovra la natura loro, che abbassarle, non ho voluto negare a V. S. di far due madrigali in quel soggetto, nel qual più convenevolmente si potevano far due canzoni. L'uno, il quale è in sua lode, le mandai jeri ; l'altro, nel quale lodo la Sig. Ippolita sua sorella , le mando questa mattina , pregandola che per l'avvenire voglia servirsi di me, il quale però poco confido nell' arte mia e meno nell' inge- gno , in cosa la quale io creda di poter fare accon- ciamente. E le bacio le mani. Di Ferrara.

LXIX. Al Sig. Scipione Gonzaga*

Potrà V. S. comprendere dalla supplica inchiusa il termine, in che io mi ritruovo. O io sono non solo di umor melanonico, ma quasi matto; o ch'io sono troppo fierameute perseguitato . Questa sola strada veggio che possa condurmi a tranquillità, ed acque-

iSa LETTERE

tare i miei pensieri. Supplico V. S. lUustriss. per r antica servitù che ho seco, per la molta affezion che mi porta, e in somma per la carità Cristiana ^ che voglia in questo negozio procedere meco con quella sincerità, che ha sempre fatto; cioè di pre- sentare la supplica al Cardinal di Pisa , o ad al- cun altro Cardinale dell'Inquisizione: per uficio che sia fatto da alcuno con lei, perchè le sia dato ad intendere, ch'io sia oppresso da umore, mancare a me della sua parola-, ma presentare la supplica al Cardinale di Pisa, e procurar con ogni diligenza, con ogni efficacia, adoperando quant'ella ha di gra- zia, di favore, e d'autorità costì, che'l Sig. Duca sia informato del vero; perchè da questo principio, come spero, certissimamente gli farò conoscere mol- te cose ; e s' io non m' inganno , conoscerò il mio er- rore, e lascerò lieto governarmi dai medici. Io sono entrato in tanta diffidenza, che non crederò ad alcu- no, se non a V. S. Illustrissima, del quale riconosco la lettera. E s'ella mi assicurerà, che la supplica sia presentata , vivrò sicuro del rimanente. E con que- sto le bacio le mani , pregandola , che non possa più appresso lei l'autorità d'alcuno, di quel che deve valere la mia antica servitù , ed il debito della sua coscienza, e dell' onor suo. E di nuovo alla sua fede raccomando la mia salute. Di Ferrara, li 11 di Luglio .

Per assicurarmi pienamente d'ogni sospetto, mi farà favore singolarmente a procurare, che'l Cardi- nal de' Medici dimandi la mia libertà in grazia al Duca di Ferrara , il quale per uficj fatti contra di me dal Gran Duca è meco sdegnatissimo; e Io sdegno del Gran Duca nacque per essere stato avvisato, che io aveva rivelato al Duca di Ferrara ec. Non posso essere più lungo; ma questo è il Vangelo. Confesso

L K T T 1 H 1-: l83

il mio fallo, parte di necessità, parte di prudenza; ma i miei errori non meritano tanta pena.

LXX. ^l Sis. Maurizio Cutaneo. A Roma.

Non risposi la settimana passata alla lettera di V. S., perch'io voleva insieme rispondere al sonetto del Sig. Roncione-, ma trattenuto da varie occupa- zioni non ho potuto dargli ancora risposta . Però non ho voluto tardar più di darla all'ultima sua. Dico dunque, che le raccomandazioni dell' Illustriss. Sig. Cardinale Albano , e del Sig. Abbate al Sereniss. Sig. Duca di Ferrara, non mi potranno portar se non molto giovamento j laonde quanto prima saranno fatte da loro, tanto maggiore sarà l'obbligo mio . Ma a quel che sarà dettato loro dalla cortesia, della quale ho conosciuto così pronti effetti altre volte, vorrei che particolarmente s' aggiungesse, che S. A. mi facesse grazia di darmi un giorno udienza, dopo la quale io scriverò a V. S. quel che mi sarà succe- duto. E quantunque io dovessi aspettar dalla sua clemenza tutte le grazie, perciocché ninna par che mi si possa negar convenevolmente, o per consola- zione delle tante calamità, nelle quali son caduto, 0 per guiderdone della buona intenzione, che mi con- dusse a Ferrara, o per ristoro de' danni ch'io ho sofferti per cagione de' suoi ministri o de miei ne-s mici, 0 per dono delia sua liberalità, la quale è sta- ta sempre grandissima verso i suoi servitori-, non- dimeno perchè non aspetto da Sua Signoria Illu- strissima, se non che scusi me degli errori commessi oltre ogni mio proponimento, assai rimarrò soddi- sfatto dcgl' intercessori, e del Principe, appres- so il quale s'intercede, se i'A. S. esaudirà alme- no alcuna parte delle mie preghiere, com' io credo

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che debba fare. E con questo facendo fine, prego V. S. che ne dia ricordo al S'is^. Cardinale suo, e ba- ci da mia parte le mani al Signor Toso , ed al Signor Roncione, a' sonetti de quali risponderò un' altra volta , e sopra tutti al Signor iVbbate . E viva lieta Di Ferrara, il 20 Settembre 1583.

hWl. ^l niedesìjiio . A Roma.

La lettera di V. S. del 21 di Decembre m' è stata data dopo l'ultima promessa fattami della libertà, della quale credo che non potesse ancora saper co- ^a alcuna, penso che queste Altezze abbiàn dopo mutala opinione: perchè in quello che V. S. mi scri- ve della stima, che fanno di me, s'egli fosse vero, mi pare che farebbono gran torto al giudicio loro. E più volentieri coaseuto,che la gelosia della mia sa- lute possa esser cagione, che difficilmente s'induca- no a darmi licenza; la quale io non rimarrò di chie- dere, né chiederò con maggior istanza di quel che si convenga alla buona volontà, ch'io ho di servir- le . Solamente mi dunle di non poter facilmente mo- strarla per molte imperfezioni della complessione, e per molli impedimenti della fortuna mia . Pur' io spero, che da Principi così graziosi ogni picciola di- mostrazione debba esser pi-esa in luogo di certissimo argomento. Al particolar de' miei nipoti risponderò dopo la risoluzion di questi Signori, dalla quale pos- sono nascere diverse occasioni. E piaccia al Signore Iddio, che ne nasca alcuna conforme al desiderio mio. Ed a V. S. mi raccomaiido, pregandola che baci le mani da mia parte a Monsignor Illustrissimo con sommo affetto, ed al Sig. vXbbate ricordi, che io gli son servitore . Di Ferrara , il 7 di Genuajo 1584.

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LXXII. ^41 Sig. Conte Scipion Sacrato .

Mando a V. S. un sonetto, nel (juale parlo co'iniei libri, e , se le piacerà di mostrarlo al Sig. Duca ^ mi farà piacere . Nuovo Alfonso dico, come disse il Pe- trarca nuovo Carlo j parlando di q'iel Re , eh' allor vivea . Aspetto che mi faccia sapere alcuna cosa in- torno a quello, di ch'io le parlai^ e le bacio le ma- ni. Di Ferrara, il 9 di Febbrajo 1584.

LXXIII. Al Sig. Giulio Ottonelli .

Il sonetto di V. S. richiederebbe altra risposta di quella , che da me si può dare nel mio stato presen- te. Però mi perdoni, s' io sarò lardo a soddisfare a quello , eh' in questa parte mi si conviene . E sicco- me non le prometto di dovere scrivere cosa, che deb- ba piacerle; così può esser sicura, che tutti i segni dell' animo suo mi sono grati oltre modo. E le bacio le mani . Di Ferrara .

LXXIV. Al Sig. Maurizio Cataneo. A Roma.

Mi è stata data la lettera di V. S. del 20 di Feb- brajo dal Sig. Gian Paolo Gigli in tempo, ch'io cre- derei d'esser facilmente liberato, se qui fosse alcu- no, che ne facesse istanza. Laonde io la priego, che faccia dalla sua parte quel che potrà, acciocch'io conseguisca l'intento mio ; e se le promesse di Mon- sig. Illustriss. debbono dipendere dalla sorte, ivi po- trà adempirle più agevolmente, ov'io l'avrò men contraria . Ma come sa , ella suole alcune volte mu- tarsi co' paesi, e col variar del Cielo; benché quan- to maggiore è la prudenza di Sua Signoria Illustriss.. tanto minor luogo dee lasciare alla mia fortuna, della

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quale io mi fido assai poco, come fanno que'giuoca-' tori, i quali han perduto molto, e non vogliono get- tar r avanzo , porlo a rischio pazzamente, perchè non conoscono in alcun segno la ditta. Ma s'alcuno io ne vedrò, non lascerò per timor T occasione, per ambizione la seguirò più di quel che sia conve- niente . Però misuri le forze mie col suo giudicio, e consideri quel che se ne può' promettere, ch'io non mancherò a S. Signoria Illustr., a me stesso. Non ho avuta la lettera di Monsig. Reverendiss. di Sorren- lo 5 ma nell'altra mia risposi nel particolar de' miei nipoti quel che mi pareva. V. S. gli baci le mani da mia parte, ed al Sig. Abbate similmente, e si ricor- di spesso di me. Di Ferrara, 1 ultimo di Febr. 1584-

LXXV. Al Sig. Renato Cato.

La mia fortuna, che m'ha fatto dimenticar alcu- na volta di me stesso, m'ha tolto anche la memoria, non diro del valor e de' meriti di V. S., ma sol dei debito eh' io aveva d'onorarla in compagnia d al- tri servitori del Sereniss. Sig. Duca, che sono stati da me onorati . Ond' ora ne le chiedo perdono, pro- mettendole, che s' ella con alcun favore corrispon- derà alla molta affezione elisio le ho sempre porta- ta, ed alla molta stima die ho fatta del merito suo ^ l'onorerò tanto più volentieri sol;i,che accompagna- ta , quanto ella ha avuta minor compagnia forse nel desiderarmi bene. Ed a V. S. bacio le mani. Di Fer- rara .

LXXVI. Al Sig. Curzio Ardizio. A Mantova.

Una certa mia naturai vergogna è cagione, che agli amici presenti non ardisco di negar quelle cose, che mi sono addimandate, quantunque io non sia

LETTERE 187

inclinalo a compiacerli. Onde quando V. S. mi pre- go ch'io facessi alcune Stanze sovra la Corte, non gliele volli negare , benché non gliele promettessi . Ma perchè le lettere non san vergognarsi, ora neghe- rò arditamente a V. S. quello, eh' allora non feci . E s' io per propria soddisfazione solamente negassi di compiacerla , potrebL'ella in alcun modo dolersi di me, che per piacere a lei, alcuna cosa non volessi scrivere contro il proprio piacere. Ma poiché non solo l'affetto dell' animo, ma la ragione ancora mi dissuade dallo scrivere in biasimo della Corte, deb- bo senza suo sdegno anteporre non il mio al suo pia- cere, ma la ragione, che non è più mia che sua , ma può da me e da lei esser parimente considerata. Io per mia inclinazione eleggerei più tosto di lodare i Principi con alcuna adulaiione , che di biasimarli con molta acerbità , sebbene all' adulazione 0 al- l'acerbità alcun utile, o alcun danno non ne seguis- se. Ma per ragione non debbo elegger di scrivere cosa disdiccvole. E certo , che sconvenevole è molto biasmare i Principi, e le Corti in generale; percioc- ché miglior albergo non conosco io del valor , che la Corte , o niun miollor giudice o maestro , che il Principe : parlo della buona Corte, e del buon Prin- cipe. E credo che il Castiglione, di gloriosa memoria, nel suo Cortigiano, non solo del perfetto Cortigiano ci volesse formar quella eh' è da voi detta idea, ma adombrarla della perfetta Corte, e del perfetto Prin- cipe eziandio. Perchè non può essere in alcun modo perfetto il Cortigiano, se la Corte e 1 Principe non è perfetto. E quantunque all'universale più tosto, che ad alcun particolare riguardasse, nondimeno quella Corte, e quel Principe, del quale ei ragiona, eran più simili all'idea ch'egli ne forma, che il Ci- ro di Senofonte a quel che fu da Erodoto più vera- mente descritto . Ne solo fu così fatto il buon Guido,

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e il buon Francesco Maria , e la Corte d'Urbino*, ma in quegl'istessi tempi il Duca Ercole di Ferrara, il Duca Alfonso e suoi figliuoli tali furono, e tali le Corti loro, che senza ornar la verità con alcuna ma- nifesta menzogna , avrebbe potuto alcun giudizioso scrittore formare il perfetto Principe, e la perfetta Corte, di loro ragionando. E se il Conte Baldessare avesse così voluto onorar la memoria del Marchese Francesco e del Marchese Federico , come onorò quella de' Principi oh' eran nati suoi Signori , non gli sarebbe a mio giudizio stalo concesso minor ar- gomento di lode dalla verità . Perciocché quantun- que quelle tre Corti , e quei sei Principi de' quali ragioniamo, avessero poclii paragoni in Europa, qual nondimeno fosse primo, e qual secondo di lo- ro, assai è difficile il giudicare^ ma ben molto facile a ciascuno, che voglia non ricoprirla menzogna, ma onorar la verità, formar nella persona loro un perfetto Principe, ed una perfetta Corte in quella da lor te- nuta . Questo stesso giudicio fu d'Ercole Secondo, e del buon Duci Guidubaldo , il quale, come sa V. S. , non sol mi conobbe, ma in guisa col suo testimonio m'onorò, eh' io al valor di lui non debbo alcun te- stimonio negare , ma più tosto concedere ali affezio- ne , eh' io li porto , clie si faccia lecito d' illustrar la memoria di que' tempi con ogni maniera d'eloquen- za. E volentieri il farei col formar un Cortigiano, s'egli già non fosse stato così ben formato , che pre- sunzion sarebbe la mia, s'io volessi ritrattare cosa ben trattata. Non mancherebbon nondimeno altri soggetti di ragionamento, perciocché molti ne furo- »o fatti veramente; ed a tutti, o aHa maggior parte di loro si trovò preseiile il Sig. Conte Cuninillo, così degno del padre, coni' alcun altro figliuolo d'onora- to padre nascesse giammai . Indarno dunque V, S. ni' invila a biasmar le Corti, ov'è mia volontà d' o-

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aerarle da tanta ragione accompagnata, eh' io non veggio come possa alla mia volontà fare alcuna vio- lenza, che non la faccia insieme alla ragione. E ben- ché delle Corti ch'or fioriscono, e de' Principi che or vivono, io non sia intieramente soddisfatto^ non- dimeno, perch'io spero che il Signor Principe suo, ed alcuni altri non debbano favorir 1' età matura meno della gioventù, non voglio scriver cosa ch'in alcun modo possa dispiacere . E particolarmente con- tro l'Amor di se stesso non mi piace d' usar quella amaritudine di parole, che V. S. forse desiderereb- be. E non è vero (come alcun dice) che tutti i vizj nascano dall'amor di se stesso, quantunque sia ve- ro che tutti nascano (come scrive Dante) dall'amo- re, il quale 0 a Dio si rivolge, a al prossimo, 0 si ripiega verso il suo proprio soggetto. E se fosse pur vero, come alcun potrebbe provare, e come accen- nò Dante, che tutti gli altri amori avessero orìgine dall'amor di se medesimo, vero sarebbe ancora che da lui tutte le virtù avessero origine. Sicché non veggio , per qual cagione egli si debba accusar co- me cagione de' mali, e non lodar come cagione dei beni , il quale so ben io , che nelle Corti si trova, e so che i Cortigiani sono amatori se stessi : ma se fossero veri amatori di se stessi , non simili a quel- li , che'l volgo chiama con (jiiesto nome, non avrei alcuna ragione da riprenderli, e molte n'avrei da lo- darli . Perciocché colui , eh' è vero amator di se stes- so, ama il proprio bene: ma il proprio bene dell'uo- mo non son le ricchezze, non gli onori, non la glo- ria , ma l'onesto, e il sapere^ dunque il vero amator di se stesso desidera l' onesto , e la scienza a se mede- simo . Ma dell' utile , dell'onore, e della gloria altrui molte fiate, più che del suo proprio, è desideroso; non però sempre. Conciosiacliè le ricchezze, e l'ono- re, e la gloria son beni . senza i quali il Cortigiano

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non può esser felice intierameate j onde per la sua felicità dovrà desiderarli. Ma se beato non può mai essere il vizioso , non desidererà il Cortigiano d' ar- ricchire con vizio, o di farsi grato al Principe con alcun' arte di malignità, o d'acquistar onori e glo- ria co' mezzi illeciti. Parlo di quel Cortigiano, che formò il buon Castiglione, e eh' iodico eh' è vero amator di se stesso , il quale per avventura non si traeva ; molti nondimeno si possono ritrovare , che tanto gli s'assomigliano, che sarebbe più malagevo- le il riconoscerli dall' idea , che non sarebbe stato a' tempi del buon Numa Pompilio il distinguer lo scudo caduto dal Cielo fra quelli altri, che da eccel- lente fabbro a quella similitudine erano stati fatti. E piaccia a Dio , che molti di questi si trovino nella Corte del Slg. Principe vostro. Mi direte dunque : desideri tu , che'l Signor Principe sia ingannalo , e che prenda lo imperfetto in luogo di perfetto? Alcu- ni inganni sono, o Signor Ardizio, i quali non vor- rei io mai , che al Signor Principe fosser fatti, mi piacerebbe , che 1 fraudolente fosse da lui giudicato prudente, il sofista, dotto ; ma che il prodigo fos- se da lui stimato liberale, non tanto mi dispiacereb- be, ch'io perciò esortassi giammai il Sig. Principe a privarne la sua Corte, ed a distinguer minutissima- mente tra la prodigalità e la liberalità , le quali con le ragioni de' filosofi debbono esser esqulsitamente separate. Ma nella vita degli uomini assai cortese è colui, ch'onora col nome di virtù quelle disposizio- ni , che sono anzi giovevoli che dannose, e che pos- sono agevolmente con l'età convertirsi in virtù. Que- sto medesimo direi del desiderio di gloria, e dell'ar- dire , e del disprezzo de' pericoli , e di molti altri af- fetti, i quali comecché non sieno vera magnanimità, 0 vera fortezza, son nondimeno simili alla magnani- mità, edalla fortezza; e con molto onore, e riputa-

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zione de'Principi soglioa viver nelle Corti gli uomi- ni , die di questi affetti lodevoli soa dalla natura do- tati. E per avventura in quei primi tempi, che fu- rono detti Eroici , i quali porsero a' poeti larga oc- casione di poetare , Ercole , Teseo, Giasone, Tideo, Achille, e gli altri furono più tosto ripieni di quegli affetti, che d'alcuna esquisita virtù. E se così i no- stri tempi fussero copiosi d'uomini fatti, come fu- rono gli antichi, avrebbono i nipoti de' nostri nipo- ti occasion di poetare de' nostri tempi-, de' quali non dobbiam noi , o Sig. Ardizio, in tutto starci muti, ma scriverne in guisa, e parlarne, che leggendosi gli scritti , o udendosi le parole , sìeno stimate non più dissimili dal vero, di quel che a me paresse il ritratto del Principe di Genere , che voi mi mostra - ste. Non parlo di quel della Principessa di Parma , perch'io non la vidi giam.mai; ma credo nondimeno che l'arte vostra non l'abbia fatta disslmile, la qual se si volgerà ad imitar il Sig. Principe , prenderà soggetto dignissimo d'esser imitato. Ed a questo io v'esorto con molta maggior ragione, che voi non esortate me al biasmo delle Corti, dal quale son lon- tanissimo; ma così pronto ad onorar il Principe vo- stro Signcrre, e la. Corte di S. A., che ni una cosa che Io possa far per sua soddisfazione, mi richiederete indarno. Mi piace oltre modo, ch'egli mi abbia rac- comandato alla sorella, e mi recherò sempre a mol- to favore, ch'egli di me si ricordi , e delle promes- se eh' in suo nome mi fece il Sig. Marcello. Di quei pochi danari non mi pare in alcun modo convene- vaie, che V. S. parli con S. A., ma mi farà ben pia- cere di parlarne col Sig. Donato, e di far clie mi sian mandati. A S. A. vorrei ben che ricordasse eh' aspet- to là copia di quel Dialogo eh' io le diedi , o II Dia- logo stesso scritto di mia mano, se n'avrà fatto pren- der copia . E con questo a Y. S, bacio le mani ^ pre» Uu.T.IT\ i3

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gandola che si contenti di scrivermi spesso , e di ri- novar la memoria di me col Sig. Principe. Viva fe- lice . Di Ferrara , il 27 di Giugno 1 584.

LXXYIl. ^ ir Abbate Tasso. A f^enezia.

Non dispererò , poiché a V. S. così piace^ alla ffvia- le debbo creder molto per tutte le cagioni , ma par- ticolarmente per l'affezione e per l'osservanza che sempre le ho portata . Così piaccia a N. S. darmi oc- casione, eh' io gliele possa meglio manifestare-, e la priego , che senza tardare scriva a Roma, e faccia tutti quei graziosi utficj , die s'aspettano dalla cor- tesia sua . La lettera del Slg. Conte Gin. Domenico non so ancora eh effetto abbia fatto. Pur lo spero conforme al desiderio . Ma qualunque egli sar; , n'a- vrò niolt' obbligo a Sua Signoria, il (juale soglio mi- surare non dall'evento, ma dalla volontà . E perchè io stimo che Sua Signoria debba esser prontissima al mio giovamento, non anteporro mai alcun debito a questo, alcun testimonio a quel di V. S., alla quale mi raccomando, e bacio le mani. Di Ferrara.

LXXVIII. Al Sia- Maurizio Calanco. A Roma.

Ho scritto al Sig. Duca di Parma un'altra volta, e se la risposta verrà conforme al mio desiderio , rin- grazierò V. S. del buon consiglio , che m'ha dato. Ma se ci fosse qualche ditìiculla (die di ripulsa io non temo), la priego che prucuri ch'io possa venire a Roma, dove intenderò i) |)arere del Sig. Scipione, e del Sig. Conte Ottavio Tassone , e quel del Sig. l'ia- minio de' Nobili , e '1 vostro: e cougiungendu insie- me la niente, potremo accender qiia.si iin lume di molte scintille^ perciocché di Ferrara non posso scri- ver le cose, e di molte non son tr»nlo inror:ualo <"he

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hasti. Ma la conclusione è questa, eh' io giudico ne- cessario il cercar tutte le strade , che mi ci possono condurre; e 11 fuggir tutte quelle, per le quali lo po- trei esser più lungamente ritardato , come avrei det- to al Slg. Claudio Albano, s'avessi avuta comodità di ragionargli . Dunque, se m' amate , cercate eh' io sia esaudito; e vi bacio le mani , aspettando rispo- sta dell'altre lettere che v'ho scritto. Di Ferrara, il di 8 di Geunajo 1585.

LXXIX.^//a Sig. Lucrezia Bendidei Macchiavelli.

Il Slg. Conte Glo. Domenico Albano scrive all' Il- lustrissimo Sig. Cornelio Beiitivoglio in mio favore', e quantunque lo creda che la lettera debba far quel- r effetto eh' lo desidero ; nondimeno perchè il fac- cia più facilmente , prlego V. S. che v' aggiunga le ^ue preghiere e le sue persuasioni , prendendo que- sta o altra occasione . Ma questa mi pai'c assai buo- na , e tanto migliore, quanto è più vicina, perché l'aspettare Incresce più a coloro, che sono in mag- gior afflizione. La supplico dunque non solo che faccia per me qualche buon ufficio, ma 1 faccia su- bito. E le bacio le mani affettuosamente. Di Ferra- ra , il 1 0 di Gennajo 1 585.

LXXX. Al Sii^. Marchese Bentù'oglio .

Vostra Eccellenza può tanto col Serenissimo Sig. Duca, quanto merita il suo molto valore , e la sua lunga servitù: però ninna grazia le sarà negata da S. A. E s'ella si degnerà di chiederla per me, come la prlego, a nlun altro n avrò l'obbligo più volen- tieri . Ma pei'chè oltre quello, che dipende assoluta- mente dalla volontà del Sig. Duca, in molte altre eose può favorirmi, la supplico che si contenti al-

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meno di Far cTi' io conseguisca respedlzlon de' mici negozj ; perciocché mi par di conoscere chiaramente^ che il Sig. Duca non si prenda molto fastidio di que- sto , e che possa farlo V. Eccellenza con la sua pro- pria autorità. Ed io le dimando tutto quello eh' è in lei , offerendole tutto quel che è in me per suo servigio in ogni luogo, dove mi guiderà la fortuna . E le bacio umilissimameute le mani. Di Ferrara, il 1 5 di Gennajo 1 585.

LXXXI. Al Sig. Maurizio Cutaneo . A Roma.

L'ultima lettera di V. S. mi sarebbe stata sopra modo cara, come son tutte 1' altre che prima ho ri- cevute, se non m'avesse tolta in qualche parte la speranza dell' espediziou de' miei negozj . Nondime- no credo, che non debba dispiacerle quel ch'io cerco d'impetrare con 1' intercession d altri Signori, e cui mezzo de' suoi amici e cùnosceuti, e della sua patria. E se pur n' avesse dispiacere, dovrà solamente essere, perchè altri abbia più di lei operato per mio comodo e per mio giovamento ; che del volere io son sicuro , che niun fai'ebbe più di V. S. Ma consoliamoci , che per grazia del Signor Iddio non le mancheranno altri modi, co' quali io sarò così lieto degli effetti, coni' ora son certo della volontà. Frattanto ove non si stende il suo potere, procuri che s'impieghi l'autorità di Monsignor rHustriss., la quale io stimo che nou deb- ba impedire gli altri uficj, ma più tosto agevolarli; e se tutti non sono de' parenti suoi , tutti sono stati , o saran fatti da persone, che l'hanuo in onore ed in riverenza. Ma se risolverà di chiedermi a S. A. Se- renissima, non potrà ncgarmegli . Pure ha temj)0 a pensarci tutto questo Carnevale. Ora sono prescTili, o vicine alcune occasioni, ch'io non dcl)bo tralascia- re. E forse come Dio non ha bisogno di tempi oppor- tuni, così i Principi possono operare senza oppor-

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tunità di tempi tutto ciò die si fa per giovarci, a somiglianza della sua Divina misericordia. Ma que- sta è perfezione de' Grandi, e de'Ministri di S. M., e noi altri, che non siara tali, dobbiara servire all'oc- casione , e valercene . Ond' io prenderò sempre vo- lentieri di celebrar con gli altri scrittori di questo secolo S. A. , che non meno per valore e per cle- menza, che per grandezza, e nobiltà di sangue e di Stato, , merita d'aver amici i poeti-, ed io non avrei supplicato, se non avessi animo di lodare. Ma i prieghi vaano per sua natura innanzi alle lodi, noa altrimente chele grazie alla gratitudine. Perniati rispetto m'avrebbe ritenuto, se non quello della sani- tà non ricuperata, senza la quale, e senza rajuto di V. S. non ardisco di scrivere in soggetto così ampio, e così allo. Ed in questa parte io credo che Monsig. Illuslriss. Albano si riscalderà molto col Sig. Maset- ti, perchè l'effetto ne segua conforme alla fede eh io ho nella sua benignità, e nella mansuetudine di que- sti Signori. Le due Stanze, ch'io lasciai nella can- zone della Serenissima Duchessa Barbara, le saranno slate mandate, e mi farà piacere se le darà al Sig. Scipione, al quale ed al Sig. Abbate io bacio le ma- ni. Di Ferrara, il 18 di Geunajo 1585. '

LXXXII. Al medesimo .

S' io non conoscessi la prudenza di V. S., la quale ha dimostrata in tutte le sue azioni, le proporrei i mezzi , co' quali potrebbe facilitare il negozio della mia libertà; e se così tosto non potessi impetrare, almeno sarei più sicuro di conseguirlo tardi, o per tempo . Ma perchè io slimo che tutte le cose saran fatte da lei eoa ottima mente, e con sommo giudi- ciò, mi rimetto nella sua discreta considerazione, e la prego solamente che in quella parte che può Mon-

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signor Illustrissimo Albano, non manchi di solle- citudine. Perciocché mi pare quasi impossibile che S. A. negasse a Sua Signoria Illustrissima, s'ella si degnassse di chiedermi. Ed oltre tutte le ragioni, che potrebbe addurre di grandissima importanza, è quella eh' io venissi in questa città assicurato dalla sua grande autorità , senza la quale per avventura non mi sarei mosso. E se pur fossi partito di Tori- no, o mi sarei fermato in Mantova, o ne' Castelli del Sig. Scipione, o venutomene a Roma, dove desi- dero di venixe , come prima desideravo, quando credevo d'avere maggior copia d'amici e di padro- ni, che non m'ha dimostrato l'esperienza . E quan- tunque il mio desiderio sia divenuto grande, che da ninna cosa è superato se non dalla fede, la qua- le io ho che N. S. per sua divina misericordia debba esaudirmi; tanto è nondimeno il rispetto ch'io por- to al Sig. Cardinale , tanta la riverenza, tanto il pen- timento d'alcuni errori , e la volontà d'emendarli , e di far cosa che dal suo giudicio sia approvata, che io non farei alcuna risoluzione che potesse dispia- cergli ragionevolmente. Ma come V. S. può sapere, io sono poco informato delle cose di Roma, e della Corte particolarmente ; ed in che stato sìa questa, è più noto a lei che n' é lontana, eh' a me che ci sono quasi presente. Pure io ne so tanto, che stimo che il negozio della mia libertà debba riuscir molto più facile per questa strada già da me cominciala, o più tosto postami innanzi da Domenedio. Laonde non debbo lasciarla per altra, e starò aspettando quel che ne succederà, se pur non piacerà a V. S. di scri- vermi di nuovo quel che le pare conveniente. Nel particolar d'Alessandro, molto mi spiace che '1 mio desiderio non abbia effetto. Io aveva pensato di sup- plicare il Signor Cardinale de' Medici in queste noz- ze della sorella, che mi facesse grazia d'accettarlo

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per SUO Paggio; e ciò mi pareva convenevole. La bnn'à di quel Signore m'assicurava, la mia con- scien^a mi spaventava; laonde io riputava, che'l ne- gozio fosse concluso. Ma essendo paruto a V. S. di scrivermi eh' io pregassi il Cardinal Farnese del- l'istesso favore , non ho voluto , potuto contradi- re al suo giudizio, ne ho voluto mostrar diflìdenza ninna di cosi giudicioso , e prudente, e religioso Principe, al quale più eh' a ciascun altro sarebbe stata conveniente qiusta pietosa azione di raccorre un pupillo, e di sollevar un misero dalle calamità. E s'egli fnrà deliberazione che possa consolarmi, avrò grand' obbligo a V. S, che m'abbia ben consi- gliato. E può sicuramente promettere a quel Signo- re tutto quel che vuole della mia fede,, della grati- tudine, della costanza, percbè di ninna si troverà ingannata. Pensi, se vuol esser mallevadore; e se cosi tosto io non uscissi dell'obbligo, non dubiti d'aver a pagare i miei debiti per altra occasione, che per quella di morte. Perciocch' io farei volentieri per elezione e per animosità, non solo per debito, quel ch'io potessi per onorare e per commendar quel grandissimo Cardinale. Ma non più di questo. Se Alessandro non sarà Paggio, n'incolpi la mia av- versità, non la mia volontà. Baci le mani da mia parte al Sigiior Abbate, ed al Siguor Flaminio dei Nobili, e si ricordi ch'io non posso esser più suo in alcuna parte, clie in quella dove ella dimora di continuo. Di Ferrara, il 2i di Ceniiajo 1580.

LXXXIII. ^l Sig. Principe di Mantova.

Il mio fu per avventura soverchio ardimento di mandar a V. A. nn Dialogo non tanto adorno , che meritasse di comparire alla sua presenza . Ma pur volentieri glielo mandai, perchè nelle composizioni

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ìnculte si manifesla assai meelio 1' afFc'zione deir aii- tore, che in quelle che sono troppo lisciate-, ed io volli dimostrarle più tosto 1' afletto, che l'arte; però non mi spiacque, che in quelF abito venisse a farle riverenza. Ora non dubito eh' a lei debba esser ve- nuta in fastidio la Corte, perciocché tratta di questa materia, e non d'altra; ma forse non dee starvi così lungamente senza ripulirsi alquanto . La supplico dunque, che si degni di rimandarlomi, o la copia al- meno. E s' egli avrà bene adempito quello, per che io r inviai, non mi parrà eh abbia fatto questo viag- gio indarno, nel quale, perch' lo non j^li sono stato compagno, vorrei con sua grazia essergli seguace. E quanto si pone indugio al mio venire, tanto si ritar- da la cortesia di V. A., alla quale bacio le mani. Di Ferrara, il 12 di Febbrajo 1585.

LXXXIV. Al Sig. Cardinale Albano . A Roma .

S' io potessi acquetarmi così facilmente , come V. S. Illustriss. potiebbe liberarmi , la quiete non mi sarebbe mcn cara della mia libertà, perdi' ella si conformerebbe col suo volere , e con l'autorità; ma io non posso, debbo ricercarla in altra parte, che negli studj ; ricercandola , spererei di tro- varla. E chi mi sforza a partir da così tranquillo porto, mi spinge in mare turbatissimo, e pieno di molti pericoli e di mille confusioni . Però credo si- curamente, che gli uffizj fatti da V. S. lllustris. col Sereniss. Sig, Duca mi concederanno, ch'io viva in quest'ozio letterato , che insegna a disprezzar la mor- te , e la vita che non sia congiunta all' Immortali- tà. Ma perch'Io son poco sano, non soglio studiar con fatica , ma più tosto legger con diletto, che non impedisca la sanità, per la quale saranno molto gio- Ycvoli i giuochi onesti, i motti piacevoli , le conso-

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ìazioni degli amici, i favoii de' padroni , gli an;j, i comodi, i trallenimentl , i diporti convenienti alle stagioni, attempi, a' desideri moderali dell inler- mo , alla pietà de' Principi , che si dimostra partico- larmente negli errori smoderali. E quantunque (già son molti anni) io sia slato poverissimo della grazia di S. A., comincio a credere che si mostrerà così benigno , come il conobbi innanzi alle mie lun- ghe calamità. Perciocché i suoi pari non possono fare alcuna operazione più lodevole, che favorir gli ingegni e Farti lodevoli. E il piii certo argomen- ^ to, ch'io n'abbia, è la virtù del Sig. Ippolito (jian- luca, il quale con la sua lunga, fedele, e diligente servitù ha superalo il merito di molti, e guadagna- ^ ta la benivolenza di tutti. Laonde può levarmi del- le mie stanze, quando gli piace; ed io ninna cosa fo più volentieri, che uscirne-, potrei senaa que- sto esser mai contento. E se V. S. Illustriss. desidera la mia contentezza, dee quando che sia proccurar- mi la bramata libertà, perchè la prontezza degli effetti suol essere molte volle accrescimento delle giazle . E le bacio umilissimamente le mani. Di Ferrara, il 24 di Febbraio 1585.

LXXXV. Al Sig. Maurizio Cataneo . A Roma .

Poiché abbiamo comodità di mandar le lettere no- stre per tante parti, non debbo più dubitare, che V. S. non possa fare alcuna sosa per mio giovamen- to e per soddisfazione. E benché io desiderassi la ^ prima libertà più di tutte 1' altre cose, nondimeno m'acqueto al voler di Monsig. Illustriss. ed al pare- re di V. S., quanto posso, e quanto debbo; e credo sicuramente, che questa mia sarà più tosto servitù scioperata, che prigionia faticosa ; che non posso a- spcttar altro dalla benignità del Sereniss. Sig. Duca,

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e dalle rarcomanrla'ioni del Sig. Cardinale , delle quali vidi subito etletlo , perciocché il di seguente fui tratto dalle mie stanze, e ci fui ricondofto con promessa che ne sarò levalo molte volle q!ie3fo Car- novale, Però non si maravigli , se nel te ;ii de' trat- tenimenti, dopo tanti fastidi e tante fatiche, schiverò quella del comporre. Serbo noudine-u) graia memo- ria di tutti i favorì , i quali ho ricevuti , e non mancherò del mio debito col Sig. Duca di Parma, e co'Signori Principi, i quali non debbono appagarsi meno della volontà, che dell'opere. Mandai ie di- mandate lettere , e credo che faranno effetto confor- me al mio desiderio, e ne aspetto risposta dal Sig. Scipione Gonzaga, al quale io le dirizzai . Vspetto similmente risposta di quel che si può far delle mie Rime; perciocché mi pare die il Sig. Alessandro Pendaglia non possa negarle al Sig. Scipione, se fa- rà istanza d'averle. posso credere che quel gen- tiluomo così ricco di beni del corpo e delia fortu- na , voglia mostrarsi tanto povero di quelli dell'a- nimo verso me , che di questi non sono poverissi- mo, ma deali altri ho brandissimo difetto e gran- dissimo bisogno. Ma se gli avanza roba, non do- vrebbono mancar amici , che gli ricordassero il suo debito e la mia necessita. E il farà con sue lettere il Sig. Scipi(Hie, o ella medesima vincerà di benevo- lenza tutti gli amici suoi più cari in questo ufficio. Faccia dunque ch'io rimanga soddisfatto del P. D. Angelo Cirillo, e del Sig. Alessandro Pendaglia pa- . rimente. jNon le insegno il modo, perch ella il co- nosce. Le mando un sonetto, e farò tutto ciò che richiede o presto o lardi; e vorrei che fossero ag- giunte le due Stanze alla car»zona della Sereniss. Du- chessa Barbara . E le bacio le mani . Di Fcbbrnjo del 1585.

LETTERE 20 1

LXXX\ I. Alla Signora Duchessa d^ Urbino .

La mia lunga infermità, la qual m'ha tolta la memoria di molte cose, che m'erano care da sapere, m'ha lasciato nondimeno quella de' favori e delle grazie fattemi da V. A., per la quale solamente non mi dispiacciono tutti i tempi passati , e non dispero di tutti i futuri . E bench' io non possa ricordarli senza la dolorosa ricordazione delle mie calamita; tutlavolta la mia grave miseria può far lecito il la- mentarmi ^ e la sua cortesia non dee esser minore nel mio cattivo stato, di quel che fosse nell altro , che non ardisco di chiamar buono , perchè non fu quieto. E cominciando la mia narrazione da quel tempo, nel quale lo serviva l' lUustriss. Sig. Card, suo fratello , la sua grazia si fece incontro alla mia servitù, e mi diede quell'ardire, ch'io non avrei preso da me stesso, ed accarezzandomi più di tutti i nuovi, e non meno d'alcun altro antico servidore, mi fu mai data ripulsa nell'entrare, o nel suppli- care^ anzi non mi si mostrò non men facile nella concession delle grazie, che nell' udienza. Laonde fui per suo mezzo conosciuto dal Sereniss. Sig. Uuca suo fratello, e rimirato con buon occhio, ed onora- to sopra modo da' principali Signori di questa Cor- te, come erano il Sig. Ercole de'Pii, il Sig. Guido Bentivoglio , il Sig. Conte Alfonso , ed il Sig. Conte Ercole Contrari , 11 Sig. Conte Ferrante, ed il Sig. Conte Ercole Tassone, il Sig. Luigi Gonzaga, il Sig. Ercole Varano, il Sig. Alfonso Villa, e i Signori Ca- valieri Gualengo e Bernlero, e il Sig. Ercole Gi- glioli. E con la medesima costanza mi fece aver la tavola del Sig. Cardinal suo fratello . Seguì poi jl tempo delle sue nozze, anzi fu nella medesima occa

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sione, nella quale, perdi io gli era molto caro, ri- cevei molti favori e qualche dono . E se Y. A. si fosse ritrovata in Ferrara, (juaiido me n'andai in Francia con Monsig. Illiislriss. , la mia partita noti sarebbe stata il {ine di quella servitù, ma la conser- vazione, o l'accrescimento più tosto. Perchè o la sua autorità poteva far che non ci nascesse ditricoltà , o la sua prudenza superar tutte quelle, che ci nasce- vano. Né dappoich' io lasciai quel servizio, V. A. abbandonò la mia protezione; ma fu priiiclpalissima cagione, che '1 Sereniss. Sìg. Duca mi raccogliesse nella sua Curte con molti comodi e con molte spe- ranze, in guisa che i comodi facevan parere mag- giori le speranze, e le speranze i comodi. E tutte le grazie, ch'io ricevei dal Sig. Duca, furono più di V. A. che sue", percliè il principio derivava da lei, siccome gli efl'ctli dal Sig. Duca . ISè si contentò di obbligarmi in questo modo , perchè non m'obbliga- va in tutti quelli, che potevano contentarmi; ma chiamandomi a Pesaro, giunse favore a favore, cor- tesia a cortesia , e liberalità a liberalità, donandomi e facendomi donare, onorandomi e facendomi ono- rare dal Sig. Duca Guidubaldo, di gloriosa memo- ria. E s'io non mi fossi jjartito da lei, non mi sa- rebbono succeduti tanti fortunosi avvenimenti , e tanti pericoli, ne' quali non ebbi altro rifugio che V. A., altra speranza di salute che quella clie io ritrovai sotto la sua protezione; mi sarebbe mancata, s'io non avessi mancato a me stesso col fuggire, e col ricercar la morte, mentre io la fug- giva. Passo le cose che dipoi sono avvenute ne' miei ritorni, perchè furono governate senza il consiglio, e senza l'autorità di V. A., ma non dirò senza la sua grazia ; perchè s' io vivo , s' io spiro, s' io spero, s' io scrivo, o penso di scrivere verso o prosa che non dispiaccia, è tutta sua concessione e suo dono parti-

LETTERE %o'^

colare , senza il ffuale non avrebbe luogo la liberali- /

d'alcun altro ;, non ouore, non laude, non visita, non altra dimosirazione che mi piaccia, o mi conso- li . Laonde lutti gli obblighi , i quali mi possono la- re affezionato a molte persone , debbo stimargli effetti della sua benevolenza, e porre in questa soia tutte r altre obbligazioni, ed in questa speranza tut- te le speranze. Ed ora ch'io non penso far delibera- zione che le dispiaccia, la supplico che m' ajuti ad uscir di queste stanze, e mi ponga in una camerata di gentiluomini scolari, dove potrò forse risanar di questa infermità nojosissima , e per la sua qualità non senza pericolo, della quale io non guarirei nel- la prigionia, o non così facilmente, e schiverei mol- ti incomodi, molti disagj , molte maninconie, e mol- te miserie , e molte infelicità, che possono tormi la vita, ed insieme alla sua clemenza ogni occasion d'a- jutarmi. E credo che il Signor Duca gliele concederà senza contrasto , perchè mi fece già dire che si con- tentava, purch' io non partissi del suo Stato. E quan- tunque S. A. possa in ogni parte essere egualmente sicura di quella immutabil volontà , che prima fu cagione ch'io cominciassi questa servitù , tutta in- clinata alTonor di S, A., nondimeno se ne potrebbe assicurare in molte maniere. Ma sa la mia lunga malattia, e il mio stato, e In mia condizione; laon- de non conviene^ eh' io le ricordi quanto mi fosse malagevole il farlo senza l'ajuto e senza la prote- zione cV altre volte non ho dimandala; ma ora la dimando umilissimamente , parendomi di chiederle insieme la vita e la sanità. Vinca diinque la sua pietà gli errori miei e la mia fortuna (se la fortuna ha potere, dove regna la prudenza), e non consenta ch'io muoja con tanta e si continua infelicità, del- la quale è più quel che si tace, che quel si manife- sta-, ma converta in allegrezza tutte le avversiti Uà-

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passate. E le bacio umilissiraanieiitc le mani. Di Ferrara, il 18 di Marzo 1585.

LXXXVII. jàl Sig. Maurizio Cutaneo. A Roma.

Antonino ha fatta quella deliberazione , la quale io vorrei che fosse lodata dall' avvenimento, e può venire quando gli piace, che in ogni stato mi tro- verà disposto egualmente a fargli piacere. Ma non potendo parlar col Sereniss. Sig. Duca , non ispero cosa alcuna: e quantunque lo cerchi udienza per al- tre cagioni, che m' iinportano , quanto potete sape- re; nondimeno prima che d'ogni altra cosa, preghe- rò S. A. che il raccolga a' suol servlgj, ne' quali avrà le cose necessarie in questa età, se gli sarà concedu- ta questa giazia , come io credo. Con gli altri Prin- cipi, de' quali V. S. mi scrive, soglio alcune volte trattar per lettere, ed averne risposta-, ed aspetto l'oc- casione d'alcun lor gentiluomo che venga a veder- mi, e si faccia incontro al mio desiderio, il quale é di giovar all'uno ed all'altro de' miei nipoti. E ne scrissi al Sig. Scipione Gonzaga particolarmente , e non mi dolgo tanto , die non mi risponda , quanto che r infermità sia cagione del silenzio. Ma dovreb- be rispondermi Messcr Giorgio suo coppiero, col quale ho molti negozj , e porrei quesl' obbligo con gli altri; perchè (già molti anni sono) lo conosco la sua amorevoh'zza. E se non mi ricordassi ogni gior- no del suo padrone e di lui, potrei dubitare della risposta; ma perchè non ho perduta questa con la memoria di molte altre cose, l'aspetterò senza dub- bio. Alle opposizioni fattemi risposi in cinque gior- ni; né so bene s'io ci ponessi tutto l'ingegno, ma certo non ci posi tutto lo studio, tutta la diligen- za , perchè i miei libri sono incassati, co' quali avrei potuto aggrandire il volume, e confermare assai le

LETTERE OO")

mie risposte; ma non ho voluto cavarli. V. S. legge- rà quel che può far l' iiijjegno d' un uomo quasi sme- morato. E, se r Apologia sarà mostrata al Sig. Cardi- nale^ sapro volentieri quel che ne giudicherà si- gnore così giudizioso. E la medesima informazione vorrei che il Sig. Scipione mi desse della sua parte ^ perche forse egli sarà risanato. V. S. gli baci le mani in mio nome , e mi raccomandi a miei uipoli. Di Ferrara, il 18 di Marzo 1585.

LXXXVIII. Al Si^. Alessandro Sirsali. A Roma.

Nipote carissimo . lo vorrei , che poteste vedere il cuore più tosto che le mie lettere , o gli effetti, per- chè non vi rimarrebbe alcun dubbio della buona volontà, che ho d' ajutarvi ; ma il mio state impedi- sce tutte le mie deliberazioni, e particolarmente (juel- la che voi più desiderate. Nondimeno farò quanto posso, perchè siate accettato. Fra tanto aspetto quel che succederà dell'andata del Sig. Antonino vostro fra- tello a Mantova, il quale ho raccomandato al Signor Principe, sapplicandolo che l'accetti a' suoi servigj. Piaccia a Dio, che le mie raccomandH/.ioni, o più to- sto le preghiere e h' sup^liclie al)biano forza \ eh io non supplicherò men volentieri, perohè voi siate rac- colto. E vorrei tra 1 una e l'altra soddisfazione aver maggior tempo di pensar cosa, che non vi dispiaces- se. Ma i pensieri possono esser come i sogni delTin- fermo . Però cercherò senza dilazione di risanare; credo che sia possibile , se non esco di questo luo- go, nel quale non vi desidero aver per compagno. Ma vi priego, che scriviate a vostro fratello in modo, che non paja che ci sia venuto indarno. Perchè quan- tunque si fermasse a Mantova, potrà nondimeno fa- re alcuna cosa. Il Si^. Maurizio vi darà un mio Dia- logo , perchè il ricopiate . Rimandatemi la copia , e

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l'originale; e ditegli, che vorrei che il mostrasse a Monsig. Illustriss.,al Sig. Scipione Gonzaga, ed a po- chi altri. E mi vi raccomando. Di Ferrara, il 12 di Aprile 1585.

LXXXIX. Al P. D. Angelo Grillo . A Mantova.

Io vorrei dar molto diletto a V. P., e poco fastidio^ e son costretto di darle molto fastidio , e poco dilet- to con questo mio Discorso del Dialogo, il quale è stato breve non solo per le dette cagioni , ma ancora perch'io sono smemorato:, e se scrivessi lunghi vo- lumi, temerei di far molti errori. Ma s'io ricupere- rò alcuna parte della mia solita memoria, spero di ricompensar questa noja con mcn breve e più di- lettevole lezione: non dico a V. P., ma alla Sig. Giro- lama sua sorella, della quale col mio solito stupore mi son dimenticnto di far menzione; e degli altri suoi parenti 1 ho fatta assai fredda . Pero, se le pia- ce, prendasi <[uesla cura di giugner alcune poche righe al Discorso, e nel principio giunga queste: E se in quest abito potranno esser 'vedute dagli ainicij e pallenti vostri, che sono usati non solamente d'udi- re, ma di scrivere, e di far nohilissinie azioni, non 'v' incresca di leggerle. E poi quest' altre: Dico adun- que, eh' in ogni questione si concede alcuna cosa, e d' alcuna si dubita; e intorno a quella, di cui si du- bita j nasce la disputa, la qual si forma della di- manda e della risposta. stimo che vi farò altra fatica di giunger intiere cose in questo Discorso; ma credo che queste, e l altre che mandai jeri, saran- no riposte a suo luogo. V. P. avrà veduto Antonino, il quale, se qui si fosse fermato , avrebbe potuto es- sere islrumenlo della mia felicità promessami da tan- ti , e particolarmente da V. R. Ma non avendo avuto occasione. Il raccomando a Y. P., (? la priego, che il

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favorisca in questo suo desiderio di servire al Sere- iiiss. Sig. Principe , perchè ovunque sarà , vorrei che avesse buona ventura . E aspettandole risoluzioni del mio negozio, del quale non voglio darle nuovo ricordo, priego Iddio che ci consoli. Di Ferrara, il 12 di Aprile 1585.

XG. y4 D. Gio. Battista Licino. A Bergamo.

Mi piace che il Sig. Antonino abbia presa questa occasion di venirsene; ma non vorrei che impedis- se la cagione, p<ìr la quale venne in Lombardia. Ed io non rimarrò di fare quant' io posso, perchè il Se- renissimo Sig. Principe l'accetti a' suoi sei-vigj . Ma sapete quante cose m" impediscono . Raccomanda- temi al Signor Cavalier Tasso e a Monsignore , e ditr che le l'accomandazioni loro non fecero effetto alcu- no. Però se tornerete, venite con miglior risoluzio- ne ; e mi vi raccomando . Di Ferrara, il Sabbato San- to del 1585.

XGI. Al P. D. Ans^eto Grilla.

Io credo che V. P. avrà ricevute alcune mie lette- re, le quali io diedi a Graziano , e le mandai al P. D. Basilio; e con le prime un mio Discorso del modo dello scrivere il Dialogo , con 1' altre la Sestina e la lettera , eh' io scriveva all' lllustriss. Sig. Cardinale Albano per la mia libertà; e credo che sinora avrà fatta buona operazione , laonde sarà forse soperchio ch'io replichi di nuovo . Nondimeno, perchè il ne- gozio importa quanto la vita, voglio più tasto pare- re importuno, che negligente, se pur s| può trovare importunità nel seguire i suoi consigli. Scrivo dun- que brevemente a Sua Signoria Illustrissima, e la supplico che din\ondi la grazia; e priego V. P. dia

Utt. T.ir. " i4

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le dia quella informazione, perla quale io sia cava- to di pi'igione, che non gliela darà falsa. E di tutti quelli ufficj disella farà, perdi' io parta almen sod- disfatto, se non contento, le sarò obbligato infinita- mente. Dell' altre cose non le scrivo niinutameate come farei, se Don Gio. Battista Licino fosse ritorna- to a parlarmi . Ma parlerò di nuovo seco, e intende- rò meglio quel clic V. P. gli lia detto, e poi le darò avviso di tutto . Fra tanto stia sicura , che non ho ma^^^gior volontà, che di soddisfarla, maggior ob- bligo-, e faccia col Sig. Manuzio in modo, eh' io non abbia a dolermi di lui, ma possa tanto lodarmene, quanto me n' ho potuto lamentare : il che può fare in molte maniere. Ed io cercherò che gli sieno man- date tutte le mie Rime, non solamente quelle che isono in poter di V. P., oltre le quali ora le mando una canzone in lode e commendazion della sua Gasa , dirizzata a' Signori suoi fratelli, a' quali bacio le ma- ni •, e mi raccomando a V. P. molto , perchè n'ìio bi- sogno maggiore, che per avventura non crede. Fac- cia per la libertà mia , per la quiete , e per la salute lutto quel eh' è possibile-, che non cercherà d' ob- bligarsi persona ingrata. E mi scriva tosto, perchè aspetto la risposta innanzi che passi questo juese , nel quale s'attende alle purgazioni 5 e prieghi Dio dieci ajuti. Di Ferrara, il 4 di Maggio 1j85.

XGII. Al Sig. Card. Albano. A Roma.

Se tutte le informazioni saranno così vere, come le mie pregiiiere son giuste, io non dubito che V. S. Illuslrissinja non debba impetrar la libertà lìiia dal S(;reuis.simo Sig. Duca. E f[uantun(juc io potessi così informarla , come pregarla; nondimeno perdi' è men lecito a me , di' a ciascun altro il ragionar di me slesso, aspetto che non solamente le mie lettere

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la movano a compassione , ma quello del P. D. An- gelo Grillo, monaco di S. Benedetto. E la supplico che scriva a S. A. in modo, che non possa negarle l'ascoltarmi graziosamente. E le bacio utnilissima- mente le mani . Di Ferrara ,^ il 4 di INIaggio 1585.

xeni. Al medesima .

Io non mi stanco di pregare e di supplicare , per- chè sono stanco di tutte l'altre cose, e quasi della vi- ta istessa, per la quale io supplico.. Priego dunque V. S. lllustriss. che si degni di scrivere al Sereniss. Sig. Duca in modo, ch'io senta per le sue raccoman- dazioni tanto giovamento, quanto è il danno ch'io ho. patito per 1 oppression degli altri . E perchè si- nora l'altre cose non m'hanno giovato, dimandi r udienza , nella quale io credo che il Sig. Duca mi ascolterà graziosamente , perchè niuna grazia debbo disperare dalla sua clemenza, e dall' intercessione V. S. Illustrissima. E le bacio le mani. Di Ferrara il 5 di Maggio 1585 .

XCIV. Alla Sig. Duchessa di Ferrara .

Io consento , che si stampino le mie Lettere, del- le quali non ho tenuta alcuna copia, perchè noi pos- so proibire^ e s' alcuno per avventura m avesse ri- spetto, altri non l'avrebbe-, laonde eleggo per bene il minor male. Pregherò nondimeno 11 Sig. Manuzio che non istampi cosa, che possa dispiacere a Y. A., a alla Sig. Duchessa sua cognata . Ma questo non ba- sta. E converrebbe, ch'egli stampasse lettere, delle quali si compiacessero . Perà se fra quelle di' io ha scritte a V^ A., ce n' è alcuna fatta , la supplico ch& si degni di mandargliele. E la priego ancora , che- non voglia tardar più langamente a mostrarmi q-ualv

5. IO LETTERE

che effetto clella sua liberalità , percliè la sua corte- sia si manifesti a coloro, da' quali saranno inlese le mie miserie . E le bacio le mani umilissimamente . Di Fen-ara , il 6 Maggio 1585.

XGV. Alla Sig. Duchessa di Mantv\a.

In tutte le mie composizioni, che si pubblicheran- no, avrò sempre molta considerazione, che non si legga alcuna cosa, della quale V, A. Serenissima debba rimanere mal soddisfatta. Pero dovendosi stampar le mie Lettere, la supplico che non voglia, che sian lette le preghiere senza i ringraziamenti. E perch'io ìibbia doppiamente di che ringraziarla, si degni di scrivere alla Serenissima Signora Duchessa sua h- gliuola in mia raccomandazione, e di farmi qualche dono, dal quale ella prenda esempio, ed io consola- zione^ benché io abbia maggior bisogno di conforto, ch'ella d' ammaestramento, la quale per natura e per costume è usata d'operar magnanimamente . stimo che la memoria della Serenissima Duchessa Barbara possa rinnovarsi senza la gratitudine loro e 1 Biio giovamento. Ma spero che 1 suo nome ancora mi gioverà più che la presenza de' vivi. E le bacio umilissimamente le mani. Di Ferrara, 6 Maggio 1 585-

XCVl. Al Sig- Principe di Mantova.

Ringrazio V. A. ch'abbia raccolto a' suoi servigi mio nipote, percliè in questa maniera avrà presa la protezione di tutte quelle cose , per le quali io d(d>-. bo esserle obbligato. E perchè 1' obbligo durerà quan- to la vita, vorrei viver lunghissimamen te per aver moltissime occasioni di mostrarle la mia gratitudi- ne. Ma se la fortuna , o la morte mi potranno im- pedire, ch'io non la serva, non mi torrnnno ch'io

L K T T E n ]• ri( t

non muoja con volontà di farlo , e con dolore ch'el- la sia dubl)ìa di quello , che dovrebbe tener per fer- mo . E le bacio le mani . Di Ferrara , il 15 di Mag- gio 1585.

XGVII. .4//a Sig. Lucrt-zia Bendidei Macchiai^ellì.

alando a ^ . S. una canzone in sua lode, eh' è tar- do frutto del mio pigro ingegno, maturato nondi- meno con r affezione e con T osservanza , in guisa che non dovrà spiacerle fra gli altri di coloro, che le sono più nuovi servidori. E la priego ch'ella faccia in qualche modo, eh io ni" accorga che non le sia dispiaciuta. Eie raccomaudo l'espedizione d'alcu- ni miei negozj , che son trattati da Don Gio. Battista Licino , e me stesso, il quale ho bisogno di molte raccomandazioni ; ma solo io sono il raccomandato- re , e coiivien eh io le faccia tutte. Ma sovra gli al- tri favori, eh aspetto da lei, le ricordo la sua pro- messa , la quale se non ha avuto presto efl'etto, do- vrebbe averlo buono. E le bacio le mani. Di Ferra- ra, il i8 Maggio 1585.

XCVIII. u^l Sig. Antonino Sersali .

Signor Nipote carissimo. S' a me non mancasse più tosto la comodità, che la buona volontà , voi tanto lodereste la mia amorevolezza, quanto accusate la fortuna . Ma della mia povertà è certo argomento il luogo, nel quale io vivo, se pux ella avesse bisogno di pruova ninna. Laonde ora non posso ajutarvi, se non con que' danari 1 quali vi mando. Ma spero, che potrò darvi maggiore ajuto fra molti mesi. Non- dimeno potrei farlo più facilmente fuor di prigione^ però cercate in tutti i modi, eh' io n'esca; lascia- te alcun ufficio, che si possa fare o col Serenissimo

212 LETTETIt^

Sig. Duca di Ferrara, o col Sereuisslmo Slg, Princi- pe, (lai quale non avendo provvisione, yorrci almeno eh' aveste qualche comodità di vestire ; ma a questo non possono giovarvi, se non i vostri Iservigj e le mie preghiere. E gli uni voi dovrete fare, che gli sian cari con la diligenza-, Y altre io procurerò con la fede, che non sian disprezzate: ma la prima par- te tocca a voi . Frattanto io aspetterò buona occasio- ne, perchè senza questa sarebbon forse cosi vani i miei prieghl , come sono stali gli altri miei desiderj , i quali dovevano esser compiaciuti . Ricordatevi do- ve mi lasciaste, e quanto a voi sia più facile il ritor- nare, che a me 1' uscire . Perchó in questa maniera avrete consolazione ne' vostri travagli , a' quali vor- rei por fine co' mici, ma senza V opera vostra difTicil- mente potrò giovare a voi ed a me stesso . Non ab- bandonate dunque nella mia salute la vostra medesi- ma fortuna. Di Ferrara, 25 Maggio 1585.

XGIX. yàl Sig. Giulio Caria. A Napoli.

Io non ho scritto a' dotti solamente, come V. S. stima, e come affermano molti, ma a' belli ingegni , i quali nella fanciullezza sono indotti, e spesse vol- te crescendo non acquistano alcuna dottrina per col- pa de' parenti, e per vergogna di questo secolo-, ma possono agevolmente acquistarla , ed è loro dilette- vole quella fatica dello studiare, che agli altri pare intollerabile. E perchè nella Poesia s'impara più fa- cilmente quel che s'impara e con diletto maggiore, che in altra scienza, ovvero arte; niun altro libro è letto più volentieri da' belli ingegni , che natural- mente sono desiderosi del piacere, perei/ egli deri- va dalla Bellezza, alla quale si rivolgono , come a proprio oggetto . E questa così va ricercando il poe- ta, come il filosofo, che e' insegna i costumi e la.

LETTERE 2l3

bontà. E percioccliè il Bene è nel centro, e il Bello nella circonferenza, i poeti assai spesso conversi loro divini girano intorno alla superficie , toccano la profondità. E sono in ciò molto somiglianti a'pittori,i quali imitano i veri corpi con ombre e colori, a somi- glianza di quelli del Cielo, da cui per avventura han- no preso r esempio del mescolarli. E s io pur sono in questo numero, non vi niego d'aver cercato di sod- disfare, a me stesso, o più tosto di compiacere; ma non ho forse conseguilo il mio fine così facilmente, perchè non cercai il mio senza l'altrui compiaci- mento . ÌNc sono ben sicuro, (guanto agli altri sicno piaciuti i miei Poemi; perchè con niuu altro argo- mento mi poteva esser meglio dimostralo, che con gli effetti . Ma se V. S. è un di coloro , l quali n'abbiano preso alcun diletto , ne godo fra me stesso per molte cagioni , delle quali è la prima , ch'ella sia di quel- la nobil patria, della quale io mi vanto, e potrei glo- riarmene più l'agionevolmente , s' io la chiamassi la mia cara niatria secondo l'usanza antica di Greti. La seconda , che voi non mi parete indotto , come scri- vete , ma più che mediocremente ammaestrato. La terza, che se pur vi mancò la disciplina In qualche parte, non vi abbandonò la natura in alcuna, la qua- le sotto così puro e temperato cielo suol fare le maraviglie ; laonde non meno vi fioriscono gì' inge- gni in ogni stagione, che gli alberi nella primavera, i quali in cotesto clima sono i primi messaggieri , che ci danno avviso della state che s' avvicina. E per tutte queste ragioni non facea mestiero , che voi faceste la scusa d' avere scritto a persona non cono- sciuta presenzialmente, dovete aspettarne ripren- sione, ma lode, la quale io vi do volentieri, non per cortesia , ma per debito . E particolarmente vi rin- grazio del sonetto scrittomi nell' occasione di queste dispute , nelle quali fui provocato quasi in una pie-

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eiola Laltaglia. E voi siete stato mìo parziale, E quan- tunque non sia informato di vostra condizione, ar- gomento da' segni che sia di molto merito, e le man- do la risposta al sonetto, con la quale vi bacio le mani. Di Ferrara, il 7 di Giugno 1585.

G. Al Sig. Oio. Battista Borgo. A Macerata.

Ne' tre dubbj, die da V. S. mi furon proposti materia dell' Imprese, molto dubito clie di quello, die da me le sai'à scritto, non debba rimanere intie- ramente soddisfatta. Perciocché ninna ragione potrà essere addotta da me , che da lei e da altri Sig. Ac- cademici non sia stata prima considerata; sarà- forse spiegata in modo , che piaccia altrelianto perla maniera, quanto per l'invenzioni. Ma perchè V. S. con quegli altri gentiluomini non sia dubbia della volontà , die ho di servii'la , assai bene mi parerà di pormi a dichiarar questi dubbj; il che nondimeno avrei fatto più volentieri, quando non solo ero più intento agii «tudj della Poesia , e degli altri simi- glianti , ma le cose dette e scritte da me erano più volentieri dagli nomini ricevute. Ma perchè credo die da Sig. Accademici , non col favore, eh' é poco, ma colgiudicio, che molto, saranno misurati; que- sto medesimo , eh' io fo mal volentieri , farò pronta- mente, incominciando dal primo dubbio : Se r Im- presa sia diversa dalla Poesia ^ o V istessa .

Dico che l'istesso si può intendere in tre modi, o di numero, o di specie , o di genere. Ma di numero non é l'istesso-, poiché se fosse, sarebbe il medesimo il facitor dell' Impresa, e il Poeta; ma pare che sia altrimente , perché l'uno é forse muto arlefice, l'al- tro canoro. E se l'una e 1' altra fosse lo medesima , le medesime cagioni le accrescerebbono,e le conser- vcrebbouo . Ma la Poesia cresce , e si conserva nella

LETTERE 2 ) D

pace-, e l'Impresa molte volle nella guevra suole ri- cevere accrescirnento^ ed alT inconlro la guerra, che suole distrugger la Poesia e gli altri stud j delle bel- le Lettere, fa l'Imprese moltiplicare; e*lelia Poesia si dice ch'ella sia sonora , e piena d'armonia; ma di questa , che sia più tosto ben disegnata, e ben co- lorita . Oltre di ciò il fine dell' Impresa è l'accenna- re alcun nostro concetto; e quel dc-lla Poesia il nar- rare, e il dimostrare, e porre sotto gli occhi quanto più chiaramente si può V altrui operazioni . jNon so- no dunque di numero istesso Non sono manco di specie , perchè se andremo considerando per tutte l'arti , troveremo che quantunque la forma da loio introdotta sia 1' istessa , nondimeno per la materia e per r istromento 1' una specie dall' altra è differeiìte. Fa l'orefice la catena d'oro, e fa il fabro ([u<dla di ferro. Parimente l' istessa figura d'Elisa con la spa- da d' Enea sul rogo mal da lei apparecchiato , da al- tri col martello e con lo scarpello in marmo scolpi- ta, e da altri col pennello colorita nelle tele, e da al- tri in cera con altri strumenti figurala , non è opra d' un solo artefice , d un arte sola , ma di molte . E perchè sia data ! istessa forma al colletto di vellu- to , e a quello di cuojo , tuttavolta non sono effetti d' un medesimo artificio . Dunque se gli strumenti , e la materia di colui, che fa l' Impresa , è molto di- versa da quella , che suol trattare il Poeta ; l' arte non sarà la medesima, quantunque la fortuna fosse la stessa . Alla qual cosa avendo risguardo Aristotele, all'altre due differenze, con le quali distingue la specie della Poesia , aggiunge quella dell' istrumen- to . questo solamente , ma la forma ancor della Poesia, e dell'Impresa sono diverse 5 perciocché la forma della Poesia è la favola, dell' Impresa il mot- to, secondo il giudicio comune ; e, se alcuna ce n' è , la quale non abbia motto, nondimeno ella non à

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imitazion d'azione umana. Ma la forma della Poe- sia pare che non sia altro che un contesto , o un ordine d'avvenimenti , i quali formano un'intiera azione d'un, uomo-, laonde non solo per cagione del- l'islrumento e della materia questi artefici sono dif- ferenti, ma per la forma ancora, della quale sono prese tutte le specilichc differenze. Resta dunque che, se pur' è l' istessa , sia l' istessa di genere-, per- ciocché l'ujia e l'altra si raccoglie sotto l'imitazio- ne. Né altro dirò intorno al primo dubbio.

Ma passando al secondo, il quale è : Se ogli uomi- ni ignobili sia lecito di fare Impresa; io stimo che non sia conveniente; perchè avendo l'Arme dette dal Latino insignia^, e l' Imprese avuta 1' origine me- desima, ed essendo quasi portata per un medesimo fine, chi non ha Arma, non pare che debba avere Impresa. Oltre di ciò quello che non si conviene a quegli, che son privi di gloria, non si convien pu- re a chi è senza nobiltà, perciocché l'uno e gli al- tri sono parimente ignoti . Ma quelli non portano altuna cosa dipinta nello scudo, come si legge in quel verso di Virgilio: Parmaque inglorius alba. Appresso \ le cagioni di far Imprese sogliono essere la ricchezza, la possanza, e la magnificenza di co- lui che le porla, o altra cosa fatta, della quale l'ignobile è privato . Seguita anco l' Impresa, l'esser tenuto onorato, avuto in pregio, e riguardato con maraviglia; e questo slmilmente non è in colui, che è privo dijnobiltà. Ultimamente ripugna il portare Impresa , e non far grandi azioni. Ma le azioni gran- di non sono proprie dell' ignobile, se non for.'e di quelli,! quali son principio di nobiltà, e con lo splendore della virtù non solo illustrano i figliuoli e i nipoti, ma quasi fanno luce all'oscurità de' loro antecessori-, perciocché a costoro così l'Arine, come

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i' Imprese sono convenienti , come fa a

la quale fu poi ereditaria de' successori .

Rimane T ultimo dubbio, il quale era: Se il ojÌ' zioso deve portare Impresa. Intorno a che possiamo argomentare, che non debba^ perciocché l' Impresa è detta Imprendo^ o da Intraprendo, antica voce ^ che tanto significa, quanto prendere a far le cose, che difficilmente sono finite. Ma le cose malagevoli non possono esser fatte da colui , che sia privo di virtù ; però si legge: Degeneres animos timor ar- guii. Il medesimo si proverà discorrendo per ciascun vizio parti tamente; perchè l'avaro cerca di ricopri- re più tosto, che significare la sua avarizia-, 1' adul- tero solo desidera, che il suo vizio sia dalle tenebre coperto; e il goloso , e il bevitore trangugia più vo- lentieri solo , che dove sia veduto e dove abbia ri- spetto, le vivande delicate e i vini preziosi 5 e dal timido e dal pusillanime la luce degli uomini suo- r essere fuggila; e da colui, eh' è opposto al magni- fico, sono ischifate l'occasioni d'operare magnifica- mente-, ed al zotico solo dispiacciono le piacevoli conversazioni ; ed al lusinghiero, che le sue lusin- ghe sieno convinte. E ciascuno di questi e degli altri non vorrebbono, che '\ suo vizio fosse per al- cune dichiarazioni , 0 argomento , o cenno manife- stato. Ma l'Impresa in qualsivoglia modo dichiara . e manifesta: non convien dunque al vizioso fare Im- presa. Alle quali ragioni, l'ultima s'aggiunga, che la nobiltà è virtù, e l'ignobiltà è vizio. Ma l' igno- bile non deve fare Impresa: dunque non ne deve far- la il vizioso-, e tutto quello, che dell'uno si disse, dell'altro si dica parimente. Ma molte volte con al- cuni vizj grandissime virtù sono mescolate, come si legge d'Alcibiade, d'Alessandro, d'Annibale, di Cesare, di Trajano, e d'altri Principi de' tempi an- tichi e moderni . Però non è disconvenevole , ch'ai-

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<nino, il quale non sia al lulfo .senza vizio, porti Impresa. Pur iioa dee porlarhi in quanto vizioso , ma in quanto virtuoso e valoroso. Perchè l'Impresa si- gnifica il concetto foniiaio da II animo, il quale è perfetto, allora che è peil'etto il valore-, e se l'Im- presa è perfetta, figura una perfetta intenzione; e la perfetta intenzione non è se non d'uomo perfetto. Ne segue, che 1 Impresa perfetta non sia d' alito che d'uomo perfetto, o di Principe perfetto più tosto, perchè l'ultima perfezione dell' uomo è l'esser Prin- cipe; e il filosofo, che non è Principe, non cunse- guisce tutta la sua perfezione , la qual consiste non solamente nel contemplare, ma nell' operare secon- do le nobilissime operazioni. E quantunque l'Im- presa possa da lui esser portata, nondimeno perchè essa propriamente è di quei concetti, i quali hanno per fine le azioni, più si conviene al Principe ed al Gavaliero . Scriverei più lungamente in questo proposito, ma il tempo, il luogo lo sostiene. E da questo poco detto da me potete raccogliere mol- to, non solo della mia opinione, ma della volontà, la quale è assai pronta di servire i Signori Accademici della magnifica città di Macerata per la benevolen- za, che già moki anni sono mi dimosti'arono , invi- tandomi in così nobil compagnia. Ed a V. S. bacio le mani . Di Ferrara .

CI. Al Signor Maurizio Cataneo . A Roma .

Ringrazio Y. S. de' guanti che manda a donarmi, i quali son tanto convenienti a' tempi che corrono, eh' io vorrei potermeli porre senza cavarli mai, se non per occasion simile a quella della tazza piena , come voi dite-, e qnantun([ue non sia così avaro, che volessi vedervi povero per arricchire, nondimeno dove non si stendono le vostre forze, potrebbono

L E T T K R K 219

arrivar le vostre preghiere. E se i medici hanno giudlcio , come debbono, sanno che ninna cosa giova j)in alla salute dell'infermo, che la conten- tezza dell'animo. Però se volete rimettermi in lo- ro , procurale almeno che sleuo scelti giudiciosi , com' io li conobbi in altra inlermila, nella quale fui vicino al morire , e risanai per la diligenza loro, e per l'amorevolezza. Ma or mi pajono troppo seve- ri, e li vedo così rare volte, che se mi fosse lecito gli accuserei di negligenza , In somma il mio male è fallo, che non ha bisogno di eccellenti, ma d'ec- cellentissimi medici, e d'eccellentissimi rimedj. E pex-ehè voglio parlar liberamente, per tutte l'altre

cose mi sono ralleorato infinitamente dell' esaltazio-

o

ne del Cardinale di Mondovi, e solo m' è dispiaciu- to che gli sia stata tolta l'occasion di giovare al mondo con quell'arte, nella quale avea pochi pari, e niun superiore. Ma l'esaltazione convenevole ai suoi meriti non gli ha negato che non possa medi- car gli animi, e'I mio ha bisogno di medicina e di ristoro . Laonde io seguirò il vostro consiglio di scriverli^ ma non posso per questa settimana, per- chè sono occupatissimo in rivedere il mio libro della Dignità. Ma scriverò per Tiiltro ordinario a Sua Si- gnoria lllustriss. ed al Sig.Papio, il quale, se vedesse il bisogno , non aspetterebbe prieghi . Dio vi salvi . Di Ferrara , il 27 di Giugno 1 J8 j .

CU, j41 Sig. Card. /Ubano . A Roma .

E più facil cosa, ch'io mi coutenti degli uliicj fatti da V. S. lllustriss., che di me stessu; perchè se in miglior tempo avessi tanto conceduto al suo giudi- ciò , quanto compiacqui a' miei dt;.sidcrj , non avrei bisogno di favore alcuno, e particolarmente di qu<'l- li che m'ha fatti, e mi fa col Sereniss. Sig. PritiM,

2 20 L E T T r, 1? I'.

al quale ha scrìlto in mia raccomandazione . Bla ora non posso seguire i suoi consigli, come vorrei^ e, seguitandoli come posso, temo che non incolpi la volontà più clie il potere. Onde la supplico, che perdoni all'infermità quel che non vuol concedere alla natura^ e m' insegni la prudenza col tollerar di lontano 1 miei difetti, almeno si neh' io abbia racqui- stata la sanità con la sua grazia. Perchè non è vir-- tu, che non si possa insegnare da chi la sa perfetta- mente come V. S. Illustriss., alla quale bacio le ma- ni .^ aspettando che la sua lettera mi impetri favore- vole udienza , e faccia molto giovamento . Di Ferra- ra, il 28 di Giugno 1585.

CHI. AL Sis. Aldo Manuzio . o

Molti mi promettono qualche ristoro , e qualche ricompensa da V. S. per gli molti danni, che ho patiti per l'impression dell'Opere mie, le quali credevo di pubblicare a mie spese, e di ritirar gros- sa utilità dalla vendila. Ed io non son tardo a cre- derlo, perch'io so che siete altrettanto ricco di be- ni di fortuna, quanto di quelli dell'animo. E voi sapete, eh' io son povero per altrui colpa e per mia disgrazia, e prigione, e poco sano, e bisognoso di molti comodi, e desideroso di varj piaceri . Ma gli effetti della vostra beneficenza sono assai più lenti della mia credenza \ laonde aspetto ancora, che mi ajutiate in qualche modo con la vostra liberalità, e che usiate di quel debito eh' avete non a me, a coloro che vi mandano le mie composizioni, ma a voi slesso ed alla vostra virtù, perla quale dovete più tosto avanzar le promesse loro, che in alcuna parie diminuirle, principalmente in questo tempo » in cui vi sono accresciuti i comodi , e mancate le spese. E benché non vi fossero mandate le mie Ri-

LETTERA Olì

me e le Prose, come commesso, e pur quelle poche che bastano per la quarta parte; dovete più tosto aver considerazione alle cose passate, che a quelle che possono avvenire-, perchè T una sarà sti- mata gratitudine e cortesia, e 1' altra potrebbe esser riputata durezza ed avarizia, la quale non dee ra- gionevolmente aver luogo fra laute lettere e fra tanto favore. Ma perch^ io possa rallegrarmi della vostra nuova condotta, così con l'animo, come con la penna, è convenevole che provedlate a molte mie necessità. Fatelo dunque. Signor mio, non sola- mente per amor del P. Don Angelo , o del Licino, ma per mio rispetto , e per vostro onore , il quale io prepongo a'miei comodi medesimi. E sappiate che multi mi sono obbligati per iscrittura, altri per pa- rola-, nondimeno io mi varrò di quella sentenza di Euripide:

L^ oro agli uomini vai più di mille parole . Oro è la vostra felicità, la qual' Iddio l'accresca. Se voi darete principio a questa rautazion di fortuna , in modo che la mia favola abbia felice avvenimen- to , l'obbligo sarà dal mio lato immortale, e dal vo- stro la gloria. Ma non potete farlo , se non usale di- ligenza in far che mi piaccia la finissima lega, e il bellissimo conio . E se le mie persuasioni non ba- stassero, v'aggiungerei preghiere, e quelle degli amici. Ma sono ammonito da un'altra sentenza del- l' istesso poeta :

Fa hisogno ammortali qualche indizio degli amici. Che fosse certo ^ e la coguizion della mente , E chi sia l'ero j e chi falso amico. Perchè tutti gli uomini hanno doppia voce ; L" una in vero giusta, V altra coni' è . Ma s' alcun certo segno n'abbiamo in questi tempi, è quello del danaro; laonde possiamo argomentare la sincerità dell' anilf.izia dalla qualità del dono.

2.01 L E T T I H

Vogliate dunque, eh' io vi reputi de' primi e de» migliori. E vi bacio le mani. Di Ferrara, il 1(>di Luglio 1585.

^ CIV. A Don Gio. Battista Licino .

Io mi vergognerei, se scrivessi per vivere sola- mente, perchè è brutta cosa che l'uomo abbia bi- sogno di lunga vita. Ma perciocché io scrivo per ben vivere, non debbo vergognarmi di queste lette- re . Vi priego dunque, che sollecitiate il Sig. Ippo- lito, perchè sia presentata 1' ultima lettera dell' lllu- slriss. Albano al Sereniss. Sig, Duca , per la quale io stimo che da S. A. clementissima impetrerò u- dienza o licenza, o l' una e l'altra. Ma dalla vostra parte dovete usare ogni diligenza, perch'io m'assi- curi della sua grazia, e della vostra fede, e riduce- tevi a memoria quell'alta sentenza , la quale si leg- ge neir Ajace di Sofocle: Che non sono sicurissimi quegli uomini., che hanno Le spalle larghe, ina i sa- vj _, i quali superano in ciascuna parte . E se voi sa- rete savio, benché siate forestiero, supererete in questa città con questi Principi tutti gì' impedimen- ti per mio servigio e per vostro onore, e m obbli- gherete a servirvi in ogni simile occasione con ogni affetto d' animo. Ma piaccia a Dio di non ve ne da- re alcuna , in cui fa(;ciate esperienza della mia gra- titudine con tanta infelicità^ perch'io desidero di manifestarla senza vostro pericolo, e con soddisfa- zione dell'uno e dell'altro. Venite a vedermi , e mi vi raccomando. Di Ferrara, il 12 dWgosto 1585.

CV. Al Sig. Maurizio Cataneo . A Roma .

Lo scrivere mi par tanto dllHcile, quanto neces- sario^ però scriverò brevemente a V. S., av<;ndo ri*-

L E T T E U K 2 23

spf^sta una lunga leltera al Slg. Pa[)io, la quale le raccomando. E la ringrazio della memoria, che tien di me, quantunque fra tante altre cose , ch'ella si ricorda , vi possa capire il mio nome; ma il suo ò conservato con pochi altri nella mia , eh' è debolis- sima , nella quale rimarranno impressi ancora tutti i favori , che riceverò da lei , e particolarmente quel- li eh' aspetto in questa occasione. Non ho veduto Monsig. Sacrato , laonde io darò le lettere al mio servitore, perchè gliele porti. E le bacio le mani. Prego V. S. che mandi l'altra del Cardinale di Mon- dovì al Sig. Papio . Di Ferrara, il 5 di Sett. 1585.

evi. Mousig. Papio. A Roma.

V. Signoria Reverendiss. ha stimate le mie lettere più che non vagliono, poiché s'è degnata di con- servarle; ma non ha fatto cosa in tutto inutile, per- chè insieme ha conservata la memoria de' benefiej e de' favori, ch'ho da lei ricevuti in varj tempj ed in molti luoghi, de' quali non mi sono scordato, quantunque mi sia dimenticato di molle altre cose, e. di quelle eh' io aveva imparate con fatica mag-» glore. E da questo principio comincerà la dolorosa narrazione del mio stato, la qual V. S- dimanda. Sappia dujique , che per infermità di molti anni so- no smemoratissimo , e per questa cagione dolentis- simo, benché non sia questa sola-, perchè ce ne so- no dell altre , ciascuna delle quali potrebbe far in- felice un uomo , non che tutte insieme , com' io ve Tappresenlo, e ve le pongo dinanzi. E la prima è la perdita delle fatiche e della servitù di lungo tem- po . Dap[)OÌ c'è la povertà, per la quale fui messo in q^uesto luogo, ed ancora ci dimoro ; e la debolez- za di tutti i sensi e di tutte le membra, e quasi la vecchiezza venuta innanzi agli anni; e la prigio-

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1l/l L !■ T T K R i:

jaia, e l'Ignoranza delle cose del mondo*, e la soli- tudine, la quale è misera e nojosa olire l'altre, massimamente s'ella non è d'uomini, ma d'amici; e l'inquietudine di molti, i quali mi perturbano continuamente , mostrandosi troppo nemici alla mia quiete. Ma fra tante miserie mi avanza questo con- forto solo, ch'io non ho data a molti uomini occa- sione d odiarmi; anzi, s'io fo bene II conto, più son quelli clie lo avrebbono d' amarmi, a' quali io 1' ho volontariamente olferta , dove gli altri 1 hanno più tosto ricevuta dalla mia fortuna, che dal mio volere. Ma perchè non amo, osservo, riverisco alcu- no più di V. S. , é ragionevole ch'ella non mi favo- risca meno d' alcun altro , ceda nel giovarmi a coloro, i quali supera nel sapere . Perciocché questa è la più bella operazione, che possano far gli uoFni- ni che sanno molto, e la più graziosa ancora, e la più onesta; e l'onesto deve esser preposto al giusto, come vogliono i Pittagorici, e lasciarsi il terzo luogo all'utile . Onde V. S. non potendo ajutarmi con la somma ragione, che è somma ingiuria, dovrel)be farlo con la somma equità, come soleva. E basta , che vogliate per mio bene tanto, quanto potete; ed io ve ne priego per la memoria di mio padre, che ve piaciuto di rinnovare, per lo santo nome dell' a- micizia , e per la vostra eccellenza, per la quale sie- te meritevole di tutti gli onori . Ma non voglio mol- tiplicar le preghiere , per non far torto al vostro giudicio e alla mia fede. E quantunque Io sia pie- no di melanconia, non ve ne voglio far parte mag- giore, anzi più tosto vorrei partecipare delle vostre allegrezze, e non morire senza consolazioiu". Favo- ritemi aflunque in tutti I modi, e non indugiate tanto, eh io j)erda ancora la memoria del leggere e dello scrivere. Onde facilmente diverrei simile a quel pastore introdotto nelle Tragedie da Euripide,

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e da altri poeti greci, il quale non sapendo lettere, descriveva quasi la pittura del nome di Teseo; e mi converrebbe disegnar le linee del vostro, e dipinger quello degli altri mìei padroni ed amici . F'rattan- to, perch'io mi ricordo alcuna cosa di quelle die ho lette, mi soddisfaccio molto della risposta, che ho fatta agli oppositori dell' Amadigi e del mio Poe- ma 5 perchè nella difesa di mio padre non ho lascia- ta parte alcuna, che appartenesse alla pietà 5 e nella mia ho fuggite più tosto le maledicenze, che le ra- gioni dell' avversario ; e tutto quello, che vi s'ag- giungesse, sarebbe anzi accrescimento di noji, che stabilimento delle prove, le quali sono assai forti . Però V. S. non creda cosi facilmente alF altrui giu- dicio , ma si degni di leggerle, e di considerarle col suo medesimo. Perchè l' Apologia fu stampata con le opposizioni , osservandosi l' ammaestramento di Platone : Che i ragionamenti devono jjara^onarsi insieme j non altramente che la porpora e l^ oro. Nel qual paragone io credo, che non parrà buona lega quello che hanno voluto spendere, la mo- neta di buon conio . E mi rincresce che la mìa for- tuna m'abbia tolto, non che altro, il potergliene donare una. Ma da questo conoscerà più facilmente, qual sia il mìo stato, e moverà con maggior pron- tezza a favorirmi. Onde aspetto la risposta piena dell usata cortesia , la quale ho conosciuta in mino- re avversità, ma non ho ricevuta con tanto affetto, con tanto bisogno, se pur vorrà ch'io l'aspetti. E perchè siamo già nell'Autunno, s' affretti in ma- niera, eh' io possa purgarmi a tempo. Ma torno di nuovo a darle fastidio, non me n'accorgendo ; e per temprarlo in qualche parte, le mando 1 ultimo so- netto, ch'io feci l'altro giorno, e gliene manderei un libro intiero, s'avessi comodità di portatore. A- vrà con questa la lettera all' lllustriss. Sig. Cardina-

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]e del Mondovi, al quale baci le mani da mia parie, e me gli metta in grazia*, ed al Sig. Abbate Albano , ed al Sig. Maurizio ancora, dal quale aspetto qual- che favore: e viva lieta. Di Ferrara, il 5 di Settem- bre 1585.

CVII. Jl Sig. Cardinale del Mondovì. A Roma.

Tutti i buoni sogliono rallegrarsi, quando veggo- no la prudenza onorata dalla somma podestà , come Tanno passato da Nostro Signore quella di Y. S. 11- lustriss. Nondimeno io, che non vorrei farmi di que- sto numero, non potrei rallegrarmene, perchè il mio dolore è tanto ^ che non luogo a piacere al- cuno. Ma pur ringraziai devotamente Iddio, che fosse conceduto premio conveniente a\suoi meriti, e pregai la S. D. M. che m^appresentasse tale occasio- ne di servirla, qual'essa aveva di glovarnil . Kd ora invitato dagli amorevoli saluti mandatimi dal Sig, Papio, prlego V. S. Illustri ss. che voglia fare In mo- do, ch'io possa riceverne allegrezza, tanto ac'crescen- do la volontà di farmi giovamento, quanto è cresciu- ta Tautorità. E le bacio le mani. DI Ferrara, il 5 di Settembre 1585.

CVIII. All' Abbate Tasso. A Bei^^amo .

Siccome le navi non sogliono navigare con un' an- cora sola, così lo non posso arrivare al porto della mia tranquillità con una speranzJi-, perchè il negozio della mia libertà è trattato da molti , e fu prima co- minciato, che y. S. Reverendlss. supplicasse: laon- de è necessario, o convenevole almeno, ch'io rispon- da a molti. Nondimeno voi sete la speranza m.-iggio- re , ch'io abbia d'uscirne-, e, se j)li"i v'aggrada, sia- te la sola , e conducete dove e come vi piace que-

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Sta navicella, che tante volle ha fatto naufragi». E ve- nendo a Ferrara iVIonsig. Maestro per ringraziar S. A., fate così caldi officj , che sia passata la supplica, e»! io liberato senza fallo, come scrive il SÌ£f. Ercole vostro fratello, al quale sono affezionato con tutto l'aninno, dov'io conservo la memoria dell'antica no- stra amicizia e parentela, e di molti ohbliglii che ho alla Casa vostra. Ma ora è tempo, Signor mio , che voi gli accresciate^ e potete farlo agevolmente, quantunque non doveste. Ma se la virtù porla stx:o alcun obbligo di giovare agli amici ed a' parenti, voi siete più di tutti gli altri obbligato, perchè più di tutti gli altri siete virtuoso. Me dall'ignoranza potete prendere alcuna scusa , essendo dottissimo nelle Lettere sacre ed umane, le quali possono a pieno insegnarvi quel che a me pare di ricordarvi. Vi rit^ordo dunque il mio infelice, e'I vostro felice stato, al quale vorrei che desse accrescimento que- sta nobile operazione d'avermi liberato di lunga prigionia. E se l'indugio non sarà più lungo di quindici giorni , cercherò di vivere con la speranza. E bacio le mani al Sig. Gavaliero, alla Signora sua madre, e cognata. E V. S. viva felice. Di Ferrara, il 4 d'Ottobre 1585.

CIX. Alla Signora Tarquinia Molza .

Dopo una lunga espettazione de' favori di V. S. e delle sue grazie, sono stato salutato in suo nome da Don Gio. Battista Licino, e poi dal sarto che venne a tormi la misura dell'abito ; laonde ho ripreso ar- dire di ripregarla, che voglia non solamente conser- varmi in quella parte della sua memoria, nella qua- le mi pose molti anni sono, ma ricordarsi più spes- so di me , che per mutazione di fortuna non ho mai mutato proponimento di servirla . E specialmente

àaB ' LETTERA

vorrei, eh' in questa occasione facesse tanto per mia soddisfazione, che non m'avanzasse che desiderare, o che dimandare 5 perciocché indugiando le potrebbe mancare ogu' altra , e V. S. di ninna cosa più si do- vrebbe pentire, che di non avermi fatto suo per ob- bligo, com' io sono per elezione. Però vinca se stes- sa, e superi la sua cortesia medesima, con la quale tutte l'altre cose è solita di superare; e voglia , che il Tasso riconosca dalla sua intercessione solamente quello che si potrebbe concedere a qualche suo me- rito, e donare a molte sue preghiere, e consentire ad infinite sue sciagure, perle quali è degno di compas- sione, e meritevole di perdono e di grazia. Ma io parlo pure in terza persona, quasi non ardisca di ra- gionar di me stesso, e quasi non sia più quello , ma abbia perduto i doni della natura con quelli della fortuna. Comunque sia, non avendo perduto il co- noscimento del suo valore, non debbo essere da lei più disprezzato . Laonde la ripriego di nuovo, che faccia in un giorno quel che mi sarebbe noja d'aspet- tar in molti mesi, non che in molt' anni . E sia cer- ta, che s'io pot(;ssi così rincliiudere la sua persona in un picciolo cerchio, come rinohiudo in un breve giro queste parole , non 1 astri iigorci a cosa che non le piacesse. JMa le d<'e piacere d. di mui p;ìrLe l'esser pregata, dall'altra esaiulila,cd impetrare quel che dimanda, e con«*eder quel eli è dimandato 5 e quasi mezzo tra 1 supplichevole e 1 supplicalo , dall' un de' lati portar le preghiere, dall'altro le grazie. Ma io vi trasformo in Angelo, non me n'accorgendo, o pur voi di vostra natura tanto ve gli assomigliate, che ninno è più veloce di voi nel giovare agli uomini . Ma siate in questo ancora, che s'essi non si sdegnar no eh' altri si raccomandi a' Santi, possa io racco- mandarmi al Sig. Ippolito vostro, ed al Sig. Vincen- zo, ed al Sig. Poealerra, ch'io veggio più spesso, e

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sono tre de' maffiriori sosteonl eh' Io m'abbia . E V. S. mi perdoni aneora, s'io le do fatica di legger que- sta lettera, perchè schivo quella di ricopiarla. Vive- te felice, Signora naia , e procacciate eh' io esca di miseria . Di Ferrara , 5 Novembre 1 585 .

GX. A Don Gio. Battista Licino. A Bers.aìno.

Oh tjuanto sono smemorato, poiché nel risponde- re alla vostra lettera non mi ricordai di (juella }iar- te, eh' è di maggior importanza! Io dico alla j)romes- sa , clic mi fate di portarmi tutte 1' Opere stampate, e di consolarmi, com'io desidero; della quale vi rin- grazio, come s' io ne vedessi 1' effetto. Ma percliè fra l'altre Opere è l'Epitafio, non vorrei che si stampasse senza 1' accrescimento , e di questo jeri non mi di- menticai ; ma mi scordai di pregarvi che mi riman- daste la risposta fatta al Lombardello, perchè io vor- rei aggiungervi alcune cose in rivederla, e la man- derò subito, perchè possa stamparsi con 1' altre. Scri- vo al Sig. Gavaliero Enea, e pregovi che gli diate la lettera, e aspetto la venuta vostra , e vi bacio le ma- ni. Di Ferrara, il 21 di Decembre 1585.

GKI. Alla Signora Giiolama Grilla Spinola. A Genova .

11 P. D. Angelo, fratello di V. S., è venuto a veder- mi m una città ed in una stagione piena di ma- schere , nella quale io ebbi già molti piaceri, ed ora ho poche consolazioni, e forse niun' altra, che la sua visita. Ne per avventura ne debbo aver l'obbligo a lui solamente, ma a V. S. ancora , la qual così lon- tana mi vuol mostrare la sua cortesia, e farmi qual- che favore. Ed io non so se debba ringraziarla, o pre- garla , pei'chè se i ringraziamenti fossero presti, sa-

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rebbono troppo tarde le preghiere, glungerebbo- no a tempo. Onde voglio che mi giovi d'anlicipar con speranza gli elFetti : e le bacio le mani . Di Fer- rara, il 7 di Gennajo 1586.

CXIf. yli Sig. Don, Cesare d' Este. A Ferrara.

Nel ritorno a Ferrara del P. Visitatore di Monte Oliveto ho scritto al Serenissimo Sig. Duca , suppli- cando S. A. della sua grazia, conforme a quella pri- ma intenzione che me ne diede, quando cominciò la mia servitù e la sua benignità . E benché le pre- ghiere sieno giustissime, tanta è nondimeno la ma- lignità della mia fortuna, e dirò quasi del fato e delle stelle, eh io non posso sperar sicuramente gra- zia congiunta con la giustizia , o almeno con la cle- menza e con la magnanimità di Principe, fra'quali il Sig. Duca dovrebbe esser tanto più riguardevole in questa parie, quanto il suo merito , e quello degli auleccssori, e la providenza d' Iddio 1' hanno collo- cato in maggiore e più alto grado. Ma per questo ri- spetto almeno io non dovrei disperare, assicurando- mi la mia coscienza, e quella buona volontà eh' io ho sempre avuta in tante avversità. Laonde prego ancor V. Eccellenza, che voglia mitigar con le sue preghiere l'animo di S. A., acciocch'io possa veder qualche porto, oltre la morte, a così lunga infelicità ed inquietudine d'animo . Ed a V. Eccellenza bacio le mani. Di Montoliveto di Napoli, il 3 di Novem- bre 1588.

CXIII. Alla Sereniss. Gran Duchessa di Toscana.

Vostra Altezza è stata dalla providenza d' Iddio collocata in una Casa , la quale è albergo della Keli- gione e della pace. Perciocché le varie a lunghe se-

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dlziuiiì, dalle quali fa la Repubblica Fiorentina per- turbata , con la possanza e con l'autorità di questi Eccellentissimi Principi sono estinte ed acquetate; e quando non erano ancora in tutto sopite, non sola- mente si rinnovarono con la morte di Lorenzo de'iVJe- dici , ma si stesero per tutte le provincia vicine , di maniera che il fine della sua vita fu principio della guerra e della servitù d' Italia . Sono stati poi gli altri , i quali governando la Toscana con T arti me- desime e conia medesima prudenza, hanno stabilita la quiete della città, e la riputazione e la grandez- za del Principato, ed ai nostri tempi l ultimo Cosmr» fu onorato del titolo di Sereniss. Gran Duca, e Fran- cesco suo figliuolo in questo e negli Stati e uel valo- re del padre è succeduto. A\ quale essendo V. A.- congiunta in matrimonio, oltre le virtù che seco ha portate, v'ha ritrovata particolarmente o accresciu- ta quella, che suol favorire gli studj delle belle Let- tere e delle scienze amiche dell'ozio e della tranquil- lità. Laonde a niuno più che alci ho giudicato con* venirsi questo mio Dialogo, in cui della Pace si ra- giona. E quantunque egli sia picciolo molto, i pic- cioli doni non furono dahGran Cosmo , e dal Gran Lorenzo rifiutati . Ma se V. A. avrà ri sguardo alle cose in lui contenute , le parranno di sorte, che sti- merà convenevole ardire quel ch'io mostro uel man- dargliele , e nel pregarla che si degni di raccorlo sotto la sua protezione. E le bacio umilissimamente le mani. Dalle mie stanze in S. Anna , li li di Lu- glio 1j84.

CXIV. ^ sua Sorella.

S'io col Venire a vedervi fossi stato sicuro di \e- nire alla vita, alla sanità, ed a' piaceri , a' quali già pi' invitaste, sarei venuto senza nuovo invito e sen- za tardanza. Ma perchè non essendo sicuro della vo-

9.32 L F. T T E R K

stra vita, non posso esser certo d'alcun' altra cosa, mi sono fermato in Roma, aspettando da voi mede- sima avviso della vostra vita , o da' parenti consola- zione della vostra morte. Credo nondimeno che vi- viate, o percliè agevolmente si credono le cose clie si desiderano, o perchè la fama della vostra morte è senza autore , o almeno senza autorità e senza ve- risimilitudine 5 e vivendo, vi prego che facciate per la mia vita e salute, quanto io farei per la vostra. Sono infermo, come dovete sapere, e se non risano in cotesto paese, dov'io nacqui, son quasi disperato della sanità. La clemenza del cielo, T amenità della terra, la bontà de'cibi e dell'acque, la tranquillità dell' animo , 1' ozio , e 1 riposo della mente , e '1 mo- derato esercizio del corpo, mi potranno far gran gio- vamento 5 ma più di tutte le cose il vedervi tenera della mia vita e dell' onoi'c, e la cura e 1 pensiero che vi prenderete della mia infermità. Piaccia a Dio eh io non m'inganni tanto della vostra amorevolez- za , quanto della mia fortuna, lo non ebbi mai in- forniazione da chi fosse posseduta la facoltà di mia madre, e mi pare clic s'ella è in poter de' parenti, com'io stimo, mi dovessero mandai'e qualche centl- najo di scudi , acciocché io potessi trattenermi qual- che mese in Roma senza loro e mia vergogna; e ri- cuperare i miei libri, e le scritture lasciate in Lom- l)ardia,e baciar i piedi a N. S., dal quale aspetto gra- zia , die sia tanto maggiore delle mie colpe, quanto la sua autorità supera quella di ciascun altro. Se voi sarete viva , dovrete procurarli; se morta, non man- cando a voi eredi, non dovrebbono mancare a me ])roeuralori . Dio ci contenti .

'r ''' CXV. y^l Signor Filippo.

Vostra S. ha voluto prevenir le mie preghiere, e

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quasi farsi incontro al mio desiderio, siccome colui il quale conosce il mio bisogno. Pero io dovrei ora almen ringraziarla di questo ufìcio fatto per nie_, del quale prima dovea pregarla , accioccliò non pajano cosi tardi i ringraziamenti, come i pricghi. Ma perchè io stimo , che tutte le grazie dipendano da quella di S. Santità, non posso ancora pentir- mi di questa mia larda delihera/.ione , o piuttosto esecuzione, perocché la risoluzione è già fattale s' io partissi di Pioma senz' aver la sua grazia , o senza sperarla, non so quale certezza, o quale spe- ranza potessi aver del negozio di INapoli. Al Signor Conte di Paleno sono affezionatissimo, e quasi pro- vocato dalla sua cortesia ad esserli perpetuamen- te servitore-, io preporrei alcun altra a que- sta servitù, o alcun altro a questo favore. Ma dee sapere, ch'io sono infermo già moli' anni, e poco at- to a' servigi d'alcuno, se prima non ricupero la sa- lute. E benché il privilegio degl' infermi sia 1' esser servito, nondimeno mi vergognerei che la vecchia infermità gli potesse far men cara la nuova servitù . Di me posso dire quel ch'altri scrisse di se me- desimo :

Io ìieir opre , e ne^premj inutil sei\'o; ma non voglio mostrar così picciola corrispondenza a tanta affezione . Verrò dunque a Napoli senza fal- lo a vivere, o a morire; e non potendo lasciarvi di di me quella memoria ch'avrei desiderato, vi lasce- l'O almeno V ossa , eh' io sono quasi stanco di porta- re attorno. Ma dovendo io eleggere il tempo, non partirei se non fatta Quartjsima . E bacio a Vostra iitrnoria le mani .

234 L E T T i: r, K

CXVI. Molto Rei'crendo Sig. mio Osseivantissii/iu .

Questa Lettera si può ragionevolmente credere scritta a Muuiizio Cutaneo. *

Io sono slato in dubbio , s' io dovessi risponder alla lettera di V. S. portatami in Napoli, temendo che la mia risposta non facesse altro che 1 conser- varmi r apparenza deir amicizia dannosa. Sono die- ci anni ch'io infelicissimo infermai, de' quali sette o poco meno ho vissuto in prigione, se pur quella si potca chiamar vita , e non più tosto morte acei'bissi- nia; e in così lungo spazio di tempo ne per impazien- za, né per sofferenza, per sincerità, neper dissi- mulazione, né per furore, per mansuetudiue, nò^ per abbassar Fatiinio più chea meriti non si conve- niva, uè per innalzarlo sovra la mia fortuna, per certezza di scorno, ho potuto movervi a compassio- ne delle mie lunghe miserie, in guisa che suppli- caste per me chi poteva esaudirci. La mia fortuna è quella stessa^ che ha dato tanto animo a' nemici miei d'offendermi e di schernirmi ^ o sia il Diavo- lo, o temerità, com' altri stimano, o cagione, che opera oltre il proponimento degli uomini, e spesso rivolge il mondo sottosopra: in tutti i modi ella è un non so che di pazzo, di lemeraiio, o d insolen- te, e di maligno (se purè cosa alcuna), la Corte dovrebbe farsene idolo, ne i mici nemici quasi ido- latri ricorrere alla sua protezione. In somma chi vuol commettere alcuna cosa alla fortuna, è mio nemico, bendi io non fossi di lui. Io allincontro vorrei coramelter tutte le cose al consiglio non cor- rotto, alla prudenza, ed alla providenza 5 sono così ignobil soggetto, che dovessi essere abbamlona- to alla fortuna, come nave a mare, o palla al vrn-

* Co-i il l\Jiiì tauri.

LETTERE 2^5

to. Aliueuo soa creatura d'Iddio, dotata di libero arbitrio, e non ostiaalo iu alcuna cuia , eh' io repu- ti peccato, non disperalo della sua misericordia , la qual non è dioCoiupagnata dalla sua giustizia. ?sou voglio che il parlar della fortuna mi trasporti ad altra, che a questa conchiusion(; : torrei più tosto morir infelice con la prudenza, che viver felice con la fortuna, nella quale non conaderei uno de' miei libri, o uno de' fogli da me scritti. Ma, come sape- te , la prosperità è della fortuna-, la felicità della virtù. Facciami felice, se può , la mia virtù, ch'io non ricuso uscir di tanta miseria col suo ajuto. Se Monsig. illustriss. Albano è ricordevole di me, dee ricordarsi ancora della prima grazia, ch'io gli di- mandai, quando venni a Roma fuggitivo*, la quale almeno mi dovrebbe esser conceduta dopo dieci an- ni, non potendo in altro modo trovar alcun ri[)Oso nelle mie sollecitudini, o quiete nelT inquietudini . Non può esser ora ingiusta quella dimanda, eh al- lora fu giusta \ o almeno non dovrei io solo in tutto il mondo esser punito delle mie colpe e dell altrui, e tutti gli altri andarne impuniti . Ricordisi S. Si- gnoria Illustriss. ,j (he la fede e il fondamento della giustizia . Ricordisi , che la fede è cosi detta , perchè si fanno le cose, che si dicono. Ricordisi, ch'ab- bandonandosi la protezione di coloro che sono oiFesi, a torto s'abbandona una parte della giu- stizia. A chi siede in altissimo luogo non si convien dire: non me ne curo, o non me n' impaccio; però tion mi par credibile, che alcuno l'abbia detto. Qual regione cosi barbara, qual parte del mondo è cosi remota , dove l'autorità d un Cardinale non a- vesse potuto giovarmi ? Ora se le njie preghiere non gli sono moleste soverchiamente, io il supplico di nuovo. Della dedicazione delle mie Opere non pos- so risolvermi, se prima uou son risoluto df^H' altrjii

936 L E T T i; n v.

volontà. Pero il Licino dovrebbe mandarmi le scrit- ture e i danari; gli uni, perch'io potessi rallegrar- mi della liberalità della patria ; 1' altre, acciocch' io non avessi occasione d'accusar la sua ostinazione. Almeno mandasse le scritture, o si ricordasse del suo debito. Al Sig. Cardinal Scipione ho scritto. Egli sa quel che più farei a V. S. , se non ha indurato il cuore contra me . Non posso porgere altra supplica, se non pregarla che muti consiglio. Se non temes- si d'offenderla, la pregherei a supplicare il Papa in mio nome, che scomunicasse tutti coloro, i quali o con malie , o con veleni , o con altra cosa nociva cercano d' offendermi , e d' indurmi per disperazione a lasciar 1' uso de' Santi Sacramenti, de' quali prego Iddio che mi conceda la grazia. Ma la carità parla per me in questa materia .

CXVII. AL Licino ,

To non so quello che più mi giovi, o quel che più mi noccia, o 1 parlare, o 1 silenzio, o lo scrivere, o il por fine alle mie lettere con un perpetuo riposo . Ma pur dopo tante che ne ho perdute, non m' in- cresce di gettar questa. Vi prego, che mi mandiate tutte le mie scritture, perchè dovete farlo; e doven- do farlo, non ne dovevate aspettar preghi. Ninno è di loro miglior giudice di me, ninno meno affezio- nato; però l'elezione, che ne faranno gli altri, dimo- strerà più tosto r animosità che'l gludicio . Dovreb- bono contentarsi ch'io, non volendo esser pazzo a lor senno, potessi esser savio al mio. Hanno mo- strato di fare picclola stima di me; ma in ciò non mi reputo aver perduto ripulazione; e se i giudici non fossero corrotti, mi dorrei che in questa guisa facesscr vergogna a se medesimi. Mandale le scrii- ture , e state .sano .

LETTERE 2^"]

GX\ III. J Fra Fabiano .

Era molto ra£;;ioiievol«:;, che se la rnoi'te di mia so- rella m avea tolta speranza d'ogni contentezza, non mi fosse negata almeno ogni consolazione, perchè la sua memoria poteva esser conservata con la gratitu- dine di molti ^ e l'obbligo delle sue parole non do- vea finir con la sua vita , non essendo finita la suc- cessione. Ella è morta, come dicono : io mal vivo; ed essendo stato invitato da lei già molti anni sono a' piaceri di Sorrento, alla ricuperazion della dote materna , temo d'esser venuto a far qualche nuova fatica , o ricever qualche nuovo danno . All' una la mente inferma , e l'animo travagliato è poco dispo- sto; all' altro sono apparecchiato, come a cosa quasi preveduta. Mi dorrebbe nondimeno di veder di nuo- vo schernita , non dirò, la mia presenza, ma la mìa ragione, e la mia fede, e la mia buona volontà ; ed esser costretto di partirmi povero , infermo, canuto, smemorato e quasi frenetico da quel paese , dov' io son *nato, dove fui allevato, dove soleva veder mio padre in qualche buono stato ed in qualche riputa- zione, e mia madre similmente; per andar un'altra volta errando fra gente estrana, ed a me nemica per molte cagioni, ma particolarmente perch'io ho mo- strato di farmaggiojj-e stima di questa terra, e di que- sta nazione, e di questi parentadi, e di queste ami- cizie , che di tutte 1' altre , e di questo clementisslmo cielo, sotto il quale io naci[ui,e di questi gloriosis- simi e potentissimi Principi , nel cui Regno io mi gloriava d'essere stato prodotto. Posso dir. Padre Pveverendo, que,ste parole con esso voi :

Nuìi è (juesto il terre ti cìi io toccai pria,

Ov^ io nutrito fui dolcemente ? Cosi potessi soggiunger quell' altre :

238 T. E T T i: n r

Che copre l^ uno e t altro mio parcnff; ma almeno rinchiude l'ossa di mia madre, la cui memoria mi sarà sempre cara e sempre onorata , ma sempre dolorosa, e cagion di nuova maliconia. Per Dio questo lamento Talor vi muova, e con pietà guardate j uou le lagrime del popol doloroso, ma le mie più lunghe avversità , i lunghi errori , la lunga infermità d'animo e di corpo, la prigionia la ver- gogna, i pericoli, le continue sollecitudini, T in- quietudine , 1' amaritudine, e in somma l'infelicità, la quale dovrebbe mover compassione in chi non mi conosce, non solo in coloro, i quali hanno di me qualche cognizione, fra' quali siete voi , Padre Re- verendo . Piacesse a Dio , che 1' aveste interamente, acciochè io dovessi dorar minor fatica in persua- dervi . Ma poiché tanto mi sono avvicinato, non vo- glio partir senza vedervi , e senza salutar la città, ov'io nacqui, picciola in vero, ma nobile; laonde dovrebbe esser ricca di fede, quantunque fosse po- vera di facoltà. Scrisse Aristotele, che le città piccio- le erano eguali alle grandi, perchè hanno gì' Iddii eguali. Per questa medesima cagione ella dovrebbe essere agguagliata alle maggiori d'Europa, perchè questo invittissimo, e nell'altre cose giustissimo Pve, il quale è quasi Iddio in terra per la sua potenza, la può far sicura con la sua protezione , come le grandi, mostrandosi a tutte giusto e benigno pari- n»enfe , bench' io non procuri d' assicurarmi con la sua giustizia , ma con la vostra amicizia desiderata da me molt'anni. Verrò a vedervi raccomandato dal Sig. Cai'dinale Alessandrino al vostro Priore, con in- tenzione di non darvi alcuna spesalo alcuna noja , se non reputate noja il far qualche buon uficio per In mia quiete e per la salute, e perchè le parole di mia sorella abbiano quello effetto eh' è più conforme alla volontà, che doveva mostrar verso l'unico fra-

L K T T K R »•; 5*^0)

tello, ed all'onor mio, anzi di tutti. Vorrei partirmi amico di cotesta Città, e di cotesti gentiluomini, se non potessi fermarmici, perchè Tessere disprezzato, a lei non accrescerebbe riputazione alcuna, ma ag- giungerebbe a me infinito dolore . Non disprezzino la fortuna , perchè nell'altre cose io mi contento di stare al giudicio di coloro, che giudicano senza pas- sione. Questi senza fallo saranno i posteri, al giudi- cio de' quali io soglio appellarmi. Forse avranno quell'opinione di me, ch'io aveva pensato; ma se non r avessero, ninno può fuggire il giudicio d'Id- dio , il qual vede i nostri cuori . Questa è opera di carità, e di misericordia; però non può essere rin- crescevole a voi , il qual continuamente v'esercitate in così fatte operazioni con molta lode, e con molta soddisfazione di ciascuno; ed io ve ne pi^ego con mol- to affetto . So ch'avrete risguardo a quel che si con- viene alla mia condizione, alla mia età, armici studj, ed al fermo proponimento ch'io ebbi sempre d'o- norar la Città, eh' io posso chiamar vostra, e la vo- stra religione e voi medesimo. Io v'elessi negli anni passati per Confessore , ed ora v'eleggo simil- mente per padre spirituale e giudice , per arbitro , per avvocato, e per testimonio di quella affezione, la quale io porto alla patria , a' parenti , agli amici , la cui memoria dovrebbe esser immortale ,

CXIX. ^l Sig. Segretario Catena.

lo scrivo al Signor Cardinale Alessandrino lunga- mente, ma avrei scritto lunghissimamente, se la bon- tà di V. S. non mi togliesse in parte la fatica dello scrivere, e del pregare. Perchè essendo molte le oc- casioni, ch'ogni giorno mi sono date di nuove Apo- logie, molti gì' impedimenti allo studio, molti i ne- gozj da me lasciati addietro imperfetti, e molli (s'è lecito il dirlo ) i pericoli ; molti ancora converrebbe^

24o L E T T K n r

che fossero i padroiai,che prendessero la mia pro- tezione, o molti almeno i favorire molte le grazie , ch'io da un solo ricevessi . Ma io temendo di parer ad alcuno molesto, ed importuno soverchiamente , soglio esser più breve nel supplicare, che parco nel lodare. Lascio dunque alcune cose al giudicio di Monsignor Illustrissimo, alcune all'opinione della Corte 0 del mondo, altre agli amorevoli uticj di V. S., la qxiale non è cognominata Catena a caso, o sen- za ragione, poiché adorna V animo del suo dolcissi- mo padrone d'un aureo e prezioso monile, vor- rà che sia privo della lode di questa gran bontà , So che parlo a dotto iuleuditore, al quale non posso ce- lar la mia ignoranza , nel mio sapere , se pur so co- sa alcuna . Ma essendo io per lunga infermità quasi smemorato, e privo de' libri, e dell'utile e della ri- putazionedi tutte le mie fatiche, non mi rimane per sostecno della vita altra speranza , che la grazia di S. Beatitudine, e di S. Maestà. Sarebbedunque neces- sario, che fossero fatti ottimi uficj in mio favore col Sig. Ambasciadore di Spagna, e stimo che al Signor Cardinale Alessandrino, nostro Signore, non ma; - cheranno molte occasioni da ragionarli , e le parole di y. S. non saranno spese in vano. Signor mio, s'io temessi della seconda morte , non crederei che niun meglio me iìc potesse difender di V. S., la quale con le sue dotte prose , e con leggiadri versi può far gli uomini immortali . Ma siamo ancor nel giudicio del- la prima , e di tutte le facoltà 5 vorrei , che 1 suo testimonio, 0 l'amicizia mi giovasse meno in questo giudicio. Non sarà certo senza sua lode la mia salu- te, o la quiete de' miei studj senza frutto, o 1 fer- marmi in queste parti senza riputazione di coloni, che m'avranno dato qualche ajuto. Potrei dire il mio parere, ma io non posso disc(;rnere cosa alcuna, che sia occulta al vostro acutissimo giudicio . Non

L K T T !• R E otxl

sono ancora condotto a S. Vinceuzo; ma penso d'an- darvi , e desidero che quella sua lettera di racco- mandazione bastasse ancora per Napoli, s'io pen- sassi di ritornarvi . V. S. con questo favore può ob- bligarmi perpetuamente, ed io la prego con ogni af- fetto dell' animo. Di Monte Oliveto.

CXX, Al Sig- Gio. Battista Manso .

A tanta cortesia, a tanta umiltà, quanta è quella che V. S. usa meco, e fa usar nelle sue lettere, nelle parole, nelle visite, nelle ambasciate, io non saprei risponder convenevolmente, se non tacendo, ed umiliandomi col silenzio , se pur il silenzio può es- sere in modo alcuno risposta. Ma V. S. non ne rimar- rebbe contenta , ed io voglio più tosto soddisfarla, avendo maggior rlsguardo alla sua grazia , che ad ogni convenevolezza . Non so immaginare eloquen- za, che sia pari alla sua cortesia, ornamento di parole, eh' agguagli la sua umiltà; però non volen- do lasciar questo uUcio , risponderò almeno sempli- cemente , acciocché non si conosca eh' abbia fatta molta fatica in cosa, che non mi sia poi riuscita. Vo- glio esser vinto da V. S. in tutti 1 modi , perchè dal mio lato la perdita volontax'ia, e dal suo la vittoria meritata faranno 1' uno e Y altro più contento della sua fortuna, qualunque ella sia. Ma sinora la mia non é buona . E se del luogo è alcuna fortuna, o al- cun genio, come stimavano gli antichi, questo non mi dovrebbe esser avverso. Non sodi qualcosa V. S. mi chieda perdono. Se di non avermi scritto, que- sta non é stata offesa , perché non m' era debitore di sue lettere, bench'elle mi sian carissime. Se della burla , die mi è fatta col soverchio onore, V offesa in questa parte è così graziosa, che 1 perdono non può e^ser d'altra maniera. Perdonasi a' padroni? e come?

2/(2 L 1 r T E R i:

In qual modo io, clie le son servidore, posso per- donare a V. S. ? Ma forse ha voluto più tosto avvertir- mi della mia tardanza nel rispondere al sonetto , quasi io fossi obbligato a questo solo. A me conver- rebbe scusarsi , s'io non avessi voluto goder àn' pri- vilegi dell' amicizia , non altramente che s'ella fosse antica. Le mando quattordici versi , perchè dal liiio ingegno o sterile, o stanco, altro frutto non ho po- tuto raccogliere fin' ora : e prego V. S. che non si penta d'aver fatta questa elezione, beach io dalla mia parte non possa corrispondere al numero de'suoì meriti con quello de' miei componimenti. E viva felice .

CXXI. y^l Sìg. Duca d" Urbino.

S'io ho fatto mai alcuno errore per difetto di fe- de. Ora mi sforzo che il pentimento sia eguale alla colpa ; e benché meglio fosse il non errare in alcun modo, nondimeno se per soverchia confidenza si può far qualche fallo, di questa sorta voglio che sieno per l'avvenire i miei con V. A. Cagliavi, Signor mio, d'un vostro infelice servidore, la cui salute è quasi disperata, e la cura difficile, quanto il nego- zio di Spagna ;, ma le cose belle son difficili, e oel male non è alcuna malagevolezza. Degnisi V. A. che questa bella azione sia tntta sua , se la stima ta- le 5 se la giudica altriraentc, faccia per sua pietà quello ch'altrui farebbe per desiderio di gloria e d' onore . 11 dare ajuto agi' infelici, ed a coloro che sono oppressi contra ragione, fu sempre lauda- bile operazione; ma V. A. nelle sue si propone j)er obbietto l'onesto e il giusto; e giustissima cosa è che all'ingiurialo, il qurile ha sempre meno, s'ag- giunga quel di più che ha 1 ingiuriatore. A me è stata fatta ingiuria dagli amici, da' parenti, 0 dalla fortuna , e forse le facoltà di mia madre son posse-

L E T T 1 R E l[\ò

(iute da alcun di loro, perch'io non ho tanta infor- mazione di ciò, quanto sarebbe necessario. Laonde non so per accertarsene altro rimedio, che la sco- munica. Ma posto ch'ogni cosa fosse posseduta dal Fisco, non dovrei disperare, che il Re avesse consi- derazione alle mie infelicita, a' danni, all' infermità patite per questa cagione, particolarmente nel corso di molt'anni \ perchè da questo principio , quasi da un largo fonte, son derivate 1' altre mie sciagure . A me scriveva mia sorella , che per giustizia mi tocca- va parte della dote materna, la qual fu di cinque mila scudi, e'I medesimo era confermato cou uaa Scrittura mandatami dall' Abate Albano. Ora 1' una è morta, come dicono j l'altro è lontano, lo diman- do grazia al Re della metà, perchè non ho modo, o comodità di far lite, si per mostrare che tutte le cose si riconoscono più volentieri da' Principi, che da' ministri. Ma le grazie de' grandissimi Re deono esser giuste-, e se all' opinione degli altri mi fosse lecito d aggiunger la mia, direi che le giustizie an- cora debbono esser graziose^ laonde o dimandando grazia, o giustizia, la chiedo con l' istesso fine di tro- var luna e l'altra. Se si ricercasse e l'argento, e r oro , eh' è prezioso , V. A. nel cercarli cederebbe per avventura a molt' altri ; ma cercandosi questa co- sa, di gran lunga più cara e preziosa, a ninno più si conviene che a V. A., la quale negli Stati suoi, e ne'suoi vassalli l'ha sempre fatta in guisa , ch'al- cun altro non ne merita lode maggiore. Ed in que- sto Regno spero che non mi debba esser negata , s'ella si degnerà di scrivere in mia raccomandazio- ne , e di rinnovar in me l'obbligo, e nel mondo la memoria di tanti beneficj e di tante grazie, che mio padre ed io abbiam ricevuti da lei e dal Sig. Du- ca Guidubaldo. S'io scrivessi ad alcun altro, pro- curerei moverla a compassione della mia infelicità;

o44 L E T T E R F

ma SO che la misericordia, o altra passione non può tanto nel ben composto e nobilissimo animo di V. A., che non possa più la ragione: onde confido più nella sua bontà, che nelle mie lagrime, e più nel suo sapere, che nella mia eloquenza, se pur n a- vessi alcuna parte. Io manderò al Sig. Bernardo Ma- schio quell'informazione eh' io posso, aspettando che ov' ella mancherà, supplisca l' intercessione di V. A., e la grazia di sua invittissima e Cattolica Maestà .

GXXII. Alla Signora Duchessa d^ Urbino.

Ho stimata la cortese lettera di V. A. simile alle grazie d'Iddio, che non sono mai tarde j laonde ho cominciato a sperare, che gli effetti giovevoli debba- no seguir conformi alla cortesia delle parole^ le quali benché sieno poche , nondimeno m' han posto molti obblighi addosso. Ma non è pur ora, ch'io le sono obbligato. Questo nuovo favore potrà con- fermar r antica servitù ed osservanza, se pur mai per alcuno accidente di fortuna avesse vacillato . Supplico V. A che mi tenga nel numero di coloro, i quali son devotissimi al suo nome e alla sua Casa, e me raccomandi ed il mio negozio al Sig. Duca, suo figliuolo j al quale scrivo più lungamente.

CXXIII Al Sig. Bernardo Maschio .

Dopo un lungo corso d'anni non so come in un negozio di tanta importanza potesse bastar una bre- ve lettera, se non supplissero la bontà di V. S. e l'autorità del Sig. Duca , suo e mio padrone. Quanto io dunque sarò più breve, tanto stimerò di mostrar maggior fede nell'amicizia, la quale ho con lei. Supplico il Re per la dote di mia madre, e dovrei forse supplicarlo per la vitaj ma chi dimanda a S. M.

I, F T T E R E 'iL^D

il modo di vivere, gli chiede la vita in conseguenza. Espcro, che alla bontà e alla giustizia di cotesto invittissimo e grandissimo Principe non parrà di- sonesto il concedermi qnesta grazia per picciol tem- po, essendone io stato privo molti anni, e già sono passati i dodeci , eh' io venni a Roma per questo ne- gozio istesso , e due anni dappoi a Napoli . Ma que- sto è il quarto anno , da che mia sorella mi scrisse , che per giustizia mi toccava una parte della dote materna, e '1 medesimo mi fu confermato dal Conte Ercole Tassone per una Scrittura, nella quale speci- ficava il numero di due mila e cinquecento scudi . Io parlo di giustizia, e vorrei parlar di grazia . Ma nella grazia sarebbe forse ancora contenuta la roba di mio padre, al quale non fu mai negata, o alme- no egli non ne fu disperato, perch' egli si morì con questa speranza. Si può raccoglier dal primo volu- me delle sue Lettere, ch'egli avesse oltre quattro- cento Scudi d'entrata in questo Regno, e una casa in Salerno assai bella e comoda. Io non posso ne- gar fede alle sue scritture, ed a ninno instromento presterei maggior credenza-, laonde quasi spaventato della grazia , rifuggo alla giustizia per la metà della dote materna e dell' antifato. Ma la giustizia del Re non può esser discompagnata dalla clemenza e dal- 1 equità . Come V. S. può sapere, io son nato in que- sto Reame, e v'ho maggior numero di parenti che in altre parti, e l'abitazione mi piace oltre tutte 1 altre, e r aria v' è più salubre, che nella Lombar- dia , o in Roma. L'infernìità mia è stata lunga, ed io non spero di risanar nelle fatiche, o nell' andar attorno. Al Re son devotissimo , la mia fortuna , 0 r altrui malignità mi può far men devoto, fe- dele -, laonde supplico S. M. che mi conceda di po- tervi abitar sicuramente, e di rendermi qualche parte delle facoltà perdute . Prego V. S. che appre-

l/^i) L E T T F R F

t.enti la supplica, e eh i mercede ndo con un grati- dissimo Re, non solamente \ interponga il nome e'I favore del Sig. Duca d' Url:»iuo, ma faccia ufficio di grandissimo amico , accioocliè l'obbligo mio sia pari alla sua cortesia 5 ma oltre tutte Y altre cose la prego, eh avendo riguardo alla mia lunga infermi- tà, cerchi di giovarmi, e di scusarmi della breve scrittura .

GXXIV. y4l Signor Gio. Atilonio Pisano.

Se l'ornameato potesse star insieme con l'affetto , io mi sforzerei, che questa mia lettera fosse così or- natissima, come ella è aifettuosissima , Ma sa, che la passione ricusa i colori, ed ama la simplicità del parlare; e aggiungendosi quella delle parole a quel- la deir animo, pregherò Iddio, che le muova il cuo- re. Io sono infermo, come sa, e dee saper forse che son' etico , benché io non ne sia certo , perchè attri- buisco ad altra cagione questa mia stanchezza, e questo colore non naturale. Ma non è questa sola 1 infermità, perchè la malenconia è grande in gui- sa, ch'io comincio a smaniare. Ninno ancora do- vrebbe sapere i rimedj dell uno e dell'altro male megjio di V. S. Al primo sono, come stimo, giove- voli i bagni, ma non questo, 0 in questo modo, perch/io non ne sento refrigerio alcuno; ma tutto il giorno ne sto con maggior caldo del solito , e con un poco di siulore. All'altro non si provvede; laon- de io la prego ch'abbia riguardo in tutti i modi alla mia vita, ed alla sua riputazione, la qual consiste ili renderla salute agriufermi. Se ritornasse il cam- po di Lutrecco, 0 d'altro con la medesima contagion di peste e d'altro male; o se fosse chiamata da qual- che Re barbaro, e nemico dilla nostra Fede, potreb- be V. S. ricusar di medicarli? Ma io sono, se vole-

L E T T F R E '1^"]

le, Napolitano, e nato nel Regno senza (luhì)io, e Jio quella fede, per la quale dovrei esser sicuro del- la mia vita in questa Citta. Ajutalemi, Signor mio, com' eccellentissimo medico, e come ottimo amico, perchè i danari non possono esser premio degno del- la sua virtù, ed io ne son privo, posso ancora pagar le medicine , o i bagni , se il Sig. Conte di Pa- leno,o altri non mi sovviene. Perchè piacendo a Dio, ch'io vinca la lite,o abbia in grazia quello che ra' è promesso per giustizia, soddisfarò a tutti i debiti interamente. Frattanto non vorrei morire per difetto d'argento e d'oro, o d'amici; il qual manca- mento è peggiore assai. A V. S. duuque mi racco- mando, perchè dove abbonda la dottrina e la sa- pienza, non può mancar le virtù e la fortuna. le ricorderò , eh' io son tornato vecchio in quella Città, donde partii fanciullo, sicché appena sono stato riconosciuto da' parenti e dagli amici; e che dopo tant anni di prigionia e d'infermità, e quasi di mendicità , non ho potuto rallegrarmi dell' aspet- to della patria , o aver altra consolazione, che quella delle sue visite, stimando che le mie avversità mi sieno in vece di padre e di parenti . E bacio a V. S. le mani .

CXXV. Al Sig. Duca d' Urlino.

Io non estimerò mai, che la grazia di V. A. sia come i Greci dicono xapfi ajtapi?, perche non l'aven- do io lungamente aspettata , con molte opere meritata, per la tardanza non mi può essere ingrata* La supplico nondimeno, eh' abbia risguardo alla mia infermità, per la quale sono men timido del diman- dare, che paziente nelT aspettare. Ma bendi io aves-- si tutti gli altri difetti , la simplicita mi può scusare di ciascuno, e la verità delle mie parole parimente.

248 T. E T T i; R E

Se di nuovo cadevo in qualche maggiore inlelicità o per manifestare il mio proponimento, o dire aperta- mente la verità, il mio precipizio sarà contrario a quel di Lucifero, il quale in ventate non stetit . Laonde cadendo in questa vita, spero almen di ri- sorger nell altra ^ ma la pietosa mano di V. A. po- trebbe ancora in questa sollevarmi . Io non me 1' of- fero in altro modo servidore, che dell'animo per due cagioni 5 prima perchè 1' offerirci cosa, che le sareb- be più tosto di spesa, che di servizio; poi perchè non fui atto mai al servire , ed ora son quasi disperato solo in pensandovi . Laonde se la grazia del Re, e la giustizia non mi cava di mendicità, temo di non es- scriudotto a morir per elezione in loco simile a quel- lo, ove fui messo per forza, e molti anni vi sono dimorato contro la mia volontà. Ciascuno è servo, come disse Euripide, e gl'Iddii stessi non possono fuggire la servitù della legge . Ma noi Cristiani dob- biamo portar altra opinione; laonde vorrei, che la grazia del Re mi liberasse da questa e da ogu' altra servitù, acciocch'io potessi viver l'avanzo della vi- ta in tranquillità, e dire insieme col Petrarea: Tal cJiCj s^ io vissi in guerra, ed in tempesta, Muora in pace, ed in porto; e se la. stanza Fu vana j almen sin la partita onesta . Se'l mio è Iropjio ardito desiderio, perdonimi S. i\L, perchè da' grandissimi Principi devonsi aspettar le grazie conformi alla grandezza delT animo, e de' Re- gni e degl Iniperj. Io non ho scritto ancora cosa al- cuna in sua lode, ma spero farlo prima che finisca questa estate, e con la medesima occasione mostrare a V. A. la mia antica affezione ed osservanza , per la quale non dovrebbe parer il mio soverchio ardi, mento; se mentre vanno scorrendo attorno qnesti nu- voli e questi tuoni di guerra, io che per l'infermi- lu son poco atto alle fatiche e a'disagj, mi riparassi

LETTERE 249

sotto r ombra della gran quercia, la quale in ogni tempo fu rifugio e ricovero di tutti gì' iufelìcij laon- de con molta ragione cantò quel poeta : Della ^ran quercia j che "/ hel Tebro adombra. Esce un ramOj ed ha tanto i Cieli amici. Che gli onorati sette Colli aprici, E tutto 'l fiume di vaghezza ingombra. E meglio avrebbe detto tutta Italia. Ma con troppa dimestichezza ardisco di scrivere a Principe cosi gran- de. Contentisi , ch'io le abbia accennato quanto io le son servidore , e quanto desideroso della sua gra- zia j e degnisi per la sua ineffabil cortesia di racco- mandarmi al Sig. Fabrizio Maschio, meno a'suoì agenti in Roma , acciocch' io sia securo , che le mie lettere non sieno dalla fortuna mandate per contra- ria strada . E le bacio le mani .

CXXVT. A N. N.

Dopo tant'anni di contraria fortuna, come è pia- ciuto a Dio ^ son venuto a Napoli, con isperanza di ricuperar la sanità e la roba, estimando eh' una medesima Città debba dar la vita e'I vitto-, percioc- ché la madre dopo la generazione a niun' altra cosa più si conosce, che al nutrimento. Non voglio dir che r una e l'altra speranza mi sia riuscita vana 5 perché non debbo aver minor sofferenza in queste , che neir altre parti ^ ma dovrei aspettarne più felice avvenimento . In arrivando io rimasi quasi stupefat- to ed attonito , non solo per la maravigliosa bellez- za della Città, ma per la mia fortuna, la quale in tutti i luoghi é la medesima •, seppi a qual consi- glio attenermi: e benché mi sovvenisse l'antica ser- vitù, la quale ho con V. S. lllustriss.j nondimeno ri- masi dubbio di tutte le cose di questo mondo, sq non de' suoi meriti, perii quali è degno d'onore, a

aSo T. E T J' T, li E

d'ogni lode parimente . Ma io non sapeva, se prima dovessi supplicarla, o lodarla, ed aver riguardo alla infelicità, o al suo valore, temendo che la lode d'un misero potesse asperger di qualche ombra di mise- ria la sua Illustriss. dignità. In questo dubbio mi tacqui; al (ine dopo un lungo silenzio mi sono riscos- so quasi da un lungo stupore, ed ho deliberato di pregarla, che si degni di riconoscer V afle/ioue d' urt suo antico servldoi'e, e d'avermi raccomandato e co- me infermo, e come povero, e come quasi ritornato dall'esilio senza saputa del Re. Sua Santità m'ha fatto grazia di mandarmi una scomunica, acciò sia rilevato (1) chi usurpa i beni di mio padre, o la dote di mia madre. Io l'ho data al Sig. Ottavio fratello di V. S. Illustriss. pregandolo che la faccia pubbli- care: così m' è stato permesso. Prego V. S. Illustriss. che m'agevoli con la sua autorità questo negozio, perchè giungendosi all'obbligo antico questo nuo- vo, non avrò alcun maggior pensiero, che di mo- strarmi grato di tanta grazia-, e sia contento, ch'io tacendo della sua nobiltà, e della grandezza, e del valore di molti gloriosi antecessori ,sino a migliore e più opportuna occasione, ora ricorra alla sua pro- pria virtù, come a sicuro asilo, acclocch io non sia esposto a niuna ingiuria della fortuna.

CXXVH. ^l Sig. Clio: Battista Mniiso .

I doni di V. S. Illustriss. sono sempre a tempo, e sempre soverclij; perchè la sua cortesia non ha bi- sogno di sprone , e non gli misura co' meriti miei , o co'bisogni, ma con la grandezza deiranimosuo no- bilissimo. Io non ho voluto dimostrar la picciolez- za del mio col rifiutarli un'altra volta, ma gli ho

(O Così il MS , ma elee forse dire rivelato ;

LETTERE a5 f

accettati tutti senza conti-asto , benché la metà fosse abbastanza. Se mi vuole iu questo modo obbligato , io sono contento d'esserle obbligalissimo , e non so- no cosi px'ivo di gludicio , ch'io non conosca quan- to la Sig. sua madre e la Si<r. D. Costanza sua mo- glie accrescano questo favore, e quant' obbligo mi s'aggiunga di servirla. All'altra parte della sua let- tera, ch'è la prima, non sarebbe necessaria altra ri- sposta, che quella dell'opera stessa. Ma io dirò pu- re, che grande avversità è stata la mia, la quale tant'anni m'ha tenuta occulta la sua affezione. Lo- dato sia Iddio, il quale ora a lei occasione di mo- strarla, a me di conoscerla, acciocch'ella resti ono-' ratissima dalle sue proprie operazioni, ed io consoc- iato della stima che fa di me in questa bassa fortu- na, in cui non ho ancora ricevuta maggior consola- zione. Sono occupatissimo in alcune mie opere, le quali spero che si divolgheranno con minor mia vergogna. Questa è la cagione, ch'ora non sia più lungo nel ringraziarla, o più diligente nel ricono- scere i miei debiti . Ma questa mia tardanza può diminuir la mia gratitudine, benché diminuisse l'ap- parenza dell' esser grato; io so con più vero testi- monio confermar l'opinione, la quale ho della sua vera cortesia.

GXXVIII. Al Sia. Girolamo Catena.

Quel che V. S. scrive d'Omero e d'Esiodo, mi fa ricordare d'un' altra cosa siraigliante, che si leg- ge in S. Giovanni Grisoslomo, cioè, che T uno fu superiore al giudici<5 de' grandissimi Re, l'altro a quel de' villani . Piaccia a Dio , che mentre io vo desiderando la felicità d'Omero dopo la morte , non incorra nella miseria della vita, alla quale non sua molto lontano, ma non più vicino, che al fine di tutte le umane miserie. Al Re desidero Oiim ^^lorif)-

2D2 L F T T F. TI P

sa vittoria con ogni affetto dell'animo, e con ogni costanza di volontà, perchè non può esseve alcuno devoto di Cristo e della Fede Cattolica, che non sia desideroso della gloria di S. M. -, ma da qualche al- tra mia passione sono impedito in guisa, ch'io mi vo trattenendo con la speranza di lenta vittoria. Se non manca in questa età Filippo, forse non man- cherà successore che somigli Alessandro. Laonde io son mosso alcuna volta a dubitare, che non gli lasci che vincere. Tanta è la differenza tra il timore del- la perdita , e la cupidità del guadagno. In quello non cedo ad alcuno, e vorrei tutte le cose del Re si- curissime, e la vita più d'alcun altro. In questo, se è scompagnato dalla gloria, cedo a tutti ; se congiun- to, supero peravventura ciascuno-, ma tanto vorrei che s' aggiungesse di perpetuità alla sua fama, quan- to di feliciti all'azione. A me basterà d'esser parte- cipe de' frutti della vittoria, poiché non posso del- l'onore, perchè la mia infermità e la mia fortuna mi sono impedimento in tutte le cose. Piaccia a Dio, ch'io abbia più sana la vecchiezza, che non ho avuto la gioventù, o almeno dai giovani maggior grazia, che non ni è fatta dai vecchi . Pregherò feli- ce navigazione all'armata in qualche mia composi- zione, subito che io sarò giunto in Sorrento. Fra tanto aspetto risposta di que' Padri, senza la quale non fo risoluzione alcuna.

CXXIX. Jl Sig. Gio, Battista Man so.

Quanto sono contrarie le opinioni fra V. S. e me! lo mi doglio, che nel suo dono de' panni lini abbia donato più che non mi bisognava ,e per conseguen- za gravatomi di maggior obbligo, che non sono atto a portare . V. S. si scusa d' aver fatto poco , o cre- dendo d'accrescer in questa guisa i miei debiti, o

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più tosto, come credo, non mi volendo spaventare con la sua cortesia . Ma perchè io soii tenuto d' es- serle obbligato, non la prego che accresca il primo dono col donar l'obbligo medesimo, e che mi assol- va d' ogni debito ^ ma la supplico che non si sdegni, che il suo nou'ie si legga fra quel di molti altri , dai quali ho per avventura ricevuto minor cortesia. Non le mando le mie Rime, perchè non ho ancora finito di farle, benché abbia cominciato a riordinarle. So- no distinte in molli libri, ma ricopiate in tre gran volumi. Io ho il primo solamente con un comento di mia mano, dal quale non so quanto gusto aves- se V. S. Gli altri due sono in potere del Signor Con- te di Paleno, i cui doni provo simili all' erbe o ai frutti , che nascono spontaneamente senza seme o coltura , come furono ancora quelli di V. S. Porrò tosto mano al mio Poema , e forse a nuova Apologia. Penso ancora alla stampa de' miei Dialoghi, e forse di mie Lettere . Mentre attendo alla contemplazio- ne, vorrei che questo paese fosse simile al Lazio, ia cui si nascose Saturno . L' occupazioni nondimeno son molte, e le forze deboli. Però s'io non avessi trovato chi mi donasse in quel modo ch'altri presta in cred&nxa, sarei disperato di molte cose. Mi sfor- zerò di non fallir con gli amici, sinch' io truovi chi mi faccia dono della salute e della tranquillità del- l' animo ^ ma questo non può esser dono d altra ma- no che di quella d'Iddio. Da lui dunque solamente si dee sperare, ma non meno in questa che in altra, se la carità è ordinala più in questa che in alcun al- tra. Frattanto V. S. mi stimi suo affezionatissimo •, ed avendo superato molli, a' quali forse più s'ap- parteneva nella partenza d' usarmi cortesia , creda ch'io non debbo cedere ad alcun altro nell' affe- zione,e nell'osservanza, e nella stima del suo valore, e della sua gentile ed officiosa natura.

a5^' L E T T E 11 !•:

GXXX. ^ Monsignor Datario .

Da soverchio ardire suol nascere alcuna volta so- verchia paura, come è avvenuto a me per quello che ho mostrato nella prima lettera scrittala V. S. Reve- rendissima , la quale non voglio che sia l'ultima, potendo emendar questo errore di poco rispetto, se cosi le pare, con la riverenza di molti anni . Non- dimemo , s'è lecito di scrivere il vero a chi non pia- ce la bugia , il mio picciol merito non mi poteva toglier questa speranza, parendomi ch'essendo il Papa in terra Vicario di Cristo, e quasi viva im- magine d'Iddio, le sue grazie dovessero prevenire i nostri meriti, come fanno le divine. A me sono sta- te tolte non solo T occasioni e '1 modo, ma quasi l'animo di meritare; ma se con dritto giudicio sarà stimata la buona volontà , non mi spavento sover- chiamente. Supplico nondimeno V. S. Illustrissima, che mi raccolga nella sua protezione, e sappia che lo nacqui non ignobilmente in questo nobilissimo Re- gno, dove assai mi place d' abitare, non potendo abi- tare in Roma, coni' io sperava. Ma essendo male av- visato, non so di che supplicar S. Beatitudlue, se non semplicemente della sua grazia per mezzo di V. S. Illustrissima, alla quale umilmente bacio la mano, pregando Dio , che le dia occasione di consolarmi da

lunga avversità .

ex XXI. A N.N.

La lettera di V. S. non m'ha data tanta occasione di rispondere alle sue cortesi parole, quanta di pre- garla liberamente nelle mie necessità. Io venni ulti- mamente a Napell povero ed infermo, con speranza di ricuperar le facoltà eia salute: l' una per pro- messa (Iella sorella, e l'altra de' medici: ma non aven-

L K T T K n K 2.55

(lo fatto acquisto alcuno iicH' avere, ho perduto qualche cosa della sanità; laonde non ho avuto ar- dire di litigare, benché non l'abbia perduto di sup- plicare, il fjual forse sarà molto maggiore. Ora pre- go Vostra Signoria che faccia ufficio, ch'io possa ri- tornarmene a Roma con qualche grata memoria del- la sua cortesia . E le bacio le mani.

GXXXll. y4l Sig. Conte del Mazzarino .

Vostra Signoria mi trovò così infermo nel corpo ,, come nell'animo disposto a servirla -, ma nel ricever della sua lettera, benché T inclinazione della volon- tà non fosse mancata, era nondimeno cresciuta la malattia: laonde la prego, che scusi la tarda rispo- sta , e T ardimento di pregarla, perchè la necessità fa alcune volte gli uomini arditi ed importuni . Io venni in Napoli con speranza di ricuperar la facoltà e la salute; T una per promessa della sorella e del cognato; r altra per la parole datemi da' medici . Ma non avendo fatto acquisto nell'avere, ho perduto qualche cosa nella sanità , e temo di perdere il ri- manente con la vita ; laonde non ho avuta ardire di litigare, benché non l'abbia perduto di supplicar S. M. Ma sinché io sia in migliore stato , se piacerà a Dio di ricondurmlci , ho voluto mostrar tanta fede in V. S. , quanto volle con le sue parole dettemi al partire, delle quali conserverò sempre memoria. Io pretendeva tre mila e cinquecento Ducati della do- te materna , e questi non credeva che mi si negasse- ro per giustizia; ma per equità sperava, che'l Re do- vesse darmi gli usufrutti almeno di diece anni, che tanti sono passati da quel tempo, eli' io mi partii da Napoli infermo a morte; dappoi ho potuto litiga- re, 0 aver alcuna informazione necessaria per mover lite, pur di chieder grazia a M-. Laonde quaa-

Lete. T.ir. 1

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to é Stata più grave l'oppressione, tanto dovrehb'es- ser più memorabile 1' equità e la liberalità , anzi la giustizia d'un grandissimo Re. Ed a niuno più conviene ricordarli quel che s aspetta a' suoi fedeli servidori. Laonde prego V. S. che se pur non voles- se far quest'ufficio per la nuova amicizia , nella qua- le s'è degnata di ricevermi , non ricusi di farlo per servigio ed onore di S. M., perchè s' a me fosse leci- to di parlar in causa propria, avrei già scritto a S. M. , come amico del vero, e come suo devotissimo servidore, e come nemico di tutti gl'interessi che fossero congiunti con alcuna ingiustizia , o disgiun- ti dalla stia gloria e riputazione, per la quale prego Iddio continuamente, acciocché il faccia il più for- tunato e glorioso Principe della Cristianità, come l'ha fatto il maggiore e più possente. Ma in tanta sua grandezza non dee consentire, eh' io privo de ])e- ni pateriii e materni , privo della sanità, privo del- le benevolenza degli amici, e della carità de paren- ti, muoja miseramente in uno spedale, come son vis- suto raolt'anni . V. S. faccia in modo , che per rnie- sto verno possa tornare a Roma consolato della sua cortesia , e della buona licenza del Re, disperato della salute, e della grazia di S. M.

CXXXIII. y4l Sig. Duca di Ferrara.

Dimando grazia ali A. V., la qual mi possa giovar tanto lontano, quaiito mi nuoce la disgrazia, accioc- ch'io le abbia obbligo della salute, come della li- bertà; e r uno e l'altro dovrebbe esser immortale, finir con la vita, la qual forse è vicina al suo ter- mine. Se V, A. per sua clemenza, e per cristiana pietà si degnerà esaudir queste mie preghiere, io ri- marrò cousolatissiuu) , e pregherò Dio che non sian l'ultime; ma che mi conceda occasione di mostrar-

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le devotissimo l'animo , e conforme a quello ch'io avrei avuto continuando la servitù con V. A.

CXXXIV. ^1 Sig. Ottavio Egizio .

A tre lettere di V. S. risponderò con una solamen- te , perchè non potendola superar con gli effetti, vo- glio ancora cederle nella copia delle parole . lo le scrissi, che non estimo mai vergognoso il supplica- re alla patria 5 ma ciò non basta, se non si porgcn le suppliche ancora a chi le pare più conveniente . Scrivo dunque al Signor D. Pietro di Toledo, pre- gandolo che in questo negozio voglia favorirmi col Viceré, in guisa ch'io conosca, ch'egli non abbia dubitato della mia volontà, e dell' animo slucerlssi- mo ,col quale io le rimasi servidore , e quasi preso della sua cortesia , la quale ivi dovrebbe esser mag- giore , ove peggiore fosse la mia fortuna-, perchè nel- la buona e nella prospera cercherei ogni occasion di servirlo : ma forse non debbo più sperare alcuna prosperità, posso. Piacemi che V. S. cominci a divenir cupido di gloria, perchè altrimente se trop- po si fondasse sovra il liceat, crederebbe di potermi uccidere senza pena, stimerebbe falsa quella sen- tenza di Filemone: Soli medico, et ach'ocato occi- flere licei impune. Ma questa è opiuioue di come- dia , e l mio caso per 1 infelicità di tant'aunl è qua- si tragico, e non manca altro chela dignità della persona, la quale non dovrebbe sempre mancare, s' insieme non mancasse la fede alle parole. Ami dunque V. S. la gloria daddovero , e non s'Inganni con l'opinion popolare, odi coloro che hanno il gludlcio corrotto, perchè non è più certa gloria di quella , che s" acquista col giovare altrui , per la qua- le dagli antichi Esculapio e gli Asclepiadi furono nominati fra gl'hUlii e tra gli Eroi. E questa sareb-

2^8 L E T T r. R t;

he tanto più rara, quanto avrebbe nel giovarmi mi- nor compagnia; anzi m' è stato nociuto finora; ed io non posso accusare altro, che la fortuna. E poiché ha voluto aver il pensiero degli avvocati, non sol quel de' medici, giovimi doppiamente; perchè non è assai dar la vita, se insieme non si il modo di vivere. Ma io non posso dissimular con la patria , che non avendo l'animo inclinato alle nozze, ed es- sendo quasi inabile al matrimonio, e di debole di- ventato impotente, penso agli onori ecclesiastici; laonde grand' obbligo avrei a cotesta nobilissima Città, se m'ajutasse per quelle vie, che sono più si- cure e non meno onorate . Ho scritto al Sig. Princi- pe di Stigliano , e pregherò il Sig. Cardinale, che raddoppi g^^ uiricj . Scriverò al Conte di Paleno; ma prima prego V. S. che mi procuri quel terzo libro delle mie Rime, che s era cominciato a rico[)iare, accioci li in questo almeno la sua liberalità non sia diminuita; perchè non mi riuscendo alcun altro ne- gozio, almen questo non dovrebb' essere vano. Pen- serò allo speziale, e come si possa aver obbligo del mal volontario , o confessarlo almeno per ischivare altro male. Ed aspetto risposta , e quel volume di Rime in tutti i modi.

GXXXV. Al Sì^. Conte di Paìeno .

S'io avessi l'ardimento eguale al modo , che V. S. ha di giovarmi, non le chiederei altra <:i-azia, se non quella ch'io sperava nel venire a Napoli; ma si può dimandare col silenzio, non potendo essere ascolta- lo in altra guisa. Ora di due cose la supplico espres- samente ; r una , che rispondendo Monsignor Illu- striss. Arcivescovo , al quale scrissi per mezzo del Sig. Giulio Larici , sia contento di mandar la lettera in casa del Sig. Cardinale Scipione. 1/ altra , che mi

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mandi quel terzo volume di Piime già coininciato a ricopiare j acciocché non disperi almeno della mer- canzia ; e non le dispiaccia, ch'io le abbia quest'ob- bligo. E baci in mio nome le mani al Sig. suo padre.

CXXXVI. Al Sig. Duca d Urbino .

Vostra Altezza mi maggiore speranza negli ef- fetti, che nelle parole. Ma io degli uni la ringrazio, dell'altre m'assicuro; e non consentirò, che la sua bontà l'esti occulta, perch'ella veramente ha donato in quel modo, che si fanno T elemosine. Ma io ( sia lemosina, o dono, ovvero opera di carità cristiana ^ 0 di liberalità di Principe) in tutti i modi riconosco l'ereditaria cortesia del Duca d'Urbino , e con ob- bligo e con. gratitudine similmente ereditaria. E poiché V. A. col silenzio ha voluto accrescerlo , io non penso diminuire il suo col ragionarne, stiman- do che non si debba pentire d aver preso in qual- che protezione o me stesso, o almen la mia lite. Son richiamato a Napoli , ma non torno volentieri senza maggior quiete d'animo, e più sicura speranza di «alute . Più tosto litigherei per procuratore, non si potendo aver altra certezza della grazia del Re . Do nuova informazione al Sig. Bernardo Maschio di questo negozio, e di nuovo supplico V. A. che vo- glia che la sua autorità in tutte le parti si stenda a giovarmi , non solo in questa casa d'un Cardinale suo amico, dove nel cattivo tempo son simile a' vian- danti, che aspettano il buono, e la serenità del Cielo.

CXXX VII. Al Sig. Bernardo Maschio .

Io scrissi a V. S. da Napoli , e le mandai una sup- plica da presentare al Re , stimando che a' Principi si convenga il far la grazia, a' ministri la giustizia.

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agli amici il supplicare pei- 1' una e per l'altra, ci favorir le suppliche e 1' appresentarle. Ed in vero non so di qiial sarei più contento, perchè nell' una si conoscerebbe la virtù del Re, nell' altra la mia in- nocenza . Ma come devotissimo servidore di S. M., devo preporre la sua gloria alla mia medesima , e pregar Dio che nella restituzion della dote materna sia contenuta quella della sanità, della quale son privo già molti anni per quelle cagioni , che agevol- mente possono esser note al Consiglio di Napoli . Nella supplica si conteneva, come io era prima sta- to invitato alla patria da mia sorella, con isperanza di ricuperar qualche migliajo di scudi , e ciò per giustizia; e poi v'era stato condotto con lettere ài Signori e d'amici, con più certa opinione di racqui- star la sanità. E tutte queste cose possono similmen- te esser sapute dal Gonsigliero e dal Viceré. Ma es- sendomene ritornato così povero e così infermo, co- me v'andai, e con qualche pericolo della vita, e senza veder mia sorella, e col vedere un de' miei ni- poti con poca mia soddisfazione -, penso di fermarmi a Roma con qualche maggiore mia comodità. Laon- de chiedo grazia , per la quale non mi sia necessario Il far lite-, o giustizia, perchè mi si conceda di liti- gar per procuratore, come parve conveniente a mio cognato, se non fu altri, che già molt'anni mi man- dò la forma della procura. Io so di scrivere la veri- tà, della quale son tanto amico, che s' io credessi con la falsità di ricuperare e la roba e la vita istessa? non mi curerei di farlo. Taccio nondimeno alcune cose, per avere maggior risj)elto agli altri , di quel- lo che dagli altri m'è portalo. jAla quante sono le mie tacite querele , tante sono le voci che gridano per me al cospetto della divina giustizia. Ma poiché nel mio slhnzio non è alcuna mia soddisfazione, non dovrebbe almeno esservi alcun mio pericolo, o

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alcun mio danno; e dove niuucatio necessariamente le mie parole, dovrebbono supplire quelle degli al- tri. A Vostra Signoria do forse troppa noja, e più che non ricercano forse le sue occupazioni, o i ri- spetti ; ma perchè è maggiore il bisogno, che m'a- stringe a rimandarle la supplica, sarà maggiore an- cora la sua cortesia e '1 mio obbligo, se vuole eh' io le abbia obbligo di cosa comandatale , o raccoman- datale dal Sis- Duca d Urbino. Ma io in tutti i ino- di penso d' esserle obbligato; e perchè V. S., per lun- ga esperienza di trattar co' grandissimi Re in una Corte nobilissima , sa i modi che son più convenien- ti, basta ancora ch'ella voglia obbligarmi .

GXXX\ III. Al Sig. Duca di Ferrara .

Io mi doglio deir infermità di V^. A., e vorrei nou crederla , perchè mi fosse creduto che niuno se ne dorrebbe più di me, s'io la credessi. Ma se la divo- zion mia , e la costantissima volontà, con la quale io desidero la conservazione della sua vita , e del suo Stato, e della sua riputazione, e d'ogni altro suo tene, è fra le cose incredibili-, io non posso se non pregare Iddio, che dimostri la verità cb' io le scrivo, col miracolo della mia vita, perch' è vera- mente miracolo , eli' io viva tanti anni con la sua disgrazia, e con tanto disfavore , quanto ha voluto eh' lo abbia da tutto il mondo. Ma questo mira- colo potrebbe contentarmi sen/.a la sanità di V. A. Pero non sono più tanto sollecito della mia, che del- la sua salute, non potendo ancora disperare, che mi debba concedere col perdono 1' allegrezza d'esser ri- sanato , o almeno di conoscere che i medici s'affa- ticano di guarirmi. Ma io conosco quanto poco op- portuna sarebbe la commeuiorazione della mia in- fermità in quella di V. A._, alla quale s'io ho accre-

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sciula qualche molestia , prego che mi perdoni que- sta con l'altre colpe , 0 errori più tosto , perchè nel- l'intenzione non è alcuna colpa . Così N. S. le con- ceda lunghissima vita e gloria immortale, ed accre- scimento di ricchezza e di prosperità, e me faccia ^egno delle sue raccomandazioni.

CXXXIX. Al Sig. N. N.

Non so, se nel rispondere a V. S. sian più quell» cose ch'io vorrei concedere, o quelle alle quali debbo contradire , perchè la mia partita non fu im- provvisa, come dice^ ma deliberata molti giorni, anzi molli mesi prima , e pubblicata e con le mie parole e con le mie lettere a' padroni, a' parenti, agli amici, da' quali ancora fu ritardata oltre il mio proponimento. Laonde agevol cosa per mio avviso sareblx; stata a' Signori Napolitani il rimandarmi consohito a Roma, poicliè Li mia fortuna non avea consentito, ch'io mi fermassi contento a Napoli. Oltre a ciò non dovrei tener memoria di quelle me- dicine, delle quali non ho avuto molto giovamento. Ma questa è picciola controversia della patria . Ma più d'ogni altra cosa debbo negar credenza al dolo- re, che dite che la Città ha mostrato per la mia par- tita, perchè ciò è delto quasi per gioco*, altrimenti io sarei obbligalo a contentarla con la morte. Con- cedo poi di leggieri, che mi sia mandato qualche ajuto per trattenimento di questo verno, anzi io ne supplico ciascuno per e tutti insieme, perchè non può essere in alcun modo vergognoso il suppli- care alla patria. meno mi sarà grato ogni ufficio, che sia fatto col Viceré e col Sig. Pietro di Toledo, acciocché licral 11 mandarmi questo trattenimenlo 5 e benché le cose oneste dovriauo esser lecite in tutti i tempi ^i in tutti i luoghi, e niuna sia più onasta ,

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che'l sollevar gli oppressi irragionevolmente; non- dimeno io non avrei inai voluto ricevere alcun favo- re da'Signori Napolitani con dispiacere di S. tee. Anzi se in modo alcuno gli è dispiaciuto ch'io ve- nissi nel Regno di Napoli senza sua licenza , nie ne doglio oltre misura, e gliene chiedo perdono, e per l'avvenire la supplicherò che voglia donarmi la vi- ta, e comandar che mi sia restituita la sanità: in al- tra guisa io non veggio come poter essere sicuro , sano . Fra tanto schiverò tutte le occasioni che possono irritarlo, pregando Iddio chea S. Ecc. con- ceda felicità, a me salute, ed a voi altri tutti volon- tà di giovarmi nella patria e fuori . Della mia lite scriverò un'altra volta quel che mi piace, ma prima aspetto di conoscere la cortesia , e poi la giustizia de'Siguori Napolitani. Al Slg. Principe di Stigliano credo che il Sig. Cardinale scriverà in modo, che V. S. sarà soddisfatta . E le bacio le mani.

CXL. Al Sig. Ottavio Egizio .

S' io potessi gloriarmi, o se mi fosse lecito di van- tarmi d'avere accresciute le ricchezze della patria con quelle d' alcun suo nemico , come fecero Me- mio, Levinio, Lucullo ed altri Romani, niuu' altra cagione per avventura dovrei addurvi, per la quale io meritassi d' esser da lei sovvenuto in questa ne- cessità; perciocché del giovamento che si fa alla pa- tria , tutti deono aver qualche parte in quella guisa, che tutte le membra participano del buon nutrimen- to del corpo. Ma s'io le sono stato inutile , ella il sa , perch' io non posso a lei rimproverare alcuna cosa, debbo; ma molte a me stesso. Dogliomi nondimeno di tion averle apportato tanto onore e tanta gloria , quanto utile e comodità ha potuto spe- rare dagli altri meno affezionati; e solamente mi

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consolo nella mia coscienza , avvegnacliè io bo sem- pre desiderato che tutti coloro, che hanno dritto co- ri osci me alo , sieno amici della sua riputazione e della sua grandezza ; anzi che non abbia alcun ne- mico. JNon posso dunque averle procurato utilità de' nemici; e se nemici sono gl'invidiosi della sua gloria, allora mi parrebbe d'aver adempiuto il mio desiderio^ che le sue lodi fossero ascoltate senz' alcu- na malignità; ma il superar 1 invidia sarebbe più tosto operazione del suo valore e del merito, che di alcun mio studio, o artificio, e non si cercherebbe la causa , per la quale mi avesse sollevato da questa miseria. Chi chiede la causa delle cose divine, se non l'hanno, o se, avendola, è occulta albi nostra in- vestigazione ? E se la carità è divina cosa, an/.i è Dio medesimo, chi chiede la causa della carità? chi della clemenza? chi della liberalità, chi della pietà, chi della giustizia? E in questo mondo, eh' è tutto pieno di cortigiani , chi deve andarla cercando del- la cortesia? Non si chiede la causa della virtù. Qual più sciocca dimanda che 1 dimandare, perche Napo- li ha fatte l'opere della misericordia? o perchè al- cun Principe voglia esser liberale e magnanimo ca- valiero? Ma se in alcun modo fosse lecito il chieder la cagione della virtù, non si dee render per cagio- ne l'utilità, o assegnar la comodila, o 1 interesse, o recare in mezzo la fama e l'ambizione, che sono co- se più basse; ma ritrovar le più sublimi della virtù medesima, come è Iddio, il quale è prima cagione di tutte le virtù e di tutte le buone operazioni . Iddio dunque inspiri i Signori Napolitani e tutta la città , e particolarmente il Viceré a render la salute all'in- fermo , la patria allo sbandito, la quiete al travaglia- to, l'onore a chi a'?' privo ingiusfcamente , la gra- zia a chi l'ha perduta, e già molti anni sono infeli- cemente la ditnanda; laonde non cri'de più d'arriva-

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rea lempo d'impetrarla. Vcranienfe II sospetto del- la mia infermità va sempre crescendo, perdio tutti i segni mi spaventano, e specialmente 1 orina , con la quale esce T istessa materia fecciosa e spumosa, che'l Sig. Antonio Pisano, e V. S. hanno potuto ve- dere in ]Napoli quest'anno passato. E se la cagione non è qualche putrefazione, o corrosione degl'in- testini, 0 delle viscere, non so indovinar quel ch'el- la sia,o perchè non possa cessare con qualche me- dicamento, 0 con qualche buona regola di vitto. A- vrei grand' obbligo al Sig. Gio. Antonio, che ne scrivesse il suo parere a questi medici , che sono al- la mia cura, acciocch' io potessi sperar la salute , sei male ha qualche remedio^ e se ncn l'ha, mi fosse almen conceduto d'acquetarmi nella dispera- zione del mondo, o più tosto nella speranza d'Iddio, che solo è buon medico delle nostre infermità. In questa occasione più eli' in alcun' altra desidero di conoscere la cortesia di quel Signore, e l'amorevo- lezza di V. S., e direi la carità di cotesta nobilissima città, se a colui, al quale si negano gli ajuti ordi- nar] e vicini , fosse lecito di chieder gli estraordi- nari ed 1 lontani . Ma certo la gloriosissima città di Napoli avrà sempre causa di bene e nobilmente 0- perare, ed io di sperar nelle buone operazioni.

CXLI. j4l Sig. Principe di Stigliano.

La nobiltà , la ricchezza, il felice stato, la buona fortuna di V. E,ccellenza inducono molti a diman- darle qualche grazia; la sua cortesia, la liberalità e r altre sue virtù non spaventano altrui con la ripul- sa , o col negar delle sue risposte . Laonde alcuno fra tanti , che sono affezionati al suo nome ed al suo va- lore, non può essere stimato soverchiamente ardito in supplicarla, troppo importuno in raccoman-

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darsele . Ed io molto meoo Òe^Vi rdtrl, perchè la mia fortuna e 1 infelicita mi può far lecite tutte le cose, elle non sieno disgiunte dall' onesta-, quanto più que- sta grazia, che sarà congiunta con la virtù di V. Ec- cellenza chela concede, benché fosse scompagnata dal merito di chi la dimanda. E con tutto ch'io me- riti meno di tutti gli altri per alcun servizio fattole, V. Eccellenza meriterà più di ciascuno in conce- derla a chi non V ha servita. Pero non dimando gra- titudine al Principe di Stigliano, ma grazia-, perchè quella non si può negar senza vizio e senza ripren- sione , ma questa si può 5 e potendosi, sarà maggior la virtù di V. Eccellenza nel farla, che la mia nel ri- ceverla. A lei si conviene d'esser graziosa^ a me s'appartiene d'esser grato. E s' io non fossi con l'opere, sarei almeno con l'animo; ma in tutti i mo- di cercherò che V. Eccellenza non si penta d'aver fatto favore a requisizione del Sig. Ottavio Egizio, col quale io tratto molte cose appartenenti alla mia salute ^ ed alcune alla comodità de' miei studj .

CXLII. y4l Principe di Bisignano .

Ringi'azio V. Eccellenza del cavallo promessomi , ed avrei aspettato di render le grazie più compita- mente dopo il dono, se non fosse eh' io non dubita di porre alcun quasi freno alla sua liberalità, poi- ché a V. S. Illustriss. non è piaciuto di porlo «Ila mia confidenza. Le rimarrei con molt' obbligo per un mansuetissimo e picciol cavallo e bello, quanto si conviene alla mia condizione; perchè s' io dicessi quanto si può aspettare dalla sua cortesia , o parerei troppo presuntuoso , o troppo cupido d' acquistarmi un amico senza suo comodo : e vorrei servirmene questa state o tornando a Napoli , o non tornando; benché neli' un caso le sarei obbligatissimo , come

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fosse SUO piacere ; nell'altro . come ho deliberalo . E le bacio le mani .

CXLIII. u4l Gran Duca di Toscana.

Quanto io son meno atto e per natura e per costu- me a prender l'occasioni, tanto ho maggiore speranza della grafia di V. A., perch'ella dovrebbe esser con- forme alla mia aflezione, la c|uale non consiste in cosa momentanea, ma perpetua. La supplico adun- que elle mi perdoni , se nella venuta del Signor Don Virginio suo nipote, e nella partenza del Sig. Car- dinale del [Monte, io non ho saputo far altro che raccomandare a V. A. me stesso e '1 mio negozio. Spero di riconoscere nel Gran Duca di Toscana il Cardinale de' Medici, perchè queste mutazioni, qualunque siano della fortuna , non d^ono essere della natura.

CXLIV. yil Signor Conte di Paleno.

Lidi servitù da me cominciata con V. S. Illustriss. mi tuttavia fede di supplicarlo così di lontano, ch'io non ho di c!ie temere per questa cagione, ben- ch' altri potesse stimare eh' io fossi troppo irresoluto, siccome colui clie più si iida di scrivere che di par- lare. La prego dunque clie voglia mandarmi trenta scudi per questo viaggio eh' io penso di fare ai ba- gni, e potrebb' essere ch'io non venissi nel Regno a que'di Pozzuolo , ma andassi a que'di Viterbo, o di Lucca per un' altra occasione, dalla quale sento invitarmi in Toscana. Laonde la supplico che non voglia aver riguardo alla mia avversa, ma alla sua prospera fortuna, non alla «nia depressa condizione, ma al suo alto grado, non al mio picciol merito, ma alla sua gran liberalità, e non consenta che sia al-

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cun difetto nella sua cortesia , benché fosse nelle mie preghiere. In questa guisa può molto accrescer r obbligo mio senza diminuire in alcuna parte la iua riputazione. E le bacio le mani .

CXLV. ^ Messer Alessandro Grassi .

Io non voglio esser più importuno a V. S. di quel che consenta la vostra o la mia fortuna, perchè la mia è pessima, e molto inferiore al mio merito, ben- ché la vostra non sia in parte alcuna eguale all' in- dustria e alla cognizione che avete di molto cose. Piaccia a Dio, che fra l'altre possa V. S. conoscer la mia gratitudine, e 1' animo ch'avrei di farle piacere ^ e sarà cortesia il prestarmi credenza . lo so che oltre tutte le buone parti è cortesissima ; laonde per uno amico e parente, come io le sono, non dovrebbe ri- sparmiar le parole e i pa»si . Io non iio avuta questa settimana risposta del Sig. Orazio Feltro^ pero scri- vo al Sig. Come di Paleno per occasione d' un mio negozio, o più tosto della mia salute, perchè queste cose sono assai con<iiunte.

CXLYI. yél Sig. Reggente Perricaro .

S io non fossi tanto amico della gloria e della ri- putazione di S. INI., e della grande e felice fortuna di Spagna, quanto della mia salute medesima e del- la quiete, non ardirei di supplicare, e non avrei osato di chieder cosa che non mi fosse offerta , o di sollecitar grazia, alla quale io non fossi quasi pro- vocato. Supplico adunf[ue V.S. che s interponga fra la giustizia del Viceré e '1 riposo de' miei studi, ac- ciochè sia le.ito alla città di Napoli il donare ad un })Overo suo gentiluomo, il consolare un afflitto, e il risanare un infermo, il quale non si curerebbe della

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vita, scia sua morte potesse accrescer l'Imperio di S. M. , e la buona opinione che si deve avere della carità di cotesti Signori . Fra tutti è principalisslnio il Viceré nell'autorità, e dovrebbe esser riguarde- volissimo ueir esemplo. Io avrò grande obbligo a V. S. degli eil'etti ; ora la ringrazio che non si sde- gni ,ch'io dimandi questa grazia col suo mezzo e col suo favore. E le bacio la mano .

GXLVII. Al Sig. Ottavio Pisano .

Mi doglio che V. S. m' assomigli più tosto al ca- vallo che al cavaliero: ma pe'r avventura facendomi slmile ad una bestia , ha creduto Hi farmi eguale al Petrarca , il qua! disse di se medesimo, ma in per- sona di Laura :

Questo fu quel che ti rit^olse_, e strìnse Spesso come cavai fier, che 'vaueggiti ; e neir istesso luogo:

Talor ti vidi tali sproni al fianco, CK io dissi: qui convien più duro morso; ed altrove:

Mi tiene a freno , e mi rivolve, e gira . Ma quel ch'avvonrx; al Petrarca per soverchio amo- re, non eslimo che a me possa avvenir per ira o per altra passione^ perchè gli animi gentili sogliono più agevolmente concedere il freno di se medesinil al- 1 amore, che agli altri affetti, lo quanto posso mi guar- derò, acciocché l'animosità non toglia il governo di mano alla ragione, e mi sforzerò d esser cozzone, se non d'altrui, almeno del mio desiderio. Ma se Na- poli è somigliala ad un grande e pigro cavallo, poi- ché si muove così tardi air opere, che dalla sua ma- gnanimità possono aspettarsi, foss'io come nn. ve- spone , affinch ella si movesse prontamente all'acu- me delle mie parole, o almeno fossi come una zan-

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zara, che sonando la tromba , ed insieme pungendo potessi risvegliarla. Ma non vorrei tanto variare que- sti desideri della trasformazione, ch'io mi trasfor- massi In Anacreonte^ poiché in questo secolo la pia- cevolezza di Socrate sarebbe troppo odiosa . AH' in- fermo troppo dispiace 1' esser burlato, non potendo prendersi giuoco degl'altri. Ed io sono con la me- desima infermità, la quale per non esser una, semplice, ma di molte quasi nature, s'assomiglia alla chimera; e per vincerla converrebbe eh' io fossi un nuovo Bellerofonte , come V. S. scrive. Conside- ri nondimeno il Sig. suo padre, s' io debbo ricorre- re ad altro oracolo che al suo medesimo , per l'in- terpretazione di queste parole -, e concedendogli io , che i mali non sieno solamente tre, ma in maggior numero, non voglia sdegnarsi d'aver superato que- sto mostro, lo il paragonerei con gli Asclepiadi , e con Esculapio; ma se più gli place il paragon d'Er- cole, il prego che a guisa d'Ercole voglia combatte- re contro l'idra de' miei pensieri, perchè in questo modo posso chiamarla malinconia e il timor di mol- ti morbi, anzi di molte morti; laonde troncandosi un sospetto, subilo nascono due altri in quella ve- ce . Faccia quest'azione eroica; non sia scarso del suo consiglio all' Infermo , del rimedio , della consolazio4ie . Non scrivo a sua Eccellenza, stimando che basti di scrivere a V. S., e di pregarla che m'av- tÌsì del suo parere avanti la mia partita, acciocch'io possa conferir la sua opinione con questi medici, e risolvermi , come posso. !VIa sappia ch'io venendo, verrei non alle fatiche, ma al riposo ; non a far una esperienza della mia fortuna e del mio senno, ma della sua dottrina e della liberalità de' Signori Napo- litani; in somma non alla mercede, ma alla grazia : laonde vorrei esser certo dell' albergo e tlell'altre co- se nocc-sario , perchè son povero, come lutti sanno»

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c degno di compassione più che molti non sanno. E le bacio le mani.

CXLYIII. Al Sig. Duca d'Urbino,

La buona intenzione dovrebbe esser salda come la colonna , o la base, nella quale s'appoggia la sta- tua. Pero non vorrei che per alcuna mutazione, o per altro accidente di fortuna si potesse mutare quel- la onesto proponimento , col quale spesse volte io mi sono raccomandato a V. A. ; e bench'io tema di pa- rerle importuno, avrei maggior temenza , ch'ella non mi stimasse disperato della sua e d'ogni altra grazia. Molte nondimeno son le cagioni della dispe- razione, l'Infermità invecchiata, i rimedj e le medi- cine, che mi nocciono, l'occasioni perdute, la po- vertà, il disfavore, la mala opinione, che ingiusta- mente hanno molti della mia natura e del mio co- stume, le promesse fallaci , la quiete de' miei studj perturbata , l'azione impedita, e in somma 1' una e l'altra vita negatami con spavento dell'una e dell'al- tra morte, dico del corpo e dell anima, perchè quel- la del nome non è di tanta considerazione .^ E se fos- se lecito il disperare, non furono mai più belle oc- casioni di queste, che son vicine, o presenti. Ma pur se non è in tutto morta, o sbandita dal mondo la fe- de, la pietà, la giustizia, la religione, dovrei sperar qualche ajuto alla mia infermità , la quale è quasi una vecchiezza avanti il tempo, e qualche consola- zione, almeno alla povertà. Io sono ancor vivo, e benché 1 medici non mi disperino della vita, stimo questo inganno, e mi doglio d'ogni indugio, aven- do letto che la tardanza è lodevole In tutte l'arti, sal- vo che nella medicina . E tanta è la ragione ch'io ho d'importunarli, che nel mio negozio di Spagna pos- so parer negligente, anzi che no . Ma l'autorità di

T. ir. ib

•in7. LETTERE

V. A. può superar questa ed ogni diflficoltà; e vor- rei riconoscer questa grazia più tosto dalla sua cor- tesia, che da' miei meriti medesimi , se mi fosse con- ceduto di meritare, o se'l merito fosse conosciuto, o se la volontà di schifare il demerito non fosse puni- ta. L' addiraando adunque per suo mezzo, polche non posso trattar con altri, e se potessi , non ho pia- cer, né pazienza di farlo; e l'addimando così tardi, che potrebbe prima arrivare a V. A. 1' avviso della mia morte, che a me quel della sua grazia; e la di- mando senza numerar le mie avversila, o 1' altre sue cortesie ; perchè non voglio esserle molesto con le mie calamità, con le sue lodi medesime, contaminarla sua onoratissima fama e quella de'suoi antecessori con le mie infelicità, parendomi che luna e l'altra materia debba esser così separata , come è la luce dalle tenebre, e'I cielo dalla terra , o la glo- ria dalla pena.V. A. è dignisslma di gloria; lo se non indlgnissimo di pena, almeno non immeritevo- le di perdono; e chiederei più tosto il perdono, del premio, s'io fossi così volentieri ascoltato nell'una e neir altra dimanda. Ma flnora in Roma non sono sta- to udito, non che esaudito; e, s'Io volessi per suo mezzo ancora chieder 1' udienza , aggiungerei fasti- dio a fastidio , e quasi temerità a temerità. La sup- plico adunque per conchiuslone di questa lettera, che la sua autorità mi giovi non solamente nel conse- guire, ma neir aspettar la grazia ; almeno m' assicuri nel domandarla . E le bacio la mano.

CXLIX. yJl Cawalier Tasso.

lo non posso tanto dolermi con V. S. per la mor- te del Sig. Cristoforo suo fratello, quanto mi doglio fra me stesso; consolare altrui, avend' io bisogno di consolazione. scrivo a Vostra Signoria per di-

LETTKRE '>-'] 5

mostrarle l'affanno eh io ne sento, perchè o la mia affezione non ha bisogno di testimonio, o questa let- tera non è bastevole . penso di lodarlo quanto r amai , o quanto egli merito , perchè i suoi meriti furono quasi infiniti, come il mio amore: laonde la morte , eh' è termine di intle le cose non può termi- narlo^ ma le lodi di quel virtuoso Prelato dovreb- bono aver qualche meta, non dico nella lunghezza del tempo, perchè vorrei che fossero perpetue, ma nell'ampiezza delle mie scritture. Mai ninna morte mi fu più acerba , perchè non stimai alcuno più de- gno di lunga vita e d'immortalità. Ora il suo mori- re fa ch'io penso a me stesso, e alla partenza di que- sto mondo; perciocché essendogli studj i medesimi, e simile la complessione , e l' infermità non mollo diversa , e 1' età quasi 1' istessa , non può essere mol- to dissimile il fine. Egli mi precorse, e mi fece qua- si la strada nel venire in questa vita; ora con la sua santa e cristiana morte m' insegna , co-me si debba morire; perchè se '1 morire è accidente della turtu- na, o effetto della natura, o volontà d'Iddio, il ben niorire è nostra elezione e sua grazia. Non può la sua morte esser dissimile dalla vita: la vita fu lo- devolissima ; tal conviene che sia la morte . Questo e suo merito; ma ch'ella sia lodatissima , s'appartiene alla carità degli amici, de' fratelli e de' parenti . lo che sono stato fra gli ultimi a piangerlo per la distan- za del luogo, per la debolezza dell' ingegno, e per gli altri impedimenti della fortuna , sarò fra' più tardi a lodarlo. F'rattanto quasi pentito di quel che le avea scritto in principio, prego V. S. che si voglia con- solare con r esempio de' prudenti , e con la sua pru-^ denza medesima , con la quale ha superati tutti i ca- si della fortuna : e pensi che questa vita è simile ad un fiera solenne e popolosa, nella qual si raceoglia grandissima turba di mercanti , di ladri e di gioca-

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tori . Chi primo si parte, meglio alloggia ; clii più indugia , si stanca, e miseramente invecchiando di- viene bisognoso di molte cose ; è molestato da nemi- ci , è circondato dall' insidie, ed altìn muore infeli- cemente . Da morte così fatta assicura V. S. la sua virtù. Io della mia non posso tanto confidarmi, e so- no spaventato dalla mia fortuna. Pero estimo d'aver perduto molto nel Sig. Cristoforo, e'I danno è irri- storabile, se dall' amorevolezza di V. S. non è risto- rato . Air incontro troverà in me l'aflezione del fra- tello, benché in vano potesse desiderar la dottrina, il consiglio, la gravità , la costanza. Ma se la peidi- ta non fosse gravissima, non avrebbe cosi bella oc- casione di mostrare la sua virtù , con la quale si può consolare e co fratelli, e co tìcjliuoli, che ne sono eredi. Ma sovra tutto la consoli il Sig. Iddio, eh' è padre d' ogni consolazione.

CL. Al Sig. Curzio Ardizio .

Maggior felicità sarebl)e stata la mia , e maggior lode di V. S., ch'ella prevedendo il mio bisogno, avesse con la sua cortesia prevenute le mie pregìiie- re . Ma non sarà mica picciolo il mio obbligo, o '1 suo merito, s' almeno i miei prieghi faranno con lei qualche effetto. Sono in Roma, e tanto mi piace la stanza , quanto mi doglio della mia fortuna , perchè poche speranze m^avanzano, oltre quelle di Napoli. Ma sarà molto malagevole, ch'io possa tornarvi alla quiete de' miei studj , o standone lontano veder il fi- ne d'alcun negozio. Il Sig. Duca vostro può favorir- mi per la via di Spagna:, ed io ne l'ho sup[)licalo. 11 Gran Duca similmente. Ma per Io parentado ch'è fral Sig. Don Pietro di Toledo e S. A., tutte le cose le saranno più facili. Potrebbe ancora comandare al Sig. Cammlllo de' Medici , cb' accentasse la mia pro-

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cura, e spedisse la lite. Non ho con S. A. altro mezzo del Sig. Card, del Monte; ma sinora non ho avuta risposta, benché il Sig. Cardinale promettesse di pro- curarmela. Prego V. S. che in questa occasione vo- glia ajntarmi quanto può, acciocché la cortesia di quell Illustrissimo Signore sia conforme alle sue pa- role , S'io avessi, non dirò danari, ma vita abbastan- za, penserei di passare e di ripassare II mare. Noa m'essendo ciò conceduto dalla mia fortuna, non vor- rei trovare intoppo nel passare e ripassare questi no* stri monti ; mi piacerebbe che la peregrinazione avesse altri confini del mare Adriatico, o del Tirre- 1105 e s'io potessi fra questi termini ancora ristrin- gere la mia fama, stimerei d'aver minore impedi- mento alla vita quieta, la qual di gran lunga dovreb- be essere anteposta all'ambiziosa, non dico da me solamente, ma da coloro che spiegano felicemente le vele dell' ambizione al vento della fortuna. A me sia porto la filosofia, e sia quello appunto ch'io descris- si nel mio Dialogo. Attendo a' miei studj quanto pos- so , ma son impedito dall'infermità e dalla povertà: laonde ho conchiuso che sia assai vero quel detto, che pj'ìus oportet ditari j postea philosopliarij e s io fossi nella dottrina simile a Talete , penserei di ar- ricchire COSI col vinOj come egli fece con l'olio. Nel- la stampa dell' opere mie dovrei aver qualche spe- ranza , se mi fossero conceduti i privilegi , perchè vendendosi a mio modo , se ne potrebbono ritrarre molte centinaja di scudi; già penserei di vende- re il Tasso per cedro , come facevano i mercanti d'Ida , ma il Tasso per Tasso; laoude per la since- rità almeno mi si dovrebbe prestar credenza . Io ho scoperti al Sig. Ardi/ào molti miei pensieri , e quasi dlsefi-ni della vita contemplativa. Ajutaterai a viver molto ed a scriver poco, acciocché l'obbligo non sia

■2'jG L t: T T E R r.

breve , come la vita-, ma perpetuo, come le composi- zioni fatte accuratamente. E le bacio le mani .

GLI. ^l Cardinale del Monte .

DI ninna cosa mi sarei più doluto che della par- tita di V. S. lllustriss.j s'ella non fosse andata a Fio- renza . Ma poiché può tanto favorirmi con la presen- za appresso cotesto Sereniss. Principe, quanto io non saprei chieder con le mie lettere, spero ch'almeno sarò consolato di questo dolore , benché non fossi ristorato d'altro danno. Dal Cardinale de Medici ho desiderate tutte le grazie ch'egli potesse farmi, ed io ricevere 5 ora eh' è fatto Gran Duca di Toscana, non dovrebbe in S. A., esser diminuita l'autorità di giovarmi, ma cresciuta con la potenza. Della buona volontà non dovrei dubitare, non essendo nella mia alcun fallo. Ma dove mancasse il mio merito, o l'al- trui grazia, potrebbe supplire quella di V. S. Illu- striss., perché non si chiamerebbe il suo favore , ma debito, se fosse impiegato in persona meritevolissi- ma . Se manca dopo la cognizione di molti anni co- sa alcuna all'intrinsichezza , non dee mancare alla sua cortesia. Nel mio negozio di Napoli non posso esser tanto importuno, quanto mi bisognerebbe, perchè scrivo con poca speranza di salute, e eoa molto sdegno della mia fortuna; e tutte le risposte potrebbono esser tarde con le grazie. Per esser rac- comandato al Papa, è prima necessario ch'io sia raccomandato al Gran Duca. L'uno sarà ufficio con- venevole alla bontà di V. S. Illustriss. ,1' altro all'au- torità di S. A.

CLIl. Jl Sig. Orazio da Feltro .

V^ostra Signoria continova nel medesimo proponi-

r. K T T K R R 277

mento di prendersi giuoco di me, non solo col tito- lo d Eccellentissimo, agguagliandomi al Gran Duca, ma collocandomi prò tribunali cfuasi in maestà, e volendosi rimettere al mio giudicio. Ma giudice sono, critico, s'altro è l'esser giudice ed alti'O critico; e se la diversità della lingua non dee far di- versità nelle cose, bastivi, Signor mio, ch'io vi sono tanto amico, quanto della verità. Così mi pare di concedere più all'amicizia, che alla filosofia, e d'am- modernarmi quanto si può. Non si maravigli adun- que, s' io mi ricordo ancora delle calzette promesse. Degli alberelli non parlo, e non so s'io debba ri- putar grazia, 0 disgrazia il non averli ricevuti. La mia venuta a Napoli pende tutta dal parer de medi- ci , 0 più tosto dal volere . Fra gli altri un de' nostri ha promesso di visitarmi. S'io non verrò,!' una delle due cose stimo necessaria: o che'l Signor vo- stro fratello faccia pubblicar la Scomunica, ed agiti la causa, o che rimetta la procura al Sig. Gammillo de' Medici , se vorrà accettarla. Avrei mandato vo- lentieri le mie Rime in mio cambio; ma voleva es- ser certo ch'elle fossero pubblicate; perchè altra cer- tezza non ricercava , e dell'altre cose mi doveva as- sicurar la vostra cortesia. Mando un sonetto al Sifj. Pietro Antonio : V. S. si degni di presentarlo . Al Sig. Duca feci una breve lettera, ma non l'ho ri- veduta ancora .

CLIII. ^41 Sig. Conte Paleno .

[medici sono così discordi d' opinione, come i Principi . 1' una concordia senza l'altra mi gio- verebbe. E benché nelle foglie e nel tronco p^ija gran conffìrmità di pareri, la diversità nondimeno è nelle radici . Io desidero di venir ai bagni , e farò quel eh' io posso, 0 quel che m'è conceduto. Ma in

0.']^ L t; T T E n F.

ogni accldenle prego V. S. che non si penta di aver- mi usala cortesia , o d'averla promessa ^ e volendo mandare i trenta scudi , potrà darli a Messer Ales- sandro Grassi portator della presente, acciocch'egli sia testimonio della sua cortesia e del mio debito. Io a ninno altro mi confesso più volentieri debito- re, né per tacere, o pubblicare il debito posso esser più,o meno obbligato-, e benché la mia infermi- tà fosse ec.

CLIV. yél Sig. Cardinale del Monte .

Io non so ancoi'a , sei Gran Duca si sdegni ch'io gli dimandi alcuna grazia, o se V. S. Illustriss. vo- glia eh' io supplichi per altro mezzo. Ma qualunque fosse di queste due cose, niun maggior dolore po- trei sentire nelle mie avversità, perchè la mia dispe- razione sai-à congiunta con la disgrazia di S. A., e la mala soddisfazione col disfavor di V. S. Reverendiss. Sono povero ed infermo , e forse più vicino alla mor- te di quel che stimo io medesimo. Ma la povertà, che per tutte l'altre cagioni non mi peserebbe so- verchiamente, m'è troppo grave per esser impedi- mento della medicina. Supplico dunque V. S. Illu- striss. che mi favorisca con questi fortunati Medici; ed acciocché possa farlo con buona occasione, le mando una mia picciola composizione , la qual di lettera è divenuta orazione, non come dice Orazio : si arnphora ccepit institui , currente rota ciir urceus exit? ma più tosto in quella guisa che la malva e la bieta fanno quasi i rami , e si mutano nella figu- ra degli alberi. Pensi V. S. Illustriss. che tutto quel- lo che da me fu scritto al Cardinal Gonzaga , sia scritto a lei medesima, perché questa di Roma é u- na Corte sola, benché sieno molte le cose. Laonde io non muterei agevolmente fortuna per mutare abi-

L K T T !• R E 279

lazlone. Nondimeno la ricerco, e vorrei trovarla ta- le ch'io potessi rallegrarmene. Mi pare quasi pas- sato il tempo d'andare a' bagni di Pozzuulo 0 agli altri ; nondimeno potrei mutar opinione , se 1 Gran Ducami favorisse con sue lettere. Io pensava di mandarle qualche mio componimento questa setti- mana ^ ma in tutte le mie azioni son tardo; e se non sono prevenuto dall'altrui gra/.ie, la mia favola è finita. Per vivere mi son necessari tutti i rimedj , e non ardisco di chiederli a S. A., ma non posso dubi- tar di pregarne V. S. lllustriss., cui bacio la mano.

CLV. Al Sig. Cardinale GoJizaga .

Gran miseria veramente é l'esser dal padrone ab- bandonato nella necessità, dall'amico nell'avversi- tà, dal medico nell' infermità I Ma io non voglio o- ra turbar l'animo di V. S. Illustriss. con le querele dell' amicizia e della servitù, farle quasi parte di tante mie tribulazioni , avendolo ella a me negato di molte sue prosperità. Nondimeno in quel che ap- partiene al medico ed alle medicine, io non posso tacere il dolore, dissimulare l'ingiuria, sof- frire il disprezzo ; ma prego V. S. Illustriss. che vo- glia con pazienza legger questa lettera , poiché non ha voluto in questa materia ascollarmi più lunga- mente. Fu opinione degli stessi eretici, de'Nova- ziani dico , il negare l'indulgenza e la medicina; laonde quella medesima Chiesa , la quale escludendo questa e tutte l'altre eresie, raccoglie me, che di tut- te sono acerbissimo nemico, dee senza dubbio con- cedere il perdono e 'l medicamento . Non dicit fa- milia tua: sana sunij ìuedicuin non requiro ,• sed dicit: sana me, et sanabor, salva me, et salvabor . E s'io, com è piaciuto a V. S. illustriss., sono parte di questa famiglia , posso pregar per tutti , e per gli

sSo T. r T T F. V.

altri pregando non debbo solo essere nella malattia trascnrato,e quasi alla discrezione della fortuna conceduto. Altrimenti sarei simile a quel semivivo, che fa lasciato nella strada dal Sacerdote e dal Levi- ta, e raccolto dal Samaritano. Ma debbo aspettare il Samaritano, che mi curi con l'olio e col vino? E clii vorrà es er simile al Samaritano i' poiché molti sou somiglianti a'Nuvaziani . i^da la venuta del medico, che in questo punto ha interrotto il corso della mia lettera , non ha mutato il rtrop onimento di scrivere a V, S. ìHustriss. Dico adunque o!ie scaccia il Plato- nico i medici, gli scaccia il Romano, gli scaccia Teretico-, ma con diversa intenzione. Avvegnaché quella de' filosofi e degli uomini civili non fosse molto da riprendere^ ma perversa e pessima fu q'Jel- la dell'eretico. iMa ne 1 Platonico, 'l Romano, l'eretico discaccia gì' infermi. Potrei dunque l'infermo esser discacciato dalla Chiesa? E s'ella non esclude gì' infermi, come può escludere i medi- ci ? Se Cristo é il medico , chi esclude i medici esclu- de Cristo medesimo. Molto meglio sarà scacciar la perversa opinion di coloro, i quali hanno voluto in- trodur questo errore nella Chiesa, e di negar la me- dicina, eh' è pessimo errore, o di contaminarla, che pessimo tra' pessimi. Oserei di nominarli, perché uhi spiritus Domini est_, est libertas : dovrei però temer in Roma d'esser prigione, o servo \ ma voglio che mi sia quasi freno il rispetto dell'antica servi- tù, e la memoria d'alcun favore in altro tempo rice- vuto. Fui grato e sarei volentieri -, ma la necessità mi costringe a far quello che molti anni sono dove- va far per elezione; e mi spiace d esser con gli altri ad usar quel comune proverbio : ìionora medicuin propter iieccssitatern . (1)

(i) Olà lidi' Anto y.rafiì della R. Bib ili Modena seguii i Orazione in lode di Case, flledici .

L E T r r h E a8 i

Io ho lodato non tanto faticando iu trovar cose molto esquisite, quanto in non tacere alcuna delle vere, le quali ninno leggerà più volentieri di Y. S. lllustriss.^ perchè niuno è più amico della gloria di que' Principi e della grandezza. Laonde prego Iddio, che per sua divina grazia faccia i miei preghi accet- tevoli, come questa picciola Orazione.

CLVI. ^l Sig. Duca d Urbino.

Io stimo tutte le mie lettere importunità, e tutte le risposte di V. A- grazie. Però non si maravigli, se per dare a V. A. occasione di mostrarsi graziosa, io r ho supplicata alcune volte che voglia per la mia salute intercedere con S. M.; e più volentieri le ho dimandato questo d' ogni altro favore , non tanto per dubbio della sua liberalità , quanto per certa opi- nione della sua prudenza. Spero che non si sdegne- rà di scrivere in mia raccomandazione. Frattanto non mi vergogno d'averle troppo palesemente ac- cennato, che se il Sig. Grazioso suo gentiluomo in tutte queste occasioni non mi voleva far qualche amichevole compagnia , o qualche servizio, non si doveva sdegnare ch'io schifassi le occasioni, e pro- curassi le risposte di V. A. E le bacio le mani.

CLVII. Al Sig. Gio. Antonio Pisano .

Io non so determinare, se da quel comandamento àaW Ova.co\o NoscE TE iPSUM, CI fosse imposto che si dovesse conoscere la natura dell' animo solamf^nte, o quella del corpo ancora. Ma in tutti i modi la co- gnizione, la quale ho di me stesso, è imperfetta, e perfetta stimo quella che V. S. Eccellentissima ha di se medesima e del suo sapere. Ma se i filosofi sono per natura, come piacque a Platone ed a Plutarco ,

1Q'2 T, E T T r P r

non sarebbe gran maraviglia eh io fossi un di colo- ro, a' quali la natura ha conceduto animo di filoso- fare, benché la fortuna e la malignità degli uonriul si sforzano d'impedirmi la contemplazione. V. S, ancora, se non sono errato, è medico per natura, perciocché il nostro ingegno è simile al campo, co- me scrive Ippocrate , e gli ammaestramenti de' dotti somigliano i semi . Ma in V. S. Eccellentiss. l'arte, lo studio, la dottrina e il tempo, il qual matura tutte le cose, sono la cagione eh' altrettanto si lodi la cultura, (juanto la fertilità. Oh felicissima lei , poiché così é abbondevole di quel ricolto, del quale io patisco tanta inopia, e così ricca di que' frutti , de' quali io son cosi povero 1 Laonde ragionevolmen- te può gloriarsi d^ esser medico , siccome colui che sa ottimamente la natura de^li uomini e di tutte l'ai- tre cose, quantunque si potesse richiamar in dub- bio queir altro dello d' Ippocrate : Nuinqaam aliun- de de hoinìnis natura sciri posse, nisi ex medica arte ; perché dalla filosofia ancora si può apprende- re s'ella è diversa , com' io stimo. Hanno per mio avviso queste due scienze separati gli ufTicj loro in guisa, che 1' una considera l'anima principalmente, r altra il corpo umano, eh' é suggello della medicina. Imperocché la scienza dell'anima è quasi termine della filosofìa, e quasi posta in mezzo fra le natura- li e le divine contemplazioni . Nondimeno non è V. S, Eccellentiss. di que' medici, che solamente co- noscono le infermità del corpo, bench'io fossi tra que' filosofi , la cognizion de" quali non si stende ol- tre i morbi dell'animo. può stare la sua dottri- na e la sua aul<)rità contenta a questa divisione ; ma forse stima, che (queste professioni non sleno come i confini di Bologna e di Ferrara . Però non ricuso ch'ella medichi ancora l'animo dolente per la per- duta riputazione, e per l' aspettazion della morte, e

LETTERE 283

forse più che a cristiano filosofo non parrebbe con- veniente . Ma non ardiàcu di scriverle il mio parere in quel che s appartiene alla mia lunga malattia . Tacerò dunque, eh' essendo due le specie di malin- conia, 1' una per naturai teiaperamento, l'altra per mal nutrimento-, io per questa ultima sono infermo in modo, che non solo il cervello n' è offeso, ma tut- to il sangue contaminalo', e per una teo^a specie an- cora, la cui origine comincio dallo stomaco con al- cune mormorazioni torbide, e con esalazioni fumo- se, per le quali l'intelletto fu da crudele obumbra- zione offuscato. le dirò che per malia e per in- canto s' accrescesse la mia fiera malinconia , per non parer simile agli altri furiosi. dirò ancora che il distillar della pituita abbia potuto cagionar in me quella infermità, che da Ippocrate è detta morbus imaginatiis ; e molto meno che l'immagina- zione sia nel polmone , come Platone giudicò nel Timeo. Tacerò ancora che la medesima distillazione, o lo spirito sia cagione dell' idropisia, la quale a- vendo temperata la malinconia, ha fatta la cura non so se più difficile, o più facile, ma oer mio avviso più dubbiosa. E non avrò ardiinento di scoprirle il mio dubbio, quando io vo del sangue, le palese- rò quanto mi facciano le fquamme , e le sptime , e le bolle , e il sedimento dell orina, perchè temo di peggio. Ma debbo acquetarmi ali opinione de' me- dici, benché fosse più tosto delta per ingannarmi, che per risanarmi. Ma se la mia cura non è dispera- ta , come per molti segni dati da Ippocrate si potreb- be argomentare , non vorrei essere abbandonato dal loro ajuto. I Barbari , come scrisse Ippocrate , nulla utehantur medicina; ma a, me, che son quasi nutrito negli òtudj e nell'arti de' Greci, non si dee far que- sta ingiuria. Questo ancora non avrò dubbio di scri- verle,che se la medicina appresso i Cjp.ni\\\ pluri'ninn

^84 L E T T i: R i:

Diis tribuehatj plurimumqiie Deos colere reperiehn~ tuFj come leggiamo nel libro De probitate; tra noi Cristiani tutte le cose si deono attribuire alla Fede, alla Religione ed alla grazia di Nostro Signore. Ma lasciamo ora i miz'acoli da parte, se non quelli del- l'arte nostra. Lasciamo addietro il giuramento d'Ip- pocrate , e la liberalità da lui mostrata nel medicar gì' infermi ; ed attendiamo a quelle cose die possono promettersi dal Sig. Pisano, e dal Sig. Pisano essere osservate. A V. S. dunque mi raccomando non so- lamente vicino, ma lontano ; perdi' a lei è più facile scrivere, che a me il venire in questi caldi , avendo cominciata la purga col parer di questi medici. Ma essendo stata opinione d alcuni, die la distillazione del capo sia la principal cagione dell' infermità, non posso trapassar con silenzio quel che scrive Ippo- crate a Democrito: J^eratro hellehorato eoSj quibus de capite distillai rheunia . E benché ciò sia detto con alcuni avvertimenti e con alcune condizioni , a me nondimeno molto piacerebbe l esser purgato col Veratro, perchè questo é aiiticliissimo medi- camento , per gli eroi e per gli filosofi , che si- milmente furono medicati. Per conclusione addur- rò quel detto d' Ippocrate nelle Epistole : Totus ho- mo est morbus, et sui auxilii servus . Io son tutto infermità: e se debbo esser servo del mio ajuto, di chi sarò servo. ^ Sinora son di me stesso , ed a me slesso comando, perchè non ho maggiore ajuto a sopportar questi mali e queste avversità, della mia virtù qualunque ella sia^ ma poiché la filosofia non ha potuto farmi libero, come doveva, almeno do- vendo servire, vorrei die mi facesse servo la grati- tudine, non la necessità^ la magnanimità non l'ava- rizia 5 la clemenza, non 1 ingiustizia.

LETTERE «^5

CLVIII. Al Sig. Marco Pio .

r.i'evc risposta diedi 1 altro giorno a V. S. , stiman- do che le brevi non possano mai essere troppo bre- vi , le lunghe soverchiamente lunghe ; perchè nella brevità non può star abbastanza nascosa la mia intenzione, e nella lunghezza niuna preghiera o niuna persuasione parrebbe soverchia, s' io volessi manifestare il mio desiderio . E certo non dee tener- si occulto , perch'egli sia poco onesto; ma perchè le cose oneste alcune volte non sogliono piacer a colo- ro che son troppo occupati dalle passioni . Ma V. S. non dovrebbe esser in questo numero , o essendo , non dovrebbe chiuder gli orecchi alle mie ragioni , poich'io non ho tentato di addormentarla col canto delle Sirene . Dirò dunque senza mentire , che ninno può esser più fermo proponimento di quello che ho fatto di continuare i miei studj , vivendo in liberta, quanto mi sarà conceduto. E per confermarmi in questa volontà soglio spesso dire tra me medesimo: Justum, et tenacem propositi rùriim

Non civiuin nrdor prava jnhentiiun ^

Non vultus iustantis Tyranni

Mente quaiit solida^ ncque Aiister Dux inquieti turhidus HadricB^

Nec fulnnnantis melina Jovis nianus.

Sifractas illahatur orbis

Iinpnviduin ferient ruince . Ma non voglio fare esperienza cosi terribile di me stesso; espormi a tanto pericolo, eh' io di nuovo fossi giudicalo temerario. Laonde più tosto mi con- tento di vivere infermo, se la pietà di Nostro Signore non mi rende la sanità in altro modo che in quello pensato da miei nemici . Pensi dunque V. S. quan- to io sia lontano col pensiere dal riveder Lombardia,

286 L K T T E R K

dalla quale ebbero origine i miei mali, e le infermità sparse e disseminale per tutta Italia^ posso esser persuaso che nel mio ritorno io la trovassi mutata d'animo o d'opinione, ma sforzato più tosto. Però quando io leggo le sue lettere , mi rallegro ricordan- domi che sono state quasi cagione della mia libertà. Ma non so quel che deliberi di fare, duplicando- le j perchè se non mi può persuadere , non credo che mi voglia far violenza. Ma penso talora che mi scriva per consolazione delle mie avversità, o per e- stimazione d'alcun mio noto componimento; e di ciò molto fra me stesso rimango soddisfatto, e più della sua cortesia, perchè onorando V. S. la mia vir- tù , amendue siamo onorati . Ma s' io mo.strassi d' u- miliarmi alla sua fortuna, l'uno e l'altro di noi n'avrebbe biasimo; io facendolo per bassezza d'ani- mo o per viltà-, V. S. consentendolo per superbia o per alterezza. E di ciò non dubiti punto: altramen- te avrebbe cagion di dubitare altrettanto del suo di- ritto conoscimento , quanto della mia sincerità . Ma sa quanto io sia infermo; però benché io le abbia tnostralo il fine, e quasi la metà de' miei pensieri, non credo d'arrivarvi, ma dubito di mancar nel corso . Ma qual è più certa meta della morte in que- sto mondo pieno d'incertitudiue? Eccovi, Signor mio, le mie sollicitudini e quasi i miei dubbi. Ora <;he debbo persuaderla che m'ajuti: alla filosofia, o alla morte? E se la filosofia è una morte, ed una se- parazion dell'animo, come posso pregarla che mi ajuti al filosofare , che non la preghi che m'ajuti al morire? Al viver più tosto , dirà qualche amico co- mune, ed al ben vivere dee essere ajulato il Tasso. Già r ho detto: lasciamo le parole di doppio senti- mento, quasi vasi con due manichi, e crediamo che tina medesima sia V arte, ch'insegna il ben vivere e il ben morire. Ma s'io sono assai lungo nel diclila-

L E T T r R ir 287

rarmi , non voglio esser lungo nel pregare, per la- sciare agli altri la sua parte, ed a V. S. particolarmen- te, la quale non volendo in questa pietosa operazio- ne nemici, vorrà almen compagni, e non sdegnerà la compagnia de Principi suoi parenti e de' Cardi- nali , perchè l'altre non sarebbono a lei convenien- ti. Ma fra gli amici questo, che m'ha raccolto, è amicissimo , se la conformità dell' opinione può far perfetta amicizia.

CLIX. Al Gran Duca di Toscana.

Io non poteva dalla mia fortuna ricevere maggior favore, che l'Invito di V. A., o fossi invitato alla sua servitù, 0 alia libertà degli studj ; perchè nel- r uno e neir altro modo sperava d'esser chiamato alla sua grazia ed alla mia salute insieme. Ma dalla medesima^ che rende tutte le speranze fallaci , sono stato con grave infermità impedito d'accettarlo. ora che sono appena risorto, posso pensare ad altro che al venire per farle riverenza, e per gittarmele ai piedi. Ma temo che le sia nojosa la presenza d' un uomo misero e squallido, e per la malattia di mol- t'anui rincrescevole a se medesimo. Laonde la sup- plico, che con la sua grazia voglia vincer la mali- gnità della fortuna, col ricevere in vece di servigio la devozione dell' animo, che potrà condurmi con tanta debolezza di corpo sin' a Fiorenza, com' ella si degnerà di comandare^ e le bacio umilmente le mani.

GLX. Al Sig^. Cardinale del Monte.

Niuna cosa avrei fatto più volentieri che di veni_ re a Fiorenza, per baciarla mano al Gran Duca, spe- rando che non si dovesse sdegnare di sollevarmi da questa miseria, dove sono caduto per mia sciagura , Lcit. T. ly. iQ

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togliendomi di mano alla fortuna , di cni sono stato quasi giuoco molti anni,o restituendomi almeno in quella, nella quale prima mi conobbe. Ma dappoi- ché ho inteso che V. S. Illustriss. si truova ancora in Fiorenza , ho creduto ch'io non dovessi almeno du- bitar del suo favore-, imperocché quanto me n'è sta- to raen largo promettitore, tanto nelle occasioni alla sua cortesia si conveniva d'essermene più liberale. Se a me mancano meriti, a V. S. Illustriss. non man- ca autorità , la quale non si può spendere con mag- gior sua lode che nell' opporsi alla malignità della mia fortuna. E agevol cosa il dare ajuto a chi sappia molto, e molto possa, e sia atto a molte cose. i\Ia pic- ciolo è il merito di chi lo da , e minor 1' obbligo di chi lo riceve. Ma T ajutare un gentiluomo infermo , povero, desideroso della quiete, e ancora nell'infer- mità studioso, sarà operazione più degna della virtù di V. S. Illustr. e della mia fede. Io mi tldo nelle mol- te mie sciagure e nella lunga infelicità, per la quale slimo che tutte le cose nìi dovrebbono esser lecite, e tutte concedute. Non ho perduto nondimeno la co- gnizion di me stesso, laonde non deve dubitare ch'io non riconosca le sue grazie, come gratissimo stima- j3aatore della sua clemenza e della sua grandezza. E bacio a V. S. Illustriss. la mano , aspettando che mi faccia almen degno della sua risposta.

CLXI. Al Mastro di Camera di S. Santità.

La partenza di N. S. in questa mia infermità ha tolto più tosto a me loccasion di chiederli la vita, che a S. Santità di farmi la grazia; perché la sua au- torità può salvarmi per ogni parte di questa città , non solamente nel monls{ero di S. Maria, ov' io in- fermai, e ancora di nuovo infermo; e clascauo dee ubbidire al suo cenno. Ma poco è alla sua somma e

L E T T R R E 289

suprema potestà il farmi grazia, terminata da luogo, o da tempo , dovendo esser ubbidito da lutti i Prin- cipi e da tutti i popoli Cristiani, «ome io l'avrei sup- plicato, s' io avessi avuto udienza. Ma se V. S. Illustr. vorrà farmi tanto favore clic possa essere ascoltato, prenderò questo ardire: e sappia, die la grazia è di- mandata da un povero gentiluomo, infermo di mol- ti anni, e per questa cagione non atto a servizio d' al. cune , e desideroso di libertà, dopo altrettanti di prigionia , e bisognoso del suo ajuto per essersi av- vicinato dopo lungbissimo tempo alla patria, nella quale appena è riconosciuto. Chiedo grazia, e dovrei domandar giustizia-, ma io confesso di non esser tan- to prudente, che non possa vergognarmi di molti miei errori e di molte infelicità. Laonde non ho voluto seguir l'esempio d'alcune nazioni dell'India, nella quale il prudentissimo sacrificando non chiedea al- tro che giustizia . Io in alcuna mia composizione , eh' è stata in vece di sacrificio (se sacrificio è la lo- de), ho invocata la clemenza di N. S., e con la sua autorità quella degli altri Principi cristiani . Nondi- meno non essendo consapevole a me stesso d' alcuna frode, 0 d'alcuna malizialo d'alcuna falsa e perti- nace opinione , o d'alcuna menzogna detta dappoi- ché son libero, non tanto dubiterei di chieder la giustizia , quanto eh' ella mi fosse fatta . V. S. Illu- striss. si degni di presentare a N. S. questo sonetto in mio nome, per obbligarmi d'obbligo che sarà eguale alla vita , consenta la bontà di V. S. lllu- striss. che sia di pochi giorni .

GLXII. j4l Sig- Conte Paiono.

Tra la cortesia di V. S. Illuslriss, e la mia affe- zion^ non doveva esser necessario alcun mezzo^ ma fra la sua fortuna e la mia infelicità poteva forse ri*

'>90 LETTERE

cercarsi , accioccLè dalle mie miserie non fosse In qualche modo perturbala la sua felicita: ed io non ho ricusato alcuno di quelli che da V. vS. Illustrissima m' era offerto; ma sinora tutti m' hanno più tosto sepa- rato dalla sua presenza che congiunto al suo servizio, al quale io veramente non sono atto. Però non posso tanto dolermi di questa separazione, quanto farei per altra cagione. Dogliomi almeno, eh' alcuno procuri d'allontanarmi dalla sua grazia, la c|nale può giun- ger per tutto ed in ogni occasione dimostrarsi. Anzi, se m'è lecito il dire la verità, non è senza pregiudi- cio della sua grandezza e della generosità , e di mol- te sue azioni, ch'io in molti mesi d' infermità abbia in vano ricercato d' esser sovvenuto dalla sua li[)eral cortesia. Sono timido di tutte le cose , e incerto del- la salute, ma di ninna cosa più timoroso, che d'es- serle grave ed importuno, vicino e lontano egual- mente. Le mando un sonetto, eia prego che non con- senta ch'io viva in tanto dubbio della sua voloutà e della mia salute: con che le bacio le mani.

CLXIII. Al Gran Duca di Toscana .

Io ho scritto alcune volte supplichevolmente a V. A., ma quella risposta che non si potea negare alla mia affezione, fu negata alla mia fortuna. Mi doglio non solamente ^che le colpe degli altri mi facciano parer colpevole, ma ch'io sia disgraziato per l'al- trui grazia , e che niun merito mio mi possa far de- gno e della protezione di V. A. e dell' usata sua cor- tesia. Ma non perdo in tutto l'ardire, benché sia perduta la speranza, poich'è cessata una di quelle cagioni, le quali mi spaventavano di scriverle. Io in tutte le parti ho cercalo ch'ella conosca la mia di- vozione , e non così occultamente che non se. ne po- tesse avvedere . Eia majisiore di tutte l'altre mie

I. K T T l- R F. 9.C)r

sciagure è stata, che la mia intenzione fosse interpre- tata altrimente ; ed ora non posso manifestare quan- to vorrei . Ma se nel supplicare più che nel lodare si mostrala riverenza e la fede, più nel chiedere che neir offerire , io la supplico di nuovo che mi faccia meritevole delle sue raccomandazioni nell' infermità cucila povertà. L' un male è gravissimo. Ali altro può agevolmente rimediare con l'autorità, scrivendo in mio favore al Sig. D. Pietro di Toledo . Si tratta col mezzo di S. Eccellenza eh' io abbia provvisione di trenta scudi il mese dalla città di Napoli, la qual non mi spiacerebbe senza obbligo , ma essendovi il carico, io conosco le medesime difficoltà che già co- nosceva uel servizio di V. A., anzi tanto maggiori, quanto son men atto alle fatiche*, laonde sarei co- stretto a rifiutar le condizioni offerte , e ricusandole non posso esser meno importuno nel supplicare, che mi sian dati due o tre mila scudi della dote materna. Gran cortesia mostrerà il Sig. D. Pietro ajutandomi in questo negozio, e direi gran giustizia, se a lui s' appartenesse di farla . Però non dubito di pregar V. A. che si degni di raccomandare in causa giustis- sima un suo devotissimo servidore. Potrebbe anco- ra , se volesse aggiungere raccomandazione a racco- mandazione, e favore a favore , scrivere al Sig. Giu- lio Battaglino , e comandargli quel che le paresse conveniente. Ma tanto me ne prometto, quanto del Sig. Bernardo Maschio, eh' è informatlssimo del ne- gozio. E bacio a V. A. umilissimamente la mano. Di Roma, il 6 di Marzo 1592.*

CLXIV. ^l Sig. Giulio f'^eterario.

Se la lettera del Sig. Duca avesse bisogno d'inter- prete, ninno dovrebbe meglio interpretarla, o più a mio favore di V. S.; se d'esecutori, molti potrebbono

* Così pure

292 L E T T E R F,

esser più pronti e più vicini , ma ninno eseguir la sua mente con maggiore autorità , A me basterebbe, cbe se alc;ina provvisione sarà fatta, perdi' io possa presentar la lettera al Viceré, fosse fatta con sua gra- zia e con mia salute . Sono infermo, come sa , e T in- fermità mi toglie quell'ardire che mi darebbe la po- vertà , s' io fossi povero e sano. Il Sig. Grazioso non può desiderare in me confidenza maggiore, io dovrei ricercare in lui rrtaggior cortesia. AH' uno ed all'altro sono obbligato delle cortesi risposte del Sig. Duca, quanto consente la mia fortuna, che in molte cose è discorde dalla volontà. Con questa in ogni luo- go mostrerò a V. S. affezione ed osservanza debita al suo merito j e le bacio le mani .

GLXV. ^f Sig Gonzaga. *

Dedicatoria j che dovea esser posta innanzi al Dialogo intitolato // Gonzaga .

Io non credo di soddisfare con la dedicatoria di questo Dialogo all'obbligo ch'io ho con V. Eccel- lenza, ma d'accrescerlo più tosto ^ perciocché essen- do egli quasi partecipe della mia fortuna, può di leg- gieìri aver bisogno di gran difesa, la quale a ninno, più che a voi , é conveniente . Voi siete un de' prin- cipalissimi Cavalieri di quella nobilissima città, di cui si ragiona, alcuni de' quali son Principi , e fi- gliuolo d'una delle persone che favellano nel Dialo- go . Vi prego dunque, che volentieri l'accettiate. E se mostrerete che non vi sia dispiaciuto ch'io abbia rinnovata la memoria del Signor vostro padre giovi- netto, mi porgerete ardire eh lo faccia menzione del- la sua età più matura, nella quale io l'udii parlar con tanta prudenza e con tanta eloquenza, che lo

* Un figlio ili Cesare Conzat^a redi Tasso DialogUi T. l. p.ii j). ** Cositi Mn rotori.

LETTERE OXy^ì

Stimo soggetto così degno de' più pregiati Dialoghi, come il Sig. Don Ferrante vostro avo, e delle più lodate istorie. Ed a V. Eccellenza, la quale ha con- giunte insieme le virtù dell' uno e dell'altro, bacio le mani , pregando Iddio che le conceda di far le operazioni all'animo somiglianti.

GLXVI. y^l Sig. Scipione Gonzaga.

Benché io abbia ferma fede, che nella manna ch'esce del corpo di S. Andrea, sia quella virtù che V. S. Illustrissima mi scrive, nondimeno perchè lo scatolino è venuto aperto , so per quale strada , s'è rinnovato in me quel dubbio , del quale scrissi già a \. S. molt'anni sono. Però non ho voluto pi- gliarne per bocca, ne mi risolverò a prenderne, se dall' Alario suo , o da alcun altro de' suoi non me ne sarà portata un'altra ampollina^ e starò aspettando sin che '1 mandi in Lombardia per qualch' altro suo affare , come suole quasi ogui anno. Fra tanto pre- ghi, come scrive, per la mia salute e contentezza mia, non solo il Signore Iddio, ma ancora i Princi- pi del mondo, i quali con la sua grazia assai facil- mente potrebbono contentarmi . Ed intanto le man- do alcuni sonetti, tre de' quali sono scritti all' Eccel- lentissimo Sig. Vespasiano Gonzaga, uno al P.Bo- naventura suo fratello, e gli altri quattro a V. S. Il- lustrissima. E slimo che la nnggior parte n'avrà veduti stampali; pur io gli ho nìutatl dipoi in alcu- ni luoghi , e, come mi pare, miglioratili : il che non dubiterei di fare in tutte l'altre mie cose, s'io potes- si ricuperare intieramente la sanità. Ma così di que- sti , come di tutto ciò che io le manderò, o le ho mandato, aspetto d' intendere il suo parere, il quale dovrebbe essere accompagnato dalla sua cortesia. Perocch' ella potrà sapere, eh' avendo io perduto col-

29 1 L E T T F l:

la provvisione eh' io aveva da Sua Altezza, tutto 1 u- tile eh' io sperava dalle stampe dell' opere mie, ed f~ alcun' altre mie cose, sto a discrezione di questi mi-

nistri di Corte ^ sicché assai spesso ho bisogno di por mano alla borsa per cose necessarie o convene- voli. E per questa cagione ancora avrei voluto, ch'el- la cercasse di far col Sig. Principe suo quello effetto, ch'io per mia naturale vergogna era impedito di pro- curai-e : la quale, comechè in alcun' altre cose possa essere scemata in qualche parte , In queste non è slata ancora diminuita dalla mia povertà e quasi mendicità. Ma perchè la lettera non si vergogna, scriverò più liberamente a lei, che non avrei parlato con alcuni de'gentiluomini di Sua Altezza. Oltre- ché l'amicizia eh' io ho con esso loro , non è tanta, quanta è la servitù ch'io ho con V. S. Illustriss. Pe- rò mele raccomando; e se il Sig. Principe ha biso- gno di sprone, non dovrebbe mancare alcuno che ^ fosse mosso dall' aulori di V. S. Illustriss., o da

qu(;lla di qualche amico e parente suo. Egli se n' è ritornato a Mantova, senza ch'io abbia veduto al- cun de' suoi. Ma per dire il vero, non l'ho ricerca- to. Laonde il Dialogo gli si potrà mandare a tempo. E se le scorrezioni non sono tante, che non possano essere correlle da V, S. Illustriss. , non è necessario che mei rimandi. Gliene vorrei mandare un altro, e tutte r altre mie cose di mano in mano, siccome io verrò correggendole. Ma ho bisogno d'ajuto, e di non essere impedito. Pur mi prenderei per trattenimen- to molle cose, e le farei volentieri per altrui servi- zio , se cessassero quelle che mi danno maggior noja. Pero di nuovo me le raccomando, e più in quello che più imporla. E senza più le bacio le mani . Di Fer- rara , li 13 di Settembre ^S'6Ò.

L E T T I- fi E 293

y

CLXVII. Al Sig. Biagio Bernardi. A Porli .

Al ritorno di V. S. risponderò al sonetto del Si- gnor Humajo, come sono obbligato per la sua cor- tesia. Ne si maravigli, s'io prendo tempo a rispon- dere, perciocché Febo ra' è molto avaro, il quale avendo fatto quell'arie di stauipare e di vendere i libri miei , eh' io perrsava già di fare, se ne sta iu Parigi fra Dame e Cavalieri, e si da bello e buon tempo, mi fa parte alcuna de' danari che se ne ritraggono, come m' avea promesso per sua polizza . Ma se d'altra arte di Febo intende il Sig. Humajo, saprei volentieri intorno a ciò la sua opinione-, per- ciocché coloro, i quali vogliono che la poesia sia fu- ror poetico ispirato da Febo e dalle Muse , non con- cedono ch'ella sia arte, come V. S. potrà conside- rare nel Jone di Platone. Comunque sia, di due cose r assicuro: 1' una , eh' io non sono di que' poeti, che non intendono le cose scritte da loro: l'altra, eh' io scrivo con molta fatica, la quale non soglion durare coloro che compongono mossi dal furor poe- tico. E tanto ella é maggiore, quanto è più nuova a me, il quale, prima che la memoria mi si fosse in- debolita, soleva rade volte por mano alla penna, co- me colui che riteneva nella mente trecento e quat- trocento stanze per volta, ed ora appena posso ricor- darmi d'un sonetto^ e s'egli non é fatto molto di fresco, me ne dimentico in tutto. Sicché tra questa cagione, e l rincrescimento ch'io ho di tutte le co- se , non prendo quel piacer eh' io prendeva negli studj . Pero V. S. mi scuserà s' io non potrò mandar- le cos' alcuna di nuovo , se non forse qualche so- netto che non mi paja grave da ricopiare. E s' ella crede che 1' arte del Sig. Mercuriale possa o ritor- narmi la memoria perduta, o conservarmi questo

29^ L F. T T E T? E

poco che m'è rimaso , n'avrò grand' obbligo all'ec- cellenza sua ed a V. S. Vidi il suo parere clie mi mando in iscritto ] e volentieri mi caverei sangue, e mi farei un altro cauterio nel braccio, come egli consiglia. Ma quello della gamba, e l'astinenza del vino ch'egli mi comanda, sono rimed] tropoo fasti- diosi. Dico 1 astenersene in tutto, ed il bere brodo di continuo; perchè nel ber poco vino e temperato, r ubbidirei senza difticulta , s' io potessi fai* 1' altre cose. Però prego V. S, che ritornando in qua , m' a- juti col Sìg. Conte Gammlllo a risanare , o a con- servarmi, prima che ve n'andiate a Padova. E se V. S. mi farà aver la ricetta ancora della conserva, la quale vuole il Slg. Meixuriale eh' io prenda, mi sarà sopra modo cara, e tanto più quanto ella sarà più grata al gusto. Perchè, come V. S. sa, l'eccel- lenza de' medici consiste in buona parte in dar le medicine non solo salutifere, ma piacevoli. Ricordo dunque al Sig. Mercuriale, eh' io sono infermo, e che mangio con buono appetito, ma per altro assai fa- stidioso. Ed intanto stia sana, eh' io me le raccoman- do. Di Ferrara, il primo di Ottobre 1583.

GLXVIII. yj/la Signora Donna Marfisa d^Este Marchesa di Carrara .

Direi d'essermi rallegrato del nascimento del fi- gliuolo di V. S. lllustriss. , se tra questa mia malen-- conia potesse aver in me luogo alcuna allegrezza; e direi di rallegrarmene con esso lei , se non, ralle- grandomene in me stesso , potessi rallegrarmene con altrui . Mi dorrò dunque più tosto ch'io non poss* partecipare della comune allegrezza , e pregherò il Signor Iddio , che dia al figliuolo suo valore eguale a quel del Sig. Don Francesco suo , ed a me mag- giore occasione di servire quel Siguore di felice me-

L K T T E n E 1C)'J

moria. A V. S. Illustriss. bacio le mani . Di Ferrara in Sant'Anna, li 21 INoverabre 1583.

CLXIX ^l Sis- Benedetto Pieni. A Roma.

Se fosse così in mio potere di venire a Roma , co- me di restare in queste parti , non rimarrebbe a Monsig. Reverendiss. Papio dubbio alcuno della buona volontà ch'io ho di servirlo. Ma poich'io non posso deliberar di me stesso, quasi con- sultare per la poca informazione ch'io ho di molti particolari, la cognizion de" quali sarebbe necessa- ria al prender consiglio, desidero non solo che sua Signoria Reverendiss. interceda per me , ma che a- dopri ancora que' mezzi che slimerà più convenevo- li, in maniera che se non potrà conseguir che mi sia data licenza , faccia almeno che mi sia negata con maggior mia soddisfazione. Da me solo questo può sapere che m'é stato detto , che la difficoltà del negozio non tanto consiste in S. Altezza, quanto nelle persone con le quali si conviene trattare. Pe- rò me le raccomando, e mi pardi raccomandarle co- sa sua già molt' anni per molti antichi beneficj , la qual vorrei che in guisa confermasse con obblighi nuovi, che non temesse mai che le fosse tolto il pos- sesso. Perché quantunque io sia di poco valore, se a quel poco ch'io vaglio s'aggiungerà la sua grazia, alcuni che non hanno voluto occupar questa pos- sessione quasi vacua , gliene potrebbono avere invi- dia. Ed a V. S. bacio le mani , pregandola eh' all'au- torità di Monsig. Reverendiss. aggiunga la sua dili- genza in modo, eh' io abbia altrettanta cagione d'a- mar l'uno, quanta d'onorar l'altro. E viva felice . Di Ferrara , r ultimo di Febbrajo 1584.

298 L E T T E n K

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CLXX. Al P. Marco da Ferrara Cappuccino . yl Piacenza

Risponderò con questa sola lettera alle due di V. P. datemi dal Sig. Giulio Mosti, la prima de' 23 di Febbrajo, e questa avuta jeri 11 (S di Marzo. E quanto alla prima dico, che non può alcuno ben de- scrivere se medesimo, il qual non abbia di se stes- so perfetta cognizione. INIa essendo malagevole mol- to il conoscersi , non può in alcun modo essere age- vole 11 descriversi . E posto ch'egli mi potesse esser facile, non tanto mi par necessaria in qucsli tempi la descrizione, quanto la correzione conveniente, la quale io cercherò di fare quanto saprò meglio. E se credete che mi possa esser giovevole rajuto vostro, non ricuso di mandarvi una lista de' miei peccati , ne' quali potrete considerare ottimamente qual sia la mia natura, e come pieghevole a' piaceri, ed ar- rendevole alle preghiere degli umici. E perch'io ri- serbai quella dell'anno passato, poco ci avrei d'ag- giungere, o da scemare. Ma forse vorrete che questa considerazione, o confesslon più tosto, si prolunghi sino alla vostra venuta, la quale per questo dovre- ste affrettare. Ora passando alla seconda vostra let- tera dico, ch'io non credo che nelle mie raccoman- dazioni sia molta autorità. Pur non ho voluto mo- strar così poca fede nel Sig. Conte Annibale Scoto , eh lo abbia negato di raccomaudarveli . Ma se paco giovassero, doletevi, non di me che non abbia vo- luto servirvi , ma di voi stesso che non abbiate sapu- to eleggere; perchè molti potevano essere in questa città, dove sete nato , più atti di me a questo ufìlzio ; non solo perchè più di me vagliono, ma ancora per- chè hanno più stretta amicizia con quel Slgnoie. Nondimeno m'avete forse preposto a molt' altri, sti-

LETTERE 'iC)()

mando che allora si debbano più volentieri ricever i benelicj , quando si possono render più a pieno. E con questo vi bacio le mani, e vi ricordo che mi mandiate copia quella lettera eh' io vi scrissi dei miracoli, o pur l'originale stesso. Di Ferrara, il Ì2 di Marzo 1ò84.

CLXXI. ^l Conte Annibale Scoto. A Piacenza.

Fra Marco Cappuccino assai può esser raccoman- dato a ciascuno dall'Ordine suo , e dalla professione eh' egli ha fatta di povera e casta vita . Nondimeno, se a questa universale possono aggiungere alcuna co- sa le mie particolari raccomandazioni, prego V. S. che Gradisca in modo il suo desiderio di servirla , ch'egli conosca non meno giovargli la piacevolezza mostrata da lui con gli altri, della severità ch'egli usa con se medesimo. E perciocché io sono uno di quelli, i quali hanno maggior bisogno di consola- zione, quanto più mi pare di potergli essere obbli- gato, tanto più glielo raccomando, acciocché per l'avvenire egli faccia per debito quel che per lo pas- sato desiderava di fare per semplice benevolenza . E senza più le bacio le mani . Di Ferrara, il 12 di Marzo 1384.

GLXXII. Al Sig. Muzio Mazzolo . A Roma .

Voi siete in un moto quasi continuo, ed io in uno stato perpetuo . Ma voi del vostro moto cavate sem- pre nuovo utile e nuovo onore j iu del mio stato non ho ancora ritratta utilità alcuna. Dunque assai più felice é il vostro moto del mio stato. E se mi amate, come dimostrano tutte le vostre lettere, procurate che stiamo insieme, o ci moviamo. E se volete in o- gni modo avanzarmi . eleggete più tosto il moto del-

ÒOO L K T T r n P

lo stalo ^ perciocché quantunque io sia di natura as- sai impaziente , possa lungamente stare a sedere, noudimeno tanta é la volontà ch'io avrei d'invec- chiare imparando continuamente, che s'io avessi l'opere di San Tommaso, non mi leverei da sedere , finché io non l'avessi lette tutte, se non quanto le opportunità naturali ricercassero. Ma nel correre mi potreste dare tutti i vantaggi assai sicuramente . Pe- rò procurate ch'io mi muova, o più tosto ch'io sia mosso ; e in questa grande occasione , nella quale movendosi il Papa, par che tutta Italia si commova, non debbo io solo restare in quello stato , nel quale voi mi lasciaste. E se pur conviene eh' io rimanga senza muovermi, vorrei almeno che ove non sarà movimento di luogo, fosse alcuna mutazione di sta- to; acciocché passando di bene in meglio, avessi oc- casione di conservar grata memoria non sol della venuta di sua Beatitudine, ma della cortesia ancora djlSig. Giacomo, e della Signora Duchessa sua con- sorte, e dell'amorevolezza vostra , alla quale corri- sponderò sempre con ogni affetto. Baciate in mio no- m.e le mani all'Eccellenze loro ed alla Signora Cle- lia-, ed amatemi, che tutto son vostro. Di Ferrara, il 12 di Marzo 1584.

CLXXIII, Al Cardinale Farnese . A Roma .

Ninno è in cotesto Illustriss. Collegio, ch'io sti- mi più degno del Pontificato di V. S. Illustriss., e ninno a cui più lo desideri . Se questa opinione ch'ho de' meriti suoi, e questa affezione ch'io le porto, son degne ch'ella spenda alcun prego per me, suo ne sia il giudicio. Io tanto ne la prego , e non più, quanto dee far uomo ch'assai è pentito di aver alcuna volta pregato con indignità. Ed a V. S.

L T T K R K Sor

Illustriss. bacio umilissimamente la mano . Di Fer- rara, li 17 di Marzo 1584.

CLXXIV. Al Marchese Giulio Bangone .

lo sono molte volte così intento all' armonia , che fanno i miei pensieri delle maravie^llose lodi del Sig. Principe di Mantova, che poco ascolto, o male ascol- to quelle di fuori. Però V. S. Illustriss. non si ma- ravigli, se provedo tardi e difficilmente a quello, a che si poteva tosto e facilmente provvedere. E tarde provvisioni io chiamo due concierì de' sonetti , eh io le mandai , le quali vorrei che fosser date a qualche servitor di S. A. Oltr'a queste, altre non me ne pa- jono necessarie per chi sia usato leggere i nostri poeti. Ma se fossero, confesso di non poterci rime- diare, 0 non a tempo. voglio tacere che in questi nonetti, da chi suole troppo curiosamente risguarda- re la*delicatura delle composizioni , potrà esser chia- mata trascuraggine quel che è artifìcio, se non sarà mirata con quegli occhi , co' quali si mirano le cose degli amici . Perciocch'essi contengono secretamen- te una dimanda, o l'accennano più tosto, alla qua- le si potrà for^c rispondere, come si fa a' poveretti. Ma perchè V.*S. Illustriss. ra' ha scritto, che procu- rerà ch'io ottenga la mia intenzione, le direi più li- beramente quale ella fosse, s'io credessi, dicendo- la, di non impedirla^ perciocché alla sua cortesia si potrebbono attraversare maggiori impedimenti . Laonde da quello che per 1 altra mia le signiticai , potrà argomentare quel di più ch'io dimando: il che alcuna volta costa potco, che può esser dato con altrettanta soddisfazione di chi dà, quanta di chi ri- ceve. E §' è impossibile che i tempi già passati ri- tornino indietro, non è irragionevole che quegl'i- stessi modi siano rinnovati. E le bacio le mani mol-

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to di cuore. "Di Ferrara da Sant'Anna, il 1<3 di Giugno 1584.

CLXXV. yfl Signor Muzio Mazzolo . A Roma .

Vostra Signoria è tanto degna d'onore, quant^ io desideroso d'onorarla. Però senza timore alcuno di esser da me schernita, coni' ella mi scrive, può con ogni sollecitudine procurare il mio bene; ch'io non solo non l'impedisco , ma la prego che con la dili- genza sua prevenga la mia espeltazione , e con la mia espettazione , e con la sua buona si sforzi vin- cere la mia cattiva fortuna. E se ci fosse bisogno di testimonio, voglia conceder più tosto qualche cosa alla nostra amicizia, che defraudarne la verità, la qual potrà dire o tacere, come giudicherà più op- portuno; perch'io non do leggi alla sua prudenza, ma occasioni di mostrarsi a tempo. Faccia dunque j5ubito quel che per me dee fare, che non potrà far- lo male; e baci in mio nome le mani umilissima- mente a Monsig. lllustriss. d' Este , ed all' Eccelleu- tiss. Sig. Giacomo, e viva felice. Dalle mie stanze, li 25 diMafzo 1584.

CLXXVI. Jl Sig. Conte Alfonso Turco.

Ho letto il sonetto del Melchiori, dal quale sono stato punto ed unto. Perciocché '1 vedermi assomi- gliare alla Sirena, è puntura tanto più grave, quan- to è men convenevole; e se tutte le cose debbono es- ser misurate dalla intenzione, la mia non fu cattiva , dissimile a quella di quei medici, che ungevano di mele la bocca del vaso, nel quale si dava la me- dicina. Sicché per questa cagione non debbo in al- cun modo esser paragonato alle Sirene. Ma s' alcuno avesse potuto sospettare della mia volontà, se ne sa-

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rebbe chiarito, se fosse piaciuto a Dio, ch'io stesso avessi potuto mandar fuori il mio Poema . Pur per- chè alle cose passate difficilmente si può dar rime- dio, altro non posso che dolermi, che per soverchio desiderio di piacere altrui, non procurassi di com- piacere intieramente a me stesso . E mi dolgo di que- sto gentiluomo, ch'ab])ia voluto rinnovare il mio do- lore. Nondimeno non niego di rispondergli assai cortesemente, perebbe meglio sopportare un morso per acquistare un amico, che perderlo per averlo det- to . Frattanto prego V. S. che mi mandi il suo bar- biero, che gliene rimarrò con molto obbligo; e con maggior le resterei , se domani mi menasse a San Francesco. Faccia nondimeno quel che l'è como- done le bacio le mani. Dalle mie stanze, il terzo d^ Ottobre 1583.

CLXXVII. Al Sig. N. N.

Non so chi sia Gio. Cornelio Magnamino. Pur es- sendomi detto che è (amigliare del Sig. Marchese, gli rimando una canzone, che mi mandò 1 altro giorno, col parere ch'egli richiede, il quale io ho scritto liberamente, ma non volentieri, perchè mi rincrescerebbe d' offender lautore. Pure quel che nen è stato scritto volentieri da me, dee esser fetto vo- lentieri da lui; perche se non trovasse che emenda- re nella su>a canzone, troverebbe almeno che ripren- dere nel miogiudicio, il quale può mostrare altrui e non mostrare, come più gli piace . Perciocché io , il quale non l'ho scritto per onor mio , ma per gio- vamento altrui , non m'ho proposto altro oggetto, che la sua soddisfazione e il servizio del Signore , se pure v'è compreso in alcun modo. E con questo mi vi raccomando, e vi prego che baciate le mani alla Signore Contessa di Sala, ed a tutte quell'altre Si- Leu. T. ll\ *o

3o4 L F. T T E P. r

^,gnore,ecl ni Signori Maufredi da mia parte. Dalle ' mie stanze in Sant' Anna , li 22 di P ebbrajo 1 584.

, CLXXVIII. Al Sig. Scipione Gonzaga. A Roma.

Risponderò a ciascuna parte della lettera di V. S. Illustrissima distiularaente , perchè ciascuna merita particolar risposta . E prima dico , eli' intorno alle ampolle io non farò deliberazione alcuna, se non in sua presenza, e le serbo per rendergliene una, se le bisognerà, perchè 1' altra credo che basii per ogni infermità. Se col Sig. Vespasiano farà alcun ufficio, gliene resterò con molto obbligo ; ma non sono in tanto feisof^no eh ella debba farne molta istanza, e non vorrei che V. S. Illustrissima si discomodasse in alcun modo per mio rispetto , perchè so quanto le sue for^e siano minori del suo merito . Ma col Sig. Principe di Mantova non mi pare soverchio alcuno ufficio che sia fatto ^ perciocché non mi pare che S. A, possa lasciar di fare alcuna liberal dimostrazione verso me senza molto mio disprezzo, il quale io non so se meriti da altri, o no . E tanto ne sia, quanto V. S. Illustrissima ne giudica; ma son sicuro che da S. A. noi merito in alcun modo. Però la prego che si adopri in questo sino a quel termine che stimerà convenevole; e nel rimanente, se bene io non mi pro- metto meno della sua buona volontà verso me , non desidero nondimeno di vederne cjuegli effetti , che altre volle ho potuto . Perocché sono stanco e quasi sazio del mondo,, e di ninna altra cosa più desidero- so che di quiete, non discompagnata da riputazione,, la quale io non andrò ricercando con molta arte, con mollo studio; ma non voglio perderne più di quel ch'io m'abbia perduto per mia pazzia, pcrcliè il danno è irremediabile,e m'apporta infiailn dolore. E siccome non potrei scrivere più conlìdenl<!iienie a

L E T T E R F. 3o5

V. S. Illustrissima, così la prego che faccia quanto può , perchè la fede non mi noccia. In quanto aluo- ghi scorretti del Dialogo, il primo dee esser letto co?- si : nella quale 'volle che tutte gli s^assonii^lìasserof ed il relativo si riferisce alla bontà . L' altro mi pare che sia bene interpretato da V. S. Illustrissima, sic- come mi pare che'l Dialogo abbia ricevuto molto miglioramento . Perchè quantunque io non biasimi le autorità, e pa'rticolarmente quelle de^ poeti, le qua- li sono spesso addotte da Platone-, nondimeno erano troppo spesse, ed. alcuna volta non usate con quel garbo , col qual egli ed alcun altro buon maestro di fatti componimenti suole usarle. E poiché V. S. Illustrissima concorre nel mio parere , vorrei che *l medesimo le potesse parere dell' altre opere mie. ricuso d'affaticarmici, ed accetto l'offerta ch'ella mi fa ; ma vorrei che s'estendesse ancora alle mie Rime, le quali faranno un tolume assai grande, e ci saran- no molti notabili miglioramenti, e molte composizio- ni che non sono ancora stampate. E sinché io non lio fornito di rivederle e di ricopiarle , non porrò mano all' altre cose: il che avrei voluto poter fare in altro luogo, e sperava che mi dovesse esser concesso in grazia. Ma pur mi contenterò di stare in questo per non partirmi dalla protezione delle due Serenis- sime S. S. Duchesse, le quali vorrei farmi favorevoli . Ma io son lento in tutte le cose , coni' ella sa , e vin- to dalla fortuna e dairafllizion dell'animo; laonde poco prometto di me a me stesso , e meno agli altri, e nulla a V. S. Illustrissima, per la quale io vorrei poter far molto \ ma io non istimo ch'abbia i mede- simi desideri ^ e le cose non sono più in quello sta- to. E non potendole apportare onore, non vorrei far- le vergogna , Pur' ella è prudente , e può consolar se stessa e gli altri, che n'hanno maggior bisogno, fra i quali io sono uno. Ijitanto le mando un bOuetto,€

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non r obbligo della risposta, perchè uiun obbligo vorrei ch'avesse meco , se non ci amarmi, C(»me sci- leva . E senza più le bacio molto la mano . Di Ferra- ra, li 2t;di Ottobre 1j82.

CLXXIX. Al Sig. Duca di Ferrara .

Oggi è qui stato a vedermi il Signor Giovanni Tartaro, ed ha potuto molto ben vedere e conoscere la miseria, nella quale mi trovo. M ha promesso di fare uffizio con V. A. perchè io sia liberato, e possa avere alcuna soddisfazione . Mia intenzion sarebbe di servire il Sig. Marchese d'Este, quando potessi sot- to la parola di V. A., o della Signora Ducliessa sua sorella p;^ssar sicuro per lo Stato di Milano, senza aver sospetto o d inquisizione o d'altra c«osa; e par- ticolarmente vorrei passar sicuro dallo sdegno del Re. Questo principalmente le dimando. Mi conten- terei anco, benché non tanto, di fermarmi in Tori- no, o in Mantova, o in Ferrara stessa in casa (^'al- cun Cavaliere , che procedesse meco in modo, ch'io potessi rimaner consolato dopo tante miserie che ho sofferte . Io ho alcuna volta molto attribuito a me stesso, e creduto d'esser da molto. Ma ora vedendo in quante cose 1' immaginazione m'ha inganna- to, dubito che non m abbia anche ingannato nel- la persuasion di me stesso. E mi pare che tutte le cose passate siano state in sogno; onde son risoluto di non creder più all'immaginazione. Vorrei non- dimeno poter accjuetar l'animo con qualche comodo e con grata conversazione. Sicché io supplico umilis- simamente V. A., che voglia usar nieco alcun atto di liberalità , e di cortesia , e di clemenza . E le fac- cio umilissima riverenza .

T. K T r F R R 3o7

GLXXX. Alla Principessa di Bisignano .

Poiché la mia fortuna non volle eh' io mi trovassi presente alle nozze di V. A., ho taciuto questo dolo- re molti anni, acciocché i miei lamenti non turbasse- ro i suoi piaceri . Ma ora eh' è venuta a marito la Si- gnora Donna Vlrsfinia, sua zia, non ho potuto dissi- mular più oltre, parendomi che quel silenzio possa far degni questi preghi d'essere esauditi. La prego dunque, che scriva alla Signora Donna Virginia ia mia raccomandazione , affinchè la propria malinco- nia non mi toglia ogni senso della comune allegrezr ?.a. E la supplico ancora, che degni di chiedere al Sig. Principe un cavallo per lo mio viaggio , perchè non solo partirò soddisfatto del dono, ma del favore d'averlo impetrato a' preghi di V. A.; e le bacio mani. DI Ferrara , il 7 di Marzo 1586.

CLXXXI. Jl Sig. -Y. N.

Al Sig. Eugenio risposi questi giorni passati, e gli mandai la lettera col sonetto, che chiedeva per Mes- ser Giulio Cesare, speziale di Sant' Anna, come V. S. mi scriveva . ^on risposi a lei, perchè la sua lettera s'era smarrita, non so come. S'è poi ritrovata, ed ho veduto il suo sonetto , sopra il quale non gli scrivo ora cosa alcuna per non perder 1' occasione d'un da Montecchio , che se ne viene costà . Ma il considere- rò , e gli scriverò quel che mi parrà per messer Giu- lio Cesare. Frattanto la prego che dica al Sig. Euge- nio , eh' io aspetto di veder alcun effetto delle sue promesse , e che se l'Altezze de'Principi suoi pre- gheranno il Sig. Duca di Ferrara, perchè mi liberi, ne rimarrò loro con molto obbligo . In Montecchio crederei di poter molto meglio attendere agli studj.

3oS LETTERE

miei, che non fo qui. Ed a V. S. bacio le mani. Di S. Anna , il 21 di Giugno .

CLXXXII. Al Sig. Conte Giustinip,no Masdoni.

Mando a V. S. un sonetto, che ho fatto nel passag- gio del Sig. Don Ferrante Gonzaga in Ispagna. Pre- go V. S. che r indirizzi a' Signori Accademici di Par- ma, perchè glielo mandino. S' oggi V. S. verrà a ve- dermi, le darò i due sonetti fatti nel nascimento del figliuolo della Signora Marchesa . Mi farà piacere , s'ha conoscenza del Sig. Borso Arienti , di dirgli in mio nome che mi mandi il mio Orazio . E le bacio le mani. Di S. Anna, il 6 di Dicembre.

GLXXXIII. A^ '^^gg^ ^^ ^^ Popolo della Beale ed inclita città di Napoli .

A" Seggi ed al Popolo Napolitano Torquato Tasso desidera felicità, e chiede favore conforme a quella intenzione, ch'in molte sue suppliche ha dichiarato, la quale fatta con giudiciosa elezione delibera co- stantemente di conservare . Così piaccia a Cristo on- nipotente, che sia con suo onore, e con soddisfazion della città e sua , e senza disservizio di S. D. Maestà.

Parlicolarmente desidero d'esser restituito al com- mercio delle Lettere.

CLXXXIV. Ai medesimi.

Nobilissimi e magnanimi Signori . Mando questa seconda parte, la qual dalla prima e da quella che esegue, può comodamente esser divisa , perchè così voi v' affrettiate a favorirmi, coni' io son diligente in sollecitare il vostro favore, il quale in molte cose mi può esser di giovamento e di soddisfazione j ma

LETTERE 3o{)

in nluna più eh' in fare eli' io sia complaeiuto delle grazie, elie ho addimandate a S. D. Maestà, ed al Slg. Duca di Ferrara, appresso il quale tiiun' autorità quasi dovrebbe esser maggiore , che quella di voi lutti insieme, i quali così desidero uniti a favorirmi, com'lo a tutti universalmente desidero onore e feli- cità, tuttoché molti anche di voi particolarmente slan tanto da me onorati ed amati, quanto basta a far che io me ne prometta ogni favore. Vivano felici.

CLXXXV. A' Seggi ed al Popola Napolitano

Torquato Tasso ^Jigliuolo di Bernardo Tasso

e di Porzia Rossi .

lo non so, Signori Napolitani, s'io debba mag- giormente gloriarmi d'esser nato del sangue vostro e nel vostro paese, o voi vergognarvi eh' io mi chia- mi figliuolo della vostra citttà . Perciocché se nobil- tà , se grandezza , se beltà, se valore , se cortesia di patria può apportare onore a' suoi cittadini, assai ho io onde vantarmi . Dall' altro lato non dirò già ohe se viltà, se malvagità, se scelleraggine di cittadino può macchiar la sua patria, voi debbiate recarvi ad onta ch'io alla vostra città rechi la mia origine ma- terna: che niun di questi vlzj e di queste ree con- dizioni è in me', tale o fatto che peggior non si sia ritrovato in molti . che sono seduti al governo della vostra Repubblica , e che da voi dell'onore della cittadinanza degni sono stali giudicati . Ma dirò più tosto , che voi a vergogna dobbiate riputarvi d' avermi lassato in preda alla tirannide ed alla cru- deltà di coloro, a' quali è piaciuto sovra me fiera- mente esercitarla: che tale sarei io stato, se voi tali eravate, quali esser dovevate, ch'avrei data più to- sto occasione di migliorare, che di peggiorar le leg- gi, di rinnovare gli esempj dell'antica vittù Italia-

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na , che d' innovare esempj di crudeltà barbara ed inumana, di correggere i difetti, che di in()lli})licar- li , ed in somma tale sarei stato, clx' avrei potuto me- glio consigliarvi, come con vostra e sua soddisfazio- ne ed onore aveste potuto al vostro Re civilmente ub- bidire, che voi me non avete sforzato a servir servil- mente, non dirò a Busiri, o a Falaride , o a Dionigi, ma alla necessità più fiera tiranna , ch'alcun di co- storo, 0 ch'altro non fu nelle antiche, o nelle mo- derne storie nominato. Allora voi, Signori Napolita- ni , mi sforzaste , quando non mi persuadeste; allora mi faceste ingiustizia, quando negaste di farmi ra- gione \ allora mi scacciaste , quando non mi racco- glieste. E chi scacciaste voi? uno, che quasi ad asilo de' ladroni fosse alla vostra città ricorso con inten- zione di male operare; od uno più tosto, che tra gli altari e ne tempj della sua patria credeva di pote- re esser sicuro , se non per coscienza dell'onesta vita passata , almeno per buona intenzione dell'onesta vita futura . h. me. Signori Napolitani, le camere dei giudici furono stanze de' barattieri ; a me le chiese e i conventi de' sacerdoti, spelonche di ladroni; a me i parenti e gli amici , carnefici ed esecutori dell' al- trui Inaudita crudehà. Ond' io or vengo , non tanto a scusarmi con esso voi degli errori, che per vostra cagione dopo ho conunessi ; quanto ad accusarvi, che m'abbiate quasi necessitato a commetterli .Né, come Lisia 0 Iperide ragionando al popolo Ateniese pro- curava di persuaderlo lusingandolo , io lusingando, la vostra grazia procurerò di guadagnarmi; ma più tosto quasi nuovo Milone nulla pentito del fatto, per lo quale era innanzi a' giudici , intrepidamente l'al- trui lagrime riguarderò, se ( i sarà chi per me voglia spanderle; o pur anche quasi nuovo Socrate, non tanto de' miei falli , quanto del vostro debito, con es- so voi ragionerò. Apparecchiatevi dunque. Signori

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iVapolItani, ad ascoltar le naie parole i ou quel:n al- tezza d'animo, con la quale io m'apparecchio di ri- cevere tutto ciò che di bene e di male, per pena o ptr premio de' miei meriti o delle mie colpe m' è a[)pa- reccìiiato.

Due sono i tempi, ne' quali le azioni mie possono esser considerate, o Signori Napolitani. L uno è quello ch'io ho speso nella servitù del Signor Dou Alfonso d' Este , Duca di Ferrara . L' altro è quello che dopo la mia fuga a Napoli in varj errori ho tra- passato. Perciocché l'altro più aulico che consumai ne'servigj del Sig. Cardinal d' Este , ragionevolmen- te nelle tenebre della mia fanciullezza può esser la- sciato nascono, nelle quali anco l'avarizia usata da lui verso me , avarizia forse da lui verso alcun altro non usata, comporterò volentieri che resti celata. E due sono le cose contrarle e discordi fra sé, per le quali io credo che 11 commercio delle genti mi sia principalmente interdetto , e delle quali io credo principalmente d'essere Incolpato. L' una è, che pri- ma abbia negate tutte le colpe da me commesse, e particolarmente il difetto della Fede. L' altra, che poi molto le abbia accresciute , e che mi sia fatto colpe- vole di quelle cose eziandio, di cui io era innocen- te. Queste imputazioni in guisa io mi sforzerò di purgare, che non tanto da sovrano giudice il mio procedere ne sarà condannato , quanto il procedere di questi giudici, 1 quali molto più dal costume dei giudici si sono allontanati, ch'io dal costume de' rei non mi sono dipartito. E questo soprano Giudice nel Cielo son sicuro io che non manca, al cui tribu- nale non solo come Socrate, o come Palamede spe- rerei d'appresentarmi , ma come Susanna ancora, o come la Meretrice , che del proprio figliuolo con la micidiale del suo venne in contesa. Ma mi ofiova anco di credere, che per me in terra debba ritrovar-

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si, e clie quel sia che nato del sangtie de' vostri Si- gnori tiene il luogo nel mondo di sovrana dignità, il quale non come Lucifero per guerreggiar con Iddio ha posta la sua sede in Aquilone, ma con intenzione più tosto pia ed angelica d' opporsi a' nemici del no- me cristiano, se da quel lato tenteranno d'aprirsi il passo nelle viscere della Cristianità. Purgate ch'io avrò le circostanze del negare, e dell'accrescere, che cosi pare ch'accrescano i miei falli, resteranno le col- pe nude nella lor simplicità, le quali perchè mi pa- re d'avere a bastanza difese con l'Imperadore, non voglio apparecchiar loro nuova difesa, credendo mas- simamente che la grazia di S. D. Maestà sia per adempire non solo il difetto delle mie ragioni, s' al- cun ve ne fosse, ma per fortificarle, e per confer- marle contra tutte 1 arme e eontra tutte le macchiue sofistiche, eh' a distruzion loro potessero essere ado- perate. Or vegniamo alle ragioni ed alla forma dei giudizj. Signori Napolitani, niun reo fu giammai, a cui in giudizio non fosse concesso non solo di ne- gare le cose oppostegli , o d'alleggerirle , o di rico- prirle; ma di ritorcerle ancora negli avversai'] , e di spendere altrettanto della sua orazione in biasimo iuro, quanto in sua difesa. Sicché, s'io apprcsentato all' ulìizio dell'Inquisizione, non confessai i segreti della mia coscienza ; se contra la malignità degli ac- cusatori miei dissi alcuna cosa, e alcuna ne dissi della mia buona intenzione, o della mia pietà, o ci- vile o cristiana ch'ella fosse, non commisi errore non commesso da tutti; non usai arte che da ciascu- no non sia usata; non mi valsi di difesa, che la na- tura medesima agl'indotti e agi' inesercitati non in- segni. Contra un reo dunque che co' modi ordinar] procedeva, non era ragionevole che con istraordina- ria ragione i giudici procedessero. S'io negava: chi non niega ? S'io accusava gli avversar]: chi non gli

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accusa? S'io del favor del mio Principe mi valeva: chi del favor del suo Principe in fatti casi non si prevale ? Non è, non è, Signori Napolitani , uffizio deir Inquisizione l'Areopago, in cui non sia lecito di parlar fuor della causa. Ma più tosto ivi il uien che si considera, è talora il merito della causa, per- chè tutta la vita dell'uomo si va ivi ricercando. On- de non veggio, perchè, quasi nuovo Areopagita, il Irate domenicano dovesse conlra me incrudelire •, e se Areopagita esser voleva , perchè mi costrinse a parlar fuor della causa, negando io prima di voler ciò fare 5 o perchè quegli avvocatile quelle difese non mi concesse, eh' a tutti i rei si sogliono concede- re ? Forse perchè mi stimava colpevole? Or non sa egli , che i giudizj degli uomini sono fallaci, e che solo Iddio è conoscitor de' cuori, e che questa pro- prietà è così propria sua, che a' Demoni, agli Angeli stessi la partecipa? Questo doveva egli sape- re come teologo ; e come legista doveva sapere , o come giudice almeno da'lcgisti avere inteso, che alla forma degli ordinar] giudizj la confession del reo è necessaria^ e come tilosofo , se pur è filosofo, saper doveva che meglio è assolver venti colpevoli , che condannare un innocente. Non mi concedendo dun- que le difese, d'esser giudice dimostrò, d'es- ser teologo, o filosofo si ricordò . Ma più d'ogni al- tra, cosa (taccio della carità, la qual per avventura ne' conventi de' frati non si ritruova, se non come il silenzio, scritto solamente nelle carte e ne' muri), ma più d' ogn' altra cosa , dico , dell' umanità si di- menticò . Già migliaja d'anni son trapassati che la severità dell'Areopago da'giudicj è bandita, in Atene medesima lungamente fu gradita; Roma che così di clemenza , come di grandezza d'imperio e d'animo, tutte l'altre città di gran lunga si lasciò a dietro, la ricevette j Venezia, in cui tanto può

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FeloqTiPn/a , quonto (^ raginnevole clie possa in una città, in cui può la ragione, la riceve; la ricevo- no le città, o le corti de' Principi , o de' tiranni . Ove non vagliono, o Iddio buono, le ln<Tjrime del pupillo e della vedovella ?• ove l'età decrepita de'ge- nitori , 0 l'inferma de' tìgliuoli ? ove i meriti della gioventù non sono in considerazione? E qual colpa non si perdona alla speranza di crescente valore? quale all'amor dell'onesto e del pubblico bene? ove la memoria de' maggiori non è atta a risvegliare pietà? Dall'altro lato in quale vScizia, o in quale Niimidia non è odiosa la crudeltà e ]' inumauità ? non è abborrita la perfidia? non è abbominato il tradimento ? non è nojoso il fasto e la superbia ? uoa è rimirata con isdeirno la gonfiezza e la soverchia persuaiioa ài se stesso-, e con odio e con abljomina- zione non è riguardato l'odio verso il genere uma- no, e il disprezzo verso di cobu-o , in cui si rliruova più di valore; o pur l'invidia, che vestita dell abito del disprezzo tanto è pia esecrabile, quanto più va ricoperta con la simulazione? Misero mei a nie solo ogni Difetto d'umanità fu negato, a cui più si dove- va concedere ; e solo io non potei rendere altrui o- diosi gli avversar) miei , i quali senz' alcui» mio ar- tifizio a tutto il mando dovrebbono essere odiosi. Ma quale artificio fu da me usato, o Iddio giusto, se non pieno di somma giustizia ? qual cosa fu detta da me, che da me veramente non fosse creduta? Tu, Si- gnore giustissimo, che del mio segreto e degli altrui sei conoscitore, vedi aperta e nuda la coscienza di ciascuno, e tu manda sovra colui più di pena, iti cui è più di difetti. Ma volgendo a voi. Signori Napolitani, il mio ragionamento, s io contra gli av- versar] miei del falso non volli prevalermi , ma del vero, son amator di verità; e se sono amator di ve- rità, son iilosofo ; e se son filosofo, mi deve esser le-

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cito di poter con esso voi filosoficamente ragionare . perchè io celassi alcuna parte della verità, deb- bo meu filosofo esser riputato 5 perciocché chi è più usato di nasconderla e di celarla a beneficio altrui , de' filosofi? E se pur per filosofo perfetto non mi volete (che io anco questo nome superbo attri- buisco a me stesso), almem") come uomo d'ingegno, e di natura libera e filosofica m'accetterete. Ma che dirò della seconda volta che in Bologna al tribunale dell' Inquisizione m' appresenlaì ? Potè forse V Inqui- sitore o trar dalla mia bocca alcuna falsità contra gli avversar] miei , ancorché con molto artificio di parole di trarla s'ingegnasse? Non è dunque ragio- nevole. Signori Napolitani, che vaglia il falso con- tra ad un uomo che con la falsità non s' ha voluto ajutare. Ma ragionevol più tosto sai'ebbe che'l dub- bio e l'incerto a suo danno non fosse cpeduto , e che del certo ancora alcuna parte alla sua bontà fosse donata . E tanto sia detto intorno alla prima parte 5 quella dico del negare le colpe da me com- messe , ed il difetto della Fede particolarmente.

Or passiamo alla seconda dell' accrescere. L'accre- scere le colpe non é per se stesso rea cosa, o Signori Napolitani ; ma per le circostanze soLimente, o per la malvagia intenzione di colui che le accresce. Per- ciocché se rea cosa fosse 1' accrescerle , l'uomo tutto- di nell'orazioni istituite dalla Chiesa non si confes- serebbe colpevole d alcuni errori, eh egli per av- ventura non ha mai commessi. Oltreché molti si son ritrovati che trasferendo in se medesimi le colpe de- gli amici e de' Signori , sono stati più tosto degni di lode che di biasimo, ed anzi di premio che di pena meritevoli. Resta dunque che si consideri , s' io con cattiva intenzione le mie colpe accrescessi , o se le circostanze possono aggravarci mici errori. Quando nelle prigioni del caslello di Ferrara , Signori Napo-

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litaui, chiesi al Sig. Duca di Ferrara la vita iu clono, usai queir artificio che con un Principe magnanimo, come egli è, e desideroso d'imitare i fatti gloriosi de suoi maggiori^ ciascuno dovrebbe usare . E l'usai con molta ragione 5 perciocché non scriveva io al giudice ordinario, rna*. al Principe. E siccome, s'io avessi scritto ad un giudice, avrei dovuto procurare che la giustizia la vita mi salvasse, così scrivendo al Prìncipe doveva dalla grazia riconoscerla. S'io dun- que una cosa medesima e negai al ministro ,e con- fessai al Principe, feci non sol quel ch'era nccessa- rio nella novità de' mo<ìi straordinarj,ma anche quel eh' era convenevole. a me stesso contradissi , ma sempre concorde a me stesso, il ministro come mi- nistro trattai, e '1 Principe come Principe onorai. Ma quando a Torino dissi, eh' io affatto era stato miscre- dente, il dissi persuaso da chi in quella occasione poteva esser giudice , ed assicurato sovra la creden- za, e sovra la fede de' Principi onoratissimi. E'I dis- si con intenzione di riceverne onore, e non scorno^ e con opinione, non di nascondere il vero, ma più tosto che'l vero si dovesse risapere. E s io sono sta- to ingannato, l'inganno dee ragionevolmente recar vergogna, non all'ingannato, ma ali ingannatore. \ ragion dunque dopo quell'azione non mi reputo me- no onoralo di quel che prima io fossi. E s' io ricevo utile da quella azione, io ricevo quello che ragione- volmente debbo ricercare, anzi forse meno di quel eh' io dovrei . Perciocché s' è sentenza del Duca Ferrara, approvata dal Re di Spagna, ch'io debba nudrirmi della confessione del mio passato difetto della Fede, o è giusta, o ingiusta. Se giusta, io l'ho approvata^ se ingiusta , come a me pare , non poteva riprovarla , vedendo che tutto il mondo la riceveva . E che richiedo io (o Iddio giusto ) dopo tanti affan- ni sofrerti , e dopo laute, dirò , morii quasi patite , sg

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non la metà di cjiiella gloria e di que" premj, die so- no debili alle mie fallclie? Se questo dunque solo chiedo, o Signori Napolitani, più tosto come troppo largo e trascuralo donalor del mio, che come ingor- do dell' altrui avere , dovrei essere biasimato ? Ma a chi il chiedi ? mi direte voi . Al Duca di Ferrara, in servizio ed in onor del quale ho scritte molte cose degne di maggior ricompensa, clic non è quella eh Io ardisco d' addimandare. E s' alcuna scritta n'ho non intieramente a suo gusto, o eontra la sua riputazio- ne, non debbo perciò meno arditamente addimanda- re il premio delle mie fatiche. Perciocché, s'io l'ho ofTeso , io l'ho offeso, perchè ho creduto che voglia essere offeso-, e s'egli prendendo la mano d' alcuno, e percotendosi, non può ragionevolmente castigarlo, non dee poter ragionevolmente castigare i trascorsi della naia penna e della mia lingua, che dalla sua violenza e dagli artificj suoi, quasi da macchina, so- no stati sospinti. Io il reputo Principe onoratissi- mo, valorosissimo e nobilissimo ; e sempre, posto in mia elezione , come tale l'avrei «celebrato e magnifi- cato . Ma non credo già ch'egli sia o filosofo , o tale che della verità delle cose non possa ingannarsi, E s'egli con la sua autorità ha voluto difenderei igno- ranza de^^uoi, non era io, che di filosofo fo profes- sione, obbligato a scrivere a sua voglia, e posso in giudlcio convenirlo, ed II premio delle mie fatiche addimandargli . E s'egli non niega a' suoi soggetti che con esso lui non possan litigare, a me non d^ee negare, che soggetto gli sono, servitore, se ben servitore desidero d' essergli , quella ragione che dai suoi giudici ordinar] fa altrui concedere . E quando pure egli le mie fatiche premiar non volesse, debbo- no perciò rimanere iinpremlate? Dipinge Tiziano, o Pvafaello in un quadro l' immagine di Carlo Quinto, odi Francesco ; e d' altri Principi, e la diplngf'. si-

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mile al vero , ma non piace ad alcun di loro, perchè forse più bello vorrebbe vedersi ch'ivi non si vede: or mancheranno compratori a' quadri di Rafaello, o di Tiziano? o pure i compratori desidereranno che i ritratti al vero non s'assomiglino? Chi vide mai que- sti mostri , 0 questi portenti , Signori Napolitani ? o da chi mai furono queste insolite cose ricercate? Per- ché r opere dell' arte mia , arte sovra tutte l'altre no- bilissima, ed opere, s' amore non m.' inganna, non ignobili, non debbono come 1 opere dell'altre arti esser prezzate e premiate? Manca al Duca di Ferra- ra non gusto, non intelligenza, non animo di spen- der largamente , ma voglia -, perchè dee mancare al Duca di Savoja? perchè al Duca,o al Principe di Mantova? perchè se non al Gran Duca, al Cardinale, 0 al Sig. Don Piero de'Medici? lo non parlo dell'lm- peradore, del Re, perchè 1 uno e 1 altro quasi nuovi Alessandri desiderano forse solo da Apelle es- ser dipinti , e da Pirgotele, o da Fidia intagliati. Ma perdonisi l'arroganza all'occasione: ed Apelle, e Pirgotele e Fidia mi vanterei d'essere, s' essi così verso me l'animo d' Alessandro volessero dimostra- re , come vei*so gli altri il dimostrano. Ma quando tutti gli altri mancassero , o Signori Napolitani , do- vreste voi delle mie opere esser giusti stimatori e li- berali compratori . Vi dolete, eh' io non vi dipingo, o scolpisco belli come vorreste . A questo io ri- spondo, eh appresso Aristotele si truova menzione di tre maniere di pittori : di chi dipinge simile al ve- ro^ di chi fa le cose maggiori del vero-, e di chi mi- nori. Questa ultima è allatto da esser disprezzata : l'altre due meritan lode. Ed io nell'una e nell' altra intendo d'esercitarmi. Nelle cose che come filosofo scriverò, dirò, come disse quel saggio: amici sono gli Aragonesi, amici i Sanseverini , amici i Davali ; ma più amica è la verità. Neil' altre, che come poeta

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tratterò, formerò colossi simili a quelli che i Rodianì ammirati del Sole, e tutte l'opere mie saranno di sta- tura ^igantea. Ma se non ciascuna famiglia, o cia- scun uomo 'per sé, ma la patria tutta da ritrarre aves- si , o Signori Napolitani, quella Roma trionfante che dal vostro Pirro Ligorio nelle carte è stata rinnovata, sarebbe da me proposta per idea del mio disegno , il quale non in carte, o in tele, o in colori, ma in marmi ed in metalli distenderei si nobili, che quel- li di Paro odi Corinto vili verso di loro sarebbono giudicati. crederei, cke l' idea dal vero molto s'al- lontanasse^ perciocché la verità più nell'idee si ri- truova , che nelle forme materiali non è solita di ri- trovarsi. Ma, o vi piaccia. Signori Napolitani, di comprare l'opere mie, o di procurare ebe se non li- berali, almen giusti compratori si ritruoviuo: vo- stra sia l'elezione. Questo nondimeno voglio che sappiate, cb'io tutti insieme onorerò sempre per ele- zione sovra ciascun Principe del secondo ordine , e sovra ciascuna Repubblica , per grande, e per pos- sente, e per nobile ch'ella sia. E molti di voi sepa- rati non meno onorerò di quel che farei qualsivoglia de' Grandi di Spagna, o de' Principi di Francia^ e molto più gli amerò , se V amor mio troverà da voi quella corrispondenza che deve, la qual non è ra- gionevole che da voi mi sia negata. Più dell' alFezion mia e dell'opinione non posso promettervi, di questo che vi prometto; e se più vi proiuettessi , condanne- rei il giudizio dei Re, e degl' Imperadori vostri Si- gnori , i quali non si sono sdegnati di maritar le fi- gliuole e le sorelle loro in questa nobilissima Casa da Este. Voi, s' alcuna cosa mi prometterete , procu- rate che la vostra promessa sia osservata , come da voi si conviene-, crediate che dell'utile io sia prin- cipalmente sollecito, ma della libertà e della dignità e dell'onore: le qiiai cose uon veggo come seuz' al-

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cun utile convenevole possano essere o conseguite, o sostenute. Persuadetevi dunque d' essere avvocati d' uno, che non con animo mercantile, ma con lìlo- sofico, aspetta dall' Iraperadore la sentenza, eh' a lui giova di credere che debba gsser graziosa .

CLXXXVI. j4ir Illustriss. Sig. Scipione Gonzaga, Principe delt Imperio , mio Signore.

Se con la prima scrittura, Illustrissimo Signore , che ho mandato a V. S. Illustrissima , non avessi al- tro operato, credo almeno d'aver con essa deposto il timore e la versoana dello scrivere, ed assuefatto

Co '

me, stesso a non tralasciar per rispetto le mie lagio- ni , e lei a leggerle con alcuna pazienza ed attenzio- ne. E nere!. è colui ch'una fiata i confini della ver- gogna lia tra j)assati, dee esser bene ed animosamen- te sfacciato \ io se non con istacciataggine , aliueiio con sicurezz:i , da niun rispetto ritenuto, ardirò di nuovo scrivervi senza timor di nojarvi , se cosi del- r obbligo vostro e del debito degli altri intercessori ragionerò, come di quello de'due Principi, appres- so i quali s intercede, ho ragionato. Perciocché l'u- no e l'altro di loro è cosi grande e per valore e per potenza , che chi è stato ardito di richiamar sotto alcuna legge la grandezza e la virtù loro, può ben anche sicuramente porla bocca in ciascun Principe del lor ordine , per grande e per valoroso che sia , e che sia riputato. E qiiando io parlo di debito e d'ob- bligo, non intendo di quello, per lo quale innanzi a' tribunali de' giudici da creditori son citali coloro che debbon lor dare*, ma di quello che impongono le leggi di natura e d'umanità agli uomini; le leggi di virtù e d'onore a' buoni, ed a coloro clic amano di parer tali -, le leggi divine e cristiane a chi d' esser Cri^sliano si rammenta . E voi , Illustriss. Signore , non

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solo come uomo , e come buono ed onorato , e come cristiano, sete ristretto a quell' obbli<:fo, il quale è comune a tutti, e particolare a quei Principi e Si- gnori, i quali hanno maggior potere di fure altrui benefìciOj fra' quali voi potete essere annoveralo; ma ad un particolarissimo molto , perciocché amico e signore mi siete stato , e molto m' avete amato , e molto siete stato da me riamato. Ed ora se tal più non mi siete, in tal modo disposto verso me; non potete almeno negare di non conoscermi, e di non essere in parte stato cagione della mia infelicità. ora io vengo a ragionar del vostro debito con voi medesimo, tanto perch' io creda o che voi noi co- nosciate, o che noi vogliate conoscere , o che non vi curiate di pagarlo , quanto per aprirmi la strada a parlar degli altri, de' quali aspetto alcun favore in questa mia calamità; e perch' essi ascoltino di balzo con minor noja le mie ragioni , conoscendo che voi, verso il quale con diritto colpo son dirizzate, mercè vostra cortesemente l'ascoltate.

Presupponendo dutique che i due Sereniss. Prin- cipi siano pieni verso me di sdegno e di mal talen- to, e che non siano in alcun modo inclinati alla grazia , pongo in vostra considerazione , se i miei falli o per considerati, o accompagnati con l'al- tre mie condizioni, meritin che per me grazia, e che per loro perdono si richieda ; e se la meritano, come debba essere addiinandata , e da chi, e particolar- mente se voi dovete addimandarla, ed in ([ual modo. Quel Dracone, del qual si dice, che scrisse le leggi non coir inchiostro, ma col sangue, a tutti i peccali poneva per pena la morte, dicendo che i piccioli n' eran degni , ma che a' maggiori maggior pena non sapea ritrovare; il quale se non fra Greci, ma fra Sciti fosse nato, sarebbe anche stato soverchio cru- dele. Or s'egli nella mia causa fosse giudice, per

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avrerìtura ogni mio fallo per se stesso degno di mor- te riputerebbe. Ma coloro che nel mio caso son gin- flici 5 non la ferita barbara, o la greca alla barbara somigliante debbono proporsi per esempio; mala giustizia di coloro, secondo le leggi de'quali il mon- do ancora è governato: de' Romani , dico , appresso i quali a pochissimi delitti era data la morte per pe- na ; ed in ogni delitto, quantunque degno di morte, era luogo al perdono; ed era castigato chi antici})au- do la pena, tagliava al perdono la strada. Onde a Curiazio (nel dubbio de' nomi a questa opinione m' appiglio) che uccise la sorella , fu perdonato ; ed a' Cicerone , che fece strangolar Lentulo e Celego, senza conceder loro le ditese che a' rei si danno, tuttoché per bene della Repubblica, e con autorità del Senato il facesse, non fu perdonato. E se pur o- gni mio errore ai giudici ordinar] paresse degno di péna, niin errore, niun misfatto, uiuna atrocità è così grande, e. le da' Principi non possa, non soglia, talor non debba esser perdonata. Si perdona a' la- dri , agli assassini , a'rihelii , agii eretici , a' tradito- ri, ed a coloro che contra la vita de'Principi stessi han congi irato. E per non andar cercando esempi di lontano, non li prendiamo dalle straniere regio- ni, ma dall'Italia, non dall'antichità, ma da'tempi moderni , e non altronde che da Ferrara stessa e dai Principi Fei'raresi .

Alfonso Primo a coloro, clic di torgli la vita pen- sato avevano, magnanimamente perdonò; ed Ercole suo figliuolo con egual magnanimità perdonò al Manfrone, vostro zio, che follemente e fuor di ragio- ne aveva disegnato d'ucciderlo; ed a que'soldati che nel tempo della guerra con la medesima inten- zione vennero a Ferrara, perdonò loro in maniera che i rei nel corpo alcun nocumento non sentirono, contra loro in alcun modo fu incrudelito. E se

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Cosmo non perdonò al Puccio, e se Fcaiicesco ad Orazio, suo figliuolo, non perdonò, non fu perchè loro mancasse grandezza d'animo per ciò iare^ ma perclìè giudiciosamente cono})bero che in un Kegno nuovo, e pieno di male soddisfazioni e di spiriti sediziosi, non era sicuro, d'utile esempio il perdonare. Ala quella grandezza d'animo che nel conceder loro la vita non si poteva, si doveva di- mostrare, nel donar la roba graziosamente si dimo- strò. Or fra 1 mio caso e quello del JVIanfrone e del Pucci, qual cosa è o d'eguale, o di simile? qual cir- costauza è , che non aggravi il loro errore , o che non alleggerisca il mio? Ma diranno che fra loro e la mia persona è molto non solo di dissimilitudine, ma disuguaglianza, e che l'altre mie couillzioni ren- dono me di peji'dono immeritevole. Sig. Illustriss. , io con esso loro non solo non vo' venire in para- gone di splendore di fortuna, o di nobiltà di sangue, ma anche di bontà di vita voglio contendere, purché voi vi contentiate eh' essi ancora in molte cose a me non possano essere agguagliati . Nel qual paragone altro testimonio ed altro giudicio non cer- co che'l vostro medesimo. Chi più m'ha amato di voi ? o chi più di voi m ha stimato ? E come potete voi, che siete fornito di tanta bontà e di tanto valo- re, amare od avere in pregio persona che per bontà, per valore il ineriti? Voi stesso condanna- te, e il vostro giudicio riprovate, se me condanna- te. E se voi non m'avete conosciuto, chi m'ha po- tuto conoscere ? O con chi ho io mai o più lunga- mente, o più intrinsicamente, o più caramente prati- cato ? E chi è di voi 0 più accorto conoscitore delle nature degli uomini , o più dritto stimatore de'rae- ritl loro ? O chi nella conversazione è più aperto , o più libero, o più anco inconsiderato di me? Così non foss'io stato tale :, che in fatta infelicità non

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sarei caduto. Kon sono nell' animo mio, furou mai molte ritirate, molti nascondimenti-, ma co- si l'ira, come r amore, e cosi la buona, come la mala soddisfazione mi si lesile nella fronte, e nella lingua si manifesta. E se pur nell'animo mio era alcuna caverna, o alcuna latebra (per cosi dire), nella quale alcun mio grave si nascondesse (eh' io non negherò di non essermi sempre sforzato di te- ner ascoso agli occhi vostri il difetto eh' aveva della Fede), v'eia anche conserva di cose più care, che quelle non erano , che a prima vista si dimostrava- no; le quali non tanto vi scopersi io giammai, quan- to con una vana famigliarità spesso v^ accennava che ci fossero .

Ma comunque sia, per quelle condizioni, per le quali voi mi giudicaste degno d'amore e di slima, per quelle medesime che in me non sono mancate , tuttoché molte mie imperfezioni ed errori si sieno scoperti , degno sono di perdono , e degno che per me la grazia da alcun Principe sia dimandata . E se addimandar non la vogliono il Cardinal d E- ste, quel de' Medici , le Principesse di Ferra- ra , come partecipi dell' offese de' fratelli , o per al- tro mal soddisfatte di me: e se per la stessa cagione è men cortese che non suole il Sig. Don Alfonso; e ì suol gentilissimi llgliuoll non vogliono eh' io pos- sa vedere i fruiti della lor virtù, che con incredibi- le espettazlonc si va maturando: e se '1 Slg. Marche- se accusa la mia importuna venuta, ma non vuole, o non può porger rimedio al mio male: e se 1 Duca d'Urbino mio antico Sigaore, e molto tempo da me amato e stimato, per nuove male soddisfazioni che non da me, ma dalla mia fortuna deve riconoscere, non vuole in mio favore impiegar la sua autorità: e se il Cardinale Albano, anti(;o ed amorevol padro-; ne di mio padre e mio, non dimostra verso me quel-

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la stessa grandezza d'animose quella pietà cristia- na, eon la quale ha posti in dimenticanza gli odj iuveccliiall e le gravissime nimicizie : e se il Sig. Giacomo, eoi qiial presi in Roma servitù, non usa meco alcun eiretlo di quel valore , che '1 fanno de- gno della sua e di maggior fortuna, mal soddisfat- to forse d'alcune parole, cln* ne' tormenti della mia calamità sono stato astretto di dir lamentandomi : e se per la medesima cagione il Cardinale Guastavil- lani si dimentica non solo del suo nome, ma della sua cortesissima ed ufficiosissima natura : e se Don Pietro ritenuto dal rispetto che ritiene il Cardinale , volge più tosto gli occhi , che le mani pietose alle mie miserie : e se il Duca, e sei Principe di Savoja più si tengono offesi da alcune parole dette per ira, eh' onorati per le lodi scritte per elezione , o si ri- mangono di favorirmi per la straordinaria affezione ch'io porto al Principe di Mantova: e sei Duca di Mantova è più ricordevole d alcuna mia antica e leggiera mala soddisfazione, «he della mia nuova ed affettuosissima inclinazion di servirlo j perchè non si mostra pronto a favorirmi il Principe di Mantova, del quale uon parlai, scrissi mai, pur pensai se non con sommo onore, con estrema riverenza , e con incredibile affezione? E percliè per la medesima cagione la Duchessa sua madre non si degna chie- der grazia per me ? O come può sostener la Duches- sa, figliuola dell'uno e sorella dell'altro, eh' io sia venuto a celebrar le sue nozze col pianto e co' la- menti miserabili? e che nel tempo delle grazie a me sia stato rinnovato il castigo, e serrata la mia prigio- ne, quando l'altre si sogliono aprire? E perchè il Duca di Nivers non m'è ora così cortese del suo fa- vore , come altra fiata in altra occasione non me ne fu scarso? Col qual Signore io sarei stato veramente ingrato a non fare quella menziou di lui, ch'era

Saè LETTERE

debita alla grandezza del suo valore singolare e D)a- raviglioso, se da alcuni giusti rispetti non fossi sta- to ritenuto, i quali del tutto ora sono cessati . E per- chè 1 gloriosi Principi di Ghisa sempre da me mol- to amati ed onorati , ed in particolar il Duca d'Ume- na , al qual io baciai la mano, non mi favoriscono? E s'essi, che hanno fatte, e che fanno tuttodì azio- ni eroiche e degne di memoria immortale , non fa- voriscono gli scrittori, chi deve favorirli?

Ma certo che non solo da questi Signori, che ulti- mamente ho nominati , ma dal Duca di Savoja, da quel di Mantova , e da quel d' Urbino dovrei ragio- nevolmente potere aspettare alcun favore. E mi do- vrebbe giovar con quel di Mantova la fede, che ho mostrata in lui, per la qtiale io mi partii da Ferra- ra, ov'io viveva pur da gentiluomo , ed era servito^ ed essendo in termine di ricuperar la sanità poteva sperare di poter col tempo accomodar tutte le cose j e per la quale io me n'andai a piedi per ritrovarlo , ove, quando a Ferrara tornai , a cavallo ci fui ricon- dotto. E con quel di Savoja il faticoso viaggio, che per fanghi e per acque ho fatto a piedi sin là, ed il molto che ho patito nella sanità, cosi andando , come dimorando. E con quel d'Urbino l'antica servitù^ che mio padre ed io abbiamo avuta con lui e con la casa sua •, e la gratitudine, con la quale io ho dimostrato di conoscer sempre i beneficj dalla lor liberalità ricevuti. E con tutti tre la grandezza dell'animo, del sangue e della fortuna loro, alla quale niun altro mai, se non io più d'ogn' altro misero ed infelice, Indarno per favore è ricorso.

Ma risponderete, che da tutti posso ricevere alcun favore , e che tutti dimandan grazia per me, e eh' io ne posso vedere alcun segno, ch'in quella guisa m'ò dimostrato , con la quale le cose e i concetti ai muti si sogliono significare . Or se mi concedete, ch'io

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possa esser degno di perdono, e die per me grazia si possa addimandare ; resta che si consideri in qual modo le grazie si debbano richiedere. Nella quale occasione siami lecito di vagare alquanto filoj.ofando. Ho Ietto in Omero, eh' innanzi la porta del (Jiela sono due grandi Urne, V uaa tutta piena di mali , e r altra piena di mali co' beni mescolata. Ma che ci sia la terza tutta di bene ripiena , non si legge in Omero. E dic'egli, che da queste due Urne prende Giove i beni e i mali , che fra noi mortali comparte; fra' quali mai non si ritrova bene, che da mali sia scompagnato, ma il male puro e non mescolato mol-r, te fiate si ritruova . E per avventura uno di questi fu il Vaso di Pandora, il quale di tutti 1 mali era ripieno, se non quanto la speranza in alcun modo li consolava .

Giova dunque a me di credere , che i già nomina- ti magnanimi Principi , essendo quasi Giovi terre- ni , vogliano , attenendosi all' autorità di Omero , al celeste Giove aseomigliarsl , il quale bene scompa- gnato da male non è solito di dare agli uomini. E certo s'essi fossero Gentili, in alcun modo sarebbe la loro opinione degna di scusa . INLa essendo cristia- ni non solo, ma cattolici , non so come possano , ciò credendo, credere di ben ci*edere . Perciocché l'opi- nione d'Omero è così perversa , che niuna è più. Ed io stimo più tollerabile l'errore di quegli eretici, ì quali vedendo che nel mondo erano così i mali co- me i beni , e non volendo affermare, che Iddio fosse cagione de' mali, ponevano un altro primo principio quasi contra Iddio collocato, il quale così fosse ca- gione de'mali, come Iddio de' beni era cagione. Ma veramente parlando non solo secondo la cristiana , ma ancora secondo la filosofica verità, altro pri- mo principio si ritruova che Iddio , Iddio de'ma- li è cagione, ma bene principio e fonte eterno,

?)i8 I i; r T I R K

onde tatti i beni derivano. Percioccliè esfll nou pei' altro creò il mondo , se non perchè era buono , e perchè la sua bontà dalle cose create fosse participa- ta . E tutte le cose fatte da lui furou buone*, ed egli le vide, e l'approvò come tali; e tutte le grazie , ciie da lui vengono, sono da ogni imperfezione scompa- gnate.

Dunque se i Principi son (iiovi terreni , e se le grazie de' Principi debbono essere ad esempio di quelle d'Iddio , debbono essere grazie graziose, non grazie disgraziate: grazie grate a chi le riceve, non utili a chi le fa , o a chi le impetra , ed ingrate a chi le riceve. Ed in somma, siccom' Iddio, mentre egli fa grazia, è da noi più conosciuto per Iddio e più ono- rato, che mentre fa giustizia ; perchè, bendi' in lui ogni perfezione sia eguale, nondimeno secondo il modo del nostro considerare alcuna par maggiore , alcuna minore; cosi anco i Principi sono per le gra- zie conosciuti per Principi , e per le grazie onorati , ove per la giustizia da un lor rigoroso ministro non sono differenti. E tanto è lontano dal vero, che Id- dio mescoli i beni co' mali, eh' egli più tosto le pene con le grazie è solito di temperare. Onde quando scacciò Adamo dal Paradiso terrestre, dandogli per pena la morte , mescolò , come dice il Nazianzeno, il castigo con la grazia , perchè la sua morte fu cagio- ne, che la sua miseria eternamente non durasse. Ma quando si vestì d' umanità per riscuotere dalle mani del Diavolo 1' umana generazione, e per farla de^na di salire al cielo, la grazia con ninna pena accompa- gnò; ma egli si fé' reo della nostre colpe , e le nostre pene ili se stesso sopportò. Dunque innanzi la porta del cielo l'Urna de'mali è mescolata co' beni ; ma l'Urna de' beni è tutta pura, e da niun male infetta, o intorbidata. O più tosto niun male deriva dal Cie- lo, e nel Cielo non è male , perciocché non c'è ma-

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Icria, privazione, voglia d'Angelo disordina- ta; ed il male altro non è, che o diietto della mate- ria, o disordine dell'anima; o più tosto il male non è, si truova natura di male, ma ivi diciamo (esse- re il male , ove veggiamo mancar il bene.

Questa filosofia, se non m'inganno, è più degna d essere ascollala da'Principi, che l'Omerica finzio- ne . E s'essi vorranno mai innalzar gli occhi al Cie- lo , dal quale il lor intelletto è disceso, e dal quale è lor concessa ogni podestà sovra gli uomini , vedran- no ch'egli egualmente piove in Roma ed in Augu- sta, a' Fedeli ed agli infedeli; e eh' il Sole egualmen- te riluce a' buoni ed a' malvagi , a' giusti ed agi' in- giusti ; e che la vicenda delle stagioni, e la succes- sion del caldo o del freddo , e della brevità e della lunghezza delle notti e de' giorni, a beneficio di tut- ti gli uomini in tutte le regioni va alternamente va- riando. E se vorranno chinar gli occhi alla terra, onde hanno recato il corpo , vederauno che da lei scaturiscono i fonti e i fiumi egualmente dolci e sa- lubri a' ricchi ed a' poveri , a' nobili ed a' vili, a' vir- tuosi ed agli scellerati; e che da lei mille erbe e mil- le piante volontariamente germogliano per cibo e per uso non più de' buoni che de' tristi ; e vedranno che ella coltivata, così all'industria degli uni, come 'a quella degli altri largamente risponde. Onde o vo- gliano imitar la beneficenza d' Iddio, di cui sono im- magini, e ministri, e figliuoli; o vogliano quella della Natura imitare, di cui pur sono figliuoli, e fattura : tuttoché io sia reo e colpevole di tutti i peccati, non potranno ragionevolmente essere scarsi di tutte le grazie; e quelle che da loro mi saranno concesse, non dovranno da alcun male esser contrappcsate.

Ma s' alcuni dessi, nel chieder per me grazia, vor- ranno non tanto aver riguardo al mio bene ed alla mia soddisfazione , quanto al lor proprio utile e sod-

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disfazìone , questn non è grazia degna d' esser con- cessa o impetrata da Principe: ed assolutamente non è grazia, perché la grazia deve esser giovevole a chi la riceve, non a chi la fa , o a chi 1 ottiene. Oltreché la grazia essendo contraria alla pena, non può con- giungei'si con la pena in un medesimo tempo , e in un medesimo soggetto, snella molto non perde della natura e della forma sua , e s' ella non è così rotta e rintuzzata, come sono le forme degli elementi, quando nel misto si congiungono. Ma quando è fatta, non si può più addimandar grazia, ma forse grazia imper- fetta, e grazia penosa. E gran differenza fo io dalTira- perfctta alla penosa, essendo 1' imperfetta una con- cessione d' una parte del bene senza alcun contrac- cambio di male , come sarebbe a dire la concessi on di mezza la roba confiscata , o di mezza la libertà tolta 5 ove la grazia penosa è con contraccambio male , come quando ad uno si concede la vita, e gli si per pena la galera, o la prigione, o l' infermi- tà perpetua. La qual grazia, per replicar quel che ho detto, è grazia ingrata, e grazia disgraziata. l\Ia l'im- perfetta tale non è, sebben è con intiera soddisfazio- ne di chi la riceve, o con compita cortesia di chi la concede , o di chi la domanda. JNon è grazia degna d'esser fatta o dimandata da Principe 5 pei'chè se i Principi nel far giustizia non debbon riguardare al loro utile, ma ali utile de'soggetli : quanto più nel richieder grazia debbono aver per oggetto, non il proprio interesse, ma il bene di colui per chi si ri- chiede ?

Ed acciocch'io sia meglio inteso, vi ridurrò a me- moria l'opinione di IVasibulo da Socrate ne' Dialo- ghi del giusto confutata . Credeva Trasibulo che il giusto altro non fos^e che quello, che è giovevole a' possenti . K s'egli intendeva del giusto legale, in alcun modo bene intendeva, perchè Aristotele sles-

LETTERE 3^ f

«o l'accenna nelle Morali, così dicendo : Le leggi a quelle cose riguardano ^ le'~quali o a tutti sono gio- vevoli, o a^ migliori, o aprincif^ali, i quali o per inrtii, o per altro cotal modo sono si fatti. Ove di- cendo per altro cotal modo sono fattij non oscu- raraeule ci signllica la potenza . E chi riguarda 1 in- tenziuue de' legislatori , vedrà che il proponimento di tulli è stalo di formar leggi utili a quella manie- ra di governo, elidessi procuravano di fondare , o d'uno , o di pochi , o di molti ch'egli fosse. Ma So- crate , che non tanto il giusto legittimo considerava, il qual può essere or giusto, or ingiusto, e giusto in. un luogo, ed in un altro ingiusto ^ quanto quello che veramente è giusto , e che sempre, e eh' in ogni luogo è tale: pruova in contrario per induzione, che giusto sia quello che è giovevole, non a chi gover- na, ma a chi è governato. Perchè se '1 medico nel medicare procura la sanità dell' infermo, o nell' ani- mo 0 nel corpo che la procuri^ e 1 pastor nel pastu- rare,la grassezza degli agnellÌ5e'l nocchiero nel na- vigare, la salute de'naviganti ha per fine ^ e s'ogni arte ha per oggetto il bene e la perfezion delle ope- re sue: è ragionevole, che '1 governatore nel gover- nare rimiri al hciic de' governati . E (juello in som- ma, che distingue il Principe dal tiranno, è che l'uno ha per fine il bene de^ soggetti , e l'altro il suo proprio interesse-, sebben l'uno e l'altro insieme possono e debbono accompagnarsi: come i Principi, de' quali s'è ragionato, sogliono acoompagnarlo , perchè per lo più quello , che è giovevole al buon Principe , è giovevole a' soggetti, e quel che all'uno è dannoso, agli altri è dannoso parimente.

Ora da quel che s'è detto chiaramente si racco- glie , che se giustizia non è quella , che si fa per pro- prio interesse, molto meno potrà esser grazia^ e che se i Principi , facendo giustizia in tal molo, Gtiino

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cosa non degna di loro, facendo in tal modo grazia, o procurando eli' altrui in tal maniera sia fatta, mol- to più dal dovere e dalla dignità, ch'alia lor gran- dezza si conviene, s'allontanano. Onde quand' io avessi a lamentarmi o di quei Principi, che cosi ri- gorosamente mi castigano, o di quelli che così fred- damente e scarsamente mi favoriscono , non so di quali dovessi mostrarmi più mal soddisfatto. Questo SO bene, che quanto gli uni il nome di crudele do- vrebbono schivare , tanto gli altri fuggire quello di avari e di venali, e forse molto più: perchè la cru- deltà non è sempre accompagnata da viltà , ed ha sempre il pretesto dell' ira e dello sdegno; ove l'ava- rizia sempre vilissima non ha manto di scusa , sotto il quale si possa ricoprire .

Pure io quelli chiamo crudeli, questi avari, ma me doppiamente sfortunato, che nell'albergo del- la pietà e della liberalità truovi tanto rigore, e tan- ta penuria e scarsità di grazie. E per tacere ora dei due Principi, da quali son punito: com è possibile, che '1 Duca di Savoja, se mai rivolge fra 1 animo la sua reale ed antica nobiltà, e se annovera mai il lun- go numero degli Eroi, da' quali è disceso, e l'im- prese e le vittorie e i trionfi loro, e 1 suo proprio va- lore e le sue proprie vittorie singolari, che T invi- dia e la fortuna hanno superalo, e la moltitudine del- le grazie, ch'egli ha graziosamente ottenute da Id- dio, possa recarsi a vendere una grazia ad uno sfor- tunato, ed a volere arricchire con la mendicità e con r infermità d'uno, se non innocente, almeno sven- turatamente colpevole? O come è possibile almeno, ch'egli non s'induca a tralasciar parte del suo utile, acciocché io parte della perduta sanità possa ricupe- rare ? E coni è possibile che i Duchi di IMantova e d'Urbino, non solo per 1 antica nobiltà degli ante- cessori, in guerèia ed in pace gloriosi , ma anche per

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la lor famosa liberalità obblififati ad esser liberali, Tuno e l'altro de' quali it^gge il suo Stalo eoa tanta giustiziale cpu tanta prudenza ha acquetati i tumul- ti de' popoli sediziosi , che ben ha dato a divedere, che non indarno all'aticato nelle belle e buone Lettere, delle quali è cosi fornito : com'è possibil , dico , eh' essi Principi dottissimi vogliano trarre uti- le dalla malattia d' uno Scrittore , e negargli anco tutta quella soddisfazione , che a lutti è concessa, di poter veder per le mani degli uomini gli scritti loro^ della quale non solo ha goduto Lodovico Castel vetro che è morto fuor del grembo della Chiesa, ma ne go- dono tutti i seminatori di scandalo e di scisma , e lutti gli eresiarchi? Ed a chi, per Dio, proibì mai il Ke di Francia o i Principi della Germania di poter vendere e stampar V opere loro? Benché forse la vo- lontà dell' uno m' è in ciò più favorevole, ch'io non istimo . Ma come posso apprezzare io quel favore, che non so di ricevere?

Che diro del Principe di Mantova, il quale ad Ogni lato che riguardi del suo sangue o paterno o materno , vede Eroi, e Re, ed Imperatori^ e tutto ciò che vede dentro e fuor di , il vede bello ed augusto ed eroico ? O come non mi maraviglierò , ch'egli benché giovinetto non ardisca dirompere questa scarsa e severa union di Principi , avendo massimamente il favore e l'autorità della madre vi- va , la qual manca al Principe di Savoja ? E per ra- gionar de' Preti, se'l Cardinal de' Medici dal rispet- to del fratello é ritenuto a non mostrare alcun segno di quell'animo eroico, eh egli Iragge da'Leoni,e da' Clementi, e dagl' Ippoliti , rispetto che parimen- le raffrena la cortesia , la pietà, e la magnanimità di Don Pietro: qual ris[)etlo può ritenere il Cardinal d'Esle, libero Signore di tutte le sue generosissime

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azioni? O come può in lui capir pensiero d'avari- zia , il quale con la sua larghissima liberalità, e con la reale magnificenza ha riempito maraviglia e di splendore la Corte di Fi ,^ncia , ed ora si fa ammira- re, e spesso invidiare i ì quella di Roma? O qual rispetto ritien gli altri, che dell'amor di Cristo si mostrano così caldi? O come non è fra loro alcuno , che imitando Cristo con in sferza in mano cacci dal Tempio i venditori e i compratori; i venditori e com- pratori, dico , del mio sangue miserabile?

E se la grandezza de' due Principi, che mi casti- gano , è tale che può più col rispetto, che con l'oro^ ne' Principi del loro ordine, e ne Cardinali ; e se vano è ogni sospetto, ch'io ho dell' alimi avarizia: non dee questo rispetto potere col Papa,o con l'Im- peratore, lor Sovrani; massimamente non ricercando io vendeita (la qual pur ra' è oH'erta d' alcun di co- loro, che mi negan la grazia, e che vogliono di quel- la anche far mercanzia), ma umiliandomi con ogni riverenza. E se così i lor superiori, come il Re di Spagna mio Signor naturale, che è stato sempre da me veueralissiino, e che mi sarcà sempre venerabilis- simo, è sordo alle mie umilissime preghiere; è pos- sibile, che non si ritrovi alcun cortese Signore, che divotaraente a' pie d'^1 Re di Francia le appresenti? Re, che non ha superior di grandezza, o di no- biltà, né eguale in valor d' arme, simile in eccel- lenza, ed in moltitudine di vittorie avute, o di cose latte eroicamente in battaglia, o in consiglio pru- dentemente deliberate; Re pieno d'affabilità, d'uma- nità, di piacevolezza, di cortesia; degno veramente, che per lui siano stati emuli due Regni potentissi- mi, e che per lui abbian conteso in (juella guisa, che gli altri Re per li Regni sono usati di contendere. E siccome non gli dee spiacere 1' affezione grandissi- ma , clu- ho portata al mio Principe naturale, meri-

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tevole d'essere amato e riverito dagli stranieri, non che da' soggetti, del quale lo credeva fermamente , e doveva crederlo , d'esser soggetto, non ribello: così dovrebbe avere alcuna compassione di me, che di tutti i beni paterni e materni sono staio privo, per esser nato di padre , che le sue parti aflcttuosamente seguì, il quale credo che dalla Reina Madre fosse conosciuto, ed in alcuna occasione favorito. La qua- le, se non isdegnasse di ripormi in quel grado di riputazione e di quiete e di comodo, dal quale lo sde- gno de' suol parenti m'ha fatto cadere, farebbe atto di pietà, degno per avventura d'esser posto in com- pagnia di tant' altri di fortezza , di magnanimità, e di prudenza virile, clie la rendono così gloriosa e co- sì memorabll Reina , come alcuna di cui sia nelle antiche e nelle moderne istorie menzione.

E se niun altro si degnasse d' appresentare i miei prieghl a così alte Maestà, voi, corteslsslmo Signor mio, non dovreste sdegnarvene-, e partico- larmente vostra questa cura dovrebb' essere , per- ch'io singolarmente v' ho riverito, e voi singolar- mente m'avete amato. Ma diranno, che m'ama- vate, mentre buono mi giudicavate-, e ch'ora non mi giudicando più tale, ragionevolmente con vostro onore l'amicizia avete dlsciolta : parlo di quell' ami- cizia in eccellenza, che tra' grandi j^ari vostri, e ì piccioli, come son'io, può essere. Umanissimo Si- gnore, fra coloro , fra' quali 1' amicizia si dissolve , o perchè T uno molto s'avanzi di grado e di valore, o perchè l'altro malvagio divenga, o tale si faccia conoscere, rimangono alcuni uticj di beneGceuza, ed alcuni obblighi di cortesia. Perchè non si puà senza inumanità scacciar dalla mente la memoria della convcrsazlon passata, de' favori e de' servigi vicendevoli, dell' affetto scambievole, delle operazio- ni, e de'ragionautenti gravi e giocosi. E vuole A- Lcit. T.IJ. -^a

336 L E T T E R 1.

ristotele , ohe quando il vizio dell'amico possa rice- vere alcun rimedio , ed alcun correg^imento , il migliore amico per alcun modo non debba abban- donarlo, né del suo ajuto, ne del suo favore essergli scarso . Il qual precello è lanlo conforme alla carila crisiiana, che più esser non potrebbe. Ed a me par d'esser così disposto, ch'ora per se slesso eleggerei sempre il bene, e fuggirei il male. Ma io non dirò d essere allettato al male con le speranze degli agj, e della quiete, e della sanità (cose care e gioconde agli uomini), dirò d'esser lusingalo da' piaceri, a'quali sono inclinati.ssimo , perchè per avventura la mia immaginazione potrebb' essere falsa. Ma dirò che dal bene sono scaccialo con troppo dure sferze, e con troppo aspre battiture; perchè quella Virtù , che apparve ad Ercole giovinetto , non mostra a me, come a lui, strada aita ed erta e malagevole, e fati- che e disagj solamente , ma mi percuote con iudi- gnìssinsa e viììssima povertà, e con niiscral^ile infer- mità . Ond'lo tutto son volto e tutto inchinalo a se- guire il piacer, suo nemico, ed a tornar al mio anti- co modo di vivere, e forse a peggiore, lusingato cer- to da' diletti, ma molto più spaventato dal timor di languire lungo tempo infelicemente nello Spedale, o- ve ora per mia sciagura mi rilruovo; e s' alcun cor- tese favore non sopraggiunge, che mi richiami alla parte migliore, tanto ritardo ad inviarmi per la peg- giore strada, quanto mi manca l' occasione e '1 mo- do di poterlo fare , il quale, se sapessi come, per me stesso andrei procurando .

Oimè, misero mei Io aveva disegnalo di scrivere, olire due Poemi Eroici di nobilissimo ed oncstissi- uìo argomento, quattro Tragedie , delle quali aveva già formata la favola , e molte opere in prosa, e di materia bellissima e giovevolissima alla vita degli uomini, e d accoppiare con la filosofia relo([uenza

L E T T T: R K 337

in guisa, che rimanesse me eterna memoria nel mondo; e m'aveva proposto un fine di gloria e d' o- nore altissimo. Ma ora oppresso dal peso di tante sciagure, ho messo in abbandono ogni pensiero di gloria e d'onore*, ed assai felice d'esser mi parreb- be, se senza sospetto potessi trarmi la sete, dalla quale conlinnamente son travagliato; e se com'uno di questi uomini ordinarj potessi in qualche povero albergo menar la mia vita in libertà, se non sano , che più non posso essere, almeno non così angoscio- samente infermo; se non onorato, almeno non abbo- minato; se non con le leggi degli uomini, con quel- le de' bruti almeno , che ne^ fiumi e ne' fonti libera- mente spengono la sete, della quale (e mi giova il replicarlo) tutto sono acceso. già tanto temo la grandezza del male , quanto la continuazione, ch'or- ribilmente dinanzi al pensiero mi s' appresenta r massimamente conoscendo che in tale stato non sono atto allo scrivere, all'operare. E l timor di continua prigionia molto accresce la mia mestizia •, e 1 accresce l'indegnità, che mi conviene usare ; e lo squallore della barba , e delle chiome, e degli abiti, e la sordidezza, e l sucidume fieramente m' annojano ; e sovra tutto in' aflligge la solitudlue , mia crudele e naturai nimica, dalla quale anco nel mio buono stato era talvolta così molestato, che in ore intempestive m'andava cercando, o andava ri- trovando compagnia. E son sicuro , che se colei, che cosi poco alla mia amorevolezza ha corrisposto, in tale stato, ed in tale afllizione mi vedesse, avrebbe alcuna compassione di me.

Or quanto più crederò, generosissimo Signore, che voi , udendo le mie miserie , siate per averne alcuna pietà? Sovvengavi che l'amico deve amare anzi r utile e 1' onor dell' amico , che '1 proprio utile e che'l proprio onore (parlo di quell' onore, di cui

338 L K T T E R B

son valili gli ambiziosi), e che solo per se maggior parte dtll onesta deve desiderare", ma è onesto che m^ajutiale , ed ajutandomi, di tutta onesta sarete possessore. E se preporrete questa onestà al vostro utile, non solo a' Principi presenti meriterete d'esse- re anteposto, ma a quel Scipione, al qual cosi nel nome come nel valore v^ assomigliate : che già non merita lode Scipione d'aver preposto il fratello al- r amico, quando ricercando Tuno e l'altro la Pro- vincia dell'Asia, egli, perchè non a Lelio, ma a Scipione suo minor fratello fosse data, s'offerse di voler seguirlo per legato nella guerra. E forse non fu quel Scipione famoso nell' amicizia , perchè la gloriosa e perfetta amicizia fu fra l'Emiliano Scipio- ne e fra Lelio cognominato il Saggio, non tra gli a- vi loro, che furono nondimeno grandissimi amici. Ma potrete affermar ragionevolmente , che se voi sie- te Scipione, io non son pero Lelio ^ e che, se amico vi sono stato , io non merito d'esser più tale. io voglio negare che in gran parte il vero non dichia- te . Ma voi anco non potete negare di non avermi, volendomi giovare, gravemente offeso, e di non a- ver porta alcuna occasione ed alcuna quasi necessi- tà ai miei errori ^ sicché sarebbe opera degna della vostra virtù, che se centra il vostro volere m'avete nociuto, volontariamente mi giovaste, e che non voleste, clic i mici falli, e la vostra (siami lecito a dirlo ) poco considerata amorevolezza fosse stata ma- teria delia mia miseria e de' vostri comodi, i quali io desidero anco in parte col mio discomodo , ma non già con alcuna mia infelicità. E s'io Lelio non sono , posso col vostro favore divenire*,

E pili "lorin è nel fii'zuo de^U eletti D^ un penitente corCj e pili si stima Che di novantanove altri perfetti . Vi prego dunque, Illustriss. Signore , che come

L E T T V. ri E ;^)'3()

l'ape cogliendo da più fiori l'umor più dolce di cia- scuno, e lasciando le parti più grosse , ne forma il mele; così voi raccogliendo dal favor del Duca di Savoja, e del Duca e del Principe di Mantova, e del Sìg. Don Pietro , e degli altri Principi tulli, e particolarmente de' miei Sigiìori, se non tulio, qual- che parte almeno di quel che e' è di buono e la- sciando il cattivo tutto, o almenu grandissima parte d esso , formiate il mele della vostra grazia , che coìi mio piacere e contentezza, e con vostra soddisfazio- ne ed onore sia gustato da me, dopo il fele e 1' assen- zio e '1 veleno di tanti alFanni , che cosi lungamente ho bevuto, e ch'ora di continuo beo in questa do- lorosa prigione. E se non mele, ma ambrosia, o net- tare volete porgermi , potrete innalzarvi più su al favor d'alcun sovrano Principe , e le mìe presenti e le mie passate amaritudini raddolcirne. Di prigione in Sant'Anna, questo mese di Maggio, 1' anno 1579.

FiNF DEL ro:\ro IV.

TAVOLA

DE'NOMl DELLE PERSONE, ALLE QUALI SONO IKDIRlZZATli LE LETTERE DI QUESTO TOMO.

LETTERE PAM ILI A UI

P&KTE SECONDA

A 'bano Cardinale. Pag 69, 70

Aimo Giulio 84

AiJijeini Claudio . . 74 a 76 iiaizellino Alo^signore . . 92 Cataueo Maurizio. S8 a iji, »o4,

loa. Collegio de' Cardinali . . 76 Cosenza (di) Card. Datario. 71 Costantini Antonio . . 3 a 68 Duca di Mantova. 773 79, o'^ a y5 UucLefisa di Mantova 79. 80

Girelli Giulio 85

Gonzaga Scipione . . gS a 99 iWondovi (del) Cardinale. 7 2 a 74

Montecatini Antonio

. «y

Orsino Fabio . . .

. . 80

Virginio .

. 100

Panigarola Vescovo

. 1 06

Pa|jio Monsignore

Pasterini Gas|iero

. . 81

Pergami ni Giacomo

. . . 81

Pio Marco .

. 86 a 88

Rondinelli Ercole .

101 a 104

Rossi Galeazzo.

. 8a a 84

Scalabrino Luca .

. . . 85

Sisto V. Papa . .

<i9

Velsero Marco . .

. . 107

Vescovo di Modena

. . 100

LETTERE RACCOLTE DAL MURATORI

Sua Prefazione . . ,111 Albano Cardinalei25, 128, i38, 189 i4i, 198,208, 209, 219 Ardizio Curzio .1S6 a 192, 274 Ben.lidei Maccbiavelli Lu- crezia 193, 211. Beiiiivoglio Marchese . . 193 Beriiaidi Biagio . , . 295 Bcwgo Gio. Battista . . 214 Borromeo Cardinale . i47 Buonaseiitura Federico. . 148 Buoijcumjjagno Marchese . i46 Canigiauo Lorenzo . .142 Caria Giulio . . , . 212 Gasarlo Martino . . . i53

Cataneo Maurizio 137, r45,i56, i65, 171, 174, 179, i83, 184, i85, 192,194, 195, 199, 204, 218, 222, 234

Calo Eicole i5r

Renato 189

Cattabene Flaminio . .178

Catena Girolamo . .

Segretario. Datario Monsignore Duca di Ferrala

3o6. d' Urbino . 242

271, 281 . Duchessa di Ferrara.

di Mantova

d' Urbino .

Egizio Ottavio Este (d') Don (;esare . Este (d') Marchese . Este (d') Marfisa . . Fabiano frate Farnese Cardinale , Feltro (da) Orazio Filippo ..... Forni Antonio. i54,

Giunti Bernardo . .

. 25l

. . 23y

254

256, 261,

247» «59,

209

210

i49i

201 ,

257

263

23o

142

146

296

23,

3oo

276

232

.64,

177,

171

Gonzaga (figlio rli D.Ci sare ).29'i

IJonFeirantp . , i43

Scipione Card. 120,127, j2t), a i36, I 39 a 141, i5o, iSi, 279, 2(_j3, 3o4, 320.

Gran Duca di Toscana. 287, 290 Gran Duchessa di Toscana. 23o Grassi Alessandro . . . 268 Grillo Don Angelo . 206, 207 Gualengo Canidlo . 167 a 169 Lamberto Arciprete . . . i43 Licino Gio. Battista . 207,222,

229, 236. Manso Gio. Battista . >4i, sSo,

252,

Manuzio Aldo 220

Marco Cappuccino da Fer- rara 162, 298. Marini Giovanni .... i55 Martini (TÌovanni .... 244 Maschio Bernardo . 244,219, Masdoni Giustiniano. . . 3o8 Mastro di camera di S. San- tità- 288

Mazzarino (del) Conte . . 255 Mol/a Taiquinia . . . . 227 Mondovì (del) Cardinale . 226 Monte (del) Cardinale. 276, 278, 287.

Mnsii Giulio i65

Muizolo VIuzio . 299, 3o2, N. N 176 , iSi , 349, a54, 262

3o3, 307. Ottonelli Giulio , . . i85

Paleno Conte (di) iSS, 767, 277, 28y.

Panigarola Francesco . . ifii

Papio Angelo - 127, 172, 174

175, 176. Papio Monsignore . . .223 Pepoli Cecilia Bnonoompa-

gna 155. Perricaro Reggente . . . 268 Pieni Benedetto . . . 297

Pio Marco aS5

Pisano Antonio . 246,281

Ottavio . . . 2<J9 Pocalerra Alessandro i53, 16G Principe di Bisignaiio . . 266

di Manto\a. 197, 210

di Stigliano. . . 265 Principessa di Bisignauo . 3o7 Rangone Giulio . . . 3()i

Toiqiiato . 175, 178, 180,

Sacrato Scipione . . . . iS5' Scoto Annibale .... 293 Seggi e Popolo della città

di Napoli . 3u8, 3o9 a 3->.o Sersale Antonio . . . . aii

"- Alessandro . . . 2()5 Sole Ercole. . . . . .164

Sonila del Tasso. . . 23i

Spinola Grilla Girolauia . 229 Tasso Aliate . . . 192, 226,

Cavaliere . . . .272

Cornelia. .... 166

Ercole 161

Tassone Ferrante Estense . i44

Tolomti l/ciio. Turco Alfonso . Vescovo di l'errara -^ di Reggio Veterario Giulio ,

169 a 171 .3o2

. i63 2 0 f

PQ Tasso, Torquato

4.636 Opere

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1821

V.16

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