SS Mi è : . { MO VA È ASI IONONA ii DD > DD È TO = * w v 4 3 v M D >» “IM y VG 55 S VPI DI, » = DID Dy 3 >, di; Di I III dr: D ».I DID: BD DO) VID >> P> MODE VIDI 3 Lr Ei EC o S TTT di ju Ci Co Ls LETT EER SPORESCENZA: DEE MORE —o—o-o-0—0— Treviranus e la luminosità degli animali — Ebrenberg — Darwin — Meyen — Tre modi di fosforescenza — Le Noctiluca — Una luminara marina — Fosforescenza scintillante — La Pelagia — Ctenofori — Appendicularia con luminosità tricolore — Pyrosoma — Pteropodi e Eteropodi — La Loligo sagittata — Mysis e crostacei luminosi — Altra luminara marina estesa per 2640 miglia — Meduse fluviatili fos- forescenti — Luminosità dei banchi e delle isole madreporici — Pesce-cane luminoso. no dei più interessanti fra i molti feno-. meni che variano la superficie mobile dell’ Oceano, e che destarono la mera- E viglia e l’ ammirazione di marinai e di naviganti in tutte le epoche, è certamente quello co- nosciuto volgarmente col titolo che intesta questa memoria. In quest’ epoca di attività, direi quasi di febbre scien- tifica, pochissimi sono i problemi di fisica terrestre e di biologia animale o vegetale, ai quali non sia con- nessa una sequela di soluzioni più o meno esatte; ed Pelagos. 7 90 PELAGOS. oramai tutti sanno come la fosforescenza del mare di- penda dalla presenza di una moltitudine di animali do- tati del potere di emettere una luce che varia in co- lore ed in intensità; tutti però non sanno quali e quante sieno le specie che godono di questo privilegio illuminante, nè se il fenomeno di cui parliamo sia di occorrenza regolare e normale oppure dovuto a cause accidentali. Molti scrittori si sono occupati di un ar- sgomento così interessante, chi con più chi con meno conoscenza di causa; ma la materia non è per questo esaurita, e siccome pochi Naturalisti ebbero occasione di fare le loro osservazioni in circostanze tanto favo- revoli quanto quelle in cui io mi trovava nel viaggio di circumnavigazione della « Magenta », durante il quale si percorsero i grandi Oceani ed i mari principali dei due emisferi, così m'è grato sperare che queste mie annotazioni non saranno affatto prive d’ interesse scien- tifico; almeno, se non altro, a cagione della loro ori- ginalità (1). La « Magenta » percorse durante il suo lungo viaggio più di 55,000 miglia marine, in 489 giorni di navi- gazione, e dal mio giornale risulta che per quasi metà di quel tempo, il mare fu osservato in vario modo fosforescente; dunque questo fenomeno non può es- sere accidentale come molti autori hanno creduto; ma anzi, se non costante come io inclinerei a credere, (1) Dopo che questa mia memoria era stata pubblicata, uno dei nostri migliori cultori della Biologia, il compianto prof, Paolo Panceri, volle investigare dal lato fisiologico e morfologico la fosforescenza negli animali, ed i suoi studii in proposito, di pri- maria importanza, sono pubblicati in una serie di splendide « Me- morie » negli Atti della R. Accademia delle Scienze di Napoli. LA FOSFORESCENZA .DEL MARE. 9I almeno molto frequente; poichè, come risulterà dalle ricerche esposte in questa memoria, pressochè tutti gli animali pelagici osservati si trovarono più o meno fosforescenti, proprietà che sembra quasi essere uno dei requisiti della vita oceanica. Come osserva benissimo un viaggiatore recente, la parola fosforescenza, che induce facilmente in errore, è qui adoperata in senso astratto e figurativo, giacchè il fosforo non entra per niente nella produzione di questo fenomeno ; infatti la luce prodotta dagli ani- mali fosforescenti appare in alcuni punti soltanto, ov- vero è diffusa omogeneamente su tutta la superficie del loro corpo in tessuti che non differiscono note- volmente da quelli che non hanno una tale proprietà; è una /uce organica, se tal termine mi è permesso, che si manifesta senza alcuna vera combustione nel senso più usato di questa parola e si sviluppa presso a poco nel medesimo modo che l° elettricità nelle Torpedini, nei Gymmnotus e nei Melapterurus. La con- vertibilità di un agente fisico nell’ altro è ormai un fatto universalmente accettato; nei casi in ultimo ci- tati la forza od agente, organico o biologico, si con- verte in elettricità; perchè non potrebbesi pure ma- nifestare come luce, quando sotto l’aspetto di calorico si palesa in tanti animali? Pare che l’umidità sia ne- cessaria alla produzione della fosforescenza, come ho potuto varie volte constatare osservando la reticella di tulle adoperata da noi nelle minute pesche, la quale spesso si seccava con qualcuno degli animalucci lu- minosi o parti di essi, attaccati alle sue pareti; la luce fosforica si manteneva finchè rimaneva il tulle umido, poi scompariva; ma anche uno o più giorni dopo, si ridestava bagnando la rete e confricando i punti ove 92 PELAGOS. la sostanza dell’animale fosforescente era rimasta at- taccata. Treviranus che fece ricerche interessantissime sugli insetti luminosi, i quali sono dotati di organi speciali a tale scopo, formati da un tessuto adiposo che non differisce sensibilmente da quello delle altre parti del corpo, opinava che in essi questo fenomeno derivasse da una sostanza contenente fosforo, generato o meglio liberato sotto l’ influenza della luce, ma continuante anche dopo indipendentemente da essa (1). Altri opi- narono che gli stessi insetti avessero il potere di as- sorbire una certa quantità di luce durante il giorno per poi emetterla durante la notte, come alcune so- stanze organiche e altre minerali che non hc bisogno di citare; e recentemente poi il Kélliker, studiando l’apparato luminoso nella lucciola (Lampyris) non trovò alcuna traccia di fosforo e venne alla conclusione che il fenomeno in quistione era prodotto da un apparato nerveo, che sembra sottomesso alla volontà dell’ ani- male; lo stesso avviene senza dubbio in alcuni degli abitanti fosforescenti : dell’ Cceano (Crostacei). Ma nessuna di queste spiegazioni puossi applicare alla grande massa degli esseri pelagici che sono luminosi, i quali in quasi tutti i casi rimangono durante il giorno ad una certa profondità, non venendo alla superficie che a notte fatta; tale almeno è stato il risultato delle mie osservazioni in tutti i mari ed in tutte le latitu- dini. Come dissi sopra, quasi tutti gli animali marini fosforescenti presentano questo fenomeno dopo morti quando vengono inumiditi; il che è cagionato senza (1) Vedi Treviranus, Biologie, V. 97. è LA FOSFORESCENZA DEL MARE. 93 dubbio in questo caso da un resto di forza vitale (non essendovi ancora vera decomposizione), mentre sappiamo benissimo che negli insetti e crostacei lu- minosi cessa questa proprietà poco dopo la morte dell’ individuo; eppoi dobbiamo ancora trovare i nervi ed i gangli nei Protozoi ed in quasi tutti i Celen- terati. Anche la ipotesi di Ehrenberg, che la fosfo- rescenza sia in relazione colle funzioni sessuali in questi animali (molti dei quali sono ermafroditi), non regge. La mia opinione è che una tale proprietà sia assunta da questi organismi semplicemente come mezzo di «difesa, nella, lotta per ‘INesistenza; comes .lo tè. Ja loro trasparenza o come lo sono i colori, general- mente identici a quelli dell'ambiente circostante, che nella pluralità dei casi rivestono i loro corpi; forse nelle specie carnivore serve anche per attrarre la preda. Ma la luce emanata sarebbe in ogni caso una mani- festazione della forza vitale che perdura per qualche tempo anche dopo la morte reale ed organica negli esseri più semplici. Da certe esperienze fatte sopra alcuni Molluschi fos- forescenti del genere Pholas, risulta che questi ani- mali posti sotto la campana di una macchina pneu- matica cessano d’essere sorgenti di luce. Vi sono dun- que tra gli animali luminosi due modi pei quali il fe- nomeno si palesa: nel primo, che succede per lo più tra organismi più perfetti, un organo speciale fornisce ad uno scopo definito (forse sessuale) questa luce, che cessa colla vita dell'individuo; mentre nel secondo la luminosità è generalmente sparsa per tutto il corpo, o sulla parte esterna di esso e persiste anche dopo la morte organica ma non definitiva dell’animale, almeno per un tempo comparativamente esteso. Non bisogna 94 PELAGOS. però confondere la fosforescenza prodotta da sostanze organiche in decomposizione (sempre uguale, fissa e continua) con quella manifestata da organismi viventi, e talora da pezzi staccati di essi i quali ritengono an- cora una particella di forza vitale. Quest'ultima si può puranche distinguere in luminosità spontanea, ed in quella provocata sia per irritabilità, dall’urto con qual- che corpo estraneo, sia per altre cause: la prima si diffonde gradatamente e diventa più o meno continua, la seconda è vivissima, istantanea a comparire come pure a spegnersi. Meyen esimio viaggiatore e naturalista, distingue tre sorgenti di fosforescenza pelagica (1): — 1.* muco sciolto nell'acqua; — 2.* animali coperti da un muco luminoso; — 3.* animali dotati di organi speciali fos- forescenti. Per quanto mi venne fatto di osservare la prima di queste tre cause manca affatto, o almeno non può essere presa nel senso datole dal Meyen, e non può sussistere che come la conseguenza della presenza della seconda sorgente, cioè di animali intieramente luminosi oppure secernenti un muco fosforescente su tutta la superficie del loro corpo (?); ed il muco sciolto nel mare di Meyen, ed i frammenti di sostanze ge- latinose, le quali al dire di Ehrenberg contribuiscono potentemente a produrre il fenomeno del quale trat- tiamo, non sono che frammenti di questi animali, staccati e rotti in vari modi ma più frequentemente nell’atto stesso di catturarli; poichè la rete trascinata in senso inverso al corso della nave, anche quando questa si muove con poca velocità, produce una resi- (1) Vedi Nov. Act. Nat. Cur. XVI. suppl. LA FOSFORESCENZA DEL MARE. 95 stenza che basta a frangere corpi così delicati e. fra- gili (1). Se i venti non hanno alcuna influenza diretta sulla fosforescenza del mare, possono però renderla più:0 meno intensa concentrando in un punto, o disperdendo, gli animali che la cagionano; lo stesso può dirsi delle correnti marine e delle maree. La temperatura sembra agire pure indirettamente ; poichè sebbene la Fauna pe- lagica sia molto più ricca tra i tropici, non per questo è minore la fosforescenza nei mari nordici ed australi, ove alla povertà di specie sembra far compenso una. grande ricchezza d’ individui. Fu però osservato che la fosforescenza del mare è più frequente nell'estate che nell’inverno nella alte latitudini; forse perchè il mare presenta allora calme più prolungate, e quando dominano queste è più facile agli organismi pelagici di avvicinarsi alla superficie. (1) Darwin tende a dar ragione ad Ehrenberg, opinando con quell’autore che la luminosità pelagica sia in gran parte cagio- nata da brani gelatinosi sparsi nell’acqua ; egli cita il caso di un medusoide (Diaroea) tenuta in un vaso con acqua marina, il quale rendeva questa fosforescente dopo la sua morte e quando co- minciò ad entrare in decomposizione (*); questo fatto isolato non prova però l’asserzione di Ehrenberg ; e, come dissi, è mia ferma convinzione che le particelle staccate di organismi decomposti non hanno parte importante (attiva) nel rendere fosforescente. il mare. Darwin poi deduce dal fatto citato che nei casi più fre- quenti la fosforescenza del mare sia dovuta intieramente alla de- composizione di sostanze organiche poste a contatto coll’aria at- mosferica; credo che in questo egli abbia torto generalizzando un fatto eccezionale, come risulterà dai fatti esposti in questo scritto. (*) Vedi Ca. Darwin, A Naturalist®s Voyage round the World, pag. 163. 96 PELAGOS. Durante il viaggio della « Magenta » l’ interessante fenomeno della luminosità oceanica, fu oggetto speciale dei miei studi. Ogni sera annotavo le mie osserva- zioni, ed ogni notte quando il mare non era troppo agitato, od il cammino del bastimento troppo rapido, si pescavano i minuti organismi pelagici; studio pre- diletto del mio amatissimo capo, il professore De Fi- lippi, il quale pur troppo non doveva ritornare per comunicare al mondo scientifico le sue interessantis- Simile ricerche: Come dissi più sopra, il mare fu veduto fosfore- scente almeno metà delle notti da noi passate in navi- gazione, ora più, ora meno vivamente; e se facciamo astrazione delle notti in cui il chiaror della luna eclis- sava quello del mare, il numero delle sere nelle quali si osservò il fenomeno in discorso sarebbe ancora mag- giore. Non trovai grande diversità nella frequenza e nella intensità della luminosità pelagica nelle varie la- titudini. Ho potuto distinguere tre specie, dirò meglio tre modi di fosforescenza marina, ben distinti, che poi presentano un numero grande di varietà; essi sono: a) Luce diffusa, omogenea, lattiginosa. b) Punti luminosi, scintillanti, incostanti. c) Dischi luminosi, con luce generalmente fissa, non scintillante. Nel primo caso il mare sembra acquistare una con- sistenza oleosa, emettendo una luce morbida omogenea di color latteo tinto di verdastro o di azzurrino; è forse tra tutti i modi di luminosità marina il meno frequente, e quello che colpisce più profondamente chi ne è testimone; si deve alla presenza di un nu- mero incalcolabile di piccoli animalucci della grossezza LA FOSFORESCENZA DEL MARE. 97 della testa di uno spillo, appartenenti al sottoregno dei Protozoi, e conosciuti sotto il nome generico di Noctiluca. Questi esseri non sono pelagici, ma litorali, incontrandosi, se non vicino, poco discosti da qualche terra, più specialmente quando il mare è calmo. Durante il nostro viaggio fummo colpiti la prima volta da questo magnifico ed imponente spettacolo nel golfo di Napoli la notte memorabile della nostra par- tenza (1). Il mare sembrava di fuoco, e due delfini che nuotavano intorno alla fregata ci apparivano come rivestiti da un involucro di vivissima luce a tinte az- zurre. La seconda volta. fu sulla rada di Gibilterra (novembre 1865): eravamo in quarantena, e si cer- cava di passare utilmente le lunghe ore di reclusione studiando gli esseri marini che si lasciavano pigliare nella nostra piccola rete a mano, unico oggetto che la gelosa vigilanza della guardia sanitaria posta sul nostro bordo ci permetteva di porre in libera pratica. Era la notte del 18 novembre, a marea crescente; immergendo la rete in mare la ritirai brillante di vi- vissima luce: mezz’ ora dopo tutta la baia era coperta sullo spessore di vari millimetri di una crema gelati- nosa che al contatto di qualsiasi corpo estraneo e per l’effetto della brezza debolissima che spirava, traman- dava una luce viva e morbida di color bianco traente all’ azzurrino. Era uno spettacolo imponente, da ri- (1) In quella occasione io non raccolsi alcuna Noctiluca, e sic- come quel Protozoide non è mai stato rinvenuto a Napoli, non è impossibile che il fenomeno osservato derivasse da altra causa, anco da decomposizione di sostanze organiche, che ha luogo cer- tamente in grande scala nelle acque impure del Porto militare napoletano. i 98 PELAGOS. manere per sempre impresso nella mente: le barche che attraversavano la rada sembravano vogare in un olio fosforico (il mare essendo perfettamente calmo), e lasciavano dietro a loro una lunga traccia luminosa; un vapore a ruote che traversò il porto, fu cagione di uno spettacolo grandioso ed inaspettato: la chiglia sembrava avvolta in un fodero di luce, e gli spruzzi d’acqua sollevati dalle ruote cadevano come pioggia incandescente in un mare tutto acceso. Dal bordo get- tammo alcuni cavi (funi) in mare; l’effetto prodotto era veramente magico: comparivano allargandosi dei circoli concentrici di fuoco, e nel ritirare il cavo tutto luminoso cadevano in mare goccie di luce, le quali riscintillavano toccando l’acqua; qualunque oggetto tuf- fato in mare diventava una massa infuocata, e ritirato conservava la sua luminosità per circa mezz'ora. Nes- suna illuminazione, o fuoco d’artifizio poteva parago- narsi a quella luminara marina, che bisognerebbe aver veduto per comprenderne la bellezza e che appena si può descrivere imperfettissimamente. Esaminato al mi- croscopio parte dello strato cremoso che cuopriva la superficie della rada fu trovato composto da miriadi di individui della Noctiluca miliaris, causa frequente di fosforescenza marina, anche nei mari del nord (1). Due notti dopo, lo stesso fenomeno si rinnovò, e la rada era coperta come da un lenzuolo di luce. Rive- demmo questa luminosità diffusa ed uniforme a tinte azzurrine nel magnifico golfo di Rio de Janeiro, e cercandone la causa trovammo in numero incalcola- (1) Rymer Jones (Aquarian Naturalist, p. 49), ha calcolato che vi sono non meno di 30,000 di questi animalucci in ogni piede cubico di mare fosforescente. LA FOSFORESCENZA DEL MARE. 99 bile una Noctiluca che non si poteva distinguere da quella comune nell’Atlantico settentrionale. Ai primi di maggio (1866) nello stretto di Banca osservammo larghe macchie di fosforescenza lattiginosa, e pescammo Noctiluche poco diverse dalle europee, ri- vedute poi abbondanti per alcune notti di seguito sulla rada di Singapore. La tfosforescenza diffusa, da esse cagionata, aveva una tinta verdognola che contrastava con quella azzurrina che ci aveva colpiti a Gibilterra e Rio de Janeiro; la notte del 3 giugno 1866, la « Ma- genta » essendo all’ àncora nel golto di Loc-an, a pochi chilometri dal Capo S. Giacomo (Cocincina) e delle numerose bocche che formano i due grandi delta del Mecon, il mare era coperto da uno strato uniforme delle medesime Noctiluche vivamente scintillanti con una morbida luce verdastra; l’ istesso fenomeno fu os- servato nel porto di Vittoria (Hong-Kong) alcune notti del gennaio 1867; ed ancora il 6 marzo del me- desimo anno sulla rada di Batavia intorno all’ isola di Onrust, ov’ è l’arsenale militare olandese. In quell’esteso ed incantevole golfo conosciuto sotto il nome di Port Jackson, che in bellezze naturali non la cede al decantato Nicterohy (Rio de Janeiro) e pre- cisamente innanzi alla città di Sydney (Australia), per alcune notti nel giugno 1867 l’acqua luccicava con una fosforescenza uniforme e lattea, priva di tinte az- zurrine o verdognole. Anche in questo caso trovai che il fenomeno dipendeva da uno strato uniformemente sparso e molto sottile di una specie di Nockluca, che ritrovammo, producente una luce perfettamente simile, al lato opposto del Pacifico, nel porto di Valparaiso CGhile.)): nelle notti. .del-1°,,.3° e. 4°. ottobre: dello: stesso anno. 100 PELAGOS. Dalle mie ricerche risulta dunque che la prima spe- cie di fosforescenza è dovuta in tutti i mari alla pre- senza di Noctiluche (1); le quali possonsi caratteriz- zare come tre specie, distinte non solo per la varia tinta della fosforescenza che cagionano, ma bensi per la diversa loro struttura morfologica. L’ anatomia e lo sviluppo della prima specie sono abbastanza noti per i bellissimi lavori di Quatrefages, Busch, Gosse, Brightwell e specialmente Huxley; x questa Noctiluca è sferoidale o meglio reniforme, il Noctiluca miliaris, + 150. suo diametro maggiore varia tra 0” 00I e 0 0001; la sostanza del corpo si divide abbastanza chiaramente in due strati: uno corticale forato da una bocca e da un’apertura anale; ed una massa interna di consistenza semiliquida che contiene ramificazioni di protoplasma (1) Il dott. .G. Bennett «in ‘lat, 00? -30/SAlong. 27% A OwaGE vide una estesa area, fosforescente uniformemente colla più in- tensa luce a riflessi verdastri, cagionata da un banco immenso di Pirosore (Gatherings of a Naturalist in Australasia, p. 61). LA FOSFORESCENZA DEL MARE. IOI granuloso che si anastomizzano spesso insieme, come pure le sostanze ingoiate (generalmente Diatomee); ogni bolo essendo circondato da una piccola quantità d’acqua introdotta con esso e formando così una falsa cellula. Nella sostanza corticale troviamo il nucleo ed il nucleolo che a quanto appare non sono che l’ovario ed il testicolo; ho potuto varie volte verificare il primo, e vedere delle uova perfettamente formate nel nucleo; ma non ho mai avuto Îa fortuna di vedere spermato- zoidi formati nel nucleolo. La bocca posta in una de- pressione del corpo, si protende in due piccole labbra, e conduce in un corto esofago, munito di uno o due cigli vibranti lunghi e sottilissimi, che si perde nella sostanza plasmica centrale; l’apertura anale non è fa- cile a riconoscersi; la trovai però in tutte le specie, posta costantemente in fondo ad un punto depresso ed imbutiforme dietro alla bocca; al disopra di questa è un curioso tentacolo, segnato da numerose e distinte linee trasversali in modo che sembra minutamente ar- ticolato; questo organo che non manca in alcuna delle specie, ma che è variamente sviluppato, sembra dover compiere funzioni locomotive. — Le Noctiluche man- cano affatto dei numerosi cigli vibranti, che cuoprono tutto il corpo e sono così caratteristici in tutti gli altri Infusori. Il fenomeno della fosforescenza in questi animali non risiede nelle diramazioni protoplasmiche che, come vedremo, mancano talvolta; ma nella so- stanza corticale. Esso non è uniforme, ma si mani- festa come distinti e minutissimi punti luminosi che scintillano, scompaiono e si riaccendono a vicenda. — La specie dei mari del nord è stata nominata Nocti- luca miliaris, ed appartengono ad essa le Noctiluche incontrate da noi a Gibilterra ed a» Rio ‘de Janeiro. 102 PELAGOS. La specie trovata uei mari dell’arcipelago Malese e della Cina, da Batavia ad Hong-kong, oltre il pro- durre una luce verdognola, manca, per quanto ho po- tuto osservare, delle diramazioni protoplasmiche; ed ha il tentacolo proporzionatamente molto più corto, mentre nelle altre dimensioni non differisce dalla spe- cie già citata. Siccome per quanto io sappia essa non è ancora stata specificamente distinta, proporrei il nome di NOCTILUCA OMOGENEA. La terza specie osservata nel Pacifico sulle coste dell’ Australia e dell'America meridionale, che ha una luminosità biancastra, possiede come la N. miliaris le diramazioni protoplasmiche; ma ne differisce per es- sere più grande, raggiungendo il diametro di 0 002, ha inoltre il tentacolo proporzionatamente più grosso e più lungo e privo delle divisioni trasversali che se- gnano quest’organo nelle due specie precedenti. Pro- porrei per questa terza forma che sin’ora sembra non descritta il nome di NocTILUCA PACIFICA (1). Il secondo modo di fosforescenza marina, e certa- mente il più frequente, succede lungo le coste come in alto mare, nella zona torrida come nelle regioni temperate, e dipende da moltissimi animali apparte- nenti a sottoregni, a classi, ad ordini a generi ed a specie diversi: si manifesta in un’ infinità di punti lu- minosi che variano in dimensioni secondo quella del- l’ essere che li produce; la luce emessa è variamente (1) In un esame superficiale si potrebbero facilmente confon- dere colle Noctiluche i singolare Pyrocystis e più specialmente la P. moctiluca, curiosi organismi pelagici che sembrano doversi riferire alle Diatomacee e che vennero scoperti durante il viaggio del « Challenger ». LA FOSFORESCENZA DEL MARE. 103 colorita, più o meno intensa, e scintillante intermit- tentemente sul nero dell'Oceano. Citerò ora in ordine successivo i varii animali che furono. da me osservati come emettenti questa specie di luminosità. Consideriamo in primo luogo i Protozoi : tra gli esseri più interessanti appartenenti a questo sottoregno, sono certamente i T'alassicollidi (Citofori di Haeckel), masse gelatinose semplici cd aggregate abbondantissime in alcune regioni pelagiche; nella struttura morfologica di esse il compianto professore De Filippi ed io ebbimo occasione di fare molte inte- ressanti ricerche, che spero un giorno di poter pub- blicare; ma non è questo il momento. Dirò soltanto come questi animali sono stati divisi in vari generi; sono semplici quelli appartenenti al genere T'halassi- colla, e composti od a colonie quelli che per la pre- senza o per l’assenza di spicole, e per altri caratteri, furono divisi nei generi Collozoum, Sphaerozoum, Col- losphaera ecc. Credo che sinora nessun autore abbia notato come questi animali contribuiscono anch’ essi talvolta alla fosforescenza marina. Io osservai questo fatto interessante per la prima volta la notte del 19 set- tembre 1867 nel Pacifico australe (lat. 37° 09° sud, long. 79° 23’ ovest Greenwich). Erano abbondantis- sime le tre forme di Citofori più comuni, 7halassi- colla, Collozoum e Spharozoum, e tutte sfolgoravano di una luce verdognola intermittente, che sembrava originata nella sostanza periferica che riveste il loro corpo, a lampi omogeneamente diffusi sopra tutta la superfice. Osservai lo stesso fenomeno per la seconda volta nell'Atlantico il 13 ed il 14 gennaio 1868, la « Ma- genta » trovandosi. in lat. 27° 25’ sud, lons. 35% 51‘ 104 PELAGOS. ovest Gr.; essendo comuni una forma di Thalassicolla, delle grosse colonie allungate di Collozoum, ed alcuni Sphaerozoum. È notevole come le molte forme di Ci- tofori osservati nell'Oceano Indiano e nel mare della Cina non erano fosforescenti. Tra i Celenterati molte specie sono causa della lu- minosità di cui parliamo, e fra gl’ Idrozoi citerò in modo particolare le Calicoforidee che a mio parere sono tutte più o meno fosforescenti; così due specie di Aby/a,, un Diphyes ed una Eudoxia incontrate sulla rada di Gibilterra, e la Vogtia, Praya, Abyla ed Eudoxia in- contrate costantemente nell’Atlantico sino alla latitu- dine di Rio Janeiro, molto abbondanti la notte del- l’iII gennaio 1866, la Regina trovandosi in lat. 23° go’ sud, long. 45° 33’ ovest Parigi; i punti scintil- lanti in mare erano allora così vivamente marcati che sembravano voler fare concorrenza colle stelle che brillavano nel cielo sereno. Nella lunga traversata da Montevideo a Batavia la medesima fosforescenza era molto frequente; vivis- sima poi nella notte del 19 marzo 1866 in lat. 40° $1’ sud, long. 51° 06° est. Greenwich; le Calicotoridee più comuni che furono da noi pescate erano Eudoxta, Abyla ed alcuni generi affini forse nuovi. Nei mari della Cina osservammo lo stesso fatto; predominava una specie interessantissima di Eudoxia ed un Aglas- moides, e la notte del 3 luglio 1866, in lat. 31° 52’ nord, long. 135° 14 est Gr., mentre incominciavamo a sen- tire la forte influenza del Kuro-siwo, la grande corrente oceanica del Giappone, il mare scintillava vivamente per la presenza di un gran numero di queste forme. Nelia traversata del Pacifico trovai comune alcune specie di Dipbyes, i gonofori (zooidi) staccati, dei quali LA FOSFORESCENZA DEL MARE. IOS erano altamente luminosi, varie Eudoxie, ed alcune Abyla; il mare era generalmente fosforescente, ma in grado minore che non nell’ Atlantico e nell’ Oceano Indiano. Nel ritorno da Montevideo a Gibilterra incontrammo numerose specie di Diphyes, e Praya, ed il 13 feb- braio 1868 eravamo circondati da un numero incalco- labile di Abyle, forse lA. pentagona, brillantemente lu- muinose:(lat. 5° 27° nord,»ilongi 24°: 29" ovest. Gr.) È notevole come nessun Idrozoide del gruppo delle Fisoforidee sia fosforescente, mentre quasi tutti i Me- dusoidi lo sono; in alcuni di essi la proprietà lumi- nosa non è generalmente sparsa nelle pareti di tutto il corpo come nelle Calicoforidee, ma risiede in punti determinati e specialmente nei bottoni marginali alla base dei tentacoli, come ho potuto osservare in una Encope comunissima nell’Atlantico australe, pescata nel febbraio 1866; in un’altra specie del medesimo genere trovata frequente nel golfo di Pe-chih-li (Cina setten- trionale); la qulae ultima di notte palesava come un circolo di lucenti smeraldi e posta viva in una solu- zione acquea allungata di acido cromico i punti mar- ginali scomparvero spegnendosi lentamente; in una Thaumanthias, che si estende da Singapore all’altezza delle isole Pulo Condore; ed in una bellissima Meso- nema comune nella baia di Bias, e nel porto di Vit- toria (Hong-Kong), la quale, avendo molti corpi mar- ginali, irritata produce un vago effetto, mostrando un circolo fitto di vivissimi e minutissimi punti luminosi; una Geryonia pure comune nel mare meridionale della Cina gode della medesima proprietà, come anche una curiosa Lyriope (?) pescata il 29 gennaio 1867 (lat 14° sb-mord.,iJong; ‘14% 30° est: Gr.). Pelagos. 8 106 PELAGOS. In altri Medusoidi (Lucernarie) a fosforescenza in- termittente, questa è diffusa sulla superficie del disco; come nelle Pelagia che noi incontrammo di diverse specie lungo il viaggio, sempre però in banchi nume- rosi; citerò la P. moctiluca trovata in numero stra- bocchevole il 12 dicembre 1866, in latitudine 17° 24 nord, long. 28° 26’ ovest Parigi; ed una specie assai affine se non identica, trovata comunissima nell’ Oceano indiano tra il 13 ed il 16 febbraio 1867 (latitudine 12° 29’ sud e lat. 15° 20 sud), sulla longitudine di Giava; in una Pelagiadea abbondantissima nel golfo di Yedo, e più particolarmente innanzi la capitale del Taicun, in una Medusa jalina di genere indeter- minato, trovata comune nell’ Atlantico australe nel febbraio 1866, ed in un grosso Medusoide incontrato nel Pacifico (lat. 37° 09’ sud, long. 79° 23” ovest Gr.), nel quale anche la lunga chioma dei tentacoli era luminosa in modo che faceva l’effetto di una cometa sul firmamento pelagico. Devo ora parlare dei Ctenofori, che sono senza alcun dubbio gli animali più vivamente fosforescenti che si conoscono; tutti sanno le proprietà luminose della comune Cydippe pileus, abbondante nel Mediter- raneo come nei mari del nord dell’ Europa, ritrovata da noi abbondante sulla rada di Gibilterra; in essa ed in tutti gli altri Ctenofori, la'fosforescenza che si manifesta a lampi vivissimi che si succedono rapida- mente, senibra risiedere particolarmente lungo le zone coperte dai cigli vibranti. Incontrammo una specie di Cydippe assai frequente nell’ Oceano Indiano in feb- braio 1867, tra i gradi rr e 15 di lat. sud € 106 e 105 di long. est Greenwich; ed un’altra forma dello stesso genere sulla costa Chilena all’ altezza di Valpa- LA FOSFORESCENZA DEL MARE. 107 raiso nel settembre seguente; sono però molto più sparse e numerose le diverse forme di Beroidee: un bellissimo Eucharis da noi rinvenuto abbondantissimo nel gennaio 1866, a poca distanza della costa Brasilera, sfolgorava di una intensa luce azzurra; una Beroè (?) altamente fosforescente, con luce tranquilla verdo- gnola, fu trovata numerosa nell’Atlantico australe poco lungi dalla foce del Plata la notte del 4 febbraio 1866, (lat. 35° 58’ sud, long. 56° 42’ ovest Greenwich); una forma affine venne pescata il 31 maggio dello stesso anno a poca distanza delle isole Pulo Condore nel Golfo di Siam; un’altra specie dello stesso genere venne a cacciarsi in numero strabocchevole nelle no- stre reti, sulla rada di Yedo, la notte del 17 luglio 1866, ed un’altra Beroé trovai abbondantissima il 23 ed il 24 settembre 1867 nel Pacifico a poche miglia da Valparaiso; di notte essa scintillava con striscie raggiate intermittenti di una viva luce azzurrina, fosfo- Fescenzatiche ‘caratterizzava; pure le“ forme'loracitate. Le specie del bellissimo genere Cestum furono trovate assai scarse; sono sempre vivamente fosforescenti con luce giallo-rossa; dalle mie annotazioni rilevo che una specie fu pescata nell’ Oceano Indiano, il 12 feb- braio 1867 in latitudine 8° 54’ sud, long. 160° 58’ est Gr.; ed un’altra bellissima nell'Atlantico australe, lat. 29%.1/sudi; long 362261 ovesti Gr. Passiamo ora in rivista gli altri animali dotati di fosforescenza intermittente, osservati nelle lunghe tra- versate oceaniche della « Magenta ». Fra i Tunicati abbiamo in primo grado le nu- merose e svariate forme di Salpa, molte delle quali sono dotate di proprietà luminose, queste essendo però circoscritte generalmente a quella porzione dell’ appa- 108 PELAGOS. rato digerente che forma il cosidetto nucleo; come dissi questi Tunicati non sono sempre fosforescenii, e nel ‘dicembre1865%(lar. (19% (25m. long. 2393700. Parigi), attraversammo un banco di un bellissima specie di Salpa che non aveva meno di 15 miglia ma- rine di estensione nella direzione percorsa dal basti- mento; non erano punto fosforescenti, almeno quelle conservate vive in un grosso recipiente di vetro; mentre alcune belle specie incontrate nell’ Oceano Indiano in aprile 1867 (lat. 30° 38° ‘sud, long./98*4oi EG, ed altre trovate nel Mare cinese tra Pulo Condore e Formosa ed ancora nell'Atlantico australe, mostravano il nucleo acceso di una luce brillante di color rosso cupo. Nelle poche forme di Doliolum pescate nel- l'Atlantico settentrionale, nell'Oceano Indiano e nel Pacifico notai sempre una fosforescenza più o meno viva, di tinta verde, che sembrava sparsa in tutta la superficie del corpo. Fu però nelle curiose ed anomale Appendicularia, che osservai i fenomeni fosforici più interessanti. In questi piccoli Tunicati tali proprietà hanno sede nell’asse centrale dell’ appendice caudale , ove la luce si manifesta a lampi vivi ed intensi, che variano in colore nello stesso individuo; fatto per quanto io sappia non ancora registrato, che notai per la prima volta in una bella specie pescata nell’Atlan- tico\australe,; il-22 (dicembre (1865, pinoli n long. 29° 38 ovest, Parigi; nella quale l’ asse emet- teva ad intervalli diversi una luce chiara e viva prima di un color rosso cupo, poi azzurro ed in ultimo verde. Molte Appendicularie furono incontrate nella traversata da Montevideo a Batavia, ed in quasi tutte constatai questa fosforescenza tricolore ; in una grossa specie incontrata nell'Oceano Indiano (lat. 13° 40 S., LA FOSFORESCENZA DEL MARE. 109 long. 102° 40’ E. Gr.) i colori erano bianco, azzurro e verde. È singolare come non incontrammo in tutto il viaggio che una specie di Pyrosoma, pescata nel Paci- fico in lat. 28° 34’ S., long. 88° 10' ovest Greenwich, e questa ron era fosforescente. Tra i Molluschi lumi- nosi che contribuiscono alla fosforescenza marina trovai alcune specie di Pteropodi; così una C/leodora pescata ilea2xnarzo ;196651n lat#3697537 Si, vlong».;P 00°CE. Gr. sfolgorante di vivissima luce rossa: l’ organo lumi- noso era collocato in questo caso alla sommità della conchiglia; ed una Cresezs ed una Hyalea che contribui- vano per una parte assai grande alla viva fosforescenza del mare osservata sulla rada di Anjer (Giava) la notte del 28 febbraio 1867: la luce era in esse limitata alla parte basale della conchiglia. Trovai pure alcuni Ete- ropodi dotati di proprietà fosforiche , e specialmente una grande specie nuda incontrata il 13 febbraio 1867, nelli©eeano/Indiano:l(ar. 12%29" Silone. 106879" :E. Gr.) che sembra appartenere ad un genere non ancora descritto; in essa l’asse del corpo tramandava, allor- quando si stuzzicava l’animale, una viva luce rossigna. Alcuni Cefalopodi pelagici sono altamente luminosi, e tra essi la Loligo sagittata, oppure una specie affine che fornisce il cibo prelibato dei grossi Uccelli pela- gici, ed alcune piccole Octopodidee, pescate a più ri- prese nel Pacifico durante la traversata dal Callao (Perù) a Valparaiso (forse l’ Octopus minimus, D’ Or- bigny); la superficie del loro corpo emetteva una pal- lida luce biancastra uniformemente distribuita, man- cante però sulla superficie interna delle braccia ove sono gli acetaboli. Tra i Vermi inferiori alcune specie del genere ano- IIO PELAGOS. malo Sagitta, furono da me trovate leggermente lumi- nose; altre non presentavano questo fenomeno. Tra le prime citerò una specie trovata comune nella rada di Anjer (Giava) ed un’altra pescata il 13 febbraio 1868 nell’Atlantico-(lat. 5° 27% N., long. 24°59° ovest Gr); la luce emanata era debole, più viva nella parte poste- riore del corpo vicino alla coda. Tra le seconde più numerose, citerò una specie comune nel golfo di Pe- chih-li (Cina settentrionale) ed un’altra gigantesca, pescata nell’ Atlantico australe (lat. 28° 06° S., long. 36° or’ ovest Gr.). I Crostacei inferiori contribuiscono per una parte importante alla fosforescenza punteggiata e scintillante del mare: molte forme di Entomostracei, abbondanti nell'Oceano Indiano e nel mare della Cina, ed in modo particolare le varie forme di Saftirina che sembrano essere invero cosmopolite, e sempre abbondanti; in esse l’organo luminoso si trova nella parte anteriore del torace e tramanda una viva luce giallo-verde, a regolari intervalli; nè devo dimenticare quel bellissimo Isopodo nuotante, iridescente dei più brillanti colori, dorati, azzurri e porporini, pescato a più riprese lungo il tragitto da Singapore a Saigon e vivamente fosfo- rescente in tutta la superficie del corpo; e varie specie di Leucifer, molto simili se non identiche, trovate in primo luogo nell’Atlantico in dicembre 1865 (lat. 27° 35° nord, long. 19° 00’ ovest, Parigi), poi nel mare di Giava, e nello stretto di Banca vicino a North Island (Sumatra) ed ancora nell’Atlantico australe nel- l’ultima traversata da Montevideo a Gibilterra; l’ or- gano luminoso occupa parte dell’ addome, emettendo una luce verdognola. Alcune specie di ‘un genere molto vicino ai Mysis, LA FOSFORESCENZA DEL MARE. IROCIC contribuivano pure alla fosforescenza marina, special- mente nel Pacifico e nell'Atlantico; trovo più parti- colarmente notata una specie pescata abbondantemente bas Ssattembre: 18670 (lar#27° 14° sud, long; 89%064 ovest, Gr.) notevole per una macchia toracica rossa, che scintillava all’ oscurità di vivissima luce ranciata; la medesima specie fu da me ritrovata nell’ Atlantico in febbraio 1868 (lat. 4° 54° nord, long. 23° 58’ ovest Gr.). Devo pure menzionare un Squillerichthus (?) preso nell’ Atlantico in dicembre 1865 (lat. 14° 49’ nord, long. 28° 41° ovest Parigi) ed una specie molto si- mile trovata frequente nel golfo di Pe-chih-li (Cina settentrionale), nei quali l'occhio brillava di una luce giallo-verde vivissima, intermittente. Parlerò ora del terzo genere di fosforescenza ma- rina; dei grandi dischi luminosi sempre da uno a due metri sott'acqua, che si ponno paragonare ad una se- quela di globi di lampade modérateur, illuminanti una festa sub-marina; più vivi nella traccia o scia del ba- stimento, ma anche manifesti fuori dell’ influenza del- l’acqua spostata dalla chiglia; a luce talvolta intermit- tente, ma generalmente fissa. Molti viaggiatori hanno osservato questo interessante fenomeno, cercando di spiegarlo in vario modo. Noi ne fummo testimoni la prima volta nel di- cembre 1865, ed ogni sera per quasi un mese fu co- stantemente osservato, sopra un’area di non meno di 42 gradi di latitudine (dal 23° lat. nord al 19° lat. sud); in quella occasione i dischi che sfolgoravano di una luce tranquilla e pallida, erano a circa un metro dalla superficie, e non riuscimmo a pescare alcun individuo dell'animale che ne era la causa, onde non ci fu pos- sibile determinarne la specie; credemmo però potere Dr3 PELAGOS. attribuire tale fenomeno alla presenza di un numero incalcolabile di grossi Medusoidi, forse Pelagiadee, i quali si sprofondavano vieppiù nell’ acqua durante il giorno, in modo da non essere più visibili. Nell’ aprile dell’anno medesimo, risalendo il fiume Chai-liwung che chiuso tra due lunghe dighe conduce a Batavia, trovai in grande abbondanza una bella specie di Rbizostoma, caratterizzata dall'avere l'ombrello co- perto da grosse granulazioni brune; una sera ritor- nando a bordo per quella via, trovai le acque (dolci) del canale illuminate da numerosi dischi fosfore- scenti di una pallida luce azzurrina e fissa che mi ri- cordò benissimo il fenomeno osservato pochi mesi prima nell'Atlantico ; onde mi credetti autorizzato a supporre che anche in quel caso si trattasse di un Medusoide affine alle Rhizostome. Verso la fine di luglio 1867, mentre si navigava nel Pacifico australe a poche centinaia di miglia dalla costa peruviana, per varie sere di seguito nella scia del bastimento, come pure intorno ad esso, il mare era illuminato da dischi fosforescenti, aventi come quelli osservati nell’ Atlantico da 20 a 25 centimetri in diametro, che si mantenevano, a giudicare dall’ in- mersione della Magenta, a circa 1 metro so sotto alla superficie; anche in questo caso la luce emanata era uniforme, pallida e bianchiccia, ma si mostrava in- termittentemente a lampi più o meno vivi; di giorno nulla si scorgeva in mare che potesse essere cagione di un simile fenomeno. Ebbi però il piacere di sciogliere l’enigma il 23 del settembre seguente, la Magenta essendo quasi in vista della costa Chilena all’altezza di Valparaiso; nel dopo pranzo nuotavano intorno al bastimento mantenendosi LA FOSFORESCENZA DEL MARE. II} all'incirca 50 centimentri sotto alla superficie un grande numero di grossi Medusoidi del disco bianco opaco; ebbi occasioni di assicurarmi che erano Rhizostome, e l’istessa notte e quella seguente, ricomparvero i dischi luminosi che ci avevano già tante volte tenuti perplessi; in questa occasione la luce emanata era fissa, ed aveva una tinta verdognola ben marcata. Nell’ultima traversata oceanica (Montevideo a Gibil- terra), dal 1o al 15 febbraio 1868 tra il 4° ed il 7° lat. nord, ricomparvero i grussi lampioni sub-acquei veduti due anni prima; i Medusoidi che ne erano cagione ri- manevano anche questa volta invisibili durante il giorno. Darwin (1) nel suo viaggio di circumnavigazione vide alla foce del Plata dischi luminosi che variavano in diametro dalle 2 alle 4 braccia (yards)! Egli ag- giunge che sembravano il riflesso della luna o di altro corpo luminoso a contorno circolare, e che il moto dell’acqua faceva apparire sinuosi e non definiti i loro contorni; il « Beagle » pescava 13 piedi (inglesi) e passava sopra questi corpi luminosi senza disturbarli. Uno scrittore recente Cuthbert Collingwood (2), parlando di questi dischi da lui veduti nel Mare ci- nese, opina che sieno prodotti da Pyrosoma, e che il loro aspetto circolare sia dovuto ad illusione ottica prodotta dalla diffusione dei raggi luminosi attraverso uno strato più o meno spesso d’acqua. Non posso in questo dargli ragione: i dischi luminosi sono senza dubbio sempre dovuti alla presenza di Medusoidi ap- (1) Ch. Darwin, Naturalist's Voyage round the World. — Lon- don, 1863, p. 163-164 (2) Collingwood, Rambles of a Naturalist in the China Seas. — London 1868, p. 401. 114 PELAGOS. partenenti al genere Rbizostoma od a una forma molto affine, e, come abbiamo già notato, la fosforescenza ca- gionata dalle Pyrosoma è ben diversa. Una fosforescenza affatto speciale e che non va classata in nessuna delle tre categorie delle quali ho parlato, è quella che si osserva nei polipi (Actinozoa) madreporici; la sera dell 8 febbraio 1867, ritornando da una gita sull’ isolotto North, posto a breve di- stanza da Sumatra allo sbocco meridionale dello stretto di Banca, e circondato da estesi banchi madreporici, la chiglia della nostra lancia urtando questi produceva una vivissima fosforescenza a luce verdastra, che du- rava per qualche minuto; ed ancora mentre la « Ma- genta » riparava le avarie al timone nell’arsenale di On- rust, il quale come tutti gl’ isolotti sulla rada di Ba- tavia è formato quasi totalmente da Madrepore, uno degli spettacoli più splendidi nelle notti oscure era il contemplare dalla spiaggia le onde frangersi sul banco che circondava l’isola a settentrione, rendendola fosfore- scente in modo che sembrava una linea curva di fuoco. È un fatto ora generalmente ammesso che quella luminosità che si osserva nell'occhio di molti verte- brati, come in alcuni pesci (Squali) cd in molti mam- miferi, sia cagionata da luce riflessa sopra un tapetum brillante mancante di pimento nero, epperciò più co- spicuo negli albini. Prevost ha dimostrato che una tale proprietà non si palesa in un’oscurità perfetta; abbiamo però il caso di un vertebrato fosforescente (1) lo (1) È stato detto che gli strani pesci che costituiscono il ge- nere Orthagoriscus sono essi pure fosforescenti, ma ne dubito molto ed il fatto ha bisogno di essere confermato; il naturalista danese Reinwardt descrive pure un pesce fosforescente l’Hemi- ramphus lucens, osservato ‘da lui nel mare delle Molucchè. LA FOSFORESCENZA DEL MARE. TESS Scymnus (Isistius) fulgens, descritto per la prima volta dal signor F. D. Bennett (1), il quale lo pescò nel Pacifico, in lat. 55° sud, long. 110 ovest Gr., mentre suo fratello il dottor G. Bennett, che ebbi la fortuna di conoscere a Sydney, ed il quale è ben noto al mondo scientifico, riprese questo pesce interessante in lat. 2° 16’ sud, long. 163° ovest Gr. (2). I signori Bennett descrivono la fosforescenza di questo Squalo, che non sembra oltrepassare in lun- ghezza i due piedi inglesi, come vivissima, e molto simile a quella emanata dalle Pyrosoma; sparsa quasi ugualmente su tutta la superficie della cute, meno una mezza collana che cinge la gola, la parte superiore delle pinne ventrali e pettorali, le due pinne dorsali con il lobo superiore di quella caudale, la sommità della testa ed il culmine del dorso; la luce emanata ha una tinta verdognola, ed è assai più viva sulle parti inferiori delle pinne pari, e sull’addome; cessa gradata- mente dopo la morte dell’animale; la proprietà lumi- nosa risiede nella cute, che in colore ed in consistenza non differisce sensibilmente da quella della generalità degli Squali. — Lo Scymnus fulgens dallo sviluppo poco pronunciato delle pinne non sembra capace di grande agilità, e forse dandogli proprietà fosforiche la natura ha voluto in certo modo compensare questo difetto molto dannoso in un essere che vive di preda; la luce emanata può servire ad attirare altri pesci che sono allora facilmente predati; tutti sanno come in molte pesche, i pescatori attraggono i pesci accendendo (1) Vedi Proc. Zool. Soc. — London 1837. (2) Gatherings of a Naturalist in Australasia. — London 1860, pag. 67, 68, 69. 116 PELAGOS. lumi e torcie. Io non ebbi la fortuna di catturare al- cun individuo di questa specie, rarissima ancora nei Musei; ma sono convinto che alcuni pesci luminosi specialmente sulla parte inferiore del loro corpo, che voltavano spesso in su (abitudine del resto comune in tutti gli Squali i quali avendo la bocca posta sulla parte inferiore della testa devono voltarsi per carpire la loro preda) e che avevano una lunghezza apparente di 30 centimetri, veduti nella scia della « Magenta » la notte del 9 luglio 1867 (lat. 38° 36' sud, long. 164° 46' ovest Gr.) appartenevano a questa specie curiosa; quella notte mancava quasi assolutamente la solita fos- ‘forescenza, e la luce verdastra emanata dal corpo di quei pesci era resa così molto distinta e cospicua. In conclusione dirò come il primo modo di fosfo- rescenza, quella cagionata dalle Noctiluche, sembra aver bisogno di un movente esterno, per quanto de- bole, onde manifestarsi; il secondo può essere spon- taneo; il terzo modo sembra essere quasi sempre spontaneo e si manifesta benissimo senza il bisogno di influenza estranea; in tutte le specie di fosfore- scenza vivente questa però rende più intensa la luce emanata, cosa che non avviene mai. colla luce delle sostanze putrescenti. Le varie fosforescenze e special- mente le due ultime si osservano contemporaneamente, la luce verde e quella a tinte azzurrine sembrano es- sere le più frequenti. Il vasto campo della biologia pelagica è ancora ben poco conosciuto, e coltivandolo verranno forse sciolti alcuni dei problemi più interessanti della fisica ter- restre o per meglio dire marina; intanto prima di poter dedurre leggi generali in proposito bisogna ‘ancora accumulare e precisare molti fatti e molte LA FOSFORESCENZA DEL MARE. II7 osservazioni; ed oso sperare che queste mie annota- zioni andranno a colmare una parte, sebbene minima, del vuoto delle nostre cognizioni intorno all’immensa e svariata Fauna oceanica (I). EnrIco H. GIiGLIOLI. (1) Questo scritto venne stampato negli « Atti » della R. Ac- cademia delle Scienze di Torino (vol. V, 1870); e quindi nel « Bollettino » della Società Geografica Italiana (vol. IV, 1870). Dci ce 1 e i” Sal 1 bea o UN NUOVO MONDO OSSIA GLI ABISSI DEL MARE ED I LORO ABITANTI Co _ E I crepuscoli di una grande scoperta. (1818-1868.) Orsted «De regionibus marinis » - Edward Forbes — Una scoperta dimenticata — La luce ci viene dai due Poli— Sir John e Sir James C. Ross — Biooke e Maury — Foraminiferi tratti dai grandi fondi — Ehrenberg e Baily — I cordoni © telegrafici sottomarini e le ricerche talassografiche — Huxley da un giudizio — La spedizione del « Bulldog » ed il dott. Wallich — Ripesca di un cavo telegrafico nel Mediterraneo e le sue conseguenze. INO a questi ultimi tempi, abbiamo udito, ed ancora oggi da molti udiamo, par- lare dei misteri nascosti dall’Oceano nel suo largo e profondo grembo. Chi di voi nel trovarsi in mare non ha contemplato quella mobile superficie azzurra con quel sentimento inde- finito ed indefinibile dell’ignoto, dell'immenso ignoto, 120 PELAGOS,. che si prova guardando in una bella notte serena il cielo, e cercando invano di farsi una idea definita di quella immensità di spazio e di stelle? Schleiden (1), intesta quel suo magnifico capitolo sul mare e i suoi abitanti coi versi seguenti: « Vous qui viver d la lumière, réjouissez-vous, Car là-bas dans la profondeur tout est terrible. Que l homme ne tente pas les dieux, Ft ne demande jamais è voir Ce que par bonté ils tiennent caché dans la nuit des ténébres, » L’idea generale, ammessa anche dalla scienza, era che, dopo una certa profondità, incominciasse una regione di tenebra perenne, ove, per l’enorme pres- sione, la vita non era più possibile; ove insuperabili difficoltà sorgevano contro qualsiasi ricerca. Eppure, anche in quei veri abissi marini, l’uomo ha ora fatto penetrare un raggio di luce e col tempo conosce- remo il fondo dell'Oceano quanto ora conosciamo la superficie dei continenti. Nel 1844 Orsted nel suo saggio: De regionibus ma- rinis, si occupò della distribuzione batometrica o ver- ticale degli animali che vivono nel mare, cercando dal colore prevalente di essi di divider questo in varie zone: trovò che se alla superficie gli animali marini eran violetti od azzurri in alto mare, di un colore bruno terreo o variegati o verdi lungo le coste, ad una profondità da 50 a 500 piedi circa erano spesso rossi; e che erano bianchi o scolorati a profondità (1) La plante et sa vie, traduzione Scheidweiler et Royer, p. 131. PARIS, 1859. UN NUOVO MONDO. Ti2A: maggiori. Ho citato Orsted, perchè fu il primo ad investigare un tal quesito; nelle sue conclusioni vi è del vero, ma, come risulterà in seguito, vi sono pure notevoli errori, cagionati dall’aver egli voluto sintetiz- zare sopra un numero troppo ristretto di fatti. Contemporaneamente, nel corso del medesimo anno, l'illustre Edward Forbes, di cui la scienza piange ancora l’immatura perdita, pubblicò le sue bellissime ed estese ricerche sulla fauna del Mare Egeo, che non erano che un proemio ad un’ opera assai più estesa, stampata dopo la sua morte: The Natural History of the European Seas. Forbes, che era un Naturalista nato, giacchè, come disse con molta veracità Waterton, i Naturalisti come gli Artisti nascono e non si fanno, spingeva il culto della sua scienza quasi sino al fana- tismo, mantenuto però sempre sotto il dominio di una mente ordinata e filosofica. Nelle due opere citate ed in un bell’articolo sulla Fauna marina, scritto pel grande Physical Atlas del Johnston, Fortes pel primo studiò profondamente ed estesamente |’ importante problema della distribuzione batometrica degli animali nell’ Oceano. Defini cinque regioni verticali marine, caratterizzate da animali e piante (Alghe) speciali; regioni che sono, meno l’ultima, così ben stabilite sopra fatti prevalenti, che reggono ancora dopo tanti anni e dopo tanti studii ulteriori. Esse sono: I. La litoranea: entro i limiti dell’azione della marea. 2. La circumlitoranea o della Laminaria (Alga): tra illiraite della “bassa «marea .e le. 15 braccia marine o fathoms (1) di fondo. (1) Il braccio marino o fathom equivale a 6 piedi inglesi, ossia a met. 1,828. Dovrò tante volte parlare di braccia marine in questo scritto che era nècessario questo avvertimento. Pelagos. 9 TDI. PELAGOS. 3. La media o delle Coralline: dalle 15 alle 50 braccia di fondo. 4. L’infra-media: dalle 50 alle 100 braccia sotto la superficie. 5. L’ abissale: da 100 braccia ai limiti estremi di pro- fondità, ove possono vivere animali. Forbes dice che lo zero della vita vegetale è raggiunto al principio di questa regione, ed egli era di avviso che quello della vita animale non dovesse tardar molto ad essere pure raggiunto in quei tenebrosi abissi, ove, oltre la man- canza di luce, quella dell’aria e la enorme pressione esercitata dalla grande massa delle acque soprastanti, non potevano concedere la possibilità di vita anche ad infimi organismi; anzi egli credeva che quel li- mite fosse segnato circa alle 300 braccia di fondo. Gli animali caratteristici di queste regioni sottoma- rine del Forbes erano principalmente Invertebrati, e più specialmente Molluschi e Raggiati (Echinodermi), sui quali versavano particolarmente le sue ricerche. Pochi generi di Pesci furono però ancora da lui de- signati siccome speciali a questa od a quella regione. Le conclusioni di Forbes le quali negano quasi assolutamente la possibilità di vita animale al di là delle 300 braccia, sorprendono quando, lasciando pure a parte le straordinarie scoperte recenti su tale sog- getto (argomento speciale di questo scritto), si ricordi che sin dal 1818 il capitano Sir John Ross, di artica fama, aveva pescato nella baia di Baftin, da una pro- fondità di quasi 1000 braccia, un magnifico Echino- derma, l’ Asterophyton Linckii (1); testimonio di quella (1) J. Ross. A voyage of discovery in H. Ms ships «Isabella » and « Alexander », for the purpose of exploring Baffin's bay and UN NUOVO MONDO. 123 pesca fu pure l’illustre Sir Edward Sabine, per tanti anni Presidente della Società Reale di Londra, il quale accompaghava Ross per eseguire. quelle osservazioni sul magnetismo terrestre che lo hanno poi reso fa- moso. Ventun’ anni dopo Sir James Clark Ross nella sua esplorazione della regione antartica, trovava sul londo 4270: braccia. ine Lat. 173° 3'.S. Long. 176°) 6 E. Gr., una fauna svariata di animali senza vertebre, tra cui, cosa sorprendente davvero, due Pycnogonum e I’ Idotea Baffinii, che sono Artropodi inferiori creduti. sino a quel giorno particolari alle alte regioni arti- che. Il celebre esploratore aggiunge: «Io non dubito menomamente che da qualunque profondità in mare noi potremo trarre fango e sassi alla superficie, li troveremo popolati di vita animale; la estrema pres- sione alle maggiori profondità non sembra influenzare questi esseri; sinora non abbiamo potuto determinare questo punto estremo al di là di 1000 braccia, ma da quella profondità varii Molluschi furono pescati col fango » (1). Finalmente il 28 giugno 1845 Henry Goodsir, Naturalista che accompagnò la sventurata spedizione polare di Sir John Franklin, ottenne nello stretto di Davis da una profondità di 300 braccia Molluschi, Crostacei, Asteridi, Spatangi e Coralline. Quest'ultimo caso è inserito nell’opera postuma del Forbes, il quale perciò avrebbe esteso allora la sua regione abissale a circa 300 braccia. enquiring into the possibility of a North-West passage, pag. 178, LonDON 1819. (1) J. C. Ross. A voyage of discovery and research in the Sou- thern and Antarctic regions during the years 1839-43. LONDON, 1847. 124 PELAGOS. Malgrado questi fatti notevoli, forse in parte messi in dubbio in parte ignorati dai Naturalisti d’ allora, le conclusioni del Forbes furono da tutti accettate; e non fu che in questi ultimi anni che alcuni pochi incominciarono a manifestare qualche leggiero so- spetto che i veri abissi e le profonde vallate dell’ O- ceano non fossero completamente deserti, ma possi- bilmente servissero di dimora ad alcuni infimi orga- nismi. Molti scienziati però non volevano neppure ammettere quel dubbio, rinato nei primi tentativi fatti per avere qualche notizia sulla natura del fondo in punti di notevole profondità. Per tali ricerche fu di Scandaglio di Brooke. immensa utilità l'apparecchio semplicissimo per scan- dagliare, inventato dal luogotenente Brooke; che è descritto e figurato nella celebre opera di Maury, The UN NUOVO MONDO. , 125 Physical Geography of the Sea. I microscopisti, ai quali Ehrenberg aveva svelato un nuovo Mondo, cercarono avidamente di avere alcuni dei piccoli saggi riportati dall’ istrumento di Brooke da scandagli profondi; erano vere prese infinitesimali del terreno del fondo, eppure con sorpresa di tutti furono trovate consistere quasi esclusivamente dei gusci calcarei minutissimi di alcuni Foraminiferi: la G/obigerina bulloides e l’ Orbulina uni- versa; qualche porzione di Diatomacea, e le spicole di Radiolarii. Questi esseri sembravano avere una estesa diffusione, giacchè furono trovati in saggi di fondo. tanto dell’ Atlantico quanto del Pacifico; sorse subito la quistione se quei gusci appartenessero ad animali, i quali avessero vissuto galleggianti alla superficie e fossero poi caduti al fondo dopo la morte, oppure ad animali realmente viventi sul fondo alle notevoli pro- fondità dalle quali erano stati tratti. Il problema venne sottoposto a due grandi autorità in cose biologiche, Ehrenberg di Berlino e Baily di West Point (Stati Uniti); il primo decise per la seconda ipotesi, il se- condo per la prima. Venne poscia il progetto di collocare un cordone telegrafico transatlantico sottomarino, e fu necessario durante quelle operazioni di studiare maggiormente la natura del fondo di quella parte dell’ Atlantico su cui doveva poggiare la gomena telegrafica, destinata a porre in istantanea comunicazione l’ Europa e 1° Ame- rica. Malgrado le recenti pubblicazioni del celebre Maury, stranoa dirsi, ma.pur' vero, \chi poteva lst era ancora poco preoccupato di rendere possibili ri- cerche più perfette e più estese sul fondo dell'Oceano, che si sapeva 4 priori doveano dare interessantissimi risultati specialmente per le scienze fisiche e geogra- 126 PELAGOS. fiche. Dopo l’ingegnosa invenzione del luogotenente Brooke, poco si era fatto per migliorare gli strumenti di scandaglio a grandi profondità; e malgrado gl’ in- teressanti risultati delle ricerche dei due Ross e degli ufficiali della corvetta francese la «Bonzite» sulle con- dizioni termiche del mare a grandi profondità, poco o nulla si era tentato per combinare un termometro che non subisse avarie e variazioni, nè si erano fatti esperimenti seril in proposito. Sentito il bisogno del telegrafo transatlantico, e quello conseguente di conoscere un poco meglio il fondo di quell’'Oceano, il Governo inglese fece fare varie serie di scandagli attraverso l’ Atlantico boreale in più direzioni. Nel 1857 venne incaricato di tal lavoro il capitano Dayman, col « Cyclops »; i saggi ottenuti sul fondo a grandi profondità tra l’ Irlanda e la Terranova, furono dall’ Ammiragliato inglese sotto- posti all’illustre Huxley, il quale si trovava a dovere sciogliere il medesimo quesito che era stato sottoposto ad Ehrenberg ed a Baily; egli fu assai più prudente di loro, e nel suo rapporto ufticiale sivlegge: « Come puossi concepire l’esistenza di vita animale in condizioni di luce, temperatura, pressione ed aera- zione come quelle che devono sussistere a così grandi profondità? A tale quesito noi non possiamo che rispondere che sappiamo di certo che animali alta- mente organizzati riescono a vivere ad una profondità di 300 o 400 braccia, giacchè da tali profondità essi furono pescati; e la differenza nel grado di luce e di calore a 400 ed a 2000 braccia è probabilmente, per così dire, assai minore che il grado di complessità organica che separa gli animali, di cui sopra, dagli infimi Protozoa e Protophyta delle grandi profondità UN NUOVO MONDO. 127 oceaniche. Confesso, però, che sebbene io sia ancora lontano dal credere che sia cosa provata la vita delle Globigerina a tali profondità, la somma delle probabi- lità sembrami inclinare in quel senso ». Una risposta così guardinga data da uno zoologo come Huxley è assai significativa, e spiega facilmente la reticenza di Naturalisti conservatori ad ammettere anche il dubbio della possibilità di vita animale in tali condizioni. Intanto la Marina inglese proseguiva le ricerche sul letto dell’ Atlantico: nel 1860 il « Bulldog » sotto il comando di Sir Leopold Mac’ Clintock fece una serie di scandagli fra la Terranova e l'Islanda, la Groen- landia e l'Irlanda; e il dott. Wallich era imbarcato su quel bastimento in qualità di Naturalista. Da scan- dagli che variavano dalle 600 alle 2000 braccia, si pescarono saggi dell’oramai celebre sedimento grigio costituito dai gusci di G/obigerina; ma la pesca più importante si fece al ritorno, tra il capo Farewell (Groenlandia) ed il banco di Rockall, non lungi dal- l'Irlanda: da una profondità di 1260 braccia lo scan- daglio ricom®ari con tredici Asterie, abbracciate tenacemente alla fune che era rimasta per poco tem- po posata sul fondo. Questa era una splendida con- ferma della notevole pesca di Sir John Ross nella baia di Baffin, troppo presto posta in oblio. Il dott. Wallich , che io ebbi il piacere di conoscere a Lon- dra, diceva che fu uno dei più bei momenti della sua vita. Ritornato a casa, egli pubblicò i risultati di quel viaggio in un bel volume (1); in esso egli sostiene (1) G. C. WarLicH, The North Atlantic sea-bed; comprising a Diary of the voyage on board H. M. S, « Bulldog » in 1860; and observations on the presence of animal life and the formation and na- ture of organic deposits at great depths in the Ocean. LonDon, 1862. 128 PELAGOS. con molto calore che le condizioni del fondo del mare a grandi profondità non erano tali da preciudere la possibilità dell’ esistenza anche dei tipi più elevati di organismi animali; e con non minore abilità discute le obbiezioni fatte da tanti ad una tale ipotesi. Pec- cato che il dott. Wallich abbia commesso l'errore di riferire le Asferie pescate a comune e ben conosciuta specie litoranea! Per gli oppositori dell’ipotesi della possibilità di vita animale a grandi profondità, il fatto di Asterie abbracciate alla fune di uno scandaglio che éra ‘andato .a' 1260 braccia nonmrerta conclusive saio implicava l’altro che quelle Asterie vivessero davvero al fondo e non si fossero attaccate alla fune assai più vicino alla superficie mentre essa risaliva. Certo che, cogli strumenti adoperati sin qui la prova assoluta di quanto asseriva Wallich e di quanto aveva scritto per il primo il Ross, mancava ancora. Più tardi le Asterie del Wallich furono riconosciute per specie distinta, ben frequente a grandi profondità nell’ Atlantico boreale. Mentre il Wallich faceva tali pesche, il fatto dell’ e- sistenza di animali nei profondi abissi marini si andava corredando di altre prove. Nell’ autunno del 1860, l'ingegnere Fleeming Jenkin venne impiegato a ripe- scare e riparare il cordone telegrafico tra Cagliari e Bona (Africa); che si era. spezzato... ‘Comete anotog quella comunicazione telegrafica fu stabilita nel 1857; un antio dopo il:cordone si cera rotto ge ticircano miglia di esso erano state ripescate e surrogate con successo, quando nell’ estate del 1860 quel telegrafo cessò di nuovo di funzionare. Nel ripescare il cordone sulla costa africana si trovò che era stato danneggiato dalle draghe adoperate per la pesca del corallo, e che era rotto a poche miglia da Bona in 70 braccia UN NUOVO MONDO. 129 d’acqua; se ne ripescò però l’ estremità e seguitando a riprenderlo si trovò che era intatto sino a circa 40 miglia dalle coste della Sardegna, e che traversava una estesa vallata sottomarina con una profondità massima di 2000 braccia. Allora si prese a ripescare estremità sarda del cordone. Per 39 miglia esso era in eccellente condizione, ma a quella distanza si notò un cambiamento nella natura del fondo del mare con fango diversamente colorato; i fili del cordone erano molto corrosi, e poco dopo si rinvenne la rottura in una profondità di 1200 braccia, a un miglio dal punto ove le operazioni elettriche avevano indicato previa- mente l’ interruzione. Con quelle 40 miglia di cordone una quantità di corallo e molti animali marini vennero pescati, ma cerano attaccati ugualmente sulla porzione sana e su quella corrosa della gomena elettrica. Ritor- tornando in Inghiterra il signor Fleeming Jenkin lesse un interessante rapporto sulle sue operazioni (1) c pregò il suo amico professore Allman di Edinburgo a voler esaminare gli animali diversi che egli stesso aveva distaccato dal cordone telegrafico. Il professore Allman diede una lista di quindici specie, incluse le uova di un Cefalopodo, trovate a profondità varie tra To e 1200 braccia; vi erano rappresentati i generi : Grantia, Plumularia, Gorgonia, Caryophyllia, Alcyo- nium, Cellepora, Retepora, Eschara, Salicornaria, Ascidia, Lima e Serpula. Più tardi il professor Wyville Thom- son, che ebbe nelle mani il giornale di Jenkin, trovò che questi aveva preso anche un individuo di una vera madrepora Caryophyllia borealis, naturalmente at- (1) Proceedings of the Institution of Civil Engineers, vol. XX. pag. 81. LowxDpon, 1861. 130 PELAGOS. taccato alla gomena al punto stesso della rottura, cioè sul fondo in 1200 braccia d’acqua. Alcuni pezzi di quella gomena vennero poi nelle mani del signor Mangon, professore all’ Ecole des Ponts el Chausstes di Parigi e furono esaminati dal professore A. Milne-Edwards, il quale fece una comunicazione in proposito all’ Accademia delle Scienze di Parigi il 15 luglio 1861 (1). Va notato che nei saggi avuti a Parigi pare che venissero confusi animali presi sopra pezzi di gomena a poca profondità presso la spiaggia, con altri che erano suilo stesso cordone in acque molto profonde; il Milne-Edwards descrisse un nuovo Zoantario tra gli altri rinvenuti su quei frammenti di gomena, cui diede il nome di Thalassiotrochus telegra- phicus. (1) Observations sur l’existence de divers Mollusques et Zoo- phytes à de très grandes profondeurs dans la Mer Méditerranée — Ann. Sc. Nat. 4. série, Zoologie tome XV. pag. 149. PARIS, IS6I. UN NUOVO MONDC. I3E TE La scoperta di una Fauna abissale nell’ Atlantico boreale. (1868-1872.) C. Wyville Thomson — I due Sars e la loro pesca miracolosa — Thomson e Car- penter ottengono l'appoggio della Società Reale per le ricerche talassografiche ed abissali — La campagna del «Lightning» — La pressione e la vita animale a grandi profondità — Gwyn Jeffreys — La temperatura negli abissi oceanici — Esplorazioni abissali degli Americani — Il conte di Pourtalès ed i due Agassiz — Splendidi risultati ottenuti dal «Porcupine» -— Carattere speciale della Fauna abissale — « Bathybius Haeckeli » — Nutrizione e respirazione degli animali abis- sali — Teorie intorno alla «circolazione oceanica ». È indubitato che sin qui i casi in cui si erano tratti animali da grandi profondità, potevano risultare da errori cagionati dal metodo adoperato e dalla im- perfezione degli strumenti di scandaglio. Gli oppositori alla credenza che fosse possibile la vita animale in tali condizioni avevano dunque avuto bel giuoco; ma dopo i risultati ottenuti dal fenkin, il dubbio non era più possibile e l’esistenza di animali ad una profon- dità di oltre 1000 braccia era cosa provata. A lui dunque compete tutto il merito di avere stabilito un fatto di tanta importanza nella Biologia. Ma magra davvero per la Zoologia sarebbe stata la mèsse fatta tra i membri di questa curiosa ed interessante Fauna, se i Naturalisti si fossero dovuti accontentare del gua- sto casuale di un cordone telegrafico sottomarino per avere saggi della vita animale a grandi profondità, la 132 PELAGOS. cui provenienza non fosse dubbia; oppure dei fram- menti che potevano ritornare aderenti ad uno stru- mento da scandaglio, come poteva essere quello in- ventato dal Brooke. Non si poteva trovare un mezzo di raccogliere ovunque ed a qualsiasi profondità, non una presa infinitesimale, ma una certa quantità non solo della sostanza formante il letto dell'Oceano, ma ancora di esemplari di quelli organismi che vi pote- vano ospitare ? Tale pensiero venne alla mente sagace del profes- sore Wyville Thomson; egli, che si era specialmente dedicato allo studio degli Echinodermi e degli altri invertebrati marini, sapeva quanto la scienza doveva in tali ricerche a quel comune ordigno di pesca conosciuto col nome di draga; già dai tempi di Forbes i Naturalisti avevano, raschiando con esso il fondo, raccolto tesori di forme nuove, e fu coll’aiuto di esso che l'illustre Forbes potè incominciare quei bellissimi studîì sulla Fauna marina, specialmente nella sua distribuzione batometrica, che non furono inter- rotti che dalla sua morte. I suoi successori Gwyn Jeffreys, Mac Andrew, Thomson ed altri, avevano saputo degnamente approfittare delle sue lezioni; il fondo dei mari Germanico, d’ Irlanda e della Manica, aveva poco di nascosto per essi, i quali, seguendo le orme del loro illustre maestro, avevano spinto tali ricerche anche nel nostro Mediterraneo, sebbene in modo assai meno esteso. L’uso della draga si era sparso tra 1 Naturalisti europei e nord-americani, e sempre con splendidi risultati. Il Forbes aveva fissato lo zero della vita animale a 300 braccia, ma sin dal 1850 il professor M. Sars sostenne che oltre ‘quel limite doveva esistere una UN NUOVO MONDO. 153 Fauna svariata e vigorosa. Il suo figlio G. O. Sars con una semplice draga in un battello scoperto con tre uo- mini di equipaggio, ottenne da profondità che va- riano tra le 200 e le 400 braccia non meno di 335 specie di animali, e tra essi il Rbizocrinus lofotensis, 1 cui affini vivevano nell’ epoca oolitica ; quelle ricerche furono condotte a termine nel 1868 (1). Ora il pro- fessore Wyville Thomson, il quale aveva quasi assistito a quelle pesche davvero maravigliose fatte dal figlio del Sars presso le isole Loffoten sulla costa di Nor- vegia, si domando se la draga non poteva adoperarsi pure a profondità maggiori, anzi a qualsiasi profon- dità. Non ne dubitò appena l’idea gli si fu affacciata, e siccome credeva fermamente che con tale mezzo, iniziando su grande scala siffatte ricerche, un vasto ed ignoto Mondo animale sarebbe a noi svelato, non si diede più pace sinchè non ebbe la speranza di vedere realizzati i suoi sogni. E davvero ne meritavano la pena, giacchè la possi bilità di vita animale ad una profondità di oltre 1000 braccia era oramai un fatto stabilito; Sars e pochi altri, dragando in un fondo di 4oo braccia avevano ripescato una ricchissima serie di interessantissime forme appartenenti ai Molluschi e specialmente agli Echinodermi. Le condizioni fisiche e biotiche ad una profondità di 400 braccia non potevano essere molto diverse da quelle che si potevano avere a 1000 e più braccia; la pressione soltanto continuava ad aumentare in ragione diretta del numero delle braccia, ma per quanto sembri strano, essa ha, come vedremo, una (1) G. Ossian Sars. On some remarkable forms of animal life from the great depths of the Norwegian coast. CHRISTIANIA, 1872. 134 PELAGOS. ben piccola importanza, o forse sarebbe più vero il confessare che le nostre teorie in proposito sono an- cora lontane daila verità. Ritornando al professore Thomson, dirò che egli era convinto di quanto sopra e persuaso che un Mondo intiero, vasto ed esteso, popolato da tutta una Fauna speciale, era ancora nascosto agli occhi umani. E questo era il Mondo sottomarino: era tutta quella immensa superficie dei nostro Globo che è ricoperta dall'Oceano; superficie che si sapeva già essere ben lontana dall’uniformità ed anzi presentare accidentalità di livello ben più marcate che non la faccia dei con- tinenti e delle isole, anche ove sono le più alte mon- tagne e le più profonde vallate. Insomma si tratta di un Mondo ignoto che occupa ben */, della totale su- perficie terrestre e copre un’area di almeno 140 mi- lioni di miglia quadrate. E la scoperta di quel Mondo, l’ iniziare ricerche e studî in quel vasto ignoto, non era pel professore Thomson che una quistione di mezzi. Thomson, allora professore di Storia naturale al Queen's College di Belfast, Irlanda, cercò ed ottenne per l'adempimento dei suoi disegni la cooperazione dell’ illustre dottor W. B. Carpenter, membro influente della Società Reale di Londra; in una lettera scrit- tagli il 30 maggio 1868, egli esponeva per sommi capi i fatti precedenti e specialmente il bel frutto delle ricerche del signor Sars sulla costa di Norvegia; ri- tornava sulla convinzione in cui era che a qualsiasi profondità dovessero vivere animali sul fondo del mare, e che, a giudicare da quelli pescati dal Sars, essi dove- vano essere altamente interessanti per la scienza, non solo per la particolarità del loro soggiorno, ma perchè era ben possibile ritrovare viventi in quelli abissi, UN NUOVO MONDO. 135 oltre a forme speciali, anche altre che si credevano estinte, membri di Faune passate e antiche. Difatti tra abbondanti forme, molte delle quali nuove, il Sars nel 1866 aveva pescato un piccolo Crinoide, il citato Rbizocrinus, appartenente all’ordine delle APIOCRINIDEE il cui rappresentante più moderno fino allora cono- sciuto ha lasciato i suoi avanzi nei terreni cretacei ed è il Bourguetticrinus; e poco tempo prima un signor Absjòrnsen aveva pescato nell’Hardangerfford varii esemplari della Brisinga, il cui affine sarebbe il genere fossile Protaster. In quella lettera il professore Thomson proponeva che per mezzo del Consiglio della. Società Reale di Londra si ottenesse dall’ Ammiragliato per qualche tempo, durante l’estate, 1’ uso di un piccolo piroscafo della Marina Reale per esplorare parte dell’Atlantico boreale tra l’ Irlanda, la Scozia settentrionale, le isole Fagroe e la Groenlandia. Egli era persuaso che con una draga piccola, ma pesante, ed un paio di miglia di forte fune di Manila, si poteva benissimo raschiare il fondo anche ad una profondità di 1000 braccia. Thomson diceva che almeno due problemi di grande interesse scientifico sarebbero subito sciolti (quello. della possibilità di vita animale lo era già), cioè: l’ef- fetto di una forte pressione sull’organismo animale, e quella della mancanza di luce. In quanto al primo egli era di opinione che sino allora il problema fosse stato male compreso; egli credeva che una pressione di qualsiasi forza equamente distribuita in ogni senso dovesse avere poco o nessuno effetto sopra organismi ad essa sottoposti, ed aveva molta ragione; inoltre egli aggiungeva che, essendo l’aria molto e l’acqua pochissimo compressibile, era probabile che sotto una 136 PELAGOS. pressione di 200 atmosfere l’acqua potesse essere anco maggiormente aereata, e da quel lato più atta a for- nire il necessario per la respirazione che non alla superficie. Per il secondo quesito avevamo già una risposta nei membri delle Faune ipogee e delle caverne, nei quali l’ assenza di luce limitava la sua azione agli organi visivi ed apparentemente al colore. Il dottor Carpenter non perdette il suo tempo: scrisse una lettera al generale Sabine allora presidente della Società Reale, e questi radunò subito il Consi- glio; il quale, udito il contenuto delle due lettere e penetrato della grande importanza scientifica delle ri- cerche proposte, votò all’umanità una contribuzione di 100 lire sterline per le spese, e raccomandò alla considerazione dei Lords dell’Ammiragliato la richiesta dei due scienziati. Questi ebbero poi uno zelante amico nel capo dell’Hydrographic Office, il dotto contr’ammi- raglio Richards. La risposta fu favorevole, e per la fine di luglio il vapore « Lightning » comandante May, doveva essere a loro disposizione per incominciare le dragate nei grandi fondi. Questa era una grande fortuna; i Governi hanno pur troppo saputo ben di rado apprezzare l’ impor- tanza di casi speciali in cui il loro aiuto era neces- sario; quello britannico si era messo sulla buona via e non era la prima volta che dava il buon esempio. Vedremo che dopo il « Lightning » nei due anni seguenti 1869-70, l’ Ammiragliato inglese mise a di- sposizione dei due scienziati, i quali si erano aggiunti il dott. J. Gwyn Jeffreys, un altro vapore, il « Por- cupine », e per qualche tempo il « Shearwater ». I risultati ottenuti sorpassarono le speranze del pro- fessore Thomson; essi avevano invero del prodigioso! UN NUOVO MONDO. 135 Durante le tre spedizioni, fatte nei mesi dell’ estate, furono eseguite cinquantasette dragate con pieno suc- cesso a profondità superiori alle 500 braccia, e sedici in oltre 1000 braccia d’acqua, e sempre vennero pescati numerosi animali; nel 1869 furono eseguite felice- mente due dragate ad oltre 2000 braccia, e da quella grande profondità furono tratti alla superficie rappre- sentanti dei cinque sottoregni invertebrati. Chi poteva ora dubitare dell’esistenza di una Fauna abbondante e svariata nei più profondi abissi oceanici, ovunque sul fondo del mare? Se nulla impediva ad una profondità di 2500 braccia (oltre 4 chilometri e mezzo) lo svi- luppo di una Fauna svariata, non si poteva logicamente supporre che un aumento di 1000 o 1500 braccia fa- rebbe una grande differenza. La massima profondità del mare non supera, per quanto sappiamo, le 6000 braccia; in media però, oltrepassato quel margine relativamente assai angusto di basso fondo che cir- conda le coste, abbiamo dati per supporre che la pro- fondità del mare si mantenga tra le 1500 e le 2000 braccia, e che le vallate sub-oceaniche più profonde siano relativamente poche e poco estese. Le condizioni di pressione sotto una così enorme massa di acqua sono di certo straordinarie. Per darne al lettore un’ idea mi basti dire che alla profondità di 2000 braccia un uomo dovrebbe sostenere col suo corpo un peso equivalente a venti locomotive, traenti ciascuna un lungo treno carico di ferraccio. Eppure, come ho notato poc'anzi, il prof. Wyville Thomson credeva che quella quistione fosse stata mal posta; e che, come fu poi ampiamente provato, qualsiasi pres- sione in tali condizioni non poteva nuocere all’ esi- stenza di animali. Di più non bisogna dimenticare che Pelagos, Sadr 138 PELAGOS. l’acqua è quasi incompressibile e perciò a 2000 braccia la sua densità è di pochissimo accresciuta. Alla di- stanza di un miglio dalla superficie in direzione ver- ticale, sotto una pressione di circa 139 atmosfere, l’acqua marina, secondo la formola di Jamin, sarebbe compressa per !/,,, del suo volume, e alla profondità di 20 miglia, nell’ ipotesi che la compressibilità sua cresca colla medesima proporzione, per soltanto !/. del suo volume, vale a dire che il volume a quella profondità sarebbe $/, del volume di una quantità d’acqua dello stesso peso alla superficie. Qualsiasi quantità di aria libera sospesa nell'acqua o contenuta in qualunque tessuto compressibile di un animale a 2000 braccia, sarebbe ridotta ad una mera frazione del suo volume; ma un organismo sostenuto attra- verso tutti i suoi tessuti, dentro e fuori, da liquidi incompressibili alla medesima pressione, non sarebbe necessariamente incomodato da questa. Vediamo noi, alzandoci talvolta la mattina, essendosi' alzato il barometro di un pollice, che durante la notte quasi mezza tonnellata è stata aggiunta al peso che tutta la vita sosteniamo col nostro corpo ? Eppure non pro- viamo il più leggiero incomodo; anzi ci sentiamo piut- tosto esilarati, più leggieri, perchè richiede minor fa- tica il movimento in un ambiente più denso. Vedremo che oltre una lunga lista di animali in- vertebrati, vi sono anche Pesci, e Pesci altamente or- ganizzati, che vivono a grandi profondità e sotto un’e- norme pressione, la quale non ha evidentemente per essi il minimo inconveniente. Ma, ciò che è più strano ancora, sappiamo dalle ricerche dei tre Naturalisti ci- tati, che negli abissi oceanici s'incontrano pure alcune forme che vivono ancora in condizioni ben diverse UN NUOVO MONDO. 139 nelle acque basse; così due Molluschi la Scrobicularia nitida pescata a 2435 braccia che vive abbondante da 6 braccia in giù, ed un un grosso Fusus preso sul fondo a 2090 braccia; per non citare altre specie di generi riccamente rappresentati sulle nostre coste. Sebbene sia provato che animali altamente organizzati possono vivere sotto una tale pressione, non pare però che sopravvivano, quando sono repentinamente tolti da siffatte condizioni. Quasi tutti i Molluschi e gli Anellidi dragati a più di 1000 braccia giungevano alla superficie morti o quasi; gli Echinodermi resistevano forse un poco più, i Pesci erano sempre morti, anche tolti da una profondità di sole 500 braccia. Si è cercato di costrurre istrumenti per accertare accuratamente il grado di pressione a grandi profon- dità, ma sin qui senza successo pratico; siamo dunque ancora costretti di accontentarci in molti casi di cal- coli per induzione. Prima di passare a discorrere delle gite fatte dal « Lightning », dal « Porcupine » e dal « Shearwater », e del grande viaggio del « Challenger », dirò due pa- role intorno ad un’altra grande quistione fisica già in. parte sciolta da quelle esplorazioni, ed è quella della temperatura del mare a grandi profondità; quistione della massima importanza, perchè si collega a tante altre che interessano la vita e le vicende di questo nostro pianeta. Sir. J. C. Ross, capo della famosa spedizione nei mari antartici, fu uno dei primi a cercare di conoscere la temperatura dell’acqua sul fondo del mare, e fu condotto ad enunciare, come fatto generale, che in tutte le latitudini vi s' incontrava una temperatura uni- forme e costante di 4° C. (punto di massima densità 140 PELAGOS. dell’acqua dolce), mentre presso la superficie e su di essa, sotto l’ influenza diretta dei raggi solari, o per cagione delle correnti, della temperatura dei venti e d’ altre cause più o meno accidentali e temporanee, la tempe- ratura poteva subire innumerevoli variazioni. Il ce- lebre Herschel, accettando pienamente simili conclu-, sioni, aggiunse che la temperatura scemava dalla su- perficie al fondo nella Zona equatoriale, dal fondo alla superficie entro i Circoli polari, mentre ad un punto intermedio tra quelle due regioni, cioè in 56° 30’ di latitudine boreale ed australe, la temperatura di 4° C. doveva essere uniforme, estendendosi dal fondo alla superficie (1). Questa teoria era generalmente accet- tata, sebbene il chimico Depretz avesse dimostrato che la densità massima dell’acqua marina, che si con- trae sino al suo punto di congelazione, si verifica ad una temperatura di — 3° 67 C.; ed inoltre si avevano di già osservazioni della temperatura a grandi profon- dità, le quali se non erano assolutamente esatte per colpa dell’imperfezione degli strumenti adoperati, da- vano di certo cifre approssimative, e queste erano di qualche grado al di sotto del punto di gelo per l’acqua dolce. Ma le osservazioni condotte durante il viaggio del « Lightning » dimostrarono subito essere erronea la teoria promulgata da Ross e Herschel sulle condizioni termiche del mare presso il fondo; e sul « Porcupine » moltiplicando le medesime osservazioni e adoperandovi un nuovo termometro ideato e costrutto dai signori Miller e Casella, col quale non vi erano rotture da temere sotto una grandissima pressione, e l'errore ca- (1) Sir Jonn F. W. -HerscHEL, Physical Geography; dalla « Encyclopaedia Britannica », p. 45. EDINBURGH, 1861. UN NUOVO MONDO. I4I gionato da questa a 3 tonnellate per pollice quadrato, ad una profondità di 2500 braccia era ridotto a 0° 79 C. Il termometro Miller-Casella è stato invero un pre- zioso acquisto per la scienza. Si ritrovò dunque che invece di avere contro il fondo dell’ Oceano uno strato d’acqua ton temperatura di 4° C., questa era ovunque, nelle regioni temperate come in quelle tropicali, di crrcaro” C.'e che Invece d'essere 1mmobile la massa o strato inferiore delle acque si muoveva dai Poli verso l’ Equatore, mentre lo strato superiore subiva un movimento in senso inverso, dall’ Equatore verso i Poli. L’ esistenza della corrente fredda polare infe- riore risulterebbe dal fatto che, ovunque si sono fatte osservazioni termiche sul fondo del mare, il termo- metro scese colla crescente profondità, raggiungendo al fondo la media citata, che è inferiore alla tempe- ratura normale della crosta terrestre; e questo non si potrebbe ottenere che con una corrente entrante con- tinua di acqua fredda. È probabile, secondo Thomson, che nell’ Oceano Artico, ove cessa. l’ influenza del Gulf-stream, ) intera massa d’acqua sia ridotta nell’ in- verno all’ estremo limite del punto di congelazione, e diventi ampia sorgente di acqua al massimo della sua gravità specifica. Dinanzi a scoperte di tanta importanza, la scienza in Europa si scosse; tutti si accorgevano che le ri- cerche iniziate dal Thomson accennavano quasi ad un’èra novella nella storia della scienza: ed in ogni modo risultava chiarissimo come alcuni dei problemi più importanti di Biologia e di Fisica sarebbero sciolti; e sopra tutto come un nuovo, grandioso ed estesis- simo campo alle ricerche scientifiche si era aperto all’ energia ed a quella insaziabile sete del sapere che 142 PELAGOS. distinguono 1° Uomo uomo, e lo alzano sopra così alto piedistallo. Ho detto come l’ Ammiragliato inglese per tre estati consecutive mise alla disposizione dei tre Naturalisti che avevano intrapreso di svelare pei primi i misteri dei profondi abissi dell’ Oceano, un bastimento a va- pore; le esplorazioni condotte con un'attività febbrile e coronate da un successo più che completo, vennero fatte nell’ Atlantico boreale, nella sua porzione orien- tale ed anche nel Mediterraneo. La Società Reale e gli scienziati più influenti del- l’ Inghilterra che tutti vi appartengono, non vollero fermarsi a metà strada dopo il successo avuto e la magnifica prospettiva svelata; e tanto fecero che in- dussero il Governo ad armare una corvetta, per pro- seguire le ricerche iniziate dal « Lightning » in tutti i mari durante un viaggio di circumnavigazione, che doveva durare tre anni almeno. Il bastimento prescelto fu il « Challenger », ed a direttore scientifico della spedizione venne giustamente chiamato il professore Wyville Thomson. Più oltre tornerò su questo gran- dioso viaggio scientifico. Negli Stati Uniti si volle pure contribuire all’opera gloriosa; ed il conte Pourtalès, che sotto gli auspici di Bache e poi di Pierce sin dal 1867 studiava quel maestoso fiume oceanico che porta il nome di Gulf stream, fu pure incaricato di dragare a grandi profon- dità e lo fece con grande successo e cogliendo una ricca messe zoologica. Più tardi sotto la direzione del- l’attivissimo professore L. Agassiz partiva dagli Stati Uniti una Commissione quasi coll’ incarico speciale di studiare la Fauna del fondo del mare. Essa era imbarcata sull’ « Haslar » e circumnavigò quasi tutta l’ America, UN NUOVO MONDO. 143 passando per lo stretto di Magellano e fermandosi nei punti più interessanti sino a San Francisco di Cali- fornia ove ebbe termine il viaggio, la cui Relazione completa non è comparsa, forse a cagione della morte di L. Agassiz, avvenuta nel frattempo. Inoltre negli anni 1868-82 varî piroscafi della Marina militare degli Stati Uniti hanno regolarmente ogni anno eseguito campagne talassografiche , lungo le coste atlantiche del- l'America. Alcune centinaia di stazioni vennero stabi- lite e si fecero dragate numerose in profondità che variavano da 6 a 2412 braccia. Nella direzione di queste ricerche ai compianti Pourtalès ed Agassiz padre, subentro l’Agassiz figlio, il quale continua con zelo e successo il lavoro. I risultati ottenuti compaiono nel Bulletin of the Museum of Comparative Zoology di Cam- bridge, Massachussetts. Il luogotenente Sigsbee, co- mandante il « Blake », una delle navi da guerra im- piegate in queste ricerche, si è adoperato assai a perfezionare gli apparecchi per scandagliare e dra- gare a grandi profondità, egli fu il primo, nel 1877, a sostituire all’ incomodo cavo di canape, quello di acciaio (I). Ulteriori esplorazioni abissali vennero eseguite an- cora da piroscafi speciali sotto gli auspici della « U. S. Fishery Commission » alla cui testa è il prof. Spencer Baird; e si fanno ora con un piroscafo specialmente co- struito e armato, « l’Al/batros ». Quando si seppero gli splendidi risultati delle gite del « Lightning » e del « Porcupine » anche in Italia sorse una voce eloquente a propugnare la nobile causa: (1) C. D. SiesBEE, Deep-sea sounding and dredging. \WASHING- TON, 1880. 144 PELAGOS. il dotto conte Angelo Manzoni di Lugo in un bellis- simo articolo inserito nella « Rivista Marittima » pel 1870, disse che gli scienziati inglesi erano entrati nel nostro territorio avendo spinto le loro ricerche nel Mediterraneo, e domandava che i nostri Naturalisti entrassero anch’ essi in lizza, chiedendo al Governo di seguire l’ esempio di quello inglese, cosa che po- teva ben fare e con poca o nessuna spesa straordinaria. Anche la Società Asiatica di Calcutta si era mossa qualche anno fa, e, per iniziativa del suo abile presi- dente il dottore T. Oldham, ora anch'egli mancato alla scienza, aveva determinato di far esplorare le profondità dei mari dell’ Hindostan; da quanto mi risulta quella deliberazione non ebbe però seguito sinora. Di ritorno dalla loro prima escursione col Lightning il professore W. Thomson ed il dottore Carpenter fecero di pubblica ragione i loro rapporti preliminari; lo stesso fu fatto dopo le due campagne del « Por- cupine », cui prese parte, il dott. Gwyn Jeffreys. Questi rapporti vennero stampati nei Proceedings della Società Reale di Londra: pel 1868 e 1870 elsono principalmente dovuti alla penna del dottor Carpenter, il quale, prendendo, come vedremo, specialmente a cuore i risultati fisici di quelle ricerche, pubblicò altri articoli specialmente sulla temperatura del mare, l’ o- rigine delle correnti, ecc. e fece alcune pubbliche let- ture in proposito alla Royal Institution ed innanzi ai Congressi annuali della British Association for the ad- vancement of Science. Ma la relazione completa sulle gite dei due bastimenti venne affidata al professor Thomson, il quale pochi giorni prima di imbarcarsi sul « Challenger » corresse le ultime bozze del ma- UN NUOVO MONDO. 14S gnifico volume (1) che vide la luce dopo la sua par- tenza; e che, non solo per l’ interesse grandissimo del contenuto, ma per l’ eleganza dello stile e la bellezza delle incisioni, rimarrà uno dei più bei monumenti scientifici del nostro secolo fecondo. Passerò ora in rapida rassegna colla guida appunto di quell’ aureo volume, le tre campagne estive del « Porcupine » e del « Lightning » per studiare la Fauna e le condizioni fisiche del fondo del mare, quindi ritornerò con maggiori ragguagli sui loro ri- sultati zoologici e fisici per passar poi a fare un cenno sommario del viaggio del « Challenger ». Il « Lightning », piccolo e vecchio vapore a ruote, imbarcò il professore Thomson ed il dottor Carpenter ad Oban il 6 Agosto 1868; dopo una breve fermata a Stornoway; Lews, una delle Ebridi, presero la via del nord diretti sulle isole Faèroe. Lungo la via fe- cero alcune esperienze colla draga sino ad una profon- dità di 200 braccia, e tutto andò benissimo. Il 17 avvistarono le Faèroe, remoto*arcipelago vulcanico appartenente ai Danesi, del quale la curiosa piccola città di Thorshavn è capitale; rimasero quasi tutto l'agosto dragando fra quelle isole, ma il tempo non era favorevole ed il bastimento pochissimo adatto ad affrontarlo; non poterono dunque dedicare che una diecina di giorni al vero scopo della spedizione e dra- (1) C. WyviLe THomson. The Depths of the Sea; an account of the general results of the dredging cruises of H. M. SS. « Por- CUPINE » and « LIGHTNING » during the summers of 1868, 1869, 1870. Under the scientific direction of D.r Carpenter F. R. S., J. Gwyn Jeffreys F. R. S. and C. Wyville Thomson F. R. S. LoxnpoN, 1873, pag. XX-521. 146 PELAGOS. gare in alto mare in una profondità di 500 a 650 braccia. La vita animale vi fu trovata abbondante: molti interessanti Invertebrati vennero tratti su nella draga, e, tra i più notevoli, la bella Brisinga coronata, un’ Asteria, ed una serie di forme di quelle strane spugne che formano la famiglia delle Hexactinellidae di Oscar Schmidt, tra cui un genere nuovo, Holtenia. Esse erano immerse in quella tanghiglia grigia, ricca di Globigerinae detta dagli inglesi atlantic ooze, nella quale si rinvennero pure molti curiosi Rizopodi e specialmente una specie, il cui guscio di un giallo vivo è indurito con fosfato di ferro, la Rbhabdammina abys- sorum, Sars. La dragata più profonda fu in 650 brac- cia: la draga venne alla superficie piena di un tenace fango biancastro sparso delle lunghe spicole silicee delle spugne sopra citate; in esso era pure infissa una bella e nuova Pennatulidea, chiamata poi Bathyp- tilum Carpenteri dal Kélliker. Il risultato di questa prima esplorazione che durò sei settimane, malgrado le circostanze sfavorevoli e le difficoltà incontrate, fu un pieno successo non solo per la quistione biologica, ma bensi per quella fisica delle condizioni termiche del mare a grandi profondità. Si constatò che la temperatura sul tondo non era con- stante ‘a 4° C., ma vicitio a 10% G.,; ‘si era. inoltre,vez rificato con sorpresa che le forme viventi a quelle profondità erano in parte identiche a specie credute sino allora estinte sin dai tempi terziarii, ed anche prima; molte altre erano affatto nuove. Onde fu de- ciso di continuare quelle ricerche e venne messo a disposizione della Società Reale a tale scopo, non più il « Lightning », ma il « Porcupine », vapore special- mente armato per il lavoro idrografico e per questo UN NUOVO MONDO. 147 adattatissimo alle esplorazioni che si volevano conti- nuare. Venne preparato con cura, e lo comandava il capitano Calver, il quale volle egli stesso sorvegliare il collocamento dell’apparecchio a poppa, che doveva facilitare il lavoro della draga a grandi profondità. Il vapore era disponibile dai primi di maggio alla metà di settembre; avendo quel tempo, fu deciso di fare tre gite dirette separatamente dai due Naturalisti ini- ziatori e dal dott. Gwyn Jeftreys, dotto malacologo, che ad essi si era associato e che portò seco due as- sistenti provetti per le operazioni del dragaggio e spe- cialmente per stacciare il sedimento raccolto sul fondo con la cura necessaria per non perdere il più piccolo animale. La Società Reale ansiosa di riscontrare spe- cialmente i risultati fisici ottenuti nella precedente spe- dizione, e volendo pure raccogliere dati sulla compo- sizione chimica dell’acqua marina a grandi profondità, fece convertire una delle cabine del vapore in labora- torio, ed aggiunse al personale varii abili assistenti, i quali in ciascuna gita dovevano occuparsi specialmente della parte fisica e chimica. Tutti gli strumenti ed ap- parecchi necessarii alle ricerche prefisse furono imbar- cati e tra gli altri i termometri Miller-Casella; co- sicchè il « Porcupine » parti ben meglio allestito che non era stato il « Lightning ». Salpò per la prima escursione il 18 maggio sotto la direzione di Gwyn Jeftreys, da Valentia bay sulla costa occidentale dell’ Irlanda; la gita durò sino al.13 giugno e venne esplorato l’ Atlantico per 450 miglia tra capo Clear (Irlanda) ed il banco Rockall. In una delle prime dragate ad 808 braccia si pescarono molti animali di grande interesse: Crostacei, Mol- luschi ed Echinodermi, in un’altra dragata a 1230 148 PELAGOS. braccia, tra una serie abbondante, si rinvennero varie forme nuove di Molluschi affini alle Arca, ed il Tro- chus minutissimus una specie boreo-americana, con molti Foraminiferi interessanti. Il tempo era bello e per sette giorni il signor Jetfreys potè continuare le sue dragate in oltre 1200 braccia con ottimo successo; la profondità maggiore raggiunta fu 1467 braccia, da quella vennero tratti varii Molluschi, un Crostaceo podoftalmo e l’Holothuria tremula. In questa gita tutti i fatti accertati nell’ estate antecedente ebbero ampia conferma. Il 17 luglio il « Porcupine » lasciò Belfast sotto la direzione del professor Thomson, il quale avendo con- sultato il capitano Calver ed il capo dell'Ufficio idro- grafico, si era deciso di tentare il fondo colla draga a 2500 braccia, profondità indicata sulle carte a 250 miglia ad ovest di Ushant. Il 22 erano sul posto, lo scandaglio indicava una profondità di 2436 braccia, il termometro Miller-Casella una temperatura sul fondo di 2° C. Il lavorare colla draga ad una profondità così enorme non era sì facile: sette ore furono impiegate, ed il Comandante non lasciò per un istante l’accumulatore posto a poppa per indicare il momento di fermare o rovesciare il movimento della macchina a seconda del modo col quale la draga lavorava sul fondo, quasi 3000 braccia di fune di canapa italiana di 2 pollici e mezzo in circonferenza, furono date fuori; e dopo l’opera- zione quella fune, che era nuova, si mostrò tutta lo- gora per la grande tensione che aveva dovuto subire. La draga, tratta in coperta, era piena del caratteristico fango grigio con gusci di Globigerina ed Orbulina; vi era una certa quantità di una sostanza apparentemente organica amorfa diffusa, ritenuta allora essere il Mo- UN NUOVO MONDO. 149 nero Bathybius. Stacciando accuratamente il contenuto della draga vi si rinvennero i seguenti animali: Molluschi: Dentalium, una grossa specie; Pecten fe- nestratus, specie mediterranea; Dacrydium vitreum ; Scrobicularia nitida; Neoera obesa, artica. Crostacei: Anonyx Holbolit; Ampelisca equicornis ; Munna sp. n. Anellidi o Gefirei: una o due specie. Echinodermi: Ophiocten sericeum; Echinocucumis ty- pica; un Crinoide peduncolato affine al Rbizocrinus. Briozoi: Salicornaria sp. n. Celenterati: due frammenti di un Idroide. Protozoi: molti Foraminiferi, con un Rizopodo ra- mificato e flessibile, con corteccia chitinosa tempestata di Globigerinae e contenente un midollo sarcodico di un co verde olivastro. Due piccole SPOERG di una forma nuova. Quello fu un giorno di trionfo per il professor Thomson e memorabile negli Annali della Scienza. Il 23 luglio alle 3 pom. si calò di nuovo la draga alla medesima profondità, alle 11 pom. si era ritirata ancora piena di organismi, oltre ripetizioni delle forme - or ora citate, verano tra le nuove una Pleurotoma, l’Ophiacantha spinulosa (vivamente fosforescente con luce verde), l’Ophiocien Kroyerit, e molte bellissime Po- lycistina. Dopo una fruttuosissima serie di dragate in acque meno profonde, il « Porcupine » ritornò a Belfast il 4 agosto. Il 15 dello stesso mese, avendo a bordo come direttore scientifico il dottor Carpenter, quel ba- stimento lasciava Stornoway per la sua terza ed ultima escursione della stagione. Esso doveva ritornare sul terreno percorso un anno prima dal « Lightning », e I 50 PELAGOS. studiare con mezzi migliori le due aree, fredda e calda, scoperte durante quella prima esplorazione. In esso era pure‘imbarcato il professor Thomson. Sull’area calda dragarono come prima, ma in maggior numero: I Hyalonema e l’Holtenia, una magnifica Cidaridea nuova, la Porocidaris purpurata, affime a forme eoceniche. Il « Porcupine » si avviò quindi verso le Faèroe, onde attraversare l’area fredda meno profonda. Fu qui che venne al capitano Calver una ingegnosissima idea: quella cioè di attaccare al fondo esterno della draga delle redazze di canape, simili a quelle adoperate per pulire i ponti sui bastimenti, il fondo del mare era in tal modo non solo raschiato, ma anche spazzato, e molti animali, che non sarebbero caduti nella draga, furono presi con quelle redazze. Una ricchissima mèsse di notevoli e nuovi Echinodermi pescati nell’ area fredda venne raccolta in tal modo. Dopo una breve sosta a Thorshavn, ritornarono a dragare nell’ area fredda, e tra altre forme interessanti venne preso in 640 braccia un nuovo Echinodermo, la Powurtalesia Jef- freysit. Aree estese del canale di Faèroe furono trovate coperte da una spugna ramificata, la Cladorhiza abis- sicola, che forma delle vere brughiere sottomarine. Fu poi eseguita una serie di osservazioni termiche e si trovò che in quel profondo canale tra le Faéroe, le Shetland la massa d’acqua era quasi ugualmente divisa in uno strato superiore caldo ed uno inferiore freddo; il primo si muoveva in direzione N. E., il secondo in direzione S. E. Presso le Shetland, in meno di roo braccia, la draga portò alla superficie in una sola volta non meno di 20,000 individui dell’Echinus norvegicus. Lt raccolte fatte ARA questa terza ed ultima UN NUOVO MONDO. TSI escursione del « Porcupine » furono di una ricchezza e varietà sorprendenti, e l’ area fredda, come vedemmo, forni la maggior copia di forme; tra i moltissimi Echinoidi, Wercralli ecc., vanno cliati due Crinoidi pe- scati in singolare abbondanza: una specie di Antedon ed un Rbizocrinus. Curiosi Crostacei Isopodi ed Am- fipodi di forme prettamente polari venero pure dragati nell’ area fredda; e due grosse specie di Aracnidi ma- rini appartenenti al genere Nymphon, che è stato in- contrato nei mari dei due Poli. Va però notato che molti membri della Fauna dell’area fredda s’ incon- trano a maggiori profondità, ove in regioni più tem- perate (arte più calde) si mantiene Di la tempe- ratura. Al nord di Lews in 705 braccia venne pe- scato uno splendido Echinodermo, forma affatto nuovo, che in onore del degno capitano venne dal Thomson nominato Calveria Li Era notevole la scarsezza di Idrozoi: solo una Ser- tularia ed una Plumularia furono presi. Anche le specie gi Madrepore erano poco numerose a grandi profon- dità, sebbene in alcuni punti il numerò Meli individui fosse immenso; le specie dragate nel 1869 e nel 1870. dal « Porcupine » sono state descritte in un lavoro speciale del professore M. Duncan (Trans. Zoological Soc. London, vol. VIII. parte 5). Nella primavera seguente (1870), le ricerche sulla Fauna e le condizioni fisiche del fondo del mare fu- rono continuate ancora sotto gli auspicii della So- cietà Reale e dell’ Ammiragliato e condotte da quei tre valenti Naturalisti che si erano acquistati un tale cumulo di meriti nei due anni precedenti. Il « Por- cupine » fu di nuovo posto a loro disposizione e si trattava ora di spingere le esplorazioni più al Sud, ed 152 PELAGOS. anche nel Mediterraneo; la campagna fu ancora divisa in tre parti e la prima fu assunta dal Jeffreys. Sal- parono da Falmouth il 4 luglio ed il 7 erano sul versante che dall’ altipiano sottomarino della Manica conduce nella profonda vallata atlantica. Le prime dragate in 567 a 690 braccia diedero una scarsa, ma ‘importante messe: Brachiopodi del genere Terebratula e Rbynchonella ed alcune interessantissime specie, di Crostacei e Molluschi viventi nei mari di Norvegia, estinti nel Pliocene in Sicilia. Il 20 luglio, poco lungi dal capo Finisterre in 994 braccia, il Jeffreys fece una dragata veramente miracolosa: nientemeno che 186 specie di Molluschi e Brachiopodi, di cui la metà nuovi! molte erano però conchiglie vuote, morte. V° erano inoltre Coralli, Echinodermi ed altri organismi, tra cui molte Spugne; due dei primi erano generi nuovi. Il giorno dopo in 600 e 1095 braccia molti di quei Molluschi furono presi viventi, con forme nuove; fu pure pescata la Brisinga endecacnemos, e lo splendido Pentacrinus Wyville-thomsonii. A’ entrata dello stretto di Gibilterra in 477, 651 e 554 braccia si presero molti animali notevoli, tra cui due strane Spugne, una del genere Caminus, Vl’ altra la nuova Chondrocladia virgata. Il 6 agosto il « Porcupine » gettò l’àncora a Gi- bilterra, ove il signor Jeftreys rassegnò la direzione al dottor Carpenter, il professor Thomson, colpito da febbri, non potendo assumerla. Fu in questa occasione che il dottor Carpenter iniziò quelle ricerche sulle correnti dello Stretto, che continuate l’anno appresso sul « Shearwater », fecero per le loro notevoli risul- tanze, tanto chiasso nel mondo scientifico. Il « Por- cupine » entrò poscia nel Mediterraneo ove fece una UN NUOVO MONDO. 153 lunga serie di ‘osservazioni termiche, che diedero un risultato ben singolare, cioè che quel mare faceva eccezione a quanto si era osservato nell’ Atlantico, e che al disotto delle prime 100 braccia dalla superficie l’intiera massa d’acqua sino ad una profondità di oltre 1700 braccia, conservava una temperatura molto uniforme di circa 12°75 C. Il dottor, Carpenter trova una spiegazione di questo caso anomalo nella presenza del bassofondo gibraltaico, che serve di barriera alla corrente fredda polare, dividendo lo strato profondo e freddo dell’ Atlantico dalle acque contenute nel ba- cino mediterraneo, le quali conservano perciò presso a poco la temperatura media della crosta terrestre sottostante. La draga diede nel nostro mare ben magri risul- tati: a 1412 braccia 15 specie di Molluschi soltanto furono ottenute. Più abbondante era la vita .animale in profondità minori, presso la costa africana. Contor- nando la Sicilia, il « Porcupine » fece ritorno a Gibil- terra, ove furono ripresi dal dottor Carpenter gli studii sulle correnti dello Stretto; e così finì la campagna del 1870. | Giunto a questo punto, posso fermarmi un mo- mento per considerare, nelle sue generalità, il risul- tato di quelle spedizioni memorabili e per dare una idea sintetica del carattere generale della Fauna del Nuovo mondo, che ci fu per esse rivelato; carattere che le spedizioni consecutive non hanno fatto che con- fermare con nuove e splendide prove. Per prima cosa devo dire che in tutte le regioni esplorate, e specialmente da 1000 braccia alle mag- giori profondità raggiunte, s’ incontrò uno strato di sostanza albuminosa in apparenza sarcodica, senza la Pelagos. ll IS4 PELAGOS. più piccola traccia di una struttura, che pareva però capace di assorbire altri organismi, cibandosene, e di mostrare un leggiero movimento contrattile; una so- stanza che aveva tutta l’ apparenza di un vero proto- plasma vivente, di quel protoplasma che sarebbe l'anello connettente tra il mondo organico e l’ inorganico, pre- sentando i fenomeni essenziali della vita della nutri- zione e del moto, come semplici proprietà di un com- posto chimico omogeneo non ancora organizzato! Inutile il dire la commozione sollevata nel mondo scientifico da questa scoperta nella quale i fenomeni della generazione spontanea, oggetto, di tante discussioni ed anco di aspre polemiche, parevano diventare facil- mente spiegabili e che sembrava mostrarci la vita nel suo primo crepuscolo, sul gradino più basso di quella scala gigantesca che si chiama /’ evoluzione delle specie! Vedremo più tardi come la maggior parte delle con- clusioni a cui corsero le menti dei più entusiasti, fosse poi o contraddetta o messa in dubbio dai resultati posteriori; ma intanto la massa albuminosa fu da un’ altissima autorità, il prof. Huxley, battezzata col nome di Batbybius Haeckelii e collocata in quel gruppo di Protozoi che ebbero da Haeckel il nome di Moneri (Biologische studien, Leipzig 1870). Entro le masse vischiose del Batbybius si rinven- nero quasi sempre corpuscoli curiosi, molto probabil- mente estranei alla sostanza in cui erano avviluppati, che ebbero i nomi di Coccoliti e Coccosfere. Moltissimi erano i Foraminiteri raccolti sul fondo a grandi profondità, oltre le due forme prevalenti ci- tate; nelle aree fredde si rinvennero delle Botellina enormi, lunghe 30 millimetri e larghe 8. Più notevoli assai sono. però le Spugne, e specialmente la citata UN NUOVO MONDO. 15$5 famiglia delle Hexactinellidae, vere filograne di silice, che sembrano di vetro filato, ricoperte da una piccola quantità di sarcode trasparente; esse sono altamente caratterische della Fauna, di cui ci occupiamo. Ho citato la Holtenia e la Hyalonema; quest ultimo genere è da più anni conosciuto nella bella specie giapponese H. mirabilis, oggetto strano, consistente in una piccola Spugna oblunga dalla quale parte un lungo ciuffo di bianche spicole silicee, leggiermente attorcigliate a spira. Io ne ho in questo momento un bell’ esemplare nelle mani, preso ad Inoscima, durante il viaggio della « Magenta »; il ciuffo di spicole misura 40 centimetri in lunghezza. Molti Naturalisti lo credevano cosa arte- fatta, tanto quel ciufto di spicole somiglia a vetro filato; nessuno poi ne poteva capire l’uso. Gray e Bowerbank ebbero lunghe polemiche e pubblicarono varie memorie sulla Hyalonema, e nel 1864 Barbosa du Bocage ne de- scriveva esemplari riferibili ad una specie ritenuta di- versa, presi casualmente nelle acque profonde della costa lusitanica da pescatori. Vennero le spedizioni del « Light- ning » e del « Porcupine », si pescò il H. lusitanicum (così era stato chiamato), anche al nord di Lews (Ebridi) e si scoperse che il lungo ciutfo di argentee spicole in questa ed in altre Mexacrinellidae serve di Ancora per fissare la Spugna sul fango del fondo, nel quale quel ciuffo è tutto immerso. Presso la Holtenia va collocata la splendida Rossella dragata dal Jeftreys presso Gibilterra in 651 braceia; un altro nuovo ge- nere della stessa famiglia, ma assai diverso nella forma esterna è la Askonema Setubalense, grande e larga coppa senza spicole sporgenti dalla massa keratosa, che si dragò sulle coste del Portogallo. Abbondanti e svariate forme di altre Spugne appartenenti alla famiglie delle 156 PELAGOS. Esperadiae e Coralliospongiae fan parte della Fauna degli abissi oceanici. Passiamo ora dai Protozoi ai Celenterati: tra questi sul fondo del mare furono incontrate varie forme di Madrepore, alcune delle quali già da me citate. Ho detto come furono poi pubblicate dal professore Dun- can in una bella monografia; non poche sono specie già descritte dal Seguenza e da altri come apparte- Bathycrinus Aldrichianus, Wy. Th. (poco ingrandito). nenti ai terreni miocenici e pliocenici della Sicilia, rin- venute ora viventi nelle pro- fonde regioni submarine. Ma il gruppo più note- vole di quella Fauna era senza dubbio quello degli Echinodermi, rappresentato da moltissime forme, o nuo- ve affatto, oppure identiche a. specie =credute..sin iqui estinte coll’ epoca cretacea e durante i primi tempi cai- nozoici; è noto poi come. alcuni Echinodermi sono tra i più antichi animali cono- sciuti. I Crinoidi, special- mente quelli peduncolati, abbondavano nei mari silu- riani, sono già rari nell’ e- poca mesozoica, scarsi in quella cainozoica e sin qui si credevano rappresentati soltanto da due specie di Pentacrinus (P. asteria è P. Mullerit), di cui pochi in- dividui mutilati erano stati tratti dal mare profondo UN NUOVO MONDO. 157 presso le Antille da pescatori, coll’amo; un’altra specie notevole, l’ Holopus Rangi, d° Orb., è stata poi recentemente scoperta nelle acque profonde presso le Barbadoes. Ho già detto come, il 21 luglio 1870 Jeffreys pescava in 1095 braccia una nuova e bellis- sima specie di quel gruppo, e che la dedicò al profes- sore; W.. Thomson; .la ;temperatota ‘era 4° 3. C.;' il fondo, fango molle; i venti individui presi erano av- volti nelle redazze attaccate alla draga. Due altri Cri- noidi furono dragati durante le gite del « Porcupine », - appartengono alla sezione delle Apiocrinidae, particolare all’ epoca giurassica e sono: il Rbizocrinus Lofotensis del Sars ed il Bathycrinus gracilis di W. Thomson; quest’ultimo venne preso in 2435 braccia all’ entrata del golfo di Guascogna. Non posso qui entrare in particolari, nè citare an- che col solo nome le molte forme di Asteridee rin- venute a grandi profondità; tra esse predominano i generi Astrogonium, Archaster, ed Asteropecten. Ventisei specie di Echinidee vennero prese durante le esplora- zioni del « Lightning » e del « Porcupine » in pro- fondità tra le 100 e le 2435 braccia; sette erano af- fatto nuove e speciali alle grandi profondità; appar- tengono ai generi Porocidaris, Phormosoma, Calveria (2 specie), Neolampus, Pourtalesia (2 specie). Tre specie degli ultimi tre generi furono pure pescate dal conte de Pourtalès nello stretto di Florida. Il Porocidaris rappresenta le Echinothuridae del Cretaceo e dei primi tempi cainozoici. | I moltissimi Molluschi raccolti durante le tre spe- dizioni vennero posti nelle mani della persona più com- petente per studiarli, il dottor G. Jeftfreys; egli ha già dato alla luce una serie di memorie illustranti quel 158 PELAGOS. materiale prezioso, che sono pubblicate nei « Procee- dings » della Società Zoologica di Londra. Jeffreys opina che i Molluschi degli abissi oceanici, almeno quelli dragati tra le Faèroe e Gibilterra, siano nordici di tipo e di origine, ed appartengano in parte a specie già descritte dei mari della Scandinavia, oppure a generi rappresentati in quella regione. Insiste sulla poca conoscenza che abbiamo tuttora della malaco-fauna artica, che deve però essere ricca, a giudicare dalle grandi collezioni fatte dal Torell allo Spitzbergen e non ancora studiate; è noto che nel 1868 la spedi- zione polare artica svedese trasse da 2600 braccia frammenti di una Cuma e di una Astarte. Jl professore W. Thomson sembrò però differire da queste idee generali espresse dal suo amico e collega. È strano come alcuni dei Molluschi tratti dalle maggiori pro- fondità, una Pleurotoma da 2090 braccia, un Fusus da 1207 braccia, siano provveduti di occhi perfetti; ciò proverebbe che luce vi sia in quegli abissi, sebbene non sia di certo quella del sole. Thomson con ragione opina che, essa provenga forse del tutto dalla tosfore- scenza vivissima e quasi universale dei membri di quella Fauna notevole. Gli Anellidi ed i Crostacei presi sono ancora in parte da studiarsi; questi ultimi sono in gran parte forme polari, come mi sembra di aver già detto; al- meno lo erano nell’ area fredda, ove si rinvennero enormi Amfipodi ed Isopodi. Vari interessantissimi Decapodi brachiuri si pescarono a grandi profondità ed alcuni mancavano di occhi; nella nuova Etbusa granulata i peduncoli oculari sono presenti, mobili ed arrotondati all’ estremità, ma privi dell’ organo visivo; in altri esemplari della medesima specie vediamo un UN NUOVO MONDO. I59 progresso più marcato verso la cecità: i peduncoli sono più avvicinati alla base, non più rotondi all’e- stremità, ma appuntati, e sembrano compiere le fun- zioni di un nuovo paio di antenne. Il caso è notevo- lissimo, e mostra gli stadii di una lenta metamorfosi per mutate condizioni di vita. — I primi esemplari furono raccolti a profondità tra 110 e 370 braccia, i secondi in 542 e 705 braccia. Ma quello che rende il caso anco maggiormente interessante, è che ultima- mente furono scoperti individui di quella specie in acque basse e che possedevano occhi perfetti. È strano, ma pur vero, che vi sono Pesci che vi- vono nei profondi abissi dell'Oceano; le specie sono numerose e tra esse sono forme stranissime; quelle però pescate durante le campagne del « Lightning » e del « Porcupine » furono poche e non molto note- voli; tra esse va ricordato quel curioso pescecane, il Centrophorus coelolepis, descritto nel 1864 dal profes- sore B. du Bocage di Lisbona; è abbondante nella baia di Setubal e viene comunemente pescato al- l'amo da una profondità di oltre soo braccia; in questi giorni nè ebbi uno preso nel Mediterraneo,, presso Nizza. Quel pesce condusse alla scoperta della Hyalonema lusitanicum. Moltissimi e singolarissimi pesci abissali furono poi presi dal « Challenger », come vedremo più oltre. La più parte di questi pesci hanno non solo occhi, ma occhi enormi, qualcuno li pre- senta di usuali dimensioni, poche specie ne sono af- fatto sprovviste. Il professor W. Thomson esprime il dubbio, innanzi a questi casi ed a quello di Crostacei tratti da grandi profondità con occhi enormi (e. g. Munida), che colla diminuzione della luce solare il potere visivo diventi più acuto per poter valersi della 160 PELAGOS. luce emanata dagli animali fosforescenti. Il fatto della mancanza di luce solare negli abissi oceanici e la fo- sforescenza degli animali che vi abitano, è già stato menzionato. Thomson dice che vi sono poche ecce- zioni a questa regola; quasi tutti gli esseri dragati dalle grandi profondità erano luminosi, il fango stesso .@faS‘cosparso ‘di. scintille di ‘luce; +.le-WAttcionaricanie Ophiuridea e certi Anellidi erano i più brillanti. Le Pen- natulae, Virgulariae e Gorgoniae mostravano una luce bianca talmente viva, che con uno di quegli animali si poteva leggere l’ ora sopra un orologio da tasca; una Ophiacantha, già citata, brillava di una luce verde intensa, che illuminava ora il disco, ora un braccio, ora tutto il contorno dell’ animale. Orsted aveva detto che a cette profondità il colore degli esseri marini mancava, ma questo non è punto vero; tra i molti e svariati membri della Fauna degli abissi oceanici, i colori vivi predominano: un rosso intenso, un bel rosa, un arancio vivo specialmente. Questi colori potrebbero pure essere in rapporto collaluce animale, che illumina le tenebre di quella vasta regione sottomarina. Il quesito del come gli animali che vivono a grandi profondità si nutrono, è di grande interesse, ed ha già suscitato lunghe discussioni. Dopo le 200 braccia cessa completamente 1’ azione illuminante dei raggi solari, e con essa la possibilità di vita vegetale; dun- que nessuno di quegli animali può essere fitofago, nè può, come le piante, scomporre certe sostanze. inorganiche, onde poi (sotto l’ influenza della luce) ricomporne gli elementi per farne composti organici; nè pare che per questo la luce animale emanata da molti di quegli esseri possa sostituire quella del sole. Due ipotesi sono state emesse a riguardo della nutri- UN NUOVO MONDO. I6I zione di quella numerosa popolazione sottomarina: la prima è che alcuni di quegli animali possano decom- porre l’acqua, il biossido di carbonio e 1’ ammoniaca, ricombinando i loro elementi in composti organici senza l’aiuto della luce; il Wallich sostiene quest’i- dea, appoggiandosi sul noto fatto che animali possono separare dall’ acqua il carbonato di calce e la silice che vi sono sciolti; ma questo non basta, giacchè una simile separazione non implica affatto un’ operazione chimica nel vero senso della parola. La seconda ipo- tesi emessa dal Thomson è ben più probabilmente la vera spiegazione: tutta l’ acqua di mare contiene in soluzione un’ ingente quantità di sostanze organiche che vi sono portate da mille sorgenti, tra cui pos- sono annoverarsi tutti i fiumi, le alghe che popolano le acque relativamente basse intorno alle coste, i così detti mari di Sargasso, il numero infinito di. animali marini che muoiono e lasciano continuamente i loro cadaveri nelle acque. Tutte le analisi. di acqua marina concordano nel dare questo risultato; Forschhammer ne fece molte, e molte vennero fatte durante le esplo- razioni del « Lightning » e del « Porcupine ». Ora è noto che i Protozoi si nutrono per assorbimento senza avere organi speciali di digestione; gli innumerevoli in- dividui che vivono negli abissi oceanici assorbiscono dunque dall’ acqua le sostanze organiche in essa sciolte, e traggono pure da essa il carbonato calcare e la si- lice o le altre sostanze minerali richieste per i loro gusci; gli animali più altamente organizzati di quella Fauna possono poi benissimo nutrirsi, in parte almeno, dei suddetti Protozoi. L’ utilità ‘pratica biologica di quei primi animali è ovvia; ed in tutte le epoche della vita del nostro pianeta essi abbondarono. 162 PELAGOS. Due parole ora intorno al carattere della Fauna de- gli abissi oceanici e di quei molti nessi che la colle- gano a Faune passate, giacchè ho detto come nel suo seno si sono ritrovati viventi non pochi tipi cre- duti sinora estinti. Wyville Thomson colpito da que- sto fatto, e dalla composizione che presenta la creta mesozoica, quasi identica a quella fanghiglia biancastra che occupa pressochè l’intero letto dell’ Atlantico e che ebbe il nome di atlantic 00%e (in entrambi, oltre il fondo calcareo, abbiamo gusci di G/obigerina, Coc- coliti ed altre forme identiche), disse un giorno ehe al fondo dell’ Oceano vive l’ epoca Cretacea; Sir C. Lyell protestò contro quella frase che, come lo ha poi dimostrato il Thomson in un capitolo della inte- ressante sua memoria intitolata: The continuity of the Chalk, non va presa in senso letterale come ebbe il torto di fare il padre della Geologia odierna. La somi- glianza tra la creta mesozoica e il fango del fondo dell’ Atlantico è di certo grande: la prima però non contiene silice, questa formando moduli separati, sparsi nella sua massa; l’atlantic. coze contiene in- vece dal 20 al 30 per cento di silice. Ora quei. no- duli sparsi ebbero quasi senza dubbio origine da scheletri silicei di Spugne, e sappiamo quanto sono numerose tali Spugne sul fondo dell’ Oceano. È indu- bitato che i profondi abissi oceanici sono antichissimi, e che le mutazioni geologiche hanno interessato spe- cialmente le aree poco profonde; non è dunque da stupirsi se nei primi incontriamo forme antiche; esse hanno continuato a vivere, semplicemente perchè con- tinuarono le condizioni richieste per la loro vita. La composizione dell’ acqua a varie profondità fu sempre accurataniente investigata; si trovò che colla UN NUOVO MONDO. 163 profondità diminuiva la quantità di ossigeno, aumen- tava quella del biossido di carbonio libero; ed ove questo era abbondante, abbondanti erano pure gli animali. Ho incidentalmente fatto notare più volte l’ im- portanza dei dati che furono ottenuti durante le esplo- razioni del « Lightning » e del « Porcupine » sullo stato termico del mare a grandi profondità; |’ im- mensa importanza di tali ricerche, nello studio dei fe- nomeni fisici del vasto Oceano, è troppo palese per essere oltre rilevata; ho detto come le scoperte fatte hanno cagionato una vera rivoluzione nella scienza, rovesciando affatto teorie già da molti anni correnti, e sostenute da illustri scienziati. Vorrei ora ritornare un momento sopra questa parte importante delle ri- cerche che ho tentato di illustrare; Thomson dedica tutto un capitolo a tale argomento, il cui resultato maggiore fu la distruzione della teoria di Ross e di Herschel sulle condizioni termiche delle parti pro- fonde dell’ Oceano all’ Equatore, ai Poli ed in punti intermedii coll’immobilità delle acque profonde e la laterale conduzione che portava la loro temperatura. ovunque a 4° C. Il dottor Carpenter, allettato da un ‘soggetto così interessante, eccitato dagli importanti risultati ottenuti sin dalle prime gite, si gettò corpo ed anima nell'argomento; e venne alla conclusione che la massa acquatica dell’ Oceano si divideva in due grandi strati, uno superiore relativamente caldo, l’altro inferiore e freddo; e per spiegare questo stato di cose immaginò una circolazione oceanica generale e verticale: una corrente superficiale dall’ Equatore ai Poli, una corrente profonda, contro il fondo, in senso inverso, dai Poli all’Equatore. Il primum mobile di 164 PELAGOS. quella circolazione sarebbe il freddo che domina nelle aree polari: l’ acqua, coll’ abbassamento di temperatura, diventa più densa, si deprime e scende contro il fondo; per ristabilire il livello corre al suo posto acqua più calda, che raffreddata scende essa pure dando così. origine ad uno scambio continuo. Humboldt, D’ Aubuisson e Pouillet ebbero, per induzione, quasi la stessa idea, che sarebbe poi quasi il complemento di quelle, un po’ vaghe però, espresse dal Maury sulla origine delle correnti marine. Carpenter espose quella sua teoria in varii scritti e più volte in letture pub- bliche, illustrandola e confermandola con esperimenti. È impossibile qui 1’ entrare in particolari per mostrare l’importanza di quell’ ardita ipotesi e le molte diffi- coltà che toglierebbe nello spiegare fenomeni fisici che sin qui rimasero allo stato di enigma; il venera- bile e dottissimo Murchison sclamò che, se vera, la scoperta del Carpenter equivaleva nell’ importanza a quella della circolazione del sangue. Malgrado ciò, malgrado l’ apparenza logica di quella teoria che sem- bra sostenuta da leggi fisiche assiomatiche, nonchè dai fatti osservati, essa incontrò strenui oppositori nel signor Croll e, inaspettato forse dal dottor Carpenter, nel suo amico e collega il professor Wyville Thomson. Croll nega non solo la circolazione oceanica, ma dice che, se circolazione vi fosse, sarebbe nel senso op- posto di quello ideato dal Carpenter; Thomson sem- bra quasi accettare le obbiezioni del Croll, ma più che altro egli, mantenendosi all’ area esplorata, l’ Atlantico boreale, non sa persuadersi che l’azione del Gulf-stream, qual modificatore dello stato termico di quell’ Oceano, sia così insignificante come lo crede il dottor Car- penter; egli nega che il vis a fronte del freddo po- UN NUOVO MONDO. 165 lare sulle acque artiche possa competere e tanto più prevalere sul vis a tergo degli alisei che danno ori- gine al potente Gulf-stream che, secondo i calcoli del Croll, esporterebbe dalla regione tropicale 133, 816, 320,000,000, piedi cubici d’acqua, ed un totale di calorico equivalente a 154, 959, 300,000,000,000,000 libbre pedali (foot pounds) per giorno! Certo che con cifre così formidabili in suo appoggio, l’ obbie- zione diventa seria, ed il Gu/f-stream diventa un op- ponente importante pel dottor Carpenter; però, come stanno ora le cose, mi pare che la questione sia lungi dal poter dirsi ancora decisa. Ho voluto soltanto porgere un’ idea generale della questione e spero di essere riuscito; il dare un’ opi- nione in proposito sarebbe di certo prematuro e, per parte mia, presuntuoso. Le condizioni termiche speciali del Mediterraneo furono già accennate. 166 PELAGOS. III. Il viaggio del « Challenger » e le ultime esplorazioni talassografiche. (1872-1883). Allestimento del « Challenger » per un viaggio talassografico intorno al Globo — La Commissione scientifica imbarcata — Riassunto dell’ itinerario e delle vicende del viaggio — Stazioni talassografiche — Le collezioni — Attrezzi da pesca — Risul- tati generali ottenuti — La morte del « Bathybius » — Particolari riassuntivi della esplorazione dell’ Atlantico — Viaggio del « Valourous » — Campagne del « Knight Errant » e del » Triton » — Spedizione norvegese del « Voringen » e splendidi ri- sultati suoî — Esplorazioni francesi e campagne talassografiche del « Travailleur » e del « Talisman » — Tentativi onde promuovere una esplorazione talassografica italiana. Ho detto come. forte degli splendidi risultati ottenuti durante le campagne del « Lighining » e del » Por- cupine », la Società Reale di Londra, adducendo la grande importanza di tali ricerche ed il bisogno di condurle nei diversi mari, valendosi dell’ appoggio energico del contrammiraglio Richards uno degli uf- ficiali più dotti che onorino la Marina britannica, do- mandò ed ottenne che un bastimento della Real Ma- rina fosse destinato, con una Commissione scientifica a bordo, a circumnavigare il Globo per lo scopo spe- ciale di studiare le condizioni fisiche e biologiche del- I’ Oceano, specialmente a grandi profondità. A così alta missione venne scelto il « Challenger », bella corvetta che io conosco per esservi stato le cento volte a bordo, mentre era nostra compagna nel Farm UN NUOVO MONDO. 167 Cove di Port Jackson, Sydney, nel giugno 1867. Non sì poteva scegliere, a mio avviso una nave più adatta; il suo armamento venne fatto colla massima cura e sotto la direzione diretta dall’ ammiraglio Richards; i cannoni furono tolti e la batteria venne in parte con- vertita in un grande laboratorio scientifico, con un laboratorio chimico e fisico a parte, ed una camera oscura per il fotografo, tutti corredati di un’ amplis- sima scorta di ciò che potesse essere necessario alle progettate ricerche. In coperta si collocarono le mac- chine e gli attrezzi per dragare e scandagliare cogli apparecchi fotometrici e termometrici, una tromba idraulica ed un grande acquario. Nessuna cura, nes- suna spesa venne risparmiata; e possiamo dire che mai, prima di questo, un bastimento era stato così completamente e riccamente provveduto per una mis- sione scientifica. Onore e lode al Governo. inglese che ha saputo rispondere così degnamente all’ appello della scienza e muovere il primo passo in una via dove speriamo che altri possano e vogliano seguirlo degnamente ! Il Corpo scientifico civile, alla cui testa era il già. illustre professore C. Wyville Thomson, mancato pur troppo alla scienza nel marzo del 1882, venne abil- mente scelto tra provetti specialisti. Lo componevano, col professore predetto, i signori: J. Y. Buchanan, per le ricerche fisico-chimiche e geologiche; H. N. Mo- seley, per la botanica e zoologia inferiore; il dott. R. von Willemoès-Suhm, per certe classi di animAli in- vertebrati; J. Murray, pei vertebrati; e J. J. Wild in qualità di disegnatore. Lo Stato-Maggiore militare era pure giudiziosamente composto di ufficiali scientifici, e specialmente di abilissimi idrografi, a tal segno che 168 PELAGOS. quando in seguito venne decretata la grandiosa spe- spedizione polare artica, il Governo britannico ri- chiamò per telegrafo da Hong-Kong il Comandante del « Challenger » per dargliene il comando; e con lui il luogotenente Pelham Aldrich, distintissimo uf- ficiale il quale acquistò nuovi allori sui ghiacci eterni del mare Paleocristico. Il Comandante del « Challenger », l’ eroico ufficiale che condusse le navi « Discovery » e « Alert » allo sbocco del mare gelato che circonda il Polo, e, dopo esser penetrato nella più alta latitudine mai calcata da piede umano, le ricondusse felicemente in patria, era, non occorre il dirlo, il capitano di va- scello G. S. Nares. Per la spedizione del « Challenger » la perdita del suo condottiere non fu di certo un van- taggio, lo dice lo stesso Wyville Thomson ; giacchè il capitano Nares era entrato anima e corpo. negli scopi del viaggio, che egli promosse con grande efficacia per tutto il tempo in cui vi prese parte; fortunatamente però egli aveva talmente bene avviato le cose che il suo successore non ebbe che a seguire le norme da lui lasciate. Il « Challenger» lasciò l'Inghilterra il 21 dicembre 1872 e vi fece ritorno il 24 maggio 1876, dopo aver percorso 68,690 miglia geografiche ed avere attraver- sato in più sensi i grandi Oceani. Durante il viaggio si fecero 504 scandagli e 282 dragate, di cui 132 colla draga e 150 col gangano. Le profondità degli scan- dagli furono da 25 a 4475 braccia (fathoms), quelle delle dragate da 4 a 3875 braccia; il gangano venne usato in profondità da 10 a 3050 braccia. I risultati scientifici del viaggio del « Challenger » sono davvero grandiosi. Mai per lo innanzi, una nave armata a scopo puramente scientifico, ha riportato UN NUOVO MONDO. 169 più ampia mèsse; ed essendo affatto nuovo il campo, nuove sono in gran parte le osservazioni fatte, le collezioni riportate. Per dare un'idea della vastità di queste ultime dirò come esse occupavano 563 casse contenenti 2270 grandi recipienti di vetro, 1749 boccie a tappo smerigliato, 1860 tubi di vetro, 176 casse di latta con esemplari conservati nell’ alcool; 180 reci- pienti di latta con esemplari a secco; e 22 barili con esemplari sotto sale. Le memorie speciali o i libri già stampati concernenti il viaggio del « Challenger» sono moltissimi, ed il Moseley ne enumerava $2 nel 1879; Ora poi questo numero è gia cresciuto assai, ma ci vorranno vari anni prima che tutto il materiale riportato possa essere illustrato, tutte le osservazioni fatte rese di pubblica ragione. Tra le più importanti pubblicazioni risultanti da quel memorabile viaggio, citerò quelle di Sir C. Wyville Thomson, del Moseley ed i volumi finora comparsi della Relazione scientifica pubblicata per conto del Governo inglese (1). I due volumi del prof. Sir Charles Wyville Thom- son, che egli con rara modestia chiamava « un estratto (1) Sir C. WyviLLe THomson, The voyage of the « Challenger ». The Atlantic, a preliminary account of the general results of the exploring voyage of H. M. S. «Challenger» during the year 1873 and the early part of the year 1876 (in due volumi) LonDpoN, IT Sue H. N. MoseLEvy, Notes by a Naturalist on the « Challenger» London, 1879. Report of the Scientific results of the voyage of H. M. S. « Challenger» during the years 1873-76. ZooLoGy vol.I. (1880); voti: (1887); ‘volt II IV, V, VILe (VII (1881-83). (e voll HI NARRATIVE (1883). Published by order of H. M’s Government. London. Pelagos. 170 PELAGOS. delle porzioni meno tecniche del mio giornale », sono invece un vero monumento di scienza, e qual monumento! Dopo averli attentamente letti e commentati dovetti sclamare: se questo si chiama soltanto la buccia del frutto del viaggio del «Challenger», che cosa ne sarà mai la polpa? Il 30 dicembre 1872 il « Challenger » eseguiva il suo primo scandaglio a circa 40 miglia dalla baia di Vigo in Spagna; il 3 gennaio 1873 gettava l'ancora innanzi a Lisbona, il 18 dello stesso mese arrivava a Gibilterra, ove si trattenne sino al 26. Di là si diresse sopra l'isola di Madera, facendo scandagli e dragate ogni volta se ne presentava l’occasione e con molto successo; dal 3. al 5. febbraio rimase a Funchalitàn febbraio il « Challenger » giungeva a Santa Cruz di Tenerife, e varì giorni vennero dedicati ad osserva- zioni batometriche intorno al!’ arcipelago delle Canarie, donde la corvetta diresse la prora sull’ isola Sombrero una delle piccole Antille, tagliando 1’ Atlantico quasi per traverso in un tragitto di circa 2,700 miglia, lungo il quale si stabilirono una serie di stazioni quasi equidistanti, Il 16 marzo il « Challenger » anco- rava. a S. Tommaso delle Antille, dove. vennero regolati 1 cronometri è corrette le deviazioni delle bussole; il 24 del mese salpava di nuovo dirigendo sopra il gruppo interessante delle Bermude intorno al quale il « Challenger » rimase quasi tutto l'aprile, fa- cendo “una bella serie d’importanti osservazioni; il 24 aprile mise la prora sopra Halifax, Nuova Scozia, ed in questa rotta seguì per un tratto e traversò il cele- bre Gulf Stream, presso il quale gli scandagli e le osservazioni termiche e sulla corrente diedero risultati della più alta importanza. La sera del 9 maggio UN NUOVO MONDO. I7I arrivava nel porto di Halifax; dopo dieci giorni di sosta si rimetteva alla vela e nuovamente la prora era volta alle Bermude, ove il « Challenger » rimase, completando le previe osservazioni, sino al 12 giugno. Si diresse quindi per le Azzorre, attraversando una seconda volta in senso latitudinale l’ Atlantico e stabi- lendovi una seconda serie di stazioni con risultati felicis- simi e di sommo interesss. il 1.° luglio la corvetta gettava l’àncora innanzi a Horta nell’ isola Fayal; di là dirigeva una seconda volta la via su Funchal (Madera) ove giungeva il 15 luglio, per subito rifare la strada al sud, passando in vista delle Canarie, ma non fermandosi che sulla rada di Porto Grande a S. Vincenzo, una delle isole del Capo Verde; ne visitava quindi una seconda, Santiago, ancorando a Porto Praya. Il 9 agosto lasciava questo porto per eseguire alcuni scandagli sulla costa africana presso il Capo Palmas, donde la corvetta volgendo di nuovo a ponente visitava certi scogli oceanici conosciuti sotto il nome di Roccie di S. Paolo o Pen- nello di S. Pedro; due giorni furono dedicati a questa scogliera singolare, quindi il « Challenger » compiva la sua terza traversata dell’ Atlantico dirigendo per la costa brasiliana. Il 1.° settembre ancorava dinanzi l’isola Fernando Noronha, dove volse per Bahia che lasciava il 25 settembre per il Capo di Buona Spe- ranza; così il « Challenger » tagliava una quarta volta l’ Atlantico in tutta la sua larghezza. Lasciando Bahia, il capitano Nares aveva l’inten- zione di toccare il singolare isolotto oceanico di Trinidad, in vista del quale io rimasi due giorni, nel gennaio 1868, colla « Magenta » ed ove ebbi la fortuna di scoprire due nuove specie di uccelli pelagici, la 172 PELAGOS. CEstrelata Arminjoniana e la CE. Trinitatis; ma il vento contrario impedi l’attuazione di quel desiderio. I Na- turalisti del «Challenger» presero però la loro rivincita a Tristan d’Acunha, ove per circostanze eccezional- mente favorevoli la corvetta potè fermarsi tre giorni, e visitare dopo anche la vicina isola Inaccessible, molto opportunamente battezzata e ben di rado visitata; da questa trassero due fratelli tedeschi, per nome Stoltenhoff, i quali, condotti da una curiosa sequela di avventure in quel remoto deserto, vi erano vissuti, da veri Robinson Crusoè, per quasi due anni. Il 28 ottobre il « Challenger » ancorava in Simon’s bay, Capo di Buona Speranza, ove fece lunga sosta per aspettare la buona stagione per inoltrarsi nel mare Antartico, e non sciolse le vele che il 16 dicembre 1873, dirigendo al sud. Nei primi giorni di questa traversata si poterono completare e confermare alcuni studi altamente interessanti sulla vera causa del clima singolare del Capo di Buona Speranza, indagando la corrente Agulhas, il Gulf Stream di quei mari, la quale riempie di acque calde dall’ Oceano Indiano Simon’s bay, mentre Table-bay, a ponente del Capo, è fornita di acque fredde da una corrente atlantica australe. Il giorno di Natale i Naturalisti del « Challenger » approdarono sulla desolata scogliera che porta il nome di isola Marion, circondata, come la maggior parte delle terre antartiche, di una barriera galleggiante della gigantesca alga detta Ke/p, la Macrocystis pyrifera; e l’ultimo del 1873 venne passato in vista delle isole Crozet, altro desolato gruppo abitato da Foche, Pro- cellarie, Albatros e Pinguini; lo sbarco vi fu impos- sibile a cagione del cattivo tempo. Il 7 gennaio 1874 la corvetta gettava l’àncora in Christmas Harbour UN NUOVO MONDO. 1753 nella terra di Kerguelen, l'isola più cospicua di quei mari nebbiosi; e vi faceva una accurata esplorazione, per giovare alla spedizione astronomica inglese che vi doveva approdare dieci mesi più tardi per osservare il transito di Venere. Il 1.° febbraio il « Challenger » lasciava la Terra di Kerguelen dirigendosi sempre al sud; il 6 passò vicinissimo al mucchio di scogli detto Meyer?s Rock e poco dopo ancorava nella baia di Co- rinto, a Roger’s head. In quel remotissimo punto si incontrarono uomini : una cinquantina di cacciatori di Foche, che talvolta passando due o tre anni su quel suolo desolato, contenti se ritornano in patria con una somma di 50 o 60 lire sterline ! Il 7 febbraio il tempo pessimo obbligava alla par- tenza; il giorno 11 la corvetta passò accanto al primo iceberg od isola galleggiante di ghiaccio, e nei giorni successivi parecchi ne vennero incontrati, tutti stra- namente logori e frastagliati per effetto delle onde. Da due giorni il « Challenger » navigava in mezzo a centinaia di ghiacci galleggianti, quando l’alba del 14 febbraio, con tempo magnifico avvistò l'imponente muro di ghiaccio che sembra vietare perennemente l’accesso, dovrei dire l’ avvicinarsi al polo australe. Sino al 24 febbraio, la corvetta, favorita da un tempo eccezionalmente bello, segui questa grandiosa naviga- zione lungo la barriera antartica in mezzo ai ghiacci galleggianti, e raggiunse 66° 4o’ di latitudine australe senza poter scorgere alcun indizio di terra; la sera del 24 scoppiò una fiera tempesta, ed il capitano Nares, colla macchina accesa volse la prora al nord, per scostarsi da paraggi così pericolosi, dirigendosi sopra Melbourne distante circa 3,000 miglia; il 16 marzo il « Challenger» ancorava difatti in Hobson’s bay. 174 PELAGOS. La campagna. antartica, sebbene corta,. era stata sommamente fruttuosa e non è da dirsi quale entusia- stica accoglienza avessero gli scienziati e gli ufficiali del « Challenger » nella capitale della ospitaliera Vic- toria. Il r.° aprile lasciavano Melbourne ed il 4 la corvetta si ormeggiava in Farm Cove, uno dei seni più interni del maraviglioso Port Jackson, al posto ove i0 l’avevo..trovata nel 1867. A: Sydney Jusuba continua festa per quei valorosi, ed in Australia, posso dirlo per esperienza, le accoglienze non si fanno a metà, nè noi della « Magenta » potremo mai dimen- ticare quella quivi fattaci. Quasi due mesi di ben meritato riposo si godettero quelli del « Challenger », il quale riprese la via il 12 giugno per la Nuova Ze- landa, ove giunse il 28, gettando l’ àncora innanzi a Wellington, l odierna capitale della ‘colonia; nella tiaversata si fecero i soliti scandagli, ed oltre impor- tanti risultati biologici e fisici, si accertò la possibilità di collegare quei nostri antipodi coll’ Australia con una fune telegrafica sottomarina, onde completare vieppiù quella rete immensa di fili elettrici che da meno di dieci anni collega i punti i più lontani delle varie parti del Globo. | Il 6 luglio si lasciava la Nuova Zelanda, ed avendo attraversato il gruppo Kermadec, il « Challenger » si fermava il tg del mese a Tongatabu, capoluogo del- l'arcipelago degli Amici, forse il solo tra i molti della Polinesia, ove l’indigeno sia riuscito a mante- nere il suo terreno, a non vedersi rapidamente decimare, avendo pur adottato gli usi della moderna civiltà. La fine del mese trovò la corvetta in mezzo all’arcipelago Viti, ove si fermò qualche tempo visi- tando le isole Matuki, Kandavu e Levuka. Come è UN NUOVO MONDO. 75 noto queste isole sono uno degli ultimi acquisti fatti dall’ Inghilterra, e pochi giorni dopo l’ annessione alle vastissime possessioni britanniche vi scoppiò una epi- demia di morbillo di eccezionale violenza che di- strusse oltre 10,000 di quei poveri isolani; fui assi- curato recentemente da un testimonio oculare che i cadaveri ingombravano le spiaggie ed i villaggi, ed a tal segno era giunto il terrore che nessuno voleva esporsi ai pericoli del seppellirli. Questo fu il primo dono della civiltà a quei Papuani: è la vecchia storia dei letali effetti pel selvaggio del suo contatto col- l’uomo bianco! Il 10 agosto il « Challenger » volgeva la prora sal gruppo delle Nuove Ebridi, ove giungeva il 17, visi- tando le isole Mai, Shepherd e Apisino al 20, in cui fece via verso lo stretto di Torres, ove diede fondo all’isola Raine, all’isola Bird e a Somerset, piccola stazione sul capo York, ove si fermavano i vapori che fanno il viaggio da Singapore a Sydney; oggi essa è stata abbandonata per Thursday Island, di accesso, mi dicono, meno incomodo. Vennero quindi toccate le isole Hammond e Booby; il 16 settembre il « Chal- lenger » arrivava a Dobbo, la ben nota stazione com- merciale delle isole Aru, e vi si tratteneva sino al 23, le lance facendo nel frattempo escursioni interes- santissime. Toccò poscia ie isole Kei, l’interessante gruppo di Banda, Amboina e Ternate, tutti luoghi a noi famigliari pei viaggi del nostro Beccari. Il 23 il « Challenger » ancorava a Samboangan nell’ isola di Mindanao, la più meridionale delle Filippine, e dopo breve sosta seguitando la sua rotta attraverso .quel- l’arcipelago, toccava Iloilo in Panay; il 4 novembre entrava sulla rada di Manila, ove rimase otto giorni, 176 PELAGOS. ed il 16 del mese ancorava a Victoria, Hongkong. Qui la spedizione dovea perdere il suo capo militare ed uno dei migliori ufficiali; fu un gran colpo per tutti, ed il professore Wyville Thomson nel suo vi- vace linguaggio scrive in proposito: « This was a heavy blow to the Challenger.... I think nearly all of us, naval and civilian, wildly volunteered to follow our old captain to the Pole or anywhere else ». Al capitano Nares successe nel comando il capitano di vascello Frank Thomson. L’ ir gennaio 1875 trovò il « Challenger » nuova- mente a Manila, da dove mosse al sud toccando Zebu, Matan, Samboangan, e Basilan; da quest’ ultima isola, il. febbraio, ‘volse ‘la prora! sulla Nuova Guinea gettando l’àncora, il 23, nella baia di Humboldt; circa un anno dopo vi giungeva Odoardo Beccari, allora imbarcato sul vapore da guerra olandese il « Serabaja ». E'singolare come anche il « Challenger » vi facesse brevissima sosta, di due soli giorni. Di li volse al nord, visitò le interessantissime isole del- lAmmiragliato, e dopo breve fermata riprese la via per’ essere’ tI ‘aprile. a Yokohama; inaudita versata fece lo scandaglio più profondo di tutto il viaggio in 9,100 metri. Un mese rimase il « Chat lenger » nel golfo di Yedo, e nel frattempo subi necessarie riparazioni nell’arsenale di Yokoska. Il 10 maggio salpò per condurre una serie di scandagli e dragate nel mare giapponese, visitò Hiogo, Oo-scima, lo splendido Mare interno, ed il 5 giugno ancorava di nuovo a Yokohama, ma per ripartirne sette gior- ni dopo, in via per le isole Hawai o Sandwich. Non posso qui fare a meno di esprimere la mia meraviglia che le esplorazioni importantissime che eseguiva la UN NUOVO MONDO. LgA7) corvetta non venissero portate al nord dell’ arcipelago giapponese, tra le Kurili e le Aleutiche fin nel mare di Behring; la stagione era propizia, e davvero pochi punti del Pacifico offrono tanto interesse scientifico, tanti problemi biologici e fisici insoluti ! La traversata del Pacifico boreale venne felicemente eseguita dal « Challenger » ; il massimo scandaglio verificato fu di 7,000 metri, mentre sulla stessa linea la nave americana « Tuscarora » avrebbe trovato nel 1874 una profondità di 83So metri. La corvetta giunse - ad Honolulu il 27 luglio e vi rimase sino all’II agosto. Fece quindi il giro delle isole Hawai toccando Hilo, di dove i Naturalisti fecero l’ascensione del Mauna Loa, forse il maggiore dei volcani attivi e noto particolarmente per le belle descrizioni del Dana, che lo visitò durante la spedizione del commodore Wilkes; il geologo del « Challenger » signor Buchanan, vi fece importanti osservazioni. Il 9 agosto la corvetta lasciava le isole Sandwich, dirigendo sopra Taiti; fu durante questo tragitto, il 13 settembre 1875, che la spedizione ebbe a deplorare la perdita di uno dei più attivi membri della Commissione scientifica, il dott. Rudolf von Willemdes-Suhm, rapito da un attacco violento di risipola sulla faccia; egli si era distinto assai durante il viaggio, studiando particolarmente gli Annulosi ed i Crostacei; lascia alcune belle Memorie pubblicate, e molti disegni e manoscritti zoologici. Bellissime parole di affetto, stima e profondo rim- pianto vennero dette dal professore Wyville Thomson in quella occasione. Il 18 settembre il « Challenger » giungeva sull’ an- coraggio di Papiti e vi rimaneva sino alla fine del mese. A Taiti, come altrove, si fecero importanti 17$ PELAGOS. osservazioni e collezioni, scandagliando intorno all’ i- sola ed al banco madreporico che la cinge, e facendo frequenti gite tra i colli ridenti di quella Citera del Pacifico. La corvetta quindi riprese la sua traversata, lunga e contrariata dai venti, come fu la nostra colla « Magenta » nei medesimi paraggi nel 1867; il 13 novembre avvistava l'isola di Juan Fernandez, la classica terra del vero Robinson Crusoè, il marinaio scozzese Alessandro Selkirk; noi pure avvistammo nel novembre 1865 quell’isola pittoresca, tutta mon- tuosa, boschiva e culminante nella singolare vetta el Yunque (l’incudine); ma, meno fortunati di quelli del « Challenger » non vi posammo il piede. Questi vi fecero piacevoli gite, e vi lessero l'iscrizione lasciata dalla fregata inglese « Topaze », in onore del marinaio abbandonatovi nel 1704, e la cui vita solitaria per cinque anni forni a Daniele Defoe il soggetto del suo celebre racconto. Il 19 novembre il « Challenger » ancorava sulla baia di Valparaiso; vi rimase sino all’ 11 dicembre, in cui sciolse le vele avviandosi al sud; l’ultimo del 1875 la corvetta ancorava nel porto Otway, a ridosso del promontorio Tres Montes,quasi al medesimo punto donde noi colla « Magenta » ini- ziammo la nostra memorabile navigazione attraverso i canali della Patagonia occidentale e dello stretto di Magellano otto anni prima. Il « Challenger » rifece presso a poco la nostra rotta pel Messier Channel, ma vi rimase assai meno; ancorò a Halt bay, Porto Gray, Port Grappler, indi entrò nel Wide Channel, per fermarsi come noi, in Tom bay; poi, pei canali Concepcion e Inocentes ed i Guia Narrows la cor- vetta raggiunse l’ ancoraggio pittoresco di Puerto Bueno, uno dei punti più interessanti di quel paese UN NUOVO MONDO. 179 strano e grandioso. Vi rimase, come noi, due giorni, per quindi percorrere il canale Sarmiento, ed ancorare la sera in un seno della penisola Zach. L’ indomani, II, gennaio 1876, il « Challenger » penetrava nello stretto di Magellano (o meglio di Magalhaés), gittava l’Ancora nel porto Churruca, poco discosto da Playa, Parda, ove noi ci eravamo fermati colla « Magenta»; il posdomani sera era in Port Famine, e l'indomani, 15 gennaio, a Punta Arenas, la colonia cilena capo- luogo del territorio di Magalhaès, che noi visitammo quando era assai meno prospera, essendo poi divenuta scalo dei vapori che regolarmente passano lo Stretto. La miniera di lignite che nel settembre 1867 io visi- tava dietro preghiera del governatore don Damiano Riobo, allora prometteva poca cosa, ed ora invece è in pieno lavoro, ed è connessa col mare per mezzo di una ferrovia. Dopo quattro giorni di sosta il « Challenger » si rimetteva in moto, esplorava l'isola Elisabeth ove si rinvennero interessanti fossili, il 20 gennaio usciva nell’ Atlantico, ed il 23 ancorava nel porto di Stanley, capoluogo delle isole Falkland. Dopo una fermata di quasi quindici giorni, il. « Challenger » riprendeva la via; il 15 gennaio era a Montevideo; dopo dieci giorni ne partiva per fare interessanti osservazioni e scandagli navigando per quasi 1,000 miglia all’est lungo il parallelo dell'estuario del Plata. Il 27 marzo il « Challenger » ancorava di- nanzi l’isola dell’)Ascensione, possedimento britannico dipendente dall’ Ammiragliato, e retto precisamente come una nave da guerra ancorata su di una stazione lontana; vi comanda un capitano di vascello. La cor- vetta vi rimase una settimana; il 3 aprile salpava per le isole del Capo Verde, toccandovi Praya e Porto 180 PELAGOS. Grande; il 20 maggio venti contrari costrinsero il « Challenger » a riparare nel porto di Vigo, ma il 24 gettava l’ancora sulla rada di Spithead, di ritorno in patria dopo aver compiuto il viaggio scientifico più notevole del nostro secolo, e corrisposto degna- mente alla gloriosa missione per la quale era partito. Dopo questo rapidissimo schizzo dell’intiero viaggio di circumnavigazione del « Challenger » e prima di passare in esame i risultati generali ottenuti nell’ At- lantico, sarà bene dare un breve cenno delle varie osservazioni che venivano eseguite a ciascuna stazione oceanica ed intorno ai principali strumenti adoperati in quello ricerche. Avendo accertato l’ esatta posizione della stazione, si determinava la profondità del mare in quel punto, si riportavano dal fondo un saggio di esso per indagarne la natura ed un saggio dell’acqua per esaminarne il peso specifico e la composizione chimica; e la temperatura del fondo veniva registrata dal termometrografo. Nella maggior parte delle stazioni si otteneva un discreto saggio della Fauna a- bissale per mezzo della draga e delle dipendenti re- dazze, e inoltre si determinava la distribuzione bato- metrica e la natura degli animali pelagici dalla super- ficie ad una certa profondità, aggiustando in diversi modi una reticella da strascico (fow-ne). In diverse stazioni anche la temperatura dell’acqua alla superficie ed a varie profondità veniva accertata e vi si ottene- vano saggi d’acqua per l’ analisi. In tutti i casi le vicende meteorologiche venivano accuratamente regi- strate; in alcuni si cercò di accertare la. direzione:e la velocità di traslazione delle masse d’acqua a diverse profondità. UN NUOVO MONDO. ISI I diversi saggi di fondo ottenuti si conservarono sia a secco, sia sotto alcool in tubi di vetro ben chiusi; così i saggi d’acqua si conservarono in boccie a tappo smerigliato per future analisi, dopo averne determinata la gravità specifica, ed in alcuni casi la quantità di acido carbonico e di cloro che con- tenevano. Vennero pure conservati in barattoli e vasi i saggi di fango, di minerali e di concrezioni inorganiche riportate dalla draga e dal gangano; ed infine i moltissimi animali pescati; sia alla superficie, sia sul fondo, sia a profondità intermedie, la maggior parte invertebrati ed affatto nuovi per la scienza, venivano, quando era pos- sibile accuratamente studiati e dise- gnati vivi o freschi, e quindi conser- vati nell’ alcool. Gli strumenti principali adoperati per le suesposte ricerche, oltre il mi- croscopio e gli apparecchi fisici e chi- mici per determinare la densità e la composizione dell’acqua o dei materiali inorganici tratti dal fondo, erano i seguenti: 1.° Lo scandaglio, di due specie: quello detto Hydra, munito però di tubo con valvola per racco- gliere saggi del fondo, e lo scandaglio Scandaglio Hydra. di Baillie, per le maggiori profondità; in questi ultimi casi diventava operazione delicatissima lo svolgere della sagola e l’ accertamento dell’ istante in cui lo scandaglio toccava fondo; molti degli inconvenienti di 182 PELAGOS. tali operazioni vennero eliminati coll’ uso di un filo metallico invece dell’ ordinaria sagola, sagace inven- zione del prof. Sir William Thomson. Va notato che tutte le operazioni di scandagliare e dragare su grandi profondità, si facevano sotto vapore, e gli urti e le scosse possibili erano diminuiti e quasi eliminati dal- l’uso di accumulatori formati da una riunione di forti striscie di caoutchouc, issati al pennone, dal quale dipendeva il bozzello per cui passava la sagola, sia della draga, sia dello scandaglio. Questa sagola © questo cavo, avvolto su appositi rocchetti o mulinelli capaci di circa 5,000 metri e convenientemente col- locati, erano poi applicati ad uno dei tamburi della macchina a vapore che si poneva in moto per riportare dal fondo, sia la draga, sia lo scandaglio. Alla sagola di questo si raccomandavano i termometri Miller-Ca- sella, costruiti per sostenere fortissime pressioni e lc ingegnosissime bottiglie metalliche 4 scappamento per raccogliere saggi dell’ acqua sul fondo, o a diverse profondità. 2.° La draga munita di asta di ferro guer- nita colle redazze di cordicella e filacce che fecero sì ricca mèsse durante le esplorazioni del « Lightning », « Porcupine » e « Shearwater »; 3.° La sciabichella, gangano o frawl adoperato con sommo vantaggio dal signor Murray anche in grandi profondità; 4.° Le re- ticelle o coppe per strascicare sulla superficie, simili a quelle di tulle adoperate da noi con eccellenti ri- sultati durante il viaggio di circumnavigazione della « Magenta ». Nei primi giorni si fece poco: ciascuno cercava di farsi alla nuova vita e di formarsi un tracciato pre- ventivo del proprio còmpito; si dovevano poi superare UN NUOVO MONDO. 183 alcune difficoltà pratiche incontrate nei primi scandagli e nelle prime dragate e dipendenti dalla mole mag- giore del « Challenger » in confronto colle navi previa- mente usate. La prima dragata venne eseguita in 1,125 braccia marine (fatboms) presso a Vigo sopra un fondo dell’ estesa globigerina ooze, ricca di Coccoliti e Coccosfere. Presso il Capo S. Vincenzo si fece la prima prova del gangano in 600 braccia, e, tra altri animali di molte specie, furono pescati due pesci, la Mora mediterranea ed il Macrurus sclerorbynchus. Fu dopo aver lasciato Gibilterra che incominciarono sul serio le investigazioni oceaniche, e dopo una prima serie di dragate i Naturalisti cominciarono a persuadersi che a grandi profondità le medesime condizioni fisiche e la medesima Fauna si estendevano sopra enormi aree; sul finire della campagna quella opinione divenne certezza per i tre grandi Oceani. Tra le prede note- voli fatte in una delle prime dragate nell’ Atlantico subtropicale vanno citate: il singolare crostaceo Vil lemoesia lepiodactyla cieco, con occhi nascosti e rudi- mentali, tratto da una profondità di 1900 braccia; la Cyrtosoma neptuni ed una splendida e nuova £Euple-. ctella, la E. suberea. Una delle dragate più notevoli venne eseguita il 12 marzo ad una profondità di quasi 5,000 braccia tra Tenerife e Sombrero: la draga riportò da quell’ abisso un numero di strani Anellidi aftini all’ Qwenia, pro- tetti da tubi di argilla rossa, identica a quella che copriva il fondo, sul quale, senza dubbio alcuno, quelli animali vivevano. I risultati delle osservazioni ese- guite in questa prima sezione attraverso l’ Atlantico, furono molto importanti; confermarono appieno quelli sui contorni del fondo dell’ Atlantico in quella latitu- 184 PELAGOS. dine ottenuti dalla nave americana « Dolphin » e che già figuravano sulle carte recenti; dimostrarono come la natura del fondo variava, ma conservava per estese aree un medesimo carattere, essendo questo vulcanico sino a circa So miglia dalle Canarie, formato di de- trito di foraminiferi (la così detta Creta moderna) sul- l’altipiano a profondità tra 1,525 e 2,220 braccia, e consistente in argilla rossa finissima nei fondali mag- giori (1). Un'altra quistione importante sciolta fu ap- punto quella riguardante |’ habitat dei Foraminiferi i cui gusci microscopici formano sì ingenti depositi sul fondo, poichè si accertò in modo indubitato che essi, cioè i G/lobigerina, Orbulina, Pulvinulina, ecc. ecc., vi- vono alla superficie e mai sul fondo del mare, ove non vanno se non i gusci dopo la morte dell’animale; fatto del resto già intuito da Bailly e da Gwyn Jef freys, ma strenuamente oppugnato allora da Ehren- berg, Carpenter e dallo stesso prof. C. Wyville Thomson. Infine il famoso Bathybius Haeckelit invece di segnare, come si credeva, il primo passo nell’ evo- luzione della materia inorganica a quella organica, fu trovato non essere che il risultato della decompo- sizione dei gusci dei miliardi di miliardi di Forami- niferi che vanno accumulandosi sul fondo, cioè una condizione gelatinosa di sali calcari, resa evidente nei saggi conservati dall’ alcool; mentre gli elegantissimi e minutissimi Coccoliti e Rabdoliti che vi si rinven- (1) Lungo le 2,700 miglia che separano Tenerife da Sombrero, queste tre qualità erano distribuite come segue: 80 miglia di fango e di sabbia vulcanica, 350 miglia di globigerina ooze cioè, detrito foraminifero, 1,050 miglia di argilla rossa con noduli di perossido di manganese, .330 miglia di detrito foraminifero , 850 miglia di argilla rossa e 40 miglia di detrito foraminifero. UN NUOVO MONDO. 185 gono in gran copia, non sarebbero che il nucleo cal- careo di singolari esseri superficiali, forse Alghe, forse Desmidiacee, forse gemmule di Spongiari (spugne), Globigerina bulloides, vivente, dalla superficie (ingrandita). detti Coccosfere e Rabdosfere. E dire che si edifica- vano così belle ipotesi sull’ origine della vita nel Bathybius su vasta scala negli abissi oceanici ! Pelagos. 13 186 PELAGOS. Da Sombrero il « Challenger » si diresse a San Tommaso delle Antille e di li alle Bermude; durante la traversata la draga riportò molti ed interessanti saggi della Fauna abissale, e vanno rammentati alcuni Crostacei ciechi (Astacus zaleucus e Willemoesia cru- cifer) ed una nuova Hyalonema, la H. toxeres. Nella traversata verso la costa del Brasile si pesca- rono interessanti animali: da una profondità di 1,850 braccia vennero tratte due belle specie di Crinoidi, entrambe nuove ed appartenenti ai generi Ba/hycrinus e Hyocrinus. A breve distanza della costa del Brasile, in 400 braccia circa, si pescarono due altri Crinoidi, il Rbizocrinus lofotensis ed una specie nuova di Penta- crinus. La traversata a Tristan d’Acunha fu fruttuosa specialmente in Madrepore abissali. Cercherò ora di riassumere i risultati generali delle svariate osservazioni fisiche e biologiche fatte nel- l'Atlantico: 1. La configurazione del letto dell’ Atlantico. Combi- nando i risultati ottenuti dal « Challenger » con quelli avuti dalla corvetta svedese « Josephine » e da quella americana « Gettysburg », esso presenterebbe tre bacini, divisi da creste di rialzo in media di 1,900 braccia dalla superficie, essi sono : uno orientale che si estende dal lato occidentale dell’ Irlanda quasi sino al Capo di Buona Speranza, con un fondo medio di 2,500 braccia; un bacino nord-ovest presso l’ America con una pro- fondità media di 3,000 braccia, ed un golfo che corre lungo la costiera dell’ America meridionale sino al Capo Orange, bacino aperto al sud che avrebbe esso pure una profondità media di 3,000 braccia. UN NUOVO MONDO. 187 2. Natura del fendo. Eccetto in vicinanza alle coste, ove il deposito sul fondo consiste principalmente del detrito esportato dai fiumi o prodotto dalla disin- tegrazione delle roccie lungo la costiera, il fondo del- l’Atlantico a profondità tra 400 e 2,000 braccia è co- perto dall’ora famoso detrito foraminifero (globigerina o00ze), formato dai frammenti delle conchiglie calcaree di Foraminiferi pelagici, nella maggior proporzione ap- partenenti ai generi G/lobigerina, Orbulina , Pulvinu- lina, ed in proporzione minore dei gusci di Pu/lenia, Sphaeroidina e Hastingeria. In questo deposito riscon- transi pure particelle di pomice, feldispato, augite sa- nidina, orneblenda, quarzo, leucite e magnetite oltre a concrezioni dei perossidi di ferro e di manganese. A profondità maggiori di 2,000 braccia, il fondo del- l'Atlantico è formato da argilla rossa, l’ ultima ridu- zione del deposito precedente, alla quale si passa per una formazione intermedia, ove si riconoscono ancora i gusci di Foraminiferi, che venne detta « deposito grigio » (grey ocoze). Anche nell’argilla rossa trovansi particelle di minerali, ed è notevole la larga diffusione sul fondo di frammenti di minerali di origine vulcanica.. 3. Distribuzione della temperatura: in tutto DAtlan- tico l’acqua è più calda alla superficie, si raffredda rapidamente scendendo sino al primo centinaio di braccia, quindi la temperetura scema più lentamente sino a 5 0 600 braccia, dopo la quale profondità la diminuzione si fa ancora più lenta sino al fondo o quasi, ove mantiene una temperatura uniforme, cioè siate: 5° !Centigr. Questi risultati portano a considerazioni assai vaste ed importanti, e specialmente a quelle riguardanti la circolazione dell’ acqua nell’ Oceano Atlantico; sotto 188 PELAGOS. tale riguardo il professor Wyville Thomson non esita a considerare quell’ Oceano come un golfo del grande Mare australe ed a dichiarare che tutte le striscie o correnti, ove non possono avere influenza la radiazione diretta e gli effetti complicati diretti ed indiretti dei venti, sono essenzialmente le continuazioni di uguali striscie del Mare australe; va però notato che nel- l'Atlantico la intera massa d’acqua aumenta in tempe- ratura verso il fondo (direbbesi meglio verso il capo) di quel vasto golfo, che non sarebbe sensibilmente modificato da alcuna corrente del Mare artico. S. Distribuzione e natura della Fauna a grandi pro- fondità. Il risultato più importante in tale materia è la definitiva riprova del fatto che non vi sono limiti alla profondità alla quale ponno esistere animali e che ovunque sul fondo del mare possonsi rinvenire vi- venti animali invertebrati e pesci; è però indubitato che scarso diventa il numero delle specie negli abissi dell’ Occano, ove il fondo di argilla rossa offre ben poche sostanze capaci di servire al nutrimento animale, le quali invece sono relativamente abbondanti nel de- trito foraminifero. Alle maggiori profondità, non solo la Fauna è singolarmente uniforme, ma spesso consta di forme affini ad altre che vivono in acque basse; onde risulta che le enormi differenze nelle condizioni fisiche e direi chimiche in cui vivono, la grandissima pressione, la assoluta oscurità, ecc., ecc., non hanno poi una molto notevole influenza sulla vita animale. La uniformità di condizioni termiche a grandi pro- fondità dà forse la spiegazione della uniformità singo- lare della Fauna che vi s’ incontra. Non vanno poi dimenticate le estese ricerche fatte sulla Fauna pelagica durante il viaggio del Challenger; UN NUOVO MONDO. 189 moltissime forme nuove vennero così scoperte, e tra le altre un nuovo ordine di Protozoi affine ai Radio- larî, al quale il professore W. Thomson diede il nome di Challengerida; sono animali sarcodici eccessivamente piccoli, inclusi in una conchiglia silicea singolarmente bella e svariata nella forma; questi esseri interessanti non furono però mai presi alla superficie, ma sempre in acqua media a 3 e 400 braccia almeno di pro- fondità. Del resto il fatto stabilito da me, credo per la prima volta, durante il viaggio della « Magenta », cioè che quasi tutta la Fauna To non viene alla superficie che nella notte, fu ampiamente confermato. I Spongiari (spugne), meno quelli calcarei, hanno rappresentanti numerosi alle maggiori profondità, ma abbondano tra 500 e 1,000 braccia. Poche Madrepore incontransi al disotto di 1,050 braccia. Gli Alcyonari hanno la medesima distribuzione delle Spugne; ma le Umbellula furono tratte dalle maggiori profondità. Tra gli Echinodermi, i Crinoidi peduncolati degli abissi più Li sono naturalmente i più interessanti, ma sono pochi. Apiocrinidi , Ofiuridi, alcuni Asteridi, Echinidi ed Oloturidi si rinvennero nelle dragate più profonde. - Alcuni Briozoi si pescarono da 3,000 braccia, e tra gli Anellidi furono i Gefirei, che dettero i saggi più interessanti nella Fauna abissale. Tra i Crostacei che vivono a grandi protondità si trovano Ctrripedi pedun- colati, Schizopodi e Decapodi Macrouri. Tra i Molluschi qualche Lamellibranco e Gasteropodo; i Brachiopodi poi in discreto numero. Tra i pesci non pochi Macruridi, alcuni Ofidiidi ed alcuni Loficidi possonsi rammentare tra i membri tipici della Fauna abissale. Riguardo alla Fauna, l' ultima e più importante delle conclusioni alle quali viene il prof. Sir C. Wy- 190 PELAGOS. ville Thomson, è che: sotto le soo braccia l'Oceano è ovunque abitato da una Fauna uniforme e speciale, le cui specie sono tanto più cosmopolite, cioè diffuse, quanto più vivono a grandi profondità; che il carat- tere generale dei membri di questa Fauna abissale è polare, polare artico ed antartico, ma prevalente- mente australe (che cioè gli animali di cui si compone rassomigliano a quelli che vivono anche in acque basse nei mari polari) (1); anzi nell’Atlantico la migrazione ed estensione sua pare essersi operata dal sud al nord. Infine la rassomiglianza dei membri della Fauna abis- sale con quelli di Faune estinte, e notevolmente del- l’ epoca cretacea, fu da principio esagerata, nè puossi ora dire che abbiamo sui grandi fondi dell’ Oceano la Creta o l’ Oolite redivivi! 5. Densità dell’acqua del mare. Per ciò il sig. Bu- chanan fece estese osservazioni sull’acqua tolta dalla superficie, dal fondo e da punti intermediari. Sarebbe qui impossibile dare tutte le deduzioni a cui portano le numerose sue osservazioni; ma per quanto riguarda Atlantico parrebbe che nella parte settentrionale la densità degli strati superiori fosse maggiore che in qualsiasi altra parte dell'Oceano. Ciò concorda perfet- tamente coll’ opinione emessa dal prof. W. Thomson che il movimento delle acque profonde nell'Atlantico si debba in gran parte all'eccesso della evaporazione sopra la precipitazione nella porzione nordica. Interes- santissime poi e collegate colle osservazioni suddette sono quelle, pure del signor Buchanan, sulle quantità (1) Questo è un singolare parallelismo con quanto osservasi nella Fauna terrestre nelle aree polari e sui monti elevati delle basse latitudini. UN NUOVO MONDO. I9I di acido carbonico e di ossigeno contenute nell’acqua marina a varie profondità. Accennerò cora brevemente alle spedizioni abissali che seguirono quella del « Challenger ». Poco dopo la partenza di questa nave, la Società Reale di Londra, che certo non se ne stava in riposo, otteneva dall’ Ammiragliato 1’ imbarco del dott. J. Gwyn Jeftreys sul « Valourous » che doveva accompagnare durante la prima tappa la ben nota spedizione polare Inglese. Il dott. Jeffreys potè fare 16 stazioni di scan- dagli e di dragaggi tra Bantry Bay e Hare Island nello Stretto di Davis, in profondità tra 20 e 1875 braccia ; e trovò che, anche in mezzo ai ghiacci, la Fauna abissale era ricca e svariata. Egli pubblicò la sua relazione negli atti della Società Reale (1). Durante l'estate del 1880 poi, l’instancabile sir C. Wyville Thomson, appena riposato dalla trionfale spedizione del « Challenger », ebbe dall’Ammiragliato l’uso del « Knight Errant » per continuare ie ricerche sulle aree fredda e calda presso il Butt di Lewis, iniziate col « Lightning »; ma il tempo fu burrascoso e poco si potè fare. Dopo la morte di W. Thomson queste ricerche vennero felicemente conchiuse dal signor Murray sul « Triton » nell'estate del 1881, e ricche collezioni di animali abissali ne furono il risultato. Ho parlato già delle ricerche intorno alla Fauna abissale dei due Sars, i quali ebbero il merito singo- lare di essere i primi a tentarle ed a riuscirvi; ora rammenterò le campagne talassografiche eseguite sotto (1) The « Valourous » expedition. Reports by J. Gwyn Jeffreys and W. B. Carpenter, Proc. Royal Soc. XXV, n. 173. LonDON. 192 PELAGOS. gli auspicî del Governo norvegese dalla nave « V6- ringen » durante i tre mesi estivi degli anni 1876-77-78. La prima campagna venne eseguita lungo le coste oc- cidentali della Norvegia e da esse alle Faerde ed al- l'Islanda; si fecero 24 stazioni con dragaggi a pro- fondità da 90 a 1862 braccia. La seconda esplorò il mare da Bergen al di fuori delle isole Loffoten e da Tromsò a Jan Mayen; si stabilirono 28 stazioni, dra- gando in profondità da 70 a 1760 braccia. La terza si estese a Vardò indi all’ isola Beeren, e di là allo Spitzbergen sino all’ 80° di latitudine boreale. L° ultima ebbe 36 stazioni in profondità da 21 a 1686 braccia lungo le coste artiche della Norvegia ed intorno all’isola Beeren ed allo Spitzbergen. I risultati ottenuti in queste campagne, alle quali presero parte i dotti scienziati Danielssen, Mohn, G. O. Sars e Friele, fu- rono assai importanti, ed una ricca serie di collezioni venne riportata e si sta illustrando in modo grandioso a spese del Governo norvegese. Io ho già ricevuto dieci grossi volumi in folio con tavole stupende (1). La Svezia non ha preso in modo così speciale parte alle esplorazioni talassografiche abissali, ma nelle 17 spedizioni scientifiche che salparono dalla patria del grande Linneo tra il 1837 ed il 1875, non poco si è fatto in quella partita. Dopo quella data avvenne il memorabile viaggio della « Vega », durante il quale si fecero dragate importantissime nell'Oceano glaciale artico e nel mare di Bering, con ampi risultati, a giudicarne dalle magnifiche collezioni riportate, che ancora però non sono tutte illustrate. (1) DEN NorsKkE NorDpHavs-ExPEDITION. 1876-1878. CHRISTIA- NIA, 1880-83. UN NUOVO MONDO. 193 Sin dal 1873 la Francia aveva preparata una esplo- razione abissale, ed il « Narval » doveva eseguirla lungo il litorale d’Algeri; su quella nave doveva pren- dere imbarco l’ illustre professore Lacaze Duthiers, il dotto monografista del Corallo rosso; ma per ragioni che non conosco quella spedizione non ebbe luogo e la Francia non iniziò sul serio le sue ricerche intorno alla Fauna abissale che nell’estate del 1880, quando, dietro il suggerimento del marchese de Folin, capitano del porto a Bayonne e zelante Naturalista, il Governo della Repubblica decise di fare qualche cosa in quel senso. Una nave da guerra, il « Travailleur », avviso a ruote di 900 tonnellate e forza motrice di 1so cavalli, venne destinato a tale servizio e posto a disposizione di una Commissione scientifica com- posta dal venerando H. Milne-Edwards (presidente), marchese de Folin, professori Alphonse Milne-Edwards, Perrier e Vaillant di Parigi, Marion di Marsiglia, e del dott. Paul Fischer. Va ricordato che il marchese de Folin era da anni in corrispondenza coll’ illustre Naturalista inglese J. Gwyn Jeffreys, e fu dietro avviso di questo che il de Folin si decise a rivolgersi al suo . Governo. Ottenuto l’uso di una nave, d’accordo coi suoi colleghi, il de Folin fece invitare dal Ministro della Pubblica Istruzione il dott. Jeftreys ed il rev. A. M. Norman, altro provetto Naturalista e dragatore, a prender parte alla spedizione. In questo modo si com- piva un atto cortese e si acquistava il vantaggio gran- dissimo di aver a bordo del « Travailleur » due dotti Naturalisti già provetti nel maneggio degli apparecchi e degli strumenti necessarì per dragare in grandi pro- fondità. La Commissione si riuni a Bayonne, e, meno il 194 PELAGOS. Presidente, il quale essendo nel suo ottantesimo anno tornò a Parigi, tutta prese imbarco sul « Travailleur » il 16 luglio 1880. La campagna durò sino al 1.° di agosto e venne esplorata la parte meridionale del golfo di Biscaglia tra il capo Breton ed il Capo Pefias;. si fecero 23 «dragate in profondità di 337 a 2600 metri, con risultati soddisfacenti giacchè ani- mali di ciascuna delle classi invertebrate vennero pescati e si ebbero novità tra i Molluschi, i Cro- stacei, gli Echinodermi, gli Anellidi, gli Attinozoi e le Spugne (1). Nel 1881 le esplorazioni talassografiche francesi eb- bero per campo principale il Mediterraneo e furono di- rette dalla medesima Commissione. Alla metà di lu- glio il « Travailleur » lasciò Marsiglia e diresse sopra Nizza eseguendo una prima serie di dragaggi; poi si recò ad Ajaccio, fece una punta nelle Bocche di Bo- nifacio e quindi ritornando a Marsiglia attraversò la parte occidentale del Mediterraneo, prima costeggiando la Spagna e quindi l'Africa da Orano allo Stretto di Gibilterra. La profondità maggiore venne trovata tra Villafranca e la Corsica ed era di 2660 metri. I ri- sultati biologici ottenuti non furono, nel Mediterraneo, molto importanti; ma lungo le coste del Portogallo ed attraverso il golfo di Guascogna, i Naturalisti im- barcati sul « Travailleur » fecero ampia mèsse di in- teressantissimi animali abissali (2). (1) J. Gwvn Jerrrevs, The French Deep-sea Exploration in the Bay of Biscay. (Report of the British Association, 1880). (2) A. Milne Epwarps, Rapport sur les travaux de la Com- mission chargée d’ètudier la Faune sous-marine (Archives des Mis- sions scientifiques et littéraires. 2ème serie, tom. IX) PARIS, 1882. UN NUOVO MONDO. 195 Nell’ estate del 1882 il « Travailleur » fece una terza campagna talassografica, sempre coi medesimi Naturalisti a bordo; la Relazione di essa non mi è ancora pervenuta, so però che il campo delle ricerche fu l’Atlantico, tra le coste del Marocco le isole Ca- narie e Madera e che si ebbero ottimi risultati, tra cui la scoperta di un pesce abissale singolarissimo e nuovo affatto, l’Eurypharynx pelecanoides, Vaillant. Infine con lodevole perseveranza il Governo fran- cese ha voluto anche nell’ estate del 1883 continuare le ricerche biologiche abissali; stavolta venne impie- gato un nuovo piroscafo, il « Talisman », apposita- mente allestito e ampiamente provvisto dei migliori e più perfetti apparecchi per tali esplorazioni. Anche questa campagna si fece tutta nell’Atlantico, scegliendo un’area più al sud, tra il Senegal e le isole del Capo Verde ed esplorando il Mare di Sargasso; da ‘una let- tera del dott. Fischer apprendo che i risultati di que- st ultima campagna furono di straordinaria ricchezza ed importanza. Mercè l’uso del gangano, sostituito alla draga, i Naturalisti del « Talisman » fecero delle pesche davvero miracolose delle forme più singolari della Fauua abissale; così presso le isole del Capo Verde in una sola dragata il gangano raccolse da circa 3000 metri di profondità: 1000 pesci, quasi tutti Melanocetus; 1000 Pandalus e circa 500 individui di un nuovo Macruro, Nematocarcinus! Tra le Az- zorre e la Francia in profondità tra 4000 e 5000 metri la Fauna venne trovata ancora ricca: Pesci (Macru- ridi, Scopelus e Melanocetus), Crostacei, e specialmente Oloturidi vennero pescati. Qualche cosa fecero per le ricerche abissali anche i Tedeschi e particolarmente la « Commissione ministe- 196 PELAGOS. riale per la esplorazione scientifica dei mari germanici » risiedente a Kiel e capitanata dal dotto Mòbius. L’O- landa e l’Austria vi hanno pure contribuito; nè va dimenticato il Portogallo, giacchè dobbiamo al pro- fessor Barboza du Bocage ed a Brito Capello la cono- scenza dei singolari Centrophorus e del Hyalonema lusitanicum dal mare, profondo presso Setubal. Nel 1862 io aveva conosciuto a Londra il dott. Wallich, il quale aveva in quei giorni pubblicato la sua opera notevole sul letto dell’ Atlantico; e conver- sando con quel Naturalista, ancora tutto entusiasmato del risultato delle sue ricerche, era svegliato in me sin d’ allora un interesse vivissimo per la misteriosa regione degli abissi oceanici, ancora avvolta in un fitto crepuscolo per noi. Era dunque ben naturale che 10 seguissi con intenso interesse i risultati delle ricerche marine abissali eseguite specialmente dagli Inglesi, dagli Scandinavi e dagli Americani. Da poco tempo ritornato dal viaggio intorno al Globo sulla R. pirocorvetta « Magenta » all’epoca in cui si svolse quella epopea delle ricerche abissali che iniziata colla campagna del « Lightning » ebbe ter- mine con quella del « Challenger », io ero pieno di ardore esploratorio. Insieme ad un’ alta ammirazione per le esplorazioni talassografiche condotte così feli- cemente dagli Inglesi, io provavo però non poca invidia; e allorquando il « Porcupine » entrò nel Mediterraneo questo sentimento si accrebbe perchè sentivo come italiano che pel nostro decoro nazionale qualche cosa doveva farsi anche dai nostri. Volevo che il Governo iniziasse ricerche simili nei mari ita- lici almeno, e feci anche qualche passo in tale senso UN NUOVO MONDO. 197 presso persone autorevoli, ma senza alcun risultato allora; e dovetti accontentarmi di dar sfogo a questi miei desiderii in due scritti nella « Nuova Anto- logia » (1), nel concludere la mia Relazione intorno al viaggio di circumnavigazione della « Magenta » ed in alcuni articoli che videro la luce nel « Bollettino » della Società Geografica Italiana. Scrisse nel mede- simo senso, come ho già detto, sin dal 1870 il conte Angelo Manzoni, e le medesime idee vennero espresse dall’ ammiraglio C. A. Racchia in un articolo sul viaggio del « Challenger » pubblicato nella « Rivista Marittima » nell’ estate del 1877. Dopo tali precedenti è facile comprendere come io non perdessi alcuna occasione per cercare di attuare il desiderio da tanti anni coltivato, che ora aveva inoltre un nuovo interesse per me: da varî anni, in- tento a raccogliere i materiali per una Collezione completa degli Animali Vertebrati italiani, avevo ve- duto capitarmi tra le mani non poche specie di Pesci appartenenti a forme caratteristiche della Fauna abis- sale dell’ Atlantico, e la presenza di tali Pesci nel nostro Mediterraneo mi rendeva persuaso che in quel mare . dovevano pur vivere alle maggiori profondità animali delle classi inferiori; questo mi faceva ammettere con grandi riserve le asserzioni del dott. Carpenter riguardo la estrema povertà della Fauna abissale nel Mediter- raneo. Era però imminente l’ attuazione dei miei desi- derii, e l’epoca fortunata nella quale dovevo toccare con mano le prove della verità delle mie induzioni. (1) E. H. GicLioLI, Un nuovo mondo. — Ip. Il viaggio del « Chal- lenger » (« Nuova Antologia », sett. 1873 e agosto 1878. FIRENZE ò lo) 75 lo) e ROMA). 198 PELAGOS. In un altro articolo dirò come venne iniziata sotto gli auspici del R. Governo una esplorazione talassogra- fica del Mediterraneo, e quali sono, in modo generico, 1 risultati sinora da essa ottenuti. ENRICO H. GiGLIOLI. ESPLORAZIONE RALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO BSEGUIIA SO TRLOTELIFAUSDBICIDELGONERNONITIALIANON —a_-0-0-0—0— E Prima campagna del R. piroscafo « Washington » — La scoperta di una Fauna abissale nel Mediterraneo. (Agosto-Settembre 1881). Dragagi dell’ ammiraglio Spratt — Risultati negativi ottenuti dal dott. Carpenter — Preparativi sula Washington » — Apparecchi e strumenti talassografici perfezio- nati — Termometro abissale Negretti — Idrofori — Larus Audouini — La Wil- lemoesia — Serie termometriche abissali — La Brisinga — Coryphaenoides ser- ratus — Un nuovo pesce abissale — La Hyalonema — Hoplostethus mediterraneus e Macrurus sclerorbynchus — Pesche pelagiche — Terebratule — Haloporphyrus lepidion — Molluschi abissali — Uno scandaglio profondo — Giornata campale — Animali viventi tratti da 3624 metri — Conclusioni. ELL’ articolo precedente, cercando di tes- sere la storia delle ricerche talassografiche e principalmente di quelle biologiche ed abissali, ho fatto cenno dei dragaggi del Forbes nel Mediterraneo ed ho citato gli importanti risultati che ebbero nel 1860 i lavori pel ricupero di un cordone telegrafico sottomarino tra la Sardegna 200 i PELAGOS. e l’ Africa, diretti dall’ ingegnere Fleeming Jenkin. Rammentai ancora le esplorazioni talassografiche in- glesi e quelle francesi nel Mediterraneo; ed ora vorrei notare che sin dal 1846, l'ammiraglio Spratt dragava in una profondità di 310 braccia a 40 miglia a le- vante di Malta, e riportava alla superficie un certo numero di Molluschi viventi, i quali furono poi trovati essere identici a specie, dragate dal Jeffreys a grandi profondità nell’ Atlantico boreale durante le cam- pagne talassografiche del « Porcupine » ; e che inoltre nel 1875 il prof. A. F. Marion di Marsiglia, con mezzi privati, iniziò non lungi da quel porto ricerche biologiche a notevoli profondità; colla draga non potè lavorare in fondi maggiori ai 350 metri, ma valendosi di palamiti, come i Portoghesi di Setubal, riuscì a trarre da una profondità di 700 metri alcuni organismi tipici della Fauna abissale atlantica, tra cui la Holtenia Carpenteri (1). Più di tutto però, prima di tracciare a larghi tratti la storia ed i risultati delle nostre esplorazioni talas- sografiche nel Mediterraneo, mi par necessario ritor- nare un momento con maggiori particolari sui risultati di quelle eseguite specialmente da scienziati inglesi in quel mare. Il 15 agosto 1870 il « Porcupine », avente a bordo il dott. W. B. Carpenter, lasciava Gibilterra e dopo una serie di osservazioni sulle correnti entro lo Stretto, s’inoltrava nel Mediterraneo. Il dott. Carpenter era più specialmente interessato nello studio delle condi- (1) A. F. MARrION, Draguages au large de Marseille. PARIS, 1879. ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 201 zioni termiche del Mediterraneo a grandi profondità, n relazione colla sua, ora ben nota, teoria intorno alla « circolazione oceanica verticale ». Si supponeva che il Mediterraneo fosse per così dire un mare chiuso, separato dall’ Atlantico da una bar- riera, vera muraglia o divisione sottomarina, posta Dati capo: «Prafalgar. ‘edi il (capo -Sparte]:; lungo la sua metà settentrionale, la profondità di questa cresta subacquea non supererebbe mai le so braccia (m. 91,40), mentre la metà meridionale non sembra in nessun punto trovarsi al di là delle 200 braccia (m. 274,20). La barriera suddetta formerebbe una se- parazione completa tra le masse abissali d’acqua del- l’ Atlantico da un lato e del Mediterraneo dall’ altro, ed i due mari mescolerebbero soltanto i loro strati superficiali, miscuglio che avrebbe luogo naturalmente nello Stretto di Gibilterra. Le osservazioni sulla gra- vità specifica dell’ acqua marina, raccolta a diverse protondità dalla superficie al fondo ai due lati della barriera, i risultati delle serie termometriche prese in punti corrispondenti, confermavano apparentemente la ipotesi del dott. Carpenter, il quale venne perciò alla conclusione che il Mediterraneo ed i mari da esso dipendenti fossero affatto esclusi dalla circolazione ver- ticale dell’ Atlantico, e, potrei aggiungere, degli altri grandi Oceani. Ma durante la campagna del 1870 il Carpenter non potè compiere in modo per lui soddis- facente le osservazioni per confermare la sua teoria, onde si riserbò di riprenderle l’ anno seguente. Il « Porcupine » eseguì 16 Stazioni talassografiche tra Gibilterra e Tunisi, ove approdò; esse erano quasi tutte a breve distanza dalla costa africana e poche in profondità che potessero dirsi abissali. La draga venne Pelagos. 14 202 PELAGOS. calata quasi ad ogni stazione. Ma ben scarso fu .il numero di animali riportati, e come dice il profes- sore W. Thomson nella sua opera mirabile « THE DePTHS OF THE SEA » (p. 198): « 2 dott. Carpenter fu trascinato alla conclusione che a profondità maggiori di qualche centinaio di braccia, il Mediterraneo sia quasi aZoico ». Eppure alla Stazione XLIX, tra Cartagena e Orano, la draga riportò da una profondità di 1412 braccia, quindici specie di Molluschi, ed il dott. Carpenter non poteva aver dimenticato gli animali pescati da grandi profondità dai suoi predecessori nel Mediter- raneo; ma si vede che assorto come era nel trovar dati che confermassero la sua teoria intorno alla cir-' colazione oceanica, non ebbe sempre presenti tutti i fatti anteriori, nè potè occuparsi di accertare se. la draga usuale fosse davvero lo strumento meglio atto a riportare saggi della l'auna abissale nel Mediterraneo; per conseguenza, in questa campagna e, come ve- dremo, nella seguente, egli non parve prestare grande attenzione alle ricerche intorno alla Fauna abissale, perchè convinto che a tale quesito la scienza avesse già risposto negativamente. Da Tunisi il « Porcupine » andò a Malta, facendo quattro stazioni talassografiche lungo la via, per lo più sui noti basso-fondi coral ligeni che occupano quasi tutto il canale tra la Si- cilia e l’ Africa. Da Malta si diresse-allo Stretto&di Messina; e dalla carta illustrante la campagna talasso- grafica eseguita nel 1870 da quella nave, che venne pubblicata dal prof. Wyville Thomsgn (1), rilevo che (17) Op.iGit) pag. 180, pl Ve ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 203 si fecero tre altre stazioni: una a S.-E. della Sicilia, una al di là del Faro ed una quasi sul capo Vaticano. Erano punti del più alto interesse ed ove tutto pro- metteva una ricca ed interessantissima mèsse zoolo- gica; ma pur troppo avendo lo scandaglio riportato da una profondità di 1743 braccia, alla prima di quelle Stazioni « un saggio di argilla gialla, molto simile al fondo di alcuni dei punti meno produttivi nel Mediter- raneo occidentale, non si stimò conveniente il fermarsi anche per una sola dragata, il che avrebbe fatto perdere in tali profondità quasi una giornata ». Ho voluto ri- portare le parole testuali della relazione inglese pub- blicata dal Thomson nel suo libro (1), perchè si vegga come, in quel viaggio, l’ area zoologica presumibil- mente più ricca che noi abbiamo nel Mediterraneo, cioè quella che si estende al S. ed al N. dello Stretto di Messina, non sia stata esplorata, e come a questa omissione e ad altre simili siano da attribuirsi le con- clusioni certamente troppo assolute del dott. Carpenter. Il « Porcupine » prosegui il suo cammino senza fer- marsi e passando lungo la costa settentrionale della Sicilia in linea quasi retta fece ritorno a Gibilterra, ove giunse il 28 settembre. I risultati più interessanti ottenuti dal « Porcupine » sono, credo, quelli relativi alla temperatura a varie profondità, coi quali si potè stabilire che nel Medi- terraneo al di sotto di una profondità di circa 100 braccia (m. 182, 80), la temperatura delle acque varia pochissimo sino al fondo, oscillando tra 13° e 12° centigradi. (Op: cit: pag. 191. 204 PELAGOS. Ripeto la serie presa alla Stazione XLVII dirim- petto a Cartagena: Superficie. : (2000986: To dibraccia |; via 20 » : «TATA 30 » i sn MIT BRR6 40 DI i « ARA $0 » : + TIZIATIO 100 » 1 ET 2300060 845 » TO° 6 Venne pure accertato che nel bacino orientale del Mediterraneo la temperatura a grandi profondità era un poco più elevata che non nel bacino occidentale, e.‘alla stazione LX. al S. E. della Sicilta. si ebbeso 13° 4 C. ad una profondità di 1743 braccia. Nell’ estate del 1871, il dott. W. B. Carpenter ot- tenne di poter imbarcarsi sul « Shearwater », che sotto il comando dell’ illustre Nares doveva compiere una missione nel Mediterraneo. I risultati di questa campagna talassografica, l’ultima fatta dagli Inglesi nel Mediterraneo, sono ampiamente dati dal dottor Carpenter stesso in una voluminosa Relazione pub- blicata dalla Società Reale di Londra (1) e per una copia della quale vado debitore alla cortesia del dot- tor Jeftreys. Siccome era da prevedersi, furono le ricerche fisiche e specialmente quelle che potevano servir di appoggio alla sua teoria intorno alla circolazione oceanica ver- (1) W. B. CARPENTER, Report on Scientific researches carried on during the months of August, September and October, 1871, in H. M. surveying-ship « SHEARWATER ». — Proc. Royal Society, N. 138. London, 1872. ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 205 ticale, quelle che maggiormente occuparono il dot- tore Carpenter durante questa sua seconda campagna talassografica nel Mediterraneo; intorno alla Fauna abissale per le stesse ragioni già accennate egli non fece stavolta alcuna ricerca; le dragate eseguite furono pochissime e, credo, quasi tutte nel mare poco pro- fondo tra la Sicilia e l’ Africa sui banchi « Sherki » ed « Adventure » in profondità che non superarono mai le 200 braccia. Giunto nei pressi dello Stretto di Gibilterra nella seconda metà di agosto, il dott. Carpenter si occupò in primo luogo a determinare il peso specifico di saggi d’acqua tolti dalla superficie e dal fondo, fuori sopra ed entro la barriera che in quel punto divide il Me- diterraneo dalle acque profonde dell’ Atlantico; il ri- sultato delle sue osservazioni confermò pienamente le sue conclusioni preliminari dell’anno precedente, che cioè esiste una corrente profonda, lambente il fondo, che va attraverso lo Stretto da levante a po- nente, e anche al di là della barriera si avverte, per la sua gravità specifica maggiore, acqua di provenienza mediterranea. Fu ancora constatato che nello Stretto: lo strato superficiale si muove in senso opposto, cioè dall’ Atlantico al Mediterraneo. Ai primi del settembre il « Shearwater » entrò nel Mediterraneo e seguendo una rotta lungo la costa africana si recò a Malta e quindi in Egitto; lungo la via si eseguirono scandagli ed osservazioni termo- metriche seriali con cui si potè maggiormente con- validare la conclusione risultante dalle osservazioni dell’anno precedente, che cioè nel Mediterraneo al di- sotto dello strato superficiale, che subisce le influenze solari e che presso a poco ha uno spessore di 100 206 PELAGOS. braccia, la. massa d’acqua, anche sino alle maggiori profondità, presenta una temperatura pressochè uni- forme; anzi il Carpenter la dice assolutamente uni- forme nel bacino occidentale; in quello orientale, meglio esplorato sotto tale riguardo durante questa campagna, si rilevarono le medesime condizioni ter- miche essenziali, anche a profondità maggiori, giac- chè furono raggiunte le 2200 braccia (m. 4201); ma vennero constatate qui alcune differenze nelle con- dizioni termiche dei due bacini che non sarebbero prive d’ importanza; e sono: che nel bacino orientale, 1.° la superficie ha una temperatura media più alta; 2.° lo strato influenzato dai raggi solari è assai più spesso, raggiungendo una profondità di 200 braccia; 3.° che anche a profondità maggiori la temperatura dello strato profondo sarebbe sempre di circa due gradi più elevata che non nel bacino occidentale. Fu ancora trovato che nel bacino orientale la densità è maggiore che non in quello occidentale. Il dott. Carpenter, notando la natura del fango che cuopre il fondo del Mediterraneo nel suo ba- cino orientale, esprime l’ opinione che possa in gran parte derivare da sedimento trasportato dal Nilo, che intorbidisce, secondo lui, le acque più prossime al fondo; il che torse, sempre secondo le idee del dott. Carpenter, spiegherebbe la scarsità di vita ani- male a grandi profondità nel Mediterraneo. Sommando insieme il risultato delle osservazioni sopra accennate e di quelle ottenute durante la cam- pagna del « Porcupine » nel Mediterraneo, il dott. Car- penter conclude che in quel mare, tagliato fuori dalla circolazione oceanica verticale, le acque più profonde sono affatto stagnanti non solo, ma, per la natura geo- ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO, 207 logica del fondo, in condizione di veder eliminata anche la piccola quantità di ossigeno che potessero contenere in soluzione, « onde quelle acque abissali se- parate dall’ atmosfera da uno strato immobile d’ acqua dello spessore di molte centinaia di braccia sarebbe affatto inadatto al mantenimento della vita animale ». Dalle ricerche fatte valbordo pet. determinare la quantità di gas contenuta in saggi di acqua dal fondo, il dott. Carpenter trovò che, mentre nell’ Oceano la “quantità di ossigeno non era mai meno di 1/3, nel Mediterraneo essa non era mai più di 1/12, Il per cento dei gas in quei saggi fu trovato essere: ossi- geno 5, azoto 25, acido carbonico 60. Confesso però che, malgrado la mia grande deferenza pel dott. Car- penter, io credo che questi risultati, specialmente dopo che l'abbondanza di vita animale nel Mediterraneo è cosa provata, abbiano bisogno d’ulteriore conferma. Dopo quanto ho esposto sopra intorno ai risultati ottenuti dal dottor Carpenter nelle sue due campagne talassografiche nel Mediterraneo, non reca grande meraviglia il vedere V'illustre scienziato inglese giun- gere alla conclusione che la Fauna abissale manchi - o sia scarsamente rappresentata in quel mare, le cui maggiori profondità sarebbero per lui azoiche o quasi; ed egli trovò anche una conferma di quelle conclusioni nel risultato quasi negativo ottenuto dal dott. Oscar Schmidt nell’ Adriatico, ove al di là di r1so braccia la draga non ripescava che alcuni Foraminiferi ed il pseudo-protozoide Bathybius con Coccoliti. Anche questi mancavano nel fango tratto da grandi profon- dità nel Mediterraneo durante la campagna del « Shear- water »; onde, conclude il Carpenter, « Edward Forbes era perfettamente giustificato nella conclusione alla 208 PELAGOS. quale giunse 2 riguardo alla località che egli avea esplo- rato; e l’ unico errore che commise fu la supposizione che lo stesso caso si dovesse verificare per l’ Oceano ». Ma queste sue conclusioni non erano accettate da tutti i Naturalisti; ed io fra gli altri, mettendo in- sieme varii fatti ai quali mi pareva che il dott. Car- penter non desse sufficiente importanza, e conside- rando come le località per me migliori del Mediter- raneo non erano ancora state esplorate, non perdevo la speranza di arrivare un giorno ad un risultato af- fatto diverso; e mentre accudivo ai preparativi per la nostra prima, campagna talassografica, mi confortavo nel leggere la frase seguente pronunziata da un uomo competente come il dott. Jeffreys. nella interessantis- sima lettura da lui data nella primavera de 1881: « Colla più grande deferenza per l opinione emessa dal dott. Carpenter che la vita animale sia scarsa alle grandi profondità nel Mediterraneo, io vorrei rammentare che molto poco è stato previamente fatto per svelare la Fauna di quel mare al di la delle acque basse e litoranee, del limite raggiunto dal Forbes, cioè 230 braccia (1) ». Fu sullo scorcio del 1880, che di ritorno da una missione scientifica a Berlino, compiuta per incarico del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Ministero che, a me almeno, ha sempre dimostrato di prendere un interesse vivissimo nel progresso scien- fico: del paese, mi rivolsi a-S . ES) 400.» . . . I; 300» , : . . 135% :4 » 250) 70 . . . . 13% 14» 6 200 » , ) : e 13° 226 PELAGOS. Profondità Temperatura T50 metti. 13/87: 130/10» : . TA Si» IIOÌ ip > È ; È 174 RP SA), DO: . . . Ty no sio ; i : > TO 2/0 SOI . . ; . 19° 4 ” FO» - ; : ; 22% 4° 20)» i . . 23%. 67» IO » ; - ; . 25° E» Nel dopo-pranzo si scandagliò trovando fondo a 2540 metri (STAZIONE IX), con fango grigio-giallastro. Le reticelle durante la notte catturarono le solite forme pelagiche oceaniche più una giovane Coryphaena, vari giovani Scopelus ed alcuni Syngnathus phlegon. La mattina del 10 agosto si scandaglia in 2904 metri.e si stabilisce la STAZIONE Xin flat gi 38° N., Long. 7° 08° 54” E. Gr. Il gangano è calato alle 5,40 ant. (DRAGATA 11), alle 7 si termina di filare (3600 metri di cavo) ed alle 8,15 ant. s’ incomincia a salpare, il gangano giungendo a riva alle 11,15 ant. La rete era pulita di fango e leggermentre stracciata, essa conteneva un singolare e rarissimo Macruride il Coryphaenoides serratus di Lowe; ha il ventre nero e così la testa e l’ interno della bocca, con tinte vio- lacee ; il rimanente del corpo di color carneo; aveva gli occhi che schizzavano dal capo e lo stomaco in bocca, come quasi tutti i pesci tratti da grandi pro- fondità. Insieme a quel pesce interessantissimo trovai un Argyropelecus hemigymnus e tre giovani Gonostoma denudatum, presi forse a metà strada, oltre ad un Syn- ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 227 gnathus phlegon e due Pelagia noctiluca presi certamente alla superficie. Nella rete rinvenni un chele di Wil/e- moesia ed un disco di Brisinga probabilmente di due giorni innanzi. H vento da- N. O: :sî era-rinforzato ‘e vera mare grosso: Alle 2 pomeridiane venne stabilita la STA- zione XI a ponente della Sardegna in Lat. 41° 18° 2.04, Long. 6° 54502” E. Gr. lo scamdaglia accer- tava una profondità di 2805 metri, fango tenace. Alle 2,45 si calò il gangano continuando a filare sino alle . 4,25 (3400 metri di cavo) alle 5,50 s’ incominciò a salpare ed emerse il gangano alle 7,25. Fu un’opera- zione lunga, laboriosa e, col tempo che faceva, direi anche pericolosa; la rete conteneva un solo animale, ma altamente interessante: era un Coryphaenoides ser. ratus affatto simile a quello pescato la mattina. Alle 5,26 ant. si stabilisce la Stazione XII in lati- udine: sotto lN., Long 6° 44’ 40 E Grogalle 5,50 si cala il gangano al quale si sono rimesse le redazze tolte ieri. Lo scandaglio dava una profondità di 2908 metri; alle 7,40 si erano filati 3800 metri di cavo, alle 9,05 s’ incominciò a salpare ed alle 11 il gangano era a riva, ma affatto vuoto, evidentemente il mare essendo troppo agitato per permettere di dra- gare. Si dirige sopra l’isola di Mal-di-Ventre, ma non rischiarandosi il tempo e mantenendosi forte il mae- strale, dopo il tramonto si dirige al S. pel Capo San- dalo, e dobbiamo a malincuore rinunziare a conti- nuare il lavoro talassografico a ponente della Sarde- gna. La mattina del 12 agosto perdurando il cattivo tempo dobbiamo rinunziare anche al riparo precario del Golfo di Palmas e si dirige sopra Cagliari; al di là del Capo Spartivento troviamo relativa bonaccia. 228 PELAGOS. Alle 8 ant. siamo alla fonda di Cagliari e vi rima- niamo tutto quel giorno e la notte. La mattina del 13, si riprendono 1 lavori talasso- grafici presso il Capo Carbonara: alle 7,21 ant. si stabilisce la Stazione XIII in Lat. 39° 15/ 377 3”N., Long. 90 26' 37” 7°” E. Gr.; si scandaglia trovando 508 metri; la temperatura alla superficie è 23° s C., sotto a 300 metri 13° o C. Il gangano fu calato alle 7,35 filando 940 metri di cavo (DRAGATA 14); alle so è a riva pieno di cose interessanti, citerò in primo luogo un piccolo Macruride argenteo, a me allora affatto sconosciuto e che ritenni essere tipo di genere e specie nuovi. Ebbe poi da me il nome di Hymeno- A Hymenocephalus italicus, Gigl. (grand. nat.). cephalus italicus, ed è con piacere che ne do qui l’ ef- figie; ne ebbi poi vari da Messina; il dott. Ginther che ne ebbe uno anni fa da Nizza, lo credette il gio- vane del Malacocephalus laevis. Molti Palemonidi di un rosso intenso con grandi occhi reniformi, furono pure presi con altri singolari Crostacei affini alle Galathea ; varì Anellidi; un numero grandissimo di Aporrbais ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 229 serresianus, e l’ Amussium Hoskynsi; molte Terebratula, apparentemente la T. vitrea; una grande quantità di un Corallo (Isis hippuris?) a steli bianchi con brevi articolazioni. Nel fango rinvenni un becco di Cefalo- podo ed alcuni dei soliti gusci di Pteropodi. In questa Selniome"allero;5g7 ant (att 39° 036. 465,2" Na Long. 9° 27° 47” E. Gr.) si calò una seconda volta il gangano (DracaTA 15) in 656 metri filandone 1200 di cavo; alle 1,45 pom. è a riva colla rete un poco strappata, ma attraverso le sue maglie scorgo con gioia un magnifico e rarissimo pesce, ]’Hoplostethus mediterraneus, che con singolare emozione prendo an- cora vivo nelle mani; v' erano inoltre: 2 Willemoesia, sempre la medesima specie aftine alla I. leptodaciyla; queste erano grandi individui e ancora viventi; uno era dentro, l’altro fuori della rete; altri Crostacei tra cui molti dei soliti Palemonidi di un rosso intenso; alcuni Molluschi; vari Terebratula vitrea; due singolari Sipunculoidi; varie Spugne. Nel fango erano molti gusci di Pteropodi, di Carinaria, di Atlanta, frammenti di Madrepore e rottami di Terebratula ; v erano inoltre molte palle di Zostera rotolata, provenienti senza dubbio. da una spiaggia vicina e due pezzi di terracotta con sopra piccole Ostriche e Madrepore. Dirigemmo quindi per mezzogiorno e venne stabi- lita la StAzIonE XIV al S. dell’isola Cavoli in Lat. 39° orso sitou4N:, Rong;:9°.50/196 3/3 E Gr: Loiscan daglio indicò una profondità di 772 metri che aumentò poscia sino a $60; alla superficie il termometro se- gnava 25° 8 C., ad 840 metri sotto 13° 8 C. Il gan- gano, calato alle 3 pom., lavorò per circa mezz’ ora benissimo ; all’estremità del cavo metallico il coman- dante Magnaghi aveva avuto l’idea di aggiungere 230 PELAGOS. So metri di falso-braccio, e in questo modo non si videro più volte o cocche nel cavo; questa volta si filarono 1400 metri di cavo. Alle 5,25 pom. il gan- gano giunse a riva, e conteneva: 1 Macrurus sclero- rbynchus, uno dei pesci abissali più tipici; I W//emoesia; 5 Palemonidi dei soliti; 1 Cefalopodo; 1 Terebratula ; 2 Anellidi; molti singolari esseri appartenenti al gruppo delle Oloturie; il solito Corallo bianco (Isis hippuris?) ed alcune Spugne. Trovai nel fango alcuni gusci di e- rebratula, ma ciò che mi riempi di gioia fu la scoperta di alcuni lunghi filamenti vitrei, indubbiamente spicole di Hyalomena; ecco una nuova forma tipicamente abis- sale e sin qui esclusivamente oceanica, scoperta nel Mediterraneo. V’erano molte palle di Zostera ed al- cuni ciottoli in fondo alla rete. La notte misi in mare le due reticelle di tu//e, una alla superficie e l’altra calata con pesi a circa $ metri sotto; facero ampia mèsse ed alle forme pelagiche oceaniche già prese se ne aggiunsero altre come: Zoea, Erichthus, Squillerichthus, Atlanta, Cuvieria, Firola, ecc. La mattina del 14 agosto, si prese la posizione geogra- fica della Stazione XV: Lat. 38° 38' 04” N., Long. 9° 451 56; lo scandaglio indicava una profondità di 1600 metri con fango giallo. Alle 5,25 ant. si calò il gan- gano (DrAGATA 17) filando 2220 metri di cavo; la filata durò un’ora e so minuti, la salpata due ore e 20 minuti; il gangano lavorò per */, d’ora sul fondo e venne a riva alle 10,20 ant. ben pieno di fango te- nace. Portato in coperta e depostone il contenuto sul setaccio a tavola, su cui si faceva cadere l’acqua, prima con piccoli recipienti, poscia colla pompa, vi rinvenni: 1 Willemoesia; 2 Palemonidi e due altri Crostacei singolari affini alle Galathea; 2 Anellidi; al- ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 23I cune piccole Terebratula vitrea; diversi Lamellibranchi (Neoera costellata, Pholadomya Lòveni, Poromya granu- lata); alcuni Gasteropodi (Hela tenella); molti Dentalium agile; 1 Briozoide e, ciò che mi fece moltissimo piacere, una Hyalomena alla quale erano rimaste due deile lunghe e caratteristiche spicole. Il fango riportato, lavato e stacciato con cura si trovo assai ricco di conchiglie e frammenti di Molluschi, Brachiopodi, Pteropodi (Cleo- dora, Hyalea), Eteropodi, e Foraminiferi piuttosto grandi. LasiSrazione, XVI ivenne stabilità tra 1 “punti >. atas8t 50/268 1388 soft N, Long: 9*994 551 cao co E Gr; visi fecerocdue; drapatet Dra- GATA 18, in 404 metri, fondo fango arenoso; il gan- sanofaticalballe 2:35, ede emerse alle 3;56 pomgssi filarono 770 metri di cavo; venne alla superficie per- fettamente netto e vuoto, tra le maglie trovai soltanto un Alciopa, verme pelagico preso certo nel risalire presso la superficie. Si scandagliò per avere una spie- gazione del fatto strano e si trovò che il fondo era bruscamente saltato a 822 metri, onde il gangano non aveva potuto giungervi. DRAGATA 19, il gangano venne calato nuovamente alle 4,20 pom. in un fondo di 822 metri, fango gialliccio; alle 5,10 si terminava la filata dando fuori 1400 metri di cavo. Ma la giornata do- veva essere sfortunata: il gangano lavorò bene per un po’ di tempo quindi trovò ostacoli sul fondo, vi s’impigliò e dopo sforzi tremendi durante i quali l’ac- cumulatore si allungò a dismisura, venne a riva, ma in quale stato! L’asta superiore in ferro tubulare era spezzata, quella inferiore e tutto l’arnese contorto, la rete squarciata da cima a fondo e, naturalmente vuota; erano le 6,45 pom. Le reticelle di superficie ripor- tarono molti Isopodi cerulei (Praniza coerulata). 232 PELAGOS. All’alba del 15 agosto eravamo a metà strada tra i capi Ferrato e S. Lorenzo (Sardegna) e si stabili la STAZIONE: DVII inLat: 39° 23" 09” 027 one 40%534 i Ea Gr. Alle;35- ant. si calo ic apotne DRAGATA 20) in 412 metri, filandone 750; alle 7,38 esso venne a riva e anche questa volta affatto vuoto, si era ripetuto il caso di ieri ed il fondo essendo re- pentinamente cresciuto, non vi era giunto. Difatti scan- dagliando si trovò che eravamo in più di 1000 metri. Si preparò subito per eseguire una nuova dragata sulla medesima? Stazione, Lat. 39° 21/50” qN 3 Lonsatog 40" 08° 3°” E. Gr. DraGaTA 21; il ‘vangano' Wemat calato alle 8,55 ant. in una profondità di 1125 metri; si filarono 1700 metri di cavo, si drago per mezz'ora ed alle 11,40 l’ordigno ricompariva alla superficie; esso conteneva due pesci assai interessanti di forme carat- teristiche alla Fauna abissale, erano: un Ha/oporphyrus lepidion ed un Macrurus sclerorbynchusj; entrambi erano gonfi fino a scoppiare per la mancata pressione. È evidente che i Pesci che vivono a grandi profondità non possano oltrepassare certi limiti batometrici; e se ne escono, i gas contenuti nei loro corpi si dila- tano, spostano gli organi, squarciano i tessuti ed il pesce viene a galla morto o morente col ventre in su; così si sono presi sin qui i pochissimi Pesci abis- sali mediterranei che si trovano nei nostri musei. V° erano inoltre nella rete 5 Gonostoma denudatum giovani; 2 Willemoesia; 2 dei soliti Palemonidi e due altri Decapodi, uno affine alle Galathea; una Gefirea e due belle Hyalonema; questa è molto probabilmente la H. lusitanicum che alcuni ritengono non diversa dalla MH. mirabilis del Giappone. Io notai che nei miei esemplari le lunghe spicole del fascio radicale non ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 233 erano torte a spirale e in uno solo di essi vidi intorno alla base del fascio spicolare il noto Alcionario paras- sitico Palythoa; i miei esemplari sono inoltre tutti più piccoli di quelli giapponesi, essi erano molto probabilmente giovani. Dal fango in fondo alla rete trassi due becchi di Cefalopodo, frammenti di con- chiglie di Argonauta argo, di Cari- naria mediterranea, di Pteropodi diversi (principalmente però di Hyalea), di Pleurotoma nodulosa, di Dentalium agile e di Terebra- tula; v’ erano anche Foraminiferi discoidali. Quella sera ci avvicinanimo alla costa sarda (Capo Ferrato) e si stabili la Srazione XVIII in oo SSA. Long: 9° anio246/ E. (Gr.;.lo»scandaglio indicava una profondità di 381 metri, fango. Alle 2,25 pom..si calò la draga (DRAGATA 22) fi- lando 820 metri di cavo, dopo quindici minuti che si salpava il e cavo si tese facendo gran forza e poi mollò ad un tratto. Ricuperato il cavo trovammo che la draga era rimasta al fondo essendo troncate nette le due aste delle maniglie. La stessa sera il tempo era minaccioso ed il mare, al solito, agitato; calai però le due reticelle di tulle, una sopra, l'altra sotto la superficie; in esse trovai un frammento di Argyropelecus hemigymnus, una Gonostoma giovane, Pelagos. 16 234 PELAGOS. quattro Scopelus, due Leptocephalus stenops e varì altri pesci giovani. La mattina del 16 agosto si stabili la Stazione XIX in. Lat.-39% 401405 N.,Long.:9°* safe scandaglio indicava una profondità di 1553 metri, fingo giallo. Alle 6,5 ant. si calò il gangano (DRA- GATA 23), filando 2000 metri di cavo; il gangano la- voro perstre” quarti d’ora e venne a riva alle 9,30 ant. a metà pieno di fango; nella rete trovai: 1 Wil/emoe- sia; 3 Paiemonidi di Da. specie , il maggiore d’ un rosso intenso che coloriva pure i suoi fitti peli mar- ginali; 1 Terebratula. Nella rete rinvenni pure moltis- sime delle lunghe spicole di Hyalonema ed un fascio di esse coperto di Palythoa; alcune di quelle spicole erano lunghe 25 centimetri. Nel fango trovai tubi cal- carei di Anellidi, conchiglie e frammenti di Argonauta, di Carinaria, di Dentaliun agile, di Pteropodi (special mente C/eodora in quantità enormi), di Brachiopodi; e Foraminiferi abbastanza numerosi. Vi erano ancora palle di Zostera espezzetti.di ferro ve: di: carbane: Ci avvicinammo quindi alla costa sarda all’ altezza del capo Sferracavallo ; la STAZIONE XX venne stabi- lita ‘ini Lat. 39° 43/28” N, Long. 9* so 52 lo scandaglio diede prima una profondità di 623, poi di 856 metri, fango. Il gangano si calò alle rI ant. (DRAGATA 24), filando 2000 metri di cavo; alle 1,50 pom. si trasse alla superficie, e giunse con buona dose di fango giallo pieno di noduli di argilla azzurrina; conteneva 2 Willemoesia, sempre la medesima specie; I Hyalonema giovane; e inoltre 3 Anellidi trasparenti con pinna caudale come le I, e 4 Gonostoma gio- vani, presi evidentemente nel venir su. Il fango con- teneva frammenti delle parti dure di: Dorocidaris, Ar- ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 235 gonauta, Molluschi, Pteropodi (Cleodora e Hyalea in numero sterminato), Briozoi, e alcuni Foraminiferi. Tra i Molluschi, il dott. Jeffreys trovò le seguenti specie: Malletia obtusa, Amussivim Hoskynsii, Axinus planatus Jeftr. sp. nov., Neoera obesa, Trochus Ottoi, Scaphander punctostriatus, Cylichna ovata, Dentalium agile. Dopo questa dragata ci approssimiamo ancora alla costa e si stabilisce la Stazione XXI in Lat. 39° 49° 40” N., Long. 9° 49’ 08” E. Gr.; lo scandaglio indica, 60 metri, sabbia e ciottoli; si affonda la draga alle 3,5 pom. (DraGATA 25), filando 340 metri di cavo; alle 4,20 si ricupera dopo una resistenza assai tenace. La draga viene su completamente sconquassata, come se un’enorme massa di scoglio lo fosse caduta sopra; evidentemente la draga, anche quella perfezionata dal Sigsbee, non è arnese sempre adatto per le pesche abissali e litoranee, almeno nel Mediterraneo ; ed il comandante Magnaghi ed io, dopo queste cattive prove, veniamo alla decisione di non più adoperarla; anzi il Comandante pensò subito al modo di surrogarla con uno strumento più pratico e sopratutto capace di re- sistere ai fondi rocciosi così frequenti nei nostri mari, ovvero di non seppellirsi nel fango appena giunto sul fondo, come avviene delle draghe usuali ove non sono scogli. In questo caso non si trattava di una dragata abissale, onde dirò soltanto che tra le Alghe prese dalle redazze era un buon numero di Crostacei, Mol- luschi, Echinodermi e Briozoi; tra i primi erano al- cune Galathea, tra i secondi la Psammobia costulata. Volendo fare qualche pesca in quei paraggi, alle 6,45 pom. si calò il gangano in 395 metri di profon- dità, fango ; si filarono 640 metri di cavo. La tem- 236 PELAGOS. peratura alla superficie era 25° C., a 340 metri 14° C. Questa: è la Snazione XXII, Lat.+39% 587300 Long. 9° 48’ 08” E. Gr.; ed è la nostra DRAGATA 26. Era già buio quando si incominciò a salpare ed alle 8,50 pom. il gangano apparve in mezzo ad una splen- dida fosforescenza scintillante; si vide subito che aveva lavorato bene ed alla luce di varî fanali estrassi dalla rete: 1 Chlorophthalmus Agassizi, singolare pesce abis- sale con grandi occhi di un verde smeraldo; 1 Gadi- culus argenteus; 6 Terebratula vitrea, grossi e splendidi esemplari; Palemonidi moltissimi di almeno due specie; due Crostacei affini alla Galatbea; altri Decapodi bra- chiuri e macruri a me ignoti; varî Molluschi tra cui ol- tre 100 Aporrhais serresianus e qualche Pecchiola granu- lata, Neoera abbreviata, Amussium Hoskynsi e Axinus orbiculatus; 3 Anellidi; 3 Echinus di un bianco roseo; 2 Ophiocoma?; 2 Virgularia? giovani; 6 Spugne. Il fango conteneva le solite palle di Zostera che furono per noi sempre un indizio sicuro di una ricca dra- gata; era poi tutto una massa di gusci di Pteropodi, specialmente Cleodora e Hyalea; i primi pungevano terribilmente le dita quando si maneggiava il fango; mi fece sorpresa questa singolare abbondanza di con- chiglie di Cleodora sul fondo del Mediterraneo, ove con poche altre specie debbono formare uno strato non piccolo, mentre colle reticelle ne prendevo ben di rado. V’erano inoltre conchiglie di Molluschi morti, aculei di Dorocidaris e astucci di Anellidi. Quella notte le mie reticelle di tulle, poste come al solito, catturarono 2 Scopelus Humiboldti giovani, un altro pesce giovane forse il Paralepis sphyraenoides, e un numero stragrande delle forme pelagiche co- smopolite. ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 237 Durante la notte avevamo fatto via al N. e la mat- tina del 17 agosto eravamo poco sopra l’altezza di capo Comino (Sardegna). Si stabili la Stazione XXIII, in atto 32/016" Non! 10° 12" 36" VE: Gr. Do scandaglio indicava 940 e poco dopo 514 metri. Si affondò il gangano alle 5,25 ant. filando 1950 metri di cavo (DRAGATA 27); alle 7,40 ant. s’ incominciò a salpare, ma il gangano offriva una resistenza grandis- sima, ed evidentemente era preso in qualche scoglio; ma ciò che rendeva la cosa ancora più grave era che anche il cavo d'acciaio era preso; io prevedeva una grave avaria con perdita del gangano e di almeno un migliaio di metri di cavo; ma il signor Chierchia ed il comandante Magnaghi non si scoraggiarono, il « Washington » venne maestrevolmente manovrato ed alle 12,40 pom. si ricuperò il tutto. Il gangano era un poco strappato ed aveva svelto dal fondo alcuni frammenti di una roccia bigia-azzur- rina, di una durezza quasi metallica; la rete conteneva varie CaryophyIlia? viventi, ed i frammenti di un Anel- lide. Se quelle Madrepore sono, come sembra, specie abissale, è singolarmente interessante l’averle pescate nel Mediterraneo in una profondità relativamente piccola. Alle 3 pom. dopo di aver percorso un certo tratto a tutto vapore si stabili la Stazione XXIV in Lat. 40° pi 08 N Long..10%40%055 E Gr.s siiscandaslio trovando una profondità di 1790 metri, si adoperò questa volta il nuovo scandaglio dal comandante Ma- gnaghi, con forte presa di fondo in senso verticale, ed esso venne a riva con un grosso e lungo cilindro di fango tenace pieno zeppo di Conchiglie, di Molluschi e Pteropodi, e tra le prime si trovò un bellissimo Trochus Ottoi; siamo sulla linea tra capo Comino e 238 PELAGOS. I’ isola di Ponza. Calato il gangano filando 2500 metri di cavo (DRAGATA 28), lavorò sul fondo 45 minuti e venne tratto alla superficie alle 6,55 pom. Il gangano aveva lavorato bene, ma disgraziatamente aveva fatto l’incontro di qualche scoglio e la parte inferiore del sacco era squarciata, onde venne su affatto vuoto; preso nelle maglie era un Alciopa ?, Anellide pelagico. Le reticelle di tulle calate la sera nel solito modo, presero le solite forme pelagiche oceaniche, più un giovane Exocoetus Rondeleti, un Chauliodus Sloani gio- vane pure, ed uno Scopelus Humboldti. Il 18 agosto mattina si stabili la Stazione XXV in Lat. 40° 44° 40” N., Long. r1° 22’ 00”E.;0lo!scane daglio indicava una profondità prima di 2390, poscia di 2188 metri. Alle 7,20 ant. il gangano venne calato (DRAGATA 29), si lasciò lavorare per 2 ore e mezzo, ed alle 1,30 pom. era a riva. Fummo spiacevolmente sorpresi nel vederlo netto di fango e quasi affatto vuoto. Non conteneva che un Palemonide di un rosso in- tenso e tre conchiglie morte di Hyalea; forse era stato salpato troppo velocemente. Quella mattina si fece una serie termometrica assai interessante : Profondità Temperatura IO: TMEtri< patti o a 4 ARIAS UE 1400 Delta i SUE Lg 600°. bici WERE OLII F80r e ad RL ARE UT 2860: sui 14 30) I adi asi» r90: Cgil, REL 90, OTT 100 Pi init RS EVE A 80 ovaio SAMI 0409 607: Oni RI Ae 7 RITI ES i ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 239 Profondità Tempeeatura FONTI) CELERE RE e 0 SL Si 20 330 SALIRE E LT RZ O » Rolf > 00: Re MPI E SAMIR” i Se), Salpato il gangano dirigemmo a tutta forza verso levante, ed alle 2,50 pom. si calò nuovamente in 2247 metri, fango. La Srazione XXVI venne stabilita alle 3620 pom. in Lat. 40%044/20%N:L'ongs11%%39722% E. Gr; era la DraGATA (30. ‘Si ‘filarono 3200 metri. di cavo sino alle 5,35 pom.; alle 5,55 pom. s° inco- minciò a salpare. Il vento era gagliardo e a raffiche ed il mare molto agitato; il gangano faceva uno sforzo tremendo e per qualche tempo si temette di perderlo insieme a forse 3000 metri di cavo; per fortuna, anzi per merito di chi manovrava, ciò non avvenne, ma allorquando comparve fuori dell’ acqua il nostro gan- gano ci presentò una nuova forma di avaria: la rete era strappata tutto intorno alla bocca ed era avvolta in giro al salmone (peso) in fondo. Evidentemente era stata presa una grande quantità di fango ed il peso troppo forte aveva cagionato il danno. Il fango rimasto in fondo alla rete non conteneva animali viventi, ma una quantità enorme di gusci di Pteropodi ed alcuni indi- vidui di Dentalium agile e Pleurotoma nodolosa. Quella sera cala! le due reticelle coll’ usuale successo ; oltre le ben note e citate forme pelagiche, vera una Pe- loria Haeckeli?, una Spirialis ed un curioso Radiolario? Il 19 agosto si stabili la Srazione XXVII in lato a0/6 "N; Long..122/34 00" 3EzGr lo scandaglio indicava 3115 metri con fango. Alle 10,30 ant. si calò il gangano, filando 4000 metri di cavo sino alle 12,20 pom.; alle 2 pom. s' incominciò a sal- 240 PELAGOS. pare e si durò sino alle 4,05. Questa era la Dra- GATA 31 e ci contavo molto, ma quale fu la mia sor- presa nel vederlo emergere affatto pulito e vuoto, seb- bene vi fossero indubbie traccie di fango sullo scafo! in fondo alla rete era un osso di Sepia e vari pezzi di pomice; nella maglie della rete erano 4 Anellidi trasparenti, che di certo direi pelagici. Quella mattina si fece un’altra interessante serie di osservazioni termometriche : Profondità Temperatura ZOSO MELI o 240 AI DOO: A AAT de sl ge FOOD se RITI 0 I SOLO a gi oa è e O O AGOS ID E drei it, Se) I SOA DOOR Dia lle a EI IO ISO (gl i A 100 CO AO I PT 0) ONION ci SOI Ln, CORSO LAI INIT ZORO, Lo, SUE SO O ODI i sn PZA O Era importante per noi di poter stabilire il punto più profondo in questa sezione del Tirreno, e a tutta macchina dirigemmo pel luogo ove era segnata sulla carta una profondità di 3700 metri, scandaglio fatto credo dal « Gettysburg » comandante Gorringe; vi ar- rivamo circa alle 7 pom. Alle 7,20 pom. si stabili la Stazione XXVIII (per solo scandaglio) in Lat. 40° 10°:13%.N.,; Long.+12°:26%.00", EuiGr;: Golsaninabile ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 24( apparecchio per scandagliare del comandante Magnaghi si trovò la profondità essere 3630 metri; la maggiore trovata durante la campagna del « Washington ». £Essendovi un guasto nelle rotelle delle puleggie per filare e salpare il gangano, non si poteva più dragare e dirigemmo sopra Napoli, ove si poteva fare pronta- mente eseguire qualsiasi riparazione. Il 20 agosto alle 9 ant. ci ormeggiammo nel porto militare di Napoli, ove restammo a tutto il 25. Scrissi subito al Nature di Londra annunziando le ulteriori nostre scoperte. dopo aver lasciato l’ Asinara, e quella mia lettera venne pubblicata nel fascicolo del 25 agosto (p. 381). A Napoli ebbimo lieta accoglienza da tutti, ma ci furono specialmente gentili quelli della Stazione Zoo- logica i quali prendevano vivissimo interesse alle nostre ricerche;-il dott. Eisig ed. il cav. de Petersen vennero a bordo e furono altamente soddisfatti dell’e- same che fecero dei nostri apparecchi, dei nostri at- trezzi e dei nostri strumenti, nonchè del loro collo- camento a bordo. Durante il soggiorno a Napoli, oltre alla riparazione alle puleggie, si fecero costruire uno scafo di gangano e tre daghe della forma ideata dal comandante Magnaghi. La mattina del 26 agosto il « Washington » lasciava il porto militare di Napoli; giunti sull’ entrata del Golfo, a circa il primo terzo della linea tra Capri ed Ischia, vicino a Capri, ci fermammo per stabilire la Stazione: XXIX «in. Lat.::40%:37%:32"%N., Lons..145 09’ 52” E. G.; lo scandaglio indicava da 430 a 407 metri, fango. Si trattava di provare la nuova draga del comandante Magnaghi, tutta di ferro, fusiforme e colla rete sospesa entro una specie di gabbia; con tale forma si doveva evitare la possibilità di una presa 242 PELAGOS. tra scogli sul fondo, con grave rottura o perdita del- l'attrezzo, e si riparava al pericolo di una squarciatura della rete; intorno a questa draga erano appese quattro redazze della forma usuale. Alle ro,1o ant. si calò dunque la draga Magnaghi filando 600 metri di cavo (DrAGATA 32); si fece la- vorare circa una mezz'ora ed alle 12 essa emerse; la draga aveva lavorato bene, ma ci accorgemmo che la rete che occupava meno della metà dell’ interno dello scafo era troppo corta. Tra le prese fatte si ebbero viventi: un uovo di Seyllium; steli di Pavonaria qua- drangularis, il Corallo bianco (Isis hippuris?) già pescato altrove ed un Asteropecten. V° erano poi conchiglie di Molluschi e di Pteropodi morti ed alcuni frammenti che a primo aspetto sembravano pomice, ma che poi mi parvero essere gli scheletri arrotolati di certe Spugne silicee già pescate dal Petersen fuori delle isole Galli nel golfo di Salerno a profondità tra 120 e 140 metri, e che non furono ancora trovate viventi. Fatta la correzione alla rete della nuova draga, ci avvicinammo assai a Capri, quasi dirimpetto alla « Grotta Azzurra » e si calò nuovamente; lo scan- daglio diede prima 360 e poscia 159 metri onde il fondo era in questo punto assai accidentato. Calammo alle 12,50 pom., filando 550 metri di cavo (Dra- GATA 33) ‘alle 2,30-la. draga. ‘era ai riva; essa aveva lavorato stupendamente, e quando comparve, la rete era colma di fango e le redazze cariche di animali o dei loro frammenti. Avevamo preso: un altro uovo di Scyllium; dei Palemonidi; un Decapodo brachiuro; una piccola Terebratula; varì Anellidi, varî Asteropecien, un Ofiuridea e varie Pavonaria quadrangularis. Fra i frammenti trovai conchiglie di Molluschi (Pholadomya ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 243 Loveni e Dentalium dentalis), di Pteropodi e di Bra- chiopodi e qualche Madrepora. La Srazione XXX venne stabilita in Lat. so° 26° gaUeNitiLong. 14°"07 eg Es Gr., giacchè per varie ragioni io desiderava fare una dragata abissale all’en- trata del Golfo di Napoli; infatti al punto indicato, e sempre in vista di Capri, noi trovammo una profon- dità di 1070 e 1074 metri. Alle 4,30 pom. si calò il gangano (DRAGATA 34), filando 1500 metri di cavo ; si lasciò lavorare per tre quarti d’ora ed alle 6,50 pom. . il gangano ritornava a riva; fummo però poco fortu- nati stavolta, il peso (salmone) collocato al fondo della rete si era attraversato sulla bocca di essa onde il gangano non aveva potuto lavorare ed era tornato su affatto vuoto; questo era dispiacevole giacchè in quel punto speravo poter prendere qualche specie in- teressante, particolarmente tra i Pesci abissali, e non potevamo allora ripetere la dragata. Si fece rotta al S., l’intera notte a tutta forza. La mattina del 27 agosto, in calma perfetta di mare si stabili dla Stazione: XXXI: in Lat. 39° 20° 028” N, Long. 13° 10° 38” E. Gr., lo scandaglio indicava una profondità di 3624 metri, fango; il gangano venne calato alle 5,35 a. m. filando 4500 metri di cavo, questa operazione durò sino alle 8,10 ant. Nel mentre il gangano lavorava sul fondo, io scesi col Coman- dante in una lancia per fare pesca alla superficie, cosa che la bonaccia di mare rendeva molto agevole: tro- vammo la superficie del mare tutta seminata di bellis- sime Velella e Porpita, mentre a pochi centimetri sotto si scorgevano in quantità le masse sferoidali od allun- gate di uno dei Collozoi o Talassicolle, e di tratto in tratto alcuni Eteropodi nudi di cui predai due specie, 244 PELAGOS. una forse riferibile al genere Pterotrachea; Vl’ altra assai grande, incolora e trasparentissima, mi è incognita; si presero inoltre varî dei soliti Crostacei pelagici; erano tutte forme a me ben note per averle, con una sola eccezione, pescate ripetutamente al largo nei grandi Oceani durante il viaggio della « Magenta ». In questa pesca provammo con buon esito la nuova e grossa rete da superficie guernita con un vaso di vetro in fondo al sacco, in cui si raccolgono gli animali presi. S' incominciò a salpare il gangano alle 9,25 ant. ed esso venne a riva alle 12,5 pom.; ho dato tutti questi ragguagli giacchè questa, la nostra DRAGATA 35, fu la più profonda che si fece. Con una ansietà facile a comprendersi assistevamo sul castello di prora alla comparsa del gangano ; subito vedemmo che aveva la- vorato a dovere ed il fondo del sacco era disteso con una buona quantità di fango tenace, giallo ed azzurro, nel quale i gusci di Pteropodi erano talmente nume- rosi che si avvertivano colle dita. Stacciatolo con cura ne trassi i seguenti animali viventi: otto singolari ani- malucci coi caratteri riuniti di Gefirei e di Oloturidi a me affatto nuovi e di cui non saprei per ora nep- pure indicare la classe in modo approssimativo; erano certamente viventi nel fango del fondo ed il loro corpo è in gran parte ricoperto da curiose appendici vitree a forma di tromba, colle estremità dilatate in fuori e molto decidue ; tre dei soliti Palemonidi di un rosso intenso e tre Anellidi i quali erano però nelle maglie della rete. Questa dragata era altamente importante, giacchè ci provava in modo positivo la esistenza di vita animale anche alle maggiori profondità del Me- diterraneo. Il fango raccolto in questa occasione era gremito di migliaia e migliaia di gusci di Pteropodi ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 244 specialmente appartenenti ai generi C/eodora e Hyalea, lavato il fango rimasero come un mucchio luccicante e pungente sul setaccio; verano mescolati alcuni frammenti di /anthina e di Argonauta, molte conchi- glie di Carinaria ed alcuni Foraminiferi. Questa fu una giornata campale per le nostre ricerche talassografiche, e col tempo splendido che faceva si fecero tutte le osservazioni indicate. Dalle 11 ant. alle 3,40 pom. si fece una bella serie di osservazioni ter- mometriche coi risultati seguenti: Profondità Temperatura QRBIELEIA pugr 2:08 a ie AM 20 Viento loader 30 Miao agio $0 odi nere aa ROSSE SO SESTRI III IRE 100 Di i lena DE IA Sand 150 Dese eli RARI 200 alt uil i ug Avo pare EAO 3 DI SCO 4 I agg — Aengrd 08» LO One edite 44215 SOG pe gar at era MIE 9 600 Diga at pet ind TAO GOD cls ri p 1000 med n RUI 1500 ORRENDO STRO IVO. 2500 Va AVE ARRE LL 3: 3 3550 » PIAN NR 10 IP In ETT I3° Furono inoltre raccolti saggi d’acqua a varie pro- fondità coi nostri idrofori. Infine, terminate le opera- zioni del dragaggio, ancorammo il « Washington » in 246 PELAGOS. 3624 metri, adoperando un ancorotto guernito di un sacco di tela come raccomanda il Buchanan, e usando il cavo d’acciaio; credo che ben pochi bastimenti, se pur ve ne furono, abbiano ancorato in una tal fonda! Si fece questo per poter eseguire alcune osservazioni sulle correnti, e ciò venne fatto dal tenente di vascello sig. Marcacci, il quale trovò che dalla superficie sino a IO metri sotto vi era una corrente in direzione di S.-E. con una velocità di 1200 a 1300 metri all’ora; a circa IJOO. metri sotto vi. era. pol una «corfentesim senso opposto (N.-O.) con una velocità di 150 a 200 metri all'ora; e circa 500 metri sotto nessuna corrente era percettibile. Salpando l’ ancorotto si riportò alla superficie nel sacco annesso una bella quantità del fango profondo di color azzurrino, mentre quello su- perficiale è giallognolo; questo fango azzurro è tena- cissimo ed in apparenza affatto azoico, non contenendo neppure i gusci di Pteropodi così numerosi nello strato superficiale. La mattina del 28 agosto eravamo presso le Egadi, avendo fatto buon cammino durante la notte. Alle 6,25 ant. sisstabilila-Stazione XXXI’ in Lat. 38005 teN Long. 11° 59° 4o” E. Gr.; lo scandaglio indicava una profondità di 400 metri, sabbia e fango. Venne subito calato il gangano, filando 760 metri di cavo (Dra- GATA 36); alle 8,20 ant. il gangano era a riva; esso aveva lavorato ottimamente e riapparve pieno di fango giallo mescolato con sabbia; impiegammo quasi 4 ore a stacciarlo, e vi. trovammo una>scoria di carbone piena di Foraminiferi, e tra gli animali viventi: 1 Ar- gyropelecus hemigymnus; varì Decapodi brachiuri piccoli; due specie di Palemonidi chiari, ma rossi; 3 Pagurus; 2 Tunicati; varie Terebratula vitrea; 6 Dorocidaris pa- ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 247 pillata; 2 Echinus di un rosso chiaro; 5 Spatangoidi grigi i quali posti nell’alcool si colorarono di un verde pisello; 2 Ophiocoma?; e, ciò che mi sorprese non poco, quattro di quei singolari esseri affini ai Gefirei pescati il giorno innanzi in 3624 metri! V° erano an- cora diversi Anellidi; vari Molluschi, tra cui: Phola- domya Lòveni, Turbo filosus, Pecchiolia granulata, Pleu- rotoma nodulosa, Defrancia convexa Jett. sp. nov., Murex vaginatus, Leda messanensis, Limopsis minuta, Defrancia torquata, Actacon pusillus, Addisonia eccentros; Spugne. silicee di forse due specie e qualche Madrepora di due specie. Ira gli avanzi notai molte conchiglie di Molluschi di molte specie, di Brachiopodi, di Ptero- podi, qualche Briozoario e molte Madrepore. Fu una ricca dragata, interessante pel fatto di aver trovato una specie SD vive in profondità che differiscono di 14 metri luna dall’altra !! A tutto vapore ci portammo al S. di Marittimo ed alleBemiantst stabili la STAZIONE XXX HUK-intEat.37° oo Longa 3 1g E Gr; loxscandaglio cIcliede'umna, profondità di. 823 metri scvalle To, siga vm. era stato calato il gangano, che si ricuperava alle 1,40 pom.; avevamo filato 1300 metri di cavo e questa era la DraGaTA 37. Il gangano ricomparve però affatto vuoto; evidentemente non aveva toccato il fondo; sic- come però la località era sommamente interessante ed essendo questa l’ultima nostra stazione talassografica in questa campagna, si decise di ritentare subito la prova. Alle 1,50 pom. il gangano venne calato di nuovo in una profondità che da 823 metri passò a 760, fango; si filarono 1500 metri di cavo (Dra- GATA 38), ed alle 3,55 pom. il gangano era salpato; la posizione geografica, e alle 1,47 pom., 248 PELAGOS. risultò ‘essere vin. Lat:t3y? 52 55° Ng Lona sano: 40°” E. Gr. La:fortuna stavolta ci sotrise e fulcon gioia grandissima che tolsi dalla rete i seguenti inte- ressantissimi animali: 2 Macrurus sclerorbynchus, adulto e giovane; 1 Hymenocephalus italicus, simile affatto a quello pescato alla Stazione XIII, il 13 agosto, era una femmina colle ovaie sviluppate. V’era ancora un Arnoglossus Boscii e dei bellissimi Crostacei Decapodi, tra cui I Nephrops o forma affine, 6 Palemonidi dei soliti di un rosso intenso; 5 Granchi affini alle Ama- thia, 3 Pagurus; 2 Terebratula vitrea; varì Molluschi tra cui la Lamellaria perspicua, il Fusus rostratus ed una Scrobicularia apparentemente nuova; 4 Oloturidi di forma strana e di due specie; un Sipunculoide; una Plumularia?; e molto Corallo bianco, Ists bippuris? Con questa dragata si chiuse splendidamente la nostra esplorazione abissale per quest'anno. L’indomani eravamo a Sciacca e tra il 29 agosto ed il 2 settembre si esplorarono, con dragaggi al disotto di 200 metri, 1 bassofondi coralligeni tra la Sicilia e Africa; visitammo Pantellaria e Selinunte. La sera del 2 settembre si intraprese il viaggio di ritorno, e dopo una rapidissima traversata del Tirreno, il « /Wa- shingiton » entrava nel porto di Genova alle 6,30 ant. del 6 settembre. Poche ore dopo sbarcavo e prendevo la via di Firenze. Ho così rapidamente tracciato le vicende del nostro viaggio e narrato in modo succinto la storia della prima campagna talassografica italiana; ripeterò qui che questa mia Relazione in tutto ciò che si riferisce alle specie pescate, non è che un lavoro preliminare, giacchè non ho avuto il tempo di studiare che una parte degli animali raccolti, la cui determinazione non ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 249 sane breve ne? iacile te: ‘dovrà esserevil lavoro» di diversi specialisti. Onde, colla eccezione di forme ben note e facilmente classate, dei Pesci studiati da me e dei Molluschi studiati dal dott. Jeftreys, debbo dichia rare che i nomi dati non sono che provvisori ed ap- prossimativi. Io sono però persuaso che il carattere atlantico, anzi oceanico, della Fauna abissale del Medi- terraneo verrà ampiamente confermato quando tutte le specie raccolte saranno determinate; del resto quando vediamo la Fauna pelagica superficiale nel Mediter- raneo, la quale vive in un ambiente che subisce le in- fluenze solari, ed è perciò in condizioni termiche va- riabilissime, con caratteri prettamente oceanic', noi non dobbiamo essere sorpresi di vedere la medesima uniformità estendersi alla Fauna abissale che abita re- gioni nelle quali ben pochi sono i mutamenti. In quanto poi alla disposizione batometrica delle Faune pelagica ed abissale nel Mediterraneo io sarei per ora dell'opinione che la prima si estenda sin dove agi- scono i raggi ed il calore solari, cioè a tutto lo strato con temperacura influenzata dalle condizioni termiche esterne. Meno facile assai sarebbe il dare ora un’ opi- nione sui limiti in senso batometrico della Fauna abis- sale; certo che il fatto, più volte accertato durante la campagna del « Washington », che anche in profondità relativamente piccole si ponno trovare animali abissali che abitano ancora a profondità anche otto volte mag- giori, è di singolare importanza; esso però sarebbe, secondo me, spiegato dalle condizioni quasi uniformi di temperatura nelle acque di questo mare al di là di una profondità di 250 a 300 metri. Dalle nostre osserva- zioni risulterebbe che nel Mediterraneo la Fauna abis- sale può già essere rappresentata in profondità tra 400 " Pelagos. 17 250 PELAGOS. a goo metri; al di là, i suoi limiti sono determinati da quelli a cui giunge la profondità in quel mare, che credo non superi di molto i 4000 metri. Tra i membri della Fauna abissale vi sono certamente ani- mali natanti e tra essi dei Pesci; sarebbe altamente interessante il poter determinare in quali limiti essi possono muoversi in senso verticale. Io ritengo at- tualmente che tali limiti esistono; e ne sono una prova le condizioni nelle quali quei Pesci giungono alla su- perficie quando presi col gangano, ed il fatto che i pochi esemplari rinvenuti di tempo in tempo sono sempre stati trovati galleggianti col ventre in su, se- mi-vivi o morti; di quei pochi da noi presi il solo Hoplostethus dava ancora segni di vita. Il numero degli individui delle specie appartenenti alla Fauna abissale, in altre parole la densità della popolazione animale a grandi profondità è un altro problema in- teressante; io sarei d’ avviso che nelle località fa- vorevoli quel numero deve essere considerevole, e deduco ciò dal fatto della -presa di varì Pesci. vedi molti altri membri di quella Fauna in un solo colpo di sangano, essendo questo un piccolo attrezzo ed essendo ben poca cosa la striscia esplorata durante una dragata usuale. Il quesito della esistenza di una zona di mare, di uno strato intermedio, che potrebbe essere azoico, tra gli strati popolati dalle Faune pelagica ed abissale, venne già agitato durante il viaggio del « Challenger »; ma sinchè non avremo un congegno da pesca pratico, da potersi calare ad una data profondità, far lavorare in quella regione e chiudere completamente al mo- mento in cui s' incomincia a salpare, noi non potremo risolvere in modo soddisfacente quel quesito; io però ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 251 sin da ora sarei disposto a credere che un tale strato azoico intermediario tra le due Faune esista. Ritornando ai risultati ottenuti durante questa prima campagna talassografica del « Washington », sono lieto di poter affermare che essi sono altamente soddisfacenti. Lo scopo della nostra esplorazione fu ampiamente rag- giunto, e ritengo che ora nessuno più porrà in dubbio la esistenza di una Fauna abissale nel Mediterraneo. Di una tale vittoria permettetemi di dire che sono lieto e superbo e che tutti noi Italiani dobbiamo esserlo; e. non va dimenticato che la campagna di quest'anno del « Washington » non poteva considerarsi che come una esplorazione preliminare, giacchè noi tutti eravamo affatto nuovi nel maneggio degli attrezzi e nella ese- cuzione di operazioni difticili e delicate come sono quasi tutte quelle della esplorazione abissale; di soprappiù avevamo un tempo assai limitato per eseguirle e, per singolare eccezione, un mese d’agosto sempre con mare agitato e vento fresco. Nutro però la fiducia che questa esplorazione dei nostri mari a grandi profondità, che in sì breve tempo ha dato così importanti risultati, non rimarrà allo stato iniziale, ma sarà condotta a pieno compimento. Le spese abbastanza rilevanti, per prov- vedere gli attrezzi e gli strumenti necessarî sono ormai state fatte e ben poca cosa occorre per compiere l’ im- portante lavoro; il « Washingion » è ora ampiamente provvisto di tutto il necessario per quella esplorazione, e colla esperienza acquistata noi siamo in grado di pro- seguire con maggiore e crescente successo; onde sarebbe davvero vergognoso il rendere inutili costosi apparecchi ed il lasciare in parte insoluto un’ importante problema la cui completa soluzione è ormai un dovere per l’ onore scientifico ed il decoro del nostro paese. 252 PELAGOS. Non mi rimane ora che ad esprimere pubblicamente la gratitudine che sento verso i dicasteri e le persone i quali hanno reso possibili queste ricerche da me per varì anni vivamente desiderate: ai Ministeri di Agri- 4 i s 3: 2 5 3 Ò coltura, Industria e Commercio e della Marina i quali d’accordo contribuirono i mezzi necessari; all’ Onore- vole Miceli, il quale pel primo accolse favorevolmente la mia domanda; all’ egregio comandante Magnaghi, il quale fece più di ogni altro per attuare queste esplo- razioni; infine allo Stato Maggiore ed anche all’equi- paggio del « Washington » rendo sentiti ringraziamenti per l'interesse preso e la continua e cordiale coope- razione prestata ai miei lavori (1). (1) Questa Relazione venne comunicata all’ adunanza plenaria del III Congresso Geogratico internazionale, il 19 settembre 1881; e fu poi stampata negli Atti di quel Congresso. ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 2553 108 Seconda campagna del R. piroscafo « Washington ». (Agosto-Settembre 1882). Ostacoli imprevvisti — Morte di Sir Charles Wyville Thomson — Il « Challenger Office » ad Edinburgo — Colloquio col dott. Carpenter — I Naturalisti del « Tra- vaillenr » — Precarie condizioni per le nostre ricerche talassografiche — Rhombus diaphanus — Il Bathophilus nigerrimus — Lampedusa e Lampione — Dragate nel mare africano — Delfino singolare — Microcarbo pygmaeus — Dragate abissali — Il Paralepis Cuvieri — Come si fanno le roccie a 1500 metri sott acqua — Un Serpente di mare! — Idrografia versus talassografia — Linea di scandagli tra Ta- volara e Montecristo — Fine. Non dirò qui che in modo molto succinto delle vi- cende che ridussero ai minimi termini la campagna talassografica nell’estate del 1882, ai preparativi della quale il comandante Magnaghi e lo scrivente avevano lavorato con entusiasmo affinchè riuscisse degna e mi- gliore della prima. | Dopo il voto solenne esplicito ed unanime (1), dato dal III Congresso Geografico internazionale a Venezia perchè le ricerche talassografiche nel Mediterraneo fossero continuate e condotte a termine; voto motivato (1) < Il Presidente mette quindi ai voti la seguente proposta : » Il Congresso esprime il voto di vedere continuare con energia gli studi così bene iniziati dai signori Magnaghi e Gigluoli ». « La proposta è approvata ad unanimità ». (Vedi Terzo Con- gresso internazionale Geografico, Venezia 1881. NoTIZIE e REN- DICONTI, vol I. p. 367, Roma, 1882). 254 PELAGOS. da una mozione del colonnello A. Ferrero, appog- giata dall’onorevole John Ball delegato della Società Reale di Londra al Congresso, il quale volle prendere la parola nell’adunanza plenaria del 19 settembre 1881 per congratularsi coll’Italia a nome di quell’ illustre Consesso, che ha fatto tanto per promuovere le. ri- cerche talassografiche, pel successo ottenuto durante la prima campagna del « Washington »; rimase cosa intesa che le esplorazioni così felicemente cominciate non fossero interrotte. Il Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio aderì perciò di buon grado al mio imbarco sul « Washington » ed a sostenere le spese necessarie perchè io potessi continuare le ricerche biologiche e più specialmente quelle abissali; dal canto suo il Ministro della Marina non si mostrò alieno a che circa un mese della campagna idrogra- fica estiva del suddetto R. piroscafo venisse anche nel 1882 dedicato ad esplorazioni talassografiche. Questo era lo stato delle cose allorchè ebbi dal R. Governo l’ incarico di recarmi ad Edinburgo per visitare allo scopo di studî speciali, una Mostra internazionale di pesca che si teneva in quella città nell'aprile. Fui oltremodo lieto di questa missione che mi porgeva la desiata opportunità di conferire ancora coi dotti i quali in Inghilterra iniziarono le ricerche abissali, di vedere i tesori riportati dal « Challenger »; e, a Pa- rigi, d’ incontrarmi coi miei Colleghi del « Travailleur ». Appena seppe della mia prossima gita ad Edinburgo l’ illustre e compianto mio amico prof. Sir C. Wy- ville Thomson, volle invitarmi a casa sua, e in una lettera scrittami il 13 gennaio 1882, che pur troppo doveva essere l’ ultima, egli mi faceva tutto un piano di problemi talassografici da discutere e studiare in- ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 259 sieme; ma ahimè! la Parca inesorabile doveva pochi giorni dopo troncare nel fiore degli anni e nel vi- gore del lavoro quella vita utilissima, ed i preparativi del mio viaggio furono amareggiati da crudele dolore. asciar Firenze ilegfaprile”e “passar quella» sera. col comandante Magnaghi per concertare varie cose rela- tive alla prossima campagna che dovevamo fare in- sieme; seppi con sorpresa che egli non aveva ancora ricevuto alcuna comunicazione ofticiale in proposito, sebbene gli fosse stato scritto di una esplorazione dei banchi coralligeni di Sciacca; ma confesso che allora non credevo che la campagna talassografica del 1882. pericolasse. Una settimana dopo ero ad Edinburgo; dagli scienziati di quel celebre Ateneo ebbi lieta accoglienza; e fui colmato di gentilezze dal signor J. Y. Buchanan, il quale nel suo Laboratorio chimico mi fece vedere gli apparecchi da lui ideati per lo studio fisico e chimico delle acque marine. Adempiendo alle istruzioni avute dal comandante Ma- gnaghi, lo pregai a voler far costruire due apparecchi per l'estrazione di gas dall'acqua di mare raccolta a grandi profondità, per uso delle nostre prossime cam- pagne talassografiche; egli aderi di buon grado, e sebbene alla vigilia di partire per l'Egitto colla mis- sione incaricata di studiare l’ eclissi solare, dedicò una intera giornata a dare le apposite istruzioni al signor Kemp il quale doveva costruire quegli apparecchi e fornire tutti gli annessi e connessi; in tempo utile questi erano imbarcati sul « Washington ». Al « Challenger Office » ebbi fraterna accoglienza dal signor John Murray, già solerte coadiuvatore ed ora successore del compianto Sir C. Wyville Thomson e capo di quella vasta officina che ha diramazioni e lavo- 256 PELAGOS. ratori in tutte le parti del Globo; e questi operai sono celebrità scientifiche e distinti specialisti, fra i quali si annoverano Tait, Buchanan, Allman, Turner, Hae- ckel, Sclater, Giinther, Rènard, Lyman, Hoek, A. Agassiz, H. Carpenter, Moseley, Castracane e altri ancora; tutti collaboratori nella gigantesca impresa della illustrazione dei risultati scientifici del viaggio del « Challenger ». Il signor Murray cercò di farmi dimenticare l’ assenza del Thomson, la cui perdita re- cente aveva gettato il lutto su quel corpo di fervidi scienziati i quali avevano tutti perduto in lui un caldo amico; ma quando egli mi pose in mano le ultime pagine scritte dal povero Sir Wyville poche ore prima del‘colpo fatale :che lo. tolse ‘a’ noi; fui coltre ogni dire commosso: erano i primi versi di una re- censione della mia Relazione preliminare sui risultati della prima campagna talassografica del « Washbing- ton », destinata al « Nature », ma troppo incompleta per essere pubblicata. Ciò dimostra quanto interesse l’illustre Thomson prendeva alle nostre ricerche. Al « Challenger Office » passai molte ore del mio sog- giorno ad Edinburgo; e vidi ed appresi moltissimo non soltanto intorno ai diversi tipi della Fauna abis- sale, ma sui metodi migliori per coglierli e per con- servarli. All’ Università, nel Laboratorio dell’ illustre Tait, che era stato quello del celebre Brewster, am- mirai gli apparecchi per studiare gli effetti della pres- sione sull’ acqua, ed in modo speciale una specie di can- none Armstrong, costruito appositamente a Woolwich e che poteva dirsi l’ omega di quegli apparecchi, di cui sono l’alpha le famose palle vuote metalliche dell’ Ac- cademia del Cimento, gelosamente custodite nella Tri- buna di Galileo a pochi passi dalla stanza in cui scrivo. ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 257 A Londra mi abboccai nuovamente col. Jeftreys, e coll’ illustre dott. Carpenter ebbi una conversazione assai interessante nella storica sala della Società Reale; egli dimostrò di interessarsi moltissimo alle nostre ri- cerche, ma non fece intendere di essere in tutto scosso nelle sue convinzioni riguardanti il Mediterraneo dai risultati da noi ottenuti; del resto egli era allora tutto assorto in ricerche minuziose sul singolare Eozoon, e non si occupava di cose talassografiche. A Londra, come. ad Edinburgo, era generale tra gli scienziati 1’ interesse pel proseguimento delle nostre ricerche abissali nel Mediterraneo; la prossima campagna talassografica del « Washington » era stata annunziata dal « Nature » il 30 marzo. Al Museo Britannico, per la gentilezza del dott. Giinther, potei vedere e studiare alcuni dei più singolari fra i molti pesci abissali raccolti dal « Challenger » e specialmente i NOTACANTHI. A Parigi vidi i professori A. Milne Edwards, L. Vaillant e P. Fischer, i quali si preparavano per la prossima campagna del « Travailleur », della quale ho già dato un cenno; essi mi furono cortesissimi € vidi alcune delle belle cose riportate dalla campagna talassografica antecedente e tui specialmente interessato nei singoli Centrophorus di Setubal. Tutti codesti scien- ziati prendevano un vivo interesse alle nostre esplora- zioni, ed’ il Milne Edwards mi disse che faceva fare una traduzione in francese della mia Relazione sui risultati della prima campagna del « Washington », la quale infatti comparve poco dopo (1). A Losanna, col pro- (1) E. H. GigtioLi, Rapport préliminaire sur les recherches rela- tives a la Faune sous-marine de la Mediterranée. (Annales des Sciences naturelles, Zoologie, XIII. 20. art. 9.) Paris, 1882. 258 PELAGOS. fessore Forel, si era combinata una gita sul Lago di Ginevra, con dragaggi alie maggiori profondità, giac- chè tali indagini hanno un interesse ed un nesso spe- ciali con quelle abissali marine, avendo esse provato come non pochi laghi non erano in origine che golfi o fiordi del mare; sfortunatamente mi ammalai a Ba- silea e non potei partecipare a quella gita. Tornato a Firenze alla metà del giugno, fui molto spiacevolmente sorpreso di trovare sulla mia tavola una lettera del Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio in data del 12 maggio, colla quale ve- nivo informato che la progettata esplorazione talas- sografica, indetta pel mese di agosto non poteva aver luogo, e questo perchè non si poteva togliere per più di un mese il « Washington » dall’importante lavoro idrografico a cui era destinato, e perchè di questo mese almeno venti giorni erano destinati, per impegni precedenti pressanti, ad una esplorazione dei banchi coralligeni di Sciacca. Il Ministro Berti esprimeva il suo vivo rincrescimento per questo e concludeva colla speranza che gli studi intorno alla Fauna abissale, così bene iniziati nel 1881, si sarebbero ripresi nell’ estate del 1883. Non dirò quanto rimanessi afflitto da questo inaspet- tato contrattempo; capivo benissimo la forza delle ragioni che rendevano impossibile la progettata cam- pagna nell’agosto 1882, ma eravamo in certo modo compromessi in faccia al Mondo scientifico e qual- checosa bisognava fare ad ogni costo; v’ erano inoltre nuovi congegni da provare, miglioramenti di altri ap- parecchi da esperimentare e mi premeva assai far ciò anche in vista di esplorazioni future. Tanto feci che ottenni di imbarcarmi sul « Washington » appena ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 259 terminata la esplorazione dei banchi di Sciacca, e senza recar disturbo ai lavori idrografici che si dove- vano subito riprendere, fare quelle ricerche che le op- portunità mi avrebbero concesso; per questa conces- sione debbo ringraziare il Ministero della Marina ed in modo speciale il Ministro Berti, il quale, come pel passato, assunse sul proprio dicastero l’ onere del mio imbarco; contavo, ben inteso, sulla cordiale coo- perazione del comandante Magnaghi. I preparativi eran fatti, e, ricevuto dal Magnaghi l'avviso di trovarmi per l'alba del 9 agosto a Porto Empedocle, lasciai Firenze per Napoli la mattina del $ agosto; l'indomani partivo per Palermo, ove, so- stando un giorno, ebbi l’ opportunità di fare alcune importanti e nuove osservazioni ittiologiche e di rac- cogliere alcuni esemplari di un rarissimo pesce, il Rbombus diaphanus, che sembra doversi annoverare tra gli abitanti di notevoli profondità; alcuni vogliono sia il giovane di uno dei nostri comuni Pleuronettidi, ma a me sembra non solo un adulto di forma distiata, ma secondo il parere del dotto paleoittiologo Bosniaski, sarebbe un superstite di molte specie affini che vissero. nei mari miocenici. Il giorno dopo ero a Girgenti, ove fui pure fortu- nato; questa volta però a pro’ della Zoologia terre- stre italiana. Visitando il Museo locale di Storia Na- turale vi rinvenni un Chirottero che pare essere il Ve- spertilio africanus, nuovo per l'Europa, e due rarissimi uccelli, il Buteo ferox e l Anthropoides virgo, colti in quei dintorni; potei ancora procurarvi per la Collezione centrale degli Animali vertebrati Italiani, da me for- mata nel R. Museo Zoologico di Firenze, un cranio e le corna del Cervo che circa quarant’ anni fa vi- PI 260 PELAGOS. veva a Lampedusa; è il piccolo Cervo (Cervus cor- sicanus) che trovasi tuttora allo stato libero in Cor- sica ed in Sardegna. La mattina del 9 agosto ero a Porto. Empedocle..e due ore dopo vi-\giunsevatbii « Washington » sul cui bordo ebbi la solita cordiale accoglienza. Seppi allora di un nuovo. ostacolo che era sorto a rendere ancora più scarse le poche ricerche talassogra- fiche ed abissali concesse in questa campagna. Il coman- dante Magnaghi m°informava che il « Washington » , doveva condurre a Lampedusa, per ordine del R. Go- verno, un ingegnere del Genio civile per studì ine- renti alla edificazione di un Faro, riprenderlo dopo un lasso di tre o quattro giorni e quindi ricondurlo a Porto Empedocle. Questo impegno riportava la R. nave nel bel mezzo del braccio di mare che separa la Sicilia dall’ Africa, che è tutto quanto un bassofondo dove le ricerche intorno alla Fauna abissale non sono possibili; inoltre non ci concedeva il tempo sufficiente per scostarci da quei banchi e recarci come avevo sperato sull area di acque profonde, superanti i 3000 metri, che trovasi a mezzogiorno dello Stretto di Messina. Avevo ed ho tuttora un desiderio vivissimo di esplorare quell’area, e così quella che trovasi a settentrione dello Stretto; la ricchezza del. mare. di Messina in pesci abissali è oramai provverbiale, e la mia impazienza di esplorarle è tanto maggiore giac- chè nel 1878 vi raccolsi un curioso pesce abissale nuovo che ho chiamato Pomatomichthys Constanciae e che non fu più ritrovato. Non più tardi del no- vembre 1881 ebbi a Messina un altro singolarissimo pesce, tipo pure di genere nuovo e di specie nuova; esso ha una fisionomia abissale così marcata che 1’ ho ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 261 chiamato Batbophilus nigerrimus (Vedi « Nature », XXVII pp. 198, 199); esso sarebbe per ora il ge- nere più aberrante della strana famiglia delle Sto- miatidee. Il tipo e sinora unico esemplare, conser- vato nel R. Museo di Firenze, è quì figurato, di gran- Bathophilus nigerrimus, Gigl. (grand. nat.). dezza naturale, per la prima volta; ha il corpo com- presso, ma più corto e più tozzo che nello Stomias otfnelleEchiosioma; la >pelle; di uh ‘nero Intenso e opaco, è nuda, minutamente granulata e senza traccie di macchie madreperlacee e bottoni fosforescenti o pseudo-ocelli.. Manca il barliglio; l’ occhio è pic- colo; i denti sono robusti e l’ apertura orale è grande. Vi è una sola dorsale, collocata assai indietro e op- posta all’ unica anale; la porzione caudale del. corpo si restringe notevolmente; la pinna caudale è biforcata, ma piccola. Le pettorali sono lunghe con raggi filiformi e deboli; le ventrali sono addominali e notevoli per essere inserite assai in alto sui fianchi. La formola panclete= cs) va. A 13 Pig ITC 22: & 262 PELAGOS. Dovetti, per forza delle condizioni del mio precario imbarco per quest’ anno, rassegnarmi; e facendo buon viso a ciò che non potevo mutare cercare di trarne il maggiore profitto. La mattina del Io agosto era- vamo a Lampedusa, vi ritornammo il 13; io vi sbar- cai un momento accompagnando l’ ingegnere Rossi che lasciavamo sull’ isola, e che si era gentilmente in- caricato di sorvegliare alcune raccolte di animali che vi facevo fare; queste diedero ottimi risultati ed alla Coronella cucullata e all’ Hemidaciylus verruculatus , che io aveva da qualche anno potuto aggiungere all’ elenco dato dal Calcara dei Vertebrati dell i- sola, posso ora aggiungere: il Vesperugo pipistrellus, il Coelopeltis lacertina e, strano a dirsi, mancando quasi l’acqua dolce, il Discoglossus pictus. Dopo lasciata Lampedusa, mercè la gentilezza del comandante Magnaghi, potei sbarcare sullo scoglio disabitato di Lampione, ultimo lembo in questa direzione delle terre italiche, ben di rado e per quanto mi consta da nessun Naturalista, visitato; lo esplorai per bene e vi rinvenni abbondanti due uccelli: il singolare ed isolano Folco Eleonorac ed il Puffinus Kublii; del primo colsi le uova e del secondo un adulto, i nidiacei ed alcune uova. Catturai pure alcune Podarcis muralis di varietà scura, ed il curioso Gongylus ocellatus; la seconda di queste lucertole trovasi anche a Lampe- dusa ed a Linosa, ma la prima per un caso vera- mente interessante sembra mancare affatto a Lampe- dusa, sebbene sia comune a Linosa. Si videro due Serpenti che nòn si lasciarono cogliere, ma che dalla descrizione datami reputo fossero una Coronella, pro- babilmente la C. cucullata che abita Lampedusa. Sotto i sassi abbondavano alcuni Coleotteri, Onisci e so- ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 263 » pratutto due Molluschi: Helix vermiculata, Mill. e Clausilia Lampedusae, Calcara; entrambi però di va- rietà speciali. Dopo una breve sosta a Susa di Tunisia, si riprese Javia (per Lampedusajie; ‘a-metà strada, il'.12 agosto; si fecero due dragate colla draga Magnaghi. La prima a 60 metri di profondità. (Lat 35* 53° N. Long. 11° 06° E. Gr.) sopra un fondo sabbioso, diede poco più di alcune Alghe; la. seconda (Lat. 35° 57’ N. Long. 11° 16° E. Gr.) in una profondità di 120 metri sopra un fondo fangoso, fu più produttiva: si pescarono in abbondanza Molluschi, Crostacei, Vermi, Briozoi e Spugne, ma appartenenti quasi tutti a ben note forme litoranee. Tra i Molluschi il dott. Jeffreys rinvenne le seguenti specie: Ostrea cochlear, Pecten opercularis, P. pes-lutrae, Nucula sulcata, Cardium echinatum, C. Des- haysti, Diplodonta rotundata, Venus casina, Tellina ser- rata, Solecurtus antiquatus, Thracia pubescens, Denta- lium panormitanum, Scalaria frondosa, Fusus rostratus. Mi colpì poi un oggetto singolare che ho conservato in alcool; sembra un ammasso di membrane amorfe amalgamate con fango. A Lampedusa la mattina se- guente i pescatori ci portarono a bordo molti grossi esemplari del Serranus caninus. La mattina del 14 agosto si sbarcava a Porto Em- pedocle l’ ingegnere Rossi, ed il « Washington », co- stretto a scegliere la via più breve per recarsi al punto ove doveva riprendere il lavoro idrografico, s’ inoltrava lungo la costa S. O. della Sicilia, diretta a Cagliari. Il tempo era bello ed il mare affatto calmo; notai due stuoli di Delfini che mi parvero essere il D. tursio; uno di questi mostrava nel modo il più distinto due pinne dorsali, e siccome |’ accertamento 264 PELAGOS. di un tal caso mi premeva moltissimo, giacchè ai primi del secolo il Rafinesque descrisse, appunto dai Mari Siculi, col nome di Oxypterus Mongitori, un Delfino con due pinne dorsali che nessuno ha più ri- veduto; io lo seguii col mio binocolo, ma non potei decidere se fosse un individuo solitario o due, nuo- tanti di conserva uno accanto all’ altro come sogliono fare questi Cetacei. Qualche Gabbiano volava intorno a noi, ma vidi con interesse passare accanto alla nave un individuo del raro Microcarbo pygmaeus. Quella sera dirimpetto all'isola di Marittimo (Lat. 37° 557 N. Long. 10° 52’ E. Gr.) ‘ad una profondità di 778 mettà su fango grigio, si fece la prima dragata importante, calando la draga Magnaghi con redazze. Era buio af- fatto quando si salpò la draga; essa era piena zeppa di un fango argilloso di colore azzurrino e tenacissimo; lavato con grande fatica sul setaccio, non vi rinvenni che una Synapta e due curiosi Anellidi, oltre a molte conchiglie di Molluschi, tra cui il dott. Jeffreys rin- venne più tardi le specie seguenti: Pecten pes-lutrae, Scrobicularia longicollis, Neoera cuspidata, Dentalium agile, Murex sp.?, Nassa limata. L'indomani 15 agosto', trovandoci a metà strada tra la Sicilia e la Sardegna, in Lat. 38° 38’ N. Long. 10° 40° E. Gr.; con tempo bello e favorevole, si volle dedicare l’intera giornata a ricerche talassografiche. Lo scandaglio aveva avvertito una profondità di 1583 metri, con fondo di fango, arenoso in apparenza. Va- lendoci del cavo di acciaio, si ancorò la nave al punto indicato ; si fece una serie di osservazioni termome- triche, le quali confermarono quelle fatte durante la campagna precedente e riprodotte in parte nella mia Relazione; si raccolsero saggi d’acqua a diverse pro- ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 265 fondità, adoperando il nuovo idroforo ideato dal co- mandante Magnaghi, e si misurò la gravità specifica di alcuni di questi saggi coll’ idrometro del Bucha- nan; ma quasi tutta la giornata venne impiegata in osservazioni sulle correnti. a diverse profondità col correntometro pure ideato dal Magnaghi. Era già sera inoltrata quando si calò il grosso gangano (raw!) di nuovo modello, che io non avevo ancora veduto la- vorare. Si dragò per circa tre quarti d'ora, ed erano le 9,45 p. m. quando il gangano venne a riva; la rete era in parte lacerata da un grosso blocco di sasso che vi era contenuto. Preso nelle maglie era un rarissimo pesce abissale, il Paralepis Cuvteri; nel poco fango reso granuloso dai moltissimi gusci di Fo- raminiferi, erano alcune conchiglie di Pteropodi e di pochi altri Molluschi, tra essi il Jeffreys riconobbe le specie seguenti: Columbella haliaeti, Carinaria mediter- ranea, Atlanta Peroni, Cavolinia tridentata, C. trispi- nosa, C. inflexa, Clio pyramidata, C. cuspidata; tutte, eccetto la prima, appartenenti alla Fauna pelagica e superficiale. Altamente interessante risultò essere il blocco di sasso pescato, il quale diseccandosi si ruppe in più pezzi. Esso è uno dei più bei casi di un « fenomeno . geologico esemplificato », giacchè ci dimostra a tutta evidenza la graduale formazione di una vera roc- cia coi sali calcarei provenienti da avanzi animali. Quel blocco consiste di varî strati: uno esterno o superiore, fangoso, ricco di gusci di Foraminiferi e di Pteropodi; uno intermediario più solido, ma non duro, in cui vedete pochi Pteropodi e molti Foraminiferi, infine uno strato durissimo, quasi cri- stallino, in cui ‘non vi sono più traccie di Ptero- Pelagos. 18 266 PELAGOS. podi, ma con una forte lente potete ancora scor- gere in abbondanza i gusci più resîstenti dei Forami- niferi. La fattura di questa parte più dura, di questa vera roccia è semplicemente spiegata dagli strati so- prastanti che rappresentano appunto due stadii antece- denti della medesima: dalla superficie al fondo ‘del mare cadono i gusci calcarei dei Pteropodi e dei Fo- raminiferi morti, fanno strato sul fango molle del fondo, ove in date condizioni di pressione ed altro, i gusci meno resistenti dei Pteropodi e quindi anche una porzione di quelli dei Foraminiferi, si sciolgono e questa pasta calcarea, mescolata con l'argilla del fondo, si solidifica e diventa dura, includendo nella sua massa i gusci interi dei Foraminiferi più resistenti. Durante il viaggio del « Challenger » il Murray verificò un tale fenomeno ovunque; anzi egli si mo- strò sorpreso assai che noi avessimo trovato Ptero- podi in abbondanza a notevoli profondità, ancora in- tegri; come avvenne appunto in quasi tutte le nostre Stazioni talassografiche durante la campagna del 1881, non eccettuata la memorabile dragata in 3624 metri (Vedi antea); egli si meravigliava come i gusci di quei Pteropodi non fossero ancora distrutti e sciolti. È evidente che non poco rimane a farsi nello studio dei fenomeni geologici sul fondo del mare a grandi profondità; il blocco suddetto, insieme a tutti i saggi di fondo di questa e della campagna precedente sono stati studiati del resto dal prof. A. Issel, e dal Sig. G. De Amezaga, i quali ne hanno fatto oggetto di una Relazione speciale. Posso aggiungere che quel blocco era attraversato dai fori e dalle gallerie di ani- mali sassifragi, e le pareti di quegli scavi sono anne- rite da manganese ; frammenti di quel sasso vennero ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 267 pure esaminati con vivissimo interesse tanto dal Mur- ray come dal Buchanan, i quali furono a visitarmi a Firenze nell’ inverno del 1883. In quella giornata, tutta talassografica, abbiamo po- tuto avere le prove del modo perfetto con cui fun- zionavano i nostri apparecchi e strumenti per le ri- cerche talassografiche ed abissali, cosa che se ci dava la sicurezza di poter far bene in avvenire, raddop- piava però il nostro rammarico di non poter tosto metterci all’ opera. Farò forse eccezione pel nuovo e grosso gangano; ammettendo pure che merita di es- sere provato ancora, sono però di parere che erano più pratici e più maneggievoli i gangani più piccoli da noi usati nella campagna precedente; infine, dopo di aver veduto a Edinburgo ed a Londra quali e quanti animali e particolarmente pesci si sono presi col gan- gano ad asta di legno adoperato durante il viaggio del « Challenger », sarei d’ avviso che converrà forse ritornare a quell’ antico modello. Credo inoltre che sarebbe bene, oltre le redazze, guernire tanto la draga come il gangano di alcune sagolette armate di ami di varia dimensione, questi sono utilissimi per svel- lere dal fondo Spugne silicee, Pennatule, Funiculine ecc., che difficilmente si colgono altrimenti; ciascuna sagoletta dovrebbe avere un piccolo peso di piombo alla sua estremità. Nel « Nature » del 2 novembre 1882 (p. I1.), il signor A. M. Marshall dà la descri- zione di un utile « ingegno » così guernito col quale egli fece abbondante pesca di grandi Funiculina. Il 16 agosto eravamo a Cagliari ove rimanemmo all’àncora sino al 22, tempo necessario per rifornirci di viveri e di carbone. Usai molto vantaggiosamente di quei giorni per completare alcune ricerche intorno 268 PELAGOS. alla Fauna della Sardegna: potei avere una ricca serie della singolare Salamandra acquaiola propria all’ isola, Euproctus Rusconii, bellissimi esemplari del raro e ca- ratteristico Notopholis Fitzingeri ed altri animali inte- ressanti; constatai la presenza del Larus Audouini sulla rada esterna di Cagliari. Un giorno andai a dragare col battello in quella specie di laguna che stà innanzi alle rovine del convento di Bonaria e feci ricca mèsse di animali litoranei, tra cui molti Syn- gnathus e Cyprinodon calaritanus. Al meriggio del 22 agosto, il « Washington » si trovava già sul luogo ove doveva riprendere i lavori idrografici, cioè a poca distanza dal Capo Ferrato. La mattina, mentre eravamo in via, più volte compar- vero Delfini nella nostra scia: notai ancora individui che parevano provvisti di due pinne dorsali, e sta- volta qualcuno sembrava averne tre! Mi pare che dopo ciò non puossi porre in dubbio, nel caso dei Delfini nostrali almeno, che tale apparenza di indi- vidui bipinnati e tripinnati sia dovuta a due o tre Delfini nuotanti a contatto. Due volte vidi una fila di dieci o dodici Delfini andare uno dietro all’altro quasi a toccarsi teste con code, si alzaronòo simul- - taneamente producendo in modo perfetto |’ appa- renza di un gigantesco animale nero, a corpo al- lungato e colla schiena fornita di una pinna seghet- tata o di tante pinnule triangolari ed isolate; quante volte il favoloso Serpente di mare non è stato descritto sotto tali apparenze! Sino alla fine del mese, malgrado il tempo spesso poco favorevole, si continuarono assiduamente i la- vori idrografici, percorrendo la costa da Capo Fer- rato a Capo Comino ed eseguendo fitte linee di scan- ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 269 dagli. Sin dal primo giorno mi avvidi che durante quei lavori era impossibile pensare a ricerche talasso- grafiche. Completati felicemente e con essi il mate- riale per terminare la serie delle carte idrografiche della Sardegna, tardi la sera del 31 agosto lasciammo le coste malsane di quell’ isola, navigando alla volta di Portoferraio. Cammin facendo si esegui una linea di scandagli fra Tavolara e Montecristo. Il 1 settembre tra la Sardegna e l’ Elba (Lat. 41° 40 N. Long. 10° 1’ E. Gr.), in 904 metri di profondità . si fece la terza ed ultima dragata abissale di questa campagna. Il fondo consisteva di un fango grigio e tenace; si calò la draga Magnaghi e si fece lavorare per circa un'ora; venne su piena zeppa di fango di un aspetto poco promettente; infatti dopo un lungo lavaggio sul setaccio, non vi rinvenni che pochi gusci di Pteropodi ed alcuni dei Molluschi usuali; nulla di vivente. I Molluschi, determinati poi dal dott. Jeffreys, erano: Terebratula vitrea, Pecten vitreus, Dentalium agile e Pleurotoma cristata. L’indomani per tempo arrivammo a Portoferraio, il « Washington » dovendo compiere i lavori idro- grafici intorno all’Elba; ed io, vedendo che le oppor- tunità di far ricerche intorno alla Fauna abissale di- ventavano ancora più rare, chiesi di sbarcare, ciò che feci il 3 settembre, e la notte del giorno seguente mi restituivo a Firenze. Ecco in breve il resoconto di quanto ho potuto fare durante il mio imbarco sul « Washington » nel- l’estate del 1882; mancata la progettata campagna talassografica io certo non potevo fare di più, ed in- vero non fui scontento di aver ottenuto quell’ im- barco anche nelle mutate condizioni. Non scarse fu- 270 PELAGOS. rono le cognizioni biologiche acquistate, e 1’ aver po- tuto presenziare il lavoro di nuovi apparecchi e di nuovi strumenti dava utile esperienza per future esplo- razioni. Del resto mercè la energia del comandante Magnaghi, anche anteriormente al mio imbarco sul « Washington » non si lasciò fuggire una sola op- portunità per eseguire qualche ricerca talassografica ; ricorderò che andando a Sciacca, venne eseguita una linea di scandagli dall’ Elba a Palermo, la cui impor- tanza è ovvia quando aggiungo che una tale linea non era mai stata fatta. Inoltre, ad ogni occasione, si fe- cero serie di osservazioni termometriche, si raccol- sero saggi di fondo e saggi d’acqua; in conclusione non furono poi tanto scarsi i contributi alla nostra migliore conoscenza del Mediterraneo raccolti durante la campagna idrografica del « Washington » nel 1882. ESPLOR. TALASSCGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 271 III. Terza campagna del R. piroscafo « Washington ». (Agosto-Settembre 1883). Le esplorazioni talassografiche poste sotto il patrocinio della R. Accademia dei Lin- cei — Formazione della Commissione talassografica permanente — La campagna del 1883 considerata preliminare e più dedita alle ricerche fisiche — Un pranzo di ta- lassografi a Londra — Casamicciola — Noctiluca — Globicephalus melas — Un Trichodesmium — Gibilterra — CEstrelata haesitata e Grampus griseus — Cadice — Esplorazioni talassografiche nello Stretto di Gibilterra — Tangeri e Rabat — Note ittiologiche — Chauliodus Sloanii — Dragate nello Stretto — Un « Levante » persistente — Singolare cattura fatta dalio scandaglio — Ritorno a Napoli — Conclusioni. 1° Per ovviare in certo modo ad una ripetizione delle vicende che resero così precarie le esplorazioni talas- sografiche nella campagna del 1882, e coll’ intenzione di assicurare la stabilità e di conseguenza la riuscita dell’ impresa esplorazione, il comandante Magnaghi d'accordo collo scrivente, si rivolse alla Presidenza della R. Accademia dei Lincei onde porre sotto l’alto patrocinio di quell’ illustre Consesso le iniziate ricerche. Il chiaro presidente, comm. Quintino Sella (1), che ha l'onorevole vanto di aver infuso novella vita in quella Accademia, rendendola di fatto il Consesso scientifico centrale della risorta ed unita Italia, accolse con pre- mura la proposta presentata dal comandante Magnaghi, e, assicuratosi in massima del consenso del R. Go- verno, senza il quale nulla si sarebbe potuto fare, pregò il Comandante e lo scrivente a presentare colla (1) Corregevo appunto le ultime bozze di questo articolo, quando fulminea corse per Italia la tremenda notizia della perdita di un tant’ Uomo. 272 PELAGOS. maggiore possibile sollecitudine le Relazioni speciali su quanto si era fatto e su quanto si doveva fare per la esplorazione talassografica del Mediterraneo; queste Rela- zioni vennero infatti presentate il 30 aprile 1883 e furono esaminate da una Commissione speciale della R. Accademia dei Lincei, della quale fu relatore il prof. P. Blaserna. Quella Commissione, unanime, accolse favorevolmente le proposte del comandante Magnaghi; e la Relazione del prof. Blaserna, letta nella seduta del 6 maggio 1883, conclude colle seguenti parole : « La vostra Commissione dà a questa quistione un'importanza grandissima. Essa considera la campagna già iniziata in quest’ anno dal « Washington », come una specie di prova generale, per la quale essa cercherà di proporre aggiunte al programma già esistente. Ma sovratutto le importa che la quistione dei rapporti dell’Accademia col Governo per le importanti pro- poste del cap. Magnaghi sia risoluta. Epperò essa pro- pone all’unanimità, che l’Accademia autorizzi la Pre- sidenza a rivolgersi al Governo, affinchè si proceda di comune accordo alla nomina di una Commissione mista, la quale avrà l’incarico: di esaminare i modi più proficui e più opportuni per uno studio talassogra- fico possibilmente completo del Mediterraneo, di proporre i mezzi più acconci per l’attuazione di tale progetto, di provvedere all’ esame definitivo dei risultati ottenuti e di curarne la pubblicazione (1). La Commissione di Lincei aveva previamente fatto rilevare il precedente identico caso nell’ appoggio chiesto dal prof. Wyville Thomson alla Società Reale (1) « Transunti » della Reale Accademia dei Lincei, Vol. VII, fasc. 10, serie 3. Roma, 1883. ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 273 di Londra per rendere possibili le ricerche talassogra- fiche, e nell’ iniziativa presa da quell’ illustre Consesso presso il Governo britannico, collo splendido risultato delle ricerche incominciate dal « Lightning » e con- dotte ad un così glorioso apogeo col viaggio del « Chal- lenger ». Nel caso nostro, la Commissione suddetta faceva quindi notare che i dicasteri che hanno un in- teresse immediato a queste esplorazioni sono i quattro Ministeri della Marina, di Agricoltura, Industria e Com- mercio, dei Lavori Pubblici e della «Istruzione Pub- blica, pel mezzo dei quali il R. Governo dovrebbe prov- vedere all’ attuazione delle ricerche talassografiche , onde l’opportunità della Commissione mista, formata appunto da rappresentanti dei Ministeri suddetti, cioè del Governo, e di rappresentanti della R. Accademia dei Lincei. Il compito di questa Commissione mista, che può ormai portare il titolo di Commissione talas- sografica permanente, è definito nella conclusione della Relazione del prof. Blaserna. Per la fine di giugno 1883, la Commissione talas- sografica permanente era costituita di dieci membri tra i quali rappresentano il R. Governo: i comandanti G. B. Magnaghi e Luciano Serra per il Ministero della Marina, il comm. ing. Alfredo Baccarini per il Mini- stero dei Lavori Pubblici, il comm. prof. A. Targioni Tozzetti pel Ministero di Agricoltura Industria e Com- mercio e lo scrivente pel Ministero della Istruzione Pubblica; i rappresentanti della R. Accademia dei Lincei sono : il prof. nob. Alfonso Cossa, il prof. Sal- vatore Trinchese, il prof. Torquato Taramelli, il prof. Giuseppe Pisati ed il colonnello Annibale Ferrero. Essa tenne la sua prima sessione nei locali della R. Accademia dei Lincei in Campidoglio ai primi del sus- 274 PELAGOS. seguente luglio; alcuni dei Commissarî non poterono intervenirvi, io tra gli altri che mi trovava allora a Londra per un incarico avuto dal R. Governo. Venne eletto il presidente nella persona del comm. Baccarini, il solo tra i membri della Commissione il quale avesse stabile dimora alla Capitale; e, mancando il tempo e gli studî per formulare un programma definitivo per le esplorazioni talassografiche da farsi, venne stabilito in massima, che nella corrente estate il mese di agosto sarebbe stato impiegato dal R. piroscafo « Washington », allora occupato ai soliti lavori idrografici, in una cam- pagna talassografica da considerarsi ancora come di studio e preparatoria ed avente per oggetto principale le ricerche fisiche sulle acque del mare e lo studio delle correnti nello Stretto di Gibilterra. Il Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio assunse di buon grado la parte onerosa, come nelle due campagne ante- cedenti, pel personale non dipendente dalla Marina; e fummo invitati a prender parte alla campagna il pro- fessor Pisati, dotto fisico ed io, più il dott. C. Sa- porito-Ricca per fare da assistente al Prof. Pisati (1). Io mi trovavo come dissi a Londra sin dai primi di giugno qual delegato speciale del R. Governo presso la Esposizione internazionale di pesca, tenuta con tanto suc- cesso in quella città, quando ricevetti una lettera del co- mandate Magnaghi in data del 13 luglio; in essa egli m’in- formava di quanto era stato stabilito e m’ invitava ad essere a Napoli avanti la fine del mese per prender parte alla terza campagna talassografica del « Washington ». (1) A. BAccARINI, Gli studi ed î lavori talassografici in Italia. Nella « Nuova Antologia » Fasc. XIX (anno XVIII), Ottobre 1883. Roma. ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 275 Il mio soggiorno in Inghilterra anche questa volta non fu davvero inutile per le nostre ricerche talasso- grafiche : avevo potuto conferire in proposito nuova- mente coi distinti specialisti in tale materia: Jeffreys, Carpenter, Buchanan, Murray, Giinther, Moseley, Allman e Norman. Col distinto ittiologo prof. G. Brown Goode di Washington, il quale dirige in parte le esplorazioni talassografiche e principalmente abissali che si fanno col piroscafo « Albatross » sotto gli au- spici della United States Fisheries Commission, ed in- sieme ai professori Hubrecht di Utrecht e Torell di Stockholm, feci un minuto esame della ricca serie di apparecchi, attrezzi e strumenti talassografici esposti nella splendida sezione degli Stati Uniti alla Mostra di pesca. Molti di questi li conoscevo già, essendo quelli adoperati sul « Blake », ideati in gran parte dallo Sigsbee ed adottati con alcune modificazioni sul « Wa- shington » nelle nostre campagne precedenti ; di nuovo notai il recipiente metallico di Sigsbee, per catturare organismi ad una determinabile profondità e mi parve che quel congegno lasciasse molto a desiderare poten- dosi definire come un idroforo grossolano, piuttosto che come una rete perfezionata nel senso voluto; di notevole trovai alcune modificazioni ed alcuni acces- sorii del gangano o trawl. Ma converrà trattare al- trove con maggiori particolari delle osservazioni fatte in quella occasione. Un giorno l'ottimo dott. Carpenter, che trovai quest'anno più interessato nelle nostre ricerche, volle riunire intorno alla sua mensa i talassografi convenuti allora a. Londra. Fu quella. per me una serata ben piacevole e posso anche dire ben profittevole poichè mi trovai insieme, oltre che col geniale e venerabile 276 PELAGOS. nostro ospite, con uomini i cui nomi incontransi se- gnati in aurei caratteri nella storia delle ricerche talas- sografiche ed abissali, cioè: Jeffreys, Allman, Huxley, Dyer, Moseley, Murray, Busk, Goode, Hubrecht, Smitt, Steindachner; v'era pure il bravo comandante Calver, che tanto fece per facilitare i primi dragaggi in grandi profondità del « Porcupine ». Appena ebbi la lettera del comandante Magnaghi feci i preparativi pel ritorno in Italia: avevo com- piuto fortunatamente il lavoro che m’incombeva come membro della Giuria internazionale all’ Esposizione di pesca, e feci bastare il breve tempo che mi rima- neva pel resto. Lasciai Londra il 19 luglio, e com- piuti i necessarii preparativi per la campagna in gran fretta a Firenze, ero il 26 a Napoli e la mattina se- guente sul « Washington ». Alcuni contrattempi ci fe- cero rimanere altri due giorni all’ àncora; ci trovammo nel bel mezzo dello sgomento cagionato dall’ orrenda catastrofe di Casamicciola e il « Washington » ebbe la sorte di essere la prima nave da guerra che si trovasse con soccorsi e truppe sul luogo del disastro! Soltanto il 3 agosto potemmo lasciare Napoli; quella sera, fuori del golfo, si fece una prima stazione, ma di solo scandaglio. A bordo si era impiantato un pic- colo laboratorio per le ricerche fisiche e chimiche di cui erano incaricati il prof. Pisati ed il dott. Saporito; ma non essendovi altro spazio ed i camerini essendo tutti occupati, io non avevo come nelle due campagne precedenti un locale ove poter riporre le Collezioni e gli strumenti per gli studì zoologici. Nell’avvenire si dovrà certo rimediare ad un tale inconveniente per rendere proficuo il lavoro di chi avrà l’ incarico delle ricerche biologiche. ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 277 Il 4 agosto, tra Napoli e la Sardegna (Lat. 39° 56' N. Long. 13° E. Gr.) si fece una seconda Stazione talas- sografica : la profondità risultò essere 3580 metri, si eseguirono osservazioni termometriche e cogli idro- fori si raccolse acqua a diverse profondità, ma non si dragò; io feci una gita col battello per raccogliere organismi pelagici, ed ebbi alcuni Lepas attaccati su di un pezzetto di pomice e degli Isopodi di color azzurro (Praniza). L'indomani il mare era agitato, nulla si potè fare, e la sera gettammo l’àncora a Cagliari. La mat- tina seguente salpammo ; fuori, in vista del capo Spar- tivento notai un gran numero di Puffinus Kublii, l’uc- cello pelagico più comune del Mediterraneo; più tardi passiamo vicinissimi al Toro, dimora quasi inaccessi- bile del singolare Falco Eleonorae, di cui vidi volare alcuni individui, e di una curiosa varietà gialla e nera della lucertola comune, la Podarcis muralis. Alle 5 di sera si stabilisce una Stazione talassografica in 480 metri di profondità: si raccolgono saggi d’acqua e si fanno osservazioni termometriche. Il 7 agosto, Lat. 38° 38' N. Long. 6° 42' E. Gr., si fece una Stazione in 2800 metri e più tardi una seconda in 2830 metri di profondità; non si calò il gangano, ma si raccolsero saggi d’acque e serie di osservazioni termometriche. Col battello, durante la sosta, calando le reticelle a strascico da 3 a 4 metri sotto la superficie si presero alcune specie comuni della Fauna pelagica: Collozoi, Medusoidi, Eteropodi affini alle Prerotrachea, e Saffirine. Un certo numero di Uccelli di tempesta, Procellaria pelagica, svolazzavano nella nostra scia, e ne vedemmo ogni giorno e molti, sino al nostro arrivo a Gibil- terra; vidi inoltre quel giorno cinque belle tartaru- ghe, Thalassochelys corticata, galleggianti alla superficie 278 PELAGOS. del mare; anche di queste ne vedemmo a più riprese durante quella traversata. L’indomani si fece nuovamente una Stazione con osservazioni termometriche e raccolta d’acqua; la pro- fondità era di 2820 metri, ma non si dragò. Il 9 agosto sostiamo al solito la mattina per una Stazione in 2740 metri, e si lavora coi termometri e cogli idrofori; éravamo'in Lat. 37° 27° NY LonsWort260E: Gr. Col battello, e, calando le reticelle da-3 a 5 ‘metri sotto la superficie, si presero molte Sagztta, un To- mopteris?, molti dei soliti Praniza coerulata, alcune Pierotrachea, alcune Sepiola e varie piccole Salpa, tutte forme caratteristiche della Fauna pelagica generale. Quella sera il mare era splendidamente fosforescente di una fosforescenza tutta speciale: oltre quella scintil- lante cagionata da Radiolarii, Medusarii, Salpe e Cro- stacei che si rivela con punti isolati intermittentemente luminosi di svariatissime dimensioni, le acque calme che ci circondavano erano stavolta, all’urto della nave e sulle increspazioni cagionate dal suo incedere, conver- tite in un mare di fuoco che emanava una luce uni- forme, intensa, di color verdastro; riconobbi subito la fosforenza caratteristica cagionata dalla Noctiluca mi- liaris, che nel novembre 1865 avevo veduto così splen- dida sulla rada di Gibilterra. Infatti, l' indomani navi- gammo quasi sino al tramonto attraverso un vero banco di Noctiluca; a miriadi e miriadi questi Protozoi galleggiavano nelle acque calme, i loro corpi sferoi- dali semi-trasparenti del diametro all'incirca di un grano di miglio, si distinguevano benissimo e davano al mare l'apparenza di una minestra di tapioca. Ne conservammo un certo numero e ne esaminai alcuni al microscopio. Con piccolo ingrandimento si scorgeva ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 279 benissimo il curioso tentacolo apparentemente artico- lato e le due lunghe ciglia vibratili che stanno intorno all'apertura orale. È singolare il fatto che la Noctiluca miliaris sembra tenersi di preferenza nell’ estremo an- golo occidentale del Mediterraneo; nel 1865 uscendo di notte dal porto militare di Napoli, vidi il mare il- luminato da una fosforescenza molto simile a quella cagionata dalla Noctiluca, e allora l’attribuii a questo Protozoide; più tardi mi fu asserito che la Noctiluca non era mai stata rinvenuta nelle acque napoletane, nep- pure nelle ora estese e minuziose esplorazioni dei molti Naturalisti della Stazione Zoologica del prof. A. Dohrn. Al mio ritorno a Napoli quest’ anno, la notte del 2 settembre, vidi nuovamente le acque, invero molto impure del porto militare, fosforescenti di luce uni- forme e lattiginosa al minimo urto; capii allora che tale fenomeno poteva derivare da ben altra causa cioè daila decomposizione lenta di sostanze organiche. Posso però aggiungere che qualche anno fa il professor A. Targioni Tozzetti che era insieme all’ illustre Ehrenberg, rinvenne nel golfo della Spezia la Noctiluca. Il 1o agosto, oltre il banco menzionato di Nocti- luche, attraversammo sino a sera delle larghe macchie di un rosso-ruggine, che da vicino sembravano cagio- nate da segatura di legno rossiccia sparsa copiosamente sulla superficie del mare, fitta talmente in alcuni punti da formare uno strato sull’acqua. Non poteva essere che una Desmidiacea affine al Trichodesmium che ha dato nome al Mar Rosso e che trovai così abbon- dante tra Giava ed il Golfo di Siam durante il viaggio della « Magenta ». Mi provai a raccoglierne con bu- glioli e con una delle reticelle a strascico, ma invano, il cammino della nave era troppo veloce. Eravamo a 280 PELAGOS. poche miglia del litorale spagnuolo, sopra il quale scorgevansi le cime nevose della Sierra Nevada; al- I’ alba si era avvistato il Capo di Gata. Quella mattina si era veduto, ma non bene, un grosso Cetaceo, probabilmente una Balaenoptera; alle 11,30 a. m., di poco a ponente del Golfo di Almeria, uno stuolo di circa venti grossi individui del G/obice- phalus melas attraversò lentamente la nostra rotta; si tenevano con porzione della testa e del dorso fuori dell’acqua e non mostravano alcun timore per la vici- nanza del bastimento. Questo Cetaceo, che raggiunge una lunghezza di 5 metri, e che fornisce una pesca lucrosa presso le isole Faeroè, è reputato di comparsa accidentale nel Mediterraneo. Notai ancora intorno alla nave molti ciuffi, talvolta notevolmente grandi, di un’Aiga aftine al Sargasso, galleggiante per le nume- rose vescichette sulle fronde; avvicinandoci allo Stretto ed entro questo, trovammo sempre numerose quelle masse di Alga. Quel dopopranzo si stabili una Sta- zione in 719 metri di fondo per saggi d’acqua e tem- perature soltanto; io approfittai della sosta per fare una gita col battello, si raccolsero: una Pelagia nocti- luca, alcune Physophora, una bella catena di Salpe, al- cune Creseis ed un certo numero di Noctiluche; quella notte la fosforescenza emanata da queste era assai diminuita. L'indomani, in vista di Gibilterra, osservai un numeroso stuolo di Delfini (D. delphis); di tratto in tratto due, nuotando lato a lato, prende- vano l'apparenza di un individuo con due pirne dor- sali. Verano moltissimi Puffinus Kubli, Procellaria pelagica ed alcuni Gabbiani, Larus cachinnans, L. fu- scus e L. canus; notai pure un’ individuo del raro Larus Audouini. Alle 8,30 a. m. si ancorava sulla rada di ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 281 Gibilterra. Al mercato dei pesci feci alcune interessanti osservazioni ittiologiche delle quali dirò più oltre. La mattina del 12 agosto lasciammo l’ ancoraggio di Gibilterra per incominciare i nostri lavori talasso- grafici nello Stretto, ma disgraziatamente in quel mo- mento ‘incominciò a soffiare il vento da Levante, che diventando ognora più gagliardo ci impedì qua- lunque lavoro ; non ci rimaneva che correre con inu- sitata velocità sopra Cadice. Nello Stretto rivedo il L. Audouini, \ì L. cachinnans, il Puffinus Kubhlii, la Procellaria pelagica; appena fuori nell'Atlantico e di. fronte a Conil, noto due uccelli simili ai Puffinus, ma con ali più lunghe e la coda terminata da una fascia nerastra; non potevano essere che 1° CEstrelata haesi- tata, una delle specie più rare dell’ Avifauna pelagica europea. Poco dopo passarono vicini al « Washington » due Cetacei che dalle dimensioni e dal colore bian- castro giudicai essere il Grampus griseus, specie acci- dentale nel Mediterraneo e nell’Adriatico. Alle 6,30 | p. m. si gettava l’ ancora innanzi a Cadice. Anche qui iniziai alcune interessanti ricerche intorno all’ Ittio- fauna, delle quali più oltre. In questa e nella nostra seconda visita a Cadice, il signor A. Colombo, sottotenente di vascello, il quale mostrava un marcato interesse alla Zoologia ed aveva con molto profitto ricevuto istruzioni speciali nell’arte di conservare delicati organismi marini alla Stazione Zoologica di Napoli, fece alcune dragate all’entrata del porto intorno alla secca « Diamante » ed agli scogli « Puercos »; raccolse non poche specie di quella Fauna litoranea, le quali se non erano direttamente impor- tanti pel nostro compito speciale, di certo non man- cavano di essere interessanti. Per queste dragate il Pelagos. 19 282 PELAGOS. signor Colombo si servi di una delle barche a vapore e adoperò una piccola draga della forma antica; riusci perfettamente dimostrando quanto il mezzo e l'attrezzo usati siano adatti per le ricerche biologiche litoranee od in piccole profondità. La mattina del 15 agosto, il tempo sembrando mi- gliorato, noi lasciammo Cadice; al tramonto eravamo allo sbocco occidentale dello Stretto di Gibilterra e passammo la notte bordeggiando sotto vapore in quei paraggi. Eravamo presso a poco sulla barriera che dicesi attraversare. lo Stretto tra i Capi Spartel e Trafalgar, e importava assai per l’esito delle nostre ri- cerche indagarne collo scandaglio la entità. L’ indo- mani per tempo si pose mano ai lavori talassografici verso le 7 a. m. trovandoci circa ad uguale distanza dai Capi Spartel e Trafalgar, demmo fondo in 240 metri e si calarono due « correntometri », uno dal bordo l’altro da una lancia che era stata ammainata; le osservazioni dovevano essere simultanee e control- larsi a vicenda. Verso il tocco però riprese a soffiare con forza il vento di Levante e si dovette sospendere ogni lavoro. Si erano colti alcuni animali alla super- ficie la più parte Crostacei (Mysis ed altri), alcuni Be- lone acus allo stadio larvale od emiramfoide, e certe masse di sostanza organica amorfa la cui natura non seppi precisare. Io notai un bellissimo Lestris poma- torbinus adulto, il primo che vedevo; singolare loca- lità per una specie il cui vero « habitat » in quella stagione sarebbe lo Spitzbergen e la Novaia Zemlia piuttosto che la costiera .del Marocco! Non potendo far altro dirigemmo su Tangeri, ove àncorammo verso le 3 p. m. Continuando sempre a soffiare il vento da Levante, la sera del' 17 agosto lasciammo Tangeri ®nde ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 283 utilizzare il tempo facendo una punta nell’ Atlantico per stabilire alcune Stazioni talassografiche in Oceano al sud della bocca occidentale dello Stretto di Gibilterra. A ridosso della costa del Marocco trovammo calma di mare e di vento; una fitta nebbia nascondeva però la terra non molto distante, quando salii in coperta l indomani mattina. Intorno a noi con agilissime ma- novre natatorie, si divertiva uno stuolo numeroso di Delfini (Delphinus delphis); uno di essi, una femmina adulta, fu abbastanza incauta da lasciarsi colpire con una specie di fiocina, detta appunto « delfiniera »; tratta a bordo, visse per qualche tempo facendo udire un lamento doloroso, qualchecosa tra il grugnito ed il sospiro. Non differiva in nulla dalla varietà più co- mune del Mediterraneo, avendo fascie longitudinali grigie, non fulve, lungo i lati del corpo. Vidi ancora un volo assai numeroso di Puffinus Kuhlit o major. Dirigemmo poi sopra Rabat, innanzi alla quale ed a Sali si gettò l’ ancora poco dopo il tocco ; il rimanente di quella giornata fu speso in una gita interessantis- sima a terra in quell’angolo poco visitato del Ma- rocco. All’ àncoraggio si videro molti Squali, ed .i nostri marinai riescirono a prendere coll’ amo molti Acanthias vulgaris ed una Zygaena malleus, specie non rare nei nostri mari, specialmente la prima. Alle 8,30 Mpi“m. si salpò facendo rotta per N. N. Ov. la&mattinadel 19‘ asosto falle 5a. vimilsi stabilisce una Stazione talassografica: la profondità è di 1080 metri, la temperatura sul fondo 10° C.; si raccolgono saggi d’acqua, ma non si draga. Alle 3 p. m. facciamo una seconda Stazione in 700 metri, ancora per rac- cogliere saggi d’ acqua. Mi rincrebbe che nel tratto percorso dell’ Atlantico 284 PELAGOS. tra lo Stretto e Rabat non si facesse alcuna dragata col gangano nei fondi maggiori. Quella località oltre l’importanza che ha nello studio delle origini della Fauna abissale del Mediterraneo, è una delle più ricche in forme abissali caratteristiche: l’anno avanti il « Tra- vailleur » vi pescò il singolarissimo Eurypharynx pele- canoides, e quest anno da una lettera del dott. Fischer, apprendo, che il « Talisman », la nuova nave talasso- grafica francese, vi fece pesche abissali sorprendenti e di altissimo interesse. Al tramonto il vento rinfresca, e la notte quando siamo al traverso dello Stretto di Gibilterra ci accor- giamo che là soffia con violenza il Levante; è inutile pensare a riprendervi il lavoro interrotto, e siamo di nuovo costretti a volgere la prora su Cadice, ove giungiamo alle 7,30 a. m. del 20 agosto. Io ripresi subito le mie osservazioni sulla Ittiofauna locale, visitando più volte al giorno il mercato dei pesci e passando in rassegna un piccolo Museo Zoologico nel- V« Instituto Provincial ». I Pesci che vivono in questa parte dell’Atlantico che è limitrofa col Mediterraneo, offrono un interesse speciale a chi, come lo scrivente, si occupa in modo speciale dello studio della Ittiofauna di questo mare ; moltissime delle specie sono comuni ai due lati dello Stretto di Gibilterra, altre invece sono affatto accidentali o rarissime sia a levante sia a po- nente di esso, e sono queste appunto le più interessanti nella soluzione dell’ importante problema corologico; infine pochissime specie non sembrano varcare lo Stretto in un senso e nell’altro. Nei pochissimi giorni che fummo a Cadice registrai 141 specie di Pesci, i cui nomi non importa dare qui in esteso; tra le specie più interessanti rammenterò il ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 285 Labrax punctatus (BI.) assai abbondante, mentre la specie così comune nei nostri mari, L. lupus era scarsa; mi sorprese la singolare abbondanza di SCIAENIDAE: ve n'erano non meno di quattro specie (Umbrina cirrbosa, U. canariensis, Sciaena aquila, Corvina nigra). Assai interessanti erano inoltre la Pristipoma Bennetti (comune), il Batrachus didactylus (abbondante) ed il bellissimo Pagrus hurta? specie le quali s’inolirano nel Mediterraneo seguendo la costa africana e furono in parte raccolte dal Guichenot in Algeria; esse ponno senza dubbio capitare sulle coste italiche e più facil- mente. su quelle occidentali e meridionali della Sicilia. Interessante per un’altro verso era una grossa temmina della rara Preroplatea altavela; misurava circa un metro in larghezza ed era pregna; le uova, sfortunatamente schiacciate e che mostravano un principio di blasto- derma, erano notevoli per avere un doppio tuorlo in ciascun involucro. Jaxsera. del 22 agosto: lasciammo Cadice, diretti nuovamente allo Stretto di Gibilterra; di buon mat- tino l’indomani ci trovammo nella parte più angusta dello;btretto,, trav Tarifa ela Punta. \Giris (Africa). Alle 7 a. m. con buon tempo e calma di mare venne stabilita in punto quasi equidistante dalle due coste una Stazione talassografica, principalmente per osser- vazioni sulle correnti; venne ammainata una lancia la quale reggendosi sopra un àncorotto calò il corrento- metro ; la profondità in quel punto era di 500 metri. Galleggiante e semivivo si prese qui un bellissimo Chauliodus Sloani, uno dei più singolari tra i pesci della Fauna abissale e che nel Mediterraneo è stato trovato soltanto, che io sappia, a Nizza ed a Mes- sina. Verso mezzogiorno, ripresa la lancia, si diresse a 286 PELAGOS. ponente ed in vista di Tangeri si fece una seconda Sta- zione col correntometro un poco a ponente del me- ridiano di Tarifa. Mentre la lancia lavorava per conto suo, si fece la nostra prima dragata, adoperando una grossa draga modello Magnaghi, ottima per fondi roc- ciosi ; calata la draga in una profondità di 682 metri, a circà metà dello Stretto, sopra un fondo apparente- mente sabbioso ; la facemmo lavorare per circa mez- 2’ ora. Alle 51/, p. m. si salpò e giunse a riva colle prove di aver lavorato benissimo : era piena di grossi frammenti di conchiglie, di Madrepore morte e rotolate, di almeno due specie e di becchi di Cefalopodi, il tutto affatto netto di fango; saggio assai interessante del fondo locale, che aveva più l’apparenza di essere stato tolto dal letto di un fiume a corrente rapidissima che non dal fondo del mare. Di vivente, la draga non prese che due Decapodi brachiuri affini alle Amathia, cinque bellissimi Palemonidi prossimi ai Paeneus, varì Anellidi di due specie e due Spugne silicee; tra le conchiglie rotolate era riconoscibile quella di una Sca- laria: Alle 6,30 p. m., ripresa la lancia, si fece rotta su Tangeri, giungendo a quell’àncoraggio alle 8,30, e rimanendovi la notte. Alle 7 a. m. del 24 agosto lasciammo Tangeri ed andammo a stabilire una Stazione sulla supposta bar- riera che attraversa lo sbocco occidentale dello Stretto; la lancia si staccò per fare le osservazioni col corren- tometro e noi calammo per la seconda volta la grossa draga Magnaghi, a mezzogiorno, in una profondità di 428 metri. A giudicare dal piccolo saggio riportato dallo scandaglio, il fondo era sabbia e frammenti di conchiglie, ma vi dovevano essere scogli e scogli ta- glienti, giacchè quando, mezz'ora dopo, si volle sal- ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 287 pare la draga, venne su soltanto il cavo d'acciaio; il « falso braccio » di canape che connetteva questo alla draga (per ovviare cocche), era troncato a circa 50 metri dal suo attacco col cavo d’acciaio ; naturalmente la draga rimase sul fondo. Per completare i guai, tornò a softare il vento da Levante, che da due giorni ci aveva lasciati in pace, e dopo aver ricuperato la lancia non senza difficolta a cagione del mare ingros- sato, fummo costretti a cercare riparo alla fonda a ponente di Tarifa, ove giungemmo alle 5,30 p. m. ed ove restammo tutto l’indomani e la notte seguente. La mattina del 26 agosto lasciammo la rada uggiosa di Tarifa e si fece rotta a levante; softiava sempre il vento da prora, ma andò calmandosi ed alle 10 a. m. ci concesse di fare una Stazione talassografica tra Punta GanmoapoiVa tGeuta!(Fat.. 36° 38/1 Nin Long: 5° 10 644 Ov. Gr.), ove trovammo una profondità di 860 metri e dove si ammainò una lancia per osservazioni corren- tometriche. Il fondo in questa porzione dello Stretto sembra essere costituito da fango e frammenti di con- chiglie e Madrepore; il nuovo scandaglio Magnaghi con presa di fondo, fa qui una singolare cattura, e stacca dal fondo un bel ramo di una graziosa Gorgonidea, che fatta espandere mercè una corrente di acqua marina attaverso un recipiente di vetro, viene uccisa istanta- neamente coi polipi stesi ed egregiamente conservata in alcool dal signor Colombo. Sembra appartenere al senere Muricea, che è notevole per avere i tentacoli sostenuti da uno scheletro calcareo. Alle II a. m. ca- liamo una delle piccole draghe Magnaghi in 870 me- tri; al tocco si salpa colla rete un po’ stracciata, ma che contiene tuttavia ciottoli, grossi frammenti di con- chiglie e Madrepore morte e logore, il tutto pulito e 288 PELAGOS. senza traccia di fango. Entro la draga e sulle redazze troviamo inoltre: un Scopelus crocodilus giovanissimo , preso evidentemente vicino alla superficie; un Astero- pecten? rotto; varì Dorocidaris papillata, che non mi sembrano in nulla differire da quelli pescati nel Me- diterraneo nelle campagne antecedenti, i loro aculei erano in gran parte coperti da una Balanidea parassi- tica; ed alcuni piccoli Anellidi di forse due specie. Alle 3,30 p. m. facciamo un’altra dragata colla mede- sima draga e non lungi dalla prima località (Lat. 38° 585 57” N. -Long.:5°::20:.42'Ov. Gr.) in una protore da dità di 879 metri; la draga stavolta non lavorò bene e conteneva pochissimo: un’Echinus di color roseo ; qualche altro Dorocidaris; 2 Actinie attaccate sopra una conchiglia di Buccinum?; ed un Pagurus. Nelle redazze v’ erano frammenti di Madrepore ed un pez- zetto di Corallo rosso, morto e levigato ; questo po- teva anche essere da quella località, giacchè Gibilterra sarebbe uno dei punti in cui il Corallo rosso fu tro- vato; va però rammentato che l’anno scorso durante la esplorazione fatta dal « Washington » sui banchi coral- ligeni di Sciacca sotto la direzione del prof. Canestrini, quelle medesime redazze erano state adoperate, ed il pezzetto ora trovato poteva esservi rimasto da allora. Ripresa la lancia, dirigemmo su Gibilterra ove an- corammo alle 7,45 p. m. Dovendo fare viveri e car- bone, rimanemmo alla fonda sino alla sera dell’ indo- mani. A Gibilterra ripresi le mie osservazioni intorno alla Ittiofauna dello Stretto, incominciate nella nostra precedente sosta in quella città e continuate nelle due nostre visite a Tangeri; fui abbastanza fortunato con- siderando il tempo brevissimo concessomi e le scarse occasioni di osservare non sempre favorevoli. Potei ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 289 acquistare qualche specie interessante e vedere abba- stanza per poter avere un'idea della primaria impor- tanza di tali ricerche per chi vuol avere la spiega- zione di alcuni dei fatti più singolari dell’ Ittiologia mediterranea. Del resto per chi deve studiare a fondo la Ittiologia del Mediterraneo e dei mari dipendenti è ovvia la importanza di conoscere quella dello Stretto di Gibilterra, l’unico varco per il quale specie atlan- tiche ponno ora entrare nel Mediterraneo. A Tangeri, per incominciare a ponente, trovai il mercato dei pesci. scarsamente fornito; vi notai soltanto dieci specie tra le quali erano notevoli il Dentex maroccanus, il Pagrus hurta? e Vl Umbrina canariensis. A Gibilterra invece tro- vai un mercato ben fornito e ricco di specie; nelle due visite che vi potei fare notai non meno di 36 specie, tra cui erano notevoli, rispetto all’ Ittiofauna mediter- ranea, specialmente le seguenti: Labrax punctatus (an- che qui in compagnia del più raro L. lupus), Serranus alexandrinus, Pagrus hurta? e Batrachus didactylus (co- mune). Quanto vidi bastava per mostrarmi il carattere più mediterraneo dell’ Ittiofiuna dello Stretto di Gi- bilterra in confronto di quella di Cadice, e per ren- dermi persuaso che Gibilterra è la località ove più facilmente si ponno raccogliere i materiali per uno studio completo della Ittiofauna dello Stretto. La sera del 27 agosto, lasciammo Gibilterra vol- gendo la prora su Napoli, ove dovevamo essere allo spirar del mese concesso per le esplorazioni talasso- grafiche, periodo troppo breve invero quando debbonsi fare osservazioni che richieggono molto tempo e be/ tempo, in luogo come è lo Stretto di Gibilterra, ven- tilato per tre quarti dell’anno. Tutto il 28, si camminò senza far sosta; il 29 agosto alle 10,30 a. m. ci fer- 290 PELAGOS. mammo per fare una Stazione talassografica sul meri- diano di quella eseguita il 9 del mese, ma un poco più al sud. Lo scandaglio indicò una profondità di 2724 metri: si fecero. serie tefmometriche eli nate colsero saggi d’acqua; alle 4,30 p. m. eravamo di nuovo in rotta. Nulla di notevole accadde nei due giorni seguenti e all’alba del 1 settembre avvistammo la Sardegna; verso mezzogiorno l’ indomani rivedemmo il nefasto Monte Epomeo. Entrando nel golfo di Na- poli uno stuolo di piccoli Delfini, giovani D. delphis, ci passò accanto; ed il « Washington » fece alzare dall’acqua su cui erano posati, una cinquantina di Puf- finus Kublii, tra i quali scorsi due P. anglorum, i primi che vedevo. Alle 6 p. m. si dava fondo e si prende- vano gli ormeggi nel porto militare di Napoli e così aveva termine la terza campagna talassografica del R. piroscafo « Washington ». +» Non tocca a me il dire quali sono i risultati delle ricerche fisiche in questa campagna, più special- mente dedita, come dissi già, ad esse. Sebbene quelle ricerche fossero in certo modo introduttive e prepara- torie, il risultato di esse non potrà essere che impor- tante: in grande coppia si raccolsero saggi d’acqua e sempre saggi di fondo; si fecero scandagli su linee talassograficamente importanti; si presero ancora serie verticali di osservazioni termometriche ; ed infine si iniziò col .correntometro una importantissima esplora- zione nello Stretto di Gibilterra. Ma, un poco per l’ indirizzo speciale della campagna, un poco per la brevità del tempo concesso e per altre ragioni, che non è qui il luogo di enumerare, le ricerche biologiche vennero davvero ridotte al minimo e nulla si fece per la importantissima esplorazione della Fauna abis- ESPLOR. TALASSOGRAFICA DEL MEDITERRANEO. 291 sale, alla conoscenza della quale avevo davvero sperato di portare quest’ anno un nuovo contributo. Malgrado queste lacune nella parte che a me spettava, le quali non erano certamente però da ime dipendenti, debbo pur dire che anche la passata campagna del « Wa- shington » è stata per me pregna di ammaestramenti e di suggerimenti pei nostri lavori futuri. Completerò questo mio resoconto sui lavori talas- sografici da noi eseguiti nel Mediterraneo con alcune notizie ulteriori che si riferiscono alle nostre future esplorazioni in quel campo ricco e ferace. Il 21 ot- tobre p. p. la Commissione talassografica si riuniva una seconda volta in Campidoglio; ma soltanto per stabilire il preventivo delle spese occorrenti per la esplorazione da farsi nel 1884. Alla fine del dicembre essa si riuniva nuovamente onde stabilire in modo definitivo il programma generale per la completa e sistematica esplorazione scientifica del Mediterraneo, e più specialmente per decidere il programma della cam- pagna del 1884, che dovrà considerarsi davvero come la prima parte del vasto compito proposto. Non mi rimane che ad esprimere caldamente la fi- ducia che all’ undecima ora non venga meno l’ aiuto materiale da chi deve concederlo e che non manchi l’ accordo più completo tra tutti i collaboratori; neces- sità assolute per la riuscita della nostra grande impresa. In faccia alla scienza mondiale abbiamo assunto una nobile, ma grave responsabilità; dobbiamo saper soste- nerla con decoro ed uscirne con onore! EnrIco H. GIGLIOLI. LECRERLE —0 od Credenze degli antichi intorno alle perle — Struttura e composizione delle perle — \ ò P \ Loro frequenza — Perle di straordinario volume — Origine e formazione -— Mol- 30 ò < \ luschi perliferi marini — Pescheria di perle e industria relativa in Sassonia — Pesca delle perle nel Mar Rosso, nel Golfo Persico e a Seilan — Prodotti della pesca e commercio delle perle — Falsificazioni e usi delle perle. A tempi immemorabili le perle sono ri-. cercate quali vaghissimi e preziosi 0g- il getti d'ornamento; ma non è molto Mems | che se ne conosce la natura e il modo di formazione. Secondo una antica credenza, riferita da Plinio, esse nascono nel corpo di certe ostriche quando sono irrorate da una particolare specie di ru- giada che le rende feconde (1). Io stesso udii affermare da mercanti e marinari arabi che le.perle sono goccie (1) PLINE, Histoire des Animaux, trad. par Guéroult. Paris 1845, P. 277. 294 PELAGOS. di rugiada solidificata nell’ interno delle conchiglie marine. Plinio aggiunge in proposito parecchie altre favole, come, per esempio, che riescono pallide e sbiadite quando furono concepite sotto un cielo burra- scoso, e rosseggianti invece se nate ai raggi del sole; che i frutti delle ostriche perlifere diventano grossi e rigogliosi se son ben nutrite ed invece impiccio- liscono e dimagrano quando quelle digiunano; che se odono il rombo del tuono, le madreperle spaventate chiudono le loro valve e producono soltanto un’ a- borto di perla, vale a dire una bolla piena d° aria. Ateneo, accostandosi in ciò ad alcuni autori mo- derni, paragona le perle alle idatidi delle carni porcine e dice che sono generate dai tessuti stessi dell’ ostrica perlifera. Per Samuel Dale, Je: perle; sono tMinzece specie di calcoli simiglianti a quelli che si formano nella vescica orinaria dell’uomo e degli animali; mentre Valentino ammette che sieno semplicemente le uova della madreperla (1). Enumerate così sommariamente le opinioni degli antichi, passerò ad esporre quelle dei moderni, ci- tando altresi le osservazioni sulla struttura e la for- mazione delle perle, dalle quali più chiaramente è ri- velata l’ origine loro. I materiali solidi di cui risulta il guscio dei mollu- schi univalvi e bivalvi, sono disposti ordinariamente in straterelli di vario spessore nelle diverse specie; ma per cagione di circostanze accidentali, possono es- sere secreti in alcuni punti in maggior copia che in * (1) Vedasi anche intorno alle credenze degli antichi riguardo alle perle, 1’ operetta di Colucci-Nucchelli intitolata « Un vezzo di Perle ». Milano 1873. LE PERLE. 295 altri e costituire delle escrescenze, dei tubercoli alla superficie della conchiglia, ovvero dei globuli liberi, più o meno voluminosi e regolari, nei visceri o nei tegumenti dell’ animale. Queste concrezioni, questi globuli sono altrettante perle. Nelle conchiglie perlifere d’ acqua dolce si distin- guono tre diversi strati: l’ esterno, di color bruno o giallastro detto cuticola (Conchiolin-Cuticola dei Tede- schi), il medio, bianco, denominato, dalla sua strut- tura microscopica, prismatico (Prismenschicht) e l’ in- terno, più o meno iridescente che dicesi madreperlaceo (Perlmutterschicht). In molte conchiglie marine, come per esempio Ostrea, Perna, Avicula, Vulsella, Trigonia, Turbo, Trochus, si osservano tutti e tre gli strati, in altre, come Tridacna, Arca, Pectunculus, Cardium ecc., manca affatto l’ interno o madreperlaceo. Le perle orientali risultano normalmente del solo strato madreperlaceo; ma si danno perle costituite dallo strato prismatico, quelle, per esempio, prodotte dalla Tridacna che sono bianche, nitide, ma non i1ri- descenti. Altre perle risultano di due od anche tre strati, conchigliari disposti nell'ordine stesso in cui si trovano nella conchiglia madre. Lo strato madreperlaceo non offre uguale splendore e colore nelle diverse specie e varia del pari nelle di- verse regioni di una sola conchiglia. Le perle presen- tano naturalmente tutte le gradazioni possibili delle madreperle corrispondenti ;. così sono abitualmente piombine in certe specie d° Avicula, il cui strato ma- dreperlaceo è di questo colore; e nella Pinna nobilis, che è internamente rivestita di un intonaco madreper- laceo, parte bigio parte rossastro, si trovano perle dell’ uno e dell’ altro colore. Si può dire in tesi generale 296 PELAGOS. che la perla è quasi sempre della stessa natura della secrezione che riveste internamente la conchiglia entro la quale si origina. Infatti, le conchiglie a smalto iri- descente producono perle parimente iridescenti, mentre quelle dotate di smalto a lucentezza di porcellana non danno che perle destituite di qualsiasi iridescenza. Consideriamo un momento la perla orientale, che può riguardarsi come il tipo di tali singolari produ- zioni. Essa trovasi libera nel corpo dell’ ostrica perli- fera, nella condizione di perla vergine, ovvero aderente alla conchiglia, costituendo la varietà denominata ba- rocca o scaramazza dai gioiellieri. Nel primo caso, la sua forma è più regolare e la sue superficie è in ge- nerale assai liscia, e soltanto per eccezione presenta minute rugosità o tubercoli che ne diminuiscono il pregio. Colla sezione, si può verificare che essa ri- sulta di straterelli numerosi ed esilissimi di calcare, alternanti con altri ugualmente sottili di materia or- ganica. L° esame microscopico manifesta in tali strati minute ondulazioni, rappresentate nella figura, alle quali è dovuto lo splendore perlaceo. La madre- perla offre analoga struttura. Castellani (1) assegna alle perle orientali il peso specifico di 1,684. Struttura microscopica delle ‘qiadiehera! Su quelle, assai piccole, da me raccolte nel Mar Rosso, ho veri- ficato una densità di appena 1,54. La durezza delle stesse, misurata grossolanamente, senza il soccorso di (1) Delle Gemme, notizie raccolte da AUGUSTO CASTELLANI. Firenze, 1670: EESPERLEE. 2097 uno sclerometro (1), risulta di circa 3,5 della scala di Mohs, perchè i frammenti loro intaccano lo spato calcare e colla medesima facilità sono scalfitti dalla fluorina. Rispetto alla composizione chimica, risultano di car- bonato calcico, di materie organiche e di un po’ di fosfato calcico (2). L’ acido solforico le attacca assai lentamente, convertendo il carbonato in solfato cal- cico e dopo la reazione si trovano le perle ridotte in pasta bianca e molle e cresciute notevolmente in vo- lume. L’acido nitrico le discioglie più rapidamente producendo viva effervescenza, massime se sono state previamente ridotte in polvere (3). La frequenza delle perle dipende naturalmente dalle circostanze che ne determinano la formazione, per cui varia assai da un punto all’altro, nonchè nelle diverse foggie di ostriche; ma di ciò dirò più diffusa- mente a suo tempo, limitandomi ora a riferire il fatto che, nelle pescherie più ricche, sopra so o 6o ostriche, in media, ve ne ha una perlifera e questa può contenere un numero variabile di perle che in generale sono tanto più rare quanto più voluminose. È infatti assai comune la cosidetta semenza di perle, che risulta di globuletti grossi come teste di spilli; meno frequenti sono le perle che misurano tre o (1) Stromento destinato a misurare la resistenza dei corpi alla scalfittura, applicando dei pesi variabili ad un bulino mobile. (2) Non conosco analisi quantitative delle perle. Nella madre- perla orientale Thomson trovò il 66 per cento di carbonato cal- cico ed il 34 per cento di materia organica. (3) Il molibdato d° ammoniaca manifesta la presenza del fosfato calcico nelle perle, producendo un lieve precipitato giallo nella soluzione acida suaccennata. Questo precipitato si forma assai lentamente. Pelagos. 20 298 PELAGOS. quattro millimetri di diametro. È avviene in generale che i pescatori debbano aprire quattro o cinquemila ostriche per trovarne una sola della dimensione di un pisello. Cionondimeno, si citano esempi di perle incompa- rabilmente più voluminose. Se le storie spagnuole di- cono il vero, nel 1579 ne fu presentata una a Fi lippo II re di Spagna, la quale avea forma di pera, era grossa come un uovo di piccione e proveniva dalle acque di Panama. Il suo prezzo corrispondeva a circa 100,000 lire della nostra moneta. In un museo di Mosca se ne conserva una che pesa 28 carati ed ha il pregio di essere quasi sferica ed un poco diafana. Dovea essere certamente meravigliosa, per dimensioni e bellezza, quella che il celebre viaggiatore Tavernier vide nel 1633, tra le mani dello Sciah di Persia, il quale l'aveva acquistata per una somma equivalente a 2,700,000 lire. Mi sono troppo sospette le narrazioni degli antichi latini perch’ io ponga nel novero la famosa perla che dicesi bevuta in soluzione da Cieopatra, affine di superare, in un banchetto, il fasto d’ Antonio. Plinio assegna a questa un valore favoloso e seggiunge che fu sciolta nell’ aceto; il quale asserto è dimostrato erroneo dall’ esperienza. La più grande fra le perle conosciute, che appartiene. al signor Hope, misura due pollici di lunghezza e pesa 1800 grani (Woodward) (1). Nella corona votiva che il Duca d° Aosta dedicava testè alla chiesa del S. Sepolcro, il Castellani pose una perla piriforme che, al pari di quella venduta da Gou- gitas a Filippo IV, pesa 480 grani. (1) 25 grani ed !/,, formano 1 grammo LE PERLE. 299 Sezionando una perla, si vede formata, come dissi, di straterelli concentrici e nel centro vi si trova d’ or- dinario una piccola cavità, ovvero un piccolissimo nucleo, costituito da un granello di sabbia (1), da un frammento di conchiglia o da altro materiale estraneo. La presenza di questo nucleo indica bene spesso quale sia stata la causa che determinava la formazione della perla. Si comprende, infatti, come un corpo estraneo, penetrato in una parte del mollusco, in guisa che questo non possa più liberarsene, ferisca, offenda ed irriti gli organi che separano la madreperla, per modo che la secrezione gema più abbondante, ricopra ed avvolga il punto offeso o molestato. Questo fatto, può essere anche il risultato di un atto istintivo del- l’animale il quale tenta di coprire sotto un deposito di liscia madreperla il corpo straniero che lo ferisce o lo molesta colle sue sporgenze. E non è certamente infondata tale interpretazione, giacchè nelle Indie orien- tali e nella Cina, come fu più volte scritto da viag- giatori, si introducono nel mantello di certe conchiglie fluviatili dei frammenti di vetro e di metallo, acciocchè intorno a questi si raccolga la concrezione perlacea. Faujas Saint-Fond riferisce di aver veduto a Londra una bivalve d’acqua dolce, proveniente dalla Cina, con una valva attraversata da certo filo di ottone ri- badito, all’estremità del quale, nell’ interno della con- chiglia, era fissata una perla. Dicesi che Linneo ottenesse artificialmente delle (1) Redi, Bournon e Stenone prima di loro, trovarono più volte nelle perle dei granelli di sabbia. Questa particolarità si può mettere facilmente in evidenza tacendo sciogliere una perla nell’ acido solforico diluito. 300 PELAGOS. perle dagli Urio delle acque dolci della Svezia con un metodo consimile, perforandone cioè i gusci con un filo metallico. Broussonet suggerisce di provocare artificialmente la produzione delle perie, introducendo sferette madre- perlacee tra la conchiglia e il mantello del mollusco perlifero. Ad Hangehow, capitale del Ce-kian, si allevano con molta cura certi grossi lamellibranchi lacustri (Ano- donta plicata) e quando hanno raggiunto un certo vo- lume si divaricano le loro valve e si introducono tra la faccia interna di una di esse e il mantello piccoli bassorilievi di stagno, rappresentanti Budda nella sua attitudine tradizionale. Ben presto questi si coprono di un intonaco perlifero, il quale quando sia sufficien- temente spesso può facilmente staccarsi dalla conchi- glia madre e dal modello sottoposto (1). / 4 Gi Aa if ì n => 41 (i i Lat (1) Affine di dar maggior consistenza al modellino che ne ri- sulta se ne riempie il cavo con cera bianca. LE PERLE. 301 I pellegrini buddisti sogliono acquistare a caro prezzo i piccoli simulacri e li portano attaccati al cap- pello come oggetto di devozione e forse anche a guisa di talismano. Bene spesso è evidentissima la causa che ha pro- vocato la produzione di una concrezione perlacea ed anche di una perla propriamente detta alla superficie interna di certe conchiglie, Una apertura praticata nel guscio da un gasteropodo carnivoro, come il Murice a cagion d’ esempio (1), ovvero da certe stelle di mare o da piccoli anellici, obbliga il mollusco aggre- dito nel suo domicilio a riparare al più presto la breccia con l’ unico materiale di cui può disporre, vale a dire colla secrezione perlacea. Infatti, nelle grosse bivalve dei nostri laghi e dei nostri fiumi, ove si vede il guscio esternamente rotto, logorato, foracchiato da animaletti parassiti, si è quasi certi di incontrare delle piccole perle barocche. La formazione delle perle che non offrono interna- mente alcun corpo estraneo fu spiegata da alcuni au- tori, supponendo che le uova sterili del mollusco ser- vissero loro di nucleo; allorchè tali uova sono ade-: renti all’ovario, dànno origine, essi dicono, a perle piriformi e pedicellate. Questa opinione non manca di verosimiglianza pei casi, non rari, in cui le perle si trovano avvolte negli organi della generazione o in prossimità di essi; ma certamente è insufficiente a spiegare l’ origine delle concrezioni perlacee impiantate nella spessezza dei muscoli, nella membrana che cir- (1) Il Murex erinaceus, vedesi comunemente praticare un fo- rellino rotondo nei gusci delle ostriche e cibarsi poscia di quei molluschi. 302 PELAGOS. conda il fegato o in altri visceri, in cui le cellule ovariche non possono penetrare. Pertanto, ritengo più probabile che tali perle, generalmente assai minute, sieno il prodotto della ostruzione morbosa dei follicoli che separano la madreperla. Si osserva, d’altronde, che i molluschi più ricchi di perle sono in generale i più vecchi e quelli che sembrano affetti da qualche morbo. Mi rimane a segnalare un’altra circostanza dalla quale dipende frequentemente |’ esistenza delle perle; vale a dire la presenza di vermi intestinali parassiti nel corpo del mollusco. Il nostro eminente zoologo Filippo Defilippi trovò numerosissime le perle negli Unio e nelle Anodonte del parco di Racconigi presso Torino, e verificò che la frequenza loro dipendeva dall’ essere quei molluschi infestati da un numero ster- minato di Distomi (Distoma duplicatum) e dalle larve di essi. Egli si esprime in proposito colle parole qui te- stualmente trascritte : « Un altro fatto, che io credo di molta impor- tanza in questa quistione, si è l’ineguale frequenza di queste perle in una medesima specie di Anodonta o d’altro genere di bivalve, presa in località diverse. » Procuratomi recentemente un gran numero di in- dividui di Arodonta cygnea dagli stagni del regio Parco di Racconigi, fui sorpreso dalla quantità di piccole perle che vi si rinvengono, quali aderenti alla con- chiglia, quali immerse nel mantello, mentre non ne aveva trovato negli anni addietro che in estrema scar- sità nelle Anodonte e nelle Unioni di alcuni laghi e fiumi di Lombardia.. Queste perle, così frequenti nelle Anodonte di Racconigi, sono piccole, ma in generale LE PERLE. 303 di forme regolari, e potrebbero fors’ anco essere uti- lizzate come le così dette sementi di perle del com- mercio: una fra le altre ne rinvenni perfettamente sferica e del volume di un seme di canapa. Era essa contenuta nel mantello, presso il suo margine ingros- sato e papilloso, corrispondente alla parte posteriore della conchiglia, alla regione in cui si trovano ezian- dio le più belle perle di Unio margaritifer che mi accadde fin qui vedere nelle collezioni. » Ma colla frequenza delle perle nelle Anodonte di Racconigi coincide la frequenza di una specie di di elminti, o vermi intestinali, che finora non si era presentata alla mia osservazione, sebbene allo scopo di rinvenirla avessi aperto nello scorso inverno un grande numero di Anodonte del lago di Varese in Lom- bardia. » Tale specie si è quella che Baer, nel suo clas- sico lavoro sugli animali inferiori (Mem. Acta Acad. Caes. Leop. Naturae curiosorum, vol. XII), ha fatto conoscere col nome di Distoma duplicatum E questa coincidenza non è fortuita. Tutte le volte che io, aprendo un’ Anodonta, vedeva nel suo mantello co- piosamente disseminati gli otricoli contenenti que’ Di- stomi (che sono propriamente Cercarie, o larve di Di- stomi), poteva osservare, sparse in corrispondente pro- fusione sulla faccia adiacente della conchiglia, delle scabrosità perlacee di varia forma e sviluppo, e per tutte le possibili gradazioni trapassanti a vere perle lucenti, subsferiche e del diametro perfino di un grano di miglio. Togliendo accuratamente tra queste concre- ‘zioni perlacee quelle che mi sembravano le più re- centi, potei scorgervi sempre al microscopio gli avanzi de’ piccoli Distomi imprigionati, che avevano servito 304. PELAGOS. di nucleo alla inateria calcare. Queste concrezioni re- centi, o vere perle in principio di formazione, si di- stinguono per la loro forma come di pustole talvolta irregolari, per una leggiera tinta giallastra, e per la mancanza di quella lucentezza che si vede in altre vi. cine e più antiche prominenze perlacee: lo che si deve attribuire a due cause, cioè, alla maggior proporzione della materia animale nei primi strati della perla, ed ai movimenti de’ piccoli Distomi che possono impe- dire sul principio l'aggregazione regolare delle mo- lecole calcaree. » Stimolato da questi fatti ho poscia istituito delle indagini comparative anche sulle altre perle che rin- venni isolate nel mantello delle Anodonte. Spezzatene alcune, ebbi facilmente a riconoscere la più grande analogia fra la sostanza del loro nucleo e la materia sopradescritta incrostante i Distomi: e Puna e l’altra ingialliscono fortemente nell’ acido nitrico per l’azione di questo sulla sostanza organica, che vi prevale assai più che negli strati esterni delle perle. Esaminando al microscopio altre previamente trattate coll’ acido nitrico, se ne vedono gli strati membranosi disgiunti dalle bolle dell’acido carbonico sprigionato, e così fa- cilmente separabili, che si giunge ben presto al iso- lare la parte nucleare. In questa allora si distingue nettamente un contenuto organico, alterato per la doppia causa della formazione perlacea che l’ ha invi- lappato, e dall’azione dell’acido nitrico; per lo che nè si deve nè si può pretendere di trovar sempre in questo nucleo un vermicello perfettamente determina- bile. È possibile però il riconoscervi più o meno age- volmente, secondo. i casi, i caratteri non solo di una sostanza organica, ma veramente di un essere orga- LE PERLE. 305 nizzato morto, la cui determinazione non può ad altro appoggiarsi che a prove indirette; sebbene poi queste siano in tal numero e forza da obbligarci a fare un passo di più, e conchiudere che questo essere organiz zato formante il nucleo delle perle è un elminto ». Defilippi trovò anche in alcune perle un nucleo for- mato da un acaride morto, il Limmnochares anodontae , che fu poi rinvenuto da Kichenmeister nell’ Urso margaritifer della Sassonia. Hessling verificò l’ esistenza di parassiti a guisa di nuclei in molte perle d’ Ano- donte, ma non ne vide mai nelle perle dell’ Urio margaritifer ; egli crede pertanto che l’ ufficio dei pa- rassiti sia in questa specie affatto secondario. Pel na- turalista italiano l'origine delle perle, sarebbe la stessa, all'incontro, anche nel caso dell’ Unio precitato, ma i parassiti non vi lascierebbero traccie visibili. Anche i molluschi perliferi marini hanno: i loro vermi parassiti, che danno luogo alle medesime secre- zioni morbose, e probabilmente ad essi sono dovute molte perle che presentano nel centro loro una pic- cola cavità, nella quale si trovano spesso i residui di un corpo organico, la cui natura il più delle volte. non è riconoscibile (1). Si può ragionevolamente in- ferire da ciò che il verme intestinale, annidatosi in un viscere del mollusco, sia circondato dalla concre- zione perlacea, in guisa da rimanerne imprigionato. Per tal modo la proprietà di secretere perle servi rebbe al mollusco qual difesa contro i suoi parassiti. Da quanto precede, si può concludere che tutti i (1) Ho trovato quasi sempre nelle piccole perle pescate di fresco nel Mar Rosso e da me sezionate, una cavità centrale con- tenente i resti di un piccolissimo animale vermiforme piegato a C. 306 PELAGOS. molluschi dotati di conchiglia sono suscettibili di som- ministrare perle; ma siccome queste produzioni sono formate costantemente dalle medesime sostanze che rivestono la faccia interna del guscio, ne segue che si avranno perle, nello stretto senso della parola, vale a dire concrezioni lucentissime e iridescenti, solamente da quei testacei che spalmano la loro conchiglia di madreperla. Fra le famiglie di molluschi perliferi, merita il pri- mato quella delle Avicule; sono sorta d’ostriche a valve assai ineguali, a base retta, con una estremità d’ ordi- nario molto protratta, e cardine ad un solo dente. Questi molluschi stanno attaccati ai fondi scogliosi per mezzo di un fascio di filamenti tenacissimi deno- minato bisso; il quale ha la sua inserzione alla base del muscolo che forma il cosidetto piede dell’ animale e coll’ altra estremità è fissato ai corpi sommersi. Le specie d’ Avicula viventi descritte dagli autori sono circa SO, proprie per la massima parte ai mari tro- picali (1). Le ostriche perlifere propriamente dette, quelle cioè che forniscono le perle orientali, appartengono a questa famiglia e costituiscono il genere Meleagrina, le cui specie assai numerose, sono quasi equivalvi, di forma arrotondata a valve spesse, squamose, sprovviste di denti nel cardine, munite come le vere Avicule di un bisso che passa attraverso ad una smarginatura della valva sinistra. Nelle Meleagrine propriamente dette, come negli altri generi simiglianti, il mollusco è ovale, compresso, avvolto in una ripiegatura del tegumento comune detta (1) Nella Conchiologia Iconica di REEVE ne sono registrate 75. LE PERLE. 307 pallio o mantello, che è divisa in due distinti lobi. Esso mantello presenta margini spessi e frangiati. Il corpo è assai piccolo ed offre per ciascun lato un paio di branchie comparativamente estese. La bocca è ampia e guarnita di labbra fogliacee, nonchè, per ciascun lato, di un paio di palpi labbiali obliquamente tron- cati. Il piede è conico vermiforme, piuttosto lungo e porta alla base, posteriormente, il bisso. Rispetto alle specie, sono numerose e difficili a di- stinguersi, perchè variabilissime coll’ età e secondo cir- costanze di ubicazione. Esse vivono in tutti i mari tropicali e subtropicali dei due emisferi ed abbondano particolarmente nell’arcipelago delle Filippine, alle Molucche, sulle coste d’ Australia, lungo i lidi atlan- tici dell America centrale. Non sono ben conosciute le specie che si pescano nei varì mari per la ricerca delle perle, ma certo è che l’ostrica perlifera del Golfo Persico e del Mar Rosso è ben diversa dalla madreperla del commercio (che pur si trova nelle Meleagrina muricata del Mar Rosso. medesime località), comunque si creda generalmente che sieno la stessa cosa. La prima (Meleagrina muri- cata) misura abitualmente non più di cinque a sei 308 PELAGOS. centimetri di diametro, è arrotondata, appena un poco obliqua. Le sue valve sono sottili, alquanto convesse, formate di minute e fragili squame imbricate, a mar- gini seghettati e presentano esternamerte un color bigio più o meno scuro, interrotto da raggi bruni, in- ternamente uno splendore argentino e madreperlaceo, fuorchè nella parte periferica, la quale è di color bruno tendente al paonazzo. La seconda (Meleagrina margaritifera) raggiunge NERE, gu i Meleagrina margaritifera del Mar Rosso. nello stato adulto il diametro di 20 centimetri. È di forma arrotondata e più obliqua della precedente; le sue valve sono più forti, più spesse, comparativa- mente meno convesse, all’esterno, di colore verdastro cupo, con raggi biancastri divergenti dal cardine, ma- dreperlacee all’ interno con una zona marginale bruno- verdastra. Di più, l’ una vive gregaria, in banchi, in accolte innumerevoli d’ individui, e si pesca in copia grandissima, unicamente per fa ricerca delle perle e non per conservarne il guscio; l’ altra invece, che ac- LE PERLE. 309 cidentalmente può contenere anche delle perle, vive solitaria, è assai meno comune e i pescatori ne fanno incetta per venderne le valve che servono agli usi a tutti noti. Nei mari americani si pescano certe specie per i due oggetti ad un tempo, ma non saprei rin- tracciare presentemente alcun ragguaglio sicuro in proposito. Nel Mar Rosso vidi io stesso i pescatori di perle estrarre anche dal fondo varie specie di Avicula, di Malleus, di Vulsella e di Crenatula, colla Meleagrina muricata, ed aprirle indistintamente per cercarvi le perle. Si avverta però che il numero delle prime è scarsissimo in confronto di quello delle Meleagrine pescate. In una Avicula semiaurita di questa provenienza trovai perle leggermente rosee. I Malleus e le Cre- natule ne seomministrano di piombine. Le Vulselle le danno bianche, ma pallide e poco lucenti. Si sono trovate perle in molte altre specie di con- chiglie nostrane ed esotiche. Ne raccolsi, per esempio, di assai piccole e rossastre in un Pettine del mare di Genova (Pecten varius). Nella Modiola auriculata di Massaua rinvenni consimili concrezioni, che per la. forma e pel colore somigliano a pallini da caccia. La comune Cozza (Mytilus edulis) che pullula alla foce del fiume Conway, nella contea di Galles, in Inghilterra, presenta frequentemente la medesima particolarità. Nelle Pinne del Mediterraneo le perle sono di strut- tura fibrosa, talvolta bigie più o meno chiare con lieve iridescenza e bene spesso color di corniola; ne posseggo una di tal fatta pescata in Sardegna e molte raccolte a Taranto. Vuolsi notare che le differenti colorazioni corrispondono alla diversa natura dello smalto interno nelle varie parti della conchiglia. 310 PELAGOS. Villa segnala perle argentine della Trigonia d’ Au- stralia. Hessling ne vide nei Pectuuculus e negli Spon- dylus. In una specie di questo genere (Spondylus gae- deropus), raccolta nel porto di Genova, ho trovato una perla sferoidale bianca ed opaca come fosse di marmo. Una concrezione simigliante fu da me incon- trata in un’ Arca del Mar Rosso (Arca nivea). Final- mente, nel corpo d’una Tridacna (1) di Massaua trovai dei globuli perlacei irregolari, di sei millimetri di dia- metro. Questi sono bianchissimi translucidi e presen- tanto la lucentezza della porcellana. Fra i testacei wnivalvi, D’ Argenville segnala le Aliotidi (molluschi a guscio madreperlaceo) come pro- duttrici di perle che possono gareggiare per bellezza con quelle delle Meleagrine. Ne forniscono le Patelle, al dire di Blainville, le Turbinelle e gli Strombus, se- condo la testimonianza di Woodward. È noto che anche le conchiglie d’acqua dolce sono alcune volte perlifere. In Francia, a cagion d’ esempio, varie specie d’ Unio (2), e particolarmente l’ U. mar- garitifer, forniscono perle che non raggiungono il grado di bellezza delle marine, ma che sono suscettibili di essere applicate alla gioielleria. Moquin Tandon ne trasse dall’ Arodonta cygnea (var. ventricosa) delle acque di Tolosa. Ed io ne ritrovai alcune, libere tra le ripiegature del mantello o aderenti alla conchiglia, nelle Anodonte del lago d’ Alice presso Ivrea. In quasi (1) Genere dotato di conchiglia assai grande e pesante, ornata di pieghe divergenti e a margini ondulati. Vien detto comune- mente Béritier dai francesi perchè serve ad uso di ricettacolo per l’acqua benedetta in molte chiese. {2) U. margaritifer, U. sinuatus, U. rbomboideus, U. crassus, U. pictorum, U. tumidus, secondo Moquin Tandon. LE PERLE. NE tutti i laghi del Piemonte abbondano consimili bivalve perlifere Nella esposizione internazionale di pesca tenuta a Berlino nel 1880, la storia naturale ed economica delle perle d’ acqua dolce era mirabilmente illustrata da una raccolta esibita collettivamente dai Ministeri delle fi- nanze e dell’interno e dalla Direzione generale delle regie collezioni del Regno di Sassonia. Figuravano in questa mostra: 1.° Un acquario contenente molti molluschi perli- feri viventi (Urio margaritifer del bacino dell’ Elster); 2.° Alcuni preparati di quei molluschi conservati nell’ alcool, dai quali si vede come comincia e come si sviluppa la concrezione perlifera, in quali punti di preferenza si manifesta; 3.° Una grande tavola, nella quale, con appropriati disegni, è esposta l’ anatomia dell’ Unio; 4.° Conchigie perlifere di diverse età; 5.° Conchiglie contenenti perle già sviluppate o in- dizi caratteristici di queste produzioni; 6.° Sezioni di perle e di conchiglie perlifere per di- mostrare l’ interna compage delle concrezioni ma-. dreperlacee e i rapporti di esse col guscio; 7.° Sezioni microscopiche di perle e del guscio, cia- scuna ostensibile in un acconcio microscopio, per di- mostrare l’intima loro struttura; sezioni corredate di buoni disegni in grande scala, per facilitare le osser- vazioni. Preparazioni microscopiche dimostranti |’ em- briologia dei molluschi perliferi; 8.° Collane di perle dell’ Elster ed altre perle staccate; 9.° Strumenti adoperati nella pesca; 10.° Documenti storici e statistici sulla pescheria di perle sassone (pescheria reale); carta topografica 312 PELAGOS. dei bacini perliferi colla distribuzione dei banchi; dati pratici sulla ricerca delle perle; analisi chimica delle acquecimecuiè si pescano; (ecc; 11.° Opere che trattano del soggetto di cui sopra, tra le quali spicca il pregiato volume dell’ Hessling (1); 12.° Conchiglie perlifere preparate per servire alla fabbricazione di vari oggetti di minuteria (portamo- nete, scatolette, ecc.) ad Adorf in Sassonia; 13.° Altri materiali esotici adoperati nella stessa in- dustria (Meleagrina, Pinna, ecc.); 14.° Prodotti dell’ industria di Adorf (lavori in ma- dreperla di mare e di fiume). Il mollusco che produce le perle della Sassonia è l Unio (Margaritana) margaritifer, comune nei corsi d’acqua della parte centrale del settentrione d’ Eu- ropa, dal 43° al 70° di latitudine nord. Esso abbonda specialmente nel bacino di Weisse Elster fino a valle di Elsterberg e nei ruscelli che vi affluiscono. Fin dal medio evo, gli abitanti ebbero cognizione del tesoro che si nascondeva in quelle acque e lo usufruttarono. Nel 1621, per iniziativa del fabbricante di panni Mau- rizio Schmirler, la pesca di perle passò nella condi- zione di regia, e d’allora in poi fu costantemente eser- citata dalla famiglia Schmirler che ancora ne ha il monopolio ; gli odierni concessionari sono infatti un tessitore e due falegnami di questo nome. I pescatori di perle sogliono esplorare i giacimenti di Unio perliferi, procedendo nei corsi d’acqua a guado, contro corrente. Essi raccolgono le conchiglie, le aprono con appositi ferri, e, se non contengono perle, le rigettano nell'acqua; se sono perlifere , ne distac- (1) Die Perlmuscheln und ibre Perlen, 1859. LE PERLE. 313 cano le concrezioni, poi ripongono il mollusco nel suo elemento. Allorchè trovano piccole perle, avviene talvolta che non le raccolgano, per lasciar loro il tempo di raggiungere maggiori dimensioni. Ogni anno no si esplora che una parte della regione perlifera, per modo che lo stesso punto non è visitato che tra- scorso un periodo di Io a 15 anni. Le più belle perle fornite dal bacino dell’ Elster furono pescate nel 1719; nove di esse pesavano 35 carati, e il valore di cia- sumnaleradi-375' talleri.&\Orayla*raccolfa di perle venduta anno per anno, e se ne ricava in media 200 talleri. Altre volte era conservata per lungo tempo. Il bel vezzo di perle del valore di 9000 marchi, com- preso nella mostra di cui ho dato cenno, è il frutto di parecchie raccolte. I tentativi che più volte furono fatti per conseguire artificialmente la moltiplicazione degli Unio perliferi e per accrescere il numero delle perle andarono fal- RLITOR Nel 1850 il signor Maurizio Schmirler ebbe il fe- lice pensiero di usufruttare i gusci delle conchiglie perlifere, per fabbricare oggetti di minuteria e special- . mente portamonete. Egli riuscì nel suo intento, e tale industria, sorta con modestissimi principii, occupa ora, in Adorf e in altri luoghi circonvicini, più centinaia di operai, e mette in opera non solo i gusci degli Unito, ma la vera madreperla ed altre conchiglie madreper- lacee esotiche. (1) I ragguagli precedenti, in parte mi furono somministrati dal professore Nitche, che fu l’ ordinatore della mostra summen- zionata, e in parte furono ricavate dal catalogo ufficiale dell’ e- sposizione. Pelagos. 2I 314 PELAGOS. Trovandomi nel mese di maggio del 1870, a Mas- saua, sul Mar Rosso, occupato a far raccolta di ani- mali marini, divisa di recarmi nell’ Arcipelago di Dablac per visitare una pescheria di perle, che mi si diceva poco distante, col doppio scopo di arricchire le mie collezioni di pesci e di conchiglie e di vedere coi miei occhi come si eseguisce quella pesca, della quale mi si erano fatte dagli indigeni relazioni incom- plete e contradittorie. A quest’ uopo presi a nolo da un arabo di nome Abu-Baker un vecchio sambuck (barca araba) della por- tata di circa 12 tonnellate, con quattro uomini d’ equi- paggio. Questa barca andò ad aspettarmi nell’ isola di Dahlac, ove io mi recai con altra nave più grande. Mi trattenni soltanto due giorni nell’ isola, la quale, comunque arida e scogliosa, non manca di interes- santi produzioni naturali, quindi, nel golfo di Gu- meleh, presi possesso del mio legno ed alzata sull’an- tenna la bandiera italiana, partimmo alla volta dell’ i- sola di Nora, nelle cui vicinanze esistono parecchi banchi perliferi. Il primo giorno si fece poco cam- mino e varcato lo stretto che separa Dahlac da Da- hallam non giungemmo oltre l’ isolotto di Darsarum a ridosso del quale si diede fondo. L’ indomani, poche ore bastarono per raggiungere l’ ancoraggio di Nora, di fronte al misero villaggio dello stesso nome e bi- sognò rimanere colà l’ intiera giornata per far prov- vista d’acqua. La mattina seguente si salpò l’ ancora per tempo, ma l’ agitazione del mare ed il vento con- trario ci obbligarono a pernottare presso l’ isoletta d’ Asgar e ci volle un’ altra giornata per approdare a Sarato, la cui rada è il quartiere generale dei pescatori di perle che ogni sera vi si ricoverano dopo la pesca. LE PERLE. 315 Questa isoletta merita un cenno speciale per le singolarità che vi si incontrano. Essa ha ricetto nella sua parte mediana ad una laguna interna, circondata di aride colline e comunicante col mare per mezzo di uno stretto canale rettilineo, così regolare che più non si potrebbe immaginare se fosse scavato dalla mano dell’uomo. Sulle rive di questa laguna, coperte di folte rizofore e d’ altre piante, albergano numero- sissimi uccelli acquatici, tra i quali una enorme Ardea che fabbrica nidi di circa un metro di diametro. A causa della mancanza di acque dolci, Sarato non ha abitanti che, vi dimorino in permanenza. Ma 1 nu- merosi cumuli di grosse conchiglie ond’è cosparso il terreno attestano come essa sia bene spesso visitata dall’uomo. Tali conchiglie, rotte collo scopo evidente di estrarne l’animale, sono rimasugli dei PES frugali dei poveri pescatori. Sul tardi comparvero in rada molte barche reduci dalla pesca, quasi tutti sambut a due alberi di 20 a 30 tonnellate di portata. Questi legni sono corti, pan ciuti, bassi di prora, col tagliamare assai inclinato. La poppa è alta e porta abitualmente una piccola coperta, sotto la quale v’ ha d’ ordinario una cameretta angu- stissima, destinata al capitano o ad uso di ripostiglio. I legnami di cui è costruito il sambuk sono tutti pic- colissimi pezzi, fra loro collegati con perni in legno e chiodi in ferro ribaditi; le commessure della chiglia sono fatte stagne con calce mista a sego. L” albera- tura consiste in due aste non parallele e di diversa altezza (quella di prua è di gran lunga più alta), cia- scuna delle quali sostiene una lunga antenna che porta una ampia vela latina. La mattina seguente tutte le barche disertarono la LE PERLE. soy: rada per recarsi alla pesca sopra un banco perlifero situato a circa 10 miglia a levante di Sarato. Il mio legno, sebbene partito prima degli altri, non giunse che più tardi al punto di ritrovo e raggiunse i pesca- tori mentre erano già intenti all’ opera loro. Il banco si trova fra le isole di Salambar, Sarato, Rumiah, En- tassenò e Asbab, rimanendo più vicino a quest’ ul- tima, dalla quale trae il suo nome. Esso comincia a scorgersi da lungi per la tinta verde che impartisce al mare, la cui profondità misura nei punti in cui si pratica la pesca, da cinque a sette metri. Quanto alla sua estensione, posso dire soltanto che l’ ho attraver- sato per una lunghezza non minore di 400 a 500 metri. Dappertutto le acque limpidissime lasciano ve- dere il fondo, che è quasi sempre piano e coperto di alghe e di conchiglie perlifere (1). Giungendo sul banco, vidi attorno ad ogni barca un gran numero di uomini e di ragazzi, dalla pelle lu- cida e nera, che stavano nell’ acqua, nuotando od ap- poggiati ad un galleggiante. Quasi tutti scherzavano, cantavano e facevano baldoria , spruzzandosi d’ acqua lun l'altro. Da quando a quando, qualcuno di loro . si tuffava ed agguantato il fondo con una mano strap- pava coll’ altra un certo numero di Meleagrine e le riponeva in una reticella che portava appesa al collo, empiuta la quale, ne versava il contenuto in una cesta di paglia (zembi!). Talvolta, per scalzare più facilmente i gruppi di conchiglie, tenacemente attaccati al fondo, adoperavano un’ asticiuola di legno aguzzata. Nello spazio di tre ore, vidi taluni di costoro tut- (1) Questo fondo risulta in generale di detriti di polipai con rena. 318 PELAGOS. farsi sette o otto volte; altri meno. Interpellati da me, mi dissero che le immersioni solevano fare meno frequenti per l’ agitazione del mare e sopratutto per la freschezza delle acque. Ma più ancora che il freddo e le mareggiate, i palom- bari paventano i voraci pesci-cani che infestano l’Eritreo ed allo scopo di tenerli lontani esercitano l’industria loro a frotte numerose. Se tuttavia, ad onta di questa cautela, qualche squalo audace s’ innoltra sul banco o mostra sulle acque circonvicine la sua pinna aguzza e nera; tutti fuggono, s’ arrampicano a bordo e in un attimo le barche si allontanano a vele spiegate. I sambuk raccolti sul banco d’ Asbab salparono verso le tre p..m. alla volta di Sarato, ‘e. duranmtetsi viaggio osservai come i pescatori, accoccolati su ap- positi assiti di legno, disposti fuori bordo, attende- vano alla apertura delle ostriche ed alla ricerca delle perle. A tal uopo prendevano ad una per volta le Meleagrine, disposte in cumuli d’ innanzi a loro, ne divaricavano le valve mercè un lungo coltello a ma- nico di legno e colla lama ne premevano le carni. Che se queste contengono perle, è facile in tal modo: avvertirle, dalla resistenza che incontra di coltello.: Ciascuno pone le perle che raccoglie in un pezzetto di tela legato con filo, e conserva il gruzzoletto av- volto in un capo della cintola o nel turbante. I pescatori sogliono infilzare in lacinie di palma le parti più carnose e coriacee dei molluschi perliferi e, fattele disseccare al fuoco, le mettono in serbo per cibarsene (1). Queste ed un po’ di pesce sono le sole (1) Le barche sono spesso circondate da torme di gabbiani che danno la caccia alle filze di molluschi, mentre stanno asciu- gando, e spesso riescono ad impadronirsene. LE PERLE. 319 ghiottornie colle quali condiscano l’ insipido loro pane di dura (1). Quanto ai gusci delle Meleagrine, sono subito cacciati in mare. Poichè i sambuk ebbero fatto ritorno nella rada di Sarato, osservai che molti dei marinai continuavano ad aprir ostriche, ed altri, discesi in certe leggeris- sime piroghe scavate in un tronco d’ albero, andavano perlustrando i bassi fondi in cerca di madreperle, vale a dire della grossa specie di Meleagrina. D° ordinario, questi battelli portano due uomini, uno dei quali, se- duto a poppa, sta vogando lentamente con una specie di‘pala; mentre ‘I altro; ritto a‘ prua ed armato. di lunga pertica, esplora il fondo e quando scorge qualche madreperla salta in mare, si tuffa e la raccoglie. Il padrone della mia barca mi assicurò che nell’ar: cipelago di Dahlac la pesca ha luogo tutto l’anno, ma più nella state e nella primavera che nelle altre stagioni. Dicesi che si eserciti pure, ma con meno re- golarità, nei dintorni di Massaua, presso Loheia e al- l'isola di Hassan di contro a Kosseir. Klunsinger ri- ferisce che in quest’ultimo punto dura dal principio della state fin quasi alla fine dell’ autunno. Sembra che i pescatori seguano colà il sistema di non ricercare le perle nelle Meleagrine, se non dopo aver lasciato macerare i molluschi al sole. Si afferma che ogni barca ben equipaggiata somministri giornalmente 3500 ostriche a perle e 500 Madreperle. Tengo per fermo che non vi sieno più di 100 barche impiegate in questa poverissima industria, in tutto il Mar Rosso, e- che il prodotto della pesca non ag- guagli complessivamente .-200,000. franchi. Le perle (1) Pane fatto con una sorta di saggina. 320 PELAGOS. del Golfo Arabico si smerciano quasi tutte alla fiera di Debullo nell’ isola di Dahlac e colà passano gene- ralmente in mano a negozianti arabi o indiani che le spediscono a Gedda o a Bombay. Le Madreperle sono invece vendute per la massima parte a Massaua, d’onde poi si spediscono in Egitto e in Europa. Secondo una relazione del tenente colonnello Lewis Pelly, residente inglese sul Golfo Persico, la pesca delle perle si pratica colà in un modo alquanto di- verso. Il palombaro porta annodata intorno alla vita una corda, di cui un suo compagno tiene l’ estremità; ha poi fra i piedi una pietra legata ad un’altra cor- dicella che è attaccata col capo opposto alla barca. Quando si tuffa, scende rapidamente al fondo colla pietra fra i piedi, raccoglie le ostriche e le ripone in un sacco sospeso al petto o alla cintola; poscia, al- lorchè ‘vuol tornare a ‘galla, lascia la pietra e tralda corda, avvisando così uno dei compagni rimasto a bordo, acciocchè lo aiuti a risalire (1). Molti pesca- tori hanno inoltre il costume di stringersi le narici con una pinzetta di corno, durante ogni immersione. Nel Golfo Persico i banchi di Meleagrine si esten- dono interrottamente lungo la costa Arabica, ad un punto un po’ al di sotto del porto di Koweit al nord, fino ai dintorni di Ras-el-Khaimah a mezzogiorno. I più ricchi e produttivi sono quelli celebratissimi delle isole Bahrein. Ne esistono alcuni meno estesi e meno importanti în altre località, segnatamente a Karrak. Questi banchi sono considerati dagli abitanti del littorale come loro proprietà esclusiva e non permet- tono ad alcun straniero di sfruttarli. (1) La pietra vien poscia salpata per mezzo della cordicella. LE PERLE. 321 La profondità dell’acqua nei fondi perliferi varia * tra:le 3 e le: 18 braccia: Ma la pesca al di sotto di 7 braccia non si fa che assai di rado e si crede a ra- gione, assai nociva alla salute dei palombari. La pesca dura nel Golfo Persico dal mese di aprile fino ad agosto o settembre. Secondo il celebre esplo- ratore dell’ Arabia centrale, Giftord Palgrave, il nu- mero dei battelli addetti a questa industria sarebbe di 2 a 3000. Lewis Pelly innalza questo numero a 4 0 5000, di cui 1500 spettanti alle isole Bahrein. Ogni barca porterebbe, secondo lo stesso autore, non meno di 20 a 30 uomini. Colà, i profitti della pesca sono d’ ordinario divisi in IO parti e distribuiti nel modo seguente: due spettano al capitano e all’armatore, tre ai palombari, due agli uomini che tengono le corde e le rimanenti tre parti sono destinate a pagare le spese occorrenti. per le provviste della campagna. Generalmente, i prodotti spettanti ai palombari o agli uomini di rinforzo sono accapparati dai mercanti indiani o arabi, stabiliti sul littorale che se ne sono assicurati il possesso con anticipazioni di denaro. La totalità delle perle tratte annualmente dal Golfo Persico rappresenta, giusta il computo di Lewis Pelly, un valore di circa 10,000,000 di franchi. ll prodotto delle sole isole Bahrein corrisponde alla metà di que- sta somma. I capi o Sceik arabi percepiscono sulle pescherie l’ imposta annuale di un dollaro per cia- scun palombaro e per ogni uomo di rinforzo; la quale corrisponde ad una tassa del 5 per °/, sul valore to- tale dei prodotti. Pescherie meno importanti esistono nelle acque dell’ isola Seilan e segnatamente nel Golfo di Manaar. 36». PELAGOS. Secondo le relazioni dei viaggiatori (1), la pesca oc- cupa in quella località circa 1500 battelli-ed ha prin- cipio in febbraio o in marzo, esercitandosi soltanto. una trentina di giorni in ogni anno. Ciascuna barca è equipaggiata con Io rematori e ro palombari, i quali sogliono dividersi in due mute che si danno il cambio di tanto in tanto per ripo-' sarsi. Il pescatore suol tuffarsi ad una profondità di circa 12 metri, e per scendere più facilmente al fondo si carica di una pietra del peso di 25 chilogrammi, legata all’ estremità di una corda che. coll’ altro. capo è fissata al legno. Quando il palombaro cala al fondo introduce il piede destro in una staffa di cui è mu- nita la corda che sorregge il detto peso; col piede sinistro egli tiene la rete nella quale deve riporre la sua raccolta d’ ostriche; mentre con una mano stringe una cordicella d’ avviso, destinata a farsi tirar su dat compagni, nel caso che le forze gli mancassero. Egli. scende nell’ acqua accoccolato ed, appena raggiunto il’ fondo, abbandona la staffa ed empie la rete di Melea- grine. Le immersioni non durano più di 30 secondi’ ed in circostanze assai favorevoli un solo individuo può farne 15 o 20 in una mattina (2). Questo eser- cizio troppo prolungato diventa faticosissimo ed ha tristi conseguenze per la salute dei palombari, i quali bene spesso sono soggetti a sgorghi di sangue dal naso e dalle orecchie. i « Il pescatore, scrive Michele Lessona, è pagato in denaro, oppure ha in pagamento una parte delle con-' chiglie perlifere. A terra, queste conchiglie vengono (1) ALrrED FrepoL, .Le Monde de la Mer. (2) La pesca finisce d’ordinario a mezzogiorno. - LE PERLE. 323 poste in certe fosse appositamente scavate, e si lascia morir l’animale, e scomporsi la parte molle del corpo suo, nella quale diligentemente si cercano poi le perle. Alcuni poveri Indiani vanno spesso, per settimane e mesi, razzolando in mezzo a quella putredine, per spigolare qualche residuo di piccole perle sfuggite al primi cercatori (1) ». In un suo opuscolo sull’ origine delle perle (2), A. Villa esprime il dubbio che nelle Meleagrine la- sciate fuori dell’ acqua, dopo la pesca, possano svilup- parsi nuove perle e si accrescano in volume quelle che già vi esistevano. Questo dubbio è infondato perciocchè le perle si formano lentamente e il mol- lusco tratto fuori del suo elemento soccombe dopo poche ore. A. Fredol riferisce che il prodotto della pesca di Seilan fu nel 1778 di 4,800,000 franchi e nel-1797 di 3,600,000. Dopo il 1802, soggiunge, fu appaltata per. 3,000,000 di franchi. Ai giorni nostri il ricavo della pesca è notevolmente scemato; nel 1863 si stimava di pyi01S sterline; mel'+1674/dixrot20; nell: 1877, 11527 battelli riportarono, durante una campagna di 30. giorni, un raccolto di 6,849,720 ostriche pel valore di 18,982 sterline. Le ostriche perlifere sono raccolte in gran copia anche nel Golfo di Bengala, sulle coste d’ Australia, nel Mare della Cina, nell’ Arcipelago Indiano e nel Mare del Giappone; ma su tali pesche, le quali hanno luogo probabilmente nel modo stesso di quelle di Seilan, non si hanno speciali ragguagli. (1) I tesori del mare, Nuova Antologia, vol. VII. Firenze 1508, (2) Il Politecnico, fasc. 48. Milano 1860. 324 PELAGOS. Fin dai tempi anteriori alla conquista del Messico e del Perù, si raccoglievano perle nel Pacifico, segna- tamente fra Acapulco e il golfo di Tehuantepec. Più tardi si stabilirono pescherie anche sui litorali ame- ricani dell’ Atlantico e questa industria acquistò in breve tale incremento che sotto Carlo V si valutava 4 milioni di franchi l’ importo delle perle sommini- strate dal nuovo continente alla Spagna. Il prodotto delle pescherie americane non raggiunge più presen- temente, secondo gli autori moderni, che un valore di un milione e mezzo. Dicesi che alle Indie si dividano le perle in 11 ca- tegorie, facendole passare successivamente per altret- tanti stacci che presentano fori di graduate dimensioni. A Bombay, si apprezzano specialmente le perle di forma regolare, anche quando non sieno bianchissime ed assai splendenti. A Bagdad, si stima soprattutto il pregio del colore e della lucentezza. Colà, come pure in Arabia, si esitano facilmente anche le perle minu- tissime ed irregolari. Le perle barocche sono ricercate in Spagna ed in Polonia. In generale si considerano come più perfette le perle vergini, sferiche, di color bianco argenteo, leggermente azzurrino o giallastro, senza macchia od asperità. In tali condizioni, scrive il Castellani, quelle del peso di: 1 grano valgono 25 lire il denaro 2 grani » 60 » CAR) » I$O )) 4» » 300 » Quando però raggiungono ‘un peso superiore a due denari il loro prezzo è accresciuto da un coefhiciente LETPERLE, 325 di rarità che varia secondo la moda, secondo i luoghi e le circostanze. Da qualche anno le perle dette nere o piombine, sebbene non raggiungano il prezzo delle bianche, godono di molto favore e sono ricercatissime. Il commercio delle perle ha una grande importanza in Inghilterra e in Francia e specialmente nelle capi- tali dei due stati. Le statistiche recano che nel 1869 si introdussero perle in Inghilterra pel valore di 45,403 hre sterline e ‘nel'‘‘1876- pet 2,007,333 franchi ‘in Francia. L’ alto prezzo raggiunto dalle perle suggerì il pen- siero di imitarle con preparazioni artificiali. Per non parlare di alcuni tentativi infelici, dirò come ! arte di fabbricare false perle sia stata condotta a perfe- zione da Jaquin, mediante l’ingegnoso ritrovato del- l’ essenza d’ oriente od argentina. È questo un pigmento argenteo che si ricava mercè una serie di manipolazioni dalle squame della comune alborella (Alburnus alborella). Introducendo questa so- stanza nell’ interno di globetti di vetro cavi, si ottiene l’ intento, per modo che occorre un occhio assai eser- citato per distinguere la copia dal modello. A Roma si fabbricano false perle con sferette di alabastro coperte di un intonaco di cera e d* ar- gentina. Le imitazioni di Lemoine sono fatte di una pasta che contiene, secondo Castellani; 3 parti d’ argentina, 4/g di carta pecora collosa, 1 parte di cera bianca ed 1 di alabastro in polvere. Nelle perle di Venezia si imita meno felicemente lo splendore della perla orientale con sali metallici in- trodotti nella pasta di globetti di vetro. Assevera il Castellani che un misto di una parte di bismuto e due 326 PELAGOS. di sublimato corrosivo, consegua l’effetto dell’ essenza d’ Oriente (1): Le perle vergini, destinate a farne collane od altri consimlli oggetti d’ ornamento debbono sottoporsi alla foratura, la quale operazione si pratica in guisa da occultarne i difetti e da farne risaltare lo splen- dore. Bene spesso le perle difettose, quelle che pre- sentano per esempio delle scabrezze o delle asperità alla superficie loro, si acconciano dai lapidari, levi- gandole con polvere di madreperla; ma tale artificio facilmente si scopre dai conoscitori. Col tempo, le perle ingialliscono e si appannano (2). Furono suggeriti vari procedimenti per impedire queste alterazioni o scemarne il danno; ma non ve ne ha alcuno che meriti la minima fiducia. Chi propose di cuocere le perle col pane, chi di stropicciarle con riso bollito e salato, chi di porle nel succo gastrico di un pollo ucciso di fresco. Si credeva anticamente che il far inghiottire ad un piccione le perle guaste dagli anni fosse il miglior modo per ridonar loro la primi- tiva bellezza; Redi volle farne l’esperienza e trovò che le perle sottoposte alla prova non avevano subito altro cangiamento che una diminuzione di 1/3 nel loro volume. Allorchè l’ empirismo e la superstizione regnavano senza contrasto sulla medicina, furono adoperate le perle in certe infermità, come assorbenti; si conobbe più tardi che la creta più vile è suscettibile di sosti- tuirle con vantaggio nello stesso ufficio. Nel secolo (1) CASTELLANI, Delle gemme. Roma 1870. (2) Ne furono trovate in antiche tombe, le quali erano dive- nute molli, friabili ed avevano perduto ogni splendore. LE PERLE. 327 scorso, giunto all’ apogeo il fasto delle corti, era in- valso il costume fra le dame di temperare con im- palpabile polvere di perle le tinte, per avventura troppo vivaci delle gote e degli omeri. Ai nostri giorni, come nell’ antichità, la tomba del- l'umile verme che infestava l’ostrica indiana è l’ at- tributo più ambito del lusso della potenza e della bellezza; commista alle gemme più preziose, inca- stonata nell’ oro, rifulge sullo scettro dei re e degli imperatori, sul manto dei principi e dei duchi e spicca sulle treccie e sulla morbida pelle delle dame e delle fanciulle. - sa 3 2A Eri * # viver dit n x sl sE cho Pio SARI <* Agi E, SRO e sa INCORALIO N) deo Il corallo nell antichità — Marsigli, Peyssonel e Lacaze-Duthiers — Il polipaio e le sue parti — Il sarcosoma e i polipi — La vita del corallo — Sue specie e varietà — Caratteri fisici e chimici del corallo rosso — Ubicazione e distribuzione geo- grafica — Pesca — Commercio e lavorazione, Bir corallo fu certamente conosciuto dal- l’uomo fin dai tempi più remoti. Esso figura tra le antichità raccolte a Concise, e: sul lago di Neufchatel, antichità che verosimilmente risalgono all’era del bronzo (Lubbock). Nelle tombe di Felsina, che soglionsi riferire agli ul- timi tempi dell’ età del ferro, si trovò una fibula di bronzo ornata di due bottoni di corallo e un pezzetto (1) In questo capitolo è compreso un articolo comparso nella Rivista Marittima del 1872. Pelagos. 330 PELAGOS. della medesima sostanza; avanzi di corallo lavorato si rinvennero nelle necropoli preromane euganee. Detto dai Greci, figlio di mare, fu cantato dai loro poeti e fra gli altri da Orfeo di Tracia, in un suo lungo carme; non pare tuttavolta che presso questo popolo avesse alcuna applicazione. All'incontro, è certo che gli Etruschi lo adoperassero per farne ornamenti mu- liebri. Del corallo scrisse Ovidio, nelle Metamorfosi, at- tribuendogli la proprietà di essere molle nell’ acqua e di indurire in contatto dell’ aria; pensiero già espresso da Dioscoride. Da Plinio sappiamo ove si pescasse e a quali usi si ricercasse ai suoi tempi. I Romani, che pregiavano assai il corallo, ne ador- navano spade, elmi, e scudi, ne foggiavano ornamenti muliebri, sigilli ecc.; inoltre, ponevano ai neonati col- lane di questo corpo marino cui attribuivano la virtù di scongiurare le disgrazie; i Galli 1’ adoperavano come i Romani a decorarne strumenti guerreschi. Qual è la vera natura di questa preziosa produ- zione che adorna de’ suoi cespugli sanguigni le roccie sommerse negli abissi del mare ? Come si origina, come si sviluppa ? Per lungo tempo, in mancanza di osservazioni, i dotti si appagarono di congetture fondate sulla mera parvenza. Chi credeva il corallo sostanza pietrosa, fog- giata a guisa d’arboscelli in virtù di una sorta di cri- stallizzazione; chi asseriva fosse una specie di pianta marina a corteccia litoidea.; e questa era l'ipotesi più accreditata. Per la qual cosa, allorchè, nel 1706, il Conte Marsigli annunziò d’ aver veduti e toccati con mano i fiori della problematica pianta, la notizia non destò meraviglia e parve omai chiarito ogni dubbio IL CORALLO. 331 e luminosamente dimostrata la natura vegetale del corallo. Comunicando la sua scoperta al presidente della Accademia delle scienze di Parigi, il Marsigli scri- veva, come, osservando un ramo di corallo pescato di fresco e conservato nell'acqua marina, avesse ve- duto con stupore scaturirne fiorellini bianchi, pedicel- lati e muniti di otto foglioline o petali; e soggiun- geva che, appena tratto il ramuscolo dal liquido, i fiori spontaneamente scomparivano. Un giovane chirurgo della marina francese, di nome Peyssonel, discepolo ed amico del Marsigli, inviato in missione sulle coste della Barberia per istudiarne le produzioni naturali, ebbe agio di ripetere colà le in- dagini del maestro; ma egli le interpretò ben diver- samente: « vidi fiorire il corallo (egli scrisse in una memoria rimasta inedita), in vasi pieni d’ acqua ma- rina, ed osservai che il fiore di questa pretesa pianta altro non è che un insetto simile ad una piccola or- tica (1) o ad un polpo ». Il sagace osservatore, aveva finalmente penetrato il segreto del corallo. Ma ignorava come una nuova verità incontra da principio ostacoli invincibili e non riesce se non dopo fiere lotte a cac- ciare l'errore antico. Le idee del giovane naturalista si tennero in conto di assurdità, di strane abberra- zioni e niuno volle accettarle; invece degli encomii e degli onori che si riprometteva dal suo trovato, non s’° ebbe che critiche e motteggi. Dolente ed amareg- giato per sì ingiusto procedere, egli tralasciò i suoi studii prediletti, abbandonò la Francia per sempre, e finì poi oscuramente i suoi giorni alla Guadalupa. (1) Qui s’ intende ortica di mare od attinia. 332 PELAGOS. Ben dice Beranger: Vieux soldats de plomb que nous sommes Au cordeau nous alignant tous, Si des rangs sortent quelques liommes Tous nous crions: à bas les fous! On le persecute on les tue, Sauf après un lent examen A leur dresser une statue Pour la gloire du genre humain. Dopo alcuni anni, perfezionatisi i mezzi d’ indagine, e venuti in onore gli studii intorno agli animali in- feriori per le memorabili scoperte di Trembley sui polipi d’acqua dolce, il corallo fu sottoposto da scien- ziati autorevoli ed imparziali a nuove e rigorose os- servazioni, dalle quali risultarono interamente confer- mate le conclusioni di Peyssonel, ed allora soltanto queste conseguirono il tardo assenso degli accademici. Da quel punto in poi la natura animale del corallo fu ammessa senza contrasto e la storia naturale dei zoofiti acquistò grande sviluppo ed importanza, mas- sime per opera di Cavolini, di Milne-Edwards, di Haime, di Dana, di Lacaze-Duthiers. Mi propongo ora di presentare per sommi capi e in brevi parole, i risultati recentemente conseguiti dai naturalisti nello studio del corallo, attingendo special- mente al ricchissimo corredo di osservazioni e di no- tizie raccolto dal professore H. Lacaze-Duthiers, nel suo pregiato lavoro che ha per titolo: « Histoire na- turelle du Corail (Paris 1864) ». Il polipaio del corallo è ben noto per la sua forma generalmente arborescente. Allo stato fresco vi si di- stinguono agevolmente due parti; una esterna, che sembra come una corteccia molle e carnosa e si chiama IL CORALLO. 333 sarcosoma, e l’ altra interna che è il polipaio propria- mente detto. Quest’ ultima offre esternamente solchi longitudinali paralleli e talvolta anche piccole cavità. Osservando con un potente ingrandimento una se- zione trasversale del polipaio, se ne vede il contorno ondulato, a cagione dei solchi ora accennati; nella parte centrale appariscono delineate ripiegature irrego- lari, dalle quali si dipartono molte linee di un rosso più intenso, dirette dal centro alla periferia a guisa di raggi. In una sezione longitudinale si distingue nella parte mediana come una specie di asse irrego- lare che dà origine alle accennate ripiegature visi- bili nella sezione trasversa, e ai due lati v’ ha una superficie di colore più o meno vivo, secondo che corrisponde ai raggi rossi o ai loro interstizi. Si deno- minano dai pescatori puntarelle le estremità dei ramu- scelli corallini in via di accrescimento. Queste sono foggiate a capocchia e presentano esternamente un sarcosoma assai fitto ed, all’ interno, il polipaio in for- mazione, sorta di lamina irregolarmente trigona, di tessitura porosa, sparsa di molte lacune. Il tessuto del corallo è di per sè incoloro e traspa-. rente; ma la presenza di certi corpi microscopici chia- mati spicule lo rende di color rosso o roseo, ed opaco (quando abbia già una certa spessezza, poichè nelle lamine sottili è diafano e di colore pallidissimo). Il sarcosoma è un tessuto contrattile, carnoso, più sottile alla base dei rami che alla estremità; il micro- scopio rivela in esso parecchi elementi; vale a dire spicule, ossia concrezioni calcari rosse di forma allun- gata, armate di tubercoli spinosi simetricamente di- sposti, e vasi di due specie. Alcuni di questi, assai sottili, costituiscono una maglia fitta e. superficiale, 334 PELAGOS. altri di maggior diametro, formano uno strato più protondo, che riposa immediatamente sul polipaio, ed occupa precisamente i solchi già descritti. I due si- stemi di vasi sono fra loro in diretto rapporto per mezzo di minuti ramuscoli trasversali e comunicano pure coi polipi del corallo che sarò in breve a de- scrivere. Nelle puntarelle i due strati sono confusi in una maglia unica. Lacerando il tessuto del sarcosoma, si fa uscire dai vasi ora accennati il cosidetto Jatte del corallo dei pescatori, liquido biancastro e denso (destinato alla nutrizione del polipaio) che contiene numerose spicule, cellule epiteliali e talvolta anche piccole uova. Quando si esamina un ramo di corallo vivo, ap- pena uscito dal mare, si osservano alla sua superficie dei piccoli rilievi divisi da otto solchi, convergenti ad un foro centrale. Ciascun rilievo corrisponde ad un polipo, il quale sboccia fuori tostochè il ramo sia immerso in acqua marina ben pura (s'intende verifi- candosi in essa le condizioni opportune di temperatura, di salsedine, ecc.), e si presenta sotto forma di un tu- betto cilindrico, alla cui estremità si espande un disco, ornato di otto tentacoli mobilissimi. Il corpo del polipo è bianco, quasi trasparente ed ha un diametro di due a tre millimetri. I tentacoli sono parimente bianchi e la loro lunghezza giunge appena, abitualmente, ai due centimetri, ma può essere anche maggiore; essi sono ornati di due ordini di barbule. Allorchè il polipo si trova completamente svilup- pato, apparisce come un fiorellino candidissimo a co- rolla patente, che spicca sulla tinta sanguigna del sar- cosoma, ed è animato da rapidi movimenti. Se si scuote o si tocca un ramo di corallo vivente, conser- IL CORALLO. 335 vato in un vaso d’ acqua marina, i polipi si rannichiano tosto nella spessezza del sarcosoma e comparisce in loro vece, nel luogo che occupavano, una piccola eminenza munita di 8 solchi irradianti dal centro di essa (1). Per mezzo di sezioni orizzontali e verticali opportunamente condotte, si può allora investigare l’interna struttura di queste bizzarre creature. Nel centro della accennata eminenza e nel mezzo di una depressione infundibiliforme, si apre la bocca del polipo, al disotto della quale havvi una cavità più ampia in basso che in alto, divisa per mezzo di sepi- menti verticali in 8 camere, contenenti organi speciali costituiti di piccole masse bianche. Nella parte me- diana della detta cavità havvi poi un breve canale, il quale sta probabilmente a rappresentare l’ esofago e comunica superiormente colla bocca ed inferiormente con altra apertura. Esso tubo è tenuto in luogo dai sepimenti già ricordati e non si continua fino al fonde della cavità; colà i tramezzi offrono un margine libero che porta gli apparati della generazione denominati, a causa della loro forma, ripiegature intestiniformi. Gli otto compartimenti già rammentati, danno anche ri-. cetto ai tentacoli, che vi stanno rovesciati come dita di guanto e contratti in guisa da capire in sì angusto spazio. Rispetto ai tentacoli, vuolsi anche avvertire che of- (1) Per conservare un ramo di corallo vivente, affine di os- servarne i polipi, convien collocarlo, appena tratto dal mare, entro un recipiente di cristallo pieno d’ acqua marina purissima e limpidissima, e tenervelo sospeso in guisa che il polipaio non sia in contatto del fondo; fa d’ uopo inoltre mantenere 1’ acqua alla temperatura di 12° a 15° cent. circa e rinnovarla parecchie volte nel corso della giornata. 336 PELAGOS. frono internamente una cavità comunicante con quelle che si trovano all’ interno delle barbule di cui sono ornati. Essi risultano nella porzione più interna di grandi cellule a contenuto granuloso, esternamente di cellule piccolissime formanti un tessuto più fitto, uni- tamente a mematoscisti. Sotto tale denominazione si comprendono certi organi, dotati in molti zoofiti di proprietà urticanti, costituiti nel corallo di due cel- lule, luna inclusa nell’ altra; l’interna contiene un sottilissimo filamento avvolto a spira. Le parti ora descritte si trovano intimamente col- legate col sarcosoma per mezzo d’un apparato vasco- lare che è in diretta comunicazione colla cavità gene- rale di ciascun polipo e nel quale circola l’ umore elaborato dai polipi stessi. Per certe funzioni, per quella della riproduzione sessuale, a cagion d’ esempio, il polipo è autonomo e indipendente, per altre invece forma parte integrante di una colonia più o meno numerosa. Nella secrezione del polipaio concorrono per mezzo del sarcosoma tutti gli individui. La riproduzione può avvenire nel corallo in due modi ben distinti; cioè per gemme o per uova. Nel primo caso il sarcosoma si estende, più o meno ra- pidamente in superficie e in spessezza, all’ estremità dei rami od alla base di essi e presenta nei tratti nuovamente formati dei punti bianchi muniti di un foro che grado grado si accrescono ed appariscono quindi come nuovi polipi simiglianti ai preesistenti. Nell’ estendersi del sarcosoma avviene talvolta che s'incontra con altri zoofiti di specie diversa, i quali sono pure in via d’accrescimento; succede allora una lotta, nella quale la specie che possiede maggiore energia vitale soverchia l’altra, la ricuopre e la uc- IL CORALLO. 337 cide. Se però due coralli s'incontrano, anzichè nuo- cersi a vicenda, si uniscono, si saldano e formano da quel punto una sola colonia. Si danno polipi unisessuali ed ermafroditi; nel primo caso, talora lo stesso ramo porta polipi dei due sessi, tal’ altro, soli maschi o soie femmine. Gli spermato- zoidi, che costituiscono la parte essenziale dell’ ap- parato generatore maschile, nonchè le uova, si svi- luppano negli organi già accennati sotto il nome di ripiegature intestiniformi. È cosa estremamente diffi- cile il riconoscere prima della maturità se queste pro- durranno uova o spermatozoidi. Nella stagione calda, il polipo maschio od ermafro- dita emette dalla apertura buccale un liquido denso e biancastro, nel quale sono sospesi numerosi corpiciat- toli microscopici, in forma di filamenti rigonfiati ad una delle loro estremità. Sono questi gli spermatozoidi i quali, portati dalle correnti in contatto delle uova, ne operano la fecondazione. L’ uovo appena fecondato, si segmenta, mentre è ancora aderente all’ ovaia; poi cambia di forma in guisa che da sferico si fa elissoidale; quindi si al-. lunga e gradatamente si converte in una sorta di ver- miciattolo bianco, la cui lunghezza uguaglia una volta e mezzo o due volte la larghezza. La larva così for- mata, continua ad allungarsi, finchè diventa dieci e perfino quindici volte più lunga che larga; si copre poscia di cigli vibratili, i quali, animati da un rapi- dissimo movimento, servono al nuoto. Il suo corpo, costituto di due distinti strati di cellule, presenta allora una cavità interna che serve alle funzioni di nutrizione. Le larve espulse dal polipo per la cavità buccale, nuotano procedendo dall’ avanti all’ indietro, cioè man- 338 PELAGOS. dando innanzi l’estremità caudale. Per poco però dura la loro esistenza in tale stadio, giacchè tosto si fissano ai corpi sommersi e subiscono una metamorfosi, in seguito alla quale costituiscono colonie di molti indi- vidui; l aderenza è favorita dal muco che secretono abbondantemente. Allorchè la larva sia fissata, la sua estremità buccale si assottiglia, mentre si allarga l'estremità opposta. Il suo corpo diventa più ventricoso, quindi grado grado si accorcia e prende la forma di un disco a faccia in- feriore piana e superiormente incavato. Il punto centrale di questo disco è occupato dalla bocca. Intanto si va modificando anche la struttura del polipo coll’origi- narsi dei setti nella interna cavità di esso e colla com- parsa di nuovi elementi anatomici che costituiranno gli organi dell’ animale perfetto. Ben presto alla su- perficie del polipo si disegnano 8 solchi che limitano un ugual numero di tubercoli e questi non tardano a convertirsi in 8 tentacoli che fanno corona all’ orifizio buccale. Si producono in ultimo le spicule, ed inco- mincia la formazione del polipaio nel modo che si è già descritto. Da ogni singolo individuo si svolge quindi poco a poco una nuova colonia simile a quella che abbiamo scelta quale punto di partenza nelle no- stre considerazioni. Il genere Corallium comprende, oltre al corallo rosso (C. rubrum C. nobilis), due altre specie che sono il C. Johnsoni (Gray) delle acque di Madera ed il C. secundum (Dana), originariamente descritto come proveniente dall’ isole Sandwich, che fu poi ri- trovato in copia nelle acque del Giappone. Il primo è distinto dall’ aver i polipi situati sopra una sola faccia e contenuti in capsule assai sporgenti, di forma IL CORALLO. 339 un poco ovoidea, segnate di solchi longitudinali più fortemente impressi verso il margine dell’ apertura che alla base; esso è di color biancastro. L’ altro presenta ramificazioni disposte prevalentemente in un solo piano e i suoi polipi, in minor numero che nella specie comune, sono quasi tutti confinati sopra una delle faccie e si fanno più fitti verso l'estremità dei cespiti. Questo corallo, osserva Gray, sta probabilmente ade- rente alle pareti verticali degli scogli, in posizione orizzontale in guisa che i suoi polipi rimangano collo- cati superiormente (1). Dagli esemplari che ho veduti, posso dire soltanto che i cespiti del corallo giapponese sono più volumi- nosi di quelli della specie comune ed hanno una strut- tura quasi fibrosa; il loro colore è abitualmente ver- miglio o roseo traente al carneo, con venature più chiare. La pesca di questo polipaio, iniziata sei o sette anni addietro da armatori francesi, a quanto si af- ferma, riuscì assai proficua. Varie spedizioni ne furono fatte pei porti della Cina e dell’ Europa e segnatamente per Genova. Un negoziante di Yokohama stimava da 100 a 150 mila lire l ammontare di questa esporta- . zione nel 1878 (2). {1) Proc. of Zool. Soc., 1860, p. 394. (2) I ragguagli suesposti intorno al corallo giapponese mi fu- rono gentilmente procurati dal signor F. Podestà, cui ne rendo pubbliche grazie. Dal medesimo ebbi testè in comunicazione 8 bellissimi cespiti giapponesi, i quali presentano tronchi più o meno compressi a diramazione irregolarmente dicotomica, con sviluppo prevalente dei rami nel senso della compressione. Le capsule dei polipi sono rade, prominenti e distribuite per la mas- sima parte, ma non tutte, sopra una delle faccie; si dà pure il caso che sieno distribuite in due zone ai due lati minori dei tronchi di sezione elittica. 340 PELAGOS. Gli esemplari suaccennati provengono, secondo mie private informazioni, dalle coste della grande isola Sikok e precisamente dal punto detto Torsa, distante circa due giorni di battello a vapore da Yokohama. I campioni esposti alla mostra internazionale di pesca, nel 1880, a Berlino provengono dalle località deno- minate Kotshi-Ken a 33° !/, di latitudine N. e 133° !/. di longitudine O., del meridiano di Greenwich, e Okinawa-Ken, a 25° di latitudine N. e 126° di lon- gitudine O; così il catalogo speciale della mostra giapponese. Del corallo che si pesca alle isole del Capo Verde, recentemente introdotto in commercio dagli Spagnuoli e dagli Italiani, massime per opera di negozianti li- vornesi, diedi un breve cenno fin dal 1872 nella Ri- vista Marittima (1), considerandolo come varietà assai distinta del corallo rosso. Nel 1880 il prof. A. Targioni Tozzetti lo descrisse succintamente, assegnandogli la nuova denominazione specifica di C. Lubrani. Esso è distinto dai suoi arboscelli brevi, irregolari, di color vermiglio cupo traente al vinato, muniti di numerose ramificazioni, sulle quali si osservano strie longitudi- nali profondamente segnate e piccole cavità (corri- spondenti ai punti d’ inserzione dei polipi) scarse e rade verso la base, fitte e copiose all’estremità dei rami. Tali cavità sono più ampie e profonde che nelle altre varietà. Recentemente, alcuni armatori livornesi iniziarono una pesca assai attiva di questo corallo, da principio nella parte meridionale dell’ isola di Santiago, poi lungo la costa orientale della medesima. Il mare suol (1) Anno V, fasc. VII. IL CORALLO. 34I v SINAIAI DL 5 È A, a Corallo delle Isole del Capo Verde. B, » Corallo del Giappone. (esemplari posseduti dal Museo Civico di Storia Naturale di Genova) 342 PELAGOS. essere in quei paraggi assai agitato per effetto degli alisei di nord-est, che spirano con maggior violenza tra il gennaio e il luglio; la riva è inospitale e porge ricovero solo a piccole barche. Il corallo si trova dalla profondità di 90 metri a quella di 120, alla distanza di 1000 a 4000 metri da terra, lungo una costa montuosa. Nel linguaggio del commercio, i cespiti corallini più voluminosi e perfetti diconsi capo festa e si distinguono in dennati e malnati, secondo la maggiore o minore regolarità; i pezzi più piccoli e più sottili costituiscono il barbaresco; terraglia si denominano le spuntature e i frustoli e raspatelli o guasti i frammenti e le in- crostazioni di corallo toracchiato o tarlato. Finalmente, bruciati sono i pezzi raccolti nel fondo, già morti o alterati e perciò più o meno anneriti. Il peso specifico del corallo rosso fu trovato di 2,671 per quello di Sciacca e 2,680 per quello del- l’ Adriatico; la sua durezza è intermedia fra il 3. e il 4.° termine della scala di Mohs. Esso diventa fosfore- scente per. eftetto del calore, della luce solare e della scintilla elettrica; è diamagnetico. Si conoscono parecchie analisi chimiche del corallo dovute a Vogel (1), a Walting, a Schaper (2) e a Tischer (3). Da queste risulta che il polipaio è preci- puamente costituito di carbonato di calcio (in una pro- porzione che raggiunge l’ 86,97 per 100) con carbo- nato di magnesio (3,50 a 6,80 per I00), sesquiossido (1) VIOLETTE € SRGRAMBATILI, Dictionnaire des analyses chi- miques. Paris 1859. (2) RoTH, Allgemeine und zo Geologie, I. Berlin 1879. DIGI Cori Il corallo. Roma 1883. IL CORALLO. 343 di ferro (1 a 4,25 per cento), solfato di calcio, materia organica (0,50 a 7,75), allumina, cloruro di magnesio, solfato di sodio, fosforo, silice ecc. Silliman avrebbe trovato differenze assai maggiori nella proporzione del carbonato di magnesio, il quale, secondo questo au- tore, sarebbe scarso nei cespiti giovani e assai copioso nei vecchi, raggiungendo in questi il 35 p. 100. ilbischer veriticò ‘che/melteorallo. nero aumenta » Dal 103) fin verso il ‘1300, «fu prati cata principalmente dai Pisani, i quali acquistarono nel 1167 il privilegio di pescare nelle acque della. Tunisia e di fondare uno stabilimento a Tabarca. Per poco sottentrarono ai Pisani i Catalani, poi, grado grado, i Genovesi soverchiarono gli uni e gli altri. Il signor F. Podestà, che pubblicò notizie storiche di molto interesse sul tema che qui ci occupa, rin- venne un documento dal quale risulta che fin dal 1154 i corallari di Portofino si univano a consorzio per innalzare un tempio al santo patrono della Li- (1) Rapporto del R. vice-console Angley sulla pesca del corallo alla Calle. 350 PELAGOS. guria. Son noti gli statuti dell’arte dei corallari, in Genova, che datano dal 1492 (1). Nel 16.° secolo la famiglia genovese dei Lomellini ottenne da Soli- mano la concessione di Tabarca, la quale traeva seco il privilegio di esercitare la pesca del corallo in quelle acque ad esclusione di altri. Alla fine di quel mede- simo secolo, i Francesi, divenuti rivali degli Italiani, ottenevano dai Bey di Bona e Costantina il privilegio di pesca su tutta la costa compresa fra Bona e Ta- barca, e lo tennero in seguito interrottamente e con vicende diverse fino al presente. Nell’anno 1740, la Francia, acquistato anche il possesso di Tabarca, diventava sola padrona della pesca sulla costa d’ A- frica e istituiva una speciale società, la Compagnie al- gerienne per l'esercizio di essa. Ma, dopo un anno, scop- piata la guerra fra la Francia e la Reggenza di Tunisi, questa ripigliava Tabarca. Intanto, a causa di guerre e contrasti diversi, langui la società affricana fino al 1794; nel quale anno cadde in virtù del decreto del Comi- tato di Salute pubblica che aboliva 1 privilegi. Da allora in poi l’ industria peschereccia italiana in quelle acque acquistò uno sviluppo sempre crescente, quantunque la Francia non lasciasse alcun mezzo in- tentato per favorire i propri pescatori a scapito dei nostri. Ma poco valsero i privilegi largiti ai primi, i gravami imposti ai secondi. Tali tentativi riuscirono vani, perchè tanto i Francesi quanto gli Algerini mal volentieri si sottopongono alle gravi fatiche di quella pesca e mancano loro le particolari attitudini che essa (1) Questi furono trascritti nella raccolta di documenti sulla pesca, pubblicata anni sono per cura del Ministero di Agricoltura e Commercio. IL CORALLO. 351 richiede; ma poi, come recentemente avvertiva il Pro- fessore Canestrini, cangiato indirizzo, i nostri rivali coglievano nel segno : offrendo premi, esenzioni, allet- tamenti d’ ogni maniera ai marinai italiani, indussero molti di loro ‘a stabilirsi in modo permanente sulle coste d’ Algeria e ad assumere cittadinanza francese. Ora, dai porti d’ Algeria salpano annualmente più di 100 barche coralline con equipaggio tutto italiano, ma sotto bandiera francese. Non solo pescatori, ma costruttori di barche, calafati, coltivatori di canape, fab- bricanti di cordami hanno disertato i nostri lidi per portare l’ industria loro in terra straniera, con danno manifesto della patria, dalla quale volontariamente si sono esiliati Uno dei motivi più potenti che deter- mina costoro ad abbandonare il proprio paese è la leva militare cui si sottraggono diventando francesi. « Da quanto si è esposto, scrive il Canestrini, risulta che la Francia da alcuni anni fa passi giganteschi per carpirci il privilegio della pesca e dell’industria del corallo. Il male che ci sovrasta è gravissimo; non è più una semplice minaccia, ma è in parte un fatto com- piuto » (1). Urge adunque provvedere energicamente.. Una relazione, presentata nel 1869 dagli armatori livornesi al Ministero, attribuiva in quell’anno all I- talia 460 barche coralline, tra le quali 260 grandi e 200 piccole, con più di 4000 marinai (300 armate a Torre del Greco, 60 a Livorno e 100 in Sardegna e in Liguria). Il capitale rappresentato da queste barche era di circa lire 1,770,000 e la spesa complessiva del- armamento e della condotta era valutata in lire 5,934,000. Finalmente il prodotto della pesca si pre- (1) Opera citata p. 124. 352 PELAGOS. sumeva dovesse ammontare a chilogrammi 160,000 di corallo, del valore di lire 9,600,000. Dice il Mazzei-Megale (1) che annualmente s’impie- gano dagli armatori torresi 3600 marinai, in media, e si armano 360 barche (2) e che, riunendo i singoli prodotti medi, ottenuti da queste barche sulle coste di Barberia, nelle acque della Sardegna, della Corsica e della Sicilia, si arriverebbe ad un totale di 1470 quin- tali annualmente, pel valore di circa lire 4,170,000. Dal 1875 in poi la produzione del corallo subi ad un tratto un ragguardevole incremento, in seguito alla scoperta di nuovi e ricchi banchi coralliferi nelle acque di Sciacca. Nella sola estate del 1879 quei banchi furono frequentati da 800 barche, delle quali circa 300 di 10 tonnellate e poco più di 400 di s a 6, e si calcola che il prodotto della pesca sia stato presso a poco di 78000 chilogrammi di corallo, del valore di circa 7 milioni di lire! Questo fatto spiega lo straordinario ribasso verifi- catosi da qualche anno nel prezzo dei coralli. Secondo il sig. Podestà, l’avvilimento del prezzo fu cagionato non dalla qualità, come altri crede, ma dalla quantità. « Frattanto (scrive il Podestà), Governo e scienziati si affaticano alla ricerca di nuovi banchi, ignari che I. industria del corallo versa ora appunto in una grave crisi a cagione delle straordinarie pesche fatte nel mare di Sciacca. Di ricerche di nuovi banchi di co- rallo non è ora uopo, sì piuttoso di novelli luoghi di (1) Intorno all'industria del corallo ecc. Napoli 1880. (2) Nella campagna del 1878 furono armate 323 coralline, nel 1879 ne furono armate. 356 ; 402 furono messe in mare per la campagna del 1880. IL CORALLO. 353 sfogo al grande ammasso del lavorato, fattosi fin pe- santissimo sui mercati dell’ India, che pure sono 1 pre- cipui e potenti emissarii del nobile prodotto. Diriga invece il Governo le sue cure ad ottenere diminu- zione, e possibilmente esenzione di diritti doganali presso quelle nazioni straniere che consumano vezzi del nostro prezioso polipaio ». La lavorazione del corallo ha luogo principalmente a Torre del Greco, a Napoli, a Livorno, a Genova; parte in apposite officine, parte a domicilio degli - stessi operai. Questa industria non si sarebbe eser- citata nel 1869, secondo le notizie di cui sopra, che su 72,000 chilogrammi di materia prima, del costo di 5 milioni di lire, ed avrebbe somministrato un prodotto del valore di circa 9,510,000 lire, nel quale la spesa di lavorazione (ben inteso, esclusa l’ orefi- ceria) sarebbe entrata per 3 milioni. Riferisce il Mazzei-Megale che nella sola città di Torre. del Greco si contano ora 32 stabilimenti di qualche importanza, e circa 50 piccole fabbriche per la lavorazione del corallo, con circa 1500 operai, tra i quali 1000 femmine. Altri 2450 operai, di cui 2000 femmine, attenderebbero al medesimo lavoro a domi- cilio. La somma annualmente pagata a titolo di mer- cede a questi 4000 operai sarebbe di circa 1,740,000 lire. Ad onta delle floride loro condizioni, queste nostre industrie sono minacciate da gravi turbamenti da due fatti, sui quali è utile richiamare l’attenzione del paese; cioè dalla guerra che la Francia muove alla nostra in- dustria e dalla scoperta di banchi coralliferi al Giappone. Sieno dunque vigilanti gli armatori italiani e spe- cialmente i torresi, che sono in ciò i più interessati. 354 PELAGOS. Vedano di non lasciarsi carpire da altri, più intrapren- denti e sagaci, il frutto della operosità e della perti- nacia dei loro maggiori! Quanto alla lavorazione, che è ancora al presente nostro monopolio, lo sarà, io spero, anche in avve- nire se sapremo conservarcela; lo sarà, ma a condi- zione che l’arte del corallaro progredisca dal punto di vista tecnico e soprattutto artistico, si pieghi al sugge- rimenti di un'arte illuminata, e fino ad un certo segno anche alle vicende della moda. È certo che a muovere le mole, i trapani e gli altri ordegni atti ad arrotondare, a tornire il corallo, sì potrebbero sostituire con vantaggio motori mecca- nici all’opera dell’uomo; e in tal caso l’ attenzione e l’ energia muscolare dell’cperaio sarebbero tutte concentrate nel lavoro utile ed intelligente che pro- priamente gli è devoluto. Dal punto di vista dell’arte, ed è ciò che più im- porta, reputo condizione essenziale di prosperità per l’ industria di cui si tratta, l’ introduzione di nuovi e variati modelli d’ ornato tratti dai regni vegetale ed animale, od anche ricavati da manufatti poco noti od estranei al nostro paese, l’ associazione del corallo ad altri materiali decorativi poco usati (gemme, conchiglie, metalli preziosi), affine di conseguire gradevoli ed inso- liti effetti (1). Ma, qualunque sia lo stile e il motivo (1) Oltre a ciò, il corallo è suscettibile di parecchie applica— zioni decorative diverse da quelle che sono in uso presso di noi. A Tunisi, per esempio, il corallo associato alla madreperla e al- l’ avorio, si adopera per l’ intarsio e se ne adornano sgabelli, cornici da specchi, armi da fuoco ed altri svariati oggetti. L°e- secuzione di simili lavori è assai rozza, ma il disegno e la di- stribuzione dei colori riescono talvolta felicissimi. Perchè non si IL CORALLO. 355 d’ ornato da preferirsi, credo necessario che i disegni sieno eseguiti da veri artisti, da uomini che sappiano accopiare al maneggio della matita e del pennello squisito senso estetico e profonda cognizione delle varie foggie d’ ornato antiche e moderne (1). A. IssEL. tenterebbe in Italia di mettere in opera il corallo, specialmente . le varietà di rifiuto, per la decorazione di piccoli mobili di lusso, come forzierini, stipi, cofanetti e simili? (1) Le osservazioni e i suggerimenti suesposti sono applicabili, ben inteso, ai coralli destinati alle grandi città d’ Europa, e non a quelli di forme determinate e immutabili richiesti dai mercati dell’ estremo Oriente e d’ altre lontane regioni. Ù LAI * lede Ie ilo è sta ti Mia LA PORPORA (1) —0 ooo La porpora presso gli antichi — Varietà di porpora — Preparazione — Natura chimica della porpora. À N giorno la ninfa Tiro, di cui Ercole era perdutamente innamorato, vide ve- nire a sè Damante, seguito dal suo cane; il quale, avendo stritolata coi denti una conchiglia della vicina spiaggia, n'era rimasto col muso stranamente colorito. Tanto piacque alla ninfa la vivida tinta che significò ad Ercole avesse a portarle un abito somigliante, sotto pena di sfratto. L’ amore aguzzò |’ ingegno all’ eroe e la porpora fu scoperta. Così la favola immaginosa dei Greci. (1) Quest’ articolo comparve già, in parte, nella Rivista Ma- rittima di Roma, 1876. 358 PELAGOS. Ai giorni nostri, caduta nell’oblio l’arte di cui s’ inorgoglirono Tiro e Sidone, due giovani animosi, stimolati anch’ essi da una passione ardentissima, dal- l'amor della scienza, ricalcarono le orme del figlio di Giove, studiandosi di rintracciare l’ origine e le proprietà dell’umor conchigliare. I risultati conseguiti nelle loro diligenti ricerche dai fratelli De Negri, così si nomano gli egregi in- vestigatori, sono compendiati in un bel libro, dal quale io torrò argomento per riassumere in poche parole lo stato delle nostre cognizioni sulla porpora degli antichi (1). Quando e dove la preziosa tinta fosse posta in opera per la prima volta non si sa. La proprietà co- lorante dell’umor porporigeno di certi molluschi, assai comuni nei nostri mari, cade così facilmente sotto i sensi, che ben presto dovette nascere l’idea agli abi- tanti dei litorali di applicare questa sostanza alla tin- tura degli indumenti e delle materie tessili d’ ogni maniera; e ciò avvenne verosimilmente, da principio, presso i popoli che si cibavano dei molluschi porporigeni. Certo è che troviamo menzionata la porpora nelle sacre scritture fin dai tempi di Mosè, il quale ordi- nava che ne fosse fregiato il gran sacerdote. D’ altra parte, si parla della porpora nell’Illiade, epopea che a rigor di termine può ben dirsi preistorica. È poi noto in qual pregio fossero tenuti i colori conchigliari dagli Egizi, ‘dai Babilonesi, dai. Greci.e' specialtientefdal Latini. (1) Studii spettroscopici e chimici sulle materie coloranti di alcuni molluschi ecc. per ANTONIO e Giovanni DE NEGRI. Atti della R. Università di Genova, vol. III. Genova 1875. LA PORPORA. 359 Rarissima da principio in Roma, ed allora privi- legio dei grandi e dei potenti, la porpora divenne coll’ andar dei tempi cosa volgare, comunque sempre costosissima, e servi d’insegna alla vanità ed al vizio. Se ne vestirono perfino i gladiatori e le cortigiane; e in molte private abitazioni, monchè nei pubblici edi- fizi, fu profusa in tappeti, cortine e tende. Finchè, prima le leggi sontuarie di Cesare, Augusto, Tiberio e Nerone, poi i rigorosi decreti di Costantino, Va- lentiniano, Valente e Teodosio, coll’ intento di raf- frenare l’abuso d’un fasto rovinoso, e forse altre cause men note non ebbero quasi annichilita 1 industria dei porporari. Tuttavolta visse ancora languidamente per più secoli, confinata nei palazzi imperiali e principeschi, talchè leggiamo nelle cronache di quel tempo che i cortigiani di Carlomagno vestivano ancora la porpora. Gli aborigeni del Perù conobbero, a quanto pare, una sorta di porpora conchigliare, e questo è forse indizio di antiche connessioni etniche fra le razze caucasicatted'americana.iNSi vuole che; ci Peruviani, impregnati i loro tessuti di un umore tratto da certi molluschi viventi nel vicino mare, li esponessero all’azione dei raggi solari e così conseguissero vaghis- sime tinte (comprese per lo più tra il roseo e il vio- letto), della cui stabilità fanno fede le antichissime stoffe degli Huacas, ostensibili nel Museo del Troca- dero vin Parigri(1): Nell’attualità, si può dire che i metodi tintorii degli antichi, per quanto concerne la porpora, sono in gran parte perduti, non essendocene rimaste che descrizioni ambigue ed incomplete. Sembra però che la tradizione (1) De Napartcac, Revue des deux Mondes, 1." Novembre 1883. 360 PELAGOS. dei porporari si conservasse ancora, non è molto, nelle Indie Orientali, ove certi abitatori della costa si servivano d’ una sorta di porpora per tingere piccole pezze di stoffa. Anche tuttora, nelle isole Baleari, e dicesi pure nel settentrione d’ Inghilterra, i pescatori si valgono d’ una tinta consimile per tracciare cifre od altri segni indelebili sulla biancheria. Prima di occuparci della proprietà e del modo di preparazione della porpora, non sarà superfluo il ri- cercare a qual colore fosse questo nome attribuito. I moderni intendono per color porporino un rosso traente più o meno al vermiglio, il quale, ad ogni modo, non è ben definito nè per l'intensità, nè pel grado che occupa nella scala cromatica. Or bene, presso gli antichi era questo normalmente un violetto più o meno cupo; e ciò si inferisce dalla interpreta- zione dei testi più autorevoli e meglio dalle esperienze direttamente eseguite sui liquidi porporigeni. Aristotile, nel suo trattato dei colori, chiama il porporino ora alourges ora phoinicoun, ed è ben chia- rito il valore di questi vocaboli dal paragrafo in cui, descrivendo i successivi mutamenti di colore che il frutto della vite subisce nella maturazione, egli dice: « Nell’ uva il colore vinoso si sviluppa quando ma- tura, ed allorchè annerisce, il phosmicoun si cangia in alourges ». Ora, è noto che l'uva così detta nera passa colla maturazione da un rossastro più o meno chiaro ad un violetto intenso. Goethe, che al vanto di sommo letterato univa quello di sagace naturalista, scrivendo egli pure in- torno ai colori, tradusse l’alourges di Aristotile col- l’espressione blaurothe (azzurro-rosso) che corrisponde precisamente al concetto del nostro violaceo. LA PORPORA. 361 Oltre a ciò, parecchi autori latini e fra gli altri Cornelio Nipote, Orazio e Plinio, accennano alla tinta violetta od ametistina della porpora in generale o di alcuna tra le sue varietà. Le incertezze e le discrepanze dei dotti su questo soggetto si spiegano facilmente quando si pensi che l’umor conchigliare serviva, presso gli antichi, a comporre non solo la porpora tipica, ma ancora pa- recchie varietà, alcune distinte con denominazioni pe- culiari, altre cogli aggettivi rossa, azzurra, gialla , nera ecc.; queste, convenzionalmente e non perchè fos- sero tali in modo assoluto. Così diciamo tuttora bianchi, rossi e neri certi vini che offrono tinte ben diverse dal bianco, dal rosso e dal nero as- soluti. Col volgere dei tempi, avvenne poi indubbiamente che avesse maggior pregio ora l’ una gradazione ora l’altra e che, per secondare i capricci della moda, do- vessero i porporari cangiare le loro misture. Durante la mia gioventù, dice infatti Cornelio Ni- pote, citato da Plinio, la porpora violetta era in voga e si vendeva cento denari la libbra (1), ma poco ap-. presso fu preferita la porpora rossa di Taranto, poi la doppia di Tiro, la cui libbra costava più di mille de- mil'(2). Vediamo ora qual fosse il modo di preparazione della porpora e d’onde si ricavasse. Molti autori si occuparono di questo soggetto; ma bisogna pur con- venire che da Plinio in poi quasi tutti si copiarono lun l’altro; però i documenti in proposito sono più (1) Circa 237 franchi della nostra moneta, per chilogramma. (2) Circa 2370 lire per chilogramma. Pelagos. 362 PELAGOS. scarsi di quanto si potrebbe supporre. Questi si ac- cordano nell’ attestare che la materia prima della porpora si traeva precipuamente da due specie di mol. luschi testacei denominati in quel tempo Buccinum e Purpura (1). Dalle descrizioni, invero assai imperfette, che ci furono tramandate io non dubito che l'una fosse il Murex trunculus e l altra il Murex bran- daris dei moderni naturalisti (2). Rispetto alla seconda, quasi tutti gli autori, non esclusi parecchi na- turalisti, sono d'accordo. A questo proposito giova riferire una osser- vazione interessante fatta dal ba- rone Aucapitaine: « Je saisis cette occasion, egli scrive, pour signaler PRENAA Tia aux naturalistes un dépot assez del Mediterraneo. considerable de Murex brandaris, L., que j'ai observé dans la partie meridionale du port de Saida (l’antique Sidon), Syrie; mais c'est la una formation toute artificielle ou l’on reconnait la main de l'homme. Les coquilles, toute bristes près du canal, sont celles dont ou tirait cette. pourpre si renommée qui était une des branches de l’industrie de Tyr et de Sidon » (3); riguardo alla Lacaze-Duthiers, autore d’ uno studio accuratissimo (1) A tali denominazioni fu poi attribuito dai conchiologi un significato ben diverso dall’ originario. (2) La prima si vende nel mercato di Genova sotto il nome di Runseggiu ed è commestibile. (3) AUCAPITAINE, formation huitritre daus l’étang de Diana, Corse. Journal de Conchyliogie, 1863, pag. 389. LA PORPORA. 363 sui molluschi porporigeni (1), crede che fosse invece la Purpura haemastoma (secondo l’ attuale nomencla- tura), sentenza nella quale io non posso convenire, innanzi tutto perchè questo gasteropodo è piuttosto raro nel Mediterraneo. La Purpura degli antichi (Murex brandaris) si di- stingueva in algensis, calculensis, dialutensis ecc., deno- minazioni che alcuni vogliono attribuite a specie pe- culiari e che io ritengo riferibili a varietà locali o piuttosto a varietà dipendenti da peculiari stazioni. Certo è, peraltro, che molti Murici e forse anche tutti, nonchè numerose specie appartenenti alla famiglia ma- lacologica dei Buccinidi, sono suscettibili di sommi- nistrare liquidi porporigeni. Plinio riferisce che la pesca del testaceo anzidetto si praticava calando in mare piccole nasse a larghe maglie, nelle quali si ponevano per esca delle conchi- glie bivalvi. Queste, restituite al loro elemento, si aprono e le Porpore allora si accostano per divorarle ed insinuano tra le valve la loro lingua; ma il mol- lusco eccitato dal dolore chiude in quel punto il proprio guscio, facendo prigioniero l’ incauto persecu- tore. « Così, soggiunge, si trovano prese le Porpore e vittime della loro avidità, si colgono appese per la lingua ». Nel racconto del naturalista latino v’ ha senza dubbio qualche esagerazione; ma non manca un fondo di verità, perciocchè i Murici, animali esclusivamente carnivori, si cibano infatti di molluschi bivalvi, come Ostriche, Veneri, Mitili ecc. Non è vero però se non (1) H. Lacaze-DuTHIERS, Un été d’observations en Corse et d Minorque, Première série. Paris 1861. 364 PELAGOS. forse in casi eccezionali, che rimangano stretti nel guscio delle loro vittime. Da quanto io stesso. ebbi occasione di osservare nelle ostricaie della Rochelle, in Francia, essi forano colla lingua, armata di sottili uncini cornei, la conchiglia dell’ Ostrica ed inseriscono poscia nel foro la loro proboscide per succhiare gli umori della vittima; mentre sono intenti a questa opera- zione è raro che abbandonino la preda, e per conse- guenza facilmente si lasciano cogliere dalle nasse o in qualunque altra ‘guisa. Nulla osta, d’ altronde, a che i Murici divorino i muscoli o i visceri degli altri mol- luschi, anche senza averne previamente forato il guscio. Il liquore porporigeno è elaborato, nei Murici, da una zona glandulosa di color giallastro , situata alla parte inferiore del mantello, fra le branchie e l’ inte- stino (1). Esso è biancastro, opaco, denso, viscoso € trasuda dalla superficie dell'organo secernente, pel con- trarsi dell’ animale o per effetto d’ una compressione esercitata all’ esterno sul corpo dello stesso. Esaminato al microscopio, si presenta costituito di granuletti opachi, collegati fra loro da una sorta di mucosità, e di ve- scichette contenenti granuli della stessa natura. La proprietà colorante della porpora è limitata al- l’ elemento granuloso, e si manifesta solamente dopo un’ esposizione più o meno lunga all’ aria o alla luce (secondo la specie). Raccolta una certa quantità di umore porporigeno, del Murex brandaris (2), esso apparisce a tutta prima (1) Non esiste, come da taluno si ritiene , sacco, serbatoio o vena porporigena. (2) Non è difficile di procurarsela stropicciando con un pen- nello da acquarellare la superficie della glandula. S’intende che ciascun mollusco non può fornirne più di una piccola goccia. LA PORPORA. 365 Higncasuo ma, dopo aver subito l’azione dei raggi so- lari o quella della luce diffusa, diventa giallo, poi ver- dastro, verde, verde cupo, azzurrastro, violetto cupo, poi violetto intenso a ciò non solo nell’aria, ma anche nell'acqua e perfino in presenza di svariate soluzioni. Tali mutamenti riescono tanto più manifesti se la tinta sia scevra di materie estranee ed uniformemente distesa sopra un tessuto. Operando col liquore del Murex trunculus, i fratelli De Negri osservarono che passa dal bianco al giallo, al giallo verde, al verde carico, al verde mare, all’azzurro carico e finalmente al violetto più o meno intenso, cangiamenti che di- pendono, in questo caso come nel precedente, dallo svilupparsi di un principio azzurro sopra un fondo giallo, e in ultimo dal formarsi di un principio rosso a spese dell’ azzurro. La porpora del Murex brandaris si colora più len- tamente di quella del Murex trunculus ed è assai più sensibile all’azione della luce, talchè può servire ad ottenere vere immagini fotografiche. Spalmati, infatti, due brani di stoffa coll’umor porporigeno di quel mol- lusco, se uno si mantiene all’oscurità e l’altro si espone alla luce, si osserva che il primo inverdisce, poi non presenta più ulteriore mutamento, mentre il secondo assume in breve la caratteristica tinta violacea. Dalle esperienze dei signori De Negri, emerge al- tresì che il liquido del Murex trunculus si converte in porpora sotto l’azione dell’aria, piuttostochè per ef- fetto della luce. Altra differenza, per la quale si distinguono le tinte fornite dai due molluschi, si è che quella del Murex brandaris è assai più stabile, cioè non si smarrisce al- l’aria e alla luce e resiste del pari all’azione del sa- 366 PELAGOS. i pone, degli acidi e degli alcali diluiti. Essa, inoltre, è un violaceo traente al vinoso, mentre il violetto del Murex trunculus si approssima piuttosto all’azzurro (1). Allorchè i colori conchigliari subiscono le loro me- tamorfosi, sviluppano un odore caratteristico il quale era ben noto agli antichi. Plinio esclama di fatti: « Ma ov'è il merito di tali colori? L’odore ne è fe- tido e la tinta, d’ un verde malinconico, somiglia a quella d’un mare corrucciato » (2). Secondo le memorie tramandateci dagli antichi la- tini e greci, sembra che la porpora si preparasse, ta- lora estraendo dai Murici la sola porzione porpori- gena, e più comunemente manipolando l’ intero corpo di quei molluschi. Plinio ed Aristotile accertano che i grossi esemplari si toglievano dai rispettivi gusci e i piccoli si frangevano, in un colla conchiglia, sotto una macina. Vitruvio avverte come le conchiglie si aprissero per mezzo d'un ferro; altri vuole che si schiacciassero con un sasso. La descrizione meno incompleta e verosimilmente più esatta del sistema di tintura dei latini è data da Plinio, presso a poco in questi termini: . + «+ + « Si comincia col togliere la vena di cui ho parlato (3). È necessario di mischiarvi sale nella pro- porzione di venti oncie per quintale (4). Si lascia il (1) Si avverta in proposito che il grado di concentrazione della materia, la sua freschezza ed altre circostanze poco note eserci tano un’ influenza ragguardevole sulla natura e sulla forza della tinta. (2) Qui si allude alla porpora immatura, (3) Vale a dire l’organo porporigeno. (4) Così nella traduzione di GuerotuLT (Parigi, 1845); i Signori De Negri traducono « uno staio per ogni cento libbre ». LA PORPORA. 367 liquido macerare non più di tre giorni, poichè tanto maggiore è la sua virtù quanto è più fresco. Si fa bollire allora in tinozze di piombo. Cento anfore deb- bono ridursi a cinquecento libbre. Fa d’uopo d’ un moderato. calore, che si ottiene per mezzo d’un tubo, il quale corrisponde ad una fornace lontana. Dopo che le carni aderenti alle vene (1) furono eliminate colla schiuma, e quando il bagno sia diventato più fluido, verso il decimo giorno, vi s' immerge per saggio un pezzo di lana ben digrassata e la cottura si continua fino a che si ottenga la concentrazione richiesta. Il Buccino non s’ impiega mai solo perchè il colore non resisterebbe. Si combina alla Porpora, e a questa, la cui tinta è troppo nera e smorta, impartisce il vivo splendore della grana, che è tanto pregiato. Da tale alleanza risulta che l’ uno ravviva od aftievolisce ciò che l’altro ha di troppo oscuro o di troppo acceso. » La combinazione più perfetta è quella in cui per cinquanta libbre di lana s’ impiegano duecento libbre di Buccino e cento undici libbre di Porpora. Si è con questo metodo che si consegue lo splendido ametisto. Il tirio si ottiene immergendo la lana in un bagno. ancora immaturo e verde (2), poi passandola nel Buc- cino. Questo colore è perfetto quando somiglia al sangue coagulato, e sembra nerastro guardandolo di faccia, e splendente allorchè si osserva dal basso al- l'alto. Però Omero dava al sangue l’ epiteto di pur- pureo..»: (3). (1) Per vené s’ intendono sempre gli organi porporigeni. (2) Da ciò si vede come Plinio conoscesse perfettamente gli strani mutamenti di colore dei liquidi conchigliari. (3) PLInIo, Storia degli animali, tintura delle lane in porpora. 368 PELAGOS. Per ottenare le diverse gradazioni della tinta pur- purea dovevano adunque variare gli ingredienti e le norme di preparazione. La varietà denominata conchiglio si conseguiva colla sola Purpura (cioè, se- condo il mio modo di vedere, col Murex brandaris). Entravano pure nella sua composizione acqua ed orina umana in parti uguali. Questa tinta fu pure adoperata per rendere le stoffe atte a ricevere e conservare la porpora tiria, uso cui serviva parimente lo scarlatto (Coccus). Il tirio sovrapposto al conchiglio costituiva l’ametisto. | Da principio, il solo tirio era tinto due volte ; cre- scendo poi le esigenze della vanità e del lusso, la doppia tinta fu impartita ad ogni altra varietà. Secondo Plutarco, si adoperava miele per fabbricar la porpora rubiconda e olio bianco per conseguire la candida (1). Parecchi autori, d’altronde, accennano al sale e al miele adoperati dai porporari senza chiara- mente spiegarne l’ufticio. «| Da ciò si vede come la preparazione della porpora fosse tutt'altro che semplice. Convien però notare che altre misture tintorie usate dagli antichi erano anche più complicate. Valga ad esempio la ricetta, qui ap- presso trascritta, di una porpora vegetale. Questa ri- cetta fu testè tradotta in francese dal chimico Ber- thelot, il quale la trovò in un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Parigi attribuito a Democrito, filosofo greco morto nel 357 prima dell’ era volgare. Essa dimostra come non sempre o almeno non da (1) I Latini adoperavano questo vocabolo non nel senso di bianca, ma in quello di splendente. LA PORPORA. 369 tutti fosse ugualmente apprezzata la tinta fornita dai molluschi (1). « Mettant dans une livre de pourpre .... posez sur le feu jusqu’à èbullition, puis, enlevant du feu la décoction mettez le tout dans un vase, et retirant la pourpre, versez la dècoction sur la pourpre et laissez tremper une nuit et un jour. Puis, prenant 4 livres de lichen marin (2), versez de l’eau de facon quiil y ait au dessus du lichen quatre doigts d’eau, et qu'il puisse devenir épais; filtrez alors, faites chauffer et. versez sur la laine. Mettez avec ce qui est le moins compact, de facon a atteindre le jus au fond et laissez deux nuits et deux jours. Prenez ensuite et faites secher è l’ombre, versez le jus, puis prenez le jus lui mème et dans deux livres de ce jus mettez de l’eau, de fagon à reproduire la première quantité. Faites de mème jusqu'à ce qu'il devienne épais, puis l’ayant filtré, mettez la laine comme tout d’abord, et laissez une nuit et un jour. Prenez ensuite et rincez dans l’urine, puis séchez è l’ombre; prenez de l’orcanète (3), mettez 4 livres d’oseille et faites bouillir avec de l’u- rine jusqu'à ce que l’oseille soit réduite, et ayant cla- rifié l'eau mettez l’orcanète, faites cuire jusqu'à ce qu'elle soit èpaissie et, ayant filtrè a nouveau l’orcanète, mettez la laine, puis lavez de nouveau avec l’urine eriapres.icelaravec de l’ean., Faites secher de meme (1) Comptes Rendus des Sétances de I Acad. de Sciences, XCVII, N21, 19: nov. 1383. (2) Orseille. (3) Laccha. — Le mot orcanéte est indiquèé comme traduction comune pour les deux mots /accha et anchusa, par les dictio- naires. (Voir Saumaise). 370 PELAGOS. à l’ombre, exposez aux vapeurs des algues marines trempceesidans' nni. » Voici ce qui entre Yans la preparation de la pour- pre: l’algue qu'on appelle fausse pourpre, le 'coccus (1), la couleur marine (2), le crismos (graminte ?) l’or- canète (3), la garance d’Italie, le phyllantion des plon- geurs (4), le ver de pourpre (5), le rose d’Italie; ces couleurs sont estimées par nos prédécesseur. Il y en a qu'il faut éviter et qui sont de nulle valeur: la coc- chenille de Galatie, la couleur d’Achaîe, qu'on appelle laccha, celle de Sirie qu’on appelle rhizion (6) et le coquillage de Lybie, et la coquille d’Egypte de la région maritime, qu'on appelle pinna (7), et l’isatis (8) de la région supérieure et la couleur de Syrie que l’on appelle murex. Ces couleurs (ne) sont (pas) so- lides, ni estimtes parmi nous, excepté celle de l’i- satis ». Nei loro tentativi per rintracciare le preziose tinte degli antichi, i fratelli De Negri riuscirono, mercè in- gegnosi esperimenti, a tramutare il violetto normale della porpora ora in un colore in cui domina il rosso, ora in azzurro purissimo (9). (1) Sorte de cochenille. [)Orseille: (3) Anchusa. (4) Probablement une sorte de fucus. (5) Atre variété de cochenille. Les anciens en avaient fort bien observé l’insecte (Voir Saumaise). (6) Racine d’une sorte de garance ? (7) Voir le Mémoire de M. de Lacaze-DUTHIERS. (8) Pastel. (9) Nel primo caso trattarono a caldo il liquido del Murex trunculus prima con glucosio e carbonato sodico, poi con acido LA PORPORA. 371 Rispetto alla natura chimica della porpora, il Prof, A. Bizio di Padova la giudicò analoga a quella del- l’ indaco, il sig. G. Catalano la disse un derivato dal- Panilina, e il dottor Sacc la dichiarò identica all’alossane. I signori De Negri fecero piena adesione al giudizio del chimico padovano e ne dimostrarono la verità con prove irrefragabili che lo stesso Bizio non aveva po- tuto conseguire. Essi riuscirono , infatti, a far volati- lizzare, alla temperatura di circa 300 gradi, il principio azzurro del Murex trunculus e videro che produceva abbondanti vapori violetti come l’ indigotina, e da tali vapori sublimati ottennero perfino dei cristalli non dissimili, per le torme e i caratteri chimici, da quelli dell’ indigotina medesima. Finalmente, l’esame spettro- scopico delle due materie coloranti confermò con tutta evidenza la proposizione del Bizio (1). Il principio azzurro della porpora ha dunque il suo riscontro nell’indigotina, ed anzi si può dire propria- mente un’indigotina animale. Similmente, a compiere l’analogia, anche il principio rosso è rappresentato nel- l’indaco da una sostanza incristallizzabile ed insolubile nell’acqua che fu descritta già da Berzelius. Il prof. B. Bizio ritiene che l'umore del Murex brandaris si colori in virtù d’una ossidazione favorita dalla luce, ma questa opinione è validamente contra- cloridrico in eccesso ; nel secondo riscaldarono lo stesso liquido con acido solforico e lo allungarono con acqua (Opera citata, ps 66... 67). (1) Le osservazioni comparative spettroscopiche sulle materie coloranti organiche più o meno analoghe alla porpora sono il- lustrate, nell’ opera dei signori De Negri, da acconcie cromo- litografie, dalle quali ognuno può vedere quanto sieno legittime le conclusioni formulate dai nostri. autori. 372 PELAGOS. stata dagli investigatori genovesi, i quali posero in chiaro, con ben condotte esperienze, eome il colora- mente sia dipendente invece da una perdita d’idro- geno, cioè da un fenomeno analogo al trasmutarsi del- l’indaco bianco in indigotina. Altri chimici avevano già verificato che 1’ indigo- tina ordinaria ingerita dall’uomo viene assorbita dal- l'organismo e ricomparisce poi nelle orine, convertita in indigotina incolora. Si era pur segnalato il fatto che questa sostanza si rinviene nelle secrezioni uri- narie degli individui affetti di ciroma di fegato, dia- bete, tubercolosi, albuminuria, colera, anche non es- sendo stata introdotta nel corpo coi cibi (in tal caso deve essersi formata nell’organismo come prodotto di scomposizione di qualche parte di esso o pure per derivazione di qualche sostanza aromatica ingerita); ma nessuno prima dei chimici genovesi aveva accer- tata l’esistenza dell’ indigotina bianca in secrezioni di animali, nello stato fisiologico normale, in tanta copia e in modo sì evidente. Da tali indagini gli autori precitati trassero i cri- teri per risolvere un altro quesito, relativo alla natura della materia violacea esistente nel terriccio rinvenuto nell’urna di S. Ambrogio a Milano. Esaminata questa materia, Frapolli, Lepetit e Padulli l'avevano qualificata per indaco, accompagnato da un principio rosso, pro- babilmente resina lacca, ma il Bizio, poco appresso, esprimeva il dubbio che si trattasse invece di porpora marina. I fratelli De Negri, sottoposto ad ulteriori prove un campione del noto terriccio, riuscirono a separare i due principî coloranti in esso contenuti e, mercè saggi comparativi eseguiti sull’ indaco del commercio e col sussidio dell’ osservazione spettroscopica, si assi- LA PORPORA. 373 curarono che il principio azzurro della materia con- troversa è propriamente indigotina, mentre il prin- cipio rosso si mostra diverso affatto per le sue pro- prietà dal rosso di porpora e dal rosso d’ indaco. In breve essi giunsero alla conclusione che ivi si avessero i resti di una porpora adulterata o meglio di una imi- tazione della porpora antica. Altra analoga ricerca eseguita dagli stessi chimici intorno ad un tritume porporino di antichi indumenti raccolto nell’arca d'argento che conteneva i corpi degli Apostoli Filippo e Giacomo minore, pose in chiaro che anche in questo caso non trattavasi di vera por- pora marina, ma di una porpora erbacea o fucata, con avanzi di un tessuto coccineo, contenenti un pol- viscolo minerale, in cui ravvisarono una specie di por- porisso. Da ciò argomentarono che i corpi dei due Apostoli fossero stati avvolti in una veste antichissima o sindone di color porporino con ornamenti coccinei, non si sa se a foggia di ricami o di frangie; conclu- sione interessante anche dal punto di vista archeolo- gico, perciocchè quel sepolcro risale all’anno 566 della nostra era. Qual vasto campo d’ indagini e di considerazioni non ci oftre questo tema della porpora che qui abbiamo appena sfiorato! Da un lato ci si affaccia l'ardua ricerca d’ un procedimento industriale, caduto in oblio, il quale quantunque fondato sul puro em- pirismo, era giunto a mirabile perfezione; dall’ altro, siamo condotti ad occuparci delle materie coloranti organiche dei loro rapporti, delle loro misteriose trasmutazioni, del nuovo e meraviglioso mezzo d’ in- dagine, mediante il quale un sol raggio di luce ri- fratto dal prisma ci porge, per così dire, la caratte- 374 PELAGOS. ristica di ciascuna sostanza, e quasi le impartisce un suggello d’ individualità. Ma gli attraenti problemi che emergono da tali studii e ricerche non potendo, per l’ indole loro tutta speciale, trovare adeguato svolgimento in queste pa- gine, mi contenterò d’averli così adombrati, segnalando frattanto agli studiosi lavori e scoperte che onorano la scienza italiana. A. IssEL. USI ED APPLICAZIONI DERCECONGCIEEGILIE: (1) 0-00» Le conchiglie nei tempi preistorici — Le conchiglie presso i selvaggi — Le conchiglie nelle arti decorative — Le madreperle {ln ogni tempo le conchiglie somministra- rono all'uomo materiali per le sue sup- pellettili od oggetti d’ ornamento, se- dl condo che si prestava all’uno o all’altro uso per la tenacità e la compatezza, oppure per la vaghezza delle tinte o il vivido splendore madreper- laceo. (1) Parte di questo scritto comparve già in una relazione pub- blicata nel 1881 tra gli Annali dell’ Industria e del Commercio (N. 28). 376 PELAGOS. In quasi tutte le grotte ossifere che servirono di dimora o di sepoltura all'uomo dell’ età della pietra, tra i residui d’antichi e rozzi manufatti, s’ incontrano anche conchiglie, il che dimostra quanto l’uso ne fosse generale. In una delle caverne dei Balzi Rossi (presso Mentone) illustrata dal Rivière, si scoprirono, a cagion d’esempio, in gran numero, individui di Nassa neritea forati, attorno al cranio d’uno scheletro umano ivi sepolto in età remotissima. Questi formavano, a quanto pare, una sorta di copricapo. Nella grotta delle Arene Candide, in quel di Finale, si raccolsero a profusione valve inferiori di Spondylus che furono probabilmente adoperate come cucchiai e valve di Pectunculus e di Cardium forate presso il cardine, per essere appese al collo o legate alle braccia; una delle prime era co- perta di graffiti a lineette simmetriche. Nella grotta dei Colombi, presso Portovenere, il Professore Cappellini trovò dei grossi Dentalium fossili, di cui egli crede che quelli antichi cavernicoli facessero uso per riporvi l’ocra da tingere. I Papuani, che sono al presente in una condizione sociale poco diversa dall’età della pietra dei trogloditi liguri, introducono le conchiglie in svariate maniere d’ornamenti, adoperando all’ uopo piccole Columbelle variopinte, Haliotis iridescenti, varie specie di Cypraea, Conus dallo smalto nitido a guisa di porcellana e spe- cialmente il candido Qvulum ovum, intero o segato per metà. Tagliando ai grossi Conus di quei mari la parte superiore dell’ ultima spira, essi foggiano eburnee ar- mille che spiccano sulla tinta affumicata delle loro braccia; lo stesso dicasi degli abitanti di Borneo. Lungo le coste occidentali d'Africa, la Columbella aspersa, conchiglietta bianca, ornata di lineette brune e USI ED APPLICAZIONI DELLE CONCHIGLIE 37 nere, e la Marginella monilis, candida e nitidissima, servono bene spesso ad adornare oggetti di vestiario od utensili domestici. Si collega al costume di ador- narsi cogli oggetti naturali che più appagano la vista, l’uso decorativo degli opercoli di Turbo rugosus, dei Trochus decorticati e d’ altre conchiglie che si con- serva anche presso popoli civili e segnatamente tra i Napoletani e i Dalmati; similmente, vi si connette l’uso dei cammei ed altre conchiglie lavorate, in cui l’arte accresce pregio e vaghezza ai prodotti della natura. Gli aborigeni dell’ America settentrionale, non è molto, foggiavano ancora, colle valve della Venus mer- cenaria, dei monili violacei, i quali, sotto il nome di wampums, servivano loro di moneta ; la maggior parte di queste conchiglie, che essi denominavano quahoy (come tuttora si chiamano in alcuni territori degli Stati Uniti) si raccoglieva a Long Island. La Pyrula carica e la P. canaliculata fornivano-loro dei wampums bianchi di minor valore. Fra Sitka e Vancouver, lungo il litorale dell’ Ame- rica settentrionale, era assai ricercato altre volte un piccolo Dentalium (D. pretiosum), il quale dagli indi- geni pur si spendeva a guisa di moneta. Si vuole che 25 di queste conchiglie, infilate longitudinalmente pel foro che le attraversa, quando formassero insieme un filo di sei piedi di lunghezza, avessero il valore di uno schiavo, cioè di circa 30: lire. sterline: È noto che due piccole specie di Cypraea, la C. moneta e Vannulus, entrambe comuni nell'Oceano In-= diano e nelle sue dipendenze, si adoperano tuttora come moneta spicciola in varie parti dell'Asia e del- l’Africa e molto più si adoperavano in passato. Queste conchiglie dette kauri o cowry dagli Inglesi, dust o Pelagos. 25 378 PELAGOS. bugi dai Portoghesi, boli dagli indigeni delle Maldive, bia dai Siamesi, sigay dagli abitanti delle Filippine, lad- dove hanno corso, non rappresentano più che un va- lore tenuissimo. Von Martens riferisce che, quando egli visitava il regno di Siam, occorrevano colà da 800 a 1200 Cypraca annulus per costituire l’ equiva- lente della più piccola moneta d’argento di quella località, cioè del fuang, il cui valore si poteva rag- guagliare a tre si/bergroschen e mezzo di moneta te- desca. Altre conchiglie non avevano corso. In molte isole della Polinesia e della Papuasia si foggiano eccellenti ami da pesca colle valve delle ma- dreperle e d’altre conchiglie affini. La conchiglia del Turbo marmoratus, opportunamente tagliata e ridotta al solo strato madreperlaceo , serve ai Siamesi a fabbricare dei cucchiai; allo stesso uso, serve il guscio terso e sottile del Cymbiwm melo, presso i Giapponesi. Le valve di una Anodonta sono adoperate invece di falce a Luzon (Filippine) per segare le spighe di riso; a Taiti e alla nuova Zelanda si traggono stru- menti taglienti dalla madreperla. I Fuegiani incontrati da Bove, Lovisato e Vinciguerra, nel loro viaggio al- l estremità meridionale dell'America del Sud, fanno uso di valve di Mytilus, saldamente connesse ad un manico di legno, per coltivar la terra ed anche a uso di utensili La Le ampie valve della Tridacna si adoperano bene spesso nell’Arcipelago Indiano a cuocervi gli alimenti; le me- desime, come è noto, servono di vaschette per l’acqua benedetta in alcune chiese cattoliche e somministrano ai nostri artisti un elegante motivo d’ornato. Nelle Indie orientali, certe conchiglie del genere Turbinella USI ED. APPLICAZIONI DELLE CONCHIGLIE 379 avevano speciali uffici nel culto di quei popoli e si consideravano come amuleti. Gli idoli grotteschi dei Papuani e di non poche tribù malesi e polinesiane, idoli grossolanamente scolpiti in ceppi di legno, hanno per occhi dischi di madreperla. Le valve della Placuna placenta, che sono tralucide, giallastre, pianeggianti, sottili e raggiungono persino otto o dieci centimetri di diametro, servono, ad uso di vetri da finestre in certe parti della Cina e delle Filippine. i Gli Arabi abbruciano a guisa d’incenso gli oper- coli cornei di grossi molluschi gasteropodi (Strombus Fasciolaria, Murex), e ne traggono un profumo poco gradito per le nostre nari; gli opercoli della Eburna japonica servono presso i Giapponesi allo stesso uso. Potrei ancora menzionare conchiglie che servono ad uso di strumenti musicali, di bicchieri, di lampade, di pesi da rete, o che si adoprano per lisciar la carta e i tessuti, per assodar le strade e per fabbricar cal- cina. Quasi tutte le specie precitate figuravano all’ espo- sizione iniernazionale di pesca tenuta nel 1880 a Ber- lino, in una istruttiva raccolta esibita dal dottore von Martens, raccolta corredata da un prezioso opuscolo illustrativo (1). Questi cenni intorno agli usi delle conchiglie mi conducono a discorrere delle loro applicazioni indu- striali che erano pur largamente rappresentate alla mostra di Berlino. La fabbricazione dei monili e dei braccialetti fatti di (1) Von MARTENS, Ueber verschiedene Verwendungen von Con- chylien. 380 i PELAGOS. Trochus passati in un acido, forati ed attraversati da un filo (1), non ha forse tale importanza da poterla comprendere fra le industrie propriamente dette; credo tuttavolta che se i Veneziani si studiassero di migliorare alquanto quei loro lavori e di accrescerne lo spaccio ne ricaverebbero ragguardevoli profitti. Converrebbe che le conchiglie fossero scelte con maggior cura, e che si ponessero ai braccialetti acconci fermagli metal- lici. Altre conchiglie, specialmente esotiche, potreb- bero proficuamente sostituirsi al Trochus adriaticus, il quale si adopera quasi ad esclusione di ogni altra specie. Nei mari della Nuova Zelanda sono comunis- simi certi Zrochus e certi Elenchus, i quali, spogliati dello strato corticale della conchiglia colla immersione in un acido, offrono una lucentezza madreperlacea così viva da non cederla a quella delle perle più perfette. Tali testacei cominciano ad essere assai ricercati ed apprezzati in Europa; pensino i Veneziani a volgere a loro vantaggio siffatta inclinazione della moda. Da molto tempo le valve di ‘rigonia d'Australia si adoperano dai gioiellieri e dagli orafi d’oltremonte per fabbricarne orecchini, spilli ed altri oggetti ele- santissimi. All’interno di queste valve, che splendono di viva iridescenza a riflessi rosei, pongono talvolta perle e diamanti. Anche l’arte di fabbricare cofanetti, portaorologi ed altri oggetti d’ uso comune, al presente assai rozza e primitiva, mi sembra suscettibile di molti progressi. Non saprei però lodare nè incoraggiare i saggi di quest’ arte presentati a Berlino da alcuni espositori (1) Un saggio di questi oggetti si vedeva nella collezione del conte Ninni. USI ED APPLICAZIONI DELLE CONCHIGLIE 391 italiani, e tanto meno certe strane suppellettili, com- poste di grosse conchiglie esotiche decorticate, esibite da un fabbricante di Amburgo; cioè calamai, candelieri, scatolette, pipe, vasellini, per lo più ineleganti ed in- comodi, fatti di Murex, di Conus, di Cypraea ecc. Per recare all’ incontro esempio felice di applica- zione delle conchiglie alle arti decorative, ricorderò uno stupendo gruppo esposto a Berlino dai Signori Meyer e C., in cui si vede un Nautilo ridotto alla sola porzione madreperlacea, sostenuto da due cen- tauri d’argento adagiati sopra una base, fiancheggiata da quattro sirene dello stesso metallo, alternanti con quattro valve di Tridacna, con ornamenti analoghi, quali argentei, quali dorati. Farò cenno ancora dello splendido gruppo formato da un Nautilo sostenuto da una sirena d’argento, gruppo maestrevolmente dise- gnato da Hayden, ed eseguito dai Signori Sy e Vagner. Ma, come ognun vede, in simili manufatti le conchiglie forniscono soltanto (un motivo d’ornato, sono l’acces- sorio; ciò che più importa è il concetto dell’ artista, è il magistero del cesellatore (1). Che dirò degli strani mosaici di conchiglie, formati di minutissimi gusci di Rissoa, Volvaria e Cerithium di vari colori, incastrati l’ uno accanto all’altro con paziente artificio, che si fanno in certe città dell’Italia meridionale. Da quest’improbo lavoro risultano figure grottesche per disegno e colorito, la cui vista muove- (1) Noterò qui per incidenza come le riproduzioni in galvano- plastica di conchiglie, coralli, crostacei, pesci di cui v’erano al l'esposizione perfetti esemplari preparati dal signor Rosovich di Trieste, sono suscettibili di fornire bellissimi materiali decorativi, in cui l'eleganza e l’originalità della forma è congiunta allo splendore del metallo. 382 PELAGOS. rebbe al riso, se non si pensasse al capitale di tempo e di energia sprecato per conseguire un sì meschino risultato. Passando ad altre applicazioni delle conchiglie che danno origine ad una vera industria, dirò dei cammei, che si fabbricano quasi esclusivamente a Roma e a Napoli e consistono in piastrelle per lo più ovali o quadrangolari di color bruno o carneo sulle quali spic- cano, in rilievo, figure d’un bianco latteo (1). Le con- chiglie che più comunemente servono a simili lavori sono il Cassis rufa ed altre grosse specie esotiche dello stesso genere. Dai Napoletani si adoperano allo stesso ufficio anche le valve del comune Pectunculus pilosus dei nostri mari. Forse per l’ invariabilità de’ suoi modelli, forse per capriccio della moda, que- st arte accenna a decadenza. Tutti conoscono i grossi Strombus dell’ Atlantico americano e specialmente delle Antille cui si applicano così bene le parole del poeta (2): L’aurora forse le spruzzò de’ suoi misti Raggi e godè talora andar torcendo Con la rosata man lor cave spire. Questi Strombus, e specialmente lo S. gigas, som- ministrano da qualche tempo alla minuteria, direi quasi alla gicielleria, materiali che talvolta emulano in vaghezza gli stessi coralli. Si fabbricano con essi (1) Convien distinguere questi cammei conchigliari o falsi dai veri fatti di pietra dura, generalmente di onice, e perciò assai più stimati. (2) MAScHERONI, Invito a Lesbia. USI ED APPLICAZIONI DELLE CONCHIGLIE 38 N49 graziosi spilloni (broches) , che rappresentano piccole rose colle foglioline d’ argento o d’argento dorato ed altri lavori, come bottoni da manichini, orecchini, fer- magli ecc., prodotto quasi esclusivo delle officine na- poletane. Lo Strombus gigas è poi adoperato, insieme all’Hippopus maculatus e ad altre conchiglie, nella fab- bricazione dei cosidetti mosaici di pietre dure di Fi- renze, di cui, come è noto, si fanno oggetti di mi- nuteria e mobili, specialmente tavolini. Siffatti mosaici rappresentano in generale fiori, frutti, uccelli, insetti a vivi colori, ottenuti, mercè pezzetti di pietra e di conchiglie artificiosamente connessi, in un fondo nero, levigatissimo , ricavato da una pietra semidura. Certo non mancano di pregio, sia dal lato dell’arte, sia da quello dell’esecuzione. Ma perchè quei disegni stereotipi, quei colori invariabili sempre su fondo nero? Non offrono le piante e gli animali mo- delli infiniti da effigiare? Le conchiglie marine, i co- ralli, le pietre dure e semidure non sono suscettibili di porgere nuove e più vaghe gradazioni di tinte ? Conviene persuadersi oggi che, in fatto d’arte indu- striale l’immobilità equivale a regresso, a morte. Il pubblico e sopratutto il pubblico facoltoso e buon- gustaio , cui sono dedicate le industrie di lusso, si stanca dei disegni e dei colori perennemente ri- petuti. Le conchiglie che hanno più estese applicazioni in- dustriali sono indubbiamente le madreperle. Le più pregiate si pescano in varie località delle isole Fi- lippine e si esportano da Manilla; altre provengono da Macassar, dalle isole Sulu, da Taiti, da Sidney, da Panama e sono più o meno stimate, secondo lo splen- dore e la spessezza del guscio. 394 PELAGOS. Tutti sanno come le fabbriche di bottoni assorbi- scano la maggior parte di questo prodotto, mentre il rimanente serve a foggiare svariatissimi oggetti di minuteria e chincaglieria. Il consumo delle madreperle è cresciuto oltre mi- sura da alcuni anni, come lo dimostrano le seguenti cifre che stanno ad indicare il valore dell’ importa- zione di quasto articolo in Francia negli anni, 1856, 1866, 1869, 1870 e 1876, in Inghilterra nel 1869 e neleTS70L(1): Anno Peso in kil. Franchi " 1856 758,994 730,308 IR CATA | 1866 1,197,998 1,331,884 “in < 1869 1,913,229 2,350,375 dra 1870 1,330,758 1;912;225 1876 1,376,132 3,159,943 Anno Peso in kil. Lire sterl. Importazione I 569 ISDI 3 3229 94,0 I S Inghilterra 1870 1,3 28,807 76,489 Gli Stati Uniti e l’Austria rivaleggiano, rispetto al- l'importazione della madreperla, colla Francia e l’ In- ghilterra. Insieme alle madreperle propriamente dette, si ado- perano per gli stessi usi le Aliotidi e subordinatamente il Turbo marmoratus, alcuni Trochus, Avicule, Pinne, Unii Anodonte, Corbicule; i tre ultimi generi propri alle acque dolci. (1) SimmonD's, The commercial products of the Sea, or marine contributions to food, industry and art. London 1879. USI ED APPLICAZIONI DELLE CONCHIGLIE 395 Da ciò si vede sotto quanti e diversi aspetti e, in qual grado le conchiglie sieno utili all'uomo. Quale sia l’importanza economica dei molluschi commestibili emergerà dagli articoli seguenti. A. IssEL. EOSERKICOETURA —0_d$_o Allevamenti d’ ostriche presso gli antichi — L’ opera del prof. Coste — I Racco- glitori — Parcs e Claires — Il distacco delle ostriche dai collettori — I nemici delle ostriche — Il Mar Piccolo di Taranto e il Lago Fusaro — L°’ ostricoltura in Italia. I attribuisce a Sergio Orata il merito di aver inventato l’ ostricoltura, perchè egli, innanzi la guerra contro i Marzi, stabiliva a Baia e poscia nel Lucrino i primi serbatoi destinati all’ allevamento dei gustosi molluschi. Dal Lucrino, in cui più non sussiste, questa industria passò, dopo lungo intervallo di tempo, al Mar Piccolo di Taranto, ove ancora si mantiene ; assai più tardi fu introdotta nel lago di Fusaro. È noto che Apicio fu allevatore di ostriche squisi- tissime; inoltre egli riuscì a conservarle sì a lungo 388 PELAGOS. che potè, dall’ Italia, provvederne la mensa di Traiano, nel'-paese-det Parti. Due preziosi cimeli, due vasi di vetro, l'uno sco- perto presso Piombino, l’altro nelle adiacenze di Roma, offrono le immagini graffite degli ostreari ro- mani, dalle quali apparisce che non trattavasi di sem- plici conserve, ma di vera e propria coltivazione. Fi- gurano infatti in questi vasi palafitte e fascine sospese che servivano verosimilmente ad uso di collettori (1). Non sappiamo con certezza che cosa avvenne degli ostreari di Baia e del Capo Miseno dopo la caduta dell'impero romano; ma da qualche indizio possiamo argomentare che furono esercitati per parecchi secoli ancora. Certo è che, nel 1538, la. .memorabile=etme zione del Monte Nuovo, nel distruggere Tripergola, nel colmare il Porto Giulio e l’ antico porto di Poz- zuoli, ridusse il Lucrino, che era assai più vasto ed aveva più ampia comunicazione col mare, alle sue condizioni presenti. L’introduzione dell’ ostricoltura, del Mar Piccolo di Taranto, risale per lo meno a ‘due. secoli; mast gnora come e quando sia avvenuta. Probabilmente non giunse d’un tratto al punto in cui si trova, ma, sorta oscuramente con modesti principii, andò succes- sivamente sviluppandosi. Nel 1764, il re delle Due Sicilie Ferdinando IV ebbe il felice pensiero di ripristinare l’ industria ostrearia (1) Tali vasi furono descritti il primo dal Sestini nel 1812, il secondo da G. B. De Rossi nel 1853. Il signor G. Palma ne reca un cenno nella sua pregiata memoria intitolata : « Ricerche intorno la distruzione dell’ Ostreocultura nel lago Fusaro e modi di riattuarla. Napoli, 1879 ». L’OSTRICOLTURA. 389 nel Napoletano, destinando a quest’ uopo non più il Lucrino, ma il Fusaro; e riuscì nell’ intento. A Marenne, alla Rochelle, a Cancale, Courseule e in altre località della Francia occidentale si applica- vano da parecchi secoli ingegnosi artifizi per favorire la moltiplicazione e l’ allevamento delle ostriche, ma in tempi a noi più vicini, circa 30 0 40 anni fa, vuoi che si fossero smarrite le antiche tradizioni, vuoi che le condizioni locali fossero mutate, quegli artifizi erano divenuti improduttivi o almeno aftatto insufficienti. Le ostriche, il cui consumo come commestibile andava sempre crescendo, si traevano allora, per la massima parte, dai banchi naturali, e mentre, per le richieste del pubblico, la pesca si faceva più attiva, i fondi de- vastati, poco a poco s'impoverivano e in certe loca- lità le ostriche scomparivano affatto: la baia di Saint Brieuc, dapprima celebrata per la copia di questi mol- luschi, non somministrava più che uno scarso pro- dotto; a Brest, a Cancale e a Granville gli antichi banchi erano isteriliti; tra quelli d’ Oléron, Rè, Ma- renne, la Rochelle e Rochefort, molti erano distrutti. Si può dire che tutto il litorale andava lentamente: spopolandosi. La necessità di rimediare a questo danno sempre crescente fu sentita da Bory de Saint-Vincent, il quale, nel 1845, pubblicò una memoria in proposito; poi de Carbonnel, cui si deve un elaborato progetto per l'impianto di banchi artificali d’ ostriche nell’ O-. ceano e nella Manica. Ma spetta al Coste, valente naturalista, il merito d’aver saputo richiamare sul- l’ ostricoltura l’attenzione del pubblico e del governo. Gli studi da lui compiuti, sotto gli auspici del capo dello Stato, Napoleone III, per ristaurare l industria 390 PELAGOS. decaduta, si concretarono di poi in una serie di pro- poste d’ ordine scientifico ed amministrativo che fu- rono in gran parte attuate dal governo francese. Così, per iniziativa del Coste, furono istituiti varii stabilimenti modelli, per l’ allevamento delle ostriche e d’ altri animali marini, e laboratorî sperimentali, de- stinati ad investigare i segreti della loro riproduzione; così furono concessi a favorevolissime condizioni tratti di litorali ai privati desiderosi di consacrarsi alla in- dustria nuova o piuttosto rinnovata ; così furono artifi- cialmente ripopolati a spese dello Stato alcuni degli antichi banchi esausti, e le leggi relative alla pesca ed all'iscrizione marittima, opportunamente riformate, si volsero a proteggere l’acquicoltura. Quasi tutti questi provvedimenti sortirono esito assai felice, inquantochè la produzione delle ostriche (per tacere dei risultati pur soddisfacenti conseguiti riguardo ai mitili, ai crostacei e ai pesci) si° accrebbe rapida- mente e l’uso di questo sano e gustoso commesti- bile si estese ad ogni provincia e sempre più si dif- fuse nelle varie classi di cittadini, risultandone un sensibile aumento nella ricchezza alimentare della Francia. Vediamo ora in che cosa consistono i metodi messi in opera dal Prof. Coste e dai suoi seguaci: essi sono, in generale, semplicissimi, e, come quelli che si applicano alla coltura della terra, debbono neces- sariamente variare secondo le condizioni locali e se- condo le specie da moltiplicarsi. In ogni caso gli scopi precipui cui tendono le cure dell’ ostricultore si ri- ducono a ciò: 1.° Offrire alle miriadi d’ embrioni emessi dalle ostriche madri ampie ed acconcie superficie sommerse L’OSTRICOLTURA. 391 alle quali possano aderire, per poi svilupparsi nelle propizie condizioni. 2.° Trasportare, ove occorra, le giovani ostriche in serbatoi o conserve în cui possano raggiungere tutto il loro accrescimento, perchè non di rado i luoghi in cui si riproducono i molluschi adulti sono impro- prii all'allevamento dei piccoli. 3.° Liberare i banchi d’ ostriche dai nemici, che, in varie maniere, loro sono nocivi, come : molluschi te- rebranti, asterie, briozoari, fuchi, zostere, ecc. Circa il primo di questi scopi, è a sapersi che le ostriche sono ermafrodite e che in tempi variabili, secondo le specie e scondo i luoghi (1), producono un numero grandissimo d’ uova, le quali sono fecon- date nelle stesse ovaia della madre, e vi giungono a maturazione (2). Queste uova scendono poscia nelle (1) In Liguria ho trovato ie ostriche pregne di uova alla fine di marzo, in aprile ed in maggio. (2) Studiando lo sviluppo delle ostriche americane, W. K. Brooks ebbe ad osservare alcuni fatti che sono in contraddi- zione con quanto si sapeva delle specie nostrane. Tre molte mi- gliaia d’individui esaminati, egli vide infatti gli ovarii ora pieni d’uova mature, ora semivuoti od anche vuoti del tutto, ma non mai uova fecondate ed embrioni fra le pieghe del man- tello; e da ciò inferì che la fecondazione fosse esterna e man- casse la solita incubazione. Per questo osservatore, l’ ostrica ame- ricana sarebbe fisiologicamente unisessuale, poichè nella stagione della frega ogni individuo produrrebbe esclusivamente uova o spermatozoidi. Facendo uso di uova e di spermatozoidi tratti da piccole ostriche (di un pollice e mezzo di diametro), Broocks avrebbe ottenuto la fecondazione artificiale e sarebbe riuscito ad allevare embrioni fino a quel grado di sviluppo che corrisponde alla fase in cui, nelle specie europee, assumono esistenza indipen- dente. 392 PELAGOS. pieghe del mantello e tra le lamine branchiali e ivi danno origine agli embrioni, i quali rimangono pressochè un mese in incubazione, circondati da una specie di muco secreto dall’ animale, poi sono espulsi e si spandono nell’acqua, formando come una nube- cola. Appena uscite dall’alvo materno, le ostrichine si presentano come corpicciatoli di forma presso a poco lenticolare, difesi da una conchiglia bivalve, dia- fana, sottilissima, e natanti per mezzo di cigli vibratili connessi ad uno speciale organo locomotore. In tale Sviluppo dell’ ostrica (secondo Moebius). a. Uovo maturo — d. Uovo in cui è cominciato lo sviluppo — c, d, e. Tre stadi della segmentazione — f, g. Embrioni pronti a sciamare. stato hanno esistenza autonoma; ma ben presto, giun- vendo in contatto di un corpo sommerso, vi si fis- sano, ed intanto ciascuna di esse perde i suoi cigli vibratili e 1 organo locomotore si atrofizza. L’ OSTRICOLTURA. 393 Si vuole che ciascuna Ostrea edulis emetta da uno a due milioni d’ embrioni. Ma, tra questi, ben pochi si sottraggono alle numerose cause di distruzione che li minacciano. Molti trovano fa morte in alto mare, ove sono trascinati dalle correnti, altri sono sbattuti dai marosi, altri cadono nella melma o tra i fuchi e vi soccombono, altri finalmente son divorati dai pesci: Il coltivatore deve adunque procurare d’ impedire lo sperpero degli embrioni e di presentar loro il. più presto possibile un appoggio cui possano aderire, per poi svilupparsi. Lo stesso fondo del mare può essere opportuno all’ uopo, purchè non sia coperto di sabbie o ghiaie mobili od invaso dalla melma od infestato dalle zostere e dai fuchi. Togliendo la melma ad un fondo, se non è troppo copiosa, strappando le piante marine che lo ingombrano, deponendo su di esso pietre, gusci di conchiglie od anche apparati appositi denominati collettori o raccoglitori, si preparano artificial- mente letti proprii ad accogliere una colonia d’ ostri- che più o meno numerosa. La forma e la materia di questi apparati variano secondo le circostanze locali e secondo la specie che si coltiva, Un dei collettori più efficaci e più semplici è la fascina formata di ramoscelli di due a tre metri di lunghezza, ben legati fra loro alla parte media ed as- sicurati, per mezzo di cime, a pezzi «i pietra calati al fondo. Tal è quello che si adopera a Taranto e nel lago Fusaro. Altra maniera di collettore è un assito formato di pezzi mobili, sostenuti da piuoli e fissati temporariamente, mediante perni, in modo che si tra- sportano a piacere da un punto all’ altro; alla faccia inferiore del tavolato si attaccano piccoli rami secchi Pelagos. 26 394 PELAGOS. o piallatura di legno, affine di moltiplicare l’ esten- sione della superficie presentata ai molluschi. Tanto le fascine quanto gli assiti non sono appli- cabili con vantaggio ove abbondano le teredini, divo- ratici di legnami, giacchè in breve sarebbero distrutti. Mediante lastroni di pietre scistose (come ardesie, micascisti e simili), appoggiate le une sulle altre o su altre pietre in modo da essere un po’ sollevate dal fondo si costruiscono i pavimenti collettori; similmente, per mezzo di embrici opportunamente disposti, si formano i tetti collettori, dai quali si ebbero bene spesso ottimi risul- Tetto collettore a file parallele, inclinate. tati. Gli embrici sogliono collocarsi sopra appositi ca- valletti, ora orizzontalmente sopra uno o sopra pa- recchi piani, ora in fila inclinate, ora appoggiati gli uni agli altri in guisa che ne risultino come tante serie parallelle di piccoli tetti a due pioventi. I collettori ad'arnia e a telai mobili (rucher d chassis mobiles) sono cassoni di legno senza fondo, cui si adat- tano internamente, sopra vari piani orizzontali sovrap- posti, parecchi piccoli telai mobili, coperti di rete di ottone a maglia fitta, i quali son destinati a_ sorreg- gere le piccole ostriche. Anche questo apparecchio è adoperato negli ostricari, ma la sua complicazione L’ OSTRICOLTURA. 395 e il suo prezzo elevato lo rendono poco pratico ove non si tratti di semplici esperimenti. Non basta l’aver ottenuto che le piccole ostriche si fissino sugli apparecchi destinati ad accoglierle; fa d’ uopo altresi che acquistino in breve tempo le di- mensioni richieste dal commercio. Vi sono, infatti, località in cui il mollusco attecchisce e non cresce o cresce lentamente, altre all’ incontro in cui aumenta di volume e si fa adulto, quando sia giovane, ma non diventa atto alla riproduzione. Il completo accresci- mento dell’ ostrica si consegue nelle condizioni ordi- narie in tre anni; ma essa può vivere per parecchi anni oltre questo termine, continuando ad accrescersi lentamente. L° Ostrea edulis vecchia, conosciuta dai francesi sotto il nome di pied de cheval, ha le valve assai spesse e pesanti, massime l’ inferiore, ed il ro- stro protratto, e si credeva in passato specie ‘o varietà distinta. Il completo sviluppo dell’ ostrica piccola, del- l’ ostrica di unsanno o di quindici mesi, si verifica più facilmente in acque assai basse e tranquille, mentre le acque profonde e quelle in cui la circolazione è più attiva si convengono agli individui appena noti.. Da “ciò l'utilità di due? diverse specie! di G- streari; gli uni destinati propriamente alla ripro- duzione, gli altri all’ allevamento. I primi, non difte- riscono dai secondi per peculiari disposizioni o per- chè i loro collettori sieno diversi, ma piuttosto per la natura della spiaggia che occupano, per l’esposi- zione, per la distanza maggiore o minore del mare aperto. I parcs dei pressi della Rochelle e dell’ isola di Rè, che io visitai pochi anni addietro, coprono a perdita di vista tratti di spiaggia si assai lievemente 396 PELAGOS. inclinati, che in gran parte emergono quando la marea discende, e sono recinti quadrati di 20 a 30 metri di lato, limitati da muriccioli di 40 a 60 cen- timetri d’altezza, formati di pietre greggie, sovrap- poste senza cemento, i quali tuttavolta resistono assai bene, in generale, all’ impeto dei marosi. Quando la marea è alta i recinti sopradescritti son tutti coperti dal mare, ma, calate le acque, essi ri- mangono emersi o quasi, almeno per breve tempo, ed allora uomini, donne e fanciulli si affrettano a spo- gliarli dalla melma e dai fuchi depositati dal mare, danno assetto ai muri ed ai collettori guasti 0. spo- stati, raccolgono le ostriche adulte da porsi in com- mercio e le giovani da trasportarsi altrove, attendono insonima alle molteplici cure della coltivazione. Una delle località in cui la coltivazione reca ora migliori frutti è la baia di Arcachon presso Bordeaux, vasto specchio d’acqua, limitato da litorali fangosi e perfino in certi tratti da veri pantan&g, Nel 1873 si contavano colà 1250 vivai da ostriche (parcs) appar- tenenti a 1400 concessionari!. Fra i più interessanti risultati nella baia ottenuti va segnalata l’ acclimazione dell’ Ostrea angulata del Por- togallo che prima non vi allignava. A Marenne e alla Tremblade le ostriche già adulte, appena raccolte, sono collocate in serbatoi appositi, nei quali il mollusco ingrassa, acquista una tinta verda- stra particolare, diventa più gustoso, passa cioè alla condizione di buitre verte è in tale stato è tenuto in conto di cibo squisitissimo. Questi serbatoi, detti claires, hanno forma irrego- lare ed offrono generalmente da 250 a 300 metri quadrati di superficie, con profondità non maggiore di 3597 Essi sono circoscritti da un rialzo di llosa che ha presso a poco un metro d'’ al- L'OSTRICOLTURA. centimetri. 30 terra argi . ‘ n) ‘ % . v£ ip ossumU ur cus neIpendb 1 ‘112339 Pesio 1p'9 otutanso Jap taleT ‘EN ‘esniy) ‘N — msodderaos plaqua ip a1sodwoo atury *q ‘O ‘f ‘V — vutose; vun ep a asse 0]osod * un vp ew] 110339][09 1]09%d “.L ‘MU — 2UISSEJ Ip a Isse 1p ossa]jduoo un Ip newIO} 110}19[]03 IPULIL) *G + 119IJUOS IP _Osn pu QUOAISS 9 meipend riva 1 ourIedos 9YI VII) Ip 1A “N ‘O ‘d ‘9 1QUouelg tI 9q opuoses ‘(spuoxo) uompriIy.p ereq t[pu ‘uo]piyeT ip outansO ri Teco Il ZARA i GLIAA CZ, CALA, SAA8 777, Ò E GR " li » . . Lelli > A DS (VILLILZA VS VSS èù NX 10 ale spessezza, il quale, oltre all’ uffic tezza ed egu , ha anche quello di servire al di contenere le acque 398 PELAGOS. passaggio delle persone addette allo stabilimento. Sif fatti vivai, differiscono dai farcs, inquantochè non sono sommersi ad ogni flusso, ma solo all’ epoca delle grandi maree, cioè alle sigizie, quando le onde s’ in- noltrano nell’interno delle terre più innanzi che du- rante le altre fasi lunari. Secondo la loro distanza dalla linea delle basse acque, questi vivai sono visitati dal mare due o tre volte prima e dopo ogni grande marea. Le chiuse D, B, C adattate alla diga di terra, permet- tono di mantenere l’ acqua nel bacino al livello oppor- tuno e, all’ occorrenza, di asciugarlo, per sottoporlo a lavori di riparazione o di ripulitura. LUrKKKKNT Claire di Marenne. Uno dei punti sui quali si porta principalmente I’ attenzione dei coltivatori d’ ostriche si è il modo di raccoglierle (sia quando sono giovani per immet- terle nelle conserve, sia quando sono adulte ptr porle in commercio) senza che il mollusco o la sua con- chiglia abbiano a subir danno. L’ esito della opera- zione detta detroquage, distacco dai collettori, è assai importante, poichè le ostriche lese nelle parti molli o nel guscio, in generale soccombono e sono perdute pel commercio (1). Pertanto, si scelgono per uso di (1) E noto che le ostriche morte non sono più commestibili. L’ OSTRICOLTURA. 399 collettori pietre, legnami, terre cotte od altri corpi che non offrano all’ostrica presa troppo forte, oppure per renderli acconci all’ uopo si spalmano di parti- colari intonachi non solubili. nell'acqua marina e friabili. Affine di raggiungere questo scopo, il dottor Kem- merer di Saint Martin (Isola di Rè) copre le sue tegole di un mastice composto d’ una parte di calce idraulica, quattro parti d’acqua ed una parte di san- gue privo della sua fibrina. Siffatto miscuglio si asciuga. in breve tempo, indurisce sott’ acqua e si distacca senza sforzo dalla terra cotta, unitamente alle ostriche grandi e piccole che vi sono fissate. Nella baia d’ Arcachon, quantunque il governo e i privati facessero a gara per moltiplicare gli ostreari e migliorarne le condizioni, questi davano da prin- cipio risultati poco soddisfacenti, non perchè i mol- luschi non vi si riproducessero e non vi acquistassero pieno sviluppo, ma perchè l’ aderenza fortissima della conchiglia al collettore rendeva troppo dispendiose le varie operazioni dell’ allevamento e della raccolta ed era causa di gravi perdite. Dal 1862 al 1865, dispe- rando di superare siffatta difficoltà, molti coltivatori abbandonarono l’uso delle tegole collettrici; senonchè appunto in quell’epoca un muratore di nome Michelet immaginò di spalmare quelle tegole di un certo in- tonaco di sua invenzione che ovviava perfettamente al difetto lamentato. Il prezioso trovato cangiò le sorti dell’ industria d’ Arcachon, permodochè da quel punto in poi andò sempre più prosperando. Nel 1867, quando cominciò ad applicarsi l’ invenzione di Mi- chelet, le tegole adoperate furono 28,660, nei tre anni successivi il numero loro si era accresciuto nella 400 PELAGOS. ragione seguente: 1870 — 1,576,500 1871 — 2,421,400 1872 — 5,065,000 Il Signor Fischer, da cui attingo questi dati, stima che nel 1873 le tegole adoperate fossero. circa, 7,000;000 (I). Al Michelet si attribuisce pure l’ applicazione d° un apparecchio denominato ambulanza, il quale sarebbe assai utile per la cura delle ostriche lese nel loro di- stacco dai collettori. I campi marini, al pari dei terrestri, non vanno immuni da parassiti, da nemici d’ ogni specie che co- spirano alla distruzione dei raccolti. Fra questi, tanto nelle acque oceaniche quanto nelle mediterranee, vanno segnalati i molluschi terebranti e particolarmente i Murici (2). Il Murex suol portarsi sulla valva superiore del- l’ostrica e, fissatosi sopra un punto che d’ ordinario corrisponde ul muscolo adduttore o ad uno dei visceri più essenziali, pratica nel guscio un foro tondo di 1 millimetro '/, a 2 millimetri !/, di diametro, un po’ più ampio alla parte esterna della valva che alla parte interna; ciò mediante una fettuccia muscolare, impro- priamente detta lingua, la quale vien fuora dalla bocca e funziona a guisa di lima, mercè minutissimi uncini cornei assai duri ond’è coperta. (1) P. FiscHER, /’ostreiculture dans le département de la Gi- ronde. Journal de Zoologie, 1874, pag. 27. (2) Il Murex erinaceus è il più comune e il più dannoso agli ostricari dell’ Atlantico ;-il M. trunculus e il brandaris sono i più esiziali in quelli del Mediterraneo. L’OSTRICOLTURA. \ 401 La perforazione non si osserva mai all’apice delle valve e nemmento sul margine loro, come se l’ani- male sapesse di non raggiungere, nel primo caso, il corpo della sua vittima e di non poterle recare che lievissima offesa nel secondo. Le ostriche in tal modo insidiate sono, nella pluralità dei casi, quelle dai 5 ai 12 mesi, ma i giovani Murici forano ostriche anche più piccole, proporzionate cioè alla potenza dei loro mezzi d’offesa (1). Il Murex intento ad intaccare la valva dell’ ostrica si vede far dei movimenti irregolari, ora da una parte ora dall'altra, intorno ad un punto fisso che corri- sponde all’ estremità della sua proboscide. Compiuto il foro, esso succhia gli umori della sua preda, finchè questa non tarda a divaricar le valve, lasciando così libero il varco ad altri piccoli carnivori marini che accorrono senza indugio e in pochi momenti la fi- niscono. Le Nasse, le Purpure ed altri testacei che apparten- gono alla stessa famiglia dei Murici, attaccano le ostri- che nel medesimo modo. Molte poi ne son distrutte da vari crostacei (principalmente dai granchi) dalle asterie e da certe specie di briozoari e di spongiari. Altre cause di straordinaria mortalità sono talvolta per gli ostreari le mareggiate, che scompigliano ed infrangono i collettori e coprono le ostriche di melma e di sabbia, le lunghe emersioni che subi- scono sulle coste oceaniche per effetto delle basse maree e dci venti di terra, l’ esposizione diretta dei (1) La durata dell’ operazione dipende dall’ età e dalle condi- zioni del mollusco terebrante e dell’ ostrica ; occorrono circa otto ore perchè un Murice adulto possa forare un’ ostrica di tre anni. 402 | PELAGOS. raggi solari e il soverchio riscaldamento delle acque, nell’ estate, oppure l’ agghiacciamento delle medesime, durante l'inverno, e finalmente lo sviluppo eccessivo di alghe, di zostere e di fuchi. Prima d’esser messe in commercio, ie ostriche sono collocate copra un tavolato e rimescolate per mezzo d’un rastrello, ciò per togliere al guscio le sottili la- minette taglienti di cui esso è munito presso i mar- gini delle valve. Compiuta così la loro toilette, sono spediti ai mercati chiuse in piccole ceste di vimini. L’ostrica può mantenersi in tal guisa da 8 a 10 giorni, secondo la stagione, ma, se si ha l’avvertenza di legare strettamente le valve per mezzo d’un filo di ferro o di zinco, la sua durata è molto maggiore. Nel 1876, si contavano lungo il litorale della Francia non meno di 24,998 vivai da ostriche in acque de- maniali e 795 in acque private, le quali cifre, para- gonate a quelle dell’ anno precedente, manifestano un cospicuo progresso, cioè un aumento di 2632 vivai in acque pubbliche. Nell’ anno industriale 1875-76 si tolsero dagli ostreari francesi, per essere vendute, 335,774;070 ostri- che, pel valore di 13,226,296 lire; conviene però no- tare che la cifra della produzione vera è un po’ mi- nore della suesposta, perciocchè in molti vivai si introducono ostriche pescate sui banchi naturali o nate in altri vivai. | La pesca delle ostriche sui banchi naturali fruttò, nel 1875, 97,226,592 molluschi, venduti per 2,379,709 lire. Si può dunque asserire che la Francia produce annualmente circa 433 milioni d’ostriche del valore di oltre 15 milioni e mezzo di lire. Si calcola che lungo le coste oceaniche della Francia L’ OSTRICOLTURA. 403 circa 200,000 persone traggono precipuamente dall’ o- ‘stricoltura i mezzi di sussistenza. Dal 1876 in poi l'industria di cui tengo discorso non ha cessato di progredire. Queste sono, succintamente, le condizioni dell’ o- stricoltura sulle rive dell’Atlantico. Nel Mediterraneo le circostanze son ben diverse e pur troppo l’indu- stria di cui ho tenuto discorso non solo non ha fatto progressi di sorta, ma può dirsi piuttosto in decadenza. In Italia la coltivazione delle ostriche si esercita” nel Mar Piccolo di Taranto, nel lago Fusaro ed an- che, in piccolissima scala, nel lago di Torre di Faro presso Messina. La città di Taranto è in gran parte situata sopra una piccola isola disgiunta dalla terraferma mediante due angusti canali, l’uno al N. l’altro al S. Il primo Giattraversatodal-Ponte: di ‘Lecce, l'‘altro”dal‘Ponte di Napoli. Tale isoletta, o meglio lingua di terra, limita verso sud-ovest un vasto specchio di mare, che ha nome Mare Piccolo e misura circa 8 chilometri e mezzo di lunghezza per 3 e mezzo di larghezza, e, verso Levante, confina con una profonda insenatura del Golfo di Taranto che si domanda Mar Grande o Mare Esterno. Questo ha la sua imboccatura se- gnata, ad oriente, dal capo di S. Vito, ad occidente, da quello della Rondinella, e ristretta dalle due iso- lette di S. Pietro e S. Paolo. Esso comunica col Mar Piccolo mediante i due canali anzidetti. A_marea ascen- dente e a marea calante si producono fra i due bacini correnti violentissime. Il Mare Piccolo presenta sulla sua costa meridio- nale una lingua lunga di sabbia detta la Penna, che 404 PELAGOS. si protrae fin verso la sua parte media e corrisponde ad un altro piccolo capo che si avanza dalla riva op- posta e per tal modo è come diviso in due regioni. La regione più esterna ha profondità variabile che arriva fino ai 20 metri; l’interna ha acque più basse, talchè in alcuni punti vedonsi emergere le estre- mità delle piante (zostere) che vegetano sul fondo, e verso il suo lembo orientale, ove ha foce il canale della Salina Grande, si convertono grado grado in pantano. La regione esterna, specialmente verso settentrione, accoglie varii piccoli corsi d’acqua, tra i quali il solo Galeso merita di essere ricordato. Ivi, presso la costa, scaturiscono dal fondo varie polle d’ acqua dolce che si sollevano dalle acque soprastanti e si spargono alla loro superficie, formando macchie o, come si suol dire occhi, ben visibili in tempo di calma, uno dei quali è il Citrello. Nel Mar Grande mettono vari fiumicelli e scaturisce presso la città una grossa polla denominata Occhio di S. Cataldo. Il fondo del Mar Piccolo è quasi tutto fangoso e in gran parte coperto di alghe e zostere, molte delle quali servono di sostegno a numerosi briozoi e idro- zoi. Le rive sono quasi tutte basse e calcaree. A Taranto, pet ottenere il novellame, si calano gruppi di fascine di lentisco ancorate con pietre nei fondi del Mar Grande e vi si tengono circa tre mesi; trascorso questo tempo, si portano alla superficie, se ne staccano i ramoscelli coperti di giovani ostriche e s'innestano questi fra i capi delle corde d’ erba, de- nominate pergolari, le quali sono fissate ad apposite palafitte, nel Mar Piccolo. Tali ramoscelli, carichi di piccole ostriche, rimangono così sospesi a variabili L’OSTRICOLTURA. 405 distanze dal fondo e son tenuti in luogo dal loro prcprio peso. Le piccole ostriche raggiungono dimen- sioni commerciali tra 18 mesi e due anni. Ciascuna palafitta occupa approssimativamente una area di 300 passi quadrati e si domanda sciata o ciaia. Le sciaie sono in numero di 25, alcune appartenenti a privati o ad opere pie, altre al demanio. La produzione normale del Mar Piccolo di Taranto è di circa 6,000,000 d’ostriche all’ anno, le quali si vendono, secondo la qualità, da lire 2, 50 a 10 al cento, il prezzo medio comune è però di 5 a 6 lire. Queste ostriche si esportano in tutta Italia e particolarmente a Napoli, ove se ne fa grandissimo consumo. Il lago Fusaro, in cui dal 1764 fino ad ora, salvo breve interruzione, si esercitò l’ostricoltura, è situato presso la sponda del Tirreno fra Cuma e il Capo Miseno. Ha forma presso a poco semicircolare, pre- sentando un lato quasi rettilineo parallelo alla costa ed uno arcuato, con varie piccole insenature, opposto al primo. La sua maggior lunghezza oltrepassa di poco 3 chi- lometri e mezzo, la circonferenza non arriva a 7. La profondità media può dirsi di 2 metri e mezzo, con un massimo di 6 metri. Il fondo risulta di detriti arenacei, d’ origine vulca- rica, coperti in gran parte da uno spesso letto di melma, sulla quale vegetano fittissime zostere e in al- cuni punti alglre e conferve. I due punti estremi del bacino, ove cioè ricorre l’ incontro della sponda arcuata e della rettilinea, sono assottigliati; 1’ uno, il meridionale, si continua in un canale che mette al mare, l’ altro riceve un abbon- dante rivolo d’acqua dolce e fresca, proveniente dal- 406 PELAGOS. l’attiguo pantano detto Gaudiello. In quella parte vi ha anche, nel lago, un piccolo gorgo d’acqua solfu- rea. Altre sorgenti d’ acque minerali calde scaturiscono frammezzo a ruderi di antiche costruzioni romane, lungo la sponda orientale. Presso l’estremità meri- dionale del lago, v'era in passato l’ Acqua Morta, pa- lude che occupava una superficie pari alla settima parte del lago e i cui scoli affuivano nel canale sopra citato. il lato rettilineo del bacino è separato dal mare mediante una zona di terreno coperta da un bosco di proprietà regia che ha nome Paneta; Vl altro lato è quasi tutto ridotto a coltura. La sponda è pantanosa e coperta di giunchi, nella parte settentrionale e orien- tale, nel rimanente in gran parte è arenosa. Il regime del lago subì in tempi a noi vicini mu- tamenti non lievi. Dal 1855 al 1859 fu aperta una nuova foce di comunicazione col mare, alquanto più ampia dell'antica, e i materiali ricavati dall’ e- scavazione della medesima si adoperarono a colmare i più prossimi bassi fondi del pantano Gaudiello. Nel 1857, si metteva poi mano al bonificamento della così detta Acqua Morta. Questa palude era causa di emanazioni malsane e si credeva che le sue acque imputridite, riversandosi nel lago, fossero esiziali alle ostriche. Iì lavoro era compiuto nel 1864; ma mentre con esso, come pure colla colmata di parte del Gaudiello, si era conseguito lo scopo di rimuovere un fomite di miasmi nocivi all’uomo, non parve che le ostriche ne rimanessero avvantaggiate. Il canale dell’ antica foce è lungo, tortuoso, munito di robusta muratura ed in parte è tagliato nella roccia L’OSTRICOLTURA. 407 viva, attraverso ad un piccolo promontorio di tufo. Esso ha da 4 a 6 metri di larghezza; la sua profon- dità minima, che altre volte era ridotta, alle basse acque, a 25 o 30 centimetri, a causa degli interrimenti, raggiunge ora circa un metro. Questo canale è mu- nito di chiuse. Il canale della foce nuova non è murato che alla parte estrema che mette al mare; per gli smotta- menti avvenuti nelle sue rive e per le arene accumu- late dal vento, esso è da parecchi anni ostruito. | Nel Fusaro non solo le ostriche si accrescono ed ingrassano, ma ancora si riproducono e passano per tutti gli stadi del loro sviluppo. Colà servono ad uso di collettori fascine e pietre, queste in grandi cumuli, sotto il nome di rocchie, quelle disposte attorno a tali cumuli, appese a corde sostenute da piuoli. Disgraziatamente, sia per negligenza degli appalta- tori, sia per cause naturali, le condizioni del lago su- birono dal 1834 e specialmente dal 1849 in poi, una sensibile alterazione e negli ultimi tempi la mortalità delle ostriche crebbe a tal segno che il lago fu tem- porariamente abbandonato. Debbo però avvertire che da due anni, in seguito a lavori di espurgo e di col- tivazione iniziati da una nuova impresa, sotto la dire- zione del Cav. Salvatore Troise, si ottennero risul- tati assai soddisfacenti e si nutrono fondate speranze che l'industria del Fusaro sia omai definitivamente ripristinata all’ antica floridezza. L’idea di sperimentare sui litorali italiani i sistemi applicati con sì buon successo per l’ostricoltura sulle coste oceaniche, venne in mente a più d’uno; ma convien dire che poche prove ebbero appena un prin- cipio di esecuzione ed anche queste furono tentate 408 PELAGOS. con mezzi impari allo scopo e in circostanze infelici, per la cattiva direzione o la scelta della località, laonde era impossibile che riuscissero. Nei tentativi di questo genere bisogna aver pre- sente innanzi tutto che le condizioni fisiche del Me- diterraneo, massime per ciò che concerne la salse- dine, la temperatura media, il moto alterno derivante dal flusso e dal riflusso, sono assolutamente diverse da quelle dell’ Atlantico e che le ostriche nostrane differiscono specificamente o almeno quali varietà da quelle dell'Oceano. Per.conseguenza, presso di noi, der quanto ha tratto all’ ostricoltura, vi sono nuovi studi da compiere, nuovi quesiti da risolvere. Tuttavolta gli ostreari di l'aranto e del Fusaro, ci insegnano che l’Ostrea edulis del Mediterraneo può vivere e moltiplicarsi ‘nei bacini grandi e piccoli libe- ramente comunicanti col nostro mare. Da ciò con- segue che i tentativi degli ostricultori italiani deb- bano principalmente rivolgersi alle grandi lagune salse. Se mal non m’appongo, negli stagni d’ Orbe- tello, di Piombino, di Salpi, di Varano, di Lesina, di Cagliari, d’ Oristano, nonchè nello stagnone di Mar- sala (secondo le accurate osservazioni dei signori pro- fessori Doderlein e N. Chicoli) (1), si verificherebbero alcune delle condizioni fisiche più favorevoli per ten- tarvi sopra larga scala l'allevamento delle ostriche (2). (1) Studio della Commissione delegata dalla Società di accli- matazione ed Agricoltura in Sicilia per l’ impianto dell’ ostrei- coltura nello stagnone di Marsala. Estratto dagli atti della So- cietà di acclimatazione ed agricoltura in Sicilia, Tomo V, N.° 11 e}j12, Palermo 86: (2) Non comprendo in questo novero le lagune Venete, perchè l'immissione sempre crescente di acque doici e di acque di ir- L’ OSTRICOLTURA. 409 L’introduzione delle pratiche della ostricoltura nei golfi, nelle baie e anche lungo i litorali aperti del Mediterraneo presenterebbe, io credo, ostacoli assai più gravi da superare, perchè scarseggiano le località op- portune e perchè il collocamento, la sorveglianza e la conservazione dei collettori risulterebbero, in generale, assai dispendiosi. Sulle coste della Francia occidentale l’ avvicendarsi delle maree permette al coltivatore d’ innalzare i re- cinti degli ostreari, di collocare i collettori, di ripa- rarli quando occorra, di seminare e raccogliere le ostriche e di eseguire ogni altra operazione relativa all’ allevamento, sempre all’asciutto. Lungo i lidi ita- liani, invece, il flusso e il riflusso, essendo poco o punto sensibili, tutte queste operazioni dovrebbero ef- fettuarsi sott'acqua e quindi con gravissimo dispendio. Per la medesima ragione, la sorveglianza degli ostri- cari non potrebbe essere abbastanza attiva. Con ciò non voglio dire che l'industria ostrearia non sia possibile in queste condizioni; ma credo che prima di conseguire qualche risultato utile si richie- derebbero, in generale, costosi lavori di preparazione e molte e svariate prove preliminari. Il signor Cav. di Sambuy, regio viceconsole d’ I- talia a Tolone, interpellato dal regio Console gene- rale in Marsiglia, cui la Camera di Commercio di Genova avea chiesto notizie sulla coltivazione delle rigazione nelle medesime, fa sì che in gran parte della loro estensione l’ostrica non possa più allignare. Vedansi intorno agli esperimenti d’ostricoltura eseguiti nell’ estuario veneto gli scritti del signor Riccardo d’ Erco intitolati: Sulla coltura delle ostriche e sulle asterie o stelle di mare. Trieste 1862 — Opu- scolo secondo sulla coltura delle ostriche. Trieste 1863. Pelagos. 27 4IO PELAGOS. ostriche lungo il litorale mediterraneo della Francia, rispose che, fra molte prove fatte per introdurre l'o- stricoltura sulle coste della Provenza, una ne sarebbe riuscita e questa nella località di Bregaillon, nella rada di Tolone, in un punto in cui le acque sono ecce- zionalmente tranquille. Altrove, in mare libero, le prove, a quanto pare, andarono sempre fallite. Il Cav. di Sambuy pubblicò sul tal soggetto una interessan- tissima memoria che venne alla luce nel Bollettino con- solare e di poi nella Rivista marittima. Perchè un tratto di mare non situato in un lago o stagno, si presti all'esperimento dell’ostricoltura credo necessario in tesi generale che sia dotato dei seguenti requisiti: 1. Acque limpide, salse o salmastre, ma.in cukgla porporzione delle acque dolci sia tenue. Infatti, basta l’ afflusso, anche temporario, di una gran quantità di acqua dolce in un parc o in una claire per provocare la morte di tutti i suoi abitanti; 2.° Acque tranquille, tali cioè che il moto ondoso del mare non abbia a disturbare o danneggiare gli apparecchi ; 3.° Fondo prevalentemente scoglioso. Sono disadatti i fondi coperti di fango, di piccole ghiaie e di sabbia; le alghe in piccola proporzione non sono dannose, massime le alghe verdi; 4.° Acque più o meno basse, secondo i casi. È d’uopo inoltre che la località non serva ad or- meggiarvi le navi, non sia frequentata da pescatori e possa essere facilmente invigilata (1). (1) Vedansi in ordine alle condizioni giù opportune per l’ im- pianto degli ostreari in -Italia le mie « Istruzioni pratiche per l’Ostricoltura e la Mitilicoltura ». Genova 1882. L’OSTRICOLTURA. 4II Ognuno vede che tali condizioni si trovano riunite assal raramente nella medesima località. Trattandosi di un litorale le cui acque sono in ogni tempo placidissime, parmi che gli apparecchi collettori debbano collocarsi di preferenza sui bassi fondi; ove poi le acque, comunque, abitualmente calme, andassero soggette a periodi d’agitazione tali da dis- perdere i piccoli molluschi o da disturbare in altra guisa lo allevamento, converrebbe calarli a profondità di 10 a 15 metri, ed anche maggiori, nelle quali il moto del mare non si facesse sentire. Per quelli de- stinati a siffatte profondità proporrei di sperimentare le disposizioni seguenti: Il collettore sarebbe essenzialmente formato di un piano quadrangolare di un metro di lato, fatto di legno assai rozzo, o meglio di cerchi di botte intral- ciati a guisa di graticcio ed assicurati ad una specie di telaio. Tutto all’ intorno sarebbero saldamente fis- sate al piano alcune -fascine verticali dell’altezza di circa metri 1, so. Alla parte inferiore, l’ apparecchio riposerebbe su quattro aste di legno greggio (disposte perpendicolarmente al piano e più o meno lunghe se- condo la natura dei fondi) destinate a preservare il piano stesso dal contatto della melma o delle piante. Quattro pietre sufficientemente pesanti, collocate ai quattro angoli, servirebbero ad equilibrare e a far sommergere l'apparecchio, il quale si salperebbe, al- l’occorrenza, mediante un cavo d’erba, assicurato col mezzo di quattro cordicelle ai quattro angoli del piano, e legato ad un segnale galleggiante coll’ estremità opposta. Distribuite le ostriche madri sul piano orizzontale, i loro embrioni, incontrandosi naturalmente nei rami 412 PELAGOS. e nei ramuscoli delle fascine, vi aderirebbero, origi- nando poscia una numerosa colonia di molluschi. Ac- = = === == È = === = na Te = WE =——— 922 _—&ééi îÈg\g;>*)*>)*VAR) = = SE FENOR EEE i gr ra i W_ 7) ev D NE >? /|= "<= SY hù, a: Collettore per gli alti fondi. ciocchè riuscisse concludente, consiglierei di eseguire la prova con un centinaio d° apparecchi, ciascuno dei quali fosse munito di una ventina di ostriche madri. L’OSTRICOLTURA. 413 L’esperienza sola può chiarire se e fino a qual segno il sistema proposto sia attuabile con vantaggio, come pure se richieda grave dispendio di sorveglianza. O. EpuLIS, var. Tarentina (Taranto). Valva superiore e valva inferiore; quest’ultima porta l’impressione di un ramuscolo di fascina cui l’ostrica era attaccata. O. epuLIs, var. Venetiana (Venezia). Mi sembra utile, infine, di richiamar l’ attenzione di coloro che bramassero introdurre l’ allevamento delle ostriche, anche sui costumi e sulle attitudini delle varie specie che popolano il nostro mare. Nel Mediterraneo furono segnalate dai conchiologi ben 20 specie d’ostriche, ma tra queste due sole me- ritano di essere considerate dal punto di vista che 414 PELAGOS. qui ci occupa: l’ Ostrea edulis colle sue numerose va- rietà (quella che si coltiva a Taranto e al Fusaro) e I’ Ostrea plicata (O. stentina di Payraudeau) che si raccoglie a Genova e a Napoli (in questa città sotto il nome di Ostreghella, Ostrica del Castello ecc.). O. PLICATA (Genova). Da quanto precede emerge adunque che l’ ostri- coltura non può essere esercitata in Italia nei modi e colle norme seguite sulle rive dell’ Atlantico, che L’OSTRICOLTURA. 415 presso di noi manca ancora la scorta di studii e d’ e- sperimenti sulla quale deve essere fondata siffatta in- dustria, che finalmente essa non potrebbe prosperare, secondo ogni probabilità, in ogri parte del nostro li- torale, ma solo in piccoli tratti che offrono partico- lari condizioni topografiche e idrografiche. Da ciò si vede parimente come, se da un lato l’ al- levamento delle ostriche merita di essere incoraggiato, non convenga, dall'altro, abbandonarsi con troppa confidenza alle speranze lusinghiere di coloro cui sembra facil cosa il convertire le nostre spiaggie ma- rine in fertili campi subacquei. Il problema dell’ ostricoltura è arduo quanto altri mai e non sarà risoluto che mercè prove e riprove eseguite in acconcie località e continuate con perseve- ranza per un certo numero d’ anni. A. Isser. MOELUSCHEEDULT E FLO RO: ALLEVAMENFEI —laelxr I molluschi eduli nei tempi preistorici e nell’ attualità — Le specie mangereccie usi- tate in Italia — L’ industria di Taranto — L’ industria della Baia dell’ Aiguillon — Il Soft clam — Allevamento della Novaculina e dell’ Arca nella Cina. Morti molluschi che forniscono cibo sano e gradito all’uomo al presente furono ri- cercati per lo stesso uso fin dai tempi più remoti. I e vrenmbòddinger, avanzi di pasti di tribù selvaggie che vissero lungo le rive del Baltico in tempi da noi lontani, anteriori ad ogni memoria storica relativa a quella regione, risultano per la massima parte di gusci d’ ostriche, commisti ad ossa di uccelli e di mammi- feri. Le conchiglie sono comprese fra i principali com- ponenti dei cumuli d’avanzi di cucina (sambaguis) che trovansi sulle coste del Brasile, del Chili, della Pata- gonia e in molti altri luoghi. 416 PELAGOS. Nelle caverne che servirono di dimora all'uomo dei tempi preistorici, quando sono prossime al mare, non mancano mai, fra gli altri residui di cibi, gusci di mol- luschi eduli. Così le grotte del Finalese e del Loa- nese, le quali fino ai primordi dell’epoca romana ser- virono di abitazione e di tomba agli aborigeni, ricettano numerosissime Patelle e queste conchiglie abbondano principalmente presso gli scheletri ivi sepolti, da che si può argomentare che l’uso loro fosse prescritto da qualche rito funebre. Attualmente, i molluschi forniscono un importante contributo all’alimentazione dei popoli che vivono lungo i litorali della Cina del Giappone, dell’ America settentrionale e dell’ Europa occidentale. In genere sono più pregiati sotto le latitudini medie che non nelle zone torrida e tropicali. Lungo le coste del Mar Rosso, si mangiano 1 grossi gasteropodi, comuni in quelle acque, in tempo di ca- restia, in mancanza di cibo migliore. I numerosi cu- muli di conchiglie rotte che biancheggiano al sole sulle spiaggie di Suakin, Dahlac, Massaua, Assab ecc. attestano come dalle tribù indigene si ricorra bene spesso a questo genere di alimento. Nelle grandi città d’ Europa e dell’ America setten- trionale, alcune specie di molluschi sono consumate comunemente dal ceto marinaresco e dalla gente po- vera, mentre altre non compariscono che sulle tavole dei ricchi. In Italia si mangiano i Murex trunculus e brandaris, i quali sulle coste liguri si domandano Runseggi, nel Napoletano Sconcigli, a Taranto Cuocciole e a Venezia Garusole (femmina il, primo, maschio il secondo). Son però cibo coriaceo e poco appetitoso. Questi molluschi MOLLUSCHI EDULI E LORO ALLEVAMENTI. 419 erano ricercati nell’antichità assai più che non-al pre- sente, perchè se ne traeva la porpora. Le Cassidarie (Porzelete dei Veneti), i Ceritbium (Caragolo a Venezia, Caagollo a Genova), Chenopus pespelecani (Zamarugola nel’ estuario veneto), la Nassa mutabile (Maruzziello dei Napoletani), stante la loro scarsa copia, figurano meno spesso dei precedenti fra i commestibili. Similmente si fa consumo, in via af- fatto accidentale, tanto sulle rive dell’Adriatico, quanto sui lidi occidentali della penisola, di varie specie di generi Natica, Trochus e Monodonta (1). Mi resta a far cenno, tra i gasteropodi, delle Pa- ielle che i Liguri appetiscono più d’ ogni altro te- staceo univalve, mentre i Veneti le tengono in poco conto. I molluschi eduli più pregiati dagli Italiani sono indubbiamente i lamellibranchi o bivalvi. I primi a citarsi per ordine d'importanza fra questi (facendo astrazione dalle ostriche) spettano alla famiglia dei Mitili e sono il Mytilus edulis, la Modiola barbata e il Lithodomus lithophagus. Il Mytilus edulis, o Mitilo co- mune, Cozza nera dei Meridionali, Peocio dei Veneti, Muscolo dei Liguri, è, come ognun sa, coltivato in vastissima scala nel Mar Piccolo di Taranto e nella Baia dell’Aiguillon in Francia. Il Lithodomus lithophagus o dattero di mare, che i Genovesi apprezzano più di ogni altro, merita qual- che cenno sotto un altro punto di vista, vale a dire per le singolarità dei suoi costumi. Di questo e (1) Intorno ai molluschi commestibili dell’ Adriatico si consul- terà con vantaggio una memoria del Dottore A. Senoner, com- parsa nel Zoologischer Garten. Francfurt a. M., 1867). 420 PELAGOS. d’altri simili dice il Mascheroni nel suo Invito a Lesbia: Altre si fero, invan dimandi come, Carcere e nido in grembo al sasso. Infatti, tostochè abbia raggiunto una certa dimen- sione, il litodomo si attacca agli scogli calcari som- mersi, ad una profondità non maggiore di 6 metri, e vi si scava «una cella, che. ‘ha; la -forma%istessagdal suo guscio; a misura che il mollusco cresce, si au- menta nella stessa proporzione la sua cavità. Sem- bra che per praticare quei fori l’animale si valga uni- camente di una secrezione acida, mentre altri mol- luschi litofagi, le Foladi, intaccano la roccia impri- mendo alla loro conchiglia, che è munita di minute asperità, a guisa di lima, un lento movimento di ro- tazione ora in un senso ora nell’ altro. Mentre i litodomi abbondano nel Mediterraneo e in genere nei mari dei paesi caldi, le Foladi (che son pur mangereccie, ma poco pregiate) si trovano più comunemente nell’ Atlantico settentrionale. Due Arcidae, l’ Arca Noae e l'Arca barbata, secondo il Ninni, sono assai ricercate dal popolo, nel Veneto, sotto il nome di Mussolo, mentre a Taranto, ove si dicono Avatoni, e presso i Napolitani che li denomi- nano Spere, sono meno stimati. Nella famiglia delle Ostracee si contano parecchie specie di Pecften, vendute come commestibili sui mer- cati di Venezia, di Taranto e di Napoli; la più sti- mata è il Pecten (Vola) jacobaeus o Capa santa dei Veneziani, Pellegrina dei Meridionali. Gli Spondylus, Ostreghe rosse o Ostreghe spinose dei Genovesi, Scataponzoli e Spronnuli dei Meridionali, so- MOLLUSCHI EDULI E LORO ALLEVAMENTI. 421 migliano per le qualità commestibili ai grossi Pettini/, ma stante la loro poca abbondanza e la difficoltà di raccoglierli, se ne fa un consumo limitatissimo. Le Veneridae somministrano un cibo copioso e pre- giato a molti abitanti dei nostri litorali. La specie reputata migliore è il Tapes decussatus (Caperozzolo dallo Scorzo grosso a Venezia, Arsella a Genova e a Livorno, Vongola e Gamadia a Napoli e a Taranto. Altri Tapes, come il Beudanti, Vl’ aureus il geogra- phicus, hanno le stesse qualità, ma sono economica- mente meno importanti perchè più rari. Seguono poi la Venus chione, a Napoli Fasolara, la Venus verrucosa, Tartufolo in Napoli, e in ultimo la Venus gallina, Lu- pino in Napoli, che, forse per le sue piccole dimen- sioni, è la meno apprezzata. Un solo Cardium, ledule, essendo comunissimo in tutto il nostro mare, può considerarsi come derrata alimentare. Si pesca principalmente nelle lagune ve- nete, sotto il nome di Capa tonda e lungo i lidi delle provincie meridionali, coll’ appellativo di Cocciola. A Napoli, emporio massimo di molluschi mange- recci in Italia, si fa uso ancora della Mitraglia (Car- dita), dalle valve scabre e costulate, del Cacasangue (piccola Artemis, le cui valve candide e terse racchiu- dono un mollusco sanguigno) delle Quaquiglie (Mactra) dalla conchiglia sottile, bianca o violacea. Le cosidette Telline dei Toscani, a Napoli Tonninole (Donax trunculus, D. semistriataà) si consumano in copia sulle rive del mar Tirreno. Un’ altra Tellinidae, la Scrobicularia piperata, che vive nel limo, si ricerca molto dai Veneti, i quali sogliono ammanirla in zuppa, e si tiene invece in poco conto dagli abitanti delle nostre spiaggie occidentali. 422 PELAGOS. La famiglia dei Solen, di cui non si trovano rap- presentanti che nei fondi sabbiosi e fangosi, sommi- nistra principalmente il Solen vagina (Capalonga del mar dei Veneti, Manico di coltello dei Toscani, Can- nolicchio ferraro dei Napolitani), il S. siligua (Capalonga nostrana nel Veneto, Manico di coltello in Toscana, Cannolicchio verace dei Napolitani) e il Solecurtus stri- gillaius. Quest ultimo si trova esposto da Abrile a tutto Agosto al mercato di Napoli, sotto il nome di Lattaro di mare, mentre gli altri Solen si pescano tutto l’anno. Le Cozze nere (Mytilus edulis) e le Cozze pelose (Mytilus barbatus o Modiola barbata) si coltivano nel Mar Piccolo di Taranto per mezzo di apparecchi, i Mytilus edulis Mylilus barbatus del Mediterraneo. del Mediterraneo. quali, appena si distinguono dalle sciaie da ostri- che. Al pari di queste, consistono essenzialmente in corde d’ erba o pergolari che pendono da corde simili MOLLUSCHI EDULI E LORO ALLEVAMENTI. 423 orizzontali, sostenute da pali verticali e che giungono fino a circa mezzo metro dal fondo, con una lun- ghezza totale da 8 a 9 metri. Esse fungono l’ ufficio di collettori, e servono non solo per l’ allevamento, ma anche per la riproduzione. I Mitili allo stato lar- Pergolaro sospeso per la sciorinatura. vale, emessi da pochi individui adulti ivi lasciati per la semina, si fissano a quelle corde d’erba e, senza che sia necessario trasferirli in altro luogo, si sviluppano e crescono in guisa da conseguire nello spazio di tre anni le loro dimensioni normali. Ciascun gruppo di piuoli e di corde che forma l’ apparecchio di mitilicoltura occupa un’area rettan- golare e dicesi quadro. Questo apparecchio ha d’ uopo di essere mantenuto colle medesime cure delle sciaie da ostriche e specialmente è necessaria, da quando .a quando, la mondatura e la sciorinatura dei pergolari. Secondo informazioni assunte sul luogo, la produ- zione di Cozze ascenderebbe annualmente da 13 a 16000 quintali in media ed avrebbe talvolta raggiunto fin. 24000 quintali. 424 PELAGOS. La baia dell’ Aiguillon è un piccolo seno di mare situato presso la Rochelle e (nel dipartimento francese della Charente inférieure), in gran parte occupato da un basso fondo di melma che emerge a bassa marea. Il pantano è attraversato da quattro piccoli corsi d’acqua, dei quali il principale è la Riviera di Ma- rans. Nulla di più squallido, di più triste di quella distesa di mobili fanghi che confina colle acque tor- bide dell’ Oceano. Tra la punta di Saint-Clément, che limita la baia a mezzogiorno, e la riviera di Marans, che l’attra- versa nella sua parte media, per una lunghezza di otto chilometri, tutto il fondo emergente è co- perto di apparecchi destinati alla coltivazione dei Mi- tili, apparecchi inventati da un ingegnoso irlandese di nome Walton, naufragato fin dal 1235 sulla costa d’ Esnandes. I bouchots, così si denominano localmente questi apparecchi, sono complessi di pali disposti in serie, All ES “= c=- == = SEZ = ua SUI ui RANA ini iii = n Parte di un bouchot. in un ordine determinato e ad una certa distanza uno dall’altro, talvolta divisi, talvolta uniti da lun- ghe listerelle elastiche di legno, intralciate, che for- mano graticcio, come dicesi in francese, da un cla- MOLLUSCHI EDULI E LORO ALLEVAMENTI. 425 yonnage. I piuoli sono alti da 4 a 5 metri e per metà conficcati nel fango; il loro diametro è di circa 15 centimetri e distano l’uno dall’altro da quaranta a cinquanta centimetri. Essi sono disposti in doppie file convergenti, la cui lunghezza è tra i 200 e i 250 metri. Ciascuna fila’ ne. incontra ‘cioè un' altra, for mando un angolo di 45 gradi, il cui vertice è diretto verso il mare. La graticciata di cui sopra non arriva alla base della porzione libera dei piuoli, ma si arresta a 20 centi- metri da essa, in guisa che l’ apparecchio non oppone che lievissimo ostacolo al movimento delle acque. Si contavano nella baia 500 bouchots, vale a dire 500 doppie palizzate, con una lunghezza totale di circa 225000 metri (1). Tutti gli apparecchi rimangono sommersi alla marea alta, ma non tutti emergono ad ogni riflusso. Essi sono scaglionati, in ordine alla distanza dal mare aperto e per conseguenza in ordine alla profondità, in quattro zone; quelli della più esterna, cosidetta dei bouchots den bos o d’aval, néù vanno scoperti che durante le grandi maree delle sizigie; i loro piuoli non sono collegati fra loro da listerelle traversali. I piuoli iso- lati, perchè esposti più direttamente all’azione delle onde, e in contatto di acque più pure e limpide sono i più atti ad accogliere gii embrioni dei Mitili, all’ e- poca della riproduzione, cioè nei mesi di Febbraio e Marzo. Dopo uno o due mesi, il novellame dei Mitili ha (1) Coste, Voyage d’exploration sur le littoral de la France el de l’Italie. Industrie de la baie de ’’ Aiguillon. Paris, 1861; pa- gina I3I. Pelagos. 28 426 PELAGOS. acquistato la dimensione del seme di lino; in Luglio è già grosso come piccoli fagiuoli. Pervenuto a questo punto, fa d’ uopo trapiantarlo e l’ operazione si pratica nel modo seguente : I gruppi di piccoli molluschi sono distaccati mediante appositi uncini, e poscia, distri- buiti in tante borse formate di vecchie reti, si collo- cano a giusti intervalli tra i legnami delle graticciate, nei bouchots delle tre zone più prossime al lido. La rete in breve si distrugge e i Mitili, sviluppandosi, oc- cupano grado grado tutta la superficie dei graticci e si accumulano talvolta in certi punti a guisa di grap- poli. Allora il coltivatore dirada le conchiglie che crescono troppo fitte, ne aggiunge laddove scarseg- giano; trasporta gli individui più grossi e per con. seguenza più resistenti dalla seconda zona alla suc- cessiva, ove rimangono emersi più a lungo ad ogni marea; estirpa le piante e gli animali che in qualche modo nuociono al suo raccolto; ed intanto non cessa d’invigilare alla conservazione degli apparecchi, sosti- tuisce o ripara i piuoli e i graticci guasti, raccoglie i Mitili caduti, trasporta ad un livello più alto quelli cui la melma minaccia di softocare. I Mitili, continuando ad accrescersi, subiscono an- cora un ultimo trasporto dalle graticciate della terza zona a quelle che il mare abbandona due volte al giorno, dopo di che, esserdo trascorsi 10 mesi o un anno dall’ epoca in cui si fissarono ai collettori, sono raccolti e messi in commercio. I bouchots d’amont, vale a dire i più prossimi al litorale, servono quasi di riserva, di deposito pei molluschi destinati alla vendita. I Mitili più pregiati per delicatezza di sapore son quelli che crescono nella parte superiore di ciascuna graticciata; i più vicini MOLLUSCHI EDULI E LORO ALLEVAMENTI. 427 al fondo si ritengono di qualità scadente, perchè in- quinati dalla melma sollevata per effetto del moto ondoso del mare. Come possono 1 coltivatori (boucholeurs) attraver- sare i pantani della baia dell’ Aiguillon e attendere, durante la bassa marea, alle svariate operazioni ri- chieste da siffatta industria? In un modo assai sem- plice; per mezzo cioè di uno strumento denominato acon o pousse-pied, il quale nell'acqua viva fa ufficio. di barca e nel fango si comporta come pattino. L’ acon è una cassa di legno a base rettangolare che misura 9 piedi di lunghezza, 18 pollici di profondità e altret- tanti di larghezza; la sua parete anteriore è inclinata a guisa di prora, la posteriore è verticale. Il boucholeur si colloca in equilibrio in questo re- cipiente, lasciandone fuori la gamba sinistra e facendo leva, con questa, sul fondo, procede rapidamente. Gli abitanti di Esnandes, Charron, Marsilly. fanno uso di questo mezzo non solo per attraversare il pan- tano, ma ancora per trasportare i materiali necessari alla edificazione e alla riparazione dei loro apparecchi di mitilicoltura. I Mitili si vendono e si consumano tutto l’anno, ma dalla fine di Febbraio alla fine d’ Aprile, cioè al- l’epoca della riproduzione, diventano /attiginosi e sono meno ricercati perchè più magri e coriacei. Mercè la loro grandissima abbondanza e la modicità del loro prezzo, questi molluschi sono divenuti il cibo giornaliero della classe meno agiata in gran parte del litorale: francese ed ‘anche in una estesa zona di paese nell’interno. Ben ripuliti e mondati dai corpi marini che sogliono aderire alle loro conchiglie, i Mitili sono stipati in apposite casse, le quali, per 428 PELAGOS. mezzo di carri e carrettelle, si trasportano dalla costa ai piccoli centri del vicinato e alle stazioni ferroviarie. Una gran quantità si esporta per via di mare ai mer- cati più lontani. Un bouchot in buone condizioni fornisce da quattro a cinquecento cariche di Mitili di 150 chilogrammi ciascuna; la carica si vende (o meglio si vendeva al- l’ epoca del viaggio di Coste) a 5 franchi. Un solo bouchot somministra dunque da 60 a 75000 chilo- gramini di molluschi, pel valore di 2000 a 2500 lire e il complesso della produzione della baia dell’ Ai- guillon ascende da 30 a 37 milioni di chilogrammi, il cui valore supera un milione. Nel canale di Lamotte, presso Port-de-Bouc, nel Mediterraneo, fu recentemente tentata la coltivazione dei Mitili coll’applicazione di un sistema poco diverso da quello ora descritto. Graticci a telai mobili. Le maree essendo in quella località assai poco sen- sibili, si è pensato di supplire all’azione loro coll’ uso di collettori mobili. Questi sono graticci verticali, cia- scuno dei quali è fissato ad un telaio, il quale può a piacere alzarsi ed abbassarsi fra due piuoli. La prova sarebbe riuscita soddisfacente se le teredini non aves- MOLLUSCHI EDULI E LORO ALLEVAMENTI. 429 sero in breve tempo danneggiati i pali e i graticci, in modo da rendere necessario il rinnovamento di tutto il materiale adoperato. Dicesi che negli stagni comunicanti col mare, in Provenza, il Sig. Vidal abbia ottenuto con miglior successo l’ allevamento dei Mi- tili in bassi fondi coperti artificialmente di ghiaia. Lungo il litorale atlantico degli Stati Uniti d’Ame- rica il mollusco detto Soft Clam, Mya arenaria dei naturalisti, costituisce una derrata alimentare di gran consumo, massime pei meno agiati. Esso è facile a riconoscersi per la sua conchiglia ovale, quasi equi- latera, sottile, ora bianca, ora nerastra, a valve uguali, non perfettamente combacianti, ornate all’esterno di rughe e strie di accrescimento e munite all’ interno di doppia impressione muscolare, col cardine formato di un grosso dente sulla valva sinistra e di una fos- setta corrispondente sulla destra. Questa specie è ab- bondantissima sulle spiagge di melma arenosa, emer- genti alla bassa marea, specialmente nelle contee di Baustable e d’Essex, nel Massachussetts, e va facen- dosi più rara verso il mezzogiorno, non oltrepassando, a quanto si dice, le foci del Dalaware; ove più ab- bonda, in uno spazio di un metro quadrato si pos- sono raccogliere più di cento individui di questa spe- cie. I Clams vivono sepolti nel limo e nella sabbia, a profondità variabile secondo le stagioni, e si mani- festano all’esterno per mezzo di forellini, dai quali vedesi talvolta scaturire un piccolo getto d’ acqua. Si estraggono alla marea bassa mediante una sorta di zappetta, e si mettono in vendita nello stato naturale, oppure privi della conchiglia in gruppi di 25. In tal condizione costano circa 75 centesimi il 100. Il Soft Clam è il principale ingrediente di varie pre- 430 PELAGOS. parazioni culinarie assai stimate dagli Americani e segnatamente di una sorta di zuppa gustosissima. La sua importanza economica è poi accresciuta da che, allo stato fresco e salato, somministra un’ esca pre- ziosa ai pescatori, massime per la pesca del merluzzo. Un barile di molluschi salati per quest’ uso si vende s$ o 6 dollari. Oltre a questa specie si ricercano nella medesima regione altre bivalve commestibili e in particolar modo la Venus mercenaria e la Venus notata, cono- sciute nel paese sotto il nome di Round Clams. Per la pesca di tali molluschi, si fa uso di forgs simili a quelli che si adoperano per la raccolta delle ostriche e di rastrelli in cui i denti sono piegati a semicircolo e situati a circa 3 centimetri di distanza l’ uno dal- l’altro, in guisa da trattenere le conchiglie adulte, lasciando passare le giovani. Vari modelli di siffatti strumenti erano esposti nella mostra di pesca del 1880, nelle sale della sezione americana. I Soft Clams e i Round Clams non formano oggetto di coltivazione, ma i negozianti sogliono mantenerli viventi, per tempo più o meno lungo, in appositi re- cipienti, per soddistare ai bisogni giornalieri del loro commercio. Queste conserve sono, secondo i casi, cassoni gal- leggianti in cui penetra liberamente l’acqua marina, o recinti situati in tal punto della riva che possono es- sere visitati ogni giorno dall’ alta marea. Nella Cina sono usitatissimi parecchi molluschi acquatici mangerecci, univalvi e bivalvi. La sezione ci- nese della mostra di Berlino, quantunque non com- prendesse che raccolte (d’ altronde ricchissime) pro- venienti dal solo porto di Ningpo, offriva istruttivi MOLLUSCHI EDULI E LORO ALLEVAMENTL 431 esempi di questi molluschi, tra i quali due specie, la Novaculina constricta e un’ Arca indeterminata, meritano particolare attenzione, perchè formano oggetto di un vero allevamento. Novaculina constricta. La prima, che vive, al pari delle congeneri, confitta nelle spiagge e nei bassi fondi fangosi, abbonda nella baia di Nimrod e produce un numero sterminato di piccoli. Questi, tuttavolta, vuoi per le condizioni fi- siche della località, vuoi perchè contano numerosi ne- mici fra gli altri animali, in massima parte non giun- gerebbero a maturità se l’uomo non li proteggesse con peculiari artifizi. Infatti, i piccoli molluschi, mentre misurano appena pochi millimetri di lunghezza, sono diligentemente raccolti e poscia sparsi, direi quasi seminati, in vasti campi di melma emergenti alla bassa marea, ove, es- sendo a giusta distanza l’ uno dall’altro e difesi dai propri nemici, si sviluppano a meraviglia (1). Dopo tre anni, si raccolgono e si mettono in commercio per essere cucinati o disseccati, giacchè non si mangiano che cotti o prosciugati al sole. Affine di penetrare nei campi d’ allevamento e at- (1) Gli uccelli d’ acqua distruggerebbero un gran numero di questi molluschi se alcuni ragazzi non fossero occupati quasi co- stantemente a cacciarli. 432 PELAGOS. tendere alle pratiche della coltivazione, i Cinesi fanno uso di certi pattini di legno, simili agli acons del ba- cino d’ Arcachon, mediante i quali procedono sul fango scivolando senza affondare (1). La seconda specie coltivata è, come dissi un’ Arca, probabilmente lA. granosa. Si acquistano nel distretto di Taichu, durante il mese di marzo, i piccoli di questa specie, che soggiungono appena la dimensione di piselli, e si collocano nella baia di Nimrod, in ap- positi serbatoi comunicanti col mare. Questi, che mi- surano circa 15 metri di lunghezza e 7 di larghezza, sono recinti di terra argillosa, ed hanno una apertura rivolta verso il mare, la quale suol tenersi aperta durante l'alta marea e chiusa all’ora del riflusso; essi con- tengono sempre almeno un mezzo piede d’ acqua. Dopo due anni, le Arche son cresciute al punto che il cavo della mano non può contenerne più di 30, ed allora son messe in commercio al prezzo di circa 50 sapec la libbra. Al Giappone si mangiano, come da noi, le ostriche (specialmente l’ Ostrea cucullata), le Arselle (Tapes semidecussatus), le Cythrea (C. petechialis), i Cardium (C. japonicum). Oltre a ciò, si adoperano come com- mestibili parecchie specie di Pecten, un’ Arca, una Mactra, un Saxidomus, una Novaculina, una Pinna (di questa solo una piccola parte del mollusco), ecc. La Novaculina constricta, disseccata, non solo si con- suma nel paese, ma si esporta in gran quantità anche nella Cina. Il Turbo cornutus e l’Haliotis gigantea for- (1) Vedasi la descrizione e la figura degli acons nel noto Vo- yage d’ exploration sur le littoral de la France et de Italie del professore Coste. Paris, 1861. MOLLUSCHI EDULI E LORO ALLEVAMENTI. 433 niscono ad un tempo pregiate varietà di madreperla e cibi ricercatissimi. Il primo non si consuma che cotto; la seconda si mangia in gran copia fresca, dis- secata e in conserva; nell’ ultima condizione ebbi oc- casione di assaggiarla, e mi parve cibo coriaceo ed insipido. Alcune specie di molluschi d’ acqua dolce, l’Ana- donta japonica, il cui guscio è raccolto come madre- perla, una Corbicula, la Paludina malleata e la P. ja- ponica, sono pure comprese fra i commestibili in uso presso i Giapponesi; ma della prima si fa assai poco conto. Taccio di molti cefalopodi ricercati per la tavola tra i popoli orientali, come presso di noi, perciocchè pel genere di pesca cui danno luogo, per le loro qua- lità alimentari e per la preparazione cui d’ ordinario si sottopongono, debbono essere accomunati ai pesci piuttostochè ai molluschi. A. IssEL. INDICE EE: SEGRE Procellaria pelagica, Linn. . Noctiluca miliaris . Scandaglio di Brocke. Bathycrinus Aldrichianus. Scandaglio Hydra . Globigerina bulloide, vivente Termometro abissale, Negretti Willemoesia (Polycheles) /eptodactyla, v. Will.-Suhm. Hymenocephalus italicus, Gigl. . Hyalonema, giovane Bathophilus nigerrimus, Gigl. Struttura microscopica della madreperla . Valva d’Anodonta con piccoli Budda Meleagrina muricata del Mar Rosso. Meleagrina margaritifera del Mar Rosso . Pesca delle perle sul banco di Asbab nel Mar Rosso. Corallo delle Isole del Capo Verde, Corallo del Giappone . Murex trunculus, del Mediterraneo . Sviluppo dell’ Ostrica (secondo Moebius) . 436 INDICE DELLE FIGURE Tetto collettore ca ‘file parallele, inclinate. VR Ostreario di Lahillon, nella baia d’Arcachon, Gironde, secondo..De da: Blanchère- rr. e Claire di Marednié el RN Collettore ‘per. slitalti; tondi ©. a. e 000 a O. ‘edulis; var."Tarentina (Laranto). fa eee O.-edulis, var Venehana (Venezia. Ve. O. plicata (Genova). vlt, doo ae I Mytilus edulis, Mytilus barbatus del Mediterraneo. . » 422 Pergolaro :sospeso*per la sciorinatura»., 0 02,. Tea, Partesdì untbozcho et ERO » 424 Gratieci'astelar mobiliz (Aaa vb 420 Novaculma=consiticiat 03 lt RR CA INDIGESDELLE,MA:EBRIE Proemio . La vita pelagica, ricordi ed impressioni dal vero (GI- GLIGLI)". La fosforescenza del mare (Ip.) . Un nuovo mondo, ossia gli abissi del mare e i loro abitanti(ID.): Esplorazione talassografica del Mediterraneo eseguita sotto gli auspici del Governo italiano (ID.) Le perle (IssEL). Il corallo (Ip.) La porpora (Ip.) Usi ed applicazioni delle conchiglie marine (ID.) L’ ostricoltura (Ip.) I molluschi eduli e i loro allevamenti (Ip.) . Indice delle figure >. db vy' Va” VU 4 VI f- ) i V yY ZI V] D>I DI v ° VI Ro IBRA o du» DD) PP pI D> PE PID 333 Pa PPP do DIID_PI > eee a \ N74 w sy v V % USS JV vY Vo Vy " (OA Vi vin “ ; vY Sy, va, IVUS y y \WIWis I Vy VO v i o I) da di vw v (®] y Yy A°N9! Di “9 : IV) n, C) : MG, Y VV Min DAVIS AI (01° > DI de LL >> 33, > 2 = Re > >; 3 E 3 > reo de» 20) de >> el» A D DID _ Didi > PP DRIDI IV i > n >> _ MP EI SMITHSONIAN INSTITUTION LIBRARIES 3 9088 01348 8515 o AAA Voartt PI x NA ue VI