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POESIE
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CON DUE RITRATTI E QUATTRO FAC-SIMILI
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DITTA NICOLA ZANICHELLI 1902
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INDICE DELLE POESIE
JUVENILIA
Prologo Pag. 3
A G. € „ II
LIBRO I
Peregrino del ciel^ garrulo a volo „ 13
r«, mesta peregrina, il dolce nido „ 14
Si crudelmente fero e quel flagello „ 15
— Questa e V altera giovinetta bella „ 16
O nova angela mia sens^ ala a fianco, „ 17
Profonda, solitaria, immensa notte; ...... „ 18
Candidi soli e riso di tramonti, „ 19
Bella e la donna mia se volge i neri. „ 20
A questi di prima io la vidi, Uscia „ 21
Quella cura che ogn* or dentro mi piagne .... ,,22
E tu pur riedif amore) e tu l'irosa „ 23
Né mai levò si neri occhi lucenti „ 2^
—Deh^ chi mi torna a voi, cime tirrene „ 25
E degno e ben, però eh* a te potei, „ 26
Cara benda che in van mi contendesti „ 27
E tu, venuto a' belli anni ridenti „ 28
Te gridi vii quei che piegò la scema „ 29
E voi^ se fia che V imminente possa „ 30
O cara al pensier mio terra gentile „ 31
Q«f , dove irato a gli anni tuoi novelli » 32
Non soft quell' io che già d* amiche cene » 33
IV INDICE DELLE POESIE
LIBRO II
Invocazione Pag. 35
A O. T. T, „ 37
Canto di primavera „ 41
A Febo Apolline „ 50
A Diana Trivia „ 60
-Brindisi „ 63
Vóto - „ 66
A Neera „ 67
Primavera cinese „ 70
Alla beata Diana Giuntini „ 73
A Giulio „ 77
*^'Alla Libertà „ 81
LIBRO III
-Passa la nave mia, sola, tra il pianto „ 85
Che ti giovò su le fallaci carte „ 86
A F. T „ 87
Poi che mal questa sonnacchiosa etade „ 88
-Giuseppe Parini „ 89
Pietro Metastasio „ 90
Carlo Goldoni „ 91
Vittorio Alfieri „ 93
Vincenzo Monti „ 93
Ancora Vincenzo Monti „ 94
Giovan Battista Niccolini „ 95
Ad Antonio Gussalli . . i „ 96
A Terenzio Mamiani „ 97
In Santa Croce „ 98
A un cavallo „ 99
Non vivo io^ no. Dura quiete stanca „ 100
Per i funerali d* un giovane „ 101
Poi che V itale sorti e la vergogna ,,102
E eh' io^ perche lo schernir tuo m'incalza, ... „ 103
In un albo „ 104
A N. F. P 105
INDICE DELLE POESIE
LIBRO IV
La selva primitiva Pag. 107
Prometeo „ no
Omero „ 112
Dante ^ 119
Beatrice » 125
Agl'Italiani „ 128
A Enrico Pazzi v 135
Lauda spirituale „ 140
Alla memoria dì D. C „ 143
! — 'A G. B. Niccolini „ 150
Maggio e Novembre „ 156
I vóti „ 160
LIBRO V
~~A un poeta di montagna « 165
A un g^eometra. . . - „ 167
A un filosofo „ 169
Ai poeti „ 171
Ancora ai poeti .... - « 173
A scusa d' un francesismo scappato nel precedente
sonetto „ 176
Alla Musa odiernìssima „ 178
Pietro Fanfani e le postille „ 183
Il Burchiello ai linguaioli „ 185
A Messerino „ 187
Sur un canonico che lesse un discorso di peda- gogia » 189
A Bambolone „ 192
. Al beato Giovanni della Pace „ 195
LIBRO VI
A Vittorio Emanuele „ 201
In Santa Croce „ aia
VI INDICE DELLE POESIE
Anche in Santa Croce Pag. 213
Gli Austriaci in Piemonte „ 214
A Giuseppe Garibaldi „ 215
Montebello „ 216
Palestro „ 217
Magenta „ 218
Modena e Bologna „ 219
>San Martino „ 220
-Per le stragi di Perugia . . . . ' „ 221
__Alla Croce di Savoia „ 222
Variante cantata della Croce di Savoia „ 228
, ^Brindisi „ 230
- -La scomunica „ 234
Voce dei preti „ 235
Voce di Dio „ 236
Il plebiscito „ 237
In Santa Croce „ 243
Sicilia e la rivoluzione „ 244
Licenza „ 251
Note » 255
LEVIA GRAVIA
-Congedo „ 269
LIBRO I
In un albo „ 277
Per nozze B. e T „ 279
Per vai d' Arno ,,281
F. Petrarca „ 282
In morte di Pietro Thouar » 283
Alla Louisa Grace Bartolini „ 287
Per raccolta in morte di ricca e bella signora . . „ 292
Per nozze in primavera „ 296
Per le nozze di un geologo „ 297
INDICE DELLE POESIE VII
L'antica poesia toscana Pag. 298
Scienza amore e forza ........... „ 299
Le nozze „ 300
Poeti di parte bianca „ 309
A P. E •322
LIBRO II
Per la proclamazione del regno d' Italia .... „ 323
In morte di G. B. Niccolini „ 327
Nei primi giorni del MDCCCLXI „ 330
Per la spedizione del Messico ........ „ 336
Anche per la stessa „ 337
Roma o morte „ 338
Dopo Aspromonte „ 340
-Carnevale „ 346
Per la rivoluzione di Grecia „ 353
Brindisi » 355
-Nel sesto centenario di Dante „ 359
Curtatone e Montanara „ 362
Roma » 363
. Per il trasporto delle reliquie di Ugo Foscolo in
Santa Croce „ 364
Note » 3^9
A SATANA
A Satana » 377 X
GIAMBI ED EPODI
.Prologo „ 389 ^
LIBRO I
Agli amici della valle Tiberina „ 391
Meminisse horret „ 395 X
vili
INDICE DELLE POESIE
Per Eduardo Corazzini Pag. 397
Nel vigesimo anniv. dell' vm agosto mdcccxlviii . „ 405
II cesarismo „ 410
X Per Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti .... „ 412
Heu pudor! „ 420
Le nozze del mare „ 423
Via Ugo Bassi „ 426
Onomastico „ 427
La Consulta araldica ...*... „ 428
Nostri santi e nostri morti „ 431
In morte di Giovanni Cairoli „ 433
Per le nozze di Cesare Parenzo , . „ 439
RIPRESA
V Avanti! Avanti! „ 445
LIBRO n
A certi censori „ 453
Per il Lxxvii anniversario della proclamazione delia
Repubblica francese „ 458
Per Vincenzo Caldesi „ 462
Feste ed oblii ■< . . . „ 464
Io triumphe „ 466
Versaglia ■ . „ 468
Canto deir Italia che va in Campidoglio .... „ 471
X Giuseppe Mazzini „ 475
Alla morte di Giuseppe Mazzini „ 476
A un heiniano d'Italia „ 478
X Per il quinto anniversario della battaglia di Men- tana „ 481
A Messer Caute Gabrielli da Gubbio „ 484
La sacra di Enrico Quinto „ 485
A proposito del processo Fadda „ 492
X II canto dell'Amore „ 495
Note „ 501
INDICE DELLE POESIE IX
. X INTERMEZZO
Intermezzo Pag. 513
Nota 53»
RIME NUOVE I.
^ Alla Rima „ 539
IL
Al sonetto „ 545
/v 11 sonetto „ 546
yj Omero » 547
^j Omero , . . » 54»
I Omero „ 549
Di notte „ 550
^ Colloqui con gli alberi „ 551
X II bove „ 552
X Virgilio ,,553
^ Funere mersit acerbo „ 554
Jotte d'inverno „ 555
J^ liesole „ 556
San Giorgio di Donatello „ 557
t Santa Maria degli Angeli „ 558
y^ Dante » 559
Giustizia di poeta „ 560
J« Commentando il Petrarca „ 561
Ho il consiglio a dispetto ;, 562
>*Dietro un ritratto dell' Ariosto ........ „ 563
X Sole e amore „ 564
Mattutino e notturno „ 565
)( 5«i regna amore „ 566
X INDICE DELLE POESIE
Visione Pag. 567
Mito e verità „ 568
In riva al mare „ 569
A un asino „ 570
Ad una bambina „ 571
A madamigella Maria L „ 572
Momento epico „ 573
Martino Lutero „ 574
La stampa e la riforma „ 575
^ Ora e sempre „ 576
/^Traversando la maremma toscana „ 577
Dietro un ritratto „ 578
III.
Mattino alpestre „ 581
Rosa e fanciulla „ 583
Brindisi d' aprile „ 585
Primavera <:lassica - „ 589
Autunno romantico „ 591
In maggio » 593
Pianto antico „ 595
Nostalgia 1. 597
^ Tedio invernale „ 599
Vignetta „ 601
Lungi^ lungi „ 602
>< Panteismo „ 604
Passa la nave mia „ 606
Anacreontica romantica , . „ 607
Maggiolata „ 610
Serenata „ 612
^ Mattinata w 614
Dipartita „ 616
Disperata „ 617
Ballata dolorosa „ 618
Davanti una cattedrale » 619
Brindisi funebre „ 621
'^ San Martino „ 624
INDICE DELLE POESIE XI
In Carnia Pag. 626
^ Visione „ 630
Note „ 631
IV.
Ad Alessandro d* Ancona „ 635
Primavere elleniche ( i. Eolia ) „ 638
)(. Primavere elleniche (11. Dorica) » 641
Primavere elleniche (in. Alessandrina) „ 647
Una rama d' alloro „ 650
Note „ 653
V.
/^Rimembranze di scuola „ 657
Idillio di maggio „ 660
X Idillio maremmano - . „ 664
/ Classicismo e romanticismo „ 668
Vendette della luna „ 671
y^Era un giorno di festa, e luglio ardea „ 674
^Davanti San Guido „ 676
Notte di maggio „ 682
All'autore del Mago „ 685
Note , „ 687
VI.
I due titani „ 691
La leggenda di Teodorico „ 694
II comune rustico „ 699
Su i campi di Marengo „ 701
Faida di comune „ 704
Ninna nanna di Carlo V „ 713
A Vittore Hugo „ 716
Note -.... „ 719
XII INDICE DELLE POESIE
VII.
?A IRA
Lieto su i colli di Borgogna splende Pag. 725
Son de la terra faticosa i figli „ 726
Da le ree Tuglieri di Caterina „ 727
L* un dopo V altro i messi di sventura „ 728
Udite^ udite^ o cittadini. Ieri „ 729
Su V ostel di città stendardo nero » 730
Una bieca druidica visione „ 731
Gemono i rivi e mormorano i venti „ 732
Oh non mai re di Francia al suo levare .... „ 733
Al calpestio de' barbari cavalli „ 734
Su ù colli de le Argonne alea il mattino .... „ 735
Marciate, o de la patria iticliti figli, „ 736
Note « 737
Vili.
La figlia del re degli Elfi „ 741
Xll re di Tuie „ 744
I tre canti „ 746
La tomba nel Busento „ 748
II passo di Roncisvalle- „ 750
Gherardo e Gaietta „ 757
La lavandaia di San Giovanni „ 759
Il pellegrino davanti a Sant Just ....... „ 761
Carlo I „ 762
h' imperatore della Cina „ 764
I tessitori „ 'jó'j
Note „ 769
IX.
)C Congedo „ 773
INDICE DELLE POESIE XIII
ODI BARBARE
Preludio Pag. 779
DELLE ODI BARBARE LIBRO I
/^ Ideale , . . . . „ 1^5
All'Aurora , „ 787
V Neir annuale della fondazione di Roma „ 792
Dinanzi alle terme di Caracalla „ 795
Alla Vittoria „ 798
y Alle fonti del Clitumno (con fac-simile) „ 801
Roma „ 808
Alessandria „ 810
Xln una chiesa gotica „ 815
X Nella piazza di San Petronio „ 819
Le due torri „ 8ai
Fuori alla Certosa di Bologna „ 823
Su l'Adda » 827
Da Desenzano „ 831
X Sirmione . . ^f^^^ U „ 835
Davanti il Castel vecchio di Verona „ 839
Per la morte di Napoleone Eugenio „ 84 1
}^ Giuseppe Garibaldi „ 844
Scoglio di Quarto „ 847
Saluto italico „ 850
A una bottiglia di Valtellina del 1848 „ 852
Miraraar „ 854
yAlla Regina d' Itaha (con fac-simile) „ 858
Courmayeur „ 861
Il liuto e la Ura , 863
Note » 867
DELLE ODI BARBARE LIBRO II
Cerilo ,,871
Fantasia „ 873
XIV INDICE DELLE POESIE
Ruit hora Pag. 875
^ Alla stazione in una mattina d* autunno .... „ 877
Mors (neir epidemia difterica) „ 880
Una sera di San Pietro „ 882
Pe *1 Chiarone da Civitavecchia „ 884
Alla mensa dell'amico „ 888
Ragioni metriche „ 890
Figurine vecchie , 892
Sole d* inverno „ 893
Egle • « 895
Primo vere » 896
Vere novo „ 898
Canto di Marzo „ 899
Saluto d' autunno „ 901
Su Monte Mario „ 903
La madre (gruppo di Adriano Cecioni) „ 906
Per un instituto di ciechi „ 908
Sogno d' estate , „ 909
Colli toscani „ 912
Per le nozze di mia figlia „ 914
A Presso 1* urna di Percy Bysshe Shelley .... „ 917
Ave (in morte di G. P.) „ 921
Nevicata „ 923
Nota „ 925
X Congedo „ 927
VERSIONI
Tombe precoci: da Fr. G. Klopstock „ 933
Notte d* estate : da Fr. G. Klopstock „ 934
La torre di Nerone: da A. Platen „ 935
Ero e Leandro : da A. Platen „ 937
La lirica: da A. Platen. . . . , „ 938
RIME E RITMI
Alla signorina Maria A „ 943
Nel chiostro del Santo „ 944
INDICE DELLE POESIE
XV
XJaufré Riidel
In una villa
Piemonte
"^^d Annie '
A C. C. mandandogli poemi di Byron. .
Bicocca di San Giacomo
La guerra .:..,..,,,..
Nicola Pisano
Cadore
Carlo Goldoni
A Scandiano
Alla figlia di Francesco Crispi ....
Alla città di Ferrara
Mezzogiorno alpino
L' ostessa di Gaby
Esequie della guida £. R
La moglie del Gigante
Per il monumento di Dante a Trento . .
La mietitura del Turco
^ La chiesa di Polenta
Sabato Santo ,
In riva al Lys
Elegia del Monte Spinga (con fac-simile). V Sant' Abbondio
Alle Valchirie
y Presso una Certosa
^ Congedo
Note
Pag.
»
946 950 951 957 959 960
968 972 976
985 989
990
993
lOOI
1002 1003 1005 1007 1009
lOIO
JOI6 IOI8 IOI9
I022 1023 1025 1027 1029
DELLA « CANZONE DI LEGNANO »
PARTE I
Il Parlamento Nota . . .
1039 1047
XVI INDICE DELLE POESIE
APPENDICE
A Giulio Perticari Pag. 1051
Dai Carmina di Lodovico Ariosto „ 1053
Da Friedr. Hòlderlin „ 1055
Per la sospensione del Don Chisciotte .... „ 1057
Da Giulio Cesare Cordara „ 1059
INDICE DEI CAPOVERSI « 1061
INDICE DEI FAC-SIMILI
I. // Vaticinio {}) „ 12
3. Alle fonti del Cliiumno „ 801
3. Alla Regina d* Italia „ 858
4. Elegia del Monte Spluga „ io 19
(^) Questa poesia inedita è data come saggio del carat- tere giovanile del Poeta, per espresso desiderio del quale non compare fra le stampate.
1857
JUVENILIA
(1850-1860)
Carducci.
/
Nec tantum ingenio quantum servire dolori
Cogor et aetatis tempora dura quaeri. Hic mihi conteritur vitae modus, haec mea fama est : Mine cupio nomen carminis ire mei.
Ah
ih per te Orazio prèdica al vento! Del patrio carcere non sei contento, La chiave abomini grata a i pudichi, Agogni a l'aere de' luoghi aprichi. E dove, o misero, dove n'andrai, Dove un ricovero trovar potrai, O de' miei giovini lustri diletto, O mio carissimo tenue libretto ? Non sai fastidio e' ha de le rime Questa de gli arcadi j)role sublime? w. (^^.■"-'~. . Né de' romantici ti vuol la fiera Che siede a i salici, libera schiera. Tu, se tra' lirici pur tenti Ìl volo, Poco, o mio tenero, t' er^i dal suolo ; Ed oggi innalzasi per nova via Fin da' suoi numeri l'economia,
JUVENILIA
Né ornai più reggono piedi né ale Dietro la lirica universale. Oggi ciclopica s' è ìFatta V arte ; E Bronte e Sterope su per le carte Con vene tumide, con occhi accesi E con gli erculei muscoli tesi ^^ u,'- A pVova picchiano: Venere guafa, E gli rimescola la limonata: Mentre il monocolo pastore etnese, Succiando il femore^^n itacese, Con urli orribili divelle un pino E a le Nereidi fa il mazzolino. Deh, quanti, o misero, d' ispirazioni Litri raccogliere puoi ne' polmoni, . Quanti chilometri de V infinito Puoi tu percorrere con passo ardito, Quanti ravvolgerti chili d'affetto Giù ne lo stomaco puoi tu, libretto, Da uscire a gloria tra le persone. Senza pericolo d' indjgestione? Te con le tenui miche d'Orazio Crebbe la pallida musa del Lazio, A te quell'aere parve bastante Che respirarono 1' Ariostoe Dante : Chiede il novissimo smditì' altre bighe: Libro, rincasati, cànsa le brighe.' ' Vedi? minacciano. Cariddi e. Scilla: Ti preme Davide con la Sibilla. D'amor tu chiacchieri, e questo va:
JUVENILIA
Ma non santifichi là voluttà^ ; i ,
Non metti a Venere lo sSlpofare, » *'
Non fai gli adulteri sermoneggiare :
Onde, o me misero!, flebili e tristi
Già V interdissero gli atei salmisti,
E il buon Petronio predicatore
Che a sé convertami pregò il signore.
Vinca ei di Taide le ritrosie
Con un trar mistico d'avemarie,
E de la cantica nel pio latino
Le infiori i dialoghi de T Aretino.
Al limpidissimo suon de V argento
Dietro un davidico cento per cento
Alfio gli sdruccioli deduca, e macro
Consoli il prossimo d' un inno sacro.
Per me in van prèdica ballonza e canta
Ebra T Arcadia pur d'acqua santa.
Il sacro quindici refulse in vano
Per me: son reprobo più di Claudiano,
E de'Timotei e de\Basilii
Provai già i monrtieAi supercilii.
Ma quel Timoteo che a gli anni andati
In chiesa l'organo sonava a i frati,
E di serafica broda sàtSllo
Al pan de gli angeli rizzava il collo.
Cantando monache t, Filomene
Pien di litùdiae. fecf^ le vene;
E quel Basilio biondo e ventenne
Che al sacro fulmine tingea le penne
JUVENìLIA
Ne r aromatico miei del Loiola, Al sacro fulmine de la parola Che da V iberiche fiamme già mosse E ne gli eretici sterpi percosse; Oggi levatisi di ginocchione Anche rinnegano la dea Ragione, E sempre al solito mo' tolleranti Già già si cavano rugghiando i guanti, Pronti' a pur arderti, libretto mio,. Se in un avverbio e' entrasse dio. Me al men, filosofi, non arderanno. Come, teologi, volean Ualtr'anno. Ma chi, mal docile talpa infirfgarda. Chi da M. neofito furor mi guarda? Quali su i ruderi de le memorie, ^ Di làicfé maschere corsi e bffòbrie! E sempre piangere plebe affamata, E s^Tipre ridere plebe incuorata, E basir tisica sotto le biche La impronta logica de le formiche, E de le favole, baie del nonno, bcinn già i bamboli cascar. di sonno Io veggo; e torpido nel gran lavoro Non canto e predico V età de V oro. Chi dunque, indocile talpa infingarda, Chi dal neofito furor mi guarda? or innocentissimi Nando e Poldino, Che già r immeritp sermon latino Strbppiaro in cfì'étici per nozze auguste.
JUVENILIA
Oggi rosseggiano come aliguste;
E r eucaristico inno a Pio nono
Con lezion varia lusinga il trono
Di re Vittorio, da poi che aprile
A qualche anonimo spirto civile
Squagliò la gelida crosta, e, spavento!, ,
Il prete attonito, net sacramento
Lavando al pargolo le nuove chiome, • ,
Sentiva d^ Italo bociarsi il nome,
O infelicissimo libro, o sfatato, .
O in man purissime mal capitato! :
Crollando il rigido frigio berretto
Fatto su M modulo che. die il prefettp,
Ei con iscandalo ti buttan là,
Come retrograda suip^ità.
Rizzati e vattene, che il galateo
Non è neofito. Ma, se ad un reo
Pucci filol(M;o fia che f abbatta
Rimpi^aqcialósi da Cuccio Imbratta,
Che vomitarono le sagrestie
De'galantMomini su per le vie.
Che ne le tuniche di perg^jnen^
Tra la medicea ferrea catena
Tremano i • codici quand' ei li gyata
E dal libumio remo invocata
La rnan lor applica, se a. te vicino
Ei sDi^i il livido occhio porcino,
— Deh, Pucci, — gridagli -r-r mercede imploro ;
Non vesto, vedimi, d' argento e d' oro,
8 JUVENILIA
Non son de gli ordini privilegiati Vuoi de' rarissimi vuoi de' citati, Non ne i cataloghi cercato appaio, Non e' è da vendermi che al ■ salumaio. A queste pagine di poco affare Le :màn dottissime non abbassare. — Oh, s' ei la- granfia distenda a vuoto, Appicca, ò povet?o libro, il tuo vóto : Che a gratidi e'piccoii ei non perdona; Ogni, anche minima, preda gli è buona. Chiese, postriboli, caffè, spedali Le sue seiitirono unghie fatali, Da qliandò ei l' abile man giovinetta De r elemosine ne là cassetta Imberbe chierico con occhio pio Erudia, l'obolo rubando a Dio, E i doni a r Umile Vergine apposti Per lui fumavano fusi in arrosti. D' altro non dubito : se bene ancora Lui la chiarissima' vHtade adora, Trason ridicolo che incarna e avanza L'idea platortica de l'ignoranza. Forte co' i deboli, debol co' i forti, • Prode a trafiggere gli uomini morti. Prode a nascondersi, ferendo il tergo. Di birri e ipocriti sotto 1' usbergo, Tal eh' io noti credomi maggior ribaldo Redasse l'anima del Maramaldo. Fuggi, o mio povero libro da bene,
JU VENI LIA
Il ceffo orribile, le mani oscene, L' invidia rabida d' ogni opra buona Che tutta gli agita la rea persona. Fuggi... No: sorgigli diritto in faccia. La mia ripetigli vecchia minaccia, Con fronte impavida, con voce intiera: Pucci filologo, frusta e galera. Poi, se la fulgida ira s' alièni^ "^ Vola a i dolcissimi colli tirreni, Ove dal facile giogo difese Incontro a bfefead' ombra cortes^ Sv^Tan le candide magion pe'clfvfi Tra vigne e glauthe selve d* olivi. Ivi di limpida luce più viva Riveste V etere la sacra riva ; E il sole arridere come ad amiche Pare a le splendide colline antiche. Quando, partendosi, la favolosa Cima fesulea tinge di rosa. De la virginea certa saetta Ove ancor timido Mugnone affretta Ad Arno e misero par che lamenti
I mal concessigli abbracciamenti.
Tra il fiume e d'arido monte le spalle
II pian riducesi in poca valle,
E in mezzo a' nitidi cólti un' ascosa Da placidi alberi magion riposa. Ivi, o mio tenue libro, al Chiarini Chiedi pe' profughi geni latini,
10 JUVENILIA
Chiedi r ospizio. Vedi : ei la porta Già t' apre, ed ilare ti riconforta. Ei di barbarica pelle odorata Presto la tunica t' avrà comprata, Cui solchi d'aurei fregi un lavoro E i lembi nitidi sien tutti ad oro. O mio carissimo già poverello, Come or sei splendido, come sei bello ! T'invidia il .tenero padre lontano. Pucci filologo stende la mano. Ma tu non avido di mutar loco A l'aure estranee fidati poco; Ama de l'ospite ama il ricetto,
JUVENILIA 11
II.
A G. C.
IN FRONTE A UNA RACCOLTA DI RIME PUBBLICATA NEL MDCCCLVII
E
orse avverrà, se destro il fato assente Vóto che surga pio di sen mortale, Giuseppe, e s' a più ferma età non ménte Il prometter di questa audace e frale.
Che in più libero cielo aderga V ale, D'amor, di sdegno e di pietà possente, ^ Questo verso, che fioco or passa quale Eco notturna per vallea silente:
Pur caro a me, che del rio viver lasso Ma ogn'or di voi, sacre sorelle, amante Lo inscrivo qui come in funereo sasso:
Pago se alcun dirà — Tra M vulgo errante Che il bel nome latino ha volto in basso Fede ei teneva al buon Virgilio e a Dante.
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LIBRO I
Jr eregrino de! ciel, ^rruló a volo Tu fug^i innanzi a le stagion nembose, E vedi il Nilo e nostre itale rose, Né muti stanza perché muti polo:
Se pur de le lontane amate cose Cape ne' vostri angusti petti il duolo, Né mai flutto inframesso o pingue suolo Oblio del primo nido in cor ti pose;
Quando l'ala soffermi a' poggi lieti Che digradano al mar da l'Apennìno Bianchi di marmi e brunì d'olivfeti,
Una casa a la valle ed un giardino Cerca^ p, sp 'I nuovo pnssessor no '1 Vieti, Salutali in_rnio nome, o peregrino.
14 JUVENILIA
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IV.
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1 u, mesta peregrina, il dolce nido Lasci e de V aer nostro il novo gelo : V invita più benigno ardor di cielo E primavera di straniero lido.
E me lasci che tristi ore divido Pur co '1 dolore onde i lassi occhi velo. Tornerà tempo che senz' ombra o velo Si porga r aer nostro a te più fido.
Allor candidi soli; allor fiorente
Il colle e il piano; allor tutto d'amore
Ti riconsiglierà soavemente.
Né allor ti sovverrai V uman dolore
Di che si piange or qui. Non acconsente
Al pianto, e oblia, de' fortunati il cuore.
JUVENILIA 15
V.
Si
•i crudelmente fero è quel flagello Onde me già del breve correr lasso Il disinganno sferza a ciascun passo, Che fine io chiamo al reo cammin V avello ;
E tra forme gentili e nel più bello Aprir de' floridi anni io V occhio abbasso, Quasi cercando oltre la terra il passo A r inamabil cieco ultimo ostello.
Ma di speme atteggiato e di dolore Mi sofferma un sembiante; e lacrimoso Pur in me guarda, e pio tace. Furore
Quinci ed amor nel petto procelloso Surgono a gran tenzone; e vince amore: Ond' io fremendo e sospirando poso.
16 JUVENILIA
VI.
Q
uesta è r altera giovinetta bella Che tragge seco onesta leggiadria : Bdlade orna di gloria, la sua via,. E r addimostra per propria anpolella.
r ho veduto Amor che la servia Umilemente de le sue quadrella; Sentit* ho gire per salute ad ella L' alma ferita che dal cor si svi^.
E chiama pur pietà nel suo conspetto, Fin che quel riso onde s' allegra amore Benignamente V umile raccoglia.
Allor la vita esulta entro nel core, E il cor si leva e la tristezza spoglia Illuminato nel sereno aspetto.
JUVENILIA 17
VII.
o
nova angela mia senz'ala a fianco, Certo dal loco ove bellezza è pura L' intelligenza tua vesti figura Di pargoletta donna in velo bianco;
E qui venisti al secol rio, che stajic© Del bello adoperar più nel mal dura. Per drizzar me fuor de la vita scura Voglioso dietro le tue scorte e franco.
E ben forse avverrà eh' agile e scarco Io prema ancor le tue vestigia sante Con l'alma teco in un desio congiunta;
Se di tanto mi degna il Primo Amante, Che, mentre io. tenga del mortale incarco, L' ale tue d' òr non mettan fuor la punta.
Carducci.
18 JUVENIUA
1
V
vili.
JT rofonda, sóiitaria, immensa notte; Visibil sonno del divin creato Su le montagne già dal fulmin rotte, Su le terre che l'uomo ha seminato;
Alte da i casti lumi ombre interrotte; Cielo vasto, pacifico, stellato; Lucide forme belle, al vostro fato, Equabilmente, arcanamente, addotte;
Luna, e tu che i sereni e freddi argenti Antica peregrina a i petti mesti - Ed .a' lieti dispensi indifferenti :
Che misteri, che orror, dite, son questi? Che Siam, povera razza de i viventi?... Ma tu, bruta quiete, immobil resti.
JUVENILIA 19
IX.
Oandidi soli e riso di tramonti, Mormoreggiar di selve brune a' venti Con sussurrio di fredde acque cadenti Giù per li verdi tramiti de' monti,
Ed Espero che roseo sormonti Nel profondo seren de' firmamenti, E chiara luna che i sentier tacenti Inalbi e scherzi entro laghetti e fonti,
Questo m* era ne' vóti. Ór piiei desiri Pace ebber qui tra fiumi e tra montagne
*
De le secure muse in compagnia:
Pace: se non che te ne' miei sospiri Chiamo, te che da noi ti discompagne, E il caro aspetto de la donna mia.
20 JUVENILIA
X.
B,
>ella è la donna mia se volge i neri Di soave languore occhi lucenti, E, ricercando il vinto cor, le ardenti Vi rinforza d* amor voglie e pensieri.
Più bella è la mia donna allor che alteri Gli leva o gira nel conceder lenti, E, minacciando pur, chiede eh' io tenti La dolce guerra e la vittoria speri.
Cosa di cielo è la mia donna allora Che il roseo collo piega e il vago riso A i baci porge e quei d' ambrosia irrora.
Oh, che d' ogni mortai cura diviso.
Sopra quel sen, tra quelli amplessi io mora!
Né v' invidio, o beati, il paradiso.
JUVENILIA 21
XI.
A
questi di prima io la vidi, liscia A pena il fior di sua stagion novella, E la persona pargoletta e bella Era tutta d' amore un' armonia.
Vereconda su M. labbro le fioria L' ingenua grazia e la gentil favella : Come in chiare acque albor lontan di stella Ridea l' alma ne gli occhi e trasparia.
Tale io la vidi. Or con desio supremo
Lei per questo nefando aere smarrita
Pur cerco e invoco ; e sol mi sento, e tremo ;
Che spento è al tutto ogni buon lume, e vita Già Tìf abbandona, e son quasi a V estremo. Luce de gli anni miei, dove se' gita ?
22 JUVENILIA
XII.
Q-
uella cura che ogn'or dentro mi. piagne Desta dal lume in dua begli occhi ardente, Me co'l giorno invernale: ove; il torrente. . Scoscende e ne le avverse alpi si fragne
Seco rapisce. E te, che ti sdómpagne . Dal mio già fermo petto, o congdente . Virtude onde fuggii la ytUgar. gehte^. - Penso per erma via d* aspre montagne- Ma vince de le alpestri onde il fragore Queiruna voce sua: suoi cari acqenti Sona r aura selvaggia. E in van; nel core
Sdegno e ragion contrasta. Io miro a' vènti Lente ondeggiar le nere chiome e ariiore Folgorar ne* superbi occhi ridenti..
JUVENILIA 23
XIII.
E
tu pur riedi, amore ; e tu V irosa . . Anima invadi, e fiero ivi t'accampi, E i desueti spirti e il cor che posa Lunga già s' ebbe or fiedi e scuoti e avvaìnjii.
Io te fuggo per selve aspre e per campi: Ma vive alta nel petto; e sanguinosa Stride la piaga; e il mio duol grido: e cosa Mortai non è che di tua man mi; scampii
O degni affetti, o studi almi! In servaggio Duro vi piango e in basso errore^ ov' io Caddi e giacqui co'l vulgo, e non mi levo:
Che pur mi pteme di quegli* occhi il raggio, Di quei tari e superbi occhi orid'io bevo Lenti incendi e furor lungo ed oblio.
24 JUVENILIA
XIV.
N,
é mai levò si neri occhi lucenti Saffo i preghi cantando a Citerea, Quando nel petto e per le vene ardenti A lei si come nembo amor scendea;
Né desti mai si molli chiome a' venti, Corinna, tu sovra V arena elea, Quando sotto le corde auree grementi Fremeati il seno e a te Grecia tacca:
Si come or questa giovinetta bella
Tremanti di desio gli umidi rai
E del crin la fulgente onda raccoglie,
In quel che dolce guarda, e la favella, Qual tra le rose aura d'aprii, discioglie Onde ardo, e posa non avrò più mai.
JUVENILIA 25
XV. Scii» .^w'' *>*-«< ""AvN. < ^^-"^
J— ^'eh, chi mi torna a voi, cime tirrene Onde Fiesole al pian sorride e mira? Deh, chi mi posa sotto V ombre amene Ove un rio piange e molle il vento spira?
Oh, viva io là fuor di timore e spene, Lontan rugghiando de' miei fati V ira ! L' erbe il ciel V onde ivi d' amor son piene, E ne Paure odocate^amor .sospira.
A te il suolo beato eterni fiori Sommetterebbe, Egeria; e d'ombre sante Proteggerebbe un lauro i nostri amori.
Ivi queto morrei. Tu al sol levante Mi comporresti V urna in tra gli allori,
è
V ombra chiamando del poeta amante.
26 JUVENILIA
XVI.
E
degno è ben però, eh' a te potei, Lasso !^ chinar V ingegno integro eretto, S'ora in gioco. tu volgi, e lieto obietto L' ire, o donna, ti sono e i dolor miei.
Io quel di che mie voglie a te credei
Pur vagheggiando accuso; e strappo e getto
Tua terribile imagine dal petto
In van : tu meco, erinni mia, tu sei.
Ahi donna! ne le miti aure è il, sorriso
Di primavera, e il sole è radiante,
E il verde pian del lume aureo s' allegra.
A me di noia, a me d' orrór sembiante E quant' io veggo ; e, se nel ciel m' affiso. De la mia cura e il divo ciel s' annegra.
JUVENIUA 27
XVIL
wara benda che in van.mi contendesti Nera il candido sen d! Egeria mia. Spoglia già gloriosa, or ne' di mesti De le gioie qbe fùr memoria pia:
Tu sol di tanto ^more oggi mi restì, , E r inganno mio idolce ftnehe pena; Ond*io te stringo al nudo petto, e questi Freddi baci f.imprjmp.: Ahi, ma la ria
Fiamma pur vive .e pur divampa orrenda; E tu su'l eory ty sul mio cgr ti stai Quasi face d' inferno,, o lieve benda.
Deh, perisci :ty :anc(>r. Né sia più mai^ Cosa che a questa, offesa anima.apprenda Com' io di dfjnna a servitù piagai, :.
28 JUVENILIA
XVIII.
E
tu, venuto a' belli anni ridenti Quando a la vita il cor più si disserra, Contendi al fato il prode animo, e in terra Poni le membra di vigor fiorenti.
Ahi, ahi fratello mio! Deh, quanta guerra Di mesti affetti e di pensier frementi Te su gli occhi de' tuoi dolci parenti Spingeva ad affrettar pace sotterra!
Or teco posa il tuo dolor. Né il viso Più de la madre e non la donna cara O il fratel giovinetto o il padre pio,
Né i verdi campi vedrai più ; né il riso Del ciel, né questa luce... ahi luce amara! Vale, vale in eterno, o fratel mio.
JUVENILIA 29
XIX.
i e gridi vii quei che piegò la scema Alma sotto ogni danno ed a Postile Possa adulò, pago a cassar V estrema Liberatrice d'ogni cor gentile:
Te gridi vile il mondo, il mondo vile Che muor di febbre su le piume^ e trema, Pur franto da la lunga età senile, In conspetto a la sacra ora suprema.
Ben te, o fratel, di ricordanza pia Proseguirà qual cor senta i funesti Regni del fato e il viver nostro orrendo^
Te che di sangue spaziosa via A r indignato spirito schiudesti, Giovinetto a la morte sorridendo.
30 JUVENILIA
XX.
E
voi, se fia che V imminente possa Deprechiate e del fato empio le guerre, Voi non avrete a cui regger si possa Vostra vecchiezza quando orba si atterre.
Soli del fìgliuol vostro in su la fossa Quel di che i dolorosi occhi vi serre Aspetterete. O forse no. Son V ossa Sparse de' nostri per diverse terre.
Oh, che il di vostro d'atre nubi pieno Non tramonti in procella! oh, che il diletto Capo si posi ^d un fidato seno !
Io chiamo in vano al mio paterno tetto, E cresce il tedio e gioventù vien meno. Deh, chi mi torna, o buoni, al vostro petto?
JUVENILIA 31
XXI.
o
cara al pensier mio terra gentile Ch'a la pura, sorgendo aria azzurrina D' alto vagheggi regnatrice umile Il pian che largo al biondo Arno dichina :
Tu ridi allegra al ciel che di simile Gioia f arride e al tuo favor s' inchina ; A te dolci aure, a te perenne aprile Veston di verde il campo e la collina.
E a te dt questo inverno reo la mente Ed il cuor lasso mio tendono a volo : Tu tieni V uno le V ^Itro mio parente
Co'l fratel che mi avanza, e del tuo suolo Abbracci quel ch'io non baciai morente: In te tutto è il mio bene: io qui son solo.
32 JUVENILIA
XXII.
Q.
,ui, dove irato a gli anni tuoi novelli Sedesti a ragionar co'l tuo dolore, Veggo a' tepidi sol questi arboscelli, Che tu vedevi, rilevarsi in fiore.
Tu non ti levi, o fratel mio. D' amore Cantan su la tua fossa erma gli uccelli: Tu amor non senti; e di sereno ardore Più non scintilleran gli occhi tuoi belli.
Ed in festa venir qui ti vid' io
Oggi fa l' anno ; e il dire anco mi sona
E ancor m' arride il tuo sorriso pio.
Come quel giorno, il borgo oggi risona
E si rallegra del risorto iddio.
Ma terra copre tua gentil persona ,
JUVENILIA 33
XXIII.
INon son quell'io che già d'amiche cene Destai la gioia tra' bicchier spumanti. Torpe la mente irrigidita, e piene D' amaro tedio stan l' ore cessanti.
Ira è che il viver mio fero sostiene Sol una, e il cor con sue tede fumanti M' arde e depreda. O miei verd' anni, o spene Mia che mi giaci, ahi già sfiorita, innanti !
Anche del caro imaginar la brama
Al tempo m'abbandona; e resta, immane
Muto fantasma, intorno a me, la vita.
Ma un' ombra io sento che ti mio nome chiama, E duolsi a me che sola ella rimane, E di là da le quete onde m' invita.
Carducci.
'LIB'ap l'I,
XXIV. INVOCAZIONE
Oe te già tolsi con incerta mano Dal latin ramo onde ancor Febo spira, Caro a le Grazie or tu sonami, o lira, Carme toscano.
Canora amica, o le falangi astate Ferocemente confortasse in guerra, O riposasse ne la tranca terra, AI lesbio vate
Tu gli dicevi e Cipride ed Amore E giovin sempre di Semèle il figlio E '1 crin di Lieo e de i' arcato ciglio L'ampio fulgore.
36 JUVENILIA
4
Or io ti scoto. A mes^rride il puro . Genio di Fiacco: a' divinati allori E de le ninfe a* radianti cori Movo securo.
O cara a Giove ed a re Febo, insigne Di cittadine mura adornamento, Rispondi al vóto ; e sperda il tuo concento L'alme maligne.
JUVENILIA 37
XXV.
A O. T. T.
Oaro a le vergini d* Ascra e di belle ^ Mortali v^efgini cura e diletto, O a me di mutua fede costnett^o Da eguali stelle,
Ottavio : i codici d' aurea favella Dove irtti<i>spB6ndesi tempo migHore, Che da te chieggono :novo^ splendore, Vita più bella,
Poni; ed i lirici metri, che apprese A me la' duplice musa di Fiacco, Qui tra le candide gioie di Bacco : Odi cortese. *-
38 JUVENILIA
Avvi cui '1 torbido Gradivo arride, Ed ama il rapido baglior d' elmetti Ne r aer livida che da' moschetti Divisa stride,
E via tra V orride membra che sparte Incestai! d' ampia strage il sentiero Urta il fulmineo baio destriero Furia di Marte;
Poi lunge a' fulgidi campi ed a' valli, Nel sen d' ingenua sposa che agogna Notturni gaudii, feroce ei sogna Trombe e timballi.
Con- altri r alacre fam^rd^ r»pi:0 Ascende vigile Ja priora, e anela f; : Le infami insidie; drjzgft j^^ilai velar », t Al lido moro. ■ ,i-
Per essa' il nattta. ride i. furori . . :; D' eurò;che gl'ispidi ;flutti cavalca, ' . ; E conila cupida :mentei;egH xaJca'. Rischi e terrori: .i.i..' i.: i .::•
In vano , l'orrido crin-sarìguiòante Infesto Orione =pe. -'Idei distóncte .. Ed il terribile di ; fiamma accende Brando strisciante: . :ì >
JUVENILIA 39
Bianca di naufraghe, ossa minaccia La riva squallida: dal patrio lido La figlia chiamalo con lungo. strido Pallida in faccia.
Ed altri docile guerrier d'amore In tra le pafie- ixx^e vivaci De le virginee lutteco'jbati Desta il furore ;
E sopra un niveo petto, di glorie La fronte carica, stanco a le prove. Depone; ed agita, posando, nove Pugne e vittorie.
E me le libere Muse nel casto Seno raccolgano, me loro amante Le dee proteggano del vulgo errante Dal vano fasto.
Me non contamini venduta lode. Non premio sordido d' util perfidia : Vinca io con semplice petto V invidia. Vinca la frode.
Ed oh se un tenue spirto V argiva Camena infondami ! se a me ne' lieti Fantasmi lucidi de' suoi poeti Grecia riviva!
40
JUVENIUA
Non io r Apolline cimbro inchinai, Io tòsco € memore de V are attèe ; Né di barbariche tazze circèe Ebro saltai.
Ottavio, al libero genio romano Libiam noi liberi qui nel gentile Terren d' Etruria : lunge il servile Gregge profano.
JUVENILIA 41
XX VI.
CANTO DI PRIMAVERA
Q,
,ual sovra la profónda Pace del glauco pelago Usci Venere, e V onda Accese e V aer e V isole; Quando al ciel le divine Luci alzò raccògliendo il molle crine;
Primavera beata «
Su le pianure itàlichct
Sorride. Ogni creata ^
Cosa in vista' rallegrasi • . .
Scherza con l'aura e il fiore
E vola nel sereno etere Amore.
42 JUVENILIA
Entro la chiusa stanza
Medita Amore, trovalo
In fragorosa danza
La giovinetta; ed integra
Cede a' futuri affanni
L' inconsapevol cuore e i candidi anni.
D* ebrietà possente
Sale dal suol che vegeta
Un senso: :àlcór fremente
Il mondo antico vestesi
Di novi incanti, e a' petti
Novi palpiti chiede e novi affetti.
Transvolar le serene . \ .
Forme de' sogni .ittipravvido
L' uom ricontempla ;. arene
E deserto il ricingonp:
La falsa imago anelo .
Lui tragge ove più stride il yerno e il ^elo.
Tal, se Talta marina •, < <
Ara e l'insonne ^tlaiatièo, i . ; Vede, allor che ruina •{= ' * La notte solitanar : r
L'elvezio infermò il rio . Alpin ne Tonde sa-lse, e; dal natio
JUVENILIA 43
Monte le vacete. qitete; . : ' .1 : Pender da i verdi pascoli; :.:- .^; . E tra r ombre segrete ,, : -
Un' aspettante ^erigine ' ; , .: Cantar, molle ia.gua«i,cia{ : , Vede,, ed in/coritrQia?tó nel mar 3i lancia,
I I
I (
Che sopra gli si chiuder ; Muto. O soavi imaginir :•/ h Pur d'ogni senso,, nude;. ;• *v* O d' inconsmlti /palpiti: :.. -n ri Desio profondo : arcancn ; • : : > , .: Ultima jgbventu del- cuore; umano i
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Questa che deludete . = ,
Misera prole,, o pei^di, : v ;.;
Quanto ha di:, voi pur sete;! j
E vi saluta reduci .
Insieme al riso altermij ;..•>; :
Onde s*' attempa.Viltvot de rKoiibe etefno.
Culto tra i feri étùdi . /.- ; ; ... i Sacro un giorno, af fòmulidi/' E di solenniilddi :ì- ,:-
Empiea sonante risola:: :: ; Che il Tebro ad Ostia, tini faccia Lieta di paschi e: c}i roseti ^bb caccia.
44 JUVENILIA
Dal di che il mese adduce.
De la marina Venere
Sino a la terza luce . '
Già sorta a gì' incunabuli; ; '
Di Quirin, la gioconda
Festa correa per la fiorita sponda.
E qui belle traéno
A' rosei tabernacoli • -
Donzellette cui '1 seno ;■
Tra i bianchi lin moveasi ;
Intatto anche a gli amori.
Sotto gli astri rorahti e:a*Tniti ^ardori
Del sole i verginali
Carmi intorno volavano, ' : , .
Mentre il piacer da rali^
Stillava ingenuo nettare
E Terpsicore dea ■ * ■:
Invisibil co '1 suon danze tttovea*
" La sposa ecco di Téreo . • Canta tra i verdi rami, • .. :; Né par che omai del bàrbaro < • Marito si richiami:' ' ' :^ • ' Più scorte note a lei • . ' Amore insegna e più soavi omei.
>.
JUVENIUA 45
Canta: e noi mute, o vergini,
L' udiamo. Oh quando fia
Che venga e me pur susciti
La primavera mia,
E rondine io diventi
Che r allegra canzon commette a' venti ?
Già voluttade Taere
Empie di rosei lampi :
Sentono i campi Venere,
Amor nacque ne i campi: .
Effuso dal terreno
Lui raccolse la dea nel latteo seno.
E lo nudrir le lacrime
D'odorati arboscelli,
E lo addormirò i gemiti
De r aure e de' ruscelli,
E lo educaro i molli
Baci de' fiori in su gli. aperti colli.
L' umor che gli astri piangono
Per la notte serena
Sottil corre a la nubile
Rosa di vena in vena,
Onde al zefiro sposo
Sciolga il pepio domani e il sen pomposo.
46 JUVENILIA
Di Cipri ella da^ r icore' Nata d'Amor tra ì baci i .j
Tien gemme e fiamme e: porpore» * O Ciel, da le tue faci.; ...... ; ^
E conoscente figlia • '•'. ■ •
A le tue nozze, il talamo invermiglia,
Allor che da le pendulò .. Nubi la maritale ' • ' > Pioggia a la Terra 'cùpida '^ Discende in grembo, ed ale : Nel vasto corpo i vasti Feti che tu, Ciet gè mtor, creasti. ^
) . . t
Dal sangue tuo l'oceaìio > '; .^ >. •
Tra selve di coralli,^ : . • :
Tra le caterve cerule '■
E i bipedi cavalli, ' i. : .
A i liti almi del lume
Vener produsse avvolta in biatichie spume.
Ed ella or del suo spirito ■> :
Le menti arde e le vene^ 'i Del nuovo anno 1* imperio Procreatrice tiene, / ■ . * • Ed aria e terra e mare Soave riconsiglia a isempi-e artiarei.
JUVENILIA 47
Da i boschi, o delia vergine^ /
Cedi per oggi: noi
Invia la diva placide
Nunzie de* voler suoi :
Non macchi, ahimè'!, ferina:
Strage la selva il éi eh* ella è reina.
Essa a le ninfe il mirteo .: • >
Bosco d' entrare .impone : ; v
Amore a quelle ajggiiugnesij
Ma r armi pria depone. ; . .
Francate, o ninfe,, il core:
Posto ha gió 1' armi, è fenato Amore.
La madre il volle-, pavida
No il picciolin rubello ,
Altrui ferisca improvido.
Ma pur Cupido è bèllo.
Guardate, o ninfe, il core:
È tutto in armi, anche se nude^ Amore.
Con lui fermò nel Lazio . . De* lari idei Tesiglio,' E una laurente v^ìrgine La dea concesse al figlio ' D*Anchise; e quindi a^ Marte, j * Sbigottita orfanella in chiome sparte,
48 JUVENILIA
Di Vesta ella dal tempio
Traea la sacerdote :
Onde il gran padre Romolo
E Cesare nipote;
Onde i Ramni e i Quiriti,
E tu, 0 Roma, signora in tutti i liti. „
Beate! e i lieti cori
Non rompea lituo barbaro.
Né i verecondi amori
Turbava allora il fremito
Che dal core ne preme
La tradita d'Italia ultima speme.
Nel sangue nostro i nostri
Campi ringiovaniscono ;
E quando lento i chiostri
Del verde pian d* Insubria
Apre r aratro e frange, ,
Su l'ossa rivelate un padre piange. i
Non biondeggia superba
Da' nostri solchi Cerere>
Ma lei calpesta acerba
L' ugna de' rei quadrupedi ;
E tu, vento sereno,
Scaldi a' tiranni osceni amor nel seno.
JUVENILIA 49
Oh quando fia che d' armi E monte e piano fremano A' rai del sol, e i carmi Del trionfo ridestino Co' suon del prisco orgoglio
I numi addormentati in Campidoglio?
Te allor, cinti la chioma De Parbuscel di Venere, Canterem, madre Roma; Te del cui santo nascere
II lieto aprii s' onora, Te de la nostra gente arcana Flora.
Carducci.
50 JUVENILIA
XXVIl.
A FEBO APOLLINE
D,
e la quadriga eterea Agitator sovrano, Sferza i focosi alipedi, Bellissimo Titano.
Te pur, de V ugna indocile Stancando il balzo eoo, Chiamàro in van ne' vigili Nitriti Eto e Piroo,
Quando la bella Orcamide Ti palpitò su M core E gli achemenii talami Chiuse ridendo Amore.
JUVENILIA 51
E a noi con V alma Venere Facile Amor si mostra, E noi gli amplessi affrettano De la fanciulla nostra.
In vano, in van la rigida Madrigna a me la niega; Amor che tutto supera, Amor che tutto piega,
Vuol, fausto iddio, commetterla Ne le mie mani e vuole
I nostri amor congiungere, Te declinato, o Sole.
Ed ella omai le tacite
Cure nel petto anelo
Volge, e te guarda. Oh giungati
II caro sguardo in cielo !
Dolce fiammeggian V umide Luci nel vano immote: Siede pallor lievissimo In su le rosee gote.
Ecco, presente Venere Ne r anima pudica Regna, e il pensier virgineo Con forza empia affatica.
52 JUVENILIA
Cotal forse aggiravasi Ne la stanza odiosa Del giovinetto Piramo L' inaugurata sposa,
E in cor pensava i gaudii Al fido orror commessi Ed i furtivi talami E i raddoppiati amplessi:
In tanto Amor gemeane, De' preparati lutti Già fatalmente presago E de' mutati frutti.
Ma le dolenti imagini Si portin gli euri in mare : Diciam parole prospere: Benigno Amor ne appare.
Oh sperar lungo e timido, Oh d' angosciose notti False quieti, oh torbidi Sogni dal pianto rotti !
Mercé, mercé! pur compiesi Il dolce e fier desio. Pur debbo al fine io stringerla Su questo petto mio!
JUVENILIA 53
Ah no che sen pili candido Endim'fon non strinse Quando notturna Venere La schiva dea gli scinse!
10 ardo. Amore infuria Nel fulminato petto;
E corro, e guardo, ed Espero Gridando in cielo affretto.
Pietà, divino Apolline ! Spingi i destriér celesti, Le inerti Ore sollecita; Ruina.... A che t' arresti ?
E ancor rattieni il cocchio In su restrema curva? E ancor V ancella undecima Lenta su '1 fren s' Incurva ?
Male io sperai te facile Al suon di mie querele; Sempre a gli amanti infausto. Sempre in amor crudele !
Clizia Oceania vergine Per te conversa ih fiore Ancor mutata serbati
11 non mutato amore.
54 JUVENIUA
Imprecò già Coronide Per te al disciolto cinto : Amicle un giorno e Tàigeta Pianser per te Giacinto.
Ma e tu d' amor gV imperii, Tu, petto immansueto, Durasti; e i greggi a pascere Pur ti ritenne Admeto.
Te solitari attesero
I templi ermi del cielo, Né più muggia da gli aditi La religion di Delo.
Giacca de' tori indocili Dal vago pie calcato L' arco divino argenteo In abbandon su'l prato.
Né bastò Tarte medica Verso la cura nova: Ahi, sol di furie e lacrime
II nostro iddio si giova.
Né tra le dita ambrosie Più ti splendea la lira. Quella onde al padre caddero Sovente i fuochi e Tira.
JUVENILIA 55
E che ? r avena rustica Dal labbro tuo risona, O figlio de l'Egioco, O figlio di Latona?
Tu d' amor gemi, ed orride CoM muggito diverso Rompon le vacche tessale La dotta voce e il verso.
Fama è però che memore Tu de r incendio antico A gli amorosi giovini Nume ti porgi amico.
E i vóti a te salirono Del buon Cerinto grati, Quando immaturi presserò L'egra Sulpizia i fati:
Tu al bel corpo le mediche Mani applicar godesti, Tu al giovinetto cupido Integra lei rendesti.
E giorno fu che in trepida Cura Tibullo ardea: Varia di amori il candido Vate Neera angeà.
56 JUVENILIA
Gemeva egli le vigili Piume stancando in vano: Ma in piena luce videti Il cavalier romano.
Pe'l lungo collo eburneo Intonsi i crin fluire Vide e stillar la mirtea Chioma rugiade assire.
Qual de la luna in placido Sereno, era il candore : Era nel corpo niveo Di porpora il colore,
Come al settembre tingonsi Bianche mèle fragranti, Com€ fanciulle Intrecciano I gigli a li amaranti.
— Soffri, dicesti : ad Albio Serbata è pur Neera: Tendi le braccia a i superi Con molta prece^ e spera. —
E anch' io* pregai : di lacrime Io gli abbracciati altari Sparsi j e non^ furo i superi A me di grazia avari.
JUVENILIA 57
Non io lamento perfida La mia fanciulla, escluso Non io gli aspri fastidii De la superba accuso ;
Né de le mense eteree Vuo'che ti prenda oblio, Ed entri, almo Làtoide, Quest'umil tetto mio.
Mi dolgo io ben che tardisi A le mie gioie rot*a Dal corso tuo che a* Nereo Par non accenni ancora.
Dolgomi.... Ahi folle! inutili Querele io spando : errore Al cor m'induce il memore Libetrico furore.
Te da le valli tessale Te da V egea marina Vedea de' vati ellenici La fantasia divina,
Giovine iddio benissimo Pe' i cieli ermi sorgente: Ignei tu avevi alipedi, " Carro di fiamma ardente ;
58 JUVENILIA
E intorno ti danzavano Ne la serena spera Le ventiquattro vergini Fosca e vermiglia schiera.
Né vivi tu ? né giunseti Del vecchio Omero il verso? E Proclo in van chiamavati Amor de l'universo?
Il vero inesorabile Di fredda ombra covrio Te larva d' altri secoli, Nume de' greci e mio.
Or dove il cocchio e l'aurea Giovanil chioma e'rai? Tu bruta mole sfolgori Di muto fuoco, e stai.
Ahi ! da le terre ausonie Tutte fuggir li dèi : In vasta solitudine, O Musa mia, tu sei.
In vano, o ionia vergine. Canti, ed evochi Omero : Surge, e minaccia squallide Da' suoi deserti il vero.
JUVENILIA 59
Vale, 0 Titano Apolline, Re del volubil anno! Or solitario avanzami Amore, ultimo inganno.
Andiam : de la mia Delia Ne gli atti e nel sorriso Le Grazie a me si mostrino Quai le mirò Cefiso;
E péra il grave secolo
Che vita mi spegnea.
Che agghiaccia il canto ellenico
Ne r anima febea !
60 JUVENILIA
J 1 ;
XXVIII.
A DIANA Tli^IVIA^.
i u cui reina il cieco Èrebo tiene E Arcadia in terra cacciatrice f ama, Ma in eie! de V Ore il biondo stuol ti chiama Bella Selene;
Ora che i bianchi corridor del lento Freno tu tempri e regni su la diva Notte, m' ascolta; se da noi t' arriva Prego o lamento.
Non tra quest'ombre io la vendetta affretto Già meditata; il casto raggio odiando. Non io prorompo a invadere co'l brando Cognato petto.
JUVENIUA 6!
Io amo: e Cintia, l'espugnata al line Cintia superba, a,' novi amor sì rende; E, dubitosa, ; del notturno scende Orto al confine.
Che tu nel carro de la luna stai Intemerata come ij elei cui reggi, Che dea severa te d' amor le leggi Non piegar mai.
Cantano i vati: ma non sempre v>aria De'prometidi su le brevi paci Vegli, ma in terra ti detragge a i baci Giovin di Caria.
Allor 1* ambrosia i tuoi cavalli erranti Pascono, V aere alto silenzio ingombra, E te lodando mesconsi per V ombra Sacra gli amanti.
Or, bella diva, or vela il tuo splendore : Corri pe' templi aerei tacente : Me Amor precede, e rompe la cedente Tenebra Amore.
Tu passi e splendi : sotto il vivo raggio Ride il giardino in ogni lato aperto : Io tra li sguardi curiosi incerto Fermo il viaggio.
62 JUVENILIA
Ah falsa dea ! va' su' misteri orrendi De' druidi a correr sanguinosa, ascolta L' emonie voci, e da le maghe svolta Ne r orgie scendi.
E già scendesti da l'argentea biga Ostie d'umani e d*^ ospiti' a mirare Su r aspra riva cui l' aquilonare Flutto castiga:
Più rea che quando il fior del disonesto Eburneo corpo abbandonasti a Pane, Calda d'amore a le donate lane, Fredda pe'l resto.
Oh ben ti tolse il gran senno odierno E biga e soglio. Un vano idolo or sei ; E anch' io ti spregio, e torno a' patrii dèi Vate moderno.
JUVENILIA 63
XXIX.
BRINDISI
B
eviam, se non ci arridano Le sacre Muse indarno, Ora che artoà caligfrfe Preme i laureti d'Arno.
Gema e ne V astro pallido Stanchi le inferme ciglia La scelerata astemia Romantica famiglia:
A noi progenie italica Ridan gli dèi del Lazio, La madre de gli Eneadi E l'armonia d'Orazio.
64 JUVENIUA
M' inganno ? o un' aura lirica Intorno a me s'aggira? Fiacco, io ti sento : oh, al memore Convivio assisti e spira!
Or che percuote V ungaro Destrier la valle ocnea, E freme il lituo retico Dove Maron nascea;
Or che Tefòd levitico La diva Roma oscura, E altier di Brenno il milite La sacra via misura;
Qui cupe tazze vuotansi Secondo il patrio rito, Ben che sia lunge V arbitro Dal libero convito.
Fiacco, il tuo bello Apolline Fuggi dal suol latino Cedendo innanzi a Teutate Ed a r informe Odino,
La musa a noi da gelide Alpi tedesche or suona, Turba un vii gregge i nitidi Lavacri d' Elicona:
JUVENILIA 65
Noi pochi e puri (il secolo Sieci, se vuol, nemico) Libiamo a Febo Apolline E al santo carme antico.
• Lenti, e che state ? or s' alzino Colme le tazze al vóto. A le decenti Cariti, Ecco, tre nappi io vuoto.
Sacro a' sapienti è il numero De i nappi tre: ma nove A noi ne chieggon V impari Figliuole ascree di Giove.
Né san le dive offendersi Del temperato bere, Né tu discordi, o Libero, Da le virtù severe.
Anch' ei la tazza intrepido Catone al servo chiese, Poi ripensando a Cesare Il roman ferro prese :
E, in quel che Bruto vigila Su le platonie carte, Cassio tra' lieti cecubi or idi aspettò di Marte.
Carducci
66 JUVENILIA
XXX.
VOTO
A
gitatrice de le forti selve, Amor di Giove e di Latona vanto, Diva da V arco, cui de V Erimanto Temon le belve:
S' io per te dòmo il fulminante orgoglio Del reo cignale su quel nero monte. Io questo pino da T aerea fronte Sacrar ti voglio.
Diran dal tronco le mascelle appese Con tale scritta le sudate prove: A la dea prole di Latona e Giove Delio lunese.
JUVENILIA 67
XXXI.
A NEERA
1— / olmo e la verde sposa
Vedi in florido amplesso accolti e stretti:
Vedi a V ilice annosa
Attorcersi i corimbi giovinetti.
Deh ! se del roseo braccio
Cosi, bianca Neera, m^ avvincessi,
E tra '1 soave laccio
11 capo stanco io nel tuo sen ponessi.
Un lungo amore insieme
Giugnendo Talme ognor, dolcezza mia.
Non altra gioia o speme,
Non altro a desiar lo spirto avria.
68 JUVENILIA
Non me non me dal fiore
Del caro labbro, fin di tutte brame,
Sveglier potria sopore,
Non cura di lieo, non dura fame.
Allor noi senza duolo Il fato colga; innamorati spirti Noi tragga un legno solo, Pallido Dite, a' tuoi secreti mirti.
Di ciel che mai non verna La ferma ivi berremmo aura sincera, Sotto i pie nostri eterna Rinascendo co* fior' la primavera.
In tra i nobili eroi
Ivi a' ben nati amor vivono ognora
L' eroine onde a noi
Mormora un suon d' esigua fama ancora,
E menan danze, e alterni
Canti giungono al suon d'alterna lira;
E su' germogli eterni
Zefiro senza mutamento spira.
Scherza con V óra incerta
Di lauri un bosco; de le aulenti frondi
Sotto r ombra conserta
Ridon le rose ed i giacinti biondi.
JUVENILIA 69
A r ombre pie d' intorno,
Non da rigidi imperi esercitato,
Sotto il purpureo giorno
Germina splende e olezza il suol beato.
Solinga ombra amorosa
Ivi oblia Saffo la leucadia pietra,
E pur languida posa
La tenue fronte su la dotta cetra.
Siede Tibullo a l'ombra
Ove docil da' colli un rio declina;
E di dolcezza ingombra
I sacri elisii V armonia latina.
E noi, Neera, il canto
De' morti udrem; noi sederem tra' fiori
De r asfodelo. Intanto
Mesciamo i dolci e fuggitivi amori.
70 JUVENILIA
XXXII.
PRIMAVERA CINESE
O
r sono i di che zefiro Tepido e lieve aleggia E che la pioggia placida I novi fior careggia.
Ora un mattino in floridi Rami le gemme afforza Che timidette ruppero Da la materna scorza.
Or a gli affetti sposansi 1 facili pensieri E impazienti volano In cantici leggeri,
JUVENILIA 71
Come la nebbia eh' umida Gli archi del ponte gira, Come quest'ombra tremula Ad ogni aura che spira.
Oh misero a cui scemasi De gli anni il bel tesoro Mentre a la terra indocile Chiede l' inutil oro !
La neve ch'empiea rigida Tutto pur dianzi il cielo, E i fior che lieti salgono Dal fuggitivo gelo,
Son de la vita imagine Fuggente, e in lei s'appaga Tra i desiderii l' anima E le memorie vaga.
Pace! Anche tu, bellissima Colomba v'fatrice Che lamentando mormori Da la natia pendice,
Se pietosa il numero De' miei pensier richiedi. Lascia il soave gemito Ed al tuo nido riedi.
72 JUVENILIA
Pria conteransi i tumidi Germi che il suolo or manda E i fiori onde si splendida Quest'albero ha ghirlanda.
JUVENILIA 73
XXXIII. ALLA B. DIANA GIUNTINI
VENERATA IN SANTA MARIA A MONTE
V<iui dove arride i fortunati clivi Perenne aprile e l'aure molli odora E ondeggian mèssi e placido d'olivi Bosco s' infiora,
Quando pie voglie e be* costumi onesti Erano in pregio e cortesia fioriva Le tósche terre, qui V uman traesti Tuo giorno, o diva.
E ti fùr vanto gli amorosi affanni Onde nutristi a Dio la nova etate, E fredda e sola ne V ardor de gli anni Virgin itate :
74 JUVENILIA
Pur risplendeva oltre il mortai costume La dia bellezza nel sereno viso, E dolce ardea di giovinezza il lume Nel tuo sorriso.
Te in luce aperta qui l'eteree menti Consolar prima di letizia arcana, Poi te beata salutar le genti. Alma Drana.
Onde a te dotta de V uman dolore Il nostro canto e prece d' inni ascende, E, pieno Tanno, di votivo onore L' ara ti splende.
A te r industre opera cessa : posa A te il travaglio de la vita e V egra Noia: si spande per le vie festosa. Turba e s' allegra.
Disciolto il bove mormora un muggito,. Esulta il gregge ne l'erboso piano, E su l'aratro ancor dal solco attrito Canta il villano.
Deh, sii presente : il tuo terren natale A te s' adorna, ed al tuo piede in tanto Gigli sommette e rose e l' immortale Fior d' amaranto.
JUVENILIA 75
Deh, sii presente : e ne' concilii santi Se nostra dirti, o buona, anco ti giova. Del gener tristo e de gli infermi erranti Amor ti mova.
Odi le caste vergini: il lamento De la canuta etade odi; e su M pio Vulgo com' aura di benigno vento Spira da Dio.
Ruinan, vedi, a soffrir tutto audaci Le menti umane in disperata guerra, E de le furie le sanguigne faci Corron la terra:
Odio e furore i torvi animi avvampa E ciechi mena con la sua rapina Ove pietade è in bando, ove s' accampa L* ira divina:
Erra in ombra di morte e le vitali Fiamme rifugge la mortai ragione, E di pensieri ferve e di pugnali Bieca tenzone.
Ma noi pio gregge a te su M puro altare Vóti mandiamo a cui pietà risponde : Ragguarda, o buona, a! figli, ed abbi care Le nostre sponde.
76 JUVENILIA
Volgi sereno a questi campi il sole, Benigna assisti a' focolari aviti : Multiplicata invochi te la prole Co' patri i riti.
Qui de le caste menti ama il governo: Qui santa e madre al popol tuo ti mostra Né a danno irrompa qui possa d' inferno, Te duce nostra.
JU VENI LIA 77
XXXIV.
A GIULIO
N,
on sempre aquario verna, né assidue Nubi si addensano, piogge si versano Malinconicamente Sovra il piano squallente:
Non sempre l'arida chioma a le roveri I torbid' impeti d' euro affaticano, Né dura artico ghiaccio A industri legni impaccio:
Ma tu, o che vespero levi la rosea Face su V ampio del ciel silenzio O fugga al sol d'avanti Mal gradito a gli amanti,
78 JU VENI LIA
Tu sempre in flebili modi elegiaci, Lamenti, o Giulio, la cara vergine Che il fren de' tuoi pensieri Reggea con gli occhi neri.
Oh non continue querele e gemiti Commise a' dorici metri Simonide; Né ogn* or gemè in Valchiusa Nostra più dolce musa.
Si fra le memori tombe romulee Destò r italica speme, e del lauro Di Gracco ornò la chioma AI tribuno di Roma;
E anch' oggi splendidi gli sdegni vivono Ne' tardi secoli, spirano i fremiti De le genti latine, Ne le armonie divine.
Deh, se pur prèmeti desio di piangere, Mira la patria; grave d'obbrobrio Il nome italo mira; E qui piangi e ti adira.
Mira : di barbaro lusso le rigide Torri si vestono, dove già gì' integri Petti e le forze e i gravi Senni crebber de gli avi.
JUVENILIA 79
Qui dove i trivi! d' urli e domestico - Marte e di fiaccole notturni ardevano E insanguinò le spade Gelosa libertade,
Di specchi fulgido ecco e di lampade E il luogo, e gli ozii molce di un popolo A cui die il cielo in sorte Noia pallida e morte.
Torpe degenere la plebe, e lurida Ammira gli aurei splendori, ed invida E vii con mano impronta I duri Cresi affronta;
Lieta se a' nobili tetti d* obbrobrio Saliron avide le plebee vergini A ricomprar le fami De* genitori infami.
No, di quel valido sangue, che spiriti Gentili e rapida virtù ne gli animi De' parenti fluiva, L' onda ahi più non è viva.
Sacri a la pubblica salute, estranee Minacce ed impeti di re fiaccarono : Plebe altera, de' grandi Prostrar V orgoglio e i brandi.
1
80 JUVENILIA
Discese il ferreo baron da Torride Castella, e al popolo vincente aggiuntosi Con mano usa al crudele Cenno trattò le tele.
Da le patrizie magioni al popolo, Premio d' industria, benigna copia Calò; di languid* oro Non custodian tesoro
L' arche difficili. Crebbe a la patria Larga di pubblici doni e di gloria Ogni studio più degno E di mano e d' ingegno.
E pompe sursero di fòri e portici Ed are a V unico signor de* liberi. Né a gli ozi allor de' vili Servian V arti civili ;
Ma dal magnanimo voler, da' semplici Cuor de gli artefici, sfidando i secoli, Balzò con franco volo Su l'attonito suolo
Di Flora il tempio; dove tra i memori Padri fremerono d'assenso i giovini A l'ira e a' carmi austeri Del gran padre Alighieri.
JUVENILIA 81
XXXV.
ALLA LIBERTÀ
RILEGGENDO LE OPERE DI VITTORIO ALFIERI
Jl e non il canto che di tenue vena Lene a gli orecchi mormora e deriva Né sottil artje di servii camena Lusinga, o diva.
Te giova il grido che lie turbe assorda E a r armi incalza a V armi i cuor cessanti, Te le civili su la ferrea corda Ire sonanti :
E sol tra i casi de la pugna orrendi E flutti d' aste e fulminosje $pade Nel vasto sangue popolar discendi, O libertade.
Carducci. 6
82 JUVENILIA
Tal f invocava su la terra attèa Trasibul duro ne' dubbiosi affanni, E cadean ostie a la cecropia dea Trenta tiranni :
Tal, sollevato il parricida acciaro. Teste di regi consecrando a Dite, Bruto e Virginio un di ti revocaro Diva quirite.
Ma quale inermi a te le mani porge Di tra una plebe che percossa giace Non del tuo viso V alma luce ei scorge; Ma senza pace
Assidua larva tu lo premi : ei vola Tra le tue pugne coM desio veloce, E muto campo gli è il pensiero e sola Arme la voce.
Tale il tuo nume nel gran cor portando Correva Italia V astigiano acerbo, E trattò il verso come ferreo brando. Vate superbo:
Te fra gli avelli sotto il del romano Chiamava; e il nome giù per l'aer cièco Cupo rendeva a lui dal vaticano Vertice V eco.
JUVENILIA 83
Tu r implacato allór flutto d* Atlante Rasserenavi de le die pupille: Aspri deserti sotto le tue piante Fiorian di ville.
Quindi crollando la corusca lancia Saltasti in poppa a i legni di Luigi, E ti scortaro i cavalier di Francia Dentro Parigi.
Ma noi te in vano al tuo già sacro ostello Desiderammo, triste itala prole: Senza te mesto il cielo ed è men bello Il nostro sole.
« Torna, e ti splenda in man V acciar tremendo
Quale tra i nembi ardente astro Orione;
Deh torna, o dea, co '1 bianco pie premendo
Mitre e corone.
LIBRO III
± assa la nave mia, sòia, tra il pianto De gli alcìon, per l'acqua procellosa; E la involgp e la-batté^ e mai non posa. De l'onde il tuon, de i folgori lo schianto.
Volgono al tiijQ, ornai perduto, in tanto Le' memorie la faccia lacrimosa: E vinte le speranze in faticosa Vista s'abbatton sovra il remo infranto.
Ma dritto su la poppa il genio mio Guarda il cielo ed il mare, e canta forte De' venti e de le antenne al cigolio:
— Voghiam, voghiamo, o disperate scorte,
Al^nubilpso porto de l'oblio,
A la scogliera bianca de la morte.
86 JUVENILIA
XXXVII.
whe ti giovò su le fallaci carte •
Sfiorar gli anni tuoi novi e<J il natio Vigore in su la còte aspra de l'arte, 0 troppo a questa amico e a te non pio ?
Or qui te da la luce alma diparte Dura quiete e sempiterno oblio: O speranze d' onore al vento sparte ! 0 brama di saper che ti tradio!
Péra chi al vero inesorato e a* danni Del vero addisse quella età migliore Che più pronta risponde a' belli inganni!
Ch'ora non piajigerei spento il fulgore Gaio del tuo sembiante e i candidi anni E de la cara vita il caro fiore.
JUVENILIA 87
XXXVIII.
A F. T.
D
ue voglie, anzi due furie, entro il cor mio Seggon, Felice, e a me di me l' impero E contendono e strappano: desio Che di bellezza nacque, e vie più altero
Di egregie cose amor. L' una con rio Fuoco depreda il vinto petto : intero Seco trà^emi V altra in parte ov' io Fantasmi evoco e pur gravami il vero.
Tale, schiavo di me, me ogn' or d' inganno Nudro volente; e '1 venen suo m' instilla La cura che diversa entro mi strugge;
E corre intanto il ventunesim* anno,
E il solitario spirito sfavilla.
Ed ombra lenta i di sterili adugge.
88 JUVENILIA
■X. v>. -, ■
XXXIX.
p,
oi che mal questa sonnacchiosa etade Di forti esempi a' vivi suoi provvede, Posa, o spirito mio; né acquistin fede Mie fiacche rime a la comun viltade.
Lunge, canti d'amore: altro richiede Quel novo ardor che tutto entro m' invade Io voglio tra rumor d' ire e di spade Atroci alme rapir d' Alceo col piede.
Risorgerem poeti allor che sia Scosso il torpore senza fine amaro, E la patria virtù musa ne fia.
Tremante un re le attèe scene miraro Ne' carmi ancor, ma tinse Eschilo pria Ne' Medi fuggitivi il greco acciaro.
JUVENILIA 89
XL.
GIUSEPPE PARINI
INon .io pe U verso onde sentia lo étuolo De r ignavi potenti il grave morso, Né pe M canto superbo onde in suo corso Tornasti la civil musa tu solo,
Non io fo vóti. Altera aquila al polo Troppo ogni emulo ardire hai tu precorso; Né da le forze mie spero soccorso, Picciole forze a cosi largo volo.
Sol vuo' di te la schiva anima, e il retto Non domabile ingegno, e Tira e il forte Spregio pe* vili, e la parola franca.
E voglio, e posso. Tu mi reggi e affranca: Che tu sai ben eh' io pe *1 tuo fiero petto Aspro vivere eleggo e oscura morte.
90 JUVENILIA
XLI.
PIETRO METASTASK)
N,
o, non morranno, in fin che tempra umana Non sia dal vizio o da barbarie doma, Il tuo nobile Cato e la sovrana Virtù del prigionier consci di Roma.
10 ben tutti gli allori a la tua chioma, O degna d' altri giorni alma romana, Dar voglio e al canto che soave doma Tutte ree volontadi e il cor risana.
Scuola è la scena or d* ogni cosa ria, Dove scherza il delitto e dove ardito L'adulterio in gentil vista passeggia:
E a questi esempi il gener suo nodrito Vuole e te mastro di virtude oblia
11 secoletto vii che cristianeggia.
JUVENILIA 91
'XLII.
CARLO GOLDONI
O
Terenzio de l'Adria, al cui pennello Die Italia serva i vindici colori, Onde si parve a quanti frutti e fiori Surga latino ingegno in suol rubello.
Vedi : pur là dove più il retto e M bello Eccitar di sé dee pubblici amori, Ivi ebra 1* arte più di rei furori Tra sanguinose scede or va in bordello.
Riedi; e i goti ricaccia. A questa putta Strappa tu il culto òscen, rendi a le sparte Chiome il tao lauro che la fé si bella.
Ma no ; eh' oggi tu biasmo e onor la brutta Schiera s' avrebbe. Oh per viltà novella Quanto basso caduta italic' arte !
Q2 JUVENILIA
XLIII.
VITTORIO ALFIERI
O
de r ìtalo agon supremo atleta Misurator, di questa setta imbelle, Che stranifata il sacro allòr ti svelle. Che vuol la santa bile irrequieta?
E a qual miri sai tu splendida meta Ed a che fin drizzato abbian le stelle Questa età che di ciance e di novelle Per quanto ingozzi e più e più asseta? ■
Secolo ingrato, o figlio ; e a viltà giunge, Chi ben lo guardi senz'amore od ira, Ogni passo che move per sua via:
E, dove al mal pensar viltà s'aggiunge, Ivi non sente cor, mente non mira Quant' alto salga la grandezza mia.
JUVENILIA 93
XLIV.
VINCENZO MONTI
Q,
,uando fuor de la pronta anima scossa Dal dio che per le vene a te fluia V usciva il canto rapido in sua possa Come de V Eridàn V onda natia,
La sirena immortai, che guarda V ossa Di Maro, alzossi per V equorea via, E spirò da V antica urna commossa Di cetere e d'avene un*^ armonia.
Al lazio suon pe* i curvi lidi errante Come tuon rispondea che chiuso romba Da Ravenna il toscan verso di Dante.
Rispondea di suM Po l'epica tromba. Tacesti; e tacquer le melodi sante. Tacque di Maro e d' Alighier la tomba.
94 JUVENILIA
XLV.
ANCORA VINCENZO MONTI
1 e non il sacro verso e non la resa . A' primi fonti e a la natia drittura Itala poesia, vate, assecura Da la rea pèste ond' è V Italia offesa.
Mente che il bene e il male austera pesa E possente contempi si misura. Perché negaro a te culto e natura, O buona a' vari affetti anima accesa?
Ch' or non udrei de* bordellier Catoni Pronta pur contro te la facil gola, Pronti e de' cortigian Bruti i polmoni.
Tu moristi in vecchiezza oscura e sola, O poeta di Gracco e Mascheroni : Costoro ingrassa la servii parola.
JUVENILIA %
XLVI.
GIOVAN BATTISTA NICCOLINI
i empo verrà che questa madre antica A gli esempli che fùr levi la fronte E nostre terre per virtù già conte Tenga una gente di virtude amica,
Or tra' due mari e da Pachino al monte Sola un' oblivione i petti implica, . Né questo molle cielo alma nodrica Che a' suoi padri o con sé mai si raffronte.
Che te laudassim noi, plebi assonnate Tra un fiottar lento d' incresciosi carmi, A te saria vergogna ed a noi danno. .
O beati i nepoti! in mezzo a l'arici Te di giorni miglior ben degno vate Con Dante e con Vittorio invocheranno.
96 JUVENFLIA
XLVII. AD ANTONIO GUSSALLI
RACCOGLITORE DEGLI SCRITTI DI PIETRO GIORDANI
Q.
,ual tra le ingiurie di Fortuna e i danni I di traesse di conforto nudi, Pur preparando ne* soHnghi studi Questa Italia novella a liberi anni,
Quel grande cui tremar preti e tiranni E d' ogni servitù gli eterni drudi Quand' ei gli ozi turbò de' tristi ludi Cui dritto è forza e son ragion gl'inganni,.
Narrasti, ospite egregio; e i degni accenti, Che pietà di suo zel dritto infiammava. Più vivi spirti a l'amor santo dierci.
Oh degno ei ben che de le fiacche menti L' oblio lui segua e de la turba prava E il feroce oltre al rogo odio de'cherci!
JUVENILIA 97
XLVIII.
A TERENZIO MAMIANI
Oome basti virtù, perché suprema Ira e furor d'ingegni e pellegrino Regno più in fondo il nome italo prema, A contrastare il fato in cor latino.
Ben mostri or tu : che, mentre ignuda e scema D' ogni loda e bel pregio a reo cammino Torce la gente, in su V etade estrema Sofo e vate d* Italia e cittadino
Vero pur sorgi, come a'I secol bello Quando aM valor natio spazio era dato D' addimostrarsi in generosi esempi.
O d* antica virtù gentile ostello Petto latin, pur come suoli, al fato Dura, e di te nostro difetto adempi.
Carducci,
98 JUVENILIA
XLIX.
IN SANTA CROCE
O
grandi, o nati a le stagion felici Di questa Italia eh' or suo verno mira^ A cui tanto spiraro i cieli amici Che in voi fùr pari amor potenza ed ira;
In servitù che pur giova e s' ammira ^Cresciuto aggiorni di valor nemici, I In van de gli anni miei contro la dira ^ OblivTon chieggo da voi gli auspici.
Al gener vostro ozio è la vita, scherno "1^ Ogni .^drtnde : in -qufisti.avelli or.^ive,
Qui solo, e in van, la patria nostra aatìqua
A i quali io siedo e fremo, a le mal vive Genti imprecando^ de V etade. objiqua D[sj)regiator, ch'altro non posso^ eterno.
JUVENILIA 99
L.
A UN CAVALLO
V iva, o prode corsiero! A te la palma, A te del circo il plaùdir fremente ! L' uom che te bruta disse ignobil salma, Per te lo giuro, a sé adulando ei mente.
Da quel corpo tuo bello oh come V alma Splendeva, a i premi ed a le mète ardente Or posi ; e guardi in tua leggiadra calma 1 vinti angli poliedri alteramente.
E vinto avresti quei famosi tanto. Quei che immortali Automedon giugnea E sferzava il Pelide in ripa a Csanto.
Deh, che non ferve a te 1* arena elea, E de l'uguale a' dii Pindaro il canto Che non ti segue là su Tonda altea?
100 JUVENILIA
LI.
N,
on vivo io, no. Dura qu'fete stanca L* ingegno, e'I sempre vaneggiar lo irrita Indarno. Manca ogni ragion di vita. Se libertade, ahi libertà!, ne manca.
Qui dischiusa dal cor parola franca
È con pavento o con ischerno udita,
E argomento di riso altrui si addita
Uom che per sé del vulgo esce e si affranca,
Or che mi vai, se co'l pensier trascendo Tra'l ceto de gli eroi fuor de' neri anni Te libertà, divina ombra, seguendo?
Vissuto io fossi a sterminar tiranni
Con voi, Roma ed Atene; e non garrendo^
Infermo augel eh* ebbe tarpati i vanni !
JUVENILIA 101
LII.
PER I FUNERALI D' UN GIOVANE
S,
^e affetto altro mortai per te si cura, Spirto gentil cui diamo il rito pio, Pon dal ciel mente a questa vita oscura Che già ti piacque e al bel nido natio.
Vedi la patria come sua sventura Di tua candida vita il fato rio Piangere e*l fior de gli anni tuoi cui dura Preme T ombra di morte e il freddo oblio.
Quindi ne impetra tu, che a te simile, Dritta a l' oprar, modesta a la parola. Cresca la bella gioventù virile,
E senta come a fatti egregi è scola Anche una tomba cui pietà civile E largo pianto popolar consola.
102 JUVENILIA
LUI.
1 oi che l' itale sorti e la vergogna Del rio servizio a quale animo altero O d* ingegno o di mano il pregio agogna Interrompono inique ogni sentiero,
Peso è la vita insopportabil fero A chi virtude e libertà pur sogna. Ond' io quasi de' vili i premi or chero, Se non che il genio mio tal mi rampogna.
Oh, che pensi, che vuoi? spettacol degno De i numi e di sublimi animi, uom forte Pugnar più sempre quanto più constretto,
E M fato lui d' ogn' ira sua far segno,
E lui soffrire ed aspettar la morte
Pur contro il mondo e contro i fati eretto.
JUVENILIA 103
LIV.
E
eh' io, perché lo schernir tuo m' incalza, Vinto porga le man, turba molesta? Non io son fiore a cui brev* aura è infesta, Elee son io che a' venti indura e s' alza.
Mitrata il crine e cinta i fianchi e scalza Salmeggi itala musa; o, qua! rubesta Menade oscena a suon di corno desta, Satti ed ululi pur di balza in balza.
Io, dispregiato e sol, de' padri miei
Io r urne sante abbraccio ; e mi conforta
Riparar qui dove posar vorrei.
Manchi a me pur l' ignuda gloria, morta
Giaccia co 'l corpo la memoria, a' rei
Sia scherno il vuoto nome: oh che m' importa?
104 JUVENILIA
LV.
IN UN ALBO
Opirto gentil, che chiedi? Ormai T altero Sogno vanio per V aure, e il mondo tace. Cadde V cilena dea ; del mio pensiero Madre, V cilena dea per sempre giace.
Ahi, le pupille che nel sen d'Omero Arser di poesia cotanta face, Che de' dardi cissèi tra '1 nugol fero Ridean superbe ad Eschilo pugnace!
Ahi, da la morte V ultimo suggello Ebber l'alme pupille! Altri deliro Abbraccia il corpo ancor, gelido e bello:
Ne i secoli mutati ombra io m'aggiro, E i novi templi guardo, e al vuoto ostello De la ionica dea torno e sospiro.
JUVENILIA 105
LVI. A N. F. P.
RISPOSTA
v^hi mi rimembra la speranza altera Che giacque fulminata entro il mio core? Te ragguardò con mite occhio d' amore Su '1 nascer tuo Melpomene severa.
Canta; e de gl'inni tuoi l'ala guerriera A voi segua il risorto itab onore: Canta; ed infondi a' cor di quel valore Che gli rapisca a più sublime sfera.
Male co' di novelli ahi mal s'accorda Alma che da' sepolcri anche s' ispira, E a lei risponder la camena è sorda.
Veggo il suo vel fuggente : e a la mia lira Rompon, amico, omai 1' ultima corda Increscioso dispetto e steril' ira.
LIBRO IV
LVIl. LA SELVA PRIMITIVA
A Uggendo
Per la gran selva de la terra il nato De la donna ululò già co' leoni A la preda cruenta; indi, con vitto Ferin la vita propagando, incerti Videsi intorno i figli; e lui rendente De la materia a le vicende eterne L' immane salma, per lo gran deserto Dilacerare i lupi. E tu, febea Lampade solitaria entro l'immenso Radfante, non gemere le vite Chine su l'opra del crescente pane. Non danze d' imenei vedesti, e madri
108 JUVENILIA
Veglianti a studio de la culla, e curvi
De*pii parenti a' funerali i figli.
Ma quindi per lo pian stridea la roggia
Alluvione de' vulcani, intorno
Funereo lume coruscando; e sempre
Caligavan le cime ardue tonanti;
E Toceàn muggiva; e in su l'azzurra
Alpe salian le nuvole fumanti
Da l'oceano: paurosamente
Minacciavano al ciel roveri negre
Di vastissima ombra quinci; e a l'ombra
Con lupi urlanti e fere altre la prole
S'accogliea de gli umani. Al picciol uomo
E de la fulva leonessa a i parti
Uno era il nido : al fanciulletto atroce
Era sollazzo provocar li sdegni
De' feri alunni, e le crescenti giube
E r unghie e l' armi de la bocca orrende
Tentar con man pargoleggiante, e lieto
Via contendere a correre co' pardi.
Ma de l' atro vulcan 1' uomo e del fuoco,
De r instancabil fuoco, egli temea;
E con rozzo stupor guatava il mare
Immenso. Anche fuggia l' urlo de' venti
Signoreggiante ne' boschi ; e del tuono,
Che pe' monti da l' aere ermo rimbomba,
Chiuso ne le spelonche isbigottiva.
E al suon de la procella, e a l'esultante
Per li templi de l' etra ira de' nembi,
JUVENILIA 109
E al fulmine stridente, un tremor gelido Per r ossa ime gli corse; e s'atterrava, E gemea. Lieto del superbo sole Era, e pensoso il verno aere ammirava: Ma più seduto a lungo in verde zolla Si compiacea de le verginee stelle.
1 10 JUVENILIA
LVIII.
PROMETEO
F
ama è che allor Prometeo, fuggendo Le sedi auree d' olimpo e de le sfere L' immortai suono, al nostro mondo errasse Peregrino divin. Muto correa Il sole almo e la luce Per l'infinito oceano, e del mondo L* ignota solitudine tacea: Deserta s' accogliea La greggia umana a V ombra De la gran selva de la terra: ed egli Seco recava nel fatai cammino Il rapito dal ciel fuoco divino. Se non che dura a tergo Gli si premea la Forza e la ferrata Necessità : scuotea V una i legami De r adamante eterno, e l'altra i chiovi Con la imminente mano Su la fronte stendea del gran Titano:
JUVENILIA 1 1 1
Mentre il Saturnio ne la rupe infame Instigava del negro augel la fame. Ma rinfiammò in Orfeo L' inestinguibil foco, ed egli mosse II duro sasso de le umane menti Citareggiando e le foreste aurite; Fin che pittore de V uman pensiero Pari a* numi ed al fato alzossi Omero.
112 JUVENILIA
LIX.
OMERO
. 1 ra le morti e V alte
Ruine de gli umani e lo sgomento Viaggiando la Parca, il ferreo carro Agitava la Forza; e lei reina La Vittoria seguia con il compianto De la terra e del cielo. Al doloroso Genere allora sovvenian le Muse, Care fra tutti gì* immortali e pie Divinità. Correvate la terra Imaginando e ricordando, e tempio V era V uman pensiero, o pellegrine ; Quando voi nel sonante etra, ne V ampio De la luce splendor, ne la procella Che divina scoscende e i cori prostra. Prima Omero senti. La mano ei porse A la cetra, e lo sguardo al mar di molte Isole verdi popolato, al cielo Almo su la beata Eubèa raggiante.
JUVENILIA 1 13
E a voi tessali. monti esercitati Dal pie de gì' immortali. Ardea, fremea, Trasumanato, il giovinetto; e mille Di numi ombre e d* eroi nel faticato Petto surgeano a domandargli il canto.
Ed ei pregò, la genitrice Terra Molto adorando e il Cielo antico; e a* suoi Vóti secondo te chiamò che in alto Hai sede e regni V invernai Dodona, Giove pelasgo. E voi spesso invocando, Voi già prodotti in più sereno giorno Eroi figli de' numi e di tiranni Domatori e di mostri, e quei che forti Furo e co' forti combatteano, venne Del re Pelide al tumulo. E sedeva Inneggiando, e chiamava — O crollatore Terribile de r asta, o d' immortali Cavalli agitato r, mostrati al vate, Uom nato de la diva. Un fatai canto. Ecco, io medito a te; che n' abbian gloria Eliade "e Ftia regale e d' Eaco i figli. Incremento di Giove. E, deh m'assenta. Questo vóto la Parca ! io ne la gloria Tua de gli cileni il bel nome disperso Raccoglierò poeta. Odo, la diva Odo: e di te la grave ira mi canta. O re Pelide, al tuo poeta mostrati. —
Carducci. 8
Disse. E l'udia l'eroe; che da le belle Isole fortunate ove i concenti De' vati ascolta e quanto a' numi è caro Chi a la patria versò 1' anima grande, Venne; ed in sue divine armi lucente [sfolgorava deiforme. Un sole Eran armi e sembiante; e come stella Di Giove che in sereno aere declina, Pioveagli su le spalle ampie il cimiero Flutto di chiome equine. E Omero il vide Attonito; né più gli occhi d'Omero Vider ne i campi d' Argo il dolce sole.
Né se'n pianse il poeta. Errò mendico ( E avea ne gli occhi la stupenda forma ) Il suol de i forti elleni; e le cittadi, Opra di numi, ei non vedea; si tutte Di lor sedi erompean le achee cittadi A l'incontro del vate. Un drappelletto Di garzoni e fanciulle (avevan bianco Il vestimento e lauri in pugno avvolti De la mistica lana) intorno al vate Stringeasi con amor: — Vieni, o poeta, A i nostri numi ; e i nostri avi ne canta — E r adducean per mano. Egli passava: Gli ondeggiavan di popolo le strade; E le madri accorreano, i pargoletti Protendendo al poeta. Orava a' numi Ne l'entrar de le porte — 0 dii paterni
JUVENILIA 1 15
E o dee che avete la cittade in cura, Deh guardatela mólti anni a' nepotì. — Ne r agora sedea, curvo a la teiTa Il capo venerando ; e parca Giove Quando ne V areopago discende Da la reggia d'olimpo. Erangli intorno In su r aste di lunga ombra appoggiati I prenci figli de gli eroi: diverso E d' infanti e di femmine e di vegli E di chiomati giovinetti, un vulgo Addensato co gli omeri attendea. Stavan presenti i patrii numi : il cielo Patrio rideva in suo diffuso lume Allegrato del sol : riscintillando In vista ardea la ionia onda famosa, E biancheggiavan lunge i traci monti. Ed Omero cantò. Cantò di un nume Che in nube argentea chiuso ognora il petto Assecura de' giusti ; e come il divo Senno di Palla per cotanto mare Di perigli e di morte al caro amplesso Radducea di Penelope e a la vista De la sua cilestrina isola Ulisse. Anche, su'l capo a gli empi assidua. V ira Minacciando ed il fato, a IValme leggi De r umano consorzio e a la. vendetta Le deità d' averno addusse il vate Proteggitrici forze : onde solenne La ruina di Troia, e spirò il duolo
116 JUVENIIJA
Dal tragico terrore e il miserando Edippp da le attèe scene ed Oreste Esagitaron l'anime cruente.
Ecco ! gì* immoti e spenti occhi levando Nel cielo e desiando il sol che vide Le guerre sotto il sacro Ilio pugnate, Di tutto il capo alzasi il veglio; e Grecia, Senza moto e respiro, in lui riguarda. Ecco ! la man su V apollinea cetera Rapidissima batte, orride stridono Le ionie corde, i volti impallidiscono. E cantò del Tidide a tutta corsa Disfrenante su* Dardani la biga. Dritto ei nel mezzo, e mena Tasta in volta: Caggiono i corpi: infuriano nel sangue I corridor fumanti : urla la. morte Dietro r eroe : corron le furie innanzi. Lo spavento, la fuga. E te piantato In su la nave, o re Telamonide, Cantò; come e del gran corpo e de Tasta Grande e ben ventidue cubiti lunga Reggei lo sforzo de la pugna, ed eri Solo tu contro mille: a fronte urlavano, Accorrenti, irrompenti, risplendenti D' armi e di faci i Teucri : Ettor crollava Con man la poppa: sovra èrati Apollo E T egida scotea : tonava il padre Da T olimpo su' greci : affaticato
JUVENILIA 117
A te cadeva il braccio, e ti battea Alto anelito i fianchi — Oh viva, oh viva ! — Gridan V anime aChive asta con asta Percotendo, e il clamor levan di guerra. Balza il poeta; e la canizie santa Scote e la fronte ampia serena, in vista Nume veracemente. -— Udite, o figli : La gloria udite de la lega ellèna, Achille ftio sangue di Giove. — E disse Come d'un grido (gli splendea dal capo Di Pallade la luce) isbigotti Le dàrdane caterve; impauriti Ricalcitraro orribili i cavalli, Ed annitrendo sbaragliati i cocchi Rapivano a le mura: e qual con Csanto Fiume di Giove ei contrastasse ; e come Dopo la biga, a le difese mura Intorno, egli il divin corpo di Ettorre Tre volte orribilmente istrascicasse Entro r iliaca polve. Armi fremendo E prenci e vulgo gridano il peana : Marte spiran gli sguardi : e tutti in cuore Già calcavan nemici, e a le paterne Are affiggean le belle armi votate. Ma pio davan le argèe vergini un pianto Su la morte di Ettorre: e chi a la cara Patria e a le spose e a' pargoletti imbelli E|[a' templi santi il suo sangue fea sacro. Gioia avea de la morte: onde nel giorno
118 JUVENIUA
De le battaglie infuriò tra\Medi
La virtù greca, e il nome Atene e V ire
Commise del potente Eschilo al canto.
JUVENILIA 119
LX.
DANTE
i^ orti ;sembianze di novella vita
Circondar la tua cuna,
O re del canto che più alto mira.
Gentil virago ardita,
Quale non vider mai le argive isponde
Né le latine, e d' amor balda e d' ira,
A te venia la bella
Toscana libertade; e il pargoletto
Già magnanirfio petto
Ti confortava de la sua mammella.
Tutta accesa ne'raggi di sua sfera^
Mite insieme ed austefa.
Venne la fede; e per un popoloso
Di visioni e d' ombre oscuro lito
La porta ti mostrò de V infinito.
Gemebondo e pensoso^ e pur di rose
Ad altr'aUra fiorite il crin splendente,
Con te si stette amore
120 JUVENILIA
Lunga stagione; e si soavi cose Ti parlò con le labbra vereconde, E si dolce ti entrò le vie del core, Che niuno al par di te sentio d* amore.
Ma spesso ancor dal meditar solingo,
O giovinetto schivo,
Te scuotevan clamor fiero e tumulto
E furor di fratelli
Duellanti ad uccidersi. Stridenti
Per le vicine mura
Civili fiamme udisti ; e dònne udisti
Ferire a grida il ciel, che V are e i letti
E i fuochi almi e le cune,
E tutto ciò che bello
Fé' a gli occhi loro il maritale ostello,
Tutto scorgeano in ampio ardore involto,
E ruinare in armi esso marito
Da gli amplessi erompendo, e i giovinetti
Armi gridar, sdegno anelando e stragi.
E tu vedesti un furiar di spade
Cercanti a morte i petti,
E nel guerrier che cade
Minacciar viva la bestemmia e Tira,
E in gran sangue confuse
Bionde teste e canute, e a. libertarie
Spettacolo di umane ostie esecrate
Dar le furie, e crollar truce la morte
Le immani torri e le ferrate porte.
JUVENILIA 121
Crebbe tra i feri obietti
L'italo andito spirto-; ' "' -^
E, al lungo odio ci vii pregando fiiie,
D' amor si pure imagini e sf nove ■
Vide e ritrasse a T ombra
D'un mirto giovinetto
Che le inchina adorando ogni inteltótto.
Lui dal soave» inganno
Destò vote di' piatito ;
Sonando amara sù'l imatefnò ^fiurae.
Ahi, dal tùrbine infranto •
Giacque il' tìei ntirto, e con apierte piume
La colomba d^amofe- ahi se n'è gita
Impetrando ài suo volo àura più pura;
Ei per entro 1- oscura
Caligine de' secoli ondeggiante
Rifuggi tra le antiche ombre famose,
Ch' ebbe sé irt- odio e le presenti cose,
Ed usci, nel crepuscolo, gigante.
Ed ombra apparve ei stesso ; ombra crucciosa.
Che ad una ad una interroga 1^ tombe
Nel deserto, e le abbraccia ad una ad una;
Fin che dinanzi a lui tra le mine ■■' -
Barbariche e la pólve
Fumò il vigor de le virtù latine,- '•
E tutto quel che una fuina invòlv^
Feri l'aura silente* •
Di un grido alto é' possente.
Ne l'alta visione
122 JUVENIUA
Divin surse il poeta; e disdegnando
La triste Italia e per mancar d* obietto
Pargoleggiante il gran vigor natio,
Te salutò. in desio,
Alma Italia novella,
Una d' armi di leggi e di favella. .
A riportar nel vero
Imagine cotanta, egli la vita. .
Che per lo mar de 1* essere si . voi ve
Cercò; d'entro la polve
E dal suon del passato il- bene e il male
Trasse, vate fatale: e la sua voce
Come voce di Dio da' sette colli
Tuonò §u'l mondo, e tutti a sé d'intorno
I secoli evocò. Giudice e donno
In lor suo sguardo mise;
Ammirò e pianse, disdegnò e sorrise:
Poi li schierava ne V eterno canto.
Piacendo pure a sé di poter tanto.
Ma questa umile aiuola
Ove si piange e s' odia,
E questo eterno inganno, e questa vana
Ombra e' ha nome vita ed è si bassa,
Pera in dispetto. Poi che il sacro verso
A tutto r universo
Descrisse fondo, e il buon sofo gentile
Te mise dentro a le secrete cose,
Veder volesti come V angel vede
JUVENIUA 123
Colà dove non è di nebbia velo,
Amar volesti come s' ama in cielo.
Su per le vie d' amore
Quest' umil creatura
Risospingendo innanzi al creatore,
Quetar volesti in queir eterno vero
Che il grande amor ti dette e il gran pensiero.
Cesse Virgilio a tanto;
E tu deserto e solo
Spirito uman, per entro il gran desio
Sommerso vaneggiavi, e dubitando
Tu disperavi : quando
Su r angeliche penne
Al tuo dolor sovvenne
Quella eh' è amore e visione e luce
Tra r intelletto e M vero :
Nomarla a me lingua mortai non lice;
Tu la dicesti, amando, Beatrice.
Cosi di sfera in sfera,
Tutto era melodia quello che udivi,
Tutto quel che vedevi era una luce, .
E tutti quanti erano amore i sensi,
E lo spirto ed il verso un' armonia
Simile a quejl4 che là su s' india.
Deh, qual parveti allora Quest' umil patria e qual de le partite Città la lite (ahi come quella eterna Che sempre trista fa la valle interna!),
124 JUVENiLIA
Quando novellamente
Di ciel disceso ne portavi il canto
Supremo, e tutto avevi il nume in fronte,
Come l'antico che scendea dal monte?
Innanzi a te, splendente
Pur anche nel fulgor del regno santo,
Balenò di vermiglia
Luce il campo feral di Montaperto,
E pe'l tristo deserto
De le crete maligne
Un fioco suon correa
Come sospir di battaglier morenti ;
Cui lontan rispondea
Con un rumor di molto pianto umano
Di Campaldino il maledetto piano.
E tu dal mar toscano,
Rea Meloria, sorgesti;
E la gloria dicesti
De le nefande stragi, e da la nostra
Rabbia infamati i sassi ermi al Tirreno,
E '1 grande equoreo seno
Incestato di sangue, e tristo il bello
Ligure lito di pisani esigli,
E nati solo al fratricidio i figli.
JUVENIUA 125
LXI. BEATRICE
L.a luminosa testa -
Dritta al ciel sorridea,
E il collo si volgea — roseo fulgente.
La fronte splend'fente,
Alta, serena, bella,
E la rosa novella — del suo viso
E il freschissimo riso
Di pura giovinezza
Mi svegliaron dolcezza — nova in cuore.
Ma di soave orrore Tutto mi sbigottiva De la persona diva — il portamento.
Ondeggiava co '1 vento
A r aere mattutina.
La vesta cilestrina — e il bianco velo.
126 JUVENILIA
Cosi donna dal cielo
Mi passava d' avanti
Angelica in sembianti — e tutta accesa.
La mente mia sospesa
Pur a lei riguardava,
E r alma quietava — sospirando.
Poi dissi = Or come, or quando
Fu la terra si degna
Che tal d' amore insegna — in lei si posi ?
Che padri avventurosi
Al secol ti donaro?
Che tempi ti portaro — cosi bella?
Qual più serena stella
Prima forma t' accolse ?
Qual divo amor t' avvolse — del suo lume ?
Ben fia V uman costume
Volto a segno felice
Se di te beatrice — si ricrea. =«
= Non donna, io sono idea
Che a r uomo il ciel propose
Quando de V alte cose — ardean gli studi,
JUVENILIA 127
E i cuor non anche nudi
Di lor potenza ignita
Combattean con la vita — aspra e co '1 vero,
E al valido pensiero
E a la balda speranza
Diér r armi di costanza — amor e fede.
Allor d' aerea sede
Tra quei gagliardi io venni,
Ed accesi e sostenni — le tenzoni,
E stretta a' miei campioni
Fei ne V amplesso forte
Bella parer la morte — e la disfatta.
Da i vaghi ingegni tratta
In versi ed in colori
Io vagai tra gli allori — in riva d' Arno.
Voi mi cercate ind^-rno
Ne' vostri angusti lari.
Non Bice Portinari, — io son V idea. ==
128 JUVENILIA
LXII.
AGL' ITALIANI
D:
ivinatrice d'altre genti indaghe Barbari flutti la britanna prora Là dove l' indo pelago colora L' ultime plaghe :
Artici ghiacci a* liberi navili Vietino indarno i bene invasi mari, E '1 fero lito d' Orenoco impari Culti civili :
Frema natura, e i combattuti arcani Ceda a V intenta chimica pupilla : Fulminea voli elettrica scintilla Per gli oceani :
JUVENILIA 129
Umana industria in divo lume avvolta Spezzi il mistero e le sognate porte, E minacciando insqltino a la morte Galvani e Volta:
Che vai, se in vizi pallidi feconda Del lento morbo suo V età si gode E colpe antiche di moderna lode Orna e circonda?
Odi sonare i facili profeti Con larga bocca e Cristo ed evangelo, Odi rapiti in santo ardor di cielo Sofi e poeti
Vaticinanti — Da V avita asprezza Nel mitic'oro il docil tempo riede: Del lauro antico degnamente erede La giovinezza y'
Già de la patria medita V onore : Gli anni volanti interroga la speme: Guatan placati al bello italo seme Gloria e valore. —
Oh non di forza un secol guasto allieta Sillogismo di mistica sofia, Non clamor di tribuni e non follia D' ebro poeta.
Carducci. 9
130 JUVENILIA
Putre fluisce, e ne le sue sorgive Livida già la vita: da le prime Cune r inerzia noi caduche opprime Genti mal vive.
Quando virtude con fuggenti piume Sprezza la terra e chiede altro sentiero, L'ardor del buono e lo splendor del vero Rado s'alluma.
Languido il cor gli spirti suoi più belli Ammorza e stagna torbida la mente, Speme si vela e disdegnosamente Guarda a gli avelli.
O padri antichi, a* vostri petti degno Culto eran patria e libertà; verace Vita agitava l'anima capace E il forte ingegno.
Pii documenti di civil costume, Opre gentili, e amore intellettivo Del buon del vero del decente, e vivo D' esempi lume
Vedeano i figli ne la sacra etate De' genitori e ne'pudichi lari; E sobri uscieno cittadini cari Ne la cittate.
JUVENILIA 131
Crescean nel lieto strepito frequente De le officine, gioventù severa, Forte le membra, indomita ed intera Ualma e la mente.
Durar nel ferro il giovin corpo altiero, Vegliar le notti gelide, ed immoti Prostrare a morte libera devoti Marte straniero,
Fùr loro studi. Poi con man trattando. Con trionfale mano, e lane e sete. Appesì a la domestica parete V asta ed il brando,
A le pie mogli dissero le dure Fortune de le pugne, ulte le offese Ne le barbare torme al pian distese, E le paure
De le regie consorti e gli anelanti Sogni su M fato del signor. Pietose De i dolori non suoi piangean le spose Memori pianti.
Ma il figliuoletto, le domate squadre Seco pensando ed il clamor di guerra. Con occhio ingordo riguardò da terra L'armi del padre;
132 JUVENILIA
E crebbe fero giovinetto, spene Cara a la patria e forza di sua gente. Bello di gioventù, d'armi lucente, Ei viene, ei viene.
Suonano i campi sotto il gran cavallo Che altero agita in corso onda di chiome Fuggon le schiere e pavide il suo nome Gridan nel vallo.
Chi fia che tenti quel novel lione? Morte de la sua vista esce e paura. Ei passa, e pianta su le vinte mura Il gonfalone.
Or tòsco a i figli è il prepotente canto >^ E il docil guizzo de' seguaci moti Onde vergogna passerà a i nepoti D'Ellsler il vanto.
Vile ed infame chi annebbiò il pudico Fior de' tuoi sensi ne' frementi balli, O giovinetta, e stimolò de' falli Il germe antico!
E maledetta la procace nota Ch' alto ti scuote il bel virgineo petto E che nel foco del segreto affetto Tinge la gota !
JUVENILIA 133
Gioite, o padri ; e a T alma ed a la mente Galliche fole di peccar mezzane Ésca porgete. Da le carte insane \ Surga sapiente,
Surga e proceda l'erudita e bella Vostra Lucrezia a gP itali mariti. Pura accrescendo a i sacri rami aviti Fronda novella.
Ma non di tal vasello uscia l'antico ; Guerrier, che a sciolte redini, feroce, Premea de T asta infensa e de la voce Te, Federico.
O di cor peregrina e di favella
E di vesti e di vizi, o in odio a' numi
E a gli avi ed a la patria, or che presumi,
Stirpe rubella?
Sgombra di te la sacra terra; o in fondo Putrida giaci dal tuo morbo sfatta, E i vanti posa e la superbia matta, Favola al mondo.
Oh, poi ch'avverso è il fato ed a noi giova L' oblio perenne e i gravi pesi e 1' onte. Rompa su d' oltre mare e d' oltre monte Barbarie nova!
134 JUVENILIA
Frughili de gli avi ne le tombe sante Con le spade ne' figli insanguinate, E calpestin le sacre al vento date i Ossa di Dante.
JUVENILIA 135
LXIII. A ENRICO PAZZI
QUANDO SCOLPIVA IL BUSTO DI VITTORIO ALFIERI E ALTRI d'altri ILLUSTRI UOMINI
X erché sdegno di fati
E l'ozio reo che nostre voglie ha piene
Vie più ti prema, italo sangue, in basso,
Né tu ti volga o guati,
Peregrin tardo e vuoto d' ogni spene,
A le glorie che son sovra il tuo passo ;
Non è senza gV iddii se teco in basso
Luogo ancor non ruina
Ogni antica virtù : che in te sormonta
Viltade si eh' ogni speranza è gioco.
Oh, se pur sotto a! gravi pesi e a 1* onta
Sfavilla ancor di quel leggiadro foco
Che tutta corse un di terra latina,
Vostra mercé, petti gentili, dove
Or fa nostro valor V ultime prove.
136 JUVENILIA
E te a la bella schiera
Il fortissimo amor fece consorte
Che oprando hai mostro per si nove guise.
Deh chi potea la fiera
E grande imago vendicar da morte,
Di noi da ignavia rea menti conquise ?
Te, certo, te T ombra divina arrise;
Si eh' eguale al subietto
Tua virtù si levò. D' amor, d' iroso
Amor vampo su Talta impresa il core.
Come cred' io che al ciglio lacrimoso
E a rocchio ardente ed a Tansar del petto
Si paresse il magnanimo furore !
Che nulla, o prode, è di tua man la bella
Lode verso il pensier che in te favella.
O caro, a cui possente
Spirò pietà di questa madre antica
E a r opra degna carità suase !
Vedi la nova gente
Come a' parenti suoi fatta è nemica
E deserta di sua luce rimase.
Rea servitù gli antichi spirti rase
Da' cor difformi; e ornai
A noi disnaturar fatti slam pronti,
Come turbo d' usanza avvien che spiri.
Ahi scesa giù de' mal vietati monti
Pèste diversa che le menti aggiri;
Per te vita n' è spenta. E nostri guai
JUVENILIA 137
Cresce la vana gioventù superba
Che tutti i frutti suoi consuma in erba.
Alto è d* amor consiglio
Ritornare al primier rito civile
Quel che di tanta gloria oggi ci avanza,
Si che dal turpe esiglio
Ripigli r arte il suo cammin, gentile
Confortatrice a V itala speranza.
Deh, per questa valente abbìan possanza
Indurre a' cor vergogna
Le imagini de* grandi in cui s'aduna
Quantunque è del buon seme a' tèmpi nostri.
Ben procurasti contro rea fortuna.
Se le dive sembianze or si ne mostri,
Ch'esciam del sonno, ove nostr'alma agogna
Disdegnando e fremendo. È degno affetto
Ira, sol ira, in servo italo petto.
Vittorio, e s' or ne pari
Tu qui veracemente e quel tuo sdegno
Che sol del ricordar ne fa sgomenti,
Qual fia V anima pari
A tanta vista e M ben creato ingegno
Che sé da V ira tempri e da' lamenti ?
Lunge, lunge di qua, spiriti lenti !
Ch' ove gli affetti erranti
Fioca dan luce, ed a 1' ardir sublime
Che contrasta il destino uom non s'allegra
138 JUVENILIA
Ove contente a la quiete ed ime
Giaccion le menti, e scherno ahi scherno a V egra
Gioventute è il desio del raro e i pianti
De la virtude e V ire ; ivi alta V ombra
Di morte incombe e i cuor disfatti ingombra.
Tu '1 sai, che nostra terra.
Errando del tuo sdegno in compagnia.
Del sacro suon di libertade empiesti;
Quando venuto in guerra
Di re, di plebi e di tua stirpe ria
Tanto pe '1 patrio ciel grido mettesti :
Pur si stierono i lenti. Or più funesti,
O spirito cortese,
Ne si girano i fati ; e nulla afta
Veggo a mia gente che tra via pur cade.
Dunque sempre smarrita
Fia dal suo corso? e in noi sempre viltade
Suo soverchio userà? fien d'ozio offese
Nostre menti in eterno? e veramente
Persa è la tempra di ciascun valente?
Chi provvede al difetto
Ch' è pur da noi ? chi noi d' oblio ravvolti
Di pur rinnovellare or ne fa dono?
Ecco un sacro intelletto
Ascoso dir, te figurando — I volti
Drizzate al ver: sorga il valor eh' è prono.
Costui che novamente io vi ridóno
JUVENILIA 139*
Alzi il cor de' sommersi ;
E chi muta co '1 vento e nome e lato
Sgridi; e punga i ritrosi, e i lenti scota;
Si che tornin le menti al proprio stato.
Nostra compianta fama e la rimota
Età ve 'n priega, e questi onde a gli avversi
Chiaro fu come in su gli estremi giorni
L' itala possa sovra sé ritorni.
Pietoso ! E chi d' uguali
Laudi te, o buono, adornerà, che prove
Si degne mostri onde a ben far e' incore ?
Segui: a' tuoi liberali
Studi è fin meraviglia, e di lei move
Ogni bel senso onde più V uom s' onore.
Per lei, V atra quiete e le brevi ore
Terrene e le fatate
Pene indignando, a' vagheggiati inganni
Corre nostr'alma con novelle piume,
E maggior se ne fa. Deh, siegui; e gli anni
Tuoi belli ozio non vinca e rio costume,
Cara nostra speranza; e d'onorate
Opre giovando questa patria, al vile
Sopor contrasti V ardir tuo gentile.
140 JUVENILIA
LXIV, . LAUDA SPIRITUALE
1 ogliete, umana gente, Togliete via le porte: Io veggo a voi venirsene un potente Che mena gloria ed ha vinto la morte.
Non sorge innanzi a lui suon di paura, Non compianto di turba dolorosa : Si fagli festa tutta la natura Adorna in vista di novella sposa. Date il lauro immortai, date la rosa, Fanciulle, in suo cammino, Con la bianchezza del fior gelsomino.
Ecco, ei viene il re forte incoronato Con segno di vittoria in mezzo a nui: Fuggon dal volto suo morte e peccato, Movon pace e salute ad un con lui. Viene il signor che de' ribelli sui In sé portò la pena, E ne ricomperò con la sua vena.
JUVENILIA 141
Ei ne si fece nel dolor consorte, E tolse i nostri pesi e tolse V onte : Stiè nera intorno a lui V ombra di morte, Né volse il padre al chiamar suo la fronte; Quel di che rimirando al sacro monte Uscir de' sepolcreti I santi d' Israele ed i profeti.
Egli è r Isacco del buon tempo antico Che porge al ferro il bel collo gentile, E guarda il percussor con volto amico, E gli si atterra semplice ed umile: Né il tien pietà del suo fior giovenile Né de la fine amara Né de gli amplessi de la madre Sara.
Ed or la morte sua testimoniando Qui seco trae la diva umanitade, Tutto di gioia intorno irradiando Si come sole eh' ogni nebbia rade ; E gli alberghi del pianto e le contrade Ove mortale è il lume Ei conforta del suo presente nume.
A lui ne' regni de la sua vittoria Reggia s' estolle d' artificio mira : Cingelo come nube la sua gloria, E molto amore angelico lo gira. Voli dal loco ove il dolor sospira
142 JUVENILIA
E vive morte e regna,
Voli il mio canto a lui che si ne degna:
E gli appresenti il duol de la sua gente Che dal ben dilungata al ben desia, Come cerva per sete a rio corrente, Come augel preso a V aere natia. Ei da la spera che più in lui s' india Mandi benigno un raggio A chi più affanna ed erra in suo viaggio.
Levate, umana gente. Levate su le voglie E i petti casti a questo re clemente Che quale a lui si volga in fede accoglie.
JUVENILIA 143
LXV. ALLA MEMORIA DI D. C.
MORTOSI DI FERRO IL IV NOVEMBRE MDCCCLVII
i e, fratel, piango, e piango de la bruna Tua giornata l'occaso, che seduto Ne le stanze paterne al cor più sento. Lenta sale pe M freddo aere la luna, E largamente il cielo inalba, e il muto Colle riveste e M nudo pian d' argento : Per li verdi oliveti infuria il vento Profondo, e intorno ogni animai si tace. Nel riso e nel tepor di primavera, Tristo cor mio, qual era Di questi luoghi la serena pace! Qual fu a vederlo con ardor virile Ruotare in breve giro agii destriero E disserrarlo per V aperto campo ! Gli occhi suoi mesti allor metteano un lampo, Correa co' freschi venti il suo pensiero De Tanno e de Tetà nel dolce aprile;
144 JUVENILIA
^ -^ ~\,-^-v • ^
Qualche sguardo il seguia, qualche gentile Saluto; e forse ombra invocata i rotti Sogni allietava a le virginee notti.
Lasso! ma in groppa gli sedea la cura Negra, e stridea la vision di morte Pur circa lui con fredda ombra volante; E per i lieti campi a la pianura E i monti aprici e la foresta forte Isti molava il destriero anelante. Poi là seduto ove di fosche piante Lunga si protendea l' ombra, tacendo La terra e V azzurrino aèr d' intorno, Co M bello estivo giorno Che roseo nel ponente iva morendo Pianse 1' error suo vago che a V etade L'abbandonava; e l'anima inquieta Desiando fermò ne le supreme Paci anzi tempo. O giovinetto, e speme Niuna a te avanza altro che morte? pietà De gli anni tuoi da le funeree strade Non ti richiama? ahi, ahi, né caritade De'pii parenti ti favella al core, Né ride al fuggitivo animo amore?
Pietà, speranza, amor, tu con feroce Voglia dal cuor che mercé pur chiamava (Deh quanta doglia fu la tua!) schiantasti; E, atteso e fermo a la funerea voce
JUVENILIA 145
Che il disinganno a l'anima ululava
Qual vento a notte per deserti vasti,
Refugio a la fatale ira invocasti
Unico il ferro. Oh, a chi nel raggio aurato
Vegga maligne ombre vaganti e vuoto
Il divo cielo e immoto
Su M capo faticoso urgere il fato
Che al dolore a la pena al male addice
Lui de la vita incurioso e ignaro,
Qua giù che resta ornai ? Ne l' innocente
Mano il ferro adattando e lungamente
Meditando amoroso il colpo amaro,
Ti sacrasti a la morte. E di felice
Vita fioria natura, e la pendice
Suonava a' canti e ridea M piano al sole,
Quando dicesti 1' ultime parole.
— A me luce non più, non più M tuo riso,
O aureo sole. Io violento i fati
Ecco sforzo, e rifuggo ombra sotterra.
O altissima quiete ove diviso
Poserò d'ogni cura, o interminati
Silenzi e pace dopo varia guerra!
Pur se'giocorida a rimirare, o terra!
Pur bello, o sol, sei tu? Natura in festa
Come a rege a te s'orna; e d'un concento
Ineffabile io sento
Spirar le selve, che '1 tuo lume desta
Dolce fulgente.- E tu, tu gli amorosi
Carducci. 10
146 JUVENILIA
Congressi illustri e la fraterna clade Miri ed aiuti, imperturbato, eguale? Ed or m' arridi in fronte, e su '1 letale Ferro che a me volente il petto invade Serenamente il vivo raggio posi. Lusinghi tu de' primi anni gli ascosi Ricordi, e di gioir versi il desio In questo petto morituro mio?
Oh cari tempi eh' io te coruscante
Vedea su *1 mare ; e fremea vasta V onda
Riscintillando, e bianco ardeva il cielo!
Né aspetto d' uomo od opra umana avante
Erami; ed io per entro la profonda
Luce correva a V alta vista anelo :
Meco era V error mio che un roseo velo
Induceva a le cose. Oh, chi V ha tolto
A me? chi m'ha l'infausta vita appreso?
Entro il mio sangue steso
Me in freddo orror per la mia man disciolto
Reduce, o sol, vedrai. Fumi in conspetto
Di lei eh' è al gener nostro empia madrigna
Il sangue giovenil: contaminando
De' miei parenti il viso, esso il nefando
Vivere attesti; e, lunge a la maligna
Forza eh' a le sue man del mondo ha stretto
Il fren, su l'ale de la morte eretto
Fugga lo spirto ove non più si paté
E di man di tiranni a libertate.
JUVENILIA 147
" v_ ^ -, >.., -
Grave durar la vita ed a baldanza
De i duri umani, io non codardo? e quello
Che largo a' bruti e libero propose
Natura, a V uom chiedere in vano ? A stanza
Si vii che mi dannò?... Del mio novello
Tempo il vigile tedio atre angosciose
L' ore misura, e le future cose.
Tanto eh' a imaginar disdegno e tremo,
M'affrontan mute orribilmente in vista.
O lassa anima trista,
O giovinezza mia stanca, morremo.
Qual peregrin che va per nova via
Tra genti liete ei mesto, e quelle intorno
Agitan festa, ragguarda egli e passa
Pur dolorando, e meraviglia lassa
Di suoi sembianti, onde al cader del giorno
Di lui sospira alcuna anima pia;
Tale io passo al mio fin, tale a la mia
Mèta son giunto. A me chi guarda? a cui
Del mio passar dorrà?... Che monta? Io fui. —
Disse: e geloso custodi nel core,
Nel cor vivente ei custodi la morte.
Come di cara donna il primo detto:
E non domestic' uso e non amore
Ne la deliberata anima forte
Valse Torma a spiar del diro affetto.
Come, ahi come a te il cor bastò, T aspetto
Come ti resse, che non tinto e bianco
148 JUVENILIA
Del futuro destino e non in tristi
Sembianti ma venisti
Nel conspetto de' tuoi securo e franco?
Certo, fero garzon, certo evitasti
Il riso ne' materni occhi tremante;
E solitario ne la notte inferna
Rifuggiasi il tuo sguardo. Ecco, e V interna
Larva già fuor di te sorge e d'avante
Sgombra le care viste e i pensier casti.
Ma dal suol che di tue vene bagnasti
La mente aborre, e teco dolorosa
Ne la pace postrema si riposa.
Salve: o che più sereno aèr tu miri Poi che di Lete infuso a le bell'acque Dal rio dormente i dolci oblii bevesti,
0 ver che giovinetta ombra t' aggiri
Tra i magnanimi antichi a cui non spiacque
1 giorni ricusare ignavi e mesti,
0 che tu vaghi ancor sotto i celesti Templi solingo ed a me intorno voli Entro quest' aura che gemendo spira. Salve, o fratello, e mira
1 tristi giorni miei come van soli.
Ben io vivrò; che a me l'anima avvinta
Di più tenace creta ha la natura,
E officio forse e carità il suade:
Ma, se dal cor profondo unqua mi cade
La dolce imagin tua triste e secura,
JUVENILIA 149
Giaccia la vita mia d' infamia cinta. Sii meco eterno; e nel tuo sangue tinta Del verso vibrerò l'alta saetta A far nel mondo reo dolce vendetta.
150 JUVENILIA
LXVI.
A G. B. NICCOLINI QUANDO PUBBLICÒ IL Mario
SETT. MDCCCLVIII
V<suando T aspro fratefdi Cinegira
Ne la sonante scena
Trasse vestita d' ardue forme T ira
Che propugnò la libertade ellena,
Marte, che lui spingea tra i dardi avversi
Su ^' incalzati Persi,
Spirò guerra; e fremean guerra, ascoltando^
Quei che operaro in Salamina il brando.
E tu vedesti, o diva Atene, i padri
De' guerrier trionfati
Nel futuro dolor pensosi ed adri
Gemer da' figli deprecando i fati.
Neri presàgi ombrar con foschi vanni
Le sale de' tiranni,
E da la mira vision percossa
Svegliar ne V urne ombre di regi Atossa.
JUVENILIA 151
Quinci il sepolto Dario a l'aure uscfa
Da la livida sponda,
E nel piatito de' servi il rege udia
La vittoria de' liberi seconda;
Udia ne' passi de la fuga volto
II figlio imbelle e stòlto,
E sonar alto da l'egea marina
Il fragor de la persica ruina.
Deh, che fremito errò di petto in petto
Quando il cacciato Serse,
Gentil città d'Armodio, in tuo conspetto
Narrò gli aricisi prenci e le riverse
Caterve -e rotti di sua forza i nervi,
E a gli ululanti servi
Mostrò campate a l' infinita clade
Sol la faretra e sua regal viltade!
Tale a la prole acheà gli ozi felici
Di canti Eschilo ornava,
Se r Egeo, detestata onda a' nemici,
Altier de' vinti re lui rimandava.
Ma pria tra la falange ispida e vasta
Infuriò con l'asta;
E, come de l'Olimpo aquila o d'Ato
Piomba tra 'l folgorar del cielo, armato
152 JUVENILIA
Cotal su i mille e mille egli irrompea
Fuga spargendo e morte;
Fera coppia fraterna, al fianco avea
L* atroce Cinegira e Aminia il forte.
Né de le tibie flebili o del canto
Ozio si fece e vanto;
Ma dal funereo sasso ei Maratone
Ricorda, e tace le febee corone.
Fu pugna e sfida contro i fati ardita^.
Fu clamor di trofei
D' Eschilo l'arte; e sgorga da la vita
E refluisce vita a'.petti achei. .
Non dispetto infingardo o steril ira
Né solitudin dira
Cinge il vate ; ma luce ampia ma polve
E frequenza di popolo V avvolvie.
Te, vate nostro, a' rei secoli dato . ,.
Quando vita n' è spenta,
Te premea reluttante il grave fato
Giù nel silenzio a V aèr putre e lenta.
Te, non furor di libera coorte
Che consacra a la morte
Con quel de' regi il capo suo, né grido
Di vittoria che introna il patrio lido,
JUVENILIA 153
Ma lamentar di giovini cadenti
Su la terra pugnata
E tra i cavalli barbari accorrenti
Cupo fremir di libertà calcata,
Spirava. E in te nostr* ultimo dolore
Alcun vendicatore
S' ebbe, e de gli oppressori al gener vario
Precida minacciasti, Arnaldo e Mario.
Or d' onde, o sacro veglio, è in te possanza
Tal che di vivi sdegni
Armi antiche memorie e là speranza
A noi disfatte e nlute anime insegni?
Dunque T eterna meilte ancóra è pia
A questa patria mia,
Che pur tu duri in contro al fato ostile
Cantor dMtalia a la stagion servile?
E quando più da peregrino impero
V alta regina è stretta.
Tu affatichi il senile estro e il pensiero
Dietro rimago de la gran vendetta?
Ben venga Mario che del gener reo
Porta il roman trofeo
E nel cor de' romultì nepoti
Aderge le speranze e infiamma i vóti!
154 JUVENILIA
Che, se il figliuol d' Euf orlon traea
Melpomene pensosa
Ad inneggiar la libertade achea
Sedente su lo scudo e gloriosa,
Non è lode minor, s'io ben riguardo,
Or che V uso codardo,
Fuor de la vita i sacri ingegni serra,
Almen co '1 verso guerreggiar la guerra.
Or, poi eh' altro n' è tolto, or guerra indica
Da' teatri la musa;
Gitti il flauto dolente, e la lorica
Stringa, ed a l'aste dia la man già usa.
Quinci altera virtù ne' nuovi ■ petti
Bevano i giovinetti :
Qui la virile età V ardir prepari,
E che sia patria T util plebe impari. .
E a te, che in vecchie membra ^Ima possente
I tardi ozi ne scuoti,
Qual serba premio, o buon, T età presente ?
Quale i figli crescenti ed i nepoti?
O petto di virtude albergo saldo,
O man che scrisse Arnaldo,
Chi a' miei baci vi porge? una corona
A questo bianco capo oh chi la dona?
JUVENILIA 156
Ben io nel gaudio d' un futuro giorno,
Che il ciel mi disasconde,
Veggo popolo molto a un marmo intorno
Incoronarlo di civili fronde:
Quel giorno appo una tomba, italo vate,
Da l'alpi al fin serrate
A le verdi tornando etrusche valli,
Scalpiteranno gl'itali cavalli.
156 JUVENILIA
LXVII.
MAGGIO E NOVEMBRE
I.
O
ve sei, che di Delfo in van ti chieggo A' fatidici lauri e tace Delo, O re de' canti e de la luce? Eterna La giovinezza avesti, ed il più bello Eri de' numi. A te serenatore De' templi ermi de 1' etra ardea la danza De le titanie vergini, e Anfitrite Sorridea, dal divin talamo il capo E le braccia porgendo. A te i mortali Venian con preci ed inni, o re Ag'feo Da la cetera d'oro, allor che Licia T' accogliea ne' suoi gioghi e i patarei Dumeti impressi dal sereno piede Fiorian di primavera, e quando in core Amor prendeati di tuffar la bionda Chioma, stupor d' Olimpo, entro il bel Csanto
JUVENILIA 157
O ver ne la pudica onda castalia. Allor non lutto innanzi a te; ma danze E di ninfe e d' egipani, ma bianche Fronti di lauro inghirlandate, e vesti Tirie ondeanti mollemente, e fiori Che salivano a nembi, e amor soavi Di verginelle candide: a le valli De' flauti il suon scendea come un sospiro.
IL
Allor che i fiori e V onde aveano spirto E d' amore e il duol, quando nel fiato De' zefiri esultanti a primavera Per le brune convalli e ne' mirteti Di Citerà e di Cnido almo alifava Il divin bacio d' Afrodite ; errando Del lamentoso Egeo lungo la riva. Amorosa fanciulla, e i cieli e il mare E il molto fior de' campi lacrimosa Mirando, e sospirando, invocò Saffo La deità di Venere; e presente Annunziò il nume un fremito diffuso Per la selva odorata. Essa la diva, Con le dita d'ambrosia, essa da gli occhi Tergea de la mortai giovine il pianto; E dolce un canto le imparava: un dolce Canto che ripetuto, ahi con un molto Ansar del petto e scintillar de gli occhia
158 JUVENILIA
De i neri occhi d'amore, e un batter forte De la man su le corde, iscolorava Le fanciulle di Lesbo; entro l'affiso Sguardo venendo V alma e ne' socchiusi Labbri a libar le voluttà promesse.
III.
Ma or né Cipri a 1' egre anime accorre
Su '1 carro tratto da gli augei, né Febo
La cetera del duol raffrenatrice
Agita in vetta a i luminosi colli.
Or solinghe le cure, or la quiete
È inerte e bruna; e sovra i monti e al piano
E nel cielo e ne i cori il verno regna.
O d' aprii nuvoletta, o ne l' aurora
Luce d' amor che di cotanto riso
L' avvenir m' irraggiavi, io te ripenso,
Fanciulletta d' un tempo. Oh quando i luoghi
Rividi sacri da la tua presenza,
E 1' aere spirai che di tua voce
Le molli melodie vibrava a i sensi,
L' aér che dolce che voluttuoso
La persona gentil circonfluia.
Oh, ti rividi ancor! transfigurata,
Qual l'amor mio ti fece, una suprema
Volta al seno ti strinsi. Ahi, nel mutato
Petto agghiacciar sentii la vita; e insieme
Da le braccia l' imago esil vania
JUVENILIA 159
Fusa per V aure di novembre. Al core Le man portai; che, quinci dal crescente Flutto de le memorie assorto e quindi Fulminato dal ver, battea V estremo Irrevocabil palpito d'amore. Amore, addio, supremo inganno! addio, O pargoletto mentitor gentile! In van t' adopri : in questo cuor, eh' io creda, Né pio né con soave impeto a forza Rientrerai. Ma cara a me ne gli anni Sarai memoria, ed onorata; e quando Dal pensiero evocata al sentimento La tua larva risorga, un canto, o amore. Avrò ancora per te. Tal, se la luna Da le selve appennine aurea si svolve E su '1 toscano pelago viaggia Solitaria, rifulgono al chiarore Bianco le nude arene, e lo sfrondato Bosco porge i suoi rami e si rallegra: Guata le scintillanti onde il nocchiero, Guata la fredda alta quifete, e canta.
160 JUVENILIA
LXVIII.
I VOTI
Ohe prega il vate, il libero
Vate che prega e vuole,
Adorno in veste candida.
Vòlto al nascente sole;
Mentre Glicera unanime,
Cui le Grazie educaro al mite amor.
Con pia cura a i domestici
Numi il votivo altare ombra di fior?
Che a gli agi suoi rinnovino
Ben cento solchi i duri
Giovenchi? o ver che fervida
Vendemmia gli maturi
Dove tepe la ligure
Maremma e verna il suo paterno mar
E dove gli avi improvvidi
Né un avel di famiglia a lui lasciar?
JUVENILIA 161
Altri il crociato orgoglio
Tra un aureo vulgo estolla,
E i vili ozi gli prosperi
La mal redata zolla.
A me sorrida un teiiiue
Lare e V italo bacco empia il bicchier
Tra gli amici che liberi
Assentano fremendo al carme auster.
Non io vorrò che facili Pieghin le orecchie altiere I grandi al carezzevole Suon de le mie preghiere : Non io libare a V aureo Pluto da la febea tazza vorrò, E non le muse indocili Fra i lusingati prandi inebrierò.
Prego : de' serti lirici
Se me la patria Serra
Degno produsse; e il fremito
Del mar tòsco, e la terra
Dove in gran solitudine
L' ombra di. Populonia. e. il nome sta.
Aspro garzone crebbero
Me tra i fantasmi de l'antica età;
Carducci. 1 1
Ì62 JUVENILIA
. -N ->, V. -V
Prego: a la sacra Italia
Suoni il mio carme, e fiero
Surga ne V ira, vindice
Del romuleo pensiero.
Che se ne' campi memori
De la clade che ancora ulta non fu
Scenda a pugnar con impeto
D' odio maturo V itala virtù.
In me, non nato a molcere
Con serva man la lira.
Di tua grand' alma un'aura.
Possente Alceo, resjì^ira;
Allor che su la ferrea
Corda battendo con la man viril
Guatavi altero immobile
De l'aste il flutto e il vasto impeto ostil.
Rapia la nota eolia
La giovenil coorte.
Che de le spose immemore
Ruinava a la morte.
E tu cantavi l' isole
De' beati ove il forte Ercol migrò
E dove aspetta Teseo
Chi la cara a la patria alma versò.
JUVENILIA 163
Ma il fior del sangue ellenico
A te d' intorno ardenti
Co' peana premevano .
I tiranni fuggenti; •
Poi ne la danza pirrica
Scudo a scudo battendo e pie con pie
Incoronar le patere
Sopra la morte di Mirsilo re» .
O sacri tempi ! o liberi
Vati correnti in guerra,
Poi tra le danze e i calici
Cantanti su la terra
Salvata! Oggi una pallida
Nube di tedio e terra e ciel copri,
E il carme è voce inutile
E il vate un'ombra de gli antichi di.
Dunque posiam. Ma I-òzio
Muto non sia né vfle;
Si trascorrendo liberi
Per la stagion servile
Mediteremo i càntici
De le memori glòrie e del disif|'
Come già i padri italici.
Li sdegni e i ferri esercitando, udir.
I t
164 JUVENILIA
Salve, o mia patria! Ed arida Stia questa lingua viva, Se di te mai dimentico Son dovMo pensi o scriva. Tuo, santa patria, è l'impeto Che sale a i carmi da racceso coi E r acre tedio e il fulgido Telo de V ira e V elegia d' amor.
Folle censore e stupido
Cantor di vecchie fole
Me chiami pure, o Italia,
La tua diversa prole:
Adulator di trepidi
Liberti e vili sofi io non sarò.
Che se nel reo servizio
Precipitar co '1 vulgo anch' io dovrò.
Su '1 corpo mio diceria
Sparga le care chiome
E ne le insonni tenebre
Chiami il mio vuoto nome,
Immaturo compongami
Del fratel generoso entro V avel
La madre, ed orbo vagoli
11 padre infermo entro il deserto psteL
LIBRO V
LXIX. A UN POETA DI MONTAGNA
N.
N ascesti dentro d' un secchion da latte, E a scrivere imparasti in una bótte, Accordando le rime irte ed astratte A lo scoppiar de le castagne cotte.
A quelle rime strampalate e matte Sentironsi a bociare asini e bòtte, Le secchie vomitaron lor ricotte, E i tegami pugnar con le pignatte.
Allora crocitando un solreutte, . Salisti in Pindo pien di èoria il petto; Ma Febo ti legnò come un Margutte.
166
JUVENILIA
Tu montato in arciori d' un somaretto,
Ti preparavi a le future lutte,
Con un orso scudiero al fianco stretto:
E d' uno scaldaletto
Difeso, urtasti di tutta baldanza,
Ma il ciuco ti buttò senza creanza,
— Per legge d'eguaglianza, Ragliandoti su '1 muso a ritornelli. Bestie non portan bestie; e siam fratelli.
• V
. I
{ »
JUVENILIA • 167
UX.
A UN GEOMETRA
D
immi, triangoluzzo mio squadrato, Che al mondo se' de gli animali rari, Furono prima i ciuchi o i somari? E quel tuo capo è un circolo o un quadrato ?
Anco : il cervel, se fior te n' è restato, È isoscelo o scaleno o ha lati pari? Se' tu r ambasciador de' calendari, O un parallelogrammo battezzato?
Buona gente, i' vi prego che pigliate Questo bambolon mio e' ha di molt' anni E che '1 mettete a nanna e lo cullate.
A I <-X
Tenetel chiuso, ch'egli è un barbagianni, E non fa che sciupar vie lastricate. Mangiar de'l pane e consumar de' panni.
168 • JUVENfLlA
E quando fuor d' affanni
Averà messo il dente del giudizio,
Fate sonare a la ragion V uffizio.
0 bello sposalizio
Che vogliam fare come più non s' usa,
Accoppiandolo a monna Ipotenusa!
E' mi dice là Muèa
Che di questi rettangoli appaiati
Nasceran di be' circoli quadrati.
JUVENIUA 169
LXXI.
A UN FILOSOFO
S
e sant' Antonio vi mantenga sano E vi rischiari 1* antropologia Né spengan le zanzare il lume a mano Che vi die' il Pestalozza in cortesia,
Seguite adagio adagio e piano piano, Caro Mirtillo mio, per questa via: Che r individualismo è luterano E il volere esser noi pedanteria.
Voi sbancate i copisti e gli scrivani, Voi vendete il siàema a bariglioni, Con la modestia pia de' ciarlatani.
Venitela a vedere, o berrettoni, L' opera bella de le vostre mani Fatta ad imagin de
170 JUVENILIA
Oh i leggiadri sermoni !
Oh la filosofia vaghetta e pura
Che larga a un tempo e stretta è di natura !
Se la mano vi dura
E se Dio vi mantien sane le dita,
Mirtillo mio, farem buona riuscita.
Siete una calamita
Che v'attirate i pezzi badiali,
Come faceva Orfeo de gli animali.
Pria che la ruota cali.
Pigliate i raggi, e con rtovel vigore
Scappateci, ad un tratto professorje;
Che noi v' amiam di cuore,
E, pur che vi leviate quattro passi,
Vi mandiamo anche ne' paesi bassi.
JUVENILIA ni
LXXIl.
AI POETI
V-J arcadi e romantici fratelli Ne la castroneria che insiem vi lega, Deh finite, per dio, la trista bega, E stuf*aie''il forame de' cervelli.
Del vostro pianto crescono i ruscelli E i fiumi e i laghi si che V alpe annega, E stanco è il Gusto a batter chiavistelli A questa vostra misera bottega.
Sentite in confidenza: i lepri e i ghiri Son lepri e ghiri, e non son mai leoni: Né Byron si rimpasta co' deliri.
Né Shakspeare si rifa co' farfalloni.
Né si fabbrica Schiller co' sospiri.
Né Cristi e sagrestie fanno il Manzoni.
172
JUVENILIA
Dopo tanti sermoni,
O baironiani, o cristifani, o ebrei,
Ed o voi che credete ne gli dèi,
C^\ e»., 'v\ ''-^
Lasciate i piagnistei ;
E, se più al mondo non avete spene.
Fatevi un po' il servizio d' Origene.
. t.. . •
JUVENILIA 173
LXXIII.
ANCORA AI POETI
^<-J arcadi o romantici fratelli DMmpertinenza e di castroneria/'! -' Che è questo che. vi frulla in fantasia ^'' D*^impecorirci i cuori ed i cervelli?
Ladre tantaferate ^ ritornelli Udimmo troppe, e fu gran cortesia Non cacciarvi a pedate dietrovia, Buffoni, arcibuffoni e menestrellir'^'^"-^-
Buffoni, arcibuffoni, ite in bordello Con vostri salmi e vostre trenodie^'' Che d' eretico sanno e di monelloT^ ' :
Voi bestemmiate come genti pie
CoM reliquario in man, sotto un mantello
Accoppiando le Taide e le Marie.
174 JUVENILIA
'v.-"S_ \. V, ■."^. "■_ V "^."''-"v, "V."N.
Dite le litanie,
E non ci ricantate tuttavia
Con stil francioso e di tedescheria
Italia Italia mia !
Or via, che Dante e Niccolò s'inchina
A questa bella Italia parigina !
Andate a la berlina,
Che de le nostre terre italiane
Stalle faceste di bestiacce strane.
Torrei prima il gran cane
Od un miifti, che niun -de* voètri eroi,
O i magni -italianon che slete^ voi,
Più perniciósi a noi
Che un battaglion tra svizzeri e croati
E trentamila inquisitori frati.
Patriptti garbati,. • i
Smettete la commedia e. gli spauracchi, Che noi Siam, tutti stracchi, stracchi, stracchi.
')
Armatevi di. tacchi.
Mettete a le zampette i barbacani:
Voi siete tutti nani nani nani.' '
JUVENILIA 175
E per noi italiani,
Se non trovate un diavol che v' impenni,
Voi siete tutti menni menni menni.
Se pria non vi scote;ini Cotesta frega di far poesia.
Ne le risaie de la Lombardia
, < •
Vogliam farvi una stia;
E vi ci chiuderemo; e per becchime
V inghebbieremo de le vostre rime.
• ' ' ' . . . • Se vi salvi il lattime,
Vi daremo a mangiar de le ballate,
Dicendovi — Buon prò', oche infreddate. —
Ma deh non ci scappate,
Che vi racchiapperemo; e i refrattari
Saran costretti ói compor lunari
In versi settenari
Al lume de la luna e per la bruna
Notte sopra la tacita laguna. :
Cosi farem fortuna.
Battendo la gran cassa a i vostri ardori
Lo Spettatone di tutti i colori.
176 JUVENILIA
LXXIV.
A SCUSA D' UN FRANCESISMO SCAPPATO NEL PRECEDENTE SONETTO
D,
eh balii de la lingua, affeddiddio Che questo a punto a punto è il vostro caso, E voi potete pur darmi di naso Menando gran rumor del fatto mio.
Guardivi sant'Anton come rhnaso
D' un franciosismo al laccio or sono anch* io ;
E cancher venga al nemico di Dio
Che pria la rima n'arrecò in Parnaso.
Ch' io veggio correr fuora a gran baldanza, Pur me ammiccando con un risolino, Molti linguisti di molta importanza.
E' vanno per consigli a V Ugolino. Deh, statevi per Dio: de l'ignoranza Da per me mi chiarisco, e mi v' inchino.
JUVENILIA 177
Or dal vostro cammino
Qua voltatevi voi primi, aramei
Che studiate la lingua in su' caldei,
Indiani e giudei;
E voi che fate i be* vocabolisti,
E voi che rivedete i trecentisti
Né mai gli avete visti,
E voi che siete si gran barbassori
Che pur al Gello appuntate gli errori.
Tra i magni espositori
Non manchi qui con le scritture sue
Quel ser cotal che fu suocero al bue.
Ora stommi in tra due,
S' anche m' abbia a chiamar quelli autoroni
Che il Leopardi affastellano e il Manzoni
Per entro i lor prosoni.
Deh si, venite tutti a schiere a schiere:
Che al corpo non vuo' dir de '1 miserere
Mi farete piacere.
Ne le brache mettetemi le mani.
Levate via la pulce, e andate sani.
Carducci. 12
178 JUVENILIA
LXXV.
ALLA MUSA ODIERNISSIMA
O
monna tu, eh' io non so qual tu sia Tanto se' in vista difformata e strana, Monna Clio, monna Ascrea, monna befana, O monna dal malan che Dio ti dia;
A la croce di Dio, tu se'
Se t'acconci a chi vuole in su la via;
E se ne mente la mitologia
Che giurò su '1 candor di tua sottana.
Poi che ti presti ogni or' mattina e sera A tutte voglie d'ogni razza ingordi, Tornata di regina in paltoniera;
O sciagurata, fa che ti ricordi
A chi tu fosti ed a chi se' mogliera
Onde per te mi fremono i precordi.
JUVENILIA 17Q
Anime al ben concordi
Già ti levar d' ogni bel pregio in cima :
Or ti preme ciascun, ciascun f adima.
Non si può dir per rima Quanto sia cattivello e Piccolino Questo gentame eh' ora f ha in domino.
Qual vien ruttando il vino
Sovra il tuo petto; e l'anima imbriaca
Urla r idillio, e la canzon si placa.
Qui Geremia s' indraca,
E i cembali sonando in colombaia
Vagisce la bestemmia, il pianto abbaia.
Un altro, ecco, si sdraia
Nel verso sciolto, e ci fa un voltolone.
Come somaro dentro il polverone.
Ben venga il bambolone
Che non iscompagnato ancor dal latte
Bela, e pur con Melpomene combatte.
In van la si dibatte
Tra le man del piccino : ella n' è stracca.
Ed ei rimesta le tragedie a macca.
180 JUVENILIA
Il cherichetto insacca
Pur nel tuo tempio, e sa di sagrestia
E di mòccoli spenti e d'eresia:
Con lirica bugia
Gorgoglia l' inno, e struggesi di frega
Meditando il bordello e la bottega.
Ve' colui che si frega
A V epopeia, e, perché troppo è lunga,
La concia si, che al suo termine giunga.
Come par che la punga
E la cincischi si che il sangue spicci!
E poi le aggiusta il parruccone a ricci.
Al fin par che s'appicci
Il divin corpo al corpicciuol digiuno,
E camminando son né due né uno.
Iscarmigliato e bruno
Or si fa oltre Gracco: il pecorino
Cuor gli tentenna come il personcino.
Da r eliso divino
Inchinati a costui, nonno Catone,
C ha sempre in bocca una rivoluzione.
JUVENILIA 181
E un repubblicanone
Che ingozza prima la sua libbra buona
Di mazzinYanissima prosona,
Poi tuona e tuona e tuona.
A udir queir omaccino armipotente
Isbigottisce la povera gente,
E dice: Veramente
Cotestui studia per le invenzioni
Di verseggiar le bombarde e i cannoni.
In decasillaboni
Egli squaderna co' profeti santi
Ippopotami neri e lionfanti,
E sopravi giganti
Che vanno armati di monti e montagne
A imbottar nebbia per queste campagne
Ma poi grugnisce e piagne, Quando tornato al Cristian suo core S* inginocchia davanti al confessore.
Deh quanto è gran dolore
Del tristo punto ove condotta sei,
O tósca Musa già cara a gli dèi.
182 JUVENILIA
Da questi uomini rei
Che ad ogni voglia lor buona o non biiona
Adoperano pur la tua persona.
Non che rotta la zona,
E't' han diserto i più gentili arredi:
E infantocciata come tu ti vedi,
Dal capo infino a' piedi,
Ti mandano accattando in su M sentiero.
Ov'è il regal paludamento altiero?
Or se' tu da dovero
Che a r universo descrivesti fondo
E fosti prima poesia del mondo?
Or è questo il giocondo
E nobil sen del quale a' di più tardi
Si nutriva il gran cor del Leopardi?
Ah no! tu di codardi
Se' madre e sposa: or ti conosco io tutta,.
O barattiera svergognata putta.
Deh via, sudicia e brutta.
Lascia, via, di menar tanto fracasso;
Uccella a' barbagianni, e statti in chiasso.
JUVENILIA 183
LXXVI. PIETRO FANFANI E LE POSTILLE
-L ietro Fanfani sta ne le postille E le postille stanno nel Fanfani: In principio eran sole le postille, Poi le postille fecero il Fanfani.
E il Fanfani in persona è le postille,. Le postille in idea sono il Fanfani: Dice Fanfani chi dice postille, Dice postille chi dice Fanfani.
Oh nuova cosa veder le postille Vestir panni e mangiar con il Fanfani,. E il Fanfani pensar con le postille.
Tutte le cose che pensa il Fanfani O vuole o ama o fa le son postille; E le postille son sempre il Fanfani.
184 JUVENILIA
E poi che nel Fanfani
Sono cervello e cuore una postilla,
L'angel custode può spassarsi in villa.
JUVENILIA 185
LXXVII.
IL BURCHIELLO AI LINGUAIOLI
I
1 soldan de gli accenti a solatfo
Giva su per Mugnone in vista fiera.
Calandrin gli dicea con buona cera
— Togli de r eutropia, o fratel mio. —
Cantavan V oche per quella riviera
— Pigliati i paperotti, e va con Dio — : Gli gridavano i ghiozzi — Addio, addio — : Sconcordavano i granchi a schiera a schiera.
Grande onor fecegli anche un pappagallo Declinando proverbi a le brigate Di sur un arbor di sambuco giallo;
Ed in rime dicea sue pappolate, Ma le Grazie gli diedero un cavallo, E con le gazzere èi si rese frate.
186 JUVENILIA
Di farfalle acconciate
Con passerotti lessi a gran diletto
Una bertuccia faceva il guazzetto;
E di quel suo brodetto
Die' bere più d' un. tratto al Nardi e al Gello^
Che per ammenda tolsergli il cappello
Dove tenea '1 cervello
E diederlo a beccare a un fottivento
Che dopo il pasto si mori di stento.
Or ecco un gran concento .
Di fischi e bussi pauroso, e strano:
E' vengono i pedanti a mano a mano,
E pigliano il soldano
E la bertuccia e il p^ppagal babbione,
E spettacol ne fanno entro un gabbione^
Dicendo a le persone
— O buona gente, venite a la mostra:
Questi son gli occhi de la lingua nostra.
JUVENILIA 187
LXXVIII.
A MESSERINO
S'
indraca Messerin contro i pedanti, E del Monti pur ciancia e del Manzoni. O pecoraio, contastù i caproni? Quanti piedi han dirieto e corna avanti?
Questo servo de' servi de' menanti. Spazzaturaio di composizioni. Piglia del campo anch' egli e fa sermoni E se 1' allaccia tra' filosofanti.
Or credi tu de la viltà natia Esserti scosso per tuffar le mani Dentro l'inchiostro d'una stamperia?
Va ficcati in un cèsso o datti a' cani ! Che se tu me '1 chiedessi in cortesia Pur ginocchione e con giunte le mani
188 JUVENILIA
Per lo dio de' cristiani,
Un calcio mio non ti vorrei donare;
E ragghia a posta tua se sai ragghiare.
Gli scudi che vuoi dare
Per far dietro a' pedanti il buggerio,
Se fussin soldi loderesti Iddio.
Omicciattolo mio.
Vuoi farla da leone, e se' asinelio
Che mai si vide il più pulito e bello.
Mettetegli il corbello, Carcatelo di ciarpe e di letame, E co '1 baston cacciategli la fame.
JUVENILIA 189
LXXIX.
SUR UN CANONICO CHE LESSE UN DISCORSO DI PEDAGOGIA
U,
dite, udite il molto reverendo Sopra la educazione de' figliuoli. E* si vuol, quand' han messo i lattaiuoli, Cominciar la grammatica esponendo;
E quelli duri a modo di pinoli Tutta in latin la vengan ripetendo. Che se il ragazzo dice — P non la intendo, - È da pigliar de' nerbi o ver querciuoli,
E picchiatelo forte a nodo a nodo, E chiamatel furfante a tutto pasto: A un bisogno, e' e' è il martello e'I chiodo
Per crocifigger chi V avesse guasto. Questo de V insegnar cristiano è il modo^ Cosi il fanciullo vien saputo e casto.
190 JUVENILIA
Ma deh prima il catasto Insegnategli e la negromanzia, Che non la storia e la geografia.
Questa è una cosa ria,
Questo è razionalismo di quel fino:
Contentisi il ragazzo al Bellarmino.
Oh che giovin divino,
:Se di nulla mai chieggavi ragione
Credendo tutto a tutte le persone!
E creda anche al forcone
Di Satanasso o ver di Lucibello
E a le penne de Tagnol Gabriello,
Ed a lo spiritello
O spiritelli che vengano a schiere
E al diavolo grande e a le versiere,
E che le fattucchiere
Piglin forme di cagne o vuoi di gatte.
Ed a tant' altre autorità si fatte.
E cosi si combatte
In prò' de' nostri italiani vecchi,
E questo è il classicismo di parecchi!
JUVENILIA 191
O bónzi, 0 mozzorecchi, Voi fiorirete i ginnasi e' licei D' Ecceomi e Barabbi e Zebedei.
192 JUVENIUA
LXXX.
A BAMBOLONE
s
e Dio ti guardi sino a befania Cosi fresco grassoccio e badfale Ed a risparmio del pepe e del sale Da viver anche sant' Anton ti dia,
Or dinne, Bambolone, in cortesia: Se' tu tozzone o porti pivi'ale? Ha' tu studiato di negromanzia? Se' turcimanno o cozzone o sensale?
Quando tu mostri fuora il tuo faccione E r occhio picciolino e quella fessa Che tieni ov' han la bocca le persone.
Dice la gente — È egli ora da messa? Ècci oggi a la Nunziata processione? Ehi, sagrestano! -- Ma quel dir poi cessa,
JUVENILIA 193
Quando una filatessa
Sciogli di citazion greche e latine
Che l'una e P altra si pigliano al crine.
A fé' tu trinci fine
L' apotegma ed il colon e lo scolio,
E l'assioma bei come il Rosolio.
Sembri il padre Nizolio
Che fé' di Marco Tullio anatomia,
Sembri il sultan de la filologia.
Ma di filosofia
Tu n' hai piene le sacca anzi le balle
Dice la gente che mai non ti falle.
> * I
N' hai sempre in su le spalle,
E ne le brache, e fin dentro gli usatti^
E la vendi al minuto e la baratti.
Oh come sonò matti,
r volevo dir nuovi e peregrini,
I discorsi che fai, grandi e piccini ì
Gli arabi ed i latini,
I francesi i geloni ed i caldei
E irochesi e ottentotti ed aramei.
Carducci. 13
194 JUVENILIA
Gli svizzeri e gli ebrei,
Ed i russi ed i prussi ed i borussi,
Gli hai su le dita come tu ci fussi.
Anche hai giocato a frussi
Con Salomone, e facci V altalena
Con Licurgo quand' ei murava Atena,.
O testona ripiena
D' ogni gran cosa, grossa soda e dura,
Tu hai grati naturale, anzi natura.
Or dai or dai la stura
A quelle fantasie che in rima hai mésse,
Ma risprangale prima ove son fesse.
Calate le brachesse,
Baraballo t' aspetta in Elicona
E vuol dare al tuo crin la sua corona.
E tutto il monte suona
— O Bambolone, Vienne a questo stallo,
Vienne tra il Carafulla e Baraballo! —
JUVENILIA 195
LXXXI.
AL BEATO GIOVANNI DELLA PACE
O,
'ggimai che ritornati Son di moda e stinchi ed ossa E né pure gV impiccati Son sicuri ne la fossa, Anche a voi la quiete spiace, Fra' Giovanni de la Pace?
Bravo Nanni, la persona Rilevata su bel bello, Una santa pedatona Voi menaste ne l'avello E gridaste — Giuraddio! S' è cosi, ci sono anch' io.
196 JUVENILIA
Su da bravo, Cosimino! Vieni fuor con la brigata, Metti in pronto il baldacchino, E facciam la passeggiata. Era tanto che giacevo! È tornato il medio evo! —
Ma da vero ma da vero Che n' avete ogni ragione. Ecco il presule ed il clero A menarvi in processione, O soldato trionfante De la chiesa militante.
Viva pur Sandro Manzoni! Quant'è mai che s'arrabatta Co' filosofi nebbioni . . E gli storici a ciabatta! Acqua santa a piena mano. Tutto il secolo è cristiano.
Libertà, indipendenza, Paganissima utopia, Offendevan la decenza De la santa teoria, Ora stabile e fondata Su r Europa incatenata.
JUVENILTA 197
Guarda raoV Castel briante! La tua Francia torna a Dio : Bonaparte è novo Atlante A la cattedra di Pio: Fan da Svizzeri a San Piero I nipoti di Volterà
Cristo par sia riportato« Fra' bagagli di. Radeschi, Su V altare appuntellalo . Da le picche de' Tedeschi. Converti la baionetta Questa terra maledetta.
Questa tert^a, che d^el hostro. ' Satìgue e piantò è molle ancora, Brontolando uh patemosti*o Su zappiamo a là buon' ora^ Per trovare ossa. di santi . O di frati zoccolanti-
Vo' veder^ se l' uso tiene, Cristianissima Parigi, AbbigUafr" le Maddalene ;^ Col soggólo e in panni bigi, E mandarle d'.lupanari Con in petto i reliqiiari.
198 JUVENILIA
Che t' importa, o razza sfatta, De le cose di quaggiù? Un fermagfio a la cravatta Con un osso di Gesù: Una forinola d* usura Con un passo di Scrittura!
Che volete? Il cristianesimo È un romanzo che fa chiasso. Ci scordammo del battesimo, Ma cantiamo co '1 compasso Com' un' aria di Lucia Paternostro e avemmaria.
Presto dunque il reliquario^ E ben venga il santo novo! Tra i compari del lunario Anche lui si faccia il covo, Avvocato e servigiale De la pace universale.
Bel vedervi, fra' Giovanni, Ritto ritto su l'altare,. E briachi per gli scanni I canonici a russare, E i devoti bisbiglianti Di cambiali e di contanti.
JUVENILIA 199
E le belle penitenti Mentre cantan litania Affittar nuovi serventi Per l'entrata in sagrestia, Invocando la Madonna Quando s' alzano la gonna.
LIBRO VI
LXXXII. A VITTORIO EMANUELE
No
^ on perché da* SabfUidi a la marina ■ Stendi lo scettro de l'avito impero Su 'i Po regale e il Tanaro sonante, Non perché a' cenni tuoi leva ed inchina Il subalpino popolo guerriero I liberi vessilli a te davante; Ma perché figlio amante Sei de l'antica madre in di' io mi vanto, Al tuo conspetto il pianto Di costei reco, onde su 1' empie squadre Già spronasti il cavallo a Iato al padre.
202 JUVENILIA
Or drizza il guardo a valle; or vedi, o sire!
Dal pian cui parte 1' Eridàno e irriga,
De la grande cacciata glorioso;
Da le lagune ove il sublime ardire
La strana signoria lenta castiga.
Onde il vecchio leon freme cruccioso;
Dal prisco suol famoso
Che sacro ha il nome più tra Tebro ed Arno;
E dove Liri e Sarno
A bestiai tirannia nutron le prede;
Tende le braccia Italia e pietà chiede.
Pietà de la gran donna, o cavaliere,
O rege, o figiio! In forza altrui condotta
Questa dolente il suo Cesare chiama :
Mille stannole attorno ombre sevère
C'han la persona di più punte rotta
E guardan pure in te con muta brama.
Cotal già sovra Rama
Suonava il pianto di Rachel cattiva.
Che de' suoi figli priva,
Poi ch'eran morti, non volea conforto.
In fin che Giuda a la vendetta è sorto.
JUVENILIA 203
Attendi, attendi. Un suon profondo e lento
Rimugge da la valle e in alto spira,
E si fa tuono che a l' intorno romba:
Par d'acque molte rumoreggiamento.
Quando il bosco al vicin nembo s'adira
E vorticoso Borea giù piomba.
Non è rumor di tomba:
È l'itala minaccia a lo straniero;
È fremito guerriero,
Che cresce col rumor de le procelle,
E i regi e l'armi avvolve e i troni svelle;
È grido atroce di calcata plebe
Che sorge contro la ragion de* forti
E il pio sdegno e le sante ire raguna.
A te commette le paterne glebe,.
A te le invendicate ossa de' morti,
A te i vóti e la speme e-^la fortuna,'
E i talami e la cuna;
De' pargoletti e il maternal desio.
Deh non cresca, per dio,
Sotto i regni di barf^aro soldato
Chi d'italica donna italo è nato!
204 JUVENILIA
Corser due lustri che cruenta al suolo
Gittando Alberto T itala corona
Ostia sé diede a l^ ira alta de- cieli :
Rinnovellata a la ragion del duolo
Crebbe altra gente, e V itala matrona
Incanutì sotto i funerei veli.
Deh! quante volte aneli
Dal cozio sasso- protendean lo sguardo
Su M bel terren lombardo
Gli esuli mesti, rimembrando in vano
La pia casa paterna e il dolce piano.
E presso al freddo focolar sedea-
Barbaro sghèrjfo, a i padri antichi in faccia
Esplorando il dolor T ansia la speme:
Vile! e a le mute lacrime irrldea;
E col ferro e lo scherno e là minaccia,
Vile!, Tira premea: che inerme freme.
Or non più, no ! V estreme
Battaglie affretta; tla lombarda prole:
Scintillan sotto il sole . •
Gli sdegni aperti, e gran fiamma seconda
Torma servile i nostri campi inonda.
JUVENILIA 205
Io chieggo a te, de T itale contrade
Cavaliere scettrato, a te, buon figlio
Del magnanimo Alberto: Or che più cessi?
Che fanno in vai di Po straniere spade?
E quei che Alberto spinsero a V esiglio
E a morte inconsolata, or non son essi?
Tra oppressori ed oppressi
Non pace maiy ma guerra guerra guerra t
Armi freme la terra.
Armi i vecchi le donnr i figli imbelli,
Armi i templi. e le case, armi gli avelli.
Ma pace a te, se nieghi a' tuoi scettrati,
Stirpe d' Arminio, -il braccio, e te consigli
Con libertà che i popoli compose.
Noi non venimmo del btì Reno armati
A predar le riviere, e non; i 'figli
Strappammo al sen de le top Ijionde spose :
A l* ire generose ■ ' ■
Sorride Libertà, l' auspice dea
Che su* Franchi spingea
La negra caccia del tuo fier, Lutzove
Con suon d' inni e di spade a V ardue prove.
206 JUVENILIA
Pietà vi stringa, o popoli, del duolo Ond'è sacra T Italia e de la speme Che le disperse sue genti nutrica: Non invidiate che su '1 patrio suoio, Suolo che ancor del nostro sangue geme, Raccolga i figli suoi la madre antica. Deh, per dio, non si dica . Quest'obbrobrio di voi! de* nostri danni Patteggiar co' tiranni! Iloti nuovi, su pei i nostri liti. Volerne servi e miseri e partiti !
Attendete e guardate. Il petto è questo
D' Italia madre, il petto ove attingeste
Onda di civiltà perenne e viva :
L' han macchiato Neroni empi d' incesto,
L'han solcato; di piaghe disoneste,
E il sangue ne gittàr per ogni riva.
Egra giace e mal viva
La Cibele d'Europa: a lei d'intorno
Nel novissimo giorno
Stanno i suoi figli, in contro a' fati oscuri
Di feroce pietà forti e securi.
JUVENILIA 207
Che se nel cor de' popoli consorti
Misericordia tace, e se ne' petti
De' regi stagna un vergognoso oblio;
Pe '1 supremo desir de' nostri morti,
Pe '1 tacito pregar de' pargoletti,
O italiani, o fratelli, o popol mio,
Leviam! Giudichi Iddio
La causa nostra a 1' universo in faccia.
E tu, Vittorio, abbraccia
L'italica bandiera; il serto scaglia
Oltre Po, nel terren de la battaglia.
Loco è 'n Superga, ov' ha misteri orrendi
La religion di morte, ove aspettando
Posan gli atavi re dentro gli avelli :
Ivi sali, o signor: la spada prendi
Di Carlo Alberto, e i tuoi padri evocando
Batti lo scudo de gli Emmanuelli.
A quel suon, di novelli
Fremiti il ciel d'Italia ecco rintrona:
Come nube che tuona
E nel rovente folgore scoscende.
Lungo clamor da 1' alpi al mar si stende.
208 JUVENILIA
Vapor di sangue orrìbilmente sale
Da la fatai Novara^ e r aere invade
E fuma atro su M mare e vela il monte
Ecco rabbia di guerra alta immortale, •
E strepitar d* incalzantisi spade,
E a le vendette correre Piemonte.
Di rossa luce a fronte
Già balena Custoza, e già la guerra
Corre V insubre terra ;
E rompono feroci ogni dimora
Brescia e Milano a gridar mòra mora.
Ma il leon di San Marco alza la testa, •
E sovra i mille orribile s' avventa
Tra ferro e fuoco ed urla alte e terrore.
Tende V orecchio, il suon de la tempesta
Napoli attinge; e già spezzò la lenta
Sbarra e le strambe del regal timore.
Generoso furore
Rapisce i prodi ne le usate prove :
De r ire antiche e nove
Freme Palermo, e da la Stua ruina
Anche si drizza a battagliar Messina.
JUVENILIA 209
Né tu men presto la codarda soma, Che ne la strage tua fu colorita, Da te scuoti, o roman popolo altero. Al folgorar de la novella Roma Già tra V are s' appiatta il re levita, E ritorna a trattar suo ministero. Tu fra tanto il cimiero Vesti di Marte e la visiera abbassi, E la grand' asta squassi, Ricercando il nemico. E teco agogna Tedesco sangue la viril Bologna.
E noi da gV indignati ozi riscuote
Noi tósche genti la funerea voce
De i giovinetti in Montanara estinti :
Quando ne le frequenti aule percuòte,
Taccion le danze, e in un desio feroce
Taccion i vólti di pallor dipinti.
O campi insubri tinti
Del sangue nostro, ancor nel di supremo
Ancor vi rivedremo,
D' ostie ferite e trionfali canti
A placar le fraterne ombre aspettanti.
Carducci. 14
210 JUVENILIA
Su dunque, suona a T ultima riscossa,
Re sabaudo, le trombe, e giù dal monte
Saettando la guerra urta il destriero.
Sia del tuo brando il lampo e la percossa
Lume di vita a la gran donna in fronte
E fulmine di Dio su lo straniero.
Vantator menzognero,
De r armi nostre e de la gran vendetta
Senta l'orrenda stretta;
E troppo Italia ancor gli sembri forte.
Quando ne' lurchi avventerà la morte.
In van le scuri e le catene, in vano
Fùr gli ozi e V ombre di cocolle e stole :
Sangue latin viltà, no, non impara.
O plebi di Bologna e di Milano,
A cui per libertà morir non duole!
O Goito, o Pastrengo, o Montanara!
O cara Brescia, o cara
Venezia! deh come tu suoni acerba
A chi le piaghe serba
Di Mestre e vide per la notte nera
Tutta affocata folgorar Marghèra.
JUVENILIA 211
Itali esempi fùr nel Barberino
Venti giovani contro a Francia tutta
Rotti di venti colpi il seno invitto:
Son nostri Rossaroll, il Morosino,
Poerio, e su la mole arsa e distrutta
Medici solo orribilmente dritto.
Questo è ronian conflitto,
Pugnato sempre e rinnovato ognora,
Fin che il Cimbro dimora
Nel suol di Mario, e dal carinzio chiostro
Alarico depreda il terren nostro.
Ma te Mario novel le ocnèe convalli
Ben sentiranno, ne l'immensa clade
Splendenti al cielo di più bei colorì.
Esultano al passar de' tuoi cavalli
L' ossa fraterne, e a le vittrici spade
Il suolo di Maron cresce gli allori.
Consacra i rei signori
Debite inferie ai santi aviti Mani:
Poi su' colli italiani
L' ombra adora di Roma, e il vóto augusto
Sciogli di Giulio e di Traian su '1 busto.
212 JUVENILIA
LXXXIII. IN SANTA CROCE
XXIX MAGGIO MDCCCLIX
N,
on carmi, non ghirlande, e non concento Di salmi a l'ombre de'guerrier si doni : Grecia ne V aspro di de le tenzoni Diede inferie di sangue a* suoi trecento.
O sacre a morte libere legioni. Qui venite di morte al monumento; Qui profferite orribil giuramento, Che nel conspetto del Signor risuoni.
Pe *I sangue de gli eroi, pe' franti petti De' vegliardi, pe '1 duol che si disserra Da le piaghe di madri e pargoletti,
Guerra a' tedeschi, immensa eterna guerra. Tanto che niun rivegga i patrii tetti E tomba a tutti sia l' itala terra.
JUVENILIA 213
LXXXIV.
ANCHE IN SANTA CROCE
Q.
,uali, quali, al tuonar de' feri accenti Forme s'a^àtcàn per Io sacro loco? Assistete, spirate, ecco io v' invoco, . O martiri, ò fraterne ombre frementi:
E voi caduti sotto il ferro e il foco, E voi sotto il flagel schiacciati e spenti, E voi sparte dal piombo ànime ardenti, E qual de' ceppi usci livido e fioco.
Conturbate i sepolcri, scoperchiate Le tombe, e' nel conspetto de V Eterno Il pianto e il sangue del martirio alzate.
Non ci lasciar di Satana in governo : L'inferno contro te Tarmi ha levate, Ed in Austria, Signor, tutto è l' inferno.
214 JUVENILIA
LXXXV.
GLI AUSTRIACI IN PIEMONTE
E
molti e armati e di ferocia immarri Batter misere plebi ; e ne le vite Ne gli aver ne Tonor mettere ardite Le sanguinose e non pugnanti mani;
Poi, le prede gittando in van rapite, Al suon de V armi prime i noti piani Ricercar ne la fuga, ed a i lontani Presidii erger le fronti isbigottite;
Queste son le tue pugne, oste gagliarda. Ma intatta sorge la regal Torino, E su M libero mar Genova guarda.
Riparate, predoni, oltre Ticino;
Che ben per la fremente aura lombarda
Vi segue il ferro ed il valor latino.
JUVENILIA 215
LXXXVI.
A GIUSEPPE GARIBALDI
1 e là dì Roma su i fumanti spaldi Alte sorgendo ne la notte oscura Plaudian pugnante per V eterne mura L' ombre de* Curzi e Deci, o Garibaldi.
A te de' petti giovanili e baldi Sfrenar l'impeto è gioia; a te ventura ^ Percuoter cento i mille, e la sicura ^ Morte con amorosi animi saldi
Abbracciar là sopra il nemico estinto. Or tu primo a spezzar nostre ritorte Corri, sol del tuo nome armato e cinto.
Vola tra i gaudi del periglio, o forte: Vegga il mondo che mai non fosti vinto Né le virtù romane anco son morte.
216 JUVENILIA
LXXXVIl.
MONTEBELLO
N
on son, barbaro, qui le inermi genti Onde facil menar preda ti giova: Son forti mille; e teco ardono in prova Mescersi, d'armi e di valor potenti.
Son gr itali manipoli irrompenti : Questo che fere, il ferro è de la nova Gente ; e com' e* s' incarna avido e trova L'austriache vite, barbaro, tu il senti:
Superbo, e sotto la sabauda lancia Curvi le spalle? prode, e si restio Se' tu dal ferro e cosi pronto a ciancia'?
T' urta e rompe e disperde, o ladron rio, Italia a fronte; e a tergo poi ti lancia La vendetta de' popoli e di Dio.
JUVENILIA 217
I
I
Lxxxvin.
PÀL'ESTRÓ
I
talia, il griegge de' tuoi re, straniero Gregge, tra le tedesche aste dormia; O ver dal sonno pauroso il fero Tendea gli artigli e sangue tuo sitia.
Or tessi il roman làuro al re guerriero Che per te pugna e vince, Italia mia : Ei milite ei tribuno ei condottiero Ti sórse, ed egli imperador ti sia.
Competitore oh qual sarà che scenda, • Quando tu del guerriero al crin sudato Ponendo, o Italia, la cesarea benda
Dirai : Su le paterne ossa giurato
Questi ha il mio scampo: questi entro P orrenda
Pugna il suo sangue, italo sangue, ha dato?
218 JUVENILIA
LXXXIX.
MAGENTA
vJTli attese al passo; poi di nubi avvolta Del Cesare cirnèo l'ombra si mosse, E disgombrando la caligin folta Alzò il grido di guerra, e il ciel si scosse.
Già fuoco e ferro orribilmente in volta Percuote i lurchi come turbin fosse, E r antica vendetta entro la molta Strage V ali battea torbide e rosse.
Or via, cessate V inegual conflitto ; Che quinci servitù feroce e muta. Quindi pugna de i popoli il diritto.
Cade r austriaca sorte : e te saluta, Pian di Magenta, il civil mondo afflitto : L'avversaria del bene è in te caduta.
JUVENIUA 219
XC
MODENA E BOLOGNA
A,
.1 suon che lieto pe 'I diverso lido Empie tra i monti e '1 mar V italo seno, Sgombra, o straniero, i tuoi presidi: infido Sotto i barbari pie crolla il terreno.
Or chi pria leverà d'Italia il grido Speziando il vario, infame, . antico freno? Di martiri e d'eroi famoso nido. Voi Modena e Bologna. Oh al di sereno
Di libertà cresciute anime altere
Tra i ceppi sanguinanti e gli egri esigli
E gli orrendi .martori in prigion nere,
Voi ne' tedeschi e ne' papali artigli Chi più mai renderà, poi che un volere Raccoglie al fin.de la gran madre i figli?
220 JUVENILIA
, "\- '■%- -v.''^- -■- ">- "
XCl.
SAN MARTINO
Vw>'hi del German di doppia oste maggiore Là il barbarico neimbo urta e sostiene? Chi sovra mucchi di morenti muore Sorriso in volto di letizia e spene?
Qual d' ira e di virtù divin furore Su quel colle a le prove ultime viene? Chi ricaccia il gagliardo assalitore, E terribil lo folgora a le schiene?
Sei tu, sei tu, latin sangue gentile, Che ne i pugnati campi e su la dòma Austria risorgi in tua ragion civile.
Ed a r Europa gridi — Oh, chi mi noma Servo mai più? fine a l'oltraggio vile! Rendimi il serto di mia madre Roma. —
JUVENIUA 221
XCII.
PER LE STRAGI DI PERUGIA
N,
on più di frodi la codarda rabbia Pasce Roma nefanda in suo bordello; Sangue sitisce, e con enfiate labbia A' cattolici lupi apre il cancello;
E gli sfrena su i popoli, e la sabbia Intinge di lascivia e di macello: E perché il mondo più temenza n' abbia. Capitano dà Cristo al reo drappello;
Cristo di libertade insegnatore; Cristo che a Pietro fé' ripor la spada, Che uccidere non vuol, perdona e muore.
Fulmina, Dio, la micidial masnada;
E r adultera antica e il peccatore
Ne r inferno onde usci per sempre c^da.
222 JUVENILIA
xeni.
ALLA CROCE DI SAVOIA
VJià levata ne gli spaldi De' castelli subalpini, Tra le selve ardue de' pini Ondeggianti a V aquilon ;
De' marchesi austeri e baldi Fiammeggiante ne i brocchieri, Quando i ferrei cavalieri Ruinaro a la tenzon ;
Come bella, o argentea Croce, Splendi a gli occhi e arridi a' cuori Su '1 Palagio de' Priori Ne la libera città;
Dove il secolo feroce, Posta giù r ùnnica asprezza. Rivesti di gentilezza La romana libertà.
JUVENILIA 223
Vero è ben : qui non sorgesti A l'omaggio de i vassalli, Giù squillando per le valli L' alto cenno del signor ; Né tornei ferir vedesti Né d' amore adunar corti, E lodar le belle è i forti Non udisti il trovator.
Una plebe di potenti Qui giurossi al f fan co stato, E il barone spodestato Si raccolse tra gli artier.
Quando sursero portenti Da le sete e da le lane, E le logge popolane Vider Giano e V Alighier.
Ma la luce che a te intorno Novamente arde e sfavilla, E da Susa fino a Scilla Trae le nostre anime a te,
Nel desio d' un più bel giorno Che, cessati i duri esigli. La gran madre unisca i figli Sotto il nome del tuo re;
224 JUVENILIA
Quella luce tra gli orrori De r italica sventura Queste tombe e queste mura A i di novi la serbar.
Tal su r urne de' maggiori A la tarda etrusca prole La favilla alma del sole ^ I sepolcri tramandar.
Qui Alighier nel santo petto Accogliendo pria quel raggio Te nel triplice viaggio, Nova Italia, ricercò:
Tutto in faccia al gran concetto Gli fremeva il cor presago, E, di Roma l'alta imago Abbracciando, poetò.
Qui ne l'aule del senato, Qui de' rei nel duro ostello, Doloroso Machiavello Maturava il pio desir;
E a la forza ed al peccato, Che r Italia egra tenea. Chiese aiuto a 1' alta idea E de r opera l' ardir.
JUVENILIA 225
Infelice ! a la sua gente Si volgeva altro destino, E il buon Decio fiorentino La grand' anima gittò.
Ma il pensier del sapiente Ed il sangue del guerriero Sovra il capo a Io straniero Le viventi ire eternò.
i/
E fu primo Burlamacchi, Dato a morte e pur non vinto, Contro il fato e Carlo Quinto Il futuro ad attestar.
Poi da' petti inermi e fiacchi Rifuggi r altera idea Fra le tombe, onde solea Ferri é ceppi rallegrar. ^
Or, desio de* nostri morti, De' viventi amore e gioia. Bianca croce di Savoia, Tu sorridi al nostro ciel.
Gloria a te, da che a' tuoi forti Filiberto apri la strada E su i barbari la spada Levò Carlo Emmanuel !
Carducci. 15
.226 JUVENIUA
Gloria a te quando nel grido D' una plebe combattente Tra le patrie armi lucente Te un magnanimo portò ;
E per tutto il nostro lido Fin de V Adria a la riviera Da le torri di Peschiera La vittoria folgorò!
Sacra a noi, te non avvolse La ruina di Novara: Più terribile e più cara Di memorie e di virtù.
Risorgesti: e un rege accolse In te r italo destino, Quando ruppe a San Martino La stagion di servitù.
Chi 1' ha detto che fremente Di terrore e di corruccio Qui su '1 popol di Ferruccio Un d'Asburgo regnerà?
Su, stringetevi, o possente Gioventù de le legioni ! Su, risorgi, o Pier Capponi; Tocca i bronzi a libertà!
juvenulia 227
Il combattere fia gioia, Fia'l morire a noi vittoria: Pugnerà con noi la gloria Ed il nome de i maggior. E tu, Croce di Savoia, Tu fra Tanni e. Bu le mura Spargerai fuga e paura In tra i barbari signor.
Noi, progenie non indegna Di magnanimi maggiori, Noi con l' armi e con i cuori - Ci aduniamo intorno a te.
Dio ti salvi, o cara insegna, Nostra amore e nostra gioia! Bianca Croce di Savoia, Dio ti salvi ! e salvi il re ! .
228 JUVENILIA
VARIANTE CANTATA
DELLA CROCE DI SAVOIA
V-yome bella, o argentea Croce, Splendi a gli occhi e arridi a' cuori Su M palagio de* Priori Ne la libera città;
Dove il secolo feroce, Posta giù V ùnnica asprezza Rivesti di gentilezza La romana libertà !
A Vittorio i nostri carmi Ne le piazze popolose, De' figliuoli e de le spose Consacriamo a lui V amor, E lo strepito de V armi E il furor de' fieri petti E la folgor de i moschetti In presenza a gli oppressor.
JUVKNILIA 229
Il combattere fia gioia, Fia '1 morire a noi vittoria : Pugnerà con noi la gloria Ed il nome de i maggior.
Ma te, o Croce di Savoia, Altra gente invoca e aspetta: A chiamar la gran vendetta Sorge un grido di dolor.
È Venezia. In riva al mare Siede, guarda, e al ciel si duole; E conforto aver non vuole. Perché figli più non ha.
Oh qua Tarmi! e a fulminare Torna, o re, nel tuo sentiero: Dove regna lo straniero, Va, ti mostra, e fuggirà. .
Noi, progenie non indegna Di magnanimi maggiori, Noi con l'armi e con i cuori Ci aduniamo intorno a te.
r , .
l ' I _
Dio ti salvi, o cara insegna. Nostro amore e nostra gioia ! Bianca Croce di Savoia, Dio ti salvi! e salvi il re!
230. JUVENILIA
XCIV.
BRINDISI
E
voe, Lieo: tu gli animi Apri, e la speme accendi. Evoe, Lieo : ne' calici Fuma, gorgoglia e splendi.
Tenti le noie assidue Co' vin d' ogni terreno E r irrompente nausea Freni con l'acre Reno'
Chi ne le cene pallide Cambia le genti e merca E da i traditi popoli Oro ed infamia cerca:
' I
JUVENILIA 231
A noi conforti 1' anime Pur contro a* fati pronte Il vin de' colli italici Ove regnò Tarconte.
Un morbo rio cui niegano Le mie camene il nome Pasce le membra d'Àmpefo E le fiorenti chiome,
Ed ei sparso di rigido Livor la bella faccia Al tuo gran nume supplita Pur con le inferme braccia.
In van : tu sdegni, o Libero, Che a- temperati ardori - La dolce per i barbari De Tuve ambra s'indori;
E, quando il marte austriaco Su' colli tuoi gavazza, Tu sfrondi i lieti pampini. Tu frangi> al suol la tazza.
Nato al sorriso limpido: De le pelasghe forme, I tetri ceffi abomini E le ferine torme.
232 JUVENILIA
v.'s.-'^ .-«■ -
Deh risorridi e fausto A la vendemmia scendi; Ne i bicchier nostri, o Libero, Fuma, gorgoglia e splendi.
Ne' clivi óve più prospero Il sacro arbusto alligna Non pitì stranier quadrupede Ti pesterà la vigna,
Non de l'ottobre splendido Tra i balli e le canzoni Mescerà lituo retico
I detestati suoni.
II re teban di vincoli Strinse il tuo fido stuolo: Tu sorridesti, e inutili Caddero i ferri al suolo.
D'estranei re da' vincoli Italia or si sprigiona: Ridi, o vendemmia; o Libero, Il mio bicchier corona.
Torni a' suoi covi squallidi La sconsolata prole. Di putri nebbie fumiga La terra in odio al sole,
JUVENILIA 233
Che a pena guarda i poveri Campi e i maligni colli, Cui nieghi, o padre Libero, L'onor de' tuoi rampolli.
Ivi i giacenti spiriti D'amari succhi asperga E oblii ne' sonni torbidi De' suoi signor la verga.
A noi tu serbi i vividi Estri e gli ardor giocondi, . Di civil fiamma, o Libero, A noi tu i cuori inondi ;
Tu caro a lui che a' teutoni Indisse i lunghi affanni Ed al cantor lesbiaco Spavento de' tiranni.
234 JUVENILIA
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LA SCOMUNICA
1 fratelli a i fratelli e i padri a i figli Chiama Roma inimici, e guerra chiede: Per vive membra crepitar l€ tede, Dritti fra nere croci acciar vermigli,
E fra stupri ed oltraggi e sangue e prede Rapito Cristo da rabbiosi artigli Delitti a consacrar, con erti cigli Di tra r orgie dormite ella già vede.
Già leva il maggior prete in bianche stole Tra la sua turba imbestì'ata e scempia La man benedicente e le parole.
Nefandi ! oh venga di che sangue v' empia Si che v'affoghi, e sia quel che a voi cóle Da i sen forati e da la rotta tempia.
JUVENILIA 235
XCVI. VOCE DEI PRETI
JZ-/ tu pur di viltà stuoia e d'inganni Fosti, o asil de gli oppressi, <> tempio; quando, I fratelli e la patria e Dio negando, U interprete di Dio stiè co* tiranni.
Empio! e al del si lodò de ì nostri affanni, E benedisse a- gli oppressori il brando, E a r infeSrno sacrò qual sé levando Scotea dal capo del servaggio i danni..
Pronta a gì' impseri d' ogni vii feroce E a le lusinghe del vietato acquisto, A Dio menti de' vati suoi la voce.
Ahi giorno :sovra gli altri infame e tristo, Quando vessil: di servitù- la Croce E campion di tiranni apparve Cristo!
236 JUVENIUA
XCVII.
VOCE DI DIO
V,
oce di Dio nel tempio or ecco tuona, .. .. — Una sembianza avete ed un linguaggio. Vostra è la patria che il Signor vi dona, Cui ride il ciel coM più soave raggio.
Via del sire stranier V armato oltraggio ! Via la favella che diversa suona ! Cui vi strappa de* vostri avi il retaggio, Cui ,vi tragge a servir, Dio non perdona:
Dio che accende la vita entro gli avelli, Che incontro a gli oppressor tra' folgor vola In compagnia de* Ma<;:abei fratelli. —
Salve, o voce di Dio! questa è parola Che di te scende, e a' secoli novelli Rende lo spirto del Savonarola.
JUVENÌLIA 237
XCVIII.
IL PLEBISCITO
L
leva le tende, e stimola La fuga de i cavalli; Torna a le pigre valli che il verno scolorò !
Via ! su le torri italiche L' antico astro s* accende : Leva, 0 strariier, le tende ! 11 regno tuo cessò.
Amor de* nostri martiri, De i savi e de* poeti, Da i santi sepolcreti La nuova Italia usci :
238 JUVENILIA
Usci fiera viragine De le battaglie al suono, E la. procella e M tuono Su M capo a lei ruggì.
Levò lo sguardo; e splendida SuM combattuto lido Mandò a' suoi figli un grido Tra Talpe infida eM mar:
E di ridesti popoli Fremon le valli e i monti, E su r erette fronti Un sangue e un' alma appar.
Già più non grava a i liberi Viltà di cor le ciglia: Siam r itala famiglia Cui Roma il segno die*.
La forte Emilia abbracciasi A la gentil Toscana : Legnano e Gavinana Sola una patria or è.
L' ombre de' padri sorgono Raggianti in su gli avelli; Il sangue de' fratelli Da' campi al ciel fumò.
JUVENIUA 239
Già sotto il piede austriaco Bolle lampeggia e splen<Je: Leva, o stranier, le tende: Il regno tuo cessò.
Piei>a di fati un' aura Da i roman colli move; La terra e iLciel commove Le tombe e le città.
In ogni zoUa^ o barbaro, - A te una pugna attesta L'antica età ridesta Con la novella età.
Vedi; Crescenzio i tumuli Schiude nel suol latino; Levato in pie Arduino Incalza il nuovo Otton»
T'incalza il sasso ligure, La siciliana squilla; E Procida e Balilla Accende la tenzon.
Ecco : Ferruccio V impeto Ed il furor prepara : Lo stuol di Montanara Intorno a lui si tien.
240 JUVENILIA
Ne i dolor lunghi pallido Ecco il sabaudo Alberto: Gittato ha il manto e *1 serto, Sol con la spada ei vien.
A' varchi infidi cacciano
I tuoi destrieri aneli Poerio con Mameli, Manara e Rossarol.
Nero vestiti affrontano Te del Carroccio i forti. Tornano i nostri morti; Tornano a' rai del sol.
De i vecchi e nuovi martìri La voce si diffonde, E un grido sol risponde L' Arno la Dora il Po.
Sola una mente e un' anima Tutta r Italia accende: Leva, o stranier, le tende !
II regno tuo cessò.
E tu, signor de' liberi, Re de V Italia armato, Ne i voti del senato. Ne '1 grido popolar.
JUVENILIA 241
Sorgi, Vittorio: a T ultima Gloria de' regi ascendi ; Al popolo distendi La mano, ed a Tacciar.
P accomandiamo i pubblici Diritti e le fortune, I talami e le cune, Le tombe de* maggior:
Vieni, invocato gaudio A i tardi occhi de' padri, Speranza de le madri. De' baldi figli amor.
Vieni: anche i nostri parvoli A fausti di crescenti Te con i dubbi accenti Chiaman d' Italia re.
Assai splendesti folgore Ne' sanguinosi campi, E de la pugna i lampi Arsero intorno a te.
Vieni, guerriero e principe, Tra'l popolar desio: Teco è r Italia e Dio : Chi contro te starà?
Carducci. 16
242 JUVENILIA
Dio pose te segnacolo D'una fatai vendetta: Teco r Italia affretta A la promessa età.
Straniero, a le tue vergini Gran lutto allor sovrasta: Gitta la spada e l'asta; Dio gli oppressor fiaccò.
De la vendetta il fulmine Già Tale infiamma, e scende. Leva, o stranier, le tende! Il regno tuo cessò.
JUVENILIA 243
XCIX. IN SANTA CROCE
IV GIUGNO MDCCCLX.
1 re fra i ricordi e le speranze e il pianto Sorgon forme nel tempio alte e stupende. Verde quasi smeraldo ha V una il manto, E il ferro e rocchio verso l'Adria intende.
Come folgor di Dio, da P altro canto Roggio il secondo cherubin s'accende; E mira in vai di Tebro; e al pastor santo Tremano in capo per terror le bende.
Bianco siccome neve in alpi intatte E il terzo ; e va, de' martiri colomba, Dove Sicilia bella arde e combatte.
Ma grida a gli altri: Allor che la mia tromba
Canti le tirannesche ire disfatte,
Tu su Venezia e tu su Roma piomba.
244 JUVENILIA
C.
SICILIA E LA RIVOLUZIONE.
D,
a le vette de TEtna fumanti Ben ti levi, o facella di guerra: Su le tombe de' vecchi giganti Come bella e terribil sei tu!
Oh, trasvola ! per V itala terra Corri, ed empi d'incendio ogni lido! Uno il core, uno il patto, uno il grido: Né stranier né oppressori mai più!
O seduti ne gli aulici scanni, A che i patti mentite e la pace? Solo è pace tra servi e tiranni Quando morte la lite fini :
Ma il nemico su'l campo non giace, Né lasciò da la man sanguinante La catena ch€ in saldo adamante Nel silenzio de' secoli ordì.
JUVENILIA 245
Come il turpe avvoltoio ripara, Franto V ali dal turbine, al covo, E ne r ozio inquieto prepara Pur li artigli la fame ed il voi ; Vergognando il pericolo novo La barbarie le forze rintégra, Ne le insidie la speme rallegra, Pria li spirti quindi occupa il suol.
Or su via! Fin che il truce signore Tien sol una de V itale glebe E de' regi custodi il terrore Tra l'Italia e l'Italia interpon;
Fin che d'Austria e Boemia la plebe Si disseta di Mincio e di Brenta, E il cavallo de Tlstro s'avventa Dove al passo confini non son ;
Fino al di, verdi retiche vette, Che su voi splenda l'asta latina; Sciagurato chi pace promette, Chi la mano a la spada non ha!
Presto in armi! l'antica rapina Ceda innanzi a l'eterno diritto! • Come Amazzoni ardenti al conflitto, Presto in armi le cento città!
246 JUVENILIA
O Milan, la tua pìngue pianura Crebbe pur de le bianche lor ossa, E i destrieri sferzò la paura Quando inerme il tuo popol ruggì:
O Milano, a la terza riscossa Citta r ultima sfida, e t' affretta ; Il drappel de la morte t' aspetta, Ch* è risorto al novissimo di.
Bello il sangue che ancor su la gonna Tua ducale rosseggia e sfavilla ! Non forbirlo, o de' Liguri donna; Odi, a vespro Palermo sonò ! Pittamuli, Carbone, Balilla Scalzi corran da Prè da Portoria, Sotto il nobile segno de i Doria, Dietro il sasso che i mille cacciò.
Dove sono, o Bologna, i possenti, I guerrier de la tua Montagnola? Quei che incontro a' metalli roventi Volan come fanciulle a danzar? Non più fren di levitica stola Al furor de le sacre tenzoni! Spingi in caccia i tuoi torvi leoni ! Senti il cenno per T aure squillar!
JUVENILIA 247
O del Mella viragine forte, Batti pur su le incudi sonanti, Stringi pure in arnesi di morte Del tuo ferro il domato rigor;
Ma rammenta i tuoi pargoli infranti Su le soglie, i tuoi vecchi scannati, Ed i petti materni frugati Da le spade, e T irriso dolor.
O Firenze, tua libera prole Dorme tutta ne' templi de' padri O su' monti ove V ultimo sole Il tuo Decio cadendo attestò?
Odo un gemito lungo di madri Volto al Mincio ed al memore piano Gli occhi avvalla riscosso il Germano Da le torri vegliate, e tremò:
Che un clamor d'irrompente battaglia Sorge ancor da la trista pianura, E le azzurre sue luci abbarbaglia D' incalzanti coorti il fulgor.
A la cinta' de l' ispide mura Su correte, o progenie di forti! Qui la muta legione de' morti Qui vi chiama, ed il conscio furor.
248 JU VENI LIA
Chi è costui che cavalca glorioso In tra i lampi del ferro e del foco, Bello come nel ciel procelloso Il sereno Orione compar?
Ei si noma, e a' suoi cento diér loco Le migliaia da i re congiurate: Ei si noma, e città folgorate Su le ardenti ruine pugnar.
Come tuono di nube, disserra Ei li sdegni che Italia raguna: Ei percuote d' un piede la terra, E la terra germoglia guerrier.
Garibaldi ! . . . Da V erma laguna Leva il capo, o Venezia dolente: Tu raccogli, o de V itala gente Madre Roma, lo scettro e V imper.
Su, da' monti Carpazi a la Dravà, Da la Bosnia a le tessale cime, Dove geme la Vistola schiava, Dove suona di pianti il Balcan!
Su, d' amore nel vampo sublime Scoppin Tire de l'alme segréte! Genti oppresse, sorgete, sorgete! Ne la pugna vi date la man!
JUVENILIA 249
Da li scogli che frangon V Egeo, Da le rupi ove V aquile han covo, O fratelli di Grecia, al Pireo ! Contro r Asia Temistocle è qui.
Serbo, attendi ! su M pian di Cossovo Grande l'ombra di Lazaro s'alza; Marco prence da V antro fuor balza, E il pezzato destriero annitrì.
Strappa omai de' Corvini la lancia Da le sale paterne, o Magiaro; Su '1 tuo nero cavallo ti slancia A le pifgne de i liberi di.
In fra M gregge che misero e raro L' asburghese predon f ha lasciato, Perché piangi, o fratello Croato, Il figliuol che in Italia mori?
In queir uno che tutti ci fiede. Che si pasce del sangue di tutti, Di giustizia d'amore di fede Tutti armati leviamoci su.
E tu, fine de gli odii e de i lutti, Ardi, o face di guerra, ogni lido! Uno il cuore, uno il patto, uno il grido: Né stran ier né oppressori mai più.
LICENZA
i-o di p(B;£iLXiQr ghirlanda sono.
Ed Enotrie a le dee m'appese in dono.
Qui l'arte deponendo e il van desio; Altri chieda la gloria, ed ei l'oblio.
Al libro [1886] — Petronio [pag. 5, v. 61 è quel del Sa^rìcon divenuto dopo il 1815 scrittore di romanzetti mi- stici e d' omelie erotiche. Alfio [ ivi, v. 14 ] è I' usuraio del il deg^ epodi: al tempo di Orazio bceva idilli campestri, dal 1815 al 59 compose di molti inni sacri in settenari e in iscioltì: oggigiorno credo faccia anche delle poesie Sociali. Le altre ligure, 0 figuri, sono studi ideali dal vero, per cosi dire, della società toscana poco avanti e poco dopo il 21 aprile 1859, cui si allude alla pag. 7, v. 4. Per l' allusione mitolo^ca su '1 Mugnone [pag. 9, w. 21-23], chi non se ne ricordasse vegga il Ninfale fiesolano. A chi poi gli rimprovera l' acerbezza giambica di alcuni di questi versi, come sconveniente alla ci- viltà odierna, Enotrìo, veneratore degli antichi, ricorda quel di C. Trebonio a Cicerone, Fcanil. lib. XIJ: In quibus versi- culis si tibi qaibasdam verbis eythyrremonésteros videbor, lurpitudo personae eius in quam liberius invehimur non vin- dicabit: ignosces edam iracundiae noslrae, quae iusla esl in eiusmodi et homines et cives. E canticchia quei versi di Lu- cilio:
Virtas, id dare quod re ipso debetur hanori,
Hostem esse alque inimicum hominum morumque maiorum
Cantra defensorem hominum morumque bonorum.
256 JUVENILIA
LIBRO I.
VI) A imitazione delle rime dei secoli xiii e xiv.
VII) Come il precedente. Il Primo amante del v. 12 è detto platonicamente, come già dal Tasso nella canzone alla Pietà :
Ei accesa dì aelo
Scaldi gli alati amori
Di nuovo e dolce foco e 7 primo amante.
XIII) In questo sonetto la seconda quartina non corri- sponde neir abitudine delle rime alla prima : ma npn è licenza mia, sf maniera antica che piacque al Petrarca (v. il «sonetto Solecmo i miei pensier soavemente). Libertà in arte quanta ce n' entra : ma di quelle libertà che scusano l' ignoranza l' im* potenza o la trascuraggine, no.
LIBRO n.
XXVI) E una specie d'idillio lirico, nei quale per le rap» presentazioni della natura volle tornarsi alte forme del poli- teismo classico, e ai sentimenti della natura volte mescolarsi le ire nazionali del presente d' allora. Il canto messo in bocca alle fanciulle romane festeggianti la primavera neH' isoletta del Tevere [ pagg. 44-48 ] è imitazione o riduzione del Per^ vigiliam Veneris. Chi volesse saper di più su'l luogo 1' occa- sione e i modi di quella festa, cerchi il proemio del Wems* dorf a queir idillio ( Poetae latini minores, n ).
4
XXVII ) Per Cerinto e Sulpizia [ pagg. 55 ] vedi il libro IV delle elegie di Tibullo.
XXVIII) È una variazione su l'idillio vin di Mosco, su r elegia vii di Lod. Ariosto O ne' miei danni.,.., «u le stanze
JUVENILIA 257
di Ph. Desportes Nuict jalouse nuict.... e su' la catiz. viii p. i di T. Tasso Chi di mordaci^.:.
XXIX) Di Cassio [a pag. 65J sappiamo da Plutarco, nella vita di Bruto, che era epicureo ,^ buon compagno.
XXXI) Traduzione o imitazione dal Basium II di Gio- vanni Secondo.
XXXII ) Fatta veramente su '1 motivo d* antico poeta ci- nese, Kaokiti ; il cui canto può vedersi tradotto nella Storia universale di Cesare Cantù (Letteratura, voi. I, p. 312: Torino, Pomba, 1841).
XXXIII) È una santa proteggitrice, come chi dicesse una indigete, della terra di Santa Maria a monte nel Valdarno in- feriore; ove nacque nel 1187 da un Giuntini cavaliere e da una Ghisilierì di Bologna e morì nel 1231.
XXXIV ) Per gli ultimi versi [ pag. 80 } ognun ricorda che la Commedia di Dante fu alcuna volta letta al popolo in Santa Maria del fiore.
LIBRÒ III.
XLII ) v. 9. Accenna alle parole del Voltaire : Vorrei inti- tolare le vostre commedie L' Italia liberata dai Goti [lett. a C. G., 24 seti neO].
LVI) È risposta per le stesse rime a un sonetto che mi fu indirizzato nel 1856 e che fu stampato in un volume di Liriche [Pisa, Nistri, 1862], ove sono di bei pezzi poetici. Ecco il sonetto :
Carducci, è suono d* armonia guerriera Quel che ti freme ne 1' ardente core, Che pur le dolci fantasie d'amore Veste di.foima rigida e severa.
Carducci. 17
258 JUVENIUA
.-s-— — - w "
La tua forte e sdegnosa anima altera Sprezza di schiavi e di liberti onore; E d' acheo piena e di latin valore Cerca nel ciel di Dante la sua sfera.
Che se *1 tuo canto a 1* età non s' accorda, Pensa che il fiacco solo in lei s* ispira Da che al verbo de* forti è fatta sorda.
Di miglior tempo degno, a la tua lira Non tór, Carducci, non aggiunger corda, Ma sii qual fosti; e rendi carmi ed ira.
Corde, d' allora in poi, alla mia lira io non ne ho tolte ; e, se alcuna ne ho aggiunta, è di quelle che Sparta non avrebbe comandato di togliere.
LIBRO IV.
LVIl) Questi versi e gli altri intitolati Omero sono fram- menti di un carme che ne* primi anni meditavo su la poesia greca. E li ristampo, sebbene frammenti, perché sovra essi si fermò più benigno lo sguardo di F. D. Guerrazzi : i lin- guaioli mi motteggiavano, ed ei giudicò che in questi versi specialmente io mi mostrava sf alunno del Foscolo, ma come Achille che imparava a tender l'arco da Chirone {Rivista contemporanea del 1858). So bene d'esser rimasto inferiore al paragone e al vóto:
Quamquam of — sed superent quibus hoc^ Neptune, dedisti.
LIX) pag. 113, V. 15 e segg. La venuta di Omero al tumulo di Achille e l' apparizione dell' eroe e l' acciecamento del poeta furono prima immaginati da A. Poliziano nell'Ambra, V. 260 e segg. ; ma d' altra guisa.
LX) pag. 122, vv. 4-6. Questo stava bene dirlo nel 1854; ma che Dante pensasse all'unità d'Italia, oggi, studiati un
JUVENIUA 259
po' meglio i tempi l' uomo e il poema, non lo direi più né pure in un ditirambo. Le son novelle che oramai bisogna la- sciarle a quei che sudano a lusingare il veltro.
LXVI) Nelle prime sei stanze si accenna ai Persiani 4' Eschilo, e in fine della sesta all' epitafio che leggesi nel- r antica vita del poeta : Questo monumento ricuopre Eschilo cF Euforione ateniese, perito nella fertil di grano Gela. Del suo inclito valore ti dirà il sacro campo di Maratona e il denso-capigliato Medo che 7 sa per pruova.
LXVIII) vv. 13-14. Come è detto da Persio vi : Mihi nane ligus hora Intepet hibematque meum mare. Persio era etru- sco : ma il paese dalla Magra air Amo fu detto più d' una volta ligure, specialmente dai greci.
vv. 61-64. E una rimembranza del glorioso scolio ateniese: Carissimo Armodio, no tu mai non moristi: ma nelle isole de* beati dicono che tu sei, ov* è il pié'Veloce Achille e dicono anche il tidide Diomede,
V. 12. Si accenna al frammento di Alceo serbatoci da Ate- neo X : Or conviene inebriarsi e di forza bere, da poi che morto è Mirsilo.
LIBRO V.
LXXIX) pag. 189 .Fu stampato la prima volta non so più in qual numero del Momo di Firenze nel 1858, con la se- guente missiva:
Colui che ti scrive trovossi un bel giorno a sentir recitare in una accademia di questo mondo una diceria, non ti potrei dire quanto dotta e assennata e cristiana, sopra la educazione de' figliuoli. E come a lui piacque sempre la costumanza di quei sapientissimi Greci, che i comandamenti della religione e le leggi civili e i precetti della raoral filosofia mettevano in versi, e gli cantavano per le cene e gli scolpivano in capo
LICENZA
262 JUVENILIA
e morto a Gavinana il 2 agosto 1530 in difesa della libertà di Firenze, e, sì può dire, d' Italia, contro le armi dì Carlo v imperatore e di Clemente vii papa?
pag. 225, V. 9. Francesco Burlaniacchi, artefice lucchese e gonfaloniere della Repubblica di Lucca nel 1546, aveva con- cepito il magnanimo e per i tempi che allora correvano non mal fondato divisamento dì ritogliere i mali acquistati dominii agli stranieri e il temporale al papa e riunire l' Italia sotto reggimenti repubblicani, incominciando dal chiamare a libertà le città toscane e romagnole di fresco assoggettate, poi per tutta r Italia propagando V incendio. Per ciò s* intese con gli Strozzi e con altri fuorusciti fiorentini e senesi; ed era per dar mano all' opera, quando scoperto per vile malignità d' un Pezzini fu con la tortura disaminato dagli stessi anziani della sua Repubblica; e quindi dato in mano a Ferrante Gonzaga, che lo richiedeva in nome dell' imperatore, fu nella cittadella di Milano nuovamente torturato e in fine decapitato. II Governo della Toscana ha decretato che in alcuna delle piazze di Lucca gli si ponga una statua come a primo martire dell' unità ita- liana,
pp. 225, vv. 13-16. Il Burlamacchi può considerarsi come l' ultimo dei grandi uomini italiani delle età repubblicane ; che, dopo, al predomìnio straniero si accompagnò una quasi universale corruttela, e lo smarrimento d'ogni spirito generoso nel popolo d' Italia. Vero è che alcuni amarono e procurarono sempre l'indipendenza e l'unità della patria; e molti furono i tentativi a ciò dopo il 1789, e piti molti dopo il 1815; ma ebbero per fine la galera, il carcere durò, la mannaia.
pp. 225, vv. 21-24. Dio provvide che nei bassi tempi della nostra servittS regnasse al settentrione d'Italia una forte e pura famiglia di principi italiani. — Emanuele Filiberto i duca di Savoia, generalissimo delle armi spagnole in Fiandra, nel 1551 vinse sopra i Francesi la battaglia di San Quintino ; onde nella pace di Castel Cambresf, che a quella battaglia successe, riacquistò i suoi dominii di Savoia e Piemonte^ te-
JUVENILIA 263
nuti per ventic{uattro anni da' Francesi, e gli afforzò d' armi e di leggi: con ciò fondando la grandezza di casa Savoia, anche preparò air Italia nel Piemonte un futuro vendicatore delta sua libertà. — Il figliuolo di Filiberto, Carlo Emanuele i, messo dalla Spagna al bando dell' impero, perché si preparava a sostenere con le armi i suoi diritti di successione al Mon- ferrato, rispose rimandando il toson d'oro: intimatogh dal governatore di Milano che obbedisse, rispose avanzando l' eser- cito e chiamando i principi e popoli d' Italia alla riscossa con- tro il dominio straniero : per due volte fece la guerra contro Spagnoli ed Austriaci, nel 1614 e 15, nel 1616 e 17. Fu dai primi uomini d' Italia acclamato liberatore della patria.
pag. 226, vv. 1-8. Cario Alberto i, di Savoia-Carignano, dopo rinnovato il Piemonte con sapienti riforme e afforzato di disciplina e d' armi il bello e florido esercito aspettava il suo astro, aspettava cioè l' occasione di romperla coli* Au- stria, che gli fu data dalle cinque giornate di Milano ( 18-22 marzo 1848): ond' egli il 23 passò il Ticino, sovrapposto lo scudo di Savoia alla bandiera tricolore italiana; e battuto il 30 aprile il generale D' Aspre a Pastrengo, e nel 30 maggio il maresciallo Radetzky a Goito, ebbe in quest'ultimo giorno la fortezza di Peschiera a patti. Non è del nostro proposito il narrare come riuscisse male quella guerra incominciata con tanto lieti auspfcii: accenneremo» come Carlo Alberto battuto a Novara nel 23 marzo 1849 abdicasse pe '1 figlio Vittorio Emanuele ii, e andasse a morire . nell' esiglio in Oporto di Portogallo. Dal Senato del Regno fu con decreto aggiunta al nome di loi l'appellazióne di Magnanimo.
pag. 228. Cantata la sera del 4 dicembre 1859 al Teatro Pagliano^ con gratrde • accompagnamento di coro, dalla signora Manetta Piccolomint in occasione dell' Accademia a vantaggio della soscrizione per i fucili promossa da Gius. Garibaldi, e a richiesta universale* «ripetuto tre volte. Altre strofe del canto stesso erano già state messe, in musica pur dal mae-
264 JUVENILIA
stro Carlo Romani ed eseguite nel r. Teatro degl' Intrepidi in Firenze la sera del 27 novembre 1889.
■ I
XCIV ) Un po' incivile con gli austriaci, ma bisogna ricor- dare i tempi : del resto né pur gli austriaci erano civilissimi con noi. Tarconte [p. 231, v. 4] è F eroe mitico degli. etruschi fondatore di città. Àmpelo [ivi, v, 1] die il nome greco alla vite: di lui Ovidio, F<ist. in, 409.
Ampelon intonsum safyro nymphaque creatum Fertur in ismariis Bacchus amasse iugis.
Su 'I coperchio d* un sarcofago del Musèo Pio dementino ve- desì figurato nel trionfo dì Bacco in un carro tirato da tigri cui guida un Amorino sonando la lira. La sua stòria è il più bel episodio delle Dionisiache di Nonno. A pag. 233, vv. 13-16, si accenna a Mario, che vecchio beveva anche tròppo, e ad Alceo, de' cui pochi frammenti parecchi son sacri al vino e a' bicchieri.
C) p. 246, V. 7. Occorre dire che accenno alla Compagnia della morte, la quale combatté a Legnano intorno al Carroccio ? e della quale il BèrChet, Fantasie ni.
Dio fu nosco. Al draippel de la Morte, Alla foga dei carri falcati ' Ei fu guida....
pag. 249, vv. 5-8. Su '1 piano di CosspVo fu combattuta il 15 giugno del 1389 la baJttagiia tra Serbr e Turchi ove cadde tra migliaia di prodi Lasaro re di Seiina e la nazione, e che è omericamente celebrata nei canti popolari serbi, al cui paragone si vede bene la gran miseria che sono certe altre poesie popolari. Quei canti narl^no anche i grandi e gli ameni fatti di Marco Kraglievi^fa {princ^)^ V Achille e il Rinaldo serbico. " Visse censessant' anni ; second' altri tre-
JUVENILIA 265
cento. Altri imagina che dopo V ultima battaglia si ritraesse in una caverna, quando vide la canna del primo moschetto. Dio a lui pregante die un sonno che non si romperà se non quando gli cadrà da sé la spada dal fodero. Si sente talvolta il suo cavallo nitrire ; e la spada è già mezza fuori „ : cosi il signor Bone nella versione di Nicolò Tommaseo, traduttore e illustratore degno della poesia illirica.
LEVIA GRAVIA
1861-1871
Ooi
-/ome tra '1 gelo antico S' affaccia la vTola e disasconde Sua parvola beltà pur de l'odore; Come a l' albergo amico Co '1 vento eh' apre le novelle fronde La rondinella torna ed a l' amore; Rifiorirmi nel core '
Sento de i carmi e de gli errpr Jajejje ; Animoso già riede De le imagini il voi, riede 1' ardore Su r ingegno risorto; e il mondo in tanto Chiede al mio petto ancor palpiti e canto.
270 LEVIA GRAVIA
tuce di poesia.
Luce d* amor che la mente saluti,
Su r ali de la vita anco s' aderge
A te r anima mia,
Ancor la nube de' suoi giorni muti
Nel bel sereno tuo purga e deterge:
Al sol cosi che asperge
Lieto la stanza d' improvviso lume
Sorride da le piume
L' infermo e '1 sitibondo occhio v' immerge
Sin che gli basta la pupilla stanca
A i color de la vita, e si rinfranca.
Quale nel cor mal vivo
Dolore io chiusi, poi che la minaccia
Del tuo sparir sostenni, e quante pene!
Tal del seguace rivo
A poco a poco inaridir la traccia
L' arabo vede tra le mute arene,
E sente entro le vene
L' arsura infuri'ar, e mira, ahi senso
Spaventoso ed immenso!.
Oltre il voi del pensiero e de la spene
Spaziare silente^ e_ fiammeggiante
Il ciel di sopra e M gran deserto innante.
LEVIA GRAVI A 271
^_-N^- Nw^--*
E giace, e il capo asconde
Nel manto, come a sé voglia coprire
La vista, che il circonda, de la morte:
E il vento le profonde
Sabbie rimove e ne le orrende spire
Par che sepolcro al corpo vivo apporte.
I figli e la consorte
Ei pensa, eh' escon de le patrie ville
Con vigili pupille
Del suo ritorno ad esplorar le scorte,
E in ogni suono, eh' a V orecchio lasso
Vien, de' noti cammelli odono il passo.
Or mi rilevo, o bella
Luce, ne' raggi tuoi con quel desio
Ond' entropio s' accompagna al sole.
Ma de 1' età novella
Ove i dolci consorti ed ove il pio
Vólto e r amico riso e le parole ?
Come beli' arbor suole
Ch' è dal turbin percosso innanzi il verno,
Tu, mio fratello, eterno
Mio sospiro e dolor, cadesti. Sole,
Lungi al pianto del padre, or tien la fossa
Pur le speranze de 1' amico e l' ossa.
272 LEVIA GRAVI A
-^.■
O ad ogni bene accesa
Anima schiva, e tu lenta languisti
Da r acre ver consunta e non ferita :
Tua gentilezza intesa
Al reo mondo non fu, che la vestisti
Di sorriso e disdegno; e sei partita.
Con voi la miglior vita
Dileguossi, ahi per sempre!, anime care;
Qual di turbato mare
Tra i nembi sfugge e di splendor vestita
Par da l'occiduo sol la costa verde
A chi la muta con T esilio e perde.
Dunque, se i pri m i ingann i
M^ abbandonaro inerme al tempo e al vero,
Musa, il divin tuo riso a me che vale?
Altri e fidenti vanni,
Altro e indomito al dubbio ingegno altero
Vorriasi a te. seguir, bella immortale,
Quand'apri ardente Tale
Vèr' l'infinito che ti splende in vista:
A me r anima è trista ;
Perdesi V inno mio nel vuoto, quale
Per gli silenzi de la notte arcana.
Canto di peregrin che s' allontana.
LEVIA GRAVIA 273
Ma no: dovunque suona In voce di dolor V umano accento Accuse in faccia del divin creato, E a r uom V uom non perdona, E V ignominia del fraterno armento È ludibrio di pochi, è rio mercato, E con viso larvato Di diritto la forza il campo tiene E r inganno d* oscene Sacerdotali bende incamuffato, Ivi gli amici nostri, ivi i fratelli. Intuona, o musa mia, gì' inni novelli.
Addio, serena etate,
Che di forme e di suoni il cor s'appaga;
O primavera de la vita, addio !
Ad altri le beate
Visioni e la gloria, e a 1' ombra vaga
De' boschetti posare appresso il rio,
E co '1 queto desio
Far di sé specchio queto al mondo intero:
Noi per aspro sentiero
Amore ed odio incalza austero e pio,
A noi fra i tormentati or convien ire
Tesoreggiando le vendette e l' ire.
Carducci. 18
274 LEVIA GRAVIA
Musa, e non vedi quanto
Tuon di dolor s'accoglie e qual di sangue
Tinta di terra al ciel nube procede ?
Di madri umane è pianto
Cui su r esausta poppa il figlio langue;
Strido è di pargoletti, e del pan chiede:
È sospir di chi cede
Vinto e in mezzo a la grave opera cade,
Di vergin che onestade
Muta co '1 vitto; e di chi più non crede
E disperato nel delitto irrompe
È grido, o cielo, e i tuoi seren corrompe.
Che mormora quel gregge
Di beati a cui soli il ciel sorride
E fiorisce la terra e ondeggia il mare?
Di qual divina legge
S' arma egli dunque e che decreti incide
A schermir le crudeli opere avare ?
Odo il tuono mugghiare
Su ne le nubi, e freddo il vento spira.
Del turbine ne V ira
E tra i folgori è dolce, inni, volare.
L'umana libertà già move Tarmi:
Risorgi, o musa, e trombe siano i carmi.
LEVIA GRAVIA 275
Canzon mia, che dicesti ?
Troppo è gran vanto a si debili tempre :
Torniam ne V ombra a disperar per sempre.
LIBRO I.
A„
Xncor mi rìde ne la fantasia L' onesto sguardo, o giovinette, e il viso E de le vostre inchine fronti il riso;
E ad altri di la mente si disvia Quando m'apparve amor cosa celeste; E con sospir strisciare odo una veste
Bianca tra i fiori al lume de la luna, Mesco mormorii dolci a l'aria bruna.
278 LEVIA GRAVIA
Povero peregrino in chiusa valle, Timido de la notte erma tra i sassi, Se leva gli occhi su del monte a i passi
Ond' è calato e vede le sue spalle Ancor vestite del soave raggio, Pensa il principio del lontan viaggio
E del luogo natio la primavera Ed il foco paterno in su la sera.
Al sole al verde a gli amorosi vènti, A le dolci armonie pe M mondo sparte Sospira il cuor; ma la bufera in parte
Mi respinge ove infuriano i viventi Odi e amor di miir anni e da le tombe Sorgono accenti d' ira e suon di trombe.
Non uditeli voi, ma pure e liete De la fugace rosa il fior cogliete.
LEVIA GRAVIA 279
III.
PER NOZZE B. E T.
IN PISA
whi me de' canti ornai memore in vano Poi che dal nido mio giacqui diviso, Chi me al ciel patrio e de gli amici al viso
Rende toscano,
Dove più largo ne' bei piani a V onda Laboriosa il freno Arno concede E di trionfi solitari vede
Grave la sponda?
Vola"^il pensiero trepidando e posa A una nota magione or tutta in festa. Piange la madre e i bianchi veli appresta:
Ecco la sposa.
280 LEVIA GRAVIA
Seco il garzone a cui V intimo affetto Traluce e ride su la faccia pura E ne r eloquio 1' anima secura
E il savio petto.
Oh a me del vin cui più sottil maturi Tosca vendemmia per le aeree cime Versate, amici. Io dal bicchier le rime
Chieggo e li augùri.
E d'Alice dirò la chioma bruna, La tenue fronte e i lunghi sguardi e lenti. Come in queta d' aprii notte pioventi
Raggi di luna.
LEVIA GRAVIA 281
IV.
PER VAL D' ARNO
:ivjegga.-niair toscani colli, Colli toscani ove il mio canto nacque Sotto i limpidi soli e tra le molli Ombre de' lauri a' mormorii de V acque,
Che dal lag;o del cor non mi rampolli ^^-^ Il pianto. Ogni memoria altra si tacque Da quando in te, che più ridi e t'estolli. Colle funesto, il fratel mio si giacque.
Oh che dolce sperar già ne sostenne! Come da quella età che. non. dnyerdé Volammo a V avvenir con franche penne !
Tra ignavi studi il tempo or mi sijerde Nel dispetto e T oblio, ma lui ventenne Copre lajTegca-tfixra. e V erba verde.
«- &'< «>
282 LEVIA GRAVIA
V.
F. PETRARCA
Oe, porto de' pensier torbidi e foschi, Ridesse un campicello al desir mio Con poca selva e il lento andar d' un rio A r aèr dolce de' miei colli tòschi,
Vorrei, là in parte ove il garrir de' loschi Mevi non salga e regni alto V oblio, Pòrti un'ara con puro animo e pio Ne la verde caligine de' boschi.
Ivi del sol con gli ultimi splendori Ridirei tua canzon tra erbose sponde Au .^^. v^v^ A r onde a l' aure a i vaghi augelli a i fiori :
Gemerebber più dolci e l'aure e l'onde, Più puri al sole i fior darian gli odori, Cantando un usignol tra fronde e fronde.
LEVIA GRAVIA 283
VI.
IN MORTE DI PIETRO THOUAR
[giugno 1861]
M,
e da la turba, che d'ossequio avaro Pasce i mal chiusi orgogli A qual più sorga d' util fama chiaro, Tu, solitaria musa, a voi ritogli : Ma, dove del suo riso Virtù soave irradYando veste Bei costumi, alti sensi, opre modeste. Ivi teco io m' affiso, Teco m* esalto ed a V aspetto santo Rompe da la commossa anima il canto.
284 LEVIA GRAVIA
E già cercai con desioso amore
Questo savio gentile,
E i pensieri affinai ne lo splendore
Che mite diffondea sua vita umile.
Nel suo povero tetto
Me inesperto egli accolse e ad una ad una
Del reo mondo le piaghe e di fortuna
E '1 non mai domo affetto
Al vero al buon m' aperse : in su la pura
Fronte gli sorridea V alma secura.
Ahi, con duol mi rimembra il punto quando
L' ultimo amplesso tolsi,
E da la buona imago, sospirando.
Confuso di tristezza, il pie rivolsi !
Redia, su M volto amico
Insaziato ancor 1' occhio redia,
Qual di figliuolo che per lunga via
Si mette, e al padre antico
Guarda, pensoso del lontan ritorno,
Ne la fredd' ombra de V occiduo giorno.
LEVIA GRAVIA 285
Pur rivederlo a sue beli' opre atteso
Mi promettea speranza,
E ne gli onesti ragionari acceso
Di fede avvalorarmi e di costanza.
In van : per sempre è muto
Quel di semplice eloquio inclito fabro,
Quel mite ardente intemerato labro;
E r occhio, ahi queir arguto
Da le assidue vigilie occhio conquiso.
Più non si leva a' dolci alunni in viso.
E voi vivete, o titolati Gracchi,
E voi con doppia lingua
Ben provvedenti Bruti a' cor vigliacchi,
E voi Caton cui libertade impingua.
V approdaron, civili
Rosei, il tragico stile e l'alte spoglie!
Ma in van mentite, o istrìon, le voglie
Oblique e 1' opre vili
Sott'esso il fasto de l'eretto ciglio.
Famosi oggetti al popolar bisbiglio.
286 LEVIA GRAVIA
Ei per le vie, che non de gli aurei cocchi
Ma suonan di frequente
Opera industre, oh quante volte gli occhi
A sé traea del vulgo reverente!
Lisciano in suo cammino
I vecchi salutando, ed a la prole
Con ischietti d' amor cenni e parole
Segnavanlo e al vicino:
Or di lui forse in su la stanca sera
Pensan con un sospiro e una preghiera.
Non un pensier, eh' io creda, a lui concede
Il vulgo che beato
Con largo fasto e misera mercede
Ne pagava i precetti e il mal sudato
Tempo ingombrògli. Umano
De gli anni nuovi educatore, ahi cruda
Volge r età pur sempre, e de l' ignuda
Virtù r esempio è in vano :
Povero fior d* atra palude in riva
Muor né d' olezzi il grave aèr ravviva.
LEVIA GRAVIA 287
VII.
ALLA LOUISA GRACE BARTOLINI
A
te, sciolto da' languidi Tedi Io spirto, e anelo Del vital aere al fremito Ed a l'effuso cielo, Sorge: dal cuor rimormora L'aura de' canti, inclita donna, a te;
A cui ne' tócchi rapidi
D' animator pennello
E ne' frenati numeri
La memore del bello
Idea sorride e tenero
Senso e del bene 1' operosa fé'.
288 LEVIA GRAVIA
O desta a i forti palpiti
Che viltà preme in noi,
Nata a i concilii splendidi
De i vati e de gli eroi,
Salve, Eloisa, armonica
D'altre genti figliuola e d'altre età!
Perché tra i vecchi popoli Venisti e a gli anni tardi, Quando gli eroi si assoldano, Spengonsi i vati e i bardi, E si scelera V ultimo De r oscurato ciel raggio, beltà ?
Altr* aer ed altro secolo
L'attèa Corinna accolse;
E, quando ella da' rosei
Labbri il canto devolse.
Tutto pendeva un popolo
Da r ardente fanciulla affisa al ciel
Fremea sotto la cetera
L'onda alterna del petto:
Da le forme virginee
Ineffabil diletto
Spirava; ma le lacrime
Splendido a' folgoranti occhi eran vel
LEVIA GRAVIA 289
Stupian mirando i principi
E i figli de gli Achei
Poggiati a' colli madidi
De* corridori elei :
Cantava l'aita vergine
La sua patria^ i suoi dèi^ la libertà.
Ed oblioso Pindaro .
De la ceduta palma
Parca per gli occhi effondere ■
Il sorriso de V ialma,
Rimembrando Eleuteri^.
Che tra i popoli salvi- ianeggia e va.
Ma ben, come da sùbita
Procella esercitate,
Le selve atre germaniche
Suonar, se a l'adunate .
Plebi i cruenti oracoli
Apria Velleda e de le pugne il di.
Tra r erme ombre de' larici,
Da la luna e dal vento
Rotte, la vergili pallida
In nero yesliimento
Alta levossi, ìa gli omefi
Lenta il crin-biondo onde nuli' uom gioì
Carducci. 19
290 LEVIA GRAVIA
E cantò guerre, orribili
Guerre; e a la cena immonda
Convitò i lupi e l'aquile;
E tepefatta V onda
De' freddi fiumi scendere
Vide tarda fra i corpi al negro mar.
Lungo andò allor per V aere
Rombo da i tócchi scudi:
Precipitar da' plaustri
Le madri, e con l' ignudi
Petti la pugna accesero
O ululando le marse aste affrontar.
Ahi, dov' è pompa inutile
Al vivere civile
La donna, ivi non ornasi
Il costume virile
Di forza e verecondia,
E turpe incombe a' gravi spirti amor.
Ma tu, Eloisa, l' agile
Estro di Suli a i monti
Invia, dove pitji gelide
Mormoran l'aure e i fonti,
E molce i petti liberi .
Canto d' augelli e balsamo di fior;
l^BVJA GRAVIA 291
E dinne la bellissima
Sposa d'eroi Zavella,
Che pur con V una stringesi
Il nato a la mammella,
Con l'altra mano fulmina
L' oste premente e gli orridi bassa.
De le polone femmine
Ridinne i canti amari,
Che di lor vene tingono
r supplicati altari
O chieggono a la Vistola
Tra cotanta di spade impunità
Gli spenti figli. O candido
Stuolo, lamenta e muori,
In fin che basta il ferreo
Tempo de gli oppressori,
E pur cadendo mormora
— No, che la patria mia morta non è. —
Già la rivolta affrettasi Fosca di villa in villa, Turbina il vento ed agita L' animatrice' squilla, E il nuovo carfne a' liberi Popoli suona su i caduti re.
2Q2 LEVIA GRAVI A
Vili.
PER RACCOLTA
I
IN MORTE DI RICCA E BELLA SIGNORA
Oparsa la faccia bianca
De la fuggente vita,
Con la persona stanca
Abbandonarsi a V ultima partita
Lei che sposa virginea
Pur or ne arrise di beato amor;
Sentir com' angue gelida
E questa e quella mano;
Gli occhi mirar che vitrei
Orribilmente nuotano nel vano
Forse in cerca de i pargoli
A lo sguardo nascosi ahi non al cor,
LEVIA GRAVIA 2Q3
De i pargoli che muti
Intorno al letto stanno
Rigando i volti arguti
Di lacrimette, ed il perché non sanno,
E come sogno i fervidi
Baci materni penseranno un di;
E intorno l' ombra stendersi
De la morte odiosa,
Mentre pur su '1 cadavere
Si lamenta con Dio la madre annosa
Ch' abbia a compor ne V ultima
Pace chi a premer gli occhi suoi nutrì;
Deh quanta pietà! E pure
Dolori altri secreti
Conosco, altre sventure,
Che di solenni lacrime a' poeti
Non chieggon pompa. Apritevi,
De la miseria anttì nefandi, a me.
E tu che in quelle fetide
Paglie mal sai celare
La nudità che informasi
Da r ossa attratte e orribile si pare
Tra i pochi cenci luridi.
Forma dolente umana, oh qual tu se*'?
294 LEVIA GRAVIA
Il secco occhio splendente :
Con le pupille ignave,
Il sudor che di lente
Righe solca le tempia oscure e cave
E rappreso su V umida
Fronte il cinereo mal piovente crin,
E quel vermiglio lurido
Ne le sagl lenti gote,
Quel faticoso anelito -:
Da 1* osseo petto cui la tosse scuote
Acre profonda ed arida,"
Quel sangue de la bocca in su i confln,
Annunzian, fere scorte.
La grande ora suprema*
Al passo de la morte
Niun la prepara? e niuno è chequi gema?
Ecco: un parvol si strascica
Su quelle paglie, e chiede pur del. pan;
E un infante co '1 rabida
Vagito de la fame
Contende, ansa, travagliasi
Co M viso macro, con le dita grame,
Intorno de V esausta
Poppa. Ella guarda, e a sé io stringe invan.
LEVIA GRAVIA
Lente cadon le braccia,
Il guardo le si vela,
E pia morte la faccia
De gli affamati suoi figli le cela.
Devoti essi a la livida
Colpa ed al vorator morbo son già.
295
L'uomo, doman, che tolsela
Vergili bella e pudica.
Su '1 deforme cadavere
Darà un guardo tornando a la fatica
Usata. Ozio di. piangere, .
Dritto d' amare il misero non ha. .
296 LEVIA GRAVIA
IX,
PER NOZZE
IN PRIMAVERA
O,
r che un agii di vite innovatore Da la materia spirito s' esplica, E sona d' imenei la Selva ahtica, E su la terra il ciel folgora amore,
Cedi al sacro disio, de V amatore Va' ne gli amplessi, o vergine pudica: Natura vi consiglia e V ora amica, De la fugace età cogliete il fiore.
Né v' offenda il pensier che men gradita Stagion sottentra a questo riso alterno Del giovin anno che a goder ne invita:
Ne' cuor gentili amor vampeggia eterno. Come infuso pe '1 globo a lui dà vita Il perenne ed antico ardore interno.
LEVIA GRAVIA 297
X.
PER LE NOZZE DI UN GEOLOGO [prof. G. C]
O
scrutator del sotterraneo mondo, Cui mal pugna natura e mal si cela, Che a gli amor tuoi nel talamo profondo Sua virginal bellezza arrende e svela;
In questo de' viventi aèr giocondo Leva gli occhi una volta e l'alma anela: Qui sorriderti vedi lih verecondo Viso, e la madre a te V adorna e vela.
E qui saprai se più potente insegni Amore il varco a' chiusi incendi etnei O più soave in cuor di donna regni.
Riconfortato pòi, dal sen di lei
Torna a giungere ancor, né se ne sdegni,
Con la sacra natura altri imenei.
298 LEVIA GRAVIA
XI.
l'antica poesia toscana [NELLE NOZZE DI L D. L.]
S,
^u le piazze pe' campi e ne' verzieri D'amor tra i ludi e le tenzon civili Crebbi; e adulta cercai templi e misteri, Scuole pensose ed agitati esili.
Or dove son le donne alte e gentili, I franchi cittadini e' cavalieri? . Dove le rose de' giocondi aprili? Dove le querce de' castelli neri ?
Povera e sola a la magion felice Ecco ne vengo, ove m' invidi un pio Amor che mi restava, o inc^ntatrjce.
Apri, fanciulla; che se tempo rio Or mi si volge, i' vidi già Beatrice: Apri: la tósca poesia son io.
LEVIA GRAVIA 299
XII.
SCIENZA AMORE E FORZA [per le nozze di P. S. filosofo
AL fratello della SPOSA UFFICIALE]
J— jcco, al caro garzon che la inanella . Move la tósca, vergine pudica, ,, A cui nel riso de la fronte bella Raggia il fulgor di Beatrice antica:
Ed ei dal suol che U ionio mar flagella Ultimo e accesi i moqti e i cuor nutrica Qui venne, e lo scprgea. V ardua facella Onde Vico fugò T ombra inin^ica.
Tale, ove i. cuor fé' tirannia si scarsi, Vola or da i fin de V itala contrada . SapYenza ed amore ad abbracciarsi.
Che se rea, foi:za s' interpone e bada,
Ben tra i canti e tra i fiori a V aura sparsi
Anche, o Giorgio, fiammeggia oggi una spada.
300 LEVIA GRAVIA
XIII.
LE NOZZE
(festa di giovani e di fanciulle)
I DUE cori
N,
e la stagion che il ciel co' le feconde Piogge nel grembo de la madre antica Scende e V eterna amica Co' vegetanti palpiti risponde, E gemiti e sospiri e arcani accenti Volàn su' molli venti E la festa e il clamor de gì' imenei Nel canto è de gli aiigei;
Quando, de le foreste al lento giorno,
Accennando del vertice ondeggiante,
Fremon d^ amor le piante,
E un fresco effluvio va su l'aure intorno;
Quando al sol nuovo di pudico ardore
Dal verde letto fuore
S' invermiglia la rosa, ed il suo duolo
Canta a lei l'usignuolo;
LEVIA GRAVI A 301
Su la tepida sera e con la stanca
Luna che sorge e va tra gli odorati
Vapor benigna e i prati
Arsi rintégra e i verdi monti imbianca,
Tu a l'opre de la vita a le tue leggi
La giovin coppia reggi
E guida, o sacra, o veneranda, o pura
Madre e diva, natura.
*
PRIMO SEMICORO DI GIOVANI
Qual nel roseo mattin lene si solve
Lucida visione e come stella
Di sua bianca facella
Segna cadendo a V alta notte il velo,
La fanciulla trasvola. Oh chi del cielo La pace e il riso ne' begli, occhi infuse? Chi tanta circonfuse Gloria di raggi a la gentil persona?
Tenebra e gelo, ov' ella n'abbandona, Contragge l'aer-e i ciior; ma seco adduce L' ardore ella e la luce, E S(^o il bianco pie fiorisce aprile;
E l'aure. e l'acque e i fior con voce umile Mormoran di sommessi amor, richiami, E più dolce tra i rami Corre la melodia di primavera. .
302 LEVIA GRAVIA
Quasi canzon lontana in su la sera Ne i lidi antichi de la patria udita Onde fu la partita Grave e n'arride in cor dolce il ritorno,
Suona la voce sua. Ben venga il giorno Che di novelli sensi una vaghezza Colori sua bellezza, Come il sol primo adolescente fiore,
E là si svegli dove or dorme amore.
SECONDO SEMICORO DI GIOVANI
Allor risponde ad ogni offesa -- amore
Dante con viso d* umiltà vestito;
E ne r alto infinito
Come in sua regì'on s* affisa e mira;
Ed un rombo di biacche ali l'aggira; E pur tra ii funio de l' italiche ire Scender vede e salire, Quasi pioggia d\ manna, angeli al cielo
Allor' contempla il Buonarroti anelo, E sovra il marmo combattuto posa Lento la man rugosa Dinanzi al folgorar di due pupille.
LEVIA GRAVIA 303
Ma tu, Sanzio gentil, tante faville Giungi a' tuoi chiusi ed immortali ardori, Quante pe' bèi colori Chiedi a la terra e al del forme divine.
Ahi troppo amico di tua morte ! al fine. Come arboscel che. d' una rupe orrenda Avido si protenda A ber la luce e il spi, tu languì e spiri.
Tale, ove pieghi de' begli occhi i giri Costei cui donna il vulgo e Beatrice Chiama il poeta, indice Lor fati a V alme, e sovra V arte regna,
Di bellezza e d' amor vivente insegna.
I DUE CÒRI
Cosi pronta e leggera
Per tempeste di mari
La rondinella a i cari
Liti e al suo nido affretta,
Che il ciel mite T aspetta — e primavera,
Come voli tra' fiori
Tu al cupido marito;
E tal cervo ferito
Tende a montano rivo,
Qual ei tutto giulivo — a i dati amori.
304 LEVIA GRAVIA
Tu togli, amor, possente,
La vergine al suo tetto,
Tu lei togli a l'aspetto
E al bacio lacrimato
De r uno e V altro amato — suo parente ;
A novo ostel la guidi,
Ad altre cure e sante;
E al consiecrato amante
Lei timida e vogliosa
Doni moglie, e pietosa — amica fidi:
? •
Onde poi si rinnova
La social famiglia;
Dove, se amor con$iglia.
Al vero al buono al retto.
Virtù fiorisce e affetto — in bella prova.
Fanciulla, or t' abbi in core
Pur tra' pensier più cari,
Che de' pudichi lari
In te posa la fede,
Che del costume siede — in te il valore.
Tu lasci i primi gigli,
E cambi a più gentile
Questo tuo stato umile;.
E il saprai quando intorno
Ti fioriranno un giorno -^ i dolci: figli.
LEVIA GRAVIA 305
PRIMO SEMICORO DI FANCIULLE
Qual chi de V esser suo toccò la cima Tranquilla e gloriosa ella ne viene : Diffuso ha per le gene E ne la fronte di letizia il lume.
Attende; e poi, qual con le aperte piume
Colomba al pigolar de la covata,
Ella corre beata
E d' amor radiante a un picciol Ietto.
Denuda, o vereconda, il casto petto : Dischiudi, o bella, il tuo più santo riso : II pargoletto affiso Ne la tua vista i novi affetti impari.
A te coM riso egli risponda, i cari Occhi parlino a te. Sveglia co '1 senso Nel picciol cor T immenso Intendimento de la vita urnana.
O de le semplicette alme sovrana, O pia de' novi cuori informatrice, La steril Beatrice Ceda a te, fior d' ogni terrena cosa.
Carducci. 20
306 LEVIA GRAVIA
Talamo e cuna è V ara tua : V ascosa Corrispondenza è quivi, onde si cria Queir eterna armonia Che de' petti domati in fondo aggiunge
E la famiglia a la città congiunge.
SECONDO SEMICORO DI FANCIULLE
Allor, perché da le sue case lunge Voli di servitude il di nefando, Cade r eroe pugnando, E ne la luce de i cantor rivive;
E contro V Asia, che di forme achive Ornar vuole a* tiranni il gineceo. Suona su per V Egeo Il peana e la sacra ira d' Atene.
Sorge de i re contro le voglie oscene Il gran giuro di Bruto, e su le spoglie De la pudica moglie Libertate a la lor fuga sorride.
Tremi le squille ancora e T omicide Sicule furie qual porrà la mano Dominatore strano Su le donne de' vinti, o le vendette
LEVIA GRAVIA 307
De i secreti pugnali. A noi permette Altri l'età miglior vóti e speranze, Se de le molli usanze Vinca le oblique insidie integra V alma.
Or Vienne, o giovinetta: or, palma a palma Stretta co '1 tuo fedele, entra d' amore Nel tempio: ma il pudore Che la vergin tingea de la sua rosa
Non si scompagni da la nova sposa.
T DUE CORI
O te felice, o sopra
Il nostro infermo stato
Te cara al ciel ! beato
Il letto de' tuoi amori,
S' ombra de' propri fiori — avvien che'l copra.
Ma in cor ti sieda impresso
Ch' ogni piacer più caro
Ti tornerà in amaro
Senza i baci e gli accenti
De' pargoli innocenti — e il puro amplesso.
308 LEVIA GRAVIA
Ahi, la non degna sposa
Ch' odia di madre il nome
Stolta e crudele! Come ' ■
Talento reo la sprona,
A danze si abbandona — furiosa
E in tanto, o empia!, langue
Su mercenario petto
Il caro pargoletto,
E d' altrui baci impara
Disconoscenza amara — del suo sangue.
Ma, quando di restia
Vecchiezza il corpo offeso
Sente de gli anni il peso,
A lei non per soave
Cura figliai men grave — è 1' età ria.
Muore; e non di sua prole
Il pianto e il bacio estremo
Non il vale supremo
La misera conforta :
Questo natura porta — ed il qiel vuole.
Ma tu più saggia il fiore
D' ogni piacer ritrova
In questa cura nova.
Cosi nel bel disio .
Ti benedica Iddio — t* arrida amore.
LEVIA GRAVIA 309
XIV.
POETI DI PARTE BIANCA
-D,
uro, marchese, allor che de la vita L'arco piega e il pensiero in su le bianche Urne de' padri si raccoglie intorno A i templi noti, oh duro allor, marchese Malaspina, lasciar la patria! A cui Rida nel core e ne le forti membra La giovinezza, è un'avventura, un gioco De la vita che s'apre a nuovi casi. Con r esilio mutar le dolci soglie De la magion de' padri suoi. Ma io Non vedrò più da. 1' Apparita al piano La mia città fiorente; ahi lasso, e lunghi Corron due lustri ornai che aspetto e piango! f. Come serena tra le negre torri f S' inalza e quanto già de l' aer piglia ; Santa Maria del fiore ! Io la mirava Da' lieti colli ove lasciai me stesso.
310 LEVIA GRAVI A
E tutta a gli occhi s' affacciava 1' alma, Allor che il magno imperador s' assise A Firenze con V oste. Ed io M seguiva, E rividi la mia villa diserta Da Carlo di Valese; e i luoghi usati
10 non conobbi più, né me conobbe
La nuova gente. Ora il cortese il giusto
11 magnanimo Arrigo è morto; e giace Tutta con lui de gli esuli la speme. —
Tal parlava Sennuccio, un de gli usciti Cittadin bianchi di Firenze, in rima Dicitore leggiadro; e fosco in tanto Battea la ròcca di Mulazzo il nembo, E la tristezza del morente autunno Umida e grigia empiea le Vaste sale Di Franceschino Malaspina. Acuta Guaiva a' tuoni una levriera, e il capo Arguto distendea, l'occhio vibr*ando Dardeggiante e le orecchie erte, a le verdi Gonne de V alta marchesana. A lei D' ambo i lati sedean donne e donzelle. Fior di beltà, fior di guerresche altiere Ghibelline prosapie. E di rincontro. Ardendo in mezzo d' odorata selva Il focolar, tu dritto in piedi tutta Ergei la testa su i minor baróni, Caro a gli esuli e a' vati, o Malaspitìa. Posava in pugno al cavaliere un bello
LEVIA GRAVIA 311
Astor maniero, e, quando varia al vento Saltellante la grandine picchiava Le vetrate e imbiancava il fuggitivo Baien le appese a' muri armi corusche, Ei l'ale dibatteva, il serpentino Collo snodando, e uno strider mettea Rauco di gioia: ardeagli nel grifagno Occhio r amor de le apuane cime Natie, libere: ardea, nobile augello, In tra i folgori a voi tender su' nembi. E fiso un paggio lo guatava, a' piedi Seduto del signor : fuggiasi anch' esso In su r ale de' venti co 'l desio Fuor de la sala, e valicava i monti Da r insana procella esercitati E le selve grondanti, e tra '1 tonante Romor de le lontane acque lo scroscio Del fiume ei distinguea cui siede a specchio La capanna di sua madre vassalla.
Ma non al paggio né a 1' astor, trastullo De gli ozi suoij volgeva occhio il barone, Si atteso egli pendea da la soave Loquela di Sennuccio, e si '1 tenea D'un compagno di lui l'alta sembianza. Di Gualfredo Ubaldini. E, poi che tacque Sennuccio, il prò' marchese incominciava : — Deh come par che il cielo anco s' attristi E pianga di Toscana in su le soglie.
312 LEVIA GRAVIA
Quando un poeta si dilunga! O cieca
E diserta Firenze, or che ti resta
Altro che frati e bottegai ! Le vie
De r esilio fioriscono d' allori
A' poeti raminghi, e loro è d'ombre
E di corone larga ogni cittade
Ogni castello. Oh, quando abbiavi il dolce
Paese di Provenza e voi ristori
Cortesia di signor beltà di donne,
Non v' incresca, per dio, di questa Italia
Vedova trista, ch'ognor più dimagra
E di buoni e di ben. Ma, se spiacente
Il Castel di Mulazzo e M castellano
A voi non parve, se mercé d'amore
Vinca r ambascia de la dura via,
Non vorrete, Sennuccio, or consolarne
D' un amoroso canto ? — E pur tacendo
Il marchese chiedeva: un mormorio
D' assenso di preghiere e d' aspettanza
Levossi intorno. S' inchinò il poeta,
E — Tristi — disse — fian le rime, quali
Nostra fortuna le richiede e '1 tempo. —
Disse: e intuonava pietoso il canto.
Amor mi sforza di dover cantare E lamentare — in questa ballatetta.
LEVIA GRAVIA 313
Angela venne de la terza spera Qui dove r aer verna, e chiuse il volo : Poi, tutta accesa in quella luce mera Che arde là sovra del nostro polo, In vista umana patia noia e duolo Conversando tra noi quest' angeletta.
Ove spirava V atìra gentile, Sùbito amore possedea quel loco: Ivi ridea novellamente aprile |
E vampava ne V aere un dolce foco : iMa distringeva i cuori a poco a poco Quasi una pena, e dolce era la stretta.
Ognun diceva — Ov'ella gli occhi gira, Ed ivi tosto ogni virtù è fiorita, Cade ogni mal volere e fugge V ira, E dolce s'incomincia a far la vita: A lei d' intorno a gran diletto unita La gente per valer sua voce aspetta. —
A più alto sperar n' era argomento Il riso bel ch'io non saprei ridire. Io conto il ver: la voce era un concento Di lontane armonie, di strane lire, E retro la memoria facea gire Ad una vita che ne fu disdetta.
314 LEVIA GRAVI A
Miracolo a veder sua gran vaghezza Facea del cielo ragionare altrui. — Ecco, io vi mostro di quella dolcezza Che tutto adempie il regno d' ond' io fui Queste parole eran ne gli occhi sui ; Pur chini li tenea la verginetta.
Mi fé' pensoso di paura forte
II portamento suo celestiale.
M' indusser gli occhi a desiar la morte
Ne la lor pace che non è mortale :
Ma poi, temendo non mettesse V ale,
Dissi, com' uomo in cui desir s' affretta.
— Se ben si pare a le fattezze tue, Tu fusti nata in cielo a l'armonia; E mi fai rimembrar Psiche qual fue Quando sposa d' Amor tra i numi uscia, Tardi ritorna a la spera natia ! Donami eh' io f adori, o forma eletta ! —
Cosi le dissi ne' sospiri. Ed ella De gli occhi suoi levar mi fece dono, Ahi quanto vagamente I E ne la bella Vista divenni altr' uom da quel eh' io sono Visibilmente Amor, come in suo trono, Luceva in fronte a questa pargoletta.
LEVIA GRAVIA 315
— Piacer che move de la mia persona Conforti anco per poco i pensier tui ; ChM' sento quel signor che la mi dona Che a sé mi sforza; e cosa i'son da lui: Non fa per me di questi luoghi bui La stanza, e poco vostro amor mi alletta. —
Cotal suonò di quella onesta e vaga La voce pia eh' ella imparò dal cielo, Gli occhi belli avvallando; e di sé paga L* alma raggiò desio fuor di suo velo: Tutta ella ardea di pietoso zelo Qual peregrino cui M tornar diletta.
Ahi me, la noia del dolente esiglio
Quest' angeletta mia presto ebbe stanca !
E venne meno come novo giglio
Cui M ciel fallisce e M vento fresco manca.
Ella posò come persona stanca,
E poi se ne parti, la giovinetta.
Partissi, e si t>artiro una con lei Amor e poesia dal nostro mondo. Da indi in qua cercaron gli occhi miei Per giocondezza, e nulla è lor giocondo : Sollazzo e festa per me giace in fondo : Sol chiamo il nome de la mia diletta.
316 LEVIA GRAVIA
Ahi lasso ! e, quando la stagion novella Rallegra i cori e fa pensar d' amore, Vien ne la mente mia la donna bella Che mi fu tolta; ond' io vivo in dolore. Chiamo il suo nome, e mi risponde il core Lasso, che cerchi? altrove ella è perfetta.
Cosi cantò Sennuccio: e gran pietate
De le donne gentili i petti strinse;
E dolorosa un' ombra in su le fronti
De' guerrieri abbronzate errava, come
Se un gran fato presente a ogn' un toccasse
Le menti ; e raro il favellar s' accese
Su r oscura ed estrema ora del magno
Arrigo. — Al morto imperator conceda
Dio la sua pace: a lui gloria ne' canti,
Imperator de le toscane rime.
Dante darà: noi la vendetta. Ancora
Su le torri pisane ondeggia al vento
Il sacro segno, ed Uguccione intorno
Fior di prodi v' accoglie e di speranze.
Lombardia freme; e un cavalier novello,
Sprezzator di riposo e di perigli,
Leva tra i due mastin l'aquila invitta.
Se Dio n'aiuti, rivedrem, Sennuccio,
De' guelfi il tergo; rivedrem le belle,
Che ne disser piagnendo il lungo addio,
Facce d' amore. Oh, di Mugel selvoso
LEVIA GRAVIA 317
Ne le dolci castella una m'aspetta; E di memorie io vivo e di speranza. Liete rime troviam. Reca, o fanciullo, Qua la mandòla; se di Gino usata E di Dante a gli accordi, essa e la bella Marchesa Malaspina il canto accolga. — Cosi disse Gualfredo. A lui V azzurro Occhio splendea come Tacciar de Telse; E su '1 verde mantel di sotto al tòcco Bianco e vermiglio gli piovea la bionda Giovenil capelliera a mo' di nube Aurea che attinge da V occiduo sole Le tue valli non tócche, ermo Apennino.
D' un molle riso gli assenti la dama
Donnescamente; e recò destro il paggio
La dipinta mandòla. In su le quattro
Fila correan del cavalier le dita,
Piane, lente, soavi; e poi di tratto
Rapide flagellando risonaro.
Come pioggia d' aprile a la campagna,
Che bacia i fiori e su le larghe, fronde
Crepita : rìde tra le nubi il sole
E ne le gocce pendole si frange;
Getta odore la terra; Tali bagna
La passeretta, al ciel levasi e trilla:
Tal di Gualfredo il suono era ed il canto.
318 LEVIA GRAVIA
Chi renderlo potrebbe oggi che fede Non tien la lingua a T abondante core?
Luce, d' amoxe._c.he U mio .coi. saluta
5_int£llige_nza e vita entro vi cria Moye 4.a_L_0.so de. Ja don na m ia^^
r dico che giacea V anima stanca In su la soglia de la vita nova, Qual peregrino a cui la forza manca E vento greve il bàtte e fredda piova, Che vinto cade, e lontan pur gli giova Mirar la terra dolce che il nutria.
Cosi r anima trista si smarriva Abbandonata de la sua virtute, E il caro tempo giovenil fuggiva, E tutte cose intorno erano mute: Ma a confortarla di fresca virtute Una beata vision venia.
Fanciulla io vidi di gentil bellezza
Creata con desio nel paradiso:
Luceva la sua gaia giovinezza
Nel piacimento, del sereno vièo,
E tutta la persona era un sorriso
E ogni atto ed ogni accento un'armonia.
LEVIA GRAVIA 319
La bruna luce de' begli occhi onesti E la dolcezza del guardo d'amore Svegliò gli spirti che dormiano, e questi Gridaron forte su'l distrutto core; Che levò e disse — L' anima che more Ne le tue man commetto, angela pia.
Vedi la vita mia com' ella è forte, Come ha già da vicin V ultime strida. O donna, io giaccio in signoria di morte, E la poca virtute ornai ti sfida; Se non che uno splendor novo V affida Ch' or mi s' offerse, e di tua vista uscia. -
Ella nel suon dei dolorosi accenti Rivolse gli occhi de la sua mercede, E co* guardi tenaci umidi e lenti Diemmi d' amore intendimento e fede : Quindi un nuovo desio nel cor mi siede. Quanto mutato, oh dio !, da quel di pria.
Che Amore io vidi ne T aperto. giorno Gloriar come re eh' è tripnfante, E gioia-^JLune. e chiari tade intorno Ed una pace che non ha sembiante: Egli si pose in quelle luci sante, Com' angel contemplando arde e s' india.
320 LF.VIA GRAVI A
Da indi in qua sonare odo per V etra Una soave melodia novella, Come da ignoti elisi aura di cetra, Come armonia di più felice stella; E sempre questa creatura bella D' amor mi parla ne la fantasia.
D' amor mi parla ogni creata cosa, E il cielo aperto e la foresta bruna, E la verde campagna dilettosa, E gli silenzi de la bianca luna; E d' ogni aspetto in cor mi si rauna Un' alta voluttà che mi disvia.
Cotal si ruppe quel gelato smalto In che il cuor si chiudea per fatai danno Quindi d' amarla in me stesso m' esalto, Quindi per gloria e per virtù m* affanno. Che se durasse il mio vitale inganno. Altro lo spirto mio non chiederia.
Lungi io me'n vo. Ma per paese strano, Per vaga donna o per gentil signore, Non fia che scordi il bel sembiante umano^ Non fia che scordi il mio solingo amore, La terra dove s'apre il bianco fiore, Dove regna virtude e, cortesia.
LEVIA GRAVIA 321
Deh la rivegga! E il riso desiato
Ogni nero pensier del cor mi cacci;
E, quando sienmi contro il mondo e il fato,
Mi trabocchi nel seno ella e m'abbracci.
Ben io constretto in que' soavi lacci
Torrò sicuro ogni fortuna ria.
Cosi cantò Gualfredo: e da i vermigli Labbri de le fanciulle a lui volaro I desideri e i baci, qual da' fiori Belle, carche di miele, api ronzanti.
Carducci. 21
322 LEVIA GRAVIA
XV.
A P. E.
IN MORTE DI MARIA SUA MOGLIE
I
tiranni cui Nemesi divelle Tornano in pietre di si reo livore Ch' ogni pie gli urti ; e chi servo ebbe il core Fango divien eh' ogni orma rinnovelle.
Ma le donne gentili oneste e belle Che un solingo arse in terra unico amore Solvonsi in aere, e del mattin su V ore Raggiano il puro ciel, virginee stelle.
Ivi è Maria: e, se per l'alta calma Vien che rotando a lei Torbe si mostri Piccioletto e di sangue atro e di pianto,
Del lungo sguardo che tu amasti tanto Fende ella il fumo de' peccati nostri Te ricercando, Piero, e la vostr* Alma.
LIBRO II
PER LA PROCLAMAZIONE DEL REGNO D' ITALIA
Ouono di trasvolanti
Ale e tremor di luminose forme
I sereni del ciel deserti empiea,
E da le caliganti
Isole al mar che sotto Fola dorme
Una stupenda vision splendea,
Quel di che di Palestre il cavaliere
Coronossi del bello italo impero.
324 LEVIA GRAVIA
Veniano giovinette
Anime a coro, e ardea la nova etate
Nel segno del martir più radiosa;
Nel puro lume erette
Venian fronti pensose, incoronate
Di secura canizie gloriosa;
Sacerdoti e guerrieri, ed inspirati
Sofi ed artisti, e contemplanti vati.
Tuoi figli, Italia. E il giorno
Che'l tuo nome attestar, non di frequente
Popolo gli cerchiava onda solenne.
Duro silenzio intorno,
E il ceffo del carnefice imminente,
E r atro coruscar de la bipenne.
Chinarsi: e te cercò l'occhio smarrito
TraM dileguar del mondo e l'infinito.
Quei le livide note
Mostran del laccio, a quei solco vermiglia
Viaggia il collo e '1 fero taglio attesta:
Chi da r occhiaie vote
Tabe distilla, e chi tra ciglio e ciglio
Franta dal piombo ha la superba testa.
Ma come sol levante or lampeggiando
Splende ogni piaga; e procedon cantando.
LEVIA GRAVIA 325
— Sei tu, sei tu, che al forte Sposo poggiata da gli avelli oscuri, Reina di virtude, il soglio premi? Oh sei tu, cui la morte Trionfi maturava e i morituri Salutar lieti ne' sospiri estremi? Salutaro immortai come la bella Che t'irraggia la fronte esperia stella?
O surta ne gli amari
Tramiti de V esilio, o de' sepulti
Tra r urne in sospettose ombre nudrita;
Chi nel dolor t' è pari ?
Chi ne la gioia? A' barbari tumulti
Nel sol de le battaglie a pena uscita,
Tu pugni e vinci, t'addimostri e regni,
E nuovo ordin di tempi al mondo insegni.
Madre e signora nostra.
Idea de' sapienti, amor de' vati,
E sommo premio a chi per te moria.
Il tuo cinto s' inostra
Nel sangue de gli eroi che Dio t* ha dati.
Verde ride il tuo velo a la giulia
Primavera d' amore, ondeggia bianco
II regal manto da V augusto fianco.
326 LEVIA GRAVIA
Te non furor di brando Non di coperte industrie avvolgimento Serena rilevò ne l'alto stato; Ma fede che inneggiando Sorvola a i roghi, ma speme che al lento ,/ Ceppo s'invola co'l pensiero alato, Ma carità che di più forte stampa Segna V ordin civile e al bene avvampa.
Da lacrimosa etade
Non chiede il regno tuo titol bugiardo
Che bestemmiando Dio da Dio si dice.
Quando le poche spade
Mieteano i molti, ed il terror codardo,
Partite anime e terre, ebbe tutrice
Del delitto la forza: un fiero o stolto
Su gli scudi barbarici soffolto. 1"
Tu de reterno dritto Vendicatrice e de le nove genti Araldo, Italia, il Campidoglio ascendi. Tuoni il romano editto Con altra voce, e a' popoli gementi Ne r ombra de la morte, Italia, splendi. Accorran teco a la suprema guerra Gli schiavi sparsi su V oppressa terra.
LEVIA GRAVIA 327
XVII.
IN MORTE DI G. B. NICCOLINI
X ra terra e ciel su V Aventin famoso Secreto un tempio de* mortali al guardo D' altro e purpureo lume adorno splende: Li non caliga il fumo sanguinoso Di Vatican, cede il clamor bugiardo Al silenzio che tutto il luogo prende : Però eh' eterno il tuo foco s' accende Ivi, italica Vesta, e V aura e il seme De gli spiriti magni, e le faville Onde a le nostre ville Inesausta d' onor la vampa freme E petti incende a mille E i civili dettati illustra e i carmi E folgora i tiranni e move Tarmi,
328 LEVIA GRAVIA
Qui lo spirto erse il voi : qui festeggiando Lo circonfuse di più fiamme un lume Che avean di roteanti astri sembianza, E cinselo e girossi ; e armonizzando Alta e soave oltre V uman costume Voce sonò da la beata danza. — Al loco onde si parte ogni possanza Che r italica vita informa e inizia Tornasti, o vate, e a T immortai dimora. Vedi ! Chi pria s' infiora In questa luce, di martir primizia Surse ne V ultim' ora Di Roma, e a lei seren l'alma e la fede E a le gotiche verghe il corpo diede.
Boezio egli è, di cui fu culto il nome D' inni e votivo grido in su M Ticino Mentre Italia premea scitico verno. Ecco di fregio consolar le chiome Cinto chi volle il bel nome latino Trarre al teutono impero e al duro scherno, Ecco Crescenzio! E al Campidoglio eterno Su' vestigi di gloria anche splendenti Roma drizzai pur io: ma, il rogo asceso Da religion acceso. Lasciai di libertade in fra le genti L'alto desir conteso:
Però eh' io che d' amor più in te mi scaldo, O spirito fraterno, io sono Arnaldo. —
LEVIA GRAVIA 329
Folgoraron d' un riso, e in un amplesso D' ardor congiunte le due luci dive Disser parole sol da loro intese : Di lor gaudio parea godere anch' esso L'alto concilio, e'n ruote più giulive La benedetta danza si riaccese. Fiammeggiò nuovo spirito, e riprese : — Io 'I bel desire e la tua fede questi Raccolse, ed, ahi, de' re chercuti l' ira. Ma inneggiando a la pira La fé' sorvola; e a' popoli ridesti. Rotto r avello, spira Da r ossa nostre l' immortai parola. Io fui '1 tribuno, ed ei Savonarola.
Maggior de' tempi e de 1' obliquo fato, Degno a cui il cielo altra più vasta lode Che seguir morte e l' alta idea donasse, Ques'.o è '1 fulgore del lucchese Arato Ultimo che a le vostre occidue prode La fu|[gitiva libertà raggiasse.
330 LEVIA GRAVIA
XVIII.
NEI PRIMI GIORNI DEL MDCCCLXI
A
i campi che verdeggiano Più lieti al ciel da la straniera clade Splendi, nov' anno ; esultino Nude ne' raggi tuoi V itale spade.
A te le braccia e V animo
De la Narenta da V irriguo piano
E di Cettigna indomita
Dal pinifero vertice montano
Leva il Serbo; ma '1 vindice Acciar non pone, che pur or gioiva Percotendo a V osmanico Furore il tergo obbrobrioso in Piva.
LEVIA GRAVI A 331
Te chiama il figlio d' Eliade Sovra le tombe de' suoi padri eretto ; E acceso de la memore Speranza e d' ira V innovato petto
Guarda a le rupi tessale
Onde Orfeo scese e il re de' prodi Achille,
A r Egeo sacro, a V isole
Radlfanti d'omeriche faville;
Guarda, e i fraterni vincoli Rompe e l'oblique bavare dimore. Preme, ancor preme i barbari Di Riga il canto e di Bozzàri il core.
In vano in van la tunica
Del profeta guerrier tu spieghi a' venti,
A turpe gregge 1' alacre
Fé' d' Ali chiedi in van, re dei credenti.
Ben tre ffate l' invido
Timor de' regi ti campò da morte :
Levati omai, del Bosforo
L' onde ritenta e le asiane porte.
Lungi da noi la putrida
Stirpe cui regna il fato, e a l' infelice
Servaggio ed a V immobile
Ozio e a le tombe, preda ignava, addice.
332 LEVIA GRAVIA
Ma non fia già che il limpido
Sol riconforti ed Elle argentea lavi
Te falso Tito sarmata,
Te gloriato redentor di schiavi.
Perché là su la Vistola
Tutta una plebe a Dio grida e si duole,
E il ferro entro le fauci
Tronca l'inerme priego e le parole?
Perché le madri accusano
Fioche ne* pianti i siberiani esigli
E a la terra e a T oceano
Chieggòn le sparse, ohimè, tombe de' figli?
Bella ed austera vindice
Su i larghi mar cammina alta una dea:
Arde di amore il nubilo
Ciel da' suoi lumi e '1 pigro suol ricrea.
Ratta più che il fulmineo
Pie de' poliedri ucrani, eccola! l'asta
Incontro a lei da l' ispido
Tuo cosacco vibrata, o Czar, non basta.
È la dea che l' iberica
Donna sgomenta: in van s'abbraccia a l'ara
La peccatrice, e i lugubri
Odi rattizza e i fochi atri prepara.
LEVIA GRAVIA 333
E la dea cui discredere
Di Federico la progenie estrema
Osa e dal ciel ripetere
Lo scettro e il percussor ferro e '1 diadema:
Ma Dio non tempra, o misero,
Serti ai re; forza a le sue plebi infonde,
E '1 vasto grido suscita
Che di terror gli eserciti confonde.
È la dea che de' vigili
Occhi circonda il sir de' Franchi, e aspetta;
E a noi mostra i romulei
Colli e il mar d' Adria e V ultima vendetta.
E tu ne la man parvola,
Siccome verghe in tenue fascio unite,
Tu vuoi di sette popoli
Stringere, Asburgo, le discordi vite?
La colpa antica ingenera
Error novi e la pena: informe attende
Ella, e il giusto giudicio
Provocato da gli avi in te distende.
E d' Arad e di Mantova
Si scoverchiano orribili le tombe:
S' affaccia a V Alpi reticl>e
Lo spettro di Capeto e al soglio incombe.
334 LEVIA GRAVIA
Astieni, astien la vergine Man da la scure e da i lavacri orrendi, E intemerata a i popoli ,
Che si drizzan a te, libertà, splendi.
Fuma a' tuoi pie la folgore, Nunzia su le tue vie va la procella. Ma ne gli sguardi tremola Lume gentil di mattutina stella.
Deh non voler che v'foli
Regia prora del tuo Franklin- i flutti;
Il sangue al fin di Bròuno
Vendica, o giusta, e del servaggio i lutti.
Pianta le insegne italiche
Di Roma tua su i mal vietati spaldi.
Guida tonando a 1' Adige
La secura virtù di Garibaldi.
E poi ne torna V utile
Pace e a gli aratri Toblfato onore,
L' arti che a te fioriscono
E de' commerci aviti il lieto ardore.
A te cori di vergini
E di garzoni inghirlandati ogni anno
Ricondurrà; le trémole
Facce de' padri a te sorrideranno.
LEVIA GRAVIA 335
E un tuo vate, la ferrea
D'Alceo corda quetata, in su le glebe
Dal pio travaglio floride
Leverà il canto a la fraterna plebe.
336 LEVIA GRAVIA
XIX.
PER LA SPEDIZIONE DEL MESSICO
O
albergo di tiranni, o prigion fella Di plebi oppresse lacerate e smorte, Fucina di servaggio ove ritorte Ad ogni gente tirannia martella;
Chiama, Europa, a' tuoi segni anco la morte. Altre d' uomini vite, empia, macella, Si eh' a i liti da te franchi la bella Tua, libertà vizi e catene apporte.
Ancella Francia ad ogni reo potere. Spagna feroce, ed Anglia mercantesca A novelli trionfi empion le schiere.
A un' affamato règolo nov' esca
Offron d' anime e terre. O imprese altere,
Fin che di sua viltade al mondo incresca!
LEVIA GRAVIA 337
XX.
ANCHE PER LA STESSA
JL imor, pudore, o de V avito orgoglio Spirito alcun ritragge gli altri: ei resta, Ei consuma da sol V inclita gesta. Solo prepara il disonesto spoglio.
Ei, che guatò ìadron notturno al scoglio Tra i romani cadaveri la testa Lento rizzando, or con novel rigoglio Sente V antica fam;e entro ridesta.
E cerca oltre la franca onda d' Atlante Repubbliche altre eh' ei soffoghi e spenga, Di libertade insi(;iì'osio, amante;
Traccia altri armenti che in sua tana ei tenga, Caco imperiai Deh,. Libertade, errante Alcide, quando fia che tu sorvenga!
Carducci. 22
338 LEVIA GRAVIA
XXI.
ROMA O MORTE
V^ual voce da i fatali
Tuoi colli, o Roma, un sacro eco rintona
D'editto consolar sopra le genti?
I sepolti immortali
Luminosi di tutta la persona
Che sorgono a chiamar da i monumenti ?
O madre alma, o parenti
Del popol nostro, in su M bimare lido.
Ovunque il sol d' itala vita accende
A' petti una scintilla.
Ogni man chiede V armi al vostro grido,
Ogni cuor batte procelloso, splende
Di lacrime e furore ogni pupilla,
E gloria e morte ogni desio sfavilla.
LEVIA GRAVIA 339
L' udì pria V aspettante Di Caprera leon : con un ruggito Fiutando la battaglia alzò la testa, E saltò fuor. Le sante Ombre accorrendo al dittator romito Lo circondar con rombo di tempesta. E già r inclita gesta Prende ogni mente giovanili chiamare Novellamente pare
Giù da Marsala un lieto suon di tromba Sparso a gì' itali venti. I pii vecchi lasciar, le donne care; E te Roma cercando od una tomba, Tentan con man le piaghe ancora ardenti Sotto il saio vermiglio, e van fidenti.
340 LEVIA GRAVIA
XXII.
DOPO ASPROMONTE
Jr uggono, ahi fuggon rapidi or irrevocabili anni ! E sempre schiavi fremere, Sempre insultar tiranni,
Ovunque il guardo e V animo Interrogando invio, Odomi intorno; ed armasi Pur d' odio il canto mio.
Sperai, sperai che, il ferreo Tempo de V ire vòlto. Io libero tra i liberi, A liete mense accolto,
LEVIA GRAVIA 341
Potrei ne' voti unanimi Seguir con V inno alato L'ascens'fon de' popoli Su per le vie del fato.
Tal salutando Armodio Incoronar le cene Solea tornata a civica Egualitade Atene:
Fremean gli aerei portici Al canto, e Salamina Rosea del sole occiduo Ridea da la marina:
Pensoso udia Trasibulo, E nel bel fior de gli anni La fronte radi'avagli, Minaccia de' tiranni.
Oh, ancor nel mirto ascondere Convien le spade: ancora L'antico e il nuovo obbrobrio Ci fiede e Ci addolora.
O libertà, sollecita Speme de' padri e nostra, Sangue di nuovi martiri Il tuo bel velo inostra;
342 LEVIA GRAVIA
Né da te gV inni, movono Dove Rattazzi impera E geme in ceppi il vindice Trasibul di Caprera.
Oh de r eroe, del povero Ferito al career muto Portate, o venti italici. Il mio primier salutò.
Evviva a te, magnanimo Ribelle! a la tua fronte Più sacri lauri crebbero Le selve d' Aspromonte.
Spada il tuo nome (o improvvido,. Ei non ti fu lorica,) Tu solo ardisti insorgere Contro r Europa antica.
Chi vinse te? Deh, cessino
I vanti disonesti :
Te vinse amor di patria E nel cader vincesti.
Evviva a te, magnanimo Ribelle e precursore!
II culto a te de' posteri. Con te d'Italia è il cuore!
LEVIA GRAVIA 343
Io bevo al ài che fausto L'eterna Roma schiuda, Non a' Seiani ignobili, A i Tigellini, a i Giuda,
Si a libertà che vindice De r umano pensiero Spezzi la falsa cattedra Del successor di Piero.
Io bevo al di che tingere Al masnadier di Francia Dee di tremante e luteo Pallor l'oscena guancia.
Ferma, o pugnai che in Cesare Festi al regnar divieto, O scure a cui mal docile S' inginocchiò Capeto!
Sacro è costui : segnavalo Co M dito suo divino La libertà: risparmisi LMmperìal Caino.
Viva ; e un urlar di vittime Da i gorghi de la Senna E da le fosse putride De la feral Caienna
344 LEVIA GRAVIA
Lo insegua: e, spettri lividi Con gli spioventi crini,
— Sii maledetto — gridingli Mameli e Morosini.
— Sii maledetto — ed' odio Con inesauste brame I fratricidi il premano Onde Aspromonte è infame.
Viva: insignito gli omeri De la casacca gialla, Al pie che due repubbliche Schiacciò, la ferrea palla,
Di sua vecchiezza ignobile Contamini Tolone Ove la prima folgore Scagliò Napoleone.
Ahi, grave è V odio e sterile, Stanco il mio cuor de Tire: Splendi e m' arridi, o candida Luce de V avvenire!
Arridi! i nostri parvoli Che a te veder son nati Io t' accomando : ei vivano Del raggio tuo beati.
LEVIA GRAVIA 345
A terra i serti e V infule ! In pezzi, o inique spade! Sole nel mondo regnino Giustizia e libertade!
O dee, ne la perpetua Ombra si chiuderanno Quest* occhi, e il vostro imperio In van ricercheranno.
O dee, ma, quando compiansi L' età vaticinate. Di vostra gloria un alito Su r avel mio mandate.
loM sentirò: superstite A i fati è amor: e vive Esulteran le ceneri Del vostro vate, o dive.
Or distruggiam. De i secoli Lo strato è su M pensiero : O pochi e forti, a V opera, Che ne i profondi è il vero.
Odio di dèi Prometeo, Arridi a' figli tuoi. Solcati ancor dal fulmine. Pur r avvenir siam noi.
346 LEVIA GRAVIA
XXIII.
CARNEVALE
VOCE DAI PALAZZI.
E
tu, se d' echeggianti Valli, 0 borea, dal grembo, o errando in selva Di pin canora, o stretto in chiostri orrendi, Voce d'umani pianti E sibilo di tibie e de la belva . Ferita il rugghio in mille suoni rendi, Borea, mi piaci. E te, solingo verno, Là su quell'alpe volentieri io scerno.
Una caligin bianca
Empie r aer dormente, e si confonde
Co '1 pian nevato a V orizzonte estremo.
Tenue rosseggia e stanca
Del sol la ruota, e tra i vapor s'asconde,
Com' occhio uman di sue palpebre scemo.
E non augel, non aura in tra le piante.
Non canto di fanciulla o viandante;
LEVIA GRAVIA 347
Ma il cigolar de' rami
Sotto il peso ineguale affaticati
E del gel che si fende il suono arguto.
Canti Arcadia e richiami
Zefiro e sua dolce famiglia a i prati: .
Me questo di natura altiero e muto
Orror più giova. Deh risveglia, Eurilla,
Nel sopito carbon lieta favilla;
Ed in me la serena
Faccia converti e M lampeggiar del riso
Che primavera ove si volga adduce.
A la sonante scena
Poi ne attendono i palchi, ove dal viso
De le accolte bellezze ardore e luce
E da le chiome e da gì' inserti fiori
Spira l'aprii che rinnovella odori.
VOCE DAI TUGURI
Oh se co '1 vivo sangue
Del mio cor ristorare io vi potessi,
Gelide membra del figliuolo mio!
Ma inerte il cor mi langue,
E irrigiditi cadono gli amplessi,
E sordo r uomo ed è tropp' alto Iddio.
O poverello mio, la lacrimosa
Gota a la gota di tua madre posa.
348 LEVJA GRAVIA
Non de la madre al seno
Il tuo fratel posò : lenta, su '1 varco
Presse gli estremi aliti suoi la neve.
Da Topra dura, pieno
11 di, seguiva sotto iìiiqu.o carco .
I crudeli signor co '1 passo breve; .
E coir uom congiurava a fargli guerra
L' aere implacato e la difficil terra.
11 nevischio battea
Per i laceri panni il faticoso;'
E cadde, e sanguinando in van risorse.
La fame ahi gli emungea
L' ultime forze, e al fin su M doloroso
Passo lo vinse; e pia la morte accorse
Poi cadavero informe e dissepolto
Lo ritornar sotto il materno volto
Ahimè, con miglior legge
Ripara a schermo da la gelid' aura
Aquila in rupe e belva antica in lustre
Ed un covil protegge
Tepido i sonni ed il vigor restaura
A i ean satolli entro il palagio illustre
Qui presso, dove de Tamor più forte,
Figlio de r uom, te mena il gelo a morte.
LEVIA GRAVIA 349
VOCE DALLE SALE.
Mescete, or via mescete
La vendemmia che il Ren vecchia conserva
Di sue cento castella incoronato.
Gorgogli con le liete
Spume a lo sguardo e giù nel sen ci ferva
Quel che il sol ne' tuoi colli ha maturato
Cui ben Giovanna a V Anglo un di contese,
O di vini e d'eroi Francia cortese.
Poi ne rapisca in giro
La turbinosa danza. Oh di pompose
E bionde e nere chiome ondeggiamenti;
Oh infocato respiro
Che al tuo si mesce, oh disvelate rose,
Oh accorti a fulminare occhi fuggenti;
Mentre per mille suoni a tempra insieme
L'acuta voluttà sospira e geme!
Dolce sfiorar co '1 labro-
Le accese guance, e stringer mano a mano
E del seno su '1 sen le vive nevi,
E di sua sorte fabro
Ne r orecchio deporre il caro arcano
De le sorrise parolette brevi,
E meditar cingendo il sfianco a lei
De r espugnata forma indi i trofei.
350 LEVIA GRAVIA
Che se di nostre feste
Scorra su 1* util plebe il beneficio
E civil carità prenda augumento;
Mercé nostra, il celeste,
Che bene e mal parti, saldo giudicio
Ha di bella pietade alleggiamento.
Noi, del nostro gioir, beata prole,
Rallegriam V universo a par del sole.
VOCE DALLE SOFFITTE.
Mancava il pan, mancava
L'opra sottile a reggere la vita;
E al freddo focolar sedea tremando,
E muta mi guardava.
Pallida mi guardava e sbigottita.
La madre: e un lungo giorno iva passando
Che perseguiami quel silenzio e '1 guardo,
Quand' io lassa discesi a passo tardo.
Piovea per la brumale
Nebbia lividi raggi alta la luna
In su '1 trivio fangoso, e dispariva
Dietro le nubi: tale
Di giovinezza il lume in su la bruna
Mia vita mesto fra i dolor fuggiva.
E la man tesi: e vidimi in conspetto
Osceni ghigni; e in cor mi scese un detto
LEVIA GRAVIA 351
Immane. Ahi, ma più immane
Me, o superbi, premea la lunga fame
E il guardo e il viso de la madre antica.
Tornai: recai del pane:
Ma tacean del digiuno in me le brame,
Ma sollevare i gravi occhi a fatica
Sostenni; o madrp, e nel tuo sen la fronte
Ascosi e del segreto animo Tonte.
Addio, d' un santo amore
Fantasie lacrimate, e voi compagne
Di questa infelicissima fanciulla !
A voi rida il candore
Del vel che la pia madre adorna e piagne,
E '1 pensier eh' erra a studio d' una culla.
Io derelitta io scompagnata seguo
Pur la traccia de V ombre e mi dileguo.
VOCE DI SOTTERRA.
Taci, o fanciulla mesta ;
Taci, o dolente madre, e V affamato
Pargol raccheta ne la notte bruna.
Fiammeggia, ecco, la festa
Da' vetri del palagio, ove il beato
De la libera patria ordin s' aduna,
E magistrati e militi tra' suoni
E dotti ed usurier mesce e baroni.
352 LEVIA GRAVIA
De' tuoi begli anni il fiore,
O fanciulla, intristì, chiedendo in vano
L'aer e l'amor ch'ogni animai desia;
Ma ride in quel bagliore
Di sete e d'or, che con la bianca mano
La marchesa raccoglie e va giulia
In danza. Or pianga e aspetti pur, che importa?.
La prostituzì'one a la tua porta.
Quel che ne la pupilla
Del figliol tuo gelò supremo pianto
Che tu non rasciugasti, o madre trista,
Gemma s' è fatto e brilla
Tra '1 nero crin de la banchiera. E intanto
Il leggiadro e soave economista
A- lei che ride con la rosea bocca
Sentenze e baci dissertando scocca.
Gioite, trionfate,
O felicij. o potenti, o larve ! e quando
Il sol nuovo la plebe a 1' opre caccia, .
Uscite e dispiegate.
Pur la mal digerita orgia ruttando,
Le vostre pompe a' suoi digiuni in faccia;
E non sognate il di eh' a l'auree porte
Batta la fame in compagnia di morte.
LEVIA GRAVIA 353
XXIV.
PER LA RIVOLUZIONE DI GRECIA
D
unque presente nume ancor visiti, Sacra Eleuteria, la terra d' Eliade, Che già d' armi e di canti E d'altari fumanti — ardeva a te?
E là, dal vecchio Pireo, da l' isola Che la tua gesta racconta a i secoli. De la fuga tremante Tu ancor Tamaro istante — insegni a i rè ?
Oh viva, oh viva! Dovunque i popoli Tu a r armi accendi tu i troni dissipi. Ivi è la musa mia, De 1' agii fantasia — su V ale io son.
Carducci. 23
354 LEVIA GRAVIA
Deh come lieto tra il Sunio e V isole Care ad Omero care ad Apolline L'azzurro Egeo mareggia, Su cui passeggia — de' gran fatti il suon !
Infrenin regi le genti barbare, Grecia li fuga. Veggo Demostene Su '1 bavarico esiglio Il torvo sopracciglio — dispianar.
Ombra contenta ricerca ei 1' agora
Che già ferveva fremeva urtavasi
De la sua voce al suono
Si come al tuono — il nereggiante mar.
Da poi che il brando nel mirto ascosero Armodio e il prode fratello unanime Non mai di più giocondo Per Atene su '1 biondo — Imetto usci.
Udite ... È un altro fanciullo barbaro Che Atene accatta rege. Nasconditi, Musa: ritorna in pianto D' Armodio ri canto — a questi ignavi di.
LEVIA GRAVIA 355
XXV.
BRINDISI
S,
*e già sotto r ale Del nero cappello Nel vin Cromttello Cercava il signor,
Ne' colmi bicchieri Ricerco pur io Men fiero un iddio, Ricerco l'amor.
Evviva, o fratèlli, Evviva la vigna. Il suolo ove alligna, L' umor eh' ella dà !
356 LEVIA GRAVI A
A r ombra de' tralci, Cui M sol lieto ride, L' industria s' asside E la libertà.
O ver se fiorita Ne gli orti d' Atene Protesse le cene Del vecchio Platon,
O se lussureggia Nel suolo ove ardito Co M nero infinito Fu Vico in tenzon,
O dove tra i colli De 1' Arno giocondi S' apri de' tre mondi La via spiritai,
O se del suo succo Più puro e leggero Scaldò di Vollero Il riso immartal,
Evviva la vigna Che r arti raccoglie, Che il gelo discioglie Di barbare età !
LEVIA GRAVIA 357
Anch* io nel suo sangue Ricerco il signore, Ricerco V amore E la libertà.
I re congiurati Or meditan guerra, E schiava la terra Ne gli odi insani.
O prole d'Arminio, Pur io ti salute, Io prole di Bruto; E bevo a quel di
Che, su le ruine De* trenta tuoi sogli Deposti li orgogli D' un evo incivil,
La man tu ci stenda Da r alpe gelata. La man non più armata Del ferro servii.
Ma si del cristallo Che Praga lavora E il vino colora Del limpido Ren.
358 LEVIA GRAVIA
Risplenda su V urne De' vostri ripòsi, , O padri ringhiosi, . Quel giorno seren:
Risplenda;: ne'. vóti . A l'itala mano ^ . ., Francata Murano La tazza^ darà,.
Su r alpe arridendo : Le avverse contrade-
La dea.libertade
t.
Quei vóti accorrà.
LEVIA GRAVIA 359
XXVI.
NEL SESTO CENTENARIO DI DANTE
I.
I
o'I vidi. Su r avello iscoverchiato Erto r imperYal vate levosse: Allor la sua marina Adria commosse, E tremò de T Italia il manco lato.
Qual vapor mattutino ei nel purgato Etera surto a V Apennjno mosse : Drizzò lo sguardo a valle, e poi. calesse Come nembo di lampi incoronato.
Sentir V arcana deità presente
Le plebi de* mortali e sbigottita <
Nel conspetto di lui tacque ogni mente:
Ma fuor de, V arche antiche al sole uscita De' savi e de'guerrier la morta gente Salutò la. grand' anima redita.
350 LEVIA GRAVIA
Che se di nostre feste
Scorra su 1' util plebe il beneficio
E civil carità prenda augumento;
Mercé nostra, il celeste,
Che bene e mal parti, saldo giudici©
Ha di bella pietade alleggiamento.
Noi, del nostro gioir, beata prole,
Rallegriam V universo a par del sole.
VOCE DALLE SOFFITTE.
Mancava il pan, mancava
L'opra sottile a reggere la vita;
E al freddo focolar sedea tremando,
E muta mi guardava.
Pallida mi guardava e sbigottita,
La madre: e un lungo giorno iva passando
Che perseguiami quel silenzio e '1 guardo,
Quand' io lassa discesi a passo tardo.
Piovea per la brumale
Nebbia lividi raggi alta la luna
In su '1 trivio fangoso, e dispariva
Dietro le nubi: tale
Di giovinezza il lume in su la bruna
Mia vita mesto fra i dolor fuggiva.
E la man tesi: e vidimi in conspetto
Osceni ghigni; e in cor mi scese un detto
LEVIA GRAVIA 351
Immane. Ahi, ma più immane
Me, o superbi,, premea la lunga fame
E il guardo e il viso de la madre antica.
Tornai: recai del pane:
Ma tacean del digiuno in me le brame,
Ma sollevare i gravi occhi a fatica
Sostenni; a madr?, e nel tuo sen la fronte
Ascosi e del segreto animo Tonte.
Addio, d'un santo amore
Fantasie lacrimate, e voi compagne
Di questa infelicissima fanciulla !
A voi rida il candore
Del vel che la pia madre adorna e piagne,
E '1 pensier eh' erra a studio d' una culla.
Io derelitta io scompagnata seguo
Pur la traccia de T ombre e mi dileguo.
VOCE DI SOTTERRA.
Taci, o fanciulla mesta;
Taci, o dolente madre, e V affamato
Pargol raccheta ne la notte bruna.
Fiammeggia, ecco, la festa
Da' vetri del palagio, ove il beato
De la libera patria ordin s' aduna,
E magistrati e militi tra' suoni
E dotti ed usurier mesce e baroni.
362 LEVIA GRAVIA
XXVII.
CURTATONE E MONTANARA
D
i Maro il fiume e'I verde pian, che 'tanta Mal vendicata, ahimè, virtù rinserra, Sonerà vostre lodi, o sacra, o sant^ Primavera d' eroi de la mia terra..
Non l'Arno più. Di regi ostri s'ammanta La città del Ferrucci e a voi. fa guerra; , Da i servi fasti il vostro culto schianta; De gli ayi il tempio a voi contende e serra.
O di martiri vulgo, anime ignude, Fuora ! . . Troppo gran peso a la memoria È la vostra gentil plebea virtude.
Posate in grembo de T ultrice istoria: . Qui ogni cosa ruina in servitude; Qui de' felici è tutto, anche la gloria.
LEVIA GRAVIA 363
XXVIII.
ROMA
D.
ate al vento le chiome, isfavillanti Gli occhi glauchi, del sen nuda il candore, Salti su'I cocchio; e T impeto e il terrore Van con fremito anelo a te d* avanti.
L' ombra del tuo cimier V aure tremanti, Come di ferrugigno astro il bagliore, Trasvola; e de le tue ruote al fragore Segue la polve de gì' imperi infranti.
Tale, o Roma, vedean le genti dome La ifiiagin tua ne'lor terrori antichi: Oggi una mitra a le regali chiome,
• I
Oggi un rosario che la man t' implichi Darti vorrien per sempre. Oh ancor del nome Spaurì il mondo e i secoli affatichi !
364 LEVIA GRAVIA
XXIX. PER IL TRASPORTO
DELLE RELIQUIE DI UGO FOSCOLO IN SANTA CROCE
(34 giugno zSyz)
R
.aggia di luce un riso Da i marmi che d' argiva anima infusi Vivono dèi ne le medicee sale, Un fremito improviso Corre lungo i severi archi dischiusi De l'alta Santa Croce, or che immortale De' numi e de' poeti a le serene Sedi il molto aspettato Ugo riviene.
O vate che nel canto
La bellezza e la morte e di Mi'mnermo
Il senso al pianto del Petrarca annodi,
Vieni e posa nel santo
Luogo di gloria, nel solenne ed ermo
Tempio de' padri ; al tumolo cuétodì
Son qui l'itale muse, e la divina
Venere arride in vetta a la collina.
LEVIA GRAVIA 365
Di rose e laOreti
Ella ti adorna con eterne feste
Le note a V Alighier contrade austere,
E i colli e gli oliveti,
Che il tuo verso di luce anco riveste,
Come la luna, a le odorate sere
Che forse nel desio de la tua lira
Da Bellosguardo il rosignol sospira.
Chi a le libere muse
Puro si addisse e per V augusto vero
Spregiò vulghi e tiranni e '1 fato a prova,
Chi al popol suo dischiuse
Dal cor profondo e da V ingegno altero
L' onda e la luce de la vita nova,
Ben posa qui da la mortai fatica
A r ombra de la grande Italia antica.
Vivi tu, conscio spirto,
Forse, e da i verdi elisi, ove te Dante
Per mano addusse al gran veglio smirnèo
E tra r ombroso mirto
Saffo ti ride e in gioventù raggiante
Teco d' armi e d' amor favella Alceo,
Rivóli ombra placata, e de' nipoti
Ascolti il lacrimoso inno ed i vóti?
366 LEVIA GRAVIA
O ver nudo pensiero ■
Vivi ne r universa alitìà che solve^ Rinnovellando ognor, le forme antiche? E noi, te di severo Culto onorando ne la muta polve, " Questa diva onoriamo umana Psiche Che i secoli, varcando, adempie e schiara ? Pietra a i servi le tombe; a noi sòn afa.
Ma di Carrara i monti
Marmo non dan che paghi la ferita
Del poeta e i dolori ignoti e soli,
O belle ardite fronti
Ove s'impenna il sogno or de la vita,
Se quindi a voi gentil desio non voli,
Gentil desiò di glorie e di dolori:
O gioventù d' Italia, in alto i cori!
Meglio le ingiurie e i danni
De la virtude in solitaria parte.
Che assidersi co' i vili a regia mensa:
Meglio trascorrer gli anni
Ne r ombra de V oblio, che vender 1* arte
A cui d' ignobil fama aure dispensa:
Meglio i nembi sfidare al monte in cima,
Che belar gregge ne la valle opima.
LEVIA GRAVIA 367
CoM bello italo regno
Non crebber Talme, e per più largo cielo,
Qual farfalletta in cui formazion falla,
Svolazza il breve ingegno:
Giacquer gli eroi; sogghigna, e senza velo
La fronte oscena e la deforme spalla
Da la verga d' Ulisse illividite
Su M tumulo d' Aiace erge Tersite.
Qual gittò fra le genti
Pensier V Italia ? in su V antica fronte
Qual astro ride a l'avvenir d'amore?
Alte parole, e lenti
Umili fatti ! Ahi, ahi ; mal con le impronte
De le catene a i polsi e più nel core.
Mal con la mente da l' ignavia doma,
Mal si risale il Campidoglio e Roma !
Patria di grandi e forti,
Il tuo fato qual è? Se tal risponde
A gli avi suoi tuttor questa mal viva
Gente, V ossa de' morti
A che gravar di marmi ? Io 1' onde a 1' onde
Impreco avverse in su la doppia riva,
E da i ridesti in Apennin vulcani
Pioggia di fuoco a i nostri dolci piani.
NOTE
1) pag. 212, V. 1-12. Alla buona ed onor G. T. Gargani, nato in Firenze Ì1 12 febbraio 1834, morto in Faenia il 29 marzo 1862.
LIBRO L.
vn) pag. 28Q, V. 18. " Ea vir^o nationis bructerse late ìmperltabat ; vetere apud germanos more, quo plerasque fe- minarum fatidicas et, augescente superstitione, arbitrantur deas. Tuncque Veleda auetoritas adolevit; nam prosperas germanis res et excidìum legionum prsdìxerat „ Tacitus, Hist. IV 6i.
pag. 299, V. 9-12. ' Memori» proditur, quasdam acies, in- cljnatas iam et labentes, a feminìs restitutas constantia precum et obiectu pectorum et monstrata cominus capti vitate.... Inesse quin eliam sanctum aliquid et providum putant; nee aut Con- silia earum adspernantur aut responsa negligunt Vidimus sub divo Vespasiano Veledam diu apud plerosque numìnis loi^o habitain. 5ed et olim Auriniam et complures alias venerai sunt, non adulatìone, nec tanquam facerent deas. „ Tacitus, Germ. S.
p. 291, V. 1-6. Servono di dìcliiaraìione questi versi d'un canto del popolo greco (tra<t. di N. Tommaseo); È Suli il
Carducci. 24
370 LEVIA GRAVIA
celebre ^ Sali il celebrato; ove combattono piccoli bambini, donne e ragcuuse, ove combatte la Zavella, colla spada alla mano, col bambino all'un braccio, col fucile nell* altro, colle cartuccie nel grembiule.
La Luisa Grace a cui è intitolata quesf ode, nata in Bri- stol nel 1818, mori in Pistoia il 3 maggio 1865. Quelli che solo abbian visto di lei le versioni dei canti di T. B. Macaulay e E. W. Longfellow e le Rime e prose pubbl. dopo la sua morte dal marito Frane. Bartolini (tipogr. dei successori Le Monnier, 1869 e 1870), non potrebbero ancora farsi un* idea giusta del suo ingegno, della dottrina in più lingue e lettera- ture e dell' ancor più grande gentilezza e generosità del- l' animo suo.
XIII) pag. 305, V. 19. Simbolo dell'amore poetico mistico del medio evo.
XIV ) È una specie d* idillio storico critico nel quale si volle rappresentare certe maniere e tendenze della poesia ita- liana su '1 finire del sec. xiii. Scena, Mulazzo di Lunigiana, castello di Franceschino Malaspina ospite di Dante e de' poeti toscani di parte bianca. Tempo, poco dopo la morte di Ar- rigo VII. De' due poeti ; l' uno è Sennuccio Del Bene, fuoru- scito fiorentino, che scrisse una canzone per la morte dell' im- peratore indirizzata a punto al Malaspina, e che passò vera- mente in Provenza, ove mori vecchio e amico del Petrarca; r altro è un immaginario cavaliere ghibellino delle famìglie feudali. E chi sa che nella ballata messa in bocca a Sennuccio e nei versi che a quella seguono non abbia qualche parte la teorica del Rossetti, pe '1 quale la donna de' poeti del sec. xiii e XIV è r idea imperiale e anche l' imperatore stesso ?
LIBRO IL
XXI) Questo frammento fu pubblicato nel Don Chisciotte di Bologna, 2 giugno 1883, con tale nota delta Direzione :
LEVIA GRAVIA 371
^ Questi versi li ho rubati in casa del poeta, fra alcuni suoi manoscritti giovanili. Furto domestico, qualificato per la persona, sette anni di reclusione, se Giosuè mi denuncia! Ma per fortuna non lo farà. Oltre tutto, dopo Oberdank, non credo che egli abbia voglia di presentarsi al procuratore del re. „
XXII) pag. 341, v. 5. In questa e nelle tre seguenti strofe si accenna al glorioso scolio di Callistrato, che solevasi can- tare dagli Ateniesi ne* conviti, a onore degli eroi della libertà, Armodio e Aristogitone : incomincia " Entro un ramo di mirto la spada io vo* portare, come Armodio e Aristogitone, quando il tiranno uccisero e a leggi uguali Atene fecero. „
XXIII) pag. 341, V. n e segg. Stavo appunto scrivendo questi versi (ne' primi di febbraio del 18163), quando nella Gazsetta di Torino e nella Nazione di Firenze lessi di un fanciullo decenne, che lavorava a opra di manovale e fu tro- vato una sera mezzo morto di freddo dì fatica di fame in non so più qual via di Torino. Ciò avverto per quelli che, volendo forse risparmiare per sé tutta la loro tenerezza, si abbando- nano assai leggermente a condannare il sentimentalismo di certe questioni.
pag. 351, v. U. E un verso di Giacomo Leopardi, che allogatosi in questa strofa non mi è riuscito levamelo per quanta fatica v' abbia durato intorno ; tanto che, ripensatoci sopra, vidi bene che sarebbe stato cima di stoltezza, non che di villania, mettere fuori dell'uscio un verso di Giacomo Leo- pardi ; e, ricordandomi di quel che fu detto d' Omero, che era più diffìcile togliere un verso a lui che la clava ad Ercole, ho fatto quasi il peccato di compiacermi dentro di me del furto commesso : di che, da buon cristiano, mi confesso e mi rendo in penitenza.
XXV ) Scritto avanti che si pensasse all' alleanza colla Prussia e a' congressi della pace. La prima strofe allude a un fatterello del Cromwell come lo racconta nei Quatre Stuarts
[
372 LEVIA GRAVIA
il visconte di Chateaubriand : Des saints le surprirent unjour occupi à boire. " IIs croient, dit-il à ses joyeux amis, que nous cherchons le Seìgneur, et nous cherchons un tìrc'hou^ chon. „ Le tìre-bouchon éiait tombe,
XXVI) pag. 359, v. 9-10. Non fu vero. Le vecchie acca- demie non ciarlarono né adularono mai tanto allegramente come i lìberi italiani in que' giorni.
XXVII) Per la deliberazione presa a quei giorni dal Co- mune di Firenze di abolire la commemorazione dei morti nel combattimento di Curtatone e Montanara l' anno 1848 e di onorare solennemente soltanto il 28 di luglio e la memoria di Carlo Alberto, la prima e più nobile tra le vittime della ri- volusione italiana.
XXVIII) Tale, o simigliante, è la imagine di Roma nelle medaglie: vedi anche Claudiano, In Prob. et Olisbr. cons, V. n e segg.
XXIX) pag. 364, v. 9 e segg. A certi lettori, anche non ignoranti, questi versi con in mezzo Mimnermo hanno fatto l'effetto dell' £■? non è? Indovinati quel eh' egli è. Cotesti let- tori abbiano, se vogliono averla, la pazienza di leggere nella Ist. della lett greca di C. Ottofr. Mailer il cap. x ìntitol. La poesia elegiaca e l* epigramma e in cotesto capitolo special- mente il ritratto di Mimnermo. Chi poi ha senso di poesia e sa un po' di greco ripensi i frammenti dell' elegiaco smirneo, e del Foscolo certi luoghi delle Grazie e tutta 1* ode all' amica risanata, massime
L' aurea beltade ond' ebbero
Sollievo unico a' mali
Le nate a vaneggiar menti mortali e
Meste le Grazie mirino
Chi la beltà fugace
Ti membra e il giorno dell'eterna pace.
LEVIA GRAVIA 373
Ma della poesia del Foscolo, della quale tanto più cresce in me r ammirazione quanto più veggo la materialità metafisica « dogmatica di certi critici affettare una quasi indifferenza o degnazione di occuparsene, bisognerebbe alfine parlare con più sentimento e conoscenza d'arte e con meno declamazioni e preoccupazioni civili, politiche e filosofiche.
A SATANA
4'
A SATANA
A,
. te, de r essere Principio immenso, , Materia e spirito, Ragione e senso;
Mentre ne' calici Il vin scintilla Si come 1' anima Ne la pupilla;
Mentre sorridono La terra e il sole E si ricambiano D' amor parole.
378 A SATANA
E corre un fremito D' imene arcano Da* monti e palpita Fecondo il piano;
A te disfrenasi Il verso ardito, Te invoco, o Satana, Re del convito.
Via l'aspersorio Prete, e il tuo metro! No, prete, Satana Non torna in dietro!
Vedi : la ruggine Rode a Michele Il brando mistico, • Ed il fedele
Spennato arcangelo Cade nei vano. Ghiacciato è il fulmine A Geova in mano.
Meteore pallide. Pianeti spenti. Piovono gli angeli Da i firmaménti.
A SATANA 379
Ne la materia Che mai non dorme, Re de i fenomeni, Re de le forme,
Sol viVe Satana. Ei tien r impero Nel lampo tremulo D' un occhio nero,
O ver che languido Sfugga e resista. Od acre ed umido Provochi, insista.
Brilla de' grappoli Nel lieto sangue, Per cui la rapida Gioia non langue.
Che la fuggevole Vita ristora. Che il dolor proroga, Che amor ne incorai
Tu spiri, 0 Satana, Nel verso mio. Se dal sen rompemi Sfidando il dio
\v
380 A SATANA
De' rei pontefici, De' re crtìenti ; E come fulmine Scuoti le menti.
A te, Agramainio, Adone,,Astarte, E marmi vissero E tele e carte,
Quando le ioniche . Aure serene -Beò la Venere Anadiomène.
A te del Libano. Fremean le piante, De l'alma Cipride Risorto amante:
A te.ferveano Le danze e i cori, A te i virginei Candidi amori.
Tra le odorifere Palme d' Idume, Dove biancheggiano Le ciprie spume.
'■.,'•
A SATANA 381
Che vai se barbaro Il nazareno Furor de l'agapi^. Dal rito osceno ^""v
<
Con sacra fiaccola I templi t'arse ^
E i sogni argolici A terra sparse?
Te accolse pròfugo ^^ Tra gli dèi lari La plebe memore Ne i casolari.
Quindi un femineo Sen palpitante Empiendo, fervido Nume ed amante,
La strega pallida D'eterna cura Volgi a soccorrere L' egra natura.
Tu a r occhio immobile De r alchimista, Tu de r indocile Mago a la vista,
382 A SATANA
Del chiostro torpido Oltre i cancelli, Riveli i fulgidi Cieli novelli.
A la Tebaide Te ne le cose Fuggendo, il monaco Triste s' ascose.
O dal tuo tramite Alma divisa. Benigno è Satana; Ecco Eloisa.
In van ti maceri Ne r aspro sacco : Il verso ei mormora Di Maro e Fiacco
Tra la davidica Nenia ed il pianto; E, forme delfiche, A te da canto,
Rosee ne Torrida Compagnia nera. Mena Licoride, Mena Glicera.
A SATANA 383
Ma d'altre imagini D' età più bella Talor si popola L' insonne cella.
Ei, da le pagine Di Livio, ardenti Tribuni, consoli, Turbe frementi
Sveglia; e fantastico D' italo orgoglio Te spinge, o monaco. Su '1 Campidoglio.
E voi, che il rabido Rogo non strusse. Voci fatidiche, Wicleff ed Husse,
A Taura il vigile
Grido mandate: I ^ ^ "'^'
S' innova il secolo
Piena è retate.
E già già tremano Mitre e corone: Dal chiostro brontola La ribellione,
384 A SATANA
E pugna e prèdica Sotto la stola Di fra' Girolamo Savonarola.
Gittò la tonaca Martin Lutero: Gitta i tuoi vincoli, Uman pensiero,
E splendi e folgora Di fiamme cinto; Materia, inalzati : Satana ha vinto.
Un bello e orribile Mostro si sferra, Corre gli oceani. Corre la terra:
Corusco e fumido Come i vulcani, I monti supera. Divora i piani;
Sorvola i baratri; Poi si nasconde Per antri incogniti, Per vie profonde;
~s.
1
A SATANA 385
Ed esce; e indomito Di lido in lido Come di turbine ' ' Manda il suo grido,
Come di turbine L' alito spande : Ei passa, o popoli, Satana il grande.
Passa benefico Di loco in loco Su r infrenabile Carro del foco.
Salute, o Satana, O ribellione, O forza vindice^ De la ragione!
Sacri a te salgano or incensi e i voti ! Hai vinto il Geova De i sacerdoti.
>
Carducci. 25
GIAMBI ED EPODI
1867-1879
GIAMBI ED EPODI
1867-1879
390 GIAMBI ED EPODI
Ululerò le lugubri memorie
Che mi fasciano V alma di dolore,
Ululerò gV insonni accidiosi
Tedi che fuman da la guasta età, ^-r .
Invidiando il rorido fulgore De' miei giovani sogni e i desii splendidi De le infrante catene e gli animosi Vostri richiami, o Gloria, o Libertà.
Tutto che questo mondo falso adora Co'l verso audace lo schiafie^erò: Ei mi tese le frodi in su V aurora, A mezzogiornc^ io le cajp|3wu^
Che se i delubri crolflanò e i tempietti Ove r ideal vostro, o vulghi, sta, Che importa a me? Non fo madrigaletti Che voi mitriate d' immortalità.
Oh, pria eh' io giaccia, altri e più forti e fulgidi Colpi da l'arco liberar vogl' io, ^ ,^. E su le penne de gli ardenti straii Mandare io voglio il vampeggiante cor.
Chi sa che su dal ciel la Musa o Dio Non r accolga sanando e sovra il torpido Palude de 1' oblio non gli dia V ali Da rivolare a gli sperati amor ?
giugno i8yi.
LIBRO I
,^.
AGU AMICI DELLA VALLE TIBERINA
-IT ur da queste serene erme pendici D'altra vita al rumor ritornerò; Ma nel memore petto, 0 nuovi amici, Un desio dolce e mesto io porterò.
Tua verde valle ed il bel colle aprico Sempre, o Bulcian, mi pungerà d'amor; Bulciano, albei^o di baroni antico, Or di libere menti e d'alti cor.
E tu che al cielo, Cerbaiol, riguardi Discendendo da i balzi. d'Apennin, Come gigante che svegliato tardi S'affretta in caccia e interroga il mattin,
392 GIAMBI ED EPODI
Tu ancor m' arridi. E, quando a i freschi venti
Di su r aride carte anelerà
L' anima stanca, a voi, poggi fiorenti,
Balze austere e felici, a voi verrà.
Fiume famoso il breve piano inonda; Ama la vite i colli; e, a rimirar Dolce, fra verdi querce ecco la bionda Spiga in alto a V alpestre aura ondeggiar.
De i vecchi prepotenti in su gli spaldi Pasce la vacca e mira lenta al pian; E de le torri, ostello di ribaldi. Crebbe V utile casa al pio villan.
Dove il bronzo de' frati in su la sera Solo rompeva, od accrescea, Torror, Croscia il mulino:, suona la gualchiera E la canzone del vendemmiator.
Coraggio, amici. Se di vive fonti Córse, tócco dal santo, il balzo alpin, A voi saggi ed industri i patrii monti Isdaturiscan di fumoso vin;
Del vin eh' edùca il forte suolo amico Di ferro e zolfo con natia virtù : Col quale io libo al padre Tebro antico, Al Tebro tolto al fin di servitù.
^ i<r
GIAMBI ED EPODI 393
Fiume d' Italia, a le tue sacre rive Peregrin mossi con devoto amor Il tuo nume adorando, e de le dive ^'^^^"^ Memorie l' ombra mi tremava in cor.
E pensai quando i tuoi clivi Tarconte Coronato pontefice sali, E, fermo l'occhio nero a l'orizzonte, Di leggi e d'armi il popol suo parti;
E quando la fatai prora d'Enea Per tanto mar la foce tua cercò, E r àureo scudo de la madre dea In su r attonit' onde al sol raggiò;
E quando Furio e V arator d' Arpino, Imperador plebeo, tornava a te, E copri van 1' aitar capitolino Spoglie di galli e di tedeschi re.
Fiume d' Italia, e tu 1' origin traggi Da questa Etruria ond' è ogni nostro onor; Ma, dove nasci tra gli ombrosi faggi, L' agnel ti salta e turbati il pastor.
Meglio cosi, che tra marmoree sponde Patir r oltraggio de' chercuti re, E con l'orgoglio de le tumid'onde L' orme lambire d' un crociato pie.
r
394 GIAMBI ED EPODI
Volgon, fiume d' Italia, ornai tropp' anni Che la vergogna dura : or via, non più. Ecco, un grido io ti do — Morte a- tiranni — ; Portalo, 0 fiume, a Ponte Milvio, tu.
Portai con suono eh' ogni suon confonda. Portai con le procelle d' Apennin, Portalo, o fiume ; e un' eco ti risponda Dal gran monte plebeo, da V Aventin.
Tende l'orecchio Italia e il cenno aspetta: Allor chi fia che la vorrà infrenar-^ p Cento schiere di prodi a la vendetta ^> Da le tue valli verran teco al mar. \
Risplendi, o fausto giorno. Ahi, se più tardi, -Romito e taumaturgo esser vorrò: Da la faccia de' rei figli codardi Ne le tombe de' padri io fuggirò.
Con l'arti vo'che cielo o inferno insegna Da questi monti il foco isprigionar, E fiamme in vece d' acqua a Roma indegna, Al Campidoglio vile io vo' mandar.
Pieve Santo Stefano^ 2$ agosto iS6y.
GIAMBI ED EPODI 395
n. ^\%^
MEMINISSE HORRET
S
barrate la soglia, chiudete ogni varco^ Gittatemi intorno densissimo un vel ! D' orribile sogno mi preme V incarco : Ho visto di giallo rifulgere il ciel.
Un lezzo nefando d'avello e di fogna ^v liscia dal palagio che a fronte ci sta: Le vecchie campane sonavano a gogna Di Piero Capponi per l'ampia città,
E giù da' bei colli che a' di del cimento Tonavan la morte su '1 fulvo stranier Un suon di letane scendea lento lento E pallide torme dicean — Miserer —.
GIAMBI ED EPODI
1867-1879
400 GIAMBI ED EPODI
Perché la madre tua lasciasti ? Ob, quando
A mensa ella sedea,
Il tuo loco guardava, e lacrimando
Il viso rivolgea.
Madre, perdona. A un cenno tuo la testa. La balda testa ei piega; Ma il suo duce prigion bandi la gesta,. E la gran Roma prega.
Egli s-u' trionfali archi diritta Vide, nel ciel del Latio, Di Roma vide T alta imago,. afflitta D' inverecondo strazio.
Ella che tien del nostro patto l'arca,. - L' ara del nostro dritto ; Per cui Dante gemè, fremè il Petrarca, E'I Machiavelli ha scritto;
Austera e pia ne la materna faccia. Con lagrimoso ciglio Lo riguardava, e gli tendea le braccia, E gli diceva: O figlio.
Ed ei, questo predone (ascolta, o greggia Turpe di schiavi, ascolta), Questo predon cui l*Apennin verdeggia Di lieti paschi e folta .
GIAMBI ED EPODI 401
Mèsse, questo feroce a cui nel core Ridea queto un desire, Per lei lasciava il suo solingo amore, Per lei corse a morire.
Ed or ne' luoghi, ove fra sé ristretta E la gente de i morti Per forza, e chiama a Dio la gran vendetta Che il mondo riconforti.
Or co i caduti là nel giugno ardente De r alta Roma a fronte E co i caduti nel decembre algente De' martiri su '1 monte
Parla, e Nemesi al suo ferreo registro Guarda con muto orrore. Parla di lui, del Cesare sinistro. Del bieco imperatore.
Le madri intanto accusano ne' pianti Del viver tardo i fati E con le man che gli addormian lattanti Compongon gli occhi a' nati.
In vece di ghirlande le fanciulle Vestonsi i neri panni, Mancan le vite a le aspettanti culle... Maledetti i tiranni!
Carducci. 26
402 GIAMBI ED EPODI
Ma io per man tòrrommi questa madre Vedova, questa sposa Vedova; e, dove fra sue turbe ladre Quel prete empio riposa,
E sogna d' armi e ad un selvaggio agguato Pare che frema e rugga, E su *1 capo gli penzola inchiodato Gesù perché non fugga.
Là me n'andrò, là sorgerò, per vie A tutt' altri scerete, Come una larva del supremo die Lento, e dirògli — O prete.
Godi. Di larga strage il breve impero Empisti e le tue brame. Trionfa nel tuo splendido San Piero, O vecchio prete infame.
Con le tremule palme al ciel levate Canta — Osanna, Dio forte — : L'organo manda per le volte aurate Un rantolo di morte.
Quando al popol ti volgi, ed — Il Signore, Mormori, sia con voi —, Come adultera donna a V amatore. Guardi a gli sgherri tuoi.
GIAMBI ED EPODI 403
Su le canne d'acciaio in mezzo a' ceri L' omicidio scintilla: Tu'! vedi, e '1 gaudio vela di sinceri Pianti la tua pupilla.
China su'l pio mister che si consuma, China il tuo viso tristo: Di sangue, mira, il tuo calice fuma; E non è quel di Cristo.
Ahi, d'italiche vene è sangue schietto, Nobile sangue e caro ! E una stilla ve n' ha pur di quel petto Che queste donne amaro;
Queste donne che diéro a' tuoi decreti Umile il cuor, V orecchio Prono; e pregaron anche in lor secreti Per te, feroce vecchio!
Io, per le grige chiome de la madre E per le chiome bionde De la sposa che sciolte or sotto V adre Pieghe un sol vel confonde;
Io, per Gesù che a gli uccisor compianse; Io per le donne sante, Maddalena che amò, Maria che pianse, O vecchio sanguinante;
404 GIAMBI ED EPODI
Te eh' oro e ferro e bronzo mendicando Te ne vai per la terra, Che gridi contro a la tua patria il bando De l'universa guerra;
Te che il lor sangue chiedi con parole Soavi a' fidi tuoi,
Ed il sangue di chi re non ti vuole Ferocemente vuoi;
Te da la pietà che piange e prega,
Te da V amor che liete
Le creature ne la vita lega.
Io scomunico, o prete;
Te pontefice fosco del mistero, Vate di lutti e d' ire, Io sacerdote de V augusto vero. Vate de V avvenire.
19 gennaio 1868.
GIAMBI ED EPODI 405
IV.
NEL VIGESIMO ANNIVERSARIO
DELL' vili AGOSTO MDCCCXLVIII.
M,
a non cosi, quando superbo apriva V ali e ne' raggi di vittoria adorno Almo rise d'Italia in ogni riva
Il tuo gran giorno,
Ma non cosi sperai, Bologna, il canto Recar votivo a l' urna de' tuoi forti. Oggi insegna la Musa iroso il pianto.
Fremono i morti
Abb'andonati a' retici dirupi, Il verde Mincio flebile risponde; E lunge ne gì' issèi pelaghi cupi
Rimugghian 1' onde,
406 GIAMBI ED EPODI
Se per V azzurro ciel la gialla insegna Passa a gV itali zefiri ventando E lieto lo stranier da poppa segna
Il sen nefando.
Ahi, come punto da mortifer angue, Ahi, di veleno il cor ferve e ribolle! Fumate ancor d' invendicato sangue,
Romane zolle!
O forti di Bologna, a voi la fuga
De' nemici irraggiava il guardo estinto ;.
E, mentre posa ed il sudor s' asciuga,
— Abbiamo vinto —
Disse, chinato sopra il sen trafitto Del compagno, il compagno. A le parole Pallido ei rise, e su i cubiti ritto
Salutò il sole
Occidente e l'Italia. E la mattina
Lo stranier, come lupo arduo che agogna^
Ululato avea su da la collina:
— Odi, o Bologna.
Le mie vittoriose aquile io voglio Piantar dove moriva il tuo Zamboni A i tre color pensando; e vo' 1' orgoglio
De' tuoi garzoni
GIAMBI ED EPODI 407
Pestar si come il pie de' miei cavalli Pesta il fieri de' tuoi campi. A Dio gradito, Empier di San Petronio io vo'gli stalli
Del lor nitrito.
Vo' il tuo vin pe' miei prodi ed i sorrisi De le donne: a la mia staffa prostrati Ne la polvere io vo'gli antichi visi
De' tuoi magnati.
Odi, Bologna. Stride ampia la rossa Ala del foco su' miei passi: l'ira Porto e il ferro ed il sai di Barbarossa:
Sermide mira. —
Lo stranier cosi disse. Ed un umile Dolor prostrò per l' alte case il gramo Cuor de' magnati. Ma la plebe vile
Gridò : Moriamo.
E tra'l fuoco e tra'l fumo e le faville E'I grandinar de la rovente scaglia Ti gittasti feroce in mezzo a i mille,
Santa canaglia.
Chi pari a te, se ne le piazze antiche De' tuoi padri guerreggi? Al tuo furore, Si come solchi di mature spiche
Al mietitore,
408 GIAMBI ED EPODI
Cedon le file ; e via per 1' aria accesa La furia del rintocco ulula forte Contro i tamburi e in vetta d'ogni chiesa
Canta la morte.
Da gli odi fiamma d'olocausti santi, Da i vapori del sangue alito pio Sale : o martire plebe, a te davanti
Folgora Dio.
Ecco, su' corpi de' mal noti eroi Erge la patria i suoi color festiva; Ed i vecchi e le donne e i figli tuoi
Gridano, Viva.
Il tuo sangue a la patria oggi : a la legge Il sangue e il pan domani. E pur non fai Tu leggi, o plebe, e, diredato gregge,
Patria non hai.
Ma quei che a te niegan la patria, quelli Che per sangue e sudor ti danno oltraggio, Ne' giorni del conflitto orridi e belli,
Quando al gran raggio
De l'estate si muore e incontro al rombo De' cannoni le picche ondanti vanno E co' le pietre si risponde al piombo.
Ove, ove stanno?
GIAMBI ED EPODI 409
Oh qui *non le tediose alme trastulla De' giuochi la vicenda e de le dame! La santa Libertà non è fanciulla
Da poco rame;
Marchesa ella non è che in danza scocchi Da' tondeggianti membri agii diletto, Il cui busto offre il seno ed offron gli occhi
Tremuli il letto:
Dura virago eli' è, dure domanda Di perigli e d'amor pruove famose: In mtzio al sangue de la sua ghirlanda
Crescon le rose.
Dormono ancora i fior dolce fiammanti Ne' bocci verdi; ma il soave e puro Aprii verrà. D'agosto ombre aspettanti.
Per voi lo giuro.
410 GIAMBI ED EPODI
V.
IL CESARISMO
[LEGGENDO LA INTRODUZIONE ALLA VITA DI CESARE SCRITTA DA NAPOLEONE III]
I.
Gì
iove ha Cesare in cura. Ei dal delitto Svolge il diritto, e dal misfatto il fato. Se un erario al bisogno è scassinato O un cittadino per error trafitto,
Tutto si sanerà con un editto. A sua gloria e per forza ei ci ha salvato. Chi ebbe tenga, e quel eh' è stato è stato. Nuovo ordine di cose in cielo è scritto. —
Cosi diceva, senator da ieri, Il ladro fuggitivo servo Mena; E la plebe a Labien sassi gittava.
Ma la legione undecima cantava — Trionfo! quattro nivei destrieri, Divin trionfo, al divin Giulio infrena! —
GIAMBI ED EPODI 411
II.
Q-
uattro al dio Giulio, o dio Trionfo, infrena, Come al buon Furio già, nivei cavalli: Leghi al carro d' avorio aurea catena L* Egitto e il Ponto e gli Africani e i Galli.
Gracco, la plebe tua straniere valli Ari a un suo cenno; e tu curva la schiena. Sangue Cornelio, e a' senator da' gialli Crin la via mostra che a la curia mena.
Dittatore universo, anche la vaga
Lingua d'Ennio ei fermò; l'anno ha costretto
Errante già per la siderea plaga.
Ma fra tant' inni il mondo ode su '1 petto Santo di Cato stridere la piaga E scricchiolar di Nicomede il letto.
settembre j868.
412 GIAMBI ED EPODI
VI. -ria
PER GIUSEPPE MONTI E GAETANO TOGNETTI
MARTIRI DEL DIRITTO ITALIANO.
I.
T,
I
orpido fra la nebbia ed increscioso Esce su Roma il giorno: Fiochi i suon de la vita, un pauroso SiÌ£nzio è d' ogn' intorno.
Novembre sta del Vatican su gli orti Come di piombo un velo: Senza canti gli augei da' tronchi morti Fuggon pe '1 morto cielo.
Fioccano d' un cader lento le fronde Gialle, cineree, bianche; E sotto il fioccar tristo che le asconde Paion di vita stanche
GIAMBI ED EPODI 413
Fin quelle, che d'etadi e genti sparte Mirar tanta ruina In calma gioventù, forme de l'arte Argolica e latina.
Il gran prete quel di svegliossi allegro, Guardò pe' vaticani Vetri dorati il cielo umido e negro, E si fregò le mani.
Natura par cM.di deforme-nrrore
Tremi innanzi a la morte:
Ei sente de le piume anco il tepore
E dice — Ecco, io son forte. r
Antecessor mio santo, anni parecchi Corser da la tua gesta: A te, Piero, bastarono gli orecchi; Io taglierò la testa.
A questa volta son con noi le squadre, Né Gesù ci scompiglia: Egli è in collegio al Sacro Cuore, e il padre Curci lo tiene in briglia.
Un forte vecchio io son ; V ardor de i belli Anni in cuor mi ritrovo: La scure che apri '1 cielo al Locatelli Arrotatela a novo.
414 GIAMBI ED EPODI
Sottil, lucida, acuta, in alto splenda Ella come un' idea: Bello il patibol sia: Toro si spenda Che mandò il Menabrea.
I francesi, posato il Maometto
Del Voltèr da V un canto.
Diano una man, per compiere il gibetto.
Al tribunal mio santo.
Si esponga il sacramento a San Niccola Con le indulgenze usate. Ed in faccia a V Italia mia figliuola Due teste insanguinate — .
II.
E pur tu sei canuto: e pur la vita Ti rifugge dal corpo inerte al cuor, E dal cuore al cervel, come smarrita Nube per V alpi solvesi in vapor.
Deh, perdona a la vita! A T un ventanni Schiudon, superbi araldi, l'avvenir; E in sen, del career tuo pur tra gli affanni, La speme gli fiorisce et il desir.
GIAMBI ED EPODI 415
Crescean tre fanciulletti a V altro intorno, Come novelli del castagno al pie; Or giaccion tristi, e nel morente giorno La madre lor pensa tremando a te.
Oh, allor che del Giordano a i freschi rivi Traea le turbe una gentil virtù E ascese a le città liete d' ulivi Giovin messia del popolo Gesù,
Non tremavan le madri; e Naim in festa Vide la morte a un suo cenno fuggir E la piangente vedovella onesta Tra il figlio e Cristo i baci suoi partir.
Sorridean da i cilestri occhi profondi I pargoletti al bel profeta umil; Ei lacrimando entro i lor ricci biondi La mano ravvolgea pura e sottil.
Ma tu co 'l pugno di peccati onusto Calchi a terra quei capi, empio signor, E sotto al sangue del paterno busto De le tenere vite affoghi il fior.
Tu su gli occhi de i miseri parenti (E son tremuli vegli al par di te) Scavi le fosse a i figli ancor viventi. Chierico sanguinoso e imbelle re.
\
416 GIAMBI ED EPODI
Deh, prete, non sia ver che dal tuo nero Antro niun salvo a l'aure pure usci; Polifemo Cristian, deh non sia vero Che tu nudri la morte in trenta di.
Stringilo al petto, grida — Io del ciel messo Sono a portar la pace, a benedir — , E sentirai dal giovanile amplesso Nuovo sangue a le tue vene fluir
In sua mente crudel (volgonsi inani .Le lacrime ed i prieghi) egli si sta:
lome un fallo gittò gli affetti umani
^i solitario ne V antica età.
\
III.
/
«•
Meglio cosi! Sangue de i Aorti^ affretta I rivi tuoi vermigli E i fati; al ciel vapora, e di vendetta Inebria i nostri figli.
Essi, nati a V amore, a cui V aurora De r avvenir sorride Ne le limpide fronti, odiino ancora, Come chi molto vide.
GIAMBI ED EPODI 417
Mirate, udite, o avversi continenti, O monti al ciel ribelli. Isole e voi ne V ocean fiorenti Di boschi e di vascelli ;
E tu che inciampi, faticosa ancella. Europa, in su la via; E tu che segui pe'i gran mar la stella Che al Penn si discovria;
E voi che sotto i furiosi raggi Serpenti e re nutrite. Africa ed Asia, immani, e voi selvaggi, Voi, pelli colorite;
E tu, sole divino ; ecco V onesto Veglio, rosso le mani Di sangue e '1 viso di salute : è questo V angel de gflk Sciuani.
Ei, prima che il fatale esecutore Lo spazzo abbia lavato. Esce raggiante a delibar l'orrore Del popolo indignato.
Ei, di demenza orribile percosso, Com' ebbro il capo scuote, E vorria pur vedere un po' di rosso Ne r òr de le sue ruote.
Carducci. 27
418 GIAMBI ED EPODI
Veglio ! son pompe di ferocie vane
In che il tuo cor si esala,
E in van t' afforza a troncar teste umane
Quei che salvò i La Gala.
Due tu spegnesti; e a la chiamata pronti Son mille, ancor più mille. I nostri padiglion splendon su i monti. Ne' piani e per le ville.
Dovunque s' apre un' alta vita umana A la luce a 1' amore : Noi Siam la sacra legYon tebana, Veglio, che mai non muore.
Sparsa è la via di tombe, ma com'ara Ogni tomba si mostra: La memoria de i morti arde e rischiara La grande opera nostra.
Savi, guerrier, poeti ed operai, Tutti ci di^ la mano: Duro lavor ne gli anni, e lieve ornai ; Minammo il Vaticano.
Splende la face, e il sangue pio 1* avviva; Splende siccome un sole: Sospiri il vento, e su V antica riva Cadrà l'orrenda mole.
GIAMBI ED EPODI 419
E tra i ruderi in fior la tiberina Vergin di nere chiome Al peregria dirà: Son la ruina D' un* onta senza nome.
jo nov. 1868.
420 GIAMBI ED EPODI
VII.
HEU PUDORI
I.
M,
ènte chi dice ch'ove il core avvampa, Secondi V aura de V acceso ingegno. Avrei ben io d' infame eterna stampa Segnato in fronte questo gregge indegno.
Feroce forse come il tuo m' accampa, Dante padre, nel cuore odio e disdegno ; Ma chiusa rugge la vorace vampa Me distruggendo, e mai non giunge al segno.
Altri laghi di pegola, addensata Di serpenti di mostri e dimon duri Altra e duplice bolgia avrei scavata;
E v' avrei co' suoi monti e co' suoi muri^ Come uno straccio lurido, gettata Questa terra di Pucci e di Bonturi.
GIAMBI ED EPODI 421
II.
N,
o. Vanni Pucci in faccia a Dio rubava Con la bestemmia in bocca e in fronte il riso, Ribadito di serpi egli squadrava Da r inferno le fiche al paradiso :
Il poco pan che del suo pianto lava Ed è nel sangue de' suoi figli intriso Voi rubate a la patria, e poi con brava Lingua sputate a lei virtù su '1 viso.
Le case de' nemici al sol lucente,
Con la face a una man, ne l'altra i dardi,
Vanni Pucci cercò superbamente:
Voi, ne la chiusa notte, a passi tardi, Ferite al canto; voi da l'aurea lente Piccioletti ladruncoli bastardi.
422 GIAMBI ED EPODI
Ili.
D.
a le tombe del pian che aprile infiora E da i monti che batte il verno immite E da quelle che il mar cuopre e colora, Morti d'Italia, venite, venite!
Mirate, o morti : il sangue vostro irrora,. Ricadendo aureo nembo, a lor le vite; Empie a' lenoni il ventre e rincolora Le rose a' ludi de V amor sfiorite.
Mirate, o morti : ei fùr che la vittoria Vi contesero un giorno, e, candid' ossa,. Sol del martirio avvolge voi la gloria:
Ora di lor viltà ne l'ardua possa.
Ora sfidando i popoli e la storia.
Ora barattan su la vostra fossa. 1868-69.
GIAMBI ED EPODI 423
Vili.
LE NOZZE DEL MARE
ALLORA E ORA.
(Quando ritto il doge antico Su r antico bucentauro L'anel d'oro dava al mar, E vedeasi, al fiato amico De la grande sposa cerula, Il crin bianco svolazzar;
Sorrideva nel pensiero
Ne le fronti a' padri tremuli
De' forti anni la virtù,
E gittava un guardo altero,
Muta, a r onde, al cielo, a l' isole,
La togata gioventù.
424 GIAMBI ED EPODI
Ma rompea superbo un canto Da r ignudo petto ed ispido De gli adusti remator, Ch' oggi vivono soltanto, Tizì'an, ne le tue tavole, Ignorati vincitor.
Ei cantavano San Marco,
I Pisan, gli Zeni, i Dandoli,
II maggior de i Morosin; E pe* i sen lunati ad arco Lunghi gli echi minacciavano Sino al Bosforo e a T Eussin.
Ne la patria del Goldoni' Dopo il dramma lacrimevole La commedia oggi si dà : De i grandi avi i padiglioni Son velari, onde una femmina Il mar d'Adria impalmerà.
Le carezze fien modeste: Consumare il matrimonio I due sposi non potran: Paraninfa, da Trieste L'Austria ride; e i venti illirici L' imeneo fischiando van.
GIAMBI ED EPODI 425
Fate al Lido un po' di chiasso E su a bordo un po' di musica ! Le signore hanno a danzar. Ma, per dio, sonate basso: Qualcheduno a Lissa infracida, Che potrebbesi svegliar.
Bah ! qui porgono la mano Vaghe donne, a sprizzi fervidi Lo sciampagna esulta qui. Conte Carlo di Persano, Oggi a festa i bronzi rombano: Non mancate al lieto di.
luglio i86g.
426 GIAMBI ED EPODI
IX.
VIA UGO BASSI
(Quando porge la man Cesare a Piero, Da quella stretta sangue umano stillar Quando il bacio si dan Chiesa ed Impero, Un astro di martirio in ciel sfavilla.
Ma nel cuor de le genti il chiuso vero Con un guizzo d' amor risponde e brilla : Ne la notte V amor e nel mistero Le folgori de V iva dissigilla.
Di ghirlande votive or questa via Nel solenne suo di Bologna adombra D' un prete sconsacrato a V alma pia.
Ma lascia tu nel gran concilio sgombra, Roma, una sedia: a te Bologna invia Tra' carnefici suoi del Bassi V ombra.
agosto i86g.
GIAMBI ED EPODI 427
X.
ONOMASTICO
U,
go il poeta, allor che Italia in forse Di vita ne' servili ozi giacea, Co'l verbo ardente il secolo percorse, Scossel con V ira che virtù ricrea.
Allor che Italia dal giaciglio sorse Giovenilmente e libertà chiedea, Lei lo zel d' Ugo martire precorse E poi col sangue suggellò V idea.
Ov' è dissidio tra il pensiero e V opra E larva la parola è del pensiero E la parvenza a V essere va sopra :
O giovinetto, il bel nome severo, Tuo domestico vanto, la via scopra: Intera libertà vuol V uomo intero.
novembre jS'jo.
428 GIAMBI ED EPODI
XI.
LA CONSULTA ARALDICA
wercate pur se il pio siero che stagna Nel cor d' un paolotto ignoto al di, Da i reni d* un ladron de V Alemagna Sangue cavalleresco un giorno usci,
Se ne la tabe che da gli avi nacque E strugge a i figli V ultimo polmon Vive la colpa d' una rea che piacque Adultera latina al biondo Otton.
Deh dite : quante belve a cui le spade Affondar ne la carne era virtù, Quanti marchesi che assai ian le strade, Quanti mitrati che vendean Gesù,
GIAMBI ED EPODI 429
Quanti storici gradi di peccato Occorron dunque, dite in vostra fé', Per poter la camicia di bucato Porger la mane al dormiglioso re?
Per quante aule di barbari signori Vigilate dal pubblico terror Bisogna aver contaminato i cuori Ed i ginocchi, e quante volte ancor
Rinnegata la misera latina Patria e del suo comun le libertà, Per poter di diritto a la regina Tener la coda quando a messa va?
Oh non per questo dal fatai di Quarta Lido il naviglio de i mille salpò, Né Rosolino Pilo aveva sparto Suo gentil sangue che vantava Angiò.
Ma voi da l'arche, voi da gli scaffali. Invidiando a i vermi ombra e sopor. Corna di cervi e teschi di cignali Ed ugnoli d'arpie mettete fuor;
Ed a gli scheltri de le ree castella Che foscheggian pe'l verde ermo Apennin, Poi che r austero e pio Gian de la Bella Trasse i baroni a pettinare il lin
430 GIAMBI ED EPODI
(E allora il pugno già contratto al brando Ne r opera plebea ben si spianò, E su le labbra tumide il comando In lusinga servile iscivolò),
A quegli scheltri voi chiedete ancora Le targhe colorate e il pennoncel ; E vorreste veder l'antica aurora Arrider mesta a un gotico bertel.
O dormenti nel giorno, il gallo canta, Ferve il lavoro e cedon l'ombre al ver; U azzurro oltremarin di Terra santa E bava di lumaca in suo sentier.
Rendete pur, rendete a i vecchi scudi 11 pallid' oro che V ebreo raschiò Ed a gli elmi le corna : io questi ludi A la vecchiezza invidiar non so.
E aspettate cosi ne le supreme Gran gale, o morituri, il funerali La Libertà tocca il tamburo, e insieme Dileguan medio evo e carneval.
ottobre i86g.
GIAMBI ED EPODI 431
XII.
NOSTRI SANTI E NOSTRI MORTI
A
i di mesti d'autunno il prete canta I morti in terra ed i suoi santi in ciel, E muta il suon de' bronzi, e V are ammanta Oggi di lieto e doman d' atro vel.
Noi d' un cuor solo e con un solo rito A' tuoi santi e a' tuoi morti, o libertà. Libiamo il vin del funeral convito, Come la Grecia ne le antiche età.
Ahi, ma libando a' gloriosi estinti Ne i di fausti la greca gioventù Rammemorava i regi uccisi e i vinti, E in Atene regnavi unica tu.
432 GIAMBI ED EPODI
De' nostri morti in su le fosse erbose Pasce il crociato belga il suo destrieri Il vostro sangue, o eroi, nudri le rose Di tiranni lascivi a V origlier.
Da i monti al mar la bianca turba, eretta In su le tombe, guarda, attende e sta: Riposeranno il di de la vendetta. De la giustizia e de la libertà.
Faensa, i° novembre i86g.
GIAMBI ED EPODI 433
XIH.
IN MORTE DI GIOVANNI CAIROLI
O
Villagloria, da Cremerà, quando • La luna i colli ammanta, A te vengono i Fabi» ed ammirando Parlan de' tuoi settanta.
Tinto del proprio e del fraterno, sangue Giovanni, ultimo amore
De la niadre, nel seno almo l^. .langue, Caro italico fiore.. , .
Il capo ornai da. V atra morte a^vvolto .
Levasi; ed improvviso Trema. su '1 bianco ed affilato volto •
è
V aleggiar d' un sorriso.
Carducci. 28
434 GIAMBI ED EPODI
L'occhio ne V infinito apresi, il fere Da r avvenire un raggio :
Vede allegre sfilar armi e bandiere Per un gran pian selvaggio,
E in mezzo il duce glorioso: ondeggia
La luminosa chioma A V aure del trionfo : il sol dardeggia
Laggiù in fondo su Roma.
Apri, Roma immortale, apri le porte Al dolce eroe che muore:
Non mai, non mai ti consacrò la morte, Roma, un più nobil core.
Del cor suo dal bordél venda un fallito
Cetego la parola. Eruttando che il tuo gran nome è un mito
Per le panche di scola:
Al divieto straniero adagi Ciacco -
L' anima tributaria ' Sii 1* altro lato, e dica -^ Io son vigliacco,
E poi e' è la mar aria — :
Per te in seno a 'le madri, €Cco,'la morte
Divora altri figliuoli : Apri, Roma immortale, apri le porte
A Gi'ovan Carroli.
GIAMBI ED EPODI 435
Egli, ombra vigilante a i dì novelli, ^
Il tuo silenzio antico ■ Abiterà co* Gi:acciii e co* Marcelli ■ ;E cò'i' suo forte Enrido.
L'ali un di spiegherà sii 't Campidoglio
La libertà regina.: <jroppello, allor da ogni ultimo scoglio
De la terra latina, '
E giù da l'Alpi e giù da gli Apennini,.
. '• Garzoni e donne a schiera Verranno a te^ fiorite i lunghi xrini D'aulente primavera.
E con. lor sarà un vate, radioso
Ne la fronte divina, Come Sofocle già nel glorToso
Trofeo di Salamina:
Et toccherà le corde, e de i fratelli
' Dirà la santa gesta; Né mai la canzon ionia aVdf più belli Risonò come questa.
Groppello, a te* co T solitario canto ^ ' Nel mesto giorno io vegno,
E m* accompagna de V Italia il pianto E, nube atra, lo sdegno:
436 GIAMBI ED EPODI
Nel mesto giorno che la quarta volta
Te visitò la Parca, E sott' essa la tua funerea volta .
Batte il martel sii Fafca
Del giovinetto, la cui mite aurora
Empiva i clivi tuoi Di roseo lume. Oh come sola- è ora
La casa de gli eroi !
De le sue stanze peM deserto strano SMncontran due viventi:
Tristi echi rende il sepolcreto vano Sotto i lor passi lenti:
Avvalla il figlio de la madre in faccia Il viso e gli occhi muti.
Che non rivegga in lui la cara traccia De' suoi quattro perduti.
O madre, o madre, a i di de la speranza Dal tuo grembo fecondo
Cinque valenti uscieno: ecco, t'avanza Oggi quest'uno al mondo.
L' alma benigna nel sereno viso
Splendea di que' gagliardi.
Come del sol di giugno il vasto riso Sovra i laghi lombardi.
GIAMBI ED EPODI 437
Ahi, ahi ! de gli stranier tutte le spade
La carne tua gustarci Ahi, ahi l d' Italia tutte le contrade
Dei cor tuo sanguinato!
Qual cor fu il tuo, quando l' estremo spiro,
' O madre de gli eroi, Di lui ti rihrìovò tutto il martfro Di tutti i figli tuoi!
• r
' t
Or su le tombe taciturne siedi,
0 donna de i dolori, . E i di estremi volar sopra ti vedi
Come liberatori.
. • ' ■ . > . .• > • ;.....
Qui cinque addur nuore dovevi a' nati,
Madre gentile e altera;. Cara speme di prole a' tuoi, penati
Ed a la patria; e nera
• }
I A. • '
Suoi segni stende per le avite stanze
La morte. Ma d* augùri Rifulgon liete ie suonano di danze
Le case de' Bonturi.
Corre ivi a fiotti il vino, e sangue sembra;
\ L'orgia a le fami insulta; De le adultere ignude in su le membra La libidine esulta.
438 GIAMBI ED EP01>I
I barcollanti amori, in mal feconde Scosse, d' obliqua prole
Seminan tutte queste serve sponde, ' Ed oltraggiano : il . sole.
E il tradimento e la vigliaccheiria, Si come cani in piazza,
Ivi s*accpppian anche.: ebra la ria- , . Ciurma intorno- jgavazza,
E i viva urla a V Italia. Maledetta
Sii tu, mia pàtria antica,
Su cui r ónta de V oggi e la vendetta .
I * De i secoli s' abbica !.
....'■
La pianta di virtù qui cresce ancora, Ma per farsenìe strambe - > ' I muli tuoi : qui la viola odora : Per divenir letame.
, * f
Oh, risvegliar che vai V ira de i forti, Di Dante padre Tira? .
Solingo vate, in su V urne de* morti Io yo'spezzar la lira» .
Accoglietemi, udite, o de gli eroi
Esercito gentile: Triste novella io recherò fra voi;
La nostra patria è vile.
gennaio iS'/O. ,
' , I
GIAMBI- ED EPODI 4S9
: .J' !•!
y • 1
:-| .
XIV.
PER LE NOZZE DI CESARE PARENZO
1 • I-
s,
— Oup^erbo! e^llii'' non tódcàr Gentil' sfeiisó d* amòre: ''^' ''" ' Motto di' ròsea bòtca •' > A lui- tìòn scende in dorè.-'' Ei per la via de gli anni Tutt' i soavi inganlii
Gittò, gittò.l'a:$afna,:, ;. De le memoria piQ; • .1 i E con la. mente dpinia.,.v ., Da torve fanta^ift, . . ,*• > Solitario, aggj^ontìato, r v . Va pe'l divin, j:riefttQv., . ;...
440 GIAMBI ED EPODI
Amor covava in petto Al buon veglio di Teo: In lui r ira e M dispetto Albergo e nido feo, E la Furia pon V ova, E la Musa le cova;
E guizzan viperette Da i sanguinosi vani, E fischian su le vette De' versi orridi e strani, E lingueggiano al sole Tra rovi di parole. —
E pur (m' udite, o voi
Che un di mi amaste), ancora
Dischiude i color suoi ..
E in mezzo; al cor m,'.o(:}ora ■
Più soave che pria
Il fior di poesia.
E ne vo* faf ghirlande Per le fronti severe Ove suoi raggi spahde L'onor et il dovere, E per le fronti belle Di pudiche donzelle. '
GIAMBI ED EPODI 441
O monti, o • fiumi, o prati ; O amori interi esatti; 0 affetti esercitati Fra una schiatta d' umani Alta geittile e pura; O nattira, o natura;
Da questo reo mercato Di falsitadi, anelo A voi, come piagato Augello al piioprio cielo . Dal fango 'ondVè implicata' L' ala al se rem» nasata. ' ^
Dolci sonate e mòlli Aleggiate; ò mitì vèrsi, ' Qual d'Imettó da i colli Di rose6 lume aspersi- • MormófàVari' giulivi ' Dèi bèi Cefiso a i rivi
Gli sciami de le attee Api, ed allora indhino Libava a le tre dee - -' Il tragico diviind Meditando i secreti Di Coìorio oliveti.
442 GIAMBI ED EP.ODI
Dolci sonate e puri De 1^ candida festa • i- Fra i domèètici .auguri: . ;» Parenzo Oggi a. la onesta Tua legge, affida, o amore,. Il prode iirgegno e.il. core. '
E ride la donzella A r amator marito, . Lei che tacita t bella L'attese, ed a? i; ardito» Guerrierdi tiòstra fede. '•"•' Serbò questa' mercede. .
Oh dolce,' oblio PjTQfondQ, De le Icitt^ anelanti.!.
Oh (JÌVÌSÌ;dal «IjQnrdO • r,.:
Susurri d^.glì ^njantiy ;ì Che l'aura. pia. diffonde Tra r ombre e tr^ le ifrondej
Ma in ci^lp^r -Qbef gì -intenda Espero. ^miqo iMlcne^ ,-,■./' E soave ri§pl€inda' ; .v; , Con fraterno-qo^ti^nite .. • . A la fronte vlevata De la fanciuU^ amata l, >
GIAMBI ED EPODI 443
Se non che dietro rugge La marea, de la vita, E r anima che fugge Chiama a la via smarrita: In su V aspro sentiero Tornate, o spòsi j e al vero.
Da i vostri amori, o prode Gioventù di mia terra, A la forza e a la frode Esca perenne guerra, Esca a V italo sole Una robusta prole;
E il sano occhio nel giorno Del ver fisi giocondo, E tutto a lei dintorno Rida libero il mondo. Non è divino fato Il dolore e il peccato.
A Tarmi, a Tarmi, o amore! Tu puoi, tu sol, cotanto ! Se questa speme in core Io porti, ancora il canto Da r anima ferita Gitterò ne la vita;
444 GIAMBI ED EPODI
E SU '1 ginocchio, come II gladiator tirreno, Poggiato, io, fra le chiome^ E nel riarso seno La frese' aura sentendo,: Morirò combattendo..
4 giugno i8jo.
fi. • ,
RIPRESA l*'-^
xv:
AVANTI! AVANTII
I.
Av
i variti, avanti, < L' aspra tua chiorr
5 sauro destrier de la canzone
la porgimi, eh' io salti anche in
arcione,
Ihdomito destrier.
A noi la polve e 1' ansia dei corso, e i rotti vènti,
E il lampu de le^elicì-percosse, e de i torrenti
L' urlo solingo e fier.
I bei ginnetti italici han pettinati crini. Le constellate e morbide aiuole de' giardini
. Sono illor dolce agon;: Ivi essi ca^ScOTano in faccia a ì loro amori, La giuba a tempo fluttua -vaga tra i nastri e i fiori De le fanfare al suonj .
446 GIAMBI ED EPODI
E, se lungi la polvere scorgon del nostro corso, Il pìcciol collo inarcano e masticando il morso
Par che rignino — Ohibò! — Ma TalfanatchCyS^'ascica su Torlo de la via Sotto gualdrappe e cingoli la lunga anatomia
D' un corpo che invecchiò,
Ripensando gli scalpiti de' corteggi e le stalle De'tepid'ozi e T adipe de la pasciuta valle.
Guarda con muto orror. E noi corriamo a' torridi soli, a' cieli stellati, Per note plaghe e incognite, quai- cavalier fatati,
Dietro un velato amor.
Avanti, avanti, o sauro destrier, mio forte amico ! Non vedi tu le parie form^ del tempo antico
Accennarne colà? Non vedi tu d' Angelica ridente, o amico, il velo Solcar come una candida nube l'estremo cielo?
Oh. gloria, oh libertà I
II.
Ahi, da' prim' anni, o gloria, nascosi del mio cuore Ne'sxiperbi silenzi il tuo suoerbo amore. Le fronti alte del lauro nel pensoso splendor Mi .^oiy^ifàr da' gelidi marmi nel petto \m raggio, Ed obliai le vergini danzanti al sol di maggio E i lampi de' bianchi omeri sotto le chiome d' òr.
(SIAMBI ED EPODI 447
E tutto ciò che facile allor prometton, gli anni' Io 'l diedi. per un impeto l&ttimoso.d' affanni, . Per un.amplesèo aerteo in' faccia aLl'' avvenir.. O • immane statua bronzea, su dirupato rìloate, • Solo i grandi V ^giungojno, per declinar la fronte Fredda.su 1 tuo fredd' omero e las^i ivi morir.
A più frequente palpito, di umani odii ed' amori Meglio il petto, m'acceserp neMor severi ardori Ultime dee superstiti giustizia .e: liberà; , . E uscir credeami italico vate a la nuoya etade, Le cui strofe al ciel vibrano comerugg^hianti.spade, E il canto, ala d' incendio, divora i boschi e va.
Ahi, lieve i duri muscoli sfiora la rima alata ! Co 'i tuon de V arma ferrea neldestropugno arcata, Gentil leopardo, lanciasi Camillo Demulèn, E cade la Bastiglia. Sólo Danton dislaccia, Per rivelarti a' popoli, con' le taurine braccia^ O repubblica vergine, ramazo.nio tuo sen. '
A noi le pugne inutili. Tu cadevi, o Mameli, Con la pupilla cérula fifea a gli aperti tièli. Tra un inno e una battaglia cadevi; e come un fior Ti rideva da T anima la fede, allor che' il bello E biondo capo languido chinavi, e te, fratello, Copria r ombra -siderea di Roma e i tre color;
448 GIAMBI ED EPODI
Ed al fuggir de l'anima su la pallida faccia Protendea la repubblica-santa le aperte braccia Diritta in fra i romulei calli e T occiduo sol. Ma io d* intorno premere veggo schiavi e tiranni^ Ma io su 'I capo stridere m* odo fuggenti gli anni : — Che mai canta, susurrano, costui tórbido e sol?
Ei canta e culla i queruli mostri de la sua mente^ E quel che vive e s'agita nel mondo egli non sente — . O popolo d'Italia, vita del mio pensìer, O popolo d' Italia, vecchio titano ignavo. Vile io ti dissi in faccia, tu ini gridasti : Bravo ; E de' miei versi funebri t' incoroni il bicchier.
III.
Avanti, avanti, o indomito destrier de gl'inni alato! Obliar vo^ nel rapido corso l' inerte fato,
I gravi e oscuri di.
Ricordi tu, bel sauro, quando al tpo primo salto I falchi salutarono augurando ne l'alto.
E il bufolo muggì ?
Ricordi tu le vedove piagge dei mai:, toscano, Ove china su'l nubilo inseniinato.pjiarK). .
La torre feudal ... Con lunga ombra di tedio dai colli arsicci e foschi Veglia de le rasenie cittadi in mezzo a'bosqhi
II sonno sepolcral,
GIAMBI ED EPODI 449
Mentre tormenta languido sirocco gli assetati Caprifichi che ondeggiano su i gran massi quadrati
Verdi tra il cielo e il mar, Su i gran massi cui vigile il mercator tirreno Saliva, le fenicie rosse vele nel seno
Azzurro ad aspettar?
Ricordi Populonia, e Roselle, e la fiera Torre di Donoratico a la cui porta nera
Conte Ugolin bussò Con lo scudo e con l'aquile a la Meloria infrante, Il grand' elmo togliendosi da la fronte che Dante
Ne r inferno ammirò?
Or (dolce a la memoria) una quercia su M ponte Levatoio verdeggia e bisbiglia, e del conte
Novella il cacciator Quando al purpureo vespero su la bertesca infida I falchetti famelici empiono il ciel di strida
E il can guarda al clamor.
Là tu crescesti, o sauro destrier de gV inni, meco; E la pietra pelasgica ed il tirreno speco
Furo il mio solo aitar; E con me nel silenzio merid'ian fulgente I lucumoni e gli àuguri de la mia prima gente
Veniano a conversar.
Carducci. 29
450 GIAMBI ED EPODI
E tu pascevi, o alivolo corridore, la biada Che ne' solchi de i secoli aperti con la spada
Dal console roman Dante, etrusco pontefice redivivo, gettava; Onde al cielo il tuo florido terzo maggio esultava,
Comune italìan.
Tra le germane faide e i salmi nazareni Esultava nel libero lavoro e ne i sereni
Canti de' mietitor. Chi di queir orzo pascesi, o nobile corsiero, Ha forti nervi e muscoli, ha gentile ed intero
Nel sano petto il cor.
Dammi or dunque, apollinea fiera, l'alato dorso : Ecco, tutte le redini io ti libero al corso:
Corriam, fiera gentil. Corriam de gli avversarii sovra le teste e i petti, De' mostri il sangue imporpori i tuoi ferrei garetti ;
E a noi rida l' aprii,
L'aprii de' colli italici vaghi di messi e fiori, L' aprii santo de l' anima piena di nuovi amori,
L' aprile del pensier. Voliam, sin che la folgore di Giove tra la rotta Nube ci arda e purifichi, o che il torrente inghiotta
Cavallo e cavalier.
GIAMBI ED EPODI 451
O eh' io discenda placido dal tuo stellante arcione, Con l'occhio ancora gravido di luce e visì'one,
Su M toscano mio suol, Ed al fraterno tumolo posi da la fatica. Gustando tu il trifoglio da una bell'urna antica
Verso il morente sol.
ottobre i8'j2.
LIBRO II
XVI. A CERTI CENSORI
No,
, le luci non ha di Maddalena Molli e dei pianger vaghe; No, balsami non ha la mia Camena Per le fetenti piaghe.
Né Cristi siete voi; per ogni fòro L'anima vostra impura Fornicò; se v'ha conci il reo lavoro, Ci pensi la questura.
Ma Fulvia, in quel che la persona bella Rileva su '1 divano Ravvifando al crin fulgido le anella Con la tremante mano
454 GIAMBI ED EPODI
E le pieghe a la vesta, tutta in viso Vermiglia e di piacere Spumante, con un guardo e con un riso Ove tutta Citere
Lampeggia e a cui Laide erudita avria Aggiudicato il mirto, — Odio — dice — la triste poesia Che rinnega lo spirto •— .
E il buffon Mena, eh' empie d' inodora Corruzfon la pancia E via co M guanto profumato sfiora Gli schiaffi de la guancia,
Dice — A me giova tra un bicchier di Broglio- E 1' altro metter V ale.
10 mi sento meschino, e a cena voglio Del soprannaturale
E de i tartufi Via, dopo l'arrosto
Fa bene un po' d' azzurro:
Apri, poeta: il cielo, il cielo, a costo
Di pigliare un cimurro!
Nel cospetto del ciel l' ebrezza casca Del senso riscaldato.
11 canto è fede — . E s' accarezza in tasca Il soldo ruffianato.
GIAMBI ED EPODI 455
Ecco Pomponio, a le cui false chiome E al giallo adipe arguto, Dolce Pimplea, tu splendi in vista come Un grosso angel paffuto
Che ne le chiese del Gesù stuccate Su le nubi s' adagia, Su le nubi dorate e inargentate Che paion di bambagia.
— Amore, amore! — ei sbuffa — il mondo nuota
Tutto nel latf e miele:
Le rane come me lasciar la mota
E le vipere il fiele.
Vero; un asino crepa a quando a quando Di martirio o di fame: Ma il listino a la borsa va montando E a Pegaso lo strame.
Ho de' valori pubblici, un' amante Paòlotta e un giornale Del centro che mi paragona a Dante: Io canto r ideale.
Seguo l'arte che l'ali erge e dilata A più sublimi sfere: Lungi le Muse de la barricata, Le Grazie petroliere! —
456 GIAMBI ED EPODI
Cosi le belle e i vati e i savi in coro Mi vietano con gesto
Di drammatico orrore il sacro alloro
Deh via, chi ve T ha chiesto?
Quand' io salgo de' secoli su '1 monte Triste in sembianti e solo Levan le strofe intorno a la mia fronte, Siccome falchi, il volo.
Ed ogni strofe ha un'anima; ed a valle
Precipita e rimbomba.
Come fuga d' indomite cavalle.
Con la spada e la tromba;
E con la spada alto volando prostra I mostri ed i giganti, E con la tromba a la suprema giostra Chiama i guerrier festanti.
Al passar de le aeree fanciulle Fremon per tutti i campi L' ossa de' morti, e i tumoli a le culle Mandan saluti e lampi.
E il giovinetto pallido, a cui cade Su gli occhi umido un velo, Sogna la morte per la libertade In faccia al patrio cielo.
GIAMBI ED EPODI 457
Avanti, avanti, o messaggere armate Di fede e di valore! Su Tali vostre a più felice etate Lancio il mio vivo cuore.
A voi la vita mia: me ignota fossa Accolga innanzi gli anni: Pugnate voi contro ogni iniqua possa, Contro tutti i tiranni!
ig decembre iS^i.
458 GIAMBI ED EPODI
XVII.
PER IL LXXVII ANNIVERSARIO
DALLA PROCLAMAZIONE DELLA REPUBBLICA FRANCESE
CDoI di settembre, tu nel cielo stai Come Tuom che i migliori anni fini E guarda triste innanzi: i dolci rai Tu stendi verso i nubilosi di.
Mesto e sereno, limpido e profondo, Per l'ampia terra il tuo sorriso va: Tu maturi su i colli il vino, e al mondo Riporti i fasti de la libertà.
Mescete, o amici, il vino. Il vin fremente Scuota da i molli nervi ogni torpor, Purghi le nubi de V afflitta mente, Affoghi il tedio accidioso in cor.
GIAMBI ED EPODI 459
Vino e ferro vogl* io, come a' begli anni Alceo chiedea nel cantico immortai: Il ferro per uccidere i tiranni, Il vin per festeggiarne il funeral.
Ma il ferro e il bronzo è de' tiranni in mano; E Kant aguzza con la sua Ragion Pura il fredd' ago del fucil prussiano, KOrner strascica il bavaro cannon.
Cavalca intorno a Tavel tuo. Volterò, Il diletto di Dio Guglielmo re, Che porta sopra V elmo il sacro impero, Sotto r usbergo la crociata fe\
E ne la man che in pace tra il sacrato Calice ed il boccal pia tentennò Porta r acciar che feudal soldato Ne le stragi badesi addottrinò,
E crolla eretta al ciel la bianca testa.... O repubblica antica, ov' è il tuo tuon ? Il cavallo del re, senti, ti pesta, E dormi ne la tua polve, o Danton?
Mescete vino e oblio. La morta gente, O epigoni, fra noi non torna più! Il turbin ne la voce e nel possente Braccio egli avea la muscolar virtù
460 GIAMBI ED EPODI
Del popol tutto. Oh, il di più non ritorna Ch' ei tauro immane le strambe spezzò, E mugghiò ne V arena, e su le corna I regi i preti e gli stranier portò!
Mescete vino, amici. E sprizzò allora Da i cavi di Marat occhi un balen Di riso; ei sollevò da T antro fuora La terribile fronte al di seren.
Matura ei custodia nel sen profondo L'onta di venti secoli e il terror: Quanto di più feroce e di più immondo Patir le plebi a lui stagnava in cor.
Le stragi sotto il sol disseminate, I martir d' ogni sesso e d' ogni età,
I corpi infranti e l'alme violate E le stalle del conte d' Artoà,
Tutto ei sentia presente: il sanguinoso Occhio rotava in quel vivente orror, E chiedea con funebre urlo angoscioso Mille vendette ed un vendicator.
De r odio e del dolor V esperimento
II cor gli ottuse e il senso gli acuì: Ei fiutò come un cane il tradimento, E come tigre ferita ruggì.
GIAMBI ED EPODI 461:
Ma quel che su da V avvenir salia
D' orror fremito udì Massimilian,
E, come falciator per la sua via,
V occhio ebbe al cielo ed al lavor la man..
De' solchi pareggiati in su '1 confino Il turbine vi attende, o mietitor: O mietitori foschi del destino. Non fornirete voi Tatro lavor.
Maledetto sia tu per ogni etade, O del reo termidor decimo sol! Tu sanguigno ti affacci, e fredda cade La bionda testa di Saint-Just al suol.
Maledetto sia tu da quante sparte Famiglie umane ancor piegansi a i rei Tu suscitasti in Francia il Bonaparte^ Tu spegnesti ne i cor virtude e fé'.
21 sett. iS'jo.
462 GIAMBI ED EPODI
XVIII.
PER VINCENZO CALCESI
OTTO MESI DOPO LA SUA MORTE
D,
ormi, avvolto nel tuo mantel di gloria Dormi, Vincenzio mio: De' subdoli e de' fiacchi oggi è V istoria E de i forti T oblio.
Deh non conturbi te questo ronzare Di menzogne e di vanti ! No, s* anco le tue zolle attraversare Potessero i miei canti
E su '1 disfatto cuor sonarti come La favolosa tromba,
No, gridar non vorrei di Roma il nome Su la tua sacra tomba.
GIAMBI ED EPODI 463
Pur, se chino su '1 tumolo romito
10 con gentile orgoglio Dir potessi — Vincenzio, risalito Abbiamo il Campidoglio, —
Tu scuoteresti via da le fredde ossa
11 torpor che vi stagna, Tu salteresti su da la tua fossa, O leon di Romagna,
Per rivederla ancor, Roma, a cui M verbo Di libertà gittasti.
Per difenderla ancor, Roma, a cui M nerbo De la vita sacrasti.
Dormi, povero morto. Ancor la soma Ci grava del peccato: Impronta Italia domandava Roma, Bisanzio essi le han dato.
marzo i8^i.
464 GIAMBI ED EPODI
XIX.
FESTE ED oblìi
LJ rlate, saltate, menate gazzarra, Rompete la sbarra — del muto dover; Da ville e da borghi, da valli e pendici^ Plaudite a i felici — di oggi e di ier.
Su, vergini e spose, bramose, baccanti, Spogliate r Italia di lauri e di fior. Coprite di serti, di sguardi fiammanti Le glorie in parata de i nostri signor.
Deh come cavalca su gli omeri fieri De' baldi lancieri — la vostra virtù ! O sole di luglio, tra i marmi latini A gli aurei spallini — lusinghi anche tu,
GIAMBI ED EPODI 465
E mobili flutti di fanti e cavalli Risuonan pe M clivo su '1 fòro latin, E il canto superbo di trombe e timballi Insulta i silenzi del sacro Aventin.
Ahi sola de*. vóti d'un di la severa Mia musa, o Caprera, — riparla con te, E, sola e sdegnosa, de V orgia romana, Deserta Mentana, — ti chiede mercé.
Là il vino, la luce, la nota che freme. Ne i nervi, nel sangue risveglian Tardor: Qui trema a la luna con V aura che geme Lo stelo riarso d' un povero fior.
E altrove la luna del raggio suo puro Illumina il giuro -x rianima il si, Che mormora a un altro languente vezzosa La vedova sposa — del morto eh' è qui,
O empie insolente la camera mesta Svegliando a le cure del dubbio diman La madre che in questo bel giorno di festa In vano pe' trivi chiedeva del pan.
a luglio i8yi.
Carducci. 30
466 GIAMBI ED EPODI
XX.
IO TRIUMPHE !
D
ice Furio -— Facciam largo a i Camilli Che vengon dopo un anno. ^ 9 Io de le trombe galliche a gli squilli Ritorno, ei fuggiranno. —
E Mario — Spegner Toste entro i confini
Patri i è barbara cosa.
Trionfo a i nuovi imperador latini,
A i vinti di Gustosa! —
E Duilio — Tre zattere di legno
Ed il valor romano
Bastava. Or fu^o: ci vuol troppo ingegno
A essere Persano. —
GIAMBI ED EPODI 467
E Virginio — Che far? Non ho figliuole Altre da dare a gli Appi. Questo mio ferro vecchio or niun lo vuole Né men per cavatappi. —
E Tullio — L' orazion mia per costoro È troppo larga o stretta. Lasciamo a Stanislao Pasquale il fòro, E il senato al Pancetta. —
E Tacito — O mie storie ispide e tese, O mio duro latino,
Cediamo il posto a V orvietan marchese Al Bianchi e a Pasqualino. —
E Bruto — Via da questa plebe stolta! Mi.faria com'a un cane Ne' suoi circensi. Almeno ella una volta Voleva ancora il pane! —
E Marc' Aurelio — Con questo po' d' oro Che avanza, io non son gonzo. Fuggiam, fuggiam, non aspettiam costoro, O mio cavai di bronzo. —
Cosi gli spirti magni entro il latino Ciel, di lor fuga mesto. Trionfa la Suburra, urla Pasquino — Viva r Italia! io resto. — '
luglio iSyi.
468 GIAMBI ED EPODI
XXI.
VERSAGLIA
[NEL LXXIX ANNIVERSARIO DELLA REPUBBLICA FRANCESE]
-T u tempo, ed in VersagHa un proclamava:
— Mio quanto cresce in terra e guizza in mar E in aèr vola. — E il prete seguitava:
— Popolo, dice Dio: Tu non rubar. —
E i bosciii verdi, e le argentine linfe Ridenti in lago o trepide tra i fior, E il tuo marmoreo popolo di ninfe, Ed i palagi sfolgoranti d' òr,
Versaglia, sepper quanto in servitude Quanto d' infame in signoria si può.
— Vo' il tuo campo e la donna e la virtude Tua — disse un uomo, e niun rispose: No.
GIAMBI ED EPODI 469
Veniano i giovinetti e le donzelle A inginocchiarsi con V infamia in man, E del suo bruto sangue un volgo imbelle Murò il parco de' cervi al re Cristian.
Quand* ei dormia, poggiato a un bianco seno, Co '1 pugno a V elsa e in su le teste il pie, Tutta la Francia' da V Oceano al Renò Era superba di vegliare il re.
Versaglia, e allor che da un macchiato letto Ei procedeva a un addobbato aitar Tu d'orgoglio fremevi, e di rispetto Vedevi Europa innanzi a luì tremar.
Ei la gloria e il valore, egli le scuole
E l'armi, ei l'arte ed ei la verità,;
Egli era tutto in tutti: egli era il sole
Che il mondo illustra, e non s' accorge e sta.
Se Dio lui sostenesse o s'ei sostenne Dìo, non fermaro i suoi sacri oratori Lo sanno i Vostri morti, o pie Cevenne, Che non credevano al suo confessor.
Il re dal suo lascivo Occhio di bue Guardava il mondo, piccolo al suo pie; E Dio, mezzan de le nequizie sue, Benedicea da l' aureo domo il re.
470 GIAMBI ED EPODI
Benedicea le violette ascose Nel velo virginal de la Vallier, Benedicea le maritali rose Nel petto de la Moatespan altier,
Benedicea d' Engaddi i freschi gigli Vedovi in seno de la Maintenon : E d' un sorriso il re facea vermigli
I neri panni del fedel Aron.
L' ere da le sottane e da i capelli La corte e la cittade allor segnò;
II popol, da le fami e da i flagelli; Poi da la morte, quando si rizzò.
E il giorno venne: e ignoti, in un desio Di veritade, con opposta fé*, Decapitano, Emmanuel Kant, Iddio, Massimiliano Robespierre, il re.
t t • * •
Oggi i due morti sovra il monumento Co '[.teschio in mano chiamano pietà, Pregando, in nome Tun del sentimento, L' altro nel nome de V autorità.
E Versaglia a le due carogne infiora L'ara ed il soglio de gli antichi di.... Oh date pietre a sotterrarli ancora, Nere macerie de le Tuglieri.
21 seti. iS^ji.
GIAMBI ED EPODI 471
XXII.
CANTO DELL' ITALIA
CHE VA. IN CAMPIDOGLIO
Zjìtte, zitte! Che è questo frastuono Al lume de la luna? Oche del Campidoglio, zitte ! Io sono L' Italia grande e una.
Vengo di notte perché il dottor Lanza Teme i colpi di soler Ei vuol tener la debita osservanza In certi passi, e vuole
Che non si sbracci in Roma da signore Oltre certi cancelli: Deh, non faite, oche mìe, tanto runwre, Che non senta Antonelli.
472 GIAMBI ED EPODI
Fate più chiasso voi, che i fondatori De la prosa borghese, Paulo il forte ed Edmondo da i languori Il capitan cortese.
Qua, qua, qua. Che volete voi? Chiamate Il fratel Bertoldino
0 Bernardino? Ei cova, ei ponza, il vate, Lo stil nuovo latino.
S'eirè per Brenno, o paperi, sprecata È omai la guardia. Brava Io fui tanto e sottil, che sono entrata Quand'egli se ne andava.
Si, si, portavo il sacco a gli zuavi E battevo le mani
Ieri a' Turcòs : oggi i miei bimbi gravi Si vestono da ulani.
Al cappellino, o a T elmo, in ginocchione
Sempre: ma lesta e scaltra Scoto la polve di un'adorazione Per cominciarne un' altra.
Cosi da piede a pie figlia di Roma
1 miei baci io trascino, E giù nel fango la turrita chioma Con r astro annesso inchino
GIAMBI ED EPODI 473
Per raccattar quel che sventura o noia Altrui mi lascia andare. Cosi la eredità vecchia di Troia Potei raccapezzare
A frusto a frusto, via tra una pedata E r altra, su bel bello: Il sangue non è acqua; e m' ha educata Nicolò Machiavello.
Ora, se date il passo a la grafi madre, Oche, io vo in Campidoglio. ,. Cittadino roman vo' fare il padre Cristoforo; e mi voglio v
Cingere i lombi di valore, e forte . In rassegnazì'one, i
Oche, io voglio soffrir sino a k morte Per la mia salvazione.
Voglio soffrine i Taicùn e i Lami, E il talamo e la culla Aurea de' muli, e le contate fami, E i motti del Fanfulla.
Vo' alloggiar co '1 possibile decoro La gloria del Cialdini, Cantar l' idillio de l' età de V oro Di Saturno Bombrini;
474 GIAMBI ED EPODI
E vo' r umilità mia gualdrappare Di stil manzoniano, E recitar V uffizio militare D'Edmondo il capitano
Per non cader in tentazion. La. prosa Di Paulo Fambri, il grosso Voltèr de le lagune, è spiritosa Troppo per il mio dosso:
Gli analfabeti miei, che la lettura Di poco han superato, • Preferiscon d' assai la dicitura Più svelta del cognato.
E cosi d'anno in anno, e di ministro In ministro, io mi scarco Del centra destro su '1 centro sinistro, E '1 mio lunario sbarco:
Fin che.il Sella un bel giorno, al fin del mese,
Dato un calcio a la cassa,
Venda a un lord a^chéologq inglese
L' augusta mia carcassa.
12 nov. i8']i.
GIAMBI ED EPODI 475
XXIII -'\y^i
GIUSEPPE MAZZINI
Q.
,ual da gli aridi scogli erma su '1 mare Genova sta, marmoreo gigante, Tal, surto in bassi di, su M fluttuante • Secolo, ei grande, austero, immoto /appare./
Da quelli scogli, onde Colombo infante Nuovi pe M mar/vedea/monti spuntare, Egli /Vide/hel cìel crepuscolare Co T ctìor' di Gracco ed il pensier di Dante
La terza Italia; e con le luci fise A lei trasse per mezzo un cimitero, E un popol morto dietro a lui si mise.
Esule antico, al ciel mite e sevefo Leva ora il volto che giammai non -rise, — Tu sol — pensando -^ o Idéal, sei vero.
' < * -
ji febbraio iSj2.
476 GIAMBI ED EPODI
XXIV.
ALLA MORTE DI GIUSEPPE MAZZINI
Q.
,uando — Egli è morto — dissero, Io, che qui sola eterna Credo la morte, un fremito Correr sentii V interna Vita ed al cuore assiderarmi un gel. Immortai lui credeva. E gli occhi torbidi Volsi, chiedendo e dubitando, al ciel.
Ei che d' Italia a V anime
Fu quel eh' a i corpi il sole,
Del quale udiva io parvolo
Mirabili parole
Si come d' un. fatidico
Spirito tra il passato e T avvenir,
Egli il cui nome appresermi
Con quel d' Italia, ei non potea morir.
GIAMBI ED EPODI 477
Guardai. D' Italia stavano
Le ville i templi i fòri,
Da le sue torri a l'aure
Splendeano i tre colori,
Fremeano i fiumi i popoli
Ed i pensier con onda alterna, il sol
Rideva a l' alpi al doppio mare a V isole
Come pur ieri.... Ed era morto ei sol.
Passato era de i secoli
Nel di trasfigurante,
A i mondi onde riguardano
Camillo e Gracco e Dante,
Grandi ombre con immobili
Occhi di stelle a le fluenti età,
E riposa Cristoforo
Colombo e Galileo contempla e sta.
12 marao i8^a.
478 GIAMBI ED EPODI
XXV.
A UN HEINIANO D' ITALIA
Q.
,uando a i piaceri in mezzo od a i tormenti Arrigo Heine crollava La bionda chioma ed a i tedeschi venti Le sue strofe gittava,
E le furie e le grazie de la prosa Folli feroci e schiette Hi liberava da la man nervosa Qual gruppo di saette,
L' ombra del suo pensiero, ombra di morte, Da i suon balzava fuora, E con la scure in man battea le porte Gridando — È Torà, è Torà!
GIAMBI ED EPODI ' 479
Dal viso del poeta atroce e bello Pendea, ridendo, il dio Thor, e chiedea, brandendo il gran martello, — Ch'io picchi, o fìgliuol mio? —
Sotto il vento de' cantici immortali Piegavano croscianti Le selve de le vecchie cattedrali Con le lor guglie e i santi:
Rintoccava, da i culmini ondeggiando, A morto ogni campana, E Carlo magno s' avvolgea tremando Nel lenzuol d' Aquisgrana.
Quando toccate, o tisicuzzo, voi Il chitarrin cortese, Mugghian d' assenso tutti i serbatoi Del mio dolce paese.
Le canzonette, assettatuzze e matte, Ed isgrammaticate Borghesemente, fan cagliare il latte E tremar le giuncate.
Deh, come erra fantastico il belato Vostro via per V acerba Primavera! O montone, al prato, al prato! O agnello, a V erba, a V erba !
480 • GIAMBI ED EPODI
Il garofolo giallo e la v'fola
Vi sorridon gì' inviti :
Ah ghiottoncello, a voi fanno più gola
I cavoli fioriti?
Brucate, ruminate, meriggiate E belate a i pastori; E, se potete, i bei cornetti armate Pe' i lascivetti amori.
Con due scambietti poi V ebete grifo Ponete, oh voi beato!, Su le ginocchia a Cloe, se non ha schifo Del puzzo di castrato.
giugno i8'j2.
I •
GIAMBI ED EPODI 481
XXVI. Ull PER IL QUINTO ANNIVERSARIO
DELLA BATTAGLIA DI MENTANA
vJgni anno, allor che Jugubre L' ora de la sconfitta Di Mentana su^ memori Colli volando va,
I colli e i pian trasalgono E fieramente dritta
Su i^nomentani tumuli ^ ^'^ ^.3
La morta schiera sta.
Non son nefandi scheletri; Sono alte forme e belle, Cui roseo dal crepuscolo Ondeggia intorno un vel:
Per le ferite ridono Pie le virginee stelle. Lievi a le chiome avvolgonsi Le nuvole del ciel.
Carducci. ^^
n \
^ ■»
482 GIAMBI ED EPODI
— Or che le madri gemono Sovra gV insonni letti, Or che le spose sognano Il nostro spento amor,
Noi rileviam dal Tartaro I bianchi infranti petti, Per salutarti, o Italia, Per rivederti ancor.
Qual ne V incerto tramite Gittava il cavaliero Il verde manto serico De la sua donna al pie.
Per te gittammo l'anima Ridenti al fato nero; E tu pur vivi immemore Di chi moria per te.
Ad altri, o dolce Italia, Doni i sorrisi tuoi; Ma i morti non obliano Ciò che più in vita amar;
Ma Roma è nostra, i vindici Del nome suo siam noi: Voliam su '1 Campidoglio, Voliamo a trionfar. —
GIAMBI ED EPODI 483
Va come fosca nuvola La morta compagnia, E al suo passare un fremito GV itali petti assai ;
Ne le auree veglie tacciono La luce e l'armonia, E sordo il tuon rimormora Su r alto Quirinal.
Ma i cavalier d' industria, Che a la città di Gracco Trasser le pance nitide E rjlixclita-idlti,
Dicon — Se il tempo brontola, Finiam d'empire il sacco; Poi venga anche il diluvio ; Sarà quel che sarà. —
^ nov, i8'j2.
484 GIAMBI ED EPODI
XXVII.
A MESSER GANTE GABRIELLI DA GUBBIO
PODESTÀ DI FIRENZE NEL MCCCI
M,
-olto mi meraviglio, o messer Gante, Podestà venerando e cavaliero, Non v' abbia Italia ancor piantato intiero In marmo di Carrara e dritto stante
Sur una piazza, ove al bel ceffo austero Vostro passeggi il popolo davante,
0 primo, o solo ispirator di Dante, Quando ladro il dannaste e barattiero.
1 ceppi per a lui la man tagliare Voi tenevate presti; ei ne l'inferno Scampò, gloria e vendetta a ricercare.
Spongon or birri e frati il suo quaderno, E quel povero veltro ha un bel da fare A cacciar per la chiesa e pe M governo.
maggio 18^4.
GIAMBI ED EPODI 485
XXVIII.
LA SACRA DI ENRICO QUINTO
V<iuando cadono le foglie, quando emigrano gli
augelli ■ E fiorite a' cimiteri son le pietre de gli avelli,
Monta in sella Enrico quinto il delfin da' capei
grigi, E cavalca a grande onore per la sacra di Parigi.
Van con lui tutt'i fedeli, van gli abbati ed i baroni: Quanta festa di colori, di cimieri e di pennoni!
Monta Enrico un cavai bianco, presso ha il bianco
suo stendardo Che copri morenti in campo San Luigi e il prò'
Baiardo.
486 GIAMBI ED EPODI
Viva il re ! Ma il ciel di Francia non conosce il
sacro segno; E la seta vergognosa si restringe intorno al legno.
Più che mai su gli aurei gigli bigio il cielo e
freddo appare: Con la pace de gli scheltri stanno gli alberi a
guardare ;
E gli augelli, senza canto, senza rombo, tristi e
neri, Guizzan come frecce stanche tra i pennoni ed i
cimieri.
Viva il re! Ma i lieti canti ne le trombe e ne le
gole Arrochiscono, ed aggelano su le bocche le parole.
Arrochiscono; ed un rantolo faticoso d'agonia Par che salga su da' petti de 1' allegra compagnia.
Cresce l'ombra de le nubi, si distende su la terra^ Ed un' umida tenèbra quel corteggio avvolge e
serra.
Dan di sprone i cavalieri, i cavalli springan salti: Sotto r ugne percotenti suon non rendono i ba- salti.
GIAMBI ED EPODI 487
T
Manca l'aria; e, come attratti i cavalli e le persone Ne la plumbea d' un sogno infinita regfone,
Arrembando ed arrancando per gli spazi sordi
e bigi Marcian con le immote insegne per entrare a
San Dionigi.
Viva il re! Giù da i profondi sotterranei de la
chiesa Questa voce di saluto come un brontolo fu intesa:
E da Tossa che in quei campi la repubblica di- sperse Una nube di fumacchi si formava, e fuori emerse
Uno stuolo di fantasmi: donne, pargoli, vegliardi, Conti, vescovi, marchesi, duchi, monache, ba- stardi ;
Tutti principi del sangue : tronchi, mózzi, cin -
cischiati, In zendadi a fiordiligi stranamente avvoltolati.
Entro i teschi aguzzi e mondi che parean d'avo- rio fino Luccicavano le occhiaie d' un sottil fuoco azzur- ri no.
488 GIAMBI ED EPODI
Qual brandiva, salutando, un cappel bianco piu- mato,
Con un gracil moncherino che solo eragli avan- zato ;
Qual con una tibia sola disegnava un minuetto; Qual con mezza una mascella digrignava un sor-
risetto.
Tutf a un tratto quel movente di maligni ossami
stuolo Scricchiolando e sgretolando si levò per l'aria
a volo;
Ed intorno a Torifiamma dispiegante i gigli gialli Sgambettando e cianchettando intessea carole
e balli,
Ed intorno a l'orifiamma sventolante i gigli d'oro Sibilando e bofonchiando intonava questo coro.
— Ben ne venga il delfin grigio nel reame ove
a' Borboni Né pur morte guarentisce fide o pie le sue ma- gioni.
Passerem dal Ponte Nuovo. Venga a sciòr la sua
promessa Co'l re grande che Parigi guadagnò per una
messa,
GIAMBI ED EPODI 489
E nel marmo anche par senta co' mustacchi in- tirizziti Caldo il colpo e freddo il ghiaccio del pugnai
de' gesuiti.
Marceremo a Notra Donna. Mitriati e porporati Tre arcivescovi i lor sonni per accoglierne han
lasciati.
Su r entrata sta solenne con V asperges d' oro
in pugno Quel che tinse del suo sangue gli arsi lastrici
di giugno.
In disparte ginocchioni veglia a dire le scerete Quel che spento fu in sacrato per le mani d'un
suo prete.
Benedice la corona del figliuol di San Luigi Quel che giacque sotto il piombo del comune di
Parigi.
Tristi cose. Al men tuo padre (son cortesi i gia- cobini) Nel palchetto d'un teatro mori al suon de'v'iolini.
Copri r onda de 1' orchestra la real confessione, Sali Cristo in sacramento tra le maschere al ve- glione.
490 GIAMBI ED EPODI
Farem gala a quel teatro noi borbonica tregenda: Da quel palco (Iddio ti salvi!) move, o re, la
tua leggenda. —
Cosi strilla sghignazzando via pe '1 grigio aere
la scorta. Ma cavalca il quinto Enrico dritto e fermo in
vèr' la porta.
Su la porta di Parigi co '1 bacile d' oro in mano A r omaggio de le chiavi sta parato un castellano.
Ei non guarda, non fa cenno di saluto, non pro- cede: Un' antica e fatai noia su le grosse membra siede.
Erto il capo e '1 guardo teso, ma l' orgoglio non
vi raggia: Una tenue per il collo striscia rossa gli viaggia.
Non pare ordine o collare che il re doni al suo
fedele : Non è quel di San Luigi, non è quel di San
Michele.
Al passar d' Enrico, ei move a test' alta e regal- mente ; Fende in mezzo il gran corteggio: ciascun vede
e niun lo sente.
GIAMBI ED EPODI 491
È a la staffa già d' Enrico; ma non piega ad
atto umile, E tien dritto e fermo il collo mentre leva su il
bacile.
— Ben ne venga mio nipote, V ultim' uom de la
famiglia ! Queste chiavi eh' io ti porgo fùr catene a la Ba- stiglia.
Tali al Tempio io le temprava — . Con V offerta
fa r inchino Ed il capo de l'offrente rotolava nel bacino;
Ed il capo di Luigi con V immobile occhio estinto Boccheggiante nel bacino riguardava Enrica
quinto.
ott i8']4.
492 GIAMBI ED EPODI
XXIX.
A PROPOSITO DEL PROCESSO PADDA
I.
n
'a i gradi alti del circo ammantellati Di porpora, esse ritte Ne i lunghi bissi, gli occhi dilatati,
Le pupille in giù fitte.
Abbassavano il pollice nervoso
De la mano gentile.
Ardea tra bianche nuvole estuoso
Il sol primaverile
Su le superbe, e ne la nera chioma
Mettea lampeggiamenti.
Fremea la lupa nutrice di Roma
Ne i lor piccoli denti,
GIAMBI ED EPODI 493
Bianchi, affilati, tra le labbra rosse
Contratte in fiero ghigno.
Un selvatico odor su da le fosse
Vaporava maligno.
Era il sangue del mondo che fervea
Con lievito mortale, Su cui provava già Nemesi dea
Al voi prossimo Tale.
E le nipoti di Camilla, pria
Di cedere le mani A i ferri, assaporavan V agonia
De' cerulei Germani.
II.
Voi sgretolate, o belle, i pasticcini
Tra il palco e la galera ;
Ed intente a fornir di cittadini
La nuova italica èra.
Studiate, e gli occhi mobili dan guizzi
Di feroce ideale. Gli abbracciamenti de' cavallerizzi
Tra i colpi di pugnale;
494 GIAMBI ED EPODI
E palpate con gli occhi abbracciatori
Le schiene ed i toraci,
Mentre rei gerghi tra sucidi odori
Testimonian su i baci.
Poi, se un puttin di marmo avvien che mostri
Qualcosellina al sole.
Protesterete con furor d' inchiostri,
Con fulmin di parole.
E pur ieri cullaste il figliuoletto
Tra i notturni fantasmi
Co '1 pie male proteso fuor del letto
Ne gli adulteri spasmi.
Ma voi siete cristiane, o Maddalene!
Foste da' preti a scuola. Siete moderne! avete ne le vene
L'Aretino e il Loiola.
ottobre iSjg.
XXX. ist*
IL CANTO DELL' AMORE
Oh
/h bella a' suoi be' di Rocca Paolina Co' baluardi lunghi e ì sproni a sghembo! Ly'pens^PaoI terzo una mattina Tra il latin del messale e quel del Bembo.
— Quel gregge perugino in tra i burroni Troppo volentier — disse — mi si svia. Per ammonire, it padre eterno ha i tuoni, Io suo vicario avrò l'artiglieria.
Coelo tonantem canta Orazio, e Dio Parla tra i nembi sovra 1' aquilon. Io dirò co' i cannoni : 0 gregge mio, Torna a i paschi d' Engaddi e di Saron.
496 GIAMBI ED EPODI
Ma, poi che noi rinnovelliamo Augusto, Odi, Sangallo: fammi tu un lavoro Degno di Roma, degno del tuo gusto, E del ponteficato nostro d' oro. —
Disse: e il Sangallo a la fortezza i fianchi Arrotondò qual di fiorente sposa: Gittolle attorno un vel di marmi bianchi, Cinse di torri un serto a l'orgogliosa.
La cantò il Mnlza in dig^tif^i, l^^tj^i ; E il paracleto ne la sua virtù Con più che sette doni a i perugini IjT_bombe_e^da'„mortai pioveya^giù.
Ma il popolo è, ben lo sapete, un cane, E i sassi addenta che non può scagliare^ E specialmente le sue ferree zane Gode ne le fortezze esercitare;
E le sgretola; e poi lieto si stende Latrando su le pietre minate. Fin che si leva e a correr via riprende Verso altri sassi ed altre bastonate.
Cosi fece in Perugia. Ove V altera Mole ingombrava di vasta ombra il suol Or ride amore e ride primavera, Ciancian le donne ed i fanciulli al sol.
GIAMBI ED EPODI 497
E il sol nel radiante azzurro immenso i Fin de gli Abruzzi al biancheggiar lontano Folgora, e con desio d' amor più intenso Ride a' monti de V Umbria e al verde piano.
Nel roseo lume placidi sorgenti i( .s\-.-« -^ -
I monti si rincorrono tra loro, '{^-^^^^f^ .u /<
Sin che sfumano in dolci ondeggiamenti. Entro vapori di viola e d' oro.
Forse, Italia, è la tua chioma fragrante Nel talamo, tra' due mari, seren, Che sotto i baci de V eterno amante Ti freme effusa in lunghe anella al sen ?
Io non so che si jsia,. xnsL di zaffiro S£n.t(L.cJ]logai . p^jn^i^CQ oggi mi splende, Sento per ogni vena irmi il sospiro Che fra la terra e il ciel sale e discende.
Ogni aspetto novel con una scossa D' antico affetto mi saluta il core,
{E la mia lingua per sé stessa mossa^t^— '^ '^^^ ..^k J^ Dice a la terra e al cielo, Amat^, Amore.
Son io che il cielo abbraccio, o da V interno Mi riassorbe l'universo in sé?.... Ahi, fu una nota del poema.^£LD.Q^ * '"' vuiiv. Quel eh' io sentiva e picciol verso or è.
Carducci 32
498 GIAMBI ED EPODI
Da i vichi umbri che foschi tra le gole ' De TApennino s'amano appiattare; Da le tirrene acròpoli che sole Stan su i fioriti clivi a contemplare ;
Da i campi onde tra V armi e V ossa arate La sventura di Roma ancor minaccia; D_a le ròcche tedesche appollaiate Si come falchi a meditar la caccia;
Da ijjalagi del popol che sfidando Surgon neri e turriti incontro a lor; Da le chiese che al ciel lunghe levando Marmoree braccia pregano il Signor;
DaJ_b,Qrglii che s'affrettan di salire Allegri verso la cittade Qscuraj Come villani e' hanno da partire Un buon raccolto dopo mietitura;
DaCixonvjeatì^ tra i borghi e le cittadi Cupi sedenti al suon de le campane, Come cuculi tra gli alberi radi Cantanti noie ed allegrezze strade;
Da le vie, daje.piagzie gloriose, Ove, come del maggio ilare a i di Boschi di querce e cespiti di rose, La libera de' padri arte fiori ;
GIAMBI ED EPODI 499
Per le tenere verdi mèssi al piano, Pe* vigneti su V erte arrampicati, Pe' laghi e' fiumi argentei lontano, Pe' boschi sopra i vertici nevati,
Pe' casolari al sol lieti fumanti Tra stridor di mulini e di gualchiere, Sale uti cantico solo in mille canti. Un inno in voce di mille preghiere:
— Salute, o genti umane affaticate ! Tutto trapassa e nulla può morir. Noi troppo odiammo e sofferimmo. Amate. Il mondo è bello e santo è l'avvenir. —
Che è che splende su da' monti, e in faccia Al sole appar come novella aurora? Di questi monti per la rosea traccia Passeggian dunque le madonne ancora?
Le madonne che vide il Perugino Scender ne' puri occasi de l'aprile, E le braccia, adorando, in su'l bambino Aprir con deità cosi gentile?
Ell'è un'altra madonna, di' è un'idea Fulgente di giustizia e di pietà: Io benedico chi per lei cadea, Io benedico chi per lei vivrà.
500 GIAMBI ED EPODI
Che m* importa di preti .e. di^ tiranni ? Ei son più vecchi de'lor vecchi dèi. Io maledissi al papa or son dieci anni, Oggi co '1 papa mi concilierei.
Povero vecchio, chi sa non V assaglia Una deserta volontà d' amare ! Forse ei ripensa la sua Sinigaglia Si bella a specchio de l'adriaco mare.
Aprite il Vaticano. Io piglio a braccio Quel di sé stesso antico prigionier. Vieni : a la libertà brindisi io faccio : Cittadino Mastai, bevi un bicchieri
1877,
NOTE
PROLOGO.
pag. 3Sg. Questi versi mi vennero fatti una mattina un giornaletto clericale, di quelli che ragionevolmente e camente mi facevano e fanno ba bu dietro per amore di a Satana, lessi la novella eh' io ero morto.
LIBRO PRIMO.
1) pag. 392, vv. n-18. Si acci leggenda san Francesco fece ; della Verna.
ì alla fonte che • urire presso il
p. 393, vv. 5^. Tarconte è il tipo n etrusco; e una tradizione popolare pone presso il monte della Verna.
II) pag. 396, vv. 3-4. Non fu veramente uno schiaffo; qualcosa di meno e di peggio. Ecco il racconto d( {Islor. fior. IV in princ): " Giano della Bella venuto a con- tesa dentro la chiesa di san Piero Schera^io con Berto Fre- scobaldi cavaliere dei grandi, per certe ragioni che Berto volse
502 ♦ GIAMBI ED EPODI
a Giano occupar per forza, montò il Frescobaldi in tanto or- goglio contro quel della Bella, che, postagli la mano sul naso, disse ad alta voce che gliel taglierebbe, se avesse avuto co- tanto ardimento di cozzar seco „.
Ili) pag. 401, V. 12. Il boulevard Montmartre, dove ì colpi dì fucile sanzionarono il colpo di stato del 2 decembre 1851. Ne' versi anteriori si accenna ai caduti nell* assedio di Roma del 1849. Di questa nota, per avventura superflua, mi servirò per confessare che due versi del presente epodo
E su '1 capo gli penzola inchiodato Gesù perché non fugga.
e r altro
O vecchio prete infame,
gli debbo a Vittore Hugo, che nella Nox in fronte ai Chéti' ments scrisse,
Sur une croix dressée au fond du sanctuaire Jesus avait été cloué pour qu' il restàt,
e ne' Chdtiments stessi, I. 6,
Ton dìacre est Trahison et ton sous-diacre est Voi;
Vends ton Dieu, vends ton àme I Allons, coiffe ta mitre, allons, mets ton licol,
Chante, vieux prétre infame.
Dando a ristampare nel marzo del 1882 questi versi, credo non inutile far sapere qui in nota, come, ridotta in istrettezze non per sua colpa la nobile famiglia dei Corazzini di Pieve Santo Stefano, in vano due o tre volte raccomandai caldamente a un ministero, del quale era pure a capo Benedetto Cairoli, la vedova madre di Eduardo per una piccola pensione o un sussidio: non era provato che il figlio suo fosse morto dalle
GIAMBI ED EPODI 503
ferite ricevute in battaglia. Ciò può anche dimostrare la seve- rità con la quale in Italia si osserva la legge.
IV ) pag. 407, v. 20. Anche questo verso può parere una ri- membranza dei due bellissimi di A. Barbier {La curée),
La grande populace et la sainte canaille Se ruaient à T immortalité ;
ma il fatto è eh* egli ha un'origine più umile: me lo suggerì un deputato del Parlamento italiano, quando dello sciopero po- litico bolognese nel marzo del 1868 disse non essere popolo ma canaglia che tirava sassi Al Barbier debbo il movimento della strofe 23, Marchesa ella non è ecc. ; al Barbier che scrisse, pur nella Curée^
C* est que la Liberté n' est pas une comtesse Du noble faubourg Saint-Germain, • Une femme qu* un cri fait tomber en faiblesse, Qui met du blanc et du carmin.
V) pag. 411, vv. 9-10. Alludo ai due libri De Analogia in- titolati a Cicerone, coi quali Giulio Cesare intendeva dare con norme determinate una certa unità alla lingua romana traen- dola dair incostanza dell' uso volgare.
v. 14. Svetonio ha tutto un capitolo intorno la pudicizia di Cesare prostituita sotto (cosi traduce il Del Rosso, cavaliere gerosolimitano) al re Nicomede; e da quel capitolo sappiamo che Dolabella chiamava il futuro dittatore " la femmina che fa le corna alla regina di Bitinia „ e " la sposa segreta della lettiga reale „ ; che Bibulo suo collega nel consolato diceva di lui, per addietro essersi egli innamorato dei re ed ora dei regni; e altre cose che non possono esser ridette qui. Ci ba- sti il frammento di C. Licinio Calvo,
....Bithynia quidquid
Et paedicator Caesaris unquam habuit,
504 GIAMBI ED EPODI
e ciò che più apertamente cantavano i legionari nel trionfo gallico,
Gallias Caesar subegit, Nicomedes Caesarem: Ecce Caesar nunc triumphat, qui subegit Gallias ; Nicomedes non triumphat, qui subegit Caesarem.
Ecco: gli storici e i filosofi, i quali sonosi in questo secolo dei colpi di stato tanto sbracciati a dimostrare la necessità la moralità la santità della usurpazione di Cesare, dovrebbero anche dimostrarci V estetica delle carezze sofferte sotto il re dì Bitinìa, e come a diventar imperatori e licenziarsi ai colpi di stato e al saccheggio degli erari sia una propedeutica prov- videnziale quella dei letti o delle lettighe bitiniche. Può essere filosofia della storia anche cotesta: imperocché che cosa non è filosofia della storia oggigiorno?
VI) pag. 414, vv. 3-4. Pochi giorni prima del supplizio il ministero italiano aveva fatta pagare a Roma una rata del de- bito pontificio.
vv. 9-10. Quando si eseguivano in Roma le condanne di morte, nella chiesa di San Niccola rimaneva esposto per ventiquattro ore il Santissimo Sacramento.
VII) pag. 420, v. 14.
Ogni uom v'è barattier fuor che Bortturo; Del no, per li denar, vi si fa ita.
Dante, Inf. XXI, 41.
E Benvenuto da Imola annota: " Bonturus fuit baraterius, quia sagaciter docebat et versabat illud commune totum, et dabat officia quibus volebat. „
pag. 421, V. 9. Vanni Pucci,
Ladro alla sagrestia de' belli arredi, E falsamente già fu opposto altrui,
Dante, Inf. XXIV, 138,
GIAMBI ED EPODI 505
era anche, come Dante stesso lo chiama, aom già di sangue e di corrucci. U autore delle Istorie pistoiesi racconta, fra al- tre cose di lui sotto Tanno 1300: " Allora Vanni Pucci con certi suoi compagni andaro dirieto a quella casa e francamente colla balestra la combatterono, e col fuoco la vinsono ; e messo lo fuoco dair un lato, entraro dentro dall' altro. La gente che V* erano dentro cominciarono a fuggire, e costoro a seguire ferendogli e uccidendogli; la casa rubarono. „
Vili) " Giovedf 22 luglio, tempo permettendo, avrà luogo il varo della corvetta Vettor Pisani. In tale circostanza, con squisitissimo tatto, il comandante Cerutti dispose che la solen- nità abbia a farsi con tutta la pompa possibile, celebrando, come in antico, lo sposalizio del mare, mediante anello, che, lavorato nell' Arsenale, sarà gettato alle onde da una delle no- stre patrizie „. Rinnovamento di Venezia, 20 luglio 1869.
IX) In Bologna alla Via dei vetturini fu mutato il nome in Via Ugo Bassi nell* annuale dell* vili agosto 1869, V anno che fu convocato in Roma il Concilio ecumenico.
XI) La Consulta araldica fu instituita con r. decreto 10 ottobre 1869 in dieci articoli, per dar parere al Governo in materia di titoli gentilizi, stemmi ed altre pubbliche onori- ficenze.
XIII) pag. 434, vv. 1-2 Le ultime sue parole riassu- mevano il suo sacrificio in un augurio alla patria, vaticinando a noi la rivendicazione di Roma. — Roma sarà nostra, io ve lo giuro — ripetè pili volte anche nel suo sublime delirio.... Andremo presto a Groppeìlo. Là egli giace con gli altri tre martiri: e là è il tempio della nostra religione. Benedetto Cairoli a Wtnc. Caldesiy Belgirate, 20 settembre 1869.
506 GIAMBI ED EPODI
pag. 438, vv. 5-1. La imagine, che dispiacque ad alcuni miei amici, è presa da quel che H. Heine dice di Colonia, Deutschland iv :
Dummheit und Bosheit buhlten hier Gleich Hunden auf freier Gasse ; Die Enkeibrut erkennt man noch heut An ihrem Glaubenshasse.
Il presente epodo fu intitolato ali* onorevole Benedetto Cairolicon questa lettera (nella Riforma del 14 febbraio 1810):
Questo canto, già intermesso perché mi parve men rive- rente inframmettermi al solenne dolore vostro e della madre veneranda, V ho ripreso oggi, per ammonire, rammemorando la virtù de' Cairoli, la gioventù della patria. E ve V offro, o cittadino onorando, e vi prego dì presentarlo alla gentil donna Cairoli, come segno della riverenza e gratitudine mia, d* ita- liano e d' uomo, alla gran famiglia eh' è uscita di lei, santa e romana donna. Fra tante miserie e vergogne che ne circon- dano, dovendo disprezzare e odiar molte cose, è pur dolce e di sollievo air anima il poter dire ad alcuno, dal cuore aperto e profondo: Io vi ammiro, vi riverisco, vi amo.
Bologna, ii febbraio.
Alla quale Benedetto Cairoli rispondeva con questa pub- blicata nel Popolo di Bologna:
Groppello di Lomellina^ 77 febbraio.
Non vi ringrazio: non oso esprimere il debito della gra- titudine con una parola troppo profanata dall' uso, — vi dico soltanto che la povera madre vi benedice : è ricompensa degna di voi. Alla tomba dei nostri cari voi mandate omaggio di fiori che non perdono il profumo: versi che non muoiono e rìcor- dano il dovere che fu la mèta del sacrifìcio. E santo 1' aposto-
GIAMBI ED EPODI 507
lato del poeta quando completa quello del martire preparando il risveglio nazionale. Speriamo : la coscienza di un popolo può essere momentaneamente sedotta, corrotta mai fino all' oblio dell'onore, fino a tollerare nella rassegnazione di perpetuo le- targo il vitupero dell' occupazione straniera che ci contende Roma. Chiudo con questo nome, che ispirava il vaticinio del nostro adoralto Giovannino anche nell' ultima ora della sua agonia, e vi abbraccio con tutta 1' anima.
RIPRESA.
pag. 441, v. 15. Su questo verso il sig. Luigi Etienne in una recensione delle mie poesie pubblicata nella Revue des deux mondeSj t. iii del 1814, osservava : " On sourit quand' on voit Camìlle Desmoulins devenu Demulen. „ Sorridere ? e perché ? il nome Desmoulins si pronunzia si o no Demulèn ? Ora, come questo nome mi cadde in fine d' un verso e questo verso esi- geva la rima e come non tutti gli italiani sono obbligati a sapere la pronunzia dei francesi, cosi io scrissi il nome del tribuno se- condo lo dicono e non secondo lo scrivono ì francesi, per evi- tare il caso che qualcuno de' miei nazionali cercasse invano la consonanza fra Desmoulins e sen. Noi italiani del resto leggiamo i nomi del Petrarca del Machiavelli e del Guicciar- dini divenuti nella prosa francese Pétrarque, Machiavel, Gui- Chardin, e non sorridiamo. Non sorridiamo né meno quando, avvenendoci nei versi d' un grande poeta al nome dell' Ali- ghieri fatto rimare con flétri^ ci tocca a leggerlo Alighieri con tanto di accento acuto che pare un chicchirichì:
Ràler l' aieul flétri, La fiUe aux yeux hagards de ses cheveux vétue Et r enfant spectre au sein de la mère statue !
O Dante Alighieri !
V. Hugo, Chdtiments, I, ix.
508 GIAMBI ED EPODI
Ancora: il sig. Etienne mi appone di scambiare le Parc-aux- Cerfs pour un pare et l* Oeil-de'boeuf pour la fenétre <V un boudoir de Louis XV. Nella poesia intitolata Versaglia io ri- cordo e il Parc-aux-Cerfs e 1' Oeil-de-boeuf, ma li ricordo pro- prio per quello che sono, e non riesco a capire come e da quali delle mie parole abbia il sig. Etienne potuto indovinare quel cambio. Ma queste son piccolezze ; ed io, tutto che il sig. Etienne sia un po' di cattivo umore con me e con le mie idee politiche e mi rifaccia la vita a modo suo con qualche smorfia dì compassione e di protezione, debbo sapergli grado dell' aver tradotto con tanta fedeltà e grazia alcuni de' miei versi che gli piacque inserire nel suo saggio.
LIBRO SECONDO.
XX) pag. 461, vv. 11-18. Alludo ai vestigi di doratura che si scorgono ancora nella statua dì Marco Aurelio, e non all' oro monetato di Pio ix che potesse esser rimasto nelle tasche de' sudditi suoi. Ai quali la liberazione di Roma, qualunque si fosse, non costò, tutt' insieme, dì molto : e, fosse costata anche più, non sarebbe mai stata cara.
XXII ) pag. 412, 5-1. Nelle Piacevoli e ridicolose semplicità di Bertoldino figliuolo del già astuto e accorto Bertoldo composte da Giulio Cesare Croce (Venezia, Usci, 1636) si legge come un giorno " Bertoldino torna a casa e vede V oca che sta in un cesto grande a covare l' ova, e la fece levar su, e esso entrò nel detto cesto in atto di covare, et alla prima ruppe tutte l' ova con il podice, et erano ormai per nascere i pavarinì „ con quel che seguita. Ecco perché possono rite- nersi per fratelli delle oche cosf Bertoldino come certi poeti i quali sonosi messi a covar l' ova della poesia popolare con effetti non diversi da quelli della covatura bertoldiniana. Del resto Bertoldo e Bertoldino sono due produzioni importantis- sime della vera letteratura popolare d' Italia, e delle pochis- sime indigene. Le raccomando a' poeti e a' filologi novelli.
GIAMBI ED EPODI 509
pag. 413, V. 20. Questo verso mi attirò dal Fanfulla ( 3 gen- naio 1813) una specie di recensione di certo mio scritto sul Centenario di L. A. Muratori, nella quale mi erano, fra le altre, attribuiti de* versi su Vittore Hugo che io non ho mai scritti.
Aggiunta alla seconda edizione. " Del resto Fanfulla W " citò [quei versi su V. H. ] a dimostrare che in altri tempi " il Carducci era stato fieramente avverso a Vittore Hugo, da " lui oggi lodato e talora imitato. Se questo non si dimostra " co* sonetti apocrifi, si dimostra con altri scrìtti innumerevoli " del Carducci, e mi basta. „ Cosi il Fanfulla^ rispondendo nel suo num. del 28 settembre 1813 alla noticina di sopra. Ecco: o che farebbe il Fanfulla^ se io lo invitassi a citare quegli innumerevoli scritti?
pag. 474, v. 19. Avverto che questo è un verso fatto alla foggia di quel del Foscolo Antichissime ombre e brancolando e di altri italiani e latini. Io non amo per niente il verismo dei versi che non tornano.
XXV ) Vedi Confessioni e Battaglie [ Opere di G. Car- ducci voi. IV], Bologna, Zanichelli, 1890, pag. 246 e segg.
XXVIII ) Questi versi furono composti su la fine dell' otto- bre 1814, quando pareva imminente in Francia la restaurazione della monarchia tradizionale nella persona di Enrico Carlo Ferdinando d* Artois conte di Chambord salutato da' suoi En- rico v. La nascita del " figlio del miracolo „ fu cantata da due grandi poeti. Alfonso di Lamartine e Vittore Hugo. Né volli certo oltraggiarne la fine io, poeta " minorum gentium „. La visione feroce e grottesca della impossibiltà d' una restau- razione borbonica mi venne dalle condizioni e circostanze po- litiche della Francia. Del resto io ho sempre creduto che il conte di Chambord sostenne con dignità l' esilio, e ammirai r animo veramente nobile dell' uomo nel rifiuto di sacrificare all' ambizione di essere re vano lui la bandiera per la quale e
t-
510 GIAMBI ED EPODI
con la quale furono re da vero gli avi suoi : miracolo certo, più che quello onde egli nacque, tra i gtuocatori o meglio i bari di troni che usano in questo secolo. Suo padre, come tutti sanno, fu ferito di pugnale la sera del 13 febbraio 1820 men- tre scendeva di carrozza per andare all' Opera, e morf la mat- tma di poi in un palco del teatro. Il visc. di Chateaubriand nei Mémoìres sur la vie et la mori de S. A. R. le due de Berry scrive, liv. ii eh. v: " Lorsque le fìls de France blessé avoit été porte dans le cabinet de sa loge le spectacle duroit encore. D' un coté on entendoit les sons de la musique, de r autre les soupirs du prince expirant ; un rideau séparoit les folies du monde de la destruction d' un empire. Le prète qui apporta les saintes huiles traversa une foule de masques. „
XXIX) Ai dibattimenti delle Assise tenuti in Roma per V assassinio del capitano G. Padda, comnlesso da un cavalle- rizzo Cardinali, istigante e complice la Raffaella Saraceni mo- glie del capitano e amante del cavallerizzo, dal 20 settembre al 21 ottobre 1819 assisteva tra la folla immensa un numero grandissimo di signore e signorine della migliore società, come si dice, romana.
XXX ) Fu pensato in Perugia nella piazza ove già sorgeva la Ròcca Paolina, distrutta dal popolo nel settembre del 1860.
INTERMEZZO
e,
uore, a che uccelli ne' miei versi, come
Quella sgualdrina vecchia ■>■- '■*■ "-' " Là su r uscio, che al vento dà le chiome ' Grige e al rumor l'orecchia?
Per questa sera il lnmp in van risplende
Da la finestra bassa: Vecchia, rientra, e tira pur le tende.
Che nessun merlo passa.
Ma tu ancor non sei stanco, o mio cuor vecchio,
O vecchio cuore umano, Di civettar guardandoti a lo specchio
Falso del verso vano?
Carducci, 33
514 INTERMEZZO
È un bel pezzo, sai tu?, dal cieco Omero, Che tu se' il caro cuore,
Ed è un bel pezzo pur che fai '1 mestiero.... Via..., di lusingatore,
E^Mht^LjmiaiQr^y matura
Per fin ne' versi miei:
Di che cuor, se non fossi una figura, Cuore, io ti strozzerei!
Ma, già che urLJxQpjQ„sei, come la cetra La lira o il colascione
Su cui si può mandar Fillide a V etra O la riparuBione,
E già che la metafora, regina
Di nascita e conquista,
È la sola gentil, salda, divina Verità che sussista,
Io ti. vo' ballottar dentro un rovescio Di strofe belle e brutte,
Che vadano a diritto ed a sghimbescio, Metaforiche tutte,
Tutte senza oriente e tramontana. Senza capo né coda.
Tanto che la sinistra italiana Al paragon ne goda.
INTERMEZZO 515
E tutte senza fine e senza scopo, ^
Come il mio tedio e il mio
Dispetto cbe cominciano da,.uji. tnipiP
Per naufragare ih Dio. \
2.
O numi, o eroi, che belli e fieri un giorno
Vi rompevate il grugno L'un l'altro! o tori, e voi tra corno e corno
Abbattuti d'un pugno!
O terga rosolate è fumiganti
Lungo il divinò Egeo! Oggi noi siamo a dieta, e sempre avanti
Ci dan questo cibreo:
Questo cibreo del cuore, in verso e in prosa,
Co '1 solito guazzetto Di quella sua secrezion rauccosa
Che si chiama l'affetto.
Un di, quando Parigi urlò protervo
Ne la reggia soletta Come ansante canea che, preso il cervo,
I visceri ne aspetta.
516 INTERMEZZO
Un buon beccaio rosso ed aitante L' entragno d' un vitello
Infilò s'una picca; e gocciolante, Con tanto di cartello
Ove " Cuor d' aristocrate „ in grandiosa Caratter nero scrisse,
Se lo portava intorno glorioso, Con le pupille fisse.
Io, se potessi vincer la molestia
Del grasso e de lo schifo,
Vorrei pigliare il cuor di quella bestia Che ha lungo e nero il grifa
/.^ l*1Q^ ^ s^ distende seria nel pantano
Con estetica molta Come fosse un poeta italiano
Entro una stanza sciolta:
Su '1 lauro che più lieto i rami spanda
Al dolce italo sole Affigger lo vorrei, tra una ghirlanda
Di rose e di vYole,
Con la penna d' acciaio d' un cantore Da la fronte ideale.
Venite, o buona gente: al cuore, al cuore^ Che al meno è di maiale!
INTERMEZZO
517
3.
Quanto a me, cuore mio, batti pur.su,
Ch'io ti do poco retta. Ebbi una volta un pendolo a cucù \[ ^i.-c-O'Y-^'u/jVvu^.U
Dentro la sua cassetta ;
E lo tenevo in camera; ma, quando
Mi rompeva insolente I sonni giovanili, io bestemmiando pju^
Molto liricamente
t
Scaraventavo al vigile scortese Due classici latini,
Seneca e Fedro, ristampa olandese De gli in usum Delphini,
Strìdeva come protestando, e poi Il pendolo taceva:
Io, ripigliato sonno, ancora voi, Miei colli, rivedeva.
Miei dolci colli, ove tra* lauri, move L' arte serena V orme,
Ove Uonardo vide il sole ed ove Il mio fratello dorme.
518 INTERMEZZO
Dorme anzi sera, e dorme a lungo e solo: Aulisce il biancospino
Intorno al cimitero, e ferma il volo Cantando un cardellino.
«
Ma poi svegliati, o confidente cuore,
Lavoravam di buono, Ed al cucù pe '1 fluttuar de Tore
Rassettavamo il suono^
^ Questa è, vecchio mio cuor, H vf^rr^ia ^^ìnrìf*^
Far, disfare, rifare: Per r ozio, per la fame o per la gloria, È tutto un lavorare.
È un lavorare faticoso e pazzo
Da pentirsene un giorno.
Ecco, a metterti in versi io mi strapazzo, E non m' importa un corno
De le tue smorfie, o a la grand* arte, pura
Vii muscolo nocivo; Ma non so a quanti versi do la stura,
E vedrò dove arrivo.
INTERMEZZO 519
4.
E canterò di voi, gente finita
Dal pathos ideale, Che riduceste a clinica la vita
E il mondo a un ospitale.
S' alza il poeta a mezzodì, sbadiglia,
— Buon giorno, o cor mio lasso — ,
Se lo sdigiuna bene e se lo striglia, E se lo mena a spasso.
Dice al sole e a gli uccelli, a V erbe e a' fiori Che trova su '1 sentiero:
— Mirate, o creature^ il re de* cuori, Il mio cuore, il cuor vero.
Egli è tenero e duro, e dolce e forte,
Ariete ed agnello: Come tortore tuba, e rugge a morte
Peggio d' un lioncello.
Vero è, santa natura, che il mio cuore
È un po' delicatuzzo: Ma io lo tiro su, povero amore,
A olio di merluzzo;
520 INTERMEZZO
A olio di merluzzo, temperato
Con r essenze odorose
Che mi mandan la sera co M bucato Le vergini e le spose;
Le vergini e le spose del giocondo
Italico giardino: Però eh' io sono, e lo sa tutto il mondo,
Un poeta divino — .
Sbottonato cosi, scuote le chiome, Guarda i fiori e la mèsse
E gli alberi e gli uccelli e il cielo, come S'egli li proteggesse.
to^^/ Due rospi intanto a Torlo de la strada
^^^'^ l i ^ . Benefici e modesti
Seguitan liberando la contrada Da gV insetti molesti.
L' un dice — Ne T età che molte e lente Ci passar su '1 groppone
Vedestù mai, fratel mio paziente. Un tal fior di cialj^ronf?
INTEIIMEZZO 521
5.
Il poeta barcolla e ha il capo grosso : .
L' uJcere del suo core . Ei mette in mostra, come un nastro rosso
De la legion d' onore.
— Quest'ulcera è al suo punto — ei dice, e questa
Mi dee nobilitare. L'asinità de la vii gente onesta
Si sgroppi a lavorare.
Noi angeletti de' liberi amori.
Noi liriche farfalle Create a svolazzar su' cavolfiori
E lambirne le palle,
Oggi al secol del ferro e del carbone
Mutati in calabroni Con r assenzio facciam la reazione,
E sputiamo i polmoni.
I
Cosi, feriti al cuor, figli de l'arte.
Siamo privilegiati: Dal facchinaggio uman stiamo in disparte
Noi, sublimi ammalati.
522 INTERMEZZO
Nostro lavoro è di portare in petto
La questìon sociale. O contemplazTon del lazzaretto!
Datemi un serviziale....
Un serviziale rosso. Il contadino
Bea ne'la maledetta Risaia Inacqua marcia: io bevo il vino
Per far la sua vendetta.
Canti sol chi la voce ha cavernosa,
E pèste a la salute! Fiutate qua, canaglia vigorosa,
Quest' ulcera che pute. —
Cosi urla, al mattin scialbo, su M canto
D'una sudicia via; E tosse e rece fuor del petto affranto
Vino, tabe, elegia;
E rasino, che vien, de l'ortolano
Lo fiuta con dimesso L'orecchio, e pensa — O idealismo umano^
Affogati in un cesso. —
INTERMEZZO 52S
6.
Io, per me, no, non sono un organetto Che suoni a ogni portone
De i soliti ragazzi nel conspetto La solita canzone.
Quando V idea ne V anima rovente
Si fonde con l'amore, Divien fantasma, e a' regni de la mente
Vola fendendo il core;
E la ferita stride aperta al vento, Geme cruenta al sole: .
Io non vi gitto le filacce drento Di rime e di parole.
E vommene co '1 mio cuor cosi fesso
Per questo viavai; E il mio canto miglior sempre è quel desso^
Quel che non feci mai.
Questo cor, questa piaga e la filaccia Vuol dir, lettor mio buono.
Che di tropi barocchi anch' io vo a caccia E che un poltrone io sono.
524 INTERMEZZO
Il primo è da gaglioffi, ma il secondo Un buon mestier mi pare.
Io non pretendo illuminare il mondo, Né il buffon gli vo'fare.
Or, runa cosa o T altra si propone Chi scrive al tempo nostro.
Faccia chi vuol l'apostolo o il buffone; Costa poco l' inchiostro,
E la parola meno, e V onor nulla, E la menzogna è il vero,
E tutto è falso. Oh via, che mai mi frulla Adesso nel pensiero?
Io sento in me qualcosa di Nerone, Ma più puro e giocondo:
Non sangue o teste, io voglio, in conclusione, Vo' schiaffeggiare il mondo.
Detto fatto. Ogni strofe, alta, animosa, Vola via senza guanti;
Ogni strofe è uno schiaffo a qualche cosa: Avanti, avanti, avanti.
INTERMEZZO 525»
7.
Potessi pianger sur un campanile
Come il mio dolce Edmondo,
Si che scendesse il pianto mio, gentile Battesimo, su M mondo!
! Arido mondo, che non crede a nulla, \ Né meno a le guanciate!
V Per disperazìon fino Fanfulla
Mi s' è rifatto frate.
, è
Fra' cavalier gerosolimitano.
Monta Bucifalasso, E contro ogni baron poco cristiano
Tiene, sfidando, il passo.
Pe *1 medio evo il passo ei tiene, al ponte
De rasino: cimiero. Due belli orecchi d' asino la fronte
Ombrano al cavaliero.
Vóto di penitenza ónd' ei racquista La salita al Calvario:
Però che un tempo ei fu razionalista E rivoluzionario.
526 INTERMEZZO
Or ne lo scudo porta iscritto — Dio, Il re, la donna mia —
Non senza qualche medievale e pio Error di ortografia.
Ahi fra'FanfuUa! non son più quegli anni.
Sfiori la primavera : Non cantan più cuculi, i barbagianni
Guardan la tua bandiera.
Non più la gente cerca in Dio conforto, O del diavol si accora:
Ahi, Pantalon de' Bisognosi è morto, Ed Arlecchino ancora.
I preti han guasta la Vergin divina Per fin dentro le chiese:
Pàol Ferrari diede a Colombina,
Pur troppo, il mal francese.
Quanto al re — frate mio, vi vengo schietto - Questa è V età de V oro ;
Quanto al re, V hanno dato a Benedetto E si ammiran tra loro.
INTERMEZZO 527
8.
Va', ditirambo mio triste e giocondo,
Vola dove ti frulla. Nulla tu cerchi per V immenso, mondo,
E non ci trovi nulla.
Nuova terra altri chieda o nuovo polo
E lontani orizzonti : Sol eh' io potessi riposare il volo
Su' miei paterni monti!
Al sol che tra le selve snelle mira Co '1 tremolar de' raggi,
Nel suol molle di musco che respira Desii di fior selvaggi,
Giacciono i sogni miei, fanciulli stanchi Che s'addormìr piangenti:
Cantan tra verdi faggi e marmi bianchi I ruscelli e i torrenti.
Per cuell'angol di terra, ecco io darei
Quale più benedetto Lembo di cielo occorra avversi miei
Quando faccio un son ettoj
528 INTERMEZZO
E ci fare' un sonnetto. A V ombra amica
De le memori piante Mi cullerebbe ne la strofe antica
La rima miagolante.
0 gravi rime sbadiglianti in are^ O tenui rime in io,
Dite voi come è dolce riposare Su '1 terreno natio.
1 patrii sassi vi pungon le schiene Con accoglienza onesta,
Ed i mosconi de le patrie arene Vi fan dintorno festa.
ZUj Bu, cari mosconi. Come stanno Le vespe e i calabroni?
Ci fùr di molte vipere quest' anno Giù pe' patrii burroni?
E gli amici? e i parenti? Oh nuove gioie t
Oh quanti fidi cuori ! Oh bel portare a spasso le sue noie
Tra cotanti sudori!
INTERMEZZO 529
9.
Non contro te suoni maligno il verso, Terra a cui non risposi
Amor già mai, cui sol vidi traverso I sogni lacrimosi
De l'infanzia. O sedente al tirren lido, Poggiata il fianco a i monti,
A dio, Versilia mia, ligure lido Di longobardi conti !
Se da le donne tue maschia dolcezza Tenne il mio tòsco accento.
Io non voglio i tuoi marmi, o Serravezza, Per il mio monumento.
Pe '1 monumento che vo' farmi vivo, Lungi da la mia culla
Cerco altri marmi mentre penso e scrivo. Che non costano nulla.
Altrui le glorie. O diamante bianco Entro gli azzurri egei,
Paro gentil dal cui marpesio fianco Uscian d'Elias gli dèi.
Carducci. 34
530 INTERMEZZO
Tu, che tra Nasso ove Arianna giacque In seno al bello iddio,
E Delo errante dove Febo nacque Nume de* greci e mio,
Archiloco vedesti a i giambi ardenti
Sciòr fra i tuoi nembi il freno
E de' tristi alcfoni in fra i lamenti Ir r elegia d' Eveno,
A me d'Italia Archiloco omai lasso
Ed Eveno migliore Dona, Paro gentil, tanto di sasso
Ch' io v' intombi il mio cuore.
Questo cuore che amor mai non richiese
Se non forse a le idee E che ferito tra le sue contese
Ora morir si dee,
Vo' sotterrarlo, e mi fia dolce pena Ne l'opra affaticarmi:
O Paro, 0 Grecia, antichità serena. Datemi i marmi e i carmi.
INTERMEZZO 531
10.
Marmi di Paro in fulgidezza bianca Splendenti a la marina,
Come la falce de la luna stanca Nel ciel de la mattina;
Carmi di Lesbo sussurranti al vento
Su molte isole intorno, Come d' Apollo il grande arco d' argento
Nel ciel di mezzogiorno;
Ricoprano il mio cuore irrigidito
Da i cristiani tufi, Circondino il mio cuore istupidito
Da i romantici gufi.
Breve su '1 morto ed ultima s* intoni
La canzone di doglia. Mentre ne TOdi Barbare deponi,
Musa, la fredda spoglia.
*— Ahi Lino, ahi Lino ! è il mio cuor trapassato.
Come te, ne Testate: Non giunse a la vendemmia: T han sbranato
Molte cagne arrabbiate.
532 INTERMEZZO
IO Peàn, io Peàn ! ma e' rivive
Di morte oltre i confini
Sott' altro cielo e in più benigne rive: Taccian tutti gli Elini. —
Sepolto or giace in cotest* urna paria, S*un travertin del Lazio:
Nel bianco un'orma di parì'etaria . Segna V antico strazio.
Intorno al fregio V édera seguace
Co '1 verde che non muore
Par che nel freddo de la nuova pace Ombri V antico ardore.
Tra '1 sasso e V urna una lucertoletta
Esce e s* affige al sole : E la mia vecchia gioventù soletta
Che sogna e non si duole.
Ma dietro, in fondo, un bel teschio di morto Ride il suo riso eterno:
A quei che vengon per recar conforto Ride r ultimo scherno.
NOTA
Intermetto o Intermedio d
0 atto e r altro delle à^rmeatoj^^
ipprese
:;ehe ; ■
;_ chiamai io questa, serie, di jime che llnYHVP "fi '"'^' paTiBiiTn segnale il pa^aggin dai .GùunAi
cantato nel capitolo 2, professori e abati, verseggiatori man- zoniani e spie libelliste, signore letterate e cocottes devote, mi vituperarono poeta del maiale ; la calunnia, al solito, fu stupida, e non e' è altro che da commiserare la grossolanità della incultura letteraria, cotennosa in Italia anche nelle classi strigliate. È superfluo notare che le strofi 4 e 5 del capitolo 10 alludono ai canti di tristezza (A* Uiat elìnì) e di allegrezza ^ Ivi nmicv, peoni) del popolo greco, deploratorìi quelli della morte d' un simbolico ^ovinetto Lino, celebrativi questi della efficacia gioiosa di Apollo : cfr. Ott. MQIIer, Storia della letter. _greca, cap. ili.
RIME NUOVE
1861-1887
I.
ALLA RIMA
x\vi
i.ve, o rima! Con beli' arte Su le carte
Te persegue U trovadore ; Ma tu brilli, tu scintilli. Tu zampilli, Su del popolo dal cuore.
O scoccata tra due baci
Ne i rapaci
Volgimenti de la danza.
Come accordi ne' due giri
Due sospiri.
Di memoria e di speranza!
540 RIME NUOVE
Come lieta risonasti
Su da i vasti
Petti al vespero sereno,
Quando il pie de* mietitori
In tre cori
Con tre note urtò il terreno!
Come orribile su' vènti
De' vincenti
Tu ruggisti le virtudi,
Mentre l'aste sanguinose
Fragorose
Percoteano i ferrei scudi !
Sgretolar sott'esso il brando
Di Rolando
Tu sentisti Roncisvalle,
E soffiando nel gran corno
Notte e giorno
Del gran nome empi la valle.
Poi t' afferri a la criniera
Irta e nera
Di Babieca che galoppa,
E del Cid tra i gonfaloni
Balda intoni
La romanza in su la groppa.
RIME NUOVE 541
Poi del Rodano a la bella
Onda snella
Dai la chioma polverosa,
E disfidi i rusignoli
Dolci e soli
Ne i verzieri di Tolosa.
Ecco, in poppa del battello
Di Rudello
Tu d'amor la vela hai messa,
Ed il bacio del morente
Rechi ardente
Su le labbra a la contessa.
Torna, torna: ad altri liti
Altri inviti
Ti fa Dante austero e pio;
Ei con te scende a V inferno
E r eterno
Monte gira e vola a Dio.
Av^ o bella imperatrice,
O felice
Del latin metro reina!
Un ribelle ti saluta
Combattuta,
E a te libero s' inchina.
542 RIME NUOVE
Cura e onor de' padri miei,
Tu mi sei
Come lor sacra e diletta.
Avpj o rima: e dammi un fiore
Per r amore,
E per r odio una saet^.
II.
\
AL SONETTO
B„
Jreve e amplissimo Carme, o lieveriiertte Co '1 pensier volto a mondi altri migliori I.' AlighifT ti profili o te co' fiori Colga il Petrarca lungo un rio corrente';
Te pur vestia de gli epici splendori Prigion Torquato, e in aspre note e lente Ti scolpìa quella man che si potente PiignJS rn' marmi a trarne vita fuori :
A l'Eschil poi, che ?
rinacque,
Tu, peregrin con l'arte a strania arena, Fosti d'arcan dolori arcan richiamo:
L'anglo e '1 lusiade Maro in te si piacque: Ma Bavìo che i gran versi iirlando sfrena, Bavio t'odia, o sonetto; ond'ìo pitì t'amo.
546 RIME NUOVE
III.
IL SONETTO
D,
ante il mover gli die del cherubino E d'aere azzurro e d'or lo circonfuse: Petrarca il pianto del suo cor, divino Rio che pe' versi mormora, gì' infuse.
0(--^^,'- ' •• La mantuana ambrosia e '1 venosino or- Miei gì' impetrò da le tiburti muse Torguato; e come strale adamantino Contro i servi e' tiranni Alfier io schiuse.
La nota Ugo gli die de'rusignoli Sotto i ionii cipressi, e de l'acanto Cinsel fiorito a' suoi materni soli.
Sesto io no, ma postremo, estasi e pianto E profumo, ira ed arte, a' miei di soli Memore innovo ed a i sepolcri canto.
RIME NUOVE 547
IV.
OMERO
j.
xNon più riso d'iddei la nebulosa Cima d'Olimpo a eli occhi umanf accende: Biancheggian teschi per leTupi'orrende, E sopravi la nera aquila posa.
Né più il sacro Scamandro al- pian discende
Per le segnate vie : dov' ei riposa
Sotto il capo Sigeo Tonda obliosa,
Di otmane torri il tuo bel mar s' offende.
Pur la novella etade, o veglio acheo, Il cenno ancor de T immortai Cronide Stupisce e i passi de TEnosigeo;
E trema, o vate, allor che d'omicide Furie raggiante lungo il nero Egeo Salta su '1 c^rro il tuo divin Pelide.
548 RIME NUOVE
v:
OMERO
II.
E
forse da i selvaggi Urali a valle Nova minerà barbara plebe, Nova d*arm{ e di carri e di cavalle Coprirà un' onda V agehorea Tebe,
E cadrà Roma, e per deserto calle
Ai-- -
Bagnerà il Tebro innominate glebe. Ma tu, 0 poeta, si com' Ercol dalle Pire d' Età fumanti al seno d' Ebe,
Risorgerai con giovanili tempre' Pur a r amplesso de V eterna idea Che disvelata rise a te primiero.
E, s'Alpe ed Ato pria non si distempre, A la riva latina ed a Tachea Perenne splènderà co'l sole Omero.
RJME NUOVE. 549
VI.
OMERO
in.
E
sempre a te co'l sole e la feconda Primavera io ritorno ed a* tuoi canti, Veglip divin le cui tempia stellanti Lume d' eterna gioventù circonda.
Dimmi le grotte di Calipso bionda, De la figlia del Sol dimmi gì' incanti, Nausicaa dimmi e de '1 re padre i manti Lietamente lavati. a la bell'onda.
Dimmi.... Ah non dir. Di giudici cumei Fatta è la terra un tribunale immondo, E vili i regi e brutti son gli dèi :
E se tu ritornassi a '1 nostro mondo. Novo Glauco per te non troverei : Niun ti darebbe un soldo, 0 vagabondo.
550 RIME NUOVE
VII.
DI NOTTE
P,
ur ne l'ombra de' tuoi lati velami Gli umani tedi, o notte, ed i miei bassi Crucci ravvolgi e sperdi: a té mi chiami, E con te sola il mio cuor solo stassi.
Di quai d' ozio promesse adempi e sbrami Gr irrequieti miei spiriti lassi ? E qual doni potenza a i pensier grami Onde a V eterno o al nulla errando vassì?
0 diva notte, io non so già che sia Questo pensoso e presago diletto Ove r ire e i dolor l'anima oblia:
Ma posa io trovo in te, qual pargoletto Che singhiozza e s' addorme de la pia Ava abbrunata su l'antico petto.
RIME NUOVE 551
Vili.
COLLOQUI CON GLI ALBERI
JL e che solinghe balze e mesti piani Ombri, o quercia pensosa, io più non amo, Poi che cedesti al capo de gl'insani Eve'rsor di cittadi il mite ramo. ir»*^ - — ^ ^ «— ^^— ^
Né te, lauro infecondo, ammiro o bramo, Che ménti e insulti, o che i tuoi verdi e strani Orgogli accampi in mezzo al verno gramo O in fronte a calvi imperador romani.
Amo te, vite> che tra bruni sassi Pampinea ridi, ed a me pia maturi Il sapiente de la vita oblio.
Ma più onoro T abete: ei fra quattr*assi, M^'tidfl h^ifgj chiuda al fin li oscuri Del mio pensier tumulti e il van desio.
552 RIME NUQVE
\fAiwc^^\r\>v ^:ì*aJ^ V «^'**^*'
IX;
IL BOVE
1 amo, o pio bove; e mite un sentimento Di vigore e di pace al cor m* infondi, O che solenne come un monumento Tu guardi i campi liberi e fecondi,
O che al giogo inchinandoti contento L'agii opra de Tuom grave 3econdi: Ei t' esorta e ti punge, e tu co '1 lento Giro de' pazienti occhi rispondi.
Da la larga narice umida e nera
Fuma il tuo spirto, e come un inno lieto
Il mugghio nel sereno ^r si perde ;
E del grave occhio glauco entro V austera Dolcezza si rispecchia ampio e quKeto Il divino del pian silenzio verde.
Si^v»-<r^
RIME NUOVE 553
Vl^u^yvJ 5^ ' ^ ^ U*-«^<
X,
VIRGILIO
wome, quando sii' campi arsi la pia ' . Luna imminente il gelo estivo infonde, Mormora al bianco lume il rio tra via Riscintillando tra le brevi sponde;
E il secreto usignuolo entro le fronde Empie il vasto seren di melodia, Ascolta il vìatore ed a le bionde Chiome che amò ripensa, e il tempo oblia;
Ed orba madre, che doleasi in vano, Da un avel gli occhi al ciel lucente gira E in quel diffuso albor l'animo queta;
Ridono in tanto 1 monti e il mar lontano. Tra i grandi arbor la fresca aura sospira; Tale il tuo versò a me, divin poeta.
554 RIME NUOVE
XI.
FUNERE MERSIT ACERBO
O
tu che dormi là su la fiorita Collina tósca, e ti sta il padre a canto; Non hai tra V erbe del sepolcro udita Pur ora una gentil voce di pianto?
E il fanciulletto mio, che a la romita Tua porta batte : ei che nel grande e santo Nome te rinnovava, anch' ei la vita Fugge, 0 fratel, che a te fu amara tanto.
Ahi no! giocava per le pinte aiole,
E arriso pur di vis'fon leggiadre
L* ombra V avvolse, ed a le fredde e sole
Vostre rive lo spinse. Oh, giù ne Tadre
Sedi accoglilo tu, che al dolce sole
Ei volge il capo ed a chiamar la madre.
RIME NUOVE 555
XIL
NOTTE D' INVERNO
I
nnanzi, innanzi. Per le foscheggianti Coste la neve ugual luce e si stende, E cede e stride sotto il pie: d'avanti Vapora il sospir mio che V aer fende»
Ogni altro tace. Corre tra le stanti Nubi la luna sul gran bianco, e orrende L* ombre disegna di quel pin che tende Cruccioso al suolo informe i rami infranti.
Come pensier di morte desiosi. Cingimi, o bruma, e gela de l' interno Senso i frangenti che tempestan forti ;
'v^ •»
Ed emerge il pensier su quei marosi ' Naufrago, ed a'I ciel grida: O notte, o inveir no, Che fanno giù ne le lor tombe i morti?
555 RIME NUOVE
XHI.
FIESOLE
C)u Ti arce onde mirò Fiesole al. basso, Dov' or S' infiora la città di Siila, Stagnar livido V Arno, a lento passo Richiama i francescani un suon di squilla.
Su le mura,; dal rotto etrusco sai La lucertola figge la pupilla, E un bosco, di cipressi a i venti lasso Ulula, e il vespro solitario brilla.
Ma dal clivo lunato a la pianura Il carapanil domina allegro, come La risorta nel mille itala gente.
O MinOy e nel tuo marmo è la natura Che de' fanciulli a le ricciute chiome Ride, vergine e madre eternamente.
RIME NUOVE 657
XIV.
SAN GIORGIO DI DONATELLO
Si
*i^de novembre su le vie festanti. Ove il maggio s' apri de' miei pensieri, E spettral ne la nebbia alza i giganti Templi la tua. città, Dante Alighieri.
Meglio cosi; ch'io non mi vegga avanti; Gli academici Lapi e i Bindi artieri: /
10 vo' vedere il cayalier de'santi>. . . ;..
11 santo io vo' veder de' cavalieri.
Forza di gioventù lieta da' marmi Fiorente^ eh' ogni loda a dietro lassi D'achei scalpelli e di toscani. carmi,
Degno, San Giorgio (oh con quest' occhi lassi Il vedess' io), che innanzi a te ne l'armi Un popolo d' eroi vincente passi.
558 RIME NUOVE
^^>
p/-.CVA^ pHtf-».^
XV.
SANTA MARIA DEGÙ ANGEU
E
£atE-ELail££SCo, quanto d'aere abbraccia Questa cupola bella del Vignola Dove incrociando a l'agonia le braccia Nudo giacesti su la terra sola!
E luglio ferve e il canto d'amor vola Nel pian laborioso. Oh che una traccia Diami il canto umbro de la tua parola, L'umbro cielo mi dia de la tua faccia!
Su l'orizzonte del montan paese, Nel mite solitario alto splendore, Qual del tuo paradiso in su le porte,
Ti ve^a io dritto con le braccia tese Cantando a Dio — Laudato sia, signore. Per nostra corporal sorella morte!
RIME NUOVE 559
XVI.
DANTE
J->'ante, onde avvien che i vóti e la favella Levo ajlorando al tuo fier simulacro, E me su'l verso che ti fé' già macro Lascia il sol, trova ancor l'alba novella?
Per me Lucia non prega e non la bella Matelda appresta il salutar lavacro, E Beatrice con V amante sacro In vano sale a Dio di stella in stella.
Odio il tuo santo impero; e la corona Divelto con la spada avrei di testa Al tuo buon Federico in vai d' Olona.
Son chiesa e impero una ruina mesta Cui sorvola il tuo canto e al ciel risona: Muor Giove, e l'inno del poeta resta.
560 RIME NUOVE
XVII.
GIUSTIZIA DI POETA
D,
ante, il vicin mio grande, allor che errava Pensoso peregrin la selva fiera, , Se in traditor se in ladri o in quale altra era Gente di voglia niquitosa e prava
Dolce ei d* amor cantando s' incontrava, L* acceso strai de la pupilla nera Tra fibra e fibra a i miseri ficcava; Poi con la man, con quella man leggera
Che ne la vita nova angeli pinse.
Si gli abbrancava e gli bollava in viso
E gli gettava ne la morta gora.
L' onta de* rei che secol non estinse Fuma pe' cerchi de l'inferno ancora; E Dante guarda, su dal paradiso.
RIME MUOVE 561
xvin.
COMMENTANDO IL' PETRARCA
~r- y
jLVJLesser Franceaco. a voi per pia^e 16 vegno E a, la vostra gentile amica bionda: Terger VQ^ T aliaaa iroèa e '1 tórvo ingegno' A la dolce di Sorga & lucid'anda. : , •
Eccoi: un dee mi porge ombra e sostegno; E seg^, e chiamo, a la romita sponda ; E voi venite, e un salutevor 'segno '
Mi fa, il coro gentil chewi Icircanda. '
De le canzóni fvostre.è il dolce toro, '
Cui daiun cerchio di' rose a pena doma Va pe'bei fianchi la cesarie d'oro
In riposo ondeggiante. Ahi, che la chioma- Scuote e -1! musico labhro una di loro Apre al grido ribelle ; Italia e Roma.
Carducci. 36
562 RIME NUOVE
XIX;'
HO IL CONSIGLIO A DISPETTO
-V.
aghe le nostre donne e i giovinettù Son fieri e adorni: or via, diffondi, o vatè> Sovr'essi il coro de le strofe alate, E spargi anche tu fiori e intreccia affetti.
Perché roggio è '1 tuo verso, e tu ne' petti Semini spine? Oblia. T' apran le fate Il giardin de V incanto, e la beltate I suoi sorrisi. Il mondo anche ha diletti. —
Or dite a Giovenal che si dibatte Sotto la dea, eh* egli lo spasmo in .riso Muti e in gliconio T esametro ansante;
E, quando avventa i suoi folgori Dante Su da r. inferno e giù dal paradiso, Addolciteli voi nel cafP e latte.
RIME NUOVE 563
XX.
DIETRO UN RITRATTO DELL' ARIOSTO
Q
uesta che a voi, donna gentil, ne viene Imagi» viva del divin lombardo Ne l'ampia fronte e nel fiso occhio e tardo Lo stupor de* gran sogni anche ritiene.
Oh lui felice ! il qual, poi eh' ebbe piene Tutte del mondo suo lieto e gagliardo Le carte, aprir più non sostenne il guardo Sotto povero ciel, su meste arene.
E più felice ancor! che non favore
Di prence* e ;di vulgo aura ogn'or novella
Né di teologai donna V amore,
Ma premio a' canti era una bocca bella, Che del fronte febeo lenia V ardore Co' baci, e quel fulgea come una stella.
564 RIME NUOVE
XXI.
SOLE E AMORE
JLjievi e bianche a la plaga occidentale:, ^ Van le nubi: a le vie ride e su M fòro ^ ' Umido il. cielo, ed a V uman l^oro Saluta il sol, benigno, trionfale;
''* »•*^ a:
Leva in roseo fulgor la cattedrale ^^'^^.T,/ Le mille guglie bianche e i santi d'oro,
Osannando irraggiata: intorno, il coro Bruno de' falchi agita i gridi e l'ale.
Tal, poi ch'amor co '1 dolce riso via • Rase le nubi che gravarmi tanto. Si rileva nel sol T anima mia,
E molteplice a lei sorride il santo
Ideal de la vita: è un'armonia
Ogni pensiero, ed ogni senso un canto.
RIME NUOVE 565
XXIL
MATTUTINO E NOTTURNO
A,
1 mattin da la pioggia ecco deterso In piirità d'azzurro il ciel risplende, E dal sole di maggio a 1* universo Il sorriso di Dio benigno scende;
Quando alatre da l'animo sommerso V ali innovate il mio pensiero stènde, E al sol de gli occhi tuoi rivola il verso Come trillo di lodola che ascende.
Ala sentofardermi in cor la luce bruna De- le pupille in cui erra dolente Il desio d' un ignoto estraneo lito,
Quando ammiro da i poggi ermi la luna A la città mai'morea tacente Dir le malinconie de V infinito.
566 RIME NUOVE
XXIII:
QUI REGNA AMORE
O
ve sei? de' sereni occhi ridenti A chi tempri il bel raggio, o donna mia? E r intima del cor tuo melodia A chi armonizzi ne' soavi accenti?
Siedi tra V erbe e i fiori e a' freschi venti Dai la dolce e pensosa alma in balia? O le membra concesso hai de la pia Onda a gli amplessi di vigor frementi ?
Oh, dovunque tu sei, voluttuosa
Se Paura o Tonda con mormorio lento
Ti sfiora il viso o a' bianchi omeri posa,
È l'amor mio che in ogni sentimento Vive e ti cerca in ogni bella cosa E ti cinge d' eterno abbracciamento.
RIME NUOVE 567
XXIV.
VISIONE^
o
r eh' ai silenzi di cerulea sera Tra fresco mormorio d' alberi e fiori Ella siede, e in soavi aure ed odori Freme la voluttà di primavera,
Tu di, vetta a l'antica alpe sevei'a Tra i vergài a. T albor tuo tremuli orrori La cerchi,: o tunay e quella dolce e altera * Fronte del tuo .più vivo raggio irrori.
Tal forse, o greca dea, la pura fronte
Chinavi, in cuor d'Endimìfon pensosa.
Su '1 tuo grande sereno arco d' argento; »
E i fiumi al. branco. pie pe 'I latmio monte, Raggiati da la faccia luminosa, Scendean d'amore a ragionar co ^1 vento.
XXV.
MITO E VERITÀ^
N,
arran le istorie e cantano i poeti. Cui diva nunzia Qio m^io ammaestra, Mirabil cosa che cFArtù la destra Oprò ne i campi di Bretagna lieti.
Spinse ei l'antenna del ferir maestra, E SI ruppe a Mordrèc le due pareti Dei cuor, che i rai del sole irrequieti Risero per T orribile finestra.
Meraviglia più nova in me si vede:
Che, strappando io la imagin bella e fiera
Dal mio cuore a cui viva ella si abbranca;
Il cuor mi strappo, e movo alacre il piede; E per la piaga fumigante e nera Ride il dispetto de l'anima franca.
RIME NUOVE 569
XXVI.
IN RIVA. AL MARE
1 irreno, anche il mio petto è un mar profondo E di tempeste, o grande, a té non cede: V anima mia rugge ne^ flutti, e a tondo Suoi brevi lidi e il picco! cielo fiede.
Tra le sucide schiume anche da '1 fondo Stridè la rena: e qua e là si vede Qualche cetaceo stupido ed immondo Boccheggiar ritto dietro immonde prede.
La ragion dai le sue vedette algenti Contempla e addita e conta ad una ad una Onde e belve ed arene in van furenti:
Come su questa solitaria duna L'ire tue negre a gli autunnali venti Inutil lampa illumina la luna.
570 RIME NUOVE
XXVII.
A UN ASINO
O
Itre la siepe, o antico pazfente, De r odoroso biancospin fiorita, Che guardi tra i sambuchi a V ordente Con raccesa pupilla inumidita?
Che ragli al cielo dolorosamente? Non dunque è amor che te, o gagliardo, invita? Qual memoria flagella o qual fuggente Speme risprona la tua staaca.^YÌta ?
Pensi l'ardente Arabia e i padiglioni Di Giob,.ove crescesti emulo audace E di corso e d'ardir con gli stalloni?
jr ,. e O scampar vuoi ne V Eliade pugnace
"' ' '- Chiamando Omero che ti paragoni
Al telamonio resistente Aiace?
RIME NUOVE 571
XXVIIL
AD UNA BAMBINA
s
u la parvola tua fiera persona Il mio pensier rammemorando posa, Ed una vision si disprigiona Che mi dormi ne 'l cuor gran tempo ascosa.
Quella in fulvi riflessi radiosa Chioma che V agii capo t' incorona Farmi la selva di castagni ombrosa Che là su l'apuane alpi tenzona
Conventi de l'aprile. Ivi ne Tarmi Vissero i forti padri, ivi la mia ■ Anima il mondo cominciò a sognare.
Mentre a le rupi ardue di bianchi marmi Cerulo come l'occhio tuo feria Il sorridente al sol ligure mare.
5T2 RIME NUOVE
XXIX.
A MADAMIGELLA MARIA L.
O
ne' giorni tuoi mesti e lagrimanti Volata fuor de la veduta mia, Quale risaliente angelo in pianti, Dolce lume di del, bionda Maria;
Dal bel paese ov* ebbe Laura i canti Del mio poeta e la memoria pia Or peregrina imagine d' avanti Mi rifiorisci. ne la fantasia:
Come nel serefftato umido cielo Giglio da r improvviso verno affranto Si rileva ondeggiando in su lo stelo,
E gli aurei stami ed il profumo e il vanto
Apre di sua beltà dal bianco velo
A' rai del sole e de gli augelli al canto»
RIME NUOVE 573
XXX.
MOMENTO epico:
A T
x^ddio, grassa Bologna! e voi di nera -i- Canape nel gran piano ondeggiamenti, ; 5 E voi pallidi in lunghe file a' venti -' ì Pioppi. animati da T estiva sera! • •:
Ecco Ferrara l'epica. Leggera ■ - i
La mole estense i merli alza ridenti, • /
E specchiando le nubi auree fuggenti J
Canta del Po Tondisona riviera. • ^
O terre intorno a gli atti argini sole, : Ove pianser TEliadi; a voi discende La tenebra odYata, e a me non duole.
A me ne l'ombre l'epopea distende
Le sue rosse ali, e su ^1 mio cuore il sole-
De le immortali fantasie raccende.- '^
574 RIME NUOVE
XXXI.
MARTINO LUTERO
D:
'tie nemici ebbe, e 1* uno e l'altro vinse, Trentanni battaglier, Martin Lutero; L'uno il diavolo triste, e quello estinse Tra le gioie del nappo e del saltero;
L' altro r allegro papa, e contro spinse A lui Cristo Gesù duro ed austero; E di fortezza i lombi suoi precinse, E di serenità l'alto pensiero.
— Nostra fortezza e spada nostra Iddio — A lui d' intorno il popol suo cantava Con r inno eh' ei gli die pien d' avvenire.
Pur, guardandosi a dietro ei sospirava: Signor chiamami a te: stanco son io: Pregar non posso senza maledire.
RIME NUOVE 575
XXXII.
LA STAMPA E LA RIFORMA
Oredo — diceasi; e, come fiere in lustre, Sonnecchiando giacean nel chiostro nero Codici immani, e il tardo auge! palustre Porgea la penna al fulmine del vero.
Penso — si disse; e dritta in pie V industre Arte die' di metalli ali a '1 pensiero, E ad ogni scoter d' ala uscia d' illustre Guerra dal torchio il libro messaggero.
Ed esce e vola, e al monte e al pian ragiona Il piccol libro; e in fier sassone metro E latin l'alta sfida a Roma intona.
Vola; e per Taere ancor da' roghi tetro Al Zuiderzée che lieto i lidi introna Gitta di Carlo quinto e spada e scetro.
576 RIME NUOVE
xxxm.
ORA E SEMPRE -
v-/ra — : e la mano il giovine /nizzardo/. Biondo con-(sfavillantj^ occhi porgea, E come su la preda un leopardo Il suo pensiero a T avvenir correa.
E sempre — : con la man fiso la sguardo L'austero genovese a lui rendea: E su MJumultQL-eroico il gagliardo Lume discese .deJletenia idea.
Ne r aér d'jilte vision sereno/ Suona il verbo di fede, e si diffonde Oltre i regni di morte e di fortuna.
Ora — dimanda per lo ciel Staglieno> Sempre -r- Caprera in mezzo a M mar risponde Grande su *1 Pantheon vigila la luna.
RIME NUOVE 577
XXXIV.
TRAVERSANDO LA MAREMMA TOSCANA
D
olce paese, onde portai conforme ' 'T^^,,^JtC
L'abito fiero e lo sdegnoso canto
E il petto ov* odio e amor mai non s' addorme,
Pur ti riveggo, e il cuor mi balza in tanto.
Ben riconosco in te le usate forme Con gli occhi incerti tra '1 ^.rriso e il pianto, E in quelle seguo de' miei sogni Xo™e Erranti dietro il giovenile incanto.
Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano; E sempre corsi, e mai non giunsi il fine; E dimani cadrò. Ma di lontano
P;^rp(dimnn al rnnr le tue colline . Con le nebbie sfumanti e il verde piano Ridente ne le oioggie mattutine.
Carducci. 37
578 RIME NUOVE
XXXV.
DIETRO UN RITRATTO
1 al fui qual fremo in questa imagi n viva, Quand' era tutto sole il mio pensiero E a prova tra le sirti aspre del vero Ribalzava il mio verso e ribolliva.
Or m'avvolge la calma: un velo nero Copre la terra che lont^n fioriva, Strillano augei paiiMn in su la riva: Ed io poco più amo e nulla spero.
Oh fantasie di gloria a terra sparte! E tu Italia vincente, e tu rubesta Libertà coronata alto da Tarte!
Sopra il fango che sale or non mi resta Che gittare il mio sdegno in vane carte E dal palco mortale un di la testa.
III.
XXXVI.
MATTINO ALPESTRE
i— -'a l' oriente palpita Il giorno, e ì primi raggi Scendon soavi a frangersi Tra '1 nereggiar de' faggi.
Guizzan su 'I fiume e ridono Tra i mormorii de i' onde, Come occhi d'una vergine Che a nuovo amor risponde.
Scorron su'l monte; e s'anima D'un riso anch' ei, ma tardo, Come al giocar de i pargoli La faccia d' un vegliardo.
582 RIME NUOVE
Già son fulgore, e spandasi Per la vallèa fiorita, Come speranza giovine In su l'aperta vita.
Ondeggia dal pian rorido E si raccoglie e stende Un velo di caligine Che al sole argentea splende.
Floridi i colli emergono; Ma le case e le piante Come sogni traspaiono Entro il vel biancheggiante.
Da i fumeggianti culmini Tra i giuochi de la luce Desio ne V alto a querule Coppie i palombi adduce.
Le terse ali riflettono Il limpido splendore. Passano lampi ed iridi, Il ciel sorride amore.
RIME NUOVE 583
XXXVII.
ROSA E FANCIULLA
O
r che soave è il cielo e i di son belli E gemon 1' aure e cantano gli augelli Tu chini r amorosa Fronte, o vergine rosa.
Per te non fa che il prato ove nascesti Tiranno solitario avvampi il sole, Quando su' campi da la falce mesti La polverosa estate a lui si duole, E nel meriggio le campagne sole Assorda la cicala,
E impreca al giorno, che affannoso cala^ Dal risécco pantan la rana ascosa.
584 RIME NUOVE
Sùbito allor su' non più verdi colli Sorge il turbine, e gran strepito mena, Spazza gli ultimi fiori ed i rampolli, E allaga i campi d'infelice arena; E più cresce l'arsura, e de l'amena Ombra il conforto manca. Tu fuggi a quella stanca Ora, o vergine rosa.
Per te non fa ne' giorni grigi e scarsi Mirar la doglia de V anno che muore. Le foglie ad una ad una distaccarsi E gemer sotto il pie del vi'atore. Sin che la nebbia del suo putre umore Le macera o le avvolge La fredda brezza e lenta le travolge Giù ne r informe valle ruinosa.
Allor le nubi che fuman su i monti, Allor le pioggie lunghe e tristi al piano, E r alte ombre de' gelidi tramonti. Ed il triste desio del sol lontano, E la bruma crescente a mano a mano, E il gel che tutto serra. Tu fuggi a tanta guerra, O giovinetta rosa.
RIME NUOVE 585
XXXVIII.
BRINDISI D' APRILE
(Quando su V elei nere E i mandorli novelli Tripudia de gli augelli Il coro nuzì'al,
E son le primavere Per le colline apriche Occhi di ninfe antiche Che guardano il mortai,
E il sol d'un giovenile Riso i verzier saluta E pio sovra la muta Landa s' inchina il ciel,
586 RIME NUOVE
E il fiato de V aprile Move le biade in fiore Come un sospir d* amore Di nuova sposa il vel:
Sobbalza allor di palpiti Sente le sue ferite, H tronco de la vite, De la fanciulla il cor;
Quella spira odorifere Gemme a la fredda scheggia, Questa desio lampeggia Nel vergine rossor.
Allora a V aer tepido Tutto fermenta e langue, Entro le vene il sangue, Entro le botti il vin.
Tu senti de la patria, Rosso prigion, desio; E l'aura del natio Colle sommove il tin.
Di pampini giuliva
La dolce vite è là,
Tu qui ne' lacci.... Oh viva,
Viva la libertà!
RIME NUOVE 587
N. -V-N, -\_-X.-
Andiamo, il prigioniere Andiamo a liberar; Facciamlo nel bicchiere Rivivere e brillar,
Brillare al colle in vetta. Brillare in faccia al sol; Ribaci lui Tauretta, Riveda egli il magliol.
E tu arridigli, o sole. Ei di te nacque Ne' di che ad Opi t'infondevi in seno: De i doni suoi la vita egra compiacque, Come te ardente, come te sereno: Quando tu disparisti, ed ei soggiacque Prigion celeste in carcere terreno: Bagna i tuoi raggi nel gentil vermiglio. Bacia, sole immortai, bacia il tuo figlio.
Vermiglio questo; ma queir altro è biondo Come la chioma tua. Iene Ag'feo, Come le ninfe che inseguivi al mondo Su le rive felici di Peneo, Allor che il ionio spirito giocondo D'ogni splendida cosa iddio ti feo: Ora le forme belle han tolto esiglio; Bacia, sole immortai, bacia il tuo figlio.
588 RIME NUOVE
Unico ei resta, o sole; ed io d'amore Unico r amo, o biondo siasi o nero. Biondo, è la luce che da i nervi fuore Sprizza del canto il creator pensiero; Nero, è il buon sangue che di fondo al cuore Ne i magnanimi fatti ondeggia altero: Versa al biondo i tuoi raggi ed al vermiglio, Bacia, sole immortai, bacia il tuo figlio.
RIME NUOVE 589
XXXIX.
PRIMAVERA CLASSICA
D
a i verdi umidi margini La violetta odora, Il mandorlo s' infiora, Trillan gli augelli a voi.
Fresco ed azzurro l' aere Sorride in tutti i seni: Io chiedo a' tuoi sereni Occhi un più caro sol.
Che importa a me de gli aliti Di mammola non tócca? Ne la tua dolce bocca Freme un più vivo fior.
590 RIME NUOVE
Che importa a me del garrulo Di fronde e augei concento? Oh che divino accento Ha su' tuoi labbri amor!
Auliscan pur le rosee Chiome de gli arboscelli: L'onda de' tuoi capelli, Cara, disciogli tu.
M' asconda ella gì' inanimi Fiori del giovin anno : Essi ritorneranno. Tu non ritorni più.
RIME NUOVE 591
XL.
AUTUNNO ROMANTICO
Di
i sereno adamantino su'l vasto Squallor d'autunno il cielo azzurro brilla, Come di sua beltà nel conscio fasto
La tua fredda pupilla.
Come a te velo tenOe le membra Nel risorger del tuo bel giorno a Topre, Nebbia la terra, che addormita sembra.
Argentea ricopre.
Ed immoti per essa ergon le cime Irte e umide i grigi alberi muti, Quai nel pensier cui la memoria opprime
I dolci anni perduti.
592 RIME NUOVE
E via sovr* essi indifferente il sole, Che al bel maggio rideva entro la folta Fronda, ora fulge e non riscalda. O Jole,
Amiam V ultima volta.
RIME NUOVE 593
XLI.
IN MAGGIO
Da H. Heine 's Letzte Gedichte
V-Jli amici a cui dissi d'amor parole Peggio m* han fatto, ed ho spezzato il cuor : Spezzato ho il cuor, ma là su alto il sole Ride e saluta al mese de V amor.
Primavera fiorisce: allegri cori D'augelli empiono il bosco giovenil: Virginee ridon le fanciulle e i fiori: Oh come orribil sei, mondo gentil !
L'Orco vogl' io: miglior le piaggie bige Danno asilo a i dolenti: ivi non più Contrasto e scherno. Oh, meglio de la Stige Errar su le notturne acque là giù.
Carducci. 38
594
RIME NUOVE
Il triste mormorio de V onde lente, De le figlie di Stintalo il gracchiar, La canzon de TEumenidi stridente, Il continuo di Cerbero latrar,
Son fiera cosa che al dolor s' accorda Di dolore ogni cosa ha vista e suon Ove impera su l'ombre Ecate sorda Ed eterno del piànto ùlula il tuon.
Ma qua su come e di che dufo oltraggio E sole e rose a me fiedono il cuor! M' insulta il ciel, V azzurro ciel di maggio.. O mondo bello, tu sei pien d'orror!
RIMK KUOVE 595
XLII.
PIANTO ANTICO i^-^V "C *
T '
JL^ albero a cui tendevi La pargoletta mano, Il verde melograno Da' bei vermigli fior,
Nel muto orto solingo
Rinverdì tutto or ora
E giugno lo ristora i j < ^
Di luce e di calor.
Tu fior de la mia pianta Percossa e inaridita, Tu de r inutil vita Estremo unico fior,
596 RIME NUOVE
Sei ne la terra fredda, Sei ne la terra negra; Né il sol più ti rallegra Né ti risveglia amor.
RrME NUOVE 597
XLIII.
■ I
NOSTALGIA
i ra le nubi ecco fi turchino Cupo ed umido prevale: Sale verso V Apenniriò Brontolando il temporale.
Oh siè il turbine corteée Sovra l'ala aquilonar Mi volesse al bel paese Di Toscana trasportar!
Non d'amici o di parenti Là m'invita il cuore e il volto: Chi m'arrise a i di ridenti Ora è savio od è sepolto.
Né di viti né d' ulivi Bel desio mi chiama là: Fuggirei da' lieti clivi Benedetti d'ubertà.
598 RiMt i^uovt
De le mie cittadi i vanti E le solite canzoni Fuggirei: vecchie ciancianti A marmorei balconi !
Dove raro ombreggia il bosco Le maligne crete, e al pian
II'
Di rei sugheri irto e fosco I cavalli frrafido van,.
Là in maremma ove fiorio La mia triste primavera, Là rivola il pensier mio Con i tuonile la bufera: ,
Là ne> ciel pero librarini , La mia patri^ a riguardar, Poi co '1 tiipp vo' sprojfQpdarmi Tra qvie} colliseci in, q;uel ,rpar.
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599
XLIV.
TEDIO INVERNALE
M,
a ci fu dunque un giorno Su questa terra il sole? Ci fur rose e vTole, Luce, sorriso, ardor?
' Ma ci fu dunque un giorno
La dolce giovinezza, I La gloria e la bellezza,
Fede, virtude, amor?
Ciò forse avvenne a i tempi D' Omero e di Valmichi : Ma quei son tempi antichi, Il sole or non è più.
600 RIME NUOVE
E questa ov' io m' avvolgo Nebbia di verno immondo È il cenere d' un mondo Che forse un giorno fu.
RIME NUOVE 601
XLV.
VIGNETTA
L
/a stagion lieta e V abito gentile Ancor feorride a la memoria .in cima 1 E il verde colle ov' io la vidi prima.'
Brillava a l'ajer^- e a Tacque il novo aprile, Piegavan sotto il fiato di ponente Le fronde a tremolai soavemente.
Ed ella per la tenera foresta • :
Bionda cantava al sole in bianca . vesta.
W3ME. 3SÌ30VE
XLVL
LUNGI LUNGI
Da IL Heise* s Lyrìsthes ìnÈerma um\
L
ungi, lungi, su l'ali del cauito Di qui fungi recare io ti vo': Là, ne i campi fioriti del santo Gange, un luogo bellissimo io so.
Ivi rosso un giardino risplende De la luna nel cheto chiaror: Ivi il fiore del loto ti attende, O soave sorella de i fior.
Le viole bisbiglian vezzose, Guardan gli astri su alto passar; E tra loro si chinan le rose Odorose novelle a contar.
RIME NOOVE
603
Salta e vien la gazella, V umano Occhio volge, si ferma a sentir: Cupa s' ode lontano lontano L'onda sacra del Gange fluir.
Oh che sensi d'amore e di calma Deveremo ne 1' aure colà ! Sogneremo, seduti à una palma. Lunghi sogni di felicità.
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604 RIME NUOVE
XLVII.
PANTEISMO
T /
10 non Io dissi a voi, vigili stelle,
A te no '1 dissi, onniveggente sol :
11 nome suo, fior de le cose belle, Nel mio tacito petto. echeggiò .sol.
Pur r una de le stelle a V altra<conta> Il mio secreto ne la notte bruna, E ne sorride il sol, quando tramonta, vNe' suoi colloqui)con la bianca luna.
Su i colli ombrosi e ne la piaggia lieta Ogni arbusto ^e parl^ad ogni fior: ^Can tanagli augelli a voi — Fosco poeta. Ti apprese al fine i dolci sogni amor. —
RIME NUOVE 605
Io mai no '1 dissi : e con divin fragore La terra e il ciel V amato nome chiama, E tra gli effluvi de le acacie in fiore MijTiomioràJ^^ — Ella, ella t' ama.
606 RIME NUOVE
XLVIII.
PASSA LA NAVE MIA
Da H. Heine 's Verschiedene
Y.
assa la nave mia con vele nere, Con vele nere pe'l Selvaggio mare. Ho in petto una ferita di dolore, Tu ti diverti a farla sanguinare. È, come il vento, perfido il tuo core, E sempre qua e là presto a voltare. Passa la nave mia con vele nere, Con vele nere pe'l selvaggio mare.
RIME NUOVE 607
XLIX.
ANACREONTICA ROMANTICA
N,
el bel mése di maggio Io sotterrai 1' Amor De* nuovi eoli al raggio Sotto un' acacia in fior. '
Le requie lamentose . Disser gli augelli in ciel/ E fu tra gigli e roée Del picciol dio Tav-el.
Fu tra le rose: e i gigli ' . D'un molto amato sen: . I prati eran .vermigli, •: -, Rideva il cietseren.
608 RIME NUOVE
Una memoria mesta Vi posi a vigilar: Poteasi de la festa Il morto contentar.
Ahi, ma la tomba è cuna Al picciolo vampiri Al lume de la: luna Vuol tutte notti uscir.
Vien, su le tempie ardenti Co'i vanni aperti sta; Gli scuote lenti lenti, E addormentar mi fa.
Susurr^ a r aln^ stanca Un'ombra ed un ruscel, Ed una fronte bianca Ride tra un nero vel.
Cosi, mentr' ei del mite SoniK) m' irriga e tien, Morde con due ferite L' umida tempia e '1 sen. '
Peri quelle il rosso sangue Tutto mi sugge Amor, E vaneggiando langue La vita al capò e al cuor.
RIME NUOVE 609
Ma, perché più non possa Il reo vampiro uscir, Dee su V aperta fossa Un prete benedir.
L' incanto allor si scioglie E il morto in cener va; Più da vestirsi spoglie Il dèmone non ha.
L' avello del tuo petto, O donna, io l'aprirò: Il morto piccioletto Vedervi dentro io vo';
Io vo' che putre e mézzo Polvere ei torni al fin : Prete sarà il disprezzo Ed acqua santa il vin.
Carducci. 39
610 RIME NUOVE
L.
MAGGIOLATA
M.
aggio risveglia i nidi, Maggio risveglia i cuori; Porta le ortiche e i fiori, I serpi e V usignol.
Schiamazzano i fanciulli In terra, e in ciel li augelli Le donne han ne i capelli Rose, ne gli occhi il sol.
Tra colli prati e monti Di fior tutto è una trama: Canta germoglia ed ama L' acqua la terra il ciel.
RIME NUOVE 611
E a me germoglia in cuore Di spine un bel boschetto; Tre vipere ho nel petto E un gufo entro il cervel.
612 RIME NUOVE
LI.
SERENATA
L
e stelle che viaggiano su '1 mare Dicono — O bella luna, non dormire, O bella luna, vògliti levare. Che noi vogliamo per lo mondo gire.
Vogliam fermarci su la camerella Ove nel sonno sta nostra sorella,
Nostra sorella splendìente e bruna Che un mago ci ha rapita, o madre luna.
Di cima al colle rispondono i pini E da la riva del fiume gli ontani : — O stelle da' begli occhi piccolini Deh perché fate quei discorsi vani?
Ella ci apparve il di primo di maggio Tra un lauro snello e un glorioso faggio,
E dove ella sbocciò ninfa dal suolo Cresce una rosa e canta un rusignolo. —
RIME NUOVE 613
Poi che le stelle tramontali nel mare, Al monte e al piano tace ogni rumore: La terra buia una camera pare Ove s'addorme al fin l'uman dolore.
Come breve è la notte, o bella mia! Desto nel bosco V uccellin già pia.
L'alba di maggio t'imbianca il verone, E il saluto del mondo in cuor ti pone.
614 RIME NUOVE
LII.
MATTINATA
J— 'atte a la tua finestra, e dice, il sole : Levati, bella, eh' è tempo d'amare. Io ti reco i desir de le vi'ole E gV inni de le rose al risvegliare.
*• .v( •
Dal mio splendido regno a farti omaggio Io ti meno valletti aprile e maggio
E il giovin aiiaa.che.IaJxiga^affr€na SuLÌÌQi:--d£ja -tua. .vaga, età serena.
Batte a la tua finestra, e dice, il vento: Per monti e piani ho viaggiato tanto : Sol uno de la terra oggi è il concento, E de' vivi e de' morti un solo è il canto. De' nidi a i verdi boschi ecco il richiamo
— HJglBjiatQraa : amiamo, amiamo, amiamo — E il sQspir de le tombe .riafiorate
— Il tempo passaj amate, amate, amate. —
RIME NUOVE 615
/
Batte al tuo cor, chl-à , un betgiayd>ii^4« fioi^, Il mio pensiero, e dice: Si può entrare? Io so'fio un triste antico vYatore, E s<5no stanco, e vorrei riposare.
Vorrei posar tra questi lieti mài r^^^^-ro^b-^-'-^^c^tA^ Un ben sognando che non fu ancor mai: rAo^v^v^^o
Vorrei posare in questa gioia pia Sognando un bene che già mai non fia.
616 RIME NUOVE
LUI.
DIPARTITA
Vj^uando parto da voi, dolce signora, Scura la terra e grigio il cielo appare. Odo gufi cantar dentro e di fuora, E gli alberi non restan di guardare.
Brulli, stupidi in vista e intirizziti. Guardano a lungo come sbigottiti:
Guardan, crollano il capo e fuggon via, E tornan sempre. Oh trista compagnia!
O trista compagnia, che cosa vuoi? — — Noi ti guardiamo perché morto sei. Noi Siam gli spettri de* pensieri tuoi. Noi Siam gli spettri de' pensier di lei.
ler tra canti d' uccelli e tutti in fiore : Oh come fugge la vita e l'amore!
Oggi ti accompagnamo al cimitero: Oh come freddo e lungo è il tempo nero ! —
RIME NUOVE 617
LIV.
DISPERATA
S,
'u M cavai de la Morte Amor cavalca E traesi dietro catenato il cuore: Ma il cuor s' annoia tra la serva calca Sdegnoso di seguire il vii signore :
I lacci spezza e glie li gitta in faccia Sorgendo con disdegno e con minaccia :
— Giù da la sella, Amor, poltrone iddio! Io sol ti feci, e tu se* schiavo mio.
Signor ti feci nel pensier mio vano, Schiavo ti rendo nel pensier mio forte: Tutte le briglie io voglio a la mia mano: A me il nero cavallo de la Morte ! —
E monta e sprona il cavaliere ardito Salutando co '1 cenno l'infinito.
E sotto il trotto del cavallo nero Rimbomba il mondo come un cimitero.
618 RIME NUOVE
LV.
BALLATA DOLOROSA
U,
na pallida faccia e un velo nero Spesso mi fa pensoso de la morte; Ma non in; frotta io cerco le tue porte, Quando piange il novembre, o cimitero.
Cimitero m' è il mondo allor che il sole
Ne la serenità di maggio splende
E 1' aura fresca move V acque e i rami,
E un desio dolce spiran le viole
E ne le rose un dolce ardor s'accende
E gli uccelli tra M verde fan richiami :
Quando più par che tutto il mondo s' ami
E le fanciulle in danza apron le braccia,
Veggo tra '1 sole e me sola una faccia,
Pallida faccia velata di nero.
RIME NUOVE 619
LVI.
DAVANTI UNA CATTEDRALE
JLrionfa il sole, e inonda La terra a lui devota: Jgnea ne r aria immota L'estate immensa sta.
Laghi di fiamma sotto I dòmi azzurri inerte Paiono le deserte
mtmmmmm^mti^mÈ^mm-''^ "l'i ii"iiiniilr«
Piazze de la città.
Là spunta una sudata fi*^-*^^ ì'^^^^.^s^^^ -
Fronte, ed è orribil cosa : La luce vaporosa La ingialla di pallor.
620 RIME NUOVE
Dite : fa fresco a V ombra De le navate oscure, Ne r urne bianche e pure, O teschi de i maggior?
RIME NUOVE 621
LVII.
BRINDISI FUNEBRE
S,
'u *1 viso de r amore La rosa illanguidì, Senza lasciarmi un fiore La gioventù fiiggi.
Lo stuol de Tore danza Lontano ornai da me: Con esse è la speranza, L' illus'ion, la fé'.
Gli affetti alti ed intensi Cui fu negato il fin, I desidèri immensi Irrisi dal destin,
622 RIME NUOVE
Tutti nel mio pensiero Tutti sepolti io gli ho; E al fosco cimitero Custode fosco io sto.
Ma i nervi ancora ho forti: Beviam, beviamo ancor: Beviam, beviamo a i morti ; Con essi sta il mio cuor.
Sotto la terra nera Giacciono ad aspettar; La dolce primavera Forse li fa svegliar.
Senton de i freschi venti L'alito ed il sospir, Senton fra rossa algenti La verde erba salir.
Lo senti il dolce aprile, Il sol lo vedi tu? O pargolo gentile, Solo tu sei laggiù?
Dal suo lontano avello Ti parla, o fanciullin, Il bianco mio fratello Dal bel castaneo crin?
RIME NUOVE 623
Gli avi ne i giorni foschi Ti vengono a cullar, L' uno da i colli tòschi, L'altro dal tòsco mar?
O sola e mesta al petto La madre mia ti tien ? Riposa, o fanciulletto. Sopra il fidato sen.
Beviamo. Ahi che nel cielo Impallidisce il sol, E mi circonda il gelo, E si sprofonda il suol.
Come uno stuol di gufi A vecchio monaster. Tra gli umidicci tufi Singhiozzano i pensier.
Per questo buio fondo Chi è chi è che va? Esiste ancora il mondo. La gioia e la beltà?
NeMucidi paesi Ancora esiste amor? Io giù tra' morti scesi Ed ho sepolto il cuor.
624 RIME NUOVE
LVIII.
SAN MARTINO
L
/a nebbia a gV irti colli Piovigginando sale, E sotto il maestrale Urla e biancheggia il mar;
Ma per le vie del borgo Dal ribollir dentini Va r aspro odor de i vini V anime a rallegrar.
Gira su'jceppi accesi Lo spìècib scoppiettando : Sta il cacciator fischiando Su r uscio a rimirar
RIME NUOVE 525
Tra le rossastre nubi Stormi d'uccelli neri, Com' esuli pensieri, Nel vespero migrar.
Carducci. 40
626 RIME NUOVE
LIX.
IN CARNIA
S,
*u le cime de la Tenca Per le fate è un bel danzar. Un tappeto di smeraldo Sotto al cielo il monte par.
Nel mattin periato e freddo De le stelle al muto albor Snelle vengono le fate Su moventi nubi d'or.
Elle vengon con V aurora Di Germania ivi a danzar. Treman V ombre de gli abeti Nere e verdi al trapassar.
RIME NUOVE 627
•
De la Biit che irrompe e scroscia Elle ridono al fragor, E in quel vortice d'argento Striscian via le chiome d' òr.
Freddo e nitido è il lavacro, Ed il sole anche non par. Su la vetta de la Tenca Incominciano a danzar.
Bianche in vesta, rossi i veli, I capelli nembi d'or, Che abbandonano ridenti De gli zefiri a l'amor.
Poi con voce arguta e molle, Si che d'arpe un suono par, Le sorelle de la Carnia Incominciano a chiamar.
Tra il profumo de gli abeti Ed il balsamo de i fior Da le valli ascende il coro Del mistero e de l'amor.
Su la rupe del Moscardo È uno spirito a penar: Sta con una clava immane La montagna a sfracellar.
628 RIME NUOVE
Quando vengono le fate, Egli oblia l'aspro lavor; E sospeso il mazzapicchio Guarda e palpita d'amor.
Che le fate al travaglioso • Mai sorridano, non par: Il selvaggio su la rupe Si contenta di guardar,
E tal volta un cappel verde Ei si mette per amor, E d' un bel mantello rosso Ei riveste il suo dolor.
Ahi, da tempo in su la Tenca Ninna fata non appar: Sol la But tra i verdi orrori S' ode argentea scrosciar,
E il dannato su '1 Moscardo Senza più tregua d'amor Notte e di co '1 mazzapicchio Rompe il monte e il suo furor.
Ahi, le vaghe fantasie Dal mio spirito esular, E il torrente di memoria Odo funebre mugghiar:
RIME NUOVE 629
Niun fantasima di luce Cala ornai nel chiuso cuor, E lo rompe a falda a falda Il corruccio ed il dolor.
630 RIME NUOVE
LX.
VISIONE
I
1 sole tardo ne V invernale Ciel le caligini scialbe vìncea, E il verde tenero de la novale Sotto gli sprazzi del sol ridea.
Correva V onda del Po regale, L'onda del nitido Mincio correa : Apriva r anima pensosa V ale Bianche de' sogni verso un' idea.
E al cuor nel fiso mite fulgore Di quella placida fata morgana Riaffacciavasi la prima età,
Senza memorie, senza dolore, Pur come un' isola verde, lontana Entro una pallida serenità.
NOTE
XLVIU) pag. 606. Di questa canzoncina di Enrico Heine, come di niolte altre sue, tutto lo spirito i nel motivo fantastico e popolare. Il solo merito della mìa versione, se merito alcuno può avere, è del metro e dello stil popolare vecchio italiano ripreso a rendere il romantico tedesco del secolo xix.
LVI) p. 619, v. 6. Dòmi atturrì ho detto le volte del cielo con metafora che nella lingua francese non è rara: Balzac " Le beau del d" Espagne étendait un dòme d'cuur au-dessus de sa téle „. Vero è che per i francesi dame è la cupola, ma e per noi la cupola è parte del dòmo.
LIK) p. 626. È una traditone popolare, che prima la con- tessa Caterina Percoto raccolse nel libro delle sue Novelle; bel libro e forte, che rispecchia la forte bellezza e bontà del Friuli..
IV.
WT^^^m^.
LXl.' AD ALESSANDRO D' ANCONA
\-} de' cognati e de i dispersi miti Per la selva d' Europa indagatore, Mentre tu nozze appresti e i dolci riti Affretti in cuore,
Io, dove ride al sol da l' infinito Rincrespamento del ceruleo seno E al eie! con echi mille e al breve lito Plaude il Tirreno,
£ digradando giù dal colle aprico Per biancheggiante di palagi traccia ■ La verde antica terra al glauco amico Porge le braccia.
636 RIME NUOVE
In queste di salute aure frementi Terse le nebbie de lo spirto impure, Dato il cuore a gli amici e date a i venti
Freschi le cure,
Anche una volta io qui libo a le dee Che de la mente mia seggono in cima, E t'accompagno le camene argee
C<^iX;la mia rima.
Non io tinger vof rèi di dotta polve A la sposa il vel bianco ed i pensieri Né schiuder quei che un'età grossa involve
Grossi misteri.
Dannosa etade! Solitario mostro La morte allor su '1 cieco mondo incombe Con mille aspetti, e l' uomo esce dal chiostro
. . Sol per le tombe.
Ne i boschi infuria e via per valli e gioghi Una danza di forme atre e maligne Ch' odiano il sole : l' orrida de' roghi
Vampa le tigne.
Da r aspre torri e dal cenobio muto, Dal folto, donjò d' irti steli inserto. Par che la vita l'ultimo saluto
Mandi al deserto.
RIME. NUOVE 637
Quindi r accidia rea eh' anco inimica La natura e lo-ispirto, ed impossente L'uomo, che un sogno torbido affatica,
Aspira al niente.
L' ombra di morte e su da la marina Di Teti il pianto fuor, de le ftie ville Seguia tra i carri e V armi la divina
Forza d'Achille.
Ma ei pugnava i giorni^ e, a la romita Notte citareggiando in su l'egea Riva, a Dite a le Muse ed a la vita
Breve indulgea.
Pigri terror de l' evo medio, prole Negra de la barbarie e del mistero, Torme pallide, via! si leva il sole,
E canta Omero.
638 RIME NUOVE
LXII.
PRIMAVERE ELLENICHE
(i. eolia)
L
iira, brumaio torbido inclina, Ne Taér gelido monta ia sera: E a me ne l'anima fiorisce, o Lina,
La primavera.
In lume roseo, vedi, il nivale Fedriade vertice sorge e sfavilla, E di Castalia V onda vocale
Mormora e brilla.
Delfo a' suoi tripodi chiaro sonanti Rivoca Apolline co' nuovi soli, Con i virginei peana e i canti
De' rusignoli.
RIME NUOVE 639
Da gì' iperborei lidi al pio suolo Ei riede, a' lauri dal pigro gelo : Due cigni il traggono candidi a volo:
Sorride il cielo.
Al capo ha l'aurea benda di Giove Ma nel crin florido l'aura sospira E con un tremito d' amor gli move
In man la lira.
D' intorno girano come in leggera Danza le Cicladi patria del nume, Da lungi plaudono Cipro e Citerà
Con bianche spume.
E un lieve il seguita pe '1 grande Egeo Legno, a purpuree vele, canoro: Armato règgelo per l'onde Alceo
Dal plettro d'oro.
Saffo dal candido petto anelante A l'aura ambrosia che dal dio vola, Dal riso morbido, da V ondeggiante
Crin di viola.
In mezzo assidesi. Lina, qu'feti I remi pendono: sali il naviglio. Io, de gli eolii sacri poeti
Ultimo figlio,
640 RIME NUOVE
Io meco traggoti per V aure achive : Odi le cetere tinnir : montiamo : 1
Fuggiam le occidue macchiate rive,
Dimentichiamo.
ì
RIME NUOVE 641
LXIII.
PRIMAVERE ELLENICHE
(il dorica)
Oai tu r isola bella, a le cui rive Manda il Ionio i fragranti ultimLhad Nel CUI sereno mar Galatea vive
E su' monti Aci ?
De r ombroso pelasgo Èrice in vetta Eterna ride ivi Afrodite e impera, E freme tutt'amor la benedetta-
Da lei costiera.
Amor fremono, amore, e colli e prati, Quando la Ennea da' raddolciti: infèrni Torna co '1 fior de' solchi ai lacrimati
Occhi materni.
Carducci. 41
642
RIME NUOVE
Amore, amor, susurran V acque ; e Alfeo Chiama ne' verdi talami Aretusa A i noti amplessi ed al concento acheo
L' itala musa.
Amore, amore, de' poeti a i canti Ricantan le cittadi, e via pe' fòri Dorfesi prorompono baccanti
Con cetre e fiori.
Ma non di Siracusa o d* Agrigento ChiedMo le torri: quivi immenso ondeggia L' inno tebano ed ombrano ben cento
Palme la reggia.
La valle ov'è che i bei Nèbrodi monti. Solitaria coronano di pini. Ove Dafni pastor dicea tra i fonti
Carmi divini?
— Oh di Pèlope re tenere il suolo Oh non m' avvenga, o d' aurei talenti Gran copia, e non de V agii piede a volo
Vincere i venti!
v^
Io vo' da questa rupe erma cantare, Te fra le braccia avendo e via lontano Calar vedendo l' agne bianche al mare
Siciliano. —
RIME NUOVE 643
Cantava il dorio giovine felice, E tacean gli usignoli. A quella riva, O chiusa in un bel vel di Beatrice
Anima argiva,
Ti rapirò, nel verso; e tra i sereni Ozi de le campagne a mezzo il giorno, Taòendo erifu^g^ndo in tutti i seni
Ciel, mare, intorno,
10 per te sveglerò da i colli aprichi ^T ,
Le Driadi bionde sovra il pie leggero fowTe-jji -^ E ammiranti a le tue forme gli antichi ^•^'^ "^ *"
Numi d'Omero.
Muoiono gli altri dèi: di Grecia i numi f^AHA Jlo Non sanno ocÉìaso; ei dormon ne' materni Tnuichi e ne' fiori, sopra i monti i fiumi
I mari eterni.
A Cristo in faccia irrigidi ne i marmi
11 puro fior di lor bellezze ignude:
Ne i carmi, o Lina, spira sol ne i carmi
Lor gioventude;
E, se gli evoca d' una bella il viso Innamorato o d'un poeta il core. Da la santa natura ei con un riso
Lampeggian fuore.
644 RIME NUOVE
Ecco danzatile Driadi, e-rr- Qual etade -r- Chieggon le Qreadi -- ti portò- si. bella? Da quali vieni ignote a noi contrade, •
Dolce, sorella?
Mesta cura a te siede in fra- le stelle! • De gli occhi. ^ Forse ti feri Ciprigna? . Crudel nume è Afrodite ed a le belle i
Forme maligna.
Sola tra voi mortali Eiena- argea . ; Di nepente a gli eroi le tazze infuse ;; Ma noi sappiam quanti misteri Gea '
Nef sfe'n raccMiuse.
Noi cogliereiti per té' baltsanìi arcani \ Cui lacrimar le trasformate vite, E le perle che lungeia-i duri umani. '
N'Udre Anfitrite.
Nói coglierem perte-fiori animati,' Esperti de la gioia e de 1* affaTino: ' Ei le storie d' arrior de' tempi andati '.
Ti ridiranno ; =
Ti ridiranno il' gemer -de la rosa Che di desio su H tuo bel petto manca, E gl'inni, nel tuo crin, de la fastosa :
Sorella bianca.
RIME NUOVE 645
Poi nosco ti addurreilì ne le fulgenti ' De r ametista grotte e delcristallo, '
fhm fltfrnn: |fi forme p pfH e]^mf>'nì\
TMmmérgerem ne i fiumi ove il concento De'cigniii CQri de le Naidi aduna; Su T acque i fianchi tremolali d'argento . Come la luna.
Ti leverem sy i gioghi al ciel vicini Che Zeus, il padre, più benigno mira, Ove d'Apollo freme entro i divini
Templi la lira. ,
Ivi, raccolta ne le aulenti sale Nostre, al beli* Ila ti farem consorte. Ila che noi rapimmo a la brumale
Ombra di morte. —
Ahi, da che tramontò la vostra etate Vola il dolor su le terrene culle ! Questo raggio d' amor no '1 m' invidiate,
Greche fanciulle.
La cura ignota che il bel sen le morde Io tergerò co'l puro mèle ascreo, L' addormirò co' le tebane corde.
Se fossi Alceo,
646 RIME NUOVE
La persona gentil ne lo spirtale Fulgor de zV inni irradiar vorrei^ Cingerle il moii<^ rpn cq* y jmmnrtnlr
Fior de gli dèi.
E, mentre nel giacinto il braccio, folce E del mio lauro la protegge un ramo,; Chino su '1 cuore mormorarle — O dolce
Signora, io v'amo. —
RIME NUOVE 647
LXIV.
. ' »
PRIMAVERE ELLENICHE (III. alessandrina)
Ge,id„ U ve„.o p.. lunghi e c„aidi
Intercolonii feria; su' tumuli Di garzònetti e spose Rabbrividian le rose •
Sotto la pioggia, che, lenta, assidua. Sotti], da un grìgio cielo di maggio Battea con faticoso ' Metro il piano fangoso;
Quando, percòssa d'un lieve tremito, Ella il bel velo d'intorno a gli omeri Raccolto al seno avvìnse E tutta a me si strinse :
648 RIME NUOVE
Voluttuosa ne V atto languido Tra i gotici archi, quale tra'larici
Gentil palma volgente
Al nativo oriente.
Guardò serena per entro i lugubri Luoghi di morte; ìtvq la tenue Fronte, pallida e bella, Tra le floride anella
Che a l'agii collo scendendo incaute Tutta di molle fulgor la irradiano: E piovvemi nel cuore Sguardi e accenti d' amore
Lunghi, soavi, profondi.: eolia Cetra non Tese più dolci gemiti Mai né si molli spirti Di Lesbo un di tra i mirti.
Su i muti intanto marmi la serica Vesta strisciava con legger sibilo, Spargeanmi al viso, i venti Le sue chiome fluenti.
Non mai le tombe si Jbelle apparvero A me ne i primi sogni di gloria, Oh amor, solenne e forte Come il suggel di morte!
RIME NUÒVE 649
Oh delibato fra i sospir trepidi Su i cari labri fiore de V anima
E intraviste ne' baci
Interminate paci !
Oh favolosi prati d' Elisio,
Pieni di cetre, di ludi eroici
E del purpureo raggio Di non fallace maggio,
. I
Ove in disparte bisbigliando errano (Né patto umano né destin ferreo
L'un da l'altra divelle)
I poeti e le belle !
•/ 'i
650 RIME NUOVE
LXV.
UNA RAMA D' ALLORO
I
o son, Dafne, la tua greca sorella, Che vergin bionda su M Peneo fuggia E verdeggiai pur ieri arbore snella
Per r Appia via.
Tra i cippi e i negri ruderi soletta Sotto il ciel triste io memore sognava D' un tumulo ignorato in su la vetta,
E riguardava.
Guardava i colli ceruli del La^io, E a r aura che da Tivoli traea Inchinandomi i fulgidi d'Orazio
Carmi dicea.
RIME NUOVE 651
Mi udivano gli uccelli, e saltellanti Per r aer freddo su i nudati rami A le rose ed al maggio e al sole e a i canti
Facean richiami.
Ahi sempre infesti a me i poeti furo! M' invidiò Enotrio a' sassi antichi e pii, E tra le mani del poeta duro
Inaridii.
Avvolta in serto, oh foss' io stata ombrella A la tua fronte ! su la chioma nera Come esultato avrei, dolce sorella,
Io verde e altera!
E ne la lingua che tra noi s'intende. China a l'orecchio puro e delicato. Gli cileni amori e l' itale leggende
T'avrei cantato.
L' occhio tuo mesto a le fraterne note Sorriso avrebbe con ardor gentile, E rifiorito de le molli gote
Saria l'aprile.
'• • • ( .
NOTE
LXI) p. 635. Fu premessa a un frammento dell'Iliade tra- dotta da Ugo Foscolo pubblicalo per gratulare alle none del D'A. Nella strofe sesta si allude all'usanza dotta, se non forse pedantesca, di pubblicare o ripubblicare in occasioni nu- ziali scritture del trecento, documenti o simili; utili certo a studiare, ma tutt' altro che opportune e graziose. Tanf è; per amore dell' lAìle male inteso il nostro secolo va ognora più perdendo ogni gusto della decenza artìstica.
LXll) p. 638, str. il, A molti il nivale Fedrìade vertice suona ostico. Me ne dispiace : ma è questione di geografia. " Gli al- tipiani del Parnaso terminano dalla parte di sud in un preci- pizio alto 2000 piedi, che s' inalza a doppio picco chiamato Phaedriades, dalla apparenza sfavillcmte allora che il sole ci riflette. , Gugl. Smith, Manuale di geogr. ani., lib. iv eap. jd: (trad. ital, Firenze, Barbèra, 1868).
p. 639, str. VI]]. Da un frammento di Alceo; ' Saffo dalle chiome di viola, sublime, dal dolce sorriso „. Ancora nelle strofe [ii-iv ho tentato di rifiire un passaggio dell' inno di Al- ceo ad Apolline, il quale doveva essere stupendo, a giudicarne
654 RIME NUOVE
anche dalla prosa che ce lo conservò disciolto e scolorato. Cfr. Bergk, fragm. 2; Moller, St d, leti. gr. cap. xiii.
LXIII) p. 642, str. vili e ix. Ho tradotto dallMdUlio viii di Teocrito v. 53-56 : " Non mi avvenga di possedere la terra di Pèlope né talenti d* oro né correre innanzi ai venti. Ma can- terò su questa pietra tenendoti fra le braccia e vedendo tutto insieme il gregge pascere lungo il mar di Sicilia „.
LXV) p. 650. Questa pde- fu mandata alla march. D. G. per accompagnamento d'un ramoscello d'alloro còlto su la Via Àppia. Leggesi anche nel voi. iii degli Scritti in prosa ed in versi di Achille Monti, editi a cura dei figli (Imola, 1885), come cosa di lui, tra le poesie inedite. Quel buono e compianto amico trascrisse di sua mano la ode dair albo della signora, e la copia trovata senza nome tra i suoi fogli fu la cagione del- l' errore.
V.
UCVI. RIMEMBRANZE DI SCUOLA
Iljra il giugno maturo, era un bel giorno Del vita! messidoro, e tutta nozze Ne gli amori del soie ardea la terra. Igneo torrente dilagava ii sole Pe' deserti del cielo incandescenti, E al suo divino riso il mar ridea. Non rideva io fanciullo: 11 nero prete Con voce chioccia bestemmiava Io amo, Ed un fastidio era il suo viso: intanto A la finestra de la scuola ardito S'affacciava un ciliègio, è co* ì vermigli Frutti allegro ammiccava e arcane storie bisbigliava con l'aura. Onde, obliato Il prete e de le coniugazifgp i In su la gialla pagina le file Quai di formiche ne la creta grigia, Carducci. 42
658 RIME NUOVE
Io tutto desfoso liberava Gli occhi e i pensier per la finestra, quindi I monti e il cielo e quinci la lontana Curva del mare a contemplar. Gli uccelli Si mescean ne la luce armonizzando Con mille cori : a i pigolanti nidi Parlar, custodi pii, gli alberi antichi Pareano, e gli arbuscelli a le ronzanti Api ed i fiori sospirare al bacio De le farfalle; e steli ed erbe e arene Formicolavan d' indistinti amojci E di vite anelanti a mille a mille Per ogni istante. E li accigliati monti Ed i colli sereni e le ondeggianti Mèssi tra i boschi ed i vigneti bionde, E fin r orrida macchia ed il roveto E la palude livida, pareano Godere eterna gioventù nel sole. Quando, come non so, quasi d^al fonte D* essa la vita rampollommi in cuore ^11 B,en|.i^ d^^^tó jnaite, e con la morte L'informe niente /e d' un sol tratto, quello Infinito sentir di tutto al nulla. Sentire io comparando, e me veggendo Corporalmente ne la negra terra Freddo, immobile, muto, e fuor gli augelli Cantare allegri e gli alberi stormire E trascorrere i fiumi ed i viventi Ricrearsi nel sol caldo irrigati
I
RIME NUOVE 669
De la divina luce, io tutto e pieno
l'int^'^^^'nntv dfì la mort^ pr^nici-;
E sbigottii veracemente. Anch'oggi Quel fanciullesco immaginar risale Ne la memoria mia: quindi, si come Gitto di gelid' acqua, al cor mi piomba.
660 KIMK NUOVE
LXVII.
IDILLIO DI MAGGIO
M.
aggio, idillio di Dante e Beatrice, Che di tentazioni Le vie, d'acacie infiori la pendice, Le case di mosconi :
Maggio, che sovra Tossa ed i carcami
Rose educhi e viole, Ed al postribol de la vita chiami
Divin lenone il sole:
Con le dolci memorie e i cari affanni, Maggio, da me che vuoi ?
Le sono storie ormai di tremir anni : Vecchio maggio, m' annoi !
RIME NUOVE 661
Va*, molli sonni reca e sussurranti Ombre a pastori e cani,
A Maria fiori e litanie, briganti
De l' arsa Puglia a i piani :
Va', da maggesi e da nidi e da fronde
Ti cantin selve e prati, E ti bestemmi chi ne Tossa asconde
Di Venere i peccati:
A questo tuo, che fra cortili e mura
M' irride, etico raggia. Io tempro una canzon forte e sicura, -
E te la gitto, o maggio.
Lo so : roseo fra' tuoi molli vapóri
Espero in ciel ridea, • E tra le prime stelle e i primi fk)ri
Ella usci come dea.
De le vì'ole onde avea colmo' il grembo Gittommi; e il volta ascose,
E fuggi. Sento il suo ceruleo lembo Sibilar tra le róse
Ancora: ancor su la sua tèsta bella
iSoavemente inchina • Vedo tremar dal puro ciel la stella,
La stella vespertina. '*
664 RIME NUOVE
LXVIII.
IDILLIO MAREMMANO
G
'o M raggio de V aprii nuovo che inonda Roseo la stanza tu sorridi ancora Improvvisa al mio cuore, o Maria bionda;
E il cuor che t'obliò, dopo tanf ora
Di tumulti oz'fosi in te riposa,
O amor mio primo, o d* amor dolce aurora.
Ove sei ? senza nozze e sospirosa Non passasti già tu; certo il natio Borgo ti accoglie lieta madre e sposa;
Che il fianco baldanzoso ed il restio Seno a i freni del vel promettean troppa Gioia d* amplessi al maritai desio.
RIME NUOVE 666
Forti figli pendean da la tua poppa
Certo, ed or baldi un tuo sguardo cercando
ÀI mal domo cavai saltano in groppa.
Com' eri bella, o giovinetta, quando Tra l'ondeggiar de* lunghi solchi uscivi Un tuo serto di fiori in man recando.
Alta e ridente, e sotto i cigli vivi
Di selvatico fuoco, lampeggiante
Grande e profondo V occhio azzurro aprivi !
Come '1 ciano seren tra '1 biondeggiante
Òr de le spiche, tra la chiomaflava
Fioria quelPoccJTtio^zurro ; e a te d' avante
La grande estate, e intorno, fiammeggiava; Sparso tra' verdi rami il sol ridea Del melogran, che rosso scintillava.
Al tuo passar, siccome a la sua dea,
Il bel pavon V occhiuta coda apria ^^
Guardando, e un rauco grida a te mettea.
Oh come fredda indi la vita mia, Come oscura e incresciosa è trapassata ! Meglio era sposar ^te^ -bdonda Ma^rial .
666 RIME NUOVE
Meglio ir tracciando per la sconsolata Boscaglia al piano il bufalo disperso, Che salta fra la macchia e sosta e guata,
Che sudar dietro al piccipletto verso ! Meglio oprando obliar, senza indagarlo, Questo enorme mister de V universo !
Or freddo, assiduo, del pensiero il tarlo Mi trafora il cervello, ond' io dolente Misere cose scrivo e tristi parlo.
Guasti i muscoli e il cuor da la rea mente,
> — - ^ ^ _
Corrose Tossa dal malor civile, Mi divincolo in van rabbiosamente.
Oh lunghe al vento sussurranti file
De' pioppi ! oh a le beli* ombre in su '1 sacrato
Ne i di solenni rustico sedile, r>'-^ \1/.ì.a^
Onde bruno si mira il piano arato ^^*- E verdi quindi i colli e quindi il mare
Sparso di vele, e il campo santo è a lato ! ^v^^*^-
Oh dolce tra gli eguali il novellare Su '1 quieto meriggio, e a le rigenti Sere accogliersi intorno al focolare I
RIME NUOVE
567
Oh miglior gloria, a i figliuoletti intenti Narrar le forti prove e le sudate Cacce ed i perigliosi avvolgimenti
Ed a dito segnar le profondate Oblique piaghe nel cignal supino, Che perseguir con frottole rimate
I vigliacchi d* Italia e Trissottino.
668 RIME NUOVE
LXIX.
CLASSICISMO E ROMANTICISMO
B,
benigno è il sol; de gli uomini al lavoro Soccorre e allegro Tama: Per lui curva la vasta mèsse d' oro Freme e la falce chiama.
Egli alto ride al vomero che splende
In tra le brune zolle Umido, mentre il bue lento discende
11 risolcato colle.
Sotto il velo de' pampini i gemmanti Grappoli infiamma e indora,
E a gli ebri de V autunno ultimi canti Mesto sorride ancora.
RIME NUOVE
669
Egli de- la città fra i neri tetti
Un suo raggio disvia, E a la fanciulla va che i giovinetti
Di nel lavoro oblia,
E una canzon di primavera e amore
Le consiglia; a lei balza Il petto, e ne la luce il canto e il cuore.
Come lodola, inalza.
Ma tu, luna, abbellir godi coM raggio / Ci#-vvLn^
Le mine ed i lutti; Maturar nel fantastico viaggio
Non sai né fior né frutti.
Dove la fame al buio s'addormenta,
Tu per le impóste vane Entri e la svegli, a ciò che il freddo senta
E pensi a la dimane.
L
V.i-<.
Poi su le guglie gotiche ti adorni
Di lattei languori, E civetti a' poeti perdigiorni
E a* disutili amori.
Poi scendi in camposanto: ivi rinfreschi Pomposa iLlume stari£p,
E vieni in gara con le tibie e i teschi Di baglior freddo e bianco.
670 RIME NUOVE
Odio la faccia tua stupida e tonda,
L' inamidata cotta, Monacella lasciva ed infeconda,
Celeste paòlotta. t^^tM^m^jL^
RIME NUOVE 671
LXX.
VENDETTE DELLA LUNA
1 e, certo, te, quando la veglia bruna Lenti adduceva i sogni a la tua culla, Te certo riguardò la bianca luna,
Bianca fanciulla.
A te scese la dea ne la sua stanca Serenitade, e con i freddi baci China al tuo viso — O fanciulletta bianca, —
Disse — mi piaci. —
E al fatai guardò, ove or s' annega e perde L' anima mia, piovea lene il gentile Tremolar del suo lume entro una verde
Notte d' aprile.
672 RIME NUOVE
Ti deponea tra i labbri la querela De r usignuolo al frondeggiante maggio, Quando la selva odora e argentea vela
Nube il suo raggio;
E del languor niveo fulgente, ond* ella Ride a V Aurora da le rosee braccia. Ti diffondeva la persona bella,
La bella faccia:
Onde a' cari occhi tuoi, dal cui profondo Tutto lampeggia quel che ama e piace, Nel roseo tempo che sorride il mondo
Io chiesi pace:
Pace al tuo riso, ove fiorisce pura La voluttà che nel mio spirto dorme^ E che promesso m* ha V alma natura
Per .mille forme.
Ahi, ma la tua marmorea bellezza Mi sugge r alma, e il senso de la vita M'annebbia; e pur ne libo una dolcezza
Strana, iafinita;
Com* uom che va sotto la luna estiva Tra verdi sussurranti alberi al piano; Che in fantastica luce arde la riva
Presso e lontano,
RIME NUOVE 673
Ed ei sente un desio d' ignoti amori Una lenta dolcezza al cuor gravare, E perdersi vorria tra i muti albori
E dileguare.
Carducci. 43
674 RIME NUOVE
LXXI.
Da la guai par eh* una stella si mova.
Guido Cavalcanti.
JLl-/ra un giorno di festa, e luglio ardea Basso in un' afa di nuvole bianche : Ne la chiesa lombarda il di scendea Per le bifori giallo in su le panche. Da la porta arcuata, che i leoni Millenni di granito ama carcar, II rumor de la piazza e le canzoni E i muggiti veniano in fra gli aitar.
La messa era cantata, ed i boati De r organo chiamavano il Signore. In fondo de la chiesa due soldati Guardavan fisi ne V aitar maggiore.
Tra quella festa di candele accese, Tra quella pompa di broccati e d' òr, Ei pensavan la chiesa del paese Nel mese di Maria piena di fior.
RIME NUOVE 675
Sotto la volta d' una bruna arcata, In tra due rosse colonnette snelle, Stava la bella donna inginocchiata, Giunte le. mani^ senza guanti, belle.
Umido a la piumata ombra del nero Cappello il nero sguardo luccicò, E in un lampo di fede il suo mistero Quel fior di giovinezza a Dio mandò.
Io vidi, come un di Guido vedea, Uscir da quei levati occhi una stella, E da i labbri, che a pena ella movea. Un'alata figura d'angelella.
La stella tremolando un lume pio Sorridea, sorridea, non so a che; Salia la supplicante angela a Dio Chiamando in atti — Signor mio, mercé.
Si volse il prete a dire: Ite. Potente Rup^ il sole a le nubi sormontando, E incoronò d' un iride scendente La bella donna che sorgea pregando.
Corse tra le figure bizantine Vermiglio un riso come di pudor; Ma la Madonna le pupille chine Tenea su'! figlio, e mormorava — Amor.
676 RIME NUOVE
{ .^ kx^^K. à^ w_4
LXXII.
DAVANTI SAN GUIDO
I
cipressi che a Bólgheri alti e schietti Van da San Guido in duplice filar, Quasi in corsa giganti giovinetti Mi balzarono incontro e mi guardar.
Mi riconobbero, e — Ben torni ornai -— Bisbieliaron vèr' me co '1 capo chino — Perché non scendi? perché non ristai? Fresca è la sera e a te noto il cammino.
V^*'^ I I ■^^^■■.^V 4
Oh siediti a le nostrcc^ombre odorate V ^
Ove soffia dal mare il maestrale :
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d' una volta : oh, non facean già male l
RIME NQOVE 677
4^idp portiamo ancor di rusignoli: Deh perchè fuggi rapido iiasf?
Le passere la sera intrecciar! voli
A noi d' intorno ancora. Oh resta qui ! —
— - Bei cipressetti, cipressetti miei, Fedeli amici d' ufi tempo migliore, Oh di che cuor con voi mi resterei — Guardando lo rispondeva — oh di che cuore!
Ma, cipressetti miei, lasciatem' ire: Or non è più quel tempo e queir età. Se voi sapeste!... via, non fo per dire. Ma oggi sono una celebrità.
E so legger di greco e di latino, E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtù: Non son più, cipressetti, un birichino, E^ sassi in specie non ne tiro più.
E massime a le piante. — Un mormorio Pe' dubitanti vertici ondeggiò, E il di cadente con un ghigno pio Tra i verdi cupi roseo brillò.
Intesi allora che i cipressi e il sole Una gentil pietade avean di me, E^Eresto.. iJ„ mormorio si fé' parole : — Ben lo sappiamo: un pò ver uom tu se*.
678 RIME NUOVE
Ben Io sappiamo, e il vento ce lo disse Che rapisce de gli uomini i_ sospin Come dentro al tuo petto eterne risse Ardon che tu né sai né puoi lenir.
A le querce ed a noi qui puoi contare L' umana tua tristezza e il vostro duoL Vedi come pacato e azzurro è il mare, Come ridente a lui discende il sol 1
E come questo occaso è pien di voli, Com'è allegro de' passeri il garrire! A notte canteranno i rusignoli: Rimanti, e i i::gi.JaJitasmi oh non seaii^'^^
I rei Jantasaxl-che da' fondi neri De i cuor vostri battuti dal pensier Guizzan come da i vostri cimiteri Putride. fiamme innanzi al passegger.
Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno. Che de le grandi querce a l' ombra stan Ammusando i cavalli e intorno intorno Tutto è silenzio ne l'ardente pian,
Ti canteremo noi cipressi i cori Che vanno eterni fra la terra e il cielo: Da quegli olmi le ninfe usciran fuori Te ventilando coM lor bianco velo;
RIME NUOVE 679
E Pan r eterno che su V erme alture A quell'ora e ne i pian solingo va Il dissidio, o mortai, de le tue cure Ne la diva armonia sommergerà. —
Ed io — Lontano, oltre Apennin, m* aspetta La Titti — rispondea — ; lasciatem' ire. È la Titti come una passeretta. Ma non ha penne per il suo vestire.
j E mangia altro che bacche di cipresso;
i Né io sono per anche \iri mfln^iìn^'^"^ ^>^ C* Che tiri quattro paghe per il lesso. S'^'w'X^
Addio cipressi! addio, dolce mio piano! —
— Che vuoi che diciam dunque ai rìmifprn Dove la nonna tua sepolta sta? — E Jjiggiano,^ e, j)areano ^uu^SprteQ u^o Che brontolando in fretta in fretta va.
Di cima al poggio allor, dal cimitero, Giù de' cipressi per la verde via, Alta, solenne, vestita di nero Par verni riveder nonna Lucia:
La signora Lucia, da la cui bocca. Tra r ondeggiar de i candidi capelli, La favella toccana, eh' è si sciocca / Nel manzonismo de gli stenterelli.
i
tum^x* MiUhM«i> *m»-m «VMk « T* •
680 RIME NUOVE
Canora discendea, co '1 mesto accento De la Versilia che nel cuor mi sta, Come da un sirventese del trecento, l Piena di forza e di soavità.
O nonna, o nonna! deh com'era bella Quand'ero bimbo! ditertiela ancor,
Ditela a quest' iinm «g^vìn la ^n^t^Uzi
Di lei che cerca il suo perduto amor!
<j.4^c.- - — Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare : Sette verghe di ferro ho logorate Per appoggiarmi nel fatale andare:
Sette fiasche di lacrime ho colmate, Sette lunghi anni, di lacrime amare: Tu dormi a le mie grida-jdispecate, E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare. —
Deh come bella, o nonna, e come vera È la novella ancor! Proprio cosi. E quelJo^.g, cercai . mattina..e.jaera Tanti e tanti anni. in >vano,- è > forse. qy i,
Sotto questi cipressi,- ove non spero Ove non penso di posarmi più : Forse, nonna, è nel vostro cimitero Tra quegli altri cipressi ermo là su.
RIME NUOVE
681
Anf^imanHn fuggi
MentrMo cosi piangeva entro il mio cuore; E di poliedri una leggiadra schiera Annitrendo correa lieta al rumore.
^AfATJ-tw-l
Ma un asin bigio, rosicchiando un ca^<^^
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d'un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.
V f
\
"V,
672 RIME NUOVE
Ti deponea tra i labbri la querela De r usignuolo al frondeggiante maggio, Quando la selva odora e argentea vela
Nube il suo raggio;
E del languor niveo fulgente, ond* ella Ride a V Aurora da le rosee braccia. Ti diffondeva la persona bella,
La bella faccia:
Onde a* cari occhi tuoi, dal cui profondo Tutto lampeggia quel che ama e piace. Nel roseo tempo che sorride il mondo
Io chiesi pace:
Pace al tuo riso, ove fiorisce pura La voluttà che nel mio spirto dorme, E che promesso m' ha Talrna natura
Per mille forme.
Ahi, ma la tua marmorea bellezza Mi sugge r alma, e il senso de la vita M'annebbia; e pur ne libo una dolcezza
Strana, iafinita;
Com' uom che va sotto la luna estiva Tra verdi sussurranti alberi al piano; Che in fantastica luce arde la riva
Presso e lontano.
RIME NUOVE 673
Ed ei sente un desio d* ignoti amori Una lenta dolcezza al cuor gravare, E perdersi vorria tra i muti albori
E dileguare.
Carducci. 43
684 RIME NUOVE
Quando la notte è fitta più di stelle,
A me giova appo V onde entro il b^ verde
Mirar su i colli la sedente luna.
RIME NUOVE 685
LXXIV.
ALL' AUTORE DEL MAGO
O
Severino; de'tuoi canti il nido, II covo de' tuoi sogni io ben lo so. Ondeggiante di canape è V infido Piano che sfugge al curvo Reno e al Po.
Da gli scopeti de la bassa landa Pigro il pizzaccherin si rizza a volo : Con gli strilli di chi mercé dimanda Levasi de le arzàgole lo stuolo,
Stampando V ombra su per V acqua lenta Ove l'anguilla maturando sta. Oh desio di canzoni, oh sonnolenta Smania di sogni ne V immensità !
676 RIME NUOVE
i-*^ K>-«r-^ ^ ti;-»
LXXII.
DAVANTI SAN GUIDO
I
cipressi che a Bólgheri alti e schietti Van da San Guido in duplice filar, Quasi in corsa giganti giovinetti Mi balzarono incontro e mi guardar.
Mi riconobbero, e — Ben torni ornai — Bisbigliaron vèr' me co'l capo chino — Perché non scendi? perché non ristai? Fresca è la sera e a te noto il cammino.
Oh siediti a le nostrcc^ombre odorate >f
Ove soffia dal mare il maestrale :
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d* una volta : oh, non facean già male !
ìA»^ ( Ca-^Xc^^.
RIME NUOVE 677
^idp portiamo ancor di rusignoli: ppfì ppf^hp fnggj fi^pido ^^"^^"^ Le passere la sera intrecciar! voli A noi d' intorno ancora. Oh resta qui ! —
-— Bei cipressetti, cipressetti miei, Fedeli amici d' uti tempo migliore, Oh di che cuor con voi mi resterei — Guardando io rispondeva — oh di che cuore!
Ma, cipressetti miei, lasciatem' ire: Or non è più quel tempo e queir età. Se voi sapeste!... via, non fo per dire. Ma oggi sono una celebrità.
E so legger di greco e di latino, E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtù: Non son più, cipressetti, un birichino, E sassi in specie non ne tiro più.
E massime a le piante. — Un mormorio Pe' dubitanti vertici ondeggiò, E il di cadente con un ghigno pio Tra i verdi cupi roseo brillò.
Intesi allora che i cipressi e il sole Una gentil pietade àvean di me, P'_P^^?t" ^'^ mormorio si fé* parole: — Ben lo sappiamo: un pover uom tu se*.
678 RIME NUOVE
Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse. Che rapisce de gli uomini i_$ospir> Come dentro al tuo petto eterne risse Ardou che tu né sai né puoi lenir.
A le querce ed a noi qui puoi contare L'umana tua tristezza e il vostro duoL Vedi come pacato e azzurro è il mare, Come ridente a lui discende il sol 1
E come questo occaso è pien di voli, Com'è allegro de' passeri il garrire! A notte canteranno i rusignoli: Rimanti, e i iiejJaJJtasmi^olLJion seguire;
I rei Jaxitasml-che da' fondi neri De i cuor vostri battuta dal pensier Guizzan come da i vostri cimiteri Putride^iìamme^ innanzi al passegger.
Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno^ Che de le grandi querce a l'ombra stan Ammusando i cavalli e intorno intorno Tutto è silenzio ne l'ardente pian,
I Ti canteremo noi cipressi i cori (Che vanno eterni fra la terra e il cielo: Da quegli olmi le ninfe usciran fuori Te ventilando co'l lor bianco velo;
RIME NUOVE 679
E Pan r eterno che su l' erme alture A quell'ora e ne i pian solingo va Il dissidio, o mortai, de le tue cure Ne la diva armonia sommergerà. —
Ed io — Lontano, oltre Apennin, m'aspetta La Titti — rispondea — ; lasciatem' ire. È la Titti come una passeretta, Ma non ha penne per il suo vestire.
j E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche yn mfìnran^'^"/" g-^^ C^ ■ Che tiri quattro paghe per il lesso. S'^v'Xf»
' Addio cipressi! addio, dolce mio piano! —
— Che vuoi che diciam dunque ^^ rimifpm Dove la nonna tua sepolta sta? — E ifiS&ano,^ e. aareano un.^QorieQ a^o Che brontolando in fretta in fretta va.
Di cima al poggio allor, dal cimitero, Giù de' cipressi per la verde via. Alta, solenne, vestita di nero P^rvepii riveder nonna Lucia:
La signora Lucia, da la cui bocca. Tra l'ondeggiar de i candidi capelli. La favella toccana, eh' è si sciocca / Nel manzonismo de gli stenterelli.
680 RIME NUOVE
Canora discendea, co '1 mesto accento De la Versilia che nel cuor mi sta, Come da un sirventese del trecento, I Piena dì forza e di soavità.
O nonna, o nonna! deh com'era bella Quand'ero bimbo! diteiliela ancor,
Ditela a quest' nnm Q^ytn la i\nM^U:*
Di lei che cerca il suo perduto amor!
« ^ ^ /
<|.<^^> . — Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare :
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:
Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le. mi£ grida, disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare. —
Deh come bella, o nonna, e come vera E la novella ancor! Proprio cosi. E quello che cercai mattina cjaera Tanti e tanti anni. in .^v ano,- è forse^giii,
Sotto questi cipressi,- ove non spero Ove non penso di posarmi più : Forse, nonna, è nel vòstro cimitero Tra quegli altri cipressi ermo là su.
LXXV. I DUE TITÀNI
L',
I avvoltoio, o fratello, il cuor mi lania Con piaghe eterne e nuove : Paziente fratel di Mauritania, Maledetto sia Giove!
Ed a me il elei d'astri e di dèi fervente Gli òmeri grava e il petto:
O di Scizia frate! mio sapiente, Giove sia maledetto !
Intorno a questo capo ove signore Siede il pensiero eterno
Intorno ai sen che alberga tanto amore, Stride perpetuo verno.
692 RIME NUOVE
ATLANTE.
Libica estate a me le membra incende.
10 brucio: questa pietra
Del granito, che tienmi, al sol si fende Con un tinnir di cetra.
PROMETEO.
In che peccai? La luce, etereo dono,
Arrisi in cuore e in volto A r uom : fatto ei Tavea triste e al suol prono,
11 re d' Olimpo stolto.
ATLANTE.
Vii tiranno ! dieci anni a faccia a faccia Gli stetti contro in guerra:
Vòlto in bruto, ei fuggi da le mie braccia Tremando per la terra.
PROMETEO.
Ma io so ch'ei morrà, né per preghiere
Gli apro de i fati il velo: Ond'ei del fulmin tutto di mi fere.
Il vigliacco del cielo.
•
ATLANTE.
Pomi a me crescon, di sue mense invidia:
V Esperidi ognor deste Guàrdanli a me: oh in vano ei me gì' insidia,
II ghiottone celeste.
i
RIME NUOVE 693
PROMETEO.
Da lo scitico mare in lunghi manti
Le azzurre Oceanine A me surgono, e d' inni e di compianti
Mi ghirlandano il crine.
ATLANTE.
E a me danzando vengono amorose
Le Pleiadi, fiorenti Mie figliuole, d'eroi feconde spose,
Madri d' inclite genti.
PROMETEO.
Ferma io la fatai fuga d'avante
A me, la fera faccia Volgendo: io canto a la divina errante
La gloria eh' è in sua traccia.
ATLANTE.
Cirene a me ne V odorata sera Spande le trecce belle,
E pie traverso quella chioma nera Mi ridono le stelle.
Come opposta s'incontra la corrente ' Che da' due poli move,
Te il forte ad una voce e il sapiente Maledicono, o Giove.
694 RIME NUOVE
LXXVI. LA LEGGENDA DI TEODORICO
• I
S,
^u '1 castello di Verona Batte il sole a mezzogiorno, Da la Chiusa al pian rintrona Solitario un suon di corno,
Mormorando per l'aprico Verde il grande Adige va;* Ed il re Teodorico Vecchio e triste al bagno sta.
• ■ ' Pensa il di che a Tulna ei venne
Di Crimilde nel conspetto
E il cozzar di mille antenne
Ne la sala del banchetto,
Quando il ferro d'Ildebrando
Su la donna si calò
r
E dal funere nefando Egli solo ritornò.
RIME NUOVE 695
Guarda il sole sfolgorante E il chiaro Adige che corre, Guarda un falco roteante Sovra i merli de la torre;
Guarda i monti da cui scese La sua forte gioventù, Ed il bel verde paese Che da lui conquiso fu.
Il gridar d* un damigello Risonò fuor de la chiostra: — Sire, un cervo mai si bello Non si vide a Tetà nostra.
Egli ha i pie d'acciaro a smalto, Ha le corna tutte d' òr. — Fuor de l'acque diede un salto Il vegliardo cacciator.
— I miei cani, il mio morello, Il mio spiedo — egli chiedea: E il Jenzuol quasi un mantello A le membra si avvolgea.
•I donzelli ivano. In tanto Il bel cervo dispari, E d'un, tratto al re da canto Un corsier nero nitri.
696 RIME NUOVE
Nero come un corbo vecchio, E ne gli occhi avea carboni. Era pronto l'apparecchio, Ed il re balzò in arcioni.
Ma i suoi veltri ebber timore E si misero a guair, E guardarono il signore E no '1 vollero seguir.
In quel mezzo il cavai nero Spiccò via come uno strale, E lontan d'ogni sentiero Ora scende e ora sale:
Via e via e via e via, Valli e monti esso varcò. Il re scendere vorria, Ma staccar non se ne può.
Il pili vecchio ed il più fido Lo seguia de' suoi scudieri, E mettea d'angoscia un grido Per gl'incogniti sentieri:
— O gentil re de gli Amali, Ti seguii ne' tuoi be' di, Ti seguii tra lance e strali. Ma non corsi mai cosi.
RIME NUOVE 697
Teodorico di Verona, Dove vai tanto di fretta? Tornerem, sacra corona, A la casa che ci aspetta? —
— Mala bestia è questa mia, Mal cavallo mi toccò: Sol la Verdine Maria Sa quand' io ritornerò. —
Altre cure su nel cielo Ha la Vergine Maria : Sotto il grande azzurro velo Ella i martiri covria.
Ella i martiri accoglieva De la patria e de la fé*; E terribile scendeva Dio su '1 capo al goto re.
Via e via su balzi e grotte Va il cavallo al fren ribelle: Ei s' immerge ne la notte, Ei s' aderge in vèr' le stelle.
Ecco, il dorso d'Apennino Fra le tenebre scompar, E nel pallido mattino Mugghia a basso il tòsco mar.
698 RIME NUOVE
Ecco Lipari, la reggia Di Vulcano ardua che fuma E tra i bombiti lampeggia De Tardor che la consuma:
Quivi giunto il cavai nero Contro il ciel forte springò Annitrendo; e il cavaliere Nel cratere inabissò.
Ma dal Calabro confine Che mai sorge in vetta al monte? Non è il sole, è un bianco crine; Non è il sole, è un'ampia fronte
Sanguinosa, in un sorriso Di martirio e di splendor: Di Boezio è il santo viso. Del romano senator.
RIME NUOVE 609
LXXVII.
IL COMUNE RUSTICO
O
chp tra faggi e abeti erma su i campi Smeraldini la fredda ombra si stampi Al sole del mattiti, puro e leggero,
O che foscheggi immobile nel giorno Morente su le sparse ville intorno A la chiesa che prega o al cimitero
' < \ '
Che tace, o noci de la Carnia, addio! c^.^v^^-*'^*
»
Erra tra i vostri rami il pensier mio ,
Sognando V ombre d' un tempo che fu. >a>^>-**^ ^
Non paure di morti ed in congreghe J^ Diavoli goffi con bizzarre streghe, ^^
Ma del comun la rustica virtù
700 RIME NUOVE
Accampata a V opaca ampia frescura Veggo ne la^^^^ffgjffp flr ^ pp^"''^
Dopo lei. messa il giocna^de la fgsta.
Il consol dice, e poste ha pria le mani ^u.\c-. .* r^-i Sopra i santi segnacoli cristiani:
— Ecco, io parto fra voi quella foresta
D'abeti e pini ove al confin nereggia. E voi trarrete la mugghiante greggia E la belante a Quelle cime là. r * E voi, se r unno o se lo slavo invade, ^ "^V Eccovi, o figli, r aste, ecco le spade,
^ Morrete per la nostra libertà. -—
Un fremito d'orgoglio empieva i petti, Ergea le bionde teste; e de gli eletti In su le fronti il sol grande feriva.
Ma le donne piangenti sotto i veli Invocavan la madre alma de' cieli. Con la man tesa il console seguiva:
— Questo, al nome di Cristo e di Maria, ^ 4 Ordino e voglio che nel popol sia. — 0^ ^ A man levata il popol dicea, Si.
E le rosse giovenche di su'l prato Vedean passare il piccolo senato, Brillando su gli abeti il mezzodì.
RIME NUOVE 701
LXXVII. su I CAMPI DI MARENGO
LA NOTTE DEL SABATO SANTO 1175
C!)u i campi di Marengo batte la luna; fosco Tra la Bormida e il Tanaro s'agita e mugge un
bosco ; Un bosco d'alabarde, d'uomini e di cavalli, Che fuggon d' Alessandria da i mal tentati valli.
D' alti fuochi Alessandria giù giù da TApennino Illumina la fuga del Cesar ghibellino: I fuochi de la lega rispondon da Tortona, E un canto di vittoria ne la pia notte suona:
— Stretto è il leon di Svevia entro i latini acciari : Ditelo, o fuochi, a i monti, a i colli, a i piani, a i
mari. Diman Cristo risorge: de la romana prole Quanta novella gloria vedrai domani, o sole ! —
702 RIME NUOVE
Ode, e, poggiato il capo su l'alta spada, il sire Canuto d' Hohenzollern pensa tra sé — Morire Per man di mercatanti che cinsero pur ieri A i lor mal pingui ventri l'acciar de' cavalieri! —
E il vescovo di Spira, a cui cento convalli Empion le botti e cento canonici gli stalli, Mugola — O belle torri de la mia cattedrale. Chi vi canterà messa la notte di natale?
E il conte palatino Ditpoldo, a cui la bionda Chioma per V agii collo rose e ligustri inonda, Pensa — Dal Reno il canto de gli elfi per la bruna Notte va: Tecla sogna al lume de la luna. -^
E dice il magontino arcivescovo — A canto
De la mazza ferrata io porto V olio santo :
Ce n' è per tutti. Oh almeno foste de I' alpe
a' varchi, Miei poveri muletti d* italo argento carchi ! —
E il conte del Tirolo — Figli uol mio, te domane Saluterà de l'Alpi il sole ed il mio cane: Tuoi l'uno e l'altro; io, cervo sorpreso da i villani, Cadrò sgozzato in questi grigi lombardi piani. —
Solo, a piedi, nel mezzo del campo, al corridore Suo presso, riguardava nel ciel l'imperatore: Passavano le stelle su '1 grigio capo; nera Dietro garria co '1 vento l' imperiai bandiera.
RIME NUOVE 703 I
I
Affianchi, di Boemia e di Polonia i regi Scettro e spada reggevano, del santo impero i fregi. Quando stanche languirono le stelle, e rosseggiano Ne l'alba parean l'Alpi, Cesare disse -- Avanti!
A cavallo, o fedeli! Tu, Wittelsbach, dispiega Il sacro segno in faccia de la lombarda lega. Tu intima, o araldo: Passa l' imperator romano, Del divo Giulio erede, successor di Traiano. —
*
Deh come allegri e rapidi si sparsero gli squilli De le trombe teutoniche fra il Tanaro ed il Po, Quando in cospetto a l'aquila gli animi ed i vessilli D'Italia s'inchinarono e Cesare passò!
t
704 RIME NUOVE
LXXIX. FAIDA DI COMUNE
M,
.anda a Cuosa in vai di Serchio, Pisa manda ambasciatori: Del comun di santa Zita Ivi aspettano i signori.
Ecco vien Bonturo Dati, Mastro in far baratterie: Ecco Gino ed ecco Pecchio, Che spazzarono le vie:
Ecco il Feccia ed ecco il Truglia, Detti ancor bocche di luccio: Il miglior dì tutti è Nello, Merciaiuol popolaruccio.
RIME NUOVE 705
Tutti a nuovo in beli' arnese, Co '1 mazzocchio e con la spada: Il fruscio de le lor séte Empie tutta la contrada.
Il fruscio de le lor séte Chiama il popolo a raccolta: Gran dispregio han su le ciglia: Parlan tutti in una volta.
Ma Banduccio di Buonconte, Grave d'anni e più di gloria (Tre ferite ebbe di punta, Due di mazza a la Meloria),
Stando a capo de i pisani. Come vecchio e maggior deve, Fatto pria cenno d'onore. Cosi disse onesto e breve.
— - Vincitori si, ma stanchi Di contese e cristTani, Noi veniamo a segnar pace Co' lucchesi, noi pisani.
Render Buti, Avane, Asciano, Prometteste: or ce li date. E viviam, fratelli, in pace. Se viviamo in libertate. —
Carducci. 45
.706 RIME NUOVE
Qui Bonturo si fa innanzi Tra i lucchesi ambasciatori Di tre passi, e parla adorno Con retorici colori.
— Bel castello è Avane, e corte Fu de i re d' Italia un giorno. Vi si sente a mezza notte Pe' querceti un suon di corno.
Vi si sente a mezza notte La real caccia stormire. Dietro ad una lepre nera Un cavai nero annitrire.
Perché Astolfo longobardo D' una lepre ebbe contesa Con 1' abate Sighinulfo, Qual de' due V avesse presa :
Onde il re venuto in ira Trasse in faccia al santo abbate Una mazza, e tutte gli ebbe Le mascelle sgretolate.
Gran ricordi, e, come a seggio Di marchese, a Lucca grati. Pure Avane ed i suoi boschi Noi vogliam che vi sian dati.
RIME NUOVE 707
Brutto borgo è Buti: a valle Tra le rocce grige e ignude Il Riomagno brontolando Va di Bientina al palude.
Ma su alto oh come belli D' ubertà ridono i clivi, Ma su alto oh come lieti Ne r aprii svarian gli ulivi !
Bacchian li uomini le rame, Le fanciulle fan corona, E di canti la collina E di canti il pian risona,
Mentre pregni d'abon danza Ispumeggiano i frantoi Scricchiolando. Il ricco Buti Noi cediam, pisani, a voi.
Ma d' Asciano in van pensate : Quando a voi lo conquistammo Su le torri del castello Quattro specchi ci murammo,
A ciò che le vostre donne, Quando uscite a dameggiare, Ne gli specchi de i lucchesi Le si possan vagheggiare. —
708 RIME NUOVE
E qui surse tra i lucchesi Uno sconcio suon di risa. A i pugnali sotto i panni Miser mano quei di Pisa.
Ma Banduccio di Buonconte Con un cenno di comando Frenò V ire, e su i lucchesi Fieramente riguardando,
— Otto giorni — disse, e tese Contro Lucca avea le mani —, E vedrete quali specchi Han le donne de i pisani. —
Sette giorni: e a Pisa, in ponte, Tra gli albor crepuscolari. Era accesa una candela Di sol dodici denari.
Stava presso la candela, Tremolante nel bagliore, Co* pennoni del comune A cavallo un banditore.
E sonava a più riprese
De la tromba, e urlava forte:
— Viva il popolo di Pisa A la vita ed a la morte! ' «
I
RIME NUOVE 709
Cittadini di palagio, Mercatanti e buoni artieri; E voi conti di Maremma Da i selvatici manieri;
Voi di Corsica visconti, Voi marchesi de' confini; Voi che re siete in Sardegna Ed in Pisa cittadini;
Voi che in volta dal levante Mainaste or or la vela: Pria che arrossi la Verruca E si spenga la candela,
Fuori porta del Parlascio, Su, correte arditamente! Su, su, popolo di Pisa, Cavalieri e buona gente!
Fuori porta del Parlascio,
Con gran cuore, a lancia e spada!
Uguccion de la Faggiola
Messo ha in punto la masnada.
Tutto ferro V ampio busto,
Ed il grande capo ignudo.
Sta su M grande cavai bianco
E imbracciato ha il grande scudo.
710 RIME NUOVE
Che ben quattro partigiane Regge, e, come fosser ceci, De* lucchesi i verrettoni Regge infitti a dieci a dieci.
Cosi grida il banditore, E la gente accorre armata. Va co '1 sole di novembre, Va la fiera cavalcata.
Va per grige irsute stoppie Da la brina inargentate. Va per languidi oliveti, Va per vigne dispogliate.
Forte odora per le ville La vendemmia già matura: Ahi, quesf anno san Martina Dà la mala svinatura!
O lucchesi, il vostro santo Non è più, mi par, con voi. Il pisan cacciasi avanti Contadini e carri e buoi,
E battendo ed uccidendo Corre il misero paese; Fugge innanzi a quella furia, Fugge il popolo lucchese.
RIME NUOVE 711
Cosi giunge a San Friano La feroce cavalcata. Lucca dentro le sue torri Téme V ultima giornata.
I pisani oltre le mura Gittan faci e verrettoni. — Togli su, pantera druda, Togli su questi bocconi — .
Tali specchi, o Lucca bella, Pisa manda a le tue donne — . E rizzaron su la porta Due lunghissime colonne;
E due specchi in vetta in vetta, Grandi e grossi come bótti, V'appiccarono: ed intorno Menan balli e dicon motti.
Ma Tigrin de la Sassetta, Faccia ed anima cattiva, Trasse a corsa pe' capelli Un lucchese che fuggiva,
E la spada per le reni Una volta e due gli fisse; Tinse il dito entro quel sangue, Su la porta cosi scrisse:
712 RIME NUOVE
— Manda a te, Bonturo Dati, Che i lucchesi hai consigliati, Da la porta a San Friano Questo saluto il popolo pisano.
RIME NUOVE 713
LXXX.
NINNA NANNA DI CARLO V
I
n Brusselle, a Tostel, sola soletta, Di tre giovini sposi vedovetta, Sta Margherita d'Austria; e s'affretta Una camicia bianca ad agucchiare.
A lei da canto il nipotino in culla Con un magro levriero si trastulla : Ha le mascelle a guisa di maciulla, Cascante il labbro sotto; e infermo pare.
Di maligna caligine velate Intorno a lui si volgono tre fate, E del mal di tre secoli beate Tessono intorno a lui questo cantare.
714 RIME NUOVE
— Salve, o fanciul da la faccia cagnazza: Salve, o figliuol di Giovanna la pazza: Salve, o pollone de la mista razza Che dee la terra cristiana aduggiare.
La discordia de i sangui per tre rivi E il bulicame de i pensier cattivi E r accidia de gì' impeti mal vivi Sale nel tuo cervello a fermentare. —
Poi runa: — Io son la furia di Borgogna Che nulla attinge e tutto il mondo agogna. Io trassi il Temerario con vergogna Nel toro d' Uri indomito a cozzare.
E boccon giacque, corpo dispogliato, Tra i ghiaccinoli d' un lago innominato. Questo l'augurio il simbolo ed il fato Che lo tuo regno segua in terra e in mare.
— La vertigine io son — queir altra dice - Che tragge Max di pendice in pendice Per r alpe del Tirolo : e l' infelice, Seguendo me, dismenta ì' accattare.
Hallali, ballali, gente d' Habsburgo! Ad una caccia eterna io con te surgo; Poi nel sangue de i popoli mi pui^o, E nel tuo, dal travaglio del cacciare. — •
RIME NUOVE 715
— Ed io son la pazzia — la terza fata Dice — , e son de la morte innamorata: La bara per il talamo ho scambiata, E sol nel cataletto io posso amare.
Non odi tu Giovanna che si lagna?
T' aspetto a Yust. VuoJ sotto il ciel di Spagna,
Perché la razza tua meco rimagna,
Il mostruoso Escun'al iriurare, —
Poi tutt' e tre — - Nel cuor tuo brabanzone Il mezzogiorno ed il settentrione Saran con torbid' impeti a tenzone, Per poi in calma livida fiaccare.
O primo ereditario imperatore, O primo d' Etìrppa accentratore. Su '1 vecchio tempo che libero muore Vien' la rete dinastica a gettare.
Su M nuovo tempo che libero nasce, A cui Lutero dislaccia le fasce E di midolla di pensier lo pasce, Vien' la rete ecclesiastica a gettare.
E tu, Margotta, cucitrice ardita. Che in fretta meni su e giù le dita, . La camicia di Nesso è ancor finita? Presto! vogliam l'Europa imbavagliare, -t-
716 RIME NUOVE
LXXXI. A VITTORE HUGO
( XXVII FEBBRAIO 1881)
D,
a i monti sorridenti 'nel sole mattutino Scende l'epos d'Omero, che va fiume divino Popolato di cigni pe '1 verde asiaco pian.
Sorge aspra la tragedia d' Eschilo nel fatale Orror, fuma e lampeggia, e freme e tuona, quale Sovra il mar dì Sicilia per la notte un vulcan.
L' ode olimpia di Pindaro, aquila trionfale, Distende altera e placida il remeggio de l' ale Nel fulgente meriggio su i fòri e le città.
Tra quei libri di canti, nel mio studio, o Vittore, La tua canuta effige, piegata nel dolore La profetica testa su la man destra, sta.
RIME NUOVE 717
Pensi i figli o la patria? pensi il dolore umano? Non so; ma quando, o vate, raccolgo in quel-
r arcano
Dolore gli occhi e il cuor, Scordo i miei danni antichi, scordo il recente
danno, E rammemoro gli anni che fOro e che sa.ranno
E ciò che mai non muor. Colsi per r Appia via sur un tumulo ignoto E posi a la tua fronte, segnacol del mio vóto,
Un ramuscel d'allòr.. Poeta, a te il trionfo su la forza e su '1 fato ! ; Poeta, co '1 lucente piede tu hai calcato
Impero e imperatori
Chi novera a te gli anni? che cosa è a te la vita? Tu di Gallia e di Francia sei V anima infinita, Che al tuo gran cuor s'accolse per i secoli a voi. In te r urlo de* nembi su la britanna duna, E i sogni de' normanni piani al lume di luna, E Tardor del granito di Pirene erto al sol.
In te la vendemmiante sanità borgognotta. Il genio di Provenza che armonìe greche suona, L' estro che Marna e Senna gallico limitò. Tu vedevi i tettòsagi carri al grand' Ilio in- torno. Udivi in Roncisvalle del franco Orlando il corno. Ragionavi a Goffredo a Baiardo a Marceau.
718 RIME NUOVE
Come quercia druidica sta il tuo fatai lavoro. Biancovestite muse taglian con falce d' oro
Del sacro visco il fior. Da' soleggiati rami pendon V armi de gli avi, Pendon V arpe de' bardi ; ma 1' usignol ne' cavi
Scudi canta d' amor. Daiizan le figlie a 1' ombra, del maggio tra i
susurri, E i fanciulletti guardan con i grandi occhi azzurri
Sparsi i capelli d*òr; Però eh' ardua la vetta si perde ne la sera, E vi passa per entro co' lampi e la bufera
Il dio vendicator.
Poeta, su '1 tuo capo sospeso ho il tricolore Che da le spiaggie d'Istria da l'acque di Salvore La fedele di Roma, Trieste, mi mandò.
Poeta, la vittoria di Brescia a te d' avante Ne la parete dice — Qual nome e qual fiammante Anno nel sempiterno clipeo descriverò? —
Passan le glorie come fiamme di cimiteri, Come scenari vecchi crollan regni ed imperi: Sereno e fiero arcangelo move il tuo verso e va. Canta a la nuova prole, o vegliardo divino, Il carme secolare del popolo latino; Canta a '1 mondo aspettante. Giustizia e Libertà.
NOTE
LXXVl) p. 694. La facciata della basilica di San Zeno in Verona è, in basso e da' due lati della porta d' ingresso, scompartita in quatlri di marmo lucido istoriati. Sotto sei di que' quadri a sinistra, che rappresentano la creazione del- l' uomo e la cacciata dal paradiso terrestre, sono effigiate queste figure: in un primo ripartimento, un uomo a cavallo che va a caccia, in clamide, con staiTe e corno alla bocca: sopra si legge,
O regem alultu petit infernale tribtu
mojr. q. parali! r equas que misit demon iniqua s
exit aqua niidas pe
In un secondo ripartimento due cani che inseguono un cervo, e questo è preso per le corna da un uomo nudo che stringe nella sinistra mano un venabulo; sopra è inscritto.
720 RIME NUOVE
Il primo re degli Ostrogoti in Italia è nell* antica poesia te- desca denominato Teodorico di Verona; ed entra nei Nibe- lunghi e da ultimo nei miti odìnici del cacciatore demoniaco. La leggenda cattolica italiana, certo per quella breve tirannia che macchiò il fine del regno di lui, lo fa portato via dal dia- volo e gittato dalle anime di Simmaco e del pontefice Gio- vanni nelle caldaie di Lipari. I miei versi raccolgono, o, come dicevano i commediografi romani, contaminano, le due leg- gende, la germanica odinica, l' italiana cattolica.
LXVIII) p. 701. Soggetto di questa poesia è un fatto della sesta spedizione di Federico I in Italia, narrato e com- mentato dal Quìnet in Les revolutions d* Italie lib. i, cap. iv.
LXXIX) p. 704. Della favola il fondamento è storico : cfr. Cronaca di Pisa in Rer. itati. Script, x 987. Albertino Mus- sato, De gest. Italie, post. Henricum vii, ivi stesso x 594-95. L* ultima stanza è quasi a lettera da versi d' allora : cf. Can- tilene e ballate, Pisa, Nistri, 1871, p. 31. Fin certi nomi e qua- lificativi furono suggeriti dalle rime d'un poeta lucchese, Pietro Faitinelli, dei primi trent' anni del sec. xiv, pubbl. da Leone Del Prete, a Bologna, per il Romagnoli, 1774, nella disp. cxxix della Scelta di curiosità letterarie.
LXXX) p. 713. Margherita d' Austria, la " buona cuci- trice „ come gloriavasi ella " di camice „, e la storia ag- giunge, di trattati, non fu propriamente vedovella di tre ma- riti, perché il primo, Carlo viii di Francia, non le fu più vo- luto dare, dopo fidanzatala e fattala a ciò educare in Francia. E conosciuto V epitaffio che in certa occasione ella compose per sé :
Ci g!t Margot, la gente demoìsellé
Qu' eut deux maris et si mourut pucelle.
Il resto è storia generale.
RIME NUOVE 721
p. 714. Hallali è grido di caccia nella lingua francese, oggi accolto, credo, anche nelle nobili cacce italiane; e può accogliersi, parmi, perché in fine non è altro che un compo- sto d* interiezioni e di avverbi comuni alle due lingue.
4
LXXXI) p. 717. Il verso 22 allude alla conquista dell' Asia minore fatta nel 278 av. G. C. dai Galli, una cui tribù ac- campò su le rovine di Troia, et; -zh ^rd/cv ^^\\',fì't (Strab. xiii).
Carducci. 46
VII.
CA IRA
1— ;ie
Jieto su i colli di Borgogna splende E in vai di Marna a le vendemmie il sole; Il riposato suol piccardo attende L'aratro che l'inviti a nuova prole.
Ma il falcetto su 1' uve iroso scende , Come una scure, e par che sangue cóle: Nel rosso vespro l' arator protende L'occhio vago a le terre inculte e sole,
Ed il pungolo vibra in su i mugghianti Quasi che l'asta palleggiasse, e afferra La stiva urlando: Avanti, Francia, avanti I
Stride l'aratro in solchi aspri; la terra Fuma: l'aria oscurata è di montanti Fantasimi che cercano la guerra.
726 RIME NUOVE
LXXXIII.
s
on de la terra faticosa i figli Che armati Saigon le ideali cime, Gli azzurri cavalier bianchi e vermigli Che dal suolo plebeo la. Patria esprime.
E tu, Kleber, da gli arruffati cigli, Leon ruggente ne le linee prime; E tu via sfolgorante in tra i perigli. Lampo di giovinezza, Hoche sublime.
Desaix che elegge a sé il dovere e dona Altrui la gloria, e Tonda procellosa Di. Murat che s'abbatte a una corona;
E Marceau che a la morte radiosa Puro i suoi ventisette anni abbandona Come a le braccia d'arridente sposa.
RIME NUOVE 727
LXXXIV.
D,
a le -ree Tuglieri di Caterina Ove Luigi inginocchiossi a i preti, E a' cavalier bretanni la regina Partia sorrisi lacrime e segreti,
Tra l'afosa cai igin vespertina Sorge con atti né tristi né lieti Una forma, ed il fuso attorce e china, E con la rócca attinge alta i pianeti.
E fila e fila e fila. Tutte sere Al lume de la luna e de le stelle La vecchia fila, e non si stanca mai.
Brunswick appressa, e in fronte a le sue schiere La forca; e ad impiccar questa ribelle Genia di Francia ci vuol corda assai!
728 RIME NUOVE
LXXXV.'
L
un dopo V altro i messi di sventura Piovon come dal ciel. Longwy cadea. E i fuggitivi da la resa oscura S' affollan polverosi a V Assemblea.
— Eravamo dispersi in su le mura:
A pena ogni due pezzi un uom s'avea:
Lavergne dispari ne la paura:
L'armi fallian. Che più far si potea? —
— Morir — risponde V Assemblea seduta. Goccian per que' riarsi volti strane Lacrime: e parton con la fronte bassa.
Grande in ciel V ora del periglio passa. Batte con V ala. a stormo le campane. O popolo di Francia, aiuta, aiuta!
RIME NUOVE 729
LXXXVI.1
u,
dite, udite, ò cittadini. Ieri Verdun a V inimico apri le porte: Le ignobili sue donne a i re stranieri Dan fiori e fanno ad Artois.la corte,
E propinando i vin bianchi e- leggeri; • Ballano con gli ulani e con le scorte. Verdun, vile città di confettieri,: Dopo l' onta su te caschi la morte !
Ma Beaurepaire il vivere rifiuta Oltre r onore, e gitta ultima sfida L' anima a i fati a 1' avvenire e a noi.
La raccolgon dal ciel gli antichi eroi, E la non nata ancor gente ci grida: " O popolo di Francia, aiuta, aiuta. „
730 RIME NUOVE
LXXXVII.
C5u r ostel di città stendardo nero
— Indietro! • — dice al sole ed a l'amore: Romba il cannone, nel silenzio fiero,
Di minuto in minuto ammonitore.
Gruppo d' antiche statue severo Sotto i nunzi incalzantisi con V ore Sembra il popolo: in tutti, uno il pensiero
— Perché viva la patria, oggi si muore. —
In conspettò a Danton, pallido, enorme, Furie di donne sfilano, cacciando Gli scalzi figli sol di rabbia armati.
Marat vede ne V aria oscure torme D' uomini con pugnali erti passando, E piove sangue donde son passati.
RIME NUOVE 731
LXXXVIII.
LJna bieca druidica visione Su gli spiriti cala e gli tormenta: Da le torri papali d' Avignone Turbine di furor torbido venta.
O pass'fon de gli Albigesi, o lenta, De gli Ugonotti nobil passione, II vostro sangue bulica e fermenta E i cuori inebria di perdizione.
Ecco la pena e il tribunale orrendo
Che d'ombra immane il secol novo impronta!
Oh, sei la Francia tu, bianca ragazza
Che su '1 tremulo padre alta sorgendo A espiare e salvar bevi con pronta Mano il sangue de* tuoi da piena tazza?
732 RIME NUOVE
LXXXIX..
OTemono i rivi e mormorano i venti. Freschi a la savoiarda alpe natia. Qui suon di ferro, e di furore accenti. Signora di Lamballe, a V Abbadia.
E giacque, tra i capelli aurei fluenti, Ignudo corpo in mezzo de la via; E un parrucchier le membra anco tepentì Con sanguinose mani allarga e spia.
Come tenera e bianca, e come fina! Un giglio il collo e tra mughetti pare Garofano la bocca piccolina.
Su, co* begli occhi del color del mare, Su, ricciutella, al Tempio! A la regina Il buon di de la morte andiamo a dare.
RIME NUOVE 733
XC
o
h non mai re di Francia al suo levare Tali di salutanti ebbe un drappello! La fosca torre in quel tumulto pare Sperso nel mezzodì notturno uccello.
Ivi su '1 medio evo il secolare Braccio discese di Filippo il Bello, Ivi scende de V ultimo Templare Su r ultimo Capeto oggi V appello.
Ecco, mugge Torribite corteo:
La fiera testa in' su la picca ondeggia,
E batte a le finestre. Ed il re prono
Da le finestre d8< la trista reggia
Guarda il popolo, e a Dio chiede perdono
De la notte di San Bartolommeo.
1
734 RIME NUOVE
xa.
Al
1 calpestio de' barbari cavalli Ne Tavel si svegliò dunque Baiardo? E su le dolci orleanesi valli La Pulcella rileva il suo stendardo?
Da r Alta Sona e dal ventoso Cardo Chi vien cantando a i mal costrutti valli Sbarrati di tronchi alberi? E il gagliarda Vercingetorix co' suoi rossi Galli?
No: Dumoumez, la spia, nel cor riscuote Il genio di Condè: sopra la carta Militare uno sguardo acceso lancia,
Ed una fila di colline ignote
Additando — Ecco — dice —, o nuova Sparta.
Le felici Termopile di Francia,
RIME TJJUOVE 735
XCH.
Ou i colli de le Argonne alza il mattinò'
Brumoso, accidifoso e lutolento.
Il tricolor bagnato in su M mulino
Di Valmy chiede in vano il sole e il vento.
Sta, sta, bianco mugnaio. Oggi il destino
Per r avvenire macina V evento,
E l'esercito scalzo cittadino
Dà col sangue a la ruota il movimento. .
— Viva la patria — Kellermann, levata La spada in tra i cannoni, urla, serrate De' sanculotti 1' epiche colonne.
La marsigliese tra la cannonata Sorvola, arcangel de la nova etate, Le profonde foreste de le Argonne*
736 RIME NUOVE
xeni.
M,
-arciate, o de la patria incliti figli, De i cannoni e de' canti a l'armonia: Il giorno de la gloria oggi i vermigli Vanni a la danza del valore apria.
Ingombra di paura e di scompigli Al re di Prussia è del tornar la via: Ricaccia gli emigrati a i vili esigii La fame il freddo e la . dissenteria.
Livido sii quel gran lago di fango Guizza il tramonto, i colli d'un modesto Riso di sole attingono la gloria.
E da un gruppo d' oscuri esce Volfango Goethe dicendo: Al mondo oggi da questo Luogo incomincia la novella storia.
NOTE
LXXXH) p. 125. fa ira. Oggi è vezzo, non saprei se teo- rico, voler abbassare e impiccolire la rivoluzione francese: ^on tutto ciò il settei.iire del 1192 resta pur sempre il momento pili epico della storia moderna. Impossibile met- tere in versi quella storia, se non a brevi tratti : per ciò si elesse la forma del sonetto, che ne' secoli xm e xiv fu anche strofe.
LXXXVII) p. 730. Ostet di tUià è un francesimo ragione vole. Di ostello per casa abondano gli esempi nella prosa an- tica: ma troppo eran ancora miste le correnti delle lingue ro- manze nel duecento e nel trecento, e con gli esempi del buon secolo si potrebbe francamente scrivere il più beli' italiano in- franciosato che sia negl' ideali dei poltroni senza idee. Non mancano nella lingua poetica anche moderna: il Monti, Basv. [,
Invan si straccia il crin disperso e bianco In su la soglia del deserto ostello ;
non bene, della casa d'un villano: meglio, il Manzoni, nel Natale,
ad Efrata,
Vaticinato ostello.
Ascese un' alma vergine. Carducci. 47
738 RIME NUOVE
Per altro il Tommaseo nel Dizionario notò a ragione che ostello, in signif. di albergo, casa, ecc., è " raro anco nel verso „. Ma il Davila, nella Storia delle guerre civili di Fran- cia III 203, ha " il quale trasferendosi air ostello ( cosi chia- mano i palagi dei principali signori) trovò.... „ E questo è il caso nostro. — Valga anche per V ostel di Brusselle nella
LXXX.
XCIU) p. 136, w. 13 e 14. " Diesmal sagte ich: Von hier unde heute geht cine neue Epoche der Weltgeschichte aus,. und ihr kOnnt sagen, ihr seid dabei gewesen „. Goethe, Cam^ pagne in Frankreich; 19 september.
VII!
LA FIGLIA DEL RE DEGLI ELFI
Oa Stimmen der VOllter di Gottfr. v. Herder
v^avalca sir Òluf la notte lontano Per fare gl'inviti, eh' è sposo diman.
Or danzano gli elfi su '1 bel verde piano: La donna de gli elfi gli stende la man.
^ Ben venga sir Òluf! Perchè vuoi scappare? Vien dentro nel cerchio : vien, balla con me. —
— Ballare non devo, non posso ballare: È giorno di nozze dimani per me, —
— Se meco tu balli, scudiero gentile. Due d'oro speroni donare io ti vo',
Ed una camicia di seta, sottile,
Che al lume di luna mia madre imbiancò. —
742 RIME NUOVE
— Ballare non posso, non devo ballare: È giorno di nozze dimani per me. —
— Sir Òluf, ascolta: ti voglio donare
Un cumulo d'oro, se balli con me. —
— Il cumulo d'oro ben venga; ma poi Ballare non posso, che ho nozze diman. —
— Se meco, sir Òluf, ballare non vuoi,
Il morbo e il contagio ti accompagneran. —
E un colpo gli batte leggero su M cuore: Tal doglia sir Òluf più mai non senti.
Poi bianco il rialza sul suo corridore: — Ritorna a la sposa, ritorna cosi. —
E quando a. la porta di casa egli venne, Sua madre al vegnente gua,rdò con terror:
— Ascolta^ figliuolo: di' su, che t'avvenne? Perché cosi- smorto? che è quel pallor? —
— Come esser non debbo sf pallido e smorto? Nel regno de. gli. elfi m' avvenne d' entrar. —
— Figliuolo, la sposa sarà qui di corto: Che devo a la sposa, figjiuolo, contar?
— Le di' che a sollazzo cammino pe '1 bosco Con cane e cavallo, provandolo al fren. —
Ed ecco (il mattino tramava ancor fosco) La sposa e V allegro corteggio ne vien.
RIME NUOVE 743
Recavano cibi, recavano vino.
— Ov'è il mio sir Òluf? lo sposo dov'è? — — Usciva a sollazzo pe '1 bosco vicino
Con cane e cavallo, verrà presto a te. —
La sposa una rossa cortina solleva, E morto li dietro sir òluf giaceva.
I >
744 RIME NUOVE
xcv.
IL RE DI TULE
Dalle Ballate di W. Goethe
-L edel sino a T avello Egli era in Tuie un re:
Mori r amor suo bello, E un nappo d' òr gli die.
Nulla ebbe caro ei tanto, E sempre iiueJL.yuQtò :
Ma gli sgorgava il pianto Ognor ch'ei vi trincò.
Venuto a V ultim' ore
Contò le sue città: Die tutto al successore
Ma il nappo d'or non già.
RIME NUOVE 745
Ne r aula de gli alteri
Suoi padri a banchettar Sedè tra i cavalieri
Nel suo castello al mar.
Beve de la gioconda
Vita l'estremo ardor, E gittò il nappo a V onda
Il vecchio beviton
Piombar lo vide, lento
Empiersi e sparir giù; E giù gli cadde spento
L'occhio e non bevve più.
746 RIME NUOVE
xevi.
I TRE CAKTl
Dalle Ballate di L. Uhland
R.
.e Sifrido tien corte — Arpeggiatori, Il più bel canto qual di voi mi sa? — E un giovinetto esce di schiera fuori Snello: in man Tarpa, spada al fianco egli ha.
— Tre canti, o re, so io. Del primo è spento Da tempo ogni ricordo entro il tuo cor: Tu m'hai morto il fratello a tradimento; Tu m' hai morto il fratello, o traditor.
L* altro canto una notte, e urlava forte Il turbine, una notte ebbi a pensar: Tu hai da pugnar meco a vita e morte, A vita e morte hai meco da pugnar. —
RIME NUOVE
747
E appoggia Tarpa al tavolo; e già fuore Tratte han le spade arpeggiatore e re: Pugnano a lungo con fiero fragore Fin che cade ne T alta sala il re.
— Or canto il terzo, il canto mio più vago,
Né mai stanco a ridirlo mi farà.
Giace Sifrido re nel rosso lago
Del sangue suo, morto nel sangue sta. —
748 RIME NUOVE
XCVII. LA TOMBA NEL BUSENTO
Dcdle Ballate di A. v. Platen
c,
'upi a notte canti suonano Da Cosenza su M Busento, Cupo il fiume gli rimormora Dal suo gorgo sonnolento.
Su e giù pe '1 fiume passano E ripassano ombre lente:
Alarico i Goti piangono, Il gran morto di lor gente.
Ahi si presto e da la patria Cosi lungi avrà il riposo,
Mentre ancor bionda per gli omeri Va la chioma al poderoso!
RIME NUOVE 749
Del Busento ecco si schierano Su le sponde i Goti a pruova,
E dal corso usato il piegano Dischiudendo una via nuova.
Dove Tonde pria muggivano,
Cavan, cavano la terra; E profondo il corpo calano,
A cavallo, armato in guerra.
Lui di terra anche ricoprono
E gli arnési d'or lucenti: De r eroe crescan su V umida
Fossa T erbe de i torrenti !
Poi, ridotto a i noti tramiti,
Il Busento lasciò V onde Per l'antico letto valide
Spumeggiar tra le due sponde.
Cantò allora un coro d' uomini
— Dormi, o re, ne la tua gloria! Man romana mai non vToli
La tua tomba e la memoria! —
Cantò, e lungo il canto udivasi
Per le schiere gote errare: Recai tu, Busento rapido,
Recai tu da mare a mare.
750 RIME NUOVE
XCVIII.
IL PASSO DI RONCISVALLE
Dallo spagnolo e dal portoghese
-F
ermi, fermi, cavalieri, Che il re mandavi a contar. E contarono e contarono, Uno sol venne a mancar: Era questi don Beltrano Si gagliardo a battagliar. Là ne' campi d' Alventosa Tutti a dosso a lui serrar: Sol de* monti al tristo passo Lo poterono ammazzar.
RIME NUOVE 751
Tiran sette volte a sorte
Chi dovesse irlo a cercar.
Su '1 buon vecchio di suo padre
Tutt' e sette ricascar :
Le tre fu la rea fortuna,
Quattro fu malvagità.
Volge la briglia al cavallo,
A Tamara cerca va:
Va la notte per la strada.
Per la selva il giorno va.
Vanne il vecchio e seco piange, Cheto piange ne V andar, A i pastori dimandando Se han veduto indi passar Cavaliere d'armi bianche Sur un sauro a cavalcar. — Cavaliere d'armi bianche Sur un sauro a cavalcar Non vedemmo in queste parti Non vedemmo alcun passar. —
752 RIME NUOVE
E cavalca via e cavalca Fin che giunge a Roncisval. Fra la strage va il vegliardo, Fra la strage lento va: Tanto volta e volta i morti Che le braccia stracche n'ha: Non ritrova quel che cerca, E né meno il suo segnai: I francesi vide tutti. Ma non vide don Beltran.
Malediva, andando, il vino; Malediva, andando, il pan, Quel che mangia il Saracino E non quello del Cristian. Malediva arbor che nasce Solo a i campi senza ugual, Che del ciel tutti gli uccelli Vi si vengono a posar, Né di rami né di foglie Non lo lascian rallegrar.
RIME NUOVE 753
Maledia cavai ier eh' usi Senza paggio cavalcar: Se gli cade in via la lancia, Non ha uno a raccattar: Se gli cade in via lo sprone, Non ha uno a ricalzar. Malediva anche la donna Che un sol figlio seppe far: Se r uccidono i nemici, Non ha uno a vendicar.
A l'uscir del pian sabbioso, D' una gola in su V entrar, Vide un moro a una bertesca Solo e ritto a vigilar. Gli parlò l'araba lingua, Come quei che ben la sa: — Moro, prègoti per Dia: Moro, dimmi in verità: Cavaliere d'armi bianche Vedestù passar di qua?
Carducci. 48
754 RIME NUOVE
Lo vedesti a notte bruna O del gallo su M cantar? Che se tu lo tieni preso, Peso d'oro te 'n vo dar: Che se tu lo tieni morto, Rendimel per sotterrar; Poi che corpo senza l'alma Un denaro più non vai. — — Dimmi, amico, il cavaliere Dimmi tu che segni ha? —
— Le su€ armi sono bianche,
Ed è sauro il suo cavai.
Ne la guancia destra ha un segno
Che un sparvier lasciato gli ha:
Lo beccò eh* era bambino,
E ne porta anche il segnai.
Su la punta de la lancia
Leva un candido zendal:
Ricamòglielo la dama
Tutto di punto real. —
RIME NUOVE 755
— Questo cavaliere, amico, In quel prato morto sta: Ha le gambe dentro T acqua, Ne la rena il corpo egli ha. Sette punte egli ha nel petto. Non si sa qual più mortai; Che per V una gli entra il sole. La luna per V altra va, Ne la più piccola stavvi L'avvoltoio a divorar. —
— Non do colpa al mio figliuolo, Né vo'a'Mori colpa dar;
Do la colpa al suo cavallo, Che no*l seppe ritornar. — O miracoli chi '1 direbbe, Chi M potrebbe raccontar? Il cavallo mezzo morto Cosi prese a favellar:
— Non mi dare a me la colpa. Che no '1 seppi ritornar.
756 RIME NUOVE
Ben tre volte trassi a dietro Per poterlo in salvo trar: Tre mi die di sprone e briglia Pe'l desio di battagliar, E tre apersemi le cigne, Allargommi il pettoral : A la terza caddi a terra Con questa piaga mortai. —
RIME NUOVE 757
XCIX.
GHERARDO E GAIETTA
Dalle Romanze in francese antico pubbL da K. Bartsch
Oabato sera in fin di settimana Gaietta e Odor sua sorella germana Van per mano a bagnarsi a la fontana.
Soffi il vento, crolli la rama: Dolce dorme chi ben s'ama.
Scudier Gherardo vien da la quintana, Scorta ha Gaietta sopra la fontana, Tra le braccia la tien soave e piana.
Soffi il vento, crolli la rama: Dolce dorme chi ben s'ama.
— Quando tu avrai tratto de V acqua, Oriore, Tornati a dietro: io sto co '1 mio signore, Che ben m' ha presa, e co '1 suo dritto amore. -
Soffi il vento, crolli la rama: Dolce dorme chi ben s'ama.
758 RIME NUOVE
Ora se'n va bianca e smarrita Oriore, Piange de gli occhi, sospira del core, Che non rimena Gaia e n' ha dolore.
Soffi il vento, crolli la rama : Dolce dorme chi ben s' ama.
— Lassa — Orior dice — ed in mal* ora nata!
Mia sorella lasciai ne la vallata;
Gherardo al suo paese V ha menata. —
Soffi il vento, crolli la rama: Dolce dorme chi ben s'ama.
Scudier Gherardo e a lui Gaia abbracciata
La via per la città han seguitata:
Come vi venne, tosto V ha sposata.
Soffi il vento, crolli la rama: Dolce dorme chi ben s' ama.
RIME NUOVE 759
C. LA LAVANDAIA DI SAN GIOVANNI
Dal Romancero Castellano
M:
i levai per San Giovanni, Ch' era il sole per levar: .
Vidi, 0 madre, una fanciulla Sola sola in riva al mar.
Lava, attorce, e in un rosaio Stende i panni a rasciugar.
Mentre i panni il sol rasciuga, La fanciulla canta al mar:
— Dove, r amor mio, dove Dove Tanderò a cercar? —
Su dal mare, giù dal mare. Va dicendo il suo cantar:
Pettin d'oro ha ne le mani, La sua chiòma a pettinar.
760 RIME NUOVE
— Dimmi, tu bel marinaio, Cosi Dio ti voglia aitar,
Se r hai visto V amor mio, Se r hai visto là passar. —
RIME NUOVE 761
CI. IL PELLEGRINO DAVANTI A SANT JUST
Dalle Ballate di A. v. Platen
È
notte, e il nembo urla più sempre e il vento. Frati spagnoli, apritemi il convento.
Lasciatemi posar sino a i divini Misteri e al suon de' bronzi mattutini.
Datemi allor quel che potete dare; Date una bara ed uno scapolare,
Date una cella e la benedizione
A chi di mezzo mondo era padrone.
Questo capo a la chierca apparecchiato Fu di molte corone incoronato.
Questo a le rozze lane òmero inchino Levossi imperiai ne V ermellino.
Or morto in vista pria che in cimitero Ruino anch' io come l' antico impero.
762 RIME NUOVE
CU.
CARLO I
Dal Romancero di H. Heine
Wupo e solo, nel bosco, a la capanna Del carbonaio il re sedeva un di: A la culla sedea, la ninna nanna Ei brontolava al pargolo cosi.
— Ninna nanna ! Che cosa si rimescola Ne la paglia? perché bela Tovil? Tu porti il segno in fronte, e ridi orribile In mezzo al sonno, o bambolo gentil.
Il gatto è morto, ninna nanna! In fronte Tu il segno porti : crescerai d' età, E brandirai la scure, uom fatto: al monte Treman le querce e ne la selva già.
RIME NUOVE 763
Spari del carbonar V antica fede : Del carbonaro il figlio, ecco, su vien : Nel buon Dio, ninna nanna, ei più non crede, E nel re, ninna nanna, ancora men.
II gatto è morto, e i topi allegramente
Ballan d'intorno: il di lungi non è
Che diverremo favola a la gente,
Dio nel ciel, ninna nanna, e in terra io re.
Ahi mi cade il coraggio, e fuor di spene
10 mi sento malato ogni di più ! Ninna nanna, lo so, lo veggo bene: Carbonaietto, il mio boia sei tu.
E ninna nanna a te l'oscuro e lento Salmo di morte a me. Cresci a tagliar Questi grigi cernecchi : al collo, ahi, sento
11 freddo de le forbici strisciar.
Ninna nanna! qualcosa ne la paglia
Si rimescola: il regno hai preso tu!
Or via dal vecchio tronco abbatti è scaglia
Questo mio capo: il gatto è morto: giù.
Ninna nanna! la paglia si rimescola, Belan le capre ne lo stabbio pien, Il gatto è morto e i topolini ballano. Dormi, boietto mio, dormi per ben! —
764 RIME NUOVE
CHI.
L' IMPERATORE DELLA CINA
Da Zeitgedichte di, H. Heine
M^
io padre era un balordo astemio Cesare, Un sornione in trono: Io bevo la mia zozza, ed un magnanimo Imperatore io sono.
Oh magica bevanda, indovinata Dal mio paterno core!
10 bevo la mia zozza, e si dilata La Cina tutta in fiore.
11 mio regno del centro apre e si spampana
Come un bocciuol di rosa. Io quasi quasi un uom divento, e gravida Si trova la mia sposa.
RIME NUOVE 765
E una cuccagna! I moribondi in festa
Danno calci a le bare: Del mio Confucio imperiai la testa
Annaspa idee più chiare.
A' miei prodi soldati il pan di segala
Diventa mandorlato, E gli straccioni de V impero marciano
Tutti in seta e in broccato.
Quegli invalidi frolli, quelle ignude
Zucche de' mandarini, Ripigliano il vigor di gioventude
E scuotono i codini.
Compiuta è alfin la gran pagoda, mistico
Asil di fede e imago: Già gli ultimi giudei vi si battezzano
E han l'ordine del drago.
Posa ogni senso di ribellifone,
E gridano i Mansciù: — Noi non vogliam la costituzione.
Noi vogliamo il kansciù,
Vogliam la verga! — . II medico di corte
Fa gli occhi spaventati. Esculapio, io vo' ber fino a la morte
Per il ben de' miei stati.
766 RIME NUOVE
E zozza ancora! e zozza ancora! un gócciolo
Ancor di questa manna! II mio popol, vedete, è in visibilio,
E canta Osanna osanna!
RIME NUOVE 767
CIV. I TESSITORI
Da Zeitgedichte di H. Heine
N,
on han ne gli sbarrati occhi una lacrima, Ma digrignano i denti e a' telai stanno. — Tessiam, Germania, il tuo lenzuolo funebre, E tre maledizion V ordito fanno.
Tessiam, tessiam, tessiamo!
Maledetto il buon Dio! Noi Io pregammo Ne le misere fami, a i freddi inverni : Lo pregammo, e sperammo, ed aspettammo: Egli, il buon Dio, ci sazTò di scherni.
Tessiam, tessiam, tessiamo!
E maledetto il re! de i gentiluomini. De i ricchi il re, che viscere non ha! Ei ci ha spremuto infm V ultimo picciolo, Or come cani mitragliar ci fa.
Tessiam, tessiam, tessiamo!
768 RIME NUOVE
Maledetta la patria, ove alta solo Cresce T infamia e T abominazione! Ove ogni gentil fiore è pesto al suolo, E i vermi ingrassa la corruzione !
Tessiam, tessiam, tessiamo !
Vola la spola ed il telaio scricchiola. Noi tessiamo affannosi e notte e di: Tessiam, vecchia Germania, il lenzuol funebre Tuo, che di tre maledizion s' ordì.
Tessiam, tessiam, tessiamo ! —
NOTE
XCVIll) pag. T50. Meglio che traduzione, questa è ricompo- sizione epica di su diverse redazioni di romanze spagnole e portoghesi. Per le spagnole ebbi a vedere Depping, Romancero castellano, Leipzig, Brockhaus, 1844, n 90; Wolf e Hoffmann, Primavera y fior de romances, Berlin, Ascher, 1856, it 3Ì&320; per le portoghesi, Hardung, Romanceiro portugues, Leipzig, Brockhaus, 1811, i, 5. La verseggiatura è fedele al sistema della serie monoritma con le assonanze spagnole e con ottonari che non han sempre l' accento su la terza, come ne facevano il Sacchetti, Lorenzo il Magnifico e fin 1' elegantissimo Poliziano, e come ne fa tuttavia il popolo.
CHI) pag. 164. Tutti sanno che questo imperatore deìla Cina è Federigo Guglielmo [v, re di Prussia, fratello e prede- cessore di Guglielmo il vittorioso re e imperatore, che la iran pagoda è la cattedrale di Colonia e che l'ordine del drago è l'ordine dell'aquila nera. Del resto, non reputo inutile avver- tire alla licenza presami di rendere il vocabolo tedesco Schnaps, che non è proprio 1' acquavite, con la parola popolare toscana Boeaa, che signilica un miscuglio di liquori alcoolìci di qualità inferiori.
Carducci. 49
IX.
cv.
CONGEDO
Ij^oeta, o vulgo sciocco,
Un^pitocco f^'^'^^^-^
Non è già, che a 1' altrui„men5.a
Via con lallzi turpi e matti e, «,> -J-> - ' ■* '' "-i
Porta i piatti
Ed il pan ruba in dispensa.
E né meno è un perdigiorno
Che va intorno
Dando il capo ne' cantoni,
E co 'I naso sempre a 1' aria
Gli occhi svaria
Dietro gii angeli e i rondoni.
774 RIME NUOVE
E né meno è un giardiniero
Che il sentiero iDe la vita coM letame I Utilizza, e cavolfiori ;Pe' signori 'E viole ha per le dame.
Che al mestiere
Fece i muscoli d'acciaio:
Capo ha fier, collo robusto,
Nudo il busto,
Duro il braccio, e l'occhio gaio.
Non a pena Taugel pia
E giulia
Ride l'alba a la collina,
Ei co'l^ mantice ridesta
Fiamma e festa
E lavor ne la fucina;
E la fiamma guizza e brilla E sfavilla
E rosseggia balda audace, E poi sibila e poi rugge E poi fugge Scoppiettando da la brace.
RIME NUOVE 775
Che sia. ciò, non Io so io;
Lo sa Dio I Che sorride al grande artiero.
Ne le fiamme cosi ardenti
Gli elementi I De l'amore e del pensiero
Egli gitta, e le memorie
E le glorie
De' suoi padri e di sua gente.
Il passato e r avvenire
A fluire
Va nel masso incandescente.
Ei rafi'erra, e poi del maglio
Co M travaglio
Ei lo doma su T incude.
Picchia e canta II sole ascende,
E risplende
Su la fronte e V opra rude.
Picchia. E per la libertade
Ecco spade.
Ecco scudi di fortezza:
Ecco serti di vittoria
Per la gloria,
E diademi a la bellezza.
776
RIME NUOVE
Picchia. Ed ecco istoriati
A i penati
Tabernacoli ed al rito:
Ecco tripodi ed altari,
Ecco rari
Fregi e vasi pe '1 convito.
/
Per sé il pover manuale
Fa uno strale
D' oro, e il lancia contro M sole
Guarda come in alto ascenda
E risplenda,
Guarda e gode, e più non vuole.
I
ODI BARBARE
PRELUDIO
Odi
ydio l'usata poesia: concede comoda al vulgo i flosci fianchi e palpiti sotto i consueti amplessi stendesi e dorme.
^''}i:.i
A me la strofe vigile, balzante co '1 plauso e '1 piede ritmico ne' cori :_^ per l' ala a volo io còlgola, si volge ella e repugna.
Tal fra le strette d'amator silvano torcesi un'evia su'l nevoso Edone: più belli i vezzi del fiorente petto saltan compressi,
782 ODI BARBARE
e baci e strilli su V accesa bocca mescolisi : ride la marmorea fronte al sole, effuse in lunga onda le chiome fremono a' venti.
DELLE ODI BARBARE
LIBRO I.
Sehlechten, gesttìmperten Versen genflgt ein geringer Gehalt
schon,
Wahrend die edlere Form tiefe Gedanken bedarf:
Wollte man euer Gesehwatz auspragen zur sapphisehen Ode, Wtìrde die Wel einsehn dass es ein leeres Geschwàtz.
AuGUST V. Platen.
A oi che un sereno vapor d'ambrosia da la tua còppa diffuso avvolsemi, 0 Ebe con passo di dea trasvolata sorridendo via ;
non più deLtemPO-l' ombra o de l'algide cure su'l capo mi sento; sentomi, o Ebe, lj,£jlsttica vita tranquilla ,a e le_yetie_ flujrp.
E i ruinati giù pe 'I declivio de r età mesta giornirisursea o Ebe, nel tuo dolce lume agognanti di rinnovellaEg; Carducci.
786 ODI BARBARE
e i novelli anni da la caligine volenterosi la fronte adergono, o Ebe, al tuo raggio che sale tremolando e roseo li saluta.
A gli uni e gli altri tu ridi, nitida stella, da l'alto. Tale ne i gotici delubri, tra candide e nere cuspidi rapide salienti
con doppia al cielo fila marmorea, sta su r estremo pinnacol placida la dolce fanciulla di Jesse tutta avvolta di faville d' oro.
Le ville e il verde piano d' argentei fiumi rigato contempla aerea, le mèssi ondeggianti ne' campi, le raggianti sopra Talpe nevi:
a lei d'intorno le nubi volano; fuor de le nubi ride ella fulgida a r albe di maggio fiorenti, a gli occasi di novembre mesti.
ODI BARBARE 787
ALL' AURORA
Jl u sali e baci, o dea, co '1 roseo fiato le nubi, baci de' marmorei templi le fosche cime.
Ti sente e con gelido fremito destasi il bosco, spiccasi il falco a volo su con rapace gioia;
mentre ne Tumida foglia pispigliano garruli i nidi, e grigio urla il gabbiano su M violaceo mare.
Primi ne'l pian faticoso di te s'allegrano i fiumi tremuli luccicando tra'l mormorar de' pioppi:
corre da i paschi baldo vèr' l' alte fluenti il poledro sauro, dritto il chiomante capo, nitrendo a' venti:
vigile da i tuguri risponde la forza de i cani e di gagliardi mugghi tutta la valle suona.
788 ODI BARBARE
Ma r uom che tu svegli a oprar consumando la
vita, te giovinetta antica, te giovinetta eterna
ancor pensoso ammira, come già t'adoravan
su 'I monte ritti fra i bianchi armenti i nobili Aria padri.
Ancor sovra V ali del fresco mattino rivola r inno che a te su V aste disser poggiati i padri.
— Pastorella del cielo, tu, frante a la suora
gelosa le stalle, rfadduci le rosse vacche in cielo.
Guidi le rosse vacche, guidi tu il candido armento e le bionde cavalle care a i fratelli Asvini.
Come giovine donna che va da i lavacri a lo sposo riflettendo ne gli occhi il desYato amore,
tu sorridendo lasci cadérti i veli leggiadri e le virginee forme scuopri serena a i cieli.
Affocata le guance, ansante dal candido petto, corri al sovran de i mondi, al bel fiammante Suria,
e il giungi, e in arco distendi le rosee braccia
al gagliardo collo; ma tosto fuggi di quel tremendo i rai.
ODI BARBARE 789
Allora gli Asvini gemelli, cavalieri del cielo, rosea tremante accolgon te nel bel carro d' oro;
e volgi verso dove, misurato il cammino di gloria, stanco ti cerchi il nume ne i mister de la sera.
Deh propizia trasvola — cosi V invocavano i
padri — nel rosseggiante carro sopra le nostre case.
Arriva da le plaghe d' oriente con la fortuna, con le fiorenti biade, con lo spumante latte;
ed in mezzo a' vitelli danzando con floride chiome molta prole t'adori, pastorella del cielo. —
Cosi cantavano gli Aria. Ma piàcqueti meglio
V Imetto fresco di vénti rivi, che al ciel di timi odora:
piàcquerti su IMmetto i lesti cacciatori mortali prementi le rugiade co M coturnato piede.
Inchinaronsi i cieli, un dolce chiarore vermiglio ombrò la selva e il colle, quando scendesti, o dea.
Non tu scendesti, o dea: ma Cefalo attratto al
tuo bacio salia per V aure lieve, bello come un bel dio.
790 ODI BARBARE
Su gli amorosi venti salia, tra soavi fragranze, tra le nozze de i fiori, tra gì' imenei de' rivi.
La chioma d'oro lenta irriga il collo, a l'omero
bianco con un cinto vermiglio sta la faretra d' oro.
Cadde l'arco su l'erbe; e Lèlapo immobil con erto il fido arguto muso mira salire il sire.
Oh baci d' una dea fragranti tra la rugiada ! oh ambrosia de l'amore nel giovinetto mondo!
Ami tu anche, o dea? Ma il nostro genere è
stanco ; mesto il tuo viso, o bella, su le cittadi appare.
Languon fiochi i fanali; rincasa, e né meno ti
guarda, una pallida torma che si credè gioire.
Sbatte l' operaio rabbioso le stridule impòste, e maledice al giorno che rimena il servaggio.
Solo un amante forse che placida al sonno com- mise la dolce donna, caldo de' baci suoi le vene,
alacre affronta e lieto l'aure tue gelide e il viso: " Portami „, dice " Aurora, su '1 tuo corsier di
fiamma !
ODI BARBARE 791
ne i campi de le stelle mi porta, ond' io vegga
la terra tutta risorridente nel roseo lume tuo,
e vegga la mia donna davanti al sole che leva 1 sparsa le nere trecce giù pe '1 rorido seno. „ *
792 ODI BARBARE
NELL' ANNUALE DELLA FONDAZIONE DI ROMA
i e redimito di fior purpurei aprii te vide su '1 colle emergere da '1 solco di Romolo torva riguardante su i selvaggi piani:
te dopo tanta forza di secoli aprile irraggia, sublime, massima, e il sole e l'Italia saluta te, Flora di nostra gente, o Roma.
Se al Campidoglio non più la vergine tacita sale dietro il pontefice né più per Via Sacra il trionfo piega i quattro candidi cavalli.
ODI BARBARE 793
questa del Fòro tuo solitudine ogni rumore vince, ogni gloria; e tutto che al mondo è civile, grande, augusto, egli è romano ancora.
Salve, dea Roma! Chi disconósceti cerchiato ha il senno di fredda tenebra, e a lui nel reo cuore germoglia torpida la selva di barbarie.
Salve, dea Roma ! Chinato a i ruderi del Fòro, io seguo con dolci lacrime e adoro i tuoi sparsi vestigi, patria, diva, santa genitrice.
Son cittadino per te d' Italia, per te poeta, madre de i popoli, che desti il tuo spirito al mondo, che Italia improntasti di tua gloria.
Ecco, a te questa, che tu di libere genti facesti nome uno, Italia, ritorna, e s' abbraccia al tuo petto, affisa ne* tuoi d' aquila occhi.
E tu dal colle fatai pe '1 tacito Fòro le braccia porgi marmoree, a la figlia liberatrice additando le colonne e gli archi:
794 ODI BARBARE
gli archi che nuovi trionfi aspettano non più di regi, non più di cesari, e non di catene attorcenti braccia umane su gli eburnei carri;
ma il tuo trionfo, popol d'Italia, su r età nera, su V età barbara, su i mostri onde tu con serena giustizia farai franche le genti.
O Italia, o Roma ! quel giorno, placido tonerà il cielo su M Fòro, e cantici 1 di gloria, di gloria, dì gloria correran per V infinito azzurro.
ODI BARBARE 795
DINANZI ALLE TERME DI CARACALLA
worron tra'l Celio fosche e P Aventino le nubi : il vento dal pian tristo move umido: in fondo stanno i monti albani bianchi di neve.
A le cineree trecce alzato il velo
verde, nel libro una britanna cgixft queste minacce di romane mura al cielo e al tempo.
Continui, densi, neri, crocidanti versansi i corvi come fluttuando contro i due muri eh' a più ardua sfida levansi enormi.
796 ODI BARBARE
" Vecchi giganti, — par che insista irato l'augure stormo — a che tentate il cielo? „ Grave per Taure vien da Laterano suon di campane.
Ed un ciociaro, nel mantello avvolto, grave fischiando tra la folta barba, passa e non guarda. Febbre, io qui t* invoco, nume presente.
Se ti fùr cari i grandi occhi piangenti e de le madri le protese braccia te deprecanti, o dea, daM reclinato capo de i figli:
se ti fu cara su'l Palazio eccelso r ara vetusta (ancor lambiva il Tebro r evandrio colle, e veleggiando a sera tra M Campidoglio
e r Aventino il reduce quirite guardava in alto la città quadrata dal sole arrisa, e mormorava un lento saturnio carme);
Febbre, m' ascolta. Gli uomini novelli quinci respingi e lor picciole cose: religioso è questo orror: la^dea Roma qui dorme.
ODI BARBARE 797
Poggiata Hjcapo al Palatino augusjo, ^{^i -7 tra '1 Celio aperte e V Aventin le braccia, per la Capena i forti omeri stende a TAppia via.
798 ODI BARBARE
ALLA VITTORIA
TRA LE ROVINE DEL TEMPIO DI VESPASIANO
IN BRESCIA.
s
cuotesti, vergin divina, l'auspice ala su gli elmi chini dei pèltasti, poggiati il ginocchio a Io scudo, aspettanti con Taste protese?
o pur volasti davanti V aquile, davanti i flutti de' marsi militi, co '1 miro fulgor respingendo gli annitrenti cavalli de i Parti ?
Raccolte or V ali, sopra la galea del vinto insisti fiera co '1 poplite, qual nome di vittorioso capitano su '1 clipeo scrivendo ?
ODI BARBARE 799
È d' un arcónte, che sovra i despoti gloriò le sante leggi de' liberi ? d' un consol, che il nome i confini e il terror de V impero distese ?
Vorrei vederti su TAIpi, splendida fra le tempeste, bandir ne i secoli : " O popoli, Italia qui giunse vendicando il suo nome e il diritto. „
Ma Lidia intanto de i fiori eh' educa mesti r ottobre da le macerie romane V elegge un pio serto, e, ponendol soave al tuo piede,
" Che dunque — dice — pensasti, o vergine
cara, là sotto ne la terra umida
tanti anni ? sentisti i cavalli
d' Alemagna su '1 greco tuo capo ? „
" Sentii — risponde la diva, e folgora — però eh' io sono la gloria ellenica, io sono la forza del Lazio traversante nel bronzo pe' tempi.
Passar V etadi simili a i dodici avvoltai tristi che vide Romolo, e sursi " O Italia „ annunziando " i sepolti son teco e i tuoi numi „
800 ODI BARBARE
Lieta del fato Brescia raccolsemi, Brescia la forte, Brescia la ferrea, Brescia leonessa d'Italia beverata nel sangue nemico. „
ODI BARBARE 801
ALLE FONTI DEL CLITUMNO
A
ncor dal monte, che di foschi ondeggia frassini al vento mormoranti e lunge per r aure odora fresco di silvestri salvie e di timi,
scendon nel vespero umido, o Clitumno, a te le greggi : a te T umbro fanciullo la riluttante pecora ne V onda immerge, mentre
vèr' lui dal seno de la madre adusta, che scalza siede al casolare e canta, una poppante volgesi e dal viso tondo sorride:
Carducci. 51
802 ODI BARBARE
pensoso il padre, di caprine pelli ranche ravvolto come i fauni antichi, regge il dipinto plaustro e la forza de' bei giovenchi,
de' bei giovenchi dal quadrato petto, erti su '1 capo le lunate corna, dolci ne gli occhi, nivei, che il mite Virgilio amava.
Oscure intanto fumano le nubi su r Apennino : grande, austera, verde da le montagne digradanti in cerchio r Umbria guarda.
Salve, Umbria verde, e tu del puro fonte nume Clitumno ! Sento in cuor V antica patria e aleggiarmi su V accesa fronte gV itali iddii.
Chi r ombre indusse del piangente salcio su' rivi sacri ? ti rapisca il vento de l' Apennino, o molle pianta, amore d' umili tempi !
Qui pugni a' verni e arcane istorie frema co '1 palpitante maggio ilice nera, a cui d'allegra giovinezza il tronco r edera veste :
ODI BARBARE 803
qui folti a torno V emergente nume stieno, giganti vigili, i cipressi; e tu fra V ombre, tu fatali canta carmi, o Clitumno.
O testimone di tre imperi, dinne come il grave umbro ne' duelli atroce cesse a V astato velite e la forte Etruria crebbe:
di' come sovra le congiunte ville dal superato Cimino a gran passi calò Gradivo poi, piantando i segni fieri di Roma.
Ma tu placavi, indigete comune italo nume, i vincitori a i vinti, e, quando tonò il punico furore da '1 Trasimeno,
per gli antri tuoi sali grido, e la torta lo ripercosse buccina da i monti : — O tu che pasci i buoi presso Mevania caliginosa,
e tu che i proni colli ari a la sponda del Nar sinistra, e tu che i boschi abbatti sovra Spoleto verdi o ne la marzia Todi fai nozze.
U""
804 ODI BARBARE
lascia il bue grasso tra le canne^ lascia il torel fulvo a mezzo solco, lascia ne r inclinata quercia il cuneo, lascia la sposa a Tara;
• . e corri, corri, corri ! con la scure y )'x .i ^ - e ^Qj.j.| g co' dardi, con la clava e Tasta!
corri! minaccia gl'itali penati Ànnibal diro. —
Deh come rise d' alma luce il sole per questa chiostra di bei monti, quando urlanti vide e minanti in fuga l'alta Spoleto
i Mauri immani e i numidi cavalli con mischia oscena, e, sovra loro, nembi di ferro, flutti d' olio ardente, e i canti de la vittoria!
Tutto^^Xa^feeS, Nel serenq^^llgo
la tenue miro saliente vena:
trema, e d' un lieve pullular lo specchio
segna de V acque.
Ride sepolta a V imo una foresta breve, e rameggia immobile: il diaspro par che si mischi in flessuosi amori con r ametista.
ODI BARBARE 805
E di zaffiro i,fior paiono, ed hanno de r adamante rigido i riflessi, e splendon freddi e chiamano a i silenzi del verde fondo.
A pie de i monti e de le querce a T ombra co' fiumi, o Italia, è de' tuoi carmi il fonte. Visser le ninfe, vissero: e un divino talamo è questo.
Emergean lunghe ne' fluenti veli naiadi azzurre, e per la .cJieta.^er^ chiamavan aito le sorelle brune da le montagne,
•e danze sotto l' imminente luna guidavan, liete ricantando in coro fji Oj^nn ptfrno e quanto amor lo vinse di Camesena.
Egli dal cielo, autoctona virago ella: fu letto TApennin fumante: velaro i nembi il grande amplesso e nacque r itala gente.
Tutto ora tace, o vedovo Clitumno, tutto : de' vaghi tuoi delubri un solo t'avanza, e dentro pretestato nume tu non vi siedi.
806 ODI BARBARE
¥
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/
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Non più perfusi del tuo fiume sacro
/ / menano i tori, vittime orgogliose,
\
trofei romani a i templi aviti: Roma più non trionfa.
Più non trionfa, poi che un galileo di rosse chiome il Campidoglio ascese, gittolle in braccio una sua croce, e disse — Portala, e servi. —
Fuggir le ninfe a piangere ne* fiumi occulte e dentro i cortici materni, od ululando dileguaron come nuvole a i monti,
quando una strana compagnia, tra i bianchi templi spogliati e i colonnati infranti, procede lenta, in neri sacchi avvolta, litanì'ando,
e sovra i campi del lavoro umano sonanti e i clivi memori d* impero fece deserto, et il deserto disse regno di Dio.
Strappar le turbe a i santi aratri, a i vecchi padri aspettanti, a le fiorenti mogli; ovunque il divo sol benedicea, maledicenti.
ODI BARBARE 807
Maledicenti a V opre de la vita e de r amore, ei deliraro atroci congiugnimenti di dolor con Dio su rupi e in grotte:
discesero ebri di dissolvimento a le cittadi, e in ridde paurose al crocefisso supplicarono, empi, d' essere abietti.
Salve, o serena de Pllisso in riva, o intera e dritta a i lidi almi del Tebro anima umana! i foschi di passaro, risorgi e regna.
E tu, pia madre di giovenchi invitti a franger glebe e rintegrar maggesi e d' annitrenti in guerra aspri poliedri Italia madre,
madre di biade e viti e leggi eterne ed inclite arti a raddolcir la vita, salve! a te i canti de l'antica lode io rinnovello.
Plaudono i monti al carme e i boschi e V acque de r Umbria verde: in faccia a noi fumando ed anelando nuove industrie in corsa fischia il vapore.
808 ODI BARBARE
ROMA
R
.orna, ne Taer tuo lancio T anima altera vo- lante : accogli, o Roma, e avvolgi 1' anima mia di luce.
Non curioso a te de le cose piccole io vengo: chi le farfalle cerca sotto Tarco di Tito?
Che importa a me se l' irto spettral vinattier di
Stradella mesce in Montecitorio celie allobroghe e ambagi?
e se il lungi operoso tessitor di Biella s* impiglia, ragno attirante in vano, dentro le reti sue?
Cingimi, o Roma, d' azzurro, di sole m' illumina,
o Roma: raggia divino il sole peMarghi azzurri tuoi.
ODI BARBARE 809
Ei benedice al fosco Vaticano, al bel Quirinale, al vecchio Capitolio santo fra le mine;
e tu da i sette colli protendi, o Roma, le braccia a l'amor che diffuso splende per Taure chete.
Oh talamo grande, solitudini de la Campagna! e tu Soratte grigio, testimone in eterno!
Monti d'Alba, cantate sorridenti l'epitalamio; Tuscolo verde, canta; canta, irrigua Tivoli;
mentr' io da '1 Gianicolo ammiro l' imagin de
r urbe, nave immensa lanciata vèr' l' impero del mondo.
O nave che attingi con la poppa l'alto infinito, varca a' misteriosi lidi l' anima mia.
Ne' crepuscoli a sera di gemmeo candore fulgenti tranquillamente lunghi su la Flaminia via,
r ora suprema calando con tacita ala mi sfiori la fronte, e ignoto io passi ne la serena pace;
passi a i concini de l'ombre, rivegga li spiriti
magni de i padri conversanti lungh'esso il fiume sacro.
810 ODI BARBARE
ALESSANDRIA
A GIUSEPPE REGALDI QUANDO PUBBLICÒ L'EGITTO
N,
e r aula immensa di Lussor, su *1 capo roggio di Ramse il mistico serpente sibilò ritto e'I vulture a sinistra volò stridendo,
e da r immenso serapeo di Memfi, . cui stanno a guardia sotto il sol candente seicento sfìngi nel granito argute, Api muggio,
quando da i verdi immobili papiri di Mareoti al livido deserto sonò, tacendo V aure intorno, questo greco peana.
ODI BARBARE 811
Ecco, venimmo a salutarti, Egitto, noi figli d' Elle, con le cetre e V aste. Tebe, dischiudi le tue cento porte ad Alessandro.
Noi radduciamo a Giove Ammone un figlio ch*ei riconosca; questo caro alunno de la Tessaglia, questa bella e fiera stirpe d' Achille.
Come odoroso laureto ondeggia
a lui la chioma: la sua rosea guancia
par Tempe in fiore: ha ne' grand' occhi il sole
eh' a Olimpia ride:
ha de l'Egeo la radiante in viso pace diffusa; se non quanto, bianche nuvole, i sogni passanvi di gloria e poesia.
Ei de la Grecia a la vendetta balza leon da l'aspra tessala falange, sgomina carri ed elefanti, abbatte satrapi e regi.
Salve, Alessandro, in pace e in guerra iddio? A te la cetra fra le eburnee dita, a te d' argento il fulgid' arco in pugno, presente Apollo!
812 ODI BARBARE
A te i colloqui di Stagira, i baci a te co* serti de le ionie donne, a te la coppa di Lieo spumante, a te l'Olimpo.
Lisippo in bronzo ed in colori Apelle ti tragga eterno; ti sollevi Atene, chete de' torvi demagoghi l' ire, al Partenone.
Noi ti seguiamo: il Nilo in vano occulta i dogmi e il capo a la possanza nostra: noi farem pace qui tra i numi e al mondo luce comune.
E se ti piaccia aggiogar tigri e linci, Bacco novello, noi verrem cantando, te duce, in riva al sacro Gange i sacri canti d' Omero.
Tale il peana de gli achei sonava. E il giovin duce, liberato il biondo capo da 1' elmo, in fronte a la falange guardava il mare.
Guardava il mare e l' isola di Faro innanzi, a torno il libico deserto interminato: dal sudato petto r aurea corazza
ODI BARBARE 813
sciolse, e gittolla splendida nel piano: " Come la mia macedone corazza stia nel deserto e a* barbari ed a gli anni regga Alessandria „.
Disse; ed i solchi a le nascenti mura ei disegnava per ottanta stadi, bianco spargendo su le flave arene fior di farina.
Tale il nipote del Pelide estrusse la sua cittade; e Faro, inclito nome di luce al mondo, illuminò le vie d' Africa e d' Asia.
E non il flutto del deserto urtante e non la fuga dei barbarici anni valse a domare quella balda figlia del greco eroe.
Alacre, industre, a la sua terza vita ella sorgea, sollecitando i fati, qual la vedesti, o pellegrin poeta, ammiratore,
quando fuggendo la incombente notte di tirannia, pien d' inni il caldo ingegno, ivi chiedendo libertade e luce a r orì'ente.
814 ODI BARBARE
e SU le tombe di turbanti insculte star la colonna di Pompeo vedesti come la forza del pensier latino suM torbid'evo.
Deh, le speranze de V Egitto e i vanti nel tuo volume vivano, o poeta! Oggi Tifone T ire del deserto agita e spira.
Sepolto Osiri, il latratore Anubi morde ai calcagni la fuggente Europa, e avanti chiama i bestiali numi a le vendette.
Ahi vecchia Europa, che su'l mondo spargi r irrequieta debolezza tua, come la triste fisa a V orfente sfinge sorride!
ODI BARBARE 815
IN UNA CHIESA GOTICA
S
ergono e in agili file dilungano gV immani ed ardui steli marmorei, e ne la tenebra sacra somigliano di giganti un esercito
che guerra mediti con l'invisibile: le arcate salgono chete, si slanciano quindi a voi rapide, poi si rabbracciano prone per Talto e pendule.
Ne la discordia cosi de gli uomini di fra i barbarici tumulti salgono a Dio gli aneliti di solinghe anime che in lui si ricongiungono.
816 ODI BARBARE
Io non Dio chieggovi, steli marmorei,
m
arcate aeree: tremo, ma vigile
al suon d' un cognito passo che piccolo
i solenni echi suscita,
È Lidia, e volgesi: lente nel volgersi le chiome lucide mi si disegnano, e amore e il pallido viso fuggevoli tra il nero velo arridono.
Anch'ei, tra'l dubbio giorno d* un gotico tempio avvolgendosi, V Alighier, trepido cercò r imagine di Dio nel gemmeo pallore d' una femina.
Sott' esso il candido vel, de la vergine la fronte limpida fulgea ne Testasi, mentre fra nuvoli d'incenso fervide le litanie saliano ;
salian co' murmuri molli, co* fremiti lieti saliano d'un voi di tortore, e poi con T ululo di turbe misere che al ciel le braccia tendono.
Mandava T organo pe' cupi spazii sospiri e strepiti: da l'arche candide parca che T anime de' consanguinei sotterra rispondessero.
ODI BARBARE 817
Ma da le mitiche vette di Fiesole
«
tra le pie storie pe' vetri roseo guardava Apolline: su T aitar massimo impallidiano i cerei.
E Dante ascendere tra inni d' angeli la tósca vergine transfigurantesi vedea, sentiasi sotto i pie rùggere rossi d' inferno i baratri.
Non io le angeliche glorie né i dèmoni, io veggo un fievole baglior che tremola per r umid' aere : freddo crepuscolo fascia di tedio T anima.
Addio, semitico nume! Continua ne* tuoi misteri la morte domina. O inaccessibile re de gli spiriti, tuoi templi il sole escludono.
Cruciato màrtire tu cruci gli uomini, tu di tristizia V aèr contamini : ma i cieli splendono, ma i campi ridono, ma d'amore lampeggiano
gli occhi di Lidia. Vederti, o Lidia, vorrei tra un candido coro di vergini danzando cingere Tara d' Apolline alta ne* rosei vesperi
Carducci. 52
818 ODI BARBARE
raggiante in pario marmo tra i lauri, versare anemoni da le man, gioia da gli occhi fulgidi, dal labbro armonico un inno di Bacchilide.
ODI BARBARE 819
NELLA PIAZZA DI SAN PETRONIO
C5uì
irge nel chiaro inverno la fosca turrita Bo- logna, e il colle sopra bianco di neve ride.
È l'ora soave che il sol morituro saluta le torri e '1 tempio, divo Petronio, tuo;
le torri i cui merli tanf ala di secolo lambe, e del solenne tempio la solitaria cima.
Il cielo in freddo fulgore adamantino brilla; e r aèr come velo d' argento giace
su M fòro, lieve sfumando a torno le moli che levò cupe il braccio clipeato de gli avi.
820 ODI BARBARE
Su gli alti fastigi s' indugia il sole guardando con un sorriso languido di vifola,
che ne la bigia pietra nel fosco vermiglio mattone par che risvegli V anima de i secoli,
e un desio mesto pe**l rigido aere sveglia di rossi maggi, di calde aulenti sere,
quando le donne gentili danzavano in piazza e co' i re vinti i consoli tornavano.
Tale la musa ride fuggente al verso in cui trema un desiderio vano de la bellezza antica.
ODI BARBARE 821
LE DUE TORRI
ASINELLA.
I
o d' Italia dal cuor tra impeti d' inni balzai quando 1' Alpi di barbari snebbiarono e su M populeo Po pe '1 verde paese i carrocci tutte le trombe reduci suonavano.
GARISENDA.
Memore sospirai sorgendo e la fronte io piegai
su le ruine e su le tombe. Irnerio
curvo tra i gran volumi sedeva e di Roma la
grande lento parlava al palvesato popolo.
822 ODI BARBARE
ASINELLA.
Bello di maggio il di ch'io vidi su'I ponte di Reno passar la gloria libera del popolo, sangue di Svevia, e te chinare la bionda cervice a r ondeggiante rossa croce italica.
GARISENDA.
Triste mese di maggio, che intorno al bel corpo
d' Imelda cozzar le spade de i fratelli e corsero lunghi quaranta giorni le furie civili crollando tra '1 vasto sangue V ardue torri in polvere.
ASINELLA.
Dante vid' io levar la giovine fronte a guardarci, e, come su noi passano le nuvole, vidi su lui passar fantasmi e fantasmi ed intorno premergli tutti i secoli d* Italia.
GARISENDA.
Sotto vidimi il papa venir con V imperatore r un a r altro impalmati; ed oh me misera, in suo giudicio Dio non volle che io ruinassi su Carlo quinto e su Clemente settimo !
ODI BARBARE 823
FUORI ALLA CERTOSA DI BOLOGNA
O
h caro a quelli che escon da le bianche e
tacite case de i morti il sole! Giunge come il bacio d' un dio:
bacio di luce che inonda la terra, mentre alto ed
immenso cantano le cicale V inno di messidoro.
II piano somiglia un mare superbo di fremiti e
d'onde: ville, città, castelli emergono com* isole.
Slanciansi lunghe tra M verde polveroso e i pioppi
le strade: varcano i ponti snelli con fughe d' archi il fiume.
824 ODI BARBARE
E tutto è fiamma ed azzurro. Da Talpe là giù
di Verona guardano solitarie due nuvolette bianche.
Delia, a voi zefiro spira da '1 colle pio de la
Guardia che incoronato scende da V Apennino al piano,
v' agita il candido velo, e i ricci commove scor- renti giù con le nere anella per la superba fronte.
Mentre domate i ribelli, gentil, con la mano
chinando gli occhi onde tante gioie promette in vano
Amore,
udite (a voi de le Muse lo spirito in cuore fa- vella), udite giù sotterra ciò che dicono i morti.
Dormono a' pie qui del colle gli avi umbri che
ruppero primi a suon di scuri i sacri tuoi silenzi, Apennino:
dormon gli etruschi discesi co M lituo con Tasta
con fermi gli occhi ne Talto a' verdi misteriosi clivi,
ODI BARBARE 825
e i grandi celti rossastri correnti a lavarsi la
strage ne le fredde acque alpestri eh' ei salutavan Reno,
e Talta stirpe di Roma, e il lungo-chiomato
lombardo eh' ultimo accampò sovra le rimboschite cime.
Dormon con gli ultimi nostri. Fiammeggia il
meriggio su M colle: udite, o Delia, udite ciò che dicono i morti.
Dicono i morti — Beati, o voi passeggeri del
colle circonfusi da' caldi raggi de V aureo sole.
Fresche a voi mormoran V acque pe '1 florido
clivo scendenti, cantan gli uccelli al verde, cantan le foglie al
vento.
A voi sorridono i fiori sempre nuovi sopra la
terra : a voi ridon le stelle, fiori eterni del cielo. —
Dicono i morti — Cogliete i fiori che passano
anch' essi, adorate le stelle che non passano mai.
826 ODI BARBARE
Putridi squagliansi i serti d' intorno i nostri
umidi teschi: ponete rose a torno le chiome bionde e nere.
Freddo è qua giù: siamo soli. Oh amatevi al
sole! Risplenda su la vita che passa V eternità d' amore. —
;-
ODI BARBARE 827
SU L' ADDA
worri, tra' rosei fuochi del vespero, corri, Addua cerulo: Lidia su M placido fiume, e il tenero amore, al sole occiduo naviga.
Ecco, ed il memore ponte dilungasi : cede r aereo de gli archi slancio, e al liquido s' agguaglia pian che allargasi e mormora.
Le mura dirute di Lodi fuggono arrampicandosi nere al declivio verde e al docile colle. Addio, storia de gli uomini.
828 ODI BARBARE
Quando il romuleo marte ed il barbaro ruggir ne' ferrei cozzi, e qui vindice la rabbia di Milano arse in itali incendii,
tu ancor dal Lario verso V Eridano scendevi, o Addua, con desio placido, con murmurc solenne, giù pe' taciti pascoli.
Quando su '1 dubbio ponte tra i folgori passava il pallido còrso, recandosi di due secoli il fato ne Tesile man giovine,
tu il molto celtico sangue ed il teutono lavavi, o Addua, via: su le tremule acque il nitrico fumo putrido disperdeasi.
Modano gli ultimi tuon de la folgore franca ne i concavi seni: volgeasi da i limpidi lavacri il bue candido, attonito.
Ov' è or r aquila di Pompeo? 1' aquila
ov' è de r ispido sir di Soavia
e del pallido còrso?
Tu corri, o Addua cerulo.
ODI BARBARE 82^
Corri tra' rosei fuochi del vespero, corri, Addua cerulo: Lidia su '1 placido fiume, e il tenero amore, al sole occiduo naviga.
Sotto r olimpico riso de V aere
la terra palpita: ogni onda accendesi
e trepida risalta
di fulgidi amor turgida.
Molle de' giovani prati V effluvio
va sopra V umido pian : Tacque a' margini
di gemiti e sorrisi
un suon morbido frangono.
E il legno scivola lieve: tra le uberi sponde lo splendido fiume devolvesi : trascorrono de' campi i grandi alberi, e accennano,
e giù da gli alberi, su da le floride siepi, per V auree strisce e le rosee, s' inseguono gli augelli e amore ilari mescono.
Corri tra' rosei fuochi del vespero, corri, Addua cerulo: Lidia su '1 placido fiume naviga, e amore d' ambrosia irriga T aure.
830 ODI BARBARE
Tra' pingui pascoli sotto il sole aureo tu con r Eridano scendi a confo;iderti : precipita a V occaso il sole infaticabile.
O sole, o Addua corrente, V anima per un elisio dietro voi naviga: ove ella e il mutuo amore, o Lidia, perderannosi?
Non so; ma perdermi lungi da gli uomini amo or di Lidia nel guardo languido, ove nuotano ignoti desiderii e misterii.
ODI BARBARE 831
DA DESENZANO
A G. R.
vJTino, che fai sotto i felsinei portici ? mediti come il gentil fior de l'Eliade d'Omero al canto e a lo scalpel di Fidia lieto sorgesse nel mattin de i popoli?
Da r Asinella gufi e nibbi stridono invidiando e i cari studi rompono. Fuggi, deh fuggi da coteste tenebre e al tuo poeta, o dolce amico, vientene.
Vienne qui dove Tonda ampia del lidio Iago tra i monti azzurreggiando palpita: vieni: con voce di faleuci chiamati Sirmio che ancor del suo signore allegrasi.
832 ODI BARBARE
Vuole Manerba a te rasene istorie, vuole Muniga attiche fole intessere, mentre su i merli barbari fantasimi armi ed amori con il vento parlano.
Ascoltiam sotto anacreòntea pergola o a la platonia verde ombra de' platani, freschi votando gì' innovati calici che la Riviera del suo vino imporpora.
Dolce tra i vini udir lontane istorie d'atavi, mentre il divo sol precipita e le pie stelle sopra noi viaggiano e tra 1' onde e le fronde l' aura mormora.
Essi che queste amene rive tennero te, come noi, bel sole, un di goderono, o ti gittasser belve umane un fremito da le lacustri palafitte, o agili
Veneti a V onda le cavalle dessero trepida e fredda nel mattino roseo, o co '1 terreno lituo segnassero nel mezzogiorno le pietrose acropoli.
Gino, ove inteso a le vittorie retiche o da le dacie glorioso il milite in vigil ozio r aquile romulee su '1 lago affisse ricantando Cesare,
ODI BARBARE 833
ivi in fremente selva Desiderio agitò a caccia poi cignali e daini;! fermo il pensiero a la corona ferrea fulgida in Roma per la via de' Cesari.
Gino, ove il giambo di. Catullo rapido Tala apri sovra la distesa cerala, Lesbia chiamando tra l'odor deMauri con un saliente gemito per V aere,
ivi il compianto di lombarde monache salmodiando ascese vèr' la candida luna e la requie mormorò su i giovani pallidi stesi sotto 1' asta francica.
E calerem noi pur giù tra i fantasimi cui né il sol veste di fulgor purpureo né le pie stelle sovra il capo ridono né de la vite il frutto i cuor letifica.
Duci e poeti allor, fronti sideree, ne moveranno incontro, e " Di qual secolo — dimanderanno — di qual triste secolo a noi venite, pallida progenie?
A voi tra' cigli torva cura infoscasi e da r angusto petto il cuore fumiga. Noi ne la vita esercitammo il muscolo, e discendemmo grandi ombre tra gì' inferi „.
Carducci. 53
834 ODI BARBARE
Gino, qui sotto anacreòntea pergola o a la platonia verde ombra de* platani, qui, tra i bicchieri che il vin fresco imporpora, degna risposta meditiamo. Versasi •
cerula notte sovra il piano argenteo, move da Sirmio una canora imagine giù via per 1* onda che soave mormora riscintillandò e al curvo lido infrangesi.
ÒDI BARBARE 835
! 1
SIRMIONE
j—icco : la verde Sìrmio nel lucido lago sorride,
f
fiore de le penisole.
Il ' sol la guarda e vezzeggia: somiglia d* intorno
il Benaco una gran tazza argentea,
cui placido olivo per gli orli nitidi corre misto a l'eterno lauro.
Questa raggiante coppa Italia madre protende, alte le braccia, a-i superi ;
ed essi da i deli cadere vi lasciano Sirmio, gemma de le penisole.
836 ODI BARBAI^
Baldo, paterno monte, protegge la bella da l'alto coM sopracciglio torbido:
il Gu sembra un titano per lei caduto in battaglia, supino e minaccevole.
Ma incontro le porge dal seno lunato a sinistra Salò le braccia candide,- •
lieta come fanciulla che in danza entrando ab- bandona le chiome e il velo a V aure,
e ride e gitt^ fiori con le man' piene, e di fiori le esulta il capo giovine.
Garda là in fondo solleva )a ròcca sua fosca sovra. lo specchio liquido,
cantando una saga d'antiche cittadi sepolte e di regine .bart>are.
• • r '
Ma qui, Lalage, donde per tanta pia gioia d' az-
. ; . . zurro
tu mandi il guardo e l'.anima, , / : . .
qui Valerio Gatulto^ legato :giù a^ nitidi sassi il fasèlo bitinico, .: ,. .
ODI BARBARE 837
sedeasi i lutighi giorni, e gli occhi di Lesbia ne
V onda fosforescente e tremula,
e'I perfido rilsoi di Lesbia e i niultfvoli ardori vedea ne V onda vitrea,
mentr* ella stancava pe' neri angiporti le reni a. i nepoti di Romolo.
A lui da gli umidi fondi la ninfa del lago cantava " : yi^ni, o Quinto Valerio.
l'I 1 , •
Qui ne le nostre grotte discende anche il sole,
; ma bianco
e mite come Cintia.
Qui d^ la vostra vita gli assidui tumulti :un
lontano d' api susurro paiono,
e nel silenzio .freddo le insanie e le trepide cure in lento oblio si sciolgono.
Qui '1 fresco, qui '1 sonno, qui musiche leni ed
i cori de le cernie vergini,
mentr* Espero allunga la rosea face su V acque e i flutti al lido gemono „.
838 ODI BARBARE
Ahi. triste Amorۓ! egli odia le Musie, e. lascivo
,. ; , i poeti
frange o li spegne tragica. . ...
Ma chi .da gli occhi tuoi che Junghe intentano
.;.-':'. ' >/.:.■■ ■• guerre, chi ne assicura, o Lalage?
: I » . . .. i .
Cogli a le pure Muse tre rami di làuro e di; mirto, e -al Sole eterno li agita.
* i
Non da Peschiera vedi natanti le schiere de* cigni giù per il Mincio argenteo?
'c \ • ■ .. ■' ..r ...
da' vérdi paschi dove Bianore dorme non odi la voce di Virgilio? '
Volgiti, Lalage, e adora. Un grande severo s af- faccia a la torre scaligera. ' '
— Suso in Italia bèlla — sorridendo eì mormora,
e guarda r acque la terra e V aere.
1 ' 1
< I
Om BARBARE 839
. 1
DAVANTI '
IL CASTEL VECCHIO DI VERONA
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i al mormoravi possente e rapido sotto i romani ponti, o verde Adige, brillando dal limpido gorgo, la tua scorrente canzone al sole,
quando Odoacre dinanzi a l'impeto di Teodorico cesse, e tra V erulo eccidio passavan su i carri diritte e bionde le donne amale
entro la bella Verona, odìnici
carmi intonando : raccolta al vescovo.
intorno, V italica plebe
sporgea la croce supplice a' Goti.
840 OBI BARBARE
Tale da i monti di neve rigidi, ne la diffusa letizia argentea del placido verno, o fuggente infaticato, mormori e vai
sotto il merlato ponte scaligero, tra nere moli, tra squallidi alberi, a i colli sereni, a le torri, onde abbrunate piangon le insegne
il ritornante giorno funereo del primo eletto re da l'Italia francata: tu, Adige, canti la tua scorrente canzone al sole.
Anch' io, bel fiume, canto: e il mio cantico nel picciol verso raccoglie i secoli, e il cuore al pensiero balzando segue la strofe che sorge e trema.
Ma la mia ètrofe vanirà torbida ne gli anni: eterno poeta, o Adige, tu ancor tra le sparse macerie di questi colli turriti, quando
su le rovine de la basilica di Zeno al sole sibili il colubro, ancor canterai nel deserto i tedi insonni de l' infinito.
ODI BARBARE 841
PER LA MORTE DI NAPOLEONE EUGENIO
V^uestb la inconscia zagaglia barbara prostrò, spegnendo li occhi di fulgida vita sorrisi da i fantasmi fluttuanti ne l'azzurro immenso.
L' altro, di baci sazio in austriache piume e sognante su V albe gelide le diane e il rullo pugnace, piegò come pallido giacinto.
Ambo a le madri lungi; e le morbide chiome fiorenti di puerizia pareano aspettare anche il solco
*
de la matei^na carezza. In vece
842 ODI BARBARE
balzar ne'l buio, giovinette anime, senza conforti; né de la patria l'eloquio seguivali al passo co i suon* de V amore e de la gloria.
Non questo, o fosco figlio d* Ortensia, non questo avevi promesso al parvolo: gli pregasti in faccia a Parigi lontani i fati del re di Roma.
Vittoria e pace da Sebastopoli sopian co'l rombo de Tali candide il piccolo: Europa ammirava: la Colonna splendea come un faro.
Ma di decembre, ma di brumaio cruento è il fango, la nebbia è perfida: non crescono arbusti a quell'aure, o dan frutti di cenere e tòsco.
O solitaria casa d'Aiaccio,
cui verdi e grandi le querce ombreggiano
e i poggi coronan sereni
e davanti le risuona il mare !
Ivi Letizia, bel nome italico . .
che omai sventura suona ne i secoli^, fu sposa, fu madre felice, ahi troppo breve stagione ! ed ivi.
ODI BARBARE
843
lanciata a i troni V ultima folgore, date concordi leggi tra i popoli, dovevi, o consol, ritrarti fra il mare e Dio cui tu credevi.
Domestica ombra Letizia or abita la vuota casa; non lei di Cesare il raggio precinse : 1^ còrsa ; , ^ madre visse fra le tombe e Tare.
Il suo fatale da gli occhi d' aquila, le figlie come l'aurora splendide, frementi speranza i nepoti, tutti giacquer, tutti a lei lontano.
Sta ne la notte la còrsa Niob^,, : i sta su 1^ porta donde al b^ttesima le usciano i figli, e le braccia: ;, ; fiei;^ tende;:su -1. s^lva^ggio nj^re:^ ..
e chiama,, chiama,, se da, rAnieric;l]e, se di Britannia, se da l'arsa Affrica alcun di. sua tragica prole .. .. spinto da morte le approdi in seno.
C;'/l
>'.'•. '
844 ODI BARBARE
A GIUSEPPE GARIBALDI
III NOVEMBRE MDCCCLXXX
I
1 dittatore, solo, a la lugubre schiera d* avanti, ravvolto e tacito cavalca: la terra ed il cielo squallidi, plumbei, freddi intorno.
Del suo cavallo la pésta udivasi guazzar nel fango: dietro s' udivano passi in cadenza, ed i sospiri de* petti eroici ne la notte.
Ma da le zolle di strage livide, ma da i cespugli di sangue roridi, dovunque era un povero brano, o madri italiche, de i cuor vostri
ODI BARBARE 845
saliano fiamme ch'astri parevano, sorgeano voci ch'inni suonavano: splendea Roma olimpica in fondo, . correa per V aere un peana^
— Surse in Mentana V onta de i secoli dal triste amplesso di Pietro e Cesare: tu hai, Garibaldi, in Mentana su Pietro e Cesare po^to il piede.
O d' Aspromonte ribelle, splendido» o di Mentana superbo vinclice, vieni e narra Palermo e Rorna in CapijtQHp a Camillo. —
Tale un'arcana voce di spiriti correa, solenne pe '1 ciej <i! Italia quel di che guairono i vili, botoli tin^idi de la verga, .
Oggi l'Italia t'adora. Invocati la nuova Roma novello Romolo : tu ascendi, o divino: di morte lunge i silenzii dal tuo capo.
Sopra il comune gorgo de l'anime te rifulgente chiamano i secoli a le altezze, al puro concilio de i numi indigeti su la patria.
846 OÌ)l BARBARE
Tu ascendi. E Dante dice a Virgilio " Mai non pensammo forma più nobile d'eroe „. Dice Livio, e sorride, " È de la stòilfà; 6 poèti.
De la civile storia d' Italia è quest' audàcia tenace ligure, che posa nel giuèto, ed a l'alto mira, e è' irradia ne T ideale* „.
Gloria a te, padre. Nel torvo fremito spira de FEtnà^ spira. ne* turbini de Talpe il tuO cor di leone incontro a' barbari ed a' tiranni.
Splende fi soave tuo cor nel cerulo riso del mare del ciel de i floridi maggi diffuso 6u le tombe su' marmi memori de gli eroi.
ODI BARBARE 847
I (
SCOGLIO DI QUARTO
Bi
^reve ne l'onda placida avanzasi striscia di sassi. Boschi di lauro frondeggiano dietro spirando effluvi e murmuri ne la sera.
Davanti, larga, nitida, candida splende ìa luna: l'astro di Venere sorride presso e del suo palpito lucido tinge il cielo.
Par che da questo nido pacifico in pìcciol legno l'uom debba movere secreto a colloqui d' amore leni su i zefiri, la sua donna
848 ODI BARBARE
fisa guatando l'astro di Venere. Italia, Italia, donna de i secoli, de' vati e de' martiri donna, inclita vedova dolorosa,
quindi il tuo fido mosse cercandoti pe' mari. Al collo leonino avvoltosi il puncio, la spada di Roma alta su r omero bilanciando,
stiè Garibaldi. Cheti venivano a cinque a dieci, poi dileguavano, drappelli oscuri, ne l'ombra, i mille vindici del destino,
come pirati che a preda gis3ero; ed a te occulti givano, Italia, per te mendicando la morte al cielo, al pelago, a i fratelli.
Superba ardeva di lumi e cantici nel mar morenti lontano Genova al vespro lunare dal suo arco marmoreo di palagi.
Oh casa dove presago genio a Pisacane segnava il transito fatale, oh dimora onde Aroldo siti l'erpico Missolungil
ODI BARBARE 849
Una corona di luce olimpica
cinse i fastigi bianchi in quel vespero
del cinque maggio. Vittoria
fu il sacrificio, o poesia.
E tu ridevi, stella di Venere, stella d'Italia, stella di Cesare: non mai primavera più sacra d'animi italici illuminasti,
da quando ascese tacita il Tevere d' Enea la prora d' avvenir gravida e cadde Fallante appo i clivi che sorger videro V alta Roma.
Carducci. 54
850 ODI BARBARE
SALUTO ITALICO
M,
Glosso ringhia, o antichi versi italici, eh' io co M batter del dito seguo o richiamo i
numeri
vostri dispersi, come api che al rauco
suon del percosso rame ronzando si raccolgono.
Ma voi volate dal mio cuor, com' aquile giovinette dal nido alpestre a i primi zefiri.
Volate, e ansiosi interrogate il murmure
che giù per l'alpi giulie, che giù per l'alpi retiche
da i verdi fondi i fiumi a i venti mandano, grave d' epici sdegni, fiero di canti eroici.
Passa come un sospir su '1 Garda argenteo, è pianto d'Aquileia su per le solitudini.
ODI BARBARE 851
Odono i morti di Bezzecca, e attendono: " Quando ? „ grida Bronzetti, fantasma erto fra
i nuvoli.
" Quando? „ i vecchi fra sé mesti ripetono, che un di con nere chiome T addio, Trento, ti
dissero.
" Quando? „ fremono i. giovani che videro pur ieri da San Giusto ridere glauco l'Adria.
Oh al bel mar di Trieste, a i poggi, a gli animi volate co'l nuovo anno, antichi versi italici:
ne' rai del sol che San Petronio imporpora
volate di San Giusto sovra i romani rudi^ri !
\
Salutate nel golfo Giustinopoli, gemma de T Istria, e il verde porto e illeon di
Muggia;
salutate il divin riso de l'Adria
fin dove Pola i templi ostenta a Roma e a Cesare !
Poi presso V urna, ove ancor tra' due. popoli Winckelmann guarda, araldo de V arti e de la
gloria,
in faccia a lo stran ier, che armato accampasi su'l nostro suol, cantate: Italia, Italia, Italia!
852' ODI BARBARE
A UNA BOTTIGLIA DI VALTELLINA
DEL 1848
E
tu pendevi tralcio da i retici balzi odorando florido al murmurc de' fiumi da V alpe volgenti ceruli in fuga spume d'argento,
quando V aprile d' itala gloria da '1 Po rideva fino a lo Stelvio e il popol latino si cinse su r Austria cingol di cavaliere.
E tu nel tino bollivi torbido prigione, quando d' italo spasimo ottobre fremeva e Chiavenna, oh Rezia forte!, schierò a Vercea
ODI BARBARE 853
sessanta ancora di morte libera petti assetati : Hainau gli aspri animi contenne e i cavalli de Tlstro ispidi in vista de i tre colori.
Rezia, salute ! di padri liberi figlia ed a nuove glorie più libera ! È bello al bel sole de l'alpi mescere il nobil tuo vin cantando:
cantando i canti de i giorni italici, quando a' tuoi passi correano i popoli, splendea tra le nevi la nostra bandiera sopra V austriaca fuga.
A i noti canti lievi ombre sorgono quei che anelando vittoria caddero? Sia gloria, o fratelli ! Non anche, l'opra del secol non anche è piena.
Ma ne i vegliardi vige il vostro animo, il sangue vostro ferve ne i giovani: o Italia, daremo in altre alpi inclita a i venti la tua bandiera.
854 ODI BARBARE
MIRAMAR
O
Miramafe, a le tue bianche torri attediate per lo ciel piovorno fosche con volo di sinistri augelli vengon le nubi.
O Mi ramare, contro i tuoi graniti grige dal torvo pelago salendo con un rimbrotto d'anime crucciose battono V onde.
Meste ne V ombra de le nubi a' golfi stanno guardando le città turrite, Muggia e Pirano ed Egida e Parenzo gemme del mare;
i
ODI BARBARE 855
e tutte il mare spinge le muggliiianti collere a questo bastTon di scogli onde t' affacci a le due viste d' Adria, rocca d'Absburgo;
e tona il cielo a Nabresina lungo la ferrugigna costa, e di. baleni Trieste in fondo coronata il capo leva tra' nembi.
Deh come tutto sorridea quel dolce mattin d' aprile, quando usciva il biondo imperatore, con la bella donna, a navigare !
A lui dal volto placida raggiava la maschia possa de T impero : T occhio de la sua donna cenilo e superbo iva su '1 mare.
Addio, castello pe' felici giorni nido d'amore costruito in vano! Altra su gli ermi oceani rapisce aura gli sposi. ^
Lascian le sale con accesa speme istoriate 'di trionfi e incise di sapienza. Dante e Goethe al sire parlano in vano / .
856 ODI BARBARE
da le animose tavole: una sfinge l'attrae con vista mobile su Tonde: ei cede, e lascia aperto a mezzo il libro del romanziero.
Oh non d' amore e d' avventura il canto fia che raccolga e suono di chitarre là ne la Spagna de gli Aztechi ! Quale* lunga su l'aure
vien da la trista punta di Salvore nenia tra M roco piangere de' flutti ? Cantano i morti veneti o le vecchie fate istriane?
— Ahi ! mal tu sali sopra il mare nostro, figlio d'Absburgo, la fatai Novara. Teco l'Erinni sale oscura e al ventò apre la vela.
Vedi la sfinge tramutar sembiante a te d' avanti perfida arretrando ! È il viso bianco di Giovanna pazza contro tua moglie.
È il teschio mózzo contro te ghignante d'Antonietta. Con i putridi occhi in te fermati è l'irta faccia gialla di Montezuma.
ODI BARBARE 857
Tra boschi immani d'agavi non mai mobili ad aura di benigno vento, sta ne la sua piramide, vampante livide fiamme
per la tenèbra tropicale, il dio Huitzilopotli, che il tuo sangue fiuta, e navigando il pelago co'l guardo ulula — Vieni.
Quanfè che aspetto ! La ferocia bianca strussemi il regno ed i miei templi infranse vieni, devota vittima, o nepote di Carlo quinto.
Non io gV infami avoli tuoi di tabe . marcenti o arsi di regal furore; te io voleva, io colgo te, rinato fiore d' Absburgo ;
e a la grand' alma di Guatimozino regnante sotto il padiglion del sole ti mando inferia, o puro, o forte, o bello Massimiliano. —
858 ODI BARBARE
ALLA REGINA D' ITALIA
XX NOV. MDCCCLXXVUI.
o
rìde venisti ? quali a noi secoli si mite e bella ti tramandarono? fra i canti de* sacri poeti dove un giorno, o regina, ti vidi?
Ne le ardue ròcche, quando tingeasi a i latin' soli la fulva e cerula Germania, e cozzavan nel verso nuovo r armi tra lampi d' amore ?
Seguiano il cupo ritmo monotono trascolorando le bionde vergini, e al ciel co' neri umidi occhi impetravan mercé per la forza.
J
ODI BARBARE 859
O ver ne i brevi di che V Italia
fu tutta un maggio, che tutto il popolo
era cavaliere? Il trionfo
d'Amor già tra le case merlate .
in su le piazze liete di candidi marmi, di fiori, di sole ; e " O nuvola che in ombra d' amore trapassi, — r Alighieri cantava — sorridi ! „
Come la bianca stella di Venere ne r aprii novo surge da' vertici de r alpi, ed il placido raggio su le nevi dorate frangendo
ride a la sola capanna povera, ride a le valli d' ubertà floride, e a r ombra de' pioppi risveglia li usignoli e i colloqui d'amore:
fulgida e bionda ne 1' adamantina luce del serto tu passi, e il popolo superbo di te si compiace qual di figlia che vada a l'altare;
con un sorriso misto di lacrime la verginetta ti guarda, e trepida le braccia porgendo ti dice come a suora maggior " Margherita ! „
860 ODI BARBARE
E a te volando la strofe alcaica, nata ne' fieri tumulti libera, tre volte ti gira la chioma con la penna che sa le tempeste:
e, Salve, dice cantando, o inclita a cui le Grazie corona cinsero, a cui si soave favella la pietà ne la voce gentile !
Salve, 0 tu buona, sin che i fantasimi di Raffaello ne' puri vesperi trasvolin d' Italia e tra' lauri la canzon del Petrarca sospiri !
ODI BARBARE 861
COURMAYEUR
C,
'onca in vivo smeraldo Ira foschi passaggi
dischiusa, o pia Courmayeur, ti saluto. Te da la gran Giurassa da TardOa Grivola bella il sole più amabile arride.
Blandi misteri a te su' boschi d' abeti imminente la gelida luna diffonde,
mentre co'l fiso albor da gli ermi ghiacciai ri- sveglia fantasime ed ombre moventi.
Te la vergine Dora, che sa le sorgive de* fonti
e sa de le genti le cune,
cerula irriga, e canta; gli arcani ella canta de
r alpi, e i carmi de' popoli e V armi.
862' ODI BARBARE
De la valanga il tuon da V orrida Brenva rintrona
e rotola giù per neri antri :
sta su '1 verone in fior la vergine, e tende lo
sguardo, e i verni passati ripensa.
Ma da' pendenti prati di rosso papavero allegri tra gli orzi e le segali biohde spicca l'alauda il volo trillando V aerea canzone: io medito i carmi sereni.
Salve, o pia Courmayeur, che 1' ultimo riso
d' Italia al pie del gigante de l'Alpi rechi soave ! te, datrice di posa e di canti, io reco nel verso d' Italia.
» ' *
Va su' tuoi verdi prati 1' ombria de le nubi fug- genti,
e va su' miei spirti la musa.
Amo al lucido e freddo mattin da' tuoi sparsi
casali
il fumo che ascende e s'avvolge
bigio al bianco vapor da l' are de' monti smarrito
nel cielo divino. Si perde
l'anima in lento error: vien da le compiante
memorie e attinge 1' eterne speranze.
ODI BARBARE 863
IL LIUTO E LA LIRA
A MARGHERITA REGINA D' ITALIA
• ' i
Q.
,uando la Donna Sabauda il fulgido sguardo al liuto reca e su M memore ministro d'eroici lai la mano e T inclita fronte prega,
commove un conscio spirito T agili corde, e dalseno concavo mistico la musa de' tempi che furo sale aspersa di faville d'oro;
e un coro e un cantò di forme aeree, quali già vide V Alighier movere ne' giri d' armonica stanza, cinge r italica Margherita.
864 ODI BARBARE
" Io -— dice r una, cui la cesarie inonda bionda gli omeri nivei e gli occhi natanti nel lume de Testasi chiedono le sfere —
io son, regina, — dice — la nobile Canzone; e a' cieli volai da l'anima di Dante, quand' egli nel maggio angeli e spiriti lineava.
Io del Petrarca sovra le lacrime passai tingendo d'azzurro l'aere e accesi corone di stelle in su l'aurea treccia d'Avignone.
Non mai più alto sospiro d' anime surse dal canto. Di te le laudi a' due leverò che l'Italia poeti massimi rivelato „.
'* A me la terra piace — nel cantico una seconda ballando applaude con r asta e lo scudo, e da l' elmo fosca fugge a' venti la criniera — .
Piace, se lampi d* acciaio solcano se ferrei nembi rompono l'aere e cadon le insegne davanti al flutto e a r impeto de' cavalli.
ODI BARBARE 865
A cui la morte teme non ridono le muse in cielo, quaggiù le vergini. Avanti, Savoia! non anche tutta désti la bandiera al vento.
La Sirventese sono. A me l'aquila che da Superga rivola al Tevere e i folgori stringe severa dritta ne l'iride tricolore „.
" Ed io — la terza dice, di mammole viole un cerchio tessendo, e semplice di rose e ligustri il sembiante ombra sotto la castanea chioma —
la Pastorella sono. Di facili amori e sdegni, danze e tripudii, non più rendo gli echi: una nube va di tristizia su la terra.
A te da' verdi mu^hianti pascoli, da' biondi campi, da le pomifere colline, da' boschi sonanti di scuri e dal fumo de' tuguri,
io reco il blando riso de'parvoli, di spose e figlie reco le lacrime e i cenni de' capi canuti che ti salutano pia madre „.
Carducci. 56
866 ODI BARBARE
Tali, o Signora, forme e fantasimi a voi d' intorno cantando volano dal vago liuto : a la lira io li do di Roma imperTante,
qui dove V Alpi de le virginee cime più al sole diffusa raggiano la bianca letizia da immenso circolo, e cerula tra V argento
per i tonanti varchi precipita la Dora a valle cercando Italia, e sceser vostri avi ferrati con la spada e con la bianca croce.
Dal grande altare ni vai gli spiriti del Montebianco sorgono attoniti, a udire l'eloquio di Dante, ne' ritmi fulgidi di Venosa,
dopo cotanto strazio barbarico ponendo verde sempre di gloria il lauro di Livia a la fronte de la Sabauda Margherita,
a voi, traverso V onde de i secoli di due forti evi ricantar V anima, o figlia e regina del sacro rinnovato popolo latino.
NOTE
pag. 796, V. 21-24. Fu chi intese che questi v?rsi augum^i- la malaria ai buimni. Ohimè I Io infendevo imprecare alln uiazione edilizia che già minacciava i monumenti, accarei^- da quella trista amministraiione la quale educò il mar- ie che serpe^ia a questi giorni nella capitale ( 4 febbr. 1893).
ALESSANDRIA
pag. 810. Fu composta negli ultimi giorni dì luglio del 1882 (il tempo della composizione dà ragione del finale) per la pubblicaziqne del volume di Giuseppe Regaldi [ Firenze, Le Monnier J, dove le antichità e le novità dell'Egitto sono discorse con ^conda copia di notizie.
MIRAMAR
pag. 854, V. 2. Mi tengo di dantesco dal verso 91 del xxv Purgati di piamo vorrei poter leggere e e che è la forma integra, come li
TO piojiomo, codice Poggiali e uno
868 ODI BARBARE
deir Archiginnasio di Bologna, e come parmi d' aver sentito dire alcuna volta in contado non so piti se di Toscana o di Ro- magna. Aer piovomo vale, nell'interpretazione del Buti, pieno di nuvoli acquosi: altro, in somma, da piovoso.
p. 854, V. 11. Per i luoghi dell'Istria ricordati in questo verso e per la punta di Salvore, pag. 856, v. 9, son certo di far cosa g^ata ai lettori italiani rimandandoli a un libro molto buono, con rappresentazioni fotografiche ammirevoli, di Giu- seppe Caprin, stampato in Trieste nel 1889, Marine istriane: libro che mi fa spesso tornare il pensiero, con desiderio sem- pre più acceso, a quella bellissima e nobilissima regione, tutta romana e veneta, della gran patria italiana.
pag. 855, V. 21-24, pag. 856, v. 1-4 e v. 14. Alcuni ricordi del castello di Miramar in questi versi han forse bisogno di schiarimento. Nella stanza di studio di Massimiliano, costruita in guisa che rassomigliasse la cabina della contrammiraglia Novara che Io trasportò al Messico, sono i ritratti di Dante e di Goethe presso il luogo ove T arciduca sedeva a studiare; sta tutt' ora aperta su '1 tavolino un' antica edizione, che parmi di ricordare assai rara e stampata ne' Paesi bassi, di romanze eastigliane. Nella sala maggiore sono incise più sentenze la- tine : memorevoli, per il luogo e per l' uomo, queste : Si for- tuna iuvat caveto talli — Saepe sub dulci melle venena latent — Non ad astra mollis e terris via — Vivitur in- genio, caetera mortis erunt.
IL LIUTO E LA LIRA
pag. 863, V. 13. Quest'ode, composta in Courmayeur, fu pensata in Roma, nell' occasione che il prof. Chilesotti 1' 8 maggio del 1889 nella sala Palestrìna parlò della musica dei secoli XV e xvi, presente la Regina Margherita. Ivi, tra gU altri strumenti musicali, erano due liuti della Regina: la quale ebbe allora la gentile curiosità di conoscere l'arte del liuto e r uso d' esso nella poesia italiana e provenzale.
DELLE ODI BARBARE
LIBRO II.
Musa latina, vieni meco a canzone novella: Può nuova progenie il canto novello fare.
T. Campanella.
ÌNon sotto ferrea punta che strida solcando maligna
dietro un pensier di noia l'aride carte bianche;
sotto r adulto sole, nel palpito mosso da' venti pe' larghi campi aprici, lungo un bel correr d' acque,
nasce il sospir de' cuori che perdesi ne l' infinito, nasce il dolce e pensoso fior de la melodia.
Qui brilla il maggio effuso ne r aere odorato
di rose, brillano gli occhi vani, dormon ne' petti i cuori:
dormono i cuor, si drizzan le orecchie facili
quando la variopinta strilla nota de la Gioconda.
872 ODI BARBARE
Oh de le Muse V ara da! verde vertice bianca su M mare ! Alcmane guida i virginei cori :
" Voglio con voi, fanciulle, volare, volare a la
danza, come il cerilo vola tratto da le alcioni:
vola con le alcioni tra V onde schiumanti in
tempesta, cerilo purpureo nunzio di primavera „.
ODI BARBARE 873
FANTASIA
T,
u parli; e, de la voce a la molle aura lenta cedendo, si abbandona V anima del tuo parlar su Tonde carezzevoli, e a strane plaghe naviga.
Naviga in un tepor di sole occiduo ridente a le cerulee solitudini: tra cielo e mar candidi augelli volano, isole verdi passano,
e i templi su le cime ardui lampeggiano di candor pario ne l'occaso roseo, ed i cipressi de la riva fremono, e i mirti densi odorano.
874 ODI BARBARE
Erra lungi V odor su le salse aure e si mesce al cantar lento de' nauti, mentre una nave in vista al porto ammaina le rosse vele placida.
Veggo fanciulle scender da l' acropoli in ordin lungo; ed han bei pepli candidi, serti hanno al capo, in man rami di lauro, tendon le braccia e cantano.
Piantata V asta in su V arena patria,
a terra salta un uom ne Tarmi splendido:
è forse Alceo da le battaglie reduce
a le vergini lesbie?
ODI BARBARE 875
RUIT HORA
o
desiata verde solitudine lungi al rumor de gli uomini! qui due con noi divini amici vengono, vino ed amore, o Lidia.
Deh, come ride nel cristallo nitido Lieo, reterno giovine! come ne gli occhi tuoi, fulgida Lidia, trionfa amore e sbendasi!
Il sol traguarda basso ne la pergola,
e si rifrange roseo
nel mio bicchiere: aureo scintilla e tremola
fra le tue chiome, o Lidia.
876 ODI BARBARE
Fra le tue nere chiome^ o bianca Lidia, langue una rosa pallida; e una dolce a me in cuor tristezza sùbita tempra d' amor gì' incendii.
Dimmi: perché sotto il fiammante vespero misteriosi gemiti
manda il mare là gifi? quai canti, o Lidia, tra lor quei pini cantano?
Vedi con che desio quei colli tendono
le braccia al sole occidno:
cresce l'ombra e li fascia: ei par che chiedano
il bacio ultimo, o Lidia.
Io chiedo i baci tuoi, se T ombra avvolgemi, Lieo, dator di gioia: io chiedo gli occhi tuoi, fulgida Lidia, se Iperlon precipita.
E precipita Torà. O bocca rosea, schiuditi: o fior de l'anima, o fior del desiderio, apri i tuoi calici : o care braccia, apritevi.
ODI BARBARE 877
ALLA STAZIONE
IN UNA MATTINA D* AUTUNNO
o,
h quei fanali come s' inseguono accidiosi là dietro gli alberi, tra i rami stillanti di pioggia sbadigliando la luce su '1 fango !
Flebile, acuta, stridula fischia la vaporiera da presso. Plumbeo il cielo e il mattino d' autunno come un grande fantasma n'è intorno.
Dove e a che move questa, che affrettasi a' carri foschi, ravvolta e tacita gente? a che ignoti dolori o tormenti di speme lontana?
878 ODI BARBALE
Tu pur pensosa, Lidia, la tessera al secco taglio dai de la guardia, e al tempo incalzante i begli anni dai, gV istanti gioiti e i ricordi.
Van lungo il nero convoglio e vengono incappucciati di nero i vigili, com' ombre; una fioca lanterna hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei
freni tentati rendono un lugubre rintócco lungo : di fondo a V anima un* eco di tedio risponde doloroso, che spasimo pare.
E gli sportelli sbattuti al chiudere paion oltraggi: scherno par l'ultimo appello che rapido suona: grossa scroscia su* vetri la pioggia.
Già il mostro, conscio di sua metallica anima, sbuffa, crolla, ansa, i flammei occhi sbarra; immane pe *1 buio gitta il fischio che sfida lo spazio.
Va Tempio mostro; con traino orribile sbattendo Tale gli amor miei portasi. Ahi, la bianca faccia e *1 bel velo salutando scompar ne la tenebra.
ODI BARBARE 879
O viso dolce di pallor roseo, o stellanti occhi di pace, o candida tra' floridi ricci inchinata pura fronte con atto soave!
Fremea la vita nel tepid*aere, fremea Testate quando mi arrisero; e il giovine sole di giugno si piacea di baciar luminoso
in tra i riflessi del crin castanei la molle guancia : come un' aureola più belli del sole i miei sogni ricingean la persona gentile.
Sotto la pioggia, tra la caligine
torno ora, e ad esse vorrei confondermi;
barcollo com* ebro, e mi tócco,
non anch* io fossi dunque un fantasma.
Oh qual caduta di foglie, gelida, continua, muta, greve, su T anima! io credo che solo, che eterno, che per tutto nel mondo è novembre.
Meglio a chi M senso smarrì de V essere, meglio quest'ombra, questa caligine: io voglio io voglio adagiarmi in un tedio che duri infinito.
880 ODI BARBARE
MORS NELL* EPIDEMIA DIFTERICA
V^uando a le nostre case la diva severa discende, da lungi il rombo de la volante s* ode,
e l'ombra de Tala che gelida gelida avanza diffonde intorno lugubre silenzio.
Sotto la veniente ripiegano gli uomini il capo, ma i sen feminei rompono in aneliti.
Tale de gli alti boschi, se luglio il turbine ad- densa, non corre un fremito per le virenti cime :
immobili quasi per brivido gli alberi stanno, e solo il rivo roco s'ode gemere.
ODI BARBARE 881
Entra ella, e passa, e tócca; e senza pur vol- gersi atterra gli arbusti lieti di lor rame giovani;
miete le bionde spiche, strappa anche i grap- poli verdi, coglie le spose pie^ le verginette vaghe
ed i fanciulli: rosei tra Tala nera ei le braccia al sole a i giuochi tendono e sorridono.
Ahi tristi case dove tu innanzi a* vólti de* padri, pallida muta diva, spegni le vite nuove !
Ivi non più le stanze sonanti di risi e di festa o di bisbigli, come nidi d'augelli a maggio:
ivi non più il rumore de gli anni lieti crescenti, non de gli amor le cure, non d'imeneo le danze:
invecchian ivi ne l'ombra i superstiti, al rombo del tuo ritorno teso l'orecchio, o dea.
Carducci. 56
882 ODI BARBARE
UNA SERA DI SAN PIETRO
R.
icordo. Fulvo il sole tra i rossi vapori e le nubi calde al mare scendeva, come un grande clipeo
di rame che in barbariche pugne corrusca ondeggiando,
poi cade. Castiglioncello in alto fra mucchi di querce ridea da le vetrate un folle vermiglio sogghigno di fata. Ma io languido e triste (da poco avea scosso
la febbre maremmana, ed i nervi pesavanmi come di
piombo) guardava a la finestra. Le rondini rapide i voli sghembi tessevano e ritessevano intorno le
gronde, e le passere brune strepiano al vespro maligno. Brevi d' entro la macchia svariavano il piano
ed i colli,
ODI BARBARE 883
rasi a mela da la falce, in parte ancor mobili e
biondi. Via per i solchi grigi le stoppie fumavano accese : or si or no veniva su per le aure umide il canto de' mietitori, lungo, lontano, piangevole, stanco: grave V afa stringeva V aèr, la marina, le piante. Io levai gli occhi al sole — O lume superbo
del mondo tu su la vita guardi com' ebro ciclope da V alto! — Gracchiarono i pavoni schernendomi tra i me- lograni, € un vipistrello sperso passommi radendo su'I
capo
884 ODI BARBARE
PE 'L CHIARONE DA CIVITAVECCHIA
LEGGENDO IL MARLOWE
Oalvi,
aggrondati, ricurvi, si come becchini a
la fossa stan radi alberi in cerchio de la sucida riva.
Stendonsi livide V acque in linea lunga che trema sotto squallido cielo per la lugubre macchia.
Bevon le nubi dal mare con pendule trombe,
ed il sole piove sprazzi di riso torbido sovra i poggi.
I poggi sembrano capi di tignosi ne l'ospitale, r un fastidisce T altro da' finitimi letti.
Scattan su da un cespuglio co '1 guizzo di frecce
mancate due neri uccelli : cala con pigre ruote un falco.
ODI BARBARE 885
Corrono, mentr'io leggo M^rlowe, le swiunte
cavalle de la vettura: iì sole scema, la pioggia freme.
Ed ecco a poco a poco la selva infoscasi orrenda, la selva, o Dante, d' alberi e di spiriti,
dove tra piante strane tu strane ascoltasti que- rele, dove troncasti il pruno eh' era Pier de la Vigna.
Io leggo ancora Marlowe. Dal reo verso bieco,
simile a sogno d' uomo cui molta birra gravi,
d'odii et incèsti e morti balzando tra forme
angosciose esala un vapor acre d' orrida tristizia,
che sale e fuma, e misto a r aer maligno feconda di mostri intorno le pendenti nuvole,
crocida in fondo a' fossi, ferrugigno ghigna
ne* bronchi, filtra con la pioggia per V ossa stanche. Io tremo.
Ah quei pini che il vento che il mare curvaron
tanti anni paiono traer guai contro di me : — Che importa
886 ODI BARBARE
— dicon — tendere a Tallo? che vale com- batter? che giova amare? Il fato passa ed abbassa. — Ma tu,
tu sughero triste che a terra schiacciato rialzi il capo, reo gobbo, bestemmiando Iddio,
perché mi tendi minaccioso le braccia tue torte? che colpa ho io ne'l fato che ti danna?
E voi, lunghe ne'l mezzo del tetro recinto alberelle, co' rami spioventi, quasi canute chiome,
siete alberelle voi ? siete le tre fiere sorelle che aspettar Macbeth su la fatale via?
Odo pauroso carme che voi bisbigliate co' venti,, di rospi, di serpi, di sanguinanti cuori.
Guglielmo, re de' poeti da l' ardtta fronte serena^ perché mi mandi lugubri messaci?
Io non uccisi il sonno, ben gli altri a me spen- sero il cuore: non cerco un regno, io solo chieggo al mondo
l' oblio.
Oblio? no, vendetta. Cadaveri antichi, pensieri che tutti una ferita mostrate aperta e tutti
ODI BÀRBARE 887
a tradimento, su ! su da *1 cimitero del petto, su date a' venti i vostri veli funebri.
Qui raduniam consiglio, qui ne V orribile spazzo, a r ombre ignave, su le mortifere acque.
Qui gonfia di serpi tra *1 fior bianco e giallo la
terra, pregna di veleni qui primavera ride.
Rida ubriaco il verso di gioiamaligna;com' angue, strisci, si attorca, snodisi tra i sibili.
Volate, volate, canzoni vampire, cercando i cuor' che amammo : sangue per sangue sia.
Ma che? Disvelasi lunge superbo a veder TAr-
gentaro lento scendendo ne'l Tirreno cerulo.
Il sole illustra le cime. Là in fondo sono i miei
colli, con la serena vista, con le memorie pie.
Ivi m' arrise fanciullo la diva sembianza d' Omero. Via, tu, Marlowe, a Tacque! tu, selva infame,
addio.
888 ODI BARBARE
ALLA MENSA DELL' AMICO
N,
on mai da M cielo eh' io spirai parvolo ridesti, o Sole, bel nume, splendido a me, si come oggi ch'effuso t' amo per l' ampie vie di Livorno.
Non mai fervesti, Bromio, ne i calici consolatore saggio e benevolo, com' oggi eh' io libo a l' amico pensando i varchi de 1' Apennino.
O Sole, o Bromio, date che integri, non senza amore, non senza eetera, scendiamo a le placide ombre — là dov' è Orazio — l' amico ed io.
ODI BARBARE 88Q
Ma sorridete gli auguri a i parvoli che, dolci fiori, la mensa adornano, la pace a le madri, gli amori a i baldi giovani e le glorie.
890 ODI BARBARE
RAGIONI METRICHE
iVompeste voiM Tevere a nuoto, Cleria, come r antica vostra, o a noi nuova Rea Silvia uscite ?
Scarso, o nipote di Rea, V endecasillabo ha il passo a misurare i clivi de le bellezze vostre:
solo co *1 pie trionfale V eroico esametro puote scander la vìa sacra de le lunate spalle.
Da l'arce capitolina de'l collo fidiaco molle il pentametro pender, ghirlanda albana, deve.
Batta ne '1 raggio de gli occhi, che fiero corusca
si come tra i colli prenestini dietro l'aurora il sole,
batta r alcaica strofe trepidando V ali, e si scaldi a i forti amori: indietro, tu settenario vile.
ODI BARBARE 89 1
Oh, SU la chioma ondosa che simile a notte
discende pe'l crupuscolo pario de le doriche forme
(lasciate a le serve, nipote di Rea, gli ottonari) corona aurea di stelle fulga V asclepiadea.
892 ODI BARBARE
FIGURINE VECCHIE
Q.
,ual da la madre battuto pargolo od in proterva rissa mal domito stanco s'addorme con le pugna serrate e i cigli rannuvolati,
tal ne '1 mio petto V amore, o candida Lalage, dorme: non sogna o invidia, s* al roseo maggio erran giocando gli altri felici pargoli al sole.
Oh no '1 destare ! V udresti, o Lalage, di torbid' ire fiedere V aere rompendo i giuochi a' lieti eguali, dio di battaglia per me T amore.
ODI BARBARE 893
SOLE D'INVERNO
N,
el solitario verno de T anima spunta la dolce imagine, e tócche frangonsi tosto le nuvole de la tristezza e sfumano.
Già di cerulea gioia rinnovasi ogni pensiero: fremere sentomi d* intima vita gli spiriti : il gelo inerte fendesi.
Già de' fantasimi dal mobil vertice spiccian gli affetti memori, scendon con rivoli freschi di lacrime giù per r ombra del tedio.
894 ODI BARBARE
Scendon con murmuri che agli antri chiamano echi d' amor superstiti e con letizia d' acque che a' margini sonni di fiori svegliano.
Scendono, e in limpido fiume dilagano, ove le rive e gli alberi e i colli e il tremulo riso de V aere specchiasi vasto e placido.
Tu su la nubila cima de Tessere, tu sali, o dolce imagine; e sotto il candido raggio devolvere miri il fiume de V anima.
ODI BARBARE 895
EGLE
Otanno nel grigio verno pur d' edra e di lauro
vestite ne r Appia trista le ru'fnose tombe.
Passan pe'l del turchino che stilla ancor da
la pioggia avanti al sole lucide nubi bianche.
Egle, levato il capo vèr' quella serena promessa di primavera, guarda le nubi e il sole.
Guarda; e innanzi a la bella sua fronte più
ancora che al sole ridon le nubi sopra le tombe antiche.
896 ODI BARBARE
PRIMO VERE
-Lcco: di braccio al pigro verno sciogliesì ed ancor trema nuda al rigid' aere la primavera: il sol tra le sue lacrime limpido brilla, o Lalage.
Da lor culle di neve i fior si svegliano e curiosi al ciel gli occhietti levano: in quelli sguardi vagola una tremula ombra di sogno, o Lalage.
Nel sonno de V inverno sotto il candido lenzuolo de la neve i fior sognarono; sognaron V albe roride ed i tepidi soli e il tuo viso, o Lalage.
ODI BARBARE 897
Ne r addormito spirito che sognano 1 miei pensieri? A tua bellezza candida perché mesta sorride tra le lacrime la primavera, o Lalage?
Carducci. 57
898 ODI BARBARE
R
VERE NOVO
^ompendo il sole tra i nuvoli bianchi a V az- zurro sorride e chiama — O primavera, vieni ! —
Tra i verzicanti poggi con mormorii placidi il
fiume ricanta a V aura — O primavera, vieni ! —
— O primavera, vieni ! — ridice il poeta al
suo cuore e guarda gli occhi, Lalage pura, tuoi.
ODI BARBARE 899
CANTO DI MARZO
Q:
,uale una incinta, su cui scende languida languida T ombra del sopore e T occupa, disciolta giace e palpita su M talamo, sospiri al labbro e rotti accenti vengono e sùbiti rossor la faccia corrono,
tale è la terra: T ombra de le nuvole passa a sprazzi su '1 verde tra il sol pallido : umido vento scuote i pèschi e i mandorli bianco e rosso fioriti, ed i fior cadono: spira da i pori de le glebe un cantico.
— O salienti da' marini pascoli
vacche del cielo, grige e bianche nuvole,
versate il latte da le mamme tumide
al piano e al colle che sorride e verzica,
a la selva che mette i primi palpiti — .
900 ODI BARBARE
Cosi cantano i fior che si risvegliano: cosi cantano i germi che si movono e le radici che bramose stendonsi: cosi da r ossa de i sepolti cantano i germi de la vita e de gli spiriti.
Ecco r acqua che scroscia e il tuon che brontola porge il capo il vitel da la stalla umida, la gallina scotendo V ali strepita, profondo nel verzier sospira il cùcùlo ed i bambini sopra Taia saltano.
Chinatevi al lavoro, o validi omeri; schiudetevi a gli amori, o cuori giovani, impennatevi a i sogni, ali de T anime; irrompete a la guerra, o desii torbidi: ciò che fu torna e tornerà ne i secoli.
ODI BARBARE QOl
SALUTO D' AUTUNNO
Jl e' verdi colli, da* cieli splendidi, e ne' fiorenti campi de l'anima, Delia, a voi tutto è una festa di primavera: lungi le tombe!
Voi dolce madre chiaman due parvole, voi dolce suora le rose chiamano, e il sol vi corona di lume, divino amico, la bruna chioma.
Lungi le tombe! Lontana favola per voi la morte ! Salite il tramite de gli anni, e con citara d' oro Ebe serena v' accenna a V alto.
902 ODI BARBARE
Giù ne la valle, freddi dal turbine, noi vi miriamo ridente ascendere; e un raggio del vostro sorriso frange le nebbie pigre a l'autunno.
ODI BARBARE 903
SU MONTE MARIO
Oolenni in vetta a Monte Mario stanno nel luminoso cheto aere i cipressi, e scorrer muto per i grigi campi mirano il Tebro,
mirano al basso nel silenzio Roma stendersi, e, in atto di pastor gigante su grande armento vigile, davanti sorger San Pietro.
Mescete in vetta al luminoso colle, mescete, amici, il biondo vino, e il sole vi si rifranga: sorridete, o belle: diman morremo.
904 ODI BARBARE
Lalage, intatto a l'odorato bosco lascia l'alloro che si gloria eterno, o a te passando per la bruna chioma splenda minore.
A me tra M verso che pensoso vola venga V allegra coppa ed il soave fior de la rosa che fugace il verno consola e muore.
Diman morremo, come ier morirò quelli che amammo: via da le memorie, via da gli affetti, tenui ombre lievi dilegueremo.
Morremo; e sempre faticosa intorno de r almo sole volgerà la terra, mille sprizzando ad ogni istante vite come scintille;
vite in cui nuovi fremeranno amori, vite che a pugne nuove fremeranno, e a nuovi numi canteranno gV inni de r avvenire.
E voi non nati, a le cui manMa face verrà che scórse da le nostre, e voi disparirete, radiose schiere, ne r infinito.
ODI BARBARE 905
Addio, tu madre del pensier mio breve, terra, e de V alma fuggitiva ! quanta d' intorno al sole aggirerai perenne gloria e dolore !
fin che ristretta sotto V equatore dietro i richiami del calor fuggente r estenuata prole abbia una sola femina, un uomo,
che ritti in mezzo a' ruderi de' monti, tra i morti boschi, lividi, con gli occhi vitrei te veggan su V immane ghiaccia, sole, calare.
906 ODI BARBARE
LA MADRE
(gruppo di ADRIANO CECIONl)
L
lei certo Talba che affretta rosea al campo ancora grigio gli agricoli mirava scalza co '1 pie ratto passar tra i roridi odor* del fieno.
Curva su i biondi solchi i larghi omeri udivan gli olmi bianchi di polvere lei stornellante suM meriggio sfidar le rauche cicale a i poggi.
E quando alzava da V opra il turgido petto e la bruna faccia ed i riccioli fulvi, i tuoi vespri, o Toscana, coloraro ignei le balde forme.
ODI BARBARE 907
Or forte madre palleggia il pargolo forte; da i nudi seni già sazio palleggialo alto, e ciancia dolce con lui che a' lucidi occhi materni
intende gli occhi fissi ed il piccolo corpo tremante d' inquifetudine e le cercanti dita: ride la madre e slanciasi tutta amore.
A lei d' intorno ride il domestico lavor, le biade tremule accennano dal colle verde, il btie mugghia, su l'aia il florido gallo canta.
Natura a i forti che per lei spregiano le care a i vulghi larve di gloria cosi di sante visfoni conforta l'anime, o Adr'fano:
onde tu al marmo, severo artefice, consegni un* alta speme de i secoli. Quando il lavoro sarà lieto? quando securo sarà l'amore?
quando una forte plebe di liberi dirà guardando ne'l sole — Illumina non ozi e guerre a i tiranni, ma la giustizia pia del lavoro — ?
908 ODI BARBARE
_-\^^•^^-^_-
PER UN INSTITUTO DI CIECHI
Q-
uando mirava Omero le fulgide a' dardani
. campi pugne, con gli occhi spenti ed immoti al cielo;
quando, levata in fredda caligin la fronte, vedeva Milton passare su' mondi vinti Dio;
l' alma del tutto in essi rompeva la inerte de' sensi bruma, e ne' grandi spiriti il sole ardea.
Quando Tobia meschino del can riconobbe il
latrato e brancolando porse le bianche mani,
messa dal ciel sovvenne la santa pietà: Rafaele biondo a' lassi occhi rese il bel figlio e il lume.
Stanno ne l'ampia terra gli eroi del pensiero
in disparte: a Rafaele tende le braccia il mondo.
ODI BARBARE 909
SOGNO D' ESTATE
1 ra le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre
sonanti la calda ora mi vinse: chinommisi il capotra'l
sonno in riva di Scamandro, ma il cor mi fuggi su'l
Tirreno. Sognai, placide cose de' miei novelli anni sognai. Non più libri : la stanza da'l sole di luglio affocata, rintronata da i carri rotolanti su M ciottolato de la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei
colli, cari selvaggi colli che il giovane aprii rifioria. Scendeva per la piaggia con mormorii freschi
un zampillo pur divenendo rio: su '1 rio passeggiava mia
madre florida ancor ne gli anni, traendosi un pargolo
a mano
910 ODI BARBARE
cui per le spalle bianche splendevano i riccioli
d' oro. Andava il fanciulletto con piccolo passo di gloria, superbo de V amore materno, percosso nel core da quella festa immensa che l'alma natura in- tonava. Però che le campane sonavano su da '1 castello annunziando Cristo tornante dimane a' suoi cieli; e su le cime e al piano, per V aure, pe' rami,
per Tacque, correa la melodia spiritale di primavera; ed i pèschi ed i mèli tutti eran fior' bianchi e
vermigli, e fior' gialli e turchini ridea tutta T erba al di sotto, ed il trifoglio rosso vestiva i declivii de' prati, e molli d' auree ginestre si paravano i colli, e un' aura dolce movendo quei fiori e gli odori veniva giù da'l mare; nel mar quattro candide
vele andavano andavano cullandosi lente nel sole, che mare e terra e cielo sfolgorante circonfondeva. La giovine madre guardava beata nel sole. Io guardava la madre, guardava pensoso il fratello, questo che or giace lungi su '1 poggio d' Arno
fiorito, quella che dorme presso ne l'erma solenne
Certosa ; pensoso e dubitoso s' ancora ei spirassero T aure o ritornasser pii del dolor mio da una plaga
ODI BARBARE 911
ove tra note forme rivivono gli anni felici. Passar le care imagini, disparvero lievi co '1
sonno. Lauretta empieva intanto di gioia canora le
stanze, Bice china al telaio seguia cheta l' opra de V ago.
912 ODI BARBARE
COLLI TOSCANI
C,
'olii toscani e voi pacifiche selve d' olivi a le cui ombre chete stetti in pensier d' amore, tósca vendemmia e tu da' grappi vermigli spu- manti in faccia al sole tra giocondi strepiti,
sole de'giovini anni; ridete a la dolce fanciulla che amor mi strappa e rende sposa al toscano
cielo; voi le ridete, e quella che sempre negaronmi i fati pace d'affetti datele ne T anima.
Colli, tacete,e voi non susurratele, olivi, non dirle, o sol, per anche, tu onniveggente, pio, ch'oltre quel monte giaccion, lei forse aspet- tando, que' miei che visser tristi, che in dolor morirono.
ODI BARBARE 913
Ella ammirando guarda la cima, tremarsi nel
cuore sente la vita e un lieve spirto sfiorar le chiome, mentre V aura montana, calando già il sole,
d' intorno al giovin capo le agita il vel candido.
Carducci. ^
914 ODI BARBARE
PER LE NOZZE DI MIA FIGLIA
O
nata quando su la mia povera casa passava come uccel profugo la speranza, e io disdegnoso battea le porte de l'avvenire;
or che il pie saldo fermai su '1 termine cui combattendo valsi raggiungere e rauchi squittiscon da torno i pappagalli lusingatori;
tu mia colomba t' involi, trepida il nuovo nido voli a contessere oltre Apennino, ne '1 nativo aere dolce de' colli tòschi.
ODI BARBARE 915
Va' con r amore, va' con la gioia, va' con la fede candida. L'umide pupille fise al vel fuggente, la mia Camena tace e ripensa.
Ripensa i giorni quando tu parvola coglievi fiori sotto le acacie,
ed ella reggendoti a mano fantasmi e forme spiava in cielo.
Ripensa i giorni quando a la morbida tua chioma intorno rogge strisciavano le strofe contro a gli oligarchi librate e al vulgo vile d'Italia.
E tu crescevi pensosa vergine, quand' ella prese d' assalto intrepida i clivi de r arte e piantovvi la sua bandiera garibaldina.
Riguarda, e pensa. De gli anni il tramite
teco fia dolce forse ritessere,
e risognare i cari sogni
nel blando riso de' figli tuoi?
O forse meglio giova combattere fino a che l'ora sacra richiamine? Allora, o mia figlia, — nessuna me Beatrice ne' cieli attende —
916 ODI BARBARE
allora al passo che Omero ellenico e il cristiano Dante passarono mi scorga il tuo sguardo soave, la nota voce tua m'accompagni.
ODI BARBARE 917
PRESSO L' URNA DI PERCY BYSSHE SHELLEY
L
*.'
/alage, io so qual sogno ti sorge dal cuore
profondo, so quai perduti beni V occhio tuo vago segue.
V ora presente è in vano, non fa che percuo-
sol nei passato è il heTìo, sol né la morte è il vero.
Pone r ardente Clio su 'I monte de' secoli il piede agile, e canta, ed apre V ali superbe al cielo.
Sotto di lei volante si stuopre ed illuititna l'ampio cimitero del mondo, ridele in faccia il sole
de l'età nova. O strofe, pensler de^ miei giovihi
anni, volate ornai secure verso gli antichi amori;
918 ODI BARBARE
volate pe' cieli, pe' cieli sereni, a la bella isola risplendente di fantasia ne' mari.
Ivi poggiati a l'aste Sigfrido ed Achille alti e
biondi erran cantando lungo il risonante mare:
dà fiori a quello Ofelia sfuggita al pallido amante, dal sacrificio a questo Ifì'anassa viene.
Sotto una verde quercia Rolando con Ettore parla, sfolgora Durendala d'oro e di gemme al sole:
mentre al florido petto richiamasi Andromache
il figlio; Alda la bella, immota, guarda il feroce sire.
Conta re Lear chiomato a Edippo errante sue pene, con gli occhi incerti Edippo cercala sfinge ancora:
la pia Cordelia chiama— Deh, candida Antigone,
vieni! vieni, o greca morella! Cantiara la pace a i
padri. —
Elena e Isotta vanno pensose per V ombra de i
mirti, il vermiglio tramonto ride a le chiome d'oro:
ODI BARBARE 919
Elena guarda l'onde: re Marco ad Isotta le
braccia apre, ed il biondo capo su la gran barba cade.
Con la regina scota su '1 lido nel lume di luna sta Clitennestra:. tuffan le bianche braccia in
mare,
e il mar rifugge gonfio di sàngue fervido: il pianto de le misere echeggia per lo scoglioso lido.
O lontana a le vie de i duri mortali travagli isola de le belle, isola de gli eroi,
isola de' poeti ! Biancheggia V oceano d' intorno, volano uccelli strani per il purpureo cielo.
Passa crollando i lauri V immensa sonante epopea come turbin di maggio sopra ondeggianti piani;
o come quando Wagner possente mille anime
intona a i cantanti metalli; trema a gli umani il core.
Ah, ma non ivi alcuno de' novi poeti mai surse, se non tu forse, Shelley, spirito di titano,
entro virginee forme: dal divo complesso di Teti Sofocle a volo tolse te fra gli eroici cori.
920 ODI BARBARE
O cuor de' cuori, sopra quesf urna che freddo
ti chiude odora e tepe e brilla la primavera in fiore.
O cuor de* cuori, il sole divino padre ti avvolge de' suoi raggianti amori, povero muto cuore.
Fremono freschi i pini per l' aura grande di Roma : tu dove sei, poeta del liberato mondo?
Tu dove sei? m'ascolti? Lo sguardo mio umido
fugge oltre r aurelìana cerchia su '1 mesto piano.
ODI BARBARE 921
.J- '
AVE
IN MORTE DI G. P.
o,
r che le nevi premono, lenzuol funereo, le terre e gli animi, e de la vita il fremito fioco per l'aura vernai disperdesi,
tu passi, 0 dolce spirito:
forse la nuvola ti accoglie pallida
là per le solitudini
del vespro e tenue teco dileguasi.
Noi, quando a' soli tepidi
un desio languido ricerca 1* anime
e co i fiori che sbocciano
torna Persefone da gli occhi cernii,
922 ODI BARBARE
noi penseremo, o tenero,
a te non reduce. Sotto la candida
luna d' aprii trascorrere
vedrem la imagine cara accennandone.
^; .1 " ' • h
ODI BARBARE 923
NEVICATA
L,
enta fiocca la neve pe *1 cielo cinereo: gridi, suoni di vita più non Saigon da la città,
non d'erbaiola il grido o corrente rumore di carro, non d'amor la canzon ilare e di gioventù.
Da la torre di piazza roche per l'aere le ore gemon, come sospir d' un mondo lungi dal di.
Picchiano uccelli raminghi a' vetri appannati:
gli amici spiriti reduci son, guardano e chiamano a me.
In breve, o cari, in breve — tu calmati, indo- mito cuore — giù al silenzio verrò, ne l' ombra riposerò.
NOTA
pag. 872, vv. 1-6. 11 framniento d' Alcmane, a cui fu inspirata la invocazione contenuta in questi versi, è benissimo illustrato dal prof. L. A. Michelangeli nella dotta raccolta ch'egli ha pubblicato (Bologna, Zanichelli, 1889) dei Frammenti tiftt i
CONGEDO
A.
' lor cantori diano i re fulgente collana d' oro lungo il petto, i volghi a' lor giullari dian con roche strida suono di mani.
Premio del verso che animoso vola dlL-U^memorie % l'avveijjre, io chiedo colma una coppa a_ l'amicizia e il riso de la bellezza.
Come ricordo d' un mattin d' aprile puro è il sorriso de le belle, quando lieta fugace chiudere s'affretta il nono lustro;
930 ODI BARBARE
e tra i bicchier che Tamistade infiora vola serena, imagine la morte, come a te sotto i platani d'Ilisso, divo Platone.
VERSIONI
TOMBE PRECOCI
DA FR. G. KLOPSTOCK
Bc!
Dcn vieni, o bell'astro d'argento, compagno tacente a la notte. Tu fu^i? oh rimanti, splendore pensoso! vedete? eì rimane: la nuvola va.
Più bel d'una notte d'estate
è solo il mattino di maggio:
a lui la rugiada gocciando da i ricci
riluce, e vermiglio pe '1 colle va su.
O cari, già il musco severo a voi sopra i tumuli crebbe : deh come felice vedeva io con voi le notti d'argento, vermigli i bei di!
934 ODI BARBARE
NOTTE D' ESTATE
DA FR. G. KLOPSTOCK
Q:
,uando il tremulo splendore de la luna si diffonde giù pe' boschi, quando i fiori e i molli aliti de i tigli via pe '1 fresco esalano,
il pensiero de le tombe come un' ombra in me scende; né più i fiori né più i tigli danno odore; tutto il bosco è per me crepuscolo.
Queste gioie con voi, morti, m'ebbi un tempo: come il fresco era e il profumo dolce intorno! come bella eri, o natura, in queir albor tremulo!
ODI BARBARE 935
LA TORRE DI NERONE
DA A. PLATEN
N
arra la fama, e ancor n' ha orrore il popolo: Nerone, indétto a la città V incendio, sali su quella torre a lo spettacolo del rogo, allegro ed avido.
Correano al cenno suo gV incendiarii, baccanti in festa, e roteavan picei serti di fiamma. Dritto su' merli aurei Neron tócca la cetera.
— Gloria — egli canta — al fuoco: a Toro ei simile ei degno del Titan che al cielo tolselo: r augel di Giove il porta; ed il primo alito egli accolse di Bromio.
CONGEDO
938 ODI BARBARE
LA LIRICA
DA A. PLATEN
A
la materia V anima s' appiglia, polso del mondo è V azione; e a sorde orecchie spesso versa i canti T alta lirica musa.
A tutti Omero s' apre e svariati
gli arazzi de la favola dispiega,
r autor del dramma trascinando i volghi
le scene eleva.
Ma il voi del sacro Pindaro, di Fiacco l'arte e, o Petrarca, il tuo librato verso, lento ne i cuori imprimesi, e a la plebe arduo sfugge.
ODI BARBARE 939
Grazia che pensa, non agevol ritmo di canzoncine intorno la teletta: non lieve sguardo penetra le loro alme possenti.
Eterno vaga per le genti il nome, ma raro ad essi spirito s'aggiunge amicò e pio che onori le gagliarde menti profonde.
RIME E RITMI
ALLA SIGNORINA MARIA A.
o
piccola Maria, Dì versi a te che importa?
Esce la poesia,
0 piccola Maria, Quando malinconìa Batte del cor la porta.
0 piccola Maria,
Di versi a te che importa?
944 RIME E RITMI
NEL CHIOSTRO DEL SANTO
Si
4' come fiocchi di fumo candido tenui sfilando passan le nuvole su r aèree cupole, sovra le fantastice torri del Santo;
passan pe '1 cielo turchino, limpido, fresco di pioggia recente: sonito di mondo lontano par V eco tra le arcate che abbraccian le tombe.
Tal su l'audacie de gli anni giovani a me poeta passàro i cantici, ed ora ne V animo chiuso solitaria ne mormora V eco.
RIME E RITMI 945
Si come nubi, si come cantici fuggon Tetadi brevi de gli uomini: dinanzi da gli occhi smarriti, ombra informe, che vuol l'infinito?
Carducci. 60
946 RIME E RITMI
JAUFRE RUDEL
n
al Libano trema e rosseggia Su M mare la fresca mattina: Da Cipri avanzando veleggia La nave crociata latina.
A poppa di febbre anelante Sta il prence di Blaia, Rudello, E cerca co '1 guardo natante Di Tripoli in alto il castello.
In vista a la spiaggia asiana Risuona la nota canzone: " Amore di terra lontana, Per voi tutto il core mi duol. Il volo d' un grigio alcione Prosegue la dolce querela, E sovra la candida vela S' affligge di nuvoli il sol.
RIME E RITMI 947
La nave ammaina, posando Nel placido porto. Discende Soletto e pensoso Bertrando, La via per al colle egli prende.
Velato di funebre benda Lo scudo di Blaia ha con sé: Affretta al Castel: — Melisenda Contessa di Tripoli ov'è?
Io vengo messaggio. d'amore, Io vengo messaggio di morte: Messaggio vengo io del signore Di Blaia, Giaufredo Rudel.
Notizie di voi gli fùr porte, V amò vi cantò non veduta : Ei viene e si muor. Vi saluta, Signora, il poeta fedel. —
La dama guardò lo scudiero A lungo, pensosa in sembianti: Poi surse, adombrò d'un vel nero La faccia con gli occhi stellanti:
^ Scudier, — disse, rapida — andiamo. Ov'è che Giaufredo si muore? Il primo al fedele rechiamo E r ultimo motto d' aqiore. —
948 RIME E RITMI
-Nt^V_'N.-\ "N-*^^-
Giacca sotto un bel padigiione Giaufrcdo al conspctto del mare: In nota gentil di canzone Levava il supremo desir.
— Signor che volesti creare Per me questo amore lontano, Deh fa che a la dolce sua mano Commetta V estremo respir ! —
Intanto co '1 fido Bertrando Veniva la donna invocata; E r ultima nota ascoltando Pietosa risté su V entrata :
*
Ma presto, con mano tremante Il velo gittando, scopri La faccia; ed al misero amante — Giaufredo, — ella disse, — son qui.
Voltossi, levossi co '1 petto Su i folti tappeti il signore, E fiso al bellissimo aspetto Con lungo sospiro guardò.
— Son questi i begli occhi che amore Pensando promisemi un giorno? È questa la fronte ove intorno 11 vago mio sogno volò? —
RIME E RITMI 949
Si come a la notte di maggio La luna da i nuvoli fuora Diffonde il suo candido raggio Su M mondo che vegeta e odora,
Tal quella serena bellezza Apparve al rapito amatore, Un' alta divina dolcezza Stillando al morente nel cuore.
— Contessa, che è mai la vita? È r ombra d' un sogno fuggente. La favola breve è finita, 11 vero immortale è l'amor.
Aprite le braccia al dolente. Vi aspetto al novissimo bando. Ed or, Melisenda, accomando A un bacio lo spirto che muor. —
La donna su '1 pallido amante Chinossi recandolo al seno, Tre volte la bocca tremante Co M bacio d'amore baciò,
E il sole da '1 cielo sereno Calando ridente ne Tonda L' effusa di lei chioma bionda Su '1 morto poeta irraggiò.
950 RIME E RITMI
IN UNA VILLA
O
tra i placidi olivi, tra i cedri e le palme
sedente bella Arenzano al riso de la ligure piaggia;
operosa vecchiezza V illustra, serena f adorna signoril grazia e il dolce di giovinezza lume;
facii corre in te V ora tra liete aspettanze e ri- cordi calmi, si come V aura tra la collina e il mare.
RIME E RITUI 951
PIEMONTE
S,
*u le dentate scintillanti vette
salta il camoscio, tuona la valanga
da' ghiacci immani rotolando per le
selve croscianti :
ma da i silenzi de l'effuso azzurro esce nel sole V aquila, e distende in tarde ruote digradanti il nero
volo solenne.
Salve, Piemonte! A te con melodia mesta da lungi risonante, come gli epici canti del tuo popol bravo,
scendono i fiumi.
952 RIME E RITMI
Scendono pieni, rapidi, gagliardi, come i tuoi cento battaglioni, e a valle cercan le deste a ragionar di gloria
ville e cittadi:
la vecchia Aosta di cesaree mura ammantellata, che nel varco alpino eleva sopra i barbari manieri
l'arco d'Augusto:
Ivrea la bella che le rosse torri specchia sognando a la cerulea Dora nel largo seno, fosca intorno è V ombra
di re Arduino:
Biella tra '1 monte e il verdeggiar de' piani lieta guardante l'ubere convalle, eh' armi ed aratri e a l' opera fumanti
camini ostenta:
Cuneo possente e paziente, e al vago declivio il dolce Mondovi ridente, e r esultante di castella e vigne
suol d' Aleramo ;
e da Superga nel festante coro de le grandi Alpi la regal Torino incoronata di vittoria, ed Asti
repubblicana.
RIME E RITMI 953
Fiera di strage gotica e de V ira di Federico, dal sonante fiume ella, o Piemonte, ti donava il carme
novo d' Alfieri.
Venne quel grande, come il grande augello ond'ebbe nome; e a l'umile paese sopra volando, fulvo, irrequieto,
— Italia, Italia —
egli gridava a' dissueti orecchi,
a i pigri cuori, a gli animi giacenti:
— Italia,^ Italia — rispondeano V urne
d*Arquà e Ravenna:
e sotto il volo scricchiolaron V ossa sé ricercanti lungo il cimitero de la fatai penisola a vestirsi
d' ira e di ferro.
— Italia, Italia! — E il popolo de' morti surse cantando a chiedere la guerra;
e un re a la morte nel pallor del viso
sacro e nel cuore
trasse la spada. Oh anno de' portenti, oh primavera de la patria, oh giorni, ultimi giorni del fiorente maggio,
oh trionfante
954 RIME E RITMI
suon de la prima italica vittoria che mi percosse il cuor fanciullo! Ond' io, vate d'Italia a la stagion.più bella,
in grige chiome
oggi ti canto, o re de' miei verd' anni, re per tant' anni bestemmiato e pianto, che via passasti con la spada in pugno
ed il cilicio
al Cristian petto, italo Amleto. Sotto il ferro e il fuoco del Piemonte, sotto di Cuneo M nerbo e l' impeto d' Aosta
sparve il nemico.
Languido il tuon de V ultimo cannone dietro la fuga austriaca moria: il re a cavallo discendeva contra
il sol cadente:
a gli accorrenti cavalieri in mezzo, di fumo e polve e di vittoria allegri, trasse, ed, un foglio dispiegato, disse
resa Peschiera.
Oh qual da i petti, memori de gli avi, alte ondeggiando le sabaude, insegne, surse fremente un solo grido: Viva
il re d' Italia !
RftiE E RITMI 955
Arse di gloria, rossa nel tramonto, r ampia distesa del lombardo piano; palpitò il lago di Virgilio, come
velo di sposa
che s' apre al bacio del promesso amore : pallido, dritto su l'arcione, immoto, gli occhi fissava il re: vedeva l'ombra
del Trocadero.
E lo aspettava la brumai Novara e attristi errori mèta ultima Oporto. Oh sola e cheta in mezzo de' castagni
villa del Douro,
che in faccia il grande Atlantico sonante a i lati ha il fiume fresco di camelie, e albergò ne la indifferente calma
tanto dolore!
Sfaceasi; e nel crepuscolo de i sensi tra le due vite al re davanti corse una miranda vision : di Nizza
il marinaro
biondo che dal Gianicolo spronava contro l'oltraggio gallico: d'intorno splendeagli, fiamma di piropo al sole,
r italo sangue.
956 RIME E RITMI
Su gli occhi spenti scese al re una stilla, lenta errò 1* ombra d' un sorriso. Allora venne da l'alto un voi di spirti, e cinse
del re la morte.
Innanzi a tutti, o nobile Piemonte, quei che a Sfacteria dorme e in Alessandria die a r aure primo il tricolor» Santorre
di Santarosa.
E tutti insieme a Dio scortaron V alma di Cari' Alberto. — Eccoti il re, Signore, che ne disperse, il re che ne percosse.
Ora, o Signore,
anch' egli è morto, come noi morimmo, Dio, per l'Italia. Rendine la patria. A i morti, a i vivi, pe '1 fumante sangue
da tutt' i campi,
per il dolore che le regge agguaglia a le capanne, per la gloria, Dio, che fu ne gli anni, pe '1 martirio, Dio,
che è ne l'ora,
a quella polve eroica fremente, a questa luce angelica esultante, rendi la patria, Dio; rendi l'Italia
a gì' italiani.
Ceresole reale, 27 luglio i8go.
RIME E RITMI 067
AD ANNIE
B
atto a la chiusa imposta con un ramicello
di fiori glauchi ed azzurri, come i tuoi occhi, o
Annie.
Vedi : il sole co '1 riso d' un tremulo raggio ha
baciato la nube, e ha detto — Nuvola bianca,
t'apri. —
Senti : il vento de V alpe con fresco susurro sa- luta la vela, e dice — Candida vela, vai. —
958 RIME E RITMI
Mira: Taugel discende da Tumido cielo su '1
pèsco in fiore, e trilla — Vermiglia pianta, odora. —
Scende da' miei pensieri V eterna dea poesia su '1 cuore, e grida — O vecchio cuore,
batti. —
E docile il cuore ne' tuoi grandi occhi di fata s' affisa, e chiama — Dolce fanciulla, canta. —
RIME E RITMI 959
A C. C.
MANDANDOGLI POEMI DI BYRON
viario, SU M risonante adrìaco lido A te viensene Aroldo il bel cantore; Non quale ei drappeggiò con riso infido Nel mantello di pari il suo dolore,
Ma qual raggiante di fatai valore Surse d' uà popol combattente al grido Quando pensò raddur d'Alceo co M cuore L'aquila tf Alessandro al greco nido.
Quanti su quella bianca anglica fronte Sogni passar di gloriai Da TEgeo Sorridevan le sparse isole belle.
Ahi la Parca volò! Di monte in monte Pianse la lira de V antico Orfeo E tramontaro in buio mar. le stelle.
-f-
960 RIME E RITMI
BICOCCA DI SAN GIACOMO
Hjcco il ridotto. Ancor non ha T aratro raso dal suolo l'opera di guerra. Ecco le linee del tonante vallo
e le trincee.
Contra il nemico brulicante al piano e lampe^iante da le valli in faccia qui puntò Colli rapido mirando
le batterie.
Ecco le offese del nemico bronzo ne la chiesetta, già sonante in coro d' umili donne al vespero d' aprile
le litanie.
RIME E RITMI 961
Dimani, Italia, passeran da l'Alpi prodi seimila in faccia al re levando r armi e i rìdenti in giovine baldanza
vólti riarsi.
Voi non vedrete, voi non sentirete, prodi sepolti in queste verdi zolle, quando tra questi clivi ruinava
la monarchia,
che Filiberto dirizzò, che sciolse come polledra a V aure annitrfente via per V Europa al corso il cuor di Carlo
Emmanuele.
Nobil teatro a V inclita ruina questo dMntorno. Sopra monti e valli e su' vaganti in lucidi meandri
fiumi e torrenti
passa r istoria, operatrice eterna, tela tessendo di sventure e glorie: uman pensiero a' novi casi audace
romperla crede.
E tuttavia silenziosa fati
novi aggroppando ne la trama antica
tesse e ritesse V ardua tessitrice
fra r alpi e il mare.
Carducci. 61
962 RIME E RITMI
Rapida va de' secoli la spola. Addio, tra i sparsi Liguri romano termine Ceva e nuova d'Aleramo
forza feudale!
Oh, pria eh' Alasia al giovine lombardo gli occhi volgesse innamoratamente ceruli e a lui sciogliesse de la chioma
l'oro fluente,
povera vita e ricco amor chiedendo a la spelonca d' Àrdena, lasciate lungi le selve di Germania e il padre
imperatore,
là da quel varco, onde sfidando vibra r esile torre il Castellino, urlando arabe torme dilagar fin dove
Genova splende.
Sotto il falcato voi de le fischianti al sol di maggio scimitarre azzurre croci di Cristo ed aquile di Roma
cadean: le donne
tendono in vano a l'are di Maria Vergin le mani, pallide, discinte, via trascinate pe' capelli a' molti
letti de l'Islam.
RIME E RITMI 963
Ma s'apre a i venti su per le castella vigili lungo le selvose Langhe la fida a Cristo e Cesare balzana
di Monferrato.
Nata d* amore e di valor cresciuta, gente di pugne e di canzoni amica, di lance e scudi infranti alta sonando
la sirventese,
deh come sparve luminosa, il cielo consparso intorno di vermiglie stelle, imperiai meteora d'Jtalia,
in Oriente!
Dietro le vien co*l Po^ con la sua bianca croce, con gli anni, pur di villa in villa, dritta, secura, riguardando innanzi,
un' altra gente.
Tra ciglia e ciglia sotto le visiere balena il raggio del latin consiglio. Quaranta, duci ; e l'aquila de l'Alpe
vola d' avanti.
Oh più che'l Po gli aspetta, oh più che il serto di Berengario! A lor servon gli eventi e le disfatte: gli emuli d' un giorno
pugnan per loro.
964 RIME E RITMI
Chi è che cade e pare ascendere ombra là da le Langhe nuvolose? O grigia in mezzo a le due Bormide Cosseria,
croce di ferro!
Su le ruine del castello avito, ultimo arnese or di riparo a i vinti del re, tre giorni, senza vitto, senza
artiglieria,
contro al valor repubblicano in cerchio battente a fiotti di rovente bronzo, supremo fior de V alber d* Aleramo,
stiè Del Carretto.
Su le ruine del castello avito, giovine, bello, pallido, senz' ira, ei maneggiava sopra i salienti
la baionetta.
Scesero al morto cavaliere intorno da r erme torri nel ceruleo vespro r ombre de gli avi ; ma non il compiantò
de* trovadori
ruppe i silenzi de la valle, un giorno tutta sonante di liuti e gighe dietro i canori peregrin dal colle
di Tenda al mare.
RIME E RITMI 965
Altri messaggi ed altri messaggeri manda orda Francia. Ride su l'eterne nevi de l' Alpi V iride levata
de i tre colori.
Di balza in balza, angel di guerra, vola la marsigliese. Svegliansi al galoppo de' cavalieri d'Augereau gli ossami
liguri e celti.
E Bonaparte dice a' suoi, da Monte Zemolo uscendo al Tanaro sonante — Soldati, Annibal superò quest'Alpi,
noi le girammo — .
Di greppo in greppo su'l cavallo bianco saetta il còrso. SpiovongU le chiome in doppia. lista nere per l'adusto
pallido viso,
e neri gli occhi scintillando immoti fóran dal fondo del pensier le cose. Accenna. E come fulmine Massena
urta ed inonda,
ove Corsaglia al Tanaro si sposa dal mezzo. fiede Serurier, sinistro batte Augereau. Gloria a' tuoi forti, o ponte
di San Michele !
966 RIME E RITMI
Avanza sotto il tricolor vessillo Tegualitade, avanzano i plebei duci che il sacro feudale impero
abbatteranno.
Ma qui si pugna per Tonor, si muore qui per la patria. E ben risorge e vince chi per la patria cade ne la santa
luce de l'armi.
' Reca, Albertina, pur di guardia in guardia il parvoletto Carignano. In lui tócca la madre Rivoluzione
per r avvenire
l'ultimo capo dal vittorioso ramo di Carlo Emmanuele. Il serto gitta oltre Po Vittorio, e dittatore
leva la spada.
E a te dimani, Umberto re, in conspetto r Alpi d' Italia schierano gli armati figli a la guerra. Il popolo fidente
te guarda e loro.
Noi non vogliamo, o Re, predar le belle rive straniere e spingere vagante l'aquila nostra a gli ampi voli avvezza:
ma, se la guerra
RIME E RITMI 967
1' Alpe minacci e su' due mari tuoni, alto, o fratelli, i cuori ! alto le insegne e le memorie! avanti, avanti, o Italia
nuova ed antica.
Settembre 1891.
968 RIME E RITMI
LA GUERRA
Oantano i miti — Fuse Prometeo nel primigenio fango animandolo la forza dMnsano leone: r uomo levandosi ruggì guerra.
•
Dal rosso Adamo crebbe a l'esilio il lavorante primo: soverchio gli parve nel mondo un fratello: truce rise su '1 percosso Abele.
Quindi gorgoglia sangue ne i secoli la faticosa storia de gli uomini, dal Pàrthenon grande a la tua casa candida, Vashingtòno
RIME E RITMI 969
Su Torso a terra steso rizzandosi il troglodita brandi ne T aere la clava, da i muscoli al cuore fervere sentendo la battaglia.
I feri figli giocando al veapero nel sol rossastro luccicar videro tra i massi cruenti la. selce, .
e r acuirono per la strage.
Poi de le cose di fuor le imagini calde riflesse nel mental fosforo per mezzo l'aprii vaporante ebri rapiangli, barcollando,
da i palafitti laghi, da i fumidi antri scavati. Ah, verzicarono le biade, pria magre su '1 colle, nel lavacro de le vene umane.
Dal superato colle i superstiti guardàro: i fiumi vasti, T oceano moltisono, le caliganti alpi percossero di stupore
i petti aneli verso il dominio,
le menti accese del vago incognito.
II pin fu gettato su Tonde,
da i cerchi di pietre in vetta al monte
970 RIME E RITMI
tonàro i foschi dèi de le patrie, da i chiusi ostelli le donne risero: e quindi la guerra perenne, cavalla indomita, corse il mondo.
Pria che M falcato ferro de l'arabo profeta il culto suada a i popoli de r unico Allah solitario, e intorno al sepolcro scoverchiato
del crocefisso ribelle a leova arda il duello grave ne' secoli tra r Asia e 1' Europa, onde fulse a gli ozi barbari luce e vita;
oh ben pria manda 1* aurea Persepoli gli adoratori del fuòco a gì' idoli contro, onde sonò Maratone inclita storia ne le genti,
e Zeus su '1 trono de gli Achem^nidi, nume pelasgo d' Omero e Fidia, ascese co'l bello Alessandro, ed Aristotele meditava.
Dal Flavio Autari che il longobardico destriero e l'asta spinge nel Ionio sereno ridentegli dopo lungo errare armato, al venturiere
RIME E RITMI 97t
che uscito a vista del Grande Oceano cavalca Tonde nuove terribili armato di spada e di scudo pe'l regio imperio de la Spagna,
una fatale sublime insania per i deserti, verso gli oceani, trae gli uomini Tun contro T altro co' numi, co'l mistico avvenire,
con la scienza. Su le Piramidi il Bonaparte quaranta secoli ben chiama. Colà dove mummie dormono inutili Faraoni,
al musulmano solenne, al tacito fellah curvato, tra sfere e circoli, ei parla i diritti de Tuomo: ondeggiano in alto i tre colori.
Oh, tra le mura che il fratricidio cementò eterne, pace è vocabolo mal certo. Dal sangue la Pace solleva candida Tali. Quando?
Bologna^ g novembre 1891.
972 RIME E RITMI
NICOLA PISANO
I.
A
1 sorriso d'aprii che da la tarda Vetrata rompe e illumina la messa Par che di greca leggiadria riarda Il marmo funeral de la contessa.
Su la divota gente al suol dimessa La voce va de V organo gagliarda, E sorge e tuona e mormora compressa, E il sol dardeggia. E Nicolò riguarda.
Per la dischiusa porta la marina Vedesi lungi tremolare, invia Odori il vento, V infiorato china
Mandorlo i rami. E tra la litania Che invoca e prega, in umiltà divina Da la gloria di Fedra esce Maria.
RIME E RlTilI 973
II.
E
la chiamata da le afflitte genti Sotto le spade barbare ne' pianti, L' aspettata da i popoli redenti Ne i segni a la vittoria sventolanti.
È il fior d' lesse che vinceva i lenti Verni semiti, e i petali roranti Di lacrimosa pietà apre a i portenti Trasfigurato ne gli cileni incanti.
Oh di che mira passTon percossa
Stiè r alma a lo scultor, quando montare
Dal greco avello de le tedesche ossa.
Benigna visì'on che tutto ammalia Il ciel d* intorno, ei vide su l'altare La nova e santa Venere d'Italia!
974 RIME E RITMI
III.
E
da le spalle d' Ampelo a l' altare Traversando fu visto Difoniso Maestoso ne V atto con un riso Di gioia spiritai pontificare.
E da le forme di beltà preclare Il verginal Ippolito diviso Ecco i pulpiti sale, e dritto e fiso Di sereno vigor simbolo appare.
Poi, quando il coro de le, donne a Tore Del vespro in alto i canti e gli occhi ergea De gV incensi tra il morbido vapore,
"Col vampeggiar de la mistica idea Ne i seni a le feconde* itale nuore L'eroica bellezza discendea.
RIME E RITMI 975
IV.
D
a la foce de l'Arno e de le spente Città d* Etruria da le sedi or liete Di primavera, al vento d* oriente, Navi di Pisa, sciogliete, sciogliete.
Come stuolo di cigni in onde chete Avanti Febo suo signor movente, Bianche V azzurro Egeo soavemente, Navi di Pisa, correte, correte.
Vien dal verde paese di Cibele
D' etesie mormoranti aure un conforto
Che fuga dietro sé tempo crudele;
E spirito novel di porto in porto Aleggia e canta da le vostre vele — O terra, o cìel, o mar, Pan è risorto
976 RIME E RITMI
CADORE
I.
Oei grande. Eterno coM sole T iride de' tuoi colori consola gli uomini, sorride natura a V idea giovin perpetua ne le tue
forme. Al baleno di quei fantasimi roseo passante su M torvo secolo posava il tumulto del ferro, ne r alto guardavano le genti ;
e quei che Roma corse e V Italia, struggitor freddo, fiammingo cesare, sé stesso obliava, i pennelli chino a raccogliere dal tuo piede.
RIME E RITMI 977
Di': sotto il peso de* marmi austriaci, in quel de' Frari grigio silenzio, antico tu dormi ? o diffusa anima erri tra i paterni monti,
qui dove il cielo te, fronte olimpia cui d' alma vita ghirlandò un secolo, il ciel tra le candide nubi limpido cerulo bacia e ride?
Sei grande. E pure là da quel povero marmo più forte mi chiama e i cantici antichi mi chiede quel baldo viso di giovine disfidante.
Che è che sfidi, divino giovane? la pugna, il fato, V irrompente impeto dei mille contr' uno disfidi, anima eroica, Pietro Calvi.
Deh, fin che Piave pe' verdi baratri ne la perenne fuga de' secoli divalli a percuotere 1' Adria co' ruderi de le nere selve,
che pini al vecchio San Marco diedero turriti in guerra giù tra 1' Echinadi, e il sole calante le aguglie tinga a le pallide dolomiti
Carducci. 62
978 RJME E RITMI
si. che di rosa pel cheto vespero le Marmaroje care al Vecellip rifulgati, pala<gio di sogni, eliso di spiriti e di fate,
sempre, deh, sempre suoni terribile ne . i. desideri da le memorie, o Calvi, il tuo nome; e balzando pallidi i giovini cerchin T arme.
II.
Non te, Cadore, io canto su V arcade avena che
segua
de r aure e V acque il murmure : te con r eroico verso che segua il tuon de' fucili
giù per le valli io celebro.
Oh due di maggio, quando, saltato su *1 limite de la
strada al confine austriaco, il capitano Calvi — fischiavan le palle d' in- torno —
biondo, diritto, immobile,
leva in punta a la spada, pur fiso al nemico
mirando, il foglio è '1 patto d'Udine, e un fazzoletto rosso, segnale di guerra e ster- minio, con la sinistra sventola!
\
RIME E RITMI 979
Pelmo a Tatto e Antelao da' bianchi nuvoli il capo
grigio ne T aere sciolgono, come vecchi giganti che V elmo chiomato sco-
tendo
a la battaglia guardano.
Come scudi d* eroi che splendon nel canto de' vati
a lo stupor de i secoli, raggianti ;nel candore, di contro al sol chepe'l
cielo
sale, i ghiacciai scintillano.
Sol de le antiche glorie, con quanto ardore tu
abbracci
T alpi ed i fiumi e gli uomini! tu fra le zolle sotto le nere boscaglie d'abeti
visiti i morti e susciti.
— Nati su r ossa nostre, ferite, figliuoli, ferite
sopra l'eterno barbaro: da' nevai. che di sangue tingemmo crosciate, ma- cigni,
valanghe, stritolatelo — .
Tale da monte a monte rimbomba la voce de'morti
che a Rusecco pugnarono;. e via di villa in villa con fremito pgn'ora cre- scente
i venti la diffondono.
980 RIME E RITMI
Afferran V armi e a festa i giovani tizianeschi
scendon cantando Italia: stanno le donne a' neri veroni di legno fioriti
di geranio e garofani.
Pieve che allegra siede tra' colli arridenti e del
Piave ode basso lo strepito, Auronzo bella al piano stendentesi lunga tra
r acque sotto la fosca Ajàrnola,
e Lorenzago aprica tra i campi declivi che d' alto
la valle in mezzo domina, e di borgate sparso nascose tra i pini e gli abeti
tutto il verde Comelico,
ed altre ville ed altre fra pascoli e selve ridenti
i figli e i padri mandano: fucili impugnan, lance brandiscono e roncole:
i corni
de i pastori rintronano.
Di tra gli altari viene l'antica bandiera che a
Valle vide altra fuga austriaca, e accoglie i prodi: al nuovo sol rugge e a' pe- ricoli novi il vecchio leon veneto.
RIME E RITMI 981
Udite. Un suon lontano discende, approssima,
sale, corre, cresce, propagasi;
un suon che piange e chiama^ che grida, che
prega, che infuria,
insistente, terribile.
•Che è? chiede il nemico venendo a l'abboc- camento,
e pur con gli occhi interroga. — Le campane del popol d* Italia sono : a la morte
vostra o a la nostra suonano — .
Ahi, Pietro Calvi, al piano te poi fra sett'anni
la morte
da le fosse di Mantova rapirà. Tu venisti cercandola, come a la sposa
celatamente un esule.
-Quale già V Austria V armi, tal d* Austria la
forca or ei guarda sereno ed impassibile, £rato a V ostil giudicio che milite if mandi a la
»
sacra legTon de gli spiriti.
Non mai più nobil alma, non mai sprigionando
lanciasti a r avvenir d' Italia, Belfiore, oscura fossa d' austriache forche, ful- gente. Belfiore, ara di màrtiri.
982 RIME E RITMI
Oh a chi d' Italia nato mai caggia dal core it
tuo nome
frutti il talamo adultero tal che il ributti' a calci da i lari aviti nel fango
vecchio querulo ignobile!
e a chi la patria nega,, nel cuor, nel cervello^
nel sangue sozza una forma brulichi di suicidio, e da la bocca laida bestemmiatrice
*
un rpspo verde palpiti!
III.
À tè ritorna, si come V aquila nel reluttante dragon sbramatasi poggiando su Tali pacate
j
a r aereo nido torna e al sole,
a te ritorna, Cadore, il cantico sacro a la patria. Lento nel pallido candor de la giovine luna . stendesi il murmurc de gli abeti
da te, carezza lunga su '1 magico sonno de V acque. Di biondi parvoli fioriscono a te le contrade, e da le pendenti rupi il fieno
RIME E RITMI ^983
falciati cantando le fiere vergini attòrte jn nere bende la fulvida chioma; sfaviltan di lampi cernii rapicji gli occhi: /mentre
i •- ,.. I
il carrettiere per le precipiti vie tre cavalli regge ad un carico di pino da lungi odorante, e al cidolo ferve Perarolo,
e tra le nebbie fumanti avvertici tuona la caccia: cade il camoscio a' colpi sicuri, e il nemico, quando la patria chiama, cade.
Io vo' rapirti, Cadore, V anima di Pietro Calvi; per la penisola io voglio su Tali del canto aralda mandarla. — Ahi mal ridesta,
ahi non son V Alpi guancial propizio a sonni e sogni perfidi, adulteri ! levati, fini la gazzarra: levati, il marzio gallo canta! —
Quando su V Alpi risalga Mario e guardi al doppio mare Duilio placato, verremo, o Cadore, l'anima a chiederti del Vecellio.
984 RIME E RITMI
Nel Campidoglio di spoglie fulgido, nel Campidoglio di leggi splendido^ ei pinga il trionfo d'Italia, assunta novella tra le genti.
In piazaa di Pieve del Cadore e sul lago di Misurina, seti. 1892.
RIME E RITMI 985
CARLO GOLDONI
L
A
te, porgente su T argenteo Sile Le braccia a V avo da V opima cuna, Ne la festante ilarità senile Parve la vita accorrere con una
Marionetta in mano. Al sol d'aprile Te fuggente la logica importuna Presago accolse il comico navile . Veleggiando la tacita laguna.
E Florìndi e Lindori e Pantaloni
Fùr la famiglia tua: d'entro i.suoi scialli
Rosaura ti dicea — Bon df, putclo — .
Fumavan su la tolda i macchefoni, Su l'albero le scimmie e i pappagalli Garrian. Su V Adria ridea grande il cielo.
986 RIME £ RITMI
II.
Jl ortuna e vita girano il lor variò Stil. Quando Marte del suo ferreo stampo Italia offusca e al tuon de' bronzi e al lampo Fa di battaglia le città scenario,
Tu, da le mani dèi ladron sicario Tragedo uscendo con sereno scampo, Conduci a mendicar di campo in campo L'eroica cecità di Belisario.
Oh errante, con la moglie; entro gli oscuri Guadi e i passi dubbiosi ed i tremanti Perigli de la notte, ecco il mattino!
Dal mondo ide la luna ecco Arlecchino Al brigadier di Spagna, e in note e canti Maria Teresa a gli Ussari e a' Panduri.
RIME E RITMI 981
III.
-Lcco, e tra i palchi onde V oligarchia Sputa in. platea, Venezia, ecco da questo Povero allegro ventuHer modesto A te la scena. pojiòlar si criu.:
La commedia de Parte. si dormia Ebra vecchiarda; ed ei con un $uo gesto Le spiccò su dal fianco disonesto La giovinetta verità giulia.
Poi tra i Baffi acfcosciatii ne' bordelli
Ed ì Farsetti lividi al leggio
Da le gondole trasse e da' campièlli
La sanità plebea Tutto vanio
Come uno. stormo di migranti augelli . Senza gloiria né pan.; Venezia; addio:!
988 RIME E RITMI
IV.
D,
eh come grige pesano le brume Su Lutezia che il verno discolora, Mentre ancor de l'ottobre al dolce lume Ride San Marco ed il Canal s'indora!
Ed ei pur di su '1 memore volume Al suo passato risorride ancora, E la vita e la scena ed il costume Di cordìal giocondità rinfiora.
Ahi, la tragedia, orribil visione.
Al gran comico alutor chiude Fetale!
Cadde: e Venezia non vide finire
Piagnucolando come donna Cate^
E di .palagio, come Pantalone
Dal reo. Lelio cacciato, il doge uscire.
RIME E RITMI 989
A SCANDIANO
D,
e la prona stagion ne i di più tardi Che le rose sfiorirò e i laureti, Quando cavalleria cinge i codardi E al valor civiltà mette divieti,
A te, Scandian, faro gentil che ardi Ne r immensa al pensiero epica Teti,
0 rocca de' Fogliani e de* Boiardi, Terra di sapienti e di poeti,
Io vengo: a tergo mi lasciai la grama Che il mondo dice poesia, lasciai
1 deliri a cui par che dietro agogni
L' età malata. Io sento che mi chiama
De' secoli la voce, e risognai
La verità de i grandi antichi sogni.
i6 decembre 1894.
990 RIME E RilTMI
ALLA FIGLIA DI FRANCESCO CRISPI
X GENNAIO MDCCCXCV
M
a non sotto la stridula Procella d' onte che non fùr più mai, Ma non, sicana vergine, Tu la splendida fronte abbasserai.
Pria che su rosea traccia Amor ti chiami, innalza, o bella figlia, Innalza al padre in faccia Gli occhi sereni e le stellanti ciglia.
t
Ei nel dolce monile De le tue braccia al bianco capo intorno Scordi il momento vile E de la patria il tenebroso giorno.
Ne r amoroso e pio folgoreggiare De gli occhi in lui levati L' ampio riso rivegga ei del suo mare Ne' di pieni di fati;
RIME E RITMI 991
Quando, novello Procida, E più vero e migliore, innanzi e indietro Arava ei V onda sicula; Silenzio intorno, a lui su '1 capo il tetro
De le borbonie scuri Balenar ne i crepuscoli fiajnmanti; In cuore i di futuri, Garibaldi e T Italia: avanti, avanti!
O isola del sole, O isola d*eroi madre, Sicilia, Fausta accogli la prole Di lui che la tirannica vigilia
T'accorciò. Seco venga a' lidi tuoi Fé' d' opre alte e leggiadre, O isola del sole, o tu d* eroi Sicilia antica madre.
992 RIME E RITMI
ALLA CITTÀ DI FERRARA
NEL XXV APRILE DpL MDCCCXCV
I.
P errara, su le strade che Ercole primo lanciava
ad incontrar le Muse pellegrine arrivanti, e allinearon elle gli emuli viali d' ottave
storiando la tomba di Merlino profeta, come, o Ferrara, bello ne la splendida ora d'aprile
ama il memore sole tua solitaria pace! J^on passo i luminosi misteri vTola né voce d'uomo: da i suburbani pioppi il tripudio
corre de gli uccelli su l'aura del pian lungi florido.
Come ne le scendenti spire de la conchiglia un' eco d' antichi pianti, un suono di lungo sospiro pro- fondo dal grande oceano ond' ella strappata fu,
permane;
RIME E RITMI 993
cosi per le tue piazze dilette dal sole, o Ferrara, il nuovo peregrino tende le orecchie e ode
da' marmorei palagi su M Po discendere lenta processione e canto d* un fantastico epos.
Chi è, chi è che viene? Con piangere dolce di
flauti, tra nuvola di cigni volanti da 1' Eridano, ecco il Tasso. Lampeggia, palazzo spirtal de' dia- manti, e tu, fatta ad accórre sol poeti e duchesse, 0 porta de' Sacrati, sorridi nel florido arco !
d' Italia grande, antica, V ultimo vate viene.
Ei fugge i colli dove monacale tedio il consunse,
ei chiede i luoghi dove gioveniù gli sorrise.
Castello d' Este, in vano d' arpie vaticane fedato,
abbassa i ponti, leva l' aquila bianca. Ei
torna. Non Alfonso caduco gli mova a l' incontro, non
mova Leonora, matura vergine senz'amore; ma Parisina ardente dal sangue natal di Fran- cesca, che del vago Tristano legge gli amori e
r armi ; ma, posando la destra su '1 fido levrier, Leonello verde vestito; parla di Cesare al Guarino.
Carducci 63
994 RIME E RITMI
li.
O dileguanti via su la marina tra grige arene e fise acque di stagni, cui scarsa ornai la quercia ombreggia e rado
il cignal fruga,
terre pensose in torvo aere greve, su cui perenne aleggia il mito e cova leggende e canta a i secoli querele,
ditemi dove
rovescio, il crin spiovendogli, dal sole mal carreggiato (e candide tendea al mareggiante Eridano le braccia)
cadde Fetonte
ardendo, come per sereno cielo stella volante che di lume un solco traesi dietro: chiamano, ed in alto
miran le genti.
Ov'è che prone su '1 fratel piangendo r Eliadi suore lacrimar V elettro, e crebber pioppe, sibilando a' venti
sciolte le chiome?
RIME E RITMI 995
Ov' è che a lutto del fanciullo amato lai lunghi il re de' Liguri levando tra le populee meste fronde e r ombra
de le sorelle
vecchiezza indusse di canute piume, e abbandonata la dogliosa terra segui le belle sorridenti in cielo
stelle co *1 canto ?
Perpetuo quindi un gemito vagava su la tristezza di Padusa immota ne le fosche acque. I Liguri selvaggi
spingean le cimbe
lungo ululando in negre vesti, o sopra i calvi dossi a V isole emergenti in solchi per il desolato lago
sedean cantando
lugubremente dove Argenta siede oggi. Né ancora Dfomede avea di delfic* oro e *argivo onor ve3tita
. . d' Adria reina
Spina pelasga.. Ahi nome vano or suona! Spari, del vespro visione, in faccia a la sorgente con in man la cróce
ferrea Ferrara.
996 RIME E RITMI
Salve, Ferrara ! Dove stan le belle torri d' Ateste e case d' ArTosti eran paludi, e i Lingoni coloni
davan le reti
al mare incerto e combattean la preda, quando campati innanzi la ruina del latrante Unno i Veneti e dal Fòro
giulio i Romani,
si come i Liguri avi da le belve ne le disperse stazìon lacustri, qui confuggiro e ripararon V alto
seme di Roma.
Salve, Ferrara, coM tuo fato in pugno
ultima nata, creatura nova
de TApennin, del Po, del faticoso
dolore umano !
Poi che di sàngue vinilo rinfusa pugne cercando e libertà, trovasti risse e tiranni, a Torrente — O bianca
aquila, vieni ! —
chiamasti. E venne. Ah ponte di Cassano, ah rive d' Adda, quanto grido corse l'aure lombarde, allor che su'l furore
d* Ezzelin domo
RIME E RITMI 997
ringuainando placido la spada Azzo Novello salutò con mano la sventolante rossa croce per le
itale insegne !
D'allora un lume d'epopea corona r aquila d' Este ; e quando ne le sale le marchesane udian Isotta e i fieri
giovani Orlando,
un mesto suon di rapsodia veniva giù d' Aquileia dal disfatto piano, venia co'l Po, cantatagli da' flutti
d' Ocno e di Manto,
r itala antica melodia di Maro ; e le vlfole de' trovieri a un tratto tacean; la dama sospirava, in alto
guardava il sire.
E a te, Ferrara, come già d' alpestre sostanza i fiumi ti recar tributo, onde tu stesti nel gran piano e saldo
crebbe San Giorgio,
a te da i monti a te da le colline d' Italia verdi proflui l' ingegno e la bollente d' igneo vigore
materia umana.
998 RIME E RITMI
A te gli strozzi vennero da V Arno tòsco parlando e ti cantar latina; e gli Arìosti da Bologna, accorta
gente di guerra
e di faccenda, che a stupor del mondo diér la sirena del volubil tono ; venne da Reggio la diletta a Febo
gente Boiarda;
e da gli Euganei vennero pensosi Savonaroli, e da Verona bella, la diva Grecia rivelando, umile
venne il Guarino.
Onde stagione fu di gloria, e corse con il tuo fiume, o fetontea Ferrara, ampio, seren. perpetuo, sonante,
l' italo canto.
III.
Ahi ahi Torà nefanda! Dal Tebro fiutando la
preda
la lupa vaticana s' abbatte su V Eridano. De la bocca agognante con Tatra mefite ella fuga
turbato V usignolo tra gli allori cantando.
RIME E RITMI 999
D' Armida e di Rinaldo cantava : cantava Clo- rinda
con r elmo a l'auree trecce, ed Erminia soave. Salgono su per 1' aere dal canto le imagini :
bionde
maliarde sorprese dal lusingato amore : vergini sospirose, che timide i cernii sguardi
giran, chinando il viso pallido di desio. Tutte fuggir le belle davanti a la lupa, che tetra
digrigna i bianchi denti, mette ululati e avanza. Tutti su' grandi scudi velaro i guerrieri le croci,
e dileguar fantasmi per le insorte tenèbre. La lupa con un guizzo del rabido artiglio la
bianca
aquila ghermì al petto, la straziò ne V ale.
Maledetta sie tu, maledetta sempre, dovunque
gentilezza fiorisce, nobiltade apre il volo, sii maledetta, o vecchia vaticana lupa cruenta;
maledetta da Dante, maledetta pe'l Tasso. Tu lo spegnesti, tu; malata l'Italia traesti
co'I suo poeta a l'ombra perfida de'cenobii. Pallido, grigio, curvo, barcollante, al braccio il
sostiene
un alto prete rosso di porpora e salute. O Garibaldi, vieni ! L' espiazione d' Italia
con la virtù d' Italia su questo colle adduci. Corra nobile sangue d'Arganti e Tancredi novelli
risorti da Camillo per la Solima nostra.
1000 RIME E RITMI
Che Sant' Onofrio ? È questa la vetta superba
di Giano,
fortezza de' Quiriti, cuna santa d'Italia: onde io, Ferrara, madre de V itale muse seconda,
questo vindice canto su'l nostro Po t'invio.
RIME E RITMI 1001
MEZZOGIORNO ALPINO
N,
el gran cerchio de l'alpi, su'l granito Squallido e scialbo, su' ghiacciai candenti, Regna sereno intenso ed infinito Nel suo grande silenzio il mezzodì.
Pini ed abeti senza aura di venti Si drizzano nel sol che gli penetra. Sola garrisce in picciol suon di cetra U acqua che tenue tra i sassi fluì.
1002 RIME E RITMI
L' OSTESSA DI GABY
E
verde e fosca V alpe e limpido e fresco è il
mattino, e traverso gli abeti tremola d'oro il sole. Cantan gli uccelli a prova, stormiscono le ca- scatene, precipita la scesa nel vallone di Niel.
Ecco le bianche case. La giovine ostessa a la
soglia ride, saluta e mesce lo scintillante vino. Per le fórre de Talpe trasvolan figure ch'io vidi certo nel sogno d' una canzon d' arme e
d' amori.
Gaby (Issime), 27 agosto i8gs-
RIME E RITMI 1003
ESEQUIE DELLA GUIDA
E. R.
Opezzato il pugno che vibrò V audace Picca tra ghiaccio e ghiaccio, il domatore De la montagna ne la bara giace.
Giù da la Saxe in funeral tenore Scende e canta il corteo : dicono i preti
— La requie eterna dona a lui, Signore — ,
— E la luce perpetua V allieti — Rispondono le donne: ondeggia al vento II vessil de la morte in fra gli abeti.
Or si or no su rotte aure il lamento Vien del mortorio, or si or no si vede Scender tra' boschi il coro grave e lento.
1004 RIME E RITMI
Esce in aperto, e al cimiter procede.
Posta la bara fra le croci, pria
Favella il prete : — Iddio V abbia mercede,
Emilio, re de la montagna: e pia Avei r alma, e ogni di le tue preghiere Ascendevano al grembo di Maria — .
Le donne sotto le gramaglie nere
Co '1 viso in terra piangono a una volta
Sopra i figli caduti e da cadere.
A un tratto la caligine ravvolta Intorno al Montebianco ecco si squaglia E purga nel sereno aere disciolta:
Via tra lo sdrucio de la nuvolaglia
Erto, aguzzo, feroce si protende
E, mentre il ciel di sua minaccia taglia,
II Dente del gigante al sol risplende.
ourmqyeur, 28 agosto iSgs-
RIME E RITMI 1005
LA MOGLIE DEL GIGANTE
IL NETTUNO
Bi
•ianchi verni, estati ardenti. Quante mai pesar su me ! Trapassar maree di genti Vidi e nuvole di re.
Bella mia, dal fondo algoso Del mar nostro vieni su ! In te vuole il suo riposo La mia bronzea gioventù.
LA SIRENA
Dal confin che il sol rallegra Qual mai voce risonò? Di quest' acque immense V egra Solitudin lascerò.
1006 RIME E RITMI
O tu azzurro il crine e il dosso Bel cavallo, a me, a me ! Vo' vedere il sole rosso E la faccia del mio re.
IL NETTUNO
Il mio petto si confonde Di lassezza e di desir. Bella mia, per le glauche onde Non ti sento anche salir?
Bella mia, quando in ciel dorme
La caligine lunar
Ne la veglia de le forme
Ci vogliamo disposar.
LA SIRENA
Ahi, mio re ! V informe eterno Demogorgone non vuol, E la tenebra d' inferno Mi sorprende in faccia al sol.
Ahi, mio re ! la tua carezza Chiedo in van, son tratta giù; E fu in van la mia bellezza Com'è in van la tua virtù.
RIME E RITMI 1007
■*_ ■«w. >»f X^ -V- \. N- 1. *X.
PER IL MONUMENTO DI DANTE A TRENTO
XIII SETT. MCCCXXI
C^ùbito SCOSSO de le membra sue Lo spirito volò : sovr' esso il mare, Oltre la terra, al sacro monte fue.
A traverso il baglior crepuscolare Vide, o gli parve riveder, la porta Di san Pietro nel monte vaneggiare.
— Aprite — disse — . Coscienza porta Il mio volere, e tra i superbi io vegno, Ben che la stanza mia qui sarà corta.
E passerò nel benedetto regno A riveder le note forme sante. Che Dio e il canto mio me ne fa degno — .
1008 RIME E RITMI
Voce da V alto gli rispose — Dante, Ciò che vedesti fu e non è : vanio Con la tua vision, mondo raggiante
Ne gV inni umani de la vostra Clio : Dal profondo universo unico regna E solitario sopra i fati Dio.
Italia Dio in tua balia consegna Si che tu vegli spirito su lei Mentre perfezìon di tempi vegna.
Va, batti, caccia tutti falsi dèi, Fin eh' egli seco ti richiami in alto A ciò che novo paradiso crei — .
Cosi di tempi e genti in vario assalto Dante si spazia da ben cinquecento Anni de V Alpi sul tremendo spalto.
Ed or s' è fermo, e par eh' aspetti, a Trento.
20 seti. i8p6.
RIME E RITMI 1009
LA MIETITURA DEL TURCO
Atene, 1 4 giugno — / turchi incomincia- rono a mietere in Tessaglia e continuano a saccheggiare (Disp. telegr.)
]
1 Turco miete. Erari le teste armene Che ier cadean sotto il ricurvo acciar: Ei le offeriva boccheggianti e oscene A i pianti de V Europa a imbalsamar.
Il Turco miete. In sangue la Tessaglia Ch' ei non arava or or gli biondeggiò : — Aia — diss' ei — m' è il campo di battaglia, E frustando i giaurri io trebbierò — .
Il Turco miete. E al morbido tiranno Manda il fior de 1' elleniche beltà. I monarchi di Cristo assisteranno Bianchi eunuchi a Tarèm del Padiscià.
Carducci. 64
1010 RIME E RITMI
LA CHIESA DI POLENTA
A
gilè e solo vien di colle in colle quasi accennando V arduo cipresso. Forse Francesca temprò qui li ardenti
occhi al sorriso?
Sta l'erta rupe, e non minaccia: in alto guarda, e ripensa, il barcaiol, torcendo r ala de' remi in fretta dal notturno
Adr'fa: sopra
fuma il comignol del villan, che giallo mesce frumento nel fervente rame là dove torva l'aquila del vecchio
Guido covava.
RIME E RITMI 1011
Ombra d' un fiore è la beltà, su cui bianca farfalla poesia volteggia: eco di tromba che si perde a valle
è la potenza.
Fuga di tempi e barbari silenzi vince e dal flutto de le cose emerge sola, di luce a' secoli affluenti
faro, r idea.
Ecco la chiesa. E surse ella che ignoti servi morian tra la romana plebe quei che fùr poscia i Polentani e Dante
fecegli eterni.
Forse qui Dante inginocchiossi? L'alta fronte che Dio mirò da presso chiusa entro le palme, ei lacrimava il suo
bel San Giovanni ;
€ folgorante il sol rompea da* vasti boschi su '1 mar. Del profugo a la mente ospiti batton lucidi fantasmi
dal paradiso:
mentre, dal giro de' brevi archi l' ala candida schiusa verso V oriente, giubila il salmo In exitu cantando
Israel de Aegypto,
1012 RIME E RITMI
Itala gente da le molte vite, dove che albeggi la tua notte e un'ombra vagoli spersa de' vecchi anni, vedi
ivi il poeta.
Ma su' dischiusi tumuli per quelle chiese prostesi in grigio sago i padri, sparsi di turpe cenere le chiome
nere fluenti
al bizantino crocefisso, atroce ne gli occhi bianchi livida magrezza, chieser mercé de l'alta stirpe e de la
gloria di Roma.
Da i capitelli orride forme intruse a le memorie di scalpelli argivi, sogni efferati e spasimi del bieco
settentrione,
imbesti'ati degeneramenti de l'oriente, al guizzo de la fioca lampada, in turpe abbracciamento attorti,
zolfo ed inferno
goffi sputavan su la prosternata gregge: di dietro al battistero un fulvo picciol cornuto diavolo guardava
e subsannava.
RIME E RITMI 1013
Fuori stridea per monti e piani il verno de la barbarie. Rapido saetta nero vascello, con i venti e un dio
eh' ulula a poppa,
fuoco saetta ed il furor d' Odino su le arridenti di due mari a specchio moli e cittadi a Enosigeo le braccia
bianche porgenti.
Ahi, ahi ! Procella d* ispide polledre avare ed unne e cavalier tremendi sfilano: dietro spigolando allegra
ride la morte.
Gesù, Gesù! Spalancano la tetra bocca i sepolcri : a' venti a' nembi al sole piangono rese anch* esse de' beati
màrtiri l' ossa.
E quel che avanza il Vinilo barbuto, ridiscendendo da i castelli immuni, sparte — reliquie, cenere, deserto -—
con r alabarda.
Schiavi percossi e dispogliati, a voi oggi la chiesa, patria, casa, tomba, unica avanza: qui dimenticate,
qui non vedete.
1014 RIME E RITMI
E qui percossi e dispogliati anch' essi i percussori e spogliatori un giorno vengano. Come ne la spumeggiante
vendemmia il tino
ferve, e de' colli italici la bianca uva e la nera calpestata e franta sé disfacendo il forte e redolente
vino matura;
qui, nel conspetto a Dio vendicatore e perdonante, vincitori e vinti, quei che al Signor pacificò, pregando^
Teodolinda,
quei che Gregorio invidiava a' servi ceppi tonando nel tuo verbo, o Roma^ memore forza e amor novo spiranti
fanno il Comune.
Salve, affacciata al tuo balcon di poggi tra Bertinoro alto ridente e il dolce pian cui sovrasta fino al mar Cesena
donna di prodi,
salve, chiesetta del mio canto! A questa madre vegliarda, o tu rinnovellata itala gente da le molte vite,
rendi la voce
RIME E RITMI 1015
de la preghiera : la campana squilli ammonitrice: il campanil risorto canti di clivo in clivo a la campagna
Ave Maria.
Ave Maria ! Quando su V aure corre r umil saluto, i piccioli mortali scovrono il capo, curvano la fronte
Dante ed Aroldo.
Una di flauti lenta melodia passa invisibil fra la terra e il cielo: spiriti forse che furon, che sono
e che saranno?
Un oblio léne de la faticosa vita, un pensoso sospirar quiete, una soave volontà di pianto
r anime invade.
Taccion le fiere e gli uomini e le cose^ roseo '1 tramonto ne V azzurro sfuma, mormoran gli alti vertici ondeggianti
Ave Maria.
luglio iSg"].
1016 RIME E RITMI
SABATO SANTO
PER IL NATALIZIO DI M. G.
Ohe giovinezza nova, che lucidi giorni di gioia per la cerula effusa chiarità de F aprile
cantano le campane con onde e volate di suoni da la città su' poggi lontanamente verdi !
Da i superati inferni, redimito il crin di vittoria, candido, radiante, Cristo risorge al cielo :
svolgesi da V inverno il novello anno, e al suo
fiore già in presagio la messe già la vendemmia
ride.
Ospite nova al mondo, son oggi vent* anni. Maria, tu t' affacciasti ; e i primi tuoi vagiti coverse
RIME E RITMI 1017
doppio il suon de le sciolte campane sonanti a
la gloria: ora e tu ne la gloria de Tetà bella stai,
stai com' uno di questi arboscelli schietti d' aprile che a r aura dolce danno il bianco roseo fiore.
Volgasi intorno al capo tuo giovin, deh, V augure
suono de le campane anc' oggi di primavera e
pasqua !
cacci il verno ed il freddo, cacci V odio tristo e
r accidia, cacci tutte le forme de la discorde vita !
1018 RIME E RITMI
IN RIVA AL LYS
A S. F.
A
pie del monte la cui neve è rosa In su'l mattino candido e vermiglio, Lucida, fresca, lieve, armoniosa Traversa un' acqua ed ha nome dal giglio.
Io qui seggo, Ferrari, e la famosa Riva d'Arno ripenso e il tuo consiglio; E di por via la piccioletta prosa E altamente cantar partito piglio.
Ma il Lys m'avvisa — Al nulla si confonde Questo mio canto, e non se ne rammarca ; Pur di tanto maggior vena s' effonde — .
Ond' io, la fronte di superbia scarca,
Torno al mio cuore ; e a' monti a l' aure a l' onde
Ridico la canzon del tuo Petrarca.
Gressoney'la-Trinité, 8 agosto 1898.
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RIME E RITMI 1019
ELEGIA DEL MONTE SPLUGA
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o, forme non eran d' aer colorato né piante garrule e mosse al vento: ninfe eran tutte
e dee.
E quale iva salendo volubile e cernia come velata emerse Teti da V Egeo grande a Giove:
e qual balzava da la palpitante scorza de* pini rosea, r agii domando florida chioma a V aure :
e qual da la cintura dMn cima agghiacci dia- sprati sciogliea, nastri d' argento, le cascatene al- legre.
Sola in vett' a un gran masso di quarzo brillante
al meriggio in disparte sedevi, Loreley pellegrina:
1020 RIME E RITMI
solcavi r aurea chioma con V aureo pettine, lunga la chioma iva per V alpe, vi ridea dentro il
sole.
In un tempio a larghe ombre di larici acuti le
Fate stavan, occhi fiammanti ne la gemma de* visi :
serti di quercia al crine su le nere clamidi nero, scettri avean d' oro in mano : riguardavano me.
— Orco umano, che sali da' piani fumanti di
tedio, noi la ti demmo: aveva gli occhi color del
mare.
Or tu ne vieni solo. Che festi di nostra sorella? 1* hai divorata? — E fise riguardavan pur me.
— No, temibili Fate, no, soavi ninfe, lo giuro: ella è volata fuori de la veduta mia.
Ma la sua forma vive, ma palpita V alma sua
vita ne le mie vene, in cima de la mia mente siede.
Con la imagine sua dinanzi da gli occhi tuttora che mi arde, con la voce che dentro il cor
mi ammalia,
RIME E RITMI 1021
suono di primavera su '1 tepido aprile dormente, erro soletto il mondo, tutto di lei V impronto.
Ecco, voi Fate e ninfe, paretemi, e siete, lei sola: anzi in mia visione v' ho creato io di lei.
Ma ella dove esiste? — Lamenti scoppiarono,
e via sparver le ninfe in aria, via sotterra le Fate.
E vidi su gli abeti danzar li scoiattoli, e udii sprigionate co' musi le marmotte fischiare.
E mi trovai soletto là dove perdevasi un piano brullo tra calve rupi : quasi un anfiteatro
ove elementi un giorno lottarono e secoli. Or tace tutto: da' pigri stagni pigro si svolve un fiume :
erran cavalli magri su le magre acque : aconito, perfido azzurro fiore, veste la grigia riva.
Spluga, 1-4 settembre 1898.
1022 RIME E RITMI
SANT' ABBONDIO
Ni
itido il cielo come in adamante D' un lume del di là trasfuso fosse, Scintillan le nevate alpi in sembiante D' anime umane da V amor percosse.
Sale da i casolari il fumo ondante Bianco e turchino fra le piante mosse Da lieve aura: il Madesimo cascante Passa tra gli smeraldi. In vesti rosse
Traggono le alpigiane, Abbondio santo, A la tua festa: ed è mite e giocondo Di lor, del fiume e de gli abeti il canto.
Laggiù che ride de la valle in fondo ? Pace, mio cuor; pace, mio cuore. Oh tanto Breve la vita ed è si bello il mondo !
Madesimo f i settembre 1898.
RIME E RITMI 1023
ALLE VALCHIRIE
PER I FUNERALI DI ELISABETTA IMPERATRICE REGINA
B
ionde Valchirie, a voi diletta sferzar de' cavalli, sovra i nembi natando, V erte criniere al cielo.
Via dal lutto uniforme, dal piangere lento de i
cherci rapite or voi, volanti, di Wittelsbach la donna.
Ahi quanto fato grava su V alta tua casa
crollante, su la tua bianca testa quanto dolore,
Absburgo !
Pace, o veglianti ne la caligin di Mantova e Arad ombre, ed o scarmigliati fantasimi di donne!
Via, Valchirie, con voi la bionda qual voi di
cavalli agitatrice a riva più cortese ! là dove
1024 RIME E RITMI
sotto Corcira bella l'azzurro Jonio sospira con suo ritmo pensoso verso gli aranci in fiore.
Sorge la bianca luna da' monti d' Epiro ed allunga sino a Leuca la face tremolante su'l mare.
Ivi r aspetta Achille. Tergete, Valchirie, tergete dal nobil petto V orma del pugnale villano;
e tergete da l'alma, voi pie sanatrici divine, il sogno spaventoso, lugubre, de l' impero.
Sveglisi ne' freschi anni la pura vindelica rosa a un dolce accordo novo di tinnì'enti cetre.
Qual più soave mai, la musa di Heine risuona : chi da l'erma risponde Leucade, sospirando?
Tien la spirtale riva un'alta serena qu'fete come d' elisio sotto la graziosa luna.
aj sett. 1898.
^
RIME E RITMI 1025
PRESSO UNA CERTOSA
D.
a quel verde, mestamente pertinace tra le
foglie Gialle e rosse de V acacia, senza vento una si
toglie: E con fremito leggero Par che passi un' anima.
Velo argenteo par la nebbia su '1 ruscello che
gorgoglia, Tra la nebbia ne '1 ruscello cade a perdersi la
foglia. Che sospira il cimitero, Da' cipressi, fievole ?
Improvviso rompe il sole sopra V umido mattino, Navigando tra le bianche nubi V aere azzurrino : Si rallegra il bosco austero Già de'l verno presago.
Carducci 65
1026 RIME E RITMI
A me, prima che V inverno stringa pur V anima mia Il tuo riso, o sacra luce, o divina poesia ! Il tuo canto, o padre Omero, Pria che V ombra avvolgami !
RIME E RITMI 1027
CONGEDO
Fi
ior tricolore, ^-^ *** "^'^^ Tramontano le stelle in mezzo al mare E si spengono i canti entro il mio core.
ÌK
^
NOTE
pag. 955, V. 12. La prima edizione leggeva yUla di Quinta. Mi fu detto che Quinta in Portogallo è appellazione comune d' ogni villa. Veramente Carlo Alberto " abitava la villa d' £ntre Quintas „ ( L, Cibrario, Ricordi d' una missione in Portogallo, capo in).
V. 19-22. Di questi versi fu detto con goffe barbarie ° es- sere una riabilitazione di Carlo Alberto a base di Garibaldi „. No : io leggevo nei giornali del 1849 che il re pigliava molto interesse ai fatti della difesa di Roma.
BICOCCA DI SAN GIACOMO
pag. 960. E una frazione del comune di Bene Vagienna, in provincia di Cuneo, circondario di Mondovf; dove dinanzi a una chiesetta veggonsi ancora le tracce d' un ridotto ove fu combattuto il 16 aprile 1796. E tutto il paese è pieno di ri-
1030 RIME E RITMI
membranze di quella difesa e il paesaggio è pieno di memorie aleramiche e sabaude.
LA GUERRA
pag. 910, V. 24 — 911 v. 4. Quando V oltracotanza dell' igno- ranza intollerante si sferrò su quest'ode, rea di non acclamazione, anche ci fu chi nel venturiero ravvisò Cristoforo Colombo. Oh! E Vasco Nunez de Balboa, a vista del Mar pacifico, nel settembre del 1513. — Non sarà inopportuno riferir anche qui le sentenze di Carlo Cattaneo messe in fronte alla prima edi» zione : '^ Per tutte queste passioni umane la guerra è perpetua sulla terra. Ma la guerra stessa colla conquista, colla schia* Vito, colli esilii, colle colonie, colle alleanze pone in contatto fra loro le più remote nazioni; fa nascere dalla loro mesco- lanza nuove stirpi e lingue e religioni e nuove nazioni più civili, ossia più largamente sociali ; fonda // diritto delle gentiy la società del genere umano, il mondo della filosofia „. (C Cat- taneo, Opere, VI, 333, Firenze, 1891).
NICOLA PISANO
pp. 912-9T5. Cagione e mezzo al rinnovamento dell'arte scultoria fu lo studio e la diligenza messa da Nicola pisano intorno al lavoro greco rappresentante la storia d' Ippolito e Fedra nel marmò che poi racchiuse n corpo della contessa Matilde ed era incassato in una delle muraglie laterali del domo di Pisa.
CADORE
pp. 916-984. Per gratitudine mia, se non per cenno ad altri, ricordo alcuni libri che discorrono dei combattimenti del 1848 in Cadore e d' altre più cose cadorine. E prima : del prof. Ant. Ronzon, Calvi e i Cadorini (Tai del Cadore, 18T5) e Rindemera, Scene del Cadore nel 48 (Lodi, 1881); e del
RIME E RITMI 1031
sig. Venanzio Dona, Guida del Cadore (Venezia, 1888): questi o videro o udirono dai presenti. Poi il sig. Ottone Brentani raccolse e rinnovò abondante nella sua Guida storico-alpina del Cadore (Bassano 1886). A questi ultimi giorni il colonnello Gennaro Moreno ha raccontato, con intendimenti e dottrina militare. Calvi e la difesa del Cadore (Roma, Biblioteca mi- nima popolare militare).
Per dichiarazione al vocabolo cidolo e al v. 8 della pag. 983 ecco un passo dalla Storia del popolo cadorino compilata da Giuseppe Ciani (Padova, Sicca, 1856), parte prima, libro primo, pp. 11-13. Detto delle travi d'alberi lavo- rate e acconciate e nel maggio spinte nel Piave che li tra- sporta a Perarolo; seguita — " Ma non vi giungono sf presto : altre dall' impeto dell' onda gittate in sulle sabbie, altre dagli spessi e saldi massi, che sporgonsi dall' alveo, con- tenute. Il che or qua or là sempre quasi interviene, e la prima, che dando di cozzo ne' massi si ferma, tronca il corso alle suceedentisi ; onde s' aggruppano, s' incavallano, s* ammonti- cellano, sf, che per lungo tratto tu non iscorgi sul fiume che un' incomposta tettoia. I paesani appellano serre questi invi- luppi: a districarli accorronvi uomini in questa fatta di opere esercitati; che non tanto il fiume, che solo vi basti. Questi uomini si chiamano Menadàs: cure loro le stesse che dei Dendrofori presso a* Romani. Dipendenti da un capo, muniti di lunghe aste ferrate di uncini aguzzi o rampiconi, calano fra greppo e greppo, ove le serre e le sbandate in sulle sabbie; ricaccian queste nel fiume; uncinano, aggrappano, disvitic- chiano le rammassate, né si stanno che assembratele nel Ci- dolo. Un edifizio codesto a cavalliere del Piave presso a Pe- rarolo : piantato su d* ambedue le ripe, 1' estremità sf da im lato che l'altro torcendosi, addentransi alquanto nel fiume; grosse travi le congiungono quivi insieme; congegnate a foggia di cancello, se all'acque, non concedono l'uscita alle taglie. Gli stessi che addusserle, da quella chiudenda 1' estrag- gono ; conoscitori delle marche onde s' improntano, avvianle
1032 RIME E RITMI
a' segato! eretti lunghesso il fiume, conforme è loro ordinato: quivi ammonticchianle a che s* asciughino : asciutte son date alle seghe ; ridotte in tavole, sulle zattere traduconle pel fiume a Venezia, o lascianle per via ove i magazzini de' proprietari ,.
CARLO GOLDONI
pp. 985-988. Ricordare le Memorie di C. G.
ALLA FIGLIA DI FRANCESCO CRISPI
p. 991, V. 2 — e migliore. Nella copia che di mano del- r autore fu mandata alla sposa, onde la odicina fu riprodotta nel piti de' giornali, la penna trascorse a scrìver maggiore : quindi il lepido rìpetio dei paperi: non bisogna invidiare ai paperi il verso a cui si riconoscono e si raccolgono. Del resto pel rispetto storico, toma benissimo anche maggiore.
ALLA CITTÀ DI FERRARA
pp. 992-1000. In questi versi la storia di Ferrara, e anche la preistoria mitica e la conformazione geologica e psicologica della sua provincia e popolazione, è introdotta a rappresen- tare la preparazione e Io svolgimento della epopea che do- veva illustrarla. A queste prove la poesia può forse ancora resistere. Il presente è del dramma, del romanzo, del giornale : il futuro è di Dio: il passato, il doloroso e glorioso passato, può essere tuttora della poesia, massime in una storia com- plessa di tanti elementi com'è l'italiana.
pag. 999, V. 2L O Garibaldi, vieni. Questo appello parve a taluni importuno e volgare. No. Quando nel 1849 si trattò di calar giù le campane di sant' Onofrio per
RIME E RITMI 1033
mandarle alla fonderìa, Giuseppe Garìbaldì ammoni: rìspetto alle campane che sonarono air agonia di Torquato Tasso.
LA MOGLIE DEL GIGANTE
pp. 1005-1006. Cosi il popolo, poeta eterno quando non guasto da' maestri, ha cominciato a chiamare la " Sirena „, scolpita da Diego Sarti per la fontana della Montagnola [1896].
LA CHIESA DI POLENTA
pp. 1010. — La chiesa di San Donato in Polenta, ricor- data già in un documento del 976, è costruzione del sec. vili. Volevasi or fa pochi anni abbatterla al suolo per farne una nuova: se non che don Luigi Zattini, intelligente e amoroso arciprete, n' ebbe avvertito il cav. Antonio Santarelli ispettore degli scavi e monumenti nella provincia di Forlì. U quale die primo al pubblico notizie dell' antica chiesa ( 1890 ) ; e subito appresso ne discorse ampiamente alla Deputazione storica ro- magnola Corrado Ricci. E della chiesa e della ròcca polentana che le sorgea vicino scrisse di nuovo il Ricci nell' Ultimo ri- fugilo di Dante (1891), e una veduta ne ha inserito assai bella nel bellissimo Dante illustrato pubbl. in Milano da Ulr. Hoepli (1898). A instanza dell'arciprete Zattini, del cav. Santarelli, del conte Cilleni-Nepis ispettore delle scuole, del prof. Raffaello Zampa, il Comune e la Mensa vescovile di Bertinoro e la Provincia di Forlì cominciarono a pensare e provvedere pe' ristaurì. Ricordo che nella seduta 20 dee. 1889 del Consiglio provinciale, venuta in discussione la spesa per la chiesa polentana, opponendo alcuno non doversi gittare de- naro del pubblico per conservare chiese quando il meglio sa- rebbe buttar giti quelle anche in piedi, Aurelio Saffi, il nobi- lissimo mazziniano che presiedeva V adunanza, parlò da quel- r uomo culto e savio che era, e disse fra V altro " Quale ita- liano non vorrà conservata e onorata una chiesa dove Dante
1034 RIME E RITMI
pregò? „ Allora tutti quei repubblicani votarono la spesa per San Donato di Polenta. Che fu dichiarato dal Governo monu* mento nazionale; e cominciarono i lavoii de' restauri; e ven- nero in aiuto alla spesa il Ministero dell'istruzione e quello dei culti ; dei benefattori, come dicono, privati, ricordo la con- tessa Silvia Baroni Pasolini, il comm. Francesco Toiraca, 1' arcipr. Ricci di Consercole, i parochiani di Polenta e quel buon don Zattini che non ha poi molto grassa prebenda. Ri- staurati furono il tetto, le navate destra e centrale, V abside centrale, la cripta: rimane da ristaurare 1' abside a destra di chi entra e da ricostruire il campanile.
Da un articolo nel Cittadino di Cesena ( 13 giugno 1897) deir avv. Nazzareno Trovanelli, buon cittadino e buon lette- rato, di cui sono notevoli parecchie traduzioni dal Tennyson e dal Longfellow, riproduco qui, a schiarimento de' miei versi, alcuni passi. — '^ Le colonne della chiesa, grosse, rotonde, a strati di mattoni e di conci, sono coronate da capitelli che formano la parte più importante e caratteristica dello storico monumento. — Sono — scrive il cav. Santarelli — scolpiti in pietra locale, alcuni cubiformi, altri a dadi, con facce smussate, variamente ornate con foglie convenzionali, disegni geometrici, intrecci bizzarri di tenie, figure grottesche di mostri e animali, a tutto rilievo molto basso e rude. — Certe figure, piuttosto di scimmiotti che d' uomini, una specie d' ippogrifo, un orrìbile granchio di mare, fermano specialmente l' attenzione „. — " Del castello non restano che laceri avanzi sui quali è addossata una squallida casa colonica. Fu Dante al castello polentano? Pregò egli nella piccola chiesa ? Nessun documento V attesta, ma nulla lo rende inverisimile.... La leggenda, che qualche volta erra, ma talvolta integra é riassume la storia, lo crede; e vuole ancora che Francesca.... salisse quassia e ad un ci- presso, che sorge s<Aitario sopra uno di questi poggi e domina tutta la vallata intorno e si vede a grande distanza (forse so* stituito ad altri ivi posti successivamente) si dà ancora la poe- tica intitolazione di cipresso di Francesca „,
RIME E RITMI 1035
ÀI V. 24 della pag. 1012 osai fare italiano il verbo latino subsannare, che s' intende benissimo nella volgata versione della Bibbia: " Sprevit te et subsannavit te virgo filia Sion „ [Reg.ivxix 21]. Altri scrittori ecclesiastici T usarono: Tertul- liano, adv» Judaeos xi ; san Girolamo, epist lx : ma T ha anche Nemesiano, fragm. de aucup.f " et rauca subsannat voce magistri Consilium „. Il Porcellini interpreta beffeggiare^ dileggiare, " sanna irrideo „: e satina " proprie est distortio vultus quae fit diductis labiis, ore hiante, corrugata facie et ostentatone dentium „; e Thanno Giovenale vi 306 e Persio 1 61. Il Tommaseo nel suo Diaionario della lingua italiana registra " Sossannarej far le boccacce „, dal volgarizzamento toscano e del trecento del Trattato contro V avversità della fortuna di Arrigo da Settimello.
Il vecchio cipresso, che sorgeva dal colle di Conzano, fu colpito e atterrato dal fulmine nel pomeriggio del 21 luglio 1897: un altro ne fu piantato nel luogo il 26 ottobre.
DELLA « CANZONE DI LEGNANO »
PARTE I.
[ 1879]
IL PARLAMENTO
Ota Federico imperatore in Como. Ed ecco un messaggero entra in Milano Da Porta Nova a briglie abbandonate. " Popolo di Milano, „ ei passa e chiede, " Fatemi scorta al console Gherardo „. Il consolo era in mezzo de la piazza, E il messagger piegato in su I' arcione Parlò brevi parole e spronò via. Allor fé' cenno il console Gherardo, E squillaron le trombe a parlamento.
1040 CANZONE DI LEGNANO
II.
Squillarono le trombe a parlamento: Che non anche risurto era il palagio Su' gran pilastri, né V arengo v' era, Né torre v' era, né a la torre in cima La campana. Fra i ruderi che neri Verdeggiavan di spine, fra le basse Case di legno, ne la breve piazza I milanesi tenner parlamento Al sol di maggio. Da finestre e porte Le donne riguardavano e i fanciulli.
III.
" Signori milanesi, „ il consol dice, " La primavera in fior mena tedeschi Pur come d' uso. Fanno pasqua i lurchi Ne le lor tane, e poi calano a valle. Per r Engadina due scomunicati Arcivescovi trassero Io sforzo. Trasse la bionda imperatrice al sire Il cuor fido e un esercito novello. Como è coi forti, e abbandonò la lega. „ Il popol grida : " L' esterminio a Como. „
CANZONE DI LEGNANO 1041
IV.
" Signori milanesi, „ il consol dice,
" L' imperator, fatto Io stuolo in Como,
Move r oste a raggiungere il marchese
Di Monferrato ed i pavesi. Quale
Volete, milanesi? od aspettare
Da r argin novo riguardando in arme,
O mandar messi a Cesare, o affrontare
A lancia e spada il Barbarossa in campo? „
" A lancia e spada, „ tona il parlamento,
" A lancia e spada, il Barbarossa, in campo. „
V.
Or si fa innanzi Alberto di Giussano.
Di ben tutta -la spalla egli soverchia
Gli accolti in piedi al console d' intorno.
Ne la gran possa de la sua persona
Torreggia in mezzo al parlamento: ha in mano
La barbuta: la bruna capelliera
Il lato collo e V ampie spalle inonda.
Batte il sol ne la chiara onesta faccia.
Ne le chiome e ne gli occhi risfavilla.
È la sua voce come tuon di maggio.
Carducci. 66
1042 CANZONE DI LEGNANO
VI.
" Milanesi, fratelli, popol mio! Vi sovvien „ dice Alberto di Giussano " Calen di marzo? I consoli sparuti Cavalcarono a Lodi, e con le spade Nude in man gli giurar V obedìenza. Cavalcammo trecento al quarto giorno, Ed a i piedi, baciando, gli ponemmo I nostri belli trentasei stendardi. Mastro Guitelmo gli offerì le chiavi Di Milano affamata. E non fu nulla. »
VII.
" Vi sovvien „ dice Alberto di Giussano " Il di sesto di marzo? A i piedi ei volle Tutti i fanti ed il popolo e le insegne. Gli abitanti venian de le tre porte, II carroccio venia parato a guerra; Gran tratta poi di popolo, e le croci Teneano in mano. Innanzi a lui le trombe Del carroccio mandar gli ultimi squilli. Innanzi a lui l'antenna del carroccio Inchinò il gonfalone. Ei toccò i lembi.
ir
CANZONE DI LEGNANO 1043
Vili.
^* Vi sovvien? „ dice Alberto di Giussano: ;
*^ Vestiti i sacchi de la penitenza,
Co' piedi scalzi, con le corde al collo,
Sparsi i capi di cenere, nel fango
C'inginocchiammo, e tendevam le braccia,
E chiamavam misericordia. Tutti
Lacrimavan, signori e cavalieri,
A lui d' intorno. Ei, dritto, in piedi, presso
Lo scudo imperfal, ci riguardava.
Muto, col suo diamanti no sguardo. „
IX.
" Vi sovvien, „ dice Alberto di Giussano, " Che tornando a l'obbrobrio la dimane Scorgemmo da la via l' imperatrice Da i cancelli a guardarci ? E pe' i cancelli Noi gittammo le croci a lei gridando — O bionda, o bella imperatrice, o fida, O pia, mercé, mercé di nostre donne! — Ella trassesi indietro. Egli c'impose Porte e muro atterrar de le due cinte Tanto eh' ei con schierata oste passasse. „
1044 CANZONE DI LEGNANO
X.
" Vi sovvien? „ dice Alberto di Giussano: " Nove giorni aspettammo ; e si partirò L* arcivescovo i conti e i valvassori. Venne al decimo il bando — Uscite, o tristi, Con le donne co i figli e con le robe: Otto giorni vi dà V imperatore — . E noi corremmo urlando a Sant' Ambrogio, Ci abbracciammo a gli altari ed a i sepolcri. Via da la chiesa, con le donne e i figli, Via ci cacciaron come can tignosi. „
XI.
" Vi sovvien „ dice Alberto di Giussano " La domenica triste de gli ulivi? Ahi passìon di Cristo e di Milano ! Da i quattro Corpi santi ad una ad una Crosciar vedemmo le trecento torri De la cerchia; ed al fin per la ruina Polverosa ci apparvero le case Spezzate, smozzicate, sgretolate: Parean file di scheltri in cimitero. Di sotto, r ossa ardean de' nostri morti. „
CANZONE DI LEGNANO 1045
XII.
Cosi dicendo Alberto di Giussano Con tutt' e due le man copriasi gli occhi, E singhiozzava: in mezzo al parlamento Singhiozzava e piangea come un fanciullo. Ed allora per tutto il parlamento Trascorse quasi un fremito di bejve. Da le porte le donne e da i veroni, Pallide, scarmigliate, con le braccia Tese e gli occhi sbarrati al parlamento, Urlavano — Uccidete il Barbarossa — .
XIII.
" Or ecco, „ dice Alberto di Giussano,
" Ecco, io non piango più.' Venne il di nostro,
O milanesi, e vincere bisogna.
Ecco: io m'asciugo gli occhi, e a te guardando,
O bel sole di Dio, fo sacramento :
Diman da sera i nostri morti avranno
Una dolce novella in purgatorio:
E la rechi pur io! „ Ma il popol dice:
*^ Pia meglio i messi imperiali. „ Il sole
Ridea calando dietro il Resegone.
NOTA
Dovrebbe essere inutile il dichiarare, che io, ripigliando in poesia r argomento della battaglia di Legnano, non intesi ve- nire pur da lontano a contrasto o a paragone con Giovanni Berchet e Tereniio Mamiani, poeti e scrittori nobilissimi che io stimo ed ammiro, e a' cui alti ideali letterari la patria deve assai pili che non mostri accorgersi o ricordare la nuova ge- nerazione. Di questo breve poema, che presi a scrivere tre anni fa per amore del vero storico e della epopea medievale, pubblico ora una parte, almeno come protesta contro certe teoriche, le quali in nome della verità e della libertà vorreb- bero condannare la poesia ai lavori forzati della descrizione a vita del reale odierno e chiuderle i territori della storia, della leggenda, del mito. Ma al poeta è lecito, se vuole e può, an- dare in Persia e in India non che in Grecia e nel medio evo: gl'ignoranti e gli svogliati hanno il diritto di non se- guiUrlo [18T9].
APPENDICE
A GIULIO PERTICARI
Cantato nel Teatro del Rubicone in Savignano di Romagna la sera del giomo 15 agosto 1811, anniversario della nascita.
o.
' se tu genio presente Qui fra' tuoi respiri e vìvi, 0 se cerchi ombra silente Il gran Tetro e i sette clivi, Del tuo nido Compitano Salve, o Giulio, eterno amor, O del bel nome romano Salve pio restitutori
Quando a terra come armenti Ci premea l'estrania soma, Quando favola a le genti Il retaggio era di Roma, Tu gridasti — Odio ed oblio, Popol mio —, ti separar; Ma un sol nome Italia bella Tuona e appella — fra ì due mar.
1052 APPENDICE
Dal Simeto sino al Varo Solo un nome ti saluta Ne r eloquio altero e caro Che passò per V età muta, Che de i padri su gli avelli L' alma Roma ci lasciò : Sacra Italia! siam fratelli Sovra r Arno e sovra il Po !
Tu gridasti: ed or non tanto
Il tuo bel nido natio,
Ma, cessato il lungo pianto,
Ma, raccolta in un desio.
Tutta Italia rediviva,
D' un affetto e d' un pensier
Te saluta anima diva
Co M Petrarca e TAlighier.
APPENDICE 1053
DAI CARMINA DI LUDOVICO ARIOSTO
{Delle poesie latine edite e inedite di Ludovico Ariosto, Studi e ricerche di G. C. Bologna, Zanichelli, 1875, p. 138).
V a, rea vecchia, con questi carezzevoli susurri tuoi, va, ingorda vecchia, al diavolo. Assai la vostra fede, oh assai, m* è cognita, se ben tardi. Ma tal non son che illudere a la lunga mi lasci a le ree femmine impunemente. Oh come, oh come increscemi de le fallacie dove mi ritennero pur tanto tempo; ed io credeva, misero, r amore concedesse a me sol unico quei dolci frutti eh' io poi con grandissima vergogna mia compresi che si davano a questo e a quello e a quello ed a qual siasi vuol comprar con dannoso prezzo i fetidi accoppiamenti di coteste adultere. Or vedi tu come sfacciata pregami,
1054 APPENDICE
quasi che tutto il suo nefando vivere
io non sapessi. In dietro, o sporca femmina,
ruffiana, venditrice di libidini,
de gli amor miei prostitutrice lurida.
Oh come V ira V ugne mi sollecita
contro quella facciaccia ! Oh come V impeto
in quei bianchi cernecchi la man spingemi!
Impunita or ne andrà questa venefica?
No, che uno sfogo almen mi vo' concedere;
e pria le scaverò quegli occhi torbidi,
poi mieterò quella lingua pettegola,
quella che m' ha perduto e fatto misero
e minato ed a nulla ridottomi.
E voi mi ritenete, o amici perfidi?
Lasciatemi, per Dio! largo al giustissimo
furor ! paghi costei le pene debite !
Ah, voi la favorite ! e di commettere
non sapete un peccato inespiabile
aiutando queir empia. Io stesso, io vidila
sovente a V ombra di notte oscurissima
dissotterrar le benedette ceneri
ed evocar con diro carme V anime
pallide da i silenzi interminabili.
Eli' è che gitta a i fanciullini il fascino.
Or su, le paghi tutte, e voi partitevi.
Ma, se per nulla i miei preghi vi movono,
vada la scellerata a tutti i diavoli :
non sempre avrà voi soccorrenti e prossimi.
APPENDICE . 1055
DA FRIEDR. HOLDERLIN
{Cronaca Bìsantina, Roma, 16 settembre 1883)
o,
h t' avessi a le molli ombre de' platani Ove scorre V Ilisso in mezzo a i fior, Ove in sogni di gloria ardeano i giovani, Ove dolce attraea Socrate i cuor,
Ove Aspasia incedea bianca tra i mirti, Ove de le fraterne gioie il tuon Rimbombava da V agora, e a gli spirti Paradisi creava il mio Platon,
Ove d' inni fioria la primavera. Ove de* canti la gentil virtù Dal colle sacro a Pallade severa Come piena d'aprii scendeva giù
1056 APPENDICE
E in un fulgore d' ideal beato Come un sogno di dèi venia V età, Oh t' avess' io, diletto mio, trovato Oh trovato io t' avessi, amico, là.
Là, dove il mirto e un miglior sol corona Anacreonte e Alceo, là giù vo' gir! Con i santi là giù di Maratona Ne r esil casa d'Hade io vo' dormir!
La mia lacrima estrema, Eliade bella, Scorra e risuoni il canto ultimo a te! Alza le forci ornai, fatai sorella. Perché tutto co' morti il mio cuor è.
APPENDICE 1057
PER LA SOSPENSIONE DEL DON CHISCIOTTE
{Don Chisciotte, Bologna, 12 luglio 1881)
E,
^bre di sole strillali le cicale, Arse muse del luglio impolverato: Tace Montecitorio e su '1 piazzale Giace come un onagro addormentato.
Agostin di Stradella, in su '1 confino, GuardYan de la bestia, a l'ombra sta, Pensando a la sua barba, a lo scrutino Di lista e al fresco che ritornerà.
Cavalier de V idea, su la cui fronte Vaga il riso de' sogni intimi e fieri. Torna a gli errori su pe '1 verde monte Fra r ombre de' poeti e de' guerrieri.
Fresco t'incontri il vin di qualche ostessa; Quaggiù fa troppo caldo per l'onor: Dulcinea non sa d'esser principessa, Ma il vii Sancio è, per Dio, governator.
Carducci. 67
1058 APPENDICE
Quando la rondin parta e il merlo tomi, Torni fischiando a farsi istidionare, Potrai vèr* TAsinella a i freschi giorni Ronzinante e la lancia indirizzare.
Vedrai Ceri ingegnere e la facciata Di san Petronio in ciel crepuscolar, E la questura con una manata Di manette aiutarti a scavalcar.
APPENDICE 1059
DA GIULIO CESARE CORD ARA
IL GRECIZZANTE
G. C. Storia del Giorno, Bologna, Zanichelli, 1892, cap. IV, pag. 112.
E,
/gregiamente Tu parlerai se ad ogni passo ne le Favole conte un ellenismo piova, Ed una doppia e pur di greca stirpe Vocetta nuova. Né oggimai più tonda Ma ciclica per te sia la padella Ed elliptico V uovo e microcosmo L'uomo; e a' ruscelli ed a gli uccelli e a' nembi De' poeti e a le selve de' pittori Titolo affiggerai sacro, parergon. Oh se Pindaro in bocca alcuna volta E Tucidide a te suoni e le pure Néfele d'Aristofane o d'Omero La rapsodia divina! Quali rughe Mirabonde vedrai, quali udirai
1060 APPENDICE
Voci di sofi — Oh greco dal ciel messo!
Meno s' affigge con aperta bocca
La contadina, quando a lei pensosa
De la quartana del marito apprende
Affetto lui di lento emitriteo
Il medico verboso e con ambage
Lungi filata attonita l'avvolge.
INDICE DEI CAPOVERSI
1052 APPENDICE
Dal Simeto sino al Varo Solo un nome ti saluta Ne r eloquio altero e caro Che passò per V età muta, Che de i padri su gli avelli L' alma Roma ci lasciò : Sacra Italia! siam fratelli Sovra r Arno e sovra il Po !
Tu gridasti: ed or non tanto
Il tuo bel nido natio,
Ma, cessato il lungo pianto,
Ma, raccolta in un desio,
Tutta Italia rediviva,
D' un affetto e d' un pensier
Te saluta anima diva
Co '1 Petrarca e TAlighien
J
APPENDICE 1053
DAI CARMINA DI LUDOVICO ARIOSTO
( Delle poesie latine edite e inedite di Ludovico Ariosto, Studi e ricerche di G. C. Bologna, Zanichelli, 1875, p. 138).
V,
a, rea vecchia, con questi carezzevoli susurri tuoi, va, ingorda vecchia, al diavolo. Assai la vostra fede, oh assai, m' è cognita, se ben tardi. Ma tal non son che illudere a la lunga mi lasci a le ree femmine impunemente. Oh come, oh come increscemi de le fallacie dove mi ritennero pur tanto tempo; ed io credeva, misero, r amore concedesse a me sol unico quei dolci frutti eh' io poi con grandissima vergogna mia compresi che si davano a questo e a quello e a quello ed a qual siasi vuol comprar con dannoso prezzo i fetidi accoppiamenti di coteste adultere. Or vedi tu come sfacciata pregami,
1054 APPENDICE
quasi che tutto il suo nefando vivere
io non sapessi. In dietro, o sporca femmina,
ruffiana, venditrice di libidini,
de gli amor miei prostitutrice lurida.
Oh come V ira V ugne mi sollecita
contro quella facciaccia! Oh come l'impeto
in quei bianchi cernecchi la man spingemi !
Impunita or ne andrà questa venefica?
No, che uno sfogo almen mi vo' concedere;
e pria le scaverò quegli occhi torbidi,
poi mieterò quella lingua pettegola,
quella che m' ha perduto e fatto misero
e minato ed a nulla ridottomi.
E voi mi ritenete, o amici perfidi?
Lasciatemi, per Dio! largo al giustissimo
furor ! paghi costei le pene debite !
Ah, voi la favorite ! e di commettere
non sapete un peccato inespiabile
aiutando queir empia. Io stesso, io vidila
sovente a V ombra di notte oscurissima
dissotterrar le benedette ceneri
ed evocar con diro carme V anime
pallide da i silenzi interminabili.
Eirè che gitta a i fanciullini il fascino.
Or su, le paghi tutte, e voi partitevi.
Ma, se per nulla i miei preghi vi movono,
vada la scellerata a tutti i diavoli :
non sempre avrà voi soccorrenti e prossimi.
APPENDICE 1055
DA FRIEDR. HOLDERLIN
{Cronaca Bùiantina, Roma, 16 settembre 1883)
o
h t' avessi a le molli ombre de' platani Ove scorre V Ilisso in mezzo a i fior, Ove in sogni di gloria ardeano i giovani, Ove dolce attraea Socrate i cuor,
Ove Aspasia incedea bianca tra i mirti, Ove de le fraterne gioie il tuon Rimbombava da V agora, e a gli spirti Paradisi creava il mio Platon,
Ove d' inni fioria la primavera. Ove de' canti la gentil virtù Dal colle sacro a Pallade severa Come piena d'aprii scendeva giù
1056 APPENDICE
E in un fulgore d' ideal beato Come un sogno di dèi venia V età, Oh t' avess' io, diletto mio, trovato Oh trovato io t'avessi, amico, là.
Là, dove il mirto e un miglior sol corona Anacreonte e Alceo, là giù vo' gir! Con i santi là giù di Maratona Ne Tesil casa d'Hade io vo' dormir!
La mia lacrima estrema, Eliade bella, Scorra e risuoni il canto ultimo a te! Alza le forci omai, fatai sorella. Perché tutto co' morti il mio cuor è.
APPENDICE 1057
PER LA SOSPENSIONE DEL DON CHISCIOTTE
{Don Chisciotte, Bologna, 12 luglio 1881)
J-jbre di sole strillai! le cicale, Arse muse del luglio impolverato: Tace Montecitorio e su '1 piazzale Giace come un onagro addormentato.
Agostin di Stradella, in su '1 confino, Guardian de la bestia, a V ombra sta. Pensando a la sua barba, a lo scrutino Di lista e al fresco che ritornerà.
Cavalier de V idea, su la cui fronte Vaga il riso de' sogni intimi e fieri. Torna a gli errori su pe '1 verde monte Fra r ombre de' poeti e de' guerrieri.
Fresco t' incontri il vin di qualche ostessa; Quaggiù fa troppo caldo per l'onor: Dulcinea non sa d' esser principessa, Ma il vii Sancio è, per Dio, governator.
Carducci. 61
1058 APPENDICE
Quando la rondin parta e il merlo torni, Torni fischiando a farsi istidionare, Potrai vèr' TAsinella a i freschi giorni Ronzinante e la lancia indirizzare.
Vedrai Ceri ingegnere e la facciata Di san Petronio in ciel crepuscolar, E la questura con una manata Di manette aiutarti a scavalcar.
APPENDICE 1059
DA GIULIO CESARE CORDARA
IL GRECIZZANTE
G. C. Storia del Giorno, Bologna, Zanichelli, 1892, cap. IV, pag. 172.
E,
/gregiamente Tu parlerai se ad ogni passo ne le Favole conte un ellenismo piova, Ed una doppia e pur di greca stirpe Vocetta nuova. Né oggimai più tonda Ma ciclica per te sia la padella Ed elliptico V uovo e microcosmo L'uomo; e a' ruscelli ed a gli uccelli e a' nembi De' poeti e a le selve de' pittori Titolo affiggerai sacro, parergon. Oh se Pindaro in bocca alcuna volta E Tucidide a te suoni e le pure Néfele d'Aristofane o d'Omero La rapsodia divina! Quali rughe Mirabonde vedrai, quali udirai
1060 APPENDICE
Voci di sofi — Oh greco dal ciel messo!
Meno s'affigge con aperta bocca
La contadina, quando a lei pensosa
De la quartana del marito apprende
Affetto lui di lento emitriteo
Il medico verboso e con ambage
Lungi filata attonita l'avvolge.
INDICE DEI CAPOVERSI
1052 APPENDICE
Dal Simeto sino al Varo Solo un nome ti saluta Ne r eloquio altero e caro Che passò per V età muta, Che de i padri su gli avelli L' alma Roma ci lasciò : Sacra Italia! siam fratelli Sovra r Arno e sovra il Po !
Tu gridasti: ed or non tanto
Il tuo bel nido natio,
Ma, cessato il lungo pianto.
Ma, raccolta in un desio.
Tutta Italia rediviva,
D' un affetto e d' un pensier
Te saluta anima diva
Co M Petrarca e TAlighier.
APPENDICE 1053
DAI CARMINA DI LUDOVICO ARIOSTO
{Delle poesie latine edite e inedite di Ludovico Ariosto^ Studi e ricerche di G. C. Bologna, Zanichelli, 1875, p. 138).
V a, rea vecchia, con questi carezzevoli susurri tuoi, va, ingorda vecchia, al diavolo. Assai la vostra fede, oh assai, m' è cognita, se ben tardi. Ma tal non son che illudere a la lunga mi lasci a le ree femmine impunemente. Oh come, oh come increscemi de le fallacie dove mi ritennero pur tanto tempo; ed io credeva, misero, r amore concedesse a me sol unico quei dolci frutti eh' io poi con grandissima vergogna mia compresi che si davano a questo e a quello e a quello ed a qual siasi vuol comprar con dannoso prezzo i fetidi accoppiamenti di coteste adultere. Or vedi tu come sfacciata pregami.
1054 APPENDICE
quasi che tutto il suo nefando vivere
io non sapessi. In dietro, o sporca femmina,
ruffiana, venditrice di libidini,
de gli amor miei prostitutrice lurida.
Oh come V ira V ugne mi sollecita
contro quella facciaccia ! Oh come V impeto
in quei bianchi cernecchi la man spingemi!
Impunita or ne andrà questa venefica?
No, che uno sfogo almen mi vo' concedere;
e pria le scaverò quegli occhi torbidi,
poi mieterò quella lingua pettegola,
quella che m' ha perduto e fatto misero
e minato ed a nulla ridottomi.
E voi mi ritenete, o amici perfidi?
Lasciatemi, per Dio! largo al giustissimo
furor ! paghi costei le pene debite !
Ah, voi la favorite ! e di commettere
non sapete un peccato inespiabile
aiutando quell'empia. Io stesso, io vidila
sovente a V ombra di notte oscurissima
dissotterrar le benedette ceneri
ed evocar con diro carme V anime
pallide da i silenzi interminabili.
Eirè che gitta a i fanciullini il fascino.
Or su, le paghi tutte, e voi partitevi.
Ma, se per nulla i miei preghi vi movono,
vada la scellerata a tutti i diavoli :
non sempre avrà voi soccorrenti e prossimi.
APPENDICE , 1055
DA FRIEDR. HOLDERLIN
{Cronaca Bisantina, Roma, 16 settembre 1883)
o
h t' avessi a le molli ombre de* platani Ove scorre V Ilisso in mezzo a i fior, Ove in sogni di gloria ardeano i giovani, Ove dolce attraea Socrate i cuor,
Ove Aspasia incedea bianca tra i mirti, Ove de le fraterne gioie il tuon Rimbombava da V agora, e a gli spirti Paradisi creava il mio Platon,
Ove d' inni fioria la primavera. Ove de' canti la gentil virtù Dal colle sacro a Pallade severa Come piena d'aprii scendeva giù
1056 APPENDICE
E in un fulgore d' ideal beato Come un sogno di dèi venia V età, Oh t' avess* io, diletto mio, trovato Oh trovato io t'avessi, amico, là.
Là, dove il mirto e un miglior sol corona Anacreonte e Alceo, là giù vo* gir! Con i santi là giù di Maratona Ne Tesil casa d'Hade io vo' dormir!
La mia lacrima estrema, Eliade bella, Scorra e risuoni il canto ultimo a te! Alza le forci omai, fatai sorella, Perché tutto co' morti il mio cuor è.
APPENDICE 1057
PER LA SOSPENSIONE DEL DON CHISCIOTTE
{Don Chisciotte, Bologna, 12 luglio 1881)
E,
/bre di sole strillati le cicale, Arse muse del luglio impolverato: Tace Montecitorio e su '1 piazzale Giace come un onagro addormentato.
Agostin di Stradella, in su *1 confino, GuardTan de la bestia, a T ombra sta. Pensando a la sua barba, a lo scrutino Di lista e al fresco che ritornerà.
Cavalier de V idea, su la cui fronte Vaga il riso de' sogni intimi e fieri, Torna a gli errori su pe *1 verde monte Fra r ombre de' poeti e de' guerrieri.
Fresco t'incontri il vin di qualche ostessa; Quaggiù fa troppo caldo per l'onor: Dulcinea non sa d' esser principessa. Ma il vii Sancio è, per Dio, governator.
Carducci. 67
1058 APPENDICE
Quando la rondi n parta e il merlo torni, Torni fischiando a farsi istidionare, Potrai vèr* TAsi nella a i freschi giorni Ronzinante e la lancia indirizzare.
Vedrai Ceri ingegnere e la facciata Di san Petronio in ciel crepuscolar, E la questura con una manata Di manette aiutarti a scavalcar.
APPENDICE 1059
DA GIULIO CESARE CORD ARA
IL GRECIZZANTE
G. C. Storia del Giorno, Bologna, Zanichelli, 1892, cap. IV, pag. 172.
ll-/gregiamente
Tu parlerai se ad ogni passo ne le
Favole conte un ellenismo piova,
Ed una doppia e pur di greca stirpe
Vocetta nuova. Né oggimai più tonda
Ma ciclica per te sia la padella
Ed elliptico V uovo e microcosmo
L'uomo; e a' ruscelli ed a gli uccelli e a' nembi
De' poeti e a le selve de' pittori
Titolo affiggerai sacro, parergon.
Oh se Pindaro in bocca alcuna volta
E Tucidide a te suoni e le pure
Nèfele d' Aristofane o d' Omero
La rapsodia divina! Quali rughe
Mirabonde vedrai, quali udirai
1060 APPENDICE
Voci di sofi — Oh greco dal ciel messo!
Meno s' affigge con aperta bocca
La contadina, quando a lei pensosa
De la quartana del marito apprende
Affetto lui di lento emitriteo
Il medico verboso e con ambage
Lungi filata attonita l'avvolge.
INDICE DEI CAPOVERSI
A.
.ddio, grassa Bologna! e voi di nera Agile e solo vien dì coUe in colle .. . > .
Agitatrìce de le forti selve, -
Ah per te Orazio prèdica al ventai .■ ;
A i campi che verdeggiano . . . . .
A i di mesti d'autunno il prete. /Canta...
A la materia V anima s' appiglia • ...
Al calpestio de' barbari cavalli . :. . .
Al mattin da la pioggia ecco deterso: .
A' lor cantori diano i re fulgente . . .
Al sorrìso d'aprii che da la tarda . : .
Al suon che lieto pe'l diverso lido . .
Ancor dal monte, che di foschi ondeggia
Aiucor mi ride ne la fantasia . . . . .
A pie del monte la cui ne.ve è rosa ^ 'w
A questi di prima io la vidi. Uscia.. . .
A. tC/ de 1 essere . .' .>. . , ■ » ■■ ^ •
A te, porgente su l'argenteo Sile . . .
A te, sciolto da' languidi. . . . . ;* .
Avanti, avanti, o sauro destrier de. la canzone! <
Ave, o rima! con beli' arte ; . ....... .
Pag. 575
V loia
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3
330
431
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734
565: 939
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277
1018^
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377 985 fl87'
445 539
I ^atte a la tua finestra, e dice, il sole : . . .
Batto a la chiusa imposta con un ramicello di
fiori 4 , , .
f> 614
f, 9S1
1064
INDICE DEI CAPOVERSI
Bella è la donna mia se volge i neri Pag. 20
Benigno è il sol; de gli uomini al lavoro ... » 668
Ben vieni, o bell'astro d'argento, „ 933
Beviam, se non ci arridano « 63
Bianchi verni, estati ardenti, « 1005
Bionde Valchirie, a voi diletta sferzar de' cavalli, „ 1033
Breve e amplissimo carme, o lievemente ... , 54 5
Breve ne l'onda placida avanzasi , 847
V./alvi, aggrondati, ricurvi, si come becchini a la
fossa „ 884
Candidi soli e riso di tramonti^ ....... „ 19
Cantano i miti — Fuse Prometeo . . ... . „ 968
Cara benda che in van mi oontendesti .... » 37
Carlo, su '1 risonante adriaco lido „ 959
Caro a le vergini d' Ascra e, di belle ,» 37
Cavalca, sir Oluf la notte lontano „ 741
Cercate pur se il pio siero che stagna .... » 428
Che giovinezza nova, che lucidi giorni di gioia . « io 16
Che prega il vate, il libero „ 160
Che ti giovò su le fallaci carte . „ 86
Chi del German di doppia oste maiggiore ... , 990
Oli me .de' canti omai memore in vano .... „ 379
Chi mi rimembra la speranza altera « 105
CoUi toscani e voi pacifiche selve d'olivi . ; . , 913
Co '1 raggio de l'aprii nuovo che inonda ... „ 664
Come basti virtù, perché suprema , 97
Come bella, o argentea Croce, ....... . 998
Come, quando su' campi arsi la- pia. „ 553
Come tra '1 gelo antico , 369
Conca in vivo smeraldo tra foschi passaggi di- schiusa , 861
Corri, tra' rosei fuochi del vespero, . .... » 627
Corron tra '1 Celio fosche, e l'Aventino .... , 795
INDICE DEI CAPOVERSI 1065
Credo — diceasi; e, come fiere in lustre, . . . Pag. 575
Ctiore, a che uccelli ne' miei versi, come, . . . „ .513
Cupi a notte canti suonano - . „ 748
Cupo e solo, nel bosco, a la capanna „ 762
D,
'a i gradi alti del circo ammantellati . . . ^ 492
Da i monti sorridenti nel sole mattutino. ... „ 716
Da i verdi umidi margini . „ 589
Da la foce de 1' Arno e de le spente ..... „ 975
Da le ree Tuglieri di Caterina . „ 727
Da le tombe del pian che aprile infiora .... . „ 422
Da le vette de V Etna fumanti „ 244
Dal Libano trema e rosseggia „ 946
Da r oriente palpita „ 581
Dante il mover gli die del cherubino ..... „ 546
Dante, il vicin mio grande, allor che errava . . „ 560
Dante, onde avvien che i vóti e la favella ... „ 559
Da quel verde, mestamente pertinace tra le foglie „ 1025
Date al vento le chiome, isfavillanti „ 363
Deh balli de la lingua, affeddiddio „ 176
Deh, chi mi toma a voi, cime tirrene „ 25
Deh come grige pesano le brume „ 988
De la prona stagion ne i di più tardi „ 989
De la quadriga eterea „ 50.
Dice Furio — Facciam largo a i Camilli .... „ 466
Di Maro il fiume e '1 verde pian, che tanta . . „ 362
Dimmi, triangoluzzo mio squadrato, ..... „ 167
Di sereno adamantino su '1 vasto ...... „ 591
Disse, e movea. Come ne' turbin torti. .... „ 361
Divìnatrice d' altre genti indaghe „ 128
Dolce paese, onde portai conforme „ 577
Dormi, avvolto nel tuo mantel di gloria,. ... „ 462
Due nemici ebbe, e l'uno e l'altro vinse, ... „ 574
Due voglie, anzi due furie, entro il cor mio . . „ 87
1066 INDICE DEI CAPOVERSI
Dunque d'Europa nel servii destino Pag. 397
Dunque preseate nume ancor visiti, » 353
— Duro, marchese, allor che de la vita .... „ 309
I jbre di sole strìUan le cicale, „ 1057
Ecco, al caro garzon che la inanella , 299
Ecco : di braccio al pigro verno sciogliesi ... „ 896
Ecco, e tra i palchi onde 1* oligarchia „ 987
Ecco il ridotto. Ancor non ha V aratro .... „ 960
Ecco: la verde Sirmio nel lucido lago sorride, . » 835
E eh* io, perché lo schernir tuo m* incalza, ... „ 103
E da le spalle d' Ampelo a V altare „ 974
E degno è ben, però eh* a te potei, „ 26
E forse da i selvaggi tirali a valle „ 548
Egregiamente .... „ 1059
È la chiamata da le afflitte genti » 973
Ella ove incurva il ciel più alto 1* arco .... „ 360
E molti e armati e di ferocia immani „ 214
È notte, e il nembo urla più sempre e il vento . „ 761
Era il giugno maturo, era un bel giorno. ... „ 657
Era un giorno di festa e luglio ardea „ 674
Ero r amata muore, ne i flutti cercando la morte : „ 937
E sempre a te co '1 sole e la feconda „ 549
E tu pendevi tralcio da i retici „ 852
E tu pur di viltà scuola e d'inganni „ 235
E tu pur riedi, amore ; e tu 1* irosa. „ 23
E tu, se d' echeggianti . „ 346
E tu, venuto a' belli anni ridenti „ 28
E verde e fosca l'alpe e limpido e fresco è il mattino „ 1002
Evoe, Lieo : tu gli animi „ 330
E voi, se fia che l'imminente possa „ 30
X ama è che allor PrometeOi fuggendo ... „ no
Fedel sino a l' avello „ 744
INDICE DEI CAPOVERSI
1067
— Fermi, fermi, cavalieri, . . . . . Pag. 750
Ferrara, su le strade che Ercole primo lanciava . „ 99»
Fior tricolore, „ 1037
Forse avverrà, se destro il fato assente .... „ il
Forti sembianze di novella vita „ 119
Fortuna e vita girano il lor vario „ 986
Frate Francesco, quanto d* aere abbraccia ... „ 558
Fra terra e ciel su 1* Aventin famoso „ 327
Fuggendo „ 107
Fuggono, ahi fuggon rapidi „ 340
Fu tempo, ed in Versaglia un proclamava: . . „ 468
n
vjr elido il vento pe' lunghi e candidi Gemono i rivi e mormorano i venti . Già levata ne gli spaldi ...'.«. Gino, che fai sotto i felsinei portici? Giove ha Cesare in cura. £ì dal «lelitto Gli amici a cui dissi d' amor parole . Gli attese al passo ; poi di nubi avvolta .
n w n n n n
647
73» aaa
831 410
593 218
X cipressi che a Bòlgheri alti e schietti. ... „ 675
I fratelli a i fratelli e i padri a i figli „ 234
II dittatore, solo, a la lugubre „ . 844
Il poeta, o vulgo sciocco, ......... „ ' 773
Il soldan de gli accenti a solatio , . „ 185
U sole tardo ne V invernale „ 630
Il Turco miete. Eran le teste aricene „ 1009
In Brusselle, a 1* ostel, sola ,:?oletta, ....... „ ,713
Innanzi, innanzi. Per le foscheggianti . . • . . „ 555
Io di poveri fior ghirlanda sono, ...... „ 253
Io d'Italia dal cuor tra impeti d'inni balzai . . „ 8ai
Io '1 vidi. Su r avello ìscoverchiato ....... „ 359
1068 INDICE DEI CAPOVERSI
Io non lo. dissi a voi, vigili stelle, . . . . ... Pag. 604
Io son, Dafne, la tua greca sorella, „ 650
Italia, il gregge de* tuoi re, straniero „ a 17
I tiranni cui Nemesi, divelle » 323
L.
/alage, io so qual sogno ti sorge dal cuore
profondo, „ 917
L'albero a cui tendevi » 595
La luminosa testa „ 125
La nebbia a gl'irti colli „ 624
La stagion lieta e 1' abito gentile „ 601
L' avvoltoio, o fratello, il cuor mi lania .... „ 691
Lei certo V alba che affretta rosea „ 906
Lenta fiocca la neve pe '1 cielo cinereo: gridi, . » 993
Le stelle che viaggiano su '1 mare » 612
Leva le tende, e stimola , 237
Lieto su i colli di Borgogna splende „ 725
Lievi e bianche a la plaga occidentale ..... « 564
Lina, brumaio torbido inclina, „ ^8
U olmo e la verde sposa „ 67
L' un dopo r altro i messi di sventura „ 728
Lungi, lungi, su l' ali del canto „ 602
M,
a. ci fu dunque un giorno „ 599
Maggio, idillio di Dante e Beatrice, ..... „ 660
Maggio ■ risveglia i nidi, „ 610
Manda a Cuosa in vai di Serchio, „ 704
Mti non cosi, quando superbo apriva „ 405
Ma non sotto la stridula .... ; ^ 990
Marciate, o de la patria incliti figli. .'..,. „ 736
Me da la turba, che d' ossequio avaro. .... „ 283
Ménte chi dice eh' ove il core avvampa, .... ^ 420
INDICE DEI CAPOVERSI
1070 INDICE DEI CAPOVERSI
Non vivo io, no. Dura quiete stanca Pag. ioo
No. Vanni Fucci in faccia a Dio rubava .... „ 491
\^ albergo di tiranni, o prigion fella .... „ 336
O arcadi e romantici fratelli „ 171
O arcadi o romantici fratelli „ 173
O cara al pensier mio terra gentile „ 31
O che tra faggi e abeti erma su i campi. ... „ 699
O de* cognati e de i dispersi miti ....'. „ 635
O de l'italo agon supremo atleta „ 92
O desiata verde solitudine , 875
Odio r usata poesia : concede , 781
Oggimai che ritornati » 195
Ogni anno allor che lugubre „ 481
O grandi, o nati a le stagion felici „ 98
Oh bella a' suoi be* di Rocca Paolina „ 495
Oh caro a quelli che escon da le bianche e tacite case „ 823
Oh non mai re dì Francia al suo levare .... „ 733
Oh quei fanali come s' inseguono „ 877
Oh t' avessi a le fresche ombre de* platani ... „ 1055
Oltre la siepe, o antico paziente, „ 570
O Miramare, a le tue bianche torri „ 851
O monna tu, eh* io non so qual tu sia „ 178
O nata quando su la mia povera „ 914
Onde venisti? Quali a noi secoli „ 858
O ne* giorni tuoi mesti e lagrimanti „ 572
O nova angela mia senz*ala a fianco, „ 17
O piccola Maria, „ 943
Ora — : e la mano il giovine nizzardo „ 576
Or eh' a i silenzi di cerulea sera . 567
Or che le nevi premono, „ 921
Or che soave è il cielo e i di son belli .... , 583
Or che un agii di vite innovatore » 996
INDICE DEI CAPOVERSI
1071
Or sono i di che zefiro Pag. 70
O scrutator del sotterraneo mondo, „ 297
O se tu genio presente » 1051
O Severino, de* tuoi canti il nido, » 685
O Terenzio de l'Adria, al cui pennello .... » 91
O tra i placidi olivi, tra i cedri e le palme sedente „ 950
O tu che dormi là su la fiorita » 554
Ove sei, che di Delfo in van ti chieggo .... „ 156
Ove sei? de' sereni occhi ridenti n $66
O Villagloria, da Cremerà, quando „ 433
X^ assa la nave mia con vele nere, » 606
Passa la nave mia, sola, tra il pianto „ 85
Perché sdegno di fati „ 135
Peregrino del ciel, garrulo a volo „ 13
Pe' verdi colli, da* cieli splendidi, „ 901
Pietro Fanfani sta ne le postille „ 183
Poi che 1* itale sorti e la vergogna „ 102
Poi che mal questa sonnacchiosa etade .... „ 88
Poi che un sereno vapor d* ambrosia „ 785
Profonda, solitaria, immensa notte; „ 18
Pur da queste serene erme pendici „ 391
Pur ne 1* ombra de' tuoi lati velami „ 550
\,^ual da gli aridi scogli erma su *1 mare Qual da la madre battuto pargolo . . * Quale una incinta, su cui scende languida Quali, quali, al tuonar de* feri accenti . .
Qual sovra la profonda
Qual tra le ingiurie di Fortuna e i danni
Qual voce da i fatali
Quando a i piaceri in mezzo od a i tormenti
w n » il n »
»
475 892
899
ai3
41
96
338
478
1072
INDICE DEI CAPOVERSI
Quando a le nostre case la diva severa discende, Pag. 880 Quando cadono le foglie, quando emigrano gli
augelli „ 485
Quando — Egli è morto — dissero, „ 476
Quando fuor de la pronta anima scossa .... » 93
Quando il tremulo splendore de la luna .... „ 934
Quando la Donna Sabauda il fulgido „ 863
Quando V aspro fratel di Cinegira „ 150
Quando mirava Omero le fulgide a' dardani campi » 908
Quando parto da voi, dolce signora „ 616
Quando porge la man Cesare a Piero, .... „ 426
Quando ritto il doge antico „ 423
Quando su V elei nere „ 585
Quattro al dio Giulio, o dio Trionfo, infrena, . . „ 411
Quella cura che ogn* or dentro mi piagne ... „ 22
Questa che a voi, donna gentil, ne viene ... „ 563
Questa è V altera giovinetta bella „ 16
Questo la inconscia zagaglia barbara „ 841
Qui dove arride i fortunati clivi » 73
Qui, dove irato a gli anni tuoi novelli „ 32
JTx^aggia di luce un riso „ 364
Re Sifrido tien corte — Arpeggiatori, .... „ 746
Ricordo. Fulvo il sole tra i rossi vapori e le nubi „ 882
Roma, ne Taer tuo lancio l'anima altera volante: „ 808
Rompendo il sole tra i nuvoli bianchi a V azzurro „ 898
Rompeste voi *1 Tevere a nuoto, Clelia, come . „ 890
Q
W^^abato sera in fin di settimana . . Sai tu r isola bella, a le cui rive. . . Sbarrate la soglia, chiudete ogni varco Scuotesti, vergin divina, 1* auspice . . Se affetto altro mortai per te si cura, .
n n
m n
151 641
395 798
IDI
INDICE DEI CAPOVERSI 1073
Se Dio ti guardi sino a befania Pag. 192
Se già sotto Tale „ 355
Sei grande. Eterno co '1 sole 1* iride ..... „ ' 9(76
Se, porto de'pensier torbidi e foschi, „ 282
Se sant' Antonio vi mantenga sano „ 169
Se te già tolsi con incerta mano. „ 35
Si come fiocchi di fumo candido . „ 944
Si crudelmente fero è quel flagello. ...... 15
Siede novembre su le vie festanti „ 557
S* indraga Messerin contro i pedanti, ..... „ 187
Sol di Settembre, tu nel cielo stai ...... „ 458
Solenni in vetta a Monte Mario stianno . . . . „ 903
Son de la terra faticosa i figli „ 726
Sorgono e in agili file dilungano . ...... „ 815
Sparsa la faccia bianca „ 292
Spezzato il pugno che vibrò 1* audace „ 1003
Spirto gentil, che chiedi ? Ornai V altero .... „ 104
Sta Federico imperatore in Como ...... „ 1039
Stanno nel grigio verno pur d'edra e di lauro
vestite '„ 895
Sùbito scosso de le membra sue. . i . . « . „ 1007
Su i campi di Marengo batte la luna; fosco. . . „ 701
Su i colli de le Argonne alza il mattino .... „ 735
Su la parvola tua fiera persona » 57'
Su r arce onde mirò Fiesole al basso^ . ; . . „ 556
Su *1 castello di Verona . : . . „ 6^4
Su '1 cavai de la Morte Amor cavalca ,,'617
Su le cime de la Tenca • . . „' 6à6
Su le dentate scintillanti vette „ 951
Su le piazze pe* campi e ne' verzieri „ 298
Su r ostel di città stendardo nero „ 730
Su '1 viso de r amore „ •631
Suono di trasvolanti „ 3^3
— Superbo e lui non tocca „ 439
Surge nel chiaro inverno la fosca turrita Bologna, „ 819
Carducci. 68
1064
INDICE DEI CAPOVERSI
Bella è la donna mia se volge i neri Pag.
Benigno è il sol; de gli uomini al lavoro ... „
Ben vieni, o bell'astro d'argento, ,
Beviam, se non ci arrìdano „
Bianchi verni, estati ardenti, „
Bionde Valchirie, a voi diletta sferzar de' cavalli, „
Breve e amplissimo carme, o lievemente ... »
Breve ne l'onda placida avanzasi „
C
V^^vi, aggrondati, ricurvi, si come becchini a la
fossa „
Candidi soli e riso di tramonti; ....... „
Cantano i miti — Fuse Prometeo ....... „
Cara benda che in van mi contendesti . . . - . .
Carlo, su '1 risonante adrìaco lido „
Caro a le vergini d' Ascra e di belle „
Cavalca, sir Òluf la notte lontano . ■ „
Cercate pur se il pio siero che stagna .... »
Che giovinezza nova, che lucidi giorni di gioia . .
Che prega il vate, il libero „
Che ti giovò su le fallaci carte: . - . '■ - «
Chi del German di doppia oste nmggiore • . . . «
Chi. ine , de' canti ornai memore invano . . ; . „
Chi mi rimembra la speranza altera «
Colli toscani e voi pacifiche selve d' olivi ... ,
Co '1 raggio de l' aprii nuovo che inonda ... „
Come basti virtù, perché suprema „
Come bella, o argentea Croce, .'....<.. «
CpQie, quando su' campi arsi la- pia „
Come tra '1 gelo antico „
Conca in vivo smeraldo tra foschi passaggi di-
' scniusa. ...•«'■.••*,..«•■• ^
Corri, tra' rosei fUochi del vespero, ...... »
Corron tra '1 Celio fosche, e l'Aventino .... ,
20
668 933
1005 1023
545 847
884
19 968
a?
959
37
741 4fl8
IO 16
160
86
379
105 9ia
97
553 369
861 827 795
INDICE DEI CAPOVERSI 1075
Una pallida faccia e un velo nero Pag. 6i8
Urlate, saltate, menate gazzarra „ 464
-V,
aghe le nostre donne e i giovinetti. . . „ 562
Va, rea vecchia, con questi carezzevoli .... „ 1053
Viva, o prode corsiero I A te la palma .... „ 99
Voce di Dio nel tempio or ecco tuona, .... „ 236
z
itte, zitte! Che è questo frastuono „ 471
1066
INDICE DEI CAPOVERSI
Dunque d'Europa nel servii destino . . Dunque presente nume ancor visiti, . . ~ Duro, marchese, allor che de la vita .
Pag.
397 353 309
1 jbre di sole strillan le cicale,
Ecco, al caro garzon che la inanella
Ecco : di braccio al pigro verno sciogliesi . . .
Ecco, e tra i palchi onde V oligarchia
Ecco il ridotto. Ancor non ha V aratro . . . . Ecco: la verde Sirmio nel lucido lago sorride, . E eh* io, perché lo schernir tuo m' incalza, . . .
E da le spalle d' Ampelo a V altare
E degno è ben, però eh* a te potei,
E forse da i selvaggi Urali a valle
Egregiamente . . . .
E la chiamata da le afflitte genti
Ella ove incurva il ciel più alto 1* arco ....
E molti e armati e di ferocia immani
È notte, e il nembo urla più sempre e il vento . Era il giugno maturo, era un bel giorno. . . .
Era un giorno di festa e luglio ardea
Ero r amata muore, ne i flutti cercando la morte :
E sempre a te co '1 sole e la feconda
E tu pendevi tralcio da i retici
E tu pur di viltà scuola e d'inganni
E tu pur riedi, amore ; e tu V irosa.
E tu, se d' echeggianti .
E tu, venuto a' belli anni ridenti
£ verde e fosca l'alpe e limpido e fresco è il mattino
Evoe, Lieo : tu gli animi
E voi, se fia che l'imminente possa
X ^nia è che allor Prometeo, fuggendo . . . Fedel sino a l' avello
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I057 299
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657 674 937 549 852
335 23
346
28
1002
330 30
no
744
FINITO DI STAMPARE
IL Di I** MAGGIO MDCCCCII
NELLA TTPOGRAFIA DELLA DITTA NICOLA ZANICHELLI
IN BOLOGNA
1068 INDICE DEI CAPOVERSI
lo non lo dissi a voi, vigili stelle, ....... Pag. 604
Io son, Dafne, la tua greca sorella, „ 650
Italia, il gregge de' tuoi re, straniero „ 317
I tiranni cui Nemesi divelle » 333
L
/alage, io so qual sogno ti sorge dal cuore
profondo, „ 917
L'albero a cui tendevi „ 595
La luminosa testa „ 125
La nebbia a gì' irti colli „ 624
La stagion lieta e l' abito gentile » 601
L'avvoltoio, o fratello, il cuor mi lania .... „ 691
Lei certo l'alba che affretta rosea » 90^
Lenta fiocca la neve pe 'I cielo cinereo; gridi, . „ 993
Le stelle che viaggiano su '1 mare » 613
Leva le tende, e stimola. « 237
Lieto su i colli di Borgogna splende i, 735
Lievi e bianche a la plaga occidentale . . , „ „ 564
Lina, brumaio torbido inclina, „ ^8
L' olmo e la verde sposa „ 67
L' un dopo r altro i messi di sventura „ 728
Lungi, lungi, su 1' ali del canto „ 603
M.
a ci fu dunque un giorno „ 599
Maggio, idillio di Dante e Beatrice, ..... „ 660
Maggio risveglia i nidi, „ 610
Manda a Cuosa in vai di Serchio, ...... „ 704
Ma non cosi, quando superbo apriva . . . , . „ 405
Ma non sotto la stridula . „ 990
Marciate, o de la patria incliti figli. . ! . . . „ 736
Me da la turba, che d' ossequio avaro. .... „ 383
Ménte chi dice eh' ove il core avvampa, .... ^ 430
1070 INDICE DEI CAPOVERSI
Non vivo io, no. Dura qulEete stanca ..... Pag. ioo No. Vanni Fucci in faccia a Dio rubava .... „ 421
o
albergo di tiranni, o prigion fella .... „ 336
O arcadi e romantici fratelli „ 171
O arcadi o romantici fratelli » 173
O cara al pensier mio terra gentile „ 31
O che tra faggi e abeti erma su i campi. ... „ 699
O de* cognati e de i dispersi miti ....'. „ 635
O de l'italo agon supremo atleta „ 92
O destata verde solitudine „ 875
Odio r usata poesia : concede . 781
Oggimai che ritornati „ 195
Ogni anno allor che lugubre „ 481
O grandi, o nati a le stagion felici „ 98
Oh bella a' suoi be* di Rocca Paolina ..... „ 495
Oh caro a quelli che escon da le bianche e tacite case „ 8^3
Oh non mai re di Francia al suo levare .... » 733
Oh quei fanali come s' inseguono. ...... „ 877
Oh t' avessi a le fresche ombre de* platani ... „ 1055
Oltre la siepe, o antico paziente, „ 570
O Miramare, a le tue bianche torri „ 851
O monna tu, eh* io non so qual tu sia. .... „ 178
O nata quando su la mia povera „ 914
Onde venisti? Quali a noi secoli ^ 858
O ne* giorni tuoi mesti e lagrimanti » 572
O nova angela mia senz*ala a fianco, „ 17
O piccola Maria, ^ 943
Ora — : e la mano il giovine nizzardo „ 576
Or eh' a i silenzi di cerulea sera , 567
Or che le nevi premono, ^ 921
Or che soave è il cielo e i di son belli .... » 583
Or che un agii di vite innovatore „ 996
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