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RAGUSA

CENNI STORICI

COMPILATI DA

STEFANO SKURLA

CANON. ONOR. PROFESS. GINNASIALE.

ZAGABRIA 1876.

A SPESE DELL'AUTORE.

TIPOGRAFIA SOCIALE.

xVlloraquando nel giugno del test^ decorso anno V Illu- strissimo signor Consigliere Imperiale Luigi Maschek m' invitava ad estendere una monografia di Ragusa, da in- serirla neir Album, che intendeva umiliare a Sua Maestà il graziosissimo Nostro Imperatore e il giorno 10 aprile 1876, anniversario in cui 1' Augusto Monarca pose piede sul suolo Dalmata : per aderire alle brame del prefato signore, il quale giustamente si acquistò tutta la simpatia e gratitudine de' dalmati per le sue interessanti annuali pubblicazioni istorico-statistiche sulla nostra pro- vincia; SI per vedermi lusingato, che un qualunque siasi lavoro sulla mia patria possa aver 1' alto onore di esser umiliato ai piedi del nostro Augusto Sovrano senza esitanza, abbenchè grave incarico, lo accettai, estendendo alla meglio queste poche memorie.

Se non che a lavoro compiuto m' accorsi, che la mole di queste memorie, per quanto assai ristrette in rapporto alla Città che presi ad ilhistrare, mal si adattava ai limiti d' un Album, in cui dovevano figurare ben altre 80 Co- muni. D' altronde poi, quand' anche a ciò si fosse ovviato, mi veniva a mancare la possibilità di pubblicarle con tal mezzo, per aver dovuto il prelodato Signore, a motivo di famigliari dolorose incidenze, desistere dal suo nobile divi- samento.

Mi tlt'cisi (jiiiiidi di darle se])arataiuente alla luce, fermo nel desiderio di coiiseerarle a (quella l'eliee ricorrenza, per riii lietcìineiite assunsi la compilazione, e che rende ortj^o- ij-lioso ot^ni cuore dalmata, ed in particolare ogni patriotta

raguseo.

Col pubblicare però questi brevi cenni su una città, che per oltre dodeci secoli mantenne una vita politica ma- terialmente assai niodestn, ma moralmente assai degna di onorevole ricordanza; della cui storia a gara se ne occu- parono illustri nazionali e forastieri, che altre poche potrebbero vantare tanta serie di storie, memorie, ed illu- strazioni, stampate ed inedite, come dessa far lo potrebbe: non intendo già di presentare un lavoro originale, meno poi un lavoro completo.

La città che surse dalle fumanti ceneri d' una illustre colonia romana; che in breve seppe svolgere la propria attività SI, da stringere relazioni diplomatiche e commer- ciali con tutti i regni finitimi, e colle più discoste nazioni ; r amica della mezzaluna ed il baluardo della cristianità ; r alleata dell' Ungheria e della Spagna, e la negoziatrice coir oriente ; la città senza estesa territoriale, e colle sue colonie sparsa per ogni dove, e dominatrice di tutti i mari ; la culla delle lettere, e 1' Atene della nazione Slava attende tuttora una storia, quale si addice al suo glorioso passato.

Ma questo non si potrà raggiungere, prima che il pre- zioso archivio dell' ex-repubblica Ragusea, ricco di migliaja d' importantissime antiche pergamene, e di una serie d' in- numerevoli volumi manoscritti, non venga esaminato e reso pubblico. L' interesse eh' esso ha per la storia di tutte le nazioni slave, indusse distinte persone ad occu- parsene della pubblicazione di ])arecchi vohmii ; ma ciò non è altro che una pietnr/"a sulla base del vasto edilizio da erigersi.

La sola munificenza Sovrana potrebbe, come ha ferma fiducia, accorrervi in ajuto, coli' affidare 1' archivio a per- sone intelligenti ed attive, perchè poco a poco svegrino quel terreno , e scuoprano quelF inesauribile miniei-a, che giace da secoli sepolta.

Ed allora, oltre il vantaggio comune che vi ridonde- rebbe dalle relative pubblicazioni, anche Ragusa potrebbe ricevere una completa illustrazione storica.

Intanto è duopo prevalersi di quanto altri scrissero. E su questa base ho compilato alla sfuggita questi pochi cenni, per ridestare nella gioventù ragusea V amore allo studio delle patrie memorie, ed offerire al forastiere, che visita i sacri avanzi di Ragusa, una guida che gli ricordi r augusto di lei passato.

Ragusa, nel gennajo del 1876.

p. jb.

I.

Primordi, sviluppo e caduta della repubblica

di Ragusa.

JJalmazia; una delle rinomate Provincie romane per le illustri colonie che vi avean sede, e per V interessante posto che occupava nel vasto impero, fìi teatro spesse volte di barbare aggressioni, ed in ultimo di sterminio da parte degli Avari (sec. VII.).

Alla distruzione di Epidauro, una delle più famose colonie ro- mane, Ragusa deve la sua origine. E se non si può con certezza stabilire la precisa epoca della di lei fondazione, senza tema di errare puossi asserire, che i superstiti Epidauritani, dopo di essersi per breve tempo stabiliti nella vicina valle di Burno (Breno), dove fabbricarono a propria difesa due castella (Spilan-grad, e Gradaz), abbiano ben presto abbandonato quel luogo poco sicuro, per rifuggiarsi su d' uno scoglio non lontano, in riva al mare, posto alle falde del monte, probabilmente abitato da famiglie di pescatori, e chiamato Lavve. Quivi i profughi Epidauritani posero stanza, appellando la novella patria col nome di già trovato, mutandolo poi dopo qualche tempo in Lausa; derivazione dal primitivo nome, anziché dal greco Lays, come vorrebbe Porfìrogenito, e dietro di lui quanti altri scrissero di Ragusa.

La primitiva appellazione si mantenne per lungo tempo, e nei brevi pontifici all' anno 1000 di Cr. s' incontrano i nomi di Lab usa, Labuda, Labusaedum, confusi con quei di Ragusium, e Rha- gusa negli archivi, e con Raugia e Rausa in parecchi scrittori posteriori.

Ben presto questo felice nascondiglio dalla natura fortificato, inaccessibile dalla parte del mare, e protetto dalle mura tosto

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tubi) rifate, attirò buon numero di emigrati Salonitani, e delle altre colonie romane della Dalmazia, di cui parecchi si erano salvati sulle circonvicine isole; divenendo Ragusa sin dalla sua origine sicuro asilo di (luanti avevano bisogno di rifugio, come lo fu mai sempre fino al cessar di sua esistenza.

andò guari che dovette metter a prova le proprie forze, quando per ben 15 mesi (8G6) con energia sostenne l'assedio della flotta araba, che già aveva espugnato Budua, Cattaro, Risano e Rose; liberata poscia dì^la flotta greca, a ciò spedita da Basilio Macedone, alla quale si unirono le navi ragusee per trasportare all' opposto lido d' Italia il contingente degli slavi.

La città nascente venne in questo frattempo inaugurata da Pau- limiro Belo, principe slavo, che con un numeroso seguito tornava da Roma, per riassumere il trono paterno. Di passaggio si fermò per qualche tempo a Ragusa, dove già si rassodava uno stato; e per gratitudine alla cordiale accoglienza, e per acquistarsi un asilo in caso di sinistra fortuna, vi fabbricò un castello, fece erigere una chiesa ai ss. Sergio e Bacco, patroni di sua famiglia, 1' arricchì di reliquie di santi portate da Roma, ed ingrandì la città da quella parte che oggi si chiama Pustierna (anticamente Posterrula, Postierla).

In conseguenza del buon regime a cui eran di già abituati per r innanzi gli Epidauritani ed i Salonitani, ed a motivo del com- mercio e dell' industria, a cui necessariamente dovevano dedicarsi per la ristrettezza del proprio territorio, che tutt' al più si estendeva nella lunghezza d' un miglio di Udo (da s. Giacomo a Boninovo, ^ detto vista di Gravosa), questa popolazione rapidamente crebbe, ed aumentossi per V arrivo di molti emigrati dalla Dalmazia e dai finitimi stati slavi ; laonde per ben quattro volte, al dir di Porfiro- genito, furono anclie dilatate le mura della città, e costrutti arse- nali per le galere, che servivano a difesa del commercio di già molto esteso.

„Gli Epidauritani non sognavano allora quello che era per dive- „nire questa loro novella patria; una città su d'un isola e sopra „un colle, che doveva dominare come Roma, la città dei sette colli, „e come Venezia, la città delle cento isole; una città libera che

^ Boninovo, probabilmente deriva dal cognome del raguseo Bonino de Boninis (Dobroevic da Lagosta) uno dei primissimi tipogratì in Italia (1478 DO), il quale, o vi si fermasse in quel punto nelle sue passeggiate. 0 vi avesse dimora, vi lasciò il suo nome.

.,sarebbe V asilo dei re ; una città commerciale, che, senza un porto, doveva spedire i suoi bastimenti in tutti i porti del mondo; una „piccola città con un istoria superiore a quella de' grandi stati; „una città con poche miglia di territorio, e con tutti i mari della „terra; una città con un nome non perituro." ^

La città difiPatti andava sempre più crescendo a mezzo dei pro- fughi dalla Bosnia ed altri finitimi stati slavi, che li abbandonavano per le questioni religiose che allora fortemente venivano agitate in quei regni. La porzione romana si separò da principio da questo nuovo elemento, cangiando la forma del governo democratico, che era fino a queir epoca, in aristocratico ; a capo del quale era il Priore, che per un anno sosteneva la carica. In breve però i due elementi si fusero, sparendo il primo, e rimanendovi V elemento slavo. La lingua latina rimase come lingua che si scriveva negli offizt, e la slava qual lingua parlata.

La difesa questo naturale diritto fu quasi V unico motivo che determinava i ragusei a dar di piglio alle armi. Quanto fìi meno possibile, portavano la distruzione sulF altrui territorio. Conscia della propria missione, e persvasa che la sola pace e Y operosa quiete possano contribuire al benessere ed alla felicità de' popoli, Ragusa sin dal principio cercò di allontanare ogni gelosia che il di lei rapido sviluppo poteva suscitare nelle finitime popolazioni ; abil- mente quindi i di lei abitanti si diedero a, dirigere gF interessi della novella patria, da stabilirne intiuìi rapporti coi vicini principi, assicurandosi ne' detti paesi la libertà de' fitti, de' pascoli, e del commeriio, pel quale pagavano al dir di Porfirogenito 36 monete all' anno ai due Bani di Zachulmia e Tribunia. Stabilirono inoltre mutuo rispetto, degli slavi che giungevano a Ragusa, e de' ragusei che si recavano nelle finitime provincie.

In pari temi)0 dilatarono il proprio territorio mediante donazioni dei finitimi re slavi, od a mezzo di acquisti. Da Stefano di Croazia (1050), di cui la seconda moglie Margarita, rimasta vedova, si ritirò e morì a Ragusa, ricevettero la valle di Breno, la parte meridionale di Gionchetto, la valle di Gravosa, Ombla, e Malfi, fino alla chiesa di s. Tecla, al confine di Yaldinoce. Silvestro, per gratitudine ai benefici ricevuti, donò loro (1080) le isole di Daksa, Calamotta, Mezzo, Giuppana, Jakljan, Ruda, s. Andrea, e altri vicini scogUetti.'-^

^ IdavonDiiringsfeld Aiis Dalmatien, III. Band, Prag 1857. ^ Le isole di Calamotta, Mezzo e Giuppana, cogli adjacenti scogli, erano note agli antichi sotto il nome di Elaphites, come attesta Plinio. Sem-

Bollino re di Servia (1100) accrebbe il territorio raguseo coli altra porzione della valle di (jionchetto, che diede in dono ai monaci benedettini di Lacroma. L' isola di Meleda tutt' intera fu donata nel 1151 da Dessa, figlio di Uroè e padre di Nemagna, Signore della Zachulniia, /enta, e Tribunia, ai monaci benedettini, ai quali cento anni prima (1044) Oliudovid, signore di Chelmo, avea regalato la chiesa di s. Pancrazio sulF isola stessa, coi terreni che le apparte- nevano ; e così queste donazioni fatte ai monaci dello stato raguseo, diedero a mano a mano V alto dominio alla signoria di Ragusa. Decusio di poi nel 11G4, signore delle due giuppanie di Canali, donò a Micaccio (Mihasio) cittadino raguseo, suo genero, il terri- torio di Zrnavnica, che comprendeva tutto il tratto di pendio mon- tuoso che si estende dalla valle di Breno, fino a s. Giorgio di Bielo, presso V antica Epidauro, a cui probabilmente era unito r adiacente litorale, dov' è oggidì Ragusavecchia. Contemporanea- mente furono acquistate da' ragusei le isole di Mercana, Bobara, e s. Pietro.

La città dapprima si limitava allo scoglio Lavve; e nel secolo XII Bodino r aveva stretta d' assedio, ed alle falde del monte per sette anni tenne il proprio accampamento, e vi eresse anche un castello, per vendicarsi de' ragusei, che si rifiutavano di consegnargli alcuni suoi congiunti, rifugiatisi nell' ospitale città. Impossessatisi però i ragusei del castello dopo la morte di Bodino (UH), in seguito a secreta cointelligenza coi capi del presidio, Gredic e Mla- scogna, che per fìnta si danno prigioni, e son poi accolti fra la nobiltà, lo demolirono, e sul luogo stesso eressero la chiesa di s. Nicolò; estendendo indi la città dalla parte di terraferma, e riem- piendo il canale che divideva lo scoglio dal monte (dov' è attual- mente lo stradone), facendovi le mura di cinta anche da quella parte. Ragusa prese il quel torno di tempo il nome slavo di Du- brovnik, dalla foresta che copriva il sovrastante monte.

Le relazioni coi principi e colle vicine città si andavano conso- lidando per mezzo di utilissimi trattati di commercio. È marcato il sec. XI negli annali di Ragusa per i privilegi che Guglielmo re di Sicilia, e s. Ladislao d' Ungheria, accordarono alla repubblica. Coi vicini re slavi di Bosnia, Servia, Bulgaria, conchiusero trattati di commercio. Ottenero dai bosnesi la privativa di estrarre da quei

brerebbe cbe nel porto di Giuppana e nelle sua vicinanze si sieno scontrate le flotte di Ottavio e di Vatinio, come racconta Irzio de Bello Alexand.

ricchi monti l'argento, mescolato coir oro, da cui ricavavano il 250 per cento. E due fratelli ragusei, che si avevano da Kulino bano di Bosnia F appalto delle miniere, circa V anno 1114 fabbricarono presso Serraglio un castello, chiamandolo col nome della propria patria Dubrovnik. Relazioni commerciali vennero strette colla corte d' oriente ; Emmanuele accordò loro la cittadinanza di Costanti- nopoli ; e con vantaggiosissime prerogative i negozianti ragusei, sotto i Comneni, Lascari, Cantacuzeni ecc., spinsero il traffico per tutta r antica Tracia, e perfino nelF Asia minore. Colonie commerciali ragusee si trovavano a Serraglio, Novipazar, Belgrado, Vidin, Bu- karest, Andrinopoli ecc. La marina era già in fiore. Basilio III. avea chiesto ai ragusei 80 piloti, e tre de' più intelligenti fra i nobili, onde con questo ajuto umiliare Venezia, la comune nemica. Ai Normanni di Napoli somministrarono galere armate ; ed in ognuna di quelle celebri e sventurate spedizioni pelF acquisto di Terra santa, offrirono qualche legno armato, e parecchi mercantili pel trasporto della truppa e degli attrezzi militari. Strinsero trattati commerciali (sec. XII.) colle città italiane Malfetta, Pisa, Ancona, Fano; indi (sec. XIII.) con Recanati, Fermo, Rimini, Ravenna, Ferrara, Sira- cusa, Messina, Barletta ecc. Nel 1240 stipularono un trattato com- merciale marittimo cogli Alniissani, da cui si rileva, come era allora in fiore la marina ragusea per tutto V oriente ed occidente de' nostri mari.

Tale prosperamento della piccola repubblica di Ragusa non an- dava punto a genio di Venezia, forte e potente rivale. A garantirsi dalle di lei spiegate insidie, i ragusei eressero un castello su di una roccia, protendentesi nel mare, dalla parte occidentale della città, che denominarono caste! s. Lorenzo (1038).

Da un pezzo i veneti avevano annunziate le loro esclusive pre- tese sul commercio generale nel golfo. I ragusei avevano saputo, talor colle proprie foi'ze, talor unendosi colla repubbUca Narentana, di cui dirigevano la politica e le imprese, far fronte alla potente rivale, appoggiandosi alla protezione dei greci imperatori, a cui era soggetta ancor la Dalmazia, abbenchè di nome.

Le forze però dell' impero Orientale affievolivano, rinforzandosi quelle di Venezia. Ragusa comprese allora, che la greca croce non poteva esserle d' ulteriore appoggio ; però voleva cercar rifugio sotto le ali del veneto leone. Tentò allora un' alleanza coi Normanni, coi quali al principio delle loro conquiste aveva contratte amichevoli relazioni ; alleanza però soltanto all' estero e sui mari. Ma discordie

interne, fonitiitate dalla scaltra politica veneta, la posero nella dura necessitai (V invocare la di lei protezione. Alleanza fra debole e potente, da cui per un miracolo sortì salva la di lei indipendenza.

A ciò diedo occasione V attentato di Dannano (iiuda contro la libertà dello stato. Damiano, i)atrizio raguseo, spirato 1' anno del suo priorato, non volle scender dal seggio, permise si racco- gliesse il senato per eleggere il priore, che avrebbe dovuto succe- dergli. Spiegò apertamente il carattere di tiranno, sia che esso abbia voluto concentrare in se e nella propria discendenza tutto il potere ; sia che come è più verosimile inteso abbia di richiamare in vita le franchigie popolari, che andavano deperendo per la prepo- tenza del ceto, il quale da poco si era costituito in compatta ari- stocrazia, e, profittando delle discoidie de' vicini prihcipi slavi, d' in- grandire la jiotenza della patria.

Ne freme la nobiltà, ed a capo del partito contrario si pone Pietro Benessa, suo genero. Entra in secreta cointelligenza coi veneti, i quaU con due galere fingono di portarsi a Costantinopoli, ferman- dosi per breve tratto presso Ragusa. Damiano con magnificenza accoglie e convita a lauta mensa i due sedicenti ambasciatori, e niun inganno sospettando, accetta il consiglio del genero, di accom- pagnarli alle loro navi. Ma a])pena montatovi, levate V ancore, salparono in alto mare. Accortosi tosto Damiano d' esser spogliato non solo del dominio, ma della stessa libertà, si spacca il capo contro r albero maestro della nave.

„Onde poter sbalzare dal seggio usurpato l'unico uomo che sopra quelle rupi abbia agognato all' autocrazia, Ragusa credette neces- „sario di ricorrere all' ajuto veneziano. Contro il proprio chiamò „lo straniero. Preferì esser debole sotto Venezia, anziché forte sotto Giuda. E questo tu il suo primo grande errore di stato." ^

Da quell'epoca (1204 1358) Ragusa sogiacque al regime dei conti veneti. Ed abbenchè i ragusei nel 1223 avessero tentato di sbarazzarsene, col rimandare in patria il conte Giovanni Dan- dolo, il di cui governo per 16 anni era a loro addivenuto oneroso, ciò non di meno le domestiche dissensioni, e le minacele di Venezia, r indussero a ricercar di nuovo la protezfone veneta, accettando nuovamente i di lei conti, a condizioni ben più dure.

Non trascurano però alcun occasione di fare atti di sovranità, sia nel regolare gli articoli di pace e di guerra coi propri vicini,

' Diiringsfeld 1. e.

sia nel sostenere 1' indipendenza della loro interna amministrazione. Pervengono perfine, ciò che non può passar inosservato; ad eludere ed aggiornare molte condizioni le più importanti e le più pesanti del patto conchiuso nel 1223; e sopratutto profittano di quest' epoca di transazione per migliorare qualche forma amministrativa e gover- nativa, secondo la forma appresa da' veneti. Ed a quel tempo rice- vono lo Statuto (1272), elaborato, sotto il settimo de' suoi conti veneti, Marco Giustiniani, sulla base delle costumanze che fino allora facevano le veci di leggi.

Alla fine di questo secolo (1292) un grande incendio distrusse presso che tutta la città; e nella rifabbrica degli ediffizt, la città venne interamente riordinata e ridotta in sestieri. E pochi anni dopo (1329) fu aggiunta una nuova cinta alle mura della città, e ristaurate quelle dalla parte del sobborgo Pille, che avevano sofferto dal tempo ; e le pietre dovevano esser estratte dallo spazio destinato pel fossato. Contemporaneamente vennero estese le mura dall' an- tica porta presso la Dogana, fino al bastione di s. Luca, ed aperte nuove porte alla Pescheria e Ptevellino, rimanendo rinchiuso tra le mura il convento de' Domenicani, che fino a quell' epoca si trovava al di fuori.

Ragusa però non cessò di iottare contro la tendenza più o meno potente di Venezia, divenendole sempre più odiosa e pesante la di lei alleanza. Studiò quindi come sbarazzarsene. Notò con gioja il progresso delle armi di Lodovico il grande d' Ungheria, ed al suo ritorno dalla vittoriosa spedizione di Napoli (1349), fermatosi nelle acque di Ptagusa, il senato vi gettò le fondamenta di quelle tratta- tive, che egli stesso di poi nel 13.58 consolidò a Buda, accettando i Ragusei sotto la clientela dell' Ungheria. Sciolto quindi ogni patto oneroso coli' alato leone, strinsero de' nuovi con Lodovico il grande, ben diversi da quei che avevan contratti con Venezia.

I patti furono: 1. che il re li accogliea sotto la sua protezione; 2. che i soli patrizi dovessero avere la facoltà legislativa che esecutiva; 3. che i beni, o comperati, od acquistati con enfiteusi, 0 con dono, pacificamente potessero possederli; 4. che essendo il re in guerra co' veneti, o cogli slavi, fosse permesso ai ragusei di trafficare con loro; 5. che le liti fra i sudditi del re ed i ragusei dovessero esser trattate nel foro del reo. E dall' altra parte si obbligavano i ragusei : 1 . d' esser attaccati al re con i più stretti vincoh di fedeltà; 2. di esborsare annualmente al medesimo perla

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protezione accordatli, zecchini HOO;^ 3. che nelle tre maggiori festività dopo il vangelo avrebbero fatto cantare le lodi e prosperi augiirt al re ; 4. che venendo il re a Ragusa, V avebbero magni- ticainente ricevuto, e splendidamente trattato col suo seguito; 5. che in mare ed in terra si sarebbero insigniti dei regi vesilli, e quando il re avesse guerra, gli avrebbero somministrate quattro, od almeno due galere, od in luogo di queste, un' equivalente con- tiibuzione in danaro.

„l)a quest' epoca la storia di Ragusa diviene sempre più diplo- „matica. I tiattati divengono sempre più frequenti; gli ambasciatori viaggiano senza posa. Essi parlano e scrivono incessantemente. Parlano e scrivono i suoi dotti ed i suoi poeti. La fama di Ragusa ^sempre più s' accresce, le sue ricchezze aumentano, e s' estende „il suo territorio. Sale Ragusa a sempre maggior altezza." ^

Tutta quest' epoca fu floridissima pel commercio raguseo. Appo- giati all' amicizia e lega de' principi di Bosnia, Servia, Bulgaria, Rascia, Albania, ed a quella de' greci imperatori, il loro commercio si estendeva dalle sponde dell' Adriatico, sino a quelle del Mar Nero, dove numerose colonie vi avevan sede, e fra le altre Sofia, Procupglie, Novipazar, Belgrado, Ruschik, Silistria, Provato, Adria- nopoli, le quali assicuravano a Ragusa una durevole prosperità, rendendola lo scalo del traffico del Mar Nero. E mercè il trattato stipulato nel 1358 con Lodovico il grande, poteano commerciare in tutti i di lui estesi domini, ed anche in quei regni, i di cui padroni erano in guerra coli' Ungheria.

Come Venezia, e come tutti gli stati essenzialmente commercianti, Ragusa alle sue speculazioni subordinava le relazioni della sua po- litica. Così la si troverà simultaneamente alleata de' cavalieri delle grandi crociate d'occidente, e de' saraceni; mantenendo rapporti di commercio coi principi slavi, e negoziando cogl' imperatori d' oriente. Coir avvedutezza della sua politica essa seppe approfittare con corraggio e con prudenza delle circostanze e de' tempi, per conso- lidare la sua indipendenza a mezzo di potenti alleanze e di van- taggiosi trattati; ed il punto principale era, conciliarsi la benevo- lenza di Orbane II, che veniva dalla conquista dell' Asia minore. Gonfio questi dell' omaggio de' ragusei, accordò loro un trattato

* L' imperatore Leopoldo I. rilasciò quest' annuo pagamento tinche i ragusei avessero al confine il turco; ciò egualmente fa confermato dall' imperatrice Maria Teresa.

' Duringsfeld 1. e.

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di commercio esteso a Brussa nel 1359, verso F anmia contribuzione di 500 zecchini, in forza del quale ottennero piena libertà e con- siderevoli franchigie per trafficare in tutti gli stati e presenti e futuri del conquistatore, garantendo così l' indipendenza nazionale.^ Pri- vilegi poco dopo (1372) confermati da Amuratte.

Sotto il dominio veneto la navigazione ragusea avea già fatto giganteschi progressi, mercè i privilegi stati accordati a' bastimenti ragusei caso unico nella storia veneta eguali a quelli che avevano i suoi nazionali. Perduti poi alcuni de' privilegi in terra- ferma, nelle vicine Provincie slave, si diedero con maggior vigore al commercio marittimo, ottenendo dal re d' Egitto, di Soria, d'Iconio, di Bitinia, e da altri principi asiatici, la libertà di commercio con molte immunità e prerogative (1365); e per opera di Lodovico, otten- nero da Urbano V. la facoltà di negoziare cogl' infedeli, che dopo venne confermata dal concilio di Basilea, e da Paolo III.

Indi strinsero patti commerciali con Martino re di Sicilia, il quale li accordò (1387) grandi franchigie ne' suoi stati. Nel #1397 gli ambasciatori di Carlo VI, re di Francia, di Luigi duca d' Anjou, dei duchi di Milano e di Savoja, vennero a Ragusa per sollecitare il senato a negoziare il riscatto de' prigionieri stati fatti alla batta- glia di Nicopoli ; e per gratitudine al disinteresse de' patrizi, che rifiutarono 100 mila ducati, loro offerti a titolo d'indennità peli' in- tervento ufficioso, il re di Francia li accordò grandi immunità com- merciali.

Uno spiacevole incidente poi in questo frattempo pose in appren- sione il governo della repubblica. Alcuni giovani della nobiltà ave- vano cospirato contro la libertà della patria, entrando in secreta cointelligenza coi vicini bosnesi. Scoperta però la trama (1400) i rei furono puniti di morte, e ripristinata la quiete e la tranquillità.

^ E' celebre questo patto nella storia Osmana, per aver da<o origine al Tughrà, 0 cifra dei sultani, che apponesi in capo ai più solenni diplomi e documenti dello stato. Orbane, anziché sottoscrivere la detta convenzione, immerse la mano nell'inchiostro, e la impresse sulla pergamena. Questa informe impressione della mano e dei cinque diti, fu di poi consecrata all'uso, ed anche oggidì conservata come Tughrà, o firma del sultano. Soltanto venne col tempo ingentilita dagli scrivani la dimensione e l'aspetto, ed inserito anche, per mezzo di lettere intrecciate a quelle aste o linee principali, il nome dell' imperatore, quello di suo padre, il qualificativo di Kan, e 1' epiteto di sempre vincitore, che Abdul-Megjid salito al trono ha creduto bene, per le rotte antecedentemente patite dalle truppe otto- mane, di ommetterlo.

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Se la politica dei ra^aisei era più che tollerante, non per questo scemava in essi il sentimento religioso. Già nel XI secolo elevarono la propria sede vescovile trasportata da Epidauro a metro- politana; nel 1023, in seguito a voto fatto neir occasione dell'in- cendio scoppiato in città, venne eretto nell' attigua isola di Lacroma un monastero benedettino. Con gioja ricevettero s. Francesco d' Assisi, che tornando da Soria approdò a Ragusa (1220), fon- dando indi un convento pel suo ordine. Non molto dopo innalzarono pure un' altro all' ordine domenicano. Aprirono quindi monasteri anche per le monache.

Il territorio di Ragusa venne pure sensibilmente accresciuto. Nel sec. XIII si fece acquisto dell' isola di Lagosta, che apparteneva al principato di Zac'hulmia, venduta alla repubblica (1216) da Ne- magna II, gran giuppano della Rassia, il quale, coronato re per concessione di Onoiio II, assunse il nome di Stefano II, sovra- nominato Grappalo, e conosciuto sotto 1' appellativo di Prvovjen- cani (primo incoronato). Neil successivo secolo XIV, per le ces- sioni di Uros re di Serbia^ i ragusei estesero il loro dominio (1323) sui vicini villaggi di Bossanka, Bergatto, ed Ossoinik; indi nel 1333 ottennero da Stefano di Serbia, con titolo quasi di feudo, la penisola di Stagno, con tutte le isole situate presso la foce del tìume Narenta, e quelle adjacenti alla penisola dalla sua parte meridionale. Acquistarono indi le terre di Primorje, fra Valdinoce ed Imotiza di Stagno, da Ostoja re di Bosnia nel 1399; ed al prin- cipio del seguente secolo comprarono la contrada di Canali dai vojvode Sandalj Hranic, e Radoslavo Pavlovic; con che chiusero la serie degli acquisti territoriali.

Allora lo stato della repubblica raggiunse l' estensione di 120 miglia in lunghezza, da oriente ad occidente, e di 12 miglia nella massima larghezza ; abbracciando un circuito di 340 miglia tra isole e continente. Insigniiicante estesa territoriale, se a questa non fosse unita una delle più grandi importanze storiche fra gli stati slavi di queir epoca, e dei secoli posteriori.

Nel prender però possesso dei territori suacennati, la repubblica ha dovuto sostenere seri conflitti. I Lagostani, dopo una generale sollevazione contro i nuovi padroni, abbandonati dall' appoggio dei Rassiani, si assoggettarono. Non così facilmente riesci alla repubblica di prender possesso di Primorje;^ poiché scorgendo i gentilotti" di

' Primorje, ordinariamente nei vecchi documenti è chiamato col nomo di

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quelle contrade, che quel territorio veniva diviso fra la nobiltà e la cittadinanza, e che per tal guisa venivano spogliati dei loro terreni, fecero vigorosa opposizione, appoggiati alla giusta ragione, che la repubblica aveva fatto acquisto dell' alto dominio della con- trada, e non già del dominio utile della medesima. „Io scrivo la storia dice Resti nella sua cronaca mss. ma non so difender ^il senato in una così fatta azione; so bene che in tutte le sue «procedure ha mostrato rettitudine e giustizia. Negli archivi pubblici nulla trovo per cui si de venne ad una così violenta azione, trovo „bensì, che per questo motivo fra poco tempo di poi non si potessero ^conservare le isole di Curzola, Lesina e Brazza sotto il dominio „della repubblica di Ragusa, mentre quei isolani, per timore che li succedesse come a quei di Primorje, operarono tanto che si sottrassero dal di lei vassallaggio."

Ed infatti, assoggettati i Primorjani, a mano armata, e coirajuto di Sigismondo, ottennero poco dopo i ragusei dal medesimo re le isole di Curzola, Lesina, e Brazza; ma dovettero ben presto evacuarle, poiché, sollevatisi quegF isolani, mercè 1' assistenza di Vladislao Sachez^ cancelliere del regno, nativo da Narenta, e favo- rito della regina, venne revocata la cessione fatta, per istigazione della regina stessa, sul pretesto, che i ragusei non avrebbero rispettato in quelle isole la proprietà di quei possidenti. Furono cedute quindi al favorito di Barbara, il quale poco dopo le ven- dette ai veneti.

Ben più serie difficoltà trovò poi la repubblica nel prender possesso delle terre di CanaU. Con Sandalj Hranic stipulò il con- tratto nel 1420 per la sua porzione di Yitaghna fino al caste! Soko. Dietro a ciò si venne alla ripartizione dei terreni, il che diede motivo ai Canalesi ad un' aperta ribelhone. Venne sedata tosto a mano armata, e puniti i ribeUi col taglio delle mani, de' piedi ecc. Ottenuta anche 1' altra parte di Canali da Radoslavo Pavlovic nel 1427, anche qui la ripartizione causò generale malu- more. Fu mandata la truppa, e proclamata la taglia di 1000 zecchini contro tre capi ; e parecchi consanguinei del Pavlovic furono espulsi. Radoslavo pretese allora di annullare il contratto, facendovi delle irruzioni nel territorio raguseo ; e la repubblica in questa circostanza fece fare delle fortificazioni a Ragusavecchia. Appena nel 1432 fìi conchiusa la pace col Pavlovic, e sedata la ribellione.

„Terre nuove", a differenza del territorio da Breno a Valdinoce, che per la sua antichità portava il nome di „Terre vecchie" od „Astarea".

Duile iliscorpie dei principi slavi prevedevano i raj^usei la rovina di que' stati, cessavano di darne opportuni consigli in ogni in- contro, [)er mantenere fra di loio la buona armonia e la concordia. Ra|)presentavano a loro, quanto erano pericolose in quelle circo- stanze la disunioni fra i principi cristiani, per non vedervi frammi- schiate le armi turche, col pretesto di ajutare taluno di essi, ma in effetto i)er opprimere tutti ; e li offerivano la propria opera per agevolare V unione^ da cui, dicevano, dipendere la salute dei regni slavi.

Rinunziano quindi alla proposta del Pavlovié di ricevere le ca- stella (li Klobuk e Trebinje, abbencliè fosse in loro innato il desi- derio d' ingrandire i propri stati, ritenendo non esser prudente in quelle poco felici circostanze d' ingerirsene. Per atto pure di prudenza non accettano la proposta di Elisabetta d' Ungheria, di prender possesso della città d' Almissa, assediata da Cosaccia, per non entrar in aperta guerra col medesimo, e dar motivo d' inter- vento all' armata turca nei paesi finitimi.

Ed abbenchè sotto la protezione ottomana, i ragusei, eredi della pietà verso gli oppressi e perseguitati, non trascurano incontro alcuno per favorire i principi cristiani contro la forza dei propri protettori, esponendosi il più delle volte a gravissimi pericoli.

Amuratte si sdegna fortemente pella buona accoglienza fatta a Giorgio despota di Servia, il quale, vedendosi minacciato da' turchi, approda a Ragusa e vi deposita i suoi tesori. Il sultano spedisce tosto un suo ministro per chiederne dalla repubblica il tributo. Questa gli manda ambasciatori, dando loro la seguente commissione. Se li fosse dimandato il tributo, dovessero rispondere: la città di Ragusa esser stata sempre libera e franca, ne' mai aver dato veruna somma al padre suo, ad alcun de' suoi antenati, a riserva di lui solo, nove anni prima, per ringraziarlo dei buoni trattamenti che facea ai mercanti, che allora per sua grazia godevano molti privilegi. Che se poi avesse voluto considerare le grandi utilità che dalle gabelle pagate dai mercanti ragusei ricavava il suo erario, vedrebbe pagarglisi dai ragusei più di qualsiasi altra città del suo impero. E perchè i turchi opponevano i tributi pagati all' Ungheria ed alla Bosnia, fu disposto di rispondere, non esser tributi, ma piccola pensione per affitto di alcuni terreni a loro appartenenti. Così pure alcuni pagamenti fatti ai suoi antecessori, da Sultan Orhan in poi, averli dati per la protezione de' mercanti ne' paesi turchi, e non mai a titolo di tributo. Circa V accoglienza fatta al despota,

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fu accomesso di rispondere, che ciò era conveniente; e se anche non l'avessero conosciuto, che avrebbero dovuto farlo, mentre per ripatriare avea toccato Ragusa, alla quale importava mostrarsi grata ad ognuno, giacché i suoi cittadini praticavano quasi tutta V Europa, ed erano da per tutto accettati con benevolenza. Che se poi era stato servito con una galeotta, il despota F avesse fatta armare per sospetto delle fuste Catalane ed altri corsari, che infestavano quei mari. Relativamente ai depositi fatti dal despota, dovesser rispon- dere : ognun con sicurtà poter depositare, e ciò esser seguito per mano di un monaco basiUano, in sacchi legati e sigillati, che esso despota poteva levare quando voleva.

Caduta indi la Servia sotto il giogo turco, Giorgio si salva a Ragusa, e tutto il tesoro raccolto in quel dovizioso regno aggiunse a quello di già depositato. Amuratte propone ai ragusei perpetua pace e protezione, promette molte castella e città nei finitimi stati slavi, di più la Hbertà d' impadronirsene di tutti i tesori del de- spota, purché glielo consegnassero nelle mani. In caso contrario minaccia totale esterminio.

Il senato in pieno consiglio fa conoscere queste proposte al' infelice principe. Ed abbenché si fosse appena rimesso il pubbhco erario dai gravi disastri della peste che devastava (1434) il territorio di Ragusa, il despota viene fornito di opportuni mezzi, per poter co' suoi tesori salvarsi in Ungheria, e riacquistare indi il perduto regno. Le truppe ottomane erano sulle frontiere; ciò non ostante il senato risponde all' intimazione con un rifiuto. Irritato Amuratte si vendica sui mercanti ragusei che si trovano nel suo impero; ma non può a meno di esclamare: „uno stato che rispetta a questo segno le leggi dell' ospitalità, non può perire." E gli amba- sciatori speditigli ottengono senza difficoltà la continuazione della pace (1441).

Due eroi cristiani arrestavano allora 1' impetuoso torrente delle vittorie ottomane ; lo Skenderbeg, principe d' Epiro, e Giovanni Unniade. Ragusa forniva 1' uno e 1' altro, secondo la propria possi- bilità, di armi e munizioni; anzi lo Skenderbeg, abbandonato quasi da tutti, veniva sostenuto da' soli ragusei nell' eroica sua intrapresa contro il turco, ed emmissari spediti in Albania incorraggiavano quella nazione contro il comune nemico. Concorsero alla squadra pontificio-veneta (1444) con due galere, e con una nave di tra- sporto. Disfatta indi l' armata cristiana, vennero spedite navi in Al- bania per salvare gli eroi ed i loro commilitoni.

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In ([uesto frattempo giavi peripezie sofferse Ragusa nel proprio territorio. Cosaccia, che sempre nutriva un animo ostile contro la repubblica, invase il territorio di Canali, passando tutto a ferro e fuoco. Ritenendo indi la città sfornita di truppe, mosse contr' essa con 16 mila armati, e vi piantò sopra s. Orsola la batteria. In tali critiche circostanze il senato (11 sett. 1451) proclamò pubblico bando a suon di tromba, ponendo la taglia contro Stefano Cosaccia, patrizio raguseo titolo che in antecedenza la republdica gli aveva conferito, come lo conferiva pure ai i)iù distinti vojvode e duchi vicini senza nominarlo duca di Chelmo. Ma così, con altre secrete mene, potè disfarsi del proi)rio nemico, fino a che Maometto, occupata Costantinopoli, non gì' impose di rappa- cificarsi coi ragusei, di restituir a loro quanto aveva occupato, e di risarcirli de' danni arrecatili. Eguali ordini e più risoluti giunsero dall' Ungheria.

La repubblica non aveva nulla ancor stipulato colla Porta otto- mana, che i porti e territorio dello stato raguseo sieno considerati come neutrali, quando desse asilo a qualche famiglia greca di Co- stantinopoli, dopo che questa fu presa da Maometto IL Ciò nondimeno accorda generosa ospitalità ai Lascari, ai Conmeni, ai Cantacuzeni, che sotto la porpora nascondevano le miserie dell' esilio. Si onora egualmente nell' accogUere i dotti dalla Grecia, tra i quali Andrea- Giovanni Lascari, Demetrio Calcondilla, Emanuele Marulo, Paolo Tarcagnota (padre dello storico Giovanni), senza nominarne tanti altri distinti letterati, che sparsero il buon gusto delle lettere greche in occidente.

Otto anni dopo la presa di Costantinopoli (1462) le armi otto- mane assoggettarono il regno di Bosnia ; e Maometto si accinse alla conquista delle città marittime, avendo in particolar mira Ragusa. Venne quindi fortiticata, atterrati tutti gh edilìzi nei sobborghi, fatti pili profondi i fossati, guernite le mura di fortificazioni, ed eretto il forte Revelliuo alla porta orientale della città. Ricovratosi a Ragusa Gismondo Malatesta, il quale, per esser stato scacciato dal pontefice, volea passar in oriente per condurre 1' armata turca in Italia; venne persvaso a desistere dal concepito progetto, ed indotto a fermarvisi in quaUtà di generale di tutto lo stato raguseo. Lo stesso Pontefice Pio li. si decise di rinchiudersi fra le mura di Ragusa, per attirare i principi cristiani a collegarsi contro gF infe- deh ; il che non potè effettuare per la morte sopraggiuntagli. Fortu- natamente però il sultano, arrivato a Sutjeska, retrocesse colla truppa, desistendo dal concepito progetto.

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Distrutti dalle armi ottomane gli ultimi avanzi del regno slavo, lo stato della repubblica rimase circondato da ogni dove dal terri- torio turco. Perduta quindi ogni speranza d' ingrandimento, i ra- gusei si dedicarono alla navigazione^ appoggiati al fermano impe- riale che li favoriva, e che ogni bastimento portava seco^ insieme alla patente della propria repubblica.

Sul finir del secolo XY ed al principio del XVI, Ragusa giunse air apice di benestanza e di floridezza. In quest' epoca vennero inal- zate magnifiche fabbriche di edifici pubblici e privati, che poi in massima parte crollarono nel grande terremoto^ rimanendoci alcuni pochi, per darci un' idea della benestanza di que' tempi. Tutta questa opulenza proveniva dal commercio, ed a questo Ragusa deve la sua principale istorica importanza.

La repubblica già sotto Urbano V. aveva ottenuta la facoltà di negoziare cogl' infedeli, facoltà the poi le venne confermata nel concino di Basilea (1433), ed indi da Paolo III (1469). Ottenne di poi (1510) da Abunassar Causer Gauro re de' Mamalucchi, il traffico ed il passo libero delle mercanzie d' Egitto e di Seria. Questo trasporto delle merci dalle Indie, divenne una specie di privativa de' Ragusei. E durante la lunga guerra de' veneziani e genovesi coi turchi, tutto il ricco commercio di levante era nelle loro mani, avendo saputo con un tratto di fina politica destramente ottenere dalla Porta, che le potenze in rottura col Gran Signore, potessero mettere in sicuro i loro legni e le facoltà ne' porti della repubblica.

Mancato poi il gran commercio della Soria e dell' Egitto, i ra- gusei diressero la loro marina verso l' occidente, avendo di già Ferdinando V. ed Elisabetta di Spagna accordato loro molti privi- legi nel 1494, riconfermati poi negli anni successivi. Nel 1508 Luigi XII di Francia li accordò gli stessi privilegi, diritti e libertà, che godevano i mercanti degli altri suoi regni, provincie e domini; ed inoltre volle, fossero riguardati tutti ed ognuno separatamente, come suoi fedelissimi, accolti e presi sotto speciale sua protezione, difesa e salvaguardia.

Le colonie nella Turchia erano pure a quest' epoca floridissime. Ben mille some cariche di diverse merci comparivano a Ragusa, ed altrettante venivano rimandate a diverse piazze dello stato otto- mano ; il valsente delle quali, massime dalle carovane, passava 200 mila talleri per volta. Neil' ItaUa pure, come si disse, vi erano in- numerevoli colonie, e si rassodò il commercio nelle città di Romagna,

Marca, Abbruzzo, Pugliii, Calabria, e Sicilia, apportando immensi vantaggi. Le due principali colonie che si avevano in Italia, e da cui dipendevano le altre, erano la Fiorentina e la Messinese. La prima che diede nome di strada de' ragusei, ad una contrada di Firenze regolava le colonie delle città dello stato ecclesia- stico; e la Messinese, che era fissata in Siracusa, ed in un castello fabbricato da' ragusei sulle rovine di Camerana, detto poi per questo Ragusa, aveva sotto di se quelle delle città della Calabria, Puglia, ed Abbruzzo. I legni ragusei trasportando ordinariamente le merci a Ragusa, le trasmettevano poi alle colonie di levante, percependo così doppio vantaggio.

Le arti e V industria mirabilmente contribuivano al benessere della repubblica. Pietro Pantella, fiorentino, nel 1490, v'introdusse r arte di far i panni. Nel 1530 Nicolò Luccari portò 1' arte di tessere i drappi e veluti di seta. La zecca, le tintorie, la pesca de' coralli, la fonderia dei cannoni, la fabbrica de' vetri, quella della polvere, delie cererie; delle conciapelli, il traffico del sale, i cantieri pella costruzione navale, le arti degU orefici, argentieri, fabbri ferrai, cal- zolai (che provvedevano tutte le vicine Provincie ottomane di pa- puzze) animavano ogni ramo d'industria^ ricchiamandovi moltissime famiglie forastiere. Ed allo scorcio del sec. XV Ragusa coi sobborghi, come attesta il contemporaneo De Diversis, numerava una popo- lazione di 40,000 abitanti; e la cassa pubblica, supplite l'enormi spese durante la peste (1400), ascendeva a sette millioni di zecchini; e la dogana, dopo le guerre tra Venezia ed il turco, fruttava 80 mila zecchini all' anno.

Delle facoltà de' privati non se ne parla. Un Matteo Luccari, mercante raguseo in Bosnia, fu in grado di ospitare regalmente Sigismondo d' Ungheria e Stefano despota di Servia, dopo la loro disfatta presso Semendria, fornendoli di 15.000 zecchini al momento della loro partenza. Michele Prazatto^ legò alla patria l' ingente somma di 200.000 genuine, collocate in Genova; ed i soli nego- zianti della parte della città, denominata Prieko, disponevano

' Questi fìi quegli, che dopo aver fatto parte con 12 sue caracche della squadra di Carlo V. (e la caracca era nave della grandezza delle attuali fregate di primo ordine), e co' suoi grandi bastimenti portato ingenti carichi di gra- naglie nella Spagna, allora desolata da terribile carestia e fame, chiesto da Carlo, se voleva onori, titoli, impieghi, rispose: „Sire, io sono abba- stanza ricco, per non accettar l'icchezze; sono re sulle mie caracche, per non cercar onori; sono cittadino libero di Ragusa mia patria, per non

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del vistoso capitale di 200,000.000 di ducati. Tali erano le co- lossali fortune di Ragusa alla fine del sec. XV., ed al principio del XVI.!

La buon' armonia della repubblica colla Spagna faceva sì, che le navi ragusee mercantili e da guerra fossero di spesso al servizio di quella corona ; e nella conquista di Portogallo 40 navi ragusee erano a sua disposizione. Intiepiditesi però le relazioni coli' Un- gheria, collo estendersi della potenza turca, e per un incidente occorso ad una nave ragusea che portava un carico a conto della Spagna, predato da un corsaro; Carlo V., cintosi anche di quella corona, vivamente se ne risentì, sospettando secreti accordi colla Turchia. Fece intender il suo malcontento alla repubblica, e le proibì (1511) ogni commercio sui mari e ne' porti a lui soggetti. A placarlo fu duopo accondiscendere che tutte le navi ragusee da guerra e mercantili, lo seguissero nelle malaugurate spedizioni sulle coste dell'Africa (1535).

Oltre 300 capitani, con rispettive navi,^ fecero parte a quelle spedizioni, nelle quali miseramente perirono. Neil' impresa di Tunisi furono distrutte 18 navi ragusee, con tuttala gente di equipaggio^; in quella d' Algeri, dove erano unite alla flotta cesarea 14 navi, li toccò eguale sfortuna, perchè gettate a terra da un' orribile tem- pesta si sfasciarono e la ciurma ragusea fìi vittima degli algerini, salvandosi a Majorca quattro navi soltanto, con pochi legni spa- gnuoli. Nella terza spedizione poi contro Tripoli, i ragusei perdettero sei navi, equipaggiate di nazionali. Altre gravi perdite sofferse Ra- gusa nelle proprie navi e nella propria gente, perite del mar della Manica e delle Indie sotto i Filippi IL, III. e IV.

cercar titoU; qual memoria della Sovrana Vostra grazia cedetemi quest' asciugamano." Carlo iu quel momeuto si facea rader la barba. Stordito a tanta grandezza d' animo, glielo porse ; e questo asciugamano si conserva tuttora nel tesoro della chiesa matrice dell' isola di Mezzo.

* Le dette navi erano di grande portata. Nella chiesa parrocchiale di Mezzo si conserva tuttora la fiammola della nave di Prazatto, la cui larghezza e lunghezza mostra, che queste navi erano smisurate. Nella squadra di Pietro Iveglia Ohraucevic, composta di 12 galeoni, si contavano 3200 tra soldati e marinai.

* La perdita di tanti ragusei sulla detta flotta, ha dato origine al detto: Trista Vica Udovica; trecento Vincenze rimaste vedove nel medesimo giorno, tutte dell' Isola di Mezzo. Per quanto questo numero possa sembrar esagerato, è certo però che in quella floridissima epoca Mezzo contava oltre 14.000 abitanti, mentre al presente non ha che circa 500.

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La morte di molte mii^^liaja di scelti j'iovani, affogatisi sotto Tu- nisi, Algeri, Tripoli e nell' Oceano, mentre secondavano le guerre degli spagnuoli contro i francesi, gli olandesi, ed inglesi ; e la perdita in 70 anni di 178 navi, e le rimanenti fino alle 800, che contava la marina ragusea a queir epoca, susseguentemente distrutte nella squadra detta delle Indie; l'è sì, che la marina ragusea si trovò quasi spenta.

Da qui principia la decadenza di Ragusa, susseguita, meno poche eccezioni, da un' illiade di disastri.

La flotta pontificia (1538) comandata da Marco Grimani, patriarca d' Aquileja, fa prigioni 150 isolani di Mezzo, fra i quali quattro patrizi, e 14 capitani, mettendo a sacco e case e chiese di quel- l'isola. Ambasciatori spediti raggiungono a Molonta la flotta, e si dolgono col patriarca, il quale tutto restituire agi' inviati, pro- promettendo il rimborso pei danni al suo ritorno. I prigionieri otten- gono la libertà, mentre alcuni dell' isola di Mezzo, Giuppana, Cala- motta e Ragusavechia, che erano ottimi marinai, vengon trattenuti al servizio aell' armata.

Dopo r infelice esito contro gì' infedeli, la flotta, al di lei ritorno, ripreso ai turchi Castelnuovo, minaccia di saccheggiar Ragusa ed impadronirsi di Stagno. I turchi poi, insospettitisi del soccorso dato ai veneti, minacciano la repubblica di esterminio. L' ammiraglio ve- neto Doria però, prende le difese de' ragusei, ed invia il valente ingegnere Antonio Ferramolino, che vuoisi fosse nativo da Bergatto presso Ragusa, per fortificare la città.

La corte di Francia stimola Solimano ad invader il regno di Napoli, a danno degli Spagnuoh. La flotta turca arriva nelF Adria- tico , s' impossessa abusivamente di vari carichi de' bastimenti ra- gusei, e, scorrendo per la Dalmazia, fa moltissimi schiavi dell'uno e dell' altro sesso, recando de' danni anche all' isole del dominio della repubblica (1566). Il senato in quest' occasione nobil esempio d' umanità e carità cristiana, riscattando le vittime verso non indifferente somma, e restituendole alle loro patrie; ammettendo poi fra la propria figliuolanza que' fanciulli , de' quali s' ignoravano la patria ed i genitori.

Di bel nuovo, durante la guerra di Sehmo (1570) contro i veneti^ la flotta turca commette degli eccessi e fa molti schiavi nel terri- torio raguseo, vendicandosi così dell' aderenza della repubblica a Filippo II. I ragusei ricomprano, fra gli altri, V abate ed un monaco di Giuppana, fatti prigioni; e nella tema di più serie conseguenze

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prendon al servìzio Saporoso Matteucci, nobile Fermo, già gene- rale e rinomato ingegnere, per costruire il bastione di s. Margarita, e fortificare di nuovo la città.

I corsari, turchi infestano 1' Adriatico ; depredano il monastero di Lacroma, e quindi quello *di Meleda , uccidendone vari monaci; ed obbligando gli abitanti a rintanarsi nelle caverne. Dietro a ciò gli Uscocchi da Fiume e Segna armansi contro Ragusa, per ven- dicare la uccisione seguita nelle zuffa di uno de' loro vojvodi. Il senato mette in armi la penisola (1577). Vengono però per mo- mento placati mercè 1' intervenzione di Gregorio XIII; ma ricom- pariscono poi nel 1612 a Ombla. e saccheggiano Trebinje; pei quali danni la corte di Costantinopoli minaccia ingiustamente Ragusa.

Insorta la guerra per la morte di Francesco Gonzaga tra il duca di Savoja ed i veneziani da una parte, e tra Filippo HI. e Ferdi- nando dall' altra ; la repubblica si dichiara per la Spagna. La flotta veneziana costretta da una burasca si ritira a Gravosa, e si vendica della parzialità de' ragusei verso la flotta del vice-re di Napoli duca d' Ossuna, stata accolta nei loro porti e provveduta del- l' occorrente.

A ciò tutto si aggiunga la ribellione (1602) de' Lagostani, che tentarono di passare sotto il dominio veneto. Sollecitamente, sco- perta la trama, furono spediti 600 armati per presidiare il castello, ed opporsi allo sbarco delle navi veneziane, che a questo fine erano giunte in quelle acque. Impossessatisi però poco dopo i veneziani a tradimento della detta isola, la restituirono nel 1606, in seguito a severe intimazioni della Porta.

Tutte queste calamità non furono che il presagio di più tremendo disastro.

Era il 6 aprile 1667, giorno di mercoledì santo, quando pel consueto si raccoglieva il consiglio generale per accordar grazie ai delinquenti. Tutto ad un tratto, alle ore 9 antim., senza che si abbia potuto minimamente presentire, una breve ma forte scossa di terremoto, ridusse due terzi della città in un mucchio di rovine. A ciò si aggiunse un generale incendio, che portò il turbamento e la disperazione nei pochi superstiti. Per oltre 5000 persone rima- sero vittime in quel infausto momento, e fra questi il Rettore della repubblica; Simeone Ghetaldi, e gran parte della nobiltà.

Un' orda di saccheggiatori scese dalle limitrofe Provincie turche per molestare con feroce ingordigia gì' infelici superstiti; e Venezia, quasi giubilante nel veder atterrata 1' antica sua rivale, pose in

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opra la più scaltra politica, per impedire che mai più risorga. Il turco poi accampò la pretesa deir albinag^^io.

Se fu UH miracolo che Ragusa abbia salvata la propria indi- pendenza quattro secoli la dagli artigli dell' alato leone, molto maggiore ne t'ù in questa circostanza, quando inerme, povera e lagrimante per la perdita de' suoi figli, si trovò derelitta, senza ajuto, priva di difesa.

Sarebbe stato allora finito per la repubblica senza il coraggio ed il magnanimo cuore di alcuni cittadini, che non disperando punto della patria, osavano ripromettersi di farla risorgere sulle fresche ed ancor fumanti rovine, e sovra gli ancor palpitanti cadaveri de' loro cari. Si diedero quindi la caritatevole cura di estrarre dalle lovine quegl' infelici, che erano ancor in vita, e si opposero al saccheggio, difendendo col sangue le dilette rovine; talché sventa- rono le trame de' veneti, che tentarono d' impossessarsi della città e della fortezza di s. Lorenzo, per finirla una volta con un popolo che lor seppe costantemente resistere.

Per rimuovere la Porta dalle sue pretese e dalla minacciata strage e rovina, inviarono due ambasciatori al pascià di Bosnia, Nicolo Bona e Marino Gozze, i quali seppero farsi rispettare, e sopportarono con animo nobile e forte ogni patimento e pericolo, pagando V onorevole incarico colla carcere in Silistria, dove con eroico coraggio finì il primo la benemerita vita; coprendosi di tal gloria, che lo storico Mtiller propone il quesito a tal proposito, se ancor possa qualcosa richiedersi da Nicolò Bona e Marino Gozze , per salutarli come Regoli moderni. Due altri campioni di magnanime patrie virtù furono spediti a Costantinopoli, Marino Caboga e Vla- dislao Succhia, i quali, certi di andar alla morte, non esitarono punto di farsi vittime per amor della patria; e rinchiusi per ben 18 mesi nelle fetide e pestilenziali prigioni, in compagnia a 200 malfattori, rassegnati alla morte, edificanti consigli mandavano al senato, preferendo un' onorevole fine, anziché recar minimo danno alla diletta patria. E se d' un Bona e d' un Gozze tanto sono cele- brati i nomi nelle patrie memorie ; d' un Caboga e d' un Buccina si dovrebbero scolpire con lettere d' oro.

La morte però di Kara-Mustafa pece fine alle ingiuste pretese della Porta, ed i tre magnanimi rividero la patria; e Ragusa re- spirò dopo tante disgrazie.

Il Pontefice Clemente IX, e V imperatore Leopoldo, furono gene- rosi di soccorsi per rialzare questo baluardo della croce ; e la stessa

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Porta, mossa di poi a compassione ei disastri di Ragusa, ridusse r annuale tributo, al triennale (1703), fino a tanto che sarebbero migliorate le di lei condizioni economiche ; su di che però mai più fu fatta parola dalla Porta. ^

Nuove angustie però sorsero per la rinata repubblica, quando alcun tempo dopo, insorta la guerra tra Venezia e la Porta, si trovò tra nuovi pericoli per la sua indipendenza. Alla pace di Passarovitz (1718) però fu assicurata da ogni mira ambiziosa di Venezia. Un raguseo (Bandur), domestico del negoziatore inglese, che assisteva a codesta pace, ed era pure V incaricato della repubblica , ebbe il patriottico istjpto di gettarsi ai piedi del padrone, supphcandolo di far inserire nel trattato una tale confinaria circoscrizione Ira Ve- nezia e la Porta, che la sua patria non fosse in contatto coi di lei antichi ed implacabili rivali. In conseguenza a ciò venne circondato il territòrio raguseo de ogni parte da terra ottomana, colla cessione fatta al turco de' due tratti del territorio di Klek e Sutorina.

Queste crisi avevano fatto sovvenire ai ragusei i loro antichi protettori. Laonde ricchiesta la protezione dall' imperatore in qua- lità di re d' Ungheria, questa fìi loro solennemente con un trattato garantita (1G84).

Incalcolabili sono state le ingenti perdite e gì' immensi danni cagionati dal terremoto. I tesori accumulati con un' onesta ed attiva operosità dopo le disgrazie sofferte al principio del sec. XVL. rima- sero sepolti sotto le rodine, distrutti dall' incendio, e spoghati da ingordi ed inumani saccheggiatori. il male si hmitò a ciò sol- tanto. Il senato, per impedire che tutto il denaro non andasse fuor di Ragusa, aveva decretato, che sopra i capitaU investiti sui monti in Italia, ci dovesse esser l' imposta del 20 per cento. Per eludere una tal legge, moltissimi collocavano delle ingenti somme sotto finti nomi. Periti molti di costoro nel terremoto; non si potè avere alcun' idea del loro denaro così collocato.

Le colonie in Turchia, se anche non così numerose come per r innanzi, furono riordinate sul pie di prima. Il traffico coli' Italia totalmente cessò, come pure la sua marina, le sue fabbriche di panno, di seta, ed altre.

' Il tributo annuale, che Ragusa passava alla Porta, ascese alla somma di 12.500 zecchini, oltre i regali ai grandi della Corte, nei quali quasi altret- tanto si spendeva. Dal 1703 fino alla caduta della repubblica, tale somma veniva esborsata ogni tre anni.

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Dopo il terremoto tutta la marina ra^usea si ridusse a pochi trabaccoli, che m)a uscivano dalT Adriatico, e più d'un mezzo secolo vi passò in tale stato. Il commercio di terra, avendo rii)resa buona piega, rimise i ragusei di nuovo nella possibilità di fabjjricar legni, però più i)iccoli degli antichi. Moltiplicatosi indi il numero de' ba- stimenti, venne di nuovo tentata la via di levante.

Rinacque di nuovo V antica prosperità commerciale, ed in parte si riacquistarono le perdute ricchezze, specialmente durante la guerra tra la Francia ed Inghilterra per V indipend(inza Americana. Munite le navi ragusee di firmani del Gran Signore, navigavano in levante e particolarmente in Seria, estendendo la navigazione fino alle Indie. Le ricchezze causarono il lusso, e mutarono la semplicità de' co- stumi; il che fu causa di deplorabili conseguenze.

Lo stato della repubblica di Ragusa dopo il decadimento dell' an- tica sua navigazione, ed il terremoto del 1007, non si potuto mai più rimettere in quanto alla popolazione. Il numero delle famiglie patrizie era pure di troppo diminuito ; convenne quindi aumentarlo, col creare nuove famiglie nobili dal ceto dei cittadini. I bisogni pecuniari obbligarono il senato ad offrire la nobiltà a' magior offe- renti. Da qui l'origine dei due partiti^ dei vecchi e dei nuovi; partiti rivali, appellandosi i primi Salam anche si, ed i secondi Sorbonesi; per quanto questi nomi de' dotti corpi, nulla avessero a che fare colle pretese di questi patrizi. Non perciò era meno reale la diffidenza fra loro, che cordialmente si odiavano, riescendo scandaloso il disprezzo de' primi verso i secondi, dimentichi della propria origine. Frequenti alterchi, e serie difficoltà ne' matrimoni, quasi fosse ritornata 1' epoca feudale. Gli stessi clienti, la stessa servitù si assocciava alle pretese de' loro padroni; di modo che la città tutta era Salamanchese o Sorbonese.

Fra le altre ingiustizie ed umiliazioni patite da' nobili creati di fresco, e chiamati dai patrizi per disprezzo nuovi, era 1' esclusione dei medesimi per un secolo dall' ordine de' senatori e cariche corri- spondenti. Tutto ciò non poteva che sinistramente influire sul senti- mento della popolazione.

A ciò s' aggiunga un altro nuovo inconveniente. Il senato per leggi antiche doveva esser composto di 45 membri, ed il consiglio generale procedeva al rimpiazzo de' posti vacanti, che erano molto ambiti. Per la preponderanza de' voti nelle pubbliche decisioni della famiglia Sorgo, che aveva sette fratelli senatori, nacquero fra la nobiltà due fazioni; a capo di una era Savino Luca di Pozza,

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appoggiato dai fratelli Sorgo, e dall' altra era Matteo Francesco di Gradi, che volea far stabilire una legge, in forza della quale nel senato in appresso non vi potessero esser più di tre fratelli, e nelle stretture^ non più di due, col voto deliberativo. Tale proposta non essendo stata accettata, il partito Gradi non intervenne più in con- siglio (1762).

Giunto il decembre, si doveva convocare il consiglio generale per la creazione de' magistrati ed offizì peli' anno nuovo ; ma non potè aver luogo pel non intervento del Gradi co' suoi aderenti. Per due mesi il corso di tutte le facendo pubbliche fu sospeso. In due soli punti si convenne: che durante il gennajo dovesse a turno, per anzianità d' età, risieder nel palazzo rettorale per otto giorni, in luogo del rettore, il più anziano fra i patrizi; e che, per la peste, la quale era ai confini, dovesse sussistere il magistrato di Sanità.

Se non segui allora la dissoluzione dello Stato, ciò proveniva dalle previdenti leggi, che avevano saputo già prima regolare simili even- tualità, e sopratutto dall' invariabile condotta morale della popola- zione, allora più saggia che non erano i suoi capi L' ordine non fu turbato menomamente ; la pace e 1' abbondanza furono più che mai floride; ed il governo riprese regolare corso, dopo una transazione fra le parti, stipulata per tema dell'intervento turco; riducendo il numero de' fratelli Sorgo a due^ nelle stretture, col voto delibera- tivo, accettando il voto degli altri come consultivo: e nelle non stretture, nelle quali pure la pluralità de' voti decideva, a tre fratelli, col voto consultivo per gli altri. In questa circostanza, allo scopo di non dar più adito a partiti, fu rimessa la creazione delle cariche al capriccio della pura sorte, che se fu sorgente di molti disordini, era necessaria misura per garantirsi da disordini maggiori.

Non si eran ancor rimessi, per dir così, dalle conseguenze che dovevano lasciar dietro a se i succitati partiti, che nuovi disastri si presentarono alla repubbhca. La guerra 'che si accese nel 1768 fra la Russia e la Turchia scosse la sua esistenza politica. Nel detto anno la prima volta si vide la bandiera russa nel Mediteraneo. Orloff, ammiraglio russo, che aveva preparato i movimenti insurrezionah della Grecia, intimò allo stato di Ragusa perfetta neutralità nel corso della guerra, esigendo inoltre venisse permesso ai russi di costruire presso la città una chiesa di rito orientale, e fosse accet-

* Per strettura s' intendeva non solo la pluralità di Toti, ma tre quarti, ed anche sette ottavi de' voti, nelle decisioni del Senato.

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tato un console di quella nazione. Una mancanza di riguardo verso il conte, per non avergli la rei)ubl)lica dato riscontro alle sue pro- poste, e per esser stati alcuni bastimenti commerciali al servizio della Turchia, irritò profondamente il favorito di Catterina delle Russie, il quale predare tutti i bastimenti ragusei in corso di navigazione, e minacciò la città di bombardarla nella prossima pri- mavera. ^

In questi estremi il senato spedì ambasciatori a Vienna, Berlino e Pietroburgo , per indurre Catterina a più miti consigli. L' impe- ratrice non volle riconoscere l' inviato Francesco Ragnina, e molto meno farne calcolo della sua ambasciata. Lo rimandare dal di lei plenipotenziario Orloff', facendogli tenere il regalo di 500 rubli, contro r uso di quella coite, che gli ambasciatori esteri regalava di vesti di preziose pelliccie. Ragnina, sebbene non così abbondante- mente provvisto di mezzi di fortuna, non ne accetta che un sol rublo, facendo dire alla sovrana, che gli bastava uno solo, per avere il di lei ritratto.'-^

Intanto la repubblica nelF attesa di soccorsi dalla Francia, a cui pure aveva spediti ambasciatori, si occupò nelF organizzare, alla meglio che poteva, i mezzi di difesa.

Clemente XIV poi interpose buoni uffici presso Leopoldo di To- scana, perchè si cooperasse a favore di Ragusa presso Orloff, il quale svernava nella rada di Livorno. Dopo V arrivo del Ragnina venne conchiuso un trattato (1775) coi tre seguenti articoli: 1. che d' allora in poi in qualunque guerra, che potesse insorgere fra la Russia e qualunque altra potenza, la repubbhca dovesse conservare

^ OrlofF attribuiva ai ragusei la direziono della difesa di Modone, sotto cui fu battuto; e per questo dicesi che abbia giurato di bombardare Ragusa.

^ Lo stesse Ragniua, il quale da Vienna nel recarsi a Pietroburgo si era fermato a Berlino, nell'udienza avuta da Federico II, caduto il discorso sulP impero ottomano, e richiesto dal Re, quale delle potenze, nel caso venisse il turco ricacciato in Asia, preferirebbe la repubblica come limi- trofa; con prontezza d'animo gli rispose: „QuelIa, o Sire, che il meglio r avrebbe trattata." Ragnina, comecché saggio e dotto, era però per nulla appariscente della persona, come basso, storpio, e gobbo eh' egli era. Spedito una volta in ambasciata dal Vezire di Bosnia, questi al vederlo, proruppe in imprecazioni, dicendogli: „o non avevano i vostri signori da mandarmi altri che voi, mostro che siete ?" Il Ragnina tranquillo rispose : jjEccellenza, ai migliori si mandano i migliori, agi' inferiori gì' inferiori, ed a voi buona cosa che sia toccato ancor' io." Il Vezire nonché adirarsi, lo prese anzi in buon volere, accordandogli quanto desiderava.

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sincera e perfetta neutralità; 2. che il console di tutte le Russie dovesse godere a Ragusa e nel suo territorio di tutti i diritti, onori, privilegi, essenzioni ecc., che godono i consoli delle più distinte po- tenze d'Europa, nessuna eccettuata; 3. che al detto console impe- riale sia lecito e permesso di avere in casa propria una cappella, ove egli colla famiglia e tutti i sudditi della Russia, che si trovas- sero a Ragusa, potessero attendere ai servizi divini del loro culto.

Nulla potè sollevare i ragusei da tante sventure sofferte, quanto ' la guerra marittima fra V InghilteiTa e la Spagna. Nella guerra dell' independenza Americana, e poi durante tutto il corso della rivoluzione francese, Ragusa quasi sola aveva in mano tutto il commercio, come nazione neutrale. Dal 1762 fino al giugno 1806 la di lei navigazione fu oltremodo prospera; una popolazione di 30.000 anime, che contava lo stato della repubblica, vantava 260 vele quadre, e molti legni più piccoli. La benestanza però che an- dava aumentando, faceva dimenticare i consigli di una saggia pre- videnza e parsimonia.

Nel 1798 il commissario francese Comeiras , con una lettera del direttorio esecutivo, chiese dal senato un imprestito d'un millione di franchi. Non gli sborsarono che 600.000, ricorrendo ad un im- posta, misura finanziaria non conosciuta fino a quell' epoca dallo stato della repubblica.

La ricca contrada di Canali si sollevò allora ad un tratto, ecci- tata dagli emissari di Cattare, dove a nome dell'Austria comandava il maresciallo Brady. La rivolta organizzata con molta maestria, incusse serio timore alla repubblica. L' Imperatore Francesco esibì alla repubblica della truppa per contenere i rivoltosi. Il senato si rivolse a Costantinopoli ; ed intanto cercò colla ragione e colla dol- cezza di richiamare gì' insorti all' obbedienza, i quali non tardarono di abbracciare 1' antico ordine delle cose.

Ma questo non fu altro che il preludio d' una tempesta affatto distruttiva.

Nel 1797 le isole Jonie erano cedute alla Francia, in base alla stipulazione fatta a Campoformio ; e 1' Austria in compenso de' suoi sacrifizi in ItaHa, ottenne Venezia, l' Istria, la Dalmazia e le Bocche di Cattare. Ma la pace di Presburgo (1805) le tolse tutti questi territori. Il generale Molitor giunse nel gennajo del 1806 a Zara per prender possesso della Dalmazia, ed indi delle Bocche di Cattare. Il senato mediante propri ambasciatori gli raccomandò l'indipen- denza della repubblica.

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Fiapi)Ostosi intanto dai francesi V induf^io di qualclie mese nel- r occupar le Bocche, j^ii al)itanti di quel territorio si sollevarono contro i nuovi })adroni, eccitati i)articolannente dal generale russo San- kovsky, che si trovava a Montenero per ordine dell' imperatore Alessandro. Chiesto ([uindi ajuto dal vice-amniira<'lio russo Siniavin, che era colla squadra alle isole, Jonie, giunsero tosto alcune navi sotto il coniando del capitano Belley, e poco stante vi arrivò lo stesso vice-ammiraglio.

Il marchese (ihislieri, comandante delle Bocche, spedito dalla corte Austriaca pella consegna del paese al generale Molitor, venne co- stretto a cedere il territorio ai russi, e fuggì nottetempo, rifugian- dosi a Ragusa.

Prevedendo il senato quanto questa nuova prospettiva delle cose poteva riescir funesta alla repubblica, si maneggiò col Sankovsky e con parecchi altri, per garantirsi dal pericolo, in cui la ponevano le armi di due potenti imperi. Ottenne l'assicurazione, che l'eser- cito russo-montenegrino non sarebbe entrato nel dominio raguseo, fino a che i francesi, loro nemici, non vi avrebbero posto piede.

Intanto tre legni russi giravano in crociera nelle acque di Ra- gusa. Proposero al senato di presidiare la città, per chiudere il passo ai francesi; ma non venne accettata la proposta, per poter mantenere una disarmata neutralità. In tali critiche circostanze nuo- vamente venne interessato Molitor a non esporre lo stato della re- pubblica ad un' irruzione delle truppe russo-montenegrine, ed al minacciatole saccheggio.

Ad onta delle promesse di Molitor, la truppa francese, di 800 soldati circa, comandata dal generale Lauriston, via di terra arrivò nel 27 maggio dinanzi alle porte della città; ed il generale espose al senato il desiderio di poter colla truppa riposare per un giorno entro le mura, promettendo di proseguire indi la marcia verso Cattaro.

Il senato fidandosi sulla parola del generale, accolse in città i francesi. Questo fu il suo secondo grande errore di stato, e r ultimo."

Lauriston, circondato dalla sua truppa, chiese la consegna delle chiavi delle fortezze, dispose le guardie alla custodia delle porte della città, e de' forti, issare la bandiera francese sul castello s. Lorenzo, e s' impossessò d' una gran quantità di munizione da guerra ; ed il colonello Triquenot spiegò tutta V attività per mettere in brevissimo tempo in pieno ordine tutta V artiglieria.

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Lauristoi) intanto emanò il seguente proclama.

„Le molteplici concessioni fatte ai nemici della Francia, hanno posto la repubblica di Ragusa in uno stato di ostilità, tanto più „pericoloso, quanto era velato dalle apparenze d'amicizia e di neu- „tralità. L' ingresso delle truppe francesi in Dalmazia , lungi dal- „r impedire una simile condotta, non è stato che un' occasione ai nostri ^nemici di esercitare sempre più la loro influenza sullo Stato di Ragusa ; e qualunque siansi stati i motivi della condiscendenza dei „magistrati di quello Stato, V Imperatore ha dovuto accorgersene, e „gr importava di porre un fine a de' maneggi contrari alle leggi di «neutralità.

Conseguentemente in nome e per ordine dell'Imperatore de'Fran- „cesi, e re d'Italia, io prendo possesso della città e territorio di Ragusa.

«Dichiaro nullameno, che l'intenzione della M. S. è di riconoscere ^r indipendenza e la neutralità di questo Stato, tosto che i russi avranno evacuata l' Albania ex-veneta, l' isola di Corfù, e le altre „isole ex-venete, e che la squadra russa lascierà libere le coste della «Dalmazia.

,,Io prometto soccorso e protezione a tutti i ragusei; io farò «rispettare le leggi, le consuetudini attuali e le proprietà; finalmente «d' apresso la condotta che terranno gli abitanti, io farò che non ^abbiano che a lodarsi del soggiorno dell' armata francese nel loro „paese.

„L' attuale governo è conservato ; egli farà le stesse funzioni, «avrà le stesse attribuzioni; le sue relazioni cogli stati amici della ^Francia o neutrali, resteranno sullo stesso sistema.

«Il signor Bruere, commissario delle relazioni commerciali, adem- «pirà presso il senato le funzioni di Commissario Imperiale.

«Il generale di Divisione, ajutante di campo dell' Imperatore de' «Francesi e re d' Italia. Comandante delle truppe di S. M. nello «Stato di Ragusa Alessandro Lauriston."

Per otto giorni di poi continuarono a venire nuove truppe ; e per alloggiarle, convenne metter a loro disposizione, oltre le caseniie nelle fortezze, i conventi de' regolari di ambi i sessi. Enormi somme di denaro dovette la repubblica passare alle loro mani.

Intanto 500 uomini, tra russi, bocchesi, e montenegrini, irruppero a Canah (30 m. s.), senza trovarvii minima resistenza da parte di quegli abitanti. I francesi in numero di 200 mossero loro incontro, e li costrinsero alla ritirata. Rinforzatosi però il numero de' monte-

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iiogrini, presero di nuovo la via di Canali; contro i quali marcia- rono 500 francesi. Non avendo però questi trovato alcun appoggio nei Canalesi, due giorni dopo dovettero ritirarsi a Uagusavecchia ; e per timore di esser bloccati dalla flotta, protetti dall'oscurità della notte, tragittarono il mare, appostandosi nella valle di Breno.

Intanto la contrada di Canali è saccheggiata ed in parte abbruc- ciata. Uagusavecchia pure viene saccheggiata e scelta per quartier generale degli alleati. Nella valle di Breno più volte vengono a mani le due armate, e gli sbarchi sono piotetti da cinque navi di linea, tre fregate, molti brik e barche cannoniere. Il supremo co- mando de' russi - montenegrini assume il general maggiore conte Wiazemesky, sostituendo il Yladika di Montenero Pietro L, che fin' allora dirigeva la truppa. Per la grande disparità di forze, i francesi sono costretti di trincerarsi sulle alture di Dubaz e Ber- gatto.

Siamo alla funesta giornata dei 17 giugno. Forte combattimento venne attaccato fra le parti. Le forze de' russi consistevano in 200 soldati di linea, 4000 montenegrini, bocchesi e morlacchi, e di un buon numero di marinai russi ; mentre la truppa francese non oltre- passava 1200 soldati. Il combattimento continuò per tre ore innanzi al mezzogiorno, ed i francesi presi alle spalle, videro il nemico alle loro trinciere. Si diedero quindi precipitosamente alla fuga, salvan- dosi nella città, dopo d' aver, fra gli altri, perduto nella mischia il generale De la Gourgè; la di cui testa recisa venne presentata a Siniavin.

Piagusa venne allora bloccata per mare, ed assediate per terra.

La notte seguente al giorno dell' assedio, i russi avevano tentato collo sbarco di 1000 soldati d' impadronirsi della trinciera di Lacroma, al di cui presidio stavano 200 francesi ; ma furono respinti con gravi perdite.

Orde irregolari di montenegrini e morlacchi si sparsero per ogni dove, saccheggiando ed abbruciando gli edifizt.

Intanto tre giorni dopo, le batterie dalle alture del monte s. Sergio rinversavano senza posa sulla città una pioggia di palle e bombe. Per tredici giorni continui seguì il bombardamento, senza che la città ricevesse ajuti di sorta. La notte del primo luglio i francesi fecero una sortita, e guadagnarono le cime del monte. Non riesci- rono nel progetto, ma misero V allarme nel campo nemico, ove i russi in isbaglio si battevano fra loro, avvedendosi dell'inganno, quando già i francesi erano molto discosti. Verso il mezzodì un atroce

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spettacolo funestò lo sguardo de' ragusei. Denso fumo solcato da altissime fiamme si era esteso in tutta la lunghezza del borgo ; ed il giorno dopo due terzi delle case si videro nelle rovine.

Dopo 17 giorni di assedio, e 13 di bombardamento, il 6 luglio fortunatamente arrivò in ajuto all' assediata città il generale Molitor con 1600 soldati. Usò egli di uno stratagemma; in modo che la sua truppa, girando una collina più volte, facesse credere al nemico di aver vicino un grand' esercito. Questi, presi da timore, se ne fuggirono precipitosi Parte ritornò per terra al proprio paese, parte calò a Gravosa per imbarcarsi su bastimenti russi; e fra questi il Vladika Pietro, il quale poco mancò non fosse stato fatto pri- gioniero.

La città si vide allora salva dall' estremo pericolo in cui versava.

Da quel giorno in poi le truppe francesi di continuo si aumen- tavano, e raggiunsero la cifra di 13.000 soldati in circa, con 14 generali. Intanto arrivò pure a Ragusa, come supremo Comandante, il generale Marmont (2 agosto); ed allora incominciò la funesta guerra per prender possesso delle Bocche di Cattaro.

Incalcolabili furono i danni arrecati durante 1' assedio alla città e suo territorio. Fra gli altri, 203 edifizi nei soli borghi e Gravosa, senza farne cenno di quei del contado, furono distrutti dal fuoco. Lo squero fu pure preda delle fiamme; egualmente la celebre bi- blioteca de' benedettini di S. Giacomo, che contava, fra le altre opere, tutti i santi padri in pergamena in foglio, colle iniziali mi- niate. Orrende crudeltà furono commesse contro gì' infelici abitanti delle contrade da Canali fino a Stagno, per obbligarli a scoprire i tesori, che quelle orde supponevano avesser nascosti. Diciasette vele quadre che si trovavano a Gravosa, furono caricate di rapine, e condotte alle Bocche di Cattaro; senza far calcolo di coloro, che carichi di bottino, se ne recavano per terra al proprio paese. Giusta il calcolo fatto dall' istesso governo francese, il danno arrecato al territorio della repubblica, sarebbe asceso ad oltre 20 millioni; di cui però non vennero mai risarciti i ragusei.

Intanto passò il 1807. Ai 31 di gennajo 1808 Marmont ordinò al senato di raccoghersi; circondò colla guarnigione francese il palazzo rettorale ; puntò 1' artiglieria delle fortezze contro la città^ e mandò il proprio ajutante con parecchi uffiziah, ed alcuni de' ra- gusei del partito francese, perchè vi legga il seguente decreto:

^Le general en chef de l'armée de Dalmatie, ordonne ce que suit:

„Art. 1. Le Gouvernement et le Senat de Raguse sont dissous.

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„Art. 1. Les tiibuneaux civils et criinineles actuelmont existens „soiit dissous.

„Art. 3. Monsieur Briière Coiisul de France serA, pour le moment „et provvisoirement chargé de radministration du pays.

„Art. 4. Les admiiiistrations des dilierentes parties de l'Etat de „Raguse, resteront provvisoirement qu'clles sont aiijourdhui.

„Art. 5. La justice civile sera rendile jusq' à nonvel ordre par „un tribunal compose de M. Nicolò di Nicolò Pozza, Giacomo Natali, «Pietro Stilili, Antonio Cliersa, et au nom de Sa Majesté TEmpe- „reur des Frangais Roi d'Italie, mais d'après les lois coùtumes de „Raguse. La justice criminelle sera rendue par le méme tribunal „qui s'adjoindrà trois membres pris parmi les personnes graduées.

„Au Quartier General à Raguse le 31 janvier 1808. Le General ^en chef A. Marmont."

Così finì il governo aristrocratico di Ragusa, ed il territorio della repubblica venne sottomesso al regno d' Italia.

„Tar è la conquista di cui la memoria si trova consecrata dal titolo del Duca di Ragusa, ofterto più tardi al Maresciallo Marmont. „Ma ciò non ricorda altro che una grande iniquità." ^

Venne quindi creato per Governatore militare il generale di divi- sione Clausel, e Domenico Garagnini per amministratore civile di Ragusa e Cattare. Le casse pubbliche furono interamente esaurite.

Intanto la pace di Vienna (1809) riunì alla Francia sotto il nome di Provincie Illiriche la Carniola, il circolo di Willach, Gorizia, il litorale Ungarico, la Croazia provinciale (che conservò il nome d' Illiria), i circoli di Cividale, Gradisca, Klagenfurt, e la Dalmazia, colla città e territorio di Ragusa.

Una flotta inglese giunse allora nell' Adriatico per bloccare tutta la Dalmazia, impossessandosi poco a poco delle isole. Nel 1813 i ragusei vennero eccitati alla rivolta contro i francesi, dandosi loro ad intendere che avrebbero ricuperato il primiero governo.

Sursero tutti quanti sotto il vessillo repubblicano, con a capo Biagio Bernardo di Caboga, ed i prodi e distinti patriotti Marchese Pietro Bona, e Giovanni de Natali, nonché Michele de Saraca, Natale de Ghetaldi, Marchese Marzio de Bona, Matteo Milic, Antonio Dor- delli e Pietro Pericevic.

Il generale francese Montrichard, comandante a Ragusa, spedì allora un corpo de' volontari, sotto il comando del conte Michele de

' Joubert: Illustratiou 4 avril 1857.

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Giorgi, per far rientrare in città tutti i patrizi e le loro famiglie, che villeggiavano a Gravosa e Lapad. La città venne quindi cinta d' assedio per terra dagl' insorgenti, e per mare dalla flotta inglese. AgF insorti venne indi in ajuto con della truppa il generale austriaco Milutinovic (3 genn. 1814); il quale dichiarò, esser venuto per cacciare i francesi, senz' alcun ordine di togher la repubblica, di ristabihrla.

Collegatosi cogl' insorti e cogl' inglesi, vi piantò una batteria, e per quattro giorni venne bombardata la città. I francesi vennero a parlamento cogli austriaci ed inglesi, senza far calcolo degF insorti ; e Milutinovic, conchiusa la capitolazione, dichiarò di non poter rista- bilire la repubblica, per non aver avoto alcun ordine in proposito. Contemporaneamente nella città si sollevò la popolazione contro i francesi, i quali, capitolato, consegnarono la città il di 28 gennajo 1814 agli Austriaci, e furono indi trasportati sulle coste d'Italia. GF inglesi ritennero le isole, lasciando in pieno potere agli Austriaci Ragusa col di lei continente; ed ai 15 febb. venne prestato solenne giuramento nella mani del generale.

Il congresso delle potenze europee, raccoltosi a Vienna nel 1815, riducendo la Francia ai suoi antichi confini, restituì all' Austria tutto il regno Ilhrico, fra cui la Dalmazia, compresa Ragusa col suo territorio, e le Bocche di Cattare. Anche le isole vennero allora dagl' inglesi consegnate agli Austriaci, e quindi tutto il territorio dell' ex-repubblica di Ragusa venne incorporato all' impero Austriaco. Nel 1817 al territorio raguseo venne unita F isola di Curzola, e formato così un Circolo provinciale; e nel seguente anno Ragusa ebbe la fortuna di vedersi onorata da Sua Maestà F Imperatore Francesco L, il quale, colF Augusta imperatrice Carolina, si compiacque di soffermarsi per dieci giorni, onde più davvicino conoscere i di lei bisogni, e rimediare a' tanti danni che ha dovuto sopportare.

Con quest' epoca la storia di Ragusa raggiunge il suo fine. D'allora in poi essa condivide le sorti dell' impero a cui è unita.

^Ragusa ebbe fine. Non fini minando, ma estinguendosi. Sopra- vvisse a se stessa e riluce sul proprio mausoleo sopra i purpurei ^scogli, e sul mare eternamente agitato. Il mare e gli scogli riman „gono tuttavia gli stessi; ma Ragusa non é più la stessa. Le sue „mura l'abbracciano come per F innanzi, le pietre non si distruggono, „ma Ragusa è distrutta. Non ha più bisogno di protezione, perchè „non ha più nemici. Riposa F adormentata repubbhca tra il silenzio

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delle sue mura, come Ivan Crnoevici è il principe adormentato del „Montenero, come Barbarossa è il principe adormentato di KyfF- „haiiser. Giovanni e Barbarossa possono risvegliarsi, Ragusa non „si risveglierà mai più. Silenziosa, come verun altro luogo, e silen- ^ziosa per sempre, giace ricoperta, quasi sacra reliquia, sotto la diafana campana dell' azzurra volta del suo ridente cielo.'* (I. Diiringsfeld.

rv

II.

Governo, legislazione ed amministrazione pubblica.

Alla foggia delle antiche città romane, Ragusa si fondò ed ordinò da principio in Comune, e più tardi assunse il titolo di Re- pubblica.

Il governo in origine doveva esser democratico: col tempo, e coir aumentar della popolazione, si mutò in aristocratico. poteva esser altrimenti; poiché al dir del filosofo Giovanni Vico: ^dove abbisogna attività per esistere, necessariamente sorge V aristocrazia, e si lascia spontaneamente a pochi benestanti di già, il governo degli affari, come a Ragusa in Dalmazia."

Alla venuta de' Conti Veneti fìi adottata la forma del governo di quella repubblica, che divideva tutta la popolazione in tre cate- gorie: dei nobili, o patrizi; de' cittadini ; e degli artieri. Quest'ultimo ceto non aveva alcuna parte nel governo. Quello de' cittadini divi- devasi in due confraternite, di s. Antonio e di s. Lazzaro, al quale ceto venivano aggregate le famiglie degli artieri, mediante un dato fondo in beni stabili, che potevano ipotecarsi, alienarsi vita durante del cittadino; ed a questi era libero di concorrere a vari uffìzi di pubblica amministrazione, come a dire, nella cancelleria, notarla, tesoreria, dogana, annona, ai)palto del sale, ecc. ecc.

Il regime della repubblica apparteneva soltanto al ceto de' nobili. La durezza del Governo aristocratico era temperata dalla debolezza del governo, dallo spirito generalmente occupato nel commercio, e sopratutto dalla bonarietà della razza slava.

Esso era composto di tre Consigli.

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4

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Al primo, cliiaiiiato Magj^ior Consiglio , appartenevano tutti i nobili (lai \S anni in sii/ sotto la liiesidenza del Rettore della Repubblica. I loro nomi erano iscritti in un registro, chiamato lo Specchio. Questo Consiglio formava la suprema autorità dello Stato. Prima del terremoto constava da 200— 800 membri; e negli ultimi tempi da 70—80. Quest' assemblea sanzionava le leggi, ed aboliva le vecchie, quando era necessario; ordinava le imposte ordi- narie ed i dazi; esercitava i diritti di grazia in atiari criminaU, e nel richiamo di esuli; esaminava i debiti e crediti dello Stato; ed ammetteva nuove famiglie uelF ordine de' nobili. Ai 15 di decembre d' ogni anno si raccoglieva per procedere alla nomina de' nuovi magistrati peli' anno prossimo. Il numero voluto degli elettori era rappresentato da altrettante palle bianche; mentre le altre erano , nere. Il nobile che tirava quest' ultima, perdeva per queir anno il diritto elettorale. 11 corpo elettorale, cosi costituito, sceglieva le ma- gistrature per mezzo dello scrutinio, a maggioranza assoluta di voti. Ai 25 poi di ogni mese si raccoglieva il consiglio per creare il nuovo Rettore, nominare i Conti o Governatori de' vari distretti della re- pubblica, e per altri aft'ari dello stato. Tutti i nobili di questo con- siglio, come pure quei del ceto civico, che avevano pubblici impieghi, dovevano per legge di mattina andar vestiti in abito di pubblico magistrato, cioè in gran perucca sciolta, ed in toga talare nera, a cui d'inverno, ed in pubblica comparsa, aggiungevano una specie di lungo mantello nero, senza bavaro. In altri momenti vestivano alla foggia comune.

Il secondo Consiglio era quello de'Progati, ossia Senatori. Prima e principale autorità dopo il gran consiglio. Aveva 45 membri, chiamati Senatori, e scelti dal gran consiglio. A loro erano affi- dati i principali impieghi, o magistrati, tanto relativi all' interna, quanto all'esterna amministrazione. Le loro deliberazioni non ammet- tevano appello, se non nell' unico caso che si opponesse 1' autorità de' Provveditori, di cui verrà fatta parola. A questo consiglio spettava : trattare tutti gli affari politici dello stato ; emanare norme per l'interna amministrazione; stabihre straordinarie ed indirette imposte; preliminare le spese in affari pubblici; approvare o meno i conti delle amministrazioni ; esaminare il comportamento degl' im- piegati, ed emmettere sentenze senza appello ; rivedere il più delle

' Fino all' epoca del gran terremoto 1' età proscritta per entrar nel Consiglio era dai 20 anni in poi.

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volte le cause criminali : ricevere le intromesse capitali e pecuniarie ; nominare ambasciatori, ministri, consoli, presso le nazioni estere; decidere in ultimo grado in cause civili ; preparare progetti di leggi ; in una parola: avea la facoltà di ordinare tutto quello che era giusto e vantaggioso pel comune bene, tenendosi sempre attaccato alle leggi costituzionali ed alle consuetudini, rispettando tutte le passate proprie decisioni, dalle quali poteva soltanto allontanarsi con tre quarti, ed in alcuni casi con sette decimi di voti. Da prin- cipio si convocava regolarmente quattro volte alla settimana, e negli ultimi tempi due volte soltanto, ed ogni qualvolta il bisogno lo ricchiedeva. La carica di Senatore continuava vita durante, e soltanto in caso di morte di uno di loro, oppure di dimissione, si passava alla scelta del nuovo. Ciò non ostante ogni anno il gran consiglio confermava i singoli senatori nella rispettiva carica, invi- gilando in tal maniera sull' annuale loro comportamento.

Il terzo Consiglio veniva appellato Minor Consiglio. Era com- posto di sette senatori, con a capo il Rettore della repubblica. Questo consiglio avea il potere esecutivo di quanto stabiliva il gran con- siglio ed il senato,^ e decideva anche le cause civih, politiche, e criminali di minor peso. Nelle questioni di appello in affari marittimi, era la suprema istanza. Estendeva scritti alle estere potenze ed ai governatori dello stato proprio, muiìendoli del sigillo, e segnandoli col titolo: Il Rettore e Consiglieri della Repubblica di Ragusa. Riceveva in pubblica e privata udienza gii ambasciatori ed incaricati esteri, i prelati, ed altre persone straniere riguardevoli ; dava il salvacondotto ai debitori civili ; invigilava al buon ordine dello Stato ; ed era V organo mediante il quale si potevano man- dare suppliche, memorandum, ecc., di competenza del gran consiglio, 0 del senato, per la relativa decisione. Era quindi autorizzato di . chiamare i detti due consigli alle ordinarie e straordinarie sedute. L' esecuzione poi del deciso dell' autorità esecutiva, spettava al più giovine senatore, che veniva riguardato come ministro dello Stato. Il minor Consiglio in ultimo amministrava la cassa chiamata : Detta del Rettore; dalla quale venivano pagate le minute -spese interne, nell' annuo importo di circa ducati 30.000. Questa magistratura durava un anno; e nelle pubbUche comparse o fun- zioni rappresentava col Rettore la sovranità. Veniva preceduta dalla musica, e da 24 famigU del palazzo, chiamati zduri, ve- stiti in abito talare rosso, e seguita dagF impiegati de' pubblici uffizi.

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Il Rettore della repubblica era il capo del governo. In origine chianiavasi Priore, e durava la sua carica per un anno; indi durante l'epoca veneta, appellavasi Conte; ed in ultimo dal 1358 Rettore. Lo sceglieva il gran Consiglio tra i senatori, coli' asso- luta maggioranza di voti, solo per un mese, durante il qual tempo doveva dimorare nel palazzo, da cui non poteva escire, se non per presiedere a qualche consiglio, od intervenire a pubbliche solennità 0 processioni ; il che scrupolosamente annotava l' almanacco, con queste parole: oggi sua serenità si porta al duomo. Nessuno de' tre consigli poteva legalmente raccogliersi, senza la presidenza del Rettore. Spettava al medesimo convocare il gran Consiglio, e quello de' Pregati, proporre le materie che dovevansi trattare, e sciogliere il consiglio, terminata la discussione. Il minor consiglio era autorizzato di presentare al Rettore gli oggetti da trattarsi, e poteva anche costringerlo a dare ad alcune materie la preferenza, dopo le quali gli restava libero di fare le proprie proposte. Egli però non aveva che un sol voto, come ciascun altro membro. Po- teva però nel suo palazzo giudicare su piccole quantità di denaro, se dirige vansi a lui i ricorrenti. Era pure sua incombenza di tener in custodia le chiavi delle porte della città, che non potevansi aprire, passate le due ore di notte, senza che fosse convocata la maggior parte de' membri del minor consiglio ; così anche gli erano affidati i sigilli dello Stato, e le varie scritture pubbliche le più gelose.

Nelle solenni circostanze, 1' abito del rettore era una toga di seta rossa ^ (paonazza nell'avvento e quaresima) come quella dei consi- glieri del collegio di Venezia, con uno stolone nero sulla spalla sinistra, in segno della suprema autorità. Quando esciva fuori, era seguito dal minor consiglio, e preceduto dalle guardie e dalla musica.

Vladislao re di Polonia e d' Ungheria, e Matteo Corvino, gli accor- darono il titolo di Arci-rettore (1455), di cui però i rettori non si servirono i)er più riguardi; e lo stesso Mattia lo creò cavaliere dello Speron d' oro. E se qualcuno moriva nella carica di Rettore, nelle funebri pompe gli venivano appese sulla bara le insegne di queir ordine, cioè la spada, lo sperone, ed una catena d' oro.

I Provveditori, o custodi della giustizia, formavano un magistrato superiore a tutti gli altri, se si eccettui il gran Consiglio e quello de' Pregati. Li sceglieva ogni anno il gran consiglio dal

* Un vestilo letterale viene conservato nel Museo del locale Municipio.

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gremio de' senatori ; ed erano tre di numero. Nelle sedute del gran consiglio e del senato. la loro autorità, ed anche di un membro solo, poteva sospendere 1' esecuzione di qualunque deciso, quando veniva dimostrato esser contrario alla legge. Potevano assistere a tutte le sedute del min. Consiglio, esaminare ogni decisione, e so- spendere r esecuzione per 24 ore, fino a tanto che venisse presentato il ricorso al senato, e da questo emmessa la definitiva sentenza. Era loro offizio che nulla si faccia contro i buoni ordinamenti della repubblica; e la carica durava per un anno.

In nessuno dei detti consigli potevano entrare altri che i rispet- tivi membri. Soltanto ciò era permesso ai Secretar! di stato, come a protocollisti. Il più anziano fra loro si chiamava gran se- cretarlo, e gii altri vice-secretarl. In tutti i tre consigli tenevano protocolli, e custodivano gli archivi; sotto la loro perso- nale custodia stavano i testamenti ; tenevano doppia chiave di tutti gli uffizi e scrittoi delle pubbliche amministrazioni ; potevano sosti- tuire nel servizio qualunque scrittore o notaio dello Stato, ed anche più alte cariche ; erano in ultimo, per le costituzioni vigenti a quel r epoca, ufficiosi coadjutori presso ogni ambasciata, pubblica rappre- sentanza, ecc. ; anzi, eglino stessi venivano talvolta spediti come am- basciatori sì in aff'ari politici, che amministrativi. Appartenevano al ceto de' cittadini, e spesse volte erano forastieri^ al servizio della repubblica.

Il giudizio criminale era composto di quattro membri del senato^ col titolo di giudici, scelti ogni anno a maggioranza di voti. A loro apparteneva sentir le querele, assumer i testimoni, e condannar i rei anche a morte, a tenore degli statuti della repub- blica. Il reo se si trovava aggravato; poteva ricorrere ai tre prò v- v e di tori, che esaminata la causa, la portavano al senato. Spesse volte gli stessi giudici, se ritenevano 1' affare molto intrigato, lo riferivano al senato. Questo giudicio decideva pure nelle difterenze civili tra i forastieri, quando si esigeva sollecito disbrigo. Avevano a propria disposizione 4 scrittori, 4 guardie (zduri), ed alquanti soldati.

Il tribunale, detto dei Consoli delle cause civili, era pure formato da quattro senatori per la durata d' un anno. Trat- tava cause civili, ed aveva il 2 per cento sulla somma che giudi- cava; la quale legge, chiamata sp or tuia, pare sia stata fatta a por freno alle liti ingiuste. Si radunava tre volte alla settimana, e sentiti gli avvocati, ed esaminate le allegazioni, date in iscritto,

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emniettevii la relativa sentenza. La parte perdente poteva appellare al senato entro 8 giorni, altrimenti la sentenza passava in giudi- cato; e se appellava, il senato (esclusi i parenti de' giudici, degli avvocati, e delle parti litiganti, se erano nobili) pronunziava V ultima definitiva sentenza. *^^^ La repubblica aveva due avvocati, chiamati del Comune, e scelti dal gremio del gran consiglio. Rappresentavano gV interessi dello stato, trattavano le cause de' Provveditori, ricordavano ai giu- dici del Criminale T esatta osservanza delle leggi, riscuotevano le pene pecuniarie, fissate ai rei, e prendevano possesso dei beni de' fo- restieri, che moiivano senza disposizione testamentaria, e senza eredi.

Ogni anno venivan pure scelti quattro avvocati detti de' pri- vati, che dovevano assumere la difesa de' poveri, o di quelli che non potevano trovare chi gliela assumesse. In ogni lite le parti avevano diritto di scegliere de' giudici arbitri, evitando il foro ordi- nario; ed ognuno poteva anche da se difender la propria causa, senza prendersi un avvocato. L' esercizio dell' avvocatura era esclu- sivamente nelle mani de' nobili. Le cause venivano perorate nella gran sala, chiamata de' Consoli; ed era libero 1' accesso ad ognuno. Le cause di grido, e specialmente d' appello, venivano tiattate con maggior pompa, ed il concorso era grandissimo.

Tutto lo Stato della repubblica poi era diviso in 12 giudizi o contee, a capo dei quali erano i nobili, scelti dal maggior con- siglio; giudicavano tutti gii affari criminaU e civih nel proprio distretto, e le loro decisioni erano soggette al giudizio appellatorio di Ragusa.

I ragusei fino dalla prima epoca della loro libertà, ebbero una propria legislazione, per lo più fondata su consuetudini, che poco a poco venivano scritte su pergamene, e riguardate come altrettante leggi. Buona parte di questi pochi monumenti, dai quali, se esistes- sero, si verrebbe a rilevare lo spirito della primaria legislazione, andarono perduti a motivo di replicati incendi. Vuoisi poi che i superstiti sieno scomparsi per mahzia de' conti veneti, nello scopo ^ di toglier ogni traccia di libertà antica, e per fissare solide basi al dominio Veneto a Ragusa. Il che sembra poco verosimile, poiché appunto sulla base di consuetudini, che fin' allora facevano veci di leggi, tolto quanto era di supeifluo, aggiunto il mancante. Marco Giustiniani, settimo conte veneto a Ragusa, elaborò il codice di leggi, che presentò nel 1272 peir approvazione ai tre consigli. Tale

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codice accettato, ebbe per titolo: Liber Statutorum Civi-

tatis Ragusii. .

Questo Statuto è diviso in otto libri, ed ogni libro in capitoli. Il primo riguarda l'elezione de' magistrati ; nel secondo viene pre- scritta la forma de' giuramenti ; il terzo tratta delle materie giuri- diche ; il quarto riguarda i beni dotali ; il quinto si occupa intorno alla polizia interna, rapporto alle case, strade, e piazze della città; il sesto tratta su materie criminali; il settimo verte sul buon rego- lamento della marina; e nell'ottavo finalmente vi sono raccolte diverse materie, che hanno relazione colle precedenti, ed altre^ di cui non si potevano formare libri a parte.

Le dette leggi estese in quel tempo, in cui ferveva in Europa il genio legislativo, e di cui furon frutto i codici di Arrigo per la Svezia, di Alfonso X. per la Castigha, e di Lodovico per la Francia, onorano altamente la civilizzazione de' ragusei, e l' epoca in cui furono scritte.

Coir andar del tempo lo statuto solo non era sufficiente; non tutte le leggi ed ordinazioni erano fatte per tutti i tempi e circo- stanze. Perfezionandosi sempre più la legislazione, nasceva il bisogno di nuove leggi. E quindi si cominciò a riformarlo in qualche punto dal minor Consiglio, senza derogare alla sua sostanza. Da qui il libro delle Re formazioni, che ebbe principio nel 1306, appro- vato da' diversi consigh, e che riguarda il regime politico e civile.

Al cessar dei conti veneti ebbe origine un altio codice legisla- tivo, che venne chiamato Verde, dalla sua legatura, in cui sono state raccolte le leggi dall'anno 1357 al 1460; indi un altro, chiamato Croceo, per esser legato in giallo, nel quale si andavano regi- strando tutte le leggi approvate dai tre consigh, dal 1460 al 1574.

Ai succitati codici si devono aggiungere in ultimo le determina- zioni del senato, comunemente chiamate parti de' Pregati, accet- tate dalla pluralità de' voti.

Nel foro quindi tanto gli avvocati, che i giudici, si regolavano secondo le ordinazioni contenute nei codici succitati. Conveniva però, che chi trattava le cause avesse buona memoria e grande pratica, e continuamente si consigUasse coi più pratici nelle pro- cedure de' giudizi.

Simeone Benessa nel 1581 aveva esteso un'opera necessaria ed assai utile in proposito, col titolo: Praxis Curiae ad for- mamlegum, etconsuetudinemReipublicae Ragusinae, in qua exacte agitur de modo tam in Curia Consulis,

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qua 111 in ap pollati onibus servandis a principio litis usque ed executionem sententiae, quatuor libris di- slincta, auctore D. Simeone Matthaei Benessae filio, et patritio Rag. an. 1581, cui accessit etiam practica diversarum rerum ad dictam Curiam attinentium, nec non ad alios magistratus, cum indice materiarum.

Anche Francesco Gondola, coetaneo di Benessa, si occupò in detta materia, col lavoro : D i s e r t a t i o de e i v i 1 i u m M a g i s t r a- tuum jure immobilia religiosorum bona judicandi. Esso è unito ad uno de' codici delle leg:i;i ragusine. Elaborò inoltre le seguenti opere : Scholia, summaria, et indices legum Ra- gusinarum; Index alphabeticus Senatus consulto- rum; anibidue inedite.

Nicolò Bona in fine scrisse la: Praxis ju di ciarla juxta stylum Curiae Ragusinae etc. 1671; che serviva di norma fino alla caduta della repubblica, e che venne stampata a Ragusa dal tipografo Carlo Occhi.

Il senato di Ragusa non aveva mai ricevuto ammesso con alcun decreto le leggi di Giustiniano e della Rota Romana. Gli avvocati le studiavano, e se ne servivano solamente quando non vi era alcuna legge patria loro contraria, pronunziando il giudizio secondo i loro principi, senza però mai citarle in causa. Nei casi particolari, dove non ci era alcuna legge speciale, si richiamavano a sentenze ante- riori, emanate in simiU circostanze sia sulla base delle consuetudini, 0 secondo le decisioni del giudizio romano o della rota.

L' amministrazione pubblica era divisa in diverse sezioni.

La suprema autorità finanziaria era affidata alle mani di sei se- natori, scelti ogni terz' anno, ed appellati: Tesorieri, e Procu- ratori di santa Maria Maggiore, nel dialetto chiamati: testavljeri. Ad essi incombeva l'incarico di raccogliere tutti gì' introiti dello Stato, provvedere la città de' necessari importi per le differenti spese, tener esatto conto delF introito ed esito, impie- gare, 0 serbare in cassa i capitah, secondo la volontà del senato. Era pure di loro spettanza amministrare i beni de' pii istituti, inve- stendo i legati m beni stabili o sui monti in Italia; il cui reddito veniva impiegato in soccorso de' poveri e degli ospitali, nelle mari- tazioni, nel riscatto degli schiavi, ed in altre opere pie. Anche le chiavi della capella delle reliquie nella cattediale, e le scritture di somma importanza, erano sotto la loro custodia. Avevano per coadiu- tori quattro impiegati, scelti dal ceto cittadino.

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La cattedrale, la collegiata, e le altre principali chiese, con ammi- nistrazione propria, avevano pure i così detti Procuratori, dal ceto de' nobili.

All'amministrazione finanziaria appartenevano i Cassieri dello Stato, uffizio composto di tre senatori. Questi non maneggiavano col denaro, erano una specie di controllori, e tenevano soltanto il registro dello stato della cassa. Sicché ogni emmissione del denaro pubblico, era iscritto presso quattro uffizi: nel senato, che dava il relativo ordine ; presso i cassieri che emmettevano i relativi assegni ; nel minor consiglio che li approvava; ed in ultimo presso i teso- rieri che esborsavano l' importo.

Dopo i tesorieri il più importante uffizio amministrativo era quello, così detto, delle Cinque Ragioni; composto di cinque nobiU del maggior consiglio, che amministravano i beni dello stato (Demanio). Rivedevano i libri e le partite di tutti quelh che maneggiavano denaro pubblico, e tenevano il giornale delle spese dello Stato, che delle pubbliche ambasciate.

La Zecca era sotto la sorveglianza di tre senatori, detti of fi- zi ali zecchieri, la di cui principale mansione, era di curare che le monete coniate abbiano il reale valore che annunciavano. Vi appartenevano diversi fonditori, aggiustatori, ed ore- fici. Quest'officio si occupava pure del cambio monetario, che recava vantaggio allo Stato ed ai negozianti.

E' ignoto quando s' incominciò a Ragusa coniare la moneta. E' vero- simile che abbia avuto principio nelF ottocento.

Le prime monete erano chiamate Oboli, Folla ri, oBagat- tini, volgarmente minze. Erano di rame, e di varie impronte e diverso peso. Queste monete si mantennero in corso fino al sec. XVII; e li successero i soldi, pure di rame; e sul finir del secolo XVUI veniva coniata una terza moneta di rame, chiamata mezzanino, 0 mezzo grosso.

Le prime monete d' argento vengono comunemente riferite alla fine del sec. XIII. La lega era composta di un oncia d' argento fino, con 36 caratti di rame. La più antica era chiamata grosso o denaro, e vi erano 21V2 ^^ un oncia. Indi dal 1370 si cominciò a coniare il mezzanino d'argento, e vi erano 36 in un oncia. Poi il grosso leggiero, 0 grossetto, che incominciò ad esser coniato al principio del sec. XVII, del peso da 07 gr., a 04.^ La

' Il peso delle diverse monete è portato in termine medio, e secondo la miglior 0 meno buona conservazione dei singoli esemplari.

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quarta moneta argentea era il così detto artiluk, di cui la prima emissione ebbe luogo nel 1627, del peso di gr. 2'43. Il per pero 0 l'ipperpero data dall'anno 1G83, ed è del peso di car. 27- Il mezzo per pero fu coniato soltanto nel 1801, e pesava 37 gr. Lo scudo, coniato sulla metà del sec. XVIII., aveva 80 car. di peso. Il mezzo scudo di queir istessa epoca, 40 car. Il ducato, che cominciò a battersi nella seconda metà del secolo passato, 73 car. Il vi si ino nel 1725, pesava 114 car. Il mezzo vis lino di car. 54 dal 1735. Il tallero rettorale dal 1725, pesava car. 137 Il mezzo rettorale fìi coniato negli anni 1747 e 1748. In ultimo la libertina di car. 117, di cui le prime furono battute nel 1791, e le ultime nel 1795.^

Nel ragguaglio delle succitate monete, il grosso, o denaro d'argento, corrispondeva a 30 follari; e più tardi a 5 soldi, e poi a 2 mezzanini; un artiluko era eguale a 3 grossi; un per pero a 12 grossi; uno scudo a 36 gr.; mezzo scudo a 18 gr.; un ducato a 40 gr.; un vi sii no a 60 gr. ; mezzo vis li no a 30 gr.; il tallero rettorale agr. 60; il mezzo rettorale a gr. 30; la libertina a 80 gr. Ducati due ed undeci grossi rag. di allora corrisponderebbero all' attuale tallero di fiorini due crescenti.

Oltre le suaccennate specie di monete, vennero pure fatte alcune medaglie commemorative e d' occasione.

Monete d' oro non furono coniate, abbenchè fosse stata decretata l'emissione nel 1515. Due unici esemplari di monete d' oro raguseo si conservano nel gabinetto numismatico della corte di Vienna ; ma probabile però che sieno soltanto modelli, o pezzi di saggio.

La Dogana era affidata a quattro nobili del maggior consiglio, i quali presiedevano al ricevimento del dazio, che secondo il prezzo fisso veniva pagato nell' entrata e nell' uscita dei generi. Essi pure giudicavano in tutte le contese che potevano nascere durante il carico 0 discarico delle merci. L' annuo introito al principio di questo secolo era di circa 23.000 due.

Al consumo del vino in città e ne' borghi erano preposti tre nobili, che vi riscuotevano il dazio consumo, e giudicavano in affari di contrabando di questo genere. A quest' uffizio spesse volte il senato aggiungeva tre altri senatori ; ed allora in tutte le sentenze che emettavano nell'argomento del contrabando, non v'era appello. L' introito negli ultimi tempi era di due. 41.750 circa.

' La migliore e più completa collezione delle monete ragusee fu fatta dal Cons. antico Paolo Cav. de Reèetar, Capitano distrettnale ili Ragnsa.

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L'offizio del sale era composto di tre senatori, chiamati s 0 p r a s a 1 i n a r i , che si cambiavano ogni tre anni. Amministravano colle saline di Stagno, e con tutte le vendite del sale in città. Ave- vano sotto di se un cassiere, due agenti d' uffizio, ed altri impie- gati pel monopolio del sale a Stagno ed a Kagusa. L' annuo introito era di circa 30.700 due.

L'offizio della navigazione era composto di cinque nobili, che sorvegliavano al mantenimento del buon ordine nella naviga- zione nazionale. Sbrigavano le liti marittime, tenevano il catalogo di tutti i comproprietari ne' bastimenti, e stabilivano la relativa con- tribuzione che si doveva alla cassa dello Stato. L' introito annuale dalle contribuzioni de' bastimenti di lungo eorso, era di due. 54.260; e dalle tasse della fabbricazione 12.280.

L'offizio consolare pel levante aveva tre nobili, ed era in corrispondenza immediata coi consoli nazionali in oriente, riti- rando da loro le tasse, che riscuotevano sulla roba caricata sui bastimenti ragusei, e passando la somma, detratte le spese consolari, alla cassa dello stato. Introitava annualmente circa 9.210 due.

L' offizio della direzione de' viveri era istituito a pre- venire e por rimedio alla carestia, perchè non abbia a soffrire la popolazione. Fìi eretto quindi un granajo, che veniva riempiuto di grano, asportato dall' Ungheria e dalla Puglia, e distribuito indi al popolo, a secondo del bisogno. In tempo di fame veniva pure pre- parato del pane, e gratuitamente distribuito ai poveri. Tuttora si ammira il vasto edifizio una volta ad uso del pubblico granajo, ora magazzeno militare, e volgarmente appellato col suo nome antico di Ruppe.

Anche dell' olio venivano fatti depositi pei bisogni della città. Ogni proprietario doveva rimettere nei pubblici depositi il duodi- cesimo dell' entrata , verso prezzi inferiori a quelli che erano in corso. Veniva poi rivenduto alla popolazione a prezzi miti; e per compensare i proprietari, era loro permessa l' introduzione e l' estra- dazione senza dazio.

Relativamente al vino. Il senato dopo la vendemmia stabiliva il prezzo pel consumo; ed i proprietari dovevano fra loro combinare, quanto vino ognuno dal proprio doveva versare nelle pubbliche can- tine ; e se ciò non bastava, spettava ai villici di riempierle al colmo. Era proibita l' introduzione del vino forastiero, per esser stato il vino nazionale il più importante ricolto. E quando lo Stato era sicuro

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della quiintità lìell'iiiimuile consuino, allora permetteva anche Testra- (lazioiie.

Mentre Marmont «la despota ispezionava tutti questi pubblici luoghi di saggia e i)rovvida patria amndnistrazione, non potè a meno di esclamare: „(iuesto fu un governo veramente paterno"; ripe- tendo molto più tai'di a Vienna, egli pure infelice, al conte Ber- nardo de Caboga le stesse parole col dirgli: „le nostre follie di allora hanno rovinato la vostra patria, coli' abolire il di lei paterno governo."

A sorvegliare i pesi e le misure, e a stabilire i prezzi de' vi- veri, ogni aimo il gran consiglio nominava dal suo gremio tre membri chiamati giustizieri della città.

Vi erano inoltre deputati alle acque, ed ai molini, ed i così detti Signori della notte; magistrati, che prevenivano la carestia dell' acqua, che invigilavano al buon ordine ed alla pubblica sicu- rezza, coir impedire le risse, le uccisioni, i furti, ed altri disordini che potevano succedere, ed aprivano le porte della città, e le chiu- devano all' ora assegnata.

Di grand' importanza e vantaggio era poi l'autorità Sanita- ria. A motivo della vicinanza dei confini ottomani, ed a causa del giornaliero commercio de' ragusei con quelle regioni, erano neces- sarie forti misure sanitarie e contumaciali per evitare la peste, che di spesso infestava 1' oriente, ed ogni 20 anni s' introduceva nelle vicine contrade di Bosnia, Erzegovina, Servia, ed Albania. A tal fine venne istituita a Ragusa l'autorità sanitaria, composta da cinque senatori, che avevano sotto di se scrittori, nunzt, capitani di porto, ispettori di lazzaretti, cursori, soldati, ed una cassa sufficien- temente provveduta per sopperire ai relativi bisogni.

Quando si manifestava la peste in qualche finitima regione, allora venivano aggiunti tre altri nobili, e messo il cordone sanitario al confine.

Tutto il territorio della repubblica veniva diviso in 8 circondari ; ed in ogni singolo capoluogo risiedeva un nobile, con piena auto- rità giudiziaria in oggetti sanitari, per tutti i villaggi dipendenti da quel circondario.

Ogni villaggio poi aveva un capo del ceto de' cittadini, dipen- dente dal capo distrettuale. potendo romper ogni communica- zione colla Turchia, pel vivo commercio che vi era fra gli uni e gU altri ; due volte per settimana erano permesse le fiere nei prin- cipali villaggi, sotto rigorosa sorveglianza contumaciale.

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Le merci provenienti da luoghi infetti, venivano assoggettate alla contumacia da 6 ad 8 giorni nei pubblici lazzaretti

Se la peste si manifestava nel litorale Dalinato, venivano attivate misure sanitarie nella Penisola; e tutti i capi dei villaggi dipende- vano da quello di Stagno.

Lo stesso si faceva sulle isole, e nei porti di Ragusavecchia e Vitaglina, dove vi era un personale sanitario. I bastimenti infetti venivano trasferiti a Gravosa; ed i marinai, nonché le merci, al lazzaretto in città, dove scontavano la contumacia. Il bastimento veniva forato, e lasciato sott' acqua pei 20 giorni. I legni infetti di febbre gialla erano spediti per scontar la contumacia a Meleda, nel porto Palazzo.

Tutte le spese sosteneva F erario, in fuori di quelle, che s' impie- gavano attorno il bastimento, e che stavano a carico del pro- prietario.

In seguito al permesso di Roma 1' Opera Pia e le confraternite dovevano dare il 20 per 100 sugi' introiti, per le spese che s' in- contravano durante la peste.

V'erano poi molti istituti pii; 1. l'ospitale Domus Christi, per tutti gli ammalati poveri ; che assorbiva 1' annua spesa di 8000 ducati circa, sopperendo il pubblico erario al mancante dell' introito di due. 6000. Tre senatori ne sorvegliavano 1' amministrazione ed il buon andamento; 2. Casa di ricovero pei trovatelh, . detto della Misericordia, dove vi erano in medio 180 ragazzi ille- gittimi, mantenuti dall' erario, e pei quali spendeva annualmente circa 15.000 due, non avendo avuto l'istituto alcun proprio reddito; 3. Casa di ricovero pei poveri, dove ricevevano gratuito alloggio e limosino in certi determinati giorni durante l'anno; 4. 1' Istituto dell' Opera Pia, che amministrava i legati pii, a capo del quale, come si disse, erano i Tesorieri dello stato; il di cui reddito, unito a quello di diverse altre pie corporazioni, ascendeva annualmente a circa 800.000 ducati, che venivano erogati a poveri vergognosi, in celebrazione di messe, nel riscatto degli schiavi, ed in dote nelle maritazioni delle donzelle: 5. Monte di Pietà, che accettava capitali a mutuo verso il 4 per cento, per somministrare degi' im- porti, verso pegni, a que'che abbisognavano, e così schivare l'usura de' privati.

Per particolari ragioni politiche, finanziarie e di stato, e per la ristrettezza territoriale, la repubblica non permetteva ai villici di possedere beni immobili. Erano quindi coloni de' proprietari torri-

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toriali, ai quali i padroni erano in obl)li«»o di fabbricar la casa; e la famiglia del colono, di quahuKiue numero fosse, doveva al pa- drone 90 giornate di lavoro all' anno, verso abbondante giornaliero mantenimento. Il colono poteva offrire un sostituto, oppure scom- prarsi per una parte o per tutto il tempo del lavoro, mediante un pagamento, secondo il mutuo accordo. Attorno alla casa, il padrone territoriale dava al colono 400 passa quadrate di terreno; e questi doveva annualmente al padrone alquante uova e polastri (poklon). il padrone poteva a capriccio cacciar dalla casa il colono, questi capricciosamente abbandonare il padrone. Nel caso di mutuo accordo, il padrone pagava al colono tutti i miglioramenti che si trovavano sul terreno; altrimenti, in caso di abbandono, il colono perdeva ogni diritto a relativi indenizzi, a meno che non vi fossero stati particolari contratti. I prodotti delle terre erano divisi fra il proprietario ed il colono, a tenore del contratto stipulato. Ogni questione era decisa dal relativo giudizio, con molta equità.

I prodotti dello stato di Ragusa erano insignificanti. Del terri- torio, che abbracciava soltanto 450 miglia quad., comprese le isole, solo la quarta parte poteva esser coltivata; il rimanente era sassoso ed infruttifero. Di grano non si poteva avere che per tre mesi, e quindi lo Stato faceva provvista dall' estero. Il principale prodotto era 1' olio ed il vino. Delle 70.000 barila di vino, che in termine medio si ricavavano annualmente , la quarta parte si smerciava al- l'estero. Dell' olio oltre 3000 barila ed' aquavita 750. Per 3500 barila di sardelle salate venivano esportate. Questi tre principali prodotti fruttavano a Ragusa 420.000 ducati.

Da ciò si vede che i prodotti della terra erano ben limitati. Col commercio e colla navigazione però Ragusa potè raggiungere l'apice della bene stanza, ed al commercio era addetto ognuno^ anche il nobile. Per i propri bisogni venivano importati dalla Turchia diversi generi di prima necessità, nell' importo annuo di due. 1^800.000. In Bosnia ed Albania, veniva importato il sale, caffè, zucchero ed altri generi; mentre si esportava pellame, lana, cera, ferro crudo, anguille salate, diverse frutta secche, ecc.; e dal solo commercio e trasporto che si faceva su' bastimenti ragusei, si ricavava annual- mente un utile netto di 590.000 due, abbenchè quasi il terzo del guadagno venisse dato alle autorità del confine turco, per la sor- veglianza delle strade da ladri ed assassini.

La navigazione costituiva il più importante nerbo delle risorse. Ragusa aveva per 270 bastimenti mercantili (di circa 250 tonnel-

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late uno coli' altro), nei quali era investito il capitale di 13,500.000 ducati. Questo capitale, dettratto il deperimento de' bastimenti, frut- tava per lo meno il 15 per cento, e dava il complessivo importo annuale di ducati 2,025.000

A questo si ha da aggiungere il salario dei 3000 marinai ragusei, che rimettevano annual- mente in patria 1,000.000

La sola navigazione fruttava quindi .... ducati 3,025.000

Perduta la navigazione, con essa si perdettero tutti i detti capi- tan di circa 14 millioni, ed inoltre tutto il guadagno che la marina ne ricavava.

L' ordinario reddito dello stato di Ragusa negli ultimi anni di sua amministrazione repubblicana, era il seguente:

Dai capitali dello stato investiti sui monti di Roma, Vienna, Venezia, e Napoli, e dalle tasse su capitali de' privati due. 63.752

Dal consumo del vino, spiriti, carne, nella città e borghi: dalle tasse sull' estradazione dell' olio, vino; dalla macinatura del grano 26.613

Da affitti di terre e stabili, che appartenevano allo Stato 2.763

Dai diritti di dazio, annuo reddito . . . . 23.025

Annua contribuzione dei bastimenti a lungo corso ; dalla fabbrica dei bastimenti e dalle tasse consolari in oriente 75.750

Dalla vendita del sale 30.700

Totale dell' ordinario introito due. 252.613

L' esito annuale era il seguente :

Per r emolumento al ministro della repubbhca a Vienna, ed agli incaricati a Napoli, Parigi, Roma; nonché ai consoli a Costantinopoli, Smirne, Solunichi, Alessandria due. 24.658

Per r istruzione pubblica ai Piaristi . . . 7.500

Salario agli impiegati pubbUci, ed ai capitani delle contee del distretto 46.100

'Agi' impiegati miUtari. e per l' occorrente delle fortezze 27.700

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Per r ainniiiiistrazione interna, e polizia citta- dina— chiamata „Detta" due. 36.840

Per r Orfanotrofio 15.000

Sconto sui capitali delle Confraternite . . . 3.800

Tributo triennale alla Porta colle spese annesse portava all' anno 25.470

Spese straordinarie presso la Porta . . . 15.350

Pel mantenimento del buon accordo colla Bar- barla 20.000

Pegli ordinari e straordinari messi ed inter- preti che venivan spediti ai Pascià di Bosnia . 4.000 Totale dell'annuo esito due. 226.818

Riporto introito due. 252.613

esito 226.818

annuo civanzo due. 25.795

La popolazione ragusea era cattolica; aveva un proprio arci- vescovo, col suo capitolo. Il vescovo di Stagno, con parecchi altri delle finitime regioni nella Turchia, gli erano suffragane!. I beni della mensa fornivano all' arcivescovo 1' annuo reddito di circa 400 zecchini ; e se questo non gli bastava, ad ogni sua ricchiesta il go- verno vi accorreva con nobile generosità. Le prebende canonicaH in origine erano di 600 oncie d' argento ognuna ; ed i canonici erano tutti quanti dal ceto de' nobili.

Numeroso era il clero secolare. Al medesimo erano affidate le parrocchie; e tutti assieme i sacerdoti secolari formavano la con- fraternita chiamata C o n g r e g a z i o n e dei Preti", presso cui vi era una ricca amministrazione di pii legati, per celebrazione di messe, e sussidi a sacerdoti poveri.

Vi erano in città tre conventi di regolari; francescani^ domeni- cani e piaristi. A quest' ultimi era affidata l' istruzione pubblica. Vi erano pure tre conventi di mon ache ; mentre prima del terre- moto ne esistevano cinque. Nello stato raguseo poi, oltre una quantità di conventi de' detti ordini, vi erano anche quelli de' be- nedettini. La i)opolazione della città, secondo le diverse arti, si divideva in altrettante confraternite. Tutto lo stato territoriale della repubblica negli ultimi anni numerava per 30.000 anime; meno dunque di quanto conteneva la sola città coi sobborghi nel XV secolo!

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La repubblica, cui stava più a cuore la pace che la guerra, non prendeva le armi, che nel solo caso di giusta difesa. D' ordinario non manteneva corpi armati^ se non un piccolo presidio, per la custodia delle porte della città e delle fortezze, e pel mantenimento dell' ordine pubblico. Si riduceva quindi ad un centinajo di soldati, i quali air epoca della protezione dell' Ungheria, fino al sec. XVII, erano ungheresi, misti ad alcuni nazionali; e venivano appellati col nome di barabanti.

A capo di questo piccolo presidio^ vi erano sei nobili (dai 30 ai 50 anni) scelti dal maggior consiglio, che dovevano fare a vicenda la ronda notturna con un drappello di armati, chiudere ed aprire la città a suo tempo, ed invigilare che di notte i negozi e le case sieno chiuse. Anticamente per tutto il tempo che la nobiltà stava raccolta nel maggior consiglio, usavano due di loro ti-attenersi con delle guardie armate alla porta del palazzo; uso che cessò nel sec. XVI.

Negli ultimi tempi della repubblica^ vi era una compagnia di 200 soldati d' infanteria, ed un' altra di 100 cannonieri, con a capo un comandante d'artiglieria, che veniva chiamato Capo bombar- diere, militare graduato, che dietro dimanda della repubblica veniva spedito dal vice-re di Napoli, all' epoca del dominio spa- gnuolo in Italia. Una parte di questa mihzia faceva guardia al palazzo Kettorale^ alle porte della città, ed alle fortezze; l'altra poi stava agli ordini delle differenti autorità civili ed amministra- tive, peli' esecuzione dei rispettivi ordini. L' officialità era composta del detto capo comandante, nonché d' un capitano e due ufficiali.

Cinque nobili erano capitani d' onore. Una sezione di tre membri del senato aveva l' incarico di osservare che le fortezze sieno in pieno ordine, due dei quah, chiamati Castellani, erano addetti al forte s. Lorenzo, e si davano reciproco scambio; il terzo poi aveva la custodia del baluardo s. Giovanni (forte Molo) e gU erano accomesse le chiavi, i soldati, le munizioni, e la custodia delle for- tezze della città.

In casi di bisogno, veniva ingaggiata truppa estera, per lo più italiana, con a capo persone graduate nel servizio militare.

Negli estremi bisogni, in caso di nemiche aggressioni, si armava la popolazione. E per tenerla addestrata nel maneggio delle armi, ancora nel 1383 fu deciso, che ogni mese si dovessero fare esercizi di manovre, oltre quelle dei 3 febbrajo e 5 luglio, giorni sacri a s. Biagio, patrono della città. Dal 1418 si dovevano tenere mensil-

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mente due manovre ; e vi erano i rispettivi premi. In questa ma- niera i sudditi si avvezzavano al maneggio delle armi, senza disca- pito delle loro occupazioni , risparmiando allo stato la spesa del mantenimento di uno stabile corpo di trupi)a.

Alle dette manovre non solo erano obbligati per turno i villici, ma sibbene ancora tutti i cittadini, e gli stessi nobili, dai 14 ai 36 anni; e le assenze, non giustificate, venivano punite con multe e castigbi. Gli esercizi si facevano alle Pillo, nel luogo cbiamato Bersaglio.

Ancbe la marina veniva rappresentata. Quando la navigazione era in fiore, e quando vi era pericolo de' corsari, la repubblica teneva galere armate per la difesa de' propri legni nelF Adriatico, e per garantire da attacchi le isole. Aveva pure l'arsenale, dove venivano fabbricate, e dove si riparavano le galere. In seguito gli stessi ba- stimenti mercantili, equipaggiati da nazionali, ed armati a seconda del bisogno , facevano all' occorrenza le veci di navi da guerra. In questa guisa la flotta di Carlo V. e suoi successori, contava molti navigli della repubblica," equipaggiati da nazionali, e comandati da ammiragli ragusei.

La carica di ammiraglio della repubblica, continuava fino alla caduta della medesima; e nelle comparse pubbliche vestiva alla spagnuola un abito rosso, ricamato in oro, ed era a capo della ma- rineria ragusea.

Ragusa fu tra le prime potenze che abbia introdotto l' uso della polvere ed i cannoni; e vi istituì tosto le rispettive fabbriche. Già nel 1417 vi era il maestro per fare le bombarde. E dal 1455 in poi, si riscontrano parecchi fabbricatori nazionali ed esteri, al servizio della repubblica. Da una decisione del detto anno si rileva, che un certo maestro Mario, era incaricato di fonder una bombarda, appellata s. Biagio, che doveva portare palle di pietra del peso di 300 libbre, e da 50 a 60 libbre di polvere: un'altra di nome Vittoriosa, del peso di 7500 libbre, per palle di 200 libbre, e polvere da 30 40 libbre, e doveva esser fatta in due pezzi, fermati a vite; una terza. Furiosa, del peso di lib. 5000, per palle di hb. 130, e polvere da 20 25, anche in due pezzi; e cosi di seguito di maggior o minor calibro, sotto diversi altri fonditori, ed in diverse epoche.

Le palle da principio erano di pietra, e per fazione, senza compenso, ogni maestro greggio doveva settimanalmente fornire una

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da 4 ad 8 libbre; mentre per settimana ogni singolo maestro di scarpello doveva fra queste fornire una completa.

Alla fine del secolo passato la repubblica aveva altre 400 can- noni^ alcuni allogati, ed altri negli arsenali; ed erano in massima parte di ottima lega. Uno di questi, chiamato Gusterica (lucer- tola), e che apparteneva al forte s. Lorenzo, attualmente si trova neir arsenale di Vienna, su cui si legge la seguente iscrizione :

A. S. M.D.XXXVII. Jupiter omnipotens iterum si perdere vellet

Crudelem gentem viribus ipse suis,

Nempe ego tunc Jove saevirem crudelius ipsa

Vi, quam Baptista praebuit arte manus.

Opus Baptistae Arbensis

In arce s. Laurentii.

Un altro cannone di S. Lorenzo, che pure si voleva trasportare a Vienna, cadde nel mare, e vi restò.

Riporteremo due altre iscrizioni che si leggevano su due cannoni ; e sono le seguenti :

Mulciber haec cernens quaerit, quis finxerit ? et mox

Baptista est, inquit, vincor, et erubuit.

Opus Baptistae Arbensis

A. S. M.D.XXXV.

Renovata Foenix.

Sum bombarda pavor mortalibus, aether et omnis

Fulmine terra meo vel sine nube tonat.

M.D.XXVIIL

La bandiera repubblicana aveva sul fondo bianco V effigie di s. Biagio in abito pontificale, mitra in capo, col pastorale e la città nella manca, benedicendo colla destra. Lo stemma poi della città era quello dell' Ungheria, accordato alla repubblica, quando ottenne la di lei protezione. Il fondo era rosso attraversato da tre fascia d' argento. Col tempo incorse un grosso errore araldico, essendo state mutate le fascie argentee, in color cilestro ; sicché anche adesso i colori municipali sono rosso, cilestro. Sul sigillo della repubblica v' era V affigie intera di s. Biagio, e dal 1482, per ordine del se-

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nato, sui sigilli degli altri uffizi subalterni vi doveva esser mezza figura del Santo. All'intorno vi era l'iscrizione seguente: S. Bla- sius protector Civitatis Ragusii. Altri sigilli portano in mezzo tre torri, come le antiche monete ragusee, ed all' intorno l'iscrizione: S. Blasius Protector Ragusii; oppure: S. Bla- sius Protector Reipublicae Ragusiuae; od anche: Si- gillum Reipublicae Ragusinae. Nella torre di mezzo, in alcuni sigilli, avvi in piccolo 1' effigie di s. Biagio. In alcune pa- tenti, sotto lo stesso manto, da un lato è 1' effigie di s. Biagio, e d' apresso lo scudo succitato.

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III.

Cultura e civilizzazione.

lopolata da coloni romani, che sfuggirono all' esterminio de' barbari, Ragusa sin da bel principio conservò nel proprio seno il sacro fuoco delle arti, delle lettere, e della morale pubblica. L' estese relazioni poi dei ragusei colle nazioni colte europee, per ragioni di Stato, come per rapporti commerciali, erano un potente mezzo a promuo- vere ed accellerare la loro cultura e civilizzazione, che manifestarono e colla mitezza de' costumi, e colla pratica delle virtù sociali, e particolarmente poi coli' ospitalità che accordavano a tutti, e spe- cialmente ai profughi. E già nel 1000 erano ammirati per i loro talenti politici e militari, e pella cultura nelle belle lettere.

Emanuele Comneno nel 1170 aveva fatti i ragusei cittadini di Costantinopoli; ed a spese della camera imperiale manteneva vari giovani agli studi in Grecia, e nella propria capitale. E prima che fosser state introdotte pubbliche scuole a Ragusa^ già nell' undecime secolo vi esisteva presso i monaci benedettini a Lacroma un con- vitto, dove la gioventù, durante 1' educazione, indossava le divise dell' ordine. Nel sec. XIV vennero aperte pubbliche scuole, ed a spese dell' erario venivano condotti maestri dall' Italia. Si ritiene che qui abbia istruito Giovanni da Ravenna (Tirab. V.) ; mentre consta di Nicolò de Vateno, Antonio da Fermo, e di certi Andrea e Pietro. Nel 1434 poi venne preso a maestro di Rettori ca Filippo de Diversis de Quartigianis da Lucca, e nel seguente anno fu ela- borato lo statuto scolastico (29 junii 1435 maj. cons. Or do prò magistris scola rum et scolaribus.)-

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Coir avvicinamento del turco, vart dotti della Grecia e da Costan- tinopoli passarono per Ragusa, fra i quali fuvvi il rinomato Deme- trio Calcondilla. Nel 1490 venne questi invitato ad assumere la cattedra a Ragusa, e senza dubbio a di lui merito i ragusei presero di buon ora affetto al greco idioma ed alla nazionale letteratura.

Al Calcondilla successero: Marino Becichemo da Scutari, profes- sore indi air Università di Padova ; Daniele Clario di Parma ; Ste- fano Flisco; Girolamo Calvo di Vicenza; Nicolò Poterlo; Giovanni Musonio; Nascimbeno de Nascimbeni da Ferrara (1560 70), che dedicò al senato le sue annotazioni sui libri dell' Invenzione di Cice- rone; Francesco Serdonato da Firenze, e parecchi altri.

Nel sec. XVII poi venne eretto il collegio convitto, e T istruzione affidata alle cure dei padri della Compagnia di Gesù; i quali, dopo la soppressione dell'ordine nel 1773, furono sostituiti dai pp. delle Scuole Pie.

Tale era la severità dell' educazione, e la fama che aquistossi in tale riguardo Ragusa, che Stefano Imperatore di Rassia vi collocò vart giovani baroni del regno^ perchè sieno educati nel costume e nelle lettere, facendo al Senato il dono di moltissimi e preziosi codici latini e greci, comperati a caro prezzo per ogni dove (sec. XIV.). Ed il celebre Aldo Manuzio voleva mandare agli studi a Ragusa il suo figlio Paolo, per insinuazione e consiglio senza dubbio dell'Arcivescovo di Ragusa Lodovico Beccatello di Bologna (1556 64); e Palladio Fosco (de situ ore Illyr. 1. I. p. 454) già per questo riguardo aveva lodati i ragusei nei seguenti termini: „Longum foret si omnia commemorare vellem; unum tamen non „praetermittam, quo intelligatur, quanta sit rachusinorum severitas, „et in literis educandis diligentia. Non enim sinunt in sua urbe „ludos esse, nisi literarios; si gladiatores, saltatoresve advenerint, «subito ejiciuntur, ne Juventus, quam literis dumtaxat aut merca- „turae vacare volunt, hujusmodi foeditatibus corrumpatur.'' Questo pubblico provvedimento sì, che le prime commedie slave si reci- tassero nella riunione di parecchi amici, i quali le componevano e le rappresentavano in luogo aperto, nel tempo di carnovale.

Le persone si riunivano esclusivamente in famiglia, o fra un cer- chio ristretto d' intimi amici. Non vi erano casini, teatri, caffè, società pubbliche. Ogni festa di ballo era privata. Negli ultimi tempi appena venne eretto un teatro, per cui facevano ve- nire dall' Italia delle compagnie di comici e cantanti. I giovani non conversavano che co' parenti, e co' famigliari amici della propria

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casa, sempre a fianco del maestro, o del padre ; e le ragazze erano educate con sommo rigore dalle proprie madri, potevan lasciarsi vedere, che da parenti strettissimi.

L' amore e la cultura della lettere rapidamente si propagò presso ogni classe , talmente che già nel sec. XV e XVI non y' era fami- glia, in cui non vi fosse qualche letterato.

Nello studio della lingua greca tali progressi. si fecero, che Vetrani, Lampridio Cervino, Ragnina, Zlataric:, Palmotta, Luccari, Bona, Gradi, e molti altri appassionati cultori dalla greca favella, ci lasciarono diverse traduzioni, emulando gli stessi originaH.

Alla lingua latina in ispecial modo si erano consecrati ; e nel 1470 venne stabilito, che nelle pubbliche aringhe si dovesse parlar in latino. Troviamo quindi un EHo Lampridio Cervino sotto Sisto IV incoronato a Roma, quale elegante poeta latino ; un Giacomo Bona, distinto poeta alla corte di Leone X ; Stay, Kunic e Zamagna, tutti e tre filosofi e poeti che fiorirono a Roma verso la fine del sec. XVIII ; ed in fine, ommettendone tanti altri, V abate Gagliuffi, che ebbe non ha guari in Italia ed in Francia numerosi ed appassionati ammiratori de' suoi dotti e spiritosi versi estemporanei.

In ispecial modo poi la slava favella era coltivata; e Ragusa offrì una letteratura, che dal XV secolo, a tutto il XVIII, ha il vanto di portar il di lei nome.

A Ragusa, città libera, poteva molto bene svolgersi la vita lette- raria ; ed a quella guisa che a Bizanzio ed in Itaha, anche a Ragusa se ne formarono società letterarie, appellate Accademie, le prime ch'ebbero vita fra le nazioni slave; dei Concordi (sloznih) l'una, fondata nel 1585; e degh Oziosi {danguhnih) l'altra nel sec. XVII; e delle quali lo scopo era di coltivare la nazionale letteratura.

Appoggiata su quella della Grecia e di Roma, la letteratura ra- gusea in breve ebbe uno sviluppo straordinario, facendo riflettere nella lingua nazionale le bellezze de' greci , e de' romani ; creando forme slave , e rivaleggiando co' geni , che faceva nascer il cielo dell' Italia sull' opposta sponda dell' Adriatico. Così nacque il clas- sicismo slavo: ed in quella guisa che i greci seppero servirsi di ogni dialetto, e classicamente modularlo ; così nelle opere ragusee si ammira un' atticismo tradotto da un felice e studiato accoppia- mento di ogni dialetto slavo, per cui le loro opere servono e ser- viranno di modello e studio ad ogni scrittore nazionale.

Al classicismo ben presto si unì il romanticismo; principi fra

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loro o[)posti, che pur si svolsero nella letteratura ragusea senza contrasto di sorta. *

I primi che si segnalarono nel campo letterario furono Driic, e Mini^etic; indi, mutata forma, Vetrame, Cubranovic, Naljcb^kovid, e Zlataric, che sono salutati quai padri della letteratura nazionale.

Nel sec. XVII la letteratura ra<^giunse il suo apice colle immor- tali produzioni del Gundulic, Palmotta, e (iiorgi, senza nominarne quella miiiade di' letterati slavi, che rendono illustre il nome di Ragusa.

La lirica del sec. XVI fu, a dir il vero, una prova; però pren- deva il carattere della lirica nazionale. Nel seguente secolo giunse alla sua piena forma; e nel decimottavo il Giorgi la elevò all'apice della perfezione, potendosi riguardare la di lui lirica, come un per- fetto modello. La drammatica non poteva a meno di non svolgersi e progredire rapidamente per le società letterarie a tal fine già istituite. Traduzioni di drajtnmi classici, ed un gran numero di lavori originali possiede la letteratura ragusea. L' epica si fondava su quella dell' Italia. Il più importante poema è 1' Osmanide del Gondola, che puossi metter a confronto con qualunque epopea di altra nazione. In questo genere si distinsero pure Vetrame, Pai- motta, Giorgi, e molti altri. Del Gondola però si deve dire, che egli solo ha compreso lo spirito di tutta la nazione, e come aquila sorpassò quanti hanno tentato finora in questo ramo.

Questa piccola terra poi ha fornito maggior numero di uomini eminenti in ogni conoscenza umana, che non altri stati, i quali, e per estensione e per potenza figurarono nel teatro della storia.

Un Nicolò Naie venne proposto da Gregorio XIII per la corre- zione del calendario ; e Marino Ghetaldi, chiamato dall' acuto Paolo Sarpi ,5 angelo di costumi e demonio in matematica", fu il primo che abbia applicata 1' algebra alla geometria. La prima opera sulla scienza commerciale, pubblicata a Venezia nel 1573, fìi scritta dal raguseo Benedetto Cotrugli 110 anni prima. Un Anselmo Banduri, bibliotecario del d' Orleans, fu il primo che abbia data alla luce r opera sulla numismatica latina e greca, tanto dai dotti apprezzata. Ed un Ruggero Boskovic sorprese V Europa in un tempo , in cui diffusa per ogni dove la luce delle scienze matematiche, rimaneva appena la speranza di potersi distinguere e farsi qualche nome; fuvvi pontefice, potentato, che non lo abbia ricolmo di onori.

Non v'era Università di grido, presso cui in ogni epoca non vi fosse stato a precettore qualche raguseo. A rettori del' Università

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di Padova riscontriamo: Ragnina (1397), Rosa (1492), Zlatarié (1579), e Crasso (1609).

A professori di teologia: a Padova; Giovanni raguseo (1415), Serafino Bona (1408), Tralasso (1480), Giorgi (1492), Bas- segli (1511). A Sorbona; Stojkovic (1421). A Buda d'Ungheria; Bona e Bassegli; a Parigi, Bondemalic (XV. sec.) e Gozze (1564); a Roma, Matteo Bona (sec. XVII.) e Zuzzeri Bernardo (1762). A Lovanio, il citato Gozze; a Wittemberga, Frankovic Mattia, sovra- nominato Flaccus Illyricus (1544).

Per le belle lettere e filosofia furono a Padova: Giorgio raguseo (1622) e Cerva (1631); a Siena, Zuzzeri (1746); a Roma e Firenze Kunic (1794); a Bologna, Remedelli (XVIII sec); a Roma Stay (1801); a Siena e Milano Bernardo Zamagna (1820).

Nelle matematiche; a Roma, Bartolomeo Boskovic (1770); e Ruggero suo fratello a Roma, Parigi, e Milano (1787).

Nella medicina: a Bologna, Galeotti (1394 1422); a Padova Belleo (1601); e Baglivi a Roma (1705).

Se al pari di questi giganteschi progressi, le belle arti non pro- gredivano a Ragusa, non è a stupirsi ; perchè in uno stato, a cosi dire microscopico, non ci potevan essere Mecenati, dove F esistenza era una lotta continua per conservar l' indipendenza, unita alla se- verità de' principi morali, poHtici e religiosi. I ragusei quindi pre- ferentemente si occupavano intorno al cosi detto bello ideale, cioè alla poesia ed alle lettere applicazione pratica dello spirito ; an- gichè alle arti plastiche, come la pittura, scultura, archittettura la materia cioè spiritualizzata. Ciò non ostante anche le arti belle venivano rappresentate ; la pittura nello Stay, e nel Mattei ; 1' ori- ficeria nel rinomato Progonovic ; V archittettura in Paolo di Michele ; la tipografia in Bonino de Boninis (Dobroevic); la musica in Bru- gnoli, Tampariza, Babi(5, Gaudenzio, e Francesco Gozze ; senza farne cenno di tanti altri distinti artisti.

11 commercio, le arti, e le lettere , si ajutavano a vicenda nello sviluppare la civiltà ragusea. E senza qui numerare le diverse arti ed industrie, che esistevano a Ragusa nel sec. XVI, e di cui altrove si fece cenno ; basti avvertire, che nel sec. XV vi esisteva pure una fabbrica di strumenti matematici ed astronomici, come ce lo attesta Giudo Pannonio in una sua lettera a Gazzoli matematico raguseo ; e che Carlo IX di Francia spedì a Ragusa un' apposita commissione, per far apprendere ai propri la maniera di tesser i panni ; potè altrove rinvenire più capaci artigiani che a Ragusa, per introdurre

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nel suo re^nio V arte perfezionata della costruzione de' vascelli, nella quale occasione quel rti di spontaneo moto accordò a' ragusei la cittadinanza francese.

Pervenuti a così avvanzato grado di cultura intellettuale, ed a tanta gentilezza di costumi, fra la barbarie che da ogni lato li circondava, venivano considerati come un popolo singolare. era illusione di patrio affetto, che faceva esclamare al Palmotta:

Sciat Itala tellus

Haud ragusinis vicinam serpere terris

Barbariem, ingenuas sed libera stare per artes

Moenia

E gli stranieri stessi ne convenivano. L' inglese Tommaso Watk in s così ne parla: „Io non posso scrivere abbastanza favorevolmente „de' ragusei, che, generalmente parlando, hanno tutte quelle buone qualità, le quali conferir possono un virtuoso esempio ed una raf- ^finata educazione. Essi hanno più dottrina e meno ostentazione „di qualunque popolo che io conosca; più urbanità l'uno verso „r altro, e meno invidia. La loro ospitalità verso gli stranieri non „può in alcun modo superarsi; in una parola il loro carattere ge- ^nerale ha in così pochi difetti^ eh' io, per quanto la mia espe- „rienza sugli altri popoli me lo permetta, non esito di dichiararli, „per il più saggio, il migliore, ed il più felice degli Stati."

Ed in epoca più recente il croato conte Draskovic ne tessè r elogio con queste lusinghiere parole : «Allorché dopo la malaugu- „rata giornata di Kossovo (15. giugno 1389) caddero sotto la turca dominazione la Bulgaria, la Serbia, e la Erzegovina, donde venne „a quelle sventurate Provincie sciagura immensa, e per cui le loro ^fertili pianure furono campo per secoli di atroci battagUe, che di- ^strussero ogni germe di cultura; la piccola provincia di Ragusa, ^pari alla greca Atene, conservò illesa la propria libertà, ed indi- „pendenza. Coli' avvedutezza della sua politica essa seppe approfit- „tare con coraggio e con prudenza delle circostance e dei tempi, „consoHdando la sua indipendenza per via di potenti alleanze e di ^vantaggiosi trattati, particolarmente colla Porta Ottomana. Sotto la protezione di questa, che premeva con dispotico giogo le altre „provincie dell' lllirio inferiore, sviluppò le sue forze fisiche ed in- „tellettuali in grado così luminoso, da gareggiare ne' rapporti com- ^merciali coi primi stati europei di quel tempo, e da superarli ^presso che tutti nella cultura morale." Non v' ha poi molti anni che la Revue de Monde (nel maggio

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1838) tributò a Ragusa la seguente testimonianza : „A Ragusa i co- „stumi erano semplici e dolci; il villano attivo, onesto e religioso jjConsumava la sua vita fra la navigazione e 1' agricoltura, ed ac- „quistò un grado di politezza e di cultura poco comune fra i villici nelle altri parti dell' Europa. La città offeriva uno spettacolo poco comune ; ancora scorgeva da ogni parte un' aria di severità che „rende Genova triste ad onta de' suoi numerosi abitanti. L' origi- ^nalità di forme e di carattere non aveva nulla di aspro, e ciò per „la bellezza del clima. Una terra tutta aperta a mezzogiorno, fa- „ceva che il sole versasse i suoi torrenti di luce su tutto questo paese, ornato senza interruzione da ogni sorta di fiori naturali; „e formando uno de' più bei porti del mondo, intramezza fra la ver- 5, dura lussureggiante un mare calmo e trasparente. Una natura „così bella animava ed inspirava intieramente questo popolo, ad onta dell' austerità de' suoi principi ideali e morali, causati dalla forma «religiosa ed amministrativa. L' aria, il sole, la terra verdeg- „giante esaltava questo popolo ; tutto, perfine le forme del corpo, su- „bivano il felice influsso della natura estei-na, del benessere generale. „Si riconoscevano facilmente i ragusei, come nella letteratura, così ^nelle fatezze, esser un misto delle forme greche, che sono gaje e ^raggianti, colle slave, che sono robuste e snelle. Dalla bellezza ^del corpo trasparivano il vigore e le grazie greco-slave dello spi- „rito. Tutte queste circostanze davano ai ragusei 1' aria d' un in- „teressante alveare di api. Ma gii sciami di api sono deboh, ed i ^deboli dovevano perire nella distribuzione politica dell' Europa".

L'illustre conte Francesco Borelli, Zaratino, membro del Con- siglio ristretto dell' impero, F anno 1860 taceva risuonare in quelle aule questi lusinghieri accenti: „E che diremo di Ragusa, che in „mezzo alla barbarie ottomana e all' invidia veneta, seppe conser- „vare la sua indipendenza e civiltà, formandosi una storia politica, „letteraria, e commerciale, da far onore a qualunque delle più colte ^nazioni dell' Europa?"

E r illustre Tommaseo, parlando di Ragusa, così ebbe ad espri- mersi: — «Ragusa è forse 1' unica città, che ad un tempo coltivò tre „lingue; 1' italiana, da parlarla meglio che in molte città d' Italia; ^la slava, da formarsi una propria letteratura; e la latina, da pro- durre più famósi scrittori che tutta insieme 1' Italia." Ed al- trove : „I1 raguseo per diventare genio , non ha bisogno di sortir dalla patria, gli basta imitar i propri."

Colla loro cultura e civiUzzazione, in tempi quando le finitime

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nazioni versavano presso che nella barbarie, e mentre molte altre ancora non avevano raggiunto quel grado a cui si elevò Ragusa; i ragusei seppeio ovun(iue esercitare la propria influenza, e coi loro lumi apportare vantaggio anche alle colte nazioni.

Stefano Imperatore di Rassia spedì inviati alla repubblica per ot- tenere 20 giovani, ai quali affidare le prime cariche dell' impero. 11 senato però, a motivo della mortalità che poco prima ne aveva fatto strage, gliene speaì soli tre di grandi talenti e speranze; i quali, ammessi ai regi secreti, e ricolmati di doni, titoli, e ricchezze, ebbero poi, con vantaggio della loro patria, grande influenza nelle cose di governo.

Non v' era Corte fra i re slavi dove non ci fosse stato qualche raguseo, occupato nelle più alte cariche. Domagna di Volzo Bobali (1300) fìi primo ministro del bano Stefano Cotromano di Bosnia. Vito Bobali^ Matteo Cerva, e Giovanni Pozza (1315) furono alla corte di Vladislao ed Urossio, figlio di Uros il santo di Rassia. Alla corte di Giorgio, despota di Servia, fu un Sorgo, un Giorgi, un Resti; ed un Caboga protovestiario del duca Hervoje.

La stessa corte pontificia se ne prevalse di un buon numero di ragusei. Senza Elio Saraca nella Curia pontificia di Avignone nulla di grave si decideva (1340); e fatto indi arcivescovo di Ragusa, adempì importantissime missioni pontificie. Un Giovanni Stojko, insieme al cardinale Cesarini aprì a nome di Eugenio IV il con- cilio di Basilea. Mariano Bondauello, dopo di aver insegnato teolo- gia all' università di Parigi, da Sisto IV fu creato suo cappellano domestico e consigliere secreto (sec. XV.). Pietro Benessa sostenne r incarico di secretano di Stato (1510). Bonifazio de Stefanis, ve- scovo di Stagno, fu nunzio di Pio V. a Filippo IL di Spagna (sec. XVI). Radulovic Nicolò, secretano della congregazione dei vescovi e regolari, fu poscia cardinale, eletto da Innocenzo XII (1699). E senza citarne altri, Stefano Gradi, bibliotecario della Vaticana sotto Urbano VIII ed Alessandro VII, veniva consultato come oracolo dai letterati.

L' Ungheria se prevalse pure in ogni incontro dei dotti di Ra- gusa. Sigismondo dopo la rotta di Golubaz, presso Semendria, es- sendo stato splendidamente ricevuto da Matteo Luccari, e fornito di mezzi per salvarsi, avendo scoperta in lui una straordinaria abi- lità nel maneggio de' grandi atfari, lo impiegò prontamente nelle cose del regno, e lo creò Bano della Slavonia, signore di Toljevaz, e tesoriere del regno; il di lui fratello Pietro conte di Zetigna

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e Bano di Croazia; nominò Francesco in Bano della Croazia rossa; ed a Giovanni Cavaliere di Eodi offrì il Priorato di Avrana. Que- st' ultimo, essendo comandante di Belgrado (1400); s'immortalò contro Amuratte, costringendolo alla ritirata colla perdita di 80,000 uomini. Sotto il re Alberto^ Matteo ebbe grande influenza negli aff'ari del regno; e dopo la di lui morte (1438) si capo di coloro che ade- rivano a Vladislao Jagelone di Polonia, ed egli stesso fìi alla testa di coloro che lo accompagnarono dalla Polonia in Ungheria. E la felice riuscita di Giovanni Unniade, dichiarato poscia Vicario del regno, è interamente dovuta all'impegno ed alle cure del Luccari, il quale lo educò ancor giovane, e lo produsse innanzi alla Corte ed alla Dieta. E lo stesso Unniade dovette ai due ragusei Pasquale Sorgo e Damiano Giorgi la propria liberazione dalle mani dell' in- grato Giorgio Despota di Serbia , quando , rotto sotto Semendria, fu preso, e sulla supposizione di far cosa grata al Turco, per or- dine del despota doveva esser affogato nel fiume Resava. Damiano Giorgi poi, succeduto a Pasquale Sorgo in qualità di primo ministro della Serbia, procurò la libertà ai di lui due figli, Vladislao e Mattia, lasciati in ostaggio al despota. Da qui il grande amore che il re Mattia Corvino portava ai ragusei, memore che ad essi doveva r esaltamento della propria famiglia, e conscio dei grandi servigi da loro resi al proprio padre ed a lui stesso. E per corrispondere ai ricevuti benefizi, ricchiamò alla sua corte Damiano Giorgi, ed accolse in qualità di paggi i di lui cinque figli, Nicolò, Pasquale, Girolamo, Giugno e Manno, facendo aggiungere al loro stemma la propria in- segna del Corvo, e dandoli ricchi feudi, baronie ed impieghi. Li donò due città nella Croazia, ed il relativo diploma è registrato nel libro pubbHco di Zagabria del 1483; e nel territorio di Segna la baronia di Vinodò e di Ledenice, di cui uno era governatore ed un altro capitano , col privilegio d' innalzare la propria arma sul palazzo della città, e sulle di lei porte. Giugno poi fìi distinto ge- nerale, che riportò tante vittorie contro il turco (1462), e che Maometto II, giunto a conoscenza della di lui fama e gran va- lore, ricchiese al senato per averlo nelle mani; ma ottenne in ri- sposta, non poter di lui disporre, per appartenere desso totalmente air Ungheria. Mattia Corvino poi in contrassegno di speciale attac- camento ai ragusei, oltre a tanti altri favori, loro avere il pro- prio stendardo, che religiosamente veniva custodito nella cattedrale, ed esposto nelle principali solennità; perito di poi nel terremoto del 1667.

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Al servizio dell' Austria si segnalarono, fra molti, nel 1600 il co- lonello Draso, e Milli, nonché Francesco a Matteo Gondola, il qua- r ultimo raggiunse il grado di maresciallo (f 1700), ed una contrada a Vienna, dove vi era il di lui palazzo, si chiamò Gundulstrasse. Ed un Gondola tu pure generale ajutante di Eugenio di Savoja air assedio di Belgrado, dove, dopo inauditi tratti di valore, poco prima della vittoria, mortalmente ferito, vi morì.

La Russia ebbe anche distinti ragusei al proprio servizio; e fra gli altri Florio Beneveni, Girolamo e Pietro Natali (sec. XVIII).

La Spagna in special modo se ne prevalse. Benedetto Cotrugli fu primo ministro a Napoli sotto Alfonso e suo figlio Ferdinando; e più volte fu loro ambasciatore a diverse corti. E Matteo Vo- dopié, accettissimo a Carlo III., morì nell' impiego di Direttore ge- nerale delle regie fabbriche dei regni di Murcia e Valenza, e de' presidi di Barberia, nella seconda metà del sec. XVIII. Le sue principali opere furono le fortezze ed il porto di Cartagena; e la di lui vedova, in segno di onore, aveva alle porte del suo palazzo un corpo di guardia.

La tiotta spagnuola poi, oltre la gran quantità di navi ragusee che le venivano somministrate, ebbe ne' ragusei eccellenti condot- tieri di legni armati, ed ottimi ammiragli di squadre nelle spedi- zioni di Algeri e Tunisi sotto Carlo V., ed in quelle di Gerbi, Lisbona, delle isole Terzere ecc., sotto Filippo IL ed i suoi suc- cessori, fino alla metà del 1600. Il capitano Marulino Sfrondati vedendo la galera, su cui era Filippo IL (nel 1571 presso Li- sbona), pel gran flusso del mare in gran pericolo di perdersi, get- tatosi in mare salvò a nuoto sulle spalle il re, portandolo sano e salvo al lido con indicibile sorpresa degli astanti. Ricolmotolo di doni, Filippo gli offrì il comando di una squadra spagnuola, che Marulino non volle accettare. I nomi de' Prodanelli e Prazatto sono ben conosciuti. Parecchi della famiglia Ohmuòevic furono capitani di nave, ed altri generali di squadre. Il capitano Giorgio, dopo molte prodezze, mori conducendo ISOO uomini sulla sua nave dalla Spagna in Italia. Pietro fu general comandante di una squadra di 12 grosse navi a tre alberi (sei erano sue, e sei de' suoi pa- renti), equipaggiate di 3200 ragusei, e per ben 26 anni battè sempre le acque dell' Oceano, ed acquistò alla sua squadra il nome di S q u a- dra delle Indie e dell'Oceano. Egli si distinse in parecchi incontri, e segnatamente nel 1596, trionfando di parecchie grosse navi ingU'si. Filipi)0 II lo creò Cavaliere di s. Giacomo di Ga-

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lizia, con una commenda di 3200 pezze all' anno. Agli Ohmucevié successero nel comando della flotta ispano-ragusea i Dolisti, ed i Maèibradié, ad uno dei quali il re di Spagna conferì un ricco marchesato; poi i Balacchi, i Palmotta, i Martilossi^ fra i quali ultimi si crede che vi fosse stato qualche abile pilota nella sco- perta delle Americhe.

E tanta era la stima e la simpatia che godeva Ragusa presso quel regno, che Vincenzo Bune, dell' isola di Mezzo, benemerito della religione che sostenne nel Belgio e propagò nelle Indie, illu- stre per nobih imprese a prò della Spagna, venne investito del carattere di Vice-re del MessicO; e governò quel paese sotto i due Filippi, secondo e terzo ; poscia ad latus del vice-re di Napoli tenne le redini di quel regno, e in quella città^ in età ancor fresca, vi morì nel 1612. Per sua disposizione testamentaria la di lui salma venne trasferita in patria e collocata nel sepolcro fattosi già prima fabbricare nella sua capella della ssma Trinità.

Le cause di questa sorprendente prosperità intellettuale, morale, e materiale, conviene cercarle nella saviezza del governo repub- blicano, e nelle benedizioni che il cielo a larga mano vi versava per le grandi opere umanitarie che quel governo ebbe fondate.

Già nel 1347 la repubblica adottò la legge per la fondazione d'un ospitale ad co nsolationem et suffragium paupe- rum cunctorum; e nel 1540 vi destinava ad ospitale la casa di ricovero delle povere, per raccogliere i poveri infermi di medicabili infermità; appellandolo Hospitale Domus Christi, ed approvando il relativo Ordo super erectionem novi hospitalis et ejus regimine. Oltre alle generose somme dal governo elargite, vi contribuirono poscia all' aumento del suo patrimonio abbondanti importi di pii lasciti.

Contemporaneamente vennero erette delle case di ricovero per ambi i sessi. Questi ricoveri consistevano in ciò, che i poveri, in piena libertà lungo la giornata, trovavano poi alla notte dove ri- posare tranquillamente, ricevendo in stabilite giornate sussidi anche dal fondo pubblico.

La pietosa ospitalità poi , creazione del cristianesimo , accordata alle creature esposte ed abbandonate dalle proprie genitrici, è ben vero, ha trovato sin dal principio eco nella carità di molte private persone. Ciò non ostante ospitali pubblici a ricoverar i trovatelli, appena troviamo nel sec. XIV, e questi pure eretti da privati. Ci si voleva la carità di un s. Vincenzo di Paolo per erigerlo a Pa-

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rigi nel 1541'. Ma la sua esistenza legale in quella stessa città ai)pena data dal 1G70. A Ragusa invece si decretava l' erezione di un ospizio pe' trovatelli ai 0 di febbrajo del 143:^ „co usi do- rando di quanta abboni inazione et in h umanità era il gettar delle creature huniane piccole, le quali molte fiate non erano raccolte, secondo T Immanità et bi- sogno sovvenute." Venne appellato Ospitale della Miseri- cordia, ed in pari tempo fu esteso il relativo Or do et prov- vedimentum hospitalis i)ro creaturis, quae abjiciuntur in human iter.

Ad ogni caritatevole scopo venne poi provveduto colla fonda- zione dell'istituto aft'idato alle mani de' così detti Tesorieri di s. Maria (che adesso porta il titolo di Opera pia), il quale data ancora dal 1300, ed è costituito di capitali lasciati da pii testatori, che per cinque secoli andavano aumentando. Investiti i capitali sui beni stabili e sui Monti di Roma, Genova e NapoU, costituivano un complessivo di sei millioni di ducati ragusei ; il cui reddito veniva erogato ai poveri, agli ospitali, in sussidio nelle ma- ritazioni di donzelle di qualunque ceto, in riscatto de' schiavi, in sussidio alle chiese, in celebrazione di messe, ed in ajuto alle fa- miglie decadute, discendenti da' legatari.

A solUevo de' sacerdoti impotenti, e per celebrazione di messe, fìi pure istituita nel 1391 la così detta Congregazione dei Preti, di cui gli statuti furono approvati dai pontefici nel 1483, e 1595; alla quale apparteneva di diritto ogni sacerdote diocesano, e diveniva compartecipe dei frutti della medesima. Ebbe perfino un ospizio per i sacerdoti poveri ed ammalati.

Fu pure posto dalla repubblica un freno alle usure, ed offerto un mezzo facile a prestiti di determinate somme di danaro, coli' isti- tuzione del Monte di Pietà, uno de' primi eretti in Europa. Ebbe origine nel 1671 e fìi amministrato da tre senatori ed un computista. In seguito, dallo stesso governo fu dotato con 3000 zecchini , aumentabili ogni anno secondo i bisogni e le ricerche della popolazione.

Nulla dico dell' amministrazione che dal 1306 era in mano de' Procuratori di s. Maria, per provvedei'e a tutti i bisogni della cattedrale, coi redditi de' capitali investiti sulle case , campagne, e Monti d' Italia; di quella della chiesa di s. Biagio, che aveva pure propri Procuratori.

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Non faccio cenno di quelle tante istituzioni, dalle quali traspira un' avvanzata cultura, come a dire delle Confraternite di s. Antonio e s. Lazzaro, alle quali apparteneva il ceto de' cittadini, di quelle tante altre confraternite de' popolani delle diverse arti, erette per la manutenzione delle chiese, e pel sostegno ed ajuto de' poveri e degli ammalati de' rispettivi ceti; istituzioni che fun- gevano r offizio delle attuali società di mutuo soccorso, e delle così dette casse di risparmio. Non parlo dell' organizzazione delle varie arti a Ragusa, che meriterebbe un' apposito studio, e farebbe conoscere 1' alto grado di cultura e civihzzazione, di cui ogni ceto potea vantarsene. E non ne parlo nemmeno delle leggi sanitarie, emanate per evitare i contagi, e che potrebbero servir di modello a tutte le istituzioni presenti in questo ramo.

Quello poi che sovra ogni altro nobilita la repubblica di Ragusa in cospetto della civile Europa, è V atto dell' abolizione della schiavitìi, che solennemente decretava nel 141G ai 27 gennajo: „ri- guardando quel mercimonio come turpe, nefario, abbominevole, „e contro ogni umanità, e giudicando che ridondava a gravame „non piccolo e ad infamia della città, che 1' umana specie, fatta ad „imagine ed a similitudine del creatore, si debba convertire in uso „mercimoniale, e si venda, come si smerciano gli animali bruti; stabilì perciò ed ordinò che in avvenire nessun distrettuale „o forese, abitante nella città di Ragusa, o nel suo distretto, „o chiunque altro eziandio, che chiamisi raguseo, non possa per „nessun modo, pretesto od intendimento, ardire e presumere di ^comperare vendere alcun schiavo, alcuna schiava, esser ^mediatore in siffatta mercanzia, come nemmeno tenere società „a parte con chicchesia, cittadino forese, il quale facesse „o mantenesse tale esercizio; decretando per pena al contravventore „per ogni volta sei mesi nelle carceri profonde di Ragusa, e per % „ogni capo 0 persona, che avesse venduto o comperato, o per cui „si fosse fatto mediatore o partecipe, che doveva pagare 25 ipper- „peri, e mai cominci il termine di sei mesi di carcere, finché non „soddifaccia la pena pecuniaria. Ordinò parimenti che nessun fo- „rastiere, di qualsisia condizione, in nessun modo osi o presuma „di fare o esercitare siffatto mercato entro il distretto di Ragusa, sotto le pene comminate di sopra. Parimenti che nessuna barca, „nave, o vascello dello Stato di Ragusa in verun modo osi o pre- „sunia trasportar tali schiavi e schiave, sotto pena al capitano di stare sei mesi nelle carceri profonde per ogni singola contravven-

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^zione, ed ai inannai di star siuiil mente ciascuno nelle stesse car- „ceri profonde tre mesi."

Ragusa adunque abolì il nefando e turpe mercato della schiavitù già nel sec. XV, mentre a ciò nemmeno si pensava dalle altre colte nazioni. Appena nel 1807, a mezzo dell' energica protesta del primo ministro Fox, presentata alla Camera dei Comuni in Inghilterra, dopo gì' inutili sforzi della santa crociata, iniziata dal 1780 in poi da Tom. Clarkson, Gugl. Wilberforce, e dal gran Pitt, fìi sancita la legge che aboliva il traffico degU schiavi sui basti- menti inglesi, che annualmente trasferivano a torture morali e fìsiche da 60.000 esseri umani, nelle loro colonie! Ciò non ostante il go- verno tollerava tuttora la schiavitù nelle proprie colonie, ed appena nel 1834 il parlamento la abolì.

„Ciò che la grande Inghilterra con giubilo della umana fa- „miglia deliberava nel 1807, la piccola repubblica di Ragusa ^ aveva deliberato nella sua cerchia di giurisdizione trecento no- „vantaun anno prima!

„Nè vi sia chi sorrida al paragone dell' influenza che ottenne nella colta Europa la legge della grande Inghilterra, su quella dell'umile repubblica slava, la quale, quando vogliasi riguar- „dare nei suoi possessi, appena si trova sulle carte geografiche; ^ma quando si consideri che questa aveva nelle più commerciali ,j città del mondo le sue colonie, le quali avevano diritto e dovere jjdi reggersi a leggi patrie; che specialmente le coste dell'Asia ^al Mediteraneo , ove la repubblica aveva istituito i più ricchi ed „i più fiorenti suoi fondachi, avevano duopo di tale mercato; che ^i suoi quatrocento vascelli, falchi del mare, come li chiama „un poeta, solcavano a quell'epoca i mari in tutte le direzioni, specialmente le coste della Spagna, dell'Africa, dell'Arcipelago, y^e del Mar nero; e finalmente che tutte e colonie e navi soggia- ce vano alla sua giurisdizione le proporzioni non sono poi tanto „a dismisura inconfrontabili; quanto sembra al primo aspetto.

„Di quanto nella civihzzazione vera ha precorso la piccola re- ^pubblica di Ragusa non solo la grande Inghilterra, ma „tutte le altre contrade dell'Europa! Ed i molti legati pel riscatto ^degli schiavi, le rendite dei quali ora si versano nella cassa era- „riale, sono testimonianza dell' umanità, che da secoU professano i «ragusei." (Manuale della Dalmazia III.)

IV.

Stato attuale di Ragusa.

Uhi si porta a visitare la città del passato, e si sbarca nel vicino porto di Gravosa, non può a meno di non restar tosto col- pito dalla grata impressione d' un magico panorama. Seminati fra il verde allegro d' una lussureggiante vegetazione , ed il cupo de' cipressi e degli ulivi, vede dapertutto signorili casinetti, e gentili abitazioni, che si specchiano nelle onde d' un placido mare. Ovunque passa gli si affacciano ameni giardini, sepolti sotto un lusso quasi tropicale di piante; e giunto alla cima del colle, spazia coli' occhio a destra la collina che con ripido declivio discende al mare; ed alla sinistra un dolce pendio su cui fanno mostra di se e belle case e vaghi giardini. Prosegue in mezzo ad una collina, intersecata da mille viuzze , dall' una e dall' altra parte abbellita da signorili pa- lazzotti, e geniah abitazioni, e vaghi giardini, adorni di olezzanti fiori, di aloè, cacti, fichi d' india, palme, cipressi, pini, mirti, ulivi, mandorli, fichi l'esotico in somma ed il nostrano, 1' utile ed il dolce, con tutto il pittoresco che magicamente s'impossessa de' suoi occhi.

Egli è alle P i 1 1 e sobborgo occidentale di Ragusa dove la natura profuse quanto di bello aveva. Innanzi vi scorge la città, tutta quanta cinta da grandiose medievali muraglie, circondata da parte di terraferma di ampio e profondo fossato; dietro a cui, nuove abitazioni , nuovi giardini uniscono il borgo Pille all' altro sobborgo ad oriente , chiamato P 1 o e e e , più erto e meno vago del primo, ma non perciò meno interessante. Fra una lussureggiante verdura, si scorge in fondo il romantico or soppresso monastero benedettino di s. Giacomo, eretto nel 1222, fiorente una volta d'illustri

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personaj^f»i , dove giacciono le mortali spoglie del 'rtiberone e del Giorgi; quindi la vasta e profonda spelonca di Bete (spila Be- tina), ove il celebre matematico Marino Glietaldi scendeva coi suoi specchi ustori a rinnovare le esperienze di Archimede e di Proclo. Gli danno poi un' aria di grave interesse i" vasti edifizi , eretti nel sec. XV. sulla riva del mare ad uso de' lazzaretti e fondaci, a de- posito ed espurgo delle \iierci, come pure 1' esteso recinto del baz- zarro e carovane turche, dove a memoria della presente generazione, si atlollavano ed atfacendavano genti di tante stirpi, di tante lingue, di tante foggie di vestito, per cui una spiritosa viaggiatrice tedesca^ ebbe ad esprimersi, che il mondo orientale incomincia precisamente dal sobborgo P lecce. Infine lo anima il vago aspetto della vicina isola di Lacroma , prediletto soggiorno una volta dell' Arciduca Massimiliano.

r uno che 1' altro sobborgo più volte erano presso che distrutti per ordine della repubblica stessa ne' pericoli di nemiche aggres- sioni; ed al principio di questo secolo non poco ebbero a soffrire neir invasione russo-montenegrina. Erano una volta molto più po- polati; e tuttora si osservano in alcune locahtà de' ruderi, dove altre volte vi erano copiosi edifizi.

Fra i due sobborghi è la città, posta al pendio del monte e sullo scoglio, fra i gradi di latitud. 42 : 39' e di longitud. orientale 35 : 50', aprendosi con due porte, ad occidente e ad oriente. A di lei diffesa sta sulla vetta del monte s. Sergio, alto 1200 piedi, il forte Imperiale, eretto da' francesi, all'epoca della loro domi- nazione a Ragusa, e dilatato indi dall' attuale governo ; un secondo, sulla cima dell' isola di Lacroma , fabbricato pure da' francesi , ed ampliato dagli Austriaci; ed un terzo, s. Lorenzo, su una roccia protendentesi nel mare, ad occidente della città, nel sobborgo Pille, fabbricato dalla repubblica ragusea nel 1038. Alla fabbrica di quest'ultimo, dicesi, avesse dato occasione il secreto progetto de' veneziani, per impadronirsene della detta rupe, ed erigervi un forte, da cui dominare la città. Avvertiti di ciò i ragusei, con prodigiosa sollecitudine cinsero di mura la roccia, munendola di stromentt di difesa. Al giunger della flotta veneta, il forte s. Lorenzo, surto quasi per incanto, eludeva ogni loro progetto di sorpresa; laonde istizziti pel fallito colpo, presero la via di levante, e per risarcirsi delle spese inutilmente incontrate, scemarono di un quarto la paga ai galeotti, i quali, d'allora in poi, chiamavano questa fortezza col

* Ida V. D ii r i 11 g s f e 1 d.

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nome di Mal paga. Compresane l'importanza strategica, i ragusei la ingrandirono com' è al presente. Alla porta vi posero la seguente iscrizione:

Si nova vis Superum urgeret Thiphoea teuentum Haec habeant illum moenia, tutus erit.

E nel 1750 circa, la sostituirono col seguente verso: »

Non bene prò toto libertas venditur auro.

Ed intorno al labbro d'un pozzo del castello, si leggeva:

Quas natura negat^ dat aquas custodibus arcis Ars; jam pelle sitim, quisquis amicus ades.

Tutta r archittettura di Ragusa consiste nelle mura. Queste sono grandiose; quindi belle. Furono fabbricate dal sec. XII in poi, e munite d' una seconda cinta da parte di borra e d' un profondo fossato neir anno 1453, quando il turco invase l' impero orientale. E poco dopo (1463) venne eretto da parte di levante il colossale forte Re V eli in 0; chiamato pure Fortezza Pia, per aver il pon- tefice di questo nome secondo, sussidiata per tale scopo la repub- blica, avendo voluto render Ragusa punto centrico delle operazioni strategiche centra il turco. E' un baluardo quasi triangolare, isolato ed imminente alla porta orientale della città, e che, secondo 1' uso delle antiche fortificazioni, ha più piani, sostenuti da pilastri, e masiccie volte. Nel 1538 vi vennero fatte nuove aggiunte sotto la direzione dell' ingegnere Antonio Ferramolino ; e sulla porta della città venne inciso il seguente distico:

Este procul saevi, nullum haec per saecula Martem Castra timent, quae fovet aura Senis.

Suir angolo delle mura da parte di borra-tramontana ergesi una maestosa torre rotonda , chiamata Mincetta (dal cognome della nobil famiglia Menze o Mincetic) che in proporzioni relativamente minori rassomiglia a quella di s. Angelo a Roma; e fabbricata sul luogo dove già anteriormente v' era un piccolo forte- d' istesso nome, sul modello presentato dal maestro Mchelozzi, e compiuta, con alcune riforme, da Giorgio Matajevic da Sebenico (1464), allora al semzio della repubblica pella fabbrica del palazzo Rettorale. Suc- cessivamente nel 1538 fìi ampliata dall'ingegnere Ferramolino.

A difesa dalla parte del porto , dirimpetto al Revellino , avvi il forte Molo, detto pure di S. Giovanni, attaccato alle mura della città. Esso venne eretto nella forma attuale 1' anno 1485, sotto la direzione dell' ingegnere raguseo Pasquale di Michele, che fece

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pure la scogliera a riparo de' navigli nel porto; come lo attesta un' analoga iscrizione collocata nella sacristia de' domenicani.

Molti altri baluardi e bastioni quìi e si ergono sulle mura.

Un ponte ad arcate, eretto nel 1403, fiancheggiato da ambi i lati da alti pioppi che si elevano dal fossato, in cui s' insinuano le spu- manti onde del mare , che talvolta s' inalzano sovra i bastioni, conduce dal borgo Pille alla città. Passando il ponte, e discendendo per la tortuosa strada lungo le mura, si apre innanzi un lungo, regolare e vasto stradone, alla foggia de' corsi in Italia, che taglia pel mezzo la città, e si estende dall' una all' altra porta. Alla destra si presenta un antico e grande bacino , da cui costantemente zim- pilla l'acqua, e dietro allo stesso l'Arsenale d'Artiglieria, vasto edifìzio, una volta convento delle Clarisse. A sinistra vi si osserva un elegante tempio dedicato all' Ascensione di N. S., indi la chiesa coir annesso convento de' francescani.

Tanto a destra che a sinistra, in tutta la lunghezza dello stradone, si vedono semplici ma eleganti edifizt, di pietre quadre, da due a tre piani, presso che di uguale altezza e forma, fabbricati in tal guisa dopo il terremoto per ordine del Senato , ond' evitare nuovi disastri, in caso di nuove scosse di terremuoto.

Lo stradone fu anticamente un canale di mare, che separava lo scoglio Lavve dal pendio del monte, e che nel sec. XIII venne livellato a piazza.

Innanzi all' epoca del terremoto lo stradone era molto più largo, e fiancheggiato da ambi i lati da superbi edifizì alti da quattro o cinque piani , simili ad alcuni superstiti che ancor si ammirano in altri punti della città; ed in tutta la lunghezza a man sinistra vi erano, dinanzi agli edifizt, loggie con sottopostivi negozi; ed in mezzo allo stradone dal lato stesso, una chiesa dedicata ai ss. Mar- tiri Cattarini, Pietro, Lorenzo ed Andrea.

In fondo allo stradone, a man sinistra, si ammira un massiccio ed elegante edifizio, con davanti una superba loggia alla veneziana, sostenuta da colonne; edifizio una volta della zecca e dogana, ora dell' Intendenza con annessa Dogana e Demanio.

D' appresso avvi 1' altra porta della città, che conduce lungo la chiesa ed il convento de' domenicani , attraverso il forte Revel- lino, all' altro sobborgo di Plocce.

Sopra la porta stessa ergesi un' alta torre coli' orologio , e di sotto vi è r antica loggia per la guardia militare. A destra si estende un altro piazzale, che fa angolo retto collo stradone; e da una

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parte si ammira l'elegante tempio di s. Biagio, ed a sinistra il palazzo Municipale, indi quello del Rettore della repubblica, ora del Capo politico del distretto, chiudendo tale braccio di strada la chiesa cattedrale.

La città oltre allo stradone, che la divide in due parti, ha due altre calli principali, che lo fiancheggiano paralellamente. Indi oriz- zontalmente una quantità di calli secondarie la tagliano con regolarità.

Palazzo ducale. Il più importante edifizio è il palazzo una volta del Rettore della repubblica, costruito dal 1412 al 1424. Guasto dall'incendio appiccatosi al contiguo arsenale nel 1435, venne rifabbricato dall' architetto Onofrio Giordano della Cava, napohtano il quale ornò la parte inferiore del palazzo con colonne e bellis- simi capitelh. Rovinato da nuovo incendio (1463), venne ristaurata la parte superiore da Giorgio Matajevic, da Sebenico , 1' architetto della magnifica Cattedrale nella sua patria, dopo che per qualche tempo innanzi era affidato il disegno a Michelozzi, e l'ispezione della fabbrica a Marino da Rugia. Nel grande terremoto ebbe pure a soffrire non indifferenti danni , e fìi ristaurato dall' ingegnere GiuHo Cerutti, spedito a tal fine pei bisogni della città dal ponte- fice Clemente IX.

E' di stile italiano, dell' epoca di Renaissance; poggia sopra volte sostenute da colonne con capitelli superbamente lavorati, ed adorni di magnifici rilievi ed imniaginart simboK. Il De Diversis, contem- poraneo al lavoro eseguito dopo il 1435, descrivendo le sculture di cui sono ornati i capitelli delle colonne che sostengono il portico, ci racconta, che il concetto di quel capitello rappresentante Esculapio co' suoi emblemi, sia dovuto a Nicolò Lazziri, nobile cremonese, cancelliere della repubblica, di cui è pure la seguente iscrizione, incastrata nel muro sotto il portico^ sopra la porta dell' antica Te- soreria, dappresso al capitello della colonna, in cui fa cenno della tradizione che Esculapio fosse nativo da Epidauro:

Munera diva Patris, qui solus ApoHinis artes Invenit mediceas, per saecula quinque sepultas, Et docuit gramen quod ad usum, quodque valeret, Hic iEsculapius caelatus gloria nostra Ragusii genitus, voluit quem grata relatum Esse Deos inter veterum Sapientia patrum, Humanas laudes superaret rata quod omnes Qua melius toti nemo quasi profuìt orbi.

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Sotto il portico inedecimo, a mano sinistra, si lej,^ge pure la se- guente iscrizione, incisa in una forando lapide, ed incastrata nel muro :

Civitati Ragusei nobiles providentissimique Cives Blasii martyris pontifi.que Praecl. hujus Epidaurae RagusaeCivitatis patroni auspicante Nuniine Ad prid. iduum sextilium aug. faustum feliciss.que diem Ex S. C. et amplissimi or- dinis decreto Atrium Praetorianum hoc insigne ut pubi. Civit. Aulam et Senatoriam aedem Aed. optumis Curanib. V. Vir. optimm. in omnem oportunumq. praesentem et po- steritatis Usum aere publico Dicandum exornandumque d edere.

K. A.

A.D. M.CCC.XXXV. Sigismundo Imp. A II.

Tutto il palazzo forma un quadrilatero. I lati interni poggiano su volte sostenute da semplici ma solide colonne. Nell'atrio inteiiio, un piedestallo quadrilatero di pietra sostiene una statua in mezzo busto, ricoperta di lastra di rame; monumento eretto dalla repub- blica alla memoria del benemerito cittadino Prazatto , come lo attesta la relativa iscrizione sulla faccia anteriore della base:

Micliaeli ~ Prazatto Benemerito Givi ex S. C. A. M.DC.XXXVm.

E sulla faccia laterale a sinistra si legge :

Conlapsa maximo Terraemotu A. M.DC.LXVII Erecta qua Superstes A. M.DCC.LXXXIII.

Quest' è r unica statua che la repubblica abbia eretta ad un proprio suddito.

Sopra la porta interna poi, che conduce nel palazzo ducale, in una nicchia avvi un angelo, e sulla fascia che tiene fra le mani, si legge la seguente iscrizione:

Pio. Justo. Providoq. Rag. Senatui. Vicio. Vacanto. Caeteris. Specimen.

Nella sala di ricevimento si ammirano parecchie pitture ad olio, tra le quali un Adone e Venere di Paris Bordone.

Statua d'Orlando. In un cantuccio nell'atrio interno del detto palazzo si trova steso per terra un colossale pilastro, 12 piedi vienn. circa di lunghezza, su una faccia del quale è rappresentato in rilievo un guerriero ricoperto di armatura, colla spada sguainata

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nella destra. Questo pilastro, collocato su un apposita base, e mu- nito alla parte superiore d'un parapetto di ferro, stava dinanzi la chiesa di s. Biagio, la loggia, e l'arsenale ; e serviva di sostegno all'asta, su cui sventolava il gonfalone della repubblica. A pie di questo pilastro, ne' tempi andati, solevano frustare e bruciare la barba ai condannati per conpartecipazione a delitti; e sulla base stessa v' era segnata la misura del braccio raguseo (51 centim.) ad uso di coloro che vendevano i tessuti.

Questo pilastro era chiamato col nome di Orlando; anzi era in proposito coniata una leggenda, ripetuta da molti cronisti. Nar- ravano, qualmente il prode nipote di Carlo Magno, il paladino Or- lando, avesse sbaragliato su una galera ragusea, presso Lacroma, un corsaro, di nome Spucento; e che la repubblica gli abbia inal- zato per gratitudine questo monumento. Simili pilastri battezzati pure col nome di Orlando, e destinati ad egual uso come questo a Ragusa, si trovano a Brema, e nelle altre città libere della Germania, come anche a Venezia il piedestallo Lomhardis, eretto nel 1505.

Ai sei di gennajo del 1825 un tremendo uragano atterrò questa patria memoria, ed allora fu trovata nelle sue fondamenta una lamina di rame, colla seguente iscrizione in carattere semigotico:

M.CCCC. . . Ili di maggio Fatto nel tempo di Papa Martino quinto e nel tempo del signor nostro Sigismondo impe- rator Romanorum et semper augustus et re d' Ongaria e Dalmatia et Croatia etc. messa questa pietra et sten- dardo qui in honor di Dio e di santo Biasio Nostro Gonfalon. Li officiali

Alcune cifre del millesimo sono consumate; ma congetturando dall' epoca in cui regnarono Sigismondo e Martino V., e calcolato lo spazio del vacuo, questo potrebbe riempiersi o col XV, e formare il 1418, ovvero col XX, e risultare il 1423. Due linee che segui- vano all' ultima parola, sono oramai assolutamente indecifrabih. La detta lamina è attualmente nel Museo comunale.

Questo pilastro, da queir epoca in cui fìi atterrato dall' uragano, a tutt' oggi, giace nell' atrio del palazzo ducale, ora del Capitanato, attendendo una mano che lo sollevi dall' obblio.

Archivio della repubblica di Ra'jusa. Presso il Capitanato distrettuale sono conservati in apposite due stanze gli atti dell'an- tico archivio politico dell' ex-repubblica di Ragusa, e formano un

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complessivo di 1450 volumi circa, di i^.Of) regolari fascicoli, oltre a molti involti di documenti turchi.

Fra i volumi che presentano maggiore interesse, sono quelli delle Riformazioni, e del Consiglio de' Pregati, per gli anni dal 130G tino al 1802; quelli del Maggior Consiglio dal 1415 fino al 180G; quelli del Minor Consiglio dal 1415 1805; volumi 138 di Lettere e Commissioni di levante, cioè lettere regi- strate, scritte agli agenti, consoli, ed incaricati d' aftari, dal 1339 al 1802; volumi 135 di Lettere e Commissioni di Ponente (come sopra) dal 156G al 1802; volumi 22 di lettere e rela- zioni di vari nobili ragusei ed altri soggetti illustri, da Roma, Vienna, Madrid, Napoli, Venezia, ecc. ecc., dall'anno 1605 al 1699; ed il grosso volume in pergamena, detto Matica, dove sono de- scritti i confini e la divisione della maggior parte continentale del già territorio di Ragusa, ceduta alla repubblica per vendita ad al- tro titolo dai baroni e re della Bosnia.

I volumi sopraccennati dei tre Consigli della repubblica mancano però in parte d' indici, e quei pure che esistono sono stati compi- lati in modo, da non otìVire sempre la possibilità di rinvenire fa- cilmente le terminazioni, di cui per avventura si va in cerca. I volumi poi delle Commissioni di levante e ponente, e cosi pure quelli delle lettere e relazioni dirette alla repubblica, non hanno indici, e conviene scorrerli per sapere il contenuto ; molto più, che in una medesima commissione venivano in regola devoluti agli agenti della repubblica, e da quest' ultimi per conseguenza trattati, parec- chi e svariati incarichi. Talché è assai difficultato lo studio sulla legislazione, sulF amministrazione in generale, sulle relazioni poli- tiche, commerciali ecc., di questo piccolo, ma fiorente Stato di una volta. ^

I rimanenti volumi poi dell' archivio politico della repubblica per (juauto sieno di minore interesse, potrebbero ciò non ostante offrire utili dati statistici sui redditi e sulle spese del governo, sulle pri-

' Fra i più distinti cultori della patria istoria, è il nostro esimio Consi- gliere Aulico Paolo cav. de Re s e t a r , il quale durante tutto il tempo dacché in patria presiede all'amministrazione civile, con particolare premura se ne occupò dell' archivio, impegnandone in quello studio tutte le ore libere che i molteplici affari del suo ministero gli consentivano. (ìiova sperare % che questo intelligente e zelante magistrato vorrà compiere anche V altra parte delle sue premurose e patriottiche cure, col publicare quanto prima le preziose memorie che ha estratte da una quantità di volumi; per le quali 0 la patria, o la nazione gli saranno riconoscentisBirao.

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vative riservatesi, sulle speculazioni per conto pubblico intraprese, suir azienda di pubblici istituti e simili. Non sarà fuor di proposito far cenno anche di questi.

I. Libri che trattano sopra diverse materie: 1. Specchio del mag- gior Consiglio, in carta pecora^ dell' anno 1440, 1500, 1600, 1783.

2. Un libro in carta pecora sui maritaggi del ceto nobile dall'anno 1400 in poi. 3. Un libro in carta pecora contenente un compendio di libri degli statuti, e di quelli del maggior consiglio.

4. Un libro -di privilegi in caratteri serviani. 5. Copia de' privilegi dei re di Spagna e Sicilia. 6. Un indice de' privilegi pontifici, e di diversi principi. 7. Un libro : Ricordanza di minor Consiglio del 1608. 8. Due volumi legati in pelle riguardanti le magistrature e cariche pubbliche della repubblica, nonché una tela degli stemmi di nobiltà. 9. Uno specchio di nobili, di Giacomo Miorinis del 1786. 10. Un libro in carta pecora in cui sono re- gistrati gli obblighi, i crediti e debiti della Comune dell' anno 1449, 1582. 11. Un libro: Cambi d'uffizi di fuori, del 1545 e 1600. 12. Un libro di lamenti politici dell' anno 1417, 1441, 1519, 1537.

13. Processus secreti minoris Consilii, dell' a. 1547.

II. Libri dell' Uffizio delle cinque ragioni; di Salinada etc. dall' a. 1419, al 1808.

in. Miscelanea. 1. Istrumenti per i magistrati, per procedere a norma degli statuti e provvedimenti. 2. Un libri ciuolo di vari provvedimenti e terminazioni dell' anno 1667, 3. Parti de' Pre- gati concernenti la cassa pubblica dall' anno 1667 1785. 4. Prov- vedimenti del senato della repubbhca concernenti 1' uffizio di Sali- naria. 5. Un libro sull' elezione dei capitani di Notte dell' anno 1619. 6. Un libro di esami delle famigUe dei Conti di fuori, del 1619 1645. 7. Un libro d' inventari di robe esistenti nei pa- lazzi de' Conti e capitani di fuori, dell' anno 1638. 8. Delle li- cenze de' Conti per l'assenza dal proprio uffizio dell' a. 1640. 9. Lamenti di Giusticieria dell' anno 1670. 10. Licenze e Pre^ Getti, ossiano pene di Giusticieri del 1667. 11. Miscelanea Ec- clesiastica dell' a. 1746. 12. Indice delle rehquie esistenti nel reliquiario della Cattedrale di Ragusa. 13. Libro di Commissioni dello Stato del 1668. 14. Vacchetta del monastero di s. Chiara.

15. Libro titulario per la corrispondenza coi principi. 16. Ve- rificazione delle terre della Comune nello StatO; del 1521. 17. Libro di salari delle guardie e soldati dello stato del 1614, 1617, 1618. 18. Varie ordinanze del Consiglio de' Pregati del 1777.

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I!). Norme per V elezione di Magistrati. 20. Licenze per la luoiiaca/iuiie. li 1. (Jahella della Sicurtà. 2'J. Capitoli dell' in- curpurazione del monastero di s. Maria di Laeroma colla Congre- gazione di s. (iinstina di Padova.

IV. Lìhri cìie trattano sui legati, monti, e censi imposti sopra beni stabili. 1. Sugli oblighi di legatari del 1444. 2. Libro di Teso- reria relativo ai legati pii, del 1497. :i Indice di legati dell'anno 1549—1606. 4. Monti di Napoli 1660 ecc.

V. Libri concernenti i consolati nazionali e forcMieri. 1. Libro di creazione di consoli nazionali. 2. Parti di Pregati concernenti i Consolati di Levante del 1752. ?>. Consolati forastieri in Ra- gusa del 1757. - 4. Partite accettate dell'uffizio dei Consolati di Levante a. 1762 1807. 5. l'artite ributtate dell' uffizio ecc. del 1702—1807. 6. Conti dei Consolati nazionali .del 1780. 7. Cor- rispondenza coi consolati nazionali, del 1794 1795.

VI. Libri, ossia registri delle scritture turche. 1. Due registri in- titolati: Dona turcarum^ scritti in italiano, del 1566. 2. Un in- ventario delle scritture turche dell' anno 1724. 3. Lettere in illirico del 1729, 1745, 1755, 1780, colle copie italiane. 4. Un libro di traduzioni, di capitulazioni e fei'mani turchi in italiano, di vari sultani. 5. Registro di commandamenti imperiali, hattiscerifi, e capitulazioni, in italiano, del 1784 1785. 6. Un libro ma- xenie, coli' indice, del 1785. 7. Indice delle Burujulti del Passa di Rossina. 8. Indice degli Arzi. 9. Traduzioni di lettere turche.

VII. Libri delV uffizio della Grascia. 1. Un giornaletto dell'anno 1622. 2. Bastardello del 1635—1800. 3. Scandaglio di grani del 1595. 4. Strapazzo del 1637. 5. Copia delle lettere del 1686—1717. 6. Parti di Pregati relative agli oggetti di Grascia del 1687—1774, coi registri dell' anno 1622—1670.

Vili. Minute di lettere per levante e ponente dall' anno 1656, lino al 1788.

IX. Libri diversi. 1. Dell' amministrazione dei Procuratori di s. Maria Maggiore, dall' a. 1599 in poi. 2. Dell'amministrazione degli uffìziali sopra le lane dal 1568 in poi. 3. Dell' ammini- strazione de' Tesorieri. 4. Repertorio di Privilegi, Bolle e Brevi Pontifici. 5. Copia dei privilegi accordati da S. M. Catto- lica nei di lui regni. 6. Libri dell' Uffizio di Navigazione, coi nomi dei commandanti di navi. - - 7. Matricole delle Confraternite : a. dell'Immacolata Concezione: b. di s. Anna; e di s. (ìregorio;

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d. di s. Michele In Gravosa ; e. di s. Maria dell' isola di Mezzo ; f. di s. Michele di Goinje Mrciiie in Canali; g. di s. Giovanni in Valdassi. 8. Libro della fabbrica della chiesa del duomo di Ra- gusa. — 9. Contratti dell'anno 1377. 10. Testamenti dall' anno 1363 1807. 11. Lettere dei principi e primi ministri ecc.

X. Un grosso lihro^ in 'pergamena, su cui sono state trascritte le bolle d'oro, i diplomi, e le lettere degli imperatori, re, principi^ duchi^ della Servia, Bosnia e Turchia, in lingua slava^ copiato su pergamena nel XV. secolo ; e nel quale non si contengono sola- mente i diplomi e le lettere pubbHcate nel 1840 sotto il nome di „Srpski spo menici" a Belgrado, e di cui gli originali in gran parte si trovano nell' Archivio di Corte a Vienna, ma pure molti altri documenti dei quali sono periti gii originali , laonde le dette copie sono di grandissimo interesse.

Fra gli atti sciolti e contenuti nei 356 fascicoli, il più antico era una Bolla del Pontefice s. Zaccaria^ del 743, colla quale veniva confermato il pallio all' Arcivescovo di Ragusa. L' originale però, come pure parecchi altri documenti originah, che facevano parte dell' archivio della repubblica, oggidì sono conservati nell' L R. Archivio di Stato e di Corte in Vienna. Molte Bolle e Brevi di vari pontefici; convenzioni stipulate dalla repubblica con comuni dalmate, albanesi ed italiane, coi Bani e Re della Bosnia e della Rascia ecc. ecc., riferibili ai secoli dal 12 al 1.5; privilegi accordati in diverse epoche, più o meno remota, alla repubblica dai principi slavi, dai re di Francia, di Spagna, e di Sicilia ecc. ; formano senz' altro la parte più importante degli atti contenuti nei suddetti fascicoli. La massa però consta di relazioni e corrispondenze di vari agenti ed incaricati della repubblica presso le varie corti in Europa, ed in oggetti svariati, ed arriva all' anno 1808.

Tutti questi atti volanti sono riportati in un apposito protocollo degli esibiti, redatto nelF anno 1817. in un ai relativi Indici, dal già scrittore pretorile Luca Curlica, per ordine dell' L R. Governo. GÌ' indici però al par de' protocolli lasciano molto a desiderare ; mentre sotto un numero solo sono comprese talvolta molte relazioni fatte, da una identica persona, ed in date differenti, alla repubblica. Il lavoro peraltro è sempre utile per chi intende di fare degli studi in questo archivio.

Oltre agii atti di sopra menzionati, vi esistono molti autografi in turco, concernenti le relazioni della repubblica colla Porta Ottomana, e contenenti Capitolazioni, Feimani, Comandamenti imperiali, Hogget,

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Arzi, e Burujiilti dei Pascià della Bosnia; dei più importanti dei quali avvi la traduzione nel sopracitato volume sub Nro. X.

lutine oltre ai summentovati L450 volumi, evvi presso il Capita- nato un grosso numero di libri sotto il titolo di y^Lamenti di Me- leda"", ossia procedure per fatti punibili di minor entità, trattate dai Conti di Meleda ; volumi che furono rimessi in massa, e non ordinati dalla cessata Pretura mista di Stagno.

Gli atti concernenti la parte Giudiziaria sono in custodia presso il locale Tribunale Circolare. Sono conservati in una grande sala; ed i volumi sono divisi nelle seguenti categorie: 1. Vendita di Can- celleria dall' anno 1351 al 1815; 2. Diversi di Cancelleria dal 1275—1814; 3. Diversi di Foris dal 1593—1815; 4. Sen- tenze di Cancelleria dal 1352 1815; 5. Diversi di Notarla dal 1313—1811; 6. Testamenti di Notaria dal 1282 al 1814; 7. Mobile ordinario dal 1475 1815; 8. Stabile ordinario dal 1465 1814; 9. Navigazione, oggetti diversi dal 1552 1808; 10. Intentiones Cancelleriae del 1380 al 1815; 11. Aptaj dal 1594—1802; 12. Lamenti criminali dal 1407—1810; 13. Di- versi possessi del Criminale dal 1513 1809; 14. Distributiones testamentorum dal 1349 1530; 15. Dotium Notariae dal 1300 al 1811. Oltre a ciò vi sono parecchie opere stampate di giurispru- denza del sec. XYII e XVIII; come pure il libro Verde, ed il Croceo.

Gli atti relativi alla materia Sanitaria, trovansi presso l'Uf- fizio di Porto e Sanità Marittima ; e presso la Dogana gli altri atti i risguardanti gì' interessi del Demanio.

Palazzo Municipale. In prosecuzione al pallazzo ducale, ora del capitanato, vi è quello del Municipio, fabbricato nel 1867. >

Al suo posto stava anticamente un semplice ma maestoso edifi-- zio, per le radunanze del maggior Consiglio legislativo e del senato. Sulla porta interna della gran sala, quasi un ricordo ai membri del consiglio, vi era quest' iscrizione :

Obliti privatorum, publica curate.

Ed all' ingresso della sala del minor Consiglio, sovra la porta vi era una scultura, rappresentante la Giustizia, con un involto nella mano, su cui si leggeva:

Jussi summa mei, sua vos cuicuraque tueri.

Dietro a questo edifizio vi era anticamente l'Arsenale; indi vi venne eretto un teatro, ed una parte dell' area venne destinata per le pubbliche carceri. Distrutti tutti questi editìzt dal fuoco nel 1816,

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in un lato interno furono fabbricati i forni militari; il rimanente fu demolito nel 1867, per dar luogo, nella parte interna, ad un ele- gante teatro, e sulle fondamenta del palazzo del maggior Consiglio, fu eretto V attuale palazzo Municipale.

Neil' atrio del nuovo palazzo venne collocata V anno 1870 la la- pide, che una volta fregiava la sala del maggior Consiglio, inalzata alla memoria dell' ilustre Nicolò Bona, su cui è incisa la seguente iscrizione :

D. 0. M. Nicolao de de Bona Joannis filio singularis prudentiae Senatori, qui difficilimis reipublicae temporibus gravissima legatione sponte suscepta ad vicinum Bossinae Proregem, et ab eo per vim in Silistriam transmissus, ibi diuturno in carcere prò patriae 11- bertate catenatus obiit morte ipsa, animique constantia immor- talitatem nominis in omnem posteritatem promeritus, hoc ex Senatus Consulto monumentum honoris et memoriae positum anno MDCLXXVIIL

Sotto la medesima lapide, nelF occasione del suo collocamento neir atrio del palazzo, venne posta la seguente iscrizione:

Qui lapis Veterem aulam Senatoriam incendio et temporum casibus corruptam Diu ornaverat In vestibulo Oedium Civicarum positus est Ex Consilii public! sententia A. D. XI Kal. Sext. M.DCCC.LXX.

Museo patrio. Nel piano superiore del detto palazzo trovasi collocato un ricco ed interessante museo di oggetti naturali; archeo- logici, e di molte altre rarità. E' creazione dell' esimio nostro com- patriotta Cav. Antonio Drobaz, il quale colla sua rara intelligenza, con solerte pazienza, e non tenue dispendio, ha fatto conoscere, quanto l' energia ed il patriottismo di un sol uomo, possano contribuire all' onore ed al bene della patria.

Si trattava di promuovere l' istruzione tecnica , e facilitare al Ministero la concessione di una scuola Reale Superiore a Ragusa. Il signor Drobaz, quale preside della Camera di Commercio, con- cepì il vasto disegno della formazione di vari gabinetti (1867); e mercè i larghi e generosi doni accordatigli dalla Munificenza sovrana, ed il patriottico zelo de' ragusei , che efficacemente lo coadjuvarono nella nobile intrapresa, in breve tempo potè vedere ubertosamente coronate le sue fatiche, ed eretto un museo di storia naturale, da far onore a qualunque città la più distinta.

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Il Municipio mosso cìiil patrio amore, e dall'utile che derivar ne poteva alla pubblica istruzione, ott'rì ad uso dello stesso la metà del piano superiore del suo nuovo palazzo ; e la Camera di Com- mercio ed il signor Drobaz cedettero in corrispettivo tutti i loro diritti sulle collezioni esistenti; di comune accordo intitolandolo Museo patrio (1872).

Costituita la direzione nelle persone dei signori Paolo Cav. de Resetar, i. r. Consigliere AuHco e Capitano Distrettuale, dell'Av- vocato Matteo Dr. de Zamagna, e del Cav. Antonio Drobaz, a quest' ultimo venne aftìdata la presidenza a vita , colla facoltà di poter nominare un sostituto, e poscia il successore, che funzionasse tino alla nomina di un presidente definitivo. E per la manutenzione del Museo, tanto la Comune, che la Camera, si obbligarono ognuna alla corrisponsione di annui fiorini 50.

Da obblazioni spontanee poi, e dal ricavato di due accademie, e da qualche pubblico trattenimento con lotterie, vennero costruite le vetrine, gli scattali, gli armadi ecc., colla spesa di fio. 3500; per se stessa vistosissmia , quando si pon mente alle ristrettezze economiche del paese. Nell'aprile 1873 seguì la solenne apertura; e regolarmente il museo è aperto per il pubblico ogni festivo dalle ore 10 antira. ad un ora poni., e per i forastieri e per la pubblica istruzione in qualunque ora del giorno.

La grande sala è divisa in quattro sezioni. Nella prima vi è un'abbondante raccolta Archeologica. Si osserva un vestito completo, col manto di finissimo damasco rosso , del Rettore della repubblica , Y uniforme Consolare di panno bleu con ricami in oro, ed una piccola bandiera repubblicana. Vi sono inoltre vari sigilli di diversi uffizi, nonché coni e ponsoni di monete , ed una delica- tissima bilancia , con altri oggetti , che appartenevano alla zecca ragusea ; inoltre parecchie patenti di capitani a lungo corso, diplomi consolari, lastre tipografiche in rame con incisioni, stemmi gover- niah, ed una quasi completa collezione di monete repubblicane. A ciò si aggiunga una pinzetta d' argento , a forma di forbice , con lunghissime branche , che serviva per somministrare il viatico agli appestati.

In apposita vetrina, sormontata dalla Corona Messicana, si con- serva il manto tricolore (Zerape) ed un bastone delF indimenti- cabile Imperatore Massimiliano ; oggetti che S. A. I. R. V Arciduca Francesco Carlo, padre del defunto, aveva spediti al Cav. Drobii/. Nello stesso armadio si conserva un busto d'alabastio. rappresenUmtt*

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r Imperatore, ed alcune opere, in magnifica legatura, dedicate allo stesso dai rispettivi autori, e di più due idoletti messicani ; il tutto avuto in dono da S. A. I. R. V Arciduca Lodovico Carlo, fratello del defunto imperatore.

Avvi poi una straordinaria quantità di vasi etruschi di varie forme, di diverse epoche, di differenti grandezze, teste e vasi greci, fenici, e romani, amfore, vetri greci in vasi, candelabri^ coppe ecc. ; lampade egiziane, e lucerne di mille stampi ; a profusione poi amu- leti e deità pagane in terra cotta e metallo.

Un separato armadio raccoglie una quantità di oggetti chinesi e giapponesi ; dipinti, stampati, ricami singolarissimi, lavori in avorio, e porcellana. È di generale ammirazione un pajo di smisurati vasi giapponesi sovra appositi piedestalli di legno particolare, ed un altro pajo di vasi chinesi, ad esagono, valutati dagl'intelligenti a cinque mila franchi per pajo ; come pure un servizio pel thè, esilis- simo, con i rispettivi vasoi, ed un altro giapponese per lavamano; oggetti di sommo valore , che insieme a molte altre rarità, furono generosamente donati dall' illustre nostro compatriotta Cav. Fran- cesco Amerling, e che per la loro rarità e per la provenienza atti- rarono particolare attenzione di Sua Maestà , quando nell" Aprile dell'anno 1875 Ilagusa ebbe T alto onore di esser visitata dall' Au- gusto Monarca.

Chiude in fine la detta raccolta una ricca collezione di scudi» lance, e mazze persiane, arabescate in oro, lame della Nubia, vaiì elmi, e diverse armi antiche e di epoche più recenti.

La seconda parte della sala è destinata pella Mineralogia e Geologia. Si vedono sopra ben lavorati sostegni, e disposti se- condo il sistema di Hauy oltre 5000 minerali, dalle calci carbonate, alle sostanze fitogeni. Al completamento del quadro sistematico vi contribuì l' Istituto delle miniere della Paissia, con un superbo dono di esemplari di topazzo giallo, di smeraldo acqua marina a prisma essaedro dell' Ural, di tormalina violetta cilindroide, di grossa pepite di platino e grani della stesso, d' Iriodismina , di un grande pezzo di malachite in massa mammelonare verde carica, di bellissimi esemplari di Soimonite, Kukrinite, Uralortite, ecc.; di alcuni mine- rali di Titano e Schelinio, e di un aerolite caduto nel 1864 nel villaggio di Seidlitz. Si trovano esemplari molto rari di calce car- bonata e solfata, vaghissimi di tiuato cubico levigati, abbondante numero di quarzi di tutte le forme e colori; e primeggia un inte- ressantissimo cristallo di quarzo jalino pri^maiico aero-idrato, con-

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tenente due goccioline d'acqua, le quali coir inclinazione del cristallo stesso scoccano nel suo interno, che il cav. Drobaz ebbe in dono dal di lui professore Antonio Catullo, jmco prima che questi fosse passato a miglior vita. Si trovano a profusione agate e diaspri va- riegati e levigati. La classe degli autopsidi metallici è ricca di esemplari rari, e di sommo interesse scientifico; ed è completa la collezione de' minerali della Croazia, Slavonia, Slesia, e Moravia.

Nella parte Geologica avvi un' interessantissima raccolta d' Egitto, che fece bella mostra di se alla prima esposizione di Parigi, e che il direttore del museo di Cairo, signor Figari Bey^ spedì nel 18G8 in dono al cav. Drobaz. Le tiene dietro un' abbondantissima rac- colta di conchiglie fossili , del bacino di Vienna , ed un' altra del pari abbondante di fossili e petrefatti di tutte le epoche, di tutti i terreni, avvanzi di mammiferi e rettili, impronte di pesci nei terreni di sedimento e de' vegetali del carbon fossile ecc. Rima- rebbe soltanto ancora da ordinare e distribuire in epoche e terreni a loro propri tutti questi esseri anteriori ad ogni storico ricordo, perchè possa lo studioso, ora che vengono visitate le necropoli pa- leontologiche della Dalmazia, formarsi un' idea del suo terreno ter- ziario pliocenico , e degli avvanzi delle preesistite generazioni. Ed a ciò pure, siam certi, provvederà la solerte ed intelligente attività del cav. Drobaz, appena glielo permetteranno le molteplici sue occupazioni.

È da osservare in ultimo, che il Consigliere di Stato e Direttore del Gabinetto di S. M., Barone Brauu, mentre visitava il detto museO; facendo parte del seguito Imperiale, da perfetto conoscitore che egli è in questo ramo , ne lodò Y ordine , indicando la precisa derivazione di alcuni esemplari, e rettificando alcuni leggeri errori.

Nella sezione terza e quarta della sala si contengono gli esseri animali. Per brevità, seguendo l'ordine sistematico col quale sono collocati, accenneremo soltanto quelle raccolte, e quei singoli indi- vidui, che attirano generale attenzione.

La classe numerosa delle sponghe nel primo tipo, è esclusiva- mente Adriatica. Oltre i bei esemplari tuttora aderenti alle roccie delle quattro o cinque specie usate ne' bisogni della vita , si trova la gigantesca Geodia gigas, una grandissima Hesperia calix, unita- mente a cinque bellissime sue varietà, molte specie di Axinelle e Reniere delle delicate forme, di Ircinie e Sarcotraghi delle ruvide ed informi, le Suberiti, le Tetiti ecc. La raccolta, quantunque nume- rosa, pure non è completa, mancando a Ragusa ugni mezzo per

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condurla a termine. Le sole due specie esotiche che il museo pos- siede , e che fermano F attenzione del dotto e del profano , sono : r Euplectella aspergillum , e la Haylonema spectabilis , vaghissimi esemplari del mar delle Indie, che a prima vista sembrano tessute dalla mano dell' uomo.

La classe degli Antazoi è interessantissima, e si può con certezza asserire, che pochi gabinetti possono vantare un' eguale. La stra- vagante grandezza , e le delicate e fragili forme di alcuni di essi, suppongono una grande cura, e un nobile patriottismo nei capitani ragusei, che seppero custodirU e portarU intatti, per così dire, dagli antipodi. Fra le 150 specie circa, che occupano un lato intero della stanza, spiccano per rarità e particolare tessitura l'Isis hip- puris, la Halomitra pileus, la Coenopsamia nigrescens, le multiformi specie di Madrepore, bellissimi e grandi esemplari, cui tengono dietro le Echinofore, le Meandrine, le Primoastree, le Podabocchie, e simili; ed un immensa quantità di SimfiUie, Cufillie, TrachifìUie, Tridocofillie ecc., che forma un assieme di sommo interesse per > ogni dotto, che a preferenza si occupa di questi esseri, i cui invo- lucri tegumentali variamente disegnati, formano vasti banchi sotto- marini, e sono causa di frequenti disastri marittimi, e di forte danno al commercio.

Nel tipo degli Echinodermi vi sono individui nostrani, misti a moltissimi esotici. In esso figurano i magnifici e rari Asteracanthion solaris, ]' Asteriscus palmipes, la Culcita coriacea, il Goniodiscus pentagonalis del Pacifico, ecc. Vi sono molte specie di Ofiodermi, Ofiolepi del mar del Sud. A lato del nostro Cidaris histrix dei spropositati spini, trovasi il C. diadema. Un avanti un gigantesco Echinus melo de' nostri mari , che fa contrasto co' minuti Psam- mechini ; le vaghe Echinocidari e Toxopneusti, 1' Acrocladia trigo- naria con rari e grossi spini; le belle Mellite, gli Echinodischi, il Brissus columbaris dell' America, i Clipeastri, ecc.

La classe delle Holoturioidee ha pochissimi esemplari, tutti però dell' Adriatico.

Quantunque nel tipo Vermi non sieno rappresentate alcune classi, pure quella dei Briozoi ha molti generi, fra cui distinguesi quello della Hornera, della Retepora, della Lepralia, con strane forme di specie. Le microscopiche Malobesie poi, le Discoparse, Idmonee, Flustre ed altre, sono disposte sopra cartoncini collocati vertical- mente su relativi sostegni.

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Nolla ("lasse docili Annelidi distingiioiisi alcuno specie di Sei'jìule ed Afroditi, V Kuiiice gigantea, e molte specie conservate nello spinto.

Passando al tipo Artropodi, vi si presenta una discreta collezione tli crostacei esclusivamente adriatici. La maniera con cui sono pre- parati e disposti fermarono l'attenzione del celebre professoi'e O. Schmitt, come pure quella di S. M. che li osservò a lungo con particolare interesse, lodandone la direzione.

La classe degli Aracnoidei e dei Miriopodi manca quasi del tutto.

La classe insetti è custodita in 10 quadri. Essa si compone di generi e specie europee,, il tutto ben distribuito nei relativi ordini. Oltre a ciò vi sono alcuni quadri originari del Giappone, che con- tengono alla rinfusa una grande quantità di questi animali di specie singolarissime, e varie altre raccoltine che non vennero ancora clas- sificate, né messe al loro posto, per mancanza di tempo e mezzi necessari.

Le molte migliaja di specie appartenenti al tipo Molluschi tro- vansi collocate e sistematicamente divise in cinque lunghissime vetrine orizzontali. È una raccolta mondiale, in cui hanno contribuito ed i marini di Ragusa, ed i suoi intelligenti raccoglitori, i quali in questi ultimi tempi si resero utili alla scienza. Il solo inconveniente, che la Direzione senza dubbio toglierà quanto prima, è, che i tesori malacologici della Dalmazia non si trovino uniti in una sepa- rata divisione, ma misti a quella del mondo intero. È questione di locali e di moneta per i ripostigli. Lo spazio prefisso per questi brevi cenni non ci permette di parlare a lungo di questa numero- sissima raccolta, accennare in poche righe i pregi, e le rarità ivi radunate. Vi esiste però un catalogo esatto, dietro il quale si può visitare e studiare questa interessantissima parte del regno animale.

Nel tipo Vertebrati, la classe Pesci non è troppo ricca di generi. Sonovi però molti esotici tanto a secco, che nello spirito. Tra le specie nostrane si presentano due bellissimi esemi)lari del Ptero- myzon marinus, molte specie del gruppo degli Squalidi, fra cui la Zygoena malleus, ed un grandissimo Squalus glaucus, e di quello Plectognati gli Ostracion, varie specie strane di Balisti, fra cui un grande esemplare del B. carpinus, raro fra noi. Vengono poi i Diodonti e Tetrodonti di strane forme, F Ortagoniscus mola, un' enorme sega del Pristris antiquorum ecc.

Nella classe Amfibl si trova il nostro Proteus anguis, le molti' Hyle; ed in quella dei rettili, un enorme Boa constrictor, che nelle sue spire tiene stretto un grosso animale, ed un estniplare minore

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ben preparato in istato di riposo; i vaghi e micidiali Elaps cora- liniis et lemniscatus d' America, il nostro Vipera ammodytes, ed il terribile V. cerastes, mio preparato a secco, e V altro nello spirito ecc.

Avvi pure una bella raccolta di Lucertole, due Crocodilli^ molti individui della famiglia dei Cheloniadi, ed una quantità d' esemplari rari ed interessanti di serpenti e sauri non classificati per man- canza di relative opere.

Nella sezione destinata per gli Uccelli, si trova una raccolta mondiale, delle più interessanti specie dell' Asia, come dell' America. Si trovano moltissimi europei assai bene preparati. Gli amici del sig. Drobaz pare che avessero voluto gareggiare con i capitani mercantili, per spedirgli ciò che di bello e d'interessante trovavano nei loro viaggi- Buona parte di queste rarità ci fu dato di vedere tuttora in semplici pelli custodite con cura ne' cassoni, ove stanno attendendo una mano maestra, che li imbottisca, e li collochi nel conveniente posto. Fra tanto tesoro scientifico abbiamo ammirato un' elegantissima Taumalea pietà, forse la Fenice degli antichi, che deve dare il cambio a un' altra un patita , vaghi papagalli , un magnifico struzzo europeo ecc. Il pensare che tanta ricchezza, da figurare in qualunque siasi museo, per la nostra povertà resti occul- tata, vi stringe il cuore. Le risorse del museo sono nulle, e mira- coli maggiori di quelli finora fatti dalla Direzione, non è sperabile che umanamente possano esser fatti. Che pregio non acquisterebbe la collezione di questa classe già per se numerosa, se a canto de' magnifici Fenicoteri, Cigni, Pelhcani, de' variopinti Fagiani, Pavoni, Trogoni, Rampastri ecc., dei minutissimi Collibri, delle belle Strigi, Falchi, Aquile, ed altre centinaja di esemplari di ogni classe ed ordine, si potesse esporre quanto ora giace nei cassoni a detrimento forse del pregio e dello stato perfetto in cui si trovano? Dopo i Grifoni e le Aquile, con cui finisce la classe, vi esiste una raccolta apprezzabile di uova, a cui viene dietro un'infinità di multiformi nidi.

Lo stesso dicasi de' mammiferi. Questa classe dilfettosa nella maggior parte de' gabinetti, potrebbe divenire ricchissima nel nostro museo, colla cooperazione de' patriotti ragusei. È da dolersi, che non conti che poco più di 80 individui, mentre una quantità di pelli rare e costose , buona parte dai centri dell' Asia , unitamente a molte nostrane, stanno rinchiuse attendendo la sorte di quelle degh uccelli. Fra queste vi sono alcune della limitrofa Turchia, ed appena ogni anno si può imbottire un pajo, e ciò per mancanza di preparatore, e de' fondi per sostenere le spese. Quel poco che

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si espone, porta via il tempo prezioso al curatore, che potrebbe impiegarlo in materie di map^gior interesse. Fra i pochi esemplari preparati, trovasi una stra^a-ande Foca comune, presa nel mare di Narenta, il Pelagio monaco, un Canp^uro, una bella (iazzella, un Capreolo, una Dasypracta aguti, più specie di Mustelle, due. specie di Xasue, una Lince, un Tasso, un grande Orso polare, Pipistrelli d'ogni genere, fra cui il i)iù grande fra i mammiferi volitanti, il Pteropus edulis; otto specie di scimmie ecc. Oltre a ciò il museo possiede molte parti ossee e cornee di animali diffìcili d' aversi, come sarebbe di balene , capidolio , pesce spada , rinoceronte , ele- fante, delfino, ecc.

Della Flora dalmata conservasi un erbario di piante fanerogame, mancante di alcune specie che non crescono nel distretto di Ragusa. Delle A,''ame vi è un grosso volume di alghe secche su carta, di cui una parte non è ancora ben classificata, ed una sufficiente raccolta di Licheni.

La bibblioteca- conta appena 40 50 volumi , poco addatti però per un museo. Sono dizionari, contribuzioni, flore, e faune parziali e simili. Opere voluminose e costose mancano del tutto; per cui si stenta, con gran perdita di tempo, e quasi sempre con poca cer- tezza, di classificare quanto affluisce in dono al neo-istituto.

Il museo va alacremente prosperando, e mirabilmente aumentan- dosi, ed è oggetto di ammirazione non solo de" profani nella scienza, ma dei dotti stessi.

Il chiarissimo accademico di Zagabria, signor Spiridione Bru- sina, zaratino, anni fa ancora si era espresso in questi termini: „Fra tanto lavorio de' singoli, e nella quasi generale apatia del «pubblico, unica la nostra Atene, come primeggiò per cultura nelle ^tenebri medievali, così presentemente fa eccezione, vantando un „museo di storia naturale. Ebbi il piacere di visitarlo nel 1868; „mi consta aver fatto poscia grandi progressi, e recentemente du- „rante V apertura della nostra Università (di Zagabria) un distinto «professore deputato dall' Università di Graz , reduce appena da «"Ragusa, mi assicurò, possedere oggetti, i quali si cercherebbero ^invano anche nei principali gabinetti d' Europa. Egli è perciò che ^non solo Ragusa, ma Dalmazia tutta deve esser grata alFinizia- „tore (cav. Drobaz), perchè riempie una di quelle lacune, le quali «sono oggigiorno tanto più sensibili, quanto più le scienze naturali ^acquistano d'importanza, e resistenza dell'anzidetto museo riesce „ad onore di tutto il paese. Prova luminosa a dimostrare quanto

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^potrebbe fare lo spirito cV associazione, se V energia ed il patrio- „tismo d'un uomo solo tanto ha potuto'*. E facendo indi voti perchè in Dalmazia fosse istituito un museo provinciale sotto l'egida della Dieta Dalmata.^ si espresse così: „Circa la scelta della città „si dovrebbe smettere ogni gara di campanile; le scienze non sono .,rettaggio delle città, o de' popoli, bensi dell'umanità. Qual dal- „mata non va superbo di aver comune la patria, con la già repub- ^blicana nostra Atene? Dessa prima si destò, dessa possiede un ,,museo, che se non gi-ande, porta certo un carattere mondiale; lo „si faccia patrio". (Manuale della Dalmazia V.)

Facciamo voti per intanto che l'Eccelsa Dieta Dalmata in uno colla Comune e colla Camera di Commercio, procurino almeno al già adulto museo un annuo assegno, sufficiente per mettere in evidenza il finora raccolto e quanto potrebbe procurarsi da chi ne è preposto alla Direzione , e ciò prima che l' energia del signor Drobaz venga meno per 1' età. E sarebbe pure desiderabile che suo figlio, il quale assolse con distinzione gli studi universitari, e che è tanto amante ed intelligente in questo ramo, succeda al padre nel curatorio. Possa, e lo auguriamo di cuore, sparire in Dalmazia il malaugurato spirito di partito, onde a Ragusa pure inceda rapido il sentimento del patrio decoro, e dell' utile comune, e si propaghi l'amore di quelle scienze che, a' giorni in cui viviamo, oltr' esser questione di cultura, formano il benessere de' popoli.

Corpo di guardia. Una parte del vecchio edifizio del palazzo del maggior Consiglio, non usufruttuata nella fabbrica del palazzo Municipale, ed in sua prosecuzione, serve anche attualmente, come per r addietro, al corpo di guardia ; ed il piano superiore ad abi- tazione del comandante di piazza. Per quanto questo rimasuglio disdica al gusto degli edifizt vicini, ciò non ostante, è ammirato un antico, magnifico, e grandioso portone , che mette dentro al detto corpo di guardia.

Torre dell'Orologio. Sopra il corpo di guardia, e la porta della città, che conduce al borgo Plocce, ergesi un' alta torre, fab- bricata nel 1480 per uso dell'orologio: il quale, dopo qualche tempo, venne rifatto dal francescano Pasquale Balletin. da Canali, come lo attesta la seguente iscrizione, incisa in una lapide rotonda, sotto il disco delle ore:

A.D. M.DCC.LXXXI Opus Paschalis Baletin a Canalibus 0. M. S. Francisci.

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La campana ^ opera del noto fonditore Giambattista d' Arbe, sulla (piale si lejjfj::ono i seguenti distici :

Acta velut Fhoebus distinguit tempora rui-su Terrigenis, pera^^ens sijjjna superna poli,

Sic sonitu nostro numeratur civibus bora; Nocte nionens reipiiem, luce laboris opus.

Baptista Pius Divi l^hisii honori et gloriae Hoc opus fudit A. S. M.D.VI.

Fontana. Tra il corpo di guardia ed il palazzo municipale avvi un'elegantissima fontana, fabbricata dalP architetto Onofrio Giordano ; Y istesso che condusse V acqua da Gionclietto , come si vedrà in appresso.

Dogana. Un fabbricato di grande interesse dopo il palazzo rettorale, è F antico edifizio della Dogana e Zecca, attualmente ad uso dell' Intendenza , Demanio e Dogana ; di stile di renaissance misto al gotico. E' un fabbricato quadrilatero , spazioso , e solidis- simo , cui dinanzi v" e una bella loggia alla veneziana. Neir atrio le volte de' lati interni sono sostenute da solide colonne, se anche non eleganti ; e sotto le medesime sono i magazzeni, che servivano per deposito delle merci, sugli architravi dei quali è inciso un nome di qualche santo.

Sullo scarpello che forma V arco del volto di fronte , sotto cui era appesa la bilancia, si legge la seguente iscrizione:

Fallerò nostra vetant et falli pondera;

Meque pondero, cum merces ponderat, ipse Deus.

In alto poi, sopra la volta istessa, di fronte , leggesi quest' iscri- zione, incisa in una grande lapide:

I. H. S. Numen adorandum. felix et amabile nomen,

Rhacusam titulo prosperiore juva: Imple liostes terrore, fuga formidiue. nostris

Da pateant terrae civibus et maria; Da pateat coelum, tuta omnia sisque saluti Namque salutiferum nomen Jesus habet. A. S. MD.XX. H. C. P. L.

Le ultime iniziali indicano 1' autore dell' iscrizione, cioè :

Haelius Cervinus Poeta Laureatus. Chiesa cattedrale. La i)rima chiesa cattedrale era fabbricata nel centro della primitiva città, nel castello Lavve, ed era dedicata

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agli apostoli Pietro e Paolo. Era a tre navate, in forma di croce; senza dubbio umile, come era umile nel suo primo impianto anche la novella città. Vicina alla chiesa era pure V abitazione del ve- scovo, che da Epidauro seguì la sorte del suo popolo.

Estesasi la città ^ venne fabbricata una nuova più grande catte- drale (1150) nel luogo istesso dov'è l'attuale, e fìi dedicata alla B. Vergine. Dopo breve tempo però venne demolita, per dar luogo alla basilica, fatta erigere da Pticcardo Cuor di Leone re d' Inghil- terra, quando reduce dalla Terra Santa (1192)^ trovatosi per insorta burrasca in estremo pericolo di vita^ voto di erger un tempio alla B. V.. ove sano e salvo si fosse sbarcato. Approdato felice- mente a Lacroma^ volle ivi inalzare il detto tempio; ma cedendo alle istanze del senato, dispose che fosse fabbricato in città.

Dopo 44 anni di lavoro , venne terminato ed aperto al culto pubblico. Era di stile romano, ed elegantissimo nella forma. Avea tre navate a volta, sostenute da alte ed eleganti colonne di marmo, con belhssimi capitelh, basi e cornici di stile gotico. Internamente risplendeva di dorature , e si ammiravano sulle sue pareti pitture rappresentanti fatti dell' istoria del vecchio e nuovo testamento. I vetri delle finestre erano colorati e dipinti con immagini de' santi. Simboliche statue di marmo, altre di bronzo, ed alcune d' argento, elegantemente lavorate, abbellivano questo sacro edifizio; mentre lavori in mosaico, e varie specie di emblemi in basso rilievo, lo adornavano.

Per quattro gradini si ascendeva al presbitero. L' altare maggiore aveva un ricco ciborio, sostenuto da quattro colonne di marmo, ed una bella pala d' argento , nella quale , in due scompartimenti , si vedevano 18 figure a mezzo rilievo, lavorate con molto gusto. Presso l'aitar maggiore era il trono dell'Arcivescovo, di marmo; ed attorno alla capella, il coro pei canonici ed altri sacerdoti. In alto, suir entrata del coro,, si vedeva un crocifisso d' argento, colla Madonna e s. Giovanni Evangelista ai lati, figure di ordinaria statura.

Innanzi al presbitero, sotto la navata principale, sorgeva il trono del Rettore, con attorno i sedili pei Senatori.

Poggiava il pulpito su quattro eleganti colonne, maestrevolmente lavorate, ed al di sotto v'era un piccolo altare di marmo, dove venivano cantate le epistole ed i vangeli, ed annunziate al popolo le giornate di festa e di digiuno. Appresso vi stava il fonte battesimale.

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Cinque altri altari aveva la chiesa ; de' quali uno di argento massiccio presso il trono del Rettore, dond' esso col minor Consip;lio ascoltava la messa.

Sopra le volte d' una navata laterale v' era una devota cappella con un altare, dove si conservavano le s. reliquie, e vi si celebrava la messa.

Il pavimento era di marmo. Vi erano tre porte, e la maggiore era volta ad occidente.

Intorno alla chiesa v' era un recinto sollevato da terra, ed attor- niato da una balaustrata di colonnette di marmo, che poggiavano sopra statue pure di marmo, molto ben lavorate.

Sulla navata di mezzo v' era un' alta cupola , e tanto essa che tutto il tetto era coperto di lastre di piombo.

Giacomo da Evora, nei suoi poemi stampati nel 1596, cosi la descrive :

Aurea tempia nitent, regis monumenta Britanni, Quo nullum majus Dalmata vidit opus.

Vi mancava il campanile. Si diede mano a tale fabbrica nella seconda metà del sec. XIV., collocandola dirimpetto alla porta maggiore. Terminato il primo ordine, lu sospesa, e fattavi sopra la volta, venne ridotta ad uso di capella pel battistero, e consecrata a tal fine nel 1395. Era di forma ottangolare, con finestroni arcuati assai stretti e lunghi. Sussistette fino all'anno 1830, ed allora, questo antichissimo patrio monumento, fu barbaramente atterrato.

Nel terremoto del 1667 la basilica metropolitana crollò, rima- nendovi sepolto tutto il tesoro che in essa racchiudevasi. Una parte delle reliquie venne salvata.

Si diede indi mano alla fabbrica di una nuova cattedrale, al quale eifetto con veramente patriottico zelo si prestò 1' ab. Stefano Gradi, allora bibbliotecario della Vaticana a Roma. Spedì da colà un modello fatto a rilievo di tutta la fabbrica, addattandolo alla pianta della vecchia chiesa, di modo che le fondamenta del vecchio editìzio dovessero servire per V uso del nuovo ; variando soltanto nella larghezza di 14 palmi circa per parte, e ciò per le capelle laterali. A tal fine spedì pure l' ingegnere architetto Paolo Andreotti, genovese. Dal 1672 al 1713 venne compiuta la fabbrica.

Questo sacro edifizio è di stile di renaissance, ha in lunghezza 40 metri, ed in larghezza 24. È scompartito in tre navate, soste- jmte da due ordini di pilieri con colonne incastrate quadre. L'in-

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terno è un sol ordine corintio. La parte inferiore della facciata ha anche V ordine corintio , terminando con un fìnestrone triangolare, sostenuto da quattro colonne attiche; presentando di tal modo al di fuori due ordini, ed al di dentro uno solo. È in forma di croce. Nel mezzo s'innalza una maestosa cupola elittica, coronata da una lanterna.^ Il suo tamburo è vagamente ornato e cinto di colonne. Tutto il tetto e la cupola sono coperti di lastre di piombo.

Nel 1806, all'epoca dell'assedio di Ragusa, ha sofferto dalle palle nemiche; venne però ristaurato nel 1827.

La pala dell' aitar maggiore^ dedicata alla B. V. Assunta, titolare della chiesa , è lavoro dell' immortale Tiziano. Esso vi dimorò a Ragusa per cinque mesi presso la famiglia Pozza, ed in quel frat- tempo vi dipinse la Maddalena, che è nella chiesa de' Domenicani, la pala dei ss. mm. Cosma e Damiano, che attrovasi nella chiesa parrocchiale di Lagosta, e F Assunta per la chiesa di s. Lazzaro alle Plocce, che apparteneva al ceto cittadino. Quando nel 1712 si doveva aprire la nuova cattedrale, per mancanza di quadri, fìi trasportata la detta pala dalla chiesa di s. Lazzaro, e fatta fare una copia per quella chiesa. Contemporaneamente venne trasportato un altro quadro, pure di pennello classico, rappresentante la nascita di N. S., dalla capella dell' isola di Mezzo, una volta appartenente alla famiglia Prazatto ; ed ambedue le dette pitture furono apprez- zate in queir epoca del trasporto, per 3000 doppie. Sul quadro di Tiziano avvi la firma dell'autore sulla tomba della Vergine:

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Ticianus R.R. F.

Le colonne che adornano la pala, furono nel 1853 trasportate, per ordine del vescovo Jederhnic, dalla soppressa chiesa del Rosario. La mensa dell' altare maggiore è alla foggia romana, in mezzo del presbitero, ed è tutta di marmo. Il trono vescovile è quello stesso, che una volta serviva pel Rettore della repubblica.

Nella cappella laterale a mano destra, vi è il grandioso altare di marmo, con in mezzo la statua di s. Giovanni Nepomuceno, di grandezza naturale, eretto a spese dell' arcivescovo Arcangelo Lupi (1575 66). Dirimpetto al medesimo è l'altare dedicato a S.Ber- nardo, di marmo lavorato a mosaico ; e sulla base delle colonne si

* Nel giorno 20 marzo 1876, alle 11 ore autim., scoppiò un tremendo fulmine, scaricandosi sulla cupola della detta chiesa ed arrecandole gravissimi danni. Si dovette quindi chiuder la chiesa, fino a che saranno praticate le neces- sarie riparazioni.

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osserva lo stemma della nobile fami^'lia de' Giorgi che lo eresse. La pala ad olio, è del raguseo Mattei (f 172U).

Tutti ^Vì altri altari delle cappelle minori sono pure di marmo. (ili altari del Crocefisso, e della Madonna ^/r^/ J^orfo, uno dirimpetto air altro, sono stati eretti a spese delF arcivescovo Gregorio Lazzari (1777 92). L'altare dei ss. mm. Cattarini, Pietro, Lorenzo ed Andrea, di cui la pala è del pittore Carmelo, napolitano, che di- morò a Ragusa, fu eretto dalla repubblica al principio questo secolo, col ricavo dalla vendita dei ruderi della chiesa dei detti santi, caduta nel terremoto ; e 1' altare a lui opposto , della B. V. Annunziata, del pittore raguseo Benedetto Stay, fìi ornato di co- lonne di marmo trasportate nel 1853 dalla chiesuola appartenente al palazzo vescovile, colla mensa ed antipendio della chiesa del Rosario , di cui facevan parte le colonne ora suU' aitar maggiore ; mentre per l' innanzi era di legno. In fondo della chiesa poi vi è il battistero, tutto di marmo; e sopra la porta maggiore un ele- gante corretto coli' organo fabbricato nel secolo scorso dal prete raguseo Vincenzo Klisevic.

La cattedrale è fornita di un buon numero di pitture classiche. Oltre il quadro dell' Assunta di Tiziano , e 1' altro rappresentante la Natività di N. S., che per quanto d' ignoto, senza dubbio però di distinto pennello, ve ne sono parecchi altri Vi sono qnattordici quadri ad olio, che una volta appartenevano alla famiglia di Bernardo Giorgi, e passarono in proprietà della cattedrale. Nella Tesoreria della repubblica vi è la distinta dei detti quadri, coi relativi prezzi di stima, fatti alla fine del secolo passato. E sono i seguenti:

1. San Girolamo in grande di Bonifazio, stimato per 230 ducati veneti.

2. La B. V. col Bambino e s. Giuseppe che dorme, di Giovanni Bressan, due. 100.

3. Uccellami di Niconisio, due. 70.

4. La Beata Vei'gine con s. Giuseppe che fugge in Egitto, del Padovanino, due. 390.

5. La strage degli Innocenti, dello stesso, due. 390.

(3. Nostro Signore che libera le anime dei ss. Padri dal limbo, dello stesso, due. 390.

7. Sansone che colla mascella atterra i filistei, dello stesso, due. 390.

8. Cristo in croce con la B. V. ed altri santi, di Giovanni Be- nedetto Castiglioni, due. 100.

9. Paletta con vari santi di Carletto Caliari, due. 450.

10. S. Catterina del Palma il vecchio, due. 100.

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11. La B. V. col bambino ed altri santi in tavola, del Parmi- gianino, due. 400.

12. Il Nostro Signore legato alla colonna^ su tavola, di Andrea dal Sarto, due. 100.

13. Il Salvatore, mezza figura in tavola, del Pordenone, due. 200.

14. La B. Vergine con altri santi, su piccolo tavola, di Giulio Romano, due. 150.

Due altri quadri; che erano pure di proprietà dello stesso B. de Giorgi, vennero lasciati nella Tesoreria della repubblica, cioè: Adone e Venere di Paris Bordone, apprezzato nella detta memoria per due. ven. 370, ed il ritratto della Putta Tedesca di Tiziano, stato apprezzato a due. 250. Quest'ultimo nel 1811 venne portato via da Domenico Garagnini, in allora governatore civile di Ragusa sotto il dominio francese ; e dicesi trovarsi nella galleria di sua famiglia a Traìi; mentre il primo è tuttora nel palazzo del Capi- tanato distrettuale.

Dei succitati 14 quadri sgraziatamente alcuni maneanO; ne si sa dove sieno. 11 quadro di Pordenone, pochi anni addietro furato, fìi apprezzato pel valore di 8000 fiorini dall' Accademia delle Belle Arti a Vienna, e di nuovo venne rimesso al suo posto.

Oltre i succitati quadri avvi un interessantissima pittura ad olio della scuola fiamminga , rappresentante V adorazione de" magi ^ che ricchiamò V attenzione del prof. Eitelberger, e la descrisse nell'opera sul suo viaggio nella provincia. Egli lo dichiara appartenente alla scuola di Bruges, del sec. XV. E fra le altre cose scrisse: „la ,,parte artistica è straordinariamente splendida, ed il quadro, non ,. ostante che abbia soft'erto per le macchie di cera, si è conservato «tuttavia in maniera, che abbisogna soltanto della mano di un buon ,,ristauratore, perchè faccia un impressione anche su un profano dell' arte. Nelle gallerie di Vienna, Monaco, e Berlino, si vedono „de' quadri dell' istessa scuola, che si ritengono come lavori dell'ar- ,,tista Heujling. colle di cui opere il quadro di Ragusa ha un estrema somiglianza." Del modo come venne a Ragusa, non consta. Esso serviva di pala dell' altare portatile , quando gli ambasciatori ragusei si recavano a Costantinopoli; e si piega in tre parti.

Un altro quadro di grande interesse possiede la cattedrale; ed è mia tavola alta poi. vienn. 33 : 4, e larga 23 : 5, su cui è di- pinta la Madonna, che tiene nella sinistra il bambino, con un angelo dietro alle spalle, ed alla destra un paesaggio. È dell'immortale Raitaelio. Apparteneva alla chiesa di Lacroma, ed abusivamente da

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quei monaci fìi venduto dopo il terremoto por 100 doppie geiio vesi; ricuperato però dalla rei)ubblica, e collocato nella Cattedrale.^

È da riccordare inoltre un' altro quadro , che attira la generale attenzione. È la Madonna della Seggiola ; che, a giudizio del rino- mato pittore boemo Jaroslavo Òermak, il quale dimorò vart anni a Ragusa, sarebbe copia della Madonna di Ratìaello, fatta però da qualche distinto allievo del medesimo, e ritoccata da Katl'aello stesso. 11 re di Sassonia, Federico, pure giudice competentissimo, osservò, mentre visitava Ragusa, che se questo quadro, il che è dubbio, non era T originale di Raffaello , ma quello di Firenze , che allora questo era di Andrea dal Sarto, il quale imitava così i dipinti di Raffaello, da ingannare gli stessi di lui allievi.

Avvi inoltre un quadro della Madonna di Guadalupa, dedicato nel 1861 dal pittore I. Cagide all'infelice Carlotta, e che appar- teneva alla cappella imperiale del Messico, dato in dono a questa cattedrale dall' arciduca Francesco Carlo, padre dell compianto Mas- similiano ; si ammira di più un magnifico Crocifisso d' argento, maestrevolmente lavorato, su croce di ebano, che Sua Maestà l'augustissimo nostro Sovrano Francesco Giuseppe I recen- temente fé tenere in dono a questa chiesa.

Tre iscrizioni lapidarie si leggono nella cattedrale. All' arcivescovo Scotto, sepolto nella chiesa stessa, venne eretto un monumento nella sacristia, colla seguente iscrizione:

D. 0. M.

Thomas Antonius Scottus Viglevanensis Olim Tici- nensis ecclesiae vices-gerens Rachusio Archiepiscopus Sero datus cito ereptus Bonorum moecenas pauperum tutor

Animarum pastor optimus Imo pater Sponsae suae

Brevis amor magnus dolor Immortale solatium. Obiit IV id. Mart. Anno Dni M.DCCVIII.

La seconda iscrizione lapidaria è all' immortale Ruggero Bosco- vich, nella capella laterale di s. Bernardo, dettata da Mr. Bene- detto Stay, e suona cosi:

Rogerio Nicolai F. Boschovichio. Summi ingenii viro philosopho et matematico praestantis- simo Scriptori operum egregiarum Res physicas, geo- metricas, astronomicas Plurimis inventis suis auctos conti -

' Avvi in proposito una lunga pertrattazione nell'Archivio di Ragusa, nei fascicoli VI e XV dell' anno 1U72.

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nentium Celebrarum Europae academiarum socio Qui in societate Jesu cum esset ac Romae Mathesim profiteretur Benedicto XIV mandante Multo labore singulari indu- stria — Dimensus est gradum terrestris circuii Boream versus per pontificiam ditionem transeuntis Ejusdemque ditionis in nova tabula situs omnes descriptis Stabilitati Vaticano Tholo reddeundae Portubus Inferi et Superi niaris ad justam altitudinem redigendis Restagnantibus per cam- pos aquis emittendis commonstravit viam Legatus a Lucen- sibus ad Frauciscum I. Caes. M. Etruriae Ducem Ut omnes ab eorum agro averterentur obtinuit Merito ab lis inter patritios cooptatus Mediolanum ad docendum Mathematicas disciplinas evocatus Braidensem extruxit instruxitque ser- vandis astris speculam Deletae tuni Societatis suae super- stes Lutetiae Parisiorum inter Galliae indigenas relatus Conunissum sibi perficiendae in usus matheniaticos Opticae munus adcuravit Ampia a Ludovico XV rege Xmo attri- buta pensione Inter haec et poesim mira ubertate et faci- litate excoluit Doctas non semel suscepit per Europam pe- regrinationes Multorum amicitiis gratia virorum Principum ubique fioruit Ubique animum christianarum virtutum ve- raeque Religionis studiosum praesetulit Ex Gallia Italiam revisens jam senex Cum ibi in elaborandis edendisque po- stremis operibus Plurimum contendisset et novis inchoandis ac veteribus absolvendis Sese adcingeret In diutur- num incidit morbum eoque obiit Mediolani Id. Feb. A. M.DCCLXXXVII natus annos LXXV menses IX dies II Huic optime merito de Repub. Givi Quod fìdem atque ope- ram suam eidem saepe probaverit In arduis apud exteras nationes Bene utiliterque expediundis negotiis Quodque sui nominis celebritate novum patriae decus attulerit Post funebrem honorem in hoc tempio cum Sacro et Laudatione Publice delatum Ejusdemque templi Curatores Ex Se- natus consulto M. P. P. La terza lapide coli' iscrizione è stata recentemente eretta al Conte Bernardo Caboga, Generale d' Artiglieria, morto a Vienna nel 1855. L' iscrizione incisa, composta dal def. Giovanni Matulic, è del seguente tenore:

Memoriae et honori Bernardi Comitis de Caboga patritii Rhacusini Joannis olim Rhacusinae Reipublicae Senatoris

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filii A Cubiculis et Consiliis intimis Iinporatoris et Regis Nostri Ac Leopoldini Cominendatoris Qui Vili Idus feb. au. M.DCCILXXXV lìbacusae iiatus Scieiitia militari Viiulobonae ab adoleseentia niiiitice comparata Caesaris stipendia per decem ampUus lustra praeclare meruit Quique gravissimis legationibus soleiter susceptis ac feliciter peractis

Kjusque tide atque opera domi militiaeque Augustissimis Austriae Inqjeratoribus - Francisco I, Ferdinando 1, et Fran- cisco Josepbo I Splendide probata Ballistariorum praefectus

Ac summus macbinatorum et bellicorum operum rector Fuit renunciatus Exteris etiam a Principibus^ Hispano^ Sarma- tico, Saxone, Svecico, et Siculo, Inter equites primorum ordinum adlectus Donisque militaribus ob virtutem dona- tus Demum Vindobonae XIII Kal. Decembris an. M.DCCCL\'

Post acerbum morbum Christiana fortitudine perpessum Pie obiit in magistratu Omnibus Ingenio eruditione suavitate morum atque integritate Carus et tìebilis Sed nulli quam patriae carior Cujus gloriam majorum vestigiis insisteus Provexit Nullique tiebilior Quam Henrico Gomiti de Caboga ex fratre Biasio filio Qui corpori Patrui de se optimo meriti In gentilitio sacello ad Umblam Ex volimtate defuncti composito Ejusdem Cor in hac Aede principe Devoti gratique animi caussa deposuit Titu- lumque dicavit.

Cappella delle Reliquie. Quello poi che in special modo rende rinomata la Cattedrale di Ptagusa, è la di lei cappella colle s. Re- liquie. Essa può dirsi con ragione un vero tesoro, sia che si abbia riguardo alla copia delle reliquie, oppure al merito artistico delle teche in cui sono rinchiuse e magnificamente lavorate, sotto diverse forme, di teste, di piedi, di mani, di busti, di pissidi, di calici, di vasi, di quadri, di croci, urne ecc. ; non cedendo in questo a nessun' altra città, tranne Pioma.

Sin dal sec. X Ragusa potè formare una cappella di sacre reli- quie mercè il dono di Paulimiro Belo; il quale reduce da Roma per riassumere il regno de' propri avi, vi lasciò le reliquie dei ss. Nereo, Achilleo, Pancrazio, Petronilla e Domitilla, seco portate, e collocate indi nella chiesa di s. Stefano a Pustierna. ^ Col tem])o

' Quest' antichissima chiesa, posta dietro la cattedrale, dacché ruiuò nel terremoto, non venne più rifabbricata. Tuttora nei di lei ruderi si leaise un' iscrizione incisa in una lapide, incastrata nel muro deli' abside, che

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aumentossi la detta cappella colle reliquie dei ss. Zenobio e Zenobia, e con due insigui frammenti di s. Croce, portati nel 1050 da Mar- garita, vedova di Stefano re di Croazia, che si domiciliò e morì a Kagusa.

Contemporaneamente a questo primo reliquiario, sino dal secolo decimoterzo cominciò a formarsi un altro presso la chiesa metro- politana; che crebbe ad un rilevante numero di reliquie, partico- larmente all' epoca delF invasione turca in Europa, venendo ivi in buona parte trasportate le s. reliquie da Costantinopoli e dalle altre città del impero greco; al quale effetto, oltre i privati cittadini, pose tutta la cura la repubblica stessa, mandando appositamente propri legni per ricuperarle, e ricompensando largamente coloro che le portavano tali tesori. In tal guisa nel sec. XVI la metro- politana potè contare ben trecento teche di oro ed argento, con- tenenti particelle di sacre reliquie.

Caduta nel terremoto del 1667 la chiesa di s. Stefano e la Me- tropolitana, le dissotterrate reliquie furono trasportate nel forte Revellino; da dove poi furono trasferite nella chiesa de' Domeni- cani, e poi nel 1721 nella cappella dell' attuale chiesa Cattedrale.

In quella luttuosa circostanza molte reliquie colle rispettive teche furono frantumate, e le ossa raccolte, vennero depositate in due eleganti casse; molte altre reliquie poi rimasero anonime, per non esser state contrassegnate col nome del santo, al quale appartene- vano. Di tutte le teche che possedeva la chiesa di s. Stefano e la Metropolitana, appena si raccolsero 182 ; e si trovano nella cappella dell' attuale Cattedrale.

È elegantissima la detta cappella. Di fronte v' ha come un altare, dov'è la Croce col s, Legno. Da tutti i lati vi sono nicchie, la- vorate con molto gusto, e splendide di doratura, nelle quali sono collocate le s. reliquie. Il frammento di Legno di Croce, portato da Margherita di Croazia nel 1050, è alto 24 centini., largo 8, e grosso circa cent. 2:5. Da questo frammento il vescovo Jeder-

ricorda la regina Margarita come fondatrice della medesima, ed eronea- meute pretende, che presso quella chiesa sia stato seppellito il di lei ma- rito Stefano. L' iscrizione è del tenore seguente :

Junius Gradius Matthaei lìlius pietate motus ossa ex sepulchris ante hanc aedem positis jam pene vetustate dirutis, in quibus etiam Stephani regis Bosnae, cujus uxor Margarita hanc aedem divo sui viri cognomini posuerat, condita fuisse fama ferebat, coelum et hominum injuriis ob- noxia in hoc sepulchrum sua impensa factum, annuente summo pontifice Gregorio XIII transferenda curavit anno M.D.LXXXX.

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linic^ aveva staccata una porzione, per refj:alarla al Card. Fransoni ; e nel 1853 oftrì in dono una particella del s. Legno all' arciduca Massimiliano, il quale poi la depositò nella chiesa del s. Sepolcro a Gerusalemme. In varie altre teche vi sono minori frammenti; e fra gli altri avvi una particella poi tata da Gerusalemme dal raguseo fra Bonifazio de Stephanis , guardiano di terra santa , indi vescovo di Stagno, il quale nell'anno 1555 pel primo dopo s. Elena aprili sepolcro di Cristo, e trovatovi un frammento del s. Legno, lo di- stribuì fra il pontefice ed alcuni cardinali, trattenendo una porzione per se, che ora si venera nella detta cappella.

Si conserva pure in una magnifica cassa d' argento il Pannicello in cui fu ricevuto il bambino Gesù nel tempio da s. Simeone pro- feta. Lo portò da Gerusalemme un sacerdote albanese nel 1040. Nel secolo passato il pannicello aveva in lunghezza circa un metro e 53 centim., ed in larghezza centim. 51. Il vescovo Jederlinic nel 1844 offrì in dono una porzione al felicemente regnante pontefice Pio IX. che la ripose nella basilica Liberiana. Il tessuto è d' amianto.

In una teca si conserva un filo, di due metri circa di lunghezza, della veste inconsutile di Cristo: stato regalato dal Patriarca di Costantinopoli Gregorio, nel 1455, al raguseo Giunio de Gradi.

Del sepolcro di Cristo v' è pure un frammento, portato da Bo- nifacio de Stephanis, che lo distaccò, quando rinnovava la crollante fabbrica che copriva il s. Sepolcro.

Vi sono parecchie reliquie di s. Biagio; e fra le altre un fram- mento del suo cranio , rinchiuso in una magnifica corona d' oro alla bizantina, lavorata a filagrana. Prescindendo dall' inestimabile valore, come oggetto di culto religioso, è del più grande interesse dal lato artistico ; e dobbiamo al prof. Eitelberger Y illustrazione che fece della detta teca. La XX delle tavole che adornano il suo lavoro archeologico sulla Dalmazia, ce la riproduce in disegno, ed alla pag. 147 ampiamente la descrive. Secondo alcune memorie manoscritte, questo lavoro fu portato a Ragusa dall' oriente nel 1026, da un abbate greco. Ha la forma di una corona bizantino- orientale ; il reliquiario è diviso in tre porzioni, di cui la superiore è ricoperta di ornati, di figure e fogliami. \\ sono l'appresentati i ss. Andrea, Biagio, Pietro, e V arcangelo Michele ; s. Biagio è senza r insegne della sua dignità episcopale ; lo smalto dell' aureola è di color azurro-verde, rosso nelle figure. La parte media è compartita in campi ora rotondi, ora quadrati, sui quali si vedono tre santi, cui non fu aggiunto il nome; quindi s. Pietro, s. Matteo, s. Già-

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corno, e finalmente una Madonna, pessimamente restaurata. Nella terza porzione si vede: Cristo sedente sul trono che benedice colla dritta e tiene un rotolo nella sinistra, s. Giovannni barbuto con spalan- cate le mani, ed un altro santo coli' iscrizione s. Johes, s. Baresis.

Vi sono parecchie altre reliquie dello stesso santo; una teca a guisa di braccio umano, con un frammento della mano del santo, portata dalla Rassia nel 1346 dal raguseo Tommaso de Yitianis ; una pic- cola porzione dell' osso gutturale in un magnifico ostensorio alla gotica, asportato pure dalla Rassia da Stefano di Marino da Dui- cigno, e regalato nel 1428 alla repubblica; un' altra reliquia della mano del santo, data in dono nel 1452 da Tommaso Paleologo, despota della Morea, al raguseo Radovanovic, per averlo salvato sulla propria nave, quando i turchi invasero il suo regno ; ed una tibia, portata dall' oriente nel sec. XI . e nel 1667 rubata e portata a s. Remo, indi a Genova, ricuperata poi dai ragusei nel 1675.

In un dorso d' argento avvi poi un osso di s. Agostino Dot- tore, di cui tutto il resto del corpo , infuori della detta costola, è a Pavia.

In una teca si conserva un frammento del capo di s. Andrea ap., regalato alla repubblica da Tommaso Paleologo, quando si fermò a Ragusa, portando tutto il capo a Roma.

È curioso r acquisto del frammento del braccio di s. Giovanni Battista, che si conserva in una cassa d' argento. Nel 1 452 il fran- cescano Giorgio Dragesic, bosnese, portando la detta rehquia da Gerusalemme, si fermò a Ragusa ed ammalò. Ritenendosi a morte, la conseguo a due senatori, con condizione che, qualora si rista- bilisse, gliela dovessero restituire, per averla promessa ai Fiorentini. Erano inutili le di lui ricerche quando ricuperò la salute; come pure inutili i reclami de' Fiorentini per averla. Rivoltisi al pon- tefice, questi con due brevi minacciò i ragusei di scomunica, qualora non la restituissero; ma inutilmente. In ultimo si rivolsero a Ba- jazette con un istanza, che in originale si conserva nell' archivio della repubblica. Questi demandò la causa ad un pascià, il quale, corrotto probabilmente dai ragusei, troncò la questione, coli' osser- vare, che potevano raccogliere a piacimento delle ossa de' cristiani quante ne volevano a Rosso vo polje.

Tutte le 182 teche che racchiudono le diverse reUquie, e di cui per brevità ommettiamo i nomi, sono di argento in fuori di alcune di s. Biagio, che sono di oro. Oltre il loro interesse come oggetto di culto, e la loro importanza dal punto di vista istorico, molte

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di loro hanno filande interesse dal lato artistico, per ^di antichis- simi e finitissimi lavori in oro, argento, e smalto in massima parte eseguiti a Ragusa dal sec. XII in poi.

Un lavoro artistico poi, che attira V osservazione non solo degli intelligenti, ma di tutti quanti visitano la detta cappella, si è un bacino colla brocca, d' argento (undeci libre di peso), in cui si ammira a qual grado di finitezza V arte dell' orificeria era giunta a Ragusa nel XV secolo. È lavoro del raguseo Giovanni Progo- novié, fatto per commissione dell' arcivescovo Timoteo Mafifei, che lo voleva portar in regalo a Mattia Corvino, nelF occasione che doveva recarsi alla dieta di quel regno, di cui erano membri di diritto gli arcivescovi di Ragusa. Morto però poco prima d' intra- prendere il viaggio (1471) lo lasciò in testamento al proprio nipote, che lo vendette al governo della repubblica, e questi ne fece pro- prietaria la chiesa cattedrale. È inaprezzabile il suo lavoro arti- stico. Il bacino è tutto ricoperto da elegantissimi animaletti la- vorati in argento con isquisitissima finitezza; ed il fondo è rico- perto da molle erbetta, che sorprendentemente imita la natura. Il 1 tutto è passato colla corrispondente vernice, da rappresentare gli ( oggetti al naturale. Quando si versava dell' acqua, gii animaletti j si muovevano con stupendo artifizio. Sulla brocca pendono frutta j e fogliami , rettili e rami di corallo ; all' intorno figure mitolo- ; giche, al di sopra un cacciatore col suo corno, cani, cervi, e ca- i priuoli , mentre dal vacuo del vaso sorgono alcune spiche di grano ; il tutto eseguito con arte anniiiranda. Per quanto il lavoro abbia ] sofferto dal tempo, e dalla poca cura con cui fu tenuto, non ha perduto però dell' essenziale del suo merito.

Oltre a molti altri preziosi oggetti vi è un arco col turcasso, e con molte freccie; lavoro elegantissimo, e regalo di alcuni gian- nizzeri (1510) alla repubblica, quando erano di passaggio per Ra- gusa. Si osserva infine, non senza commozione, un cuscino di ve- luto, riccamato e lavorato in perlette, che apparteneva alla cappella Imperiale del Messico, e dato in memoria a questa Cattedrale dall' Arciduca Francesco Carlo. Nella stessa cappella si vedono due pitture simboliche del raguseo Pietro Mattei.

Ragusa dall' origine della sua fondazione ebbe proprio vescovo ; ed il primo fìi lo stesso Giovanni di Epidauro, il quale dopo 1' ec- cidio di quella città, si trasportò coi superstiti cittadini nel castello Lavve. La sede vescovile venne indi elevata a metropolitana nel sec. XI, e durò fino all' anno 1828, in cui fu ridotta di nuovo

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a sede vescovile e le furono abbinate le sedi di Stagno e Cur- zola. Avvi presentemente un Vescovo, un Capitolo, ed un Clero Curato.

Dimora di S. M. Francesco I. a Ragusa. Dappresso la Cat- tedrale avvi la casa Bassegli-Gozze, dove le Loro Maestà Fran- cesco I, e la di lui consorte Carolina, durante la loro dimora a Ragusa nelF anno 1818, alloggiarono per 10 giorni. La seguente iscrizione, incisa in una lapide di marmo, ed incastrata nel muro della casa, ricorda la fausta circostanza:

Imperatori Francisco L Austriaco Et Carolinae Augustae Conjugi Optimis et indulgentissimis principibus Quod dies decem bisce in aedibus Diversati sunt Tantis hospi- tibus nobilitata et aucta Domus Gozziorum Ad aeternam posterorum memoriam Anno M.DCCCXVIIL

Chiesa di s. Biagio. Dirimpetto alla Dogana, e rispettiva- mente al palazzo Municipale, ergesi il maestoso tempio, sacro al protettore di Ragusa, s. Biagio.

Su quest' istesso sito era stata eretta al medesimo santo la prima chiesa, allorquando venne scelto per protettore della città e Stato della Repubblica (sec. X); e nel 1348 per voto venne inalzato un tempio più maestoso sul posto istesso. Per architetto era certo Giovanni da Siena. Dappresso la chiesa contemporaneamente fti eretta una loggia, destinata per stazione militare , e dimora delle guardie della città, entro cui nei primi tempi si tenevano pubbliche con- cioni al popolo.

La chiesa era di stile romano, e simile nella forma alla catte- drale, soltanto più piccola in dimensioni. Avea tre navate, soste- nute da alte e grosse colonne, su cui poggiavano gli archi ; fornita tutto all' intorno di peristili. I vetri delle finestre erano colorati con immagini di diversi santi. Nel presbitero ergevasi un superbo altare, con una bella pala d' argento, ed il ciborio di egual metallo. Avea tre altri altari : del Crocifisso, di argento massiccio ; di s. Am- brogio, eretto dalla famiglia Sforza milanese; e di s. Margherita.

Attorno alla chiesa vi era un recinto, con balaustrata di colon- nette, sovraposte a statue di marmo rappresentanti diversi santi.

Questo tempio sofferse molti guasti nel terremoto, però rimase in piedi e venne ristaui'ato. Nel 1706 il fuoco accidentalmente appiccatosi, lo distrusse tutto quanto, risparmiando solamente la statua del santo protettore.

Demoliti i iuiUtì^ tu sul luogo istesso eretta V attuale chiesa nel 1707 15, sotto la direzione dell' architetto Marino Groppelli da Venezia, sul disegno d' un altra che conteniporanemente si fab- bricava a Roma presso la via Flumentana^ a spese del Cardinale Castaldi, e che fu benedetta dal raguseo ab. Ignazio (Jiorgi nel 1715.

L' attuale chiesa è di stile di renaissance. Si alza dal suolo sopra un basamento scarpato, a cui si ascende per una scalea di undici gradini, clie termina in un antipendio balaustrato. La facciata è d' ordine corintio con quattro colonne rotonde, sormontate da un attico, con un tinestrone arcuato sopra la porta, e frontone circo- lare. I fianchi sono adorni di colemie attiche incastrate. L' interno è a tre navi, nel cui centro quattro colonne corintie con piedestalli sostengono una cupola semisferica. Nel presbitero ergesi un sem- plice, ma elegante altare alla romana, su cui è collocata la statua, che rimase incolume fra le fiamme, ed a cui allude la seguente iscrizione, incisa su una lapide marmorea, a destra delF altare:

D. 0. M. Simulacrum hoc argenteum Divi Blasii mailyris De- flagrato ejus vetere tempio A. D. M.DCCVI E rude- ribus et cinere erutum Caeteris omnibus signis Atque ornamentis Ex auro argento aere Obtritis colliquefactis Senatus Rhagusinus Inclyto Patrono Hanc aedem Prioribus ampliatis vestigiis Cum augustiorem excitasset Rursus in ara maxima Tamquam sua in sede Et pu- blicae securitatis arce Statuendum censuit colendumque A. S. MDCCXV.

La statua è di sottili lamine d' argento dorato, cesellate a bollino. Presenta solamente la prospettiva anteriore d' un vecchio in abito vescovile all' orientale. Manca la parte posteriore ed il vuoto in- terno è riempiuto di legno, analogamente intagliato. L' altezza della statua (senza la mitra, che è lavoro posteriore) è di poli, vienn. 21 : 5, ossia 56 : 5 ceutim., e calcolandola fino a tutta l'al- tezza della mitra è di poli. 26. È lavoro di gusto romano dell' opera posteriore, però sempre innanzi al XIII secolo. L'esecuzione dell'arte tecnica a divedere che è un lavoro molto antico, e di quell'epoca quando il gusto rojiiano seguiva il bizantino Nella mano sinistra del santo è posta una lastra d' argento, in cui è incisa la città. Tale lavoro è stato eseguito ti-a il 1480 85. e mostra il carattere tipico nei principali oggetti. La posizione della città coi principali

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edifici è stata lavorata con esatezza; però si osserva un raccorciamento, mancandovi tre secondarie transversali calli^ che tagliano la contrada principale, e che vi erano anche a queir epoca. Il numero delle torri corrisponde perfettamente a quelle che ognora vi sussistono, infuori di una presso la porta che conduce alle Pillo, recentemente abbattuta.

La chiesa ha due altari laterali; di più quattro belle statue di pietra, del Lazaneo da Brazza. Yi sono pure parecchie pitture ad olio, però non di grande merito artistico.

Dinanzi alla porta principale stava il pilastro, appellato Orlando, che non venne mai più rimesso al suo posto, dacché fu atterrato dall' uragano.

Chiesa e convento dei Francescani. Presso la porta che con- duce alle Pillo, si vede una semplice, ma maestosa e vasta chiesa, con un alto campanile, ed annesso convento, che appartiene ai minori osservanti di s. Francesco, ed è dedicata al fondatore dell' ordine.

I francescani giunsero a Ragusa venti otto anni dopo la fonda- zione del loro ordine (1235); e nel 1250 fu a loro eretto un con- vento, coir annessa chiesa dedicata a s. Tommaso ap., nel sob- borgo Pillo, e precisamente nella località che si chiamava Jamine, indi piazzetta Cimisela ora ridotta a giardino pubblico dall' esimio brigadiere generale barone de Jovanovic, il quale anche per questo riguardo riscosse la riconoscenza de' Ragusei. Per tema di agres- sioni nemiche nel 1315 dalla stessa repubbhca venne abbattuto, e fabbricato 1' attuale convento coli' annessa chiesa entro il recinto della città.

Adornano la chiesa bellissimi altari di marmo, e molte pitture, delle quali però s' ignorano gli autori. Si ammira la sua spazio- sissima sacristia fatta a volta in un sol arco, e 1' elegante chiostro, ultimato nel 1433 dal maestro Michele di Antivari, di cui si legge r epitafio nel chiostro stesso. Molte iscrizioni lapidarie, dall' epoca dell' erezione della chiesa e del chiostro, si leggono in diversi punti. Il convento è molto vasto, e tenuto con somma proprietà.

Tanto il convento che la chiesa nel terremoto del 1667 avevano preso fuoco, ed in massima parte vennero distrutti dalle fiamme. Furono però tosto fatti gli opportuni ristauri.

Avvi presso quel convento la cereria, ed un' approvata farmacia. Quello poi che particolarmente rende rinomato questo monastero, si è la sua copiosa ed importante bibbUoteca, che data dal XVII secolo, essendo stata 1' anteriore distrutta dalle fiamme. Conta at-

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tiialiiit'iite oltro 10.000 vulmiii. Al suo iiiL»raii(liineiilo cuiitiibuì in

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gran parte il def. ]). liinuceiizo Culir, da Spalato, il qual(\ durante la sua dimora per un mezzo secolo a Ragusa, ebbe la rara abilità di raccogliervi (luasi tutti i manosciitti patrii che esistevano presso i i)rivati. nonché un i^ran mimerò di staìiipati e di rare edizioni. La bibblioteca è divisa come segue: 1. libri patrt: stami)ati, circa 800 voi., con opuscoli sciolti e volanti 000 circa; e manoscritti legati in volunn circa 500; e volanti, però ordinati e raccolti in tanti zibaldoni, più di 700; 2. di teologia dommatica v. 1500; 3. predicabili 1100 voi.; 4. S. scrittura ed espositori v. 550; 5. s. padri V. IGO; 0. ascetici e vite de' santi v. 1000; 7. storia sacra e profana voi. 1030; 8. fìlosotìa, matematica ecc. v. 700; 9. lette- ratura antica e moderna v. 1000; 10. diritto canonico, e cose dell'ordine v. 800; 11. liturgica e miscellanea v. 500; 12. proi- biti v. 500.

Avvi inoltre un' interressante bibblioteca musicale , raccolta ed ordinata dal distinto padre Giovanni Evangelista Kuzmic/ il quale col concorso di alcuni suoi amici, ha potuto avere quasi tutta la musica, che si è conservata presso le famighe, segnatamente nobili. Qui si trova buon numero di classici di tutte le epoche, dal Palestrina al presente. Chi degli studiosi volesse conoscere Scarlatti, Porpora, Jomelli, Pergolati, Sala Nicolla, Piccinni, Zin- garelli ed altri, non avrebbe che da levare uno dei cento venti grossi cartelloni, ove si trova collocata alfabeticamente tutta la musica ; dicasi lo stesso di molti de' principali autori tedeschi e francesi. Il tutto è riportato nel rispettivo catalogo.

A Ragusa fu con trasporto coltivata in ogni tempo la musica, e fra gli antichi si cita un Ratfaelle Tampariza, francescano, maestro della cappella Imperiale a Vienna, e ne' tempi più recenti si pos- sono annoverare fra i distinti cultori della beli' arte, il nobile Luca di Sorgo, ed Antonio suo figho, da pochi anni morto a Parigi. Di questi si conserva nella bibblioteca un buon numero di sinfonie ad orchestra e pianoforte, e molti salmi musicati. Nel 1851 morì Giuseppe Zabolio, distinto maestro e compositore. E fra i numerosi dilettanti citeremo uno solo, il padre Sebastiano Frankovic^ siccome quello la di cui memoria cara si conserva in tutti i ragusei, del

' Veniamo assicurati, che il summenzionato P. Kuzmic stia ora compilando una storia music:! le di tutta la Dalmazia. Con questa sua nuova produ- zione, egli si acquisterà un titolo di più alla riconoscenza e stima de'suoi compatriotti.

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di cui organo vocale era innamorato il celelire Luigi Ricci, maestro di cappella a Trieste, che scrisse appositamente e gli dedicò un Taìitiim ergo. Dopo di aver fatto eccheggiare le chiese di Ragusa colla sua magnifica voce per lo spazio di trenta e più anni, morì in qualità di Vescovo in Bosnia nel 1864.

A fabbricatori di organi abbiamo avuto un Santoro Marino, allievo del Conservatorio di Napoli, e suo figlio Antonio tuttora vivente in età di 77 anni; ed il prete Khsevic don Vincenzo, che pure si istruì a Napoli, e di cui sono tutti gli organi a Ragusa, meno quello nella chiesa dei francescani, fatto nel 1680 da artefici di Venezia, e che forse è il più grande di quanti vi sono in tutta la Dalmazia. Quest' ultimo ebbe due allievi nelle persone di Michele Zlosilo, e Gregorio Vicevié.

I francescani di Ragusa formano dall' anno 1484 una provincia propria, a cui sono soggetti tutti i conventi nel territorio una volta appartenente alla repubblica ragusea.

Chiesa di s. Salvatore. Vicino alla chiesa dei francescani si ammira un elegante tempietto , benissimo per la purezza del suo stile, ed interessante per la sua antichità, dedicato all'Ascensione di N. S., volgarmente chiamato s. Salvatore. Fu eretto per voto fatto nell terremoto del 1536, come lo attesta l'iscrizione sovraposta alla porta d' ingresso :

Ad avertendam coelestem iram in maxime terrae tremore hanc sacram aedem Se. Rha. vovit anno a Christi na- tali die DXX supra M.XVI. Cai. Jun. Dan. Rhes. et Dam. Min. faciendum curarunt et Pe. Seor.

Le abbreviazioni degli ultimi nomi si riferiscono a Daniele Resti, Damiano Menze (Mincetic), e Pietro Sorgo.

Sovra il portone, entro la chiesa, si ammira un quadro ad olio, rappresentante l' Ascensione di N. S., d' ignoto , ma di classico pennello.

Vuole la tradizione, che le matrone raguseo abbiano trasportate le pietre polla fabbrica di questo tempio.

La fontana. Dirimpetto alla detta chiesa si scorge un vasto bacino, da cui costantemente zampilla l'acqua, condotta dalla sua sorgente di Gionchetto, per un canale scavato in viva roccia, attorno il monte s. Sergio, per 8 migha di lunghezza.

II bacino è fatto a 16 angoli, forniti di colonne, con 16 teste che gettavano l' acqua in una vasca che lo circonda. Sulla sommità,

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fiittii il volta, vi era unii cuiicii u baciiiu, di 20 palmi in circuito, nella quale cadeva V acqua da 8 teste di dragoni , sovraposti alla conca, e da un cannellone che si elevava in mezzo a loro, e gettava r acqua. La parte supcriore manca dall' epoca del terremoto. LMn- gegnere architetto era Onofrio di (ìiordano della Cava, napolitano, in onore a cui fu collocata sul bacino una lapide, colla seguente iscrizione :

P. Onophrio I. F. Onosiphoro Partenopeo Egregio N. T. Architecto Municipes quod opt. Ingenio et diligentia sua Rhacuseor. Nobil. Providentia et ampi. Ordinis jussu Coacto argento pub. hanc in Epidaur. Rag. N. N. lUy- ridis urbem diu jam aquarum paenuriis egestantem aquas in ea hodie et A. VI K. Febr. Kyriaceo Fausto et fe- licissimo die cospic. fontib. exuberantissime defluentes Vili ab urbe mil. scrupeos arduosq. percolles dificillimo ductu perduxit.

K. A.

A. D. M.CCCCXXXVIII, VI kal. febr. Alberto Imp. desig. A. J. I.

A titolo di compenso venne data ad Onofrio la somma di 8.250 zecchini.

Lo stesso acquidotto fornisce d' acqua anche altre fontane, quella cioè presso il palazzo municipale-, e T altra entro il recinto del pa- lazzo ducale, una terza nella fortezza Revellino, e la quarta alle Plocce , nel recinto del lazzaretto , oltre tant' altri punti secondar! della città e borghi.

Arsenale d' Artiglieria. Dappresso alla fontana, ed unito alla stessa mediante il muro del suo atrio, vi ha un vasto ed antico edifizio, una volta chiesa e convento delle Clarisse, fabbricato nel 1290, ed in seguito ridotto alla forma attuale. Durante la occu- pazione francese, soppresso a Ragusa l'ordine delle monache, il convento e la chiesa vennero ridotte ad uso di caserma, e poste- riormente per arsenale di Artiglieria.

Caserma di s. Maria. Un altro convento, di monache benedettine, colla chiesa dedicata a s. Maria , uno de' più antichi fabbricati di Ragusa rimasti intatti nel terremoto, fu pure ridotto ad uso di caserma. Anche il convento delle monache domenicane fìi destinato ad uso del Ginnasio, di cui verrà fatta parola. Anteriormente al terremoto vi erano, oltre ai succitati conventi, altri monasteri di

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monache, che però crollarono nella detta epoca , e tuttora si osser- vano i ruderi di quello di s. Tommaso ap., sovra V ospitale Civile.

Chiesa e convento dei domenicani. Nell'anno 1225 vennero a Ragusa alcuni padri dell' ordine de' domenicani, i quali fissarono la loro sede presso la chiesuola di s. Giacomo sovra Prieko , indi presso l'Assunta alle Plocce; fino a che nel 1304 venne loro fab- bricato r attuale convento colla chiesa di s. Domenico.

È uno de' più interessanti fabbricati medievali a Ragusa. Nella sacristia, di stile gotico, si legge un' iscrizione che ricorda F archi- tetto raguseo, il quale diresse 1' ampliamento di quel sacro edifizio e dell' attiguo elegante chiostro , e di cui è pure opera il forte Molo ed il cassone fabbricato per la difesa del porto:

Pasqualis Michaehs Ragusinus Plura ingenio clara inve- niens Anno quo portum edidit M.CCCCLXXXV.

Una quantità d' iscrizioni sepolcrali , dalla fine del sec. XIII in poi, si rinvengono nella detta chiesa.

Su d' un altare di fianco , nella chiesa , si ammira la bella pala di Tiziano, rappresentante s. M. Maddalena^ di proprietà della fa- miglia Pozza , che ultimamente la fé' ristaurare dal signor Fabris di Venezia, e queir accademia la classificò per opera della mighor età dell' immortale autore, ed apprezzò pel valore di 60.000 franchi. Su un altro altare, in fondo alla chiesa, di pertinenza una volta di Vincenzo Zakrilovic-Krivonosic , sovranominato Skocibuha, si vede la pala rappresentante la discesa dello Spirito santo, del Vasari. Varie altre pitture si ammirano nella detta chiesa, di grande valore artistico, però d' ignoti autori.

Nella cappella delle reliquie, dove si conservava una volta anche il braccio di s. Stefano re d'Ungheria, che venne nel 1771 ceduto in regalo all' imperatrice Maria Teresa, ^ si trova una croce patri- arcale, di argento, in cui v' è riposto del legno di s. Croce, fatta, dietro incarico del re Uros di Serbia, figlio dell' Uros il grande, e padre dell' imperatore Dusano, dal vescovo di Rassia Gregorio II (al principio del sec. XIV.), come lo attesta la relativa iscrizione

^ In tale occasione furono coniate in oro ed in argento due medaglie colla seguente iscrizione: Dextera B. Stephani Regis Et Confessoris Gloriosi Quam Ab An. MXC ad MDXXVII In Ungar. Tum Ragusae Ultra II Saec. Cultam Jos. II. Et M. Ther. August. MDCCLXXI XXIX Maji Recupera- runt Et Post IX Dier. Devotionem Hung. D. D. Budae Quotannis Pubi. Veneratioui Proponendam.

incisa sulhi croce stest^u, in lettere iuiticlie cirillitme. L'iscrizione, senza abbrevazioni, suona così:

Isus Hristos nika.

Si castni krst stvori (ìospodin kralj Stefan Uro§ i sin veli- kago kralja lIro§a, domu svetih Apostol Petra i Pavlu, jako da niu je na zdravje i na spasenje i na odpuSéenje grehov.

I krst stvori episkup Rai^ki Grigorije vtori, jako i ona vdo- vica dve cete daduste. Kto vshoètet si krst uzeti, od svetih apostol ili ot castnoga dreva da je proklet.

Krstom ograzdajemi ^ vragu protivljajeni se ne bojeSte se kazni ego ni lajana, jako grdi uprazdni se i popran bist siloju na drevje raspetago Hrista.

La quale iscrizione tradotta corrisponderebbe come segue: Gesù Cristo vincitore. Questa venerabile Croce è stata fatta signor e re Stefano Orosio, figlio del grande re Orosio, polla chiesa dei santi apostoli Pietro e Paolo, perchè gli sia di salute e remissione de' peccati. Ed il vescovo di Rassia Gregoi'io IL la fece, come pure quella vedova che diede due monete. Chi volesse asportare questa croce sia maledetto dai santi apostoh, e dal venerabile Legno. Son diffeso dalla Croce, mi oppongo al demonio, non temendo le pene le di lui insidie, in quella guisa che il superbo fìi reso inetto e conculcato dalla forza di Cristo Crocifisso.

S' ignora quando questa croce sia stata portata a Ragusa ; quello che è certo, si è, che si trova menzionata nell'inventario del 1521. Senza dubbio quindi il di lei acquisto seguì prima di questa epoca, e probabilmente quando le armi ottomane occuparono quel regno.

È interessantissimo il chiostro del convento, colle sue gallerie; come pure il portone laterale della chiesa. Il campanile è stato lavorato con molta eleganza, ed ebbe per architetto fra Stefano Raguseo (1424). Una delle campane colla data del 1359, è lavoro di Barto- lomeo da Cremona , che era a queir epoca al servizio della repub- blica. Un'altra, fusa nel 1515, porta la seguente iscrizione:

Canite tubae in Sion, vocate cetum, congregate populum, coadunate senes, congregate parvulos et sugentes ubera.

ed è opera del celebre fonditore Giambattista d' Arbe, di cui è pure la campana della torre dell' orologio.

Il convento possiede un'interessante bibblioteca, di circa 5000 volumi; una volta però molto più numerosa di opere, avendo sof- ferto gravi danni, quando i francesi vi stazionavano in quel con-

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vento. Fra le altre avvi V autografo delle colossali opere di Serafino Cerva, che morì alla metà del sec. passato; come pure la tradu- zione in slavo del Nuovo Testamento in mss. (Ud Rosa. Vi sono inoltre parecchi manoscritti ascetici e teologici molto antichi, scritti su pergamena, ed alquanti rari incunabali.

I domenicani di Ragusa fino a pochi anni fa fognavano una pro- vincia propria ; per mancanza però di leligiosi, si fusero cogli altri della Dalmazia.

Chiesa dei gesuiti. Dal 1560 in poi i gesuiti si recavano in missione a Ragusa; e nel 1662 diedero principio all'erezione del Collegio, che finirono nel 1684, fabbricandovi indi l'attigua chiesa nel 1725. L' istruzione pubblica fu affidata dal Senato alle loro mani, e la sostennero fino alla soppressione dell' ordine (1773). A loro succedettero i Piaristi, chiamati nel 1777 dalla repubblica a sostituirli nell'istruzione. Nel 1806, occupata Ragusa dai francesi, il collegio fu ridotto ad ospitale militare; ed in sostituzione venne dato ai piaristi il convento di s. Catterina, delle monache domeni- cane. Per mancanza d'individui dell'ordine delle scuole Pie, ven- nero di nuovo nel 1854 ricchiamati i gesuiti, e loro affidata l'istru- zione. Secolarizzato però il ginnasio nel 1868, V istituto passò alle mani di professori secolari ; e la chiesa , destinata agli esercizi di divozione pella scolaresca del ginnasio , è tuttora ufficiata dai Gesuiti, che abitano una casa privata, attigua alla chiesa.

La detta chiesa è di stile barocco, a tre navate. In essa si osser- vano alcune pitture di Pietro Mattei , e si leggono iscrizioni lapi- darie a Fr. Rogacci, Luca Paolo Gozze, Pietro Gondola, ed ai due vescovi di Ragusa, seppelliti nelle tombe di quella chiesa, Antonio Giuriceo, e Tommaso Jederlinic.

Neil' interno , sopra la porta maggiore , si legge la seguente iscrizione :

D. 0. M. -— Templum hoc In honorem s. Ignatii Loyolae A fundamentis erexit Colleg. Ragusinum Soc. Jesu Et aperiendum curavit An. Jub. M.DCC.XXV.

Ospitale militare. Il collegio raguseo, ridotto ora ad ospitale mihtare, è una grandiosa fabbrica, che si erge su un'altura, da dove prospetta tutta la città, i borghi, ed il mare. Dinanzi ha un esteso piazzale , e sul peristilio , presso alla porta d' ingresso , si legge la seguente iia-rizione, incisa in una lapide :

no

J. 11. 8. t Jesus XPC: tìliiis Mariae Virginis salus mundi et Doniiiius sit uobis propitius et elemens. 1481.

E sullo scalone, che conduce al piazzale, dinanzi alla chiesa ed al colle'^io (ora ospitale) si legge:

( "ollegium Rhagusinuni CIOIOCCLXV.

Chiesa di s. Margarita. Nel recinto dell' ospitale stesso, avvi una chiesuola^ ora cappella mortuaria, dedicata a s. Margarita, fabbricata nel 1571, in sostituzione ad un'altra, molto più antica, che vuoisi fosse stata eretta da Margarita regina di Croazia e Bosnia, demolita poi per dar luogo al bastione, eretto in quel sito, e perciò chiamato anche attualmente di s. Margarita. L' iscrizione analoga accenna alla causa per cui la chiesa antica dovette dar luogo ad un' opera fortiticatoria :

Regina Bosniae ^largarita traditur Dicasse templum Margaritae Virgini, Olim beata cum fuere saecula. Id nunc sacellum translulere providi Patres, fremente Marte circum moenia, Dum classe Cypro rex Selinus imminet.

Istituti d' istruzione. Oltre le scuole Civiche, frequentate da circa 200 scolari , e le Nautiche , recentemente sistematizzate , con una ventina d' alunni , avvi a Ragusa un completo Ginnasio slavo di otto corsi, aftidato dal 1868 a professori secolari. Il locale, una volta convento delle monache domenicane, venne recentemente riformato e ridotto in pieno ordine. È fornito di ottimi gabinetti, di una bibblioteca che conta 675 volumi di teologia e filosofia; di letteratura 858; di diritto 106; di scienze naturali e matematica 525; di storia 396; di diverse oltre opere 131; in tutto volumi 2691. Oltre a questa bibblioteca, avvi la nuova, che ogni anno va aumentandosi , e che attualmente conta circa due mila volumi.

Possiede pure un fondo recentemente istituito per ajutare gli scolari poveri, e che va continuamente crescendo; al quale, Sua Maestà stessa , 1' augustissimo nostro Sovrano , si compiacque di contribuire con una ragguardevole somma.

Il numero approssimativo degli studenti che frequentano T istituto ascende all' incirca ad un centinajo all' anno.

Le scuole fenmiinili pubbliche, sono frequentate da circa 100

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allieve. Presso le Ancelle di Carità nel sobborgo Pille, stabilitesi a Ragusa nell'anno 1854, avvi l'alunnato, il convitto, ed inoltre un determinato numero di orfane, stipendiate in parte dalla pub- blica Beneficenza, ed in parte sostenute dalle Ancelle stesse. Presso le medesime, oltre gli studi primari, vi è pure il privato istituto pedagogico femminile. Complessivamente all' anno possono calcolare da 40 50 interne, ed altrettante esterniste.

Nel recinto de' loro edifizi fabbricarono nel 1860 la chiesa de- dicata a s. Vincenzo di Paolo.

Il Governo però recentemente eresse un pubblico istituto magi- strale femminile, per provvedere ai bisogni della Provincia.

Seminario diocesano. Eretto dal vescovo Jederlinic nel!' anno 1851, coi legati della Congregazione Preti. Ha una buona biblio- teca, raccolta fra il clero diocesano, di circa 5000 volumi, e fra le altre opere vi sono in manoscritto le lettere di Francesco Gon- dola (padre del nostro poeta Giovanni) dirette alla repubblica sopra la sua negoziazione col pontefice Pio IV, in folio I, 180; la vita di s. Girolamo in latino Marci qm. Petri Antonii de Crivellaris civis Vincentiae, Venetiis 1480" sulla pergamena in folio I, 99; il pastor fido del Guerini tradotto dal Canavelli; un dramma di Lu- crezia Bogasinovic; la traduzione delle commedie di Molière ese- guita da Bruere ; e tutte le opere dei ss. Padri dell' edizione di Parigi di Migne.

Ospizi. Suir origine dell' Ospitale per gli ammalati, e dell' Or- fanotrofio, fìi già parlato nel capo precedente. Gli attuali ospizi, organizzati dietro regolamento del 1827, sono formati dai seguenti istituti : a) r ospitale per gli ammalati ordinari ; b) la casa per le ammalate sifilitiche ; e) una casa destinata per maniconcio ; d) un locale nel recinto de' lazzaretti al borgo Plocce, che serve per manicomio sussidiario; e) finalmente la casa per le partorienti coir unito orfanotrofio.

L' ospitale degli infermi (Domus Chrlsti) ha un proprio patri- monio, costituito in massima parte da lasciti antichi di benefattori privati, dei quali però moltissimi andarono perduti per vicende politiche, e che approssimativamente può calcolarsi in totale del valore di fio. 103.739, coli' annuo reddito di fio. 3.321. L'orfano- trofio perduto l' intero suo antico patrimonio, possiede soltanto un capitale di fiorini 600, lascito recente di un benefattore.

Il numero degli ammalati accolti nell' ospitale puossi calcolare

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annualmente in medio da 500 a 600 ; degli espurei da 80 a 00 : e (jiiello (lej^'li stessi collocati a baliatico, circa 300.

Monte di piota. Sospeso dalla regenza francese nel 1813, venne riaperto nel 1835. Esso facendo operazioni al pari delle casse di risparmio, riceve a mutuo importi da fiorini 25 a fiorini 2500. I depositi, un anno coir altro, ascendono da 70 ad 80 mila fiorini, cftettuati da 130 a 140 parti, cioè in media a 538 fiorini per persona. Questi capitali vengono impiegati in sovvenzioni sopra pegni d' oro, argento, gioje, ed altri preziosi, che secondo le an- nualità, più 0 meno ubertose, ascendono all' incirca da 4 a 5 mila. Il censo è di mezzo soldo sopra il fiorino, cioè di fio. 6 per cento air anno.

Istituto dell' Opera pia. I redditi di questo pio istituto vanno divisi: a) per le maritazioni delle ragazze di ogni condizione; b) alla beneficenza per i poveri mendicanti vergogniosi, ammalati, per i poveri di famiglie decadute, per i poveri appartenenti alle confraternite di s. Lazzaro e di s. Antonio; e) per messe vinco- late e libere ; d) per il fondo di religione ; e) per V ospitale civile ; f) per sussidio per gli studi de' chierici; g) alla fabbriceria della cattedrale e collegiata; h) ai conventi di s. Francesco e s. Dome- nico per messe; i) per messe destinate a vari parochi ed a varie chiese; 1) per riscatto degli schiavi, le cui rendite ora si versano alla cassa erariale; m) per i discendenti di varie famiglie, vin- colate alla condizione di povertà e di malattie ecc.

Le rendite dell' Opera Pia, con tutti gli azionari sopra accen- nati, ascendono a circa 20.000 fiorini annui.

Pubblica Beneficenza. La Beneficenza propriamente detta, comprende: a) l'ospitale alle Pille dei mendici; b) un ospizio in città per i medesimi, detto di s. Stefano ; e) il conservatorio delle orfanelle amministrato dalle Ancelle di Carità ; d) la casa di rico- vero, ossia asilo di vecchie donne miserabili ed impotenti.

Le rendite della beneficenza, con tutti gT istituti sopranominati, ammontano a fiorini 3500 circa all' anno.

Congregazione dei Preti. Istituto pio eretto nel sec. XIV, con un' amministrazione di molti capitali di legati pii, per cele- brazione di messe e sussidio a sacerdoti poveri. Attualmente le sue rendite sono assai diminuite, avendo anche questo istituto sof- ferto per le vicende de' tempi.

Associazione marittima Ragusea. Istituita nel 1869 per co- struire bastimenti a vela, a lungo corso, di 500 tonnellate di

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registro ausrtiaco per lo meno, coi quali esercitare atti di com- mercio col trasporto di merci ed altre operazioni che vi vanno congiunte. La società possiede attualmente dodeci legni grossi ed uno scooner, di tonnelate 8634; ed il capitale ascende ad 1.000.000^ diviso in 5000 azioni da fiorini 200 cadauna.

Un' altra Associazione Marittima esiste a Sabioncello, eretta nel 1865 per eguale scopo, con un capitale di 2,300.000 fior., rai)presentato da 9200 azioni a fiorini 250 cadauna ; e pos- siede al presente 30 legni di tonnellate 21,330, ed uno attual- mente in costruzione

La complessiva marina attuale del vecchio continente raguseo, consta di 73 navigli di lungo corso di 41.616 tonnellate, e di 151 di cabotaggio di tonn. 3059, con 1323 persone di equipaggio. Quindi anche attualmente Ragusa sola col suo territorio, conta più navigli che tutto quanto il resto della Dalmazia unito assieme.

Vi sono due società degli artieri, T una appellata ^SociefAt opevaja del Progresso'-'' , e 1* alti'O ^^Associazione operaja/^ ; ambidue l'ondate collo scopo di promuovere l'industria, e sussidiare gli artieri bisognosi.

VI esistono pure società di trattenimento, come la Stio- nica (gabinetto di lettura), il Casino, la società Filarmonica, e la società di canto serbo-raguoea.

Ragusa attualmente è sede Vescovile, con un Capitanato distret- tuale, un Tribunale di prima istanza, un Intendenza di Finanza coi subalterni ufiizi, un Capitanato di Porto, una Camera di Com- mercio, ed un Comando di Brigata. Vi risiedono inoltre vari con- solati cioè il francese, T inglese, il germanico, il russo, 1" ottomano, il belga, r italiano, ed il greco.

La popolazione nella città attualmente è di 3276 anime, nel borgo Pille 1554 an., ed in quello di Plocce 475, complessiva- mente quindi 5305 abitanti ; fra i quali 360 di rito greco orientale, alcuni singoli di altre confessioni cristiane, e poche famiglie israe- litiche, appartenendo il rimanente alla religione cattolica.

Ragusa a buon diritto è chiamata la città del passato; e chi ricorda V attività dei di lei cittadini nei secoli che furono^ non può che restar sorpreso nel vederla adesso «addormentata tra il silenzio delle sue mura."

Chi legge le spiritose Kolende, le graziose mascherate e le umoristiche satire dei tempi andati, e vi paragona il carattere gajo, allegro, ed originale di queir epoca, col serio, cupo ed indifferente

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deir attuale, non deve punto tarue le meraviglie. Tante vicende che soltanto avrebbero potuto svolgersi in un grande stato, ed in un lungo periodo di tempo, e che tutte quante in breve tratto si rinversarono sul suo capo, non potevano che formare nel raguseo un carattere serio ed apatico , senza però fargli nulla perdere del dignitoso e del nobile, del sincero e dell' ospitale, ereditato da' propri avi. Istrutto da una lunga serie di fatti, ei sorride agli sforzi dei pigmei; di nulla si meraviglia; guarda con occhio di compassione chi gli si presenta in aria baldanzosa ; e stende gra- ziosamente la mano a chi lo ignora. Non va in cerca di lodi; abborre da ogni adulazione ; e nella stessa miseria sa mantenere un dignitoso comportamento.

Le vicissitudini de' tempi, è vero, posero argine all' attività de' ragusei ; ciò non ostante la navigazione, l' industria ed il com- mercio non sono abbandonati. Le scienze, le belle lettere, la po- litica, r economia, hanno i loro cultori senza ambizione, senza pretese. Un' eletta schiera di nobili ingegni fa bella corona a Ra- gusa. Il conte Orsato Pozza, Mr. Luigi Ciurcia arcivescovo in Alessandria d' Egitto, Dr. Giorgio Pulic, direttore dell' L R. Gin- nasio di Trento, Pietro Doderlein, professore all'Università di Pa- lermo, Dr. Baldass. Bogisic, professore all' Università d' Odessa, Dr. Michele Klaic, deputato alla Dieta Dalmata e nel Consiglio dell' Impero, Nicolò de' Gradi, Consigliere Provinciale, Dr. Giovanni Augusto Kaznacic, Cavaliere Antonio Drobaz, Matteo Ban in Ser- bia, Cav. Antonio Canonico Copanizza, Cav. Matteo Canonico Vo- dopic, Gregorio Raicevic Canonico a Zara, abate Pasquale Antonio Kazali, Padre Gio. Evang. Kuzmic, Pietro Mancion, rinominato incisore, Presidente della Congregazione Nazionale Illirica a Roma, prof. Pietro Budmani, prof. Luca Zore, direttore del Ginnasio di Cattare, ab. Giovanni Stojanovic, Carlo Grubièic, celebre ingegnere in Italia testé passato a miglior vita, e tant' altri, ricordano, come si mantenga fra i ragusei vivo ognora il sacro fuoco del sapere.

Chiuderò coli' imparziale giudizio d' un gentile viaggiatore te- desco: „Chi entra in Ragusa, pieno ancora delle impressioni della „vita dalmata, si avvede ben presto, che egli si trova in una città, „la quale per se medesima è un mondo ; ad ogni passo che fa „impara, come Ragusa, appartata ma rigguardevole, colta e licca „dopo Venezia, i)er rapporto storico la più rimarchevole ed inte- „ressante città dell'Adriatico, ha conquistato e meritato quest'ini-

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«portanza con indefesso travaglio dello spirito. In nessun altra „città della Dalmazia il forastiero si famigliarizza così presto come „a Ragusa. Egli si trova qui ad un tratto sopra un campo di ^remota civilizzazione, e sentesi circondato da una cultura che gli ^ viene incontro per ogni dove." („ Wiener Zeitung" Dalmatinische Reiseskizzen No. 246—247.)

T.

Sua Maestà FRANCESCO GroSEPPE I a Ragusa e nel

suo territorio.

Uopo 57 anni dacché Ragusa ebbe V alto onore di esser visi- tata dalle Loro Maestà FRANCESCO 1. e CAROLINA, il 28 aprile 1875 esultante accoglieva fra le sue mura V Augusto Loro Nipote e Suo Sovrano FRANCESCO-GIUSEPPE I, che nel visitare per la prima volta la Dalmazia^ avea stabilito nel programma del Suo viaggio di favorire la nostra patria colla sosta di tre giorni interi, durante i quali essa ed innanzi air Augusto Ospite, ed agli stranieri, che accorsero per visitarLo e vederLo , benché piccola, apparve veramente grande.

Nello estendere i brevi cenni sulF accoglienza fatta al Monarca^ al Suo arrivo fra noi nel 28 aprile, e delle festività che nei giorni 29, 30 aprile e })i'imo maggio si succedevano durante la Sua dimora, ed ebbeio fine al momento della Sua partenza; da semplice cronista mi atterrò alle relazioni pubblicate in quelle circostanze dai fogli provinciali, riportando testuali parole dei gentili corri- spondenti deir Avvisatore Dalmate e dell' Osservatore Triestino, che possono ragionevolmente ritenersi come testimonianze impar- ziali, perché date da personaggi stranieri, e addetti allo stesso se- guito Imperiale.

Il 10 aprile 1875 sarà giorno di eterna ricordanza per i Dal- mati; in quel giorno l'Augusto Loro Monarca FRANCESCO GIU- SEPPE I. poneva per prima volta il piede sul suolo dalmate.

Percorsa la provincia fra continue acclamazioni ed entusiastiche accoglienze, Sua Maestà ai 27 aprile, alle i\ ore a. m. partiva da Metkovic^ attraversando il territorio turco di Klek, e giungendo al

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confine del territorio raguseo (Novi pnt), dove La attendeva il Capi- tano Distrettuale di Ragusa il Consiglier Aulico Cav. de Resetar, ed il Podestà di Stagno Jeric, per umiliarLe i propri ossequi; e frammezzo ad interminabili acclamazioni del popolo proseguiva il viaggio per terra fino a Siano, dove arrivò alle 2 poni. Osse- quiato dal Podestà ed acclamato entusiasticamente dalla massa del popolo, visitata la Chiesa, e la Scuola, si l'ecò a bordo del „M ira- mar", che lo attendeva nel porto, per dedicarsi agli affari di Stato. Alle sei fìi il dejeuner imperiale , a cui vennero invitate le persone notabili di Siano e Stagno; e la sera vi fìi generale illu- minazione della borgata e fuochi sulle cime dei circostanti monti.

Alle 5 a. m. del seguente il yacht imperiale partiva per Sta- gno, e dopo un ora circa arrivò nel canale, atteso da immensa folla di popolo, che fra interminabili acclamazioni e spari lo accom- pagnava per terra sino a Stagno , mentre per mare lo precede- vano innumerevoU barchette, pavesate a festa, che gli erano andate incontro.

Alle sette ore V Imperatore si sbarcò alla scala d' approdo, ele- gantemetite addobbata, e gremita di popolo, che con bandiere tri- colori nazionali, cogli spari, ed incessanti zivio, festevolmente Lo accolse. Quivi il podestà, a capo del Consiglio Comunale, pre- sentò a Sua Maestà in lingua slava l'omaggio di suddita fedeltà e devozione ; a cui l' Augusto Monarca si degnò di rispondere bene- voli parole. Quindi fra lo sparo de' mortaretti, in mezzo ad entu- siastiche acclamazioni della folla, fra una spalliera di ragazze, spargenti fiori, Sua Maestà recossi al Comune, ov' ebbe luogo il ricevimento.

La strada era coperta di fiori e di erbe ; V arco trionfale maesto- sissimo; tricolori slave per ogni dove, ed a profusione ritratti del r Imperatore, arazzi, festoni e bandiere. Sulla piazza era eretto tra fiori ed ajuole un belUssimo albero di ostriche, che poscia vennero rimesse a bordo del „]\Iiramar".

Neir allontanarsi dal Comune S. M. congedavasi colle parole slave „Sbogom vani"; e si diresse alla chiesa. Visitò il Giu- dizio distrettuale, le carceri, e la scuola; e volle personalmente a piedi ispezionare il desiderato taglio deli' istmo, che era marcato con bandiere fino a Stagno piccolo, accompagnato da grandissima folla di popolo, dai barjak e spari. Strada facendo degnavasi osser- vare la coltivazione del crisantema, e si fece spiccare alcune foglie e fiori del medesimo.

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Nel ritorno visitava lo stal)iliiii(Mito salitolo, indi proseguiva verso il molo, acclamato entusiasticamente dal popolo coi soliti ?.ivio. Espresse V alta Sua soddisfazione pel cordiale ricevimento^ recandosi alle 8'/4 sul yacht imperiale^ per proseguire a Gravosa.

(Jiì\ alle 8 di quella mattina (28 aprile) un' eletta schiera de' ragusei jìaitiva da Gravosa col i)iroscafo „Lucifer" incontro a Sua Maestà. Sbarcatasi S. M. a Cannosa, ossequiata dal Podestà di Malti, visitò il giardino del conte Gozze^ ed i giganteschi platani, che lungamente contemplò, assieme alla magnifica e ricchissima vegetazione di quel luogo pittoresco. Quindi visitò la chiesa; dinanzi alla quale il parroco di quel luogo pel ihjeuner impellale aveva imbandita la tavola con bottiglie di squisita vecchissima malvasia, che l' impera- tore degnossi assaggiare insieme alla Cotognata stata Gli offerta. Ritornò quindi a bordo fra entusiastiche ovazioni della folla.

Intanto verso mezzogiorno una processione festante, parte a piedi, parte in carrozze, si avviò per la bella strada delle Pille verso Gravosa, dove per le 2 pom. si attendeva il yacht imperiale. Signore e signori, bimbi, artigiani, villici dal pittoresco vestito, forosette che parevano adesso uscite dalle mani d' una modista, se non alla pa- rigina, piene sempre di buono, forse di miglior gusto, andavano sfi- lando a drappelletti, a schiere, a masse compatte ; e le mille viuzze che fra case e giardini serpeggiano sulla collina delle Pille, versa- vano anch' esse il loro numeroso contingente, come tanti ruscelli ad un fiume. E su tutto questo brulichio aleggiava uno spirito spe- cifico raguseo d' ordine e di posatezza, qualche volta sin troppa."

Intanto le case eran tutte addobbate; arazzi, tappeti, fiammelle, bandiere, la slava quasi dovunque, rallegravano la scena; le fine- stre e le numerose terrazze de' giardini andavano popolandosi di coloro che preferivano esser tranquilli spettatori del passaggio. Il porto di Gravosa, veduto un po' dall" alto, presentava la vista fan- tastica. La squadra imbandierata, una flottiglia di barchette leg- gere guizzava sulle onde dirigendosi all' imboccatura del porto, le rive, le alture, le finestre erano gremite di gente, le case messe a festa, il tempo magnifico.'*^

Alle 2 pom. il yacht imperiale entrò in porto. La ^Radetsky" die il primo segnale delle salve, che vennero ripetute da tutti i legni della squadra, giunta il giorno innanzi da Zara, sotto il co- mando del contrammiraglio de Sterneck, nonché dalla corvetta russa ^Bayan", e dai soprastanti fortini. Acclamata entusiastica-

' Osservatore Triestino. N. 100, nel supp. „Adria."

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mente dalla folla, che gremiva le rive, e salutata con fragorosi zivio, Sua Maestà sbarcava su apposita scalinata, presso alla quale era costruito un ricco elegantissimo padiglione, ampio quadrilatero, lungo 30 piedi e largo 15^ appoggiato ad eleganti colonnette co- perte in lacca bianca a fregi d'oro, leggiadramente ricoperto di finis- sime drapperie rosse, bianciie ed azzurre, leggermente cadenti dai quattro lati in eleganti festoni.^ Quivi Sua Maestà ricevette il primo omaggio dal Podestà di Ragusa, conte Raffaele Pozza; ed al suono dell' inno dell' impero S. M. passò in rivista la compagnia d' onore^ e quindi in carezza si recò verso la città, sempre accom- pagnata da entusiastici zivio.

La strada era tutta addobbata magnificamente con antenne^ ban- diere^ e fiori. Presso al campo di Gravosa erano eretti ai lati della strada, due superbi obelischi, lavoi'ati in muschio con esattezza e pazienza ammirabile, e per la loro sveltezza ed eleganza da ognuno ammirati, ornati con stemmi e bandiere; fra i quali Sua Maestà passò in carezza^ attraversando la strada, decorata con ben dis- poste antenne e bandiere fino al Borgo Pillo. Quivi presso il giar- dino pubblico sorgeva un magnifico arco trionfale a tre arcate,^ gra- zio sissimo lavoro in muschio ed aloè^ concorrendovi largamente anche il pino, l'alloro, l'agave, l'edera, decorato con una massa di trofei^ stemmi, orifiamme^ stendardi e bandiere^ e portante la seguente iscrizione :

SLAVA

CESARU I NASEMU KRALJU

FRANU JOSIPU I.

Presso r arco trionfale attendeva il Podestà col Consiglio Comu- nale ; e facevano spaUiera i mihti e 24 brenessi in ricchisimi e pitto- reschi costumi, come pure i membri delle due società operaje, con bandiere e musica. Una folla da ogni parte si accalcava; le fine- stre delle case, le terrazze, i muri del giardino pubblico, tutto era zeppo di gente, che ansiosa attendeva 1' arrivo del Monarca.

Air allocuzione slava del podestà, Sua Maestà si degnò di ri- spondere in tedesco nei seguenti termini:

' Il disegno del padiglione e degli obelischi, come pure della decorazione della città, e del padiglione eretto dall' Associazione Marittima nello squero a Gravosa, era del prof. Bald. Kosic.

' Il disegno dell' arco trionfale è dovuto all' ingegnere del Governo marittimo di Trieste sig. Hàniscli.

e 0 11 speciale compiacenza accolgo le espressioni di fedeltà e di attaccamento della rappresentanza Comu- nale di Ragusa. Mi ò assai grato di poter destinare una visita di più giorni a questa cospicua città, che sa unire ad un glorioso passato, un degno presente. Io sono convinto della sincerità dei loro leali senti- menti verso la Mia Casa e l'Impero. Accolgano loro tutti, miei signori, ed i loro committenti, rassicura- zione della Mia speciale benevolenza.

La decorazione del Borgo Pillo era veramente stupenda. Ogni casa era riccamente e con eleganza decorata ed imbandierata. Dal l'arco lungo tutta la strada, fino all' ingresso in città, e poi da qui lungo lo stradone e la città, fino alla Sovrana residenza, correvano doppi filari di smisuiate antenne, rivestite di spirali di verdura alla base, adorne con trofei di stemmi e bandiere verso il centro, e sormontate da enormi orifiamme. Dall' arco fino alla residenza era collocata una spalliera militare. 5,Per quello riguarda la parte „decorativa, Ragusa meritò di occupare tra tutte le altre città uno „de' primissimi posti, poiché meglio, con maggior gusto pote- „vansi certamente condurre a termine gli addobbi." ^

L' Imperatore ricevuto 1' omaggio dal Podestà, ed accolto gra- ziosamente un mazzo di fiori, offertogli dalla figlia del general comandante di Piazza barone de Jovanovic, frammezzo ad entu- siastica commoventissima ovazione, fra gì' interminabili zivio, fra una vera pioggia di fiori, coi quali le dame cospergevano a S. M. il cammino, fra le salve di artiglieria e scampanio di tutte le chiese, preceduto dal Podestà e dalla guardia d' onore dei brenesi, solen- nemente entrava in città, seguito da un' acclamante folla.

Senza dubbio è stato questo 1' ingresso più trionfale che Egli „abbia fatto in Dalmazia. Lo stradone lunghissimo e perfettamente ^alineato, tutta attraversa la città fino all'altra parte; ai due lati ..le case tutte eguali, tutte a due piani, ogni due case una via late- „rale ad angolo retto; regolarità torinese. Ad intervalli regolari, „giacchè qui tutto lo è, lo stradone fu fregiato di aste a bianco, „rosso e cilestro, colori slavi, con stemmi e bandiere delle diverse ^Provincie, anche bavaresi, ma la massima parte slave."

„Le finestre addobbate, molte con uno sfarzo singolare, non dis- „giunto dal più perfetto buon gusto, e tutte stipate di teste fenuni- „nili. Quanti sono i fori delle case, tante sono le fontane di fiori

' Avvisatore Oalmato.

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„clie si versano sui passi dell'Imperatore. Delle acclamazioni nulla „dico. Passato lo stradone, l' Imperatore volge alla destra verso il Capitanato distrettuale, che fìi già il palazzo del Rettore della Re- „pubblica; passa in rassegna una compagnia anche schierata, ed entra nella Sua residenza. La piazza sottostante si era intanto gremita di gente, e tante, e ripetute, quasi direi imperiose furono „le acclamazioni, che V Imperatore visibilmente commosso , si pre- „sentò più volte alla finestra, a ringraziare; e si dice, che tanta sia stata la Sua commozione, da mancarGli la parola per qualche mi- «nuto.'^"

La guardia d' onore si schierò dinanzi al palazzo, e cominciò il ricevimento dei dignitari di Corte, del corpo Consolare, del Clero, dell' I. R. Autorità, e delle Corporazioni. Alle cinque ore venne accolto in ricevimento speciale il commandante Boylè e 1' Ufficia- lità della corvetta russa, ed alle SVo Drvis-pasa governatore della Bosnia col suo seguito, spediti espressamente dai rispettivi governi per ossequiare Sua Maestà.

La Sovrana risposta a Mons. Vescovo, fu la seguente: Ag- gradisco con particolare compiacenza le solenni as- sicurazioni di fedeltà e devozione che Ella mi porge a nome del clero commesso alle pastorali sue cure. Io apprezzo altamente lo zelo col quale questo clero adempie, spesso sotto difficili condizioni ai doveri del suo sacro ministero. Perseverando ne 11' inculcare alle popolazioni i principi di quella pace ed amore fratterno, otterrà il più bel guiderdone al suo operare. A loro tutti l'assicurazione della Mia Imperiale benevolenza.

41' omaggio della Camera di Commercio Sua Maestà si degnò di rispondere: Accolgo con particolare compiacenza le leali espressioni di questa Camera di Commercio, la di cui proficua operosità apprezzo pienamente. Col venir i n e o n t r o a 1 1 e p r e m u r e d el M i o g o v e r n o, Loro Signori raggiungeranno certamente quella meta cui sono rivolti i loro lodevoli sforzi. Sieno sicuri del- la Mia Sovrana benevolenza.

Alle 6 ore ebbe luogo il diner^ al quale, oltre le notabilità del paese, furono invitati S. E. Drvis-pasa col brillante suo seguito, nonché il comandante Boyle e 1' officialità della corvetta russa

* Osservatore Triestino Nro. 100 Supp. Adria.

122

jjBayaii", poc' anzi stati ricevuti in paiticolari udienze. La banda militare, nel piazzale sottoposto alla residenza, rallegrava di sue melodie il banchetto, mentre un inimeroso ed eletto pubblico si aggirava giulivo nelle vicinanze.

„La sera ebbe luogo una generale illuminazione, del grandioso „ed insuperabile eft'etto della quale i)uò formarsi un' idea soltanto „chi conosce Ragusa, le ampie sue strade, e specialmente il ma- „gnifico stradone coi suoi bellissimi ed uniformi editizi. Un' abba- „gliante atmosfera di luce investe tutte le vie; ad ogni finestra „brillano numerose candele, il cui vivissimo splendore è, però, su- ^perato dalla sontuosa illuminazione a disegno che adorna la parte „inferiore. fino al primo piano di tutte indistintamente le case nelle principali vie, e segna, a linee di fuoco, le maestose moli dei «monumenti architettonici della città. È nota la uniformità degli ^edifìzi di Ragusa, specialmente allo stradone, le case quasi tutte „d' eguale altezza, con un piano ed un mezzanino, hanno al pian- terreno i negozi, le cui porte e finestre costituiscono una sola apertura sormontata da un arco. Immaginatevi ora la curva di „tutta questa sterminata serie di archi segnata a lumicini di vari «colori, de' quali un'altra linea unisce, alla base, arco ad arco, ^mentre fra l'uno e l'altro, poco più in sii, brilla, disegnata a lumicini colorati, una magnifica, enorme stella. E questo ricchis- „simo disegno insuperabile per armonia ed effetto, corre d' am- „bidue i lati dal palazzo Vescovile lungo la piazza del duomo, per tutta la sterminata lunghezza dello stradone, gira presso la fon- „tana addossata all' Arsenale , per la via paralella allo stradone, «continua per la via larga, e va a finire alla piazza dell' erbe. La «regolarità di questa stupenda tapezzaria di fiamme viene qua e „là interotta dalle maestose linee della cattedrale, architettonica- „mente segnate con profusione di lumicini, dalle magnifiche illumi- «nazioni, pure a ricco disegno architettonico, della chiesa di s. «Biagio, del corpo di guardia, della Intendenza (la quale in ispecie «offre un aspetto incantevole), della chiesa dei francescani, della ^fontana colla sua cupola di fuoco, della bellissima chiesa greca, ,, della enorme scalinata che dalla piazza dell' erbe conduce all'espi- atale militare, e così avanti di tutti quei numerosi edifizt pubblici, «notevoli per artistica bellezza, che vanta Ragusa. Fra tutti uno ,,de' primi posti, per ricchezza e buon gusto d' illuminazione, occupa ^il magnifico palazzo Conumale. Un migliajo circa di palle di vetro ^smerigliato bianco con una luce languida, vaghissima, ne ornano

123

„la facciata , tutta la linea del tetto , e delle superbe finestre , e disposte in magnifici candelabri a salice, inondano di luce il piaz- „zale dinanzi V ingresso. Effetto più magico era certamente impos- „sibile di cogliere. Una consimile illuminazione brilla pure, con disquisito buon gusto, nel piano della casa occupata dalla Società ^Operaia del Progresso, mentre per altri beUissimi giuochi di luce, ^trasparenti ecc., spiccano inoltre gli edifizt del Vescovato; del

V

^,Comando militare, del Dubrovacko radnicko drustvo, della Cita- „onica, della Chiesa greca, e di altri edifizì privati e negozi, che „tutti mi è impossibile ricordare".

„Dopo aver tentato di darci un' idea di qualcuno dei particolari „di questa veramente insuperabile luminaria; sono costretto a ri- „nunziare di dipingervi F impareggiabile eifetto del complesso, per- „chè spettacoli, come quelli che ieri sera offrivano specialmente lo «sterminato spazio dello stradone e le piazze del duomo e dell'erbe, ^sfidano ogni descrizione.

Altro, diverso sì, ma non meno magico ed incantevole colpo „d' occhio presentava la brillantissima illuminazione del borgo Pille, „ove non v' era casa, non v' era giardino, che non fossero illumi- „nati a disegni di palloncini, a fiamelle, a lumicini, a trasparenti „di tutte le forme e di tutti i colori. Bisogna conoscere la pitto- „resca posizione di quel borgo, le deliziose sue case, i graziosi „suoi giardini, per formarsi un' idea dell' effetto che un' illumina- „zione ricca e varia produceva tra il verde dei boschetti; tra „i fiori, e la magnifica decorazione delle case." ^

E qui riporteremo le iscrizioni che si leggevano sui diversi edifizt.

Sul portone del Palazzo Comunale v' era la seguente iscrizione :

FRANU JOSIPU PRVOMU

SLAVNOMU CESTITOMU VISOKOMU

CESARU I KRALJU DUBROVNIK

MALI ALI NEKADA NE BESLAVXI GKAD

FRI POHODU NJEGOVU

KAO STO SE JE NEGDA DJEDU MU RADOVAO

SAD U BOLJIM OKOLNOSTIMA

MEGJU NARODIMA

KOJI SE VESELE DOBROTVORNIM ZAKONIMA I SLOBODI

* Avvisatore Dalmate No, 36.

124

OD MUDRE PAMKTI PLEMKNITOO SECA

BLAGODARNE RUKE

UDTJELJENIJEM

UZDIÌK I ON SVOJ OLAS

KLIÓUCI

:?:ivi().

In un altro punto dello stradone, si leggeva quanto segue:

Za Tebe smo Care, kad je zgoda, Svi pripravni smrti podniet breme;

Tako i Ti, svietloga Ti Roda, Za Slavensko pobrini se pleme.

Sulla chiesa dei Francescani erano appese le seguenti iscrizioni:

FRANU-JOSIPU PRVOMU

SLAVNOMU AUSTRIJANSKOMU CESARU

DUBROVNIK POHODECEMU

OVDASNJA DEZAVA

REDA SVETOG FRANA AKSISKOGA

SVOJEGA BOGOLJUBNOGA CARA

RADOSTIVA POZDRAVLJA MOLECI SVEM0GUCN06A BOGA

DA MU DOBRU SRECU SVEDJER BLAGOSTIVO UDIJELI.

LA PREGHIERA

AI PIGLI DEL POVERELLO d' ASSISI

UNICA RICCHEZZA

PER TE AUGUSTO CESARE

AL TRONO dell' ALTISSIMO

FERVOROSA s' INNALZA

E SULLA PITSSIMA AUSTRIACA CASA

LE CELESTI BENEDIZIONI

DIVOTAMENTE IMPLORA.

Neu aus Trtimmern erstand dieser Tempel durch Òsterreiclis Fiirsten, Deiner Ahnen Geschenk zeigt er, o Kaiser, dir an.

Sulla chiesa dei domenicani vi era la seguente iscrizione:

DOMINIO AN A F AMILI A EXULTANS.

125

Sulla neoretta chiesa dei greci-orientali vi era un elegante tras- parente, su cui in lettere cirilliane si leggeva la seguente iscrizione :

OPCINA PRAVOSLAVNIJEH SRBA

KOJA POD ZAéTITOM

UZOEXIJEH TVOJIJEH ZAKONA

VJEROSLOBODE

UZIVA U SLAVXOME DUBEOVXIKU

MIRXO UTOCISTE

UZRADOVAXA TVOJIJEM DOLASKOM

JEDNOGLASXO KLICE

MXOGA LJETA ZIVIO

CESTIT SRECAX NEPREDOBITAX

SLAVNA KRUNO MILI GOSPODARE.

La Società Operaja „Radnicko Dubrovacko Drustvo" avea due trasparenti, che portavano le seguenti iscrizioni:

SVIJETLI KRALJU

FKANO JOSIPE I.

U SRECXO PROLJECE OVO

LJETO PRIPRAVI PLODNO

RADNICIMA DUBROVCANIMA

ILI PO RODU ILI PO IZBORU

KOJI S MORA IL S KRSNIH PLANINA

POD TVOJE KRILO AMO DOGJOSE

BLAG POGLEDAJ NA NJIH

DA SVOJOJ XAVIJESTE BRACI

TVOJU BRIGU ZA NARODNA PRAVA

I NAPREDAK RADNIKA

DA TAKO DUBROVNIK STARI

BUDE SREDISTE NOVO UMJETNOSTI I RUKOTVORINA.

DUBROVACKI RADNICI

NAKON CETVRT VIJEKA

ZELJNOG ISCEKIVANJA

SRECAX STE DAN DOZIVLJELI

IZMEGJU VAS VIDJETI

VASEG PREVISOKOG GOSPODARA

KOJI VAM DAROVA

SLOBODU UDRUZIVANJA

126

TE 8K OCEVOM LJ UBAVI

ZA VAS NAPREDAK BRINE

DA OBRT I NA MORU 1 NA 8UHU

ZA OPCE BLAGOSTANJE PROCVATI

ISKAZITE MU SVOJU RADOBT

SLOZNIJEM BILAMI KLIÒUCI MU

ZIVIO.

Sulle finestre della Società del Progresso" si leggeva come segue

LA SOCIETÀ OPERAIA

DEL PROGRESSO

INNALZA ARDENTI VOTI

A DIO 0. M.

CHE PROTEGGA E CONSERVI

PER LUNGA SERIE d' ANNI

FRANCESCO GIUSEPPE I.

PADRE de' suoi POPOLI.

SOTTO GLI AUSPICI

DI CESARE

UNIAMO CONCORDI LE FORZE

NEL COSTANTE LAVORO

NELLA FRATELLANZA

E SLA NOSTRO VANTO

all' AUGUSTO SIRE

INCROLLABILE FEDELTÀ.

aveva stampate le sii riferite due iscrizioni, fregiando colle i sime le principali contrade della città; e la „Società Operaja 1 'regresso^ a nome proprio aveva diramata colle stampe, ed j

Nella circostanza stessa la Società ^Eadnicko Dubrovacko Drus- tvo" aveva stampate le sii riferite due iscrizioni, fregiando colle medesime del Pi affissa per la città, la seguente

Ode Saffica.

Vieni Cesare vien folla festante Ti fa corona son i tigli Tuoi I lor voti sdegnar qual Padre amante

Nò, non lo puoi.

La splendida città da Te si obblia Città Regale, e a noi rivolgi il piede, A Epidauro d' Apollo e di Sotia

x\ntica sede.

127

Poveri siam de' doni suoi natura Almen larga ci fu. Qui di zaffiro È pinto il cielo, e qui d' un aura pura

Geme il sospiro.

Memorie illustri questa Terra serba, Ma il lauro impalidì eh' un la chioma Cingea dei grandi sol la sorte acerba

Non r alma ha doma.

Ecco 0 Sire quai siam la Tua potente Destra sorregga quest' antica Donna Ch' arder nel petto il sacro fuoco sente.

mai assonna.

Cesare o Tu cui fia ognun s' inchine Riconduci, che il puoi, 1' età dell' oro, Fa rinverdir di questa Donna al crine

L' antico alloro.

La scuola Fondazionale Serba era poi fregiata colla seguente iscrizione in caratteri cirilliani:

PODANICKA VIJERNA PRIKLONOST

CAESKOMU TVOJEMU PEESTOLU

PEVO JE OSJECANJE

KOJEGA

MATEEINSKIM JEZIKOM

U SECU SEPSKE DUBROVACKE DJECICE

NAUKA RAZVIJA

UPEAVLJAJUÓI MOLBE

PREVISXJEMU

DA TE DUGO LJUBAVI NAEODA NASEG

CESTITA, SLAVNA, NEPEEDOBITNA

UZDEZI.

Alle ore 8 Sua Maestà percorse le vie principali della città e del Borgo Pille, preceduto dalla guardia d' onore di 24 Brenesi in superbi costumi e dal Podestà, ed ovunque seguito ed accolto da innumerevole folla, sempre entusiasticamente acclamante. L' Impe- ratore si compiacque di esaminare attentamente tutti i dettagli della splendida luniinaiia e di esprimere ripetutamente al Podestà

1L>8

il pieno Suo aj^gradiiiiento per la bellezza della città, pella eom- movente accoglienza, e pella stupenda illuminazione.

„Le feste di questa giornata riporta V Avvisatore I) al- eniate ^ resteranno iniperitui'e nella memoria di quanti vi assi- „stettero. Nulla di meglio avreì)be potuto ofìVire qualsiasi altra „città della monarchia, ed i ragusei possono a buon diritto andar ^superbi del modo con cui hanno accolto il Sovrano."

Il giorno seguente 29 aprile Sua Maestà di buon' ora assistette alla parata militare al campo di Gravosa, accompagnato dal popolo festante; ed alle 10 ebbero luogo le udienze ; durante le quali Sua Maestà si espresse con compiacenza di compren- dere la lingua nazionale croata, e salutava indi colle parole „S Bogom". In questa giornata ebbe pure a presentarsi al Sovrano il corpo de' Patrizi ragusei.

Nel pomeriggio l'Imperatore, sem])re entusiasticamente acclamato, fece una gita in carrozza a Bergatto, recandosi al forte Zarkovica, e proseguendo quindi a cavallo fino al forte Imperiale, donde venne salutato con salve d' artiglieria. Ritornò quindi a piedi fra le solite entusiastiche acclamazioni della folla, che, parte qua, parte là, ne stava attendendo il ritorno. Gli studenti del ginnasio seguendo un loro bandierone tricolore , si diressero al così detto campo degli Ebrei , ed attendevano 1' arrivo , e ne salutarono il passaggio con fragorosi „^ivio".

Poco dopo il ritorno in città; alle 6 ore, fu il diner imperiale, al quale, oltre molti altri, ricorrendo in quella giornata T onoma- stico di S. M. r Imperatore delle Russie, venne nuovamente invitata r ufficialità della Corvetta russa ^Bayan" con a capo il comandante Boylè , che occupava il posto d' onore a destra dell' Imperatore. Dopo la quarta portata F Imperatore si levò in piedi , e portò il seguente toast: „A la sante de Mon Frère et Ami Sa Ma- jesté l'Empereur de Russie, dont Nous célébrons au- jourd'bui la te". (Alla salute del Mio Fratello ed Amico, Sua Maestà Y Imperatore delle Russie , di cui Noi oggi celebriamo la festa.) Avendo la banda militare, che suonava sulla piazza, a questo momento intuonato F inno russo, Sua Maestà ed i convitati si le- varono in piedi, ed in piedi lo ascoltarono.

Il Console Jonine ed il comandante della corvetta russa be- vettero alla salute dell' Imperatore d' Austria, e della Sua famiglia. Entrambi questi signori portavano le insegna delF Ordine della

' Nro. 36.

129

Corona Ferrea di II classe, che il giorno stesso Sua Maestà aveva loro conferito, ed il secretarlo del Consolato Russo Bakounine la Croce di Cavaliere di Francesco Giuseppe I.

In questa giornata, essendo giunta la notizia del felice parto della principessa Gisella, la rappresentanza Comunale umiliò a Sua Maestà un indirizzo di felicitazione.

Alla sera venne ripetuta l' illuminazione, la quale causa il tempo non tanto propizio , riusci meno brillante di quella della sera in- nanzi. Ciò non tolse però che la serata fosse allegra, e le vie animatissime. L'Imperatore però quella sera non uscì dal palazzo.

Alle sei ore di mattina del seguente 30 aprile, l' Imperatore andò a visitare l'isola di Lacroma. ^La mattina era superba; cen- „tinaja di barchette imbandierate si cullavano sulle onde. L' Impe- „ratore si fermò lungo tempo sull' isola. Il fondo per dir così „deir isola è un bosco fìtto di mirti dell'altezza di un uomo, ta- „gliato qua e da viuzze campestri, ed animato da una popola- „zione infinita di uccelli, che cinguettano allegramente. Nel mezzo „il palazzo, che fìi già un convento, di cui serba ancor manifeste „le traccie. V'entrai e mi sentiva stringer il cuore, al trovare „tutt' ancora coni* era stato lasciato dalla coppia sventurata. Di- nnanzi il palazzo tappeti di fiori, di dietro giardini a scaglioni, con piante di ogni specie e statue, tra le quali un adoratore del sole «piantato nel centro e volto a mezzogiorno sembra invocare il be- ^nefico astro. Qua e parchi di piante esotiche, e specialmente dell' Australia con foglie sottili sottili come tanti aghi , qua e resti di una coltivazione di camelie all' aperto." ^

Tornata dall' isola di Lacroma, quella mattina Sua Maestà visitò il forte Revellino. le Scuole civiche, la Nautica, la chiesa dei Do- menicani, quella di s. Biagio, indi il Cenarne col Museo. Di poi il forte Molo, la caserma di s. Maria, la chiesa di s. Salvatore, quella dei Francescani, indi T Arsenale d' Artiglieria, V Ospitale civile, la chiesa del Domino, di s. Giuseppe, e poi il Ginnasio.

Nella scuola civica la scolaresca attese 1" Imperatore e lo salutò coir intonare V inno imperiale in islavo, e Sua Maestà in ogni classe fece esaminare due tre allievi, manifestando la propria soddisfazione.

Pregata Sua Maestà di fregiare colla propria tìrma un Album, che Gli venne presentato, non solo gradì la preghiera, ma scrisse la Sua firma in islavo, colle precise parole : FRANO JOZIP.

' Osservatore Triestino Nro. 101.

130

li' istituto era ele^'anteiiieiite iido])bato, e le seguenti iscrizioni lo adornavano :

U SRECNI ÒAS

KAD SE JE UD08T0JAL0

SVOJIM LICEM OBASJATI

OVU UÒIONICU

CESARSKO KRALJEVSKO APOSTOLSKO VELIÓANSTVO

FRANE JOSIP I.

RAVNATELJ UÒITELJI UÓENICI

NAJZIVLJA CUVSTVA

SRCANE PODANOSTI

NEPRELOMNE VIJERNOSTI

IZJAVLJUJU.

ZIVIO

CESTITI CARE ZIVIO

VELIKODUSNOST TVOJA

NEK MILOSTIVO PRIMI

IZRAZE PRIKLONSTVA

RAVNATELJA UCITELJA UCENIKA

OVOG PUGKOG ZAVODA

UTEMELJENA

POD ZASTITOM TVOJIH SLAVNIH PRADJEDOVA

U DANASNJOJ SRECNOJ PRIGODI

NEKA DOPEU DO TEBE GLASOVI NASI

USKLIKOM DOBRODOSASCA

KOJEGA RADOSTIVI UZDIZEMO

IZ DUBINA

HARNOGA SRCA.

SALVE O CESARE

PADRE DEL POPOLO

GIOIA E DELIZIA DELl' IMPERO

ANGELO DI BONTÀ

SALVE.

LA SCUOLA CIVICA E POPOLARE

DI RAGUSA

ESULTA NEL RICEVERTI VISITATORE

DI TANTA DEGNAZIONE

131

MAESTRI E ALLIEVI

AFFETTUOSI KICONOSCENTI DEVOTI

NE SERBERANNO PERENNE

LA RICORDANZA.

Alle ore 9'/. Sua Maestà col Suo seguito era nel Ginnasio Appena pose piede nell' istituto la scolaresca raccolta tutt' assieme nella sala presso la Dilezione, intonò l'inno Imperiale in islavo terminato il quale in presenza dell" Augusto Monarca, gli alunni distribuirono nei corsi coi rispettivi docenti.

Dopo di aver chieste minute informazioni dalla direzione sull'Isti- uto, Sua Maestà visitò i singoli corsi, facendo esaminare due tre scolari nelle differenti materie, secondo l'orario della giornata mostrando in ogni singolo corso la Sua piena soddisfazLie si

lwH'""f ';■"'''%'' '""'"■'"" -i«»««^be, le bibblioteche, il gabinetto d, Fisica. In questo frattempo di bel nuovo gli scolari

S di" ff "?"""" ""'" ""''^™"^' '^ Sua Maestà s

degno di soBerniarsi fino a tanto che fu terminato, graziosissima- mente largendoli delle lodi. Neil' escile dall' istitut; si coppaie d. manifestare al Direttore la Sua piena soddisfazione. La sia dell Imperatore nell' istituto durò per un ora circa

nnll'vf""'" 'r«'^"''*" """""■" '^'■'^ addobbato, quanto meglio si poteva con difterent. verdure, fiori, ghirlande di alloro, bamliere ecc., e fregiato d iscrizioni, e poesie nelle difterenti lingue che vengono insegnate nel Ginnasio.

leggeva la seguente iscrizione:

AUSPICATISSLMO ADVENTU FRANCISCI JOSEPHI PRIMI CAESARIS

CUM UNIVERSA CIVITATE

RAGUSINUM GYMNASIUM

MAXIME LAETATUK

PALLADIS HOC TEMPLUM INGRESSUS DIGNARE VOCARI EX JUVENUM VOTIS REXQUE PATERQUE SIMUL.

Nella sala ove la gioventù cantava l' Inno imperiale, sopra 1' effi- ?orat ! ' "''''' "' ''"' ^' '^^"'"^^ ^^^^'^^^^"^ ^" I^t^^^e

ALMUS CAESAR ADEST AGEDUM LAETARE JUVENTA GYMNASII FESTUMQUE CORO POENA CANAMUS.

ÌH'2

Sotto le volte delF atrio, ed alle port(; dell' istituto vi erano ap- pese le seguenti iscrizioni e poesie:

To'j Kaicapo; ^pav/ctTxo'j 'l(oc7r,'pouA'

Et; AaXaaTLav

Mixoàv Te ^Vùctt^ Tt Xtóoav

\ IpWTOV 'Ep*)(OJjÌvO'J

'PayoiKitxóv TuavàcLov AuToO Baèt).£uovTOc Kaì 'E7:l'7.£Xoul/Ìvou

SXa^ixo) "EO-vei AttoSeSojjÌvov

TotoOtóv Te Toio'jTÓv Te EùspYSTViv

'EV/i>.u9-ÓTa XaipEL

EÙT'J')<75'7a.!. E'jysTat.

Kal "/V AUxta Soi'Tsiv Kal AO^vi'ìstv

lTpo;atT£lTai.

La quale iscrizione tradotta suonerebbe:

SOTTO FAUSTI AUSPICI IN OCCASIONE DELLA PRIMA VENUTA

dell'imperatore FRANCESCO GIUSEPPE I.

IN DALMAZIA

PICCOLA MA A LUI CARA PROVINCIA

IL GINNASIO RAGUSINO

SOTTO IL SUO REGNO

E

PER LE SUE PROVIDE CURE

RESTITUITO ALLE LETTERE SLAVE

GIOISCE ALLA VENUTA

DI TANTO E TALE BENEFATTORE

GLI AUGURA FELICITA PROSPERITÀ

CHE I DRITTI DI LUI

SI CONSERVINO SI ACCRESCANO

FERVIDAMENTE PREGA-

SALVE AUGUSTO CESARE

PER TE

NOVELLA ERA DI LIBERE ISTITUZIONI

SURSE E BEh I TUOI POPOLI

IN TE

133

LE ARTI LE LETTERE LE SCIENZE

RICONOSCONO FAUTORE E MECENATE

PER TE

AI COMMERCI SI SCHIUSERO INVENTATE VIE

SOTTO LA GRANDE OMBRA DELLE TUE ALI

IL GINNASIO SUPERIORE DI RAGUSA

GUARDA FIDENTE IN UN FELICE AVVENIRE.

Mit dem Daiìk fiir ali die Freude

Welche Dein Besuch uiis bringt, Lass uns, Edler Furst, verbinden

Eiiien Wunsch^ der uns durchdringt : Moge wie bisher Dein Walten

Strahlen stets in Glanz und Ehren Und Dein Leben, das Geweihte,

Lange, ja reclit lange wàliren!

OVAJ ZAVOD

POSVECEN

KNJIZEVNOSTI I ZNANOSTIMA

KOJE DAVNOM DUBROVNIKU

SLAVNO IME

U POVJESTNICI LJUDSKE PROSVJETE

ZADOBISE

POTKRIJEPLJEN SADA

BLAGODARNOSCU AUSTRINSKE KRUNE

DOLAZAK CESARA SVOGA

RADOSNO POZDRAVLJA

Sint grates Superis. post tot dicrimina rerum,

Divino afflatus Numine, lihacusium Ingreditur Caesar; Cives gaudete; labores

Passis longaevos dulce levamen erit. Conspice: ab antiquis Epidauri exorta ruinis

Haec urbs musarum jam domus et Sophiae Testis, Dalmatiae et tellus, quae jure Huperbit

Jactans se eximiis quos tulit alma viris.

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Dii tandem Illyricas mittiint Te Caesar ad oras Gens antiqua Tuis surgat ut auspiciis,

Ergo age. sopitos Tua dextera suscitet ignes, Vinique aniniosque novos insere pectoribus.

Questa che calchi di memorie terra ]

Sparsa, o Prence, (T allori intorno mira, I

Solo fra tombe, u il cenere si serra I

Dei nostri (ìrandi. il piede tuo si aggira. i

E 01' che un secol men rio più non fa guerra ;

A Pallade. e fiaccata al tempo è V ira, J

Qui viene riverente e qui si atterra j

Dei nipoti hi turba, e qui si ispira. !

Spenta dei padri la viitude antica ;

Non è fra noi, e splenderemo chiari .

Noi pure un di, or che la sorte è amica. .

Sian pur ad altri di lor fama trombe i

Templi, bronzi, palagi e noi gli altari I

Di nostro glorie Ti mostriam le tombe. j

Pjesan. '

Kog' pohodis, Care slavni,

Prosvjete je zavod sveti; I

Sto Dubrovnik bjese davni I Najbolje Ti mo^e on rieti, I pokazat urna sile

V 1

Sto su biede predobile. j

Tiesnu zemlju svud opkoli j

Krs neplodni, sinje more, \

A dusmani krsta oboli j

Svegj vrebaju da ga obore; i Cuju svagdan bracu milu Gdje u ropstvu jadno cvilu.

Nad slobodom svojom bdije; j

Predobiva biesne vale, j

Svetog Vlaha stieg se vije '

Do najkrajne svieta obale; 1 Blagostanje i prosvjeta

U sretnome gradu cvieta. j

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Uèenjaka skup izbrani Goji u njemu znanstva blago; Svog jezika ovdje sbrani Materinstvo milo, drago, Koje s brac'om on podieli Netom daii mu svane bieli.

Dubrovnika proslost to je, Dicna, slaviia i cestita; Od milosti ceka Tvoje, Da sad mladeè plemenita Slavu iizdrèi, èto je bio Znanjem svojim zadobio.

Lovor-vienac pristojan Ti sviti

Pozuda je naseg srca bila: Al nam krati, Care precestiti,

Tak' visoko uzdignuti krila Mladost òedna i pamet nezrela

Tvojom sjajnom slavom zabliestena Tako da usta ne bi izreó smjela

U duèi nam custva zadubljena: Moderno Ti samo obecati

Da napredak naraìstaja nilada U kruni ée Tvojoj slavnoj sjati

Kano sunce kada tniine svlada.

D a I m a c i j a.

Alem-kamen da sam svak mi veli Svietloj kruni svog Kralja i Cara S kog se meni Ijepsi danak bieli I sretnija buducnost se stvara.

Sto providnost jal priroda udieli Nesto vrieme, nesto dusman bara: Sve nadvlada i biede iscieli Vrla krepost dusevnoga darà.

Mojoj slavi, to znam, nije znamen Niti biser ni vienci koralja Sto mi more na podnozju valja;

Vjera kralju zarka kako plamen, Ljubav, hrabrost mojih stanovnikà To je ponos i slatka mi dika.

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Canzone.

Sei pur bella Epidauro A Te di stelle Sul capo si distende Trapunto il padiglion. e come ancelle Ti tergon Y onde il piede. Sul tuo bel cielo un mite sol risplende, E i liti un' aura tiede, 'Ve' un di redian dei venti in sulle penne j

Onuste di tesor le patrie antenne. !

Cinta di fiori, e in veste ornata e eletta i

Qual sposa, che all' altare j

Beata incede, il Tuo Signor aspetta : ;

Dei tìgli ti circonda, !

In cui r antica lealtà si pare;

Mostra la nobil fronda, ,

Ver cui del Tempo nulla può 1' oscura <

Ala Palladio nella tua sventura. |

Mostra de' figli tuoi la balda schiera, i

DiGli che braccio e cuore i

Son sacri a Lui diGli, che la bandiera |

D* Asburgo e di Lorena

Fia Labaro per noi, e dell" onore

Sui campi ardire e lena i

Ispirerà di' che incrollabil sede ;

Locò nel nostra sen l' avita fede. I

Spiega i vanni, Epidauro, e inneggia a Lui J

Scendete giù, scendete, i

Mostri marini nei profondi e bui 1

Antri dell' Oceano,

Torni il sorriso al ciel, e la quiete |

Ai flutti. È pur insano |

Contro i fati lottar! la nostra spene ,

Dio clemente compì Cesare viene. |

Avventurosa nave! a te seconda i

Sia r aura, il sole indori |

Le tue vele, e ti baci amica V onda; i

Nereì'di festose

Scherzin intorno a te con danze e amorì. Scherzili intorno, e mezzo ascose

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Facendo al bianco sen dell' alghe un velo

Di dolcissimi canti empiano il cielo. Vieni Cesare, vieni oh quanto affetto

T' aspetta qui ! grandeggia

Nobile cuor de' figli miei nel petto,

Ove all' amato Sire

Ersero riverenti Altare e Reggia:

Vieni, e ogni lor desire,

Fia pieno a Te che degli Dei se' dono

Dei popoli r amor consacra il trono. Immemore di sé, diseredato

Giaceva e Tu dicesti:

Sorgi, popolo mio ed il passato

Del nulla nell' abisso

Qual lampo disparì dritti gli desti,

Ed ei che già fìi visso

Nei tempi muti di luce, possente

L' alito che spirasti in Lui or sente. E se tua destra un la spada avita

Del Gran Rodolfo impugna.

De' miei figli vedrai la schiera ardita,

Di questa terra figli,

Come leon lanciarsi nella pugna;

Fra i marzìal perigli

Squarciato il fianco li vedrai morire

A piedi Tuoi benedicendo al Sire. I tuoi Cesari un vedevi, o Roma,

Correr il domo mondo

D' insanguinati allór cinti la chioma

E la destra fatale

Curvar la fronte ai Re, e sotto il pondo

Del carro trionfale

Le corone spezzar, e folgorando

E popoli e città strugger col brando. Eccelso Sire! o Tu che tanti pegni

Ci desti del Tuo amore,

E qual Prence suoi cuor e Padre regni,

Quel lauro ognor Ti cinga

Ch' è simbolo di pace, e mai non muore,

E sempre più si stringa

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Alla sua ombra tanto dir son oso Fra il Padre e i tìgli il nodo avventuroso. Della tua sorte altera

Ben puoi dirti o Canzon^ sol che d' un guardo Ti degni il Grande che suir Istro impera.

ZNAMEN OVDJE

U SRCIMA SPOMEN

ÒESTITOGA DNEVA

09TACE NAM DO VIEKA.

Termniata la visita del Ginnasio Sua Maestà si recò nella chiesa di S. Ignazio ; indi nell'Ospitale Militare, una volta Collegio raguseo, poi alle scuole popolari fennninili, e quindi alle carceri civili. Visitò di poi il Duomo esaminando con molto interesse il ricchissimo reliquiario.

A mezzo giorno era il dejeuner imperiale; ed alle 2 pom. visitò il Preparandio femminile e X Orfanotrofio presso le ancelle di Ca- rità nel sobborgo Pillo. Ed in questa circostanza Sua Maestà usò un particolare tratto di Sovrana degnazione verso la Superiora di quel convento, ]\Iadre Celeste Maria Brilli, cui volle personalmente visitare nella cella, per esse)* stata gravemente ammalata; anzi, passata a miglior vita alcuni giorni dopo, si degnò da Vienna far pervenire a mezzo del Consigliere, Capitano Distrettuale, Cavaliere Reèetar, le proprie condoglianze alle religiose di quel convento, permettendo che la defunta venga tumulata nella loro chiesa.

Alle tre ore si recò a Gravosa per assistere al varamento del „Dvanaesti Dubrovaòki", nave dell' Associazione marittima ragusea, la più grande fino a queir epoca fra i bastimenti costrutti sui can- tieri austriaci, nonché fra quelli dell' intera Marina austriaca. Il legno era veramente bello, misurava 195 piedi di lunghezza, e 36 in larghezza, della portata di 27,000 staja, e di tonnellate di regi- stro 1300, provvedutto di una grua a vapore, e costruito secondo i più recenti modelh americani.

Al bastimento in quel!' occasione era appesa la seguente iscrizione : Svud ce me sreca sretati, Morskieh me cuvat vaia, Jer sani pred Careni cestiti m S nasih se rinuo èalà.

Che tradotta corrisponderebbe:

Ovunque compagna La sorte mi guidi

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Mi salvi dair ire De' flutti malfidi; Che innanzi all' Augusto Monarca adorato Da queste mie sponde Io venni varato.

Le rive di Gravosa e di Lapad, le case, i bastimenti, che si trovavano nel porto, erano stipati di gente, specialmente di dame. Il tempo era bellissimo, sebbene soffiasse vento fresco.

L' arrivo dell' Imperatore venne salutato da entusiastiche accla- mazioni della folla. Le dame agitavano i fazzoletti e spargevano i fiori, mentre a bordo della Cannoniera Mowe la banda militare suonava V inno dell' Impero.

Sua Maestà prese posto nel magnifico padiglione appositamente eretto sullo squero per cura dell' Associazione Marittima, ornato in rosso e cilestro a festoni d' oro , intrattenendosi affabilmente col signor De-GiuUi, presidente della Società.

Al momento solenne subentrò il silenzio dell' aspettazione ; ma quando il colosso cominciò a scivolare e scender nel mare, gli urrah, gli èivio, i fazzoletti, i cappelli; le musiche, tutto si mise in moto.

L' Imperatore soddisfatto lodò il proto Natale Bradicic, e permise che il cantiere portasse in seguito il nome di „C autiere Fran- cesco Giuseppe."

Dopo il varamento il programma segnava una gita alla valle d' Ombla.

„È uno de' quadri più pittoreschi che io abbia mai veduto , e „nello stesso tempo de' più singolari scrive il gentile corris- ^pondante dell' Osservatore Triestino. Quando entrate nel fiume „d' Ombla, abbastanza largo alla foce, v'immaginate che a rimon- „tarlo ci vorranno dei giorni ; invece dopo una mezz' ora il gran fiume è finito. Vi si presenta di fronte un enorme masso che ^chiude la via a noi, l'apre invece all'acqua, che ne sgorga con „un capitale di forza motrice, della quale l'industria ragusea ha «approfittato, stabilendovi dei molini da grano ed olio. In mezzo „al fiume un isolotto sepolto fra canneti e vinchi , alle sponde V aloè, „la palma , il mirto , il rosmarino , V alloro , il cipresso , il fico, „r olivo; qua e qualche casa abitata, qua e de' palazzotti, dei quali non esistono più che i muri di cinta; tutto il resto distrutto

Ito

„ed incendiato da una invasione russo- niontenegrina contro i fran- „cesi, clic al cominciar del secolo tenevano occupata Ragusa."

„Anc]ie qui attendevano V Imperatore un arco trionfale in ver- „dura ed una folla ili gente acclamante. L' Imperatore visitò atten- „taniente gli stabilimenti industriali, e rinunziando, per brevità di „tenipo, allo spettacolo ili una pesca, fìi verso le ore b^j^ di ritorno „a Ragusa." *

L'Imperatole indi si portò al forte Annunziata, quindi tornò via di Gravosa in città, entusiasticamente acclamato.

Alle G ore vi fìi il dhier imperiale, a cui vennero invitati DrviS- pasa, colla dei)utazioue turca, e diverse persone notabili del paese. Drvis-pasa sedeva alla destra dell' Imperatore e comi)arve decorato del cordone della Gran-croce delF Ordine di Leopoldo, che l'Impe- ratore gli avea conferito jer V altro (29 aprile). Tutto il seguito venne pure decorato, fra cui il colonello maestro di cerimonie e primo ajutante del pasa Aziz-Bey ottenne la Corona Ferrea di II classe.

Alla sera il teatro splendidamente illuminato a giorno e con squisito gusto decorato, accoglieva quanto di distinto noverava Ragusa. L' Imperatore dalla residenza al teatro, era accompagnato con torcie dai membri della società Operaja e di quella del Pro- gresso, ed entrava nel teatro alle 8 ore. Si scatenò allora una vera tempesta di ìì\ìo, e l' inno dell' impero dovette esser ripetuto. Nel palco imperiale era pure Drvi.s-pasa. La serata fìi veramente splendidissima. Il teatro abbencliè jxirè era gremito di scelto pub- blico , fra cui le dame in brillanti toilettes , molta ufficialità turca e russa in smaglianti uniformi, presentavano un magnifico aspetto.

La bravissima compagnia drammatica croata del teatro nazionale di Zagabria, composta di 2G persone, che espressamente si era portata a Ragusa per queir occasione, dietro iniziativa del Comune, e per gentile accondiscendenza dell'illustre Bano Mazuranic, rap- presentava la commedia „Million". Dopo un ora circa Sua Maestà, salutata ancor più fragorosamente che all' arrivo , si restituì alla sua residenza, anche questa volta accompagnato dalle fiaccole.

Oltre alla generale illuminazione della città, ripetuta anche quella sera fu pure illuminato il borgo Pille e Gravosa. Tutti i basti- menti, la squadra, la corvetta russa, erano vagamente illuminati. Bellissimo fra tutti il „Dvanaesti Dubrovacki^ con palloncini, tutto all' intorno tre ordini di bicchierini, che segnavano le linee principali.

' Osservatore Triestino Nr. 102.

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Il gioiiio seguente, primo maggio. Sua Maestà si occupò di affari di Stato. Alle 57-2 pom. l'ambasciata turca venne accolta in udienza di congedo , e quindi di nuovo parte alla tavola impe- riale, a cui intervenne questa volta anche il benemerito e distinto Capitano distrettuale Cav. de Resetar, cui una lieve indisposizione, suir andamento della quale i" Imperatore spesso s' informava, aveva impedito fin' allora di unirsi al seguito imperiale.

Alla sera ebbe luogo una grandiosa illuminazione generale a disegno tricolore della città e borghi, e del sovrastante forte Im- periale. Quattro grandi fuochi di cataste ardevano sul monte. Intanto sotto le finestre della residenza imperiale si raccoglievano ad un ballo nazionale i megliostanti villici di Breno, formando un ampio cerchio , tutto all' intorno illuminato da una fiaccolata della società „Dubrovacko Radnicko drustvo". Una folla imponente acclamava di continuo con entusiasmo il monarca, che dal verrone della resi- denza, per quasi mezz'ora osservò con visibile interesse il ballo. Al suo ritirarsi scoppiarono cosi entusiastiche le acclamazioni, che Egli si presentò nuovamente alla finestra per ringraziare.

Venne chiusa la giornata con una serenata con banda militare, a cui tutta Ragusa prese parte.

Ai due maggio tutt' era già pronto per dare ancor una volta una solenne testimonianza di aiì'etlo all'augusto ed amato Monarca, che dopo udita una s. messa, celebrata dal Mons. Vescovo in Duomo, dovea partir per Cattaro.

Il congedo non fu meno entusiastico e connuovente del ricevi- mento. Sua Maestà prese commiato alle 7 ore a. m. dalle Autorità che r ossequiarono, e rese grazie di nuovo al podestà per il cordiale accetto, e si degnò rivolgere le seguenti parole al Consiglio Comu- nale: — Ringrazio infinitamente tutti questi Signori della cordiale accoglienza fattami, e mi ricorderò sem- pre de' pochi giorni passati nella loro bella patria.

Accompagnato quindi dal Podestà, e dal Capitano distrettuale, attraversò la città fra indescrivibile entusiasmo e continui zivio, e recossi in carozza a Gravosa, fra le salve d' artiglieria, le musiche, gli èivio , r agitar de' fazzoletti senza fine , accompagnato sempre dall' acclamante folla.

Il cantiere della società Marittima avea già collocata una gran tabella portante il nome deirimperatore. di cui gli era stato per- messo fregiarsi.

Sua Maestà sotto il padiglione prendendo commiato, si espresse

in ([uesti teiniini al Podestà Conte Pozza: Io sono grato (leir eccellent(3 accoglimento ricevuto in questa città, ed ai sentimenti di fedeltà ed attaccamento manifesta- tiMi. Io procurerò di venire incontro a tutti i vostri bisogni, e Mi sovverrò dei giorni passati in questa indi- menticabile città.

Imbaicossi (quindi sul „Miramar" il quale issò la bandiera im- periale ed uscì dal porto di (iravosa; e dietro ai legni che sfilavano, r aura matutina i)ortava ancora le acclamazioni della folla rimasta nel porto

Doppiata la punta di Lapad^ il yacht passò dinanzi a Ragusa, che con nuove salve salutava il passaggio imperiale; e rasentando l'incantevole isola di Lacroma, entrava in alto mare, dirigendosi alla volta di Cattaro.

Visitato quel distretto, l' impeiatore il di 9 maggio (domenica) partiva a cavallo da Castelnuovo attraversando il tratto di Sutorina, dove le truppe turche Gli prestarono gli onori militari, per recarsi a Canali, contrada orientale di Ragusa.

Al confine di Canali Debeli Brieg giunse alle ore 5V2 accompagnato da circa 400 bocchesi in ricchissimo costume, con alla testa il Podestà di Castelnuovo. Quivi fu ricevuto dal Podestà di Ragusavecchia ed acclamato da un' imponente moltitudine di Canalesi, accorsi con bandiere da tutte le parti, e che servirono di guardia d' onore sino a Ragusavecchia.

Arrivato a Grudda, si recò in chiesa, ed indi in quella canonica per fare il dejeimer. Partito di poi, accompagnato da circa 800 canalesi armati, sotto il villaggio di Obod venne salutato il di Lui passaggio; ed alle ore Ila. m. arrivò presso Ragusavecchia.

Dinanzi 1' arco trionfale preparato dal Comune, su cui era appesa un' iscrizione itaUana, il podestà lesse V omaggio ; dopo di che gli astanti canalesi proruppero in fragorose acclamazioni. Le case e barche di Ragusavecchia erano quasi tutte pavesate a festa con drappi e svariate bandiere, fra le quali la tricolore in massimo numero. Dall'arco fino alla chiesa 12 fanciulle vestite in bianco con ornati nazionali-slavi, disposte in doppia fila, spargevano de'fiori avanti la Maestà Sua. Dalle porte di Ragusavecchia fino alla chiesa gli abitanti di Ragusavecchia salutavano Sua Maestà con fragorosi zivio, e così seguì per tutta la borgata. In chiesa venne cantato r inno imperiale in slavo , accompagnato dall' organo. Dalla chiesa Sua Maestà si recò a visitare la scuola popolare. esprimiMido la

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Sua soddisfazione. Andò indi al Giudizio, ove ricevette il Clero, le Autorità, ed il Consiglio Comunale. Dal Giudizio si recò alla chiesa dei Francescani, e quindi col lancione imperiale si recò a bordo del „Miramar".

Il Vapore Adria" del Lloyd, che in quella circostanza fìi a dis- posizione del Comune di Ragusa^ venne quel giorno a Ragusa- vecchia con circa 400 passeggieri tra signori e signore, fra i quali le prime notabilità di Ragusa, onde ossequiare di nuovo Sua Maestà col èivio, ed accompagnarLa fino ad un certo tratto verso Meleda.

I ragusavecchiani poi imbarcatisi sopra due barche grandi di traghetto, accompagnarono il Monai'ca fino al Yacht, salutandolo ed accomiatandosi col „zivio nas kralj Frane Josef!" Sua Maestà rispose ovunque benignamente al saluto.

II passaggio del yacht imperiale dinanzi a Ragusa fu da tutti i forti salutato con salve di artiglierie.

La mattina dei 10 maggio alle ore 7 Sua Maestà fu nel Porto Palazzo di Meleda ossequiata da quella rappresentanza Comunale, dal Clero, e dagli impiegati forestali; quindi si portò a visitare il convento una volta benedettino, e ritornò poscia a bordo, ove si degnò permettere che fosse recato il prodotto di una pesca allora fatta, e poco stante partiva per Orebici.

Alle 10 ore il „Miramar" dava fondo sotto Orebic. Ad incontrarlo, pochi momenti prima si posero in moto due lunghe file di barche montate da robusti rematori e pavesate con bandiere e segnali. Fra esse primeggiavano le barche di Kuciste, adobbate con finis- simo gusto e disposte con buon ordine ed armonia.

Fra entusiastiche acclamazioni ed interminabili zivio, e tra le salve dei cannoni del bark della Società Adamo", ancorato espres- samente a questo fine, venne ricevuta Sua Maestà da un' immensa folla di popolo.

Sul nuovo molo ergevasi un' elegante scalinata, coperta di finis- simo tappeto di panno verde, con passamano di veluto di seta rossa. Lungo tutto il molo, che misura 100 Klafter in ostro tra- montana, erano piantate a piccole distanze delle grandi aste con bandiere, ed una colossale dirimpetto alla scalinata. Alla radice del molo era stato eretto un elegante e sontuoso padiglione di forma ottagona in velluto di seta rosso-bianca, con frangie d' oro, sormontato dall' aquila imperiale, ed air ingiro decorato con scudi, armi, bandiere, ecc., con pavimento ricoperto di finissimo panno verde. Il tratto della scalinata al padighone 12 fanciulle riccamente

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jihbigliate. metà in costumo n«izioiuile, raltrii metà alla civile, con eleganti Canestrini, attendevano Sua Maestà per cospargergli di fiori il passaggio.

Air allocuzione del Podestà Cav. Dr. (liovanni Ivanisevié, Sua Maestà si degnò di ris})ondere in questi termini: „Ag gra- disco pienamente l'omaggio eh' Ella Mi offre a nome di questa popolazione. Con piacere visito questo Comune, dal quale è sortito un potente impulso allo sviluppo della marina mercantile nazionale. Per- severino nel loro intento, e sieno sicuri della Mia Sovrana grazia e benevolenza."

Poco discosto dal padiglione ergevasi un bellissimo e grande arco trionfale, e lungo Orebici altri sei, tutti con opportune ed addattate decorazioni, iscrizioni, ecc., nel mentre da un capo alF altro del paese, lungo la paite destra della strada principale di Orebici, erano stati costruiti altissimi festoni di mirto con archi, decorati ognuno con orifìamme, bandieri, scudi, emblemi, fiori, che stende- vansi per circa V4 di miglio

Fra il primo ed il secondo arco trionfale alla destra della strada che dovea percorrere Sua Maestà, era stato improvvisato un giar- dino pubblico, riccamente fornito di ogni varietà di piante, il quale faceva leggiadro complemento alla orgogliosa vegetazione che pre- senta Orebic per molte miglia di distanza senza interruzione.

Non vi era stabilimento, casa, contrada, che non fossero sfarzo- samente addobbati con strati, arazzi, bandiere, orifìamme, fiori ed iscrizioni, che dava alla borgata nota per la ^-egolarità delle sue contrade . V eleganza, il buon gusto e la comodità delle sue case e de' suoi giardini un insolito aspetto di festa e di esul- tanza. Alle bandiere imperiali era unito gran numero di nazio- nali slave.

Dopo il primo arco trionfale faceva spalUera un' eletta schiera di 60 fra capitani e tenenti, i quali costituivano la guardia d' onore.

Sua Maestà quindi dopo V omaggio ricevuto dal podestà, fra entusiastiche acclamazioni del popolo si avviava alla Sovrana Re- sidenza, nel beir edificio dell' ^Associazione Marittima" che grazio- samente aveva aggradito, e che fu convenientemente addobbato.

Davanti alla Residenza attendevano 40 belle ed eleganti ragazze delle primarie famiglie di Sabioncello, tutte vestite in costume na- zionale, le quali ebbero V alto onore di salutare S. M. nel Suo ingresso alla residenza. Quivi ebbe luogo il ricevimento del Clero

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regolare e secolare, delle autorità e corporazioni. In quell' occa- sione la Direzione dell' «Associazione Marittima di Sabioncello'* umiliò preghiera a S. M. perchè permettesse che il nuovo cantiere sociale, posto a èuplji-Kamen di Orebici, portasse il nome di Sua Altezza Imp. il Serenissimo „A rei duca Rudolfo"; lo che fu anche graziosamente accordato.

Finite le presentazioni il Monarca conducevasi attraverso una folla festante ed acclamante, a visitare V i. r. Giudizio e le carceri, indi la Scuola maschile, dove degnossi di esprimere la Sua piena soddisfazione, nonché parole di encomio ed incoraggiamento. Dalla Scuola si portò alla Chiesa Parrochiale, che esternamente portava le insegne nazionali, colla bandiera imperiale sormontante tutto r addobbo, ricco di magnifici quadri con iscrizioni d' occasione ; e neir interno, elegantemente addobbata, aveva il trono in seta bianco- gialla, sormontato dal baldacchino in velluto rosso con frangie d' oro, ed al di sopra dell' aitar maggiore sotto una corona, spica- vano le parole: „Bog mi Te pozivio." Quivi l'attendeva il clero, ed al Suo venire intuonò il Te Deum.

Si recò indi alla Scuola femminile, ove una fanciulla gh presentò un elegante bouquet di camelie, accompagnato da breve omag- gio. Fatte esaminare alcune ragazze, S. M. esternò il suo aggra- dimento.

Si recò di poi al nuovo Cantiere della Società coli' imperiale lancione, dove venne accolto con acclamazione dalla maestranza del cantiere; ed assistette all' impianto della aste del 31. naviglio sociale ,^Ruben".

Ritornato a bordo del „Miramar" salutato entusiasticamente dalle rive, da navigli, e dal cantiere, verso 1 ora pom. partiva per Curzola, seguito dal vaporetto «Concordia", a bordo del quale attrovavasi il consiglio comunale, nonché da numerosissime bar- chette.

Alla sera tutta la riviera di Sabbioncello era splendidamente illuminata, e dava al canale, per una lunghissima estesa, un aspetto veramente incantevole.

Poco stante Sua Maestà arrivò a Curzola, ove ebbe pure entu- siastica accoglienza. Alle tre ore di mattina del seguente da Curzola partì per Trappano, ove giunse alle 5. Il paese formico- lava di gente, oltre 6000 persone alla riva ed in mille barchette, disseminate nel porto, unanimi acclamavano il re e la reale fa- miglia con interminabili zivio.

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Air ingresso del poito stavano sfilate più di cento barche con fuochi e bandiere, facendo continue salve. Tutti i moli imbandie- rati, adorni di svariati festoni ed iscrizioni. Sul bacino Alber sventolava una fiammola lun^ia da oltre 80 piedi. Tutti gli sco- glietti pitturati ed imbandierati, e la scogliera delle „Due so- relle" trasformata letteralmente in una finta nave corazzata, con 366 bandiere di poppa, con 101 colpo di cannone, e con fragorosi n^ivio" e „dobro dosao" di 50 mannai schierati sulle arborate. La lancia di Sua Maestà passava indi fra due file di barche pa- vesate con bandiere ed adorne di mirto, con fuochi pescherecci accesi alle prove. Erano pescatori che volevano così festeggiare r augusto Ospite.

Sua Maestà sbarcava al molo della Società sopra apposita gra- dinata, coperta di tappeti al pan di tutto il molo, chiuso da filari di festoni imbandierati con insegne tricolori slave ed austriache. Alla parte destra eravi un magnifico padiglione coperto di velluto e scarlatto con colori slavi, sormontati dall' Aquila imperiale. Qui Sua Maestà accolse gli omaggi del podestà Stefano Dr. Ferri pre- sentatiGh in lingua slava. Nello scender dal padiglione la vispa fanciulla Teresa di G. Nessanovic, circondata da 24 ragazze vestite tutte alla nazionale, con canestri di fiori al braccio per cospergervi le vie, presentava a Sua Maestà un elegante bouquet, con appropriate parole in lingua slava. Lieto il Monarca, gradito il dono, le ri- spose anche in islavo le precise parole: „Hvala mnogo na Iju- bavi i cvijeéu."

Dal monte Gradina venivano fatti poi 101 colpo di cannone. Tutte le campane suonavano a festa e Sua Maestà faceva V in- gresso trionfale a Trappano, sempre acclamato da interminabih èivio.

Oltre 2500 bandiere slave ed austriache sventolavano nel solo porto, ed altrettante nelle principah vie della borgata. Tutti i 56 magazzeni disposti in fila, che servono a deposito di merci, erano ornati sforzosamente con damaschi, bandiere e fiori ecc. Fra ac- clamazioni entusiastiche V Imperatore si recava alla chiesa a passo lento, mentre erano stipate tutte le vie di popolo, che volea bearsi della reale presenza. Da qui si recò al Comune, ove Gli si pre- sentò il Clero, il Deputato Sanitario, il Ricevitore Doganale, il con- siglio Comunale, e le rappresentanze Comunali di Cunna, e Ja- gnina, e da ultimo il ceto connnerciale della borgata. Sua Maestà espresse benevoh parole.

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Sua Maestà quindi si portava per la borgata, tutta adorna sfar- zosamente/ e ne rimase molto soddisfatto. Dopo un'ora e 28 minuti di sosta s' imbarcò sul yacht, accompagnato da continue ovazioni, rendendo grazie al Podestà per la festosa e cordiale ac- coglienza.

Oltre a tante grate memorie, e copiose largizioni per diversi istituti e scopi pii, Sua Maestà graziosissimamente degnavasi in quella fausta circostanza di mostrarsi liberale con onorifiche di- stinzioni verso parecchie persone le più cospicue di Ragusa e suo circondario.

Conferì la dignità di Consigliere intimo al membro del Con- siglio dell' Impero, Savino conte de Giorgi, la Croce di Cavaliere dell'Ordine di Leopoldo al Podestà di Ragusa Raffaele conte Pozza; e l'Ordine della corona di Ferro di III. classe a Francesco Barone Ghetaldi de Gondola; la croce di Cavaliere di Francesco Giuseppe poi a Nicolò Amerling, commerciante in Alessandria d' Egitto, a Biagio De-GiuUi preside dell' Associazione marittima ragusea, a Dr. Stefano Ferri Podestà di Trappano, ai canonici Antonio Copanizza e Matteo Vodopié, ed a Giuseppe Pe- ricle direttore del Ginnasio di Ragusa. Venne conferita la Croce del merito a Vincenzo Adamo vie direttore delle Scuole Civiche, a Natale Bradicid proto costruttore presso la Società marittima di Ragusa, a Francesco Martecchini tipografo, ed a Pietro Mancion Presidente della Congregazione Nazionale Illirica a Roma. Sua Maestà poi ebbe ad ordinare che fosse espressa la Sovrana sod- disfazione ai Podestà Giovanni Grgurevió di Ombla, Biagio Gluncié di Siano, e Marino Rogje di Malfi

Chi ebbe 1' onore di avvicinare FRANCESCO GIUSEPPE, restò entusiastato dalle Sue doti di mente e di cuore, e particolarmente dal Suo nobilissimo tratto che Gli meritò giustamente il titolo di Imperatore Cavaleresco. Fu buono, fu cortese, fu paziente con tutti.

Accolse con affetto gli omaggi dei grandi, e beneficò con muni- ficenza veramente Sovrana i poveri ed i bisognosi.

* Fra le altre memorie che ricorderanno sempre a Trappano il soggiorno reale in quella borgata, si è la strada in linea retta, lunga 220 Klafter che a spese della medesima venne condotta a termine con tutte le regole dell' arte, in pieno ordine, in 26 giornate, e dove per primo pose piede S. M. Con gentile pensiero questo magnifico tronco di strada fìi chiamato „Kraljski put".

148

La chiesa ravvisò in Lui il suo protettore, il degno rampollo (Iella cattolica Casa d' Asburgo.

Onorò la virtù ed il meiito, e con belle e lusinghevoli espressioni, che si vedevano venire da un cuore veramente da Cesare, ravvivò in noi la sjìeranza d' un avvenire più felice per la cara nostra patria.

Imperitura perciò resterà la memoria della Sua venuta e del Suo soggiorno fra noi!

I IT D I e E.

Pagina

Dedica Ili

Prefazione V

I. Primordi, sviluppo e caduta della repubblica di Ragusa 1

IL Governo, legislazione ed amministrazione pubblica 33

III. Cultura e civilizzazione 53

IV. Stato attuale di Ragusa 67

V. Sua Maestà FRANCESCO GIUSEPPE I a Ragusa e nel suo territorio 116

Errata. Corrige.

Pagina Linea

2 5 di sua esistenza. ... di sua politica esistenza.

7 21 iettare lottare

8 3 avebbero avrebbero

12 1 discorpie discordie

18 14 15 pro-promettendo .... promettendo '

21 1 ei dei

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46 18 450 miglia quad 75 '/i miglia quad.

61 3 altre oltre

57 24 25 angichè anziché

72 14 M.CCC XXXV M.CCCC.XXXV.

74 15 ad altro od altro

94 37 auctos auctas

95 16 perficiendae perficiundae

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