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UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY
WILLIAM H. DONNER COLLECTION
purchased from a gift by
THE DONNER CANADIAN FOUNDATION
RAMAYAN \
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LA PRESENTE EDIZIONE SI TROVA DEPOSITATA
ALLA LIBRERIA
DEL SIGNOR A. FRAINCK
SUCCESSORE DEI SIGNORI BROCKHAUS E \\ l.\ \ l'.ll S
IN PARIGI
VIA RICHEL1ED, N" ()()
RAMAYANA
POEMA SANSCRITO
DI VALMICI
TRADUZIONE ITALIANA CON NOTE
>VL TESTO DELLA SCUOLA GAUDANA
PEK
GASPARE GORRESIO
SOCIO DELLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO
CAVALIERE DELL'ORDINE DEL MERITO CIVILE DI SAVOJA
OFFICIALE DELLA LEGION D' ONORE DI FRANCIA
ECC.
VOLUME SECONDO DELLA TRADUZIONE SETTIMO NELLA SERIE DELL' OPERA
PARIGI
DALLA STAMPERIA NAZIONALE
PER Al l'ORIZZAZIONE DEL GOVERNO
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PREFAZIONE.
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PREFAZIONE.
Nel pubblicare il testo sanscrito de] Ramàyana ho delineato a mano a ninno nelle prefazioni un sunto intiero di questa epopea. Era utile il farlo, affinchè meglio si potesse comprendere ristretto in picco! quadro I ampio tèma di questa fastissima composizione. Ma perocché non tutti coloro alle cui mani potrà venire la traduzione del Ramàyana, leggeranno parimente il testo sanscrito e le prefa- zioni che vi si riferiscono, ho «indicato opportuno il pubblicare qui raccolto e continuato il sunto dell' epopea che si trova disperso in più volumi del testo.
Sulle sponde della Sàrayu si stende un ampio e bel paese, che s'appella dei Cosali. Ivi è situata la nobil città d' Ayodhya, regal sede di Dasaratha , discendente illustre dell' antichissima stirpe degli Icsvacuidi , re fortunato, caro alle genti da lui rette e circondato da ministri accorti e saggi. Da- saratha oramai vecchio e privo di figli, i quali perpetuino l'inclita stirpe ed i funebri riti, ordina con grande apparato un solenne Asvamedha o sa- crifizio del cavallo, a cui presiede il pio Risyas-
n PREFAZIONE.
ringa figlio di Casyapa, già abitatore delle selve donde ei venne allontanato con arti di seduzione descritte in un episodio del poema. Sul finir del sacrifizio incingono le tre consorti di Dasaratha, e maturati i parti ne nascono quattro figli, por- zioni della sostanza di Visnu , Rama, Bharata, Lacsmana e Satrughna. Tra questi primeggia e risplende il valoroso Rama, gioja ed orgoglio del padre, delizia delle genti, destinato da Brahma e dai Devi corrucciati a distruggere il feroce e tra- cotante Piavano, dominator di Lanka (Ceylari) e della rea semenza dei Racsasi. Ed acciocché, ve- nuto il tempo della gran contesa , Rama abbia pronti possentissimi ausiliarj all' impresa che si matura, i Devi creano una generazione d' esseri so- prannaturali, tremendi, atti a scuotere i gioghi de' monti, a squarciar la terra, a concitare l'Oceano, che usano, invece d'aste smisurati, tronchi d'alberi divelti, e invece di projetti, grandi brani di rupi '. Frattanto, pervenuto appena Rama al suo sedice- simo anno, giunge alla reggia di Dasaratha Visva- mitra personaggio venerato e temuto, il quale nato nella classe dei Csatri o guerrieri s'innalzò con
1 'lutti questi esseri ridotti ;i naturali proporzioni non sono altro che schiatte d' uomini montani forti ed agguerriti.
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inaudite austerità alla dignità di brahmano. Visva- mitra chiede a Dasaratha che gli conceda per breve tempo Rama, acciocché ei possa recare ad effetto un suo sacrifizio, die gli viene turbato assidua- mente dai Racsasi, ai quali Rama solo e valevole a resistere. Dasaratha sbigottito prega, sconcili ra Visvamitra che non gli tolga Rama giovanetto an- cora ed inesperto delle battaglie, Rama in cui sono concentrati i suoi all'etti, i suoi desideri, le sue speranze, Rama senza cui non potrebbe egli vivere un solo istante. S'offre egli stesso coli' intiero suo esercito pronto a combattere contro i Racsasi, pur- ché non gli venga tolto Rama, oggetto del suo amore. Tutto è indarno : Visvamitra ricusa ogni offerta, né vuole con se altri che Rama; e Visva- mitra è tale personaggio a cui non si può resistere impunemente. Dasaratha adunque è l'orzato a con- cedergli il suo primogenito, che s'arma immanti- nente di tutto punto, ed accompagnato dal fratello Lacsmana suo prediletto si mette in via con Vis\ a- mitra. Al partir di Rama spira un vento lene e soave , cade dal cielo una pioggia di fiori , e s'odono per l'aria concenti di timpani e di tibie, tripudi e canti; che quell' andata di Rama è un principio dell' imminente guerra contro i Racsasi. Giunti i tre
iv PREFAZIONE.
viatori alla riva australe della Sarayu, Visvamitra comunica a Rama due scienze arcane, che debbono essergli quali egide protettrici ; e progredendo olire, pervengono essi al romitaggio dell'Amore, di cui Visvamitra narra la storia al giovane guerriero, poi alla selva infestala dalla terribile ^ acsì Tadaca, in cui è forse figurata per condensazione mitica qual- che genia malvagia, che infestava que luoghi. Di costei racconta Visvamitra f origine e i misfatti a Rama, il quale azzuffatosi con essa l'uccide, e ri- ceve allora dal brahmano-guerriero il dono delle armi misteriose. Giungono essi infine all' eremo per- fetto, dove Visvamitra protetto da Rama contro i Racsasi, compie senza ostacoli il suo sacrifizio. In questo mezzo s' era sparsa la fama d'un grande e solenne sacrifizio, che apparecchiava Ganaca re di Mithiia , ed a cui debbe condursi \ isvamitra con tutti i Mimi abitatori dell' eremo perfetto. Nella reggia di Ganaca sta depositato un grand' arco maravi- glioso, dono di Siva a Devarata, il qual arco nessuno ancora è stato valevole a tendere tra quanti vi si provarono giovani principi, desiderosi d'ottenere la bella Sita figlia di Ganaca, destinata sposa a colui che potrà incoccare la saetta nell'arco prodigioso. Visvamitra invita Rama ad andar con lui alla reggia
PREFAZIONE. v
di Ganaca per veder quivi il celebre arco e tentarne la lesa. Il giovane guerriero s'avvia dunque con Visvamitra e cogli altri Mimi alia volta di Mithila. Qui seguita una seri*1 di più capitoli, ne' quali \ isva- mitra, quel saggio che tutto seppe, viene sponendo a Rama, durante il viaggio, quante tradizioni stori- che, mitiche, cosmogoniche o geografiche si riferis- cono ai diversi luoghi che attraversa la schiera viag- giatrice. \ isvamitra racconta a Rama le prische me- morie della terra di Vasu e di Kanyakubga l'odierna kanoge, l'origine della sua stirpe, la nascita della Ninfa Gange e della Dea Urna figlie dell' Himalaya , la nascita di Kumàra duce dell' esercito celeste, la progenie di Sagara, il suo sacrifizio e la mirabile discesa del Gange sulla terra, l'Origine dell' Amrita, come nacquero da Diti i Màruti (i venti), la serie dei re di Visàla, la maledizione proferita da Gau- tama contro Ahalya, dalla qual maledizione la sciolse Rama. Pervenuti alla reggia di Ganaca, ed iterate le liete accoglienze, Satananda maestro dei riti di Ganaca narra a Rama in un lungo episodio tutta la stupenda storia di Visvamitra, allineile ei conosca a quale grande ed eccelso personaggio egli sia stato affidato. Ganaca intanto richiesto da Visva- mitra ordina, che si tragga Inori l'arco di\ino,
vi PREFAZIONE.
immenso, il quale con grande siculo e fatica viene quivi portato. Rama lo solleva, lo tende, e nel ten- derlo lo spezza in due parti. Il frangersi dell' arco rende un suono cosi strepitoso , che ne cadono scossi a terra quanti si trovano colà spettatori di quella mirabile piova. Al giovane domator dell' arco è dovuta ora in isposa la bella Sita. Celeri messi annunziatori dell' evento sono inviati imman- tinente a Dasaratha, il quale, udita la lieta novella, s'avvia da V\odli\a a Mithila. Quivi giunto ed ac- colto con grandissima lesta da Ganaca suo vecchio amico, rivede egli il diletto suo Rama; e poco stante, sposte dall' una parte e dall'altra le regali genealogie ', latti i doni nuziali e il sacrifizio ai Mani, si compie il connubio di Rama con Sita, di
1 11 Sig. Lassen nella sua bella e dottissima opera Indische Alter- tkumskande (ersten bancles zweite halite, Anhang, pag. iv) osserva che nella genealogia solare dei re d' Ayodhya qui esposta in tale occorrenza, la recensione Gaudana dilungandosi dalla comune tra- dizione, attribuisce a Manu come padre Pracetas, mentre la recen- sione boreale fa padre di Manu Vivasvat (il sole), e che inoltre la recensione Gaudana tra Rasyapa e Pracetas aggiunge agli antenati di Manu Angiras che non si trova nella boreale. Tutto questo è vero; ma nulla si può da ciò inferire contro la recensione Gaudana. Gli antenati di Manu, di cui qui si parla, non sono punto per- sonaggi storici, ma mitici e cosmogonici; sono Demiurgi o coope- ratori di Brahma nella formazione degli esseri; onde poco importa che ve n' abbia tre, due od uno e che in luogo di Vivasval (il sole)
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Lacsmana con Urmila altra fanciulla di Ganaca, di Bharata e di Satrughna con Mandavi e Srutakirti figliuole di Ctisadhvag'a fratello di Ganaca. Fatta colà breve dimora, si parte per tornare ad A vo- ci liya Dasaratha con Rama e Sita e con tutta la sua gente. Nel mezzo del cammino si scorgono im- provvisi per l'aria e sulla terra presagj paurosi; prorompe un gran turbine, il cielo s'abbuja; ed ecco ad un tratto apparire un altro Rama figlio di Gamadagni, già terror della casta guerriera men- trecch' ei visse , il quale , udito il mirabile latto dell' arco spezzato, sorse a sfidar Rama a battaglia, offren- dogli a tendere un altr' arco dono di Visnu, più pro- digioso ancora del primo. I Devi s' assembrano per 1' aria spettatori di quel nuovo cimento. Tutta la comitiva è muta di stupore e di paura. Il giovane
si trovi qui Pracetas. La recensione Gaudana s1 è qui attenuta ad un ' altra tradizione ed ecco tutto. Ma è egli poi vero che la tradizione, la quale fa Manu figlio di Vivasvat , sia così antica ed universale nell'India, come sembra credere il Sig. Lassen? Nella bellissima prefazione al volume terzo del Bhàgavata Puràna, pag. lix. il Sig. E. Burnouf scrive : « Ce que je puis seulement dire aujourd'hui, « e est que je ne me souviens pas d'avoir rencontré dans le Rigvèda « un seul passage où le Manu soit design é parie titre de Vaivasvata « (fils de Vivasvat) , tandis quii me serait facile d'en citer un certa in « nombre où ce dernier titre est applique, cornine d'ailleurs il doil < Tètre, au Dieu Yama, le fils du soleil et le roi des morts. » Queste parole meritano (Tessete qui considerate.
viii PREFAZIONE.
guerriero scocca dal terribil arco la saetta, e fuor- clìiude a Rama Gamadagnio le vie superne. Il ciclo si riserena; i Devi celebrano per l'aria Rama Dasa- rathide, la schiera si ravvia e giunge ad Avodhva tra le feste e il giubilo del popolo che esulta. Poco dopo Bharata ne va invitato alla reggia d'Asvapati suo avo materno. Qui finisce il libro primo, l'Adi- kanda.
Dasaratha sente oramai avvicinarsi il fine de' lun- ghi suoi giorni, e delibera di far sacrare Rama con- sorte del regno. Quest è il supremo suo desiderio, conseguito il quale, ei si partirà contento di quag- giù per irsene al mondo dei Padri. Egli esplora la mente del popolo, da cui prorompe unanime un grido d'assenso, di favore, di gioja. Tuttavia Dasa- ratha non è senza arcani timori. Da più notti egli è Innestato da sogni spaventosi , soliti presagire sventure ai re; e gli esploratori degli astri gli an- nunziano avversa la sua stella. Fa egli venire a se in secreto Rama; gli apre i suoi pensieri, i suoi timori, e l'esorta a star circospetto, a circondarsi d'amici fidati, ad aver I' occhio a tutto. Partitosi dal padre Rama si conduce alle scerete stanze della ma- dre Causalya, e la trova nel Larario domestico attor- niata da Sita, da Lacsmana e da Sumitra sua geni-
PREFAZIONE. i\
trice, supplicante Fausti gli eventi al caio fìllio, e meditante intenta il sommo Spirito. Quivi ella il benedice; poi Rama e Sita entrano ne] digiuno, che il maestro dei riti Vasista loro prescrive per la prossima consecrazione. In questo mentre s'adorna a festa la città d'Ayodhya; s'inalberano vessilli in ogni parte, si spargono fiori e s'ardono profumi; ogni luogo echeggia di canti e di suoni; d'ogni in- torno s'aduna popolo in Ayodhya; principi illus- tri vi son convenuti; né d'altro si ragiona che di Rama, amore e delizia delle genti. Gaiceyi madie di Bharata, la più giovane e la più bella tra le con- sorti di Dasaratha , aveva, nel venirne sposa ad Ayo- dhya, condotta con se dalla casa paterna una domi;! sua fidata per nome Manthara, gobba e deforme di corpo, di maligna e rea natura. Costei per ignote ca- gioni era mortai nemica di Rama, e dominata da rea ambizione avrebbe voluto veder Bharata consacrato re, perchè ne sperava favore e grandezza, siccome fida e devota a Caiceyi madre di lui. Veduto dall' alto della reggia l' apparato festivo della citta per la sacra di Rama, ella discende immantinente alle stanze di Caiceyi, s accosta al letto di lei ancora gia- cente; ed Oh ! esclama, tu te ne stai senza pensiero, o malaccorta; non sai tu quale immensa sventura
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li sovrasta? Dasaratha debbe oggi far sacrare Rama re. Caiceyi , eli»' amava Rama quanto Causalya stessa, invece di mostrarsi contristata, si rallegra di quella notizia, e toltosi di dosso un ricco giojello, l' offre come premio del lieto annunzio a Manthara. Ouì sarebbe lungo il dire con quali arti orribil- mente maligne Manthara abbia cercato di solle- vare, di travolgere la mente di Caiceyi, Putto ciò, die può commuovere, esacerbare, invelenire un animo femminile, tutto fu detto da Manthara per indurre Caiceyi a rompere il disegno latto da Da- saratha di consecrare Rama re. Questo è certamente uno tra i bei luoghi del poema. Tanto fece adun- que, tanto disse Manthara, che Caiceyi, sopra cui pesava inoltre la maledizione d' un brahmano, ri- mase come affascinata e deliberò d'impedire la sacra di Rama. Ma in qual modo venirne a capo? Man- thara ne trova il mezzo bello e pronto. ^Nella guerra antica dei Devi e degli Asuri, Dasaratha che com- battè in favore dei Devi, venne gravemente ferito; talmente che n'ebbe a perdere ogni senso. Caiceyi, che l'aveva seguitato, fu colei che lo salvò in quel caso estremo. Dasaratha riavutosi tra le braccia di Caiceyi, compreso da riconoscenza e da amore le promise, le giurò solennemente che le accorde-
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rebbe, quandunque ella il richiedesse, «lue favori qualunque ei fossero. Or bene, dice Manthara, rammenta ora a Dasaratha il suo giuramento, e chiedigli i due lavori promessi, Y uno la conse- crazione di Bharata a re, f altro F (esilio di Rama nelle selve per quattordici anni; questo tempo sarà bastante perchè Bharata si consolidi nel regno. I )etlo latto : Caiceyi entra nella camera degli sdegni , dove usano condursi le consorti regali, allorché le stringe qualche grave corruccio, si stende in squal- lida veste sulla nuda terra, ed a Dasaratha accorso a lei per consolarla chiede ostinata, senza udire, senza voler altro, i due favori promessi con giura- mento, la consecrazione di Bharata, l' esilio di Rama. Dasaratha è stretto come una vittima devota al sacri- fizio; chiede, implora, scongiura, prosterne nella polvere la sua venerabile canizie ; ma non può in alcun modo svincolarsi dall' inesorabil volontà di Caiceyi. Non v1 ha scampo a quella sventura. Qui non im- prenderò a narrare i lamenti, i pianti, i gridi di dolore, onde risuona ad un tratto la reggia di Da- saratha poc anzi sì lieta, il duolo, le querele, gli sdegni di tutta Ayodhya , i rimproveri, Tire le ese- crazioni contro Caiceyi, che occupano insieme molta pailc di questo libro. Rama intanto fermo nel prò-
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posto 4i non voler render spergiuro il padre, ordi- nati doni alle persone più a lui devote, veste insieme con Sita e Lacsmana, a cui dopo molle preghiere e reiterati rifiuti ha consentilo che vengano con lui compagni del suo esilio, veste, dico, gli abiti di penitente e s'avvia esule alle selve, lasciando im- merse nel dolore ed in un silenzio (li solitudine la reggia e la città. Qui si descrive il mesto cammino dei tre esuli regali. Gran numero di cittadini volle andar loro dietro ; ma giunto alle rive della Tamasa , Rama non consentì che il seguitassero più oltre. Pervenuto alle rive del Gange accommiata egli pure Sumantra fidato auriga e bardo insieme di Dasa- ratha, che per ordine del re l'aveva condotto sul più splendido tra i cocchj regali. Ora i tre giovani esuli Rama , Sita e Lacsmana , soli per ignote regioni , tragittando fiumi, attraversando foreste, pervengono alfine al monte Gitracùta, dove pongono loro di- mora. Infelice Dasaratha ! è svanita ogni sua gioia: un solo pensiero incessante, acerbo, il pensier di Rama lo incalza, lo affanna, lo strugge. Sul finir d' una notte insonne voltosi a Causalya che gii stava accanto, così le parla : 0 Causalya, se tu vegli, come vegT io, ascolta quali tristi presagj , quali acerbe memorie mi van pei" la mente. Nel tempo
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della mia prima età, io non t'aveva allora per anco impalmata, o mia diletta; passata la stagione delle pioggie rawivatrici della natura, io me a andava pieno di Laidezza e d'esultanza cacciando per le campagne, che irriga colle belle sue acque la Sarayn. Una notte, stando io appiattato presso le rive del fiume per coglier quivi al varco elefante od altra belva venuta a dissetarsi, ascolto improvviso un suono come d' un vaso che s' empia; dirizzo a quel suono la saetta, aggiusto il colpo e scocco il dardo credendomi ferire una belva : Ahi ! son morto, tale è il grido che mi percuote istantaneo l'orecchio; balzo fuori atterrito, accorro e veggo steso a terra, inon- dato di sangue un garzoncello. Era quello il figlio unico di due vecchj solitarj ciechi amendue. Essi mi maledissero: E tu pure, o temerario guerriero, proverai un dì che cosa sia il dolore di perdere un figlio caramente diletto. Oh Causalyà ! quella maledi- zione s è adempiuta. Sento ormai consunto dal do- lore questo mio corpo, i miei occhi non veggon più lume, ogni mio senso è distrutto. Oh Rama! oh Rama! io non ti rivedrò più reduce dall' esilio. E così lamentando Rama, si spense Dasaratha, come sparisce appoco appoco al sopravvenir del giorno la luna. Qui ululati delle donne, descrizione d'un
u\ PREFAZIONE.
regno privato di re, messaggi inviati a Bharata per richiamarlo ad Ayodhya, sogno funesto veduto da Bharata, sua partenza ed arrivo ad A/yodhya. Quh i ei prorompe in rimproveri acerbi contro Caiceyi sua
madre, attesta con giuramenti la sua innocenza dell' esilio del fratello, rifiuta siccome dovuto a Rama, il regno che gli è offerto, compie con mesta solen- nità i funerali del padre, e si dispone con tutto l'esercito, con Gausalya e Sumitra ad andare al Ci- tracùta per ricondurne via Rama e salutarlo re.
S'apre intanto una larga via per monti e selve atta a potervi passare con tutta la sua mole f eser- cito. Questo si mette in cammino condotto da Bha- rata ; rifa la strada percorsa dagli esuli ; è accollo con ospitalità maravigliosa da Bharadvaga, che descrive a Bharata il monte dove Rama ha posto sua dimora , e dopo lungo viaggio paratamente descritto giunge al Gitracùta. Qui meste accoglienze dei fratelli, an- nunzio della morte di Dasaratha, libagioni ai Mani del re, abboccamento di Gausalya e Sumitra con Rama, Sita e Lacsmana. Bharata saluta Rama re, e lo stringe colle più calde istanze perch' ei ritorni in Ayodhya e pigli possesso del regno. Ma Rama è infles- sibile : egli ha impegnata la sua fede, sente esser suo debito sacro liberar dai vincoli del giuramento il
PREFAZIONE. n
nioilo padre, aè lascierà l' esilio finché non siano compiuti i quattordici anni. Consegna egli pertanto in deposito le insegne regali a Bharata, il quale parti tosi da Rama non ritorna più in \\odh\a, ma pone sua sede in Nandigràma ; e quivi regnando in nome del fratello, attende il finire dell' esilio , e l'esito degli eventi che porterà con se 1' avvenire. Qui finisce il ì i I > ro s e condo , 1.1 yo dhya ha n da .
Partitosi Bharata dal monte Citracùta senza aver potuto smuovere Rama dal suo proposto di com- piere nelle selve i quattordici anni del suo esilio. i romiti abitatori di quelle montane regioni soliti per ['addietro a conversar con Rama, si conducono a lui con sembianti oscuri e mesti, annunziandogli il loro pensiero di abbandonar que luoghi ora più che mai infestati dai Racsasi. E cosi com' erano rac- colti in ischiera, tolto congedo da Rama, s' indiriz- zano ad altre sedi più sicure. Il Citracùta fatto vuoto, silenzioso e tristo per la partenza dei saggi asceti, venne in tedio a Rama. Que' luoghi, dove s'erano a lui mostrati poc'anzi Caiceyi, Bharata, la madre, gli rinnovavano nel pensiero memorie troppo acer- be; ond" ci deliberò d'abbandonare anch' esso il Citracùta insieme con Sita e Lacsmana e di visitare in mia lunga peregrinazione, attraverso i monti
sevi PREFAZIONE.
meridionali dell' India, i più celebri romitaggi •' i saggi pili venerati per età , per santità e sapienza. Si conduce egli dapprima all' eremo del solitario Viri. Quivi i tre esuli videro ed onorarono la celebre Anasùya consorte del Risei, la penitente antica di cui eglino avevano udito già raccontare le austerità, le meraviglie , i prodigj . La divina Anasùya , canuta e tremante per antica età, accoglie con mirabile lesta la bella e giovane Sita, si siringe con lei a fidato colloquio, la commenda del suo amore al consorte, dell' aver anteposto, per seguitarlo, i disagi delle selve alle dolcezze d'Ayodhya, e le olire in dono un prezioso unguento che perpetuerà la sua bellezza e la renderà ogni dì più cara e piacente allo sposo. E continuando fra loro i secreti colloqui , Sita in- terrogata da Anasùya le racconta la portentosa svia origine e il suo divenir sposa di Rama; come, uscito un dì il re di Mithila colle consorti regali a disegnar colf aratro l'area del sacrifìcio, ella Sita sorgesse improvviso fuori del solco arato, levando in alto le tenere mani (qui traluce l' idea madre del mito di Proserpina); come fosse con amore raccolta e cres- ciuta dal re Mithilese; come, venuto il tempo del do- verla fidanzare, fosse ella dal padre proposta come premio a quello tra i giovani principi , che avesse
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potalo tendere l'arco maravigìioso di Siva; come molti vi si provassero inutilmente, finché giunse a Mithi la Rama, il quale non solamente leso, ma spezzò l'arco prodigioso ed ottenne lei in isposa. Tra questo conversare è sopravvenuta la notte. Com- piute ai vicini lavacri le abluzioni vespertine, si rac- colgono taciti ai loro asili i solitari Muni; gli augelli s'appiattano tra le fronde; s'accovacciano nelle lor tane le belve e cominciano a vagare attorno gli es- seri, cui son care le tenebre della notte. Cessa allora ogni conversar tra gli ospiti, e alla gioja del ragio- nare succede la quiete del sonno. Al sopravvenir del nuovo giorno Rama , Sita e Lacsmana tolgon congedo da Anasùya ed Atri. Questi descrive loro il cammino, eh' ei debbono tenere; e i tre pere- grini si rimettono in via. In sull' entrare nella fo- resta Dandaca, la gran selva oscura ed aspra e forte, si scopre loro dinanzi una cerchia d' eremi. Nuovi solitari accolgono qui i tre esuli, narrano a Rama le crudeltà dei Racsasi, ed implorano contr' essi il suo soccorso. Dipartitosi da loro, Rama colla con- sorte ed il fratello s'addentra nel fitto della selva. Improvvisamente si fa loro incontro un mostro or- rendo, immane, che attraversa loro il cammino e pon le mani sopra Sita : il suo nome è \ iràdho.
xvn. PREFAZIONE.
Rama e Lacsmana vengono con lui a conflitto, e dopo varia ed aspra lotta atterrano quel mostro tra- fitto da mortale saetta. Allora Viràdho rivolge a Rama liete e soavi parole, e gli narra eh' ei In già per lo addietro un essere divino, uno splendido Gandharvo per nome Tumburu , eh' ei venne per un suo misfatto maledetto dal Dio Vaisravano , e trasmutato in quelle orride forme fino al dì, in cui cadesse trafitto dalle saette di Rama. La sua espia- zione è o°"imai compiuta e gli è concesso di risalire alle celesti sue sedi. Intuona egli gloria a Rama, lo consiglia di condursi alf eremo del gran Risei Sara- bhango, e, riassunte le divine sembianze, si solleva al cielo. Qui, come in alcuni altri luoghi del poe- ma, l'epopea va indicando la divina natura dell' Eroe die sparge sui suoi passi benedizione, sal- vezza, riscatto. I tre peregrini proseguono oltre. In sulf avvicinarsi all' eremo di Sarabhango scorarono essi manifesti i segni della presenza d' un Dio : è Indra disceso al romitaggio di Sarabhango; Rama f ha riconosciuto alle note sue insegne. S' appressa egli reverente al santo luogo; ma il Nume scompare improvviso : che non è venuto ancora il tempo in cui Indra e gli altri Dei si discoprano manifesti a Rama. Ei li vedrà presenti e combattenti con lui,
PREFAZIONE. xix
quando sarà accesa la gran guerra contro i Racsasi. J due Fratelli e Sita si trovano intanto al cospetto 'li Sarabhango; riama raccoglie con religioso alleilo le parole del Risei; ne riceve doni ospitali, cri è da lui indirizzato all' eremo di Suticsna, di cui il Risei gli addita il dilettoso sito. Jn questo, suscitato il divo fuoco e sparsovi sopra il sacro liquore, Sara- bhango maturato da lunghe austerità v'entra nel mezzo per deporvi la salma mortale ed avviarsi al cielo. Consunte dal fuoco le terrene membra, il Risei n esce fuori raggiante di gioventù immortale, e sen vola in seno a Braluna.
I Mimi de' circostanti romitaggi s' adunano in- torno a Rama sbigottiti, squallenti, maceri, e gli indirizzano parole di preghiera e di sgomento : « O Rama, onor della stirpe d' Icsvacu, difensore delle genti , deh ! ci proteggi , ci salva dall' incrudelir dei Racsasi; mira sparsi per le selve i corpi de' solitari uccisi da loro; tu, signor del castigo, vendica i nostri oltraggi. » Rama li conforta, li rassicura, pro- mette loro difesa e sostegno e s' avvia all' eremo di Susticsna. Quivi egli entra in ragionamenti col ve- nerando Risei; passa la notte sotto l'ospitale suo tetto; e al nascer dell' aurora s'avvia oltre con Sita e Lacsmano, fatta promessa a Susticsna, che il rive-
vx PREFAZIONE.
(irebbe altra volta. Tra via, Sita agitata da secreti presentimenti lenta con soave discorso di rimuover Rama dal suo pensiero ci' entrare in guerra coi Par- sasi, che in nulla l' hanno offeso. Rama difende e giustifica adi occhi della consorte il suo disegno. Frattanto i tre viandanti, attraversati monti, selve e fiumi, giungono ad un lago, da cui esce come un concento di canti e suoni. Un Munì, per nome Dhar- mabhrit, racconta a Rama l'origine di quel lago, che s appella Pane apsaro. Gran numero d' eremi sono sparsi colà intorno : Rama colla consolle ed il fratello visita a uno a uno tutti quei romitaggi e i contemplatori austeri che v hanno solitaria stanza. In questo peregrinai- di Rama trascorsero intieri dieci anni. Conforme alla sua promessa ei si ricon- duce allora all' eremo di Suticsna e si trattiene colà ospite qualche tempo. Un ultimo desiderio rimane a Rama prima di por fine a questa sua lunga pere- orinazione : ei desidera visitare il divino e celebre Risei Agastya. Suticsna gli descrive a parte a parte il cammino che mena all' eremo desiderato; quindi Rama con Sita e Lacsmana , tolto per la seconda volta congedo dal Risei, s'avvia alla dimora dell' antico saggio. Ragionando varie cose fra loro, rin- trescando la memoria dei mirabili prischi fatti d'A-
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gastya, osservando i luoghi eh1 ei vanno attraver- sando, i tre viandanti cominciano a discoprire i segni della vicinanza del Risei, indicati da Snticsna. La selva si mostra men losca ed inarborata di piante più miti : qua e là fiori leggiadri, e tutt' intorno un alito di più tepida aura. 0 Lacsmana , cosi parla Rama, siam giunti air eremo del divino Agastya; entra tu innanzi alquanto, ed annunzia al Risei che io son qui con Sita venuto ad onorare Y altissimo saggio. Lacsmana obbedisce alle parole del fratello e poco stante il gran Risei & appresenta egli stesso sulla soglia dell' eremo. Qui liete ed iterate acco- glienze e lunghi ragionamenti fra gli ospiti. Agastya fa dono a Rama d'un arco maraviglioso, invinci- bile; e richiesto da lui che gli additi in quelle vi- cinanze un luogo , dove ei possa fermar sua stanza e compiere gli anni del suo esilio, Agastya gli in- dica un dilettevole sito che s appella Panc'avati , lieto d acque e di fronde , dove Sita potrà ricreare tra la varietà d' amabili oggetti i lenti giorni della sua so- litudine. Venuti al termine del loro peregrinare i tre esuli regali si dipartono da Agastya e s' indiriz- zano alla volta del Panc'avati pei- fermarvi loro sede. Mentre ei progrediscono innanzi, s'accosta improv- viso a Rama Gatayus, essere misterioso, simholico,
w,i PREFAZIONE.
creazione strana ma grandiosa dell'epopea; il quale debbe aver gran parie nel dramma lamentoso che si prepara. Gatayus è sovrano augello, re degli avol- ioj JTT^JTrTr, grande, smisurato, altero. Egli fu amico di Dasaratha, mentrecchè visse l'infelice padre di Rama; egli antico di secoli ha assistito alla gene- razione degli esseri, che popolarono la terra; egli è re degli spazi aerei, sovrano degli avoltoj. Gatayus adunque s'appressa a Rama, siccome a figlio del suo amico Dasaratha, e s'accompagna con lui. In- terrogato da Rama intorno alla sua origine, (ìata\ us gli espone tutta intiera una cosmogonia. In questo mentre son pervenuti al Pane avati. Lacsmana s' ado- pra immantinente a costruire cola una capanna atta a servir loro d'asilo; la (piale messa in punto vien poscia purificata conforme ai riti lustrali. Soprag- giunge intanto il verno, soggetto di bella descrizione all' epopea; Gatayus si diparte da loro, dopo aver stretta amicizia con Rama; e rimangono soli abita- tori del Pane avati Lacsmana, Rama, e la donna sua diletta, la consolatrice del suo esilio, Sita.
Tutte quelle regioni meridionali erano allora, siccome canta 1' epopea , percorse e funestate dai Racsasi, che avevano loro sede principale in Ceylan, seggio del feroce regnator di Lanka, Ravano. Nel
PREFAZIONE. xxm
continuo andare attorno, che lamio por quelle selve i Racsasi, arriva colà nel Pan cavati una Racsasa, pei- nome Surpanakha sorella di Ràvano. dosici, veduto Rama bello del la persona, nobile d' aspetto, fiorente di gioventù, arde improvviso d' amore per lui : gli si appressa, gli apre la sua passione, e lo stringe con ardenti istanze, perchè ei consenta a devenir suo sposo. I due fratelli si piglian dapprima scherzo di lei deridendola; ma veduta poi dalla Racsasa mi- nacciata ed oltraggiata Sita, volgono in isdegno il riso , e incrudeliscono contro Surpanakha fino a mozzarle le orecchie e il naso. La Racsasa si riu- sciva empiendo l'aria di gridi, e se ne va correndo a Khara suo fratello, posto da Ràvano con grand' oste di Racsasi a custodir que' luoghi. Venuta di- nanzi a Khara tutta insanguinata e deforme, gli narra, che due eccelsi garzoni, non sa se uomini o Dei, belli come Gandharvi, aventi con loro una donna o Dea raggiante di beltà celeste, furono da lei incon- trati nel Ganasthàna (sede delle genti), che ella gittatasi sopra loro per isbranarli (qui mente la Rac- sasa) ne venne in quel modo oltraggiata. Chiede ella vendetta di loro e vuol berne caldo caldo il sangue. Khara sceglie quattordici Ira i più intrepidi Racsasi e gli invia con Surpanakha contro Rama. Prepa-
xxiv PREFAZIONE.
rata finora a mano a mano dall' epopea, incomincia qui propriamente la gran guerra contro i Racsasi, che s'andrà dora in poi vieppiù sempre ampliando fino alla disfatta di quella gente nemica, la quale sarà cantata sul finir del sesto libro, i quattordici Racsasi inviati poc anzi sono tutti uccisi da Rama. Surpanakha, testimone di quella strage, se ne fugge impaurita, e ritorna a Khara, annunziandogli tutti spenti a terra dalle saette di Rama i quattordici guerrieri da Ini spediti. Khara s' accende di ver- gogna e d' ira, e si dispone a marciare egli stesso con quattordici mila Racsasi per aver vendetta di queir oltraggio, e cancellar quell' onta. Segni pau- rosi annunziatoli di morte accompagnano la par- tenza di queir oste. Giunge essa al Ganasthàna ca- pitanata da Khara; entra in battaglia con Rama; e dopo lungo e vario combattere vien ella parte dis- fatta, parte volta in Tuga ; Khara egli stesso vi rimane estinto. Qui appare di nuovo la natura divina dell' Eroe. Tutta questa serie d' eventi e di battaglie, che io non ho fatto qui cbe accennare, è dall' epopea descritta a In nero e con magnifici colori.
Ornai s' avvicina il momento in cui entrerà terri- bile attor nel gran dramma epico Piavano, f oltraco- tante e temuto signor dei Racsasi. Vedutolo sterminio
PREFAZIONE. xxv
dell'oste, Surpanakha s'è messa in via alla volta di Lanka : \i giunge tutta ancora esterrefatta, e si pre- senta a Ràvano suo fratello. Il dominator di Lanka è là fiero, superbo, indomito, solcato la Ironie e il petto dalle cicatrici che gli impressero, nella sua guerra contro i Devi, i fulmini d" Indra, il disco di Visnu e le zanne dell' elefante Airavata. Surpanakha comincia dal rimproverargli l'ozio imbelle a cui egli s'abbandona ora in Lanka; poi gli narra i disastri del Ganasthàna. Ma nel raccontargli quella doppia disfatta dei suoi , ella , per vieppiù accendere forse il suo animo alla vendetta, si stende particolarmente a descrivergli la bellezza di Sita. «Nessuna donna mortale, o Ràvano, mi venne veduta mai così bella; tu la diresti una Dea, una Gandharva. Oh! felice colui che può nomarla sposa, e eh' ella farà belo de' suoi amplessi! Tale è Sita, o Ràvano, di te ben degna consorte. » Non bisognò più oltre. Ràvano arde d' amoroso fuoco ; la fatai sua determinazione è presa ; ei rapirà a Rama la bella Sita e ne farà lieto il re- gale suo talamo in Lanka. Ed ecco nelF epopea, forse la più antica dei tempi mitici, fatto nodo principale del dramma epico un rapimento di donna; poco più tardi canterà un nuovo ratto e una nuova guerra il vate aulico della Grecia; e la storia mitica dei ra-
xxvi PREFAZIONE,
pimenti di donne si troverà diffusa nelle tradizioni di quasi tutti i prischi popoli. Il re de1 Racsasi adun que, deliberato di rapir Sita e divisatone fra se il modo, esce secreto da Lanka, e si conduce in sulla sponda del mare opposta a Ceylan , ad un luogo romito abitato allora dal Racsaso Manca. Questi fn già altre volle uno tra i più audaci compagni delle spedizioni di Ràvano; il (piale molto in lui si con- fida, e vuole ora associarlo alla rischiosa sua im- presa. Quando il figlio primogenito di Dasaratha, garzoncello ancora, protesse contro i Racsasi il sacri- fizio di Visvamitra \ Marie 'a era stato uno dei Rac- sasi, che egli aveva percosso colle sue saette; poi in altri scontri ancora il feroce Marìc'a era stato da Rama fieramente maltrattato. Entratogli per questo nell'animo timor di queir avversario e dispetto di quelle dislatte, s'era egli ridotto a viver solitario fuori del tumulto delle continue lotte. Ràvano tenta ora di raccendere f antico suo ardore. Ma allor che Marìc'a ode pronunziare il nome di Rama , e conosce che contro lui deblV esser rivolto il tenebroso di- segno di Ràvano, un terrore invincibile s impadro- nisce di lui; ei ricusa ogni ajuto a quella impresa, e s'adopra a distoglierne Ràvano stesso, a Henna n-
1 Libro I.
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dogli che non può risultarne altro che (lamio e rovina. Via nulla giova : Piavano, esaurite le pre- ghiere, adopra il comando e costringe Manca a pie- garsi al suo ineluttabile volere. Qui son giunto a quella parte del dramma epico, che canta il rapi- mento di Sita, ed a cui non so quale altra oca/ione poetica si potrebbe comparare : lauto qui abbonda la vena del sentimento, la maestà del dolore, la verità degli all'etti, la grandezza de pensieri, la de- licatezza e r efficacia di stile. Stupenda creazione! Lascierò intatte per la traduzione tutte le grazie pu- diche di questo pietoso racconto, e mi contenterò di seguitare il movimento del dramma. Il mezzo convenuto tra Marìc'a e Piavano per rapir Sita e questo. Malica debbe trasmutarsi in bello ed ama- bile cervo (i Racsasi hanno virtù di mutar l'orme), mostrarsi a Sita , e scherzare innanzi ad essa in mille graziosi modi. Sita non potrà rimanersi dal desi- derar quei cervo, o vivo se fia possible, o morto per averne il delicato vello. Come prima Rama, tolto T arco e le saette, se n andrà in traccia del cervo per compiacele al desiderio di Sita, Marìca s andrà via via dilungando ora visible, ora nascosto Ira la selva, finché abbia di gran trailo allontanato Rama. Simu- landone allora destramente la voce, Marìc'a griderà in
xxvni PREFAZIONE.
suono di sgomento : «Oh Lacsmana, oh Lacsmana, aiuto! » Sita, spaventata a quel grido, crederà il consorte in pericolo della vita, e invierà Lacsmana al suo soccorso : rimasta ella sola, usciia dall' aguato Ràvano, e la rapirà senza contrasto. Ordinata cosi la scellerata insidia, si mettono essi in via alla volta del Ganasthàna. \IT appressarsi di Ràvano s' appiat- tano impauriti ne' covili le belve, Ira la frasca gli augelli; s'arresta immoto l'aleggiar de' venti; vol- irono tremanti e diete le lor onde i fiumi. Tutto addiviene come era stato divisato. Marìc'a, in sem- bianza di bellissimo cervo, invaghisce Sita, ed al- lontana da essa Rama, e quindi Lacsmana; esce in quel mentre dalle latebre della foresta Ràvano, e ra- pisce sul suo carro aereo Sita piangente e chiedente invano aita. «0 Ganasthàna, o monti, o fiumi, o Divinità protettrici di queste selve, deli! narrate a Rama, che io son latta preda d'un rapitor spietato. Addio care sponde della bella Godàvari , addio piante ospitali, fidi e cari recessi, addio. » — Posato sulla più alta cima d' un monte, dorme ai caldi raggi del sole il sovrano augello re degli avoltoj , il vecchio Gatayus. Ode egli fra il sonno i lamenti, che si span- dono intorno; si desta improvviso, volge gli occhi in giro, e vede rapita per I aria la consorte di Rama.
PREFAZIONE. xxix
Ratio ei si dispicca dalla vetta del monte, e librando immote dinanzi al rapitore le ali immense, contende a Ràvano il cammino e la preda. Qui s'appicca tra Ràvano e Gatayns una battaglia aerea, strana, orri- bile, degna di Dante. Il vecchio Gatayus soccombe, e Ràvano colla sua preda si ravvia a Lanka. Inos- servata da Ràvano Sita lascia cadere sulla sua via alcuni suoi femminili ornamenti, se mai per avven- tura potessero essi servir d' indizio a Rama e porlo sulla sua traccia. Al trapassar della dolente infelice mostra segni di duolo la natura impietosita. Fre- mono nelle lor fronde le cupe foreste ; percuotono f aria di lunghi ululati le belve ; si vela di nubi il sole; gonfia il suo seno il mare. Il gran misfatto è consumato; Ràvano è giunto in Lanka colia donna rapita. Chi potrà oggimai riaverla in Lanka, cui fanno insuperabile riparo i vasti flutti dell' Oceano? Ivi ei s' adopra, ma invano, a raddolcirla : la confida alla custodia delle sue donne ; loro impone di non contristarla , per quanto bau cara la vita; né dispera di vincerne più tardi l'inflessibile rigore. Mentre Sita, attorniata da strana custodia, s'abbandona senza speranza al suo dolore, né pare aver più sollecitu- dine alcuna della vita, discende a lei inviato da Bràhma Indra, il re dei Devi, in compagnia del
to PREFAZIONE.
Sonno. Il Dio la conforta, e raccende in lei colla speranza l'amor della vita, promettendole che fra breve vedrà dinanzi a Lanka Rama venuto con formidabile esercito a riconquistarla. Confortata cosi con care parole l'infelice derelitta, si dilegua il Nume.
In ([iieslo mezzo Rama, ferito il cervo, riconosce in lui il Racsaso trasmutato, e discopre la frode. Precipitoso ei ritorna sui suoi passi funestato da si- nistri presagi, e scontrandosi col fratello, che veniva alla sua volta : «Tu qui, o Lacsmana, esclama, lungi da Sita! Siam tutti ludibrio d un fatale in- ganno. Il grido di sgomento, che culi li trasse, non usci dalla mia bocca, ma dal cervo malauguroso che discopersi un Racsaso : tremo pensando a Sita che tu lasciasti sola. » I due fratelli affrettano i passi ; giungono al loro abituro, e lo trovan deserto e muto. Rama ne percorre allannoso ogni angolo più ri- posto; chiama iterando Sita; nessuno risponde; tutto è solitudine e silenzio.
Chi narrerà le angosce, i pianti, i gridi L'alta querela clic nel eie! penetra?
(piando Rama cominciò ad esser certo della Mia sventura. Tutto quel di e l'altro ancora e l'altro andò cercando la sua diletta per monti e selve e
PREFAZIONE. xxxi
valli; tutto lu invano : al nome di Sita non rispon- disi che dai cupi antri l'eco. Nel suo erra]- forsen- nato ci ritrovò giacente a terra Gatayus : ma il so- vrano augello morente potè dirgli appena, che Sita era stata rapita, che egli tentò difenderla e hi vinto, che il rapitore era il dominator di Lanka. Ma chi è costui? dove e Lanka? Rama noi sa. La geografia del Ramàyana, come quella d'Omero, è ancora molto ristretta, e non ha che una conoscenza os- cura delle regioni meridionali dell' India. Più utili indizi all' uopo vengon dati al vedovato consorte di Sita da Cabandho. Fu già questi un Danavo, trasfor- mato per maledizione d'Indra in mostro : Rama l'incontra nella foresta e il proscioglie dalla sua espiazione. Cabandho addita ai due fratelli il monte Riscyamuca, dove ha sua sede Sugrìvo, signor delle scimie (così qualifica F epopea i montani abitatori del mezzodì dell'India, poco a lei noti). Sugrìvo conosce tutta quanta la terra (l'India); ei l'ha percorsa ramingo, allorché ei fuggiva l'odio mor- tale del suo fratello Bali. Conviene che Rama entri in alleanza con lui : egli potrà meglio d'ogni altro aiutarlo nel!' impresa di racquistare la rapita con- sorte, e di vendicar sopra i Racsasi l'iniquo oltraggio, 'l'ale è il consiglio di Cabandho; Rama si dispone
xxxii PREFAZIONE.
a recarlo ad elìcilo, ed insieme con Lacsmana s'av- via al Riscyamuca. Qui finisce il libro terzo, /' ira- nyakanda.
Il libro quarto canta la lega tra Rama e Sugrivo il re delle scimie, e narra i primi preparativi per la gran spedizione contro Lanka. Sugrivo attorniato da' suoi fidi vede dall'alto del Riscyamuca appres- sarsi, armati di scimitarra e d'arco, i due fratelli Rama e Lacsmana. Nasce in lui sospetto e timore a quell'insolita vista, e immantinente a gran salti, spezzando e atterrando sul suo passaggio alberi e piante, ei si conduce di vetta in vetta dal Riscyamuca al monte Mala va, seguitato da' suoi compagni. Quivi fermatosi, ei manda un suo fidato per nome Hanuman a scoprire chi lossero i due armati, che colà s' appressavano verso loro. 11 messaggiere rag- giunge tra via Rama e Lacsmana; e conosciuto qual fosse la cagione della loro venuta, si rassicura e li introduce innanzi a Sugrivo. 1 casi di Rama, la sua sventura, il suo disegno son fatti manifesti al signor delle scimie. Sugrivo è lieto di tanf ospite a lui venuto : gli narra che ha veduto trapassar per l'aria il rapitor della donna che ei piange ; gli mostra alcuni ornamenti che lasciò cader la rapita, e eh egli ha raccolti; poi, senza frapporre indugio,
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acceso il sacro fuoco, al cospetto della fiamma che arde, ei stringe con lui amicizia e lega. Sugrìvo en- tra ora in un lungo episodio a raccontare a Rama i casi suoi proprj. Egli è da lungo tempo, per cagioni che ei racconta appieno, scopo all' odio e alla perse- cuzione di Bali suo fratello primogenito. Bali ha forza smisurata, ha impero sopra i scimi e sede nella gran spelonca Kiskindhya. Di lui vive in continua paura Sugrìvo; che ei sa, quanf egli possa, e come egli aneli alla sua morte. Se gli venisse latto di li- berarsi da Bali, ei sarebbe oltre ogni dire felice e signore assoluto di tutti i scimj. Rama consiglia a Sugrìvo di sfidare a singoiar battaglia Bali, e gli promette la sua assistenza e l'aiuto delle invincibili sue saette. Incoraggiato da Rama, Sugrìvo sen va con lui alla spelonca Kiskindhya, e chiama Bali a bat- taglia. Combatte col fratello una prima volta con infelice successo, ed è da lui fieramente percosso. Ma rinnovata una seconda volta la pugna, Bali cade ferito dalle saette di Rama. In sul morire egli rim- provera al suo uccisore f atto disleale e ingiusto dell' averlo ferito di nascosto e fuor d'ogni ragione. Rama gli risponde per giustificare quel fatto ; e nei rimproveri dell'uno, nella risposta dell'alleo sono espresse opinioni, usanze, idee veramente singolari
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e teorie strane di diritto sociale e di regia autorità. In questo muore Bali tra il compianto di Tara sua consorte e delle altre donne regali. Sugrìvo è allora proclamalo e consecrato re, signor supremo delle scimie. Qui pare condensala in un fatto solo qual- che guerra aulica Ira i silvestri abitatori delle re-
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gioni meridionali, nella qua! guerra ebbero forse parte i popoli settentrionali dell' India. Tutti questi fatti, che io ho qui solamente indicati, sono ma- teria di lunga e magnifica narra/ione all' epopea.
Sopravviene intanto la stagione delle pioggie. Rama e Lacsmana, cui è interdetto dalla condizion dell'esilio l'entrare in città o in villaggio, si riducono ad abitare sopra un monte vicino; Sugrìvo entra in possesso della regal spelonca Kiskindhya, e s' ai- tende il cessar della stagion delle piove (stagione che cade nei mesi di luglio e agosto) per recare ad eli etto la grande spedizione contro Piavano. Ma gli ozj della kiskindhya e le dolcezze de' nuovi suoi talami hanno ammollito Sugrìvo. La stagione delle pioggie è ces- sata; è sopraggiunto l' autunno, ed ei non si da pen- siero alcuno di guerra. Rama ne muove lamenti, ed invia Lacsmana alla Kiskindhya, perdi' ei rammenti a Sugrìvo le sue promesse. Il signor delle scimmie si riscuote, e ponendo mano all'opra, ordina ad
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Hanuman di andar percorrendo quelle regioni mon- tane, d' intuonar per ogni dove il grido di guerra, di raccogliere da tutte le parti esercito immenso: in quel mentre Sugrìvo ei stesso si conduce a visitai* Rama sul monte, dov'esso ha posto sua di- mora. L'esercito de' scimj si raduna. Sono mi- gliaia di migliaia, che accorrono d'ogni parte; trema sotto ai lor passi la terra; ne son coperti monti, pianure e valli. Ma prima d'ogni altra cosa conviene aver notizia di Sita, sapere dove [ abbia tratta il rapitore, dove ella si trovi. Sugrìvo, cui son note tutte le regioni del mondo, chiama ;i se alcuni de suoi più valorosi, e li spedisce a cer- care tutta intiera la terra (l'India). Alcuni egli invia alle regioni australi; capo di questi è Hanuman. E poiché pare più probabile, che Sita si ritrovi in questa parte, Rama consegna ad Hanuman un suo anello, acciocché esso mostrato a Sita tolga da lei ogni sospetto, ed acquisti lede al messo. Altri invia Su- grìvo ad occidente, altri ad oriente, altri a setten- trione, ed a tutti ei descrive partitamente i luoghi, che eglino hanno a visitare. Questa descrizione della terra qfàjcfHnfaTi sommamente rimarchevole come documento di primitive nozioni cosmografiche, ha qualche affinità collenozioni Omeriche effigiate nello
xxxv) PREFAZIONE.
scudo d'Achille. I messaggi spedili da Sugrìvo en- trano in via baldanzosi, e van percorrendo a parte a parie tutta quanta la terra co' suoi monti, fiumi e mari. In capo ad un mese, termine posto da Su- grìvo al loro ritorno, si raccolgono reduci alla Kiskindhya gli esploratori inviali ad oriente, ad occidente, a borea, e riferiscono a Sugrìvo, che in nessuna parte venne loro trovata traccia di Sita. Ma non è tornato ancora Hanuman speditoad austro; egli certamente saia lo scopritor della donna rapita. Di latto Hanuman, progredendo verso l'estremità meridionale dell'India, nulla lascia d'inesplorato sulla sua via : selve, spelonche, alture e valli tutto ei ricerca, tutto esplora ; ma non gli vieu fatto di sco- prire indizio di Sita. Disperando oggi mai di poter vincere la prova e venire a capo della loro impresa, egli e i suoi compagni vogliono piuttosto lasciarsi morir d'inedia, che tornare alla Kiskindhya senza aver scoperto Sita. In tali estreme angustie s'apre loro improvvisa una via alla speranza. Erra per caso cola intorno il fratello di Gatayus per nome Sam- pati, sovrano degli avoltoj anch' esso. Egli ha posto mente al ragionar che fanno insieme gli esploratori scoraggiati , e sentito farsi tra loro menzione di Ga- la\ us ucciso. Entra egli allora in colloquio con essi,
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ed ode lo scopo del loro viaggio, la morte di Ga- tayus, la cagione del loro scoraggiamento. Date alcune lagrime alla memoria del fratello diletto, Sampati racconta loro, che ha veduto trasvolar per 1' aria il rapitor di Sita, Ràvano, eh1 ei s'è raccolto colla sua preda in Lanka, che là si trova ora la donna, di cui essi vanno in traccia. E proseguendo ei descrive loro il sito e la giacitura di Lanka, quanto mare la divida dalla terra, quale ne sia la condi- zione, quale il dominatore. Hanuman e i suoi com- pagni riprendon fiducia e lena : ei sanno ora dove si trovi la consorte di Rama. Ma v' ha il mare di mezzo : come venire a capo di tragittarlo? Qui fi- nisce il libro quarto, Kiskindhyakanda.
La schiera de scimj condotta da Hanuman alla ricerca di Sita s avvia, conforme ai detti di Sam- pati, alla riva meridionale dell' Oceano. Quivi giunta ella contempla f immensità del mare e i concitati suoi flutti, entro cui s ascondono spaventevoli mos- tri. A quella vista una parte della schiera s' allegra e freme; ma 1' altra si scoraggia e dispera. Allora Angado primo fra i duci sorge a parlare, e tenta di ravvivare con forti parole il coraggio de com- pagni sgomentati. Ma allorché sul finire del suo discorso ei domanda : «Orsù! chi (li voi si sente
xxxviii PREFAZIONE.
«atto a valicare I Oceano per lo spazio di cento yo- «gani ed a condursi in Lanka a cercarvi Sila?» nessuno risponde. Angado insiste con più veementi parole e tanfo fa che alfine ei ridesta il coraggio d' alcuni più valorosi. Sorgono inanimiti e pronti Gayo, Gavacso, Cavavo, Sarabho, Gandhamàdano ed altri, e s offrono disposti a far prova della loro (orza. Gayo entra a parlare il primo e dice : Ben io mi sento atto a valicare lo spazio di dieci yogani; Gavacso aggiunge : Io ne valicherò ben venti; Ga- vayo si fa innanzi più ardito e dice: Io percorrerò trenta yogani in un sol giorno; Sarabho s' olire al- lora pronto a valicarne quaranta; Gandhamàdano cinquanta, un altro sessanta, un altro settanta, e v ha in fine un più animoso di lutti che si vanta di tornirne novanta due : ma nessuno va più oltre, nessuno si crede bastante a trapassar per aria la distanza di cento yogani. Simile al Nestore Ome- rico si leva dopo questi il vecchio scimio Gainbavat e così parla : Se io avessi ora la robustezza e il vi- gore della mia gioventù , non mi sarebbe dillìcile il venire a capo di questa impresa; io gareggiava allora di celerità col re degli avoltoj, collo stesso Gatayus : ma or son vecchio e appena potrei fornire novanta yogani, sforzo insufficiente al nostro scopo.
Prefazione. XXxix
Mentr ei così parla, il gran scimio Hanuman se ne sta in disparte e muto. Sorge di nuovo a parlare Angado, e per timor di Sugi ivo re de' scimj , se egli tornasse a lui senza avere trovata Sita, vuole egli stesso tentar d' arrivare in Lanka, valicando i conio yogani frapposti; ma gli si oppongono i suoi com- pagni : egli è loro duce, né debbe perciò abban- donarli senza capo che li governi. Come dunque uscire da questa angustia? 11 vecchio Gambavat, stato alquanto fra se pensoso, comanda a tutti di tacere, e rivolto ad Angado : Or io conosco, ei dice, il valoroso, il forte che vincerà questa prova; e dotto questo, ei va diritto ad Hanuman o l' esorta ad in- traprendere F arduo viaggio aereo. Tutta la schiera de scimj s unisce a lui con voto unanime, e prega Hanuman di pigliare sopra se quell' impresa. Ha- numan è figlio del vento : nessuno lo pareggia in celerità né in forza : ei si sente atto a cosi ardua prova e consente a tentarla. Per inspirare più fi- ducia di se ai compagni, ei narra loro la sua origine, e come un dì nella sua fanciullezza, visto nascere tutto raggiante il sole, gli prese vaghezza di toc- carne F ardente globo; ond' ei spiccatosi ad un tratto dal grembo di sua madre, si slanciò impetuoso per gli spazj del cielo incontro al solo : ma riarso da
m PREFAZIONE.
suoi raggi cadde precipitando a terra. Ilaiiunian disposto al gran viaggio sale sulla cima del monte Vlahendra che scroscia e s'affonda sotto i suoi passi; e quivi invocati propizj alla sua impresa il Sole, la Luna, Indra, il Vento, Yama e Varuna, ponta sul suolo i piedi, stende le braccia e si slancia per Y aria a volo al cospetto de scimj stupefatti. Gli Dei spet- tatori di queir audace conato suscitano ostacoli ad Hanuman per mettere a cimento il suo coraggio. VI mezzo del suo cammino aereo egli è ad un tratto arrestato da un mostro spaventoso che minaccia d'inghiottirlo: Hanuman parte con ardimento, parte con inganno si libera da quel mostro e si ravvia. L' Oceano memore che uno degli antenati di Rama scavò già un dì le profondità del mare, vuole ora se- condar l'impresa d' Hanuman messaggiere di Rama, e fa sorgere improvviso dall' acque un monte, af- finchè Hanuman vi si posi alquanto e racquisti forza per arrivare alla meta del suo corso. Più oltre il viag- giatore aereo incontra un nuovo ostacolo alla sua via, una Racsasa immane, orrenda, usa ad afferrar l'om- bra di chi le passa vicino. Anche di questo ostacolo trionfa Hanuman e giunge alfine all'isola di Lanka. Disceso sopra un' altura egli stende di Là lo sguardo sopra la città di Lanka, posta sulla cima del monte
REFAZIONE.
MI
Trikùta, e ne contempla maravigliando i bei giar- dini, le splendide case, le forti difese; ne ode i lieti canti e i suoni e con essi lo strepito dell'armi. Al- lorché poi sopravvenne la noi te e coperse colle sue ombre la terra, Hanuman, impicciolito quant' ei più poteva lo smisurato suo corpo, entra guardingo e tacito nella città dei Racsasi, pensando fra se come gii potrà venir fatto di ritrovare Sita, eli' ei non conosce altro che per fama. Egli va percorrendo le principali case di Lanka, la casa di Mahàparsvo, quella di Cumbacarno, quella di Mahodaro, senza trovare indizio riè traccia di Sita. Entra egli quindi nella reggia di Ràvano tutta splendente di gemme e d'oro, penetra nelle stanze più seccete, s'addentra nel gineceo ed esamina a una a una tutte quante le donne ivi raccolte : in nessuna egli ravvisa Sita, quale 1' imagina il suo pensiero. Vie più fervente nella sua ricerca ei corre di qua di là, visita ogni più riposto recesso, sale, discende, s'arresta; ma in nessuna parte gii riesce di trovare la donna che ei cerca. Allora ei comincia a disperare; ed essendo oramai passata la metà della notte, ei s'asside sulf orlo d' un recinto e dolendosi quivi amaramente, egli pensa fra se che forse Sita o perì precipi landò nel mare, mentre veniva rapita, o mori consunta
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dal dolore. Ma che dira egli a Rama? (ionie oserà tornare a lui senza recargli notizia di Sila? Mentre Hanuman così Ira se pensa e lamenta, gli vien ve- dili o in dispaile un amen iss imo bosco di asochi, che ei non ha visitalo ancora. Immantinente ei corre a (pici bosco, ed entratovi uè percorre i bei viali, i limpidi stagni, le fiorenti pendici e le artefatte colline che veste de' suoi raggi la bina. In mezzo a quel bosco egli scorge un grand' albero che sovrasta ad ogni altro : Hanuman pensando che se mai Sita si trovasse in quel verziere d' asochi, egli potrebbe dalla cima di queir albero meglio scoprirla, \' as- cende e s'appiatta tra i folti suoi rami. Di colà egli esplora tutto intorno il bosco, e scopre non molto lontana una casa splendidissima, cinta d' eleganti colonne, tutta adorna di gemme e di coralli. Dentro quel recinto egli scorge molte donne Racsase de- formi e orribili, e in mezzo ad esse seduta sul nudo suolo, mesta, accorata, piangente una donna di beltà divina. Alla mestizia, al portamento, agli atti ei riconosce la sposa di Rama : non gli rimane oramai più dubbio; egli ha trovato la donna che ei cerca. Hanuman fa seco stesso un pietoso lamento, considerando a qual condizione è ridotta quella donna figlia di re, nuora di Dasaratha, e consorte
PREFAZIONE. mi,,
di Rama, celebrata sopra ogni donna moria le. In questo egli ode un soave concento e vede innoìtrarsi verso la casa, dove è Sita, un grande corteggio di donne e d' uomini. E Ràvano che ardente d' insana passione si conduce a visitare la sua bella prigio- niera. Ei ritrova Sita squallida, dolente e misera, e s' adopra a consolarla con dolci parole ed a re- carla ai suoi desiderj : « Non aver timore, o gentile; io t'amo; consenti ad essere mia sposa, e tu sarai prima fra le mie donne , regina di me e del mio im- pero : a che vai tu ricordando Rama misero e ta- pino? godi le delizie che io t' olirò e obblia Rama. » A que' detti oltraggiosi Sita commossa da sdegno respinge da se con dure parole il signor de' Rac- sasi, e ne disprezza impavida il lolle orgoglio. Rà- vano & adira, freme, minaccia; ma nulla vale. Fi- nalmente egli annunzia a Sita che ei le accorda due mesi ancora; se, passato questo termine, ella non consente ai suoi desiderj , sarà punita d' orribile morte. Allontanatosi Ràvano, le donne Racsase cus- todi di Sita assalgono tutte insieme con minacce ed oltraggi la misera sposa di Rama : ma una Ira quelle donne per nome Togata sorge a proteggerla , e rac- conta un suo recente sogno annunziatore di pros- sima rovina a Ràvano ed a tutti i Racsasi; presaghi
XLn PREFAZIONE.
indizi e pronostici si manifestano nello stesso tempo a Sila, e confermano il sogno di T rigata. Le donne Racsase fanno tregua alfine al loro garrire e si ris- tanno. Hanuman che s era in questo mentre venuto appressando al luogo dove slava Sita, ha tutto in- teso e tutto visto quel ch'era accaduto. Ei a a pen- sando ora al modo di manifestarsi a Sita senza impaurirla né darle sospetto : il miglio!1 mezzo gli par quello di far risuonare agli orecchi di lei il nome e le lodi di Rama. Nascosto adunque tra i rami d' un albero egli incomincia con voce sommessa le lodi del figlio di Dasaratha. Udendo improvvisa quella voce, Sita crede dapprima che è un'illusione, un sogno; poi rassicuratasi alquanto guarda su per f albero e discopre Hanuman. Questi allora con atto reverente le chiede : Chi sei tu, o leggiadra? sei tu forse una Dea discesa dal cielo? Ed ella a lui ris- ponde raccontandogli i tristi suoi casi : lo sono Sita figlia di Ganaca e consorte di Rama; accompagnai nella selva il mio sposo, e fui rapila da Ràvano sul Ganasthàna. Ma chi sei tu che mi parli di Rama e mi chiedi chi io sia? Sei tu forse Ràvano, che sotto mentite forme tenti sedurmi con nuovo inganno? Qui Hanuman con lungo discorso narra a Sita che ei fu mandato da Rama e da Sugrìvo alla ricerca
PREFAZIONE. XLV
di lei, quanto egli lece co' suoi compagni per is- coprir dove ella fosse, come egli valicò f Oceano ed arrivò in Lanka; e per allontanare da Sita ogni sospetto d'inganno, le porge come tessera F anello che Rama gli diede. Seguita qui un lungo colloquio, nel quale Hanuman racconta a Sita partitameli te ogni cosa, l' inconsolabile dolore di Rama, la sua lega con Sugrìvo, 1' apparecchio dell' esercito, 1' immi- nente assalto di Lanka; s' offre a lei, purch' ella il voglia , pronto a trasportarla sul suo dorso al di là del mare, il che ella pudica ricusa; la conforta a non ismarrirsi d' animo, ad aspettar con fiducia il vicino dì della sua liberazione, ed inline le chiede un contrassegno che ei possa mostrare a Rama , siccome prova d' averla veduta. Sita consegna allora ad Hanuman una sua gemma nuziale che sola le era rimasta, e lo prega che ei solleciti Rama a venir presto colf esercito a liberarla. Ma Hanuman non vuol partirsi da Lanka senza avervi lasciato traccie della sua venuta e senza aver fatto qualche sfregio al superbo signor dei Racsasi. Egli sa che il bosco d' asochi, dov ei si trova, è oltremodo caro a Rà- vano : ebbene egli distruggerà questo bosco. Ed ecco il robusto Hanuman che rompe, scinauta, at- terra alberi, virgulti e fiori, e mette a guasto ogni
xlvi PREFAZIONE.
cosa. Ràvano avvertito di quel conquasso manda l' un dopo l'altro guerrieri contro Hanuman; ma questi ne fa strage spieiata. Finalmente giunge spe- dito da Ràvano il valoroso e forte [ndragil con una coorte di guerrieri eletti : Hanuman ne sostiene per qualche tempo lo scontro; ma alfine è circondalo e preso. Ei vien condotto allora alla presenza del re de Racsasi, il (piale, inteso chi egli e e perche quivi venuto, comanda che ei sia messo a morte. I no dei fratelli di Puìvano per nome Vibhìsano s'oppone a questa sentenza, e dice che si debbe rispellare in Hanuman il suo carattere di messaggiere, condan- narlo bensì a qualche pena, ma non punirlo di morte. Ràvano cede alle ragioni del fratello e cangia pensiero : Or bene, ei dice, non sarà costui ucciso, ma punito d' altra pena crudele. Quel che hanno più caro i scimj, è la lor coda; s' arda dunque la coda d' Hanuman. La sentenza è immantinente ese- guita, ed Hanuman trascinato per le vie di Lanka colla coda accesa. Sita, avuta in questo mentre no- tizia di quel che avveniva, prega il Fuoco, affinchè non offenda Hanuman; e di fatto il fuoco arde bensì , ma non abbrucia la coda del scindo. Ma Hanuman, raccolte tutte le sue forze, si svincola improvvisa- mente dai lacci ond' e legato, si libera da' suoi cus-
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lodi, e colla sua coda accesa appicca il fuoco a Lanka. Incendiata Lanka, I laminimi rivede e riconforta Sita; poi, compiuto oramai ogni suo disegno, si slancia di nuovo per aria, e si rimette in via alla volta del monte Mahendra, d'onde è partito.
Come il veggono apparir da lontano, i scimj al- zano gridi di gioia; e allorché Hanuman discende sul monte, tutti gli sono attorno festeggiane, e lo pregano che ei racconti loro tutti i casi di cpiel viaggio. Per meglio vedere e intendere Hanuman, i scimj s aggruppano intorno a lui chi sopra alberi, chi sopra balzi e rupi, ed Hanuman fa loro una distesa narrazione del suo viaggio maraviglioso. An- gado propone allora a' suoi compagni di passare tutti insieme in Lanka, liberar Sita e ricondurla a Rama; ma è distolto da questo disegno dai princi- pali fra i scim| . Ora hanno essi conseguito il loro scopo; Sita è ritrovata; ed è tempo di ritornare al monte, dove gli stanno aspettando Rama, Sugrìvo e Lacsmana. Tutta la schiera de' scimj si mette dun- que in viaggio alacre e lieta. Pervenuta alla selva net- tarea, di cui è padrone Sugrìvo, v entra baldanzosa, e si pasce, si satolla, s inebbria di frutti delicati e di sughi squisiti, malmenando i custodi della selva; i quali se ne vanno con gran furia ad avvertire Su-
mm PREFAZIONE.
grìvo. Questi argomentando dall' immoderata lui- danza de' scimi che debbono essi per certo aver ritrovata Sita, ordina ai custodi della selva ne! la iva di significar loro che ei debbano ritornare a lui senza indugio. I scimj, inteso il coniando de] re, si spiccano dalla selva nettarea, e giungono poco stante alla presenza di Sugrìvo, di riama e di Lacs- inana. Qui Hanuman ragguaglia fedelmente Rama d'ogni cosa avvenuta; gli narra la scoperta di Sita, ciò che ella gli disse, e tutti i casi di quella spedi- zione; quindi gli consegna la gemma che Sila gli diede (piai tessera di fede. Come vede (pipila gemma, che gli ricorda un tempo felice, Rama prorompe in lamenti e in pianto : ma Sugrìvo lo rianima e l'esorta a pensare ora agli apparecchi della guerra. Allora Rama, dopo aver lodato Hanuman del suo valore e datogli un amico amplesso, [ interroga per sapere come sia guardata Lanka, quali siano le sue forze e le sue difese; e poiché ebbe tutto inteso da Hanuman, dispone con ordine opportuno l'eser- cito, e s avvia alla riva dal mare. Giunta in faccia all'Oceano, l'oste de' scimj s'arresta e guarda il mare immenso, sede di \ aruna. Rama dà gli ordini con- venienti ai duci dell' esercito, e come vede tutta posata l'oste, recatosi in disparte col fido suo Lacs-
PREFAZIONE. m.\
mana, disfoga, lamentando, il duolo che Tarde : « Suole il dolore mitigarsi col trapassar del tempo , o Lacsmana; ma il mio dolore d' esser diviso da Sita di dì in dì vie più s accresce. O Sita mia diletta, quando sarà eli io ti rivegga! Spira, o vento, là dov è T amata mia sposa; e dopo averne carezzalo le membra, ritorna e toccami co' tuoi aliti. »
Qui 1' epopea ci trasporta di nuovo in Lanka. La madre di Ràvano presaga della rovina che sovrasta a Lanka ed a tutti i Racsasi, si volge a \ ibhìsano il miglior de suoi figli e 1' esorta ad adoperarsi per ismuovere dal suo proposto Ràvano e indurlo a restituir Sita, onde evitare una guerra funesta col temuto ed invincibile Rama. Vibhìsano si reca alle stanze di Ràvano, il quale appunto in questo men- tre siede a consiglio coi principali fra i Racsasi, e delibera intorno a ciò che s ha a fare nelle preseni 1 occorrenze. Quivi Vibhìsano ode i discorsi de' con- siglieri che vantano f irresistibile possanza di Rà- vano, e secondandone le voglie superbe, favellano di guerra, di vittoria, di stragi. Si leva allora a parlare Vibhìsano : ei rimprovera a Ràvano l'ingius- tizia e f oltraggio da lui fatti a Rama, mostra i pe- ricoli che sovrastano a Lanka, se si provoca a guerra il terribile fìllio di Dasaratha, e conehiude dicendo
,. PREFAZIONE.
che si debbe senza rilardo restituire a Rama la sua sposa. L a\ \ iso di \ ibhìsano è combattuto da altri ; s'accende una veemente contesa; ed alfine Ràvano preso da subita ira percuote d' un calcio il fratello. Questi abbandona allora Lanka insieme con quattro suoi fidi; se ne \a dapprima al monte Cailàsa, d'onde consigliato da Vaisravano e da Siva si reca, come supplice, a Rama. I scimj, visti arrivare que cinque Racsasi, ne prendon sospetto e si dispon- gono a respingerli; ma Rama ordina che siano con- dotti innanzi a lui; ed inteso il verace racconto che gli fa \ ibhìsano, l'accoglie con onore e il la imme- diatamente sacrare re di Lanka. Ora si delibera intorno al modo di valicare l'Oceano con tutto l'eser- cito e dare I assalto a Lanka. Per consiglio di \ i- bhisano Rama s'adagia sopra sacre verbene in riva al mare per tre notti continue, ed invoca l' Oceano signor de' fiumi, allineile si mostri fuor della sua sede e lo consigli : ma poiché non vede apparire il re de' mari, Rama s adira e colle sue saette ne per- cuote, ne turba, ne sconvolge le acque. L' Oceano si mostra allora visibile; consiglia a Rama di far cos- trurre nel mare una solida via per cui possa passai- f esercito; e gli promette di sostenerne il peso e di non rovesciarla colf impeto de' suoi flutti. Il scimio
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\alo è figlio dell' architetto divino; ei sarà dunque I architetto di quella grande mole. Incontanente i scimj si mettono all' opra; egittando a mano a mano dentro il mare sassi smisurati, rupi, rocche, brani di monti e grossi alberi divelti colle loro radici, compiono in breve tempo 1' opra maravigliosa. Gli Dei contemplano attoniti quella mole immensa, e pronunziano con infallibile detto, che per quanto tempo starà il mare, tanto durerà quella mirabile mole; e per quanto tempo starà quella via, tanto vivrà la celebrità di Rama. Qui finisce il libro quinto, Sundarakdnda.
Sopra il gran ponte Nalo costrutto in su quel braccio di mare che separa dal lido l'isola di Lanka (Ceylan), i scimj a gruppi, a schiere, a torme tra- passano a Ceylan, portando guerra ai Racsasi. Rà- vano re di Lanka, veduta arrivale ai lidi inesplorati dell' isola f oste innumerevole de' scimj capitanata da Rama, chiama a se due suoi fidi Suca e Sarana e li spedisce al campo di Rama, perchè quivi esplo- rino il numero e la forza del nemico. 1 due Racsasi escono occulti dalla città e veggono i dorsi de' monti, le spelonche, i dirupi, le selve e le spiagge del mare pieni di scimj minacciosi e fieri. Menti" essi osservano intenti l'oste nemica, Vibhisano sco-
in PREFAZIONE.
pre i due Racsasi e li conduce a Rama; il quale
comanda che si mostri ai due esploratori (piale <• quanto sia il suo esercito, e loro impone d'annun- ziare a Ràvano che la vendetta lungo tempo medi- tata è oramai imminente e che l'oltraggio del Gana- sthàna sarà fra breve cancellato col suo sangue <i coli' eccidio di Lanka. 1 due Racsasi ritornano alla città e raccontano a Ràvano quello che videro e ciò che loro disse Rama. Il re de' Racsasi disprezza le minacce, e non cura i detti che gli son riferiti; quindi seguitato da Suca e Sarana sale sulla più alta parte della sua reggia, e quivi comanda a Sa- rana che gii additi i principali fra i duci dell' eser- cito di Rama. Sarana così gii parla : Colui che vedi circondato da migliaia di guerrieri guardar mi- nacciando Lanka, quegli è _\alo; colui che protende le robuste braccia e solca per ira coi piedi la terra, quegli è Angado, e così a mano a mano Sarana addita a Ràvano i duci dell' esercito nemico, e ne esalta la forza. Parimente in Omero al terzo canto dell' Ilia- de, Elena salita con Priamo sulla torre delle porte Scee mostra al re Trojano i principali Ira i duci dell'esercito greco l. Entra quindi a parlare Suca, ed
1 Tòv §' É\évr) aiiOoicriv àfisiSero , Sfa yvvauxtòv ■ Oiìtos y Arpe fòrjs , svpvx^siw kycifxéfiveav ,
PREFAZIONE. lui
indica a Ràvano altri duci colle loro schiero. Udite le parole dei due esploratori, Ràvano s1 adira contro loro, perchè hanno osato al suo cospetto vantare la forza e il valore de' suoi awersarj ; e mal soddisfa Ito dei loro ragguagli, chiama altri Racsasi e li manda ad esplorar di nuovo il campo nemico. Questi sco- perti e caduti nelle mani dei scimj , sono fieramente maltrattati, ed a gran pena riescono a salvarsi e a ritornare in Lanka. Quivi ei confermano a Ràvano quanto gii fu detto da Suca e Sarana, e lo esortano od a rendere Sita a Rama o ad apparecchiarsi im- mantinente alla battaglia; perchè Rama già mi- naccia col suo esercito le porte di Lanka. Ràvano alquanto commosso da quelle parole chiama i suoi ministri ed ordina loro di provvedere a tutto e di star vigilanti; quindi imaginato un suo disegno per indurre Sita a consentire alle sue voglie, fa venire a se un suo fido, grande artefice di prestigj e gii comanda di formare per forza di magìa una finta testa di Rama. Edi frattanto se ne va a trovar Sita
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e le narra che in una terribile battaglia data sotto
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le mura di Lanka fu disfatto e rotto tutto l'esercito
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Ovtos h' ab AaepTiàhì}* , -croXufx);T<s Ohvaaeòs , ecc. (Iliade, ih, v. 171 e seguenti
un PREFAZIONE.
di Rama, e Rama stesso ucciso; che è inutile oramai che ella più pensi al suo consorte; che ella debbe piegarsi alfine ai suoi desiderj e divenir sua sposa. Ed a prova di ciò che le narra, ei la quivi venire il fido suo Racsaso, il quale getta innanzi a Sila la testa sanguinosa di Rama e il suo grand' arco. A quella vista Sita prorompe in lungo e pietoso la- mento. Ma giunge in questo un messo a Ravano ad annunziargli che Rama col suo esercito s'appressa alla città e la minaccia d assalto. Ravano esce pre- cipitoso dalle stanze di Sita, e lui parlilo, scompa- iono la testa di Rama e l' arco. Allora una Racsasa custode di Sita ed a lei devota entra a confortarla; T accerta che quanto le fu detto testé della morte di Rama è una menzogna, e l'esorta a non ismar- rirsi d'animo e a sperare. In questo mentre s'ode un grande strepito d' armi, di cavalli e d'elefanti, un rumor confuso di guerrieri accorrenti d' ogni parte : Odi, dice la Racsasa a Sita, s'apprestano alla bat- taglia i Racsasi; Rama s'appressa; fra breve avrà fine il tuo dolore. Sita spaventata ancora per f or- renda visione della testa recisa di Rama, prega Sa- rama (è il nome della Racsasa) che vada e spii che (osa Taccia, che cosa pensi Ravano. Sa rama obbe- disce, e poco stante ritornando a Sita, le narra che
PREFAZIONE. LV
Ràvano raccolto a consiglio coi principali suoi con sisflieri e duci venne con molte instanze esortato a render lei Sita al suo consorte Rama, e ad allonta- nare i pericoli di quella guerra fatale, e che Piavano ricusa. Mentre Sarama così parla, un rumore im- menso di grida e di suoni guerrieri empie la citta, le selve e i monti : è l'esercito di Rama che chiama i Racsasi a battaglia. Un consigliere di Ràvano tenia ancora con lungo discorso d' indurlo a far pace con Rama; ma invano: il re de' Racsasi, più che mai ostinato nel suo rifiuto, dà gli ordini opportuni per la difesa della città, e pone guerrieri eletti a custo- dirne le porte. Vibhìsano intanto ha spediti dal cam- po i quattro suoi compagni a spiare le disposizioni di guerra latte da Ràvano; e conforme a ciò che essi tornando han riferito, Rama determina 1' ordine del vicino combattimento : quindi coi principali duci e guerrieri sale sopra il monte Suvela , che so- vrasta a Lanka, per discoprire da quelle alture la città colle sue difese. Quivi ei passa la notte, e scorge per l'aria e sulla terra portenti spaventosi, insoliti, annunzj di calamità future. Disceso al nuovo dì dal monte Suvela, Rama dispone in ordine di battaglia il suo esercito, sotto cui trema la terra e s'alzano nubi di polvere : ma prima d'entrare in battaglia,
ivi PREFAZIONE.
Rama, memore del dovere d'un ree della generosità guerriera, manda Angado messaggero a Ràvano, acciocché srli dica in nome suo che abbandoni il regno e renda Sita, se ei pur vuole evitar la guerra. Ràvano acceso d' ira a quelle parole, ordina che sia preso e legato il messo di Rama ; ma questi si svincola e se ne ritorna al campo. Ora incomincia la battaglia. Armati di grossi tronchi d'alberi, di macigni, di brani di monti, i scimj si spingono all'assalto di Lanka, minacciando ad un tempo tutte le porte della città. Nel tempo stesso Ràvano spinge contro i scimj le schiere de' Racsasi armati di saette, di mazze e d'aste ; e s' appicca con varia fortuna e con diversi casi una terribile mischia, che si continua mal grado la notte sopravvenuta. Ma in questo mezzo un duce de' Racsasi, per nome Indragit, figlio di Ràvano, s'allontana inosservato dal campo, ed offre un suo tremendo sacrifizio, onde ottenere virtù so- vrumana; poi ritorna al combattimento, ed aggi- randosi per la mischia occulto, irresistibile, ferisce, atterra, uccide e non s'arresta, finché non vede ca- duti sul campo colpiti da cento saette Rama e Lacs- mana. Come i scimj s' accorgono della caduta dei due fratelli, si stringono intorno a loro costernali, atterriti, e guardano d'ogni parte, se appare traccia
PREFAZIONE. lvii
d' Indragit ; ma questi s' è l'accollo in Lanka ed ha significato a Ràvano la presupposta morie di Rama e Lacsmana. Il re de' Racsasi esulta; la proclamare per la città la grande novella, il mirabile fatto; poi ordina che si faccia salire sopra un carro Sita e si conduca al campo, affinchè ella vegga coi proprj suoi occhi il suo consorte ucciso. L'ordine è imman- tinente eseguito : Sita arriva al campo, vede esul- tanti per la vittoria i Racsasi; costernati, atterriti i scimj : quindi oh dolore! ella scorge distesi a terra, immersi nel sangue, feriti da cento saette Rama e Lacsmana. La consorte di Rama fa quivi un pietoso lamento degno dell' antica musa greca; ma la Ra- csasa che 1' accompagna ed è a lei devota, guarda più attentamente i due eroi giacenti, esamina con mente più tranquilla ogni circostanza, ogni fatto, e rivolta a Sita : Non iscoraggiarti, le dice; t'accerto che Rama e Lacsmana non son morti ; e in questo la riconduce in Lanka.
Dopo un lungo deliquio, Rama, siccome dotato di più energica natura, ricupera il senso, e veg- gendo steso a terra esangue, immobile il fratello Lacsmana, fa sovra di lui, che ei crede morto, un lungo lamento. Sopravviene in questo punto \ ibhi sano armato di mazza : i scimj credendo ch'ei fosse
Lvin PREFAZIONE.
Indragit, si danno alla fuga impauriti, ma vengono, non senza difficoltà, rassicurati e contenuti dai loro duci. Vibhisano deplora qui la sorte di Lacsmana e di Rama : Sugrìvo il re de' scimj vuole incontanente rinnovar la battaglia, assalir Lanka e vendicare i due fratelli : ma Susena, conoscitor dell' nix- e delle loro virtù occulte, pensa a risanale i due eroi feriti ; dice che è necessaria a quest' uopo una pianta che si trova nell'Oceano latteo Ir.i i due monti Drona e C'andrà, e consiglia che si spedisca Mann man a cercarne. In questo mentre1 una voce secreta mor- mora all' orecchio di Rama queste parole: Ricor- dati, o Rama, che In sei Naràyana (Visnu) urna- nato; pensa a Garuda (la grande aquila di Visnu) terror dei serpenti. Così fa Rama; ed ecco improv- visamente s'ode un grande strepito d'ali e un im- petuoso muoversi di vento; fugge, s asconde per paura ogni essere che serpe sulla terra : è Garuda , la grand' aquila grifagna che appare a Rama. Im- mantinente le saette da cui erano straziali Riama e Lacsmana, fuggon sibilando nei penetrali della terra : quelle saette erano serpi velenose, che Indra- git per forza di magìa aveva lanciate contro Rama e Lacsmana invece di dardi. Subitochè veggono rin- vigoriti e salvi i due fratelli, le schiere de' scimj
PREFAZIONE. Lix
alzano grida di gioia , e brandendo alberi e massi di rupi, chiamano di nuovo la battaglia. I dendo quel tumulto, quelle grida di gioia, Ràvano entra in sos- petto ed ordina che dall' allo dei baluardi si osservi il campo nemico; poco stante gli vien riferito che l'esercito de' scimi è disposto a ricominciar la bat- taglia capitanato da Rama e Lacsmana. A quell' annunzio inaspettato Ràvano comanda ad uno de' suoi duci, per nome Dumràcsa, d'uscire con gran numero di guerrieri e di sostener la battaglia. Dum ràcsa, mal grado i terribili presagj che gli appajono d ogni parte, esce dalla porta occidentale, dove sta coi suoi il gran scimio Hanumàn, e si riaccende la pugna. Dopo un lungo e feroce combattimento, in cui la fortuna piega or dall'una parte, ora dall' altra, Hanuman percuote con un brano di monte Dumràcsa nel mezzo del capo e lo stende morto a terra. I Racsasi privi di duce retrocedono : ma Rà- \ ano spedisce subitamente un altro eroe , Acampano , con nuovi guerrieri, e si ristaura la pugna. Cresce da ambe le parti il furor della battaglia ; Racsasi e scimj cadono a vicenda; s'immolla di sangue la terra; il campo è tutto ingombro d'armi e di rottami di monti. Hanuman agitando un tronco d albero smisurato, s'aggira per la battaglia, cercando Scampano; lo
ix PREFAZIONE.
ritrova, s'azzuffa con lui e l' uccido. A. quella vista i Racsasi, già affranti da lunga battaglia, si danno tumultuosamente alla fuga e si ricoverano in Lanka.
Piavano sorpreso e impensierito chiama a consi- glio i suoi ministri e duci; e dopo lunga delibera- zione esce e percorre la città, esaminando a parie a parte i drappelli e le legioni de Racsasi; poi si volge a Prahasto uno de' primi suoi capitani, e gli impone di pigliare con se nuovi guerrieri e di sos- tenere la vacillante fortuna delle armi. Prahasto esce con fresco esercito dalla città fra sinistri pre- sagj ed assale le schiere di Nila. Nuova e più feroce battaglia lungamente e vivamente descritta dall' epopea. Dopo varj casi, ferite e morti Nila affronta Prahasto : i due eroi combattono lungamente con terribile pugna, ed infine Mia con un enorme ma- cigno sfracella la testa di Prahasto. 1 Racsasi atter- riti abbandonano il campo e si richiudono in Lanka.
Piavano comincia ad accorgersi che ha a fare con un nemico troppo più forte che ei non credeva, e si risolve d' uscire egli stesso ad affrontarlo. Ma la prima Ira le consorti di Piavano per nome Mando- darì, udita quella sua determinazione, ne viene a lui, e con lungo discorso lo consiglia, lo prega di cessar quella guerra che pone in tanto pericolo il
PREFAZIONE. lxi
suo regno e la sua vita. Ràvano rifiuta consigli e preghiere; il suo orgoglio non gii consente di pre- sentarsi supplice e chieder pace a Rama. Il re de' Racsasi adunque sale sul suo carro di battaglia, e s avvia con grand oste a combattere. Rama vedendo venire alla sua volta tanto apparato di forze, inter- roga Vibhìsano per sapere chi siano i duci di quelle schiere, e \ ibhìsano gii indica e gii noma i princi- pali eroi, e in mezzo ad essi grandeggiante , altero il re de' Racsasi. Si rinnova la battaglia. In questo nuovo combattimento f epopea non mette in rilievo altro che Ràvano, non parla che de' suoi fatti inau- diti, titanici; pare che l'esercito de' scimj non abbia a fare che con lui solo; egli occupa quasi intiera la scena di quella fiera battaglia. Contro lui combattono a mano a mano Sugrìvo, Gavayo, Ga- vacso, Sudanstra , Meindo, Nalo, Angado, Nila, Lacsmana ed altri forti; ma nessuno può resistere al terribile suo impeto, che tutto atterra e conquide. Alfine si presenta Rama; egli solo può far argine a quella rovina. Con un nembo di saette Rama uccide i cavalli e f auriga di Ràvano; gii spezza f arco, gii abbatte il diadema; e costringe il re de' Racsasi a retrocedere ed a rientrare in Lanka. Ora si ricorre ad un altro disegno.
lxii PREFAZIONE.
Fra i più tremendi abitatóri di Lanka v ha un Racsaso per nome Cumbacarno, fratello di Ràvano. A petto a costui è un nulla il gran Ciclope, il 3-av(ioL tseképtov, il monstrum horrendum, informe, ingens dell' Odissea e dell' Eneide1. Questo Cumba- carno è un essere spaventoso, immane clic, quando lo stimola la voglia di pasto, divora con ingorda ingluvie ogni creatura che gli si para dinanzi. Per salvare da quel furor famelico le cica tu re viventi sulla terra, Brahma condannò Cumbacarno ad un sonno perenne; e solo gli concesse di sei in sei mesi un giorno di veglia per saziai- la sua fame. luì vano comanda che si risvegli Cumbacarno, ac- ciocché venga in aiuto alla sua fortuna ed al ; inac- ciato suo regno. Tutta una schiera di Racsasi si mette all' opera per isvegliar Cumbacarno. Costoro percuotono a tutta forza le sue membra inerti, fanno alle sue orecchie uno strepito orrendo, lo straziano con tagli, il feriscon di punte, il fan cal- pestare da cavalli e da elefanti : alfine Cumbacarno si sveglia, e sitibondo, affamato chiede carni e sangue per cibo e bevanda. Ràvano narra a Cumbacarno quello che avvenne, il rapimento di Sita, l'arrivo di Rama e del suo esercito sotto le mura di Lanka, la
1 Odissea, XI. v. 190 e seg. Eneide, Iti.
PREFAZIONE. lxiii
eruerra incominciala e dubbia luti ora, il bisogno
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del suo aiuto per uscirne vincitori. Ma Cumbacarno,
intesa la causa di quella ostilità e udito il nome di Rama, rimprovera acerbamente a Ràvano l'essersi tirata addosso quella guerra funesta; Piavano si sdegna; e nasce contesa fra loro, litigio nel consiglio dei capi. Finalmente Cumbacarno, mosso dai vincoli del sangue e dal pensiero della comune salvezza, si risolve di combattere; ed esce da Lanka seguitato da coorti di Racsasi. I scimj , come veggono apparire queir immane Titano, impauriscono, si sbandano, e fuggono per ogni parte; ma il valoroso Angado perviene non senza fatica a rattenerli, a incoraggiarli e a ri condurli addietro. 1 più forti fra i duci de' scimj si stringono allora Y un presso l'altro, e fanno im- peto insieme contro Cumbacarno : ei scagliano contro di lui tronchi, massi, cacumi di monti; spez- zano il suo carro, atterrano il suo vessillo; ma non possono ferire il corpo del feroce Racsaso. Questi abbandonando il rotto suo carro, si spinge nel più fìtto della mischia, e menando attorno la ferrea sua mazza insanguinata , fa strage orrenda di scimj ; né solo uccide, ma divora, ingoja con rabida lame. La battaglia si prolunga con danno de scimj percossi, ingojati da Cumbacarno : ma Rama da finalmente
lxiv PREFAZIONE,
di piglio ai teli divini, e dopo lunga, ferocissima lotta ei recide la testa del Racsaso, il (piale cadendo ingombra col vasto suo corpo uno spazio smisurato di terra.
Udita la morte di Cumbacarno, Ràvano dolente, attonito s'abbandona a un disperato lamento; ma sorgono a confortarlo altri fortissimi suoi guerrieri , Trisiras, Devantaca, Naràntaca, Mahodaro, Malia- parsvo ed Aticaya, tutti pronti a correre all' armi e a vendicare la morte di Cumbacarno. Questi sei duci muovono animosi a combattere con grande apparato d' uomini e d' armi; e s' appicca una nuova battaglia lungamente descritta, nella quale riman- gono spenti i sei guerrieri. Questa nuova sconfina accresce lo sgomento di Ràvano. Allora Indragit, rassicurato con fiera baldanza il padre, si dispone a rientrare in battaglia; e rinnovato con riti atroci il tremendo sacrifizio die s è veduto più addietro, penetra invisibile nel campo nemico. Quivi ei va attorno occulto per forza di magìa, scocca saette ardenti come fuoco, ferisce, ammalia, uccide e sparge per ogni dove terrore e stupefazione. Rama e Lacsmano, scopo principale ai suoi colpi, resi- stono per qualche tempo; poi cadono anch'essi so- praffatti da una forza arcana. Indragit si riduce
PREFAZIONE. iw
allora entro Lanka a notte fitta, e riconforta con lieto annunzio il padre. Partitosi Indragit, i scimj si perdon d'animo veggendo di nuovo distesi a Id- ra, privi di senso Rama e Lacsmana. Frattanto Ha- nnman e Vibhisano, presi due gran tizzi ardenti, si danno a percorrere il campo per vedere ehi sia morto e chi ferito. Ei ritrovano a mano a mano gia- centi a terra Meindo, Gyotirmuca, Dvivido, Kesari, Risaba, e fra costoro il vecchio Gambavat. Questi esausto dalle ferite e illanguidito, come ode parlar Vibhisano, domanda con voce affannata ., se pur vive Hanuman : il gran scimio, figlio del vento s'appressa a lui e si noma. Allora Gambavat così gii parla : Tn solo, o veloce figlio del vento, puoi salvar noi tutti; fra i due monti Risaba e Cailàsa v ha una regione, dove cresce un'erba che sana le ferite avvelenate; va e qui reca quell' erba salutare. Immantinente Ha- numan si slancia per aria verso il luogo che gii è indicato, ed in breve tempo ritorna, portando un cacume di monte colf erba sanatrice : odorando quell'erba, risorgono sani e salvi Rama e Lacsmano e dopo loro tutti gii altri feriti.
Ora i scimj rifatti sani vogiion tentare un azione ardita. Nel mezzo della notte ei s' armano di grossi tizzi accesi, e con subito impoto assalendo Lanka, metto-
LXVi PEEFAZIONE.
no ogni cosa a fuoco e a fiamma, (ili ululali «Ielle donne, le grida, il tumulto de Racsasi sorpresi, il crepitare delle fiamme, il rovinio delle case cadenti rendono nella notte un aspetto spaventoso. Ufine i Racsasi si raccolgono armali per respingere i scimj; e ne segue una lunga, ostinala battaglia, in cui perdon la vita Ire duci de1 Racsasi Cumbha, Ni- cumbha e Macaràcsa, e sono uccisi o feriti altri duci de' scimj , tra i quali Nalo e Gandhamàdano. Indragit imagina qui un nuovo suo disegno. I.i forma per virtù di magia una finta persona di Sita, la pone sul suo carro di guerra ed esce da quella porta, dove si trova llanuman. Venuto in laccia al nemico ei recide colla sua spada la lesta della finta Sita e la getta sanguinosa sul campo. \l leniti a quella vista Hanuman e isuoi compagni si scagliano con furor disperato contro i Racsasi per far ven- detta di quel fatto orrendo. Rama che ode quel rumor di battaglia verso la porla occidentale e s avvisa che Hanuman è alle mani col nemico, invia Gambavat al suo soccorso. Ma questi trova non molto lungi Hanuman che mesto se ne ritorna dal combattimento e sen va ad annunziare a Rama la morte di Sita. A quel crudele annunzio Rama cade a terra per dolore; e Lacsmana prorompe in pa-
PREFAZIONE. LXVii
mie di duolo e d' ira, negando la giustizia ed affer- mando che la sola forza è quaggiù donna del mondo. Sopravviene in questo mentre Vibhìsano, e udita la causa di tanto dolore, egli conforta Rama, e rassi- cura che quella morte di Sita non è altro che una vana illusione : lo so, gli dice, quanto Ràvano ha cara Sita; ei la tiene nascosta ad ogni sguardo, e non consente che alcuno le si appressi; è impossi- bile che Indragil abbia potuto rapirla e ucciderla; quella morte non è che un vano prestigio. Ora as- colta, o Rama, quel eh' io ti dico : Indragit s'è rac- colto dentro il sacro recinto, e prepara un nuovo sacrifizio per tornare alla battaglia con più terribile possanza : prima eh' ei compia questo nuovo suo l'ito, conviene assalirlo; vengano con me Lacsmana ed altri prodi, e si sfidi a battaglia. Rama impone a Lacsmano e ad altri guerrieri eletti di seguitar Vibhìsano; dà loro gii ordini opportuni; e quei s'avviano al luogo, dove sta Indragit. In su 11' arri- vare i scimj danno dentro nelle file de'Racsasi, ed Indragit, abbandonando il sacrifizio incompiuto, corre a combattere. Come egli scorge Ira gii assa- litori Vibhìsano, gii rimprovera l'aver egli tradita la causa de' suoi e l'essersi fatto nemico alla sua genie : al che Vibhìsano risponde con del li altieri e giustifica
lxvii] PREFAZIONE.
quel die ha fatto. Frattanto Lacsmana chiama In- dragit a singoiar battaglia; e i due croi cominciano una lotta ostinata, tremenda, che si continua con varia fortuna, e finisce colla morie d Indragit. La novella di quella vittoria è incontanente recata a Rama; il quale accoglie Lacsmana con gioia, e ver- gendolo ferito da più colpi, il la risanale da Su- sena colf erba salutare ed insieme con lui gli altri suoi compagni.
In questo mentre Ràvano, intesa la morte d' In- dragit, lamenta il lato immaturo del prode suo figlio; quindi preso da subila ira \uole uccider Sita ed offrirla, come vittima, ai mani d Indragit; ma ne viene distolto da alcuni suoi fidi. Ordina egli allora una nuova sortita contro il nemico : i due eserciti vengono nuovamente alle mani, e si com- batte da ambe le parti con furore indomito. In quel nuovo combattimento Rama adoperando i divini teli Gandharvi, la strage immensa de' Racsasi, i quali lasciano il campo coperto di morti e di mo- renti. Qui le donne Racsase che han perduto chi il marito, chi il fratello, chi il figlio, levano al cielo un immenso lamento, fanno ululati e pianti, e ma- ledicono quella guerra fatale.
La catastrofe del gran dramma guerriero è ora-
PREFAZIONE. lxix
mai imminente. Ràvano si risolve a far f ultima piova ed a condurre egli stesso contro il nemico tutte le sue forze. Comanda pertanto che si chiami all' armi ogni guerriero, e suonino a battaglia i hellici stro- menti : con rapide parole egli incoraggia i suoi pro- mettendo loro sicura vittoria ; sale quindi sul suo carro che ha per vessillo una testa umana, e senza por mente ai sinistri presagj , esce con formidabile apparato di guerra. Or si combatte con isforzo su- premo F ultima, la decisiva battaglia, che l'epopea descrive ampiamente e con vivi colori. Cadono dalla parte de Racsasi i duci Virupacso, Matta e Unmatta; dalla parte de scimj son feriti Gamba vat, Gavacso ed altri. Ràvano e Rama vengono a singoiar cer- tame; poi sottentra Lacsmana : ma cpiesti nell'ardor della pugna è ferito profondamente al cuore e cade. Rama pone Sugrìvo ed Hanuman alla custodia di Lacsmano, e continua la battaglia per respingere Ràvano; quindi ritorna e fa sopra il fratello un la- mento di dolore. Ma Sugrìvo fa qui immantinente venir Susena, il conoscitore dell' occulta virtù dell' erbe : Susena esamina attentamente Lacsmana, e pronunzia che la ferita non è mortale. Nella regione che s'appella Gandhamàdana , così egli dice, cresce un erba efficace a risanare il ferito; si mandi pron-
lxx PREFAZIONE,
tamente a cercarne. Hanuman, l'agilissimo figlio del vento, è incaricalo di quella nuova spedizione; e ragguagliato prima della via ch'egli ha da tenere, delle difficoltà che ha a vincere, degli indizj onde distinguere la pianta salutare, si slancia per aria e parte. Nel passar sopra Nandigràma <'i vede Bha- rata fratello di Rama, posto al governo del regno: Hanuman s'arresta e s'abbocca con lui; poi si ri- mette in via e giunge al Gandhamàdana. Qui dopo vari casi e molti ostacoli egli spicca un brano di monte con sopravi l' erba sanatrice, e ritorna al campo. Odorando queir erba, Lacsmana risana e ricupera le sue forze. Ma il cacume di monte, che Hanuman ha recato dal Gandhamàdana, è una delle sedi degli Dei; convien dunque riportarlo al suo silo; Hanuman parte di nuovo con esso il monte, combatte per aria contro alcuni Racsasi che gli im- pediscon la via, e rimette il cacume al luogo, ond' era stato tolto. Concetti veramente titanici!
Si riaccende ora la battaglia. Ràvano si fa innanzi sopra uno splendido carro; ma Rama è pedestre; la pugna è perciò disuguale. Ecco che Indra spe- disce a Rama il suo carro divino col suo auriga Mutali; Rama vi sale e s' azzuffa con Ràvano. Qui ha luogo un combattimento maraviglioso, inudito,
PREFAZIONE. lxxi
al di là d' ogni proporzione umana : si combatte con armi divine, con teli arcani; tremala terra, s'agita il mare, si conturba il cielo : i Devi cogli Asuri sono spettatori di quella lotta titanica , ed incorag- giano gli uni Rama, gli altri Piavano; poi Devi ed Asuri vengono a battaglia fra loro, nemici eterni come il bene e il male. Finalmente Rama ottiene la vittoria , uccidendo il suo odiato nemico. Qui è finita la gran guerra. 1 scimj entrano esultanti in Lanka , ne percorron le vie ed ammirano la magni- ficenza, lo splendore della nobil città, regal sede di Ràvano. In cpiesto mezzo Vibbìsano compiange la sorte del re caduto; poi succede il lamento delle donne del gineceo : quindi la lunga querela di Mandodarì prima fra le consorti di Ràvano, venuta a piangere sul corpo dell' estinto marito : infine si compiono con riti solenni i funebri uffici del re de' Racsasi.
Celebrata la gran vittoria, i Devi qui convenuti se ne ritornano alle celesti lor sedi. Rama comanda allora che col rito solenne delle inspersioni sia con- sacrato re de' Racsasi Vibbìsano : quindi ordina ad Hanuman di recarsi a Sita e di annunziarle la vit- toria ottenuta, la morte di Ràvano e il fine della sua lunga cattivila. Il cuore di Sita s'apre ad un
iaxii prefazione.
ineffabile gaudio; ma quel gaudio sarà fra breve converso in lotto. Venuta al cospetto di Rama, Sita è accolta dal suo sposo con sembiante severo e con torbido piglio : Io ho fatto, ei le dice, quel che si conveniva ad un uomo mio pari; ho vendicato in faccia al mondo l'oltraggio fattomi; il mio onore, la mia fama son salvi. Quanto a te, o Sita, il tuo lungo soggiorno in Lanka fra le mani del tuo ra- pitore ha contaminato la tua fama, resa sospetta agii uomini la tua pudicizia , ond' io non posso ora più riceverti come sposa ; provvedi dunque a te stessa, e prendi quel partito che più t'aggrada. A quelle dure parole Sita si dirompe in pianto : poi, ripreso animo, risponde a Rama con detti nobili e generosi, ed ordina infine che si prepari un rogo, ultimo asilo d'una donna innocente, abbandonata da colui ch'ella ama. Apprestato il rogo, Sita in- voca come proteggitore e testimonio della sua fede 1' onniveggente Dio Fuoco; poi si precipita nelle fiamme ardenti. In questo punto sopravvengono il Dio Brahma , Indra , Yama , Varuna e fra questi ap- pare raggiante di luce immortale 1' estinto Dasa- ratha padre di Rama. Qui Brahma fa un lungo dis- corso, tutto inteso a rammentare a Rama che egli è Visnu ed a celebrarlo coi varj nomi propri di
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questo Dio. Frattanto il Dio Fuoco apparso visibile in mezzo al rogo e presa Sita, la proclama inno- cente d'ogni colpa e la consegna a Rama; il quale veggendo ciliari la al cospetto eli tutti 1' innocenza di Sita, 1' accoglie con gioia ed amore e la saluta col dolce nome di sposa. Rama e Lacsmana s' appres- sano quindi a Dasaratha seduto sopra uno splen- dido carro celeste, abbracciano con reverenza i suoi piedi e ne raccolgono attentamente i detti : Nel ri- vederti o Rama, ei dice, si racqueta alfine l'antico mio dolore; ora comprendo la ragione arcana di quell' esilio che mi fu causa di tanto duolo, e troncò la terrestre mia vita. Ritorna ora ad Ayodhya, o Rama, rallegra Causalya e regna. Abbi cara Sita, tua casta e fedel compagna; proteggi le genti e sia felice. Dette queste e più altre parole, Dasaratha se ne ritorna al mondo d' Indra, al cielo. Prima di partirsi da Rama, Indra gii chiede, se ei desi- deri da lui alcun favore, e Rama lo prega di ri- tornare in vita i guerrieri spenti in quella guerra. Mia qual preghiera consentendo Indra, spande una larga pioggia d' amrita sovra il campo di battaglia, e al contatto di quell' amrita risorgono vivificati i guerrieri uccisi. Ora Rama si dispone a ritornare ad Ayodhya. S' appresta per quel gran viaggio il ce-
lxxi\ PREFAZIONE.
lebre cario Puspaco : Rama vi sale con Sita e Lacs- mana, eoa Vibhìsano, Sugrìvo e più altri duci, e s avvia alla città sede del suo impero. Mentre ei rifa vittorioso e lieto quella via, eh' egli aveva fatta esule e ramingo alcuni anni addietro, Rama va indicando a Sita i luoghi che gli rammentano i passati casi : «Quella gran mole che tu vedi, o Sita, è il ponte \alo, per cui passarono alla conquista di Lanka i miei guerrieri; quello è il monte Dardura, da cui mosse alla tua ricerca il valoroso Hanuman; ecco il Ganasthàna, dove tu fosti rapita dal re de' Racsasi; là fu ucciso da Ràvano il fiero Gatayus che tentò di liberarti; più oltre è il luogo, dov' io passai nel dolore quattro mesi intieri privo di te, o mia di- letta; colà è il Gange che io trapassai con te nelf amaro cammino dell' esilio; ecco Ayodhya, inchi- nati, o Sita, e saluta la regal città sede di Dasara- tha. Rama discende al romitaggio di Bharadvàga suo ospite antico, e di colà egli spedisce Hanuman al fratello Bharata, perchè gli annunzi il suo ri- torno. Hanuman va a trovar Bharata, e gli nana in compendio tutta la storia dei casi di Rama. Im- mantinente Bharata ordina un solenne e {estivo ap- parato : S' infiorili le vie, s' adornino le case, svento- lino all' aria vessilli e bandiere, risplenda in ogni
PREFAZIONE. lxxv
parie la letizia, la gioia : perocché Rama è ritornalo. Quindi seguitalo da Causalya, da Sumitra, da ginn numero eli cittadini e dall' esercito, Bharata muove air incontro del fratello. Il lungo duolo della casa di Dasaratha è finito : è rinato il gaudio in ogni cuore. Rama con tutto il corteggio si reca dapprima in Nandigràma , dove gli è recisa la chioma di penitente; quindi si avvia ad Ayodhya, e quivi è solennemente consacrato re nel regno avito. Qui finisce il libro sesto, Y addila kdnda, e termina il poema.
Quanto al libro settimo, Uttarakdnda , ed alle questioni che vi si riferiscono, si vegga la prefa- zione del volume quinto.
GASPARE GORRESIO.
R\MAV UN V.
LIBRO SECONDO.
U ODHYACANDA.
CAPITOLO LXVIl.
GEMITO DELLE DONNE DEL GINECEO.
Poiché si tacque dopo quel lamento il re, la dolente Causalya credendo eh' ei si fosse addormentato , noi volle risvegliare ; e senza proferir parola , vinta dalla stanchezza e dal dolore , si ripose a giacere sopra il suo letto colf animo oppresso dal pensier del suo figlio. Ma trapassata la notte e sopraggiunta l'aurora, i bardi che han per ufficio di risvegliare il re, si raccolsero intorno a lui ; e udendo le voci de' bardi , preconi e encomia- tori, tutte si levarono prontamente le donne del gineceo. Quindi gran numero di femmine e d' eunuchi addetti ai servigj del re s' appressarono a lui , ciascuno intento all'opera sua. Vennero gli apprestatori dei bagni, por- tando vasi d'argento e d'oro tutti pieni d'acque odo- rose, ed altri servi del loro ufficio esperti recarono, secondo che si conveniva , diversi oggetti delicati ni tatto e cose opportune ai domestici usi. Conforme al
2 li \\l U \\ \.
loro ministero, le donne fattesi presso ;il re giacente ne] letto, si diedero a risvegliarlo sollecite d'antivenire il nascer del sole (') : ma poieliè , sebbene richiamato dal sonno, pur non si ridestava il re, ma rimaneva gia- cendo olire l'apparir del sole, entrarono in sospetto Ir donne; e temendo non il re fosse morto, assalite da subita paura tremavano come punte d'arbusti posti in- contro alla corrente d'un fiume. Ma /' una (Fesse veg- gendo quello sgomento, si die a toccare il re; ed allora si fé certa la sventura sospettata, dome le donne conob- bero esser morto il re, tremanti, sbigottite caddero a terra gridando : Oh re, signore! ah sei tu dunque morto! Per quell'alto clamore di duolo si riscossero le due in- felici consorti del re Causalya e Sumitra giacenti nel letto; e domandando : « ohimè che è questo! » prese da subito timore si levarono immantinente, e s'appressarono al re. Le due regine sventurate, riguardato e toccato il lor consorte, che pareva dormire ed era spento, diedero in alte grida ed in lamenti. Vie più sgomentate da quelle grida , le donne del gineceo levarono tutte insieme un immenso clamore, a guisa d' agnelle spaventate; e quel clamor suscitato dalle donne afflitte empiè la città, ri- destandola tutta. Quindi altre donne deste da quel suono entrarono, senz'esser chiamate, nella reggia coli' animo smarrito, e queste unendosi a quelle, facevano tutte ad una strida e pianti sopra il re disciolto ne' cinque ele- menti; e la città d'Ayodhya tutta quanta co' suoi citta- dini vecchi e giovani costernata da quel clamore gemeva afflitta dalla regal sventura. La reggia del signor degli uomini venuto a morte era allora tutta confusa e pertur-
VYODHYAC \M) \. 3
baia, ingombra di gente mesta, rimbombante di tristi lamenti, piena di lagrime e di gridi, subitamente eadula (fogni suo splendore, squallida i ricchi seggi e i letti. Quindi Causalya e Sumitra eadute a terra dolenti e mi- sere si rivoltavano per essa a guisa di ea valle ; e l'ima e l'altra donna addolorata, ravvolgendosi sulla terra, bruttata di polvere il corpo avea perduto l'usalo suo splendore.
Cosi le donne, veggendo morto il re, ond' era sì grande la gloria, tutte gli stavano attorno, e dirotta- mente piangendo e sollevando le braccia, lamentavano con voci pietose.
CAPITOLO LXV11I.
IL MORTO RE RIPOSTO.
Ma Causalya riguardando il signor della terra così trapassato alle celesti sedi, come fuoco che s'estingua, come pelago che s'asciughi, come sol che declini all' occaso, combattuta da doppio dolore, abbracciando i piedi del suo consorte, così lamentò dolente e afflitta : Ben tu fosti virtuoso e puro d'animo, o re glorioso, che abbandonando oggi i tuoi spiriti vitali, più non hai a rattristarti pel tuo figlio Rama. Il dolore acceso dal pensier del mio figlio, che m'arde il cuore, la mente e il corpo, e che tolse a te la vita, pur non uccide me donna inonorata. Ben si conviene questa sorte a te man- lenilor della tua fede, generoso, nobil per natura e per legnaggio e di cuor pietoso : io sola sono vile, impura,
lì KAMAYANA.
debole nell'amare, che indegna di vivere pur vivo da te divisa. Fortunata è la tua morte, o re, nella presente condizione; spregevole è la mia vila in questo stato. Secondo questa o quella condizione tale o tal altra cosa è degna d'onore; ma degnissima d'onore è la morte di colui, la cui vita fu pari alla lua. Or mi crucia la colpa delle parole acerbe, che io dolente per cagion di mio lìdio dissi sovente a te, uom di natura immacolata : onore a te pari ad un Dio, o re purissimo; se tu irato contro me moristi, io imploro da te perdono; sia In a me propizio : non voler rammentarti nell'altra vila, o mio signore, o Nume, quello ch'io sconoscente ti dissi per dolor, per pietà del mio figlio. Chi è quaggiù im- mune da colpa, o re, ancoraché sia egli saggio? Tu perciò perdona a me insensata il mio fallire. Ben tu hai meritato le dolenti sedi, o vii Caiceyi, ostinata nel tuo mal proposto , che per cupidità di regno hai fatto cosa infruttuosa e vituperata , che divelse la radice di questa casa. Sia ora tu contenta, o Caiceyi, fruisci senza osta- colo questo regno ; dopo aver condotto a morte il tuo signore, rimanti or secura , o invereconda. Qual altra fuori di te cupida donna avrebbe mai condotto a dover morire il suo consorte e nume supremo, dator di feli- cità, di delizie e di ricchezza? Ma l'uom che è cupido non conosce quel che convenga o disconvenga fare, non cura la fama né i castighi dell'altra vita, non discerne il giusto o l'ingiusto, ciò che è utile oppur dannoso. Co- stretto da te ad opra indegna , il re magnanimo mandò in esilio fra le selve il suo figlio Rama a se più caro che la vita; e com'egli abbandonò Rama più caro a se che la
AY()I)HYACAM)A. 5
propria vita, così per l'essere da lui diviso dovette egli abbandonar gli spiriti vitali, cui è duro il dover lasciare. Duolmi che tu per cupidigia abbia acquistato nel mondo triplice infortunio, la vedovanza, l'obbrobrio, il dis- prezzo. L'inclito Rama, di color simile a cerulea ninfea, dai begli occhi pari a foglie di loto se n' andò di qui fra le selve, cagion di morte al padre, e per causa di te, o iniqua, prova ora i disagj dell'esilio la delicata e pia liglia del re de'Videhesi; la quale or per certo udendo le voci spaventose delle fiere orribili e degli augelli , si raccoglie tutta tremante a Rama. Ma ben ti vitupererà , qui ritornando, il giusto Bharata, per cui tu sconsi- gliata, avvolto con tue parole il re, mandasti in esilio Rama. Come mai tu, o Caiceyi, che eri un dì pietosa e pia, sei tu or divenuta crudele e iniqua? Perchè hai tu, o donna di mente rea, contaminato colla tua colpa Bharata innocente, generoso, saldamente devoto al suo fratello? Ma Bharata seguitator dei costumi di Rama, non imiterà le tue opre , o iniqua , e ti svergognerà qui ritornando. Quell'opra crudele, ignominiosa, vitu- perata dalle genti, la qua! tu facendo credesti buona, non è tale (fiuti fu la giudicasti. Ma a che vo io lamen- tando ora il consorte, Rama, Lacsmano, Sita e me stessa sventurata? Poiché mi conviene ora piangere sovra tutti costoro a uno a uno , meglio sarebbe per me infelicis- sima il morir che il vivere. Abbandonandomi se ne andò Rama fra le selve, il consorte al cielo; ond' io caduta d'ogni prosperità m'avvolgo ora per un'orrida via. 0 re giusto e grande, pietoso ai miseri e ai derelitti, proleggi ora me raduta in un pelago immenso di doloro! Vitu-
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pero sopra di me, che cresciuta Ira le dolcezze da te mio protettore e a te devota non ti seguo ora morendo, da te abbandonata! ma la speranza di riveder pur Rama mi toglie l'ir dietro a te per la via opportuna, giusta e gloriosa seguitata dalle donne oneste. Perchè non sai chi)' egli da me ben fatto, o re, se io fossi oggi col mio corpo arsa con te sopra uno stesso rogo? Se io seguissi le clic te ne vai alle celesti sedi , ti renderei pur oggi , o re , qualche mercede de1 tuoi benefizi : ma per certo io donna disprezzata e rea non son degna d1 aver sede comune col mio consorte; perocché non salirò sopra il rogo, ove tu ascendi. L1 uom sottomesso al fato non è libero di mo- rire o di vivere a sua posta : perciò io, o re, non li se- guito morendo. Dove sei, o Rama dalle lunghe braccia.1 dove sei, o pio Lacsmano? dove sei, o Sita generosa;1 ah non sappiate voi mai quanto io sia sventurata ! Ed or per certo udendo essere stato Rama mandalo dal re in esilio per instigazione di Caiceyi, si struggerà di dolore Ganaca colla sua consorte; e vecchio, orbo di figli, pur pensando a Sita, arso aneli1 egli dal fuoco dell1 angoscia lascierà forse la sua vita. Felice te, o generosa donna Mitilese, fedele al tuo consorte, che a lui vai dietro com- pagna delle sue sventure e delle sue gioie 1 il marito è f amico della donna, la sua guida, il suo nume, il suo maestro ; il marito è il supremo suo rifugio e il suo consiglio. Mentre così prostrata in terra gemeva a guisa d'agnella la dolente e misera Causalya, trafitta dal dolor dello sposo e dal pensier del figlio, il venerando Saggio Vasistha, cui son dischiuse tutte le porte, ordinò che dalle donne del re ella fosse traila di colà per forza.
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Prendendo allora quel!' infelice che piangeva come donna derelitta, e via traendola, l'allontanarono di colale donne. Disgombrato d' ogni gente il luogo, il venerando Vasistha consigliatosi coi ministri ordinò quel eh' era opportuno al tempo. Fatto dapprima riporre il corpo del re de' Co- sali dentro un capace vaso pieno di liquor di sesamo , deliberò quindi coi consiglieri , come s' avessero quivi a richiamare Bharata e Satrughno iti da gran tempo alla casa del loro avo materno , e frattanto custodissero i mi- nistri il morto re; perocché senza i suoi figli non potreb- bero essi rendergli i supremi ufficj. Come le donne videro deposto per ordine di Vasistha in quell' urna piena di liquor di sesamo il signor degli uomini , sclamando : Questi è dunque il re! proruppero tutte in gemiti, e dolenti sollevando le braccia, piene di lacrime gli occhi s'antlavan percuotendo colle mani d seno, il capo e le ginocchia. Privata di quel re magnanimo tutta era mesta allora la città d'Ayodhya, come una notte priva di luna, come una donna orbata del suo sposo : era in essa do- lente, afflitto ogni uomo, gemente ogni classe di citta- dini : eran squallide le vie ed i cortili delle case, deserte le piazze ove si merca.
Come è oscuro il cielo privo di sole, come è tenebrosa la notte, allor che s'asconde la luna, così più non ri- splendeva allora la gran città priva di quel magnanimo. Donne ed uomini sommamente addolorati, vituperando la madre di Bharata, facean nella città tristi lamenti sopra la morte del re, ed erano schivi d'ogni diletto. In tale guisa, spento il signor degli uomini, niun più era quivi lieto, ninno che non fosse sconsolalo. La cillà
8 RAMAYANA.
rimase tre giorni deserta d'uomini le piazze; era mulo ogni mercato, cessato ogni pensici- di mendicare.
CAPITOLO LXIX.
LODI DEL RE.
Trascorsa la notte e sopravvenuto il nascer del sole, si raccolsero insieme in adunanza i Brahmani maestri del re, Vasistha, Vàmadeva , Gàvàli, Càsyapa, Marcan- deya, Gautama e l'inclito Maudgalya. Questi Brahmani preceduti da Vasistha, sacerdote supremo del re, rac- colti coi ministri, così presero a ragionar paratamente : Questa sola notte trapassata parve cento anni a noi la- mentanti il re Dasaratha morto per doglia del suo figlio. E ito al cielo il grande re; se n'andò alle selve Rama, e con lui il valoroso Lacsmano; sono iti alla città del re de' Cecayi Bharata e Satrughno; chi sarà or qui re nato della stirpe d' Icsvacu ? questo regno privato di re ca- drehbe certamente in rovina : si constituisca re fra noi alcuno degli Icsvacuidi. In un paese privo di re più non irrorano con pioggia la terra le nubi altisonanti , incoro- nate di baleni; né più s1 apre la mano a spargere semenza sovra i campi. In un paese privo di re 1 figli più non ob- bediscono ai loro padri; né son le donne, conforme al dovere, ossequenti ai lor mariti. In un paese privo di re più non ascolta il discepolo i salutari e certi consigli del maestro; più non v ha cosa che sia propria; è sciolto ogni vincolo di dipendenza. In un paese privo di re nessuno ha più signoria neppur sovra se stesso. In un paese privo
AYODH\ \(.AM)A. 9
di re i Brahmani che han per ufficio il sacrificare, stur- bati da torme impure di nemici, più non adempiono i vari sacrilìz;j. In un paese privo di re i cittadini più non attendono a edificai- case, ne dilettevoli giardini, nò I em- pii , né pubbliche fonti. In un paese privo di re più non han luogo feste o ragunate, liete di mimi e danza- tori, rallegratrici degli uomini. In un paese privo di re nessuna cosa più succede felicemente ; è derelitto ogni civil negozio, trasandato ogni dovere, a cui s'attiene Tuoni virtuoso. In un paese privo di re i Brahmani più non danno opera alla sacra lettura dei Vedi, più non trovano quiete; né si dilettai! di racconti coloro che sogliono esporre storie popolari. In un paese privo di re pili non si fanno connubj di donzelle, cagion di gioia agli uomini; è assiduamente afflitto e pien di timore ogni cittadino. In un paese privo di re più non vanno attorno ornate , né si trastullano per la via regale le nobili fanciulle baldanzose. In un paese privo di re più non vanno securi a diporto per giardini dilettosi gli amanti colle lor donne amate. In un paese privo di re gli opulenti capi di famiglia più non dormono fidata- mente colle porte dischiuse, liberi da ogni timore. In un paese privo di re la gente che vive mercanteggiando, più non va, per timor di danno, portando sua merce di luogo in luogo. In un paese privo di re 1' agricoltor più non ara il campo per sospetto, né più prosperando crescono gli armenti. In un paese privo di re più non va peregrinando solitario l' asceta donno de' suoi sensi , che si sostenta colf ascetismo , e si raccoglie ad ospizio là dove la noi le il sopraggiunge. In un paese privo di re
IO RAMAYANA
non v'ha più governo .salutare della pubblica cosa; e l'esercito privo di re più non ottien vittoria sopra d ne- mico in guerra. Come un fiume rasando d'acqua, come una selva ignuda d'erba, come un armento senza pastore, così è un regno senza re. A quella guisa che un carro senza auriga, tratto da cavalli impetuosi, correndo pre- cipita a rovina, così fa un regno senza re. In un regno senza re non v'ha piò ragion di proprietà d'alcuna sorla; perocché i forti soverchiando i deboli, rapiscono il loro avere. In un regno senza re chi ha più forza divora senza timore chi è men forte, come nell'acque il maggior pesce divora il pesce minore. In un regno senza re gli uomini, rotto ogni vincolo di dovere, diventano atei, crudeli , inverecondi. Sarebbe questo regno come una cieca tenebra, dove nulla più si distingue, se non v'avesse un re che discernesse il reo dal buono. Neppure gli oppressori troverebbero utilità in un regno senza re ; perocché due terrebbero la ricchezza d'un solo, e molli quella di due : onde conviene qui eleggere un re, se desideriamo la nostra salvezza (2). Udite queste parole de' Brahmani, così dissero a Vasistha i consiglieri : 0 prestante asceta, mentre pur viveva il grande re, noi obbedivamo a te non men che a lui; tu ora ne dirigi. 0 Vasistha pio e generoso, eccelso fra i Brahmani, ti piaccia, riguardando a noi, consecrar qui re prontamente un giovane principe nato della stirpe d'Icsvacu.
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CAPITOLO L\\
I MESSAGGIERI INVIATI.
Com1 ebbe intesi i delti di costoro, Vasistha cosi parlò a Sumantro e a tutti quei Brahmani : Vadano messaggieri con veloci e rapidi cavalli colà dove dimora ospite del suo avo materno Y illustre adolescente Bharata col fra- tello Satrughno, e qui lo riconducano in nome del re con blande parole. Udito il parlar di Vasistha, lutti ri- sposero con animo pronto i consiglieri del re : Vadano prestamente i messaggieri. Allora Vasistha, ottimo fra co- loro che mormorano la preghiera, chiamati senza ritardo Gayanta , Siddhànta e Asoca , così loro disse : Andando celeri con veloci cavalli alla città sede del re de Cecayì, così direte con lieto sembiante a Bharata in nome del re suo padre: Tuo padre co' suoi consiglieri li saluta, e l'impone di ritornare prestamente a lui senza frapporre indugio; perocché s' ha a compiere da te un grave uf- ficio; ma non si debbe da voi in alcun modo significar- gli, ancoraché ne foste addomandati, che Rama sia stato mandato in esilio, e sia ito al cielo il re : tolti con voi preziosi e splendidi ornamenti degni d1 un re da offrirsi in dono a Bharata ed al suo avo, itene dunque pronta- mente. Ricevuto quel comando e congedati da Vasistha, partirono i messaggieri con animo pronto e con rapida lena. Pervenuti alla città d1 Ilàstinapura, e valicato quivi rapidamente il Gange, giunsero alla legione Pàncala contigua alfa selvaggia regione dei Curii (3). Trapassata
[2 RAMAYANA.
ad oriente nel Gurucsetra la riviera Sarasvati, fiume «li Varunal4), e riguardando laghi fiorenti di loto e Jìiiiìii dalle chiare acque, andavano veloci i messaggieri, spinti da sollecita cura. Valicata quindi la bella riviera Sara- danda dalle fresche onde, frequentata da varj augelli e piena di pesci, e pervenuti alla radice dell'albero sacro, che verace risponde alle altrui domande <5), e appressatisi ad esso venerandolo , entrarono nella città Bhùlinga. Giunti poscia ad Agacùla, s'avviarono alla città de'Csatri Bodhit6), poi verso il fiume [ndumatì, dove han sede Saggi divini. Quivi abboccatisi con que Brahmani per- fettissimi, versati nello studio de Vedi e de'Vedanghi, e congedati da loro con fausti voli, proseguirono celeri il lor cammino, e ragionando varie cose di Lacsmano e di Rama, pervennero ad occidente ai Vàhlici, poscia a borea ai Sudasi. Veduto I' Oceano latteo sede di Visnu, e in mezzo ad esso Pisola che s'appella Sàlmali l7), giun- sero poco appresso i messaggieri alla bella città di Gin- vraga, dopo avere per sette giorni affaticato, cammi- nando, i lor cavalli. Quivi pervenuti per la salute delle genti, per la salvezza della casa regale, per amor della stirpe del loro re, entrarono prontamente nella città, e s'avviarono tosto alla reggia.
CAPITOLO LXXI.
SOGNO FUNESTO DI BIIARATA.
Nella notte che precesse il di , in cui i messaggieri giunsero alla città di Girivraga, Bharata ebbe in sogno
AYODHYACANDA. 13
una visione paurosa. Ripensando quel sogno annunzia- tore di sventura, e rammentando il vecchio suo padre, stava egli coli' animo affannato. Veduta la mestizia di Bharata, i suoi compagni per distorlo dalla sua tristezza si diedero gli uni con dolce favella a far mirabili racconti, altri a suonare, a cantare, a danzare, a ridere; altri a far scenici atti e differenti giochi. Ma per quanto s1 ado- perassero gli amici suoi compagni a rallegrarlo con care parole ed a ricrearlo con ischerzi , pur non si rasserenava il mesto Bharata. Un de' suoi più cari amici così gli disse allora dolente : Perchè non ti rallegri, o amico, benché festeggiato da' tuoi compagni? Ti piaccia manifestare il dolor che t' affligge a noi che abbiamo con te comune ogni dolore ed ogni gioia. A quelle parole così rispose l'illustre Bharata : Udite qual sogno io vidi, per cui io sono così mesto. Io vidi oggi nella notte in sogno cader
'&&
gno
dal cielo la luna; vidi rasciugarsi il mare, ed il sole esser divorato da Ràhu(8). Vidi inoltre in sogno mio padre avvolto in vesti di color di sangue venir legato e tratto da uomini verso la plaga meridionale (9). Poi il vidi tutto unto e coi capelli sparsi cader dalla cima d1 un monte in un lago immenso di bovina. Dopo essersi profondalo in quel lago , io il vidi venir sovr' esso a galla e ber nel cavo della mano liquor di sesamo, ridendo iteratamente : quindi poich'ebbe bevuto, col corpo unto di liquor di sesamo s' immerse col capo in giù più e più volte in quel liquore. In questo donne di color tra nero e bruno trag- gono via il re seduto sur un seggio di ferro nero, vestito di panni neri. Poi vidi di nuovo mio padre con veste e ghirlanda di color di sangue avviarsi alla plaga meridio-
l'i RAMAYAN \.
naie sopra un carro tirato da asini. Vidi ancora un gran fuoco ardente esser subitamente esimio dall acqua; vidi un elefante eccelso profondato dcnlro il fango; vidi scoscendere il monte sovrano (FHimalaya?) e schiantati grandi alberi di sacra fìcaja ; vidi infine cader dall' alto a terra un gran vessillo. Tale è il sogno che io vidi, an- nunziator di mali e di sventure. Per certo o Rama o il re, lasciati gli spiriti vitali, son ili al cielo : perocché Tuoni che è tratto sopra un carro tirato da asini, se ne va fra breve, non v'ha dubbio, alle sedi di Yama. Pei questa cagione son io mesto, non prendo diletto delle vostre parole , e pur pensando alla notturna mia visione non mi rallegro con voi lieti. Fuor di ragione forse si conturba il mio animo irrequieto ; fuor di ragione forse è dentro il mio corpo travagliato lo spirito : ma io mi veggo oggi come privo d'ogni mia chiarezza, e così dis- pregio me stesso senza causa , come fossi un uom caduto in colpa.
Rivolgendo nel mio pensiero questo sogno infausto, son io afflitto da angoscia e da timore; né ritrovo Fusata mia letizia, pur fra me pensando : quale sventura mai do- vrà fra breve sopravvenirne?
CAPITOLO LXXII.
VEDUTA DEI MESSAGG1ERI.
Mentre Bharata raccontava il suo sogno, i messaggeri pervenuti alla gran porta esterna della reggia affaticati dalla via, ed entrali nella splendida casa del re s' abboc-
VYODHYACANDA. 15
carono solleciti con lui e con Bharata. Abbracciati i piedi del re, cosi parlarono essi a Bharata : Il sacerdote su- premo della tua casa ti dice salute, e con lui lutti i con- siglieri; t'affretta di ritornare ad' Ayodhya : che si debbe da le compiere un grave ufficio; queste nobili vesli son da offrirsi in dono al tuo avo materno, e son per te, o regal figlio, queste tre coti (l0) piene d'oro. Ricevuti tutti que' doni, ed onorati d'ogni desiderabile cosa i messag- gi eri , Bharata delizia de' suoi amici così disse loro: E egli prospero il vecchio mio padre e re Dasaratha? sono ei lieti e sani il maggior mio fratello Rama ottimo fra i giusti, e il fratello Lacsmano a lui devoto? si ricorda egli di me il nobil Rama pieno d'amor fraterno? E ella felice la giusta e pia Causalya, madre diletta di Rama e tutta intenta all'osservanza del suo consorte? E ella sana la pia Sumitra, seconda delle spose di Dasaratha, geni- trice del magnanimo Satrughno e di Lacsmano? E Cai- ceyi mia madre, colei che ad ogni cosa antipone l'utile suo, che è sì impetuosa ed iraconda, sì superba in ogni suo atto, è ella pure felice appieno? Così interrogati della salute di tutti , i messaggieri alquanto turbati , nascondendo il lor pensiero, risposero con lieto sem- biante : Son prosperi tutti coloro , di cui tu desideri il bene; tuo padre ti significa, o Raghuide, che tu debba prontamente ritornare; se a te pare di dover partire, si parta di qui senza ritardo : perocché grandemente desi- dera di vederti tuo padre co' suoi consiglieri. Così esor- talo dai messaggieri, Bharata rispose : Sia così, come voi ililc; io n'andrò con voi; si soprastia un momento solo. Cosi risposto, Bharata sollecitato dai messaggi, appres-
16 RAMAYANA
salosi al suo avo materno, cosi disse : Desidero ritornare ad Ayodhya, o re, per comando del padre; mi sollecitano questi messaggi ; ti piaccia darmi commiato. Richiesto con questi detti da Bharata, il suo avo baciandogli il capo con amore, ccflsì rispose : Vanne, o caio, io li licen- zio; ben è felice Caiceyi d'averti figlio. Dirai, arrivando, salve a tuo padre ed a tua madre , così al supremo sa- cerdote di tua casa, a Rama, a Lacsmano, ai consiglieri, a Causalya, a Sumitra ed a tutti gli altri miei amici. Diede egli poscia a Bharata varie e belle gualdrappe d'elefante, coltri, velli e ricche vesti, doni tulli degni d'un re; gli diede come pegno d'amore venti due nula niski d'oro!11) con altra ricchezza; gli diede con affetto molti de' suoi ministri valorosi, devoti ed incorrotti, i quali il seguitassero; gli diede molti cavalli di nobile stirpe, veloci come il vento, e più elefanti con cinghie d'oro; fece poscia venir quivi per donargli a Bharata, molti cani domestici, ben pasciuti, simili per forma e per beltà di corpo a tigri, vigorosi ed armati d'acuti denti. Apprestati quindi oltre a cento carri lutti ornati di gemme, tirati da tori, da cavalli, da asini e da cammelli, molti guerrieri valorosi tennero dietro a Bharata che partiva; ed esso, salutato l'avo e lo zio Yudhagit, salito sopra un carro s' avviò insieme con Satrughno.
Protetto da un grande stuolo ed accompagnato da mi- nistri somiglianti d'animo al suo grand' avo, il generoso Bharata, preso con se Satrughno domator de' nemici, s'avviò ad Avodhva, siccome Indra alla sua città.
AYODHYACANDA. 17
CAPITOLO LXXIII.
RITORNO DI BHARATA.
Quindi T illustre Bharata uscendo dai confini del regno, camminava rapido verso oriente, conforme al comando del padre. Il nobile Raghuide valicò nel suo cammino il sonante fiume Satadru di largo letto e di tortuoso corso. Trapassata quindi la riviera Vìgadhàni , e pervenuto ad Amaracantacal12) luogo sacro ai pii pellegrinaggi, guadata poscia la petrosa fiumana Carvati , giunse al sacro luogo Àgneya ed alla regione che $ appella Salyakirtana (l3). Os- servando qui lungo la via uomini intenti a portar sassi , pervenne Bharata alla selva del Mimi Somavesa, la qual si noma Ceitraratha. Guadate a mano a mano le riviere Vedini e Càravi, la Carvi fiancheggiata di montagne e la Yamuna, fece egli riposare le sue genti. Rinfrescati quivi i suoi carriaggi, ristorati i cavalli affaticati, bagnatosi, dissetatosi e presa acqua, si ravviò il regal figlio dalle lunghe braccia, e con prospero cammino, andando veloce come va per l'atmosfera il vento, pervenne alla regione Bhadra nobilitata dal re Atiticsna. Valicata la riviera Hi- ranvati presso alla città di Ahisthala , s'avviò egli ad austro alla regione Torana(u) ed alla terra che s'appella Vàranasthala. Il figlio di Dasaratha pervenne poscia al villaggio Varùtha, e dimorato quivi la notte, si rimise quindi in via verso oriente. Oltrepassati rapidamente il regal giardino della città Urgihana, copioso d'alberi di pentaptere, e la fìtta selva Bhadra inarborata di soreeC5),
18 KAM AVANA.
Bharata licenziò lo .stuolo quadripartito che V accompa- gnava; poi valicata la rivieni Uttarica progredì olire con maggior lena, e trapassò veloce più altri fiumi. Perve- nuto alla Saptasparddha , s'indirizzò egli verso la riviera Cutila; quindi giunto alla regione Lohitya, guadò la ri- viera Capivati. Oltrepassate neh" Ecasàla la riviera Sthà- numati, nel Vi mata la riviera Coniali, e presso alla città di Calinga la densa foresta Sàia vana (1(), camminò oltre per lunga via rapido e con cavalli indefessi, e sul cader del giorno si fermò presso alla Gomati frequentata da varj augelli. Passata quivi la notte, il mattino in sul nascer del sole egli vide la città d1 Ayodhva fondata dal re Manu. Rivalicata prestamente, dopo essere stato sette giorni in via, la riviera Coniati, il forte Bharata prestante guidator di carro, riguardando Ayodhya, così parlò al suo auriga con animo contristalo : Non mi pare, o auriga, lieta nell' aspetto, come suole, la città d' Ayodhya : la bella eillà go- vernata da un re ottimo fra i Sapienti e piena sempre di molti e nobili Brahmani sacrificanti, versati ne" Vedi e nei Vedanghi, mi par ora quasi priva di splendore; mi pajono squallidi i suoi boschi e i suoi giardini. Altre volte s1 udiva da lungi il romor dei cittadin d' Ayodhya ; perchè non s' ode oggi in essa quel suon di genti ? Perchè la gran città d' Ayodhya mi par oggi come spogliata del suo lustro? I dilettosi suoi giardini più non appajono oggi, qual eran per f addietro, pieni di gente sollazzosa e lieta : veggo divenuto come una solitaria selva il regal bosco di mio padre, son muti i suoi giardini e le sue macchie, deserti d'uomini e di donne. Più non si veggono oggi i citta- dini uscir dalla città, né entrarvi con carri, con cavalli
WODHYACANDA. iy)
od elefanti : veggo d'ogni parte indizj malaugurosi; per- chè mai, o auriga, è oggi cosi afflitto questo mio corpo? Così ragionando, entrò Bharata con cavalli affaticati nella bella città, onorato dai custodi delle porte. Salutata la gente che custodiva le porte, Bharata col cuore agitato così parlò al mesto suo auriga : Que' segni che noi già udimmo per 1' addietro apparire allor che muoiono i re della terra, tutti io qui li veggo, 0 auriga : veggo per la città squallidi, emaciati, pensosi e mesti, pieni di lagrime ed angosciosi uomini e donne. Così parlava Bharata con animo dolente al suo auriga, veggendo in Avodhya que' segni infausti della morte del re; e mentre ei riguar- dava la città muta le vie, le case ed i quadri vj , coperta di polvere le porte ed i cancelli, tutta piena di gente mesta , vie più cresceva la sua angoscia. Considerando lutti que' segni discari all' animo, insoliti nella città, en- trava quel magnanimo col capo chino, intento e mesto nella reggia del padre.
CAPITOLO LXXIV.
DOMANDE DI BHARATA.
Entrando nella splendida reggia, mirabile a vedersi, simile alla reggia d' Indra , non vide Bharata il padre; e non ritrovando il padre nella propria sua dimora , n'uscì egli, ed andò alle stanze della madre. Come vide Caiceyi Bharata ritornato, si levò subitamente dal suo seggio cogli occhi dilatati dalla gioia. Bharata entrato con animo dolente nelle stanze della madre, abbracciò con
W K AMAVA N A.
atto umile i piedi di lei , inchinandosi lino a terra ; ed ella baciatolo sul capo ed abbracciandolo strettamente , il fé sedere al suo lianco, e così prese a domandarlo : In quanti giorni sei tu venuto, o figlio, dalla città dell1 avo? venisti tu felicemente? non avesti tu fatica nel cammino? son eglino prosperi il tuo avo ed il tuo zio Yudhagit? dimorasti tu lietamente nella casa avita? Così interrogato da Caicevi, Bharata vie più mesto narrò prontamente alla madre la sua partenza e il suo ritorno : Son oggi sette giorni eh' io mi partii da Girivraga; è prospero tuo padre e Yudhagit mio zio. La molta ricchezza che f avo mi diede per amore , io la lasciai fra via per istanchezza , e qui ne venni con gran fretta, sollecitato dai messaggieri che mi mandò il re. Ma ti piaccia or dirmi quello di che io desi- dero interrogarti : questa città non è , coni' ella suole , lieta di gente cittadina; perchè si par ella così trista e oscura, senza sollecitudine, senza gioia; né più vi s'ode il suono delle sacre letture? perchè oggi i cittadini non mi facevan parola nella via regale ? perchè non veggo io oggi il padre nella sua dimora ? è egli forse ito alle stanze di Causalya madre diletta? per qual cagione è oggi il tuo letto abbandonato dal consorte? dimmi perchè è sì afflitta tutta questa gente; io desidero, o madre, andarne là dove si trova il re, perchè non ho pace, s'io noi veggo. A Bharata che così parlava, l'invereconda Caiceyi rispose queste parole spietate e dure intorno al suo sposo : Con- sumato dal desiderio del suo fìllio se n' è ito al cielo il grande re tuo padre per 1' opere sue virtuose e belle , lasciando a te il suo regno. Coni' ebbe intese quelle crudeli parole della madre, Bharata cadde subitamente
AYODHYACANDA. 21
a terra, come un albero di cui sia recisa la radice; e prostrato in terra, perturbato ne' suoi sensi, così disse lamentando : Ahi sventura ! come e per qual cagione se n' è ito al cielo il re ? questo letto die s' abbelliva un di della presenza di mio padre, ora privo di lui più non risplende, vedovo della sua gloria. Deb! se tu per desi- derio di conoscer 1' animo mio hai detto cosa non vera , abbi, o madre, pietà di me oppresso dal dolore, dimmi dove è ito il re. Caiceyi sollevando allora da terra Bba- rata angosciato, ansioso di vedere il padre, così gli disse : Orsù ti leva, o Bharata! non voler così dolerti; i tuoi pari non si contristano, discernendo la causa e gli effetti del dolore. Dopo aver governata con giustizia la terra, dopo aver sacrificato e fatto larghi doni , tuo padre arrivò al fine che è prescritto quaggiù alla vita, non voler tu rammaricartene ! tuo padre verace e giusto se n andò di qui ad una sede più fortunata, egli non debb' essere da te pianto, o lìglio. Udendo quelle parole acerbe di Caiceyi , Bharata dolentissimo così rispose a sua madre : Sperando nel mio pensiero che il re dovesse o consacrar Rama al consorzio del regno o celebrar qualche sacri- fizio, io ne venni qui prontamente; ed ora, oh me in- sensato ! conosco esser vana ogni mia speranza ; che più non rivedrò il dolce mio padre e sùjnor supremo. Ma dimmi , o madre , di qual male morì il re , me assente ? oh felici Rama e Lacsmano, da cui fu piamente assistito il padre! per certo l'amorevole mio vecchio genitore non seppe che io qui giungeva , ne potè egli , abbraccian- domi, baciarmi sul capo con amore. Dove è ora quella fausta mano sì soave al tatto, con cui soleva egli ter-
22 RAMAYANA.
germi, quando io era bruttato di polvere.1 dimmi dove è Rama mio fratello primogenito, mio protettore, che or mi sarà qual padre e amico, ed a cui io son soggetto. siccome ad uoni sapiente : dimmi dove egli è ; che veg- gendolo, io afflitto dal pensier del padre ritrovi la su- prema mia quiete, e raccogliendomi a' suoi piedi simili a fior di loto, io pur possa sostener la vita. E che ti disse, o madre, Dasaratha mio genitore? Qual supremo consiglio ti commise egli per lo mio bene quell'ottimo fra i saggi:3 Ti piaccia, o madre, narrarmi ogni cosa ve- racemente. Così interrogata rispose a Bbarata Caiceyi : Generoso figlio di re, ascolta intiera la verità; e uden- dola, non volerti smarrir d'animo, o eccelso : odi come il pio tuo padre, abbandonando gli spiriti vitali, se ne andò al cielo : tutto io ti narrerò e quello ancora che egli disse. Poich'ebbe, esclamando oh Rama mio figlio! oh mio figlio Lacsmano ! lungamente lamentato , lasciò tuo padre i suoi spiriti vitali : gli estremi detti eh' ei proferì, son questi; poi se n'andò al cielo : Felici coloro che rivedranno Rama ritornato dalle selve con Lacsmano e con Sita, dopo eh' egli avrà adempiuta la sua promessa! Udendo questi detti, vie pio si turbò l'afflitto Bbarata per sospetto d' una seconda sventura , e eoi volto tutto smarrito di nuovo interrogò la madre : Dove è ora Rama? ed a qual line, per qual motivo è egli andato alle selve con Lacsmano e colla Videhese? Così interrogata rispose a lui Caiceyi parole più crudeli e dure, credendo dogli cosa cara : Per comando del padre andò Rama di qui alle selve in abito di penitente asceta con Lacsmano e con Sita; io son colei che ho latto sì che Rama fosse man-
AYODHYACANDA. 23
(lato in esilio fra le selve, e dopo averlo esilialo se ne andò al cielo tuo padre, trafitto dal dolor del suo figlio. Come udì queste parole della madre, Bharata sospet- tando qualche gran colpa e desiderando purgarne la sua stirpe, così prese ad interrogale : Ila l'orse il saggio Rama rapita la sostanza di qualche Brahmano? Ila egli forse dan- neggiato alcuno o ricco o povero, per cui quell' illustre più caro al padre che la propria vita sia stato espulso dalla casa paterna? Ha egli forse oltraggiato le donne altrui, ond'.ei fu cacciato nella selva Dandaca, come un distrutto]' di feto immaturo? Ciò udendo Caiceyi, rispose a Bharata raccontando quel che ella fece, e quasi vantan- dosene per la mohil femminea sua natura; ella ignohil donna narrò al nobile e magnanimo Bharata ogni cosa secondo che avvenne, stolta e pur superba del suo senno : Non è stata da Bama rapita la sostanza d1 alcun Brahmano; non è stato da lui offeso alcuno ; né potrebb' egli neppur col pensiero fare oltraggio alle donne altrui. Rama è giusto e pio, donno de1 suoi sensi, alieno da ogni colpa; non fece quel generoso alcun male benché minimo; anzi si conciliava egli con amore tutto questo popolo. Ma allor che Dasaratha volle sacrarlo consorte del suo regno, io udendo, o figlio, essere il re venuto in questo pen- siero, il richiesi che sacrasse te socio del suo impero, e mandasse Rama fra le selve per quatlordeci anni : per questo fu da tuo padre espulso Rama dalla città; ed egli che ad ogni cosa antipone il dovere, se ne andò per co- mando del padre fra le selve con Lacsmano e con Sita : quando più non vide il diletto suo figlio, allora consu- mato dal dolore lasciò il giusto tuo padre gli spiriti vitali,
24 RAM AVANA.
e se ne anelò al cielo. Per amor di te io ho fatto quest' opra che fu vituperata, per cui Rama fregiato d' ogni dote fu cacciato in esilio fra le selve , e il re per 1' esser diviso da lui, perturbalo in ogni suo senso dal dolor del figlio, lasciati i cari spiriti vitali, cadde in poter del re de' morti. Prendi ora tu questo regno , rendi fruttuosa la mia fatica , rallegra l'animo de' tuoi amici e il mio, domator d'ogni tuo avversario. Convenuto insieme coi Brahmani di cui è capo Vasistha, e resi gli estremi ufficj al re, fa che tu sia quindi prontamente, o figlio, consacrato re in questo tuo re^no, conforme ai riti.
CAPITOLO LXXV.
RIMPROVERI A CAICEYI.
Allor che conobbe essere morto il padre ed esuli i due suoi fratelli, Bharata oppresso dal dolore così parlò alla madre : Per aver cacciato dal regno l'innocente Rama, tu sei abbandonata dalla Virtù, o donna spregiata e di mente iniqua; e perchè tu per cupidità d' impero hai pri- vato della vita il tuo consorte illustre , tu hai meritato gli orrendi supplizj sempiterni, sia tu per sempre vituperata! ma se tu per cupidigia di regnare hai voluto andartene ai luoghi inferni, perchè cadendo nell'abisso, m'hai tu con te precipitato? Ah io son perduto, rovinato da te, madre crudele! or lascierò anch'io questa vita; sia tu, senza me, felice! in che t' offese egli mai il tuo sposo o il magnanimo Rama , onde tu apparecchiassi con sorte eguale all'un la morte, all'altro l'esilio? coli' aver pri-
AYODHYACANDA. 25
vato Rama del regno e il tuo consorte della vita tu hai commesso un misfatto ignominioso, pari all' uccision d1 un feto o d1 un Brahmano. Più non li sia fausto questo mondo, nò il mondo ulteriore, o donna micidial del tuo marito, vanne alle regioni inferne, percossa dalla male- dizion del tuo consorte! ah io son perduto, disfatto da te, donna cupida d'impero! che più cale oramai del regno e delle sue delizie a me che tu hai contaminato d' obbro- brio? Privato del padre e del fratello che m'era qua! padre, io non ho più desiderio alcuno della vita, molto men del regno. Per qual ragione, orbo dell' eccelso mio padre e del fratello, bramerei ora d'ottenere il regno, io inabile a regnare? Ma ancorché io avessi virtù sufficiente a governar con forza questo regno, non perciò vorrei farti lieta del tuo intento, o madre orgogliosa. Per cagion di me tu hai divelto mio padre dalla vita, e cacciato in esilio fra le selve Rama ottimo fra i giusti : oh dolore ! tu hai rovesciato sul mio capo un gran delitto; io inno- cente son da te perduto, o donna iniqua. Coli' aver ri- dotto Rama a condizion di penitente , poi condotto a morte l'incolpabile tuo sposo, tu hai versato alcali acerbo sopra una ferita , ed aggiunto duolo a duolo. Tu fosti qui menata da mio padre per la rovina di questa stirpe, ne s'accorse egli che tu gli saresti funesta, qual orribil Durga(17); ei ti menò qui infausta per la sua morte, e ti custodì come un' orrida serpe velenosa. Da te, o perversa fu privato con inganno della cara vita e del miglior suo figlio l'innocente mio padre, osservator della sua iodo ; da te fu cacciato dal regno nelle selve il generoso Lacs- mano, devoto al suo fratello, stretto dall'autorità paterna ; ... 4
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da te, o crudele, l'unni ridotte a solitudine, purch' esse ancora vivano, Causalya e Suini Ira oppresse dal duolo de'lor figli. Oh! tu non fosti per certo generata dal no- bile re de'Cecayi; io credo che tu iniqua fosti procreata da un Racsaso crudele. Qua! opra bieca scopristi mai In in Rama, o bieca donna, per cui quel giusto fosse da te esiliato nelle selve? a te era ossequente Rama in ogni suo atto non men che alla sua propria madre; qual cosa ve- desti in lui, o trista, per cui tu procurasti il suo esilio.1 qual pecca scorgesti in mio padre o in Rama, per cui ti recasti a un atto indegno, che oscurerà per sempre la mia fama? Mentre la prima fra le nostre madri, la pia Causalya a te dimostrava, come a sorella, sommo osse- quio ed amore, perchè tu, o ignobil donna, cacciasti in esilio il suo figliuolo? contaminando te stessa, tu hai, o crudele, reso colpevole me pure. Ed ora, dopo aver con- finato tra le selve in abito di penitente il mansueto figlio di Causalya, come non ne senti tu dolore? ma andrò io stesso, e fatta ogni cosa manifesta, ricondurrò qui dalle selve Rama mio fratello primogenito, onor della stirpe de' Raghuidi; io stesso dimorerò per quattordeci anni, conforme al comando del padre, fra f orrore delle selve, e Rama mio fratello sarà qui re. Poich' ebbe così parlato con grand1 ira e vituperata la sua genitrice, Bharata stra- ziato dal dolore e degno di miglior sorte, ruggiva con alta voce come un leone dentro una caverna montana.
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CH'ITOLO LXXVI
LAMENTO DI UHAK.VTA.
Fatti alla madre que' rimproveri acerbi, Bharata op- presso da crescente angoscia, così di nuovo prese a dire : 0 crudel Caiceyi, invereconda, iniqua, di che mai t'ha dieso Rama o il tuo consorte? sia tu vituperata, o donna d'animo spietato! più non sia a te fausto questo mondo, né il mondo ulteriore, o sovvertitrice di questa stirpe! come mai non ti vergogni d'aver fatto cosa odiala da tutti gii uomini? come ancor ti sostiene questa terra, o donna micidial del tuo consorte? come mai il sapiente e magnanimo mio padre tollerò questa tua colpa dannata da tutte le genti? come non t'arse quel generoso col fuoco della sua maledizione? come non ne fui arso io stesso contaminato dalla tua colpa? Tu, donna spregiala e cupida, hai privato di vita il tuo consorte, sbandilo Rama fra le selve, e impressa sul mio capo una nota d'in- famia; ond'io non veggo come tu possa svincolarti dalla tua colpa; non mai fra le mondane evoluzioni!18) tu potrai liberarti dalle regioni inferne. Non dei tu oramai più appellarmi tao figlio , tu che sotto nome di madre mi sei nemica, donna crudele, spietata, avida di regno, rovina del tuo consorte; da te sola, o invereconda e rea, son fatte infelici Gausalya, Sumitra e l'altre mie madri; tu non sei figlia del re de1 Cecayi , uom d' animo raffre- nato; tu sei una Racsasa che usurpasti il nome di sua liglia. Qua! altra donna v1 ha di te più iniqua , che hai
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cacciato in esilio Rama delizia di tutte le genti:1 in qual mondo n'andrai tu ora(19), tu che hai rovesciato ad un tratto sopra di me il dolor d1 essere orbato del padre e la sventura detestata d'esser diviso dal fratello; tu che hai separato dal diletto suo figlio Causalya madre amante, virtuosa e pura? Oh non conosci tu dunque il dolor che è Tesser diviso da un Tiglio amato, tu che privasti Cau- salya del diletto suo Tiglio ! il liglio è generato nelle membra e nel corpo della madre, egli ha origine dal suo cuore; onde non v'ha cosa più cara alla madre che il proprio Tiglio. Un dì, siccome è fama, Surabhi la madre de' tori, pregiata dagli Dei, veggendo due suoi Tigli traenti sulla terra il carro , estenuati , rotti dal pungolo per tutto il corpo e ad ora ad or svenuti, pianse per dolore. Ve- duta costei piangente , il giusto Indra senti pietà di lei ; che mentr'ei percorreva gli spazj eterei, caddero sulle sue membra le lagrime di Surabhi spremute dall'angoscia e soavemente odorose. Tocco da quelle lagrime, guar- dando in alto Vasava (20) vide Surabhi, ed appressatosi a lei in atto reverente , così le disse : Prevedi tu forse onde che sia qualche pericolo che sovrasti a noi , per cui così piangi addolorata? dimmi ciò che è. Così interrogata dal possente Indra, così rispose Surabhi afflitta al Dio di- struttore di città : Non preveggo io da alcuna parti; peri- colo a te imminente, o signor degli Immortali; ma io compiango que1 due miseri miei Tigli estenuati , rotti dal pungolo per tutto il corpo, famelici e svigoriti, che l'ara- tor crudele tormenta sotto il giogo dell' aratro. Riguar- dando que' due miei ligli generati nelle mie membra e nel mio corpo , originati dal mio cuore , vie più cresce la
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mia pena : non v'ha cosa più cara che il proprio figliu. Così si doleva Surabhi f amorosa madre de' tori; e quella possente era pur madre di più migliaja di figli; or (pianto più non ha a dolersi l'infelice Causalya, cui non è nato che Rama unico figlio a lei più caro che la vita, e costui fu da te spinto in esilio? Onde tu, o Caiceyi , per aver cagionato a Causalya un tal dolore , che consumerà il suo animo, il suo cuore ed il suo corpo, tu pure, o insen- sata, avrai (piaggili e nell'altra vita dolore immenso, in— terminabile, dannata alle tristi sedi inferne. Ma io ren- derò T onor dovuto al padre ed al fratello , e cancellerò dinanzi al mondo questa infamia. Così lamentava con sospiri ardenti Bharata infelicissimo, a guisa d' un elefante caduto improvvisamente ne' lacci in una selva. Pien di sdegno gli occchi , accidiato , disciolti il bel manto , le vesti e la ghirlanda, stava prostrato in terra il regal figlio, come il vessillo d'indra sul finir d'una solennità festiva.
CAPITOLO LXXVIL
LA DONNA GOBBA STRASCINATA.
Ma udito quel romore , colà ne venne afflitto Satrughno fratello minor di Lacsmano, e sollevò Bharata da terra; e com' egli ebbe quivi inteso che Caiceyi stimolata dalla sua fida gobba aveva cacciato in esilio Rama, pien d'an- goscia e di dolore così disse : Come mai il nobil Rama saggio e mite , intento al bene d" ogni creatura , venne sbandito fra le selve da una donna, essendo egli libero di se? Perchè il generoso Lacsmano, dotato di forza e di
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vigore e destro all'armi, non sacrò egli Rama, reprimendo anche con violenza il padre? I accorto e giusto Lacsmano avrebbe dovuto fin da principio raffrenare il re vinto da passion d' amore e stupidito. Mentre Satrughno così par- lava, comparve la donna gobba tutta adorna di splendidi ornali, cosparsa il corpo d' agalloco e di sandalo, rico- perta di vesti di gran pregio, tutta cinta, come un' ele- fantessa, di varie zone e fasce. Veduta in sulla porta quella gobba scellerata, Bharata la mostrò a Satrughno, dicendo : Ecco f iniqua crudel donna , per cui cagione è ito in esilio Rama e morto mio padre; fa di lei quel ch'ella merita. Allora Satrughno scorgendo Manthara a lui vi- cina, gittò quella trista a terra, e presala per la strozza, l'andò trascinando con grand' ira; e coni' ella guaiva di- rottamente, ei l'empiè di polvere la gola; ed oltremodo irato cosi parlava ai servi del gineceo colà presenti : Oggi io caccerò alle sedi di \ama questa Manthara scellerata, che fu causa di tanta sventura a' miei fratelli ed a mio padre. Veggendo quella gobba trascinata per terra con tant' impeto da Satrughno , grillarono smarriti gli amici di Manthara, turbati neh" animo da paura alla vista di Satrughno così iroso; e dissero fra loro trepidanti : Come costui fuor di modo irato malmena Manthara, così farà egli a noi tutti; cerchiam rifugio presso a Causalva; essa è oggi il solo nostro scampo. Satrughno intanto terribile a' suoi nemici cogli occhi accesi d' ira trascinava per terra con più violenza la donna gobba chiedente ajuto. Essendo qua e là trascinata Manthara , caddero sparsi a terra i belli e splendidi suoi ornati, e il suolo tutto cosparso di que' lucidi ornamenti risplendeva come un cielo autunnale
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sparso di lucenti Molle. Traendo allora Manthara ai piedi di Caiceyi, Satrughno con occhi infiammati di sdegno le disse queste parole acerbe : dome potrà ora la rea Cai- ceyi liberarti, o gobba, che fosti causa d' un'opra iniqua che distrusse questa casa ? colei che non ebbe rispetto né al figlio, né al re, ne alla propria fama, otterrà mo- rendo il tristo frutto di quest'opra rea. Ma tu, o gobba, sei la radice d'ogni nostro male e della rovina di questa casa; ond' io li caccerò oggi alle sedi di l'ama : riverserò oggi sopra di te, o gobba iniqua ligia di donna iniqua, il crudel dolore di cui n'è causa l'esilio di Rama, e che riarde il nostro cuore. Cosi dicendo e più infiammandosi nell'ira, andava Satrughno trascinando a terra con vio- lenza la gobba che sempre più gridava; e Caiceyi trafitta al cuore da quelle parole acerbe rifuggi', per paura di Satrughno, al suo figlio. Ma Bharata vedendo Satrughno sì adirato, così disse : E vietato ad ogni creatura l'uccider donne; tu perdona a costei; io stesso avrei ucciso questa rea Caicevi , se non temessi d' esser abbandonato dal giusto Rama, siccome micidiale di mia madre; raffrena la tua ira, tu che conosci la legge del dovere; costei è oramai perduta per la sua mal' opra; pensa ch'ella è serva, ch'ella è gobba e donna sopratutto. Per certo se il pio Rama saprà che è stata uccisa questa gobba, benché ini- qua, ci ripudierà egli amendue. Udite quelle parole di Bharata, Satrughno rattenendo la sua ira, rispinse da se Manthara ; la quale levandosi prontamente , tutta tremante e rotta rifuggì a Caiceyi pregandola di salvarla. La madre di Bharata veggendo la sua fida gobba sbalordita dall' impeto con cui la respinse Satrughno, a poco a poco
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riconfortò quella dolènte, che guaiva rome un'aghirone sbigottita.
CAPITOLO LXXVI1I.
RIMPROVERI A BHARATA,
Dopo ch'ebbe vituperata la madre, Bharata perturbato in tutti i suoi sensi dal dolore e dall'angoscia, guardando Satrughno cosi gli disse : Ben si stima esser l'uomo quaggiù inabile a conseguir gioja o dolore; il solo fato(21) ineso- rabile il trae mal suo grado nella felicità o nella miseria. Oh ben è quaggiù possente il fato, da cui Rama dotato d'ogni virtù e degno d'esser felice fu con forza inelutta- bile tratto nella sventura? vieni ora tu con me; visitiamo insieme la misera Causalya, che piange l'esilio del lì- gliuolo, ed è afflitta perla morte dello sposo, lo conosco ora, o Satrughno, che quell'opra vituperata, obbrobriosa eseguita da mia madre, fu opra sol del fato. L' uomo o la donna, ancor che saggi, spinti in amenza dalla forza del fato, mal discernono se quel che ei fanno debba loro esser utile oppur dannoso : dementata dal fato, o Satrughno, Caiceyi mia madre commise quest' ingiustizia vituperata da tutti gli uomini. Una grande angoscia, o Satrughno, mi sta sul cuore : che cosa dirò a Causalya io contaminato dalla colpa di mia madre? Così parlando Bharata col fra- tello , piangeva con alta voce e con suon dolente , em- piendo quasi de' suoi gemiti la reggia. Udendo que' gridi di dolore del magnanimo Bharata che colà piangeva, Causalya così parlò a Sumitra : E qui giunto Bharata, il
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figlio della crudel Caiceyi; io desidero veder quell'uom che ha sì provido discernimento. Dello quelle dolenti parole, Causalya oppressa dall'angoscia s'avviò con Su- mitra a veder Bharata ; l' illustre Bharata all' incontro s' a\ viava insieme con Satrughno a veder F infelice Causalya nelle sue stanze. Come i due fratelli videro venir benché da lungi Causalya tutta mesta, inchinatisi amendue le si fecero incontro atteggiati di mestizia. Causalya, abbrac- ciati Bharata e Satrughno, sopraffatta dal suo dolore pianse amaramente , e sollevato Bharata che stava innanzi a lei prostrato e tutto tremante per timore, gli disse pur piangendo queste parole acerbe : Se tu ambivi di regnare, rallegrati; tu hai conseguito senza ostacoli questo regno, che Caiceyi tua madre t'ottenne ella stessa con inganno, esiliando in abito d'asceta l'innocente mio figlio Rama. Ma per qual causa, per qual fine Caiceyi tua madre volle ella pure esiliar Sita? or come il diletto mio figlio n'andò con Lacsmano fra le selve, così me n'andrò io stessa ac- compagnata da Sumitra colà dove è ito Rama colla sua consorte; o piuttosto conducimi tu stesso, o caro, colà dove mio figlio sostiene per comando del padre acerbe pene ; e tu circondato dall' esercito quadripartito ottieni con ogni sua ricchezza, con tutte le sue gemme questo prospero regno desiderato che ti lasciò il padre.
CAPITOLO LXXIX.
GIURAMENTI DI BHARATA.
Alla misera Causalya madre di Rama, che così par- lava, rispose Bharata con allo reverente queste parole
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interrotte dal pianto : Perchè, o nobil donna, ignara an- cor del vero, così riprendi me innocente.1 Tu pur conosci il grande e saldo alleilo ch'io porto a Rama : or in odi, o regina : Non sia mai seguace de' sacri statuti la niente' di colui, per opra del quale andò in esilio il nobil Rama, ottimo fra i giusti , mantenitor della sua fede. Cada in dura servitn, orini in faccia al sole, percuota col piede una vacca giacente colui, per cui consiglio andò in esilio Rama. Tocchi, essendo egli impuro, una vacca, il sacro fuoco, od un Brahmano; oltraggi il sacro suo maestro colui, per cni consiglio andò in esilio Rama. Desideri usar colla donna del suo amico o colla donna del suo sacro maestro quel malvagio e reo, per cui consiglio andò in esilio Rama. Stando in battaglia folta di carri, di ca- valli e d'elefanti e tutta cinta (ranni, non faccia alcun' opra da prode colui, per cui consiglio andò in esilio Rama. Disprezzi le sacre dottrine che han per oggetto il sommo Spirito (22) e sono esposte da' saggi conforme al vero, quell'insensato, per cui consiglio andò in esilio Rama. Venendo in controversia alcun negozio , s' at- tenga alla parte degli stolti e rimanga vinto colui, per cui consiglio andò in esilio Rama. Fruisca , senza mai donare egli stesso, del ben degli Dei, degli ospiti e de' servi, del padre e della madre colui, per cui consiglio andò in esilio Rama. Non mai proferisca parola conforme alle sacre dottrine, non mai conversi con gente onesta colui , per cui consiglio andò in esilio Rama. I giorni ple- nilunari dei mesi Asàdha, Carttica et Maglia (23) destinati ad opre pie trapassino senza che riceva alcun dono colui, per cui consiglio andò m esilio Rama. Divori senza pietà
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calde carni, caldo latte, grano e sesamo l24); disprezzi la virtù colui, per cui consiglio andò in esilio Rama. Vili- penda la madre, il padre, il vecchio suo precettore, il Brahmano sua sacra scorta quell'iniquo, per cui consi- glio andò in esilio Rama. Cada subitamente dalle sedi e dalla lama dell' uom virtuoso, cessi dall'opre consuete ai buoni colui, per cui consiglio andò in esilio Rama. Abbia sopra di se il reato, che avrebbe chi uccidesse un Brahmano o la vacca Capila (25), chi tradisse 1' altrui fede, chi incrudelisse contro il sacro suo maestro o 1' avvolgesse con menzogne, colui, per cui consiglio andò in esilio Rama. La colpa di cui si fa reo l'ingrato, il ladro, e chi tocca col piede il sacro fuoco , la colpa di chi sperde il fuoco sacro, di chi diserta villaggi, di chi offende l'amico, sia contratta da colui, per cui consiglio andò in esilio Rama. Abbia la colpa di chi giace dormendo sul vespero e sull'aurora colui, per cui consiglio andò in esilio Rama. Come è colpevole un noni neghittoso ed un mendace , così sia reo l' uom insensato, per cui consiglio andò in esilio Rama. Ottenga il poter supremo e governi in com- pagnia di ministri stupidi l'uomo stolto, per cui consi- glio andò in esilio Rama. Dimori per sei mesi mendicando in un villaggio, e sia sostentato dalla propria figlia; si cibi tutto solo di dolci vivande colui , per cui consiglio andò in esilio Rama. Con tai detti Bharata rassicurava la dolente e misera Causalya privata del figlio e del consorte; ed ella così rispose all' innocente e afflitto Bharata che sì giurava con giuramenti atroci : O uom immacolato e pio, io conosco appieno che tu sei innocente; cessa oramai; che facendo tu lai giuri soffochi ì miei spiriti vitali. Son
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lieta, o figlio, che tu simile a Rama non ti sia rimosso dal tuo dovere; possa tu, o pio, ottener con Rama lunga vita! possa io qui vederti con Lacsmano e con Rama, quand'egli avrà adempiuta la sua promessa, e si sarà li- berato dal suo debito verso il padre! possa tu conseguire la longevità, la fama e la giustizia degne della tua stirpe, ch'ebbero i magnanimi re tuoi antenati, celebri per virtù! allor che saran trapassali quattordeci anni, tu vedrai qui ritornati, o domator de' tuoi nemici, Rama e Lacsmano con Sita. Or rendi gli estremi ufficj al corpo di tuo padre, che te aspettando, o generoso, sta riposto dentro un vaso pieno di liquor di sesamo : attendi, o figlio, a governar con giustizia queste genti; fa che, sebben ito al cielo, sia di te contento il re. Temperando il dolore nato dalla perdita del padre e dall'esilio del fratello, attendi, o li- gho , a portare, come somier robusto, il grave peso di questa casa. Mentr1 era così confortato il magnanimo Bha- rata, il suo animo oppresso da un peso d'angoscia stava tutto commosso; ma com'egli ebbe udite le pietose pa- role, che piangendo proferì Gausaiya, tutto si conturbò di nuovo sopraffa tto dal dolore, e prostrato in terra, con- tristato, afflitto, coi sensi perturbati rinnovò piangente lamenti pietosissimi, pur ricordando con pensiero intento il padre ed il fratello. Mentrecch' egli lamentava oppresso da dolore, e traeva ad ora ad ora lunghi e caldi sospiri, cadde all'occaso il sole; e la notte sopravvenuta parve a lui durar cent' anni. Ma allor che videro finir quella notte, i duci dell'esercito, i Brahmani e tutta la schiera de' con- siglieri entrarono raccolti insieme nella reggia priva di quel re eh' era pari al grande India ; e tutta quel!' adii-
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nanza s' assise in cerchio, guardando il mesto Bharata, pieno di pianto gli occhi , profondato nel suo dolore , prostrato in terra, simile ad nom disensato.
CAPITOLO LXXX.
DISCORSO DI VASISTHA.
Caduto in amaro infortunio, perduta la beltà del co- lore e della voce, Bharata era tutto ottenebrato, come la luna ali or che s' ecclissa. Afflitto per la morte del pa- dre e per l'esilio del fratello, dolente dell'aver Caiceyi per cupidità di regno abbandonato le leggi del dovere, non vedendo alcun termine al suo dolore immenso come il mare, combattuto da incessante angoscia, non poteva egli trovar conforto. Considerando le gesta immortali del padre e de1 suoi avi , era egli oltremodo conturbato , come un Brahmano che avesse bevuto liquore inebbi iante : Io son, diceva, sommerso in un pelago immenso di do- lore per colpa di mia madre, che trasgredì i doveri se- guitati dalle genti di stirpe nobile. Per cagion di me è morto il re , e fu cacciato in esilio Rama : io innocente son fatto reo da mia madre cupida di regnare. Siccome è oscuro il monte Meni allor che noi veston de' suoi raggi la luna e il sole, così è squallida questa città privata del re mio padre e del fratello. Come mai io cresciuto fra dolcezze infinite e carezzato da mio padre e dal fra- tello, pur sostengo questa mia vita, poiché caddi in tale sventura insopportabile! io salirò sul rogo con mio padre, o me n'andrò con Rama fra le selve; senza costoro io
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più non posso sopportar la vita. Se io polio fregare i fausti piedi di Rama affaticato fra le selve, io riputerò questa sorte miglior che il regno : obbediente ai piedi di lui che sen vive fra1 boschi di silvestri fruiti, io abi- terò con esso recandogli bori per le sacre offerte, peroc- ché io lontan da Rama non desidero regnar neppur fra gli Dei, molto meno aver fra gli uomini un impero insta bile, macchiato dalla colpa di mia madre. Contemplando io i bedi occhi del nobil Rama e il suo volto soave come la piena luna, s'addolcirà 1' angoscia in me prodotta dalla perdita del padre. Udendo quelle pie parole del magna- nimo Bharata, i ministri e tutta la schiera de' congiunti versavano lagrime di dolore; ma il venerando saggio \ a- sistha così parlò al mesto Bharata, che stava col capo dimesso , lineando la terra colla punta del suo piede : Colui che tranquillo e forte nelle avversità eseguisce ap- pieno qiie' doveri che è di necessità 1' adempiere, quegli è detto savio da color che sanno; tu raccogliendoti alla tua fermezza e disgombrando d'angoscia il cuore, disponti ora ad adempiere con animo quieto i funebri ufficj do- vuti al padre. Ito alle selve Rama, il pio tuo padre con- sumato dal desiderio del suo figlio, abbandonando come un derelitto, avvegnaché fosse signor del mondo, i cari spiriti vitali, se n'andò al cielo, prima che tu qui giun- gessi. Noi pensando allora che il morte tuo padre non potrebbe senza di te esser portato al rogo, il facemmo riporre in un vaso pieno di liquor di sesamo. Adempi ora tu questo dover supremo verso tuo padre ; conforta le tue madri , e non abbandonar 1' animo tuo alla tristezza : a' tuoi pari, saggi discernitori degli eventi , conoscitori di
VYODHYACANDA. 39
quel che è vero e magnanimi, non si conviene attristarsi
di quelle cose che debbono di necessità avvenire; perciò
fortifica le stesso, non mostrarli slolto, o Bharata. La
morte è possente, o Cacutsthide; ne si può evitare in
alcun modo : noi tutti un di dovrcm pur finire; onde
non voler tu contristarti. Non volere, o regal figlio, di- ci O '
venuto signor di noi, trascurare queste consorti di tuo padre1, trafitte da crudel dolore, alienate dai lor sensi, oppresse dalla stanchezza e dalla fame. Costante nella tua fortezza rendi tosto a tuo padre gli uflìcj estremi; adempì i riti che sono ordinati a quest'uopo dai Brahmani; tu non dei perderli d'animo in questo caso, o regal figlio.
CAPITOLO LXXXL
LAMENTO DI BHARATA.
Confortato per tal modo da Vasistha , il saggio Bha- rata volgendo a lui lo sguardo, così rispose vie più do- ' lente : Udendoti così parlare, o Mimi, si disrompe quasi l'animo mio; qual diritto ho io qui d'esser signore, mentre pur vive Rama signor del mondo? Or via condu- cetemi là dov' è il re mio padre ; eseguirò colà con voi umilemente i riti funebri , se non si frange ora in cento parti questo mio cuore; mi si mostri da voi mio padre esanime. Allora i consiglieri preceduti da Vasistha con- dussero Bharata colà dove stava il corpo del re , e tre- cento cinquanta donne del regal gineceo seguitando Bha- rata, andarono con Ini a vedere il morto lor signore. Entrando Bharata ('olle donne del re nelle stanze della
40 RAM VYANA.
madre di Rama, vide colà 1' estinto suo padre; e come il vide esanimato , privo d' ogni suo splendine , esc Li- mando : Oh mio padre! oli re! cadde egli a terra, come uom fuori di senso. Ma ricuperato il sentimento, e guar- dando con gran mestizia il padre, così gli parlò, come s'egli ancor vivesse : Sorgi, o re; a che pur dormi:* ecco il tuo Bharata qui prestamente ritornato insieme con Satruglmo per tuo comando, o generoso! il mio avo, o padre, e il mio zio Yudhagit inchinandosi a te col capo, ti richiedon della tua prosperità. Altre volte, o re, quand1 io ritornava onde che fosse, tu traendone al tuo fianco e baciandomi sul capo innanzi a te inchinato, mi carez- zavi con amore; ed or ch'io qui ritorno, perchè non mi fai tu motto? io per altro non t' offesi in nulla; sia tu dunque a me propizio. Oh felice Rama che potè adempiere il tuo comando, o re! felice Lacsmano che se n'andò se- guitando il suo fratello! io infelice e misero, contro cui irato tu moristi straziato da crudele angoscia ! Per certo Rama e Lacsmano ignorano la tua morte; che se ciò non fosse , come non sai ebber essi , lasciando le selve , qui venuti a piangere? se per colpa di mia madre io ti son forse divenuto odioso, degna almeno, o re, far parola a Satrughno. Dopo aver per cagion d' una donna sbandito in abito di penitenti Rama e Lacsmano, perchè lasciando tu inoltre i tuoi spiriti vitali, te n'andasti al cielo, o re? Udendo que' lamenti del magnanimo Bharata, le donne del re piangevano oltremodo afflitte. Ma Vasistha, ottimo fra color che mormorai! la preghiera, e con lui Cavali così parlarono a Bharata dolente e lamentoso : Non con- tristarti , o saggio Bharata ; non si debbe da te soltanto
VYODHYACANDA. 'il
piangere il re; tu dei senza più ritardo rendergli con animo tranquillo gli estremi ufficj. Col troppo dolersi per umore e col soverchio pianto, o Bharata, gli amici ed i congiunti traggono giù dal cielo chi v' è salito. Si nana, o generoso, che un dì il piissimo re Bhuridyumna se n'andò al cielo per le sue opere virtuose : cosini, o Raghuide , consumalo il merito d'ogni sua opra pia, cadde1 di nuovo dal cielo per lo dolore e per le lagrime de' suoi parenti; tu perciò raffrena il pianto che nasce dal tuo amor verso il padre; non voler far di nuovo scender dal cielo il re. Se dopo esser salito alle celesti sedi arso dal fuoco d'un dolore immenso, ne venisse tuo padre escluso per cagìon tua, ti maledirebbe egli irato; perciò sorgi e non contristarti. Non si debbe così pian- gere tuo padre, che or fruisce il mondo fortunato eh' ei s' acquistò colf opere sue : né è morto colui che lascia dopo se tali figli quali voi siete e fra voi primo Rama, pii , magnanimi, celebri nel mondo per fortezza, pre- stanti e generosi, pari ad Indra e a Varnna. Udite quelle parole di Vasistha , f egregio Bharata, conoscitore de' sacri doveri, temperando il suo dolore, così rispose : Io pur così penso, come voi mi ragionate; ma il grande mio amor verso il padre mi trae quasi fuori di senno ; ma or fortificato da voi miei maestri che mi date consigli sa- lutari, raffrenando il mio cordoglio, adempirò gli estremi doveri verso mio padre : preparino i ministri del re, se- condo che sarà da voi ordinato, ogni cosa opportuna agli ufficj funebri. Così parlando Bharata coi ministri e coi sacerdoti del re, divenne vie più intensa la notte soprav- venuta, che parve aver cento vigilie!26).
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CAPITOLO LXXXIF.
ENTRATA NEI.!.' ASSEMBLEA.
Trascorsa quella notte, i bardi e gli encomiatori cele- brarono con voci soavi Bharata dormente a fine di ri- destarlo. Subitamente si percossero i timballi fragorosi, e si die soffio alle conche sonore ed alle tibie; quel grande suono di strumenti empiendo quasi la città, risve- gliò dal sonno Bharata, la cui mente era turbata dal do- lore. Ma Bharata dicendo : « non son io qui re » interdisse que' suoni de' svegliatori , poi cosi parlò a Satrughno : Vedi , o Satrughno; col far opra detestata da ogni uomo, Caiceyi riversò sul capo di me innocente un1 ignominia insopportabile! La regal fortuna, che riposava per ragion di stirpe sopra il re mio padre, or divisa da lui va errando incerta, come nave senza governo in mezzo all'acque. Veggendo quivi Bharata rinnovare i suoi lamenti, pian- gevano le donne del re tutte attristate. Allora Vasistha conoscitor dei Vedi entrò con Bharata nell'assemblea adorna di cento vasi d'oro tutti splendidi di gemme, per deliberar di ciò che fosse opportuno alle esequie del re, a quella guisa che Vrihaspati con Indra suole entrar nel concilio degli Dei. Sedutosi Bharata sopra il seggio re- gale tutto ornato di gemme e ricoperto di ricco strato , ordinò che entrassero i consiglieri Sumantro , Gaimini, Suvarna, Vigaya ed altri, con questi più cittadini, i ministri ed i Bramani. Una gran moltitudine di gente s' accolse allora d' ogni parte a quell' assemblea per veder
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Bliarata e Satrughno; e da quella genio quivi accorsa per cui iosa sollecitudine si levò un suono altissimo d'acclama /ioni : reggendo in quell'assemblea Bharata col supremo sacerdote, i cittadini applaudivano a lui come a Dasa- ratha. Quell'assemblea de' famigliari , de' sacri maestri. dei consiglieri del re, onorala de' suoi figli, guernila di bei seggi adorni di gemme così risplendeva, come allor clic v1 eia Dasaratha.
CAPITOLO LXXX1II.
FUNERALI DEL RE.
Rimossa la gente estranea, essendo già nato il sole, \ asistha così parlò a Bharata ed ai consiglieri : Son qui raccolti i sodalizj coi principali cittadini, recando ogni cosa opportuna alle esequie del re; sorgi prontamente, o Bharata; non si perda il tempo; compi, secondo che si conviene , le esequie di tuo padre accompagnate da larghi doni : qui stanno Gravali e gli altri sacrificatori di tuo padre, versati ne' Vedi e ne' Vedanghi , portando il sacro fuoco ; son giunti e stanno aspettando i servi che recano gli odoriferi legni per le ceremonie esequiali di tuo padre; sono apparecchiati i vasi pieni di pingue burro, d'adipe e di liquor di sesamo, e la bella odorifera ghir- landa per ravvivare il fuoco sacro ; son pronti gli incensi odorosi, gli aromi ed i profumi d' agalloco; è preparato il feretro di tuo padre, ornato di gemme; deponi sovr esso il re, e poscia sollevandolo, conducilo fuori senza ri- lardo. Intese quelle parole, Bharata così rispose a \ asistha
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egregio fra color che usai) la l'avella , maestro veneralo di Dasaratha : (Ionie In ordini, o saggio, cosi farò pien ili rispetto; perocché tu sei venerando e nume, e sacro maestro di mio padre. Per quelle parole del magnanimo Bharata si rallegrò sommamente Vasistha ottimo fra i due volte nati; e Bharata allora sforzandosi di contenere la piena irresistibile del suo dolore, riguardò per ogni parte il corpo esanime del re; ma non potè comprimere la vio- lenza del suo cordoglio, come non si può resistere all'im- peto dell'onda che si solleva in un mar tempestoso. Tre- mante, angosciato, lamentando ad ora ad ora egli pose insieme con Salrughno sopra il feretro il corpo del re; e stando il re sul feretro, ei l'adornò conforme ai riti. Tutto ei ne ricoperse il corpo con una veste di gran pre- gio ; vi depose su ghirlande; lo profumo con odorifere gomme preziose; sparse sovr' esso (fogni intorno sandalo e fiori di mirabile fragranza. Sollevato quindi il feretro, si die a portarlo insieme con Satrughno, esclamando ad ora ad ora piangente e mesto : « oh dove ne vai tu, o re! » Ma non cessando Bharata dal pianto , sottentrarono al feretro i famigli ammoniti da un cenno di Vasistha, e \i;i lo portarono più prontamente. I famigliari del re pian- genti e afflitti tenevan dinanzi il bianco ombrello e il cri- nito ventaglio ; era portato davanti al re il fuoco ardente, consacrato prima da Gàvàli e dagli altri Brahmani; anda- van dopo carri pieni di gemme e d' oro per far larghezze ai miseri e ai derelitti : tutta la schiera de' famigli recava cose preziose di varie sorta per ispander doni in quelle esequie del re. Precedevano il feretro regale i bardi , i preconi, gli encomiatori!27), celebrando con voci soavi
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e con alte lodi Je virtuose e nobili sue gesta. Procedendo quella funerea pompa del re , si faceva dalle donne un gran corrotto, qual s'era fatto già per la sua morte. Tutti i cittadini, donne, fanciulli e vecchi andando dietro al corpo del re, usciron fuori della città. Bharata e Satrughno tenendo il feretro , lo seguitavano piangendo pieni di duolo e di mestizia : così Causalya, Sumitra e Caiceyi e tutte le trecento cinquanta donne dagli occhi simili a fior di loto tenevan dietro al corpo del re, coi neri lor capelli sparti, piangendo e gemendo come agnelle. Pervenuti alla solinga riva della Sarayu tutta coperta di tenera erba, costrussero quivi il rogo con legni di sandalo e d'agal- loco ; ei disposero quivi conforme ai riti un ampio rogo con legno d'aloe, con radici odorifere d'andropogo, con cardamomo, usìri e padmacasti (28). Sopra quel rogo gli amici del re cogli occhi pieni di lacrime deposero, sol- levandolo , il corpo del lor signore ; et poich' ebber essi posato sulla pira il re coperto d' una veste di lino , i Brahmani vi posero sopra in cumulo i vasi sacrificali (29); disposti quindi nei loro convenevoli luoghi i tre fuochi consacrati secondo i riti, i sacerdoti che han per uffizio il tener sollevate le sacre cucchiare (30) recitarono infine mentalmente le preci appropriate. Allora i sacrilicatori purificarono con erba cusa(31) i vasi del sacrifizio; e poi- ché gli ebbero purificati , collocarono intorno al rogo i vasi, le cucchiare, le anella clic coronano la base e la som- mità, delle colonne del sacrifizio, il mortaio ed il pestello, il legno atto a produrre colla confricazione il fuoco, e le sacre erbe cuse. Immolala quindi la pura vittima animale consacrata con riti e con carmi solenni, disposero d" ogni
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intorno sopra strati d'erba cusa l'imbandigione funebre del re. Frattanto Bharata co' suoi congiunti, solcata ad oriente, confortile ai riti, coli' aratro la lena dove stava il rogo, rilasciò quindi una vacca col suo vitello; poi spruzzalo d'ogni parte il rogo con burro chiarificato, con adipe e liquor di sesamo , v1 appicò egli il fuoco. Arse subitamente il fuoco acceso, e fiammeggiando ar- deva il corpo del re, die stava sovresso il rogo. Allor die fu da que' sacri maestri dottissimi ne1 \ edi esequiato conforme ai riti, se n'andò il re alle sedi supreme de pii sacrificatori. Sfavillava intanto con fiamme accese e con globi di fumo l'ardente fuoco; e veggendo fiammeg- giante il rogo, facevano le donne strida e pianti dolorosi ; gemevano i cittadini, gli amici e i figli del re, sciamando : Oli nostro protettore! ob signor della terra! perchè te ne vai tu, abbandonando noi tuoi sudditi!
CAPITOLO LXXXH.
DASARATHA ARSO.
In questo mentre Bharata co' suoi congiunti spin- gendo da man destra ghirlande sopra il rogo, compieva 1' estreme esequie , vacillando come uoni che abbia bevuto veleno. Tutto tremante per dolore, errando in- torno a guisa d'egro, s'inchinò egli poscia, prostrato in terra, ai piedi di suo padre. Stando egli in tal modo addolorato, esagitato, tremante e fuor di senso, i suoi amici prendendolo fra le lor braccia, il sollevarono per forza. Ma egli riguardando il fuoco che ardeva per tutte
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le membra il padre . gridava colle braccia protese , e si sveniva per angoscia. Soffocato nella strozza dalle grida , sospirando lagriinosamcnte , oppresso dalla tristezza e dall'affanno, vacillante come un ebbro, così parlò Bha- rata con dolenti parole : L'uomo a cui tu m'avresti morendo affidato, Rama se n' è ito Ira le selve! ma per- chè, o padre, non parli tu a Causalya, il cui figlio sos- tegno di lei derelitta fu da te spinto in esilio? Cosi rin- novando il suo cordoglio e i suoi lamenti, cadde Bbarala a terra, come cade dal suo fulcro il vessillo d'India. Si fecero intorno a lui cadente i suoi famigliari , come i Risei attorniavano Yayàti , allor ebe , esausto ogni suo merito , egli cadde giù dal cielo ; e veggendo Bharata caduto, Satrughno lamentando aneli' esso afflitto e per- turbato il re suo padre, e volgendo qua e là lo sguardo come un forsennato, così parlò cadendo a terra, e cele- brando con grande affetto le virtù paterne : Dove ten vai, o padre, lasciando qui immerso nel pianto il tenero Bharata adolescente , ebe tu solevi pur sempre accarez- zare? Tu n'eri largo di dolcezze, di doni, d'ornamenti e di vesti d'ogni sorta; chi oggi ne farà lieti di tai cose? perchè non si rompe in cento parti il nostro cuore, or che noi siam privati d' un tal padre generoso ed oppressi dal dolore? poiché tu, o re, te n'andasti al cielo, e Rama se n' è ito fra le selve, io non desidero più di vivere, ed entrerò con te nel fuoco. Udendo que' lamenti dei due fratelli , divennero vie più mesti i famigliari. Ma dopo aver così pietosamente lamentato, Bharata e Satrughno lassi di piangere si raccolsero in intenta meditazione , e veggendoli amendne cogitabundi , Vasislha sacerdote caro
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al re sollevando Bharata, cosi gli disse : Quest'universo è assiduamente combattuto da due contrarie forze; non voler perciò tu rattristarti (runa condizion di cose, che debbe necessariamente esistere. E per ferma legge sta- bilita la morte di tutto ciò che nasce, come il rinasci- mento di tutto ciò che muore; onde, poiché tal sorte è inevitabile, non voler tu contristarti. In questo mentre Sumantro sollevando Satrughno prostrato a terra, gli ragionava dolente ei pure il nascere ed il morire d'ogni cosa. I due nobili fratelli levatisi tutti molli di pianto , avean perduto l'usato lor splendore, come due mandi vessilli d'Indra inumiditi dalla pioggia. Allora i ministri esortarono i due fratelli, che tergevano le lor lacrime, ed i cui occhi eran tutt' ora rossi di pianto, ad adem- piere la ceremonia del dar l'acqua Insilale al padre.
CAPITOLO LXXXV.
IL DONO DELL1 ACQUA LUSTRALE.
Arso in tal modo il corpo del re, il pio Bharata si diede a compiere verso il padre la ceremonia dell' acqua lustrale. S'appressò egli alla bella e piena riviera Sarayu dall'onde pure, frequentata da grandi Risei, per dar l'acqua al padre; s'immerse quindi co' suoi famigliari nel puro fiume , ed offerse nel cavo delle mani 1' acqua colla mente intenta al padre. Mentre il magnanimo Bha- rata dava l' acqua lustrale , confluirono alla Sarayu le pure riviere Vipàsa e Satadru, il Gange, la Yamuna, la Sarasvali, la Óandrabhàga ed altre nobili riviere l32).
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Colf acqua di que' puri fiumi Bharata co' suoi aulici con- solò il padre salito al cielo; quindi i cittadini, i ministri ed il supremo sacerdote consolarono anch'essi, conforme ai riti, d' acqua lustrale il re. Compiuta la lustrazione, i cittadini e la gente suburbana si diedero lutti a confortar Bharata aggravato dal suo dolore. Confortato da costoro ei s'avviò quindi insieme con essi verso Ayodhya, ve- nendo pur meno ad ora ad ora; e guardando da lontano la città d' Ayodhya occupata da gente mesta ed egra, Bharata così parlò ai cittadini : Or che Dasaratha se n'è ito al cielo , e Rama è peregrino fra le selve , questa città mi sembra mesta come un cimitero; più non rifulge questa città abbandonata dal signor degli uomini; eli' è come una donna orbata del suo sposo, come una notte senza luna. Io più non voglio veder quella città desolata, né entrare in essa; mi lascierò io qui morir d'inedia, anelante alla vista di mio padre. Che giovano oramai la vita e le dolcezze a me derelitto dal mio genitore? io non desidero più vivere; me n'andrò dietro al re. Ma uno de' principali ministri del re, per nome Dharmapàla, così parlò a Bharata dolente : Rammaricandoti e perdendoti d'animo come tu fai, o Bharata, tu mostri di non cu- rare le sacre dottrine; non si conviene a te, figlio regale, comportarti come un uomo ignaro della sacra scienza. Non voler quindi, o Bharata, abbandonarti senza freno ad una soverchia tristezza : i saggi non mai si rattristano, ancora che perissero tutti i lor congiunti. Se alcun de' nostri trapassati potesse ritornare in vita per lo nostro do- lore e le nostre lacrime, sì piangeremmo noi allora dirot- tamente; ma perocché ogni creatura che nasco alla vita,
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debbe di necessità dipartirsene allor che sopravviene Fora del morire, è inutile affatto il contristarsi. Vieni dunque con noi prontamente, o signore; entra in Ayo- dhya; consola la tua gente aillilta, e pon fine al tuo do- lore. Tu dei fra breve adempiere, conforme ai prescritti, le funebri ceremonie parentali per li mani del morto re (33). Tu sei ora signor della tua gente e di noi tutti ; perciò non volere oltremodo affliggerti or che tu sei di- venuto reggitore di questo popolo. Confortalo con tali parole dal Brahmano Dharmapàla, il pio Bharata entrò colla gente sua seguace nella mesta città d1 Vyodhya, de- serta le vie ed i cortili, squallida le piazze ove si merca, occupata da gente afflitta e risuonante di lamenti. Quindi circondato da' suoi famigliari entrò Bharata dolentissimo nella reggia priva del suo re simile ad Indra, lugubre e mata d'ogni festiva gioia. Pervenuto alle stanze del re, vi fece egli uno strato d'erba, e quivi giacque l'illustre Bharata per dieci giorni, rimembrando con dolore la morte del padre.
CAPITOLO LXXXVI.
FEDELTÀ DI BHARATA.
Trapassati dieci giorni , Bharata purificatosi compiè le funebri ceremonie parentali del duodecimo e del de- cimoterzo dì lunare (34). Quindi ei largì ai Brahmani in onor del padre ampia ricchezza : ei diede loro in quella funebre ceremonia del re vesti preziose, vacche, veicoli e carri, famuli e serve, case opulente ed ornamenti eletti.
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Finito il dì decimoterzo ed adempiuto ogni ulterior pre- scritto, i consiglieri raunatisi in assemblea così parlarono a Bharata : Se n è ito al eielo il re, che era di noi maestro e donno, dopo avere esilialo il caro suo figlio Rama e Lacsmano; sia tu oggi nostro re conforme al diritto, allin- eilo non accada sventura a questo regno privo di reggitore. I ministri del re tuo padre, apparecchiala qui ogni cosa opportuna alla consecrazione , desiderano sacrarli re; prendi or questo regno venuto a te per succession di stirpe; ordina la Ina sacra e ci governa, o signor degli uomini. Bharata cosi esortato toccando allora in segno di fausto augurio gli oggetti destinati alla sua sacra, rispose quindi in tal modo ai consiglieri : Da Manu in qua nella nostra casa sempre il regno appartenne al fratello mag- gior per nascita; perciò voi non dovete così favellarmi, come farebbero uomini inconsiderati. Il nobile ed eccelso Rama dagli occhi di loto, mio fratello primogenito e co- noscilor dei doveri regali , debb' essere qui re; nessun altro s'ha da voi ad eleggere; ei regnerà sopra di noi; ed io abiterò per quattordeci anni fra le selve. S'apparecchi immantinente un grande esercito quadripartito; io andrò con esso e ricondurrò qui dall' esilio il Raghuide mio mag- gior fratello. Facendo a me precedere tutta quanta la suppellettile della consecrazione, io n'andrò con voi alle selve; e quivi consacrato con degno onore 1' eccelso Rama , lo ricondurrò alla regal città, come s'arreca il fuoco al sacrifizio : non farò io paga del suo desiderio la mia ge- nitrice avida di regno ; io mi rimarrò fra f aspre selve , e Rama sarà qui re. S'appiani dagli artefici la strada là dov'ella è scabra, e uomini esperti della via, de' luoghi
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e del tempo opportuno mi vadano innanzi nel cammino. Al giusto Bharata che così parlava risposero ollremodo lieti i consiglieri del re : La fortunata Lacsmi sia propizia a te, o Raghuide, che così favelli e desideri conferire la reo-ai sorte al tuo fratello primogenito. Udendo Le mira- bili tue parole e la tua promessa, o regal figlio, or cadono dai nostri occhi lacrime di gioia. Quindi i ministri e tutta queir adunanza, rallegrati da quelle parole oneste, così soo-o-iunsero : S' ordini per tuo comando alla classe degli artefici di preparar la via, o caro alle genti, egregio Bharata.
CAPITOLO LXXXVII.
1/ APPARECCHIO DELLA MV.
Allora si misero per ogni parie all'opera uomini esperti delle regioni terrestri e periti nel!' arte del tirare a lìlo (35), cittadini dediti alle varie loro arti, zappatori, fabbri, ope- rai ed architetti, uomini conoscitori delle vie, carpentieri, esploratori e piantatori, fontanieri e muratori, quei che attendono a lavori di bambù, e quanti altri eccellono in destrezza. 11 capo dell' esercito andava innanzi là onde aveva Bharata a passare, e faceva spianare i luoghi erti e tagliar alberi lungo la via : quella moltitudine di gente numerosa e grande somigliava per la sua foga impetuosa all'Oceano nei dì del plenilunio; tutti quegli artigiani, ciascuno intento al compito suo, adoperandosi ne' varj lavori , progredivano per ogni dove , preparando ordina- tamente lungo il cammino le varie stazioni dell' esercito,
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e sgombrando la viaperfitte selve. Altri qui tagliavano grossi alberi con ascie; altri piantavano alberi in luoghi disar- borati; alcuni con marre, accette e falci recidono gruppi di piante striscianti, cespugli, sterpi, dumi, arbusti e forti cespiti d' andropogo ; altri più robusti squarciano con vangile per ogni parte solidi terreni. Questi rimovono gli ostacoli dalle vie più ingombre e malagevoli, riem- piono fossi e spaccature ; quelli agguagliano per ogni dove i luoglii affondi , apron passaggi per siti imperni , prepa- rano fermate in grande numero. Andavano avanti nella via per ordine di Bliarata i zappatori , appianando le alte sponde lunghesso i fiumi, unendo quelle ch'erano da unirsi, smuovendo quelle che eran da smuoversi. Ei prepa- rarono in breve tempo lungo la via laghi con moli' acqua , somiglianti a pelaghi , con bei lavacri e pure onde ; fecero a mano a mano in varj luoghi fonti diverse con cinque uscite (36) e chiuse di recinti. Era mirabile a ve- dersi quella via dell'esercito levigata con ismalto, om- brala d' alberi fiorenti , rallegrata da augelli esultanti e lieti, ornata di bandiere, cosparsa qua e là di sandalo, bella di diversi fiori, simile alla via celeste. Quando conobbero fatta ogni cosa, secondo che era stata ordinata, i soprantendenti deputati alla via, fecero vie più ripulire ed ornare con addobbi la dimora in cui il magnanimo Bliarata aveva in animo di posarsi, fra regioni amene, piene di dolci frutti. Uomini esperti degli aaspicj dispo- sero quella dimora del magnanimo Bliarata sotto fausti segni (nacsatri) ed in un momento benaugurato. Era quel luogo mondo da polvere, stipato d'uomini, guernito di belle macchine e di steccato, di fossi e di larghe vie, con
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nobili abitazioni, cani e ripari smallali; era adorno di vessilli, appariscente, con una gran via ben costrutta, in- tornialo di svelle case con ucceììiere, padiglioni e ban- diere elevate, simili alla magione d'Indra, e contiguo alla Gàhnavi (Gange) circondala di varie selve. Come ;d sopraggiunger della notte risplende la lucida via de' segni costellali (nacsatri), cui adornan la luna ed i pianeti; così risplendeva a mano a mano la via costruita da que' molti artefici.
CAPITOLO LXXXVIII.
LODE DI BHARATA.
Ma Yasislba il saggio ed eccelso Risei entrò in queìf assemblea piena di nobili personaggi, dov'era Bbarala. Tal era allora l'aspetto di que' nobili uomini occupanti in ordine convenevole i lor seggi, qua! è delle stelle rilu- centi in cielo al dissiparsi delle nubi. 11 pio sacerdote della casa regale, guardando tulli que' ministri del re, cosi parlò a Bbarata : 0 diletto, il re Dasaratha adempitor de' suoi doveri se n'andò al cielo, donando a te questa prospera terra, doviziosa d'armenti e ricca di biade : così Rama mantenitor del vero, rammentandosi l'obbligo de' giusti, non si dipartì dal comando del padre, siccome non si diparte la luna dal suo splendore. Il regno t' è dunque conceduto senza ostacoli dal padre e dal fratello : fruiscine, o Bbarata; rallegra i ministri di tuo padre : as- segui la regal consecrazione. I re settentrionali, occiden- tali e meridionali, iKerali, i Dandadbari ed i Sàmudri (37)
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vengano a te offerendo gemme in segno di loro omaggio. Udendo quelle parole, il pio Bharata oppresso dall'an- goscia corse col pensiero a Rama con desiderio di com- piere il suo debito; e con flebil voce, con debole suono così ei parlò nel mezzo di quell'assemblea, facendo rim- proveri al sacerdote : Qua! uom mio pari potrebbe egli mai usurpare un regno, il qual s'appartiene ad un uom saggio, che tutte apprese le discipline religiose, è versato nelle sacre dottrine , e pone nella giustizia ogni suo studio:' Come mai un figlio generato da Dasaratha diverrebbe un usurpator di regno? Il regno ed io siam di Rama; ti piaccia qui favellar conforme al giusto. Il pio Rama pri- mogenito ed ottimo fra tutti , pari a Nahnsa e a Dilìpa (38), merita d'aver qui impero, come Dasaratha. Se io nato nella stirpe degli Icsvacuidi facessi cosa iniqua ed empia, degna d'uomo ignobile, sarei un sovvertitore della mia schiatta, lo non approvo F iniquità che commise mia ma- dre; qui stando io pur onoro con gran reverenza Rama che abita nelle selve. Io seguiterò pur Rama : egli re ed il migliore fra gli uomini è degno di regnar anche sopra i tre mondi. Che se io non potrò ritrarre dalle selve quel nobil uomo, io abiterò colà, come fece Lacsmano; che a me non soffre 1' animo di rimanermi qui in Ayodhya senza il fratello Rama dagli occhi di loto, primo fra noi per nascita, ornato d'ogni più eccelsa dote. Non poss' io ap- propriarmi la regal fortuna posseduta da mio padre, e che è retaggio di quel sapiente, come non può un Sudra ap- propriarsi la Savitri. Or che è morto il magnanimo mio padre signor del mondo, il mio fratello primogenito è il mio rifugio, la mia giuda e qual mio padre. K mio ferino
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pensiero ricondurre collii qui dalle selve; nessuno po- trebbe rimovermi da questo proposto; io l'affermo al cospetto di voi tutti. Udendo quelle parole oneste, lutto quel consesso versò lagrime di gioia , avendo il suo pen- siero intento a Rama; quindi i consiglieri ed i sacri maestri lieti esclamarono per tutta l'assemblea: Bene! bene! e celebrarono Bharata con lodi; e Vasistha nel mezzo di quel consesso così parlò gaudioso a Bharata con voce in- terrotta da lacrime e con mirabile soavità d' accento : Non è in te maraviglievole un tal atto, puro come un raggio di luna. Ben fosti generato dal pio e magnanimo Dasaratha, re eroe, combattitor dei Dànavi, tu cbe desideri ricondur qui Rama dalle selve. Io ben conosco tutte le doti dell' egregio Rama : felici noi , felice quel pio di cui tu sei fratello ! Qual cosa mai potrebb' esser difficile ad ottenersi in quella incolpabile terra, dove si trovano tali uomini generosi, che a man con sì saldo affetto i lor congiunti? Per te figlio d'animo temperato, per le tue virtù è ito al cielo il re glorioso ; e tutto questo consesso si rallegra , veggendoti pronto a ricondur qui Rama.
CAPITOLO LXXXIX.
DISPOSIZIONI PER LA PARTENZA DELL' ESERCITO.
Io porrò in opera ogni mezzo , onde far che qui ritorni Rama ; questo io prometto al cospetto di voi nobili per- sonaggi : in tale modo avendo risposto il pio Bharata devoto al suo fratello, così parlò egli poi all'auriga che gli stava accanto : Sorgi tosto, o Sumantro, e va per mio
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coniando; ordina prontamente la partenza, e convoca l1 esercito. Uditi queT detti del magnanimo Bharata, Sn- mantro così lieto ordinò, come gli era sialo imposto. Si rallegro l'esercito incitalo da' suoi duci, sentendo ordi- nala la partenza per ricondurre il Cacutsthide dalle selve. Quindi le donne de' guerrieri vedendo avvicinarsi Fora del partire, tutte sollecitavano di casa in casa i lor mariti a quelT andata; e i duci annunziarono prontamente l'esercito allestito di cavalli, di veicoli, di bei carri e di guerrieri. Conosciuto esser pronto l'esercito, Bharata così disse in presenza del sacro maestro a Sumantro che gli stava a lato : Fa qui tosto venire il mio carro; e Sumantro, udito quel comando, ratto tolse il carro tirato da cavalli gene- rosi, e là ne venne!39).
CAPITOLO \C.
COMITIVA DI BHARATA.
Allora l'illustre Bharata, salito su l'eccelso suo carro tirato da bianchi cavalli, si mise in via per desiderio di riveder Rama. Andavano innanzi a lui i principali suoi consiglieri montati sopra carri tirati da cavalli, simili al carro del sole. Dieci mila elefanti ben bardati seguitavano Bharata Icsvacuide camminante. Sessanta mila carri con arcieri e guerniti d' armi seguitavano il fortissimo regal figlio Bharata camminante. Cento mila cavalieri seguita- vano il figlio del re, l'illustre Bharata camminante. An- davano sopra splendidi carri Caiceyi, Sumitra e l'inclita Causalya liete di ricondur Bama alla citici. Andava inoltre
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per veder Rama e Lacsmano una gran moltitudine di gente nobile; e tutti costoro oltremodo lieti ragionavano con diletto pur di Rama : Quando vedrem noi Ha ma nubice- ruleo, dalle lunghe braccia, d'animo costante e saldo no' suoi voti, rallegrator del mondo? La sola vista del ll;i- ghuide dissiperà ogni nostra tristezza, come il sol nascente dissipa le tenebre dell'universo. Cosi favellando quegli uomini e abbracciandosi l'ini l' altro, andavano a visitare Rama e Lacsmano. Per In gioia di veder Rama uscirono dalla città in gran numero i cittadini e tutte le classi popolane. V erano i nitidi gioiellieri e i vasellaj; i mac- chinisti, gli armajuoli, quei che vivono nutrendo pavoni e starne, i legnajuoli, gli intagliatori, quei che lavorano d'avorio, quei che fanno corde d'arco, gli unguentar], i famosi orefici , quei che scernon l' oro greggio dalla terra, quelli che apprestali bagni, i pannajuoli, i medici, i distillatori, i profumieri, i nettapanni, i tessitori; i mimi, i celebratoli, i bardi, i preconi, i panegiristi; uomini d' estrania origine , i cannaj , quei che vendono ai ornati e bevande, i sartori, i filatori, i meccanici, quei che eccel- lono nel lavorar l'oro, quei che vivono d'usura, quei che vendono corallo, pesci, carne di porco; i piantatori, i calderaj, i dipintori, quei che fan traffico di riso e d'altre derrate, i fruttajuoli, i fioraj, gli impiastratori , gli archi- tetti, i carpentieri, 1 seminatori, i mattoni eri , coloro che vendono dolciumi, latte rappreso, ghirlande di fiori, os- salida, carni; quei che coltivano la pianta lodhra (40), quei che vendon polveri aromatiche, i lavoratori di cotone, i venditor di fili , quei che fabbricano archi ed armi , quei ebe vendon frutti d' areca e betel, quei che professai!
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Tarli grafiche, i prestanti lavoratoli in cuojo , i fabbri ferrai, quei che fan dardi e giavellotti, quei che san Farle degli antidoli, quei che conoscon la natura de1 lemuri e delle larve, i sanatori de' fanciulli, quei che lavorano ottone e rame, i costruttori d' edilìzi tetragoni, i tonsori, quei che apprestano grani bollili ed arrostiti, quei che vendon grani polverizzali , quei che esprimon gli alletti con canti e suoni, i venditori di melassa, i traf- licanli, quei che vendon sali cristallizzati, gli ombrellaj, quei che raffinano la canfora, 1 coltivatori di zucchero, i ranneri, i più cospicui di tutte le arti, 1 più cospicui de1 villaggi agricoli e pastorecci, 1 saltatori colle lor donne, quei che vendono cibi di carne; la città insomma tutta quanta co' sodalizj artigiani e mercanteschi, eccettuati gli infermi, i vecchi ed i fanciulli (4I). 1 contegnosi Brah- mani, conoscitori dei Vedi, pregiati per la lor dottrina, seguitavano a mille sopra carri tirati da tori Bharata cam- minante. Tutti costoro con belle vesti, con nitidi ornati ed odorosi unguenti seguitavano sopra varj carri Bharata in (juel cammino. L'esercito contento e lieto teneva dietro al figlio di Caiceyi per la via prescritta e sotto la scorta di Vrihaspati. Era quell'esercito stipato di guerrieri ri- putati e valorosi, e andavano commisti con esso 1 princi- pali cittadini, ministri e famigli, e molti Brahmani egregi, fra cui primo Vasistha. Giunto al fiume Gange, quivi si sostò f esercito ; e Bharata guardando 1' esercito sostato e il Gange pieno d' onde, cosi parlò favellator saputo a' suoi ministri : Si faccia qui, conforme al mio desiderio, tutto riposar l'esercito; rinvigoriti dal riposo valicheremo poi il gran fiume Gange; frattanto io qui voglio olirne acqua
00 RAM \YAN \.
nel cavo della mano, come funebre ossequio al re che se n' è ito al cielo. A Bharata così favellante assentirono i ministri quivi raccolti ; e colla loro autorità ordinarono a parte a parte la fermata dell1 esercito. Fatta posare lungo il Gange la grand' oste fornita convenevolmente (fogni cosa opportuna, quivi si solferino il magnanimo Bharata. pensando al ritorno del fratello.
CAPITOLO XCI.
SDEGNO DI Gì1 HA.
Ma il re de' Nisàdi veggendo posato sulle rive del Gange quelf esercito, così parlò a' suoi congiunti : Si scorge costà intorno una grandissim' oste; ella si stende per ogni verso, e non ne veggo il fine. E questo, non v' ha dubbio, f eser- cito degli Icsvacuidi; che ben si discerne ancorché da lungi effigiato sul vessillo del carro f albero di bauhi- nia (42). Andrà egli forse a caccia? vorrà egli prendere ele- fanti? ovvero ne vien egli contro di noi? quell'esercito è a vedersi fiero. Ah forse Bharata co' suoi ministri sen va per cupidità di regno a combatter Rama Dasarathide esi- liato dal padre fra le selve ! che lo splendor del regno ha forza di distruggere in un momento l'amor fraterno anche il più saldo : il mio pensiero è pien di sospetto. Rama Da- sarathide è mio signore, mio congiunto, mio amico, mio maestro; per Y amor eh' io gli porto io già f accompagnai lunghesso il Gange. Quindi ei si consigliò co' suoi avve- duti consiglieri; e dopo aver con loro deliberato, così ei parlò a tutti i suoi seguaci : Messo in ordine l'esercito ed
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occupale le rive del Gange, voi tutti muniti d'arco e ben annali siale colà allenti per mio comando : sian pronte cinquecento navi, e sopra ciascuna cento arcieri giovani e ben armali. Se quell'oste viene inimica ai prode Rama, non passerà ella oggi felicemente il Gange, lo disfogherò oggi sovr' essa l' ira concetta nel mio cuore per 1' oltrag- gio che s'apparecchia a Rama, come un serpe gì Ita la sua spoglia : dissolverò in battaglia 1' ingiustizia, che Dasaratha ligio a Caiceyi commise, mandando in esilio Rama. Un nembo di saette lanciate dal mio arco cadrà oggi sulle membra degli elefanti, de' cavalli, de' carri e de' guerrieri; e le freccie saettate da me irato penetreran squarciando i corpi de' cavalli benché bardati : feriti i guerrieri, rotti i carri, atterrati vessilli e duci, io farò oggi quel!' esercito pasto delle belve e degli augelli. La terra dove si posò queir oste co' suoi cavalli , carri ed elefanti, io la farò colle mie saette intrisa di sangue; e sazierò col sangue de' guerrieri estinti gli avoltoj, i coi hi ed i sciacali. 0 farò io oggi per amor di Rama fortissim' opra , o giacerò spento e bruttato di polvere sulla terra (43).
CAPITOLO XCIL
ABBOCCAMENTO DI GUHA CON BHARATA.
Ma per conoscer qual fosse /' intenzion di B lunata, Guha signor de' Nisàdi s' avviò incontro a lui con varj doni , pesci, carni e liquori nettarei. Veggendolo colà venire, f illustre auriga l'annunziò con umil contegno a Bharata : Circondato da molti suoi congiunti a te sen venne Guha;
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egli è esperto della selva Dandaca, vecchio ed amico di Ino fratello; sia egli perciò da te accollo : eh' ei viene mosso da benevolenza; ed egli sa, senza alcun dubbio, dove si trovino Rama e Lacsmano. Udile le parole di Sn- manlro, il saggio Bharata così gli disse : Entri (Julia al mio cospetto. Avuto da Bharata l'assenso, Guha circon- dato da' suoi congiunti entrò a lui con atto reverente e lieto, e sì gii disse : Questo luogo è sfornito quasi d' abi- tazioni e sprovveduto; cotesta è la mia casa; tu v'abita siccome in casa d'un tuo servo. V'han qui radici e frutti raccolti da' miei Nisàdi, carne secca ed umida e. più altri manicaci. Per amicizia io così favello a te vincitor d'ogni nemico : onorato qui d'ogni cosa che ti sia a grado, do- mani te ne andrai colla nuova luce. Intesi que' detti, il saggio Bharata rispose al re de' Nisàdi queste acconce parole : Ogni mio desiderio è soddisfatto da te signore e amico, che degni onorare questo mio esercito. Dette queste parole, l'illustre Bharata di nuovo così parlò al re de' Nisàdi : Per qual cammino, o Guha, ci avvierem noi al romitaggio di Bharadvàga? questa regione è molto ingombra, piena d'acque e d'aspro accesso. I dita quella domanda del saggio Bharata , rispose con reverenza Guha conoscitor di que' luoghi impervii : Andran con te, o fortissimo figlio di re, 1 miei famigliari armati d'arco e attenti, e verrò con te io stesso; ma dimmi : vai tu forse inimico al prode Rama? questa tua terribil oste genera in me sospetto. A Guha che così favellava, Bharata puro come 1' etere rispose con voce soave : Non mai ciò avvenga ; lungi da me tal vitupero; non sospettar di me a cagion di Rama : io tengo in luogo di padre il mio fratello pri-
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mosrenito. Vado per ricondurre il Gacutsthide dalle selve; In non dei credere altramente; questo io t'affermo tome vero. Udendo il parlar di Bharata, Guha con lieto sem- biante gli rispose queste gioconde parole : Felice te! non veggo sulla terra chi a te sia pari , che sei disposto a ri- nunziare il regno venuto a te senza tuo sforzo; andrà per lo mondo eterna la rinomanza di te che intendi ritrai- Rama dalla sventura ov egli cadde. Mentre cosi ragio- navano insieme Guha e Bharata, si spense la luce del sole e sopravvenne la notte. L'illustre Bharata con Sa- trughno, allogato l'esercito, si pose tranquillo a giacere confortato da Guha; ma sopraffatto da' suoi pensieri, in- tento a propiziar Rama e volgendo in sua mente or 1' una cosa, or l'altra, non potè egli prender sonno; egli era arso durante la diva notte da violento ardor febbrile, e sospi- rava come un elefante stretto dall' incendio d' una selva : gli scorrea per tutte le membra il sudore prodotto dal fuoco della sua angoscia, come scorron pei dorsi del so- vrano monte [limavate rivi di liquidi metalli. Cosi s'ab- boccò allor con Guha l'illustre Bharata generoso; ma coni' ei si cessò dal dolce riposo, il pio Guha spinto da affetto entrò di nuovo a ragionar con esso.
CAPITOLO XCIIL
DOMANDE A GUHA.
Il diserto Guha attorniato da' suoi congiunti così parlò a Bharata con atto reverente e cogli occhi sull'usi di lacrime : Tu favellasti, o Bharata, in modo degno della stirpe d'Ics-
(i/, RAMAYANA.
vacu e conforme alle tue virtù, alla sacra dottrina, alla tua gloria. Felice Rama mio devoto amico, che ha un tal fra- Lello generoso e buono, il qual rifiutando f acquistata regaJ fortuna, come si rifiuta mia trista donna, sen va a ritrarre dalle selve il suo fratello primogenito ! E raro al mondo un tale amore quale è il Ino, o pio, verso Rama esempio di salda fede, il quale adempiendo l'ordine del padre e della Ina genitrice, se ne andò colla sposa e col fratello fra le deserte selve. Di quelf uom generoso , saggio e forte tu sei pei" le tue virtù degno fratello. Uditi que' detti, l'illustre e savio Bharata cosi rispose amorevol- mente a Guha : Per le tue dolci ed affettuose parole , o Guha, io mi tengo da te onoralo, ben accolto, letificato : ma io desidero udir da te ragguagli; ti piaccia favellarmi sinceramente. Andando fra le selve, in quale luogo si fermò con Sita Mitilese mio fratello Rama dagli occhi di loto, cresciuto fra le delizie, ignaro della sventura? Gli sta egli sollecito intorno il Saumitride per nome Lacs- mano, che lo seguitò per amor fraterno? dove giacque Rama la notte? dove stette? dove dimorò? dove n'andò con Sita quel valoroso e pio? di che favellava egli? quale fu il suo alimento? in qual luogo si riposò il mio fratello primogenito saldo come un monte? mi fu detto ch'egli insieme con Sita riposò una notte sotto quelf albero d'in- gude lo stanco suo corpo, ma non f occhio; e che tu con Lacsmano e colf auriga vegliasti presso a lui quella notte armato d'arco : narra a me, die te ne prego, ogni cosa conforme al vero ed ogni atto del Raghuide generoso. Uditi que' detti del magnanimo Bharata, così rispose con reverenza Guha conoscitor di que' selvaggi luoghi.
AYODHYACANDA. 65
RAPITOLO XCIV.
PAROLE DI GUHA.
Il robusto Lacsmano devoto al suo fratello, preso l'arco simile all'arco d' India, vegliò presso a lui quella notte. Mentre egli armato d'arco e di saette elette ve- gliava con intenta cura alla custodia del fratello, io cosi gli dissi : V'ha qui, o caro, un letto agiato apparecchiato a cagion tua, riposati sovr' esso felicemente, o Raghuide mio amico. Tutta questa gente è assueta ai disagi; ma tu sei nato alle delizie : io veglierò questa notte alla difesa di Rama ; perocché nessuno al mondo m' è di lui più caro : non aver di ciò pensiero; questo io affermo sulla mia fede al tuo cospetto. Dal favor di Rama io spero nel mondo gloria altissima, ampio acquisto di virtù, non che delizie e beni. Armato d'arco e circondato da' miei congiunti io difenderò Rama mio dolce amico, mentr' ei riposa insieme con Sita. Nessuna cosa è a me ignota in queste selve, dov' io m' aggiro di continuo : potrei qui anche resistere ad una grand' oste quadripartita. Per tal modo da noi esortato il magnanimo Lacsmano, avendo ei sol rispetto al suo dovere, ricusò F invito e così disse : Mentre dorme con Sita sulla nuda terra il Dasarathide, come potrei io pensare al sonno, alle delizie od alla vita? mira, o Guha, giacente con Sita sopra 1' erba colui , cui non potrebbero sostenere in battaglia i Devi un ili cogli Asmi; ed ei fu acquistato con aspre pene e con molti conati, ed è tra i figli di Dasaratha il solo che a lui somigli per ingenite
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(ili RAMAYANA.
noie! oh non potrà, dopo averlo esilialo, vivere lunga niente il re! sarà certamente fra breve vedova questa terra. Falle nella reggia strida altissime, si racquetano a poco a poco le donne del re; ed or credo immersa in profondo silenzio la casa regale. Non ho speranza che sostengan la vita pur questa notte Causalya, il re e la mia genitrice : e vivesse pur anche mia madre per amor di Satrughno, Causalya madre di quell'eroe non potrà, per la sventura ov'egli cadde, sopportar la vita. Felice ora sopra ogni altro, Bharata renderà gli ufficj funebri al vecchio padre consunto dal dolore. Fortunali coloro cui sarà dato d'abitare Ayodhya sede regale di mio padre, città dai bei cortili, dalle piazze dilettose, dalle vie ben compartite, sparsa di templi e di palagi, echeggiata da lieti suoni, piena di cavalli, di carri e d'elefanti, ricca d'ogni sorla di gemme, abbondante d'ogni bene, popo- lala di gente lieta e ben pasciuta, adorna di giardini e di verzieri, rallegrala da feste e da conviti. Oh possiam noi mi d'i, venuto il termine dell'esilio, ritornare incolumi ad Ayodhya con quel verace mantenitor delle promesse! Mentre così stava lamentando il magnanimo Lacsmano, trapassò quella notte. Come nacque il sole e si schiarì il cielo, annodali qui sulla riva del Gange a modo d' asceti i lor capelli, furon poscia amendue felicemente da me tragittati all'altra riva. Quindi que' due forti e intrepidi, vestiti di corteccie, cinti di cusa e coi capelli annodali se ne andarono con Sita, pari a due elefanti duci di schiera, armati di spada, d'arco e di saette, volgendo intorno i loro sguardi.
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capitolo \<;v.
DISCORSO DI Gì HA.
All' udir quelle dolenti parole di Guha, Bharata tra- morlì ; e col corpo tremante e girando attorno i suoi grand' occhi , cadde subitamente a terra, come un albero sradicato, quel giovane d'amabile aspetto, delicato e generoso, dagli occhi di loto, dagli omeri di leone, dalle lunghe braccia. Veggendo Bharata tramortito, tutto si turbò nel volto Guha, e vacillava come un albero, alloi che trema la terra; e Satrughno abbracciando il fratello ridotto a tale stato e fuor di senso, piangeva dirotta- mente uscito quasi di se per lo dolore. Quindi le madri di Bharata estenuate dal digiuno, dolenti e meste perla morte del lor marito, s'appressarono a lui; e veggendo caduto e steso a terra il diletto loro figlio, gli si posero attorno piangenti ed angosciate; e Causalya tutta piena d' amore , fattasi a lui più presso , confortava quelf afflitto , carezzandolo colla soave sua mano; ed abbracciatolo con grande affetto , cosi f interrogava piangendo quella do- lente e pia : Qualche male forse, o figlio, affligge egli il tuo corpo? da te dipende ora la salvezza di questa regal famiglia; guardando te, o iiglio, io ancor sostengo questa vita, or che è ito nelle selve Rama col fratello : morto il re Dasaratha, tu sei ora il sostegno della nostra stirpe : hai tu forse udito qualche infausta novella di Lacsmano, oppui del mio unico figlio che se n'andò fra le selve colla sua consorte? Così dicendo, Causalya riconfortava
08 RAM AVANA.
con panni intimi nell'acqua il misero Bharata, come ei fosse il proprio diletto suo figlio. Riavutosi poco stante e rese grazie a Causalya, cosi parlò piangendo a Guha l'illustre Bharata : lo li muovo ora nuove domande, o Guha: tu dei dirmi il vero. Come si mitri allora il Ra- chitide colla Videhcse e il Torte Lacsmano, accrescimi- di gloria alla nostra stirpe, il quale seguitò spontaneo il suo fratello nelT esilio? Così interrogai,,, rispose il diserto Guha re de'Nisàdi, frenando a stento le sue lacrime : Odi; io feci qui recare per nutrimento di Rama varj alimenti e cibi, beveraggi, radici e frutti; ma il pio Raghuide me- more del dover d'uno Csatro (44), ricusò tutto quello che io aveva recato per amore e cortesia; e così parlò a me che stava col capo chino e vergognoso : Da noi non si dee ricevere, bensì dare con larghezza, e combattere colf arco in mano ; è questo il dover supremo dello Csatro. Allora gli fu dal magnanimo Lacsmano recala acqua; con essa egli osservò l'astinenza insieme con Sita, e così fece Lacsmano colf avanzo di quell' acqua. Stando così in astinenza Rama , sopravvenne il vespero ; ed egli allora ottimo fra i pii, adempiè tacito e intento, conforme ai riti, le osservanze vespertine. Quindi il Saumitride ap- parecchiò sollecito a Rama un comodo strato con foglie e poe cynosuroidi : sopra quello strato s' adagiò Rama con Sita; e lavatigli i piedi, s'allontanò quindi Lacsmano. È questa la radice dell' ingude; son queste 1' erbe, sopra cui riposarono quella notte Rama e Sita. Legate al suo dorso due faretre ripiene di frecce , preso f arco messo in corda e fasciate di cuojo le dita, l' intrepido Lacsmano stette quella notte vegliando sopra Rama; ed io pure ar-
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malo d1 un grand1 arco e di saette me ne stetti vigile co' miei congiunti tutti armati d'arco colà dov' era Lacsmano, attorniando il Raghuide pari ad Indra.
CAPITOLO XGVI.
QUEL CHE AVVENNE APPIÈ DELL1 INGUDE.
Udito il ben disposto favellar di Guha, Bharata co' suoi ministri appressatosi alla radice dell' ingude , stette contemplando il letto del fratello; e coni' ebbe partita- mente riguardato quel letto strato d'erbe, cogli occhi pieni di lacrime angosciose cosi ei parlò alle sue madri : Qui passò quel magnanimo la notte sulla nuda terra; ecco qui tutt'ora ogni cosa rimescolata. Come mai quell'uomo eccelso, generato dal sapiente e nobile Dasaratha re dei re dormì egli sulla terra ! come giacque sul nudo suolo quel generoso assueto ai letti coperti di ricchi velli, or- nati d' eletti strati ! colui che soleva abitar reggie e nobili palagi simili a nubi biancheggianti, abbelliti da ogni qua- lità di fiori , olezzanti d' aloe e di sandalo , rallegrati dal canto de' cocili , strati d' argento e d' oro , giacque egli dunque, dormendo, sulla terra? Quegli che era ogni dì risvegliato da lieti canti e suoni, da concenti di tibie, di sonore conche e nacchere, celebrato a convenevole tempo con degni carmi e lodi da numerosi encomiatori, preconi e bardi , colui che nacque d' una stirpe oltre ogni altra splendida, che era cagion di letizia ad ogni uomo, amato da tutte le genti, come mai un tale uomo di color di cerulea ninfea, d'occhi accesi, d' amabile volto, di largo
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petto, di lunghe braccia, dormì egli sulla nuda lena.* Non mi par vera questa cosa incredibile ad ogni uomo; la mia mente si confonde, e pàrmi esser questo un sogno. Per certo nessun Nume è possente più del l'alo; poiché da lui fu ridotto a dormir sulla terra Rama Dasaralliide. È questo il letto di mio fratello ; si scorge qui ancora ravvolta ogni cosa; mentr ci passava in su questo spia- nato la notte ragionando, fu dalle sue membra tutta pesta quest' erba. Qui giacque sulla terra la diletta e leggiadra figlia del re de1 Videhesi, la nuora di Dasaratha : credo che ella qui riposò tutta ornata, siccom' ella faceva un dì nella propria sua casa ; che si veggono sparsi qua e là minuzzi d'oro. Il desiderio solo, io penso, di render fe- lice il suo consorte fa che la delicata e pia Sita va incontro ai disagi delle selve. Qui certamente ella pose la sua bella sopravveste; giacché vi si scorgono sospese fila di seta. Oh fortunata la Videhese che seguitò nelle selve il suo consorte ! noi tutti miseri che siamo privi di quel magna- nimo ! ito Dasaratha al cielo e Rama fra le selve, la terra mi par come nave senza nocchiero e derelitta. Ma nes- suno osa però ambire neppur col pensiero questa terra difesa dal forte braccio di colui, benché esule fra le selve. Non osano i nemici agognare la città regale di mio padre, tuttoché sian deserti i suoi recinti e le sue difese, aperte le sue porte, bendi' ella sia priva de' suoi cavalli ed ele- fanti di guerra!45), mesta, dolente ed angustiata, siccome uom non osa por mano sopra cibi avvelenati. Da oggi innanzi dormirò io sulla terra strata di cuse, cibandomi solo di frutti e di radici, vestito di nebride e di cortec- cia, coi capelli raccolti a modo ascetico. Abiterò io in
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luogo di Rama tutto quel tempo Tra le selve : non sarà vana per lale modo la promessa eh' egli fece; ed io con- sacrerò re in Ayodhya il Cacutsthide glorioso. Facciano gli Dei che abbia effetto questo mio desiderio ! Se pro- piziato da me in ogni più umile modo, non s' arrenderà a' miei preghi Rama, allora io abiterò con lui peregri- nando nelle selve quanto lungamente durerà il suo esilio; non potrà egli farmi di ciò rifiuto. In questo sopravvenne la notte ; ed in queir ora che si muore il giorno si rac- coglievano gli augelli agli usati lor nidi ; e Guha licen- ziato ritornò dolente alla sua dimora insieme co' suoi seguaci.
CAPITOLO XCVJ1.
PASSAGGIO DEL GANGE.
Dimorato quella notte sulla riva del Gange, il magna- nimo Bharata levatosi in sulf aurora così parlò a Sa- trughno : Sorgi, sorgi, o Satruglmo ! a che pur dormi:* è passata la notte ; vedi oramai sorto il sole dissipatore delle tenebre, che apre sui loro steli i fior di loto : fa qui tosto venir Guha signor di Sringavera ; egli ci tra- ghetterà all' opposta riva del fiume Gange. Satrughno cosi destro alla favella come all' opra rispose al forte Bharata suo fratello, devoto a1 suoi congiunti : Mentre tu, o Raghuide, riposi colf animo vacuo di cure, io veglio; che sovra me non discende il sonno per lo continuo pen- sier che ho di Rama. Deh possa quel generoso propi- ziato da te, da me, dai consiglieri piegarsi ai nostri voli ! Dopo quelle parole Satrughno per comando di Bharata
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disse ad un di quegli uomini : Fa che qui venga Guha. Ma mentre così parlava il magnanimo Satrughno, Guha appressatosi in atto reverente così disse : Hai tu, o Bha- rata, ben riposato questa notte sulla riva del fiume? Sei tu col tuo esercito ben sano? Ma è questo più che altro un desiderio ch, io ti manifesto : perocché come potresti tu ben riposare cruciato dal tuo amore e dal pensiero del fratello esule e del re estinto ? Y amor non cede punto per angoscia d' animo né di corpo. A quelle parole di Guha così rispose il mesto Bharata infelice, volgendo nella mente il suo disegno : E stata gioconda a noi la notte, o re , e fummo da te degnamente onorati. Or fa che i tuoi famigliari ci traghettino con ampie navi all' opposta riva del Gange. Allora Guha, udito l'ordine di Bharata, ritornò prestamente alla città, e così disse a' suoi congiunti : Su levatevi, o miei congiunti; io vi sa- luto : varate le barche; che io debbo traghettare il fiume. Udite quelle parole, i famigliari di Guha sorgendo pronti al suo comando, raccolsero d' ogni parte cinquecento navi : alcune più elette fra quelle navi eran segnate col mistico e fausto segno che s'appella svastika (4()), fornite di grandi remi e di vessilli, splendide, acconce e ben connesse. Quindi Guha fece venire un bel navigio ricoperto di bianca tenda, segnato col segno svastika, rallegrato da lieti suoni : sopra quello salirono Bharata e il forte Sa- trughno, Causalya, Sumitra e le altre donne del re. Stava nel primo luogo il sacerdote della casa regale, e con lui gli altri Brahmani paratamente ; poi 1 famigli del gine- ceo, 1 servi ed ì carnaggi. 11 frastuono di coloro che met- tevan fuoco agli alloggiamenti, che correvano ai sacri
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luoghi lunghesso il Gange, che toglievano via la suppel- lettile, si levava infìno al cielo. Si mossero prontamente le navi governate dai famigliari di dulia, e portando tutta (inclla gente navigavano con grande studio all' altra riva. Alcune traghettano donne, altre nobili cavalli; altre por tano veicoli, carri e gran corredo d'ogni cosa; e quelle che giunte all' opposta riva, han deposto la gente ond' enti) cardie, ritornate coi loro gusci adorni di fusti, son di nuovo traghettate dai servi e famigliari. Gli elefanti colle loro bandiere, i quali traghettano il fiume spinti dai lor montatori, somigliano a monti coronati di ves- silli. Fra quella gente alcuni montarono sopra navi, altri sopra zatte ; questi si tragettarono sopra vasi ed orej , quelli a forza di lor braccia. Così traghettata dai famigli di Gulia tutta queir oste, s'avviò poi in un punto ben augurato verso la gran selva che s'appella Prayàga.
CAPITOLO XGVIII.
V ENTRATA NELLA SELVA PRAYÀGA.
Com' ebbe Bharata coi pedoni e con tutto l'esercito traghettato il Gange, così parlò con assenso del suo sa- cerdote a Guha : Per qual regione dobbiam noi condurci là dove dimora Rama? insegnane tu la via, o Guha, che t' aggiri di continuo per queste selve. Udite quelle pa- role di Bharata, così rispose Guha che ben conosceva il luogo dov' era Rama : Movendo di qui , o Cacutsthide , t' avvia alla gran selva Prayàga piena di varie torme d' au- gelli, copiosa di laghi che somigliano a campi di loto, il. io
Ik RAMA\ \NA.
con bei lavacri e chiaro fondo, ingombra di foglie rotte dagli artigli degli uccelli, losche e solfici. Riposatoti quivi tu ne andrai poscia, o valoroso, al romitaggio di Bha- radvàga che è distante un erosa (47) verso oriente dalla selva Prayàga. Giunto colà tu saluterai, o principe, il pio Munì affinato dalle austerità, celebre nei tre mondi; e udite da colui fauste benedizioni e parole commoventi il cuore, te ne andrai quindi lieto a visitare il tuo maggior fra- tello, dopo esser per altro dimorato colà una notte ono- rato da lui con care cose ; che veggendoti quel gran saggio non ti licenzierà senza che tu abbi passala con lui una notte. A Guha che così favellava, rispose Bharata con cortese alletto : Sia cosi come tu dici; e quindi abbrac- ciatolo, ei soggiunse : Va, te ne ritorna ora, o amico, insieme co1 tuoi congiunti ; io fui da te ben accolto e se- condato; e t'amo per le tue virtù : fu da te degnamente onorata l'amicizia che li lega a mio fratello, il saggio Rama; tu m'hai dimostrato devozione, benevolenza, amore. Congedato da Bharata se ne andò Guha co' suoi congiunti dopo aver reso onore a lui, al sacerdote, al sacro maestro. Partitosi Guha colle navi e co' suoi se- guaci, s'avviò Bharata coli' esercito alla selva Prayàga, eleggendo a giuda nel cammino Snmantro, consigliere accorto, caro a Rama, conoscitor del tempo e dei luoghi. Mirando d'ogni parte alberi pieni di bori e di frutti, udendo il canto di vaghi augelli dilettoso all' animo e agli orecchi, ragionando delle virtù di Rama, di Lacsmano e di Sita, della pravità di Caiceyi sua madre, dopo aver camminato poco più d'un mezzo vogano, vide Bharata la gran selva che s' appella Prayàga simile alla selva Cei-
AYODHYACANDA. 75
li aratila; ed entrò in quella selva tutta piena d'alberi e di frutti desiderabili, abbellita da campi di loto con bei lavacri e grande copia di ninfee. Pervenuto alla Pia vaga sede augusta degli Dei , Bbarata fece reverente adorazione , e le sue madri colf illustre Satrughno salutarono attente e con mente raccolta il Dio di quella selva. Fatta ado- razione ed usciti di quel bosco, scorsero essi quindi lon- tano un erosa il romitaggio di Bliaradvàga denso d'alberi ; e vedendo V eremo di quel gran Risei contemplatore e della sua ascetica famiglia, entrò Bbarata in grande gioia.
CAPITOLO XCIX.
FERMATA NELI/ EREMO DI BHARADVÀGA.
Veduto pur da lungi f eremo di Bliaradvàga, il pio 61 tarata fatto fermar tutto l'esercito, deposti suoi orna- menti ed armi e vestendo due vesti di lino, s'avviò a piedi co' suoi consiglieri, facendo precedere il sacerdote. Progredito per poco spazio ei si trovò dinanzi a quelf eremo fornito di bella porta esterna, nitidissimo, adorno d'un bosco di banani, pieno di serpenti e di belve man- sueti, coronato d'una cerchia d'are, decorato della beltà delle selve, e quasi una porta dischiusa del cielo. Entrato col sacerdote in quel romitaggio, Bbarata vide il sommo Risei di splendore fiammeggiante; e fatti restare allora i suoi consiglieri , s' innoltrò col sacerdote alla presenza di Bliaradvàga. Ma il grande asceta vedendo Vasistha, si levò prontamente dal suo seggio, e disse a' suoi discepoli : Recate la patera ospitale. Abboccatosi con Vasistha, e sa-
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lutalo quindi da Bharata, io splendido vate conobbe il figlio di Dasaratha. Offerta ad amendue la palerà ospi- tale (argha), l'acqua per la lozion de' piedi, bevanda e frutti, ed onorali tutti i lor seguaci, inchiese quel pio della prosperila del regno, del tesoro, dell' esercito, della città; ma non domando del re, sappiendo egli esser morto Dasaratha. Vasistha e Bharata richiesero lui pure della sua corporea salute, della prosperità del saero fuoco, dei discepoli, degli augelli e delle helve. Risposto esser pro- spera ogni cosa, il granile asceta Bharadvàga cosi disse a Bharata a cagion di Rama : Per qual motivo, abbando- nando lo splendor regale, sei tu qui venuto.' dimmi che è ; che non è securo appieno l' animo imo. Colui che Causalya partorì cagion di gioia e sperditor de' suoi nemici , colui che desi inalo dal verace suo padre per causa d' una donna ad abitai per quattordeci anni fra le selve, v'andò in abito di penitente insieme con Sita, dimmi, ne vieni qui tu forse , deposto ogni amore e spinto da cupidità di regno, per fare oltraggio a colui, al pio e paziente Rama ? Vuoi tu forse, o figlio d'egregio re, far danno a queir innocente a fin di possedere il regno senza ostacoli ? non dei tu per alcun modo far offesa a quel magnanimo ed innocuo ; quand' esso per cagion di te solo venne dal patire esiliato fra le selve. Intese ([nelle parole del sapiente Bharadvàga, Bharata scoloratosi in volto ri- spose giungendo le mani in sulla fronte : Io son perduto, se tu, o venerando, così mi giudichi : non aver tu di me tale sospetto; io non potrei giammai far cosa tale. Non è conforme al mio desiderio quello che a cagion di me disse mia madre; io non avrò riguardo alcuno, ne mi
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conformerò a quei detti. Non consento al disonore che versò sul mio capo mia madre cupida d'impero; io non ebbi pur di ciò notizia. Qua! è mai queh" uom crudele, che nato in una stirpe di re immacolata come la luna, vorrebbe nuocere ad un fratello primogenito e degno d' amore? lungi da Rama mio maggior fratello, che ora abita Ira le selve, io non curo dello splendor del regno, delle delizie, né di me stesso : io vengo per propiziar quel generoso, prostrarmi a' suoi piedi e ricondurlo a Ayo- dhya. Or conoscendomi tu così disposto, ti piaccia es- sermi favorevole : dimmi, o venerando, dove si trovi ora Ila ma signor della terra. Così parlando il magnanimo Bbarata, sopraffatto dall' amor di Rama si diede subita- mente a piangere, e Bharadvàga così rispose a lui cbe avea il volto umido di lacrime : Son convenevoli, o figlio, le parole che tu or m' bai detto. Veduto per manifesti indizi esser contento quel grande saggio, Bharata rasciu- gando le sue lacrime, così parlò di nuovo : Se tu hai fi- ducia in me; se io merito da te qualche riguardo, dimmi dove or dimora mio fratello Rama. Favellando così Bba- rata e chiedendo di Rama, il gran Mimi Bharadvàga ri- volse l'animo a lui; ed onoratolo qual si conveniva, così gli parlò sorridendo l'illustre asceta : E cosa degna di te, o generoso, nato dalla progenie de' Raghuidi, cbe tu de- sideri ricondur dalle selve Rama. L' osservanza de' mag- giori, la continenza, la compassione, la pazienza, questi appunto sono gli aurei ornamenti del tuo corpo. Io ben conosceva, o amico, le tue virtù; ma per udir da te ve- racemente ciò che 111' era caro udire, t'ho io interrogato. Odi, uom forte e pio, amante de' tuoi maggiori, dove si
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trovi tuo fratello lumia dagli occhi di loto. Tuttoché io ben conosca il pensiero che ti sta chiuso nella mente, candido come un raggio di lima, io pur t'interrogo per vie più far chiara la tua gloria. Rama dimora vicino al Citraciita in un dilettoso romitaggio insieme con Sita e custodito da Lacsmano. Tu v'andrai domani co' tuoi mi- nistri; rimanti qui oggi co' tuoi amici; io desidero ono- rarti; appaga questo mio desiderio. Sia pur così , rispose con nohile volto l'illustre Bharata, e si dispose a passar la notte in quel grand' eremo.
CAPITOLO C.
OSPITALITÀ DI BHARADVÀGA.
Come vide disposto a rimaner colà Bharata lìgliuol di Caiceyi, gli offerse il Mimi gli ospitali onori. Ma Bha- rata gli disse : Tu hai fatto già ogni cosa; tu n'hai dato acqua per la lozion de' piedi, la patera ospitale, e fatta quell' accoglienza che si conviene in una selva. A lui ri- spose con affettuose parole Bhai advàga : Conosco l' amore che tu mi porti, e so che tu sarai soddisfatto di quell' ac- coglienza, qualunque ella sia : ma desidero apprestar con- vito a questo tuo esercito; sarà a me caro il farlo, o ge- neroso. Perchè sei tu qui venuto, lasciando addietro il tuo esercito ? perchè non ci venisti tu con esso e coi car- riaggi ? Bharata così rispose reverente all' asceta : Io non venni colf esercito, o venerando, per rispetto di te; mi tengon dietro, occupando grande spazio di terra, uomini, cavalli eletti ed elefanti, dalle cui guance cola per triplice
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riffa caldo umore ; e temendo che essi non danneggias- sero nel tuo romitaggio la terra, gii alberi, le radici e l'acqua, io perciò qui venni accompagnato dai soli miei maestri. Ma essendo Bharata invitato dal grande Risei a far venire colà il suo esercito; cosi ei fece, e rimase con- tento il Mimi. Entrato allora nel santuario del fuoco sacro, bevuta acqua e purificatosi, Bharadvàga desideroso d'o- norare i suoi ospiti chiamò a se Visvakarma, e chiamatolo così ei parlò al divino artefice : Desidero donare ospita- lità a tutti costoro; tu disponi ogni cosa a tale uopo. Ac- corrano qui i fiumi che in terra o in cielo hanno le lor correnti volte ad oriente o ad occidente. Alcuni spandano sugo di lythro fruticoso e fervidi liquori, altri versino con bel corso nettare e fresche acque simili al sugo di canna saccarifera. Chiamo qui i Devi ed i Gandharvi Vis- vavàsu, Haha, Hulm, le Apsarase divine e le donne de' Gandharvi Ghritàci, Menaka, Rambha, Misrakesi, Alam- busa, quelle che ministrano ad Indra e a Brahma splen- didissimo, tutte io qui le chiamo con Tumburu e col lor nobile corteggio. Tu, o Visvakarma, fa questa selva ful- gida e ricca d'ogni sorta di frutti. Qui m'appresti l'ec- celso Somo (^8) vivande e cibi delicati, manicali, bevande e diverse maniere di siroppi, mirabili ghirlande ed al- beri stillanti nettare, liquori ed altri beveraggi e carni di diverse sorta. Queste parole disse il vate con profonda meditazione, con raccolto spirito, con vigore d'ascetismo e con appropriato suon di voce. Mentr' egli meditava colf animo intento, colla faccia volta ad oriente ed atteggiato a riverenza, vennero a mano a mano tutti gii Dei da lui invocati; ed opportuno spirò un lene vento odoroso, un-
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pregnato di fragranze di sandalo, soave e fausto, solilo aleggiar fra 1 monti \lalava e Dardura. Quindi apparvero per l'aria nuvole celesti spandenti fiori, e s udì per tutte le regioni il fruscio dei Devi e dei Gandharvi. Spiravano soavissimi aliti odorosi, menavan danze le schiere delle Apsarase, cantavano e suonavan le cetre i Devi ed i Gan- dharvi; e quel suono pienamente aprilo si diffondeva armonizzando per la terra, per l'aria e per gli orecchi d'ogni vivente creatura. Cessalo quel suono divinò, gio- condo a udirsi, si vide f esercito di Bharata disposto da \ isvakarma. Era d'ogni parte piana la terra per lo spazio di cinque yogani, coperta d' erba lilla e tenera, simile a strato d' ìndaco e di lapislazzoli, e inarborata d'egle mar- meli e di feronie, d' artocarpi, cedri e mirabolani, di jambu e di mangiiere tutti adorni di frutti. In ([nella selva imbandita di cibi divini accorse dagli Uttarakuru (^9) per ordine del gran Risei contemplatore la bella riviera Sa- rasvati, e vi convennero più altre riviere con correnti di sughi diversi. V'erano splendidi edifizj quadrati, stalle degli elefanti e de cavalli, case e palagi con ampie porte, ed una splendida reggia simile a bianca nube con belle porte arcate, sparsa di bianche ghirlande di fiori, spruz- zata d'acque odorose, fiancheggiata da quattro boschi, copiosa di cibi, di bevande e di letti, d'ogni sorta di sughi delicati, di vesti e di squisite delizie, di vasi tersi e lucidi, fornita insomma d'ogni cosa, con nobili seggi apparecchiati e ricoperti di ricchi strati. In quella casa tutta piena di gemme entrò invitato dal grande Risei il forte Bharata figliuol di Caiceyi ; lo seguitarono i consi- glieri col sacerdote, e tutti rimasero pieni di gioia, veg-
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gendo l'ordine mirabile di quella reggia. Colà Bharata s'appressò co' suoi ministri allo splendido seggio regale, al ventaglio ed all' ombrello ; onorò quel seggio , facendo reverenza a Rama, e preso il crinito ventaglio, s' assise compostamente ; dopo lui sedettero per ordine tutti i con- siglieri e il sacerdote, poscia i due illustri duci dell' eser- cito. Allora il pio Bharata ricevè, precedendo Vasistha, lo splendido ospitai convito copioso d' ogni sorta di sa- pori e di profumi. Per comando di Bharadvàga vennero in quel momento innanzi a Bharata tutti ■ que' fiumi con limo latteo , le cui sponde erano d' ambi i lati formate di bianchissimo luto e di preziosi unguenti, mirabili per varietà di forme, dono e favor dei gran Brahmano. In quello stesso istante apparvero le numerose schiere delle Apsarase adorne di celesti ornati, ventimila donne divine rilucenti come oro , flessibili come fibre di loto, mandate da Cuvera; e vennero inoltre dalla selva Nandana trenta mila altre donne, dalle quali ove 1' uom sia preso, diviene insana la sua mente. Cantavano al cospetto di Bharata i supremi fra i Gandharvi Nàrada, Tumburu, Gopa, Pra- datta, Suryamandala, e danzavano innanzi a lui per co- mando di Bharadvàga le Apsarase Alambusa, Misrakesi, Vàmana e Pundarìka. Quante sono le ghirlande degli Dei, quante ve n'ha nella selva Ceitraratha, tutte si vedevano là nella selva Prayàga per comando di Bharadvàga ; e gli asochi, i mirabolani, i jambu ed ogni flessibile pianta silvestre pigliavano nel romitaggio di Bharadvàga forma di donne leggiadre. Beva, si diceva, liquori chi ama bei- liquori, si cibi di latte chi ha voglia di cibo, si mangino carni delicate quante ne desidera ciascuno. Cinque donne u. il
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o sei accostandosi ad un nomo, svestitolo (50) , lo bagnano sulle amene rive del fiume, ed altre donne dagli occhi lucenti gli stanno ministre attorno e lo soffregano; e Le- nendosi poi Ira loro scambievolmente, ne menano altri quelle donne elette. I eavalli e gli asini, gli elefanti, i cammelli e i lori furono cibali aneli' essi con canne di zucchero, miele e grani abbrustolili. Gli egregi e Torli guerrieri degli Icsvacuidi eccitavansi l'un l'altro; né più cu- rava di cavalli il cavaliere, uè d' elefanti colui che li doma; f esercito era allora tutto pieno di gente die tripudia e lascivisce. Quv' guerrieri satollali d'ogni cosa desiderala, lutti cospersi di sandalo rosso, eccitati dalle schiere delle Apsarase, andavano così favellando : Non ritorneremo più noi ad Ayodhya, non più andremo alla selva Dandaca; salute a Bharata ! viva felice Rama ! così parlavano fanti e cavalieri, e montatori d'elefanti. (ìli uomini poi che se- guitavano Bharata, gridavano lietamente con mille voci confuse in una, e sclamavano : E questo il cielo; e poicb' eran essi satollati di que' cibi somiglianti ad Amrita e saziati di vivande divine, più non pensavano al mangiare. Erano pienamente soddisfalli famigli, soldati e cavalieri, tutti rivestiti di vesti nuove ; eran satolli appieno elefanti, asini, e cammelli, tori, capri e pecore, belve e augelli, che han ciascuno diversa voce ed andatura. Non v' avea colà uomo con vesti sucide, immondo od affamato, o coi capelli lordi di polvere. Erano ai lati dell' esercito stagni con limo di latte, fiumi con correnti d'ogni liquor desi- derabile, alberi stillanti nettare e laghi pieni di liquor di lythro fruticoso , circondati da cumuli di carni ar- rostite, bollite, rosolate di cervi, pavoni e starne, di capri
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e di cinghiali, da mucchi di salse delicate, condite con sughi di frutti, e da guazzi di Liquidi diversi. Stanno cola migliaia d'aurei vasi di diversa foggia, incoronati di iìori e di bandiere, rilucenti e pieni di cibo; vi si veggon le- beti, orcj, brocche tutti fatti con bell'arte e colmi di miele; vi sono laghi pieni di fresco siero di burro, fra- grante come latte rappreso, altri d'inzuccherati latteruoli e di bianchissimo latte rappigliato, e mucchi di cocci e di latticinj. Si veggon colà lunghesso i lavacri de1 fiumi polveri levigate , gomme trite , e dentro vasi ogni cosa opportuna ai bagni, masse di nettadenti bianchissimi e raggianti, finissime polveri di sandalo entro bossoli, tersi specchi e serti, calzari e sandali a migliaia, collirio e pet- tini, spazzole e varj ombrelli, mirabili armadure, letti e seggi, pieni abbeveratoi per gli asini ed i cammelli, per gli elefanti ed i cavalli, laghi con bei lavacri per immer- gervisi, coperti di ninfee cerulee e di nelumbi, e mucchi d'erba tenera del color di cupo lapislazzoli. Guardando colà intorno vedean gli uomini armenti senza line, e stu- pivano osservando una tale ospitalità, maravigliosa sì che parea un sogno, apprestata a Bharala dal gran Risei. Mentr' essi così giocondavano nel bel romitaggio di Bha- radvàga, come gli Dei nella selva Nandana , trapassò la notte. Se n'andarono allora i fiumi, e preso commiato da Bharadvàga, quindi si partirono, coni' eran venuti, 1 Gandharvi e tutte quelle donne leggiadre. Così letizia- rono inebbriati di liquori quegli uomini; così ei si co- spersero di sandalo e d' agalloco soave; e così poi furono a mano a mano sparse a terra e calpestate da (pi egli no- mini le varie divine ghirlande nobilissime.
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CAPITOLO CI.
COMMIATO DI BH ARATA.
Ma passata quella nulle, Bharata col suo séguito ac- costatosi a convenevole tempo al suo ospite Bharadvàga, il salutò; e vedendo dinanzi a se in atto reverente il prode Bharata, così gli parlò il Risei che già avea arse sul fuoco le sacre oblazioni : Fu ella a te gioconda, o fi- glio, questa notte? dimmi : fu ella contenta la tua gente dell' avuta ospitalità ? Bharata giungendo le mani sulla fronte ed inchinandosi, così rispose all' eccelso Risei uscito fuori dal suo romitaggio : Son qui dimorato feli- cemente, o venerando, co' miei ministri e con tutto l'esercito, rallegrato da te a dovizia con ogni cosa desi- derata; ristorati d'ogni lor fatica e d'ogni pena, ben accolti e riconfortati stettero qui tutti lietamente, non esclusi neppure 1 servi. Or ti saluto, o venerando; ti piaccia accommiatarmi : me n'andrò a visitare il fratello; guardami con occhio fausto ; e insegnami , o pio , per qual cammino io debba avviarmi alla stanza romita di quel!' uom magnanimo e giusto. Quanti yogani è di qui distante, ed in qual regione si trova il recesso, dove di- mora quel pio con Lacsmano e con Sita? Così interrogato dal magnanimo Bharata , rispose quel grande saggio : Lungi di qui tre yogani e mezzo per la deserta selva v'ha, o diletto, il monte Citracùta pieno di spelonche dilettose e di belle cascate d'acqua : dal lato settentrio- nale del monte corre la riviera Mandàkini (Gange), cir-
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condata d'alberi fiorenti, frequentata da diversi augelli; fra la riviera e il monte tu vedrai una capanna di foglie bene chiusa : colà ho io inteso che dimora Rama con Lacsmano e colla consorte Sita in un ameno romitaggio costrutto in luogo solitario. S1 awii dunque, o Raghuide, il tuo esercito cogli elefanti e coi cavalli diritto alla plaga australe per la via che tende ad Ostro. Udendo che si dovea partire, le donne del re dei re scese dalle lor let- tighe circondarono il Brahmano degnissimo d'onore. Causalya tremante, macilente e misera strinse i piedi di lui colle sue mani : Caiceyi, la donna vituperala da tutte le genti per /' insensato suo desiderio che pur rimase senza effetto, strinse ella pure piena di vergogna i piedi alci Brahmano : Sumitra giratasi in segno ci onore intorno al gran Mimi venerabile, si pose confusa e mesta accanto a Bharata. Allora il costante ne' suoi voti Bharadvàga cosi interrogò Bharata : Desidero conoscer da te di- stintamente le tre tue madri. Così richiesto dal saggio Bharadvàga, Bharata destro al favellare rispose con atto reverente : Quella pia, simile nel sembiante ad una Dea, che tu vedi, o venerando, starsi afflitta innanzi a te, colf animo oppresso dal dolore e colla faccia lagrimosa, colei è Causalya, la qual partorì il prestante Rama che ha por- tamento e forza di leone, come Aditi partorì Brahma. Quella mesta che si tiene avvinta al braccio sinistro di Causalya, come un ramo di pterospermo nudo di foglie in una selva, da colei nacquero, o Brahmano, i due gio- vani eroi pari a due Dei, Lacsmano e Satrughno, dotati amendue di vera forza : tu la vedi starsene là sconsolala in vista e col cuore angosciato; sappi che ella è Sumitra
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madre di Lacsmano. Conosci or quella terza; eli' è naia madre, la crudele e vii Caiceyi cupida d'impero, mici- dial del suo consorte, rovina della nostra stirpe : ecco se ne sta là quella cruda di mente maligna, in cui io veggo la radice della grande mia sventura. Cosi parlando quel generoso con voce rotta dal pianto, sospirava irato cogli occhi accesi , come un elefante fra le selve. Ma il gran Risei Bharadvàga pien di senno rispose allora con parole acconce a Bharata che così favellava : Non si dee da te , o Bharata, riprender Caiceyi di quella colpa; perocché quest' esilio di Rama sarà sorgente di prosperità. Salutato allora quell1 noni perfetto , e giratosi intorno a lui per segno (l ossequio, Bharata convocò l'esercito, ed ordinò che s'ap- prestassero i carri; e tosto giunti i cavalli a molti carri guerniti di linissim' oro, vi salì sopra molta gente desi- derosa di partire. Si misero quindi in via 1 guerrieri che combattono sopra elefanti, gli elefanti colle lor bandiere e collane d'oro, strepitanti come nubi sul finir della state; s' avviarono i diversi carri leggeri ed ampi e di gran pre- gio, e con essi i fanti a piedi; e sul più nobile de' carri le donne e prima fra lor Causalya, desiderose e liete di ri- veder Rama. S'avviò, stando sopra una bella e splendida lettiga, lucente come sol che nasce, il saggio Bharata col suo corteggio, ed a lui teneva dietro il jDiode Sumantro con tutto il séguito, colle insegne, cogli ornamenti e colle macchine da guerra. Quell' esercito mosso ed avviato alla plaga meridionale, pieno d' elefanti e di cavalli somigliava ad una gran nuvola che si sollevi ; ed oltrepassate foreste abitate da belve e da augelli, traghettò esso quindi la profonda e pescosa riviera Yamuna. Immersosi nella gran
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selva, spaventando augelli e fiere, risplendeva l'esercito di Bharata co1 suoi elefanti, cavalli e guerrieri esultanti.
CAPITOLO GII.
VEDUTA DEL RECESSO DI RAMA.
Sbaragliati da quella grand' oste che marciava, gli ani- mali abitatori della selva fuggirono qua e là a schiere coi loro duci; e si vedevano d'ogni parte per le regioni sil- vestri , su pei monti e per li fiumi torme di cervi e d' orsi urlanti. Camminava intanto, per desiderio di veder Rama, \[ saggio e pio Bharata Dasaralhide circondato da' suoi forti guerrieri , esperti a ferir con punte di saette sibi- lanti; e s'addentrò nella gran selva frequentata da fiere e da serpenti. L'oste che lo seguitava, simile ai flutti dell'Oceano, copriva la terra, come le nuvole il cielo alla slagion delle pioggie. Chiuso in quella region selvosa rimase 1' esercito lungo tempo occulto colle sue schiere di cavalli vaganti e d'elefanti simili a monti. Ma progredito per lungo spazio di via con cavalli indefessi, così parlò il savio Bharata all' ossequente Satrughno : Tal si vede qui l'aspetto della regione, quale io l'udii descrivere; per certo siam noi pervenuti al luogo che c'indicò Bharadvàga : è quello il monte Citraciìta; è quella la riviera Mandàkini, ed ecco apparir da lungi quella selva che somiglia ad un ammasso di fosche nuvole. Gli eccelsi miei elefanti cal- pestano ora gli alti piani dilettevoli del monte Citraciìta. sopra i quali spandono gli alberi fiori d' ogni sorta, come versan acqua le scure nuvole sul finir della calda stagione.
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Si veggon qui torme di iìere correr con impelo veloce, come in cielo alla stagione autunnale gruppi di nuvole sospinte dal vento. Mira, o Satrughno , il monte, i cui recessi son frequentati dai Kinnari, or tutto ingombrò da' miei cavalli, come il mar dai mostri acquatici. Ecco i valenti guerrieri meridionali coi loro scudi chepaion nubi farsi intorno al capo quasi altrettanti serti di fiori odorosi. Coni1 era silenziosa questa selva d' orribile aspetto ! tale or mi figuro Ayodhya colla sua calca di gente mesta. Vedi, o Satrughno, quella polvere che sollevata dall'unghie de' cavalli se ne sta quasi velando il cielo, e che poi disperde il rapido vento, come per farmi cosa cara : vedi que' carri tratti da celeri cavalli e guidali da cocchieri eletti tras- correr veloci per la selva : mira spaventati dallo strepito de' carri que1 bellissimi pavoni, d'aspetto sì grazioso che paiono dipinti di fiori ; quelle schiere di cervi che uniti colle cerve se ne van per la foresta ed abitan questo monte , sede degli augelli. Parmi oltremodo dilettosa questa re- gione; ella è senza alcun dubbio la stanza d'austeri asceti, simile alla via celeste. Or qui si fermino i miei guerrieri, e tutta cerchino la foresta; si faccia in modo ch'io ritrovi i due generosi mìci fratelli. Udite le parole di Bharata, s' internarono in quella regione selvosa guerrieri armati di saette, e videro poco stante sollevarsi un fumo; il qual veduto, così ei dissero a Bharata lor signore : V'ha qui fuoco che pare acceso da man d' uomo ; per certo son qui i Raghuidi ; o se pure non son qui i nobili e forti figli del re , vi saranno altri solitarj asceti conoscitori di queste selve. Ciò udendo il saggio Bharata, domator delle schiere ne- miche, così disse a quei guerrieri : Rimanete voi qui
vyodhyac \\D.\. ,s<)
fermi; non si dee da voi andai- più innanzi; m'inoltrerò io solo con Dhristi e con Snmantro. Cosi detto, si mosse il valoroso Bharata, dirizzando lo sguardo colà dove ap- pariva il fumo. La grand' oste fermatasi quivi, guardando innanzi a se il fumo che usciva dalla selva, tutta si ralle- grò per la speranza di ritrovare il diletto Rama.
CAPITOLO CHI.
DESCRIZIONE DEL MONTE CITRACLTA.
Dopo aver lungo tempo soggiornalo ospite diletto su quel monte , ragionando care cose colla Videhese ed os- servando l'animo suo, Rama simile ad un Immortale mostrava allora alla sua consorte il bel monte Citracùta, come avrebbe fatto Indra a Saci : Contemplando, o Sita, questo monte dilettoso , più non m' accuora la perdita del regno, né la separazione dagli amici. Mira, o Sita, questo monte pieno di varie qualità d'augelli, abbellito da ver- tici metalliferi che si levan quasi infìno al cielo : fra le alture metallifere di questo gran monte alcune paiono d'argento, altre son del color del sangue, altre di color tra rosso e giallo, e alcune sembrano di smeraldo; queste han sembianza di verdissime bandiere, quelle risplendono come oro (51). Adorno d'ogni sorta d'alberi, co' suoi alti rispianati abitati da schiere di scimie, di tigri e di iene è mirabile questo monte. Ei nutre la Prosperità, ricco qual egli è di mangifere, di jambu, di pentaptere , di sym- plochi, di buchananie, di grislee, d'alangi, di averhoe, d' artocarpi, d' egle, di diospyri, di bambù, di guidine, il. 12
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di ,s;i|)in(li , di lapie, di bassie, di tile, di giuggioli, di mirabolani, di cadambe, di canne, di sandali, di cedri e d'altri alberi tutti pieni di frutti e di fiori, ombriferi e giocondi ali1 animo. Vedi, o nobil donna, quegli accorti Kinnari simili a Dei diportarsi a coppia a coppia sopra i bei rispianati del monte : mira sospese ai rami quelle spade e quelle nobili vesti, mira quegli ameni recessi dove scherzano insieme le donne dei Vidyàdhari. Con ([nelle cascate, con que1 fessi, con que1 rivi qua e là scor- renti somiglia questo monte a un grande elefante, altai- che per calda passione gli cola umor dalle guance. Qual noni non sarebbe rallegrato dalle fragranze de' diversi fiori, le quali muovono da quegli antri riposti, gioconde all'odorato e soavissime? Se io pur dovessi qui rimanere parecchi autunni con Lacsmano e con te, donna incol- pabile, non sentirci l'arsura del dolore : perocché è con- lento ogni mio desiderio sopra queste mirabili e belle alture copiose di frutti e di fiori, piene (fogni sorta d' augelli. Per questo mio esilio nelle selve ho io acqui- stato due gran beni ; ho sciolto dal vincolo del suo debito il padre, ed ho latto a Bharata cosa cara. Dimmi, o Sila, ti diletti tu qui con me sul Citracùta, osservando i varj oggetti sì confacenti ali1 animo, al corpo, alla favella? Qui abitando frale selve, o Sita, altri re Sapienti miei ante- nati conseguirono morendo f amrita. Le grandi rocce onci1 è tutto sparso questo monte , splendono in varj modi di co- lori diversi, azzurro, giallo, bianco e rosso fosco. Si veg- gono qui a mille a mille piante di vario colore, risplendenti come fiamme vive col fulgor della loro luce. Alcune re- gioni di questo monte sembrano case; altre son confor-
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male a modo di giardino, ed altre si compongono d'un sol masso; e il Citracùta colla sua vetta elevala pare che fenda il cielo. E veramente sede beala questo Citracùta dai bei vertici, abitato dai Genj (ìuhyaci! Mira que' strati ornali di bei costi, di ninfee, di mimusopi, di bhurga- patri, sparsi di morbidi fior di loto, ed appareccbiah per gli amanti : vedi, o donna, quelle ghirlande di ne- lumbi rigettate dagli amanti e calpestate; mira per tutto frutti d'ogni sorta. Più assai che il lago divino Vasvauka- sàra ( L>2) , più ancor che gli Uttarakuru è questo monte Citracùta copioso d' acque, di frutti e di radici. Dipor- tandomi qui con te, o leggiadra, e con Lacsmano durante questo tempo, avrò io dolce diletto, e intanto adempirò il dovere che s'addice alla mia stirpe, stando nel cammin dei buoni e mantenendo la mia promessa.
CAPITOLO Cl\.
DESCRIZIONE DELLA MANDARINI (GANGE
Ma venuto intanto fuor di quel monte, Rama dagli occhi di loto, signor dei Cosali, mostrò alla Mithilese l'amena riviera Mandàkini dalle pure acque, e così parlò alla leggiadra figlia del re di Videha , il cui volto pareggia di beltà la luna : Mira la bella riviera Mandàkini sparsa qua e là d'isolette, piena di cigni e di grue, coperta di bianchi fior di loto e di cerulee ninfee, intorniata d' al- beri diversi copiosi di fiori e di frutti, risplendente in ogni parte come il lago divino di Cuvera. Mi porgono di- tello que' bellissimi lavacri, dove si dissetano ora schiere
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di belve che ne intorbidano le acque. Ecco Torà in cui s'immergono nel fiume que' Risei perfettissimi vestili di nebridi e di corteccie, colla chioma ravvolta a modo ascetico; que' santi saggi fedeli ai loro voti colle braccia sollevate in atto pio, e con voce soa\e \enerano or;i de- votamente il sole. Mira quegli alberi protesi quasi sul monte, e le cui cime scosse dal vento copron la terra con una pioggia di fiori : vedi , o donna dai begli occhi , agitati e dispersi dal vento que1 nembi di fiori ed altri andar fluttuando sovra l'acqua. Mira la riviera Mandakini qui colle sue acque nitide come gemme, là seminata d' isolette , e in altro luogo tutta sparsa di villaggi : ecco volar quelle anase, di cui è sì soave il canto, empiendo l'aria di dolci note; niuna cosa, io credo, v'ha nel sog- giorno della città, che superi la vista del Citracùta e della Mandakini e l'aspetto di te, o gentile. Immergiti con me, o Sita, nella Mandakini, le cui acque son di continuo agi- late dai Mimi, ardenti come il fuoco del sacrifizio, ricchi d'ascetismo e di continenza; immergiti a guisa d'amica nella riviera che sempre volve chiare acque, e le cui onde paiono ornarla come smaniglie. Reputa, o donna, questo monte co' suoi alberi come Ayodhya co' suoi abitatori, e questa riviera come pur fosse la Sarayu. Il pio Lacsmano pronto ad eseguire ogni mio volere, e tu, o Videhese, che mi sei sì ossequente, rallegrate qui entrambi l'animo mio. Immergiti, o donna, in questo bel fiume, cogliendo colle tue mani, delicate come foglie di loto, fiori di nin- fee e bevendo di quesf acque. Facendo qui ogni dì con te le tre abluzioni, nutrendomi nella selva di frutti e di radici, io più non desidero Avodhya né l'impero. Con-
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templando questa bella riviera agitata da stormi di belve, ove accorrono a dissetarsi elefanti, leoni e scimie, e adorna su le sue rive d'alberi fiorenti, non v' ba chi non deponga ogni sua pena. Così parlando colla sua diletta lunghe e dolci parole sopra quella riviera, Rama onor della stirpe di Raglili peragrava il bel monte Citracùta.
CAPITOLO CV.
IL TELO LANCIATO.
Coni' ebbe Rama mostrato alla figlia di Ganaca la bella riviera e il monte Citracùta , se ne ritornava addietro. Ei vide nella parte settentrionale appiè del monte un amena spelonca sparsa di rocce e di metalli, chiusa d'alberi soavemente tremolanti ed incurvati sotto il peso de' lor fiori, secreta, sol frequentata da schiere di lieti augelli. \ cduto quello speco dilettoso alla vista e all' animo d'ogni creatura, cosi parlò Rama a Sita maravigliata all' aspetto di quelle selve : Dimmi, o Videhese, si rallegra egli il tuo occhio nella veduta di quello speco? or via sediamoci qui alquanto per cessare la stanchezza ; ei pare disposto per te qui dinanzi quel seggio di rocce, accanto a cui sta queir albero di mimusope , che sembra spandere una pioggia di fiori. Udito il parlar di Rama, Sita gentile per natura rispose con voce soavissima queste parole piene d'amore : A me si conviene, o Raghuide, confor- marmi in tutto ai tuoi detti; ben mi pare esser qui per diletto delle creature quelf albero che io veggo tutto pieno di fiori. Intesi que' detti, s' assise Rama colla sua
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consorte su quel seggio eli rocce, e così parlò a Sila dai grand' occhi : Mira quegli alberi rotti dal dente degli ele- fanti spander, lagrimando, gomme dalle lor rotture; odi d'ogni intorno pianger quasi con lungo canto i grilli; quell'augello amante di sua prole parche gridi con pietoso e dolce suono : oh figlio! oh figlio! come un dì Iacea mia madie : queir altro augello che s'appella lanio, posalo sopra il tronco d' un albero, facendo quasi un concento di voce, risponde al canto di quel cokilo ; credo che quell' augello sia il drudo di quello stormo di cokili ; perocché va gridando : unitevi dolcemente! discioglie- tevi (53) ! Quella pianta strisciante che incurvata dal peso de' suoi fiori, s'avviticchia a quell'albero fiorente, somi- glia a te, o donna, allor che vinta dalla stanchezza li strinai a me fortemente. Mentre Rama così favellava alla leggiadra Milhilese dal parlar soave, che gli sedeva in grembo, ella si raccolse più strettamente a lui, e convol- gendosi nel suo grembo, rallegrava il cuor del suo sposo quella donna d'amabile volto, pan alla figlia d'una Dea. Allora Rama fregando il dito sopra un nitido masso d' ar- senico rosso, impresse sulla fronte della sua consorte un segno risplendente; colla fronte segnata da quel metallo di color simile al sol che spunta, Sita rassomigliava alla nascente aurora : quindi il Raghuide premendo colla sua mano alcuni fiori del mimusope, ne empiè tutto gioioso le trecce della Mithilese. Preso così diletto in quello speco, il Raghuide seguitato da Sita s' indirizzò verso un altra parte; ma mentrechè peragrava la foresta piena di belve, Sita vide un grande scimio duce di schiera, e per paura ella si strinse a Rama; e Rama dalle forti braccia strin-
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gendo a se quella donna dai bei lombi, che ancor tre- mava nel suo amplesso, la rassicurò minacciando il sci- mio. Fn quella il segno d'arsenico che era sulla fronte di Sita, apparve improntato sul volto di Rama dal largo petto. Allontanatosi poi quel grande scimio, rise Sila veggendo appiccato al suo sposo quel segno d'arsenico rosso. Poco lungi di là la Videhese vide in quella selva dilettosa un boschetto d' asoki, che pareva acceso dal color di que fiori; e come il vide, presa da vaghezza di que' fiori d' asoka, così disse a Rama : Orsù andiamo verso quel bosco, o figlio d' Fcsvacu; e Rama per far cosa grata a quella donna di beltà divina n' andò lieto con lei a quel bosco d' asoki ; e tutto lo percorse colla sua sposa, come percorre i boschi dell' Hi mala va Siva colla figlia del monte (Urna). Quei due amanti col volto di color di porpora s' ornarono quivi scambievolmente di fiori d' asoka pieni di gemme ; e colle silvestri loro ghirlande annodate, coi loro serti, colle loro anella pen- denti alle orecchie que' due sposi abbellivano mirabil- mente (piel monte. Poich' ebbe Rama cosi mostrato alla sua sposa varj siti di quella regione, se ne ritornò al pulito e adorno suo romitaggio. Se gli fece sollecito in- contro il devoto Lacsmano, e gli mostrò le varie bisogne che egli avea fatte in quel mentre; dieci nere antilope atte al sacrifizio uccise colà dalle acute sue saette, alcune ridotte in pezzi, altre diseccate, altre crude, altre già cotte. Veduta tutta quell'opera del Saumitride, si mostrò contento Rama, e impose a Sita d'apprestare le sacre oblazioni. La leggiadra Sita, offerti dapprima alimenti a tutte le viventi creature, mise poscia dinanzi ai due fra-
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felli miele e carni apparecchiate; e come (mono satollati e purificatisi que'due eroi, si nutrì allora conforme alf uso la figlia di Ganaca; e quel che rimase delle carni ta- gliate ed ammannite perla diseccazione , Sila per ordine di Rama il pose in serbo per le cornici. Ma Rama vide allora la sua sposa fieramente molestata da una cornice, che vagava per 1' aria a suo talento, e lalor correa per le creste del monte. Sorrise Rama, veggendo la leggiadra Sita travagliata da quella cornice e in grande affanno ; ed ella s'indispettiva superba dell1 amor del suo sposo. Ma dopo aver respinto più e più volte or dall' una parte, ora dall' altra la cornice , e questa ognor più percuotendola or colf ali, or col becco, or cogli artigli, si corruccio la Videhesc. Rama veggendo allora le sue labbra tremanti per isdegno e il suo volto corrugato dall' aggrottar delle ciglia, respinse la cornice. Ma l'augello baldanzoso ed arrogante, non avendo riguardo a Rama, tornava pur nondimeno volando a Sita; allor s'accese di sdegno il forte Rama; ed incoccato un telo arcano (5/i) e dirizzato quel telo contro la cornice, lo scagliò quel valoroso. As- salita da quel telo si mise la cornice, cui era stata concessa dagli Dei tal grazia, a circuire i tre mondi rapida e sor- volando fra le vette de' monti : ma dovunque ella andava, da per tutto vedeva l'etere, come fosse pieno di teli; ond' ella ritornò a Rama , e si prosternò col capo a terra ai piedi di lui, e presa, veggente Sita, umana voce, così disse : Abbi di me pietà, o Rama; e sia salva la mia vita; io non trovo rifugio in alcun luogo dalla forza sovrumana di questo telo, Alla cornice che stava col capo a' suoi piedi , rispose Rama per compassione queste veraci pa-
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iole : Vinto dallo sdegno, e per far cosa cara a Sita io ho incantato per la tua morte ed incoccato questo telo : ma poiché per desiderio della vita tu sei venuto a proster- narli ai miei piedi, io avrò a te benigno riguardo; peroc- ché si dee proteggere il supplice; ma questo telo dehhe pur avere il suo e fletto, onde abbandonami un membro del tuo corpo; dimmi qual tuo membro debba ferire questo telo; di ciò solo io posso compiacerti, o augello; vivi privato d'un membro; che la vita è pur migliore della morte. Udite quelle parole di Rama, l'accorto au- gello pensando fra se , giudicò per lo suo migliore di due occhi abbandonarne uno, e disse a Rama : Io abbandono un occhio, e vivrò con un occhio solo per tuo favore, o re. Il telo allora per ordine di Rama recise un occhio della cornice; e rimase stupefatta la Videhese al veder percosso l'occhio dell'augello. Inchinatosi dinanzi a Rama, se n'andò quindi libera e rapida la cornice, e Rama in- sieme con Lacsmano diessi poscia ad attendere all' opere sue (55).
CAPITOLO CVI.
SDEGNO DI LACSMANO.
Ma stando colà Rama ed inoltrandosi Rharata, s'udì improvvisamente l'alto fragore del grande esercito. Ri- scosse da quel gran frastuono che ognor vie più crescea, le tigri abbandonarono le spelonche, si nascosero gli abi- tatori della selva ; fuggiron volando gli augelli spaventati , si diedero a correre le schiere de' cervi, gli orsi lasciaron
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gli alberi, si rifuggirono aegli antri i scimi; gli elefanti coi loro duci andavan fuggendo impaurili, come allor che il fuoco arde le selve, aprivan con largo iato la bocca i fieri leoni, guardavano attoniti i bufali, s'addentravano nelle caverne i serpi; i Brahmani asceti mormoravan parole di salvezza, fuggivano i Vidyadhari, ricoveravano negli spechi i Cinnari. Ma Lacsmano avvicinatosi al luogo onde veniva quello strepilo, annunziò a Rama : E il fragor d'un esercito che s'appressa. A lui rispose Rama imper- turbato : Nobil figlio di Sumitra, rimbomba altamente la terra; fa di saper con certezza che ciò sia. Salito prestamente sopra un albero tutto fiorito, Lacsmano si diede a riguardare f una dopo l'altra le regioni, e lei ino il suo sguardo sopra la plaga orientale; ma rivolta la faccia a settentrione ed osservando intento, ei vide il grande esercito pieno d' elefanti, di cavalli e di carri, protetto da strenui pedoni. Il prestante Lacsmano sper- ditor degli eroi nemici significò a Rama che foste s'inoltrava, e cosi gli disse : Cessa dal dilettarti, o gene- roso; entri Sita in uno speco, e tu incorda due archi e indossa l'armadura. Sentendo Rama esser quelf esercito pieno d'elefanti, di cavalli e di carri, interrogò il Saumi- tride : Di chi credi tu esser quell'oste che qui viene? credi tu che sia qualche re, o qualche figlio di re, che venga a caccia in questa selva ^ dimmi schiettamente, o Lacsmano, quel che pensi. Così interrogato da Rama, rispose Lacsmano ardente d' ira e acceso come fuoco : È colui certamente il tuo rivale Bharata figliuol di Gai- ceyi, il (piale fattosi consacrar re, or qui ne viene per cupidità d'impero ad uccidere noi due. Ecco apparir
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rospicuo sopra il dosso di queir elefante quel grand1 albero ramoso e di grosso tronco, come pur fosse il ves- sillo di bauhinia. Si muovono a lor voglia que' celeri ea- valli nati in Vanàyu; e que' guerrieri son tutti colf arco in mano; tienti pronto in armi, o valoroso; oppur ti ripara eolla consorte in una caverna di questo monte. È colai per cerio Bharata qui venuto eoi vessillo di bauhinia per ucciderci in battaglia; si veggon baldanzosi sopra i lor eavalli i cavalieri; tu sei circonvenuto da ogni parte, o Rama; riparali sul monte. Possa io pure veder oggi quel Bharata, per causa di cui tu sei, o Raghuide, caduto con me in questo grande infortunio. É pur giunto alla gittata delle mie saette quel tuo crudel nemico, per cui cagione tu fosti escluso dall' immortai tuo regno. Né io veggo colpa alcuna nel dar morte a Bharata; ucciso oggi costui, reggi tu questa terra. Vegga oggi con suo dolore Caiceyi avida di regnare ucciso in battaglia suo lìglio, come un albero rotto da un elefante; e ucciderò Caiceyi stessa co suoi amici, co suoi complici; sia oggi purgata la terra d' un gran reato. Scaglierò oggi sopra quei guer- rieri l'ira contenuta che mi pesa, come s'appicca il fuoco ad aridi legni. Colle acute mie saette farò 0£-m insangui- nata dai corpi de' nemici laceri questa selva del Citracùta. Siano trascinati dalle belve rapaci gli elefanti ed i cavalli squarciati al cuore dalle mie frecce, e gli uomini da me spenti. Sconiitto oggi in battaglia Bharata col suo eser- cito, sarò io senza alcun dubbio sciolto d' ogni mio obbligo col mio arco e colle mie saette. Vedrai oggi, o signor degli uomini, quell'esercito di Bharata co' suoi elefanti e cavalli abbattuti, svelle le ruote dai cani, disfatte le
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membra degli uomini, e ferito dalle mie saette, bagnato nel suo sangue giacer pasto de1 lupi, degli augelli e delle fiere.
CAPITOLO CVII.
LA DISCESA DALL' ALBEKO.
Ma Rama imperturbato si diede a mitigare il Saumi - tride Lacsmano agitato dall' ira, e così gli disse : Quando mai ti fu per l' addietro fatta da Bharata cosa discara? quale offesa ricevesti da lui, per la qual tu desideri la sua morte? che bisogno or v'ha d'arco, di spada o di scudo per esser qui venuto il saggio Bharata grande arciero? avuta indicazion del tempo e del luogo, egli qui venne per desiderio di vederci; ma ei non s'indurrebbe giam- mai a farci oltraggio neppur col pensiero. Tu non dei dire a Bharata parole spiacenti od ingiuriose; perocché io avrei come detta a me stesso ogni spiacevole parola detta a Bharata. Quando mai un figlio, in qualunque in- fortunio ei si trovi , potrebb' egli uccidere il padre, ovvero il fratello uccidere il fratello che gli è caro? Se tu così parli per cagion del regno , io dirò veggendo Bharata : Dona a costui l'impero; che per certo, o Lacsmano, se Bharata venisse da me richiesto di darti il regno, rispon- derebbe : così pur sia. Mentre così parlava quell' uom verace e pio, Lacsmano si ristrinse tutto in se stesso per vergogna ; e udite quelle parole , così ei rispose ver- gognando : Or credo, come tu dici, che il fratello Bha- rata sia qui venuto per vederti. Scorgendo Lacsmano
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vergognoso , così prese Rama a dire : Senza dubbio queh" uom forte qui ne viene a visitarci, ovver pensando al duro soggiorno delle selve, ei qui venne per ricondurre a casa la Videhese stata finor blandita con ogni sorta di delizie. Ecco si scorgono dinanzi i due cavalli del re, nati di nobile stirpe, forti, fieri, rapidi come il vento, e torreggia col suo gran corpo in fronte dell'esercito il grande elefante di mio padre, che s'appella Satrungaya. Così parlando Piama col Saumitride, osservava insieme con Sita quell' oste baldanzosa : intanto il forte Lacsmano disceso dalla vetta dell' albero ed accostatosi pien di ver- gogna a Rama, se ne stava col capo dimesso. Ma l'eser- cito avuto ordine da Bharata di non far colà alcun guasto , si diede a preparar gli alloggiamenti all' intorno di quella regione. Quell' oste degli Icsvacuidi piena di cavalli e d' elefanti stanziò condensata nella foresta lungi dal monte poco più d' un mezzo vogano ; ed allogato 1' esercito , il nobile Bharata devoto al suo fratello s'avviò a piedi a visitare il Cacutsthide. Era bella a vedersi quell'oste, che il prode Bharata, lasciata ogni alterezza ed antepo- nendo a ogni altra cosa il suo dovere, condusse sul Ci- tracùta a propiziare il suo maggior fratello.
CAPITOLO CVIII.
INCONTRO DI BHARATA CON RAMA.
Stanziato l'esercito, l'eccelso Bharata insieme con Satrughno andava con gran desiderio cercando di veder Rama; ed imposto al Risei Vasistha di menar colà tosto
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le sue madri, camminava .sollecito innanzi queir noni devoto ai suoi maggiori. Sumantro seguitava Satrughno con pronta sollecitudine; ed era eguale in lui ed in Bharata la gioia di riveder Rama. Andava Bharata do- mandando gii asceti che colà dimoravano, e vedeva per quella selva apparecchiati grandi cumuli di cervi, di bu- fali e di bovina secca per servigio del sacro fuoco. E pur sempre andando oltre, qu eli1 uomo illustre e forte cosi parlava ai ministri che un di onorava suo padre : Penso che noi siam giunti a quella regione che e' indicò Bha- radvàga e non esser molto lungi di qui la riviera Mandà- kini. Ei furon, non v'ha dubbio, ratinati da Lacsmano que1 frutti, ammassati que1 fiori, spezzate quelle legna, ravvolte quelle radici, sospese in alto quelle vesti. Questa via è tutta distinta di segni, che lor sono come indizj , quand' ei tornan la sera al romitaggio. Qui dallato al monte è la via calcata dagli impetuosi elefanti dai bian- chi denti, che s' appellali F un l'altro con barriti. Si scorge là il denso fumo del fuoco che a man gii asceti mantener di continuo pur fra le selve. Io vedrò pur oggi il Cacutsthide generoso, d'aspetto simile ad un gran Risei, che qui adempie il comando del padre. Ma dopo aver per qualche tempo percorso in ogni parte il Citra- cùta , giunto alla Mandàkini, così parlò Bharata alla sua gente : Quell' uom sovra ogni altro eccelso sen giace qui sulla terra all'aria aperta; quel sovrano degli uomini è venuto ad abitar fra le deserte selve ! sia maledetta la mia nascita e la mia vita! caduto per cagion mia in infortunio, il Raghuide pari ad un Custode del mondo, lasciata ogni delizia, dimora or sottomesso in una selva : ma io mi
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getterò iteratamente ai piedi di quell'ottimo fra gli uo- mini, propiziandolo, e di Sila. Mentre il Dasarathide andava cosi lamentando fra la selva, vide una bella e grande capanna di foglie, dilettevole all'aspetto, spa- ziosa ed alta, ricoperta con molte fiondi di shorea, di palma e d'asvacarno, come si copre con poe cynosuroidi l'ara del sacrifizio. Ella era ornata di due grand' archi , simili all'arco d'Indra, col dosso aurato, che la proteg- gevano come due serpenti; era guernita di saette chiuse nelle lor faretre, terribili, lucenti come i raggi del sole, qual è protetta Bhogavati (5e>) da serpenti con facce info- cate ; era adorna di due grandi spade con argentee guaine, di due scudi chiazzati d'oro e di fascie di cuoio per difender le dita e il braccio dai colpi dell'arco, belle, ornate d'oro e colà affisse; era insuperabile ad ogni schiera di nemici , com' è inaccessibile ai cervi la caverna del leone. Colà in quella abitazion di Rama vide Bharata una beli' ara con sopravi fuoco acceso , posta in un sito che era declive verso borea ed oriente; e riguardando alquanto fiso, egli scorse seduto in quella capanna il fra- tello Rama vestito di corteccie e colla chioma ravvolta a modo ascetico, seduto con Lacsmano e con Sita quel Rama che ha omeri di leone, lunghe braccia, occhi si- mili a fior di loto, che è atto a proteggere la terra cinta dal mare, che è costante nella giustizia, magnanimo, prestante, immortale come Brahma. Tosto che vide il fratello, l'illustre e pio Bharata corse alla sua volta op- presso dall'affanno e dal dolore, e contemplandolo si diede a lamentar con llebil voce, non potendo mantener la sua fermezza, e cosi disse : Colui che era un di tutto
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cinto da carri, da cavalli e da elefanti, colui che non si poteva veder dagli uomini affollati 1' un sopra l'altro, il mio fratello primogenito se ne sta ora qui circondato da fiere selvagge. Quegli che accumulò già grandi meriti con sacrifìzj ben ordinati, cerca ora d'acquistar nuovo merito con pene corporali. Come è or qui sordidato il corpo di quel!' noni prestante , che soleva un dì lisciarsi con sandalo prezioso! colui che soprabbondava un dì di vesti, giace or qui sulla nuda terra vestito di nebride : come mai quegli che usava portar splendidi serti e fiori d'ogni maniera, sopporta ora il peso della chioma rav- volta? per cagion mia cadde in tale sventura Rama degno di prospera sorte. Onta a me crudele! onta al viver mio vituperato dalle genti! Così lamentando afflitto, col bel volto sparso di sudore, Bharata accostatosi a Rama cadde piangendo a' suoi piedi; e cruciato dal suo dolore e mesto quel forte figlio di re, poich'ebbe detto pur una volta : Oh mio signore! più non disse; che proferite quelle pa- role, guardando egli l'inclito Rama e le lagrime soffo- candogli la gola, più non potè favellare. Satrughno pur piangendo, venerò i piedi di Rama; ed abbracciando i due suoi fratelli versava lagrime pur Rama. Così con Su- mantro convennero insieme nella selva i figli del re, come fanno in cielo la Luna, il Sole, Sukra e Vrihaspati (57) ; ed 1 silvestri abitatori veggendo là convenuti in quella gran selva que' principi simili ad elefanti , tutti quivi accoltisi e tocchi da pietà si diedero pur essi a pian- gere.
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CAPITOLO CIX.
domwdi-:.
Ma Rama, poich' ebbe abbracciato e baciato Bharata sul capo, fattolo seder sul suo grembo, così l'interrogò sollecito : Dov'era, o caro, tuo padre, allor che tu ve- nisti nelle selve? che vivendo in Ayodhya il padre, non si conveniva a te qui avviarti. Oh dopo lungo tempo ti riveggo , o Bharata , venuto da lungi in questa selva inopportuno ! perchè venisti , o caro , in questa selva ? Dimmi, è egli prospero il re Dasaratha fedele alle sue promesse, ordinator di sacrifìcj Ràgasùyi e d'Asvame- dhi (58) , conoscitor del giusto e del vero ? è egli onorato, qual si conviene, il saggio Brahmano sacro maestro degli Icsvacuidi, pio e costante ne' suoi doveri? è ella pro- spera, o caro, Causalya e l1 inclita Sumitra? è ella lieta la nobil regina Caiceyi? venne egli qui ed è egli onorato il nobile e modesto sacerdote, versato ne' Vedi e libero da invidia ? attende egli costante al sacro fuoco il saggio e retto tuo Brahmano, e ti significa egli a tempo oppor- tuno il sacrifizio fatto e quei da farsi? onori tu l'egregio maestro dell' arte di saettare , esperto nell' uso d' ogni arme e mastro arciero? son eglino forti, a te conformi, versati nella sacra scienza, donni de' lor sensi, conosci- tori de' tuoi cenni, a te devoti e riconoscenti, o caro, 1 tuoi consiglieri ? Attorniato da consiglieri eletti e da mi- nistri che conoscon la giustizia, Vigayo è, o Raghuide, la radice dei consigli del re. Non ti lasci tu vincer dal
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sonno:1 sei tu desto a convenevole tempo:' consideri hi il domani con mente sagace le cose? ti consigli In Forse solo, oppur con molti? e il consiglio che In hai preso, è egli forse divulgato per lo regno? allor che tu hai ben ponderata una cosa, di cui talora è tenue la radice e grande il frutto, la rechi tu prontamente ad effetto e non procrastini tu, o Raghuide? 1 re della terra sanno ei forse i tuoi negozj, sia quei che si stanno trattando, o quei che son quasi compiuti, o quelli che son da eseguirsi? son eglino forse da te o dai tuoi ministri vessati eli uo- mini sia con esame oppur senz1 essere esaminati? prefe- risci tu a mille stolti un sol uom saggio? che un uoni saggio ne1 difficili casi ti darà salutar consiglio. 11 re che è circondato da mille stolli ed anche da cento mila, non avrà mai da loro aiuto : un sol ministro saggio, moderato, esperto e forte innalzerà ad altissima gloria un principe od un re. I tuoi servi son eglino adoperati i primi alle cose principali, i mezzani alle mezzane, gli ultimi alle ultime? è egli, o Raghuide, felice e prospero il regno? è egli popoloso, ben fornito d1 agricoltori, ornato di templi, di fonti e di stagni, pieno di gente lieta, ralle- grato da feste e da conviti? son eglino ben arati i suoi campi ed abbondevoli d'armenti? è egli securo da ogni offesa, senza danno d'inondazioni e preservato dalle belve rapaci? attendono essi all'agricoltura ed al governo degli armenti i Vaisyi (59)? su quest'arte, o caro, riposa 1' uomo, che si sostenta colf agricoltura. Sono da te sos- tenuti i Vaisyi col porre alla lor difesa pubblici offi- ciali (G0)? Perocché è dover del re proteggere tutti coloro che attendono ai negozj della vita. Consoli tu le donne?
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sono elle da te ben custodite? li fidi lu Torse a loro, od apri loro il tuo secreto? è ella ben guardata, o nobil figlio di Caiceyi, la truppa degli elefanti? non ti diletti tu forse degli elefanti dai denti elevati? è egli costantemente de- dito all' util tuo ed invincibile l'eroe capo del tuo eser- cito, perito nell'arte della guerra? coltivi tu forse Brah- mani atei? costoro fan mostra di perizia in cose inutili, stolti che si vantan di sapere : ignari dell' altre dottrine principali che han realtà, e rivolta la lor mente a lo- giche sottigliezze, ei ti ragionali cose vane. Mostri tu, o generoso , debito ossecpiio al padre , ed hai tu egual rispetto agli avi? deputi tu all' opere più importanti i migliori e più antichi tuoi ministri, i più sinceri ed in- corrotti? non ti mitri solo tu di cibi, o Raghuide? ali- menti tu parimente i tuoi servi? i tuoi cavalli ed ele- fanti son eglino pasciuti in tua presenza da uomini periti nell'armi, da tisici esperti, riputati per la lor destrezza? è egli ben custodito il tuo carro, e il traggon eglino ra- pidi cavalli? van forse attorno per lo regno rapitori dell' altrui sustanza? ti disprezzano forse come un uom caduto i Brahmani sacrificatori , a quella guisa che le donne sprezzano un duro amante che sol riceve e mai non dona'.' son eglino da te ugualmente protetti lo stupido e l' accorto, lo stolto ed il sapiente, e coloro la cui vita è esempio agli altri? colui che disprezza un savio famigliare, abile a trovar spedienti , attento al favellare , prode e desideroso di maggioranza, è punito del suo errore. Son da te tenuti in pregio, onorandoli tu stesso, i principali tuoi guerrieri, esperti d'ogni sorta d'armi, forti e noti per illustri latti? il duce supremo del tuo esercito è egli baldo e valoroso,
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costante, saggio ed incorrotto, d'alta stirpe, destro e vigile? dai tu al tuo esercito, senza india ritenerne, l'alimento e la mercede che si conviene e che debhe darsi a tempo opportuno? per lo differire oltre al debito tempo l'alimento e la mercede, i mercenari male ser- vono ai lor signori; dal che nasce grandissimo danno. I figli di nobile schiatta si mostrano essi principalmente a te devoti e pronti ad abbandonar la cara vita nelle batta- glie, conforme alla lor preminenza? è la tua gente accorta , vigorosa e appariscente? sono, o Bharata, i tuoi legati destri ed avveduti, e parlan essi conforme a ciò che è stato lor detto? conosci tu per tre e tre tuoi messaggieri occulti i diciotto uffizj altrui e i quindeci che son dalla parte tua (6I)? fé ella pienamente nota la forza de' tuoi nemici? proteggi tu i deboli, o valoroso? difendi tu l'ampia e lieta città d Ayodhya un dì abitata dagli eroi nostri antenati , città dalle salde porte , insuperabile come suona il suo nome, piena di cavalli, d' elefanti e di carri, sede eletta de1 Brahmani, de'Csatri, de'Vaisyi e de' Sudri tutti intenti ai loro uffici, temperati e forti, opulenti e larghi donatori, sparsa d'ornati e splendidi palagi di forme diverse ? vedi tu , o nobil principe , farsi adorni gli uomini, levandosi in sull'aurora? son eglino da te osservati senza sospetto coloro che attendono ai tuoi la- vori, o son essi forse abbandonati là dove stanno fram- miste l'opere (62)? le tue fortezze son elle sempre piene di frumento, di bestiame e d'acqua, d'armi, di mac- chine , d' artefici e d' arcieri ? son elle abbondanti le tue entrate e modiche le tue uscite , e il tuo tesoro se ne va egli forse in mani indegne? le tue uscite son elle impie-
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gate nelT onorar gli Dei e i Padri, in prò de*1 Brahmani , ne' guerrieri e negli amici? impreca egli forse maledi- cendo l'uomo onorato ed incolpabile, che falsamente accusato di furto non è esaminato da uomini esperti delle leggi? preso alle spalle da custodi pubblici, il ladro di cui 1' atto è conosciuto da giudici periti , è fors' egli assolto dalla colpa d' appetire 1' altrui avere ? venendo a contesa pei fatti loro il debole ed il potente , esaminano essi senza parzialità le cose quei che son posti a rendere ra- gione ? le lagrime che versan piangendo, o caro, coloro che sono ingiustamente accusati, corrompono i sacrifizi dei falsi accusatori. Onori tu con doni, con parole e con dolci modi i vecchi ed i fanciulli, quei che leggono e quei che insegnano i Vedi, e quelli che beono nel sacri- fizio il sugo dell' asclepiade (63)? rendi tu onore ai sacri maestri, ai maggiori, ai pii asceti, agli Dei, agli ospiti ed a tutti i felici Brahmani de^ni d' onore? turbi tu forse il dovere con troppa cura della ricchezza, o la cura della ricchezza coi dovere, oppure entrambi con festevoli di- letti? ovvero compartendo il tempo, siccome colui che ne conosci il pregio, coltivi tu con giusta misura, o valo- roso, e la ricchezza e il dovere ed il diletto? han forse a dolersi di te , o Baghuide , coi cittadini e coi regnicoli i saggi Brahmani versati nella sostanza d'ogni dottrina? si trova in te forse alcuna delle dodici colpe, delle quali ove fosse un re macchialo, rovinerebbe egli in breve tempo la terra, ciò sono l'ateismo, la menzogna, l'ira, la trascuranza , il procrastinare , il non discernere gli uomini saggi, la torpidezza, la malizia, il deliberar solo sopra gli affari, il consigliarsi sempre con molti, il non
I IO RAM \YA\A.
por mano alle cose deliberale, il non curare l'altrui consiglio.
CAPÌTOLO CX.
RAMA RICHIESTO.
Ma facendo Rama tali domande, Bharata coli' animo afflitto e dolentissimo gli significò la morte del padre : 0 generoso, dopo aver compiuta un'ardua opera, il re angosciato dal pensier del suo figlio , abbandonando il regno se ne andò al cielo. Lamentando egli pur te, strug- gendosi di vederti, colla mente fisa in te solo, diviso da te, e a te sospirando ardentemente, morì per cagion di te solo nostro padre. Udendo quelle parole di Bharata, Rama che qui prima l' interrogava , si tacque trafitto al cuore e pur fermo nel suo pensiero d' adempiere la pro- messa del padre. Dopo lanijo silenzio Bharata fik) cosl prese a dire: Caiceyi fu colei che, ordito per cupidigia d' impero un perfido femminil disegno, commise questo gran mis- fatto obbrobrioso. Ma mia madre vedovata, straziata dal pentimento cadrà, senza aver conseguito il regno, nelle orrende sedi inferne. Renditi or tu propizio a me tuo servo, e sia tu come Indra consacrato nel regno avito. Son venuti al tuo cospetto tutti questi cittadini e le madri ve- dove : abbi tu di noi pietà. A te è dovuto il regno per ordin di successione; prendi conforme al diritto, o ge- neroso, questo regno che tutti desideran donarti, e con- tenta i tuoi amici. Cessi dalla sua vedovanza la terra rallegrata da te suo signore , come una notte autunnale
AYODHYACANDA. in
da candida luna. Pregato umilmente da me e da questi miei consiglieri, sia tu favorevole a me tuo fratello, tuo discepolo, tuo servo : non voler mettere in non cale, o uomo egregio, tutta questa immortai corona di consiglieri che furono un dì onorati da tuo padre. Poich'ebbe così detto , il forte Bharata figliuol di Caiceyi strinse piangendo e col capo dimesso i piedi di Rama; il quale abbracciando il fratello angosciato e traente frequenti sospiri come un elefante , cosi gli disse : Come mai , o Bharata , un uom mio pari nato di nobile stirpe, dotato di virtù, forte e fedele ai suoi voti, farebb' egli cosa iniqua per amor del regno? non veggo in te colpa benché minima, o domator de' tuoi nemici; ma non voler per inesperta giovinezza riprendere tua madre. Quant1 era la riverenza ch'io portava al giusto mio genitore, tanta è quella che io porto a Caiceyi che m' è qual madre; e poiché mi fu imposto da quei due giusti miei genitori d' andarmene fra le selve ; come farei ora cosa contraria? tu dei regnare in Ayodhya ono- rato dalle genti ; a me si conviene abitar nella selva Dandaca in abito d' asceta. Così partì fra noi le veci , così ne impose al cospetto delle genti 1' eccelso e pio re Dasaratha che se ne andò al cielo; onde se tal sorte ti fu assegnata dal padre, che era signore, re e maestro degli uomini, tu fruiscine qual si conviene; ed io, o di- letto, stando per quattordeci anni nella selva Dandaca, fruirò la sorte che mi fu compartita dal magnanimo pa- dre. Quel che m' impose il magnanimo padre e re pari ad un Dio, che ora è onorato in cielo, giudico che sia a me sommamente salutare, e non già d riverito impero del mondo.
112 RAMAYANA.
CAPITOLO CXI.
DONO DELL'ACQUA.
Udite le parole di Rama , Bharata così rispose : Se io abbandono la giustizia, come adempirò poi il regale uf- ficio? Vivendo tu, Rama, primogenito, non può essere re un minor fratello; è questo, o generoso, l'eterno di- ritto stabilito fra noi perennemente. Ritorna, o Rama, alla bella città d' Ayodhya, popolata di gente avventurosa, e fatti consacrar re; tu sei signor della nostra stirpe. Altri appellano re un uomo; ma io reputo come un Dio te , di cui narrano le genti le virtù sovrumane congiunte colla giustizia. Mentre io stava fra i Kecayi e tu dimoravi nelle selve, se n'andò al cielo l'illustre nostro padre, caro a tutti i buoni; or ti leva, o uom preclaro, e dona al padre 1' acqua funebre. Già gliel' abbiali) noi offerta prima Satrughno ed io; ma l'acqua funebre che è data da persona cara, rimane, secondo cbe si dice, perenne di là nel mondo dei Padri; e tu eri, o Raghuide , il più diletto dei figli di Dasaratha. Udendo quelle pietose pa- role dette da Bharata , che rammentavano la morte del padre, il Raghuide rimase come fuor di senso; e intesi que' fulminei detti acerbi proferiti da Bharata, come è lanciato il fulmine da India nelle battaglie , protese le braccia, cadde egli a terra, come un albero dalla florida vetta reciso nella selva dalla scure. Vedendo caduto a terra Rama grande arciero, signor del mondo, come un ele- fante addormentato presso una ripa ed atterrato dal cader di quella, 1 fratelli doppiamente addolorati, piangendo
VYODHYAC \M)A. 113
insieme con Sita, lo bagnarono di lacrime. Ma ricuperato il sentimento e versando lagrime dagli occhi, così parlò Rama a Bharata, lamentando il morto padre (05) : Che cosa farò io ora misero per quel magnanimo, che morì del dolor ch'egli sostenne per me, e non ebbe da me i funebri uffìcj ? Oli te felice Bharata con Satrughno , da cui l'uron renduti al re tutti gli uffìcj estremi! neppure allor che sarà finito il mio esilio, mi soffrirà il cuore di ritornare ad Ayodhya priva del suo capo, orba del suo re preclaro , e perturbata. Chi or mi reggerà in Ayodhya, o valoroso, quando sarò venuto al termine del mio sog- giorno nelle selve, poiché se n'è ito al mondo di là il diletto mio padre? da chi udrò ora quelle parole care al mio orecchio, che un dì mi diceva il padre consolandomi , quando mi vedeva tornato al suo cospetto? Poich'ebbe così parlato a Bharata, Rama appressandosi alla consorte bella come la piena luna, così le disse pien d' angoscia : 0 Sita, è morto tuo suocero; tu sei privo di padre, o Lacsmano : Bharata m'annunziò questa sventura, che se ne andò al cielo il re. Come udì la figlia di Ganaca esser morto il suo suocero, signor del mondo, s'offuscò la sua vista per le lagrime che empierono i suoi occhi ; e si diedero poi dirottamente a piangere que' due giovani illustri, men- tre Rama così parlava. Quindi i due fratelli confortando il Raghuide afflitto, così dissero con voce interrotta dal pianto a quel signor della terra : Sorgi, o nobil uomo, e dona al padre 1' acqua funebre ; Satrughno ed io già gliela demmo prima. Rama allora, abbracciata la piangente li- glia di Ganaca, poi voltosi a Lacsmano, gli disse dolente queste dolenti parole : Qui reca, o forte, frutti d' inguda 11. 15
il/j RAMAVANA.
e schiacciate di semi, e la veste ascetica la più nobile; n'andrò a lare il dono dell'acqua al padre : vada Sita innanzi; Lu le sta presso; verrò io l'ultimo : è questa una mestissima andata. Allora il dolce, il paziente, d sottomesso Sumantro, costante seguace di que' principi, già caro al re e fortemente devoto a Rama, poich'ebbe cogli altri figli del re confortato il Raghuide , presolo, lo calò nella riviera Mandàkini. Pervenuti con fatica alla bella e pura riviera Mandàkini dai bei lavacri e dalle borenti selve, quegli il- lustri immergendosi nelle chiare, fresche e belle acque, là dov' era piano il fondo , sparsero tulli 1' acqua funebre , dicendo : Sia ella donala a colui. Ma il Raghuide proten- dendo il cavo della mano pieno d' acqua e guardando la plaga meridionale, così parlò piangendo : Vada a te nel mondo dei Mani e ti sia bevanda, o nobil re, quest' acqua eletta e pura che io t' olfro. Quindi l'inclito Rama coi fratelli fece disporre sulla riva della Mandàkini in un luogo puro sopra uno strato di poe i funebri doni da offrirsi al padre, frulli d' inguda con giuggiole e schiac- ciate di semi ; e disposte quelle oblazioni , così parlò Rama dolentissimo : Fruisci lieto, o grande re, questo cibo di cui ci nutriam noi stessi : 1' alimento che usa l'uomo, è per certo l'alimento degli Dei e de' Padri. Quindi ri- tornandosene per la stessa via, salì quel nobil uomo e re sul monte dai bei rispianati ; e pervenuto alla porta del suo abituro, strinse egli colle sue mani Bharata e Lacs- mano ; e l' ululato di que' fratelli piangenti colla Videhese penetrando F aria d' ogni intorno , somigliava ad un rug- gito di leoni. Udendo il gemito confuso di que' forti, che piangendo compievano il funebre ufficio di dar 1' acqua
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al padre, sbigottirono 1 guerrieri di Bharata, e dissero : Per cerio Bharata s'abboccò con Rama; e questo grande gemito vien da loro che piangono il morto padre; e tutti abbandonando gli alloggiamenti, e ratinandosi insieme se- condo che si trovavan vicini, si diedero a correre a quella volta. Tutta quella gente desiderosa di veder Rama di poco assente, come se fosse assente da lungo tempo, s'avviò subitamente al romitaggio; e andavan solleciti e alla rinfusa con veicoli diversi per veder Y abboccamento dei fratelli ; gli uni con cavalli , gli altri con elefanti , questi tutti ornati sopra carri, quelli più giovani correndo a piedi. Per que' molti veicoli, per lo fragor delle ruote e dell'unghie de7 cavalli risuonava la terra confusamente, come fa il cielo allor che s' accozzano le nubi. Spaventati da quel grande strepito e impazienti gli elefanti attorniati d' elefantesse se ne andarono ad altre selve ; impaurirono le schiere delle antilope, i cinghiali e i bufali che van per la foresta, le tigri, i gocarni, 1 gayali (Gfl) ed i cervi; fuggirono sbigottiti per diverse regioni le anase, i cuculi ed i cigni, le anitre, i pellicani, i cokili e gli aghironi. Il cielo appariva allora ingombro d'augelli spaventati da quel fragore, e la terra si vedea coperta d' uomini. Il pio Rama vedendo colà quella gente tutta mesta e cogli occhi pieni di lacrime, l'abbracciava, come farebbe un padre ed una madre. Egli abbracciò quivi alcuni di quegli uomini, e fu da altri salutato; e con tutti ei conversava, onorandoli qual si conveniva. Ma le voci di que' magnanimi pian- genti risonavano per l'aria e per lo cielo, empievano le caverne e le regioni, e s'udivano simili all'alto strepito dell' Oceano.
I Mi HA Al AVANA.
CAPITOLO CX1I.
AKHIVO DELLK M\Dl>l.
Ma Vasistlia preceduto dalle consorti di Dasaratha, s' avviò colà per veder Rama. Andando verso la riviera Mandàkini , le consorti del re videro il lavacro frequen- tato da Lacsmano e da Rama; e Causalya colla faccia riarsa e lacrimosa, così parlò alla mesta Sumitra ed alle altre donne del re : Ecco dirimpetto nella selva e solo il bel lavacro di que' valorosi derelitti , che furon privati d'ogni asdo. Qui ne viene, io penso, ogni dì, o Sumitra, il prode Lacsmano ad attinger acqua per servigio di Rama mio figlio. Ben adempie un duro ufficio, o Sumitra, il pio Ino figlio, il quale per affetto assiste nella selva al suo fratello primogenito, che innocente d'ogni offesa fu con- dannato dal padre sottomesso ad una donna ad abitar con Sita nelle selve piene di bere crudeli. Così lamen- tando Causalya perturbata dal suo pianto, vide colà sopra un' isoletta le funebri offerte fatte a Dasaratha con frutti d' inguda e schiacciate di semi; vide quella mesta dai grand' occhi disposti sopra fiorenti poe , le cui punte eran volte ad austro, i funerei doni fatti da Rama al suo padre e re. Veduti que' frutti d' inguda e quelle schiac- ciate di semi, doppiamente afflitta così parlò la regina Causalya alle donne di Dasaratha : Son queste le funebri oblazioni latte dal magnanimo Rama signor degli Icsva- cuidi al padre signor degli Icsvacuidi; vedete quali elle sono. Cibo così fatto non mi par certo conveniente ad un
AYODin VCANDA. 1 17
re magnanimo, pari ad un Dio, clie fu assueto alle deli- zie. Quel re possente simile ad Indra, che possedè la terra coi quattro suoi confini, come può egli cibarsi di frutti d'inonda e di semi schiacciali? ninna cosa mi par nel mondo più misera di questa, che Rama doni al padre tale cibo proprio degli asceti. Vergendo qui offerti da Rama al padre frutti d'inguda e schiacciate di semi, come mai non si spezza in cento parli questo mio cuore? In- tanto s' inoltrava Causalya verso il romitaggio dov1 era il Raghuide, e tutte le donne del re camminando celeri, videro poco stante nel romitaggio Rama, simile ad un Immortale caduto dal cielo. Scorgendo colà Rama nudo d' ogni delizia, le madri addolorate versaron lagrime con alto gemito, oppresse dall'angoscia; ma Rama levatosi incontro a loro, strinse colle belle sue mani soavi al tatto e delicate i nitidi piedi delle sue madri secondo l'ordine di lor dignità; e le donne del re baciando Rama sopra il capo, piangevan dirottamente. Dopo Rama anche il Sau- mitride salutò reverente e mesto quelle madri sconsolate; e le donne del re dissero a Rama ed a Lacsmano parole di benedizione, quali si convenivano al tempo e al luogo, ed erano confacenti a madri; e così tutte si comportarono verso il nobile Lacsmano Dasarathide, come verso Rama. Sita eziandio, poich'ebbe piangente e afflitta toccati i piedi delle sue suocere , si pose riinpetto a loro cogli occhi pieni di lacrime. Ma Causalya abbracciando quell' afflitta estenuata dal soggiorno delle selve, come una madre stringe al seno la sua figlia, così le disse : Come sei tuvenula ad abitar Ira l'aspre selve, o Sita, tu figlia del re di Videha, nuora di Dasaratha e consorte di Rama?
118 RAM AVANA.
Riguardando il tuo volto simile a un fior di loi<> riarso dal calore estivo, ad un giglio illanguidito, ad oro che la polvere appanni, alla luna che si scolorii all'apparir del giorno, m'arde l'angoscia, o Sita, siccom'arde il fuoco il recipiente che l'accoglie. Il fuoco suscitato dalla sventura arde qui fortemente, o Videhese, l'amabile Ino volto, come un fior di loto cui manchi l'acqua. Meni re così parlava la dolente Causalya , Rama appressatosi a Vasistha, ne abbracciò con reverenza i piedi; e poicb' ebbe abbracciati i piedi del sacerdote splendidissimo, come India signor degli Immortali fa aVribaspali, s' assise insieme con esso; quindi più basso e presso a Rama s' assise il giusto Bharata coi consiglieri, coi principali guerrieri e duci e con quella piissima genie. Quali oneste parole or dirà Bharata a Rama, dopo essersi a lui inchinato e avergli reso onore? tal era appunto allora la somma curio- sità di quella gente mesta. 11 Raghuide, Lacsmano di salda costanza, il nobile e pio Bharata circondati dai loro amici così rifulgevano col loro splendore , come tre sacri fuochi circondati da Risei assistenti.
CAPITOLO CXIII.
DISCORSO DI BHARATA.
Il pio Bharata allora indirizzò a Rama seduto e pensoso in quelf adunanza di cittadini queste belle ed oneste pa- role : L' iniquità che a cagion di me commise la crudel mia madre, essendo io assente, non fu da me desiderata; tu a me perdona. Che se io oggi non punisco con severo
VYODHYACANDA. I 19
castigo la rea mia madre meritevole di punizione, si è perchè io son legalo dal vincolo del dovere. Come mai io generalo da Dasaratha, di legnaggio e d'opere imma- colati, Dirci cosa vituperevole contro un irai elio, a guisa d'un nemico? E morto il vecchio nostro padre ere, maestro e celebrator de1 sacri riti, onci1 io non lo biasimerò in quest' adunanza , pensando eh' egli è ora un Dio. Ma qual uom conosci I or del giusto farebbe mai per compia- cere aduna donna, opio, una tal opra vituperata, con- traria ugualmente all'utile ed al giusto? Ben è vero, qual ei si dice, che sul finire della vita si turba la mente degli uomini : questo detto antico fu fatto manifesto dal re, mentr' ei vivea. Tu ammenda, o Rama, f error del padre, che fu sola imbecillità della sua mente prodotta in lui dalla vecchiezza, il figlio che emenda 1' error del padre, vien perciò detto sostenitore (apatya); che se altrimenti fosse, si direbb' egli sovvertitore (anapatya) (67) : sia tu perciò figlio sostenitore, o Cacutsthide, e non voler secondare ciò che mal fece il padre, e che è altamente biasimato dagli uo- mini : salva tutti costoro, Caiceyi mia madre, gli amici e i nostri congiunti, i cittadini, i regnicoli e i famigliari. A che parli di selva, di dover d'uno Csatro, di chioma rav- volta, di mantener la promessa del padre? tu non dei per alcun modo compiere una tal opra riprovata : che se tu desideri adempiere un arduo ufficio, t'affatica governando a reggere le quattro classi. Delle quattro condizioni della vita(68) dicono i conoscitori dei doveri esser la miglior condizione quella dell'uomo accasato; perchè vuoi tu ricusar questo slato? lo sono a te inferiore di nascita, di senno e di consiglio : come reggerò io la terra , mentre tu
120 RAMAYANA.
vivi? Povero di niente, povero eli virtù, povero di fer- mezza, privato ancor di te io non potrò più vivere Reggi adunque co' tuoi amici, o giusto, secondo il tuo diritto, intiero questo regno avito, stabile e senza nemici. Qui li consacrino i cittadini, Vasistha cogli altri domestici sa- cerdoti e i Brahmani conoscitori de1 carmi solenni ; e consacrato da noi vieni al governo d'Ayodhya, conqui- stando colla tua forza il mondo, come India colla schiera dei Maruti : vieni colà e regna sopra di noi , sciogliendo i tre tuoi debiti, domando fortemente i tuoi nemici, e contentando d' ogni lor desiderio gli amici a te devoti. Oggi nella tua sacra depongano ogni lor tristezza 1 tuoi aderenti, e sen fuggano per le dieci regioni i tuoi avver- sari impauriti. Rasciuga, o valoroso, le mie lacrime e quelle di tua madre, e libera oggi qui tuo padre dalla colpa onci è legalo. Il dover supremo dello Csatro, secondo che dicono i grandi saggi, è questo : la consacrazione, il sacrificio, e la protezione delle genti. Io te ne prego col capo dimesso : muoviti, o signore, a pietà di me, de1 con- giunti amici e di tutte le viventi creature. Che se tu non curando di me, te n'andrai di qui fra le selve, me n'an- drò con te io pure. I domestici sacerdoti, i bardi, i pre- coni , i panegiristi e le tenere madri con flebile voce lodaron Bharata così favellante; ed inchinandosi a Rama, con esso lui lo supplicavano.
WODHYACANDA. 121
CAPITOLO CX1V.
CONFORTO DI BHARATA.
Esortato con tali detti da Bharata, Rama costante nella via del giusto rispose queste forti parole nel mezzo di queir adunanza : L'uom quaggiù non è libero di se né donno; il fato il trae qua e là a sua posta. Il fin d'ogni umile cosa si è il perire, il fine d1 ogni alta cosa si è il cadere : la separazione è il fine d' ogni unione , la morte è il line della vita. Siccome ai frutti maturi non viene al- tronde che dalla lor maturità il pericolo di cadere , così agli uomini che nacquero non viene altronde che dall' esser nati il pericolo di morire (69). Come una casa di salda mole, venuta a vetustà, rovina; non altrimenti cadono gli uomini stretti dal laccio della morte. La morte cammina colf uomo, la morte con lui s'arresta; e quando l'uomo è ito per lunghissima via, la morte con lui se ne ritorna. Trascorrono quaggiù rapidi le notti e i giorni d' ognun che vive, e consumano in breve tempo l'età, siccome nella calda stagione assorbono 1' acqua i raggi del sole. A che vai tu lamentando altrui? compiangi te stesso, di cui f età declina, sia che tu vada, sia che tu stia. Si rag- grinza la pelle per le membra ; incanutiscono i capelli ; e allor che è infiacchito dalla vecchiaia, per qual modo potrà l'uomo esser felice? l'uom si rallegra allor che nasce il sole , si rallegra quand' ei tramonta ; e non s' av- vede che vien meno intanto la sua vita. Ogni animai che vive, gioisce allor che vede schiudersi i novelli fiori e ii. 16
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col girar delle stagioni sopravvenire la primavera; e in- tanto si consuma la sua vita. Come si scontran due legni suir Oceano, e scontratisi e rimasti alquanto fermi , poscia ei si separano; cosi dopo essersi uniti nella vita le con- sorti, i figli, gli amici e le ricchezze, si disgiungono l' un dall' altro; perocché è certa la lor morte. Nessuna vivente creatura entra diversamente nella vita; perciò è inutile quaggiù compiangere chi muore. Come chi stando sulla strada dicesse ad una compagnia di mercatanti che va di conserva : Verrò io pure dietro a voi, seguitandovi; in quale modo potrehhe dolersi chi entra in una via, che è certa e inevitabile, e che fu fornita per Y addietro dai padri e dagli avi (70)? Mentre l'augello vola per propria natura, e trascorrono le correnti de' fiumi ; lo spirito umano debbe anch'esso conformarsi alla sua legge; gli uomini son detti vincolati dalla legge. L' uom pio con nobili atti, con sacrifizj accompagnati da larghi doni sen va, purgato d'ogni sua colpa, al cielo sede dei nostri progenitori ; e nostro padre dopo aver sostentato i suoi servi, protetto tutti gli uomini, dato alimento ai buoni, se n' è ito al cielo ; se ne andò al cielo il re dopo aver celebrato molti e varj sacrifizj, fruito tutte le delizie ed esser pervenuto all' età suprema. Abbandonando 1' umano suo corpo affralito, entrò mio padre nella via divina che gira dilettosa per le celesti sedi : nessun uom saggio, nes- sun uomo di sana mente che conosca, qual tu ed io, le sacre dottrine, può compiangere colui che si trova in tale condizione. Questi lunghi rammarichìi, questi la- menti , questo pianto debbonsi in ogni fortuna fuggire da chi è forte e saggio. Raffrena adunque il tuo dolore
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e non contristarti, o valoroso; ritorna ad abitare in A\o- dliva, e così la, come li commise il padre; io pure ese- guirò il comando che m' impose il giusto e nobile mio genitore. Non si conviene a me, o forte, trasgredire l'or- dine di colui ; tu dei pure conformarviti in ogni tempo ; perocché egli è nostro congiunto e nostro padre. Udite quelle parole, Bharata così disse a Rama : Chi v'ha sulla terra così fatto qual sei tu, o forte! te non attrista la sventura, ne la prosperità ti fa esultante; tu sei stimalo dai saggi, come India dai Celesti. Colui, la cui mente così nella morte, come nella vita, così nel bene, come nel male è pari alla tua, o re degli uomini, quegli anche cadendo in infortunio, non può smarrirsi d'animo. Tu sei magnanimo, fedele alle tue promesse, di natura pari a quella d'un Immortale. 11 più insopportabile dei dolori non può abbatter te dotato di tali virtù, conoscitor del nascere e del morire; che se il dolore pur t'assalisse, o eroe, sarebb' egli rintuzzato, a guisa d' una scure lanciata contro una pietra. Ma io misero, privo di te, o saggio, e di Dasaratha non potrò più vivere, come un cervo ferito da saetta avvelenata. Tu fa che io afflitto, veggendoti abitar nella deserta selva con Lacsmano e colla tua con- sorte, non abbandoni la mia vita; vieni a reggere la terra. Così supplicato col capo umile da Bharata afflittissimo, il nobil Rama signor della terra non piegò 1' animo all' an- data, fermo nel suo proposto per lo riguardo che avea alle parole del padre. Veggendo in Rama quella mirabile ler- mezza, n'era ad un tempo lieta e mesta quella gente, mesta che ei non ritornasse ad Ayodhya, lieta di vedere quella fedeltà costante alle promesse.
124 K A M AVANA.
CAPITOLO CXV.
DISCORSO DI RAMA.
Ma tornato Bharata al favellare , l'illustre Rama gli rispose in mezzo a quella gente queste parole ben com- poste : Quel che tu dicesti, o eroe, è degno di le figlio generato in Caiceyi dall' ottimo re Dasaratha. E fama che un dì il gran re, allor eh' ei disposò tua madre, offrisse al tuo avo materno il regno, come splendido dono nu- ziale. Poi nella guerra degli Asuri coi Devi il monarca e donno propizio alla tua genitrice, le concesse lieto due doni eletti. Quei due doni chiese quindi al re, fattasi innanzi a lui, la leggiadra ed inclita tua madre; e furon f uno che tu regnassi , f altro che io fossi mandato in esilio. Il re stretto dalla sua promessa, le accordò egli stesso il chiesto dono; e per quel dono a lei concesso io fui destinato dal padre, o noni prestante, ad abitare per quattordeci anni fra le selve : end' io fedele alle veridi- che parole del padre me ne venni, seguitato da Lacsmano e da Sita, in questa selva deserta ed aspra. Tu pure, o forte, dei senza esitare far che sia verace il padre e re; governa adunque il regno senza nemici : per amor di me, o pio Bharata, sciogli dal suo debito il re signor di noi; libera il genitore, e rallegra ad un tempo tua madre. E fama che anticamente fu cantato questo carme , o caro , dal glorioso Gaya nella città di Gayà, mentr1 ei sacrifi- cava ai Padri : Perchè il figlio libera il padre dal dolente luogo inferno che si chiama Put, perciò venne egli detto
AYODHYACANDA. 125
Putirà da Brahma stesso (71). Debbonsi quindi desiderare molti figli virtuosi e versati nelle sacre dottrine, allin- eile tra i molti uno almeno venga ad offerir sacrifizio in Gayal72). Così pensarono, o Raglmidc, tutti i celebri re Sapienti; libera perciò dalle sedi ìnferne il padre, o uomo egregio ; va ad Ayodbya insieme con Satruglino e con tutti questi Brahmani, e ti concilia, o Bharata, i cit- tadini; ed io me n'andrò coi Risei nella selva Dandaca insieme con questi due, Lacsmano e la Videliese. Sia tu prontamente, o Bliarata, re dei cittadini, ed io sarò re supremo delle silvestri fiere : tu vanne lieto alla bella città d' Ayodhya, ed io me n'andrò con animo tranquillo al Dandaki. Protegga con fresca ombra il tuo capo, o Bharata, il regale ombrello, allor che t'offendono i raggi del sole; ed io riparerò alle freschissime ombre di questi alberi silvestri. Sia a te fedel compagno e accorto Sa- trughno ; a me sarà principal consigliero il Saumitnde. Noi quattro figli eletti di Dasaratha facciam che sia ve- race il re ; e non perderti tu d'animo.
CAPITOLO CXVI.
DISCORSO DI CAVALI.
Ma il sommo Brahmano Cavali, logico filosofo del re, pregiato da tutti coloro , versato in ogni dottrina e cono- scitor del giusto, prese a dire per conforto di Bharata queste morali parole a Rama che ricusava di ritornare alla città : Or via, o Rama, deponi un tal pensiero inu- tile; questo tuo proposto di vita ascetica è così biasime-
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vole, come il pensiero don noni volgare. Finché era onesto, o nomo egregio, l'eseguire gli ordini di Luo padre; tu gli eseguisti con ogni studio, siccome a te si conveniva : non voler ora eccitalo da soverchia noncuranza lasciarti ire all' inerzia col troppo amare la condizion d'asceta e col dispregiare il regno. Ben fu dapprima a te conferito da tuo padre, o caro, il dominio di questa terra; e Bharata, a cui fu esso dappoi affidato, ti prega egli qui di ripigliarlo : Caiceyi stessa, a cagion di cui fu da tuo padre commessa verso te questa colpa, t'offre con suo figlio il regno ; prendilo or dunque; proteggi gli uomini; rendi felice la tua gente, e disgrava d'un duro peso Lacs- mano e Sita tua consorte. Non voler tu seguire quella sapienza speciosa che non fu mai praticata per 1' addietro dai saggi, e che fu messa in opera falsamente per amore C73). I padri, o caro, dominati da amore o da cupidità abban- donano talvolta i loro figli , come Ricico un dì abbandonò suo figlio Sunassepa , ottimo fra gli uomini'74). Ne può riprenderti tuo padre ito al cielo ; perchè fra tutti questi corpi tu pur sia entrato in un corpo e nato suo figlio. Qual uomo è quaggiù congiunto con altro uomo? che ha a tare l'un coli' altro, essendoché f uomo nasce solo, e solo ei muore P perciò il padre e la madre sono amendue quaggiù come ricoveri; e sarebbe da riputarsi stolto co- lui , che ponesse in loro il suo affetto. Come 1' uom che passando per un villaggio ricoveri in alcun luogo; poi il vegnente giorno abbandonando quella dimora, prosegua il suo cammino; così, o Cacutsthide, il padre, la madre, la casa e le sustanze non son qui altro che ricetti degli uomini; perciò fine ai pensieri d'amore. Non volere, o
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forte, lasciando una strada piana, sicura e senza polvere, entrare in un'aspra via piena di difficoltà. Vieni a farti consacrar re nelf opulenta città d' Ayodhya, che t' aspella come vedova coi capelli raccolti in una sola trecciai75); e godendo delle preziose delizie regali, li diporta in Ayo- dhya, o Tiglio di re, come Indra su nel cielo. Nulla è a te Dasaratha, nulla tu sei a lui; altro era il re, altro sei tu; fa perciò quello che a te si conviene. La semenza sola è padre d'ogni animale; il seme con sangue ed aria e con esso il tempo opportuno al concepire della madre , lai è la filiazion dell' uomo. Il re se n' andò colà, dov'era uopo ch'egli andasse; tale è il processo d'ogni creatura; e tu te ne affanni inutilmente. Io qui interrogo coloro (e non altri) i quali furon versati nella scienza dei doveri ; costoro dopo esser vissuti infelici , caddero , morendo , in distruzione. E il giorno destinato alle offerte funebri per li Padri e per li Devi; gli uomini son tutti intenti a quell'ufficio; vedi sciupare alimenti; che ne rimane a colui che è morto? Se quaggiù quel che è mangiato da uno, entra nel corpo d'un altro, si facciano ohlazioni funebri a chi è lontano ; ma certo ei non porterà nel suo cammino il riso bollito. Queste filze di precetti : sacri- fica, dona, adempi i riti, attendi a severe castigazioni, rinunzia ad ogni cosa, furon fatte da uomini accorti, af- finchè loro vie più si doni. Non v'ha nulla al di là di questa vita; tieni, o saggio, a mente questa sentenza; non darli pensiero di ciò che non vedi, e pensa a quello che è presente. Attenendoti a questo consiglio che è lume ad ogni uomo, ricevi pregato da Bharata il regno; fa senno, o re, e sta saldo nella tua via. Il glorioso Csupa
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tìglio menta! di Brahma, il prestante Icsvàru e il forte Càcutstha, Raglili, Dilìpa, Sagara e il nobile Dusvanta, l'illustre Bharata Dausmantide , il celebre Cacravartti , Purucutsa, il saggio Sivi, Dhundhumàra , Bagiratha, Vis- vacsena, Anaranya re simile ad Indra, il pio Aristanemi e il prode Yuvanàsva, Mandhàtri suo figlio re pari a Cu- vera, il re Sapiente Yayàti e l'inclito Sambhùta, Vriha- dasva re virtuoso , celebre nel mondo (76) , questi e più altri supremi reggitori della terra, lasciando i cari lìgli e le consorti, caddero in potere della morte; nò sappiam noi dove siano iti costoro, né i Gandharvi, i Yacsi, i Rac- sasi; tanto è pieno d'illusioni il mondo. S'odono ora i soli nomi di quei re, e ognun li crede colà, dov' egli de- sidera eh' ei siano. Cosi non v'ha quaggiù cosa stabile dove riposi quest'universo; questo è il solo e il miglior mondo; perciò fruiscine tu le delizie. Non tutti coloro che han per line supremo il dovere C77), pervengono alla felicità; che son talora infelicissimi, o Cacutsthide, uomini dediti al dovere, e veggonsi pur felici uomini alieni dal dovere. Tutto è quaggiù manifestamente confuso e perturbato; onde non voler dispregiare, o generoso, la splendida for- tuna che ti viene incontro; ricevi quest'ampio regno libero da rivali e da nemici f78). Udite quelle parole, Rama ben- ché lento all' ira arse di grande sdegno, scorgendo in que' detti V ateismo; ed accorato dalla morte del padre rispose egli alcune parole corrucciato, come un elefante eccitato dal pungolo : Non mi rimoverò io dall' eseguire intento gli ordini del padre, come non si scosta dalla sua via un cavallo ben addestrato, come la donna non abbandona il marito che è suo rifugio. Se io dopo aver obbedito alle
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parole del padre, mentr ei vivea, facessi altramente or
ch'egli è morlo, avrei senza dubbio per lidia la terra
fama d'uomo ignavo. Ma io non potrò altrimenti essere
smosso da queste lue parole argute e vane, che sia scosso
dai venti un monte. L'inutilità dell'opre, della quale tu
l'avelli, è dottrina grandemente biasimala; non voler In
perciò asserire (fui lai cosa contraria al vero. Se India
signor degli Dei ottenne per mezzo di cento sacri fi zj la
sua sede in cielo, e ciò è fondato sopra certa autorità ;
perchè affermi tu cose False? Il figlio eziandio di Svastyà-
treya e Visvamitra mio amico ed altri Risei ottennero
parimente sede altissima colle lor religiose austerità. Ma
sia qui pure inutile il far quello che ho proposto di fare ;
sia pur la cosa così come tu desideri ; non per questo io
mi dipartirò dal venerato comando del padre, come un
grande Risei non dismette l'osservanza dell' alto voto che
s'è imposto. Regga Bharata la terra, secondo che venne
ordinato; io non desidero il regno da cui m' escluse il re.
Così disse Rama, onor della stirpe Solare : frattanto venne
meno il giorno, e sopraggiunse la notte.
CAPITOLO CXVIL
DISCORSO DI BHARATA.
Mentre pur vegliavano quegli uomini generosi circon- dati dai loro amici, la notte si trasmutò in aurora. Schia- ritasi la notte , que' fratelli coi loro amici , fatte ciascun per se lor preci sommesse sulla riva della Mandàkini, s'accostarono quindi a Rama. Sedevano essi lutti tacili;
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né alcun diceva parola : Bharata allora rosi parlò di nuovo a Rama in mezzo ai loro amici : lo cedo ;i te <|ii<'l regno, che mi donò il sapiente e veridico uno padre; fruiscine tu senza ostacoli. Sia In ;i ine propizio, 0 nobil nomo; io le ne prego eoi capo inchinato. Non ebbi io notizia alcuna del male che lece mia madre; io son Ino discepolo, Ino servo, il miglioi- de1 tuoi segnaci : nò so che far d'un regno che non sia da te posseduto, lo non desidero quel regno che fu surrepito dalla vii mia madre; prendilo In; io te lo rendo. E difficile ad ogni altro Inori die a le il reggere sulla terra questo regno avito, come un argine nell'Oceano rollo dal grand' impeto dell'acque, lo non posso eguagliarli nell'impero, o re, come non può un asino seguitare il corso d'un cavallo, né un augello il volo di Suparna (Garuda). Io t' offro questo regno avito; non m'aggrada il possederlo , come un ornamento che appartenga alimi. Consacrato qui oggi conforme ai riti, entra, o tìglio di re, con tulli noi che ti siam devoti, al possesso del regno senza nemici. Felice la vita di colui, o eroe, da cui ricevon gli altri sostentamento; misera la vita di colui che è dagli altri sostentalo. Allor che un nomo, desiderando d'aver frutti, ha piantato un albero; questo finché è piccolo , si può facilmente soverchiare ; ma è diffìcile il salirvi sopra , quand' esso è cresciuto. Ma se quell'albero dopo aver prodotto fiori, non mostra alcun frutto; non saia certamente lieto colui, per opra del quale ei fu piantato. Io ti propongo questa similitudine ; fanne tu stesso f applicazione. Sopporta tu dunque, come valido giumento, il grave peso di nostra stirpe. Ti veg- gano 1 sodaliz] delle arti e tutti ì principali cittadini , o
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grande re, risplendente nel tuo regno, come il sole; barriscano nel seguitarti gli elefanti ebbri d'amore; li rallegrino con dolci canti le donne del gineceo e i hindi destinati a svegliare il re. Tu sei nostro re, o domatore de'nemici; e noi Inlli suini tuoi sudditi; perchè vuoi hi abbandonarci? che t'abbiam noi fallo? Se mia madre lece, me assente, cosa ingiusta; quale colpa ne ho io? consideralo In slesso. Pecca il falò a cui son sottomessi i tre mondi, perchè non si lascia smuovere, perchè è dello insuperabile. Tutta questa gente cittadina è venuta con me in gran numero per condurti via di qui; orsù compiacimi, o signore; rallegra il cuore de1 parenti, de' congiunti , dei fratelli , degli amici , de' cittadini e dei Brahmani. Cessa dal compiangere l'infelice e lamen- tato signor del mondo; ed occupa, o eccelso reggitore, il regal seggio che lasciò vuoto il padre. Non mi dolgo di me stesso; bensì piango il re, il qual benché fosse padre di più figli, pur se n'andò al cielo senza un sol figlio all' ora esfrema; piango assiduamente il morto pa- dre degno di pietà, che morì senz'essere assistito dai suoi fìffli. Vedendo f illustre Bharata infelice far tali lamenti , Rama donno di se lo confortava con animo composto; e udendo le parole di lui, tutti que' cittadini pensarono allora fra se : fors' ei condiscenderà ai nostri pi i egli i.
132 KAMAVW \
CAPITOLO CX VI II
LODE DEI. VEHO.
Ma inteso il ragionar di Gàvàli e quel di Bharata, il forte Rama rivolgendo il discorso a Gàvàli così parlò con niente piena d'amaritudine : Quel che per desiderio di gradirmi tu qui dicesti poc'anzi, sotto apparenza di cosa da doversi fare è indegno a farsi ; tu lo chiami conve- niente, ed è il contrario. L1 uom che si scosta dalla retta via, che opera malvagiamente, che non discerné quel che è onesto, non acquista lode presso i buoni. I soli atti morali mostrali se colui che si vanta d' esser uomo è d'alta o di bassa origine, prestante oppur dappoco; senz essi il nobile è simile all'ignobile, il puro all'impuro, colui che è dotato di fausti segni a quello che ne è privo, I noni di buona indole all' uomo d1 indole perversa. Se io lasciando ciò che è bene , facessi sotto apparenza di giu- stizia cosa ingiusta e biasimata, aliena dalla norma dell' operare, qual uom sensato, conosci tor di ciò che con- venga o non convenga fare , stimerebbe quaggiù me inetto a discernere quel che è onesto? A quale fiume oserei io attingere acqua colla mia mano e beverne, dopo aver resa vana la parola del padre e violato la mia promessa;' Ognun pur imita quaggiù l'esempio di chi regna; quali sono le opere del re, tali son quelle degli altri uomini. L' umanità ed il vero sono 1' eterna norma dei re; onde la verità è l'essenza del regno, sulla verità riposano gli nomini. I doni, le castimonie, le
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oblazioni, le offerte arse sul saero luoeo ed ogni sacri- li/io, Lutto ha radice nella verità; non v'ha atto pio maggior del vero. Alla sola verità s' attengono i Risei e i Devi; e l'uomo ehe è quaggiù vendico, entra morendo in limi via leliee. Come l'uomo impaurisce alla vista d'un serpente, così ei fa dinanzi a un noni mendace. La giu- stizia ha nel mondo per sua base il vero; la verità e la radice d'ogni virtù. La verità è il principio supremo sulla terra; nella verità risiede costantemente la felicità. Ogni cosa ha base nel vero; perciò dee 1' uomo pregiare il vero sovra ogni altra cosa. L'uno regge gli uomini, l'altro governa la famiglia ; questi profonda nelle sedi inferne , quello è magnificato in cielo. Perchè non osserverò io gli ordini del padre? io son veridico, fedele alle pro- messe e sottoposto al vero; né per cupidità, per istolti- zia o per ignoranza romperò io l' argine del vero col render mendace il padre mantenitor della sua fede. Colui che non è verace, che è incostante e di mente instabile, non è caro agli Dei né ai Padri; così noi udimmo dire. Non mi curerò io di quel che chiamano dover d' uno Csatro, e che in realtà è cosa contraria al dovere, seguita da uomini miseri, crudeli, cupidi e malvagi; io considero come solo dover visibile la verità, in cui sempre si com- piacque l'animo dei pii Raghuidi. L' uom pensa colla mente il male , col corpo il reca ad atto , colla lingua dice il falso; ecco le tre maniere di colpa. Cerchi quaggiù l'uomo la potenza, la fama, la felicità, la gloria; ina dica pur sempre la verità intento a conseguire il cielo. E cosa improba, contraria alla dignità, all'acquisto del cielo quel che tu con parole pregiudiziose ini consigli
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di lare. Dopo aver promesso al padre questo mio sog- giorno nelle selve, come potrei io, trasgredendo la pa- rola paterna, far quello che dice Bharata? K salda la lede che io ho impegnata al cospetto del padre; ed in quel!' ora si rallegrava l'animo della regina Caiceyi; io rimarrò qui nelle selve puro e con animo tranquillo, onorando i Devi e i Padri con doni di fiori, di frutti e di radici sil- vestri. Io non annullo il corpo (70), anzi promovo le opere umane; non sono ignavo, ma sollecito, considerando quel che convenga o disconvenga lare. Chi è nato in questa terra di fatiche, debbe adoperarsi a ciò che è onesto; il fuoco, il vento, la luna ottengono il frutto dell' operare (80). Dopo aver fatto cento sacrilizj sali al cielo il re dei Devi (Indra), e i grandi Risei andarono al cielo dopo aver sostenuti quaggiù cruciati acerbi. Gli avi e quei che vissero innanzi a loro , facendo moli' opere generose, vivendo in austere castimonie e adoperandosi al bene degli uomini, se n'andarono alle sedi beate. I pii e casti asceti fedeli al lor dovere e conversanti con uomini probi, eccelsi per virtù e per larghezza nel do- nare, innocui e puri, si rendono quaggiù venerabili alle genti. Dicono i saggi che la verità, la giustizia, la forza, la compassione alle creature, il parlar cortese, l'onorare i Brahmani, i Dei e gli ospiti, siano la via che guida al cielo.
VYODHYACANDA. 135
CAPITOLO CXIX.
ELOGIO DELLA STIRPE D' ICSVACU.
Udito il discorso di Rama , Vasistha cosi rispose : Gàvàli pur conosce donde venga questo mondo, e dove ei vada; ma egli così parlò per desiderio d' indurli a ritornare. Ora ascolta da me, o signor degli uomini, l'origine del mondo. Tutto era acqua : quindi emerse Brahma Svayam bini (per se sussistente), 1' immortale Visnu (81) da cui fu formata questa lena. Egli poi presa forma di cinghiale trasse fa or dell'acque questa terrai82), e produsse l'uni- verso intiero non perituro con ogni cosa mobile ed immobile. Dall' etere (dallo spazio (83) ?) ebbe origine Brahma eterno ed immortale; da lui nacque Marici, di Marìci fu figlio Casyapa; quindi per successiva genera- zione Vivasvat (il sole) produsse Manu (84); fra i dieci figli dì Manu Icsvàcu fu per diritto il primo; sappi che questo Icsvàcu, a cui fu donata nel principio da Manu quest' am- pia terra, fu primo re in Ayodhya ; d' Icsvàcu fu figlio diesi, siccome ne venne a noi la fama; da diesi fu ge- nerato il gran re Vicucsi; di Vicucsi fu figlio il fortissimo Remi, di Remi fu figlio Pusya, di Pusya Anaranya; sotto il regno del prestante ed ottimo Anaranya non v' ebbe timor di siccità, non penuria d'alimenti, non rubatore. Da Anaranya fu generato Prithu, da Prithu il grande re Trisancu, il qual veridico, benevolo ad ogni creatura se nandù col suo corpo al ciclo; da Trisancu fu procreato il re Dhundhumàra, da Dhundhumàra il sapiente Yuva-
136 RAM AVANA.
nàsva, da Yuvanàsva fu generato il re Mandhàtri, da Mandhàtri il fortissimo Susandhi; Susandhi ebbe due figli Dhritasandhi e Prasenagit, da Dhritasandhì uscì l'illustre Bharata, da Bharata fu generato Asita grande cunile guerriero, contro cui si levarono nemici i re rivali Haihayidi e Talaganghidi e tutti i Sasavindavi (85) ; com- battendo contro loro in guerra, perì Asita. Avea egli allora, siccome ne giunse a noi la fama, due spose gra- vide; la giovane sposa più diletta e prima per dignità era Calindi, la quale fu viziata con veleno dalla sua rivale in- vidiosa, dopo che se n'andò al cielo Asita. Ma vivea in quel tempo un pio, tranquillo e saggio Mimi discendente di Brigu, per nome Cvavana, il qual s'era raccolto nell' Mimavate. A questo Risei se n' andò Calindi, e lo salutò con reverenza; ed il Brahmano accolse con benigne parole colei che desiderava da lui favore per la nascita del figlio. Ritornatasene quindi a casa, partorì ella un figlio; e per- chè egli nacque col veleno, fu perciò appellato Sagara (86); Sagara è quel giusto da cui fu fatto scavare il mare, dove, veduto Capila, furon da questo uccisi tutti i Sagaridi l87). Figlio di Sagara fu Asamangas, così udimmo noi dire; costui commettitore d'opere ree fu, vivendo, scacciato dal padre. Asamangas ebbe un figlio per nome Ansumat; fu figliuolo d' Ansumat Dilipa, di Dilipa Bhagiratha, di Bhagiratha Cacutstha, onde tu sei detto Cacutsthide; di Cacutstha fu tìglio Raghu, onde tu sei Raghiude ; da Raglili fu procreato un possente figlio d' eccelsa statura per nome Purusàdaca , detto altramente Calmàsapada ; questi espulso dalla città perì (88). Calmàsapada ebbe un figlio per nome Khanitra, il quale per forza del fato perì
VYODHYACAND \. li:
anticamente col suo esercito; Iti fìllio di Khanitra l' il- lustre eroe Sudarsana, di Sudarsana Agnivarna, dì costui Sìghraga, di Sìghraga fu figlio Mani, di Mani Prasusruva, di Prasusruva ì\\ figlio Ambarìsa, tale è la tradizione; di Ambarisa I'u ligi io Naliusa verace e forte, di Nahusa I'u figlio il piissimo Nàbhàga, di Nàbhàga il felicissimo re Aga, d'Aga fu figlio il giusto re Dasaratha; di eostui sei figlio primogenito tu che t'appelli Rama. Or considera ciò che è da considerarsi, o illustre principe : fra tutti gli Icsvacuidi è sempre re colui che è primogenito ; sia tu dunque sacrato re, perocché tu sei primogenito, o Raghuide. Non voler abbandonare questa immortai tua stirpe; reggi glorioso come il padre questa terra ricca di gemme e d'opulenti regni.
CAPITOLO CXX.
IL SEDER DI BHARATA.
Poich' ebbe Vasistha sacerdote del re così parlato a Rama, soggiunse egli queste giuste parole : Tre sono, o Cacutsthide, i superiori dell' uom che quaggiù nasce, il maestro, il padre, la madre. Il padre lo genera, la madre il cresce, il maestro gli dona la sapienza; onde vien egli detto precettore. Io fui maestro di tuo padre, e son tuo maestro, o uomo illustre; eseguendo quel eh' io ti dico, non trasandare la via dei buoni. Son qui convenuti ad invitarti al regno questi sodalizj delle arti e quest'assem- blea; questo, o figlio, è il dovere dell' uom probo; non trasandare la via dei buoni. Abbi pudore della pia e ". 18
138 RAMAYAN \.
longeva tua madre, e conformandoti ai suoi delti, non trasandare la via dei buoni. Fa quel che li consiglia Bha- rata supplichevole, e non offendere a te stesso, o tu die ami sopra ogni altra cosa il giusto e il vero. Cosi esortato dolcemente dal sacro suo maestro, il Raglimele generoso rispose a Vasistha sedente : L'osservanza che prestali gli uomini al padre ed alla madre, non è condegna rimunera- zione di ciò che il padre e la madre tanno sia coli' alimen- tare i figli, sia col dare ad essi vesti e letto, col dir loro sempre cose care, col crescerli ed allevarli : il re Dasaratha fu il padre che mi generò, ed io non debbo fare altramente da quello che gli promisi. Poiché Rama ebbe così par- lato, Bharata dal largo petto così disse oltremodo afflitto a Sumantro auriga : Apparecchiami qui tosto sur un ri- spianato uno strato d'erbe cuse (poe); io mi starò qui sedendo in faccia a Rama, finch' ei non mi si mostri favo- revole : qui rimarrò giacente dinanzi al suo abituro, senza cibo, con occhio immobile, nudo d'osmi bene, come un uomo annighittito , lindi' ei non consenta a ritornare ; e guardando Rama, Bharata dolentissimo si diede egli stesso a preparar con istrati di cuse, disponendole sulla terra , il suo giaciglio. Ma il forte regal Rama così gli disse : Che fo io, o caro Bharata, perchè tu ti ponga a sedere incontro a me? un Brahmano che giacesse immo- bile sopra un lato in faccia altrui, potrebbe ardere la città (89); ma non è uso degli Csatri il porsi a sedere di- nanzi altrui. Sorgi, o nobil principe, e lasciando questo tuo terribil voto, ritorna tosto ad Ayodhya, e rendi ve- race la parola del padre; governa con intenta cura e con giustizia, o Bharata, i tuoi sudditi, quasi diletti tuoi figli,
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siccome fosti da me ammonito. Ma Bharala pur rosi se- dendo e guardando d'ogni intorno, cosi disse a <|ii('ll;i gente cittadina e suburbana : Perchè non supplicale voi pure al nobil Rama? Quelli allora cosi risposero al magna [limo Bharala, rosso di piantogli occhi e dolente del mite contesilo di Rama : Noi conosciamo il Cacutsthide saldo nella verilà e nella giustizia; né osiam parlare per amore: perocché egli non ascolterebbe i nostri detti. Quest'uom prestante, fedele alla parola del padre, non vuole udire né i sacri maestri, né le madri, né te stesso; onde non possiam noi con nostre instanze smuover Rama férmo e costante nella verità e devoto al padre. ÌNon può costui lutto intento al vero esser distolto dalla verità, come non può essere scosso dal vento nemico agli alberi il som. ino monte Himavate.
CAPITOLO CXXI.
CONSIGLI A BHARATA.
Udite le parole dei cittadini, Rama pieno d'amor per essi grandemente si rallegrò, e lieto cosi disse : Son con- venevoli e degne le parole dei pii Brahmani, conoscitori dei Vedi e dei Vedanghi, maestri di sapienza; è vero, giusto, e sopratutto conforme ai dovere, quel che dicono costoro che tutto sanno, che son riconoscenti dei bene- lizj e venerandi come Dei; son conformi alle mie, o caro, le parole di questi cittadini, che erano governati con sol- lecita cura e come figli da nostro padre , e furon sempre devoti al re. Io li ripelo, o Bharala, quello che già ti
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dissi : ritorna alla città; perocché io debbo di necessità qui rimanere, osservando la mia promessa : io li scon- giuro, o Bharata; perchè insisti tu ancora.' parlaron sa- viamente tutti questi nostri amici intenti al nostro bene; a che ti snova ^ contristarci? ritorna, o Bharata, alla città. Si potrebbe più tosto rasciugai l'Oceano signor dei fiumi, smuover dalla sua base il monte Vindhya disteso sulla terra; ma io, o eroe, non farò mentire al suo detto il padre, questo io prometto, questo io giuro sulla mia fede : tu ciò udendo , o Bharata , rifletti saviamente. Sentendo ^quelle parole, il regal Bharata si scolorò in volto, e cadde in gran mestizia : levatosi da quel letto di euse e purificatosi con acqua, cosi parlò quindi queir eroe : JVT oda questo consesso ; m' odano i consiglieri , le madri, i fidati amici, i cittadini e la gente suburbana; desidero essere udito da voi tutti specialmente, lo voglio emendar quest' opera riprovata : non chiesi al padre il regno; non mi dolgo di mia madre; non dispregio il no- bile Rama sommo conoscimi del giusto : ma se di neces- sità si dee qui rimanere ed adempiere il comando del padre, io stesso qui rimarrò duranti 1 quattordeci anni. Ma il pio Rama maravigliandosi di que' detti veraci del fratello, cosi parlò guardando i cittadini e la gente subur- bana : La sorte prefinita che m1 assegnò vivendo il padre, non si può trasgredire da me né da Bharata; io non debbo far qui vile inganno in questo mio soggiorno nelle selve; perocché fu giurato al cospetto di Caiceyi da mio padre stesso quel eh1 egli fece conforme alla sua fede. Conosco Bharata d'animo sedato, onorator del padre; e desidero ogni cosa fausta a quel magnanimo. Allor
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che sarò ritornato dalla selva alla città, io sarò con quel giusto che m' è fratello, re supremo della terra, lo ho eseguito l'ordine di Caiceyi ; tu salva, o Bharata, da
menzogna d saggio padre.
CAPITOLO CXXII.
CONGEDO DI BHARATA.
Ma i grandi Risei colà raccolti stupivano, veggendo il mirabile ahhoccaiuento di que' due fratelli di forza in- comparabile; ed i Gandharvi, i Mimi, i Siddhi, i sommi Hisci celebravano i due magnanimi Cacutsthidi. Felice eolui che è padre di due tali figli pii, veraci e forti! udendo noi i degni vostri colloquj , portiamo invidia ad amendue. Quindi le schiere de' Sapienti divini, deside- rose della morte di Ravano, cosi parlarono levate in aria a Bharata guerrier fortissimo : O uom nato d'alta stirpe, saggio, illustre e generoso, tu dei conformarti alle parole di Rama, se hai riguardo al padre ; noi pur desideriamo che Rama si sciolga dal suo debito verso il padre, e che questi osservando a Caicevi la sua promessa, rimanga in cielo. Poich'ebbero così detto, i Gandharvi, i grandi Risei e i re Sapienti, tutti se n'andarono per la lor via. Confortato da quelle fauste parole, Rama con volto se- reno e lieto onorò tutti que' Risei ; ma Bharata colle mem- bra illanguidite, con voce esitante nelle fauci, così prese ;i dire in atto reverente a Rama : Guardando all' alto dover d'un re congiunto col dovere di stirpe, degna, o Cacutsthide , col tuo assenso al nostro invito purilìcar me
142 RAMAYANA.
e mia madre, lo non son allo a protegger solo questo grande regno, ed a conciliarmi regnando la gente rustica e cittadina; i congiunti, gli amici, i guerrieri, gli alleati desiderai! pur te solo, come l'agricoltore desidera la nuvola apportatrice della pioggia. Riprendi adunque, o saggio, questo regno intiero; io non son atto, o Cacut- sthide al governo delle genti. Così dicendo cadde l>ha- i-ata ai piedi del fratello, e cercava ardentemente di pro- piziar Rama con dolci paiole. Ma Rama ritirandosi in grembo il fosco Bharata dagli occhi simili a foglie di loto, dalla voce e dagli atti di cigno innamorato, così gli disse : La tua mente, così qual ella è per natura propensa alla modestia, è valevole assai al governo foss1 anche dei tre mondi; ma ascolta, o principe, qual modo tengano, quasi esempio ai re, India, il Sole, il Vento, Yama, Vii- runa, la Luna e la Terra. Come India spande la pioggia duranti i quattro mesi della stagion piovosa, così piova con larghezze sul suo regno il re : come per otto mesi il Sole attrae a se 1' acqua co1 suoi raggi , così dee il re ac- cumulare con giustizia; è questo il regale ufficio che s'ap- pella solare. Come corre qua e là il Vento, penetrando in tutte le creature; così penetri per ogni dove il re co' suoi esploratori; è questo l'uffizio che si chiama del vento. Siccome Yama, allor che è giunto il tempo destinato, al- l'erra chi gli è amico, e chi gli è nemico; così il re dopo aver deliberato , sia imparziale a chi gli è caro , e a chi gli è discaro. Come si vede Varuna legar colle sue catene; così si debbono dal re contenere i rei , conforme all' uf- fìzio di Varuna. Come 1' aspetto della piena luna rallegra l'animo; così il re, in cui trovano cagion di letizia gli
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uomini, adempie l'uffizio lunare. La Terra sostiene sem- pre egualmente tutte le creature; così pur sostenga il re Inlli i suoi sudditi!90). Dopo aver prima richiamato alla memoria e ponderato i negozj del regno co' suoi ministri, cogli amici e coi saggi suoi consiglieri, li faccia quindi eseguire il re. Or ti dico, o Bharata, che potrebbe dipar- tirsi dalla luna il suo splendore, muoversi l'Himalaya, oltrepassar l'Oceano i suoi confini; ma io non tradirò la promessa del padre. Tu non dei recarti ad animo ciò che per amore o per cupidità fece tua madre, e devi coni portarti verso lei qua! si conviene a un figlio. Sia dun- que così come tu vuoi, rispose Bharata a Rama, somi- gliante di vigore al sole, soave nell'aspetto come la luna nel primo suo crescere. Ma, fallitogli il suo desiderio, rimase Bharata vie più mesto , e colla gola chiusa dalle lagrime s' abbassò con atto reverente a terra , abbracciando i piedi del magnanimo Rama.
CAPITOLO CXXIii.
I CALZARI DI CIISA ACCETTATI.
Ma Rama vedendo Bharata cader col capo ai suoi piedi , s arretrò subitamente alquanto cogli occhi intor- bidati dalle lagrime; onde Bharata, toccati i piedi di Rama, cadde piangendo e oltremodo afflitto a terra, come un albero che cada da una sponda; e serpeggiava quasi sulla terra oppresso dal pianto e dall'angoscia; e s'andava ravvolgendo, misero, per ogni parte, piangendo m suon pietoso. Le madri di Bharata e Sila lìdia di Ga-
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naca pur piangevano per pietà di Ini dirottamente; era in quell'ora afflitto e piangente ogni uomo, i cittadini coi guerrieri e cogli artigiani, il sacro maestro, il sacerdote; e parea piangere eziandio, versando fiori, ogni pianta repente; quanto più per amore gli uomini, che hanno animo umano! Ma Rama commosso da amore, stringendo forte nelle sue braccia l'afflitto Bharata piangente, cosi gli disse : Or via ciò basti; e si raffrenino le lagrime; abbi orsù riguardo a noi dolenti, e ritorna alla città. Io non posso veder te figlio regale in tale stato; vien meno quasi f animo mio oppresso dal peso del dolore. Io ti scongiuro , o forte , con Lacsmano e con Sita; né più ti dirò parola, se tu non ritorni ad Ayodhya. Ciò udendo Bha- rata, dopo aver terso la sua faccia lagrimosa e detto dap- prima : « perdona ; » così parlò egli quindi a Rama : Fine dunque allo scongiurare ! io me ne ritornerò , se il mio stare cosi ti contrista; che io anche a costo della mia vita farò quel che tè caro, o mio signore. Tornerò del tutto ad Ayodhya colle madri, traendo con me questa grand' oste : ma ti rammento or questo; tu pur ti ricorderai del patto fra noi stabilito, allor che ta dicesti, o conoscitor del giusto : Tieni come deposito la regal fortuna d' Icsvacu. Rama fatto più lieto, e confortato con fauste parole Bharata disposto alla partenza, confermò quel che avea già detto. In questo mezzo sopravvennero i discepoli del saggio Sa- rabhanga, tenendo qual dono ossequioso, due calzari di cusa(91); Rama richiesto il Mimi della sua salute e data contezza di se a quel magnanimo, accettò i sandali di cusa; e Bharata, presi que' sandali recati dal Mimi, li mise prontamente ai piedi di Rama. Allora il facondo Vasistha
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circondato da grande calca, così parlò accrescendo negli animi la gioia ad un tempo e Ja mestizia : Prendi, o nobil nonio, que1 calzari, e adattali ai tuoi piedi; essi saran ca- gione di prosperità agli nomini. Il saggio e forte Rama, messi que' calzari e poi depostili, li consegnò quindi al magnanimo Bharata. Presi con letizia que' calzari e salu- tato Rama col girargli intorno, l'illustre Bharata costante nel suo voto li pose sul suo capo eccelso come quel d'un elefante. Intanto Rama amplifìcator della stirpe di Raghu, reso convenevole onore a quella gente, a Vasistha, agli altri sacri maestri ed ai seguaci, gli licenziò fermo nel suo dovere, come il monte Himavate sulla sua base. Le madri soffocate dalle lagrime e dal dolore non ebbero forza di salutarlo; ma Rama, salutatele tutte, entrò piangendo nel suo abituro.
CAPITOLO CXXIV.
PARTENZA DI BHARATA.
Allora Bharata, posti sul suo capo i sandali di cusa, salì lieto sul suo carro, seguitato da Satrughno. Anda- vano innanzi Vasistha, Vamadeva, Gàvàli costante ne' suoi voti, e tutti i consiglieri venerati per li lor consigli. Colla faccia volta ad oriente s1 avviarono essi alla pura Humana Mandàkini , salutando il gran monte Citracùta , sopra 1 cui alti rispianati giacciono a mille a mille bellis- simi metalli. Bharata colf esercito camminava per lo fianco del monte; e poco lontano dal Citracùta vide egli
il romitaggio, dove avea sua stanza il Mimi Bharadvàga. il. 19
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Pervenuto a quell' eremo , il saggio Bharata scese dal carro, e s' inchinò ai piedi del Mimi; allora Bharadvàga cosi disse lieto a Bharata : Hai In fallo quel che avevi in animo, e ti sei tu abboccato con Rama? Per tal modo interrogato dal sapiente Bharadvàga, il piissimo Bharata cos'i rispose a quel giusto : Benché supplicato dai sacri maestri, Rama fermo nel suo proposto rispose con animo sereno queste parole : Io osserverò costante e verace la promessa fatta al padre, e rimarrò qui quattordeci anni, secondo che pio- misi al mio genitore. Udite quelle parole, l'illustre e diserto Vasistha rispose al facondo Rama questi detti solenni : Consegna or dunque a Bharata que' calzari, o uom grande e pio, saldo ne' tuoi voti : essi saranno in Ayodhya cagion di prosperità agli uomini. Esortato con tài detti da Vasis- tha il Rasrhuide stando colla faccia volta ad oriente, con- segnò a me, perch'io regnassi, questi belli e splendidi calzari; ed io congedato dal magnanimo Rama, presi que1 fausti sandali, me ne ritornai, e or vo ad Ayodhya. In- tese quelle nobili parole del magnanimo Bharata, il Muni Bharadvàga così gli disse : Non è maraviglia, o generoso, ottimo fra i seguaci della virtù, che s' accolga in te tal ret- titudine, come s'accolgono all' imo le acque che piovono dal cielo. È immortale il nobile Dasaratha tuo padre, che generò un figlio tuo pari che sei come la giustizia vestita di corpo umano. Come cessò di parlare quel grande saggio, Bharata lo salutò con atto reverente, e s' inchinò ai suoi piedi; quindi , poiché l'ebbe onorato col girargli intorno iteratamente, il savio Bharata s'avviò co' suoi consiglieri ad Ayodhya. Procedeva distesa , se- guitando Bharata , quell' oste che ritornava co' suoi carri,
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co' suoi veicoli, co' suoi cavalli ed elefanti. Poco stante ei videro il trivio Gange, bella e fausta fiumana, incoronata d' onde rapidissime. Oltrepassato quel fiume pieno di coc- codrilli e di mostri acquatici, s'avviò quindi Bharata col suo esercito alla città di Sringavera; e da Sringavera an- dando oltre, egli vide la città d'Ayodhya. Allora Bharata preso da angoscia, cosi parlò all'auriga : Mira, o auriga, la città d'Ayodhya co' suoi boschi deserti, disformala, mesta, afflitta e muta : io non ho cuore di riguardare quella città priva di Dasaratha suo eccelso re e del ma- gnanimo suo figlio.
CAPITOLO C\\\.
ENTBATA IN AYODHYA.
Progredendo col suo carro che risonava profondo e pieno, l'inclito Bharata entrò rapidamente in Ayodhya. Era la città co1 suoi mesti abitatori, come una nera oscura notte, popolata di gatti e d' ulule, involta in cupe tene- bre; come Rollini nobil consorte di Luno, splendida in sua beltà, allorché sorgendo ella tutta sola, viene assalita da Ràhu (92); come un torrente alpestre mezzo riarso, intorbidato e smunto, sulle cui rive cantan gii augelli con aspre voci , e dentro cui stanno appiattati i pesci ; come una fiamma che si sollevava lucente e chiara dal fuoco del sacrifizio , spruzzata con pingue burro , e che poi cadde e si spense ; come una mesta giovenca abbando- nata dal suo toro, la qual se ne sta afflitta nel mezzo del bovile, calcando l'erba novella; come un nuovo mo-
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nilc privato delle cure e nobili sue gemme Incelili come il sole, fulgide al par di fiamma; come la terra subita- mente scossa dalla sua base, allor che è esani ilo ogni suo merito; come una stella che, perduta la radiante aureola della sua luce, cadde giù dal cielo; come una silvestre e bella pianta repente , densa di fiori , intorno a cui sul finir della primavera ronzavano liete le api, e che è arsa dal fuoco che incende la selva; come un cielo ottenebrato di nuvole, senza luna e senza stelle, piena di gente atto- nita, deserte le piazze ove si merca; come un abbeve- ratoio devastato da ebbri elefanti e squallido, ingombro d'eletti vasi esausti di bevanda e rotti; come una fonte d'acque utili e profonda, cavata in ruvido suolo e chiusa di frondi, che fu distrutta e cadde; come una robusta e tesa corda d'arco, che rotta dalle saette cadde dall'arco con grande suono a terra; come una debole puledra du- ramente affaticata dal cavaliere inebbriato dalla battaglia e da lui abbandonata, colf adorna sua pettiera dispersa a terrai93); come un ampio lago pieno di grandi pesci e di testuggini , che fu perforato , rasciutto d' acqua e spo- gliato de' suoi fior di loto ; come le membra (94) d'un nobil uomo riarse dal dolore, ed a cui son disdetti i soavi un- guenti e i belli ornati ; come la luce del sole velata da nere nuvole , allor che nella stagion delle pioggie egli entra in orride masse nubilose. Ma stando sul suo carro, l' illustre Bharata Dasarathide così parlò all' auriga che guidava Y eccelso carro : Non s' ode più qui l' alto e con- fuso suono di canti e di stromenti, qua! già s'udiva un dì in Ayodhya ; più non si veggon liete le sue vie di gio- vani in belle vesti e nobilmente ornati , correnti per la
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città; ])iù non spirano, come già per l'addietro, le fra- granze de' liquori, né le vive esalazioni d'odorifere ghir- lande, né i profumi d' agalloco e d'incenso; più non s'ode, come per innanzi, lo strepito de' nobili carri, il gradevole nitrito de' cavalli, il barrito degli elefanti caldi d' amore. Cosi parlando entrò Bharata in Ayodhya, e s' av- viò alla reggia del padre orbata del suo re, come una spelonca abbandonata dal leone.
CAPITOLO CXXVI.
DELIBERAZIONE D'ANDARE IN NANDIGRÀMA.
Deposte nella città le madri , Bharata costante ne' suoi voti così parlò poscia a quanti erano i suoi sacri maestri : Io me n andrò in Nandigràma, ed invito con me voi tutti ; là io sopporterò questo gran dolore dell' esser diviso da Rama : è morto il re mio padre, e dimora nelle selve il mio fratello primogenito; io aspettando Rama al regno, proteggerò intanto questa terra. Udite quelle nobili pa- role del magnanimo Bharata, tutti i consiglieri preceduti da Vasistha così risposero : E convenevole, degno di te e meritevole d'alta lode, o Bharata, quel che tu hai detto per amor di tuo fratello. Qual uomo non appro- verà la via che tu segui , stando saldo per fraterno amore nella devozione a tuo fratello ed operando nobilmente? Udite le care parole de' consiglieri, parole conformi al suo desiderio, così disse Bharata all'auriga : S'appresti subito il mio carro.
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CAPITOLO CXXV1I
STANZA IN NAN DIORAMA.
Salutate allora le madri tutte commosse dalla gioia, Bharata salì con Satrughno sul suo carro; e saliti insieme su quel nobile carro, i due fratelli s'avviarono con lieto animo circondati dai consiglieri e dal sacerdote. Precede- vano i Brahmani sacri maestri con Vasistha lor capo , e luti i colla faccia volta ad oriente comminavano verso cola dov1 era Nandigràma. Andavano dietro a Bharata camminante gli abitatori della città, e lo seguitava l'esercito raccolto co' suoi carri, cavalli ed elefanti; cosi il pio Bharata devoto al suo fratello, stando sul suo carro e portando con se i due sandali, pervenne a Nandigràma. Entrato prontamente in Nandigràma e sceso tosto dal suo carro, Bharata cosi parlò ai sacri maestri : Questo regno mi lii affidato da mio fratello come deposito, e con esso i due fausti sandali insegna della regale dignità e cagione di prosperità agli uomini. Quindi Bharata, venerati e poi deposti que' san- dali, così parlò con cuor dolente a tutti i sudditi che gli stavano intorno : Portate qui immantinente il regale ombrello, e tenetelo ai piedi del nobile Rama; questi due ornati sandali saran simbolo del regno. Io conserverò fino al ritorno di Rama questo deposito, che m'affidò per amore mio fratello ; e allor eh' io avrò reso al Raghuide il suo deposito, questi calzari eletti ed il regno d'Ayo- dhya, sarò mondo d' ogni colpa : sacrato re ilCacutsthide, fatto lieto e giocondo ogni uomo, la mia gioia e la mia
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gloria saranno maggiori assai che quelle del regno. Così parlando con cuore afflitto, il glorioso Bharata poneva co' suoi consiglieri il regno in Nandigràma, onoralo dalle genti : vestito di corteccie, colla chioma ravvolta a modo ascetico, in abito di Mimi, ei fermò coli' esercito sua sede in Nandigràma, aspettando il ritorno di Rama, devoto a' suoi sacri maestri, fedele ai detti del fratello, mante- nitor della sua promessa. Frattanto l' illustre Bharata, con sacrati i sandali di Rama, ordinò che fosse tenuta accanto ad essi la ventola crinita, segno della regia dignità; e sa- crati i sandali nella nobil città di Nandigràma, Bharata governava in nome d' essi. Così trapassavano i giorni del magnanimo Bharata , mentr egli attendeva il ritorno dell' invitto Rama.
FINE DEI. MURO SECONDO.
ARANYACANDA.
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LIBRO TERZO.
ARANYACANDA.
CAPITOLO I.
DISCORSO DEGLI ASCETI.
Partitosi Bharata, e dimorando Rama in quella selva d'ascetismo, s'avvide eh' eran turbati gli abitatori di quella foresta; ei vide eziandio pieni d'ansietà gli asceti contemplatori che abitavano dirimpetto al Citracùta, e ricorrevano assiduamente a lui. Costoro guardando Rama accigliati e insospettiti ed abboccandosi l'un coli' altro, mormoravano in disparte. Scorgendo Rama l'ansietà di coloro, così parlò reverente e sospettoso al Risei ch'era duce di queli' ascetica famiglia : Ho io forse nel mio operare, o uomo eccelso, fallito in alcuna cosa, onde così son mutati questi asceti ? Han forse questi Risei ve- duto in Lacsmano mio minor fratello qualche atto scon- siderato, non degno di lui ? o forse Sita che fu pur sem- pre ossequente ai sacri maestri e devota al suo consorte , si comporta ella trascuratamente? Udendo quelle parole di Rama, que'pii asceti guardandosi l'un l'altro, non risposero parola. Ma un Risei grave d'anni e domato ne' suoi sensi dalle lunghe austerità, così parlò tremando .1
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Rama compassionevole ad ogni creatura : No non veg- giamo in te alcun fallo, o uom prestante; tu li comporli degnamente e come pio verso questi asceti; nessun v'ha fra questi antichi Risei, che non sia contento del proce- dere onesto di te ottimo e del tuo fratello Lacsmano; il tuo contegno, non men che quel di Lacsmano, è qual si conviene verso i sacri maestri. Come poi, o caro, po- trei)!)1 essere inconsiderata sopratutto verso i pii asceti la Videhese di nobile costume , naia in un amplissima stirpe? Non siam noi mesti per cagion tua, o caro; ma il timore di questi asceti nasce dagli empì Racsasi; afflitti e perturbati da quella paura, ei s'abboccano l'uri coli' altro. Abitano, o Raghuide , in questa grande selva Rac- sasi antropofagi di forme diverse, feroci ed avidi di san- gue, i quali assalendo gli asceti abitatori del Ganasthàna, li uccidono in questa gran selva; respingili tu, o Ra- ghuide. E quella la via, per cui i grandi Risei recano frutti dalla selva; in quella via entrano essi con gran fatica. Quivi un Racsaso per nome Khara fratello minor di Ravano atterrisce tutti noi abitatori del (ìanaslhàna; è colui crudele, iniquo, superbo di sua forza e vitto- rioso; egli ha con se compagni altieri, ed ha in ira te, o diletto. Dappoi in qua che tu dimori in questa sede di romiti, i Racsasi vie più travagliano i pii asceti. Que1 de- formi d' infausto aspetto mostrali loro orribili dispregi in varie forme orride, fiere e paurose, e costringendo gli asceti ad atti impuri, fanno loro que' vili, o generoso, oltraggi indegni. Spaventosi e a vedersi turpi ei fanno, occulti nelle fìtte solitudini, scherzi osceni, sgomentando pii asceti; dispergono le cucchiare del sacrifizio e i
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sacri arnesi, contaminano il burro cotto destinalo ad of- ferta sul sacro fuoco, e corrompono con sangue in ogni parte le sacre oblazioni. Eglino diffidenti mandai] fuori agli orecchi de' confidenti e pii asceti suoni orrendi; e nell'ora del sacrifizio, rapite le brocche de1 solicelli asceti, le legna, i fiori e le sacre verbene, se ne fuggon via que1 mostri orribili. Veggendo questi pii anacoreti infestala da que' malvagi questa selva, si consigliano con le ansiosi d'andarsene altrove; perciò, o Rama, finché non sia dis- sipato ogni lor timore, noi abbandoneremo questa sede romita. Non lungi di qui è una mirabile selva, piena di frutti e di radici; colà v'ha un antico romitaggio; noi v'andremo conte, o diletto. Finché Khara ancor non pensa a farti offesa, abbandona, o caro, questo soggiorno, e vientene con noi. Non è bene che tu dimori qui solo colla tua donna , mentre stanno qua vicini que' Racsasi crudeli : tu sei bensì atto, o Rama, a disperdere que' Racsasi ; ma non dei però troppo fidarti; perchè i Piacsasi son pieni di frode. Poich'ebbe il pio asceta così parlato, il regal Rama non potè, colle parole eh' ei rispose, disto- glierlo dal suo proposto. Salutato e confortato il Raghuide e dettogli vale, quel duce d'ascetica famiglia se n'andò co' suoi seguaci, abbandonando quel romitaggio. Partitisi tutti que'Muni fedeli al voto del silenzio, quel romitag- gio derelitto rimase muto e squallido, abitato da serpenti e da belve quasi dolenti della lor partita.
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CAPITOLO II
I-ARO [.E ir ANASI 1 \.
Andatisene quegli asceti, il Raghuide pensando fra se più non amò per molte cagioni di dimorar colà : Qui furono, ei pensò, da me veduti Bharata, le madri e i cit- tadini; m' è «rande angoscia al cuore l'assidua ed amara lor rimembranza; ed essendo stalo da Bharata accampalo qui l'esercito, s'è fatta «rande sozzura dal fimo degli elefanti e de' cavalli. Per lo che avendo il Raghuide de- liberato d'andarsene altrove, se ne partì quindi con Lac- smano e con Sita. Pervenuto al romitaggio d'Atri, venerò egli quel grande asceta, e il venerando Atri 1' accolse con amore a guisa di padre. Resi egli stesso a Rama i con- venevoli uflìcj d' ospitalità , fece ei pure blande acco- glienze , quali si convenivano, a Lacsmano ed a Sita; quindi quel gran Mimi così parlò alla sua consorte Anasùya ve- nerabile e antica penitente, perfetta e immacolata, intesa al bene d'ogni creatura : Accogli la Videhese; onora con doni desiderabili la gloriosa consorte di Rama; poi egli presentò a Rama la Brabmana sua moglie, costante ne' suoi voti, esercitala in acerbe castigazioni ed in mirabili pie osservanze : E questa, o caro, Anasiìya che sostenne anticamente per lo spazio di dieci mila anni supreme macerazioni; ella t' è qual madre, o incolpabile; costei, allor che la terra fu riarsa da una continua siccità di dieci anni, produsse radici e frutti, e fece fluir la Gratinavi (il Gange); costei adoperandosi in servigio degli Dei, prò-
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lungo per lo spazio di dieci notti una sola notte; ella t'è qual madre, o incolpabile. S'appressi la Videhese a questa nobile penitente, benefica a tutte le creature, perfetta, mite e veneranda. Assentì al Risei che così parlava, il pio Raghuide; poi così disse a Sita : Udisti, o Sita, le parole di questo magnanimo Saggio, dirette al tuo bene; t'ap- pressa tosto a quella pia. Udite le parole di Rama, Sita intenta al suo bene s'accostò a mirare la pia consolle d'Atri, fiacca, eadente, antica, canuta per vecchiezza e smunta, tremante come una debole pianta incontro al vento. Sita salutò prontamente col capo dimesso la venera- bile Anasùya, salda ne' suoi voti, dicendo : lo son la Mi- thilese. Salutata la pia donna ascetica, Sita giungendo le mani in sulla fronte, lieta la richiese della sua salute : e quella casta donna guardando la preclara Sita e richie- stala della sua prosperità, così le disse : Felice te che osservi il tuo dovere, o Sita! felice te, o donna, che abbandonando i tuoi congiunti, gli onori e le dolcezze, seguiti per amore Rama fra le selve ! le donne che han caro il lor consorte, sia egli felice o sventurato, malvagio o buono, ottengono le alte sedi fortunate. Il consorte è il nume supremo delle donne generose, ancorché sia esso di rei costumi, dissoluto ed alieno dai suoi doveri; io non veggo per la donna di stirpe onorata congiunto maggior del suo sposo; lo sposo è il suo amico, il suo maestro, il suo signore ed il suo nume. Ma ciò non comprendono per la malvagità della lor natura le donne disoneste, le quali avendo il cuor loro dominato da concupiscenza, fanno oltraggio al lor consorte : tali ree donne, o Mithilese, soggiogate dalla forza del male non
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acquistano che infamia, e cadono d'ogni lor virtù . Ma le donne oneste tue pari, o fortunata, che han l'occhio quaggiù al presente ed al futuro, sen vanno al cielo, come gli uomini virtuosi e pii. Perciò seguitando 1' esem- pio delle donne oneste, conservati fedele al tuo consorte e casta; ed otterrai quaggiù merito e gloria.
CAPITOLO IH.
DONO D'AFFETTO.
Udite quelle parole dell'inclita Anasùya, Sita venera- tala, così prese a dir tutta lieta : Non è meraviglia, o nobil donna, che tu così mi favelli; ma io già ben sapeva che il consorte è il rifugio della donna. Quand' anche, o eccelsa, questo mio consorte fosse privo d' ogni dote , dovrebbe egli essere pur nondimeno unicamente e assiduamente da me onorato ; quanto più , essendo egli preclaro per virtù, compassionevole, donno de' suoi sensi, giusto e di saldo affetto, ed oltre ogni altro caro sempre ai suoi genitori! In quel modo che l'inclito Rama si comporta verso Causalya sua madre , così egli fa verso l' altre donne del re; ne ciò solo, ma le donne vedute dal re pur una volta onora come madri quel!' illustre e forte. Mi sta fermo in cuore ciò che un dì mi diceva mia suocera, mentr1 io m'avviava alle deserte selve, e ch'io raccolsi attenta; e mi sta pur fìsso nella mente quel che un dì mi diceva mia madre , allor che Rama m' impalmò , stando io in mezzo al sacro fuoco : tutti que' detti son ora rin- frescati dalle tue parole, o pia; non v'ha sacra osservanza
maggior per la donna, che l'ossequio verso il suo con- sorte. Per aver prestato ossequio al suo sposo, Sàvitri è or magnificata in cielo; parimente per l'ossequio verso il mio sposo se n'andò Arundhati alle sedi celesti; e la pre- clara Ira tutte le donne che è Dea in cielo, Rollini non è pure un sol momento divisa dal suo consorte Limo; cosi altre simili donne fedelmente devote ai loro sposi son per tal atto pio magnificate nel mondo felice degli Dei. Udendo que' nobili detti, Anasùya baciò lietissima sul capo la Mithilese, e così le disse con voce interrotta dalla gioia : Son convenevoli e degne le tue parole, o Sita: ne son io soddisfatta; or dimmi che cosa io posso far che a te sia cara : ricorrendo alla potenza ascetica eh' io mi sono acquistata con diverse osservanze austere, io ti farò un dono, o Sita. Ma Sita, udite tali parole, rispose stupe- fatta a quella donna possente per ascetismo e maravigliata anch'essa : Basta quel ohe hai già fatto. Per quelle parole rimase vie più contenta quella pia, e mostrando appieno il suo favore, così disse : 0 fortunata figlia di Ganaca, tu n andrai adorna e lisciata per tutto il corpo con questo odoroso e divino unguento eh' io ti dono; d' oeffi innanzi, -i' tu sia felice, sarà immortale la tua corona; e per lungo tempo non si distaccherà dalle tue membra questo un- guento : con questo unguento eh" io ti dono, o Mithilese, tu sarai gioconda al tuo sposo, come la bella Lacsmi è cara a \ isnu. La Mithilese accolse quelf eccelso dono d amore , e con esso vesti, ornamenti e serti. Quindi ristorata della sua stanchezza e lieta prese Sila le due belle vesti sempre immacolate, simili di colore al sol eli'' nasce, i serti, l'unguento e gli ornamenti.
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DISCORSO DI SITA.
Ricevuto queir eccelso dono d'amore, Sita venero con atto ossequioso ([nella pia, ed Anasiìya snida ne' suoi voti così prese a dire alla modesta e reverente Sita dagli occhi di loto : Io udii narrare, o Sita, che il Raghuide glorioso t'ottenne un dì come sposa per solenne tua elezione; or io desidero udir da te per disteso quel racconto ; ti piac- cia , o Milhilese , narrarmi ogni cosa compiutamente, com' ella avvenne. Sita così invitala, e detto : Or bene ascolta; così prese a raccontare a quella donna casta e pia : V ha un re di Mithila per nome Ganaca , eroe , conoscitor del giusto, fedele ai doveri di Csatro, il qnal regge degnamente la terra. Costui, che è mio padre, an- dato un dì colle pie sue consorti a segnar coli' aratro la cerchia del sacrifizio, vide un mirabile prodigio; ei vide andar per Y aria la vaga Apsarasa Menaca di beltà divina, illuminante col suo splendore le regioni aeree. Veduta colei bella come Piati la consorte dell'Amore, gli entrò ne 11' animo questo pensiero che^smosse la sua fermezza : Oh mi nascesse una figlia simile a costei , che accrescesse la mia gloria! sarebbe questo un gran favore a me privo di figli. Allora una voce non umana proferì per l'aria, siccome è fama, queste sonore parole : Tu otterrai una figlia simile a costei per isplendore di bellezza. Mentre Ganaca segnava colf aratro in mano la cerchia del sacri- fizio, io uscii di repente fuori, aprendo la terra rifugio
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dell'uomo. (Ionie il re Ganaca mi vide sparsa di polvere per Inllo il corpo ed agitante le mani chiuse, rimase stupefatto; ed appressatosi a me e raccoltami con amore sul suo grembo, così egli disse : E costei per cerio mia figlia; perocché io sentii amore per lei. Così è, rispose una voce occulta ed incorporea; e s'udì allora un suono di timpani celesti, accompagnato da una pioggia di (iori; questa bellissima fanciulla figlia del tuo desiderio e pro- dotta da Menaca, acquisterà gloria nei tre mondi; e poi- ché ella sorse fuori aprendo la terra del campo come una pianta, perciò avrà questa tua figlia celebrità nel mondo col nome di Sitai1). Allora fu lieto il pio re di Mithila mio padre, ed ottenendo me, parve aver egli ottenuto un grande incremento : ei mi diede come figlia alla più nobile sua consorte; da lei fui io cresciuta con materno amore per dolce affetto. Ma allor cbe mi vide pervenuta all'età nubile, entrò mio padre in grave pensiero, come 1' uom misero che ha perduto ogni sua ricchezza. 11 padre, ei pensava, che ottenne in dono una tal fanciulla raccolta dalla terra arata, riceve insulti da proci arroganti, foss' egli anche simile ad Indra sulla terra. Veggendo non lontani quegli insulti che egli per se temeva, stava il re immerso in un mar di pensieri; né poteva venirne a riva, come l'uom che è in mare senza nave. Quel re della terra sap- piendo non esser io nata da femmineo seno, non trovava, fra se pensando, sposo che fosse mio pari e degno di me. Nacque allora in lui tormentato da tale cura questo pen- siero : ordinerò io, conforme all' uso, una solenne ragu- nanza dove Sita elegga uno sposo. Un dì , mentre mio padre dava opera ad un sacrifizio, gli fu dal magnanimo
I(>4 RAMAYANA.
Siva consegnato come deposito un arco e con esso due faretre inesauribili, un arco che per lo suo gran peso portano con istento cento eletti uomini vigorosi, robusti, giovani e saputi, che non potrebbero con ogni lor fatica pur pensare a sostenere uomini deboli ed inetti, quanto meno a tenderlo con forza! né furon mai atti ad ergerlo quanti vi si provarono re ad altri uomini sulla terra esperii nell'armi e vantatori di se stessi. Mio padre, fatto porre quell'arco in piedi, e chiamati tulli i suoi ministri, disse in mezzo a loro queste parole imperiose : Colui che dopo aver sollevato quest' arco, lo incorderà con una sola mano, sarà sulla terra consorte di Sita. Esposto quell' arco per la solenne mia elezion d'uno sposo, mio padre spedì messaggi eri ai re che avean fama di guerrieri valorosi. Quei re convocati vennero al tempo opportuno; e furon tutti, siccome degni d'onore, nobilmente accolti dal re; ed entrali quanti egli erano nella casa destinala a quel solenne concorso, tutta fulgente di splendore, ei videro quell'arco. Veduto quel grand' arco ampio come la pro- boscide d'un elefante, mancaron d'animo tutti quei re, guardandosi 1' un l'altro; e sentendosi inabili a tendere quell'arco eletto, pesantissimo e duro a sostenersi, salu- tato il re, se ne partirono. Rotta quella solennità sponsale ed andatisene quei re, mio padre pur pensando, non trovava uno sposo che fosse mio pari. Ma dopo lungo tempo, mentre il magnanimo Ganaca mio padre attendeva ad un sacrifizio, sopraggiunse, simile a piena luna che sorge, questo nobilissimo Raghuide, grande arciero, or- nato le tempia di cincinni, che aveva udito celebrare la forza e il peso di quell'arco. Era Rama accompagnato
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dal saggio Visvamitra figlio di Gàdhi; e fallosi innanzi a mio padre, lo salutò; che ei ben sapea ed aveva udito esser egli amico di Dasaratha suo padre. Coni' ebbe il sag- gio Rama prima richiesto Ganaca della prosperità della sua salute, e ne fu egli stesso richiesto da mio padre, poscia fra d ragionare così parlò sorridendo a Ganaca circondato dai suoi ministri questo mio Raghnide : Ho desiderio, o mio signore, di veder quel tuo arco, che cento uomini, siccome è fama, bastano appena a sostenere; ti piaccia ora far che io il vegga. 11 re mio padre allora, preso per mano Rama , andò colà dove stava quelf arco divino , e disse a Rama : Questo è desso. Il Raghuide, veduto queir arco , lo sollevò ; di che rimase stupefatto il re co1 suoi ministri. Ma mentre Rama ergeva con impeto quel grand1 arco, lo ruppe nel mezzo, e ne uscì un suono spaventoso, come di fulmine che cada. Assordati da quel suono cad- dero a terra sbalorditi quanti erano colà, eccettuatine tre soli, Rama, Lacsmano e il re mio padre; tutta l'altra gente non potè mantener fermo il suo cuore. Conosciuta allora la forza del Raghuide, si rallegrò mio padre e gli die co' suoi ministri lode conforme al suo valore. Quindi presentato un vaso d'acqua, venni io offerta come sposa a Rama da mio padre desideroso d'osservar la sua fede; ma il Raghuide non accettò per anche come sposa me che gli era offerta , non conoscendo egli ancora l' inten- zion di suo padre re d'Ayodhya. Chiamato allora colà il vecchio re Dasaratha mio suocero , mi diede il re Ganaca siccome prima ed ugual consorte al magnanimo Rama ; e nello stesso tempo diede pur mio padre come sposa a Lacsmano una mia minor sorella per nome Urinila, bel-
166 RAMAYANA.
lissima laminila. Cosi lui io disposata dal padre ;i Rama per solenne mia elozione, e son io devota eoi» tutto l'af- fetto al mio consorte fortissimo tra i forti.
CAPITOLO V.
ENTRATA NELLA SELVA DANDACA.
Udito quel soave racconto della Videhese, biasùya abbracciando Sita, la baciò sul capo; poi quella pia con- sorte d'Atri disse queste dolci parole, belle ed impron- tate d'affetto, proferite quasi impensate : Mi ni fatto da te, o figlia, un esimio racconto dilettoso; e godei som- mamente udendoti narrare, o donna di soave favella. Or calò, o leggiadra, all'occaso il sole, ed è sopraggiunta la nitida e pura notte sparsa d' astri e di segni costellati (nacsatri). S'ode la voce degli augelli o dispersi per l'aria in cerca di lor pastura, o raccolti ne' lor nidi. Que' Muni die andarono al lago con lor brocche per farvi le abluzioni vespertine, se ne ritornan ora colle vesti di corteccia asperse d' acqua. Ecco si vede per 1' aer puro il fumo che nereggiante e rosso come le piume d' una colomba, sorge dal sacro fuoco sovra cui i Risei han fatto, conforme ai riti, le sacre oblazioni. Gli alberi scolorati e confusi in masse d' ogni parte per quest' ampia e bella regione , hanno sembianza di montagne. Vanno ora errando intorno gli esseri nottivaghi ; e le belve man- suete di questa selva d' ascetismo se ne stan giacendo fra l'are del sacrifizio. E venuta la notte, o Sita, coronata d'astri e di segni costellati, ed apparve in cielo sorta la
ARANYACANDA. 167
luna cinta di splendore. Raccogliti al fianco di Rama, o Mithilese; io li licenzio; io fui da te rallegrala, o donna esimia, col soave tuo racconto. T'adorna ora alla mia presenza, o Mithilese; sarò io contenta di vederti ornata. \llora s'adornò Sila pari alla figlia d'un Dio; e salutata \nasiìya, si condusse a veder Rama. L'egregio Raghuide contemplò con mcravujlia Sita così abbellita con quel dono d'amore dalla pia consorte d'Atri; e Sita raccontò fedel- mente a Rama il dono dell'unguento e degli ornati, che le fece la donna pia. Fu lieto Rama e con lui il glorioso Lacsmano, veggendo ottenuto dalla Mithilese tanto onor di cortesia, difficile a conseguirsi dalle donne; e pieno di giocondità passò colla sua diletta nell' eremo del Mimi quella pura notte. Trapassata quella notte , il venerando Atri, fatte le oblazioni sul sacro fuoco, così parlò a Rama che chiedeva da lui commiato : Abitano, o Raghuide, in questa gran selva Racsasi antropofagi di forme diverse, feroci ed avidi di sangue ; que' Racsasi fanno oltraggi al pio asceta, s' egli è lasciato solo o non è guardingo; degna tu respingerli di qui , o Rama. E quella la via per cui i grandi Risei recano frutti dalla selva; per essa tu dei an- darne di qui ad un' altra selva d' aspro accesso. Vanne felice a quella foresta, ove desideri d'arrivare, e v'abita felicemente, o figlio di re. Possiam noi qui rivederti ri- tornato da quella selva, dopo che tu avrai condotto a fine il tuo assunto ! Così benedetto con fausti voti da que' magnanimi Brahmani reverenti, l'invitto Raghuide s'ad- dentrò nella selva con Lacsmano e colla consorte, coni' entra il sole in una cerchia di nubi.
168 RAM AVANA.
CAPITOLO VI.
VEDUTA DF ROMITAGGI.
Entrato nella gran selva Dandaca , mirabile foresta, Rama vide una cerchia insuperabile d' eremi di pii asceti, sparsa di cuse e di corteccie, cinta di splendor brahma- nico, dov'era l'entrar difficile, e difficile il mirarla, ri lu- cente come il disco del sole : era fiorente e fortunata , rifugio di tutte le creature , frequentata e rallegrata con assidue danze dalle schiere delle Apsarase, adorna di sacelli destinati al sacro fuoco, con cucchiare e nitidi vasi risplendenti, con grandi brocche d'acqua, radici e frutti; era abbellita da grandi alberi silvestri pieni di belli e dolci frutti, da arbori adorne di varj fiori e da stagni coperti di ninfee, abitata da antichi Mimi man- sueti, fulgidi come il fuoco e il sole, cibantisi di frutti e di radici, vestiti di corteccie e di nere nebridi; puris- sima, santificata da sacrifizj e da oblazioni, risuonante del canto dei Vedi, onorata da molti uomini preclari e temperanti. Veduta da lungi quella cerchia di romitaggi, simile alla sede di Brahma, abitata da sommi Risei e da venerandi Brahmani indiati in Brahma , rallegrata dal canto di varj augelli , piena di belve diverse, il fortissimo e saffsrio Raghuide, levata la corda dal suo grand' arco, s'appressò seguitato da Lacsmano e da Sita. Que' grandi Risei dotati di scienza divina, veduto Rama, gli si fecero lieti incontro, e così a Lacsmano ed a Sita, e mirando quel pio colà presente, simile al sol che nasce, I' accol-
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sero con salvili benaugurosi quegli asceti di saldi voli; e riguardavano con sembiante attonito la forma, la statura, lo splendore, la fresca gioventù e il nobile vestir di riama. Tulli quegli abitatori dello selve miravano con occhi im- mobili, come cosa prodigiosa, Rama, Sila e Lacsmano. Quindi que' Mimi raccolti introdussero nel loro abituro di foglie, perchè facesse colà dimora, Rama venuto quivi ospite spontaneo; e facendogli ospitali accoglienze, quali si convenivano, gli presentarono acqua pura que' giusti e pii asceti, ed offerti a quel magnanimo, conforme all' uso, fiori, radici, frutti silvestri ed il loro romitaggio, così gli parlarono quindi con atto reverente : Tu sei a noi come la Giustizia, o Rama; tu ci sei padre, sostegno e amico; tu sei re maestro del mondo, degno d'onore e di reverenza. Il re quarta parte del supremo degli Dei protegge le genti; perciò, o Raghuide , fruisce egli le delizie più pregiate, onorato dagli uomini. Noi abitiam la terra sovra cui tu imperi ; dobbiam quindi essere da le protetti : o sii tu nella città, oppur fra le selve, tu sei nostro re, o eccelso fra i Raghuidi. Noi abbiam dismesso, o Rama, il nostro scettro; abbiam domata Tira e vinti i sensi; siamo pii asceti intenti ai sacri doveri; dobbiam perciò assiduamente essere da te difesi. Così quegli asceti perfettissimi, decorosi in ogni loratto, onorarono degna- mente Rama colà venuto , fulgente come fuoco ; ed il Raghuide , ricevute quelle accoglienze da que1 preclari Mimi ed onorato da loro come il supremo de Celesti dagli Dei, dimorò felicemente in quel romitaggio insieme colla figlia di Ganaca.
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CAPITOLO MI.
\ EDUTA DI VIRÀDHO.
Avuta da que' Mimi 1' ospitalità ed essendo oramai sorto il disco del sole, il Cacutsthide riprese il suo cammino, dopo aver salutato quegli asceti. Ei vide allora una gran foresta piena di belve , abitata da orsi e da tigri ed ingombra di cornici e d' avoltoj , sparsa di stagni popolati d' anase e di cigni, frequentata da esseri diversi, risuonante del canto degli augelli e dello stridor dei grilli; Rama segui- tato da Lacsmano s' addentrò in quell' orrida selva. In quella selva spaventosa, piena di stormi d'augelli vide il Cacutstbide un orrendo Racsaso, simile al cocuzzolo d'un monte. Avea </uc1 Racsaso, terror delle belve e de' ser- penti, un corpo smisurato, lunghe le gambe, adunco il naso, deformi gli occbi , lunga la faccia e arcato il ventre. Ei teneva sulla punta dell' asta otto leoni insanguinati ed un gran teschio d' elefante colla sua proboscide , tutto cosperso di midolla; avea per veste una pelle di tigre sanguinosa con tutti i piedi ; e colla sua bocca spalancata atterriva, come il re della morte, ogni creatura. Colui, veduti Rama, Lacsmano e Sita, corse irato incontro a loro, a quella guisa che assale le genti il letifero lama; e gettato un grido orrendo che scosse quasi la terra, prese Sita sopra il suo grembo , poi discostatosi così disse : Giunti all' estremo di vostra vita voi entraste in abito d' asceti nella selva Dandaca con una donna , armati di spada, d'arco e di saette; come osaste venir con una
ARANYAC \M)A. 171
donna ad abitar qui vicino ai pii asceti.' Chi siete voi malvagi ed empi clic qui vi mostrale in sembianza di Ninni;1 lo sono un Racsaso per nome Viràdho, e m'aggiro per quest' aspra selva assiduamente armato , facendo mio pasto delle carni dei Risei. Poich'ebbe cosi parlalo ;i que'due eroi, il selvaggio Viràdho, alzala sul suo grembo la Videhese e sollevatosi in aria, cosi soggiunse : Oli mi venne pur ghermita una donna per farne pasto delizioso.' ma ditemi orsù, cln siete voi, e dove andate? Allora Rama Icsvacmde grande arciero cosi rispose a quel Racsaso d'orrendo aspetto, che così l'interrogava : Sappi che noi siamo due fratelli figli di Dasaratha, per nome Rama e Lacsmano, guerrieri e di nobile stirpe, che andiamo er- rando per le selve. Ma desidero che tu meglio ne informi chi tu sia, che con quel tuo sembiante spaventoso t1 aggiri per la selva Dandaca e mediti misfatti. Udite le parole di Rama, Viràdho lutto lieto narrò ai Raghuidi conforme al vero l'esser suo maraviglioso : Io son, come narra la lama, figlio di Yania, ed ebbi per madre Satahrada; sulla terra mi chiamano Viràdho tutti i Racsasi. Io ottenni da Brahma colf aspre mie austerità il favore eli non poter essere quaggiù ucciso da saette, né ferito da alcun telo. Or voi, abbandonando questa donna, fuggite di qui pron- tamente per l'util vostro, senza darvi pensiero d'altro, acciocché io non tolga a voi la vita. Questa leggiadra donna sarà mia sposa; e berrò caldo il sangue d'amendue voi iniqui , se verrete con me a battaglia. Mentre Viràdho parlava con tal fierezza. Sita tutta intenta tremava im- paurila, come una flessibile pianta esposta al vento; e Rama veo<>endo stretta al grembo di Viràdho la sua con
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sorte, cosi parlò a Lacsmano colla Taccia inalidita : Mira, o caro, la nobile figlia del re Ganaca, una consolle e prima fra le nuore di Dasaratha; mira, o Lacsmano, l'onesta ed inclita Videhese figlia di re, cresciuta Ira de- lizie infinite, stretta là al grembo di \ iràdlio ! Ben tosto ottenne Caicevi quel eh' ella aveva in mente, o Lacsmano, ed ha raccolto il frullo di ciò clic lece il re per compia- cerle : benché non fruisca il regno di suo figlio quella donna di corta veduta, da cui io benevolo ad ogni crea- tura venni cacciato Ira le selve, sia ora pur contenta la più giovane mia madre ; perocché non v' ha per me mag- gior dolore che l'oltraggio or fatto alla Videhese. La morte del padre, o Saumitride, la perdita del regno ed Ol- la violenza fatta a Sila aggravano d' all'anno la mia mente. Al Cacutsthide che cosi parlava cogli occhi torbidi di lagrime, rispose Lacsmano adirato, sbuffando come un elelante : Perchè, o Cacutsthide, In signor del mondo, pari ad India e a Varuna, t'attristi or come un derelitto,
avendo me tuo ledei seguace ? Oggi la terra berrà il san- cì oo
gue di questo Racsaso Viràdho saettato e ucciso da me irato. Quella grand1 ira che mi nacque contro Bh arata , allor ch'io credeva ch'egli ambisse il regno, la dislo- gherò ora contro questo Viràdho, come Indra scaglia il fulmine sopra un monte, lo lancierò un dardo eletto, irresistibile, impetuoso come il cader del fulmine; e vedrai qui ora spento in battaglia quel Viràdho d'or- rendo aspetto, armato d'asta spaventosa.
ARANYACANDA. 173
CAPITOLO Vili.
MORTE DI VIRÀDHO.
Allora Lacsmano cogli occhi accesi d' ira così parlò al deforme ed empio Racsaso Viràdho : Sia tu maledetto, o vile! è giunta per certo al termine la lua vita, e tu vai cercando il tuo sterminio : or qui t'arresta! tu non avrai quella donna, e non fuggirai vivo dalle mie mani. Cosi dicendo , ei scagliò contro Viràdho sette dardi con penne d' oro, impetuosi, veloci come Suparna e il vento : quelle saette occhiute a guisa di penne di pavone , lacerato il corpo di Viràdho, caddero a terra luccicanti come fuoco e insanguinate. Il Racsaso allora, mandato fuori un grido orrendo e dato di piglio alla lucid'asta, la scagliò con fiero sdegno diritta contro Lacsmano. Ma Rama guerriero eccelso ruppe con due saette quella grand1 asta che volava per l'aria, pari al fulmine; quindi egli infisse nel cuore di Viràdho una terza lucida saetta con penna d'oro, aguzzata alla cote; allor Viràdho lasciando fuggir dalle sue mani la Videhese, cadde simile ad un monte, squar- cialo da quella saetta e sospinto dalla morte ; ed egro , vomitando sangue spumante, così ei parlò con dolente voce, con umil atto e coi sensi perturbati a Rama che stava dinanzi a lui : Felice Causalya, o Rama, madre d'un tanto figlio ! oh ben difesi da te lor protettore Lacsmano e la Videhese! Io ben li conobbi prima d'ora, o Rama, menlrc tu qui t'inoltravi; e sol per eccitarvi a sdegno fu da me rapita Sila, o eroe. Per una maledizione io entrai
17'. RAMAYAN \.
in questo orribile corpo di Flacsaso; io sono un Gandharvo per nome Tumburu, maledetto da A aisravana : quell1 in- clito Nume eia me propiziato cosi mi disse : Rimarrà dentro te questa maledizione, o forte; ma allor che Rama Dasa- rathide t'ucciderà in battaglia, tu, ricuperala la tua forma natia, te ne ritornerai alla tua sede; cosi mi maledisse il re Vaisravana, perchè io amava Rambha. Ond' io , o eroe, per accender l'ira tua rapii per forza da terra Sita, ma non F uccisi : or per tuo favore son io liberato da quell1 orrenda maledizione, e me ne ritorno alla mia sede; sia tu felice, o forte. Lungi di qui poco più d'un mezzo yo- gano abita, o Rama, il maestoso e pio Risei Sarabhanga, splendido come il sole; va tosto a ritrovar colui; ei t'in- segnerà ciò che lia per te migliore : riponi ora dentro una fossa questo mio corpo, o Rama; è questo l'eterno ufficio di pietà verso i Racsasi che son morti; coloro che son sepolti dentro una fossa, ottengono le sedi felicis- sime. Poich'ebbe cosi detto al Cacutsthide, Viràdho tra- vagliato da quella saetta se n'andò subitamente al cielo, vestito di forma eterea. Allora il Saumitride domator de' suoi nemici, scavata una fossa profonda e sollevato il gran corpo di Viràdho, lo seppellì denti' essa. Quindi il forte Rama, abbracciata e confortata Sita, cosi disse all'animoso fratello Lacsmano : Questa selva è orrenda ed aspra; non convien qui rimanere, o Lacsmano; an- diamo tosto a visitar 1' asceta Sarabhanga, secondo che ne disse il Racsaso Viràdho , allor eh' ei fu sciolto dalla sua maledizione : e i due fratelli armati d' archi fregiati d'oro, avendo ucciso il Racsaso e ricuperata Sita s'avviarono lieti per la gran selva, rifulgenti come la luna e il sole.
VRANÌ \C ANI) \ 175
CAPITOLO l\.
ARRIVO ALL'EREMO 1)1 SARABHANGA.
Ucciso in quella selva il Racsaso Viràdho di forza tre- menda, s'avviò il Raglimele al romitaggio di Sarabhanga. Quand' ei fu vicino all'èremo di Sarabhanga, Risei di maestà divina , affinato da pie austerità , egli vide un gran prodigio. Ei vide dinanzi a se fermo, senza toccar la terra, un Dio fulgidissimo per tutto il corpo, simile al fuoco e al sole, fregiato di splendidi ornamenti e di vesti monde da polvere, venerato d'ogni intorno da uo- mini pari a lui. Da lontano scorse il Raghuide su per l'aria un carro con fulvi destrieri, stante presso al Nume; e vide tenersi aperto sovra lui il regale ombrello, simile a bianca nube, foggiato come il disco della luna, ornato di mirabili ghirlande. Due ventole crinite con manico d' oro e preziosissime , tenute da due donne elette erano agitate sopra il suo capo. Gandharvi, schiere di Dei e molti Risei celebravano con nobili parole il Dio levalo in aria. Come vide dinanzi a se quel gran prodigio, l'illustre Raghuide compreso da somma letizia così parlò a Lac- smano : lo udii già per 1' addietro che Indra ha fulvi destrieri : e son fulvi appunto que' cavalli divini che van per l'aria. Son celesti, oltremodo belli e di fresca età, armati di spade e adorni d' armille quegli uomini che stanno dinanzi al suo carro : sovra il petto di tutti coloro si veijcjono ornamenti ( niski ) splendidi come fiamma; e il loro aspetto, o Saumitride , mostra l'età di venticinque anni; tale è appunto l'età perpetua degli
176 RAM AVANA.
Dei, quali appaiono quegli uomini d'amabile sembianza. T'arresta qui alquanto, o Lacsmano, colla Viclehese; finché io conosca apertamente chi è colui : così disse il Raghuide; e poich'ebbe imposto al Saumitride di fer- marsi quivi, s'avviò il Cacutsthide verso l'eremo di Sa- rabhanga. Ma come Indra vide appressarsi Rama, preso commiato da Sarabhanga, così ei parlò agli Dei : Io me n' andrò di qui , affinchè Rama non s' abbocchi con me ; fra breve io rivedrò quell'eroe vittorioso, venuto al ter- mine del suo intento. Ei dee condurre a fine un'ardua e grande impresa per gli Dei; finché non l'abbia compiuta, non debbe egli vedermi. Poich' ebbe così parlato ed ono- rato il Muni , il Dio del fulmine se ne partì sopra l'eccelso suo carro, tirato da fulvi destrieri. Partitosi Indra, il Ra- ghuide co' suoi compagni si fece innanzi a Sarabhanga che attendeva al sacro fuoco. I due Raghuidi con Sita, abbracciati i piedi del Risei, si posero quindi a sedere salutati ed invitati dal Muni. Allora il Raghuide l'inter- rogò della venuta d' Indra , e Sarabhanga gli raccontò ogni cosa : 11 Dio è qui venuto , o Rama , per condurmi di qua alle sedi supreme, che mi sono acquistato con dure macerazioni , e difficili a conseguirsi da chi non ha domato se stesso. Ma io sapeva , o eccelso , che tu non eri lungi di qui; e non volli andarmene al mondo su- premo, prima d'averti accolto ospite diletto. Io ho acqui- stato, o uom preclaro , le fortunate sedi non periture; e v' andrò dopo che t' avrò fatta ospitale accoglienza , o Rama. Possa tu conseguire, o Raghuide, quelle sedi ce- lesti di Rrahma (2) ! Tu sei maestro e re degno d' onore e d' ospitalità ; ricevi questa gemma (3) eh' io ti dono e
ARANYAC ANI) \. 177
clic è difficile oltremodo ad ottenersi. Invitato con tali parole dal Risei Sarabhanga, così rispose il fortissimo Raghuide, esperto d'ogni arme : lo otterrò pure per me Stesso le sedi superne; sono sialo da le ben accollo, o Brahmano; vanne oramai ai mondi altissimi; sol desidero che tu m'insegni una dimora in questa selva. Così ri- chiesto dal Raghuide pari di forza ad [ndra, rispose il gran saggio Sarabhanga : Va, o Rama, a visitar Suticsna, asceta perfettissimo, ei t'indicherà una dimoia in questa selva dilettosa; questa è la via, 0 noni di gran mente; ma soprasta qui alquanto, finch'io abbandoni questo mio corpo, come un serpente depone la sua vecchia squama. Quindi apprestato il sacro fuoco e fattevi sopra oblazioni di burro , conforme ai riti , Sarabhanga maturato da pie austerità entrò nel fuoco. Allor che il venerando fuoco n'ebbe arso la pelle, l'unghie, i peli e Tossa, le carni, il sangue e le midolle, ei si sedò; e Sarabhanga uscendo da queir ignea massa, apparve tutto ringiovanito e risplen- deva coni»1 fiamma; ed oltrepassate le sedi dei pii Risei mantenitori del sacro fuoco e le sedi degli Dei, entrò egli nel mondo di Brahma. Vide allor quel pio nel fulgido cielo il gran Genitore col suo corteggio, e Brahma, veduto lo splendido Risei, gli disse : Sia tu benvenuto.
CAPITOLO \.
LA SICURÀNZA DATA.
Salilo Sarabhanga al cielo, vennero d'ogni parte a barn,), noni d'igneo vigore, le schiere de' Mimi , i Vai- li. 23
I7S \\ \.\l\ì \\ \.
khanasi, i Bàlakhilyi, i Risei Mancipi (4), molli altri pe- nitenti che rompono con pietre i grani per loro alimento, o si pascono di foglie, o si eiban di grani non trebbiati, tutti abitatori della selva Dandaca, alcuni che si unirono di sola acqua , splendidi come damma viva, altri esposti di continuo alla pioggia o dormenti sopra il suolo preparato perii sacrifizi, altri fra que' magnanimi asceti dediti al digiuno o giacenti costantemente nell'acqua o circondali da cinque fuochi, altri che non pigliano alimento che di quattro in quattro mesi o non si nutrono del tutto, gli uni soliti a stare coi piedi avvinti alla cima (fini albero e col capo in giù , gli altri fermi sulla terra premendola con un solo pollice, questi senza darsi pensiero del fruito delle lor opere, quelli intenti a conseguirlo. Cosi que1 Mimi dediti a varie austerità e di voli perfettissimi, ven- nero all' eremo di Sarabhanga per veder Rama, e fattisi dogni parte intorno a lui, tutti que' pii Risei, dopo averlo accarezzato, gli dissero con atto reverente queste parole : Tu sei nato nella stirpe d' Icsvacu e celebre per la terra, o Rama; tu sei protettore di tutte le genti, come Vàsava (India) degli Dei, famoso nei tre mondi per la tua forza e la tua gloria, e venuto in questa dura, orribil selva per ordine di tuo padre. Sarebbe , o Ra- glimele, grande ingiustizia quella d'un re, il qual pren- desse la sesta parte delle sostanze altrui per suo tributo e non proteggesse i suoi popoli ; è disprezzalo dagli uomini sulla terra quel re inetto che non difende i cittadini ed i regnicoli, come lìgli a lui più cari che la vita; ma il re che impugnando lo scettro del castigo e sedando colla sua forza ogni timore, protegge con giustizia gli uomini,
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coinè suoi propri figli, ottiene quaggiù altissima lama e, morendo, gloria immortale; dopo esser quaggiù vissuto felicemente, se ne va egli al inondo d'India; e perchè coloro che son difesi dal re, attendono lieti ai lor doveri, perciò il re che li defende, riceve la sesta parte delle sostanze /ter suo tributo. Questa gran moltitudine d'ana- coreti (Vanaprastlii), tutta composta di Brahmani, dura- mente travagliata dai Racsasi , ricorre a te come a suo sostegno. Vieni, o Rama, e vedi i corpi de' Mimi perfet- tissimi uccisi dai Racsasi in gran numero e in vari modi per questa selva; si fa qui ima grande strage e di coloro che abitano sulle rive del fiume Pampa, e di quei che dimorano lungo la Mandarini, e di quei che han lor sede sul Citracuta; uè possiam noi più sopportare lo strazio che si fa dei pii asceti abitatori del Ganasthàna dai Rac- sasi oltracotati. Noi dolenti, o Rama, siam qui ricorsi a le per nostro aiuto; tu adoperando la forza del tuo brac- cio, difendi, proteggi noi lutti; è questo il più nobile intento di chi regna; questo, o Rama, s'appella eroismo. Udite quelle parole di que' magnanimi asceti, cosi loro rispose il pio Rama : Voi non dovete così favellarmi ; Lacsmano ed io siam piuttosto qui ricorsi, come a nostro rifugio, a voi eminenti per età, per sacra scienza e pel- arti pii. lo son venuto spontaneamente nella selva Dan- daca abitata da esseri diversi per recare ad effetto i vostri voti ; proteggendo le schiere de' Mimi e sperdendo i Rac- sasi , sarà a me glorioso e conforme ai miei desideri questo soggiorno nelle selve. Data così sicurezza a qiie' Munì abitatori della selva, il magnanimo Rama s'avviò quindi con quei grandi Risei al romitaggio di Suticsna.
l,so RAMAYANA.
C VP ITO LO X I
\ EDI VX DI SUTICSNA.
Il forte Rama con Sita, col fratello e con quei Brah- mani s'avviò all'eremo di Suticsna. Progredito per lunga via e guadata una lapida fiumana, ei vide, giungendo ad un monte, un ampia e fosca foresta : i due Raghuidi, onor della stirpe d' Icsvacu entrarono con Sita in quella foresta ingombra d'alberi e di piante repenti. Entrati in quella selva piena di liori e di frutti, i due croi videro
un romitaggio guernito d'una ghirlanda di vesti asceti- co D "
che. Appressatosi colà, Rama venerò l'asceta Suticsna, eminente per sacre ausi eri là, il quale stava quivi sedendo colla chioma ravvolta e sordidato; e detto al Risei : lo son Rama, si prosternò modesto e reverente col capo a terra quell' noni verace e forte. Mirando quivi il giustis- simo Rama, quel saggio lo strinse fra le sue braccia e cosi gli disse : Sia tu benvenuto, o Cacutsthide ottimo fra i giusti; io udii come tu perdesti il regno e venisti ad abitar sul Citracùta; e solo per aspettarti, o Rama, non me ne son io salito al cielo, lasciando in sulla terra questo mio corpo logorato dalla lunga età. Allora Rama così rispose , continuando , a quel gran Risei , antico e perfettissimo , consumato in dure macerazioni : Tu te n'andrai di qua ai mondi supremi, o eccelso Risei; ma io desidero che tu m' insegni un romitaggio in questa selva; tu mi fosti indicato dal saggio Sarabhanga, ma- turato da pie austerità, siccome noni dotato d'accor-
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gimento e di sapienza, a cui nulla è nascosto. Così richiesto da Rama , quel gran Hisci celebre nel inondo rispose con soavi parole e con grande letizia : Questo romitaggio, o Mania, è giocondo, copioso di (lori e d'acqua, di dolci radici e d'alberi fruttiferi , ricco di vari aromi odorosissimi e di frutti esculenti, ornato di laghi abbelliti da gran copia di ninfee, circondato da belle ed amene regioni , adorno di bei boschi , frequentato da molti Risei, pieno di frutti e di radici; tu qui dimora, o Rama. Schiere di belve mansuete vengono qua e là in questo romitaggio e se ne vanno a lor talento per ogni dove senza timore; che se tu volessi far loro oltraggio, qua! cosa sarebbe più crudele di questa? ma a te non con- viene, oRama, dimorar lungamente in un solo romitaggio. Poich1 ebbe cosi parlato a Rama, il Munì adempiè le sacre osservanze vespertine, e com' ebbe adempiuti que' riti, preparò quivi la dimora. Il magnanimo Suticsna veggendo sottentrare al vespero la notte, offerse egli stesso ospi- talmente al nobile Rama lo schietto alimento, di cui si unirono gli asceti.
CAPITOLO XII.
SOGGIORNO NELL' EREMO DI SUTICSNA.
Ma Rama col Saumitride onorato da Suticsna, e pas- sata colà intiera quella notte, si destò in sul nascer dell' aurora; e levatisi, i due forti Raghuidi con Sita fecero, secondo che richiedeva l'ora, le abluzioni mattutine con acqua olezzante di ninfee; quindi que'generosi Rama,
I S2 RAM AVA \ \
Lacsniano e la Videhese s'accostarono reverenti ai ire .sacri fuochi in quella selva, asilo degli asceti. FVla veg- gendo oramai sorgente il sole ed essendo purificati , si presentarono essi a Suticsna, e Rama cosi gli disse : Pernottammo felicemente, o venerando, e fummo da te accolti con onore; io ti saluto; or ce n'andremo; che questi Mimi ci affrettano a partire. Abbiam pressa di visitare tutta intiera questa cerchia d'eremi di purissimi Risei abitatori della selva Dandaca , e desideriamo con questi eccelsi e pn saggi, grandi in ascetismo e simili a vivo fuoco, che tu ne dia commiato : finché non arde soverchiamente il sole co' suoi raggi intollerabili, desi- deriamo da te licenza di partire. Poich'ebbe così detto, l'illustre Rama s'inchinò con Lacsmano e con Sila ai piedi del Mimi ; ma esso sollevandoli , mentr ei toccavano i suoi piedi, ed abbracciandoli strettamente, così disse con amore : Vanne senza ostacoli pel tuo cammino , o Rama, insieme col Saumitride e con Sita che ti seguita come l'ombra; visita, o eroe, i romitaggi di questi asceti maturati da pie austerità, che abitano la selva Dandaca; visita queste vane selve ricche di fiori, di frutti e d'ac- que , piene di belve mansuete e di stormi d'amabili au- gelli, gli stagni e i laghi di limpide acque lutti pieni di fiorenti ninfee e risonanti del clamor delle anitre, i di- lettevoli rivi cadenti per lo dorso de1 monti e le foreste amene echeggiatiti del canto de' pavoni. Vanne felice, o Rama; parti, o Lacsmano diletto; ma dovete voi qui ritornare e rivedere i nostri romitaggi. Così invitato il Cacutsthide con Lacsmano e risposto che così farebbe, salutato il Mimi col girargli attorno da man destra , si
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dispose alla partenza. Allora Sita dai grand' occhi porse ai due fratelli le splendide faretre, gli archi e le due spade funeste ai nemici. Legate al lianco le faretre e presi gli archi, uscirono quindi Rama e Lacsmano per visitare quel romitaggio.
CAPITOLO XIII.
DISCORSO DJ SITA.
Come la figlia di Ganaca vide in procinto di partire i due fratelli armati d' arco , cosi parlò con voce soave e cara al suo consorte : Colla mansuetudine, o Rama, s'ac- quista assiduamente dai buoni alto mento morale; e di- cono esser sette i vizj che lo distruggono. Fra questi , o Raghuide, quattro son detti prodotti dall'amore e tre diconsi nascere dall'ira. Il primo de' vizj è la menzogna, che sempre si fugge dai buoni; poi l'usare colla donna altrui e il mostrarsi fiero senza aver nimicizia. Tutti questi vizi, o Rama, si possono raffrenare da chi è donno de' suoi sensi; ed io conosco il dominio che tu bai sopra te stesso, ed i tuoi nobili proposti. Tu non mentisti un- quanco , ne mentirai, o Raghuide; molto meno ancora cercasti di contaminare le donne altrui; ma sta per assa- lirti, o Rama, un altro male, quello d'entrare in ostilità luor di ragione. 11 voto, che tu hai fermato, di voler nuocere altrui, e che ti sarà causa d'attaccar guerra coi Racsasi , non è a te salutare. Tu hai promesso, o eroe, per la difesa dei Risei che abilan la selva Dandaca, la morte dei Racsasi in battaglia; per lo sterminio dei Rac-
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sasi abitatori della selva Danclaea tu ti sci messo in via col fratello, armandoti d'arco e di saette; ed io vergen- doti avviato, o Rama, ho l'animo combattuto da pen- sieri, rivolgendo nella mia mente il tuo bene, o re. Non m'aggrada, o forte, quest'andata alla selva Dandaca, e te ne dirò la causa ; ascolta le mie parole. Tu, mio pro- tettore, sei venuto col fratello in questa selva, armato di frecce e d'arco; ove tu qui scorga abitatori della fo- resta, come non iscoccherai tu contr' essi le tue saette.' L'arco dello Csatro vien detto simile all'esca del fuoco; rimanendo presso a lui l'arco rende colla sua forza più veemente 1' ardor (fucinerò. \ ergendoti incedere così bel- licoso, si spaventano gli abitatori della selva; e benché riposti in luoghi solitari, pur desiderano la tua morte. In dì, siccome è lama, o uom delle grandi braccia, un pio asceta, perfetto e donno de' suoi sensi, venuto ira le selve, si raccolse in una foresta abitata da pii penitenti. Vivendo costui in grande purezza, gli fu da qualcuno colta venuto data come deposito una bella e tagliente spada. Ricevuta quell'arme, e tutto intento a conservare il deposito altrui, l'asceta non mai da se la dipartiva in quella selva, volendo osservare la sua fede; dovunque andasse a cogliere frutti o fiori , non mai egli andava senza la spada, tutto sollecito di quel deposito. Maneg- giando del continuo quell'arme, il pio Munì a poco a poco rese feroce l'animo suo, abbandonando il suo voto ascetico; e mentre egli stava con animo fiero, allenato in quell'ora da Yama se n'andò esso alle sedi sconsolate per la pratica di quell'arme. Per l'amore e per l'alta stima ch'io ti porto, li rammento or questo; ma non intendo
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ammaestrarti; tu non dei per alcun modo aver l'animo ad offendere coli' arco in mano : non si conviene, o eroe, uccidere senza nimicizia i Racsasi; nò debbonsi essi da te offendere, senza elle t' abbiali fatto oltraggio. I Csatri eroi, fedeli al loro ufficio debbono solamente proteggere colf arco i miseri. A die Ianni? a die la battaglia? a che il dovere d'uno Csatro? tutto questo è or qui vietato; osserva il dovei- presente. Lascia per ora questo tuo tor- bido proposto , riprovato dalle sacre dottrine ; quando ritornerai ad Ayodbya, adempirai allora il dovere di Csatro ; e sarà inalterabile la letizia de' tuoi e de' miei congiunti (5). Dall' uso dell' armi nascono rei pensieri contaminati d'ingiustizia; benché tu, abbandonando il regno, sia or divenuto umile Muni. Dalla giustizia pro- viene l'utile; dalla giustizia deriva la prosperità; colla giustizia s'ottiene il cielo; e questo mondo ha per sua essenza la giustizia. Domando se stessi con assiduo sforzo e con diverse osservanze pie , ottengono gli uomini il cielo; ma non s'ottiene gaudio con gaudio. Attienti alla mansuetudine, o mio diletto, e sta saldo nella giustizia. Tutto è noto a te quaggiù secondo il vero, o Rama. Per femminile leggerezza io t'ho detto questo; ma chi mai sarebbe atto ad insegnare a te quel che è giusto? Tu considerando col fratello, fa poi ciò che più t'aggrada, o re (6).
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186 RAM U WA.
CAPITOLO \IV.
RISPOSTA 1)1 RAMA.
Udite quelle soavi e giuste parole proferite dalla \ i- dehese, Rama così le rispose : E convenevole e giusto, o donna diletta, o virtuosa figlia di Ganaca, quel che tu hai detto, riguardando alla Ina stirpe. Che li risponderò io, o donna dai bei lombi? tu dicesti che i guerrieri por- tai! Tarmi, affinchè non s" od;i gemito d'afflitti. Orbene, o Sita, sono afflitti questi Mimi consumati ne' lor voti, che abitan la selva Dandaca, e son venuti supplici a me per domandar soccorso. Que' pii abitatori della selva, intenti al lor dovere, che si ciban di frutti e di radici, non bau pace, o Sita, travagliati d'ogni parte dai Racsasi : vivendo in questa selva assiduamente raffrenati da molti- plici pie osservanze, son essi divorati dai turpi e orrendi Racsasi che vanno attorno per la foresta. Venuti qui a noi, que' Mimi abitatori della selva Dandaca che son di- vorati dai Racsasi, ci supplicarono tremanti per paura; ed io, udite le parole da lor profferte , dopo essermi in- chinato ai lor piedi , così loro dissi : Siate voi a me pro- pizj ; egli m' è gravissima pena il vedermi ossequiato da tali Rrahmani degnissimi d'ossequio; che debbo io far per voi? Avendo io cosi parlato al cospetto di que1 Rrah- mani, furon da tutti que' pii afflitti proferite queste pa- role : Noi siamo fieramente travagliati, o Rama, nella selva Dandaca da molti Racsasi crudeli, degna difenderci da costoro. AH1 ora de1 sacrifizi offerti sul sacro fuoco, nei giorni sacri del mese lunare, i Racsasi che si pascon di
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carni, ci oltraggiano, o Raghuide, pieni d'ira. Conside- rata bene ogni cosa, non v'ha fuori di te altro supremo rifugio ai pii asceti tribolati dai Racsasi. Egli è vero die noi potremmo colla forza del nostro ascetismo uccidere que' Nottivaghi ; ma non vogliamo sperdere noi stessi il merito acquistato con lunga pena. E ardua cosa e piena d'ostacoli, o Raghuide, l'esercizio dell ascetismo; onde non vogliam noi lanciare maledizioni, benché divorati dai Racsasi. Tu perciò, impugnando il tuo arco, proteggi noi travagliati dai Racsasi, che abitan la selva Dandaca; perocché tu sei qui nostro protettore. Udendo io quelle parole, promisi al cospetto delle genti ai Risei della selva Dandaca di difenderli con ogni mio sforzo; ed avendo promesso, non posso, mentre che io vivo, fare altramente da quel che promisi a quei Mimi ; perché la verità in' è assiduamente cara. Jo ben potrei abbandonar la vita e te slessa, o Sita, e Lacsmano, ma non la mia fede dopo aver promesso ed a Brahmani sopratutto. Per la qual cosa io debbo necessariamente proteggere que' saggi Risei, allineile essi adempiano ìmperturbati il loro ufficio. Per la difesa di quelle pie famiglie di Munì ho impegnata la mia parola; io pur dovrei difenderli, benché non ne fossi richiesto; quanto più, o Sita, dopo aver obbligata la mia fede. Ma tu, o leggiadra, mi dicesti per amore parole affettuose, degne di te e conformi alla tua stirpe : son contento , o Videhese , di quel che mi dicesti per caro affetto; che non si consiglia chi non s'ama. Coni' ebbe così risposto a Sita figlia del re di Mithila, il magnanimo Rama armato d' arco s' avviò insieme con Lacsmano per quelle dilettevoli selve d'ascetismo.
188 RAM AVANA.
CAPITOLO XV.
INDICAZIONE DELLA DIMORA D1 AGASTYA.
Andava dinanzi Rama, nel mezzo Sita di taglia leggia- dra e camminava dietro a loro Lacsmano armalo d'arco. I due Ragrhuidi con Sita andavano osservando selve e boschi dilettosi, riviere e monti, grue ed anase erranti per le rive de' fiumi, laghi coperti di ninfee e frequen- tati da augelli di varie sorta, schiere di scimi ed elefanti incitati da amore, huffali e cinghiali, gayali e yaki (7). Progrediti per lungo spazio di via, videro essi in sul cader del sole un lago ameno e lungo un vogano, mira- bilmente contornato da gruppi di fior di loto, diguazzato da turbe d'elefanti, pieno di sanili (8), di eigni e d'aquile, aligeri che frequentali l'acque. In quel bel lago d'acque limpide s'udiva un suono di canti e di strumenti; ma non si vedeva colà alcuno. Allora Rama e P inclito Lac- smano spinti da curiosità , appressandosi ad un Munì per nome Dharmabhrita, P interrogarono clic ciò fosse : Veggendo questa cosa maravighosa, o illustre saggio, nacque in noi tutti una grande curiosità; ti piaccia dirne che ciò sia. Così interrogato dal magnanimo e pio Ra- ghuide, prese il Mimi a raccontare l'origine di quel lago : Si narra che questo lago, il qual si noma Pancàpsaro, fu anticamente creato per forza d'ascetismo dal Munì Man- dacarni. Il gran Munì Mandacarni s'esercitò per dieci mila anni in acerbissime macerazioni , nutrendosi d' aria e sedendo sopra un sasso. In quella sgomentandosi gli
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Dei con India loro duce e dissero : Questo Mimi ambisce le nostre sedi. Tutti allora gli Dei commisero a cinque elette Apsarase adorne di celesti ornati di suscitare osta- coli al suo ascetismo. Venute colà quelle donne leggia- dre, cantando ed esultando, allettavano il Munì dedito ad aspre austerità; e quel saggio die pur conosceva il passato ed il lutino , fu, per compiacere agli Dei , sedotto a voluttà da quelle cinque Apsarase. Divenute elle spose del Mimi , ei creò per loro in questo lago una casa oc- culta. Quivi abitano lietamente quelle cinque Apsarase e superbe di lor gioventù ricreano il Mimi dell' intenso suo ascetismo; e mentre esse stanno colà scherzando, s'ode qui quest' alto suono misto al tintinnìo dei loro ornamenti e questo canto dilettevole ad udirsi. Questa è mirabile cosa , rispose il forte Raghuide col fratello alle parole ili quel Mimi contemplatore ; ma mentre questi stava così narrando, vide Rama una cerchia d' eremi sparsa di cuse e di vesti ascetiche, circondata d' alberi diversi e di piante repenti. Entrato in quel romitaggio con Lacsmano e con Sita, fu egli accolto con ospitalità da tutti quei Mimi; e dimorò lieto in que' fortunati romitaggi, onorato da tutti quei grandi Risei. Il Raghuide andò allora visitando a mano a mano gli eremi di quei magnanimi e venerandoli di presenza. Dove dimorò egli un mese o un anno, dove quattro mesi, cinque o sei; altrove passò egli lietamente più d'un mese od oltre a quindeci dì, in altro luogo tre mesi od otto; qui stette egli due mesi intieri, là un anno, altrove la metà d'una luna o una luna intiera. Mentre Rama così dimorava lietamente e dilettavasi ne' romitaggi dei Risei a mano a mano, trapassarono dieci anni. Dopo aver
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<juà e là soggiornato lutlo quel tempo, l'illustre Raghuide con Sita ritornò ali1 eremo di Suticsna; e pervenuto a quel romitaggio, l'invitto Rama dimorò quivi alcun tempo, onorato da que' saggi. Ma dimorando in ((nell'eremo e sedendo un dì presso al gran Mimi Suticsna, il pio Ca- cutsthide così gli disse : Abita in questa selva, o vene- rando, secondo che io udii per l' addietro dire da genie pia, l'eccelso Mimi Agastya; ma per la vastità di questa selva io non conosco il sito dove si trova il puro romi- taggio di quel sapiente e grande Risei; se tu degni in- segnarmelo, o venerando, io n'andrei con Lacsmano e con Sita a salutare il Mimi Agastya; perocché mi sta assiduamente nell'animo un gran desiderio di venerare, non fosse che un momento solo, quell'eccelso Risei. In- teso l' onesto parlar di Rama , il Munì Suticsna così gli rispose con amore : Anch' io aveva in animo di dire a te, a Lacsmano ed a Sila figlia di Ganaca : andate a visitare Agastya; ma or fortunatamente, o Rama, tu stesso me ne richiedi; ed io t'insegnerò, o caro, dove dimori quel gran saggio. Andando di qui per lo spazio di quattro yogani verso meriggio, tu troverai 'quindi , o Ragli inde, l' eremo fortunato di quel sapiente. Ma tu vedrai prima il romitaggio dove abita il pio Mimi Prànasama (9) fratello dWgastya, intento a pii ufficj, come il celebre asceta suo fratello; ci dimora in una bella ed amena regione tutta erbosa, adorna d'un bosco di piante di pepe, copiosa di fiori, di frutti e di radici, risonante del canto di vari augelli, ove sono puri, limpidi e bei laghi coperti di ninfee. Passata colà la notte, tu ti ravvierai quindi, o Rama, sullo spuntar del giorno; e dirizzandoti verso la
AMANTI \C \M)\. 191
plaga australe alialo a quelle dense foreste, andato olire per lo spazio d'un yogano. tu troverai quivi in una bella regione della selva, inarborata d'alte piante di varie sorla, l'eremo d' Agastya popolato di molti augelli, fre- quente di belve diverse. Quivi gioconderanno con te Lacsmano e la Videhese; perocché quel sito della selva è dilettoso ed abbondante di frutti e di radici. Se tu hai stabilito, o Rama, di visitare quel grande Mimi, non l' incresca d'andarvi oggi, o uom d'alto consiglio.
CAPITOLO XVI.
VEDUTA DEL FRATELLO D' AGASTYA.
Udite quelle parole del Mimi e salutatolo, Rama s' avviò con Sita e col fratello a vedere Agastya , riguar- dando nel cammino varie foreste e monti simili a nubi, laghi e fiumi correnti lungo la via; e mentre ei progre- diva felicemente secondo gli indizi di Siiti csna, cosi parlò tutto lieto a Lacsmano : E per certo il romitaggio del magnanimo e pio Mimi fratello d' Agastya quello che qui si vede; ecco per la via di questa selva, o Lacsmano, sparti quegli alberi incurvati dal peso de' lor fiori e de' lor frutti , che porgono lieta ombra e soavi odori , e si possono attinger colla mano, tutti pieni di vari augelli e di dolci frutti. Muove da questa selva ed è diffusa dallo spirar del vento un'acre fragranza di pepe maturo; veg- gonsi qua e là legna accatastate e si scorgono lungo la si rada cuse recise, simili a lapislazzoli; ecco alzarsi subi- tamente nel mezzo della foresta una striscia di fumo prò-
192 RAMAYANA.
dotta dal fuoco che arde nel romitaggio; e per que'lavacri solitari si veggono offerte di fiori fatte dai piì Brahmani levatisi dalle loro abluzioni : è qui cerlamenlc, o caro, conforme a ciò che io udii da Suticsna, Peremo del lis- tello minor d' Agastya, il quale Agastya colla virtù del suo ascetismo frenando per la salvezza delle creatine un Asaro terribile come la morte , fece di questa regione un sicuro asilo. Altre volte, siccome è fama, abitavano qui in- sieme due grandi A sii ri fratelli, il crude] Vàtàpi ed Ilvala, micidiali de' Brahmani. Il fiero Ihala mostrandosi sotto sembianza di Brahmano e parlando Sanscrito, invitava i Brahmani ad assistere ai funebri riti ; e nell ora delle ceremonie funebri egli imbandiva ai Brahmani, conforme all' uso, un ariete cotto e quell'ariete era suo fratello cosi trasformato. Ma allor che i Brahmani se n' eran cibati, Ilvala diceva con alto suono di voce : Esci fuori , o Vàtàpi! Subito che udiva le parole del fratello, Vàtàpi belando a guisa d'ariete se n'usciva fuori, straziando e lacerando i corpi de' Brahmani. Migliaia di Brahmani furono così uccisi da quei due, o valoroso, col convitarli assidua- mente a cibarsi di carni. Ma il gran Bisci Agastya udendo esser così divorati i Brahmani , venne colà prontamente dove erano que'due iniqui. Veduto giungere quivi Agastya, i due fratelli , invitatolo immantinente , gli dissero con lieto piglio : Mangia, o venerando! l'egregio Mimi così invitato da quei due Demoni, tenendo il loro invito, ri- spose : accetto. Ilvala allora soggiunse sorridendo : Come potrai tu solo, o Brahmano, mangiare tutto un ariete? ed a lui, pur sorridendo, rispose Agastya : Io il mangierò ben lutto; fa d'apparecchiarmelo; io sono affamato per
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lo digiuno ascetico di più anni, o noni munifico; ben potrò tutto solo mangiarmi un ariete in un funebre con- vito. Udite le parole d' Agastya, rispose Ilvala : Or bene sia pur così: io te lo ammannirò; mangialo tu, se puoi. Allora, veggente Ilvala, il venerando Agastya si diede a mangiare sotto forma d' ariete Vàtàpi apprestatogli come vivanda. In quella il Risei fece nel suo animo un sacrifizio alla ninfa Gange Bhagirathide ; ed ella propizia venne prontamente ad empiere colle sue acque la brocca del gran Brahmano. Egli presa l'acqua chiusa nel suo vaso e purificatosi mormorando le sacre preci, mangiò tutto intiero quel!1 ariete. Allora Ilvala, non conoscendo Agastya Mimi oltremodo sdegnoso, disse al fratello con alta voce: Esci fuori ! Ma a lui che così evocava il fratello ucci- sore de' Brahmani , rispose sorridendo il gran Mimi Agastya : Come potrebbe uscir fuori il Racsaso che io ho testé mangiato? non v'ha più uscita per tuo fratello ch'io inghiottii sotto forma d'ariete; io ho mangiato il Racsaso; non v'ha oramai per lui più ritorno, quand' anche vi si adoperassero gli Dei con India; così ho per fermo stabilito. Udendo le parole d' Agastva , l'Asaro nottivago dolente della morte del fratello e irato si diede ad oltraggiare il Mimi; ma mentre quel nemico de' Brah- mani correva addosso al Risei ardente come fuoco , arso da costui colf igneo suo sguardo, divenne cenere. Di- strutti quei due Racsasi scelerati, uccisori de' Brahmani, il pio Agastya ripose nel bel suo romitaggio suo fratello. Vedi qui, o caro, copioso di frutti, di fiori e di belle acque, adorno di boschi e di stagni l'eremo solitario del giusto fratello di colui che per compassione de' Brahmani
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compiè con forza e vigor divino queir ardua impresa. Menlre cosi parlava il magnanimo Raghuide , cadde ali1 occaso il sole e sopraggiunse il vespero. Adempiili i col fratello, conforme al prescritto, i riti vespertini, entrò Rama nel romitaggio e salutò il Mimi ; ed accolto ospi- talmente da quel Mimi, il Raghuide dimorò colà puro quella notte, cibandosi di frutti e di radici (l0).
CAPITOLO XVII.
DESCRIZIONE DELL'EREMO DI AGASTYA.
Trascorsa quella notte e nato il fulgido sole, il Ra- ghuide cosi parlò al Risei fratello d' Agastya : lo li saluto, o venerando; ho qui passala felicemente la notte; or desidero visitare il Mimi Agastya tuo maggior fratello. Pospostogli da colui : Vanne or dunque; s'avviò Rama per quella via che gli era stata indicata, e guardando d'ogni intorno, ei vide alberi a migliaia fiorenti perla selva. Allora ei così parlò al ben segnato Lacsmano che sii stava al fianco : Mira, o Lacsmano, i dilettevoli e bei boschi di questa selva, sparsi d'alberi fruttiferi e di ra- dici ; mira per ogni dove gruppi di belle piante soavi ed odorifere, calami , dalbergie, melie e bassie, baringtonie, pentaptere, mangifere e spondie, diospyri e mirabolani, jambu, palme, feronie, artocarpi e cedri, serratule, aver- rhoe, buchananie disseminate qua e là, datteri, giuggioli, soree, semicarpi e pistie, canne e bambù ed altre piante a mille a mille , melagrani , oleandri , asochi e tile, alangi , ocimi, indigofere ed asochi per ogni parte, symplochi,
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acacie, pterospermi, bignonie, michelie , priyangu e alstonie; mira, o Lacsmano, qua e là per questi boschi più alili grappi di begli alberi con vari arbusti e piante repenti, tutti floridi ed avvinghiati da piante serpeggianti e floride. Com'ebbe riguardato quel bosco ameno, pur camminando per la sua via, l'illustre Rama dagli occhi di loto così di nuovo parlò all' inclito Lacsmano Dasara- llnde che gli andava dietro: Guarda, o caro, accanto alla via come vie più risplende quel bosco dilettoso e dolce, simile alla selva Nandana ; come son delicate le loglio di quegli alberi; come son più mansuete quelle belve : non debb' essere di qui lontano il romitaggio di queir noni celebre per le sue gesta, che il mondo noma Agastya dall'opre sue stupende; è qui per certo il suo eremo cagion di gioia al lasso viandante. La selva è qui ingombra del lumo del sacro burro sacrificalo , adorna di ghirlande e di vesti ascetiche, frequentala da schiere di belve miti, risonante del canto di vari augelli. Lcco il romitaggio di quel giusto, che per la salute delle genti domo la morte colla forza del suo ascetismo e sicuro questa regione australe, di colui per la cui potenza questa regione meridionale non è ora più infestata dai Racsasi. Dappoiché questa regione fu occupata da quel pio, sono stati da lui domali tutti que' rei Nottivaghi; onde questo silo australe è fatto celebre nei tre mondi e fausto dal nome di quel venerando, ed è inaccessibile ai crudi Rac- sasi. Cresciuto per isdegno a dismisura fino ad impedire il cammin del sole, il sovrano monte Vindhya obbedendo al comando d' Agastya s'abbassò e più non crebbe; questi inoltre propizialo dagli Dei con Indra, bevve per distrug
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gere i Dànavi il mare pieno di mostri e di coccodrilli. Ecco qui abitato da pii Mimi 1' eremo fortunato di queir Agastya ardente asceta , la cui potenza è celebre nel mondo. Quel giusto onorato dagli uomini e dagli Dei , sempre intento a beneficare 1 buoni , sarà salutevole a noi venuti qui a vederlo : io mi renderò propizio quell1 eccelso Mimi, e dimorerem noi qui d tempo ebe ancor rimane del nostro soggiorno nelle selve. Qui stanno ministri as- sidui e temperanti d' Agastya i Devi, i Gandbaivi, i Biniti e i Caiani; né vivrebbe qui alcuno die fosse mendace <> crudele, disonesto o impuro, fiero, malvagio od igno- rante, o d'altra simile fatta : i Serpenti, i Gubyaci, i Vidyàdhari ed altri dimorano qui sobri e intenti a pro- piziarsi il Mimi; qui sono i magnanimi Siddbi sopra i lor carri lucenti come il sole; qui stanno i sommi Risei clic, lasciati quaggiù i mortali loro corpi , se n' andarono al cielo con corpi nuovi; qui quel possente e venerando comparte agli uomini colla virtù del suo ascetismo firn- mortalità, la condizion di Yacso, ricchezze e regni. Cosi favellando delle virtù del Risei Agastya, il regal Ragbuide giunse via via dopo lungo cammino alla porta del romi- laggio, dove stava quel magnanimo di fulgido aspetto.
CAPITOLO XVIII.
DONO ir UN ARGO.
Fermatosi quivi colla Videbese, il forte e prode Ra- ghuide pari ad un Immortale così disse a Lacsmano : Siam giunti all'eremo, o Saumitride; entra tu prima ed
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annunzia al Risei che io son giunto qui con Sita. Entrato per ordine di Rama in quel romitaggio ed appressandosi ad un discepolo d' Agastva , Lacsmano così gli disse : V'ebbe, o eccelso, un re per nome Dasaratha; il prode tiglio primogenito di colui, per nome Rama, desidera qui vedere il Mimi; io son Lacsmano fratello di lui e suo ledei seguace, qui venuto con quel prestante e colla sua donna per vedere il Mimi. L'inclito Rama, se mai ne giunse a te la fama, è caro a tutte le genti, devoto alla giustizia, diletto da ogni uomo. Noi ci avviammo qui a cagion del gran Muni venerando , e desideriam vederlo per tuo fa- vore. Udite le parole di Lacsmano, disse di sì 1' asceta ed entrò neh" eremo ad annunziarli. Inoltratosi nel santuario del sacro fuoco e compostosi a reverenza, così ei parlò con voce soave a quel Risei insuperabile : Il glorioso fi- glio di Dasaratha, per nome Rama, col fratello e colla sua donna è alla porta del tuo romitaggio ; venuto qui per renderti ossequio, ei desidera vederti; imponimi, o saggio, quello che io debba or fare. Udendo dal suo dis- cepolo esser colà giunti Rama, Lacsmano e l'inclita Vi- dehese, così disse il Risei : Son lieto che Rama dalle grandi braccia sia venuto qui a me colla consorte ; io pur desiderava nel mio animo la sua venuta ; va e fa entrar qui tosto con ogni ospitale accoglienza Rama, la sua con- sorte e Lacsmano; perchè non l'hai tu introdotto ? Uditi que' detti del pio asceta, il discepolo salutandolo colle mani giunte dinanzi al capo, rispose : così farò. Quindi uscito sollecitamente disse a Lacsmano : Dov' è , o Sau- mitride, Rama dalle grandi braccia? dov'è la Vidchese sua consorte, sempre intenta al bene del suo sposo;1 in-
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segnami dove ei sono; che io desidero vederli, o caro, per ordine del gran Risei. Allora Lacsmano andato eoi discepolo alla porta del romitaggio, gli mostrò il Cacut- stliide e Sita figlia di Ganaca. Vedutili, l'asceta cosi disse al discendente d' Icsvacu : Sia tu benvenuto, o re, con Lacsmano e colla Mithilese, e dopo averlo così salutato con umili parole, l'invitò degnamente ad entrare per or- dine d'Agastya, accogliendolo con ([nell'onore che gli si conveniva. Entrò Rama allora nel romitaggio di quel pio , pieno di belve mansuete, riguardando d'ogni intorno. In quella gli uscì incontro il grande Muni circondato dai suoi discepoli tutti vestiti di nere nebridi e di vesti asce- tiche di corteccie. Come vide l'eccelso Mimi Agastya, austero asceta, sfavillante come fiamma, Rama così disse a Lacsmano : Questi è il Fuoco, questi è il Soma("), questi è la Giustizia eterna; ecco ei ne viene, uscendo, incontro a noi qui giunti ; facciamoci innanzi con grand' animo; che colui è senza dubbio Agastya, tesoro d'asce- tismo, in cui s'accoglie tutto il fulgor del sole : oh qual egli è mai lo splendore di quel preclaro! Così dicendo ei s' inoltrò ed abbracciò con grande gioia i piedi del Risei; e veneratolo degnamente con Lacsmano e con Sita, si fermò Rama in atto reverente. Ma il saggio e grande asceta, poich'ebbe baciato sul capo il Raghuide venera- bundo, gli disse : siedi ; quindi onorati Rama, la Videhese e Lacsmano sedenti , gli interrogò della prosperità della lor salute, e interrogatili, disse poscia a un suo disce- polo : Dopo avere offerto sul sacro fuoco il burro , porgi il restante al saggio Rama, onorandolo d'ospitalità; si nutra egli secondo il rito Vedico e conforme all' uso
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dei Vànaprasthi (solitari); perocché il Baghuide è degno <T onore, ed io raccoglierò qui onorevolmente. Ei ne venne a noi ospite caro, meritevole d'ossequio e di ri- spetto; egli è il rifugio ed il sostegno del mondo intiero; ed io onorerò qunl si conviene questo signor del mondo qui venuto; che chi non onora il pio Rama venuto ospite, è dannato a divorar nel mondo di là le proprie sue carni, come chi testimonia falsamente. Se altri non onora a suo potere l'ospite giunto alla sua casa, questi lasciando a colui i suoi reali, se ne va portandosene i menti d'esso. Poich' ebbe così detto ed onoralo degnamente il Raghuide coli' offrirgli frutti, radici, fiori ed acqua, così soggiunse Agastya : Ecco, o noni preclaro, un eletto arco divino guernito d' oro e di diamanti, che fu già di Visnu, e costrutto da Visvacarma ; ecco queste fulgide ed infalli- bili saette, dono di Brahma, che io ebbi dal grande In- dra, queste due faretre inesauribili di dardi, piene di frecce acute e ardenti come serpi, e questa gran spada con else d'oro chiusa nella sua gran guaina. Con queir arco, o Rama, rotti in battaglia gli Asuri, ottenne Visnu un dì splendida gloria fra gli Dei; prendi, o Rama, a line di vittoria quest' arco colle faretre e questa spada che io t'offro, come Indra prende il fulmine. Un dì, o Raghuide, così mi disse Indra dai mille occhi : Quando arriverà qui Rama, donagli quest'arco; tu sei giunto alfine al nostro romitaggio, o Rama; prendi or quest' arco eletto, divino, incomparabile; con quest'arco, o Rama , tu vincerai irresistibilmente il mondo intiero ed Indra stesso. Poich' ebbe così parlato e donato a Rama quel grand' arco colle saette, così soggiunse il venerando
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e illustre Agastya : Quando tu, o Cacutsthide , combatte- rai con quest'arco in guerra, saranno allora securi i tre mondi. Dati a Rama l'arco e le saette, la spada e le due faretre piene di dardi, il magnanimo Risei gli donò inoltre una nobile veste e due armille dono d'India. L'illustre ed inclito Ragbuide, insigne per prodezza e per virtù, ricevuti que' grandi doni offertigli dal Mimi , attendeva le nuove sue parole.
CAPITOLO XIX.
CONSIGLI D'AGASTYA.
Dopo eh' ebbe degnamente e a modo divino onorato Rama , il Mimi così prese a dire con lunghe e cortesi parole : Son lieto, o Rama mio figlio, son contento, o Lacsmano, che voi siate qui venuti con Sita a salutarmi. Ma dimmi, o Raghuide, non è Sita affaticata dalla stan- chezza? perocché ella è delicatissima di corpo e assuefa agli agi; t'adopra, o Rama, affinchè la Videhese, che ti seguitò spinta da amore nell'aspre selve, si diletti fra questi boschi. Costei venendo fra le selve per tuo amore fece ardua cosa, o Rama; perciocché le donne sogliono esser deboli e timide per natura; amano chi è in prospero stato ed abbandonano chi si trova in infortunio : tale, o uom preclaro, è l'indole e la natura delle donne; elle imitano il guizzo del baleno , V acume della saetta , la ra- pidità del vento e del fuoco. Ma è esente da tali difetti questa tua donna, degna d'essere celebrata e mostrata ad esempio, siccome Arundhati fra gli Dei. Questa re-
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gione è amena; abita tu qui nel mio romitaggio col Sau- mitride e con queir ottima Videhese. Intesi que' detti del Mimi, il verace e forte Raghuide gli rispose con atto reverente queste umili parole : Son felice, son favorito, che un tale eccelso Mimi sia soddisfatto appieno di me, di mio fratello, della mia consorte; ma insegnami tu costì un luogo copioso d'acqua e di folti boschi, dove, costrutto un romitaggio, io possa abitar tranquillo e lieto. Allora il saggio e pio Mimi, udita la domanda di Rama e stato alquanto sopra pensiero, rispose queste ferme parole : Lungi di qui due yogani, o Rama, v'ha una bella e ce- lebre regione che si noma Pancavati, lieta di limpide acque ed abbondante di dolci frutti e di radici. Andato colà e fattovi un abituro, vi dimora tu col Saumitride , osservando la promessa che facesti al padre, lo so , o innocuo, ogni tuo caso ; il so per virtù del mio ascetismo e per l'amor che io portava a Dasaratha; per l' efficacia del mio ascetismo io conosco eziandio gli intimi pensieri che ti stan nel cuore; onde dopo averti invitato a ri- maner con me in questa selva ascetica, noi ora ti di- ciamo : Va ad abitar nella Pancavati , perocché quella region selvosa è dilettevole, e sarà quivi lieta la Miihi- lese. Quel sito rinomato non è lontano di qui , o Ra- ghuide, e si trova vicino alla riviera Godàvari; sarà cola contenta Sita; esso è ricco di frutti e di radici, pieno di varie belve, riposto, puro e dilettoso. Tu inoltre colla tua donna sei valevole a proteggere; ed abitando colà, o Rama, tu difenderai gli asceti. Ecco si scorge di qui quel gran bosco di bassie latifoglie; tu dei andare a setten- trione di quel bosco, quando sarai giunto a quella fi- li. 26
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caia; quindi tu salirai su per quel terreno rilevato, non mollo discosto dal monte; colà è la regione che si chiama Pancavati, lieta di belli e fiorenti boschi. Partendo di qui tosto, o Ragli u ide, va a \isitare quella regione; sia tu felice, o Cacutslhide , va, o caro, e non frapporre indu- gio. Così esortato da Agastva , Rama col Saumitride sa- lutò con reverenza quel veridico Risei, ed accommiatati da lui i due Raghuidi con Sita, dopo essersi inchinati ai suoi piedi , si misero in via desiderosi di fermar loro stanza. Presi gli archi e appese al fianco le farcire, i dim fortissimi ligli regali, intrepidi nelle battaglie, s'avviarono solleciti alla Pancavati per la via che era siala loro indicata.
CAPITOLO \\.
INCONTRO DI GÀTÀYUS.
Mentre hama camminava alla volta della Pancavati, gli si fece incontro il grande e celebre avoltoio per nome Gatàyus(12), il quale disse a Rama con voce lene, soave e cara : Sappi, o diletto, che io son l'amico di tuo pa- dre. Il Raghuide conoscendo esser colui 1' amico di suo padre, gli fece onore ed il richiese con cortesia della prosperità della sua salute : quindi mosso da curiosità gli disse Rama : Narrami, o caro, la tua origine, la tua propaggine e la tua stirpe. Udita l'inchiesta di Rama, il sovrano augello prese a narrar conforme al vero la sua origine e la sua stirpe : Ascolta, o forte Raghuide , io ti dirò tutti dal principio quali furono all'età prima i Pro- genitori creati da Brahma. Primo fra questi fu Kardama,
VRANYAC WDA. 203
dopo lui Vikrita, quindi Sesa e il possente Suvrata padre di molli tigli, poi Stilami, Marìci, Atri e il forte Kratu, Pulastya, Pulaha, Dacsa e il prode Pracetas, poscia il Sole e Aristaneini , ed ultimo Ira costoro l'eccelso Ka- syapa (13). Il glorioso Progenitore (Pragàpati) Dacsa ebbe, siccome noi udimmo, o Rama, sessanta inclite figlie : Kasyapa tolse per mogli otto leggiadre fra quelle don- zelle, Aditi, Diti, Kàlaka, Dami, Tanna, Krodbavasa , Bàia ed Alibàla; Angiras e Pratyangiras tolsero l'altre. A quelle donzelle disse Kasyapa con gran letizia : Voi par- torirete generali da me lìgb ebe avranno impero sui tre mondi. Aditi, Diti, Dami e Kàlaka furon d'animo con- formi a lui, le rimanenti d'animo avverso. Aditi partorì trenta tre splendidi Suri (Dei), gli Adityi , i Vasu, i Hudri e 1 due Asvini : Diti partorì i gloriosi Dailyi , da cui Ui un di posseduta questa terra col grande Oceano : Dami ebbe un prestante ligi io per nome Asvagrìva : Kàlaka partorì \araka e Kàlakanga. Da Tàmra nacquero cinque figlie celebri nel mondo, Kraunci, Bbàsi, Syeni, Dhrita- ràslri e Snki. Kraunci produsse le ardee, Bbàsi i galli, Syeni i falchi, gli a volto i e i gufi, Dbritaràstri figliò i cigni die si dilettano nell'acqua, le anase e tutte le grue, se tu sia felice, Suki partorì i docili pappagalli dotati di qualità liete, ornati d'ogni fausta nota. Da colei ebe si noma Krodhavasa nacquero nove figlie, Mrigi, Mriga- vati , Sàrdùli, Krostuki, Màtangi, Sinbika, Sveta, Sura- bbi e l'inclita Surasa dotata d'ogni fausto segno. Fra costoro Mrigi produsse tutti i cervi, Mrigavati gli orsi e i srimari C4); Màtangi ebbe per figlio l'elefante che si noma Airavana , e da Airavana furon generati Mriga ,
204 KAMAVW \
Manda e gli altri elefanti; dalla flava Krosluki (l5) nac- quero i flavi scimi rinomati sulla terra, e Sarchili figliò i golànguli (16)e le tigri; Màtangi produsse inoltre i Ma- tanghi (17) ; Sveta partorì uno degli elefanti delle plage per nome Sankha ; Surabhi partorì, o Rama, tre figlie, Rollini, Bhadra e l'inclita Gandharvi : da Rollini nac- quero i tori, da Gandharvi i cavalli; Surasa produsse gli angui, Kadru i serpenti. Quindi Manu procreò gii uo- mini!18), o Raghuide, i Brahmani, i Csatrivi, i Vaisyi e ì Sudri ; dal capo di lui nacquero sulla terra i Brahmani, dal petto i Csatriyi , dal femore i Vaisyi, dai piedi i Su- dri. Lalana produsse eziandio sette alberi con frutti e ciocche di fiori. Kadru, siccome io dissi, partorì migliaia di serpenti che abitano il seno della terra; e Sieni pro- dusse tra gli altri suoi figli Vinata; da Vinata nacquero due figli Garuda ed Aruua; da Garuda fummo generati io e Sampati mio maggior fratello : sappi, o prode, che io son Gatàyus discendente da Sveni. Io sarò, o caro, tuo compagno, se tu il desideri, e difenderò qui Sita; poiché tu sei solo con Lacsmano. Il Raghuide accettò F offerta ed abbracciò con gioia il sovrano augello; pe- rocché avea più volte udito rammentar f amicizia di suo padre con Gatàyus : commessagli quivi Sita ed accom- pagnatosi col fortissimo aligero Gatàvus, s'avviò poscia quel valoroso alla Pancavati. Quindi poco lungi nel più litio delle selve 1' amplificator della stirpe di Raghu entrò con Lacsmano nella regione Pancavati abitata da sente fiera, avido di sperdere i nemici, come il fuoco distrugge le locuste.
AKANYACANDA. 205
CAPITOLO XXI.
STANZA \FA.\A PANCAVATI,
Andando alla Pancavati frequente in serpi di varie sorta , Rama così parlò al fratello Lacsmano d' ardente vigore : Siam giunti a quella regione che ci fu indicata dal grande Risei , dove la selva è dilettosa e soda , abbon- dante di fiori, di frutti e di radici; è questa, o Saumi- tride, la regione Pancavati dai floridi boschi; gira d'in- torno l'ampio tuo sguardo; perocché tu sei accorto, o Lacsmano; in quale sito avvisi tu un romitaggio, dove possiamo star con diletto la Videhese ed io, dove sian vicini fiori, frutti, legna ed acqua, dove la selva sia amena e ameno il suolo? Interrogato da Rama, Lacsmano con atto ossequioso così gli rispose in presenza di Sita : Io sono perpetuamente sottomesso a te, o Cacutsthide; guarda tu stesso dove sia un bel sito che ti piaccia. Sod- disfano di quella risposta , f illustre Rama , dopo aver considerato, elesse un sito dotato d'ogni qualità deside- rabile, ed eletto per farvi un abituro quel luogo di limpide acque, Rama, presa colla sua mano la mano di Lacsmano, così gli disse : Questo luogo è ameno e bello, chiuso d'alberi fiorenti; costruisci qui, o caro, un convenevole abituro : non lungi di qui si scorge la bella e pura riviera Godavari tutta piena d' odorifere ninfee splendide come i I sole , popolata di cigni e d' anitre , adorna d' anase ed agitata poco lungi di qua da schiere di belve. Mira, o Saumitride, quel giocondo ed alto monte pieno d'antri,
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risonante del canto de' pavoni, ricco di varie piante re- penti disposte a padiglione, intornialo ed abbellito d'al- beri norenti, di soree, di palme, di xanthocymi e di dat- teri, segnato qua e là da begli argentei metalli, ornalo di calami, di dalbergie e di butee frondose, di pentaptere, di grislee, di michelie e di pterospermi , d'asocbi, di li le di diospyri e di mille altri arbusti e piante, e Frequentato da stormi di belve diverse. Su per quel gran monte ri- splendono d'ogni parte melali i d'argento e d'oro, di ferro e di rame , e vicino ad esso è largo e piano il suolo, dove crescono a mille a mille tapie, datteri e piante re- penti, calami e rottlerie, arbori insigni. Questo sito mi par copioso di frutti e di bori, ed eccellente per li suoi alberi di sandalo, per le sue dalbergie, bucbananie e 1111- musopi, per le sue mimose, grislee e soree, acacie, butee e bignonie : questa selva è pura, è dilettosa, è ottima; qui dimorerem noi, o Saumitride, in compagnia di Ga- tàyus. Udite quelle parole di Rama, l'invitto Lacsmano costrusse colà in breve un dilettevole romitaggio pel fra- tello; ei fece con destrezza ad uso del Hagbuide un ampio abituro di foglie, giocondo, ameno e appariscente : an- dato quindi alla riviera Godàvari e bagnatosi, l'illustre Lacsmano colse quivi bori di ninfee e ritornò prestamente. Fatta allora l'offerta di Bori e sacrificato sul fuoco il sacro burro conforme ai riti, ei mostrò poscia a Rama il romi- taggio apparecebiato. 11 Ragbuide, veduto quel romitag- gio ameno ed entrato con Sita in quell' abituro di foglie, fu sommamente lieto , ed abbracciando con gioia Lac- smano, gli disse queste parole soavi, affettuose e care : Son conlento di te, o Lacsmano; e per aver tu fatta una
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simile bell'opra, ricevi ora comic pegno d'amore questo mio amplesso; da le figlio virtuoso, riconoscente e pio son fatti paghi de'lor voti, o caro, 1 nostri parenti. Ciò detto al fausto Lacsmano, il forte e pio Raghuide fermò sua sede in quel sito ricco di frutti ed abbellito da molti fiori, e dimorò quivi alcun tempo con Lacsmano e con Sita , come India in cielo.
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DESCRIZIONE DELLA FREDDA STAGIONE.
Mentre il Raghuide abitava lietamente in quella selva ascetica, trapassò l'autunno e sopravvenne la fredda sta- gione oltremodo cara. Un di levatosi m sull'aurora, s'avviò Rama alla riviera Godavari per farvi le abluzioni : il prestante San mi Iride che col capo curvo e colla brocca fra le mani gli andava dietro insieme con Sita, cosi prese a dire : E sopraggiunta, o egregio, quella stagione che t' è sempre gradita ed in cui Tanno appare come ornato di nuovi pregi. 11 vento è rigido e brinoso, e la terra co- perta di biade : le acque non son ora gradevoli ; ma è bensì giocondo il fuoco. Dopo aver onorato i Devi e i Padri con sacrifizi di nuovo riso maturo, son ora tutti purificati quei che han fruito del sacrifizio del nuovo riso; son con- ienti i villaggi or che han raccolto l'orzo e il latte; e i re della terra intraprendono ora spedizioni bellicose, avidi di vittoria. Dimorando ora il sole nella plaga dove risiede Vgastya (la stella Canopo), più non risplende la plaga set- tentrionale, a guisa d'una donna privata del suo segno
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frontale. Ricco per natura d'un tesoro eli nevi, il monte Himalaya, or che è lontano il sole, è veramente monte nevoso conforme al suo nome(19). Aspri in sull'aurora, soavi sul mezzodì, ne trascorrono ora rapidi i puri e gio- condi giorni. In sul mattino le deserte selve si veggon ora coperte di nevi e di brine, debolmente soleggiate, dominate da venti acuti e freddi. Si cessa dal dormire sulf alto delle case a cielo scoperto ; le notti non han più fiori, son latte fosche dai geli e fredde ed hanno ora più lunga durata. La luna, che trae dal sole il giocondo suo splendore, or col suo disco offuscato dai gelati vapori più non riluce, come uno specchio appannato dal fiato; la sua luce, tuttoché sia nel plenilunio, pur velata dalla gelida bruma si vede sì, ma non risplende, come Sila estenuata dai digiuni. 11 vento occidentale per natura freddo al senso, inacerbito ora dal gelo spira in sul mat- tino doppiamente freddo. Le selve coperte di nevi e se- minate d' orzo e di frumento si fan belle in sul nascer del sole ed echeggiano del canto delle grue e degli aghi- roni. Son belle a vedersi quelle piante di riso del color delf oro coi loro capi alquanto inclinati e adorni di fiori che paiono fiori d'argento. Cogli occhi socchiusi per paura delle pungenti ariste del riso , il toro si disseta nel campo, agitando col suo soffio l'acqua. Il sole testé nato lontanissimo, co' suoi raggi tremolanti, velati dai brumali e freddi vapori , appare or simile alla luna : il suo splen- dore insensibile quasi sul mattino è giocondo al senso in sul meriggio e verso sera s' infiamma di rosso alquanto pallido. Il suolo delle foreste penetrato dai recenti raggi solari mostra ora le fresche sue erbe inumidite dalle brine
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cadute; e le regioni della selva umide di vapor gelati e involte nell'oscurità di fitte nebbie appaiono d'ogni parte come indormentite. Or si veggono i fiumi coir acque ve- late da vapori, colle sabbie delle lor rive bagnate dalle nevi, e solo al canto si discernono le gru che stari fonali essi. Per lo cadere delle brine, per lo gelo, per la tenue virtù del sole, l'acqua che s'accoglie in abbondanza sulla cima degli alberi, vi s'indura a guisa di gomme. Colle lor foglie consunte dal tempo, colle lor fibre e coi loro pericarpi guasti , riarse dalle nevi più non fan bella mostra di se le ninfee, a cui nuli' altro più rimane che lo stelo. In quest'ora, o valoroso, il pio Bharata dolente s' affligge per tuo amore nella città. Messi in non cale il regno e le sue delizie ed ogni altro oggetto , dedito a digiuni e ad austerità, dorme egli colà sulla fredda terra. Per certo in quest'ora anch'esso circondato con amore dai cittadini sen va sollecito alla riviera Sarayu per far quivi le sue abluzioni : ei delicato e cresciuto fra dolcezze infinite, come mai può immergersi nella Sarayu sul finire della notte, trafìtto dal notturno gelo? Quell' uom verace, ve- recondo e giusto, donno de' suoi sensi, abbandonata ogni delizia, vive sottomesso a te con tutto il suo animo : il generoso Bharata mio fratello s'acquista il cielo; peroc- ché abitando esso la città, seguita con amore te che abiti le selve : « Gli uomini non imitano i costumi pa- terni ma i materni; » questa sentenza ripetuta dalle genti e stala appieno contraddetta da Bharata. Oh perchè la madre Caiceyi, di cui era sposo Dasaratha ed è figlio l'ottimo Bharata, è ella cosi fatta e dissimilo da amendue, o signor degli uomini! Al pio Lacsmano che per amore
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così favellava, Rama alieno dal biasimare così rispose :
Non si dee da le riprendere in mia presenza, o caro, la
seconda delle nostre madri; favella soltanto di Bharata
signor degli Icsvacuidi ; ma la una mente gin lei ina nel
proposto di dimorare fra le selve, o Lacsmano, commossa
dall'amor di Bharata, or di nuovo si conturba. Così pur
ragionando giunse il Cacutsthide alla riviera Godàvari <■
fece con Lacsmano e con Sila le abluzioni; ed offerti
secondo i riti doni ai Padri ed agli Dei, venerò col fra- ti
tello e colla consorte il sol nascente. Fatte le abluzioni così risplendeva Rama con Lacsmano e con Sila, come risplende purificato Rudra, Nume venerando con \ isnu e colla figlia del monte (lina).
CAPITOLO WML
VEDUTA DI SURPANACHA.
Compiute le abluzioni, Rama con Sila e col Saumi- Iride se ne ritornò dalle sponde della Godàvari al suo romitaggio; dove pervenuto e adempiuti i vili mai lui ini, entrò egli nel suo abituro; e sedutosi quivi ei faceva con Lacsmano e con Sila vari discorsi. Mentre così ragionava (juel magnanimo col fratello, entrò a lui il sovrano degli avoltoi e così disse : lo li saluto, o eccelso fra gli uomini, o grande arciero dalle lunghe braccia, o illustre e forte; io me ne vado alla mia sede; desidero rivedere i miei con- giunti e i miei amici;tu dei frattanto, o Raghuide invitto, aver l'occhio vigile sovra ogni essere vivente; (piando avrò riveduto ogni mio amico, io ritornerò qui a le; ciò
ARANYACANDA. 211
t'accerto, se in sia felice. A quel sovrano degli aligeri risposero Rama e Laesmano : Vanne, o Gatàyus, e fa che ci rivediamo. Partitosi quel sovrano degli avoltoi, riama di volto soave rientrò con Sila nell'abituro; e il robusto Laesmano levandosi, entrò esso pure in quella dilettevole capanna quadripartita, come entra il leone in una mon- tana caverna. Rama dalle grandi braccia sedendo con Sila in quell'abituro, cosi risplendeva come Limo colla stella Citra. Una certa Racsasa per nome Surpanacha, sorella del Racsaso Ravano giunse per suo diletto in ([nella re- gione, ed appressatasi colà vide Rama pari ad un Dio, con omeri di leone, con grandi braccia, con ocelli simili a foglie di loto. Veduto colui pari ad un immortale, quella Racsasa trista per natura e di rea genia, malefica, mal- nata e dura, die di donna non avea allro che il nome, arse d'amor per Rama : colei deforme e di sconcio ven- ire amò Rama bello di volto e di fianchi ben contornati, ella con occhi turpi e capelli rossigni lui di grand' occhi e ben crinito, ella disformata e d'orribil voce lui bellis- simo e di voce soave, ella orrida vecchia e di torta favella Ini giovane e retto nel favellare, ella di reo costume e disgustosa lui amabile e ben costumato. Colei riguar- dando il nobilissimo Rama di florida età, notato di segni regali, vie più accesa nel suo amore cosi andava fra se pensando : Costui bello oltremodo e giovane, conscio di se e superbo di sua gioventù si stima per certo eguale ai Devi ed ai Gandharvi; ma io innamorata ispirerò con altra eijual beltà amore al prode Rama di bella mirabile E sposa di costui la celebre Sila avventurosa oltre ogni altra donna, dolala di bella e di giovine/za come la dea
212 HAM Vi \\A.
Lacsmi; ma io cercherò di far sì che egli veggendo la prestante mia beltà , abbandoni colei ed ami me. Si dice che Lacsmi sia Tra gli Dei adorna di bellezza e di gioventù : ma io penso che Lacsmi sia colei che dai Racsasi è ono- rata col nome d' Illusione; or io apparirò qui come l' Illu- sione o come Lacsmi discesa dal cielo sulla terra , ed inebbrierò d'amore Rama, come Sarmistha innamorò Nahusa. Ella allora fattasi tutta bella s'appressò a Rama dalle grandi braccia e conforme all' indole femminile così
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<>li disse sorridendo : Chi sei tu che sotto sembianza d'asceta sei venuto con una donna e armato d'arco e di saette in questa region selvaggia abitata dai Racsasi? Non lungi di qui i robusti Racsasi eroi di forza tremenda e d1 opere crudeli , i quali abitan nel Ganasthàna , fanno strage di tutti i Risei; ond' io ti chieggo perchè tu simile ai più nobili fra gli Immortali sia costà venuto. Io credo che forse que' Risei fulgidi come fuoco dimoran su questa riva della Godàvari protetti dalla forza del tuo braccio. Così interrogato dalla Racsasa Surpanacha , d Raghuide prese a narrarle ogni cosa per la rettitudine della sua mente : V ebbe un giusto re per nome Dasa- ratha celebre per la terra ; di colui son io figlio primo- genito e m'appello Rama; costei è Sita mia consorte; e questi è Lacsmano mio fratello. Per ordine del re mio padre e per comando d' una delle mie madri io che ho a cuore la giustizia, son qui venuto ad abitar frale selve. Ma tu chi sei , o timida donna , che adorna di beltà e di fausti segni, bella come la stessa Lacsmi t'aggiri per F orrida selva Dandaca? io desidero conoscerti; dimmi chi tu sei e di qual gente? per qual cagione vai tu qui
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attorno sola ed imperterrita ? Odile quelle parole, la Rac- sasa ardente d'amore così rispose : Io tei dirò; ascolta, o Rama, con tuo fratello le mie parole. Io sono una Rae- sasa per nome Surpanacha, che muto sembianza a mio talento, e m'aggiro qui sola per questa selva, portando sgomento in ogni creatura e devastando i puri lavacri e l' are dei Risei. Son miei fratelli un che si noma Ravano signor dei Racsasi, il giusto Vibìsana che non segue il costume della sua gente, il letargico e forte Cumbacarna e i due Racsasi Khara e Dusana celebri per la lor forza e il lor valore. Io fui commossa da amore nel vederti, o Rama; ama tu me che t'amo; che vuoi tu far di quella tua Sita? ella è deforme e brutta, ne degna di te: io sola dotata d'ogni beltà son degna d' esser tua consorte. Guarda come io son divinamente bella e adorna di divini ornati, come son leggiadri i miei femori ed i miei occhi, come son pieni i miei lombi ed il mio seno, come io son desiderabile! Quanto a quella tua trista e brutta donna, io la divorerò insieme con quel tuo fratel perduto; e allora, o mio diletto, tu percorrerai con me la regione Dandaca, contemplando queste splendide selve e le som- mità di questi bei monti. Uditi quei detti orribili della Racsasa, Rama guardò Sita e Lacsmano ; e per pigliarsi sollazzo di lei, così prese a dire a Surpanacha con destra favella.
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C VP ITO LO XXIV.
SURPANACHA DI1 FORMATA.
Knuia guai-dando Surpanacha ferita dal telo d amore, così le disse sorridendo con soave ed accorta favella : lo sono ammogliato, o donna; costei è mia consorte diletta; né una donna tua pari sopporterebbe una tal rivale. Ma è smogliato questo mio minor fratello clic si noma Lac- smano, leggiadro, buono, grazioso e forte; questi sarà marito degno della tua beltà ; egli è giovane , bello e d'amabile aspetto e desidera aver moglie: die vuoi tu far di me uomo ammogliato e privo d'ogni beltà? prendi per marito mio fratello, o Racsasa dai grand' ocelli. Così esortata da Rama quella Racsasa moltiforme , lasciato subitamente Rama, cosi disse a Lacsmano : Toglimi tu dunque, o illustre, per tua moglie a te conforme di beltà; e tu vivrai con me felice in quest'amena regione Dandaca. Invitato con que1 detti dalla Racsasa, il Saumi- tride destro al favellare, guardando Surpanacha, così le rispose : Come puoi tu desiderare, o donna, d' esser mo- glie serva d'un servo? io sono sottomesso al nobile mio fratello primogenito ; sia tu giovane sposa fortunata e libera del saggio Rama avventuroso, o donna dai grand' occhi : egli per certo, abbandonando questa vecchia sua consorte deforme e trista, che ha lunghi denti e brutto ventre, eleggerà te per sua sposa. Qual uomo avveduto, o donna di gentil cintura, porrebbe il suo affetto in fem- mine umane, lasciando questa tua beltà divina? Udite le parole di Lacsmano, quella stolta dai lunghi denti e dallo
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sconcio venire tenne per cosa vera quel ch'era uno scherzo; e voltasi di nuovo ali1 illustre e invitto Elama che stava con Sita, così gli parlò insana per amore : lo desidero pur le, o Rama, in cui si fissò dapprima il mio sguardo; sia tu finalmente mio consorte. Che vuoi tu far di quella lua Sita? Coir amar questa donna deforme, vecchia e trista che ha lunghi denti e ventre sporgente in fuori , tu mostri di pregiarmi poco. Ma io or qui divorerò colei, te veg- gente, o orgoglioso; quindi io godrò lietamente con te, liberata da quella rivale. Così dicendo, la Racsasa con occhi simili a un tizzo ardente corse sopra Sita dagli occhi di tenera cerva, come una gran meteora assale Rollini in cielo. ÌVI a il forte Rama, respinta colei che s'av- ventava a Sita come il laccio della morte, così disse ac- ceso d1 ira a Lacsmano : Non conviene per alcun modo, o Lacsmano, scherzar con gente malvagia e fiera; vedi, o caro, è gran ventura che ancor sia viva la Videhese : or tu respingi via di qua, o valoroso, quel!1 insana e rea Racsasa, panciuta e brutta. Allora Lacsmano irato, presa colei veggente Rama, le tagliò colla sua spada le orecchie e il naso; la feroce Surpanacha così malconcia mandando fuori discordi suoni , se ne fuggì per la selva ond' era venuta. Versando sangue dalle sue ferite e tutta insangui- nata ella andava mettendo urli, come una nuvola alla sta- tion piovosa; e sollevando le braccia ed ululando s'ad- dentrò nella grande selva quella deforme e orribil Racsasa , spaventosa a udirsi. Pervenuta quindi al Ganasthàna dove stava il possente Khara suo fratello circondato da schiere di Racsasi, cadde a lena (niella difformala, come cade dal cielo il fulmine.
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CAPITOLO XXV.
MOSSA DEI RACSASI.
Vedendo caduta a terra la sorella tutta difformata e
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bagnata di sangue, Khara cogli occhi accesi d' ira così l1 interrogò : Da chi fosti tu ridotta in tale stato, tu che lini
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tanta gagliardia e forza, tu che vai attorno a tuo talento e sei sulla terra pari all' angelo della morte? Chi fra i Devi, fra i Gandharvi o i Biniti, ovvero fra i magnanimi Risei, chi fu colui così possente che in tal modo t' ha difformata? io non veggo sulla terra chi osasse farmi cosa discara, fuorché il grande India dai mille occhi, domator di Pàkà. Chi è colui, cui io debba privar di vita co' miei dardi micidiali, come il sole co' suoi raggi consuma la scarsa acqua d' un lago ? Di chi dee la terra bere il copioso sangue spumante, dopo che le mie saette gli avran reciso gli organi vitali e F avran spento in battaglia? Chi è colui , del cui corpo da me ucciso in guerra faranno gli augelli lieto pasto, lacerandone a brani a brani le sode carni? Né i Devi, né i Gandharvi, né i Pisaci, né i Danavi potranno salvar quel misero da me assalito in fiera pugna. Or tu, ricuperato il sentimento, dimmi chi è quel tristo che così t'ha difformata in volto. Udite le parole del fratello che così parlava irato, Surpanacha gli rispose con voce rotta dalle lagrime : Due fortissimi giovani, belli e delicati, con grandi occhi simili a fior di loto e vestiti di nere ne- bridi e di corteccie , pari a due Gandharvi sovrani e segnati di marchj regali, non potrei ben dire se Dei o uomini,
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due principi eroi eguali l'uno all'altro ed animosi, in sembianza d'asceti, ma armati d'arco ed altieri nell'in- cesso come leoni, venuti in questa tua selva e fattovi un romitaggio, quivi ei dimorano protetti dalla lor forza. Colà io vidi in mezzo a loro una giovane donna leggiadra e bella, e tutta ornala; e mentre io m'accingeva con forza a divorar nella selva colei con gli ali ri due, fui da loro ridotta a tale stato , come una donna derelitta. Io arsi d'ira e resistetti; ma strascinata con violenza in cpiella mischia, mira quale strazio fu fatto di me che pure ho te per difensore. Or io desidero coltilo soccorso, o Rac- saso, bere sul campo di battaglia il sangue spumante di colei e di que'due : questa brama ch'io ti manifesto, mi sia da te effettuata, o eroe, sì ch'io beva nella battaglia il sangue di coloro e di quella donna. Intesi que' detti, khara irato così impose quivi a quattordeci Racsasi notti- vaghi, pari a Yama : Due uomini armati d'arco e vestili di nere nebridi e di corteccie sono entrati con una donna nella terribile selva Dandaca; questa mia sorella desidera bere il sangue loro; voi, uccisa colei con que'due tristi, farete qui a me ritorno ; si compia immantinente con forza e con vigore, o Racsasi, il caro desiderio di mia sorella : quand'ella vedrà uccisi da voi in battaglia que'due fra- telli, ne berrà contenta e lieta sul campo di battaglia il sangue. Ricevuto quel comando, i Racsasi armati d'aste si mossero con Surpanacha, a guisa di nere nuvole so- spinte dai venti : quegli intrepidi guerrieri s'avviarono animosi per ordine di Khara a conquidere in bai taglia Rama, come ne vanno a battaglia i lìeri Daityi, facendo (remar sotto i lor passi la terra colle sue foreste.
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218 KAiSm \\ \
C/VOTOLO \\\ I
MORTI': DEI RACSASI SPEDITI.
Pervenuta all' cremo di Rama , la fiera Surpanacha mostrò ai Racsasi i due Raghuidi con Sita; ed i Racsasi stettero guardando allora il fortissimo Rama seduto nel suo abituro con Sita e coli' accorto Lacsmano. Ma veduti que' Racsasi crudeli con Surpanacha, Rama cosi disse all'ardente suo fratello : Tienti per un instante, o Sau- mitride , accanto alla Videhese; tinche io disperda qui in battaglia que' fieri Racsasi. \ que' detti del]1 invitto Rama rispose Lacsmano : Così farò, e si pose accanto alla Videhese. Vllora il giusto Rama mise la corda al suo grand' arco ornalo (Toro; poi così parlò a que' Racsasi : Noi siamo due fratelli figli di Dasaratha, per nome Rama e Lacsmano, ed entrammo con Sita nella selva Dandaca di diffìcile accesso; noi siamo umili asceti dediti ad opere pie, ed abitando nella selva Dandaca ci nutriam di frutti e di radici; perchè ci assalite voi ? Noi venimmo in questa selva orrenda e forte, perchè ce lo imposero 1 Risei di voto consumato, che voi oltraggiaste per l' addietro : Ol- eosi essendo, ritornatevene , né v'inoltrate più innanzi; se v' è cara la vita, o Racsasi, tornatevene senz' altro ad- dietro. Ldile tali parole, que' quattordeci Racsasi armati di scuri e d'aste così risposero incolleriti, cogli occhi ac- cesi d'ira, superbi e fieri a Rama di forza baldanzosa, infiammato ccjli pure nello sguardo, ma parlante soave- mente : Poiché tu hai provocato a sdegno il magnanimo
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K Lai a signor di noi, tu stesso lascierai qui la tua vita, spento da noi in battaglia; qua! possanza hai In solo pei affrontare in battaglia noi clic siam molli e, die è più, per venire con noi a tenzone? Perla forza di quest'aste, di queste semi, di queste mazze lanciale dalle nostre braccia tu privato di senso lascierai qui Oggi quel Ino arco la Ina l'orza e la Ina vita. Coni' ebbero cosi parlalo, que' quattordici Racsasi pieni d' ira fecero tutti ad ima impelo contro Rama con scimitarre ed armi sollevale; e correndo con gran furia, scagliarono ardenti d'ira asle , semi e mazze. Ma Rama in quella gran mischia spezzò con qnal lordeci suoi teli Tarmi de* quattordeci Racsasi; quindi imperterrito in quella pugna ei prese con ira e con rapido vigore quattordeci altri teli, ed incoccatili subitamente e tolti di mira 1 Racsasi, ei scagliò que' dardi risonanti come il fulmine. Que' dardi aurati, impennati d'oro e occhiuti come penne di pavone guizzarono per l'aria ardenti e fulgidi come meteore; e squarciati tutti que' Racsasi, entrarono con ìmpeto nella terra, come entrano i serpenti nella terra smossa dalle formiche. Que' quat- tordeci Nottivaghi di corpo smisurato, lacerati dalle saette e insanguinati caddero colà privi di vita; caddero a terra trafitti al cuore, come alberi tagliati alla radice, tulli que' Racsasi vinti in battaglia da Rama; e le Incide saette, amate e impennate d'oro, dopo aver trafitto que'Racsasi, ritornarono nella lor faretra. Veduti coloro giacenti a lena , la Racsasa Surpanacha insana d' ira e piena di nuovo spavento, mandò fuori un gemito orrendo, ed ulti landò con alle strida, corse sbigottita là dove slava il for- tissimo Khara; e venula innanzi a suo fratello col sangue
220 RAMAYANA.
alquanto rasciutto alle sue ferite , ricadde tutta dolente a lena, come una boswellia (2()) incrostata di gomme.
CAPITOLO XXVII.
ECCITAMENTO DI KHARA.
Veduta Surpanacha cader di nuovo a suoi piedi piena d'ira, Khara cosi parlò con alta voce a colei che ritornava senza avere effettuato il suo disegno : Quand'io per farti cosa cara ho spedito eon te Racsasi carnivori, vaiolosi e altieri, perchè ne vieni tu qui di nuovo a piangere? Co- loro a me devoti e fidi e sempre intenti allutil mio, non oserebbero trasgredire il mio comando per quanto han cara la lor vita : dimmi, o nobil donna, per qual cagione tu sei qui ritornata, e perchè cosi ti duoli cogli occhi offuscati dalle lacrime, venendo a me come una derelitta, mentr' io qui pur son tuo protettore? Sorgi, o nobil donna, né star così; deponi questo tuo sgomento. Confortata in tal modo da Khara, quella dolente, rasciu- gati i suoi occhi lacrimosi , così disse : I Racsasi eroi
O Ti
che tu hai spediti armati d' aste , furon tutti arsi da Rama col fuoco delle sue saette. Io li vidi distesi a terra, come alberi recisi alla radice, vidi quel fatto di Rama e rimasi esterrefatta; e tremante, confusa, sbigottita io ne venni qui a te come a mio rifugio, o Racsaso, veggendo paure in ogni parte. Deh perchè non soccorri tu a me immersa in un pelago innavigabile di dolore , che ha per cocco- drilli i miei affanni ed è commosso dall' onde della mia paura ! Se tu, o signor dei Racsasi, non ispegni in batta-
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glia Elama mio nemico, io abbandonerò qui in tua pre- senza la mia vita. Se tu hai pietà di me, se tu hai pietà di que'Racsasi che furon da Rama atterrati coli1 acute sue saette, se v'ha in te qualche vigore, vendica ora i tuoi compagni, spegni quel nemico de' Racsasi che venne ad abitar nella selva Dandaca. La via che ti fu costì assegnala, f è or preclusa da Rama; se tu non mostri valor né forza, come puoi tu qui rimanere? allontanati tu pure presta- mente co1 tuoi compagni dal Ganasthàna; perocché ti so- vrasta da Rama un gran pericolo; ove tu te ne stia inerte, svigorito, smunto di forza e di virtù, tu pur fra breve per- derai la vita, soverchiato dalla forza di Rama. Rama Da- sarathide è possente e valoroso, ed è forte il fratello di lui che si noma Lacsmano : ben veggo, o Racsaso, che tu non sei atto ad affrontar colf armi in battaglia Rama, neppure un sol momento. Tu non hai d' eroe altro che il vanto; è falsa la fama che ti loda di fortezza, se tu non puoi uccidere Rama e Lacsmano che pur non son che uomini. Se è vero, o Racsaso, che tu hai valore e forza, spegni quel nemico de' Racsasi , venuto ad abitar nella selva Dandaca. Se fu non uccidi oggi questo mio nemico, io lascierò qui dinanzi a te, o uom senza pudore, i miei spiriti vitali. Tu sei pure da questi Racsasi riputato un eroe, un uomo altiero, e tal li giudica in Lanka il mag- nanimo Ravano signor dei Racsasi; dove son iti adunque la tua gloria e la tua alterezza, il tuo valore, la tua co- stanza e la tua forza, la tua baldanza nelle battaglie, la tua fierezza contro i nemici e la nobile tua lama?
222 li A MAN \\ A.
CAPITOLO XXVIII
MOSSA DI klIVI! V.
Plinio con que'detti da Surpanacha, il prode Khara rispose altiero in mezzo ai Racsasi queste fervide parole : Non posso respinger Y ira immensa che in me nacque dal tuo disprezzo , come non può l'acqua dell'Oceano rimuovere i suoi confini, lo non lo alcun conto di Rama, noni di nessun valore, il qual perirà oggi da me spento per le sue ribalderie. Si raffrenino queste lacrime, si cessi questo sgomento; or ora io caccerò alle sedi di Yama Rama con suo fratello; e tu, o Racsasa, berrai oggi senza dubbio caldo il sangue di colui percosso da questa mia clava e spento in sulla terra. Tu li pascerai lieta, trascinandole qua e là, delle sue membra lacerate a brani a brani da' miei dardi; ed ucciso Rama col fra- tello, tu li mangerai le dolci e tenere carni di Sila ap- prestate con condimenti. Udite quelle parole gioconde al suo cuore, Surpanacha divenuta tutta lieta lodò Khara suo fratello eccelso fra tutti 1 Racsasi : Son beta, o pos- sente signor dei Racsasi , che siasi iute ravvivato questo desiderio generoso e forte di spegnere in battaglia il tuo nemico : son contenta, o eroe, che il tuo animo sia fer- mamente risoluto di dar morte al tuo avversario Tu ti mostri pari a Ràvano per fortezza e per valore; e protetti da te, o forte, se ne vanno securi e vaganti a lor diletto pel Ganasthàna 1 Racsasi di forza spaventosa. Tu nella conquista dei tre mondi vincesti un di in battaglia con
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Ravano tuo Fratello i Suri (Devi), i Daityi, i Dànavì ed i Serpenti. Dopo che diede ;i te in custodia il Ganasthàna, se ne doinie tranquillo in Lanka co' suoi amici e co'suoi congiunti Piavano re de' Racsasi; e quando veggono sul campo di battaglia la tua faccia accesa d' ira, sen fuggono spaventate per ogni parte tutte quante le creature. Tu saresti allo, benché solo, a spegnere quell'uom perduto, quanto più , essendo tu circondato da (ieri Racsasi di forza paurosa! onde muovili prestamente ad uccidere queir iniquo; che io desidero bere il sangue di Rama sul campo di battaglia. Intesi que delti di Surpanacha cari al suo orecchio, Khara così parlò al duce dell1 eser- cito per nome Dùsana che era ivi presente : Raduna , o amico, quattordeci mila Racsasi abitatori del Ganasthàna , obbedienti a' miei cenni, fieramente impetuosi e ferini nelle battaglie, di color fosco come nere nuvole (21), ler- ribili e beri nelle lor opre, aggirantisi qua e là a danno delle genti, armali d'armi diverse, rapidi come il fulmine, lodi e moltiformi, intenti a nuocere ai Mimi; raduna questi Racsasi possenti , valorosi, irresistibili, altieri come tigri. Prepara tosto il mio carro ed i miei archi , la grande e divina mia lancia e la mia spada lucente come f etere, la divina e ferrea mia clava e l'ardente razzo risonante, l'ascie taglienti e le ferree saette terribili allo sguardo, gli acuii giavellotti, le pietre e i grandi sassi, 1 dardi adunchi, le funi, le scuri, gli spuntoni ed i bigordi, i tridenti (22), l'armi ignee e le mazze ferrate, le picche, le lancie, i ferrei magli e i mazzapicchi, le loriche, le ma- ghe e le diverse armadure; e quant' altre sono le grandi e divine une armi, tutte si pongano tosto e senza indugio
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sopra il mio carro : voglio marciare in Ironie de'magna- ninii Paulastyi e spegnere quel tristo Rama che vuole con noi battaglia. Udito quel comando, Diisana venne presto ad annunziare esser pronto il grande carro tirato da forti e nobili cavalli; e Kbara salì su quel cario torreggiante come la cima del monte Meni, ornato di lucid'oro, con un'aurea luna per insegna, aperto e col timone guernito di perle e di lapislazzoli, carro celeste, moventesi a sua voglia, tempestalo di gemme diverse, variamente effigiato di pesci, di bori, d' alberi e di colli, col sole e colla luna figurati in oro, con astri e con gran numero d'augelli scolli in argento, col suo vessillo inalberato, munito (ranni,
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ornato di cento tintinnabuli, tirato da cavalli generosi e impetuoso. Veduto Khara sul suo carro, i Racsasi di forza terribile si posero intorno a lui ed al fortissimo Dùsana; e Khara guardando quel fiero esercito con armi diverse e con bandiere, così disse baldanzoso dal suo carro a lutti que' Racsasi : or movete. Allora quell'oste Racsasa armata di lancie, di mazze e d'aste si mosse dal Gana- sthàna con fragore pari a quello dell' Oceano ; tutti que' Racsasi valorosi uscirono armati di magli, di lancie e di spade, d' ascie taglienti e d' aste. Qualtordeci mila Racsasi tremendi si partirono per comando di Kbara dalGanastbàna terribili a vedersi , altri con ascie e con ferree clave , altri impugnando spade ed ardii, mazze, magli e dischi. Come vide marciar que' Racsasi terribili, Khara superbo di sua forza si mosse egli pure prontamente col suo carro ; e l'auriga, conosciuto il voler di Khara, spinse i robusti cavalli, fregiati di lucid'oro. 11 carro del fiero Khara empiè, movendosi, di fragore le plage e le regioni in-
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lermedie. Vie più acceso nel suo sdegno e anelante alla morte del suo nemico , Khara irato e pari a Yama mag- giormente eccitava con fervida voce il fortissimo suo au- riga, dicendo : Cammina più veloce.
CAPITOLO XXIX.
VEDUTA DI SINISTRI PRODIGI.
Ma mentr' egli progrediva avido di vittoria , subita- mente una gran nuvola piovve sopra di lui un'infausta pioggia di pietre con sangue ed acqua; caddero più volte vacillando forte nei lor lombi i suoi cavalli , benché cam- minassero allora in piana regione e per una spaziosa via regale; si posò di repente sopra l'alto suo vessillo con fusto d'oro un avoltojo smisurato, vomitante sangue dalla bocca; un nero cerchio con contorni sanguigni, simile ad un cerchio di tizzi ardenti circondò il disco del sole ; le belve e gli augelli che si pascon di carni, levandosi con grande strepito vicino al Ganasthàna, mandai on fuori di- versi e discordi gridi ; un orribile sciacalo ululò con suono orrendo per l'ardente regione meridionale , gittando fuoco dalla bocca; nuvoli spaventosi romoreggianti a guisa di timpani fessi ottenebrarono il cielo, versando pioggia di sangue e di carni ; il Ganasthàna tutto involto in cupa tenebra nata subitamente, più non appariva da nessuna parte; il cielo risplendeva di luce sanguigna fuori dell' ora del crepuscolo; augelli volanti per l'aria stridevano incontro a Khara con aspre voci; si levò un vento impe tuoso ; si scolorarono i raggi del sole, ed apparve in cielo •■• 29
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la luna col suo corteggio d'astri ; sciacali infausti , paurosi unibili urlavano alla rinfusa per quella regione ardente, vomitando fuoco dalla bocca; stavano rimpiattati gli au- gelli e i pesci; inalidivano le ninfee de' laghi; più non facevano mostra di se gli alberi privi de'lor fiori e de'lor frutti; caddero con iìero strepito e con turbini meteore di fuoco, e tremò la terra colle sue selve, co' suoi boschi e co' suoi monti; si scosse il braccio sinistro di Khara ruggente sul suo carro ed avido di vittoria, e si fesse la sua voce; s'empierono di lacrime i mesti suoi occhi, di- ventò arida la sua faccia, si contristò la sua fronte; ma per insania non ritornò egli perciò addietro. \ eduti que' fieri portenti spaventosi suiti subitamente, così disse sor- ridendo ai Racsasi Khara duce di queir oste : Confidando nel vigore che produce in me la mia l'orza, io non mi do pensiero di tutti questi segni che si mostrano terribili alla vista; ardente d'ira io precipiterei dal cielo il signor degli astri e darei morte alla Morte stessa; io non ho paura uè d' India né di Cuvera; son valevole a resistere a tutte le creature ; tale è il mio fermo pensiero. Caccerò alla ma- gion di Yama quel Rama sì superbo della sua forza e del suo valore e con lui Lacsmano suo fratello, atterrandoli co' miei dardi e colle mie saette : sarà soddisfatta la Rac- sasa mia sorella vagante a suo diletto, per cui oggi perirà quel Rama e Lacsmano con esso, lo non ebbi mai per f addietro sconfitta nelle battaglie in alcun luogo; e non mento al vostro cospetto : io ucciderei in battaglia lo stesso Re dei Devi (Indra) ardente d'ira e montato col fulmine in mano sopra il furente elefante Airàvana; or quanto più colui che non è che un uomo! Udendo quegli
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alteri vanii di Khara, grandemente ringalluzzavasi l'oste de'Racsasi radula in potere della morie. Vennero allora spettatori di quella pugna i Insci e i Siddhì i Devi ed i Cìandharvi e le divine .schiere delle Apsarase; e race» ti li insieme così dicevano fra lorque'pii : Sian salvi la terrai23) ed i Brahmani! Sian salve tntle le genti! Vinca Rama in battaglia i Nottivaghi coi Paulastyi (24), come un dì l'ucci- sor di Pàka (Indra) vinse in battaglia lutti gli Asuri pos- senti! Dicendo queste e più altre parole, i sommi Risei guardavano Toste di que' Racsasi destinati a morte. Intanto Khara col suo carro uscì impetuoso fuori di schiera, e veduto lui primo uscirne , ne uscirono anche i Racsasi Syenagàmi, Prithugriva, Yagnasatru, Mahàratha, Dur- gaya , Kàlakàkhya , Parusa, Kàlikàmukha, Meghamàla, Mahàbàhu, Sarpàsya, Vikrilodara; questi dodici fortissimi si posero d'ogni parie intorno a Khara. Quattro altri Ma- hàkapàla, Sthulàcsa, Pramàthi e Trisiras andavano dietro a Dùsana in fronte dell' esercito. Queh" oste terribile e impetuosa di strenui Racsasi avidi di battaglia s'appressava rapidamente ai due ligli regali, come l'ombra di Ràhn assale in cielo la luna e il sole.
CAPITOLO XXX.
VEDUTA DELL' ESERCITO DI KHARA.
Quando Khara d' ardente vigore giunse al romitaggio di renna, questi col fratello osservava que' subiti portenti; e veduti tutti que' segni spaventosi e orribili, di funesto presagio ai nemici, così egli disse : Mira, o forte Lac-
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smano, que' terribili portenti di sinistro indizio ad ogni vivente creatura, qui apparsi come annunzio di morie agli uomini. Quelle nubi fieramente strepitanti che pio- vono gocce di sangue, si distendono per lo cielo minac- ciose e fosche; esalan fumo queste mie saette come liete di qualche gran battaglia che sovrasti ; e trema quasi questo mio arco dall' aureo dosso. Lo schiamazzo che fan gli augelli di questa selva ci annunzia un atroce ed [orrido pericolo ed il rischio della vita; avverrà qui senza dubbio, oLacsmano, una mischia tumultuosa, perchè mi trema il braccio destro; ma è vicina, o eroe, la nostra vittoria e la disfatta del nemico, perchè è serena e lieta la mia faccia : coloro, la cui faccia s'oscura in sul momento della battaglia , son destinati , o Lacsmano , a dover morire. I segni che io veggo nel mio corpo, annunziano un'orrida strage di viventi; ma Tuoni saggio che teme qualche in- fortunio, o Lacsmano, dee provvedere ai casi futuri: perciò tu armato di saette e d' arco prendi Sita e ti ri- para in un'ardua spelonca del monte chiusa d'alberi; quivi rimani armato colla Videhese; cosi tu non vedrai co' tuoi occhi lo spettacolo pauroso dei casi che avver- ranno ; sta colà attento e fa risuonar per le regioni il suon della corda del tuo arco. Tu non dei opporli a queste mie parole; io te ne scongiuro, o eroe; allontanati tosto colla mia sposa, né star tu qui a rispondermi, o incol- pabile; tu conosci la mia forza. Così esortato da Rama, Lacsmano togliendo le saette e f arco si ricoverò con Sita in una spelonca d'arduo accesso. Quando Lacsmano fu entrato con Sita in quello speco, il Raghuide, detto : Or bene! indossò la salda sua lorica; e allor ch'ebbe
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vestita queir armadura lucente al par di fuoco , risplen- deva egli come il sol nascente che dissipa la tenebra not- turna. Preso il suo grand1 arco e le saette simili a serpenti, se ne stava egli fermo, empiendo le regioni col suon della corda del suo arco. Allora i Devi, i Risei ed i Gandharvi, i Siddhi, i Càrani ed i Guhyaci grandemente sbigottiti così parlarono fra loro : Son quattordeci mila i Racsasi terribili ed è solo il giusto Rama; come sarà per riuscire la battaglia? Noi ben sappiamo chi è questo Rama e come egli venne sulla terrai25); ma pensando alla sua natura umana, è commosso da pietà ramino nostro. Giunse in- tanto all' eremo di Rama quasi ruggendo 1' oste di que' Racsasi moltiformi, in sembianze diverse e strane; e gri- dando d' ogni parte : Arrestati , Rama , tu sei morto ! fecero impeto ardenti d' ira e superbi di lor forza. Ma vedendo disseminata quella grand1 oste Racsasa, Khara con per- verso intento degno d'un Racsaso la ritrasse indietro; e T oste retrocedendo si raccolse allora tutta in un sol luogo, come una schiera d'elefanti, condensata a guisa di nube, ed appariva d' ogni parte quell1 esercito di Racsasi alta- mente strepitante e terribilmente instrutto d' armi , d' ar- madure e di bandiere. L'alto clamore di que' Racsasi intonanti gridi guerrieri e ruggenti a quando a quando , ora tendenti gli archi ed ora rilassandoli , minacciane con gran fracasso ed eccitantisi l' un l'altro, empieva quella foresta. Spaventate da quello strepito le belve vaganti per la selva, fuggendo a schiere in varie guise, non istavano a riguardare addietro; era scolorato il sole e quasi ottene- brato, e spirava in quel punto un vento avverso ai Rac- sasi. Quell'oste impetuosa s'andava frattanto ravvicinando
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a Elama, annata d'armi diverse, simile all'Oceano che si solleva. Allora il Raghuide girando lo sguardo d' ogni intorno vide venir denso incontro a se l'esercito de' Rac- sasi pronto alla battaglia. Ei tenendo l'arco fra le mani e tolte dalla faretra le saette, stette fermo e disposto a com- battere, empiendo le regioni col suon della corda del suo arco; e sorridendo (piasi in faccia ai Racsasi, vie più ter- ribile allo sguardo per l' ira che l'infiammava, egli ardeva come il fuoco distruggitore. Veggendolo pieno di tanto vigore, simile a Siva quand' ei tendeva I' arco per distrug- gere il sacrifizio di Dacsa, sbigottirono gli Dei di quella selva; e i Devi levati in aria contemplavano maravigliando il volto di Rama irato, simile a Yama allor che sul finir d'un' età cosmica (yuga) si dissolve l'universo. Quando scorsero Rama, i Racsasi avidi di battaglia, oltremodo maravigliati, si fermarono a guisa di monti; e veggendob così stupefatti, Khara loro duce così parlò con aspri detti a Dùsana : Non v'ha qui fiume da guadare; perchè se ne sta così immobile quest'oste? osserva bene, o amico, che «osa è questa; io l'ordino. Diìsana uscendo prontamente Inori di schiera col suo carro, vide Rama a fronte coli arco teso; e conosciuto che l'oste slava ferma per paura, tornando a Khara fratello minor di Ravano, così gli disse : Rama armato d'arco se ne sta a fronte della battaglia, e veggendo colui sì terribile ai nemici, si fermarono tutti i Racsasi. Udite quelle parole di Diìsana, Khara rapidis- simo corse col suo carro incontro a Rama, come Ràhu assale il sole; e allor che vide Khara correre armato alla battaglia, 1' oste Racsasa si precipitò profonda con fragore pari a quello d' immense nuvole. Ma d glorioso Dasara-
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thide, guerriero eccelso e sperditor (lolle schiere nemi- che, munito d'armi elette, veggendo quella grand'oste simile all'Oceano, non si turbò né impaurì.
CAPITOLO XXXI.
SCONFITTA DELL OSTE DI KHARA.
Appressatosi al romitaggio , Khara co' suoi Racsasi vide quivi il prode Rama insuperabile ad ogni creatura. Doppiamente arrovellato a quella vista , teso e levato T arco , ei spinse contro Rama il suo auriga , sclamando : Corri, corri! L'auriga a quel comando incitò i cavalli, i quali si slanciarono veloci là dove stava il Dasarathide. Veduto precipitarsi Khara, i Racsasi suoi ministri solle- vando un alto clamore si strinsero intorno ad esso, e Khara stando sul suo carro in mezzo a que' Racsasi, so- migliava al pianeta Marte in mezzo agli astri. Allora tutti que' Nottivaghi rabbiosi scagliarono le diverse lor armi contro il tremendo e invincibil Rama ; insani per ira ei percossero in battaglia Rama con ferrei magli, con aste, scuri e dardi adunchi; e condensati a guisa di nubi ei si precipitarono contro il Cacutsthide con alte grida e con gran vigore , avidi di farne crudo scempio. Que' fortissimi lanciarono contro Rama una pioggia di saette a quella guisa che le nuvole versano sul!' Mimavate la pioggia a gocce a gocce; e quel figlio regale era cosi attorniato da que' Racsasi terribili , come Siva in un cimitero dai Cani (26) elic gli stanno a fianco. Il Raffhuide riceveva i dardi lan- ciati dai Racsasi in quel modo die V Oceano riceve le cor-
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renti de' fiumi; né benché ferito da quell'armi orrende egli si turba, pari ad un gran monte percosso da fulmini ardenti. Bagnato di sangue in ogni parte così risplendeva Rama, come nel cielo il sole circondato da rosse nuvole vespertine. Sbigottirono i Devi ed i Gandharvi, i Siddhi e i Càrani, veggendo Rama solo assalito da più migliaia di nemici. Allora il prode Rama, teso l'arco a guisa di cerchio, si diede a saettare dardi acutissimi, come Indra lancia i suoi fulmini ; egli scagliò a furia in quella batta- glia saette aurate , irresistibili , insopportabili , pari alle catene di Yama; e quelle saette impennate di penne d' aghirone , spinte contro l' oste nemica , toglievano ai Racsasi la vita, come le maledizioni d'un asceta. Que' dardi dopo aver squarciato le membra de' Racsasi, rilu- cevano per 1' aria tinti di sangue , come splendor di vivo fuoco. Uscivano innumerevoli dall'arco cerchiato di Rama le saette impetuose, micidiali ai Racsasi; altre volavano disperse; altre, lacerati i fieri Racsasi, entravan nel seno della terra. Veggonsi qua e là palpitanti e colle labbra contorte le teste de' nemici recise dalle saette in quella battaglia e cadute a terra a cento a cento; squarciati dalle saette suggenti il sangue , lanciate dall' arco di Rama ca- dono a torme i Racsasi. Quell'eroe dalle grandi braccia lacerava ad un tempo e in varie guise colle sue saette le sommità delle bandiere, gli archi, le loriche e le braccia de' nemici. Allora i Racsasi feriti da quelle saette , da que' dardi acuti e dritti facevano urli orribili di dolore; ed alcuni colle loriche rotte nella battaglia da que' dardi impetuosi , sollevandosi alti su per 1' aria ricadevano poscia a terra; che Rama faceva precipitare al suolo que'
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Racsasi levali in aria simili a vertici di monti, anzi a mo- bili montagne, f dardi saettati dall'arco di Rama, squar- ciando con ìmpeto a mano a mano i più eccelsi mira que1 Bacsasi, entravano nel seno della terra; e queir oste tra- vagliata dalle acute saette di Rama laceranti <di organi vi- tali non trovava scampo in alcun luogo, come l'osse arsa dal fuoco. La maggior parte dell'esercito di Khara era ornai spenta, eran feriti da Rama co' suoi dardi acuti i guerrieri più valorosi, e sospinti da lui durante quella battaglia quasi per gioco e in vari modi in preda al sonno estremo i più di que' Racsasi fortissimi. Quelli che ancor rimanevano, si raccolsero allora a Khara sbigottiti, trava- gliati dalle saette e chiedenti aiuto; quell'oste de' Bacsasi raccoltasi intorno a Khara e a Diìsana stava là tutta con- densata, come una schiera d'elefanti. Ma Khara veggendo la sua oste così afflitta dai dardi di Rama, così disse al prode e fiero Diìsana : Conforta, o eroe, queste schiere e fa lor animo; io caccerò alle sedi di Yama questo Rama Dasarathide. Il fiero Diìsana riprendendo allora tutti que' Racsasi, li rincuorò con molti e lunghi detti, e come gli ebbe confortati e ringagliarditi, si spinse contro il Ra- glili ide, come Namuci contro Indra. Allora que' Racsasi rinfrancati dal soccorso di Diìsana corsero di nuovo a battaglia contro Rama con armi diverse; armati d'aste acute, di dardi adunchi, di spade e d'ascieei lanciarono ardenti d'ira tutte quell'armi contro Rama. Ma il Ra- ghuide, rotte in pezzi colle sue saette tutte quell'armi tolse quindi co' suoi dardi la vita ai Racsasi in quella mi- schia; aggirandosi quasi per gioco dentro il cerchio di que'Racsasi, il grande eroe Raghuide tagliava a luna
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braccia e leste. S'udirono di nuovo allora fremiti e gridi tumultuosi, immensi, un grande clamor dei Racsasi si- mile allo strepilo di più strumenti, un cozzai- d'armi insieme, un alto fracasso di carri e ruggiti di combattenti altieri, che empiendo gli spazi del cielo, si diffondono per tutte le regioni e penetrano fin ne1 luoghi inferni. Frattanto foste Racsasa raccolta intorno a Khara e a Diì- sana assaliva di nuovo Rama; era quella una battaglia maravigliosa , tumultuosa, orribile, spaventevole come un vortice e mortale ai Racsasi. Ma Rama dai grand' occhi e dalle lunghe braccia, incoccato il t.erribil telo che s'ap- pella Gandharvo, lo scagliò. Affascinati da quel telo e sospirili dalla Morte i Racsasi gridando allora tutti ad una : Questi è Rama, questi è Rama! si ferivano 1' un laido in quella mischia, assalendosi con armi poderose. Cogli occhi infranti e laceri, colle loro cervici recise ca- devano quivi i Racsasi, come alberi tagliati!27).
CAPITOLO XXXII.
MORTE DI DTJSANA.
Ma l'avanzo di que' Racsasi, benché debole, raccoltosi intorno a Khara e a Dùsana, si mosse di nuovo a battaglia contro il possente Rama. L' eroe Raghuide stando con animo saldo ma senza orgoglio, ricevette imperturbato colle acute sue saette la spaventosa e orrenda pioggia di dardi dei pochi alteri Racsasi rimasti che 1' assalivano con gran baldanza. Ma coni' ebbe ricevuta quella pioggia orribile, a quella guisa che un toro riceve sulle sue corna
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i larghi sprazzi d'una pioggia autunnale, (jnel domatore de1 nemici ardente dira e pari a Vania die di piglio a un telo divino per ispegnere tulli que'Racsasi. Ma kliaia veggendo sollevato quel telo mortale ai Kacsasi, lanciò contro al Raghuide il telo divino del Prestigio; il (piale subito che vide il Raghuide, lo respinse con un altro telo ignito del Prestigio; poi di nuovo raccolse quel telo. Decisi i principali fra que'Racsasi che s'appoggiavano a kkara e a Dùsana, Rama si disponeva a spegnere le reli- quie di queir oste. Allora i Racsasi superbi di lor forza, strettisi intorno a Rama, combattevano con sembiante di disprezzo quel domator de1 suoi nemici. Ma egli acceso d'ira ed infiammato come fuoco, coperse d'un nembo di saette quella schiera e Khara e Diisana. In quel punto il forte e terribil Diisana duce di quell'oste e pari a Vania, prese con ira la ferrea sua clava paurosa a ve- dersi, simile al cocuzzolo d'un monte, fasciata d'aurei cerchi e tutta tempestata di ferree e acute punte. Dato di piglio a quella grande mazza che somigliava a un gran serpente ed il cui tocco era come quel del fulmine, rom- pitrice delle membra de' nemici, terror di tutte le crea- ture, ornata di maniglie d'oro, Dùsana assalì Rama, come 1' Asuro Vritra assalse India. Mentre Dùsana correva a battaglia contro Rama, questi ardente d'ira tutta ferì con dardi la sua clava; e que' dardi acuti lanciati dal Ra- ghuide, dopo aver percossa la clava di Dùsana, entravan colle punte rintuzzate nella terra, simili a serpenti che incurvino la testa. Ma vedendo avventarsi Dùsana armato di clava, avido della sua morte e acceso di rabbia, simile a Yama allor che impugna lo scettro, il Raghuide con
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due saette recise eolle lor armi ed ornamenti amendue le braccia di Dùsana avventantesi alla pugna; caduta dalla sua mano recisa piombò sul campo di battaglia la terribil clava, come cade dal sommo d'una colonna il vessillo d'Indra : e Dùsana con ambe le braccia recise precipitò a terra, come un elefante dell' Himalaya colle due sue zanne divette. \ eduto cader quivi a lena Dùsana colla sua clava, tutte le creatine onorarono il Cacutsthide, scla- mando : Bene! bene! In questo meni re tre Torli Racsasi caduti nella catena della morte assalirono insieme Rama pieni d'ira, il Racsaso Mahàkapàla sollevando un'asta enorme , Stbùlàcsa armato d' ascia e Pramàtbi con una scure. Veduti costoro avventarsi a se, il Raghuide li ri- cevè con dardi acuti, come si ricevono con accoglienze gli ospiti; ei recise con un sol dardo la testa di Mahàka- pàla, tempestò Pramàthi con un nembo d' acute frecce ed empiè di saette gli ocelli di Stbùlàcsa; tutti e tre cad- dero a terra trafitti dai dardi di Rama. Quindi quel forte colle sue saette ardenti come fuoco e guernite d'oro per- cosse combattendo f avanzo dell' oste Racsasa : quelle saette impennate d' oro , simili a pianeti cinti di fumo e minaccianti in cielo, atterravano que1 Racsasi , come i fulmini scoscendono gli alberi eccelsi. Uccisi cento de1 Racsasi più cospicui, il Raghuide ne abbattè poscia mille con mille saette; costoro feriti da quelle saette, infranti e laceri, colf armadura e cogli scudi squarciati caddero bagnati di sangue a terra; e il suolo sparso di corpi in- sanguinati colle chiome scomposte caduti in quella batta- glia somigliava ad un' ara del sacrifizio sparsa di poe cyno- suroidi. Era il campo di battaglia deserto di combattenti
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arsi dal fuoco delle saette di Rama, intriso di sangue e di carni, simile all'inferno. Alcuni giacciono colà a lena lacerati dalle saette e morti; altri gemono; altri tormen- tati dai dardi errano come insani. Quattordeci mila Rae- sasi terribili furono sconfitti da Rama solo, pedestre uomo; e di tutta quell' oste rimasero quivi soli due Racsasi , il forte Khara e Trisiras. Khara vedendo atterrati in quella pugna Dùsana e gli altri Racsasi incomparabili, altieri nelle battaglie, assalì col suo gran carro Rama a quella guisa che Namuci assalì Indra.
CAPITOLO XXXIIT.
MORTE DI TRISIRAS.
Ma il Racsaso Trisiras levandosi così parlò al supremo duce Khara che correva incontro a Rama : Imponi a me, o eroe, di combattere; tu ritorna addietro, e vedrai da me prontamente atterrato in battaglia quel forte Rama ; io ti prometto, o eroe, e per farne tede tocco quest'arme, che io abbatterò colle mie saette nella battaglia quel Rama iniquo; o io darò combattendo morte a colui, od esso darà morte a me in questa tenzone ; rattieni il tuo ardor guerriero e sia tu per un istante spettatore; o spento Rama, tu te n'andrai oggi lieto pel Ganasthàna, ovvero ucciso me, tu ucciderai quindi in battaglia Rama. Così pregato da Trisiras che cercava la sua morte, Khara lie- tamente rispose : Io tei consento. Allora Trisiras, avola licenza di combattere, sollevando baldanzoso con istrepito il suo arco, si mosse contro Rama. In questo mentre le
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reliquie di quella grand' oste Racsasa ritornarono alla battaglia raccogliendosi intorno a Trisiras. Grossa ancora di più centinaia di combattenti e strepitante come una grande nuvola, queir oste schiamazzava con alte grida si- mili al suono di timpano inumidito. Rama dotato d' in - fallibil forza sostenne l'impeto di que'Racsasi rabbiosi e ardenti di furor guerriero, che s'avventarono a lui su- bitamente. Ricominciò allora tra costoro su quel campo di battaglia una pugna tumultuosa, ardente e fiera. In- volto in una pioggia di saette e chiuso, più non risplen- deva il sole dai mille raggi, più non spirava il vento; il cielo era velato in ogni parte da un nembo di lucide saette. In quella Trisiras ferì con tre saette Rama nella fronte, e questi acceso di sdegno e d' ira così disse : Ecco un grand' atto di valore del magnanimo e prode condot- tiero! Ben fa prove mirabili d'eroismo la forza d'un Racsaso in battaglia, dalle cui frecce saettate dal grand' arco e spinte con irà combattendo venne la mia fronte ornata come di fiori! Ecco io ho ricevuto le saette liscile dal nobile tuo arco; son contento della tua destrezza, o Racsaso valoroso ; ben è vero che non si dee disprezzare un nemico ancorché debole; io m'ingannai sprezzandoti; ora sta saldo incontro a me. Poich'ebbe così parlato, il Raghuide possente si diede, stupefacendo, a saettare in quella battaglia; e togliendo di mira i nemici condensati, confusi , stupefatti , li uccideva in quella mischia , reci- dendo loro la testa; ed ei cadevano colle teste recise, coli' armi , colf armadure , colle bandiere rotte , come cadono a terra gli alberi abbattuti dal vento che suscita Suparna nel suo volo. Sopraffatti allora dal terrore i pochi
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Racsasi limasi si diedero a fuggire spaventali per ogni parie, come fuggono dinanzi ad una tigre i cervi paurosi. Fu mirabile, tumultuosa, orribile quella nuova batta- glia del prode Rama e di que' Racsasi ; di tutta queir oste nuovamente più non rimase quivi che il forte Khara, Trisiras e il domator de' nemici Rama. Visle di nuovo sconfitte le schiere de' Racsasi carnivori, Trisiras oltremodo irato eccitò il suo auriga : Desidero far qui tosto dono d'un' oblazione al mio signore in presenza del magnanimo e prode Khara; ti prometto, o auriga, e per fede tocco quest'arme, che o io ucciderò Rama, o Rama, ucciderà me. Così eccitato 1' auriga spinse i cavalli e corse a batta- glia contro Rama con rapidi corsieri. Veduto avventarsi a lui il Racsaso Trisiras, il prode Raghuide lo ricevè solle- vando il suo arco e le saette : fu un combattimento terri- bile, impetuoso, come quel d'un elefante e d'un leone, il combattimento di Rama e di Trisiras amendue superbi di lor forza : Io ben ti caccerò alle sedi di Yama colle mie saette acute; ricevi tu pure questi miei dardi saettati dal mio arco. Così dicendo il Raghuide infìsse irato nel petto di Trisiras quattordeci saette simili a serpenti ; con quat- tro saette e quattro quel valoroso abbattè i cavalli di lui e ruppe con sette il carro ; con otto altre saette rovesciò f auriga e con un sol dardo squarciò 1' alto vessillo. Ve- duta quell'opra di Rama, il Racsaso pur onorandolo nel suo animo , sollevò con impeto la spada e si spinse contro lui furiosamente. Ma Rama ferì con dieci saette al cuore il Racsaso disceso rapidamente dal suo gran carro, e quasi sorridendo il Raghuide dagli occhi di loto recise irato con tre e tre saette acute le tre teste di Trisiras. Onesti vomì-
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landò sangue e spento dai riardi di Rama cadde a Iona come un gran monte, i cui cocuzzoli sian stati prima ro- vesciali; e il tronco di lui decapitato, cadendo simile ad un monte sovra il campo di battaglia, fece tremar la terra. Vedendo l'eroe Trisiras caduto in battaglia, Khara punto dall'ira nel suo cuore senti infiammarsi d'orgoglio guer- riero. Veduto spento Trisiras, ucciso Dusana, rolli i quattordeci mila Racsasi , e tutta quell'oste dislalia da Rama in battaglia, ci si spinse contro Rama, come Italia assale la luna in ciclo. Ma riguardando la strage di quell oste distrutta da Rama solo e i due eroi atterrati, ei ri- stette meditando alquanto; e mentre ei pensava a quell' opra del magnanimo Raglimele, entrò pur nel suo animo lo sgomento alla vista di tanta possanza di Rama.
CAPITOLO XXXi\.
KHARA PRIVATO DEL SUO CARRO.
Ma rinfrancata la sua virtù, il prode e fiero Racsaso Khara s'apprestò a combattere di nuovo; ed eccitato il suo auriga a marciar contro il Raghuide, assalì Rama, come Vritra un dì assaliva Indra. Caricato il suo grand' arco, ei saettò contro Rama ardenti dardi simili a serpenti rabbiosi; e scuotendo spesso la corda del suo arco e vi- brando i grandi suoi teli, Khara s'apriva colle sue saette le vie nella battaglia : quel forte curule guerriero pari a Ràvano in battaglia empieva delle sue saette tutte le piago e le regioni intermedie. Ma Rama con ferrei ìaeoli irre- sistibili, pari a fiamme scintillanti, siccome Indra colle
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pioggie, spezzò i dardi del suo nemico. 11 cielo era velalo da quelle saette acute lanciate da Rama e da Khara, come da nuvole infiammate dal guizzo dei baleni; l'aria era quivi tutta ingombra dalle frecce volanti e rivolanti di Kbara e Rama; e il sole involto in un nembo di saette più non risplendeva come suole, essendo offuscato il cielo dal cadere avvicendato di que' dardi. Allora Rama tem- pestò il Racsaso con saette e dardi spennati e acuti, come si stimola con pungoli un grande elefante : tutte le crea- ture miravano quel Racsaso fermo sul suo carro e armato d'arco, simile a Yama tenente lo scettro. Ma Rama euar- dando Kbara pari ad un leone irato e con fiera attitudine di leone, non si sgomentava, a guisa d'un leone in faccia d' altro leone. In quella Khara col suo gran carro lucente come il sole si spinse in battaglia addosso a Rama, come s' avventa al fuoco una locusta , e quel Piacsaso possente ruppe a cento e a mille le saette che lanciava il prode Rama. Ma il Raghuide acceso di grand1 ira spezzò con un mirabile dardo le saette e l'arco di Khara che s'andava arrabattando. Questi allora dato di piglio ad un altr'arco e ardendo quasi di rabbia, si diede a saettare dardi acuti simili a serpi striscianti con furore. Ferito da que' dardi in ogni parte e sospirando come un elefante , il robusto Rama non trovava modo di difender la sua vita. La grande e splendida lorica di quel forte oppresso dalle ferite cadde a terra rotta in cento parti; e il Racsaso, veduto Rama senza lorica, più e più lo feriva colle sue saette sorridendo, e strepitava come una gran nube che si sollevi. Tormentato da Khara con omelie saette simili a viva fiamma e acceso
d' ira. Rama sfavillava in quella battaglia come fuoco ar- n. 31
dente e sgombro di fumo; e mentr'ei quivi si travaglia, il Racsaso Kliara rompe con una saetta il suo arco, sorri- dendo. Allora il forte Raghuide, preso rapidamente l'arco di Visnu donatogli dal Mimi Agastya, lo incordò; e tesolo ed incoccato un dardo, corse a bai taglia contro Kliara; e in quello scontro ei squarciò in più brani con saette ricurve e pennate d'oro la bandiera di Kliara, la qua! mirabile, ondeggiante e splendente d'oro cadde subita- mente a terra come il grande vessillo d'Indra; quindi il robusto Dasarathide con dieci altre saette ferì nel seno Khara die adoperava ogni suo sforzo. Ma questi fuor di modo irato ferì nel petto con sette frecce il pio Raghuide domator de' suoi nemici , il quale insanguinato per tutto il corpo dalle molteplici saette scoccate dall'arco di Kliara, risplendeva come fuoco acceso. Allora Rama eccelso ar- ciero , teso il suo grand' arco simile all'arco d'India, scoccò ventuna saetta. Con una quel prode ferì il petto di kliara, con due le braccia; con quattro saette curve a guisa di mezza luna percosse i quattro cavalli, con due ci spinse irato alla magion di Yama l'auriga, con sei ruppe l'arco di Khara ed i suoi dardi; con una saetta spezzò quel forte con fiero urto il giogo, coi rimanenti cinque dardi lacerò le cinque bandiere. Khara allora pri- vato di carro, colf arco rotto, colf auriga e coi cavalli uccisi, sceso a terra stette fermo colla clava in mano. In quella uscì di repente dai carri celesti degli Dei un suono di timpani divini misto con voci confuse e collo strepito di Kliara : i Biniti e i Bliàvani (28) celebravano nel cielo la vittoria di Rama, e i Mimi lo lodavano per aver privato il Racsaso del suo carro. I Devi raccolti e i grandi Risei
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onorarono reverenti e lieti quell'opra del prode Penna, come un dì le schiere degli Dei celebrarono India nel suo grande combattimento.
CAPITOLO XXXV.
MORTE DI KHÀfiA.
Ma d fortissimo Rama così parlò prima con miti poi con acerbe parole a Khara , che privato del suo carro slava Ferino colla clava in mano : Benché abbia in pronto un grande esercito pieno di carri, di cavalli e d'elefanti, uom non dee perciò far opra crudele e fiera, riprovata dalle genti; l'uomo crudele e iniquo, fatto terror delle creature , è vituperato , foss' egli anche signor dei tre mondi. Colui che fa opre avverse agli uomini , o Notti- vago, è respinto con isdegno da ogni uomo, come una serpe velenosa che si mostri; chi per cupidità o per con- cupiscenza commette opere inique e non si ravvede, prova cadendo che cosa è la sventura , come un Brah- mano assoggettato al potere altrui ; e caduto in infortunio, è straziato prontamente dal dolore così come tu oggi, o stolto, il cui esercito, i cui seguaci sono stati da me spenti. Qual frutto raccoglierai tu, o Racsaso , dall' aver inesso a morte i prestanti e pii asceti abitatori della selva Dandaca ) Dopo avere ottenuto somma possanza, gli uo- mini crudeli e iniqui, vituperati dalle genti, cadono subi- tamente, come alberi di cui sia recisa la radice. Chi commette opere ree, ne raccoglie inevitabilmente il frullo al tempo destinato, a quella guisa che l'albero produce
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i suoi frutti alla stagion matura; sì, o Racsaso, si coglie in breve ed al tempo prefìsso il frullo dell'opere malvagie, come de' cibi avvelenali cbe si mangiano; ed io re qui venni per ispegnere i commettitori d'opere immani e coloro che desiderai! nuocere agli uomini. Oggi, o Rac- saso, le aurate saette da me scoccate cadranno sopra di te squarciandoti, come entrano i serpenti nella terra smossa dalle formiche ; 1u osjgi ucciso da ine in battaglia
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andrai a raggiugnere i pii asceti che tu hai divorali nella selva Dandaca. Oggi dai loro celesti carri 1 sommi Risei che tu hai offeso per f addietro, ti veggano spento dalle mie saette e cacciato in fondo al Tartaro. Poiché In co' tuoi Racsasi, o iniquo, infestando per V addietro ogni regione della selva Dandaca, hai fatto oltraggio ai pii Mimi, ricevi oggi l'orribil frutto dell'opra tua malvagia. Sta qui fermo incontro a me, o perfido signor dei Racsasi ; metti in opra ogni tua possa; adopra ogni tuo sforzo, o Racsaso; oggi io troncherò colle mie saette la tua testa. Udite quelle parole di Rama, Khara cogli occhi ardenti e per ira insano così gli rispose sorridendo : Come osi tu così vantar te stesso indegno di lode, o Dasarathide, per avere ucciso in battaglia Racsasi volgari? i grandi uomini ancorché valorosi e forti non vantano essi stessi la grandezza della lor virtù nelle battaglie ; ma gli uomini volgari e stolti, disonor della loro stirpe in questa terra, si gloriano vanamente, come or tu ti glorii , o Rama. Chi è colui che mettendo innanzi la nobiltà della sua progenie, direbbe egli stesso le sue lodi sul punto della battaglia, allor che è giunta fora del morire? Con questi tuoi vanti tu hai mostrato appieno la tua vanità ; ma io
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distruggerò ben oggi tutta questa tua prodezza. Non mi vedi tu qui fermo colla clava in mano e pien di forza, inconquassabile come un monte che abbia un solo ver- tice (29>? armato di questa clava io son atto a togliere in ballagli;) a le la vita ed anche a spegnere i tre mondi, siccome Yama. Ben avrei altre cose a dirti , ma non le dirò; che n' andrebbe all'occaso il sole e sarebbe impe- dita la nostra battaglia; veggendoti qui star dinanzi a me, non ho desiderio di stendermi in più parole : colui contro i cui "m'adiro in battaglia, è giunto al termine della sua vita. Avendomi tu offeso, o Rama, ti sarà duro il difen- der la tua vita, come al cuculo sitibondo il trovar acqua allor che non piove. Colla tua morte io tergerò le lacrime dei quattordeci mila Racsasi da te uccisi ; con questa mia clava, o Rama, io abbatterò oggi con impeto a terra la Ina testa ornata di cincinni, come la pioggia abbatte i cu- muli di polvere; quindi coi rivi di sangue uscenti dal tuo corpo io darò Y acqua funebre ai Racsasi che tu hai qui morti. Intesi que' detti del signor de' Racsasi , il Raghuide signor degli uomini rispose sorridendo in quella tenzone, parole di gran stupore : Ben sarebbe degno quel che tu dici, o Racsaso, se tu avessi ottenuto vittoria combattendo, o se i tuoi Racsasi fossero stati uccisi fuor della tua pre- senza ; ma que' Racsasi rabbiosi e di terribile forza che ottennero doni dagli Dei e combattevano con elette armi divine, sono stati uccisi, te veggente. A che dunque ti vanti inutilmente, o vile Racsaso, uccisore di Brahmani? a che più tardi? mostra la forza ed il valor che hai. Oggi con una sola mia saetta curva a guisa di mezza luna io atterrerò col suo elmo e co1 suoi lucidi pendenti la tua
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testa, pari a quella dell1 ardente Ràhu. A quelle parole del Raghuide il Racsaso Khara cogli occhi accesi d' ira e ([nasi ardendo cosi rispose : lo ben ti conosco, o Rama; conosco Lacsmano e il re Dasaratha e son del pari da te conosciuto; or via sostieni, se lu il puoi, o uom vilissimo, il fiero impeto di questa clava da me lanciata. Così dicendo Khara oltremodo irato scagliò contro Ramala sua clava ornata di maniglie d'oro, pari ad ardente fulmine; e quella gran clava di Khara, ar- dente, orribile, fiammeggiando come una gran meteora, volò contro il Rhaguide. Ella incenerì gli arbusti e gli alberi che passando scontrò vicini; perocché ella era di- vina, acquistata con gran conato d'acerbe macerazioni e donata un dì dal magnanimo Kuvera. Vedendo venir quella clava simile allo scettro di Yama, il Raghuide con mente turbata così pensò fra se : Questa clava irresistibile non si può per lo suo impeto respingere con forza di dardi volgari, perchè è divina l'arme di questo Racsaso: per romperla e distruggerla io lancierò questo divino, eccelso e impetuoso telo del fuoco. Quindi a fine di pre- cider quella clava, l'inclito Raghuide prese il telo Igneo, dardo simile ad un serpente, e scagliò quel telo che splen- deva come fuoco. La gran clava precipitante fu da quel lelo Igneo pari a fuoco rintuzzata in aria e fatta rotear con vari giri; con esso il forte Raghuide ruppe in batta- glia quella clava fiammeggiante, impetuosa, simile alla catena di Yama. Quel telo oltrepassando percosse in aria la clava; e un fuoco orribile si manifestò per ogni parte e l'aria apparve tutta piena di mille fiamme. La terribile clava percossa cadde spezzata a terra, come sul finir del
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mondo è distrutta dall'ardente Ràhu la luna immacolata congiunta con un pianeta funesto; cadde a terra precipi- tata ed arsa , colle sue maniglie ed ornamenti rotti , la clava del Racsaso candente come Fuoco. Allor che vide distrutta e ridotta in cenere dal divino suo telo quella clava di Kuvera, il Dasarathide tutto lieto pensò essere ornai in suo potere Khara ; e il Racsaso stesso vedendo abbattuta la grande sua clava fascinatrice, si tenne per morto in quella battaglia. Allora il fortissimo Raghuide domator de suoi nemici cosi parlò lungamente a Khara con dura voce : Ecco vane le lue parole, o vile Racsaso, che per desiderio della mia morte vantandoli dicevi : Io berrò il tuo sangue. Quella tua clava arsa dal mio telo e ridotta in cenere cadde spezzata a terra, percossa da un sol mio dardo , fiaccando la baldanza di te sì ardito ne tuoi detti. Questa è dunque tutta la forza che tu hai potuto mostrare, o ignobil Racsaso! ma non voglio che tu viva più lungamente, vile, codardo e mentitore; t'appresta a nuova battaglia, lo rapirò la vita a te abbietto, iniquo, persecutor dei buoni, come Garuda un dì rapì l'ambro- sia; lacerato te oggi dalle mie saette, la terra berrà il sangue vomitato dalla tua gola con bulle di spuma; e tu bruttato di polvere per tutto il corpo e colle braccia pro- tese giacerai qui abbracciando la terra, come s'abbraccia una donna amata. Saranno oggi lieti i Mimi udendoti spento, o Racsaso, e dormente il sonno estremo te nemico mortai dei Risei; la regione Dandaca diverrà come il rifu- gio di color che non hanno asilo, quando tu, invido Rac- saso, giacerai morto sul Ganasthàna; e i Mimi andranno senza timore per ogni parte di questa selva. Sentiranno
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oggi, o Racsaso, che cosa sia il dolore le donne di stirpe a te conformi, di cui tu sei consorte pan; oggi io porrò fine alla dura alllizion dei Risei prodotta in loro dal li- more e che ha in te la sua radice, o nemico eterno dei Rrahmani. Non fuggirai vivo dalle mie mani, o crudele, o tristo, per causa di cui i Munì fanno trepidando le obla- zioni sid sacro fuoco. Son lieto che sian slati oggi da me spenti quegli altri nemici degli asceti; essi han colto qui subito in battaglia il frutto di loro iniquità; e tu pure coglierai qui oggi il tristo frutto dell' opere tue, o crudele , o empio , detestato dai Brahmani , malvagio e iniquo. Mentre Rama ardente d'ira così parlava in quella tenzone, Khara con isdegno e con voce acerba così prese a minacciarlo : Sei veramente pien d' orgoglio tu che ti mostri così intrepido in tanta paura ! Poiché tu stretto nel laccio della morte non te ne accorgi per dappochezza, ben si vede che gli uomini che sono involti nelle catene di Yama, perduto il senso delle cose, più non discernono quel che si debba o non si debba fare. Tu mi credi disarmato, o stolto; or ben sappi che questa selva mi servirebbe all'uopo tutta d'armi; sradicando con impeto questa selva co' suoi alberi e co' suoi sassi, colle sue belve e co' suoi serpenti , io la scaglierei contro te per la tua morte. Così dicendo irato ed aggrottando le ciglia, ei guardava d'ogni intorno per quel campo di battaglia, se gli venisse veduta un'arme; poco lungi vide il Racsaso un albero eccelso; ei lo sradicò colle sue braccia, strin- gendo 1' un contro 1' altro i labbri ; ed avventandosi con impeto e con grida, lo scagliò quel forte contro Rama, dicendo : tu sei morto! Ma l'eccelso Rama, spezzato a
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furia di saette quell'albero impetuoso, s'Apprestò con fiero sdegno ad uccidere in battaglia Khara. Ogni albero a cui dava di piglio Khara, era dal prode Rama rotto in pezzi colle ricurve sue saette; cbè saettando senza posa con queir arco mirabile di Visnu die gli fu donato da Agastya , il robusto Rama spezzava , quasi scherzando , colle sue saette alberi e sassi. Quindi grondante di sudore, pieno d'ira e con ocelli accesi Rama ferì con mille saette Khara in quella battaglia; e dalle ferite di lui sgorgava sangue copioso , come gemono a mille a mille le gocce d' acqua da un rivo alpestre. Perturbato dalle saette di Rama in quella pugna e fatto insano dall'odor del sangue, Khara si spinse a furia contro il Raghuide. Veduto avven- tarsi a se con tant' impeto Khara ardente in volto e tutto insanguinalo, Rama indietreggiò rapidamente dal luogo ov'era; ed incoccato un dardo simile a vivo fuoco, ar- dente come una serpe, acuto e dritto nel suo corso, con cinque nodi e cinque penne, donatogli un dì per sua di- fesa da Indra stesso dai mille occhi, portator del fulmine, dardo uccisore dei nemici, pari al fulmine d'India, Rama lo scagliò in quella battaglia per la morte di quel Racsaso. Quel gran dardo lanciato da Rama colf arco teso cadde con fragore pari a quel d' un turbine sovresso il petto di Khara; il quale fu da quel dardo caduto colf impeto del vento e di Suparna squarciato fin nel!' ossa e negli organi vitali, come è squarciato dal fulmine il monte Kraunca. Quel dardo pari al folgore e quasi fiammeggiante piombò, come piomba sopra un albero eccelso il fulmine lanciato da Indra. Khara cadde a terra arso dal fuoco di quel dardo, come cadde un dì arso dn Punirà V Asuro Andaka
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nella selva Svela; ei rovinò percosso dal telo di riama, come Vrilra atterralo da Indra e Namuci da Pileria. \l loia si diffuse per lo cielo un suon di timpani divini misto con voci confuse, e s'udì esclamare : Bene! Bene! cadde sovra il capo di Rama in quel campo di battaglia una divina pioggia di fiori; e s' udiron per le regioni voci che dicevano : E spento queir iniquo. Si raccolsero colà maravigliando i Risei regali, i grandi Risei e i Risei divini insieme coi Risei Brahmanici, e tutti discesi sulla terra, risplendenti come fuoco , onorando Rama , lieti così gli dissero : Felicemente , o pio Raghuide , tu grandeggi neir ufficio di Csatro ! felicemente son qui accolti i Risei divini tutti intenti a benedirti ! felicemente fu da te ucciso queir iniquo , nemico dei Brahmani ! per tuo favore po- tranno oramai gli asceti andare attorno per queste selve; felicemente sei tu qui giunto, o diletto Rama, insieme col generoso Lacsmano e con Sita e con quei magnanimi asceti! A questo fine, o re, venne al puro romitaggio di Sarabhanoa il grande Indra distruttore di città, vincitor di Pàka ; tu fosti opportunamente condotto in questa re- gione dai grandi Risei per la morte di que' Racsasi cru- deli e fieri : tu hai compiuta V opra che dovevi far per noi, o Dasarathide; oramai attenderanno lieti ai loro pii ufficj i Muni nella selva Dandaca. Ecco, o Raghuide, questi Devi qui presenti coi Gandharvi, i Siddhi e i sommi Risei ti celehrano con inni di vittoria. Veduta questa tua mirabile battaglia, Brahma supremo fra color che sanno i Vedi, circondato da tutti i Devi t'onora qui presente; ed il gran Dio (Siva) cinto da tutto il suo cor- teggio, stando sul suo carro, ti rende onore, o Raghuide,
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lieto della tua vittoria, dosi celebrato da que'pii Muni, il "insto Rama vedendo vicini a se e stanti sui loro carri i Devi, li venerò. In quel menile il prode Laesniano uscendo con Sita dalla spelonca del monte, ritornò al suo romitaggio; ed il Raglmide parimenti, dopo avere ucciso Kliara, onorato dagli Dei rientrò nel suo abituro e fu cpiivi salutalo da Laesniano. Sita rivedendo Rama vincitore e cagion di pace ai grandi Risei, abbracciandolo lietissima, così gli disse : Mi rallegro, o nobil tiglio, che tu abbia avverata e resa fruttuosa la tua promessa, ucci- dendo il Racsaso Kbara, eterno nemico dei Mimi. Spento quel loro avversario, i Mimi domatori de' lor sensi atten- deranno or lieti ai lor doveri in questa selva, protetti dalla forza del tuo braccio. Quindi il Raghuide eccelso arciero che distrusse in quella gran battaglia un oste ne- mica, confortati ed onorati con grande studio que' Mimi raccolti, così risplendeva, come ìndra in cielo; e rinco- rala Sita dai begli occhi di cerva, dimorò lieto insieme con Lacsmano in quel romitaggio , onoralo dai Mimi quivi adunali.
CAPITOLO XXXVI.
DESCRIZIONE DI RÀVANO.
Allor che Surpanacha vide uccisi da Rama solo, pe- destre e uomo, i quattordeci mila Racsasi ed atterrati da lui Khara, Trisiras e Dùsana; coni ella vide quell'opra compiuta da Rama, ardua ad ogni altro uomo, se n'andò tutta tremante a Lanka (Ceylan) difesa da Ravano, e trovò quivi al sommo della reggia il re de'Racsasi, terror
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dell'universo, circondato da1 suoi ministri, come Vàsava dai Venti, assiso sopra un trono eccelso tutto d'oro, splen- dido come il sole, e fiammeggiante come il divo fuoco allor che arde sopra un ara d' oro. Egli avea dieci Tacce e venti braccia, occhi fulvi e largo petto, segni regali e splendido corteggio; era simile a una densa nuvola, con ornamenti d'oro ben brunito, di braccia robuste, di bian- chi denti e d'ampio volto, torreggiante come un monte; eroe che non posson vincere in battaglia ne i Dànavi, né i Devi, né i Yacsi, né i magnanimi Risei, pari a lama che tutto ingoia con bocca spalancata. Ei portava i segni delle ferite fattegli dal fulmine d'Indra nelle battaglie degli Asuri e dei Devi, e le molte vestigie lasciategli dalle zanne dell'elefante Airàvata, ed era pesto per tutto il corpo dai colpi ricevuti dal disco di Visnu e da tutte l'armi divine nella guerra ch'egli ebbe contro i Devi. Egli agita con impeto i mari inconquassabili ; spezza i vertici de' monti e la gagliardi a degli eroi; rompe ogni legge e fa violenza alle donne altrui. Nella guerra dei Daityi, dei Dànavi e dei Racsasi egli grande curule guer- riero lanciava teli a furia ed uccideva. Da lui, penetrando nella Rhogavati e vincendo Vàsuki, fu un dì rapita per forza la diletta consorte di Tacsaka; da lui fu vinto con impeto in battaglia il forte re Vaisravana che ha sua sede sull'eccelso monte Kailàsa, e gli fu tolto il divino carro Puspaka, carro moventesi a sua voglia, tutto adorno di magioni e d' alberi , pieno di belve e d' augelli d' ogni sorta ; da lui fortissimo fu per ira devastata la divina selva Ceitraratha coi bei giardini degli Dei, selva dilettosa pe' suoi laghi coperti di ninfee. Egli pari al vertice d'un
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monte è atto colle sue braccia a precluder la via sul loro nascere al divo sole e alla diva luna; egli grande cu- rule guerriero sostenne in una gran selva del Gokarna acerbe macerazioni per dieci mila anni , stando in mezzo a cinque fuochi e coi piedi levati in alto; onde poi licen- ziato da Brahma, Nume rapido come un batter d'occhio, ottenne da lui la facoltà di mutar forma a suo talento; egli è quel prode che offerse con prontezza a Brahma le sue teste lucenti come il sole e guernite di denti simili a luna che cresce (30) ; egli già più d' una volta nei sacrifizi in cui s' offre il sacro burro , contaminò il sugo dell' asclepiade consacrato dai Brahmani con carmi solenni. Sopra la città di quel re de' Racsasi passa tutto impaurito e rattenendo i suoi raggi il raggiante sole. Egli è corrompitor dei puri sacrifìzj, crudele ed empio, uccisore dei Brahmani, spie- tato e fiero, sempre intento a nuocere agli uomini; e non teme d'esser morto in battaglia nò dai Devi, ne dai Dà- navi o dai Yacsi , ne dai Pisaci , nò dai Racsasi o dai Ser- penti, da nessuno fuorché dall'uomo. Giunta al cospetto di Ràvano suo fratello, oppressor del mondo intero, ter- ror d'ogni creatura, e fattasi presso a lui, Surpanacha deforme e irata, co' suoi grandi occhi accesi, con volto costernato, turbata da paura e da stupore, disse a quel forte con salda voce fiere parole.
CAPITOLO XXXVII.
ECCITAMENTO DI RÀVANO.
Allor la misera Surpanacha piena d' ira disse a Ràvano oppressor del mondo queste acerbissime parole in mezzo
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ai ministri che lo circondavano : Tn spensierato fra gli amori e le delizie, abbandonato senza freno ai tuoi pia- ceri non t' accorgi d' un gran pericolo che ti sovrasta ed a cui pur dovresti porre mente. I sudditi disprezzano come il fuoco Jaluo d'un cimitero un re immerso in delizie volgari, cupido e sol dedito agli amori. Il re che a tempo opportuno non attende egli stesso alle sue bisogne, perde se stesso, il regno ed i negozj. Gli uomini discacciano lun<n da loro un re che abbandona le rette norme dell' operare, che non conosce i suoi doveri e non è libero di se, come gli elefanti respingono il limo d'un fiume; e 1 re che soggetti ad altri non proteggono il lor reame, vivono vita oscura , come monti sommersi nel profondo dell'Oceano. Combattuti dai Gandharvi e dagli accorti Dànavi come potranno mantenersi i re che operano senza consiglio? Tali re, o eccelso duce, la cui guida è 1' amore e l'ira, e che dipendono da altrui, sono simili a gente volgare ; ond'è che debbono i re preveder da lungi tutte le cose; e perchè essi hanno per tutto esploratori, son per- ciò detti occhi che esplorano. Io ti reputo inetto nel tuo operare e circondato da ministri volgari; perchè tu ignori per istoltizia, o re, che il Ganasthàna è divenuto luogo di strage. Tu non sai che Khara è stato ucciso in battaglia , che fu atterrato Dùsana e che amendue quegli eroi giacciono sul Ganasthàna spenti da crude saette. Dal prode Rama, solo, pedestre e uomo furono uccisi quattordeci mila Racsasi di vigore ardente, fu data sicurezza ai Risei e fatta lieta la regione Dandaca, fu violato il Ganasthàna; e tu, o Ravano, trascurante, cupido e sottoposto ad altri non t' accorgi dell' orrido pericolo che sovrasta al tuo reame.
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Nessuna creatura compatisce nell'infortunio a un re ira- condo, crudele, avaro, trascurato e insanamente orco- glioso; ed i nemici conculcano nella sventura un re sde- gnoso e depravato, arrogante e instabile che non pensa che a se stesso. Se tu non ti dai pensiero de pubblici negozi e non temi nei pericoli sovrastanti , fra breve caduto dal tuo regno e misero, sarai simile a un fuscelluzzo d'erba. Si può far qualche cosa ancora d'un legno arido o d'una gleba; ma india si può far più d'un re caduto dal suo impero : colui che, benché idoneo a regnare, ha per- duto il regno, è disutile come una veste logora, come una ghirlanda disfiorata. Ma un re sollecito, donno de' suoi sensi, memore de' benefìzj e giusto e che conosce tutte le cose , dura lungamente nel suo impero ; il re che , deposta l'inerzia e l'ira, veglia colf occhio interno che dirige , ancorché dorma cogli occhi corporei , è da tutti celebrato. Ma tu sei stolto, o Ravano, e privo di queste doti, tu che ignori una tanta strage de' tuoi Racsasi!31). Tu disprezzatore degli altri, alieno dagli oggetti più im- portanti, ignaro nel discernere il tempo e il luogo, di mente inetta a distinguere il buono e il reo, come sarai tu lungamente re dei Racsasi? Considerando nella sua mente i suoi errori rinfacciatigli da Surpanacha, Ràvano possente, orgoglioso ed opulento, stette lungamente fra se pensoso.
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CAPITOLO XXXVIII.
DISCORSO DI SURPANACHA.
Allora Ravano pien di sdegno, stando in mezzo a' suoi ministri, prese ad interrogar Surpanacha che irata diceva parole acerbe : Chi è Rama? onde vien egli? qual è la sua prodezza, il suo valore? perchè verni' egli nell'aspra selva Dandaca? quali sono l'armi di Rama da cui furono spenti i Racsasi, ed uccisi in battaglia Khara, Dùsana e Trisiras? Così interrogata dal re de' Racsasi, Surpanacha ardente d'ira prese a narrar conforme al vero chi fosse Rama : Rama Dasarathide ha lunghe braccia e grandi occhi; veste corteccie e nera nebride ed è per beltà pari all'Amore. Ei tende un arco che ha maniglie d'oro, si- mile all'arco d'Indra, e saetta dardi acuti, pari a serpenti velenosi. Appena io discerneva quel forte, tanto era egli impetuoso, mentr ei toglieva le orribili saette, tendeva 1' arco e le lanciava nella battaglia; ma ben vidi distrutto da Rama con un nembo di frecce quel grande esercito, come Indra atterra le biade con una pioggia di sassi. Quatto r- deci mila Racsasi terribili furono uccisi da lui solo armato d' arco colle sue saette acute ; furono spenti in battaglia Khara, Dùsana e Trisiras; fu data sicurezza ai Risei e fatta felice la regione Dandaca ; a gran pena son io scam- pata sola e per pietà, perchè son donna; tal opra fu fatta da Rama che risparmiò me sol per disprezzo. E fratello di collii un che s'appella Lacsmano, forte, valoroso e prode, di segni eguali ai suoi, fido e devoto a lui; egli
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è sdegnoso, invincibile e vincitore, possente, robusto e fortunato; egli è assiduamente come il braccio destro di Rama, come lo spirito suo che di fuor s' aggira. E con- sorte egual di Rama una donna illustre per nome Sita, leggiadra e di grand' occhi, di cintura sottile come il giro d'un anello (32). Io non vidi mai sulla terra donna né Dea, né Gandharva, nò \acsa, ne Kinnara di tanta beltà. Colui di cui è sposa Sita e eh' ella abbraccia con lieti amplessi, benché viva fra gli uomini, è pari ad Indra fra gli Dei. Tale è Sita, o grande re, di beltà che non ha pari sulla terra; ella sarebbe sposa degna di te, e tu con- sorte degno di lei. Ella ha grandi lombi ed occhi del color del loto , e guardata da me attentamente ella rapì pur r animo mio : se mai tu vedi Sita di volto soave come la piena luna, tu sarai per certo ferito dai dardi dell'amore. La voce di colei oltre ogni altra bella, è dolce a udirsi; l'uomo anche più schivo dell'amore, veggendo colei, sarebbe tratto per forza ad amare. Se tu senti nascere in te il desiderio di farla tua consorte, muovi prontamente il destro piede per conquistarla; rompi guerra a colui, o signor dei Racsasi ; giacché per la morte di tuo fratello son fatti tuoi nemici Rama e Lacsmano. Vendica colla morte del crudo Rama abitator di selve i tuoi Racsasi trucidati, e quando tu avrai ucciso co' tuoi dardi acuti Rama e il prode Lacsmano, tu ti godrai lietamente e con- forme al tuo piacere Sita privata di difensore. Se ti piac- ciono queste mie parole, o re de' Racsasi, recale ad effetto senza esitare; tu non Irowerai facilmente un' altra gioia pari a questa; poni a morie l'iniquo Rama ardente nel com- battere e Lacsmano con esso : considerato attentamente ii. 33
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ciò che la all'uopo nella battaglia e giova al fine, adempì il mio desiderio. Allora Piavano persecutor dei re, udito il discorso prolTerito da colei e funesto alla schiatta dei Racsasi, prese lieto ed esultante un consiglio che dovea perdere la sua stirpe.
CAPITOLO X\\l\.
ANDATA ALL'EREMO DI MARÌCA.
Coni' ebbe inteso le parole orribili di Surpanacha, lui- vano, licenziali i suoi ministri, si diede a rivolger nella sua mente quello che fosse da farsi; e poich'ebbe esa- minato e considerato ogni cosa appieno, ponderando il manco e il più del bene e del male, disse fra se : Così dee farsi! e fermato quivi il suo animo, se n'andò saldo in quel disegno alla bella stanza dov' eran riposti i suoi carri, e giunto colà nascostamente, il re de' Racsasi disse eccitando il suo auriga : S' appresti subilo il mio cocchio. Avuto quell' ordine, 1' auriga rapidissimo si diede in quel momento stesso ad apprestare il rilucente e bel carro di Ravano, fornito d'ogni suo arredo e adorno di vessilli; e l'illustre re de' Racsasi salito su quel fulgido carro adorno d'oro, moventesi liberamente e tirato da asini che avean facce di Pisàci e ornati d'oro, s'avviò verso l'Oceano. Stando su quel carro aurato, col bianco ombrello e col candido ventaglio, con divini ed aurei ornamenti, il re de' Racsasi simile al Dio Indra così risplendeva come una nube in cielo circondata di grue e incoronata di baleni (33). Quel possente riguardando i monti e l' umide piagge ,
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giunse quindi alla riva del belio e sonante Oceano, pieno d'esseri diversi , dove eguale e dove vario, tutto circondato da gruppi di pandani odorosi, misti con alberi di eocco, da soree, da paline, da elati paludose, da pentaptere, da belle nauelee cadambe e da più altri alberi diversi , adorno di grandi romitaggi abitali da sommi Risei, ingombro di riviere che ban chiare e fresche acque, abbellito da schiere di -\aghi, di Kinnari e di Suparni, di Gandharvi e di pi i Siddhi vincitori dell1 amore. Ei contemplava le biancheg- gianti case di diletto, mirabili a vedersi, cinte di ghir- lande divine ed abbellite dalle Apsarase di beltà divina, adorne di serti e d'ornamenti celesti, conoscitrici d'osmi maniera di giochi e di diletti; ei guardava gli Uttara- kuru (34) e le montagne eccelse, i luoghi abitati dalle schiere dei Dànavi e dei Devi desiderosi dell'ambrosia, e risonanti d' ogni parte del canto dei sàrasi e dei cigni; ei vide d'ogni intorno rallegrati da canti e da suoni i carri celesti di coloro che acquistarono il cielo colla virtù del loro ascetismo, dei Gandharvi e delle Apsarase cor- renti qua e là, cumuli di coralli, di perle e di conche ma- rine, di lapislazzoli e d' altre gemme apparecchiati da co- loro che vivono cercando perle , selve dilettose di kakkoli (35) e di cassia, d'agalloco e di xanthocymo e arbusti di pepe, più monti aurati ed altri argentei, laghi di limpide acque e rivi alpestri, città fertili e ricche, popolate di donne leggiadre, piene di cavalli, di carri e d'elefanti. Guar- dando que vari oggetti, ei pervenne al romitaggio del pio Munì Sindhuràga portante la chioma ravvolta a modo ascetico; oltrepassato rapidamente quell'eremo, Kàvano camminante per aria vide poco dopo un albero immenso
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di ficaia, simile ad una losca nuvola e frequente di l'osci, i cui rami si stendevano tutto intorno cento yo^ani. So- pra un ramo di quell'albero venne un dì a posarsi il Torte Garuda tenendo fra gli artigli un elefante smisurato ed mia testuggine eh' ci voleva divorare. Ma quel forte e
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eccelso augello ruppe col suo impeto e col suo peso il grande ramo della ficaia tutto carico di foglie, al quale s'appoggiavano i sommi Risei Vaikhànasi, Siddhi, Bàli- chilyi e Mancipi estenuati dall'ascetismo, e sopra cui sla- vano raccolti a mille a mille i grandi Risei, Agi, Vàgini, Mesci ed Urdhvaretasi (3G). Mosso a pietà di coloro Ga- ruda, preso quel ramo lungo ben cento yogani e Tele- fante colla testuggine, se n'andò rapidamente; e divo- rate nella region dei Nisàdi le carni di (/nei due animali, quel grande e giusto augello percosse con quel ramo la regione dei Nisàdi , e liberati i grandi Risei , fu egli oltre- modo lieto. Cresciutagli a doppio per quella gioia la mi- rabile sua forza, si dispose egli a rapir l'Amrita, e rotta la casa di ferro, rotta la casa d'oro, ei rapì dalla magione d' Indra l'Amrita ebe v'era custodita. Mostrala la sua forza e liberati i Risei , si tenne assai contento quel grande augello. Ravano vide quella ficaia per nome Sucandra abitata da sebiere di grandi Risei, che portava impresse ancora le vestigie di Suparna. Pervenuto all'altra riva del mare signor dei fiumi, ei vide dentro una selva, in un luogo solitario, ameno e puro, un romitaggio, e quivi ei trovò il Racsaso Marìca vestito di nera nebride e colla chioma ravvolta a modo ascetico, il qual vivea in digiuni. Accontatosi con esso ed onorato da lui convenevolmente, Ràvano destro al favellare così prese quindi a dire (37).
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CAPITOLO XL.
DISCORSO DI RÀVANO.
Ascolta, o Marìca, le parole che io son per dirti; io sono afflitto, e tu sei oggi il supremo rifugio della mia afflizione. Fra molte migliaia di Nairriti (Racsasi) raccolti, non ho compagno alcuno uguale a te in battaglia, o eroe. La forza che hanno mille robusti elefanti, irati e furibondi, tale forza si trova in te, o Marìca. La tua forza è immensa, o amico, e ben ne fui io più volte soddisfatto , stando in battaglia fra schiere nemiche , allor che tu t1 accendevi ad ira. Tu sei abile a secondare, abile a far impeto; io non veggo in Lanka un forte che sia tuo pari. Tu non dei oggi rompere la fiducia che ho posto in te; bisognoso del tuo aiuto io venni qui a richiederti ; tu eseguisci quel eh' io ti dico. Tu conosci il Ganasthàna, dove per mio comando han posto loro sede mio fratello, il forte Dùsana e Sur- panacha mia sorella, Y ardente Trisiras Racsaso carnivoro e più altri Racsasi eroi abili a ferir nel segno, travagliando in quella gran selva i pii asceti. Quei quattordeci mila Racsasi terribili e fortissimi che abitano ora il Ganasthàna sotto gli ordini Khara, usi a ferir dritto nel segno, ven- nero, siccome io udii, a battaglia con Rama, punti da lui acerbamente; e senza averlo in nulla offeso con parole, que' quattordeci mila Racsasi furono dall' iroso Rama , pedestre e uomo, sconfitti in battaglia sul Ganasthàna con saette simili a serpenti : fu ucciso Khara combattendo , Dùsana e Trisiras : hi data sicurezza ai Risei e falla lieta
262 RAMAYANA.
la regione Dandaca. Quel Rama figlio d'una donna disa- mata, che fu dal padre irato e compiacente alla donna che amava, cacciato in esilio colla sua sposa e con Lac- smano suo fratello; quel disonor dei Csatri, quell'uomo scostumato, duro, stolto, cupido, violento e dominato dai suoi sensi, è colui che distrusse quell'esercito! Quell' uom che ha abbandonato e più non conosce la giustizia, intento a nuocere alle creature, the venne colà in sem- bianza (/'asceta colla sua sposa, vestito di corleccie e ar- mato d'arco, è colui che senza inimicizia ha di (formato nella selva Dandaca, col tagliarle orecchie e naso, una sorella che solo si fidava nella propria forza! E sposa di colui una donna dai grand' occhi che s'appella Sita, dotata di beltà e di giovinezza, splendida come Lacsmi Apadma(;i8); andando al Ganasthàna io rapirò oggi per forza quella donna bellissima sulla terra, siami tu compagno in quest' andata ; perocché se io ho per compagno al mio fianco te, o forte, non mi do pensiero alcuno, ancorché venissero con me a battaglia tutti quanti gli Dei con India; onde siami tu compagno, o Racsaso. Tu sei valente e non v'ha alcun altro eguale a te per senno, per forza e per prodezza: a questo fine io qui venni a visitarti, o domator de' tuoi nemici; fammi, o Marìca, questo servigio e non me lo disdire. So che tu, o valoroso, te ne stai qui ora ralfre- nato nella selva degli asceti; ma questa cosa è di grande rilievo; perciò io te ne ragiono. In quanto a ciò che tu venendo colà, hai a fare per compiacermi, ascolta, o forte e prode, le mie parole : presa forma d'un cervo aurato, tempestato di macchie d'argento, tu t'andrai aggirando nel romitaggio di Rama innanzi a Sita; ei non v'ha club-
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bio che colei uscendo e veggendoti in forma di bel cervo, dirà a Lacsmano e al suo sposo : Prendetemi quel ce ero. Dilungatisi da lei Lacsmano e Rama e rimasta Sit.i tutta sola senza alcun che la protegga, io la rapirò a mio grand' agio, come Ràhu rapisce la luce della luna. Tu robusto e dotato di rapido vigore sei abile a fuggire; e sei per la Ina prodezza allo alla gravila di questa impresa; neppur uno fra i Racsasi terribili uccisi sul Ganasthàna era uguale a le, nò Kbara, nò Dùsana, nò Trisiras. Allor che Rama e Lacsmano si saran messi sulla tua traccia, e ch'io avrò rapita Sita e fatta Surpanacha lieta, allorché Rama contristato dal ratto della sua sposa avrà perduto senza dubbio ogni vigore, io me n'andrò securo e con animo soddisfatto. Compiacimi di questo, io te ne prego; io non ho compagno miglior di te; tu discernendo colla tua mente quel che è da farsi e il tempo opportuno, sempre disponi all'uopo gli spedienti più acconci. MMa arica ec- citato dalle parole di Ravano a quel gran cimento e tutto perturbato dalla conoscenza che ha del valor di Rama, rispose con atto reverente queste parole utili, giuste e grandemente conformi all'uopo.
CAPITOLO XLL
DISCORSO DI MARICA.
E facile, o re, il trovar uomini che dicano sempre cose care; ma è diffìcile il trovare chi dica e chi ascolti cose utili ma discare. Tu troppo pronto e mal informato non conosci certamente qua! sia la forza , quale il valor di
20/i RAMAYANA.
Rama pari ad Indra e a Varuna. Se s'accende guerra Ira le e Rama, sappi, o re, che sovrasta mi gran pericolo ;i tutta quanta la stirpe Racsasa. Oh sian salvi, o caro, sulla terra tutti i Racsasi, né Rama irato li disperda da questo mondo ! Tu debole desideri per insania assalire in batta- glia Rama che ha valor straordinario , forza e prodezza maravigliosa; deh non sia nata per la tua morte la figlia di Ganaca! deh per cagion di Sita non t'avvenga qualche grande sventura! oh sian salvi il tuo figlio e la tua stirpe, e non t'abbandoni, o Ravano, la splendida tua fortuna! non pera la città di Lanka con te e co' suoi Racsasi , per- chè le toccò d' aver per re te dissoluto e senza freno ! I re tuoi pari, stolti, perversi e ingiusti, dominati dall'amore e dai loro sensi, perdono se stessi, la lor gente e il regno. I vizi che tu apponevi poc'anzi a Rama, ti furon falsa- mente rapportati, o Racsaso; Rama è magnanimo e di gloria altissima; ei non fu abbandonato dal padre, ei non è in- giusto per alcun modo ; non è vero che i suoi sudditi abbian rimosso da lui l'animo loro, né che i Brahmani gli siano avversi; quel forte non è rotto al vizio, non è privo di segni regali, non è reo, non è malvagio, non è il disonor dei Csatri; Rama non è duro, non è stolto, non è in balia de' suoi sensi; quel che tu dicesti di lui, non è vero, né fedelmente riferito, o Racsaso : quel figlio di Kausalya non è privo di virtù né di giustizia , non è violento né inteso a far danno alle creature. Questi di- fetti non sono in Rama; le tue parole non son vere; tu fosti mal informato, o eroe; Rama è pieno di virtù. Quand' ei conobbe che il veridico suo padre era stato ingannato da Caiceyi, disse allor quel pio : Farò quel che
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promise il padre, e se ne venne fra le selve : solo per lai- cosa cara a Caiceyi ed a Dasaratha suo padre, egli abban- donando il regno e le delizie, s'avviò alla selva Dandaca. Rama è come la Giustizia vestila di corpo umano: eeli è buono e fedele alle sue promesse, dolce, ben costumato, modesto e non superbo; egli ha tutte le virtù ed è puro da ogni macchia; egli è re del mondo intiero, come Và- sava è re degli Dei. Come mai vuoi tu, o stolto, rapir la Videhese protetta dal valor di Rama ? egli è come se tu volessi rapir la luce al sole. Colui qualunque ei sia che rapirà la consorte egual di Rama, la nuora di Dasaratha, non potm difender la sua vita, avesse egli anche gli Dei per suo rifugio. Oh non voler gettarti a furia nell'ardente e irresistibile fuoco di Rama, che ha in battaglia per fiamme le sue saette e per esca il terribile suo arco! non volere, o amico, assalir Rama leone nella selva, il cui arco n è a guisa di bocca ardente e aperta , le cui saette ne son la lingua, e i teli le orride giubbe ! non tentar tu re volgare di scuoter Rama monte eccelso, che ha per metalli la sua sapienza, per vertice la sua virtù, per floride selve la sua bellezza! non tentar di superare colle tue braccia Rama Oceano inconquassabile, la cui mente è la sponda che lo serra, e il vibrante suon dell1 arco n'è lo strepito! non volere inopportunamente provocar Rama Dio della morte, che ha per iscettro la sua spada, il suo arco per catena, i suoi dardi per ventre che divora! Se tu hai cari il regno, la felicità, le delizie eia tua vita, tu non dei assalire l'inclito Rama. E immensa la forza di colui, di cui è sposa a lui più cara che la vita, la figlia di Ganaca
costantemente a lui devota; tu non sei alto a rapir la bolla
11. ;,
666 RAMAYANA.
Sita difesa dal braccio e dalla forza di Rama, come non potresti rapirla fiamma d'un fuoco ardente. A che li gioverebbe, o re de1 Racsasi , il Far questa inutile prova? tosto che ci vedrà egli in battaglia, saia finito il viver nostro; il regno, la tua vita, la tua prosperità sì difficile a conseguirsi, ogni tua cosa è messa a repentaglio, se tu sei stretto da Rama. Ritorna alla tua città smettendo Tira; sia tu moderato, 0 re, e delibera co' tuoi consi- glieri sopra la gravità e la leggerezza di (juesta impresa. Si raccolgano intorno a te tutti i tuoi ministri , e ti con- siglia in ogni cosa con Vibìsana principe de'Racsasi; ei ti dirà quel che è per te migliore; interroga, o re, Trigata perfettissima, grande in ascetismo e pina d'ogni colpa; ella ti dirà ciò che l'è salutare. Tu non dei pigliarli troppo a cuore ciò che per cagion di Dùsana, di Trisiras e di Khara, di Surpanacha e degli altri Racsasi, t'adira e ti contrista; perdonami , o re dei Racsasi. Quando tu avrai ben ponderato 1' efficacia e la debolezza dei viz] e delle virtù, conosciuto la tua forza e il valor di Rama, consultato con tutti i tuoi ministri e veduto quel che sia opportuno per 1' avvenire , eseguiscilo tu allora. Ma io ho ferma opinione che a te non conviene entrare in battaglia con quel figlio del re dei Cosali. Or ascolta, o re dei Racsasi, le nuove mie parole gravi, opportune e salutari.
CAPITOLO XLII.
DISCORSO DI MARÌCA.
Poiché il saggio Marìca ebbe in tal modo parlato a Ravano re dei Racsasi, cosi prese egli di nuovo a dire :
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lo conosco la tua origine, conosco la tua forza, conosco iltuo vigore, conosco la tua prodezza. Un dì io somigliante ad una nuvola, ornato if ninnile di lucid'oro andava al- lodio per la selva Dandaca, cibandomi di carni e di san- ane Armalo di clava e cinto di diadema, dolalo di forza pari a quella di mille elefanti, grandeggiante come un monte io portava terrore in ogni creatura. Circondalo da Raesasi antropofago tremendi e fieri, io abitava la selva Dandaca, pascendomi delle carni dei Risei. Ma in un'ora fatale io pervenni al romitaggio, dove dimorava il grande e pio Mimi Visvamitra. Pervenuto colà inavvedutamente col mio séguito, fui visto da quegli asceti ebe rimasero sbigottiti; ma nell'ora ebe que'Risci se ne stavano sprovve- dili i o soli , od eran eoli animo tutto intento al sacrifizio, io, o re de' Racsasi, faceva d' essi una grande strage. Ben io penso che que' puri e grandi Mimi, ove fossero vigili e s'adirassero, potrebbero ardere un fuoco acceso; ma avendo riguardo a non uccidere alcuna vivente creatura , (pie1 Risei simili a fuoco contenevano lo sdegno che avrebbe distrutto il loro ascetismo. Ma il grande e pio Mimi Visva- mitra vincitor dell'ira andatosene al re Dasaratba, così gli disse : Venga sollecito a proteggermi nel dì del plenilunio questo tuo Rama; m'è nata, o re, un'orribile paura del Racsaso Marica, perciò desidero d'esser protetto quando verrà il giorno del plenilunio. Io avea già dato principio, o re, al sacro rito che dee compiersi in quel giorno; (piando giunse colà co' suoi seguaci il Racsaso Marica; per questo io venni pien di paura innanzi a te, e desidero essere assicuralo e protetto contro quel Racsaso. L'illustre e pio re Dasaratha così richiesto rispose al gran Mimi
208 RAMAYANA.
Visvamitra : Non aver timore, o gran Brahmano, di quel Racsaso, benché egli abbia terribile forza: ed accordò quindi al saggio Visvamitra un'oste quadripartita capita- nata dal suo duce : ma il Brahmano non accettò quell' oste datagli dal grande re. Allora il re Dasaratha di forza eguale ad India, preso un grande esercito, si dispose a marciare egli stesso; ma il pio Visvamitra, rendute grazie all'illustre re simile ad India, così gli disse : Che farò io d'un esercito, o eccelso re? che farò io di te affranto dall'età? donami Rama solo. Udite quelle parole, il re Dasaratha così rispose al saggio Mimi : Questo Rama che tu chiedi, ha quindeci anni appena ed è inesperto di bat- taglie; come potrà egli star solo a fronte di quel Racsaso? Questo adolescente dagli occhi di tenero cervo, di facoltà non ancor mature, non può resistere a quel gran Racsaso; abbi di me pietà, o venerando. Al re che così favellava rispose il Mimi : Nessuna forza al mondo altra che Rama è atta a resistere a quel Racsaso; tuo figlio dalle grandi braccia, benché adolescente, è valevole a contener colui; io me n'andrò con Rama; sia tu felice, o re. Chi potrà colla sua forza offender Rama da me protetto? Allora il re rincorato così parlò al Raghuide : Tu andrai dunque nelle selve insieme con quel gran Risei. Udita la parola del padre, egli rispose : Così farò; ed intesa la risposta di Rama, il re dopo aver fra se pensato alquanto, disse al Mimi Visvamitra : Or via parti. Allora il Munì Visva- mitra di saldi voti, preso con se il figlio del re, s'avviò tutto lieto alla selva Dandaca. Pervenuto all' eremo di Vis- vamitra, essendo già convenuti i Brahmani e vicino il dì del plenilunio, quel possente figlio del re, ricevute l'armi
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da Visvamitra, se ne stelle colà gran tempo Fermo e coli' arco teso. L'inclito Rama adolescente e imberbe, di color ceruleo e di begli ocelli, adorno di cincinni, armato d'arco, cinto di splendide armille ed illustrante col suo fulgore acceso la selva Dandaca , somigliava in quel punto alla nuova luna nascente. Allora io , presa la forma che più m'era a grado, pari al vertice d'un gran monte e stando al sommo dell' atmosfera come una mattutina nuvola au- tunnale, forte e superbo dei doni avuti , me ne venni a quel romitaggio e v entrai subitamente veduto da Rama. Ma subito che mi vide, egli senza turbarsi incordò l'arco; ed i Racsasi robusti che mi stavano a fianco, visto quel garzoncello armato d' arco , lo trattarono con piglio arrogante: e disprezzando Rama per istoltizia, perchè egli era adolescente, corsero impetuosi ad assalire Visva- mitra. Ma Rama scoccando una gran saetta sonante come il fulmine, mi ferì al cuore e mi rapì dall'atmosfera. Quindi quel garzone dai grand' occhi scoccò migliaia d'altre saette, facendo rotare il mio corpo e squarciandolo in mille guise. Dopo avermi fatto per disprezzo girare attorno per lo cielo come un augello, mi sospinse con grand' impeto alla riva opposta dell' Oceano : gettato colà a furia di saette io rimasi fuor di senso; e ricuperato poscia il sentimento, con gran pena me ne ritornai alla città di Lanka. Ma i forti Racsasi che m'eran compagni, furono da Rama atterrati in un momento. Così io scam- pai per caso allora dalle sue mani in quello scontro , e fui ridotto già è gran tempo a tale stato da Rama adolescente ed inesperto di battaglie. Che cosa sarà egli ora che Rama è dotato di vera forza ed esercitato nel!' armi ? Onde se
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lu, benché da me distolto, entrerai in battaglia con Rama, tu cadrai prontamente in qualche orribile sventura donde più non potrai venire a riva; tu proccurerai dolori inutili ai tuoi Racsasi che or vivon lieti in leste ed in conviti ed in ogni maniera di giochi e di diletti. Per causa di Sila tu vedrai tutta sottosopra la città di Lanka piena di case e di palagi, adorna di varie e belle merci; tu vedrai nella polvere spenti da Rama in battaglia i Racsasi che spargon di sandalo prezioso i loro corpi e s'adornano di splendidi ornamenti; perocché per le colpe altrui, per la comunanza coi malvagi periscono i buoni che non han colpa, come i pesci in un lago pieno di serpenti. Non volere, o re, esser causa di duolo ai Racsasi e di gioia ai tuoi nemici; non voler mettere a repentaglio te stesso e la tua stirpe. Tu vedrai i tuoi Racsasi scampali allo ster- minio fuggir per ogni parte colle lor donne o vedovati , senza trovar rifugio : tu vedrai senza dubbio Lanka op- pressa da nembi di saette , cinta dalle fiamme ed incendiate le sue case; per cagion di Sila dovranno fuggire qua e là centinaia intiere di donne che formano la tua corte, o Ravano; tu rapirai la Videhese, o re, per la rovina di le stesso, della città, del gineceo e de1 tuoi Racsasi. Venuto a battaglia con Rama, presto tu perderai il tuo onore, la tua potenza, il regno, le tue donne e la cara tua vita; l orgoglio che tu hai, o grande re, quando ti glori! d1 aver vinto più volte tutte le schiere degli Dei, ti sarà tolto da Rama. Se tu desideri fruir lungamente le delizie, la po- tenza, il regno e la cara tua vita, non provocar con offese Rama. Ove tu, benché vivamente dissuaso da me che son tuo amico, voglia per forza rapir Sita, te n1 andrai, spento
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in battaglia dalle saette di Rama e col corpo (listini lo, alle sedi del re ilei morti.
CAPITOLO XLIM.
DISCORSO DI MARICA.
Dopo aver detto quivi a Piavano re de'Racsasi quelle parole vere, opportune ed utili, Marica così proseguì a parlare : Tu sai, o grande re, come nella guerra dei Devi fu il mio corpo duramente ferito dai colpi del fulmine d'Indra; io fui percosso nelle mie membra dal disco di Visnu, inaverato da un nembo di saette, oppresso dall' armi diverse delle schiere dei Danavi e dei Daityi. Inol- tre io baldanzoso per arrogante orgoglio dei doni ricevuti venni da Rama solo, pedestre e uomo, adolescente ornalo di cincinni ed inesperto dell'armi, ferito al cuore da una saetta e sospinto nel mare da' suoi dardi ; e pur così scam- pai per caso dalle sue mani in quello scontro. Ora ascolta, o Racsaso, altri miei fatti. Io, ripreso animo malgrado la mia disfatta, entrai con due Racsasi in sembianza di cervo nella selva Dandaca; con lingua ardente, con gran corpo e con corna acute io m' aggirava pien di forza nella selva Dandaca, pascendomi delle carni dei Risei. Fra l'are, fra il sacro fuoco, fra gli alberi sacri di ficaia io divorava gli asceti estenuati da digiuni infiniti, bevendo il loro san- gue; e gettati a terra i pii Mimi, io li uccideva nella selva Dandaca. Intrepido e securo, ebbro di sangue, o re, io m'aggirava per la selva Dandaca, corrompendo le pie opre dei Munì. Mentre io con Dusana andava così attorno
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per quella foresta, incontrai nella selva Rama asceta, de- dito a pii ufFicj e con lui l'inclita Videhese e il forte Lacsmano astinente asceta anch'esso, vestito di nera ne- bride e di corteccie. Io disprezzando il prode Rama fatto abitator di selve, perchè lo vedeva in sembianza d' asceta, e rammentandomi l'antica inimicizia, preso da ira e da insania dissi con ardor veemente ai due Racsasi mici com- pagni : Ecco per noi un lauto pasto. Quindi fiancheggiato dai due Racsasi, avido di carne umana ed uso a far liete le schiere dei carnivori, mi spinsi acceso d' ira e fiero sotto forma di cervo e colle corna aguzze contro quel forte per ucciderlo, rimembrando la nostra antica guerra. Ma veg- gendo venire incontro a se me di color fosco e spaventoso, seguitato da due Racsasi colle bocche aperte, il magna- nimo Raghuide senza turbarsi , senza maravigliarsi e quasi per gioco tese il suo grand' arco e saettò tre dardi acuti e orribili, adunchi e con cinque nodi, rapidi come Su- parna e il vento. Tutta la selva Dandaca fu distenebrata da que' dardi simili a serpenti, lanciati dal prode Rama; e quelle terribili saette acute pari a fulmine e suggenti il sangue andaron dritte verso i tre Racsasi. Ma io che co- nosceva la forza di Rama e n'ebbi un dì tanta paura, vista venire la saetta che altamente risonava a guisa di nube, veloce e rapido come il vento mi slanciai in un batter d'occhio all'altra riva dell' Oceano , e la saetta fu impedita dal mare. Ma i due Racsasi venuti con me nella selva Dandaca furono uccisi da quelle saette e caddero immersi nel lor sangue. Scampato per caso dalla saetta di Rama e sal- vata la mia vita, mi ricoverai nascostamente e con grande paura in Lanka e quivi respirai; ma oggi ancor mi duole.
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o forte, il colpo che ebbi da Rama al cuore ne] romita^- gio di Visvamitra. Dopo aver ricevuto da uu uoiu mor- tale quell'offesa che mise a repentaglio la mia vita, nac- que in me per gran dolore, o amico, fastidio d'ogni cosa : ond' io abbandonando Lanka, la casa, le donne, i Racsasi, la mia gente e l'ampie delizie desiderate e difficili ad ottenersi, me ne partii prontamente, o re; e venuto in questa grande selva qui mi ritrassi per causa di quel fastidio. Come ritornerei ora a fronte di colui io che ne conosco la possanza, io che provai il tocco delle sue saette e sperimentai per 1' addietro la sua forza? Preso tutt' ora da paura, o Ràvano, io veggo migliaia di Rama, e tutta questa selva mi par piena di Rama; in ogni albero io veggo Rama vestito di corteccie e di nera nebride, ar- mato di saette e d'arco, pari a Yama armato di catena; in ogni luogo solitario od abitato io non veggo altro che Rama; e allor che dormendo io veggo Rama, tutto mi conturbo fuor di senso; per timor di Rama, o Ràvano, mi fa ribrezzo ogni parola che cominci dalla sillaba ra (39). lo conosco la possanza di colui ; non conviene a te il provocarlo a guerra; se tu vuoi dar retta alle mie pa- role, tu non dei più favellarmi di Rama. La giustizia e l'utile, la concupiscenza e la giustizia, l'utile e la concu- piscenza per lo più si veggono disgiunti, ma veggonsi pur talvolta uniti : dal desiderio nasce la concupiscenza , dal conato proviene l'utile, dalla fede nasce la giustizia, tale è il triplice frutto di quelle tre cause. Io non preveggo alcun altro pericolo al tuo valore, fuorché quello d'assalir Rama; onde rimoviti, o Ràvano, da questo tuo proposto. Chi è colui che ti mostrò dischiusa questa porla della
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274 RAM VYANA.
molle, nella quale se hi entri, perirem noi con lutti i Racsasi '.] Benché In abbia \ml<» in battaglia Lutte le schiere degli Dei con Indra, e Yama e kuvera e Varuna, In non sei allo a vincere in battaglia Rama. Rama irato potrebbe precipitar Indra dalla sua sede, affrontarsi con ìama e contener Varuna; ei potrebbe dar morie alla Movie stessa,
e distruggendo il mondo produrne un altro. Se In non
or» i
poni mente a queste parole ch'io li dico per hi salute della tua gente, fra breve In perderai la cava vita, ucciso da Rama colle sue infallibili saette.
CAPITOLO \U\.
PAROLE DI li \ VANO.
Udite quelle opportune parole di Marica, il signor de1 Racsasi le rifiutò per alterigia , come rifiuta l' erba salutare chi desidera morire; e spinto dal suo fato ei rispose con questi detti acerbi e inopportuni a Marica che diceva parole acconce ed utili. A che, o Marica, mi vai tu ra- gionando queste tue parole fuor di proposito e al lui lo inutili, come la semenza gettata in un terren saligno? Io non potrò mai per qualunque tuo detto temere in batta- glia Rama, stolto e tutto dedito ad opre pie e, che è più , semplice uomo, il quale per le vili parole d'ima donna abbandonando gli amici, il regno, la madre e il padre, se ne venne senza più ad abitare fra le selve. Io voglio asso- lutamente ed in tua presenza rapir nella selva Sita cara quanto la vita a colui che uccise in battaglia Khara; tale, o Marica, è il proposto che mi sta fermo nel cuore; uè
Mi W1! \(. \\l) A. 275
potrebbero distogliermene gli tauri stessi, né gli Dei con [ndra. I n saggio consigliere, nel discutere un negozio, non dee dire ad un re geloso della sua dignità il difetto o la bontà d'ima cosa, ciò che è funesto, <[iiello che giovi o nuoccia al line, né altre parole concernenti la causa, l'imi che interrogato da Ini ed in allo umile. Sempre si deb- bono dire ad un re paiole lusinghiere e dolci, belle, op pori une ed officiose; un re die è degno d'onore, non ama le parole irreverenti delle con riguardo all'avvenire e con annunzio di danno futuro. I re possenti ban cinque forine, quella del Fuoco, quella d'Jndra, quella dì Soma ! la luna), quella di Yama e di Kuvera; ei si mostrano propizi agli uni, irati agli altri, perciò si debbono i re rispettare ed onorare in qualunque siasi condizione. Ma tu disconoscendo il tuo dovere e mosso solo da stoltizia, vai dicendo con mal animo parole acerbe a me che son qui vernilo, lo non f interrogo circa la bontà o la malizia del mio disegno, sopra ciò che mi sarà salutare oppur funesto; ma desidero, 0 amico, che tu mi sia compagno in questa impresa; trasformandoti in bel cervo aurato con macchie d'argento ed allenando la Videhese, tu fa quello che io desidero leggendoti in sembianza illudente di cervo aurato, Sila tutta maravigliata dirà prontamente a Rama : Conducimi qui quel cervo; ed allontanatisi da lei Rama e Lacsmano, io rapirò a mio grand' agio Sila, come Suparna rapisce una serpe ; e cosa fatta capo ha. Vieni dunque felicemente , o amico, a compiere quest'opra : deluso Rama ed olle- nula Sita senza contrasto, io ritornerò con te soddisfallo in Lanka. Che se In par resisti a quello ch'in li dico, io li forzerò mal tuo grado a farlo; che non mai riesce a buon
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line colui che s'oppone ai re. Ma condotta a termine questa impresa, io ti donerò, o Manca, con animo con- tento la metà del mio reame; tu farai dunque sì ch'io ottenga Sita; io ho stabilito che quest'opra si compia coli' unanime concorso di noi due. Conoscendo la mia stirpe, la mia forza, il mio valore eia mia possanza, come puoi tu temer si forte di Rama tapino e misero.' Né Rama, né alcun altro uomo potrà seguitarmi là dove io m' avvierò per gli spazi aerei, dopo aver rapita la Mithilese. Tu poi subito che avrai colle tue illusioni allontanato dal lor romitaggio e deluso fra la selva quei due forti , te ne lug- girai via prestamente; e allor che ti sarai ricoverato all' opposta riva dell' Occan o illimitato, immenso, che cosa faranno coi loro sforzi Rama e Lacsmano? Io ho vinto un dì in battaglia Indra colle schiere degli Dei, Yama e Kuvera; che temi tu dunque di Rama? Vedrà ogni crea- tura rapita da me per forza Sita tutta tremante, pian- gente e chiedente aiuto; né Garuda col vento potrà segui- tarmi, mentr'io me n'andrò a volo per la sgombra via frequentata dai Siddhi. Andando incontro a Rama tu corri forse pericolo della vita ; ma è certa oggi la tua morte, se tu mi resisti; considerato ciò ben bene nella tua mente, fa quel che più t'aggrada e che meglio ti conviene.
CAPITOLO XLV.
RISPOSTA DI MARÌCA.
Aspreggiato da Ràvano a ritroso, Marica rispose al re dei Racsasi queste parole risentite : Chi è ([nell'iniquo
ARAN^ \C \M)A. 277
che t'ha insegnato, o Racsaso, questa via di perdizione, né di te solo, ma della città, del regno e de' tuoi ministri? Chi è che invidia e abborre la tua sorte felice, o re? Chi ti mostrò dischiusa questa porta della morte? Per cerio Racsasi ignavi e tuoi nemici desiderano che tu ti perda venendo alle prese con uno di te più Torte; coloro certa- mente i quali vogliono che tu pera per propria opera tua, t1 han mostrato questa facile e suprema via di perdizione. E tu non punisci, o Ràvano, que' tuoi consiglieri degni di morte, i quali veggendoti entrato in una via funesta, non ti rattengono conforme ai sacri dettati? Un re che spinto da amore entra in una via malvagia, debb' essere contenuto in ogni modo dai saggi suoi ministri, e tu che dovresti essere raffrenato, pur noi sei, o grande re! Per la benevolenza del lor signore ottengono i consiglieri virtù, ricchezza, delizie e grande gloria sulla terra; nel caso op- posto, o re, signore e consiglieri cadono per difetto di bontà in isventura coi lor congiunti. La gloria e la giusti- zia, o eroe, hanno nel re la lor radice; onde si debbe difendere il re in qualunque occorrenza; ma un re vio- lento, immoderato, avverso a tutti non può, o Ràvano, mantenere il suo regno : i re che s'abbandonano alla violenza, periscono con essa, come rovina coli' inetto suo auriga un carro infranto sopra un aspro terreno; e perle colpe altrui , per la comunanza coi malvagi periscono pure gli innocenti e i buoni, come i pesci in un lago pieno di serpenti : molti saggi e buoni, dediti alla virtù perirono già nel mondo eòi lor seguaci per la colpa altrui. Le genti governate da un signor violento e avverso a tutti non s'avanzano, o re, come capri custoditi da un sciacallo; e
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periranno necessariamente, o Ràvano, inlii i Racsasj di cui tu sei re violento, smoderato, e di mente piava. Tu hai preso subitamente ad inimicar Rama; qual onore
n" avrai tu che n'andrai in rovina col tuo esercito? lo sarò tosto spedito d'ogni mio all'are; che quel signor degli uomini, quel grande arciero, quel conoscitor dell'armi divine mi darà subita morie; ina tu sei stollo, o Racsaso, ed involto nella catena di Yama, clic non dai retta alle mie parole, come rifiuta il farmaco chi vuol morire. Tieni per cerio che al solo veder Rama io saio ucciso, e fieni per morto le slesso co' tuoi congiunti, ove In rapisca Sila. Se tu insieme con me rapirai da quel romitaggio la donna di Rama, nò tu più vivrai, né io, né i Racsasi, uè Lanka. Mentr1 io intento al tuo bene m'adopero a distoglierli dal luo proposto, o Ràvano, non li vanno a grado le mie parole; perchè gli uomini destinali a morire e già (piasi simili a morii non dati retta agli nidi consigli che lor porgono gli amici.
CAPITOLO \LVL
\SSENSO DI MARÌCA.
Marica prosegui a dire a Ràvano signor dei Racsasi queste parole opportune e giuste : lo debbo adoperar con te ogni sforzo lino a prenderti per li capelli, o re, accioccbè tu non pera ed io con te per man di Rama, lo l'ho narrato poco innanzi i pregi del Raghuide; or di nuovo ti parlerò delle virtù di quel magnanimo; ascolta un fatto di colui che sarebbe arduo agli slessi Dei e non
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voler in fare oltraggio alla donna di quell'uom verace e giusto. Egli ha sottomesso alla sua far: a il Ganasthàna, ha ucciso il forte Viràdha, ed or .se ne sta a suo diletto per quella deserta selva. Se tu rapisci ingiustamente la donna di quell'eroe, io preveggo non lontana la Ina ro- vina. Il Raghuide rammentandosi il far dei generosi, po- trebbe forse sopportare qualche altra offesa, ma non mai l'oltraggio fatto alla sua donna. Tale opra è più assai vi- tuperevole che il rapire le sostanze altrui, e gli uomini anche a costo della lor vita fanno ogni sforzo per vendi- carla. Rama offeso dal ratto della sua donna sarà 1' angelo della tua morte; tu considera perciò quel che vuoi fare, finché non v'hai ancora posto mano. Quel possente già fortissimo per natura, eccitato soprappiù dall'impeto dell' ira e dell' amore, potrebbe rasciugare anche l'Oceano. Per (pianto io consideri, non veggo pur dramma di senno in questa impresa del far violenza alla donna di Rama. Ren- elle io in sembianza di cervo allontani il Raghuide , tu non potrai perciò, o Racsaso, pur toccare la Videhese; perocché, quand" io avrò tratto lungi di là Rama, rimana pur Lacsmano in vita, né tu potrai in alcun modo rapir Sita, o Piavano; e presupposto che tu la trovi priva dei due suoi difensori e la rapisca; tu non avrai sede sicura, neppur se andassi al mondo di Rrahma; ove tu ottenga la bella Sila pari alla figlia d'un Dio, fa conto d'aver conseguito anche i tre mondi difficili ad acquistarsi. Il re che senza consigliarsi co1 suoi ministri, intraprende ar- due imprese, non rimarrà lungo tempo nel suo regno, come f acqua non rimane lungamente in uno stagno, lo pensando alla mia natura, non voglio mettermi avventa-
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lamento in una via funesta , schivata da lutti i buoni. Se io sono da le ucciso, ne seguiterà danno ;i le solo, purché la mia morte tronchi affatto la Ina impresa; uccidimi dunque miseramente, se tu vuoi; ma le ne ritorna di qua ai tuoi Racsasi ed alla tua città senza pensare ad offender Rama. Che se tu, o amatore di battaglie, non dai retta alle parole che io ti venni fin qui ripetendo, che potrò fare io misero.' io farò quel che desideri. Per certo, o re de' Racsasi, ti sovrasta la tua rovina; ma chi impera vuol che si faccia ad ogni modo quello eh' ci due. sia ciò da farsi o no.
CAPITOLO XLV1I.
CONFORTO 1)1 MARÌCA.
Come udì dire a Marìca : Io farò quel che desideri, Ràvano sorridendo così gli rispose : Privato del regno, senza ricchezze, senza amici e abitator di selva, che cosa farà Rama, ancorché egli avesse la forza d' Indra? Conos- cendo tu la tua forza e non dubitando della mia, come puoi tu, o Marìca, temer Rama miserissimo? E pronta ai Racsasi una via inaccessibile agli uomini; rapita la Vi- dehese, io me n andrò per l1 aria a volo; e quando io sarò pervenuto all'altra riva dell1 Oceano, che cosa potrà fare quell'inetto Rama, ancorché egli adoperi ogni sua possa? Né i Devi, né le schiere degli Asuri han forza pari alla mia nelle battaglie ; io son atto a resistere anche ai tre mondi ; io ho sconfìtto colla mia possanza lo stesso Indra armato di fulmine sopra ¥ ardente elefante Airàvana e con esso tutti gli Dei ; io ho sottomesso in battaglia al mio pò-
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tere Kuvera miofratello, Yama e Varuna e tulli i Custodi della terra : or come puoi tu temere, chiamato dal comando di me che ho vinto e domato i Ire mondi? lo scossi colla forza delle mie braccia Si va, nienti*1 ei si trastullava con Urna sul monte; di che fu soddisfatto quel Dio : ne in cielo fra gli Dei, né nel mondo dei Yacsi, né fra i Naghi sotto terra, in nessun luogo v1 ha chi sia per forza eguale a me dominatore dei tre mondi; che paura avrò io degli uomini? Rapita Sita, io me n'andrò per le vie aeree, ra- pido ed in un batter d'occhio alla città di Lanka; e chi potrebbe pur col pensici* sognando venire in Lanka chiusa d1 ogni intorno dall' Oceano per lo spazio di cento yogani? Tu sei abile ed accorto, maestro di prestigi e destro, fa di dileguarti prontamente subito che tu avrai allettato la Videhese : quando avrai eseguito i miei ordini ed ingan- nato i due Raghuidi, vientene a me, se tu sia felice, e ci avvieremo uniti a Lanka : rapita subitamente Sita e delusi i due Rachitidi, noi ce ne andrem securi e con animo soddisfatto. Confortato in tal modo da Ràvano, il Racsaso Marìca tuttavia sospirando e prevedendo disastri, si dispose senza più indugio ad accompagnare Dasagrìva (Ràvano ).
CAPITOLO XLVIIT.
MARÌCA TRASFORMATO IN CERVO.
Veduto Ràvano risoluto, Marìca pien di dubbio, pre- sago della sua morte, combattuto ed agitato da paura e sospirando forte, disse mal suo grado, dolente e pertur-
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bato ;il re de' Racsasi : 8011 pronto ad andare, Fu lieto di que'detti il re dei Racsasi ed abbracciando strettamente Marica, così gli rispose : E degno della tua prodezza ciò che or dicesti spontaneamente; ora tu sei rientrato, 0 Ma lira, nella tua propria natura; sali tosto con me su questo carro ornato di «emme e moventesi liberamente, Inalo da asini che lian faccie di Pisàci. Allora Piavano e Marica saliti su quel cocchio simile ad un carro divino, se ne partirono prontamente da quel romitaggio. Contemplando belle cil là, monti, laghi, fiumi e reami diversi, perven- nero essi alla selva Dandaca e quivi Piavano scòrse con Marica la dimora di Pania. Disceso allora dal suo carro ingemmato e moventesi come ei vuole e preso per mano Marica, Ràvano così gli disse : Quel che tu vedi da lungi e il romitaggio di Rama, chiuso d'alberi di banano; si eseguisca orsù, o amico, quello per cui siam qui venuti. Udite le parole di Ràvano, Marica prontamente ed in un attimo, deposta la forma di Kacsaso, si trasformò in un cervo aurato. Divenuto cervo tutto brizzolato di macchie (P argento, piacevole all'animo d'ogni creatura e adorno di vaghi lìor di loto del color di smeraldo e di lapislazzoli , con quattro corna d'oro ornate di perle, s'andò egli ag- girando dinanzi alla porla del romitaggio di Rama. Las- ciala ogni speranza della vita, ei così pensava allora : Chi ama far cosa cara al suo signore e desidera ottenere il cielo, dee eseguir prontamente ciò eh' ci vuole, sia egli da farsi o no; qui non v'ha dubbio. Considerando la forza di Rama e il duro comando del mio signore, credo mi- glior per me l'eseguire gli ordini suoi che il vivere. Fer- matosi in questo pensiero e preso tale partito, Marita pur
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pensando alla sua morte, s'aggirava cola intorno alienando Rama e Sila. Ri s'appressò al terribile Rama, figlio regale d'inclita stirpe, fedele alle sue promesse, il (piale, lasciate le delizie e fermo nella via del dovere, se ne stava fra le selve. Poco lungi da Rama il figlio di Sunda (Manca) vide Sita incolpabile sua sposa, simile alla luce del sole decli- nante all'occaso; ma Sita avea veduto lui innanzi.
CAPITOLO XLIX.
ORDINI DATI V LACSMANO.
Veduto nella selva quel cervo lucente come oro, coi fianchi adorni di belle macchie d'oro e d'argento, ornalo di vaghe aurate corna, bello a vedersi colle sue orecchie del color di perle e di lapislazzoli, tutto risplendente, con pelle, corpo e peli sottilissimi, screziato di varie gemme per tutto il corpo, Sita rimase maravigliata; e rapita in ammirazione ed allettata da quel cervo dagli aurei peli, dalle corna di perle e di coralli, dalla lingua rossa come il sole, splendido come la via dei segni cos- tellati (nacsatn), la leggiadra Sita figlia di Ganaca disse sorridendo a Rama : Guarda, o Cacutsthide , quel mira- bile cervo aurato, tutto fregiato di gemme, qui venuto spontaneamente; se v'hanno nella selva Dandaca simili cervi d'oro, certo non senza ragione, o Rama, è questa selva amata dagli uomini. Veggendo qui quel cervo adorno d'oro, mi nasce un vivo desiderio seguitato da diletto: io vorrei, o figlio di re, potermi sedere mollemente so- pra l'aureo vello di quel cervo, distendendolo sul mio
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letto. Confesso che è crudele quel ch'io li dico, riè con- facente ad una donna; ma il corpo di quell'animale ha sedotto l'animo mio. Udite quelle parole della sua di- letta , il prestante Raghuide così parlò lieto al Saumitride : Vedi, o Lacsmano; il desiderio di Sita si portò verso quel cervo , ed ei morrà per la belle/za del suo vello. Tu dei star qui vigile intorno a Sita, o Lacsmano, lìnch'io ab- bia ucciso con una saetta quel cervo : uccisolo e presane la pelle, io ritornerò qui prontamente; ma tu non dei muo- verti di qua, o Lacsmano, finch'io non ritorni. Oggi con quella splendida pelle di cervo cosi rifulgerà Sita, come un dì in Avodbva sul suo seggio regale strato di velli. Ma Lacsmano osservando quel cervo lucente come la celeste Antilopa (40< e considerando attentamente fra se stesso, cosi disse pien di dubbio a Rama : Io temo, o eroe, che ([nel cervo non sia il Racsaso che si noma Ma- lica, artefice di prestigi, secondo che ne fu detto per 1' addietro dai Risei fulgenti come fuoco. Molti re furon già uccisi da colui trasformato in cervo, mentr essi an- davano lieti a caccia per la selva armati d'arco sopra i lor carri : è bene che tu ponendo mente alla sua sem- bianza tutta ornata di varie gemme, rifletta fra te stesso, o saggio. Costui non è un cervo d' oro ; dove mai nel mondo, o eroe, si trova unito foro col cervo >) rifletti saviamente. Colui con quelle corna di perle e di coralli, con quegli occhi di gemme non è un cervo; io son certo che quella belva illudente è un Racsaso sotto forma di cervo. Ma Sita già tutta lieta e sedotta da quella illusione, respingendo Lacsmano che così parlava, disse con dolce sorriso a Rama : 0 figlio di re, questo cervo seducente
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rapisco l'animo mio; conducilo qui, o forte; ei ci sarà di trastullo. Molli cervi belli a vedersi, molte antilope, molti cerbiatti vanno qui attorno uniti in questo nostro romitaggio; ma non mai, o Rama, mi venne veduto per l' addietro un ceno simile a questo bellissimo fra tutti i cervi per dolcezza, per vivacità, per isplendore. Se In riesci a pigliar vivo quel cervo, ei produrrà in te mira- bile stupore; ed allor che avrà line il nostro soggiorno nelle selve e che sarem noi ritornati nel regno, questo bel cervo ne sarà d'ornamento nel gineceo : che se tu, o prode, non puoi prender vivo quel cervo stupendo, sarà pur nondimeno splendido il suo vello; ed io desidero se- dermi nelf umile mio seggio d' erba sopra 1' aurea pelle di quell'animale ucciso. Intese quelle parole di Siln <• guardando il mirabile cervo , l' illustre Raghuide deluso cosi disse a Lacsmano : Se quel cervo, o Lacsmano, è cosa magica, io pur l'ucciderò oggi; perchè ne ho grande desiderio. Né in questa selva dilettosa , ne per la selva Ceitraratha. né in altro luogo della terra si troverebbe un animale che fosse per beltà pari a costui; belli, mor- bidi e lisci risplendono i peli sopra il corpo di quel cervo che sen va securo attorno per la selva; mira, allor eh' egli apre la bocca, la lingua che n'esce simile a fiamma di vivo fuoco, pari ad un tizzo candente. Costui somiglia ad oro forbito, ha piedi che paion di corallo ed i suoi banchi son distinti di due mezze lune e d'argentee stelle; è oltrcmodo amabile il suo corpo e la sua faccia par di perle e di conche marine; di chi mai non rapirebbe l'animo questo cervo leggiadrissimo? Guardando la forma seducente di cosini, fulgida come oro, divisala di varie
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perle, tutta ingemmata e bella, chi e colui che non ne avrebbe desiderio? I re, o Lacsmano, armali d'arco e dilettantisi di spassi uccidono a caccia le fiere della selva perle lor carni; or come appartiene al re i'1') ogni cosa preziosa che si trovi quaggiù nelle grandi selve, i diversi metalli, le gioie, le gemme e l'oro, tulli i bambù ed ogni Frutto che provenga dal seme, ogni cosa in somma che può la mente imaginare, cosi è giusto ch'io m' ap- propri] questo bel cervo. Son degne d'un re le gemme, e noi le amiamo assiduamente; la leggiadra Videhese se- derà con me sul prezioso e splendido vello di (pici bel cervo. Nessun tessuto di seta, di velli o di lana sarebbe, io credo, così soave al tatto come la pelle di costui : questo splendido cervo silvestre e Tallio divino che splende in cielo (^2), il cervo terrestre ed il cervo stellato sono amendue egualmente divini. Che se costui è quel desso, di cui mi favelli, o Lacsmano, da cui furono uc- cisi nella selva re arcieri che andavano a caccia, da cui vagante per le selve con prestigi e in sembianza di cervo furono spenti figli di re fortissimi , perciò appunto che furono uccisi da colui molti re arcieri eccelsi , mentre andavano a caccia, debb' egli essere da me ucciso. Vatàpi un dì uccideva, o Lacsmano, 1 Brahmani raccolti per le ceremonie del sacrifizio, come il feto uscendo dal ventre uccide la mula (43). Ma dopo lungo tempo s'avvenne egli un dì nel gran Mimi Agastya acceso di splendore , e fu divorato da quel magnanimo. Ma volendo Vatàpi uscir del corpo e riprender nelf uscire la propria sua forma, il venerando Mimi gli disse sorridendo queste parole : « Poi- ché tu, o Vatàpi iniquo, entrando nel ventre d'un Brah-
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mano, mostrasti di sprezzarmi, rimani or qui da me divo- ralo. Chiunque disprezza un Brahmano mio pari intento ai sacri doveri e donno de' suoi sensi, troverà egualmente la morte, siccome tu che t' abbattesti in me. » Or pari- mente, o Saumitride, questo cervo altiero che se ne venne a me conoscendo chi io sono, troverà qui la morte, come Vatàpi un di 1' ebbe da Agastya. lo ucciderò senza dubbio quel cervo altiero; tu sta qui vigile, o eroe, e custodisci la Mithilese. Tu non dei muoverti di qua, finch' io non ritorni; perocché i Racsasi scelerati s'ado- perano nella selva ad ingannare con prestigi. Poiché T ec- celso e fortissimo Raghuide ebbe così ammonito il nobil Lacsmano, di nuovo ancora l'ammonì, dicendo : Sia tu dunque vìgile ed indefesso, o eroe.
CAPITOLO L.
MORTE DI MARÌCA.
Dopo aver dato a Lacsmano quegli ordini , il Raghuide, deliberato d'uccidere quel cervo, s'avviò rapidamente verso colà dove egli era. Preso il curvo suo arco ornalo d'oro, legate all'omero due grandi faretre ed al banco la spada coli' else d' oro ed indossata la lorica, ei si diede a correr nella selva dietro a quel cervo. Marìca fuggiva per la foresta colla velocità dell'animo e del vento; e Rama lo seguitava vicin vicino. Tutto pauroso di Rama , Marìca or si dileguava in un momento per la selva Dan- daca, ora di nuovo si mostrava. «E desso, ei viene,» così dicendo, Rama correva con grand' impeto, ed il cervo
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un momento si vedea ed in un attimo scompariva. Tra- passando rapido per paura delle saette ed allenando Rama, or visibile, ora invisibile ed or fuggendo per timore, qui fermo, là nascosto e altrove uscendo pre- cipitoso, sen va Marica per quella selva tutto pieno di paura. Quivi Rama vide improvviso quel cervo magico che correndo marciava dinanzi a lui; ed ei lese l'arco con grand' ira. Ma il cervo, veduto venir contro se il Ra- ghuide armato d'arco, disparve ad un tratto, poi si mostrò di nuovo. Or ei si scorge vicino, ora si vede lontano; e coli' apparire e col dileguarsi alternamente ei traeva lungi il Ragbuide. Questi coli' arco in mano osservando tuttavia per la gran selva e perle macchie il cervo fuggente che or si mostra, or si nasconde, simile al disco della lima nella stagione autunnale circondato da nuvole sconnesse, e fra se dicendo ad ora ad ora : « E ito qui; 1' ho visto là; ei s' è di nuovo dileguato, » percorreva a mano a mano le regioni della selva. Deluso da colui e irato il Ragbuide si fermò un istante in quella selva, raccoltosi all'ombra in un luogo erboso. Ma quel luogo gli apparve tutto intorno pieno di cervi che stavan fermi vicino a lui cogli occhi aperti per paura. Veduto questo, il forte Rama intento ad uccidere pur quel cervo, incoccò una grande saetta e tese il saldo suo arco , tirandone la corda fino al lembo dell' orecchio; e tolto di mira il cervo aurato, scoccò col pugno aperto la saetta acuta, ardente e fulgida, telo fabbricato da Brahma stesso : quel dardo micidiale squarciò il cuore di Marica. Ferito nell'organo vitale da quella saetta incom- parabile, Marica sollevatosi un palmo da terra, cadde op- presso da quel colpo. Egli allora percosso da quella saetta
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apparve, qnal era, un Racsaso colle screziate sue smani- glie, colla sua ghirlanda d'oro, con tutti i suoi addobbi e con denti enormi; e benché angosciato dalla sua ferita e moribondo sulla terra, pur pensando a far cosa cara al suo signore, ei mandò fuori un suono orrendo ; ed imitando apertamente la voce di Rama, cpiel scelerato andava gri- dando nella gran selva : 0 Lacsmano, accorri, aiutami. Tuttoché fosse giunto alf estremo di sua vita, ei pur cosi ragionava : Se udendo questa voce , Sita perduta d'animo e vinta dall'amor del suo sposo mandasse qui Lacsmano, allora Ràvano la rapirebbe priva del suo di- fensore. Pensando questo nella sua mente, il Racsaso per far cosa cara a Ràvano mise fuori in sul morire quella voce. Deposta la forma di cervo e presa sembianza di Racsaso , Marìca ingrossò fuor di modo il suo corpo e abbandonò la vita. Allor che vide giacente a terra quel Racsaso d'orribile aspetto, Rama si sentì tutto arricciare i peli e corse colf animo a Sita. Scorta la sembianza spa- ventosa di quel fiero Racsaso ucciso, si partì il Raghuide con animo smarrito, ritornando per la stessa via.
CAPITOLO LI.
PARTITA DI LACSMANO.
Udito per la selva quel grido dolente simile ai la voce del suo sposo, Sita disse a Lacsmano : Parti, va in cerca di Rama; che mi manca la vita e il cuore, dopo che io udii quell'alto grido del mio sposo dolente e chiedente
aiuto. Difendi, o Saumitride, il tuo fratello primogenito
ii. :•>:
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il ino compagno che venne con te per questa via e che or chiama piangendo soccorso; coni prontamente ;i tuo fratello che ha bisogno dalla, caduto nelle inani dei Racsasi, come un loro Ira le branche dei leoni. I dite quelle parole che tenevan dell' indole della donna, Lac- smano così rispose a Sita che slava cogli occhi spalancali per terrore : Mio fratello non può, sia certa, essere so- verchiato neppur dai tre mondi uniti con India, cogli Asuri e cogli Dei ; quel Racsaso non potrebbe offendere neppur nel dito mignolo mio fratello; perchè ti sgomenti, o donna? Memore degli ordini di Rama ei non si partiva intanto, benché esortato da Sita; ma la figlia di Ganaca accesa (Vira così gli disse: Sodo apparenza d'amicizia tu sei nemico di tuo fratello, o Lacsmano, che non vai al soccorso di lui ridotto a tale sialo; io credo che tè cara la sua sventura e che tu non ami punto tuo fratello; onde le ne stai qui imperturbato senza darli pensiero di queir eccelso. Tu desideri, o Lacsmano, a cagion di me che Rama pera; perciò non dai retta alle parole ch'io ti dico; ma io t'accerto che priva di Rama non vivrò un momento solo ; eseguisci quel eh' io ti dico, o eroe, e di- fendi senza ritardo tuo fratello. Se si trova in pericolo Rama, che cosa farai tu qui di me che non vivrò né anche un sol momento.' perchè non vai tu in cerca del Raghuide? Alla Videhese che così parlava oppressa dalle lacrime e dal dolore e sbigottita come una cerva, Lac- smano così rispose : Non v' ha, o leggiadra, fra gli uomini, fra i Devi, fra 1 Gandharvi, i Racsasi, i Kinnari ed i Pi- sàci, fra gli augelli ed i serpenti, fra i Dànavi terribili chi possa combatter contro Rama, come nessun mortale può
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stare a fronte d'Indra. Mania è insuperabile in battaglia, non voler In parlare in tale modo, o donna; io non posso lasciarli sola senza Rama in questa deserta solva; In mi l'osti affidata dal magnanimo Rama fedele alle sue pro- messe; In mi sei, o \ idebese, un deposito prc:ioso; io non posso abbandonarli qui. Noi abbiam già fallo fiere prove con que' Nottivaghi feroci nella strage del Ganasthàna; sia In secura, o fausta donna : usano i Racsasi, nell'andare attorno per nuocere altrui, mandar fuori nella selva voci • Incise: In non dartene pensiero, o Videhese. E immenso il valor di Rama, nò può alcuno misurarlo; non voler In così favellare senza aver riguardo alla sua forza; sia tran- quillo il Ino cuore, e deponi questa tua angoscia; fra poco ritornerà qui il tuo sposo dopo avere ucciso quel bel cervo. La turpe voce che tu hai udito, o donna, non è la voce di Rama; ancorché si trovasse in duro frangente, non mai proferirebbe Rama voci turpi. Uditi que1 detti , la Videhese irata e cogli occhi ardenti rispose acerbe parole a Lacsmano che parlava saviamente : Oh crudele, spietato, ignobile, sowertitor della tua stirpe! io ben veggo che tu m'ami; onde così favelli. Non è maraviglia, o Lacsmano, che si trovi nequizia in uomini tuoi pari, rivali e cupi. A cagion di me certamente, oppur mandalo da Bharata tu solo, coperto e reo seguiti Rama nella selva. Ma come mai io, dopo aver accolto fra le mie brac- cia come sposo Rama dagli occhi di loto, dal color di ceridea ninfea, potrei amare un noni volgare? io entrerò piuttosto in un fuoco ardente, ma non mai toccherò nep- pnr col piede un altro uomo fuorché Rama. Fatti a Lac- smano que' rimproveri , Sila pari alla figlia d'un Dio si
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percotea piangendo il petto colle sue mani. Ma Lacsmano, udite quelle crude e orribili parole di Sita, così le parlo reverente e coi sensi perturbati : lo non ho cuore di risponderti, o Sila; In mi sei come una Dea; ma non è maraviglia nelle donne, o Mithilese, il parlai1 contro ra- gione; è tale sulla terra l'indole delle donne; elle son mobili, aliene dal dovere e causa di discordia tra fratelli. M'odano e mi siano testimoni tutti gli abitatori della selva che, mentr'io ti diceva parole convenienti, tu mi rispondesti parole acerbe e sconvenevoli. Onta sopra di te! Perisci! poiché per la rea tua indole di donna, tu sospetti così di me che m'attengo agli ordini di Rama. Ma com'ebbe detto a Sita quelle aspre parole, punto da dolore, prese Lacsmano di nuovo a dirle parole concilia- trici : Me n'andrò là dove si trova Rama; sia tu felice, o donna venusta! ti proteggano, o donna dai grand' occhi, tutti gli Dei di questa selva! Ben mi si mostrano presagi paurosi; deh possa io ritornando rivederti qui con Rama! Uditi que' detti di Lacsmano, la Videhese figlia di Ganaca così gli rispose piena di lacrime : Se io son privata di Rama, o Lacsmano, io m'annegherò nella Godàvari, ovvero m'appiccherò, o abbandonerò il mio corpo in qualche selvaggio sito, od entrerò in un fuoco ardente; ma non toccherò mai neppur col piede altro uomo che il Raghuide. Così dicendo, Sita oppressa dal dolore e piangendo forte offendeva il suo petto colle sue mani. Veggendo piangente e afflitta quella donna dai grand' occhi, il Saumitride la confortò; ma Sita non disse pure una paiola al fratel del suo sposo. Allora Lacsmano, sa- lutata con reverenza Sita ed inchinatosi alquanto a lei,
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poi riguardatala di nuovo, s'avviò circospetto alla volta di Ha ma.
CAPITOLO LII.
COLLOQUIO DI RÀVANO E DI SITA.
Così avvenne che Lacsmano mosso a sdegno dalle acerbe parole dettegli, abbandonò Sita nella gran selva e se n'andò in cerca di Rama. Ma tratti da Marìca lungi di là Lacsmano e Rama , Piavano giudicò aver egli già quasi ottenuto il suo intento. Frattanto il pio Lacsmano agitato da grande paura e guardando tutto intorno , pro- grediva celeremente , ma contro sua voglia. In questo mentre l'eccelso Ràvano inoltrandosi colà, s'avvicinò a Sita con falsa sembianza di mendicante asceta, e vide in quella selva la giovane donna privata dei due fratelli , come il fiero Ràhu affisa in cielo la Luce del crepuscolo (4^) privata del sole e della luna. V ednta in quel sito deserto colei di bellezza incomparabile, l'iniquo re de' Racsasi così fra se pensò : Finché questa leggiadra donna è priva di Lacsmano e del suo sposo , è opportuno ch'io l'affronti ; e coni' ebbe così fra se pensato, ei s'appressò subitamente a Sita sotto forma di mendicante, involto in una sottile veste rossa, con una cresta di capelli al sommo della testa, coi sandali e coli' ombrello, con un fardello appeso all' omero sinistro, col triplice bordone e colla brocca. Veg- gendo colui di forza e d'opre spaventose, gli alberi del Ganasthàna, le varie piante repenti, gli augelli e l'altre creature se ne slavano immobili pei timore, né più spirava
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il v« •<>: veggendo arrivare impetuoso , poi fermarsi colà il re de' Racsasi, si diede a Unire con onde tremanti la riviera G oda vari ; le belve e gli augelli ehe stavan presso al Ganasthàna o nella Pancavati selva ascetica, fuggirono qua e là per paura di colui. Krallanlo Ravano, cogliendo l'opportunità dell'assenza di Rama, s'accostava a Sita con sembianza di mendico; sotto mentila forma ei s' appressò alla Videhese d'ingenuo aspetto, dolente del suo sposo, come il pianeta Saneiscara (Saturno) s'appressa alla stella Citi a. Coperto da quella forma menzognera, come una vo- ragine dall'erbe, l'iniquo Ràvano stette contemplando la sposa di Rama, Sita dai bei labbri, dai denti nitidi, di volto simile a piena luna, seduta in quell'abituro di foglie, oppressa dalle lacrime e dal dolore e piena di pensieri all'annosi pei- l'assenza di Rama e Lacsmano, tutta otte- nebrata come una notte senza luna. Qualunque membro ei guardasse della Videhese giocondo agli occhi, non po- teva da quello rimover la vista (piasi immersa in esso. 11 tristo Racsaso si presentò al line alla Videhese dai grand' occhi simili ad aperti fior di loto, vestita di serici drappi gialli, e ferito dal telo d'amore prese a parlarle lunga- mente in quel sito solitario, proferendo i carmi dei Vedi. Ei lodò quella donna di splendido corpo, somiglianti' ad una statua d'oro, incomparabile nei tre inondi, pari a Lacsmi priva del fior di loto : 0 donna dal bel sorriso, dai begli occhi e dal bel volto, tu risplendi oltremodo, o timida, come un albero fiorente che abbella la selva; è bello e grazioso il tuo seno , adorno d' elette gioie , di perle e d'oro, colmo ed ingemmato, raccolto, tondo, sodo e dilettoso. Chi sei In, o donna di soave aspello,
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che porti ghirlanda di fior di loto e di cerulee ninfee, e sembri l'ormala d'oro con quella tua gialla veste serica? Sei tu, o gentile, il Pudore, la Gloria, lo Splendore, la bella Lacsmi , la Prosperità o la libera consorte dell' Amore . chi sei tu fra costoro, o donna d'amabile cintura? Sono eguali, acuii, belli e nitidi i tuoi denti ; son ben disposi i e graziosi i tuoi sopracigli, ornamento de' tuoi occhi; le tue guance, o donna leggiadra, son delicate e nitide, conformi e ben disposte, graziosamente rilevate, raccolte e appa- riscenti, proporzionate al tuo volto; le tue orecchie or- nate d'oro forbito, belle e ben l'alte naturalmente, risplen- dono curve ed elevate con giusta misura; le tue mani, o donna dai bei lombi, son delicate e purpuree come foglie di loto; è sottile la tua cintura e conforme ali altre tue parli, o donna dal bel sorriso; i tuoi capelli, o gentile, sono divisi in due parti dalla dirizzatura; son pieni ed ampli i tuoi lombi, ed i tuoi femori somigliano alla pro- boscide d'un elefante; son compatti, belli, divini, con dita e piante delicatissime que' tuoi piedi che si fanno ornamento l'uno all'altro', graziosi quando si muovono, leggiadrissimi, simili a gemme di lìor di loto; son grandi e limpidi i tuoi occhi con pupille nere e contorni rossi ; la tua cintura si potrebbe ricingere colla mano; è bella la tua capellatura, fermo il tuo seno. Non mai mi venne ve- duta sulla terra donna di simile beltà, né Dea, né Gan- dharva, né Kinnara, né Yacsa; la tua beltà senza pari al mondo, la tua inalterabile gioventù e l'esser tu qui fra le selve m'inducono a sospettare; tu non dei rimanere qui aspettando, se tu sia felice; è questa la dimoia dei Racsasi terribili, vaganti a lor talento. Soli son degni
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d'essere da le abitati i dilettosi e splendidi palagi, i boschi cittadini colle lor acque adorne di ninfee, e i ce- lesti giardini degli Dei, come il Nandana ed altrettali; a te si convengono, io penso, o leggiadra dai aeri occhi, elette ghirlande, elette gemme, elette vesti e eletto sposo; tu non dei, o fortunata, degna di tutte le delizie abitar miseramente nelle selve, giacendo sulla terra, cibandoti di frutti e di radici , priva d' ogni dolcezza. Chi sei tu , o donna di dolce sorriso e di gentil cintura? Sei tu una dei Rudri, dei Maruti o dei Vasu? tu mi sembri una Dea; sei tu una Gandharva od una Apsarasa? qual sei tu di queste Dee , o eccelsa e nohil donna d' amabile cintura ? Qua non vengono Gandharvi, né uomini, ne Devi; è questa la sede dei Racsasi; come ci sei tu venuta? Qui non v'ha che sciacali, leoni e tigri, pantere, orsi, iene e lupi; come non hai tu paura di queste belve ? Come non temi tu, sola in questa gran selva, o donna di bel sorriso, gli impetuosi elefanti furibondi, simili a monti? Chi sei? Onde e di chi sei tu, e per qual cagione sei tu venuta tutta sola neir orribile selva Dandaca abitata dai fieri Racsasi? Udendo que' detti dell' iniquo Ràvano , la figlia di Ganaca impaurita s' andava per sospetto e per timore ravvolgendo qua e là. Ma rassicuratasi finalmente pensando che colui era un Brahmano, quella leggiadra di sottil cintura fece risposta a Ràvano che avea sembianza di mendico , e guardando quel Racsaso venuto a lei sotto forma di Brah- mano, la Mithilese f onorò con ogni uffizio d'ospitalità. Recatagli acqua da prima ed invitatolo a cibarsi di frutti silvestri, entrò ella quindi in parole con quel reo che si mostrava amico, giudicandolo un perfetto asceta. Ràvano
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osservando quella figlia regale che l'invitava e u;li favel- lava con niente lieta , fermo nel pensiero di rapirla per forza giudicò che otterrebbe il suo desiderio; e veggendo nella selva deserta d' ogni intorno quella donna dai bei lombi che aspettava Lacsmano e lo sposo andati ;i caccia, si sentiva egli tutto contento.
CAPITOLO LUI.
COLLOQUIO DI RAVANO E DI SITA.
Ma la bella Videhese, considerate le soavi parole dette da Ràvano, così prese a favellare : Io son figlia del magnanimo Ganaca Mithilese, sposa del saggio Rama e mi nomo Sita, se tu sia felice. Io abitai per un anno intero nella casa del Ragbuide, godendo delle dolcezze maritali ed abbondevole d'ogni delizia; ma in capo ad un anno il re consigliatosi co' suoi ministri pensò di con- sacrare il mio sposo al consorzio del regno. Mentre che s'apprestava la sacra del Raghuide, un' ignobile donna per nome Caiceyi, circonvenendo con lusinghe il mio suo- cero, suo consorte, gli chiese in grazia de' suoi meriti antichi l'esilio del mio sposo : lo più non dormirò, ella dicea, più non berrò, né mangierò; sarà questo il termine della mia vita, se Rama è consacrato; reca ad effetto, o re, la grazia che un dì tu m'accordasti nella guerra degli \siiri e dei Devi, e adempì la tua promessa; con questa sacra apparecchiata sia sacrato consorte del regno Bharata mio figlio, e Rama sen vada oggi fra l'aspre selve per
quattordici anni, vestito di corteccie e di nera nebride; ii. 18
298 R \M Vi WA.
si mandi prontamente Rama in esilio e sia Bharata con sacrato. Mio .suocero grandi; curule guerriero supplico con giuste parole Caiceyi che così favellava; ma ella non gli diede retta. Mio sposo celebre nel mondo col nome di Rama è fortissimo, virtuoso, veridico e puro, intento al bene d'ogni creatura; ma l'illustre re Dasaratha suo padre, per far cosa grata a Caiceyi, lo privò della conse- crazione; e allor eh' ei venne innanzi al padre per la sua sacra, Caiceyi cosi parlò al mio sposo di saldi voti : Ascolta, o Piaghuide, la grazia che mi concesse tuo pa- dre : « Io darò, efjli disse, a Bharata il regno avito senza nemici;» tu poi, o Rama, dei abitare per quattordici anni nelle selve; parti or dunque e salva da menzogna il padre. Rama mio sposo, saldo ne' suoi voti, rispose a Cai- ceyi in presenza del padre : « Così farò » ed eseguì gli ordini di lei. Tutto darebbe il mio sposo, ma nulla ri- ceverebbe, né mai direbbe menzogna; tale, o Brahmano, è il voto costante e supremo di Rama. Il forte e nobile fra- tello paterno di Rama, per nome Lacsmano, si fece com- pagno a lui ; ei disse al prestante Raghuide parole ragio- nevoli per distorlo dal suo proposto, ma Rama gli rispose : « Il mio animo si diletta nel vero; » e il pio, il saggio, il forte Lacsmano seguitò allora armato d' arco Rama par- tente insieme con me. Noi tre, o Brahmano eccelso, ca- duti dal regno per le parole di Caiceyi, andiamo errando con costanza per le profonde selve ed abbi am fermato la nostra dimora in questa foresta piena di serpi; ti rassi- cura tu però; tu puoi qui rimanere; ritornerà fra poco il mio sposo portando eletti frutti silvestri : narrami tu in- tanto conforme al vero la tua stirpe, la tua famiglia, ed
ARANYAC VNDA. 290
il tuo nome; perchè, o Brahmano, ten vai in solo per la selva Dandaca? io non dubito che Elama li farà degna accoglienza; egli ama i mendicanti asceti e si diletta di ragionare. A Sita consorte di Rama, che in lai modo fa- vellava, il Racsaso fortissimo ferito dal telo d'amore così rispose : Ascolla chi io sono e d'onde io vengo, e ren- dimi onore ailor che l'avrai udito. Io son colui da cui furono sconfitti gli uomini e gli Dei con India; io son Ràvano terror del mondo, che qui venni per vederti, o fortunata, sotto questa mentita forma, e per cui comando, o donna dai bei lombi , Khara custodiva la selva Dandaca; io sono il fratel rivale di Vaisravana, il prode figlio ge- nuino del magnanimo Visravas ; Pulastya è figlio di Brahma ed io sono il nipote di colui, o donna; io ebbi da Brahma il dono di mutar forma a mia posta e di cor- rer rapido come la mente; la mia possanza è celebre e son chiamato sulla terra Dasagrìva ; ma con nome più lamoso nato dalle mie opere m'appello Ràvano l*45), o donna di dolce sorriso. Pur pensando a te che sembri formata d'oro con quella tua veste serica di color giallo, io più non trovo diletto nelle mie donne : sia tu mia consorte sovrana, o Mithilese, prima fra tutte le eccelse donne che mi son spose. La mia città si noma Lanka ed è la più bella fra T isole del mare, tutta cinta dall'Oceano e situata al sommo d'un monte; ella è adorna d'alte aguglie tutte di lucid' oro, è circondata di fosse profonde, coronata di terrazzi e di palagi. La grande città dei Rac- sasi neri come nere nuvole è celebre nei Ire mondi, come Amaravati sede d'Indra; ella è divina, costrutta da \ is- vakarma , larga cento vogani; cola, o Sila, In li diporterai
300 RAM AVANA.
con me fra boschi ameni, uè più sentirai desiderio <li questa dimora nelle selve. Io re sacrato de1 Racsasi ma- gnanimi ho molte spose leggiadrissime ; tu sarai prima fra loro; e cinquecento ancelle .serviranno a te adorna d' ogni sorta d' ornali ; sia tu mia consorte, o imi ni donna, lo conosco i quaranta nove venti, son perito nelle ses- santa quattro arti e so i venticinque principj della San- khyafity; io son Piavano; amami, o gentile. Udite quelle parole, la bella figlia di Ganaca cosi rispose con ira e con disprezzo al Racsaso : lo son fedele al uno consorte Rama inconcusso come un gran monte, inconquassabile come l'Oceano, pari al grande Indra; io son fedele al prode Rama figlio di re, simile a piena luna, donno de' suoi sensi, d'alta fama e di gran valore; io son fedele al fol- tissimo Rama, di largo petto, altero nelf incesso qual leone, come una lionessa a un leon possente. Tu ben agogni me inconquistabile, come un sciacalo agogna una tigre; ma com' è intangibile la luce del sole, così non po- trò io essere da te toccata. Tu vedi per certo, o stolto, alberi d'oro in grande copiai7), tu che qui vuoi rapire me sposa diletta del Ragli uide. Tu pretendi strappar dalla bocca d'un forte leone, irato, impetuoso, nemico delle belve, la carne eh' ei divora, tu che vuoi rapir per forza la sposa diletta di Rama; tu lambisci colla lingua un ra- soio e tocchi con uno spillo gli occhi, o Racsaso, che osi guardare con mente perversa la sposa diletta di Rama ; tu vuoi togliere ad una tigre il giovane suo nato, tu che pretendi fare oltraggio alla sposa diletta di Rama; vuoi traghettar l'Oceano con un macigno appeso al collo tu che brami rapire la sposa diletta di Rama; tu vuoi cani-
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minare sulla punta di ferree aste, se pensi rapire la sposa di Rama a lui conforme; vuoi portar via mi Inoro ardente chiudendolo nel lembo della veste, tu che desideri rapire la fortunata sposa di Rama; vuoi toccare colla mano un nero serpente velenoso, sbuffante e furibondo, tu ehe desideri rapirmi, La differenza che v'ha tra un leone ed un sciaealo, la dillerenza che v'ha tra l'Oceano ed un ruscello, la dillerenza che v'ha tra 1 Surastri ed i Sau- viri(48), tal dillerenza si trova tra te e Rama. La dille- renza che v'ha Ira Taccialo e l'oro, la differenza che v'ha tra la polvere di sandalo ed il limo, la differenza che v1 ha tra un gatto ed un elefante , tal differenza si trova tra te e Rama. La differenza che v'ha tra una cor- nacchia ed il figlio di \ inata (Garuda), la differenza che v'ha tra una pernice ed un pavone, la differenza che v'ha tra una gru e ed un avoltoio, tal differenza si trova tra te e Rama. Finché starà Rama armato d'arco e di saette, pari in possanza ad Indra, io benché fossi rapita, non potrei essere da te digesta, se non come il fulmine inghiottito da una mosca. Si potrebbe rapir Saci ad In- dra, la fiamma al fuoco ardente, Urna a Siva signor del mondo, ma non me a Rama, o Ràvano. Così alle ree parole dettele dal Racsaso rispose l'incolpabile Sita; ma ella tremava sbigottita, come una bella pianta di pislia rotta da un elefante. Vedendo Sita tutta tremante, Rà- vano pari di possanza a ìama le andava rammentando, per accrescerle terrore, la sua stirpe, la sua forza, il suo nome, la sua prodezza.
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CAPITOLO UY.
COLLOQUIO DI RAVANO E DI SITA.
Ma come Sita ebbe proferite quelle parole irose ed aspre , Ràvano aggrottando le ciglia sulla Ironie eosì le rispose : lo sono, o leggiadra, il fratello rivale di Vais- ravana, l'inclito Dasagrìva e m'appello Bàvano, se lu sia felice; io son colui, o fortunata, dinanzi a cui fuggono per paura i Devi coi Gandharvi, coi Pisàci e coi Serpenti, come fuggono gli uomini dalla faccia della morte, colui da cui irato per giusta causa fu vinto in singoiar certame con forza eroica il re Vaisravana che m'era fratello di padre; ond' egli per timor di me, lasciala l'opulenta sua sede, risiede ora sul Kailàsa sovrano de' monti : è questo il grande suo carro per nome Puspaco, movenlesi a sua posta, che io conquistai col mio valore, o fortunata, e sopra cui men vo per gli spazi aerei. Al solo veder la mia faccia irata, o Mithilese, fuggono spaventati per le dieci regioni tutti gli uomini; un dì io vinsi in battaglia con gran prodezza lo stesso Indra circondato da tutte le schiere degli Dei e superbo del furente suo elefante Airàvana; fu da me parimente rotto in battaglia Varuna signor dell'acque, armato delle sue catene, ed ei se ne fuggì rapidamente, o Sita, privato delle sue funi; da me fu cacciato alla plaga australe, d'onde più non si muove per timor di me, Yama che impugna la mazza ferrea e che in battaglia ha per arme la morte ; i Custodi del mondo con tutti gli Dei fuggono impauriti per ogni parte dinanzi
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;i me, quando mi innovo; dove io sono, o Sila, là spira con timore il vento, ed il sole tempera per paura i caldi suoi raggi; stanno immobili le foglie degli alberi, i fiumi rattengono le lor onde là dove io sono e dove m'aggiro. L'ampia mia città per nome Lanka è nel mezzo dell1 Oceano, popolata di Racsasi terribili, cinta d' alti e bian- chi baluardi, bella a vedersi, con porte d'oro ed archi di gemme e di lapislazzoli, simile ad Amaràvati sede cf In- dici. Llla ò piena di carri, di cavalli e d'elefanti, echeg- giante del suono di stromenti, adorna di bei giardini con alberi copiosi d'ogni sorta di frutti desiderabili : abitando colà con me, o regale e egregia Sita, tu più non ti ricor- derai delle donne umane; godendo quivi, o leggiadra, di supreme delizie sovrumane, più non ti ricorderai di Rama , uom perduto. Dopo aver posto al governo del regno il caro suo figlio Bharata, il re Dasaratha mandò quindi fra le selve l'inetto suo figlio primogenito; che farai tu, o donna dai grand' occhi, di quel tuo Rama stolto ed espulso dal regno? che farai tu asceta con un asceta? Non voler tu rifiutare il re di tutti i Racsasi, che ferito dal telo d' amore qui venne spinto da desiderio ardente; perocché ricusando me, o timida, tu cadresti in gravi angoscie, come Urvasi che percosse col piede Purùravas. Intesi que' detti , la Videhese irata e con occhi accesi rispose al re de' Racsasi dure parole in quel de- serto luogo : Come mai vantandoti d' esser fratello del Dio Vaisravana venerato da ogni creatura, vuoi tu qui fare cosa rea? Per certo periranno, o Ràv'ano , tutti i Racsasi di cui sei re tu violento , insano e dissoluto. Ben potrebbe rimanere in vita chi rapisse Saci consorte d'In-
30 li RAMAYANA.
dra; ma non potrà vivere colui che qui mi rapnà a Rama; vivrebbe forse lungamente, o re de'Racsasi, colui che rapisse Saci consorte del Dio che impugna il fulmine; ma non vivrebbe lungamente ^ ama stesso, se facesse oli raggio a Rama. Tu dopo avere oppresso in dura guerra le schiere de' Siddhi e de' Brahmani, lasciando qui la feroce e al- tera tua possanza, te n'andrai ucciso dalle ardenti saette del Raghuide di qua al regno di ^ ama.
CAPITOLO LV.
RAPIMENTO DI SITA.
Udite quelle parole di Sita, 1' eccelso Dasagrìva stropic- ciando l'ima coli' altra le sue mani , ingrossò fuor di modo il suo corpo. Quel Ràvano re de' Racsasi , che avea sem- bianza falsa di mendicante, riprese la natia sua forma con ampio corpo e grande collo ; lasciato subitamente il mansueto sembiante di pio mendico, il Racsaso, fratello minore di Vaisravana , ricuperò la propria sua forma simile a quella di Yama. Egli apparve con larga fronte e con occhi sanguigni, con lato petto e grandi braccia, con denti di leone e con omeri di toro, con membra chiazzate e capelli ardenti; era nero, coi peli arricciati, simile a un nero e lucido monte; vestiva panni di color di sangue, avea smaniglie d' oro forbito ed era orribile a vedersi. Il Racsaso allora così rispose a Sita dai neri capelli e dagli splendidi ornati, la quale avea smarrito ogni sentimento : Se tu ancor ricusi la mia mano di sposo , or che mi vedi nella vera mia sembianza, o donna, io ti piegherò per forza
ARAN^ VCANDA. 305
ni mio volere; tu ti glorii de] valor di Rama, il cui pen- siero è tutto rivolto in te; stollo! lo ben veggo che a te mai non giunse la fama dell1 m comparabile mia possanza. Fermo su nell'etere io solleverei colle mie braccia la terra; io asciugherei 1' Oceano e darei in battaglia morte a lama; io precluderei la via al sole colle mie saette acute e squarcerei le viscere della terra : guarda , o stolta , me sovrano, dator d'ogni cosa desiderata e mutante forma a mio talento. A quelle parole di Ràvano la Videhese guardò gli occhi del Racsaso irato, ardenti come fiamma e cerchiati di sangue. Era il Racsaso Dasagrìva acceso nello sguardo, con armine d'oro forbito, armato d'arco e di saette; e quel scelerato somigliante a nera nuvola, vestito di veste sanguigna se ne stava guardando con occhi ardenti la Mithilese inclita fra le donne. Quindi Ràvano così prese a dire a Sita dai neri capelli , dalla bella veste e dai begli ornati, simile alla luce del sole : Perchè sei tu, o Sita, così affezionata a quel tuo stolido Rama che veste vile corteccia ed è riarso dal vento e dal calore? Se tu desideri uno sposo celebre nei tre mondi, accettami tu al fine; io ti sarò nobil sostegno. Tu non avrai unqua da me, o fortunata, ne pena né fastidio; lascia l'amore che tu porti ad un uomo e poni in me il tuo affetto: non darti affanno, o timida, perchè io sia un Racsaso; io t' accerto che sarò sottomesso al tuo volere. Quando tu sarai in Lanka, io non ti dirò per un anno intero cosa dis- cara al tuo cuore, finché non sia entrato nella tua mente l'obblìo di Rama. Per quali sue doti , o stolta che ti credi di sapere, ami tu Rama caduto dal regno, sfortunato e d' età circoscritta, il quale per le parole d'una donna las- ii. 39
306 RAMAYANA.
ciancio gli amici e il regno, venne stollo ad abitare in questa selva frequentata da serpenti? Coni' ebbe cosi par- lato alla Mithilese , F iniquo Ràvano affascinato dall' amore afferrò Sita, come il pianeta Budbn (Mercurio) assale Rollini in cielo. Sita allora oppressa dalle lagrime e sde- gnata disse a HA vano : Tu sarai spento, o iniquo, dalla forza del magnanimo Rama; tu perderai la vita co' tuoi seguaci, o reo, o peggior di tutti i Racsasi. Le nere facce del tristo Ràvano s'accesero di viva luce a quelle parole di Sita; ed ardendo quasi co' suoi ocelli infiammati , colle sue ciglia aggrottate e orribili la Videbese, Ràvano ardente d'ira ghermì colla mano sinistra ne' capelli la bella Sita dagli occhi di loto, e colla mano destra la prese ne' ban- chi. Afferrata dal prepotente Racsaso, Sita gridava : Tu non mi difendi, o nobil Rama! Dove sei, o prode Lacs- mano ! Veggendo quel Racsaso fortissimo, simile al vertice d'un monte, armato di denti acuti, fuggirono impauriti e esterrefatti gli Dei di quella selva; ed esso insano per amore , presa la donna diletta di Rama che si dibattea , come la femmina del re de' Serpenti, si levò in aria; si sollevò quel forte tenendo Sita nelle sue braccia, come si leva Garuda a volo dopo avere rapito la femmina del re de1 Serpenti. Ferino in aria si vedea il divino e magico carro di Ràvano , aureo, altisonante e tirato da asini; sopra quel carro il Racsaso depose la Videbese, minacciandola con gran voce e con dure parole, e tenendola sul suo grembo. Era il tempo dell' equinozio autunnale in cui sono eguali la notte e il giorno, e f ottavo dì della luna scema (49), quando il Racsaso rapi la Videhese, come un Sudra ra- pisce la sacra parola dei Vedi. Quella pia rapita dal Racsaso
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chiamava dolente lo sposo che ora lontano nella selva : Oli regal figlio , accorri ! Quindi mentre ch'era dal re de'
Parsasi portala \ia pei- l'aria, ella cosi parlava con dehol voce ed angosciata, come insana e fuor di senso: Oh Lacsm ano dalle grandi braccia, caro all'animo di Rama, non sai In dunque eh' io son rapila dall' iniquo Ràvano? Tu pur sei uso a domare chi è avverso a riama, o prode, opio, o forte, o verace, o glorioso? Non vedi or tu ch'io son rapita da un Racsaso e che non ho chi mi protegga? Tu domasti , o eroe , i malvagi Racsasi ; perchè non raffreni or tu questo Ràvano scelerato! Ma ben si coglie quaggiù il frutto d' ogni opra contraria al giusto e al vero, e Ràvano per certo coglierà un frutto mortale dal suo misfatto. Sia ora pur contenta Caiceyi co' suoi congiunti; ecco al line io son rapita , io consorte eguale d'un uom fedele al giusto ! Sia oaai lieta la rea Caicevi, da cui lu cacciato nella de- scila selva Rama eolla sua sposa ! Io ti saluto, oGanasthàna, addio alberi fiorenti, deh annunziate prontamente a Rama che Ràvano rapisce Sita! Io li saluto, o monte Prasravana dagli alti vertici e dai bei fianchi, deh annunzia pronta- mente a Rama che Ràvano rapisce Sita! Io vi saluto, o piante floride ed odorose che abbellite la foresta, deh annunziate prontamente a Rama che Ràvano rapisce Sita! lo ti saluto, o riviera Godàvari piena d' arde e e di cigni, deh annunzia prontamente a Ina ma che Ràvano rapisce Sila ! Io v' adoro, o Dei di questa selva ricca d' alberi, deh annunziate al mio sposo eh' io son rapita! Io ricorro a tutte le varie creature quante elle sono, che abitano in questa gran selva; quante sono le schiere degli augelli, quanti sono i robusti animali abitatori di questa selva, io ricorro
308 R VMAYANA.
a tutti, e desidero che s' annunzii a Rama che, inculi' egh e Lacsmano eran lontani, io fui rapita da Ràvano; dite al Raghuide mio sposo che io sua diletta, più cara a lui che la vita fui rapita per forza da questo Racsaso; se quel magnanimo dalle glandi braccia saprà ch'io fui rapita, mi ritoglierà colla sua possanza anche dal regno di Vania.
C MMTOLO L\ I.
COMBATTIMENTO DI RÀVANO E DI GATÀYUS.
Ma sull'amena sommità d'un monte, in una selva piena di recessi stava giacendo, col dosso rivolto al sole ardente, il prode re degli augelli, robusto e forte. Egli udì colà nel sonno un suono simile a voce proferita. Da quella voce entrata per la via degli orecchi, il re degli augelli fu percosso al cuore come da fulmine che cada, e risvegliatosi subitamente per f amor che portava a Da- saratha, egli udì il fragor d'un carro, simile a strepito di nube. Riguardando il cielo per tutte le plage a mano a mano, Gatàyus vide Ràvano e la figlia di Ganaca pian- gente. Veduta la nuora di Dasaratka rapita, il re degli augelli preso da grande sdegno si levò rapidamente a volo e preclusa, volando, la via al carro di quel Racsaso, il possente augello si librò sull'ale, ardente d' ira. Impe- dita la via del carro, a guisa d'un monte, l'inclito re degli augelli si posò quindi sopra un grand' albero e disse queste nobili parole : Io sono, o Dasagrìva, il fortis- simo re degli avoltoi per nome Gatàyus, verace e saldo nella giustizia antica; tu sei il possente sovrano della
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stirpe dei Racsasi, dai quale furori più volte superali in guerra gli Dei : tu vedrai or ora in battaglia, o Paulastya, la forza di me benehè vecchio augello e svigorito, ne tu te n'andrai vivo di qua. Rama Dasarathide pari ad India e a Varuna e intento al bene degli uomini, è re del mondo intiero; di quel signor del mondo è consorte eguale costei che s'appella Sita, illustre e bella, che tu pretendi qui rapire. Come mai un re fedele alla giustizia farebbe ol- traggio alle donne altrui ? ai reggitori della terra s'ap- partiene principalmente il difendere le altrui donne; ri- movi or dunque il tuo pensiero, o vile, dall' offender la donna altrui , acciocché io non (i precipiti dall' eccelso tuo carro, come un frutto dal suo gambo. Non dee un eroe far cosa che altri vituperi , e debbe così difender le donne altrui, come la sua propria; rifletti a questo. Egli è vero che uom non può spogliarsi facilmcnle la propria sua natura ; e colui che è generoso non può abitar lunga- mente nella casa d'un malvagio. Ma, o Paulastya, non pensi l'uomo ad ottener con mezzi iniqui ed alieni dalla giustizia l'utile od il diletto, eh' ei non potè conseguire attenendosi alle dottrine regolatrici della vita (50). Il re è il supremo ricettacolo dell'utile, dell'onesto e delle ric- chezze; la giustizia, la felicità o la sventura procedono dal re come da lor radice. Come mai tu incostante e di rea natura, o vilissimo dei Racsasi, hai pur conseguito la sovrana possanza , a guisa d' un uom malvagio che otte- nesse un seggio celeste? Se l'incolpabile e giusto Rama non mai ti fece offesa né dentro la tua città né nel tuo regno, perchè offendi tu lui? Qual colpa ha Rama, se l' iniquo tvhara andando precipitoso al Ganasthàna per
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causa di Surpanacha, perde quivi la vita? Se quattordici mila Racsasi v'andarono dopo lui per uccidere Rama e Lacsmano e furono spenti dal Raghuide, dimmi schiet- tamente, dov'è qui la colpa di Rama signor del mondo, di cui tu pretendi rapir la sposa? Rilascia orsù pronta- mente Sita, affinchè egli non t'arda col terribile ed igneo suo sguardo, come un dì il fulmine d'Indra arse Vritra. Tu non t' avvedi che hai legato al lembo della tua veste un serpente velenoso; non t'avvedi che hai sospesa al tuo collo la catena della morte. Quella sola passione, o stollo, si dee accogliere, la qual non perda l'uomo; ma non si dee togliere una gemma che porti con se rovina. Quelf opra ch'altri facendo distruggerebbe la giustizia, quelf opra ch'altri facendo distruggerebbe la sua fama e cor- romperebbe il suo corpo, tal opra non dee egli lare. Corsero sessanta mila anni, o Ràvano, dal dì ch'io nac- qui e che io reggo con giustizia il regno avito; io son vecchio; tu sei giovane e forte e stai armalo di lorica e di saette sopra un carro ; con tutto ciò non te n' andrai tu salvo, portandone la Videhese; tu non sei atto per giuste ragioni a rapir, me veggente, per forza Sita, come non potrebbe un Sudra rapir la sacra parola dei Vedi. All'udir quelle giuste parole di Gatàyus; i venti occhi del Racsaso irato scintillarono orribili come fuoco ; e collo sguardo infiammato dall' ira, colle sue armille d'oro forbito il re de' Racsasi s'avventò sdegnato al re degli au- gelli. Fu terribile in quella gran selva il combattimento di quei due, come lo scontrarsi in cielo di due nuvole spinte dal vento. S'azzuffarono 1' un colf altro il possente Ràvano e Gatàyus armato d' artigli e ferente col becco e
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coli' ale : era maravigliosa e grande quella pugna del Rac- saso e dell' avoltoio, e l'alto lor fragore su per l'aria so- migliava allo strepito di due nubi. Ràvano oppresse allora con onde orribili di saette, di dardi e di giavellotti acuti e dritti il re degli avoltoi, e questi ricevette in quella battaglia il nembo di saette ed i ìacoli di Piavano; ma poscia acceso d' ira 1' avoltoio ampio come un monte si precipitò sopra il dorso di Piavano e tutto lo squarciò coli' unghie ; e cogli artigli unghiati e acuti quel fortis- simo re degli augelli gli fece pei" tutto il corpo ferite sanguinose. All' incontro Dasa<na va oltremodo irato, con saette impennate d' oro e pari a fulmini lacerò il re degli avoltoi. Ma il sovrano augello non curando le saette scoc- cate da Ràvano e i fieri suoi colpi, si scagliò contro lui volando, e sollevate sopra il suo capo l'ale, il robusto avoltoio ardente d' ira percuoteva con esse Ràvano. Quindi co' suoi artigli il forte re degli aligeri ruppe le saette di lui e l'arco ornato di gemme e di perle; e rotto l'arco splendido e divino di Ràvano, ei si gettò sopra lui colf ale, e ferendo con ispessi colpi il divino ed aureo suo diadema, tutto adorno di gemme, il forte re degli aligeri acceso d'ira lo fé cadere giù per l'aria; quel diadema risplendeva cadendo, come splende il disco del sole. Per- cotendo gli asini che avean facce di Pisàci e gualdrappe d'oro e lacerandoli con furia, li uccise l'augello in poco d'ora; ei spezzò il terribile gran carro, moventesi a sua voglia, distinto di perle e d'oro e adorno di belle ruote e di bel timone ; e scrollando e lacerando 1' auriga col suo artiglio simile all'uncino con cui si stimola l'elefante, lo gettò giù dal carro a furia. Privato del carro, coli' arco
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rotto, uccisi cavalli e auriga, Ràvano, presa sul grembo la Videhese, saltò a terra. Veduto Piavano a terra col carro infranto, le creature lodarono il re degli avoltoi gridando : Bene! bene! e guardando coi Mimi e cogli Dei vinto dal sovrano augello quel rompitor degli eserciti nemici, non mai superato in battaglia né dagli Asmi né dai Suri, eran compresi da maraviglia. Gli Dei celebra- rono T eccelso augello che avea quivi fatta una così ardua prova, e il sovrano degli augelli, mentr è lodato, se ne sia pronto a ricominciar la pugna.
CAPITOLO LVII.
MORTE DI GATÀYUS.
Ma fatta quella gran prova, il vecchio Gatàyus rimase affaticato, e Ràvano lo guardava. Veduto affranto dalla vecchiezza il sovrano degli aligeri , il Racsaso togliendo Sita, si sollevò di nuovo tutto lieto in aria. Ma il re degli avoltoi levandosi a volo, così parlò a Ràvano che ne por- tava stretta al suo grembo la figlia di Ganaca : Tu rapisci, o stolto, per la rovina de' tuoi Racsasi la sposa di Rama, le cui saette son simili al tocco del fulmine; tu co1 tuoi congiunti e amici, col tuo esercito, co' tuoi ministri e con tutta la tua corte inghiotti questa bevanda velenosa, come f assetato beve l'acqua. Gli stolti che non discer- nono le conseguenze de1 lor atti, periscono prestamente, siccome tu perirai, o Ràvano. Tu sei legato dalla catena della morte, per qual via potrai tu svincolartene? Tu sei come un pesce che ha inghiottito per la sua morte colla
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carne l'amo. Rama non sopporterà l'oltraggio fatto alla Milli dose, come il leone non tollera 1' offesa eli' ei riceve, né il serpente soffre d'essere calpestalo; no, non mai i prodi Rama e Lacsmano sopporteranno l' ingiuria fatta ad una consorte sovrana, ne la violazione del loro abituro. Dacché tu, crudele, iniquo ed empio vuoi con mente fura rapir Sita, In sei, come una vittima, devoto al sacri- fizio. Il prode o rapisce uccidendo chi 'gli contrasta , o giace spento dalle saelle del suo nemico; ma non mai un eroe calca le vie del ladro. T'arresta dunque un istante, o Ràvano, e combatti se sei un eroe; tu giacerai morto sulla terra, come il tuo fratello Ivhara ; in breve ora l'inclito RamaDasarathide, costante nel dover dei Csatri ucciderà, benché in abito d'asceta, te da cui furon più volte scon- fìtti in battaglia i Daitvi e i Dànavi. Udite quelle parole del re degli augelli, il re dei Racsasi orgoglioso cosi ris- pose con occhi accesi d' ira : Tu hai mostrato abbastanza il tuo amore verso il re Dasaratha; tu ti sei sdebitato pa- rimente verso Rama; or non voler più affaticarti invano. A que' detti cosi rispose imperturbato il sovrano augello : Fa vedere orsù qual sia il tuo valore, la tua forza, la tua virtù e la grande tua possanza; tu non fuggirai da me vivo, o crudele. L' opra che imprende l'uomo giunto al termine della sua vita, tal opra hai tu intrapreso per la tua rovina. Qual sovrano delle genti, foss' anche l'eccelso Brahma, farebbe, o iniquo, un'opra, le cui conseguenze siano ree? Colui che è crudele, intollerante, mancalor di fede , rapitor delle donne altrui , brucia nell'orribil Tari aro , arso dalle proprie sue azioni. Delle quelle nobili parole
al Racsaso, il prode Gatàyus si slanciò con impelo sopra ii. 40
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il dorso di Dasagrìva, la cerandolo porla schiena cogli acuti suoi artigli, simili ad uncini; ed il Racsaso dilanialo dai colpi dell1 unghie e del becco, e stretto fra lo acute branche si dibattea per ogni parte, come si dibatte un elefante sotto al montatore che gli sta addosso. 11 sovrano dogli augelli gli squarciò coli1 unghie il dorso, e con colpi d'arti- gli e di becco acuto tutta gli ruppe la cervice; oi gli fé do- lenti gli ocelli per tulle le sue facce e gli stracciò le chiome colf unghie, col becco e colf ale. Il Racsaso cosi dilanialo a mano a mano dal re degli avolloi tremava colle labbra agitato dall' ira, e prosa Sita sul sinistro suo fianco, per- cosse irato e impetuoso colla palma della mano Gatayus. Ma questi adirato alla sua volta fece in quella battaglia or colf ale, or col becco, or cogli artigli Ràvano somi- gliante al color d1 un aperto fior cV asoca. Ma il forte Dasagrìva vie più infiammato nelf ira, rilasciata la Vido- hese, tutto ruppe con calci e pugni il re degli avoltoi. Durò alquanto la battaglia d' amendue que' fortissimi, fimo capo dei Racsasi, l'altro sovrano degli augelli. Ma Ràvano al fine tagliò colla spada 1' ale, i fianchi e i piedi di Gatayus che s' affaticava in prò di Rama, e f avoltoio colf ali rotte dal fiero Racsaso cadde subitamente a terra semivivo. Veduto Gatayus caduto a terra e insanguinato, la Videhese corse dolente a lui, come ad un suo con- giunto, e il signor di Lanka guardava ferito a terra e con- torcentesi il generoso e misero Gatayus, nero per tutto il corpo come una nuvola, e bianchissimo nel petto. Quindi Sita dal volto simile alla luna, abbracciando con istretto amplesso l'aligero giacente a terra, vinto dalla spada di Ràvano, pianse amaramente.
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CAPITOLO LVIII.
PARTENZA DI RÀVANO.
\lcnlie il re ile1 Piaesasi guardava colà giacente a lena e insanguinato, tremante, semivivo e fuor di senso Gatayus e la Videhese prostrala in terra; mentr' ei guardava il suo auriga, gli asini con facce di Pisaci ed il magico suo carro rotto , ei vide pure atterrati e uccisi dal re degli avoltoi colui che portava il regale ombrello e i due che tenevano le ventole crinite. Ma Sita dal volto soave come la lima lamentava dolentissima il re degli avoltoi ferito da Ràvano e caduto : La verità de' sogni portentosi che veggon gli indizi delle cose future, appare infallibilmente ne' casi umani avversi o prosperi. Tu eri, o re degli aligeri, l'a- mico del sovrano e magnanimo Piaghuide , e per causa di me t'avvenne si fatta morte. Tu prendesti le veci del re Dasaratha e di mio padre re di Mithila; tu fosti il pro- tettore dell'eccelso e magnanimo Raglimele; tu generoso sostenesti aspra battaglia in prò di Rama , e n' avesti , o saggio, misera morte. Ecco giace spento a terra colui che avrebbe annunziato a Rama ch'io pur vivo, benché ridotta a tale stato : oh questa è l'ora del mio morire! Per certo ignora Piama la grande sventura sopravvenuta; e mentre ei corre coli' arco teso, non sa che Ràvano s'aggira in questa selva. Intanto la Videhese esterrefatta chiama piangendo iteratamente or Rama, ora Causalya ed ora Lacsmano. Ma il re de' Racsasi corse di nuovo addosso a Sita disco- lorata il volto, scompigliata il serto e gli ornamenti, la
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([naie s' aggrappava ai rami, abbracciava 1 grandi alberi e gridava con voce soave : Oh soccorrimi! soccorrimi! Hàvano pari a Vania prese per li capelli, come volesse ucciderla, quella misera privata di Rama fra le selve e gridante con debol voce. Eran dolenti e costernali tulli i grandi Risei abitatori della selva Dandaca, veggendo Sita cosi oltraggiata; lutto (pianto l'universo con ogni cosa mobile ed immobile era involto in cieca tenebra, mentre Sita era in tal modo violentata; e l'eccelso1 Brabma con- templando col suo occhio divino l'infelice Sita cosi op- pressa, proferi queste parole :« L'opra fatale è consumata. - Ràvano intanto, presa la figlia di Ganaca che piangendo chiamava Lacsmano e Rama, si slanciò per f aria a volo. La figlia regale col suo corpo ornato d'oro forbito, colla gialla sua veste serica cosi risplendeva per lo cielo, come YApsarasa Saudàmini; e Piavano colla veste gialla di Sita ondeggiante intorno a lai così tutto risplendea, come un monte acceso dalle fiamme. Nero come una nera nuvola, colle sue armille d' oro forbito ei somiglia ad una nube spinta dal vento, che ne porti 1' Apsarasa Saudàmini; e 1' aurea veste serica di Sita ondeggiante all' aria somiglia ad una nube cuprea colorata dal sole nella stagione estiva. 1 flavi ed odorosi fior di lo lo di quella donna un dì cosi felice coprivan, cadendo, Ràvano; e splendevano per Paria la divina sopravveste, P odoroso unguento e i serti che un dì le diede Anasùya. Il puro volto di Sita stretto al grembo di Ràvano rassomigliava alla luna nascente che apre una nera nuvola; e la Mithilese del color dell'oro cosi ornava il nero re de' Piacsasi , come un' aurea zona adorna una nera gemma. La figlia di Ganaca ornata di
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lucid'oro e simile ;il color d'una ninfea, illuminava il fosco Ràvano, come il lampo illumina mia nube col suo guizzo; ed il nero re de'Racsasi percosso dai tintinnanti ornamenti della Videhese, rendeva per lo cielo imagine d'una nuvola rumoreggiante. Una soave pioggia di fiori spiccatisi dal capo della rapita Sila, cadde sopra la lena, ed altri fiori scossi d'ogni parte dall' impetp di Ràvano inondavano Dasagriva : un nembo di bori inondava Ràvano, come copre la terra una pioggia di bori caduta da un albero eccelso. Cadde scosso a terrai' ornamento de' piedi della Videhese, lucido come fuoco e simile ad un cerchio di baleni. La "Videhese lucente qual oro forbito ornava il nero re de'Racsasi, come una zona d'oro adorna un elefante. Cosi il fratello di Vaisravana rapiva per le vie eteree Sita che rifulgeva in cielo col suo splendore, come una gran meteora. I suoi ornamenti lucidi al par di fiamma caddero subitamente dall'aria in terra, simili a stelle devastate che precipitino dal cielo. Il bianco e splendido monile della Videhese cadendo infranto dal suo collo, somiglia alla Ninfa Gange cadente giù dall'etere. Allora gli alberi pieni di vari augelli e scossi dal vento parevano dire coi loro rami agitati : « Non temere; » gli stagni co- perti di ninfee coi loro fior di loto inariditi, coi loro pesci ed animali aquatici spaventati, compiangevano quasi, come suoi amici, la figlia di Ganaca; i leoni, le tigri, gli elefanti e l'altre belve correvano sdegnati dietro a Sita in quella gran selva, seguitando la sua ombra; col rim- bombo delle lor cascate, colle lor cime sollevate a guisa di braccia, gemevano (piasi i monti, mentre Sila era ra- pila; e veggendo portala via la Videhese, si fé mesto il
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sole e, smarrita la viva sua luce, impallidì. « Non v ha più giustizia, non v'ha più vero, né rettitudine né pitia; poiché Ràvano rapisce Sita consorte di Rama: » così dice- vano dolenti per lo cielo tutte quante le creature , vedendo T inclita Sita oltraggiata da Piavano. Ma Dasagrìva ne por- tava intanto per la sua rovina la nobile Videhese che andava gridando con voce soave : Oh Rama! Oh Lacsinano! riguardava sovente la terra, ed avea scomposte le chiome e smarrito il senso. La Mithilese dal dolce sorriso, sepa- rala dai suoi congiunti, priva di Lacsmano e di Rama, piangente e scolorata, rimase quindi come oppressa dallo stupore e dalla paura.
CAPITOLO LIX.
MINACCE A RÀVANO.
Ma nel mentre che la pia Videhese se n andava ra- pita e stretta al grembo di Ràvano, così parlò tutta pian- gente e cogli occhi rossi di pianto e d'ira al re de'Rac- sasi terribile nello sguardo : Ren qui si scorge, o re de' Racsasi , la grande tua prodezza ! Non ti vergogni tu d'opra così fatta, o vile, che vedendomi tutta sola, sei venuto a rapirmi per forza? Per certo, o iniquo, tu volendomi rapire hai per paura allontanato il mio sposo con prestigi e con una fìnta sembianza di cervo. Ren qui si scorge, o re de'Racsasi, la grande tua prodezza! Io fui da te con- quistata con nobile battaglia, proferendo tu aperto il tuo nome ! 11 grande tuo spediente che atterrì il mio cuore , fu il mandar fuori un suon pietoso somigliante alla voce
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di Elama; come non t'adonti, o vile, d'aver latto una lai opra vituperevole, d'aver rapito una donna e di nascosto al tuo avversario? Racconteranno le genti per la lena questo fatto ignominioso, crudele e iniquo di te che li vanii d' esser prode. Onta alla tua prodezza, alla pos- sanza che vanti tu stesso! Onta ad un lai tuo modo di procedere che infamerà nel mondo la tua stirpe ! Che cosa può altri fare in tal frangente, mentre tu te ne fuggi via? T'arresta un solo istante, e per certo non te n'andrai In vivo; che venendo agli occhi di quei due forti, tu non potrai rimanere in vita un sol momento, quand'anche avessi conte un esercito; tu non potrai sostenere in alcun modo il tocco de' dardi di quei due, come non può un uccello nella selva sostenere il tocco del fuoco ardente. Ma ti tornerà inutile la frode , con cui tu pretendi pos- sedermi per forza, o iniquo; che io privata del mio sposo pari ad un Dio e caduta in potere d'un nemico non po- trò lungamente sopportar la vita. Vero è il proverhio, o Racsaso, che s' ode per la terra; se tu non l' udisti ancora, ascoltalo da me tuttoché giovane : « Colui che è destinato a morire, non fiuta l'odor d'una lampada estinta, non ascolta le parole d' un amico , non vede Arundhati (51) ». Tu disconosci per certo il tuo bene ; che pur vuoi rapire me che ho un eroe per protettore; ma a coloro che vogliono morire, non piace quello che è salutare. Io ti veggo colla catena della morte avvinta al collo, e poiché in tanto pe- ricolo tu pur non temi, o Ràvano, tu vedi certo per istoltizia alberi d'oro. Tu vedrai, o Ràvano, Vaitarani, la riviera della morte, che volve alcali profondi, e là gran numero di lame orribili di spade; tu vedrai la vasta Sài-
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mali (52) che somiglia ad oro acceso, ha foglie di verde cupo e del color di lapislazzoli, e spine di ferro acute. Tu sei legato, o Ràvano dalla catena inestricabile della morte; dove troverai tu scampo dal magnanimo mio sposo? Dopo aver fatto a colui un tanto oltraggio, tu non puoi più vivere lungamente, o Ràvano, come lo stolto che ha bevuto il veleno. Solo, senza il magnanimo suo fratello egli uccise in battaglia in mi batter d'occhio (jiiallordici inda Racsasi ; or come il forte e prode Rama esperto in ogni sorta d'armi non ucciderà egli colle acute sue saette te suo mortai nemico, rapitor della sua sposa? Queste ed altre panile acerbe diceva piangendo in suon pietoso la Mithilese stretta al grembo di Ràvano ed op- pressa dall'affanno e dal dolore. Ma intanto l'iniquo Racsaso ne portava quell'afflitta e dolentissima, che la- mentando dicea parole flebili e si dibattea misera ed in- felice con tremilo e con lacrime.
CAPITOLO LX.
ENTRATA DI SITA IN LANKA.
Lieto e turbato ad un tempo il re de Racsasi tenendo la figlia di Ganaca, percorrea con grande prestezza le vie del cielo. Atterrato in battaglia il fortissimo Gatàyus, s'avviò quell'insensato ad oriente del Ganasthàna, e ri- guardando con occhi intenti tutte le plage, ei s'indirizzò precipitoso e folle alla volta del fiume Pampa. Trasvo- lando sopra il fiume Pampa, il re de'Racsasi pervenne al monte Riscyamùka colla Mithilese dirotta in pianto. La
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rapita Videhese non trovando protettore in alcun Luogo, vide sulla cima di quel monte cinque robusti scimi, e quella leggiadra dai grandi occhi, lascio cadere in mezzo a loro la serica sopravveste del color dell'oro c<l i splen- didi suoi ornamenti, pensando : « se forse costoro potes- sero dar di me notizia a Rama. «Cogli occhi fissi alla terra e versando lacrime, ella gettò rapidamente in mezzo a que scimi la sua veste ed i suoi ornamenti; e Ràvano in quella sua precipitazione non s'accorse ch'ella rimase priva de' suoi ornati e del divino suo diadema. Que1 no- bili scimi guardarono allora coi rossi loro occhi intenti la bella Sita dai grand' occhi , che piangendo lasciava cader cfuccjli ornati in mezzo a loro Caddero gli ornamenti e i vari serti rotti e la nobile sopravveste di Sita che si di- battea; quegli aurei ornati, splendidi come fiamma, nitidi come segni costellati (nacsatri) caddero sopra l'alte pia- nure del monte; e Ràvano non s'avvide per la sua foga che la Videhese gettava quegli ornamenti in mezzo ai scimi. Ma il Racsaso, veduto il fiume Pampa ed il monte Riscyamiika ed osservate quivi le regioni, divisò il suo cammino; ed oltrepassata la riviera Pampa, s'avviò diritto alla città di Lanka, tenendo la Mithilese che piangea. Ei trapassò per l'aria selve, monti, laghi e fiumi, rapido come la saetta che si spicca dall' arco. I Caiani allora inorriditi proferirono per l'aria queste parole : «Un tal misfatto sarà cagion di morte a Dasagrìva. » Egli oltre- passò in un momento il mare signor de' fiumi , sede im- mortai di Varuna, asilo di coccodrilli e di mostri aquatici; e l'Oceano si mostrò fummante, con onde sconvolte, co' suoi pesci e serpenti itali, mentre Sita era rapita. Oltre-
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passato il mare e giunto a Lanka, Ràvano v'entrò rapi- damente, tenendo Sita che dovea essere La sua morie; ed entrato nella città di Lanka dalle grandi vie ben scom- partite, ei depose Sita, come f Asino \la\o depose Maya. Chiamate quindi donne Pisàce orribili a vedersi, il re de Racsasi commise loro in custodia la Videhese; e stando elle innanzi a Ini raccolte ed ni allo reverente, Ràvano così lor disse : Si dee da voi vigilare allentamente che né donna ne uomo vegga cosici senza il mio assenso; qua- lunque cosa ella desideri, gemme, perle od oro, vesti, velli o polveri di sandalo, tutto si dee a lei donare; io lo consento. Colei che scientemente o inscientemente dirà a Sita cosa alcuna dispiacevole, non ha cara la sua vita. Dette alle Racsase quelle parole, f eccelso re di Lanka uscito dal gineceo, stette pensando che cosa dovesse fare; e poich' ehhe lungamente considerato, Ràvano chiamò a se otto prestanti Racsasi di gran forza, ed infatuato pel- li doni avuti cosi ei parlò con lusinghe a que' terribili e possenti Racsasi , lodandoli di forza e di valore : Armati di tutt' armi andate prontamente, o Racsasi, di qua al Ganasthàna che era un dì sede di Khara ed or è fatto sede di morti. Saldi nella vostra viri! possanza e cacciata lungi da voi ogni paura, ponete colà vostra dimora in quella region deserta dove furono spenti i Racsasi : perocché quella grand' oste ch'io posi a guardia del Ganasthàna, capitanata da Khara e Dùsana, fu uccisa in battaglia da Rama a furia di saette. Per la disfatta di quel grande esercito da me spedito nacque , o Racsasi , tra me e Rama una fiera e mortale inimicizia; io desidero venire a capo della mia nimistà contro queir iniquo; né potrò
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più prender sonno, finché non sia ucciso in battaglia Rama. Per la qual cosa voi dovrete adoperarvi ad uccidere quel mio nemico; quand' io udrò esser spento quell' uccisor di Khara e Dùsana, n'avrò gran gioia, come il povero che ottiene ricchezze. Stando voi nel Ganasthàna, dovete ragguagliarmi esattamente di ciò che faccia Rama; ogni Racsaso dee usar sollecitudine e far con costanza ogni sforzo onde uccidere quel Rama. Io conobbi più volte in battaglia la vostra forza; perciò v ho destinato a quest1 uffìzio. Allora ([negli otto Racsasi , considerate quelle care parole e salutato degnamente Ràvano, si partirono da Lanka e tutti insieme s'avviarono invisibili al Gana- sthàna.
NOTK.
NOTE
\L LIBRO SECONDO-
1. — Sollecite d'antivenire il nascer del sole. Era dovere sacro nel!' India il levarsi prima del nascer del sole, e venerare l' astro, ministro maggior della natura , con inni solenni pieni di gran- dezza e di beltà : « fo invoco Savitri (il Sole) dalle mani d'oro, affinchè egli mi protegga . .... Io invoco Savitri illuminatore
degli uomini, dispensator de' domestici beni Egli ha
rischiarato gli otto punti dell'orizzonte, le tre regioni delle viventi creature e le sette riviere; s'appressi qui Savitri dagli occhi d'oro, e conceda a colui che offre il sacrifizio, desiderabili ricchezze ecc. >- (Rùj-Vcda-Sanhita, translated from the originai sanskrit, by H. H. Wilson, p. 51-99.)
2. — Se desideriamo la nostra salvezza. Si paragoni questa magnifica lode del re e del governo regio con ciò che dice Samuele del re e della sua autorità nel libro dei Re :
Dixit itaque Samuel omnia verba Domini ad populum qui petierat a se regem ,
Et ait : Hoc erit jus regis qui imperaturus est vobis : lìlios vestros tollet et ponet in curribus suis, facietque sibi equites et prascursores quadrigarum suarum,
Et constituet sibi tribunos, et centuriones, et aratores agro- rum suorum et messores segetum et fabros armorum et cur- ruum suorum.
Filias quoque vestras faciet sibi unguentarias et focarias ci panificas.
Agros quoque vestros, et vineas, et oliveta optima tollet. et dahit servis suis.
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Sed et segetes vestras, et vinearum reditus addecimabit, ni del eunuchis et famulis suis.
Servos etiam vestros, et ancillas, et juvenes optimos, et asinos auferet, et ponet in opere suo.
Greges quoque vestros addecimata , vosque eritis ei
servi.
Et clamabitis in die illa a facie regis vestri, quem elegistis vobis : et non exaudiet vos Dominus in die illa, quia petistis vobis regem. [Liber primus regum, caput vili.)
Neil' India il governo regio era aulico e consacrato dalla tradizione; onde il mutarlo pareva un disordine, un sovverti- mento; nella Giudea era antica e consacrata dalla tradizione la teocrazia, ed era perciò rappresentata come piena di pericoli l'innovazione che voleva sostituire al governo dei Giudici l'autorità d'un re.
3. — Alla regione Pannila contigua alla selvaggia regione dei Cara. Pàncàia è il nome duna regione che si trova nella parte settentrionale dell'India; il Curuksetra, o regione dei Guru è situato nelle vicinanze di Delhi. I nomi di queste due contrade si trovano sovente accoppiati per la loro prossimità. Così nel Visnupuràna pubblicato e commentato dal Cb. Sig. Wilson si legge alla pagina 176 : « The principal nations of Bhàrata are the Kurus and Pànchàlas, in the middle distri cts : » ed in una nota a questo luogo il Sig. Wilson dice : «The Kurus are the people of Kurukshetra, or the upper part ofthe Doab , about Delhi; the Pànchàlas, it appears from the Mah àbh arata, occupied the lower part of the Doab. » Per questo ho creduto poter qui aggiungere al nome della regione Pàncàia, che ella è contigua alla regione dei Curii.
i\. — Fiume di Varano. Il commentatore Lokanàtha chiosa :
AI, LIBRO SECONDO. 399
^tòtttt =tft rrrf .. riviera che si chiama Veruni ». Io ho creduto in vece che il vocabolo Varimi l'osse qui un epiteto della riviera Sarasvati e l'ho interpretato «fiume di Varuna.» Varuna è il signor dei fiumi nitrii qfn ■. ■
5. — -Verace risponde alle altrui domande. Qui è fatta menzione d'uno di quegli alberi sacri, a cui l'antichità attribuiva virtù sovrannaturali; tale è, per camion d'esempio, l'albero di Do- dona. Non èqui luogo d'investigare con lungo discorso l'ori- gine di tali credenze; ma per lo più esse derivano da quel sentimento primitivo, spontaneo, per cui l'uomo abbaglialo dalla singolarità di certi fenomeni naturali, crede effetto di forze arcane quello che ignora , deifica in certo modo gli oggetti della natura e li associa ai casi della sua vita. Il vocabolo sans- crito che ho tradotto «verace risponde alle altrui domande, » è JHr;jm<Ji-cM ; ma questo vocabolo potrebbe anche interpretarsi « albero dalle domande veraci » ovvero « a cui si fanno veraci offerte. » Ho preferito la prima delle tre interpretazioni , perchè mi parve più confacente al soggetto.
6. — Csatri Bodhi. Ho aggiunto al nome di Bodhi L'epiteto di Csatri, fondato sull'autorità del commentatore che chiosa : ^tfù w^fòcjmmn « Bodhi spezie di Csatri.» Il Sig. Wilson nel Visnàpuràna (p. 1 85 , nota U), parlando dei Bodhi, dice : «One of the tribes of centrai India, according to the Vàvu : il is also read Bàhyas. » In luogo di *tstoh<rf (Agakùla) la recen- sione boreale legge ^fa^iri (Abhikàla).
7. — L'isola che s'appella Sài mali. Il commentatore chiosa :
fsrif . <r£ fewr : ^TFf «sede di Visnu. » Interpretando io v'ho
aggiunto, ((l'Oceano latteo» perchè si trova qui menzionata
Sàlmali che è appunto una delle sette grandi isole circondata
11. 42
330 NOTE
da quell'Oceano; ma confesso che la menziono dell'Oceano
latteo mi paro qui fuori di luogo.
8. — Divorato da Ràhu. Si vegga la nota li i , dol libro secondo (voi. I).
9. — Verso la plaga meridionale. Era la plaga o regione ce ite governata da ì spiriti dei trapassali.
leste governata da Yama Dio dei morti , e dove andavano gli
10. — Queste tre coti piene d'oro. La coti è un numero di dieci millioni; ma ponsò che qui voglia dire una misura od una grande quantità indeterminata.
11. — Nishi d' oro. Si vegga la nota /io, del libro secondo (voi. 1).
12. — Amarae alitai a. 11 commentatore dice : ^JT^u^ch rnrr f?t# « Amarakantaka è il nome d'un luogo sacro, d'un Tìrtha : » ma tale chiosa non è d' un gran soccorso per determinare la posizione geografica di quel luogo. Il Sig. Lassen [Indische al- tertlwmskundc , p. 82), parla d'un gruppo di monti che si trova nella catena delle montagne Vindhya e s'appella Amara- kantaka; ma questo non può essere 1' Amarakantaka di cui si fa qui menzione; perchè i monti Vindhya sono al mezzodì dell'India, e qui si parla delle regioni settentrionali. Per ora non potrei dunque indicare esattamente il sito di quel luogo.
13. — Salyakirtana. Mi sono qui attenuto al commentatore che chiosa : ui^dchl-H-i ^rn^idsitj ì£si su «Salyakirtana è una città ovvero una regione : » ma Salyakirtana potrebbe ben essere un epiteto di Agneya e significare « rinomata per i suoi bambù. »
AL LIBRO SECONDO. 331
Quanto adAgneya il commentatore dice : ai^f srfr^dìy « Agneya è un luogo sacro, un Tirtha d'Agni (il fuoco).»
14. — Alla regione Torana. Ho seguitato in tutte queste in- dicazioni geografiche la chiosa del commentatore. E vero che il vocabolo Vàranasthala potrebbe essere un epiteto di Torana e significare sede o regione d' elefanti ecc.
15. — Inarborata disoree. 11 vocabolo che ho tradotto « inar- borata di soree » ò OTTrJTSFf (Sàlavana) e potrebbe essere un nome proprio. 11 commentatore dice : sn^rsrt qìriuuvtoM.
16. — La densa foresta Sàlavana. Qui invece il vocabolo Sàlavana potrebbe essere un epiteto e il vocabolo stà (Ghana) che ho tradotto « densa » potrebbe essere il nome proprio. Ognuno comprenderà quanto sia difficile il chiarire queste particolarità geograficbe tutte locali.
17. — Qual oriibil Dnrga. Durga è la Dea consorte di Siva. Era in origine una Divinità di natura, identica con Urna la figlia del monte Himalaya; ma diventò poi terribile e te- muta, allor che il culto di Siva divenne egli pure un culto di terrore.
18. — Fra le mondane evoluzioni. Qui allude alla metemp- sicosi , dogma fondamentale non solo della religione , ma della civiltà Indiana. Dopo avere per un certo spazio di tempo fruito nell'altra vita i premi o sofferto i castighi meritati quaggiù, gli spiriti umani tornavano al mondo per ricominciarvi una nuova serie di esistenze, finché non fossero diventati degni di confondersi in Brahma; il che era la suprema beatitudine. \" ha ragione di credere che questo dogma fosse originario e
;yó*2 note
proprio dell' India. Pitagora che Lo professò in Grecia , è quello
;i|)|)iiiito tra i filosofi Greci che la tradizione dice aver Lunga mente peregrinato nell'India.
19. — In quai inondo n'andrai In ora. Le dottrine Indiane dividevano 1' universo in più mondi (loki). \ e a avea dappri- ma tre principali : il cielo, la terra, i Luoghi inferni. Ma secondo un'altra divisione ve n'eran sette : il Bhùrloka o la terra, il Bhuvarloka o lo spazio fra la terra e il sole, sede dei Mimi, dei Siddhi ecc. , il Svarloka o il cielo d' Indra fra il sole e la stella polare, ed il settimo Brahmaloka o mondo di Brahma. dove pervenuti gli spiriti, erano esenti dal rinascere.
20. — Vdsava. Indra, il Dio del firmamento. Si vegga la nota 36, del libro primo.
21. // solo fato. 11 concetto del fato era nell' India diverso da quello che se n'avea in Grecia. Nella Grecia il fato era una potenza arcana, inesorabile, che dominava l'uomo e gli avve- nimenti umani, ed a cui era impossibile il sottrarsi. Nell'India il fato era piuttosto una conseguenza inevitabile delle azioni fatte nelle nascite anteriori all'esistenza attuale, ed era perciò collegato colf idea della metempsicosi. La sventura che colpiva f uomo, era per lo più una pena, un espiazione di colpe an- tiche non ancora del tutto cancellate. Onde il nome sanscrito del fato è ^rfi-FT: (Kritànta) che significa il risultato, il termine delle azioni.
22. — Che han per oggetto il sommo Spirito. Il vocabolo che io ho tradotto « il sommo Spirito » è hmttM (Susuksma) che signi- fica sottilissimo : ^^r (Suksma) significa lo Spirito'supremo che penetra per tutto funiverso.il commentatore chiosa : g^r^T
AL LIBRO SECONDO. 333
fp^" dcufrfqT^cFr u Susuksma è Bi'alitna . le (lotirinc som quelle che hanno lui per oggetto.» Ma Brahma potrebb' essere il Veda.
23. — Asddha, Carttìca e Maglia. 11 mese Asàdha comprende parie di giugno e parte di luglio, il mese Carttica parte di ottobre e parie eli novembre, il mese Màglia parte di gennaio e parte di febbraio. I giorni del plenilunio di questi mesi do veano essere particolarmente consacrali a doni e riti pii.
24. — Calde carni ecc. Ho tradotto ott « caldo: » forse clic era vietato nell'India il mangiare calde bollenti le vivande. Questo divieto avrebbe qualche analogia con altre simili osser- vanze imposte ai suoi seguaci da Pitagora, il fdosofo che più ritrae dalle dottrine e dalle idee dell'India.
25. — La vacca Capila. E una vacca favolosa, di cui si fa frequente menzione nelle leggende indiane.
26. — Cento vigilie. Si vegga la nota 8 del libro secondo (voi. I).
27. — / bardi, i preconi, gli encomiatori. Il loro ufficio era celebrar con lodi il re ed i grandi personaggi, esporne le ge- nealogie, vantarne gli antenati ecc., ed anche accompagnar gli eserciti nella guerra, cantando inni marziali per infiammare il coraggio dei guerrieri, come faceva Tirteo in Grecia.
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28. — Usiri e padmacasti. Usira è la radice d'una pianta odorosa, l' andropogon muricaiiun, il padmacasta è un legno odorifero.
29. — / vasi sacrificali. Ho interpretato qui il Tmrì «vasi
334 NOTE
sacrificali» conformemente alla significazione propria di (]u<jl vocabolo; ma il commentatore l'interpreta in altro modo e dice esserci, il mucchio delle vittime: » WJMW ÓTtìiuÌWjST; l'orse egli ha ragione.
30. — Il tener sollevate le sacre cucchiaie. Qui mi sono atte mito al commentatore che chiosa : ffUNH^J^T: ^ìh&Sìuuì. L'uffi- zio di questi sacerdoti o sacrificatori dovea essere il versare il burro sopra il fuoco sacro.
31. — Con erba cusa. E la poa cynosuroules , erba sacra adoperata a vari usi nei sacri riti, come si vede dalla frequente menzione che se ne fa in molti luoghi di questa epopea.
32. — Ed altre nobili riviere. Qui ho tradotto conforme alla significazione letterale del testo; ma forse il concetto che qui si vuole esprimere, è, semplicemente che Bh arata si servi dell' acqua di tutti questi fiumi per fare le ceremonie lustrali.
33. — Per li mani del morto re. Le ceremonie funebri aveano luogo a differenti tempi determinati, e consistevano in obla- zioni fatte agli Dei e ai Mani, in doni ed alimenti offerti ai congiunti ed ai Brahmani assistenti ecc. Questi riti eran creduti necessari , affinchè gli spiriti dei trapassati potessero pervenire e rimanere nel mondo destinato ai mani.
34. Del duodecimo e del decimoterzo dì lunare. Fra i giorni destinati al sràddha, ossia ai riti funebri in onore e in prò dei trapassati e sopratutto dei parenti, i dì duodecimo e deci- moterzo del mese lunare erano particolarmente solenni e sacri.
35. Periti nell'arte del tirare a filo. Il vocabolo sanscrito che
AL LIBRO SECONDO. 335
ho cosi interpretalo, è ^rcF^rfóreTT^TCN Stando alla significazione letterale delle parole onde si compone questo vocabolo, ei verrebbe piuttosto a dire «periti nell'arte del tessere:,) ma come i tessitori non hanno, ei sembra, molto che lare nell'arte di costruire vie, io l'ho interpretato «periti nell'arte del tirare a filo:» la quale interpretazione non è del tutto aliena dal si gnificato di quel vocabolo.
36. — Con cinque uscite. Il testo ha q*wi{uu< che il com- mentatore chiosa : q^afi^lfm «cinque porte esteriori.» lo l'ho interpretato «con cinque uscite» che mi parve il senso più appropriato a questo luogo. Ma trattandosi qui di antichi modi di costruire venuti in disuso, è difficile a chi non ha visitato l'India, dove sarà forse rimasto qualche vestigio di simili costruzioni antiche , il determinare con precisione il si- gnificato di tali vocaboli.
37. — / Sàmudri. Keraìa, dice il Wilson, e il moderno Malabar; i Dandadhari erano, secondo il commentatore, una razza di barbari o Mlecci iì^diHii : ma ei non dice in qual parte abitassero ; i Sàmudri doveano essere , conforme al loro nome, popoli che abitavano vicino al mare.
38. — A Nahusa e a Dilipa. Erano due antenati di Rama : si vegga il capitolo lxxii, del libro primo.
39. — Qu\ seguitano nel testo quattro stanze di metro differente dallo sloka che è il metro consueto dell'epopea, le quali non fanno che ripetere cose già dette in questo stesso capitolo; io le ho omesse nel corpo del volume; eccone qui la traduzione :
.(L'illustre Bharata di salda fede volendo propiziare l'ine
336 NOTE
lilo suo fratello primogenito ito alle selve, cosi parlo al duce dell' esercito e ai suoi amici : Sorgi prontamente, o Stimando, va ed ordina che s'aduni il mio esercito; per la prosperità della terra io desidero qui ricondurre, propiziandolo. Rama mio maggior fratello che dimora Ira le selve. Per comando di Bharata. Sumantro con animo tutto Leto diede ordini ai principali della città, ai primi dell'esercito ed agli amici. Quindi levandosi su a tempo opportuno i nobili (-salii, i \ aisyi e i principali della città, allestirono per ogni parte asini e camelli, elefanti ardenti e molti cavalli.»
40. — Lapidata lodhra. E la symplocos racemosa, la scorza della quale s' usa a tingere.
41. — Neil' interpretare le professioni e l'arti enumerate in questo capitolo, mi sono principalmente attenuto al com- mentatole, il quale dovea conoscere la natura e la egualità dell'arti esercitate nel suo paese. Quindi appoggiato alla sua autorità mi sono alcuna volta allontanato dal signilicato ordi- nario e comune di qualche vocabolo. Così per camion d'esem- pio ho tradotto il ^rjf^wrr^nmfi^Tti dello sloka i3. uQuei che vivono nutrendo pavoni e starne » conforme al commentatore che chiosa: zrwf^hi : *ra7<TrTOT snsr^T : mwr,chi«HjT*ra" ; quantunque il significato più comune di quei vocaboli sia «i cacciatori di pavoni e di starne ». Così ho tradotto ilgyichiyi^ dello sloka i ó. « Quei che fanno corde d'arco » secondo l' interpreta/ione del commentatore che dice : ^Tcm^^rrsrraTTTFT quantunque il si- gnilicato comune di quel vocabolo sia « quei che lamio smalto » oppure «quei che vendono miele di fiori.» Così ho tradotto il cM--byT7tFTT: dello sloka 1/1. «Quei che scernon l'oro greggio dalla terra » conforme al commentatore che chiosa : cJvTìhutt^t: rrf^grTCTwr^nj^TcF rTf^T : quantunque il significato più ovvio fosse
\L LIBRO SECONDO. 337
« quelli che conservai! L'oro» oppure «quelli che Panno v;isi d'oro.» Parimente ho tradotto il *rsrf%Hchi5"i : dello sloka lo. «i costruttori d' edifizi tetragoni» perchè il commentatore chiosa : FcTi^Tcfttt : F5TKvicfiitf,;fr7 3#r mrTTnT: FdiVithi =cfnr.chnu rr.T»PTT. Gli edilìzi tetragoni di cui qui si parla, doveano essere palagi cinti di portici o di terrazzi da tre l;iti ed aventi l'entrata dalla parte d'oriente. Nell'enumerazione che si la qui delle arti, occorrono alcune varianti nei manoscritti, ed il commenta- tore stesso ne cita alcune nel suo commento.
42. — lì albero di bauhinia. E una spezie ri' ebano.
43. — Qui ho omesso di tradurre una stanza di metro dif- ferente dallo sloka, perchè ella era inutile e guastava La chiusa del capitolo ; eccone la traduzione :
« Per desiderio di far cosa che sia utile al magnanimo e diletto Rama, delle cui grandi virtù io sono preso, respingerò quell'oste che s'inoltra numerosa di cavalli e d'elefanti.»
44. — Csatro. Si vegga la nota 38. del libro primo.
'l5. — Priva de suoi cavalli ed elefanti di guerra.lì vocabolo composto che ho così interpretato sull'autorità del conimeli tatore , è mkfcFc?r^ifzm\ ecco la chiosa del commentatore:
Utot; qui non v'ha Luogo a dubbio sopra il significato che il commentatore attribuisce al vocabolo ^idH-rU ed a cui ini sono attenuto.
46. — Che s appella svastika. Il vocabolo composto che ho tradotto «segnate col mistico e fausto segno che s'appella svastika») è toiRrithRi^i^i: ma il commentatore L'interpreta in ii. 13
;>;}<s NOTE
nitro modo •' chiosa ; fSrlWdi Pd^lFT xlHtehl i J U ì$ Fd^l W ^Tf^T n\n\ n i .
il che verrebbe a dire che il corpo di (fucile navi aveva forma o apparenza tetragona, ovvero, simile agli edili/i tetragoni che s'appellano catuskoni. Tale interpretazione mi parve al tutto strana; i° perchè la l'orma quadrangolare non suole essere la forma d'una nave, e non si trova menzione di navi rosi fatte in alcun luogo dell'epopea; i° perchè non veggo come po- trebbe muoversi e navigare con iscioltezza una nave cosi con l'ormata; 3° perchè non v'ha ragione che spieghi e confermi il senso attribuito dal commentatore a questo luogo. I locreduto perciò dovere interpretare, come ho fatto, quel vocabolo se- condo la significazione propria e naturale delle voci che lo compongono. Losvastikaèun segno fausto e sacro chi' ha forma d' una piccola croce con quattro lineette alle (piatirò estre mità; e tale simbolo poteva benissimo trovarsi impresso sopra quelle navi. Il segno svastika \u poscia adottato dai Buddhisti che se lo appropriarono, e divenne un simbolo esclusiva mente Buddhistico ; ma egli era certamente più antico del Buddhismo.
'l7. — Un erosa. Si vegga la nota 56. del libro secondo voi. I).
'lM. — . Somo. Somo o Soma è uno dei nomi della luna. Ei potrebbe derivare dalla radice 5 [sa) che significa produrre, generare, forse per l'influenza che si credeva aver la luna sopra la generazione.
49. — Dagli Uttarakura. La regione degli Uttarakuru è si- tuata nel più remoto settentrione. Torse il concetto che s'ebbe da principio nell'India di quella regione e del popolo che l'abitava, era un concetto reale e positivo; ma ei cadde poscia
\L LIBRO SECONDO. 339
affatto nel dominio della finzione-, e gli l ttarakurn non rap presentarono più all'imaginazione degli Indiano-sanscriti che l'idea d'un popolo fortunato, longevo, beatissimo, la cui fé licita non è turbata mai da alcun male La letteratura sanscrita idei» negli Uttarakuru il tipo della felicità umana (si vegga il Lassen, ìndische alterthumskunde , p. òi i e 8M>). \ltrc finzioni somiglianti si trovano nelle tradizioni d'altri popoli, e sono forse reminiscenze remote di tempi antichi : l'età dell'oro non era altro in sostanza che l'imagine d'una felicità ideale.
50. — Svestitolo. Qui nel tradurre ho sostituito alla lezione del lesto che ha ^r^T^^ewf^T « lo vestivano e lo bagnavano » (sloka 5o), la lezione d'un altro codice che ha i-c^N gmutd ft «svestitolo, lo bagnano» la qua! lezione mi parve migliore.
51. — Come oro. Il testo ha ?aìrfr^r che significa lederai mente o « succo del sole» o ci minerale del sole» o «minerale lucido : » ho creduto poter interpretare quel vocabolo nel senso di «oro;» quantunque il vocabolo ?dTf7T7H non si trovi nei lessici sanscriti.
52. — Vasvaukasara. Lago favoloso che si credeva trovarsi in \maravati, città e sede d'Indra.
53. — Discioglietevi. La lingua sanscrita nelle voci 5^5? (putra [Ultra) ^nppsT^JT^rt (sukhabaddham asambaddham) che significano «oh figlio oh figlio,» unitevi dolcemente, discio- glietevi» o più letteralmente «dolcemente unito, disunito» esprimeva forse un suono che imitava il canto di quegli uc- celli; ma non è pur bisogno di dire che quei suono imitativo più non sussiste nella traduzione.
340 NOTE
54. — Un telo arcano. Era uno eli quei teli, una di quelle anni misteriose che Visvamitra comunicò a Rama. Si veggano
i capitoli \\\ e w\f del libro primo.
55. — Qui ho lasciato di tradurre uno sloka ed una stanza che si trovano sul fine di questo capitolo, perche <piclla stanza e quello sloka dicono qui fuori di Luogo quello stesso che vien detto sul principio del capitolo seguente evi, intorno allo stre pito dell'esercito di Bharata che s'inoltra.
50. — Bhogavati. Si yegga la nota 33 dei libro primo.
57. — Vrihaspati. Sukra è il pianeta Venere, Vrihaspati il pianeta Giove ; ma qui si vuole indicare i Geni, le Divinità che risiedono in quei pianeti e li governano.
58. — Asvamedki. 11 sacrili/io Ràgasùya poteva solamente essere offerto e celebrato da un gran monarca, da un maha- raja assistito dai principi suoi tributali; lWsvainedha è il celebre sacrifizio del cavallo; se ne vegga la descrizione al libro primo.
59. — Si vegga la nota 38 del libro primo.
60. — Pubblici officiali. 11 vocabolo che ho tradotto « pubblici ollìciali» è rmrqfTgT^: questo vocabolo non si trova nei lessici; ma il significato che gli ho attribuito, mi pare appropriato al valore delle parole.
61. — E i quindici che son dalla parte tua. Qui la traduzione è alquanto oscura; mail testo lo è molto più. Ho cercato d' av- vicinarmi quanto poteva all'interpretazione del commentatore,
AL LIBRO SLCOMR). 341
che annoverando i diciotto e i quindici mvmn (Tirtliàni) che
io ho interpretalo «uffizi » dice : v?r\~im: JTsnwra •■ wj^T'M^\ : qtjcU-
fèra^T f^TFrirr: ; i u i eh i 5r=vT zih m *t sui Fmnrr ; a questi egli aggiunge poi i tre seguenti trt ^oqisT Jrf^rt ^f?T ^^ts^t. Tutti i nomi qui enu- merali dal commentatore sono nomi d'uffizi, di cariche pub- bliche; onde ho credulo dover interpretare nel senso di« uffizi » il vocabolo rMiH (Tirthàni), sebbene non sia questo il signi- ficato suo proprio. Credo in somma che il senso di questo luogo sia : Conosci tu per messi occulti come sian retti e amministrali i pubblici uffizi dei regni altrui e quelli del tuo proprio?
(52. — Dove stanno frammiste l'opere. Anche qui il pensiero è oscuro; ma la colpa è del testo che non ho potuto piegare a miglior costrutto, per quanto 1' abbia volto e rivolto in dieci modi.
63. — Il sago dell' asclepiade. L'asclepiade è la pianta che con altro nome s'appella sarcostema viminalis. Il bere il sugo di questa pianta era un rito sacro praticato da chi offriva il sacri- fizio : onde wwj « bevitore del sugo d' asclepiade » era sinonimo di sacrificatore.
64. — Bharata. Nel testo sanscrito dopo la stanza 4- ho aggiunto tra parentesi crt^ui ssn"^ « Lacsmano disse » : ho latto uno sbaglio; convien leggere h^tzstt^ « Bharata disse » : perchè chi parla qui è Bharata e non Lacsmano.
65. — Lamentandoli morto padre. Questo lamento di Rama sarebbe stalo forse meglio collocato là dove Bharata gli annunzia la morte del padre. Egli è vero per altro che qui Bharata rammenta a Rama la morte di Dasaratha con più meste «•
.Vi 2 NOTK
pietose pinole; e quel lamento d'altronde era forse opportuno e dirci (filasi obbligato nell' ora solenne di dare I acqua funebre al morto re.
()(). — I fjoha mi, i gayali. Il gokarna è una spezie di cervo, il gayalo è il bos gaveeus.
()7. — Anapatya. Tra i molti nomi con cui s'appellai! Tiglio in sanscrito, v'ha quello di soni [apatya). Si attribuiscono a questo nome varie etimologie, per esempio quella che loia derivare dalla preposizione m [apa] col sulìisso & [tya), e
significherebbe in tale caso «colui che discende da che è
generato da » Ma un altra più comune etimologia è quella
che lo deriva dalla radice q\[pat) « cadere » col suffisso Ri (lya) e la particella negativa s (a) preposta al nome; il che signifi cherebbe « colui che non lascia cadere, colui che sostiene ecc. » Egli è evidente che qu'i il vocabolo stiri [apatya) è preso nel senso della seconda etimologia, e che al nome di apatya si contrappone quello di anapatya che dice appunto il contrario.
(Ì8. — Quattro condizioni delia vita. Si vegga la nota 5/i del libro primo.
69. — Questo periodo si potrebbe anche interpretare cosi : « siccome ai frutti maturi non sovrasta altro pericolo che di cadere, così agli uomini che nacquero non sovrasta altro peri- colo che di morire. » Ma l' interpretazione che ho adottato porge, mi pare, un senso migliore e più opportuno.
70. — Vllo sloka \i , verso ì, di questo capitolo si legga nel testo Ji^fcirT invece di jt^ìt; ed allo sloka 16, verso i, si legga fqrWHiM^i invece di
•\L LIBRO SECONDO. Vi.i
71. — Pul tra da Brahm a stesso. Puttra è di fatto in sanscrito uno dei nomi più usitati con cui s'appella il figlio, e l'etimo- logia che qui si da di quel nome è giusta : puttra deriva da T'i [put luogo inferno, dove vanno coloro che muoiono senza figli, e dalla radice ìt (tra) liberare.
72. — Sacrifizio in Gayà. Gayà era una città situata nel Beh ai e riputata come luogo santo. Ogni uomo nell'India dovea una
volta almeno durante la sua vita offerire in (lava un sacrifizio funebre per li suoi antenati.
73. — Falsamente per amore. Questo significa : non voler imitare Dasaratha che sotto pretesto di osservare la sua prò messa, ma in fatto per amor di Caiceyì, ti mandò in esilio; siccome ora tu sotto pretesto di adempiere la tua promessa vuoi rimanere nella selva e rinunziare ;il regno.
74. — Ottimo fra (jli uomini. Si vegga il capitolo lxiti del libro primo.
75. — In una sola treccia. Era questa racconciatura dei ca pelli usata nell'India dalle vedove e si chiamava veni. S'anno- davano i capelli in una sola treccia, la qual si lasciava cadere dietro le spalle.
76. — Qui evidentemente (lavali confonde insieme re di diverse schiatte; giacché non son tutti antenati di Rama coloro che egli qui nomina. Si vegga il capitolo lxxu del libro primo.
77. — Il dovere. Il vocabolo sanscrito che corrisponde a « dovere » è ot (dharma). Dharma significò propriamente da principio il dovere prescritto dai Vedi, dalle dottrine sacre;
.Vi'i NOTE
poi passò a significare il dovere in generale, la legge, la gius tizia . la \ irtù , ere. , in quanto che tutti questi concetti si colle gavano nelle idee Indiane col dovere sacro, coi precetto \ edico; onde iFt3R^(dharmavat) significò pio , retto , giusto , \ irtuoso , rw. lo ho mantenuto qui al vocabolo dharma il suo significato primitivo di dovere, che mi parve più appropriato a questo luogo; perchè Rama parlò continuamente di dovere, e (lavali gli risponde combattendo il dovere.
78. — Si paragoni questo capitolo col Bhagavadgìta. Le circostanze in cui si trovano i due eroi Rama e Arguna, hanno tra loro molta analogia. Nel Bhagavadgìta Arguna vedendo schierati dinanzi a se in atto di battaglia i suoi parenti, esita ad attaccar la zuffa, e Krisna per vincere quel suo timore, quella sua incertezza, cerca di provargli in sostanza che tutto ciò che T uomo crede o vede, non è altro che illusione, Maya , e sotto Torma d'un panteismo Visnuvito gli svolge con magni- fiche parole un sistema di negazione assoluta e di nullismo. Qui Rama stretto dall' obbligo della sua promessa e dalla lede obbligata da suo padre, ricusa di ritornare ad Ayodhya al possesso del regno, e (lavali per vincere quella sua ripu- gnanza, tenta di provargli che il dovere è un nome vano, che non v ha quaggiù nulla di certo e che il partito miglior per l'uomo si è il godere del presente, senza darsi pensiero di ciò che non si vede. Ma il sistema svolto nel Bhagavadgìta è molto più elaborato, più connesso, più sottile, più scientifico che non sia quello esposto qui da Gàvàli; il che è certo indizio che il Bhagavadgìta appartiene ad un'età meno remota. Rama che sostiene e propugna nel Ramàvana le pure dottrine e tra- dizioni Brahmaniche . respinge con isdegno le idee esposte da Cavati, siccome contrarie all'ortodossia V edica e contaminate d' ateismo. Una cosa degna d essere qui notata si è che Cavali
AL LIBRO SECONDO. 345
distrugge e annulla ogni vincolo di famiglia con un'audacia di negazione, a cui niuno forse pervenne fra i moderni sofisti. Le stranezze e gli errori che si vanno ora rinnovando, sono antichi; ei nacquero già, morirono e rinacquero più volte, e nasceranno e morranno ancora; perocché l'errore non ha in se virtù di radicarsi e d'allignare,
79. — lo non annullo il corpo. La frase del testo che ho cos'i interpretata, è itHfe^cjVn sf ; ecco il commento a questo luogo:
tHfetl^dìfr y-lfeq^amH'SW : *MMI f% 3j^T y^T H5[fwj rfFT HI^I'JUI : \~dlHr\-
siry^H u^omì ^t u^^wni : u^PcKdiji4"i mn «jhì Cosi Naia vana citato qui dal commentatore interpreta il q^detiì : «i cinque elementi» ossia il corpo che si compone, secondo le idee in- diane, di cinque elementi. \ imalahodha, altro commentatore citato qui da Lokanàtha , interpreta il q^siif : « i cinque sacrili/i oppure « i cinque sensi» : secondo la chiosa di Vimalabodha converrehbe dunque tradurre la frase sovracitata : « io non annullo i cinque sacrifizi » oppure « io non annullo i cinque sensi.» Ho preferito l'interpretazione di Nàràvana ed ho tra- dotto : «Io non annullo il corpo»; il che vuol dire : io non condanno le opere umane, non riduco il corpo ad essere ino- perante; siccome facevano i propugnatori immoderati della vita contemplativa e ascetica. Questa interpretazione mi parve migliore e più conforme al senso di questo luogo.
80. — Il frutto dell' operare. ìl commentatore chiosa: wàm ■■ ^ yfjvi cdr siFpsr < ru i f\ « il frutto dell'operare si è la natura, l'es- senza del fuoco, la natura, l'essenza del vento ecc. » Mal grado di questa chiosa , il pensiero non è qui ben chiaro.
81. — L'immortale Visnu. Come in un'età più recente i Puràni essenzialmente Visnuiti immedesimarono Brahma con
ii Vi
346 NOTE
Visnu; così pare che qui il Ramàyana essenzialmente Brah manico immedesimi Visnu con Brahma.
82. — Questa terra. Qui allude al ter/o avalaia di Visnu: ma paro che il poema confonda qui l'origine o la creazione della terra coli' estrarla che fece \ ismi dal fondo delle acque in cui fu ella sommersa.
83. — Dallo spazio. Si vegga la nota >. i ò del libro primo.
84. — Produssi- Manu. La genealogia dei re d'Ayodhya che espone qui Vasistha , non è del tutto identica con quella che e»li espose al capitolo lxxm del libro primo. Qui egli fa Manu figlio di Vivasvat (il sole), e la genealogia del capitolo r.wu lo dice figlio di Pracetas; tra Icsvàcu e Vicucsi ei pone qui un re per nome Cucsi che non si trova in quella; in luogo di Vana figlio di Vicucsi ei pone qui Remi . e dopo Remi aggiunge Pusya che non si trova nella prima; in luogo di Sankhana ei pone qui khanitra ed omette poi il re Yayàti, e finalmente v' hanno qui due o tre nomi scritti con diversa ortografia. Ma non è da far maraviglia che s'incontrino simili differenze o piuttosto varianti nelle genealogie dei re più antichi dell'India antichissima.
85. — ] Sasavindavi. Il commentatore dice : srsrfè^a-: n&yisii: Debbono essere certamente i re della stirpe lunare.
86. — Sagara. rq {gara) significa « veleno » st [sa) è una parti- cella che significa « con » : onde Sagara viene a dire « col veleno. »
87. — / Sagandi. Si veggano i capitoli xl, xli, xlii del libro primo.
\L LIBRO SECONDO 347
88. — Purusàdaca significa «colui che divora gli uomini:» ma credo che qui s'abbia ad intendere piuttosto un uomo cru- dele che un antropofago.
89.-- Potrebbe ardere la città. L'uomo ohe era creditore d'un altro od avea qualche suo diritto a rivendicare, poteva nell'India, a fine d'ottener soddisfazione, usare mezzi violenti o mezzi morali (si vegga le Le(j<)i di Manu, lih. \ III, 69 e seg.) : tra i mezzi morali v'era quello che consisteva appunto nel porsi a sedere dinanzi alla casa del debitore, rimanendo quivi linatlantochè non s'ottenesse ragione. Che se colui che usava questo mezzo era un Brahmano , egli avrebbe potuto colla sua virtù Brahmanica ardere la città : ina perchè tale mezzo dovea essere particolarmente proprio dei deboli che non potevano in altro modo sostenere il lor diritto, perciò si dice qui che non era uso degli Csatri il porsi a sedere dinanzi altrui. Tale credo essere il senso di questo luogo.
90. — Tutti i suoi sudditi. Quello che si dice qui, è in certo modo la sposizione , il commento di ciò che è detto nelle Leggi di Manu (libro VII, 3 , l\ ì. « 11 mondo privo di re era in ogni parte perturbato dalla paura; onde il Signor supremo creò un re per la conservazione degli esseri, e lo compose di par ticelle eterne della sostanza d'India, d'Anila (il Vento), di Vania, di Sùrya (il Sole), d'Agni (il Fuoco), di Varuna, di Candra (la Luna) e di Cuvera. »
91. — Due calzari di casa. I calzari, l'ombrello ed il crinito ventaglio erano nell'India le insegne, gli emblemi della dignità regale : Sarabhanga fa portar qui e Bharata pone ai piedi di Rama i calzari di cusa per dimostrare che Rama è re.
348 NOTE
92. — Da Ràhu. Si vegga la nota 5 dei libro secondo (voi. 1).
93. — Dispersa a terra. Mi sono qui attenuto al commenta- tore che chiosa f^m^f ateFf^^it ((puledra» : ma avrei preferito pigliare il vocabolo fèhynjì nel significato di vergine e interpre- tare questo luogo in un altro senso.
94. — Come le membra. Il commentatore interpreta nnufe' jTraftRT?r : « corpo , membra » : ho seguitato la sua interpretazione.
NOTE
AL LIBRO TERZO.
|. — Col nome di Sita. *ttftt {Sita) significa propriamente il solco; ma qui non si poteva, panni, pigliare quel vocabolo in tale significato e dire che Sita sorse fuori, aprendola terra del campo, come un solco; che il solco non sorge fuori, non s'alza, non si solleva dalla terra, come dice il vocabolo 3T?errT; anzi vi si addentra e si profonda in essa. Io ho interpretato quel nome nel senso di «pianta,» significato che non è del tutto alieno da quel vocabolo : ma credo che sarebbe stato forse più conveniente l'interpretarlo nel senso di ((biada, di fru- mento »: perchè questo mito di Sita ha evidentemente una grande analogia col mito di Proserpina che simboleggia aneli essa la biada, la quale rimane parte dell'anno dentro terra e parte fuori; e come Proserpina fu rapita da Plutone, cosi Sita sarà poco più innanzi rapita da Ràvano.
2. — Sedi celesti diBrahma. Io ho tradotto qui in modo otta- tivo « possa tu conseguire » la forma imperativa del sanscrito <rfFHT^; ma forse che qui Sarabhanga offre a Rama le sedi celesti che egli ha meritato, e lo invita a possederle in sua vece, ovvero con esso lui; in tale caso converrebbe tradurre «accetta, o Rama, quelle sedi Brahmaniche ecc. »
3. — Questa gemma. Alcuni codici invece di j$ «gemma» hanno u$ «giustizia.» Qui mi pare manifesto che il dono di questa gemma ha qualche cosa d' allegorico.
4. — / Risei Mancipi. I Vaikhanasi erano anacoreti che
350 NOTE
vivevano di raditi o d'altri frutti estratti dal seno della terra: il significato etimologico di quel vocabolo è «scavatori.» I Bàlakhilyi sono propriamente personaggi divini prodotti da Brahma e la cui statura è eguale all'altezza d'un pollice1; ma secondo il commentatore i Bàlakhilyi sono qui coloro che, ottenuto fresco cibo, gettano quello che avevano prima riposto. I Mancipi sono quelli che vivono di frutti spontaneamente caduti dagli alberi. Del rimanente ecco le parole del commen tatore : chanrrr y*fc<-j-edd^;j : yrRdfWdT ^ ^ ottt ctctihPchi^t rarffpr :
Jt[| frigi : POTÒ- tlfHrr :lhvl I f^sUdrd :
5. — De tuoi e de miei congiunti. Il testo ha qui : sraars^ìt : (i della mia suocera e del mio suocero. » Sita rammenta qui Dasaratha, come se egli ancor vivesse; ma la morte dello suocero era pur nota a Sita, a cui era stata annunziata sul finire del libro secondo. Forse questo verso è illegittimo: ma si trova in tutti i codici. Io ho sostituito «de' tuoi e de' miei congiunti » alla lezione « della suocera e dello suocero » che si trova nel testo.
6. — Questo capitolo è posto qui con grand' arte e con molta opportunità. Pare che Sita presenta qui il disastro che dee nascere da questo principio di ostilità, vale a dire il suo ra- pimento che si vedrà più innanzi.
7. — Gayali e Yaki. Il (Jayalo è il bos gavwus, il \ako è il bus grunnieiis.
8. — Saràli. Il saràlo è il tardus cjin<jinianus.
9. — Prànasama. Ho tradotto Prànasama come nome pro- prio del. Munì; ma ei potrebbe anch'essere un epiteto del Mimi, e significherebbe «pari a lui di vita. »
\l. LIBRO TERZO. 351
IO. — Non ho tradotto l'uitima stanza di questo capitolo, perchè è una ripetizione inutile e inopportuna leccone hi tra- duzione :« Quindi coloro dopo essersi raccolti lutti insieme, secondo che si conveniva, con quel magnanimo Saggio ed aver quivi pernottato felicemente, si partirono di nuovo in sui! aurora per visitare il pio asceta.
I I . — Qnestiè il Suina. Il vocabolo Soma significa propria mente la luna, ma ha più altri significati, (fucilo di Kuvera il Dio delle ricchezze , quello di ^ ama il Dio de" morti , quello d'un Semidio della classe dei\ asu, quello di liquor nettareo, quello d'un progenitore deificato, quello di cielo, d'etere, (fucilo del la sacra pianta asclepiade usata nei sacrifizi ecc. ecc. Non saprei bene quale di questi significati attribuire qui al vocabolo Sonni.
12. — Gatayus. Gatayus il sovrano degli aligeri, \runa l'auriga del sole, Garuda il grande augello che porta Visnu, sono esseri giganteschi , maravigliosi , in cui si vede espresso quel carattere di grandezza che la fantasia degli Indiano-sanscriti imprimeva nelle sue creazioni. Non so quale altra poesia abbia imaginati concetti cosi strani e sublimi ad un tempo. Ma sotto la stranezza di questi concetti fantastici v'ha un' idea che si col- lega colle loro dottrine filosofiche e colle loro credenze religiose.
13. — Kasyapa. Intorno a questi Pragàpati, progenitori o Demiurgi creati da principio da Brahma, e che cooperarono poscia alla formazione degli esseri, varia la tradizione : ora se ne noverano dieci, ora sette, ora tre, ora ventuno e talvolta. come qui, quindici.
14. — / srimari. Non so bene che sorta d'animali si voglia qui indicare col nome di srimari. Il Wilson dice che lo srimara
352 NOTE
è una spezie d'animale, e secondo alcuni n\\ giovane cervo, ma i cervi sono già stati menzionati come prodotti da Mrigi; forse gli animali prodotti da Mrigi sono le antilope e non i cervi; giacche il vocabolo jttt [mriqa] ha i due significati.
15. — Krostuki Qui ho aggiunto al vocabolo ^éi\ (Hari) il nome di Krostuki, conforme alla chiosa del commentatore che dice : ^ui: *Ncdoiuii'lJi : ^j^g^JT: il commentatore interpreta il vocabolo ^tt^ (Ilari) come un epiteto che significa dilava, fulva » : ma forse Hari è qui il nome proprio di colei che pro- dusse i scimi.
16. — / qolànquli. Sono una sorta di scimi neri, la cui coda è simile a quella d'un toro, secondo la significazione etimo- logica del vocabolo qolànqula.
17. — I màtanghi. Màtanga è uno dei nomi generici dell' elefante; ma qui credo che s'abbia ad intendere una specie d'elefanti cosi chiamati.
18. — Gli uomini. Si noti che in questa serie di produzioni successive, l'uomo è prodotto in ultimo luogo, conforme ai dettati della dottrina sacra ed ai risultati scientifici della geo- logia. Per confermare con una sorta d'argomento supremo l'ineguaglianza antica delle caste, se ne riferisce qui l'origine alla creazione stessa dell' uomo, che si dice prodotto da Brahma in modo ineguale, più e men nohile.
19. Conforme al suo nome. Himalava od Himavat significa nevoso, sede delle nevi.
20. — Una boswellia. È la hosvvellia thurifera, l'albero che
AL LIBRO TERZO. 353
produce la gomma che si chiama olibano od incenso; Imma- gine espressa qui è mirabile e degna di Dante.
21. — Come nere nuvole. Qui ed in altri luoghi del poema i Racsasi sono rappresentati neri di colore e dilfepeoti in tutto dagli abitatori dell'India settentrionale. Costoro che il poema chiama Racsasi e descrive come demoni malefìci, eran forse uomini di stirpe Ch amitica che abitavano i luoghi meridionali dell'India ed erano avversi ai popoli di stirpe .Iafetica che ne occupavano i luoghi settentrionali. In questo caso la guerra ce lebrata dal Ramàyana si potrebbe chiamare una guerra di razze.
22. — / tridenti. 11 testo ha Qchu^M^; il significato letterale di questo vocabolo è « arme con tre punte, ossia tricuspide : » ma non so precisamente quale sorta d'arme fosse questa; io l' ho interpretata « tridenti. »
23. — La terra. Fra i molti significati del vocabolo rit (go) v'ha quello di terra; ma la sua significazione più comune è quella di vacca e di toro : forse qui s'ha ad intendere nel si- gnificato di « vacche. »
24. — Paulastyi. Paulastya è un patronimico della stirpe di Ràvano. Pulastya è uno dei sette Risei figli di Brahma; da Pulastya fu generato Visravas padre di Ràvano, di Kuvera e degli altri suoi fratelli, che perciò si chiamano Paulastyi. Non è bisogno di dire che questa è una genealogia favolosa simile a tante altre che s'incontrano in Omero.
25. — Come eqli venne sulla terra. Qui fa allusione all' ava- tara di Rama. Si vegga quello che ho ragionato su questo ppoposito sul line della prefazione del volume quinto. ii. 43
354 NOTE
2(). - Dai (inni. Sono Geni o Divinila inferiori che minis- trano e fanno corteggio ;i Siva.
27. — V'ha qui una stanza che non ho tradotto, perchè è inutile e fuori eli luogo, ripetendo qui ciò che vien detto e descritto nel capitolo seguente. Eccone la traduzione : « Quindi il possente Rama , saldo nella giustizia e forte, percosse colle sue saette irresistibili il rimanente di quell'oste nemica, che ancor restava a Khara, indebolita già dalla sconfitta.
28. — / Bhàvani. Non so precisamente quale classe di Geni o di Dei si voglia qui indicare col nome di Bhàvani : forse questi Bhàvani sono la stessa cosa che i Bhavyi , classe di Dei o per dir meglio di Geni di cui è fatta menzione nel Visnu- pnràna del Sig. Wilson (p. 2(53).
29. — Che abbia un solo vertice. 1 vocaboli y^^cMM^ che io ho tradotto, conforme al loro significato più comune «un monte che abbia un solo vertice,» sono anche due nomi di Visnu , di modo che questa frase si potrebbe anche tra- durre cosi : « inconquassabile comp il forte Visnu Ekasringa (unicorno).
30. — Simili a lana che cresce. La traduzione di questo pe- riodo è esatta e conforme al significato delle parole; ma non mi soddisfa. Amerei meglio, se il vocabolo il comportasse, tradurre l's^sT^ per « ottenne » o « elesse » invece di «offerse » e interpretare la frase cosi : « ottenne prontamente da Brahma dieci teste lucenti ecc. » Uno dei nomi di Ràvano è Dasagrìva che significa appunto «che ha dieci teste, dieci cervici.»
31 — \1 capitolo xxxvn, pag. w del testo si trovano tre
AL LIBRO TERZO.
errori di stampa cagionati da caratteri caduti nel tirare. Al li linea r' invece di Hd^ti leggasi Hdirii; alla linea 6" invece di smjrr leggasi sreamr; alla linea 5a invece di niriTTTfa'Sifwr : leggasi
32. — Come il giro d'un (niello. Il vocabolo sanscrito che ho così interpretato, è àf^nfriFr-TTrT. Ma il commentatore l'in- tende in altro modo e chiosa : %f^rférrn?#T*T FTrnwf rrwró jthtt : m. Secondo il commentatore dunque converrebbe tradurre «di cintura somigliante al pugno chiuso. » Ma il significato di pugno chiuso o di dita strette a modo di pugno, che il commentatore attribuisce al vocabolo àfj;, mi parve al tutto arbitrario. Io ho preso il vocabolo 'àf^ nel senso di anello che è uno de suoi significati, ed ho tradotto «sottile come il giro d'un anello. »
33. — Qui ho lasciato di tradurre uno sloka che ripete a un di presso la similitudine che si trova nello sloka che precede Eccone la traduzione : « Simile a soave lapislazzoli, ornato d'oro ben brunito, ei somigliava ad una nuvola cinta di baleni e sospinta dal vento sul finir della calda stagione. »
34. — Gli Uttarakuru. Quanto agli Uttàrakuru si vegga la nota l\ 9. Ma non capisco come Ràvano potesse vedere in Ceylan , isola situata al mezzodì dell'India, gli Uttarakuru che, secondo la tradizione Indiana, abitano all'estremità del settentrione Egli è vero che il Ramàyana conosce in generale assai poco le regioni meridionali dell'India, del che si vedrà una prova nel volume seguente, dove si troveranno i quattro capitoli rimar- cabili che s' appellano « Descrizione della terra » ; ond' è che egli vi pone talvolta esseri ed oggetti imaginari, come faceva Omero nei luoghi eh' egli non conosceva.
356 NOTE
35. — Kakkoli. Sono pianto che producono coccole aroma- tiche.
3(3. — Urdhvaretasi. Aga significa capro, vàgin cavallo, mesa ariete; il commentatore interpreta così questi nomi di Risei : ^sTpn crmFrr qw ^tt ^^rr nr^n^qjiHT^: secondo il commenta- tore adunque i Risei Agi . \ àgini e Mesci sono coloro che volon- tariamente han preso forma di capii, di cavalli e d'arieti. Io non voglio assumere la risponsabilità di tale interpretazione e la lascio a carico del commentatore. Quanto agli Urdhvaretasi sono coloro che vivono in perpetua castità.
37. — Ho lasciato di tradurre qui una stanza certamente intrusa, la quale non fa che ripetere con giuochi di parole il pensiero espresso nel!' ultimo verso di questo capitolo.
38. — Lacsmi Apadma. Due o tre volte occorre nel poema menzione di Lacsmi Apadma. Non so se il vocabolo Apadma sia posto come un epiteto di Lacsmi consorte di Visnu, epiteto che sarebbe simile a quelli che la Grecia attribuiva alle sue Divinità. Ma tale epiteto attribuito a Lacsmi mi pare strano, perchè il vocabolo Apadma significa «senza lior di loto;» laddove il iìor di loto è appunto un attributo, un simbolo della Dea Lacsmi.
39. — Che cominci dalla sillaba ra. Qui Marìca cita due vo- caboli comincianti dalla sillaba ra, che gii fanno orrore per cagione di quella sillaba , e sono l'uno Hifa (ratnàni) che signi- fica gemme, l'altro ^ttnra^ (ramanyas) che significa diletto. Ma perchè traducendo que' due vocaboli , non si poteva conser- vare nella traduzione la sillaba ra die ne fa qui tutto il valore, io gli ho omessi.
AL LIBRO TERZO. 357
40. — La celeste Antiiopa. E il quinto nacsatra , ossia la quinta costellazione lunare che s' appella iMrigasiras (testa d" antiiopa) ; ella è composta di tre stelle , ed è figurata sotto forma di testa d' antiiopa.
41. — Come appartiene al re. Il vocabolo che ho interpretato «re» è st^t [salirà). Il significato proprio del vocabolo Sakra è «Indra» : ma se si piglia qui il nome Sakra nel significato d'Indra, il senso di questa frase non ha più né opportunità, né chiarezza, né forza; laddove interpretando Sakra nel signi- ficato di re , ne riesce un senso appropriato e bello, consono ai diritti che le leggi di Manu attribuiscono ai re; io ho perciò interpretato Sakra nel senso di re. Egli è vero che il vocabolo Sakra non ha nei lessici tale significato; ma il nome Sakra derivra dalla radice sr^r (sak) che vale «aver possanza, aver forza » e significa per conseguenza « possente , forte : » onde quel nome può benissimo, mi pare, interpretarsi come nome di re.
42. — Che splende in cielo. Si vegga più sopra la nota 4o.
43. — Uccide la mula. Qui v'ha un'idea erronea; giacché le mule non figliano.
■,-.'
44. — La luce del crepuscolo. Quella luce che si vede innanzi il levare e dopo il tramontare del sole, era nell'India personi- ficata col nome di rr^n (Sandhyà) figlia di Brahma e sposa di Siva. Ràhu, come s'è già veduto più volte, era il nemico mortale del sole, della luna e dei fenomeni luminosi del cielo; uno de' suoi nomi è ft*t: (Tamas) la Tenebra.
45. — Ràvano. Uà vana significa colui che fa gemere, che
358 NOTE
fa ululare, e quindi colui che affligge, che travaglia, che tor- menta.
46. — I venticinque principi dello Sankhya. Le parole che si trovano qui e nella frase precedente stampate con caratteri italici, sono tolte dal commento. Ecco la chiosa del commen- tatore a questo luogo : ^TTFnr%f?T hwhm STTWTCT^Frsr : «i-idi srr prof
5TST ajfc'Mmfceh =3rT : crfe c^oTT : fÙrc^fdrlMiWItdlfafsflTftlrT : il^q^Jch q^fcj- STfFT rmTfa" HÌ(°il^ll^T^ITft" Uchrd IfQf^T fTrfnWH J#T -H?l<iH!l : . Sankhva è
il nome d' un celehre sistema filosofico dell'India, che com- prende appunto venticinque principj o capi , intorno a cui volge tutto il sistema. Fra que' principj i due sommi sono la Prakriti (la Natura) ed il Purusa (lo Spirito) : la Prakriti è pro- duttiva ma non prodotta; il Purusa non è né prodotto, né produttivo : dalla loro unione ha origine la creazione. Il San- khya è un sistema di dualismo che ha qualche analogia con quello di Platone; la Prakriti e il Purusa non sono altro in sostanza, a mio avviso, che la materia e la forma.
4 7. — Alberi doro in grande copia. E un modo di dire, io credo, per esprimere : tu t' imagini quel che non è, tu t' illu- di ecc.
48. — Tra i Surastri ed i Saaviri. Suràstra è una regione situata nella parte occidentale dell'India, il Surat : Suvira è un' altra regione posta all' occidente dell' India e prossima all' Indo. Forse gli abitatori dell' una di queste regioni erano prodi , quelli dell'altra ignavi, oppure si trovava fra loro qualche altro contrasto che io non saprei ben quale.
49. — L' ottavo d) della lana scema. Mi sono attenuto nell' in- terpretazione di questo luogo al commentatore, il quale chiosa
AL LIBRO TERZO. 359
il primo pada del verso secondo dello sloka 33, sKqT? ecc., così : dcdlcj^cjm^, ed il secondo pada cosi : fnfrqm^av ^F^T^f^rr
50. — Regolatrici della vita. Nella traduzione di questo passo (sloka 18) ho seguitato l'interpretazione del commentatore che chiosa : s^TTcT OT <j fucilili ed y-iuiri mnti
51. — Arandhati. Arundhati è consorte di Vasistha, uno dei sette Risei ; e per mieli' uso de' popoli antichi di figurare nel cielo le memorie e gli avvenimenti umani, Arundhati è anche una delle Pleiadi : ella è inoltre il tipo della perfezione con- jugale ed invocata nei riti del connubio. Non so bene per altro a quali usi, a quali tradizioni alluda qui Sita nel citare questo carme antico.
52. — Salmali. Satinali è una delle sette grandi isole, in cui, secondo le idee indiane, si divide la terra-, ma qui pare che Salmali significhi piuttosto una regione infernale simile a quelle descritte da Virgilio al libro VI dell'Eneide :
Nec procul hinc parlem fusi monstranlur in omnem Lugentes campi : sic illos nomine dicunt , ecc.
FINE DEL VOLUME SECONDO.
indici:.
Prefazione. . . . Cap. LXVII.
LXVIII.
LXIX.
LXX.
LXXI.
LXX1I.
lxxih.
LXXIV.
LXXV.
LXXVI.
lxxvh.
LXXVffl.
LXXIX.
LXXX.
LXXXI.
LXXXII.
LXXX1I1.
LXXXIV.
LX\\\
LXXXVL
Lxxxvn.
LXXWIII. LXXXIX.
\(
LIBRO SECONDO. AYODHYACANDA.
Gemito delle donne del gineceo
Il morto re riposto
Lodi del re
1 messaggieri inviati
Sogno funesto di Bharata.
Veduta dei messaggieri
Ritorno di Bharata
Domande di Bharata
Rimproveri a Caiceyi
Lamento di Bharata
La donna gobba strascinata
Rimproveri a Bharata
Giuramenti di Bharata
Discorso di Vasistha
Lamento di Bharata
Entrata nell' assemblea
Funerali del re
Dasaratha arso
Il dono dell' acqua lustrale
Fedeltà di Bharata
L'apparecchio della via
Lode di Bharata
Disposi/ioni per la partenza dell'esercito.
Comitiva di Bharata
46
Pag
I I
3 8 I I 12 \k 17 19 24 27 29 32 33 37 39 42 43 46 48 50 52 .Vi 56 57
362 INDICE.
Cap. \C1. Sdegno di Guha 60
XC11. abboccamento di Guha con Bharata 61
5LCIII. Domande a Guha 63
XCIV. Parole di Guha 65
XCV. Discorso di Guha 67
\(AI. Quel che avvenne appiè dell' ingude 69
XCVH. Passaggio del Gange 71
XCVIII. L' entrala nella selva Pràyàga 73
X.CIX. Fermata neìl' eremo di Bharadvàga 75
C. Ospitalità di Bharadvàga 78
CI. Commiato di Bharata H'i
CU. \ eduta del recesso di Rama 87
CHI. Descrizione del monte Citracùta 89
CIV. Descrizione della Mandàkini 91
(A II telo lanciato 93
CVI. Sdegno di Lacsmana 97
C\ II. La discesa dall'albero 100
CV1II. Incontro di Bharata con Elama 101
CI\. Domande 105
CX. Rama richiesto 110
CXI. Dono dell' acqua 112
CXII. Arrivo delle madri 116
CXIII. Discorso di Bharata 118
C\I\ . Conforto di Bharata 121
CXV. Discorso di Rama 124
CXVI. Discorso di Cavali 125
CXVII. Discorso di Bharata 129
CXVIII. Lode del vero 1 32
CXIX. Elogio della stirpe d'Icsvacu 135
CXX. Il seder di Bharata 137
CXXI. Consigli a Bharata 139
CXXII. Congedo di Bharata HI
CXXIII. 1 calzari di cusa accettati 1 43
CXXIV. Partenza di Bharata 145
(A\\ . Entrata in Ayodhya 147
INDICE.
Cap. iAWI. Deliberazione d' andare in Nandigràma CXX\ II. Stanza in Nandigràma
363
149 I 50
LIBRO TERZO.
\IUM UGANDA.
I. Discorso dogli asceti 155
li. Parole di Anasùya 158
III. Dono d'affetto 160
1\ . Discorso di Sita 162
V. Entrata nella selva Dandaca 166
VI. Veduta di Romitaggi 168
VII. Veduta di Viràdho 170
\ III. Morte di Viràdho 173
IX. Arrivo all'eremo di Sarabhanga 175
X. La sicuranza data 177
XI. Veduta di Suticsna 180
XII. Soggiorno neir eremo di Suticsna 181
XIII. Discorso di Sita 183
XIV. Risposta di Rama 186
XV. Indicazione della dimora d' Agastya 188
XVI. Veduta del fratello d'Agastya 191
XVII. Descrizione dell'eremo di Agastya 194
XVIII. Dono d' un arco 196
XIX. Consigli d' Agastya '200
XX. Incontro di Gatàyus 202
XXI. Stanza nella Pancavati 205
WI1. Descrizione della fredda stagione 207
XXIII. Veduta di Surpanacha 210
XXIV. Surpanacha disonnata 214
XXV. Mossa dei Racsasi 216
XXVI. Morte dei Racsasi spediti 218
XXVII. Eccitamento di Khara 220
WV1I1. Mossa di Khara 222
miì INDICE.
C.U'. XXIX. Veduta (li sinistri prodigi 225
XXV Veduta dell'esercito di Khara 227
XXXI. Sconfitta dell'oste di Khara 231
XXXII. Morte di Dùsana 234
XXXIII. Morte di Trisiras 237
XXXIV. Khara privato del suo carro 240
XXXV. Morte di Khara 243
XXXYI. Descrizione di Ràvano 251
\\\\ II. Eccitamento di Ràvano 253
WWIII. Discorso di Surpanacha 256
XXXIX. Andata all' eremo di Marie a 258
XL. Discorso di Ràvano 261
XLI. Discorso di Maric'a 263
XLII. Discorso di Maric'a 266
XLIII. Discorso di Maric'a 271
XLIV. Parole di Ràvano 274
XLV. Risposta di Maric'a 276
XLVI. Assenso di Maric'a 278
XLVII. Conforto di Marie a 280
XLVIII. Maric'a trasformato in cervo 281
XLIX. Ordini dati a Lacsmana 283
L. Morte di Maric'a 287
LI. Partita di Lacsmana 289
LII. Colloquio di Ràvano e di Sita 293
LUI. Colloquio di Ràvano e di Sita 297
LIV. Colloquio di Ràvano e di Sila 302
LV. Rapimento di Sita 304
LVI. Combattimento di Ràvano e di Gatàyus . . . . 308
LV1I. Morte di Gatàyus 312
I A III. Partenza di Ràvano 315
LIX. Minacce a Ràvano 318
LX. Entrata di Sita in Lanka 320
\tote al libro secondo 327
Noie al libko terzo 349
CORRUZIONI ALLA TRADUZIONI:.
VOLUME PRIMO.
Pagina 4. linea 2 : « ai Gaiceyi » — leggasi: « a Gaiceyi ». Pagina 34 , linea l3 : « di stesso » — leggasi : « di se stesso ». Pagina 36 , linea i : « eon proboscide agile a percuotere » — leggasi .
« nobilmente alteri ». Pagina 68, linea 3o : « al re suo suocero » — leggasi : « a lui fatto
suo suocero ». Pagina 109 , linea 3o : « 1' alta mia energia » — leggasi : « V energica
mia semenza ». Pagina 193, linea 11 : « era quella come, ecc.» — leggasi : « era
quello come, ecc. » Pagina 2I12 , linea 8 : « deh ! t' affretta di venire » — leggasi : « o
piuttosto t' affretta a dileguarti ». Pagina 201, linea 22 : « governerà » — ^</<7«5' •' " governerà ». Pagina 260, linea 3o : « Gausalyayà » — leggasi : « Causalya ». Pagina 32 1 , linea 16 : « defender » — leggasi : « difender ». Pagina £27, nota in, linea 11 : dopo la frase «per far tesoro di
meriti» s'aggiunga : «per isvincolarsi dai legami della materia
che inceppano le potenze dell' uomo. » Nota. — Alla pagina xxxni, linea d, della prelazione del volume
quinto , invece di « s' attiepe » — leggasi: « s' attiene
VOLUME SECONDO.
Pagina 97, linea i() : « inchinatosi » — leggasi : « inchinatasi . Pagina 1 5o, linea (ì : « comminavano ■ — leggasi . « camminavano ». Pagina 1 90, linea 1 1 : « io n' andrei • — leggasi : « io n' andrò ».
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PK Vilniki 3651 Ramayana
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1843 v.7
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