VR RIA LENTE UTERO) IURCTICIOI E RICATTO N GEOTAINE i LAZIO CARNIA \ sun HA o AN ni ÙÙ RA Z, AE ONIZA DAI n 1 (HA i ALRONO ca PIA RANA () CALI 1 NALE n La ì hi AOLO î CENA È ni PAIA POTRO A GRCHAN VIRATA PICUITOO FR DINA IO ni ALU TEMERE AI Ù 4 4, a Dr) Lon va li dif ta, Hu Ni SOLO AES SENTRA I i IRNERIO RIDONO À î DE ORA RO da Ù VISTITA " PIO RE OCNACICIO A E URALE DOCRIOICUE ORIO b 24 STR UA LA CRON RON i Do Da DOSI i x RI È zi ANTA IR Pie ANNEO mn " RENATE de tar di i) rr TREDIA» © GIORNETEECD'Ì ENTO MOLO GIA DALLA R. STAZIONE DI ENTOMOLOGIA AGRARIA IENCRESERSEENEZZE VIA ROMANA, 19 MViolknale lio 433211 FIRENZE TIPOGRAFIA DI MARIANO RICCI Via San Gallo, N.° 31 1915 PUBBLICATO DALLA R. STAZIONE DI ENTOMOLOGIA AGRARIA TINGE ISRZENNEZ4H VIA ROMANA, 19 Volume IX. FASCICOLO I. N pf > GIRI ESSA dif to» ul FIRENZE TIPOGRAFIA DI MARIANO RICCI Via San Gallo, N.° 31 1915 horn, D'IMENEOMOLO6IA Il presente fascicolo è stato pubblicato il 28 Agosto 1913. | i SEPIO 1913 LASOMe rr nati e SOMMARIO DEL PRESENTE FASCICOLO Berlese A. — Acari nuovi (Tav. I-VIII). . 0/0... Pag. —. Sopra una specie di 4rgas nuova per 1° Italia Del Guercio G. — Nuova contribuzione alla conoscenza dei nemici dell’ olivo . — Prospetto delle Macrosifonielle (Macrosiphoniella Del G.) . Malenotti E. — Sopra un nemico naturale della ‘ Pulvinaria camelicola; ;, Signa e pela Paoli G. — Rivista degli insetti fossili (con 37 figure intercalate nel testo) »d T7 118 116 113 GULD'OTPAOTH RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI Generalità. Gl'Insetti, per la mancanza di parti dure, impregnate di sali minerali, non sono certo da annoverarsi fra gli animali più facil- mente conservabili nelle rocce sedimentarie, e questo fa ritenere generalmente che poco 0 niente si possa concludere dallo studio degl’insetti fossili. In realtà, se in alcuni casi poco davvero ci possono dire gli avanzi degl’insetti vissuti in epoche geologiche passate, pure il materiale trovato è già tanto, che anche con incompleti frammenti noi possiamo fin d’ora dedicarci ad un serio studio dei medesimi e disegnare a grandi tratti lo sviluppo filogenetico degli esapodi. Si conoscono infatti quasi 900 specie di insetti del Paleozoico, un migliaio del Mesozoico e circa 6000 del Cenozoico ; è vero che in confronto al numero stragrande di insetti viventi, quelli fossili, che raggiungono a mala pena gli 3000, sembrano poca cosa, ma bisogna considerare che il numero attuale degli insetti è così por- tato in alto da una quantità di forme, che si sono particolarmente sviluppate in epoche recenti, come gli Acrididi, i Lepidotteri, i Coleotteri, gl’Imenotteri parassiti, i Ditteri ciclorafi ece.; e Valtra parte il trovare in un qualunque periodo due o dieci specie di uno stesso gruppo non porta differenza apprezzabile per il fine, che la paleontologia si propone. La maggior parte dei resti di insetti sono rappresentati da im- pronte di ali, non sempre neppure esse completamente conservate, « Redia », 1913. 1 2 GUIDO PAOLI cosicchè nella paleoentomologia assume una importanza altissima lo studio di ogni minimo particolare della nervatura delle ali, così degl’insetti fossili, come dei viventi, per stabilire le reciproche relazioni. Ma in casì più fortunati anche dell’intero corpo degl’in- setti si trova conservata talora splendidamente l’impronta in tutte le epoche geologiche e con particolari addirittura mirabili. Così anche dei più antichi Esapodi conosciuti, i Paleodittiotteri, noi tro- viamo degli avanzi di individui con espansioni aliformi al proto- race, con antenne, cerci, zampe, branchie; in aleuni Protortotteri del Carbonifero si sono dimostrate facilmente zampe adatte a sal- tare ; si trova conservato mirabilmente il grande apparato boccale di un antenato dei Rincoti, l Eugereon ; degli Elceanidi ed altri progenitori degli attuali Locustidi si trovano resti con ovopositori e antenne lunghe, setiformi; son conservate le zampe posteriori di alcuni primitivi Locustidi con appendici foliacee caratteristiche e le loro ali con l'organo stridulante. Non è poi il caso di ripe- tere con quanta perfezione insetti grandi e piccoli si trovino con- servati dentro l’ambra e il copale, essendo ciò noto fino dall’an- tichità. Nè solo si incontrano insetti adulti, ma anche larve, ninfe, oote- che e tracce d’insetti, come astueci larvali di Friganee, gallerie nei legni, nidi, galle, e alterazioni foliari prodotte da insetti e via dicendo. Le località in cui sono stati trovati insetti fossili non sono molte, nè per ogni periodo geologico si ha la stessa abbondanza di resti; anzi sì hanno qua e là delle lacune, come nei periodi triassico e cretaceo, nei quali il numero di insetti trovati è addi- rittura esiguo; ma al contrario vi sono dei sedimenti straordina- riamente ricchi e questa diversità è in rapporto colle particolari condizioni, in generale assai difficili, di conservazione degli animali terrestri. Talvolta un gruppo di insetti si trova rappresentato in un certo periodo e non nel successivo, mentre ricompare poi nel seguente, per la qual cosa noi dobbiamo ritenere per induzione, che, per quanto manchino le tracce, pure esso deve aver continuato a svi- lupparsi senza interruzione anche nel periodo intermedio ; e simil- mente quando d’un tratto si vede comparire una forma alquanto RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI BI specializzata, siamo in diritto di supporre che, sebbene non si conoscano, devono essere esistite altre forme intermedie fra questa e il gruppo stipite e cioè, che secondo ogni probabilità gli ante- nati diretti delle forme specializzate devono aver vissuto in epoca più lontana di quella in cui si trovano i primi rappresentanti di queste. Tenendo presenti tali diverse circostanze, vedremo come ia sto- ria degli insetti non sia poi molto manchevole, ma che anzi per la paleoentomologia si abbia un materiale, se non superiore, certo non inferiore a quello di tanti altri gruppi animali, ai quali, come ai Trilobiti, Brachiopodi e Molluschi, è generalmente serbato il posto d’onore dai paleontologi. Gli Autori hanno lungamente preteso di classificare gl’ in- setti fossili negli attuali ordini, il che spesso ha generato non poche discordie e confusioni; in realtà per gl’insetti, come per qualunque altro gruppo di organismi, le classificazioni non sono affatto assolute, ma del tutto relative ai tempi e ai luoghi; le classi, gli ordini, le famiglie attuali non sono sempre esistite, ma sono state precedute da altre ormai scomparse e che invano si tenterebbe di includere nelle attuali; perciò è sembrato meglio seguire in questi cenni paleoentomologici Vindirizzo moderno, di tenere cioè nel debito conto gli ordini attuali senza peraltro preoe- cuparsi troppo di volere in questi far rientrare tutte le forme fos- sili, molte delle quali sono i testimoni di gruppi scomparsi, dai quali gli attuali hanno avuto origine. Cenni storici. La storia della paleoentomologia si collega strettamente nei suoi primordi a quella degli studi sull’ambra, sostanza fino da antico pregiata e ricercata per ornamento e per le sue proprietà elettri- che; per questo molte volte gli scrittori di cose naturali accen- narono con grande curiosità a mosche, formiche e ragni ehe in quella trovavansi misteriosamente racchiusi. Così Vl Aurifaber ne parla fino dal 1551 e l Aldovrandi ne fa argomento di disserta- zione in due classiche opere (1638 e 1648); poco dopo ’ Hart- 4 GUIDO PAOLI mann (1677 e 1699) nomina « muscas majores, minores; culices, crabrones, apes, tineas, blattas, formicas, locustas » dell’ambra ; lo Scheuchzer (1709 e 1721) parla di parecchi suoi fossili, fre cui sono insetti del Monte Bolca, di (Eningen e dell’ ambra e su questi ultimi si intrattiene ancora il Mercati (1717). Il Val- lisnieri (1715) riporta una lettera a lui diretta da Spener in cui si parla di vari fossili trovati in Turingia e nell’ ambra e cita « muscas, eulices, araneas, formicas volantes, scolopendras aliaque animalcula » che si trovano nell’ambra. Il Bromell (1729) fa cono- scere diversi « scarabaei et papiliones » trovati fossili nella We- strogothia ; il Sendelius (1722-1742) cita diversi insetti dell’ambra e di una « falsa ambra che viene dall'Africa » e che è evidente- mente il copale; il sommo Linneo (1745) si intrattiene appena sugli insetti fossili. Continuando le ricerche su questi e sugli altri avanzi di animali, il Brullé nel 1839 mise in evidenza l’importanza degl’insetti fos- sili per la geologia e contemporaneamente il Germar (1839) pub- blicava il primo lavoro importante su quelli degli schisti litografiei di Solenbofen; su questi insetti le ricerche erano cominciate fino dallo scorcio del secolo XVIII; al Germar seguirono nello studio di quella fauna entomologica parecchi altri fra cui principali VPHa- gen (1866), il von Heiden (1847), il Giebel (1857 e 1860), il Deichmiiller (1886), 1 Oppenheim (1888). Il Goldenberg nel 1877 illustrò la fauna carbonifera di Saarbriteken. Heer intorno alla metà del secolo XIX diede un forte impulso allo studio degli insetti fossili, illustrando un migliaio di forme di (Eningen in Baviera, di Radoboj in Croa- zia, di Aix in Provenza, dell’ Argovia, di Madera, della Groenlan- dia ecc. e facendo conoscere le condizioni di esistenza di questi esseri, i loro rapporti coi fiori contemporanei, l’affinità colle specie attuali e arrivò a conclusioni molto interessanti sul elima delle epoche geologiche. Circa lo stesso tempo (1845-1856) il Berendt pubblicò la sua classica opera sugl’insetti dell’ambra. In Inghilterra, oltre a molti altri, contribuirono agli studi de- gl’insetti fossili il Brodie, il Mantell, il Dawson, il Goss, il West- wood e il Woodward. Ma il più gran passo per la paleoentomologia fu fatto per opera del Brongniart in Francia e dello Seudder negli Stati Uniti d’ Ame- RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI 5 rica; questi due insigni studiosi con un gran numero di pubbli- cazioni hanno illustrato la fauna entomologica dei varì periodi e delle diverse regioni, ma specialmente quella carbonifera dei re- spettivi paesi. In America poi studia i resti ognor più numerosi di insetti il Cockerell, mentre in Francia il Meunier continua le buone tradi- zioni del Brongniart, dedicandosi sopratutto allo studio degli in- setti dell’ambra e del copale. Finalmente in Austria 1’ Handlirsceh allo studio particolareggiato degl’insetti fossili di tutti i tempi e di tutte le regioni unisce molti lavori di carattere generale e sin- tetico (1). Nè solo all'Europa e all’America settentrionale si è limitato lo studio degli avanzi di insetti: abbiamo già citato i lavori del- l Heer sulla Groenlandia, e gli studi del Meunier ed altri sul copale dell’ Africa; possiamo aggiungere che alcune formazioni della Siberia sono state studiate dall’ Eichwald (1864) e dal Bra- uer, Redtenbacher e Gangelbaner (1889); quelle dell’Imdia centrale dal Murray (1860) e dall’Hislop (1862); quelle Australiane della Nuova Galles del Sud da Moore (1870) e da Etheridge e Oliff (1890). In Italia, data la scarsità di resti d’insetti, anche lo studio della paleoentomologia ha avuto poca fortuna; ciononostante si hanno lavori dell’Omboni, del Capellini, del Rebel, del Bosniaska sugli insetti terziari delle provincie di Pisa e di Livorno :; del Canavari sui Blattoidi permiani del Monte Pisano; del Sismonda e del Sordelli su insetti del Piemonte e della Lombardia; del Gandin e Strozzi sui travertini toscani; del Massalongo sugli insetti terziari del veronese, del vicentino e del senigalliese; su questi ultimi aveva fatto ricerche anche il Procaccini-Rieci ; sui tripoli di Mon- daino hanno poi studiato il Malfatti e il Cecconi; il Ponzi ha illustrato gl’insetti pliocenici del Monte Vaticano; il Malfatti, l Emery, il Tosi hanno studiato quelli dell’ ambra siciliana, illu- (1) La serie delle pubblicazioni riguardanti gl’ insetti fossili è troppo lunga per poterla qui riportare, anche in parte, senza deplorevoli lacune ; ma non si può tacere dell’ opera più recente e più completa di A. HANDLIRSCH, Die f0s- silen Insekten und Phylogenie der rezenten Formen ; ein Handbuch fiv Palacontologen und Zoologen, Leipzig, 1908. 6 GUIDO PAOLI strati la prima volta dal Guérin-Meneville, mentre il Pampaloni ha trovato alcune interessanti forme di insetti microscopici nel disodile di Melilli in Sicilia. Anche il Rondani si occupò di in- setti fossili, ma scrisse solo una lettera (1840) su quelli dell’ambra di Sicilia rilevando alcune inesattezze in cui era incorso il Gué- rin-Meneville. Era paleozoica. PERIODI PRECARBONIFERI. I più antichi resti di insetti si ritenne di ‘averli trovati nel periodo siluriano, rappresentati da due forme, la Palaeoblattina douvillei proveniente da Jurques in Francia (silur. medio) e de- scritta dal Brongniart nel 1885, e il Protocimex siluricus che Mo- berg trovò nel 1892 negli schisti a Graptoliti di Killeroed in Svezia. Ma tali campioni che avrebbero dovuto essere avanzi di ali, molto imperfetti del resto, si sono dimostrati a successivi e più accurati esami come non appartenenti a insetti, bensì il primo è un frammento di Trilobite, l’altro probabilmente non è neppure un avanzo di organismo ma semplicemente un « lusus naturae » come ha poi ritenuto il Moberg stesso. Perciò dobbiamo ritenere che, per ora, di animali terrestri di quel lontanissimo periodo non si abbiano avanzi sicuri che di qualche scorpione. Molti Autori continuano a considerare come i più antichi in- setti quelli trovati negli schisti di St. John nella Nuova Brun- swick, ascritti al Devoniano ; si tratta qui di diversi insetti veri e propri, ben conservati e perfettamente identificabili, ma gli schi- sti di St. John, che qualche Autore aserisse perfino al Siluriano, sono oggi invece ritenuti come appartenenti al Carbonifero ; cosie- chè finora non si conoscono con certezza resti d’ insetti neppure del Devoniano. PERIODO CARBONIFERO. Anche per il Carbonifero inferiore (Culm) furono annunziati dei resti di insetti e ritenuti per Coleotteri; questi « Culmkiifer » RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI —=J] conservati a Berlino e a Tubingen non sono, veramente, neppure resti di Artropodi. È dunque solo nei sottopiani inferiori dell’ Antracitifero detti dai tedeschi « unteres Obercarbon », precisamente nell’ America settentrionale, negli Stati di Indiana, Alabama, Arkansas, che noi cominciamo a trovare gl’insetti. Questi nel Carbonifero si trovano subito numerosissimi e in molte località sia dell’ Europa (in special modo Inghilterra, Germania e Bacino franco-belga) che dell Ame- rica settentrionale (Stati di Montana, Illinois, Virginia, Pennsyl- vania, Ohio, oltre quelli citati). Il numero grande di forme che d’un tratto compaiono nel Car- bonifero appartengono a parecchi gruppi, aventi caratteri molto primitivi, oggi, ad eccezione dei Blattoidi, estinti, ma in molti dei quali noi possiamo già trovare i lontani antenati di alcuni degli ordini moderni. Della più alta importanza sono i Paleodittiotteri (Palaeodietyo- ptera), che si possono considerare come gl’insetti più antichi e pri- mitivi di cui resti traccia, per quanto probabilmente neppure essi furono i primi insetti comparsi. I Paleodittiotteri (Fig. 1, 2, 3) avevano testa grossa, arroton- data, con antenne semplici piuttosto brevi, formate da articoli tutti Fig. 1. — Un Paleodittiottero, Stenodictya lobata Brongn. (dal Brongniart). omonomi; erano muniti di un apparato boccale atto a masticare e di occhi composti piuttosto piccoli, ma bene sviluppati; il torace era formato da tre segmenti eguali, di cui i due posteriori erano Ss GUIDO PAOLI muniti di ali, l'anteriore spesso portava delle piccole espansioni aliformi che danno Vimpressione di un organo rudimentale e che molti Autori hanno considerato come vere e proprie ali protora- Fig. 2, — La stessa della fig. 1 ricostruita (da Handlirsch). cali. Le quattro vere ali erano tutte eguali con nervatura di tipo del tutto primitivo; stavano sempre distese orizzontalmente ai lati del corpo, si attaccavano al torace con larga base e non erano molto mobili altro che in senso verticale. Fig.3. — Un Paleodittiottero, Eubleptus danielsi Handl., ricostruito (da Handlirsch). Le tre paia di zampe erano omonome, di mediocre lunghezza, robuste, fatte per correre, con tarsi formati di pochi articoli. L’ad- dome era più o meno allungato, sessile, fatto di dieci segmenti, RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI 9 ma anche l undicesimo non era del tutto regredito; ai lati dei segmenti spesso si trovavano delle appendici che erano forse tra- cheobranchie che venivano fuori da espansioni pleurali, la qual cosa indicherebbe che questi insetti dovessero condurre vita anfibia; l’undicesimo segmento portava i cerci formati di molti articoli e che si trovavano spesso non solo nella forma adulta, ma anche nelle altre. In alcune Homaloneura i cerci raggiungevano i 10 cm. di lunghezza, mentre le ali sorpassavano di poco i 3 em. In certe specie sulla faccia ventrale si sono trovate nella re- gione dell’8.° o 9.° segmento delle appendici (Fig. 4) che possono ritenersi come gonapofisi. =2Y i ( Y CES Vs è 5 &] Fig. 4. — Lycocercus goldembergi Brongn. schematico (da Brongniart); Paleodittiottero con appendici (gonapofisi?) all'estremità dell'addome. I Paleodittiotteri erano insetti eterometaboli; le larve somi- gliavano molto agli adulti e avevano occhi composti bene svilup- pati; le ali si sviluppavano a poco a poco ed anche gli astucci alari delle forme ninfali stavano distesi orizzontalmente ; erano aquatiche e dovevano vivere di rapina al pari degli adulti. Alcuni Paleodittiotteri dovevano possedere anche allo stato adulto evidenti branchie all’estremità dell'addome, simili a quelle che ve- diamo attualmente nelle larve di Efemeridi e questa circostanza conferma l'ipotesi di un modo di vita anfibio, tanto più se consi- deriamo che gl’insetti più vicini ai Paleodittiotteri, come gli Efe- meridi, i Perlari, gli Odonati sono anche al presente forme anfibie. 10 GUIDO PAOLI I Paleodittiotteri sono insetti caratteristici del Carbonifero, sul finire del quale si estinguono; a giudicare dalla quantità enorme di resti e dalle facies degli strati che ce li hanno conservati, do- vevano essere abbondantissimi nelle paludi che interrompevano le monotone e lussureggianti foreste di quel periodo; ed erano spe- cie in generale di grande mole, come il Megaptilus blanchardi Brongn. con ali lunghe 16 centimetri, 1 Hypermegethes schucherti Handl. (12 em.), la Paolia vetusta Smith (9 em.) e sopratutti P Ar- chaeoptilus gaullei Meunier, che aveva un’apertura d’ali di 36 cen- timetri; data questa mole dovevano essere insetti svolazzanti (volitantes) piuttosto che buoni volatori. Molti sono i generi e le specie che si riferiscono a quest'ordine importantissimo che è stato suddiviso in 22 famiglie. Degli insetti fossili più noti appartengono ai Paleodittiotteri molte delle parec- chie specie poste dagli Autori nel gen. Dictyoneura, alcune delle quali vanno invece classificate fra i Protortotteri che vedremo fra breve ; inoltre la Lithomantis carbonaria Woodw. munita di due grandi espansioni al protorace percorse da dei rilievi simulanti ner- vature; questa specie, insieme con altre che presentano simili espansioni al protorace era stata classificata nella famiglia Palaeo- mantidae come Ortottero, mentre questo nome è stato dall’ Han- dlirsch riserbato per altri insetti, che vedremo, del Permiano. Probabilmente appartiene a quest'ordine anche la Xenoneura an- tiquorum Scudder, che per molto tempo fu ritenuta come il più antico insetto munito di organo stridulante; infatti una impres- sione alare presenta alla base una zona singolarmente increspata, che la fece rassomigliare ad un organo di suono; ma recenti in- dagini hanno dimostrato trattarsi in quel punto della sovrappo- sizione di due ali, non di un organo speciale. È forse un Paleo- dittiottero anche il 7itanophasma fayoli Brongniart di cui si conosce solo il corpo lungo 260 mm. I principali depositi carboniferi dell’ Europa e dell'America set- tentrionale hanno reso alla luce moltissimi avanzi di questi insetti a caratteri primordiali; generalmente si hanno solo frammenti di ali, ma talvolta anche porzioni più o meno grandi di corpo, le quali hanno permesso lo studio abbastanza accurato di queste antichissime forme. RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI 11 Il nome di Palaeodictyoptera fu dato dallo Scudder per tutti gli insetti del periodo carbonifero ; ora però, per opera dell’ Hand- lirsch, questi sono stati divisi in diversi ordini, cosicchè il primi- tivo significato di quella parola va alquanto ristretto. Noi infatti troviamo nel Carbonifero alcuni gruppi che segnano un passaggio fra i primi insetti, i Paleodittiotteri, e altri ordini più recenti. Tali, per esempio, i Protortotteri (Fig. 5, 6) caratte- Fig.5. — Un Protortottero, Dieconeura arcuata Fig. 6. — Un Protortottero aberrante, Seudd., ricostruita (da Handlirsch). Gerarus longicollis Handl. rico- struito (da Handlirsch). rizzati da ali con nervatura più specializzata, le quali durante il riposo erano tenute sull’addome:; le anteriori non hanno più la nervatura così semplice come i precedenti ; le posteriori somigliano alquanto alle anteriori ma posseggono un campo anale talora rela- tivamente piccolo, talvolta invece più grande, limitato da una piega. Il corpo era piuttosto tozzo, il protorace grosso è talvolta assai allungato, la testa pure grossa, munita di forti mandibole e di an- tenne lunghe e sottili. Alcune specie anche in quest’ordine posse- devano espansioni laterali al protorace, ma queste sono da conside- rarsi come forme aberranti, che si sono estinte senza discendenti. 12 GUIDO PAOLI La maggior parte presenta tutte le zampe omonome, ambula- torie (Fig. 7), ma qualche specie più ‘evoluta presenta già le vizi N | N Fig. 7. — Un Protortottero, Gyrophlebia longicollis Handl. schematico (da Handlirsch). zampe posteriori più lunghe e robuste, adatte cioè al salto (Fig. 8), così da poterli ragionevolmente considerare come al principio di quella serie che ha condotto fino ai Locustidi; mancavano ancora questi insetti di organi stridulanti. Si conoscono oltre 40 specie di Protortotteri che si raggruppano in diverse famiglie; proven- gono dalle solite località di Europa e di America. Fig. 8. — Un Protortottero con zampe posteriori adatte al salto, Oedischia williamsoni Brongn., ricostruita (da Handlirsch). Altro ordine di transizione è quello dei Protoblattoidea, che con- giunge i Paleodittiotteri col gruppo dei Blattoidi, che comincia nello stesso periodo carbonifero; questi non sono forse veri e pro- pri discendenti di quelli, ma più probabilmente i Protoblattoidi noti rappresentano Vultimo avanzo di un gruppo estinto, da cui molto per tempo si staccarono i Blattoidi; oppure Protoblattoidi e Protortotteri, i quali hanno fra loro molti caratteri comuni RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI 13 sono derivati ambedue da vicini parenti dei Paleodittiotteri. Co- munque sia, i Protoblattoidi presentano corpo tozzo, ma molto meno che le attuali Blatte (Fig. 9); hanno testa libera, arroton- data e protorace poco o punto allargato ai lati. Le ali nel riposo sono portate sopra l'addome; i loro caratteri sono per molti rap- porti intermedi fra quelli dei Paleodittiotteri e quelli dei Blattoidi ; Fig. 9. — Un Protoblattoide, Eucaenus attenuatus Handl. (da Handlirsch). quelli anteriori hanno campo anale piuttosto ristretto, traversato da vene arcuate, dirette obliquamente verso il margine posteriore. Le specie della fam. Oryetoblattinidae hanno le ali che ricordano quelle dei Mantoidi, il che fa supporre che questi Ortotteri ab- biano dei legami di discendenza dai Protoblattoidi. I resti abbondanti che sono stati finora trovati appartengono a una quarantina di specie che si riuniscono in diverse famiglie. Fra queste merita di essere ricordata quella dei Protophasmidae col Protophasma dumasi (Fig. 10) descritto dal Brongniart nel 1878 come antenato dei Fasmidi e da lui erroneamente completato e ri- costruito; ma poi (1885) il Brongniart stesso lo classificò nel suo ordine dei Neurortotteri, nel quale poneva anche la Lithoman- tis di cui sì è sopra parlato; finalmente nel 1893 tornò a consì- derarlo come Ortottero; in realtà non ha niente che fare coi Fa- smidi ed è un Protoblattoide; altrettanto dicasi del Protascalaphus o Stenoneura fayoli Brongniart da questo autore ritenuto come un Protomirmeleonide, alla base dei Neurotteri, e poi considerato come Protofasmide. 14 GUIDO PAOLI Tanto i Protortotteri quanto i Protoblattoidi si trovano molto abbondanti nel Carbonifero, ma si estinguono nel Permiano, nel qual periodo sono rappresentati da una sola specie finora nota. Fig. 10. — Un Protoblattoide, Protophasma dumasi Brongn. ricostruito (da Handlirsch.) Oltre i suddetti gruppi, oggi estinti, troviamo fino dal periodo carbonifero rappresentati gli Ortotteri col sottordine tuttora vi- vente dei Blattoidi (Fig. 11) di cui si conoscono 11 famiglie (del Jarbonifero) comprendenti finora circa 500 specie, particolarmente abbondanti nei terreni di Conemaugh (Amer. sett.) e Ottweiler (Ger- mania) i quali si riferiscono alla parte più alta del Carbonifero (Uraliano o Stefaniano). Seudder considera le forme di questo pe- riodo in un ordine distinto da quello in eui si pongono quelle viventi e le chiama Palaeoblattariae ; Handlirsch invece ritiene che le specie carbonifere e le molte altre che si incontrano nei terreni dei periodi successivi siano da aseriversi addirittura ai Blattoidi viventi, non essendo costanti nelle specie paleozoiche i caratteri della nervatura delle ali, adottati da Scudder e, al contrario, pos- sedendo molte fra quelle caratteri comuni alle specie attuali ; come i viventi, i Blattoidi antichi deponevano uova in ooteche, alcune delle quali sono state trovate anche nel Carbonifero. La famiglia più ricca di specie è quella degli Archimylacridae, che rappresenta quasi l’anello di congiunzione coi Protoblattoidei e per conseguenza coi Paleodittiotteri; anzi talune forme sono RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI 15 così vicine ai Protoblattoidei che riesce difficile stabilire in qual gruppo Siano da classificarsi ; le specie poi della fam. Mylacridae che trovansi nei più profondi strati di questo periodo sarebbero, secondo lo Seudder, i rappresentanti di un gruppo primitivo di Fig. 11. — Aphthoroblaltina johnsoni Woodw., uno dei più antichi Blattoidi genuini, ricostruito (da Handlirsch). Blattinidi, mentre secondo VlHandlirsch sarebbe più giusto consi- derarli come un ramo laterale dei Blattoidi, staccatosi molto per tempo da questi e che per conseguenza ha conservato molti carat- teri che avvicinano ai Paleodittiotteri. In questi Mylacridae si nota il primo adattamento mimetico poichè le ali di tali insetti rasso- migliano molto a certe fronde di felce colle quali sì trovano di solito, il che sta a dimostrare che quelle specie vivevano pro- babilmente sul suolo, nascoste o in mezzo alle fronde cadute, sfuggendo in tal guisa ai nemici. Tale adattamento mimetico lo troviamo, per così dire, esageratamente sviluppato nella Pferido- mylacris paradora Handl., che rappresenta la fam. Pteridomylacri- dae, la quale presenta una tal somiglianza colle fronde di talune felci fossili, da far dubitare se si tratti realmente di un'ala di insetto. Fra i resti trovati vi sono molte forme giovanili che ci dimo- strano come tali insetti al pari degli attuali, menassero vita esclu- sivamente terrestre; talune delle più antiche forme hanno un 16 GUIDO PAOLI corpo assai snello e presentano nelle ninfe (Fig. 12) gli astucci alari non così distintamente piegati in dietro come nelle attuali, ma in una posizione intermedia che ricorda gli antenati Paleodittiotteri. Fig. 12. — Blattoidea carri Schuch., ninfa di Blattoide (da Schuchert). In conclusione i Blattoidi sono gl’ insetti più abbondanti e più diffusi di tutto il Carbonifero e si mantengono attraverso a tutti i tempi fino al presente, per quanto fino dal Permiano cominci la loro decadenza. Benchè rappresentato da sole 9 specie conosciute, troviamo nel Carbonifero un ordine ora scomparso, intermedio fra i Paleodit- tiotteri e gli Odonati e che si denomina dei Protodonati; questi differiscono da ambedue quei gruppi pei caratteri della nervatura delle ali, le quali sono più specializzate che nei primi e si avvi- cinano a quelle dei secondi, ma non hanno ancora lo pterostigma; i resti del corpo dei Protodonati sono purtroppo così searsi che non bastano a darci delle cognizioni sulla loro forma; erano però insetti anfibi e le ali (Fig. 13) erano tenute orizzontalmente. An- che i Protodonati erano insetti giganteschi; le ali di alcune spe- cie di Meganeura (M. monyi Brongn., M. brongniarti Handl.) rag- giungevano i 50 centimetri di lunghezza e sono questi i più grossi insetti conosciuti. Handlirsch considera come unico rappresentante noto di un ordine scomparso, che chiama Protephemeroidea, una specie trovata a Commentry in Francia (Stefaniano tipico) e che possiede carat- teri intermedi fra i Paleodittiotteri e gli attuali Efemeridi (Fig. 14). Infatti le quattro ali eguali, mentre hanno i caratteri generali della nervatura dei Paleodittiotteri, mostrano che molti rami delle RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI 17 vene longitudinali derivano dalla vena trasversa e formano un settore intermedio (intercalare) come si trova generalmente negli Efemeroidi attuali; come alcuni di questi, tale insetto possedeva (LI N DESi ne ae ot è. LIZ LA 42 o Fig. 13. — Ali anteriore e posteriore di Meganewra, rimpiccolite (da Handlirsch). all’ estremità dell’ addome, fra i cerci, una appendice impari fili- forme, derivante dall’ undecimo tergite. Gli occhi composti erano piccoli come nei Paleodittiotteri, i segmenti del torace erano tutti eguali fra loro e così pure quelli dell’ addome. Brongniart aveva stabilito il gruppo dei Protephemeroîdea per altre forme le quali non hanno niente che fare cogli Efemeridi e delle quali alcune, come Homaloneura, son da riferirsi ai Paleo- dittiotteri. Alcune specie di insetti paleozoici furono dal Brongniart riu- niti in una famiglia che chiamò dei Megasecoptera e che considerò come facente parte dell’ordine dei Neurotteri ma affine agli Pseu- doneurotteri; Handlirsch inalza i Megasecotteri al grado di ordine con cinque famiglie e 21 specie finora note. È probabile che que- sti insetti derivino dai Paleodittiotteri e rappresentino i precursori dei Panorpati; erano però ancora insetti eterometaboli, come l’ha dimostrato il ritrovamento di una forma ninfale munita di quat- « Redia », 1913. 2 18 GUIDO PAOLI tro astueci alari situati in posizione divergente ai lati del torace. Negli adulti (Fig. 15) le vene trasversali si riducono di numero e Fig. 14. — Un Protefemeride, 7riplosoba pulchelta Brongn. ricostruita (da Handlirsch). sì ordinano più regolarmente e anche le vene longitudinali di- vengono meno numerose ed alcune si accostano strettamente fra loro. La testa era a forma di cuore, il protorace piccolo, le quat- tro ali, indipendenti fra di loro stavano distese orizzontalmente durante il riposo ; l’addome era formato di segmenti omonomi, ed era provvisto di due cerci lunghi, in talune forme assai avvi- cinati fra di loro. La maggior parte dei Megasecotteri fu trovata nei classici giacimenti di St. Etienne. Oltre gli ordini citati, altri di minore importanza, perchè meno noti a causa dello scarso ed imcompleto materiale ritrovato, sono stati istituiti, come i Aeculoidea, gli Hadentomoidea, che forse erano progenitori dei Perlari e degli Embidi, gli Hapalopteroidea i quali pure possedevano dei caratteri di primitivi Perlari, e i Miwoter- mitoidea. Dando uno sguardo complessivo alla più antica fauna entomo- logica conosciuta vediamo innanzi tutto l’ordine, che possiamo considerare come capostipite, dei Paleodittiotteri e, accanto a RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI 19 questo, una quantità di ordini ora scomparsi, intermedi fra quelli e gli attuali Ortotteri (Blattoidi e Saltatori), Odonati, Efemeridi ; soltanto i Blattoidi compaiono e si sviluppano massimamente nel d Fig. 15. — Un Megasecottero, Miscoptera woodwardi Hand]. ricostruita (da Handlirsch). Carbonifero e durano fino al presente; di tutti gli altri ordini oggi viventi non si trovano ancora i rappresentanti, nè i pros- simi progenitori. PERIODO PERMIANO. Nel periodo permiano la fauna entomologica si presenta, in con- fronto a quella del Carbonifero, assai più scarsa; innanzi tutto i Paleodittiotteri mancano, essendo già scomparsi negli ultimi oriz- zonti del periodo precedente; fra gli altri ordini di transizione già veduti, troviamo i Protortotteri rappresentati ormai da una sola specie e che scompaiono per sempre; i Protoblattoidi sono ancora abbastanza ben rappresentati, ma si estinguono anch'essi in questo periodo. Il sottordine dei Blattoidi predomina ancora 20 GUIDO PAOLI nel Permiano ed è rappresentato da circa 120 specie che appar- tengono in massima parte alla fam. Archimylacridae, per quanto più altamente specializzate che quelle del Carbonifero. Questo è unico gruppo di insetti paleozoici di cui si siano trovati avanzi in Italia, dal Canavari, sul Monte Pisano. Nello stesso ordine degli Ortotteri abbiamo, con dubbio però, la comparsa dei Mantoidei; si tratta di due ali trovate dall’Hand- lirsech nel Permiano superiore di Russia e da lui attribuite a due specie del gen. Palacomantis ; mancando le zampe, non si può asserire se realmente queste due forme appartengano allo stesso gruppo dei Mantoidi viventi, ma del resto potrebbe anche darsi il caso che tali antiche forme non possedessero ancora le zampe raptatorie. Il nome di fam. Palaeomantidae (a cui si riferiscono queste due specie) abbiamo già viste come fosse già dal Bron- gniart applicato ad alcuni Paleodittiotteri come Lithomantis ece. Anche i Protodonati scompaiono in questo periodo in cui son rappresentati da una sola specie conosciuta, trovata nel Permiano inferiore di Franconia e le cui ali, incompletamente conservate, erano lunghe almeno 10 centimetri. Si trovano anche nel Permiano i primi Plectotteri con caratteri simili a quelli degli attuali; derivano probabilmente dai Protefe- meroidi del Carbonifero, dei quali non si è finora trovato traccia nel Permiano; di Plectotteri si conoscono soltanto tre forme lar- vali (Fig. 16), provviste di branchie all’estremità dell'addome, e un avanzo di ala, provenienti tutti dal Permiano inferiore russo. Negli stessi terreni è stata trovata anche 1’ impronta di un in- setto che fu con molto dubbio, e provvisoriamente, ascritto dal- P Handlirsch ai Perlari. Ma oltre a tutti interessante è il resto di un insetto trovato nelle formazioni del Permiano inferiore di Germania ad Abenteuerhiitte, descritto dal Dohrn nel 1866 col nome di Eugereon doeckingi (Fig. 17). Si tratta dell’ impronta e controimpronta di buona parte di un in- setto che doveva misurare circa 75 mm. di lunghezza; 1’ appa- rato boccale, egregiamente conservato, ce lo dimostra subito come insetto capace di pungere e tutti i caratteri ce lo fanno ritenere come | anello di congiunzione fra ‘i Paleodittiotteri e i Rincoti ; per cui I’ Wugereon può considerarsi come 1° unico rappresentante RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI Pall conosciuto di un ordine scomparso che 1° Handlirsch ha chiamato dei Protohemiptera. Fig. 16. — Una larva di Efemeroide, Phthartus rossicus Hand]. ricostruito (da Handlirsch). Il corpo è massiccio con torace largo ; il pronoto è quasi reni- forme largo il doppio della lunghezza e probabilmente piano. Le ali stanno distese orizzontalmente come nei Paleodittiotteri e la loro nervatura ha caratteri alquanto primitivi che la collegano a quella di questi ultimi. Le zampe anteriori hanno cosce semplici, grosse, ravvicinate, femori relativamente corti, tibie lunghe senza grosse spine e tarso composto di due soli articoli, uno dei quali basale, corto, subtrian- golare ; l’ altro lungo, leggermente incurvato, che porta le unghie. La testa è piuttosto piccola, libera, con occhi composti laterali di media grandezza, maggiormente accostati in avanti. I pezzi boccali (Fig. 18) formano un rostro suechiatore, lungo circa 25 mm. che nel fossile è diretto in avanti, ma che forse nel vivente era posto verticalmente o obliquamente in dietro, composto di 7 pezzi; il primo è il labbro superiore non segmentato, allun- gato, scanalato inferiormente, terminato a punta; vengono quindi due pezzi sottili, lunghi quanto il precedente, anch’ essi non seg- mentati, il cui punto di attacco è alla faccia inferiore del labbro superiore; questi due pezzi, da riguardarsi come mandibole stili- 22 GUIDO PAOLI formi, decorrono molto vicino al labbro; si hanno poi due sottili filamenti, ritenuti dal Dohrn come antenne, ma che effettivamente non presentano traccia di vera segmentazione e che sono per con- Fig. 17. — Impronta di Eugereon boekingi Dohrn, quasi in grandezza naturale (da Handlirsch). seguenza da considerarsi quali mascelle trasformate come nei Rin- coti attuali. Quello che è più caratteristico, secondo gli Autori, è il labbro inferiore di cui sarebbe ancora perfettamente evidente l origine dovuta alla fusione delle parti di un secondo paio di mascelle. Infatti V Eugereon presenta due appendici composte ognuna di 5 0 forse 6 segmenti, il basale dei quali si può seguire fino alla faccia inferiore della testa, ove è avvicinato a quello dell’ altro lato e forse anche fuso con esso. Tali appendici po- trebbero però anche essere semplicemente i palpi del labbro infe- riore, molto allungati. Questo singolarissimo fossile appare preparato naturalmente così come noi possiamo fare con un esemplare fresco, preparato per macerazione o per schiacciamento; qualora ) ultimo paio RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI 2a di appendici rappresentasse il labbro inferiore ancora diviso, l’ in- Setto si dimostrerebbe per questo solo carattere ad un gradino molto inferiore non solo degli attuali Rincoti, ma di tutti gl’ in- Fig. 18. — Rostro di Eugereon boekingî Dohrn; figura schematica e ingrandita (da Handlirsch). setti viventi. Nonostante che 1’ Eugereon sia stato dai diversi Au- tori classificato ora fra gli Ortotteri (Mantoidi), ora fra i Paleo- dittiotteri, non v ha dubbio che esso rappresenti il capostipite dei Rincoti che vengono per mezzo suo collegati ai Paleodittiotteri. Nei giacimenti permiani di Russia sono stati trovati due avanzi di ali di insetti appartenenti senza dubbio a un ordine affine a quello degli attuali Rincoti, ma, non essendo complete, non si può stabilire se potrebbero riferirsi a Omotteri o a Eterotteri. Una di queste ali sembra che abbia una metà più fortemente chitinizzata, come gli Eterotteri; l’ altra sembra del tutto coriacea e punteg- giata, ma ambedue presentano una nervatura molto simile a quella degli Omotteri. L° Handlirsch li considera come rappresentanti di uno speciale ordine che chiama dei Palaeohemiptera, il quale sa- 24 GUIDO PAOLI rebbe disceso dai Protoemitteri, e da cui a lor volta sarebbero derivati Eterotteri e Omotteri. Diversi altri avanzi fossili sì del Permiano, come del Carboni- fero sono stati da varì Autori ritenuti rappresentanti di altri gruppi viventi, come Tisanuri, Collemboli, Fulgoridi, Coleotteri ece.; però ulteriori e più accurati esami hanno dimostrate false queste interpetrazioni e gli animali stessi sono stati poi classificati in qualenno degli ordini di cui abbiamo fatto parola, oppure rico- nosciuti come appartenenti ad altri gruppi di Artropodi. Era mesozoica. [PSR ERIICONDIORENER FIEAGSISEILOIO” Degli ordini di transizione che abbiamo veduti nel Paleozoico, nessuno sopravvive nell’ era mesozoica, per quanto la scarsità di fossili del primo periodo di quest’ era possa lasciare adito a molti dubbi circa la fauna entomologica dei primi tempi mesozoici. Nel Trias adunque vediamo comparire i Coleotteri, i primi in- setti a metamorfosi completa. Sono 19 specie finora conosciute, della maggior parte delle quali si son conservati fino a noi sol- tanto elitre o corsaletti; ora, siccome queste parti non sono suffi- cienti, anzi spesso fallaci per stabilire le famiglie e tanto più i generi, poichè pei Coleotteri i caratteri tassonomici risiedono in parti o in organi che solo eccezionalmente si trovano fossili, come antenne, tarsi ecc., così è meglio rinunziare alla pretesa di molti Autori di determinare e classificare coi criteri, che regolano le divisioni degli attuali Coleotteri, queste forme e di avvicinarle a quelle viventi, e non possiamo perciò concludere quali siano i primi Coleotteri che si sono sviluppati. Soltanto per le forme di periodi molto più recenti, ma non per tutte, sarà possibile l’aggruppamento in famiglie e in generi. Nean- che queste 19 specie appartengono al vero e proprio Trias, perchè mentre alcune appartengono ai giacimenti keuperiani di Lichten- stein o al Muschelkalk di Lorena, molte altre sono invece del Retico di Germania o di Svezia che molti geologi pongono nell’ In- RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI 25 fralias, cioè alla base del Lias sensu lato, e diverse ancora pro- vengono dal Queensland in Australia i cui giacimenti vengono con dubbio ascritti al Trias e dal De Lapparent al Retico. Dell’ ordine dei Neurotteri s. 1. vediamo nel Trias i primi Me- galotteri rappresentati da due sole specie trovate nell’ arenaria variegata (Bunter Sandstein) di Godewitz in Germania, di ognuna delle quali rimane una sola ala; la nervatura di una di queste ali non è riferibile nè ai Cacliodidi nè ai Sialidi; ha delle somiglianze con quella dei primi, ma con caratteri più primitivi, pei quali si accosta a quella dei Paleodittiotteri. Qualche altro avanzo di insetto è stato trovato nei terreni di que- sto periodo, ma insufficiente per la determinazione; nessuno altro ordine di insetti è stato finora visto rappresentato nei depositi trias- sici, i quali del resto hanno prevalentemente facies di mare profondo con predominanza di calcari, di modo che tutta la fauna entomo- logica del Trias sì riduce a 21 specie, quantità invero minima in confronto, ad esempio, delle circa 800 specie del Carbonifero. Quali saranno le cause di questa scarsezza di avanzi di insetti fossili nel Trias? erano realmente in quel tempo gl’ insetti molto scarsi, oppure sono mancate le condizioni favorevoli alla loro con- servazione ? Probabilmente l una e l’ altra causa insieme vi hanno contribuito. Si trovano diversi depositi ricchi di resti vegetali assai ben conservati, ma privi d’ insetti, il che farebbe ritenere che tali Artropodi passassero realmente attraverso ad una fase di regres- sione, dovuta forse al profondo cambiamento nella distribuzione delle terre e dei mari; ma d’ altra parte il regime predominante oceanico del Trias e la enorme quantità di calcari tutti più 0 meno profondamente metamorfosati così da fare scomparire quasi del tutto perfino le tracce degli organismi che li produssero, è stato certamente tale da impedire la conservazione dei resti di esapodi. Dell’ immenso numero di esseri vissuti, quelli che ci sono stati conservati allo stato fossile rappresentano una esigua, quasi trascu- ‘abile minoranza e questo vale tanto più per gl’ insetti che, come abbiamo detto, non sono facili ad esser conservati; non dobbiamo pertanto meravigliarei se non si ritrovano avanzi di esseri, che, pure esistendo, non furono molto abbondanti in un dato tempo è questo è probabilmente avvenuto nel Trias per gl’ insetti. 26 GUIDO PAOLI Certamente quando nei periodi successivi troviamo riccamente rappresentati ordini che esistevano già nel Paleozoico, o i diretti discendenti di quelli, dobbiamo ritenere che queste serie si siano continuate anche attraverso al periodo triassico, e se non se ne è finora trovato traccia, siamo costretti ad ammettere che, per ra- gioni che non possiamo ancora precisare, i loro resti non ci furono conservati, e ad ogni modo che nella storia dell’ insetti vi è una grande lacuna. Possiamo perciò tenere per certo che vivessero in questo pe- riodo Perlari e Plectotteri di cui abbiam viste tracce, benchè dubbie, anche nel Permiano; che continuassero nel loro sviluppo Blattoidi, Mantoidi e i progenitori dei Rincoti, e che comparissero i veri Odonati e Ortotteri saltatori (Locustoidei) e forse anche Em- bioidi, Panorpati, e Neurotteri s. str. poichè tutti questi gruppi ci sì presenteranno nel Lias molto ricchi di forme. Di fatti certi, nel periodo triassico, v'è solo la comparsa dei Coleotteri, cioè dei primi insetti olometaboli. Se vogliamo ammet- tere che 1’ olometabolia sia in relazione, negli insetti, colla pre- senza di periodi freddi annuali che arrestano o riducono in gran parte la vegetazione e le altre condizioni favorevoli allo svi- luppo, se ne potrebbe concludere che nel Trias il clima non si mantenesse più uniformemente caldo, ma che cominciasse a veri- ficarsi un’ alternanza di stagioni. L’ ipotesi suesposta sull’ origine della olometabolia è avvalorata dal fatto che anche attualmente le forme eterometabole sono assai più abbondanti nelle regioni temperate e calde, tropicali, che in quelle fredde, nelle quali al contrario sono ancora abbondantissimi gli olometaboli. Sembra dunque che il fenomeno della metamorfosi sia collegato coll’ alternarsi delle stagioni, o, per dir meglio, la mancanza di metamorfosi complete è in relazione colla mancanza di differenze climatiche dovute alle stagioni, cosicchè mentre gli eterometaboli non possono vivere altro che là dove mancano periodi freddi e di gelo, al contrario gli olometaboli possono pei loro adattamenti vivere ovunque, e per questo li vediamo uniformemente diffusi sulla terra. Qualora venisse sicuramente dimostrata 1’ esistenza di un’ epoca glaciale permiana, che sembra molto probabile, almeno per 1’ emi, 1 o RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI sfero australe, potrebbe essere stata questa a indurre i cambia- menti di clima supposti; tale raftreddamento avrebbe potuto pro- durre una profonda modificazione nella flora e nella fauna e sol- tanto tipi più adattabili, o accantonati in località più fortunate avrebbero potuto sopravvivere, e per questo il Trias sarebbe stato povero di insetti, i quali con nuove forme e diversamente adat- tate si sarebbero poi nuovamente accinti a popolare la superficie terrestre. Così si spiegherebbe la scomparsa di tanti insetti eterometaboli, alcuni dei quali avrebbero dovuto soccombere, altri sopravvivendo si sarebbero modificati nel loro modo di vita, divenendo olometa- boli. Con tale cambiamento si sarebbe abbreviato molto il periodo durante il quale V animale ha grande bisogno di nutrirsi per ere- scere, ed il periodo di pupa quiescente intercalato fra la larva e l’adulto avrebbe servito per permettere all’animale di sopravvivere durante la cattiva stagione; nella vita di questi insetti la forma- zione delle ali, degli organi genitali ecc. sarebbe stata spostata e confinata appunto nello stadio ninfale. Nei periodi geologici seguenti vedremo aumentare sempre il nu- mero di insetti a metamorfosi completa fino a divenire predomi- nante come è oggi. PERIODO LIASSICO. Dato il numero grandissimo di insetti trovati nei piani com- presi fra il Triassico e il Cretaceo, e considerando che in quei tempi avvennero fatti importantissimi nella storia dello sviluppo degl’insetti, sembra più opportuno tenere separato il Lias o Giura turchino dal Giura vero e proprio (bruno e bianco). Infatti fino dal principio del Lias molto ricca e svariata ci si presenta la fauna entomologica e parecchie sono le regioni in cui si son trovati resti di insetti; in Inghilterra molte località ri- feribili al Lias inferiore e superiore (1); in Germania, special- mente il Mecklenburg del Lias superiore; l Argovia (Svizzera) e Pechgraben (Austria) tutte del Lias inferiore. (1) Il Lias viene qui diviso semplicemente in inferiore e superiore. 28 GUIDO PAOLI Particolarmente notevole è la formazione del Gloucestershire alla base del Lias azzurro, avente circa m. 0,45 di potenza e con- tenente gran quantità di resti di pesci e insetti, così da meritar- gli il nome di fisch bed o insect limestone ; essa fu studiata spe- cialmente dal Brodie. Ancora più ricco di resti di insetti è lo strato di Schambelen in Argovia, ma sfortunatamente la marna nera di cui si compone contiene della pirite, che, alterandosi all’ aria, deteriora rapida- mente nelle collezioni gli avanzi fossili e le impronte contenute; questi insetti furono illustrati per opera dell’Heer. Complessivamente il numero di specie conosciute per il Lias è di quasi 400; in questo periodo si trovano già sviluppati alcuni degli attuali ordini che mancavano nel Paleozoico, ma che forse, come abbiamo sopra esposto, erano già cominciati nel Trias. Così ad esempio troviamo per la prima volta gli Ortotteri sal- tatori rappresentati da 45 specie di Locustoidi ; attualmente que- sti e gli Acrididi sono circa in egual numero e nell’era terziaria li troviamo fossili in egual proporzione, il che dimostra, come era prevedibile, che gl’individui di questi due gruppi sono egualmente capaci di conservarsi nei sedimenti; perciò noi siamo autorizzati a ritenere che gli Aerididi non fossero ancora comparsi, non es- sendo stato trovato ancora alcun avanzo dei medesimi nel Lias. I Locustoidi liassici possono essere divisi in tre famiglie, Elca- nidae, Locustopsidae e Gryllidae delle quali soltanto Vultima si con- tinua nel presente. Gli Eleanidi (Fig. 19) sono i più numerosi e Fig. 19. — Elcana genîitzì Heer. Locusta con espansioni fogliformi alle tibie posteriori, ricostruita (da Handlirsch). posseggono le lunghe antenne tipiche dei Locustidi, zampe poste- riori saltatorie, e nelle femmine è presente un lungo ovopositore. RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI 29 Erano probabilmente aneora insetti muti, poichè non è stata trovata nessuna ala con organo stridulante; la nervatura delle ali conserva ancora qualcosa di indeciso ossia di primitivo e ricorda per certi ri- guardi più quella degli Acrididi che quella dei Locustidi viventi ; la maggior parte delle ali sono macchiettate. Le specie del genere Eleana, fondato dal Giebel, Punico della famiglia, ma ricco per ora di una quarantina di specie, furono dagli Autori classificate fra i Panorpati, fra gli Efemeridi, fra i Sialidi, e fra i Termitidi; finalmente Hagen e Deichmiiller hanno riconosciuto, in seguito a nuovi reperti, la vera natura di Locu- stoidi di questi insetti e Handlirsch le ha collocate in una nuova famiglia che prende il nome dal genere. Questo stesso Autore ha poi raggruppato nella famiglia dei Lo- ‘custopsidi altre 5 specie che per i caratteri della nervatura delle ali non potevano convenire cogli Eleanidi. L’ultima famiglia è quella dei Grillidi, che si trovano nel Lias superiore di Dobbertin nel Mecklenburg già con forme tipiche, aventi la nervatura simile a quella del gen. Gryllus ma un po’più regolare; i maschi erano provvisti di organi stridulanti alle elitre e sono i primi insetti, che conosciamo con sicurezza, capaci di produrre dei suoni. Abbiamo già veduto come nei depositi permiani si fossero tro- rati degli avanzi di ali riferite con dubbio ai primi Mantoidi ; nel Lias inglese e del Mecklenburg sono state trovate delle ali di insetti classificate da taluno fra i Neurotteri, da altri fra i Locu- stidi; effettivamente mancano nella nervatura i caratteri degli uni come degli altri, ma somigliano piuttosto agli Orietoblattinidi, che abbiam visto fra i Protoblattoidi paleozoici e che abbiamo notato come possibili lontani progenitori dei Mantoidi; infatti le ali in questione hanno dei caratteri molto simili a quelli dei Mantoidi attuali, così da farli considerare come anello di congiunzione fra quelli e questi e confermando l’ipotesi di alcuni Autori circa la probabile origine da un comune capostipite ; ad ogni modo le spe- cie liassiche non possono farsi rientrare in nessuna delle famiglie di Mantoidi viventi, ma raggrupparsi in particolari famiglie (Ma- glidae, Geinitzidae). I Blattoidi continuano anche in questo periodo; se ne cono- 30 GUIDO PAOLI scono 24 specie, di cui 19 appartengono alla famiglia Mesoblatti- nidae che esisteva già nel Carbonifero; ma questo gruppo è già in notevole regresso, poichè nel Carbonifero i Blattoidi rappresen- o di tutta la fauna entomo- tavano il 93 °/, nel Permiano 1285 °/ logica conosciuta per quei periodi, mentre nel Lias non sono più che il 6 °/, degli insetti noti. Secondo Enderlein si troverebbero nel Lias superiore di Dob- bertin (Mecklenburg) due ali riferibili a Copeognati, i quali dunque comparirebbero in questo periodo: tali resti erano stati dall’ Han- dlirsch ritenuti come Omotteri affini agli Psillidi. Nel Lias compaiono anche i veri Odonati, dei quali una specie si può riferire alla famiglia vivente dei Gomphidae ; gli altri 16 non hanno ancora i caratteri di quelli attuali, ma al contrario sono intermedi fra gli Zigotteri e gli Anisotteri, che non compaiono ancora; possiamo perciò considerarli con YHandlirsch come costi- tuenti un sottordine a parte da cui sono derivati quei due e chia- marlo degli Anisozigotteri. È supponibile che fra i Protodonati del Paleozoico e gli Odonati veri e propri debba essere esistita una serie di forme intermedie ; le prime si svilupparono forse nel Permiano, le ultime sarebbero appunto rappresentate dagli Ani- sozigotteri che predominarono nel Mesozoico e dei quali sarebbe ancora vivente nel Giappone una specie, la Palaeophlebia superstes che fu descritta dal Selys de Longchamp e che ha i caratteri alari dei Calopterigidi e quelli del corpo come i (Gonfidi. La nervatura delle ali degli Anisozigotteri ha dei caratteri che la ravvicinano tanto a quella degli Anisotteri quanto a quella degli Zigotteri, ma è assai più primitiva; si distingue da quella dei Protodonati per Vinerociamento della vena mediana col sector radii e per la presenza di un modus. Gli occhi non erano riuniti sul vertice, ma sempre separati, sessili e grandi come nei Gonfidi ed altri Anisotteri e il capo non era mai allargato e con occhi quasi peduncolati come negli Zigotteri ; il torace e l'addome erano più o meno snelli, i cerci erano talvolta a forma di uncino come nei Calopterigidi, oppure in forma di semplici tubercoletti, o an- che come appendici larghe fogliformi come in molti Anisotteri. Im talune specie l’addome era ingrossato a clava prima dell’estremità, in altre invece era allargato alla base, e finalmente era talvolta E SPO gf. RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI 3 tutto egualmente cilindrico ; le ali erano portate, nel riposo, sia distese orizzontalmente, sia rivolte in alto e in dietro colle facce dorsali a contatto; le zampe pure presentavano grande varietà essendo corte e robuste, oppure lunghe ed esili. Needham divide gli Anisozigotteri in due famiglie, gli Stenophlebinae da cui sa- rebbero derivati gli Anisotteri e gli Meterophlebinae progenitori degli Zigotteri. Nel Lias superiore di Mecklenburg furon trovati due avanzi di insetti molto incompleti per potere essere con sicurezza determi- nati, e che dal Geinitz furon riferiti ad un antico Formicaleone (Protomyrmeleon): in realtà non ha niente che fare coi Nenrotteri, bensì va riferito agli Odonati e l’Handlirsech lo considera come rappresentante di un gruppo detto degli Archizigotteri, poichè ha molti caratteri di Agrionide, ma se ne discosta per una organiz- zazione assai più primitiva; per mancanza di caratteri sufficienti può ritenersi con egual ragione come discendente dei Protodonati, e per conseguenza come un anello di congiunzione fra questi e gli Agrionidi, oppure in certo modo come una formazione analoga e parallela a questi ultimi, la quale si è estinta senza discen- denti. I Neurotteri veri e propri sono anch'essi rappresentati la prima volta nel Lias superiore con 15 specie finora note, le quali hanno ali con nervatura di struttura ancora molto primitiva, che si può facilmente far derivare da quella dei Paleodittiotteri; non si co- nosce per ora alcun resto del corpo di questi insetti, ma la ras- somiglianza delle ali trovate con quelle delle forme viventi di Hemerobius e affini fa ritenere che anche il corpo avesse una certa somiglianza (Fig. 20), e questa opinione è confermata dai reperti di terreni meno antichi, come quelli del Giura. È appunto per que- sta affinità cogli Emerobiidi, unita a caratteri primitivi, che que- sti Neurotteri liassici sono stati dall’ Handlirsch riuniti in una fa- miglia detta dei Prohemerobiidae, dalla quale sarebbero discesi gli Emerobidi attuali; per quanto manchino dati certi, molto probabil- mente le larve di questi Neurotteri vivevano nell’acqua e respira- vano per branchie poste all'estremità posteriore del corpo, come quelle degli Osmylus, Sisyra ece., e gli adulti erano per analogia forniti di ocelli come i Dilar. 32 GUIDO PAOLI I Megalotteri, di cui abbiamo vedute le prime tracce nella scarsa fauna triassica, come anche i Plectotteri, che risalgono fino al Per- miano, non sono ancora stati trovati nei depositi del Lias, ma ri- compaiono invece in periodi più recenti; sicchè, come abbiamo detto altrove, dobbiamo ritenere che tali insetti fossero ancora molto rari, così da non aver lasciato traccia fossile, oppure que- sta, a causa appunto della rarità, non è stata ancora ritrovata, Fig. 20. — Un Proemerobiide, Prohemerobius prodromus Hand]. ricostruito (da Handlirsch). Panorpati e Friganoidi si trovano pure per la prima volta nel Lias, ma i loro rappresentanti sono fra di loro ancor più simili che le forme attuali; anzi le loro ali posteriori si somigliano tanto, che riesce difficile classificare le forme nell’uno o nell’altro ordine ; tal rassomiglianza, mentre è una prova della comune origine dei due gruppi, fa supporre che non si fossero ancora bene differen- ziati e che anche il loro modo di vita fosse quasi lo stesso. Si conoscono 15 specie di Panorpati che non possono farsi rien- trare in nessuna delle attuali famiglie, ma devono riunirsi in una speciale, da cui sono probabilmente discese tutte le altre e che l’Handlirsch chiama degli Ortophlebidae. Altrettanto avviene per le 15 specie di Friganoidi che si cono- scono e che possono riunirsi in una famiglia capostipite di quelle più recenti e delle attuali (Necrotauliidae). Altri insetti ancora sembrano comparire nel periodo liassico, e precisamente i Ditteri che appartengono tutti agli Ortorafi nema- toceri; le 13 specie note possono aseriversi a quattro famiglie di RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI d5 cui una sola è giunta fino a noi ed è quella dei Bibionidi dei quali è stata trovata nel Lias superiore di Mecklenbure un’ ala molto simile a quelle delle specie appartenenti al gen. Plecia che troveremo già largamente rappresentato nel terziario. Un altro dittero ha lasciato un’ala molto simile a quella delle specie della fam. Rhyphidae, in particolar modo dei Lobogaster, ma per aleuni caratteri più primitivi si può considerare come rappre- sentante di una famiglia antenata dei Alyphidae e chiamarla Pro- torhyphidae ; similmente si trovano tre specie aftini ai Ptycopteridae di cui si può fare la fam. Eoptycopteridae. In fine otto specie so- migliano pei caratteri alari molto ai Tipulidi, ma di queste specie si trova anche laddome che è piuttosto grosso, il che fa pensare che le specie liassiche non avessero ancora le forme slanciate delle specie viventi, e che formassero una famiglia con caratteri primi- tivi (Architipulidae). I Coleotteri già comparsi nel Trias continuano a svilupparsi e se ne conoscono 136 specie liassiche, numero cospicuo, perchè rap- (0) presenta una percentuale di circa 37 °/, di tutti gli insetti di que- sto periodo; per le ragioni esposte ci limitiamo a constatare sol- tanto che i Coleotteri sono in considerevole aumento, rinunziando a vedere in queste forme liassiche i rappresentanti o i precursori delle attuali famiglie. Abbiamo visto come nel Permiano, oltre all’ Hugereon rappresen- tante dei Protoemitteri, si trovassero due specie, le quali per avere caratteri intermedi fra quelli degli Eterotteri e quelle degli Omot- teri potevano considerarsi come lo stipite di questi due sottordini e ascriversi ai Paleoemitteri. Nella scarsa fauna triassica non si trovano insetti riferibili a questi gruppi, ma nel Lias troviamo gli avanzi di veri rappresentanti dei due sottordini, nonchè una specie la quale appartiene ancora ai Paleoemitteri. Di Eterotteri si conoscono soltanto 7 specie, mentre che di Omotteri ne sono noti 23; il che vorrebbe dire che, al contrario di quanto avviene oggi, questi fossero nel Lias meno numerosi che quelli. Gli Eterotteri liassici non si possono dividere come gli attuali in Ginnocerati e Crittocerati; probabilmente la diffe- renziazione non era ancora avvenuta e tali forme rappresentano il comune ceppo delle due divisioni; spesso, oltre alle ali si tro- « Redia », 1913. 3 (n) ta) GUIDO PAOLI rano conservati frammenti del corpo, specialmente pronoti, scu- telli e pezzi pleurali dell’addome; questi frammenti fanno ben ri- conoscere che gli Eterotteri liassici avevano caratteri alquanto primitivi, cosicchè dai medesimi si posson far derivare alquante delle attuali famiglie, senza che alcuno di essi possa esser classi- ficato in queste. Si trovano infatti specie con caratteri che ricor- dano i Cimicidi, i Pentatomidi, i Coreidi. I 23 Omotteri possono riferirsi a quattro famiglie fra le quali aleune viventi (FPulgoridae, Jassidae) ed altre estinte, ma con ca- ‘atteri che ricordano gli Psillidi e i Cercopidi. Degli Imenotteri e dei Lepidotteri non si ha ancora alcuna trac- cia sicura, poichè sono state riconosciute erronee alcune determi- nazioni di fossili attribuite a questi ordini. PERIODO GIURESE. Maggiore sviluppo assumono ancora gl’insetti nel Giura; molti avanzi sono stati trovati in Inghilterra, in diverse località riferi- bili alle varie epoche del periodo, in Spagna (oolite sup.) e in Si- beria (oolite sup.); classici sono poi i calcari litografici di Solnho- fen in Baviera, nei quali spesso gl’ insetti, come del resto tutti gli altri organismi, sono conservati straordinariamente bene. Fra gli Ortotteri, i Blattoidi continuano nel Giura rappresentati da 54 specie appartenenti alle famiglie Poroblattinidae, Mesoblat- tinidae, Diechoblattinidae che si trovano fino dal Paleozoico. Negli schisti di Solnhofen è stato poi trovato un insetto de- scritto dal Germar col nome di Chresmoda obscura (Fig. 21) e clas- sificato fra i Mantoidi. Dopo essere stato sbalzato in varî altri or- dini dai diversi Autori, fu riconosciuto per Ortottero da Deichmiiller e Haase e deve appartenere ai Fasmoidi. Presenta delle zampe molto lunghe e sottili che hanno una certa somiglianza con quelle delle Idrometre; insieme agli adulti alati si trovano negli schisti lito- grafici anche giovani atteri in abbondanza; questa circostanza, unita al fatto che forme giovani attere sono molto rare in quegli schisti che si considerano come depositi di un particolare fango marino formatisi ad una certa distanza dalla costa, fa pensare che i Cresmodidi fossero realmente Fasmoidi che vivevano correndo RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI 35 alla superficie delle onde al modo delle Idrometre e come anche oggi alcuni più bassi Fasmoidi del gen. Prisopus. Potrebbero per- tanto discendere dagli Elcanidi, in cui vedremo fra breve adatta. Fig. 21. — Un Fasmide ginrassico, Chresmoda obscura Germ. (da Handlirsch). menti speciali per località acquitrinose ed avrebbero poi per il non uso perduta la facoltà di saltare e con essa la particolare strut- tura delle zampe posteriori; e tale facoltà, per la nota legge evo- lutiva, non avrebbero più riacquistato neppure dopo tornati sulla terraferma, ove avrebbero invece assunto Vadattamento ad arram- picarsi. Quindi possiamo concludere che i Fasmoidi compaiono nel Giura superiore e sono rappresentati da queste curiose forme acqua- tiche dei Cresmodidi. Fra gli Ortotteri saltatori continuano nel Giura le famiglie lias- siche degli Elcanidi, dei Locustopsidi e dei Grillidi già vedute e di più troviamo i Locustidi veri e propri. Molti Elcanidi sono conservati nei calcari di Solnhofen e possiamo studiarne i carat- teri quasi al completo; questi insetti avevano, come abbiamo già detto, antenne lunghe setiformi; le femmine possedevano un lungo 56 GUIDO PAOLI ovopositore ; i maschi, caratterizzati dalla mancanza di questo, avevano le ali eguali a quelle delle femmine e cioè prive di organo stridulante ; in molti esemplari sono conservate le zampe poste- riori atte a saltare, nelle quali la metà distale della tibia presen- tava tre o quattro appendici fogliformi, lanceolate, mobili (Fig. 19), simili a quelle di alcuni Ortotteri che posson vivere nell’acqua e nel fango molle, cosiechè è lecito supporre che anche gli Elcanidi avessero un tal modo di vita e da questi appunto siano poi de- rivati anche i OUresmodidi, di cui sopra abbiamo parlato. Oltre i Locustopsidi e i Grillidi che continuano nel loro sviluppo, si hanno i primi rappresentanti dei Locustidi, carat- terizzati dalla presenza di organi stridulanti nelle elitre dei maschi. I Perlari, della cui esistenza vedemmo dubbie tracce nel Per- miano, sono con sicurezza, ma scarsamente, rappresentati nel Giura; si conoscono soltanto due forme larvali e un adulto del Dogger della Siberia; nelle larve non si riconoscono sicuramente tracheo- branchie esterne. Gli Odonati al contrario sono abbastanza numerosi ; fra questi si hanno ancora quelli dell’ordine primitivo degli Anisozigot- teri (Fig. 22), ormai in regresso, dei quali si conoscono 9 specie riferibili almeno a tre famiglie; aumenta lo sviluppo degli Anisot- teri che nel Lias abbiamo già visto comparire con una sola specie appartenente alla attuale famiglia dei Gomphidae; le forme giuresi non hanno ancora gli occhi tanto sviluppati da toccarsi sul vertice e si distribuiscono in due famiglie, una è ‘ancora quella dei Gomphidae, V altra, che si è smuecessivamente estinta, possedeva nelle femmine un lungo ovopositore ed è dall’ Handlirsch detta degli Fschnidiidae. Alla prima appartiene la Oymotophlebia (= Li- bellula, Eschna, Anax, Petalia, Gynachantha) longialata Germar, benissimo conservata negli schisti di Solnhofen (Fig. 23). Gli Zigotteri si trovano ora per la prima volta, rappresentati da 9 specie che ricordano i Calopterigidi e gli Agrionidi, e da veri e propri Epallagidi. I Plectotteri conosciuti del Giura sono circa 16 non bene deter- minabili a causa del cattivo stato di conservazione; una parte di questi ricorda i Protefemeridi del Paleozoieo, perchè con ali ante- RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI 9" riori e posteriori egualmente sviluppate; ma altri invece hanno le ali anteriori più grandi, come le specie attuali. Fig. 22. — Un Anisozigottero, Yarsophlebia erimia del Calcare di Solnhofen. Ricostruita (da Handlirsch). Dei Neurotteri mancano finora tracce dei Magalotteri il che significa che questi insetti erano allora molto rari ; si hanno invece Fig 23. — Un Odonato, Oymatophlebia longialata Minst. del Giura di Baviera (da Zittel). oltre 20 specie di Neurotteri veri, di cui nove appartengono ancora ai Prohemerobiidae già trovati nel Lias; gli altri si possono distri- » bi GUIDO PAOLI buire in tre famiglie di cui nessuna corrisponde alle attuali. In questo gruppo si trovano forme gigantesche come la Halligramma haeckeliù. Walther (Fig. 24), le cui ali anteriori erano lunghe 122 mm. e le posteriori 110 mm. mentre il corpo raggiungeva i 7 em. di lunghezza; questo insetto, trovato negli schisti litografici di Solnhofen è uno degli insetti meglio conservati. I Panorpati si mostrano già in regresso e sono rappresentati da due soli Orthophlebini; i Friganoidi continuano con nuove forme, ma sono ancora scarsamente rappresentati. TS ica IN Da TILL Fig. 24. — Un Neurottero del calcare di Solnhofen, Kalligramma haeckelii Walter ricostruito, a metà del naturale (da Handlirsch). Nel Giura sì trovano i primi rappresentanti di un ordine oggi ricchissimo di forme, dei Lepidotteri; sono 12 specie che si rife- riscono alla fam. Palaeontinidae, della quale si hanno avanzi sol- tanto nel Giura. Il fatto che in questo periodo mancavano le piante con fiori, poichè la flora era ancora composta soltanto da Crittogame e Ginnosperme e solo sul finire del Kimmeridgiano si trovano nel Portogallo gli avanzi delle prime scarsissime Monoco- tiledoni, ha tenuto lungamente incerti gli Autori riguardo alla ver: natura di Lepidotteri di questi resti, poichè attualmente i detti insetti sono tipicamente floricoli. RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI 39 Nel 1854 il Westwood descrisse come appartenenti a Lepidot- teri alcuni frammenti di ala trovati nel Purbeck inglese; il Butler nel 1873 descrisse un’ala di farfalla del Dogger di Stonesfield in Inghilterra e la chiamò Palacontina oolitica e poi ’Oppenheim (1885) ne descrisse due forme del Dogger della Siberia orientale (Fig. 25). Lo Fig. 25. — Ali di Lepidottero giurese, Palaeocossus jurassicus Oppen. (da Oppenheim). Scudder, il Brauer, l’ Haase movendo dalla sovraesposta conside- razione della mancanza di fiori nel Giura sostennero non potersi trattare di Lepidotteri, ma piuttosto di Omotteri (Cicadidi o Ful- goridi). In realtà anche oggi vivono dei Lepidotteri con apparato boccale non così specializzato come nella maggior parte di quelli floricoli, cosicchè noi possiamo eredere, lasciando da parte ogni considerazione teorica e aprioristica, che effettivamente gl’insetti giuresìi in parola fossero Lepidotteri, per quanto con apparato boccale non così differenziato come nella maggioranza degli attuali; infatti per la forma del corpo e delle ali ricordano molto alcuni Limacodidi australiani (come Pelora, Apoda, Doratiophora) i quali non si nutrono di nettare (1). Questi dunque sarebbero da considerarsi come i sopravviventi (1) Anche nella specie del gen. Ophideres la tromba sta sempre rigida, distesa, e serve a queste farfalle per forare i banani e gli aranci e succhiarli ; abitano l'Australia e l'Africa meridionale. 40 GUIDO PAOLI di forme antiche, nei quali l’apparato boccale conserva ancora dei caratteri primitivi e ciò è reso ancora più probabile dal fatto che tutta la fauna e la flora australiana è improntata a tipi molto antichi e primitivi. Inoltre in alcuni di questi avanzi si possono riconoscere le squame delle ali e in molti la nervatura somiglia straordinaria- mente al percorso delle trachee in molte ninfe di Lepidotteri attuali, mentre la somiglianza coi Cicadinidi è del tutto superfi- ciale; anche altri caratteri della nervatura delle ali di questi in- setti giuresi si ritrovano come eccezione in Lepidotteri attuali, cosicchè sembra fuori di dubbio che a quest'ordine si debbano quelli riferire. Erano dunque i Paleontinidi (Fig. 26) farfalle con ali anteriori assai più lunghe che le posteriori, più o meno svelte, a contorno quasi triangolare; avevano corpo corto e tozzo, coperto di densa peluria e con capo straordinariamente piccolo. Fig. 26. — Eocicada lameerei Handl. Lepidottero giurese del calcare di Solnhofen, ricostruito (da Handlirsch). Le 12 specie note sono state trovate nelle formazioni di Inghil- terra, Solnhofen e Siberia orientale; altri insetti sono stati de- scritti come Lepidotteri del Giura, ma sia per la loro cattiva con- servazione, sia per la incompleta descrizione degli Autori, non se ne può tener conto. Nonostante i caratteri alquanto primitivi, i Paleontinidi sono già altamente specializzati, così da non potersi ritenere ragionevol- RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI 41 mente come i primi Lepidotteri comparsi; con più probabilità i progenitori delle farfalle devono aver vissuto almeno già nel Lias, I Ditteri che abbiam visto comparire nel periodo precedente, rappresentati da soli Ortorafi nematoceri, continuano a moltipli- carsi nel Giura, nel qual periodo compaiono anche i Brachiceri. Delle famiglie che esistevano nel Lias sopravvive solo quella tut- tora vivente dei Bibionidi, ma compaiono i Micetofilidi, gli Psico- didi, i Tipulidi. Dei Brachiceri, l’unica forma nota appartiene alla famiglia dei Nemestrinidi che dura anche al presente. Negli schisti di Solnhofen sono stati trovati i resti di molti insetti che furono descritti prima per farfalle dallo Schròter (1784), dallo Sehlotheim (1820) e dal Weyenberg (1869); considerati poi come Eterotteri Belostomidi dall’ Hagen (1862), furono in seguito supposti come parenti dei Siricidi dall’Oppenheim (1885) e final- mente dal Deichmiiller (1886) dimostrati come veri Imenotteri. Sono infatti questi i primi insetti noti di tal ordine ed erano forme affini agli attuali Siricidi (Fig. 27), per quanto la nervatura delle ali stia ad Fig. 27. — Uno Pseudosiricide, Pseudosiìrea sp. ricostruito (da Handlirsch). un gradino alquanto basso, poichè conserva i resti della vena lon- gitudinale assai più abbondanti che nelle specie viventi. Il corpo è quasi cilindrico, snello, con addome largo quanto il torace, sessile e terminato nei maschi con una punta corta e ottusa, nelle fem- mine con un pungiglione sporgente. Il capo è relativamente grosso, arrotondato ; le antenne sono nei maschi più lunghe che nelle femmine, a forma di bastoncello, con articolo basale ingrossato; le ali anteriori sono più lunghe che le posteriori, più o meno appuntite e col margine apicale obliquo e 42 GUIDO PAOLI quello anteriore leggermente curvato; sono dunque da conside- farsi in una famiglia a parte (Pseudosiricidi), affine agli attuali Siricidi, e comprendente 15 specie. Oltre a questi Imenotteri del Giura superiore di Solnhofen, un altro ve n’ è della stessa epoca ritrovato in Spagna (Sierra del Montsech in Catalogna) e ritenuto per Pimplide (Fig. 28); ha capo / 4 Fig. 23. — Imenottero parassita del Giura di Catalogna, Ephialtites jurassicus Meun. (da Meunier). piuttosto grosso, verticale, con antenne lunghe filiformi, cosce grosse, zampe alquanto allungate; Vaddome sembra rigonfio e ses- sile; termina con un sottile ovopositore lungo quasi il doppio del corpo, simile a quello delle Pimple viventi; le ali arrivano quasi al- Vestremità dell’addome. Tal forma molto più evoluta e specializzata che gli Pseudosiricidi, è forse l'anello di congiunzione fra questi e gl’ Ieneumonidi. L’ Handlirsch lo considera come rappresentante di una famiglia che chiama degli Ephialtitidae. Il trovarsi nel Giura superiore una forma così altamente specializzata fa supporre che gl’Imenotteri debbano aver cominciato a svilupparsi almeno nel Giura inferiore o forse anche nel periodo precedente. In quanto ai Coleotteri essi continuano la loro evoluzione ; se ne conoscono 140 specie, che, al solito, sarebbe troppo azzardato pretendere di classificare nelle odierne famiglie, ma fra i quali si trovano già delle somiglianze coi Carabidi, Crisomelidi, Ditiscidi ed altri; Curculionidi e Lamellicorni è troppo difficile riconoscerli con sicurezza. Anche i Rincoti Eterotteri (Fig. 29 e 30) si avvicinano alle forme odierne; si conoscono 6 Gimnoceratidi e 7 Crittoceratidi i quali appartengono alle famiglie dei Nepidi, Belostomidi, Naucoridi, vr Ia RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI 45 Notonettidi e Corixidi, tutte viventi. I Nepidi sono comuni negli schisti di Solnhofen, ma in essi sì nota Vassenza dei caratteri- stici tubi respiratori; avevano anche la testa più grossa che gli attuali, cosicchè possono considerarsi come l'anello di congiunzione fra i Nepidi e altri gruppi come Belostomidi e Naucoridi. Fig. 29. — Un Eterottero, Arche- Fig. 30. — Un Eterottero del calcare di Ba- gocimex geinitzi Handl. (da viera, Mesobelostomum deperditum' Germ., Handlirsch). ricostruito (da Handlirsch). Gli Omotteri appartengono per la massima parte ai Fulgoridi ; nel Purbeck inglese è stato trovato anche il più antico Afide, di organizzazione alquanto bassa, PERIODO CRETACEO. Quest? ultimo periodo del Mesozoico rappresenta per la paleoen- tomologia un’altra lacuna paragonabile a quella, che abbiamo tro- vato al principio della stessa era. Gli avanzi di insetti sono pochi e mal conservati, ma sono note diverse tracce d’ insetti, come astueci larvali di Friganoidi, deformazioni di foglie, galle, foglie corrose e altri segni dell’esistenza di questi Artropodi. Un solo esemplare di Blattoidi è stato finora trovato nei ter- reni eretacei dell’ America settentrionale (Montana) e un solo Odo- nato in Australia (Flinders River) appartenente alla famiglia giu- rese degli Fschnidiidae. Così anche pei Friganoidi è noto soltanto un astuccio larvale di Boemia. Im quanto agli Imenotteri poco si può arguire, poichè, se di loro si ha traccia, questa è rappresen- 44 GUIDO PAOLI tata da una produzione ovale, trovata in Boemia su una foglia e tal produzione, lunga circa 13 mm., potrebbe essere una galla prodotta da una forma affine ai Nematus; inoltre in Boemia è stata pure trovata una foglia corrosa nella maniera come sogliono fare alenne Megachili, larve di Tentredinei, ece. I Coleotteri sono i più numerosi, poichè se ne conoscono 24 spe- cie cretacee, ma al solito, non è possibile classificarli. Dei Rincoti si conosce un’ala trovata nel Belgio (Bernissart) e che si può riferire a una specie di Omottero della fam. Cicadidae. Oltre a ciò si incontrano delle foglie con gallerie prodotte da larve minatrici, probabilmente di Lepidotteri e delle foglie di Euca- litti con produzioni ritenute galle di Coccidei. Degli altri fossili creduti con molto dubbio insetti o tracce di insetti è inutile parlare. Era cenozoica. PERIODI EOCENICO, OLIGOCENICO, MIOCENICO, PLIOCENICO. Nell’ era cenozoica gl’ insetti vanno rapidamente assomigliandosi ai moderni; il numero di specie trovate è grandissimo, di oltre 6000 e molte sono le località che hanno conservato resti di insetti ; in Italia si trovano specialmente nel Vicentino (Monte Bolca, No- rale dell’ Eocene medio, Chiavon e Salcedo dell’ Oligocene), in Si- cilia (Melilli e diverse località in cui si trova 1’ ambra, apparte- nenti al Miocene medio), nelle vicinanze di Roma (Vaticano e Por- careccia del Pliocene) e varie località delle Provincie di Pisa e di Livorno le quali si riferiscono al Miocene superiore insieme 4 quelle delle Marche (Sinigallia, Ancona), Lombardia (Montescano), Pîemonte (Guarené) e di Sicilia (Girgenti) appartenenti tutte alla formazione gessosolfifera. È dunque l° Italia assai ricca di insetti fossili terziari, mentre quelli delle ere precedenti erano solo rappresentati nel Permiano del Monte Pisano. Fuori d’ Italia se ne trovano molti in Francia (Aix in Provenza RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI 45 dell’ Oligoc. inf.), in Germania (Oeningen in Baviera (1), nel” am- bra, ece.), in Svizzera, Inghilterra (Dorset, ece.), in Croazia (Rado- boj) e poi in Groenlandia, in Siberia, nell’ India centrale (Nagpur), in America (Florissant nel Colorado, Columbia inglese, Alaska) e in Australia (New South Wales, New England ecc.). Dato un sì gran numero di località, bene si capisce che molte e ben svariate debbano essere le specie e gli esemplari d’ insetti riferibili a questa era; particolarmente abbondanti sono però quelli che si riferiscono all’ Oligocene e al Miocene. I gruppi d’ insetti sono ormai ben delineati e simili a quelli viventi, cosicchè noi possiamo esaminarli singolarmente attraverso ai vari periodi, tanto più che questi in confronto ai precedenti, sono relativamente brevi. Appartengono all’era cenozoica le ambre del Baltico (Oligoc. inf.) e della Sicilia (Mioc. medio) nelle quali moltissimi insetti rimasero invischiati allorchè quelle erano fluide resine ed ivi sono in gene- rale conservati mirabilmente, insieme ad Aracnidi e Miriapodi, e sono questi, come abbiamo detto, gl’ insetti fossili più anticamente conosciuti. Nell’ ambra baltica sono stati trovati alcuni Tisanuri e Collem- boli dei quali mancava traccia nelle ere precedenti, essendo state riconosciute errate le pretese determinazioni di tali insetti nei de- positi più antichi. Dei Tisanuri si hanno 15 specie riferibili al genere Machilis e 9 al gruppo dei Lepismoidei (gen. Lepisma s. 1. comprendendovi an- che una specie trovata nel Colorado). Dei Collemboli si conoscono 7 Arthropleona, non ben determinabili e 3 Symphipleona che si posson riferire al gen. Sminthurus. Gli Ortotteri divengono sempre più numerosi, e si completano i gruppi mancanti; i Blattoidi rimontano al Carbonifero, i Man- toidi al Lias, i Fasmoidi al Giura; degli Ortotteri saltatori i Gril- lidi si incontrano la prima volta nel Lias, i Locustidi nel Giura; (1) A Oeningen l’assise inferiore (Miocene sup.) detta anche strato a insetti è composto di circa 259 straterelli nei quali si riconoscono perfino le successive stagioni : infatti nella molassa si incontrano foglietti con fiori di canfora che indicano la primavera, con frutti di olmo e pioppo, indicanti 1’ estate, e con frutti di canfora e di Diospyros caratteristici dell’ avvicinarsi dell’ autunno. 46 GUIDO PAOLI tutti questi gruppi si continuano nel Cenozoico ove sono rieca- mente rappresentati; sì aggiungono ora anche gli Acrididi, i Tri- dactilidi, e i Grillotalpidi nell Oligocene, e finalmente i primi La- biduri si trovano nell’ Eocene. I Copeognati, comparsi secondo Enderlein fin dal Lias, si ritro- vano nell’ Oligocene insieme ai Termitidi, e nello stesso periodo si trovano anche i Tisanotteri coi due sottordini dei Terebrantia e dei Tubulifera, quelli con molte specie, questi con un solo Phloeothrips. I Perlari conosciuti forse sino dal Permiano si trovano rappre- sentati assai abbondantemente nel terziario, anzi se dobbiamo giu- dicare dalla quantità di specie note, si deve supporre che in questa era fossero più abbondanti che al presente. Fra gli Odonati abbiamo 1 ultimo degli Anisozigotteri fossili trovato nell’ Oligocene medio di Baviera; ma colla riduzione di questo gruppo originario vediamo crescere i due gruppi più difte- renziati con 29 Zigotteri e 56 Anisotteri dei quali 9 sono Gom- phidae, 10 Afschnidae e 37 Libellulidae. I Plectotteri sono in deca- denza nel terziario, in cui son rappresentati da 17 specie. L’ambra oligocenica del Baltico ci ha conservato anche un esemplare di Embioidi, ) Oligotoma antiqua Pictet, | unico finore noto, il che fa supporre che questo gruppo, sicuramente ben più antico, non era nemmeno allora ricco di forme. Dei Neurotteri si notano i Megalotteri ancora scarsi, ciò che dimostra come questi insetti non abbiano mai raggiunto un grande sviluppo ; invece si trovano per la prima volta nell’ Oligocene inferiore i Rafidioidei che raggiunsero nel Terziario una ric- chezza di forme superiore all’ attuale; al contrario i Neurotteri veri e propri sono in proporzioni abbondanti come al presente ; ma molto meno di quanto fossero nel Mesozoico; per cui possiamo credere che questo gruppo sia in via di regresso. Così pure regre- discono i Panorpati, mentre i Friganoidi sì mantengono ancora nel Cenozoico assai numerosi e la loro diminuzione comincia dopo ; nell’ Oligocene dell’ Alvernia gli astueci larvali di questi insetti (Fig. 31) sono così numerosi da formare degli strati della potenza di 2-3 metri del così detto calcare a indusi. I Lepidotteri si mantengono ancora assai scarsi; nell’ ambra sono egualmente scarsi grandi e piccoli Lepidotteri e anche nei eva e ni PRISTOIDI : el fe Ù Pn E RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI 47 terreni sedimentari, che contengono altri insetti, solo raramente si incontrano farfalle; bisogna dunque ammettere che i Lepidot- Fig. 31. — Astucci di Friganoidi del calcare a indusi di Alvernia (da Lyell). teri costituiscano un gruppo d’ insetti che sono rimasti per lungo tempo scarsi, e soltanto negli ultimi periodi si siano abbondante- mente sviluppati, non sembrando probabile l ipotesi che nel Ter- ziario fossero abbondanti in altre regioni, di cui non si conoscono per ora formazioni terziarie, mentre nel Giura erano già numerosi in Europa i Paleontinidi e il clima del Terziario doveva essere, al pari di quello attuale, perfettamente adatto alla vita delle farfalle. Ad ogni modo i Lepidotteri cenozoici hanno ormai i caratteri dei viventi (Fig. 32 e 33) ed appartengono alle famiglie Papilionidae, Fig. 32. — Vanessa pluto Heer del Miocene inf. di Croazia (da Heer). Pieridae, Lycaenidae, Nymphalidae, Hesperidae, Sphingidae, Tuieidae, Tortricidae, Psichidae, Pyralidae, Arctiidae, Geometridae e forse 48 GUIDO PAOLI erano anche rappresentate Sestidae, Zygaenidae, Lithosiidae ; in tutte però sono appena un’ ottantina di specie conosciute. Fig. 33. — Doritites bosniaskiî Rebel (da Rebel) Farfalla miocenica di Gabbro (Pisa). Assumono invece nel Cenozoico enorme sviluppo i Ditteri (Fi- gura 34) di cui si conoscono quasi 1500 specie fossili. Ad ecce- Fig. 84. — Un dittero dell’ambra del Baltico, come apparisce per trasparenza. Ingrandito circa 3 diametri. zione di qualche famiglia anche ora formata da poche specie e dei Pupipari, sono rappresentate fin dall’ Oligocene tutte le famiglie RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI n 49 viventi. Nel Lias abbiamo veduto comparire i primi Ditteri rap- presentati soltanto da Ortorafi Nematoceri; nel Giura si aggiun- gevano anche i Brachiceri; nel Terziario il predominio spetta an- cora ai Nematoceri, che sono in proporzione più numerosi dei viventi; seguono i Brachiceri, un po’ più scarsi che gli attuali e finalmente si trovano per la prima volta i Ciclorafi che raggiun- gono una percentuale di circa la metà che i moderni. Gl Imenotteri sono già molto abbondanti nel Cenozoico inferiore, il che fa ritenere che nel Cretaceo dominassero condizioni fa- vorevoli al loro sviluppo. Anche di quest’ ordine le famiglie at- tuali (Fig. 35) alquanto numerose sono tutte rappresentate nel Ter- EEEno RIT R E DESTINI 7301 Ì | | | SS Fig. 39. — Melyponoryctes succiniì Tosi, Apideo dell’ambra di Sicilia (da Tosi). ziario, mancano invece quelle più scarse di specie, come i Pelecinidi, Trigonalidi, Agriotipidi, ma di queste non possiamo dire che non fossero ancora comparse; mancano anche rappresentanti dei Tinnidi, che sono oggi più di 400, ma neppure di questi si può con cer- tezza dire che mancassero, poichè come ora sono accantonati in Australia, Malesia e America meridionale, così potevano già nel Ce- nozoico essere limitati all’ emisfero australe, e per questo non tro- varsi nei giacimenti europei e nordamericani. I Formicidi pullulano addirittura in tutti i depositi con insetti e questa straordinaria abbondanza dimostra che probabilmente questi Imenotteri vivevano anche allora in numerose società. Anche gl’ Imenotteri parassiti « Redia r, 1913. 4 50 GUIDO PAOLI sono assai largamente rappresentati nell’ Oligocene e Miocene, ed erano dunque bene differenziati pei diversi adattamenti. I Coleotteri noti del Cenozoico sono quasi 2000 specie, numero appena 80 volte più piccolo di quello attuale ; le famiglie che or: sono ricche di specie sono quasi tutte rappresentate ad eccezione di quella dei Brentidi che ne comprende 900 viventi. Siccome noi possiamo pensare che tutti i Coleotteri avessero eguale pro- babilità di lasciare avanzi fossili, così possiamo anche ritenere che le proporzioni numeriche degli avanzi delle diverse famiglie ci rappresentino presso a poco la proporzione in cui effettivamente si trovavano durante il Terziario; per le famiglie poco numerose si può supporre che queste, pure esistendo, non abbiano lasciato traccia di sè e per conseguenza dalla mancanza di reperti fossili non si può arguire che tali famiglie non fossero ancora comparse. Ma pei Brentidi, che, come si è detto, sono oggi ricchi di circa 900 specie, si può effettivamente credere che non esistessero an- cora durante il Terziario, dal momento che neppure una specie è stata trovata fossile. Tenebrionidi e Lamellicorni erano scarsamente rappresentati nel Cenozoico; in quanto alle altre famiglie, in ge- nerale la proporzione numerica cogli altri Coleotteri è cambiata dai tempi cenozoici ad oggi. La maggior parte delle attuali fami- glie sì cominciano a trovare nell’ Oligocene; le più largamente rap- presentate nel Terziario sono quelle dei Carabidi, Cicindelidi, Sta- filinidi, Pselafidi, Buprestidi, Anobiidi, Idrofilidi, Coccinellidi, Crisomelidi, Cureulionidi (Fig. 36). Nell’ ambra del Baltico è stato trovato anche un rappresentante degli Strepsitteri, la Mengea tertiaria (Menge) e la cosa è tanto più notevole, quando si consideri che tutto 1’ ordine è anche attual- mente rappresentato appena da una diecina di specie. Finalmente i Rincoti continuano a moltiplicarsi e se ne cono- scono più di 700 specie fossili, delle quali 450 spettano agli Eterotteri (Fig. 37), percentuale poco inferiore a quella che si ri- scontra oggi. Mentre nel Giura Crittoceratidi e Ginnoceratidi erano su per giù egualmente rappresentati, nel Terziario i primi sono circa 10 volte più numerosi che i secondi; al solito sono rappresentati nel Cenozoico tutte le famiglie viventi, ad eccezione di quelle povere RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI DI di specie. Al grande aumento di Eterotteri non corrisponde in apparenza quello degli Omotteri e ciò si può spiegare o col sup- porre che nel Quaternario gli Eterotteri regredissero, oppure che Fig. 36. — Coleotteri dell’ Oligocene di Provenza. a, Mipporhinus heesì; b, TriphyUus heeriì; ec, Hylesinus facilis (da Zittel). i gruppi più differenziati degli Omotteri si siano sviluppati in epoca posterziaria. Fig. 37. — Un Eterottero del Miocene di Westfalia ingrandito quasi due volte. Nel Cenozoico fra tutti gli Omotteri i più riccamente rappre- sentati sono i Cercopidi, che si può dire raggiungessero 1 apogeo nel Miocene. Molto abbondanti sono stati trovati anche gli Afidi e i Coccidi, il che si spiega, come già per le Formiche, col fatto 52 GUIDO PAOLI che tali insetti vivono in gruppi numerosissimi e la maggior parte degli individui sono atteri. Era Moderna. PERIODO QUATERNARIO. L’ ultimo periodo geologico, quello che unisce il Terziario pro- priamente detto all’ Attuale, è caratterizzato da profondi cambia- menti di clima; tre, o secondo altri Autori, quattro o cinque pe- riodi di gran freddo si alternarono con periodi di più mite tempe- ratura; ma anche se, come ritengono alcuni geologi, le variazioni della temperatura media non furono molto accentuate, resta pur sempre il fatto che per una o un’altra causa, quasi tutta l'Europa, dalle Alpi in su, gran parte dell’ Asia e dell’ America settentrio- nale restarono coperte più o meno completamente dagli enormi ghiacciai delle epoche glaciali. Tali cambiamenti su così gran parte della terra dovettero avere certamente grande influenza sulla vita delle piante e degli ani- mali e specialmente sulla loro distribuzione geografica, ma i re- perti fossili finora trovati e I’ incertezza riguardo all’ esatta deter- minazione dell’ età relativa dei giacimenti non permettono una sicura conclusione. Abbiamo ormai visto come nel Cenozoico la fauna entomologica fosse ormai simile all’ attuale; nel Quaternario non si verificarono per la paleoentomologia avvenimenti importanti ma la fauna ento- mologica di questo periodo ci si presenta come una continuazione della precedente; infatti fra la fine del Terziario ed il presente solo per eccezione sì hanno cambiamenti nelle famiglie ; più spesso essi sì limitano ai generi e alle specie soltanto. Le argille, le marne, gli schisti quaternari di molte regioni di America e di Europa contengono resti di insetti; in Italia se ne hanno nelle marne e nei tufi calcarei della Lombardia (Lagozza, Morla, Lefte, Grone, Pianico) e del Piemonte (Re) e nei travertini di Gavorrano (Maremma toscana); in Valnerina presso Terni vi sono alabastri formati probabilmente dalla agglomerazione di tante MP 0 RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI DD: celle calcaree costruite forse dalla Phryganea major Verri attorno ai tronchi e ai rami degli alberi bagnati dalle acque del lago di Valnerina. Anche nel Quaternario abbiamo una formazione analoga all’am- bra e che come questa ci ha conservato una enorme quantità d’in- setti in maniera meravigliosa; vogliam dire il copale, che, come VP ambra, colava come resina da molte piante: il copale si trova specialmente nell'Africa (Benguela, Guinea, Zanzibar, Madagascar) ma non manca neppure in America (Brasile). Il copale la cui antichità si valuta a poche migliaia di anni (l’Hagedorn gliene attribuisce appena 2000 o 3000) è ora attivamente ricercato a scopo industriale e gl’ insetti inclusi vanno dispersi, distrutti ; ciononostante | Hagedorn, il Meunier ed altri hanno studiato diverse centinaia di questi importantissimi insetti. Del resto gl’insetti dei sedimenti del Quaternario non sono in generale molto abbondanti, anzi in confronto al periodo precedente apparirebbe un regresso, di cui si potrebbe ricercare la causa nel- l’invasione dei ghiacciai che resero impossibile la vita in gran parte dell'Europa e dell’ America settentrionale; ma non bisogna dimenticare che i principali sedimenti quaternari constano di ele- menti grossolani, poco atti a conservare fossili in genere; gl’ in- setti di questo periodo sono poco più di 500, e oltre quello che abbiamo sopra detto non merita di aggiungere altre parole intorno ai medesimi. Considerazioni riassuntive intorno alla fauna entomologica fossile. Esaminando complessivamente gl’insetti che vissero nei diversi periodi geologici, vediamo nel Paleozoico il gruppo stipite dei Pa- leodittiotteri e da quello sorgere parecchi ordini di transizione, for- mati dai lontani antenati degli Ortotteri, degli Odonati, degli Efeme- ridi, dei Panorpati, dei Rincoti, ma tutti o quasi, in questa stessa era scomparire per far posto a forme più simili alle attuali e che si svilupperanno nel Mesozoico. Un solo gruppo, quello dei Blat- toidi, sorge fino dal Carbonifero, raggiunge in questo lungo periodo D4 GUIDO PAOLI l’apogeo del suo sviluppo e poi declinando sempre arriva quasi inalterato fino a noi; anzi durante il Paleozoico i Blattoidi non solo raggiungono il più grande sviluppo di per sè, ma sono addi- rittura il gruppo di insetti più abbondante, veramente predomi- nante. È dunque il Paleozoico il tempo degli ordini di transizione che sì sviluppano dal comune ceppo primitivo; gl’ insetti paleozoici sono tutti eterometaboli, molti anfibi e, ad eccezione dei Proto- e Paleoemitteri, i quali però compaiono solo nel Permiano, tutti masticatori, sia che fossero fitofagi o carnivori ; erano ancora tutti muti e si può credere che non vivessero in società. È ancora da notarsi come predominassero allora le forme grandi ; abbiamo già accennato ad alcune specie gigantesche, come i Me- gaptilus, Hypermergetes, Meganeura, Titanophasma, che raggiunge- rano dimensioni addirittura colossali; ma anche i più piccoli in- setti conosciuti sono sempre di grandezza media o superiore alla media se si confrontano con quelli attuali; forme piccole, come la maggior parte delle viventi, le quali, come tanti altri pic- coli e delicati organismi (i Graptoliti ad es. ancora più antichi) avrebbero avuto su per giù come le grandi, probabilità di esserci tramandate, sono affatto sconosciute in quel tempo. Quando si consideri che attualmente le forme più grosse di in- setti vivono nelle regioni calde, che nelle medesime si trova. il maggior numero di forme eterometabole, quali sono appunto tutti gl’insetti paleozoici, e che tali forme eterometabole sono invece sempre più scarse quanto più ci avviciniamo alle regioni fredde, troviamo nei dati forniti dagli insetti fossili la conferma di quanto ì geologi per altra via hanno concluso, che cioè durante il Car- bonifero e il Permiano il clima fosse assai caldo e umido su tutta la Terra e non vi fosse alternanza di stagioni. In quanto alla distribuzione geografica si nota che fin dal prin- cipio le più basse forme di Insetti sono ‘diffuse su una larga area dell'Europa, dell'Asia (Casehmir) e dell’America settentrionale, il che fa credere che la culla degl’Insetti sia stata appunto nelle terre continentali che durante il Paleozoico si estendevano dall’ Europa all'America settentrionale, probabilmente attraverso Il’ Asia. Se si confronta la fauna entomologica dell'era mesozoica con t bi >) RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI quella del Paleozoico, ci colpisce anzi tutto che alla ricca fauna :arbonifera e permiana tenga dietro quella scarsissima del Trias, nel qual periodo le poche specie conosciute appartengono quasi tutte ad un nuovo mondo di insetti, ai Coleotteri, i quali sono dunque i primi olometaboli conosciuti; dietro a questi vediamo sorgere tutti gli altri ordini, come Neurotteri, Panorpati, Friga- noidi, Ditteri e Rincoti durante il Lias, Imenotteri e Lepidotteri nel Giura. Si originano dunque nel Mesozoico non solo tutti gli ordini maggiori oggi viventi (eccettuati gli Ortotteri, già rappresentati nel Paleozoico dai Blattoidi) ma anche molte famiglie, mentre nel- l’era precedente si erano veduti solo gli ordini di transizione, gli antenati dei moderni. Abbiamo già fatte alcune considerazioni sulle probabili cause della scarsezza della fauna triassica e sulla possibilità che la com- parsa degli insetti olometaboli sia in relazione colla comparsa del- l'alternanza delle stagioni; i primi di questi insetti avevano con tutta probabilità soltanto larve che vivevano libere e di preda cosicchè dovevano aver bisogno di organi di senso e di moto bene sviluppati e robuste mascelle; in seguito, per molti, al- cuni di questi organi divennero sempre meno necessari nello stato larvale, e ridotti o scomparsi in questo per il non uso, la loro for- mazione fu spostata allo stadio di ninfa. Alla fine del Mesozoico la fauna degli insetti non è essenzial- mente molto diversa da quella attuale, ma invece in molti casi le abitudini erano in parte differenti; gl’Imenotteri, i Lepidotteri e i Ditteri del Giura non hanno ancora la loro vita collegata col- l’esistenza dei fiori, essendo le Angiosperme, a quanto si sa, an- cora poco o punto sviluppate in quel periodo; questi adattamenti si devono essere evoluti a pocc a poco nei tempi successivi. In quanto alla mole si nota che nel Lias, al contrario di quanto avveniva nel Paleozoico, gl’insetti sono in generale molto piccoli, anzi di mole minore delle corrispondenti forme che vivono attual- mente; anche tal fatto potrebbe essere in rapporto con un abbas- samento della temperatura, cosicchè durante il Lias nel nostro emisfero fra i 46° e i 55° di latitudine doveva predominare un clima temperato o per lo meno molto variabile (il che sarebbe 56 GUIDO PAOLI confermato dalla mancanza di formazioni coralline liassiche in dette regioni e dalla searsità relativa della fauna marina). Nel Giura invece, specialmente nel superiore, alle stesse latitu- dini tornano a comparire le formazioni coralline, indice di elima caldo e uniforme, e gl’insetti di nuovo raggiungono considerevoli dimensioni. L'Australia la quale, come abbiamo notato, ha conservato nella flora e nella fauna molti caratteri mesozoici, così anche per gl’in- setti si manifesta con caratteri molto primitivi ; infatti colà vivono ancora i Limacodidi affini ai Lepidotteri del Giura e gli Psicodidi vicini parenti dei Proemerobiidi giuresi ; ed anche sugli Eucalipti, rimasti ormai soltanto colà, continuano a vivere Coccidei galligeni. Un altro notevole avanzo della fauna mesozoica è la Paleophle- bia superstes S. L. del Giappone, unico rappresentante vivente degli Anisozigotteri. Finalmente la fauna entomologica cenozoica, è, salvo piccole differenze, quella stessa che vive attualmente; nessuna specie ter- ziaria vive oggi, ma tutte quante le famiglie che vivono nel ter- ziario si ritrovano al presente e quelle che non sono state ritrovate nei terreni di quel tempo, non si può dimostrare che mancassero realmente. Nessuno dei gruppi primitivi e di transizione che ab- biamo trovati nei precedenti periodi sopravvive nel terziario, che non sia giunto fino al presente. Soltanto le proporzioni numeriche delle forme non sempre corrispondono a quelle odierne ed abbiamo infatti visto i Lepidotteri conservarsi piuttosto searsi durante tutto il periodo e forse anche i gruppi oggi tanto numerosi dei La- mellicorni e dei Ditteri ciclorafi erano ancora assai poveri di forme. La fauna entomologica accusa anche per le nostre re- gioni un clima più caldo dell’attuale, come lo dimostra la pre- senza di Termiti che vivevano numerose nell’ Europa media e set- tentrionale, dei Fasmidi, Mantidi ed Embidi abbondanti nella ambra del Baltico, formiche ed altri insetti di tipo tropicale in diverse regioni in cui ora non possono vivere. Il profondo cambiamento tra la fauna degli insetti mesozoici e quelli cenozoici è parallelo a quello avvenuto nella flora e cioè al diffondersi e al moltiplicarsi delle Angiosperme che divennero pre- dominanti nel Terziario, mentre le Crittogame vascolari e le Gin- RIVISTA DEGLI INSETTI FOSSILI 57 nosperme regredivano e cedevano il posto a quelle, e così vediamo che la maggior parte degl’ insetti che nel Terziario compaiono 0 si evolvono sono particolarmente legati colle Angiosperme. Così gli Acerididi che sono più recenti dei Locustidi sono di questi più fitofagi ma non si cibano nè di felci nè di conifere; i Fasmidi odierni sono tutti adattati per mimetismo alle Angio- sperme, per quanto la forma a bastoncello ci sia rivelata fino dal Giura. Anche i Tisanotteri vivono quasi esclusivamente sulle An- giosperme e fra i Lepidotteri la maggior parte delle larve vive su queste piante, e subito, fino dal principio del Terziario, gli adulti divengono floricoli, mentre tali non erano le forme giuresi. Dei Ditteri gli Ortorafi nematoceri, che erano comparsi fino dal Lias, si arriechiscono dell’enorme numero dei Cecidomidi galligeni adattati alle Angiosperme e nel Terziario sorge anche la numerose falange di quelli floricoli da adulti e che vivono sulle Angiosperme allo stato larvale. Gl Imenotteri pure sono adattati nella forma adulta ai fiori di cui succhiano il nettare, e nella forma larvale Tentredinei, Cinipidi galligeni, Cefidi si adattano alle Angiosperme. A spese delle stesse piante vivono anche i più vasti gruppi di Coleotteri come Crisomelidi, Bruchidi, Cerambicidi, Cureulionidi e Lamellicorni non coprofagi. E finalmente gli Emitteri vivono in massima parte sulle piante con fiori. Noi dunque vediamo in queste piante un potente fattore di incremento di quell’ inesauri- bile evoluzione di cui il mondo degli insetti era capace ; per gl’ in- setti che si svilupparono nelle due ere precedenti si può dire che fosse indifferente il tipo di flora, per quelli che si evolvono nel Terziario è resa ormai necessaria la presenza delle Angiosperme, a cui sono quasi tutti più o meno adattati, mentre per queste piante è necessaria la presenza degli attuali insetti, così profondo è ormai divenuto il reciproco adattamento. E anche indirettamente le Angiosperme hanno resa possibile una maggiore evoluzione degl’ insetti; infatti anche Mammiferi e Uccelli hanno la loro vita più o meno legata alle Angiosperme, insieme alle quali si evolvono, e rendono pertanto possibile la vita a tutti gl’ insetti parassiti degli animali autotermi e degli emato- fagi ; ed infine la maggior parte dei coprofili vive negli escrementi degli erbivori. (Di (oe) GUIDO PAOLI Si può dire pertanto che l’ era cenozoica è caratterizzata dalla evoluzione dei più alti tipi di insetti come sono i floricoli, e dai "apporti che si stabiliscono fra Angiosperme ed Esapodi; ed è in questo tempo che si sviluppano anche quelli più altamente diffe- renziati, come gli Imenotteri sociali e le Termiti. Altro carattere è anche la grande somiglianza che passa fra la fauna entomologica europea e 1 americana. Nel Quaternario non succedono fatti notevoli nella storia degli insetti, come del resto in genere in quella degli altri animali e delle piante. La fauna entomologiea di quest’ ultimo periodo non è che una continuazione di quella dei periodi precedenti con un maggiore avvicinamento all’ attuale. L’ estensione grandissima che assunsero i ghiacciai influìù certamente sugli insetti ricacciandoli in regioni più meridionali, ove continuarono la loro evoluzione, e quando poi, ritornato il clima adatto alla loro vita, gl’ insetti po- terono di nuovo occupare le zone più settentrionali, le due faune, l europea e 1° americana, prima tanto simili, si trovarono diverse come lo sono attualmente. E finalmente, ammettendo 1 influenza del clima sulle metamor- fosi degl’ insetti, possiamo attribuire alle epoche glaciali la causa di quel principio di olometabolia che si incontra in talune forme appartenenti a gruppi eterometaboli come Tisanotteri, Coccidei, Afidi, Aleurodidi e Psillidi. Dal Gabinetto di Storia naturale del R. Liceo di Sondrio, Aprile 1912. (li estratti di questa Memoria furono pubblicati il 10 Aprile 1913. GIACOMO DEL GUERCIO Nuova contribuzione alla conoscenza dei nemici dell'Olivo I. — La durata della nascita del Lecanio nella generazione prima- verile estiva ed il suo rapporto con Ja Mosca delle olive. Nel 1912 la deposizione delle uova e lo inizio della nascita della larve del Lecanio da esse erano cominciate già fra la fine della prima e lo inizio della seconda decade di giugno, sebbene non poche femmine dell’ insetto non avessero tuttavia iniziato neanche la deposizione delle uova. Una cosa e 1’ altra, d’ altronde, hanno avuto in quest’ anno un decorso assai lento pur nella seconda decade di Giugno, quando per norma, negli anni antecedenti, come abbiamo dovuto più d’ una volta registrare, la schiusa delle uova deposte in gran numero era grande ed affatto imponente la quantità delle larve vaganti sulle foglie e sui rami. Sicchè ci era parso opportuno per la pratica additare quel periodo di tempo come il più utile per la distruzione della cocciniglia. Nella primavera e nell’estate dell’anno indicato, invece, stando in Puglia, abbiamo dovuto notare che neanche alla fine di giugno la massa delle larve dell’ insetto era venuta alla luce, non solo, ma erano tuttavia assai scarse le larve nate, molte quelle nascenti, ma le une e le altre non erano un quarto delle uova deposte non ancora schiuse, senza contare quelle delle quali le femmine si sgravavano ancora, mentre le precedenti facevano mucchio grande sotto il loro corpo. 60 GIACOMO DEL GUERCIO Dal 2 al 5 luglio le larve di color avana brulicavano però fra le masse delle nova paglierine volgenti al colore dei nuovi nati, che si muovevano incessantemente fra i gusci delle nova dai quali erano usciti. Furono anche questi i giorni più caldi dell’estate, giacchè prima il calore si era avvertito ben poco e poi meno che mai fino alla terza decade di luglio; e, in questo tempo, come da lar- ghe ricerche compiute il 9 ed il 14 luglio, le larve nascevano sempre in buon numero, mentre che le deposizioni per parte delle femmine facevano serbare tuttavia presso a poco nelle proporzioni su esposte larve ed uova sotto il corpo della madre, pur andando notevolmente crescendo il numero delle larve fissate temporanea- mente alle parti verdi ed ai rami giovani sopraindicati. Al 24 luglio i fenomeni della emissione delle nova e della na- scita delle larve continuavano attivi, quasi come nella precedente decade del mese. Dopo questo tempo è andata mano a mano cessando la depo- sizione per parte delle femmine, mentre, continuando sempre a nascere in gran numero le larve, verso il 153 al 14 di agosto abbiamo potuto assieurarci che le cocciniglie partorienti erano quasi tutte morte, ed erano invece tutte nate le larve dalle uova rimaste. Per ciò in quest'anno la nascita è durata sicuramente dalla prima metà di giugno alla metà di agosto e cioè per 65 a 70 giorni circa. Ora, non vi è bisogno di mettere in vista la importanza di questi fatti, non pure per quello che essi valgono dal punto di vista speculativo, ma dall’altro assai peculiare per la pratica, della difesa delle piante, ove è necessario, con gli insetticidi. Noi abbiamo voluto porli in rilievo, perchè è precisamente men- tre essi si verificano che un altro ne ha luogo ad essi intima- mente collegato; ed è la emissione dei liquidi eserementizî che le femmine del Lecanio schizzano a notevole distanza, non che gli altri che le punture reiterate degli insetti provocano e le masse dei quali poi sono la causa prima, per quanto non esclusiva, della presenza e dello sviluppo con la successiva diffusione della fumaggine. NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA CONOSCENZA ECC. GI Mentre questo noi abbiamo potuto sperimentalmente accertare, allevando le cocciniglie sui rami immuni ed eliminandole da quelli che ne portavano, provocando ed ostacolando la produzione del fungo, noi colleghiamo il periodo dell’attività delle femmine della cocciniglia con quello dello sviluppo della Mosca olearia, che di quegli escrementi zuccherini del Lecanio e degli altri, non meno considerevoli, della Psilla o Bombacello, si nutre particolarmente, per moltiplicarsi ed infettare le olive. La distruzione di questi insetti, per tanto si impone anche per le condizioni di favore che esse creano alla Mosca (1). II. — Intorno ad un trascurato e pur grave nemico dell'Olivo. (‘“Zeuzera pirina ,, L.). Fra gli scarsi Lepidotteri che vivono ai danni dell’Olivo ve n’ha uno, che ha molto attirato l’attenzione dell’entomologo e dei pra- tici, per i danni sopra diversi alberi fruttiferi e non fruttiferi, ma è stato completamente lasciato a se stesso sulle piante dell'Olivo. Questo insetto è conosciuto col nome di Rodilegno, Tarlo bianco o giallo del Pero, del Melo, ecc. e corrisponde alla ben nota Zeu- zera aesculi 0 Z. pirina L. Esso si rinviene sopra un numero considerevole di piante le- gnose fra selvatiche e coltivate. Delle prime si conoscono quali nutrici il Tiglio, il Pioppo, YOlmo, il Carpino, il Faggio, P'Ontano, la Betulla, lo Spaccasassi (Celtis australis), la Querce, il Castagno d’India ed il Frassino. Delle seconde si ricordano il Pero, il Melo, il Cotogno, il Sorbo, Arancio, il Limone, il Noce e l’Olivo. In Puglia però, nella zona da noi ispezionata, l’insetto è assai raro sugli alberi fruttiferi di varietà locali, così del resto come si può vedere anche in altre contrade italiane, dove le piante no- strali di Pero e di Melo sono assai scarsamente ricercate dall’in- (1) Considerazioni analoghe van fatte per la presenza e la grande diffusione dei generi Cicada e Cicadetta, o Tettigia, che spruzzano, fra l’altro, di una grande quantità di liquido la fronda degli olivi, a tutto benefizio della mosca, che se ne nutre. 62 GIACOMO DEL GUERCIO setto, mentre non risparmia il Noce ed in Sicilia Pho notato in buon numero sugli Agrumi. In Puglia la specie è abbondantissima sull’Olivo, ma non col pisce che le varietà più gentili quali sono le così dette ogliarole, l’Olivastro ne è quasi esente, ed esenti pure dalla invasione sono le piante di Olivo selvatico (che è invece una splendida varietà non bene conosciuta ed apprezzata ad olive grosse ed oleose) e Olivo di Nardò che si raccomanda all’attenzione dei Leccesi anche per la sua relativa e non sprezzabile resistenza agli attacchi con- tro la Mosca olearia, che comincia a pungere le sue olive nell’ot- tobre soltanto, eccezionalmente ne tocca qualcuna prima, mentre il 50 al 100 °/, delle ogliarole sono fra rovinate e punte. I frutti dell’Olivo così detto selvatico, seguono per importanza quelli delle piante di Nardò. Ma ritornando alla Zeuzera, giova far notare che non sono gli olivi della Puglia soltanto e qualche pianta delle Calabrie, che sono colpiti da essa, giacchè noi l'abbiamo notata in numero assai considerevole e per conseguenza dannosa, anche in Sicilia, ed altrove, più che in provincia di Livorno, in quella di Lucca e talvolta a Massa Carrara. La Puglia però è quella che realmente è più colpita nelle sue olivete, dove non sono danneggiati soltanto i rami di pochi anni, ma quelli più grandi, basta che abbiano la scorza liscia: giacchè, data questa condizione, astoni di una diecina ad una ventina d’anni e le stesse branche del fusto vengono investite ugualmente dal Lepidottero. Noi avevamo fino a qualche tempo fa posto fra gli Scolitidi ed alcune cocciniglie principalmente le cause animate del seccume della fronda degli Olivi. Ma dal 1905 in poi abbiamo dovuto comprendere fra essi ed a loro capofila la Zeuzera, per la zona pugliese di sopra indicata. Per dare una idea assai sommaria, del resto, della importanza di cosiffatto insetto sull’ Olivo, in quelle località, ricordiamo che numerosi rami disseccano quando più stringe il caldo ed una enorme quantità di fiori e di olive vanno per terra, diminuendo la massa del raccolto; e siccome questi rami compromessi negli strati più giovani e succosi del legno, pur intristendo non dis- "e NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA CONOSCENZA ECC. 653 seccano subito, restano più e più anni focolari di infezione ed im- produttivi. In quel di Taranto, intanto, e di altre contrade della Puglia oleifera vi sono operai capacissimi per la ricerca delle larve della Zeuzera. Essi distinguono, stando da terra, i rami degli olivi infetti e salendo per essi come gatti le scovano nelle loro gallerie e le ripongono in barattoli, per venderle a prezzo di tanto per cento 0 per mille, al padrone dell’oliveta, che li invita alla difesa delle piante. Il lavoro, giudicato dai non pratici e al di fuori del campo di azione, non si direbbe economico; ma non è così quando si pensi che 8 persone possono asportare da 50 a 60 mila larve in una ventina di giorni, visitando non meno di 12000 o 14000 grossis- sime piante di Olivo. Noi abbiamo assistito a questa difesa nel 1910. Nel 1911 i dati raccolti dal Fattore di Serranova, sig. Dome- nico Del Vecchio, che contò le larve, per farne pagare 1 importo agli operai, furono i seguenti : Nota delle larve dl « Zeuzera » raccolte dai rami degli Olivi a Serranova dall’ 1 al 18 Agosto del 1911. Numero Numero Mese Giorno di Mese Giorno di larve prese larve prese Agosto 1 2435 | Agosto 10 2715 » 2 2240 || » 11 2638 | » 3 2735 || » 12 2600 » 4 2362 » 13 2562 » 5 2385 » 14 2620 » 6 2325 » 15 2534 » 7 2560 » 16 2607 » 8 2762 » 17 2192 » 9 2290 » 18 2583 Totale larve‘. . . 45145 64 GIACOMO DEL GUERCIO L'operazione fu ripetuta in presenza nostra nel 1912 ed i dati raccolti sono come nella tabella seguente : Larve di « Zeuzera » raccolte a Serranova da 8 operal dal 24 al 31 Luglio e dal 1° al 7 Agosto 1912. Mese Giorno SO Mese Giorno METEO larve prese larve prese Luglio 24 2658 Agosto Il 2684 » 25 3050 » 2 3213 » 26 3040 » 3 3515 » 27 3027 » 4 3385 » 28 3028 » 5 3320 » 29 3092 » 6 3230 » 30 2984 » T 3100 » 31 3468 Totale larve . . . 46789 Con queste cifre a disposizione è facile comprendere e far rile- vare che 45 o 50 mila larve nel 1911 e 46 o 50 mila larve nel 1912 sono state causa per lo meno dello intristimento di altrettanti grossi rami in media di S a 10 anni Vuno; e poichè ognuno di questi rami non può dar meno e al minimo di 1 kg. di olive, nei due anni successivi abbiamo certamente la perdita, per cascata di fiori e di frutti da 100.000 a 200.000 kg. di olive. E poichè le larve che si raccolgono si pagano a L. 10 il 1000, fra il 1911 ed il 1912, per 45145 larve nel primo anno e 46789 larve nel secondo, sono state spese L. 451,45 + 467,89, e cioè L. 919,34. Si metta a confronto la misura della spesa con l’utile, che se ne ricava, e si dica poi se non meriterebbe disciplinar meglio ed allargare le operazioni della difesa indicata, non pure per salva- guardare il raccolto, ma per risparmiare il capitale, che dalla pre- senza degli insetti, con lo intristimento e la morte dei grossi rami viene ad essere volta a volta più o meno falcidiato. NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA CONOSCENZA ECC. 65 Noi dobbiamo far tener calcolo di un altro fatto nella difesa contro la Zeuzera ed è che i rami intristiti od in via di intristi- mento sono più facile preda di Ilesini, Fleotribi ed altri Ftoro- fleoidi, dei quali ultimi diremo in una nota a parte. Ciò posto, ad ogni modo, per disciplinare e ricavare effetti più stabili ed utili dalle opere della difesa indicata, occorre tornar so- pra alla vita ed ai costumi dell’insetto, per notare che il compor- tamento non è affatto identico a quello ricordato per le piante di Pero, sulle quali realmente è stato volta a volta ma non conse- cutivamente seguito. Gli entomologi si accordano nel ricordare quasi tutti che a luglio abbia luogo la deposizione delle uova, mentre questo precisamente non abbiamo potuto vedere in Puglia, tanto nel 1910, quanto nel- l estate di quest'anno (1912). Una volta e altra abbiamo infatti registrato che le grosse larve dell’ insetto, dal colore e dalla pun- teggiatura caratteristica, non si trovano prima della seconda decade di luglio, e le crisalidi non cominciano a vedersi in buon numero che verso il 25 luglio e alla fine di questo mese, con un ereseenda che trova il suo massimo nella metà di agosto. Le farfalle più precoci dell’insetto non si avvistano nella zona indicata che ai primi di agosto, ed il grande sviluppo di esse non si verifica conseguentemente che molto più tardi. Ora, a voler tener conto di questi fatti, la difesa, col mezzo della raccolta diretta delle larve, non dovrebbe mai cominciar prima del mese di agosto e protrarla fino a togliere le ultime crisalidi, per fare che la infezione, ripetendosi, ciò avvenga nei limiti più stretti possibili. TIT. — “ Prays,, ed “ Euphyllura ,, nella distruzione dei fiori dell’Olivo a Serranova di Carovigno. Trovandomi nella primavera di quest'anno nelle olivete della località indicata, per la direzione della difesa contro la mosca del Olivo, ho avuto la opportunità di condurre ricerche e fare osser- vazioni anche sulla Psilla (ZuphyWura olivina (Costa) Forst.) e sulla 'Tignola (Prays oleaellus Fab.) in concomitanza ai danni dei racemi fiorali. « Redia n, 1913. 5 66 GIACOMO DEL GUERCIO La fioritura dell’Olivo di quest'anno, a Serranova e nelle zone circostanti, era qualche cosa di meraviglioso e non sarebbe stato fuori posto il pronostico di uno di quei raccolti, che molti ricor- dano e che da molti anni non si verificano più. Ma ben presto la pratica ha dovuto constatare che il raccoltone era ancora delle cose dell’avvenire, la nebbia avendo ancora una volta portato di- sgrazia nella fioritura dell’olivo ; con questo però che la nebbia vol- gare di quelle popolazioni è fatta non di acqua allo stato vesci- colare, ma di legioni innumerevoli di insetti, fra i quali i due più comuni sono la Tignola, appunto, e la Psilla, che sono state di sopra ricordate. Le piante di rimonda vecchia e taluna di rimonda nuova per ogni ramo avevano una media di una dozzina ad una quindicina di racemi fiorali, quali con una diecina e quali con un molto mag- gior numero di fiori; siechè ogni ramoscello ne presentava oltre un migliaio; ma di questi una trentina od una cinquantina, in tutto, poi ne allegarono, mostrando le piccolissime olive. Chi ha visto soltanto può avere una idea di quello che dei fiori è avvenuto, a seguito della grave invasione per parte, principal- mente, dei dune insetti indicati (1). Quanto poi a determinare i limiti dei danni compiuti da cia- scuno ci sono servite di guida la, natura delle alterazioni o dei guasti commessi e la traccia dei residui che i due insetti lasciano costantemente dietro di essi. Così la presenza dei gemmulari perfo- rati e delle bave seriche, che si riscontrano qua e là numerose sugli assi riproduttivi e vegetativi pure talvolta, non che il rinve- nimento proporzionale dei bozzoli filati e delle crisalidi sfarfallate, fra l’altro, come quelle ripiene di endofagi (Ageniaspis) sono segni da attribuirsi a Tignola (Prays), laddove lo strato di sostanza pol- verulenta, cerosa, sui racemi dissugati e periti, è da attribuirsi al Cotonello, bombacello o Psilla (Euphyllura olivina). Questi rilievi non subiscono menomazione a causa di altri in- setti, anche in Puglia, giacchè la Tortrice dei fiori (Polyehrosis (1) I fiori cadono spesso ed in gran numero anche per cause indipendenti da insetti, poco ben viste e peggio spiegate, sulle quali ci fermeremo appena ul- timate le altre ricerche avviate al riguardo. =] NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA CONOSCENZA ECC. 6 botrana) ha modo diverso di comportarsi, ed i suoi bozzoli, meno ancora le erisalidi, non sono da confondersi con quelli della Tignola. Confusione non vi può essere neanche rispetto alla Psilla, giac- chè le Guerinia, malgrado Verrore di taluno, non vive a spese del- Olivo, ne oceupa le scorze del tronco e non va più in su, nè per- viene alle infiorescenze ; così del resto come non si può pensare a causa di errore per parte di altre Cocciniglie farinose (Dactylo- pius) o di Aleurodidi, perchè queste si trovano sulle foglie, quelli amano le estremità tenere dei germogli vegetativi, e gli uni e le altre e le stesse larve delle Polychrosis si trovano ancora in assai scarsa rappresentanza, per arrivare agli effetti di sopra ricordati. Per siffatta guisa, ripetendo varie volte, sopra un numero con- Siderevole di rami danneggiati l'esame dei racemi fiorali abbiamo potuto assieurarci che alcuni erano stati colpiti da Tignola sola 0 da essa quasi esclusivamente, altri dalla Psilla, e non pochi da una specie e dall’altra in varia misura. Così una volta di 27 racemi 16 erano stati rovinati quasi dalla Psilla sola, ed 11 erano stati occupati e distrutti dalla Tignola. Questo rapporto, che si è ripetuto in una diecina. di controlli, ha mutato notevolmente in una quin- dicina di altri, e così che i termini delle due infezioni li abbiamo trovati per fino invertiti, la Tignola avendo preso il sopravvento sopra talune piante e non sopra altre. Di fronte a queste constatazioni ne abbiamo registrate altre nelle quali i racemi erano stati colpiti, quasi a parti uguali, con- temporaneamente da Tignola e da Psilla; e questa è stata presso a poco anche la media definitiva dei guasti portati dai due insetti sui fiori. Dei quali, per tanto, e per ogni 1000 non se ne è sal- rato più di una cinquantina. È vero che non poca diversità vi era fra oliveta ed oliveta e fra una contrada e Valtra, ma la devasta- zione è stata quasi generale nelle zone di S. Vito, Carovigno, Ostuni, Montalbano, ecc. per una distesa di 200 a 300 chilometri quadrati di olivete, con un danno, in quelle località soltanto, di rarì milioni di lire. E sarebbe stato anche maggiore la perdita se sause naturali di distruzione non si fossero opposte, per tutto, quasi ugualmente, alla totale rovina del raccolto. Vogliamo dire della provvidenziale e rapida diffusione di uno dei più gravi nemici dellà Tignola, la quale soprattutto avrebbe 65 GIACOMO DEL GUERCIO potuto portare alla gravissima finalità sopraindicata. E non si po- teva prevedere diversamente alla fine di giugno, di fronte alla quantità enorme delle sue crisalidi, annidate per tutto sulle foglie e sui rami vegetativi e riproduttivi, ma sopra questi e sulle foglie più particolarmente. Se non che nella seconda metà del mese indicato un fenomeno imponente si è appalesato alla nostra osservazione. Le crisalidi della Tignola, che avevano già cominciato a dare qualche farfallina, perdevano il loro colore naturale e si mostravano quali di color bruno seuro aniforme, senz’altre alterazioni sensibili dall’esterno, e quali a superficie variamente accidentata e di tinta assai dubbia, dalle quali, invece di Tignole cominciarono a venir fuori i nemici più potenti della specie, da noi, VV Ageniaspis, che pareva dovesse e certamente avrebbe portato tale rovina nella Tignola, da lasciare, per qualche anno, libere relativamente quelle olivete dalla trista genìa dell’insetto indicato. Se nonchè dalle altre erisalidi del microlepidottero in esame non vennero fuori nè le Tignunole e nemmeno i némici loro, Ageniaspis, giacchè questi ve li ho trovati morti, uccisi dalla invasione di un microbio, che merita particolare considerazione. Questo avvenimento che avevamo avuto la opportunità, in mi- sura però assai modesta, di rilevare altrove, dimostra che Vanta- gonismo fra larve di Tignola e fiori di Olivo è pari all’altro esi- stente fra Tignola ed Ageniaspis, e fra questo e il batteride di sopraindicato. La diffusione del mierobio, per tanto, decimando fino a distruggere la massa dell’ Ageniaspis, è causa dell’ aumento nu- merico della Tignola e della compromissione più 0 meno abbon- dante del raccolto oleifero. IV. — Ancora sui costumi della Tignola dell’ Olivo. Dirigendo in Puglia ed in Liguria le operazioni per la difese dell’ Olivo, ho potuto notare che le farfalline dell’ insetto non re- stano sempre sull’ olivo, delle cui parti le sue larve si nutrono ; ma se ne allontanano in buon numero, in certi momenti, e vanno a ricoverarsi sopra altre piante, assai diverse da quelle dell’Olea- cea sopra indicata. NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA CONOSCENZA ECC. 69 Le piante sulle quali la tignola è stata da noi osservata sono principalmente quelle di Vite sotto i pampini delle quali restano nascoste nella maggior parte delle ore calde del giorno, quando le nostre osservazioni abbiamo fatte ed a varie riprese ripetute. . Vengono poi le piante di Pero, di Susino e di Ciliegio, sulle quali ne abbiamo incontrato più che sulle altre di Fico. Non ci sarebbe possibile dare la ragione precisa di questo spo- stamento, per quanto momentaneo e, in apparenza, fin ora senza effetto veduto; ma possiamo accertare che la fronda più folta e meglio al coperto nel suo interno dai raggi cocenti del sole è quella più frequentata; così come più visitata ci parve, quando ce ne siamo accorti, quella più bassa a preferenza di quella mediana e più elevata dei rami e di tutta la chioma. Nessuno fin ora aveva tenuto discorso di cosiffatto costume delle snelle ed eleganti farfalline della Tignola, e nessuno aveva pensato che questo spostamento potesse aver rapporto con la necessità di cercare, sopra piante diverse dall’ Olivo, i materiali necessarì alla loro vita. Ad ogni modo, dai nostri appunti di campagna resulta che la distrazione loro dall’Olivo non è cosa che ha luogo per un giorno o per una settimana soltanto, giacchè dal mese di giugno noi abbiamo vista protrarsi fino quasi alla fine della seconda de- cade di luglio, ma alla fine del periodo con qualche raro indi viduo soltanto. La investigazione non era davvero facile, per insetti così agili quanto piccoli, particolarmente sulle pagine bianche delle foglie dell’ Olivo, che sembrano fatte a posta per nasconderle, e anche nella fronda assai ampia della Vite, e raccolta a fasci in certi luoghi, per esporre il meno possibile i grappoli all’azione diretta dei raggi solari. Ma noi, per seguirne con certa sicurezza e relativa facilità il movimento, ci siamo serviti delle bacinelle stesse, che ci servi. vano per gli esperimenti contro la Mosca olearia, e per siftatta via abbiamo non solo potuto segnare i confini estremi delle prime apparizioni e della successiva scomparsa, ma abbiamo al- tresì potuto in questo tempo misurarne la intensità, che è stata maggiore verso la fine di giugno ed i primissimi del mese successivo. 70 GIACOMO DEL GUERCIO Le farfalline della tignola, infatti, accorrono in discreto numero alle bacinelle, con le sostanze muscicide, nelle quali ne abbiamo talvolta contate fino ad una trentina, in qualche bacinella, e da 1 a 6 per ciascuna di esse, talvolta ad ogni giorno, tal’ altra per ogni tre o quattro giorni di seguito. Ma in queste ricerche, certo da riprendere e seguire, con at- tenzione maggiore di quella, che le diverse altre occupazioni concedevano di fare, abbiamo potuto vedere che le farfalline del- l insetto non temono di allontanarsi per qualche tratto anche dalle olivete nelle quali si svolgono, forse in cerca di acqua, ma da alcune osservazioni fatte, anche più per la ricerca di liquidi nutritizì. Avendone notata qualcuna ai recipienti con acqua ed agli ab- beveratoi pel bestiame, abbiamo sorvegliato attentamente una ventina di bacinelle, con acqua soltanto, poste per misurarne la potenzialità di attrazione rispetto alla mosca, ed abbiamo notato che il numero di quelle, che ve ne restavano era assai inferiore all’ altro osservato precedentemente pei recipienti con melassa avvelenata, e più ancora in altri liquidi speciali, con o senza veleno, i quali, per la enorme quantità di farfalle, che vi accor- revano, abbiamo indicato col nome di liquidi a farfalle, o farfallai. A questo punto delle osservazioni fatte giova ricordare che le esperienze iniziate, con non ordinaria larghezza quest’ anno in Puglia, furono anche a tale riguardo disturbate dallo irregolare andamento della stagione, per gli abbassamenti di temperatura e lo spirare dei venti, che costringevano le farfalline della Ti- gnola a restar ferme contro le lamine fogliari, contro i rami, ed a ricoverarsi nel vuoto dei tronchi dell’ olivo. V.— Osservazioni preliminari intorno ai costumi dell’ Ilesino dell’Olivo. (“ Hylesinus oleiperda ,, Fab.). Facendo seguito ad altre osservazioni sperimentali intorno al Punteruolo (Phloeotribus scarabaeoides Bern.) e all’ Nesino del Fras- sino, vivente anche sull’ Olivo, prima di passare a dire dei costumi dell’ Hylesinus oleiperda, giova ricordare che le notizie del com- pianto A. Costa, sull’apparizione di questo Ilesino, non collimano NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA CONOSCENZA ECC. 71 colle nostre. L’ illustre entomologo notava infatti 1’ inizio dell’ap- parizione dell’ insetto perfetto al principio dell’ estate, il quale ter- mine, invece, per noi sarebbe la fine precisa dell’ apparizione me- desima; e anche quest’ anno in fatti noi abbiamo raccolto i primi individui verso la metà di maggio e gli ultimi, dallo stesso alleva- mento, verso la metà di luglio (1). Ciò premesso, anche a giustificazione delle date relative alle osservazioni seguenti, notiamo che il primo di giugno, servendoci di un lungo e molto largo tubo di vetro abbiamo potuto isolare sopra un ramo 4 coppie di Ilesino. Altrettanto abbiamo operato sopra un secondo ramo vicino, quasi di egual forza, sulla stessa pianta; però al primo è stata conservata la parte apicale, oltrepassante il tubo, e al secondo è stata tagliata. Contemporaneamente, entro altri tubi, abbiamo collocato diverse altre coppie di insetti, sopra rami staccati dalla pianta, di cui al- cuni lasciati a se stessi, verso il disseccamento, ed i rimanenti, con artifizîì diversi, nei tubi medesimi, mantenuti freschi, sia infilan- dovi ali’ estremità dei tuberi di patata, sia avvolgendoli in batuf- foli di bambacia inumidita con acqua. Il 22 giugno misi sopra rami di olivi vecchi, senza alterarli e sopra altri spuntati, numerose altre coppie dell’ Iesino e dalla istituzione di questi e degli allevamenti precedenti abbiamo potuto vedere quanto segue. Gli insetti si sono posti per tutto in movimento ed hanno per- corso per lungo e per largo i varì rami posti a loro disposizione, soffermandosi quasi da per tutto verso la base e nella parte infe- riore di essi o rivolta verso terra. Il 10 di luglio, quando le forme dell’ insetto visibili apparvero quasi tutte morte, cominciò la ispezione rigorosa dei rami stace- ‘ati dalla pianta e lasciati naturalmente disseccare, e 1’ esame ri. petuto di essi mostrò che gli insetti non vi avevano praticato alcuna galleria ed erano morti senza deporvi uova e senza neanche aver tentato di intaccarne la scorza. (1) Mentre scriviamo notiamo che ha luogo ugualmente nel 1913, con questo in più che al 25 di Luglio troviamo ancora le femmine dell’insetto vaganti sui rami in osservazione. 12 GIACOMO DEL GUERCIO Questo fatto contrasta con quanto notoriamente si sa che ha Inogo col Fleotribo dell’ Olivo, il quale non pure attacca i rami per qualunque causa in via di deperimento o intristiti, ma li col- pisce e vi depone anche quando sono morti e per la massima parte disseccati. Noi abbiamo potuto vedere pure che le sue femmine per deporre non si rifiutano di aprirsi la via anche a traverso scorze di rami disseccati, sulle quali restano molto tempo prima di abbandonare il foro vestibolare, talvolta completo e tal’ altra incompleto praticatovi. Non ripeteremo qui quanto altrove fu a questo riguardo osservato; basterà dire che il Fleotribo abbandona i rami tagliati solo quando VP acqua di vegetazione è sparita; così come fa pure 1° Ilesino del Frassino, a differenza dell’ Ilesino dell’ Olivo, il quale nelle espe- rienze indicate non ha approfittato neanche dei rami tenuti freschi con gli espedienti di sopra ricordati. Ed anche in queste ricerche abbiamo visto che gli adulti dell’ insetto non avevano intaccato la scorza e nettampoco vi avevano deposte le uova della novella generazione, laddove procedevano ben diversamente le cose sui rami lasciati in posto e non distaccati dalle piante (1). Portando, in ultimo, l’attenzione su questi rami ci piace ricor- dare di aver assistito allo spiegamento, da parte dell’ insetto, di un’ azione quanto mai altra persistente e tenace, dopo gli accop- piamenti, per assicurare ai germi della futura generazione la sede indispensabile al loro svolgimento. Diremo prima di quello che è accaduto sui rami della piccola pianta irrigata durante 1’ estate e poi di quello che è avvenuto sui rami della pianta adulta non irrigata. Abbiamo premesso che in uno degli allevamenti il ramo fu ta- gliato quasi all’ altezza del tubo di vetro, che serviva a coprirne il tratto basilare restante. Per effetto di cosiffatta operazione, i succhi nutritizî discen- denti dalla chioma della pianta e la corrente abbondante delle soluzioni saline proveniente dalle radici importarono nel tratto del ramo restato un vigore straordinario, pel quale la scorza in qua- (1) È perciò in errore chi ritiene che 1’ Ilesino infesti gli olivi intristiti, o che lo intristimento sia necessario per farlo. -1l E NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA CONOSCENZA ECC. lunque parte intaccata dagli Ilesini emetteva suechi abbondanti, che invadevano le ferite, che quelli con le mandibole ogni volta tentavano di farvi. Non precisamente lo stesso aveva luogo nel tubo col ramo in- tero, non tagliato ed asportato nella seconda metà, perchè vi er: meno abbondanza di succhi; ma da una parte e dall’ altra alla difesa naturale persistente della pianta rispose la costanza e la particolare tattica degli insetti, che invece di ridurre le opere di offesa in piccolissime zone limitate, come potrebbero essere quelle di un doppio millimetro quadrato, per penetrare nella scorza, co- minciarono a praticare delle erosioni, prima ovali, notevolmente più grandi, nutrendosi della scorza che intaccavano, e poi proce- dettero a ferite assai allungate in varî tratti del ramo, che per- dendo liquido per tutto e asciugandosi lungo le parti dei tessuti colpiti ed esposti all’ aria, permisero alle femmine di occuparle è vi deposero le loro uova. Queste uova continuarono a restare sane e dettero le larve, che noi abbiamo in parte raccolte il 24 al 30 agosto, per esaminarle ed esaminare anche il lavoro da esse compiuto, dopo quello assai più notevole delle loro madri. Daremo in altra nota la figura di una di queste alterazioni lunga 4 a 5 centimetri, notevolmente rilevata sul piano della scorza a eausa del tessuto di neoformazione, che ha seguito il lavoro delle femmine ed ha accompagnato l'altro delle larve, per tutta la lun- ghezza delle loro gallerie indicate. Da questo ramo e dagli altri è chiara la visione delle escavazioni delle femmine, che per poter deporre ed assicurare le nova dal pericolo dei prodotti della rapida proliferazione della zona rigeneratrice, che le avrebbero schiacciate fra loro, aprono come una trincea, esterna, che serve in certo modo ad isolare la zona interna ed in mezzo alla quale, in vario senso solcata, come per risanarla, le femmine dell’ Nlesino praticano la deposizione delle uova. Sicchè anche nelle condizioni più avverse, ed avversate artifi- cialmente con lo spuntamento dei rami, con la irrigazione e con soluzioni nutritive, gli Ilesini arrivano a deporre le uova e da que- ste nascono le larve, che assolvono l ufficio che natura ha loro assegnato, rovinando i tessuti corticali per nutrirsi e di crescere 14 GIACOMO DEL GUERCIO dando ninfe e queste gli insetti perfetti atti a preparare la ge- nerazione novella. Lo stesso è accaduto sugli altri rami per quanto sottoposti anch’ essi a vegetazione forzata, e la conclusione indiscutibile per gli insetti in discorso è che 1° Olivo, purchè vivente, è sempre esposto agli attacchi per parte del suo vero Ilesino (MH. oleiperda). E però siamo dolenti di non poter accordarci, con coloro, che scambiando questo Iesino con altro Scolitide, di cui diremo al- trove, hanno concluso diversamente e sempre senza esperienze e in maniera non consentanea alla realtà delle cose. Quanto agli effetti della presenza degli insetti stessi sui rami delle vecchie piante coltivate in campo, presenteremo altrove le figure degli stessi rami alterati, dai quali si vede che le offese sopra di essi sono le stesse per estensione, ma non per rilievo, giacchè le gallerie larvali sono a mala pena sensibili all’ esterno, mentre che nelle condizioni precedentemente ricordate sono sicuramente più rilevate che larghe alla superficie della seorza. Ma i danni non sono per questo meno gravi, giacchè le parti dei rami sovrastanti alle gallerie materne e larvali sono disseccate : talvolta il dissec- camento è avvenuto anche prima della fioritura; tal’ altra si è verificato più tardi e i fiori sono restati senza effetto sui rami intristiti successivamente e poi disseccati. VI. — La Psilla e la cascola delle olive. Fin ora fra i danni che la Psilla porta all’Olivo erano stati calcolati quelli soltanto che si presumevano in ragione della inva- sione dei racemi fioriti e dei frutticini appena allegati, conside- rando come perduti quelli degli uni e degli altri, che vedevansi cadere durante l’attività delle forme giovani dell’ insetto, e come salvi ormai gli altri sopravvissuti e restati subito dopo la generale sparizione dell’emittero. Ma quello che così appariva, in realtà non è, giacchè gli effetti della presenza della Psilla non cessano con la sua sparizione, e permangono ben sensibili pur dopo qualche tempo da che le NUOVA CONTRIBUZIONE ALLA CONOSCENZA ECC. (03) solite agglomerazioni cotonose ed attive delle Psille non si scor- gono più (1). Contrassegnando sopra due file di qualche centinaio di piante, sulla strada che, pel Crocifisso, mena a Buffaleria e, pel secondo ponte, alla Scianolecchia, dei rami di Olivo colpiti esclusiva- mente dalla Psilla, abbiamo potuto osservare che, mano a mano che il mese di luglio si inoltrava le olivine dei rami in esame, scampate agli attacchi della Psilla, cadevano poche per volta dopo aver perduto il color verde abituale: ciò che avveniva nel termine di tre a quattro giorni circa. Le piccole olive, che si trovavano sopra racemi non visitati dalla Psilla, fatta qualche rara eccezione, non cadevano; mentre, come si è detto, cadevano di norma le altre, e di esse, si disarticola- vano quelle situate sui tratti della rachide fiorale vulnerata dalle punture dell’ insetto. Vuol dire che se anche il rostro della Psilla non si abbatte sui fiori, questi, se hanno il peduncolo nella zona interessata sud- detta, cadono ugualmente. Ed è così che si ha la spiegazione del disseccamento di interi racemi con una ventina ad una trentina di fiori, pur essendo stati colpiti alla base soltanto, dove, come si sa, di norma la infezione prima si trova. La cascola delle olivette si protrae per tutto il mese di luglio e si arresta, in base a quanto abbiamo potuto vedere quest'anno soltanto, quando i frutti sono poco più della grossezza di un pic- colo pisello o quasi. (1) In questo periodo, nelle olivete di S. Vito, Carovigno, ecc. vediamo che anche i racemi colpiti da Tignola perdono la massima parte delle piccole drupe superstiti risparmiate. Gli estratti di queste Note furono pubblicati il 15 Agosto 1913. BAR IO For 1700 4 I ANTONIO BERLESE (VIA ROMANA, 19 — Firenze) ACARI NUOVI MANIPOLI VII-VIII. (Tav. I-VII). In data 9 Febbraio 1910 ho pubblicato i Manipoli V, VI, di Acari nuovi, giungendo fino al numero 300. In tali manipoli ho illustrato con figura anche parecchie specie di cui avevo dato solo la diagnosi in « Elenco di generi e specie nuove di Acari » (« Redia » vol. V, fasc. I, p. 1). Dopo la pubblicazione dei detti Manipoli V-VI, ho anche de- scritto molte specie di Acari, in quattro memorie, che sono le seguenti : Lista di nuove specie e nuovi generi di Acari (« Redia », vol. VI, fasc. 2, p. 242, 12 Febbraio 1910). Brevi diagnosi di generi e specie nuove di Acari (« Redia », vol. VI, fasc. 2, p. 346, S Luglio 1910). Alcuni Acari entomofili nuovi (« Redia », vol. VII, fase. 1, p. 183, 11 Aprile 1911). Acarorum species novae quindecim (« Redia », vol. VII, fase. 2, p. 419, 22 Dicembre 1911). Attualmente illustro, anche con figure, una sessantina di specie nuove e, seguendo il metodo già praticato nei detti Manipoli V e VI, intercalo anche, fra le specie nuove, alcune che sono state pubblicate già nelle Memorie anzidette o nei Manipoli I, II, ma non peranco illustrate con figure. Per queste specie adunque basterà richiamare la descrizione fattane nei lavori precedenti. Ut) ANTONIO BERLESE PROSTIGMATA. GEN. H{YBA.LICUS N. GEN. Characteres generis Alicus, sed abdomen globosus, quasi gib- bosus. Minimi. Typus Alicus ornatus Berl. 301. Hybalicus flabelliger n. sp. — Albidus? Derma. abdo- minis verruculatum, haud striatum. Pili dorsi fHabelliformes vel penicilliformes, crassi, ciliatuli. Mandibularam digitus fixus latus, mobilis subconformis, ambo in dimidia parte apicali denticulati. Palpi articulo postremo magno, certe quadruplo longiori quam lato. Ad 200 p.. long.; 140 p. altus. — Vedi tav. I, fig. 1. Habitat in humo, in Insula Jaba. Collegit Cl. Jacobson. Hybalicus ornatus Berl. (Acari nuovi; Manipulus III, in « Redia », vol. II, p. 13, sub nomine: Alicus ornatus, adest etiam in insula Jaba, cum praece- denti. Desceriptioni (loc. cit.) adde: Chela digito mobili fixum superante, edentato, recto (vel apice vix incurvo, in varietate); digito fixo apice subbilobo, edentato, recto. Palporum articulus postremus breviter fusiformis, minus triplo longior quam latus (in varietate bene triplo longior). Vedi tav. I, fig. 2. 302. Bimichaelia grandis n. sp. — Candida, elongate rectan- gula, pilis curtissimis, crassis, fere papilliformibus, vix conspicuis in dorso induta. Anticum ad basim organis sensorialibus binis caly- ciformibus, longo et exillimo peduneulo sustentis nec non simpli- cibus pilis binis, exilibus, sat longis, iuxta calyeiformes insitis. Ad DI 710 p.. long.; 430 p.. lat. — Vedi tav. I, fig. 3. to Habitat in humo, « Samarang, Giava ». 303. Bryobia glacialis n. sp. — Consueto colore, quamvis minus brunnea. Pedes omnes eurti, intersese crassitie pares arti culisque omnibus pariter crassis. Pedes antici corpore multo eur- tiores, fere longitudine latitudinem corporis aequantes. Caeterum ACARI NUOVI 79 sat congeneribus similis. Ad 720 p.. long.; 540 p.. lat. Pes 1.' paris 570 p. long.; 2! paris 280 p. long. — Vedi tav. I, fig. 4. Habitat. Plura vidi exempla colleeta a Cl. Prof. Paoli G. ad « Sondrio, Ghiacciaio di Forni », circiter ad 2500 m. altitudinis. 304. Tarsocheylus atomarius n. sp. — Albidus, hyalinus, valde strictus, dorso in segmentis quinque (nec non valvis anali- bus prominulis) divisum. Palporum dens dorsualis ad unguis basim bimucronatus. Minimus. Ad 230 p. long.; 80 p.. lat. — Vedi tav. I, fig. Db. Habitat rarus in foeno, « Firenze ». 305. Cheletogenes quadrisetatus n. sp. — Flavidus, mini- mus, ungue palporum omnino edentato, tarsis primi paris apice setis longis quatuor ornatis (ex quibus duae sunt longissimae, duae vix minores). Derma seutulorum dorsualium haud verruculo- sum, vere nitidum, vix tenuissime punetulatum. Ad 240 p. long.; 180 p.. lat. — Vedi tav. I, fig. 6. Habitat in insula Jaba. Collegit C1. Jacobson. Cheletogenes e Cheletomorpha. L’Oudemans separa questi due generi basandosi sulla armatura dell’ unghia del palpo, che nelle Okeletogenes sarebbe con molti denti e in Cheletomorpha senza denti affatto. Ora ho trovato un Cheletogenes di Giava senza denti. Certo è del genere di cui è tipo il Cheyletus ornatus di Can. et Fanz. (0. saccardianus mihi) e nulla ha a che vedere colle Cheletomorpha, di cui è tipo il Cheyletus venustissimus Koch. Dunque il carattere distintivo dei due generi, che certo vanno distinti, è invece nelle zampe del 1.° paio, cioè : Pedes 1.' paris, corpore multo curtiores, tarsis clavatis. ....... CHELETOGENES, Pedes 1.' paris, corpore bene longiores, tarsis subulatis...... CHELETOMORPHA. SUBGEN. EUCHEYLA N. SUBGEN. Ex gen. Oheyletia. Dorsum squamis obtectum etiam in media parte seutulorum. Setae duae in postremo palporum articulo (tarso), ex quibus una falciformis, altera breviter clavato-pyritormis. Caetera ut in Chey- letia (S. Str.). Typus: Ch. (£.) loricata Berl. SO ANTONIO BERLESE 306. Cheyletia (Eucheyla) loricata n. sp. — Flavida. Dorsum foliolis rotundis, scutulo adpressis, reticulatis, a flabellis late- ralibus diversis, utrinque quindecim numero. Epistoma utrinque bidentatum. Palporum unguis basi, ad dorsum, dente uno robusto armatus. Flabella maxima, reticulato-nervosa utrinque undecim numero; flabella pedum quoque magna. Ad 280 p. long. (sine rostro; 420 p.. long. cum rostro); 190 p.. lat. — Vedi tav. I, fig. 7. Exemplum possideo flabellis numero utrinque tres in seuto dor- suali anteriori, inxta lineam mediam longitudinalem, nee non flabellis . conformibus numero utrinque quatuor in seuto postico. Flabella ista omnino marginalibus conformia sunt. Habitat in Agri Panormitani muscis. MESOSTIGMATA. 307. Jacobsonia minor Berl. — Brevi diagnosi (« Redia », vol. VI, fasc. 2), p. 374. — Vedi tav. IMI, fig. 22. 308. Jacobsonia submollis Berl. — Lista di n. sp. di Acari (« Redia », vol. VI, fasc. 2, Iphiopsis, Greeniella, submollis), p. 248. — Vedi tav. III, fig. 21. 309. Berlesia styligera Berl. — Acarorum species novae quin- decim (« Redia », vol. VII, fasc. 2), p. 434. — Vedi tav. II, fio. 25. 310. Berlesia cultrigera Berl. — Lista, loc. cit., p. 260. — Vedi tav. III, fig. 23. 5311. Berlesia nuda Berl. — Brevi diagn., loc. cit., p. 370. — Vedi tav. II, fig. 24. 312. Gamasiphis gamasellus n. sp. (Mas). — Badius, elongatus; marginibus subparallelis, rectilineis, qua re corpus gamaselliforme est. Epistoma quinquemucronatum, mucrone medio spiniforme, ACARI NUOVI S1 caeteris longiore, deorsus deflexo. Ad 300 p.. long.; 135 p. lat. È \ — Vedi tav. III, fig. 29. Habitat in humo, « Samarang, Giava ». 313. Gamasiphis pilosellus n. sp. — Badius, ovatus, parum elongatior et vix minor quam @. elegantellus, cuius affinis. Pili dorsi mediocres, omnes intersese statura subpares, fere dimidio curtiores et exiliores quam in @. elegantello. Duodecim numero sunt in dimidia dorsi parte antica, decem in postica. Deficiunt setulae longae adanales (ventrales). Ad 450 p.. long.; 320 p. lat. — Vedi veve JUDE sia 205 Habitat communis in humo « Samarang, Giava ». 314. Gamasiphis elegantellus Berl. — Lista, loc. cit. p. 253. — Vedi tav. III, fig. 27. 315. Gamasiphis elongatellus Berl. — Brevi diagn., loc. cit., p. 372. — Vedi tav. III, fig. 28. 316. Pachyseius humeralis Berl. — Lista, loc. cit., p. 255. — Vedi tav. IV, fig. 30. 317. Pachyseius jacobsonianus Berl. — Acarorum ete., loco cit., p. 431. — Vedi tav. IV, fig. 32. 318. Pachyseius orientalis Berl. — Lista, loc. cit., p. 258 (Megalolaelaps orient... — Vedi tav. IV, fig. 31. 319. Pachylaelaps hispani Berl. — Elenco, loc. cit., p. 14. — Vedi tav. IV, fig. 35. 320. Pachy1. (Onchodellus) spectabilis Berl. — Lista, loc. cit., p. 257. — Vedi tav. IV, fig. 34. 321. Pachyl. (Elaphrolaelaps) fenestratus Berl. — Lista, loco cit., p. 207. — Vedi tav. IV, fig: 35. « Redia n, 1913. 6 82 ANTONIO BERLESE 322. Olopachys scutatus Berl. — Lista, loc. cit., p. 256 (Pachyl. Olopachys, scut.). -—- Vedi tav. V, fig. 45. 323. Brachylaelaps rotundus Berl. — Brevi diagn., loc. cit., p. 372. — Vedi tav. V, fig. 44. 324. Coprolaelaps caputmedusae Berl. — Elenco, loc. cit., p. 14. — Vedi tav. V, fig. 45. 325. Megalolaelaps immanis Berl. — Brevi diagn., loc. cit., p. 371. — Vedi tav. IV, fig. 38. 326. Megalolaelaps hirtus Berl. — Acari nuovi, Manipulus II, (« Redia », vol. .II, fasc. 2), p. 261. — Vedi tav. IV, fig. 36. 27. Megalolaelaps enceladus Berl. — Lista, loc. cit., p. 258. — Vedi tav. IV, fig. 37. 328. Megalolaelaps spinirostris Berl. — Lista, loc. cit., p. 258. — Vedi tav. V, fig. 46. 329. Megalolaelaps radiatus Berl. — Lista, loc. cit., p. 258. — Vedi tav. IV, fig. 39. 330. Ololaelaps formidabilis n. sp. — Dilute badius, perfecte ovatus, minus curtus et convexus quam caeterae hucusque notae species huius generis (sive 0. venetus; 0. placentula et eius var. affinis). Foemina seutis ventralibus vere reticulatis ; pilis minimis, subineonspicuis in corporis margine ornata. Pedes omnes sat robusti, precipue primi paris. Mas aliquanto foemina minor et elongatior ; chela digitis bidentatis, mobili calcari maximo, valde runcatim in- curvo, ultra rostrum deorsus inflexo et produeto armato. Mas ad 480 p.. long.; 320 p.. lat.; Foem. 540 p.. long.; 400 p.. lat. — Vedi tav. V, fig. bl. Habitat. Nonnulla utriusque sexus exempla vidi colleeta ad « Samarang (Giava) ». ACARI NUOVI S (vi GEN. PODOCINUM BERL. 1882. Ho figurato qui, oltre alle tre specie nuove di Giava infradescritte, anche le altre due specie conosciute italiane. Esse sono il P. sagar Berl. (fig. 47) ed il P. pacificum (tig. 55). Di tale guisa appaiono bene le differenze tra le cinque specie finora note del genere e queste differenze si riconoscono nella statura, nella maniera di senltura dello scudo dor- sale, nel numero e disposizione dei grandi peli nello stesso scudo, nella lunghezza rispettiva dei diversi articoli delle zampe del 1° paio e nel numero delle lunghe setole terminali e subterminali nel tarso dello stesso 1° paio. Meno-sensibili sono le differenze che si rilevano nella forma dello sendo ano-ventrale nelle femmine. 331. Podocinum mediocre n. sp. — Pallide anrantiaco-terreum. Pedes antici tantum setis binis subtilibus apicalibus praediti. Derma dorsi aciculis minimis, aeque dissitis tantum ornatum. Setulae in medio dorso minimae, difticilibus conspicuae ; foeminae scutum ano-ventrale obtrapezino-semicirculare. Ad 360 p.. long.; 240 p. lat. Pedum primi paris segmenta sunt longa: Femur 200; genu 180; tibia 120; tarsus 240; seta apicalis interior 200; exterior 200. — Vedi tav. V, fig. 48; tab. VI, fig. 52. Habitat in insula Jaba; coll. cl. Jacobson ; plura vidi exempla. 332. Podocinum minus n. sp. — Pallide terreum; P. mediocri valde affine eademque strucetura dermatis dorsi; differt tamen statura minore, scuto ano-ventrali foeminae posterius bene rotun- dato, setis pedum primi paris apicalibus multo longioribus. Ad 320 p.. long.; 210 p.. lat. Pedum anticorum segmenta sunt longa : Femur 180: genu 140; tibia 100; tarsus 200; seta apicalis inte- ne t rior 200; exterior 240. — Vedi tav. VI, fig. 55. Habitat in insula Jaba. Coll. cl. Jacobson. 335. Podocinum misellum n. sp. — Pallide terreum, minimum. Derma dorsi reticulatum. Pedes antici seta tantum una apicali. Tibia pedum anticorum circiter quadruplo articulo praecedenti brevior. Setulae sex in medio dorso, aliaeque sex laterales non sex posticis curtiores. Ad 260 p.. long.; 155 p.. lat. Pedum anti- S4 ANTONIO BERLESE corum articuli sunt longi: femur 110; genu 80: tibia 26; tar- sus 100 p. — Vedi tav. V, fig. 54. Habitat in insula Jaba. Coll. cl. Jacobson. SUBGEN. IPHIDINYCHUS N. SUBGEN. Ex gen. Epicroseius Berl. Abdomen posterius non in cornua productus. Caetera ut in subgen. Hpicroseius. 334. Echinoseius (Iphidinychus) manicatus n. sp. — Pallide terreus, ovatus; margine dorsi scutulis minimis, quoque pilum unum gerente, curto, incurvo, aucto. Peritremata brevia, omnino lateralia, paulo ultra tertias coxas producta. Epigynium maximum, trapezinum, anterius rotundatum, ad latera pluries longitudinaliter striatum. Pedes omnes tarsis ad basim squama dorsuali, peculiari, quasi manica, partim obtecti. Pedes sat breves, curte piloso—spinosi. Ad 360 p.. long.; 210 p.. lat. — Vedi tav. II, fig. 12. Habitat. Unum vidi esemplum foemineum collectum in muscis « Columbia ». 335. Eviphis convergens n. sp. — Consueti coloris, ovalis, sat 4. uropodino similis, sed bene diversus. Foemina scutis peri- trematicis post quartos pedes valde intersese convergentibus et angulis internis fere contiguis ita ut epigynium perparvulum retror- sus omnino amplectent. Epigynium strictissime subtrigonum. Ad 390 p.. long.; 280 p.. lat. — Vedi tav. V, fig. 49. Habitat. Foeminam vidi colleetam ad « Samarang (Giava) ». 336. Eviphis uropodinus Berl. — Acari nuovi, Manipulus I, (« Redia » vol. I, fasc. 2), p. 243. — Vedi tav. V, fig. 50. 337. Asternoseius ciliatus Berl. — Lista, loc. cit., pag. 254. — Vedi tav. V, fig. 40. 338. Physallolaelaps ampulliger Berl. — Elenco, loc. cit., p. 13..— Vedi tav. V, fig. 42. ACARI NUOVI to}9) 339. Laelaps (Hoplolaelaps) doderoi Berl. — Lista, loc. cit., p. 259. — Vedi tav. V, fig. 41. 340. Trachyuropoda (Urojanetia) rectangula Berl. — Foem. badia, vere rectangularis, vix postice rotundata, anterius suban- gulata. .Seutum dorsuale medium duplex, parte anteriori maiori, in medio carinula lata, longitudinali, elevata, quae ad angulos antero- laterales in squamas rotundatas binas (utrinque una) parvas, lae- ves, obseuriores dilatatur. Margo corporis totus setis brevibus, crassiusculis, rancatim ineurvis dense ornatus (excepta parte inter humeros et verticem). Scuta dorsualia tota sceabrato-areolata. Ad 540 UL. long.; 340 w. lat. — Vedi tav. II, fig. 13. Habitat in insula Jaba. Collegit el. Jacobson. Obs. I. Species haec non bene in subgen. Urojaneta ineluditur propter seutum dorsuale medium in partes duas (antica maior, postica percurta, transversa) divisum, seutoque marginali ad angulos posticos dorsi interrupto. An novum subgenus nomine Dinychura distinguendum ? Obs. II. Nomen Janetiella, quo usus sum in « Acari mirmecofili » pro subgenere generis Trachkyuropoda, mutandum est, quia praeoccupatum inter Cecidomyidas. Nomine utatur Urojanetia. 341. Trachyuropoda (Trachyurop.) tuberculata n. sp. (mas). — Badia, ovalis, margine ad quartos pedes parum rectangulariter expanso. Corpus tubereulis aliquot marginalibus, post expansionem supra- dietam utrinque 10 numero, dorsualibus utrinque sex submarginali- bus, altis, piloram runeatorum acervulos gerentibus. Dorsum abdo- minis in medio irregulariter elevato-carinatum (longitudinaliter). Derma totum areolatum. Ad 1140 p.. long.; 540 p. long. — Vedi tav. II, fig. 14. Habitat in humo « Samarang, Giava ». 342. Urodinychus cylindricus n. sp. — Badius, elongatus, lateribus subparallelis, setulis ceylindricis, sat longis, lenissime ad S incurvis, sub apicem barbatulis, aequedissitis in dorso et in marginibus ornatus. Dorsum convexum, sublaeve. Scutum genitale utriusque sexus in parte sterni distineta, fere scutum separatum S6 ANTONIO BERLESE conficiens, post quartos pedes attennatum et in ventre evanescens aperta. Scutum genitale foeminae ferri equini instar longioris confi- guratum, usque ad quartas coxas productum, anterius rotundatum. Inter quartas coxas foveolae binae sunt rectangulae, transverse dispositae, quasi vittam obscuriorem conficientes (organa sensoria?). Peritrema externe biplicatum. Ad 520 p.. long.; 290 p.. lat. — Vedi tav. II, fig. 15. Habitat. Plura vidi exempla cum pullis ad « Samarang, Giava », in humo collecta. 343. Uroobovella villosella n. sp. — Badia, consuetae figurae. Pili aequedissiti sunt circiter duodecim numero, sat longi, antror- sus recurvi in quoque latere. Pili conformes sunt in dorso sat numerosi. In extremo dorso inter duos pilos maiores, quatuor sunt mediocres, in eadem linea transversa insiti et intersese valde appressi. Peritrema uniplicatum, sive ramus superus recurrens po- steriori stricte adpropinquatus. Epigynium subtriangulare, postice recte truncatum, anterius acuto-rotundatum, usque ad extremas quartas coxas prominulus. Mas foeminaque statura pares, ad 565 p.. long.; p. 430 lat. — Vedi tav. II, fig. 16. Habitat in humo, « Samarang, Giava ». SUBGEN. UROCICLELLA N. SUBGEN. Ex genere Urobovella, a quo differt propter corpus perfecte discoidale (haud obovatum), nec non propter lineam ventralem preanalem (secutum ventrale ab anale seiungente) subevanida. Species typica U. U. parvula Berl. 344. Urobovella (Urociclella) parvula n. sp. — Saturate badia, antice et postice rotundata, valde convexa, ad dorsum sat nitida, glaberrima. Seutum genitale foeminae elongate ferri equini instar configuratum, antice sat obtusum, usque ad coxas 4i paris productum, sed vix eas attingens. Peritrema 3-forme, arcu superno perstrieto, sed posteriori valde maiore. Ad 390 u.. long.; 320 p.. lat. — Vedi tav. II, fig. 17. Habitat in humo, « Samarang, Giava ». =] ACARI NUOVI S 345. Discopoma integra Berl. — Lista, loc. cit., p. 244. — Vedi tav. II, fig. 13. HETEROSTIGMATA. 346. Podapolipus (Tetrapolipus) batocerae Berl. — Lista, loc. cit., p. 270; Acarorum ete., loc. cit., p. 434. — Vedi tav. II, fig. 11. 347. Podapolipus bacillus Berl. — Acarorum ete., p. 434. — Vedi tav. I, fig. S. GEN. TARSOPOLIPUS BERL. 1911. Genus hoc subdividendum est in Subgenera duo, sive : Tarsopolipus s. str.; Eutarsopolipus n. subgen. Subgen. 7arsopolipus (Ss. Str.) Foeminae ambulaera 2°, 3" paris infundibulo constituta, ungui- bus nullis. Mas pedibus quarti paris intersese seiunetis, dorsuali- bus. — Typus: Zarsopolipus corrugatus Berl. 348. Tarsopolipus (Tarsop.) corrugatus Berl. — Alcuni Acari entomofili nuovi (« Redia », vol. VII, fase. I). p. 183. — Vedi tav. I, fig. 9. SUBGEN. EUTARSOPOLIPUS N. SUBGEN. Foeminae pedes 2° et 3' ambulacro valide biungui terminati. Mas pedibus 4' paris nullis (an in mucronem conienum simul con- cretis ?) Typus: Zarsop. lagenaeformis Berl. 349. Tarsopolipus (Eutarsopolipus) lagenaeformis Berl. — Alcuni Ac. ent. n., loc. cit., p. 1854. — Vedi tav. I, fig. 10. SS ANTONIO BERLESE CRYPTOSTIGMATA. SUBGEN. ALLOZETES N. SUBGEN. Ex gen. Ceratozetes. Notogastrum non a cephalothorace distinetum. Lamellae interla- mella obsoleta sed linea quadam (suleum simulans) significata. Se- tulae ad basim cefalithoracis, inter organa pseudostigmatica, nullae. (Pedum uncus singulus). Species typica €. A. pusillus Berl. 350. Ceratozetes (Allozetes) pusillus n. sp. — Testaceus ovato-rotundatus, pedibus uniunguibus. Organa pseudostigmatica longa, cylindrica, apice aliquanto dilatata ibique curte barbulata. Abdomen glaber. Cornua lamellarum sat crassa, haud nimis an- terius producta. Ad 280 u. long.; 185 p.. lat. — Vedi tav. VI, fig. 56. Habitat. Nonnulla vidi exempla ceollecta in insula Jaba a el. Jacobson. 351. Sphaerozetes prudens n. sp. — Badio-fuligineus, ovalis. Notogastrum dermate minute reticulato-squamoso, pilis fusiformi- bus (vix barbatulis) mediocribus, basi hyalinis, caeterum nigris or- natum. Organa psevdostigmatica breviter clavato—-pyriformia, nigra. Lamellae in duplicem dentem sat productae, intersese translamella crassa coniunctae, apice pilo fusiformi, dorsnalibus conformi, haud nimis longo ornatae. Pedes genu tibiaque pilis calcariformibns, iisdem dorsi subsimilibus, ornatis. Ad 580 pw. long.; 380 p. lat. — Vedi tav. VI, fig. 57. Habitat innumerus primo vere (apr. et majo) super plantas varias, praecipue Magnolia fuscata, in hortis, Florentiae. GEN. MICROZETES N. GEN. Pteromorphae parvulae, peloptiformes, sive linea rectangulum occludente delimitandae, externe expansae, posterius truncatae. ACARI NUOVI S9 Cephalothorax magnus, alis magnis, fere ut in Achipteria late expansis et longe productis. Organa pseudostigmatica perlonga, anterius arcuatim directa, usque ad summum caputhoracem pro- duceta. Tarsi uniunguiculati. Inter omnes Pterogasterinas minimi. Species typica Sphaerozetes mirandus Berl. 5352. Microzetes ornatissimus n. sp. — Testaceo-badius, sub- sphaericus. Alae tecti magnae, anterius bifidae (processu externo longe spiniformi, introrsus et deorsus incurvo), hyalinae. Organa pseudostigmatica longiora, conica, barbulata, apice attennatissima. Notogastri pars antica striis interruptis quatuor, e margine antico longitudinaliter procedentibus exharata. Ad 190 p. long.; 122 p. lat. (inter pteromorphas expansas). Inter omnes huius familiae Acaros species haec minima est. — Vedi tav. VI, fig. DS. Habitat in humo, « Samarang, Giava ». 353. Oribatula navicula n. sp. — Testacea, elongatius ovata, fere triplo longior quam lata. Pteromorpharum rudimenta vix mar- ginem strictum ad humeros sistentia. Organa pseudostigmatica breviter clavato—-pyriformia. Pili minimi sunt in dorso et in mar- gine postico abdominis, rari. Ad 300 p.. long.; 130 p.. lat. — Vedi tav. VII, fig. 87. i Habitat. Nonnulla vidi exempla collecta in insula Jaba a el. Jacobson. 354. Oppia latior n. sp. — Fuliginea, abdomine fere aeque longo ac lato, pilis crassis, magnis, propter villositatem apicalem clavatis, in seriebus longitudinalibus duabus dispositis ornato. Organa pseudostigmatica crassa, longa, gradatim apicem versus incrassata, barbatula. Derma cephalithoracis reticulatum, abdomi- nis areolis rotundis pallidioribus impressum. Ad 440 p. long. ; 340 p.. lat. — Vedi tav. VI, fig. 59. Habitat in humo, « Samarang, Giava ». 355. Damoeosoma arcuale n. sp. — Badium. Cephalothorax lineis arcuatis tribus transverse in medio signatus, ex quibus media ferri equini instar, ante foramina pseudostigmatica, extremis suis 90 ANTONIO BERLESE radicibus foramina eadem attingit, antrorsusque valde producitur; laterales partim tantum conspicuae, inter mediam et margines comprehenduntur. Areae pallidiores, foveoliformes sunt quatuor rotundae inter foramina pseudostigmatica. Organa pseudostigmatica elongate claviformia, setisque binis exilibus longis e clava exortis terminata. Pedes sat robusti, corpore breviores. Notogastrum niti- dum, perconvexum, setis plurimis, sat longis ornatum. Ad 420 p. long.; 210 p.. lat. — Vedi tav. VII, fig. 69. Habitat. Plurima vidi exempla collecta in insula Jaba a cl. Jacobson. Exemplum maius possideo (460 p.. long.) obscurius, dorso aspe- rato, organis pseudostigmaticis seta unica apicali valde parte claviformi longiori, fere ut in D. dissimile Jabae configurata. An rarietas nomine robustius, distinguenda ? 356. Damoeosoma multisulcatum n. sp. — D. corrugato Jabae affinis, sed etiam valde distinetum. Dorsum non nimis convexum, latum, canaliculis plurimis longitudinalibus vel obliquis (ad latera) totum suleatum ; margine postico crenulato-inciso. Cephalothorax linea chitinea obscuriori, subcampaniformi ante foramina pseudo- stigmatica insignitus ; caetero dermate scabrato, sive rugoso—foveo- lato, praecipue ante dictam lineam. Organa pseudostigmatica eylin- drica, tenuissime ad apicem erassiora, dimidiam ceephalithoracis latitudinem aequantia. Pedes omnes corpore multo curtiores. Pili dorsi abdominis et marginis postici curtissimis, vix maximae am- plificationis ope conspicui. Ad 580 p.. long; 360 p.. lat. — Vedi tav. VII, fig. 70. Habitat in insula Jaba. Collegit el. Jacobson. 357. Suctobelba cornigera (Berl.) var. spiculigera, n. var. — Differt a typico, quo multo minor, praecipue propter organa pseu- dostigmatica, quae non claviformia sunt, sed vere fusiformia, parte apicali attenuata fere pedunculum longitudine aequanti, tota bar- bulata. Ad 165 p.. long.; 85 p. lat. — Vedi tav. VI, fig. 60. Habitat. Nonnulla vidi exempla collecta in insula Jaba a cel. Jacobson. ACARI NUOVI OL 358. Damoeolus pistillifer. — Consuetae faciei. Diftert tamen a speciebus (duabus) hucusque notis, praecipue pedibus aliquanto curtioribus, ita ut femur primi paris vix parte apicali strieta summum cephalothoracem superet; femura autem omnia magis inerassata sunt, vere globulosa. Organa pseudostigmatica parte lata magis erassa quam in caeteris speciebus, laevi, et, quan- tum video, nullo flagello terminata, apice vero subtruncata. Noto- gastrum plica Z-formi ornatum. Statura caeteris speciebus ali- quanto minor, sive 230 p.. long; 120 p. lat. — Vedi tav. VI, fig. 61. Habitat in insula Jaba. Coll. cl. Jacobson. Nora. Il Paoli, rifacendo la diagnosi del D. laciniatus (« Redia », vol. V, p. 82 e p. S0), degli organi pseudostigmatici di detta specie afferma: « organis psdst. clavato-fusiformibus » ed anche « leggermente clavati all’apice ». Io avevo detto (« Redia », vol. II, p. 236): « Org. pseudst. longiora, dimidia parte basali recta, clavata, terminale flagelliforme, flagello ex apice clavae exorto ». Ora gli organi pseudostigmatici del D. laciniatus (Berl.) Paoli (e del D. asperatus Berl.) sono appunto conformati nel modo da me descritto e non come afferma il Paoli. GEN. TEGEOZETES N. GEN. Characteres et facies generis Tectocepheus, sed notogastro a cephalothorace anterius bene distineto nec non pteromorphis bene evolutis et deorsum inflexis ut in Pterogasterinis ex g. generis Trachyoribates. Species typica 7. tunicatus Berl. 359. Tegeozetes tunicatus n. sp. — Satnrate castaneo—fuli- gineus, totus pellicula exili, hyalina personatus. Z'eetocepheo primo visu similis, sed pteromorphis bene evolutis, omnino ut in subgen. Trachyoribates configuratis praeditus. Derma totum (excepto tamen ‘apitethorace in dorsi parte basali) areolis pallidioribus, rotundis, intersese sat discretis impressum. Lamellae altae et longae, apice obtusae. Organa pseudostigmatica clavam longam, apice subsphae- ricam, nigricantem et villosulam simulantia. Ad 210 p.. long. ; 125 p.. lat. — Vedi tav. VI, fig. 62. Habitat in humo, « Samarang, (Giava) ». 92 ANTONIO BERLESE GEN. TRITEGEUS N. GEN. Characteres generis Tegeocranus, sed pedes unguibus ternis ter- minati. Species typica: Cepheus biphidatus Nie. GEN. PHYLLOTEGEUS N. GEN. Sculptura cephalithoracis a Liacaris bene distineti. Species ty- pica Leiosoma palmicinetum Mich. N. B, Il presente genere ed i precedenti sono giustificati anche dalla speciale maniera di larve, diverse dagli affini Tegeocranus, Liacarus, Cepheus. GEN. EREMAEOZETES N. GEN. Characteres et facies generis Seutoverterx. Notogastrum et pedes omnino ut in S. ovali, sed cephalothorax lamellis maioribus, supra dorsum extensis, intersese contiguis et multo apicem cephalitho- racis superantibus, ut in S. ornatissimo. Notogastram pteromorphis magnis, deorsum directis, pedes secundos et tertios partim tegen- tibus, omnino ut in gen. Trachyoribates. Species typica £. tuberculatus Berl. 360. Eremaeozetes tuberculatus n. sp. — Fuligineus, macula flavida rotunda in summo notogastro. Facies Scutoverticis ovalis, sed notogastrum tubereulis aliquot mammilliformibus in margine postico. Notogastrum idem ad humeros in pteromorphas acute tri- gonas, asperatas, deorsum inflexas valde productum, nec non pel- lieula hyalina totum indutum, sub qua derma areolato-variolosum adparet. Lamellae cephalithoracis maiores, minus obscurae, inter- sesae connatae. Organa pseudostigmatica nigra, curte clavato— fusiformia, villosula, sursum et retrorsum erecta. Ad 380 p.. long.; 235 p.. lat. — Vedi tav. VI, fig. 63. Habitat in humo, in insula Jaba. Collegit cl. Jacobson. ACARI NUOVI 95 361. Tectocepheus alatus n. sp. — Fuligineus, velo granis pergrossis obsito sed perfragili, facilius deciduo. Cephalothorax plica quadam transversa, quasi gradum efficiente signatus. Abdo- men ad humeros utrinque in alulam sat altam, rotundato-rectan- gulam antrorsus expansus. Ad 340 p. long.; 200 p.. lat. — Vedi tav. VI, fig. 64. Nonnulla collegit exempla cl. Prof. Paoli ad « Sondrio », in monte qui « Ghiacciaio dei Forni » appellatur, ad 2500 m. alt. GEN. TEGEOGRANELLUS N. GEN. Notogastrum a cephalothorace optime seiunctum et distinetum; haud marginatum, nitidum. Cephalothorax lamellis magnis. Pedes femure claviformi ut in gen. « Carabodes », quamvis non prismatieo. Uncus pedum unieus. Minimi. Aliquando velo hyalino induti. Dif- fert a gen. Tectocepheus, cuius affinis, praecipue propter notoga- strum anterius optime a cephalothorace distinetum. Species typica: Zegeocranus laevis Berl. 362. Tegeocranellus personatus Berl. — Lista, loc. cit., p. 265 (Tegeocranus personatus). — Vedi tav. VI, fig. 65. 363. Otocepheus longior Berl. var. minor Berl. — Diftert a typico, praecipue dermate notogastri punetis minutis, diseretis exharato; stigmatis aliquanto notogastro propinquioribus quam in typico ; pilis extremi abdominis longis utrinque sex; pilis falci- formibus in genubus 1.° et 2.° nullis, nec non statura. Ad 840 p. long.; 300 p.. lat. Habitat. Plura vidi exempla collecta ad « Samarang, (Giava) » a cl. Jacobson. 364. Otocepheus damoeoides n. sp. — Badio-fuligineus, abdo- mine ovali, haud nimis stricto, longius piligero, dermate dorsi minutissime et aeque punetulato. Pseudostigmata late intersese discreta, sat abdomini adpressa. Ad 560 p.. long.; 295 p.. lat. — Vedi tav. VI, fig. 66. Habitat. Plurima vidi esempla collecta ad « Samarang, Giava », in humo. 94 ANTONIO BERLESE 365. Carabodes floridus n. sp. — Fuligineus. Notogastrum nullo margine circumdatum, totum areolis magnis, subrotundis, clario- ribus exharatum, margine antico rectilineo. Tuberculus medius cephalithoracis, sat altus, trigonus, non duplex. Notogastrum pilis falciformibus ornatum, quatuor numero, utrinque in margine postico, arcus simulantibus. Ad 460 y.. long.; 260 p.. lat. — Vedi tav. VII, tif VIE Habitat in museis, « Florida » alibique in « Columbia ». 366. Carabodes affinis n. sp. — Fuligineus. Sat, primo visu, C. marginato similis, sed dermatis seulptura, pilis aliisque chara- cteribus distinetus. Abdomen in dorso marginatus, fere ut in C. margin. var. pontiger. Derma areolato-variolosum, areolis palli- dioribus; alae cephalithoracis dermate pariter areolato indutae. Cephalothorax in medio tubereulo uno, omnino ut in €. margin. var. pontiger configurato, ab abdominis margine antico discreto auctus. Pili abdominis sat spathuliformes, plumosuli, minus cla- viformes et intersese magis distantes quam in €. palmifer. Ad 470 p.. long.; 280 p. lat. — Vedi tav. VII, fig. 72. Habitat. Nonnulla collegi exempla sub corticibus in horto « Bo- boli », Florentiae. 367. Carabodes humeratus n. sp. — Fuscescens, subfulgineus. Abdomen convexus, in dorso, praecipue ad latera, granulis grossis et densis obsitus. Sunt in dorso series duae longitudinales pilorum peculiaris fabricae, quod pili isti lanceolato—foliiformes sint, valde deorsus ineurvi, hyalini, toti tenuissime barbulati. Pili conformes sunt in margine abdominis et in medio cephalothorace ubi duo con- spiciuntur antrorsus porrecti. Cephalothorax bene conicus, in medio vitta longitudinali elevatiore, granosa, lateribus laevibus et in cari- nam altam utrinque elevatis. Organa pseudostigmatica elongate claviformia, in apice dilatato aciculato—villosa. Ad 320 p.. long. ; 180 p.. lat. — Vedi tav. VII, fig. 73. Habitat. Duo exempla vidi collecta in humo ad « Samarang, Giava » a cl. Jacobson. 368. Carabodes marginatus Mich var. pontiger n. var. — Differt a typico statura aliquanto minore; tubere medio ad basim AGARI NUOVI 95 capitisthoracis non in medio interrupto, sed integro, toto undique pariter elevato. Margo abdominis non striatus, sed granulis iisdem medii abdominis eonformibus asperatus. Ad 460 p.. long.; 270 p. lat. — Vedi tav. VI, fig. 67. Habitat. Plurima exempla, intersese omnino conformia, collegi in muscis Italiae; « Mugello, Vallombrosa, Tiarno, Padola (Cadore) ». 369. Carabodes coriaceus K. var. reticulatus n. var. Differt a typico statura alquanto minore, nec non tubero ad basim ceephalithoracis in dorso obsoleto vix acuto, dermateque partis mediae toto areolis rotundis cerassis, reticulato, non ut in typico rugoso. Ad 660 p.. long.; 420 p.. lat. — Vedi tav. VII, fio. 74. Habitat. Nonnulla vidi exempla colleeta in muscis ad « Tiarno » in agro Tridentino. SUBGEN. ODONTOCEPHEUS N. SUBGEN. Ex gen. Carabodes Koch. Notogastro dentibus in margine antico, lineae mediae longitu- dinali sat adpressis duobus. Margo posticus cephalithoracis den- tibus duobus, qui supradietos notogastrii attingunt. Caetera ut in subgen. Carabodes. Typus: Tegeocranus elongatus Mich. 370. Eremobelba capitata n. sp. — Castanea, £. geographicae sat similis, sed setis corporis multo longioribus nee non cepha- lithoracis scuiptura diversa. Pars capitisthoracis anterior in tuber- culum altum, fere capitulum, distinetissime elevata, a tubero capi- tisthoracis postici, trapezino, anterius truncato, linea recta anterius terminato vix seiunctum. Seulptura abdominis in dorso ut in E. geographica eademque fabrica sunt organa pseudostigmatica. Setae dorsi, praecipue postici, haud densae, sed longiores, apice attenuatissimae, flagelliformes. Ad 485 p.. long.; 285 p.. lat. — Vedi vaio NIE ie zie Habitat in humo, « Samarang, Giava ». 96 ANTONIO BERLESE 371. Plateremaeus rotundatus n. sp. — Fuligineus; abdo- mine in dorso complanato, vix in medio in costulam longitudina- lem obsoletam elevato. Derma totum foveolatum (foveolis pallidio- ribus). Organa pseudostigmatica elongate claviformia, nigra, apice subpenicillata. Adsunt pili nonnulli breves, runcati in margine postico abdominis. Pedes sat breves et robusti. Corpus et pedes pellicula pellucida, rugulosa induta. Ad 600 p.. long.; 340 p. lat. — Vedi tav. VII, fig. 76. Habitat in humo, « Samarang, Giava ». 372. Eremulus avenifer n. sp. — Testaceo-fuligineus, sat E. flagellifero affinis, sed tamen diversus praecipue abdomine magis globuloso, convexiori; pilis dorsi abdominis, qui sunt subfusiformes, sat breves, spicae avenae more aciculati, sed non parte apicali longa, attenuata aucti ut in #. flagellifero. Statura etiam aliquanto minor. Ad 320 p.. long.; 205 p.. lat. — Vedi tav. VII, fig. 77. Habitat. Nonnulla vidi exempla colleeta in insula Jaba a el. Jacobson. GEN. EREMELLA N. GEN. Characteres gen, OUymbaeremaeus (praecipue subgen. Scaphaere- maeus), sed ungue pedum singulo, dorso abdominis foliolis (utrin- que septem) fuligineis, ornato ; folioloruam conformium par unum inter organa pseudostigmatica. Minimi, pellicula rugosa toti induti. Species typica: £. vestita Berl. 373. Eremella vestita n. sp. — Badia, pellicula fuliginea tota induta, quae reticulata est in dorso abdominis, varie plicata in capitethorace et in pedibus. In dorso abdominis utrinque septem foliola lata, fuliginea sunt, non barbulata nec e margine abdo- minis prominentia, sed in dorso eodem insita. Foliola conformia bina sunt inter organa pseudostigmatica. Haec organa elongate claviformia, apice subpenicillata, nigra, magna. Pedes sat curti, unguibus magnis. Ad 300 p.. long.; 180 p.. lat. — Vedi tav. VII, fig. 78. Habitat in humo, « Samarang, Giava ». ACARI NUOVI 97 374. Eremella induta n. sp. — Fuliginea, in dorso reticulo perlato ornata (ad latera dorsi praecipue areolis late rectangulis insignita). Im dorso foliola fuliginea flabelliformia sunt, barbulis crassis et raris ornata. Organa pseudostigmatica pyriformia, grossa, curtissime pedunculata, barbulata, nigerrima, sursum erecta. Pedes breves, dermate reticulato ornati. Ad 240 p.. long.; 130 p.. lat. — Vedi tav. VII, fig. 79. Habitat in humo, in insula Jaba. Coll. cl. Jacobson. 375. Micreremaeus subnitidus n. sp. — Fuligineus, dermate undique laeve, sed non lucido. Abdomen in dorso pilis minutissi- mis ornatus. Caputhorax haud seulptus, pilis sex longissimis auetus, ex quibus duo inter organa pseudostigmatica, duo ad lineam trans- versam inter primas coxas, duo ad verticem. Organa pseudo- stigmatica breviter et cerasse claviformia, peduneulo exili, niger- rima. Pedes sat longi et robusti. Ad 345 p. long.; 222 p. lat. — Vedi tav. VI, fig. 68. Habitat. Plura vidi exempla collecta in humo, « Samarang, Giava ». GEN. HETEROBELBA N. GEN. Charactheres generis Belba, sed pedum quarti paris unguibus ternis, robustis ; (caeterorum pedum ungue singulo). Species typica: H. galerulata Berl. 376. Heterobelba galerulata n. sp. — Badia, abdomine rotun- dato, nitidissimo, glaberrimo. Pedes sat breves, segmentis inflatulis, setis crassis, sat longis, externe curte barbulatis, verticillatim dispo- sitis in articulis ornati. Pedes postici longitudinem ceorporis vix superantes, caeteri non aequantes. Ad scapulas (in margine antico abdominis) utrinque dens conicus brevis oritur. Cephalothorax nullo dente aut tuberculo ornatus, laevis. Organa pseudostigmatiea abdo- minis fere longitudinem aequantia, flagelliformia, vix aciculata. Adultus velo obtegitur in abdomine hyalino, reticulato, setis longis obsito, quod videtur in figura paulo lateraliter remotum. Ad 340 p.. long.; 200. p.. lat. — Vedi tav. VII, fig. 80. Habitat in humo, in insula Jaba. Coll. cl. Jacobson. « Redia », 1913. “I 95 ANTONIO BERLESE 377. Scutovertex perforatus Berl. — Lista, loc. cit., p. 265. — Vedi tav. VII, fig. S1. GEN. OMMATOCEPHEUS N. GEN. Typus Cepheus ocellatus Mich. La specie del Michael nulla ha a che vedere coi Cepheus veri (typus Cl. tegeo- eranus Mich.) ed anche le larve e le ninfe sono molto diverse. Ho trovato un bellissimo Acaro, affine alla specie di Michael, dalla quale si differenzia solo per la scultura del notogastro, al giudizio che si può fare sulla diagnosi e sulle figure dell’ Autore inglese. Ritengo che convenga distinguere genericamente queste forme dai Cepheus non solo, ma anche da generi più vicini e che convenga anche considerare la forma del Michael diversa specificamente da quella che qui appresso descrivo. 378. Ommatocepheus pulcherrimus n. sp. Saturate casta- neus, ovatus, ad margines depressus, in medio abdomine sat conve- xus. Derma medii notogastri foveolis rotundis pallidioribus dense sculptum, sed non areolis maioribus rectangulis signatum. Humeri in dentem anterius vix producti. Anticum alis sat altis, subhya- linis, anterius pilis runcatis (introrsus inflexis) terminatis. Organa pseudostigmatica curtissime pyriformia, nigerrima, omnino in fos- sulam pseudostigmaticam infossi. Margo corporis (sat expansus) laminiformis. Pedes breves et erassiusculi, dermate nitido, tarso minimo, fere aeque longo ac lato, setis crassis et longis duobus aucto, nec non uncis tribus magnis, intersese magnitudine et ceras- sitie paribus. Ad 600 p.. long.; 380 p.. lat. — Vedi tav. VII, fig. 82. Habitat raro in altiorum montium agri Veneti (« Cansiglio ») muscis. SUBGEN. URONOTHRUS N. SUBGEN. Ex gen. Nothrus. Typus Nothrus segnis (Herm.). SUBGEN. HEMINOTHRUS N. SUBGEN. Ex gen. Nothrus. Characteres subgen. Nothrus s. str., sed pedes ungue singulo ACARI NUOVI 99 terminati. Organa pseudostigmatica elongate eylindrica, subseti- formia. Species typica Nothrus Targionii Berl. Qr 379. Nothrus (Heminothrus) thori Berl. — Ac. n. Manip. II, « Redia», Vol. I, fasc. 2, p. 275 (Angelia thori). — Vedi tav. VII, fig. S5. 380, Nothrus (Heminothrus) paolianus n. sp. — Fuligineus, sat N. H. ornatissimo aftinis, sed tamen diversus. Abdomen stri- ctius rectangulus, pilis dorsualibus longis et robustis, antico-me- diis intersese sat approximatis, omnibus autem longis et robustis. Setae marginales dorsi e tuberculo exortae magnae, crassae, runca- tae, villosulae, dimidio eurtiores tamen quam in N. H. ornatissimo; tuberculi piliferi quoque aliquanto breviores et melius conici ; tuber- culus postico-medius vere dorsualis, sursum erectus. Tubereulus adanalis tertius inter omnes maximus, omnino e margine postico prominulus. Cephalithoracis derma pseudo-foraminibus rotundis scabratum. Ad 700 p.. long.; 320 p. lat. — Vedi tav. VIII, fig. 89. Habitat. Plura exempla vidi collecta a el. Paoli ad « Lago Palù, Sondrio », in muscis, ad 15300 m. GEN. PLATYNOTHRUS N. GEN. Ex gen. Nothrus. Species typica Nothrus palliatus K. (= N. bistriatus K.). Adde N. puncetatus K.; N. peltifer K. 381. Angelia pyriformis n. sp. — Castaneo-badia, pyrifor- mis. Abdomen in dorso totus dermate crasse reticulato ornatus, exceptis areis aliquot (duae sunt perconspieuae prope marginem postieum) plerumque in depressionibus foveoliformibus, quae areae dermate laevi sunt conspicuae. Pili dorsi abdominis foliiformes, ciliatuli, sat magni; duo in abdomine postico caeteris duplo lon- giores, pariterque fabricati. Organa pseudostigmatica eylindrica, sat brevia. Pedes omnes unguibus ternis terminati. Ad 600 p. long.; 300 p.. lat. — Vedi tav. VIII, fig. 91. Habitat in humo, « Samarang, Giava ». 100 ANTONIO BERLESE 352. Angelia pulchella Berl. — Brevi diagn., loc. cit., p. 382. — Vedi tav. VIII, fig. 90. GEN. MASTHERMANNIA N. GEN. Uneus pedum singulus. Cephalothorax hand postice in dentes produetus. Notogastrum tubereulis mammilliformibus, piligeris (pilos T-formes gerentibus) dermate laevi significatis ornatum. Species typica: Angelia mamillaris Berl. 383. Masthermannia mammillaris Berl. — Ac. n. Man. II, loc. cit., p. 275 (Angelia mammill.). — Vedi tav. VIII, fig. 92. GEN. NANHERMANNIA N. GEN. Pedes ungue singulo. Cephalothorax posterius dentibus robustis, supra marginem antieum notogastri productis armatus. Notoga- strum ovale, aeque convexum, nullo gibbere vel depressione, sed pilis simplieibus, dermate reticulato ornatum. Species typica Hermannia nana Nic. 384. Nanhermannia elegantula n. sp. — Badia, pallidior, minor magisque elongata quam N. nana nec non cephalothorace maiori. Margo cephalithoracis posticus in dentes binos, validos, conicos productus. Notogastrum reticulatione magna impressum, areolis huius reticulae circiter duplo latioribus quam in N. nana. Ad 510 p. long.; 215 lat. — Vedi tav. VII, fig. 84. Habitat in detritis ligneis, in humo, « Tiarno, Trentino ». 385. Nanhermannia coronata n. sp. — Badia, capitethorace maiori quam in N. nana. Margo posticus cephalithoracis non in dentes produetus, sed serrulato-crenatus, in (utrinque) quatuor, obtusos, breves lobulos incisus. Organa pseudostigmatica tenuis- sime ad apicem inecrassata, dimidio curtiora quam in N. nana et N. elegantula. Reticulatio notogastri areolas minores conficiens ACARI NUOVI 101 quam in supradietis speciebus, areolae istae sunt sat regulariter rotundae. Ad 490 p.. long.; 220 p. lat. — Vedi tav. VII, fig. 85. Habitat in muscis ad « Lake City, Florida ». GEN. MALACOANGELIA N. GEN. Characteres et facies gen. Malaconothrus, sed pseudostigmata et organa pseudostigmatica optime configurata et conspicua. Species typica M. remigera Berl. 386. Malacoangelia remigera n. sp. — Terreo—pallida, dermate toto dense et minute aciculato-granuloso. Pili corporis foliiformes vel remiformes, costula media longitudinali validiore. Dorsum in medio areola transverse x-forme, tenuissime striato-punctulata, inter humeros signatum. Organa pseudostigmaticea longiora, setuli- formia, ad dorsùm tenuiter barbulata. Femura omnia inferne tuber- eulo valido, conico, armata. Cephalothorax anterius bene ornato- armatus (videas figuram). Ad 320 p.. long.; 190 p.. lat. — Vedi tav. VII, fig. S6 e tav. VIII, fig. 85. Habitat. Tria vidi exempla collecta in humo ad « Samarang, Giava » a cl. Jacobson. 387. Mesoplophora pantetrema n. sp. — Pallidissime testa- cea, subalbida, nitida, non durius chitinea, elongata, postice acu- minata, cephalothorace maiore, ‘/, abdominis longitudinis saltem aequante. Abdomen postice angulo acuto terminatus. Setulae pseu- dostigmaticae elongate piliformes, apice acutae, vix incurvae, externe curte barbatulae. Organa genitalia scutis elongate trigo- nis, simul figuram triangularem sistentibus, vertice acutiori retror- sus spectante, fere scuta analia attingentibus. Ad 330-480 Pi. long.; 200-235 w. lat. — Vedi tav. VIII, fig. 94. Habitat in humo, « Samarang, Giava ». 388. Mesoplophora discreta n. sp. — Subalbida, sat duriu- scula, minus nitida, subopaca, ovalis, postice rotundata ; capite- thorace fere dimidiam abdominis longitudinem aequante, vel paulo 102 ANTONIO BERLESE amplius. Organa pseudostigmatica ut in M. pantotrema. Scuta genitalia simul figuram transverse latius rhombieam sistentia, in summo ventre insita, valde ab analibus discreta, sive fere spatio longitudinem scutorum analium aequante separata. Ad 420 p. long.; 290 p.. alta. — Vedi tav. VIII, fig. 95. Habitat in humo, « Samarang, Giava ». 389. Arthroplophora paradoxa Berl. — Lista, loc. cic., p. 267. — Vedi tav. VIII, fig. 96. 390. Phtiracarus punctulatus n. sp. — Badius, postice suba- cutus. Derma totum minutis pseudoforaminibus rotundis, inter- sese sat discretis pseudoperforatum. Pseudoforamina haec sunt in fundo foveolae, qua re derma subvariolosum adparet. Cae- tera ut in Ph. reticulato, sed organa pseudostigm. apice leniter barbulata sunt. Corpus altius quam in Ph. reticulato. Exemplum ex « Cansiglio » quatuor magna continet ova in ventre. Ad 1120 p. long. (apertus); 570 p.. altus. Ova 250 X 160 wn., cuticola laevi induta. — Vedi tav. VIII, fig. 97. Habitat rarus in nemore « Cansiglio », in muscis. 391. Phtiracarus reticulatus n. sp. — Saturate badius, ova- lis, postice acutus, sat elongatus. Derma totum notogastri seutu- lis poligonalibus parvis, sat elevatis, linea pallidiori cireumdatis reticulatum. Cephalithoracis tantum basis scabrato-variolosa. Pili corporis longi, eylindrici, vix apice attenuati, reeti vel leniter retrorsus incurvi. Organa pseudostigmatica eylindrica, vix apice at- tenuata, nuda. Ad 1400 p.. apertus; 650 p.. altus. — Vedi tav. VIII, fig. 93. Habitat rarus in agri Tridentini (« Tiarno ») muscis. 392. Hoploderma licnophorum n. sp. — Pallidissime terreum, subalbidum, ZH. phyl2ophoro peraffinis, sed sculptura dermatis diver- sum. Cephalothorax carinatus, lenissime asperatus. Notogastrum margine antico incrassato, minus tamen cuam in H. phyMophoro. Pili corporis hyalini, flabelliformes, omnino iisdem H. phyMophori similes. Derma notogastri totum foveolis rotundato—poligonalibus, ACARI NUOVI 103 crassis variolosum, Ad 460 p.. long.; 260 U. altum. — Vedi tav. VIII, fig. 199. Habitat in humo, in « Columbia », Amer. septentr. 393. Hoploderma vitrinum n. sp. — Pallide terreum, fragil- limum, ovatum, postice rotundatum. Carina ne in cephalothorace quidem manifesta. Derma subnitidum, sive tenuissime punctulatum nec non obsoletius foveolatum, subvariolosum, sed sculptura ista difficilius conspicua, subevanida. Pili corporis medioeres, remi- formes. Organa pseudostigmatica leniter clavata, sub apicem bar- bula tenui ornata. Ad 645 P. long. (apertum); 310 p.. altum. — Vedi tav. VIII, fig. 100. Habitat in insula « Giava ». Collegit el. Jacobson. 394. Hoploderma pavidum n. sp. — Saturate terreum, vel terreo—fuscescens, nitidissimum, minime margine antico notogastri inerassato vel producto. Ovale. Pili omnes trunci exiles, longi, vix sub apicem barbatuli; cephalithoracis quatuor (duo antici minores antrorsus directi), duo posteriores, erecti, retrorsus ineurvi; pili autem omnes notogastri ineurvi, antrorsus directi ita ut hirtum animal adpareat. Organa pseudostigmatica elongate claviformia. Exemplum magnum usque ad 740 p. long. (apertum); 390 p. altum ; exemplum mediocre clausum 480 p.. ; 290 p. latum; 240 U. altum. — Vedi tav. VIII, fig. 101. Habitat communior in muscis agri Tridentini; « Tiarno ». 395. Hoploderma vestitum n. sp. — Badio-fuscum, subniti- dum, postice acutum; epidermate vere minutissime punctulato et areolis polygonis obsolete signatis ornato. Carina nulla ne in cepha- lothorace quidem. Organa pseudostigmatica cylindrica, tamen sub apicem leniter barbatula. Pili corporis sat longi, cylindrici, recti vel retrorsus leniter spectantes. Ad 640 p.. long. (apertum); 370 p.. altum. — Vedi tav. VIII, fig. 105. Habitat. Plura vidi exempla colleeta in humo a el. Jacobson ad « Samarang, Giava ». 396. Hoploderma phyllophorum Berl. — Ae. n. Man. II, loc. cit., p. 276. — Vedi tav. VILI, fig. 102. 104 ANTONIO BERLESE 397. Hoploderma clavigerum Berl. — Ac. n. Man. II, loc. cit., p. 275. — Vedi tav. VIII, fig. 104. SUBGEN. PTEROCHTHONIUS N. SUBGEN. Ex gen. Cosmochthonius. Toto corpore foliolis latis, fabrica intersese conformibus (ex qui- bus 10 numero in cephaloth.; 6 numero in 1.° nee non in 2.° abdominis segmento; quatuorque numero in 3.° nec non in 4.° seg- mento abdominali) ornato. Typus: Cosmochthonius angelus Berl. 398. Cosmochthonius (Pterochthonius) angelus Berl. — Brevi diagn., loc. cit., p. 388. — Vedi tav. VIII, fig. 93. ASTIGMATA. GEN. SCATOGLYPHUS N. GEN. Characteres generis Homopus, sed ungues pedum ut in gen. 7y- roglyphus. Species typica: Se. polytrematus Berl. 399. Scatoglyphus polytrematus n. sp. — Albidus, hyalinus ovalis, pilis corporis crassis, sat eurtis, plumosis; ex quibus sex postici sat magni (tarsos longitudine superantes). Pedum articuli plicis vel rugis ramificatis signati. Dorsum setis ‘parvis, supra- dictis conformibus indutum. Mas ad 310 p.. long.; 190 p. lat; Foem. ad 340 p.. long.; 120 p.. lat. — Vedi tav. II, fig. 19. Habitat in stercore exiccato gallinaram eum aliis Typoglyphidis, Florentiae, rarus. 400. Histiostoma horridum n. sp. — Albido-hyalinum, elon- gatum; pedibus gracilibus et longis. Palporum articulus postremus ACARI NUOVI 105 setis apicalibus duabus, articulam eundem vix longitudine superan- tibus, aliaque minori dorsuali reeurrenti. Im dorso sunt, praeter setas duas parvas adanales, paria setarum septem maximarum, € tuberculis exorta, ex quibus duae mediocres verticales, duae basi appressae in medio cephalothorace; duae in abdominis margine antico (basi appressae), duae humerales, duaeque ad quartorum pedum originem, quatuor denique, basibus appressis, in caetero abdominis postici dorso. Setae istae omnes crassae sunt, spinifor- mes, corporis latitudinem superantes (exceptis, verticalibus quae dimidiam ceorporis latitudinem non aequant), leniter retrorsus ineur- vae, subrectae, sub apicem pellicula quadam hyalina indutae. Ad 240 p.. long.; 140 p.. lat.; ova in corpore 85 X 53. — Vedi tav. II, fe 20. Habitat in insula Jaba. Coll. el. Jacobson. 106 ANTONIO BERLESE EXPLICATIO TABULARUM Tag. I. Fig. 1. Hybalicus flabelliger e latere visus (È) (sculptura dorsi tantum partim indicata); la, 15 eius pili dorsi flabelliformes; le eius palpus, 14 mandibulae apex. » 2a. Hyb. ornati Jabae palpus; 2% exemplorum Italiae palpi apex; 2c eorumdem mandibula; 24 dorsi derma. ZA 3 5 70 , È 9 » 3. Bimichaelia grandis prona (FT): 3a eius derma dorsi. » 4. Bryobia glacialis prona (È) E E 165 OE » 5. Zarsocheylus atomarius pronus mil 5a eius palpus. > VA s 125 5 - ALIA g » 6. Cheletogenes quadrisetatus pronus (DE 6a eius dorsi pilus; 60 pedis primi paris apex; 6c palpus. - 5 165 ELA ò » 7. Cheyletia (Eucheyla) loricata prona (È): Ta primi paris pedum apex ; 7b dorsi trunci flabellum ; 7e marginis trunci flabellum ; 7d rostrum cum palpo dextero. » $. Podapolipus bacillus foemina generans subprona cum ovis; 84 alia su- 3 3 3 35 - 3 g 95 pina sine ovis |); $b foemina vix mutata, prona |); \ L 8c foeminae adultae pars trunci anterior supina; 84 eadem î qua 6 95 prona cum exuvia nymphali in situ T ; Se nympha su- pina (Sì 1 » 9. Zarsopolipus corrugatus foem. prona; 94 eadem supina (È): 90 mas 250 pronus SÌ) » 10. Tarsopolipus (Eutarsopolipus) lagenaeformis foem. prona ; 104 eadem su- 950) pina (È) 3 100 mas È) ITABSNIE Fig. 11. Podapolipus (Tetrapolipus) batocerae foem. prona (7): lla eius cor- poris pars anterior supina. » » » » » » » Fig. » » »d » »d » »d » 22 23. 24. 27. 28. 29. ACARI NUOVI 107 Epicroscius (Iphidinychus) manzcatus foem. supina; eadem prona (P) Trachyuropoda (Urojanetia) rectangula foem. prona; 134 eadem su- ina (10 pina Fi ) Trachyuropoda (Trachyur.) tuberculata foem. prona; 14a eadem su- e 50 pina (7) SA 7A SE } 5 RINO . 100 Urodinychus cylindricus foem. prona; 154 eadem supina T J Uroobovella villosella foem. supina; 164 maris pars antica corporis su- pina; 160 utriusque sexus extremum dorsum (2) \ Uroobovella (Urociclella) parvula foem. supina (E). ‘ Lr È FERRO 100) Discopoma integra foem. prona; 184 supina GI 125 v 5 Scatoglyphus polytrematus mas pronus (FP): 194 foeminae supinae pars postica abdominis; 19 maris supini pars postica abdom. 125) Histiostoma horridum foem. prona (È TAB. III. î 3 70 Jacobsonia submollis foem. prona (al: Jacobsonia minor foem. prona; 224 eadem supina; 22% mas supinus; ò 70) SUE È 22e nympha supina (FT) 224 ambulacrum primi paris; 22, aris mandibula ; 22f foeminae mandibula ; 229 ma- 22e maris mandibula ; 22f foemir mandibula ; 229 ris pes secundi paris; 22% epistoma. Berlesia cultrigera in suo nido, in situ, super alam hospitis (Conoce- Ti 9 phalidinus gen.? spec. ?) (7) : 23a foemina supina (È) 5 230, eius peritrema cum stigmate; 23e eius mandibula ; 234 mas supinus:; 23e eius mandibulae apex. \ 3 : 170 a Berlesia nuda foem. prona ; 244 eadem supina (3) i 24b eius chela; 24e mas supinus (7): 24d eius chela; 24e eius pes se- cundi paris. Berlesia styligera nymphae chela. Gamasiphis pilosellus mas supinus; 264 foemina supina (1): 26% foe- mina prona (7) FOCE È 100\ 000 Gamasiphis elegantellus foem. supina i 274 eadem prona Eos . 100). Gamasiphis elongatellus foem. supina (Ti 284 eadem prona ( SES , 100). . ; | Gamasiphis gamasellus foem. supina (P): 294 eius epistoma. 108 ANTONIO BERLESE | TaB. IV. à h Ga q 80 2 3 a Fig. 30. Pachyseius humeralis foem. supina (Ti 304 eius secundi paris pedum apex. q o Q 3i » 31. Pachyseius orientalis foem. supina (È) DIES 5 n h G 3 40 » 32. Pachyscius jacobsonianus foem. supina; 324 mas supinus (È ; 320 foem. SA (7) PONna serra | proi 1 A , E ? BONS, : 7 7 » 33. Pachylaelaps hispani foem. supina mg) 394 pes secundi paris maris ; 330 epistoma ; 83c mandibula maris. » 34. Pachylaelaps (Onchodellus) spectabilis foem. supina; 344 mas supi- f 33 h n 1 nus (7): 34b pes secundi paris maris. » 35. Pachylaelaps (Elaphrolaelaps) fenestratus foem. supina; 354 prona (54). à 3 - 24 3 0 oa » 36. Megalolaelaps hirtus foem. supina (8): 364 primi duo articuli pedum primi paris superne visi; 360 quarti paris pedum apex; 36 secundi ; 364 epistoma. 3 9 20 o ò » 37. Megalolaelaps enceladus foem. supina (T): 374 secundi paris pedum apex ; 370 tertii; 87e quarti; 374 epistoma. 4 Of 9 3 12 . 3 » 38. Megalolaclaps immanis foem. supina (2); 384 secundi paris pedum apex ; 380 epistoma. » 39. Megalolaelaps radiatus foem. supina ; 39a eadem prona Do) : 395 eius 4 ii Il I TI mandibula. FIAVR RAVE =: g a 3 75 È Fig. 40. Asternoseius ciliatus foem. supina; 404 eadem prona (È): 40b eius \ chela; 40c primi paris pedum tarsus. » 41. Laelaps (Hoplolaelaps) doderoi foem. supina (È) » 42. Physallolaelaps ampulliger foem. supina (1): 42a pedum primi paris apex. » 45. Olopachys scutatus foem. supina (È) È 50 A » 44. Pachylaelaps (Brachylaelaps) rotundus mas supinus (F) ; 44a eius chela. » 45. Coprolaelaps caputmedusae foem. supina; 454 eadem prona; 45b mas supinus (2) Fig. » » » » » » » » » » » » » »d » » 60. 6l. 62. 63. gato n È [165 . Eviphis convergens foem. supina (Fi . Eviphis uropodinus foem. supina ( f/ . Micreremaeus subnitidus. pronus mi ACARI NUOVI Megalolaelaps spinirostris foem. supina ; 109 464 prona; 460 mas supi- 40 I 5 b c 3 nus (FP) 46ce foeminae rostrum inferne visum ; 464 ma- ris mandibula ; 46€ eiusdem pes secundi paris; 46f epi- stoma. . î ne 70 Podocinum sagax ex typico Patavii, foem. prona (T) o S \ 125 Podocinum mediocre foem. supina (E È Ololaelaps formidabilis foem. supina TABSOVIE ; à 1î Podocinum mediocre foem. prona (FP) pa È È 2 160\ua È Podocinum minus foem. prona sui 594 eius abdomen extremum su- pinum. 5 È SI 5 /165 Podocinum misellum foem. prona ; 544 eadem supina Da ; 3 70 Podocinum pacificum foem. prona T) Ceratozetes (Allozetes) pusillus pronus (È). 1 È 100) . Sphaerozetes (Irichoribates) prudens pronus (FT) ; RO 240 Microzetes ornatissimus pronus ali Oppia latior (3) x Suctobelba cornigera var. spiculigera organum pseudo-stigmaticum. REPETERTO /165 Damoeolus pistillifer pronus (F) = 165 Tegeozetes tunicatus pronus (F) a L g È 125 Eremaeozetes tuberculatus pronus; 634 supinus ; 635 e latere visus o) 5) #6 Tectocepheus alatus pronus | i ) \ (130 e, ù o Tegeocranellus personatus pronus (Fi 654 pellicula corpus induens, decidua. \ : 7 Utocepheus damoeoides pronus (È) n 7 4 125 Carabodes marginatus var. pontiger pronus (P). 125) ) 9 1 110 » » » » » » » » » » » » Fig. » 80. S1. 86. ST. o ; 125 . Carabodes foridus pronus (F)- È 125 . Eremulus avenifer pronus (5. . Eremella vestita prona (FP). . Nothrus (Heminothrus) thori pronus (0). ANTONIO BERLESE FDABSNOVIDIO DIA 125 Damoeosoma arcuale pronum |). q 100 . Damoeosoma multisulcatum pronum (FT) 1 q 125 Carabodes affinis pronus (È) ) 00° Carabodes humeratus pronus (TP) ni ; S 100 Carabodes coriaceus var. reticulatus pronus "T | Eremobelba capitata prona (T)- 70 Plateremaeus rotundatus pronus (7) 1 25) Eremella induta prona (P): 79a derma pelliculae abdominis ; 790 pa- pilla abdominis. Heterobelba galerulata prona, vestem abdominis in latere sinistro re- motam ostendens (T): 804 structura pelliculae supra- dictae. ° 125 Scutoverter perforatus pronus (T 1 E 8la structura cutis abdominis in dorso. o ; 100 Scutovertex pulcherrimus pronus (1) Tie 1 È R 100 : n - AE . Nanhermannia elegantula prona D): 84a eius derma dorsi abdominis, DI); 854 eius derma notagastri eadem amplific. quam 84a. Nanhermannia coronata prona ( Malacoangelia remigera prona; 864 supina (È) è Oribatula navicula prona () TAB. VIII. . Malacoangelia remigera cephalothorax pronus. : a 70 Nothrus (Heminothrus) paolianus pronus (D). PS » ACARI NUOVI TRA 1 gastri ; 89c derma pedum ; 894 pilus pedum. . 90. Angelia pulchella prona (T): 894 pilus notogastri; 895 derma noto- 91. Angelia pyriformis prona (P). n î " /100 92. Masthermannia mammillaris prona (FT) ò 125 93. Cosmochthonius angelus pronus (7). 94. Mesoplophora pantotrema supina ; 934 eadem e latere visa (È): È q 1 165 E î 100 95. Mesoplophora discreta e latere visa (h) 94a eadem supina (FT) A 125 & 96. Arthroplophora paradora prona (È): 95a eadem prona segmenta abdo- È = si c 165) St minalia ostendens; 955 eadem supina (È): 95e origines pilorum laciniam conficientium in articulis 3°, 4°, abdo- minis ad dorsum. 97. Phtiracarus punetulatus e latere visus (È JI 98. Phtiracarus reticulatus e latere visus (1): 97a eius derma abdominis. 5 . 100 99. Hoploderma licnophorum e latere visum (T)- Er + 70 6 a 100. Hoploderma vitrinum e latere visum (T): 99a pilus dorsi; 99b orga- num pseudostigm. 101. Hoploderma pavidum e latere visum (È): 1004 organum pseudostigm, 102. Hoploderma phylophorum e latere visum : 1014 pronum (1). 3 B [70 Ù 103. Hoploderma vestitum e latere visum (F) 102a organum pseudostigm. 70 104. Hoploderma clavigerum e latere visum (T 5 Gli estratti di questa Memoria furono pubblicati il 10 Agosto 1913. ETTORE MALENOTTI Sopra un nemico naturale della “ Pulvinaria camelicola ,, Sign. Il 26 maggio u. s. giunsero da Ascoli Piceno a questa R. Sta- zione, inviati a scopo di esame, dei rametti e foglie di arancio, letteralmente coperti, i primi da grosse femmine ovigere di Leca- nium persicae, e attaccate le altre, non molto intensamente, da fem- mine di Pulvinaria camelicola. Queste avevano già filato il candido ovisacco allungato, con- tenente grandissimo numero di uova. Ora io notai che, mentre aleuni ovisacchi della Pulvinaria si presentavano di larghezza e spessore uniformi e intatti, altri si mostravano alquanto deformati e guasti, con i fili cerosi rilassati e sconvolti. Aperti questi particolari ovisacchi, vi trovai una larva apoda, acefala, conica, di color roseo-chiaro tendente al giallastro, lunga cirea 4 mm., larva certamente di dittero ciclorafo, la quale stava mangiando le uova della Pulvinaria, Parte del materiale infetto fu posto allora sotto campana, per seguire le fasi di sviluppo del dittero, poter raccogliere poi gli adulti e farne la determinazione. Nei giorni 8 e 9 giugno infatti schiusero alcune piccole mosche assai inquiete e vivaci, le quali risultarono appartenere alla Leu- copis migricornis, Egg. Questa specie, in confronto alle congeneri, presenta i seguenti caratteri (1): Antenne nere, rilueenti di bianco alla base, non mai gialle. Ad- dome nerastro, coperto di peluria grigio-biancastra e provvisto di (1) I. R. ScHINER, Pauna Austriaca, « Dipter. », 1864, Vol. II, pag. 295. « Redia », 1913. 8 114 ETTORE MALENOTTI macchie nere. Corsaletto allungato (più lungo che nelle altre spe- cie) con due striscie longitudinali scure, ravvicinate all’ innanzi ; sterno rilucente di bianco. Addome di forma ovale-allungata, col primo anello nerastro. I suecessivi anelli risplendono assai viva- cemente di biancastro; sulla parte mediana del secondo anello vi sono due macchie nere discretamente grandi e ravvicinate. Testa bianeo-grigia. Fronte senza macchie, coi margini degli occhi più chiari; margine frontale concavo. Antenne col terzo articolo molto grande, con setole nerastre; zampe giallo-rossastre ; le coscie, eccettuato la punta, e le tibie nerastre nel mezzo. Anelli cosciali delle zampe mediane, pure gialli. Ali biancastre, gialle alla base; vene marginali bruno-senve ; le altre vene, pallide ; proboscide gialla; palpi neri. Lunghezza del corpo mm. 2,5. Questa specie non è troppo frequente, ciò che spiega forse la sua mancanza nell’ elenco delle specie del genere citate da : C. F. Fallén (1814-1827) — M. Macquart (1835) — F. Walker (1853) — J. W. Zetterstedt (1860) — H. Siebke (1877) — ©. R. Osten Sacken (1878) — G. H. Neuhaus (1886) — P. Lioy (1895). Manca pure nel Catalogo del Museo Britannico del 1849. La specie si trova pero indicata nel « Dipterorum Italicorum prodromus » del Rondani (1856) e nella « Fauna Austriaca Dipt. », di J. R. Schiner (1864) il quale ne dà diffusamente i caratteri dif- ferenziali. Nel « Ratalog der Paliiarktisehen Dipteren » compilato da Ch. Becker, M. Bezzi, K. Kertész e P. Stein (1905) la ZL. migricornis figura solo nella fauna austriaca. Quanto all’rabitat, ben poco si ricava da ciò che ne dice lo Schiner, il quale ricevette gli insetti dalla Carniola. Molte specie di Leucopis vengono pero citate dagli autori come nemici naturali di alcuni gruppi di Omotteri, e cioè degli Afidi e dei Coccidi. In Italia il Rondani cita una sola specie di Zeucopis parassita di Coccidi, la ZL. lusoria Mgn., di eui dice che « in Cocco juni- peri et aliis congeneribus eius larva vivit » (1). (1) « Boll. d. Soc. Ent. Ital. », 1874 pag. 265. UN NEMICO DELLA « PULVINARIA CAMELICOLA » 115 La L. nigricornis viene ricordata da H. O. Marsh (1911) come nemico naturale di un afide, il Macrosyphum sanborni, alle Isole Hawai; da H. S. Smith (1908) come il parassita più comune di alcune cocciniglie nel Nebraska (Lepidosaphes ulmi, Eriopeltis co- loradensis, Chionaspis americana, Ch. pinifoliae e Ch. ortholobis) e finalmente da L. O. Howard (1900) come nemico naturale della Pulvinaria acericola, pure agli Stati Uniti, insieme ad altri paras- siti, come Hyperaspis signata, Aphycus hederaceus, A. flavus, Coc- cophagus fraternus, Pachyneuron altiscuta e Chiloneurus albicornis. Sulla Pulwinaria camelicola, a quanto pare, il parassitismo della L. nigricornis, almeno da noi, non era stato finora riscontrato. Ed è perciò che ho creduto farne oggetto di questa breve nota. Firenze, Giugno 1913. Gli estratti di questa Nota furono pubblicati il 28 Agosto 1913, G. DEL 'GUERGIO PROSPETTO DELLE MACROSIFONIELLE (MACROSIPHONIELLA. Del G.) Per dare migliore assetto sistematico alle numerose specie del- l’antico genere Siphonophora, dopo la prima divisione, tentata da noi, in specie a sifoni cilindrici (Sipronophora) e specie a sifoni clavati (Macrosiphum), nelle Siphonophora (mutate da altri in Macro- siphum, per dare ai Macrosiphum il nuovo nome di Eunectarosiphon) abbiamo ritenuto utile portare in esse una nuova divisione, racco- gliendo in un piccolo genere a se quelle specie, che hanno sifoni uguali o più corti della codetta, indicando il nuovo genere col nome di Macrosiphoniella. In questo genere per tanto entrano la Siphonophora artemisiae, la S.atra, la S. millefolii, la S. absinthii, la Macrosiphoniella chrysan- themi e due altre specie, che abbiamo indicato ora col nome di Macrosiphoniella lineata e di Macrosiphoniella aurantiaca, senza pre- giudizio per le altre, che prima 0 poi vi saranno aggiunte. Per la distinzione di queste specie diamo il quadro sinottico seguente : Trib. Macrosifonidi nob. Gen. Macrosiphoniella Del Guerec. Sifoni cilindrici di media lunghezza, o corti ed uguali alla codetta, o anche più corti di questa ; fronte compresa fra le antenne larga mente canalicolata, a tubercoli antenniferi non eccessivamente ri- levati. Per il resto come nei Macrosiphon. PROSPETTO DELLE MACROSIFONIELLE 117 A. Femmine attere ed alate ricoperte da uno straterello ceroso, grigio ceruleo, ornate sul dorso da grande macchia nera Macrosiphoniella absinthii (Linn.). AA. Femmine attere ed alate diversamente colorate ed ornate. B. Femmine di color C. verde. Dorso con fascia longitudinale più intensa, continua... ; Macrosiphoniella millefolii (Fabr.). CU. Fascia dorsolongitudinale interrotta, formata macchie tr n 1 D de da piccole SIR ;. Macrosiphoniella artemisiae (Boyer). BB. Femmine di color Dain rossastro, gialle, 0 nere. D. CVodetta e sifoni corti e questi per ciò molto più corti chi distanti fra loro. E. Femmine ornate di mente formata. F. Corpo di color dorsale larga una linea dorsale mediana varia- giallo arancio o lionato, con fascia , continua, volgente all’argenteo . . . Macrosiphoniella aurantiaca Del Guercio. FF. Fascia dorsale mediana formata di brevi fasce tra- sverse distinte nel campo bruno rossastro, grigio per materia cerosa. ;. Macrosiphoniella fasciata Del Guercio. , linea di fasce indicata ; corpo nero metà basale dei femori e le tibie eccetto le due gialle; sifoni notevolmente pi corti della EE. Dorso senza a lucente; estremità, codetta . , Seo sighoniela dini Del Guercio. ERE della lunghezza della codetta. M. chrys. v. brevicauda Del Guercio. DD. Sifoni e codetta più che mediocri, lunghi e quelli quasi così lunghi che discosti fra loro. FP. Femmine bruno scure rossicce, lucenti. 8. Macrosiphoniella campanulae (Kaltenb.). FF. Femmine di color nero intenso uniforme articolo antennale lungo 9. Macrosiphoniella ‘atra (Ferrari). , col sesto Gli estratti di questa Nota furono pubblicati il 28 Agosto 1913. PICCOLE COMUNICAZIONI Sopra una specie di « Argas » nuova per l’Italia. È noto che gli Argas, come parecchie altre forme di Issodidi, vanno considerati per animali pericolosi, inquantochè essi sono, molto di frequente, veicoli di malattie parassitarie per 1’ uomo e pegli animali, talora molto gravi. In generale essi trasmettono i morbi dovuti a Spirockete, e basti l’esempio della Spirochetosi dei polli (Argas miniatus ed altri), la febbre delle Zecche (Ornithodoros monbata) ecc. Si comprende dunque | interesse che può avere la scoperta di una di queste forme, vivente qui in Italia ed ancor poco nota, così che non sì sa meppure di quali pericoli possa essere so- spettata. Feco una storia singolare. Il giorno 16 Giugno di questo anno, il Sig. Cerrina di Firenze mi portò un grosso acaro, che egli aveva raccolto su un muro, in un locale della Cassa di risparmio di questa città. Riconobbi tosto trattarsi di un Argas, però diverso dal comune A. reflerus. Nel giorno 6 Giugno 1913, mi era già pervenuto da Riposto, inviato dal Signor Domenico Bufalini, un altro esemplare alquanto minore però, della stessa specie, senz? altra indicazione se non quella che mi era stato spedito perchè insetto di aspetto strano; cioè quella stessa causa che aveva mosso il Signor Cerrina a recare l’animaletto trovato a Firenze a questa R. Stazione. Il Signor Bufalini, interpellato per lettera per notizie più pre- cise circa l’animale da lui spedito, mi scriveva, in data 1.° Ago- sto corrente : « In replica alla pregiata sua del 22 decorso, sono spiacente non poterle dare delle notizie esaurienti in merito alla Zecca, che Ella dice essere riferibile ad una forma nuova per l’ Italia. PICCOLE COMUNICAZIONI JEL9 ‘ Solo posso dirle che l’esemplare inviatole venne raccolto sulle vesti di una piccola bambina, la quale raramente ha contatti con persone estranee alla pro- pria famiglia ». IL’ Argas in discorso è una specie sudafricana e più precisa- mente è Vl Argas transgariepinus White. La specie è stata descritta dal White nel 1846 (1) non troppo bene e di poi dal Neumaun, nel 1901, sotto il nome di Argas Nochi, che deve quindi considerarsi come un sinonimo. Il Neumann vide un maschio portato dal Basutoland, da Christol e conservato nel Museo di Parigi. Su questo esemplare egli fondò la sua specie. Gli individui veduti dal Withe sono due femmine e proven- gono dall’ Africa del sud, probabilmente dalla regione nord del fiume Orange (Gariep), secondo indica il nome. Essi sono conser- vati nel British Museum. Ora in quale maniera sieno potuti giungere qui i due individui che possiedo io, non è possibile comprendere, per ora almeno, ed è appunto questa strana maniera di introduzione, di una specie che appartiene ad un gruppo ordinariamente veicolo di malattie infettive, in regioni nuove che fa pensare a certi casi inesplicabili di apparsa sporadica di morbi esotici, come spesso è accaduto e che sono rimasti limitati subito, non fosse altro che per la defi- cenza dell'ordinario veicolo. L’esemplare più grosso da me posseduto (quello di Firenze) è una femmina e misura 11 mill. di lunghezza per $S !/, di larghezza; l’altro non raggiunge gli $ mill. Ambedue sono discretamente pieni di sangue. A. BERLESE. (1) H. H. MEeTHURN, Life in the wilderness, or varderings in South Africa ; 1846, Appendix, List of Annulosa (principally Insects) found on the journey of Henry H. Meuten, by Adam White, p. 318, pl. II, fig. 4. (ili estratti di questa Nota furono pubblicati il 28 Agosto 1913. “REDIA,, GLORIA ZEERCDAE Nr NOE OGGI pubblicato dalla R. Stazione di Entomologia Agraria in Firenze Via Romana, 19 Il giornale « Redia >» è destinato a comprendere lavori originali (anche di Entomologi non pertinenti alla Stazione) sugli Artropodi, lavori di Anatomia, Biologia, Sistematica, Entomologia economica ecc. Esso si comporrà annualmente di un volume di circa 24 fogli di stampa, e delle tavole necessarie alla buona intelligenza dei lavori. Prezzo d'abbonamento al periodico L. 25,00, anticipate per ogni volume. Si desidera il cambio coi giornali di Zoologia e specialmente di Entomologia. II Direttore Prof. ANTONIO BERLESE. NB. — Si pregano coloro che inviano pubblicazioni în cambio, di \spedirle tutte a questo preciso indirizzo : “ Redia ,, Giornale di Entomologia, Via Romana, 19 — FIRENZE. GLI INSETTI MORFOLOGIA E BIOLOGIA DI ANTONIO BERLESE Di questo libro, che è destinato alla illustrazione anatomica e biologica degli Insetti, è completo il Volume I, di 1016 pa- gine con 1292 figure nel testo e 10 tavole fuori testo. Le figure sono per la massima parte originali. Contiene i seguenti capitoli : PREFAZIONE. — I. Breve storia della Entomologia; II. Grandezza degli Insetti; III. Piano di organizza- zione degli Insetti; IV. Embriologia generale; V. Mor- fologia generale; VI. Esoscheletro; VIi. Endoscheletro; VIII. Sistema muscolare; IX. Tegumento; X. Ghiandole; XI. Sistema nervoso ed organi del senso; XII. Organi - musicali e luminosi; XIII. Tubo digerente; XIV. Si- stema circolatorio e fiuido circolaute; XV. Organi e tessuti di escrezione plastica; XVI. Tessuto adiposo e sviluppo degli organi e tessuti di origine mesoder- male; XVII. Sistema respiratorio; XVIII. Organi della riproduzione. Ciascun capitolo è accompagnato da una riechissima biblio- grafia, la quale raggiunge in tutto 3276 lavori di Anatomia. Un supplemento alla bibliografia dei singoli capitoli la com- pleta fino a tutto il 1908. Formato 8° erande; carattere molto fitto. Edizione di vero lusso. VoLUuME II. — Sono usciti i tre primi capitoli, cioè: 1.° Gli affini degli Insetti. - 2. L’antichità degli Insetti. - 3.° Classificazione degli Insetti. Prezzo del primo volume lire 40,00. Per acquisti rivolgersi agli Editori « Società Editrice-Libra- ria », Via Ausonio, 22 — MILANO. iii int pile dei erre “REDIA , GIORNATE: DI ENIOMOLOGIA PUBBLICATO DALLA R. STAZIONE DI ENTOMOLOGIA AGRARIA TON TEMERIENZ:E VIA ROMANA, 19 votare TX FascicoLO II. FIRENZE TIPOGRAFIA DI MARIANO RICCI Via San Gallo, N.° 31 1915 Il presente fascicolo è stato pubblicato il 31 Marzo 1914. SOMMARIO DEL PRESENTE FASCICOLO Berlese A. — Intorno alle metamorfosi degli insetti. .. . Pag. 121 —. Diaspis Pentagona Targ. e Prospaltella Berlesei How. nel Veneto alla fine del 1918 (con 20 figure intercalate nel testo). . » . 295 Cavazza F. — Influenza di alcuni agenti chimici sulla fe- condità del Bombix Mori e sul sesso delle uova prodotte . dl 1r1139 Del Guercio G.— Intorno ad alcuni Omotteri cecidogeni del- l'Argentina raccolti dal prof. I. S. Tavares (Tav. IX)... », 151 —. Generi e specie nuove di Afididi o nuovi per la Fauna italiana (DAVE TRO VET ONT RO — Specie nuove di Afidini per le graminacee in Italia a confronto con\iquelle:‘conosciute (Nav XL id n e » 197 — Intorno ad un nuovo nemico del Carubo in Italia (con 3 figure intercalate: nel testo) Eton OI TI RENATO » (227 MI marassita del iRinohitesdell/OivoG e e ani ». 233 —. Intorno a due nuovi Vacanudi del Castagno (Tav. XII) . . » 285 —. Un nuovo genere americano di Callipterini (con 2 figure inter- calate nel testone RT AARON de I OE 0 — La invasione delle Arvicole nelle Carciofaie dell’ Empolese (Fi- TONZE) LAVIS NIVEA RIPARO eo ar ». (295 — Le Tipule ed i Tafani nocivi nelle Risaie di Molinella (Bologna) (con.14 figure ‘intercalate nel testo) ©. i... i. DZIO Teodoro G. — Sul sistema tracheale dei Lecaniti (Tav. XII). » 215 ANTONIO BERLESE (VIA ROMANA, 19 — Firenze) INTORNO ALLE METAMORFOSI DEGLI INSETTI Il fenomeno della metamorfosi degli insetti, per la varietà colla quale si presenta, ha sempre eccitato gli studiosi di entomologia a molteplici indagini ed ancora ad ipotesi, che valessero ad omo- logare i diversi fatti che si manifestano. Anche per ciò che riguarda la ricerca della causa prima, che ha determinato Vapparsa di questo fenomeno nei primitivi insetti a metamorfosi completa, le teorie non sono state poche, ma attual- mente è secondo prudenza convenire che la vera causa, che deve aver agito in quelle lontane epoche geologiche, ci sfugge, nè potrà mettersi in luce se non quando si conosceranno meglio e le forme giovanili dei primi insetti olometaboli e le condizioni ambienti di quell’epoca, che possono aver influito sull’esistenza degli insetti medesimi. Parecchie altre ipotesi si sono messe avanti per spiegare la causa che determina il processo della metamorfosi e sono note le teorie della asfissia, della erisi genitale, della liocitosi, della fagocitosi e della autofagia. Ma neppur di ciò intendo trattare di presente. Invece, mi giova esporre alcune idee, per le quali si tenta di coordinare tanti fatti diversi e spiegarne la necessità ed i rap- porti con altri che sembrano, a prima giunta, molto dissimili. Una prima grande divisione dei fenomeni di metabolia in due ben distinti gruppi si fa mettendo nell’ uno la olometabolia, nel- l’altro la emimetabolia ed insieme a questa od accosto la ametabolia. u Redia », 1913. 9 122 ANTONIO BERLESE Questa distinzione devesi mantenere, ma si vedrà che ci sono gradi di passaggio dall’ una all’altra maniera (che possono tutti comprendersi in procedimento speciale di metamorfosi, da intitolarsi neometabolia) ed essi riescono sommamente esplicativi del modo con cui la olometabolia è sorta, se non della sua causa prima. Come suddivisioni secondarie si hanno la Ipermetamorfosi per la olometabolia e diversi gradi di complicanza della emimetabolia. Quanto alla ametabolia essa può essere distinta in ametabolia genuina (Apterigoti) ed acquisita (Forme attere di emimetaboli). La diversità di ambiente, nel quale vivono gli stadî giovanili di un insetto a confronto di quello adatto alla esistenza degli adulti crea notevoli differenze morfologiche tra gli stadì giovani e l’adulto, di guisa che, in tali casi, le trasformazioni importano nell’ organismo modificazioni molto più profonde. Ne viene una maniera di emimetabolia più vistosa (eterometabolia). Le varie maniere di metamorfosi possono dunque essere indi- cate dalla seguente tabella : \ OLOMETABOLIA ORDINARIA. Metamorfosi È ( Ipermetamorfosi vera. Ta ate PERMETAMORFOSI, ‘| i sure complete | f Polimorfosi. Metamorfosi Ipse È qua 5 : È | NEFOMETABOLIA. — Taluni Omotteri. intermedie | ErEROMETABOLIA. — Neurotteri anfibiotici; Omotteri a larve sotterranee. "i RE PAUROMETABOLIA. — Specie con adulti alati di Ortotteri, etamorfosi Ti ; Pri : P è PÒ < : È Tisanotteri, Emitteri Eterotteri e di Omotteri a vita incomplete sempre all’ aperto. o trasformazioni PSEUDOAMETABOLIA, — Pediculidi, Mallofagi e tutte le specie attere allo stato adulto di emimetaboli, come Embidi, Termitidi, Psocidi, Ortotteri, Tisanotteri, Emitteri. Vediamo ora una ad una tutte queste diverse maniere di me- tamorfosi. EMIMETABOLIA. — Giustamente gli autori propongono di indi- care colla voce Trasformazioni questa maniera di mutazioni del- l’aspetto dell’ insetto, per serbare quello di Metamorfosi alle varia- INTORNO ALLE METAMORFOSI DEGLI INSETTI 123 zioni molto più vistose e complesse, che sono rappresentate dalla olometabolia. Gli emimetaboli non traversano, nel loro cielo postembrionale, aleuno stadio di forma inerte, per quello che riguarda le funzioni di locomozione e di nutrizione plastica (primo ed ultimo processo della medesima). Essi nascono poco dissimili dal loro genitore (Pauro- metaboli) 0 più o meno differenti (Eterometaboli), ma non così profondamente come accade per gli Olometaboli. Ad ogni modo il carattere comune di tutte le forme neonate degli Emimetaboli (e Pseudoametaboli) si è quello della differenzia- zione dei segmenti toracali in confronto di quelli addominali, e della mancanza di qualsiasi rudimento di ali. Cotale neonato è così differente da quello degli Olometaboli, per sviluppo molto più avanzato di tutti gli organi, fra i quali cito ad es. le antenne, la presenza di occhi composti, l’apparato boe- ale simile a quello dell’ adulto (e quindi suechiatore quando di tal guisa lo hanno i rispettivi adulti), eteronomia degli articoli delle zampe, polimeria dei tarsi ecc. ecc., che non può confron- tarsi se non con qualche istante della estrema vita larvale degli olometaboli. Perciò, ad evitare ogni confusione ed ogni richiamo a relazioni ingiustificate od omologie affatto non esistenti, conviene chiamare con voce diversa la larva degli olometaboli, che potrà conservare tale appellativo, da quella di questo primo stadio degli emimeta- boli (e Pseudoametaboli), che si potrà dire Prosopon. Ad ogni modo, quello che conviene bene fissare fino da ora sì è che il Prosopon si deve paragonare non alla larva strettamente detta degli olometaboli, ma ad uno stadio più avanzato e prece- dente quello nintale degli stessi, lo stadio fugace e non sempre bene delimitabile, che chiameremo più avanti eoninfa. Procediamo nel cielo dell’emimetabolo. Alla forma assolutamente attera, neonata (Prosopon) seguono altre, per successivi esuviamenti semplicemente, nelle quali ap- paiono ed aumentano i monconi delle ali, ma non muta nè Vaspetto generale nè il modo di vita del Prosoporn, solo si hanno rariazioni secondarie, come |’ aumento di statura, modificazione di tinta, aumento del numero dei segmenti delle antenne, ecc. ecc. 124 ANTONIO BERLESE Il complesso di tutti questi stadì a monconi d’ali è detto minfa, facendo così sovvenire della ninfa degli olometaboli. Per questo caso la denominazione è meno impropria, perchè certo si corri- sponde negli olometaboli e negli eterometaboli lo stadio che pre- cede immediatamente 1 alato, come si corrisponde quest’ ultimo. In nessuno di questi stati giovanili, ripeto, 1’ insetto rimane immobile o cessa di nutrirsi. NEOMETABOLIA. — Questa è voce che propongo per indicare una maniera di metamorfosi, che è intermedia tra la emimetabolia e la olometabolia, cioè dalla prima tende ad incorrere nella seconda. Non è stata abbastanza considerata. Eppure qui si trovano le traccie del come è sorta la metamorfosi completa dalla incom- pleta. La neometabolia è caratterizzata dal fatto che le ninfe possono essere non perfettamente immobili sempre, nè con tutti gli arti resi inetti alla funzione, ma possono, se vivamente stimolate, loco- muoversi alla meglio. In altri termini la funzione della locomo- zione è più o meno indebolita per un certo tratto della vita ninfale. Di qui gradi molti verso la perdita totale della facoltà locomo- tiva. Quanto a quella della nutrizione plastica, nei suoi due atti estremi, essa è completamente interrotta durante questo periodo. Si hanno bellissimi esempi di neometabolia in tutti i gradi nel gruppo degli Omotteri, particolarmente degli Aleurodidi e dei Coccidi. In questa ultima famiglia si possono rilevare tutti questi pas- saggi, sempre nella serie maschile, movendo ad es. dai Cocciti, nei quali la ninfa, se molestata vivamente, si può spostare, sebbene con grande fatica, ma non muove affatto le antenne, fino ai Dia- spiti, dove essa è assolutamente immobile, e quindi tali forme sono veramente olometabole ormai. Quanto al modo come tale maniera di metamorfosi è sorta e come si incammini verso la olometabolia vera, si può desumere dallo studio di questi gruppi d’animali. Quivi si vede che i dischi imaginali dell’adulto, non potendo capire, per le loro notevoli dimen- sioni e diversa ubicazione entro le guaine che loro prepara la veste larvale, si allungano, torcendosi su se stessi o variamente dispo- INTORNO ALLE METAMORFOSI DEGLI INSETTI 125 nendosi sotto la pelle della larva, non però entro le guaine degli arti corrispondenti. Accade così che, ad un dato momento, Vanimale non può loco- moversi, non avendo più gli arti larvali in buono stato, nè quelli imaginali a luogo e sviluppo opportuno. Si comprende anche il perchè delle metamorfosi complete allor- quando troppo diversa è la forma che si muta da quella che ne riesce. Così ad es. nelle metamorfosi di certi Acari Tiroglifidi, che hanno una speciale forma nigrante (/kypopus) diversissima dalle seden- tarie, allorchè la muta si effettua tra forme simili, come sono appunto le sedentarie, allora non sì rileva momento «di impossibi- lità locomotrice, perchè i nuovi arti si svolgono entro 1 vecchi, ma l'arresto della locomobilità avviene, invece, sempre durante le metamorfosi che intercedono fra hypopus e forma sedentaria. Questa è la differenza tra le mute o trasformazioni e le meta- morfosi, tra i quali estremi però intercedono gradi molti, che qui non giova ricordare, ma che potrebbero essere citati, s cegliendoli anche fra i rimanenti Artropodi. Il primo stadio dei Neometaboli può dunque essere più o meno prossimo, per la sua organizzazione, al Prosopon od alla Larva; nel primo caso le metamorfosi sono più vicine alla emimetabolia, nel secondo alla olometabolia, fino a raggiungere 1 uno o Valtra di queste maniere, del tutto tipicamente. Pei Coccidi, il cui primo stato è da ascriversi, come dirò poi, certamente ad una larva melolontoide, si è già detto che si pro- cede da una Neometabolia tipica (Coceciti ecc.) fino ad una vera e propria Olometabolia (Diaspiti). Ciò, ben inteso, per la sola serie maschile, perchè le femmine non raggiungono mai lo stato di ninfa. Ecco per quali gradi è sorta la olometabolia e noi ne abbiamo sott'occhio la via seguita a venire dalla metamorfosi incompleta. OLOMETABOLIA. — Veniamo ora al punto che maggiormente ci interessa. Gli autori tutti da Aristotile in poi convengono che la ragione della metamorfosi completa sta nella schiusura precoce dell’em- brione, il quale viene all’aperto del tutto immaturo, costretto a ciò dalla scarsezza del tuorlo di nutrizione contenuto nell’ uovo. 126 ANTONIO BERLESE La larva è, adunque, un embrione libero, destinato a procurarsi quelle riserve nutritive, che permettano il suo ulteriore sviluppo, fino all’adulto. } Come embrione esso nasce molto diverso dallo stato che dovrà raggiungere finalmente e da ciò la necessità di uno stadio immo- bile, cioè la ninfa olometabolica e quindi le metamorfosi complete. Senza dubbio tutto ciò è verissimo e la geniale ipotesi di Ari- stotile è confermata ad ogni passo dai risultati di ricerche in tutti i sensi. Si domanda tuttavia: A quale momento della vita embrionale degli emimetaboli corrisponde la larva nell’ atto della sua schiu- sura dall’uovo ? Questo momento e quindi lo stadio corrispondente dell'embrione emimetabolo è sempre lo stesso per tutti gli insetti ? Di fronte a tali fenomeni, quale è il significato della ametabolia vera, quale quello della ipermetamorfosi ? Ecco dei punti interrogativi, ai quali bisogna pur rispondere e con varia fortuna si è anche tentato di farlo. Ecco intanto quello che sembra potersi attermare senza più. La nascita prematura (Progenesi) aumenta la sua precocità con progresso continuo, traverso le epoche geologiche, dalla sua ap- parsa (Trias) fino alla condizione in cui si trova attualmente ed è massima coi Lepidotteri e colle larve cielopiformi degli Imenot- teri endofagi, in epoche prossime alla cenozoica. Perciò lo stadio embrionale emimetabolo, a cui la larva dei di- versi gruppi di insetti olometaboli corrisponde per evoluzione al- lorchè sorge dall’uovo, non è lo stesso per tutti, ma varia gran- demente e quanto più esso è precoce, tanto più è intensa l’opera di demolizione e di ricostruzione, che si compie nel segreto della ninfa. CONFRONTO FRA TALUNE LARVE OLOMETABOLE ED I CORRISPONDENTI STADI EMBRIONALI DEGLI EMIMETABOLI. Vediamo dunque l’embrione degli insetti eterometaboli. Certa- mente il suo sviluppo è graduale, quindi non si possono incon- INTORNO ALLE METAMORFOSI DEGLI INSETTI 127 trare che stadì transitori più o meno fugacemente; pure alcuni sono caratteristici. Non giova occuparsi dei primi momenti della formazione del- l'embrione fino alla differenziazione della stria in macrosomiti. 1.° Stadio, protopodo. — Noi possiamo fissare un momento, e sia il primo utile per noi, rappresentato dall’embrione in cui, dif- ferenziatesi ormai le tre precipue regioni in cui il corpo è diviso, anzi già il torace essendo frazionato nei suoi articoli e ciascuno col rudimento di un paio di arti, addome è tuttavia composto di un solo macrosomite (stadio protopodo oligomero) o di pochi microsomiti. Sia questo lo stadio protopodo, da chiamarsi così per la prima apparsa delle impostazioni delle zampe toracali. In questo momento nell’embrione non è ancora in costruzione il sistema respiratorio; quello digerente è molto incompleto e limi- tato al solo proetodeo e stomodeo 0 poco più; quanto alla catena nervosa essa è impostata solo per le grandi masse ganglionari non ancora fra di loro collegate. Di qui in poi l’addome comincia la sua frammentazione miero- somitica, procedendo, per lo più dall’ innanzi all’ indietro, ed au- mentando il numero dei mierosomiti stessi fino a pervenire a quello definitivo di undici, escluso il telson (protopodo polimero). Si possono dunque in tale periodo trovare momenti diversi con numero di segmenti addominali vario, e che tutti presentano il ‘arattere della deficienza di impostazione d’arti addominali, men- tre sono presenti quelle toraciche. Per gradi, cioè coll’ inizio della impostazione dell’apparato re- spiratorio ed altre modificazioni nel senso progressivo di tutti gli altri organi, si passa al secondo stadio per noi da considerarsi. 2.° Stadio, polipodo. — Così è definito dal Packard ed è indi- gato da tutti gli embriologi, per gran numero di insetti, sia olo- metaboli che emimetaboli. Fra i primi indichiamo Coleotteri e Le- pidotteri. Questo stadio è caratterizzato dalla presenza dell’apparato re- spiratorio ormai formato, come sarà definitivamente ; dal sistema digerente completato col mesenteron; dalle commessure nel sistema nervoso ete. e più vistosamente dalle impostazioni di arti addo- minali. Di qui il suo nome. [ear Sa ANTONIO BERLESE Da questo momento verso il terzo stadio, del quale si dirà tosto, si incontrano molti anelli di transizione ed anche involuzione delle appendici addominali suddette, e questi pure trovano corrispon- denti fra le larve degli olometaboli; ciò si riconosce dalla condi- zione di immaturanza generale, in confronto di larve apode derivate per involuzione dal terzo stadio. 3.° Stadio, oligopodo. — Scomparse le appendici addominali tran- sitorie, rimangono però quelle toracali e molto meglio sviluppate che negli stadi precedenti. Tutto l’organismo è molto meglio evo- luto, ma non ancora si nota traccia di differenziazione alcuna fra i segmenti toracali e quelli dell'addome. Dopo questo momento si avvicina la schiusura, nel qual tempo, però, il neonato mostra evidente la differenziazione fra gli articoli del torace sia fra loro, sia, meglio, rispetto a quelli dell’ addome. Tale è il Prosopon sopraricordato, il quale schiude. Veniamo ora alle larve degli insetti olometaboli. Di Qui conviene fare il cammino inverso, movendo da una forma quanto più è possibile vicina al Prosopon, per discendere verso altre corrispondenti a stadi sempre più immaturi dell’ embrione, appunto come in natura, traverso le diverse epoche geologiche, è avvenuto nello sviluppo della olometabolia. FORME POSTEMBRIONALI COMUNI A TUTTI I PTERIGOTI. Per gli emimetaboli, le forme postembrionali sono, dalla schiu- sura dell’uovo in poi: Prosopon senza traccia neppure di rudi- menti d’ali; Proninfa con corti monconi; questa passa insensibil- mente alla Ninfa con rudimenti d’ali, che è la forma dalla quale per un esuviamento si ottiene l alato. Pegli insetti olometabolici, le forme corrispondenti sono una Eoninfa, da paragonarsi al Prosopon; una Proninfa ed una Ninfa, di cui è facile trovare gli stadi omologhi nella serie emimetabola, almeno per quest’ultimo, che è quello immediatamente precursore dell’ alato. Eoninfa. — È un nome nuovo, che converrà usare per definire INTORNO ALLE METAMORFOSI DEGLI INSETTI 129 il preciso momento della chiusura della vita larvale (negli olome- taboli, ben inteso), ed in cui si inizia quella della ninfa. Tale momento è indicato dall’arresto della assunzione del cibo e di ogni facoltà locomotoria, da parte della larva. Morfologica- mente può essere ancora contrassegnato questo fugace istante, ma la nuova forma è tuttavia inelusa nella spoglia della larva e non se ne separa che ad artificio. Si può ritenere che esso corrisponda col momento di nascita del Prosopon. Soltanto nel suecessivo stadio di Proninta viene abbandonata la veste larvale. Si è già detto che i casi di Neometabolia dipendeno da leg- giere anticipazioni di schiusa dell’ embrione, ma la olometabolia comincia ad essere decisa nettamente allorquando la larva nasce in uno stadio da richiamarsi all’embrione oligopodo degli etero- metaboli. Larva oligopoda o melolontoide. — Rappresenta la prima tappa della olometabolia vera e spetta ai Coleotteri ed agli Emerobiidi, che sono i primi insetti a metamorfosi completa, che sieno ap- parsi sul globo, appunto nel periodo Triasico, cioè all’inizio dell’ era mesozoica, dopo il lunghissimo regno della sola emime- tabolia nell’era paleozoica. Questa larva melolontoide dovrebbe cormspondere in certo modo alla campodeiforme 0 tisanuriforme degli autori, se si potesse com- prendere quello che con tali voci si è voluto indicare, perchè ba- sta pensare che in tale novero di larve si introducevano anche moltissime emimetabole e quelle degli Apterigoti per comprendere quanto grande confusione venisse fatta. Io conservo il nome di melolontoide, usato da taluno, perchè in realtà a questa maniera di larve più evolute d’ogni altra si richiamano quelle di tutti i Coleotteri, qualunque sia il loro aspetto, talora molto singolare. Una modificazione secondaria e di puro adattamento è la ridu- zione degli arti e degli organi boccali, per sola involuzione, fino al completo apodismo. Ciò è mostrato esattamente dai casi di quella ipermetamorfosi non genuina, che appartiene a certi Coleotteri (Meloidi) e che nulla ha a che vedere colla ipermetamorfosi vera, che spetta agli Ime- notteri endofagi a larva ciclopiforme. 1530 ANTONIO BERLESE Anche i casi di molti altri Coleotteri (Lebia, Bruchus ete.) con una prima larva fornita di robusti piedi e la seconda apoda o con tali organi ridotti, sono molto dimostrativi. Larva polipoda od eruciforme. — Il tipo classico è rappresentato dai falsi bruchi e dai bruchi, cioè dalle larve di Tentredinei e da quelle dei Lepidotteri. Questa larva si richiama all’'embrione polipodo, rappresenta cioè un ulteriore gradino verso la schiusura anche più anticipata del- l'embrione stesso. Naturalmente la larva polipoda comparisce molto più tardi nelle epoche geologiche; e si hanno dati certi di sua presenza, od al- meno degli adulti dei due gruppi indicati, nella fine dell’ epoca mesozoica, cioè nel Giurese. Anche per questa larva esistono modificazioni secondarie verso l’apodismo, cioè con riduzione maggiore o minore delle appendici addominali locomotorie ed insieme delle toraciche. La riduzione delle sole addominali è rara e si esercita solo en- tro gli stessi gruppi dei Lepidotteri e dei Tentredinei. Pure negli Imenotteri essa forma un passaggio (Siricidi) alle forme veramente apode, come sono tutte le altre dell’ordine. Si può discorrere di larve che sono intermedie fra lo stato po- lipodo e l’oligopodo, più accosto all’uno od all’altro e questa ma- niera di larve è ben comune, perchè vi appartengono tutti i Dit- teri, tutti gli Imenotteri, esclusi i Siricidi ed i Tentredinei, nonchè i Neurotteri (in senso largo) all’ infuori degli Emerobiidi. Tutti questi gruppi sono apparsi sulla terra prima dei Lepidot- teri, ma dopo i Coleotteri e gli Emerobiidi; spettano cioè al Lias (Ditteri) od al Giurese (Imenotteri), più che al Lias, del quale è solo qualche Neurottero. La larva polipoda ha meno differenziati gli organi cefalici; meno accentuata la eteronomia dei segmenti degli arti ambulatori tora- cali; non presenta seudi resistenti sui somiti, meno che sul dorso del protorace in taluni bruchi. Essa è sempre meno vivacemente mobile che non le più agili oligopode e non è quasi mai una forma predatrice e se pure ha simili abitudini (qualche Lepidottero) è riparata sempre entro maniere diverse di protezione, perchè il suo molle corpo non consente una più avventurosa vita all’aperto. La INTORNO ALLE METAMORFOSI DEGLI INSETTI 31 lentezza ed incertezza dei movimenti si richiama ad una più bassa organizzazione del sistema locomotorio in confronto della larva oligopoda. Gli Autori anche per la definizione della larva ernciforme, sono rimasti molto incerti, poichè vi sono insieme collocate anche larve di Coleotteri e solo per una esteriore lontana somiglianza coi bruchi. Larva protopoda o ciclopiforme. — Finalmente aleuni Imenotteri endofagi nascono in uno stadio immaturissimo, da omologarsi al protopodo dell'embrione, e la larva ha speciali caratteri, per cui fu dagli Autori distinta per cielopiforme. Tale precocissima schiusura dipende dalla deficienza del vitellus di nutrizione, per cui la segmentazione è completa e 1’ embrione non può andare oltre. i “ I caratteri della larva sono esattamente quelli del corrispon- dente stato embrionale, cioè ineompleto il tubo digerente, slegato il sistema nervoso, mancante il sistema respiratorio nonchè il vaso pulsante. Quanto agli arti essi sono immaturissimi, non segmen- tati e limitati al solo torace. Ve ne può essere un paio od anche tre paia, come si vede benissimo nel più bello esempio, che è quello mostrato dalla prima larva della Wucoila Keilini Kieff., un Cinipide endofago di una Cecidomia. Più frequentemente solo il primo paio d’arti toracali è accennato, ma talora nessun arto am- bulatorio è palese. Dunque anche per questa larva si ha una forma apoda per involuzione. Per ciò che rignarda 1 addome conviene por mente alla sua divisione tuttavia macrosomitica, che è la più frequente. Si va dal caso di un addome non diviso affatto, composto quindi di un solo grande macrosomita (larva prima di Platygaster, descritta da Kulagin) o col solo primo mierosomita distinto, fino a larve in cui tutto l’addome è ormai diviso nel tipico numero di mierosomiti, Tutte queste varie forme trovano esattissimo riscontro nello sviluppo embrionale degli emimetaboli e basti vedere 1 embrione di Oecanthus o di Mantis (Wheeler, Viallanes) per accertarsene. Sono questi stadi, che la larva polipoda ha di recente traversato nell’uovo. Occorre una vera e propria trasformazione perchè questa larva 132 ANTONIO BERLESE ciclopiforme diventi eruciforme, cioè passi ad un gradino più ele- vato, nel quale la sua organizzazione generale progredisce, e basti accennare all’acquisto di un sistema respiratorio. Quest’ ultima è la seconda larva degli Imenotteri endofagi. Questo è il più immaturo stadio nel quale l’embrione possa vi- vere fuori dell’uovo, è cioè Pultimo gradino al quale è spinta la olometabolia, e non si manifesta che tardivamente, cioè sul finire dell’era mesozoica. IPERMETAMORFOSI (vera) e POLIMORFOSI. La vera ipermetamorfosi adunque, cioè lo sviluppo postembrio- nale con una fase in più della comune di larva, ninfa ed adulto (trascurando le sotto fasi di Eoninfa e Proninfa, che sono secon- darie) spetta solo a questi endofagi del gruppo degli Imenotteri, perchè in questi veramente la larva traversa uno stadio embrionale distinto, in più che non fanno la comune degli altri olometaboli. La maniera di sviluppo, che è stata definita finora per iperme- tamorfosi, io chiamerei con nome diverso, come cosa diversissima. Si è indicato infatti con tale nome il ciclo di sviluppo di al- cune forme, specialmente Coleotteri, le quali mostrano con forme distinte il passaggio della larva bene fornita di arti ambulatori (ad es. Triungulino) in altra apoda o con arti meno evoluti. Però, in simile caso, tutte le larve rimangono strettamente nel- l’ambito delle Melolontoidi ed il Triungulino non è per nulla più immaturo d’una larva di Scarabeo o di Carabide, come le fasi apode o mal fornite di piedi, che seguono al Triungulino non sono affatto più evolute del Triungulino stesso o di tante altre larve (oligopode) senza piedi fino dalla nascita. Si tratta sempre di modeste variazioni secondarie, che avven- gono per adattamenti speciali entro una medesima età della larva ed è questo fenomeno differentissimo da quello delle ipermetamor> fosì vere, mostrato dagli Imenotteri endofagi e testè citato. Io imporrei nome diverso a queste speciali trasformazioni, che spettano sopratutto ai Coleotteri e le indicherei colla voce Poli morfosi, che suona diversa da Polimorfismo, pur non ne avendo diverso significato. INTORNO ALLE METAMORFOSI DEGLI INSETTI 1539 La polimorfosi è adunque una semplice variazione secondaria entro il medesimo stadio larvale, mentre la ipermetamorfosi si fa col passaggio dall'uno all’altro degli stadi larvali indicati. Alla polimorfosi potrebbe essere ascritto anche il fenomeno di molte larve di Lepidotteri, che variano nel numero di zampe false a seconda dell’età. Tutto ciò è ben diverso dalla ipermetamorfosi, come è mostrata dagli Imenotteri endofagi, pei quali da larva cielopiforme si passa alla eruciforme, cioè ad uno stadio non solo per le apparenze esteriori, ma per tutta l’organizzazione interna e per le omologie con corrispondenti stadi embrionali, del tutto diverso. La polimorfosi è data dalla necessità di una forma migrante larvale, che deve quindi avere organi adatti a tale ufficio, inutili di poi, mentre la ipermetamorfosi è indotta dalle necessità di una intensa proliferazione ed è soccorsa talora perfino dalla poliem- brionia, quando non basta la capacità dell’alveo materno al numero d’uova richiesto dalle enormi perdite che incontra la specie. Anche il modo di sviluppo embrionale è diversissimo, variando dal tipo a segmentazione totale (ipermetamorfosi vera) a quello ordinario (polimorfosi). INFLUENZA DELLA NEOTENIA. Ed ora, per darci ragione di tante altre cause di variabilità tra forme anche affini, rileviamo 1’ influenza della neotenia combinata con quella della sehiusura precoce, di cui si è detto finora. Lo sviluppo precoce degli organi sessuali può cadere in mo- menti diversi della vita postembrionale degli emimetaboli come dei metaboli. Osservisi che troppe volte si è parlato di involuzione, quando si deve invece discorrere di neotenia, e così pure di con- dizione primitiva, come a proposito degli Apterigoti, mentre que- sto ultimo è un caso di progenesi combinata colla neotenia. Non è veramente degenerata una forma se non quando essa, in processo di sviluppo ritorna ad un grado più basso, dopo averne traversati di più elevati; neotenia invece semprechè si tratta solo di maturanza precoce del sistema riproduttore. 1534 ANTONIO BERLESE Un arresto di sviluppo allo stato ninfale dà le forme emittere; ma per le attere conviene distinguere diversi gradi di precocità sessuale, ciò che non importa molto per le emittere. Richiamandoci solo alle specie olometabole, dirò che le forme che si arrestano allo stato di Proninta possono mostrare minimi rudimenti d’ali, ma sempre fanno vedere un discreto differenzia- mento del torace e del rimanente tronco e dei vari somiti tora- sali fra di loro. Porto ad es. la femmina della nostra Lampyris noctiluca. Si può ritenere che qui si fermino i neutri delle formiche, gli Afanitteri ecc. Ancor più precoce è l'arresto ad uno stadio di eoninfa, con tenuis- sima differenziazione dei somiti toracali o nulla. Siano esempio taluni Lepidotteri a femina così detta larveforme, mentre in realtà non si tratta di una larva, poichè è incorso quello stadio di ini- zio della metamorfosi rappresentato dalla eoninfa e quivi 1’ insetto si arresta. Per tutti questi gradi di neotenia la metamorfosi è attraversata, come termine imprescindibile della vita larvale. Finalmente abbiamo i casi certissimi di arresto ad uno stato veramente larvale e questi sono fatti vedere egregiamente dal gruppo delle Cocciniglie. Quivi i maschi, come si è detto, procedono per la via neometa- bolica od olometabolica, ma le femine non arrivano mai ad uno sta- dio nemmeno di eoninfa, come è dimostrato dal fatto che esse, per tutta la loro vita si nutrono e, se non apode per involuzione, anche si locomuovono. La larva delle cocciniglie è una melolontoide, ossia del tipo oligopodo, che per polimorfosi può diventare apoda in ambedue i sessi (Diaspiti). Mentre il sesso maschile procede oltre fino ad una forma generalmente alata, la femina, invece, si arresta allo stadio larvale, sia apodo (Diaspiti), sia come dalla schiusa. Questo caso di così precoce arresto dell’organismo tutto, nor- malmente seguito da una specie e non accidentale come è per Pedogenesi, è molto raro. Si può dire anzi che la frequenza dei casi di precocità sessuale è in rapporto diretto colla maggiore età dello stadio a cui Varre- INTORNO ALLE METAMORFOSI DEGLI INSETTI 155 sto avviene; cioè comunissimo nella condizione di ninfa; meno frequente in quello di proninfa; raro nell’altro di eoninfa e sommamente raro in quello di larva, se non è limitato ai soli Cocciti. APTERIGOTI. — Bisogna discorrerne a parte. Io non so per- chè sieno stati spesso considerati per progenitori questi insetti quando la paleoentomologia dimostra non solo la loro tarda ap- parsa, non prima dell’era cenozoica, ma ancora l’origine degli in- setti, che accade in tutt'altro modo e si inizia in tutt’altre forme, indica per primitivi i Blattari e gli Ortotteri attuali, che nulla hanno a che vedere, sotto ogni aspetto, cogli Apterigoti. È più comprensibile l ipotesi di una precoce schiusura, com- binata colla neotenia, per darci ragione di queste forme e della loro bassa organizzazione. Parmi di poter credere che ji Collem- boli si debbano richiamare allo stadio protopodo dell'embrione dei Pterigoti, stadio tuttavia oligomero, ed Tisanuri allo stadio pro- topodo polimero, di poco precedente il polipodo. I primi infatti non solo mancano tuttavia di apparato respira- torio, ma il loro addome è ancora nella fase macrosomitica. I secondi hanno un apparato respiratorio sui generis, certo di adat- tamento o come può essere nell’ inizio del suo svolgimento nel- Vl embrione, non ancora cioè così ordinato e complesso come si vede ormai nell’embrione polipodo, ma laddome è completamente diviso nel numero definitivo di articoli, però non ancora tutti i pleuropodi sono apparsi, per quanto sieno presenti le appendici ancestrali (stili e vesciche). Coloro che ritengono doversi ascrivere i Proturi o Mirientomi fra gli insetti potranno supporre si tratti di forme intermedie, che nascono a non completa segmentazione dell’ addome, la quale ottengono solo nello sviluppo postembrionale. I Collemboli ed i Tisanuri poi seguono lo sviluppo per segmen- tazione totale e questa deficenza di tuorlo importa, come per le larve ciclopiformi, la necessità di una schiusura molto precoce, cioè in uno stadio immaturissimo. La Ametabolia vera dunque si esercita nel campo della Olometabolia, mentre la Ametabolia spwu- ria od acquisita appartiene alla Emimetobolia. In corrispondenza allo stadio embrionale polipodo dei Pterigoti 156 ANTONIO BERLESE schiudono le Seolopendrella, d’onde la loro grande affinità d’orga- nizzazione cogli Apterigoti, ma ciò non depone per nulla in favore di rapporti filogenetici tra Scolopendrella, Apterigoti e finalmente Pterigoti da un lato, Miriapodi dall’altro; mentre il tratto di cor- rispondenza embrionale tra Miriapodi ed Insetti, se esiste, arriva solo fino allo stadio polipodo pei Pterigoti, a quello protopodo 0 poco oltre pegli Apterigoti, ma di poi le due classi procedono divergendo ognuna a suo modo. Tutto quanto ho qui detto si riassume nella annessa tabella. Gli estratti di questa Memoria furono pubblicati il 20 Settembre 1913. e, RO LADATEMbRKRIONALE << — SPADI POSTEMBRIONALI f. PROTOPODO D. 3. PROSOPON 5. 6. 7. «) oligomero POLIPODOjOLIGOPODO ED PRONINFA NINFA ALATO b) polimero i BONINTA I 4\x di | N j IR @ 2 S | Ì Ri CONPADULTI EMITTERI S i N ! I 3 IN i È I iù Dre ®. 3 Ò I N Ò (PSEUDO) N I i 3 © | |} È iù I COCCIDEI x A l i ì À I ; x 5 Nt SS i È Ì S è N i È \ù & 1 i 6 Òì (d I I N ° IR 7 È h I N 1 I 4 ©? & Cee ER de ] 3 | I q È 9 N 3 i de i x ro : | | 4 ! @ 10 S m I LAMPSRIS (FEMMINA) S N tal | h (e a @!! ra) | I ge DITTERI CON VADULTI ALATI Èì % o (e | i © 12 x (e DITTERI CoN A@ucri eMirTERI N N : ; @ 15 S DITTERI — AFANITTERI N ©! i Eos: TRITATI © I p (A) 15 I I I ] s @!° S i a IMENOTTERI YTENTREDINEI ee X I 4 @? Le) Ì È x | : SH n° 18 ESE Vr ? S ] 5 TN N I = cd 19 COS i L | \ : I | QÒ LI d @2° I INEp PORRI Sai \ (IperRmerfmoreosi vERÌA ) ST i | i ù auTri) imemprreri EnDOofrnci È & (ipermertignonrosi v n ©?! ma) i { : È IN È r È 3 | > : . 9 9 #( |e@ || L K 2 _ÈÎ 3 SANur i 5 N Y N DÒ aj RI © 7 ! È = s) Z LN Ì i 23 S Co, du i Doscita antitpata/Pregeresi) NB. — Il segno @ indica la nascita: il segno ® 10 varie tappe durante lo sviluppo postembrionale; il segno @ indica la forma matura sessualmente. bi day du md, dio y buca CHI

». pleurale 3) » anastom. longit. dors. I-II » » trasv. > I-II 4) » » » ventr. I-II » genitale 5) » delle zampe del III° pajo >» dei lobi anali. Struttura delle Trachee. È noto che le trachee degli insetti sono formate di tre strati : uno strato interno : intima o endotrachea; uno strato medio cel- lulare : strato cellulare o matricale o chitonogeno; uno strato esterno: membrana basale o ectotrachea. SUL SISTEMA TRACHEALE DEI LECANITI 223 Nei nostri lecanini si riscontrano bene distinte queste tre tuni- che, specialmente nei grossi rami tracheali. L’ intima è formata da un sottile strato cuticolare caratterizzato (come di regola negli insetti) da un esile nastro chitinoso ravvolto a spirale molto stretta che percorre internamente la trachea in tutta la sua lun- ghezza. Lo strato matricale, che corrisponde all’ ipoderma, è come que- sta formato da cellule molto schiacciate nel senso perpendico- lare all’asse tracheale, provviste di grosso nueleo ovale. I limiti cellulari non sono sempre bene distinti. La membrana basale è bene distinta e piuttosto spessa. Le tra- chee si mostrano in sezione quasi perfettamente circolari. Il loro salibro varia molto e per differenti ragioni; in uno stesso indi- viduo le trachee hanno diametro maggiore presso Vapertura stig- male e poi sempre più piccolo, a mano a mano che da questa si allontanano ; negli adulti il lume tracheale è maggiore che nelle ninfe e nelle larve; maggiore nella femmina, che nei maschi. Ri- guardo alle 4 specie esaminate P. vitis, L. oleae hanno trachee più grosse di P. camelicola e L. hesperidum. Data questa variabi- lità le misure hanno poca importanza; ad ogni modo, tanto per dare un’ idea, dirò che p. es. in P. vitis si va da pochi micron (2-3) a diametri di anche 32 e più nella trachea genitale e in quella dei lobi anali. Rispetto alle dimensioni dell’ individuo valga lo specchietto seguente di misure tratte da P. camelicola per la tra- chea dei lobi anali: femmina adulta lunga mm. 3 diametro trachea 20 p.. 2.° ninfa femminile lunga » 6,5 » » 6,5 |. 2%.» maschile. lunga » 2,9 » ) 20902 22 G. TEODORO AUTORI CITATI. [1] BerLESE A. (1893). Le Cocciniglie italiane viventi sugli. Agrumi. Parte I, I Dactylopius. « Riv. di Patol. veget. », anno II, n. 1-8. [2] IDEM (1894). Idem. Parte II, I Lecanium. « Idem », anno III, n. 1-8. [8] IbeM (1896). Idem. Parte II, I Diaspiti. « Idem », anno IV, n. 1-12, anno V, n. 1-4. [4] Burra P. (1898). Sopra una Cocciniglia nuova (Aclerda berleseiì) vivente sulla canna comune (Arundo donax). « Riv. di Patol. veget. », anno VI. [5] BurmeIsTER H. (1834-35). Handbuch der Entomologie. [6] HAnpLIRSCH A. (1899). Wie viele Stigmen haben die Rhynchoten? Ein mor- phologischer Beitrig. « Verh. zool.-bot. Ges. », Wien, vol. 49, 7] LeypIG F. (1854). Zur Anatomie von « Coccus hesperidum ». « Zeit. f. wiss. Zool. », Bd. V. $] MaMMEN H. (1912). Ueber die Morphologie der Heteropteren- und Homopte- renstigmen. « Zoolog. Jahrh. Abt. f. Anat. und Ont.», Bd. 34. 9] Putnam J. D. (1880). Biological and other notes on Coccidac. « Proceedings f the Davenport Acad. of Nat. Sciences », vol. II, par. 2.9. 10] Scam O. (1885). Metamorphose und Anatomie des minnlichen « Aspidio- Ti tus nerii ». « Arch. f. Naturgesch. », Bd. DI. [11] Sure K. (1911). Ueber Respiration, Iracheensystem und Schaumproduktion der Schaumcikadenlarven. « Zeit. f. wiss. Zool. », Bd. 99. [12] TARGIONI-TOZZETTI A. (1867). Studi sulle Cocciniglie. « Memorie della Soc. Ital. d. Sc. Nat. », T. IMI, n. 3. [13] TropoRO G. (1911). Le glandule ceripare della femmina della « Pulvinaria camelicola » Sign. « Redia », vol. VII, fase. 1.0, [14] IpeM (1911). La secrezione della cera nei maschi della « Pulvinaria cameli- cola » Sign. « Redia », vol. VII, fase. 2.°. [15] IpEM (1912). Le glandule laccipare e ceripare del « Lecanium oleae » Bern. « Redia », vol. VIII, fasc. 1.°. [16] IpEM (1912), Ricerche sull’ emolinfa dei Lecanini. « Atti Accad. Scient. Ven.- Trent.-Istr. », anno V, fase. 1.°. 3 [17] Verson E. e Bisson E. (1891). Cellule glandulari ipostigmatiche nel « Bom- bye mori ». « Pubblicaz. R. Staz. Bacologica di Padova», vol. VI. [18] WrrLaozie E. (1886). Zur Morphologie und Amnatomie der Cocciden. « Zeit. wiss. Zoolog. », Bd. 43. (N°) bo i SUL SISTEMA TRACHEALE DEI LECANITI SPIEGAZIONE DELLE FIGURE DELLA TAVOLA XII. Fig. 1. — Ninfa femminile di Pulvinaria camelicola, ingr. 55, vista dal ventre per mo- strare il decorso delle trachee: i, st. = incisura stigmale. st. a. = stigma anteriore (I). st. p. ESURE: posteriore (II). tr. la: = trachea alare. tr. an. ” antennale. trae. = ” cefalica. tr. er. = n cerebrale. tr. g. ” genitale, tr. g. s. = n del ganglio sottoesofageo. tr. in. = n anastomotica longitudinale dorsale degli stigmi I-II, Era.l:g9 = ”» dei lobi anali. tr. oc. = n oculare. tr. p. = pleurale. tr. t. a. = L) anastomotica trasversa ventrale degli stigmi I-II. trp i ”» ” n dorsale n n II-II. tr. t. Vi — ” n ” ventrale n n III neo = » delle zampe del 1.° pajo. tr. z. 2. = n n ” n 2° pajo. tr. 2.3. = ” ” ”» » 3.0 pajo. Fig. 2. — Seconda ninfa maschile di Pulv. camelicola, ingr. 110, vista dal ventre per mostrare il decorso delle trachee: tr. al. — trachea alare. Fig. 3. — Sezione trasversa di Pulv. vitis, per mostrare l’ apertura stigmale, ingr. 400. ec. = camera tracheale. e. = enociti. m. = muscolo. tr. — trachea. Gli estratti di questa Memoria furono pubblicati il 20 Dicembre 1913. di GIACOMO DEL GUERCIO INTORNO AD UN NUOVO NEMICO DEL CARUBO IN ITALIA Eumarschalia gennadî (March) nob. Il Carubo è fra le piante più importanti, che si coltivano nel mezzogiorno d’ Italia ed è gran male che i suoi frutti comineino ad essere fatti segno agli attacchi reiterati, per parte di un in- setto, di cui nessuno, da noi, ha fatto cenno sin qui. Neppure Kaltenbach, nel suo voluminoso lavoro sugli insetti no- civi delle diverse famiglie delle piante superiori nostrali, ha noti- zie su quelli del genere Ceratonia, per il quale Targioni ricorda soltanto una Cocciniglia, col nome di Aspidiotus ceratoniae, od A. hederae Vall.; e non diversamente hanno fatto gli altri, che hanno seguito. Degli insetti del Carubo si è occupato invece, con certa lar- ghezza il Peragallo (1), ricordando una Tignola, che si riservò di descrivere e di cui non si è più occupato dipoi; due Coccini- glie ed un Coleottero, tacendo affatto degli insetti, dell’ordine dei quali fa parte quello di cui desideriamo dire una parola. Il Dittero in esame lo abbiamo rinvenuto allo stato di larva nei frutti giovanissimi della pianta ed appartiene all’interessante gruppo dei Cecidomidi, che a varie riprese abbiamo, per la pra- tica, indicato col nome di Moscerini delle piante, e riteniamo che si tratti di quello stesso, che fu trovato in Grecia dal Gennadius, nelle piante di Nicosia e di Cipro ed indicato col nome di Sehi- zomyia Gennadii Marschal (2). (1) PERAGALLO Insetti nocivi all’agricoltura. (2) GENNADIUS, « Annales de la Soc. Entomolog. de France », 1904. 229 GIACOMO DEL GUERCIO Ad ogni modo le Carube piccolissime colpite dall’ insetto ven gono punte ed alterate non indifterentemente nelle varie parti dello strato parenchimatoso, ma con particolare riguardo intorno alle diverse capitazioni placentari, che nei frutti sani si fanno ovoli e poi semi. Per effetto di cosiffatto costume della piccolissima larva, i frutti- cini si stremenziscono, mentre a costrizioni ed a veri strozzamenti locali corrispondono, nelle zone adiacenti, ingrossamenti non meno evidenti, così come si potrà vedere in alcune delle figure (fig. 1) a questo scopo riportate. Si intende che strozzature e ingros- samenti variano per l’estensione e profondità a norma della misura della varia sensibilità dei frutti, secondo anche il diverso loro grado di accre- scimento e della quantità con la efti- cacia irritatoria e distruttiva delle larve del Cecidomide; per le quali cose non vi è per tutto uniformità di deformazioni nello stesso come nei differenti frutti colpiti. E diversi, in conseguenza, sono poi anche gli ef: fetti ultimi della infezione sulle Caru- be, delle quali quelle investite picco- lissime, non molto dopo l’allegamento, si possono considerare come perdute, Fig. 1.— Frutti di Carubo variamente alterati con le pupe sporgenti da essi ed i fori per i quali gli adulti della coltivazione, perchè o esse ca- sono usciti. o perdute, almeno, agli effetti pratici dono, come quando sono colpite da più larve contemporaneamente, nella loro lunghezza, e più special mente nella base; o restano sulla pianta, ma con dimensioni tali da non potersi più calcolare come prodotto utile nel raccolto, giac- chè, in media, non oltrepassano le dimensioni di un legume di pisello o le altre di quello assai piccolo delle favette per sovescio o per foraggio. Gli attacchi alla fine dell’inverno non producono generalmente effetti sostanziali diversi da quelli precedenti, coi quali si sommano, UN NUOVO NEMICO DEL CARUBO IN ITALIA 229 e più tardi non hanno quasi alcuna importanza, giacchè i Mosce- rini non prendono di mira che i frutticini deformati e già stremen- ziti, e gli altri giovanissimi, ancor verdi e teneri, che sempre si riscontrano sulle piante, anche d’autunno; e non quelli in via di rapido accrescimento, ma bene induriti, che si sviluppano a vista d'occhio nei mesi dell'estate, dopo il qual tempo si trovano già pronti per la raccolta. Questo fatto a noi appare del massimo interesse, perchè oftre il destro ad una delle più importanti e pratiche misure di difesa. Ma a parte la difesa, della quale ci occuperemo meglio di poi, giova, a questo punto delle osservazioni, far notare che i piccoli frutti infetti, oltre alle alterazioni interne ricordate (che appari scono come piccole ed irregolari escavazioni, a superficie più © meno imbrunita, per la colorazione analoga che prendono gli ele- menti del parenchima dissugati ed alterati dalle larve dell’insetto), alle zone di strozzamento, che a quelle cavità interne corrispon- dono ed ai conseguenti laterali ingrossamenti non ne presentano altre; ma in corrispondenza di questi rilievi o in prossimità di essi si scorgono poi dei forellini rotondi, dai quali sporge la spoglia della pupa, o la pupa stessa, dalla quale è uscito o viene fuori l adulto dell’ insetto, che per ciò non si potrebbe meglio porre in vista all’occhio degli interessati. I quali, ora, vedendosi diminuire il raccolto, pensano che questo sia dovuto all’ azione nociva delle nebbie, che se non portano bene, in presenza del- l'invasione dell’Oidio delle Carube, non bisogna, per questo, con- fondere la parte del male che può venire dal moscerino con l’altro, che riportar si deve, a tempo debito, alla presenza della crit- togama (1). Perchè tale confusione cessi sarà bene di notare che nei frutti infetti dal Moscerino si trovano larvettine di color giallo arancio intenso, vivissimo, anche quando sono assai piccole e senza spa- tola sternale. A forti. ingrandimenti esse appariscono come granulate alla superficie del corpo, per piccolissimi rilievi emisferici fittamente sparsi su di esso. Il capo è meno colorito, volgendo assai al giallo (1) Sarebbe 1 Oidium ceratoniae Comes. 250 GIACOMO DEL GUERCIO legno ed è fornito di antenne piccolissime, formate di due articoli abbastanza distinti. A sviluppo inoltrato, la loro sacca sternale, per la spatola, è situata in una zona piuttosto bruna o volgente col suo colore a questa tinta, e la spatola robustissima, nerastra, si presenta colle quattro punte caratteristiche, due laterali grosse, e due mediane, della Sehizomya gennadtii March. di sopra indicata e descritta per Nicosia e Cipro, in Grecia. Come in questa specie, per altro, an- che da noi, la larva del Cecidomide trovato quando è ancora piccolissima, presenta sul dorso della estremità po- steriore del corpo una larga placca pa- 2 3 pillare, ma, invece di essere quadrata, Fig. 2. — Larva del Moscerino poco è quasi rotondeggiante e con cinque dopo nata, con la placca papillare à n = i verso la estremità posteriore del punte di cui ognuna corrispondente ad dorso. 5 FRAN H "to aC inat: Re E papilla, piuttosto acuminata. marsi, anch’ essa fortemente in- Dalla larva indicata, intanto, abbiamo grandita. ottenuta e raccolta da noi la pupa, che è di color castagno brunastro, lunga millimetri 4,5 per 2,5 circa, con due grossi e lunghi processi frontali, conici, alquanto più colo- riti del corpo; un gruppo di punte chitinose coniche anch’ esse, per quanto più sottili e piccole, all’ estremità addominale, come quello del resto delle varie serie trasverse ed a gradazioni, che si riscon- trano sui somiti dell’apice a quelli della base dell’addome stesso. Il moscerino, che ne viene fuori, è nerastro, poco più lungo della sua pupa, col corpo nero, al pari del dorso del torace, e l'addome seuro coperto di peluria decidua e una serie di peli se- tolosi diritti, giallo flavi alla estremità di ogni somite addominale. Le antenne sono formate di 2 +4- 12 articoli, nerastri, pelosi, dal 3.° all’11.° incluso cilindrici, gradatamente decrescenti o quasi, mentre il 13.° ed il 14.° sono globulari, più ingrossati dei prece- denti ed uno più grande dell’altro. I palpi sono brunicci, pelosi, col primo articolo notevolmente più corto del secondo ed ultimo, che è conico alla sommità. UN NUOVO NEMICO DEL CARUBO IN ITALIA 231 Per questo carattere dei palpi, la forma descritta non può essere compresa nelle Schizomya Kieff., nel quale genere le specie si pre- sentano con 4 e non con 2 articoli nei palpi. E noi per questo, essendo costretti a distinguere, formiamo con la S. gennadii il tipo di un nuovo sottogenere, al quale ci piace di imporre il nome di Eumarchalia, da quello del chiar.mo professore e collega egregio, Marchall, che pel primo la specie ha studiata e descritta. Le ali sono assai più chiare del corpo, coperte di peli abba- stanza decidui, col nervo cubitale ben discosto alla base da quello sotto costale, perchè derivante distintamente dalla base della ner- vatura anale, o posticale, ed arrivante, con la estremità, all’apice dell’ala ; il nervo anale, appena oltre la sua metà, mette il ramo obliquo, al 60.° circa di inclinazione diretta sul margine posteriore dell’ala. Le zampe sono più lunghe del doppio dell'addome, che è prov- visto di ovipositore aghiforme, completamente retrattile e, a se- conda della contrazione addominale, corrispondente dai °/, alla in- tera lunghezza dell’addome o quasi. Si spiega così come le uova possano essere situate dall’insetto direttamente nell’interno dei frutti, scegliendo in questi le posi- zioni corrispondenti alle ramificazioni della placenta di sopra indicate. Seguendo 1° insetto nella primavera, nell’ estate e nell’ antunno del 1912 al 1915, a Serranova di Carovigno, abbiamo potuto ve- dere, nel fatto, che questo moscerino, dopo gli usuali accoppia- menzi, che non di rado han luogo sugli stessi grappoli numerosi di Carube, passeggia lentamente sui lomenti preferiti, si ferma tratto tratto e vi infigge la trivella, che affonda fin quasi alla base, nel frutto sottostante; sul quale, in questa manovra, l’insetto poggia con una specie di estroflessione addominale sfinteriforme, posta in mezzo alle appendici della terminazione dell’ addome, e corrispondente alla guaina o sacca, nella quale la trivella si vede contenuta. Dopo la sommaria esposizione di questi fatti non occorre in- trattenersi più oltre sulla importanza economica della specie. Ba- sterà aggiungere che essa è dal 1904 soltanto che è apparsa come nociva in Puglia, quando ci furono spedite in esame le piccolis- 292 GIACOMO DEL GUERCIO sime Carube, che si denunziavano come danneggiate in gran nu- mero dalla larva dell’insetto descritto. La quantità dei frutti che vengono da esso stremenziti varia notevolmente secondo le annate; ma noi nel 1912 ne abbiamo notate più del 50 al 60 °/, secondo le località, in Provincia di Lecce, e questo concorda pienamente con le notizie dei grandi danni an- nunziatici nel 1904 dalla Provincia di Bari. Quanto ora alla difesa, essa, per noi, si impernia, per il mo- mento, intorno alla raccolta delle piccolissime Carube stremenzite e deformate. E ciò devesi fare possibilmente alla fine dell’ estate poco prima della raccolta, per utilizzare i frutticini infetti, dopo averli passati rapidamente al forno o all’acqua bollente, allo scopo di impedire che da essi escano le pupe ed i Moscerini, poi, che provvederebbero alla conservazione della specie. Sono superflue le raccomandazioni dirette a dimostrare la im- portanza e la necessità di estendere la difesa a larghe zone, per avere ragione più stabile, contro l’insetto, e pace più lunga per il raccolto delle piante. Si vedrà in seguito se sarà possibile di combattere insieme Ce- cidomide ed Oidio, quando una infezione e l’altra si manifestas- sero contemporaneamente ai danni del Carrubo. Dalla R. Stazione di Entomologia agraria di Firenze Ottobre 1913. Gli estratti di questa Nota furono pubblicati il 23 Febbraio 1914. G. DEL GuERCIO IL PARASSITA DEL RINCHITE DELL’ OLIVO La grande saltuarietà, nelle apparizioni più o meno abbondanti, del Rinchite dell'Olivo, in Puglia, ed i danni, che, dalle dimostra- zioni dell’ insetto derivano, sono almeno per una parte collegati alla presenza di un potente nemico del Coleottero, di cui nessuno aveva avuto e dato notizia fin ora. Noi abbiamo notato fino dal 1911 questo parassita del Rinchite e lo abbiamo seguito fin d’allora nell’ insetto, che è investito parti- colarmente nel suo stato di larva, osservandolo in allevamenti di laboratorio e di campo, in recipienti diversi, dentro e fuori terra, sopra molte centinaia di larve, per assicurarci sulla reale natura dei rapporti fra le due specie antagonistiche e sulla importanza del danno, che nello stato naturale delle cose ne poteva derivare per il Rinchite. Ed in queste nostre ricerche abbiamo potuto constatare che talvolta, in condizioni, che sono ancora da ben definire, le larve del temibile Coleottero si trovano quasi comple- tamente devastate. Il nemico in discorso del Rinchite dell’Olivo è un minuscolo verme nematode dell’ apparente natura dei Rabditi, che ancora non abbiamo avuto tempo di identificare, il quale investe le larve dell’insetto, mano a mano che queste lasciano le olive e si appro- fondano nel terreno; nel quale le cerca fino a che le trova. Una volta che le ha rinvenute penetra nel loro corpo, vi cresce rego- larmente e vi si moltiplica senza abbandonare la vittima, che per tal guisa doventa un vero ricettacolo di vermi e un focolaio 254 GIACOMO DEL GUERCIO di infezione molto importante per la perdizione delle larve del Rinchite, che vi fossero ancora sane d’ intorno. Le larve infette non perdono, in principio, i loro movimenti, ma poi si immobilizzano e muoiono. E allora, continuando a tenere d'occhio queste larve, 1’ osservatore ad un certo momento può vedere che il loro corpo si va mano a mano ricoprendo come di un feltro sempre più denso di fili bianchi, che alla lente e, più che a questa, al microscopio si appalesano corrispondere ai piccoli vermi, dalle cui uova derivano giovani vermiciattoli in quantità straordinariamente grande, che, irradiando all’intorno, mettono fine alle altre larve del Rinchite, sfuggite alle generazioni verminose precedenti. Ed è così che vengono a mancare, spesso, le apparizioni continue dell’ insetto, che per contrario, nelle annate in cui sfugge al suo nemico, appare numeroso e rovina il raccolto delle olive. Diremo in seguito dei rapporti che questo verme ha pure con gli altri insetti dell’Olivo e di altre piante spontanee e coltivate, , rimandando il tutto al compimento delle nuove e più larghe ri- cerche in corso e da fare, per vedere ciò che si potrà tentare per diffonderlo e porre argine, pur con esso, ad uno dei più temibili nemici delle olive. Dall’oliveta sperimentale di Serranova (Carovigno) Ottobre 1913. Gli estratti di questa Nota furono pubblicati il 28 Febbraio 1914. ANTONIO BERLESE Direttore della R. Stazione di Entomologia Agraria Via Romana, 19 — Firenze DIASPIS PENTAGONA Targ. e PROSPALTELLA BERLESEI How. NEL VENETO, ALLA FINE DEL 1913 Ho chiuso di questi giorni una lunga peregrinazione traverso alcune provincie del Veneto, ove da più tempo e più attiva si è svolta l’opera di diffusione della Prospaltella berlesei e quindi più larga e più efficace si manifesta l utile azione di questo insetto a danno della Diaspis pentagona. In tali provincie lo sviluppo della Cocciniglia è stato, nei cor- rente 19153, per verità grave e così intenso da determinare la morte di moltissimi gelsi giovani e danneggiare assai anche piante più robuste e più vecchie, ben inteso là dove la Prospaltella non er: ancora giunta alla difesa dei vegetali. Questa deplorevole condizione fatta ai gelsi nel corrente anno, ha però avuto, come tutte le cose, per quanto pessime, anche un lato buono, che va ricordato a scemare il rammarico di detto danno. Anzitutto questo subitaneo e generalmente inatteso ringagliar- dimento della disastrosa Cocciniglia, anche in quelle regioni ove fino ad ora essa erasi mostrata quasi non soverchiamente temi- bile, ha persuaso finalmente tutti gli agricoltori che si tratta, in realtà, non di una amplificazione o di una esagerazione creata dalla fantasia o da sottigliezza dottrinaria di gente che vive fuori della realtà delle cose, ma di un pericolo reale e dei più temi- « Redia r, 1913. 16 256 ANTONIO BERLESE bili per la gelsicultura e perciò chi desideri la salute ed il mag- gior reddito dai propri gelsi deve sul serio porgere orecchio ai consigli intesi a limitare i malefici della Diaspis. Questi poi sono stati accompagnati, quest'anno, da altre cause avverse alla sanità ed alla buona produzione del gelso, princi. palmente da una primavera ed estate molto umide e piovose nel Veneto e punto calde, così che la gettata dell’anno è riescita scarsissima, la foglia piccola e spesso offesa da mieromiceti, ed il gelso stesso, in più luoghi ha subìto gravi ingiurie dal mar- ciume delle radici, che ha condotto fino alla morte parecchie piante annose. Ma, ritornando alla Diaspis, un altro e più notevole vantaggio dalla sua intensa moltiplicazione sì è avuto per ciò che così anche il suo endofago, cioè la Prospaltella, ha potuto svolgere tutta la sua enorme facoltà riproduttiva, la quale, nei decorsi anni è stata ridotta ad una misura minima, soprattutto dalla scarsa infezione diaspidica. Questa potrebbe sembrare una assai magra consolazione, se non addirittura un modo di argomentare abbastanza risibile, come chi dicesse utile un qualsiasi malanno pel piacere di rilevare le buone doti del rimedio. Non bisogna però argomentare così. Il ragionamento va impostato diversamente ; ed ecco come: la Prospaltella deve essere diffusa universalmente e quanto più sol lecita è la sua dispersione, tanto più pronta sarà la scomparsa (agraria) della Cocciniglia nociva. Ora la migrazione autonoma o coadiuvata artificialmente sem- pre suppone la anteriore presenza dell’ospite, cioè della Diaspis. Si comprende che qualora la Cocciniglia si manifesti scarsa e saltuaria nella regione, anche scarso e saltuario sarà 1 inter- vento della Prospaltella, la quale così solo con molta pena e tempo si distribuirà su ogni pianta. Intanto però moltissimi indi- vidui dell’ utile insetto vanno a perire nei loro viaggi per rintrac- ciare lo scarso lontano ospite, nè si può svolgere secondo la facoltà naturale tutta l’enorme fecondità dell’endofago. In tali condizioni, quando non soccorra l’opera diligente e, fino ad un certo limite, anche illuminata dell’agricoltore la Prospaltella coi soli suoi mezzi guadagna poco terreno. Ma allorquando, invece, « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 237 per uniforme e larga infezione diaspidica l’endofago non trova limiti alla sua prolificità, nè troppo deve spostarsi per fondare nuove colonie della sua specie, in tale caso è tolta via la neces- sità del concorso umano ad una generale diffusione della vespetta e questa fa benissimo da sè, incredibilmente bene, più presto e meglio che con aiuti non sempre opportuni. Adunque una generale ed intensa infezione diaspidica importa anche una altrettanto generale ed intensa distribuzione della ve- spetta, purchè, ben inteso sieno già presenti dei centri di prospal- tizzazione abbastanza equamente disseminati nella regione. L'esempio di ciò che è accaduto, nel presente anno, in regioni del Veneto fortemente inquinate da. Diaspis è dei più dimostra- tivi per questa tesi ed io lo proverò, volta a volta, nel corso della presente nota. Un terzo vantaggio derivato dalla più vivace moltiplicazione della Diaspis nel Veneto, nel corso del 19153, si è quello appunto del possibile e persnasivo confronto fra le località, che da tempo sufficiente hanno goduto del vantaggio della Prospaltella e le altre, le quali solo più tardivamente od anche, nel peggior caso, sol- tanto nella primavera del 1913 hanno ricevuto il benefico insetto. Tale paragone è ottimo per confortare altrui a sobbarearsi a così tenue fatica, quale è quella di procurarsi un pezzetto di gelso prospaltizzato e legarlo ai rami, come pure per persuadere gli ul- timi inereduli. Per conoscere le condizioni della Diaspis e del suo endofago nelle provincie del Veneto in cui ho potuto, in quest'anno, mercè la munificenza del nostro Ministero d’agricoltura, studiare più attentamente e con ogni comodità Vandamento della guerra fra questi due insetti, conviene richiamarsi alla storia della diftusione dell’endofago nelle diverse annate. Tale storia si desume dagli scritti di parecchie egregie persone, che hanno efficacemente collaborato a disseminare la Prospaltella, come pure dalle mie precedenti memorie ed a quegli scritti ed a queste rimanderò il lettore volta a volta. Ecco il quadro che se ne può desumere : 298 ANTONIO BERLESE Numero dei pezzi prospaltizzati PROVINCIA e COMUNE Ricevente ricevuti ed in quale anno 1909 1910 1911 BELLUNO, . . . . . .|{ Cattedra ambul. ‘agrie. - — 85 Feltre... ... . .|| Cattedra ambul. agric. — — 50 Totalet: Mi ardr = = 135 PapDOVA . . . . . . .| Cattedra ambul. agric. -- 20 50 Brusegana . . . . .| R. Scuola agricoltura . — 5 — Cittadella . . . . .| Consorzio agrario . . — _ 50 Este... .... . .| Cattedra ambul. agric. — 15 50 TALES TER — 40 150 RovIGo . . ... . . .| Cattedra ambul. agric. = 5 4l DOLO! CRESROAT = 5 41 SERENI S OTIS AI UTO == alcuni es. vivi 66 200 FAT D IN ARS SA MISTO SN 2188 One = —_ 10 Asolo fs ce te ICOINIZIO N ILTATIO? (ee — —_ 20 Campocroce . . . .| Cav. Motta . . . .. = 5 _ Castel di Godego . .| Municipio . . . == = 50 Conegliano . . . .| R. Scuola di vitie. ‘enol. — = 200 Valdobbiadene . . .| Notaio Cav. Arrigoni . = 2 = VAttorio Nei SOR ICLVERMOZZIA _ 3 _ Totale: 000. — 76 450 UDINE MN .| Cattedra ambul. agrie. = 87 587 Castions di Strada .| Sindaco . . . Qi aND = 5 _ Cividale. ... . «+ .| Cattedra opa agric. | aleuni es. vivi = 100 Codroipo.-. . . . .| On.'Conte Rota .. . — 1 _ Fagagna. . . . . .| R. Osservat. bacologico _ — 10 Latisana. . . . . .| Cattedra ambul. agrie. | alcuni es. vivi 50 70 Manzano nere e Gircolofagricolo a 1 = —_ Morteliano . . . . .| Segretario comunale . = 3 —_ Passariano.. . < . .| Conti Manin. . . . . — 2 _ Pordenone . . . Circolo agricolo . . — 60 100 Fiume di Pordenone Catt. S. Vito alla ug. alcuni es. vivi —_ —_ Pozzuolo . . . . .| R.Scuola prat. di agrie. _ 15 — Sacile. - +» | Circolotagricolo: —_ = 50 S. Daniele. . . . .| Comizio agrario. . . . — 20 _ S. Giovanni Manzano | Circolo agricolo . . . _ 50 S. Vito al Tagliam. | Cattedra ambul. agrie. — 35 100 Spilimbergo . . . .| Cattedra ambul. agrie. — 45 100 Tolmezzo ». . ... .| Cattedra ambul. agric. _ — 20 Lotaletroeo0 _ 373 1137 sd RR DITO, « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 2 39 ricevuti ed in quale anno Numero dei pezzi prospaltizzati PROVINCIA e COMUNE Ricevente 1909 1910 1911 VENEZIA Cattedra ambul. agrie. —_ 20 100 Mira Cav. Rocca gta — 3 — Portogruaro Cattedra ambul. agrie. == 20 100 S. Donà di Piave Sindacato agricolo — 10 20 Totale . — 55 220 VERONA SSR 000. Cattedra ambul. agrie. 1 68 130 Cologna Veneta Conte Arrivabene — —_ 50 Legnago . Cattedra ambul. agrie. = 45 100 Totale . — 113 280 VICENZA . Cattedra ambul. agrie. — 45 90 Bassano . Comizio agrario alcuni es. vivi 29 180 Lonigo Cattedra ambul. agrie. _ 41 100 Thiene Ciscato e Cerato . Il 4 50 ‘otale . = 119 420 Sommando le cifre dei pezzi prospaltizzati rieevuti dalle diverse provincie negli anni 1910, 1911, che sono quei pezzi dei quali oggi, dopo due o tre anni, si vede tutto l’effetto, si rileva che, provincie del Veneto quanto a ricchezza prospaltica sono disposte nel seguente ordine : TEU dine 2.* Treviso 3.* . Vicenza 4.° Verona 5.8. Venezia 6.* Padova 7. Belluno Rovigo SECON Me EN » c » EER AIS Mda)) RR LUO » . . . . » o . . . . » iniziale, le 1510 pezzi (1910, 1911) 556 » » » » » » » » » » » » » » Ora, lo stato delle cose riguardo alla intensità della infezione diaspidica, meno che per le provincie di tovigo e di Belluno ed in parte anche per Padova, nelle quali regioni la Diaspis non è ancora troppo largamente diffusa, dimostra, nel modo più certo 240 ANTONIO BERLESE ed evidente, che tale intensità di infezione è oggi inversamente proporzionale al numero dei pezzi prospaltizzati ricevuti negli anni 1910, 1911 e cioè che essa è minore nelle provincie che hanno avuto maggior numero di pezzi nelle dette epoche, a cominciare da Udine, nel eni territorio ormai la Diaspis si può affermare pressochè dovunque agrariamente scomparsa. Questo è quanto ho potuto riconoscere io pure nelle molte escur- sioni eseguite nel Veneto dal 1910 fino ad oggi e presentemente ognuno può vedere chiarissimamente. Nelle peregrinazioni di questo autunno ho riconosciuto inoltre che quanto su più larga scala avviene e più sopra è esposto ri- guardo alle differenti condizioni di infezione diaspidica in grazia della diffusione della prospaltella, nelle singole provincie, accade ancora e molto più agevolmente anche si rileva nei contronti fra Comune e Comune e per estensioni anco minori. Adunque ormai non più per un gelso o per piccolo gruppo di gelsi si può avere la prova degli effetti utili della Prospaltella, ma per zone estesissime e per intere provincie ed è cosa da ritenersi per sicura che, in un avvenire molto prossimo, tutto il Veneto sarà liberato per sempre dall’ ineubo e dal danno della Diaspis pentagona. Ho voluto accertarmi di tutto ciò per poter, anche più sicura- mente di quanto vo facendo già da due anni almeno, affermare la bontà del metodo di distruzione della Diaspîs mercè il suo endo- fago e per poter, senza il minimo serupolo, raccomandare ai gelsi- cultori l'abbandono dei mezzi artificiali di lotta e impiego esclu- sivo e sollecito della Prospaltella. A tale effetto le escursioni si sono intensificate in regione ove nel corrente anno, come ho detto, gravissima è la infezione di Diaspis, nè più ormai potevano aver luogo certi dubbi (i quali però non mi sono mai appartenuti) che le condizioni ottime di gel- seti difesi da due anni dalla Prospaltella, dipendessero non dall’ef- fetto di questo endofago ma, almeno in gran parte, da circostanze diverse di ambiente, quelle stesse che avevano determinato la scar- sità dell'incremento della Diaspis negli anni 1911, 1912, sia pure non generalmente. Il dubbio poteva essere accolto da chi non avesse avuto occa- « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 241 .sione di seguire passo passo l'andamento di tutta l’opera dell’en- dofago e della conseguente ritirata graduale della Cocciniglia, ma non occupava minimamente invece nè il coltivatore, che sul campo giudica e vede meglio d’ogni altro e per la quotidiana considera- zione delle sue piante non si inganna certo in consimili giudizi, nè apparteneva allo sperimentatore, che aveva tenuto continna- mente d’occhio le diverse fasi della prova. Ecco perchè non si trova agricoltore, sia pure il più modesto villico, nè tecnico, fra quelli che sono più di frequente sul campo, il quale, veduta l’opera della Prospaltella da un biennio, non aseriva totalmente e senza il minimo dubbio all’endofago lo stato eccellente delle piante e la scomparsa agraria della Diaspis. E questo è un generale plebi- scito, senza la minima dissonanza e, diciamolo pure, con rarissimi altri esempi, se pur ve ne sono, di consonanza perfetta nei giu- dizi intorno a cose pertinenti all’agricoltura. Le provincie, nelle quali ho praticato le escursioni nel corrente anno sono quelle di Treviso, Udine, Vicenza, Padova e Venezia e mi sono limitato a queste, desiderando piuttosto veder bene e con tutta pace, anzichè molto più lungamente, ma con più fretta, Del resto non si trattava nel corrente anno di procedere, come nei precedenti, a constatazione di attecchimenti od a misurare l'estensione dei centri prospaltizzati, il che ormai fanno benissimo anche gli stessi agricoltori; si trattava di tutt'altro. Infatti si ve- drà che le provincie da me visitate più largamente, cioè Treviso ed Udine, possono essere considerate ormai come completamente prospaltizzate, anzi la seconda è già liberata dalla Diaspis, e per le altre io ho soio voluto studiare gli effetti della Prospaltella in centri ormai vecchi di sua disseminazione. Ho così raccolto anche molte osservazioni, che mi sembrano utili per la storia naturale agraria della Diaspis e dell’ endofago e sopratutto per trarre il massimo profitto dall’ opera di questo ultimo ai danni dell’altra. Queste sono le ragioni della presente nota. La provincia di Treviso ricevette rami prospaltizzati solo nel 1910 e ne furono fatti per opera di quella Cattedra ambulante di 342 ANTONIO BERLESE Agricoltura i centri Campocroce (Cav. Motta) presso Mogliano Ve- neto; S. Lazzaro presso Treviso (Sehnideritsch) e Ponzano (Com- mend. Giacomelli). Inoltre nello stesso anno si istituirono le dis- seminazioni a Valdobbiadene (Dott. Arrigoni) ed a Vittorio Veneto (Cav. Mozzi). Conegliano non trasse vantaggio dai 200 pezzi che furono in- viati a quella R. Scuola nel 1911 e ciò si deve alla persona a cui furono affidati, di guisa che, solo colla opera attiva del Prof. Jelmoni, Direttore di quella sezione di Cattedra ambulante, Conegliano inizia, nel 1912, una larga diffusione di Prospaltella. Nello stesso anno anche la Cattedra ambulante di Oderzo pratica la disseminazione estesa dell’endofago ed infine, nel 1918, gli egregi direttori delle Cattedre ambulanti di Castelfraneo-Asolo e di Mon- tebelluna dànno la loro opera a° distribuire la Prospaltella nella Joro giurisdizione. Ma già Castel di Godego ed Asolo (Cattedra di Castelfranco) nel 1911 avevano avuto direttamente dalla R. Sta- zione di Firenze disereta quantità di buon materiale e Valdobbia- dene (Cattedra Montebelluna) già dal 1910 godeva della prospal- tizzazione fatta dal Chiar. Dott. Arrigoni in quella ridente plaga. Di ciò che è avvenuto a Fregona presso Vittorio, in seguito alla disseminazione colà fatta per opera del benemerito Cav. Mozzi, ho brevemente accennato altra volta (Come progredisce la Prospaltella berlesei in Italia 3 « Redia », vol. VII, fasc. 2, 1911, pag. 447, 448 e Stato attuale della lotta contro la Diaspis pentagona in Italia; « Bull. mensile di informazioni agrarie e di Patologia vegetale », Istituto internaz. di Agricolt., anno IV, n.° 5, Maggio 1913, pag. 6). I tre o quattro pezzetti inviati nella primavera del 1910 furono messi uno su un gelso del sig. Michelangelo Troyer ed altri tre molto piccoli, su un gelso giovane dei sigg. Scarabel, poco più oltre la chiesa di Fregona, mentre il gelso del sig. Troyer è nel cortile della villa, certo almeno trecento metri prima della chiesa. Nel settembre del 1910 la Prospaltella era già diffusa per qualche centinaio di metri attorno ai due gelsi. Quello del sig. Troyer aveva tuttavia la ramaglia coperta di Diaspis molto inquinata e quello piccolo degli Scarabel, senza rami, tutto intensamente coperto di grossa crosta di Diaspis mostrava di essere morto ; fu « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 245 lasciato in posto a memoria del centro di diffusione, essendosi con- statato il buon attecchimento della Prospaltella. Fregona fu il paese di dove la Diaspis apparve primamente a minacciare un centro gelsicolo e bacologico così importante come è Vittorio, secondo solo ad Ascoli-Piceno per la produzione italiana Fig. 1. — Il gelso del Sig. Michelangelo Troyer, che ha disseminato la Prospaltella a tutta Fregona. La ramaglia è di un anno soltanto, fotogr. nel 1912. del seme-bachi. Si comprende che al primo allarme la guerra alla Diaspis fu praticata coi mezzi più radicali, cioè senza più colla estirpazione ed immediato bruciamento sul posto delle piante. Altri fece ricorso a forti dosi di insetticidi, che condussero a ro- vina i gelsi. La Prospaltella giunse a Fregona nell’ora dello sco- raggiamento, allorchè si riconobbe che questi così feroci mezzi di lotta non avevano minimamente trattenuto la Cocciniglia nella sua costante diffusione. Oggi Fregona è salva ed immune. Quando io visitai ripetuta- 244 ANTONIO BERLESE mente il paese nel decorso anno riconobbi che la Diaspis era scom- parsa dal gelso del sig. Troyer, che, da morente che era, si mo- strava rigogliosissimo (fig. 1), e pulito, dopo aver dato tutta la sua ramaglia a diffondere Vendofago attorno e nei paesi vicini. La fotografia ne dimostra lo stato eccellente già nel 1912. Quanto al gelso degli Scarabel esso fece vedere cosa mirabile ; 9) 2 lo trovammo aver emesso un vigorosissimo getto (figg. 2, 3) a circa Fig. 2. — Il piccolo gelso dei Sigg. Scarabel a Fregona, prospaltizzato nel 1910, ritenuto morto e che poi ha fatto nel 1912 il bellissimo getto. (Fig. 3). tre quarti della sua altezza ed il tratto oltre il getto era morto e tuttavia coperto dalle incrostazioni di Diaspis, ma il tronco sot- tostante erasi completamente liberato dalla Cocciniglia (fig. 3). Intanto la Prospaltella, movendo da questi due primi centri, aveva ormai distrutta la Diaspis per parecchie centinaia di metri attorno e si era spinta al nord sino al paese di Osigo, sulla via « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 245 del Cansiglio ed al sud fino alla via Anzano-Cappella, il che vuol dire che aveva invaso una superficie di circa 36 chil. quadrati. In tutta questa zona la Diaspis sì trovava ancora, ma a con- tatto col suo endofago, su molte piante però tuttavia abbondan- tissima, come ad es. si vide e molti riconobbero, su una bassa Fig. 3. — Il getto del 1912 del gelso a fig. precedente, più ingrandito. siepe all’ inizio della salita, cioè a circa 3 chil. in linea retta dal centro di diftusione più vicino. Lo sprone, che dalle colline ad oriente di Vittorio si protende fino ad Anzano e separa la valle di Vittorio da quella di Fregona— Cappella, fu la barriera che si interpose, sino a tutto il 1912, alla diftusione dell’endofago nella vallata di Vittorio, pur raggiungen- done l’estrema punta, giacchè io trovai la Diaspis inquinata pro- prio alle prime case di Anzano. Le parecchie visite che io feci in questo autunno a questo bel 246 ANTONIO BERLESE centro prospaltico, mi mostrarono quanto segue: Anzitutto Vannata è decorsa anche in questa parte del Veneto straordinariamente favo- revole alla Diaspis, inquantochè tutti i gelsi e le Brussonezie di Vittorio (figg. 5, 6) e di tutta la zona pedemontana sono inquina- tissimi per parte della Cocciniglia ; aleuni addirittura bianchi, quasi che fossero stati coperti di calce. Basta gettare uno sguardo su aleuni esemplari da me riprodotti in fotografia, sia piante grandi assai, come siepi basse di gelsi, per convenire su ciò. Orbene, mentre un così inerescioso spettacolo si aveva dovun- que sotto gli occhi a Vittorio (temperata tuttavia una così spia- cevole impressione dal saper largamente prospaltizzata tutta quella cocciniglia), non appena girata 1 estrema punta dello sprone ed entrati nella vallata inverso Sacile, si mostravano gelsi mondati delle candide incrostazioni. Ma la distruzione completa della cocciniglia, caduta ormai di sulle piante, così che queste ne sono libere affatto e mostrano il tronco ed i rami così ben detersi come se fossero stati da poco tempo artificialmente dilavati e puliti, si comincia a vedere già ad almeno quattro chilometri in linea retta dai centri di prospaltiz- zazione di Fregona e nei dintorni di questi poi, il trovare esem- plari di Diaspis sulle piante è lavoro da entomologo più che da agricoltore. Mondo d’ ogni cocciniglia è il bellissimo gelso (fig. 4), che fron- teggia Vosteria presso la chiesa e che si voleva abbattere, tanto era ormai condotto a mal partito dalla Diaspis, mondi affatto sono i gelsi circostanti, le siepi per lo innanzi biancheggianti e devastate, ora vegete e floride, sebbene con non pochi intervalli lasciati qua là dalle piante uccise antecedentemente dalla Diaspis. Questo stato di cose si estende fino agli ultimi gelsi sulla via del Cansiglio. Così è finita la cocciniglia nella regione di dove si era mossa a minae- ciare il secondo centro bacologico d’ Italia. In quella zona ho visitato tutto il territorio compreso tra le vie Conegliano—-Vittorio, Conegliano-Udine ed i limiti della provincia di Treviso, il qual tratto comprende parecchi paesi come Sar- mede, Cappella, Colle Umberto, S. Fior, Godega, Orsago e dovun- que ho trovato i gelsi prospaltizzati, senza eccezione di sorta, poi- chè, oltre alla diffusione spontanea, grandissima specialmente in « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 247 questo anno pel forte sviluppo della Diaspis, è intervenuta l’opera efficacissima della Cattedra ambulante di Conegliano e di presso- chè tutti i possidenti e coloni, a recare intorno il benefico ime- nottero. Procedendo ad occidente di Vittorio, nella meravigliosa valle che alle falde dei monti raggiunge il Piave a Valdobbiadene, si oltre- passano i paesi di Tarzo, Revine, Lago e Cison di Valmarino ed Fig. 4. —Il bel gelso grandissimo presso la chiesa di Fregona, dapprima quasi morto per la Diaspis, ora completamente liberatone per opera della Prospaltella. in questi (meno che a Cison) la Prospaltella è stata introdotta quest'anno. Ma a Cison le prospaltizzazioni, che sono opera della solerte Amministrazione dei Conti Brandolin, datano dal 1912 e nelle vicinanze di Vittorio (Longhere) la Prospaltella, diffusavi dal- l infaticabile Cav. Mozzi, si trova già dal 1911. Così abbiamo, di fronte ad un alto grado di infezione diaspi- dica, una diversa misura di prospaltizzazione, che raggiunge una percentuale molto alta e più o meno vicina al 100 °/ sui gelsi su cui la vespetta arrivò nel 1911 e bassa invece sulla zona compresa fra i due limiti di Cison e di Vittorio perchè quivi, solo nel pas- sato anno, la Diaspis richiamò l’attenzione dei gelsicultori, che ap- 248 ANTONIO BERLESE pena nel marzo del 1913 fecero ricorso all’ausiliario, anzi questo non è stato ancora portato abbondantemente a Lago, ma io ve lo lo pur trovato dovunque. Cison, come centro più vecchio, ha diffuso 1 endofago sponta- neamente anche più ad occaso, nella zona di influenza della Cat- tedra di Montebelluna (Cison appartiene alla Cattedra di Cone- Fig. 5. — Le Brussonetia lungo la ferrovia Conegliano-Vittorio a circa 500 metri da quest’ ultima stazione. Sembrano incalcinate uniforme- mente per uno strato spesso e continuo di Diaspîs (Novembre 1913). i nella via della Prospaltella solo gliano-Vittorio), la quale, mes nel corrente anno, non ha diffuso ancora 1 endofago in tutta la sna zona, ma a ciò attende ora con molto zelo il nuovo titolare. Chi, come ho fatto io, procede esplorando lo stato di intensità prospaltica, si avvede subito d’essere penetrato in altro ambiente, non appena tocca Miane, perchè solo nel 19153 ed in pochissima quantità vi fu portata la vespetta ed i gelsi sono incredibilmente coperti di Diaspis. Eppure io ho pur trovato, con fatica, qualche individuo prospaltizzato lungo la strada. Così debbo ammettere che « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 249 il piecolo imenottero ha trovato modo di sorpassare una distanza, in linea retta, di almeno sei chilometri dai centri prospaltizzati più vicini! Questo serva per misura di ciò che può fare la vespetta anche senza il concorso deliberato dell’ uomo alla sua diffusione. Altra volta mi sono recato per la via pedemontana più meridio- nale, che passa per Pieve di Soligo, Sernaglia, Moriago ed a Vidor raggiunge il Piave. Fig. 6. — Il tronco della Brussonetia a fig. 5. La Diaspis è uniformemente distribuita fino da terra e così intensamente che il tronco, come purei rami, sembrano dipinti colla calce. Questi sono paesi dove la Diaspis vi è insediata con tale inten- sità, quale è difficile vedere altrove ed anche quivi la Prospaltella vi è giunta o per sua virtù od aiutata, ma solo nel corrente anno, contuttociò essa è presente dovunque, nè ho trovato gelso che non ne fosse inquinato. Tra questa così intensa infezione della Cocciniglia si giunge a Valdobbiadene. 250 ANTONIO BERLESE Quivi è un vecchio centro di prospaltizzazione, che data dal 910, nel quale anno, dietro richiesta, mandai due pezzetti da Vanzago al Chiar. Dott. Arrigoni, notaio, dovunque conosciuto nell’ alto veneto. Tutti i gelsi della sua proprietà e delle vicine sono completa- mente liberi dalla Diaspis e ciò fino dal decorso anno. Ho veduto Fig. 7. — Il gelso, che ha disseminato la Prospaltella a Valdobbiabene. Accanto si vede il Sig. D.r Arrigoni, che per primo colà diffuse l’imenottero (Nov. 1918). e fotografato il bel gelso (fig. 7), sul quale fu primamente posto l endofago. Essendo ormai in Novembre le foglie erano cadute, ma i rami vigorosi mostravano l'epidermide assolutamente pulita e monda, come se fossero stati di fresco ripassati colle spazzole, mentre non furono mai toccati in alcuna guisa. Qualche traccia di Diaspis ormai morta e secca ho pur trovata, per quanto raramente, sulla ramaglia d’altri gelsi del podere, sui « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 201 quali Vegregio proprietario ha pur voluto esercitare insieme anche la spazzola, a soccorso (come egli credette) della Prospaltellu. L'effetto di questa combinazione, che non esito a qualificare de- testabile, è sempre disastroso, ed in questo caso, pur permettendo ai gelsi di liberarsi della cocciniglia, ha però impedito una molto più larga diffusione dell’ endofago. che, altrimenti, lasciato tran- quillo, ora avrebbe ripulito da Diaspis i gelsi di tutto il paese ed oltre. Questo minore effetto nei casi di tale malconsigliato connubio del metodo naturale con qualcuno degli artificiali finora proposti mi si è reso evidente anche altrove, dovunque esso è stato pra- ticato. Le cose mutano tosto non appena si abbandona Valdobbiadene. Così scendendo verso Montebelluna i gelsi si vedono tutti abbon- dantemente carichi di Diaspis, sebbene non manchi traccia della Prospaltella, che certo è arrivata colà solo nel corrente anno. Eguali condizioni si manifestano tutto attorno al Montello, seb- bene la infezione diaspidica appaia minore, forse per la vicinanza dei vecchi grandi centri prospaltici di Ponzano e paesi vicini. Siamo infatti nella zona che spetta alla Cattedra ambulante di Treviso, della quale dirò tosto. Intanto, per finire con quella pertinente alla Cattedra Conegliano— Vittorio, dirò che a Susegana, nelle tenute dei Conti Collalto, ho potuto vedere effetto di prospaltizzazioni del 1911, in gelseto nano e specializzato. Questo gelseto, per ciò che mi hanno assicurato le egregie per- sone, che sono a capo di così grande azienda, è stato sempre l’og- getto delle cure più assidue per liberarlo dalla cocciniglia ed il teatro della più severa lotta contro il parassita. Non vi ha pro- posta antidiaspica che non sia stata messa in pratica col massimo scrupolo, secondo i consigli, e con tutta diligenza, fino a spendere una lira circa per pianta, tutto compreso. Orbene, questo gelseto mai fu potuto liberare della Diaspis e quivi appunto, come per la prova del fuoco, fu messa la Prospaltella nel marzo 1911 nè più alcuno dei direttori visitò le piante, dopo un incerto responso sul- l’attecchimento dell’endofago. Allorquando, per mio desiderio, colà ci recammo, nell’ottobre ul- « Redia », 1913. 17 252 ANTONIO BERLESE Le La timo scorso, si vide, con generale meraviglia, che la Diaspis, abban- donata a sè ed alla Prospaltella, era ormai completamente distrutta, non solo sulle due o tre piante di disseminazione, ma in tutto il gelseto e la prova della lotta era mostrata dai residui di coccini- glie parassitizzate da tempo ed abbandonate ormai. In pari tempo si riconobbe che Vendofago era migrato su altre piante, anche a chilometri di distanza. Lo stato poi della infezione, che aumentava grado grado che ci si scostava dal gelseto sud- detto, fino ad essere intensissima a solo qualche centinaio di me- tri, dimostrava, anche una volta, l’effetto utile della vespetta, che dilaga uniformemente all’intorno con notabile rapidità. Adoriente la zona che spetta alla Cattedra ambulante Conegliano— Vittorio confina coll’altra di Oderzo, la quale ba dato opera alla diffusione della Prospaltella, specialmente nel 1912 e 1913, e si spinge sino a Codognè e paesi limitrofi. Quivi, ad Albina, sono dis- seminazioni di /rospaltella, che datano dal 1911, conforme si vede dalla premessa tabella, e di conseguenza là e nei dintorni tutta la Diaspis è distrutta completamente, ma è anche ormai più 0 meno compromessa altrove nelle vicinanze, ove le disseminazioni sono state abbondanti solo nel 1912 e nel corrente anno. In conclusione, per ciò che riguarda il territorio soggetto all’ at- tività della Cattedra ambulante di Agricoltura di Conegliano-Vit- torio, è certo che ormai dovunque è abbondante la Prospaltella e l’effetto ultimo se ne vedrà a breve scadenza, ma a Fregona, ove più antica ormai è Vazione dell’endofago, questo si comporta esat- tamente come dovunque ha potuto agire da almeno due anni, cioè distruggendo completamente la cocciniglia, i cui avanzi sono ormai caduti, così che le piante si mostrano pulitissime e tale effetto non è solo sui gelsi di prima disseminazione, ma per un raggio di chi- lometri attorno a questi. In tutto il rimanente del territorio si ha la distruzione com- pleta della Diaspis, per le disseminazioni del 1911 e del 1912, ma la cocciniglia morta è ancora aderente, in misura varia, alle piante, mentre per tutti gli altri gelsi o piante diaspidofile la prospaltiz- zazione è iniziata nel 1513, ma ha già raggiunto una forte percen- tuale, come difficilmente si osserva dopo soli pochi mesi. Non voglio abbandonare questa regione, della quale ho parlato < DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 209 in primo luogo solo perchè di qui ho iniziato le mie recenti pe- regrinazioni nel Veneto, senza ricordare un fatto degno di rilievo. Lungo la strada provinciale che da Vittorio va a Conegliano, a uno o due chilometri da S. Giacomo si vede, sulla destra, una lun- ghissima siepe di gelsi giovani e nani e quivi la Diaspis è in- tensissima. Non vi trovai che una assai scarsa percentuale di pro- Fig.8. — Un piccolo gelso della siepe, che ha subito in marzo i trattamenti diaspicidi al petrolio ed è stato fotografato in ottobre (Vittorio). spaltizzazione, che non poteva raggiungere l’uno od anche il mezzo per mille. Eppure, con mia meraviglia, il gelso grande di dissemi- nazione era a soli ottanta metri e con una prospaltizzazione di almeno il 60%. In un altro caso prossimo, dal gelso di dissemi- nazione la Prospaltella non era passata che in misura scarsissima ad una siepe molto carica di Diaspis e discosta solo pochi metri. Questo si mostrava l’unico esempio di così insufficiente 0 presso- chè nulla diffusione a distanza da centri così ricchi. La spiega- zione, che io cercai lungamente invano, mi fu offerta dal colono, il quale mi avvertì che, tranne i due gelsi di prima dissemina- La9) 54 ANTONIO BERLESE zione, tutti gli altri del podere, piccoli e grandi, erano stati prima della messa delle foglie, spazzolati diligentemente non solo, ma ancora trattati molto generosamente con petrolio puro. Dall’esame di questa prova risultano adunque due fatti molto degni di ri- lievo. , In primo luogo l’effetto pressochè nullo della cura artificiale ed in prova di ciò reco fotografie (figg. 8, 9), di piante appartenenti Fig. 9. — Come è coperta di Diaspis una pianta della siepe presso Vittorio, curata nel marzo 1913 con petrolio. Fotogr. Ottobre 1918 alla detta siepe. L’ infezione, che si vede così gagliarda, dipende da sole due generazioni di Diaspis (primaverile-estiva ed estiva) e viene di seguito ad una accurata disinfezione artificiale mecca- nica e chimica. Non eredo che le condizioni potrebbero essere più gravi anche se non si fossero praticate simili operazioni. In secondo luogo è evidente che la Prospaltella è stata tenuta lontana dal puzzo di petrolio, oppure uccisa dall’insetticida ad ogni suo tentativo di occupare la pianta. In conclusione, il lavoro di disinfezione suddetto ha ritardato di un anno l’intervento della « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 250 Prospaltella, pur riescendo perfettamente inutile contro la coccini- glia. Assai minor male si sarebbe avuto dalla pratica della sola spazzolatura. La Cattedra ambulante di Castelfranco-A solo ha iniziato, con molta energia, le prospaltizzazioni nel 1913 e quivi pure Vinfezione diaspidica è enorme. Ma nel 1911 già questa R. Stazione aveva spedito al Municipio di Castel di Godego una ventina di pezzi prospaltizzati e più tardi ne aveva constatato l’attecchimento. Questo paese è stato così devastato dalla Diaspis che gli agri- coltori, ormai sfiduciati di tutto, riconoscevano di dovere abbando- nare la cultura del gelso come impossibile di fronte alla Coccini- glia. Veramente, basta recarsi da Castelfranco a Godego per convenire che tale estrema necessità non avrebbe potuto essere evitata. Ma, dopo riconosciuti i primi effetti della Prospaltella, i cuori sì sono riaperti alla speranza, perchè là ove essa è stata posta si vedono i gelsi immuni da Diaspis e con floridissima ve- getazione. D'altronde l’imenottero ha poi provveduto a diffondersi per suo conto ed io lo ho trovato a qualche chilometro in linea retta dai centri di Godego. Ormai in questo paese, così duramente provato, non vi ha più chi dubiti di una imminente liberazione dal terribile flagello. A Castelfranco si può vedere come la Prospaltella sappia prov- vedere a sè, quando non le conviene quello che 1° nomo intende fare in suo aiuto. I locali della Cattedra, che è nel palazzo della Prefettura, hanno vani aperti verso il nord sopra il terrapieno che circonda le anti- che mura del Castello, a sinistra di chi entra dal ponte di tra- montana. Quivi sono molti grossi gelsi inquinatissimi di Diaspiîs ed alcuno anche ne è morto. Le vespette, che. schiudevano dai pezzi, provvisoriamente serbati nei locali della cattedra, sorti- rono dalle finestre e conquistarono subito il gelseto prossimo sud- detto, inquirandolo sino al 50 °/,; ma andarono anche più lungi, sui gelseti accosto alla porta d'occidente. Anche ad Asolo si trovano prospaltizzazioni del 1911 ed io ne vidi sempre coi medesimi caratteristici effetti surricordati di di- struzione totale della Diaspis. Quanto al resto dei gelsi nella zona 256 ANTONIO BERLESE della Cattedra, dovunque li ho ritrovati inquinati dall’endofago in una intensità diaspidica gravissima. Scendiamo ora a Treviso. Quivi le più antiche prospaltizzazioni, come ho detto, datano dal 1910 e sono a Campocroce, a Ponzano ed a S. Lazzaro. Negli anni di poi, il Chiar. Prof. Sacchi Roso- lino, così benemerito anche di questa difesa del gelso, ha rag- giunto ormai la totale prospaltizzazione della zona che spetta alla Cattedra di Treviso. A Campocroce già altra volta ho accennato, non però agli altri centri più vecchi dei dintorni di Treviso. Nella primavera del 1910 furono posti sei pezzi prospaltizzati su altrettanti grandi gelsi di un filare, nelle campagne a nord dello Stabilimento bacologico Motta, a Campocroce presso Mogliano, cioè quasi a mezza strada fra Me- stre e Treviso e quasi al confine tra quest’ultima provincia e quella di Venezia. Nel settembre dello stesso anno si riconobbe un forte attecchimento e si preconizzò la raccolta di nn abbondante mate- riale per l’anno di poi. Nel 1911 infatti cinque di quei gelsi fu- rono potati e tutta la ramaglia usata per diffondere la Prospal- tella ; il sesto rimase a testimonio degli effetti dell’endofago. Le condizioni di quelle campagne, per quanto riguarda la infe- zione diaspidica, erano addirittura disastrose, basti dire che non pochi gelsi, anche grossi, furono divelti e bruciati, come addirittura incurabili. Il Prof. Bolle, che spesso visita quello stabilimento, ebbe occasione di fare aleune fotografie a testimonio del grado di infezione di Diaspis, le quali egli assai gentilmente mi co- munico. In seguito alla diffusione della Prospaltella, già nel 1912 tutto il tenimento del benemerito fu Cav. Motta ed altri terreni, per un raggio di quasi due chilometri, erano completamente liberati dalla Diaspis, coi soliti gelsi nettissimi d’ogni squama di cocciniglia. Lo stesso effetto a puntino si manifestava anche per le siepi basse, pei gelsi nani, per quelli a ceppaia, che erano, per lo in- nanzi, il maggior centro di infezione diaspica. Cominciavano a risentire il beneficio anche i vicini e già la tenuta del Conte Marcello, compresa tra la ferrovia ed il Terra- glio, cioè la grande strada provinciale Mestre-Treviso, era larga- mente prospaltizzata, come io potei riconoscere nella primavera « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 257 del 1913, per quanto però ancora inquinatissima da /iaspis, non ostante le più assidue cure artificiali. La oasi di immunità con centro a Campocroce occupava, nel 1912, una zona di circa un paio di chilometri di raggio, sebbene di quivi con- tinuamente sia stato tolto abbondante materiale prospaltizzato, anzi quanto via via se ne veniva constatando, non solo per provvedere ai molti possedimenti della famiglia, ma anche per distribuirne ad innumerevoli richiedenti, fra i quali non ultima certo questa R. Sta- zione, che dalla somma cortesia della egregia Casa ottenne sempre benevola accoglienza alle forse anche troppo frequenti domande di aiuto. Di qui infatti, tra l’altro, partì nel 1912 l’abbondante ma- teriale, che primamente entrò nell’ Uraguay a combattervi la coc- ciniglia dannosissima colà specialmente ai Peschi. Nel 1912 però, chi avesse voluto sofisticare tirando in campo quelle dubitazioni, che spettano a persona che non ‘abbia segnìto tutto il progresso di distruzione della Diaspis in una data località per opera della Prospaltella, avrebbe potuto, per quanto con gran- dissimo sforzo, attribuire Vimmunità della zona attorno allo sta- bilimento Motta, alla annata di non abbondante iaspis, come in talune regioni del Veneto fu davvero nel 1912, per. quanto non certo in quella località appunto. Ma ogni dubbio non è più sostenibile in aleun modo oggi, in presenza di così intensa infezione diaspidica, la quale è in tutto il suo vigore dovunque nel Veneto, e non certo meno attorno a quella zona di immunità, che ha per centro i primi sei gelsi nella tenuta Motta, prospaltizzati nel 1910, di cui si è detto, ed un raggio di due a tre chilometri. Infatti anche la tenuta Marcello è ormai senza Diaspis e non ve ne ha più traccia se non su un filare di grandi gelsi, lungo il Terraglio, filare troppo soggetto a continue disinfezioni artifi- ciali, come comportava il decoro di una grande azienda, che non volesse mostrare ai numerosi passanti per la grande arteria, evi- denti prove di non sufficiente cura alle piante. Anche tale avanzo ultimo della Diaspis nella tenuta Marcello è però ormai debellato, trattandosi di individui tutti prospaltizzati e di cui appaiono ancora i cadaveri destinati ad abbandonare la pianta solo nel corrente inverno. Così finalmente la Prospaltella 258 ANTONIO BERLESE ha quivi ancora avuto ragione della Diaspis e della inopportuna opera dell’ uomo in aiuto della cocciniglia, più che in suo danno. Ma se si traversava il Terraglio e si penetrava nelle grandi tenute del Chiar. Barone Bianchi, si poteva avere idea giusta della violenza della infezione diaspica nel 1913 e della assoluta inutilità delle cure artificiali, per quanto condotte col massimo serupolo e diligenza. I gelsi sono tutti biancheggianti per infinita Dixspiîs, meno un filare, nel cui centro si trovano due piante già prospaltizzate nel 1912 dall’Egregio sig. Ugo Fabris, agente della Casa Motta, po- tati nel corrente anno, e che spiccano fra tutti per vigorosa chioma, del tutto pulita e per fogliame abbondante e bellissimo. I gelsi del detto filare sono più o meno spogli di Diaspis, quanto minore è la loro distanza dai due suddetti difesi dalla Prospaltella. Qualche altro esempio conforme e con identici resultati si ri- scontra altrove nella vastissima tenuta ed è dovuto all’ opera di vero apostolo della prospaltizzazione esercitata dal sullodato sig. Fa- bris, il quale, partito dalla incredulità, doverosa in chiunque si accinga ad una esperienza, è ora tra i più ferventi e convinti propagandisti di questo metodo naturale di difesa e, dati i resul- tati che egli ha potuto rilevare, non senza fondata ragione. Di tale guisa anche il Chiar. Nob. Ferdinando De Kunkler, che am- ministra e dirige la vastissima azienda del Barone Bianchi suddetta ha ordinato già dalla primavera del corrente anno la generale pro- spaltizzazione di tutti i poderi soggetti alla sua direzione, come P’Iustr. Conte Marcello ha diffuso Penorme quantità di materiale prospaltico ricavato dalla tenuta di Campocroce (e ve n° era per una intera provincia) in tutte le numerose aziende della storica Famiglia, cioè, se non erro, su circa 5000 campi trevisani, pari a 2500 ettari gelsiti. La inefficacia delle cure artificiali è affermata nel modo più ca- tegorico e convincente dal sullodato Sig. De Kunkler. Questi, trasportando nella azienda, che egli dirige, la disciplina, l'ordine ed il metodo caratteristici della stirpe tedesca, aveva già per più anni predisposto squadre, pressochè militarizzate di operai, sia per la vigilanza sulle piante ed immediata segnalazione della Diaspis, nonchè distruzione secondo i più ‘accreditati consigli e Meri « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 259 seguendoli col massimo serupolo e diligenza. L'effetto si riassume nella seguente molto conclusiva confessione, che lo stesso sullodato Sig. De Kunkler ebbe a farmi in occasione della mia visita: — Creda, Professore, che quando non siamo riesciti noi qui a difenderci dalla Diaspis coi mezzi artificiali di lotta finora propo- sti e da noi sperimentati tutti col massimo impegno ed attenzione, non è possibile che altri possa ottenere resultato diverso. Queste stesse frasi ho ricevuto anche da parte dei direttori di un’altra grandissima ed ordinatissima azienda, quale è quella dei Conti Collalto a Susegana, di cui ho detto più su, come ne ho raccolte altrove da molte altre persone e tutte concordano nella inefficacia dei mezzi di difesa finora consigliati, all’infuori del na- turale ed in tale opinione più che mai io pure sono fermamente radicato. Per giudicare adunque dell’etfetto della Prospaltella a Campo- croce è bastato, in questo anno, visitare anche tutti gli altri po- deri attorno, sia verso Mogliano a sud, come verso Preganziol a nord, Zero, Scorzè ecc. ad occidente. Tutta questa zona, che cir- conda così Varea di circa 3 chil. attorno alle prospaltizzazioni del fu Cav. Motta è devastata dalla Diaspis, perchè le prospaltizza- zioni risalgono solo al 1915. Per ciò che riguarda un altro centro di diffusione della Pro- spaltella sino dal 1910, cioè dei gelseti del sig. Schnideritsch a S. Lazzaro, che è presso il Terraglio, a tre chilometri da Treviso, io non ho notizia per visione diretta, ma solo per quanto me ne ri- ferì il Chiar. Prof. Sacchi sopralodato, dal quale ho avuto anche fotografie (fig. 10) di gelsi prima gravemente offesi dalla Diaspis e liberatine già nel 1912. Le notizie però non diversificano affatto dalle consuete relative alle altre prospaltizzazioni di pari età. Ho veduto però Ponzano, ove, nelle vaste tenute del Comm. Gia- comelli, la Prospaltella è stata disseminata dal Chiar. Prof. Sacchi sino dal 1910 ed ora di là è venuto tanto materiale che sono stati prospaltizzati altri 800 campi trevigiani, pari a 400 ‘ettari, con materiale del 1912 e del 1913 nonchè infiniti altri centri disse- minati dovunque nella provincia e fuori. Già nel decorso anno io non avevo trovato più Diaspis sui gelsi di prima prospaltizzazione e sui vicini, ma nel corrente anno la 260 ANTONIO BERLESHE differenza si accentuò maggiormente pel confronto di altre località gelsite non troppo discoste. Anche per questo largo esperimento gli effetti riescono esattamente conformi a quelli consueti ottenuti dovunque; quelle campagne sono oggi in gran parte liberate dalla cocciniglia (meno quelle ove la Prospaltella è stata disseminata nel 1915) in regione ove la Diaspiîs è tuttavia molto intensamente sviluppata. Fig. 10. — Il gelseto del Sig. Schnideritch prospaltizzato nel 1910, liberato dalla Diaspis e fotografato nel 1912 (fot. Prof. Sacchi). Più oltre, per quanto riguarda la storia della diffusione della Prospaltella per opera del sopralodato Prof. Sacchi io non posso discorrere, non avendo che notizie frammentarie e scarse; so però che il Chiar. Professore, a cui Treviso dovrà l'essere liberata dal terribile flagello dei gelsi, mi scriveva già, il 14 del marzo decorso: « sia per le prospaltizzazioni già fatte e pel pieno successo di queste, sia per quelle larghissime che posso fare quest'anno, mi par di non errare prevedendo che fra un paio d’anni nel mio di- stretto non si parlerà più di Diaspis ». « DIASPIS >» E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 261 Di tale opinione sono io pure, giacchè non ho trovato gelso, du- rante le mie lunghe peregrinazioni di questo anno, che non fosse prospaltizzato ed in grado notevole. Ciò valga, del resto, non solo per la provincia di Treviso, ma anche per quelle località delle altre provincie del Veneto che io ho percorso. Questa così forte e generale diffusione dell’ endofago è certa- mente dovuta alla larga ed intelligente opera delle persone ami- che del gelso e della agricoltura in generale, ma si deve anche alla attività stessa della Prospaltella, che, nel corrente anno, si è mostrata gagliardissima, senza precedenti, ed io ne ho raccolto do- vunque numerose testimonianze. Quanto all’azione delle persone di cui sopra, ad es. nella sola provincia di Treviso, secondo i dati che ho raccolti risulterebbe che nella primavera del 19153 sono stati collocati a posto parec- chie migliaia di pezzi prospaltizzati, ed a me sono pervenute le seguenti notizie. Il Prof. Sacchi (Treviso) ha distribuito pezzi N. 13,000 Il Prof. Jelmoni (Conegliano-Vittorio) » >» 2,000 Il Prof. Di Gaddo (Oderzo) » » - 1,000 Il Prof. Torresini (Castelfranco-A solo) » » 100 Il Prof. Carnaroli (Montebel.-Valdob.) » » 200 Il Sig. Zanetti, bacologo (Vittorio) » >» 2,000 Il Sig. Cav. Mozzi, bacol. (Vittorio) » » 2,000 Il Sig. Bidoli, bacol. (Conegliano) » >» 1,500 Azienda bacol. Motta (Campocroce) » >» 3,000 Spediti a vari enti e privati della prov. di Treviso da questa R. Stazione » » 1,100 Totale. 25,900 Se a tale movimento si aggiungono tutti i pezzi disseminati dai singoli proprietari nelle loro terre, conforme gli esempi recati, e rappresentano certo la più grande massa di materiale prospaltico diffuso, e quelli ancora donati o venduti dai possessori di gelsi aventi l’imenottero ecc. si comprende bene come tutto questo aiuto alla naturale diffusibilità della specie abbia condotto al resultato odierno, che è poi quello desiderato, della generale prospaltizza- 262 ANTONIO BERLESE zione della provincia, come oggi si constata e quindi alla certezza che il vaticinio del Prof. Sacchi non è fuori di posto. L'effetto poi della utile vespa contro la detestabile cocciniglia, sempre in provincia di Treviso sia indicato brevemente da quanto il Direttore della Associazione agraria Trevigiana, cioè il Prof. Sac- chi, più volte ricordato colla meritata lode, scriveva, tutto affatto recentemente, cioè in data 16 novembre 1915, nel periodico « La Gazzetta del Contadino », n. 46: « Dopo le esperienze da: me iniziate d’ufficio nel 1909 e conti- nuate nel 1910-1911 sulla lotta contro la Diaspis pentagona me- diante la diffusione della Prospaltella, esperienze da cui già nel 1911 risultava con sicurezza matematica la capacità della Pro- spaltella a soggiogare la Diaspis del gelso, la Cattedra di Treviso fece, negli anni 1912-1913 una notevole distribuzione di Prospal- tella » (1). va Passiamo nella provincia di Udine, la prima in Italia che sia stata liberata dalla Diaspis per opera del suo endofago. Ho avuto altra volta occasione di lodare l’opera efficacissima, che la Cattedra ambulante d’Agricoltura di Udine ha spiegato per pro- pagare ed accreditare la Prospaltella presso i gelsicultori della pro- vincia. Il Chiar. Prof. Gaidoni, che appartiene a quella sede cen- trale, non poteva certo fare di più, nè meglio per ottenere alla locale gelsicoltura tutto il vantaggio che offre la lotta contro la cocciniglia col mezzo del piccolo ausiliario. È vivamente attesa anche da parte della lodata Cattedra di Udine, non meno che da quella più volte sopracitata, col dovuto encomio, di Treviso, una relazione, che esponga la storia della dif- fusione della Prospaltella in quelle regioni e degli effetti che se ne sono ottenuti. (1) Del resto lo stato delle cose in Provincia di Treviso è bene lumeggi: dal seguente telegramma indirizzatomi da quella città testè, in data 17 Di- cembre 1913: « Assemblea Associazione Agraria Trevigiana manda atfettuoso sa- luto a Lei che con alta intelligenza, con fede di apostolo introdusse e diffuse in Italia la Prospaltella salvando la gelsicultura dai danni della Diaspis pen- tagona. — BENZI, Presidente ». « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 265 La divulgazione è del maggior interesse rispetto alla gelsicol tura italiana, per convincere quei pochissimi che non sanno an- cora decidersi ad abbandonare i mezzi di lotta artificiali o li la- sciano con un rammarico non giustificabile. Intanto, per quanto riguarda la zona soggetta all’attività della Cattedra ambulante di agricoltura di S. Vito al Tagliamento, l’egregio titolare, cioè il Ch.®%° Prof. Marchettano, che è stato fra i primi e più attivi diffonditori della Prospaltella ed ora seco stesso può congratularsi della sua sollecitudine, non avendo più a che fare colla Diaspis nella sua giurisdizione, ha pubblicato una suecinta esposizione dell’opera sua e dell’eftetto ottenutone. Così, per quanto riguarda una delle sezioni della Cattedra di Udine, siamo perfettamente edotti e qui si può trascrivere, quasi inte- gralmente tale articolo, che rispecchia benissimo lo stato delle cose (vedi « Coltivatore », del 530 ottobre 1913, p. 366-369; Per la storia della Prospaltella). «I primi esemplari di Prospaltella Berleseì giungevano nel basso Friuli il 18 lu- glio 1909, e venivano collocati su un gelso di proprietà dei signori Conti Pan- ciera di Zoppola, a Marzanis, in territorio di Fiume Veneto, Comune questo da anni tremendamente infetto da Diaspis pentagona, anzi focolare principale dell’ infezione estesasi poi in tutto il mandamento di Pordenone e nei conter- mini di Sacile, S. Vito al Tagliamento e Aviano. Pochi pezzi di ramo di gelso portanti Prospaltella, forse una trentina, veni- vano collocati la successiva primavera (1910). nello stesso Comune ed in altri vicini, dove l’ infezione presentavasi più grave. Nella successiva primavera 1911 il numero di pezzi prospaltizzati collocati a posto fu maggiore, e grandissimo negli anni successivi, quando ai molti, man- dati dalla R. Stazione di Entomologia agraria di Firenze, se ne aggiunsero mi- gliaia e migliaia prodotti in posto e distribuiti dalla Cattedra ambulante o dai privati stessi, in tutti i comuni, e in tutte le frazioni della zona, essendo do- vunque la Diaspis diffusa. Il nuovo sistema di lotta destò subito la massima fiducia nei gelsicoltori, che andarono a gara nel favorire la disseminazione dell’ insetto. Questa fede generale nella bontà del sistema, certamente contribuì ad affret- tarne il risultato decisivo. Il Gastine, delegato generale dei servizi antifillos- serici di Francia, che, nel novembre 1912, visitò molti di questi centri di diffu- sione della Prospaltella, fu esso pure colpito dalle espressioni di profonda convinzione, che venivano emesse anche dai più umili contadini, dopo due o tre anni di esperimento, durante i quali avevano visto infatti ridursi al minimo la 264 ANTONIO BERLESE temuta Diaspis, senza nessuna altra cura; ciò che non avevano potuto ottenere precedentemente, in tanti anni di lotta con spazzole, insetticidi ecc. Non è, del resto, da meravigliarsi se gli agricoltori abbraceiarono subito e molto volentieri 1)’ idea di applicare contro la Diaspis un sistema che permette loro di risparmiar fatica, oltre che noie e spese. Dall’ esame di un grandissimo numero di casi, si può ritenere, almeno per questa zona, che, collocata la Prospaltella su gelsi mediamente infetti da Dia- spis, dopo un anno la Diaspis sì trova ancora stazionaria, o fors’ anche in lieve aumento, con una percentuale variabile, ma bassa, di individui parassitizzati. Dopo due anni la diminuzione dell’ infezione è evidente all’occhio ; dopo tre 0 più anni la Diaspis è ridottissima o anche scomparsa. Credo infatti che si possa dire scomparsa, quando è possibile appena rintracciare qua e là qualche indi- viduo di Diaspis, quasi sempre esso pure già attaccato dalla Prospaltella. Qui in Friuli si osservano tutti questi differenti casi, e non manca di essere segnalata di tanto in tanto qualche nuova forte infezione diaspica, nuova € forte perchè sviluppata in località o su gelsi dove prima d’ora la Diaspis non era mai esistita, e dove quindi non esisteva ancora nemmeno la Prospaltella. Così, ad Aviano dove la Diaspis è recentissima, e dove solo quest'anno fu lar- eminata la Prospaltella. gamente dis La facoltà di diffusione spontanea della Prospaltella si è palesata molto su- periore di quanto pareva nei primi anni. Posta in primavera su un gelso di ogni filare, nell’ inverno successivo se ne constatava l’esistenza su tutti, o quasi tutti i gelsi del filare; non solo, si trovava che era passata al di là di una larga strada. È il caso dell’azienda del cav. Micoli Toscano, a Castions di Zop- pola, vasta tenuta, dove qualche anno fa la Diaspis costituiva una preoecupa- zione grandissima, mentre ora non dà alcun pensiero. E cito qualche altro caso, alla rinfusa, dei moltissimi che in qualunque mo- mento possono venire presentati. Uno dei Comuni più infetti da Diaspis era Prata di Pordenone, dove già gli agricoltori disperavano di poter più allevare il baco da seta. La Prospaltella fu posta per la prima volta nella primavera 1910 su un grandissimo gelso dei fra- telli Puiati, da cui l’anno seguente furono tratte centinaia di pezzi e distribuiti in tutto il Comune. Oggi a Prata si trova appena qualche traccia di Diaspis ; fu quello il Comune dove gli effetti della Prospaltella si resero più sollecita- mente palesi, per il buon aiuto dato, sin da principio, alla sua diffusione. A Ramuscello, nella tenuta della Contessa Amelia Freschi, dove la prima Prospaltella era stata posta nel 1910 sopra un solo gelse, due anni dopo veniva constatata su circa duecento gelsi. Ora, senza altre cure, la Diaspis è scomparsa. Nei Comuni di Fiume Veneto, Zoppola, Azzano Decimo, che erano fortissi- mamente infetti da Diaspis, da due anni nessuno più se ne preoccupa. Le tenute dell’on. F. Rota a S. Vito e a Codroipo, visitate pure dal Gastine, fornirono, negli ultimi due anni, migliaia e migliaia di pezzi di ramo ai gel- sicoltori ; ne diffusero pure le citate aziende Freschi e Micoli Toscano, le aziende Polanzani e Cossetti di Fiume, Baliana di Sacile, Chiaradia di Caneva, ed « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 265 altre; ora non potrebbero più farlo, perchè difficilmente trovano rametti sufti- cientemente provvisti di Prospaltella, mancando la Diaspis. Però ormai la diffusione artificiale qui è superflua : la Prospaltella è dapper- tutto, sì trova anche dove nessuno lo sospetterebbe, data la distanza dai punti di diffusione artificiale. Le più forti infezioni di Diaspis sono inesorabilmente minate dal parassita ». Per mio conto io conosco de visu solo pochi degli esempi citati, quelli ad es. di Sacile, di Codroipo sopratutto; i quali ho visitati Fig. 11. — Il gelso, sul quale primamente l'On. Conte Rota dispose i pezzetti prospaltizzati nel 1910 e che diffuse l’imenottero in tutto Codroipo e altrove. anche nel corrente anno. Per Codroipo anzi le mie visite sono state frequenti, non solo per tener bene dietro all'andamento della sperienza, ma anche per ottenere materiale di diffusione, il quale ho avuto io pure, con moltissimi altri, abbondantissimo, dall’ Illu- stre On. Conte Rota, con una liberalità davvero senza esempio. La storia della diffusione della Prospaltella a Codroipo è da me stata accennata in altra nota (« Come progredisce, ecc. », p. 445), dove si dice: « L’ egregio uomo — (on. conte Rota) — ha avuto pochi pezzetti nel 1910 e li ha, di sua mano, con grande attenzione collocati a posto subito, nel suo giar- dino. Nell'autunno dello stesso anno io constatavo una fortissima percentuale 260 ANTONIO BERLESE di Prospaltella sui gelsi di primo inquinamento, i quali, nel marzo del 1911, benissimo tagliati a pezzi nella loro ramaglia, secondo si era raccomandato, hanno dato circa cinquecento pezzi prospaltizzati, che, disposti su altrettanti gelsi ben grandi e bene diaspizzati (e dovunque l’ imenottero è attecchito for- temente) fanno sì che 1 on. Conte Rota disponga ora di circa 35,000 pezzi da disseminare nel 1912, molto diaspizzati e molto prospaltizzati; può cioè prov- vedere alle sue 60,000. piante ed anche generosamente regalare altrui ». Va da sè che tale disseminazione fu fatta nel 1912 e larga distribuzione anche fuori del comune a moltissimi richiedenti. Fig. 12. — I pochi gelsi prima devastatissimi dalla Diaspîs, che ebbero nel 1911 il materiale ricavato dal gelso a fig. precedente, fotografati nel 1912. Nell'autunno del 1912 io visitai i primitivi centri di dissemi- nazione a Codroipo e trassi fotografia (fig. 11) anche del gelso, sul quale l'On. Conte Rota sopralodato dispose primamente il pez- zetto prospaltizzato, avuto da questa R. Stazione e di quelli che furono prospaltizzati nel 1911 (fig. 12) col materiale ricavato dal gelso di prima disseminazione. All’atto di questa prima semina, il gelso era, come tutti della località, in assai cattive condizioni, in causa della Diaspis, che ne copriva uniformemente i rami. Dopo la asportazione della ramaglia (primavera 1911) per dissemi- nare l’ endofago, rimise getti del tutto puliti da ogni traccia di Lie tina « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 267 cocciniglia e così io lo vidi nel 1912, che sembrava spazzolato di fresco e con tutta diligenza, ed aveva ricchissimo fogliame, come si può anche giudicare dalla fotografia fatta in quel tempo ; tale si conserva anche oggi, quanto ad infezione della Diaspis, che più non si scorge, ma, come è da credere, per ciò che si riferisce alla vegetazione, il gelso è assai aumentato e Papiee dei rami più bassi quasi tocca terra. Quanto ai pochi gelsi su cui fu disseminato nel 1911 il mate- riale tolto dal primo sudescritto, essi costituivano in un orto, una fitta macchia, coi rami tutti bianchi di Diaspis, come non si vede se non in condizioni speciali di troppo fitta ramaglia. Io stesso dubitavo che mai si sarebbe potuto ragginngere la completa distru- zione della Diaspis in quelle condizioni. Intanto però, nel 1912, dopo lasportazione della ramaglia vecchia per disseminare la ve- spetta, come si è detto, ed apparsa della nuova, questa macchia di gelsi acquistò un vigore meraviglioso e ne fa fede la fotografia ritrattane (fig. 12). Nella recente visita (ottobre 1913) non ho trovato in quel fitto nessuna traccia di /iaspis. Intanto però il benefizio non è certo limitato, in Codroipo, a questi soli gelsi, ma ormai tutto il paese è completamente libero dalla Diaspis. Si può tuttavia giudicare dell’effetto della Prospal- tella esaminando i gelsi di qualche località presso il Tagliamento ad es.: Rivis, Turrida etc. e discosti pochi chilometri, in linea retta, dai primitivi centri di prospaltizzazione soprariferiti. Tali gelsi sono isolati benissimo da quelli prospaltizzati circostanti, in grazia di alte piantagioni di essenze boschive, che tutti li circon- dano. Quivi soltanto di recente ha potuto penetrare la Prospaltella e perciò la cocciniglia vi è così intensamente insediata, che sembra poco probabile salvare da morte la maggior parte di quelle piante. Questo esempio mostra anche una volta che la macchia, il bosco costituiscono una barriera davvero poco agevolmente viola- bile da parte del piccolo imenottero, non meno che le case od altre costruzioni, che sorpassino di molto Valtezza dei gelsi. A Sacile, dove primamente la Prospaltella fu portata e diffusa ai Camoi dal Sig. Antonio Balliana, io non ho trovato infezioni serie di Diaspis. Questa è distrutta completamente non solo nella « Redia », 1913 18 265 ANTONIO BERLESE zona di prima disseminazione e quivi anche ormai tutta caduta dalle piante, ma non la ho trovata neppure altrove, se non morta e colle caratteristiche della distruzione per opera della Prospal- tella. A Caneva di Sacile alcuni gelsi (fig. 13) lasciati per farne materiale prospaltizzato mostrano, in confronto di due dello stesso filare, Fig. 13. — Un gelso di un gelseto a Caneva di Sacile # rovinato dalla Diaspis (fotogr. 1912). ove la Prospaltella ha primamente agito e furono già spogliati di ogni ramaglia per ricavarne materiale, mostrano, dico, effetto della Diaspis che li ha molto mal condotti, mentre quelli potati fanno vedere il vantaggio ottenuto dalla Prospaltella. Ne ho ricavato foto- grafie nel 1912 (fig. 13) e nel 1913 (figg. 14, 15) e sono molto dimo- strative. Le disseminazioni della vespetta in quel comune e, del re- sto, in moltissimi altri, si devono alla solerzia dei signori Chiaradia « DIASPIS » E <« PROSPALTELLA » NEL VENETO 269 e Zanetti e sono tenute d’ occhio colla consueta diligenza dal Ch.m° Prof. Marchettano. Altre escursioni io ho fatte in provincia di Udine. Nell’ autunno del corrente anno 1913 mi sono spinto a Cividale e nei dintorni; come pure ho visitato, nella cortese compagnia del Prof. Gaidoni, la terrazza di Santa Margherita, di cui ho fatto cenno fino dal 1910. Fig. 14. — Il gelso di Caneva di Sacile, che nel 1912 era come si vede a fig. precedente ed oggi mostra le gettate di un solo anno bellissime e monde di Diaspîs. Attorno a Cividale è difficile trovare qualche piccolo gelso con colonie residuali di Diaspis ed essa è fortissimamente inquinata di Prospaltella, che vi si rinvenne adulta nella prima decade di novembre, in gran quantità. Dovunque io ho veduto la Diaspis agrariamente distrutta, appunto come si riteneva che dovesse av- venire per opera della piccola vespa. È da notarsi che in Cividale e dintorni l’ausiliario fu disseminato, per cura del Dott. Dorigo, Vie i mi e di ae ni 270 ANTONIO BERLESE assai per tempo, fino cioè dal 1910 e qualche individuo vi fu libe- rato anche prima. Di molti paesi vicini, come Faedis, Ipplis, Manzano, S. Giovanni di Manzano ecc. dove la Diaspis era distrutta più o meno larga- mente fino dal decorso anno, si potrà dire in altra occasione, giace- chè non sono stati compresi nelle mie peregrinazioni di questo Fig. 15. — Uno dei filari di gelsi a Caneva di Sacile per mostrare i due potati nel marzo 1913 in confronto di altro colla ramaglia coperta da Diaspîs (presso che tutta prospaltizzata). anno e nella presente nota mi limito a trattare solo di queste. Contuttociò posso benissimo mettere al corrente dello stato delle cose il lettore riferendo brani di lettere pervenutemi da località del Friuli ove la Prospaltella è stata diffusa da tempo, sebbene non appartengano a quelle da me visitate nel corrente anno, sulle quali però, quando non intervenga una parola più autorevole della mia, potrò riferire in altro momento. Ordunque da Ipplis mi scrisse il Sig. Bernardis Virginio, che vi funge da Sindaco, nei termini seguenti (20 Novembre 1912): « Ho il piacere e l’onore di poterle stendere questa breve relazione circa il soddisfacentissimo risultato dell’attecchimento della Prospaltella nei dintorni di Ipplis. Circa cinque anni fa, quì si cercava di impedire l'infezione della Diaspis « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 271 pentagona con la raschiatura ai gelsi e pennellature come da ordinazioni supe- riori; ma il male anzichè diminuire si propagava con giganteschi passi e si di- sperava sull’avvenire della gelsicoltura. Nell’anno 1909 mi furono gentilmente concessi dallo spettabile Circolo Agricolo di S. Giovanni di Manzano cinque rametti di gelso prospaltizzati che accuratamente, come da istruzioni avute, li applicai a gelsi infetti dalla temibile Diaspis. Nella primavera del 1910 il Ch.®° Dott. Domenico Dorigo allora titolare della Cattedra Ambulante di Agri- coltura di Cividale ebbe a constatare uno splendido attecchimento e mi consigliò la propagazione in paese. Io ben volentieri mi misi all’opera e dispensai oltre 3000 rami prospaltizzati e continuai a dispensarne a migliaia anche nelle pri- mavere 1911 e 1912. Mi preme farLe conoscere una prova interessante della benefica Prospaltella. In una corte addetta alle galline sono quattro gelsi che erano talmente infetti da Dia- spis talchè i loro rami erano bianchi come se tinti, e deposi diversi rami di gelso prospaltizzati su di essi. Oggi in paese non si parla più di Diaspis, ma si va rammentando soltanto la sua strage e nel rivedere quei gelseti che or fa alcuni anni si consideravano di già perduti i miei compaesani si sentono presi di profonda e riverente gra- titudine verso di Lei stimatissimo Professore e non sanno come degnamente onorarla, onde io al mio grazie unisco anche quello di questi agricoltori ». Da Castions di Strada (che nel 1910 ebbe 5 pezzi prospaltizzati) ho rieevuto poco tempo fa la lettera seguente, la quale tratta di un centro d’onde la spett. Cattedra ambulante d’Agricoltura di Udine ha tratto molto materiale prospaltico negli anni decorsi : « Il poco materiale prospaltico da Lei gentilmente inviatomi nel 1910 lo ce- detti al Sig. Antonio Brunich di Mortegliano, i risultati dallo stesso ottenuti furono sbalorditivi e la Prospaltella al 2° anno distrusse completamente la Diaspis, rinvigorendo i gelsi, che, data la loro età, si credeva dover abbatterli. Nel 1911 dato il buon attecchimento ottenuto dal Sig. Brunich me ne feci cedere una buona quantità di questo materiale prospaltico (non avendo a me attecchito l’anno antecedente quello d’altra provenienza) e lo diffusi nei diversi miei get- tati. Posso assicurarla che }esito fu brillante e che ormai la sua geniale sco- perta verrà da tutti addottata non richiedendo nè spese nè perdita di tempo. Mi congratulo con Lei per il grande beneficio arrecato a tutti gli agricoltori specialmente di questa plaga ove il gelso dà uno dei migliori redditi e mi auguro che il suo nome sia eternato fra coloro che si sono resi utili all’uma- nità ». Da Mortegliano poi, in data recentissima, P Egregio Sindaco di quel Comune, Sig. Giuseppe Morelli mi scrive : « Riscontrando la stimata nota emarginata, sono lieto di poter riferirLe che la prova intrapresa per la diffusione della Prospaltella, per combattere la Diaspis 272 ANTONIO BERLESE ha dato risultati meravigliosi, in modo che quest’Ufticio ha continuata la diffu- sione, richiedendo dei rami di gelso prospaltizzati all’On. Associazione agraria di Udine ». Da S. Giovanni di Manzano, dove, come è accennato a pag. 238 furono distribuiti 50 pezzi prospaltizzati nel 1910, il Ch.®° Sig. Conte E. de Brandis, mi scrive, tutto affatto recentemente : « DirLe dei vantaggi ottenuti sui gelsi ed altre piante in questo Comune con la diffusione della Prospaltella berlesei è compito facile: ottimi, superiori a qualsiasi aspettativa e tali da far ricredere î più scettici ». Della terrazza che è a Santa Margherita (figg. 16, 17) ho detto altra volta e riporto qui le parole (« Come progredisce ecc. », p. 460, nota). « A Santa Margherita, in provincia di Udine, sulla via per San Daniele, in vetta ad un piccolo poggio sta un caffè ristorante, e lo spianato è protetto da un bellissimo pergolato, foltissimo, composto da ana quindicina di gelsi oppor- tunamente accomodati. Tutto il poggio intorno è densamente coperto di piante diverse, Viti, Peschi, Siringhe ece. Quei gelsi erano infestatissimi di Diaspis, ma già la Prospaltella aveva cominciato ad attecchire nel 1910. Nella invernata del 1911 però, il proprietario fece praticare una serupolosissima disinfezione di tutti i gelsi, a mezzo degli insetticidi e spazzole, credo anche ripetesse il trat- tamento più tardi. Fatto sta che, allorquando io visitai il luogo nell’ ottobre testè decorso, non trovai più Diaspis su quei gelsi e pensai all’opera inutile ed alla distruzione di un centro di Prospaltella bene avviato. Però, io ghe conosco il mio insettino, e so come rimedia ai malfatti nostri a suo danno, pensai fosse il caso di visitare le circostanti piante del poggetto, che erano tutte infestatis- sime di Diaspîs, bianche affatto. La Prospaltella era abbondante nelle Diaspis dei Peschi, delle Siringhe e di altre piante ingiro. Essa penserà a togliere via il focolaio di infezione, che sempre avrebbe minacciato i gelsi della terrazza e d’ora innanzi li difenderà bene dalla Diaspis. Non dubito però che il proprie- tario, il quale non vedrà più apparire la Diaspis sui suoi gelsi, si congratulerà molto con sè stesso per la cura praticata, alla quale vorrà attribuire la fuga definitiva della perniciosa cocciniglia ora e per sempre ». La visita di questo anno ha perfettamente dato ragione alle previsioni del 1910. Infatti non solo tutte le piante del poggetto, anche le più ad- dentro e nascoste nelle siepi, tra le diaspidofile, sono perfettamente monde di Diaspis, che è cosa meravigliosa, ricordando come sono state fino all’entrata in scena della Prospaltella, ma ancora la « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 2 fitta tettoia (fig. 17), che formano i rami di quella quindicina di grossi gelsi rieoprenti tutta la terrazza, è affatto senza cocciniglia. Sembra che la spazzola sia passata da allora ed abbia deterso quei rami, tanto sono puliti. Col prof. Gaidoni si è durata molta pena, ricorrendo a scale, per trovare, alla fine, su uno di quei gelsi due o tre scudi di Diaspis, uccise però dalla Prospaltella. Fig. 16. — Veduta della terrazza del Ristorante « Al Panorama» a S.ta Marghe- rita (Udine) mostrante ì gelsi, che ne formano la tettoia, ormaitutti liberi da Diaspis e molto bene vegeti (fot. Ottobre 1913). Allontanandoci dal poggio si rinvengono gelsi sempre più cari- chi di eroste ed avanzi di Diaspis distrutta dalla vespetta, ma simili residui non esistono più nè su gelsi della terrazza trattati nel 1911 coi mezzi artificiali e di poi abbandonati all’opera del- l’endofago, nè sulle piante del poggio, le quali però non sono state curate con alcun trattamento artificiale, mai. Gli esempi di Caneva di Sacile mettono in rilievo un fatto im- portante. Quivi, per la richiesta grandissima di foglia e per costume in- veterato, i gelsi, meno rarissime eccezioni, sono privati della loro ramaglia ciascun anno. Si è ritenuto che questa pratica dei tagli così frequenti sia un assai gagliardo freno alla Diaspis, perchè manca la ramaglia più vecchia, dove essa più volentieri alberga. 274 ANTONIO BERLESE In pratica però l’espediente è meno utile che non in teoria e già il Bolle ha dimostrato che, in mancanza di meglio, la Diaspis invade anche la ramaglia di un anno. Infatti se I insetto non ha libertà. di seelta, esso si adatta al meno peggio, certo non vuol morire d’ inedia, come fanno anche quelle Diaspis, che nei gelseti a ceppaia od anche a prato, vanno sulle radici, non avendo a lor disposizione la sede favorita, che sono i rami di due a cinque anni. Fig. 17. — La bella tettoia verde, che fanno i rami dei 15 gelsi. nella terrazza del ristorante « Al Panorama ». La prova di quanto dico è che, all’apparire della Diaspis in Caneva di Sacile, aleuni gelsi furono addirittura sbarbati, sebben grossi, tanto erano inquinati dalla Diaspis. A Conegliano, alcune Sofore di un giardino non si potettero mai difendere dalla Diaspis, nemmeno colla asportazione della ramaglia anche due volte nell’anno e sarebbero certo perite, per causa della cocciniglia e per la difesa, se non interveniva la Pro- spaltella a tener monda la chioma di tali alberi, con grandissima e lieta meraviglia del proprietario, che non ricorre più ormai al- l inutile ferro. Per converso si vedono i gelsi mai potati del Bassanese per- fettamente senza Diaspis e ciò solo per opera della Prospaltella. O7n « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO PA) Con questo non voglio dire che le scalvature non rade ed in tempo non aiutino grandemente l’opera della Prospaltella e la rendano più sollecita, ma da ciò a concorrere da sole efficacemente alla difesa del gelso contro la cocciniglia è divario grandissimo. Per ciò che riguarda il basso Friuli orientale, cioè la zona di inflnenza della Cattedra ambulante di Agricoltura di Latisana, io credo che sia opportuno lasciare all’elegante penna del Ch.®° Prof. Panizzi il compito di riferirne la storia per quanto riguarda la prospaltizzazione di quella plaga. Per mio conto io debbo ricordare di avere altra volta visitata la regione, ma nel corrente anno non ho potuto vedere che pochi gelsi situati presso la stazione ferroviaria di Latisana, che si in- quinarono da sè (il centro di prospaltizzazione è a qualche chilo- metro) e che nell’anno decorso mostravano la abbondante Diaspis pressochè tutta distrutta, mentre nel corrente anno essi ‘erano perfettamente liberati anche nelle incrostazioni. Lascio la parola al sopralodato Prof. Panizzi : « Bisogna parlare del benefico imenottero, specialmente a chi ancora non lo conosce o non ne ha fiducia, quindi non agli agricoltori friulani, ma a quelli di altre regioni. Già il collega Marchettano, in queste pagine (n. 30, anno 1913, Per la storia della Prospaltella), ha accennato ai risultati ottenuti nei Mandamenti di S. Vito al Tagliamento, Pordenone e Sacile; diremo ora brevemente quanto si è fatto e ottenuto in quelli di Latisana, Palmanova e Codroipo formanti la zona della Cattedra di agricoltura pel Basso Friuli orientale. La prima semina di Prospaltella venne eseguita il 28 Luglio del 1909. Erano dodici Prospaltelle allo stato perfetto, alle quali venne data la libertà su di un gelso della « Braida Taglialegne » in Comune di Latisana. Successivamente le semine si effettuarono col metodo molto più pratico dei rametti di gelso con Diaspis prospaltellizzata. Nel 1910 furono collocati 35 rametti, di cui 20 nel Mandamento di Codroipo, uno dei maggiormente infestati dalla Diaspis e dove gli agricoltori erano allar- matissimi per le condizioni sempre più critiche nelle quali vedevano di anno in anno ridotti gli allevamenti del baco da seta per colpa dell’ invadente coc- ciniglia. Nel 1911 questa Cattedra seminò altri 70 rametti, distribuendoli uniforme- mente nel suo territorio. 1910 e 1911 rappresentarono due annate di lavoro non facile. Bisognava per- suadere a provare il sistema di lotta, tanto bello e comodo da sembrare a molti una mistificazione; qualehe rametto da semina andò nel caminetto.... 276 ANTONIO BERLESE ' Bisognava evitare che i gelsi seminati venissero poi sfrondati, e invece quanto prezioso materiale andò in quelle annate consumato! Bisognava essere un po? dappertutto a contrastare il ridicolo di cui sottilmente si andava coprendo dagli scettici esperimento ed esperimentatori. Ma, se non ancora negli agricoltori la fiducia si rafforzava in noi, che dai ripetuti esami eseguiti dalle semine del 1910 e 1911 riscontravamo pressochè ovunque l’attecchimento della Prospaltella. Era dunque necessario fare argine alla corrente di incredulità, avvalorata dal fatto che in due anni non si erano ottenuti risultati evidenti, e continuare per la via intrapresa. Dal 1912 in avanti le cose si sono cambiate. La reclamata evidenza dei ri- sultati si è fatta palese anche a chì non voleva vedere, al poco materiale da semina che si poteva avere dal di fuori si è aggiunto il moltissimo prodotto in luogo; i Circoli agrari si sono messi a fianco della Cattedra e la coadiuvano nella sua opera di distribuzione, altrettanto hanno fatto parecchi agricoltori divenuti produttori di materiale prospaltellizzato; i rametti più che offerti agli agricoltori sono da questi insistentemente richiesti.... Da quell’anno la statistica della distribuzione non potè più essere rigorosamente seguita, ogni Comune e più tardi ogni Frazione ebbe il suo produttore e distributore di materiale prospaltellizzato. Nel 1912, solo la Cattedra distribuì parecchie centinaia di rametti, che ven- nero impiegati secondo il piano preordinato, a infittire la rete dei centri di disseminazione. Pel 1913 si contano a migliaia i rametti distribuiti. Ormai le maglie della rete sono tanto piccole che la Diaspis non ne fuggirà più. Nei luoghi seminati nel 1913 sì è riscontrato una percentuale così elevata di Diaspis pro- spaltellizzate da far logicamente ammettere essere la Prospaltella arrivata colà prima che l’uomo ve la portasse; per chi conosce la forza di propagazione di questo insettuccio, la cosa non può meravigliare. Per quanto gli uomini abbiano fatto molto per la sua disseminazione è fuori di ogni dubbio che la Prospaltella simo di più. ha fatto da sola molto, molti Esempi specifici caratteristici di risultati ottenuti ci dispensiamo dal ripor- tare, sono troppi. Non è temerario affermare non esservi nei 76 mila ettari formanti i 26 Comuni dei tre Mandamenti di Latisana, Codroipo e Palmanova, gelsi con Diaspis, che non sieno anche con varia intensità prospaltellizzati. Di spazzole, pennelli, Diaspicidi non si parla più. Alla apatia del primo mo- mento è subentrata la piena fiducia, che i fatti evidenti e numerosi hanno creata e ribadita nell’animo di tutti gli agricoltori. Ovunque si richiede qualche ramut par semina la bestiute (qualche rametto per seminare la bestiolina); e si semina e risemina anche dove la Prospaltella e’ è già, anche dove la Diaspis se n° è andata.... si esagera insomma, come con tutto ciò che si è riconosciuto ottimo e non costa niente. Ma in questo caso l’esagerazione non nuoce punto, fortu- natamente. Nella maggior parte dei Comuni la lotta volge alla sua fase finale. La Diaspîs, « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 277 stretta, accerchiata da ogni lato sta per essere travolta dalla furia distruggitrice della benefica vespetta. È convinzione generale che se non interviene un qualche malaugurato fatto a infrenare il meraviglioso lavoro della Prospaltella poco tempo ancora rimane alla Diaspis per venire annoverata fra gli insetti agraria- mente dannosi ». * Della provincia di Vicenza, io non ho veduto quest'anno se non Bassano. Questa città dista circa 18 chilometri in linea retta da Castelfranco, eppure, quanto ad infezione diaspidica, i due ter- ritori sono in diametrale opposizione, inquantochè a Bassano non si trova più /Jiaspis in misura apprezzabile, mentre la intensità dell’ infezione a Castelfranco è massima, conforme si è già detto. La ragione della differenza sta nel fatto che, fino dal 1910, per opera del Comizio agrario locale, la Prospaltella fu introdotta ed acclimatata nel bassanese. Ne ho già fatto cenno altra volta (« Come progredisce » ecc., p. 446). A Bassano dunque, per opera del già altra volta lodato Dott. Che- min Palma, soprattutto e del Sig. Vettorelli, la vespetta fu diffusa fino dal 1910 e già nel 1911 essa aveva guadagnato larghissime zone, non solo a Casoni, ma anche altrove, essendo stata distri- buita a molte persone del luogo. La visita di quest'anno (novembre) mi persuase che ormai Bassano e per quello che ho veduto io stesso e per quanto me ne è stato riferito, la Diaspis è scomparsa. Io non ne ho trovato traccia neppure sui grandissimi gelsi del Sig. Chemin, che sono tra i maggiori che si possano vedere, nè vanno soggetti quasi mai a potatura. Questi immani esemplari di Morus, colle loro intricate e fitte chiome fanno vedere come sarebbe opera impossibile quella della disinfezione coì mezzi artificiali raccomandati. Si rileva inoltre che anche quivi, non ostante Vetà e lo stato della ramaglia, la Diaspis è costretta a cedere di fronte alla Prospaltella. Per quanto diligente infatti sia stato Vesame da me e da altri praticato, non fu possibile a noi trovare Diaspis vivente su quelle stesse piante, che non più di un paio d’anni fa ne erano coperte nella maniera più impressionante. Rei L Co] n ANTONIO BERLESE Ho voluto riprodurre sulla lastra fotografica qualcuno di tali alberi perchè ognuno possa vedere (fig. 18) di quali esemplari si tratti ed in quali condizioni poco favorevoli la Prospaltella ha lottato e vinto. * * * In provincia di Padova ho veduto solo Cittadella, che non è distante da Castelfranco più di una dozzina di chilometri in linea Fig. 18. — Il viale di grandi gelsi del Sig. Chemin Palma a Casoni (Bassano), dove primamente fu disseminata la Pro- spaltella; da qui essa si diffuse per tutto Bassano. retta. Eppure dai più gravi lamenti, che si odono a Castelfraneo contro la Diaspis, chi si reca a Cittadella passa subitamente ad ascoltare ben diverso umore a questo proposito, poichè gli vien detto che colà la cocciniglia non dà più molestia alcuna. — Noi non abbiamo Diaspis, — mi si affermava dalle persone di quel Consorzio agrario ; — non se ne ode più parlare dai gel- sicultori. Ma a Cittadella, fin dal 1910 la piccola vespetta è stata amo- rosamente acclimatata e diffusa ed ora colà si ricercherebbe invano la temuta cocciniglia, come testè ho fatto io, che dal 1911 ho se- guito i progressi dell’ imenotterino. « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 279 Del resto eredo che nella Provincia di Padova oltre a Cittadella solo la Cattedra Este-Monselice-Montagnana abbia dato opera fino dal 1910 alla diffusione dell’utile imenottero. Certo, nel Giugno decorso io ricevevo il seguente telegramma a firma di quell’ Egregio Cattedratico e che riporto integralmente, pregando il lettore di tener conto soltanto di ciò che si riferisce alla Prospaltella e rap- presenta un dato di fatto, mentre il resto è da giudicarsi per un apprezzamento di persone cortesi e benevole. « Este 6 | 24, — Agricoltori Este-Monselice-Montagnana oggi riuniti festa agraria inviano Maestro prospaltizzazione gloria italiana grato riverente saluto Dorio ». Quanto alla Provincia di Belluno io non ci sono mai stato. per ragioni prospaltiche, ma ne ho notizie recenti dalla spett. Cattedra ambulante di Agricoltura di Feltre, il cui Egregio Direttore, Prof. A. Guselotto, così mi scrive : « Le semine del 1911 hanno già segnato un vero trionfo, specialmente in quello di Fonzazo. Gli agricoltori sono venuti spontanei a narrarmi i miracoli della Prospaltella e a ringraziarmi del beneficio loro arrecato. Io Le giro il merito ». * Questo è quanto nel corrente autunno ho potuto a tutto mio agio vedere e constatare e da quello che ho veduto mi sento autorizzato a trarre le conclusioni seguenti : Per quanto si riferisce alle pratiche culturali od insetticide in appoggio all’azione della Prospaltella io non trovo oggi, dopo una ben assidua esperienza di due anni e dietro esame di località diversissime in tutta Italia, centrale e meridionale oltre che nella nordica, non trovo, ripeto, da mutare una virgola alle conclusioni che ho tratte nel 1911, nella mia più volte citata nota (« Come progredisce » ecc., p. 460 e seg.), ed ivi è detto: < Ho acquistato la piena certezza della prossima fine agraria della Diaspis da noi, con quella ancora che, attualmente, il meglio da farsi per toglier via il malanno, sia di prospaltizzare più pre- sto e più largamente che si può, dovunque e soprattutto astenersi da pratiche insetticide, quanto più questo è possibile ». Ho sempre constatato infatti, e ne ho raccolto moltissimi chiari 250 ANTONIO BERLESE esempi anche nel corrente anno, alcuni dei quali ho già citati, che le pratiche insetticide, specialmente con concorso di miscele antidiaspiche, non fanno che rallentare Vopera della Prospaltella e chi a questa le mescola e interpone, non ha mai tutto il van- taggio che otterrebbe abbandonando a sè soli i due insetti alle prese. Una pratica però che può venire in soccorso della vespetta e che insieme concorre alla sua diffusione si è quella di schiomare il Fig. 19. — Come si mostra alla lente una colonia di Diaspîs completamente distrutta dalla Prospaltella, ma ancora aderente alla pianta. gelso l’anno dopo alla sua prospaltizzazione ed utilizzare così la ramaglia che contiene 1° utile imenottero, per diffondere quest’ ul- timo. I nuovi getti rimangono e rimarranno sempre esenti da Diaspis e pulitissimi. Se invece si lasciano i vecchi rami coperti di Diaspis, questa è protetta dalle accidentalità della scorza vecchia e screpolata e si salvano molte femmine, sottraendosi alle ricerche della vespetta. L'effetto utile di questa è così di molto ritardato. Si vede chiaramente che anche i licheni, specialmente sulle piante giovani, sono efficacissimo riparo alla Diaspis, che non è « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 281 raggiunta, qualora sia nascosta sotto le dette crittogame, se non difficilmente dalla vespetta. Ma su ramo di pianta anche vecchia o tronco di gelso giovane, che sieno lisci e non accidentati e puliti, la Diaspis è alla mercè del suo nemico e non si salva in alcun modo. Adunque anche operazioni intese a togliere dai tronchi dei gio- vani gelsi o dai rami dei più vecchi ogni incrostazione di licheni, Fig. 20. — Come apparisce alla lente la raschiatura della Diaspis a fig. 19. Tutto è morto o prospaltizzato. Non si trovano più Diaspis vive e sane. condotte però soltanto per via meccanica, sia con spazzole od al- trimenti, senza ricorrere a liquido insetticida aleuno, operazioni que- ste praticate prima che la Prospaltella giunga comunque su quelle piante, concorrono efficacemente a rendere più rapida ed efficace l’opera del prezioso imenottero. Ma allorquando la vespetta mostra, a mezzo delle caratteristiche femmine di Diaspis inquinate, di essere ormai presente sulla pianta, sia pure in misura modestissima, non è più il caso di sottoporre questa ad alcun trattamento antidiaspico. Converrà però far ri- corso alla abbondante potatura od allo scalvo in marzo, per 282 ANTONIO BERLESE utilizzare tutto il materiale prospaltizzato e permettere così la for- mazione di ramaglia nuova, pulita e senza accidentalità nella cor- teccia, che possano offrire sicuro rifugio alla cocciniglia e sottrarla così all’aggressione del suo endofago. Quanto alla ramaglia, che si asporta in marzo da gelsi prospal- tizzati, è da raccomandarsi vivamente che essa venga lasciata sul campo, sia pure raccolta in fascine, e meglio che mai accanto alle piante da cui fu tolta, di dove non sia rimossa che ai primi giorni di maggio. Con tale pratica si permetterà alle prospaltelle, che schiudono dalla ramaglia potata, di raggiungere le diaspis, che ancor sane fossero sulla pianta, la quale schiusa avviene specialmente in aprile, mentre la progenitura della Diaspis, cioè le sue larve, non nascono che in fine di maggio. Per ciò che riguarda il tempo che la Prospaltella impiega a toglier via completamente la cocciniglia io non trovo di dover nep- pure su ciò modificare in qualche guisa le mie aftermazioni più volte esposte; ho potuto però accertarmi che i migliori effetti e più solleciti si hanno da disseminazioni fatte con materiale abbon- dante, come del resto è ben logico. Ripeto, poichè l’impazienza del gelsicultore ed il suo desiderio a vedere liberi i gelsi dalla Diaspiîs è così grande che non di rado attende dalla Prospaltella una azione rapida almeno quanto può avere dalle pratiche artificiali, che 1° effetto dell’’endofago non si rende palese agrariamente se non alla fine del secondo anno dalla disseminazione. Mentre, infatti, nel primo anno la Diaspis nulla soffre nella sua massa, dalle aggressioni dell’imenottero, ed è anzi talora non facile lavoro quello di riscontrarne l’attecchimento, invece, in fine del secondo anno la percentuale di prospaltizzazione è altissima e già la cocciniglia inizia la sua ritirata, talora anzi la ha già compiuta, certo ad ogni modo, la pianta nulla ha più da temere dalla Dia- spîis, se non attacchi sempre più deboli e non tali da compromet- tere seriamente la sua sanità. Dopo questo tempo la cocciniglia si avvia a quello stato di ra- rità o meglio quasi totale scomparsa, che è caratteristico pei casì di prospaltizzazione, che datano da tre anni. Rimangono sulla « DIASPIS » E « PROSPALTELLA » NEL VENETO 285 pianta piccolissime macchie biancheggianti ed assai rade, da ricer- carsi sopratutto alla base dei rami, fatte di follicoli di pochi ma- schi, tra i quali si può trovare qualche femmina e di queste una metà almeno è prospaltizzata. Così sì conserva e si conserverà per sempre il seme della cocciniglia ed insieme quello del suo eèndo- fago pronto a frenarne la fecondità ad ogni tentativo di incremento. Per ciò che riguarda lo stato della infezione diaspica e della prospaltizzazione nel Veneto io concludo, ripetendomi, che la infe- zione diaspidica è ormai cessata nella provincia di Udine (1), pros- sima a finire in quella di Treviso, ove, dal venturo anno in poi, non si udranno più lamenti a proposito della cocciniglia e così di mano in mano deve avvenire per le altre provincie, sempre però in proporzione alla attività che i gelsicultori hanno spiegato © spiegheranno per dare opera alla diffusione dell’utile imenottero. Gli esempi che ho recato, facendo risaltare i diversi gradi di in- tensità dell’infezione, che sono assolutamente e chiarissimamente in ‘apporto con quanto è stato fatto nelle singole località per diffon- dere la vespetta, mostrano ormai a tutti che, d’ora innanzi, 1° avere i propri gelsi oftesi dalla Diaspis non potrà non indicare un so- lenne grado di inerzia da parte del gelsicultore. Questi non avrà diritto aleuno a dolersene, perchè gli esempi atti a convincerlo del suo torto sono pronti dovunque, alla mano e non si potrà mai trovare persona, che, avuta da due anni la Prospaltella attecchita sui suoi gelsi, non confermi a gran voce quanto qui ed altrove e da parte di moltissimi sempre si è detto sulla efficacia di questo imenottero ai danni della Diaspis pentagona. Dalla R. Stazione di Entomologia Agraria di Firenze Dicembre 1913. (1) Mi è veramente di grande soddisfazione riportare il telegramma seguente che giungo in tempo ad aggiungere nelle bozze di stampa (è in data 2 gen- naio 1914): « Udine. — Mi è grato comunicarle assemblea associazione agraria friulana unanime votò plauso sua opera fortunata lotta contro Diaspis. Scrivo. Ossequi. Pecile Presidente Associazione Agraria Friulana ». Gli estratti di questa Memoria furono pubblicati il 10 Febbraio 1914. « Redia », 1913. 19 GIACOMO DEL GUERCIO INTORNO A DUE NUOVI VACUNIDI DEL CASTAGNO Con questa nota presento all’osservazione due specie di Vacu- nidi, molto vicini fra loro, entrambi viventi sulle foglie del Casta- gno (Castanea sativa Goert.) fornitemi gentilmente dall’ egregio Sig. Debeaux, nel 1908, quand’ era nella qualità di Conservatore alle collezioni del R. Museo di Storia Naturale di Firenze. La prima di queste due specie ha la femmina attera di color verde chiaro, piriforme raccorciata, con la massima larghezza sul secondo somite addominale, dietro del quale il corpo appare eviden- temente orbicolare o quasi. Il capo è assai piccolo e più del doppio più largo che lungo, nel margine posteriore, e non certo più lungo del protorace. Coi mar- gini laterali ed anteriori forma quasi un semicerchio, del quale un terzo circa è occapato dalla fronte compresa fra le antenne; que- ste sono corte, perchè non oltrepassano il terzo somite toracico e sono distinte per i caratteri seguenti: primo articolo assai più grosso ma non più lungo che largo, alquanto più corto del secondo, il quale è anch’esso notevolmente più ristretto alla base; il terzo articolo è cilindrico, lungo, con setole sopra basi ben rilevate ed assai più lunghe generalmente della larghezza dell’articolo al luogo di impianto; il quarto articolo è appena più lungo della metà del terzo, evidentemente clavato, con piccole strie trasverse, che non si seorgono nell’articolo precedente, con setole generalmente molto più piccole ed un’area sensoria terminale, orbicolare, ben evidente; quinto articolo della lunghezza del quarto, o a mala pena più corto, della stessa forma, assai meglio e più fittamente striato, con ra- 256 GIACOMO DEL GUERCIO rissime setoline corte ed un’area sensoria, come nell’articolo pre- cedente. L’appendice del quinto articolo è distinta, essendo poco meno dei °/. di esso; è quasi cilindrica, arrotondata alla sommità ed ivi provvista di tre setole appena più corte della larghezza dell’appendice. Gli occhi sono di color rubino, bene evidenti e notevolmente rilevati. Il rostro è a largo impianto, di media lunghezza e proporzio- natamente robusto: esso arriva con l’apice bruno quasi al mar- gine posteriore del terzo somite toracico, col primo articolo sue- cessivamente più largo dalla base alla sommità, e presso che della lunghezza del secondo; questo è arrotondato alla base compresa nel primo segmento, a lati paralleli, alla sommità trasverso, e fornito di rarissimi peli corti; il terzo articolo è conico allungato, quasi eguale alla somma dei due precedenti, dei quali è molto più stretto e presenta una distinta setola su base rilevata, nel mezzo dei lati; il quarto articolo rostrale è la metà circa più stretto del terzo e alquanto più lungo della sua metà; il quinto articolo è conico compresso e rudimentale. Le zampe sono piuttosto corte e altrettanto robuste, evidente- mente setolose, particolarmente nelle tibie, e relativamente con non eccessiva differenza nelle dimensioni fra un paio e 1 altro, particolarmente fra il primo ed il secondo. La coscia è molto in- grossata, come robusti e corti sono i trocanteri, mentre dei femori appaiono più larghi quelli del primo paio, ed i tarsi per tutto bene allungati nel secondo articolo. L’addome porta sifoni piccolissimi ad aperture appena rilevate. Ai lati liberi del settimo somite addominale trovasi un tubercolo bene sporgente, due volte almeno più lungo che largo ed uguale ad un terzo circa della lunghezza delle spine, che sul margine stesso. precedendolo, lo accompagnano. Queste spine sono conformate a lancetta e ornano in bella serie, oltre che i lati, il dorso dell’addome e quelli specialmente del torace e del capo. L’operculo genitale è infoscato nel margine e nel rimanente è ornato di varie serie lineari trasverse di setoline brevissime. La codetta è conica, quasi stipitata, con lunghissime setole TOR INTORNO A DUE NUOVI VACUNIDI DEL CASTAGNO 2857 sparse, sottili, dalla base all’apice e tutta percorsa trasversal- mente da setoline brevissime, per le quali, a forte ingrandimento, appare come ispidula. Questa specie per il carattere delle spine sopraindicate nelle diverse parti del corpo, non si conviene e non si riferisce per tanto ad alcuna delle note specie di Vacunidi descritte fin qui. Il confronto di quest’insetto, per vero, con la forma analoga della Vacuna alni o Glyphina alni Schr. dimostra come questa sia tutt'altro che da chiamarsi in questione, per il suo colore verde olivastro, atro, macchiato di celeste e pezzato di bianco perlaceo verso i lati del dorso, mentre la linea dorsale mediana trovasi alternativamente ornata dei due colori indicati in modo assai ricercato, laddove nella specie del castagno il colore è d’ un uni- forme verdognolo chiaro. Diversi sarebbero poi ancora, se ve ne fosse bisogno, i carat- teri differenziali nelle antenne, per i rapporti fra i differenti ar- ticoli, per il colore, la peluria e la striatura trasversa; non che quelli del rostro, delle zampe, ecc. Passando alla femmina partenogenica della Vacuva dryophila Schr.. essa è orbicolare e di color nerastro uniforme, lucente; e però anche senza spingere più oltre l’analisi, che sarà anche in seguito riassunta, pel confronto, si può ritenere come diversa da quella descritta. Questa specie, per altro, e le altre due ricordate per il con- fronto restano distinte anche di fronte a quella che sarebbe la seconda Vaeuna del Castagno, qui presa in esame. Al pari della precedente, vive essa pure sulle foglie della cupo- lifera indicata. Ma è alquanto più piccola, notevolmente allungata, con antenne, rostro, zampe e codetta assai differenti da quanto è stato detto per la prima specie descritta e tutte le altre sopra indicate. Le antenne in questa sono alquanto più corte, col secondo arti- colo fornito di una sola setola dal lato anteriore, non due in serie longitudinale ; il terzo articolo è notevolmente ineurvato nel mezzo, tutto striato di trasverso, e fornito di Imnghe setole curve dirette verso la estremità dell’antenna, e subeguale in lunghezza alla somma dei due articoli seguenti. Di questi il quarto è notevol- 255 GIACOMO DEL GUERCIO mente più corto dell’articolo quinto, la cui appendice è ! ” |, dell’ar- ticolo precedente. Gli occhi sono meno rilevati ed alquanto più grandi. Il rostro è lunghissimo ed abbastanza robusto, col primo arti- colo lungo, a lati paralleli, arrivante con la sommità dal secondo al terzo somite addominale; il secondo articolo è cortissimo, quasi la metà del terzo, che è conico allungato, più largo e a lati quasi paralleli dalla base alla metà e poi notevolmente rastremato ; il quarto è */, circa più sottile del precedente, pur misurandone la metà in lunghezza, e termina in una punta, simulante 1 estremo articolo rudimentale. Le zampe sono gradatamente più lunghe dal primo al terzo paio e sono notevolmente robuste in corrispondenza di una me- diocre lunghezza. 5 I sifoni sono piccoli, ma meno di quelli della specie prece- dente: La codetta è sferica, quasi sessile, ispidula e con peli alquanto più corti del suo diametro. Anche questa Vacuna ha il dorso armato di spine bene evidenti, ma è senza i tubercoli laterali indicati per Valtra specie, nel set- timo somite addominale. Quanto ora alla posizione delle due nuove specie fra le altre descritte, in mancanza delle forme alate, che non abbiamo ancora rinvenute, non è possibile dire se debbansi aggregare alle Vacune piuttosto che alle Glifine, e viceversa. Provvisoriamente, passando, per necessità di cose, sulla divisione fra i due generi sopraindi- sati, e raccogliendo tutte le note forme partenogeniche attere delle specie, di un genere e dell’altro, nell’antico genere Vacuna, per distinguerle, si ha il prospetto seguente. Gen. Vacuna Heyd. A. Antenne della partenogenica attera brevissime, formate di quat- tro articoli; corpo verde cupo, con linea dorsale pallida e una linea di macchie bianche sui lati. . . . V. betulae Heyd. AA. Antenne di 5 articoli un terzo, 0 poco più di un terzo della lunghezza del corpo. o INTORNO A DUE NUOVI VACUNIDI DEL CASTAGNO 259 B. Corpo pallido verdognolo uniforme. C. Codetta di forma sferica ; rostro a succhiatoio al- lungato . . . . - V. Carlucciana Del G. CO. Codetta di forma distintamente conica, ottusa al- l’apice e rigonfia; rostro raccorciato . . . . NV castaneae De BB. Corpo verde olivastro, 0 atro nerastro, variamente mac- chiato. D. Pidocchio piriforme raccorciato. E. Atro olivastro, con linea dorsale mediana pallida. . . . . V. dryophila Schr. BR. Verde olivastro brillante, con una linea dorsale chiara a lati sinuosi, ornati di celeste e di bianco perlaceo fin sulla base dell’addome, ed una grande zona dello stesso colore su di questo, oltre a piccole macchie perlacee sui lati: antenne appena più lunghe di ', della lunghezza del CORPORE Nan SchTo DD. Pidocchio ovale, nerastro, macchiato di bianco ceroso melle varie divisioni del corpo e mella maggior parte dei lati dell'addome... . ear ne i Ma pilosa+Bael Giova qui ricordare come la V. alni dello Schrank, descritta nel vol. II, a pag. 118 della sua Fauna boica, e da Kaltenbach indicata come Vacuna bdetulae, a pag. 177 della monografia sulla Famiglia degli Afidi, non ha da vedere con la Vacuna betulae Hey- den secondo la descrizione e le figure del Buckton, sull’ autorità del quale 1 abbiamo qui considerata; e ciò, non pure per la na- tura diversa delle antenne, nelle partenogeniche attere, ma per gli altri caratteri delle appendici restanti e del corpo, sulle quali cose sarà da ritornare trattando della consistenza dei generi nei quali le specie descritte sono state distribuite. Tornano bene invece le notizie che abbiamo della Vacuna alni raccolta da noi, con quelle del Kaltenbach e del Passerini, così come, bene a ragione, il Buckton aveva dubitato di una regolare 290 GIACOMO DEL GUERCIO assimilazione di questa specie con quella da lui figurata e attribuita al’Heyden; e non sarebbe possibile raccogliere sotto lo stesso nome due forme nelle quali le antenne, mentre in una raggiun- gono o oltrepassano appena la lunghezza del brevissimo rostro, nell’altra oltrepassano il terzo della lunghezza del corpo, fin quasi a raggiungerne la metà, come si può vedere nella figura della fem- mina da noi raccolta sui cespugli delle piante dei burroni dei dintorni di Firenze. Ed è in cosiffatti esemplari che, oltre alla linea dorsale toracica, che ferma sul primo al secondo addominale, vi è la grande macchia trapezoidale, situata poco avanti della linea dei sifoni. Quanto poi alle due nuove specie descritte, di esse una deriva il suo nome da quello della pianta sulla quale vive (Vacuna castaneae) e 1 altra prende nome da quello di un distintissimo cultore di Scienze agrarie, il Comm. Prof. Carlueci, al quale Vab- biamo dedicata in omaggio. Dalla R. Stazione di Entomologia Agraria di Firenze Ottobre 1915. sà Fig. »d » » » » INTORNO A DUE NUOVI VACUNIDI DEL CASTAGNO 291 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XIII Femmina vivipara attera di Vacuna castaneae Del Guercio, vista dal dorso, molto ingrandita. La stessa vista dal ventre, per mostrare il rostro; meno ingran- dita della precedente. Antenna della stessa; molto ingrandita. Estremità addominale, per mostrare la codetta e gli operculi anale e genitale ; molto ingrandita. Suechiatoio del rostro molto ingrandito per mostrare il rapporto fra i suoi diversi segmenti. Spine e tubercoli, molto ingranditi, rilevati ai margini del- l’addome. Larva della Vacuna castaneae, ingrandita. Femmina vivipara attera di Vacuna Carlucciana Del Guercio, molto ingrandita, pel confronto con quella della specie precedente (fig. 2), Antenna della medesima molto ingrandita. Succhiatoio della stessa pel confronto con quello indicato nella figura 5. Estremità posteriore addominale, dal dorso, pel confronto, per la codetta con quello della figura 4. Femmina partenogenica attera di Vacuna alni (Schr.) Pass. molto ingrandita pel confronto con quella delle due specie precedenti. Antenna della femmina partenogenica alata, ingrandita. Ala anteriore e posteriore della stessa, ugualmente ingrandita. Gli estratti di questa Nota furono pubblicati il 23 Febbraio 1914. SA Ne ENCLE ana GIACOMO DEL GUERCIO UN NUOVO GENERE AMERICANO DI CALLIPTERINI (Gen. SIPHONOCALLIS no».) Il chiaro collega ed amico prof. Jon I. Davis mi ha spedito in questi giorni da La Fayette degli Stati U. d'America, dei bellis- simi esemplari alati di Callipterus betulacolens. Nell’esaminarli ho dovuto notare che in essi la natura della fronte, dei tubercoli an- tenniferi ed il rapporto fra questi e quello del primo col secondo articolo delle antenne oftrono caratteri, che escono del tutto da quelli del genere Callipterus, al quale la specie appartiene. AIN Fig. i. — Capo di Callipterus tiliae molto ingrandito. Fig. 2. — Capo di Siphonocalis betulacolens molto ingrandito (G. d. G.). In questa specie, infatti, la fronte è evidentemente scanalata, e lo è tanto quanto non sempre è dato di vedere in diverse spe- cie del noto genere Macrosiphon Pass. 0 Siphonophora Koch., così del resto come ognuno può vedere dalla ispezione della figura, che ne è stata riportata. I tubercoli antenniferi sono assai grossi e dal lato interno lisci, molto rilevati, con un pelo alla base, dalla quale alla sommità il lato del tubercolo è tanto lungo quanto il lato relativo, interno, del primo articolo delle antenne. 294 GIACOMO DEL GUERCIO Questo articolo intanto, come nei Macrosiphon e nei generi più affini, è più che due volte più Inngo del secondo articolo anten- nale, che è così lungo che largo ed a lati paralleli, mentre sono notevolmente convessi quelli del primo articolo. Il restante delle antenne, che sono lunghissime, è come nei Cal- lipterus, e come nelle specie di questo genere sono pure le ali, i sifoni e la codetta, con il rimanente della terminazione addominale, che è come nella figura a suo luogo indicata. Nelle ali però non sarà male di avvertire alla presenza di un carattere secondario, che potrebbe avere valore nella distinzione specifica, ed è non pure la loro forma assai ristretta, ma quella dello pterostigma, che ha il lato posteriore convesso, abbastanza evidentemente arcuato e non diritto, nè concavo e in conseguenza non parallelo a quello anteriore. A meglio fissare i termini di que- sto fatto riporto a confronto quello che, a cosiffatto riguardo, si osserva nel nostro Callipterus tiliae, del quale diamo anche la fisura del capo, per porre viemaggiormente in vista le differenze fra i due tipi dei due generi diversi. Il ritrovamento insieme di caratteri tanto diversi di due generi differenti, nella stessa forma,-autorizza necessariamente alla istitu- zione di un nuovo genere, il quale non potendo essere il Muacro- siphon, o il UVallipterus, lo indicheremo col nome di Siphonocallis. Questo genere va naturalmente aggregato al gruppo dei Callipte- rini, fra i generi del quale è assai facil cosa porlo in vista, per i ca- ratteri frontali ed antennali di sopra indicati, i quali distinguono completamente da quelli della generalità degli altri Callipterini da noi conosciuti. Sicchè paragonando col genere Vallipterus si ha : Pronte piana, a tubercoli antenniferi nulli ; primo articolo delle an- tenne eguale al secondo . . . . . Gen. Callipterus Koch. (sp. tip. Call. tiliae). Fronte scanalata, a tubercoli antenniferi ben distinti, primo articolo delle antenne due volte più grande del secondo . . Gen. Siphonocallis Del G. (sp. tip. Call. betulacolens). Gli estratti di questa Nota furono pubblicati il 23 Febbraio 1914. Nt PEROSA GIACOMO DEL GUERCIO La invasione delle Arvicole nelle Carciofaie dell’ Empolese (FIRENZE) (Tav. XIV). Il piccolo roditore, che si è diffuso nelle carciofaie dell’ Empo- lese si riferisce alla nota Arvicola savii Sel. de Longch. dei din- torni di questa città e di altri centri della Toscana, dove è stata e trovasi tutt'ora ospite assai modesto. E per vero anche in quello di Empoli, dove è stata ora richia- mata Vattenzione della R. Stazione, la specie non si trova diffusa nei seminati, che ne sono quasi del tutto immuni, e neanche nei prati di Erba medica, Trifoglio e Lupinella, le quali piante sono fra le preferite del roditore, che risparmia ugualmente le coltiva- zioni di Granturco e di Fagiuoli, per vivere ai danni delle piante di Carciofo. Le carciofaie sono numerose nell’ Empolese, dove le piante si col- tivano per esportare nei mercati dei grandi centri popolati, ed in esse i danni riescono gravi, perchè nel giro di un anno, dal mo- mento dell’impianto, appezzamenti interi possono essere varie volte decimati fino a completa distruzione. Questo ho potuto accertare nella zona più colpita del luogo, indicata dalla pratica col nome di poderi d’ Arno vecchio. Ivi pure, dalle ricerche reiterate eseguite, ho potuto vedere che è aftatto singolare il modo di comportarsi dell’ Arvicola nella distruzione delle piante. Il roditore, a differenza di quanto pratica nella distruzione delle altre piante, non apre fori frequenti, per mettere in rapporto con 296 GIACOMO DEL GUERCIO esterno le sue gallerie, con le quali va dagli argini dei fossi, da quelli delle strade e dai prati, talvolta, direttamente al piede dei Carciofi. Esso profitta, nel tragitto, dei grandi crepacci, che, nella lavorazione profondissima, restano nel terreno e degli altri vuoti, che restano fra le grosse zolle di terra, separate dal male distri- buito letame. Il passaggio indicato ha luogo, per lo più, nella seconda metà di ottobre, poco dopo o subito dopo lo impianto della carciofaia, nella quale i roditori immigrati stabiliscono la loro sede, costruendovisi il nido, a profondità pari, o poco più al disotto delle piante a spese delle quali devono vivere. Ma il passaggio può avvenire anche di marzo e di aprile, al momento della nuova figliuolanza, o quando questa ha già acquistato le forze necessarie per muoversi da una località all’altra, così come è avvenuto nei giorni decorsi ed av- viene tutt'ora mentre scriviamo (giugno). In un modo e nell’altro, VArvicola, che dal marzo in poi vive a spese del Carciofo ne utilizza prima taluna delle grosse radici e poi si colloca alla base del fusto, in una escavazione notevole, dalla quale, poco per volta, penetra nel fusto medesimo e lo vuota, restandovi completamente al riparo dalle cause nemiche esterne. La escavazione continua per un tratto di 15 a 20 em. ed arriva, salendo nel fusto, fin dove la grande zona midollare del medesimo ha sapore dolce. Ed è per siffatta opera che, le piante colpite danno frutti a brattee clorotiche nell’interno e poi da un giorno all’altro appas- siscono e muoiono, mentre le Arvicole perforano la parete del cono praticato e vengono fuori, per collocarsi alla base di altre piante sane. Questo costume del roditore rende senza effetto tutti i provve- dimenti fin ora escogitati per combatterlo, nelle carciofaie, giac- chè nè erbe avvelenate, nè semi preparati, o altro, distribuito per la coltivazione, può adescare e compromettere le Arvicole, le quali pel nutrimento dolce e succolento che dispongono, non mostrano alcun bisogno di andare a cercare di meglio, o di cercare del- l’acqua per dissetarsi. Segue da ciò la inutilità di procedere nell’ estate a provvedi- menti serî di difesa contro di esse, e per converso resulta la op- LE ARVICOLE NELLE CARCIOFAIE DELL’ EMPOLESE 2957 portunità di attendere il mese di ottobre, per dar mano alla loro distruzione. Allora, infatti, si sa che, cosìffatti roditori si raccolgono quasi tutti negli argini dove anche ora si scorgono le loro topaie, e quivi procedere all’avvelenamento o alla soffocazione, secondo che le esperienze preliminari da farsi, per la parte economica, meglio consigliano. Si può dire fin d’ora che il solfuro di carbonio porterebbe a spese maggiori, mentre la ripulitura degli argini e l'introduzione nelle topaie dei semi o delle erbe avvelenate, importerebbe spesa assai minore, giacchè il lavoro che si spende per nettare gli ar- gini dalle erbe, rientra nella manutenzione usuale da farsi nei fossi per il governo delle acque. Con qualunque sostanza si lavori, poi, la difesa andrebbe sem- pre praticata dopo le grandi pioggie dell’ ottobre, e ciò perchè elevandosi il livello dell’acqua, nei fossi, una grande quantità delle Arvicole resta annegata e muore senz’altro nelle topaie. E questa è certo la principale delle cause, che servono nell’ Empolese a contenere il piecolo roditore in assai ristretti confini. (ili estratti di questa Nota furono pubblicati il 23 Febbraio 1914. GIACOMO DEL GUERCIO LESRIPUEESEDESFAFANI NOCIVI NELLE RISAIE DI MOLINELLA (BoLogna) Le Tipule, conosciute con i nomi di Crane Yies, Gallinipper, Gian mosquitos, Daddy, Old father long legs, o con gli altri di Har- krank, Schnaken, Bachmiicken, Erdschnaken, o Tipules, formano fra i Ditteri un gruppo assai naturale, ricchissimo di tribù, di ge- neri e più particolarmente di specie, diverse delle quali hanno un grande interesse economico od agrario. Per ciò le note di indole speculativa intorno a questi Ditteri sono quanto altre mai nume- rose; ma per contrario sono altrettanto rare, sparse e a contenuto frammentario quelle di indole economica. Così che nessuno, eh’ io mi sappia, ha fentato ancora nello insieme, la trattazione dell’ ar- gomento dal punto di vista agrario; e di questo stato di cose risen- tono non poco i metodi ed i mezzi ‘*preconizzati per la distruzione. I paesi, intanto, che maggiormente appariscono come provati dalla moltiplicazione delle Tipule, e che più se ne sono lamentati, sono gli Stati Uniti d’ America, dove sono state fatte anche le comuni- ‘azioni più interessanti sopra questi insetti. I primi avvertimenti relativi a Tipule nocive si devono all’ os- servazione del dott. T. W. Harris, che serìs se nel 1854 per una invasione numerosa di larve. A queste notizie fan seguito quelle del dott. C. V. Riley sulla loro importanza economica (1867) e dopo due anni ancora le altre del dott. B. D. Walsh, che serisse prima per i danni, che le larve avevano portato in una fattoria del Messico Mo., e l’anno successivo per un’ altra invasione veri- ficatasi a Meadville, Pa. « Redia », 1913. 20 300 GIACOMO DEL GUERCIO . Dopo queste, che sono le prime avvisaglie della dimostrazione degli insetti poste in rilievo, seguono le osservazioni molto più interessanti ed estese compiute dal dott. S. A. Forbes, intorno alle invasioni delle zone meridionali e centrali dell’ Illinois, dove interi territorii furono completamente rovinati dalle larve della Tipula bicornis Loew. nel 1888, e alla precedente del 1874, in Cali- fornia, per comunicazione fatta dal Riley nel 1888 in occasione dei tristi effetti della diffusione delle Pachkyrhina, nelle vicinanze di Farmersburg. Ind. Seguitano nel 1889 le notizie del « Pacific Rural Press », per la invasione di Healdsburg, Cal., e nel 1892 vengono quelle di F. M. Webster sulla stessa 7ipula bicornis dell’ Anderson, Ind., così come nel 1894 si ha ricordo dell’ infestazione del territorio di Whitby, nell’Ontario, Ind., nel 1908 quella di Mount Vernon, Ind. e Valtra del centro della California dovuta alla Tipula simplex Doane; a cui tenne dietro nel 1911 la invasione di Jackson, Tenn., attribuita da J. A. Hyslop alla 7ipula infuscata Loew. Dopo gli Stati Uniti l’altro paese che si è occupato delle Tipule è la Gran Brettagna, che oltre a varie notizie diffuse in alcuni dei suoi più interessanti giornali agrari, come il « Gardener? s Ohro- nicle », il « Practical Agriculture », ete., ha le ricerche riassuntive del Curtis F. FLS., alle quali per lo più hanno attinto gli scrittori del continente europeo, che, come in Inghilterra, han chiamato quasi sempre in causa le note, antichissime Tipule dei cavoli e delle altre piante ortensi, come la Tipula oleracea, appunto, la 7. hor- tensis Meig. e assai più di rado la 7. paludosa Meig., la 7. flavo- lineata, la Pachyrhina crocata e la P. maculosa Maq. Da noi abbiamo avuto ripetute invasioni per parte delle due prime Tipule di sopra indicate, ma nessuno, ch'io mi sappia, ne ha seguìto landamento, o ha compilato notizie diverse da quelle che ne avevano date sommariamente Boisduval, Goureau, Nor- dlinger, Taschenberg ed altri, fra i quali Targioni, ha notizie di una Zaphria fulva Meig. fra gli insetti nocivi al Tabacco. Di una specie o dell’altra poi, tanto in America che in Europa, le notizie si riferiscono per piante in terreno emerso; mentre non sarebbe lo stesso per le Tipule delle risaie di Molinella (Bologna) che formano l’oggetto della presente nota, e nè tampoco delle altre Met LE TIPULE ED I TAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 301 non ancora definite, che S. Onuki in poche righe accusa di gravi danni nelle risaie del Giappone. Intorno alla specie delle nostre risaie siamo in grado di fornire notizie dirette desunte da ispezioni locali e ricerche di laboratorio eseguite d’ incarico del superiore Ministero dell’ Agricoltura, che della difesa delle coltivazioni delle piante si è sempre occupato con la migliore sollecitudine possibile. Origine della invasione. Quanto alle origini della invasione, sarà utile di ricordare che gli agricoltori locali conoscono bene questi insetti con i nomi vol- gari di Zanzaloni, o Zanzaroni, agli sciami migranti dei quali, pro- venienti dall’ Argentano e da altre zone non bonificate del Ferra- rese, si attribuiva il triste privilegio della diffusione delle infezioni malariche in quella località. Nessuno mai per tanto, prima del 1911, aveva pensato a connettere la presenza delle Tipule con le molestie alle semine nelle risaie, pur prevalendo sempre il con- cetto manifesto della dipendenza dell’esito di quelle dal regolare, non disturbato germogliamento del seme. Fra le cause che turbano 1’ importante fenomeno del germoglia- mento la pratica ricorda, con insistenza, il vento fra gli agenti fisici e in qualche luogo le larve dei Friganeidi, volgarmente « bruci » alle quali, pur troppo, bisogna unire e porre in prima linea quelle delle Tipule e le altre non meno inattese dei Tafani, che non solo disturbano, distruggono, e che nel 1911 soltanto furono avvistate dai signori Massarenti, Fiorentini e Mengoli della Cooperativa agri cola di Molinella. I. — Notizie sulle Tipule delle risaie. La Tipula delle risaie del Bolognese è piuttosto grande e corpu- lenta a malgrado la sua naturale eleganza, così che la femmina può raggiungere da 22 a 25 mill. di Innghezza per una larghezza di 3 a 4 mill. circa misurata sul torace e sull’addome. Ke 802 GIACOMO DEL GUERCIO La tinta generale del corpo è nello insieme grigio fulviecia, di sopra, e distintamente canescente di sotto. Talvolta però la tinta fulva, anche indipendentemente dal colore della peluria, appare predominante e passa quasi in linea secondaria quella grigia; la quale ad ogni modo non si scorge per tutto e non è nemmeno sem- pre uniforme nelle differenti parti del corpo. Fig. 1. — La Tipula delle risaie bolognesi, Zipula oleracea L. 9. poco meno di tre volte ingrandita (G. d. G. ad nat.). Il capo è grigio scuro, quasi atro, con occhi grandi, di un bel verde smeraldo cupo, mentre la proboscide è flava, quasi testacea spesso volgente al bruniecio, con palpi quasi due volte più lunghi di essa, composti di quattro articoli di cui l’ultimo è piegato a coltello sui precedenti. Il primo articolo è corto, clavato, giallo legno, setoloso al pari del secondo; questo è due volte più lungo del primo e poco meno del doppio più largo, quasi fusiforme, con una strozzatura distinta nel terzo basale ; il terzo articolo è esso pure setoloso ma clavato, non fusiforme e notevolmente più largo nella seconda metà; il quarto articolo è giallo legno, ispido e se- toloso come il terzo, ma poi è varicoso, piegato alla fine del suo primo terzo e già da questo in poi quasi bruno ed evidentemente striato di trasverso fino alla sommità, dove è per breve tratto Munn LE TIPULE ED I VAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 303 giallo, come alla base, nella quale manca la striatura. Le antenne sono di color giallo aureo, più chiare assai dei palpi, dei quali sono tanto più lunghe da sorpassarne di poco la sommità. Il loro primo articolo è clavato, dal lato erenato tutto ispidulo e setoloso come i palpi ed è quasi cinque volte più lungo del secondo arti- colo; questo è dello stesso colore, ma di forma sferica e con se- dl o poco più, più lungo del quarto, che presenta un verticillo di setole tole brevi; il terzo articolo è di !/, più corto del primo e per bruno flave alla base, che è alquanto ingrossata ; il quinto arti- colo, a differenza del precedente, è bruno oltre all’essere ingros- sato alla base, e gli ultimi due sono quasi nerastri. Dal quarto in poi, questi articoli vanno degradando insensibilmente fino al 13.°, ed ultimo, che a differenza déi precedenti è più piccolo e conico. Il torace presenta il preseuto ed il mesoscuto grigio scuri, quasi come il resto del dorso, mentre la parte sternale si presenta di color grigio chiaro, quasi biancastro, come nel pronoto e nei lati. Il preseuto è intanto trilineato, a linee longitudinali assai ben distinte. Ali vitree, della lunghezza del corpo, a nervatura flavo bruniccia, particolarmente nella vena marginale e nella sottocostale, compresa la parte di questa conosciuta col nome di vena a croce 0 di se- conda aggiunta radiale; così del resto come appare infoscata la cellula chiusa dalla detta vena e da quella della radiale. Pel rima- nente vedasi quanto il disegno riporta nella figura dell’ala tanto della femmina in esame, quanto in quella del maschio, che sarà successivamente descritto. Le zampe sono poco meno del doppio della lunghezza del corpo, con l’anca ed il trocantere grigio cenere, il femore flavo, appena infoscato, più seuro alla sommità, e appena più corto della tibia, che è uguale al femore nel colore e pari alla somma, in lunghezza, del primo e del secondo articolo tarsale, che sono brunastri come la estremità della tibia, fornita all’apice di due grosse spine nere, quasi delta lunghezza del quinto articolo tarsale, le cui unghie sono robustissime, nere ed adunche. Più che nella tibia, nei tarsi si in- contrano peli eretti corti lungo la parte inferiore, e radi e lunghi sul dorso degli articoli che pure ne hanno ivi numerosi, lunghi ed aderenti. 504 GIACOMO DEL GUERCIO L’addome è fusiforme, tre volte circa più lungo della somma del torace e del capo. Esso è grigio cenerino fulvicecio fino al nono somite, con macchioline poco bene evidenti, di colore nerastro, sparse sulle tergiti e sulle sterniti, che, nel limite dei somiti indi- cati, sono pelose ed a peluria fulviccia, mentre i fianchi, per quello che è la regione pleurale appare a causa delle uova come piechiet- tata e maculata di nerastro in fondo fulvo più intenso e scuro di quello, che si vede sugli archi indicati. Fig. 2. — Maschio della Tipula oleracea L. nociva nelle risaie di Molinella, ingrandito (G. d. G.). La estremità dell’addome, con l’apparato genitale, è favo testa- cea, guernita di peli setolosi neri, numerosi, al disotto dell’apertura vulvare ; l’ovopositore è molto robusto e per un terzo circa più corto dei cerci, che sono assai sottili e taglienti alla sommità. Non di rado femmine che corrispondono per i caratteri a quella descritta si presentano alquanto più scure nel torace e nell’ ad- dome, nel quale ultimo lasciano scorgere appena come una linea dorsale ininterrotta, e dopo stretto spazio flavo, un’ altra fascia più seura, che si estende fino quasi al limite degli archi dorsali, LE TIPULE ED I TAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 305 î quali nel margine appariscono più distintamente fulvi, così che nell’ insieme, in ultimo 1 addome si presenta come nella figura indicata. Il maschio, a confronto, è un terzo circa più piccolo della fem- mina, di cui per tanto è molto più snello ed agile. L'apparato boccale ha labelli molto più sviluppati ed apparen- temente assai allargati e rigonfi che non nelle femmine. I palpi labiali presentano il primo articolo non molto più corto del secondo, mentre è molto più corto nelle femmine ; alla maniera stessa che il secondo è subeguale al terzo, laddove esiste fra l’uno e l’altro ben notevole differenza nei palpi delle femmine, sebbene anche in queste poi, il quarto articolo sia subeguale, in lunghezza alla somma dei tre precedenti. Le antenne sono più lunghe che nelle femmine, pur essendo lo stesso il numero degli articoli, fatta eccezione del secondo e del- l’ultimo, che sono presso a poco della stessa lunghezza; e per questo basterà ricordare che le due serie lineari dei rapporti fra gli articoli nelle antenne dei due sessi sono come appresso : MASCHI. sno a n ir (e a OS AQ IO, tierapi “go (ao 29 28° d4 22° 20, 20 21 6 ri n i sil oi Moi Losi © SOR NIONE MAMI TR IG N16 (ID “15. di Nei maschi in oltre le antenne sono più robuste, e più scure negli ultimi cinque articoli, mentre nei precedenti è più rigonfia e seura la base di ciascuno e notevolmente più lunghe per tutto sono le setole che li adornano, così del resto come è fusiforme il primo articolo dello scapo nelle femmine, laddove nei maschi è quasi clavato. Gli occhi sono nei maschi più vivi che nelle femmine, così come le ali sono assai più fulve e lo stesso torace è più intensamente colorito sul dorso. Come per le femmine, anche per i maschi vi sono differenze no- tevoli nell’addome, il quale ora è grigio fulvo, ora è quasi nerastro, 306 GIACOMO DEL GUERCIO a causa della larga fascia dorso longitudinale e quella anche più larga che corre lungo il margine laterale degli archi dorsali. Rap- presentando con questo disegno di tinte il maschio nella figura riportata, il chiaro corrisponde al fulvo ed il resto alla colorazione scura ricordata. Fig.3e 4. — Capo della femmina e del maschio ingranditi per mostrare il loro apparato boccale e le antenne relative rispetto ai palpi. (G. d. G.). Nelle forme cenerine dei maschi il torace è meno colorito e 1’ad- dome esso pure grigio cenere fulviecio, mostra spesso interrotta la sola fascia laterale, che corre ad un terzo dal margine degli archi dorsali, che sono grigio chiari nel margine medesimo e seuri verso il dorso dell’addome. Ciò che non muta invece è Vandropi- gidio, che è compresso e presenta dalle parti due lamine gialle, trapezoidali, pelose, arrotondate negli angoli liberi e delle quali ciascuna porta tre appendici cuneiformi di cui una è fortemente roncata larga e gialla alla base, testaceo nerastra ristretta ed acu- minata all’apice; mentre le altre due appendici sono conformate LE TIPULE ED I TAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 507 a gronda. Di esse una è completamente gialla, chitinosa, smerlata distintamente all’apice, dalla parte interna, e nelle smerlature or- nata di punte coniche, mentre presso il margine basilare sinistro si eleva una sporgenza lineare piana alla superficie ed ivi ben pic- chiettata laddove una specie di densa peluria ammassata le fa da parapetto dalla faccia interna; la seconda è gialla nella pagina ventrale e nerastra in quella dorsale e con la metà del margine terminale destro guarnito di una ventina di uneini chitinosi; la terza sta sotto alla seconda di cui è più stretta, più profonda e corta ed ha gli uncini disposti nel margine destro della metà ha- silare. Osservazioni e note biologiche. Queste forme di Tipule, prima assai scarse o rare, cominciano a mostrarsi dalla seconda alla terza decade di marzo verso la fine della quale il numero aumenta a vista d’occhio ed assume in breve volgere di giorni proporzioni addirittura straordinarie nelle annate ad apparizioni maggiori, come furono quelle del 1911 e 1912 al 1913. Sempre primi a venir fuori abbiamo notato che sono i maschi, i quali volano già in buon numero quando cominciano a vedersi le femmine, che vengono ricercate continuamente da per tutto. Maschi e femmine mano a mano che vengono alla luce si librano nell’aria ad un volo generalmente basso, ben sostenuto, per quanto a tratti e ogni tanto interrotti per fermare sulle cannucce delle pa- duli e sulle altre piante, che coprono gli argini dei fossi, quelli delle risaie e le grandi casse per la raccolta delle acque, che ser- vono poi alla sommersione del terreno per la risaia. E in questi voli è costante il fenomeno di maschi diversi, talvolta addirittura a sciami, che seguitano o cireuiscono una o più femmine. I maschi spesso si trovano in agguato nel Falasco degli argini, o fra le corone verdeggianti del Trifoglio o della Medica, o fra la Capragine ed altre piante, dove attendono pazienti il passaggio 0 la fermata delle femmine, per impossessarsene. Le femmine d’ altro canto devono avere le loro buone ragioni 308 GIACOMO DEL GUERCIO per non esporsi troppo ed anche per nascondersi e sfuggire l’as- salto dei maschi, perchè osservandole attentamente si vede che esse procedono con cautela grande, e non è di rado che si vedono sollevare sulle lunghe zampe, per sporgere il corpo al di sopra delle chiome erbose delle piante, fra le quali poi si ritirano di nuovo, posano il corpo ora sulle ali, poggiate a fili d’erba o alle foglie degli steli, o sulle zampe piegate pel riposo, e, nell’ una posizione o nell’altra aspettano delle ore intere prima di muoversi. Ma questa loro accorta manovra non serve che assai poco a sal- rarle dalla ricerca attivissima dei maschi, i quali se le femmine stanno nascoste, tratto tratto, essi muovono anche troppo e dopo V’attesa invana, si danno ad ispezionare per lungo e per largo tutti i nascondigli a loro noti nei quali le femmine possono essere e si trovano riparate; e poichè così certamente le raggiungono, si può assistere allora alla seconda parte della manovra della caccia alle femmine, che è quella d’ impossessarsene. Queste, quando si avve- dono d’essere scoperte si alzano a volo e dopo qualche metro di svolazzamento nella direzione degli argini, svoltano repentinamente trasportando il campo d’inseguimento sulle stoppie della risaia, o sui prati, o sugli specchi d’acqua, che ricopre il terreno, che attende il nuovo seme del Riso. Ma i maschi sono più resistenti ed agili e ognuna di quelle vien presto presa dal primo arrivato di questi, con il quale si accoppia sempre volando, o anche a fermo; e al- lora è la corsa dei maschi soli, che rincorrono anche più eccitati la coppia unita, che non smette di volare, ma perdendo essa in velocità riesce loro facile di raggiungerla e prenderla d’assalto da ogni parte, quali stringendo la femmina nel torace, quali nell’ ad- dome, e quelli che non possono più trovar posto su questa lo cercano sul maschio fortunato che non riescono in alcun modo a distaccare dalla femmina. Si formano per tal guisa dei veri grap- poli di Tipule della forma e nelle posizioni più strane, nei quali quelle più a disagio sono le femmine, strette da ogni parte e co- strette a sempre nuovi e reiterati accoppiamenti. Malgrado tutto questo assedio, al momento di liberarsi dal primo maschio, le femmine, quando non si trovano stremate di forze, pren- dono il volo e poi posano subito sulle erbe, restando col corpo pen- zoloni e l’addome stretto fra le ali unite, che lo ricoprono effica- LE TIPULE ED I TAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 309 cemente contro la vibrante intraprendenza dei maschi, che cercano in tutti i modi di guadagnarne la estremità. Seguendo questi fatti, dalla fine di marzo all’aprile del 1913, in allevamenti di laboratorio e di campo, abbiamo potuto vedere che ciò deriva anche e principalmente dalla sproporzione esistente nella rappresentanza dei due sessi. Al principio delle apparizioni la dif- ferenza numerica fra i maschi e le femmine era bene evidente, ma non appariva molto grande, perchè fra queste e quelli il rapporto generale era come 1 ad 1,5 o come 1a 2. Successivamente, tanto negli sviluppi di laboratorio, quanto nel campo, dove, d’altronde, le pupe erano state raccolte in gran nu- mero, per la trasformazione. la quantità dei maschi crebbe sempre più, giacchè sugli argini dei fossi, fra le Tife e le altre piante indicate, abbiamo contato, nell’aprile, fino al 90 E di maschi ri- spetto al 10 °/, soltanto di femmine. E ciò abbiamo visto nelle ore più calde del giorno e con sole brillante quando questi insetti mag- giormente si mostrano pei campi. Col calare del sole scema in gran parte l’attività delle Tipule, che alla sera si trovano tutte nascoste, nè per tutta la notte si muovono mai fino alla mattina seguente. La sera pure, e all’azione della luce artificiale, nelle voliere di sviluppo, esse si movevano an- cora ma non era così quando con l’inoltrarsi della notte restavano come assiderate dal freddo. La mattina non si muovono affatto neanche all’apparire del sole se non vi è un certo tepore nell’ aria; sicchè prima delle sei e mezzo alle sette non si scorge quasi nulla e solo qualche ora più tardi compariscono in buon numero anche le femmine, le quali, al pari dei maschi, allora particolarmente si vanno a raccogliere dalla parte dei margini più esposti all’azione del sole, e meglio riparati per vegetazione o per altro dall’azione del vento, che abbassa la temperatura e si rende per le Tipule parecchio molesto. In qualunque luogo però la durata degli accoppiamenti è assai lunga, perchè i due sessi restano insieme volentieri, quando non sono disturbati, per diverse ore di seguito. Di sera abbiamo avvi- state coppie numerose di Tipule, che la mattina dopo erano ancora unite e non si sono separate che dopo voli ripetuti lungo gli ar- gini e più particolarmente per i trifogliai ed i medicai di sopra 510 GIACOMO DEL GUERCIO indicati. Per ciò noi andavamo la sera e la mattina presto a rae- cogliere le coppie delle Tipule, che ponevamo in osservazione, per assistere al fenomeno interessante della deposizione delle uova. Gli Entomologi che si sono occupati della biologia delle Tipule sono d’accordo nel dire che queste operano la disseminazione delle uova lasciandole cadere dall’alto mentre passano a volo sulle piante, alle cui spese vivono poi le larve; ma non è certo questa la re- gola per quella delle risaie. Questa l’abbiamo vista a piegare il torace fino a far angolo retto con Vaddome, col quale si mantiene verticale, mentre le zampe si piegano in modo da poterlo alzare ed abbassare a tutto suo piacimento. E questo essa fa per esplo- rare intanto il terreno, il quale se le dà modo di facile penetra- zione, si dà subito ad un lavoro di caviechiamento con l’oviposi- tore, col quale mentre penetra nel terreno, lascia cadere le uova, che si trovano poi appiecicate ai minuzzoli terrosi, intorno ai quali e contro le pareti dei buchi che pratica, volta a volta, essa le ab- bandona. In questo lavoro le femmine delle Tipule sono davvero instancabili, perchè si può dire che non cessano quasi mai di de- porre salvo brevi riposi, dopo i quali esse riprendono con vigore PS Fig. 5. — Uova della Tipula delle risaie notevolmente ingrandite (G. d. G.). maggiore il lavoro indicato, senza badare ad ostacoli e curarsi me- nomamente dei cadaveri dei maschi o di questi morenti, che in- contrano di sovente nello sgravarsi delle uova numerosissime delle quali hanno pienissimo e rigonfio l'addome. Le uova di questa Tipula sono nerissime, appena bene visibili ad occhio, lunghe mill. 1 e larghe mill. 0.3, appena reticolate alla superficie e di forma ovoidale allungata, quasi asimmetriche, non essendo ugualmente per tutto rigonfiate nel mezzo. Il numero di queste nova, che ogni femmina depone, è straordi- LE TIPULE ED I TAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 511 nariamente grande, giacchè noi ne abbiamo contate fino a 600, ma se ne trovano meno, scendendo esse fin sulle 400 circa. Gli Entomologi ritengono che queste uova impieghino 10 0 12 giorni per dare le larve, ma questo noi non abbiamo potuto con- fermare, perchè in laboratorio, come in campagna, durante il tempo indicato non abbiamo mai visto nascere una larva. Il tempo deve essere notevolmente maggiore. A noi poi è stato pure dato di osservare che covate intere di uova sono morte senza dare mai larve, così come larve non sono mai nate da uova deposte da Tipule previamente fecondate entro sacchetti di tela, entro buste di carta e in tubi di vetro a pareti pulite e sterilizzate, chiusi con cotone per non ostacolarne la respira- zione; così come abbiamo potuto vedere che femmine piene d’uova sono morte senza arrivare a deporle. Ma di questo diremo più o0p- portunamente altrove. Qui giova osservare come le larve si siano trovate numerose più tardi nelle praterie intorno alle risaie, lungo le strade, che fiancheggiano i campi e nei margini dei fossi di scolo, ricchi di vegetazione erbacea spontanea. Le larve nella primavera si trovano in gran numero anche nelle risaie; ma queste sono di generazione precedente a quella della quale ora si parla, come noteremo in seguito. E ciò affermiamo perchè tutte le nostre osservazioni fatte su Tipule fecondate non ci hanno mai permesso di vedere che quelle si fermino sull’acqua o sui culmi del vecchio riso, che da essa emergono, per deporre uova. A cosiffatto riguardo giova notare che noi abbiamo fatto sommergere numerosi appezzamenti di risaia, e a malgrado le ricer- che fatte poi sul melmiecio prelevato ed ispezionato, non vi abbiamo mai rinvenute le uova, che come si sa sono più pesanti dell’acqua e vanno a fondo; e poichè le ricerche sono state ripetute negli specchi d’acqua con culmi e piante emergenti sulle quali le fem- mine delle Tipule spesso posavano, se vi avessero lasciato cadere uova, le avremmo trovate certamente. La deposizione delle uova per tanto e il luogo dove le larve vivono sono in terreno emerso e perciò il ritrovamento delle larve nelle risaie è l’effetto di una accidentalità, che non è da comprendersi fra le abitudini dell’in- setto perfetto in esame, che evita decisamente la superficie del terreno coperto da acqua nella deposizione delle uova. E fu con 312 GIACOMO DEL GUERCIO la scorta di queste ricerche che fummo condotti a cercare le larve delle Tipule delle risaie negli appezzamenti di Erba medica e nei prati di Trifoglio, che nel Molinellese sono giudiziosamente alternati col terreno a risaia; e ve ne trovammo in gran numero. Fig. ©. Fig. 6. — Larva di Tipula oleracea delle risaie, ingrandita pel confronto con quella della Fig. 7 del Tabanus ignotus Rossi vivente anch'essa nelle risaie ed ugualmente ingrandita. (G. d. G.). Queste larve sono di color grigio terreo uniforme ed assumono due forme diverse, una che chiameremmo di riposo o di raccogli- mento ed un’altra di movimento. La prima è quella di un bari- lotto cilindroide, lungo poco più di 2 em. e largo 7 mm. circa, al- quanto conico dalla parte del capo e distintamente arrotondato alla estremità posteriore, dalla quale sporgono appena le punte delle appendici di cui è fornita. La forma della larva in movimento è anch’essa cilindrica ma è lunga fino a 4 em. per 0,5 di larghezza ed evidentemente con certa gradazione rastremata verso le due estremità. Il loro capo è nero, con antenne bene evidenti ed apparato boccale robustissimo a larghe mandibule come nei bruchi dei Lepidotteri. Nessuno mai ch'io mi sappia aveva dato notizie precise sui co- stumi delle larve delle Tipule, non per il regime loro ma per il modo di comportarsi. Noi con allevamenti reiterati fatti dalla primavera all'autunno del 1911 abbiamo osservato che le larve della specie delle risaie non intaccano i semi ancora secchi e duri, malgrado la LE TIPULE ED I TAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 315 indicata robustezza delle loro mandibole, ma lo fanno quando avendo quelli assorbito acqua si gonfiano e cominciano a metter fuori il fusticino e la radichetta. Una volta i semi rigonfiati vengono in- vestiti appunto dalla parte ove questi fusticini sono per spuntare e le larvettine mangiandone il contenuto penetrano col capo fino in fondo alla cariosside, per esaurirne talvolta completamente il Fig.8. — Larve della Tipula delle risaie in posizione di riposo, raccorciata ed a barilotto, in movimento nei rispettivi cunicoli, e pupa sollevatasi fra le piante di Trifoglio. (G. d. G.). contenuto. La qual cosa, mentre dà la spiegazione della mancata nascita del seme nelle risaie, ricorda, come fu da noi pure altra volta rilevato, la rassomiglianza che questo costume delle larve della. Tipula ha con quello in uso nei giovani Molluschi del gen. Agriolimax (A. agrestis) nella compromissione delle cariossidi del Grano e di altre graminacee coltivate, come Segale, Orzo, Avena, ecc. Se non che più tardi, negli attacchi alle foglie e allo stelo delle piante, laddove i giovani Molluschi sfibrano con la ra- dula stelo e foglie, per usarne il parenchima, le larve delle Tipule intaccano dal margine le lamine. e gli steli dai lati, corrodendo in 514 GIACOMO DEL GUERCIO modo da produrre una smerlatura abbastanza evidente se non ca- ratteristica, potendo lo stesso lavoro essere compiuto anche da altri insetti, al pari dei quali le larve delle Tipule non di rado in- taccano i fusticini alla base e ne recidono di colpo le foglie per nutrirsene. Per questo, come abbiamo altra volta notato, la mente ricorre alle azioni similari più che delle larve degli Elateridi di quelle degli Zabri (Zabrus tenebroides Goez) le quali devastano nei campi, proprio come fanno le larve delle Tipule ma più che nelle risaie, nei prati su piante graminacee. Queste larve come quelle degli Zabri rovinano le piante di notte nei terreni emersi, in quelli sommersi ne parleremo di poi. Nei ter- reni emersi esse praticano cunicoli profondi, ora più ora meno, ma in generale di 8 a 10 em., ineurvati alla base e nel rimanente più o meno verticali, dai quali escono soltanto per procurarsi alimento, che trovano assai vicino, perchè si trovano costantemente prati- cati fra le piante a spese delle quali le larve vivono. Nei prati di Erba medica e di Trifoglio tali cunicoli si trovano di sovente a contatto col piede di una delle piante indicate, di cui mangiano le foglie, alle quali possono più facilmente pervenire. Dove non riesce loro di raggiungere le parti gradite delle piante, mutano di posto giacchè esse non si giovano delle radici che abbiamo messo a loro disposizione, se non sono tenerissime come possono esserlo i fit- toncini delle graminacee, che trovano nelle risaie e nei prati © lungo gli argini dei fossi più volte rammentati. Come ha luogo per gli Zabri poi, surricordati, anche le larve delle Tipule delle risaie, quando le piante hanno indurito i loro steli e questi non hanno più foglie verdi e tenere in basso, le lasciano per cercarne altre; e quando non trovano di meglio si adattano a eorrodere, non le radici, che hanno rispettato anche negli allevamenti, ma le foglie verdi anche abbastanza indurite. Passano così le cose fino al mese di settembre quando le larve prime nate cominciano a trasformarsi in pupe. La trasformazione ha lmogo nel fondo stesso del cunicolo larvale o alla superficie del terreno, a seconda delle condizioni più o meno favorevoli nelle quali si trovano le larve. La pupa della Tipula delle risaie è lunga 2 em. e mezzo circa, bianca al momento e poco dopo la trasformazione e successivamente E LE TIPULE ED I TAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 315 sempre più scura di poi fino a che si fa nerastra, più intensamente colorita nel capo e nel dorso del torace, con una larga fascia mar- ginale gialla, che dai lati dei somiti di questa regione si estende a quelli dell’ addome, mentre le teche alari e le podoteche, al pari dei processi frontali, sono del colore generale del corpo. Somiti del torace e dell’ addome, del resto, presentano negli archi dorsali e ventrali una doppia linea trasversale grigio-chiara semilucente, men- tre che il margine posteriore di ogni segmento è fornito di punte co- niche assai bene evidenti nella faccia sternale e per le quali riesce possibile alle pupe di compiere completi movimenti di rotazione in- torno a sè stesse e voltarsi con sorprendente rapidità sui fianchi, sul ventre e sul dorso, a tutto loro piacimento, con la stessa fa- cilità con la quale possono risalire dal fondo del cunicolo alla su- perficie del terreno sul quale poggiate agli steli delle piante atten- dono il momento di dare ’ insetto perfetto. Non pare male l’osservare intanto che la profondità alla quale avviene la trasformazione delle larve varia talvolta con la natura del terreno e la quantità di erbe, che vi si trovano. Si approfondano di più quando il terreno è soffice, assai meno quando è compatto e duro, così come allora si trovano in gran numero quasi alla super- ficie quando questo è coperto abbondantemente di erbe che le na- scondono. Ad ogni modo il periodo della ninfosi alla fine dell’estate come nella primavera, non dura più di 7 ad $ giorni. La trasformazione delle larve in pupe e di queste in adulti nel 1912 cominciò dalla fine di settembre in poi, così che gli sciami di Ti- pule svolazzanti si ebbero abbondanti alla metà di ottobre, mentre nel 1913 la trasformazione delle larve si è iniziata dalla fine di agosto ai primi di settembre: dal 4 al 5 del detto mese si ebbero le prime Tipule e dal 15 settembre le forme ninfali rappresenta- vano i °/, della infezione, di cui l’altro terzo era rappresentato da larve quasi tutte pronte a trasformarsi. Alla fine del mese, per tanto, tutta, o quasi tutta la generazione si era completata ed aveva an- che per la maggior parte provveduto alla deposizione delle uova, che nel precedente anno si verificò nella seconda metà di ottobre. Non è a dir ora quanto questi fatti offrano il destro ad azioni di difesa contro l’insetto prima che si fornisca delle ali e proceda a nuovi accoppiamenti. » Redia », 1913. 21 516 GIACOMO DEL GUERCIO Ora giova notare che prima o poi le Tipule mano a mano che si accoppiano si diffondono per i prati di Trifoglio e di Erba me- dica principalmente e vi effettuano la deposizione delle uova; e siccome Medicai e Trifogliai formano prato da vicenda ed avvi- cendato con la risaia, ne segue così che le larve che nascono nel- autunno si trovano in terreno destinato nel nuovo anno alla col- Fig. 9. Fig. 10. Fig. 9. — Pupa di Tipula delle risaie ingrandita pel confronto con la Fig. 10 riportata pel Zabanus ignotus Rossi. (G. d. G.). tivazione del Riso. I prati infatti vengono disfatti nell’ autunno stesso o poco di poi, con una lavorazione profonda e le zolle erbose capovolte, nelle quali le larve si trovano, le ospitano conveniente mente e senz’altri episodî notevoli fino al mese di marzo. In questo mese e in quello successivo la pratica provvede alle riarginature, mette il seme del Riso in sacchi, per prepararlo alla semina e, data l’acqua alla risaia vi opera lo spargimento del seme. Sicchè, nel- l’aprile, miriadi di semi e altrettante larve di Tipule si trovano in- sieme nei quadri della risaia. LE TIPULE ED I TAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 5317 Non occorre dire come muti assai per le larve il loro modo di essere per l’acqua che invade per tutto gli intervalli che si tro- rano fra le enormi zolle seriate dal badile, dalla vanga o dall’aratro e addossate le une alle altre come in tante file interrotte per ra- gione del lavoro medesimo, per gli agenti atmosferici ai quali sono state esposte durante l’inverno e per lo sgretolamento provocato al. l’ultimo momento dall’acqua, e pel quale si forma nel fondo assai accidentato della risaia quel melmiccio riposato, ma sempre facile a smuoversi nel quale si raccoglie e germina il seme del Riso. Data la derivazione dell’acqua, da casse di raccolta, nelle quali anche d’inverno si serba con temperatura piuttosto elevata, essa al sole di aprile si riscalda maggiormente e favorisce il fenomeno del germogliamento, il quale offre alle larve un nutrimento assai delicato per quanto appetito, e le radichette ed i fusticini delle nuove piante si trovano, per tal guisa, con certa rapidità corrose in parte, o recise e distrutte; così come prima i semi rammolliti si prestavano ad essere bucati e consumati nel corpo cotiledonare fino all’ultima porzione. Le osservazioni sul campo a questo riguardo venivano a confermare pienamente quelle di laboratorio, facendo germinare semi posti previamente a disposizione delle larve. In laboratorio però abbiamo visto anche di più e ciòè che queste larve e quelle di altri Ditteri, che vivono con esse, nelle risaie sono al caso di colpire e utilizzare anche le giovanissime piante legnose in difetto di piante erbacee. Nei recipienti di terra, nei quali avevamo delle piantine di Olivo in vegetazione, abbiamo posto a vivere una ventina di larve di questi insetti, dopo aver tolto con cura fin l’ultimo filo d’erba, che spontaneamente vegetava fra le piante indicate. Il giorno stesso del collocamento delle larve nella nuova dimora, al laboratorio della R. stazione di Firenze, non sì notò nulla di nuovo, giacchè quelle penetrarono nel terreno e non si videro più fino alla sera. La mat- tina seguente però una foglia delle piantine tenere dell'Olivo era stata smerlata da una parte ed uno dei fusticini era stato corroso per la lunghezza di due centimetri circa sopra terra. Sicchè du- rante la notte le larve avevano attaccato le piante e le avevano danneggiate, così, d’altronde, come continuarono a fare nei giorni successivi, fino a che una delle piantine intristì sensibilmente fino 515 GIACOMO DEL GUERCIO a perdersi del tutto. Assistendo, nel maggio, di sera alla manovra delle larve per procurarsi alimento, le abbiamo sorprese varie volte Fig. 11. — Piante di olivo colpite dalle larve delle Tipule e dei Tafani fra le quali furono poste al laboratorio della R. Stazione di Firenze. (G. d. G.). a tagliar foglie ed a trasportarle nei loro cunicoli, per corroderle più comodamente; e così, come le abbiamo trovate nel terreno e fuori, ci siamo studiati di darne le figure, che si trovano quì riportate. Le larve delle Tipule e la sommersione del terreno. Le condizioni delle larve nella risaia fortunatamente non sono quelle stesse che esse trovano nel terreno fresco, giacchè ivi, esse, prima 0 poi, devono fare i conti con l’acqua, che, mano a mano che si immette nei quadri coltivati, dalle parti più profonde, toe- ate dagli strumenti da lavoro, sale verso la parte più alta, e sa- lendo va ad invadere i cunicoli occupati dagli insetti, che si tro- vano dalla parte inferiore delle zolle capovolte dall’aratro o dalla LS LE TIPULE ED I VAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 519 vanga, al momento della lavorazione. Molestate dal suo prolungato contatto, le larve, che non sono fatte per reggere sempre nella vita sott'acqua, dopo qualche tempo cominciano a contrarsi e a disten- dersi e puntando ogni volta vigorosamente il capo nel terreno ten- dono a mutar di posto, aiutandosi nel movimento con certi pennelli di peli dei quali sono muniti i loro anelli del corpo. E così dalle Fig. 12. — Estremità posteriore della larva della 7’ipula delle risaie, molto ingrandita, per mostrare le aperture respiratorie e le appendici che le contornano. (G. d. G.). parti profonde, sempre sommerse, del terreno lavorato si dirigono verso quelle superiori emerse o a fior d’acqua, rappresentate dalle zolle terrose che, nell’imperfetto lavoro pel pareggiamento del ter- reno, restano in piano più elevato delle altre; e da queste zolle, stando distese, o sollevandosi sul capo confiecato nel melmiccio, sporgono la estremità addominale, provvista delle aperture stigma- tiche, e respirano. Seguendo le larve in queste contingenze di vita le abbiamo viste approfondare nel melmiccio e scendere fin dove più non arriva l’acqua, per la natura argillosa del terreno, ed ivi contrarsi a ba- rilotto assai raccorciato, con le appendici applicate sugli stigmi, evidentemente per non farli invadere dal melmiccio, che chiu- dendoli, potrebbe farle morire; e difatti le larve vive presentano sempre gli stigmi puliti anche quando siano state costrette a per- manere nel limo più denso ed appiccicatiecio, come quello delle 320 GIACOMO DEL GUERCIO risaie e dei paduli in generale. Siccome però una volta che il terreno è stato forato da esse, per gli stessi movimenti che fanno, l’acqua finisce col raggiungerle, come nella stazione primitiva, allora non potendo più respirare escono dai loro nascondigli e, abbandonando le zolle nelle quali si erano riparate, si mettono in marcia e cam- minano fino a che non trovano gli argini dei quadri della risaia, nei quali a torme cercano riparo. Nessuna gregarietà si scorge in questi movimenti delle larve giacchè ognuna procede per proprio conto, sia che si spostino dalle zolle più basse, sia che muovano da quelle più alte ed alla su- perficie; così come non è stato possibile scorgere negli insetti co- stume a direzione determinata, sebbene a lungo andare, per una ragione o per l’altra, svoltano ; ed è così che finiscono, all’ultimo, per raggiungere quasi tutte la mèta desiderata. Si riteneva e potevasi pensar pure che le larve delle Tipule cam- minassero più che altro nelle ore del mattino e poi si fermassero. Ma abbiamo potuto osservare che esse muovono quando vogliono, giacchè anche durante il giorno è dato scorgerne numerose attra- verso gli appezzamenti della risaia, quali in cammino, quali in ri- poso, distese per lungo o piegate nel melmiccio, e quali in atto di prendere respiro; sempre pronte alla reazione al primo contatto so- spetto, o inusitato per esse, ed a riprendere il movimento indicato. Prima di poterci dare una spiegazione precisa di questo sposta- mento delle larve, vedendole accorrere ai margini ci siamo doman- dati se per caso esse non svolgessero un’azione di ritorno, alternando per così dire la stazione acquatica con quella terrestre. Per uscire dal dubbio abbiamo sorvegliato i gruppi di larve, che erano restate nel fondo del solco che è all’argine della risaia, e altri gruppi di esse raccolti sotto le zolle ricoprenti argine me- desimo; ed abbiamo per tal guisa potuto assicurarci che le larve che hanno guadagnato gli argini più non tornano nell’acqua, men- tre le altre che si trovano nel fondo di quella e non possono uscirne sono destinate a morirvi; e larve morte noi abbiamo trovato in gran numero dove la parete degli argini convenientemente battuta impediva loro di salire e trovare scampo nei vuoti, che negli argini vecchi, particolarmente non rinnuovati e mal ridotti, si trovano. MT SR 7 (3 LE TIPULE ED I TAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 321 Mentre questi fatti, per via sperimentale accertati, nella risaia medesima, venivano a dimostrare chiaramente come non ostante la loro grande resistenza nemmeno le larve di questa Tipula sono fatte per la vita sommersa, con una serie di ricerche in recipienti limi- tati ne abbiamo cercato la conferma indipendentemente da qual- siasi causa di perturbazione, che potevasi verificare nella risaia, osservando in acqua potabile, priva della quantità enorme dei mi- crobî, che si riscontra in quella sopraindicata, e con temperatura ordinaria, non sottoposta alle elevazioni notevoli alle quali l’acqua va incontro quando trovasi esposta al sole nel fondo dei quadri della risaia, e con tutte le alterazioni che ne derivano a causa dei mi- crobî appunto che vivono nella sua materia organica. All uopo il 19 al 20 aprile, del 1912, abbiamo disposto per le prove seguenti: 1. Una bacinella verniciata senza terra e senz'acqua; 2. Una bacinella con terra fresca; 3. Una bacinella con terra melmosa; 4. Una bacinella con melma terrosa sommersa sotto uno strato d’acqua alto 2 em.; 5. Una bacinella come al num. 4, ma con uno strato di 10 em. d’acqua; 6. Una bacinella con acqua sola alta due centimetri; 7. Una bacinella con acqua sola alta 10 em. In fondo ad ogni recipiente furono poste 50 larve delle più grosse e vigorose, e fili d’erba fresca, con esse, perchè potessero nutrirsi. E così abbiamo potuto vedere che queste larve non sono ca- paci di venire alla superficie dell’acqua se non trovano le zolle di terra necessarie che si incontrano nelle risaie, per farlo; che al 29-23 aprile quelle dei recipienti n. 1 a 4 erano tutte vive e con- tinuarono a vivere; quelle del recipiente n. 4 restavano tutte col capo nella melma e gli stimmi per la respirazione fuori di acqua; nel recipiente n. 5 le larve si trovavano come in quello n. 4, ma apparivano evidentemente come mosse dall’ acqua, ciò che lasciava dubbio sul loro stato di salute; nel recipiente n. 6 erano situate parte come nel recipiente precedente, e parte distese o addossate alla parete del vaso, ma erano evidentemente vive; mentre nella bacinella n. 7 si trovavano parte come nella bacinella n. 5. ed 322 GIACOMO DEL GUERCIO avevano gli stimmi aperti e le appendici circostanti distese e ri- gonfie, Il mattino del 24 aprile tutte le larve sommerse profondamente, con terra o senza terra, erano tutte morte, perchè tirate in parte we rurs: $ Fig, 13. — Appezzamento di prato disfatto con la lavorazione per disporlo a risaia, nel quale malgrado la invasione dell’acqua le larve si salvano nelle zolle che restano in gran parte emerse. Il grande argine mostra quanto terreno resti a disposizione degli insetti fuori del coltivato e come sia facile per ciò il ripetersi delle invasioni nella Boscosa. fuori dell’acqua più non ripresero mentre le altre si afflosciavano ed inflaccidivano nei recipienti rispettivi dove le avevamo restate. Si salvarono quasi tutte le larve che nei recipienti con terra 0 senza terra erano restate sommerse con poca quantità di acqua e per modo da lasciare alle larve la possibilità di respirare alla su- perficie di quella. Restarono sanissime, come era da prevedersi, le altre tenute per confronto nel terreno fresco e nel melmiccio. LE TIPULE ED I TAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 323 Il giorno 24 aprile furono riprese le esperienze con centinaia di larve entro recipienti, pieni con acqua di risaia, ben tiepida ed esposte al sole come nelle risaie, e la morte nelle larve soprav- venne generale quasi un giorno prima, e tutte marcirono in breve così che non era più possibile stare ad esaminarle, per il cattivo odore della putrefazione. Dopo ciò era niuturale il vedere quello che sarebbe avvenuto delle larve nella risaia elevando l’acqua nei suoi differenti quadri. Fra questi ne fu preso uno lunghissimo, detto la Filagna, nel quale il numero delle larve era in quel tempo addirittura straor- dinario. Fu per in tanto accomodato l’argine Innghissimo, che lo separava dagli appezzamenti attigui sottostanti della risaia, essi pure egualmente infetti e sempre asciutti, e fu immessa 1 acqua nella maggiore quantità possibile, per sommergere Vintero appez- zamento ; il quale, essendo inclinato verso occidente, non poteva che riempirsi assai lentamente e da questa parte prima che dal- l’altra. E bene, appena decorso il tempo necessario per la som- mersione della maggior parte della Filagna, nella parte più bassa di essa, dove l’acqua si era elevata prima, ricoprendo completa- mente le zolle, mano a mano che queste vennero surpassate po- temmo assistere al grande spostamento delle larve, ricordato, € vedere di nuovo l’affollarsi delle medesime al lungo argine, che ne fu poco a poco quasi gremito nella parete, che fu completamente oceupata da esse; mentre altre a gruppi passarono a ripararsi sotto le zolle di terra, che erano servite a riparare l’argine nei punti sbassati. Dal terzo al quarto giorno rare larve restavano nel fondo della Filagna sommerso; dal quinto al sesto non ve ne restò più una, 0 quanto meno tutti i saggi fatti non ci posero in vista nemmeno una larva. Esaminando gli appezzamenti per confronto, situati a sud della Filagna, essi avevano tutte le loro larve nel terreno e la parete dell’argine da quella parte non presentava larve; mentre dalla parte opposta, come si è detto, si potevano raccogliere a centi- naja. Ciò che doveva essere ed è sufficiente per ritenere con tutta sienrezza che la sommersione profonda, fino ad impedire alle larve di sporgere con la estremità posteriore per respirare, è mezzo si- curo per allontanare le larve dalla risaia. 924 GIACOMO DEL GUERCIO ‘onveniva per altro tener conto della quantità disponibile del- l’acqua, nel Molinellese, per le applicazioni, che da cosiftatte ri cerche potevano derivarne; e siccome ivi essa è assai limitata ed il terreno non si presta bene a contenere per elevare nei dif- ferenti quadri il livello del liquido che è necessario per raggiun- gere l’ intento indicato, era necessario cercare espedienti capaci di affrettare il fenomeno dell’esodo delle larve dalla risaia o di colpirle col minimo volume d’acqua possibile. L’acqua di calce, le larve dei Ditteri ed i Lombrichi. Fu così pensato a vedere quali potessero essere le sostanze che nuocendo alla vita delle larve non recassero molestia alla colti- vazione del Riso, e quali per avventura fra esse fossero al caso di rispondere al primo requisito indicato e di avvantaggiare la col- tivazione della pianta, inducendo nel terreno modificazioni dirette ad aumentarne la produzione. Era naturale pertanto andare col pensiero alle sostanze catramose, a quelle concimanti a base di fosfati, di sali ammoniacati, di cloruri, e di solfati, ma soprattutto all’ossido di calcio, sul quale, dopo le ricerche preliminari doveva sadere la scelta, per ragioni entomologiche ed agronomiche. Già nel 1911 avevamo notato che, malgrado la resistenza delle larve delle Tipule agli agenti nocivi esterni e 1’ apparente inno- cuità della calce su di esse, questa sostanza riesce sicuramente deleteria per la vita degli insetti, i quali, infatti, quando sono stati per 24 ore a contatto dell’acqua di calce all’ 1%, circa di materia attiva, muoiono tutti fino all’ ultimo. Lo stesso ha luogo cimentando le larve con soluzioni al 0,5 e al 0,160 I di ossido di calcio; e gli effetti medesimi sì possono conseguire anche con minor quantità di calce, ove le larve si lasciassero sott'acqua per tempo maggiore, come è ben possibile di fare nelle risaie, dove la calce rappresenta un correttivo interessante e procura nel tempo stesso alle piante una lauta concimazione azotata di rapidissima utilizzazione. Guidati da questi criterì alla fine di aprile del 1912 tentammo nella risaia, l’esperienza in grande per la distruzione delle larve LE TIPULE ED I TAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 325 delle Tipule, adoprando da 8 a 10 quintali di calce circa per et- tara di risaia. La somministrazione in una prova fu effettuata facendo passare l’acqua attraverso la fossa contenente la calce, previamente spenta; e si vide che conforme Vacqua incalcinata avanzava le larve ve- nivano numerose alla superficie del terreno e correvano per esso più che era possibile, per cercare scampo alla imminente rovina. Mano a mano intanto che Vacqua depositava la calce, imbiancando il melmiccio della risaia, il brulichio degli insetti si faceva sempre più imponente e impressionava favorevolmente i pratici, sorpresi della efficacia del procedimento in esame, per quanto venisse at- traversato costantemente dalla tempesta, che impediva di prose- guire nelle operazioni. In altre prove la calce fu data dopo la raccolta dell’acqua nei quadri della risaia e la distribuzione fu effettuata sia con i cesti portati attraverso la massa d’acqua, sia distribuendola a spaglio sull’acqua, sia infine facendo passare acqua sulla calce già sparsa sul terreno, e gli effetti negli ultimi due modi furono meno evi- denti di quelli manifestatisi nelle esperienze precedenti sulle Ti- pule, mentre furono gli stessi sui Lombrichi ehe popolano il fondo delle risaie nel Bolognese. Abbiamo, a varie riprese, detto altrove dell’azione della calce. con- tro i Molluschi e contro i vermi rossi dei prati (Lumbricus rubellus Hoffmstr.) ed agli ordinarì Lombrichi dei prati, dei campi e degli orti. Ora vogliamo notare che nelle risaie del Bolognese oltre a queste spe- cie, più o meno largamente rappresentate, ne abbiamo posti in vista altri, come l Helodrilus tetraedrus (Sav.) il cui numero è talmente straordinario da ceontarne a centinaia, e a migliaia per fino, per metro quadro di superficie. Nella primavera del 1918 ne abbiamo contati in media da 500 a 700 nei diversi appezzamenti lavorati e pronti alle semine, e siccome ogni 10 di essi pesano in media 1 gr., con la morte di questi vermi vi è nel terreno, ad immediata dispo- sizione delle nuove piante, una quantità tale di sostanza azotata, di pronta utilizzazione, da rappresentare una conceimazione. E que- sti Elodrili appena a contatto con Vacqua di calce, contorcendosi in varì modi, abbandonano il terreno, dove si trovano, e vengono alla superficie, dove cessano in breve di vivere. 320 GIACOMO DEL GUERCIO Ma nella incursione dell’acqua di calce nei quadri delle risaie, non sono i soli Lombricidi, ma anche larve di insetti diverse da quelle delle Tipule, vengono molestate ; come ad esempio le larve dei Tafani, e di altri Ditteri, fra i quali sono anche le larve delle Stratiomidi, delle Eristalidi, dei Chironimidi e dei Culicidi, che dal più al meno, quali prima quali dopo, soffrono danni sensibili. Fra i Ditteri però le larve dei Tabanidi, quelle delle Eristalidi e delle Tipule resistono di più; le altre assai di meno. Degli altri insetti abbiamo visto le Formiche (Lasius /avus) uscire rapidamente dai loro nidi e raccogliersi insieme sulle erbe più vicine, o sulle zolle erbose, ammucchiandosi in modo da formar masse, o veri glomeroli di formiche, che il pericolo tiene aggregate così come mai in altra evenienza abbiamo notato; e sorprende non poco il fatto che l'aggregazione permane anche quando la corrente travolge erba sulla quale si trovano. Il Grillo nero, sorpreso dall’acqua si lancia subito a nuoto per salvarsi, ma nuotando si stanca ed è particolarmente molestato dalla materia organica, che fa velo, o schiuma alla superficie del liquido e fra essa trova la morte. I Pentodon, le Silpha, i Clenius e i Carabidi, generalmente si salvano. Ma l’impiego della calce nelle risaie di Molinella non va con- Siderato solo per gli effetti utili della distruzione o dell’ allon- tanamento degli insetti di sopra indicati, o dei cadaveri dei Lombrichi, che portano a risparmiare una volta ogni tanto, la con- cimazione azotata. Ivi Vammasso grande delle radici del Riso, del- Erba medica e del Trifoglio, le cui ultime piante si avvicendano col Riso, costituisce una riserva organica di molto superiore @ quella necessaria per la coltivazione in quella località; dove si ha per ciò terra nera o bluastra a causa della quantità enorme di materia vegetale che vi si infradicia. Dalle osservazioni fatte resulta che alla fine della coltivazione pratense e mentre si procede alla coltivazione del Riso, si incon- trano ancora in quantità notevolissima gli avanzi dei cesti vecchi di questa pianta, proprio così come, alla fine della coltivazione del Riso si trovano, non ancora del tutto disfatti, i fittoni delle radici dell’Erba medica e del Trifoglio, di cui il terreno è ormai LE TIPULE ED I TAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 927 soprassaturo. L'aggiunta della calce per tanto, almeno nella tenuta della Boscosa, rappresenta una necessità, per quanto in determi- nate circostanze particolarmente è bene che la materia organica abbondi pur nel terreno della risaia, dove a più d’una delle va- rietà coltivate di piante l’aggiunta della calce si conviene. A parità di altre circostanze le varietà di Riso a sviluppo più tardivo abbisognano di calce più delle altre a maturazione più pre- coce; e questo si considera dal punto di vista che la materia or- ganica, quando è in quantità molto superiore all’ordinaria nel ter- reno ha la proprietà di allungare il periodo vegetativo della pianta. Ciò che si potrebbe risolvere in un bene per la coltivazione, se il settembre non fosse un mese incostante per il fenomeno meteorico, e l’ottobre di frequente non fosse con decorrenza piovosa e ad. ab- bassamenti di temperatura assai sensibili. Ma a Molinella le con- dizioni indicate non sono favorevoli alla produzione risicola, giac- chè vi stentano la fioritura e la maturazione delle pannocchie, che con le intemperie indicate danno spesso più cariossidi di secondo grado e vuote che grani pieni e sani, così come si può osservare e noi abbiamo notato nelle coltivazioni di iso originario e in quelle di iso ranghino ; mentre sfuggono a queste gravi condizioni di cose il Riso cinese e le altre forme più o meno variate a svi- luppo più rapido e a raccolta pienamente estiva. Piante a rapido sviluppo. La varietà chinese del Riso indicato risponde in massima al concetto invocato, per evitare la invasione delle Tipule e dei Ta- fani e l’altra per parte degli Insetti Ditteri in generale, che in un modo, o nell’altro, accumulandosi nel melmiecio della risaia pos- sono portare nocumento alla germogliazione della pianta e succes- sivamente al regolare procedere di questa. La pratica Molinellese farebbe però osservare che non sarebbe questa la varietà più rimunerativa, perchè sarebbe poco produttiva rispetto alle altre, che si coltivano nella stessa località, come il Riso ranghino e quello originario a semina precoce, che è il più ritardatario di tutti, ma di tutti anche il più produttivo e il più 328 GIACOMO DEL GUERCIO resistente alla malattia del Brucione o Brusone e a qualche altra avversità. Esso matura la sua spiga d'ottobre e non di rado la raccolta, a seconda delle vicende della stagione, si fa in novembre anche inoltrato, dando un prodotto che raggiunge dai 15 ai 18 quintali per tornatura, con un equivalente di 75 a 90 quintali per ettara; mentre il Riso ranghino, che si raccoglie dalla seconda metà di settembre a quella di ottobre, resiste meno del precedente al Bru- cione e produce da 11 a 13 per tornatura corrispondente da 55 a 65 quintali per ettara; laddove il Riso cinese, che sarebbe il meno resistente di tutti, si raccoglie nell’agosto e produce una quantità di granella che raggiunge il terzo alla metà di quella ricordata per il riso a semina precoce od originario, e cioè da 30 a 40 quintali per ettara. Malgrado tutti i requisiti della voluta resistenza alle avversità, per le varietà indicate, sta in fatto, per noi, che il vento alletta la varietà ranghina e quella originaria così come fa per la cinese. In oltre, la cascola delle cariossidi ha luogo per tutte e tre le varietà e la così detta malattia del Brasone o Brucione non ha qui riguardi spiccati per aleuna di esse. Se quelle ricordate sono le cifre degli anni a produzione migliore, per la Boscosa, non sono le cifre della produzione normale per la Boscosa stessa, e meno ancora per le risaie circostanti. Le produ- zioni normali, ordinarie per la Boscosa non vanno che dalle 12 alle 15 per tornatura col Riso originario, dalle 11 alle 12 col ranghino e dalle 4 alle 5 col cinese; dalle quali cifre, detratto un decimo circa, si ha la media della produzione generale approssimativa della risaia bolognese. Non sarebbe esatto però prendere anche la media così ridotta, come media costante, indiminuibile, del raccolto delle risaie di questa provincia; giacchè, indipendentemente dalle naturali va- rianti constatabili da una zona all’altra, per natura di terreno ed arte, vi è la grande diminuzione, non di rado ripetuta, delle cat- tive annate, nelle quali, oltre al calo ricordato vi è nella produ- zione tanto secondo riso e riso appena d’ uso pel bestiame, da vedere scendere, come nel decorso anno, alle cifre seguenti per la Boscosa : LE TIPULE ED I TAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 329 Produzione del Riso nella valle Boscosa dell’ Agricola Molinellese dal 1911 al 1913 compreso. 3 o p Siro È 1911 Has 1912 DICE 1913 Sas Quintali | 55] Quintali | 733] Quintai | 38 VARIETÀ x QsA SIRIA. o | Qu di granella per S ® = |di granella per N n di granella per S Folicai Cn Da tornatura Lo è tornatura Lo E tornatura a) i. Cinese: A — —_ — _- 8.006 — Ranghino . . . 11. 000 25 11.750 24.75 12.500 -_ Originario . . . 12. 250 (1) 12. 000 (1) 15. 000 — Ì Ì Ora quando si consideri che nel 1912 la qualità scadente del riso e quello caduto per terra o non maturato, hanno notevolmente diminuito il valore reale del raccolto realizzato ; quando si pensi che nel settembre e nell’ ottobre particolarmente e nella prima metà di novembre, nel Bolognese, siamo nella piena stagione delle pioggie insistenti, ripetute, si comprende che, dovendo per esse frazionare il lavoro, si spende di più, così come non occorre dire che una quantità del prodotto si perde anche nel trasporto, è quello raccolto si deve portare poi all’essiccatoio, per conservarlo all’uso e alla vendita. Sicchè a parità delle altre condizioni, le più rimuneratrici non sono poi in massima le varietà a più alto pro- dotto e a più tardiva raccolta. Le più convenienti, per noi, sono quelle, che ci assicurano per prima il frutto desiderato. E a questo riguardo, contro l’idea generale dei Risicultori, di correre dietro al raccolto straordinario, al raccoltone, tardivo, osiamo affermare che si debba invece tendere ad elevare la media produzione delle varietà precocissime; e ciò non pure per assicu- rare intanto il raccolto dell’anno, ma per guadagnar tempo e libe- rare il terreno dagli avanzi della vecchia coltivazione, per poter (1) In annata ordinaria il prezzo varia dalle 18 alle 20 lire. Eccezionalmente il prezzo può salire fino a lire 24. 530) GIACOMO DEL GUERCIO : procedere con la rapidità necessaria a nuove coltivazioni interca- lari, estivo autunnali, con le quali assicurare nuovi guadagni al- l’azienda e lavoro continuato agli operai, nella stagione cattiva. E insistiamo assai in questo concetto, perchè la sua realizzazione in tutto o in parte, avverrebbe sicuramente con benefizio grande di tutti e del naturale bilanciamento degli interessi delle diverse classi, in antitesi alle attuali restrizioni, che si traducono in una guerra insana ed un danno enorme, che ammiserando tutti contribuiscono ad inasprire, invece di conciliare la carità del sangue fra le varie classe sociali. Per questo gli studiosi devono ritornare, provando e riprovando al lume della nuova scienza, quelle varietà di Riso giapponese dalle spighe rosse e nere, lasciate troppo presto da parte, non sa- prei dire se più dall’ingegno del meccanico o dalla debolezza del naturalista, ma certamente da tutti e due, mentre l’agronomo ap- presta e continua a porre innanzi sempre nuovi ibridi, che dovreb- bero essere sempre resistenti a tutte le avversità. Contro le quali intanto si esercita invano il desiderio dei pratici più che l’attività fattiva dell’agronomo naturalista e dell’ingegnere meccanico, che meriterebbero assai dal paese, lavorando alla riduzione delle robu- stissime varietà giapponesi per la nostra coltivazione. E dobbiamo ritenere che non si lavorerebbe invano, con azioni dirette sulle varietà considerate in sè stesse, sia incrociando con la comune varietà cinese, per tutto pregiatissima, ma di poco vi- gore, che noi vorremmo le fosse ridonato per tutto, attraverso ra- zionali ibridazioni e rigorose successive selezioni, prendendo di mira soprattutto radici sotterranee e radici nodali, foglie, spighette, semi, cimentando sempre l’esperimento in ogni sorta di terreno, con concimi diversi, a dosì le più variate, per arrivare a fissare le qualità dell’ibrido, che seminato ai primi di maggio, maturi in agosto spighe in abbondanza e tali per qualità di granella da evitare il bisogno del ritorno alle varietà e agli ibridi ora col- tivati. Noi, indicando all’osservazione le due forme di Riso giapponese citate, non abbiamo voluto fermare 1’ attenzione sopra di esse soltanto, ma a tutte le altre della stessa origine, o di origine ci- nese, vegetanti, con particolare riguardo delle zone più temperate LE TIPULE ED I TAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 351 e fredde dei due grandi imperi suddetti; così come non sarebbe consigliabile fermarsi alla comune nota varietà cinese soltanto, per gli incroci, potendo trovare anche con altri ibridi, del tutto con- sentanei alle necessità della nostra agricoltura, per evitare 1’ an- nerimento delle radici, che porta al brucione, Vallettamento, e la de- vastazione dei semi, per dato e fatto di Lombrichi e diverse larve di Insetti. Le Tipule, i Ragni e i volatili da cortile. . Sarebbe troppo lungo e del resto fuori di proposito discorrere dei numerosi e piuttosto grossi ragni, che abitano le località pa- ludose. Qui basta comprenderli sotto la comune espressione gene- rica indicata, per dire degli effetti della loro presenza a riguardo delle Tipule. Seguendo la diffusione di questi insetti ho tratto tratto osser- vato che i Ragni suddetti, ora verdi, ora di colore olivastro o di altro colore, sì distendono col corpo sopra uno stelo 0 sotto una foglia accapannata ed attendono la preda, della quale fan parte i maschi delle Tipule più delle femmine, che essi agguantano nel torace e li dissugano tutti. Il corpo annerito e maltrattato della vittima resta sospeso alle ali, che lo mettono in vista all’osservatore e servono a fermare le altre Tipule, che restano vittima dell’ at- tività dei ragni. Molte Tipule per questa via vengono distrutte, ma non giove- rebbe illudersi sulla possibilità di una loro sensibile diminuzione per essa, così come per altre cause predaci, malgrado siano da noverare fra esse gli Storni (Sturnus vulgaris) che si abbattono con eguale voluttà sulle Tipule non meno che sulle Cavallette, senza far mai breccia di sorta contro le une, nè contro le altre. Non si può dire ugualmente della importanza dei volatili dome- stici. Questi sono ghiottissimi delle larve delle Tipule e dei Tafani, che incontrano sui margini degli appezzamenti di risaia situati presso le case coloniche, e quando non ve ne trovano più abba- stanza, le vanno a cercare per nutrirsene anche nei prati. Nelle esperienze da noi fatte entro grossi mastelli di legno per » Redia », 1913. 22 332 GIACOMO DEL GUERCIO studiare la velocità nei movimenti delle dette larve, abbiamo do- vuto far allontanare questi volatili, e particolarmente le galline, perchè malgrado la sorveglianza usata, agivano di sorpresa e spesso riuscivano a predare perfino nei materiali che avevamo in osser- razione. Seguendo da vicino questi animali abbiamo potuto vedere che cercano con avidità grande le larve e lo fanno fino ad affrontare le difficoltà, che oppongono l’acqua ed il melmiccio alla raecolta preferita; e senza dubbio uno stuolo di essi sugli argini delle ri- saie è al caso di ripulirlo completamente dagli insetti. Migliaia di larve sono sparite come per incanto dinanzi ad una diecina di galline, che sapendole adoprare, guidandole sugli argini al tempo della trasformazione in ninfe e della ninfosi rappresen- terebbero un vero e potente ausiliario della distruzione delle larve delle Tipule e dei Tafani nelle risaie. Le Tipule e le tempeste. Nel settembre del 1913 le Tipule sfuggite alle azioni della difesa e alle cause parassitarie di distruzione si trovarono alle prese con la tempesta di acqua e vento, che le trasportò tanto lontano che ne furono viste numerose nei pressi di Molinella e nell’ abitato. Ciò indica che in cosìffatte evenienze la infezione può essere tra- sportata da un luogo all’altro e diffondervisi anche inattesamente. Le Tipule ed i microbî. Le Jarve delle Tipule e dei Tafani delle risaie del Bolognese nel 1911 sono state fatte segno agli attacchi per parte di un ba- cillo, che scioglie prontamente la gelatina e che somministrato alle larve in apparenza sane ne ha procurato la morte. Le larve muoiono flaccide e noi ne abbiamo viste così morire a migliaia lungo gli argini delle risaie. Abbiamo notato che la mortalità più grande sì è verificata dove l’acqua immessa più per tempo nella risaia si era sensibilmente scaldata. LE TIPULE ED I TAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 359 Gli studî al riguardo potrebbero riuscire assai utili perchè le colture di questi mierobî potrebbero diffondere talmente la infe- zione da liberare successivamente risaie e prati dalla presenza delle larve degli insetti in discorso e forse di altri. Le Tipule e le operazioni colturali. Dalle osservazioni fatte resta per noi sicuro che le Tipule in esame hanno due generazioni, di cui una deriva da adulti, che cominciano ad apparire verso la metà di marzo, ed un’altra da ses- suati che escono dal terreno verso l’inizio della metà dell’autunno. Ciò stante, la lavorazione profonda del terreno, come si usa Molinella, dove l’aratro scende a 40 em. di profondità, può essere, in determinate circostanze, al caso di compromettere seriamente la diffusione della specie. Una delle circostanze indicate, a ciò necessaria, corrisponde al periodo della ninfosi della Tipula, la quale allo stato di pupa e mentre alla pupazione si prepara, seppellita alla profondità di una quarantina di centimetri, deve prima o poi trovarvi la morte, per la impossibilità di venire alla superficie, specialmente dopo il pareggiamento della terra, dove questa si prepara a ricevere il riso. E poichè, quando la stagione decorre fredda, la ninfosi co- mincia dopo la fine di febbraio, cioè in marzo, quando si fa la preparazione per la semina, ciò spiegherebbe almeno in parte perchè le coltivazioni abbiano avuto a risentire prima danni meno gravi di quelli attuali. Un'altra circostanza si ha nell’ avvicendamento della risaia col prato, o meglio ancora nella ripetizione della coltivazione del riso sullo stesso terreno. In una evenienza e nell’altra, ma in quest’ultima, dal punto di vista entomologico, meglio che mai, le Tipule restano quasi com- pletamente distrutte ed il terreno si trova liberato nella stessa proporzione da esse. La ragione di questo fatto sta nella natura delle larve del- l’insetto, che è a respirazione aerea e non a respirazione acqua- tica; e però malgrado la loro resistenza e l’adattabilità a vivere DH4 GIACOMO DEL GUERCIO nei terreni umidi, quasi acquitrinosi, non possono restare molto a lungo nei terreni melmosi e sott'acqua. La sommersione per ciò contraria la vita delle Tipule, le cui larve, a lungo andare, per- dono la turgidezza, l’agilità ed il vigore loro naturale, e si afflo- sciano mentre si fanno trasparenti e muoiono flaccide. Fig. 14. — Appezzamento di risaia mietuto per mostrare l'abbondanza delle piante e la robustezza dei culmi malgrado la semina ritardata in presenza di invasione di Tipule e Tafani. Ed ecco come nella coltivazione a risaia ripetuta anche un anno soltanto porta con sè alla liberazione delle Tipule che ne infesta- vano il terreno. Dove non fosse possibile ripetere la coltivazione del Riso a causa della produzione foraggiera, nei prati da vicenda, la som- mersione andrebbe operata sui medicai o sui trifogliai al momento di disfarli, e cioè dal mese di ottobre al mese di novembre o di- cembre. LE TIPULE ED I VAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA DI Sarebbe pensier nostro di anticipare quanto più è possibile que- sta lavorazione, che è interessantissima, per rendere alle pupe della generazione primaverile estiva, che si formano nell’autunno, il danno che è stato riferito alle lavorazioni della fine dell’ inverno, per quelle provenienti dalle larve nate nella seconda metà dell’autunno. Come poi l’altra volta è stato indicato, anche per questa lavo- razione occorre far seguire la sommersione, diretta, non pure @ completare e ad assicurare la morte delle pupe e delle Tipule adulte che ne potrebbero derivare, ma per evitare la deposizione delle uova, per parte delle Tipule provenienti dagli argini dei fossi, ove potrebbero essersi stabilite, perchè questi e molti altri insetti, come da prove fatte non si posano sull’acqua e nemmeno vi fanno cadere uova passandovi di sopra. Ma, nelle risaie da vicenda del Molinellese, la lavorazione pro- fonda e la sommersione del terreno non sono pur troppo le sole operazioni, che si fanno al Riso ed alla Medica, giacchè altre se ne conducono, che, per la utile coincidenza, per la difesa, contro detti insetti, meritano di essere ricordate. Nelle risaie, nei medicai e nei trifogliai della Boscosa e del- l Azienda Malvezzi più particolarmente, il terreno come abbiamo detto è anche troppo ricco di materia organica, il cui eccesso si dovrebbe correggere con aggiunta di calce agli scopi precedente- mente ricordati. Ma, ove le condizioni economiche dell’azienda lo permettessero, l'operazione più interessante, per la difesa dalle invasioni in esame e per accrescerne la produzione, sta nella sistemazione del terreno, assai rimediata in alcune parti, mancante affatto, in altre, e pur tanto necessaria, per utilizzare la enorme quantità della su- perficie improduttiva e l’impiego più economico dell’acqua, che ora sì disperde in gran parte per via. Con i lavori di sistemazione si verrebbero a rinnovare gli ar- gini, nei quali ripara e resta gran parte della infezione anche quando si combatte nella risaia. Gli argini si potrebbero rinnovare ancor ora, ma |} azienda della Boscosa è un’azienda di poveri lavoratori, che non hanno più delle braccia e la buona volontà, e che fanno sforzi potenti, per sottrarsi all’esodo, che sarebbe la miseria di quella zona uberto- 336 GIACOMO DEL GUERCIO sissima; ma queste preziose qualità non bastano per un’agrieol- tura progredita perchè occorrono forti capitali, in mancanza dei quali quell’accolta e disciplinata popolazione di lavoratori, per di- fendere la terra, che hanno in fitto, dalla invasione degli insetti, deve necessariamente destreggiarsi fra il ritardo delle semine e la perdita di una certa quantità di seme, per impedire che gli insetti rovinino il raccolto. Semine abbondanti. Dove le condizioni fisiche, per natura di terreno, scarsezza di acqua, difetto di regolare sistemazione e la mancanza dei capitali necessarî ostacolassero la realizzazione degli altri mezzi di difesa indicati, e la pratica non potesse o non desiderasse di profittare del suggerimento del ritardo delle semine, potrebbe adattarsi al principio di aumentare di tanto la quantità del seme, da nutrire gli insetti ed avere, dal resto, le piante che son necessarie alla coltivazione. Le osservazioni del 1911, a questo riguardo, mostrano che in una invasione grave, come quella delle larve di Tipule e dei Ta? fani in 10 o 15 giorni è al caso di annientare le piumette e le ra- dichette di una intera sementa, e in una trentina di giorni ne può rovinare il doppio. Egli è perciò che, in presenza di questi fatti, chi desiderasse di seminare dai primi di marzo ai primi di aprile, per non ritardare le semine, dovrebbe adoprare due volte la quantità di seme necessaria, per tenere a bada gli insetti, e fare che le piante rimaste si sviluppino sfuggendo per mancanza di bisogno, all’azione dei loro nemici. Sicchè, invece di 125 a 150 e più kg. di seme, per ettara, ne occorrerebbero da 375 a 390 kg., mentre per infezioni mediocri basterà duplicare o quasi la quantità del seme, e aumentarla di un terzo o di un quarto, ove essa fosse incipiente o per sparire. Queste notizie non si possono mai precisare di più a causa delle dimensioni raggiunte dalle larve alla fine di marzo, della voracità loro e della qualità del seme che si adopra. Per lo accrescimento delle larve giova ricordare quanto abbiamo LE TIPULE ED I TAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 357 esposto nella biologia di queste Tipule, le quali evoluzionando di estate si trovano con larve più grandi e di minore durata nella primavera, e allora avendo bisogno di minor quantità di cibo per uscire dall’acqua a trasformarsi, occorre meno seme di quello che è indicato per larve ancora assai piccole e numerose. Per la voracità essa è collegata allo stato sano delle larve, fra le quali se ve ne fossero di quelle flaccide e destinate a morire, la quantità del seme si dovrebbe diminuire in ragione della percen- tuale degli insetti destinati a morire. Mentre per la qualità del seme quello che dà piante a scarso accestimento si adopra nella misura che è stata indicata, e per l’altro ad accestimento più ab- bondante se ne scema, nella stessa misura, la quantità. Posticipazione delle semine. Quanto poi al ritardo delle semine da noi raccomandato, si noti che tre anni or sono la posticipazione delle semine nelle risaie della Boscosa portò alla totale salvezza del raccolto, che fu di 7000 ettolitri circa. E questo resultato è degno della massima con- siderazione, quando si pensi che le larve delle Tipule e dei Tafani avevano devastato per la seconda volta i seminati e non sarebbe stato possibile aver altro raccolto quell’anno, mentre fu pieno ed abbondante, a seguito del provvedimento preso, che per ciò non poteva sortire effetti migliori. L’anno decorso, come era naturale, le risaie della Boscosa fu- rono seminate tardi come nell’anno precedente, e pure allora, a malgrado la presenza degli insetti comparsi in gran numero, la nascita del Riso fu regolare e regolare anche ed indisturbato il successivo andamento della coltivazione da parte delle Tipule e dei Tafani. Siechè anche nel 1912 i resultati della difesa si appalesavano tanto favorevoli che si potevano dire brillanti; e tali in fatti sareb- bero stati se Vandamento della stagione non ne avesse virtualmente menomata la importanza. E ciò, non perchè la stagione estiva, prima e quella autunnale poi avessero contribuito ad accrescere il numero degli insetti e menomato, in conseguenza, il raccolto; 3598 GIACOMO DEL GUERCIO ma perchè contrariò «direttamente lo sviluppo del Riso, il quale non avendo avuto calore sufficiente durante l’ estate ed avendo, per di più, dovuto sopportare tutto il peso di una stagione di vento, di pioggia e di freddo, anche, nell’autunno, non potè maturare in- teramente, per tutto, le sue cariossidi; e il raccolto fu assai scarso. La visita fatta alla Boscosa ai primi dell’ottobre del 1912 mi permise di notare la grande uniformità della vegetazione folvissima per tutto e alta e bella come nell’anno precedente, ma le carios- sidi erano tuttavia ancora verdi e non al caso da soddisfare la giu- sta aspettativa del risicultore. Si badi però che gli effetti gravi del cattivo andamento della stagione di sopra indicato non si limitavano alla tenuta della Bo- seosa soltanto, giacchè furono constatati in tutta la zona a risaia della località; ma nella Boscosa furono in diversi punti assai più sensibili e questo in parte soltanto si può, e con dubbio, attri- buire al ritardo indicato delle semine. E dico in parte, e con dubbio, perchè in quella tenuta la coltivazione per le condizioni fisiche e lo stato di sistemazione nelle quali si procede, sono tali da ‘avversare il lavoro e la buona volontà dell’ associazione di quei poveri lavoratori. Avremo occasione di intrattenerci in seguito su queste cause avverse alla coltivazione, qui basterà ricordare semplicemente che, data la infelice sistemazione del terreno e la scarsa quantità del- l’acqua, questa non sempre basta al regolare andamento della ve- getazione, così come non tutte le varietà di Riso soffrono ugual- mente per lo abbassamento della temperatura durante Vestate e il pericolo del freddo al principio dell’autunno ; e aggiungendo che le varietà di Riso primatiecio, o precoce, sfuggono a tutto od a quasi tutto il rischio della coltivazione indicato, riteniamo di es- sere sempre tanto nel vero da dover raccomandare di persistere nella via indicata per la difesa delle risaie dalla invasione delle Tipule e dei Tafani. Cosiffata indicazione di difesa fu da noi desunta guardando alla grande precocità del Riso orientale o che ivi si coltiva rispetto alla varietà locale di Molinella e all’ andamento della infezione nella primavera. Ora la esperienza del 1911 ha insegnato che quando l'estate e l’autunno, e quest’ultimo in specie, decorrono LE TIPULE ED I TAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 359 favorevoli, varietà nostrale e varietà orientale sì possono seminare ugualmente tardi per salvare il raccolto dalla infezione. L’ espe- rienza del 1912 avverte che per porsi al riparo da ogni rischio (quello pel cattivo andamento della stagione compreso) giova col- tivare le varietà più precoci. E non pare che si possa far di me- glio, per non spendere e porre in salvo il raccolto. Ripetiamo come sul posto si obietta che il Riso orientale sia più esposto agli attacchi per parte del brusone o drucione. Può anche essere. Ma nel 1912 il brucione era per tutto e sarebbe da vedere prima, fino a qual segno il detto timore possa essere giu- stificato, di fronte ad una invasione di insetti, che decima nelle semine fino a lasciare tutti gli appezzamenti infetti improduttivi; e poi giudicare se si possa rinunziare ad un così facile espediente di difesa senza vedere di ottenere dalle stesse varietà nostrali, con opportuni inerocîì degli ibridi precoci, che resistano meglio al brucione e permettano di evitare la invasione degli insetti. II. — Notizie sui Tafani delle risaie. (Tabanus ignotus Rossi). Nelle acque delle risaie del Bolognese, alle quali desidero che le osservazioni fatte siano limitate, vivono diverse specie di 7a- banus, ima la specie che attualmente ci interessa è quella riferibile al 7. ignotus Rossi o 7°. albipes Fabr. per il numero straordinario col quale nel 1911 è comparso e gli effetti che ha avuto sulla coltivazione delle piante. Questo Tatano ha 18 a 20 mill. circa di lunghezza, per 7 mm. circa di larghezza. Il suo colore è grigio scuro, appena fulviccio, cenerino chiaro nella fronte, più che nella regione sternale del to- race e del’addome, che da quella parte presenta una fascia longitu- dinale mediana scura, attraversata dalle linee giallognole delle di- visioni degli anelli, che sul dorso sono nerastri, quasi lucenti, or- nati di maechie chiare distinte e distribuite così come è indicato nella figura, che dell’insetto è stata riportata. Esso fa la sua apparizione nel Bolognese (Molinella) dalla prima 340 GIACOMO DEL GUERCIO alla seconda decade di giugno. Ronza fortemente e non aggre- disce l uomo, perchè, in laboratorio, almeno, dove 1’ abbiamo ot- NI tenuto in quantità, in nessun momento ha cercato di pungere. i Va certo in cerca di sostanze dolci, con le quali lo abbiamo ali- mentato, e ne prende avidamente; così che non sarebbe difticile di avvelenarlo condendo il miele, il glucosio e le altre sostanze zue- cherine, con materie velenose, come sali d’arsenico a base di po- tassa, di soda, di rame, di piombo, di ferro, ete. Fig. 14 — Tabanus ignotus Rossi delle risaie di Molinella, '/, circa più grande del vero. Questo Tafano ama i luoghi freschi, per movimenti d’aria e sta volentieri all'ombra, ma si ferma anche al sole sulle erbe fra le quali vola. i Le erbe che frequenta sono gli Arwm, le Sagittaria, le Tipha, sulle quali muove spesso col ronzìo usato. A Il caldo, in aria confinata ed umida, uccide quasi subito questo Tafano, che esposto al sole sotto grandi campane con terra umida, o con acqua, cade per insolazione quasi fulminato. Depone le uova sulle lamine delle foglie verdi delle piante indi- cate e sopra altre formandovi delle croste orbicolari, che noi ab- biamo potuto vedere assai dopo 1° avvenimento della deposizione, che si deve effettuare fino a tutto il mese di luglio o quasi, se pure qualche ritardatario non sconfina nell’agosto. Nell'autunno non abbiamo potuto mai trovare larve grosse della specie, mentre se ne trovano numerose di quelle mezzane durante LE TIPULE ED I TAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 541 l’inverno, e per la massima parte pronte a trasformarsi dall'aprile al maggio, della primavera seguente. Queste larve si assomigliano assai a quelle delle Tipule tanto che senza un esame accurato non sarebbe possibile distinguerle. Sono poco più robuste, più cilindriche e dello stesso colore; sono ugualmente provviste di pennelli di peli negli anelli del corpo ma hanno apparato boccale con pezzi mandibolari larghi due volte quasi e più robusti di quelli delle Tipule, dalle quali si dif- feriscono pure per le specie di pettini di peluria che presentano sul clipeo e in tutta la parte anteriore del capo, così come si può vedere dalle figure per confronto riportate. I costumi di queste larve sono come quelli delle Tipule colle quali sì trovano e così anche si comportano nel trasformarsi in pupa. La trasformazione ha luogo dalla fine di maggio e nel giugno, quando le larve, come abbiamo visto, abbandonano le risaie in gran numero e vanno negli argini e nei prati a trasformarvisi. Riassunto e conclusioni. Da quanto abbiamo fin qui esposto chiaro resulta che fra i ne- mici dei Riso, nelle risaie del Bolognese, bisogna contare in prima linea le larve delle Tipule. Le Tipule delle risaie di Molinella si devono riferire nella loro grande massa alla nota 7/pula oleracea degli orti, alla quale nes- suno mai avrebbe pensato. Seguono per importanza le larve dei Tafani a suo luogo indicati, e di altri insetti Ditteri, come Hert- stalis, ecc., ecc., mentre fra gli Oligocheti lumbricidi devesi an- noverare Il’ Helodrilus tetraedrus (Sav.) La grande Tipula delle risaie qui descritta vi sì presenta con due generazioni all’anno, di cui una evoluziona dalla primavera al- autunno e l’altra dall’autunno alla primavera dell’anno seguente. Il Tafano invece vi si svolge con una generazione sola, che si inizia alla fine della primavera di un anno e si completa verso la metà alla fine della primavera dell’anno successivo. Tanto nella primavera quanto nell’autunno la copula si protrae lungamente nella Tipula e dura tanto a varie riprese, con maschi 342 GIACOMO DEL GUERCIO diversi, che ne conseguono spossamenti per i quali le femmine pos- sono essere ridotte fino alla impossibilità di deporre le nova. Anche le nova di Tipule che hanno subito accoppiamento pos- sono non dar larve alla Ice. La quantità delle uova, che questa Tipula depone è straordi- naria, perchè ogni femmina può darne fino a 700. La deposizione ha luogo nel terreno emerso, mai che a noi resulti, in quello sommerso, e per la nascita delle larve devono oc- correre più di una quindicina di giorni, perchè prima del termine suddetto questo fatto non si è mai verificato nei nostri ripetuti al- levamenti. Per effetto della successione delle coltivazioni le larve della Ti- pula, che nacquero nel prato di Erba medica, o di Trifoglio, si ri- trovano poi nella risaia, che si effettua negli appezzamenti occu- pati dalle coltivazioni pratensi ora indicate. Non abbiamo avuto occasione di vedere più estesamente per dire con eguale sicurezza del Tafano, per la deposizione delle nova. Larve di Tipula e larve di Tafano però sono ugualmente del co- lore grigio seuro del terreno nel quale vivono e rassomigliansi oltre che nella forma, anche per molti dei loro organi, fra i quali pure; quelli dell’ apparato boccale, così che nessun confronto di simi- glianza, anche per questo, esiste fra la larva del Tafano della risaia deseritta e quella del Tafano autunnale, ad esempio, avente larve diversissime quasi in tutto e per tutto. Le larve della Tipula resistono meno di quelle del Tafano nel. l’acqua, dalla quale cercano di salvarsi. Se possono affiorare e mettere la estremità addominale fuori del liquido, per respirare, continuano a vivere; diversamente muoiono. Dopo 50 a 90 ore, in fatti, mancando la possibilità di respirare, queste larve si afflosciano e muoiono. La calce le spinge ad uscire dall’acqua verso gli argini della ri- saia e nei prati dove si trasformano. Le Tipule non depongono uova sull'acqua ed il terreno coperto dall’ acqua durante gli accoppiamenti e la deposizione delle uova sì trova immune da questi insetti. Le risaie seminate tardi banno abbonito le spiche senza ulte- riore molestia per parte delle Tipule e dei Tafani. LE TIPULE ED I TAFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA 345 La pioggia prolungata e gli anticipati freddi autunnali possono però ostacolare in misura diversa la maturazione delle spiche, ciò che si evita coltivando varietà o ibridi di Riso precoci. (Gli Storni predano le Tipule durante gli accoppiamenti e la de- posizione delle nuov I Gallinacei sono avidi delle larve più degli Storni e degli uc- celli di padule all’ azione predace dei quali bisogna unire quella dei Ragni. I mierobî colpiscono le larve delle Tipule e dei Tafani determi- nando in esse la malattia della flaccidezza. danni che Tipule e Tafani fanno nella risaia riescono a de- cimare fino a distruggere del tutto la coltivazione. Nel 1911 le se- mine sono state ripetute due volte, e soio quelle della terza con- dotte volutamente assai tardi, furono rispettate, ed il prodotto fu, malgrado il ritardo, abbondantissimo. La qual cosa conferma la ef- ficacia del metodo delle semine tardive per portarvi rimedio. Istruzioni per la difesa delle risaie dalla invasione delle Tipule e dei Tafani. Pel momento per la difesa della risaia dalla invasione dei Dit- teri indicati non vi è di meglio che anticipare d’ una diecina ad una quindicina di giorni la immissione dell’acqua nei quadri pre- parati per la coltivazione; ciò che giova al buono impianto di essa e serve nel tempo stesso a sgombrarne il terreno dalle larve in- dieate, che in parte muoiono, in parte vanno a riparare negli ar- gini, che separano i varì appezzamenti fra loro, da quelli dei prati con i quali la coltivazione si avvicenda. Nel preparare il terreno per la coltivazione giova rinnovare i margini, ove fossero male ridotti, o condizionarli in modo, nelle pa- reti, che le larve che vi accorrono non possano trovarvi facile scampo, e impedire che per tal guisa le invasioni si ripetano. La buona arginatura giova a mantenere alta l’acqua nella risaia, dove il livello deve essere tanto elevato da sommergere per 5 a 10 em. le più alte zolle, ove queste non fossero state previamente bene pa- reggiate. 544 GIACOMO DEL GUERCIO Quando la infezione ha lasciato libera la risaia si procede alle semine. Per assicurarsi che l'esodo delle larve siasi effettuato e sia com- pleto, sì esaminino in varî punti le zolle del fondo e quelle più superficiali del terreno della risaia, nella quale non devonsi tro- vare più larve; così del resto come potrà giovare il servirsi di grosse pentole piene d’acqua, chiuse con garza 0 con tela e affon- date nella risaia, nelle quali siansi poste numerose larve degli in- setti in esame; quando le larve son morte inflaccidite, si può es- sere certi che la stessa sorte è toccata alle larve restate nella risala. Delle larve riparate negli argini si può avere ragione diretta- mente, o facendovele ricercare dai polli, sollevando mano a mano le zolle superficiali che vi furono disposte all’ ultimo momento e sotto le quali le larve si trovano raccolte. Dove l’acqua non fosse sufficiente a sommergere rapidamente le zolle dei quadri infetti, nel modo sopraindicato, o non fosse possi- bile mantenervi 1’ acqua nella misura ritenuta necessaria a causa degli argini mal condizionati, o per la natura del terreno, che la- scia sperdere l’acqua da ogni parte, giova attendere che le larve siano uscite per seminare, adoprando Riso cinese, e le altre va- rietà a sviluppo precoce che permettano di conseguire il massimo utile del raccolto malgrado il ritardo delle semine e le avversità della stagione. Durante i lavori intorno alle piccole piante, abbassando il li- vello dell’acqua si ricordi di non lasciar mai asciugare il terreno, giacchè facilmente allora le larve guadagnano di muovo la colti- vazione e la danneggiano. Giova allora aprire solchi ben più pro- fondi intorno ai quadri della risaia, livellando in modo che restino sempre pieni di acqua, per impedire il passaggio della infezione alle piccolissime piante; e ciò bisogna fare particolarmente dove la infezione non sia stata molestata negli argini nei modi indicati. Gioverà poi procedere per tutto ad opere di rigorosa selezione, non di quella per aver piante di uniforme sviluppo, per quanto anche questo sia utile; ma intendiamo di quelle altre dirette ad avere forme locali, di varietà e di ibridi, che ai caratteri della precocità uniscano gli altri del pregio del seme nell’ abbondanza % È x PIOIS p "= & va LO Ù eh i pe L, 'AFANI NELLE RISAIE DI MOLINELLA | 345 robustezza della pianta, che son necessarî ad uzione, a mantenerla elevata e a sgombrare da esto il terreno, per altre coltivazioni e altri lavori. one dell’acqua servirà a correggere la natura troppo organica del terreno, e giovando, per via indiretta, al buon anda- ‘ mento della vegetazione anche dei prati, servirà a sollecitare l’esodo delle larve degli insetti e a determinare la morte dei Lumbricidi, i cadaveri dei quali disfatti sono utilizzati rapidamente dalle piante. i Nel por termine a questa nota il pensiero torna gradito ai ringraziamenti vivissimi pel Superiore Ministero e il Direttore, prof. Berlese, di questa R. Stazione, che hanno voluto farmi l onore dell’ incarico degli studî compiuti; e per 1’ egregio Sindaco di Molinella, Sig. Massarenti, nel quale ho trovato una guida al trettanto laboriosa quanto intelligente ed esperta. Gli estratti di questa Memoria furono pubblicati il 30 Marzo 1914. Stazione di Entomologia Adria in Bce Via Romana, 19 Il giornale < Redia » è destinato a comprendere lavori originali (anche chi Entomologi non pertinenti alla Stazione) sugli Artropodi, lavori di Anatomia, Biologia, Sistematica, Entomologia xi economica ece. Esso si comporrà annualmente di un volume di circa 24 fogli di stampa, e delle tavole necessarie alla buona intelligenza dei lavori. Prezzo d'abbonamento al periodico L. 25,00, anticipate per ogni volume. Si desidera il cambio coi giornali di Zoologia e specialmente di Entomologia. Il Direttore Prof. ANTONIO BERLESE. NB. — Si pregano coloro che inviano pubblicazioni in cambio, di spedirle tutte a questo preciso indirizzo : “ Redia ,, Giornale di Entomologia, Via Romana, 19 — FIRENZE. MORFOLOGIA E BIOLOGIA ANTONIO BERLESE Di questo libro, che è destinato alla illustrazione anatomica e biologica degli Insetti, è completo il Volume I, di. 1016 pa- gine con 1292 figure nel testo e 10 tavole fuori testo. Le figure sono per la massima parte originali. Contiene 1 seguenti capitoli : PREFAZIONE. — I. Breve storia della Entomologia; . II. Grandezza degli Insetti; III. Piano di organizza- zione degli Insetti; IV. Embriologia generale; V. Mor- . fologia generale; VI. Esoscheletro; VII. Endoscheletro; VIII. Sistema muscolare; IX. Tegumento; X. Ghiandole; XI. Sistema nervoso ed organi del senso; XII. Organi musicali e luminosi; XIII. Tubo digerente; XIV. Si-. stema circolatorio e fiuido circolante; XV. Organi e tessuti di escrezione plastica; XVI. Tessuto adiposo e sviluppo degli organi e tessuti di origine mesoder- male; XVII. Sistema respiratorio; XVIII. Organi della riproduzione. Ciascun capitolo è accompagnato da una ricchissima biblio- grafia, la quale raggiunge in tutto 3276 lavori di Anatomia. Un supplemento alla bibliografia dei singoli capitoli la com- i pleta fino a tutto il 1908. Meta Formato 8° grande; carattere molto fitto. Edizione di vero lusso. VoLumE II. — Sono usciti i tre primi capitoli, cioè: 1° eu alal degli Insetti. - 2. L’antichità degli Insetti. 3.° Classificazione degli Insetti. 3 Prezzo del primo volume lire 40,00. Per acquisti rivolgersi agli Editori « Società Editrice-Libi ria», Via Ausonio, 22 — MILANO. cd Te Ò \ ini | A.Berlese dis. KREDIA» I AE a, I ABerlese dis lav Ml A Berlese dis. & té SS CI s (@) wu Ad ABerlese dis law JV «REDIA» lo A.Berlese dis. Pi Artie LA ff Pozzo SLrote BO A.Berlese dis. LIVE ti - $REDIA» od Tav V LIS ha S > { { -Ò (_° \S TE A es I Sl = = 7; p : È - &È ) STESSI GATE A.Berlese dis. UTI, «REDIA» lol 4 A.Berlese dis FOLDOUT BLANK tera LE z3 7 Sg | SEO \ 7 ABerlese dis. FOLDOUT BLANK Asso Stoe 0 forense Affini A.Berlese dis. Law VI Berlese dis FOLDOUT BLANK VWLA € ZODIaE Vod 4 Va OLA 39 ABerlese dis (n siagoa E firenze LA fsi azzo Slice A GDel Guercio UT LOL tce= Pac: "aL 1Cv==©—1nos NY GDA Guercio COXFR] > = IAN ARTT Sì È + «RE DIA» Wo2 MT Del (marcio Ma «REDIA» 02 A ava ni Benize GtA fia Boa See I E EDIA* M44f EUM ETIR, ia ry] Lt EDEL EGETA (7 R EDIA? VoL4Y TS FEIAIAOT A Ue den elfi RIEIAAEREIAE fresca dA faffini Bozza SLrnce FOLDOUT BLANK CPN » n s$REDIA» L0// - Jar XMI GDel Guercio x o varo li gsREDIA» lo4/Y ge G Del Guercio