e elia È IRIME SET a Rete >> DELIA Scanner tt en De PT Re sco) an oi se : ERESIA neri gui nr e sar a a v = = Liz a remoti rit it ai renti nd Se ti et Ve re iregeniza sca i - petite (DÌ | na n Ù n fi = DI Ù È SIR DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCC. IS©OS ve StErRrEbEtQ UNA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VOLUME XII. 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1903 Ve à È - 1 « ì \ i si N ciale” L A _@ iù È 4 = ra ' cd | SE, % S È i L tI tr ù 1 5% » wero TR E I Rn enne ne enne rmornrrr Pn TIEZTRTREZIZANIOASR _ ZIA = CAPIrRE a ENT DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCE ANNO GCE. 19©8 RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 4 gennaio 1903. Volume XII. — Fascicolo 1° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1903 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serse querta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.1 Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte ‘al'mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico, Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus: sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se î Soci, che vi hanno preso’ parte, desiderano ne sia fatta menzione, ‘essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. Il. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com missione la quale esamina il lavoro e ne rife: risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se. guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia 0 in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desidezio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’autore. - d) Colla. semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. ì 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 sé estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. °° Mato 20 i > Holvok i - ci line Totti relazi ener cirie RENDICONTI. ‘è DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. NANA LS, Seduta del 4 gennaio 1903. P. BLASERNA, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulle proprietà aritmetiche delle funzioni analitiche. Nota IT di Onorato NiccoLETTI, presentata dal Socio Ù. DINI. o. Facendo seguito alla mia Nota precedente (*), rimane ancora a dimo- strare che la trascendente intera F(x,%>...%,) può determinarsi in guisa che dalla equazione biz) (0 si possa trarre una delle variabili, ad es. ;, in funzione analitica e 47 4- scendente delle altre 2 — 1, cioè che dall’equazione stessa si può dedurre una serie di potenze a—&=P. (21 @ Si go coean , Livr — Sir, En Én) che soddisfi all'equazione stessa, ma non insieme ad una qualsiasi equazione algebrica. Indichiamo perciò con @ un numero intiero, positivo, affatto arbitrario, e consideriamo la funzione F°©(x1...%,), già definita colla formola (17): (23) DO az oeoo Uoaze)e + (1 Lg è è -La) È: } “+ da wa (LI URRA CA) (1) Cfr. Rendiconti Lincei, seduta del 7 Dicembre 1902. Per maggior chiarezza, oltre conservare tutte le notazioni di questa Nota, la numerazione dei $$ e delle formole fa seguito a quella della Nota stessa. dove per le (7) è: Fal C4A086 - 47,) = (Ao 000) w(L1 DAICSO En) pleno gl2 i sein, 0, (2, ser n) Yi (1 A) (ee (C=1 ADI BRE Pensando questa fanzione F‘® come funzione delle variabili indipen- denti 4,...%n3%U0,U1-+-Ua, Sì può sempre fare in modo che essa sia irriducibile in tutte queste variabili (nel campo assoluto di razionalità); essendo infatti essa lineare omogenea in %o0,%,,-..%a, qualunque suo divi- sore non può dipendere che dalle x, %2...%n, @ dovrebbe quindi essere un divisore comune dei polinomî ©, = @,, @,,03,...0x; se dunque questi polinomî non hanno fattori comuni, la F, pensata come funzione delle x e delle «x, è irriducibile. Ora si può sempre, ed in infiniti modi, fare che i polinomî wy , ©,,..., x non abbiano fattori comuni; basta perciò ad es: supporre che: a) è polinomi 0,,9,,.-., 0a non abbiano fattori comuni e insieme: 5) dl polinomio 0, non abbia fattori (irriducibili) di altezza minore od uguale ad a; in questa ipotesi infatti, come subito si riconosce, i polinomî 07, ©}... 04 non hanno fattori comuni. La (23) è adunque irriducibile; lo sarà allora anche il numeratore della funzione razionale fratta che si ha da essa, ponendovi Il (24) Rein } t I VCSgii 1 ei 1 92 Fo —, = Sii = 4009 = 2) (G fg SO V >) lg CRA o Vo VV) II, 335: Vo Va 1 e sarà (25) CASO 0968 8 WA 0009%) irriducibile nei suoi argomenti. Per un noto teorema di Hilbert (') potremo allora dare alle variabili £, &»... n, tali valori intieri, non minori di @ in valore assoluto, 4{° 45" ...40,, in guisa che la funzione di &, e delle VOI (26) GORI ANA 00 0a) n=-1)? (?) Cfr. Hilbert, Veder die Irreducibilitàt ganzer rationaler Functionen (Giornale di Crelle, vol. 110, pag. 122). » n sia ancora irriducibile ed abbia in £, lo stesso grado della (25') (!). Deter- minate così in un modo qualunque, conforme alle ipotesi precedenti, le 2% (i=1,2...r—1), potremo poi nella (26) assegnare alle vo, Vi... va valori razionali intieri co, €1-..Cax, che soddisfaccia (a causa delle (13)) alle condizioni Il @>= (CI 096 in guisa che anche la funzione della sola Èn: (27) GOMMA BI nel? SACCHE Ca) sia irriducibile ed abbia ancora in £, il grado della (25'). Saranno allora irriducibili, nel campo assoluto di razionalità, anche le due funzioni: 1 1 1 (26%) Cei o) Il 1 Il e Il D7XK (ii .% st. —..., (27%) E el a) ed avranno ‘inoltre nella n il medesimo grado della (23); infatti ove questo non fosse, una almeno delle (26), (27) avrebbe come fattore una po- tenza, con esponente non nullo, di £,, e sarebbe quindi riducibile. 6. Ne segue che anche la funzione: Ia Il (28) RIC: adipe = po Co Ci Ca è irriducibile nel campo assoluto di razionalità. Se infatti così non fosse, essa dovrebbe spezzarsi in due fattori @1(c1%2...%x), YPe(%1-.. 42); SÌ avrebbe cioè: TAI 1 poro = 009905 44) 0 1 x ma, poichè per x; = sE ((=1,2...n—1) la (28) sì riduce alla (27*) (1) Questo è sempre possibile, prendendo le AP BBO Gn guisa che, oltre la (26), anche la funzione Ty, A(0)f (1) n (1) 1 ZA: (* RIDI, 3 givora) n n= (dove 7, è il grado della (25) in £,) rimanga irriducibile (cf. Hilbert, 1. c.; pag. 117). = gi che è irriducibile, quando si faccia questa posizione, uno dei due fattori P:, 9 deve ridursi all’ unità, l'altro alla (27*). Sia ad es. gi(2142...4n quello dei' due fattori della (28), che per x; =. (@=U0= 1) duce alla (27*); esso avrà allora in «n il grado della (27*) e quindi anche della (28); l’altro fattore 4» deve quindi avere nella 4, il grado zero, deve essere cioè una funzione delle sole &,%>...%n-,. Ma si può sempre evi- tare che la (28) ammetta un tale divisore: supponiamo infatti nella (23) che 0 polinomio 6, abbia qualche termine funzione della sola &n; qua- lunque sistema di valori si dia allora alle vo; %1...%a (purchè wo + 0) per la proprietà è) dei polinomi w, (cf. n. 2) un tal termine non verrà a man- care nella (28); questa dunque non può ammettere un divisore funzione dell'efsoletatzi SetizOne Consideriamo ancora un momento la (28), che abbiamo dimostrato essere irriducibile. Se c è il minimo multiplo comune dei numeri co, c1...Ca, essa, moltiplicata per c, diventa una funzione razionale intera irriducibile delle x, 42... a coefficienti interi e privi di fattori comuni; la sua al- tezza inoltre sarà evidentemente non minore della somma dei rapporti COlAIC colle Chiamiamo ora con a, — 1 la minima delle 4, e supponiamo che i numeri interi c0,C1...Ca Stan stati presi in guisa che la somma ora detta : A SE , (in particolare quindi maggiore di @). x (ol 1 “Tal 00 cal (cal). sia anche maggiore di @, (questo è sempre possibile, ad es. prendendo prima in un modo qualunque ;, €1;--- Ca-1, e quindi ca maggiore in valore assoluto di @,.Cca-1); 4 (28) avrà allora un'altezza maggiore di a,. 7. Poniamo ora nella (14): 1 JI 1 ‘= ei Ue 0 0 Ci a e consideriamo la: scali 1 (30) Fl (zo Ua,) = F® (i Lg 0 Un 3 D ae 2) 35 Va, Va,(L1d2 En). o Ci Ca Si può sempre fare in modo che la (30) come funzione delle variabili di, dn, Ua, Sia irriducibile; basta perciò che non ammetta un divisore SI funzione delle sole x1...,; questo sarà certamente, quando si supponga che = %n_1=0. Nelle ipotesi superiori l'elemento analitico (37) è trascendente. Si ammetta infatti che non lo sia; e soddisfaccia alla equazione alge- brica irriducibile: È (38) CAR Dr = 0 di grado mi; ponendo nella (38) per 42... n: valori razionali affatto / arbitrarî, otterremo sempre un'equazione in 4, irriducibile o meno, di grado | minore od uguale ad 72. | Sia ora: | GJ | ico (ci dg e. Cn | Cai | una delle funzioni (35), 2 cui grado nella cn superi m e tale inoltre : 1 i a che il punto 4, = reso (2=1,2...2—1) cada nel campo di conver- si genza della serie (37). 22) (0) Poniamo allora nella (36*),(37),(38): Il t&r= gen @#=1,2..n—-1); 1 3 i : ì Ts il valore di 4, (algebrico, come sappiamo): dalla (37) si avrà, detto 1 Il 1 (39) Z, 4 =P Ga i FINCESY ) ; la (38) diventerà una equazione : 1 Il , (40) 0) ( 2,» aida grO GERD t) = a coefficienti razionali di grado non superiore ad 7; quanto alla (36*) si osservi che tra le 4,90 (-=1,2..2—1) ve ne è una che in valore assoluto è ; 1 c . Ò (+1) 1 OE II : uguale ad @;.., — 1; se questa è la 4,“ , il numero FRENO è un numero algebrico di altezza @;,, e perciò per questa sostituzione si annullano tutti i polinomî @, per cui è {f = @;+1; la (86*) si riduce perciò alla equazione irriducibile e di grado maggiore di m: (41) Fn 9:0 e e Questa equazione e la (40) che è di grado inferiore, dovrebbero avere una radice comune, la (39), il che è assurdo. Non può dunque aversi un’ equa- zione come la (38) cui la serie (37) soddisfaccia; essa serie rappresenta perciò una funzione trascendente delle 4,42 ...%,-1, come avevamo affermato. 9. Riassumendo, possiamo enunciare il teorema: Esistono delle trascendenti interein » variabili com- plesse x1%:...%n, che, uguagliate allo zero, definiscono (in un campo conveniente) una qualuzgue di esse variabili in funzione analitica e trascendente delle altre, in guisa che su qualsiasi varietà a/gedrica dell’ S, complesso (2142... dn) e ciascuna di esse funzioni e qualunque loro derivata si riducono a funzioni algebriche di alcune delle x, %2...4n. Una tale proprietà 207 è adunque caratteristica delle funzioni algebriche. (N9) RenpIconTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. So Fisica matematica. — Campo elettromagnetico generato da una carica elettrica in moto circolare uniforme. Nota di G. Pic- CIATI, presentata dal Socio VOLTERRA. Fisica terrestre. — Misure pireliometriche eseguite a Corleto nell'estate del 1898. Nota di Crro CHISTONI, presentata dal Socio BLASERNA. Chimica. — L'impiego di alcune anudridi e cloroamidridi in alcalimetria. Nota del prof. BERNARDO ODDO, presentata dal Socio PATERNÒ. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Chimica. — Sull’ossidazione del dimetilpirrolo asimmetrico (0). Nota di G. PLANCHER e F. CATTADORI, presentata dal Sccio G. UrA- MICIAN. Da lungo tempo è noto che per distillazione a secco dell’ematina si ottengono dei vapori che danno, col fuscello di abete, la reazione dei pirroli; più recentemente Nencki e Sieber (?) hanno confermato questa osservazione di Hoppe Seyler fondendo l'ematina con potassa caustica. D'altra parte E. Schunck e Marchlewski (3) osservarono gli stessi fe- nomeni colla fillotaonina, sostanza madre della filloporfirina e derivato della clorofilla. : Questi fatti stavano a dimostrare che, tanto le sostanze coloranti del sangue, come quelle delle foglie verdi sono derivati del pirrolo; restava tut- tavia il sospetto che il nucleo pirrolico non fosse preesistente in queste so- stanze, ma il pirrolo si formasse in via secondaria. Restava poi indeterminato se i vapori che davano la reazione del fu- scello fossero del pirrolo vero e proprio, oppure di un suo omologo identico o diverso nelle due serie di sostanze coloranti. (') Lavoro eseguito nel laboratorio di Chimica generale della R. Università di Bologna. (?) Berichte XVII, 2275. (8) Liebigs Ann. 288, 218. DIE] . Questo quesito si avviò alla soluzione quando W. Kiister (') ossidando la ematina, con acido cromico, ottenne gli acidi da lui detti ematinici, l'uno azotato e l’altro no, aventi le formole rispettive Cs Hs NO, e - CsHs0; e potè per essi proporre le due formole costituzionali di natura maleica CH; — C=C — CH; — CH, COOH e CH; — C=C — CH, — CH; COOH lee iivolos Mz CO CO Ù coco SÉ Naz N i H Suppose egli, per ciò, che esistesse preformato nell’ematina un analogo complesso pirrolico da quale prendessero origine gli acidi ematinici, come la bibromomaleinimide si forma dal pirrolo a mezzo dell’ipobromito sodico (2). Le ricerche di Nencki e Zaleski diedero a questo rignardo dei risultati ancor più precisi (3). Questi autori dimostrarono che riducendo l' ematina, l’ematoporfirina e la mesoporfirina con acido jodidrico e joduro di fosfonio si ottiene un corpo della composizione. CH N, che per le sue proprietà ritennero fosse un omologo del pirrolo, vale a dire, o il #8'-metilpropilpirrolo o il -butilpirrolo e chiamarono emopirrolo. Se la relazione tra la filloporfirina e la ematoporfirina era così stretta quale l'avevano supposta Schunck e Marchlewski, vale a dire che i due corpi fossero diversi stadî di ossidazione di una stessa sostanza fondamen- tale (‘), anche le sostanze coloranti clorofilliane avrebbero dovuto dare pir- rolo per riduzione collo stesso metodo; e Nencki e Marchlewski ottennero di fatto l’emopirrolo (°) dalla fillocianina. Più recentemente W. Kiister (9) sottoponendo all’ ossidazione l’ emopir- rolo ottenne un’ imide maleica sostituita e l'anidride relativa corrispondenti probabilmente alle formole:. CH — C=0— C3 H, CH; — C=C— Ca H, | | CO % CO CO A NZ N O H e confermò coll’ossidazione le formole dei suoi acidi ematinici. (1) Rerichte XXXIII, 3021; Liebigs Ann. 3/5, 175. (2) Ciamician e Silber, Berichte XVII, 1745, e XX, 2595. (3) Berichte XXXIV, 997. (4) Liebios Ann. 290, 308. (è) Berichte XXXIV, 1687. (5) Berichte XXXV, 2953. SIMONE Questi fatti complessivamente presi, comprovano che l’emopirrolo è un f-metil-8'-propilpirrolo : e che l’ematina e le sostanze coloranti clorofilliane, e più precisamente le porfirine dal sangue e dalla clorofilla, non sono che emopirrolo condensato e ossidato. Poteva però ancora restare qualche dubbio sulla costituzione dell’ emo- pirrolo, giacchè nessuno dei prodotti maleinici ottenuti da Kiister, s'era potuto rigorosamente identificare con sostanze già note e di costituzione ben accer- tata, e perchè nessuno dei pirroli, salvo quelli alogenati, si era potuto tra- sformare in prodotti maleici per mezzo della ossidazione. L'ossidazione graduale dei pirroli fu invano tentata altre volte, si ebbe invece sempre la demolizione dello scheletro pirrolico. Supponemmo adunque, che la stabilità dei derivati maleici di Kiister dipendesse dal fatto che questi sono derivati maleici bisostituiti (l’ acido pi- rocinconico o dimetilmaleico è stabile anche al permanganato), e per fornire alla ossidazione di Kister l'appoggio di un caso analogo riflettente un pir- rolo già ben noto come tale, abbiamo tentato l'ossidazione dell’ @-B" dime- tilpirrolo. Abbiamo scelto questo pirrolo perchè esso, indubbiamente, è quello che resiste meglio agli acidi e perchè avendo esso un sostituente nella po- sizione #, i prodotti maleici che ne derivano dovevano essere dotati di una certa stabilità. Come ossidante abbiamo scelto l'acido cromico sotto forma della così- detta miscela di Beckmann, vale a dire in soluzione solforica, la quale è particolarmente indicata ed ha servito bene in molti casi in cui si volle avere una ossidazione limitata. L'esperienza ha avuto buon esito e dal suddetto pirrolo ottenemmo come principale prodotto la citraconimide o metilmaleinimide. CH; — C-CH CH; — C—=CH it) HC C—CH; — CO CO NA NA N H H Questo risultato toglie anche l’ultimo dubbio sulla costituzione del- l'emopirrolo e degli acidi ematinici e sulle conseguenze relative alla costi- tuzione dell’ematina e della clorofilla che si erano tratte dalla formazione di questi corpi. ol Nella miscela di Beckmann, fatta con 60 gr. di bicromato potassico, 50 di acido solforico e 300 cem. di acqua scaldata a 40° si versano len- tamente a goccia a goccia ed agitando fortemente cinque grammi di af' di- metilpirrolo. Durante l'aggiunta del pirrolo la temperatura tenderebbe ad innalzarsi, si svolge dell'anidride carbonica, e si avverte un leggero odore di wrandorle amare, mentre la miscela cromica assume un color bruno in- tenso. Si lascia raffreddare la miscela, quindi si isola il prodotto con ripe- tute estrazioni con etere (almeno 10 estrazioni). L’ estratto etereo è gialliccio ed odora degli acidi grassi inferiori, però la maggior parte del prodotto è una sostanza neutra. Infatti se si secca l'etere con carbonato potassico calcinato, esso diventa quasi incolore e lascia pure un residuo poco colorato, che seccato di nuovo nel vuoto e cristallizzato dall’ etere di petrolio, dove è poco solubile, si se- para sotto forma di prismetti aghiformi che fondono dopo due cristallizzazioni a 109° con leggero rammollimento preventivo. Analisi: In 100 parti: Calcolato per C; H; NO; C 54,02 H 4,58 N 12,64 Trovato C 54,33 478 Nea Questa sostanza sublima in aghetti molto sviluppati. È alquanto solubile in acqua, poco in etere, ed in etere di petrolio meno ancora. Con nitrato d'argento ammoniacale dà un composto argentico poco solubile. Questi appunto sono i caratteri della citraconimide ('). Abbiamo in corso altre esperienze sul comportamento dei pirroli coi di- versi ossidanti e ne riferiremo tra breve i risultati. Patologia. — Sulla eziologia e patogenesi della peste rossa delle anguille. Nota preventiva del dott. F. INGHILLERI, presentata dal Socio PATERNÒ. Durante la campagna antimalarica del 1901 in quel di Grosseto, il prof. B. Gosio ebbe campo di osservare una grave epizoozia che faceva strage delle anguille degli stagni di Orbetello, e potè costantemente isolare dal fegato e dal sangue di anguille ammalate o di recente morte uno speciale bacillo, che mi diede a studiare, onde vedere in quale rapporto di patoge- nicità esso stesse col processo morboso osservato, e se trattavasi di un germe già conosciuto o di una nuova entità biologica e patogenetica. Questo germe inoculato nelle anguille del Tevere e di altre località dell'Agro Romano, riproduceva la malattia con tutti i caratteri nosografici ed (1) Ciamician e Dennstedt, Gazz. Chim. A. 13-501. 24,12, COBRA anatomo-patologici che sì riscontrano nel processo morboso naturale; dunque nessun dubbio che esso rappresentasse l'agente etiologico di quel processo infettivo. Le anguille, inoculate sia sottocute che nel cavo peritoneale, come pure quelle che erano poste a vivere in acqua infetta artificialmente, o in acqua ove erano vissute e morte per tale infezione altre anguille, cominciavano già al primo giorno, o secondo i casi più tardi, a mostrare una minore vivacità di movimenti, e poi a presentare sparse per tutto il sistema tegumentario delle numerose emorragie puntiformi, più confluenti nella parte ventrale, nelle pinne e in corrispondenza delle aperture anale e boccale e dell’opercolo, le quali davano all'anguilla un aspetto caratteristico. In quelle poi inoculate sottocute o nel cavo peritoneale, ma più nelle prime, si aveva che in corri- spondenza del punto d'inoculazione queste emorragie si mostravano più nu- merose, il tessuto si edemizzava, e spesso, se il processo decorreva lentamente, vi si formava una vera ulcera atonica a fondo necrotico lardaceo; anche le altre, cioè quelle poste a vivere nell'acqua infetta, presentavano alle volte dei focolai ulcerosi. La morte avveniva generalmente dopo due o tre giorni; ma si davano dei casì in cui il processo infettivo decorreva più lentamente, impiegando 6-8 giorni, e in questi casi il processo assumeva un carattere marantico, ed altri che finivano colla guarigione ed in questi, se sì avevano processi ulcerativi, essi in un tempo più o meno lungo si risolvevano in ci- catrice. All’autopsia l'esame microscopico rilevava: numerose emorragie pun- tiformi più o meno confluenti nel tessuto tegumentario, nelle sierose e nella mucosa specialmente dello stomaco e della cloaca, dove erano si confluenti da aversi una superficie suffusa di sangue, il quale si trovava pure commisto al contenuto cloacale, versamento siero-ematico nel cavo peritoneale, fegato per lo più ingrossato, friabile, alle volte anemico, per lo più congesto con numerose emorragie sottocapsulari ed intralobulari, milza grandeggiante ed iperemica. L'esame microscopico mostrava: rigonfiamento torbido e alle volte dege- nerazione grassa degli epitelii e specialmente degli endotelii dei vasi capil- lari, leucocitosi, numeroso il germe caratteristico nel sangue e nei capillari e spazii linfatici dei tessuti e degli organi. Questi fatti davano, come si vede, il quadro tipico di una vera setti- cemia emorragica, sì che era dato stabilire trattarsi di quella speciale epi- zoogia delle anguille, conosciuta sotto il nome di peste rossa delle anguille. Questa epizoogia che colpisce alle volte, come nel caso osservato dal Gosio, sì fieramente un'industria tanto utile e che spesso forma la sola ri- sorsa economica di alcune località, già da tempo ha richiamata l’attenzione dei piscieultori e degli ittiopatologi. Ma pochi dati si possiedono in propo- sito, e tra questi quelli che meritano una maggiore considerazione sono le ricerche batteriologiche del Canestrini, che in una sua Memoria comparsa SO nella dispensa VI degli Atti del R. Istituto Veneto (1892-93) descrive bre- vemente un bacillo da lui isolato e denominato 2. 4r9u2llarum, emettendo contemporaneamente l'ipotesi che il meccanismo epizoonosologico di questa infezione debba stare in rapporto colla funzione favoreggiatrice della salse- dine dell’acqua sulla patogenicità di esso germe. Però il Canestrini in quella sua Memoria si contenta di darci solo al- cuni dati riguardanti alcuni caratteri morfologici, culturali e patogenetici del germe, i quali nella loro brevità non soddisfano le esigenze scientifiche attuali nel descrivere ed individualizzare un dato microbo. Inoltre, fin dalle prime ricerche io potei costatare che delle differenze importanti esistevano tra il B. anguillarum del Canestrini e quello isolato del Gosio, sicchè il problema meritava ancora di essere studiato non solo dal punto di vista della storia naturale di esso germe, ma della sua patogenicità, e vedere perciò quale pe- ricolo eventualmente esso possa rappresentare per l'uomo, data la costumanza di ritenere non solo come non pericolose, ma come più nutritive le anguille infette o morte per tale infezione. Sono questi i motivi che mossero il Gosio a ritenere utile che nuove ricerche si istituissero in proposito nel laboratorio da lui diretto, affidandone a me l'onorifico incarico. Morfotogia. — Caratteri microscopici. Nei tessuti e negli essudati pato- logici questo microbio si presenta sotto forma di un bacillo ad estremità arro- tondate, isolato, o riunito a coppia, lunga da 2 a 3 w., largo da 0,42 0,3 w. Assume bene i colori basici di anilina, ma non resiste al metodo di Gram, presenta spiccato il fenomeno della colorazione polare, e lascia osservare un sottile alone incolore, che nell’assieme lo rasssomiglia ad un diploobacillo. Nei terreni culturali questi caratteri si conservano e variano solo nei limiti delle vicende vitali; però nelle culture in agar si presenta in ammassi di aspetto zoogleico, e nell'acqua di condensazione, come pure nelle vecchie culture in brodo, alle volte in forma di sottili filamenti non segmentati. Colorato col metodo Nicolle-Morax lascia osservare delle ciglia disposte alla periferia. Caratteri culturali. — Si coltiva bene e facilmente su tutti i comuni terreni nutritivi sia alla temperatura di 18°-20° che sembra preferire, che a quella della stufa a 35°. Nella gelatina sia a piatto che per infissione, si sviluppa in maniera analoga al kommabacillo. Nelle culture in agar lascia osservare un notevole fenomeno di autobatteriolisi; l’agar contemporaneamente s' imbrunisce, acquista un aspetto vitreo e mostra numerosi cristalli prismatici, variamente’ aggrup- pati; nelle prime 24-36 ore, queste culture lasciano osservare una leggiera fluorescenza bluastra. Dissolve rapidamente il siero di sangue solidificato, con produzione di numerose concrezioni di struttura cristallina aghiformi. Sulla patata a becco di flauto forma una patina di colorito giallo-mogano. In brodo semplice, peptonizzato, ed in acqua peptonizzata si sviluppa bene, però il germe si addensa maggiormente alla superficie, dove si raccoglie spesso in una sottile membranella. Scinde il latte con precipitazione di caseina, che poi ridiscioglie. Nel brodo latto-fenoltaleinico si sviluppa senza decolorarlo, e nei terreni addizionati di zuccheri mono o poli-saccaridi non dà luogo nè a fatti d'inversione, nè a produzione di gas. Riduce il bleu di metilene nella sua leucobase. I caratteri rilevati e descritti si riferiscono al microbio integro nelle sue proprietà bio-chimiche e patogenetiche, e perciò son dati da questo mi- crobio appena o da poco isolato dai tessuti di anguille infette. Nei succes- sivi passaggi in questi mezzi nutritivi, come pure quando vien passato ripe- tutamente per la cavia, essi lasciano osservare delle marcate differenze: diminuito il potere di liquefare la gelatina, di sciogliere il siero di sangue solidificato, di scindere il latte e ridisciogliere la caseina precipitata, di auto- batteriolisi, d’ imbrunire i tessuti nutritivi. Biologia. — Questo microbio si mostra mobile, non forma spore e prov- vede alla sua conservazione con delle forme vegetative dotate di maggiore resistenza. L' ossigeno favorisce il suo sviluppo, ma esso vive anche quando vien coltivato in assenza di questo elemento. È poco esigente in fatto di temperatura, preferisce quella di 20°; una temperatura superiore a 35° influisce sulla sua integrità bio-chimica e lo attenua. Si sviluppa bene nei terreni ordinarî di cultura, ma vive e si mol- tiplica anche nei terreni poveri sia artificiali che naturali. Preferisce una. reazione alcalina, ma si adatta a vivere anche in quelli che ne presentano una leggermente acida. Con i successivi passaggi culturali si attenua e mostra alcuni cambiamenti nelle sue caratteristiche; però basta coltivarlo in acqua peptonizzata + Na CI al 3:100 e passarlo ripetutamente per l'anguilla, per reintegrarlo nei suoi caratteri bio-chimici, culturali e patogenetici. Vaccina verso se stesso i terreni in cui si sviluppa, e dona fin da prin- cipio a tutti i mezzi culturali una spiccata reazione alcalina, e conferisce nei primi tempi a tutte le culture un odore leggermente fecaloide. Si mostra gran produttore di cristalli di fosfato d’'ammonio, di leucina e di tirosina; forma .indacano e presenta la Rothreaction solo nelle culture in brodo di almeno 10 giorni. È poco resistente verso gli agenti naturali ed ‘artificiali fisici e chimici della disinfezione, ma per il suo facile saprofitismo resiste: nei pro- cessi di concorrenza vitale, specialmente a contatto delle flore idriche, e pre- vale sugli altri microbi se nel mezzo si trova del Na Cl nel rapporto del 2-3-4: 100. Ricambio materiale. — Lo studio del meecanismo chimico di alcuni caratteri culturali e lo studio di alcuni fatti vitali che. si osservano nelle culture quali quelli di liquefare la gelatina, di scindere il latte e ridiscio- gliere la caseina precipitata, di dissolvere il siero di sangue solidificato, di Li ia auto ed etero-batteriolisi da una parte; di non saccarificare l'amido, di non invertire il saccarosio, di non bruciare la molecola del glucosio e del lattosio dall'altra, ci permettono di delineare la fisionomia caratteristica fondamentale dell'attività bio-chimica di questo microbio allo stato di virulenza specifica per l'anguilla; cioè che mentre si mostra un attivo fermento della molecola proteica, sembra risparmiare quella degli idrati di carbonio. Però si ha che quando è coltivato in presenza di glucosio, progressiva- mente la reazione di Fehling sì fa meno sensibile, mentre ìl liquido assume una sempre maggiore consistenza sciropposa e s' imbrunisce. Questa riduzione quantitativa non è operata da un fermento, perchè non sì ottiene facendo agire i filtrati culturali ; ed è perciò che a spiegarla mi sembra razionale avan- zare l'ipotesi che si tratti dell'azione riducente di alcuni prodotti gassosi del ricambio materiale del microbio, quali l'H e l'H,, S che, con meccanismo chimico similare a quello con cui agiscono sul bleu di metilene riducendolo nella sua leucobase, agiscono sul gruppo aldeidico del glucosio e trasformano perciò questo monosaccaride nel sno alcool corrispondente. Ma se questo microbio sembra risparmiare gli idrati di C., attacca atti- vamente la molecola proteica con speciali diastasi. Queste diastasi sono: 1° una diastasi fluidificante la gelatina; 2° una batterio-presase; 58° una batterio-casease; 4° una diastasi che dissolve il siero di sangue solidificato (batterio- tripsina); 5° una diastasi auto ed etero-batteriolitica. I prodotti principali dell'attività chimica di queste diastasi sono l'’NH?, l’H?S, H, il peptone, la tirosina, la leucina, l’indacano, l’indolo; gli altri prodotti non ho ricercati, perchè lo studio di essi molto mi avrebbe allonta- nato dai giusti confini di questo lavoro. Oltre questi composti dovuti all'attività escretiva e secretiva del microbio, nei terreni di cultura si rinvengono delle toxo-albumine, le quali hanno la proprietà di determinare in vivo delle lesioni proporzionali alla dose, e di conferire all'organismo, quando vengono adoperate con speciali accorgimenti uno stato di immunità, però transitoria, non solo verso le dosi tossiche mor- tali dei filtrati, ma anche verso lo stesso microbio. Queste toxo-albumine dimostrano un'azione vaso-paralizzante, ed un’ ele- zione specifica distrofogena per gli endotelii, nonchè proprietà emolitiche. Patogenicità del microbio della peste rossa. — Oltre che per l’anguilla qu esto microbio si mostra patogeno per molte varietà di pesci d'acqua dolce, pel tritone e per la salamandra, ma non è patogeno per la rana. Inoltre è patogeno in ordine di sensibilità, per la cavia, il coniglio, il uttus decu- manus albus, il topolino grigio; nei piccioni non determina che delle lesioni RenpICcONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 3 = 9 — locali. Lo studio istopatologico delle lesioni che determina negli animali sensibili assegna questa infezione al gruppo: delle settico-emorragiche. PosTo DEL BACILLO DELLA PESTE DELLE ANGUILLE TRA I GERMI PATOGENI CONOSCIUTI. Quanto siamo venuti esponendo sui caratteri morfologici, cutturali, bio- chimici e patogenici del .bacillo della peste-rossa ci facilita nella disamina delle parentele e «delle affinità che questo microbio mostra con altri germi la critica per assegnare il posto che gli spetta tra i microbi patogeni cono- sciuti; se rappresenta, in altri termini, un'entità, biologica a sè, o se invece non esprime che una proprietà patogenetica caratteristica di un germe noto, dovuta a contingenze speciali. i ‘ Certo oggi la più larga conoscenza della Storia naturale dei bacterî e delle leggi che ne governano i fenomeni vitali in vitro e nell'organismo vivente, non permette più di stabilire o negare l'identità tra due microbi basan- doci su somiglianze o differenze che presentano nei loro caratteri e che spesso sono l'opera dell'artificio o ìl risultato contingente di cause transitorie, tranne quando le une e le altre non si mostrano immutabili nella loro fenomena- logia. Ma neppure è concesso di forzare l’interpretazione dei dati su cui tali parentele si basano o si escludono alla tesi che si cerca di sostenere, negando perciò o affermando artifiziosamente una data identità; in quanto si può dare che forme in apparenza distinte appartengano alla stessa specie. come forme molto simili rappresentare, se non specie diverse, varietà di una stessa specie, le quali però si sono individualizzate per la trasmissione ere- ditaria di nuove proprietà vitali, Però prima di procedere a questa critica a proposito dei legami di paren- tela e di identità che questo microbio mostra possedere con alcuni germi noti, credo opportuno sgombrare il terreno di una questione per ‘così dire pregiudiziale: è il microbio da me studiato, quello isolato e descritto dal Camestrini 2: Nella prima parte di questa Nota, accennando a tale quesito, dissi che dalla breve Nota del Canestrini non risulta netta, caratteristica la fisiono- mia biologica del 5. anguillarum; in quanto mancano tutti quei dati che l'esigenze scientifiche attuali domandano per stabilire l' individualità di un germe. Dire che un microbio scioglie la gelatina, si adlime in tutti i terreni ordinarî, sì mostra poco esigente in fatto di temperatura, non basta per sta- bilirne l'identità, anche quando questi dati si accompagnano a proprietà pato- genetiche specifiche, che possono rappresentare la funzione di cause acci- dentali e transitorie. Del resto tra il bacillo descritto dal Canestrini e quello da me studiato intercedono delle differenze importantissime, perchè mentre MO) questo è un 'macrobio facoltativo, l’altro è un acrobio obligato; mentre il mio non resiste al metodo di Gram, quello del Canestrini vi si colora; mentre il mio si mostra patogeno per la cavia, pel coniglio e pel Rattus decumanus albus, quello del Canestrini non presenta tale patogeneicità. Un giudizio asso- luto in ogni modo non credo poterlo dare; perchè può darsi il ‘caso che il Canestrini ed io abbiamo studiato lo stesso germe, e ‘che le differenze ubbi- discano solo a difetto di tecnica dovuto al momento diverso in cui si è operato, ad una minore importanza accordata allo studio di alcuni carattteri importan- tissimi per la diagnosi biologica, ovvero che la peste rossa delle anguille, come alcune altre zoonosi del gruppo delle setticemie emorragiche, non rap- presenti una unità nosogenica, e possa di conseguenza esser prodotta da germi diversi per quanto tra loro affini, e che forse rappresentano delle varietà di una stessa specie. Una prova avrebbe potuto decidere della controversia, cioè quella del potere immunizzante o agglutinante reciproco; ma non mi è stato possibile farla, perchè il B. anguillarum non si trova nelle collezioni dei microbi patogeni. ‘Ma oltre che con il B. anguzllarum questo microbio presenta delle affi- nità spiccatissime con il B. Pyoccanens e con l' Hydrophilus fuscus del Sana- relli, il ranicida di Ernst, e il. B. della cancrena delle rane del Legrain. Ed è specialmente con questi ultimi tre che il 2. della peste rossa mostra così stretti legami da riuscire dfficile poter stabilire se tutti e quattro rappresen- tino o no lo stesso microbio in momenti patogenetici diversi, ovvero delle varietà di una stessa specie. Però devo affermare che per quando io abbia cercato, non mi fu possibile ridurre il bacillo della peste rossa a mostrarsi patogeno per la rana, sia ricorrendo a delle inoculazioni nei sacchi linfa- tici di dose altissime di germe ora patogeno, ora attenuato, sia ricorrendo ad un adattamento patogenetico graduale. Però come questi il microbio della peste rossa si mostra un comune abitatore delle acque. Ed a proposito credo opportuno ricordare un fatto da me accidentalmente osservato e che ritengo importante per l'apprezzamento del meccanismo epizoonosologico di questa infezione: avendo fatto comprare dei pesci d'acqua dolce e avendoli messi a vivere in una vasca che si trova nel cortile del laboratorio onde esperimen- tare la patogenicità del microbio verso di essi, dopo qualche giorno, prima che io avessi proceduto all’ esperimento, fui avvertito dal custode. che si era manifestata una morìa tra quei pesci; i quali cominciavano, siccome potei osser- vare seguendo in qualche caso di essi tutta la malattia, col presentare da prin- cipio una esquamazione più o meno estesa dovuta ad edemizzazione dei tessuti sottostanti, poi qualche focolaio emorragico nell’apparato pinnale, e morivano in due o tre giorni, mostrando all' autopsia trattarsi di una infezione a tipo emorragico. Da questi pesci morti o ammalati io potei isolare un bacillo, e così pure dall'acqua della vasca, il quale presentava gli stessi caratteri mor- 9 e fologici cutturali e meno spiccate le stesse proprietà biochimiche del bacillo della peste rossa, ma che non era patogeno nè per l’anguilla, nè per la rana. Però questo microbio messo a vivere nei terreni nutritivi addizionali di NaCl al 3: 100, dopo varî passaggi finiva col mostrarsi patogeno per l'an- guilla, dando luogo in essa ad un'infezione molto simile nella fenomenologia alla peste rossa; inoltre si aveva che il siero del sangue di queste anguille ammalate presentava uno spiccato potere agglutinante per il B. della peste- rossa e viceversa. Io non credo che il fatto che il 8. della peste rossa non si mostra patogeno per la rana, quando specialmente i bacilli del Sanarelli e di Ernst sono pato- geni per l’anguilla, possa fare escludere la loro identità; ma non credo neppure che tale identità si possa ammettere senza che intervenga l’ ewperimentum crucis del potere vaccinante o agglutinante reciproco; specialmente se sì tiene conto che tra questi germi esistono pure delle notevoli differenze di natura biologica e per citarne qualcuna, l'esigenza di fronte all’ ossigeno, in quanto mentre gli uni sono degli aerobii obligati, il bacillo della peste rossa sì nostra un anaerobio facoltativo. Io non credo dovermi indugiare ancora in una critica più lunga e più sottile delle differenze e delle identità che questo microbio presenta con quest altri e con altri germi del gruppo dei settico- emorragici, e specialmente con il Pyocianeo. Per quanto riguarda i bacilli del Sanarelli, di Ernst e di Legrain, come per il B. anguillarum, un giu- dizio categorico non mi è dato esprimerlo, perchè non mi è stato dato poter ricorrere alla prova diagnostica specifica del potere agglutinante o vaccinante; per ciò che riguarda il Pyoczaneo in special modo, perchè degli altri non è il caso discutere, sebbene i due germi dimostrino una stretta parentela per le somiglianze culturali, morfologiche e bio-chimiche che presentano, rese nel loro significato ancora maggiori dalla variabilità che il Pyoczoneo dimostra, pure mi è stato possibile escluderne l'identità, in quanto i due germi non possiedono potere agglutinante reciproco, e il Pyocianeo non acquista la pro- prietà di diventare patogeno per l'anguilla. Sicchè nel complesso devo ritenere che se stretti legami di parentela o di identità intercedono tra il 2. della peste rossa e molti altri microbi, essi non possono portare che all’ affermazione generica, che stretti rapporti filo- genetici intercedono tra questi microbi, i quali forse originatisi da un istesso capostipite, nei misteriosi processi della lotta per l'esistenza, hanno finito col- l’acquistare delle proprietà caratteristiche ed individualizzarsi, costituendo o delle specie nuove, o delle varietà di una stessa specie. Un ultimo quesito mi toccava di studiare, cioè se l’uso alimentare delle anguille ammalate o morte di peste rossa possa costituire un pericolo per l’uomo, data la costumanza in alcuni paesi di ritenere la carne di dette anguille infette più saporosa e nutriente; però il tempo non m'ha concesso scesi Meine io — d'iniziare tale studio che sarà argomento di ulteriori ricerche, già disposte dal prof. Gosio. Ma se si pensa, che le cavie e così pure i conigli contraggono questa infezione anche per via gastrica, se ne deve considerare l’uso almeno non con- sigliabile, anche, perchè esclusa ogni patogenicità di questo microbio per l’uomo, il fatto che esso sì mostra squisitamente tossico, deve portare alla conclusione che la carne delle anguille infette di peste rossa, se non è specificamente pericolosa in quanto non è infettante per l'uomo, ha perduto gran parte dei caratteri igienici di un alimento sano. PERSONALE ACCADEMICO Il Vicepresidente BLAsERNA dà il doloroso annuncio della perdita fatta dalla Classe nella persona del Corrispondente prof. ANTONIO D'ACHIARDI, mancato ai vivi il 10 dicembre 1902; apparteneva il defunto all'Accademia sino dal 18 luglio 1899. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CERRUTI presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle dei Soci HELMERT, JANNSEN e PFLUEGER; fa inoltre parti- colare menzione di un lavoro a stampa intitolato: L'arco elastico senza cerniere, offerto dall'autore prof. C. GuInr. Il Socio TopARro fa omaggio, a nome degli autori professori MARCHIA- FAVA e BIGNAMI, dell'opera: Za infezione malarica — Manuale per Medici e Studenti, e ne parla. CONCORSI A PREMI Il Segretario CERRUTI dà comunicazione degli elenchi dei lavori pre- sentati all'Accademia per prender parte ai concorsi scaduti col 31 di- cembre 1902. Elenco dei lavori presentati per concorrere al premio di S. M. il Re per l'Astronomia. (Premio di L. 10,000. Scadenza 81 dicembre 1902). 1. BARONE GIovannNI. — 1) Osservazioni delle Perseidi del 1896, fatte in Alassio, e confutazione dei risultati ottenuti da P. Stroobant al Belgio, nel calcolo degli elementi parabolici delle Andromeidi del 1895 (st.). SRO 2) Studio sulla corrente meteorica delle Perscidi (st.). — 3) Abaco per determinare le elongazioni dei radianti veri dell’apice del moto di rivo- luzione della Terra e le velocità relative delle meteore corrispondenti (ms.). — 4) Abaco per determinare le distanze perielie delle orbite paraboliche (ms.). 2. MiLLosevicnH ELIA. — Il pianeta Eros (st.). 3. ReinA Vincenzo. — 1) Determinazioni di latitudine e di azimut eseguite nel 1898 nei punti M. Mario, M. Cavo, Fiumicino (st.). — 2) De- terminazione astronomica di latitudine e di azimut eseguita a M. Pisarello nel 1899 (st.).. — 3) Determinazione astronomica di latitudine e di azimut eseguita a M. Soratte nel 1900 (st.). — 4 Determinazioni astronomiche di latitudine e di azimut eseguite lungo il meridiano di Roma (ms.). — 5) Sulla lunghezza del pendolo semplice a secondi. Relazione sulle espe- rienze eseguite dai prof. G. Pisati ed E. Pucci (st.). Elenco dei lavori presentati per concorrere ai premi del Ministero della P. I. per le Sezenze fisiche e chimiche (Due premi del valore complessivo di L. 3200. Scadenza 31 dicembre 1902). 1. Boccara VirtorIo EMANUELE. — 1) Sulle variazioni diurne della rifrazione atmosferica, due Memorie (st.). — 2) Za Fata Morgana (st.). — 3) Relazioni di apparecchi costruiti durante gli anni scolastici 1900-1901 e 1901-1902 (lit.). 2. CicconETTI GIOVANNI e PieRpaoLI NazzaRENO. — Il coefficiente di rifrazione terrestre a Udine (st.). 3. PETTINELLI PaRISINO. — Un nuovo procedimeuto per trovare molte relazioni note ed ignote fra le quantita fisiche (st.). Elenco dei lavori presentati per concorrere al premio Carp? per la Botanica. (Premio L. 900. Scadenza 31 dicembre 1902). 1. DE Tonl ErtorE. — Il Codice Erbario di Pietro Antonio Mi- chiel (ms.). 2. Longo Biagio. — Ricerche sulle Cucurbitacee e il significato del percorso intercellulare (endotropico) del tubetto pollinico (ms.). CORRISPONDENZA Il Vicepresidente BLasERNA richiama l’attenzione della Classe sugli importanti risultati ottenuti da GuaLIELMO MARCONI, il quale è riuscito a congiungere, per mezzo della telegrafia senza fili, l' Europa coll’America. Il oo — senatore Blaserna ricorda che l'Accademia dei Lincei conferì, nello scorso anno, un premio della fondazione Santoro al Marconi, per i progressi da lui raggiunti e per incoraggiarlo a continuare le sue belle ricerche. Su proposta del suo Presidente, la Classe approva unanime l’ invio d’un telesramma di felicitazioni vivissime a Guglielmo Marconi, pel trionfo ot- tenuto, invitandolo a dar notizia all'Accademia dei grandi impianti da lui testè immaginati e portati a compimento. Il Segretario CERRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia di scienze e lettere di Copenaghen; la Società zoolo- gica di Tokyo; le. Società geologiche di Washington e di Sydney; la Bi- blioteca Bodleiana di Oxford. Annunciano l'invio delle proprie pubblicazioni: L'Accademia delle scienze di Cracovia; l’ Istituto geodetico di Potsdam; le Commissioni geodetiche di Losanna e di Washington; la Biblioteca na- zionale di Rio de Janeiro. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’'ACCADEMIA presentate nella seduta del 4 gennaio 1903. Borredon G. — La legge del sistema planetario o l'armonia del moto dei suoi corpi. Napoli, 1902. 8°. De Angelis d' Ossat G. — Observations géologiques sur les méthodes d’exploi- tation de quelques mines pétrolifères de la Romanie. Bucarest, 1902. 16°. Id. — Un nuovo giacimento di cinabro presso Saturnia (prov. di Grosseto). Torino, G. U. Cassone succ. G. Candeletti, 1902. 8°. Di Vincenzo L. — Metamorfosi del modello cartilagineo primitivo delle ossa. Napoli, 1902. 8°. Guidi C. — L'arco elastico senza cerniere. Torino, Clausen, 1903. 4°. Helmert F. R. — Ueber die Reduction der auf der physischen Erdober- fliche beobachteten Schwerebeschleunigungen auf ein gemeinsames Ni- veau. Berlin, 1902. 8°. i Hescheler K. — Sepia officinalis L. Der gemeine Tintenfisch. Ziirich, Zùrcher & Furrer, 1902. 4°. Janssen. — Science et poésie. Paris, F. Didot, 1902. 49. Jatta A. — licheni cinesi raccolti allo Shen-si negli anni 1894-1898 dal rev. Padre Missionario G. Giraldi. Firenze, 1902. 8°. gg ia Marchiafava 2. è Bignami A. — La infezione malarica. Milano, 1902. 8°. Pepere A. — Tumeur primitive du foie originaire des germes aberrants de la capsule surrénale. Paris, Masson et C'°, 1902. 8°. Pflùyer E. — Vorschriften zur Ausfihrung einer quantitativen Glykogenana- lyse. Bonn, 1902. 8°. Severino G. — Descrizione del doppio freno idropneumatico S. Giuliano brevettato a cilindri oscillanti e tripla-azione progressiva combinata e simultanea. Torino, Sacerdote, 1902. 8°. Viola €. — Beitrag zur Zwillingsbildung. — Die Bestimmung der optischen Constanten eines Krystalles aus einem einzigen beliebigen Schnitte. Leipzig, 1902. 8°. Vi. @. Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1° TRANSUNTI. 2° MEMORIE della Classe di scienze fisiche matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. > Volevo VI SSVIE: VIII. Serie 3° — TRraNnsuUNTI. Vol. I-VII. (1876-84). MemoRrIE della Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — IL. (1, 2). — III-XIX. Memorie della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4 — RenDpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della. Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie .5® — ReNDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII. (1892-1903) 1° Sem. Fasc. 1°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. (1892-1902). Fasc. 9°-10°. MEMORIE della. Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. H-III. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VII. CONDIZIONI DI ASSOCTA ZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINOFI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- «denti ognuno ad un semestre. «—_—H prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : dia Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. Utrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoh. RENDICONTI — Gennaio 1903. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, Seduta del 4 gennaio 1903. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Niccoletti. Sulle proprietà aritmetiche delle funzioni analitiche (pres. dal Socio Dini). Pag. Picciati. Campo elettromagnetico generato da una carica elettrica in moto circolare uniforme {pres. dal Socio Volterra ©)... . 5 ” Chistoni. Misure pireliometriche i a to Li di 1898 ros dal sa Bla- SIRO N » Oddo. L'impiego di alcune nidi e goroanidhi ni in calco De dal Socio Paternò) © ” Plancher e Cattadori. Sull’ossidazione del o asimmetrico n dal Socio Cia- mician) I : È BRA) Inghilleri. Sulla caltlegia e Si DI. A rossa delle SO 04 dal SITO Pa- LENOIR N BACI A UNIONE GTI DI OT ANI PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Vicepresidente). Dà il doloroso annuncio della morte del Corrispondente prof. sro «d'Achiardi Si ra RO RO RE goa III I PRESENTAZIONE DI LIBRI Cerruti (Segretario). Preseuta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci Helmert, Jannsen e Pflueger; fa inoltre particolare menzione di un lavoro a stampa offerto dal prof. C. Guidi. . . . . VALE SCA a Todaro. Fa omaggio di un’opera dei DA, ia e si e ne parla . . » CONCORSI A PREMI Cerruti (Segretario). Comunica gli elenchi dei lavori presentati per concorrere: al premio Reale per l’Astroromia, a quelli del Ministero della P. I. per le Scienze fisiche e chimiche, e:‘al premio Carpi perla ‘Botanuca, pel IP9BUi LR CORRISPONDENZA Blaserna (Vicepresidente). Fa la proposta, approvata all’unanimità dalla Classe, che l'Accademia invii un telegramma di felicitazione a @. Marconi per i risultati da lui recentemente ottenuti colla telegrafia senza fili . . . . Bass nsot) Cerruti (Segretario). Dà conto della dorrispoiina rela al cadbio degli Atti DE RENAr nio, BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. 3 10 21 29° 28, (*) Questa Nota, sarà pubblicata. nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. e Pubblicazione bimensile. —‘oma 18 gennaio 1903. N. 2. 00M DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO GCGCo. L9OS PS rEg e QUIETE A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 18 gennaio 1903. Volume XII. — Fascicolo 2° 1° SEMESTRE. TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI | ROMA PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI | i 1905 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei - qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico, 4. 1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell'Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta | stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti, Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - @) Con una. proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. — 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. oS Seduta del 18 gennaio 1903. P. VILLARI, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Fotografia del cielo. — Zavoro della stazione internazionale nell’Osservatorio di Catania per la Carta fotografica del Cielo. Nota III del Corrispondente A. Riccò. Essendo trascorso un anno e mezzo dall'epoca dell'altra Nota, che ebbi l'onore di presentare all'Accademia (!), e siccome ora i lavori stanno en- trando in un nuovo stadio, quello della trasformazione delle fotografie in catalogo di posizioni di stelle, credo mio dovere d'informare l'Accademia di quanto abbiamo potuto fare per adempiere all'impegno che l’Italia ha assunto di fronte alle altre nazioni ed alla scienza. Fotografie. — Dallo scrivente e dall'ing. Mascari, efficacemente assi- stiti dal sig. Taffara, sono state rifatte in gran parte quelle fotografie stellari del catalogo che erano andate perdute per il distacco della pellicola: ed altre sì sono rifatte per ottenerle in migliori condizioni; inoltre sono state fatte altre fotografie nuove. Queste fotografie di mano in mano che si eseguiscono, vengono controllate, confrontandole, se occorre, coll'Atlante celeste di Arge- lander (Mascari). Oltre le solite fotografie che si debbono fare per constatare la sensibi- lità delle lastre, la centratura e l'orientamento delle medesime, dallo sceri- vente sono state eseguite pure delle fotografie per ottenere una scala di con- fronto delle grandezze stellari. Si è riconosciuto subito che per avere di una (1) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. X, 2° sem. 1901, serie 5%, fasc. 5°. RenpIcontI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 4 stella, poniamo di 6* grandezza, dello immagini eguali a quelle delle stelle di grandezza RR © ELARIO non basta ridurre la posa o l'apertura (area) dell'obbiettivo in ragione della decrescente intensità luminosa per le diverse grandezze, ossia come (0,4) (0,4)? (0,4)? (0,4)4 (0,4)* ma sarebbe necessario ricorrere ad una progressione molto più rapidamente decrescente; e siccome così, partendo dalla posa normale di 5 minuti, si arriverebbe per le grandezze (od immagini) minori ad esposizioni brevissime, di cui sarebbe stato impossibile valutare esattamente la durata (almeno coi mezzi di cui disponiamo noi); si è dovuto combinare la riduzione della posa colla riduzione dell'apertura dell'obbiettivo. Dopo molte prove si è giunti ad ottenere prossimamente la detta scala, nelle seguenti condizioni : Grandezze! stellari iM6ant 720 9a 0a Pose in secondi . 300 180 108 65 39 23 rapp. =0,6 Diam. dell'apertura - in millimetri. 328 207 131 83 52 3833 rapp. delle aree= 0,4 Ma confrontando mediante il Comparatore delle grandezze stellari le immagini così ottenute con quelle delle stelle delle Pleiadi per le diverse grandezze, si sono trovate ancora delle discordanze irregolari, per cui si è dovuto ritoccare le pose precedenti onde avvicinare ‘maggiormente le imma- gini della scala a quelle delle corrispondenti grandezze nelle dette fotografie delle P/ezadi. Si è così giunti empiricamente alla seguente scala, alla quale però occorrono pur sempre delle piccole correzioni, come è indicato appresso: Grandezza NO 6% E 8a 9a 05 LIS POS CR 300 200 110 65 39 25 VA CECUE COSROE 328 207 131 83 32 83 Correzioni medie in grandezze . . —0,15 +0,1 +03 -+0,05 —0,25 —0,05 Continueremo le prove nell’estate prossima, quando avremo più frequenti le notti serene, e quindi maggior tempo disponibile per queste fotografie. Il numero delle fotografie fatte in quest'anno e mezzo è il seguente: Fotografie per il catalogo. . . . b aabox 00 SIA 81) Aree tipiche, per controllo della sensibilità le iui Drunvalo P.lelad iena nt VEBER OO OE ER 12 Per inzio e celata Riti ATA SN 8 Scala. fotometiicatti ze wr oo 07 RR IO Totale . . . n. 588 Nelle fotografie fatte, che ora si conservano entro cassette di legno al se- condo piano dell'’Osservatorio, in locale ove sono piccole le variazioni della tem- peratura e dell'umidità, è cessato l'inconveniente del distacco delle pellicole. E dopo che lo sviluppo ed il lavaggio delle lastre si fa in un locale del sottosuolo dell'Osservatorio, ove l’acqua arriva per condottura tutta sot- terranea, non si ha più da temere nell'estate alterazioni della gelatina delle lastre per temperatura troppo alta; però nelle epoche di maggior calore bi- sogna tuttavia ricorrere al ghiaccio, per abbassare la temperatura dei reat- tivi fotografici. L'operazione dello sviluppo, che richiede molta cura e pa- zienza, è affidata al sig. Taffara. Misure. — La misura al macromicrometro delle immagini stellari sulle lastre in due posizioni a 180°, è stata continuata per opera dei sigg. ing. Franco e Massa; il sig. Mazzarella ed il dott. Mendola (assunto al posto lasciato dal dott. Eredia dal 1° novembre 1901) si sono occupati della ridu- zione delle misure a parti dello intervallo dei tratti del reticolato di rife- rimento (che è fotografato sulle lastre medesime), ridotto a 5 giri della vite micrometrica; e si sono occupati pure del controllo derivante dal confronto delle misure nelle due posizioni della lastra: controllo che si è trovato uti- lissimo per eliminare gli equivoci di lettura del micrometro o di scrittura, ed anche per ovviare alla dimenticanza di qualche stellina. Poi i medesimi sigg. Mazzarella e Mendola hanno fatto le medie delle due misure per ognuna delle due coordinate delle stelle. Si sono così misurate due volte: lisonegdelecataloso fs. n o 170 Conpenenbiaste eee a. e i. n. 01200 Aggiungendo quelle misurate prima, si ha il totale di misure eseguite finora : Lasime cell Melo i 6 oi NI an 229 SIN Re e e); SB (I (7 109695 Dunque si è fatto quasi un quarto del lavoro di misura delle 1008 lastre del catalogo spettanti all'Osservatorio di Catania. Il limite di tolleranza nella differenza delle predette misure nelle due posizioni è stato ridotto da 0®%,010 a 0!%,009; con tutto ciò le misure che risultano errate sono attualmente solo circa il 2°/. I sigg. ing. Franco e Taffara hanno costruito la tavola delle correzioni dei singoli lati delle maglie del reticolato n. 88. Questo reticolato ha sosti- tuito l'altro n. 82, perchè nel vetro argentato inciso che serviva ad impri- merlo sulle nostre fotografie, si erano staccate particelle d’argento (inconve- niente solito). Il n. 88, che abbiamo conservato in cassetta a doppio fondo con calce viva, per preservarlo dall'umidità e dalle muffe, ha resistito assai più lungamente. Por Aggiungo l'informazione, che le 48 migliori fotografie da noi fatte della zona di cielo percorsa del pianeta £70s sono state già misurate a Parigi; e che abbiamo già mandato la tavola di correzione del relativo reticolato a quell'Osservatorio, che deve subito eseguire la riduzione delle posizioni delle stelle fotografate. Stelle di riferimento. — Si è continuata la elaborazione del catalogo di 2700 stelle di riferimento, e ne è fatta la riduzione delle posizioni al 1900,0 per le ascensioni rette O. a 18°, cioè per 1850 stelle. Di ogni stella si è calcolato la precessione e la variazione secolare, secondo le co- stanti di Newcomb, e sì sono dati i moti proprî, quando occorreva (Boc- cardi, Taffara, Pastore). Queste posizioni sono già state pubblicate nelle Memorie della Società degli Spettroscopisti, vol. XXXI, 1902. Riosservazione di stelle di riferimento. — Essendosi poi riconosciuto che quelle 2700 stelle, prese dai cataloghi, non possono bastare per la ri- duzione in catalogo delle 1008 lastre della nostra zona fotografica, e non potendosene ottenere altre dai cataloghi esistenti, si è dovuto pensare alla riosservazione di circa altrettante stelle necessarie, a fine di averne la posi- zione esatta per il 1900,0, esente dall'influenza dei moti proprî. E invero l’esperienza fatta nella compilazione del catalogo ricavato dagli altri esistenti ci ha dimostrato che anche i migliori fra questi non sono esenti da piccole inesattezze, non sempre trascurabili per noi; inoltre poi si è visto che i moti proprî delle stelle sono frequenti e rilevanti, più di quel che generalmente dànno i cataloghi medesimi; e ciò rende malsicura la riduzione al 1900.0 delle posizioni di stelle derivanti da osservazioni poco recenti. Non avendo nell’ Osservatorio di Catania, nè gli strumenti, nè il per- sonale necessario per quest'altro grave lavoro, ci siamo rivolti agli altri Osser- vatorî italiani, invocandone l’aiuto: hanno cortesemente accettato di prendervi parte i seguenti Osservatorî, nel modo che è indicato qui appresso: Firenze (Arcetri) Diete, prof. Abetti, ) 00 Aistr. agg. (dott. Naaro i nen Padova (Università) Dirett. prof. Loren- ) e, zoni, Astr. agg. dott. Antoniazzi. . | Palermo (Palaz. Reale) Dirett. prof. tro a se Goo Angelitti, Astr. agg. prof. Zona . . ) î Roma (Coll. romano) Dirett. prof. Millo- i pecora e 08 sevich, Astr. agg. dott. Tringali. . Roma (Campidoglio) Dirett. prof. Di Legge, Astr. agg. dott. Prosperi. BR cx ” ” » Giacomelli. Teramo (Collurania) Dirett. propr. dott. Cerulli . . . . ni | PUC05 Totale stelle... ... n. 2704 — DI — Il lavoro di osservazione procede alacremente in tutti i detti Osserva- torî, ed anzi abbiamo già ricevuta una parte delle posizioni di stelle già ridotte al 1900.0. Nell Osservatorio di Catania sono state calcolate e pubblicate, come preparazione al predetto lavoro, le posizioni apparenti di 10 in 10 giorni per il 1902 di 50 stelle fondamentali di Newcomb per le riosservazioni da farsi nei sei Osservatorî (Mazzarella, Taffara, Pastore). Per il 1903 si è fatto lo stesso lavoro per 40 stelle fondamentali (Taffara, Pastore). Si sono calcolate inoltre le posizioni approssimate per il 1902 di 563 stelle fra quelle da riosservarsi; e ciò ad uso di uno degli Osservatorî partecipanti alla riosservazione (Taffara). Riduzione delle posizioni misurate în catalogo. — Il prof. Boccardi ha fatto uno studio ed esame comparativo minuzioso ed esauriente dei metodi proposti per la detta riduzione, ed ha elaborata una Memoria, di prossima pubblicazione, sulla teoria e pratica di tale riduzione. I risultati più essen- ziali di questo lavoro sono: 1°. Nella riduzione delle lastre si ottiene maggiore esattezza coll’ im- piego di quattro costanti, anzichè di sei. 2°. La teoria ed il calcolo provano che si possono tralasciare le nu- merose correzioni preliminari (generalmente ritenute necessarie), conseguendo in minor tempo l'identico grado di esattezza. 3°. Per conseguenza la costruzione e l'utilizzazione del catalogo a coordinate rettangolari riusciranno più facili e più rapide. Dalla predetta Memoria si sono tratte le norme e le tavole per la ese- cuzione pratica della riduzione medesima (Boccardi, Pastore). Avendo già nel catalogo compilato un buon numero di stelle di riferi- mento, e le posizioni di altre essendoci state già comunicate dagli Osservatori partecipanti alla riosservazione, come prima prova si è fatta la riduzione di 6 lastre con metodi diversi (Boccardi, Mendola, Pastore). I risultati sono molto soddisfacenti: le coordinate equatoriali delle stelle di riferimento (12 a 16 per lastra), dedotte dalla misura mediante le costanti ottenute per le sin- gole lastre, si accordano colle posizioni del nostro catalogo compilato, la- sciando divergenze medie: da così = = 05.02 Ai 04 Le altre stelle della lastra dànno divergenze medie da così = — 05.05 Zi == Per le stelle comuni a due lastre contigue (che si sovrappongono per !/, della superficie) le posizioni, ottenute colla riduzione dell'una e dell'altra lastra, si accordano bene, lasciando divergenze medie: Aa cosò = + 05.06 dò==+ 0".6 Snai La poca entità delle riferite divergenze dimostra che fotografie, misure e calcoli, vanno bene. L'accordo delle posizioni delle stelle in lastre attigue ci ha provato che possiamo dispensarci dal ricorrere ai complicati metodi di raccordamento delle posizioni date da lastre diverse. Dai detti calcoli delle 6 lastre è risultato pure che la lunghezza focale del nostro obbiettivo fotografico differisce pochissimo dalla teorica, per cui un millimetro sulla lastra deve rappresentare un arco di un minuto. La diffe- renza approssimata è solo 0"".001, e varia pochissimo da lastra a lastra. Ciò facilita notevolmente i calcoli di riduzione. Inoltre ciò ha per noi una importanza speciale; perchè avendo dovuto lo scrivente avvicinare di un millimetro i due vetri dell’obbiettivo per far scomparire un’ immagine secon- daria, come già fu detto all’Accademia (!), era da temersi una dannosa varia- zione della lunghezza focale. Debbo aggiungere però che anche le determi- nazioni dirette, o fotografiche, della lunghezza focale, fatte prima e dopo la detta correzione dell’obbiettivo non avevano dato una sensibile variazione. Dirò di più che le medesime determinazioni della lunghezza focale, fatte in stagioni diverse, dimostrano che è indipendente dalle variazioni di tem- peratura, o per lo meno per quelle abbastanza miti del clima di Catania, cioè da -- 7° e + 30°, di notte nel padiglione fotografico; perciò da molto tempo non si sposta più il tubo porta c/hdssis dell’equatoriale fotografico per metterlo più esattamente a fuoco nelle diverse stagioni. Dopo i suddetti lavori preliminari, è cominciato di recente il lavoro corrente di riduzione delle lastre. Nel finire mi pregio di presentare vivissimi ringraziamenti ai chiarissimi colleghi, Direttori ed Astronomi degli Osservatorî (che con mirabile accordo prendono parte alla riosservazione delle nostre stelle di riferimento) per aver accettato gentilmente il carico gravoso che si aggiunge alle incombenze ed ai lavori importanti, che, sia per dovere d'ufficio, sia per iniziativa propria, compiono nei loro Osservatorî. Tale collaborazione onora altamente l’ Osser- vatorio di Catania. Sono grato altresì ai miei collaboratori dell’ Osservatorio di Catania, che mi hanno secondato con tanto impegno nell'adempimento della nostra parte nella cospicua impresa internazionale della Carta fotografica del Cielo. (') Rendiconti, vol. VI, 1° sem. 1897, serie 52. aa Matematica. — / problemi di riduzione di Pfaff e di Jacobi nel caso del second’ ordine. Nota del Corrispondente E. PascaL. Una delle quistioni importanti che, quando intrapresi i miei studî sulle equazioni ai differenziali di 2° ordine, io mi proponevo di trattare, era quella della estensione del problema di Pfaff ('), che, come è noto, ha, nella teoria delle ordinarie equazioni pfaffiane, un interesse fondamentale. Colla presente Nota io mi propongo appunto di risolvere questo problema per il caso del second'ordine, e di mostrare come, mediante le formole e i risultati ottenuti nelle mie precedenti Note, la soluzione del problema venga ad acquistare una grande semplicità. Enuncierò il problema, nel nostro caso, sotto la seguente forma: 770- vare le condizioni perchè esistano trasformazioni di variabili per le quali una equazione ai differenziali totali di 2° ordine si riduca ad una dipen- dente da un numero minore di variabili, e trovare tutte le trasformazioni per le quali si effettui questa riduzione. Alla soluzione di questo problema giungerò per due vie, una diretta, e l'altra fondata sulla teoria della trasformazioni infinitesime e sui risultati all'uopo da me ottenuti in un'altra recente Nota presentata a questa stessa Accademia (°). Considererò infine, accanto alla riduzione che può chiamarsi di Pfaff- -Grassmann, perchè da questi autori studiata nel caso del primo ordine, altre due riduzioni, che si possono ambedue far corrispondere, in due diversi sensi, a quella che alcuni chiamano di Jacobi (3). 1. Si abbia la forma e si voglia trovare una trasformazione Yi= Pi(C1 00 En) ’ (CR) in modo che la forma trasformata U' sia eguale al prodotto di una forma (1) V. p. es. la prefazione alla mia Memoria in Annali di Matematica (3), t. 7. (2) Trasformazioni infinitesime e forme ai differenziali di 2° ordine, Rend. Acc. Lincei (5), t. XI, 1902, 2° sem., p. 167. A proposito di questo lavoro è bene avvertire dell’evidente errore di stampa incorso alla pag. 172; alla riga 16° invece di deve si ha da leggere non deve, e alla riga seguente invece di è zero deve leggersi non è zero. (3) Vedi E.v. Weber, Vorl. ber das Pfaff sche Problem, ete., Leipzig 1900, p. 161. SARE in sole x—1 variabili, p. es. Yi ....Yn-1, ® di un fattore finito contenente tutte le variabili. Indicando con Y,, Yyx i coefficienti della forma trasformata, dovrà aversi (1) N40 0 (EER) e inoltre IND IRPI: eni die i > h (a — 9 CNC o (2) Coi, ®s (Mob i=13 n_- 1) da cui, richiamando le espressioni delle Y per mezzo delle X, si hanno le: dl È 10% (3) a ((=1,2,...n—-1) ole IBS, G dI dI Zi 3%, h,1=1,2,.. — 1). Li [333 dn a “R DI 7 dYn dI | n—-1) Calcoliamo ora i simboli (Xx), }h x} relativi alla forma trasformata e osserviamo che, per effetto delle (1), essi non sono altro che i primi membri delle (3) e (4). Ma intanto ricordiamo che questi simboli sì esprimono, me- diante quelli espressi nelle X , colle formole (!): di (ka) = >|x6 di) dh Wa O; d° di ddr dI =) cd) fai (cioe e Cee I a) >| DA lata dYn dYI e Di [Drrs | dYn Yi dunque, paragonando i secondi membri di queste con quelli di (3) e (4) e scrivendo la prima delle (1) espressa nelle X, si hanno le equazioni lineari: dj a x) E 0060 ((=1,2,...2) d/ dYn ZI pal DE (Ia n) Vilasgi Boe, (ASSI ao) dar dYn e a queste devono soddisfare le derivate rispetto alla y, delle antiche va- riabili. La matrice di queste equazioni lineari è quella medesima da me studiata nelle Note sopracitate e nelle altre in Rend. Ist. Lomb. (2), t. 35, (1) Vedi la mia Nota in Rend. Ist. Lomb. (2), t. 34, pag. 1180, ovvero l’altra in Rend. Acc. Lincei (5), t. XI, 1902, 2° sem., p. 105. o eta pag. 835 e 875, e di cui ho dimostrata la notevole proprietà che la sua ca- ratteristica è invariante per qualunque trasformazione di variabili. Essa è rap- presentata nelle mie precedenti Note colla notazione M +4- (M) +}M{+-}}M{. Possiamo far vedere che la sussistenza delle (5) è condizione anche sw/f- ciente per la desiderata riduzione; giacchè in primo luogo è evidente che dalle (5) si hanno le (8), (4) e quindi le (2), e inoltre la prima delle (1); resta perciò solo a dimostrare che ne risulta anche la seconda delle (1). Ora sottraendo le seconde e terze delle (5) si hanno le ca 09 ba DI Ya donde oe DER D 7 (d 0) da VA Ma per le formole di trasformazione del simbolo (( 4)) (!), il primo membro di questa equazione non è altro che {(xA)) calcolato per la forma trasformata cioè ((24)), dunque si ha: DI hMI= E YVa=0 ((22)) dYn h donde, essendo già Y,=0, resta Y,,=0. Sia di caratteristica on maggiore di x, la matrice delle equazioni lineari (5) cioè la matrice M +(M) + }M{+}}M{t, e sia allora 1... Én,0 una soluzione del sistema (5), e formiamo l’equazione a derivate parziali (6) Vela della quale potranno trovarsi gli n — 1 integrali indipendenti y1...Yn1- Scegliamo arbitrariamente una nuova funzione y, delle x, colla sola condizione che sia indipendente dalle precedenti; la trasformazione (7) geo. 206 CESSO) risolve il nostro problema, e ogni trasformazione che risolve il problema deve essere di questa specie. Infatti i differenziali delle #,...%,, ricavati dalle prime 2 — 1 delle (7) soddisfanno a (8) dar _ dt _...— Un per effetto di (6), e quindi, introducendo la funzione y,, si ha che i rap- () Op. cit. RenpICONTI. 1903, Vol. XI, 1° Sem. 5 Shoe porti Del sono proporzionali alle &; e perciò soddisfanno le (5). Viceversa se le (5) sono soddisfatte, lo saranno le (8) e quindi (6). Abbiamo perciò il risultato : Condizione necessaria e sufficiente perchè esista una trasformazione per cui la forma data si riduca, a meno di un fattore, ad una conte- nente una variabile di meno, è che la matrice M + (M)+}Mt + }}M{ abbia caratteristica eguale o minore di n. In tal caso una trasformazione di tale specie si ottiene cercando una soluzione È,...En o delle equazioni lineari dI X; = 0 J > (ij) &=0X (i(=1,2,...2) (9) i DIRAgI = 9 X; (0=133, n) I Dirsjt&=0Xn (ASS IZ n) J e indi gli n—-1 integrali indipendenti dell'equazione a derivate parziali : ORD (10) Di Chiamando Yi... .Yn-r tali integrali e costruendo arbitrariamente una nuova funzione Yyn indipendente dalle precedenti, la ‘trasformazione (11) VG (= 25000) è la richiesta; e ognuna di tal natura si ottiene în tal modo. Sia v D.}r bar Wai 0 de dr dI sg sr dI dEs = 0 (As di mi ch: Neg dYj dYn ri Di 2.}r Un dYj dYn Dalla prima di queste, facendo variare 2 da 1 ad x, ed osservando che deve essere naturalmente diverso da zero il determinante funzionale delle 4 rispetto alle y, si deduce (15) D (093 =0, LSM e con simile procedimento dalle seconde delle (14) si deduce (16) Dirs Bra =0 Ss dYn per cui dalle terze delle (14) si deduce infine in simil modo: (17) Dr ts va Le (15) (16) (17), di cui la matrice dei coefficienti è (giusta la notazione ado- perata nelle Note succitate) la (M') +}M"{+-}M"{{, sono condizioni neces- sarie perchè sia possibile la richiesta riduzione; esse sono anche sufficienti. Giacchè da esse seguono le (14), e perciò anche le ((7)) = 0; quindi, chiamando al solito Y i coefficienti della forma trasformata, si ha p° cn di = VER dYn dYi e ponendo dYy Mi = , VE, NI fmay=g Di sì ha, integrando: dg d° P din Zi goes Yn- , POETI Vas pile) uo e indi da x A dij dLin Vi : DE n \ijaf 0 Ta lie dae. ; j Yn Yj dYi dYi dY; si ha infine: dp Yj= 0) 4 Zi (Y1,---Yn_a) e perciò la U trasformata ha precisamente la forma richiesta. Colle stesse considerazioni che nel $ 1 si ricava pertanto: Condizione necessaria e sufficiente perchè sia possibile la riduzione alla forma U=U + d° dove U, non contenga la variabile yn, è che la matrice (M')+}M'{+}}M'"{{ sta cero, cioè abbia caratteristica minore di n. Soddisfatta che sia tale condizione, per ottenere una trasformazione che effettui la indicata riduzione, si scelga una soluzione È1...8n delle equazioni lineari > (75) == 0 (18) DE st 50 s Wise =0 e si formi l'equazione (19) Sf=) &; CA, di cui si cerchino gli n—1 integrali indipendenti y,...Yn-1; cOn una nuova e arbitraria funzione Yn, indipendente dalle precedenti, si formerà allora, nel modo solito, la richiesta trasformazione. Ogni trasformazione di tal natura dovrà potersi ottenere nel modo indicato. Si potrebbe anche qui ritrovare questo stesso risultato, coi principî della teoria delle trasformazioni infinitesime. Ci limiteremo però solo alle seguenti considerazioni: la trasformazione infinitesima &' ha il covariante C eguale a zero, perchè sottraendo le due prime delle (18) si ha (20) DI ((s7)) &=0 e il primo membro di questa non è che il coefficiente generico C, della C. Inoltre per la formola (8) della mia Nota citata Trasformazioni infinite- seme ete. (Rend. Acc. Lincei, 1902, 2° sem., pag. 167) si riconosce che (21) EU=d4, (ll cioè £° è una trasformazione infinitesima che applicata sulla U la riduce al differenziale secondo esatto dell invariante A . Ora è evidente che la trasformazione finita ottenuta nel solito modo, indicato alla fine del teorema precedente, da una £' avente queste due pro- prietà, effettua sempre la riduzione richiesta; in effetti da queste due pro- prietà possono sempre dedursi la sussistenza delle (18), ovvero delle (15), (16), (17) e quindi procedere come si è fatto di sopra. Onde: Per l’esistenza di una trasformazione che effettui la riduzione di Jacobi estesa al second'ordine è necessario e basta che esista una trasfor- mazione infinitesima E" di cui sia zero il covariante C, mentre si abbia i 9 =, 4. Tratteremo infine brevemente del caso in cui si voglia trasformare la U nella somma di una forma con sole x —1 variabili e del differenziale primo di una forma di primo ordine: (22) U-U+4d(S Zi Mm). 1 Osservando che i simboli };j{ e {ij} relativi ad U, sono gli stessi che quelli relativi ad U' e che quelli, fra questi, nei quali l’ultimo indice è n, relativi ad U,, sono zero perchè U, non dipende da y,, si ha: (23) intf=0 , Vijn{t=0 SISI donde, come al $ 3, si deducono le equazioni (16) e (17) di cui la matrice dei coefficienti è }M" 4 }}M"{{.. Le (16) e (17) sono viceversa su/fcienti perchè la U si riduca alla forma (22); giacchè da esse si deducono le (23), e quindi, indicati al solito con Y i coefficienti di U' e posto Yi=T+Z ((=1,2,...n—-1) Na ona Zy dove le T sono delle arbitrarie funzioni delle sole y1...Yn-1, da ji nf/=0 sì deduce IE DZAe5Zo Yui aa 2 C- T A) e da }tjnf =0 si ricava dYij _DYin | dYjn _ DI dn Yi al Wi © dYi di ID ADI zig tag donde a w dAi Li; = thtglk, Ù 3) dove le T;; sono indipendenti da y,; perciò la U ha la forma (22). Formando la trasformazione infinitesima i Si d E"=)\ E, % i cui coefficienti £ soddisfanno alle sole equazioni \( (24) di { gsi=-0. s si ha evidentemente una trasformazione che applicata ad U la riduce a (25) 5'U=dA—-24dC (v. formola (8) della mia Nota citata nel $ 3), e quindi, ragionando come nel S$ precedente, abbiamo infine il risultato: Perchè esista una trasformazione che riduca la U alla forma (22), in cui U, non contenga la yn, è necessario e basta che la matrice }3M"t + }}M"{{ gg abbia caratteristica minore di n; se ciò si verifica, tutte le trasformazioni della specie richiesta si ottengono cercando le soluzioni di (24), indi gli n—1 integrali indipendenti yi... yn- di E"f=0 e assumendo questi come nuove variabvili insieme ad una nuova Yn, funzione arbitraria delle x, ma indipendente dalle altre y. La trasformazione infinitesima £" applicata ad U la riduce a d'A- 2dC, e ogni trasformazione infinitesima di tal natura risolve il problema. Fisica matematica. — Campo elettromagnetico generato da una carica elettrica in moto circolare umiforme. Nota di G. Pro- CIATI, presentata dal Socio VOLTERRA. Si consideri un dielettrico indefinito impolarizzabile ed in quiete ed il campo elettromagnetico generato da una carica elettrica 72 in moto circolare uniforme. Indicando le componenti della forza elettrica con X, Y, Z, e con L, M, N quelle della forza magnetica esse debbono esser soluzioni del sistema ADE dN db di _dX di de dy * di Cl dpi ANTANI i CAM DE (1) Sag col i go (uu) A gii grid gg di dd. AN dI a (EI ARIE Nada da Sady9 e delle due ; dA dI, di gh dM JN essendo A l’inversa della velocità della luce nell’etere. Le X,Y,...,N soluzioni del sistema (I),...,(IV) debbono presentare una singolarità (va- riabile con #) nel punto occupato dalla carica, ed esser nulle all’ infinito come - almeno (r° = x° + y° + #°). La determinazione diretta di questi integrali non si presenta nè facile, nè agevole; invece si perviene immedia- tamente alle loro espressioni facendo uso dei potenziali ritardati, ed appli- cando un metodo generale dato dal prof. Levi-Civita ('), il quale permette di determinare in ogni caso il campo elettromagnetico dovuto al moto di (1) Sur le champ électromagnétique ete. Annales de la Faculté des Sciences de Toulose, sér. III, t. IV, 1902. RenpiconTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 6 ue 9 una carica unica. Oltre potere assegnare le componenti delle forze elettro- magnetiche del campo in questione si ha in questo modo anche il vantaggio di poter pervenire alla determinazione del campo elettromagnetico generato dalla carica quando essa si muove parallelamente ad un piano conduttore indefinito; ciò che mi riserbo di esporre in una prossima Nota. In vista di ciò, ho qui riportate alcune formule che esprimono, sotto diverse forme, proprietà analitiche delle funzioni definienti il campo. Di queste formule non avrei però avuto bisogno per trattare col metodo indicato il problema più semplice della carica ruotante senza schermo conduttore. Scelto per piano 4 y quello in cui avviene la ruotazione della carica, siano 0xy2z una terna di assi fissi, essendo O la posizione iniziale della ZN carica, la ruotazione avendo luogo nel senso #y con la velocità angolare @. Le coordinate g,w del punto £ dove si trova la carica sono, essendo R il raggio della circonferenza da essa descritta, g=R(1— coso) , w=— Rsent. Si possono assegnare senz'altro le espressioni del potenziale elettrostatico ritardato F e quelle delle componenti U, V, W, secondo gli assi # yz, del pontenziale vettore ritardato, mediante le quali si hanno le componenti delle forze elettromagnetiche. Si indichi con 7 la distanza del punto («7 ), che si considera, dal punto £', che è la posizione occupata nell’ istante # — Ar dalla carica che occupa all'istante 4 la posizione £, e sia v la velocità della carica nella posizione £'. Essendo allora 7 definito. in funzione di € ,Y,8&,t dall'equazione (1) 7°? =[x—R+ Rcoso(f—A7)}f+[y + R sen o(f— Ar)} + e° ed essendo le componenti della velocità della carica in £' date da — ; de, o (il tratto sovrapposto indicando il mutamento di { in t— Ar) le espres- sioni dei potenziali ritardati sono le seguenti (!) Po Mi ana — r[1— Avcosor]” dg U=A7 F, Iva. Tab F, W=05 (?) Vedi Mem. cit., pag. 19. nelle quali si suppone Av<1, cioè che la velocità della carica resti sempre inferiore a quella della luce, ed inoltre per direzione positiva di 7 è presa quella da £' al punto (xy) che si considera. Essendo ora _ Rosmolt—Ar) , a=—Rcoso(f— Ar) posto Am= a, si ha r[1—-Avcosor]=r+baR}ycoso(f—Ar)—(c—R)seno(f—Ar)', quindi le espressioni dei potenziali ritardati divengono: © al x r+aRBiycosm(t—Ar)—(x—R)seno(t— Ar) U= aRseno(f—Ar).F, (3) V=-—-aRcoso(t—Ar).F, W==0. Questi potenziali soddisfanno all'equazione ca Sl (4) Of=4,f—A dia e sono legati fra loro dalla relazione dE' . QU, dv (5) i d Le espressioni esplicite delle forze elettromagnetiche del campo che si considera, relative agli assi fissi 2 yz, e soddisfacenti al sistema di equa- zioni (I),...,(IV), sono quindi le seguenti: dF dU Zina ATE dF dV (6) eo, pi RSA dV ope gr dU eu. di 44 — Scegliamo ora un sistema di assi mobili invariabilmente legati alla carica 7, cioè il sistema O' {ZARA CRNRE avente l'origine nel centro della circon- ferenza descritta dalla carica, per piano 2'=0 il piano z=0, le coordi- nate di 7 essendo R, 0,0. Riferendoci nel piano "= O alle coordinate @ , 0 abbiamo fra le coordinate di uno stesso punto rispetto ai due sistemi di assi le relazioni : E (8) ie da cui si deducono le altre R 8, — 0 c008(0 + 07), y=—esen(04@t), uu d jsen0+0) d da i SS (Un) o 3 d0 dal d eos +o) d i e I O de 7 mo (9) AT CRE GI d d d Aa © agio Indichiamo con H, K,Z' le componenti della forza elettrica secondo le linee 9= cost , o= cost e l’asse’ e" e con E, G,N' quelle della forza magnetica; esse non dipenderanno esplicitamente dal tempo, il fenomeno SEI essendo stazionario rispetto agli assi mobili scelti. Avendosi ora X=-—Hcos(09 +?) + Ksen(0+ ©), (10) (Y=—Hsen(9+@#) — K cos(04- @t), (ZI; = —Ecos(0+ ©) +Gsen(0+ 7), (11) (M=—Esen(06+@t)+Gcos(0+@t), IINERMINE il sistema (I) ,...,(IV), trasformato nelle nuove variabili, diviene dH_ dG 14 CORIO pia IO Li EL (Nd (1) ‘mg igo i de dl' d& 1d& G ngi © ei da) TIRA TIRI de cm Lp pa Ldno 7 IGES EA dj DI O cp NIE Le espressioni delle forze elettromagnetiche in funzione delle nuove variabili si ottengono in forma semplice mediante il potenziale elettrostatico F e le componenti del potenziale vettore ritardato secondo le linee @= cost, o= cost che indicheremo con Z,u. Si ha intanto dalla (1) Ae r°= 0° 4 R° 4 2? — 2Ro cos(0-+ ar), e quindi si ha per F, 4, w m #—aResen(0+ ar)” (U=—Zcos(04+ 4) +wusen(0+ wt), (13) pi (14) (ve —Asen(04+t) —ucos(0 +4 wt), da cui "A —=aRF sen (9 +7), u= aRF cos (0 +ar). SSA Questi potenziali debbono soddisfare a certe condizioni che si riducono in questo caso alle seguenti: la F deve soddisfare all’equazione dF (16) OP=4F—e 30 e le funzioni Z e w alle altre. ia de? 2 —= 2 d6 b) 17) Q Q d? w u 2 dd diu—- 0° —=—-;3 2 dé? o? o? de essendo inoltre legate fra loro dall'equazione: I, TOI I valori di F,4,w sopra dati sodisfacendo a queste condizioni le espres- sioni esplicite delle forze elettromagnetiche, dedotte dalle (6), (7) sono (19) Eee (20) M--5 Essendo a= Aw generalmente un numero piccolissimo del quale si possono trascurare le potenze superiori alla prima, è facile dedurre quali sono allora le espressioni delle forze elettromagnetiche. Infatti si ha allora dalla (12) r° = 0° + s? +- R° — 2 Ro cos 9 + 2aRor sen @ quindi anche rT—aRosen0=]/0° +? + R° — 2Ro cos 6, e per i potenziali m Io==___; =, Vo? + #2 + R° — 2 Ro cos ò AÀ= aRF sen 6, u= aRF così. ERO, 77 0 Dalle (19) e (20) si ha per le forze elettromagnetiche H=- (19) Enio, SCI E= aR cosg. = — aR eos 9.7, (20) G=—aRsm9. 0 — aR sen 0. Z', ; maRB(R— o cos 0) sure = «R(H cos 6 — K sen 0). (Vo 4? + R°— 2 Ro cos 6) Essendo {/0° + #2 + R° — 2Ro cos@ la distanza del punto che si considera dalla carica, si riconosce subito che la forza elettrica prodotta dalla carica in moto con velocità assai piccola è sensibilmente la stessa come se la carica non si muovesse ('). Se si considerano infatti le componenti delle forze elettromagnetiche rispetto agli assi O' %'y'', si ottiene eso A da 7 dE (21) Si EROE SP ISEERT= of ” GRANI È LR L'=Ecos6— Gsen0=—uaRZ, (22) M=Esen0-+-Gcos06= 0, N'=aR(Hcos06—Ksen06)= aRX. Si riconosce così che la forza magnetica è parallela al piano @'' in cui si trova la carica, è proporzionale alla proiezione della forza elettrica per questo piano, ed è diretta normalmente ad essa, essendo poi, rispetto alla traiettoria descritta dalla carica mobile, diretta secondo la regola di Ampère. (1) Questo vale in generale per il campo generato da una carica elettrica in moto vario qualunque ma con velocità assai piccola; ciò che si deduce facilmente dalla Memoria citata del Levi-Civita, e fu già anche osservato dal prof. Righi: Sui campi elettromagne- tici ecc. V. N. Cimento, serie V, tomo II, agosto 1901. a gg= Matematica. — Di un gruppo continuo di trasformazioni. Nota del prof. G. FRATTINI, presentata dal Socio VOLTERRA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — Composizione ottica dei movimenti vibratorii di tre o più suoni. Nota del dott. GruLIio ZAMBIASI, presentata dal Socio BLASERNA. In una mia Memoria che si sta pubblicando nella « Rivista Musicale Italiana » di Torino, col titolo: Le figure di Lissajous nell’estetica dei suoni; oltre i risultati di varie esperienze intorno alle figure di Lissajous di due suoni, si contiene quello della prima prova da me fatta per produrre figure analoghe di tre suoni. L'esito felice di questo tentativo, apre la via a nuove ricerche in un campo inesplorato. Perciò credo opportuno esporre il metodo seguito, e le applicazioni che ho intenzione di fare. Modo di sperimentare. — In sostanza ho seguito il metodo di Terquem, che consiste nel projettare le figure di Lissajous ottenute con due coristi, dei quali uno porta alla sua estremità una lamina d'alluminio con piccolis- simo forellino, l’altro un obiettivo da microscopio. I coristi sono collocati in modo che l’obiettivo projetta sopra uno schermo l’immagine del forellino fortemente illuminato con un fascio di luce solare, e le loro vibrazioni hanno direzioni rispettivamente perpendicolari. L'intenzione mia era di sostituire alle vibrazioni del diapason, quelle di qualunque suono propagantesi nell'aria; quindi ho adattato, in luogo del corista portante il forellino, il Fonautografo di Scott, convenientemente mo- dificato e semplificato. È noto che alla membrana del Fonautografo si suole applicare, o uno stile (setola), nel metodo grafico, o uno specchietto, nel metodo ottico, per ottenere le sinusoidi delle voci o dei suoni d'istrumenti. Tanto lo stile quanto lo specchietto sono obbligati ad un asse di rotazione, e per mezzo d'una leva il cui braccio appoggia sul centro della membrana, ricevono gli impulsi della membrana stessa vibrante. È chiaro che così si ottiene la componente perpendicolare all’asse di rotazione, ossia al diametro della mem- brana parallelo a quell’asse. Considerando che, per la omogeneità della membrana, per la sua forma circolare, e per la tensione uniforme, è indifferente disporre l’asse di rota- 07/10) {8 zione secondo qualunque diametro; ho pensato di sopprimerlo addirittura, e in luogo di servirmi d'una componente qualunque delle vibrazioni, usare, qual'è, il moto del centro. A questo scopo ho fissato, avvitandola strettamente, un’asticella d’allu- minio al centro della membrana, perpendicolare ad essa. L'asticella termina in una laminetta d'alluminio con un forellino. Il forellino ben illuminato si può guardare direttamente con un canocchiale, ovvero se ne può projet- tare l’immagine, sia per osservare le sue vibrazioni, sia per comporle, come nel metodo di Terquem, colle vibrazioni d'un corista o comparatore ottico. Il vantaggio di questo metodo sta in ciò, che non solo si può con esso avere l’immagine ottica della vibrazione d'un suono qualunque propagantesi nell’aria, e paragonarla, come insegnò Lissajous, con quella d'un compara- tore; ma si può avere la risultante d'un numero indefinito di suoni propa- gantisi, e comporla con quella d'un diapason che serve e di analisi e di sintesi delle combinazioni sonore, prodotte non nella forma prefissa usata nel gabinetto del fisico, ma in quella propria dell'arte; come ognuno potrà giu- dicare dalle applicazioni seguenti. Composizione parallela dei movimenti vibratori di più suoni. — In- nanzi tutto importava constatare la forma del movimento del forellino; perchè da essa dipende la bontà del metodo. Suonando innanzi al Fonautografo una, o due o più canne d'organo, potei ottenere una immagine rettilinea, sta di una, sia della risultante di più vibrazioni. Precisamente il forellino oscilla sulla retta che passa pel centro della membrana perpendicolarmente ad essa, alle seguenti condizioni: 4) che la posizione iniziale del forellino sia sull'asse della membrana; 2) che la ten- sione della membrana sia uniforme in tutti i suoi punti; c) che l’asticella, e la laminetta non abbiano oscillazione propria od altro movimento irrego- lare. A ciò si provvede procurando che l'asta sia rigida, leggiera e rigida- mente legata alla membrana per poter rispondere a tutti i movimenti. Siccome poi la membrana ha un suono proprio per ogni grado di ten- sione; così è chiaro che si ottiene un massimo di ampiezza di vibrazione d'un suono, quando la membrana è intonata coll’ istrumento. Nel caso di due suoni si può tuttavia ottenere eguale ampiezza di vi- brazione per ognuno di essi, dando alla membrana una tensione o tono medio, e disponendo le canne a diversa distanza secondo il grado d'intensità degli stessi suoni. Per verificare e constatare sperimentalmente la forma rettilinea del mo- vimento centrale della membrana, ho fatto uso del microscopio solare, come apparecchio di proiezione, collocando il Fonautografo in modo che il forellino vibrasse nel campo fortemente illuminato, ove si pongono gli oggetti micro- scopici da projettare. In luogo dello schermo posi un telajo, lungo il quale faceva scorrere una lastra sensibile in direzione perpendicolare alla vibra- RenpIcoNTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 7 a B)ReTa: zione del forellino. Il raggio luminoso passando per un finestrino praticato nella parete del telajo descrive sulla lastra fotografica la traccia de’ suoi movimenti. Componendo diverse canne due a due, ottenni le tracce caratteristiche degli intervalli come si ottengono col metodo grafico di Lissajous et Desains. L'importanza incontestabile di questa esperienza sta in ciò che si pos- sono ottenere con eguale facilità le tracce della composizione parallela delle possibili combinazioni di suoni due a due, tre a tre, quattro a quattro, ecc. e quindi degli accordi musicali. Eccone un saggio nella fig. 1: Fic. 1. Composizione parallela delle vibrazioni di tre suoni prodotti contro tre canne d'organo: Dos : Mi» : Sola. Come caso particolare sarà utile fare la sintesi de' suoni della serie armonica, e formare varî tipi di sinusoidi utili per lo studio dei timbri. Anche la prova che ho fatto per ottenere una sinusoide d'una sola canna d'organo, per sottoporla all'analisi della macchina integratrice; diede un risultato insperato, tanto per la nitidezza e finezza della immagine, quanto per l'ampiezza della vibrazione. Intonazione di due canne d'organo col metodo ottico di precisione. — Dimostrato che la membrana del Fonautografo animata da più suoni, fornisce la risultante della composizione parallela delle loro vibrazioni; ne viene che si può intonare due istrumenti direttamente, senza comparatore ottico; allo stesso modo come due diapason che vibrano parallelamente. La immagine rettilinea della vibrazione composta AB, M (0) N |. — _—_—_—____—___n mb non è omogenea in tutto il tratto; ma presenta un certo numero di punti più luminosi (punti d'arresto di vibrazioni) in vario numero secondo il grado di semplicità del rapporto dei due suoni. Se il rapporto è semplice e preciso, i due punti M ed N sono fissi; se l'intervallo si altera, oscillano, ciascuno nel suo campo OA od OB; e più veloci quanto più si altera il rapporto. Ogni oscillazione intera segna un battimento e quindi una vi- brazione in più o in meno, così come una rotazione della figura di Lis- sajous. Camposizione perpendicolare delle vibrazioni d’un diapason, colla risultante della composizione parallela di due 0 più suoni. — All'ob- biettivo immobile del microscopio solare da projezione, ho sostituito l'ob- biettivo, pure da microscopio, fissato all'estremità del corista del com- paratore ottico di Lissajous, disponendo il corista in modo che vibrasse perpendicolarmente e alla vibrazione del forellino e al raggio luminoso. Com- binando i suoni come nella prima esperienza ed eccitando contemporanea- mente il corista, ottenni non solo le figure di due suoni, come Lissajous; ma di tre, quattro,... e le rispettive traccie. Soltanto, per coglierle fotograficamente, ho cambiato disposizione all’ap- parecchio. Presi la fotografia della traccia, collocando il telajo in modo che la direzione del movimento della lastra sensibile, fosse parallela alla biset- trice dell'angolo retto delle due vibrazioni. Fotografai le figure fisse collo- cando la camera fotografica senza obiettivo, così che servisse da obiettivo quello del diapason comparatore; e operando incirca come nelle istantanee, ma regolando, secondo le circostanze, la posa con un opportuno otturatore. Anche di questa composizione offro un esempio nella fig. 2. Fia. 2. Figura e traccia di quattro suoni. Composizione perpendicolare delle vibrazioni d’un corista Sol, colla risultante parallela dei tre suoni: Dos: Mis: Sol». Siccome confrontando uno ad uno i suoni con quello del corista com- paratore si ottengono le figure di Lissajous dei rispettivi intervalli; così le figure risultanti dal confronto di più suoni simultanei con quello del corista, si possono considerare come figure composte di tante figure di Lissajous quanti sono i suoni componenti formanti intervallo con esso. Le figure, quindi, composte di tre 0 quattro .... suoni hanno, rispetto SI O SER all’accordo musicale da essi formato, la stessa relazione che le figure di Lis- sajous hanno cogli intervalli di due suoni. I risultati ottenuti bastano a dimostrare che come le figure di Lissajous servono all'analisi e sintesi e classificazione degli intervalli musicali, alla teoria della semplicità dei rap- porti, e delle approssimazioni nell’apprezzamento degli intervalli [come ho tentato di dimostrare nel lavoro sopra citato]; così le figure delle combina- zioni di più suoni servono ad uno studio parallelo e comparativo tra i fe- nomeni ottici e le sensazioni o fenomeni musicali, che produce una combi- nazione di tre o più suoni. Tutto ciò fa sperare al fisico di poter investigare cogli apparecchi della scienza sperimentale, tutto il campo dell’ armonia mu- sicale, e separare ciò che vi è di oggettivo da ciò che è soggettivo in questo ramo della musica; cioè vedere che cosa si debba attribuire alla natura, e che cosa all'arte. Finalmente accenno ad un caso di combinazione di suoni, la cui figura ha il carattere di figura di transizione. Il caso avviene quando le vibrazioni dei suoni componenti hanno ampiezza notevolmente diversa: per esempio componendo i due suoni: Do, : Sol, col comparatore Do,, se le vibrazioni hanno ampiezze uguali o poco diverse si ottiene una figura composta del- l'accordo Dos: Sol, : Do;; ma se il Do, s affievolisce, man mano che la vi- brazione impiccolisce, si vede apparire la figura della quinta: Sol, : Do, ; e lungo la traccia della stessa appare la piccola figura dell'ottava Do, : Do, che la percorre più o meno lentamente nel caso che l'intonazione non sia precisa. La seguente fig. 3 ha la fisonomia della figura della quinta Do»: Fa,; ma la sua traccia è intessuta di due altre figure proprie dei rapporti: Mi: Hare Sol: Faje i Bicrar3: Figura di transizione di quattro suoni : 1°. Corista Fa; . 2°. Canna d’organo Do» con grande vibrazione. 3° e 4° Due Canne: Mi;: Sol; con piccole vibrazioni. All’ occhio quindi sembra che un suono che ha vibrazione relativamente piccola, assuma una importanza secondaria o decorativa rispetto agli altri. PI TSO) Questo fenomeno segna il passaggio dagli accordi, ai timbri musicali: infatti gli armonici naturali degli istrumenti e gli artificiali negli organi a ripieno, intanto costituiscono il timbro o colore dei suoni principali in quanto la loro intensità relativa è piccola assai; infatti avviene in certi istrumenti, come le canne d'organo, che quando l'intensità del primo armonico eguaglia quella del fondamentale, lo si percepisce come suono distinto formante ac- cordo musicale. Questa esperienza può servire di criterio nella misura della intensità relativa de’ suoni musicali, importante nell'arte come mezzo d'espressione e colorito. Fisica terrestre. — Misure pireliometriche eseguite a Corleto nell'estate del 1898. Nota di Ciro CHISsTONI, presentata dal Socio BLASERNA. Nell'estate del 1898, trovandomi in campagna a Corleto (') ho fatto coll’ attinometro Violle alcune determinazioni pireliometriche, che credo utile pubblicare perchè se non altro, dànno l’idea della quantità di calore che in belle giornate viene irradiato dal sole sulla fertile campagna modenese. L'attinometro Violle del quale mi servii è di proprietà della R. Sta- zione Agraria di Modena, e porta la marca £. Ducretet à Paris. Il diametro della sfera esterna è di centimetri 27,8 e quello della sfera interna è di centim. 19,3. Lo schermaglio del tubo di entrata dei raggi solari, porta cinque fori che hanno rispettivamente i seguenti diametri in centimetri. 1,599 1,372 1,122 0,816 0,426 Per assicurarmi dell’orientazione del tubo di entrata dei raggi solari, ho fatto prolungare il tubo dell'apparecchio di altri quattordici centimetri, e tanto alla bocca che alla fine di questo prolungamento sta saldato perpendico- larmente al tubo e coassiale con questo, un disco, con foro di diametro uguale al diametro esterno del tubo e col diametro maggiore di 65 millimetri. Nel disco verso la bocca stanno praticati tre forellini alla distanza di 90° l'uno dal- l’altro e corrispondentemente sul secondo disco si trovano tre punti di rife- rimento, per modo che quando le tre immagini del sole prodotte attraverso ai tre forellini vengono a battere sui tre punti segnati, l'apparecchio è disposto così che i raggi solari percorrono il tubo parallelamente al suo asse, e battono direttamente sul serbatoio del termometro quando dalla bocca del (1) Villa distante circa sette chilometri dal centro della città di Modena; posta verso sud-ovest della città stessa. È alla latitudine 44°36 ed è ad est del meridiano di Green- wich di 10°51’. Il luogo .delle osservazioni era a 53 metri sul livello del mare. LAI tubo si toglie un apposito schermaglio formato da due lamine parallele di alluminio distanti fra di loro otto millimetri. Basta fare un po' di pratica per riuscire a tenere a lungo orientato l'apparecchio, senza cambiare (come hanno fatto altri) il sistema di supporto adottato primitivamente dal Violle. Allo strumento stanno uniti due termometri attinometri, della forma con- sigliata dal Violle, e su tutti e due sta segnato il n. 289. È possibile però distinguere un termometro dall’ altro, poichè uno ba il serbatoio sferico con diametro di cent. 1,521 e l’altro con diametro di cent. 1,416. Inoltre il primo ha la graduazione da — 20° a + 70° ed il secondo da — 20° a + 72°. Il serbatoio del primo termometro venne coperto prima da un leggeris- simo strato d'argento, sul quale si fece depositare elettroliticamente un altro leggerissimo strato di rame; e su questo si fece deporre (pure elettrolitica- mente) un terzo strato di nero di platino. Su questo strato di nero di platino sì è poi fatto deporre uno strato di nero fumo, affumicando il serbatoio del ‘ termometro con adatta fiamma. Si è studiata accuratamente la graduazione dei due termometri fra 0° e 45°, confrontandoli con un termometro campione ('). La graduazione tracciata dal Ducretet sui due termometri non offre irregolarità tali da doverne tenere calcolo nelle osservazioni che si fanno coll’'attinometro Violle. L'equivalente in acqua del serbatoio dei due termometri l'ho dedotto sperimentalmente, valendomi di un piccolo calorimetro di platino e serven- domi di mercurio come liquido calorimetrico. ; Per il primo termometro il valore trovato espresso in piccole calorie è = 0,8901 (media di nove misure). Per il serbatoio del secondo termometro ottenni in media e = 0,7231. Per questo secondo termometro, il compianto prof. A. Bartoli aveva trovato c= 0,712, e quindi ho ritenuto convenieute adottare per c il valore medio 0,718. Il metodo di osservazione seguito è stato quello suggerito dal Chwolson, del quale ho detto in altro mio lavoro (?). L'intercapedine dell’involucro sferico venne mantenuta piena d'acqua a temperatura costante, durante i dieci minuti circa che esige una osservazione completa. Per la collocazione opportuna del serbatoio del termometro, ho munito lo strumento di una guida uguale a quella accennata nel lavoro suindicato. (3) È un termometro Baudin, di vetro duro, diviso in decimi di grado e va da — 29,5 a + 589,0 e da 979,5 a 1029,5. Porta il n. 14684, ed è stato esaminato all’ Ufficio interna- zionale dei pesi e misure di Parigi. (3) Iisure pireliometriche fatte sul Monte Cimone nell'estate del 1901. (Bend. della R. Acc. dei Lincei, vol. XI, serie 5*, pagg. 479-486 e 539-541). late a Sb © pl SE In quest'ultima formola 0, è l'innalzamento di temperatura che segna il termometro dopo un minuto di soleggiamento, e 03 l'innalzamento corri- spettivo dopo tre minuti di soleggiamento. I risultati delle misure erano già stati calcolati da tempo, ma non mi dicideva a pubblicarli, dubitando sempre che i risultati che si deducono dalle osservazioni che si fanno coll’ attinometro Violle siano inferiori al vero, per le ragioni che esposi nel suesposto lavoro. Appena potei ricevere il pireliometro assoluto dell’Àngstrom, mi affrettai a confrontare con questo l’attinometro di Violle, e dedussi i coefficienti di riduzione dei risultati, che si ottennero coll’ attimometro Violle, ai valori assoluti. Indicando con Q i risultati ottenuti col pireliometro di Àngstròm e con q quelli ottenuti coll’attinometro di Violle, ottenni i seguenti coefficienti di riduzione n : Col termometro a serbatoio più grosso e coll’ apertura con diametro Q 1,599 1,372 1,122 3 1,111 1,086 1,061 Col termometro a serbatoio più piccolo e coll’apertura con diametro Q 1,372 1,122 ‘= 1,108 1,074 q Per dare un'idea del processo che ho tenuto per dedurre questi coeffi- cienti, riporto nella seguente tabella le misure fatte all’osservatorio Geofi- sico di Modena nei mesi di novembre e dicembre 1901 e di gennaio e marzo 1902, per ottenere il coefficiente corrispondente all’ apertura con dia- metro 1,122 facendo uso del termometro a serbatoio più grosso. Ricorderò le relazioni che servono per calcolare la quantità 9 di calore che si dovrebbe ritenere inviata in un minuto dal sole sul serbatoio termo- metrico, qualora l’attinometro di Violle fosse un istrumento perfetto (2). Chiamando c l'equivalente in acqua del serbatoio termometrico ed s la superficie del foro dello schermaglio, oppure la quarta parte della super- ficie sferica del serbatoio, quando il foro sia così largo che una semisfera del serbatoio sia completamente soleggiata, si ha nella quale (1) Misure pireliometriche fatte sul monte Cimone nell’estate del 1901, ecc. sn Il valore di #m si deduce dalla nota relazione ele quando si conosca il tempo © in minuti che impiega il termometro (dopo rimesso lo schermaglio sulla bocca dell’attinometro) per passare, in seguito a raffreddamento, da 0; a @;. Per la stima del tempo mi servì il cronometro Crisp n. 2919. La tabella seguente, nella quale Q dinota i risultati ottenuti col pire- liometro Angstròm, contiene i dati di osservazione dell’attinometro Violle ed i rispettivi valori del coeficiente È. INASB EL LA CA Giorno | Ora li ti Î3 0; | CA T log g | log Q ! Di 2 novembre | 12, 0] 8,75) 9,80) 1158| 1,05 2,88] 7,5 | 0,0155|0,0367| 1,050 3 ” 12, 0] 8,60) 9,75] 11,50] 1,15) 2,90] 7,2 | 0,0110]0,0412| 1,072 4 D) 12, C| 7,90) 9,00) 10,80j 1,10) 2,90) 7,9 | 0,0154|0,0525| 1,089 FU 12,0 840) 9,42| 11,15] 1,02| 2,75) 85 |9,9912/0,0245| 1,080 6 D) 12, 0] 8,60) 9,45) 11,15] 0,85] 2,55) 8,9 | 9,9812|0,0114| 1,072 1 dicembre 12, 5| 10,40) 11,35| 13,25) 0,95] 2,85] 8,1 | 0,0384|0,0575| 1,045 QUE 12, 6| 10,80) 11,60] 13,05| 0,80 2,25| 6,8 |9,9377|9,9624| 1,059 3 ” 12, 6) 11,05| 11,90] 13,40] 0,85] 2,35] 7,2 | 9,9463|9,9695| 1,054 TI ” 12, 8| 10,50) 11,45] 13,20| 0,95] 2,70] 7,1 | 0,0052|0,0403| 1,084 1 gennaio 12,20) 9,35| 10,30] 12,00] 0,95] 2,65) 7,0 | 0,0034| 0,0177| 1,034 4 ” 12,21) 9,60] 10,30] 11,55] 0,70] 1,95). 6,9 | 9,8711|9,9006| 1,070 tÙ D) 12,23] 10,45) 11,60) 13,55]. 1,15) 8,10] 7,0 | 0,0627|0,0767| 1,033 9 ” 12,24| 10,35| 11,80) 13,15]. 0,95] 2,80j 9,6 | 0,0114|0,0268| 1,036 61 » 12,24|. 10,75] 11,55] 13,00] 0,80). 2,25) 7.2 |9,9317|9,9604| 1,069 2 marzo 12,29]. 13,18] 14,30] 16,20] 1,121 3,02] 7,6 | 0,0427|0,0733| 1,073 In media quindi s_ 1,061. Nella seguente tavola stanno riuniti i risultati delle misure pireliome- triche fatte a Corleto nei mesi di agosto e settembre del 1898. L'ora è espressa in tempo medio dell’ Europa centrale; /y indica l'altezza del sole al momento dell'osservazione; B esprime la pressione atmosferica (diminuita di 700 millimetri); 4 la temperatura dell’aria; 7 la forza elastica del vapore acqueo ed x l'umidità relativa dell’atmosfera. Per indicare il foro di diametro maggiore dello schemaglio si è usato l'indice I, per il successivo II e per il terzo III. La colonna intestata g contiene i risultati ottenuti direttamente coll’at- tinometro Violle, e quella intestata Q i risultati ridotti al pireliometro di Angstròm. Lo stato del cielo in prossimità del disco solare si osservò mediante adatti vetri colorati. I TABELLA BI Giorno Ora | % Tenno È q | QU Bi ced Note metro | E hm (0) x toe È FIN Î 3 agosto |11, 2/58,2|289 pic.|II |1,069|1,185/58,9/26,012,0/41| Veli intorno al © ” 11,59/625) » |111|1,094|1,175|58,7/26,2/11,8/89 Id. CN 11, 6|58,2|289 gr. |I |1,228|1,364|58,0|28,1| 9,893] Sereno; @ netto ” 13,52/55,7| » |I |1,258|1,897|58,6|28,6|10,1|34 Id. (ca 10,27/54,0| » TI |1,017|1;105|58,0/28,0/11,2|42| Veli intorno al ®@ » 11,12/58;5] =» |II |1,219/1,323/57,8|28,4/10,7|88| @ chiaro ISAN5: 13,53/55,7| > »-* |I|1};040|1,155|59,0/29,2| 8,2/35| Cielo bianchiccio » 14,37(53,2|- » I |1;025]1,139|58,2/29,3| 8,5/33 Id. 4» 14, 152,7 » I [1,070|1,190|57,0/30,1| 9,2|37 Id. » 14,38/47,3|] » II |0,943]1,024|57,0/30,2] 9,0[38 Id. » 15,15/41,0| -» I. |0,758|/0,842|56,9/30,2|-9,0/38| Cielo nebbioso iN) 14,56|44,0 D) II |1,030|1,119|57,2/29,2|12,4|42| Cu sparsi; @con aureola biancastra Im 9 15,48|36,0| ._» I |1,035|1,150|57,8/28,6/12,1|38| Cielo nebbioso » 16,45/27,5) » 0,941|1,045|57,5/26,8|13,2/48 Id. 18.» 8,47/30,0| | » II |1,024/1,113|58,9/24,5|14,5]57| Cielo biancastro ” 9,58/45,0) » III|1,172|1,244|58,5|25,6|14,2|57| @ bello D) 10,24/48,5| » | II |1,064|1,156|58,5|25,7/13,4[55| Veli intorno al ®@ 0) 11, 955,0)» III|1,199|1,273|58,8|23,0/13,7|/49| Aureolabianca intorno al @ ”» 12,16|58,6 » III|1,224|1,298|58,0|29,2/13,2|45| Sereno O) 10, 946,5] » |I |1,134/1,260|59,8/26,0|13,1|96 Id. » 10,35|51,8| » II 1,133 1,231|59,8|26,9|13,0|49 Id. » 11, 2/54,0| » I[I|1,143|1,213|59,6|28,0/12,2|41 Id. ” 11,56/57,81 » III|1,184/1,256|59,5|29,9|11,7|37 Id. ” 12,44/58,0|. » I |1,178|1,308|59,4|30,2/11,1|35 Id. 20.» 10,28/48,0| 289 pic.{ II |1,076|1,193|60,0|27,5/13,4|51| Veli in giro ” 11,22|55,5 ” III[0,966|1,038|60,0|29,2/12,1|43| @ fra veli con aureola biancastra » 12,14|57,9 ” III|1,155|1,242|59,8|30,1|11,2|36] © libero; cielo bianchiccio 21» 10,42/51,0| » III|1,105]|1,187|59,8/29,0|14,8|50) Sereno ” 11,54|56,8| » II |1,133|1,256|59,3/29,7|14,1|45 Id. D) 12,20157,6| » III|1,202|1,292|59,1|30,1|13,4|43 Id. LO 11,11/54,3] » III|1,007|1,081|60,8|28,0/15,6|56| Cielo nebbioso » 11,42(55,0| » TI |0,819|0,908/60,4|28,7|14,0|[51| © fra veli » 12,59/56,8| » III|1,002|1,076|60,2|29,1|12,8|40) Cielo nebbioso 80.» 12,31|54,2| » II |1,150|1,275|59,1|22,4| 9,4|47| Aureola intorno al @ e) 1, 1/53,8 ” II |1,161|1,285|59,3|23,2|11,1|53| Sereno » 12,2154,1| » II |1,224|1,856|58,8/24,2|11,3|50 Id. » 14, 5/50,8| » II |1,180|1,307|58,0|24,4| 9,2/38 Id. 4 settembre |11,41/52,0| » II {1,129|1,250[63,0/22,8|10,0|48| Cielo sereno; nebbia all'orizzonte GA 10,39/50,0| » II |1,113|1,232|61,0/23,6|142|66) Cielo nebbioso » 11,45/(51,5| » II |1,096|1,213|60,8|25,8|14,2/58 Id. TW » 11, 050,5] » III|1,126|1,209|60,6|24,0|14,6/66} Sereno » 14,1449,8| » III|1,127|1,211160,3!28,1114,1|51 Id. RenDpICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. (0.0) DERE Chimica. — L'impiego di alcune anidridi e cloroanidridi in alcalimetria (*). Nota di BERNARDO ODDO, presentata dal Socio PATERNÒ. Durante il corso di esercizî di analisi volumetrica, che ho eseguito, ho notato che per la fissazione del titolo dei liquidi, alcalini o acidi, si va incontro ad una perdita di tempo non trascurabile, principalmente a causa della difficoltà di purificazione delle sostanze a tal uopo usate. Fra esse le più comunemente consigliate finora sono il carbonato sodico e l'acido ossalico. Il carbonato sodico che proviene dalle fabbriche richiede non solo pa- recchie cristallizzazioni, ma un essiccamento prima all'aria e poi in una stufa a 150°, fino a costanza di peso. Nella titolazione poi lo sviluppo di anidride carbonica ora è tumultuoso, ora lento; e per la sensibilità dell'acido carbonico cogl' indicatori più comuni, se non si usano le cure consigliate, può capitare facilmente di cadere in errore. L'acido ossalico, che non presenta quest'ultimi inconvenienti, si suole preferire al carbonato alcalino; anch'esso però richiede diverse cristallizza- zioni, e forse in numero maggiore, e non sempre si riesce ad ottenerlo esente del tutto di ossalato acido di potassio; senza dire che per averlo totalmente privo di acqua occorre un prolungato essiccamento all'aria. Più a lungo durano i preparativi nelle determinazioni di controllo delle soluzioni titolate per mezzo delle altre sostanze che vengono indicate, quali il carbonato di calcio, l’ossido di calcio, il borace, l’ossalato di sodio, il quadriossalato di potassio, il bitartrato di potassio, il biiodato di potassio, il solfato di ammonio, il cloruro di ammonio. Così, per citarne qualcuno, il borace è necessario cristallizzarlo parecchie volte per ottenerlo puro, si richiede inoltre un essiccamento all’aria, rimuovendolo sempre fino a peso costante, per il che occorrono dei giorni (*). Mi è sembrato pertanto che si rendesse quasi necessaria la ricerca di qualche sostanza, fra le tante inorganiche ed organiche, che, non lasciando nulla a desiderare sui risultati, si potesse ottenere pura in brevissimo pe- riodo di tempo e non presentasse alcun inconveniente nella titolazione. Io credo di avere soddisfatto a questo bisogno impiegando alcune ani- dridi e cloroanidridi inorganiche ed organiche. Il mio obbiettivo mi fece subito escludere da questo studio le anidridi inorganiche per la difficoltà sia (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale dell’Università di Cagliari. (2) V. Suppl. Ann. all’Enciclopedia Chim. ital., pag. 111 (1902). SO di averle allo stato puro, sia di maneggiarle, quantunque alcune di esse, come l'anidride iodica, la disolforica e la fosforica, presentassero il vantaggio di un elevato peso molecolare, per cui si può ottenere una pesata relativa- mente esatta, anche con una bilancia non molto sensibile. Fra le organiche preferii l'anidride acetica, perchè va in commercio a prezzo mite, si conserva bene senza difficoltà, ed al bisogno basta distillarla una o due volte per ottenerla del tutto pura, a punto di ebollizione costante. Per le medesime ragioni studiai un maggior numero di cloroanidridi inorganiche ed organiche, cioè il cloruro di solforile, l'ossicloruro di fosforo ed il cloruro di acetile. Inoltre per le proprietà molto simili a quelle delle cloroanidridi volli sperimentare anche il tricloruro di fosforo. Sono tutti corpi che reagiscono con l'acqua e con gli alcali facilmente a temperatura ordinaria, e danno delle reazioni di una grande nettezza. Per tutti e cinque le mie previsioni vennero confermate dall'esperienza, avendo ottenuto dei risultati esatti ed in brevissimo tempo. Parte sperimentale. Anzitutto mi sono preparato una soluzione esattamente decinormale, per quanto mi sia stato possibile, di acido ossalico; indi una soluzione empirica d'idrato sodico all'alcool, e subito dopo, adottando il metodo che verrò a descrivere, incominciai le esperienze. METODO GENERALE. — In un matraccino da cinquanta ce. a tappo | smerigliato, mettevo venticinque ce. di una soluzione empirica qualunque di idrato alcalino che voleva titolare e ne stabilivo la tara; poscia mediante una pipetta comune, ben asciutta, facevo cadere su di essa un piccolo eccesso di anidride o cloroanidride, che sia, in modo tale che la soluzione diventasse leggermente acida. A ciò si riesce facilmente, facendo prima un saggio e tenendo conto del numero delle gocce che occorrono. Aggiunta così la sostanza, dopo di avere agitato ben bene per un po’ di tempo, ritornavo a pesare, e così venivo a sapere per differenza la quantità di prodotto impiegato. Ho preferito questo metodo all’altro, che pure usai, della pesata diretta dell’anidride o cloroanidride in una pipetta Beckmann, per la ragione che queste sostanze, avide di acqua, restano così libere per minor tempo, si evita ogni rischio di fare intaccare la bilancia e non si spreca prodotto inu- tilmente. Stabilito il peso della sostanza impiegata, aggiungevo mediante una buretta graduata, a gocce a gocce, altra quantità di soluzione alcalina, fino ad ottenere il noto cambiamento di colore, con cui venivo a sapere il numero complessivo dei ce. necessarî a neutralizzare la quantità pesata dell'anidride o cloroanidride; ed in ultimo, con delle semplici proporzioni risalivo alla de 0 quantità in peso di alcali ed ai cc. di acqua da aggiungere alla. soluzione empirica per portarla al titolo desiderato. Per tutti i casi, ed in breve tempo, sono riuscito a prepararmi una soluzione, decinormale nel mio caso, la quale, messa a confronto con quella decinormale di acido ossalico, mi dava risultati concordanti. Come indicatore, in tutte l’esperienze, ho usato la fenolftaleina, che si comporta bene; a differenza della laccamuffa, la quale con l’acido acetico, fosforico, come in generale con tutti gli acidi deboli, dà un cambiamento di ‘colore non molto pronto, nè molto facile a stabilire. A complemento di quanto ho già esposto, riperto alcuni dei risultati ottenuti nelle esperienze, esponendo almeno per una delle sostanze anche il processo aritmetico di cui mi sono servito. 1°. — Anidride. acetica. Usai il prodotto fornitomi dalla fabbrica Kahlbaum, che distillai due volte, raccogliendo, alla pressione ordinaria, la frazione che passò tra 137-138°. La reazione dell'anidride acetica con l’acqua non si compie immedia- tamente, ma occorre, spesse volte, un lieve riscaldamento; con gli alcali invece avviene subito secondo la nota equazione: SO +2 Na0H=2CH,CO;Na + H.0 CH; — CO Essendo 102,06 il peso molecolare e fornendo con l’acqua due atomicità acide, l'equivalente è: 51.03. Esperienza 1°. — Per neutralizzare gr. 0,2973 di anidride acetica, pesata nelle condizioni sudette, occorsero cc. 35,90 della soluzione empirica di soda, perciò: 51,03 ° 40 = 0,2973 “e, equiv. dell’anidride Na0H anidride acetica acetica impiegata x = gr. 0,23380 d’idrato sodico contenuto in cc. 35,90 di soluzione empirica consumata, e riportando a 1000: 39,90: 0,2330 = 1000 : y y= gr. 6,4902. NaOH °/o della soluzione empirica — a 04002 ” » necessaria per la soluzione n = » 4,0000 ” » ‘in eccesso . Dari — rie 102 4:00: RUOOONT— #2:4902008 92 SIR e= ce. 622,55 di acqua da aggiungere ad un litro della soluzione empirica d'idrato sodico, per portarla al titolo di decinormale. Eseguita a questo modo la correzione, confrontai la soluzione con la decinormale dell'acido ossalico ed ottenni che: i 1 mi Oui Aelpe 100 cc. di soluzione 10 di acido ossalico richiesero 99,98 ce. ” » d’idrato sodico preparata col mio metodo. Esperienza 2°. — Impiegai per gr. 0,2640 di anidride acetica ce. 31,88 di soluzione empirica d’'idrato sodico, per ottenere la neutralizzazione, ed eseguita la correzione nel modo sudetto: : : Dpiidlha SESTA 100 ce. di soluzione 10 di acido ossalico richiesero 99,96 ce. ” » d'idrato sodico preparata col mio metodo. 2°, — Cloruro di acelile. Lo preparai facendo agire il tricloruro di fosforo (parti sei) sull’acido acetico glaciale (parti move), distillando il prodotto una prima volta su acetato sodico fuso, ed una seconda volta da solo e raccogliendo la frazione che bolliva tra 54°-55° ('). Con gli alcali, al pari dell'anidride omonima, reagisce istantaneamente: CH; COCI + 2 Na0H = CH; CO, Na + NaCl + H;0 Il suo peso molecolare essendo 78,48, e fornendo anch'esso due acidità, il suo equivalente è 39,24. Nelle esperienze mi sono servito della soluzione empirica usata per l'anidride acetica; il calcolo sia per il cloruro di acetile che per le altre sostanze è lo stesso del caso precedente, basta sostituire al posto dell’equi- valente dell'anidride, quello del prodotto che si adopera. Esperienza 1°. — Impiegai per gr. 0,2941 di cloruro di acetile cc. 46,17 di soluzione empirica d'idrato sodico, per ottenere la neutralizzazione, ed eseguita la correzione: E 3 SIRO ; aa 100 cc. di soluzione —- di acido ossalico richiesero 10 991980ce: ” » d’idrato sodico preparata col mio metodo. Esperienza 2°. — Impiegai per gr. 0,2422 di cloruro di acetile ce. 38,04 di soluzione empirica d’idrato sodico ed eseguita la correzione: 100 ce. di soluzione 10 di acido ossalico richiesero 9959406. ” » d’idrato sodico preparata col mio metodo. (1) Beilstein, Organische Chemie, I, III Auflage, 459. SER A I 8°. — Ossicloruro di fosforo, Lo preparai col metodo Derwin (') ossidando cioè il tricloruro di fosforo con clorato potassico, e per ottenerlo puro feci agire un piccolo eccesso di questo sale sulla quantità calcolata; a questo modo non resta alcuna traccia di tricloruro e, compita la reazione, incomincia a svolgersi del cloro, il quale indica la fine di questa prima fase di ossidazione: 3 PCI; + KC10; = 3 POCO; 4+- KO1 ed il principio dell'altra successiva : 2 POCL; + KC10; = P: 0; + KC14- 3 Cla Feci gorgogliare una corrente di aria secca nel liquido sino a decolo- razione completa e poscia lo distillai due volte: passa così quasi comple- tamente a 107°-108° a pressione ordinaria. Per quanto sia stato osservato (?) che l’ossicloruro di fosforo man- tiene sempre tracce di prodotti d'idratazione, siccome esse sono in quantità trascurabile, non arrecano in questo caso una sensibile causa di errore. Trattato con gli alcali, sino a neutralizzazione, reagisce secondo la equazione : PO Cl} + 5 Na 0H= H Na, PO, +3 Na C1+2H,0 Perchè si completi la reazione bastano appena cinque minuti, anzi sic- come non si sviluppa una sensibile quantità di calore, si può far subito la pesata, sicuri di aver raggiunto la fine di essa in quel giro di tempo. I risultati non lasciano a desiderare, sebbene la sua molecola, relativa- mente piccola, ci dia cinque atomicità acide ed il suo equivalente sia perciò 30,67. Per questa cloroanidride e per le seguenti, compreso il tricloruro di fosforo, mi sono servito nelle esperienze, di un'altra soluzione empirica di idrato sodico. Esperienza 1.*. — Impiegai per ottenere la neutralizzazione di gr. 0,2366 di ossicloruro di fosforo, cc. 31,30 di soluzione empirica d’'idrato sodico e fatta la correzione: 100 cc. di soluzione "n di acido ossalico richiesero 99,70 » ” » d'idrato sodico preparata col mio metodo. (1) Compt. Rend. 97, 575. (2) Gazz. Chim. it. XXXI (1901), II, 138, 139, 140. Eiggia Esperienza 2%. — Impiegai per gr. 0,3000 di ossicloruro di fosforo ce. 89,70 di soluzione empirica d'idrato sodico ed eseguita la correzione: 100 cc. di soluzione O di acido ossalico richiesero 99,64 n ’ » d'idrato sodico preparata col mio metodo. 4°. — Cloruro di solforile. Usai sia il prodotto proveniente dalla fabbrica Kahlbaum, sia quello che preparai facendo passare simultaneamente cloro ed anidride solforosa in un tubo contenente dei pezzettini di canfora, raccogliendo alla distillazione il prodotto che bolliva fra 70°-71°. Versato nella soluzione alcalina, precipita dapprima in gocce oleose sul fondo del recipiente, che spariscono agitando appena per cinque minuti, dando luogo alla nota reazione: ; SO» Cl, + 4 Na OH = 2 Na C1 4- Na; SO, + 2H; 0 La sua molecola ci fornisce quindi quattro atomicità acide, ed il suo equivalente è 33,74. Esperienza 1°. — Impiegai per gr. 0,2605 di cloruro di solforile cc. 31,88 di soluzione empirica d'idrato sodico per ottenere la neutralizza- zione, e fatta la correzione: ; È ERRATE RIA è 3100 100 cc. di soluzione -- di acido ossalico richiesero 10 99,60» ’ » d'idrato sodico preparata col mio metodo. Esperienza 2%. — Impiegai per gr. 0,2111 di cloruro di solforile cc, 25,38 di soluzione empirica d’idrato sodico e fatta la correzione: ; È IOVERTIRSRITÀ : FIZAII 100 cc. di soluzione 10 di acido ossalico richiesero 99,91 » ” » d’idrato sodico preparata col mio metodo. 5°. — Tricloruro di fosforo. Impiegai il prodotto che fornisce la fabbrica Kahlbaum, dopo averlo distillato due volte, e raccogliendo la frazione che bolliva fra 74°-75. Trattata con gli alcali sino a neutralizzazione reagisce secondo la equa- zione: P Cl; + 5Na OH = 3 Na CD + H Na, PO; + 2H; O. La sua molecola fornisce quindi cinque atomicità acide ed il suo equi- valente è 27,47, cioè il più piccolo di quello di tutte le sostanze che ho impiegato. Tuttavia i risultati sono ugualmente esatti. drag ine , Esperienza 1°. — Impiegai per gr. 0,2598 di tricloruro di fosforo cc. 37,40 di soluzione empirica d’idrato sodico per ottenere la neutralizza- zione, ed eseguita la correzione: 100 cc. di soluzione a di acido assalico richiesero 99,99 » ” » d’idrato sodico preparata col mio metodo. Esperienza 2°. — Impiegai per gr. 0,2466 di tricloruro ce. 36,40 di soluzione empirica d'’idrato sodico e fatta la correzione: È Ù LOTO (CAROTA ; at 100 ce. di soluzione 10 di acido ossalico richiesero 100,04 » ” » d'idrato sodico preparata col mio metodo. Concludendo, le sostanze da me adoperate, come risulta dalle esperienze che ho riportato, si prestano tutte, bene per una rapida ed esatta prepara- zione o per un rapido controllo delle soluzioni titolate, nè saprei a quale delle cinque dare la preferenza, se non riuscisse più facile e meno costosa la preparazione del tricloruro di fosforo. Col metodo che ho esposto si può preparare qualunque volume di soluzione alcalina, esattamente titolata in meno di due ore. 7 Parassitologia. — Studio sui Cytoryctes vaccinae (1) Nota I preliminare della dr. AnnA Foà, presentata dal Socio Grassi. ParTE I. — Uno degli argomenti che in questi ultimi tempi hanno maggiormente richiamato l’attenzione, è lo studio dei parassiti del vaccino e del vaiuolo. I primi tentativi di riconoscere nella linfa vaccinica gli agenti attivi si può dire datino dal principio del secolo passato, perchè già nel 1809 Sacco segnalò nella linfa vaccinica la presenza di granuli riuniti in ammassi e dotati di movimenti autonomi (?). Dopo gli studî di Chaveau pubblicati nel 1868, studî che dimostrarono come gli agenti attivi debbano ricercarsi non nella parte liquida, ma nella parte solida della linfa vaccinica, furono compiute moltissime ricerche da varî autori, ma per trovare resultati vera- mente importanti, bisogna giungere fino al 1892, in cui furono pubblicate le fondamentali ed esatte osservazioni di Guarnieri. Com'è noto, Guarnieri, studiando le alterazioni vaiolose della cute del- l'uomo, osservò che nelle regioni alterate, le cellule del corpo mucoso di {!) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Anatomia comparata della R. Università di Roma. (2) Delobel e Cozette, Vaccine et vaccination, Paris. a a Malpighi presentano accanto ai nuclei, corpicciuoli che si colorano intensamente, e li suppose parassiti. Già L. Pfeiffer nel 1887 studiando le pustole cutanee di diversi mammiferi e quelle. vaiolose e vacciniche dell'uomo, aveva creduto di riconoscervi un parassita che denominò Monocystis epithelialis, ma la descri- zione imperfetta e le figure assai poco dimostrative fecero prestar poca fede alle sue asserzioni. Del resto il merito grandissimo di Guarnieri non con- siste nell’osservazione dei corpuscoli, nella quale egli stesso dichiara di esser stato preceduto, ma nell'aver pensato di riprodurli su superficie epiteliali viventi, e nell'aver scelto a questo scopo la cornea del coniglio. Inoculando nella cornea di coniglio la linfa vaccinica potò ottenere nelle cellule epiteliali, abbondantissimi corpuscoli simili a quelli osservati nelle pustole cutanee, col vantaggio di aver un materiale di studio molto favorevole perchè relati- vamente più semplice. Il Guarnieri studiò le proprietà dei corpuscoli ottenuti coll’innesto della linfa vaccinica, e credette di poterli considerare come esseri viventi a cui diede il nome di Cytoryctes vaccinae. Ne ottenne di simili coll’innesto di. linfa raccolta da vescicole vaiolose, e li denominò Cytoryetes variolae. La importante scoperta di Guarnieri ebbe il merito di concentrare l’atten- zione degli studiosi che si occuparono dell'argomento, su quei dati corpicciuoli, tuttavia i risultati furono diversi da quanto si sarebbe sperato, perchè mentre era logico supporre che la questione fosse rapidamente avviata ad una solu- zione, oggi ancora, dopo dieci anni, non solo gli autori non sono d'accordo nel riconoscere le proprietà dei Cytoryetes, ma chiunque ne intraprenda lo studio è ancora costretto a rivolgersi la domanda: i Cytoryetes sono o no esseri viventi? Sarebbe fuor di luogo in una Nota preliminare riferire estesamente le discussioni fatte in proposito; accenneremo solo alle principali ragioni che i molti osservatori, compreso il Guarnieri che seguitò ad occuparsi dell’argo- mento, portarono pro e contro l'ipotesi parassitaria. I motivi per cui i Cyforyetes vengono ritenuti i parassiti del vaiuolo e del vaccino sono soprattutto i seguenti : « L'essere 1 Cytoryctes le sole forme caratteristiche trovate nella pelle e nelle mucose dei malati di vaiolo e di vaccino, e mancanti nei sani o negli affetti da altre malattie. « La presenza costante dei Cytoryetes nell'epitelio corneale di coniglio innestato con linfa vaccinica attiva e la loro mancanza nelle cornee innestate con linfa non attiva o con altre sostanze. « La possibilità di trasmettere l'infezione vaccinica da coniglio a coniglio con successivi innesti di epitelio corneale, per un numero indefinito di generazioni. « La forma e la struttura dei corpuscoli vaccinici, per cui alcuni autori hanno creduto di poter distinguere in essi un nucleo ed un protoplasma, e RenDpICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 9 e i a di. poter interpretare alcune figure come stadî di moltiplicazione per divisione ed anche per sporulazione. « I loro movimenti ameboidi, però contestati anche da osservatori favore- voli all'ipotesi di Guarnieri. « L'essere la linfa filtrata costantemente inattiva, il che induce general mente a dedurre che gli esseri parassitari causa del vaccino non possano essere tanto piccoli da sfuggire all'indagine microscopica ». Negli ultimi mesi sono comparsi altri due lavori pure favorevoli all’ipo- tesi di Guarnieri, ma per ragioni diverse da quelle generalmente ammesse. Uno è di uno scienziato giapponese, l’Ishigami, il quale ritiene di aver colti- vato il parassita del vaccino e lo descrive come uno sporozoo con un complicato ciclo di sviluppo e capace d'’incistarsi nella pelle delle vitelle ecc. L'altro è di Sanfelice e Malato, e viene alla conclusione che i Cytoryctes non sono altro che stafilococchi. Contro l'ipotesi della natura parassitaria dei Cytoryetes furono mosse parecchie obbiezioni, di cui le principali sono le seguenti: «I Cytoryctes non si otterrebbero solo coll’innesto di linfa vaccinica attiva, ma anche con irritazioni ed infiammazioni della cornea di coniglio prodotte con agenti meccanici o chimici, quali l’olio di croton, l'inchiostro di China, l'acido osmico ecc. (Ferroni e Massari). «I Cytoryctes potrebbero essere i nucleoli delle cellule epiteliali (Babes). «I Cytoryetes sarebbero leucociti trasformati (Salmon, London). «I Cytoryctes sarebbero alterazioni protoplasmatiche caratteristiche per il vaccino (Hickel) ». Altri autori (Gorini, Ferroni e Massari) accennano ad una possibile derivazione dai nuclei, ma senza insistervi. Il concetto di Ferroni e Massari, che i Cytoryetes non siano alterazioni specifiche del vaccino, è stato dapprima contrastato da molti osservatori; più tardi però Hiickel ha dimostrato che coi mezzi usati da Ferroni e Massari si ottengono veramente corpuscoli che sono eguali ad alcuni corpuscoli vaccinici, ma che per il modo di comportarsi colle materie coloranti differiscono della grande maggioranza dei Cytoryctes, i quali perciò possono ritenersi specifici pel vaccino. La derivazione dai leucociti, per le osservazioni di varî autori e per esperimenti di Hickel, è stata dimostrata infondata. Le altre ipotesi non possono dirsi nè sufficientemente dimostrate, nè da escludersi. Passo ora ad esporre i resultati delle ricerche da me eseguite nel labo- ratorio di Anatomia comparata, sotto la direzione del prof. Grassi. Le espe- rienze furono proposte dal prof. Grassi, ed i resultati furono da lui controllati. Lo studio durò ben due anni, e fu iniziato e continuato colla speranza di PE e trovare la dimostrazione della natura parassitaria dei Cytoryetes; disgrazia- tamente non siamo riusciti nel nostro intento. Le nostre ricerche possono dividersi in tre parti. Nella prima sono com- prese le osservazioni dirette a riconoscere la natura dei Cytoryetes collo studio della loro struttura e delle loro proprietà (movimenti ameboidi, ripro- duzione). Nella seconda è compreso lo studio del modo di comportarsi dei Cytoryetes in varî ambienti, ed i rapporti tra le alterazioni subite dai Cyto- ryetes e l’attività del mezzo in cui erano contenuti. Nella terza è compreso lo studio delle forme che si riscontrano nel vaiuolo delle pecore (clavelée). PARTE I. Premesse. — Dopo le moltissime ricerche degli autori pre- cedenti, ben poco si può aggiungere di nuovo alla conoscenza della struttura dei Cytoryctes. Le nostre ricerche furono eseguite per la massima parte sul- l'epitelio corneale di coniglio, ma prima abbiamo voluto stabilire se nell’epi- telio corneale di coniglio il parassita compisse tutto il suo ciclo di sviluppo o solo una parte. Le esperienze di Wasielewski, dimostranti che per 46 gene- razioni si può trasmettere l'infezione da coniglio a coniglio con innesto di epitelio corneale infetto, non bastano a risolvere tale questione, come pure non sono sufficienti le esperienze di Guarnieri, dello stesso Wasielewski e di altri (*), dimostranti che coll’innesto di epitelio corneale di coniglio in- fetto, si possono riprodurre nei vitelli e nei bambini le pustole caratteristiche. Potrebbe darsi infatti che avvenisse per il vaccino qualche cosa di simile a quel che avviene per la malaria. È noto che iniettando in individui sani il sangue di individui malarici, si produce nei sani la malaria, per quanto il sangue malarico contenga i parassiti malarici solo in un periodo della loro vita. Per stabilire dunque se nell’epitelio corneale di coniglio si trovino o no tutti gli stadi del parassita, abbiamo ricercato se l'epitelio corneale inne- stato col vaccino, che per brevità chiameremo virus corneale, come fu pro- posto da Gorini, godesse di tutte le proprietà del vaccino tratto dalle pustole di vitella. Le proprietà notissime del vaccino sono quelle di conservarsi in glicerina, di resistere al disseccamento ed all'acqua distillata. Abbiamo sottoposto a questi trattamenti il virus corneale, ed abbiamo potuto stabilire che anche esso conserva la propria attività. Ne abbiamo dedotto che il virus corneale deve contenere tutte le forme esistenti nelle pustole cutanee, e può quindi venire adoperato per uno studio completo del parassita. i Struttura dei Cytoryctes. — Le nostre ricerche furono eseguite in parte a fresco, in parte colle sezioni. Per le ricerche a fresco abbiamo osservato la raschiatura dell'epitelio corneale nelle lacrime di coniglio, nella soluzione (1) Nel lavoro in esteso sarà riferito esattamente quanto è già stato fatto da ciascun autore. ln questa Nota, per evitare complicazioni, sono state omesse molte citazioni. BE fisiologica di cloruro di sodio, nella miscela di acqua e glicerina in parti eguali. Quest'ultimo mezzo è quello più favorevole all’osservazione. Nei bran- delli di epitelio raschiati nel luogo d’infezione, due o tre giorni dopo l'ino- culazione, in ogni cellula accanto al nucleo, si distinguono i Cytoryetes che possono venir divisi in due gruppi. Il primo comprende le forme più piccole, tondeggianti, omogenee, assai splendenti; il secondo comprende forme più ‘grandi, che appaiono costituite di tanti piccoli granuli splendenti, situati sopra una massa poco splendente, di forma variabile. L’insieme dei granuli e della massa sottostante apparisce meno brillante delle forme più piccole ton- deggianti. Manca l'alone chiaro, tanto nelle prime che nelle seconde forme. Col mezzo delle sezioni, abbiamo intrapreso anzitutto ricerche di con- trollo per studiare le alterazioni protoplasmatiche che, come altri autori hanno dimostrato, si possono produrre nell’epitelio corneale con semplici lesioni della cornea, senza introduzione di sostanze estranee. Per questo, una volta abbiamo praticato delle incisioni nella cornea di coniglio col metodo usato per le inie- zioni vacciniche, abbiamo poi esaminato la cornea dopo 3 giorni. Un'altra volta abbiamo praticato un taglio circolare nella cornea in modo da lasciarla attaccata al bulbo oculare solo per alcuni piccoli tratti. Anche questa volta la cornea fu esaminata dopo 3 giorni. In tutti e due i casi abbiamo usata la fissazione colla soluzione satura di sublimato con 0,50 °/ di cloruro di sodio, e le colorazioni coll’ emallume o colla miscela di Biondi. Colle semplici incisioni si sono prodotte nelle cellule epiteliali figure che sembrano leggeri ispessimenti di protoplasma, colorabili in rosso colla mi- scela di Biondi; abbiamo osservato anche parecchie figure di carioplasmolisi. Nei preparati ottenuti colla cornea in cui fu praticato il taglio circo- lare, a volte si notavano ancora figure che apparivano come ispessimenti pro- toplasmatici, in alcune sezioni per lunghi tratti dell'epitelio, nel protoplasma delle cellule si osservavano moltissimi granuli sferici, di dimensioni variabi- lissime, che, colla miscela di Biondi, si colorivano in rosso cupo. In alcuni preparati coloriti coll’emallume sì trovavano molti nuclei assai alterati, invece della forma solita presentavano sporgenze di forme svariatissime, con tendenza evidente a separarsi via. Alcune di queste sporgenze, osservate a differente livello, apparivano ora riunite, ora staccate dal nucleo, altre erano nettamente separate. Queste forme devono esser state quelle che suggerirono ad alcuni autori l'ipotesi della derivazione dei Cytoryetes dai nuclei. Nei preparati coloriti colla miscela di Biondi, non abbiamo mai trovato fuori dei nuclei alcuna figura col colore azzurro proprio dei corpuscoli vaccinici. Per l'esame dei veri Cytoryetes furono usati parecchi metodi di colo- razione. In questa Nota ricorderemo solo quelli che ci diedero risultati più importanti. Nei preparati di cornea fissata con sublimato e cloruro di sodio, colo- citi colla miscela di Biondi, si osservano una quantità di figure diverse, le = (00) quali furono minutamente e con grandissima precisione descritte dall’ Hiickel nel suo lavoro pubblicato nel 1898; una ripetizione sarebbe qui fuor di luogo, basta ricordare che i più piccoli corpuscoli vaccinici, di forma più o meno tondeggiante appariscono coloriti in azzurro molto intenso, le forme più grandi appariscono costituite da una parte irregolare colorita in azzurro poco intenso, e da una parte rossa costituita per lo più di granuli disposti in differentis- sime maniere. Tenendo presente che i granuli rossi e, in generale, tutte le formazioni eritrofile sono state ottenute indipendentemente dalle iniezioni di vaccino, resta assai difficile la limitazione di quanto può ritenersi come paras- sita, perchè da alcune forme in cui i granuli rossi e le masse azzurre sono intimamente connesse, si passa per gradi insensibili a figure in cui si trovano granuli e frammenti variamente coloriti, sparsi per il protoplasma. Colla colorazione per mezzo dell’ematossilina ferrica di Heidenhain, le forme più piccole appariscono intensamente ed uniformemente colorite in nero, da queste si passa gradatamente a forme che mostrano un orlo periferico più intensamente colorito, poi ad altre che hanno i contorni come smerlati, for- temente coloriti e la parte centrale chiara ed infine alle forme più grandi in cui sì vede una massa irregolare chiara sulla cui superficie sono disposti granuli che si colorano in nero intenso. In alcuni casi i granuli appariscono evidentemente congiunti da filamenti sottilissimi. Per mezzo della doppia colorazione coll’ ematossilina ferrica ed eosina, a volte, ma assai raramente, si nota attorno al corpuscolo colorito in nero un orlo roseo sottilissimo, ma il limite verso il corpuscolo nero non è esattamente definibile. Nei preparati fissati col liquido di Flemming o coll’ acido acetico, coloriti collo stesso mezzo, sì osserva nei corpuscoli più grandi una struttura alveolare. Esaminando a fortissimo ingrandimento le sezioni sottilissime di epi- telio corneale di coniglio fissato con sublimato e cloruro di sodio, colorite con ematossilina Delafield ed acido acetico, oppure con emallume ed acido acetico, i corpuscoli si vedono congiunti quasi sempre al protoplasma cellu- lare per mezzo di filamenti sottilissimi. Le forme medie e quelle più grandi mostrano una struttura alveolare con presenza di granuli; qualche volta si colora come una massa diversa per forma e posizione nei diversi corpuscoli. Maggiori particolari saranno descritti nel lavoro in esteso, per ora osser- viamo solo che non è dimostrata la presenza di un protoplasma e di un nucleo propriamente detto. La presenza di granuli e di masse più intensa- mente colorite, potrebbe far pensare alla presenza di una rete cromidiale o di cromidi, come furono dimostrati nei bacteri ed in alcuni protozoi; ma a questa interpretazione si oppone il fatto che tanto i granuli, i quali si riscon- trano quasi sempre, quanto le masse più colorite, che si vedono solo ecce- zionalmente, osservate con attenzione si rivelano situate non dentro, ma alla superficie, ossia sopra al corpuscolo. Ciò concorda con quanto fu osservato da Hiickel. SSA E Movimenti ameboidi. — Molte ricerche furono da noi fatte colla spe- renza di decidere la questione relativa all'esistenza dei movimenti ameboidi. Le prime nostre osservazioni furono intraprese sull’ epitelio corneale di coni- glio innestato con vaccino, osservato secondo le indicazioni di Guarnieri nella soluzione fisiologica di cloruro di sodio o nelle lacrime di coniglio, col tavolino riscaldante alla temperatura di 35°-40° centigr. Per quanto abbiamo ripetute le osservazioni, non abbiamo mai potuto riscontrare nessun movimento dei Cytoryetes, mentre abbiamo potuto seguire i movimenti ameboidi dei leuco- citi sparsi per il preparato. Rileggendo attentamente le parole di Guarnieri, abbiamo notato come nelle pubblicazioni successive a quella del 1892 in cui dice che i corpuscoli vaccinici sono « capaci di cambiar forma », non afferma più esplicitamente di avere osservato nell’ epitelio corneale del coniglio i movimenti dei Cyto- ryetes, ma solo di aver osservato i Cytoryctes «nelle più svariate movenze ameboidi ». Il Guarnieri parla poi di « corpicciuoli che presentavano movi- menti per i quali la configurazione della loro massa subiva continue trasformazioni » osservate nel detritus di pustole vacciniche, raccolto dalle pustole con tubetti capillari. Per la cortesia del prof. Leoni, molto benemerito direttore dell’ Istituto vaccinogeno di Roma, il quale gentilmente ci ha fornito quasi tutto il vac- cino da noi usato nelle nostre ricerche, ed a cui esprimiamo la nostra viva gratitudine, abbiamo potuto avere anche il materiale necessario per ripetere queste osservazioni di Guarnieri. Anche noi nei detriti di pustole vacciniche, abbiamo riscontrato parecchi corpuscoli i quali realmente cambiavano di forma, ma ci mancava qualunque criterio per ascrivere questi corpuscoli ai Cy%0- ryetes. Essi si trovavano liberi nella linfa raccolta con tubetti capillari ed abbastanza numerosi, mentre è noto che questa linfa costituisce un vaccino poco attivo. Facendo colla linfa preparati per strisciamento, fissati (metodo di Schaudinn) con un miscuglio di sublimato acquoso concentrato (100 parti), alcool assoluto (50 parti) ed acido acetico (5 goccie), coloriti con emallume o con ematossilina ferrica, non vi si riscontrano liberi corpi riconoscibili per Cytoryctes. Crediamo poter ritenere che i corpuscoli con movimenti ameboidi os- servati nella linfa, non siano che linfociti molto piccoli, o frammenti di leucociti. Riproduzione. — Uno degli argomenti di maggior valore portati a so- stegno dell'ipotesi parassitaria, consiste nell’ osservazione di forme che possono interpretarsi come forme di riproduzione per divisione od anche per sporula- zione. Dall'esame dei nostri preparati risulta che veramente si trovano mol- tissime figure di Cytoryctes allungati, con uno strozzamento (talvolta anche con due o tre), figure che possono essere interpretate come stadî di divisione ; anzi queste forme non sono poco numerose, ma nelle cornee di coniglio ucciso Dt [A due o tre giorni dopo l'innesto, sono abbastanza frequenti. Colpisce però il vedere come tali figure non presentino nessuna costanza di forma nè di di- mensione, e si riscontrano tanto in corpicciuoli piccolissimi quanto in alcuni di quelli più grandi forniti di granuli. Quanto alla riproduzione per spore, certamente le forme descritte dai varî autori sono quelle costituite da una massa ricoperta più o meno di granuli svariati, ma anche qui non si ha nessun dato certo per poter accer- tare che si tratti di una sporulazione. Si può invece opporre che questi gra- nuli si vedono sempre alla superficie, mai nell’ interno dei corpuscoli, che appariscono congiunti tra di loro per mezzo di filamenti e che infine colla colo- razione di Biondi, non si ha un limite tra le supposte spore e tutte le for- mazioni eritrofile che si ottengono senza l'innesto del vaccino. La distinzione proposta da Wasielewski, di due sorta di corpuscoli: gli uni con pochi gra- nuli disposti uniformemente che costituirebbero i parassiti, gli altri con molti granuli disposti senza regola, che sarebbero forme di degenerazione, appare a noi, come ad altri autori, del tutto artificiosa. A completare le nostre ricerche sulla riproduzione dei Cytoryetes, ab- biamo voluto ripetere anche le osservazioni fatte dall’ Ishigami sulle pustole vacciniche delle vitelle, osservazioni che lo condussero a deserivere una fase d’incistamento del parassita, preludente alla formazione di numerosi sporozoiti. Il prof. Leoni, già ricordato, ha avuto la gentilezza di innestare per noi una vitella, e di tagliarne via le pustole ad ogni nostra richiesta. Così abbiamo potuto osservare le pustole cutanee dopo 3, 5 e 7 giorni. Nel luogo dell’ infezione abbiamo trovato corpuscoli simili a quelli osservati nell’epitelio corneale del coniglio, ma niente che alludesse alla formazione di cisti. È difficile immaginare che le cisti possano essere sfug- gite alla nostra attenzione, tanto più che, secondo l’ Ishigami, non sì tratte- rebbe di piccoli corpicciuoli, ma di forme di cui quelle di media grandezza avrebbero la larghezza di 10-12 w e la lunghezza di 15-25 w. Disgraziatamente nella pubblicazione di Ishigami mancano figure che chiariscano il testo. Riassumendo: i resultati di questa prima serie di ricerche, pur provando la specificità dei corpuscoli vaccinici, ci hanno condotto ad escludere in essi la presenza di un protoplasma e di un nucleo, o di cromidi, o di una rete cromidiale, ci hanno fatto escludere i movimenti ameboidi, ci hanno dimo- strato che le forme supposte di moltiplicazione non possono dirsi veramente tali, e che non è possibile stabilire un limite tra quel che può supporsi paras- sita e quel che certamente non lo è. VERO: l'anti 155 da. ci dI Gir. ie bones n da Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2 — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3a MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TRransUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemorIE della Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — IL (1, 2). — II-XIX. MemoRIE della Classe. di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIIIL Serie 4% — RenpIcontI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemorIE della (Classe. di scienze morali, storiche e filologiche. “Vol. I-X. Serie 5® — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII. (1892-1903) 1° Sem. Fasc. 2°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. (1892-1902). Fasc. 9°-10°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. H-III. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 80; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti. editori-librai : Ermanno Loescher & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco Horpi. — Milano, Pisa e Napok. RENDICONTI — Gennaio 1903. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 18 gennaio 1903. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Riccò. Lavoro della stazione internazionale li Osservatorio di Catania per la Carta foto- grafica del Cielo n LOCALE I EP Pascal. I problemi di riduzione di Draft e di licohi nel caso del oa PESA) Picciati. Campo elettromagnetico generato da'una carica elettrica in moto circolare uniforme {pres. dal Socio Volterra) . . . i CRA E oe np Frattini. Di un gruppo continuo di isiblomi sioni (ne Td) 0). PIRO] » Zambiasi. Composizione ottica dei movimenti vibratorii di tre o più suoni rs 251 So Blaserna). . . sera Chastoni. Misure ig ione a Qorleto ut del 1898 Cs ‘n i SERI Oddo. L'impiego di alcune anidridi e cloroanidridi in alcalimetria (pres. dal Socio Paternò) » Foà. Studio sui Cytoryetes vaccinae (pres. dal Socio Grassi). 0/0. (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensile. ‘roma 1° febbraio 1903. N. 3. _—...Ò DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCRI | ANNO CQC. TO©O8 saro UPEnN TA. RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 1° febbraio 1903. Volume XII.° — Fascicolo 2: 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1903 ESTRATTO DAL ‘REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serîe quarta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classé di scienze fisiche, matematiche e naturali valzona le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la Tepontab di. sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della dt è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 2) Col desiderio di. far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra; ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. I 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. È 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. sé estranei. La spesa di unnumero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 1° febbraio 1903. P. BLASERNA, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulla trasformazione delle equazioni diffe- renziali di Hamilton. Nota del Corrispondente G. MoRERA. Chimica. — Zrtorno all’olivile e la sua composizione e costi- tuzione. Nota del Socio G. KoRNER e del dott. L. VANZETTI. Biologia vegetale. — Biologia dei semi di alcune specie d'Inga. Nota del Corrispondente A. Borzì. Chimica fisiologica. — Identità della colesterina del latte con quella della bile. Nota del Corrispondente A. MENOZZI. ni Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. RenpICcONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 10 LAO Matematica. — Di un gruppo continuo di trasformazioni decomponibili finitamente. Nota di G. FRATTINI, presentata dal Socio VOLTERRA. Con la presente Nota si vuol mostrare l’esistenza di un gruppo con- tinuo T di trasformazioni, dotato della seguente proprietà: comunque una trasformazione del gruppo si decomponga in fattori (trasformazioni del gruppo stesso), il numero dei fattori è sempre finito. Il caso del gruppo 7, che è inoltre proiettivo e a un sol parametro, è da riguardarsi come singo- larissimo nella teorica dei gruppi continui. e ciò per le seguenti considera- zioni generali. Dato un gruppo di trasformazioni ad x parametri 4,0,c..., variabili senza limitazione alcuna (gruppo di Zie propriamente detto) ('), ogni trasformazione del gruppo si potrà decomporre nel prodotto di due fat- tori, il primo dei quali, corrispondente ai valori 4,,,,€1... dei parametri, si potrà assegnare arbitrariamente. Risolvendo infatti un sistema di 7 equa- zioni con n incognite, si potranno determinare i valori parametrali 42, 02,02... relativi al secondo fattore. Ciò mostra che la decomposizione delle trasfor- mazioni di un gruppo di Zie propriamente detto in fattori può essere prolun- gata all'infinito. Il campo di variabilità dei parametri si supponga invece limitato. In questo caso, dovendo le incognite @,d2,€2,.:. (funzioni di a,b, c,... e dei parametri della trasformazione) essere contenute entro i limiti definiti dalla natura del gruppo, le quantità @,,0,,C0,... e i detti parametri dovranno soggiacere, oltre che alle limitazioni loro proprie, anche ad un sistema di sotto-condizioni, esprimenti le limitazioni di 42, 02, 62... E qui due casì potranno verificarsi: O alle dette condizioni e sotto-condizioni si potrà soddisfare disponendo opportunamente delle sole &,, 21, €1...; e anche in questo caso il primo fattore si potrà determinare in infiniti modi (sebbene non del tutto arbitrariamente), nè vi sarà limite assegnabile pel numero dei fattori (2). O si verificherà, come pel gruppo 7, il fatto singolarissimo che dal sistema totale delle condizioni per @,,d,,€,-.. e i parametri della trasfor- mazione da decomporre si possano eliminare 4,,d,,€1..., talchè resti un sistema di condizioni pei soli parametri anzidetti; e in tal caso tutte le trasformazioni i cui parametri non soddisfano quest’ ultime condizioni saranno (1) V. Pascal, / gruppi continui di trasformazioni, Hoepli 1903, pag. 18. (2) La mancanza delle trasformazioni inverse è dunque, per la decomponibilità finita, condizione necessaria, ma non sufficiente. Le trasformazioni del gruppo #'= 2, qualora s sia compresa fra 0 e 1, sono per esempio decomponibili all’ infinito, malgrado il gruppo sia privo delle inverse. SA indecomponibili. In quanto alle altre, potrà darsi che ciascuna ammetta un limite massimo pel numero de’ suoi fattori, come le trasformazioni del gruppo ZY° ne danno l'esempio. Proprietà notevole del gruppo I° e dei congeneri è quella di ammettere un unico sistema di trasformazioni generatrici. Tale sistema si compone delle sole trasformazioni indecomponibili, necessarie tutte per la generazione del gruppo. Le altre, cioè le trasformazioni decomponibili, formano un sotto- gruppo, che potrebbe dirsi il soffogruppo contingente, in quanto le sue trasformazioni sono inutili per la generazione del gruppo totale (1). Decomponendo le trasformazioni del sottogruppo contingente in fattori appartenenti al sottogruppo medesimo, la decomposizione avrà pure un ter- mine. Si giungerà così ai fattori primi, che peraltro saranno tali nel campo del sottogruppo contingente, e saranno invece composti, riferiti a più vasto campo, qual è quello del gruppo principale 7° (2). Il gruppo parametrico di T, e a questo isomorfo, è un gruppo continuo di numeri la decomposizione dei quali ha sempre un limite, malgrado la condizione di continuità. Generalmente ciò non accade, anche limitando il campo di variabilità del sistema continuo (serva d'esempio il gruppo dei numeri compresi fra 0 e 1). 1. Sia D un numero intero e positivo; sia @ la sua radice quadrata a meno di un'unità ed 7 il resto dell'estrazione di detta radice. La trasfor- mazione ua + D (1) rn e+w operante sulla variabile 42 è una trasformazione proiettiva a un sol para- metro w. Le trasformazioni della detta forma sono permutabili tra loro e formano un gruppo, come si vede dal prodotto operativo Ur be + D fi — —— 25) PRE Po PAT 84 Ma 34 Wo Mi ui + Mz che non muta per lo scambio degl’ indici 1 e 2, e conserva inoltre la forma de’ suoi fattori. (i) Del sottogruppo delle operazioni che non possono utilmente concorrere alla ge- nerazione di un gruppo dato ebbi già ad occuparmi in una breve Nota dal titolo: [ntorno alla generazione dei gruppi di operazioni, inserita in questi Rendiconti (aprile 1885). (2) Il gruppo delle cause che presiedono ai fenomeni naturali non somiglierebbe al nostro sottogruppo contingente? Se il paragone cade a proposito, analizzando i fenomeni naturali, si potrebbe bensì giungere alla conoscenza dei loro fattori elementari o primi nella cerchia del sensibile. Ma nessuno di tali fattori sarebbe primo per rispetto al gruppo universale delle cause, gli elementi del quale si asconderebbero nella sfera ove ron cerchia uman compasso. = 760 Il gruppo parametrico relativo al gruppo delle (1) è quello dei binomî irrazionali P+gV D, qualora a ciascuna trasformazione si facciano corrispondere tutti que’ binomî i RARA) che hanno il rapporto caratteristico D eguale al parametro della trasfor- q mazione medesima ('). Affinchè due prodotti di trasformazioni (1) siano eguali, è necessario e sufficiente che siano eguali i rapporti caratteristici dei relativi binomî irra- zionali. 2. Ai valori del parametro w s' imponga ora la condizione di essere non minori di w nè maggiori di w + 1.} Le (1) in tal modo condizionate seguiteranno a formare un gruppo. Si esamini infatti il quoziente wi tto + D Ta il parametro del prodotto di due trasformazioni sopra eseguito. Si vedrà che anch'esso è compreso fra © e @4- 1. Infatti, essendo u, e us compresi fra questi limiti, si potrà porre: u=@-+4,; u2=@+-4,, intendendo per À, e Zs due numeri compresi fra 0 e 1. Si avrà pertanto: E poichè o anche A, 4 4° = 24,42, e d'altra parte 20 = FP, sommando verrà: A,+-4,+20=r 4 24,4,>r4+4,4;; e ciò dimostra l'asserto. ZI gruppo composto delle sole (1) nelle quali il parametro non è minore di w nè maggiore di w + 1 è quello che st vuol qui considerare e che fu sopra indicato con la lettera T° (?). (1) Essendosi pertanto asserito che i binomî del gruppo parametrico di I° sono an- ch’essi decomponibili finitamente, fu sottintesa la convenzione di stimare eguali fra loro tutti i binomî che hanno il medesimo rapporto caratteristico. (2) Si può domandare se il parametro, variabile fra limiti, non possa, mediante una sostituzione di variabile, essere surrogato da un altro, libero da limiti. Ma che ciò si possa non è provato; come dice il chiaro prof. Pascal nel già citato suo libro (pag. 17, Pei 7 8. Passiamo ora a ricercare se la trasformazione (4), e con questo segno indicherò una trasformazione di parametro w e appartenente al gruppo 77, si può sempre decomporre in due fattori, trasformazioni del gruppo stesso, o se per ciò bisognano delle condizioni, e quali. Siano w, e ws i parametri dei fattori, e si ponga u=@0+4,p,=0H4À,, por=0-|-da, (4 compresa fra 0 e 1). Esprimendo la condizione affinchè la trasforma- zione (4) e il prodotto (w,).(w:) abbiano esuali i rapporti caratteristici, si avrà facilmente l'equazione | Mein, Li DI Deliri, NE cui si dovrà soddisfare con Z, e 4» entrambe comprese fra 0 e 1. Fatte le due ipotesi Za = À ’ dovrà rispondentemente aversi: rT_— 204 be 3 affinchè 4, sia positiva. E affinchè essa sia minore dell’ unità: DS (20 +1)ZA—r 5 SV i Due casi saranno dunque possibili: che cioè 4, sia o maggiore o minore di tutti e tre i numeri: — 204 1)Z2— a) DL r—-20 (20+4 1) CRE 7} i 1_-% Ma, dovendo 4» esser compresa al tempo stesso fra 0 e 1, non potrà veri- ficarsi il primo caso se non quando i suddetti numeri saranno tutti minori dell’ unità; nè potrà verificarsi il secondo, se non quando essi saranno tutti positivi. Ne derivano per 4 le seguenti limitazioni : r r+1 = ATEI] e contemporaneamente ZE dgr oppure r 7 ‘2 20+ 1 i LS 20° linee 28, 29 e 30). E quand’anche si potesse, non per ciò verrebbe meno la distinzione tra gruppi continui di trasformazioni decomponibili all’ infinito, oppure finitamente: di- stinzione che, avendo fondamento nel fatto, non può ridursi a una semplice questione di forma. DAR Conseguentemente : r r+1 u>o+ To eh e contemporaneamente u< 0 + Desa oppure r r RT Li Rari Si osservi che queste due coppie hanno comune la limitazione inferiore; epperò ad esse si potrà sostituire un'unica coppia; quella le cui limitazioni sono più distanti fra loro. Tale coppia è la prima, se 7< ©; la seconda sez >; l'una o l’altra delle due, se r=. Affinchè una trasformazione del gruppo I° sia decomponibile in due fattori, è dunque necessario e sufficiente che il suo parametro sia compreso fra le due limitazioni dianzi stabilite ('). Ciò verificandosi, si potrà infatti fis- sare 4», senz'altra condizione fuorchè quella di essere positiva e, o maggiore o minore dei limiti (3) precedentemente trovati; e poi, mediante la (2), determinare 4, . Per generalizzare il risultato precedente, giova dare alla sua espressione una forma alquanto diversa, ed è la seguente: Affinchè una trasformazione del gruppo I° sia decomponibile in due fattori, è necessario e sufficiente che il parametro della trasformazione sia compreso fra l' una e l'altra delle coppie di valori che per #:=@© e z=@-|- 1 assume ciascuno dei due quozienti (4) wz + D (0 +1)z +D 4. Ciò premesso, passiamo alla ricerca della condizione affinchè una trasformazione (u) sia decomponibile in più di due fattori, per esempio in 3: (&1), (2), (43). Bisognerà per ciò che il prodotto di (u) per l’inversa di (43) sia eguale al prodotto di due trasformazioni del gruppo T°: chè cioè il rapporto caratteristico del prodotto (0+2+1D) (0-+4—D), diminuito di ©, sia compreso fra i limiti / ed /, già trovati per la 4 delle trasformazioni decomponibili in 2 fattori. Ragionando come al n. 3, si con- clude che la nuova 4 dev’ essere compresa fra co Fisse qo SE (ORD MO oppure fra r+? sà r4l A (0 +2) + (0 +1) (ARORE@AROE (1) Potrebbe anche essere eguale all’una o all'altra limitazione, come è facile vedere. ST epperò 4 (che è uguale ad w- 4) dovrà essere compresa tra oL+D ,j @L'+D ia AI, @©+DL+D ,j @+DIL+D Lt (0-+1) L4(0+1)’ dove L ed L' sono i limiti già trovati per la w delle trasformazioni decom- ponibili in 2 fattori. Ciò equivale a dire che w dev'essere compresa fra l’una o l’altra delle coppie di valori che per #«=L e s=L' assume cia- scuno dei quozienti (4). Combinando questo risultato con quello già ottenuto in proposito di L e di L' alla fine del numero precedente, si conclude che um dev'essere compresa fra i valori che per è = e z=@-+-1 prende uno qualsiasi dei tre prodotti operativi contenuti nella formola a (0 +1): +DP z+ z+(0+1) |” estesa alle partizioni del 2 in due numeri interi @ e #8, positivi o nulli. Ma questo risultato si semplifica, potendosi verificare che il minimo dei limiti inferiori, come anche il massimo dei limiti superiori di x che in tal modo si ottengono, corrispondono al caso dei fattori eguali fra loro; e di più eguali ad i oppure tra (o +1)z+D (PD wz + D +0 ser >; all'una o all'altra delle due espressioni, se 7 = w. Di qui il teorema che è scopo principale del presente scritto, e che, generalizzato ed esteso al caso di 7 fattori, si enuncia così: A/îinchè una trasformazione del gruppo T sia decomponibile in n fattori, è necessario e sufficiente che il suo parametro sia compreso tra î valori che per 2=w e 2:=0w+ 1 assume una delle due potenze operative A et one 2+ z+(0+1) e precisamente, la prima, se r > w; la seconda, sery. Ponendo in questa eguaglianza 2= 00 si ottiene facilmente il teorema sopra enunciato. Corollario. — Se î numeri ur, WP2,... Mn sono non minori di w nè 9 0) 3 maggiori di —, e se si pone ((9) (+ VD) (e 4+- VD)... ... (un + VD) =An+ Bn VD, Ò Aa o 5 E il rapporto p, è compreso fra le ridotte nî° cd (n—-1)" di VDQ. Ponendo u, = u2...= #,="®, si ottiene come caso particolare il teorema che fu argomento di una mia Nota inserita nel Periodico di matematica sopra citato (?). Zoologia — Sull’adattamento degli Infusorî marini alla vita nell'acqua dolce(*). Nota di PAoLo ENRIQUES, presentata dal Socio EMERY. Ebbi recentemente ad occuparmi delle reazioni osmotiche che gli Infu- sorî presentano, per le variazioni del loro ambiente (‘); studiai specialmente Infusorî di acqua dolce, o che vivono in ambienti poco salati. L'importanza di tali questioni per ciò che riguarda la biologia dei Protozoi, mi destò il desiderio di proseguire le ricerche, servendomi di Infusorî marini, e con (1) Poichè i numeri non minori di © nè maggiori di — sono quelli contenuti nella (00) formola 60° +— D 604 dove A varia da —c0 a -|--0, questo teorema rende possibile la formazione di una fun- zione di n variabili 0,,02,...0,, compresa fra le ridotte n° ed (n — 1)M@ di VD, per tutti 1 valori reali delle variabili. Con facile calcolo si trova che tale funzione è 14( ye SS 0-4 yYD e=1 03° +YD. ago) re o+yD/ «= 0,+yD (2) Vol. XVII, settembre-ott., 1901. (3) Queste ricerche sono state eseguite nella Stazione Zoologica di Napoli. (4) Enriques P., Ricerche osmotiche sugli Infusori; Ricerche osmotiche sui Pro- tozoi delle infusioni; Ricerche osmotiche sulla Limnaea stagnalis; Osmosi ed assorbi- mento nelle reazioni a soluzioni anisotoniche. Rendiconti Accademia Lincei Vol. XI (5), pag. 340-347, 392-397, 440-448, 495-499. St I) SA varî intenti; ma specialmente quello di comparare la reazione che gli Infu- sorî presentano per un repentino cambiamento di ambiente, con quella che presentino per un cambiamento graduale e lento. D'altra parte, una curiosa questione è collegata con tali problemi osmotici. Tra i Protisti, a differenza di quello che avviene tra tutti gli altri gruppi di esseri viventi, sono mol- tissime le specie che vivono, a detta degli autori, tanto nell’acqua dolce che nell'acqua di mare; e, ciò è ancor più curioso, in uno stesso genere, spesso sono comprese specie unicamente marine, specie unicamente d’acqua dolce, e specie che vivono nei due ambienti. È vero che i generi li facciamo noi, riunendo insieme quelle forme che ci sembrano più affini, e che invece potrebbero non esserlo; ma chi ha un poco di pratica coi Protozoi, sa che spesso sono tanto simili le specie riunite in un genere, che è molto difficile di riconoscerle e classificarle. Mi son proposto di verificare sperimentalmente, per alcune specie, se in realtà la specie di acqua dolce e di acqua di mare sono Za stessa, e se quelle che sono descritte come soltanto marine, proprio non possano esser trasportate nell’ acqua dolce. Solo colla verifica sperimentale di questo fatto si può concludere che una differenza reale esiste tra i due gruppi di specie prese in considerazione; giacchè il leggere nei trattati che una specie non vive nell'acqua dolce, non toglie il dubbio che un osserva- tore più fortunato non possa un bel giorno scoprirla in questo ambiente. Se la distinzione nei caratteri biologici dei due gruppi di specie realmente esiste, verrà in discussione in che cosa essa consista, cioè quale proprietà anatomica, chimica, o d'altra natura produca, negli animali considerati, il comportamento diverso. E trattiamo prima delle reazioni osmotiche. La questione è posta ben nettamente: è noto che un Infusorio, trasportato repentinamente in un am- biente ipotonico o ipertonico a quello in cui vive, si rigonfia, o, rispettiva- mente, si contrae. Nelle mie Note sopracitate, io ho mostrato quali sono le varie fasi di questa reazione, fino al suo scomparire; e come varî argomenti tendono a dimostrare che la reazione osmotica sia compensata da una rea- zione di indole assai diversa, legata alle funzioni cellulari (assorbimento o escrezione). Si tratta di vedere se, nella variazione lenta di ambiente, la reazione osmotica sia visibile o no. Cominciai col verificare che anche negli Infusorî marini esiste, ed intensa, la reazione osmotica ai variamenti rapidi. Non mi fermerei molto su tale questione; essa dovrebbe essere un fatto ormai acquisito alla scienza; ma in un recente lavoro, molto lungo, del sig. Goldberger (!) si considerano gli Infusorî come non affatto sensibili alle condizioni osmotiche! L'A. non conosce le mie Note, nelle quali è messa in luce l’ estrema sensibilità degli (1) Goldberger H., Die Wirkung von anorganischen Substanzen auf Protisten. Ein Beitrag zur Biochemie des Protoplasmas. Zeitschr. f. Biol. 43 B. pag. 503-581, 15 figg. RU Infusorî d'acqua dolce alla concentrazione dell'ambiente; adesso riferirò qualche dato relativo agli Infusorî marini. Per dimostrare coi numeri il comportamento osmotico degli Infusorî, ho preso in esame lo Zoothamnium alternans, in cui si possono assai facil- mente misurare gli individui della colonia, mentre non sarebbe facile dî fare un buon numero di misure esatte sopra agli Infusorî liberi, i quali fug- gono via continuamente dal campo del microscopio. Nè è possibile di fer- marli con qualche artifizio, p. e. con quello di lasciarli quasi completamente a secco tra i due vetrini, perchè in tal caso la loro forma si modifica con- siderevolmente. Da un infuso di Idroidi, pescati nel porto di Napoli e vicino alla lo- calità che è chiamata Mergellina, si prendono varie porzioni di Idroidi e sì distribuiscono in 4 vaschette contenenti rispettivamente (10 agosto 1902): 1)U/CINaN33 49/0) 251Cemare: 2) » 8,5 L) » n 3) » 4 b) » n 4) Acqua di mare 25 cm.c. a cui si aggiungono 2 cm.c. di acqua distillata. Prima di trasportare gli Idroidi nelle vaschette, si lavano abbondante- mente collo stesso liquido in cui devono venire immersi. 11 Agosto. Presa una parte degli Idroidi dalla vaschetta n. 1 e trasportata in un’altra vaschetta (n. 6), con CINa 2,5 °/. Id. dalla vaschetta n. 3 e trasportata in CINa 4,5%/ (n. 7). 3 12 Agosto. Zoothamnium in parte conservati, in tutte le vaschette. Diametri di al- cuni individui, in 2 (il primo numero indica il diametro longitudinale, dall'attacco del filamento all’apice dell'individuo; il secondo il diametro trasversale massimo): 6) 48 X 35,2; 51,2 X 32; 57,6 X 38,4; 48 X 32; 51,2 X 32; 64 Xx 35,2; 44,8 X 28,8. 7) 88,4 X 28,3; 35,2 X 25,6; 32 X 22,4; 44,8 X 32. Le differenze tra le dimensioni degli individui viventi nella soluzione concentrata (7) e diluita (6), sono molto evidenti, specialmente se si tiene conto delle dimensioni dei più grandi individui; esse sono dimensioni dovute a condizioni dell'ambiente pernicioso per questi organismi, giacchè il 13 agosto nella vaschetta 7 ed il 16 nella vaschetta 6, gli Zoothamnium sono com- pletamente distrutti. Del resto il loro aspetto, anche indipendentemente dalle misure è molto chiaro, quanto al rigonfiamento negli uni, contrazione negli altri, in relazione col trasporto negli ambienti rispettivamente diluito e con- centrato. Anche negli Zoothamnium delle vaschette 1 e 3 la differenza di aspetto è notevole, nello stesso senso di sopra; io però non riporto i numeri delle misure che ho fatto, perchè la differenza non apparisce da essi molto chiara; ciò dipende dal fatto che le differenze tra i varî individui viventi in uno stesso ambiente sono già così forti, che pochi numeri non possono mostrare oe la differenza tra gli individui viventi in due ambienti diversi, tranne il caso in cui essa sia fortissima. Anche nelle vaschette 1 e 3 gli Zoothamnium finiscono col morire completamente, dopo pochi giorni. Nella vaschetta n. 4, in cui vengono aggiunti varî cm. c. di acqua distil- lata, a 2 0 3 per giorno, gli Zoothamnium hanno ugualmente l'aspetto rigonfiato, e muoiono dopo pochi giorni, verso la concentrazione di 2,5 °/r (questo numero esprime la concentrazione di una soluzione di CINa molecolarmente equivalente all'acqua di mare diluita in cui muoiono gli Zoo/hamnium). Resulta dunque da questa esperienza, che gli Zoothamnium presentano i fenomeni di contrazione e dilatazione osmotica, come gli Infusorî d’acqua dolce. Con altre osservazioni, non tanto particolareggiate, ma ugualmente significative, la stessa cosa si osserva in altri Infusorî marini, come gli £u- plotes charon ed harpa ed altri. Passiamo adesso ad un’altra serie di esperienze, tendenti a produrre un adattamento graduale degli Infusorî marini all’acqua dolce. Riferisco estesamente l'esperienza più completa. E prima alcune illustrazioni tecniche. I soliti Idroidi, i cui infusi sono spesso ricchi di Infusorî, sono posti in un grande bicchiere, la cui capacità è circa di 6 litri. Il bicchiere era stato prima graduato di mezzo litro in mezzo litro, per quanto è possibile esattamente. Dato il suo diametro assai considerevole, ebbi l'avvertenza di fare le letture tenendo il vaso sempre nello stesso posto del banco su cui era disposta l'esperienza, per evitare maggiormente le cause d'errore. Un altro grande bicchiere situato più in alto, era connesso con questo per mezzo di un sifone, in modo che dal recipiente superiore, pieno di acqua potabile, all'in- feriore, contenente l’infuso, cadeva continuamente acqua, a gocce; avevo infatti procurato che il sifone versasse molto lentamente, tirandone in punta l'estremità, che era di vetro, e diminuendo ancora la corrente d’acqua per mezzo di un batufolo di cotone idrofilo, introdotto in un punto del tubo. La velocità del deflusso non si è mantenuta costante durante tutta la durata del- l'esperienza, ma sempre tale da non portare più di un litro in 24 h. dal recipiente superiore all’inferiore. Nel vaso inferiore, ho messo dapprima un litro d'acqua di mare, a cui ho aggiunto qualche idroide; quando per l'aggiunta graduale dell'acqua potabile la quantità di liquido in esso era notevolmente cresciuta, ne tolsi una gran parte, fino a lasciarvi di nuovo solo un litro di liquido; il riempimento seguitava, e, giunto nuovamente ad esser considere- vole, nuovamente tolsi liquido, e così via. Valendomi della graduazione del vaso, era facile calcolare ogni volta a qual punto di diluizione arrivava il liquido, con notevole approssimazione. Passo alla descrizione particolare del- l'esperienza. 8 Settembre. 1.000 cme. di acqua di mare nel vaso (la concentrazione molecolare è approssimativamente uguale a quella di una soluzione di CINa 3,5 °/,). Si aggiungono alcuni Idroidi da un infuso contenente molti Infusorî, tra i quali: Euplotes charon, Eu- plotes harpa, Chilodon cucullus, Uronema marinum, ecc. 4. Settembre. Il liquido è arrivato a 1.750 cme. (concentrazione 1.000: 1.750=0,55 rispetto all'acqua di mare presa come unità). Si trovano parecchi cadaveri di Infusorî alla superficie del liquido. Però delle specie sunnominate vivono ancora moltissimi indi- vidui i quali non sono rigonfiati. 5 Settembre. 2.300 cme.; dunque la concentrazione è 1.000: 2.300 = 0,4337 rispetto all'acqua di mare; pari cioè a quella di una soluzione di CINa 1,52°/. Tolto liquido fino a cme. 1.250. 6 Settembre. 1.700 cme. 7 Settembre. Poco aumentato il liquido, a causa di un guasto nell’apparecchio. 8 Settembre. 2.300 cme. Concentrazione: 1.250: 2.300 X 0,4347=0,2362 rispetto all'acqua di mare; pari cioè a CINa 0,826°/. Tolta parte del liquido fino a 1.000cme. 11 Settembre. 3.000 cme. Concentrazione: 1.000 : 3.000 X 0,2362 = 0,0787; pari così a CINa 0,275 °/. Non c’è più traccia nè di Zuplotes harpa, nè di Uronema marinum; Euplotes charon, Chilodon cucullus ancora abbondanti e non rigonfiati, al solito. Tolta parte del liquido, fino a 1.000 cme. 13 Settembre. 2.200 cme. 16 Settembre. 3.300 cme. Concentrazione: 1.000 : 3,300 Xx 0,0787 = 0,0238; pari cioè a CINa 0,083 °/,. Tolta parte del liquido fino a 500 cme. 21 Settembre. 3.500 cme. Concentrazione: 500 : 3,500 x 0,0238=0,0034; pari cioè a CINa 0,0119 °/,, cioè circa 1 per 10.090. A questo punto si cessa l’esperienza. Nel considerare i resultati di questa esperienza, dobbiamo tener conto di varî fatti. In primo luogo ci colpisce la differenza con cui gli Infusorî reagiscono al cambiamenti di concentrazione dell'ambiente, secondochè essi sono graduali oppure saltuarî. In quest’ ultimo caso, si hanno dapprima i feno- meni di rigonfiamento o restringimento, poi le altre fasi della reazione, di cui trattai nelle mie Note sopra citate. Se invece, come nella presente espe- rienza, la trasformazione dell'ambiente è graduale, la reazione osmotica non esiste più. La diluizione non produce rigonfiamento. Nè alcuna contraddizione vi è tra questo resultato e quelli precedenti; giacchè, se è vero che nel cam- biamento repentino si ha una reazione che è soltanto temporanea, perchè dei meccanismi di compensazione insorgono, e ne distruggono l'effetto, è evidente che l’effetto osmotico non si vedrà più, quando la modificazione dell'ambiente sia tanto lenta da permettere che i meccanismi di compensazione abbiano effetto, prima che l’azione della differenza di concentrazione sia osmotica- mente sensibile per la cellula. Nell'esperienza fatta si era raggiunta una tale lentezza. Ma, a parte queste considerazioni, il confronto tra le specie sopravvis- sute e quelle scomparse, è interessante dal punto di vista osmotico, appunto per la perfetta somiglianza del loro comportamento, dinanzi all'azione delle soluzioni diluite. Sopra è stato detto che un repentino cambiamento di am- biente produce un rigonfiamento negli Infusorî marini, quando si tratta di trasporto in soluzioni diluite; e tra le specie prese in considerazione, vi erano BERO) VR appunto alcune di quelle che nell'esperienza di adattamento sì sono conser- vate, ed alcune di quelle che non si sono conservate. Ora vediamo che la mancanza di rigonfiamento, per la graduale diluizione dell'ambiente, si veri- fica in ambedue le categorie di Infusorî. Ciò significa che la sopravvivenza di qualche Infusorio, e la morte di qualche altro, non sono causate da spe- ciali differenze nelle proprietà di permeabilità delle rispettive pareti esterne. Se un Infusorio si lasciasse più facilmente di un altro traversare dal sale, ciò potrebbe costituire una differenza capace di far sopravvivere uno dei due e l’altro no. Quello più permeabile, e quindi meno soggetto a rigonfiarsi, sarebbe probabilmente il più salvo; si osserva sempre, infatti, che gli Infu- sorî rigonfiati offrono una quantità di sintomi di alterazioni gravi, fino alla distruzione completa della loro struttura cellulare. Ma tali possibilità, tali interpretazioni devono essere affatto escluse ; i varî Protozoi studiati non hanno mostrato nessuna differenza nel loro comportamento osmotico. Si potrebbe ancora supporre, che qualche alterazione, dovuta a causa osmotica, piccola e perciò tale da sfuggire all'osservazione, potesse essere la causa della morte degli Euplotes harpa ecc.; alterazioni che non si dovrebbero verificare invece nelle altre specie. Ma anche l’ Euplotes harpa può essere condotto in un ambiente più diluito dell'acqua di mare, e sopravvivere, purchè non sia troppo diluito; e se è condotto in un ambiente poco differente dall'acqua di mare per concentrazione, ma vi è condotto ad un tratto, si rigonfia, e non muore; e può dopo qualche tempo riacquistare i caratteri normali; vale a dire si può produrre in esso un'alterazione per causa osmotica, ben visibile, e quindi certamente molto più forte di quella che abbiamo immaginato potesse avve- nire nell'esperienza di adattamento, — di quella che abbiamo immaginato, ma senza vederla —, si può produrre una vera alterazione per causa osmo- tica, senza cagionare la morte. Resulta evidente da tutte queste considera- zioni, che la causa della morte di alcune specie e della sopravvivenza di altre, non è da ricercarsi in proprietà di permeabilità delle membrane esterne, che non si può cioè dare una spiegazione osmotica del fenomeno. Non sembri inutile tale discussione; in questi tempi, in cui si cercano le differenze chimiche che esistono tra specie molto affini, per mezzo delle proprietà dei sieri (precipitine ecc.), e si tende ad acquistare il concetto che il metabolismo di due specie affini sia altrettanto diverso quanto lo è la loro forma, mi pare abbia interesse, ogni volta che tra due specie si osservi una diversità di comportamento, il ricercare a quali proprietà fisiche o chi- miche della loro sostanza vivente si debbano attribuire. Colle presenti espe- rienze, non si dà una risposta positiva alla questione, per quel che riguarda l'adattabilità degli Infusorî considerati; ma si esclude intanto quella spiega- zione che poteva sembrare più spontanea; ed il problema si riporta appunto alle proprietà chimiche delle cellule, di cui alcune possono seguitare a svol- gere i loro processi vitali in un ambiente meno ricco di sali del loro abi- tuale, altre no. Se sia realmente così, e, nel caso affermativo, di quali pro- cessi chimici si tratti, tale importante questione, forse molto difficile a risol- versi, è per ora completamente aperta. Venendo ad esaminare quali siano le specie che si sono conservate, e quali no, troviamo, tra le prime, l' Euplotes charon e il Chilodon cucullulus, specie descritte dagli autori come viventi tanto nel mare che nell'acqua dolce ; tra le seconde, l’ Euplotes harpa, che gli autori descrivono come solo marina, e molte altre specie, delle quali non ho parlato in modo speciale, ma che appartengono unicamente alla fauna marina. Di più, non ha sopravvissuto l' Uronema marinum, specie di cui si dice che viva anche nell'acqua dolce. Ma quanto a questa specie, vi è discussione, e sembra, per quello che ne dice il Blochmann (*), che non sempre si tratti della medesima specie, tutte le volte che si parla di Uronema marinum; nè io potrei assicurare di quale Uronema marinum si trattasse nelle mie esperienze. Il caso più caratteristico ci è dunque offerto dai due Zuplotes, di cui uno si può adattare alla vita d'acqua dolce, l’altro no. Le mie esperienze hanno perciò confermato sperimentalmente che l’Euplotes charon ed il Chi- lodon cucullulus marini e di acqua dolce sono realmente la stessa specie, ed hanno dimostrato che l’ Euplotes harpa non si trova nell'acqua dolce perchè non Vi si può trovare. Nelle specie studiate, quelle adattabili alla vita nell'acqua dolce non differiscono dunque da quelle non adattabili per proprietà osmotiche o di per- meabilità; la ragione della differenza deve risiedere nelle diverse particola- rità dei processi chimici che si svolgono nei varî organismi: Parassitologia. — Studio sui Cytoryetes vaccinae (*). Nota II preliminare della dr. ANNA Foà, presentata dal Socio Grassi. PartE II. — Mentre sottoponeramo la cornea a diversi trattamenti per confrontare le sue proprietà con quelle del vaccino, abbiamo seguito il modo di comportarsi dei Cytoryctes in questi varî ambienti. Le esperienze venivano generalmente condotte in questo modo: si inne- stava un coniglio in tutti e due gli occhi procurando per quanto era possibile di avere nelle due cornee un'infezione della stessa intensità. Il coniglio veniva ucciso dopo due giorni e mezzo o tre, cioè quando erano già comparse tutte le forme dei supposti parassiti e non erano ancora caduti estesi tratti di epitelio. Le due cornee venivano trattate contemporaneamente nello stesso (1) Blochmann Fr., Die Mikroskopische Thierwelt des Stsswassers. Abth. I Pro- tozoa. Hamburg, 1895 (pag. 99). (8) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Anatomia comparata della R. Università di Roma i DI RGHEE modo, poi l'una veniva adoperata per innestare un altro coniglio, l’altra ser- viva per l'osservazione dei Cytoryctes. Tutti gli esperimenti furono ripetuti parecchie volte; ne riassumo i risultati. Azione della glicerina. — Le cornee di coniglio innestate con vaccino furono messe in glicerina concentrata. Ne furono staccati frammenti di epi- telio una volta dopo tre ore, un'altra volta dopo 24 ore, con questi fram- menti furono innestati altri conigli; si ebbe in tutte e due i casi un'infezione notevolissima. Non abbiamo insistito ulteriormente perchè altri (Gorini) aveva già dimostrato che il virus corneale si conserva in glicerina per un tempo assai lungo. Più importante era l'osservare il comportarsi dei Cytoryetes, e per questo, raschiati dei frammenti di epitelio, ne furono fatti dei preparati chiudendoli nella glicerina stessa. Questi preparati esaminati parecchi mesi dopo, presentavano ancora i Cytoryetes coi loro granuli perfettamente con- servati, eguali a quelli osservati nei preparati a fresco. Questo aveva fatto nascere la speranza di riconoscere nei Cytorycetes i veri parassiti. Disseccamento. — Anche il virus corneale disseccato, come le pustole cutanee di vitella, sì è dimostrato attivo. Le cornee disseccate, adoperate per lo studio dei Cytoryetes furono fissate con sublimato, colorite coll’emal- lume o coll’ematossilina ferrica. Maggiori particolari saranno pubblicati nel lavoro in esteso, qui accen- niamo ai resultati. Nelle cellule epiteliali si vedevano i nuclei assai raggrinzati, e a volte accanto ad essi si notavano con gran difficoltà dei corpicciuoli intensamente coloriti che per la loro posizione nella cellula potevano ritenersi Cytoryetes enormemente rimpiccoliti. Non era escluso tuttavia che i Cytorytes anche così ridotti potessero essere attivi, ma in tal caso era logico supporre che, rimessi in un mezzo adatto, potessero riprendere i caratteri primitivi. Per accertarcene abbiamo ripetuto gli esperimenti rimettendo le cornee disseccate nell'acqua distillata e lasciandovele uno o due giorni. Esse si dimostrarono ancora attive, ma conservate coi soliti mezzi, sezionate ed esaminate con gran cura solo con grandissima difficoltà lasciavano scorgere qualche traccia dei corpuscoli vaccinici. Nelle vicinanze del luogo d'innesto le cellule epite- liali presentavano i nuclei alterati ed alcune mostravano nel protoplasma piccoli corpicciuoli intensamente coloriti, circondati da un alone chiaro. Se questi corpicciuoli erano i Cyforyetes certamente non avevano ripreso l'aspetto primitivo, ma erano ancora assai raggrinziti. Astone dell’acqua distillata. — Abbiamo dimostrato sperimentalmente che anche il virus corneale si mantiene attivo per lungo tempo nell'acqua distil- lata. Le prime esperienze furono da noi fatte innestando l’epitelio corneale rimasto nell'acqua per tre giorni. Più tardi, avendo tentato esperimenti di RenpIcoNTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 12 nu O) a filtrazione col virus corneale, abbiamo ripetuto le esperienze inoculando l'acqua torbida in cui erano state immerse le cornee infette per sette ed anche nove giorni. In tutti i casi si è ottenuta l'infezione in altri conigli. Per studiare il modo di comportarsi dei Cytoryetes abbiamo esaminato le cornee lasciate in acqua un'ora, un’ora e !/,, 6 ore, 24 ore. Dopo un'ora i Cytoryetes erano poco alterati, dopo un'ora e !/, il loro numero era già minore perchè parecchie cellule nel luogo dell'infezione non li presentavano più, quelli rimasti presentavano un’alterazione che si mani- festava nel diverso modo di comportarsi colle sostanze coloranti; infatti nei preparati fissati coi soliti mezzi, coloriti con emallume ed eosina, invece del solito colore violaceo tendevano ad acquistare una tinta rosea. Dopo sei ore il loro numero era ancora diminuito. Esaminando con gran- dissima attenzione a forte ingrandimento i preparati coloriti coll’ematossilina ferrica, in alcune cellule epiteliali nel luogo corrispondente al taglio fatto per l'innesto, si vedevano con gran difficoltà attorno ai nuclei estese macchie di aspetto reticolare, sparse di granuli. Siccome queste macchie non si vede- vano che nel luogo dell'infezione, bisogna concludere ch’esse rappresentavano, a così dire, un'ombra dei Cytoryetes enormemente rigonfiati. È assai importante notare che spesso non era possibile determinare il limite tra queste ombre ed il protoplasma cellulare. Dopo 24 ore, neanche nel punto in cui fu praticata l'iniezione, non si è più potuto riscontrare nulla che potesse rappresentare i Cytoryetes, comunque modificati. Non abbiamo potuto proseguire le ricerche microscopiche dopo una più lunga permanenza nell'acqua, perchè i lembi infetti di epitelio si distaccano via e le cellule si separano con estrema facilità sì che non è più possibile con- servarlo; ma i risultati ottenuti bastano per conchiudere che mentre l'attività del vaccino non si distrugge nell’acqua distillata, i Cytoryctes si alterano enor- memente e finiscono per scomparire. Azione delle soluzioni di cloruro di sodio. — L'idea di trattare l'epi- telio corneale di coniglio con soluzioni acquose di cloruro di sodio fu sug- gerita dal dubbio che a costituire i Cy/oryetes potesse contribuire l’eleidina. Il Ranvier dimostrò che facendo agire sull’epidermide dei mammiferi una soluzione di cloruro di sodio al 10 °/,, l'eleidina granulosa che si trova nello strato granuloso, si trasforma nell'eleidina diffusa, che si trova nello strato intermedio compreso tra lo strato granuloso e lo strato lucido. Con questo stesso reattivo abbiamo trattata la cornea di coniglio innestata con vaccino. È facile dimostrare che l’eleidina non ha niente a che fare coi Cytorycetes osservando le sezioni di pustole vacciniche cutanee di coniglio. Noi abbiamo ottenuto queste pustole innestando il vaccino sulle labbra e sul dorso del coniglio. Nelle sezioni della pelle del labbro, fissata con sublimato e colorita coll’emallume si vedono i Cy/oryetes analoghi a quelli che si trovano nella = Ql cornea, coloriti meno intensamente dei nuclei delle cellule epidermiche, mentre si distinguono benissimo i granuli di eleidina coloriti fortemente in violetto, tanto intensamente quanto la cromatina dei nuclei cellulari. Collo stesso pezzo abbiamo fatto sezioni colorite col metodo di Biondi; in queste mentre i Cyto- ryctes si vedono benissimo, l’eleidina non si distingue più nettamente. Esaminando l’epitelio corneale di coniglio innestato con vaccino, tenuto per 24 ore in soluzione di cloruro di sodio al 10%, si direbbe a tutta prima che i supposti parassiti fossero scomparsi. Nei preparati a fresco in acqua e glicerina, mezzo in cui i Cytoryetes normali si osservano facilmente, non siamo più riusciti a scoprirne le traccie. Nelle sezioni ottenute fissando l’epitelio in sublimato, colorendolo coll’emallume, non si rinvenne a tutta. prima nessun corpuscolo vaccinico. Però con ricerche accuratissime in sezioni molto sottili, si trovarono alcuni pochi corpicciuoli che si riconobbero quali resti di Cyto- ryetes, perchè si rinvennero solo accanto ai nuclei di alcune cellule in vicinanza del punto in cui fu praticato il taglio, ma che di Cytoryetes non conservavano neanche la più lontana apparenza. Si presentavano infatti come corpuscoli mi- nutissimi irregolari, congiunti quasi sempre con filamenti sottilissimi al proto- plasma cellulare. Prolungando l’azione della soluzione di cloruro di sodio al 10 °/, per 37 ore, 48 ore, e anche per quattro giorni, i preparati dell'epitelio si presentarono presso a poco nello stesso modo. Non ostante questa profonda alterazione dei Cytoryctes l’epitelio innestato in altri conigli, in tutti i casi ha prodotto ancora la formazione di Cytoryetes normali in quantità certamente non minore di quella ottenuta coll’innesto del vaccino non alterato. Perfino dopo aver tenuto la cornea in cloruro di sodio per quattro giorni, non era distrutta l'attività del vaccino. Questi resultati importantissimi ci hanno indotto a continuare le espe- rienze variando l'intensità della soluzione. Abbiamo perciò trattato il virus corneale con soluzione satura di cloruro di sodio, tenendovelo per 24 ore. In questo caso, forse per l’azione più energica e rapida del reattivo, i Cytoryetes sono rimasti impiccoliti, ma meno alterati che nella soluzione precedente: sembra abbiano subìto una sorta di fissazione. L'epitelio si è dimostrato an- cora attivo. Abbiamo cercato se fosse stato possibile seguire meglio le alterazioni dei Cytoryetes trattandoli con soluzioni deboli, e per questo abbiamo usata la soluzione di cloruro di sodio al 2°/. Le cornee infette furono fissate coi soliti mezzi dopo averle lasciate nel reattivo per sei ore. I Cytoryetes appari. vano più piccoli, meno numerosi. e si comportavano diversamente colle so- stanze coloranti. Nei preparati coloriti con ematossilina ferrica ed eosina, le forme più piccole tondeggianti, invece del solito colore nero intenso prende- vano una tinta rossastra, nelle cellule epiteliali più vicine al taglio, dove si trovano sempre le forme più grandi, spesso si vedevano solo tanti granuli LI GGI sparsi per il protoplasma e non si riconosceva sotto ai granuli la massa chiara, a volte s’intravedeva ma assai poco colorita. Riassumendo: questa seconda serie di ricerche ha dimostrato che i Cy- toryctes possono alterarsi in svariatissimi modi fino a scomparire, senza che il vaccino perda la propria attività. PARTE TERZA. Studi sulla clavelte. — Queste ricerche furono intra- prese in seguito alle pubblicazioni del Bosc, il quale studiando il vaiolo delle pecore (clavelée) descrisse forme analoghe a quelle che si riscontrano nel vaccino, ma a quanto appariva dalle figure del Bose, secondo ogni pro- babilità, più facili ad essere interpretate. Noi ne intraprendemmo lo studio colla speranza che ne venisse qualche luce sulla natura dei corpuscoli vac- cinici. Innestammo la clavelée (gentilmente inviataci dallo stesso prof. Bose e poi dal prof. Nocard) in parecchie pecore, e studiammo le pustole cutanee sviluppatesi su di esse, servendoci degli stessi mezzi di fissazione e colora- zione usati per lo studio dei Cytoryetes vaccinae. Senza entrare per ora in una descrizione particolareggiata, possiamo dire in generale che i corpuscoli della cl/avelée presentano somiglianza coi cor- puscoli vaccinici. Nei preparati ottenuti da pezzi fissati in soluzione satura di sublimato con 0,50 °/, di cloruro di sodio, coloriti colla miscela di Biondi, i corpuscoli della c/avelée apparivano costituiti da una massa azzurra di dimensioni svariate, e da una quantità di granuli rossi. A differenza di quanto sì osservava nei corpuscoli vaccinici, sì notava spesso un granulo centrale assai più grande di tutti gli altri, e tale da apparir quasi come un nucleo, ma questo grosso granulo a volte mancava, spesso era rotondo, talvolta ovale a cifra otto, o doppio. Gli altri granuli erano disposti in maniere variabi- lissime, per lo più se ne trovavano. parecchi alquanto allontanati dalla massa azzurra e congiunti ad essa per mezzo di fili sottilissimi disposti a raggiera, altri erano separati affatto ed isolati nel protoplasma cellulare. Questi cor- puscoli si vedevano sopratutto abbondantissimi nelle ghiandole sebacee do- v'erano situati accanto ai nuclei, uno per cellula, come i Cytoryetes. Certamente queste forme di struttura così complicata, a tutta prima per il loro aspetto fanno pensare ad esseri viventi, ed anzi a protozoi, ma anche qui studiando con attenzione, non si riesce a stabilire i confini del supposto parassita, perchè in alcune forme i granuli si spargono in tutte le direzioni e vengono a trovarsi in grandissima parte del protoplasma cellu- lare. Non si segue un ciclo di sviluppo, che in forme così grandi dovrebbe riscontrarsi facilmente. Inoltre, a contrastare la loro natura parassitaria si aggiunge il fatto che il virus della clavelée può passare attraverso la can- dela F, di Chamberland. Le esperienze a questo proposito furono fatte da Borrel, il quale ha ottenuto un tiltrato attivo col contenuto di una pustola SERIE diluito in 100 cm d'acqua. Il liquido filtrato era ancora attivo, diluito 100 volte ed in alcuni casi anche 500. Questi resultati sono di grandissimo valore anche perchè, dimostrando l’attività delle soluzioni diluitissime, dànno un fondato motivo per dubitare che le supposte culture di vaccino, ottenute dall’Ishigami solo par poche generazioni, non sieno altro che diluizioni del primo virus inoculato. ConcLusionI. — Da quanto abbiamo esposto ci sembra si possano rica- vare le conclusioni seguenti : I. La struttura dei Cyforyctes non rivela in essi nessun carattere che possa farli riconoscere per esseri vivi. I movimenti ameboidi non furono ri- scontrati non solo da noi, ma neanche dall’Hiickel, le cui osservazioni, per comune consenso, sono ritenute esattissime; non si distingue un protoplasma ed un nucleo, e neanche la presenza di cromidi o di rete cromidiale, manca un ciclo di sviluppo. Tutti questi caratteri escludono che si tratti di protozoi. Alcune forme potrebbero far pensare a bacteri, ma la struttura di ba- cterio non si può dimostrare (infatti mancano i cromidi, manca la cosidetta membrana, non vi sono cilia, non si ottennero mai fenomeni di plasmolisi. Non si colorano come i bacteri). La supposizione che i granuli fossero essi stessi i bacteri o forme du- rature, da noi presa in considerazione, si è dovuta escludere perchè i gra- nuli stanno sempre alla superficie e mai nell'interno del supposto parassita, per la loro somma irregolarità, per il loro modo di comportarsi colle so- stanze coloranti ecc. ; Infine non si può stabilire un limite tra il supposto parassita e le forme che sono sicure alterazioni del protoplasma cellulare. II. Mentre il virus corneale sottoposto all’azione del disseccamento, del- l’acqua distillata, delle soluzioni di cloruro di sodio, conserva la propria attività, 1 Cytoryctes si alterano enormemente o scompaiono affatto. In nessun caso, in nessuno stadio si osserva la formazione di cisti pro- tettive, fatto che si verifica in tutti i protozoi capaci di resistere a muta- menti d’ambienti e sopravvivere ad una permanenza in ambienti sfavorevoli. Non sì riscontrano forme paragonabili alle spore durature dei bacteri. III. Il fatto che il virus della e/avelée passa attraverso la candela F di Chamberland, pur essendo i corpuscoli della elevelée certamente non più piccoli dei corpuscoli vaccinici, dimostra che i risultati negativi costante- mente ottenuti nei tentativi di filtrazione del vaccino, non bastano a pro- vare che i parassiti del vaccino debbano avere dimensioni considerevoli e quindi essere identificati coi Cytoryctes. Per tutti questi motivi noi riteniamo che i Cytoryctes non sono esseri viventi parassiti del vaccino, senza però escludere che essi possano contenere 1 veri parassiti, non visibili coi nostri mezzi attuali d' indagine. SAGA Fisiologia. — D; una modificazione macroscopica del sanque che precede la coagulazione. Nota del dott. V. DuccESCHI, presen- tata dal Socio LuCcIANI. Stimo non privo di interesse il richiamare l’attenzione sopra i parti- colari di un fenomeno che in determinate condizioni può osservarsi assai facil- mente a ad occhio nudo nel sangue estratto dai vasi. Dal polpastrello del dito di un individuo normale si facciano uscire a mezzo della puntura con un ago o con un sottile bisturi 3 o 4 goccie di sangue e si raccolgano in un vetro di orologio. Se ora si distende un poco il sangue, s inclina leggermente e più volte a distanza di pochi secondi il vetro e se ne osserva il fondo rivolto verso una sorgente luminosa (la fine- stra od una lampada) si noterà che nello spazio di 40"-50" ad 1’-2’, rara- mente più tardi, appariscono sul fondo del vetro d'orologio nel posto occupato dal sangue tanti punti o granuli minutissimi, biancastri, che spiccano abba- stanza bene sul colorito rosso del sangue ancora aderente al vetro. Agi- tando leggermente il sangue coll’inclinare il vetrino e tornando a ripetere l'osservazione, si noterà che tali granulazioni vanno successivamente cre- scendo di volume e si fanno sempre più evidenti, restando biancastre, ialine e facendosi marcatamente rilevate sul piano del vetro. Questi granuli rag- giungono per lo più il diametro di !/, a !/s mm. all'incirca; essi sono gene- ralmente assai numerosi ed assai ben visibili ad occhio nudo. Aumentando di volume essi possono riunirsi o perdere l'aspetto rotondeggiante più o meno regolare che è loro proprio, formandosi infine dei fiocchetti di volume va- riabile. Col coagulare della piccola raccolta di sangue, tali produzioni non sono quasi più visibili; se si vuole conservarle in uno degli stadî primitivi, si deve far scorrer via dal vetrino, ponendolo verticale, il sangue sovrastante ad esse; le granulazioni caratteristiche restano per la maggior parte aderenti al fondo del vetro di orologio, sul quale fanno spiccatamente rilievo. Un tal fenomeno si riscontra non solo nel sangue umano di soggetti normali, ma anche nel sangue di cane, di coniglio, di cavia, di pollo, di tartaruga e di rana, quando si usi il procedimento ora indicato; sono sempre gli stessi granuli jalini, biancastri, rotondeggianti, più o meno aderenti al fondo del vetrino, che compaiono, prima che avvenga la coagulazione, presso a poco nello stesso spazio di tempo, cioè da qualche diecina di 1” ad 1°-3' dopo che il sangue fu estratto dai vasi. Non tralascerò di notare che nelle numerosissime osservazioni che ho compiute nell'uomo e nei vertebrati ora citati, nemmeno una volta mi avvenne di veder fallire la prova. La forma- ae zione dei granuli manca del tutto se si fa cadere il sangue in una quantità presso a poco uguale di ossalato ammonico all’ 1°/o. Se dopo aver raccolto il sangue su di un vetrino portaoggetti ampio a sufficienza si esaminano quei corpicciuoli a debole ingrandimento, essi ap- paiono come accumuli irregolari, biancastri, di granulazioni non sempre ben distinte; fissando il preparato, che si è lasciato seccare all'aria, con una miscela di alcool-etere e colorando con una soluzione all’ 1°/, di bleu di me- tilene, le granulazioni assumono un colorito bleù diffuso nel quale spiccano dei piccoli punti di un color bleu più vivo; i globuli rossi circostanti hanno un colorito verdastro. Con un ingrandimento maggiore si può ricono- scere che gli accumuli bleu son formati da una quantità grandissima di piastrine più o meno alterate e da un numero assai minore di leucociti i cui nuclei si colorano assai più intensamente delle piastrine. Insieme agli accumuli visibili anche macroscopicamente, se ne trovano molti altri microsco- pici che sono costituiti da un numero assai minore di piastrine e nei quali i leucociti possono anche mancare del tutto. Se si fa l'esame in un primo stadio della formazione dei granuli, quando essi sono piuttosto piccoli, allora si nota al microscopio, con le comuni rea- zioni coloranti, che la formazione della fibrina è assai scarsa o nulla; sì tratta quindi di un fatto che precede la coagulazione od almeno la precorre. Gli stessi aspetti microscopici si hanno per il sangue di pollo, di tar- taruga e di rana; anche qui sono in prevalenza e talvolta da sole le pia- strine nucleate che formano tali accumuli; îì leucociti vi partecipano in mi- sura variabile a seconda degli individui e delle specie animali. È alle piastrine che si deve attribuire dunque con tutta verosimiglianza la parte principale nella produzione di questi granuli macroscospici che com- paiono in un primo tempo dopo la raccolta del sangue. Se invece di poche goccie si riceve una notevole quantità di sangue (di coniglio) in un bic- chiere, si noterà, inclinando lentamente il recipiente e ripetendo più volte l'osservazione a piccoli intervalli di tempo, che le granulazioni caratteristiche si sono formate tanto in corrispondenza delle pareti del vaso quanto sul fondo di esso. Il fenomeno non deve quindi intendersi come circoscritto al procedi- mento che io ho descritto in precedenza e che risponde semplicemente allo scopo di renderlo più evidente e più agevole ad osservarsi; tanto nell'un caso come nell'altro però il movimento del sangue nel vetrino o nel bicchiere facilita assai ed in gran parte promuove la produzione del fenomeno; i granuli sono infatti scarsissimi quando il sangue si tenga perfettamente in riposo. Del resto è un fatto conosciutissimo che le piastrine abbiano la ten- denza ad aderire alle superfici che non siano quelle normali dei vasi san- guigni ad a raccogliersi in accumuli; questo fatto fu notato anche da coloro Oo [Schultze ('), Riess (2)], che precedettero il Bizzozero (*) e l’Hayem (4) in uno studio più minuto delle piastrine, del modo di formarsi e delle modi- ficazioni successive di quegli accumuli e dei rapporti di essi con la trom- bosi e .la coagulazione. Ma tutti questi Osservatori si curarono solo degli aspetti microscopici del fenomeno; probabilmente tanto essi quanto i più recenti studiosi del sangue ed anche più specialmente delle piastrine, non ebbero forse nemmeno campo di osservarlo nei suoi aspetti caratteristici macroscopici. Infatti la maggior parte delle ricerche sul sangue usa compiersi o raccogliendolo in strati piuttosto notevoli (come per ottenere il siero) che nascondono facilmente la formazione delle granulazioni caratteristiche, o distendendolo in strati sot- tilissimi sotto il vetrino coprioggetti, ponendosi cioè in condizioni siffatte da rendere impossibile la produzione di accumuli di elementi bianchi, tali da esser visibili ad occhio nudo; in altri casi è l'aggiunta al sangue di spe- ciali reagenti adatti a conservare questo o quell’elemento morfologico che impedisce la comparsa dei grossi accumuli. Sia l'una o l’altra di queste ragioni io non ho potuto trovare nei trat- tati generali di fisiologia, nei trattati speciali sul sangue, e nelle memorie più importanti sugli elementi morfologici del sangue- stesso, nessuna men- zione di questa modificazione macroscopica, quale io 1’ ho descritta, di questo fenomeno così caratteristico che precede, nelle condizioni di esame da me accennate, la coagulazione nei suoi aspetti visibili ad occhio nudo e che comparisce costantemente in tutte le forme di vertebrati sulle quali ho potuto sperimentare. L'unica allusione al fatto che gli accumuli di piastrine possono divenir visibili ad occhio nudo nel sangue fuoriuscito dai vasi, appartiene al Bizzozero, che ne accenna fugacemente a proposito del sangue di rana; ma sembra che egli abbia osservato quel fatto come un fenomeno isolato e non nella forma caratteristica e costante nella quale io l'ho descritto, perchè nè nelle altre pubblicazioni sue nè in quelle dei suoi allievi se ne trova qualche cenno. L'Hayem, che tanto si è occupato delle modificazioni dei suoi emato- blasti a contatto con le pareti alterate dei vasi o con corpi estranei, sembra aver rivolta la sua attenzione solo agli aspetti microscopici delle sue con- cretions hématoblastiques. In un punto solo della sua opera (1. c. pag. 378), egli dice che se si fa cadere il sangue di individui che si trovino in deter- minate condizioni patologiche (p. es. polmonite) in una quantità da 250 a 500 volte maggiore del suo liquido A e si agiti il miscuglio, si formano (1) Schultze, Arch. f. mikr. Anat. vol. I, s. 1-42, 1865. (2) Riess, Arch. f. Anat. u. Physiol. 1872, s. 237. (3) Bizzozero, Di un nuovo elemento morfologico del sangue e della sua importanza nella trombosi e nella coagulazione. Milano, Vallardi, 1883. (4) Hayem, Du sang et de ses altérations anatomiques. Paris, Masson, 1889. Sn (07) « de petites concrétions rougeatres qui troublent le liquide. Les plus volu- mineuses se distinguent facilement è l'oeil nu. » Queste concrezioni 0 « plaques » sarebbero formate « par une matière finement granuleuse, parfois en partie fibrillaire, très visqueuse, dans laquelle sont englués de nombreux hématoblastes plus ou moins rétractés. A cette matière visqueuse est venu s'attaquer par le fait du battage un nombre variable de globules blanes et d'hématies ». Queste plagues che secondo l’ Hayem costituirebbero « un ca- ractère important du sang phlegmasique =, mi sembra che rappresentino per il procedimento col quale si ottengono, per le condizioni patologiche nelle quali compariscono e per gli aspetti macroscopici e microscopici di esse (il co- lorito rossastro, la presenza di una sostanza granulosa e di una parte fibril- lare e la partecipazione delle emazie) qualche cosa di ben diverso dalle granulazioni che io ho descritte. Il fenomeno sul quale io ho creduto opportuno di richiamare l’ atten- zione può ritenersi come una manifestazione della proprietà che possiedono le piastrine di agglutinarsi fra loro, specialmente allorchè il sangue si trovi in contatto con superficie che non siano quelle dei vasi normali. Questa «9- glutinazione invocata così efficacemente da alcuni [Eberth e Schimmel- busch (!), Lukjanow (*)], a proposito della prima fase della formazione del trombo bianco, costituisce un fatto ben distinto morfologicamente e fisiolo- gicamente dalla coagulazione. Nel caso nostro, ossia nelle condizioni più semplici e più comuni nelle quali si esamini il sangue, senza che intervenga | l'azione di alcun reattivo, la detta agglutinazione rappresenta in ordine al tempo la prima modificazione macroscopica del sangue fuoriuscito dai vasi, quando sia raccolto ed osservato nelle condizioni che ho descritte. Ciò che mi ha indotto ad occuparmi di questo fenomeno non è solo il difetto as- soluto di menzione di esso nei trattati e nelle memorie speciali sul sangue, ma anche due altre ragioni alle quali accennerò ora in breve. Quando nella maggior parte degli invertebrati si estragga dai vasi o dalle cavità del corpo una certa quantità di sangue, il fenomeno più comune e costante che si osserva, è il riunirsi di una gran parte degli elementi morfologici, generalmente incolori, in aggruppamenti più o meno abbon- danti, spesso visibili ad occhio nudo sotto la forma di granulazioni di vo- lume variabile, di fiocchetti o di piccoli grumi (sincizî o plasmodi). Questo fenomeno, già studiato da diversi osservatori [Geddes (3), Cattaneo (‘), Bot- (1) Eberth. w. Schimmelbusch, Virchow's Archiv. f. pathol. Anat. Bd. 108, 1887, s. 957-881. (2) Lukjanow, Grundzige ciner allgemeinen Pathologie d. Geftissystems, Leipzig, Veit e C°, 1894, s. 127 e seg. (3) Geddes, Proceed. of the Roy. Soc., vol. XXX, 1879-80. (4) Cattaneo, Atti Soc. Ital. sc. nat., XXXI, 1888, pag. 2381; Archives ital. de Biol. t. XV, 1891, p. 409. RenpIcontTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 13 TEO Raro tazzi (!)], e che può considerarsi in un suo primo tempo come un vero e proprio fatto di agglutinazione, costituisce in alcuni ordini di invertebrati marini presso che l’unica modificazione che subisce il sangue sottratto ai rapporti normali dell’ organismo. Di ciò ho avuto occasione di persuadermi recentemente nel corso di alcune ricerche sulla coagulazione del sangue negli invertebrati marini (*). Questo fatto dell’agglutinazione riesce bene evidente perchè nella maggior parte di quegli esseri il sangue è costituito unica- mente da elementi incolori, che partecipano in buon numero al fenomeno, il quale inoltre non è mascherato, come avviene nei vertebrati, dal predominio numerico di elementi colorati, i quali restino sospesi nel liquido durante il breve tempo che precede la coagulazione. La formazione di un vero e proprio reticolo fibrinoso si osserva solo in poche forme di animali inferiori. Ora la formazione dei plasmodi e sincizî negli invertebrati ed il riu- nirsi delle piastrine in accumuli costituisce probabilmente un processo unico, rilevabile nei due sottoregni animali non solo nei suoi aspetti più minuti, microscopici, ma anche nelle sue forme grossolane, macroscopiche. E ciò si trova bene in accordo con l'opinione di chi (Dekhuyzen (?)) ha ammesso di recente che un'unica specie di elementi morfologici del sangue (trombociti), assai simili anche per la forma nelle diverse specie animali, promuova sia nei vertebrati che negli invertebrati la coagulazione del sangue. Si può pen- sare allora che lo stesso elemento promuova nella serie animale il fenomeno dell’agglutinazione, che costituisce come già ho detto, la prima modificazione morfologica del sangue estratto dai vasi o dalle lacune o cavità del corpo (in alcuni invertebrati), e che precede cronologicamente e geneticamente la produzione della fibrina, nei casi in cui questa si forma, poichè in molte specie di animali inferiori tutto sembra ridursi al primo stadio. Delle due mo- dificazioni alle quali va incontro il sangue fuoriuscito dai vasi, cioè l’agglu- tinazione di speciali elementi morfologici e la formazione di fibrina, la prima apparisce perciò più diffusa e costante della seconda, se si considera che quest’ultima sembra difettare in non poche forme di invertebrati. Nei vertebrati però l’agglutinazione si riscontra in tutti i tipi che ho avuto l'opportunità di esaminare. Un'altra ragione mi ha spinto ad occuparmi di quel fenomeno. Io l'ho veduto mancare del tutto, o comparire assai più tardi od in minori propor- zioni, in alcune condizioni sperimentali dell'organismo, così nel cane dopo iniezioni in circolo di peptone che rendeva incoagulabile il sangue, e nel coniglio dopo l'iniezione di estratto di teste di sanguisughe. Sembra dunque che il fatto dell’agglutinazione delle piastrine sia capace di larghe oscilla- (1) Bottazzi, Arch. ital. de Biol., t. XXXVII, 1902, pag. 49. (2) Ducceschi, Beitrige 7. chem. Physiol. u. Pathol.,, Bd. III, s. 378, 1902. (3) Dekhuyzen, Anat. Anzeiger., XIX Bd. s. 529, 1901. go zioni nella sua intensità. Io non ho avuto l'occasione di ricercare (e non è mio còmpito il farlo) come si comporti quel fenomeno negli stati morbosi dell’ orga- nismo umano. Data però la rimarchevole costanza di esso nei soggetti normali e data la facilità e la semplicità di mezzi con i quali si può rilevarlo, vale forse la pena che sia studiato, dal lato della patologia e della dia- gnostica, il comportarsi di esso nelle varie condizioni morbose che interes- sano direttamente od indirettamente il sangue; tanto più che, stando ai ri- sultati degli scarsi osservatori che si sono occupati delle modificazioni patologiche delle piastrine [ Havem ('), Afanasiew (2), Fusari (8), Pizzini e Fornaca (‘)], quegli elementi subirebbero in varie malattie delle notevolis- sime oscillazioni nel numero, fino alla scomparsa completa. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CERRUTI presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Soci PiroTTA, FiscHER, LockyER e WIESNER; fa inoltre particolare menzione del vol. III delle Opere di Galileo Galilei, edizione nazionale sotto gli auspici di S. M. il Re, e delle due pubblica- zioni seguenti: /l primo secolo dell'Ateneo di Brescia 1803-1902 e: Joannis Bolyai in memoriam, dono della Università di Kolosvar. Il Vicepresidente BLASERNA presenta il 3° volume, inviato in dono da S. A. R. il Duca degli Abruzzi, della Relazione sul viaggio della « Stella Polare », contenente le Osservazioni scientifiche, eseguite durante il viaggio stesso; il senatore BLaseERNA parla delle varie questioni che nel volume sono trattate, mettendone in rilievo la importanza. Su proposta del Socio Toparo la Classe approva unanime l'invio di speciali ringraziamenti al Duca degli Abruzzi pel suo dono prezioso. CONCORSI A PREMI Il Segretario CERRUTI comunica che ai concorrenti ai premi Ministe- riali del 1902, per le Sczenze fisiche e chimiche, dei quali venne dato l'elenco nella seduta del 4 gennaio scorso, devonsi aggiungere î seguenti, che inviarono al Ministero della Pubblica Istruzione in tempo utile i loro lavori: 1. GiseLLI GAETANO. — 1) Natura delle cose (ms.). — 2) Telosenso (st.). (ine (2) Afanasiew, Deutsch. Arch. f. klin. med., Bd. 85, s. 217. (8) Fusari, Arch. p. le scienze med., vol. X, 1886, pag. 235. (4) Pizzini e Fornaca, Riforma medica. 1894, vol. I, pag. 735; vol. II, pag. 375. — 100 — 2. Boro LERA ENRICO. — 1) Wna relazione fra il coefficiente di com- pressibitità cubica e il peso atomico (st.). — 2) Calcolo della forza elet- trica nella scarica fra due sfere (st.). — 3) Sopra un'equazione analoga a quella dei gas e valevole pei metalli (st... — 4) Sul lavoro interno nella dilatazione dei solidi (st.). — 5) Sull’azione della corrente elettrica sopra i vini acetosi (st.).. — 6) Nuovo metodo per la determinazione del- l’alcool (st... — 7) Significato della costante = e risposte alle critiche fatte a questa nota (st.).. — 8) Sulla temperatura di ebollizione dei com- posti chimici di serie omologhe (st.). — 9) Sopra un apparecchio regi- stratore delle scariche elettriche dell'atmosfera (st.). — 19 Sui miei apparecchi segnalatori e registratori dei temporali (st.). — 11) Un’utile modificazione del coherer per gli apparecchi registratori dei temporali (st.). — 12) Sopra una nuova forma della funzione potenziale (st.). 3. Monti VireILio. — 1) I nubifragio del 27 settembre 1900 a Savona (st.). — 2) Esiste una influenza delle detonazioni vulcaniche sulla grandine ? (st.). — 3) Contributo allo studio dell'influenza delle montagne sulla caduta della grandine (st.). — 4) Nuove ricerche intorno all’inftuenza delle montagne sulla grandine (st.). — >) Ancora dell’ influenza delle mon- tagne sulla grandine (st.). — 6) Sulla intensità e sulla frequenza del tuono durante la caduta della grandine grossa (st... — 7?) Sull'intensità dei fenomeni elettrici durante le grandinate gravi (st.). — 8) Sui tempo- rali accompagnati da neve (st.). — 9) Meteorologia e climatologia della Grecia in Omero (st.). — 10) Sulla meteorologia nei poeti latini (st.). — 11) Sulla distribuzione della grandine in Italia a seconda delle stagioni (st... — 12) Sulla distribuzione e grandinosità dei temporali in Italia (st... — 13) Sulla distribuzione dei temporali e della grandine in Italia a seconda dei luoghi e delle stagioni (st.). La Classe decide che il tema pel concorso al premio Carpi, pel biennio 1908-1904, sia il seguente: Contributo allo studio delle funzioni del fegato nella serie animale. CORRISPONDENZA Il Vicepresidente BLASERNA, in seguito a domanda della famiglia Bar- toli, presenta ed apre un piego suggellato del defunto prof. ApoLro BARTOLI; il piego contiene una Memoria intitolata: Sw Za trasformazione in correnti elettriche delle radiazioni incidenti sopra una superficie riflettente in mo- vimento. Questo lavoro sarà sottoposto all'esame di una Commissione. Adi — 101 — Lo stesso Vicepresidente comunica il seguente telegramma che il signor G. MaRrconI mandava in risposta a quello di felicitazione inviatogli dall'Ac- cademia : Glace Bay 5-1-1903 Senatore Blaserna, Accademia Lincei, Roma Ringrazio per graditissimo telegramma. Spero poter preparare desiderata relazione. MARCONI. Il Segretario CERRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziarono per le pubblicazioni ricevute: La Società Reale delle scienze di Upsala; l'Accademia di scienze na- turali di Filadelfia; la R. Accademia di scienze ed arti di Barcellona; le Società geologiche di Manchester e di Sydney; le Società zoologiche di Am- sterdam e di Tokyo; l'Istituto geodetico di Potsdam; l'Osservatorio astro- nomico di Vienna; l' Università di Upsala; la Direzione della R. Scuola navale superiore di Genova. Annunciano l'invio delle proprie pubblicazioni: La Società italiana delle scienze, detta dei XL, di Roma. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 1° febbraio 1903. Osservazioni scientifiche eseguite durante la spedizione polare di S. A. R. Luigi Amedeo di Savoia, duca degli Abruzzi, 1899-1900. Milano, Hoepli, 1903. 49. Il primo secolo dell'Ateneo di Brescia. 1802-1902. Brescia, 1902. Bait O. — Versuche iber die Verwesung pflanzicher Stoffe. Jena, 1902. 8°. Barone G. — La grande pluie météorique de novembre 1899. Bruxelles. s. a. 4°. Boldi M. 6. — Nuova edilizia romana. III. Roma, 1903. 8°. Colonna F. — Il Museo civico di Napoli. Napoli, 1902. f.° Czapek F. — Untersuchungen iber die Stickstoffsewinnung und Eiweifs- bildung der Schimmelpilze. II. III. Braunschweig, 1902. 8°. Galilei Galileo. — Le opere. — Edizione nazionale. Vol. XII. Firenze, 1902. Gallardo Angelo. — La riqueza de la Flora argentina. Buenos Aires, 1902. 8°. Kraus R. und Xreisel B. — Ueber den Nachweis von Schutzstoffen gegen Hundswut beim Menschen. Jena, 1902. 8°. — 102 — Kraus R. und Maresch R. — Ueber die Bildung von Immunsubstanzen gegen das Lyssavirus bei natirlich empflinglichen und unempfànglichen Thie- ren. Leipzig, 1902. 8°. Koelliker A. — Die Golgifeier in Pavia. Jena, 1902. 8°. Joannis Bolyai in memoriam. Claudiopoli, 1902. 4°. Lockyer N.and Lockyer W. J. S.— « On the Similitary of the Short-period Pressure Variation over Large Areas». S. L e a. 8°. Macchiati L. — Sur la photosynthèse en dehors de l’'organisme. Paris, 1902. 4°. Mogni A. — Nuova teorica della legge d'oscillazione del pendolo avuto riguardo alla rotazione della terra. Jesi, 1903. 8°. Nery Vollu L. — Théorie analytique des formes et des queues cométaires. Sl Reano Pirotta R. e Chiovenda E. — Illustrazione di alcuni Erbarii antichi Romani. Genova, 1902. Rovere D. (Della) — Per la genesi del Lipoma, Milano, S. a. 8°. Id. — L'infezione del bacillo itteroide negli animali poichilotermi. Bologna, TOO So, Ja. — Due casi di Lipoma della pia meninge. Milano, 1901. 8°. Id. — Alterazioni istopatologiche nella morte per freddo. Reggio-Emilia, T900N830! Id. — Nuovi mezzi di coltura ricavati dall’ Helix pomatia. Milano, 1902. 8°. Id. e Vecchi B. (De). — Anomalia del cervelletto. Firenze, 1902. 8°. Viola C. — Beziehung zwischen Cohision, Capillaritàt und Wachsthum der Krystalle. Leipzig, 1902. 8°. Id. — La supposta vita dei cristalli. Roma, 1902. 8°. Id. — Sulla legge fondamentale dei cristalti. Firenze, 1902. 4°. Virchow R. — Dell educazione medica. Discorso: Padova. 1879. 8°. Wiesner J. — Die Rohstoffe des Pflanzenreiches. Versuch einer technischen Rohstofflehre des Pflanzenreiches etc. Vol. 2. Leipzig, 1900. 1903. 8°. DISSERTAZIONI ACCADEMICHE DELLE UNIVERSITÀ GERMANICHE « FRIEDRICH- WILHELM > DI Bonn, DI GREIFSWALD E « FRIEDRICH » DI HALLE-WITTENBERG. Ackermann A. — Ueber die Anatomie und Zwittrigkeit der Cucumaria lae- vigata. Leipzig, 1902. 8°. Adolph XK. — Ueber Hydrocele. Bonn, 1902. 8°. Amdohr P. — Ueber zwei Falle von Chorea chronica progressiva. Greifswald, 1901930" | | — 103 — Baedorf H. — Ueber die Stauungspapille bei Gehirntumoren und iber die Erfolge der medicinischen und chirurgischen Behandlung der Gehirntu- moren. Bonn, 1902. 8°. Bahrens A. — Die Hetolbehandlung der Lungenschwindsucht. Bonn, 1902. 8°. Balewhi U. — Die hypnotische Wirkung des Metachlorals. Halle, 1902. 8°. Bartelt K. — Ueber Merkaptole und Sulfone der Diketone. Greifswald, TONE 8 Barten E. — Ein Beitrag zur Kenntnis der acuten Alcoholpsychosen. Greifs- wald, 1902. 8°. Baumgarth H. — Cor biloculare mit Dexiokardie. Halle, 1902. 8°. Bebber R. van — Ueber Totalresection langer Réhrenknochen bei acuter eitriger Osteomyelitis. Greifswald, 1902. 8°. Berger F. — Ueber die Resultate der Gelenkresectionen bei Arthritis defor- mans. Koln, 1901. 8°. Blake J. E. — Versuche iber Vioform, mit besonderer Beziehnung auf dessen mboglichen Gebrauch als ein Ersatzmittel fr Jodoform in der konserva- tiven Behandlung tuberkuléser Gelenke. Bonn, 1902. 8°. Bloebaum C. — Ueber Cranioclasie. Bonn, 1902. $°. Bode H. — Die Erhaltung der Bodenkraft im Pachtvertrage. Haile, 1902. 8°. Brehmer K.— Ueber die operative Behandlung der Tumoren des Kleinhirns. Bonn, 1902. 8°. Brodnite G. — Vergleichende Studien iber Betriebsstatistik und Betriebs- formen der englischen Textilindustrie. Halle, 1902. 8°. Buchholz H. — Untersuchung der Bewegung vom Typus 2/3 im Problem der drei Kòrper und der « Hilda-Lucke » im System der kleinen Pla- neten, auf Grund der Gylden'schen Stòrungstheorie. Wien, 1902. 4°. Buhlert H. — Untersuchungen iber die Arteinheit der Knòllchenbakterien der Leguminosen und iber die landwirtschaftliche Bedeutung dieser Frage. Halle, 1902. 8°. Buttermann A. — Ueber den Einfluss von Nierenerkrankungen auf den Blut- druck. Greifswald, 1902. 8°. Darr A. — Ueber zwei Fasciolidengattungen. Halle, 1902. 8°. Daske O. — Ueber einen Fall von Appendicitis actinomycotica mit Ausgang in Pyaemie. Greifswald, 1902. 8°. Denke P. — Sporenentwicklung bei Selaginella. Jena, 1902. 8°. Dhein J. — Zur Beandlung der Clavicularfracturen: eine Modification des Sayre' schen Heftpflasterverbandes. Bonn, 1901. 8°. Dolgich J. — Ueber den Einfluss der Arbeitsleistung auf die Milchsekretion der Kihe. Halle, 1902. 4°. Drammer C. — Ueber radikale und konservative Therapie bei Hodentuber- kulose. Bonn, 1902. 8°. Drescher B. — Acylderivate von Indoxylsiure. Indoxyl und Indigweiss. Halle, 1902. 8°. — 104 — Driest R. — Untersuchungen iùber den Salzsiuregehalt des Mageninhalts. Greifswald, 1902. 8°. Dronke J. — Die Verpflanzung des Fieberrindenbaumes aus seiner sudameri- kanischen Heimat nach Asien und anderen Lindern. Wien, 1902. 4°. Diisterhojf K. — Ueber plòtzlichen Tod an Herzschlag bedingt durch Kranz- arterienerkrankung und Herzruptur. Greifswald, 1901. 8°. Edlich M.— Ein Beitrag zur Kenntnis der Aphasie. Greifswald, 1902. 8°. Ehrenfreund F. — Die vaginale Entfernung des Uterus-Adnexa. I. II. Halle, TOMI Eisenstidt J. — Ueber Krebs der Thymus, ein Beitrag zur Kenntnis der Mediastinaltumoren. Greifswald, 1902. 8°. Erdmann E. — Beitrag zur Kenntniss des Kaffeedles und des darin enthal- tenen Furfuralkohols. Halle, 1902. 8°. Ermann D. — Ueber eine Methode zur Feststellung der in den menschlichen Faeces enthaltenen Gewichtsmengen von Bakterien. Bonn, 1902. 8°. Eversheim P. — Bestimmung der Leitfihigkeit und Dielektricitàtsconstanten von Lésungsmitteln und deren Lòsungen in ihrer Abhangigkeit von der Temperatur bis ùber den kritischen Punkt. Bonn, 1902. 8°. Ewald TV. — Ein Beitrag zur Lehre von der Erregungsleitung zwischen Vorhof und Ventrikel des Froschherzens. Halle, 1901. 8°. Fackelmann P. — Beitrag zur Kenntnis der Diketone. Greifswald, 1901. 8°. Foerster P. — Zwei Falle von parenchymatéser Degeneration im Anschluss an Cloroformnarkose. Bonn, 1902. 8°. i Frank M. — Ueber Trachealstenosen und deren Behandlungsmethoden. Bonn, 1902. 8°. Franck W. — Untersuchungen iber pathogene Hefe. Greifswald, 1902. 8°. Fresenius R. — Ueber Abkommlinge der Acetylsalicylsàure. Wiesbaden, 1902. 8°. Gatersleben H. — Zur Kasuistik des vaginalen Kaiserschnittes. Halle, 1902. 8°. Geller A. — Ueber die Behandlung des chronischen Unterschenkelgeschwirs. Aachen, 1902. 8°. Gierig E. — Kryoskopische Untersuchungen. Greifswald, 1901. 8°. Gossling M. — Ueber Nasenrachenfibrome. Bonn, 1902. 8°. + Gotischalli A. — Sectio caesarea aus relativer Indikation. Greifswald, L90282 Grauer XK. — Die Preisbewegung von Chemikalien seit dem Jahre 1861. Halle, 1901. 8° Greven P. — Beitrige zur Casuistik der Aktinomykose. Bonn, 1902. 8°. Gimther A. — Ueber Atresia ani. Bonn, 1902. 8°. Guttwein V. — Ueber die Symptomatologie der Retroflexio uteri. Greifswald, 1902. 8°. Haacke R. — Ueber Geschwulstbildungen Endothelialen VESPA in einem Ovarialkystom. Halle, 1901. 8°. — 105 — Haberkorn M. — Untersuchungen des Lochialsekrets von Wéochnerinnen mit und ohne antiseptische Compressen. Halle, 1901. 8°. Hahn C. — Ueber die Estersàuren und die Anilsiuren der Phenylbernstein- sàure. Bonn, 1902. 8°. Hamann H. — Ueber subcutane Frankturen der Metacarpal-und Metatars- alknochen mit besonderer Bericksichtigung des sogenannten « militàri- schen Fassédems». Greifswald, 1902. 8°. Haupt M. — Ein Beitrag zur Frage nach dem Wesen der Neuroparalyti- schen Hornautentziindung. Witten, 1902. 8°. Houpt R. — Drei Falle von Echinococcusgeschwulst in weiblichen Becken. 1902. 8°. Hazard R. — Ueber gemischte Disulfone. Greifswald, 1902. 8°. Hennicke H. — Ueber einen Fall von Sarcoma uteri mit ausgedehnter sar- comatòser Thrombose der Venae uterinae und der Vena spermatica. Halle, 1902. 8°. Henning F. — Ueber radioaktive Substanzen. Halle, 1901. 8°. Henning M. — Ueber Gangriàn beider Beine infolge von Embolie. Greifs- wald, 1902. 8°. Hildebrand P. — Zur Klinik und pathologischen Histologie der Conjunkti- valtransplantation. Greifsvald, 1902. 8°. Hilgendorff G. — Ueber schwefelhaltige Derivate ungesattigter Ketone. Parchim, 1901. 8°. | Hirota K. — Ueber die Mikroorganismen im Sekret der Conjunctivitis catar- rhalis und im Bindehautsack des gesunden Auges. Halle, 1901. 8°. Hirsch G. — Ueber den Shock. Halle, 1901. 8°. Hoddick H. — Beitrag zur pathologischen Anatomie der Bleivergiftung des Meerschweinchens. Bonn, 1902. 8°. Hoffmann H. — Zur Kenntnis des Pinens und der Pinonsture. Greifswald, 1902. 8°. MHolthausen P. — Zur Lehre von der Combination organischer Erkrankungen des Centralnervensystems mit Hysterie. Bonn, 1902. 8°. Hopmann E. — Beitrige zur Formalindesinfektion. Kéln, 1902. 8°. Hòynck P. — Ein Fall von ischimischer Lahmung nach Arterienverschluss mit anatomischen Untersuchungen der Nerven und Muskeln. Bonn, 1902. 8°. Huber L. — Pseudophenole aus Salicylaldehyd und Salicylsiure. Greifs- wald, 1902. 8°. Husen H. van — Beobachtungen iber 200 Falle von progressiven Paralyse bei Mannern. Ehrenfeld, 1902. 8°. Huth J. — Beitrag zur Kenntnis der Lehre vom Stoffwechsel der Wiederkuer. Bonn, 1902. 8°. Ideler H. — Die Pharmakodynamik van Swietens. Greifswald, 1902. 8°. RenpICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 14 — 106 — Jungbluth G. — Experimentelle Untersuchungen iber den Einfluss des Alkohols auf das putride Feber. Bonn, 1902. 8°. Kattwinkel W. — Klinische Erfahrungen mit Jequiritol und Jequiritolserum. Bonn, 1802. 8°. Kaupe W. — Ist bei lebenbedrohender Magenblutung infolge von ulcus ven- triculi ein operativer Eingriff indicirt und welcher? Leipzig, 1902. 8°. Kemp H. — Ueber die Wirkungen des Amido-Orexins. Bonn, 1902. 8°. Kemp J. — Beitrige zur Casuistik der diffusen symmetrischen Lipome des Halses. Bonn, 1902. 8°. Kielhorn O. — Ueber die Prognose der Sehnennahte. Bonn, 1901. 8°. Kiessling K. — Bestimmung von Brechungsexponenten durch Inteferenz elektrischer Wellen an Draàhten. Greifswald, 1902. 8°. Kirnberger €. — Ueber die Anlagerung von Blaustiure an f-Phenylimina- carbonsaureester. Bonn, 1902. 8°. Kirschbaum J. — Ueber die Erfolge der chirurgischen Behandlung der Peri- typhlitis. Bonn, 1902. 8°. Kishîi J. — Ueber den peripheren Verlauf und die Endigung des Nervus cochleae. Bonn, 1901. 8°. Knecht E. — Zur Operation des Prolapsus ani et recti. Greifswald, 1902. 8°. Kneiss W. — Ueber Appendicitis. Halle, 1901. 8°. Kordhanke W. — Ueber Erythromelie. Greifswald, 1902. 8°. Korth P. — Ueber Myxoedem. Greifswald, 1902. 8°. Kòthner P. — Das reine Tellur und sein Atomgewicht. Halle, 1901. 8°. Kremer 0. — Die Pathogenese der arthritischen Amyotropien. Greifswald, 1902. 8°. Kudlek F. — Ueber Hernia inguino-properitonealis. Greifswald, 1902. 8°. Kuhnemann W. — Ueber die Ectopia vesicae und ihre operative Behand- lung. Bonn, 1902. 8°. Lange W. — Ueber den Einfluss der Quecksilberbehandlung auf. das Auf- treten der tertiàren Lues. Diren, 1902. 8°. Laubenthal G. — Ueber Messungen im Absorptionsspektrum. Coblenz, 1901. 8°. Lehmann H. — Beitrag zur Frage der Zuckerbildung aus Eiweiss. Halle, 1902. 8°. Leick L. — Ein seltener Fall von Missbildungen. Greifswald, 1902. 8°. Lemle M. — Ueber hysterische und epileptische Krampfzustinde und eigen- artige Zwangshandlungen in einem Falle degenerativen Irreseins. Greifs- wald, 1902. 8°. Lenneper A. — Ueber das serienweise Auftreten der Eklampsie mit beson- derer Beriicksichtigung der Infektionstheorie. Bonn, 1902. 8°. Levy S.— Ueber das Verhalten der Gefisse bei Lebercirrhose. Bonn, 1902. 8°. Lindhorst G. — Ueber Strangulations-Ileus. Halle, 1902. 8°. — 107 — Lohmann M. — Die Dauererfolge der Laparotomie bei tuberculòser Bauchfel- lentzindung. Godeberg, 1902. 8°. Lorent J. — Ueber lleus nach Trauma. Bonn, 1902. 8°. Luhder E. — Ueber den Einfluss von Kernsubstituenten auf die Reaktions- fihigkeit aromatischer Aldehyde und Ketone. Greifswald, 1902. 8°. Luiken H. — Elephantiasis nach Lymphdrisenexstirpation. Greifswald, 1902. 8°. Marenbach O. — Die Behandlung der Scabies mit Eudermol. Bonn, 1901. 8°. Marquardt E. — Die Wirkung der Schwitzbider bei Lebercirrhose nach dem Material der Il. med. Klinik in Berlin. Halle, 1902. 8°. Mathieu J. — Ueber die Capillaritàt der Lòsungen. Bonn, 1902. 8°. Matzuschita T. — Zur Physiologie der Sporenbildung der Bacillen. Halle, 1902. 8°. Id. — Untersuchungen iber die Mikroorganismen des menschlichen Kotes. Munchen, 1902. 8°. Menzen J. — Ueber Gonorrhoe bei kleinen Midchen. Bonn, 1901. 8°. Meyer H. — Ueber die rechte Wanderniere und ihre Beziehungen zu den ausfàhrenden Gallenwegen. Halle, 1902. 2°. Meyer L. — Beitrag zur Statistik der Totalexstirpation bei Uteruscarcinom. Bonn, 1902. 8°. Meyer P. — Ueber die Eiweisszersetzung unter dem Einfiuss des elektri- schen Glihlichtbades. Halle, 1902. 8°. Mielert B. — Zur Casuistik der Ganglien. Greifswald, 1902. 8°. Mohr FY. — Beobachtungen iber die progressive Paralyse bei Frauen. Bonn, 1902 89. Mosebach O. — Ueber Verbreitung des Milzbrandes durch Rohwolle, Ross- haare und Torfstreu. Bonn, 1901. 8°. Mouilpied A. (Th. de) — Ueber die Kondensation von Anilessigestern mit Natriumalkoholat. Halle, 1901. 8°. Muchl G. — Rudimentire Entwickelung von Uterus und Vagina. Greifswald, TOO Milhens H. — Vier Fille von Abscessus intrahaepaticus ‘aut subphrenicus. Bonn, 1902. 8°. Miller C. — Ueber die Tyson’schen Drisen beim Menschen und einigen Saugetieren. Guben, 1902. 8°. Miller PF. — Zur Statistik der Steisslagen. 495 Falle aus der geburtshil- flichen Klinik und Poliklinik zu Halle. Halle, 1902. 8°. Miller K. — Ueber Bildung von Condensationsproducten aus Pseudopheno- len und organischen Basen und deren Verhalten bei der Acetylierung. Greifswald, 1902. 8°. Mutke E. — Ein Fall von Hemiplegie und Aphasie nach Ligatur der Arte- ria carotis communis sinistra. Postdam, 1901. 8°. — 108 — Nathan R. — Ueber complicierte Schadelfrakturen. Bonn, 1902. 8°. Neelmeier W. — Ueber die Verseifung der Ester mehrbasischer Sàuren. Halle, 1902. 8°. Neitsert 0. — Zur Aetiologie und Therapie der Unguis incarnatus mit besonderer Beriicksichtigung der Rosenbach'schen Operation und ihrer Dauererfolge. Bonn, 1902. 8°. 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RenpIcONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 15 — ll4 — ed eguagliamo a zero i coefficienti delle dpi, dgi e 0; avremo il sistema di equazioni differenziali: RE DU: DU (II) #0 4, (= Dad) è QU dpi | IU Li 0= a i SS At DI dt dadi UE) delle quali l’ultima è una conseguenza delle 2x precedenti. Adunque 7% sistema Hamiltoniano (II) è il primo sistema di Pfajf dell'espressione differenziale (I) e com'è noto esso è invariantivamente con- giunto con tal espressione differenziale (*). Si noti che se due espressioni differenziali nelle stesse variabili indi- pendenti hanno i covarianti bilineari identici non possono differire che per un differenziale esatto, sicchè dato il sistema Hamiltoniano (II) non è determinata un’ unica espressione differenziale invariantivamente con esso congiunta, ma infinite che differiscono fra loro per differenziali esatti. 2. Se l’espressione differenziale (I) si riduce alla forma canonica di Pfaff: Ea = > QidP; + d®, il sistema (II) diviene: dP; e dQ: —iÙ sicchè le P;, Q; sono gli integrali del sistema Hamiltoniano, Inoltre ridurre alla forma canonica Pfaffiana la espressione differenziale Ka equivale, secondo il metodo d' integrazione di Pfaff, a trovare un integrale completo dell'equazione alle derivate parziali di Hamilton-Jacobi: PI o oc (III) SI U(piippa; a ya! - Riassumendo possiamo enunciare il teorema fondamentale seguente. Il sistema Hamiltoniano: di VU di UU gi DEVA è il primo sistema di Pfaff dell'espressione differenziale: D di dpi + Ude. L'integrazione del sistema Hamiltoniano equivale al ridurre alla forma canonica di Pfaff la espressione differenziale precedente, ossia ad (*) Cfr. Darboux, Sur le problème de Pfaff, Paris Gauthier-Villars 1882, pal — 115 — integrare completamente l'equazione a derivate parziali: Dai SU E ) Soma (piiperpa; IP. dPe Zog . 8. Data un'espressione differenziale della classe 2n + 1: 2n it FE ove X indicano delle funzioni delle 4, posto: 1 IX, dI i, ; Cei ((,k6=0,1°2..n), nel determinante del covariante bilineare non possono essere nulli tutti i sottodeterminanti del 1° ordine (grado 27) e per conseguenza, giusta un noto teorema di Frobenius ('), non possono svanire tutti i sottodeterminanti principali del grado 2x. Supponiamo che non sia nullo il sottodeterminante principale (10910) (052) SS 20) (2010) (EC) %9) (2n,1) (22,2)...(2n,2n) 2n Allora l'espressione differenziale >» X;dx;, ove si considerano come va- o=1 riabili le sole 71,42... Tan, è della classe 22, e quindi riducibile alla forma canonica di Pfaff: Qi AP, 4 de dpo + + Im Pn 5 ma se si considera variabile anche la 40, che ora sostituiremo colla lettera #, avremo identicamente: 2n n Xodt4 S X;da,= qidpi+ Ud, Val! i=1 ove to 2n dd; UZX:+> x Il primo sistema di Pfaff dell'ultima espressione differenziale è un (1) Crelle’s Journal, t. 82, pag. 244. Cfr. la mia Nota: Sulle proprietà invariantive del sistema di una forma lineare e di una bilineare alternata, Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, vol. XVIII (1883). — 116 — sistema Hamiltoniano: tale sistema Hamiltoniano è il trasformato del 1° si- stema di Pfaff della (IV). Reciprocamente se nella (I) alle p;, gi, sostituiamo delle funzioni fra loro indipendenti di nuove variabili xy... t2n, essa assume la forma (IV) e per conseguenza il sistema Hamiltoniano (II) si trasforma nel 1° sistema di Pfaff di (IV), che è: (i, 0)de + (0, )drx + (1,2) deo + + (7,22) den = 0 ((=0,1,2...2n), il quale comprende 2x equazioni differenziali fra loro indipendenti. 4. Il più generale cambiamento di variabili che converte un sistema Hamiltoniano (II) in un altro simile sistema è adunque quello che converte l'espressione differenziale : » gi dpi + Udl i=i in un'altra del tipo de + Di pe dp;* + Wide du ii ove £ indica una funzione qualunque delle nuove variabili indipendenti Più, di ,t* ed U* una funzione delle variabili stesse. Ci proponiamo anzitutto di trovare il più generale cambiamento delle sole variabili p; e g; (ma non della #) che soddisfa alla condizione voluta. Secondo quanto precede, un simile cambiamento è una trasformazione tra due sistemi di variabili indipendenti : (Pin ti) ; (Pi), la quale dipende anche dal parametro t, ed è tale che, riguardando questo come costante, si abbia identicamente: > di (10: = So dp;* = d9L. Se a ciascun sistema di variabili si aggiunge una nuova variabile indi- pendente: < e 2*, e si pone la relazione: as=Q24+e, tra é due sistemi di variabili si ha una trasformazione di contatto, di- pendente dal parametro t. Una cosiffatta trasformazione si trova subito nella sua forma più generale col procedimento seguente. Si assuma per 2 una funzione qualunque delle Pi, Pit ,t e sì stabilisca a piacere nessuna, oppure una, od anche più equa- — 117 — zioni fra le sole p;,p;f e #, in guisa però che tra esse non sia possibile eliminare nè le p;, nè le p;*. Si trovino di poi le relazioni ancora occor- rente a definire la trasformazione con quel procedimento col quale nella meccanica analitica le condizioni di equilibrio d'un sistema vincolato si deducono dall’equazione dei lavori virtuali, quando i vincoli sono espressi da equazioni finite tra i parametri di posizione ed il tempo, e cioè col classico metodo dei moltiplicatori di Lagrange. Stabilite adunque le equazioni : (V) Prina DE e) =0 (UH) ove g =, essendo le £, delle funzioni fra loro indipendenti, sia rapporto alle pi, sia rapporto alle p;*, alle precedenti equazioni si aggiungano quelle 2n— + altre che risultano per eliminazione dei moltiplicatori 4 fra le equa- zioni seguenti: I, n, (VI) » ((=1,2...n). day qi* = +! “pi” Colla teoria dei determinanti funzionali è facile indicare quella limita- zione cui vanno assoggettate le £ affinchè le equazioni (V) e (VI) sieno ri- solvibili tanto rispetto alle 4, ,p;,% quanto rispetto alle Z,, pi, gi* ossia definiscano la trasformazione cercata. Posto: W=2+47,9, + +49, detta limitazione è che a cagione delle (V) non sia identicamente nullo il seguente determinante, che è una funzione intera del grado n — q nelle 2: ELLA dI ......DA 0 1) e 0 dPI dPoe dPn Q 2 Q OLE dia IG dig 0 (MIOTTO 0 dP1 ds dPn dLg dg ...... Da DR 0 dpi dPa dPn DAN d°W_.. _DW_ 292 992, 29, dPit Pi IPP Pda dI PE IP dW_ W d°W_ dA dI, 2, Wat Pi dp da Pa Pt PE WWW 39 20 39 Papi Pat de pet dp I I — 118 — [Cfr. Lie-Engel, Theorie der Transformationsgruppen, TI Absch., Cap. 6, Abth. T]. Si ponga: day di IL dI Ta e si immaginino comunque eliminate da questa equazione le Z per mezzo delle (VI). Avremo identicamente : VD qdpi—Y gi dpò + Vdt=d2. Si noti che una volta ottenute le espressioni delle p; e g; nelle p;* , q;* ! e £, dette 2* e V* le trasformate in queste variabili di 2 e V, avremo: I * à V* ca de N dPi Ù vi n Adunque colla trasformazione trovata abbiamo per identità: (VII) > qidpi + Udt= dQ4- > qi* dpi 4 (U* — V*) di, î Tia È ove U* indica la trasformata di U nelle p;*, gif e %. In particolare se v=0, come condizioni di risolvibilità delle (VI), abbiamo che non sia identicamente nullo il determinante funzionale: n.9 RAME? ) dp o IP, DO 2 d(Pi Pas Pa) le (VI) divengono: TAR 04 RCA di Saas I ; di Più 9 e la espressione della V diviene: pae di Per V si può assumere una funzione arbitrariamente data delle pri- mitive variabili pi, qi,t: allora è da assumersi per la Q un integrale completo dell’ equazione alle derivate parziali: dV n) — — an colle costanti arbitrarie non aggiunte: DIM Past — 119 — In ogni caso per la (VII) posto: RIE Va il trasformato del sistema Hamiloniano (II) sarà: dpi RHI 34° MEF DANIMIEZOA dI di RZS Sulla indicata trasformazione particolare si basa la ordinaria teoria delle perturbazioni. 5. Per trovare la trasformazione più generale che converte il sistema Hamiltoniano (II) in un altro sistema Hamiltoniano : dp QU } DI Gel DOG DER OSO si consideri la più generale trasformazione tra i due sistemi di variabili indipendenti : (Pi 3% iPa 10 305Da In jÉ 0), (Pn EP AIUO) che dà luogo ad una identità della forma: (VIII) Du dpi + udt = dR0 4) gi* dpi* + u* di*. Pongasi una qualunque relazione fra le variabili del primo sistema: (IX) ZU Sv 0) == Per la trasformazione considerata questa relazione si convertirà in una relazione: (MELI A 08 che non può essere identica. Supponiamo che F contenga u*: questa suppo- sizione in fondo mon è restrittiva giacchè la coppia di variabili coniugate t",u* è una qualunque delle coppie delle nuove variabili ed inoltre è sem- pre lecito di porre: invece della 2 la Q,= +4 *u*, invece di # e u* rispettivamente 4* = —u*, u*=*. Allora la equazione precedente sì potrà risolvere rispetto alla «u*, e cioè porre sotto la forma: AE... Ceto) 105 sicchè dalle espressioni delle primitive variabili p;,gi e # nelle nuove si potrà eliminare la variabile ausiliaria u*, e così pure dalle formule che danno la trasformazione inversa si potrà eliminare la w. Siccome poi nella identità (VIII) non compariscono nè du nè du*, col sostituire ad v la funzione — 120 — U e ad w* la U* non sì muterà la forma dell'identità stessa. Dunque avremo identicamente : > di dpi + Udt = dQ + > qi* dp + U* de* ; così la trasformazione richiesta è trovata. Per esempio, scelta comunque la 9: Q= (Pr, Po Pn 5 PI Pe Pat 34,0), si assumano 2-4 1 relazioni della forma: OVP Pa CIR 10 (i 002) che soddisfacciano alla condizione di essere risolvibili tanto rispetto alle Prs «Past, quanto rispetto alle pi* , ... pn* , 4%. La trasformazione cercata è definita dalle x +- 1 precedenti equazioni e da quelle altre n +1 che si ottengono eliminando i moltiplicatori 4 fra le 2(z + 1) equazioni seguenti : + Ya = ELI —q+ ea (HELM) si Per una trasformazione cosiffatta la (IX) si converte in un'equazione che non può contenere le sole p,*... p,% ,#. Senza scapito della generalità possiamo adunque ritenere che la trasformata della (IX) contenga la u*. 6. Consideriamo un sistema qualunque di 27 equazioni differenziali del primo ordine fra 2x2 -+1 variabili: Ci proponiamo di esaminare se un tale sistema per trasformazione delle variabili 4 in altre y, fra loro indipendenti, sia riducibile alla forma cano- nica di Hamilton. Secondo quanto precede bisogna cercare. se esiste un’ espressione diffe- renziale : Yo des | VA da, + Soa + Yan d&2n ’ della classe 2x-+ 1, il cui primo sistema di Pfaff coincide col sistema pro- — 121 — posto: in altri termini, se è possibile determinare in funzione delle x le Y in guisa che posto: (= -< (ij,k=0,1,2...2n), si abbia: (XI) Xo (7,0) + Xx (7,1) + Xa(é,2) +-+ Xon(7, 22) =0 (10262706 Ammesso possibile ciò, si riduca la espressione differenziale anzidetta alla forma ($ 3): DI di dpi + Udi, le equazioni differenziali (X) per introduzione delle nuove variabili indipen- denti p;, 9; e # assumeranno la forma Hamiltoniana (II). Le (XI) non sono fra loro indipendenti, giacchè moltiplicata ordinata- mente per X, ... X2, e sommate dànno luogo all’ identità : > Di, 4) X:Xx=0; i sicchè, supposto per esempio X, +0, la prima di esse è una conseguenza delle rimanenti 27 . Il sistema delle 2x equazioni, lineari, omogenee, alle derivate parziali del primo ordine (XI) ammette notoriamente infinite soluzioni. Scelta infatti ad arbitrio per es. la Y, fu dimostrato da Cauchy (@uvres, S. I; t. VII, pag. 33) che le Y,... Y», si possono determinare in guisa da soddisfare alle 2x equazioni differenziali e da divenire uguali, per un particolare valore della variabile indipendente x,, a funzioni arbitrariamente date delle Li, Co +. Con: l unica condizione che deve essere soddisfatta è che le fun- zioni considerate sieno funzioni analitiche regolari. Del resto la stessa conclusione può trarsi ovviamente dalla nostra teoria invariantiva. i Integrate le (X) ed introdotte come nuove variabili invece delle x, ... #2, un sistema di 2 integrali indipendenti delle equazioni stesse: Yyi=Yi(do 3 L1 dn) (=) esse assumono la forma: RenpIcoNTI. 1903, Vol. XI, 1° Sem. 16 oo La soluzione più generale di queste equazioni è: QD QD do leer ove ® è una funzione arbitraria di tutte: le variabili e le n; sono funzioni arbitrarie delle sole: y1,%2 -.- Yan. Per conseguenza le (X) costituiscono il primo sistema di Pfaff dell'espressione differenziale : 2n dO4 > nidyi, q=1 nella quale si devono porre per le n; delle funzioni delle y; tali che non TR affinchè essa dYK dYi sia della classe 27 1. Per esempio, basterebbe scegliere: risulti nullo il determinante gobbo formato colle NjYntj Mn =0 (al so 10) Adunque si ha il teorema seguente che parmi più curioso che utile. Qualsiasi sistema di 2n equazioni differenziali è sempre riducibile alla forma canonica di Hamilton. Chimica. — Zretorno all olivile, la sua composizione e costi- tuzione (*). Nota del Socio G. KòRNER e del dott. L. VANZETTI. L'olivile estratto dal Pelletier sin dal 1816 dalla gomma dell’ olivo, di cui è il costituente principale, è stato più volte oggetto di studî chimici, specialmente per parte del compianto Sobrero, il quale lo sottopose ripetu- tamente all'analisi e gli attribuì la formula C,4 Hg 0;. Anche uno di noi, in unione al prof. Carnelutti (*), si era da tempo occupato di quella sostanza, ed in base a numerose analisi si credette poter attribuire all’ olivile cristalizzato dall'acqua la formula: C,4 Hig 0g e a quello ottenuto da soluzione alcoolica l’altra: C,6 Hsg 0g, colle quali formule si accor- dava anche la composizione dei prodotti di trasformazione allora studiati. Alcuni fatti venuti successivamente alla luce ed in ispecie la determinazione quantitativa del ioduro metilico ottenibile scaldando l'olivile ed i suoi deri- vati con acido iodidrico, non si interpretavano felicemente colle predette for- (!) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimicv generale della E. Scuola superiore di Agricoltura di Milano. (2) Rendiconti del R. Istituto Lombardo Serie II°, vol. XV, pag. 654. A 3 — 123 — mule ed indicavano per esso una composizione assai più complessa, probabil- mente corrispondente per l’idrato dell’olivile alla formula C3; Hzg 0;o, 0d anche Cso Hss 0;o, che si accordavano parimente ed anzi ancor meglio coi risultati analitici. Noi abbiamo ripreso lo studio di questo interessante composto e siamo ora in grado di stabilirne con certezza la formula, il peso molecolare ed alcuni suoi rapporti con sostanze affini di costituzione nota. Esporremo brevemente i principali risultati finora ottenuti, riservandoci di descrivere diffusamente e corredati di tutti i dati analitici raccolti, i det- tagli delle nostre ricerche a lavoro compiuto. Dobbiamo premettere che l’olivile gode della proprietà di combinarsi colla maggior parte dei suoi solventi, ed in ispecie con alcooli e con acqua. Numerose analisi istituite sul prodotto cristallizzato da acqua diedero in media per cento: C= 60, 74 H= 6,59 mentre si calcola per: O 20 Hr 0% Ca; Hgo Oro Cz0 H3s 012 C 60,91 60, 98 61.01 H 6.59 6,50 6.44 Avendo constatato la presenza del gruppo ossimetilico nell’ olivile, si pro- cedette alla determinazione del carbonio contenutovi sotto quella forma, dedu- cendone col metodo di Zeisel il rapporto tra il carbonio ossimetilico ed il carbonio totale. Si trovò che la decima parte del carbonio complessivo era contenuto come carbonio ossimetilico, il che autorizzava ad escludere per l’ oli- vile ogni formula che non contenesse 10, o n. 10 atomi di carbonio. L'analisi dell’olivile cristalizzato da alcooli di differente natura ha con- fermato questa conclusione. Di fatto il composto cristallizzato da alcool metilico corrisponde alla formula Cs, H,, Os; quello dall'alcool etilico possiede la composizione C3> Hz0 03; i due prodotti risultanti per cristallizzazione dagli alcooli propilico ed iso- propilico contengono €,3 H3: 03; il composto preparato coll'alcool allilico corrisponde alla formula 033 Hz0 Oz. Tutti questi corpi cristallizzano assai bene e possono essere riscaldati a 100° senza perdere alcool. Non siamo riesciti a combinare coll’ olivile gli alcooli butilico terziario e benzilico. Tanto l'idrato quanto gli alcoolati cristallini, riscaldati in corrente di anidride carbonica secca ad una temperatura di 130 a 160° si scindono, abban- donando il solvente e trasformandosi nel composto anidro che risulta come massa vetrosa perfettamente trasparente e incolora, fortemente rifrangente. Il suo punto di fusione è a circa 66°. Ricristallizzando questo prodotto da — 124 — uno dei solventi suddetti si ottengono i prodotti addizionali (idrato o alcoo- lati), mentre la sostanza cristallizza inalterata anidra da acetone secco, da alcool benzilico e dal trimetilcarbinolo. Allora fonde a 142°,5 e possiede la composizione C.0 Hsy 0; dedotta dall'analisi e confermata determinando le quan- tità di acqua o di alcool che perdono rispettivamente l’idrato ed i varî alcoolati. Parecchi tentativi fatti per determinare per crioscopia il peso moleco- lare impiegando il fenolo come solvente, ebbero esito poco confortante; nè si ottennero risultati migliori ricorrendo al metodo ebullioscopico e servendosi dell’alcool etilico e dell’acetone quali solventi. Questo insuccesso forse pro- viene dalla presenza degli ossidrili fenolici ed alcoolici nella molecola del- l’olivile. Prove istituite in seguito sui rispettivi anisoli, p. e. sul derivato bieti- lato condussero a risultati soddisfacenti e pienamente concordanti colla for- mula Cx0 Ha 07, e così ottennero conferma le formule date superiormente per l'olivile idrato e per i varî alcoolati. Con questa formula l’olivile contiene due nuclei benzinici con due ossi- metili e due ossidrili fenolici, i quali ultimi possono alla loro volta essere trasformati coi noti metodi in ossimetili, ossietili ecc. Abbiamo preparato tra altri i composti dimetil- e dietil-olivile e siamo anche riusciti ad introdurre un solo residuo alcoolico nella molecola dell'olivile; fatto questo che conferma un'altra volta la formula Cz, Hx4 07 per il composto anidro. Nell'intento di raccogliere altro materiale onde poter stabilire la costi- tuzione dell’ olivile, abbiamo sottoposto il suo derivato dimetilico e quello acetilato all’ossidazione, seguendo quantitativamente la reazione. Il derivato acetilico nell’ ossidazione eseguita con K Mn O,, fornisce con discreto ren- dimento acido acetovaniglico a fianco a poca acetovaniglina; mentre il dime- tilolivile dà come prodotti principali, acido veratrico e acido veratroilfor- mico; del primo circa 50°/, sul peso della sostanza ossidata e quasi altret- tanto, o poco meno, del secondo, accompagnati però costantemente da acido ossalico (7a 14 p. c.). Ciò dimostra che nella molecola dell’ olivile devono esistere due nuclei benzinici, i quali forniscono i due acidi appartenenti alla serie protocatechica e ne risulta altresì che questi due nuclei sono legati tra loro evidentemente da un gruppo C; H.003 e contengono ciascuno un ossi- metile ed un ossidrile fenico nelle posizioni in cui questi gruppi trovansi nella serie vaniglica. In appoggio a ciò sta l’altro fatto da noi constatato che l’ oli- vile a temperatura elevata si decompone e lascia distillare un liquido bruno, da cui facilmente si può separare un prodotto incolore, avente punto di ebol- lizione fisso e corrispondente per questo e per gli altri suoi caratteri al creo- solo, di cui possiede anche la composizione. Questo prodotto era già stato osservato dal Sobrero, che lo ritenne per un isomero dell’eugenolo, non avendo potuto ottenere cristallizzato un composto potassico, il quale invece risulta facilmente col nostro prodotto puro. lr biaiogo È — 125 — Trattando il dimetilolivile con anidride acetica si ottiene un derivato biacetilico, sotto forma di una sostanza vetrosa trasparente ed incolora, che non siamo riusciti ad avere cristallizzata e che colla potassa rifornisce la sostanza primitiva; questo dimostra la presenza di due ossidrili alcoolici nella catena Cs Hio 03. I fatti sin qui esposti conducono alla conclusione che l’olivile altro non è che un prodotto di condensazione tra due molecole di alcool coniferilico, o di un suo isomero, avvenuta coll’intervento di un atomo di ossigeno: sulla posizione e funzione di questo atomo di ossigeno non abbiamo ancora dati sufficienti per poter decidere con sicurezza. Isoolivile. L' olivile idrato od alcoolato, riscaldato per pochi minuti con acido acetico diluito (1 a 4) e meno bene con altri acidi, si trasforma quan- titativamente in un isomero, Isoolivile, che è pure due volte fenolo e due volte anisolo e possiede l'identico peso molecolare dell’ olivile anidro, da cui differisce per tutte le proprietà fisiche: la forma cristallina, il punto di fu- sione, l’azione sulla luce polarizzata ecc. Questa trasformazione non abbiamo potuto realizzare coi derivati metilato od etilato dell’olivile e, d'altra parte, ad onta di numerosi tentativi eseguiti in condizioni differenti, non siamo riu- sciti a ritornare dall'isolivile, o da un suo derivato, all’ olivile primitivo, 0 ad un derivato di esso. L'isolivile cristallizza pure con diversi alcooli e si unisce all’etere eti- lico. Devia energicamente a destra il piano della luce polarizzata, mentre l’olivile è levogiro e devia con assai minore intensità. L’isoolivile fornisce derivati mono- e bi- alchilici, tutti facilmente e bene cristallizzabili; i prodotti mono alchilati cristallizzano coi solventi (acqua ed alcooli). I prodotti di ossidazione del dimetil- e del dietil- isoolivile sono interessantissimi sotto diversi riguardi. Sono più complessi di quelli ottenuti dai dialchilolivile corrispondenti. Tra essi vi sono due acidi ed un composto neutro meno ossigenato, intermedio tra la sostanza primitiva ed uno degli acidi. In altra nota descriveremo queste sostanze, la cui costituzione molto pro- babilmente condurrà al riconoscimento della struttura della catena laterale e della funzione dell'ultimo atomo di ossigeno non idrossilico in essa con- tenuto. — 1260 — Chimica fisiologica. — Identità della colesterina del latte con quella della bile (‘). Nota del Corrispondente A. MENOZZI. La presenza della colesterina nel latte di vacca fu segnalata fino dal 1866 da Hoppe-Seyler (2); nel 1867 fu riscontrata e determinata quantitativamente nel latte di donna da Tolmatscheff (3); ed in seguito fu indicata come com- ponente normale del latte in generale da Hoppe-Seyler (4). Ma se è certa la presenza della colesterina nel latte e se si possiede anche qualche dato intorno alla quantità per la quale è contenuta nel latte medesimo, non è dimostrato finora che essa sia identica alla colesterina della bile. Da varî fatti si può presumere che si tratti dell'identico composto; ma non è esclusa la possibilità che si tratti invece di un isomero in gene- rale o di uno stereoisomero in ispecie. L’ esistenza di un isomero nel grasso di lana (il composto chiamato isocolesterina), e quella di isomeri nelle piante (i composti chiamati fitosterine), lasciano ammettere la possibilità che la co- lesterina del latte non coincida perfettamente con quella della bile. Per queste ragioni ho creduto utile di fare uno studio un po’ approfon- dito della colesterina del latte nell'intento di precisarne la natura. Questo studio presentavasi opportuno anche per un altro riguardo. Da qualche tempo è stata proposta l’identiticazione della colesterina del latte e rispettivamente la ricerca della fitosterina, come mezzo di riconoscimento della eventuale sofi- sticazione del burro con margarina (?), quando, come prescrive la legge tedesca, la margarina deve essere mescolata con olio di sesamo. Il quale metodo pre- suppone di conoscere perfettamente la colesterina del latte. Mi sono procurato una sufficiente quantità di colesterina del latte di vacca separandola col procedimento indicato dal Bòmer (5), procedimento che se ha l'inconveniente di richiedere molto solvente, offre il vantaggio di arrivare presto in possesso del prodotto quasi puro. La colesterina greggia l'ho purificata mediante cristallizzazioni da alcool dapprima poi da miscele di alcool ed etere. Sul prodotto puro si sono fatte le seguenti osservazioni e determinazioni. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica agraria della R. Scuola superiore di Agricoltura di Milano. (2) Medicinisch-chemische Untersuchungen, Heft I. (8) Medicinisch-chemische Untersuchungen, Heft II, 1867, pag. 272-75. (4) Physiologische Chemie, 1881, pag. 725. (5) A. Ròmer, Beitràge zur Analyse der Fette. Ueber den Nachweis von Pflanzenfetten in Thierfetten mittels der Phytosterinacetat probe. Zeit. fir Untersuchung der Nahrungs und Genussmittel, 1901, pag. 10-70. (5) Zeit. fir Untersuchung der Nahrungs und Genussmittel, vol. I, 1898, pag. 38. i 9 % i hr — 127 — Sciogliendo alcuni centigrammi di sostanza in 2 c. m. c. di cloroformio, aggiungendo 2 c. m. c. di acido solforico concentrato, poi agitando il cloro- formio, si colora in rosso-sangue dapprima, poi in rosso-ciliegia, mentre l'acido solforico presenta una forte fluorescenza verde. Versando in una capsula un po' della soluzione cloroformica sovrastante, si ha dapprima una colorazione bleu, indi verde e da ultimo giallo-pallida. La sostanza fonde a 147°. Scaldando in corrente d'aria secca ad una temperatura di 70-80° ('), gr. 1,450 di sostanza hanno perduto gr. 0,065, ciò che corrisponde a 4,48 °/o di acqua. La combustione della sostanza secca ha dato questi numeri: con gr. 0,3526 di sostanza si sono ottenuti gr. 1,0087 di CO; e gr. 0,387 di H.0. Da cui: CeAMS370 H» 1220. Il risultato della determinazione dell'acqua di cristallizzazione corri- sponde alla formola C, H,; OH. H.0, la quale richiederebbe 4,66 °/, di acqua. Così le determinazioni del carbonio e dell'idrogeno hanno dato dei risultati che si accordano colla formula C,; H4; OH, la quale (prendendo pei pesi ato- mici H=1;C=11,98:0= 15,88) richiederebbe: 0 Fei 3:30 H » 11,90 Ma d'altra parte vanno abbastanza d'accordo anche coll’ altra formola pro- posta per la colesterina allo stato secco C.; Hi; OH, che richiederebbe: Cia 83, 86 H » 12,00 Così soddisfanno all'altra formola pure proposta per la colesterina C,; H,;. OH. L'osservazione della soluzione cloroformica al polarimetro ha dato questi risultati: con una soluzione di gr. 4,501 di sostanza in cloroformio, al volume di 25 c. m. c., alla temperatura di 15°, in tubi lunghi 20 c. m., si è avuta una deviazione a sinistra di 12°,11". Da cui si ha pel potere rotatorio specifico: (a)g =— 339,7 per la sostanza idrata (a)t = —359,41 » Ù anidra. Operando presso a poco nelle stesse condizioni di concentrazione e tem- peratura colla colesterina della bile (gr. 4,620 in cloroformio a 25 c. m. c.) (!) Per eliminare l’acqua di cristallizzazione dalla colesterina non occorre arrivare a 100°; rimanendo a 70-80° si ha il vantaggio che la sostanza non si agglutina, come incomincia a fare a 100°. — 128 — ho ottenuto (@)f° = — 349,1 per la sostanza idrata e (@)f° = — 350,80 per la sostanza anidra. Sebbene i dati sopra riportati stieno a dimostrare l'identità della cole- sterina del latte con quella della bile, ho voluto, per maggior sicurezza, pre- parare alcuni esteri e compararli coi corrispondenti della colesterina biliare. Formiato. — Ottenuto scaldando a b. m. la colesterina anidra con acido formico anidro in lieve eccesso; evaporando, indi, per scacciare l’ eccesso di acido formico, poscia riprendendo il residuo con alcool assoluto bollente, con aggiunta di una piccola quantità di nero animale. Per raffreddamento il prodotto si depone in aghi ben sviluppati, se la soluzione non è troppo concentrata. Due ricristallizzazioni da alcool portano il prodotto allo stato di purezza. L'etere è anidro; fonde a 96° C. La determinazione del potere rotatorio ha dato questi solai gr. 2,7008 di etere, sciolti in cloroformio, portato il volume a 25 ce.; con tubi lunghi 20 cm. alla temperatura di 14° si è avuta una rotazione di — 11°12". Ciò dà per potere rotatorio specifico: (a) = — 519,83. Punto di fusione e potere rotatorio corrispondono perfettamente a quelli del formiato della colesterina della bile. Il punto di fusione, dato da Bòmer e Winter, che per primi prepararono quest'etere, è a 96°,8 (corr.). E questo è pure il punto trovato su un campione da me appositamente preparato; e pel potere rotatorio ho ottenuto (con gr. 3,005 a 25 cc.): (a)} = — 519,48. Avverto che pel confronto di questo come degli altri derivati della colesterina, di cui in appresso, rispetto al potere rotatorio specifico, è neces- sario lavorare per quanto possibile nelle stesse condizioni di concentrazione e di temperatura, variando sensibilmente il potere rotatorio medesimo a seconda dei due indicati fattori. Acetato. — Preparato col trattare la colesterina anidra con anidride ace- tica, portando all’ebollizione per alcuni minuti, poi evaporando a bagno maria al fine di scacciare l'eccesso di anidride acetica. Riprendendo il residuo con alcool assoluto bollente, scolorando con un po’ di nero animale, si ha tosto un prodotto incoloro, e con due ricristallizzazioni da alcool, affatto puro. Dal- l'alcool si depone in lunghi prismi aghiformi. Da alcool ed etere, in cristallii abbastanza sviluppati. Il prodotto è anidro; la combustione ha dato questi risultati: da gr. 0,258 di sostanza si sono ottenuti gr. 0,7748 di CO. e 0,2652 di H.0, — 129 — da cui C o — 81,50 H» — 11,39 L’etere acetico della colesterina della bile è stato studiato da Béòmer e Winter (!), i quali hanno dato per punto di fusione 114°,3-114°,8 (corr). Io ne ho determinato il potere rotatorio (con p. 5,500, sciolti in cloroformio a 25 cc. a 14°), ed ho ottenuto per potere rotatorio specifico (@)jj = — 429,5. L’etere da me ottenuto dalla colesterina del latte fuse a 114° (corr.): riguardo al potere rotatorio ho ottenuto questo risultato: gr. 4,2996 sciolti in cloroformio, a 25 ce.; con tubi lunghi 20 cm. a 14°, rotazione osservata — 14°,30. Ciò che dà: (a)ij = — 420,7. Il dott. Boeris ha studiato questo etere in confronto di quello della co- lesterina biliare e mi ha comunicato quanto segue: « I cristalli dell’acetato di colesterina secondo Zepharovich sono del sistema monoclino colle costanti: A 810 3 @= 1468.7203 = VEE « Hanno aspetto ora di laminette e ora di aghi e sono sempre allungati secondo l’asse [010]. Presentano le seguenti forme: 3001} }100} }101{ }110{ 3011} }010f {111 }112}. « Lo stesso aspetto 6 le stesse forme, meno }010}, hanno i cristalli di acetato di colesterina del latte. I valori angolari di quest’ ultimo sono in buonissimo accordo con quelli calcolati dallo Zepharovich per i cristalli dell’acetato di colesterina comune, come risulta dalla seguente tabella: acetato colesterina acetato colesterina della bile del latte (001) : (100) 73°,88' 739,36" (001) : (100) 50°,41'.18' 500,44" (110) : (100) 60°,32" 600,40" (110) : (001) 820,2" 820,5! (111) : (110). 25°,51".36' 250,52 (111) : (112) 16°,22/.18' 160.17’ Anche nei cristalli di acetato di colesterina del latte si ha una direzione (1) Zeit. fiir Untersuchungen der Nah. und Genussmittel 1901, p. 865. RenpIcONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 17 - RI di estinzione parallela allo spigolo [010]. Gli assi ottici poi sono in piani normali al piano di simmetria ». Benzoato. — Ottenuto riscaldando colesterina anidra colla quantità equimolecolare di anidride benzoica a 160° per alcune ore. Il composto fu purificato cristallizzandolo da miscela di alcool ed etere. at Il punto di fusione è stato trovato a 146°. Riguardo al potere rotatorio ecco i risultati ottenuti: gr. 3,7408 di sostanza, furono sciolti in cloroformio, portando il volume a 25 c. m. c.; la soluzione fu osservata in tubi lunghi 20 cm., alla temperatura di 13° C.; la rotazione rilevata fu di — 4°, 42°. Da cui si calcola: (0) = — 159,1 L'etere benzoico della colesterina della bile preparato per confronto, mostrò lo stesso punto di fusione: così pure il potere rotatorio è della stessa grandezza di quello ottenuto dalla colesterina del latte, le osservazioni fatte in proposito portano all’ espressione (a) = — 150,4. L'esame cristallografico compiuto dal prof. Boeris ha dato i risultati che qui si riportano. Benzoato di colesterina del latte. Sistema tetragonale. Ds e BISI forme osservate FOOL SIR ASS Angoli Valori osservati Valori calcolati: (00125, 789,48" Ì (111) : (1Î1) 879,30! 870,50 (001) : (112) 68%47/ 680,24" (001) : (113) 590,40! 599,17" Sfaldatura perfetta secondo la base. Doppia rifrazione negativa. La sostanza è quindi cristallograficamente identica al benzoato di cole- sterina della bile studiata dal Fock (Zeit. fir Krystall. und Min. XXI, 243) el preparato da Obermiller (Inaug. Dissert. Berlin 1893, 23). Il Fock peraltro prendendo pure come fondamentale il valore 78°,48' che osservò per lo spigolo (001): (111), calcola erroneamente questo rapporto parametrico amegci— I 0506265 e questi angoli (111): (1Î1) = 870,30 (001) : (112) = 689,42 a e e sr SRer — 1381 — pei quali trovò rispettivamente 88°,0' e 68°,33. Anche nei cristalli di ben- zoato di colesterina della bile si ha sfaldatura perfetta secondo (001) e doppia rifrazione negativa. i Tutti i dati soprariportati intorno alla colesterina del latte ed intorno ad alcuni suoi eteri stanno a dimostrare che essa è ‘identica a quella della bile. Biologia vegetale. — £iologia dei semi di alcune specie d'Inga. Nota del Corrispondente A. Borzì. Molte specie del genere /nga (Mimosee) presentano il rarissimo e forse nuovo caso di diretta disseminazione di embrioni, anzichè di semi normal- mente provvisti di tegumenti o di altri annessi. Tale particolarità, finora ignota agli autori, conferisce alla biologia della disseminazione e della ger- minazione di quelle specie qualcosa di quanto mai caratteristico ed interes- sante. Difatti facilmente si comprende che se fra le proprietà fisiologiche e biologiche del seme primeggiano quelle che permettono ad esso di persistere più o meno lungamente allo stato di riposo e di provvedere alla sua con- servazione e diffusione nei rapporti cogli agenti esteriori, importante argo- mento di studio divien quello in cui tali prerogative vengono per caso uni- camente e direttamente ad essere esercitate dal solo embrione pervenuto sul terreno spoglio di tuniche protettrici e regolatrici degli atti della vita este- riore. Per questo fatto gli embrioni d'/x9a hanno con sorprendente perfe- zione assunto i caratteri esteriori di veri semi completi; sicchè non può recar meraviglia se anche nelle opere fitografiche più autorevoli essi trovansi indi- cati e descritti col nome di semi. Quantunque siffatta particolarità è da ritenersi sia caratteristica di tutte quelle specie indicate dagli autori con semi ravvolti da un mantello polposo, la mia attenzione è stata rivolta soltanto alla Inga Fewsllei DC., la quale si coltiva in questo R. Orto botanico, ove è capace di raggiungere le dimen- sioni di un bell'albero che fruttifica copiosamente e regolarmente tutti gli anni. Riferendomi appunto a tale specie dirò che i legumi maturano nel corso dell'inverno e possono perfino raggiungere una lunghezza di 50 cm. Essi sono spessi e larghi fino a 4 cm. colle facce turgide e convesse e lungo le due suture fortemente schiacciati e depressi, dando luogo in questa regione a due robusti rilievi laterali marginali a mo' di ala. È precisamente lungo la faccia interna delle ale che prendono origine le fessure di deiscenza. Queste rimangono d'ordinario molto strette ed incomplete da non permettere la spon- tanea uscita dei semi. In tal modo i legumi maturi, sorretti da robusti pe- — 132 — duncoli, spenzolano dai rami costituendo un apparato di disseminazione pen- dulo, oscillante e liberamente accessibile alla visita di animali volatili e specialmente di uccelli. I caratteri normali dei semi vanno ricercati in legumi che abbiano ap- pena raggiunta metà o un terzo della lunghezza definitiva. Il corpo embrio- nale apparisce a quell'epoca completamente avviluppato dall’ integumento che ha l'aspetto di una membranella sottile, molle, bianchiccia, a superficie fina- mente granulosa e lucida, facilmente separabile dal corpo stesso. La parte più prevalente di quest'ultimo è rappresentata dai due coti- ledoni che sono di forma schiacciata quasi fogliacea, hrevemente ovale od ellissoide ed hanno un colorito pallido verdastro e stanno situati strettamente in contatto l'uno contro all’altro per mezzo della faccia interna. In tal guisa nel suo complesso il seme prende una forma lenticolare. La radichetta e l’asse embrionale scorgonsi appena appena, essendo na- scosti dai lobi cotiledonari. Sicchè nulla di anormale presenta nei suoi ca- ratteri morfologici il seme considerato in questo stadio. Più tardi a mano a mano che progredisce il grado di maturazione, l'’integumento diviene più spesso e di una tinta più chiara, mentre la superficie prende un aspetto to- mentoso più brillante di prima. Sotto la lente, questa appare tappezzata da un denso intreccio di brevi e delicate papille trasparenti, a rifiessi argentini o sericei. Intanto è cresciuto anche lo spessore e l'ampiezza dei lobi cotile- donari, e questi sono divenuti più duri, più rigidi e più robusti e fortemente convessi sulla faccia esterna, mentre la loro tinta tende già al verde olivaceo scuro, e va a poco a poco ad accostarsi al nero violaceo.’ A compiuta maturità e prima che avvenga la deiscenza, al posto dei semi scorgiamo allogate, dentro corrispondenti escavazioni o fossette all’ in- terno del legume, delle masse distinte di forma sferico-depressa, aventi l'aspetto di veri gomitoli di densa, molle bambagia, bianchissima, anzi a riflessi bril- lanti a dirittura come neve. Esse si distaccano facilmente e sotto la più lieve compressione salta fuori dal loro interno un grosso corpo lenticolare biconvesso, molto resistente, della grossezza di una fava comune, nero e lu- cente che facilmente sdrucciola e scappa dalle dita. La materia cotonosa sembra che aderisca alla superficie di detto corpo per mezzo di uno strate- rello membranoso, molle quasi come una pellicola cartilaginea. Il corpo stesso, per la durezza, per il colorito e per il posto che occupa, assume l'apparenza di un vero seme, mentre l’invoglio cotonoso sembra qualcosa di accessorio a questo e ci richiama a talune di quelle multiformi produzioni arillari che occorrono così frequenti nei semi delle Leguminose. A tale particolarità si riferiscono precisamente le indicazioni di semzna pulpa dulci involuta v. rarius nuda che leggiamo in HookER e BENTHAM (Gen. PI. 1, 599) e quelle di Samer von cinem Fruchibrei umgebem selten ohne diesen riportate nelle P/ansenfamilien di EnGLER e PRANTL (III, 8°, — 133 — pag. 101). Ma un'attenta considerazione ci rivela tosto che l'invoglio molle, cotonoso suddescritto, proviene direttamente dall’ integumento del seme, nessun altro organo accessorio o estraneo a quest'ultimo prende parte alla sua for- mazione, nemmeno temporaneamente; mentre ciò che rimane al disotto del- l'invoglio e così apparentemente ritrae i caratteri di un vero seme, rappre- senta integralmente l'embrione normale, completo in tutta la sua organiz- zazione. Durante la evoluzione del seme si riesce chiaramente a determinare che quella sorta di mantello d'aspetto, come si disse, serico e cotonoso, de- riva particolarmente dallo strato epidermico (o malpighiano) del tegumento seminale, di cui tutte le cellule si accrescono considerevolmente in altezza e formano estesi prolungamenti a mo’ di delicatissimi peli. Questi sono sem- plici e tratto tratto irregolarmente sinuosi e decorrono fitti e serrati, costi- tuendo una sorta di feltro compatto inestricabile. Le pareti sono sottilissime, trasparenti e si trovano mantenute in istato di forte tensione dall'abbondante succo cellulare, anch'esso diafano e ricco in modo superlativo di glucosto. Da tali condizioni fisiche deriva il candore sericeo brillante che contrad- distingue l’inviluppo di cui è parola. La straordinaria quantità di materia zuccherina del contenuto cellulare si rivela anche al semplice gusto. E così prende origine una materia eminentemente appetibile agli animali e molto gradita anche al palato dell'uomo stesso. Per questa ragione io ritengo, l'/xnga Feuillei e forse ancora altre specie congeneri, si trovano coltivate negli orti dell'America meridionale come piante a frutti commestibili. Gli altri tessuti del tegumento seminale, durante l'evoluzione descritta, non subiscono che lievi modificazioni. Da essi deriva lo stato membranoso interno dell’invoglio, il quale è formato da un parenchima del tutto omo- geneo. Soltanto da un lato questo è percorso dal fascio libero-legnoso prove- niente dal funicolo ombelicale; del resto le cellule si dispongono in piani regolari, e sono quasi tutte piuttosto piccole, con pareti mediocremente ispes- site: e cellulosiche, e contengono anch'esse abbondante copia di glucosio. Il tegumento seminale, così costituito, forma un tutto perfettamente di- stinto e indipendente dal sottoposto embrione e facilmente separabile da questo. Fra l'uno e l’altro anzi ordinariamente si frappone un tenue strate- rello di materia viscida e scorrevole al tatto e che umetta la superficie degli embrioni e fa sì che questi facilmente scappino e scivolino alla più lieve pressione esercitata colle dita nel momento di liberarli della tunica inviluppante. A prescindere per ora da ciò, essì presentano una forma lenti- colare biconvessa. Gli embrioni maturi somigliano come si è detto a grossi semi del tipo ordinario e comune alle altre Leguminose. Hanno nell'insieme una forma lenticolare biconvessa a contorno ovale o ellittico più o meno regolare, e un colorito nero violaceo intenso, talora anche nero piceo accompagnato da lu- — 134 — centezza quasi metallica che persiste anche alcun tempo dopo la dissemina- zione. Sono piuttosto massicci e capaci di pesare allo stato fresco da 3 a 4 gr. l'uno; sì possono paragonare per volume ad una grossa fava. La ma- teria di cui sono formati è resistente, anzi coriacea. Visti sul terreno somi- gliano molto grossolanamente a dei grossi coleotteri, carattere che, come ve- dremo, potrà avere la sua particolare importanza. I due cotiledoni sono fortemente convessi verso il centro e combaciano così strettamente colla loro faccia interna piana da riuscire quasi difficile lo scorgere a prima vista la linea di commissura; anzi per assicurare la per- fetta chiusura dei margini dei due lobi cotiledonari, gli orli sono spianati ed inclinati in modo da corrispondersi esattamente come i battenti di un uscio. Talora anche per lo stesso scopo l'orlo, sollevato e spianato, di un cotiledone sì ribatte sul margine dell'altro. Le due facce interne dei cotiledoni presen- tano verso la base una piccola fossetta o scannellatura destinata a ricevere l'asse dell'embrione, in guisa da rimanere questo ermeticamente chiuso 6 riparato. La biologia della disseminazione e germinazione dei semi dell'Ixga Fe- willei dà ragione di altre importanti particolarità di struttura che presen- tano gli embrioni. Progredendo lo stato di maturazione dei semi, il cresciuto volume del- l'embrione forza le linee di deiscenza e determina l'apertura parziale del legume. Il mantello sericeo candidissimo che involge i semi sì scorge facil- mente al di fuori. La materia zuccherina copiosissima accumulata nei suoi elementi serve di esca ad alcuni uccelli. Le valve del legume spenzolante dai rami non si aprono completamente, ma per quanto basta a rendere appa- riscenti i semi. Anche le pareti interne del legume presentano la stessa tinta candida e brillante. Tutto ciò è sufficiente ad esercitare una bastevole azione vessillare sugli uccelli, essendo questi particolarmente dotati di eccellente po- tere visivo a grande distanza. Sotto il clima di Palermo la disseminazione della Inga Fewsllei ha luogo per mezzo delle capinere. Ho visto questi animali aggirarsi intorno all'unico esemplare di quella specie che coltivasi nel Giardino botanico, lan- ciarsi sui legumi già aperti e senza cessare il volo afferrare e carpire col becco qualche seme e tentare di asportarlo. La grossezza di questo e la faci- lità colla quale l’inviluppo si separa dal corpo embrionale, ordinariamente sono di ostacolo perchè l’animale riesca ad impossessarsi subito od a portar via a grande distanza integralmente qualche seme del quale si è impadro- nito. Molto spesso, alle prime strette, il mantello sericeo si lacera, l'embrione scivola rapidamente di bocca e cade sul terreno. Così la polpa dolcissima dell’invoglio è subito inghiottita. i Per questa ragione, e nel caso particolare da me osservato, si può dire che i semi d’/rga non possiedano disposizioni atte ad assicurare ad essi È i — 155 — un'estesa disseminazione. Ma ciò poco importa per la diffusione della specie, giacchè, come molti esempî ci ammaestrano, la grossezza ed il peso dei semi o frutti ed altre difficoltà materiali che a prima vista sembra debbano riu- scire. di ostacolo ad una larga disseminazione per mezzo di animali o del vento, non costituiscono sempre una condizione di svantaggio in ordine alla diffusione geografica e di fronte ad altre specie fornite di semi o frutti più facilmente asportabili a grandi distanze. E a questo proposito va notato che questa specie, come altre del genere appartengono al novero di quelle che formano oggetto di coltura negli orti dell'America meridionale a cagione deì frutti, come si disse, commestibili; e quindi trattasi di una circostanza che molto vantaggiosamente può influire sulla frequenza e disseminazione della specie. Con tale artifizio dunque gli embrioni nudi di /r94 pervengono sul ter- reno, e si inizia tosto o tardi la fase della vita germinativa. Se la dissemi- nazione venisse però ritardata o impedita per cause esterne e specialmente per la mancata visita degli uccelli disseminatori, la germinazione ha luogo all'interno dello stesso legume. Avendo osservato questo caso nelle piante coltivate sotto il nostro clima, non saprei affermare se debba considerarsi come un fatto normale e caratteristico di questa specie. Certo che tutte le più favorevoli condizioni influiscono sulla germinazione degli embrioni all’interno dei legumi. Il voluminoso mantello di cui sono involti i semi è sede di grande copia di umidità; sicchè le prime fasi germinative possono compiersi regolarmente e prontamente. Ho visto degli embrioni in germinazione dentro legumi rimasti appesi tutto l'inverno sui rami, in cui la radicetta aveva raggiunto una lunghezza di 5 cm. Un lieve spiraglio praticato attraverso le linee di deiscenza per la pressione esercitata dagli embrioni germinanti, basta a favorire l'uscita della piumetta. In tal modo, ripeto, possiamo benissimo spiegarci i frequenti casi di v/viparità da me osservati senza attribuire ad essi un carattere normale per la specie di cui è parola; almeno ciò non è possibile finchè non saranno compiuti studî sull'argomento nei paesi ori- ginari. Sul terreno, gli embrioni nudi si trovano subito esposti a quelle mede- sime condizioni che ordinariamente agiscono sui semi. Il seme, è bene ricor- darlo, a prescindere dalle sue attitudini fisiologiche, che lo rendono per eccellenza idoneo alla conservazione deila razza, non è che un vero apparato biologico destinato a regolare l'esercizio di quelle attitudini sotto la influenza degli svariati e variabili rapporti coll’ambiente. Tutti gli embrioni dei vege- tali superiori fondamentalmente si somigliano perchè identica ed unica è nella sua essenza, presso ogni individuo, la maniera colla quale è provveduto alla conservazione della specie; identica è, cioè, la funzione della radicetta. dei cotiledoni e della piumetta. Ma il pieno esercizio di tale funzione esige l'intervento di molteplici e differenti atti biologici ai quali sono principal- — 136 — mente deputate tutte le parti annesse o accessorie che sogliono accompa- gnare l'embrione sul terreno. Ciò spiega il vero significato degli invogli e degli altri annessi seminali, e nel caso particolare degli embrioni d’Irga la considerazione, come feci rilevare, acquista molta importanza, perchè l’em- brione stesso e da per sè medesimo, in questa specie deve soddisfare alle medesime condizioni biologiche per regola devolute al seme completo. E fra queste primeggia la capacità di resistere e conservare più o meno lungamente la facoltà germinativa senza pregiudizio dello sviluppo. Questa proprietà è invero importante nei riguardi fisiologici e molto più dal lato biologico. Se un embrione venisse sottratto dai tessuti o dalle parti che lo cir- condano e abbandonato sul terreno, difficilmente riuscirebbe a compiere il suo sviluppo, poichè esso manca della facoltà di adattarsi e resistere alle azioni dell'ambiente; sopratutto fa difetto in esso il potere di resistenza alla se - chezza e le sue parti delicatissime si disseccherebbero hen presto. Negli embrioni d'Inga Fewillei il caso è diverso. Za resistenza alla secchezza raggiunge in essi un maximum paragonabile soltanto con quello che avviene in semi perfetti. Ho esposto per quindici giorni continui all'aria racchiusa sotto una campana di vetro e tenuta secca per azione dell'acido solforico concentrato alcuni embrioni, senza che rimanessero menomamente alte- rate le facoltà germinative di essi. Detti embrioni erano stati in precedenza pesati e la perdita di peso subita in quindici giorni è qui appresso segnata: Peso Peso perduto Peso primitivo dopo il dissecca- | Peso perduto in rapporti mento centesimali I. Embrione gr. 3,362 gr. 1,968 gr. 1,394 41% II » » 8,017 » 1,662 » 1,955 44 o III » » 8,780 » 2,328 » 1,472 39 9 IV. D) » 3,303 » 2,016 » 1,287 39 o V. ” » 3,578 » 2,128 » 1,450 40 °/o Da tali dati si scorge anzitutto che la perdita d’acqua avvenuta per effetto della traspirazione è stata relativamente insignificante, tenuto conto del volume degli embrioni e della durata della esperienza. L'esame anato- mico infatti dimostra che tutto il corpo embrionale, specialmente i cotiledoni che ne rappresentano la parte più rilevante, è costituito da tessuti compatti, privi affatto d’interstizî aeriferi e di lacune dentro cui possano l’acqua o il vapor acqueo circolare o depositarsi. Tutto il lavoro della emissione del- l'acqua si riduce ad un ‘semplice processo di traspirazione cuticolare, che da per sè stessa rappresenta cosa molto esigua. Mancano idatodi o simili organi; nè esistono stomi in tutta l'epidermide e gli elementi di questo ci » — 137 — tessuto, relativamente molto piccoli e di forma poligona tabulare, sono fitti, serrati e costituiscono un plesso compatto, omogeneo, rivestito da uno strato cuticolare abbastanza spesso. A preservare vieppiù dal disseccamento gli embrioni giova efficacemente lo strato di cellule od antociana situato sotto l'epidermide e formante una zona continua e omogenea in tutto il percorso degli organi. Il copioso con- tenuto di materia tannica, che contraddistingue siffatti elementi, basta a dimostrare l'importanza biologica di detto strato in ordine alla funzione traspirativa. Ma anche sotto altri riguardi è importante la considerazione di tali cellule come adattamento o mezzo di esplicazione della funzione difensiva nei rapporti cogli animali, imperocchè da una parte la presenza del tannino alla periferia degli embrioni costituisce una cinta, si può dire, di sicurezza contro l'avidità di molti roditori, essendo quella materia amara e disgustosa al palato; dall'altra, determinando siffatti elementi la caratte- ristica colorazione nero-violacea intensa dei cotiledoni, è possibile pensare che molto probabilmente la funzione difensiva venga esercitata col mimismo, giacchè, come fu rilevato, tenuto conto della forma, quella tinta conferisce agli embrioni una certa grossolana rassomiglianza col corpo di alcuni insetti. Le descritte disposizioni protettive riguardano naturalmente i soli coti- ledoni, che per il loro considerevole volume rappresentano certo la parte più rilevante dell'embrione. Posti strettamente in contatto fra di loro, essi servono nel tempo stesso a proteggere le altre parti del germe, le quali, come si disse, sì trovano interamente racchiuse e nascoste dentro un'apposita fossetta o camera scavata alla base di ogni lobo cotiledonare. - Ma oltre a ciò, tanto la radichetta, quanto la plumula, compreso l’asse epicotiledonico, possiedono particolari proprie disposizioni di difesa contro la secchezza o altre azioni esterne. La radichetta infatti all’epoca della disseminazione ha l'aspetto di un corpo conico massiccio, lucido, della lunghezza di circa 2 mm. sopra una larghezza di 1 a 1‘/, mm. Sezionandola longitudinalmente colpisce il consi- derevole sviluppo e la particolare struttura della pileoriza e questa prende il carattere di un vero astuccio resistente, formato da elementi compatti densamente associati fra di loro in strati periclinici fitti a pareti relativa- mente spesse. La compattezza e resistenza crescono verso l'esterno, anzi l'estrema serie di cellule periferiche presenta pareti distintamente cuticu- larizzate. Durante la germinazione siffatto astuccio si sfalda e staccasi in striscioline irregolari, mentre il cono di vegetazione si allunga. La plumula, compreso l’asse epi- ed ipocotiledonico, quantunque poco evoluti, sono coperti da una densa e lunga pelurie di color fosco ferrugineo formata da due sorta di peli; gli uni molto forti, rigidi e cuticularizzati, unicellulari; gli altri più brevi, costituiti di molte cellule sferiche e in sommo grado turgescenti per la grande copia di tannino che contengono. RenpIcontI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 18 — 138 — Gli embrioni nudi di /n94, disseccati al lento calore di una stufa, si contraggono, si riduce alquanto il loro volume e la materia da cui sono formati, prende una consistenza quasi cornea. Osservando in tale stadio la radicetta e la plumula, si può rilevare che il disseccamento non ha alterato questi ultimi organi. Tenuti in acqua per alcune ore, gli embrioni ripigliano a poco a poco il primitivo vigore e germinano regolarmente. Sottoponendo degli embrioni freschi ad una corrente d'aria calda e secca e molto lentamente facendo innalzare la temperatura sino a 65° C., si otten- gono i medesimi risultati. Notisi anche che nel caso di tali esperienze gli embrioni si sono trovati esposti per due ore ad una temperatura compresa fra’ 50° ai 60° C. È possibile che i limiti di resistenza al calore sieno ancora più elevati sperimentando su embrioni disseccati spontaneamente alla tem- peratura normale. A questo riguardo il loro comportamento può dirsi identico a quello dei semi delle altre Leguminose. Mancano però osservazioni sul limite mas- simo di durata delle facoltà germinative. i Nei semi in generale, le disposizioni relative all'aeramento e al regime dello scambio dei prodotti gassosi hanno principalmente sede negli integu- menti, particolarmente nelle Leguminose. Nel caso- dei semi d'/nga l’eser- cizio della funzione aerifera non esige speciali artifizî, essendo gli embrioni nudi. Ma mentre i cotiledoni colla faccia loro esterna sono in diretto con- tatto coll’aria, l’asse dell'embrione e specialmente la radichetta, trovandosi, come si disse, ermeticamente chiusi dentro una particolare fossetta scavata verso la base della faccia interna dei lobi cotiledonici, occupano una posi- zione meno vantaggiosa nei rapporti coll'ambiente, tanto più che le dette due facce interne dei cotiledoni si toccano e si comprimono a vicenda im- pedendo l'accesso all'aria. Perchè questa dunque giunga in contatto all'asse embrionale, occorre che la fossetta comunichi coll'esterno. A tal uopo ciascun cotiledone presenta alla sua base un'angusta fessura mediana, che partendosi dall’estremo lembo va a raggiungere detta escavazione. La fessura di ciascun cotiledone si corrisponde esattamente con quella dell'opposto lobo, e ne deriva un vero canalicolo molto stretto sul cui fondo troviamo situata la radichetta rivolta colla sua estremità verso l'esterno. In tal modo, con un artificio molto semplice, prende origine un condotto che possiamo opportunamente chiamare respiratorio, il quale interamente corrisponde per funzionalità al canale micropiiare, cui in mancanza si sostituisce. E quasi per avvalorare vieppiù siffatta analogia, l'apertura esterna del descritto condotto, esaminata in semi non ancora maturi, va a sboccare nel dutto micropilare. Sicchè la via del movimento dell’aria apparisce sin dai primordî aperta a beneficio della radichetta e dell'asse cotiledonare. Intorno alla biologia della germinazione mi restano poche considerazioni da fare. | LI 1 y — 139 — Gli embrioni d’/Ixga germinano alla superficie del terreno. I cotiledoni sono quindi ep/gez, ma non presentano che scarsi adattamenti allo esercizio della funzione clorofillica, giacchè troppo esigua è la quantità di clorofilla contenuta in essi. Già fin dai primordî della vita embrionale si nota una debole colorazione verdastra nei lobi cotiledonari dovuta a rari granuli clo- rofillacei; ed anche a maturità persistono tali condizioni. I cotiledoni vanno a poco a poco ad assumere i caratteri di due voluminosi serbatoi di materia amilacea. Il tessuto è nel suo complesso un parenchima molto compatto ed irregolare per la distribuzione degli elementi. Le pareti cellulari sono rela- tivamente spesse, cellulosiche e altraversate da frequenti punteggiature che rappresentano i luoghi di passaggio di minutissimi processi fibrillari proto- plasmatici intercellulari. Durante la germinazione i lobi cotiledonici conservano la caratteristica colorazione nero-violacea, la quale persiste fino a compiuta fase germinativa. Non vi è alcun dubbio sul significato biologico particolare di tal fatto, visto che lo sviluppo si compie all'aperto senza alcun riparo contro l’azione molto intensa della luce. Lo strato superficiale ad antociana, per la presenza in esso della sostanza tannica, deve evidentemente costituire anche un efficace adattamento contro gli attacchi degli animali. Nella germinazione di semi in generale il primo e più importante atto è quello destinato a liberare la radichetta e l'asse embrionale da ogni osta- colo circostante a far sì che essi si svolgano agevolmente. A tal’uopo l’in- tegumento si rompe secondo determinati modi. Negli embrioni d’/rga i cotiledoni, crassi, massicci, resistenti e fortemente serrati l’uno contro l’altro, abbracciano strettamente le altre parti dell'embrione. A favorire lo svolgi- mento di queste giovano anzitutto le fessure che abbiamo osservate alla base di ogni lobo cotiledonare. Esse costituiscono, come si è detto, un angusto con- dotto, al fondo del quale sì trova collocata la radichetta colla punta in fuori. Le pareti di detto canale sono determinate dalla convergenza dei margini delle fessure. Poichè ogni fenditura divide il lembo inferiore di ciascun lobo coti- ledonare in due distinte lacinie per una lunghezza uguale a circa 1/; dell'asse longitudinale mediano del lobo stesso, si può dire che alla formazione delle pareti del condotto concorrano quattro distinti pezzi coi loro margini interni. Il che rende più agevole l’avanzarsi della radice, riducendosi quasi a nulla la difficoltà che dovrebbe superare in confronto al caso in cui questa fosse obbligata a spostare la intera massiccia massa dei due lobi se fossero rimasti indivisi. L'allungamento della radichetta è seguito anche da quello dell’asse ipocotiledonare, il quale si dirige nel senso geotropico positivo come la radice medesima. Tuttavia il detto asse cessa di allungarsi prestissimo e rimane molto corto, tutto al più un paio di millimetri; sembra che la sua funzione si riduca a quella sola di aiutare la radice a raggiungere prontamente il terreno. Del resto il fatto che i cotiledoni, quantunque epigei, non sono — 140 — adattati alla funzione clorofillica, pone un limite all'ufficio biologico dell'asse ipocotiledonare. Con un meccanismo un po’ diverso, il fusticino, compresa la plumula, si apre una via d'uscita attraverso i due massicci lobi cotiledonari. A tale scopo questi ultimi divengono a poco a poco divergenti. L'allontanamento è lieve ed all'apice importa tutto al più un'ampiezza di 3 0 4 mm.; ma ciò basta per determinare la formazione di uno spiraglio proporzionato al passaggio del germoglio. Il moto di divaricazione dei lobi cotiledonari non dipende da A particolare maniera di accrescersi dalla loro base; anzi in questa regione essi restano strettamente addossati quasi saldati rigidamente coll'asse dell'em- brione. Notevole è invece il fatto di una vera inversione che si manifesta nella forma di detti organi, in modo che la faccia esterna, la quale era da prima convessa, diviene piana durante la germinazione, mentre al contrario quella interna, già piana, in corrispondenza e properzionatamente acquista un contorno manifestamente convesso. Anche i margini vieppiù s'ispesssicono, e così rimane definitivamente assicurato al germoglio il modo di svolgersi in via normale. Dalle esposte osservazioni risulta dunque che gli embrioni dell’/nga Feuwillei e di altre specie dello stesso genere, pervengono sul terreno affatto spogli dei tegumenti seminali, i quali sì sono trasformati in una sorta d'in-. viluppo polposo, atto ad adescare, colla grande copia di zucchero contenuto e col colorito candidissimo, determinati uccelli e a promuoverne così la dissemi- nazione. Particolari adattamenti biologici possiedono inoltre gli embrioni stessi in tal guisa disseminati, per cui sono resi capaci di conservare a lungo la loro facoltà di sviluppo provvedendo alle funzioni della difesa contro la ec- cessiva radiazione e traspirazione, contro gli animali roditori ed in generale assumendo tutte le qualità fisiologiche e biologiche dei semi completi, come lo sono molto somiglianti nei caratteri esteriori. Anche durante la fase germi- nativa si rilevano importanti analogie di adattamenti caratteristiche del ger- mogliamento dei semi stessi. ted Matematica. — Sulle condizioni d'integrabilità di un parti- colare sistema d'equazioni alle derivate parziali, e loro appli cazione a un problema di geometria. Nota del dott. P. BURGATTI, presentata dal Socio V. CERRUTI. 1. Sia dato il sistema composto delle due equazioni | sea dI Beto A (1) ( + 219 9 Y 423 dy da + 2431 x =; d dI DA ABI i it DE DOLO — ldl — ove as = 4y, ® le @,5,@,8,y sono funzioni delle variabili indipendenti X,Y,8. Noi vogliamo determinare le condizioni necessarie e sufficienti, perchè esse abbiano delle soluzioni comuni (!). Ponendo per brevità dP d ì U@=u D+ dia et? dig + ((=1,2,8) Vg= ast + ear ti, il sistema dato si può scrivere sotto la forma seguente: CHA UNE o voy=o0. Consideriamo adesso l'equazione v(Lum+Lum+Lvm)- Di ) e eg VO MITE o Dl ih CATE LUASE AE II) iI e È chiaro che essa ammette tutte le soluzioni comuni alle equazioni date. Eseguendo le operazioni ivi indicate, le derivate seconde si elidono; e si riduce infine alla forma ©) Gt + 2A, LL Log LU pag LL _o, ove 2 / A = V(a1) Fan 2U;(@) , dee = V(422) Too 2U(8) , Agg = V(433) fi 2U3 (7) MAr V(42) Cani U, (8) Ta U,(@) ) Agg = V(42) — Us(7) — Us(8) , As:1= V(an) — Us(0) va Un). (3) A questa equazione e al sistema dato possiamo aggiungere le seguenti: dI dI Ri dI SUI (1) Quando la soluzione comune ha la maggiore generalità possibile, si dirà che il sistema (1) è completo. ee ona Per ottenere le condizioni cercate esprimeremo che tutte queste equa- zioni non sono fra loro indipendenti, cioè che sono nulli tutti i minori del 5° ordine della matrice: An Aso Azz Ai Ax Aa di 422 433 da 423 Usi 2a 0 0 b 0 y 0 280 a y 0 0° OMO, 0° gie Indicando allora con 41,4», 43,4, quattro indeterminate, dovranno sus- sistere le relazioni seguenti: 23 adi + 24,0 , Ass=A1 A39° + 2438 NA Ss= 4h d33 + 2% y A;g=4, l9 + 4A:B + 430, As3= 41093 -+-43y + 448, Ag, = 410314427 + 440, dalle quali è facile dedurre \ AG B°+ Aos a? 2A; aB=A, (0 B° + d22 a? — 202 e) (4) ‘ Ago y? + A33 8° — 2A33 By= ZA (Q92 y? + 033 8° — 2053 By) | Agg a + VAGO Y° = As; yo «5 À; (433 at + (VASI Y° 2 2431 ya) o Così le condizioni trovate sono in numero di due, e si ottengono dalle (4) colla eliminazione di 4, ; ma noi le terremo sotto questa forma. Se sono soddisfatte, diremo che il sistema dato è completo, nel senso che chiariremo più innanzi. i Moltiplichiamo la prima delle (4) per y°, la seconda per @?°, la terza per 6°; poi sottragghiamo dalla prima le altre due, dalla seconda le altre, _ e dalla terza pure le altre. Si ottengono in tal maniera le tre equazioni seguenti, che sono perciò una conseguenza delle (4): TAGS aB+ Ao ay—À 7} — Às3 A= À; (G12 aB+a0y di yf — 423 a?) (4) Ao1fy + Ass Ba— Ass ay_ÀA3i B°= A (02 By + 403 pa 4,,0)y— dz: 8°) Az, 70 TÀ 18 — Assfa—A,,y? = (435 ya + U31Yf — a33Pa— Ma Y?). Indichiamo con 833, dir; dee, 023, 031 € dis ordinatamente i secondi membri (escluso il fattore 4,) delle (4) e (4’), e con B33, Bu ece. i primi membri; da quelle formule risulta che le due forme dir È° + bor Uh + da3 $° + 2b19 En + 2023 + 2b3, CÈ Bu è* + Boo Uh + B33 6° + 2Bie în + 1Bss né + 2B»1 SÉ differiscono per un fattore. Ma la prima forma è un controvariante algebrico — 143 — del sistema ani Èi + d22 ni + 433 Èî + 2010 È UN + 2023 N a + 2431 da È (aé + Pn + yi); e la seconda l'analogo controvariante del sistema (8) 0 An E + As9 ni + Ass hi + 2A0 È) Na i 2Ag3 Vi ùi n 2Ag da di (aE, + Pm + 761); onde risulta che le condizioni, perchè il sistema dato sia completo, si ottengono esprimendo che il controvariante del sistema (8) differisce per un fattore da quello di (8°). Rimane a mostrare che le condizioni così ottenute sono necessarie e sufficienti, perchè il sistema (1) sia completo. Dalla seconda delle (1) rica- df viamo l'espressione di Foa, e sostituiamola nella prima; si trova (8) (@11 8° + a22 a? — 2a13 aB) i + (433 8° 4 422 7° — 2423 78) El ne LL dI d +2 (010 8° — an ay — tas a) DL _ o; la quale può essere decomposta in due Ò df df di i L_ e ge negre (posto a11 8° + asa — 24 a8+0). Allora è chiaro che le soluzioni del sistema (1) dovranno essere quelle di uno dei due sistemi \L da. ul «© RALE RE Did vr eni I ) DI putee d [da B na (26 BO e (5) o di entrambi. In questo secondo caso i due sistemi devono essere Jacobiani; perciò danno luogo a due equazioni di condizione. Le soluzioni del sistema (1) saranno allora g(0,) e Y(ws), ove p e vw sono funzioni arbitrarie dell'ar- gomento indicato; ©, soluzione del primo sistema Jacobiano, w, del secondo. Ora è facile vedere che le condizioni in discorso equivalgono a quelle già dI trovate. Infatti, fra la equazione (2) e la seconda delle (1) eliminiamo yi sì ottiene come precedentemente I Andre — 241: 09)( + dea +e 240) (LY+ dr. dA Di 49 S dI dI 4 2(A13 8° + Ass @y — Ax9 Py — Az3 08) 2 — 144 — la quale, poste le solite restrizioni, si decompone in due: df ACI A df CE dv ©“ da de Poichè la (2) ha tutte le soluzioni del sistema (1), i due sistemi (OE 0. 5) (n IT a SO + ( id d_, Î Di nl rteo DINA dY b de \ dY Ve) de WI saranno Jacobiani; ed è chiaro che non potranno differire dai precedenti (5). Per conseguenza la (2') e la prima delle (1’) dovranno avere i coefficienti proporzionali. Se scriviamo che ciò avviene, troviamo precisamente le condi- zioni (4). Risulta quindi dimostrato che il teorema precedentemente enun- ciato dà le condizioni necessarie e sufficienti, perchè il sistema dato sia completo. Può avvenire, come abbiamo detto, che uno solo dei sistemi (5) sia Jacobiano. In tal caso i coefficienti delle date equazioni devono soddisfare ad una sola condizione; e la soluzione sarà della forma g(@), ove @ è il simbolo d’ una funzione arbitraria. Tale condizione si può ottenere sotto forma razionale rispetto ai coefficienti. Infatti, se uno dei sistemi (5) è Jaco- biano, tale deve essere anche uno dei sistemi (5'). Siano i primi due. Do- vendo ammettere la medesima soluzione, è chiaro che deve ‘essere = @d- Dunque per ottenere la condizione cercata, basterà esprimere colle regole note dell'algebra che la (2') e la prima delle (1'), considerate come equa- zioni del 2° grado in aL ; >, hanno una radice comune. Quando questa unica condizione è soddisfatta, si dirà che il sistema (1) è semz-completo. 2. Il sistema (1) s'incontra in alcune questioni di geometria. Sia g(2,y,4)= cost l'equazione di una famiglia di superficie con le assintotiche reali. Considerando sopra ogni superficie della famiglia le assin- totiche di un sistema, si ottiene nello spazio una congruenza di curve. Per quali famiglie g= cost. tale congruenza è normale? E per quali sono 207- mali le due congruenze formate colle assintotiche di un sistema e con quelle dell'altro? Per risolvere questo problema, indichiamo con f(x ,y,4)= cost. l'equa- zione della famiglia di superficie che tagliano ortogonalmente la congruenza formata dalle assintotiche di un sistema. Si avrà pertanto: 29 dI PI IP _ dI Say dY no dA — 145 — Inoltre, indicando con d& ,dy, dz gl' incrementi che subiscono le coor- dinate di un punto M, quando si passa da esso ad un punto infinitamente vicino sulla assintotica considerata, e giacente sulla superficie g = cost. che passa per M, deve essere evidentemente dw dg d@_ (ona EVE 7 0, e per l’ortogonalità della congruenza Ly) DI Sviluppando i calcoli, si trova subito che, se g = cost. è una famiglia che gode della proprietà voluta, la funzione /(x,%,z) deve soddisfare al sistema dp (2 LP (2 (dI dI E) A dY° Ci Ù de? Es) ui te ae di da De _ da dY da dY dy da dYy de delda de da. dd DINO dIP_df i ( Y dY d il quale è della forma del sistema (1). In questo caso le 4,1, 422... sono le derivate seconde di pg, ed @«,f#,y le derivate prime; per conseguenza le Ai: Ao»... conterranno linearmente le derivate terze di g. Ora per le cose dette, il sistema (6) può essere completo o semi-completo. Perchè avvenga il primo caso, i coefficienti delle (6) devono soddisfare a due condizioni (quelle che si deducono dalle (4)), le quali si traducono in due equazioni alle derivate parziali terze rispetto a g; perchè avvenga il secondo, i coeffi- cienti devono essere legati da una sola condizione, che si traduce in una equazione del 3° ordine, alla quale deve soddisfare g. Ponendo in generale dU dV dU dV du dU O Sn dI dI dY dY d8 94 i coefficienti A,, hanno nel caso presente le espressioni seguenti: È d È d du 4(9,34)—24(3£, 22) An 4(6,50)-24(£ e) ’ dI da dI dY dY dY Qi D) : An 4(9,39)—24(È ci i d ù d An=4(9, dg )_24(®£. 2) Au (9, dg —24(3£.22) dI dY de dY dY d dYy de x sd 4(9 d x) 7 24) RenpIconTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 19 — 146 — Così, con la scorta delle considerazioni fatte nel paragrafo precedente, si scrivono subito le equazioni differenziali, dalle quali dipende la risolu- zione del problema geometrico proposto. Ma noi non scriveremo tali equazioni, perchè a questo problema se ne associa un altro, il quale dà luogo ad equazioni di forma più semplice. Deriviamo, infatti, la seconda delle (6) una volta rispetto a ciascuna varia- bile indipendente; si ottiene Digdf e DIRO RA DEAR > DARI) ua DAD IESE do LIT e don ed analoghe, le quali trasformano la prima delle (6) nella seguente: DEA IRINA «DIMMI a dI RE da? A dY dI dY Ù DEI DI De ui LA CERA s) da da là va ci DA EI LU si Quindi, posto - dì 2L\ SR = i. ti (- n D- te ( De JLe ne risulta che il sistema (6) equivale al seguente: de 93 | 9?3H | IH _, dana: Ie ga OPP PRE ag nomino II BA ; (7) che è di facile interpretazione. Le superficie delle due famiglie H = cost. e f= cost. tagliano ortogonalmente quelle della famiglia g = cost.; e poichè, per cose note, le intersezioni delle H = cost. con le f= cost sono le linee di equidistanza di / = cost., si conclude: Ze trazettorie ortogonali della famiglia p= cost. sono le linee di equidistanza della famiglia f= cost. A questa conclusione si poteva anche giungere con un ragionamento pura- mente geometrico. Infatti, le normali di una superficie g = cost. lungo una delle assintotiche considerate sono le binormali di questa curva; d'altra parte essa è traiettoria ortogonale della /= cost., quindi quelle binormali sono le tangenti alle linee d’ equidistanza delle /= cost.; ciò in virtù d'un teorema noto ('). Quanto alla famiglia /= cost. possiamo anche dire che le sue linee d'equidistanza formano una congruenza normale. (1) Morera, Sui sistemi di superficie e loro traiettorie ortogonali (R. Ist. Lomb. 1886). (8) — 147 — Le funzioni /(2,y,4), che uguagliate a costante definiscono queste famiglie, soddisfanno ad una equazione differenziale del 3° ordine. Esprimendo che le (7) formano un sistema completo rispetto a @, si trova (68) A638) (1.2) (038) 40) dH dDH dH da yY de dI df DIA da wy de che è l'equazione cercata. Ad ogni /(x,y,) integrale di questa equazione corrisponde, in virtù delle (7), una famiglia g = cost., che ha una congruenza normale di assintotiche. Riguardo alle famiglie g= cost., che hanno normali le due congruenze di assintotiche, abbiamo detto che devono soddisfare a due equazioni del 3° ordine; onde è necessario di proporsi la questione della loro esistenza. La quale sì risolve subito ricorrendo alle (7) e (8). Se @ = cost. soddisfa la condizione ora detta, devono esistere due soluzioni distinte / e n della (8) tale, che i due sistemi completi (7) costruiti successivamente con / e fi abbiano una medesima soluzione p. È chiaro che ciò è impossibile. Si conclude che non esistono famiglie di superficie che abbiano normali le due congruenze di assintoliche. Come applicazione, si possono determinare le soluzioni della (8) della forma X(2) + Y(y)+Z(<); e poi le g(4,y,) corrispondenti. Matematica. — Sulle terne ortogonali di congruenze a inva- rianti costanti. Nota di A. F. DALL’AcQuA, presentata dal Corri- spondente G. Ricci. Fisica matematica. — Campo elettromagnetico generato dal moto circolare uniforme di una carica elettrica parallelamente ad un piano conduttore indefinito. Nota I di G. PicciATI, presen- tata dal Socio VOLTERRA. Fisica. — Sulla produzione dei raggi di forza elettrica a polarizzazione circolare od ellittica. Nota di ALEssanDRO ARTOW, presentata dal Corrispondente Guino GRASSI. — 148 — Ghimica. — Nuova. sintesi della anidride nitrica. Nota di DeMETRIO HeLBIG, presentata dal Socio CANNIZZARO. Chimica. — Sintesi diretta della anidride nitrosa. Nota di De- METRIO HELBIG, presentata dal Socio CANNIZZARO. Zoologia. — Uncinaria duodenalis e uncinaria americana. Nota di Gino PIERI, presentata dal Socio B. GRASSI. Le precedenti Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1° — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. . Vol. IV. V. VI. VII VIII. Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — IL (1, 2). — II-XIX. MEemorIiE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpIconTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRrIE della (Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII. (1392-1903) 1° Sem. Fasc. 4°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. (1892-1902). Fasc. 9°-10°. - MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-II. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINORI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta Italia di L. £9; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti «editori-librai : Ermanno Loescher & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULp:oo Harora, — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Febbraio 1903. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta ‘lel 15 febbraio 1903. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Morera. Sulla trasformazione delle equazioni differenziali di Hamilton... . . ... . Pag. Kòrner e Vanzetti. Intorno all’olivile 6 la sua composizione e costituzione... . . . . » Menozzi. Identità della colesterina del lotte con quella della bile |. /././././.... 0» Borzì. Biologia dei semi di alcune specio d'Inga . . . Ae Burgatti. Sulle condizioni d’integrabilità di un particolare n dai iL derivate parziali, e loro applicazione a un problema di geometria (pres. dal Socio Cerruti). . » Dall'Acqua. Sulle terne ortogonali di congruenze a invarianti costanti (pres. dal e COLO II È È AO Io, Picciati. Campo Gimiaeto asia dali bob ciao vastinne di una carica elet- trica parallelamente ad un piano conduttore indefinito (pres. dal Socio Volterra) È) . » Artom. Sulla produzione dei raggi di forza elettrica a polarizzazione circolare od ellittica (pres. dal Corrisp. Grass) (A). 0 A ALT Helbig. Nuova sintesi dell’anidride nitriva (pres. dal Sag Cos) No Lio AR Id. Sintesi diretta dell'anidride nitrosa (pres. 4.) (A) 0.0.0. AMM o) Pieri. Uncinaria duodenalis e uncinaria americana (pres. dal Socio GOA 0) RE (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio; responsabile. È Pubblicazione bimensile. Roma 1° marzo 1903. N. 5. Pl ia DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO. COC. 1908 SEETFENIERtTe @ Uda TA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 1° marzo 1903. Volume XII. — Fascicolo 5° 1° SEMESTRE. TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI ROMA | 1903 Zonin Inti % APR 10 1908 Satira) Muse ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono lenorme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte almese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico, Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus: sioni verbali che si fanno nel seno dell'Accar demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essì. sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indiî- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - -c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - 4) Colla semplice. pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. i 5.1’ Accademia dà gratis 75 estratti agli au tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie în più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 1° marzo 1903. P. BLASERNA, Vicepresidente. Matematica. — Sulla trasformazione delle equazioni diffe- renziali di Hamilton. Nota II del Corrispondente G. MoRERA. 7. Secondo l’ultimo paragrafo (6) della mia precedente Nota (!) date 27 equazioni differenziali del primo ordine esistono infinite espressioni differen- ziali lineari fra loro differenti, e non soltanto per differenziali esatti, che ammettono quelle equazioni come primo sistema di Pfaff. 2n Adunque, osservando che un’ espressione differenziale >_ n: dy;, ove le n}; ul n sono funzioni delle sole y;, è sempre riducibile alla forma > Y; dy;*, con- n= cludiamo che qualsiasi sistema di 2n equazioni differenziali del primo ordine è il primo sistema di Pfaff di una espressione differenziale del lupo : DI] Ba= Di Ynij dyj PID , & ove le y sono un qualunque sistema di integrali indipendenti di dette equa- zioni differenziali. Consideriamo un sistema Hamiltoniano: e prendiamo per %1...Yn;Yn+1 Yan Quegli integrali che per un dato valore (1) V. pag. 113. RenpIcONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 20 = doo _ iniziale 4, della variabile indipendente divengono rispettivamente uguali ai valori iniziali di pi, p2.--- Pn; 41 Q: allora si ha com'è noto (!): n o=1 Ynzjdy;=U dt + Y_ 9; dp; + dg, g=1 e cioè sì trova per E3 quella forma che abbiamo appunto considerata nel $ 1 della precedente Nota. Ma se per le y si prendono degli integrali che per {f=% divengono uguali a funzioni qualunque ma fra loro indipendenti dei valori iniziali delle peg, la forma della Kg én generale non sarà a priori nota, anzi la sua determinazione non si potrà fare senza integrazioni. Esaminiamo più specialmente il caso in cui la U non dipenda da é. Si scelga un gruppo canonico cui appartenga U, che ora per simmetria scrive- remo U,; e un tal gruppo sia: UU NEVE Allora gli integrali canonici di [II] sono (?): Un, Un. UfgVi—=%, Val. Wa ed in [I] possiamo assumere: Vie Ni 4 RU URANO 0 0 0 00 0 8 a 00 Yn n (U, , WS 00 WES Wa AV) VE TUO LAURE ANNO EZEE ove le / sono funzioni arbitrarie dei rispettivi argomenti, soggette all’ unica limitazione di essere indipendenti rispetto a U,... Un; Va... Va. Ciò posto la [I] diviene: Ea= fn 0 — fa .dt4+d®, 51 ove per simmetria abbiam scritto fi invece di V,; dunque la trasformazione : De V VO II Da = rh GE fig ’ Ga = fn DILLO) In = fr, (1) Cfr. la mia Nota: Zl metodo di Pfaff per l’ integrazione delle equazioni a de- rivate parziali del 1° ordine, inserita nei Rend. dell'Istituto lombardo, S. II, V, XVI, fasc. XIII (1883). (®) Si tenga presente che un integrale è una soluzione dell’equazione a derivate parziali: dYy (tl IU DU Ia) dY La pa A resegitgne ses e E= 7 18; SOL = 9 h ,V =1. ve a) o re — l51 — converte il sistema [II] in un altro sistema Hamiltoniano. Questa trasforma- zione riuscirà indipendente da 7 se le /,.; non contengono V, — #. (Cfr. Lie, Mem. cit., pag. 155, Theorem II). Come fu notato da Lie, una cosifatta trasformazione non è in generale una trasformazione di contatto ridotta, cioè sulle sole p e 9g, come sono quelle considerate al $ 4 della mia precedente Nota. 8. Consideriamo il sistema: CI] dei = Xda (i=0,1,2...2n), ove le X sono funzioni delle sole «. Posto come al $ 6: da ca @8=0,1,22), YY; cu= Ti per mezzo del sistema di equazioni (CM) Xo +1) X +... + (0,2%) Xan="0 sì sieno determinate le Y in funzione delle 2; allora la forma differenziale: [IV] Yar= Yo dxo 4 Ya da, +... 4 Yan dicon secondo la nomenclatura di Lie è, a meno del differenziale esatto d I Xi Yi, - un invariante per la trasformazione infinitesima definita dalle [III], ossia per la trasformazione infinitesima : 2n CV] = 5 1 Sì trova infatti (!): U No = Da d (2%) Xx, d&; +d > Xi Me=% De Vigo ik i î La funzione DX Y; è un invariante simultaneo della forma differen- ziale [IV] e della ‘trasformazione infinitesima [V] per SUR LIanh E cambiamento di variabili. Secondo la terminologia usata dal Poincaré nell'opera: « Zes miéhodes nouvelles de la mécanique celeste » (T. III, p. 9) l'integrale della [IV] è un invariante integrale relativo alle linee chiuse, per conseguenza l’ espres- sione differenziale [IV] differisce per un differenziale esatto da un invariante assoluto lineare (ibid. p. 14). Tale differenziale esatto, come si vede subito (1) Cfr. Lie, Leipziger Berichte, 1896 — Zinige Bemerkungen ber Pfaff*sche Aus- dricke und Gleichungen. La, — dal notare che U (I +4) = X @)Xxdz;+d[0/+Y XY] ùÙ E è quello di una soluzione dell'equazione a derivate parziali: Uf+ DI X;Yi=0. Una tale soluzione si ottiene con una quadratura quando sieno note le 2n soluzioni indipendenti dell'equazione a derivate parziali: Ufi—i05 ossia gli integrali indipendenti da 2 del sistema [III]. Espresse le 21... 42 in funzione di 4, e di detti integrali, riguardando questi come costanti si calcoli la funzione : n (a a. rar: a quadratura eseguita si sostituiscano agli integrali le loro espressioni nelle x; la 7 così ottenuta è la soluzione richiesta. Matematica. — Sulle relazioni algebriche fra le funzioni 3 di una vartabile e sul teorema di addizione. Nota del Corrispon- dente ALFREDO CAPELLI. ] Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Astronomia. — Osservazioni delle comete 1902 d Giacobini e 1903 a Giacobini, fatte all’equatoriale di 38 em. Nota del Corrispondente E. MILLOSEVICH. Nella seduta di dicembre ho avuto l'onore di comunicare la prima osservazione da me fatta della cometa 1902 d. Aggiungo le tre seguenti posizioni, le sole che mi fu possibile di fare. 1902 Dicembre 20 9h32m885 R.C.R. « apparente cometà 710 20. 50 (92.559) d ” ” + _1°5 157.4 (0. 762) 1903 Gennaio 17 Qh 7m47s R.C.R. « apparente cometa 6 50 555.34 (92.341) d ” ” + 8°58/15/4 (0. 690) 1908 Febbraio 21 6h49m498 R.C.R. apparente cometa 6 36 30. 64 (92,313) dò ” ” + 20° 8"46”.1 (0. 538) — 153 — La prima cometa del 1903 (1903 a) fu scoperta dall'astronomo Gia- cobini, occupato a ricercare la cometa periodica Tempel-Swift, al 15 gen- naio. Due sole posizioni fui in caso di fare di detta cometa. 1903 Gennaio 20 622208315 R.C.R. « apparente cometa 22 58 48. 03 (9.524) D) ” ” + 2930 271 (0.752) 1903 Febbraio 19 6h58m 05 R.C.R. « apparente cometa 23 41 26. 55 (9.640) d ” » + 11936" 07.0 (0.736) L'aspetto della cometa, il 19 febbraio 1903, era quello d'una nebulosità circolare del diametro di */, di primo d'arco, con nucleo di ottava grandezza. Matematica. — Sulle terne ortogonali di congruenze a inva- rianti costanti. Nota di A. F. DALL’Acqua, presentata dal Corri- spondente G. Ricci. Nella Nota presente espongo i risultamenti delle mie ricerche intorno alle terne di congruenze ortogonali a invarianti costanti. Essi sono, a mio credere, non privi di eleganza, e si riassumono breve- mente così: — « Le terne di congruenze ortogonali a invarianti costanti sono costi- tuite da eliche di ugual passo, avvolgentisi su cilindri circolari, i cui assi sono paralleli ad una retta fissa. « Tutte le terne di tal natura vengono individuate, a meno di uno spo- stamento rigido, da tre parametri: ne esiste quindi una tripla infinità. « Di queste, 00° formano tra loro e con una terna rettilinea (/erna del Cattaneo) angoli costanti, e hanno in comune la proprietà di aver uguale la somma delle torsioni delle linee delle tre congruenze » —. — « Le eliche di una stessa congruenza sono sovrapponibili. « Se si associa ad ogni punto la normale principale all’ elica che vi passa, e (su questa) il centro di curvatura dell’ elica, avremo una doppia infinità (non tripla) di rette distinte, che insieme con quella degli assi dei cilindri, forma parte di una terna rettilinea, che fa con la congruenza data angoli costanti. « Ai punti di una retta parallela agli assi dei cilindri, vengono allora associate le generatrici di un’e/icoîde rigata ad area minima, e i centri di curvatura descrivono un'elica uguale a quelle della congruenza » —. Questi i risultamenti principali. Ho determinato inoltre le condizioni necessarie e sufficienti affinchè nove costanti yn+1r+2x siano gli invarianti di — 154 — una terna del tipo studiato; ho ricavate di questa ed integrate le equazioni differenziali. In una prossima Nota mostrerò una applicazione di questi risultamenti alla soluzione di una classe di problemi dinamici ('). 1. Indichiamo con 3 p= ds = > 3 ars dar da; 1 il quadrato dell’ elemento lineare dello spazio. Le equazioni differenziali cano- niche di una terna di congruenze ortogonali [41], [42], [43] sono da o (r=1,2,8 sa (I MAZIES dove s, sono gli archi delle curve Z,, e le 4, sodisfanno le relazioni 1 per 4=% 0 per 14% ) ) pa Pe o ONT wr =67 Enk == Designeremo inoltre con 4, gli elementi Any =D 0 VAS , con Ans le loro derivate, covarianti a @, rispetto ad ,. Gli invarianti della terna [4] sono dati dalle espressioni i da RT AO) Da queste, derivando rispetto ad #,, ed eliminando le derivate seconde delle Z,,, si ottengono (come è noto) nove equazioni di condizione per le yy. Queste, nel nostro caso (Yzx= cost.), si possono scrivere Yna=7 Yh+1h+21 (Yintinta T Vinezia1) T Yan Vnnszke Tr Vhh+1k+2 Ynh+2k+1 = 0 2. Vediamo di dar loro una forma più adatta alle nostre ricerche, e più agilmente adoperabile. Introduciamo a tale scopo le curvature medie (Hz) e totali (K,) dei complessi (*) ortogonali alle [Z,], e le torsioni (7) delle [4,]. Avremo ZH Ynh+1h+1 + Ynn+2h+2 Ynh+1h+2 Ynh+2h+1 = Ynh+1h+1 Yhh+2h+2 Th =" Yh+1h+2h (1) Il metodo adoperato in queste ricerche è quello del Calcolo Differenziale Assoluto. Cfr. i Ricci e T. Levi Civita, Mathematische Annalen, Bd. 54. (2) Per la teoria del Complesso ortogonale ad una [4] e delle sue SIERT con- fronta la mia Memoria, Sulla teoria delle congruenze di curve ecc., Milano, Annali di Matematica, tomo VI, S. III, pag. 1 e segg. — 155 — Le prime ci esprimono le somme e i prodotti della quantità ynn+m+1 Yan+en+e » che saranno perciò radici dell’ equazione yg-2HryH4 Kn tn thy = 0. Si avrà cioè Vara lap + VR lege o = le dove Vini K, SE Th+1 Th+2 Potremo quindi ora scrivere le y,g=0, o i tre gruppi equivalenti MR ME 0, Ynh + Vaio == 0, Ynh+1 Vi+s + Ynh+2 Viti = (0) ’ sotto la forma (1) = di (Try + Th+2) + Eee + Eri -10 (2) ZÎp IE sn Hysi Viti + Hn+s Vas + Voi cuen U i 0 (3) Th Tp Hp d- Sp tp Vp —2V VV — vw =0 Come si verifica facilmente, queste diventano identità quando si facciano simultaneamente nulle tutte le H, e conseguentemente le K. Questa anzi è la soluzione più generale possibile. Infatti in ogni altro caso, le (3) che differiscono soltanto per il coefficente del primo termine, danno 7, =, =%3=T, cioè t(3 Hp +3 Vo —e)=2VViVi. Le (2) sommate porgono (4) 33>,H} +3, Vi—-3e=0. Inoltre percoè le H siano diverse da zero è necessario si annulli il determinante dei loro coefficienti nelle (1), sia cioè t(2 Vp — 40)=—- VW NESVAS Dal confronto di queste tre si ricava tI Vp —dt)=0 per la quale la (4) si riduce a una somma di quadrati, e non Dora essere sodisfatta quando H;, H., H; non siano tutti nulli. Dunque fra i nove invarianti della nostra terna devono passare le sei relazioni Ehe=0. 0, lG=0 8 1268 tre quindi rimangono arbitrarî, cioè: « La determinazione delle nostre terne si può far dipendere da tre parametri ». 3. Se un terna [4] ha gli invarianti costanti, li avrà pure ogni terna [w] che formi angoli costanti con la [4]. — 156 — ZN Se poniamo cos unÀx = @nx (= cost.), sarà Une = Zp hp Apr e per gli invarianti della terna [w] avremo le espressioni Gna = Zngr np = @n Sen(98 + c) + &a; cos (92 + c) 08 Znj3 ra G = 43h La terza mostra intanto che le [4,] formano angoli costanti con l’asse <: le altre due, divise per la terza ed integrate, danno, mediante elimi- nazione di < ossia, indicando con @, l'angolo che la 4, forma con l’asse 4 (cosa, = @3n) 2 TRIS 2 1 2 (Coe — Tr mai Cn che è l'equazione di un cilindro circolare di raggio (pr cn, con le generatrici parallele all'asse delle 2. Come era evidente a priori le 4 sono eliche circolari. Essendo e, l'angolo che l'elica 4, forma con le generatrici del cilindro, il passo dell'elica è Ricaviamo di qua (e ciò a priori non era evidente) che tutte le eliche della terna hanno lo stesso passo e si avvolgono su cilindri con gli assi paralleli all'asse 2. Osservando che i raggi di questi cilindri sono eguali per una stessa congruenza, ne ricaviamo anche che questa risulta di eliche congruenti. RenpICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 21 — 158 — 5. Consideriamo ora una generica congruenza | 4] della nostra terna e imaginiamo di associare ad ogni punto dello spazio la normale principale all’ elica che vi passa. Notiamo anzitutto che le normali principali alle eliche, essendo normali ai cilindri su cui le eliche si avvolgono, sono normali all'asse 2. Indicando con 7 queste normali, potremo porre cos n = c08 f ; cos 7 — senf. , cos =0. La tangente £ all’elica, ha i coseni Z,,4:,43, dati dalle (7) (omesso per brevità l'indice 4). Sarà cos né = A, cos 8 + 4, sen8=0 sostituendo per 4, ,4s i loro valori, sì riconosce facilmente che B=g:+ E dove % indica una costante. Dunque tutte le rette x giacenti in un piano #= cost. sono parallele (8=cost.), e sono le co rette parallele del piano, prese co volte. Quando il punto associato alla retta si sposta sopra una parallela all'asse 4, la 7 ruota generando un'elicoide rigata ad area minima. Dunque: « La congruenza delle normali principali alle eliche di una «[A,] appartiene insieme con la congruenza costituita dagli. assi dei ci- « lindri, ad una terna del Cattaneo ». Il centro di curvatura dell'elica (sulla normale, ad una distanza dal punto associato == 77) ha per coordinate (4 ,%,4 coordinate del punto associato) COh= XxX +7 c08 8 (4 Cn=Y +7 Senf essendo la terza coordinata uguale alla coordinata # del punto. Quando il punto si sposta sopra una parallela all'asse 2, il centro di curvatura percorre un'elica congruente alle eliche della [4,]. Matematica. — Sul problema di Dirichlet nello spazio iper- bolico indefinito. Nota di Guipo FuUBINI, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Meccanica. — Sul equilibrio d'un ellissoide planetario di rivoluzione elastico isotropo. Nota I di A. VITERBI, presentata dal Corrispondente G. Ricci. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Fisica matematica. — lampo elettromagnetico generato dal moto circolare uniforme di una carica elettrica parallelamente ad un piano conduttore indefinito. Nota I di G. Prccrati, presen- tata dal Socio V. VOLTERRA. In una Nota recente (!) ho determinato il campo elettromagnetico ge- nerato da una carica elettrica 72 in moto circolare uniforme; considero ora il caso in cui la carica ha un moto circolare uniforme parallelamente ad un piano conduttore indefinito omogeneo 0, il mezzo ambiente essendo l’ etere. 1. Riferiamoci ad un sistema di assi fissi 0zyz, aventi per piano z= 0 ALLA il piano o, e ad un sistema di assi mobili 0'x'y"#, invariabilmente colle- gati con la carica m, scelti nel modo indicato dalla figura. Facendo uso e S delle stesse notazioni, i potenziali del campo generato dalla carica, quando non si ha il piano conduttore, conservano le loro espressioni date nella Nota citata, col solo mutamento di < in z — 4 nella espressione della funzione 7 che in essi comparisce, se 4 è la distanza del piano in cui la carica si muove dal piano conduttore o. L'introduzione nel campo del piano condut- tore o porta in esso delle modificazioni, originandosi una variabile distribu- zione di elettricità indotta sopra il piano stesso, alla quale corrisponde un potenziale elettrostatico ed un potenziale vettore, del quale è nulla la com- (1) Campo elettromagnetico ecc. Rendiconti della R. Acc. dei Lincei, vol. XII, fase. 2°, 1903, pag. 41. Indicherò le formole relative a questa Nota con N. p. — 160 — ponente secondo la normale al piano, il moto della elettricità avendo luogo nel piano stesso. Riferendoci nel sistema di assi mobili alle coordinate cilin- driche 0,9," siano F, il potenziale elettrostatico indotto e 4,, wu, le com- ponenti di quello vettore secondo le linee 6 = cost., o = cost.; siano poi F, ZA, pw i potenziali analoghi nel caso in cui non si ha il piano conduttore. I potenziali del campo così modificato sono quindi F + F,, 444, p+ wi: la risoluzione del problema proposto è perciò ridotta alla determinazione delle funzioni F,,4,,w,. Note queste e le F,4,yw, le (19) e (20) della Nota precedente danno le componenti delle forze elettromagnetiche del campo che si considera. Per potere procedere alla loro determinazione esaminiamo a quali condizioni debbono soddisfare le F,,4,,%, considerate come funzioni cotone: Intanto il fenomeno essendo stazionario rispetto agli assi mobili 0'x'y'2, queste funzioni non dipenderanno esplicitamente dal tempo. Come si è visto nella Nota precedente, il potenziale cleutrostatico F, deve essere soluzione dell'equazione (1) DE A d6* =0, ed i due 4; , w, debbono essere soluzioni del sistema E are II \ det ge RR ia (2) ) UN 20004 du, — 4° — Lg: d6° 0° o° dé essendo inoltre legati fra loro dall’ equazione af 1du, (3) pi + 4 4g, Essendo potenziali ritardati corrispondenti a distribuzione di superficie sul piano o essi si comportano come potenziali ordinarî, le loro espressioni analitiche sotto forma di integrali estesi al piano o non mutando col mutare il segno di 2’; sono quindi funzioni di |z'|. Le condizioni caratteristiche re- lative al piano o sono Mete e. Dro ce ROS) 2a da] essendo e, ,,,0;, la densità di distribuzione e le componenti della corrente indotta sul piano secondo le linee 09 = cost, o= cost. Ora la legge di Ohm per le superfici conduttrici omogenee ci dice che la corrente è proporzionale alla componente tangenziale della forza elettrica ed ha la stessa direzione. Possiamo quindi porre, indicando con (H),(K) le componenti tangenziali — 161 — della forza elettrica, (4) (EZRA) — Aeon essendo 4 costante di cui il significato fisico è il seguente (*): essa è un trentesimo della resistenza dell’unità di superficie del piano conduttore espressa in ohm. Ricordando le espressioni generali delle forze elettromagnetiche per i potenziali del campo, date dalle (19) della N. p., le condizioni relative al ‘ piano o per i potenziali F,, 4, &, sono d d k dà SO ld pur pet tezza: a cui si può dare la forma: k dà dh dF di 27 di| dla do dé’ 5 O Di n da Da el 0 i, 1. fi A queste relazioni valevoli per tutti i punti del piano '=0 se ne possono sostituire altre due valevoli per tutto lo spazio; allora, come ve- dremo, esse, insieme alle (1), (2), (3), sono sufficienti alla determinazione di F,, 41, #1. Si osservi intanto che, per le proprietà di cui godono F1,4,,{1, i primi membri delle (5) sono funzioni regolari di @,0,|2|, per |g|>0; esse inoltre soddisfanno al sistema (2), come si verifica facilmente tenendo conto che F, ,Z,, 4, soddisfanno alle (1), (2). Anche i secondi membri delle (5) soddisfanno a tutte queste condizioni purchè in essi si muti 2" in — ||, con che si toglie la singolarità che esse presentano nel punto di coordinate o = R, = —ar, sg =d, il quale non è altro che la posizione occupata nell'istante t — Ar dalla carica m, che occupa nell'istante £ la posizione m. Questo si riconosce subito ricordando le espressioni di F,4,w che sono: E m — r—aRosen(04 ar)” ‘= aRF sen(0 +4 ar), u= aRF cos (0 + ar) essendo 7 definita dall’ equazione r° = 0° | R° + (2 — d)? — 2Ro cos (0 + ar). (1) Vedi Levi-Civita, Sur le champ électromagnétique etc. Annales de la Faculté des Sciences de Toulouse, série III, T. IV, 1902, pag. 25. — 162 — Indicando le espressioni di F,Z, dopo la sostituzione di —|z'|'a con F', 7", u' e ponendo r Rd ig gl E È 2rt d\g| do * © do do © d6 ( ) dui 1 dF du ei TIRI dd O le funzioni P, Q hanno le seguenti caratteristiche: sono regolari in tutto il semispazio S da una banda di un piano indefinito o (la regione 2' > 0); si annullano sul piano 2'=0; all'infinito si annullano, assieme alle loro deri- vate prime, come TG almeno; soddisfanno al sistema di equazioni ORGE P 2 dQ _ gi = = ==> 7 ol TINTE o° dé ) A Q pese) dQ Ra Q est 2 db 2 4 dé? Ro 0° 0. Si può dimostrare che queste funzioni P,Q sono identicamente nulle, e quindi concludere che le relazioni P=0, Q=0 sono valevoli în tutto lo spazio S e non solo sul piano 2 = 0. 2. Si consideri in generale l’ equazione (8) dif + e°f=0, d? d? d° ; essendo 4g gg: e c costante reale; per essa sussiste la seguente proprietà: « Ogni integrale dell’ equazione (8) regolare nel semispazio S, nullo sul piano z=0, e nullo all’infinito, insieme alle sue derivate prime, come = almeno (7° = x? 4 y° + 0; con M un generico (variabile) punto di S e con M' un punto pure generico di $, ma fisso; con M', il suo simmetrico rispetto al piano p, con 7, 7" le distanze MM’, MM',. La funzione "i bo, un integrale della (8) regolare in tutto $S; anche la funzione ®2 è un integrale della (8), ma ha entro S una sin- golarità nel punto M'. Poniamo COS cr cos er oa i ti r ed indichiamo con « un integrale della (8) regolare in tutto S e nullo al- l'infinito, assieme alle sue derivate prime, come D almeno. Sia T una su- perficie qualunque esterna ad una semisfera di raggio grandissimo, 7 una sferetta di centro in M'; per quanto grande si scelga T e piccola 7 nello spazio compreso fra p,T, le «,v sono regolari; quindi indicando con p' la porzione di p intercetta da T si ha dv du (9) ic (è a e 3 do=0. Prendiamo per es. per T una sfera di centro M' e di raggio sa e per 7 una sfera con lo stesso centro e raggio e. Avremo nei punti di T, per es- sere da = — dr, od du. dol tà (1 o_o) o=(v e)? sen g dp d0= — 164 — Per ipotesi al decrescere indefinito di s le quantità de sì man- dv dr esteso a T tende a zero con e. Sopra 7, tenendo presente l'espressione di v, sì ha, essendo dn = dr, tengono sempre finite, v e hanno per limite lo zero, e quindi l’ integrale mtdo=(- +...) r° sen g dp dd=(— cosce + y) sen g dg d6 indicando y termini che vanno a zero con «; inoltre vdo tende a zero con s. Si ha quindi: ; dv du ——_ _— i _— 41) se (a pani, pi) do lim A cos ce) sen pg dg d =lim|)(—w + — <)coses sen 9 dp d6 E=00T = —47ru + lim | (e — cosce sen gp dp dé —_-4nu', E=0 T indicando w' il valore di u in M'. Al limite dunque la (9) ci dà ma siccome la v è nulla sopra p resterà ; dv (10) 4704 si Con che ogni integrale w della (8) regolare in S e nullo all'infinito nel modo detto rimane espresso mediante i valori che esso prende sul piano p. Essendo nel caso nostro la « nulla sopra p si ha «= 0 in tutto lo spazio. Dalla proprietà dimostrata si deduce subito quest’ altra. Si indichi con w un integrale della (8) regolare nel semispazio $S; ri- ferendoci a coordinate cilindriche 0,0, sarà w, per la sua regolarità, fun- zione periodica di 0; quindi potremo porre u=u + (4, c0820+d, sen 20) 1 con %o, @n, On funzioni solo di 0 e <. Avendosi in coordinate cilindriche oa A Mr te di ‘°° ©0000 SINO — 165 — poniamo 1 Di ui cir con che 4", è l'espressione del 4, per una funzione indipendente da @, cioè simmetrica rispetto alla normale al piano «= 0. La (8) ci dà allora Ca 2 d'3uo + c°w + Day [420 = (E — e) t» | cos 20 + 2 + [e (1-0) o» | sen 20 =0 ed esige che per conseguenza si annullino separatamente il termine indi- pendente da 0 ed i coefficienti di ogni cosn0@, senz.0. Otteniamo quindi: A'>Uo + CAO = 0, 2 A'0n + (e) OR_05 ni A'sbn + (e) DIO Se per l'integrale « si aggiunge la condizione che sia nullo sul piano z=0 e nullo all'infinito insieme alle derivate prime nel modo sopra detto si sa che esso è identicamento nullo; devono quindi essere identicamente nulli anche %o, @n, dn. Otteniamo perciò: « Ogni integrale dell'equazione 2 21+(e-&)/=0 (2=0,1,2,...) regolare in S, nullo per 8==0 e nullo all'infinito, assieme alle sue derivate prime, come almeno è identicamente nullo ». Il e° 4-8? Fisica. — torno ad un nuovo apparecchio per la determi- nazione dell’ equivalente meccanico della caloria e ad alcune mo- dificazioni del calorimetro solare, del dilatometro, del termometro e del psicrometro. Nota di G. GucLIELMO, presentata dal Socio P. BLASERNA. Fisica. — Intorno alla determinazione della densità e della massa di quantità minime di un solido. Nota II di G. GuGLIELMO, presentata dal Socio P. BLASERNA. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. RenpICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. DO: — 166 — Chimica. — Sintesi diretta della anidride nitrosa. Nota di De- METRIO HeLBIG, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Dei cinque ossidi dell'azoto oggidì ben conosciuti, l’unico che finora non si era potuto isolare e studiare allo stato di sicura purezza era il trios- sido o anidride nitrosa. Il primo a menzionarlo sotto il nome di acido nitrico flogisticato fu lo Scheele (1774). Gay-Lussac nel 1809 ne osservò la colorazione azzurra ('): in una ge- niale Memoria pubblicata in seguito definì la composizione giusta della so- stanza (°). In seguito Dulong (*) operò la sintesi parziale della anidride nitrosa mescolando ossigeno con eccesso di biossido d'azoto e condensando i vapori rossi così generati: lo stesso autore scoprì la reazione della ipoazotide con acqua, reazione che gli fornì un altro mezzo per ottenere il corpo azzurro. Fritzsche (4) fu il primo ad ottenere un prodotto costituito in massima parte da triossido d'azoto: utilizzò la reazione scoperta da Dulong, facendo reagire a goccia a goccia l’acqua sulla ipoazotide fortemente raffreddata; poi distillò cautamente lo strato azzurro formatosi in fondo al recipiente in cui si faceva l'esperienza. i Péligot (°) perfezionò la prima sintesi di Dulong: inoltre trovò che la ipoazotide si combina parzialmente col biossido di azoto a temperatura ordi- naria. Affinchè la reazione fosse più completa, Hasenbach (5) fece passare il vapore di ipoazotide mescolato ad eccesso di biossido d'azoto attraverso ad una canna di vetro arroventata, e raccolse il prodotto in un apparecchio con- densatore circondato da miscuglio frigorifero. Finalmente, uno dei metodi i più frequentemente impiegati consiste nel far reagire sull’acido nitrico di media concentrazione sostanze riducenti, come amido (Liebig) oppure anidride arseniosa (Nylander) (7): però il prodotto ot- tenuto è fortemente inquinato da ipoazotide. Comunque la sostanza sia stata preparata, gli autori la descrivono come un liquido di colore variante dall’azzurro cupo al verde sporco : non presenta mai un punto di ebollizione costante, poichè durante la determinazione esso va salendo a mano a mano da — 8° sino a 22°: la distillazione è accom- (') Mémoires de la Societé d’Arceuil, II, 241. (2) Ann. de physique et de chimie, Série II, 1, 404. (3) Ann. de physique et de chimie, S. II, 2, 317. (4) Journ. fir praktiche Chemie, 22, 14. (9) Ann. de physique et de chimie, S. II, 54, 17. (6) Journ. fir praktische Chemie, N. F. 4, 1. (7) Zeitschr. fir Chemie, N. F. 2. 66. — 167 — pagnata dallo sviluppo di rilevanti quantità di biossido d'azoto. Questi ca- ratteri dipendono dalla poca stabilità del triossido, esso ha una marcata tendenza a scindersi secondo la reazione: N? 0° = NO° +- NO. La instabilità è anche confermata dal fatto, che nessuno degli autori nomi- nati è riuscito ad avere una analisi con cifre concordanti fra di loro e con la teoria. Biessle Come ebbi ad annunciare in una Nota preliminare (!), facendo avvenire una serie di scariche elettriche in seno all'aria liquida osservai la forma- zione di una sostanza verdastra assai instabile. Questa sostanza non è altro che il triossido d'azoto, generato per combinazione diretta dei due compo- nenti principali dell’aria liquida. Nella presente Nota espongo le ricerche da me intraprese su questo argomento, ricerche che mi hanno permesso di riconoscere la purezza del composto ottenuto, e di definirne la proprietà. Apparecchio per la preparazione della anidride nitrosa (fig. 1). — Il recipiente cilindrico di vetro (1) munito in fondo di un elettrodo di (1) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei vol. XI, s. 5°, fasc. 2, 1902. — 168 — platino (5) (spessore mm. 1,5), è isolato termicamente dall'ambiente me- diante il cilindro di Dewar (2) attraversato anch'esso in fondo da un filo di platino che va a far contatto con l'elettrodo (5). Per evitare la condensa- zione dell'umidità atmosferica sulla parete esterna del cilindro (2), conden- sazione che sarebbe inevitabile a causa della bassa temperatura che il cilindro viene ad assumere quando nel recipiente (1) si trova aria liquida, il cilindro Dewar è racchiuso in un bottiglione a bocca larga (3) sul cui fondo c'è uno strato di cloruro di calcio. La comunicazione elettrica dello elettrodo (5) con l'esterno è assicurata da un pozzuolo di vetro contenente mercurio, fissato sul fondo del bottiglione: in esso pescano tanto l’ estremità del filo di platino sporgente dal cilindro Dewar quanto un filo di ferro (6). Alle prime esperienze, ogni volta che volli versare l'aria liquida nel re- cipiente (1) questo si rompeva a causa del raffreddamento istantaneo e della brusca contrazione del vetro in cui era saldato l'elettrodo: cercai quindi una disposizione atta a raffreddare lentamente il recipiente (1) in modo da evi- tare tensioni pericolose fra vetro e platino. Questa disposizione è costituita da due cilindri Dewar (5), (6) (fig. 2) contenenti aria liquida: essi sono congiunti da un tubo a T (10), il cui ramo discendente finisce in fondo al recipiente (1). Facendo gorgogliare per mezzo del tubo (8) una corrente di aria secca nel cilindro (5), quest'aria penetra, fortemente raffreddata, nel re- cipiente (1) e ne abbassa a poco a poco la temperatura: discesa che questa sia a —160° circa (ciò che si constata dalla forza elettromotrice fornita da una coppia termo-elettrica costantano-ferro la cui saldatura si vede in (4)), — 169 — si fa arrivare in (1) l’aria liquida del cilindro (6), per mezzo di una pom- petta di gomma applicata al tubo (9). L'aria liquida raccolta nel recipiente (1) lo mantiene raffreddato fino al principio dell’ esperienza. Dopo la descritta operazione di raffreddamento preliminare si distacca dal recipiente (1) l'apparecchio (5), (6), (10) e si fissa sulla imboccatura di (1) (fis. 1) un tappo attraversato dal tubo (10), nell'interno del quale passa liberamente un tubo (11) a pareti piuttosto grosse. Questo contiene un filo di rame (4) terminante in basso con un elettrodo di platino (spes- sore mm. 1,5) fissato con smalto all’ estremità del tubetto (11): il tubo (10) porta alla sua estremità superiore un pezzetto di cannello di gomma attra- verso al quale passa a. dolce sfregamento il tubo (11). Mentre si fa avvenire la scarica, una certa quantità di aria liquida si perde per ebollizione: questa si rifornisce al recipiente (1) per mezzo di una diramazione (12) del tubo (10), diramazione la quale comunica col pallone Dewar (7) contenente aria liquida e funzionante all'istesso modo delle so- lite spruzzette da laboratorio. La pressione necessaria per far salire l’aria liquida dal pallone (7) si otteneva mediante una pompetta di gomma, in- tercalando fra essa ed il pallone dei tubi con cloruro di calcio ed anidride fosforica, a fine di non inquinare d' umidità atmosferica il contenuto del pal- lone (7). Un tubo (9) passato attraverso ad un secondo foro del tappo (13) serve a smaltire i prodotti gassosi sviluppati nel recipiente (1). Itubi (10) e (12) sono coperti con un denso strato di lana che li protegge contro il calore dell’ ambiente. La corrente impiegata per produrre le scariche mi era data da un roc- chetto di Ruhmkorff di 32 cm. di lunghezza: i poli del circuito secondario di questo apparecchio erano congiunti con i fili (6) e (4). Dopo varî tenta- tivi rinunciai all'impiego del solito interruttore intercalato nel circuito pri- mario ('), mandai invece direttamente in questo la corrente alternante (42 periodi al secondo) fornitami, previa trasformazione, dalla rete urbana di Roma. L'intensità della corrente primaria si poteva regolare mediante un ade- guato reostato. L'operazione si conduceva nel modo seguente: dopo empito il reci- piente (1) a circa un terzo della sua altezza con aria liquida si ponevano in contatto i due elettrodi e si faceva agire il rocchetto: allontanando allora (1) Da principio facevo uso di un interruttore di Wehnelt e di corrente continua a 60 volt: ottenevo così fra gli elettrodi tensioni che potevano arrivare sino a 3000-4000 volt. Però in queste condizioni nell’aria liquida si formavano abbondanti quantità di ozono: e l’anidride nitrosa generata, probabilmente in seguito ad una combinazione coll’ ozono, acquistava la proprietà di esplodere, spesso anche spontaneamente. Continuerò gli studî su questo argomento. L'impiego di corrente alternante come l'ho descritto, evita comple- tamente la formazione dell’ ozono. — 170 — di un paio di millimetri l'elettrodo superiore dall’inferiore avviavo la sca- rica. In queste condizioni essa presenta l'aspetto di una fiammella violacea assai stabile. Le punte degli elettrodi si arroventano al rosso vivo malgrado la bassissima temperatura dell'ambiente che li circonda: con corrente troppo forte li ho visti anche fondere. L'intensità della corrente primaria, misurata con un amperometro calorico, variava da S a 9 ampère; la forza elettromotrice fra i poli del secondario, determinata mediante un voltmetro elettrostatico, era, a scarica normalmente avviata, di 1000 volt circa. Pochi istanti dopo il principio della scarica s' incominciano a vedere dei fiocchetti verdastri i quali nuotano nell'aria liquida che circonda gli elet- trodi: la loro quantità aumenta rapidamente, tanto che dopo mezz'ora il li- quido è divenuto torbido al punto da intercettare alla vista il lampeggia- mento della scarica. A mano a mano che il livello del liquido cala, se ne fa arrivare dell'altro dal pallone (7). La quantità di aria liquida richiesta per la preparazione di mezzo grammo d'anidride nitrosa è a un dipresso di 300 ce. La detta quantità di sostanza impiega a formarsi un'ora circa. Preparata che sia una quantità sufficiente di prodotto, il miglior mezzo per eliminare rapidamente l’aria liquida in cui è sospeso, consiste nello sva- porarla a pressione ridotta. A tale uopo si evacua il recipiente (1) con una buona macchina pneumatica: nel tragitto fra la pompa ed il recipiente (1) è intercalato un lungo tubo contenente uno strato di calce sodata ed un altro di cloruro di calcio secco, destinati ad impedire la rientrata di ‘anidride car- bonica e d'umidità dall'atmosfera. Il vuoto si controlla mediante un mano- metro. Sotto una pressione di 20 mm. l'aria liquida bolle rapidamente: quando ne sia rimasta appena tanta da formare con l'anidride nitrosa una specie di pasta, sì sfila il tubo Dewar (2) dal bottiglione (3) e s'immerge in un se- condo cilindro Dewar, contenente aria liquida (fig. 3), senza interrompere la comunicazione con la macchina pneumatica nè fermare questa: l'abbassa- mento della temperatura esterna così prodotto rallenta considerevolmente lo svaporamento del liquido contenuto nel recipiente (1): ma una volta svapo- rate le ultime tracce di esso, la temperatura della sostanza rimasta indietro non può salire al disopra di quella dell’aria liquida esistente nel cilindro Dewar esterno: in queste condizioni l'anidride nitrosa è perfettamente stabile. Per accertarsi che tutta l’aria liquida sia stata eliminata, si chiude la co- municazione fra la macchina pneumatica ed il recipiente (1) e si osserva il manometro comunicante con questo: il vuoto da esso indicato resta costante solo allorquando non ci sia più rimasta aria liquefatta, la tensione del cui vapore farebbe risalire la pressione. Finalmente si lascia rientrare l'aria nell’apparecchio, facendola passare attraverso al tubo contenente le sostanze essiccanti. nità — 71 — Proprietà dell'anidride nitrosa pura. — Quando la sostanza è sospesa nell'aria liquida il suo aspetto ricorda vivamente quello dell’idrato cromico precipitato: dopo l'eliminazione dell’aria liquida si presenta sotto forma d'una massa polverosa, amorfa, d'un colore celeste pallidissimo. Il suo punto di fusione fu determinato mediante un termometro termo- elettrico costituito da una coppia costantano-ferro, la cui saldatura fu portata a contatto della sostanza contenuta in fondo al recipiente (1): la forza elet- tromotrice di questa coppia si misurò per mezzo di un millivoltmetro della casa Kaiser e Schmidt, confrontato lo stesso giorno della misura con uno strumento campione ('). La temperatura di fusione così determinata si trovò essere uguale a — 111°. Nell’istante della fusione il colore celeste pallido si trasforma in quello azzurro cupo che finora si considerava come caratteristico del triossido d'azoto : questo colore persiste anche se la sostanza si risolidifica col raffreddarla di bel nuovo con aria liquida. Appena fusa, la sostanza incomincia a decomporsi, emettendo biossido di azoto: nel vuoto si osserva immediatamente lo sviluppo di bolle di questo gas; alla fine rimane indietro la sola ipoazotide. Questo carattere spiega perchè finora la sostanza preparata con metodi, in cui la temperatura alla quale il corpo si forma e si manipola è molto più alta di quello di fusione, non aveva mai presentato caratteri qualitativi e quantitativi ben definiti: ciò che coincide appieno con l'osservazione fatta dal prof. Ramsay ('), il quale osservò che il liquido azzurro ottenuto con i soliti metodi non è ancora solido a — 90° e che a questa temperatura già incomincia a decomporsi sviluppando biossido d'azoto. Analisi della anidride nitrosa. — A causa della estrema instabilità del prodotto non potevo pensare a pesarlo direttamente: dovetti ricorrere ad un metodo il quale mi fornisse la quantità di ossigeno e quella d'azoto con- tenuta in un peso qualsiasi di sostanza, desumendo poi questo peso dalla somma dei pesi d'azoto e di ossigeno trovati. Procedetti nel modo seguente (fig. 3): Un tubo di vetro di Jena (6) (assai difficilmente fusibile) conteneva una spirale di reticella di rame, compresa fra due tamponcini di amianto. La spirale era stata profondamente ossidata col riscaldarla in corrente d'ossigeno, e quindi ridotta coll’ idrogeno: per eliminare quel po’ di quest’ ultimo even- tualmente occluso dal rame, la spirale era stata arroventata dapprima in una corrente di anidride carbonica secca, e poi nel vuoto di una pompa a mer- curio. Dopo avere esattamente pesato, il tubo (6) sì adattò mediante una buona smerigliatura, sull'apertura (4) del recipiente (1) contenente la sostanza da analizzare, conservata alla temperatura dell’aria liquida: per rendere la chiu- (1) Millivoltmetro Weston campione n. 291. — 172 — sura in (4) assolutamente sicura, si versò un po' di mercurio nella svasatura a quest’ uopo preparata. All'apertura libera del tubo (6) si applicò mediante un tappo di gomma una pompa a mercurio di Sprengel (9) la quale permetteva di raccogliere al mo- ci PT A LATE FILA Ù BIGRISÌ mento opportuno in un cilindro graduato (10) il gas estratto dal tubo (6). Que- sta pompa si fece funzionare fintantochè cessò di portar via quantità visibili d’aria: allora si arroventò il tubo (6) mediante una fila di fiamme a gas, e si tolse il cilindro Dewar (3) permettendo così alla sostanza contenuta nel recipiente (1) di prendere lentamente la temperatura dell'ambiente e, quindi, di decomporsi. I prodotti della scomposizione passando sul rame rovente gli cedevano l'ossigeno; l'azoto veniva continuamente evacuato dalla pompa e raccolto nel cilindro graduato. Dopo la scomparsa delle ultime tracce di sostanza in fondo al recipiente (1) continuai e far funzionare la pompa sino a far cessare lo sviluppo di bolle visibili. Si lasciò allora raffreddare com- pletamente il tubo (6) e poi vi si ammise l’aria attraverso alla diramazione (7): quest'aria era rigorosamente seccata su cloruro di calcio ed anidride fosfo- rica. Finalmente si ripesava il tubo (6) dopo averlo staccato dal recipiente (1) (1) Journal of the Chemical Society, 1890, 590. — 173 — e dalla pompa Sprengel e si misurava su acqua il volume d'azoto raccolto. Quest'azoto conteneva sempre un po’ di biossido di azoto indecomposto: sì determinava la quantità di questa sostanza assorbendola con solfato ferroso e notando la diminuzione di volume avvenuta dopo l'assorbimento. I pesi di ossigeno e d'azoto calcolati dal volume di biossido assorbito, si aggiunsero a quelli degli istessi corpi ottenuti rispettivamente allo stato di combinaziono col rame e di elemento libero. Si ebbero a questo modo i risultati seguenti: 119,5 746,45 mm. N=cc. 70 = gr. 0,0822 NO=cc.5=gr.0,0062= N gr. 0,0029+- O gr. 0,0033 O= gr. 0,1483 + 0,0033 = 0,1516 N=gr. 0,0822 + 0,0029 = 0,0851 Sostanza = gr. 0,2367 Calcolato per N20? Trovato AO i al 35,96 Usseen0E Ceeee00, lo 64,04 La formazione della anidride nitrosa per l’azione delle scariche elettriche sull'aria liquida mi suggerisce alcune considerazioni circa la classica espe- rienza di Cavendish, il quale fu il primo ad osservare la combustione del- l'azoto atmosferico nella scintilla elettrica. Come ebbi a notare descrivendo i fenomeni che accompagnano le scariche nell’aria liquida, durante l’ espe- rienza, la punta degli elettrodi è portata ad una temperatura assai elevata: questo riscaldamento è possibile soltanto a condizione, che, grazie al fenomeno di calefazione, gli elettrodi rimangano circondati da un'atmosfera gassosa che li isoli termicamente dalla bassissima temperatura del liquido che li circonda. Ci ritroviamo allora nelle stesse condizioni come nella esperienza di Caven- dish: abbiamo cioè la scarica in un ambiente gassoso. Mi sembra quindi probabile che l'anidride nitrosa sia il composto che l'ossigeno forma con l’azoto anche quando la scarica avvenga nell’aria atmosferica: ma che questo composto, stabile soltanto a bassissima temperatura, nella esperienza di Caven- dish, si manifesti solo coi suoi prodotti di scomposizione (vapori rutilanti) : men- trechè se si raffredda, appena formato, ad una temperatura a cui possa sussi- stere inalterato, lo si può raccogliere e studiare nel modo descritto in questa Nota. Le presenti ricerche vennero eseguite nell'Istituto chimico della R. Uni- versità di Roma. RenpIconTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 23 — 74 — PERSONALE ACCADEMICO Il Vicepresidente BLaseRNA dà il doloroso annuncio della morte del Socio straniero G. G. SrokEs, ed il Socio VoLTERRA legge la seguente Com- memorazione del defunto accademico. « La cattedra fondata a Cambridge da Enrico Lucas nel 1662 su cui salirono primo Barrow e secondo Newton (*) resta oggi, dopo circa due secoli, ancora una volta vuota per la morte di Giorgio Gabriele Stokes. Il rimpianto per la perdita del venerato vegliardo, che suscitò tanto affetto e tanta ammirazione, si diffonde dalla sua patria in tutto il mondo civile. Mentre i suoi concittadini tributano alla sua memoria i più grandi onori, primo fra tutti quello di stimare la sua carriera scientifica così ele- vata da potersi paragonare alla carriera del suo grande predecessore, noi, che, pur lontani ammirammo le sue scoperte e lo avemmo Socio di questa Accademia, sentiamo il dovere di commemorarne le opere, invero degne di esser prese a modello di ogni trattazione scientifica, e la vita, grande esempio di virtù e di generosità. Chiamato a parlare di lui fra voi, illustri Colleghi, mi sforzerò di trat- teggiare brevemente, come il tempo limitato permette e le mie forze con- sentono, la sua nobile figura (*). 1 Egli nacque il 13 agosto 1819 a Skreen nella contea di Sligo in Ir- landa. Suo padre fu il reverendo Gabriele Stokes e sua madre Elisabetta era figlia del rettore di Kilrea, Giovanni Haughton. Educato dapprima a Dublino ed a Bristol, passò poi nel collegio Pem- broke di Cambridge. Era trascorso allora ùn ventennio appena, dacchè gli estremi vestigi della così detta ultima scuola Newtoniana erano scomparsi. Il genio di Newton, dopo aver sparsa tanta luce e data così potente spinta alle ricerche scientifiche, aveva tenuto ancora avvinti i geometri della sua patria ai suoi metodi ed alla sua tradizione in un'epoca nella quale già altri (1) I professori Lucasiani furono : Barrow (1664-1669); Newton (1669-1702); Whiston (1702-1711); Saunderson (1711-1789); Colson (1739-1760); Waring (1760-1798); Milner (1798-1820); Woodhouse (1820-1822); Turton (1822-1826); Airy (1826-1828); Babbage (1828-1889); King (1839-1849); Stokes (1849-1903). (2) Mi sono giovato dei bellissimi studii sulle opere di Stokes pubblicati da Lord Kelvin nel n. 12 feb. 1903 della Rivista inglese Nature, e da J. J. Thomson nel n. 12 feb. 1903 della Cambridge Review. La Nature ha pubblicato altri articoli su Stokes il 12 febbraio 1903, e 1°8 giugno 1899 in occasione del suo giubileo, e il 7mes del 2 e 3 feb. 1903 contiene due articoli sulla vita di Stokes. — 175 — metodi più potenti si erano sviluppati e diffusi in Europa. Ma, allorchè Stokes incominciò gli studî universitarî nel 1837, quel fatale isolamento che per circa un secolo aveva conservato i matematici inglesi lontani dal movi- mento della scienza continentale era finito. Stokes insieme con Airy, Sylvester, Green, Cayley, William Thomson, Maxwell ed altri sommi che si succedettero nei collegi inglesi nella prima metà del secolo scorso, mostrarono all'Europa attonita di qual mirabile slancio fosse capace ancora il genio britannico e quali sublimi altezze potesse rag- giungere nei campi più ardui dell’analisi, della fisica matematica e della geometria. L'esame più elevato che si dà a Cambridge si chiama il Mathematical Tripos. Wordsworth (!) ci racconta la origine curiosa di questo nome, e Ball (?) ne rifà la storia rivelando tutta l’importanza di questa prova suprema uni- versitaria nello sviluppo delle matematiche in Inghilterra. Colui che riesce primo prende nella classificazione il nome di .Senzor Wrangler. Stokes fu Senior Wrangler nel 1841 contro formidabili competi- tori come Cayley e Adams. Quattro anni dopo il Second Wrangler era un altro giovane irlandese, allievo del Collegio di Peterhouse: William Thomson. La reciproca stima, la eguale tendenza verso i più alti problemi della fisica e della matematica univano questi due uomini, dall'epoca in cui si trovavano ambedue a Cam- bridge, fino al momento in cui la morte venne a spezzare questo loro nobile legame. Lo stesso lord Kelvin ci narra i ricordi della loro giovanile amicizia. Verso il 1840 nessun gabinetto di fisica, dice lord Kelvin, esisteva nel col- legio di Pembroke; dal 1840 al 1843 il primo laboratorio di fisica delle Università della Gran Bretagna era nelle camere abitate dal giovane Stolkes. Lord Kelvin ha rievocato in questi stessi giorni le conversazioni sulla chimica stellare che i due amici tenevano passeggiando nei pressi dei col- legi di Cambridge verso il 1852. Il grande superstite attesta ancora una volta che il suo compagno gli suggerì allora una delle più geniali e feconde idee della fisica, la spiegazione cioè del rapporto esistente fra le linee bril- lanti e le strie di assorbimento delle sostanze. Questa nuova affermazione del più illustre scienziato oggi vivente è l’ultima parola che possa dirsi sulla dibattuta questione, perchè la bocca di Stokes è ormai muta, nè più gli è dato modestamente rifiutare la priorità dell'idea fondamentale che domina l'analisi degli astri (3). (1) Origin and history of the mathematical tripos, Cambridge 1880. (*) A hystory of the study of mathematics at Cambridge, Cambdrige 1889. (3) Indipendentemente dallo Stokes, che non pubblicò le sue idee, i principii del- l’analisi spettrale vennero stabiliti, come è ben noto a tutti da Kirchhoff e Bunsen Cfr. — 176 — Stokes fu eletto Fellow di Pembroke, ma nel 1857 dovè abbandonare il Collegio a cagione del suo matrimonio con Maria Robinson, giacchè gli statuti di quell'epoca imponevano ai Fellows il celibato. Però, venute in vigore le nuove disposizioni che toglievano tal vincolo, fu rieletto, e nel- l'Agosto scorso egli divenne Master che è il più alto grado nell’ Istituto. Dal 1849 egli era professore Lucasiano e nel 1851 entrò a far parte della So- cietà Reale di cui tre anni dopo fu Segretario e poscia per un quinquennio Presidente. Rappresentò al Parlamento l’ Università di Cambridge e nel 1889 i lunghi servigi da lui resi alla scienza gli valsero di essere creato Ba- ronetto. L'ultimo premio, che coronò una vita consacrata a studî tanto fecondi, fu la solenne celebrazione del cinquantesimo anniversario della sua nomina a professore Lucasiano. I memorabili giorni del Giugno 1899 in cui, alla pre- senza di tutte le Autorità accademiche di Cambridge e delle rappresentanze delle Università e dei corpi scientifici di ogni parte del mondo, ebbero luogo le splendide onoranze, sono a tutti presenti e l’eco dei dotti discorsi e delle comunicazioni scientifiche fatte in quella occasione non è scomparsa (!). In questi ultimi anni Stokes, rimasto vedovo, viveva con la figlia e col genero, quando la morte lo colse, il 1° febbraio scorso, carico di anni e di gloria. Funerali solenni a cui si associarono le istituzioni e le più alte perso- nalità scientifiche dell’ inghilterra ebbero luogo a Cambridge, ed egli ora riposa nel cimitero di Mill Road, mentre molti chiedono più degno posto per la sua salma nella vecchia Abazia di Westminster. L’opera scientifica di Stokes può dirsi quella di un perfetto fisico ma- tematico. La sua attività non si svolse in tutti i rami della scienza, ma egli sviscerò alcuni dei più importanti capitoli lasciandovi impronta imperitura. Provetto conoscitore del calcolo e cultore profondo della più squisita analisi geometrica, appresa specialmente nelle opere immortali degli analisti francesi, seppe conciliare le indagini sperimentali colla ricerca matematica, Kirchhoff, Zur Geschichte der Spectral-Analyse und der Analyse der Sonnenatmos- phédre. Pogg. Annalen Bd. 118; 1862. Lord Kelvin manifestò nella allocuzione letta alla Associazione Britannica nel 1871 le idee espostegli da Stokes nel 1852 (Report of the forty- first meeting of the British Association for the advancement of science; held at Edin- burgh in August 1871 pag. XCV). Stokes rifiutò in una lettera inserita nella Mature (6 gennaio 1876) alcun diritto alla scoperta. Egli si esprime così: «I have never attempted to claim for myself any part of Kirchhoff's admirable discovery, and cannot help thinking that some my friends have been over zealous in my cause ». (1) Memoirs presented to the Cambridge philosophical Society on the occasion of the jubilee of Sir George Gabriel Stokes. Bart. Hon. LL. D., Hon. Sc. D. Lucasian Pro- fessor. Cambridge at the University Press, 1900. — 177 — e, se i risultati di questa furon guida alle prime, alla loro volta i problemi della fisica ispirarono le sue investigazioni analitiche; tanto che una mira- bile armonia regna nelle pagine che Stokes ci ha lasciate, armonia che ri- sponde al perfetto accordo delle facoltà speculative del suo spirito. Questa rara dote e il genio solido e pratico ereditario nella razza anglo sassone, tennero lo Stokes lontano da un pericolo che ha minacciato anche grandi cultori della fisica matematica: quello cioè di lasciarsi. trascinare fuori dal campo dei problemi fisici presi a indagare, dall’attrattiva di sot- tili disquisizioni geometriche o di sviluppi di calcolo eleganti e difficili. L'abile analista che cede a questo allettamento, diviene spesso lo schiavo della propria abilità. Allora mentre ammiriamo la maestria colla quale supera ardue difficoltà, dobbiamo sovente deplorare che la simmetria delle formule non risponda alla loro pratica applicazione o i risultati analitici non si pre- stino ad un riscontro sperimentale. Da un tale difetto sono ben lungi le opere di Stokes, nè esse mai ri- velano un'analisi matematica che si spinge oltre i confini del quadro trac- ciato dalla questione naturale. Lord Kelvin ha espresso con una frase com- prensiva questo pensiero dicendo, esser la matematica, per Stolkes, un aiuto, non lui esser servo della matematica, e la stella che guidò il suo pensiero essere stata sempre la filosofia naturale. Le ricerche di Stokes si riferiscono principalmente alla idrodinamica, all'equilibrio ed al moto dei corpi elastici, all’ ottica, alla variazione della gravità sulla superficie terrestre. Egli principiò collo studio del moto stazionario dei fluidi incompressi- bili, colle indagini sull’attrito interno dei fluidi in moto e sul moto dei solidi nei fluidi. Le ricerche classiche di Dirichlet non erano in quell’ epoca ancora pub- blicate, ed i celebri lavori di Helmholtz sui vortici dovevano ancora farsi lungamente attendere. Lo Stokes si occupò del teorema di Lagrange che con- teneva in germe la teoria dei vortici, precedette i suoi contemporanei nello studio del moto dei solidi nei fluidi, in particolare dei solidi di forma sfe- rica, nel qual caso applicò felicemente il metodo delle immagini di Thomson; ottenne finalmente la bella e feconda soluzione del problema dei movimenti di un fluido in una scatola rettangolare. L' attrito interno dei fluidi lo occupò a lungo. Trovò le equazioni fondamentali in maniera indipendente dalle ipo- tesi molecolari, che avevano invece guidato prima di lui Navier e Poisson, e ne fece importanti applicazioni al moto di una sfera nell'aria ed al pro- blema del pendolo. Altri lavori idrocinetici, in particolare quelli magnifici sulle onde, meri- terebbero di essere ricordati se il tempo ce lo concedesse. Ma le memorie che maggiormente hanno contribuito alla fama dello Stokes furono quelle di ottica. Nella sua teoria dinamica della diffrazione, — 178 — scritta fino dal 1849, mostrò la piena padronanza della teoria analitica delle equazioni differenziali della fisica matematica. Questa teoria oggi ha fatto grandi passi e si è in parte rinnovellata, ma si rifletta che i celebri lavori del Kirchhoff sui raggi luminosi, che tanto hanno contribuito al suo pro- gresso, non vennero alla luce che trentacinque anni dopo il lavoro del fisico inglese. La teoria della diffrazione è seguita da abili esperienze, e l' autore vi tratta la questione tanto dibattuta nell'ottica, e prima e dopo di lui, del piano di polarizzazione. Il magistrale lavoro sul cambiamento di rifrangibilità della luce, in cui vengono stabilite le leggi della fluorescenza, resta monumento perenne del genio di Stokes. Il modo ammirabile con cui egli ha concepite le esperienze, le ha eseguite e discusse, costituirà un modello difficilmente superato dai fisici. Su altri lavori di ottica pur notevoli, come quello dei colori delle lamine sottili, non mi è concesso fermarmi perchè l'ora incalza. Classici ormai sono divenuti i teoremi di Stokes sulla gravità. Alle varie ipotesi di Clairault e Laplace relative alla costituzione interna della terra, mediante le quali essi pervenivano a stabilire le relazioni della gra- vità nei varî punti della superficie terrestre, egli sostituì la sola ipotesi che questa sia una superficie di livello. La grande memoria sui valori critici delle somme di serie periodiche, tratta con grande maestria una delle più delicate e difficili questioni di analisi strettamente legata ad una classe estesa di problemi sul calore, la elettricità, la idrodinamica. Il lavoro poi sul calcolo numerico di una classe di integrali definiti e di serie infinite è un esempio di straordinaria abilità nel volgere ed impiegare le teorie analitiche a sussidio di questioni pratiche di fisica. Sebbene numerosi, i lavori pubblicati da Stokes non sono che una parte della sua opera scientifica. Molti resultati egli non ha stampati mai, come la scoperta sull’analisi spettrale di cui già parlammo, come il teorema celebre, che porta il suo nome, sulla trasformazione degli integrali, il quale gli pro- curò negli anni giovanili il premio Smith. La sua produzione anteriore al 1854 è la più importante, nondimeno egli continuò, anche recentemente le comunicazioni ai periodici scientifici, fra cui è da segnalare l'ultima, sui raggi Ròntgen, fatta nel 1896, allorchè questa scoperta scosse il mondo scientifico. Gran parte della sua attività, a partire dal 1854, epoca in cui fu eletto segretario della Società Reale, venne spesa per aiutare gli altri nelle loro ricerche e nei loro studî. Il meraviglioso disinteresse, la sublime ge- nerosità con cui egli metteva a disposizione l'alto ingegno per altrui pro- fitto, non erano pareggiate che dalla sicurezza dei suoi apprezzamenti e dalla libertà del suo pensiero privo di ogni pregiudizio scientifico. E — 179 — È perciò che Stokes lascia, insieme all'alta sua fama di scienziato, larga eredità di affetti e lungo rimpianto come benefattore dei molti che ebbero da lui incoraggiamento, consiglio ed aiuto. Sulle ridenti e verdi rive del Cam, giace la tranquilla città universi- taria, piccola per estensione, ma grande perchè ivi coll’andar dei secoli si è maturato gran parte del pensiero scientifico della vecchia Inghilterra. Colà in mezzo ad istituzioni e a costumi medioevali, l’arringo è aperto alle idee più moderne, e lo spirito conservatore, le antiche tradizioni e i ricordi si rafforzano accoppiandosi ad una larga libertà di pensiero. Nei vetusti e glo- riosi Collegi di Cambridge vive ed è tuttora fresco il ricordo di Newton, ed il suo grande spirito sembra aleggiare nelle gotiche sale in mezzo a tanti celebri maestri ed allievi. Fra questi, e allievo e maestro dell'antica Università, campeggierà sempre nella sua serena, nobile e maestosa figura Giorgio Gabriele Stokes ». Il Vicepresidente BLAsERNA dà annuncio della perdita fatta dall'Acca- demia nella persona del Socio straniero E. von Wicp, del quale legge la seguente Commemorazione. « Enrico von Wild nacque a Uster, piccolo villaggio del cantone di Zu- rigo, il 17 dicembre 1833 e studiò al Ginnasio e nell’ Università di Zurigo fino al 1854. Si recava poscia a studiar fisica presso il grande maestro F. Neumann a Konigsberg e si laureò nel 1858 a Zurigo. Dopo aver lavo- rato ancora con Kirchhoff e Bunsen a Heidelberg, egli fu chiamato come straordinario di fisica e direttore dell’annesso Osservatorio meteorologico a Berna, ove divenne ordinario nel 1862, nell'età di 29 ‘anni. La direzione dell'Osservatorio di Berna lo indusse ad occuparsi di pre- ferenza di meteorologia. Egli ne allargò i limiti, facendone una stazione cen- trale per i cautoni di Berna e di Solothurn; ciò che fu il punto di par- tenza della grande rete meteorologica svizzera, impiantata nel 1863 dalla Società Elvetica delle Scienze naturali. In pari tempo fu direttore del- l’Istituto speciale di pesi e misure, ove ebbe occasione di procedere ad una revisione esatta dei campioni svizzeri. L'impianto del servizio metereologico svizzero fatto da Wild richiamò su di lui l'attenzione di tutti i cultori di questo ramo di scienze: esso rivelò nel giovane scienziato qualità affatto straordinarie di organizzatore intelli- gente ed attivo. Fu in seguito a ciò che il governo russo nel 1868 lo chia- . mava alla direzione dell’ Istituto fisico centrale di Pietroburgo, rimasto vacante per la morte del celebre professore Kuppfer; egli ebbe l’incarico di comple- tare l'organizzazione dell'Istituto e del servizio meteorologico e magnetico del vasto impero russo. Nel 1876 fondò a Pawlowsk un Osservatorio meteo- rologico e magnetico, che si può considerare come un modello del genere e AE diede a tutto l'impianto da lui immaginato uno sviluppo addirittura mera- viglioso. Grazie alla grande sua attività ed ai mezzi fornitigli largamente dal governo russo, si può dire senza esagerazione, che la Russia, dopo l’ Inghilterra, ha reso i più grandi servigi allo studio dei fenomeni meteorologici e magne- tici del mondo. Si deve a Wild la fondazione delle Conferenze meteorologiche interna- zionali e nel 1880 fu anche il presidente del comitato polare internazionale, incaricato di tracciare le norme per le indagini scientifiche nelle regioni po- lari. Nella sua carica di direttore del servizio meteorologico russo, egli fondò e diresse, finchè rimase in carica, il grande « Repertorium fir Meteorologie ». Ma l'opera del Wild non è stata soltanto quella di un grande organiz- zatore; anche come scienziato egli ha dato prova di un'attività e di un in- gegno non comuni. Le istruzioni meteorologiche da lui compilate, la pubbli- cazione di rapporti annuali sui risultati ottenuti nelle numerosissime stazioni da lui dipendenti, i confronti eseguiti per fornire alle diverse stazioni stru- menti strettamente paragonabili fra di loro, i suoi studî sulla miglior forma ed ubicazione degli Osservatorî, costituirebbero già da sè un insieme di me- riti non comune. Ma si può dire che le sue ricerche speciali ed i numero- sissimi perfezionamenti arrecati agli strumenti ed ai metodi di misura, fanno poi di lui un cultore esimio di questo ramo della fisica. Le grandi sue memorie sulla ricerca della temperatura dell'aria e del suolo, della pressione, dell'umi- dità, della velocità del vento, della evaporazione e delle precipitazioni, come pure quelle sulle misure magnetiche e di fotometria, costituiscono una vera biblioteca necessaria a chiunque si occupi di questi studî. Finalmente bisogna ancora tenere conto delle sue ricerche in fatto di climatologia; la grande sua memoria sul clima della Siberia, e poi ancora il classico suo studio sulla distribuzione della temperatura nell’ Impero russo e parecchie altre rimarranno sempre un modello del genere. In pari tempo Wild è stato uno dei membri più anziani e più autore- voli nel Comitato internazionale di pesi e misure, ove ha potentemente contribuito al grandioso sviluppo di quella istituzione. Nel 1895 egli si ritirò a Zurigo per la sua malferma salute, ed anche per l'indirizzo panslavista, che si faceva sentire sempre più in tutti gli atti dell’amministrazione russa; si diede tranquillamente a ricerche private di meteorologia, e morì nel 5 settembre 1902. Fu membro ordinario dell’Acca- demia Imperiale di Pietroburgo fin dal 1870 e Socio straniero della nostra Accademia dal 1895 ». PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CERRUTI presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Soci stranieri C. KLEIN e M. NoETHER, una Relazione — b8Bl — della Società sismologica italiana sul: Primo Congresso ed Esposizione di istrumenti sismici in Brescia nel settembre 1902, e il fasc. 6° dell’Atlante fotografico della Luna, pubblicato dall’Osservatorio di Parigi. Il Socio CAPELLINI fa omaggio, a nome dell’autore, di una raccolta di pubblicazioni del Socio straniero LePsIUSs, e parla delle più importanti. CORRISPONDENZA Il Segretario CeRRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia di scienze ed arti di Barcellona; la R. Accademia delle scienze di Amsterdam; la R. Accademia delle scienze di Lisbona; la Società Reale di Londra; le Società geologiche di Manchester e di Sydney; la Società di scienze naturali di Braunschweig; la Società geodetica di Washington; le Società zoologiche di Amsterdam e di Tokyo; il Museo Bri- tannico di Londra; l’Istituto Teyler di Harlem; l'Osservatorio astronomico di Praga. OPERE PERVENUTE. IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 1° marzo 1903. Amodeo Federico. — Dai fratelli Di Martino a Vito Caravelli. Memoria letta all'Accademia Pontaniana nelle tornate del 2 novembre e 7 dicembre 1902. Napoli, 1902. 8°. Angelitti Filippo. — Osservazioni di distanze zenitali fatte al Circolo Me- ridiano di Repsold nel R. Osservatorio di Capodimonte durante gli anni 1893-94. Palermo, 1902. 4°. Berlese Ant. — Nuove Relazioni intorno ai lavori della R. Stazione d'Ento- mologia agraria di Firenze per cura della Direzione. Serie 1, n. 4, 1902. Portici, 8°. Betànkande afgifret den 8 december 1902 af den fir utredning af vissa frigor ròrande de Allminna laroverken den 26 maj 1899 i nader Tillsatta Kommitté. Bd. 3. Stokholm, 1902. 4°. Bypu6oppa B. — OcÙozu yuerÙia o rpacHoms orpyoesazzone Imma b Py- tiriasis rubra. RazaHp, 1902, 4°. Congresso (Primo) ed esposizione di istrumenti sismici in Brescia nel settembre 1902. Modena, 1902. 8°. RenDICONTI. 1903, Vol. XI, 1° Sem. 24 — 182 — Oapopcriîi A. — Marepiarsz Eb BOMpocy 0 IaTOTOro-2HATOMHTeCKOMB n3Mfgeit commzoro mosrampu ciasseniz ero. KasaHp, 1901. 89. Janet Ch.— Essai sur la constitution morphologique de la téte de l’insecte. Paris, 1999. 8°. — Les habitations à bon marchè dans les villes de moyenne importance. Limoges, 1900. 8°. — L'estétique dans les sciences de la nature. Paris, 1900. 8°. — Notes sur les fourmis et les guèpes, fasc. 4°-10°. Limoges, 1894-97. 4°. — Sur les nerfs céphaliques, les corpora allata et le tentorium de la fourmi. (Myrmisa rubra L.). Paris, 1899. 8°. Klein C.— Die Meteoritensammlung der Kéoniglichen Friedrich-Wilhelms- Universitàt zu Berlin am 5 Februar 19083. Berlin, 1903. 8°. — Totalreflectometer mit Fernrohr-Mikroskop. Berlin, 1902. 8°. Lebon E. — Sur un manuscrit d’un cours de J.-N. Delisle au Collège Royal. Paris, 1902. 8°. Lepsius G. R. — Das Mainzer Becken geologisch beschrieben, Darmstadt, 1883. 4°. i — Das westliche Sùd-Tirol geologisch dargestellt. Berlin, 1898. 4°. — Festschrift zur Weihe des neuen Soolsprudels zu Bad Nauheim. Im Auftrag etc. Darmstadt, 1900. 4°. — Geologie von Attika. Berlin, 1893. f°. 7 — Geologie von Deutschland und den angrenzenden Gebieten (Erster Teil : ‘* Das westliche und sidliche Deutschland). Stuttgart, 1892. 8°. — Geologische Karte des deutschen Reichs. s. l. e. a. f°. — Geologische Karte von Attika auf Kosten der Kéniglich Preussischen Aka- demie der Wissenschaften begonnen von R. Lepsius und H. Biicking fortgefilhrwt und herausgegeben von R. L. (Neun Blatter im Maass. 1:25,000). Berlin, 1891. fol. gr. — Griechische Marmorstudien. Berlin, 1890. 4°. — Halitherium Schinzi die fossile Sirene des Mainzer Beckens. I. Band. Darmstadt, 13882. 4°. Loewy M. et Quiteaua. — Atlas photographique de la lune. Sixième fascicule. Paris, 1902. 4°. Jypia. — 0 porn uyBerBH TeTbHHIXb HepBoBh JTiapparMe Bh HAHepBania 1sxania. Kasanp, 1902. 8°. Marson L. — Nevai di Circo e traccie carsiche e glaciali del Gruppo del Cavallo. Roma, 1903. 8°. Hnuxkog1ae8* B. B. — PororpapuposaÙie r1azHoro THA *uB0 THIXb. Ka3aHb, TI 0INESS Noether M. — Rationale Reduction der Abel'schen Integrale. Erlangen, s.a 4°. te — Uebher die singuliren Elemente der algebraischen Kurven. Leipzig, s. a. 8°. — 183 — Oddone E. — Esiste una periodicità nei fenomeni sismici? Modena, 1902. 8°. — Su di un apparecchio per lo studio sperimentale delle onde meccaniche longitudinali nell'aria, nel suolo e nell'acqua. Modena, 1902, 8°. — Sui deflettometri. Modena, 1902. 4°. Tommasina Th. — Constatation d'un champ tournant électromagnétique produit per une modification hélicoidale des stratifications, dans un tube à air raréfié. Paris, 1903. 4°. — Sur le mode de formation des rayons cathodiques et des rayons de Réntgen. Paris, 1902. 4°. Viola C. — Lichtbruhungsverhiltnisse des Turmalins. Leipzig, 1902. 8°. VELO. iiaoda tie alata pr ol Yi PECTI i RASTIPONI Hi i sto) GY oh 00 E. eat MEL fo g00 1 atolli sand srpaaoidas (A Tusa «Gi fio: "Dr fol sottgad Miner (KE duo POS Uro VIISRIGGIIANE Livon e Digioto! DENTI tot Lili denari; TAR Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). p Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MeMoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3% MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol:GINoVWEGNIL VITI. Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemorIE della Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — IL (1, 2). — II-XIX. MeMmoRrIE della Classe. di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4% — RenpIconTI Vol. I-VII. (1884-91). MeMoRIE della Classe di scienze. fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MeMoRIE della (Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. ; Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII. (1892-1903) 1° Sem. Fasc. 5°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. (1892-1902). Fasc. 12. MemoRIE della. Classe” di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-II. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINOFI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. £©; per gli aliri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. Utrico HorrLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICON'II — Marzo 1903. INDICE Classe di scienze flslòhey matematiche e naturali. Seduta del 1° ‘marzo 1903. MEMORIE E NOTR DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Morera, Sulla trasformazione delle equazioni differenziali di Hamilton . . . . . Pag. Capelli. Sulle relazioni algebriche fra le funzioni & di una variabile e sul Lili di addi- ZIO 3 ” Millosevich. Osservazioni idr Sick 1902 Ù udibini « e 1903 1) ;'Giatoliti fatte Mine toriale di 38 cm... . 0 oo... » Dall'Acqua. Sulle terne salegonali di congruenze a ria cosatie o dal es RICA » Fubini. Sul problema i. Dirichlet 0 spazio ; Sal olico indefinito (ali dal dda; Vaia) © » Viterbi. Sull’equilibrio d'un ellissoide planetario di rivoluzione elastico isotropo (pres. dal Cormisp Ur) TAO E) Picciati. Campo elettromagnetico conta dal oto o ET di una carica elet- trico - allelamente ad un piano conduttore indefinito (pres. dal Socio Volterra) RA 00) __«vmo. Intorno ad un nuovo apparecchio per la determinazione dell’equivalente mecca- nico della caloria e ad alcune modificazioni del calorimetro solare, del dilatometro, del termometro e del psicrometro (pres. dal Socio Blaserza) A)... 0. Dice ” Id. Intorno alla determinazione della densità e della massa di quantità minime di un solido (pres-dal/Socio BIS SRO A er Helbig. Sintesi diretta dell'anidride nitrosà (pres. dal Socio io, AVI PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Vicepresidente). Dà annuncio della morte del Socio straniero G. G. Stokes . » Volterra. Commemorazione del Socio straniero @. G. Stokes. . . . . i » Blaserna (Vicepresidente). Annuncio della morte e Commemorazione del Sio sinto E. von WU SE ARE en. MO o nero e PRESENTAZIONE DI LIBRI Cerruti (Segretario), Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci stranieri C. Xlein e M. Noether, una Relazione della Società sismologica italiana sul: « Primo Congresso ed Esposizione di istrumenti sismici in Brescia nel settembre 1902 », e il fasc. 6° dell'Atlante fotografico della Luna, pubblicato dall’Osservatorio di Parigi » Capellini. Fa omaggio di alcune pubblicazioni del Socio straniero Zepsius e ne parla. . » CORRISPONDENZA Cerruti (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. . ... » BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensile. Roma 15 marzo 1903. N. 6. AI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CEE. 1908 SEREDSOUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 15 marzo 1903. Volume XII.° — Fascicolo 6° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI | 1903 S x Nisoniah } APRI6 is. N: s ORARI Ma sa ona] Muser®== ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono lenorme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da.Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate (da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25° agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. i 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essì sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci 0 da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di < stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 0) Col desiderio di far conoscere. taluni fatti : 0 ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 «dello Statuto. ‘ 5.L’Accademia dà gratis 75 estratti agli a0- ‘tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. se estranei. La spesa diunnumero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI. Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. n Seduta del 15 marzo 1903. P. VILLARI, Presidente. Fisica matematica. — Campo elettromagnetico generato dal moto circolare uniforme di una carica elettrica parallelamente ad un piano conduttore indefinito. Nota II (*) di G. PrccIATI, presen- tata dal Socio V. VOLTERRA. 3. Riprendiamo ora a considerare la due funzioni P, Q ricordando le loro caratteristiche e riferendoci alle coordinate 0,0, <'; essendo, per la loro regolarità, funzioni periodiche di @ possiamo porre P=:Po +) (gncosn0+4 hnsen 26), Tn Q=Q+> (e, c0o8n0-+/,senn0), 1 con Po, Qo,9n lin en ln funzioni solo di 0, regolari ed annullantesi al- l'infinito e per 2'=0. Sostituendo queste espressioni di P,Q nelle equa- 2 zioni (7) a cui esse devono soddisfare, e ponendo al solito 4, = 4, + 2 Da si ottiene, annullando separatamente i termini indipendenti da @ ed i coef- (1) V. pag. 159. RenpicontI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 25 — 186 — ficienti di ogni cosz0, senz0, le equazioni: (12) AP, È? =0, 4,0 — si =.053 An — cl L va) da 1) (ERO . (18) os (È Don I 2. \ d'im—(T na) Melia, sn | dim (E id) n= Di queste equazioni le (12) rientrano senz’ altro nel tipo più sopra conside- rato; quindi è PP=0,Q,=0; dalle (13) si hanno poi le altre equazioni r la 2 co (EEE Ne + +| ee EE [+ m=0, ) (n 1)? Vaia di @—b)+| è 07 unto: Jo ln =0, le quali, rientrando nel tipo considerato, danno gn, 4 n=0,gn—=0, quindi g,=0,/,=0. Analogamente dalle (14) si ha pure 7,=0,e,=0, e quindi in conclusione in tutto lo spazio S si ha P=0, Q=0, come si voleva dimostrare. Riepilogando: essendo P=0,Q = 0 in tutto lo spazio S si possono alle relazioni (5), valevoli per i punti del piano <'=0, sostituire le due re- lazioni (Cl Gaps de! sli i deo pd 27 ds'| do del ode do ° (O) kid ST dui SID du' dna Dei valevoli in tutto lo spazio; 2 mostro problema è ora ridotto alla deter- minazione delle funzioni F,,A,,Wr. aventi il comportamento qualitativo indicato e soddisfacenti alle (15) ed alle altre d?F (1) OF,=4,F,— a rp dà, À, 2 du, By CU A A PA Bandi 200) Er 0° o do ’ 8) Fio — 187 — Determinazione di F,. — Derivando la prima delle (15) rispetto a @ e sommandola con l’ equazione stessa divisa per 0 e con la seconda delle (15) derivata rispetto a 0 e divisa per © si ottiene LA d \ da dia da 1 du | e 27 dis[tao 0 k È ) {eh 14, 1 dR, Ida) TREO Vi pene +aletete de | Di 1 de' d* E' )ESE di | X , 1 du} Tui ae?) (Sesta n: dé° $ dT ear 0) quindi avendo riguardo alla (3) si ha per F, ah dF _(aF, ld, 1 dF_ 3 0M)_ 2r d\|dd _{ de 0) dom ;08MaA08 de*\ CCIAA VIVA Re 1 d°F' s È ie) dalliondobnio* d07900i-a0”.; Questa equazione, dovendo F, ed analogamente F' soddisfare anche alla (1), diviene ok d°F, d*F, i dr Ir die dò dk def Integrando rispetto a |] da un valore qualunque sino all'infinito, an- nullandosi i due membri per |2= co si ha ak dF, , dk, dF' 0 dr dd * digli dal del Da questa equazione è facile dedurre l’ espressione di F,; nota questa, le (15) danno allora 2, e wu}. Poniamo rst=|/ e+R4| eta tt £ 8 | 2Reco (0-+0r9+52e+-08) essendo «,$ due indeterminate, ed inoltre poniamo m r=8 — a Ro sen (0 + ar5B + — o + 28) ° dI Fo avremo intanto — aRo sen(0+ ar®°) r— aRosen(0+ ar) (FP), ack = %° — gRo sen( mM pe TT A — 188 — ed inoltre i GF è TR ciò che si riconosce subito ricordando che F' soddisfa alla DF'= 0. Si ha poi dE%° Gak dB% | dFo° da —2n dd dl'|” quindi potendosi la (16) scrivere anche ak @ d ak dE' OF>B—= 4, Fo — ==), (16°) A E a sì riconosce subito che la funzione È ale SB (17) F,+F= ox do de soddisfa alla (16). Essa soddisfa anche i O(F.+F)=0, si annulla al- l'infinito, è regolare per tutti i valori di 0,0 ,', avendo solo una discon- tinuità normale per <= 0; ci dà quindi la funzione cercata F,. Infatti do- vendo F, soddisfare alla (16), posto ak (°dE%° Sii si dovrà avere ak Sa dn su GAI 271 d|e'|° ale dA dG ak dl. 276 (dOM da 2r dé’ e quindi anche ale d È d U St 3 i e e perciò dovrà essere F, + F' —G una funzione arbitraria di o- fi is, che dovendo però soddisfare alla Of= 0 ed annullarsi all’ infinito sarà quindi identicamente nulla; e ciò dimostra l'unicità della soluzione data dalla (17). Determinazione di À, e un. — Noto F, le (15) danno le funzioni 4, e u,; si ha infatti per 4, a da LA pio i ; dà della quale, posto 28 — aRF°8 sen (0-4 ar. + ag), (4°)p_a È (29) =, d (CO de © 16 ma 2r di | si ha un integrale dato da ak [ce] © J2F%8 (°°) daB () =) da f mg nz, o essendo quindi — 189 — essendo F®5 l’espressione precedentemente definita. Infatti si ha k dd, di (4 da {E dFoB PI) 5% a+ ina (7 d aaa di8B © %k da È (Ta de ( d° (dEP>8 uo dle 70 Vegao n) ale 2r. il, 3) + af d die ag=t [ CCA C-Me oi delia T2r), dodé 1 16 si Analogamente avendosi per w, l'equazione o fa ko du (20) Vada iti \+P)—a E posto nu = aRF*8 cos (0 + ar®%8 + 48), essendo (0 (0) e si ha un integrale della (20) dato da UA fi d° Fab h° 1) eee verificandosi questo nel modo sopra indicato per 4. Le espressioni (19) e (21) determinate per 4, , «, soddisfanno, oltre che alle (15), anche a tutte le altre condizioni stabilite per esse; sono regolari per tutti i valori di 0,@,", avendo solo una discontinuità normale per 2=0; si annullano all'infinito e soddisfanno al sistema di equazioni (2), ed inoltre, insieme ad F,, alla (3), come si può facilmente verificare. In- fatti, per rendere soddisfatta la prima delle (2), si dovrà avere de Fe ge DEL? 1 dp>B 2, d*FsB Aa È TH Sodi, i cano ]e+ da8 DO 1: dARMMe B.. [47 i. deg» qa Da | ago e quindi anche ar Sa a, - dat cat i cioe 20) d?28 ; fr SA paso e e = +af | a CE x - ud 0, — 190 — il che si riconosce, osservando che F8, 28, uf soddisfanno alle stesse equa- zioni a cui soddisfanno F",4',w' cioè alle (1), (2), (3). Come alla prima delle (2), si riconosce in modo simile che le espres- sioni trovate per F, , 1, 4 soddisfanno anche alla seconda delle (2) ed alla (3). Esse sono inoltre le uniche soddisfacenti a tutte le condizioni del problema. Infatti procedendo come si è fatto per la F,, si riconosce che le espressioni di 4, e u, non possono differire dalle (19) e (21) che per funzioni arbitrarie di D 6— a|z'|; queste, dovendo soddisfare al sistema (2) ed annullarsi al- l'infinito, sono perciò identicamente nulle. Determinati così completamente i potenziali F,,4,,g,, le componenti delle forze Ct del campo che si considera sono: (H)=— td adi _ tai ge 3a (22) da + 148, urti Wert id = dti lrte, COM RL (Ap Qd68 do o) o dé do Q essendo H, K,... N° le componenti delle forze elettromagnetiche del campo generato dalla carica quando non si ha il piano conduttore. 4. Le espressioni determinate per F,,4,,, mostrano facilmente che, finchè è X>O0, esse sono funzioni che si comportano regolarmente anche per valori di « piccolissimi; d’altra parte l'ipotesi 4 >0 è quella che si veri- fica sempre nelle condizioni sperimentali ordinarie, essendo 7 un trentesimo della resistenza dell'unità di superficie del piano conduttore espressa in ohm, quindi un numero generalmente piccolo ma diverso da zero. Le funzioni F,,4,,w, si possono quindi sviluppare secondo le potenze di a, per a assai piccolo; consideriamo il caso che della a = Aw si possano trascurare le potenze superiori alla prima. Comparendo in F,4- F",4,,w% come fattore la 4, si può porre allora a= 0 nell'espressione che comparisce come fattore della a. Si ottiene allora gii ge ic ’ 28=-0, u=0 — 191 — quindi si ha più semplicemente k © JF%° \r+rantf ode, (3) io de f RI; m=gf ef ILA. do dd 0 O d6E Ponendo = 0° + R? — 2Ro cos0+[|2|4 d}?, =||+4d, si ricava i es ir oe IONE 2rx), d0\}/B+2Da+ a} È 27x VBVB+D)" il che ci permette di determinare senz'altro le componenti dae forze elet- À, triche, giacchè nelle (22) devono essere trascurati i termini a + È dl 9° d 5 4 2 +d da che sono di secondo grado in 4. Per avere anche le compo- i cd Hd magnetiche è conveniente procedere al calcolo diretto a 7 __ du DE di de) del'o do do A in luogo delle 4, e &, Si ha intanto, per le (24), dà, af d° (dExB gta) Salani ma essendo i , sarà anche dz'| n Ae af ____ mak © gE SF) d|'| ha 7% )]c= 2a Jo ded6\r®8 co) — 1 ‘nor —ssso "r, = \4f cu) Wanna cos0+| s]}+a+£ 8 | 1 make er “ np luna E a4(Lo) ) avendo B e D le precedenti espressioni. Si ottiene allora di d Ro sen @ wi” dal "a 7 (VB +D) — 192 — Analogamente, avendosi du, Za ef GR na —_ Mal PENTA a dz e o e dé 3 =; o 0 de\p8 R lagepmal (3 lecdi (fl pens g; =— 27T oO db? NA E) 2 ’ prtonzo+(£ ) si ottiene du il Ro sen 0 GO) d|z'| o o do V/B(Y/B + D) Si ha poi finalmente uti, CLCAILINZA o do pS Q = fd cf MARE IL n) sinti d° Fo o, o do dé* do dé? o de Tea DR; Sica d ii, ; quindi, osservando che è — ==#+—<—- secondochè 2’ = 0, le componenti delle forze elettromagnetiche ve all' dii sul piano conduttore o sono: H=— di = ma DD. il o, e e Mh per 2 > 0, avendo posto Pr RO sanO ARE RE a male nio pr te? e per 2'<0 sono invece = -” Dima 48. d K SS n G= ma r dF, Zi, = 0 Z iran rin Cla r Riferiamoci ora agli assi mobili 0'4'y/2" ed alle variabili 2,9 ,%": indicando le componenti delle forze elettromagnetiche totali relative a questi assi con (X), (Y'"),(Z');(L'),(M'),(N'), e ricordando che si ha (X')=(H)cos9—(K)seng, (L')=(E)cos09 —(G)sen?, (Y°)=(H)sen0 4 (K)cos®@, (M')=(E)sen94- (G) cos @ =; M=®, — 1939 — ed inoltre doi ns d d ot es04 durata do o do’ dy do ORAoD si ottengono per le forze elettromagnetiche le espressioni seguenti : r I) Je da a=-Tir+r, (I) = L= ma E, N sie IS (28) a ig A dy (27) ma-glf+ hi, Mae ma i d NONA Q)=-|F+Hl: DE secondo che è ' = 0. In queste formole si ha, ricordando le espressioni di F,L'.N' date Si Nota precedente Afalitepinoto 00 Sala Ai Va-RP+y +@—d SAR AGHI VAR FRANI O: I L'=aR ago: N = RG ed inoltre Ry' i VB(Y/B + D) ° VB=V(#—RP}+y°+[|]4+ dd, D=||-+d. Consideriamo in particolare i punti al di là del piano conduttore e per S3 pe 2 ire x # on essendo i quali è #<0. Avendosi allora F MR, componenti della forza elet- VB trica totale derivano dal potenziale mal; la forza magnetica di induzione cy ; ma 54,0 è, come sempre, parallela al piano conduttore ed inoltre normale alla proiezione della forza elettrica sul piano conduttore <'= 0. Per i punti M situati sulla normale al piano con- duttore o, condotta dalla posizione 72 della carica m ed al disotto del piano stesso, si ha: dy avendo per componenti — m4_ Ns mol SR RATORI 2rt age 0 ; P mak È i ; e era a , (N)=N quindi essendo pare: ] 1 @=@f 0 [4|H-dE Wa RenpIcoONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 26 ed inoltre L= Neto Mm per i punti M le componenti delle forze gin divengono ; mak a=o, mMa- a, = n moB 19 E: Lone i) n Aa , (N)=0. Quando invece non si ha il piano conduttore, le componenti delle forze elettromagnetiche sono: e = MM M 2) L'— ma © 2 ME04, Ng Mm” Si può quindi concludere che per i punti M, al di sotto del piano condut- tore o, si ha: « La forza elettrica è inversamente proporzionale al qua- drato della distanza Mw ed opposta direttamente alla convezione. La forza magnetica è pure inversamente proporzionale al quadrato della distanza Mm, e diretta, rispetto alla traiettoria della carica #2, secondo la regola di Ampère. Il suo rapporto con la forza magnetica che si ha nei punti M, quando manca il piano conduttore (con l’ approssimazione consi- derata), è uguale ad 4 A resultati Co è pervenuto il prof. Levi-Civita (') nel caso del campo elettromagnetico generato dalla carica in moto di traslazione uniforme. Matematica. — Moti di un punto libero a caratteristiche indipendenti. Nota di A. F. DALL’AcQUA, presentata dal Corrispon- dente G. Ricci. Matematica. — Sulle corrispondenze algebriche fra due curve. Nota di MicHELE DE FRANCHIS, presentata dal Corrispon- dente E. CASTELNUOVO. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. (1) Vedi mem. cit. pag. 42. Si avverta che io ho quì tenuto conto soltanto dei ter- mini in a, riguardando % come un parametro finito. In quest'ordine di approssimazione 2 5 qua 3 PR} a : SIA sono evidentemente trascurabili i termini in 7. Per fare il confronto colle espressioni, k assegnate dal Levi-Civita nel caso del moto traslatorio, conviene porre nelle sue formule h= 0. Il fattore di riduzione per la forza magnetica risulta allora Sense ad 3, come nel caso presente. — 195 — Matematica. — .5/ problema di Dirichlet nello spazio iper- bolico indefinito. Nota di Gurno FUBINI, presentata dal Socio V. VOLTERRA. In una Nota, dello stesso titolo di questa (Rendiconti Lincei, 1900) il prof. Bianchi costruisce una funzione armonica in tutto lo spazio iperbolico, quando ne siano prefissi i valori all'infinito. Egli usa a tal uopo di rappre- sentazioni conformi di spazî non euclidei. Non sarà forse privo d'interesse il vedere che lo stesso problema si può risolvere con mezzi assai più ele- mentari: tanto più che così si vedrà meglio perchè il singolare metodo del prof. Bianchi conduca effettivamente alla risoluzione del problema. Indichiamo con 4, y, z coordinate cartesiane ortogonali; e siano R,a due costanti; poniamo l'elemento lineare uguale a a da? 4 dy° + de? dì ECEDE TZ Esso è l’ elemento lineare della metrica iperbolica, di cui la sfera S di centro (a,0,0) e di raggio R rappresenta l'assoluto. Facciamo ora l'inversione per raggi vettori reciproci dh E , 2 ET y="G fig dove o°=&? 4 y"° | 2°? Avremo, (sostituendo in (1)) DR da'* + dy? + da? SUA +: dove, come facilmente si verifica, il denominatore rappresenta appunto il quadrato dell'equazione della sfera trasformata di S. Da ciò si deduce in particolare : Una inversione per raggi vettori reciproci trasforma le funzioni armoniche della metrica definita considerando una sfera S come assoluto nelle funzioni armoniche della metrica definita considerando come asso- luto la trasformata di S. E allora un metodo ben noto permette di risolvere subito il nostro pro- blema. Sia data su S una catena di valori U e sia P_un punto interno alla — 196 — sfera in cui si voglia calcolare il valore di una funzione armonica entro S (nella metrica definita da S) e che al contorno di S prenda i valori U. Presa come origine degli assi il centro O di S sia © il raggio vettore OP e sia y l'angolo che un raggio OA forma con OP. Se noi facciamo un'inversione per raggi vettori reciproci col polo nel punto Q immagine di P, il trasformato P' di P sarà il centro della sfera S' trasformata di S. Siano A, A' due punti corrispondenti generici di S, S'; do, do' gli elementi di area (euclidea) di due elementi corrispondenti di S, S'; sia y° l'angolo che P'A' forma con P'P scelto in modo di essere crescente con y; sia R' il raggio di S'. Im- maginiamo una catena di valori U’ su S' definita dalla U'(A")= U(A). Per il teorema precedente il valore della funzione incognita in P è uguale al valore in P' di una funzione armonica in S' nella metrica definita da S' come assoluto e che al contorno di S' prende i valori U”. Essa per teoremi noti sarà la media (euclidea) dei valori U'; il valore cercato è perciò: 1 Wo). do' (2) i Ue ae) Uni Ora evidentemente: R° do d(cosy) R? do d(cosy) Perciò (@) diventa: 1 d (cos y) ); (0) 47 R? d (cos y) do Nel triangolo APQ è: AMQO=z_y donde: (7) PQ?— AP + AQ? + 2AP. AQ cosy' Poichè SP PQ=0Q — 0P;AP° — R°+ o? — 2Rocosy; OP= o. AQ R' OP.0Q= R? la (y) diventa: SS iano c08 y 4 | [re +e 2707] 0° donde: d (cos y) _ (R° — g°)? d(cosy) © [R® + 0° — 2Rg cos yP ri — 197 — e quindi (8) diventa: MEI RE — TAI Jo [R? nia 0° — 2Ro cos [R® + 0° — 2Ro 0087]? do che ci dà il valore cercato nel punto P e che è appunto la formula stessa del prof. Bianchi. Il teorema della media usato in questa ricerca si deduce facilmente dal teorema di Gauss per una sfera dello spazio iperbolico, quando questa sfera tende all’ assoluto. Infatti noi sappiamo che anche nello spazio iperbolico il valore di una funzione « armonica in un punto O, è dato da: «TT udo dove x rappresenta la catena dei valori di detta funzione su una sfera qua- lunque di centro 0,, e do indica l'angolo solido, sotto cui è visto da O, l'elemento corrispondente della sfera stessa. Se noi passiamo ora a una rap- presentazione conforme dello spazio iperbolico su uno spazio euclideo, in modo che il punto O immagine di O, divenga centro della sfera S immagine dell’ assoluto, la formula corrispondente continua a valere, perchè le sfere col centro in O, sono mutate in sfere col centro in O, e gli angoli solidi col centro in O, restano mutati in angoli solidi equivalenti di vertice O. Basta ora far tendere la sfera, su cui si considerano i valori u, alla sfera G im- «magine dell’assoluto, per avere il nostro risultato. Di più si vede che la usata inversione per raggi vettori reciproci corrisponde, nello spazio iperbo- lico, a considerare l'assoluto come limite delle sfere che hanno per centro l’immagine di P anzichè di quelle che hanno per centro il punto O, immagine di O. Ecco la intima ragione su cui riposa il successo del nostro metodo, e di quello del prof. Bianchi, che, com'è ora ben chiaro, si riduce nella sua intima essenza al precedente. E di più se ne ricava un altro mezzo per risolvere il nostro problema anche senza uscire dallo spazio iperbolico. Fisica. — Sulla produzione dei raggi di forza elettrica a polarizzazione circolare od ellittica. Nota di ALESSANDRO ARTOM, presentata dal Corrispondente Guino GRASSI. 1. I metodi attualmente conosciuti per produrre raggi di forza elettrica a polarizzazione rotatoria si basano sulle analoghe esperienze di ottica, cioè sui fenomeni di riflessione metallica, di riflessione totale, di rifrazione doppia. Il prof. Righi (') ottenne per primo nel 1893 raggi a polarizzazione ellittica mediante riflessione da lastre metalliche di raggi di forza elettrica (1) A. Righi, L'ottica delle oscillazioni elettriche. — 198 — e più tardi Zehnder (') li ottenne servendosi di reticoli metallici incrociati. Così pure tali fenomeni furono constatati quando raggi di forza elettrica at- traversavano grosse tavole di legno, o cristalli, od un fascio di fibre di juta, dal Righi, dal Garbasso, dal Bose. 2. Le oscillazioni elettriche essendo ormai entrate nel campo delle ap- plicazioni, mi parve utile il cercare una disposizione sperimentale che per- mettesse la produzione diretta di raggi di forza elettrica a polarizzazione ellittica o circolare. I metodi a cui ho sommariamente accennato, male si adattano invero per oscillazioni a grande lunghezza d'onda. Per ottenere vibrazioni ellittiche coi fenomeni della rifrazione doppia, occorse ad esempio (?) che i raggi a vibrazioni rettilinee di lunghezza d’onda di circa cm. 10,7 attraversassero tavole di abete dello spessore di cm. 13,7. In queste condizioni l'energia elettrica e la magnetica delle vibrazioni emergenti riesce così diminuita, da non potere generalmente constatare tutte le proprietà fisiche che la teoria prevede per tali onde, così gli effetti dei campi ruotanti ad un tempo elettrici e magnetici. 3. Il metodo che forma oggetto della presente Nota, si basa sulla com- posizione di due oscillazioni elettriche ortogonali, di uguale ampiezza, di ugual frequenza, e spostate fra di loro di un quarto di periodo. Il prof. Righi (8) ha infatti analiticamente dimostrato che la composi- zione di due oscillazioni elettriche, le quali soddisfacciano alle condizioni sovra esposte, deve dar luogo alla produzione di oscillazioni a polarizzazione ro- tatoria, e più precisamente, quando le condizioni teoriche sono perfettamente raggiunte, devono aversi raggi di forza elettrica a polarizzazione circolare nella direzione dell'asse di simmetria normale al piano in cui si compiono le oscillazioni elettriche. Basandomi sopra tale teorema di analisi, mi sono proposto di produrre direttamente le onde a polarizzazione rotatoria, il che finora non era stato ottenuto. Ho perciò applicato a questa ricerca una delle proprietà dei circuiti percorsi da corrente alternativa che serve per la produzione dei campi ma- gnetici rotanti: dimostrerò in seguito che tale proprietà può con sufficiente approssimazione estendersi al caso dei circuiti percorsi dalle correnti oscil- latorie. Si abbiano due tratti MN, NP (fig. 1) di uno stesso circuito percorso da corrente alternativa. Si può fare in modo che i due tratti MN ed NP (1) L. Zehnder, Wied. Annalen, 1894. (2) A. Righi, loc. cit. (3) A. Righi, loc. cit. — 199 — siano percorsi da correnti di stessa intensità efficace I, = I, ma spostate di fase di 5 col disporre in parallelo colla seconda spirale NP un condensa- tore C il cui valore dipende dagli elementi elettrici del circuito. Sono notorie le condizioni analitiche perchè tale risultato sia conse- guito ('). Indichiamo infatti con I,,I,, I le intensità. efficaci delle correnti nei tratti MN, NP, NCP, con V la differenza di potenziale agli estremi di NP e costruiamo la rappresentazione vettoriale (fig. 2). Se con OV si rc2) rappresenta la differenza di potenziale efficace V, la I, dovrà essere rappre- sentata con un segmento I, condotto in precedenza di 90° e di valore 2772CV. Avremo: V ° VRF 4 RL I se 72, Ls sono la resistenza ohmica e l’ autoinduzione competente al tratto NP. La I, sarà inoltre in ritardo per effetto dell’ autoinduzione rispetto a V del- (1) L. Lombardi, Lezioni di elettrotecnica. — 200 — l'angolo: SA 2rrnLo arctg DE Se (1) 2ranL, = Pa quest'angolo è di 45°. Dalla figura si vede ancora che la I, risultante di I, ,I,, diventerà in valore efficace eguale alla I, e sarà spostata di 90° rispetto ad essa quando: I,= 21 cos 45° ossia allorchè: Vr + 4° n°: V2 od anche per la (1) quando: ) 4n° 2 L.C=1 Per la (2) il circuito NCP deve soddisfare alle condizioni di sincronismo o di risonanza. Soddisfacendo alle (1) e (2), il campo prodotto dalle I, ed I, è un campo rotante se i flussi da esse prodotti sono ortogonalmente disposti. 4. Siano ora M,N,P tre conduttori di scarica disposti sopra i vertici di un triangolo rettangolo a cateti uguali ed appartenenti ad uno stesso cir- cuito di scarica di un rocchetto di induzione o di una macchina elettro- statica (fig. 3). Se ammettiamo, come generalmente si ritiene per semplificazione di cal- colo, che la scarica possa essere rappresentata da legge sinusoidale, noi po- tremo per analogia con quanto sopra si disse, far in modo che le oscillazioni — 201 — che si compiono fra MN, NP abbiano ugual ampiezza e siano spostate di fase di 90° soddisfacendo alle sopraccennate condizioni (1) e (2), le quali, come. si dimostrerà, possono estendersi al caso delle correnti. di scarica... Si disponga infatti anche qui in parallelo colla NP una capacità C ed in serie una autoinduzione S. La relazione (2) è quella stessa che serve per le scariche oscillatorie, quindi può legittimamente ad esse applicarsi. La condizione rappresentata dalla (1), se ha grande importanza nel caso di correnti alternative industriali, qui deve ridursi ad avere minima impor- tanza, sopratutto perchè la scarica fra i conduttori N e P si mantenga oscil- latoria. Infatti conviene qui far in modo che il valore di 7, sia per la maggior parte rappresentato dalla resistenza ohmica della scintilla, la quale nelle con- dizioni ordinarie sì mantiene sui 0,80 ohm ('). Il valore di Lic per frequenze altissime risulterà pure piccolissimo. L'impiego della (1) può quindi farsi con buona approssimazione anche se la legge della scarica differisce dalla sinusoidale. Soddisfacendo quindi alle (1) e (2) le quali ci aiutano nel proporzionare gli elementi del circuito, noi veniamo a porre in presenza, e quindi a tro- varci nelle condizioni richieste dalla teoria, due scariche di uguale ampiezza (se si adattano bene gli elementi del circuito ritenendo che C ed L, risul- tano generalmente di piccolo valore) delle quali l'una MN può considerarsi dovuta ad un circuito primario di oscillatore, l’altra NP può considerarsi provenire da un risonatore perfettamente accordato A). 5. Mi proposi di verificare se il campo prodotto da queste due oscilla- zioni elettriche possedeva le proprietà che la teoria gli attribuisce e fondai le ricerche sui due criterî seguenti procurando di riconoscere: 1°) se in questo campo si manifestavano gli effetti dei campi magne- tici od elettrici rotanti previsti dalla teoria del prof. Righi; 2°) se le scintille di risonatori rettilinei mantenevano le intensità se- condo le leggi delle vibrazioni ellittiche o circolari facendo rotare i risona- tori nei diversi azimut. » Entrambe le verifiche sperimentali furono eseguite con risultato assai netto e positivo. Sugli effetti dovuti a campi magnetici rotanti limitai per ora i tentativi di verifica all’ osservare le correnti indotte in questo campo sopra dei solenoidi in esso sospesi in varie direzioni. Non estesi per ora le mie ricerche a constatare effetti meccanici mola torî sopra piccoli cilindri metallici, perchè notoriamente gli effetti della iste- rèsi magnetica si annullano per altissime frequenze. (1) A. Battelli e L. Magri, Sulle scariche oscillatorie. (*) Le condizioni sperimentali possono essere anche .nieglio raggiunte aggiungendo due sfere ausiliarie. collegate. cogli estremi: del secondario del rocchetta: i conduttori M, N, P_rimangono così isolati dai detti estremi. RenpIcONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 27 — 202 — Furono invece nettamente riconosciuti gli effetti dei campi elettrici ro- tanti. Disposte nelle vicinanze, anzi con campi abbastanza alti prodotti da un buon rocchetto alimentato ad 80 volt e 5 ampère circa e con interrut- tore Wehnelt o di altro tipo, anche a distanza di venti o trenta cm. dal- l'oscillatore, delle leggere campanelle di vetro appoggiate sopra finissime punte pure di vetro, esse prendono a rotare. Per veder meglio il fenomeno può convenire scegliere forme particolari di conduttori di scarica, così orien- tati da evitare che avvengano scariche parassite fra i conduttori estremi M, P. Se si invertono le comunicazioni in modo da avere il circuito risonatore fra MN invece che fra NP, le campanelle assumono rotazione in senso con- trario. Questa proprietà dell'invertirsi del senso di rotazione, nettamente distingue i fenomeni dovuti a questa particolare disposizione di circuito da altri fenomeni rotatorî di carattere non ben definito prodotti dalle scintille. La rotazione delle campanelle si rende pure evidente quando esse ven- gano coperte o racchiuse entro recipienti di vetro o di sostanza isolante. La rotazione era pure avvertita con piccoli cilindri costituiti di una miscela di paraffina e limatura di ferro al 10 °/, circa. L'esperienza riesce assai netta, come prova dell'esistenza di un campo elettrico rotante ('), scegliendo per piano delle scintille il piano orizzontale ed osservando la rotazione delle campanelle, che preferibilmente possono es- sere collocate in piani più bassi di quello dell’ oscillatore, attorno ad assi ver- ticali. Con questa disposizione quindi possono essere constatate le rotazioni elettrostatiche dei dielettrici sotto l'azione di campi rotanti di alta frequenza. 6. Se si fanno rotare risonatori rettilinei attorno ai diversi assi, si nota la persistenza delle scintille. La verifica fu particolarmente eseguita facendo rotare i risonatori attorno all'asse di simmetria condotto normalmente al piano delle scintille. Anzi, coll’aiuto di reticoli analizzatori e di risonatori, si riesce a paragonare le ampiezze delle due oscillazioni. 7. Il fenomeno fu verificato nelle sue linee generali in un lunghissimo periodo di esperienze. Tenendo conto dello spegnimento delle oscillazioni, è naturale il ritenere che il campo elettromagnetico prodotto da questa particolare disposizione di oscillatore risulti assai complesso. Però coll’aggiunta di antenne o conduttori aerei può essere conferita al campo maggior regolarità pel fatto che è possibile coll’adottare due antenne di ugual lunghezza di produrre onde sensibilmente di ugual lunghezza. Di più la disposizione è di grande importanza nelle segnalazioni elet- tromagnetiche attraverso allo spazio (?). (2) R. Arnò, R. Acc. dei Lincei, 1892. (2) Questa disposizione è protetta da brevetti di privativa in Italia 1° ottobre 1902 e presso le principali nazioni. — 203 — Si congiungano o direttamente, oppure coll’ intermediario di rocchetti di mutua induzione, rispettivamente le sfere M ed N con due conduttori o meglio con due sistemi di conduttori aerei di ugual lunghezza le cui dire- zioni stiano fra loro a 90°. Con questa posizione rispettiva, non sono anzi- tutto a temersi sensibilmente gli effetti di annullamento delle azioni a di- stanza per induzione mutua fra i due conduttori. Per le condizioni sovra esposte i due conduttori aerei ortogonali fra loro IT 9 Ù La composizione di queste due oscillazioni darà quindi luogo alla ge- nerazione di onde elettromagnetiche a polarizzazione rotatoria, od ancora in altri termini, alla produzione di campi rotanti ad un tempo elettrici e magne- tici, fra i quali saranno circolari quelli che si propagano nella direzione del- l’asse di simmetria passante pel punto di concorso delle due antenne e nor- male al piano di esse. Questa disposizione di circuito oscillatore è suscettibile di maggior ge- neralità, perchè come è noto si potrebbero ottenere campi rotanti anche, pur diventano sede di oscillazioni di ugual ampiezza e spostate di essendo uguali le ampiezze, se la differenza di fase fosse y invece di SE Basterà disporre le antenne in modo che fra loro facciano angolo di 7 — per produrre ancora oscillazioni a polarizzazione rotatoria. 8. La disposizione di circuito oscillatore descritta in questa Nota parmi potrà pure essere di utile contributo nella soluzione del problema della co- struzione di apparecchi sintonici. È infatti possibile scegliere per ciascuna stazione le quantità caratteristiche C ed L,. Anzi con queste disposizioni due altri elementi fisici potrebbero essere assunti: 1°) la differenza di fase fra le due oscillazioni col variare i) valore di 2°) la differenza di lunghezza d'onda entro certi limiti delle due oscillazioni col fare le aste di lunghezza diversa. Quest’ applicazione del principio del campo rotante ai circuiti percorsi da oscillazioni elettriche, parmi pure potrebbe utilmente servire per esperi- menti didattici e possa essere feconda di applicazioni pratiche ('). Mi reco a dovere di porgere al prof. Guido Grassi, Direttore della Scuola elettrotecnica Galileo Ferraris, i più sentiti ringraziamenti per i sapienti consigli di cui mi ha così cortesemente onorato nel corso di queste ricerche. (1) Questa disposizione, completata da particolari costruttivi che la pratica ha sug- gerito, fu esperimentata nel Golfo di Spezia con esito conforme alle previsioni. — 204 — Fisica. — Zrtorno ad un nuovo apparecchio per la determi nazione dell’equivalente meccanico della caloria e ad alcune mo- dificazioni del calorimetro solare, del dilatometro, del termometro e del psicrometro. Nota di G. GucLIELMO, presentata dal Socio P. BLASERNA. In una Nota precedente (Rendiconti dell'Acc. dei Lincei, 2° sem. 1902) ho descritto un modo semplice per rimescolare un liquido contenuto in un recipiente chiuso ermeticamente da tutte le parti. Fissando nell'interno di questo, prima di chiuderlo, un numero conveniente di palette opportunamente disposte, e poscia dopo che è pieno di liquido e chiuso imprimendogli un movimento alternativo di rotazione in sensi opposti, attorno ad un asse qualsiasi ma preferibilmente attorno a quello di figura, le palette vanno ad urtare contro il liquido ancora immobile o moventesi in senso contrario e vi producono all'incirca lo stesso effetto come se il recipiente fosse immobile e nel suo interno si facesse ruotare nel modo solito una ruota a palette. Nella stessa Nota ho descritto l'applicazione di questo modo d'’ agitare il liquido al calorimetro di Favre e Silbermann ed ho indicato l' utilità della medesima; molte esperienze che dimostrano questa utilità e l' esattezza dei risultati che si ottengono coll’ apparecchio così modificato non poterono trovar posto nella Nota suddetta per mancanza di spazio e, per la stessa ragione, non potranno trovare posto nella presente. In questa Nota descrivo altre applicazioni facili ed utili di questo modo d'agitare sebbene le esperienze in proposito non siano terminate, perchè la loro utilità mi pare evidente, ed inoltre dovendo attendere anche ad altri lavori, non so quando mi sarà possibile ultimare queste esperienze che saranno oggetto d'una Nota speciale. Determinazione dell’equivalente meccanico della caloria. — Il calo- rimetro di Favre e Silbermann modificato nel modo suddetto si presta facil- mente e vantaggiosamente a questa determinazione in grazia della sua gran- dissima sensibilità. Nella Nota suddetta accennai al fatto, presentatosi nelle mie esperienze, che il calorimetro perdeva lentamente calore quando era in riposo, mentre invece ne guadagnava, pure lentamente, quando veniva fatto ruotare vivamente ed alternativamente in sensi opposti per agitare il liquido. Giudicando per analogia con ciò che avviene nei calorimetri delle mescolanze, ritenni che la quantità di energia meccanica trasformata in ca- lore per effetto dell'agitazione del liquido fosse insufficiente a produrre. un effetto termico sensibile, ed infatti anche nel calorimetro di Joule per la de- — 205 — terminazione dell’ equivalente suddetto mediante l'agitazione dell’acqua, oc- corre la caduta reiterata di pesi di molti chilogrammi per produrre un ri- scaldamento molto piccolo. L'effetto tuttavia mi pareva inesplicabile e prima lo attribuiti a casuali variazioni della temperatura ambiente, ma in seguito mi persuasi che esso era dovuto realmente alla trasformazione di energia meccanica in calore. Difatti in queste esperienze la rotazione del calorimetro in un senso era prodotto da uno spago avvolto attorno ad un tamburo e sollecitato. da un peso di 200 gr. che cadeva per un tratto di 90 cm. una volta ogni 6 se- condi, all’ incirca. È certo che l'energia di questa caduta non era interamente trasformata in calore nell'interno del calorimetro, sia perchè il peso non cadeva liberamente ma era sostenuto in parte dalla mano che teneva l’altra estremità dello spago, sia perchè il peso acquistava una certa velo- cità che si perdeva nei sostegni, sia finalmente per l’attrito notevole dell'asse sul cuscinetti molto grossolani. Tuttavia credo di poter ammettere senza sbagliar di molto che circa !/, della suddetta energia fosse trasformata in calore nell'interno del calorimetro, e che un uguale quantità ne fosse tra- sformata nella rotazione in senso inverso. Quindi in ogni minuto la quan- tità di calore prodotto nel calorimetro sarebbe di circa 50. 0,90. 20:425 ossia 2 piccole calorie che producono nel termocalorimetro con benzina di petrolio la dilatazione facilmente osservabile di 6 mm. La grande differenza di sen- sibilità in questo apparecchio ed in quello di Joule deriva, come già accennai, da ciò che nel primo tutto il calore che si vuol misurare e nel secondo solo una parte molto piccola di esso (quello cioè acquistato dal termometro) sono impiegati a produrre l’ effetto che serve di misura, cioè rispettivamente la dilatazione di tutto il liquido del calorimetro e quella sola del mercurio del termometro. Non ho ancora eseguito esperienze di misura con questo apparecchio, mi pare però che il produrre la rotazione del calorimetro mediante la ca- duta di pesi che agiscono su una funicella avvolta su di un tamburo (me- todo che non differisce da quello di Joule) dia luogo ad errori nella misura dell’ energia trasformata in calore nell'interno del calorimetro, i quali diffi- cilmente si potrebbero evitare o corregere completamente. Questi errori deri- vano evidentemente dalla imperfetta flessibilità della funicella, dall’ attrito della medesima sul tamburo, dalla velocità acquistata dal peso e comunicata ai sostegni, tutte cause che assorbiscono energia fuori del calorimetro. Mi pare perciò preferibile di produrre la rotazione suddetta mediante due forti molle a spirale (sul genere di quelle usate per gli orologi) le quali producano: ro- tazioni opposte e possano alternativamente, prima esser tese indipendente- mente dal calorimetro; e poi per mezzo d'apposito nottolino esser fatta agire sul calorimetro stesso, appare più semplicemente mediante la torsione di un — 206 — filo d'acciaio verticale convenientemente spesso (1 a 2 mm.), al quale sia sospeso e solidamente fissato il calorimetro. Calorimetro solare. — Il calorimetro di Favre e Silbermann modificato si presta inoltre, quasi senza altre modificazioni, alla misura del calore dei raggi solari. Occorre bensì che il tubo ricevitore del calore (contenuto inte- ramente dentro il calorimetro) abbia un diametro piuttosto grande affinchè possa ricevere un fascio di raggi solari non troppo ristretto, ed inoltre che esso tubo sia vuoto ed abbia le pareti annerite. Occorre ancora che il calo- rimetro sia inclinato in modo che i raggi possano arrivare fino in fondo del tubo suddetto, che la rotazione avvenga attorno all'asse di questo e che uno o più schermi limitino il fascio dei raggi solari in modo che essi cadano solo dentro il tubo stesso. Il tubo graduato sul quale si osserva la dilata- zione del liquido, si colloca comodamente dalla parte opposta a quella del- l'apertura del tubo ricevitore, e col suo asse parallelo o meglio coincidente con quello di rotazione. Anche in questo caso l’ agitazione del liquido facilita la penetrazione del calore che si vuol misurare, e diminuendo la durata- della medesima, dimi- nuisce la correzione necessaria per l'effetto della temperatura ambiente. Inoltre in questo calorimetro si evita un inconveniente che s'incontra in altri pireliometri, quello cioè che se lo strato di nero fumo è troppo spesso, esso, riscaldandosi, emette raggi verso l'esterno che vanno perduti e dei quali non si può determinare la intensità perchè cessano quasi istantaneamente quando cessa l’azione dei raggi solari, e non è possibile quindi separare le due azioni; mentre se lo strato di nero fumo fosse troppo sottile, una parte dei raggi incidenti potrebbe arrivare fino al metallo, riflettersi ed andare similmente perduta. Invece nel calorimetro suddetto i raggi emessi o riflessi dal fondo del tubo troppo o troppo poco annerito, cadono sulle pareti late- rali del tubo stesso e vi sono quasi completamente assorbiti. Lo stesso risultato s' otterrebbe ancor meglio se il fondo del tubo rice- vitore dei raggi fosse formato da una sottile lamina di vetro un po' inclinata sulla direzione dei medesimi, cosicchè questi penetrerebbero in gran parte nel- l'interno del calorimetro e potrebbero esser ricevuti su una lamina annerita sospesa in mezzo al liquido, mentre i raggi riflessi cadrebbero sulle pareti laterali e vi sarebbero assorbiti, e quelli assorbiti dal vetro produrrebbero un riscaldameuto che si trasmetterebbe al liquido per conduzione. Un grande aumento di sensibilità ed un maggiore impedimento alla uscita dal calorimetro del calore portato dai raggi solari, si potrebbe ottenere concentrando i raggi con una lente di sal gemma avente il foco principale in un piccolo foro praticato nel coperchio del tubo ricevitore. In tal modo questo coperchio potrebbe lasciar penetrare una grande quantità di raggi solari, mentre tratterrebbe o rifletterebbe verso l'interno i raggi diretti verso l’ esterno. — 207 — Sebbene le esperienze su questo calorimetro solare non siano ancora ulti- mate e non possano trovar posto in questa Nota, credo conveniente descrivere la forma del calorimetro da me usato. Esso è formato da una scatola cilin- drica di latta alta circa 10 cm., di 5,5 cm. di diametro (una scatola da cacao, di 125 gr.) che aveva saldato sulla base superiore il tubo ricevitore del calore; questo aveva 4 cm. di diametro, penetrava dentro il calorimetro fino a pochi millimetri dalla base inferiore, era chiuso in fondo da una calotta sferica, era annerito internamente (cioè nella parte rivolta verso l'esterno del calo- rimetro) ed era chiuso superiormente da un coperchio di latta, non annerito, avente un foro centrale di 2.0 3 cm. Nel mezzo della base inferiore era sal- dato esternamente il tubetto in cui con sovero e gommalacca era fissato il tubo graduato che serviva per misurare la dilatazione del liquido (benzina di petrolio) che riempiva il calorimetro e che serviva inoltre come asse di rotazione, per produrre l'agitazione del liquido. Invece delle palette, usai una lunga striscia di latta larga 3 0 4 mm., fissata sulla faccia convessa della parete cilindrica del tubo ricevitore, in modo che formasse due spire d'un elica generata da una retta perpendicolare al- l’asse; era mia intenzione di fissare una elica simile ma diretta in senso con- trario sulla parete cilindrica interna del calorimetro, ma ritenni che non fosse indispensabile e ne feci a meno. Inoltre sotto il fondo del tubo ricevitore, ossia sulla sua faccia convessa, fissai 4 piccole palette piane, in croce, per agitare il liquido adiacente ad esso fondo e maggiormente riscaldato dai raggi solari; in tal modo questa parte del liquido viene messa in moto per l’azione delle palette e per l'azione della forza centrifuga viene poi spinta verso le pareti laterali ove risente l’azione dell'elica, e viene spinta prima verso la sommità del calorimetro e poscia indietro. Il liquido usato per riempire questo calorimetro era la benzina di pe- trolio che per la sua piccola densità, per la piccola capacità calorifica e per la sua grande dilatabilità termica, mi parve, fra i liquidi comuni, uno dei più adatti. Il tubo graduato sul quale osservavo e misuravo la dilatazione del liquido prodotto dal calore de raggi solari nelle mie prime esperienze, era fissato entro un tubetto d’ottone saldato al fondo del calorimetro mediante un tappo di sovero ricoperto da uno strato spesso ed omogeneo di gomma lacca. Siccome però questo tubo (il cui asse coincideva con quello del calorimetro) funzio- nava anche da asse di rotazione, avveniva spesso che l'aderenza fra la gomma lacca ed il tubetto d'ottone era distrutta e la benzina usciva dalla fessura che s'era così formata e che era difficile chiudere nuovamente. In seguito il tubo di vetro era fissato mediante gomma lacca ad un'armatura, ossia un tubo d'ottone che s'avvitava entro il tubo saldato al calorimetro, e la chiusura era resa perfetta nel modo solito mediante una rotella di cuoio che avevo imbe- vuto di glicerina o colla. — 208 — Per far ruotare questo calorimetro attorno al suo asse di figura, il tubo graduato era infilato in due corti tubi o anelli d'ottone di diametro tale che esso potesse ruotarvi senza tentennare troppo, i quali erano fissati entro due tappi di sovero tenuti da due collarini fissati alle estremità d’una lista di legno. Affinchè il calorimetro potesse esser diretto verso il sole e potesse seguirne il movimento, questa lista era tenuta da una pinza snodata (di quelle usate nei comuni sostegni da laboratorio per sostenere i grossi tubi e i rifrigeranti) serrata entro una doppia morsetta a rotazione, la quale dall'altro lato era serrata sull'asta del sostegno, che. poi dev'essere incli- nata nel piano del meridiano astronomico in modo da essere perpendicolare all'asse terrestre. In tal modo l’asse di rotazione della morsetta può funzio- nare da asse polare, attorno al quale il calorimetro può ruotare seguendo il moto del sole, e si ottiene la declinazione costante dell'asse del calorimetro, uguale a quella del sole, per mezzo della pinza snodata che può essere fis- sata. con un angolo qualsiasi rispetto al proprio gambo. Differisco ad un’altra Nota la descrizione delle. esperienze, ancora in corso, eseguite con questo apparecchio. Dilutometro a palette. — L'utilità di agitare . liquido dei dilatometri per ottenere più rapidamente l'equilibrio di temperatura col bagno, è stata rico- nosciuta già da parecchi anni dal Forch (Wied. Ann. 1895, t. 55, p. 105), il quale usò a tale scopo un apparecchio elettromagnetico certamente efficace sebbene alquanto complicato. Aleuni anni prima io avevo riconosciuto similmente la necessità di agitare un liquido di cui si vuol determinare la tensione di vapore, specialmente se esso contiene disciolto un solido o un altro liquido, ed avero fatto uso a tal uopo d'un apparecchio magnetico pure:efficace, ma molto sem- plice e molto più facilmente applicabile: L'attuale disposizione per agitare il liquido per mezzo di palette interne e della rotazione del dilatometro attorno al suo asse di figura non richiede l'uso nè di calamite, nè di correnti, è efficacissima, sicura e non complica quasi affatto nè la costruzione nè l'uso del dilatometro; basta, quando il bulbo del dilatometro è ancora aperto ..in fondo ma già saldato al tubo graduato con:imbuto, introdurvi un sistema di palette disposte opportunamente, chiu- dere nel modo solito. il bulbo avendo cura di non riscaldar le palette tanto da sciuparle, e finalmente saldare il sostegno delle ‘palette alle pareti del bulbo. i ì Ho fatto uso in alcuni dilatometri d'una astina di vetro cui erano sal- dati, a varie altezze, corti bracci laterali disposti simmetricamente rispetto all'astina e terminanti con laminette piane (formate di solito ‘con pezzi di vetrini coprioggetti da microscopio) non parallele all’asse, ma. fatte ruotare. di:45° tutte nello stesso senso, attorno «al bracci. Questi dilatometri hanno veramente un' aspetto \alquanto: fragile, e sebbene durante molti mesi abbiano resistito a molte vicende, mi pare probabile che presto: o tardi 1’ unica .sal- O PET TA e eo rr tucatenienan pre — 209 — datura dell’astina sul fondo del bulbo in seguito a un urto brusco o una vibrazione si spezzi, oppure che le laminette si dissaldino dai bracci. Tuttavia anche con questa disposizione, forse troppo efficace, non sarebbe difficile ad un costruttore di ottenere maggiore solidità, saldando p. es. l'astina centrale ad entrambi i capi, ed usando laminette più spesse e più resistenti. Invece dell’astina suddetta con palette, si può più semplicemente intro- durre e saldare entro il bulbo un’astina diritta, collocata parallelamente al- l'asse, all'incirca a metà distanza fra esso e la parete, o meglio due astine parallele collocate ai due lati dell’asse, oppure un’ astina unica ma ripiegata in forma di U o di ovale allungata. Questa disposizione è specialmente oppor- tuna se il bulbo ha un diametro piuttosto piccolo, tale che sarebbe difficile farvi entrare un'asta con palette anche piccole. L' agitazione, sebbene meno efficace di quella ottenuta colle palette, è tuttavia sufficiente. L'astina potrebbe anche essere ripiegata in forma di elica e collocata coll’asse coincidente con quello del bulbo, così il liquido per effetto della rotazione dell’ elica riceve- rebbe anche un movimento parallelo all'asse suddetto. È opportuno notare che l'agitazione non deve essere troppo vivace, per evitare che si abbia una produzione di calore che tenderebbe a distrnggere l'equilibrio di temperatura coll’ esterno, che invece si vuole raggiungere. Per ottenere prontamente questo equilibrio è anche utile d’ infilare il dilatometro in una piccola ruota a palette inclinate fissata al disopra del bulbo, la quale per effetto della rotazione impressa al dilatometro e quindi alla ruota stessa, spinge il liquido del bagno lungo le pareti del dilatometro, che così assumono la temperatura del liquido; questa agitazione però non esclude quella generale del liquido prodotta da agitatori più grandi e che esercitano la loro azione in tutte le parti del liquido. La ruota a palette si può costruire molto facilmente con un disco di lamina d'ottone con un foro centrale, e con sei o più tagli secondo i raggi equidistanti, ma che non arri- vino fino al foro centrale. Storcendo alquanto attorno al raggio mediano i settori così formati, si hanno le palette inclinate. Termometro a palette. — Le suddette disposizioni per agitare il liquido sia nell'interno che all’esterno del dilatometro mi paiono certamente utili anche pei termometri, specialmente se questi hanno il bulbo grosso e se sono molto sensibili, e specialmente se il liquido interno fosse diverso dal mercurio e quindi cattivo conduttore del calore. Sarebbe difficile e non ne- cessario introdurre nel bulbo del termometro un'asta con palette, sarà più opportuno collocarvi un'astina diritta o ripiegata nel modo indicato per il dilatometro. La ruota a palette esterna sarebbe utile tanto se il termometro fosse immerso in un liquido, quanto e forse più se esso si trovasse nell'aria. Per ottenere rapidamente la temperatura dell’aria, sì usa talvolta di legare il ter- mometro ad una funicella e farlo ruotare a modo di fionda; questo metodo zENDICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 28 — 210 — non solo è incomodo e lento e non scevro di pericolo sia per il termometro stesso, sia per gli strumenti e le persone circostanti, ma inoltre da risultati d' esattezza dubbia perchè il termometro ruota nell'atmosfera dell’ operatore ed è esposto al calore irradiato del medesimo. Mi pare perciò preferibile di far arrivare l’aria sul bulbo per mezzo della ruota esterna a palette (agi- tando allo stesso tempo il liquido interno per mezzo delle palette o astine interne), ciò che si può ottenere stando lontani dal termometro protetto da uno schermo. Psicrometro con ventilatore a palette inclinate. — L' utilità delle palette interne e dell'agitazione del mercurio nel termometro asciutto è evidente; in quanto al termometro bagnato, occorrerebbe assicurarsi coll’ esperienza che la rotazione attorno al suo asse, che bisognerebbe imprimergli per agitare il mercurio (rotazione che potrebbe facilmente esser diversa a seconda dell’ ope- ratore e delle circostanze) non favorisca l’ evaporazione e produca un abbas- samento irregolare della sua temperatura. Mi pare invece senz’alcun dubbio utile, che nei psicrometri a venti- latore, la ruota a palette di questo abbia le palette girate tutte d'uno stesso angolo e nello stesso senso attorno ai raggi rispettivi, e che essa ruota sia collo- cata al disotto dei termometri in modo che il prolungamento del suo asse sia parallello ai termometri e approssimativamente equidistante da entrambi. In tal modo all'agitazione irregolare prodotta dall'attuale ruota coll’asse ver- ticale e palette normali alla direzione del moto, agitazione -che credo im- possibile sottoporre a calcolo, si sostituirebbe un movimento nell'aria rotatorio e ascendente molto meglio determinabile. Se la ruota suddetta e i termometri fossero collocati entro un largo tubo verticale aperto ai due capi, di diametro poco maggiore di quello della ruota, il modo di funzionare di questo psicro- metro si avvicinerebbe molto a quello del psicrometro ad aspirazione. Finalmente il metodo usato per agitare un liquido in un recipiente chiuso, può servire altresì per agitare invece un gaz, ciò che può essere utile in vari casi, come p. es. nella determinazione della tensione di vapore di un liquido in un gaz, per facilitare l'azione chimica di un gaz su di un altro corpo, per facilitare la convezione del calore, effettuata dallo stesso gaz. — 211 — Chimica. — Nuova sintesi della. anidride mitrica. Nota di DeMETRIO HeLBIG, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Come ebbi ad annunciare in una Nota preliminare ('), l'ozono reagisce sulla ipoazotide e dà una sostanza bianca, volatile: questa sostanza è la anidride nitrica 0 pentosside d'azoto, ottenuta già da Sainte-Claire Deville (?) per azione del cloro sul nitrato d'argento, e da Weber (3) disidratando l'acido nitrico concentratissimo con anidride fosforica. Fis. 1. L'apparecchio da me impiegato per la reazione suddetta (fig. 1) sì com- pone di una provetta (1) munita in fondo d'un piccolo rigonfiamento desti: nato ad accogliere la ipoazotide. L'ozono vi penetra da un tubo (2), lungo tanto da sfiorare appena il livello della ipoazotide. Dalla parte ‘superiore della provetta (1) si distacca un tubo (3) il quale comunica con un tubo ad U (4) chiuso da un tubo a cloruro di calcio (5), destinato a prevenire la rientrata d'umidità atmosferica. A causa del fortissimo potere corrosivo esercitato tanto dall’ozono quanto dalla ipoazotide e dall'anidride nitrica sulle (1) Questi Rendiconti, vol. XI, fasc. 11. (2) Ann. de physique et de chimie S. III, 28, 241. (3) Journ. fùr praktische Chemie N. F. 6, 342. — 212 — sostanze organiche, in tutto l'apparecchio è evitato l'impiego di gomma o sughero; tanto il tubo adduttore dell'ozono (2) quanto il tubo a cloruro di calcio (5) sono collegati coll'apparecchio mediante chiusura a smeriglio. Per la produzione dell'ozono mi servii d'un apparecchio ozonizzatore di Siemens e Babo: dovendo esso funzionare per qualche tempo, se ne impediva il riscaldamento per mezzo di un serpentino di piombo avvolto intorno al manicotto esternò e percorso da una corrente d'acqua fredda. La tensione elettrica necessaria per il funzionamento dell’ozonizzatore era fornita da un rocchetto di Ruhmkorff (lunghezza 32 cm.) il cui primario, munito d'inter- ruttore Wehnelt, era alimentato da una corrente di 7 ampère (60 volt). L'ossigeno da ozonizzare era stato preparato per elettrolisi d'acqua: allo scopo di eliminare la piccola quantità d'idrogeno contenutavi, lo facevo passare su una spirale di platino arroventata elettricamente, e poi lo seccavo rigo- rosamente su cloruro di calcio ed anidride fosforica. La ipoazotide impiegata era stata ottenuta da nitrato di piombo sec- chissimo. La provetta era immersa in un miscuglio di ghiaccio e sale di cucina: la condensazione dell'anidride nitrica nel tubo a U (4) richiede una tempe- ratura assai più bassa di quella ottenibile con i soliti miscugli frigoriferi, perchè il vapore dell'anidride è diluito in un eccesso d'ossigeno che tende a trascinarlo via. Ottenni il raffreddamento necessario immergendo il tubo (4) in un ampio cilindro Dewar (8) contenente in fondo un po' ‘d’aria liquida, il cui livello si manteneva a circa 2-3 cm. al di sotto del tubo (4). Dopo pochi istanti di funzionamento dell'apparecchio, il gas che esce dalla provetta (1) e che si rende nel tubo (4) è quasi completamente incoloro: e nella parte fredda del tubo (4) si condensa il prodotto sotto forma di cristal. lini lucenti, bianchissimi. L'ipoazotide assorbisce l'ozono con grande attività: tanto che l'ossigeno che esce dal tubo (5) non ha neppure il più leggiero odore d'ozono finchè nella provetta (1) esista ancora una traccia di ipoazotide non trasformata: ed è la comparsa d'ozono all'uscita del tubo (5) che indica la fine della reazione. Per ossidare le piccole quantità di ipoazotide eventualmente trascinate dall’ossigeno e trattenute nel prodotto condensato in (4), si seguitò il pas- saggio di ozono per l'apparecchio ancora per un quarto d'ora, dopo avere lasciato risalire un po' la temperatura a cui si trovava la sostanza con l’al- lontanarne l'aria liquida contenuta nel cilindro Dewar. Se la corrente di ossigeno ozonizzato è stata assai lenta alla fine dell'operazione, nella pro- vetta (1) si trova un po’ di anidride nitrica rimasta indietro. La preparazione di 1 gr. di sostanza richiede appena una ventina di minuti. L'anidride nitrica ottenuta a questo modo è perfettamente bianca e suf- ficientemente stabile se conservata ad una luce non troppo forte. Il suo punto — 213 — di fusione è a 30°-30°,5: questa cifra concorda perfettamente con quella data dagli autori sopranominati. Per l'analisi operai nel modo seguente (fig. 2): il tubo (4) contenente l'anidride formata si staccò dalla provetta (1) chiudendolo alla lampada: poi lo sì pesò, tenendo l'apertura (7) chiusa da un piccolo tubo essiccatore ST Mie: pieno di anidride fosforica. Una volta pesato, si immerse subito in aria liquida la parte del tubo contenente la sostanza da analizzare, sì da impe- dire assolutamente qualunque perdita di materia per volatilizzazione o scom- posizione. Un tubo di vetro di Jena infusibile (6) contenente rame metallico (reticella avvolta a spirale) ed anch'esso esattamente pesato, si adattava a smeriglio all'apertura (7) del tubo (4): la congiunzione fra (6) e (7) era resa perfetta da una chiusura a mercurio applicata su (7). L'estremità libera del tubo (6) era congiunta mediante tappo di gomma con una pompa a mer- curio di Sprengel disposta in modo da raccogliere in un cilindro graduato l'azoto sviluppato. Dopo praticato con questa pompa il vuoto perfetto per quanto possibile, si arroventò il tubo (6) mediante una fila di fiamme a gas e poi si tolse l’aria liquida circondante il tubo (4). Allora l'anidride nitrica in esso contenuta svaporava lentamente: passando sul rame rovente gli cedeva il suo ossigeno, mentre l'azoto veniva continuamente evacuato dalla pompa e raccolto nel cilindro graduato. Alla fine della operazione, si riscaldò fortemente la parte inferiore del tubo (4) onde decomporre le ultime quantità di sostanza che ancora potevano esservi contenute: poì si spinse il vuoto al limite massimo raggiungibile, e — 214 — dopo aver lasciato raffreddare il tubo (6) si permise all'aria di rientrare nel- l'apparecchio, spezzando la punta di una diramazione laterale del tubo che metteva in comunicazione il tubo (6) con la pompa di Sprengel. Si ripesò allora il tubo (4) nelle condizioni medesime come la prima volta: la dimi- nuzione di peso fornì la quantità di sostanza impiegata, come dall'aumento di peso nel tubo (6) si dedusse l'ossigeno in essa contenuto: l'azoto raccolto nel cilindro graduato, misurato su acqua, permise di determinare il peso di questo elemento. Ottenni così i risultati seguenti: I. Sostanza gr. 1,3514. 89,2 764,65 mm. N=ce. 291=gr. 0,3531 (0) = gr. 1,0062 II. Sostanza gr. 0,2732. 9° 766,65 mm. N=cc. 56,5 = gr. 0,0695 (0) = gr. 0,2005 Calcolato per N20° Trovato L'edl N°/ 25,93 26,60 25,60 O °/o 74,07 74,55 73,41 Come accennai nella mia Nota preliminare, mi riservo di studiare l'azione dell'ozono anche sugli altri ossidi dell'azoto. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Socio CERRUTI presenta, a nome dell'autore, un opuscolo di ETTORE BortoLoTTI dell’Università di Modena dal titolo: Influenza dell'opera ma- tematica di Paolo Ruffini sullo svolgimento delle teorie algebriche, dove è lumeggiata con diligente esattezza la priorità del Ruffini in risultati fon- damentali relativi alla dottrina delle equazioni algebriche, risultati che furono accolti con inesplicabile indifferenza da matematici sommi del suo tempo, e de’ quali anche oggi non si rende sempre al loro primo scopritore la dovuta giustizia. VEC. Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). È Vol. III (1875-76). Parte 1° TRANSUNTI. 2° MEMORIE della Classe di science fisiche, matematiche e naturali. 3% MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Voleva VE VIESSVET. Serie 3 — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MeMoRIE della Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — IL. (1, 2). — III-XIX. i MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpIcontI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MeMmoRIE della (Classe. di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII. (1892-1903) 1° Sem. Fase. 6°. ReENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. (1892-1902). Fasc. 12. Memorie della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. III. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCFI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. #0; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LorscHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Marzo 1908. INDICE Glasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 15 marzo 1903. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Picciati. Campo elettromagnetico senerato dal moto circolare uniforme di una carica elet- trica parallelamente ad un piano conduttore indefinito (pres. dal Socio Volterra) . Pag. Dall'Acqua. Moti di un punto libero a caratteristiche indipendenti (pres. dal Corrìsp. Ricci) È)» De Franchis. Sulle corrispondenze algebriche fra due curve (*). . » Fubini. Sul problema di Dirichlet nello spazio iperbolico indefinito ue dalSocio Volterna)a Artom. Sulla produzione dei raggi di forza elettrica a polarizzazione circolare od ellittica (pres. dal Corrisp. Grassi). L\/. Lori Guglielmo. Intorno ad un nuovo SAI per ‘da Ios ‘gell'éimivalenie mecca- nico della caloria e ad alcune modificazioni del calorimetro solare, del dilatometro, del termometro e del psicrometro (pres. dal Socio Blaserza) . \./ 0/0» Helbig. Nuova sintesi dell’anidride nitrica (pres. dal Socio Cannizzaro) . ././. 0.» PRESENTAZIONE DI LIBRI Cerruti. Presenta un'opuscolo del prof. Ettore Bortolotti e ne parla... 0... 3) ERRATA-CORRIGE 214 A pag. 55 il primo periodo: « In questa formola.@, ecc. » deve seguire l’ultima formola a piè di pagina. (#) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensile. Roma 5 aprile 1903. Nesd. DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCRI ANNO CCC. 1908 SERLE, QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 aprile 1903. Volume XII.° — Fascicolo 7° 1° SEMESTRE. TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEI. CAV. V. SALVIUCCI ROMA | 1903 % MAY 18 1543 Na; SHional Museu» ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche enaturali valgono lenorme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l’Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell'Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. ieri tiri Il. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com. missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall" art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica. nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli ad- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è merga a carico degli autori. Di pe N è SII mae - < miete mu ni, RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 aprile 1903. P. BLASERNA, Vicepresidente. Matematica. — Sulle quadriche comugate in deformazione. Nota del Socio Lurcir BIANCHI. 1. In una Nota inserita l’anno scorso in questi Rendiconti (Volume XI, 1° semestre, 6 aprile 1902) mi sono occupato del seguente problema, rela- tivo alla teoria della deformazione delle superficie flessibili ed inestendibili: Trovare tutte le coppie di superficie S, S' (non omotetiche), rappre- sentabili punto per punto l'una sull'altra, in guisa che si corrispondano le loro linee assintotiche attuali, ed inoltre a qualsiasi sistema di assin- totiche virtuali dell’una corrisponda un sistema della stessa specie sul- l’altra. Col nome di assintotiche vir/ualî di una superficie S si indica un qua- lunque sistema di linee suscettibile di diventare linee assintotiche dopo una conveniente deformazione di S; si ricordi inoltre che la nuova configurazione di S è perfettamente determinata dal sistema delle assintotiche virtuali. Due superficie S, S' nella relazione sopra descritta si diranno comzu- gate in deformazione, volendo significare che ad ogni deformazione dell’ una corrisponde una determinata deformazione dell’ altra, per modo che i due pro- blemi di trovare le superficie applicabili sopra S; o quelle applicabili sopra . S°, si equivalgono perfettamente. Nella Nota citata ho stabilito la proposizione fondamentale: Affinché due superficie S, S' siano coniugate în deformazione è necessario e sujfi- RknpIconTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 29 — 216 — ciente che si corrispondano punto per punto, con conservazione dei siste- mi coniugati e delle linee geodetiche. Ho poi dato la soluzione del problema nell'ipotesi che $S, S' siano appli- cabili sopra superficie di rotazione, rilevando il caso particolare più notevole di quadriche reali di rotazione, una delle quali è un ellissoide allungato, l'altra un iperboloide a due falde. Le deformazioni coniugate di queste due quadriche si collegano coi teoremi di Guichard e colla trasformazione di Hazzidakis delle superficie a curvatura costante positiva 0, ciò che è lo stesso, delle superficie a curvatura media costante. Nella presente Nota riprendo la questione indicata per applicarla alle quadriche generali, esponendo alcuni teoremi che, sebbene discendano molto facilmente da mnotissime proprietà, non sembra siano stati osservati fino ad ora. Comincio dunque dal dimostrare il teorema: A) Ogni quadrica a centro si può trasformare, per mezzo di una projettività, distinta da una similitudine, in un’altra quadrica in guisa che alle geodetiche dell’una corrispondano le geodetiche dell’ altra; le due quadriche si possono inserire in un medesimo sistema confocale. Poichè le trasformazioni projettive conservano altresì i sistemi coniugati, segue che ad ogni quadrica generale è coniugata in deformazione un'altra quadrica, distinta in generale di forma dalla primitiva, e più precisamente: B) Ad ogni ellissoide ad assi inequali è coniugata in deformazione un iperboloide a due falde dello stesso sistema confocale, ad un iperbo- loide ad una falda un altro iperboloide ad una falda nella medesima famiglia. Solo quando l’iperboloide ad una falda è ortogonale, è identico al proprio coniugato; le superficie applicabili su questa quadrica si pre- sentano quindi a coppie di superficie distinte, come per la sfera nella trasformazione di Hazzidakis. Così il problema di cercare tutte le superficie applicabili sull’ ellissoide equivale all’analogo per l'iperboloide coniugato a due falde; così pure gli iperboloidi a due falde si distribuiscono in coppie corrispondenti al medesimo problema d' applicabilità. Se si ricordano le recenti ricerche di Darboux (Comptes Rendus 1899) che hanno stabilito una relazione fra le deformate delle quadriche e certe classi di superficie a linee di curvatura isoterme, è facile indurne che alle deformazioni coniugate di due quadriche generali deve corrispondere per quelle superficie isoterme, una trasformazione generalizzata della trasforma- zione di Hazzidakis per le superficie a curvatura media costante, che deve a questa ridursi quando le quadriche diventano di rotazione. 2. Dimostrerò dapprima geometricamente i teoremi sopra enunciati, de- . ducendoli dalla nota proposizione di Chasles: Ze tangenti comuni a due quadriche confocali Q, Q' formano una congruenza normale. Ne segue — 217 — che le linee inviluppate sopra Q (o sopra Q') da quelle tangenti sono geo- detiche; e se, tenendo fissa Q, si fa variare Q’, nel sistema confocale, si hanno così tutte le geodetiche di .Q. Ora se eseguiamo una trasformazione projettiva che cangi il sistema di quadriche confocali (Q) in un altro sistema confocale (Q:), su due quadriche corrispondenti Q, Q, si corrisponderanno ad un tempo i sistemi coniugati e le linee geodetiche (pel teorema di Chasles); le due quadriche saranno quindi coniugate in deformazione. Per ottenere una delle volute projettività basta ricordare che un sistema confocale (Q) di quadriche non è altro che una schiera inscritta in una sviluppabile del 4° ordine isotropa (circoscritta cioè al circolo immaginario all'infinito); la projettività deve dunque trasfor- mare quella sviluppabile isotropa in un'altra isotropa, per la qual cosa basta che cangi una delle tre coniche focali nel circolo all'infinito (!). Inversamente è noto che in qualunque generale projettività T vi è uno, ed in generale un solo sistema confocale di quadriche, che si muta in un altro tale sistema. Invero se per la trasformazione inversa T- il circolo all'infinito C si cangia nella conica TY, la sviluppabile 2 del 4° ordine cir- coscritta a C e a I° si cangia per la T in un'altra sviluppabile isotropa 2, e quindi il sistema confocale inscritto in X nell'altro inscritto in X,. Così adunque: /n qualunque projettività dello spazio si ha un sistema di superficie (quadriche confocali) per ciascuna delle quali le geodetiche si cangiano in geodetiche sulla superficie trasformata. È naturale ora di domandare se possono esistere altre coppie di super- ficie S, S' projettive, sulle quali si corrispondano le geodetiche. La risposta negativa si desume subito dalle considerazioni seguenti. Ogni geodetica g di S dovendo cangiarsi in una geodetica g' di S', il piano osculatore di 9 si muterà in quello di 9g’ (nel punto corrispondente). Dunque se P, P' sono due punti corrispondenti di S, S', e 7, 7 i rispettivi piani tangenti, ad ogni piano normale in P a 7 dovrà corrispondere un piano normale in P' a 77, indi alla normale S in P la normale alla S' in P'. Queste due normali sono dunque direzioni principali in P, P' della corrispondenza, cioè tali che ad ogni direzione normale all'una in P corrisponde una direzione normale al- l’altra in P'. Nel caso attuale di una projettività la terna (ortogonale) delle direzioni principali in ogni punto è quella delle normali alle tre quadriche del sistema confocale che vi passano; e per ciò S, S' coincidono necessaria- mente con due quadriche corrispondenti. Queste ultime considerazioni dimo- strano del resto direttamente (senza far uso della proposizione di Chasles) la proprietà della conservazione delle geodetiche. (!) Escludiamo quelle che lasciano fisso il circolo all'infinito, perchè non sono altro che movimenti ed omotetie. — 218 — 3. Passiamo ora a:dare una conferma ‘analitica ai risultati precedenti; ciò che servirà anche a determinare di ogni quadrica a centro la conigata in deformazione. Prendiamo l'equazione di un sistema confocale di quadriche a centro sotto la ‘solita forma (by (28 nn ste te toto indicando @ il parametro variabile da quadrica. a quadrica, e supposto, come di consueto >>. Le quattro quadriche singolari nella. schiera (come inviluppi di 2* classe) sono il circolo immaginario all'infinito, e le tre coniche focali 2 na PE = Dr 1, ellisse reale nel piano 3 = ur dRÈ 22 7 La pn Men =1, iperbola nel piano y=0 Dania > ellisse immaginaria nel piano 2 = 0. Vogliamo ora eseguire una tale trasformazione projettiva T, che non sia nè un movimento nè un’omotetia, e cangi il. sistema confocale in un altro confocale, onde la T dovrà cangiare una delle coniche focali nel circolo all'infinito. Noi vogliamo una projettività T reale, e perciò la terza conica focale immaginaria dovrà cangiarsi in questo circolo; quindi il piano 4 = 0 nel piano all'infinito. Dopo ciò, se indichiamo «1, Y%1, 41 le coordinate del punto in cui la T trasporta il punto (x, y, <), le formole cercate avranno la forma dove inoltre U, V, W dovranno essere tali polinomii lineari in #, y, 4 che l’ equazione { cb y+2=0 del circolo all'infinito equivalga.a quella (a — 0°) y° + (a° — D?) 3° + (a° — 09) (@— 0) =-0 della terza conica focale. Trascurando un fattore costante d'omotetia, dovremo dunque avere U4 Ve +W= (d@— e) + (@— 8) + (e — bd 0)= 0 — 219 — "Ne segue che U, V, W non contengono x ed applicando ad U, V, W una sostituzione ortogonale, si potrà assumere senz’ altro, a meno di un mo- vimento: i U=W(d— 0) (a — e), VaeVa— bg, Wale = e .y. Dunque abbiamo: Le trasformazioni POOR n. Di; cangiano il sistema di qua- driche confocali (1) in un secondo sistema di quadriche confocali sono date, a meno di un movimento e di un’omotetia, dalle formole: V(at— 0%) (a°— c3) LI ero gle 2 mat ———_-,m=la-=b.3,a=Va— 2.5. (2) 21 ba n=V SA ] CAI Queste rappresentano un omografia biassiale armonica avente per assi le due rette a== ‘Wa — db) (a — e), y'iVa— e =a'a— = 0. L’omografia biassiale (2) cangia effettivamente il sistema confocale (1) nell'altro. Mu dle i) (c0) Ma” — e?) (0° + e). a’ +0 @ + Q a 0 che è pure un sistema confocale, anzi coincide col sistema stesso, come si vede osservando che, posto b° cè — a? (6° + c° + 0) (4) i e ma O -d+e la (8) si scrive iù i Ai valori singolari di @: Ea, lei corrispondono ordinatamente i valori er= 0,0, _ dì; l’omografia (2) scambia quindi fra loro le due coniche focali reali e l'im- maginaria col circolo all'infinito ('). (1) Un sistema confocale di quadriche ammette del resto (come un fascio) un gruppo di 32 collineazioni in sè; ma quelle reali, utili al nostro scopo, si i: riducono poni rondo alla (2). ee en — — 220 — Su due quadriche corrispondentisi per la (2) nel sistema confocale si corrisponderanno i sistemi coniugati e le linee geodetiche (n. 2); esse saranno cioè quadriche coniugate in deformazione. Dalle formole effettive (3) o (3*) deduciamo poi: All’ ellissoide a tre assi ineguali x Yy? 2° ANI ZIGN nie è coniugato in deformazione l’iperboloide confocale a due falde MIR 2 go di e en Sn. (at — b°) (at — e3) (at — 63) ee (al — 63) TARRA a’ a a? all’ iperboloide ad una falda 2° 2 2° te a=1! (A* > B®) è coniugato l’ iperboloide della stessa famiglia IE dc Ya SE BE Kt; 1 (A°— B?)(A*+4+- C?) (A*—B?)C? (A*+ C2))B? Fr A? A? A? Si osserverà di più che, se l'ellissoide diventa di rotazione attorno al- l’asse maggiore diventando è = e, anche l’iperboloide coniugato diventa di rotazione e se, sostituendo a questo un iperboloide omotetico, si rendono eguali i due assi primarî delle due quadriche, quelli secondarî 22, 20, ri- sultano legati dall’ identità: PITTOR Questa, come già rilevai nella Nota sopra citata, è appunto la relazione che intercede fra le due quadriche di rotazione coniugate, nello sviluppo dei teoremi di Guichard. Notevole è ancora il caso in cui l'iperboloide ad una falda è 0r/0go- nale (*), il che ha luogo. quando 1 1 1 wWTo = B: Allora soltanto l’iperboloide coniugato in deformazione coincide con esso e l'omografia biassiale (2), o (A? — R2\ (A2_L (02) dla si | (E BN 20) y=VA—B' 2, a=A+0£, VA (!) Per la definizione e le proprietà delle quadriche ortogonali. Cf. D'Ovidio, Geo- metria analitica (pag. 458 della terza edizione). — 221 — trasforma l’iperboloide in sè, conservandone le linee geodetiche. Ne segue: Ogni deformazione dell’ iperboloide ortogonale ad una falda ne individua una seconda, sicchè le superficie applicabili su questa quadrica si presen- tano a coppie di superficie coniugate (distinte di forma). 4. I teoremi enunciati al n. 1 sono così dimostrati appoggiandosi, per quanto riguarda la conservazione delle linee geodetiche, alle osservazioni geometriche del n. 2. Vediamo ora come anche questa proposizione possa facilmente confermarsi per via analitica, ricorrendo alle condizioni caratte- ristiche trovate dal Dini per la rappresentazione geodetica di una superficie sopra un'altra ('). Basta per questo scrivere l'elemento lineare dello spazio in coordinate ellittiche 0,, 02, 03, riferite al sistema confocale (1). designando 0,, 02, 03 rispettivamente i valori del parametro @ per l' ellissoide, iperboloide ad una o a due falde del sistema (1) che passano pel punto (2, 7, 2). Si ha allora: Federer Vea) 0 0) (0 0a) s (a? — 6?) (a? cile CR) o (6° — 6) (6? DEA a?) __(6° +01) (e° + 02) (6° + 03) (cia?) (c° —03) $ e corrispondentemente pel ds°= da° + dy° + de? , IO GEM (0° — 03) (0° — 01) Ietottoeto® tate to eo at “6 0)(03— 0) >) ebete) te) (©) Ce= che scriviamo anche (55) ds? == 15h do? + (ESS dos + 5 doz* . L'omologia biassiale (2) applicata al sistema confocale (1) dà Ara DE ee Sa 21) (e° +02) (e°+ 03) @+o (+08) @+e,)"% i CS Cagt), (a°+- 03)’ (a? — c°)? (60° + 01) (0° + 02) (0° + 03) bic (a°-|-0:) (a° os) (a 03) Calcolando di qui il ds. = dx,? + dy, + dz, , si trova Br = — _ (a@—39 (a e? (H dor? H,? do»? _ Hatde H;* do:° ) (a°+ 01) (a+ 02) (a +00) la + or * a +00 ! a + 03$" (*) Sopra un problema della teoria generale delle rappresentazioni geografiche (Annali di Matematica, tomo III, 1869). Cf. anche Darboux, Zecons etc. tomo III, pag. 47. (6) ds = — 222 — Confrontando gli elementi lineari (5), (6) per due quadriche corrispon- denti, si vede subito che essi stanno fra loro nella relazione caratteristica che assicurano, secondo il Dini (1. c.), la corrispondenza delle linee geo- detiche. 5. Dimostriamo ora che i risultati precedenti si estendono subito allo spazio ad 2 dimensioni S, (euclideo) ('), fornendo così un semplice esempio di spazî ad 2 —1 dimensioni (quadriche), immersi nell’$S,, che vengono a rappresentarsi geodeticamente (e projettivamente) gli uni sugli altri. Consideriamo nello spazio S, il sistema di quadriche confocali Da te 4 st a a Di e diciamo 01, 02,--0n le corrispondenti coordinate ellittiche; abbiamo le formole (7) n e Ot) ‘ (ai_a) (4) (i di) (4 dia). (Gi tn) i 0 DI ART di do 244 0x0 e quindi pel ds° = da. + dat + + den’ la forma ortogonale (9) ds = H;? doi 4- H,° do» +--- H_don; con (9*) Hal (0; farà 01) (0; rs 02) SO (0; — di-1) (0; — 0i+1) - - (0; a» On) 4 (Cha 0) (CRE o (an+ 0:) Eseguiamo ora la trasformazione projettiva data dalle formole RR a Il Di 10 = 5 a = = do Ai Li Va — 4; Di ( ) dove le # sono le coordinate del punto trasformato. Questa cangia il sistema di quadriche confocali (7) nell'altro pure con- focale: Ti N07) xi SE (10%) n° a miu uu (a—a)(+0) Ora sussiste nell’S, la proposizione generalizzata di Chasles: Le tan- genti comuni ad 2» — 1 quadriche del sistema confocale formano le normali di un'ipersuperficie, e quindi inviluppano su ciascuna quadrica un sistema di (1) I medesimi teoremi valgano del resto, più in generale, per gli spazî di curvatura costante. — 223 — linee geodetiche. Tenendo fissa una Q delle n —1 quadriche e facendo va- riare le altre x — 2 si ottengono così tutte le geodetiche di Q. Di qui de- duciamo: Sopra due quadriche corrispondenti dei sistemi confocali pro- gfettivi (7), (10*) sé corrispondono le linee geodetiche. La medesima cosa segue anche da considerazioni geometriche analoghe a quelle svolte alla fine del n. 2. La conferma analitica risulta nuovamente dal calcolo dell’ elemento lineare «2 dello spazio trasformato. Dallo (10) abbiamo e __— _———_—__0e_T t=m___r_r tr, — dx Li dk _ — — _r_——_—___—r- dI Id dd; 1 A GEE Da dk di den de ila — di i e quindi, avendo riguardo alle (8*): 1... IZ; da; 1 Des) 2. (21 PES di) 2 Ma, 11 ee Ga |< Lipiva de 42:°0(art94) (at 0) wir occ Naturalmente quando %# +/ deve risultare 4=0, perchè il sistema confocale (10*) è un sistema 7P!° ortogonale, la qual cosa del resto è facile verificare, sussistendo l’ identità. 2... (a; — 75) Li sa ì 2 (ai + 0x1) (4 4- 21) mad ci Per /=% abbiamo poi Ai 2. DLbo. 2 Uk Hx° I 3 d» i o) di | ’ — 4 (a + on 2 (a+ 0) ossia per la (8) es ee TL) 1 Ax (artor) (470). (0 4-1) (Ci a) (4 dn) (Lt n) (11) Hx? Ora la quantità fra parentesi } { nel secondo membro eguaglia la frazione (ox — 21) (oL— 02)--(0r — 081) (01 — 0441). (0x — 0n) (ax | 0x) (434 0%) - - - (Gn 02) i come si vede decomponendo quest’ ultima in frazioni semplici rispetto a ox. Sostituendo poi nella (11) per x,° il suo valore dato dalla (8) per 7=1, ne viene Hi (ala) (am) Hi (GLi)? ag RenpICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 30 — 224 — 7 Pel quadrato dell’ elemento lineare RASTA abbiamo in fine 19 (dda) (A 43) (Ci) (MA, 21005) H,° don UL Co Da questa formola, che per x =3 si riduce alla (6), si trae la con- ferma che su due quadriche corrispondenti nei sistemi confocali (7), (10*) sì corrispondono le linee geodetiche. Matematica. — Sulla nozione di gruppo complementare e di gruppo derivato nella teoria dei qruppi continui di trasfor- mazioni. Nota del Socio Lurei BIANCHI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Matematica. — Sulle relazioni algebriche fra.le funzioni 3 di una variabile e sul teorema di addizione. Nota II del Corrispon- dente ALFREDO CAPELLI. Nel primo $ di questa Nota, prosecuzione immediata della Nota pre- cedente di cui si sono conservate tutte le notazioni, viene ulteriormente discussa e semplificata, nel supposto delle caratteristiche intere, una formola generale già in quella stabilita per caratteristiche reali o complesse quali si vogliano. Il secondo $ è dedicato alla determinazione di tutte quelle espressioni, di tipo analogo a quello che si presenta nella formola fonda- mentale di Jacobi, che godono delle proprietà di essere 2nvarzianzi rispetto alla sostituzione ortogonale jacobiana. Dimostro come esse sieno tutte rac- chiuse nell'unica espressione generale: [ro gl+(Detazomiypa,gtal. Queste ricerche si applicano poi, nel terzo $, all’ ulteriore semplifica- zione della formola generale di addizione delle funzioni + con caratteristiche intere. Questa formola generale, che presentava finora l'inconveniente di essere di forma quadrinomia, viene ridotta a forma dinomia, pur mante- nendo la completa generalità delle caratteristiche. — 225 — 1. Nel supposto che le caratteristiche 9 e y (e quindi anche le g' e y') siano dei numeri razionali interi soddisfacenti alle condizioni: >y= 2g = 0 (mod. 2), si è stabilita (Nota I, $ II) la formola (1) CRAS ir Re ae +/+1,9T+(- D"D/,g +1]. Se si dà a Y l'incremento di 2, cosicchè le gi, 92,93; 94 riceveranno l'incremento di 1, troviamo, tenendo presenti le formole generali: Iysa,g(U) = vi: Py, g(u) ’ dy,g+2(0) == eRGt Fyy(u) ’ la relazione: Ditta eg Mer ga + L Ga TI Ly, 9] = AI ZIO) [y DE 1 i 9] che è la stessa (1) moltiplicata per e-37%.. Similmente si riconoscerebbe che la (1) ricade in sè medesima, se si dà l'incremento di 2 a y,. Diamo ora l'incremento di 2 ad una delle y2, 73,74; p. es. alla ya, cosicchè le yi; 72, y3, y4 si cangieranno risp. in yy; +1,y3-+1,gX;—-1,yi— 1 La (1) diviene così: 9 giga ly ; 9] DU 2ri(-9i-g') i+ 1 9] LL PO) Ly, 9] IL A) [+ 1 q' DE It] + ii CRI ar 9) Dy gf Io] che è ancora la stessa (1) moltiplicata per en — gr: Affatto similmente si riconoscerebbe che la formola (1) ritorna in sè stessa, se si dà l'incremento di 2 ad una delle 95,93, g94- Di qui segue evidentemente che per avere tutte le relazioni distinte contenute nella formola generale (1), basterà dare alle y e 9g i soli va- lori 0 ed 1. 2. Se inoltre facciamo astrazione da una sostituzione qualunque fra le caratteristiche y2 73,74, la quale avrebbe per sola conseguenza una sostitu- zione ad essa simile fra le corrispondenti caratteristiche trasformate y3, 73,74; — 226 — vediamo che basterà soltanto considerare per le y i quattro casi seguenti: v=0 gxe:=0 vn=0 n=0 ; n=0 n=0 w=0 n=0 va=l gi}=0n=0 ; n=1l p=l p=0 n=0 fa=0h2=0,= ili pirla =0 0 (lignei; e 2100 000 Nei due casi (a), essendo y;= yi (£= 1, 2,83, 4), la formola (1) ci dà: (1) 2% 9d= DE 4 LIRE area Ie e Ia e nei due casi (0), essendo y;.=y; +1 (mod. 2): Ito Mar Aereo are 796 DI che è la stessa relazione precedente. La formola (1) equivale dunque asso- lutamente alla formola più semplice (1). 5 In quest’ ultima formola basterà ora similmente di considerare per le 9g i due casi analoghi ad (a) e i due casi analoghi a (6). Nei casi analoghi ad (a), essendo g;= gi (i=1,2,83,4), la formola (1) ci dà: (1)'a ge de DER nmap Arr abete Nei casi analoghi a (2) la formola (1) ci dà invece, poichè gi=9+ 1, d=9— 1 (i=2,3,4): 20y,gl= (1), 941 Log aber. 944 o anche, poichè 29 =0 (mod. 2): (1)'8 29] Eee pera — (1)°Y+1,9+17+07; 9]. Le due formole così ottenute (1), ed (1)'g si possono però, evidente- mente, sintetizzare nell'unica formola: 2Ly,9g]l=Ly A Dc a Dit Lasi pg 1) o meglio: 2ly,gl= Wygl Ei 1)! 320) LI 94 i ge — 227 — o anche più compendiosamente: IRE ! MI1+8(91++-59) r (1) 2r,g]l= > D(-1) 2 Conero neo e=0 IE 1. Se nella formola stabilita sopra: 1) 20y,gl=0,gT+(— > +1,9+17+ prio AI che sussiste qualunque siano i numeri interi y e 9g, purchè soddisfacenti alle condizioni : >,=2,=0 (mod. 2), diamo a tutte le y l'incremento di 1, ne deduciamo: e, +1L?*%,gl—(1"b+1,9+1] e dal paragone delle due formole segue facilmente: b:g+1°*32[7+1,9=0 dl + D**>"[y+1,97 (4) | bg =D +1,99=(— D" [,9g+ 19 + dare, gir Se invece nella (I) cangiamo le g in g +1, otteniamo: 20r,9+1]=D,9+175— (1227 +1,g7— Ie LI e dal paragone di questa formola colla (I) segue: Cr.gl+D" [y,9+1]="[y,9T+(-1)"[y.g9 +1] 8 ngA-CD",g+1]=(- 1% +1,91+ +:(- IS4+>2 74 1,941: — 228 — Finalmente, se nella (I) cambiamo le yiny4+leleging+1, otteniamo: 2y+1,9+13=0+1,9+17+( tt (7,9 — Cz e Ie e paragonando questa formola colla (I): AED see i (0) +(— 1927 +1,9+1] +gi+ts hrga Gi Aeie i Lgdaià (cei ARREDATA 2. Le formole (A), (B), (C) ci fanno conoscere tre espressioni generali, funzioni delle quattro variabili 21,22, 23,24, le quali godono della proprietà di essere invarianti assoluti rispetto alla sostituzione ortogonale: i=j@G+a+s+%) z=;@Gtba cs 4) = ataa) {= sot). E importante di dimostrare, come ora faremo, che non esistono altre espressioni, di tipo analogo, che godano della proprietà invariantiva, oltre le tre già trovate: [rg] + D°* +1, O | relazi [rog +], ‘(2=2=0 (mod 2) [rg] + D**9*32 7 +1,9+1]. 3. Supponiamo che l’espressione (1) A-[y,g1+B:[w, m] in cui A e B sono due costanti, goda della proprietà invariantiva; anzi supponiamo, più generalmente, che si abbia una relazione, identica nelle , ati — 229 — della forma: (1) A-[y,g]+B:[w,m]=A10y,gT+B Cw, m] essendo A, e B, del pari costanti. Poichè 20y,gT=.9g]1+ D°9*>2%p+1,9-+1]+ ez et (91 e similmente 2Cu,mf=[m,m]+(— DE" (441, m+1]+ + DE" [a+ 1,0] + DE 4,041], dovrà essere identicamente: 0=(A,—2A)[y,g] + (B,—2B)[w,m]+ +A}(-1)"**>[y+1,9+1]+ + DIF P1,d4+ DU ,g+1]}+ +B,}(— 1}f*"*32"[n+1,m+1]+ Lr DE, +10. Di qui si scorge facilmente, dovendosi ritenere le A e B entrambe diverse da zero ed essendo le 21, 22, 23, 44 e quindi anche le d,g(21), Ig (42), F19(23), F9(4) fra loro indipendenti, e poichè inoltre, come è ben noto, le quattro funzioni oo (2), Fo), d10(2), “dn (2) sono fra loro linear- mente indipendenti, che uno dei quattro prodotti [w,w], [u+1,w+ 1], [w-- 1,7], [w,m +1] deve coincidere, a meno di un coefficiente costante, col prodotto [y,g]. Possiamo dunque ritenere, mediante una scelta oppor- tuna della costante B, che si abbia precisamente: m=vite, m= 94 (GMS28300) essendo « ed n uguali a zero ovvero all'unità; cosicchè l' identità prece- dente prende la forma: (E24).. de LA Dies ig] (fer e So —_—(B—2B):[y+e,g+7]— TB ta +e 1,9+n+1]+ + (- 92 +64 1,9+797+ DV + e,9 ++ 110 — 230 — Eguagliamo nei due membri i coefficienti di [y4+-%,9 +], essendo t,j una coppia di numeri, aventi il valore 0 oppure il valore 1, la quale non coincida nè colla coppia 0,0, nè colla coppia s,7. Se, essendo 4 un intero qualunque, indichiamo in generale con 4 quello dei due numeri 0 ed 1 pel quale si ha 4 = (mod. 2), dovremo cercare nel secondo membro il coefficiente di bare eee Esso è dato, per l'ipotesi fatta che non sia simultaneamente «“+="0 ed n+j=0, da — B, (— 1) tdartgt pt nta Abbiamo dunque l'uguaglianza: CCA A; È (— ve” 3ZD+i11 = B, ( IR 7 ZP)+(M+9) (V1+£€) d'onde 1 Q Ò 7 € 33 ‘n L E Ai ( 1) (G1+ g29)+ Vitintj B, e anche, più semplicemente: 1 € O n AC (bile RO poichè dall'ipotesi fatta che la coppia i, j sia diversa dalla coppia 0,0 e dalla coppia «, 7, segue facilmente che in +je=1 (mod. 2) r Se poi si riflette che le relazioni fra le 2 e le 2" non sono alterate dallo scambio fra le 2 e le corrispondenti 2’, si vede facilmente che, a quello stesso modo con cui dall'identità (1) si è dedotta la relazione (2), si deve poter anche dedurre la relazione consimile (3) ARS (e et: ZD+M1 B Le uguaglianze (2) e (3) ci dicono che, fatta astrazione da un semplice coefficiente costante, l’ espressione invariantiva cercata è necessariamente della forma : (II) Cr,gl + (— SEZ [y +e,9 +7] dove e ed n possono assumere a piacere i valori 0 ed 1, eccettuata sol- tanto la coppia di valori £s=0, yn=0. — 231 — In effetto la forma (II) così limitata coincide precisamente coll’ insieme delle tre forme (D) da noi già prima ottenute. 4. L'espressione generale degli invarianti da noi così determinata dà luogo alla relazione 4 Il =% E II NY a Tg; Cee RIA ALI ai (e) = Fs r egi+tso+n)i ‘FÉ 9 ; TOR * Vili (ci) 3p ( 1) D +89," (2) (a = la quale resta sempre vera comunque si scambino fra loro le 22, 23, 24, purchè si eseguisca al tempo stesso l’ analoga sostituzione fra le 22°, 23, 24, come chiaramente appare dalle relazioni che legano le 4 alle '. Si vede di quì che, ad abbreviare il calcolo di tutti gli invarianti contenuti nel nostro tipo generale, gioverà di non riguardare come distinti quelli che differiscono per una semplice permutazione fra le tre coppie di caratteristiche y2, 92; Y31, VERE V4) Ga è Se inoltre introduciamo, come spesso si usa, in luogo dei simboli Toi ’ DATI ’ CAT) ’ Foo risp. i simboli più semplici : e poniamo anche per brevità : Ua(6%(EKXOQTZ4iOoE (|A troveremo che la nostra formola generale dà luogo ai 30 invarianti che qui riportiamo : [3333] +[2222] [8388] +[0000] [3338] +[1111] o Oo ei 2222: 12222, [0000] [0033] +[3300] [0033]+-[1122] [0033] +[2211] pia] = 2210] è. +22] [3300] 18300] F1122] [8322]-+ [2233]. [38322]-+-[0011] . [3822]+-[1100] I [0011]— [1100] [1100]—[2233] [2233] — [0011] | [0022]-+[2200] [0022] -+[1133]. [0022] + [3311] [1133] — [3811] [3811]—[2200] [2200] — [1133] [i802]== 2031] \fl302]-+ [3120] [1302] + [0213] CRA [0213]— [2031] | [2031]— [8120] 5. La dimostrazione, da noi data all'art. 3, che i soli invarianti del tipo Ly,91+B.[w, m] sono quelli compresi nella formola (II), presupponeva implicitamente, in quanto RenpIcONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 81 — 232 — ci siamo serviti della formola (I), che le caratteristiche y, 9, w, #m soddis- facessero alle condizioni: >y=23g=Iu=Im= (mod. 2) Sarebbe quindi necessario, a complemento della dimostrazione data, di accer- tare che effettivamente non possono esistere invarianti con caratteristiche intere le quali non soddisfacciano a queste condizioni. A quest’ oggetto basterà appli- care alla relazione presunta (1), in luogo della formola (I), la formola (IV) della Nota prima, e si riconoscerà senza difficoltà che la relazione (1)' non non potrebbe sussistere per valori non tutti interi delle caratteristiche tras- formate y', 9, w, m' (ossia appunto per valori delle y, 9, #, 7 non sod- disfacenti le dette condizioni), se si tenga presente che fra le funzioni 9yg(4), n ; : È 183 in cui le y, g possano assumere i valori 0, 1, 3. 9° alcuna relazione lineare omogenea a coefficienti costanti. non può intercedere III. 1. Se nella formola (I) poniamo (come nel $ III della prima Nota): a=U-+v', Ro, =u— vv, ze= 0, =, cosicchè essa ci dà la relazione: 2 daigi (u =P v) O d.9s (u “RE v) Ò do 393 (0) 9 Pig (0) Fa Sa dg: (1) ° Di s9 (u) ‘ dl 393 (0) di Pigi (0) = de] Ni+9+3 29 9 9 ) 9 ) 9 ( ) +( ) Ji+1, ga+i(0)- Ja+h, ga+i(u ° SPESANZESTO, eVutls gut] v ua na FE & 141,91 (0) Fratta ga (U) + d+1,93 (0) 41,9, (0) + al 1} di 1 91+1 (v) . dis » G2+1 (w) È DLF » 93+1 (0) p CATE Intl (0) in cui le caratteristiche y e g sono degli intieri qualisivogliano soddisfacenti alle sole condizioni: Viby: tr 4 7=94+9+9 +9 =0 (mod. 2) A questa formola che già ci fornisce il teorema di addizione sotto una forma generale più semplice di quella ottenuta nella prima Nota, è però possibile, come ora vedremo, di sostituirne un’ altra ancora più semplice, in quanto, cioè, pur mantenendo la generalità delle caratteristiche, ci permet- — 293 — terà di esprimere la formola di addizione direttamente sotto forma dinomia, come si sa potersi fare effettivamente nei singoli casi particolari, anzichè sotto la forma quadrinomia che sin quì si aveva. 2. A quest'oggetto poniamo dapprima nella formola generale degli inva- rianti trovata sopra: +1 5p+ Ti big eee {eo n]= =[.gT+(fS*>20%[+e,g+] per la variabile 4 il valore zero; e poniamo inoltre E Jia intendendo, come sopra, con 4 il resto (uguale a zero od all'unità) della divisione di @ per 2. Poichè: dyazar, gigi (0) = (0)=0, la formola ora riportata ci dà: =4 LA Py. gi (61) - Iy.91 (82) - Pya93 (63) Fr.,g, (0) = Hdyg, (a) + = A 4 D+) Gi+t ED+ +17 1° Mia —- (4 sf) ‘87 dd 7 sgrai (di) - esi Ma, se si tiene presente che cl Ia bi 7,+X,+1) , Py+y 41 garda (6) Sri (E 1) dad Fyiyii > itgu+i (29) ’ essendo «; il numero intero che soddisfa l’usuaglianza: sug vtI=9%+14 24%, sì riconosce facilmente che: i=4 =4 =, e L4 14 LIT IIa (6) a A Py4Y4 41 1 Gitoa+1 (9) 2 = e onde si può scrivere anche: 4 dy,91 (c,) k Py39» (8.) C Pya93 (4) : dg, (0) “si Hbyeg, (c:) sla (= i=4 LA 4) Iyi+Yuti » Gitg,tl (8.) T=i RCA @G1+T ED+9+7 Se ora in questa formola poniamo 2; =%+%v,c=u—v, 4&=0, otteniamo appunto una formola generale di addizione sotto forma binomia, — 234 — cioè: dy,9, (u 3 v) 0 dy29 (u vari v) o 97,913 (0) 0 dy.g (0) FRI [LIT] \TTE Py,91 (1) ° d793 (u) 9 dy93 (0) O dy,9, (0) =P pe x. DY 47 +1,91+9 +1 (4) 0 dy,+Y,+1,93+94+1 (4) O Dys4Yy+194+94+1 (0) : DAT (0) dove: a=(— 1) $ ID+91+D71+91 In questa formola le caratteristiche 9 e y sono numeri interi assoggettati alle sole condizioni : >y=Zg=0 (mod. 2). 3. Al secondo membro della formola (III) si potrebbero sostituire anche altre espressioni le quali si potrebbero ottenere procedendo sulle seconde formole dei tre gruppi (A), (B), (C) del secondo $ in modo analogo a quello con cui ci siamo serviti delle prime. Ciò è del resto in corrispondenza al fatto ben noto che le formole di addizione ammettono, in ogni singolo caso particolare, espressioni diverse deducibili le une dalle altre mediante le re- lazioni quadratiche che intercedono fra le funzioni 4 fondamentali. Mì riservo pertanto di ritornare in altra occasione su questi particolari, anche in riguardo di altre formole notevoli relative alla rappresentazione ge- nerica dei varî tipi di relazioni che intercedono fra le funzioni @ di una variabile. Astronomia. — La stella nuova (variabile?) in Gemini. Le ultime posizioni della cometa 1903 a. Nota del Corrispondente E. MILLOSEVICH. La nuova stella in Gemini, scoperta da Turner ad Oxford, fu osservata da me all’equatoriale di 39 cm. come segue: 1903 0 Ascensione retta —6238m08.51 ” + 80° 216”. 0 Io stimai l'astro fra 7.3 e 7.5 e di colore giallo il 26 marzo. Dal carattere spettrale l’astro dovrebbe essere una stella nuova, od anche una variabile del tipo di Mira Ceti. Probabilmente decresce di splendore. : — 299 — Le ultime posizioni della cometa 19034 sono le seguenti: 1903 marzo 6 TA DR Ge R.C.R. « apparente O 11 12.20 ‘(9.659) d » -+ 16° 51° 177.6. (0.737) 1903 marzo 10. 6h51m 298 R.C.R. @ apparente 0 18 32. 36 (9.660) d » + 17024’ 42”. 2 (0.734) 1903 marzo 11 TR OR BE RICH: « apparente 0 20 9.14 (9.661) i Simo 037 (01742) 1903 marzo 13 62 472 258 R.C. R. 15 ESZolE R.C. R. ‘« apparente 0 22 56. 73 (9.660) 0 22 57.51 (9.660) C) ” + 17° 5° 20”. 8 (0.738) SODA ION (07407)) 1903 marzo 14 7h 6 518 RA CR: « apparente 0 24 7. 43. (9.659) ) ” + 16046" 347. 7. (0.753) 1903 marzo 18° 72 80415 R. C. R. « apparente 0 26 51.66 (9.652) D) D) + 14013’ 167.5 (0.760) Le osservazioni dell’11, 13 (II) e 14 marzo furono fatte dal dott. Emilio Bianchi, nuovo assistente dell'Osservatorio. Chimica. — Azioni chimiche della luce. Nota V del Socio G. CIAMICIAN e di P. SILBER. Dopo la nostra prima comunicazione (') intorno a questo argomento, ab- biamo avuto più volte occasione di fare diverse esperienze intorno all’azione della luce sull'aldeide benzoica, sul benzofenone e su qualche altro composto chetonico in presenza di alcooli o di altri solventi, e queste osservazioni pos- sono però servire di complemento a quanto abbiamo esposto nel suindicato lavoro. Questa quinta Nota viene ad essere in tal modo la diretta continua- zione della prima. Aldeide benzoica. Sul contegno di questa sostanza in soluzione alcoolica non abbiamo nulla da aggiungere a quanto abbiamo esposto a suo tempo; come allora fu dimostrato, l'aldeide benzoica si trasforma nel miscuglio dei due idrobenzoini, ma dà contemporaneamente una ragguardevole quantità di resina. Era perciò (1) Questi Rendiconti, vol. X, I, pag. 92 (1901). — 236 — necessario, onde avere un quadro completo della reazione, vedere quale fosse il comportamento dell'aldeide benzoica alla luce senza l'intervento di un altro corpo. A tale scopo abbiamo lasciato esposti per tutto il periodo estivo autun- nale 35 gr. di aldeide in un tubo chiuso. Si ottiene una massa giallo-bruna con qualche accenno di cristallizzazioni d'acido benzoico. Trattando con etere e distillando con vapore acqueo passano piccole quantità d'aldeide inalterata, la parte maggiore (26 gr.) resta indietro in forma d'una massa resinosa so- lida e fragile. Per purificarla, venne sciolta in etere e la soluzione lavata con carbonato sodico, svaporato l'etere e ripreso il residuo con benzolo. Con etere petrolico si ottiene un precipitato bianco e polverulento. Il prodotto seccato a 80°, fonde fra 125 e 130° ed ha la stessa composizione dell’ al- deide impiegata. Il peso molecolare, determinato in benzolo, condurrebbe alla formola : 9C,H50. Sì tratta dunque di un semplice processo di polimerizzazione. La resina che si forma in soluzione alcoolica sembra avere uu’ altra composizione, corrispondente alla formola: 4C,H14 0», trattandosi però di sostanze amorfe è difficile poter accertare - piccole diffe- renze nell'analisi, e però è possibile che in entrambi i casi si formi lo stesso prodotto. Aldeide benzoica ed alcool benzilico. Ci parve interessante studiare il contegno alla luce di questa coppia di sostanze per vedere se l'alcool benzilico fosse in grado di reagire come l’eti- lico. Così è diffatti. Noi abbiamo lasciata esposta alla luce durante il periodo estivo autunnale una soluzione di 5 gr. di aldeide in 5 gr. di alcool. Si ebbe un liquido giallo pieno di cristalli senza colore. Questi ultimi, separati dalla parte liquida e purificati dal benzolo, non sono altro che l’idroberzozzo, dal punto di fusione 136°. La parte oleosa venne distillata con vapore acqueo, per cui passano piccole tracce di aldeide e l'alcool benzilico rimasto inalterato. Il residuo è formato in gran parte (4,4 gr.) dalla solita resina. Nell’acqua, con cui venne bollita, si trovano disciolti il predetto idrobenzoino e l’7sozdrobenzoino dal punto di fusione 121°. Se si fa astrazione della resina, il processo può essere rappresentato nel seguente modo: CH; . CHO + C,;H;. CH,0H=C;H;. CHOH. CHOH. C,H;. — 297 — Benzofenone ed alcool benzilico. Come era da prevedersi, l'alcool benzilico per azione della luce può ri- durre anche il benzofenone, ma la reazione è più complicata che nel caso precedente, perchè si formano diversi prodotti. Noi abbiamo lasciato esposti alla luce durante l'intero periodo estivo autunnale, a più riprese, complessi- vamente 50 gr. di benzofenone sciolti in 100 gr. di alcool benzilico. Dal liquido limpido si depongono da prima grossi cristalli di benzopi- nacone, a cui, più tardi, si aggiungono dei mammelloncini bianchi, formati da piccoli aghetti. Filtrando alla pompa, si separa la materia solida (circa 50 gr.) dall'olio. La prima venne fatta cristallizzare anzitutto dall'alcool e si ebbe così, quale parte meno solubile, il denzopirnacone con tutte le sue caratteristiche proprietà. Punto di fusione 186°. Questo è il prodotto principale. Dalla so- luzione alcoolica si separano per concentrazione altre quantità di questo corpo, ma infine, svaporando l'alcool, resta indietro una massa sciropposa, che len- tamente cristallizza; questa a sua volta può essere purificata dal benzolo, da cui si ottiene in aghi privi di colore che fondono a 168°. Il composto che accompagna il benzopinacone ha la formola: Cro His 0, ed è a quanto ci consta una nuova sostanza. Essa è insolubile nell'acqua, mentre si scioglie facilmente negli ordinarî solventi organici. Si forma in quantità non molto rilevante (cca. 7 gr.); la sua costituzione potrebbe essere la seguente: CH; COH — CHOH , (07 H; (07 HE ma questa formola ha bisogno di ulteriori prove sperimentali per potere es- sere accettata. A differenza del benzopinacone, questo nuovo composto non si scinde, se viene scaldato per qualche tempo sopra il suo punto di fusione. La parte oleosa del prodotto venne distillata in corrente di vapore acqueo per eliminare l'alcool benzilico rimasto inalterato; una prova fatta per accer- tare l'eventuale presenza d'aldeide benzoica dette resultato negativo. Nel pal- lone di distillazione resta indietro una resina (circa 14 gr.), mentre nel li- quido acquoso passa una sostanza cristallina, estraibile con etere (circa 12 gr.); in questa venne dimostrata la presenza di idrobenzoino, dal punto di fu- sione 138°, ma oltre ad esso si sarà di certo formato anche l’isoidrobenzoino. La resina che rimane insolubile nell'acqua, contiene però ancora piccole quantità del suindicato composto Cso His 0», che si possono ottenere per trat- — 238 — tamento con alcool metilico; in esso si scioglie la resina, mentre restano indietro i cristalli, che purificati dal benzolo fondono a 168°. La reazione che, per influenza della luce, si impegna fra l'alcool ben- zoico ed il benzofenone può essere riassunta nel seguente modo: l'alcool rea- gendo sul chetone lo trasforma per la maggior parte in pinacone, mentre si produrrà aldeide benzoica; in via secondaria l’alcool si addiziona al chetone dando il composto C., His 0». L'aldeide benzoica non rimane però inalte- rata, in parte si polimerizza nella solita resina ed in parte coll'alcool ben- zilico produce gli idrobenzoini. Non tenendo conto della resina, la reazione potrebbe essere rappresentata col seguente schema: Cs ELE .C0.C6 H; + C; H; .CH, OH = Cso JE he O, 20,H;.C0.CH; + CH;. CH,0H=(C,H;):. COH . COH.(C;H;) + C;H;. CHO Cs H; . CHO + G; H; . CH, 0H=G; H; . CHOH . CHOH . G H;.. Benzofenone ed acido formico. Mentre il chinone viene ridotto assai facilmente dall’acido formico, tanto che la reazione lentamente sì compie anche all'oscuro ed è poi assai acce- lerata dalla luce, il benzofenone rimane inalterato. Una soluzione di 4 gr. in 20 di acido formico anidro, restando esposta alla luce per tutta l'estate, ingiallì e fece un lieve deposito (1 gr.) di materia resinosa sulle pareti del tubo, ma tutto il resto del prodotto non subì alterazione alcuna e però non si formò benzopinacone. Benzofenone e cimolo. Vista la facilità con cui il chinone reagisce alla luce con gli idrocar- buri e segnatamente con quelli parafinici, dando però prodotti che non ab- biamo potuto determinare (si ottiene, come è noto, una sostanza nera), ab- biamo voluto studiare in questo proposito il contegno del benzofenone. Quale seconda sostanza abbiamo scelto il cimolo, che scioglie bene a freddo il che- tone, con la speranza di potere in questo caso scoprire eventualmente anche quale modificazione subisca l’idrocarburo. La soluzione, esposta alla luce dal 13, III al 30, V, dette già dopo qualche settimana un'abbondante quantità di dbenzopinacone, ma per scoprire l'alterazione patita dal cimolo bisognerebbe ripetere l’esperienza su assai larga scala. Benzofenone e benzaldeide. Dalle belle ed interessanti esperienze di Klinger (*) è noto che il chi- none si condensa alla luce con l’aldeide benzoica per dare, assieme ad altri () Berichte 24, 1340, (1891). — 239 — corpi, il p-diossibenzofenone; per l'analogia di contegno che alla luce in molti casi il benzofenone presenta col chinone, abbiamo voluto vedere se anche qui si formasse un analogo prodotto. L'esperienza non dette però risultati soddisfacenti. Esponendo alla luce un miscuglio di 5 gr. di benzofenone e 10 gr. d'aldeide benzoica dal 15, XI, 1901 al 15, II, 1902, si ebbe una massa sciropposa seminata di pochi cristalli bianchi. Trattando con acido acetico glaciale, questi rimasero indi- sciolti; purificati dallo stesso solvente si ottennero in forma di aghetti senza colore, dal punto di fusione 236-237°. La loro composizione corrisponderebbe alla formola C, H340;; la quantità di questo prodotto è però così esigua da non incoraggiare a riprenderne lo studio. La parte solubile nell’acido acetico glaciale è resinosa. Benzile ed alcool etilico. È noto per le nostre esperienze di due anni fa, che il benzile in so- luzione alcoolica si trasforma per azione della luce, nello stesso composto che Klinger ottenne in soluzione eterea, cioè nel cosidetto benzilbenzoino 2(C H; . CO. CO. C$H;). CH; .CO. CHOH. 6; H;. Se però la insolazione viene prolungata, questo prodotto, che da prin- cipio si separa dal liquido, va lentamente sciogliendosi in seguito ad una ulteriore trasformazione. Per studiare quest’ ultima noi abbiamo in questi due anni fatte molte esperienze su larga scala, ma il risultato fu scarso assai. Anzi- tutto è da notarsi che non sempre il benzilbenzoino si ridiscioglio completa- mente, massime se si impiegano dei matracci in luogo di tubi. Noi abbiamo p. es. lasciata esposta alla luce una soluzione di 30 gr. di benzile in 600 c.c. di alcool in un matraccio chiuso alla lampada per un anno intero senza otte- nere soluzione completa. Il liquido diventa giallo rossastro e contiene ancora 6 gr. di benzilbenzoino inalterato. Distillando la soluzione alcoolica, spesso non si hanno che piccole tracce di aldeide acetica nel distillato. Il residuo è una massa sciropposa che ac- cenna a cristallizzare; venne bollita con etere petrolico il quale scioglie tutta la parte oleosa e cristallina e. lascia indietro una resina, che costituisce pur troppo la quantità maggiore del prodotto. L'estratto petrolico è semisolido, sciolto in etere e trattato con una so- luzione di carbonato sodico cede a questa notevoli quantità d'ucido denzoico. La parte neutra, che resta sciolta nell' etere, venne distillata in corrente di vapore acqueo; passa così un olio, da ‘cui per mezzo del bisolfito sodico. si può estrarre l’a/deide benzoica, mentre la parte che non si combina ha i caratteri dell’ etere benzoico. Dopo la resina suaccennata, il prodotto : prin- RenpIcoONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 32 — 240 — cipale della reazione è quello che rimane indietro nella distillazione con va- pore acqueo. Da questo, che è formato esso pure in gran parte da sostanze resinose, non abbiamo potuto ottenere, oltre ad una piccola ed insufficiente quantità d’una sostanza fusibile a 212°, che derzozno e benzile inalterato. La trasformazione del benzile in soluzione alcoolica per una prolungata esposizione alla luce, consiste in gran parte in un processo di resinificazione. Oltre alla riduzione a derzoino avviene assai limitatamente una scissione in aldeide benzoica ed etere benzoico, prodotta forse dall’ alcool, ed inoltre più abbondantemente quella che conduce all’ acido benzoico. Benzile e paraldeide. Anche questa esperienza venne eseguita per vedere se il contegno di questi due corpi fosse analogo a quello osservato da Klinger (') per il fe- nantrenchinone. Egli ottenne coll’ aldeide acetica, l'acetilfenantrenidrochinone. Col benzile invece le cose vanno diversamente, come già Klinger stesso lo aveva accennato, ma in modo poco soddisfacente. Da principio per effetto dell’insolazione si separa il hbenzilbenzoino, il quale, a poco a poco, va scomparendo, mentre il liquido si colora in giallo rossastro. Come nella precedente esperienza (benzile ed alcool) i prodotti sono una materia resinosa, in quantità predominante, e benzoino. In un caso, dopo una insolazione di un intero anno (dal 22, IX, 1900 al 20, XI, 1901), abbiamo potuto accertare anche la formazione di desossibenzoino in assai piccola quantità. Questa riduzione CséH;. CO. CO.C Hz rovi CH; . CO. CH.,.Cs H; per opera della paraldeide è rimarchevole. Acido oppianico ed alcool etilico. Per ragioni, che qui sarebbe inutile ricordare, abbiamo studiato l’azione della luce anche su questa coppia di sostanze. Già dopo pochi giorni d'in- © solazione l'acido si va sciogliendo nell’alcool, mentre si depositano aghi o prismi privi di colore. L'esposizione durò dal luglio al dicembre. Il pro- dotto è il cosidetto pseudoetere oppianico, dal punto di fusione 92°. Questo è uno dei casi in cui la luce agevola enormemente l'eterificazione, perchè (1) Liebigs Annalen 249, 137. — 241 — preceduta dalla formazione dell'alcoolato (') CHO (ir si (CH30)s . (O IFTS << aa (CH0). . Ca H, << swagi COOH COOH acido oppianico CH .0C, H; ZAR | ara (CH30): c Ce H, (6) CO etere pseudo oppianico che, come in altra occasione abbiamo fatto notare, viene favorita dalle ra- diazioni luminose. Allossana ed alcool etilico. L'azione che la luce determina fra questi due corpi è quella tipica che avviene fra alcooli e chetoni. Si forma l'a//ossantina ed aldeide acetica. Venne esposta una soluzione di 5 gr. di allossana in 25 cc. d'alcool asso- soluto. Già dopo due settimane incomincia la separazione dei cristalli di allossantina; l'esperienza durò dal 15, XII, 1900 al 6, II, 1901. La quan- tità di prodotto ottenuto fu di 1,7 gr.; l'alcool conteneva aldeide. Venne fatta la controprova con una soluzione alcoolica d'allossana te- nuta all'oscuro per altrettanto tempo, che si mantenne inalterata. Questa reazione illustra assai bene il fatto che l'allossantina è il pina- cone corrispondente all’allossana: A N 2 CO COL Ciano — DINE ‘904 RI NH— C0 CO — NH te A 201) )00E. COH D00+0; Ho. dà A 1 Da NH— CO co — NH Idrolisi dell’acetone. Il contegno dei chetoni della serie grassa alla luce è ancora completa- mente sconosciuto e però ci occupa già da qualche tempo. Le esperienze fatte finora sull'azione dell'alcool e dell'etere sull’acetone in presenza della luce (1) Vedi Wegscheider, Monatshefte fiir Chemie 13, 702. — 242 — non ci hanno dato risultati ben ‘sicuri e però le ricerche in proposito devono essere continuate. Assai semplice e chiaro riuscì invece il risultato di una esperienza fatta allo scopo di vedere quale fosse il contegno dell’acetone con l’acqua. Una prova preliminare, su cui dovremo ritornare in seguito, ci aveva insegnato che esponendo al sole una soluzione acquosa di acetone in una bottiglia a tappo smerigliato, ma che non chiudeva in modo perfetto, avviene una ossidazione dell'acetone per cui si formano gli acidi acetico e formico. Ripe- tendo l'esperienza in un matraccio chiuso alla lampada si ebbe un risultato assai diverso: l’acqua, per influenza della luce, determina la scissione del chetone in acido acetico e metano: CH; .CO.CH:;+H,0=CH;. COOH +CH,. L'esperienza venne fatta con una soluzione di 125 c.c. di acetone in 1250 c.c. di acqua bollita, in un matraccio sterilizzato col calore, chiuso alla lampada. L'esposizione durò dal 30, Val 29 XI;.il liquido si mantenne limpido e privo di calore. Aprendo il matraccio sì notò la presenza di un gaz compresso, infiammabile, che, per fortuna, rimase, in sufficiente quantità, di- sciolto in soluzione soprasatura nel liquido. Con una corrente d' anidride carbo- nica e scaldando a h. m. si potè scacciare il gaz dalla soluzione e raccoglierlo in un azotometro sulla potassa; se ne misurarono 76 c.c. che; naturalmente, non rappresentavano che una parte del gaz prodottosi nell’idrolisi. Esso venne trasportato negli apparecchi di Hempel ed in questi lavato successivamente con soluzione satura di bisolfito sodico, con acido solforico fumante, con po- tassa e finalmente con acqua. Non si ebbe assorbimento notevole (2 c.c.) che col bisolfito. All’analisi eudiometrica il gaz dette i numeri esatti ri- chiesti dal metano. Il liquido acquoso da cui fu estratto il metano, ha reazione acida; venne trattato con carbonato calcico e distillato per eliminare l’ acetone ri- masto inalterato. La soluzione, filtrata dall’ eccesso di carbonato di calcio, dette per svaporamento 3,5 di sale calcico, che venne trasformato in sale argentico ed analizzato. Tanto la prima, che l’ultima porzione avevano la com- posizione dell’ acetato argentico. Questa elegante idrolisi dell’ acetone invita naturalmente ad ulteriori prove e noi le faremo con altri chetoni della serie grassa, con chetoni aromatici e con chetoni ciclici; ma non solamente ai chetoni vanno limitate queste esperienze, esse devono comprendere gli acidi chetonici ed inoltre poi essere estese alle aldeidi di tutte le serie ed ai chinoni. — 243 — Matematica. — Moti di un punto libero a caratteristiche indipendenti. Nota di A. F. DaLL'Acqua, presentata dal Corrispon- dente G. Ricci. La questione che mi propongo di trattare in questa Nota, riguarda il moto di un punto libero, quando le equazioni differenziali del moviment. si possano scindere in due gruppi di cui uno si integri indipendentemente dal- l’altro. Secondo il Volterra, questi moti si diranno « a caratteristiche indipen- denti ». Io suppongo di più che le « caratteristiche » del Volterra coinci- dano con le componenti della velocità secondo un triedro trirettangolo. Devono allora le componenti della velocità (caratteristiche) e quelle della forza (date) esser funzioni soltanto del tempo, e il triedro deve inviluppare una terna ortogonale a invarianti costanti. Così le equazioni vengono appunto divise in due gruppi. Uno contiene le caratteristiche, le loro derivate rispetto al tempo, e le componenti della forza; l'altro contiene le variabili, le loro derivate e le caratteristiche. In tal caso è agevole e comodo riferire il movimento ad una terna or- togonale rettilinea (terna del Cattaneo). Le caratteristiche rispetto a questa si hanno allora per quadrature dal primo gruppo delle equazioni ricordate. Le caratteristiche rispetto alla terna primitiva sono legate a queste da re- lazioni lineari. Le equazioni del secondo gruppo, in coordinate cartesiane ortogonali danno poi per quadrature le equazioni del moto in termini finiti. Quanto alle linee di forza si riconosce facilmente che esse costituiscono una congruenza appartenente ad una terna ortogonale a invarianti costanti. Una tal congruenza si può sempre considerare generata da un'elica cir- colare di forma invariabile che si muova con moto di traslazione, ortogonal- mente al proprio asse, in tutte le direzioni possibili. È agevole inoltre dimostrare che le tangenti di una tal congruenza non possono appartenere a un complesso lineare. Se ne trae che il nostro caso in cui l'integrazione delle equazioni del moto si ottiene per quadrature, non ha attinenza con quello in cui la forza appartiene ad un complesso lineare, benchè sembri aver con esso talune analogie. 1. Suppongo noti gli elementi del calcolo differenziale assoluto, o al- meno le poche formole fondamentali riportate nel $ 1 della mia Nota Sulle terne ortogonali di congruenze a invarianti costanti (!). Immaginiamo che le coordinate x,,:,3 siano variabili col tempo, e (1) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, Seduta del 1° marzo 1903. si abbia dr= Er(6) (e=1,2,3) e poniamo dar ; SSA (1) “ad Za Pr. Le pn costituiscono, secondo il Volterra (!), delle caratteristiche di un moto libero. L'equazione dei lavori virtuali, che in coordinate cartesiane ortogonali sì scrive 3 Da: (X— mar) da, = 0 (X,, Xs, X3 componenti della forza, m massa del punto), in coordinate ge- nerali si scriverà 3 Zi [X® — mar + Da lidi Lp L'a)]arsdes= 0. Sostituendo in questa a 4 i valori dati dalla (1) e ad x” quelli che se ne ricavano per derivazione rispetto a £, avremo l'equazione dei lavori virtuali sotto la forma ti (2) [Pr — M(p'n — Tn Ya Pr n)] don = 0 dove Bi XA dop = 3, dx Antr rappresentano rispettivamente le componenti della forza e degli spostamenti virtuali, secondo le tangenti in ogni punto alle linee delle congruenze [4]. Le equazioni di un moto libero sono allora le (1) e quelle che si ri- cavano dalla (2) suppostevi le 00, completamente arbitrarie. Esse saranno adunque (?) (I) Lr = Dn IASO, Pn (II) P,= m( Dr — Tk Ynal Pr Pi) . 2. Nel nostro caso le equazioni differenziali si devono dividere in due gruppi integrabili successivamente, e precisamente le equazioni (II) si de- (1) V. Volterra, Sopra una classe di equazioni dinamiche. Atti della R. Accademia delle Scienze, Torino, vol. 33, 1898. (2) Cfr. Volterra, Memoria citata. — 245 — vono integrare indipendentemente dalle (I): esse non devono quindi conte- nere le x,. Perciò è necessario e sufficiente che le pn, le Py e i coefficienti delle Pri (ciOè ya + yYnx) Siano indipendenti dalle #,. Questi ultimi poi, quando immaginiamo (come facciamo in realtà) le [A] indipendenti dal tempo, risul- teranno costanti. Il problema adunque dei moti di un punto libero a caratteristiche in- dipendenti, ci conduce alla ricerca delle congruenze i cui invarianti sodisfanno alle condizioni (3) Ynnt + Ynin = c0sÌ. Si trae intanto da queste che i y con due indici uguali sono tutti co- stanti. Inoltre fra i y passano, come è noto, le relazioni lea 3 Yn4+rn+21(716+1k+2 "= Yn+2k+1) dun —_ Yhn+1k+1 YhAh+?k+2 + Yhh+1k+2 Yhn+2k+1 =" 0. Tenendo conto delle (3) le y,n = 0 mostrano che tutti i yy sono costanti ('). Dunque le [4] costituiscono una terna a invarianti costanti. 3. Se poniamo Mnjr = Tx nk Axy (cn = COS und, = cost.) e n= Tx nh Px Qi = È CnPx potremo sostituire alle (I) (II) le (11) DIS (I1,) Qa = M(q'n — Tn In da 1) dove vale ancora una relazione del tipo (4) Qu = >. x Mur (1) Cfr. la mia Nota citata: Sulle terne ortogonali ecc. Con le notazioni ivi usate, le (3) si scrivono Hy=cost., Va=cost., tr — tr=cost. Le y2n=0, annullandosi in esse la parte differenziale, equivalgono allora alle (2) della Nota stessa, e danno TreanUnera\=\COSt: (fi==0li209) da cui Th(th41 — Th+a) = cost. ossia anche ty = cost. c. d. d. — 246 — Come ho fatto osservare nella Nota già ricordata, la [w] è ancora una terna a invarianti costanti, e se supponiamo che essa coincida con la terna del Cattaneo (9123 — 9213="9; 9a = 0 in ogni altro caso), le (IL) as- sumono la forma Zq, MAI (5) TQ=g +90 "a Qo= 93. La terza dà intanto 6) a=+[fQw44 e) e, posto (7) x= d = 9%, dove per la (6) Z' è nota, le due prime si scrivono 7 ; Ji dida E dibrnata: Integriamo le equazioni che si ottengono da queste uguagliando a zero i secondi membri, e applichiamo poi il metodo di Lagrange, della variazione delle costanti arbitrarie. Le equazioni senza secondi membri sono qi—Nqa=0, di + =0. Il loro sistema integrale generale, come è noto, è qi==ac084 + bsenZ, g,=dcos4—asen4 dove a, è designano per ora due costanti arbitrarie, e 4 è integrale della (7) (1). Il metodo di Lagrange dà r r di , r dY , dI r 1 SLA! (300007 + SORES =—-0Q di 12 Unde 1 da | 36! mt , dI r dI r dI2 , 1 +7 = og ea di ne È 1 da Tab ; m (1) È opportuno notare che nelle formole seguenti 4 introduce in realtà una sola costante (la cs di 93): la costante additiva potrà ritenersi inclusa in 4,5. — 247 — cioè (essendo nulle le quantità chiuse tra le parentesi) (Q, cos 4 — Q: sen 4) (Q2 cos 4 + Q, sen 4). Gli integrali generali delle (IT,) sono allora, tenuto conto della (7) , di =] 0) f@ cosà — Q sen 4) di + ci + + sen 4 IC cos 4 + Q, sen 4) dé + cs} | = | os 1) {(@: cos À + Q, sen 4) dt + n) = — sen 1) cosà — Q» sen 4) dé + ci i] Q= - rfo, dt +- cs] 4. Per integrare ora le (I,) converrà sostituire in esse alle un e 4 i valori trovati nella Nota citata e nel paragrafo Recente In coordinate cartesiane ortogonali avremo c=acos(A—ge—c)+bsen(A—g9e2— c) y=bcos(A— gg —c)— asen(4— 9ge— c) == a 3 g . La terza ci mostra che 92 e 4 differiscono per una costante. Indicando ancora con x,y, un nuovo sistema di coordinate cartesiane, ottenuto dal pre- cedente facendo ruotare gli assi x,y intorno all'asse z dell’ angolo costante AÀ—g8z—c avremo «=a,y=b, ed x= |adt4+ 0, y= fbat+-0; yi Sa che dipendono dalle 6 costanti ei, 2,03; C,, 2,03. Queste equazioni ci inducono facilmente a ritenere (ma ciò non era evi- - dente a priori) che si possa dare alle equazioni differenziali del moto una forma ben semplice e immediatamente integrabile, quando le si riconducano ai differenziali secondi. RenpIcoNTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 38 — 248 — Infatti basterebbe derivarle due volte rispetto a £, per ridurle alla nota forma X=ma" (8) Y= my" Zi ma! e dedurne l’integrabilità per quadrature. Mostriamo però come anche si possano ricavare direttamente i primi membri di tali equazioni. Tenendo conto della 3° equazioni dei due gruppi (I) (II), si ha il valore di 2, da cui si ricava quello di 92 +e. Indicandolo brevemente con 6, le (4) danno, in coordinate cartesiane ortogonali X=X,=Q;, cosò — Q; sen 0 Y=X,=Q:cos0 + Q, sen @ Z — De Essendo X, Y,Z funzioni soltanto di £, nelle (8) restano separate le variabili, e l'integrazione si fa senz'altro per quadrature. o. Restano ora da determinare le linee di forza. Dalle (4) abbiamo Xx, = Th Qr Mnjr e indicando con [vw] la congruenza delle linee di forza, ne ricaviamo DG ar yX: X, X9 VS; Qt Vy ossia, posto Qi = COS (057) Vi Qi dove le 4, risultano costanti, Vy = Th COS @n Unjr cioè la [vw] forma angoli costanti (rispetto alle coordinate) con le [w]: essa appartiene dunque ad una terna ortogonale a invarianti costanti. Per ciò che ho dimostrato nella mia Nota più volte citata, le linee di forza sono allora eliche circolari congruenti, con gli assi paralleli all'asse , e le cui normali principali nei punti di un medesimo piano <= cost. sono tutte parallele: il che equivale perfettamente a ciò che con linguaggio cine- matico abbiamo detto nell’ Introduzione. È importante infine notare che il nostro caso in cui 1’ integrazione delle equazioni del moto si ottiene con quadrature, non si può in alcun modo ri- condurre a quello in cui la forza che sollecita il punto appartenga a com- plessi lineari (nel qual caso le equazioni del moto fammettono, come ben sì sa, integrali primi). — 249 — Possiamo infatti dimostrare che le tangenti ad una generica congruenza ad invarianti costanti mon possono appartenere ad un complesso lineare. Perchè ciò fosse i loro coseni direttori X=4Z,= a cos(g2 + c) — a sen(92 + c) Y=,=03c08(94+ c) 4 a, sen(984- €) YA == Ag ini 3 (21,5, @3 cost.) dovrebbero soddisfare in ogni punto ad una equazione del tipo aX + 5Y+ cZ+4p(yZ2—2Y)+gX— 24 r(eY—-yX)=0 (a de, pig, cost): ossia e(eY_-q2)+y(pZ2—-rX)+c(gX —pY)+aX+d3Y+cZ=0 Perchè questa sia verificata per ogni valore di x ,y,4, dovranno esser nulli i coefficienti di #,y per ogni valore di 2, da cui (essendo Z=cost., X,Y variabili), "= 0, e conseguentemente p=q=0. L'equazione si riduce allora ad aX + bY 4-cZ=0 che non ammette soluzioni, essendo le X,Y linearmente indipendenti. Meccanica. — 7rwiettorie dinamiche di un punto bero, sollecitato da forze conservative. Nota di A. F. DALL’Acqua, presentata dal Corrispondente G. Ricci. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Meccanica. — Sul! equilibrio d'un ellissotde planetario di rivoluzione elastico isotropo. Nota I di A. ViTERBI, presentata dal Corrispondente G. Ricci. È ben nota l’importanza che ha l’ellissoide di rivoluzione come figura d'equilibrio d'una massa fluida uniformemente ruotante, le cui particelle si attraggono secondo la legge di Newton; un tale ellissoide è infatti forma possibile d'un corpo planetario allo stato di nebulosa. Mi parve interessante lo studio dell'equilibrio nel caso in cui il pianeta perduto ormai il carat- tere di massa fluida debba riguardarsi come un solido ruotante, in equilibrio elastico, quando le forze di massa, a cui è soggetto, sono la forza centri- fuga e l'attrazione. e L'analogo problema fu, come è ben noto, risolto ‘completamente per la sfera del Lamé (*). Il Lecornu (?) trattò il problema dell'equilibrio elastico - d'un ellissoide di rivoluzione supponendo però che. la sola forza di massa agente fosse la forza centrifuga. Trattandosi di un solido di rivoluzione ruotante intorno al proprio asse, l'equilibrio dovrà verificarsi in ciascun piano meridiano, avvenendo lo sposta- mento d'ogni singolo elemento sotto l'azione della gravità e della forza cen- trifuga in un dato piano ‘meridiano, indipendentemente dall’orientamento di questo. Così la componente dello spostamento secondo la normale ai varî piani meridiani sarà identicamente nulla. Si tratta dunque di un problema a due coordinate. Come coordinate in ciascun piano meridiano si assumerà il sistema di coordinate rettilinee ortogonali 4, y offerto dalle parallele rispet- tivamente ai raggi dei paralleli ed all'asse del solido in discorso. Tale si- stema non è che, quello delle coordinate «cilindriche : infatti quest’ ultimo si ottiene-assumendo come terza coordinata necessaria .e sufficiente ad indivi- ; duare insieme con #,y i punti dello spazio l'angolo che ogni singolo piano . meridiano forma con un piano meridiano fisso. Nel problema studiato si hanno tre componenti normali della forza elastica, ed una componente tangenziale. Noi supporremo che la componente tangenziale sia nulla: il caso che allora si presenta. offre particolare inte- resse. Invero il significato fisico di tale ipotesi è evidente in base ai fonda- menti della teoria dell’ elasticità: esso consiste in ciò che nella materia co- stituente l’ellissoide considerato non avvengono scorrimenti nelle direzioni x, y. In altri termini l'ipotesi posta esprime che nè un elemento d'area d' alcun piano meridiano può subire uno scorrimento nella direzione del raggio dei paralleli, situato nel piano stesso, nè un elemento d'area d'alcun parallelo può subire uno scorrimento nel senso dell'asse del solido. Allora poi il si- stema triplo ortogonale di superficie costituito dai piani dei paralleli, dai piani meridiani e dalle superficie cilindriche coassiali aventi per generatrici le parallele all'asse y è zsostatico (*): vale a dire mercè esso si può sud- dividere l’ellissoide in discorso in prismi elementari sulle cui faccie non agiscono che tensioni (o pressioni) normali. : Le formole che in tale ipotesi s' ottengono sono oltremodo semplici: in vero le componenti della forza ela- stica e le componenti dello spostamento, la cui determinazione costituisce il nocciolo della presente ricerca sono, le prime, funzioni di secondo grado, le seconde funzioni di terzo grado delle coordinate. Tale l'argomento della pre- sente Nota. Le formole cui qui pervengo dànno luogo ad alcune osservazioni (1) v. Lamé, Zegons sur l’Elasticité, pag. 214 e seg. e Lecons sur le Coordonnées curvilignes. (2) v. Lecornu, Sur l'Equilibre d'Elasticité d'un corps tournant. Comptes Rendus de l’Ac. des Sciences, 1896, pagg. 96-99. (3) Lamè, Zegons sur les Coordonnées curvilignes, pag. 851 e seg. — 251 —. che mi permetterò di svolgere in una prossima Nota. Eccone Rrevemante il; contenuto. La circostanza che, trattandosi d'un ellissoide, le componenti della forza” di massa sono funzioni lineari delle coordinate fa sì che s'ottenga immedia- tamente una speciale relazione fra l'eccentricità, la velocità angolare, la co- stante dell'attrazione ed il rapporto delle costanti d'isotropia. Questa rela- zione, oltre a rappresentare, per sè stessa, una condizione necessaria e suffi- ciente a che il corpo sia in equilibrio elastico permette di più d' assegnare per la velocità angolare un limite superiore, funzione soltanto dell’eccentri- cità e della costante dell'attrazione, che. essa non può mai raggiungere se deve esistere l'equilibrio. Tale fatto trova perfetto riscontro in ciò che, come è ben noto, si verifica nello studio della figura d’equilibrio d'una massa fluida ruotante uniformemente :('). E appunto la presente ricerca si chiude con un'applicazione di detta relazione alla determinazione del rapporto fra le costanti d’isotropia dell’ellissoide terrestre. Come si vedrà, tale ellissoide sodisfa pienamente alla condizione necessaria per trovarsi, nell'ipotesi posta, in equilibrio elastico: di più il limite superiore della velocità angolare, qua- lora l’ellissoide terrestre sia in equilibrio elastico è molto superiore ‘all’ ana- logo limite che si ottiene, considerando la terra allo stato di massa fluida. Si presenta spontanea un'interpretazione fisica di tale fatto nel senso che la terra, come ogni altro corpo, si trovi allo stato di solido elastico in condi- zioni molto più favorevoli a mantenersi in equilibrio di quel che non sia allo stato di massa fluida. 1. Sia un solido di rivoluzione E di forma ellissoidica; e sia esso ani: mato di moto rotatorio uniforme attorno al suo asse. In ciascun piano me- ridiano si assuma, giusta quanto si disse, come sistema di coordinate, quello costituito rispettivamente dalle parallele y all'asse di rotazione e dai raggi x dei paralleli dell’ellissoide considerato. Di più si prenda come origine delle coordinate il centro di E. Detto allora 4 il semiasse equatoriale, d quello polare del solido in discorso, l'equazione della superficie che lo limita sarà: 0) i siate i Si supponga, come s'è detto, che E si trovi nelle condizioni d’ un solido planetario: vale a dire che le forze di massa a cui è soggetto siano l’attra- zione e la forza centrifuga. Dovendo l'equilibrio elastico verificarsi in ciascun piano meridiano sarà, come si è osservato, nulla la componente dello sposta- (1) V. per es. la recentissima opera del Poincarè, Figures d’équilibre d'une masse fluide. Paris, 1902. AGARO (3) In coordinate cartesiane evidentemente l'equazione della superficie in discorso _ rie sarebbe posto ii piano di ciascun parallelo, 41=% cos @,d&2=% sena: — 252 — mento de' suoi punti, normale ai piani meridiani. Dette pertanto w,v le componenti dello spostamento rispettivamente nelle direzioni 2, y: detto 4 il coefficiente di dilatazione cubica; dette N,, N:, N3 le componenti della forza elastica normale agenti rispettivamente nella direzione , perpendico- larmente ai singoli piani meridiani e nella direzione y e dette finalmente Z4-+2u,u le costanti d’isotropia di E sarà (*): @) dii de 04 ge - (A) Ni — 29 +2 Una sola delle componenti tangenziali della forza elastica non sarebbe identicamente nulla; e questa è: Ho ‘aaao li Se non che, per l'ipotesi posta nell'introduzione, essa pure s'annulla: do- vranno perciò u,v sodisfare all’ equazione: (B) Sia ora o la densità (supposta costante) della materia costituente E, co la velocità angolare con cui esso ruota. Allora la forza centrifuga è data 0° 0x° 2 Dette A',z, Asy le componenti dell’attrazione unitaria di E su un punto interno, rispettivamente nelle direzioni 4, y, pongasi brevemente: da (A+ 0°)o=A, Come è noto, detta f la costante dell'attrazione di E, sarà rispettivamente (?): (1) Lamè, Zecons sur l'Élasticité, pag. 184. Le relazioni fondamentali della presente ricerca s'ottengono infatti dalle formole fondamentali dell’ elasticità in coordinate cilin- driche date dal Lamè, quando si supponga nulla la componente dello spostamento nor- male a ciascun piano meridiano e tutto indipendente dall’orientamento di questo. (2) v. Tisserand, 7raité de Mécanique celeste, tome II, pagg. 62-64. L g A'r=_— 2 dl dal De (arclg Ll_ TRE il As= ! Le a— di ove {= , oppure Re ILE Ritmica (3) Lal I-l b° — a ove h= ve a seconda che a >d oppure d Lù + Aix iO e poichè in base alla (2) ed alle (A): _NM4N+4+N (7) pi 34 4-2 seguono dalle (5), (6) necessariamente le Dee o) DI Par Nb) 8) ta de dY ra Ciò perchè, come è ben noto dai fondamenti della teoria dell’ elasticità non può mai essere 4 -+ u = 0. Ciò posto in base alla (B) si potrà porre, detta K un'indeterminata : dU dv —=K, —=-—K. (9) dY ed £ Dal confronto delle (9) rispettivamente colla prima e la terza delle (A) si ha in virtù della condizione differenziale a cui devono sodisfare le deri- vate parziali di u, v: Si mad i Day dY (9) AMM n oi dii Na d dI dA E da queste evidentemente : dN 2 a 3 d° Ni (10) dY? PUR dY° da — 259 — In pari tempo dalle prime due delle equazioni (A): IN:— 29) (11) NE Cere gong — Vi Dalla (10), derivata rispetto a , si ricava in virtù delle (5), (7), (8): DA N 0 sa dda dda Dalla (11) derivata due volte rispetto a y e dalla (10), derivata rispetto a y, si ricava, in virtù della (12): 2 = \3 3 (12) dd (NN) = 9 9 N, we di Ni Sr) dy° dyi Se Le (12), (12') associate alla prima delle (4) mostrano subito che deve la funzione /(,gy) ridursi ad una costante C, e però che deve essere 2 2 N=0(£+4-1) mentre tenendo conto altresì delle (8) e della prima delle (C) si vede che N, alla sua volta deve avere la forma: 2 N,= Cat +04 — C. La completa determinazione poi di N,, Ns si fa immediatamente mercè le (6), (10), (11). Infatti da queste equazioni sì ricava facilmente: CL VOSIATETI CR 16(4+ w) (13). .) 0. [Aj2A,e HA:(B4+20){—4A+-)Ase+224+ 0) A] ST 4(4- 2u) (A+ w) 2 d posto brevemente — = e. a Se non che dalla (13) scaturisce immediatamente la relazione seguente : D, (A+ 2) Azde + Ax(72 + 6u){ i ICI] SE 3 (EI È L! LARIO 7 Pongasi brevemente spes e sostituiscasi a s la sua espressione : s=lT—-e? RenpIcoNTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 34 — 256 — 2 bè ove e = , rappresentando il quadrato dell’ eccentricità di E qualora a sia a > db. Tale sostituzione si fa in vista dell'applicazione che di queste formole si farà allo studio dell'equilibrio elastico della terra. Allora la (13) diverrà : (14) I°}A:(17e° — 5 — 12e4) + A;(5— 12e2){— — I} A:(260 — 58 e° + 32 e4) + A,(124-8e°)f— 16A,(1—e°)? — 12A,= 0. Ci riserviamo di studiare più innanzi la (14) e di metterne in rilievo la portata: per intanto osservando pure che dalle (6): A:(54 + 2u) +3A,4Z(1— e?) 7 16(7 + 24) e? — e? (1) ea e / sì possono far dipendere da e anzichè rispettivamente da / o da % possiamo riassumere i risultati testè ottenuti affermando che: Nel problema in discorso d' equilibrio elastico, le componenti nor- mali della forza elastica (le sole non nulle), risultano funzioni di secondo grado delle coordinate date rispettivamente da : iee= e che, in base alle (3), (3°) essendo = As e A,—w°g Nesi Ax4(1- e°) + A1(72+6u) (1 ARS a) 16(4 + wu) COIN OE (15) ap 16(4 4 #) 16(4-+ w) AM1— e) + A(72+ 60), TP I6A ente net e1-0)- 1-0) -y)l mentre fra il rapporto delle costanti d'° isotropia (che non è se non I+-2), la velocità angolare, la costante dell'attrazione ed il rapporto e deve sus- sistere la relazione (14) come condizione necessaria e sufficiente a che il solido E sia în equilibrio elastico (la densità non figura nella (14) essendo fattore comune). 3. Mercè le (15) si calcolano subito le componenti dello spostamento: (1) È quasi superfluo accennare che se si trattasse di un ellissoide allungato in Soi: ZA 2 de FESSO) guisa che la sua eccentricità fosse data da Gian essendo a tanto nella (14) come nella (15) e nelle espressioni di A,, A» si potrebbe opportunamente sostituire e? Gg al rapporto e il rapporto e, ricordando pure che 4° = n AGA(1— e) + Ax(7A+ 610) _ Ax(54-+-2w0) +84, M1—@) , SOI Rn TO PE I E — 257 — infatti in virtù di queste la (7) diviene, posto brevemente A.(1— e?) = As: aA(54+4u)+A1(77+6){ — 2°(644+40) (A-+A3) — ne }As(544+4w)+A,(72+6u){ e 8(2+w) (34+24) Allora, poichè sotto la condizione posta che sia sodisfatta la (14), sono pure identicamente sodisfatte le condizioni differenziali che si ricavano dal confronto delle (A), (B), tenuto conto della (15) e della (7°), dalla seconda e dalla terza delle (B) si ricava subito rispettivamente: fi Css psdubia Di cf La 2 \ Uli gi I + b1 (16) gl | Di le ar] ita) dove si è posto brevemente: n = CIARA + 2) — Ad { (7246) 324(4 + w) (34 + 2w) pi (GA 20) 1A — Ax(A + 2) | 32 u(4 + wu) (34 4+- 2u) 9 Do a?[}4(2 + u) (34 -+ 2u)—4(54+4-4u){ A, — A,4(74+ 64) ] 16u(34 + 2u) (4 + w) AA, — (4-4 2u) As 8r(4 + #1) mentre evidentemente in virtù della (14): bi= site a «#3 e 0 Mercè la (16) è dunque completamente risolto il problema dell’ equi- librio elastico di E. Fisica. — Relazione su di una Memoria contenuta in un piego suggellato presentato nel 1882 dal prof. Adolfo Bartoli, dei Soci A. Ròrrt (relatore) e V. VoLTERRA. Fisica. — Trasformazione in correnti elettriche delle radia- zioni incidenti sopra una superficie riflettente in movimento. Me- moria del prof. ApoLFo BARTOLI. Relazione e Memoria saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. — 258 — Fisica torrestre. — Misure pireliometriche eseguite a Sestola ed al Monte Cimone nell'estate 1899. Nota di Crro CaISTONI, pre- sentata dal Socio BLASERNA. Per queste misure mi servirono due attinometri di Violle. Uno di questi due, di proprietà della R. Stazione agraria di Modena, è quello stesso che mi servì per le misure del 1898 fatte a Corleto ('); l’altro, di proprietà del R. Ufficio centrale di Meteorologia e di Geodinamica è pure della casa Ducretet di Parigi; ha il diametro della sfera esterna di cm. 29,5 e quello della sfera interna di cm. 19,5. Lo schermaglio del tubo di entrata dei raggi solari in questo ultimo attinometro, porta cinque fori, che hanno rispettivamente i seguenti diametri in centimetri: 1,542 1,380 1,188 0,795 0,437 Per orientare l'apparecchio ho applicato le stesse modificazioni appor- tate all’attinometro della Stazione agraria. Il tubo di entrata dei raggi so- lari nell’attinometro del R. Ufficio di Meteorologia venne però prolungato di 17,1 cm. i A Sestola (lat. bor. 44°14'; long. est da Gr. 10°.46"; 1092 metri sul mare) (*), dal 21 luglio a tutto il 29 agosto servì. l'attinometro della Sta- zione agraria, e dal 30 agosto al 2 settembre l’attinometro del R. Ufficio centrale di Meteorologia e di Geodinamica. Di questo ultimo attinometro si fece sempre uso sul Monte Cimone (lat. bor. 44°.12"; long. est da Gr. 10°.42'; 2165 m. sul mare) dal 6 al 26 agosto. I termometri attinometrici che applicai ai due attinometri sono quelli stessi che servirono per le misure del Corleto e precisamente l'attinometro della Stazione agraria era munito del termometro, del quale il serbatoio ha per equivalente in acqua 0,890 piccole calorie; quello del R. Ufficio di Me- teorologia era munito del termometro il cui serbatoio ha per equivalente in acqua 0,718 piccole calorie. Ho già riferito (3) per il primo attinometro i coefficienti di riduzione per ricavare i valori assoluti della radiazione calo- rifica solare. Il secondo attinometro venne pure tenuto in confronto col pi- (1) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. XII, Serie 32 (1903), pag. 53-57. (2) Le ‘osservazioni del 1899 vennero eseguite nel prato adiacente al R. Osservatorio meteorologico di Sestola, che è di m. 72 più alto della casa comunale, dove si fecero le osservazioni nel 1901. (3) Lavoro su citato. dà — 259 — reliometro assoluto a compensazione elettrica dell’Angstrom e dedussi i se- guenti coefficienti di riduzione : COMPANCROI AC TT RM SO 1,138 Coefficiente di riduzione , . . . . 1,106 1,062 Il metodo di osservazione è sempre stato quello adottato per le misure fatte a Corleto nel 1898 e sul Monte Cimone nel 1901 ('). Credo perciò inutile dilungarmi in spiegazioni. Nelle tabelle seguenti è indicata con / l'altezza del Sole al momento dell’osservazione; con Q la quantità di calore (gr. calor. per minuto) inviata dal Sole normalmente sulla superficie di un centimetro quadrato, la quale abbia uz0 di potere assorbente; con B la pressione barometrica ridotta a 0°; con ? la temperatura dell'aria; con / ia forza elastica :del vapore acqueo esistente nell'atmosfera e con v la umidità relativa. (1) Misure pireliometriche fatte sul Monte Cimone nell’estate del 1901 (Rendic. della R. Accad. dei Linsei. vol. XI, Serie 5° (1902), pag. 479-486 e pag. 539-541). SestoLA 1899. — 260 — Giorno h | Q 3 | e Annotazioni o 21 luglio 36,0|1,040|673,7|26,0|13,3/50| @ libero (osservato dopo mezzodì) 292 D) 47,0|1,014|674,1| 23,5| 15,4|70| @ circondato da Cu; ma chiaro ” 51,8|1,579|674,1| 24,0|14,7/65| @ libero completamente; cielo azzurro D) 58,9|1,267/674,1| 24,5] 15,4[66} @ libero 23 ” 39,5/1,168|672,0| 24,0| 12,8|55 Id. ” 52,6|1,249|672.1| 24,0| 14,3|62 Id. ” 57,1|1,278|672,0| 25,0) 14,7|60 Id. ; 64,0|1,320|672,0] 24,8|14,1|58| 1a. »” 62,9/1,214|671,8| 26,6| 14,7|55 Id. 24 D) 45,5/1,487|668,0| 22,0] 9,2|44| @ libero; cielo azzurro » 62,7|1,161|668,1/ 22,5) 9,4|44| Qualche velo intorno al @ 25 » 49,5|1,287|668,8| 19,8 10,057 @ libero circondato da Cu 26 ”» 34,9|1,239|673,8| 18,1] 9,4|58| Sereno » 45,2|1,851|674,0| 18,7| 8,8|52| Sereno È » 57,9|1,336|674,0| 19,5] 8,9/50| Leggerissimi veli intorno al @ 27 » 35,0|1,237|674,6| 20,1] 8,4/45| Sereno » 63,0|1,320|674,5| 21,2| 8,6/43| Veli leggeri intorno al ®@ 30 » 27,5/1,032|672,8| 19,8] 12,3/70] @ libero fra Cu (osservazione fatta alla mattina) Mo 34,8/1,046|675,6| 19,3| 11,6|68 Toi » 51,5/1,230|675,8| 19,5] 10,4|60 Id. ” 61,3|1,290[676,2] 20,1) 9,7|54 Id, 1 agosto 61,0]1,299/676,9| 20,2) 9,0|49] @ libero fra densi Cu ” 49,1|1,210|676,0| 21,6|10,0/50 Id. ” 44,3|1,133|675,9| 21,6} 9,6|48| Qualche velo intorno al @ 2 ” 39,1|0,582/674,8| 19,1| 9,9|58| Cielo bianchiccio con veli ” 48,7|1,164|674,8| 20,3] 10,2|56| Il cielo si è rischiarato ”» 53,8/0,556/674,9| 20,7] 10,355] Veli intorno al @ » 57,4|0,905|674,9| 20,9| 10,2/54 Id. ” 61,7|0,768/674,7| 20,9| 10,2|54 Id. ”» 63,7/0,546/674,4| 21,5] 10,4|53 Id. 3 ” 62,3|1,127|671,5| 21,3 10,3|53| Cielo bianchiccio (osservazione antimeridiana) 100 33,5/0,871|671,6| 19,2] 9,8|57| Veli intorno al © ” 43,0/0,985 671,6| 19,6] 10,6|60 Id. ” 60,0|1,213:672,0| 21,6] 9,0|45| Cielo bianchiccio 9 53,2|1,148/671,7| 22,8] 8,6|41 Id. ” 45,0|0,617|671,6| 23,5] 8,8/39| Veli intorno al ® ” 43,2|1,047 671,6] 23,0] 10,0|46| Cielo nebbioso ” 33,5/0,482 671,4| 21,2] 9,4|48 Id. e veli intorno al ®@ 5 ” 31,1/0,931|672,0| 20,1] 9,6|52] Cielo bianchiccio 5 38,2|1,100'672,0| 20,6] 10,7|57 Id. er la È 1a — 261 — SestoLA 1899. Giorno h | ORME | Ai DAN ez Annotazioni 5 agosto |443|1,085|672,0|20,8| 9,4|49| Cielo bianchiccio » 51,0|1,103[672,2| 21,5] 8,6|43 Id. 5) 56,8/0,890|672,6| 21,8| 8,4/41| Cielo nebbioso ” 62,0|1,004|672,7| 22,2) 7,4/35 Id. È 59,1|1,077|672,4| 23,2] 8,5/38 Id. ; 53,5|1,169/672,1|23,9| 8,2/85| Cielo bianchiccio 6 » 52,7|1,165|672,4| 21,1| 10,9|57 Id. (osservazione antimeridiana) 7 » 48,1|0 956/671,3| 20,3| 12,5/68| Nebbioso » 53,2|1,204/671,4| 20,7] 12,1|64| Sereno ” 58,5|1 195/671,4| 21,4| 11,8|60| Cielo bianchiccio DI) 61,0|1,187|671,4| 22,0] 10,3/50 Id. ” 60,5/1,153/670,9| 23,0| 10,5|48 Id. 9 ” 57,5|1,400/666,4| 18,2] 8,4[52| Cielo azzurro; @ libero » 52,011,329|666,5| 19,5] 8,1/46 Id. ” 46,1|1,265|666,5| 19,6] 7,8|44 Id. n‘ |42,0/1,229/666,3| 20,4] 7,8|42 Id. D) 31,9|1,202/666,3| 21,7) 9,4|47 Id. » 23,4|1,209|666,4| 19,7] 8,2/52 Id. 11 ” 42,0/1,199/671,7| 15,5) 7,8|57 Id. » 48,2/1,843|671,7|16,2| 7,9[55 Td. » 51,6|1,353/671,8|16,2| 7,5|52 Id. ” 57,0/1,875/671,8| 17,6} 8,051 Id. ” 61,2|1,391[671,9| 18,7] 8,2|49 Id. ” 42,3|1,241/671,6| 20,0] 8,0|44 Id. 12 ” 42,4/1,154/670,9|18,3| 8,9|55| Sereno » 48,4/1,2351671,0| 18,4] 8,7|53|] Id. ” 51,4|1,265/671,0| 18,6| 8,5|o1| Id. L) 57,0|1,307/671,0| 18,7] 8,5/51 Id. ” 51,4|1,140|670,7|21,4|10,4|53| Id. ” 41,0|1,157|670,6|23,0|12,0|56| Id. 13 ” 41,1/1,140/672,6| 18,0| 10,6|67 Id. (osservazione antimeridiana) 14 D) 33,0|1,248/676,4| 19,3] 8,1/46| Sereno ” 49,5/1,248|676,5[ 20,0] 8,1[44| Id. » 59,2/1,249/676,4| 21,31 7,6|38| Id. ” 57,7(1,276|676,1|22,0| 8,3|40| Id. ” 50,0|1,296/676,2| 22,4| 8,5]40| Id. ”» 32,2|1,194|676,0|24,0|10,0/43] Id. 15 D) 40,0|1,152|675,8|20,6|11,4|61| Cielo bianchiccio ” 50,6/1,205/675,4|21,5| 11,4|58 Id. 5 59,0/1,233/675,3| 22,8| 11,5|54 Id. SestoLA 1899. — 262 — Giorno 16 agosto 18 D) 19 D) 20 ” 24 » 26 ” 28 ” 29 » 30 ” Sl ” 1 settembre h| Q | B 36,1|1,187|673,8 55,2|1,385|673,4 57,1|1,388|673,4 31.0|0,995|670,1 40,0|1,211|670,2 45,8|1,056|670,8 45,7|1,389/669,9 53,2|1,857|669,9 56,2|1,363/670,0 58,5|1,403'670,0 56,2|1,556/670,2 53,1|1,327/670,1 45,0|1,320/669,6 40,5|1,348|669,7 30,1|1,216\669,7 48,0|1,218/669,7 49,3|1,176/669,7 28,8|1,085|672,8 30,4|1,134|673,1 45,0|1,176/673,1 98,9|1,339/672,8 39,0|1,190|673,0 45,4|1,288|673,1 30,6|1,130|672,3 35,4|1,810|672,4 45,8|1,272/672,5 37,0|1,203/672,2 49,3|1,226|672,4 51,0|1,266|672,4 41,8|1,126|672,6 41,5|1,154|672,1 35,0|1,173|670,4 46,0|1,218|670,3 45,2|1,269|669,5 51,9|1,813|669,7 46,4|1,173|669,2 45,4|1,286|670,6 48,2|1,254|670,7 53,8|1,251|670,5 21,0 23,1 22,6 19,6 19,8 20,1 20,5 20,8 21,0 20,9 21,4 21,6 21,3 21,9 17,8 18,2 19,4 16,7 16,2 17,2 18,1 18,1 19,0 18,4 18,5 19,0 18,4 18,5 20,2 20,9 18,5 18,4 19,8 19,3 20,4 21,0 20,2 20,0 20,3 Annotazioni Sereno Id. Id. Veli intorno al @ Cielo nebbioso Veli intorno al @ Cielo azzurro Id. Id. Id. Id. Id. Td. Id Sereno Id. Veli intorno al @ Cielo nebbioso Td. L Td. Cielo bellissimo Veli intorno al @ Id. Cielo bianchiccio Sereno Veli intorno al @ Sereno Id. Id. @ libero fra Cu (ora antimeridiana) @ libero fra Cu (ora antimeridiana) @) libero fra Cu Id. Sereno Id. Id. Id. Id. Id. 6 agosto T 1l 24 25 Cimone 1899. Giorno | h | Q » — 263 — B Annotazioni ° | 52,8|1,399 32,8|1,029 36,0|1,213! 43,2/1,226 48,0|1,199 53,1|1,944 58,0|1,328 59,611,287 61,0l1,408 36,4|1,528 32,81,432 97.501.284 31,811327 33,4|1,157 42,0/1,289 46,3|1,276 48,4|1,357 60,5/1,416 61,01,418 24,5|1,378 38,0|1,382 27,0|1,376 37,8/1,803 48,2|1,452 53,0/1,443 599,0 591,2 591,2 591,3 591,4 591,5 591 5 591,6 591,8 591,7 591,4 590,1 590,4 590,7 591,0 591,5 591,7 593,2 593,2 599,5 592,6 592,1 592,4 592,6 592,8 11,8 9,7 57,0|1,823|592,9| 10,4 Cu sparsi; @ bellissimo (osservazione antimeridiana Sereno Id. Si sono formati dei Cu @ fra veli @) libero Td. Qualche velo intorno al @ @) libero Id. Id. Sereno Id. Veli intorno al @ Td. Id. Sereno Id. Id. Orizzonte caliginoso @) libero Id. Id. Cu sparsi qualche velo intorno al @ @ libero Id. Cielo bianchiccio qualche velo intorno al @ Mineralogia. — Za Galena bismutifera di Rosas (Sulcis) e Blende di diverse località di Sardegna (*). Nota del dott. €. RIMATORI, presentata dal Socio STRUEVER. Nel rendere nota la composizione chimica di alcuni manganesi di Sar- degna (2), espressi anche il desiderio di esaminare, principalmente dal lato chimico, tutti quei minerali che di mano in mano mi potessero capitare sot- t occhio, allo scopo-stesso, a cui accennai in quella pubblicazione. (1) Lavoro eseguito nel Museo di Mineralogia e Geologia della R. Università di Cagliari. (*) Rendiconti Acc. Lincei, vol. X, serie 5%, 2° sem., 1901, fasc. 10. RenDICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 35 — 264 — Il sig. ing. Cappa, direttore della Miniera di Rosas, con la scoperta di una galena bismutifera nei giacimenti coltivati sotto la sua direzione, mi ha dato occasione a riprendere lo studio analitico di alcuni minerali sardi. Parecchi mesi fa egli inviava al prof. Lovisato degli esemplari della galena suddetta in magnifici cristalli, accompagnati da altri bellissimi di blenda. Questi campioni, dai quali furono levate le quantità necessarie per l’analisi, provengono dalle parti più ricche della Miniera, cioè da un filone nord- sud, situato nella regione ovest della concessione, e che fu messo in evidenza solo in questi ultimi anni. Difatti l'egregio Direttore dando qualche cenno su quegli interessanti giacementi, a proposito di quello che comprende la galena bismu- tifera, così scrive al prof. Lovisato: « La galena appartiene ad un giacimento fitoniano la cui direzione media è nord-sud magnetico. Esso si trova (almeno nelle parti superiori) al contatto fra un calcare nero siliceo e degli scisti biancastri (evidentemente alterati). È costituito da diabase (così almeno fu considerato dal Riva e da altri) con ricche concentrazioni di solfuri metallici, in predominanza blenda, poi viene la galena, poi la pirite e la calcovirite. Questi solfuri di ferro e di rame non sono sparsi nella massa come avviene in altri giacimenti, ma piuttosto divisi in piccole vene. Dentro negli scisti si trovano ancora dei misti in crepacce, che probabilmente rappresentano de’ pezzi de banchi calcarei scomparsi, ed allora il minerale più puro si trova in agglomerato di cristalli come il campione che le ho mandato. Gli scisti si trovano all’ovest, il giacimento non è continuo ». < I cristalli di galena molto nitidi ed alcuni anche ben sviluppati, risul- tano dalla combinazione del cubo con l’attaedro con predominio generalmente del primo; essi sono accompagnati da cristalli talvolta vistosi di blenda e da piccole quantità di altri solfuri (pirite e calcopirite). In complesso i cam- pioni presentano un aspetto che ricorda molto quelli della Miniera del Bottino. In un primo saggio per la conferma della presenza del bismuto e per il dosaggio, ottenni 0,17°/, di questo elemento, essendo poco più di 5 grammi la sostanza adoperata. Non essendo però troppo sicuro dell’esattezza di tale determinazione, e d'altra parte sembrandomi interessante conoscere l' intera composizione, specialmente per ciò che riguardava l'argento ed altri metalli, che eventualmente potevano trovarsi, in altra porzione di sostanza effettuai i dosaggi nel modo seguente: Grammi 10,5008 di galena furono intaccati con acido nitrico fumante, che venne poi eliminato evaporando in presenza di acido solforico. Separato il solfato di piombo, dal liquido fu precipitato l'argento con acido cloridrico, quindi, mediante idrogeno solforato, il solfuro di bismuto; infine nella solu- zione filtrata fu dosato il ferro e lo zinco. In altra parte di sostanza ossidata col cloro in un mezzo alcalino, fu determinato lo zolfo. — 265 — Densità a 19°,1= 7,42. Composizione centesimale S 13,09 Ag 0.02 Pb 85,43 Bi 0,11 Fe 0,04 Zn 0,15 98,84 Questa composizione differisce assai poco da quella tipica; può darsi che il ferro e lo zinco provengano da un po' di blenda, che, nonostante accurata purificazione, può essere passata insieme alla galena; quanto al bismuto che costituisce una specialità di questa galena di Rosas, dalla mia analisi risulta in quantità inferiore a quella riscontrata in un'analisi non completa eseguita a Rosas, dove fu trovato 0,25°/. Avrei voluto ripetere l’analisi della galena in massa nella speranza di ottenere concordanza di risultati, poichè credo che il tenore in bismuto della parte cristallina possa differire da quello della parte compatta. Però non è stato possibile avere per ora di quella galena. Il gentile Direttore di Rosas al prof. Lovisato, che gliene fece richiesta, così rispondeva: « Non posso mandarle di quella galena in massa perchè ormai la lente ricca, nella quale s' è trovato il bismuto, è già coltivata al di sopra del liveilo Asproni; ci resta però la parte inferiore che metteremo in colti- vazione fra qualche mese ed allora le potrò mandare quanto desidera ». Ammessa questa diversità nella percentuale di bismuto, interessante sa- rebbe, come osserva benissimo l’ ing. Cappa, ricercare in quali relazioni sta il bismuto con l'argento, cioè se la galena più ricca in bismuto sia più po- vera in argento, ciò che sarebbe confermato da’ risultati avuti col trattamento in laveria ed anche da’ risultati della mia analisi. Infatti la galena analizzata dà solo 0,02°/, d'argento, mentre la media della galena di Rosas, a quanto scrive lo stesso illustre Direttore di quella miniera, sarebbe 0,15 °/, d'argento. Di tutte le galene analizzate, a mia conoscenza, solo due hanno accusato la presenza di bismuto, cioè quella di Koprein ('), che è la più ricca (1,97°/) e quella di Nordmarken (?), contenente il 0,76°/,. Per quanto riguarda l’ar- gento, anche queste galene, come la nostra, si dimostrano poverissime; difatti per la prima, che è la più bismutifera, non sono indicate nemmeno tracce d'argento, l'altra ne contiene soltanto 0,05 °/ (i) Hintze, Handbuch der Mineralogie, Vierte lieferung, S. 513. (2) Id. id. — 266 — Attratto dalla specialità della galena di Rosas, ho creduto interessante eseguire l’analisi anche della blenda, che l'accompagna, e nello stesso tempo, per consiglio del prof. Lovisato, estendere le ricerche chimiche anche ad altri campioni dello stesso minerale provenienti dalle principali miniere e località sarde, alto scopo principalmente di vedere se le blende di Sardegna conte- nessero solo tracce, oppure quantità apprezzabili di cadmio. Per le analisi ho seguito questo metodo : Sciolta la sostanza in acido cloridrico, fa evaporata la soluzione e ripreso quindi il residuo con acqua contenente circa il 4°/, dello stesso acido. Per azione dell'idrogeno solforato, fu precipitato il solfuro di cadmio insieme ad altri solfuri del 2° gruppo in quantità talora piccole e altre volte trascura- bili. Il cadmio fu pesato allo stato di solfuro : in metà della soluzione filtrata, trasformata in solforica, fu dosato volumetricamente il ferro e dall’altra metà furono precipitati con carbonato sodico il ferro e lo zinco, che poi vennero pesati allo stato di ossidi. Lo zolfo fu sempre determinato in una porzione separata di sostanza fondendola con una miscela di salnitro e carbonato sodico. Non ho trascurato di fare qualche osservazione allo spettroscopio, ma senza alcun risultato. Campione n. 1. — Blenda di Rosas. Presenta cristalli abbastanza svilup- pati, che, per la ricchezza di facce, gareggiano con quelli di Rio Ollorchi, di cui parlerò in appresso. Viva lucentezza adamantina, color nero, polvere rosso scura. Densità a 19°,1 — 4,08 Dr 3,5 Composizione centesimale S 33,64 Cd tracce Fe 8,79 Zn 08,15 100,58. Campione n. 2. — Proviene dall'argentiera della Nurra, località interes- sante perchè, oltre alla blenda e la galena, contiene diversi solfoantimomiuri, fra cui la Bournonite recentemente studiata dal prof. Lovisato (*). Si distingue da quella precedente perchè i cristalli, che si presentano piuttosto raramente, non sono nè così sviluppati, nè così ricchi di facce; presentano ancor essi vivo splendore e color nero quando sono abbastanza grandi, mentre nelle parti sottili notasi una colorazione giallo-miele più o meno carico. Generalmente è quasi compatta e di color più chiaro della parte ben cristallizzata. La polvere è rosso scura. (1) Rend. Acc. Lincei, vol. X, serie 5°, 2° sem., 1901, fasc. 12. — 267 — Densità a 129,3 = 4,01 Dit Composizione centesimale S 33,39 Pb 1,16 Cd 0,14 Fe 4,17 Zn 61,20 Ganga 0,56 100,62 Campione n. 3. — Deriva da Montevecchio, una delle più ricche Miniere sarde, e precisamente dal cantiere Principe Tommaso. In qualche punto ap- paiono netti dei cristalli isolati, però anche questi meno ricchi di facce di quelli di Rosas; talora appaiono con vivo splendore e colore traente al rosso giacinto specialmente nelle masse sottili. La polvere è grigio-rossastra chiara. Densità a 139,7 = 4,05 Drm3;5. Composizione centesimale S 32,94 Pb tracce Cu tracce Cd 0,95 Zn 63,36 Fe 2,93 Ganga 0,40 99,98 Questa blenda più delle altre si avvicina alla composizione tipica ed è compresa fra le più ricche in cadmio. Campione n. 4. — Appartiene al giacimento argentifero di Giovanni Bonu (Sarrabus); il campione esaminato è un frammento del filone blendoso e pre- cisamente della vena tetto (zona ricca), che trovasi al decimo livello. È in massa a cristallizzazione imperfetta accompagnata dalla calcite nello schisto. L'aspetto ed il colore ricordano quelli del campione precedente; la polvere è grigio-giallognola. Densità a 12°,8 = 4,04 Drws,5. Composizione centesimale S 32,87 Pb tracce Cu tracce Cd 0,93 Fe 2,57 Zn 63,63 99,50 — 268 — Anche questa si distingue per la ricchezza in cadmio: la somiglianza poi con la blenda precedente sia nell'aspetto che nei caratteri fisici e la quasi corrispondenza per la composizione chimica mi inducono ad ascrivere la blenda proveniente da uno dei più importanti giacimenti piombiferi isolani, alla stessa varietà di quella proveniente da uno dei più ricchi giacimenti argentiferi del Sarrabus. Campione n. 5. — Proviene dal permesso Riu Planu Castangias (Gonnosfa- nadiga). È in massa cristallina, a cristallizzazione assai meno distinta delle altre, inoltre non si son potuti avere, come per le altre blende, degli esem- plari puri, perchè è così intimamente mescolata con della ganga in minuti granuli verdognoli, che non è possibile purificarla meccanicamente, ma solo con liquidi densi. Essendo però la ganga inattaccabile dall’acido cloridrico, come è risultato da una prova a parte, si è potuto per via chimica effettuare lo stesso la separazione della sostanza estranea. Colore nero marcato, splen- dore vivo adamantino, polvere rosso-scura. Densità a 14,5 = 3,98 Dr. 4. Composizione centesimale i S 39,90 Cd 0,09 Zn 93,590 Fe 12,46 100,00 Il colore più intenso della massa e della polvere ci è giustificato dalla diversità della composizione. La ricchezza in ferro, che distingue questa blenda da tutte le altre, ci permette di considerarla come Marmatite, essendo così denominate quelle varietà contenenti 10 °/, e più dì ferro. Campione n. 6. — Deriva da Rio Ollorchi in quel di Seneghe; questa lo- calità ha dato i più bei esemplari perchè 1 cristalli, oltrechè essere nettamente formati, presentano il maggior numero di facce finora osservate dal prof. Lo- visato nelle blende sarde. Difatti ai suoi allievi, nelle lezioni di Mineralogia, mostra degli splendidi cristalli con queste combinazioni: {111} #}111}}110{y}211} Alla bellezza dei cristalli, non molto frequenti, fa contrasto la parte massiccia, che è assai impura, costituita com’è da un minuto impasto di blenda, galena e ganga, tanto che il colore, generalmente chiaro, trae al grigio di piombo. Si è dovuto perciò effettuare una purificazione molto accu- rata non potendo sacrificare i cristalli per le determinazioni analitiche. La polvere è grigio-scura. — 2609 — Densità a 15,6 = 3,89 Dr. 4. Composizione centesimale. S 32,78 Cd tracce Cu tracce Fe 2,62 Zn 64,06 99,46 Concludendo, dirò che dalle analisi citate e da quelle eseguite finora da altri, risulta che il cadmio accompagna quasi costantemente lo zinco nelle blende, essendo poche quelle, che non ne abbiano accusato nemmeno tracce; non credo fare ipotesi troppo arrischiata, ammettendo che anche queste nc contengano tracce più o meno sensibili. Le quantità di cadmio variano fra limiti abbastanza estesi; finora conosco 7 blende soltanto che per la percen- tuale di cadmio superano quelle più ricche di Sardegna, cioè quelle di Schem- nitz (*), di Kapnik, del Bottino, di Wheatley-Mine Pa., di Lyman do., di Shelbourne, di Przibram (?) ed un'altra analizzata da Sipòk. Quanto alla composizione chimica delle blende sarde troviamo delle variazioni abbastanza notevoli. Difatti quelle del Sarrabus, di Montevecchio, di Rio Ollorchi, del- l’Argentiera della Nurra s'avvicinano più delle altre alla composizione tipica, differendo però notevolmente fra loro, poichè mentre le prime due sono ricche in cadmio e povere in ferro, l’ultima invece, essendo la più ferrifera, contiene tracce di cadmio. Quella di Rio Ollorchi si scarta meno delle altre dalla formola tipica. Le blende poi di Rosas e di Gonosfanadiga contengono la maggior quantità di ferro, quest'ultima poi, che ne è più ricca, rappresenta la varietà marmatite. Nel chiudere questa Nota, sento il dovere di esprimere la mia viva gratitudine al prof. Lovisato, che mi guidò e mi fornì il materiale neces- sario per queste ricerche. (1) Hintze, Handbuch aer Mineralogie, Vierte lieferung. S. 592, 593, 594. (*) Dana, A System of Mineralogy 1883, pag. 49. — 270 — Patologia vegetale. — Di una speciale infezione crittogamica dei semi di erba medica e di trifoglio (‘). Nota del dott. VITTORIO PeGLION, presentata dal Socio PIROTTA. L'alterazione speciale delle semenzine di erba medica e trifoglio, che forma oggetto della presente Nota, se è sfuggita sinora agli studiosi di pa- tologia vegetale, è da tempo nota ai pratici agricoltori; non havvi, si può dire, partita di dette semenzine, di una certa entità, in cui un esame ocu- lato non isveli la presenza di una percentuale variabile di semi di colore bruno, analogo a quello della buccia di fava, talora lievemente stremenziti, che, posti in condizioni opportune, anzichè germinare marciscono sollecita- mente. Non si tratta quindi di semi duri, che, del resto, come ha recente- mente dimostrato l’egregio prof. Todaro, non offrono alcun carattere esterno, macroscopico, che permetta di distinguerli dal rimanente di una determinata massa di semi. ; Non si tratta neppure di semi abortiti, poichè le dimensioni che essi raggiungono ed il semplice esame dello sviluppo assunto dall’'embrione, permettono di escluderlo. Gran parte di questi semi, perchè più leggeri di quelli normali, si pos- sono eliminare coll’ accurata lavorazione fatta coi moderni vagli-cernitori. Il ventilato pesante e leggero separato, a mo' di esempio, dal decuscutatore Roòber è formato in gran parte da questi semi. Tuttavia è assai difficile, se non impossibile di epurarne completamente le ingenti masse di semenzine che si assoggettano correntemente a questa operazione, in specie se non si ricorra ad arnesi perfezionati; ed infatti la mia attenzione è stata richiamata per la prima volta dalla presenza di numerosi semi bruni esistenti in una partita di erba medica, di provenienza valliva e che si era cercato di se- lezionare colla crivellatura accurata ma eseguita col crivello tradizionale. Per accertare la estrema diffusione di siffatti semi scuri, basta vagliare mediante un vaglio-separatore a mano, tipo Nobbe e Réber, un campione di qualche centinaio di grammi di sementa di erba spagna: nella porzione che è trattenuta dallo staccio a fori di 1.75-1.50 mm. di diametro, non tarda a radunarsi la maggior parte di questi semi che si possono allora isolare ed assoggettare allo studio. Per quanto il prodotto di tale stacciatura, venga costituito dalle se- menzine più voluminose, che dovrebbero quindi esser costituite meglio del (1) Relazione e studî della Cattedra Ambulante di Agricoltura per la Provincia di Ferrara. SIE, — 271 — rimanente, tuttavia è facile accertarsi che il valore agricolo dei semi bruni in tal guisa radunati, come ben sanno i pratici, è assai basso se non del tutto negativo; infatti è raro il caso che la germinabilità di essi superi il 10°/- La massima parte di questi semi bruni, sebbene sì creino condizioni favorevoli alla germinazione, si rigonfia e si ricopre di una fitta vegetazione crittogamica che ne determina il rapido disfacimento. Tale saggio che ho ripetuto più volte, con materiale proveniente da varî punti della provincia di Ferrara, avendomi fornito resultati costanti anche dal punto di vista della forma fungina che prendeva origine da detti semi, mi parve non privo di interesse di seguire da vicino lo svolgersi del fenomeno e cercare di stabilire se il micelio preesistesse in seno ai tessuti del seme allo stato di riposo, ovvero se si trattasse di infezione prodotta da germi viventi all’esterno dei tegumenti. A tale uopo ho praticato una serie di osservazioni macroscopiche su semi allo stato di perfetto riposo e da un altro canto, posi in germinatoio un certo numero di semi scuri, previamente trattati con una soluzione di sublimato corrosivo all’ 1°/so, indi lavati con acqua di fonte. Praticando delle sezioni longitudinali o trasversali di questi semi scuri, allo stato di riposo, si osserva che in generale l'embrione è normalmente sviluppato ed il materiale di riserva accumulato nei cotiledoni non è sen- sibilmente minore che nei semi scuri. Il tegumento seminale rivela invece costantemente una più o meno intensa infezione fungina; nelle preparazioni debitamente trattate, si osserva un fitto intreccio di ife miceliali, ialine, set- tate, torulose, di calibro variabile, ricche di guttule rifrangenti che s'insinuano attraverso allo strato aerifero, situato fra lo strato sclerenchimatico, o pigmen- tario (stàbchen schicht) e lo strato proteinico (Proteinschicht del Nobbe) e da questo passa ad espandersi nel tessuto lasso, gelificabile (quellschicht) che limita internamente il tegumento seminale, combaciando coi cotiledoni quando, assorbita l’acqua necessaria, il seme siasi rigonfiato. Nei semi leggermente striminziti, che sono fortemente infetti, le ife miceliali invadono anche i cotiledoni, alterandoli più o meno profondamente. Se si praticano le sezioni su semi rigonfiati in seguito a 24 ore di per- manenza nel germinatoio, lo sviluppo assunto dalla rete miceliale è assai marcato: numerose ife si vedono allora attraversare il tegumento e spuntare all'esterno del seme. o Anche i semi previamente disinfettati, dopo 24-28 ore di permanenza nel germinatoio, alla temperatura dell'ambiente, si ricoprono di una eftlo- rescenza candida che li avvolge completamente e che assume rapidamente una colorazione grigiastra e poi bruna, indizio di fruttificazione: infatti si formano allora innumerevoli catenelle di spore, aventi i ben noti caratteri dell’Alternaria tenuis. RenpIconTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. i 36 — pro Mantenendo a lungo il materiale infetto in condizioni opportune, la ca- ratteristica efflorescenza grigio-brunastra che avvolge i semi, si affloscia e si dilegua: si organizzano invece innumerevoli noduletti miceliali neri che con- feriscono alla superficie del seme l'aspetto zegrinato. Detti noduli presentano nei primi stadi di sviluppo la struttura pseudoparenchimatica degli sclerozi, e sono limitati da uno strato corticale scuro, carbonaceo; differenziatosi questo, il nucleo centrale di questo corpo scleroziale si riassorbe in guisa da dar origine ad una cavità tappezzata da elementi piccolissimi, la cui zona basilare sì differenzia in strato imeniale da cui prendono origine aschì fram- misti a parafisi filiformi, settate. Dopo 15-20 giorni di permanenza in ger- minatoio, i periteci sono maturi, ed è facile allora di riconoscere la P/eo- spora Alternariae Gritît. e Gib. Limito a questi i pochi cenni intorno allo sviluppo di questa crittogama il cui ciclo evolutivo fu così accuratamente illustrato dagli studi di Gibelli e Griffini, studi che ebbero più recentemente intera conferma dalle prove sperimentali del prof. Mattirolo. La germinabilità dei semi scuri di erba medica e di trifoglio è assai bassa; quegli stessi semi che germinano non sempre danno piantine vitali: è frequente il caso, almeno nelle prove da me eseguite, in cui la giovane piantina appena abbia liberato i cotiledoni dal guscio, sia colpita dal fungo ed il micelio dopo invaso un tratto di fusticino per una lunghezza di 4-5 millimetri, lo ricopra di fruttificazioni conidiali (Alternaria) e ne determini il rapido disfacimento. Tale fenomeno richiama alla mente le osservazioni compiute alcuni anni or sono dal Behrens, che ebbe a segnalare l’A/ternaria tenuis quale deter- minante di una speciale moria delle giovani germinazioni di tabacco. È fuori da ogni dubbio che questa crittogama in condizioni normali viva allo stato saprofitico; ma le geniali esperienze del Laurent hanno in- dicato chiaramente che vi sono forme fungine abitualmente saprofitiche le quali possono assumere una attitudine decisamente patogenica in determinate condizioni di ambiente. Il Lepoutre e, più recentemente, il Van Hal hanno ottenuto resultati consimili anche dallo studio di alcune fra le forme banali di bacteri, che mediante speciali processi sono stati resi parassiti di piante viventi. Non vi sarebbe da far meraviglia che siffatta trasformazione potesse accadere in natura anche per la comunissima A/fernaria tenuis, ogniqual- volta vi fosse concomitanza tra questa esaltazione nella virulenza ed un complesso di circostanze che valgano ad indebolire le piante di medica o di trifoglio, ad attenuarne l’innata resistenza all'infezione; difatti è opinione assai diffusa fra i produttori di semenzina che questa speciale alterazione sia oggidì assai più comune che per il passato, e che la percentuale di semi a PIA ar x) — 273 — bruni sia maggiore nelle partite di semenzine, provenienti da appezzamenti ove il taglio di medica o di trifoglio, mandato a seme, per la eccezionale feracità del terreno o per avversità meteoriche, siasi allettato ovvero sia stato sopraffatto dall’ esuberanza della nuova vegetazione ripullulante prima della falciatura. Questa condizione di cose che, pel passato, era del tutto eccezio- nale, oggi, invece, accade frequentemente, inquantochè le generose concima- zioni letamiche, che molti usano ancora all'impianto dei medicai, e sopra- tutto l’uso razionale di conci fosfatici e di gesso, provocano un meraviglioso sviluppo di questi prati artificiali, cui è indubbiamente collegato il prospero svolgersi dell'economia agricola di queste progredite plaghe. Talvolta sopra- tutto nel caso del trifoglio, il rigoglio vegetativo è tale da costringere di mandar a seme i trifogliai dell’anno, che se si dovesse adibire a tal uopo il trifogliaio di due anni, la produzione di sementa verrebbe resa del tutto aleatoria. Havvi qualche agricoltore che, edotto a fondo delle consuetudini coltu- rali antiche, ricorda l'usanza, oggi dimenticata, almeno da noi, di riunire a fascetti 1 getti di erba medica, lasciati a frutto, in guisa da impedirne l’al- lettamento e da agevolare la regolare maturazione dei frutti. In tal modo sì evitavano le conseguenze dannose che deprezzano le semenzine prodotte invece nelle condizioni attuali e si potrebbe dar ragione della maggior fre- quenza con cui oggi si riscontrano semi scuri nelle partite di medica e di trifoglio. Intesa in tal senso, questa infezione crittogamica delle forraggere, offri- rebbe non pochi punti di analogia colla golpe bianca del frumento, prodotta anch essa da un fungo abitualmente saprofitico (Yusazium roseum), ma che può assumere uno speciale comportamento parassitario, infierendo con mag- gior virulenza nei frumenti allettati, oltrechè nelle varietà non adattate al- l’ambiente colturale. Ho ritenuto non del tutto privo d' interesse il riunire queste poche osser- vazioni sommarie intorno a questa diffusa alterazione dei semi di medica e di trifoglio, nella speranza che esse vengano tenute nel debito conto dai nostri pratici agricultori quando debbano procedere all’ acquisto delle semen- zine. I detti semi bruni non hanno alcun valore agricolo e si deve cercare quanto più sia possibile di epurarne le partite di semenzine. Ciò implica, è vero, un maggior lavoro di ventilatore e di cernitore, e, quel che più im- porta, un rilevante calo della massa, il che giustifica largamente il distacco, talora assai notevole, che havvi tra il prezzo del seme, quale esce dalla macchina e crivellato grossolanamente ed il prezzo delle partite di seme selezionate razionalmente e ripetutamente. L'operazione condotta a dovere importa un calo che raggiunge correntemente il 25-30°/, e che è giusto di considerare quando sembrano esorbitanti i prezzi attribuiti alle partite ve- ramente scelte. — 274 — Forse, ed è quanto potranno stabilire ulteriori saggi, dalla proporzione maggiore o minore di questi semi scuri si potrà dedurre un criterio positivo per giudicare della accuratezza di lavorazione cui sono state assoggettate le semenzine. Intanto è bene su di essa aver richiamato l’attenzione dei pra- tici, perchè possano rendersi conto di una delle ragioni non infrequenti per cui, proceduto alla semina di erbai, seguendo le norme riconosciute razionali, possano talora verificarsi sensibili vuoti che, oltre ad abbassare il prodotto, ne deprezzano anche la qualità perchè i cespi di medica o di trifoglio che limitano i vuoti crescono soverchiamente rigogliosi e lignificano anche se la falciatura si eseguisca a tempo. Patologia vegetale. — Sulla Botrytis citricola n. sp. parassita degli agrumi. Nota del dott. Ugo BRIZI, presentata dal Socio PIROTTA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Zoologia. — Sulla coniugazione delle amebe. Nota di MaR- GHERITA TrauBE MENGARINI, presentata dal Socio Grassr. Da molto tempo si trovano nella letteratura zoologica degli accenni ad una riproduzione sessuale delle amebe, non creduti dai conoscitori e non tenuti in conto dai compilatori di manuali. È vero che tali osservazioni non erano fatte su culture pure e si riferivano ad osservazioni singole senza seguito, e che, oltre alle amebe, potevano anche riferirsi a tanti altri esseri microscopici, che passano per uno stato ameboide. I dubbî erano dunque giustificati. Allo stesso tempo però rimane il fatto interessante per la storia del pensiero scientifico, che gli autori invece di cercare, mediante l’esperienza, la conferma o la negazione dei fatti indicati, li negavano senz'altro, perdurando nella convinzione che le amebe costituissero un'eccezione tra tutti gli animali, mercè la loro esclusiva riproduzione per divisione. Esiste un fatto parallelo a questo riferentesi alla storia delle diatomee. Anche questi esseri, per quanto io sappia, non sono ancora ufficialmente nel novero di quelli che si riproducono per spore dopo avvenuta coniugazione, sebbene questa sia stata intraveduta anni fa da Fr. Castracane con grandis- sima probabilità. Ciò che impedì per tanto tempo agli scienziati di vedere la coniugazione e la sporulazione delle amebe era, oltre alla impossibilità di fare delle col- ture pure, anzitutto il timore di cadere in un errore di sistematica. Si sa- | | — 279 — peva tanto poco del gruppo Am0edzra, che era una vera fortuna di poter dire, come assioma, che le amebe non hanno nè coniugazione, nè cisti di riproduzione. I micetozoi colla loro fase ameboide hanno delle cisti di riproduzione ; bisognava quindi evitare di confondere dei gruppi così diversi. Perciò, quando Grassi scoprì le cisti colle spore nell’Amoeda Coli, nessuno vi credette. Così si può ad es. leggere nel Manuale del Doeflein (*) del 1901, come egli temendo una confusione coi micetozoi non vuol tener conto delle colture pure di amebe su terreno nutritivo solido, le quali pur segnano un progresso fondamentale nello studio delle amebe. Per il Doeflein, tutti quelli che se ne sono occupati, tra i quali primo e più fortunato il Celli (*), avreb- bero coltivato con ogni probabilità dei micetozoi invece che delle amebe. Un anno dopo però lo stesso Doeflein afferma in uno scritto sul sistema dei protozoi (3), che le amebine e gli eliozoi « subiranno coi micetozoi inferiori un grande scambio di proprietà » (Besitzstand). Esso aggiunge: « con ciò quest'ultimo ordine sparirà probabilmente per intiero, perchè le sue forme inferiori dovranno essere raggruppate, insieme alle amebine e gli eliozoi, in modo perfettamente nuovo ». Lo Schaudinn poi in un suo recentissimo lavoro (*) va più oltre, par- lando, si può dire, con una specie di orrore, del gruppo delle amebe, il quale spesso dai medici, e « perfino dai zoologi », è creduto un'unità bene caratte- rizzata mentre non lo è affatto. Il punto più dubbio nella storia di queste così mal note amebe è ancora sempre il modo della loro riproduzione, sebbene il lavoro dello Scheel (°) sulla riproduzione dell’Amoedba Proteus, e specialmente il lavoro dello Zaubitzer (5), del quale parlerò estesamente in seguito, siano di massima im- portanza su tal punto. Il Doeflein (1. c.) rappresenta graficamente in un circolo chiuso lo svi- luppo delle amebe coll'indicazione « in parte ipotetico ». Prima della cisti di riproduzione esso mette un punto interrogativo colla sottoscritta « posto della probabile coniugazione ». Prima di parlare estesamente di nità coniugazione voglio rammentare che, anche per quei micetozoi inferiori a cui accenna il Doeflein come origine di confusione colle amebe, esso stesso afferma che non se ne conosce affatto una coniugazione sessuale. Ed è bene di tener nota di ciò, giacchè realmente non esistono che po- (1) Die Protozoen als Parasiten u. Kraukheitserreger. Jena, 1901. (2) Intorno alla Biologia delle Amebe. Roma 1895 (®) Das System der Protozoen. Arch. f. Protistenkunde 1 Bd., pag. 169. (4) Untersuchungen ueber die Fortpflanzung einiger Rhizopoden. Arbeiten aus dem Kaiserl. Gesundheitsamt, 1903. (9) Bertraege 2. Fortpflanzung d. Amoeben. Festschr. f. C. v. Kupffer. 1899. (9) Studien ueber eine dem Strohinfus entnommene Amoebe. Marburg 1901. — 276 — chissime amebe studiate un po' meglio, e che molti laboratorî posseggono, direi così, le loro amebe private. Così ad es. lo Zaubitzer chiama quella studiata da lui « la mia ameba dalla paglia » (meine Strohamoebe), cioè quella innominata, che esso coltivò da un infuso di paglia. Giacchè la letteratura moderna pochissimo estesa sulla riproduzione delle amebe è citata in modo esauriente dal Behla e dallo Zaubitzer, mi limiterò qui a citare come rappresentante dei primi autori, che studiarono le amebe direttamente dalle infusioni, nelle quali si trovarono, naturalmente moltissimi altri organismi, il Maggi. Ne trascrivo le parole (!): « La coniugazione delle amibe io la vidi per la prima volta nell'ottobre 1873. Allora io potei seguire per molte ore al microscopio due individui senza materia alimentare nel loro interno..... Gli pseudopodi dell'uno si con- fusero con quelli dell'altro, formando come una specie di involucro ialino intorno all'endoplasma del loro corpo unito, il quale alla sua volta si fece un po' più oscuro. Le granulazioni della cavità digestiva, la vescicola con- trattile e il nucleo, che in ciascuno di quei due individui apparivano chia- ramente prima della loro unione, dopo si fecero alquanto più indistinti; e più la fusione progrediva, maggiormente si manifestava l'indecisione delle parti. Fatta l'unione, sicchè le due amibe mi apparivano come se fossero una sola, non potei più discernere nessuna direzione di corrente dei granuli nella loro cavità gastrica, e piuttosto si vedeva in essa un movimento disor- dinato di granulazioni ». L'autore non potè osservare il seguito del fatto, vide però « nella infusione naturale » in cui esse stavano, degli individui della medesima specie (Amoeda Vellosa) fra i quali alcuni che avevano tutta l'apparenza d'essere in coniugazione, perchè molto grandi, poco mobili e col loro interno sprovvisto di materia nutritiva, e nel quale non si potevano vedere nettamente la vescicola contrattile ed il nucleo. Riosservando in quel- l'istesso mese tale infusione, mi si offerse da un’ amiba, in condizioni d'una di quelle che si potrebbero credere il risultato d'una coniugazione, un feno- meno sorprendente, giacchè nell’interna sua massa granulare vidi tutto ad un tratto un movimento delle granulazioni, in seguito al quale l'essere mi si presentò come se fosse una cisti contenente dei granuli. Cessato l'interno movimento, poco tempo dopo, la cisti amibica, se così la si può chiamare, si ruppe in un punto e ne escì il contenuto granulare avente ciascuno l'aspetto di una spora ». Non è possibile di interpretare con certezza le osservazioni del Maggi riguardo alla sporulazione veduta. Ciò che dice sulla coniugazione di due individui dell'ameba villosa è certo la loro fusione che esso giustamente (1) Sulla coniugazione o zigosi delle amibe. Studî fatti nei Laboratorî di Anatomia e Fisiologia comparata. Pavia 1876. Masi — 277 — interpreta come in relazione alla coniugazione. Se però ciò che io vidi nel- l'Amoeba Undulans si ripetesse nelle altre amebe, questa fusione dovrebbe interpretarsi non come coniugazione, ma come formazione del macrogamete. Il lavoro dello Scheel, sebbene non abbia descritto la coniugazione, è anzitutto importante, perchè la cisti di riproduzione descritta da esso nel- l’Amoeba Proteus, persuase i zoologi di pensare alla possibilità di una ripro- duzione sessuale nelle amebe. Il Doeflein, riportandone le figure, si esprime in questo riguardo così: « Nell'’Amoeba Proteus è stata constatata una seconda forma di riproduzione, la quale succede in condizioni speciali (probabilmente in relazione con una coniugazione). L'ameba forma una cisti globulare, nella quale il nucleo sì divide in alcuni frammenti, i quali continuano a dividersi finchè si arriva ad un numero di 500 a 600 nuclei figli. Questi sono divisi nel plasma, sol- tanto il centro della cisti rimane privo di nuclei. Intorno ad ogni nucleo si separa dal plasma materno una porzione, la quale si isola sempre più, finchè ognuna di queste parti rappresenta una piccola ameba. Quando le giovani amebe erompono dalla cisti, il plasma centrale vi rimane come corpo resi- duale ». Nelle cisti colle spore da me viste (fig. 4) si osserva pure che il centro rimane privo di queste, mentre nelle figure dello Zaubitzer le spore sono sparse irregolarmente per tutta la cisti. Non è qui il luogo di parlare della Leydenia gemmipara descritta dallo Schaudinn. Essa differisce talmente, per le reti formate da molti individui e per il modo della sua gemmazione, come per la sua vita parassitaria, dal- l’Amoeba Proteus, dall'’ameba dello Zaubitzer e dall''Amoeda undulans (le uniche cioè di cui si conosce ora, più o meno, tutto il ciclo), che la accenno soltanto per dire che essa, per non accrescere la confusione, non dovrebbe essere classificata colle vere amebe. Anche la riproduzione dell'Amoeda Coli descritta in questi ultimi giorni, insieme a quella di una nuova Amoeda Hystolitica dallo Schaudinn differisce talmente da ciò che è noto di quelle amebe ora citate, che è assolutamente inutile di cercare qualunque relazione tra il suo ciclo di sviluppo e quello dell’Amoeba undulans che descriverò dopo. Schaudinn stesso alla fine del suo interessantissimo lavoro, inclina a classificare l’Amoebda Coli e quella Iysto- litica tra i micetozoi inferiori. Riassumerò ora il lavoro dello Zaubitzer (1. c.). Esso coltivò un'ameba ottenuta da un infuso di paglia su di un terreno solido di agar e somatose. Dopo aver descritto la moltiplicazione per scissione, come è stata osservata dagli autori, dice, che cinque o sei giorni dopo l'innesto sul terreno nutritivo, si trovano degli animali, che aderiscono fortemente tra di loro, due a due, in modo che anche trasportati in goccia pendente si staccano difficilmente. Se si indurisce il preparato e si colora coll’ematossilina, si vedono i due nuclei, — 278 — che posseggono poca cromatina, debolmente colorati, e si vedono dei filamenti più o meno netti, che convergono verso la zona di contatto degli animali. Al polo opposto si vedono spesso delle escrescenze gemmiformi, come se fosse eliminata una parte della sostanza. L'autore non dice se questa sostanza appartenga al nucleo, come non si capisce se le linee convergenti facciano parte di questo. Esso dice inoltre di rimanere in dubbio se quei globuli, i quali si staccano come gemme, siano realmente delle gemme di riproduzione e quindi un terzo modo di riproduzione. Si osservano inoltre altre masse protoplasmatiche la di cui grandezza dimostra, che si abbia da fare con due animali; però si vede nettamente un ponte protoplasmatico tra i dué animali come se avesse luogo una fusione dei due organismi. In quest ultimo caso quelle linee convergenti non si toccano più, invece si presentano già all'occhio dell'osservatore due o più nuclei di grandezza diversa e che dimostrano già talvolta una forma allungata (Sem- melform). Questi nuclei, i quali si formano nell'animale prima dell’incista- mento, ricordano all'autore quelli descritti dallo Scheel nella cisti già formata dell’Amoeba Proteus. Le amebe in questa fase non hanno più vacuoli e non formano più pseu- dopodi, ma si muovono «a modo delle lumache, però con una certa rapidità ». Poi ha luogo l' incistamento. Dalle cisti si vuota, dopo alcuni giorni, un contenuto di granuli, i quali finiscono crescendo ed animandosi, finchè passano rapidamente per il campo ottico, girando intorno al proprio asse. Dopo un giorno l'animale è più tranquillo, si osserva il manifestarsi del nucleo e della vacuola e la formazione degli pseudopodi. L'autore dà tutte le sue interpretazioni sotto forma di dubbio. Esso cerca giustamente nell’ effetto diverso della stessa colorazione sull'ameba nella fase vegetativa, ed in quella ora descritta, un appoggio alla sua « supposizione, che abbia luogo una unione passeggiera o duratura dei due individui ». Rilevo questo dubbio perchè lo Zaubitzer ha probabilmente osservato, come il Maggi, la fusione delle amebe. La coniugazione di esse, se debbo giu- dicare dalle mie osservazioni, dura così poco tempo, e finisce poi col com- pleto distacco tra i due animali, che non è possibile di non seguirla per intiero. Vengo ora alle mie osservazioni sull’ Amoeda undulans (Celli e Fiocca, l. c.). Il prof. Celli mise generosamente a mia disposizione il materiale, il quale servì al suo interessante lavoro. Mi servii pure del suo metodo di col- tura. Celli e Fiocca coltivarono con eccellente successo diverse specie di Amoeba sul Wucus crispus alcalizzato. Scelsi tra esse l'Amoeda undulans perchè è la più grande, e feci le mie osservazioni pure secondo il metodo del Celli nella goccia pendente di Ywcus cr. filtrato. Aggiunsi al Fucus un po’ di eosina, — 2 — perchè le amebe mi servivano ad uno studio sulla loro permeabilità osmotica ('). Osservai in tale occasione, per caso, la coniugazione di esse. Naturalmente studiai col massimo interesse questi fenomeni nuovi e procurai di seguirli sino alla fine. Però le mie osservazioni rimasero frammentarie. Esse datano dal 1895, ed allora non le pubblicai nella speranza di completarle, lo che non mi riuscì per ragioni estranee. Se le pubblico ora, imperfette come sono — mancano completamente tutte quelle osservazioni sul nucleo, che richiedono la sua co- lorazione — è, perchè vedo che alcuni autori si son finalmente convinti che bi- sogna considerare le amebe da un altro punto di vista, e che bisognerà smem- brare il gruppo delle amebine come è stato costituito sinora. Quindi non potrà passare tempo senza che si arrivi a fare la storia completa del loro sviluppo. Parlando di amebe intendo parlare di quegli animali compresi nel confuso gruppo sinora chiamato Amoebina, i quali oltre alla loro locomozione a base di pseudopodi hanno due generazioni alternanti, una cioè di animali, che si riproducono per scissione, ed un'altra, nella quale gli animali si ripro- ducono per spore e dopo avvenuta coniugazione, la quale ha luogo, per lo meno nell'ameba studiata da me, tra macro e microgameti. Dopo avere osservato la scissione e l’ incistamento dell’ Amoeba undulans descritto da Celli e Fiocca, che tennero le amebe in stufa ad una tempera- tura tra 37° e 39° e le osservavano in goccia pendente col porta oggetti ri- scaldato, provai di togliere la coltura dalla stufa e di tenerla alla tempera- tura del laboratorio, cioè ad una temperatura più bassa di circa 10 e più gradi. Gli animali continuarono al principio a dividersi per scissione, sebbene si movessero' con maggiore lentezza e parevano come intorpiditi. Riuscii allora a seminare diverse volte, innestando da una goccia pendente all'altra una sola cisti in goccia pendente. Trovai dopo 12 ore l'animale uscito dalla cisti ma movendosi pigramente. Dopo altre 12 ore l'animale era sparito e non trovai che la cisti vuota, rossa d’ eosina. Se si innestano più cisti o più animali, si innestano per conseguenza anche dei batteri (v. Celli e Fiocca, 1. c.). In tal caso le amebe si molti- plicano benissimo. Aggiungendo del cloruro di sodio od altre sostanze nocive alle amebe, si ritrovano le amebe morte o moribonde coperte da ciuffi di bat- teri. Credo quindi collo Schaudinn, che tra batteri e amebe corre questa rela- zione, che chi sta meglio mangia l’altro. Certo, che le amebe non possono vivere senza batteri, mentre questi hanno altre risorse. I Mentre l'eosina non nuoce alla vita dei batteri essa mì servì ad osser- vare una interessante mostruosità. Era una cisti che pareva connata da tre cisti; ne uscì un ameba non più grande delle altre, però essa uscì molto lentamente, sì direbbe penosamente. Ebbi frattanto il tempo di osservare accanto al nucleo (1) Osservazioni ed esperienze sulla permeabilità della pelle. Margherita Traube Mengarini, Rendiconti Ace. d. Lincei, vol. V, 1° sem., 1896. RenpICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem 37 — 280 — un corpicciuolo fortemente rifrangente che ricorda il « Nebenkoerper » osser- vato nella Paramoeba E dallo Schaudinn, e che non vidi mai nelle altre amebe. Dopo che le amebe vivevano da alcuni giorni alla temperatura del la- boratorio notai, che le scissioni diminuivano sino a scomparire completamente. Osservai allo stesso tempo due nuovi fenomeni. To vidi cioè la fusione di due amebe mentre che prima non avevo mai osservato alcun fenomeno che poteva ricordare la costituzione di un plasmodio, e vidi la coniugazione tra l'ameba ingrossata dalla fusione con un'ameba piccola. Le amebe grandi sono formate di solito dalla fusione di due amebe. Durante la loro fusione spariscono i nuclei, o per lo meno non si vedono più senza colorazione. Le osservazioni dello Zaubitzer mi fanno credere che l’ul- tima ipotesi sia vera. Gli animali hanno dei movimenti molto contorti al principio della fusione durante la quale perciò l'osservazione diventa difficile. Vidi in queste condizioni talvolta dei nuclei allungati prima, che sparivano poi completamente. Vidi una volta l’espulsione di una particella appartenente al nucleo. La fusione comincia con un giuoco degli -pseudopodi tra i due animali, che veramente non ricorda la descrizione del Maggi, secondo il quale questi formano una specie di involucro intorno ai due animali. Dopo alcuni minuti uno degli pseudopodi penetra nell’ ectoplasma dell’altro animale fon- dendosi con esso. Questo è il principio della fusione che ha luogo su una larga superficie. Per venti minuti circa si vede ancora una divisione parziale tra le due amebe. Frattanto sparisce il giuoco degli pseudopodi e finalmente l'animale appare come vedesi nelle fig. 1 e 2. «) microgamete. a Fic. l. Fic. 2. Debbo le figure alla gentilezza del prof. Sanfelice, che le disegnò colla camera chiara. L'ameba così costituita è grossa e vescicolosa, il suo contorno è più oscuro di prima, cioè meno rifrangente. Tutto il corpo, nel quale non si di- stingue più il nucleo forma una massa spugnosa composta da un protoplasma finamente granuloso, nel quale si distinguono molto nettamente altri granuli grandi, e delle vescichette, che non ricordano le solite vacuole. Non è improbabile, che questa sia la fase vista dal Maggi e dallo Zau- bitzer, giacchè essi descrivono la fusione tra due animali della stessa gran- dezza ed uguali tra loro. Se avessero visto la coniugazione, avrebbero di certo — 281 — anche osservato il distacco tra i due animali, il quale ha luogo dopo alcuni minuti, e del quale parlano soltanto come di un’ ipotesi. Oltre alle amebe grosse formate da due amebe, e le quali, come si vedrà dopo, sono i macrogameti, osservai un cambiamento fondamentale, che ebbe luogo nelle amebe della grandezza del primo ciclo. Questo espellono dal loro endoplasma una parte abbastanza rilevante. Non riuscii a discernere, se il nucleo prendesse parte a questa riduzione. Vidi dei corpicciuoli molto rifrangenti spinti dall’ interno dell’animale verso la periferia. Questi sono perfettamente tondi e corrispondono evidentemente alle gemme delle Zaubitzer. Non scoprii in essi alcuna struttura e non so nulla riguardo alla loro sorte dopo l’' espulsione dall'animale. L'endoplasma di queste amebe diventa omogeneo al punto da differen- ziarsi così poco dall'ectoplasma, che la differenza al principio grande rimane appena visibile. Esse appaiono allora piatte ed espanse come delle foglie e si muovono rapidamente con locomozione strisciante senza emettere i soliti pseudopodi. È questa la locomozione a modo di lumaca che lo Zaubitzer ha vista prima dell’'incistamento. Però secondo lo Zaubitzer la coniugazione do- vrebbe essere diggià avvenuta. Tra il microgamete ora descritto ed il macrogamete prodotto dalla fu- sione di due, o forse talvolta di tre amebe, ha luogo una coniugazione. Non osservai mai durante i cinque giorni, che ebbi occasione di osservare i feno- meni ora descritti, che la coniugazione avesse avuto luogo subito dopo la formazione del macrogamete. Questa non dura che pochi minuti. Mentre sparisce in una zona abba- stanza limitata ogni divisione tra i due animali, il nucleo del microgamete diventa meno distinto senza sparire completamente. Certo bisognerà chia- rire colla colorazione, la parte che il nucleo prende nella coniugazione. Fia. 3. — Tre fasi consecutive d’un microgamete. Un fenomeno strano è la corrente dei granuli, che durante la coniuga- zione va dal macrogamete al microgamete. Si direbbe, che in un dato mo- mento tutto l’ endoplasma delle due amebe si mescoli. Dopo pochi minuti i contorni dell’ameba piccola ricominciano a delinearsi nuovamente in quel pic- colo tratto nel quale erano spariti durante la coniugazione. Essa comincia a staccarsi ed a rifondersi, in modo che il suo endoplasma prima del distacco finale si divide in due chiazze circondate dall’ ectoplasma ancora: aderente al macrogamete. Non saprei dire che cosa sia della chiazza endoplasmatica — 282 — più esterna. È un fatto, che le amebe durante i due modi di riproduzione eliminano delle particelle del loro corpo. Ricordo di aver visto la divisione di due amebe, nella quale il ponte protoplasmatico, che alla fine li riunì ancora, fu distaccato prima ad una estremità da una delle amebe, e poi all'altra estremità dall'altra. Sono probabilmente dei fenomeni di riduzione, i quali ricordano i fenomeni di riduzione che hanno luogo nell'uovo. Non mi pare indicato di parlare di una automutilazione (). L’incistamento non segue subito la coniugazione. Riesci alcune volte a continuare l'osservazione delle amebe dopo la coniugazione. Non è facile, perchè dopo la coniugazione la loro locomozione diventa molto più rapida di prima. Osservai un microgamete dopo la coniugazione. Quando l’animale, non saprei dire dopo quanto tempo, si arrotondava passando alla forma di riposo descritta da Celli e Fiocca, ed io credevo che si sarebbe incistito, rie- mise tutto ad un tratto gli pseudopodi e si divise in due. Vidi anche alcuni macrogameti dividersi in due, ed una volta in tre amebe. È perciò che più sopra emisi il dubbio, che i macrogameti fossero costituiti talvolta anche da tre animali. È Circa 24 ore dopo l’ innesto in una delle goccie pendenti, nelle quali osservai durante cinque giorni, e precisamente nei primi giorni di ottobre, i fenomeni di coniugazione descritti, non vidi più che delle cisti e poche amebe libere, che si muovevano pigramente. Le cisti contenevano otto o dieci spore. Avevano la solita grandezza delle cisti dell'am. und. nella sua fase vegetativa. Le spore stanno, come si vede nella figura 4 disposte lungo la periferia della cisti. Fic. 4. Riguardo alla sorte delle spore, debbo limitarmi a raccontare l’ unica esperienza che feci in proposito. Lasciai una cisti colle spore nel campo ot- tico del microscopio in goccia pendente durante un’assenza dal laboratorio, la quale durò cinque giorni. Ritrovai al microscopio al posto della cisti delle spore libere, che seminai in un’altra goccia pendente. La mattina appresso ritrovai delle piccole amebe. Riconosco, che il valore di quest'unica esperienza non è grande e che si potrebbero fare molte obiezioni al riguardo. Essa merita certamente di essere ripetuta. Spero di poter riprendere ora le mie osservazioni frammentarie sulle amebe. Credo però che sin d'ora esse siano atte a completare i pochi lavori nuovi su tale argomento, ed a confermare la supposizione dei zoologi ri- guardo alla riproduzione sessuale delle amebe. () O. Casagrandi e P. Barbagallo, Entamoeba Hominis S. Amoeba Coli (Loesch). Ann. d’Igiene sperimentale, 1897. — 2839 — PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CERRUTI presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Soci De LAPPARENT e FouQue, il vol. IV, parte I dell'opera: The Danish Ingolf-Expedition, ed il fascicolo XXII contenente i risultanti scientifici delle Campagne del Principe di Monaco. CORRISPONDENZA Il Segretario CeRRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia delle scienze di Lisbona; la R. Accademia di scienze ed arti di Barcellona; la R. Accademia delle scienze di Upsala: la R. Società zoologica di Amsterdam; il Museo dì scienze ed arti dell’ Università di Pen- silvania; il Museo di storia naturale di Amburgo; la Società Khédiviale di geografia del Cairo; la Società geologica di Sydney; la Società zoologica di Tokyo; l'Istituto Smithsoniano di Washington. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL ACCADEMIA presentate nella seduta del 5 aprile 1903. Tezepa Marexonuie Crape Cponie x Enupa — 10 Kapara. Beorpaa, 1902. f.° Albert de Monaco. — Sur la quatrième campagne de la « Princesse Alice II ». Paris, 1903. 8°. Angelis d’ Ossat (Gioacchino de). — Rocce vulcaniche. Parte II. s. 1. ed a. 8°. Bartolommei Gioli (G.). — L'agricoltura nell’ Eritrea. Relazione. Roma, 1903. 8°. Boletin del Cuerpo de Ingenieros de Minas del Peru. N. 1 (Ministerio de Fomento). Documentos oficiales. Lima, 1902. 8°. Choffat Paul. — Le Crétacique de Conducia (Contrib. è la connaissance géo- logique des Colonies portugaises d'Afrique) (Comm. du service géolog. du Portugal). Lisbonne, 1903. 4°. Fouqué (M. F.). — Les analyses en bloc et leur interprétation. Paris, 1902. 8°. l'opers II. — Marepiazii kb u3yuenio noeuyiinofi tpassi (Polygonum Persicaria) Bs xumutectomb otHomenia. Kazanp, 1901. 8°. — 284 — Goeldi E. A. — II. Estudos sobre o desenvolvimento da armagio dos veados galheiros do Brazil (Memorias do Museu Goeldi, Ill). Rio de Janeiro, 1902. 4°. Langley S. P. — The greatest flying creature. Washington, 1902. 8°. Lapparent (A. de). — Abrégé de géologie. Paris, 1903. 8°. Lovisato D. — Appunti ad una nota del sig. dott. Tornquist sulla geologia della Sardegna. Milano, 1903. 8°. Masoni Udalrico. — Sul contatore d'acqua « Tubo Venturi ». Napoli, 1903. 49. Meuruxp A. A. — Marepiami eb marorenesy Bossparzaro Taba. azar, 190180 Mortensen Th. — (The danish Ingolf-Expedition). Vol. IV. 1 Echinoidea (Part I.) Copenhagen, 1903. 4.° Nierstrass H. F. — The Solenogastres of the Siboga-expedition. Leiden, 1902. 4°. Pannekoek A. — Untersuchungen iber den Lichtwechsel Algols. Leiden, 1902. 8°. Passerini N. — Sopra la ricchezza in azoto dei semi di lupino usati come concime. Modena, 1902. 8°. — Sopra la quantità di olio contenuto nelle olive delle più comuni varietà delle campagne fiorentine. Terza Nota. Firenze, 1902. 8°. Piolti G. — I basalti dell’ isola del Principe Rodolfo. Osservazioni. Milano, 1903. 49. : Ilorbrosa B. RK. — Kg sompocy o marororo-aHaToMHUecKuXb H3MBHeHiax'b Bb OpraHaxB IPU 0 CTpoMb H XpoHHYecKOMb 0TpaBIeHIM KOKAMHOMB. Kazan. 1901. 8°. Ribaga C. — Diagnosi di alcune specie nuove Hydrachnidae e di un Ixodidae del sud America. Portici, 1903. 8°. — Attività del Novius Cardinalis Muls. contro DICO Purchasi Mask. in Italia. Portici, 1903. 8°. Toulet. — Étude des échantillons d'eaux et de fonds récoltés pendant la cam- pagne du Yacht « Princesse Alice » dans l'Atlantique Nord en 1901. (Résultats des Campagnes scientifiques du Prince de Monaco: Fase. ll Monaco, 1902. 4°. Tresp A. — Zur Casuistik des Empyems der Stirnhohlen. Greifswald, 1901. 8°. Weineli L. — Definitive Resultate aus den Prager Polhéhen-Messungen von 1889 bis, 1892 und von 1895 bis 1899. Prag, 1903. 8°. Dissertazioni accademiche mandate in dono dall’ Tniversità di Utrecht. Carp J. A. — Combinatorische Configuraties in Meerdimensionale Ruimten, Utrecht, 1902. 8°. Couvée H. — De oorzaak van den dood na het Wegnemen der Nieren. Utrecht, 1902. 8°. — 285 — Franke H. J. I. B.. — De uterus van Cercocebus cynamolgos in verschil- lende levensperioden ecc. Utrecht, 8°. Hartog C. M. — De Klinische beteekenis van de bewegeli]jkheid der Bek- kengewrichten voor de baring. Haarlem, 1901. 8°. Helwig P. J. — Over een Algemeen Gemiddelde en de Integralen die sa- menhangen met de Foutenwet. Amsterdam, 1902. 4°. Hoefer E. — Over het ontstaan der Elastieke Vezels. Utrecht, 1902. 8°. Leignes Barkhoven (L.) — Over de afscheiding van Oxaalzuur. Deventer, 1902. 8°. i Middelveld Viersen W. — Bijdrage tot de bepaling von Alcohol in Maa- ginhoud. Utrecht, 1902. 8°. Moltzer J. S. P. — Bijdrage tot de kennis der Tubamenstruatie. Utrecht, 1902. 8°. Nagel (B. C. van der) — Onderzoekingen over virulentie-opwekking bij saprophytische bacterién. Rotterdam, 1902. 8°. Nugteren G. XK. — Rationale ruimtekrommen van de vijfde orde. Gronin- SEHR VANO? Oudenampsen Jac. — Bijdrage tot de kennis van Melia Azedarach L. Utrecht, 1902. 8°. Rochat G. F. — Bijdrage tot de kennis van het werkzame bestanddeel der Ricine. Utrecht, 1902. 8°. Schut J. (J"). — Over het afsterven van bacterién bij koken onder lage drukking. Harderwijk, 1902. 8°. Terneden L. J. — Ken Dilatometer voor kleine voorwerpen bij hooge tem- peraturen. Rotterdam. 1901, 8°. Wesselink J. H. — Over prognose en therapie der baring bij het algemeen vernauwde en het platte bekken ecc. Utrecht, 1902. 8°. dogia pat i. BARILE REFERENTI) Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 18 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2 — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2° MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol CIV VEeWEVIRSMII. Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MeMoRIE della Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — DII-XIX. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpIcoNTI Vol. I-VII. (1884-91). MeMoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII. (1892-1903) 1° Sem. Fase. 7°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. . Vol. I-X. (1892-1902). Fasc. 12. MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. III. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 1®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. UtrIco HoerLi. — Milano, Pisa e Napok. RENDICONTI — Aprile 1908.. INDICE Classe di scienze flsiche, matematiche” g'naturali. Seduta del 5 aprile 1903. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Bianchi. Sulle quadriche coniugate in deformazione. . . PRA . Pag. Id. Sulla nozione di gruppo complementare e di gruppo Sblutalo sta Ro dei gruppi con- tinui di trasformazioni ($) .<\./.. . - I; ; ” Capelli. Sulle relazioni a fra le fasio 9 dii una vafopile e sull VO di ce zione Maillosevich. La Jolla nuova (variabile?) i in Geni Le Soi posizioni i della RR 1908, aq» Ciamician e Silber. Azioni chimiche della luce)... D) Dall’Acqua. Moti di un punto libero a caratteristiche iii (a n i Ricci) » Id. Traiettorie dinamiche di un punto libero, sollecitato da forze conservative (pres. /d.) (*). > Viterbi. Sull'’equilibrio d'un ellissoide planetario di rivoluzione elastico isotropo (pres. 74.) » Roiti e Volterra. Relazione su di una Memoria contenuta in un piego suggellato presentato nel 1882 dal prof. Adolfo Bartoli (*) ..... . 5 O O Bartoli. Trasformazione in correnti elettriche delle di incidenti sopra una superficie riflettente in movimento (#*) . . . .. 3 » Chistoni. Misure pireliometriche SSealte E) Sestola Da: al Monte Ginidhe Raesiatat 1899 (pese dalESOCIORA (ASCESA È ” Rimatori, La Galena bismutifera di Hasa (Sulcis) e ‘Blendo di den localita di Sad (presi daliSocio Su c0 0a) Re ” Peglion. Di una speciale infezione crittogamica dei semi di ela midica. e di ne da dalfSoc1oM2/n0//0) EC O SE deci no) Brizi. Sulla Botrytis citricola n. sp. 5. di; agrumi di Ia) ©. STAR Mengarini. Sulla coniugazione delle amebe (pressdaliSotioNA705) PRO PRESENTAZIONE DI LIBRI Cerruti (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci De Lapparent e Fouqué, il vol. IV, parte I, dell’opera: « The Danish Ingolf-Expe- dition », ed il fascicolo XXII contenente i risultati scientifici delle campagne del Principe di Monacos lt no a i SI I RO a Se CORRISPONDENZA Cerruti (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti . BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. (*) Questa ‘Nota sarà pubblicata nel prossimo ‘fascicolo. ..(**) Relazione e. Memoria saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. 283 — mIen 4 } Na COMIT Pubblicazione bimensile. Roma 19 aprile 1903. N.8$8. Ha, Volume XI I. oi rasoi e: rara 1 DA SEMESTRE. ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serte querta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon= denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della, spesa è posta a suo carico. i 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. Il. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indì- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre: cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 04. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. OS Seduta del 19 aprile 1903. Presidenza del Socio anziano L. LUZzaTTI. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulla nozione di gruppo complementare e di gruppo derivato nella teoria dei gruppi continui finiti di tra- sformazioni. Nota del Socio Lurci BIANCHI. 1. La nozione di gruppo complementare di un gruppo G rispetto ad un suo sottogruppo I°, quale si presenta nell’ordinaria teoria dei gruppi di sostituzioni, può facilmente trasportarsi nel campo dei gruppi continui (finiti) di trasformazioni. Non essendo a mia notizia che l’indicata estensione sia stata effettuata da altri, mi propongo di stabilirla nella presente Nota. Ne apparirà subito, in un primo esempio, l'utilità, poichè verranno posti così sotto nuova forma, semplice ed intuitiva, gli importanti risultati conseguiti | da Lie e da Schur nel problema della determinazione di tutti i gruppi tran- sitivi ad 7 parametri di assegnata composizione (€;xs). I Sia G, un gruppo di Lie ad 7 parametri, e 7,, un suo sottogruppo ad m ID ID È QD Tree ai ia Toi rieti ieri DI 7 Vi Hays ann OVE: €), 02,0: y, Cy4) + + + Con indica una qualunque permutazione degli indici 1,2...27; ® denota una funzione di 77, -.. Ta: Xay+1 << Hani © sì è posto: Mi=Pi , Xi=4Yi > quando 7 sia uno dei numeri 1,2,3...2; Tu, — Pin SX dn , quando / sia uno dei n4-1,n-+2.,x-+3,...2%. Infatti l'equazione: N Yyder= d2 k=1 —5 OC si rende identica nel modo più generale ponendo: x ID ID È IP LI = Fr Ga = — “== CC nr) 1 Wa o) 2 dY9 dYn QD QD ; ID n= VS 00 Sea 45° dana il dira i dm ove ® indica una funzione di Y1,%2..... Tre Uni cm Questa proposizione segue ovviamente da un’altra dimostrata da Lie a pag. 252 del IX volume dei Math. Annalen. Essa è stata pure dimostrata direttamente dal prof. Siacci (Mem. della R. Accademia dei Lincei, serie 22, vol. XII, pag. 436) e da me (!). In altri termini, previa sostituzione di alcune coppie: (pi, di) (Pr, 4%) rispettivamente con: (4i, — di) (Pr), sostituzione che equivale ad operare una certa trasformazione di contatto, qualunque trasformazione di contatto può ridursi al tipo: [II] pese = ove £ indica una funzione qualunque delle {; p1..- Pn; Pif... Pn, soggetta però alla limitazione che non sia identicamente nullo il determinante fun- zionale : dI IL IL DI 2(35, \enE ea dPi dPn dPi dPn ® (Pic pi) DI (PROSA) Ciò premesso, dato un sistema Hamiltoniano: di Alla gno Lode prop: Go SAGA nel quale sì sieno preventivamente operate, o no, a piacere su coppie di variabili coniugate le indicate sostituzioni, una trasformazione di contatto che che lo riduce alla forma [I] si ha (secondo il teorema enunciato in fine del $ 4) determinando £ come soluzione completa dell'equazione a derivate parziali : de IL i I — = O i 1 — a CHE [III] sj o( "DI Da; a) a H*(6) (*) Cfr. il $ 2, della mia Nota: /l teorema fondamentale nella teoria delle equazioni canoniche del moto del prof. Siacci, inserita nei Rend. dell'Istituto Lombardo, serie 2°, vol. XV, pag. 643. — (800 — Reciprocamente se un sistema di 2, equazioni differenziali con una trasformazione [II] si riduce alla forma risoluta [I], esso è necessariamente Hamiltoniano. Adunque il celebre teorema di Hamilton sulla esistenza della prizcipal function, la quale per derivazione somministra tutte le equazioni integrali nel moto (London, Philosph. Transactions, MDCCCXXXV, pag. 99), è esclu- sivo alla forma canonica da lui data alle equazioni dinamiche. Col procedimento di Hamilton perfezionato da Jacobi, ossia per deriva- zione [IT] delle soluzioni complete dell'equazione a derivate parziali [TIT ](!), si ottengono manifestamente quei sistemi di integrali che si possono dedurre l'uno dall'altro con trasformazioni di contatto non dipendenti da #. Meccanica. — Sul! equilibrio d’un ellissoide planetario di rivoluzione elastico isotropo. Nota II (©) di A. ViTERBI, presentata dal Corrispondente G. Ricci. 4. Ora si riprenda in esame la (14): in primo luogo essa permette evidentemente d’enunciare il risultato seguente: Dato un ellissoide planetario di rivoluzione, isotropo, di densità co- stante del quale siano note l’eccentricità e la costante d'attrazione si pos- sono risolvere, mediante la (14), le seguenti questioni: I. Noto il rapporto delle costanti d'isotropia determinare la velocità angolare colla quale l’ellissoide deve ruotare in modo uniforme intorno al suo asse a che esso sia, sotto le condizioni poste in equilibrio elastico. II. Nota invece la velocità angolare con cui esso ruota in modo uni- forme intorno al proprio asse, determinare il valore che deve avere il rapporto delle costanti d’isotropia (rapporto che è dato da I1+ 2) a che esso st trovi nelle condizioni poste in equilibrio elastico. Di più la (14) è la relazione che, come si disse, permette d'assegnare il limite superiore, espresso in funzione dell’eccentricità e della costante dell'attrazione, che non deve mai essere raggiunto dalla velocità angolare, affinchè l'ellissoide considerato possa essere in equilibrio elastico. Invero risolvendo la (14) rispetto a I, le sue radici sono date da: As (264: 32e*—58e°)+A1(12+8e°)__ 2}Ax(17e°-12e*- 5) +A:(5-120){ — V| E ne nor A, (26+32e*—58e°)+A,(12+-8e°)] 16A;(1-e)?+12A; a 2 As(17e°—12e*—5)TA:(5-12e9)}_| ' A,(17e°-12e4-5)}4+-A.(5- 125) (17) i (!) Nell’equazione a derivate parziali [III] convien porre H*=0, con che non si altera il sistema di equazioni integrali somministrato dalle [II]. (2) V. pag. 249. — 301 — Se non che deve essere ('): Ip4>i Dalla (17) in causa di questa disuguaglianza si ricava facilmente, po- nendo per semplicità: i nec. Ali atr O che deve essere: Dize SM a) 5 Questa disuguaglianza, ricordando le (3), (3°) permette d’'affermare che: « Affinchè un ellissoide di rivoluzione isotropo, omogeneo ruotante unifor- memente possa essere sotto le condizioni poste in equilibrio elastico, deve, dette n, w, f rispettivamente la sua eccentricità, la sua velocità angolare e la costante dell'attrazione essere: (18) 0° <2af ne (arcte L— ear) + ta (aretg L Ja) f (dove Pe va 1_-7y° ) se l’ellissoide è schiucciato : deve essere: pila; E AO E NT Laica (8) a <2xf}r mer egli) (dove 1= n) se l’ellissoide è allungato » (nel qual caso cioè, come è ben noto, essendo l’asse polare 2% > dell'asse equatoriale 24, l’eccentricità b° — a? a — bè i, è — a anzichè essere = 5. Della (17) verrà fatta, come si disse, un'applicazione alla determi- nazione del rapporto fra le costanti d’isotropia dell'ellissoide terrestre. I se- miassi equatoriale e polare di detto ellissoide sono dati rispettivamente da (?): a=m 6,378191,2 b=m 6,356457,6 . come nell’ellissoide schiacciato). Allora l’eccentricità è: n= 0,0348 (1) Cesaro, Introduzione alla teoria matematica dell’elasticità, pag. 84. (2) Pucci, Fondamenti di geodesia, vol. I, pag. 4. e risulta: Cc e, L= I rar 10-0825 Di più per la terra è (!): 1 & (19) DET = 0,0023 D'altro lato dalla (18), in base ai dati numerici testàè indicati, mercè un semplice calcolo risulta: Tora 2rrf (20) < 1,0095 talchè; « L’ellissoide terrestre sodisfa pienamente alla condizione necessaria per l'equilibrio elastico » Ora il limite al quale gi deve sempre rimanere inferiore onde sia in equilibrio l’ellissoide terrestre allo stato di massa fluida è 0,22467 (2), quan- tità molto inferiore al limite assegnato dalla disuguaglianza (20). Pertanto come fu già accennato (v. Nota precedente, introduzione). « L’ellissoide terrestre, allo stato di solido elastico, nelle condizioni poste, potrebbe mantenersi in equilibrio elastico anche quando ‘la sua velo- cità angolare (pur soddisfacendo sempre alla (20) ) oltrepassasse il limite, al di là del quale le sue particelle, supposte fluide incomincerebbero a disgregnarsi >. Ciò posto, dalla (17) si ha che le radici della (14) sono per l'ellissoide terrestre : I, = 54,18 Il.=— 0,74 Ma la prima soltanto di queste radici dà per il rapporto delle costanti d'isotropia un valore possibile poichè evidentemente: L4+2<5 Dunque nelle ipotesi poste: « Il rapporto fra le costanti d’'isotropia dell’ellissoide terrestre può assumere l'unico valore: A4+2w (21) FE —1I 4+2=56,18. (1) Tisserand, loc. cit., pag. 91. (2) Tisserand, ibid. 2903; — È poi evidente che, determinato così il valore del rapporto fra le costanti d'isotropia, tenuto conto della (19) e ricordando pure che come è ben noto nel caso in discorso: i 1006528 — 24.3600° un semplice computo numerico permette di determinare le componenti della forza elastica che si manifesta nell’ellissoide terrestre e che, qualora fosse noto il valore della costante d'isotropia u (oppure 4) le (16) in un colla (21) determinerebbero pienamente le componenti dello spostamento. Matematica. — Sulle corrispondenze algebriche fra due curve. Nota di MicHELE DE FRANCHIS, presentata dal Corrispon- dente G. CASTELNUOVO. In questa Nota, ripigliando un risultato di una mia recente ricerca ('), ne faccio un'applicazione alla teoria delle corrispondenze algebriche fra due curve. E, per mostrare la fecondità del risultato, ridimostro dei noti teoremi, alcuni dei quali avevano finora ricevuto dimostrazioni con metodo esclusiva- mente trascendente; tra questi, il noto teorema dei signori Castelnuovo (2) ed Humbert (3) sulla linearità delle involuzioni più volte infinite giacenti su una curva algebrica. Porgo vive grazie al prof. Castelnuovo per le utili semplificazioni suggeritemi. 1. Siano C, 7° due curve dei generi p, 7 (p=x>0). La superficie F i cui punti sono, senza eccezione, in corrispondenza birazionale colle coppie di punti delle curve C, I° possiede, come sappiamo (4), due fasci di curve unisecantisi (c),(y) le cui curve sono birazionalmente identiche a C, I° e le curve dei quali (come elementi delle serie co! fasci) corrispondono biuni- vocamente al punti delle curve T, C, rispettivamente. Incidentalmente no- tiamo che il possedere due fasci di curve unisecanti è condizione necessaria ed anche sufficiente, perchè una superficie sia in corrispondenza birazionale colle coppie di punti di 2 curve algebriche. 2. Se |L| è un sistema lineare qualsiasi (irreducibile o no, ‘od anche una curva unica) sulla superficie F, e sono g, N il suo genere ed il suo grado virtuali, m,u i numeri dei punti d’intersezione della curva gene- (1) Sulle varietà co? delle coppie di punti di 2 curve o di una curva algebrica (Rend. del Circ. Mat. di Palermo, t. XVII, 1903). (*) Atti della R. Acc. di Torino, t. XXVIII, 1893. (3) Journal de Mathématiques (4° série), t. X, 1394. (4) Veggasi la mia Nota citata. io RENDICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 40 — 304. — rica L, rispettivamente con curve dei fasci (c),(y), ha luogo la relazione: (1) 201) N=2m(x—-1)+2u(p—1) (1). 5. Sia ora L una curva irreducibile, su F, e priva, ivi, di punti mul- tipli; 0, d" siano i numeri dei punti di contatto di L con curve dei fasci (c), (Y) 0, per meglio dire, le somme degli ordini di tali contatti. Poichè il genere virtuale g di L è, in tal caso, anche effettivo ed i fasci (e), (7) secano su L due involuzioni dei generi 77, p e dei gradi m,, si ha: Ag 1)=d+2mr —1)=0+2u(p—1). Laonde il grado virtuale N di L sarà, per la relazione (1) del n. 2: (2) N=d—-2up—1)=d—2ma— 1). 4. Sia invece L una curva qualsiasi su F, H una curva irreducibile priva su F di punti multipli e tale (il che si può sempre ottenere) che il sistema completo |L-+ H| sia irreducibile e privo, su F, di punti base multipli. i Denotando, con d, ,d', le somme degli ordini dei contatti di H colle c e le y, con d,, d', gli analoghi numeri relativi alla curva generica di |L+4- H|, con < il numero d'intersezioni di L con H, porremo: d=d, — di —2i, d =d, —d — 27. Denotando con @, 91, gs ì generi virtuali di L, H,|H-+ Lj; con m,w; Mi, Mx} Mo, fw, i numeri d' intersezioni di una ec o di una y rispettivamente con L, He la curva generica di |L-- H|; con N, N,, N i gradi virtuali di tali curve, sappiamo che: m=m+m,u=U+W, N=N#+N4+ 2 , 0,=0 + d, + 27, e, poichè H e la curva generica di |H- L| sono irreducibili e prive di. punti multipli, e quindi N.=d0,— 2u;(p—1)=d,—2m(r—1) ed N, =0d, — 2us(p—1)=d, —2m,(7 — 1), ricavasi subito N=d—-2u(p—1l)=d—2m(a— 1), ossia la (2) è vera sempre ed i numeri d e d' hanno un significato indipen- dente dalla scelta di H. A tali numeri daremo nome di numeri virtuali dei contatti di L colle c e colle y, ed essi coincidono cogli effettivi quando L (1) Vedi la mia Nota citata, n. 8..A proposito delle definizioni di genere e grado virtuale di una curva su una superficie F. veggasi la Memoria di Castelnuovo ed Enriques: Sopra alcune questioni fondamentali nella teoria delle superficie algebriche (Ann. di Mat., t. VI3, 1901), ove tali definizioni trovansi date in modo succinto. — 305 — è priva di punti multipli. Per la (1) si ha poi sempre 2(p@—-1)=0+2ma—1)=d + 2u(p—1). 5. Per ricavare dalla (2) alcune importanti conseguenze, richiamiamo anzitutto il seguente lemma (!): Sopra una superficie algebrica qualsiasi, S, il grado virtuale di una curva appartenente totalmente ad un sistema continuo o (r = 1), privo di componenti fisse, di curve algebriche è positivo 0 nullo e può essere nullo solo nel caso che le curve del sistema si compongano di (una o più) curve d’uno stesso fascio privo di punti base (in particolare, irra- zionale). Partiamo dal fatto evidente che ogni sistema continuo di curve alge- briche sopra una superficie algebrica, è totalmente contenuto in un sistema algebrico (di cui le curve del sistema dato sono curve totali). Perciò, data una curva Lo del sistema continuo, almeno co, possiamo sempre conside- rare una serie algebrica co! (L) di curve, contenente totalmente Lo. Nel- l'ente algebrico 00! (L) costruiamo una serie lineare 9%, senza elementi fissi, un cui gruppo sia la curva Lo, contata m volte; ciò, come è noto, può sempre ottenersi, prendendo m abbastanza alto. Allora le curve composte Mo, Li4+ Lo +-+ Lm,.... corrispondenti ai varî gruppi della g!m for- mano una serie co! razionale la quale è, quindi, contenuta /0/a/merte in un sistema lineare (2). Il grado virtuale di questo può ottenersi in due modi: 1° considerando le intersezioni (fisse e variabili) di due curve del sistema: allora, se < è il numero d'intersezioni di due curve L, risulta tale grado eguale ad m?;; 2° considerando il grado virtuale della curva multipla mLo; calcolando tale grado in funzione del grado virtuale N di Ly, trovasi subito eguale ad 72° N. Adunque m*7.=m*N, e quindi 7=N, e, poichè {= 0 (perchè il sistema razionale non ha certo componenti fisse) e non è 7=0 se non nel caso che le componenti delle L appartengano ad uno stesso fascio, privo di punti base, così in ogni altro caso 2 >0. Segue che N =0 e che N può essere 0 solo nel caso che le componenti delle L siano curve di uno stesso fascio, privo di punti base. 6. Interpretando tale risultato sulla superficie F di cui trattiamo, si ha che: Sulla superficie F i cui punti rappresentano le coppie di punti di due curve algebriche C,T, dei generi p,mw (p=7>0), se una curva algebrica L è contenuta totalmente in un sistema continuo di curve alge- (1) La dimostrazione che ne do mi fu gentilmente comunicata dal prof. Castelnuovo, avendone io trovata un’altra meno semplice. (*) Enriques, Una osservazione sulla rappresentazione parametrica delle curve al- gebriche (Rend. del Circ. Mat. di Palermo, t. X, 1896). = 10060 — briche, privo di componenti fisse, denotando con il genere virtuale di L, con d,d' i numeri virtuali dei contatti di L colle curve e e y e con m,pu i numeri dei punti d' intersezione di L con tali curve, allora è certo: g_-l=ma—-1)+w(p-1); d=2u(p—1); => 2m(r—1); i segni d’egquaglianza potendo solo sussistere nel caso che il sistema in discorso sia un fascio privo di punti base o che le sue curve si spezzino in curve di un cotal fascio. 7. Data su F la curva L coi caratteri precedentemente definiti, facendo corrispondere un punto di C ed un punto di Z° rappresentati da un mede- simo punto di L, questa definisce una corrispondenza algebrica (2, w) fra C e T: ad un punto di C vengono a corrispondere w punti di 7, ad uno di questi 7 punti di C. Viceversa, data una corrispondenza algebrica (m,) fra C e T°, il luogo delle immagini, su F, delle coppie di punti omologhi è una curva L incontrante in m punti le c ed in w punti le y. Se la corri- spondenza (7, u) è irreducibile ed a punti di coincidenza di C non corri- spondono punti di coincidenza di TY, la L è irreducibile e priva di punti multipli, e viceversa. I caratteri d e d' di L sono allora eguali ai numeri di coincidenze della corrispondenza (7, u). In questo ed in qualunque altro caso poi, d e d' rappresentano invarianti della corrispondenza (7, w) dipen- denti dalle coincidenze della corrispondenza (mu) e potremo chiamarli nu- meri virtuali delle coincidenze su C e su T (rispettivamente). Per il loro calcolo effettivo basta seguire sempre il procedimento del n. 4 (*). Dietro ciò, il risultato del numero precedente assume questo aspetto: Se fra due curve C, T dei generi p,7 (p=7>0) intercede una corrispondenza algebrica (m,u) contenuta in un sistema continuo di cor- rispondenze algebriche (m,pu), delle quali non faccia sempre parte una corrispondenza fissa, denotandone con dè, 0" i numeri virtuali di coimnei- denze, su ©, T° rispettivamente, è sempre d=2u(p—1); d' = 2m(—-1). Le equaglianze possono solo sussistere quando il sistema di corrispon- denze sia cosiffatto che due corrispondenze qualunque del sistema non ab- (1) Nel caso che la L sia irreducibile e priva di punti multipli, d e d” coincidono coi numeri di coincidenze d e d’ che figurano nella formola di Zeuthen, mentre, nel caso che, pur essendo L (ossia la corrispondenza) irreducibile, vi siano punti multipli di L (ossia coincidenze corrispondentisi), i numeri d e d” differiscono da d e d’ per uno stesso numero intero, avendosi d—d'=d—d'= 2up—1)— 2m(r—1). Sarebbe poi facile vedere che in tal caso à—d=d" — d'=2F, essendo E l'abbassamento sul genere effet- tivo prodotto dai punti singolari di L. i — 307 — biano coppie di punti corrispondenti comuni o che le corrispondenze del sistema si spezzino tulle în corrispondenze parziali formanti un sistema siffatto. 8. Dal risultato del n. 6 si può ricavare immediatamente un noto ed importante teorema di Schwarz. Se C e I° sono due curve birazionalmente identiche e di genere p > 0, fissiamo una corrispondenza birazionale fra C e T. Ad essa corrisponde sulla superficie F, i cui punti rappresentano le coppie di punti di C e 7, una curva algebrica L unisecante le c e le y e perciò irreducibile e di genere effettivo e virtuale eguale a p. Se esistesse un sistema continuo di trasfor- mazioni birazionali di C in sè stessa, e quindi anche di C in I, queste ul- time darebbero luogo, su F, ad un sistema continuo di curve algebriche (di genere p), unisecanti le c e le y, e di genere (virtuale ed effettivo p). Quindi dovrebbe essere (n. 6) p_1=22(p— 1. donde p = 1. Si ricava così il teorema summenzionato : Nessuna curva di genere maggiore di 1 può ammettere un gruppo continuo di trasformazioni birazionali in sè. Ed inoltre, se p= 1, occorre, avendosi l'eguaglianza p—1=2(p—1), che il sistema sia proprio un fascio (n. 6). Si ricava cosi la nota proposi- zione che /e schiere continue di trasformazioni birazionali di una curva ellittica in sè dipendono algebricamente da un parametro e sono tali che, data una coppia di punti corrispondenti (in ordine fissato), viene deter- minata una corrispondenza della schiera. Si potrebbero così ricavare le proprietà di tali schiere ed il loro numero, ma preferiamo tacerne trattan- dosi di cose notissime. Dando altro aspetto alla stessa questione, ritrovasi che: Se una superficie possiede più di due fasci di curve algebriche uni- secantisi, essa è razionale ovvero rappresenta le coppie di punti di due curve ellittiche birazionalmente identiche; quindi le coordinate dei punti della superficie dipendono birazionalmente 0 da due parametri o dalle funzioni ellittiche (cogli stessi periodi) pu,pu, pv,pv di due para- metri uv (!). 9. Ed ora ricaveremo dallo stesso risultato (come è espresso nel n. 7) il teorema di Castelnuovo ed Humbert al quale accennammo nella prefazione. Sia C una curva di genere p > 0, Y una curva birazionalmente iden- tica ad essa [per la quale sia ben fissata la corrispondenza (1,1) con C]. Sia poi I, un involuzione irrazionale, di grado m e di genere @ > 0, su C. (1) U. Amaldi, Determinazione delle superficie algebriche su cui esistono più di due fasci di curve algebriche unisecantisi (Questi Rendiconti, 1902). — 308 — Ad ogni punto di Y facendo corrispondere su C il gruppo degli m — 1 punti che, coll’omologo, su C, del punto dato su 7, formino un gruppo della I, sì viene a stabilire una corrispondenza algebrica (Mm—1,m_—1) fra C e 7. Sei 4=2(p—1)— 2w(p— 1) punti doppi di I, sono distinti ed appartengono a gruppi distinti della I,,, la corrispondenza (m—1,m_—1) fra C e I non possiede punti di coincidenza corrispondentisi su C e 7, donde i numeri virtuali ed effettivi di tali coincidenze sono evidentemente do=d' =—=(m—-2)4. Se la I, non soddisfa alle condizioni predette, per toglier campo a qual- siasi obbiezione, operiamo così: Pensiamo alla superficie F i cui punti rap- presentano le coppie di punti di C, 7, e siano ivi C,,L le curve luogo delle immagini delle coppie di punti corrispondenti di C, I° rispettivamente nelle corrispondenze (1,1), (m—1,7wm —1) predette. Consideriamo poi, parte, la curva X. di genere g, i cui punti rappresentano i gruppi della In e la superficie R i cui punti rappresentano le coppie di punti di C e 2. La KR è in corrispondenza (1,72) colla F ed alla curva T di R, il cui punto generico rappresenta un punto di C ed il punto di X corrispondente al gruppo della I,, contenente quel punto, corrisponde su F la curva spezzata in C, ed in L. Sulla superficie R la curva T incontra in un punto ogni curva o corrispondente ad un punto di C associato con tutti quelli di‘. Il suo ge- nere effettivo e virtuale è quindi g, perchè il fascio delle o° ha il genere p. La T incontra poi in #m punti le curve e' corrispondenti ai varî punti di X associati con tutti quelli di C, il cui fascio è di genere g. Il grado virtuale v di T ricavasi allora dalla relazione (1) del n. 2, cioè: 2p_ol_-s=2(p-1)+2m(p—-1), laonde v=—2m(p— 1), ossia v=d—-2(p_ 1). Il grado virtuale, su F, della curva corrispondente C, + L è poi N.=mv e quindi N, = m4 — 2w(p — 1). Intanto, denotando con N il grado virtuale di L, osservando che le intersezioni di C, ed L sono, evidentemente, 4, e che il grado virtuale di C, è —2(p— 1) ('), si ha: Ni NES o LI) eo Da questa e dalla precedente relazione ricavasiN=(m_-2)4—-2(m—-1)(p-1) (!) Ciò segue dalla relazione del n. 2. Cfr. del resto la mia Nota citata, n. 14. — 309 — e, poichè dev'essere N=d — 2(m—1)(p—1), ricavasi 0=(m— 2)4. Cioè: Data su una curva C, di genere p, un'involuzione irrazionale (!) di genere p, la corrispondenza (m—-1,m— 1), da essa definita, fra C ed una curva T equivalente a C, ha come numero virtuale d di coinci- « denze (su © 0 su T) il numero (m—2)4, ove A è i numero di punti doppi della Im 0, più precisamente, A=2(p—1)— 2m(g — 1). 10. Stabilito questo fatto, la dimostrazione del teorema sulla inesistenza su una curva algebrica di una serie continua d’involuzioni irrazionali si fa subito. Se il genere p di C è 0, la cosa dipende dal fatto che C non possiede involuzioni irrazionali. Se p="1, la cosa si dimostra pure, com'è noto, geometricamente ed in modo elementare (?). Sia dunque p > 1 e sia 7 una curva equivalente a C. Ogni involu- zione Im, di grado m e genere gp > 0, appartenente ad una serie continua di tali involuzioni, determina fra C e 7° una corrispondenza (m—-1,m— 1) totalmente contenuta in un sistema continuo di cosìffatte corrispondenze. Supposto anzitutto che le Im non siano tutte composte con una stessa in- voluzione (certo irrazionale) I, (7 divisore di 7), tale sistema continuo di corrispondenze è certo privo di componenti fisse. Denotando con d il numero virtuale delle coincidenze, su C o su 7, di tale corrispondenza, dev’ essere O0=(m—-2)4, ve 0=4=2(p—1)— 2m(p— 1). E, poichè la corri- spondenza è contenuta totalmente in un sistema continuo, privo di componenti fisse, dev’ essere (n. 7) d = 2(m—1)(p—1), ossia (m—2)4 = 2(m—1)(p—1). Essendo p >1, dev essere dunque 4 > 2(p— 1), il che porta la conse- guenza p<1, ossia p= 0, contro l'ipotesi. Il fatto non può dunque pre- sentarsi. Abbiamo fatto l'ipotesi che le I,, della serie non siano composte colla stessa I, (7 divisore di 7). Togliendo tale restrizione, sia 7 il massimo di- visore di 7 tale che le I,, siano composte con una stessa I,. Nell'ente I, ogni I,, definisce un involuzione irrazionale, di grado 10 dunque I, è so- stegno di una serie continua d’ involuzioni irrazionali, certo non composte con una involuzione fissata. Perciò siamo ricondotti al caso precedente, e neppure tale caso può quindi presentarsi. Cioè: i (') Si vede però facilmente che la stessa cosa vale se.la Im è una serie lineare. (2) Castelnuovo, Geometria sulle curve ellittiche. (Atti. della R. Acc. di Toriro, t. XXIV, 1888). Del resto si vedrà che la dimostrazione.seguente può generalizzarsi anche alle curve. ellittiche [prendendo ivi corrispondenze (mm) invece che (m—-1,m—1)], profittando del fatto che una tal curva possiede infinite trasformazioni birazionali in sè e che quindi co! involuzioni In dànno luogo ad 00° corrispondenze (m,m) fra C e T. — 310 — Sopra una curva algebrica C non può esistere una serie continua d’ involuzioni irrazionali. E da qui, com'è noto, ricavasi subito che Su una curva algebrica C ogni serie algebrica co", di yruppi di punti tale che r punti generici di C facciano parte di un solo gruppo è necessariamente lineare, se r >1, oppure è l'insieme di tutti i possibili . gruppi di r punti della curva 0. Fisica. — Intorno alla determinazione della densità e della massa di quantità minime di un solido. Nota di G. GuGLIELMO, presentata dal Socio P. BLASERNA. In due Note precedenti (Rendic. dell'Accad. dei Lincei, 1° sem. 1900 e 1901) indicai come, sia coll’ areometro ad inclinazione variabile, sia con una bilancia con giogo e piatti di vetro, totalmente immersa nell'acqua, si possa determinare il peso apparente nell'acqua, e quindi la densità, di piccole quantità d'un solido, con una esattezza molto maggiore di quella che si potrebbe ottenere colle solite bilancie di precisione. In entrambe le Note lo spazio concesso alle medesime non mi permise di riferire nè i risultati delle deter- minazioni che avevo eseguito come prova del metodo e degli apparecchi, nè altri particolari relativi all'uso ed alla costruzione dei medesimi, che adesso riferisco nella presente Nota, insieme ad alcune modificazioni suggerite dal- l’esperienza. Bilancia molto sensibile per determinare il peso del solido nell'aria. — Nelle prime determinazioni della densità di piccole quantità di un solido coll’ areometro ad inclinazione variabile, m' era spesso avvenuto che la poca esattezza nella determinazione del peso nell’aria colla bilancia di precisione rendeva in gran parte inutile la grande esattezza nella determinazione del peso nell'acqua. Per evitare questo inconveniente proposi di dedurre la densità cercata determinando il peso del corpo in due liquidi di densità molto diversa coll’areometro ad inclinazione; però non potei applicare questo metodo per mancanza di un sufficiente volume del liquido più denso, inoltre in. molti casi si raddoppierebbero così le difficoltà della determinazione. In seguito, nello studio della bilancia totalmente immersa, osservai che questa, se è convenientemente costruita, in modo che non risenta quasi affatto le variazioni della densità dell’acqua, deve avere la stessa posizione d' equi- librio tanto nell'acqua che nell'aria, e nelle prove relative ebbi ad osservare che essa anche nell’aria si comportava come una bilancia molto più sensibile (almeno per piccoli pesi) di quella di precisione. Questa grande sensibilità de- riva evidentemente da ciò: 1° che per effetto del piccolo peso del giogo è reso — 311 — minimo l'attrito che costituisce il principale ostacolo al buon funzionamento d'una bilancia, ed è inoltre aumentata la sensibilità, come risulta dalla nota formula; 2° che coll’uso di due punte d'appoggio invece del coltello mediano e d'una sola punta d'appoggio per ciascuno dei piatti, sono eliminati gl'in- convenienti che possono derivare da una imperfetta costruzione o collocazione dei coltelli. Sebbene quindi sia possibile servirsi d’ uno stesso giogo per le pesate nell'aria e nell'acqua, è tuttavia utile e comodo di usare due gioghi diversi adattati ciascuno allo scopo cui deve servire, e così si evita anche di dovere ad ogni determinazione togliere il giogo dell’acqua ed asciugarlo. Le forme di giogo da me usate sono parecchie che però non differiscono ezzenzialmente dalla forma solita, solamente nelle bilancie a riflessione le due punte d'appoggio che sostituiscono il coltello mediano erano collocate fra il giogo e lo specchietto e l'estremità di quello erano ripiegate orizzon- talmente ad angolo retto, in modo che entrambe le punte d'appoggio estreme fossero equidistanti da entrambe le punte mediane suddette. Inoltre nelle prime esperienze il giogo era formato da un tubo di vetro di 3 mm. di diametro, ma in seguito per diminuire la flessibilità ed aumen- tarne la leggerezza esso era formato da una molla da orologio da tasca, ritemperata dopo averla collocata e stretta fra due liste piane di ferro, co- sicchè essa si raddrizzasse e divenisse più rigida. Si possono così ottenere gioghi pesanti una frazione di grammo e pur tuttavia molto rigidi nel piano della molla che deve coincidere col piano d'oscillazione. Credo anzi che simili gioghi fatti con molle più forti, p. es. molle da sveglie, possano servire utilmente anche per pesi superiori ai 100 grammi; si può impedire la flessione laterale o la torsione di queste molle, dispo- nendone due parallellamente alla stessa altezza riunite solidamente nel mezzo e alle estremità da tre telaietti che portano i coltelli o le punte d’appoggio, oppure preferibilmente riunendo e fissando solidamente le estremità delle molle ma tenendole separate nel mezzo dal telaietto mediano. Nelle prime determinazioni il giogo era lungo 30 cm., affinchè il braccio di leva su cui agiva il momento del piccolo peso ignoto fosse grande quanto era possibile e comodo, ed inoltre fosse possibile di ottenere collo spostamento sul giogo di un solo pesetto scorrevole e noto (cavaliere) piccole frazioni (millesimi) del momento massimo esercitato da esso cavaliere collocato sul piatto. In seguito usai gioghi lunghi 12 cm. meno flessibili e più rapidi; con un cavaliere di 5 mgr. spostato da un estremo all'altro del giogo potevo avere lo stesso effetto come aggiungendo o togliendo 1 cgr. da un piatto, collo spo- stamento di una divisione (*/;o del braccio della bilancia) ottenevo l'’ effetto di !/\, di milligrammo sul piatto e tenendo conto della inclinazione del giogo prodotta da questo peso e misurata per riflessione e di quella prodotta dal peso ignoto. potevo dedurre le frazioni di peso inferiori ad */,p di milli- RenpICcONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 41 — 312 — grammo. Rinunziai a far scorrere sul giogo pesi maggiori di 5 mgr. poichè nè la divisione era perfetta, nè i pesi s'adattavano bene sui tratti, ed uno spostamento invisibile di questi pesi avrebbe potuto causare un errore ap- prezzabile. Come punte d'appoggio sia mediane che estreme usavo punte d'ago che aguzzavo accuratamente ad angolo non troppo acuto su una pietra a grana fina, perchè spesso queste punte terminavano con una piccola superficie piana (visibile col microscopio) sufficiente per impedire il buon funzionamento della bilancia. I piattelli erano formati molto semplicemente da una lamina sottile di alluminio ritagliata in forma di due dischi disuguali riuniti da una listarella, lunga circa 1 cm., e ripiegati ad angolo retto dalla stessa parte di questa lista; il disco maggiore serviva da piatto ed il disco minore, reso concavo inferiormente, da cappelletto riposante in bilico sulla punta d’ago all'estremità del giogo. Risultò inutile l’uso di cappelletti di agata, o di vetro, però questi ultimi sì possono fare con facilità lesgerissimi soffiando una bollicina di vetro all’ estremità d'un tubo molto sottile e poscia scaldando una metà della bollicina ed aspirando leggermente mella medesima finchè il vetro fuso incurvandosi colla convessità verso l'interno, giunge molto vicino ma non a contatto della parete opposta. A questi piattelli conviene fissare, p. es. con ceralacca, sotto al disco maggiore, un pezzetto d’ago magnetizzato, convenientemente orientato; esso è sufficiente perchè il piattello conservi stabilmente la voluta orientazione e non vada presto o tardi, come farebbe un piatto non magnetico, ad appog- giarsi colla listarella contro il giogo perdendo così la mobilità e rendendo incerto il loro punto d'applicazione sul giogo. Conviene dire che questi piattelli così leggeri, saltano giù dal giogo con grande facilità; occorre perciò limitare la corsa del giogo in modo che questo per un eccesso di peso non acquisti troppa velocità, occorre sovratutto che i piattelli non tocchino il piano della bilancia; tale inconveniente sarebbe certamente diminuito da una costruzione regolare col meccanismo .per solle- vare e abbassare il giogo ed usando cappelletti più profondi. Quando si vogliono determinare solamente le densità di quantità molto piccole d'un solido, p. es. di peso inferiore al centigrammo, si può far uso di piattelli minuscoli fissati stabilmente al giogo; usai a tale scopo dischetti di alluminio di 6 a 7 mm. di diametro, leggermente concavi, fissati mediante mastice, colla concavità in alto, alle estremità di un giogo lungo 30 cm.; su questi piattelli era tracciata una linea nera perpendicolare al giogo che indicava dove doveva cadere il centro di gravità dei pesi. L'errore che poteva derivare da un inesatto apprezzamento della posizione del centro di gravità del minuscolo corpo, era inferiore a quello che poteva derivare da un inesatto apprezzamento della posizione del cavaliere lungo il giogo; mi persuasi col- l’esperienza. che togliendo ripetutamente il corpicciuolo dal. piattello e ricol- — 313 — locandolo in modo che fosse bisecato dalla linea nera suddetta s' otteneva sempre per il peso incognito lo stesso valore. Meno soddisfacente trovai l'uso di piattelli formati da una lamina piana piegata ad angolo ottuso, collo spi- golo perpendicolare al giogo, perchè molti corpi, p. es. le laminette, vi pren- dono posizioni evidentemente erronee dalle quali è difficile o impossibile spostarli, mentre nei piattelli leggermente concavi è facilissimo spostare il corpicciuolo spingendolo coll’estremità d’'un’astina in modo che esso vada nella posizione che si ritiene più opportuna. La teoria della bilancia lascia prevedere che la sensibilità che si può ottenere con bilancie così leggere è grandissima; così se una bilancia il cui giogo pesi 250 gr. devia di 1:200 per un eccesso di peso di 1 mgr. su uno dei piatti, una bilancia col giogo di ugual lunghezza ma pesante solo 2,5 gr. devierà ugualmente per un eccesso di peso di 0,01 mgr., oppure si potrà ottenere nei due casi la stessa sensibilità allontanando nel secondo caso il centro di gravità dal centro di sospensione, ciò che torna utile se si dedu- cono gli eccessi di peso dalle inclinazioni del giogo. Difatti così ottenni facilmente uno spostamento, dell’imagine della scala osservata per riflessione, che corrispondeva ad 1 cm. per millesimo di mil- ligramma; ed inoltre la posizione d'equilibrio era notevolmente costante; come di solito esse dovevano esser accuratamente difese dalle correnti d’aria non solo mediante una vetrina non ampia, ma altresì colla costanza ed uni- formità della temperatura. Altri particolari relativi alle determinazioni del peso del solido nel- l’acqua. — Nelle ultime determinazioni mi son servito d'un giogo lungo 12 cm. simile a quello usato per le pesate nell'aria; esso aveva sui gioghi lunghi il vantaggio di assumere molto più rapidamente la posizione d' equi- librio. Le punte d'appoggio non potendo essere d'acciaio, che si sarebbe ossidato, erano di vetro, aguzzate all'estremità il più possibile (mi servii a tale scopo talvolta anche d'una pietra molare a grana finissima) e poi fuse cercando di conservare l’acutezza della punta. In un'altra Nota dimostrai che quando il raggio di curvatura dello spigolo d’un coltello da bilancia è mag- giore della distanza fra il centro di curvatura ed il centro di gravità, il giogo s' inclina fortemente per effetto d'una piccola inclinazione del sostegno. Come piattelli usai prima quelli rappresentati nella Nota precedente; solo che nella forma più semplice le astine che servivano di zavorra erano riunite formando un’ ansa ed avevano fissato un frammento d' ago magne- tico utile per mantenere immutata la loro orientazione. In seguito trovai che la forma rappresentata qui accanto (due bolle riunite da un'astina verticale centrata) riunisce la facilità di costruzione e la comodità nell'uso delle forme precedenti. È utile che la concavità superiore, ottenuta fondendo la bolla — 314 — alla parte superiore ed esercitando una leggera aspirazione gia così profonda, che i pesetti vi rimangano completamente immersi anche se la bolla viene a galla o si estrae dall'acqua; è utile altresì che essa bolla presenti due astine agli estremi di un diametro alle quali si possono appendere pesi in forma di cavaliere, e per le quali si può sollevare la bolla servendosi d'un uncino a due branche ricurve. Anche questi piattelli molto facilmente saltano giù dalle punte d'appoggio, e talvolta la mobilità del giogo e quella dei due piattelli può recare qualche imbarazzo. Per evitare ciò, spesso una delle bolle era fissa al giogo, ossia questo da un lato terminava con una bolla zavorrata in modo che il suo peso apparente nell'acqua fosse nullo. Il volume del piattello mobile all’ altra estremità dev'essere all'incirca uguale a quello della bolla fissa, in modo che Je piccole variazioni nella densità dell’acqua non facciano variare l'in- clinazione del giogo. Nelle mie esperienze il giogo funzionava solamente come indicatore delle frazioni di centigramma; esso era regolato in modo che nell'acqua, senza piattello mobile, carico in sua vece di un peso di 5 mgr. collocato all’estre- mità del giogo, questo sì disponeva orizzontalmente. Nello stesso recipiente 0 in un recipiente a parte più piccolo, caricavo il piattello di pesi finchè affon- dasse, ma venisse a galla togliendo 1 cgr.; portavo allora il piattello sul giogo e spostavo il peso di 5 mgr. (occorrendo fin sull'altro braccio) in modo da ottenere l'orizzontalità o una nota inclinazione del giogo; finalmente collocavo il peso ignoto sul piattello e toglievo pesi fino ad ottenere l’incli- nazione precedente, e così per sostituzione ottenevo o calcolavo il valore del peso ignoto. In tal modo è evitata la necessità di frazioni di pesi appositamente co- struiti, che facilmente si perdono, o si scambiano, e sono quasi invisibili se molto minute; bastano i soliti pesi, coll'aggiunta di uno o più cava- lieri di 5 mgr. di filo di platino. Avvertenze per la determinazione del peso nell'acqua d'un solido pol- verulento. — Sebbene entrambe le suddette bilancie per le pesate nell'acqua e nell'aria possano dare esattamente sino al millesimo di milligramma o meno, il valore del peso che agisce su un piattello e diano per questo valore dei risultati concordantissimi anche se ottenuti con diversi apparecchi, tut- tavia le cure necessarie per evitare le cause d'errore avventizie non possono essere lievi. Nelle determinazioni della densità d'un solido la difficoltà è aumentata dalla possibile variazione di peso della sostanza o dei recipienti che la contengono durante Je manipolazioni occorrenti per le due pesate, e tale difficoltà che si riscontra anche nelle determinazioni solite, è maggiore se il corpo è polverulento, e ancora maggiore se la sua quantità inoltre è minima. Così p. es. se, avendo equilibrato sul piatto della bilancia nell'acqua un tubetto, lo toglievo, asciugavo, o se vi facevo bollire dell’acqua (operazioni — 315 — che occorrono nella determinazione della densità delle polveri) e poi lascia- tolo raffreddare lo riportavo sulla bilancia osservavo una variazione di peso non trascurabile; questa però diventava quasi nulla se ripetevo queste ope- razioni parecchie volte. Evitai completamente queste cause d'errore invertendo l'ordine solito delle operazioni necessarie per determinare la densità d'una polvere ed ope- rando nel modo seguente: Determinavo anzitutto il peso della polvere nell'aria, sebbene di questo peso iniziale non intendessi servirmi, poscia versata la polvere in un tubetto pieno d’acqua eseguivo su di esso tutte le operazioni necessarie a far ba- gnare ed affondar la polvere e a scacciar l'aria, cioè scosse ed ebollizione, o per mezzo del calore, o per mezzo della macchina pneumatica. Quindi dopo lasciato raffreddare introducevo il tubetto nell'acqua ove trovavasi la bi- lancia, in modo che esso si riempisse d'acqua e versavo la polvere, operando sempre sott'acqua, in una coppetta o tubetto collocato sul piatto della bi- lancia; questa operazione non presenta nessuna difficoltà, l'acqua distrugge quasi affatto l'adesione della polvere alle pareti ed anche i grani più minu- scoli, occorrendo coll’aiuto di qualche scossa, obbediscono alla gravità tanto che potevo servirmi d'un imbuto, anch'esso sott'acqua, per evitare che essi cadessero fuori della coppetta o tubetto destinati a riceverli; i pesi che dovevo togliere dal giogo o dal piatto per ristabilire le condizioni primitive d'equi- librio mi davano il peso della polvere nell'acqua. Versavo quindi la polvere in una capsuletta immersa nell'acqua della bilancia e determinavo i pesi numerati occorrenti a ristabilire l'equilibrio, quindi versavo nuovamente la polvere sulla coppetta sul piatto della bilancia e toglievo i pesi per ristabilire l'equilibrio, ed ottenevo così di seguito una serie di valori di solito concordan- tissimi che davano per sostituzione un valore sicuro del peso apparente della polvere nell'acqua. Finalmente, tolto il tubetto colla polvere dall'acqua lo portavo in una capsuletta piena d’acqua distillata, ve lo immergevo completamente e lo ro- vesciavo in modo da far cadere interamente la polvere al fondo della capsula, cambiavo una o due volte l’acqua distillata, decantavo l’acqua in eccesso, ne assorbivo ancora alcune goccie con carta bibula, lasciavo asciugare l'acqua e pesavo la polvere senza averne perduto la minima parte. Volendo ripetere le operazioni, converrà sempre paragonare il peso della polvere nell'acqua con quello della stessa polvere nell'aria determinato successivamente. I pesi numerati di platino subiscono una spinta che calcolai supponendo che la densità del platino fosse 21 e che dedussi dal valore stampato sui pesi; le piccole differenze possibili nella densità suddetta sono certamente senza influenza nel maggior numero dei casi, tuttavia si potrebbe ottenere tale densità con tutta l'esattezza di cui è suscettibile la bilancia determi- nando nel modo solito la densità d'una gocciolina di mercurio che si può — 816 — avere facilmente puro e di densità ben nota, ed allora rimane come sola incognita la densità dei pesi di platino. Alcune determinazioni coll’areometro ad inclinazione variabile e colla bilancia totalmente immersa. — Credo utile riferire alcune delle prime de- terminazioni eseguite coll’areometro ad inclinazione variabile, ed a riflessione. Essendo l’areometro scarico, la divisione dell’ immagine della scala coincidente col reticolo del cannocchiale era inizialmente 72 mm., ed 80 mm. alla fine della determinazione per effetto del lento crescer della temperatnra. Nella seguente tabella, nelle colonne Pt ed Al sono indicate le posizioni dell’im- magine della scala quando l'areometro era carico successivamente ed alter- nativamente di un filo sottilissimo di platino pesante 1,8 mgr. nell'aria e di un filo di alluminio pesante nell'aria 2,55 mgr. Nella colonna d si trova la differenza fra le posizioni della scala corrispondenti ai due fili: AI 355,0 —_ 356,2 = 397,2 —- 359,3 — 360,7 Pt _ 361,0 = 361,7 — 363 = 365 _ L) _ 5,40 9.15 5,00 5,15 4,75 4,75 5,00 = Quindi il peso di 1,8 mgr. (nell'acqua 1,71) produceva uno spostamento medio della scala di 287 divisioni, il filo d'alluminio produceva uno sposta- mento di 287 — 5 divisioni, ed il suo peso nell'acqua risulta o 1,71 mgr. Nonostante la variazione progressiva della temperatura, la massima differenza del valore medio di d è di 0,37 divisioni corrispondenti a poco più di 0,002 mgr. Il valore della densità (2,93) tuttavia risulta poco esatto per effetto dell’inesattezza dei pesi nell'aria del filo di platino e di quello di alluminio. Determinazione della densità d’un filo d'alluminio pesante nell'aria gr. 0,3562. — Anche in questo caso la determinazione colla solita bilancia sarebbe riuscita poco esatta per effetto dell’azione perturbatrice prodotta dal filo di sospensione. Operai perciò con un areometro, non a riflessione, osservando con un cannocchiale gli spostamenti dell'estremità del giogo sopra una scala millimetrica; un peso apparente uguale ad 1 mgr. produceva nel giogo uno spostamento di 10,5 divisioni. Ecco i risultati di due determinazioni eseguite a parecchie ore d' intervallo: Pt BI ic 30,7€ — 89,0 — 34,7 — 33,6 —_ = AI — 30,7 = SONNO 29,9 290 = = Pt 29,3 — 293 — 29.0, — 29,0 — 28,8 — 28,5 AI —_ 24,0 — 24,0 — 24,0 — 24,0 — 23,2 — La differenza media risultò di 5,1 divisioni corrispondenti a 0,49 mgr., quindi il peso del filo di alluminio risultò uguale a quello di platino (0,235 gr. nell'aria. 0,2239 mgr. nell'acqua) aumentato di 0,49 mgr., cioè 0,22439 mgr. La densità cercata risulta 2,703. vo — 317 — Densità di due minerali polverulenti A, B non ancora analizzati. — Queste determinazioni furono eseguite con una bilancia totalmente immersa, a bracci disuguali, uno dei quali sopportante il piattello (della forma più complicata descritta nella Nota precedente) era lungo 35 cm. e diviso in 100 parti, mentre l’altro cortissimo terminava con una grossa bolla zavorrata; usai come pesi vari cavalieri di filo di platino, il peso dei minerali nell'aria fu determinato colla bilancia di precisione. Il peso del minerale A nell'aria era inizialmente 34,3 mgr., dopo ese- guita la determinazione 34,2 cioè in media 34,25. Il suo peso nell'acqua risultò 25,85 e 25,83 cioè in media 25,84 mor. Densità = 4,073. In un’altra determinazione il peso nell'aria iniziale e finale fu di 34,2 e 34,1 mor. in media 34,15 mgr., e quello nell'acqua risultò di 25,72 e 25,64 mgr. in media 25,68. Densità = 4,070. Quindi seguii il processo descritto nella presente Nota cioè alternativa- mente versai e tolsi la polvere dal piatto della bilancia senza toglierla dal- l'acqua, e dopo lavata la polvere con acqua distillata e lasciatala asciugare, determinai il suo peso nell'aria. Questo inizialmente era di 34,1 mgr., ma durante le operazioni persi alcuni cristallini ed il peso finale di cui solo dovevo tener conto fu di 32,4 mgr. Per il peso nell'acqua ottenni i seguenti valori: 24,4 mgr. più 5, 6, 7, 4, 7,8, 6, 6 centesimi di milligrammo ossia in media 24,453 mgr. Densità = 4,076. Sebbene questo valore abbia mag- giori guarentigie di esattezza, la differenza dalla media dei 3 valori (4,073) non apparirà grande se si considera che la differenza fra i pesi nell'aria e nell'acqua, ossia il denominatore della frazione che dà la densità, era di circa 8 mgr. e che l'errore suddetto di 3 su 4000 corrisponde a un errore di 0,006 mgr., mentre l'errore della pesata nell'aria era certamente assai più grande. Col minerale B pesante nell'aria 124,4 mgr. e nell’acqua 68,04 mgr., l'accordo delle varie determinazioni fu completo entro i limiti della sensibi- lità della bilancia. Chimica. — Sopra i nitropirroli. Nota di AnGELO ANGELI e FrAaNcEsco AncELICO presentata dal Socio CIAMICIAN. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. — 318 — Patologia vegetale. — Sulla Botrytis citricola n. sp. parassita degli agrumi. Nota del dott. Uao BRIZI, presentata dal Socio PIROTTA. Da qualche anno alla R. Stazione di Patologia vegetale, a più riprese e da varie regioni (Ascoli, Fermo, Salerno, Firenze, Todi), pervennero molti cam- pioni di limoni ed aranci colpiti da una malattia non molto frequente, ma che, a quanto affermano concordemente i nostri corrispondenti, produsse qua e là danni assai considerevoli. Il carattere più saliente della malattia è la presenza di macchie ruggi- nose infossate sparse sui frutti le quali, da principio piccolissime, si esten- dono, confluiscono e possono invadere l’intera superficie, cagionando la caduta dei frutti se ancora attaccati all'albero, o lo sfacelo di essi, se distaccati perchè maturi o perchè portati nei magazzini a completare la maturazione. Per vario tempo la malattia è passata inosservata perchè di non facile studio in causa della variabilità delle sue manifestazioni, poichè i campioni che ci pervenivano, alcune volte erano già decomposti ed invasi da numerose muffe, altre non presentavano alcuno sviluppo di microrganisthi ma erano ugualmente in via di putrefazione, altre volte invece, anzichè decomposti, i frutti malati che ci pervenivano erano piccoli, duri, raggrinziti, veramente mummificati e senza alcuna apparenza esteriore di muffe o di altri micror- ganismi. L'osservazione attenta di questi casi di malattia così diversi, mi fece sorgere il dubbio che si trattasse sempre della stessa malattia con manifesta- zioni variabili, che fosse di natura parassitaria e causata da un parassita unico il quale aprisse poi la via ad altri microrganismi distruggitori. Se si esamina un frutto così colpito al microscopio, facendo una sezione trasversa del pericarpio in corrispondenza di una delle macchie rugginose, si osserva, mediante i soliti metodi e reattivi, particolarmente col bleu Poirier all'acido lattico, che tutte le cellule sono invase da un sottile micelio ra- mificato septato e perciò pluricellulare, a diametro variabile, privo di veri austori, che perfora le pareti delle cellule attraversandone la cavità per cui a prima vista, si riconosce l'analogia di siffatto micelio con quello delle comuni Botrytis. Il micelio invade principalmente 1 tessuti circostanti alle glandule oleifere di cui è ricco il pericarpio dei limoni ed aranci e talvolta occupa come una fitta rete la maggior parte delle cellule secretrici, nella cavità delle quali produce delle curiose sfrangiature, non ancora descritte per nessuna specie — 319 — del genere Bozrytis, e molto simili alle forme coralloidi del micelio di qualche ficomicete. Costantemente, in corrispondenza di tutte le macchie rugginose, si ri- scontra il micelio ora descritto e, naturalmente, quando l'intera superficie del frutto è totalmente rugginosa, il micelio si rinviene in tutto 1l pericarpio; spesso oltre che nel pericarpio si rinviene anche nelle grosse cellule del mesocarpio. La presenza del micelio nei frutti di agrumi determina la produzione di un profumo assai gradevole che, nell’inizio della malattia è, si può dire, caratteristico. perchè non ho mai riscontrato tal fenomeno in altre infezioni crittogamiche degli agrumi, se non in qualche raro caso di frutti molto decom- posti, con rigoglioso sviluppo di Penscillum glaucum, il quale era forse in tal caso associato al fungillo in questione. Tenendo nelle solite condizioni, in termostato a temperatura costante di 18°-20° dei frutti così maculati, dopo un periodo variabile da 20 a 36 ore, in corrispondenza delle macchie rugginose e quindi delle aree infette dal micelio, si sviluppano dei ciuffetti candidissimi costituiti da ife fertili provenienti, come dimostra l'esame microscopico, dal micelio che invade il pericarpio. Le ife sono ramificate ad alberetto a rami nettamente tricotomi, che portano alla estremità dei piccoli conidi disposti a grappolo, bianchissimi, sferici od appena ovulari, di dimensioni relativamente assai piccole. Il fungillo sistematicamente appartiene al genere Botry/is e differisce sensibilmente da tutte le specie del genere fin qui descritte, ed anche dal- l’affine B. griseola, che è la sola finora rinvenuta come probabile parassita, sugli agrumi. La diagnosi della nuova specie è la seguente: B. cITRICOLA n. sp. Coespitulis pulvinatis densis, albis, nitentibus, conidio- phoris erectis, ramosis, ramis trichotomice divisis, conidiis 8-10 dense aggregatis, obscure globosis, parvis (pu. 6-8). In fructubus Hesperidearum, quos necat. Quando i frutti di limoni o di arancio siano invasi dal micelio del fun- gillo, non avviene generalmente in natura una rapida formazione di conidi, giacchè è necessaria, perchè si formino quest'ultimi, una temperatura abba- stanza elevata e sopratutto un ambiente molto umido, giacchè, se avviene il contrario e se trovansi invece in un ambiente asciutto, il micelio del fungillo invade tutto il mesocarpio arrivando sino ai semi, ma senza formazione di conidiofori. Ne consegue un inaridimento del frutto che perde a poco a poco il succo senza putrefarsi, il pericarpio si prosciuga lentamente sotto l’ influenza del fungo, l’epicarpio diventa bruno-scuro, cuoioso, duro, resistente e l’intero RenpIcONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 42 — 320 — frutto diminuisce della metà o di due terzi del volume primitivo, si mum- mifica completamente pur conservando il caratteristico e gradevole odore. Così mummificati i frutti di limone ed arancio, solidi, quasi cornei, difficilissimi a tagliarsi, diventano assolutamente imputrescibili in modo quasi analogo a quanto accade nei frutti di molte pomacee e particolarmente del cotogno, sotto l'influenza del micelio della Monzlia fructigena. Ma, mentre nel caso della Monzlia è assai facile, in condizioni opportune, far produrre i conidi sui frutti mummificati, non è altrettanto facile nei limoni nei quali il micelio, pur essendo presente, facilmente riconoscibile nei tes- suti ed in apparenza vivo, non produce affatto i rami conidiofori nelle con- dizioni solite. Per questa ragione era molto difficile identificare la natura di questa strana mummificazione. Per ottenere la produzione di conidiofori mi servii di un mezzo molto semplice, allo scopo, direi quasi, di richiamare in vita il micelio del fungillo. Lasciai i frutti mummificati e divenuti addirittura cornei e sui quali avevo constatata la presenza del micelio, per un certo tempo immersi in liquido sterilizzato, composto di acqua distillata con circa il 3 °/ di sac- carosio, il 5 °/, di succo di limone tratto da frutti sani ed il 0,5% di acido citrico, avendo cura di mantenere il liquido, in termostato, a circa 30°. Dopo 48 ore tolsi dal liquido i frutti leggermente rigonfiati per imbibizione, li lavai a lungo in acqua distillata e, dopo averli prosciugati con cura, li posi in camera umida in termostato, a temperatura costante di 25°. Dopo 48 ore circa si iniziò lo sviluppo dei rami conidiofori e dei conidi, che divenne poi rigoglioso nello stesso modo come ho detto avvenire per i frutti non mummificati. In questa maniera potei convincermi della identità della origine parassitaria della malattia nelle sue due forme, dirò cosi, umida e secca. La Botrytis da me studiata si può ottenere facilmente in colture arti- ficiali seminando ìi conidi in diversi substrati nutritivi acidi. In un liquido costituito da succo di limone diluito in acqua distillata, coll’aggiunta del 10 °/, di uno zucchero fermentescibile, il micelio prende un rapidissimo ed enorme sviluppo, in modo da formare un denso velo alla superficie del liquido nel quale, fatto che mi sembra importante notare, induce una speciale fermen- tazione e comunicandogli un profumo alquanto simile a quello dei frutti, con formazione di una piccola quantità di alcool riconoscibile, col metodo di Lieben, per la formazione di piccolissimi cristalli di jodoformio. L'esame miscropico del liquido, avendo dimostrato l'assenza di speciali fermenti figurati, e che d'altra parte non avrebbero avuto campo di svilup- parsi per la rapida e soverchiante formazione del micelio, rendono assai pro- babile che a quest'ultimo soltanto sia dovuto lo sdoppiamento dello zucchero e la conseguente formazione dell'alcool. — 321 — Nelle colture in mezzo solido, ossia in gelatina acida fatta con succo di arancio gelatinizzato al 20°/, si ha pure una rigogliosa vegetazione di micelio, dal quale si sviluppano degli sporidi lunghi, filamentosi che costituiscono come un ciuffo lasso intorno all'estremità di alcuni fili micelici. Questi conidi germinano pure rapidamente dando origine a fili di micelio, dai quali nascono nuovi sporidi ed anche direttamente ifi conidiofori come quelli descritti più sopra. Si avrebbe così in questa Z07y/2s anche una forma conidiofora intermedia, come del resto è noto accade, benchè raramente, anche in altri funghi (Pseudopeziza tracheiphila M. Th.). Nessun'altra forma fungina mi riuscì di ottenere che potesse completare il ciclo di sviluppo del fungo, nè sclerozi, nè forme ascofore, nè dai frutti ammalati, nè dalle colture pure. Sui limoni fortemente infetti si trovano talvolta delle masse scleroti- formi, ma che non diventano mai veri sclerozi, perchè mancano di una cor- teccia protettiva. Neppure cogli ordinari mezzi soliti ad usarsi per provocare la formazione di corpi riproduttivi nei funghi riuscii ad ottenere altre forme. È perciò probabile che la sola forma di ibernazione del fungillo sia appunto quella del micelio nei frutti mummificati, i quali, probabilmente, cadendo a terra vi passano l'inverno, ed, inumiditi poi dalle pioggie estive associate all'alta temperatura, possano dare origine ai conidiofori ed ai conidi che propagano l'infezione. Come possa avvenire l'infezione in natura non è facile arguire, ma le esperienze che ora accennerò, avendo dimostrato che non avviene infezione nei frutti maturi senza una soluzione di continuità nell’ epicarpio, e d'altra parte il fatto che negli agrumeti del salernitano la malattia s' iniziò sugli ovari dei fiori e sui frutticini appena allegati, sui quali rinvenni il micelio e riuscii, col concorso dell'umidità e dell'alta temperatura, ad ottenere la formazione dei conidiofori, può far supporre, con grande probabilità di essere nel vero, che l'infezione avvenga o s'inizii direttamente nel fiore. Da quanto ho detto intorno al comportamento del fungi]lo non può sorger dubbio sulla sua natura parassitaria. È ben vero che v' è chi dubita della natura parassitaria di tutte le 20/rytis. Non è qui il caso di discutere se tal fungillo, analogo a molti altri, non debba chiamarsi parassita vero, pel fatto che non diventa probabilmente tale se non in certe determinate con- dizioni, oppure semiparassita perchè in altre può anche essere innocuo. La questione sarà certo importante, ma il fatto comune a tutti i cosidetti semiparassiti è questo: che occorrono sempre due circostanze, speciali dispo- sizioni predisponenti e presenza del parassita. Le une e l’altra sono neces- sarie perchè nè risulti la malattia, per cui, come in questo caso del fungillo degli agrumi, è probabile che senza speciali condizioni non si avrebbe avuta la malattia, ma non è forse meno vero che senza il fungillo i frutti non sa- — 322 — rebbero caduti decomposti o mummificati ; perciò, al caso pratico, poco importa che il fungillo stesso, che certo è indispensabile per produrre la malattia, si chiami parassita vero e semiparassita o parassita facoltativo. Per confermare poi la natura parassitaria dell'infezione ho cercato di riprodurla artificialmente su frutti di limoni sani, ed ho ottenuto risultati positivi con relativa facilità anche su frutti di aranci e di mandarini im- maturi. Alcune esperienze, però, d’ infezione tentate su limoni ed aranci, pennel- lando semplicemente la superficie esterna dei frutti con il liquido di coltura della Botryés contenente conidi, tenendo i frutti stessi in camera umida a 24°, ebbero esito completamente negativo. L'infezione invece tentata innestando nel pericarpio dei limoni sani un cilindretto di pericarpio di limone malato, diede esito sempre positivo, giacchè i numerosi frutti infettati in tal modo presentarono la caratteristica infezione rugginosa intorno al punto infettato. L'esame microscopico confermò la presenza del micelio sui frutti sui quali, in condizioni opportune, si svilupparono i conidiofori abbondantissimi. Ottenni anche artificialmente la mummificazione dei frutti, infettando alcuni limoni non perfettamente maturi, iniettando una goccia estremamente piccola di liquido contenente conidi di Bot7y4is sotto l’epicarpio mediante una semplice scalfittura, o meglio puntura, sulle glandule oleifere che, come è noto, formano delle piccole sporgenze bitorzolute sull’ epicarpio. I frutti in tal modo infettati, rapidamente presentavano i caratteri della malattia, se tenuti in temperatura costante in camera umida, per circa 30 ore. Se questi frutti così infettati venivano tolti dal termostato, portati alla temperatura ordinaria e lasciati all'aria ed alla luce preservandoli, per quanto era possibile, dall’ umidità, non avveniva affatto formazione di conidiofori nè il conseguente sfacelo del frutto, ma si prosciugavano invece lentamente acqui- stando un intenso profumo e si venivano mummificando man mano. Una perfetta mummificazione ottenni perfino con un frutto di mandarino ancora immaturo. È interessante il fatto che la mummificazione non avviene se non quando l’ infezione si produce sui frutti ancora immaturi, giacchè le esperienze eseguite su frutti a perfetta maturanza non diedero mai frutti mum- mificati anche pel fatto che venivano facilmente attaccati da altre muffe, le quali forse venivano tenute lontane, in causa dell'ambiente eccessivamente acido, nei frutti ancora immaturi. Non posso tralasciare di notare la grande analogia che la proprietà mummificante della 2. ciricola presenta colla 2. dell'uva la quale, è noto, può indurre nell'uva due sorta di putrefazioni, una nobile e l'altra, per così dire, ignobile. Infatti, anche nei frutti di agrumi invasi dalla 2. eitricola come mi risulta, oltrechè dall’esperienze, anche da dati di fatto, avviene che, se la stagione corre calda ed umida, si formano rapidamente i conidiofori, i — 323 — frutti cadono a terra o vanno in rapido sfacelo coll'aiuto di altri saprofiti e specialmente del Perzcillum glaucum. Se invece la stagione corre asciutta, come avviene nell'#%e/fazle dell'uva, i conidiofori non si formano; il micelio resta nell'interno del frutto, concentra e modifica i succhi e finisce col mummificarlo. Aggiungerò che, prestandosi facilmente il materiale di studio, volli ten- tare di ottenere di poter riprodurre la malattia o per lo meno alcuni carat- teri di essa, senza la presenza del parassita, soltanto mediante le sostanze chimiche che esso elabora. Se si potesse dimostrare un tal modo sperimental- mente vera l'ipotesi che qualcuno pensa e che è davvero molto seducente, che si debbano i disturbi funzionali delle piante, e sopratutto le neoforma- zioni, di origine parassitaria esclusivamente a speciali sostanze chimiche secrete del parassita, si aprirebbe davvero un nuovo orizzonte alle ricerche di Patologia vegetale. Io volli tentare qualche cosa di più modesto, di ottenere cioè non già di riprodurre caratteri della malattia senza parassita, ma di vedere se fosse stato possibile sperimentalmente, ottenere soltanto il profumo caratteristico che il parassita induce nei frutti ammalati. Triturai e schiacciai alcuni limoni attaccati dal parassita e fortemente profumati; filtrai il liquido, prima per un filtro ordinario e poi allo Cham- berland, raccogliendolo accuratamente in una fialetta sterilizzata. In tal modo si aveva nel liquido il secreto o l'enzima del fungo senza il fungo, e tal liquido iniettai con una siringa di Pravaz sotto l’ epicarpio di alcuni limoni ed aranci previamente, ed accuratamente, lavati con acqua distillata e bollita. Ma l'esito fu sempre negativo, perchè per quanto tenessi i frutti in camera umida accuratamente sterilizzata, non solo non si manifestò alcun carattere di malattia, come era prevedibile, ma non ottenni neppure in mi- nima quantità il caratteristico profumo dei frutti ammalati. L'esito negativo di una sola ed incompleta esperienza, però, non è certo sufficiente per autorizzarmi a creder di aver dimostrata erronea la geniale ipotesi. Riguardo ai rimedî mi è finora mancata l’opportunità di eseguire ri- gorose esperienze che mi riservo di eseguire e di esporre nella pubblicazione, che a suo tempo seguirà accompagnata da disegni, della completa storia naturale di questa interessante malattia. Si può però fin da ora dire che, se realmente la infezione avviene o sui fiori, o sui frutticini appena allegati, sarà difficile dominarla. Sui frutti in via di ma- turazione l’esperienza dimostra che occorre, perchè l’ infezione avvenga, una soluzione di continuità, prodotta probabilmente o da urti meccanici del vento, o da insetti, o grandine ecc., per cui non so se sia il caso di consigliare senz'altro l'applicazione di sostanze anticrittogamiehe, d' effetto, come l’ espe- — 324 — rienza dimostra, in simili casi, non sempre sicuro. Sarà certo utile, se come è probabile l’ibernazione avviene per mezzo dei frutti mummificati, praticare come si fa nei pomarî per attenuare i danni della Morz/za, la raccolta e di- struzione dei frutti mummificati. Per evitare poi che nei frutti raccolti nei magazzini si propaghi la malattia, sarà opportuna un'accurata selezione, eli- minando tutti quei frutti che presentano macchie rugginose infossate sull’epi- carpio, e procurare che i magazzini siano freschi, ben aereati e sopratutto ben asciutti. V. 0. Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1° TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3 MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Voki; BV-)V. VINIL, VIIL Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — DII-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpIcontI Vol. I-VII. (1884-91). MemMoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. "Memorie della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII. (1892-1903) 1° Sem. Fasc. 8°. ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. (1892-1902). Fasc. 12. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. HIII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VIL. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 1®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. Urrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Aprile 1908. INDICE Classe di scienze fisithe, matematiche e naturali. Seduta del 19 aprile 1903. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Bianchi. Sulla nozione di gruppo 0) e di gruppo derivato nella teoria dei gruppi continui finiti di trasformazioni . RETI ASI ACI Pag. 287 Morera. Sulla trasformazione delle equazioni differenziali di ER Gi ETATTE » 297 Viterbi. Sull’equilibrio d'un ellissoide planetario di rivoluzione elastico iblrono i E Corrisp. Ricci). . . 00 De Franchis. Sulle Spree algebrichi fra die: curve (pros: dal Corrisp. Calma » 303 Guglielmo. Intorno alla determinazione della densità e della massa di quantità minime di un solido (pres. dal Socio Blaserza) si LRRAZIO Angeli e Angelico. Sopra i nitropirroli Gul dal Sio ict) o) SAUER e ia o ESITO Brizi. Sulla Botrytis citricola n. sp. parassita degli agrumi (pres. dal Socio Pirotta) » 318 (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. I E EN RE RE, URTI Ceglie. MA PETRA N Pubblicazione bimensile. Toma 3 maggio 1903. N. 9. Ri DI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINORI ANNO: LEG, 12/9 SEO MENTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 maggio 1903. Volume XII. — Fascicolo 9! 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI | 1903 nsonian Instj So ‘tut, % CRENSSO Nap Me i [On LO ED e f Li ESTRATTO DAL REGO) LAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serse quenta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Inoltre i Z2endiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.1 Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del--.- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei» qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. > 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi-. cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. -_ 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 2) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio: dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli - autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. REATI? RTAS 2) È Macra ea RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. SS SS 1 tali che (3) nima e e il sommatorio in (2) deve estendersi per tutti i possibili valori degli % soddisfacenti alla (3) ma senza ripetizioni. 4. Infine il simbolo [%, ...- tm] rappresenta un certo coefficiente nume- rico dipendente dagli indici %, ... ém, il cui valore esplicito lo abbiamo po- tuto calcolare nella predetta Nota, ed è il seguente: se poniamo che fra i numeri 71... é» ve ne siano @, eguali fra loro, altri 0» anche eguali fra loro, ma diversi dai precedenti, e così di seguito, si ha: (£) li Sa Ro (dr dia d) SO (” ae na) È ; DA 0 do Un 6) aa OTO l È bene avvertire che nella predetta Nota questo coefficiente numerico è stato rappresentato colla parentesi rotonda e non colla quadrata, comé invece facciamo qui per evitare una confusione che potrebbe prodursi in seguito. Così anche nel medesimo luogo abbiamo scritto un po’ diversamente aa PINE — 327 — l'espressione di d, cioè senza l’ S; e senza dividerla per m! Ma è facile vedere che introducendo questi nuovi d che hanno il vantaggio di essere simmetrici nelle 7, la (1) non si altera. Nella medesima Nota abbiamo poi dimostrato che, con una trasforma- zione di variabili, la (1) si trasforma in un'altra del medesimo tipo e pro- priamente in: (5) Si nd, pel h, «hp Ri dove ra l i (6) 4, a sar Sh DI (Per e Ap] dA: Yna ce DAO Yny be ANI DITTE LIA 1 e i coefficienti trasformati hanno i valori 7 3 pi dd m= (7) Ta nilo Da più I SU” fe essendo i tao (8) (DE DI » (m= pu) una certa somma di prodotti di derivate delle x di indici j,...j,m rispetto alle y di indici %,... fw, simmetrica sia nei primi indici che nei secondi, e della cui costruzione abbiamo trattato nel medesimo luogo. Ricorderemo infine che le (8) sono definite dalla formola: df Rs DI li n) 9 — —— = POR: //_ SE (0) la da PA i dI, ce dEjm ha + hoJay dove 7 rappresenta una funzione qualunque. og hi hp. questo $ di una formola identica cui soddisfa il simbolo (8), e della quale dovremo fare in seguito spesso uso. Deriviamo primo e secondo membro di (9) rispetto ad Ung ei sinba; 2. Identità cui soddisfa il. simbolo ( ) . — Tratteremo in xy Deer DE w X DEI 16 dI pm I di _L nl i hi DOO hu. CY dYh dY hp mal dj e dijmta dYhpra =19, SUI È DI d Do) DI LAO e, 1 2) pa ( lilla “Im dI ji DOO dLjm dY nuti — 328 — e mutando nella prima parte del secondo membro m +1 in #, e quindi estendendo il primo dei sommatorit da m= 2 sino ad m=wu-+1, e stac- cando dagli altri il primo e ultimo termine, cioè quelli nei quali m è eguale ad 1, o è eguale a w-+1, possiamo scrivere: l MAREA _ dI D ( 7 ) COR dYhi seo dYnyri ra dij dYhpts hi oro hu io AN me2 Da pa dI jr 506 dim dYnpta xY dY ht Dai dI jpra (È DOO 16) DEA DO0 IT juta dYnpta hi DOS LA XY 1 2A dia Paragoniamo i termini di questa formola con quelli di (9) in cui si sia mutato w in w-1. I coefficienti delle medesime derivate della / (fun- zione arbitraria) in ambedue le formole devono coincidere. Osservando che Ti + Jm rappresentano una disposizione (con ripetizioni) di m dei numeri 1,2,..7, che mutandone l'ordine cambia la disposizione ma, essendo (8) simmetrico negli indici superiori, non cambia il valore del corrispondente termine in (9), mentre d'altra parte il sommatorio D deve estendersi a Irim tutte le disposizioni, si ha che il coefficiente di DIL Dj ee dLjm in (9) in cui si sia mutato w in u+ 1, è, se gli indici 7, .../m sono tutti diversi: PAdTo ) 11 ml Quo) (A DAI 15 e se dei medesimi indici ve ne sono 0, fra loro eguali, 0» fra loro anche eguali ma diversi dai precedenti, e così di seguito, il medesimo coefficiente è lo stesso (11) ma diviso per 01! 02!..... Il coefficiente della medesima derivata in (10), se 2=m, e per qualunque sistema di indici jr... Jm È «+ tom» — 331 — 4. Applicazione di una trasformazione infinitesima al simbolo d. — Sempre in vista di quanto dovremo esporre nelle Note seguenti, stabiliremo ora la formola che dà il risultato dell’applicazione di una trasformazione infinitesima (21) LS > a ione d. Stabiliremo per definizione che l'operazione rappresentata dal simbolo & sia permutabile con quella rappresentata dal simbolo di dif- ferenziale d, e perciò Edf=d5f=\ de (k Lio a (E ) degl DE 1 dI n k=0 dI Ti Sostituendo in questa formola per d”f e per d'-* aL - 1 loro valori, sì ha: v (22) » DI =: SS 00. + » » du dl, 59. MEL fici viari dj 0A dim dI; Im => > x(n seo ù k=0 m=1 j, -În * Id jm DI i, Îm Im intendendo che per X = al secondo membro debba intendersi il termine: (23) Da Da dI Osserviamo che al secondo membro il termine per X=0 è esatta- mente la prima delle due parti del primo membro, mentre il termine per k==r, cioè (23) coincide con quello che la seconda parte del secondo membro, dà per m=1; soppressi allora questi termini comuni al primo e secondo membro, mutando nel secondo 7 in m —1, osservando che r_Y-M+1 DA —\ do pa a k=1 m=2 m=2. h=1 e ponendo <= 7,m, si ha N DIES fi (0) Ti de mM r_mt1 IT: (1) d Fim 9} 3 MI Jim d%jr 0 dEjm fi Im_a — 332 — Se ora paragoniamo i coefficienti delle medesime derivate di / al primo e secondo membro, e per ciò fare permutiamo le ) fra loro in tutti i modi possibili, osserviamo che le d sono simmetriche negli indici inferiori, e in- troduciamo il simbolo Sj» con analogo significato che nel $ 2, abbiamo infine la formola: T-Mt1 /, (4) 59M. —18,, N: \L) di da È k=1 valevole per m=2,3,.., mentre per m=1 sì ha semplicemente: (25) DIOS DU e In una prossima Nota faremo le applicazioni di queste formole. Meccanica. — 7raiettorie dinamiche di un punto libero, sollecitato da forze conservative. Nota di A. F. DALL’Acqua, presentata dal Corrispondente G. Ricci. ]l problema che mi sono proposto è il seguente: « Sotto quali condizioni una doppia infinità di linee (congruenza) in « Uno spazio con tre dimensioni, possa riguardarsi come costituita dalle « traiettorie dinamiche di un punto libero, sollecitato da una forza conser- “« vativa «. Nel caso generale, con molta semplicità e senza sforzo veruno viene a completarsi a mano a mano il sistema delle equazioni del moto. Tuttavia non sembra agevole dare alle condizioni ottenute una forma elegante e di evidente significato geometrico. In taluni casi però la questione si presenta in modo più adatto alle ricerche. Oltre al caso generale ne ho trattati tre particolari in ispecial modo interessanti. 1°. Quello in cui le traiettorie del punto siano geodetiche. « Esse, allora, coincidono con le linee di forza ». 2°. Il caso che la velocità sia costante rispetto al moto. Allora « il punto percorre delle geodetiche delle superfici equipotenziali ». Queste geo- detiche sono inoltre caratterizzate dall’equazione d = +ena=0 dove 0 è il loro raggio di curvatura, s il loro arco, y;31 la curvatura della — 333 — proiezione sul piano ad esse normale delle traiettorie ortogonali alle super- ficie di livello. 3°. Il caso che le traiettorie costituiscano una congruenza normale. Ho trovato allora che: « Tutte le congruenze normali possono venir percorse da un punto generico sottoposto a forze conservative ». Il potenziale, quando sì indichi con @(x,, 2,3) = cost. il parametro delle superfici ortogonali alla congruenza, è dato da Us (Aa)? f(a) + cost. dove f è simbolo di funzione arbitaria. Si ha un’altra soluzione oltre a questa quando sia normale anche la con- gruenza inviluppata dalle normali principali alle traiettorie dinamiche. In tal caso, essendo ancora « il parametro delle superfici ortogonali alle traiettorie, « ìl parametro differenziale misto V(@, Ae) è funzione di @ e Ae soltanto ». Indicando con f# il parametro delle superfici ortogonali alla congruenza inviluppata dalle normali principali, la seconda soluzione per U è data dalla Agus (at —* U— (Ao) /(@) + (42° | dove, risultando Ae funzione soltanto di @ e #, l integrale del secondo 1 membro, indica una integrazione parziale rispetto a #. Inoltre 7 è simbolo di funzione arbitraria. 1. Sia [4] la congruenza costituita dalle traiettorie dinamiche di un punto libero, sollecitato da una forza conservativa: la velocità con cui le traiettorie vengono percorse sia rappresentata da un vettore [p], tangente alla [4]. Applichiamo al nostro problema le formole generali della mia Nota sui Moti di un punto libero, a caratteristiche indipendenti (') e poniamo perciò [A]=[4:]. Le caratteristiche (componenti della velocità secondo il triedro [4:] [22], [4:]) saranno p,=p2=0 , 73=p. Le equazioni del moto [(1), (II), Nota citata] si scrivono nel nostro caso A) d,= pi (II) ER MADE, — NI ee —mp Se indichiamo con U la funzione potenziale, con T= na la forza (1) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei. Seduta del 15 marzo 1903. RendiIcontTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 44 — 334 — viva, le (II) danno (ricordando le (I)) IU, QU ds, = 2Ty313 ; a U , roi 0. dp__ VT dP = i cn “i — Gc WiTa os pa vr pai DOS an dI Se, come supponiamo, il campo di forza è indipendente dal tempo, dovremo avere l'integrale delle forze vive TT—U="# (cost. rispetto al moto) da cui RUESOTE dS3 pei dS3 ; è . DU Questa confrontata con la precedente espressione di n mostra che 083 nel nostro caso p non dipende esplicitamente dal tempo. Le nostre equazioni si scrivono adunque, ponendo per brevità y3x3 = 7 SU QU DUEMRI 1 == LR nina 1) ve cn Il problema meccanico che ci siamo proposti, corrisponde a questo: « Sotto quali condizioni, desunte da soli elementi della CA: le (1) risultino illimitatamente integrabili ». 2. Le condizioni di integrabilità delle (1), posto le, sono 3 dE dE (2) DR = 2T8,4+-8y1 , ds = 2783 4 36y2 5 ST ST Pi (3) ns. ada + Td + sA4=0 dove 8,, #2, 0 e 9, che comparirà più innanzi ('!), sono funzioni soltanto degli invarianti della terna [4]. Perchè queste equazioni possano esser sodisfatte, è necessario anzitutto che le (2) siano integrabili: sia cioè ST (4) ra Po pr9+]eota to. (1) Le espressioni A, A; , A» sono le anormalità delle congruenze [4], [41]; [22], date dalle formole 2An = ynn+11+2 — Ynn+2n+1- Abbiamo posto inoltre dy di ì Bi = V131 — 272 Aa , par Y232 +2 Ya Ai 3 . 3 dy dYe D) Ò È dat = Zara Va — Vaz1 Va >; 90h Sg, Ye12 — Pai Vari + 3 (Bo Va Bi ya). — 339 — La congruenza [4,] fino ad ora è rimasta arbitraria: approfittiamo di tale arbitrarietà per semplificare le nostre formole: assumiamo quindi per congruenza [4,] quella (e ciò è sempre possibile) che sodisfa alla relazione 6, _B Vi Y2 == 0° (5) dove indichiamo con o il valore comune di questi rapporti. Dalle (3) (4) abbiamo allora una relazione della forma dE @) = mt 0). Delle condizioni di integrabilità del sistema (2) (2,), una è già sodi- sfatta per la (4), le altre due sono del tipo DI DT i ) pil “on E25o Da queste e dalla (3) ricaviamo allora e+To=0. Per questa le condizioni di integrabilità del sistema (1) (cioè le (2), (3) e la (4) o la equivalente (2,)) si scrivono D) a de Luo 304 (me) =0, ds] Yi de Q (6) + ye(20 — 30) += (u. — v.0)=0, ds Ù) de 3 E ia a (0), ai ta cone Zola do do (1) Introducendo il simbolo 0, 4 assume la forma: &=y ae IO, e ab POI VIa ea biamo allora A7=y2 wrap Vi wi A&G= Ao — 9 d. Nelle formole seguenti abbiamo posto: su do Q dn ta ( do d Quoa ste (53, coi +4) un en +4) dss De. ag d6 Vi aida ’ = YA 00 e da cui SE TTTTTIE —, 1 ld 1{1{[1{1{12t1t@ dae e _ zi) — 336 — Queste, poichè le [Z,] [=] non sono più arbitrarie, non contengono elementi indipendenti dalla [4] e sono quindi le condizioni cercate. Così il nostro problema analitico è risolto. Come dicemmo, non riesce però facile di dare nel caso generale una forma semplice e una semplice interpretazione geometrica alle (6). Questo ci riuscirà invece nei casi a cui abbiamo accennato. 3. Il primo caso è il più semplice di tutti (!). La geodeticità della [4] è caratterizzata dall’annullarsi simultaneo degli invarianti y,, ya. Le (1) allora diventano (omessa l’ultima che può sempre esser sodisfatta per un conveniente valore di T). Queste mostrano che le congruenze [4,] [4:] giacciono sulle super- ficie U= cost. La [4] adunque riesce normale a tali superficie. E poichè le U=-cost. sono le superficie equipotenziali, ne viene che le traiettorie dal punto mobile, coincidono con le linee di forza. 4. Un caso che presenta alcune analogie col precedente, è quello in in cui la velocità (e quindi la forza viva) sia costante lungo le traiettorie del punto. Lungo queste allora (ricorda le (1), oppure l'integrale delle forze vive) sarà anche costante il potenziale: cioè il punto si muove sopra le superficie equipotenziali. Poichè la forza è normale a queste superficie, potremo considerare il punto come non sollecitato da forze, ma sottoposto al legame di dover rima- nere sopra una superficie data (equipotenziale). Esso percorrerà quindi una geodetica di questa. La sua velocità dovrà essere inoltre costante, rispetto al movimento. Se indichiamo con [ 4, ] la congruenza ortogonale alle superficie equipotenziali, che riuscirà per ciò che si è detto, normale principale alla [4], sarà (?) y:=0, yy=c, e curvatura della [A]. Avremo per le (1) IDU COSI =T, e perchè T sia costante durante il movimento (0) 3 (1) Esso venne escluso dalla trattazione generale, insieme col caso delle congruenze normali, perchè nelle posizioni della pagina precedente figurano come divisori quantità che si annullano in tali casi. (2) Confr. la mia Memoria Sulla teoria delle congruenze di curve, ecc. Annali di Matematica. S. III, T..VI @eeiar ee d$3 DIS ds d$3 cioè (1) a 0g € dS$3 ZIA che indicando con 0 =: il raggio di curvatura della [4], assume la forma che le abbiamo data nella introduzione. 5. Veniamo al caso delle congruenze normali (non geodetiche, A=0, C+ 0) e supponiamo ancora la [4, ] normale principale alla [X](y1=c,y:=0). Le (1) si scrivono (1°) == , —=0 , n= Insieme con queste varrà ancora la (3). Postovi A=0 , y;=c , yx=0; SE REATI essa sì scriverà (?) dS2 —=0. Da questa e dalle (1’) abbiamo dO(T—- U) ds DSi ae) d$3 Gu (7) d 7 0. Quindi: o T—U è costante in tutto lo spazio, e si avrà anche per le (1') dll Di log. Te (8) ds ma BIS no oppure la congruenza [Z,] è anch'essa normale, e T—U è un parametro delle superticie ortogonali ad essa. (1) Fra le derivate seconde di una funzione passa la relazione (condizione di inte- grabilità) d QU d dU QU POSSE UA QU. dS1 dS3 dss ds sir2ha d sa ni 0 e che nel nostro caso (per le (1)) assume la forma = 7131 d Sa dS1 ds1 ; (2) Per la nota relazione simbolica y12 — y:1="0 (v. p. e. Nota citata), si ha nel nostro caso de ili Sl d Sa Lit d8s +4AH=0. Per questa il coefficiente d' nella (3) si annulla. —- 338 — Nel primo caso, indichiamo con @(x,, 42,43) = cost., l'equazione delle superficie ortogonali alla [4]. E noto allora (*) che le linee lungo cui si intersecano le superficie a = cost., con le A@= cost., riescono binormali 1 alla [4], costituiscono cioè la [4]. Ed è moto pure che si ha è log Ae d log Aa 1 1 dI (9) DSi agli > ds == (0) Da queste e dalle (8) d(log T — 2 log Ae) dI (log T —2log Ae) IE SE 3° ogta DSi o DS: Queste ci mostrano che log T — 2 log Ae e quindi si è costante sulle 1 (Aa) 1 superficie ortogonali alla [4] cioè sulle a = cost.: ne sarà adunque un para- metro. Potremo indicarlo con f(@), e sarà Trri(Aa)}/(0); Per la osservazione precedente, U.= T + C.da cui U= (40)? /(@) +0 dove C rappresenta una costante assoluta. 6. Consideriamo il secondo caso. La [ 4, ] è normale, sia 8 = cost. l'equa- zione delle superficie ortogonali alla [4,]: T— U è un parametro di queste, che potremo identificare con f INU—=pE Per la prima delle (9), la prima delle (1’) si scrive uo o, ds Aa ds od anche | DICLU vi UIGE DEI as(40) ‘enna Gal La nb o la GR sono funzioni soltanto di @ e f. Invero dalla (40° (Aa) I (1) Cfr. Memoria citata, pag. 34. — 339 — seconda delle (1) e dalla seconda delle (9) si trae che U e A@ sono costanti 1 lungo la [4], sono cioè funzioni soltanto dei parametri (a e #8) delle su- perficie che si intersecano lungo la [4:]. Sarà perciò (') dea. Vi Qi È (Ae) D:) (Ae) e integrando per parti U=—#+ (Ao) | + (Ae) f. La / rappresenta la costante rispetto a $# relativa all’ integrale del secondo membro: essa perciò non deve contener 8: ma poichè U è funzione solo di @ e f#, essa riuscirà funzione di @ soltanto. 7. Per esaurire la nostra ricerca, procuriamo di determinare tutte le [4] che sodisfanno alla doppia condizione di esser normali e inviluppare con le loro normali principali una congruenza normale. Indicando ancora con @ e f i parametri delle superficie ortogonali alla [4] e alla sua normale principale, dovrà valere la relazione (10) V(e,8)=0 (con che le # = cost. riescono ortogonali alle a= cost.), e valere inoltre la dA 1 ds cipali rispetto alla [Z]); A@ è perciò funzione solo di @ e f#, o ciò che è 1 =0 (con che le linee ortogonali alle 8 = cost. riescono normali prin- lo stesso 8 è funzione di « e Aa soltanto. Tenendo conto di ciò la (10) si scrive (2) 3À (A@ lato V(«, Ae)=0. (3) In generale si avrà dSs1 da dsl dR ds1i 5 da dE dB SF Ma si ha —_=0, 0, per cul —: —= =. ds1 So, P Òs1 ds: h) 1 (£) Vi(e., p)=Zra@B.=%r al) GC CRISI db a (Ad = d — ir 09) Gogna Bs ao LINO ar al (Ac); Sr no — dA@ Ve, A©) È — 340 — Perchè questa sia integrabile è necessario e sufficiente che si abbia V(a, Ao) (AME 1 Ad ogni integrale di questa ultima corrisponderà adunque una con- gruenza del tipo cercato. Fisica. — Sensibilità del ferro alle onde elettriche nell’iste- resi magneto-elastica. Nota di A. SELLA, presentata dal Socio BLASERNA. Rutherford mostrava nel 1897 (Phil. Trans. of the Roy. Soc. of London, 189) che fili sottili di acciaio magnetizzati a saturazione possono costituire un rivelatore sensibile di onde elettriche, poichè essi sì smagnetizzano par- zialmente, quando le onde vengano fatte passare sia in un avvolgimento so- lenoidale intorno al filo, sia longitudinalmente per il-filo stesso. Marconi ha recentemente mostrato (Proc. Roy. Soc. London, 1902) che una variazione della magnetizzazione di un filo di ferro ha sempre luogo sotto l’azione di onde elettriche condotte intorno ad esso, mentre il filo per- corre un ciclo magnetico sotto l'azione di un campo esterno variabile ed in generale in un punto qualunque di questo ciclo. La brusca variazione di energia magnetica del filo prodotta dall'onda viene accusata da un telefono in serie con un avvolgimento intorno al filo di ferro. Con questa doppia e radicale modificazione, il dezeetor magnetico è diventato nelle mani del Marconi, come è noto, un apparecchio di grande sensibilità. Era naturale il pensare che questa sensibilità di un filo di ferro alle onde elettriche si dovesse ritrovare quando l’isteresi magnetica fosse gene- rata invece che da un cambiamento del campo esterno, da un altro pro- cesso, come per esempio da una deformazione elastica. E si riesce infatti molto facilmente a dimostrare che le cose stanno così. Un fascio di fili di ferro saldati insieme alle due estremità è infilato in un tubo di vetro, intorno a cui sono disposti due avvolgimenti di filo di rame sottile; di cui l'uno è destinato ad accogliere il passaggio delle onde elettriche, mentre l’altro è chiuso su di un telefono. Se ora il fascio è stato previamente magnetizzato c lo si sottopone ad un processo di torsione al- ternativamente da una parte e dall'altra, esso è molto sensibile in queste condizioni ad onde elettriche lanciate nel primo avvolgimento. L'isteresi magneto-elastica per torsione è un fenomeno molto complesso ed anche la sensibilità alle onde elettriche del filo di ferro dipende forte- mente dalle sue condizioni momentanee e dalla sua storia precedente, sia magnetica, sia elastica. i — Sdl — Gli stessi fatti si osservano se il fascio di fili, posto in un campo ma- gnetico, viene alternativamente stirato sino ad un certo punto e poi allen- tato; ossia nel caso di isteresi magnetica per trazione. Le osservazioni riferite dimostrano che la sensibilità magnetica del ferro alle onde elettriche nelle condizioni enunciate dal Rutherford e dal Marconi si ritrova in generale, ogni qual volta entra in giuoco un fenomeno di isteresi, qualunque poi sia il processo adoperato. Fisica. — Variazione dell'attrito interno dei liquidi magnetici in campo magnetico (!). Nota di CAmILLO CARPINI, presentata dal Socio P. BLASERNA. 1. Le esperienze di Walter Konig nel 1885 (?) misero in luce la indi- pendenza dell’attrito interno dei liquidi coibenti dal campo elettrostatico, e la indipendenza dell'attrito interno dei liquidi magnetici dal campo magne- tico. Mentre per i liquidi coibenti non mancarono ulteriori ricerche, come quelle del Quincke (3), del Duff (4), del Pacher e Sozzani (°), le quali condus- sero a risultati contradittorî, mancano invece del tutto per i liquidi magne- tici, se si eccettuano le brevi ricerche del Konig sul solfato di manganese. Mi è sembrato quindi interessante eseguire una serie di esperienze su diversi liquidi magnetici, per porre in luce la dipendenza od indipendenza dell'attrito interno dal campo magnetico. Il metodo adoperato fu di far scorrere il liquido attraverso ad un ca- pillare, e di vedere se esistesse o no una variazione nel tempo necessario per il passaggio di una certa quantità di liquido attraverso al capillare quando questo si trovava in un campo magnetico, e quando invece il campo non esisteva. 2. Mi sono a tale scopo servito del seguente apparecchio: Un tubo AB di diametro interno eguale a mm. 10,5, e lungo cm. 34, aveva due strozzature capillari A e B, distanti cm. 16. Nella parte inferiore era saldato con un tubo capillare ad 2, lungo cm. 17, e del diametro in- terno di mm. 0,6. Simmetricamente al primo tubo se ne aveva un altro senza strozzature. Tale apparecchio si trovava entro un grande recipiente ci- lindrico 4, della capacità di litri 32, che aveva nel fondo un prolungamento a scatola di ottone molto schiacciata, e precisamente con le due pareti di- stanti mm. 15. In questa parte del recipiente penetrava il tubo capillare 7; si regolava l'altezza dell'intero tubo in guisa che il tratto orizzontale fosse situato fra le espansioni polari di una elettro-calamita Ruhmkorff D. Tali (!) Lavoro eseguito nell’Istituto Fisico della I. Università di Roma. (2) Wied. Anu., 25, pag. 624, 1885. (3) Ibid. 62 pas (4) The Physical Review, pag. 23, 1896. (5) Nuovo Cimento, II, pag. 290, 1900. RenpICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 45 — 342 — espansioni erano state tagliate a forma lineare in guisa da concentrare il campo lungo una linea; la lunghezza di tali espansioni era minore del tratto orizzontale del tubo capillare, dimodochè di questo ultimo solo il tratto di mezzo era immerso nel campo magnetico, che poteva ritenersi uniforme. F Il liquido passava dal tubo di sinistra in quello di destra per effetto della pressione esercitata su esso dall'aria di un recipiente G, compressa da una colonna liquida costituita dall'acqua contenuta nel tubo di gomma e nel recipiente Z situato ad un livello superiore. Il recipiente Z era pieno di acqua, che durante le esperienze veniva continuamente e lentamente agitata da un agitatore C. Attraverso alla finestra di vetro M si poteva vedere il tubo 45, ed un termometro pronto e sensi- bile, che dava il decimo di grado, segnava l'andamento della temperatura. Poichè questa ha una grande influenza sulla durata del deflusso, le espe- rienze si facevano in una camera chiusa e solo nelle ore in cui si avevano le più piccole variazioni di temperatura. 3. Ecco come eran condotte: Dopo aver sollevato il liquido al di sopra del segno A, allo scopo di partire sempre dalla stessa pressione iniziale, si poneva il recipiente Z sullo stesso piano di G, fino a che l’acqua avesse in entrambi lo stesso livello; poscia si sollevava Z ad una altezza determinata, e si stabiliva con il rubinetto x la comunicazione di G con il ramo AB del tubo; contemporaneamente si apriva anche il rubinetto s. Il liquido cominciava allora a fluire; si osser- vava l'istante in cui il menisco passava per il segno A, notando il tempo — 343 — con un buon cronometro, che batteva il mezzo secondo; si osservava poscia l'altro passaggio al punto 2, ottenendo così dalla differenza la durata di passaggio di una determinata quantità di liquido. Si ripetevan poscia le stesse operazioni avendo prima lanciata la cor- rente nell’elettro-calamita. Durante il tempo del passaggio del liquido si sorvegliava l’andamento della temperatura, che nelle ultime esperienze deci- sive variò a meno di un decimo di grado. La corrente dell’elettro-calamita era fornita da 10-12 accumulatori, con una intensità variabile da 9 a 10 Ampère; l'intensità del campo magnetico variava da 6000 ad 8000 U. As. 4. Ho sperimentato sui seguenti liquidi: cloruro ferrico, solfato manga- noso, solfato ferroso, solfato di nikel. Ho creduto opportuno aggiungere anche il ferro dializzato, sebbene debolmente magnetico, per vedere se il fenomeno Majorana della birifrangenza magnetica (') fosse collegato all’attrito interno, quantunque il campione da me adoperato, di preparazione recente, non pre- sentasse la birifrangenza in modo spiccato. Ho avuto i seguenti risultati: Liquido Densità Senza campo Con campo Differenza Temp. Durata Temp. Durata Cloruro ferrico . . . . 1,281 199,05 22' 346 | 199,06 290171 + 37,4 Solfato manganoso . . . 1,250 19,59 1955 19 ,61 19 56,2 +15 PIMIBTCLT:O SO TING 19 ,45 13 39 19 ,45 31395 + 0,5 enel e ALA 20 ,05 18 57 20 ,05 TO RINA2 +4 ,2 Herto dializzato .. °°. 1,081 18,78 18 29 18,80 1828 4 — 0 ,6 Dalla precedente tabella risulta che, ad eccezione del ferro dializzato, la durata di deflusso è più grande quando esiste il campo magnetico. Per vedere se tale variazione del tempo è dovuta ad una variazione dell'attrito interno dobbiamo tener conto di alcune cause di errore. Il leggiero aumento di temperatura, avutosi con il campo, produrrebbe una diminuzione di tempo, anzichè un aumento, sulla durata del deflusso. Tale aumento di temperatura produce però una dilatazione del volume AB; ho calcolato che nel mio caso un decimo di grado produrrebbe una variazione di volume di cm8 0,00004; il che importerebbe un aumento di secondi 0,00003. La inevitabile dissimetria del campo magnetico, nelle due parti del tubo, influisce sulla durata del deflusso perchè produce una pressione. Una differenza di H unità assolute, tra i valori del campo nei due rami del tubo, produrrebbe una pressione data da: MU — Mo O gui in cui h è la pressione in centimetri del liquido studiato, o la sua densità, (1) Rend. Acc. Lincei, 1902. (2) Drude, Physik des Aethers. pag. 146. — 344 — u e uo le costanti di permeabilità del liquido e dell’aria. Ho calcolato che con il cloruro ferrico, di densità o = 1,5 e permeabilità u = 14- 7,5. 1074 una pressione di cm. 0,15 sarebbe prodotta da una differenza del campo di 1686 unità assolute; tale differenza importerebbe una variazione di 4” sulla durata del deflusso. Si vede da ciò che l'influenza della dissimetria, che effettivamente si poteva avere, era del tutto trascurabile. Le precedenti cause di errore influiscono così poco nella durata del deflusso, che il piccolo aumento avutosi con il campo non può ascriversi ad esse. Dobbiamo però tener conto del fatto che essendo il liquido conduttore, succede l’effetto Foucault; allo scopo di scindere un tale effetto dal supposto effetto magnetico mi preparai una soluzione di nitrato di potassio, che avesse la stessa conduttività della soluzione di solfato di manganese adoperata: le esperienze eseguite con questa soluzione danno il seguente risultato: Senza campo Con campo Temp. Durata Temp. Durata 219,70 10' 245,5 21°,73 DOZZA L'aumento nel tempo di 2,5 è pressochè eguale a quello ottenuto con il solfato di manganese, la cui costante di permeabilità è assai più grande di quella del nitrato di potassio: da questo fatto, e dall’esser tale aumento pressochè nullo per il ferro dializzato, che non è certamente tra i migliori conduttori, rende probabile l'ipotesi che l'aumento di tempo avutosi con il campo sia esclusivamente dovuto all'effetto Foucault, e che l'attrito interno dei liquidi magnetici sia indipendente dal campo magnetico. Chimica. — Sopra è nitropirroli ('). Nota di AnceLoO ANGELI e Francesco AnGELICO, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Il pirrolo, l’indolo ed i suoi omologhi vengono, come è noto, nella mag- gior parte dei casi facilmente e profondamente decomposti dall’acido nitrico e perciò i pochi nitroderivati di questa serie che finora si conoscono vennero in gran parte preparati per via indiretta, facendo reagire cioè l’acido nitrico sopra i pirroli sostituiti con radicali negativi quali l'acetile ed il carbos- sile (2). I derivati binitrici sono quelli che si formano di preferenza. Per la preparazione dei nitropirroli e sopratutto dei mononitroderivati era quindi necessario abbandonare l'antico metodo di nitrazione diretta per (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di Chimica farmaceutica della R. Università di Palermo. (2) Ciamician, Il pirrolo ed i suoi derivati. Roma, 1888. — 345 — mezzo dell'acido nitrico (che nelle altre serie e specialmente nell’aromatica è d'impiego generale) e ricorrere a nuove reazioni ed a nuovi artifizi. A tale scopo ancora lo scorso anno noi abbiamo iniziata una serie di esperienze, giovandoci del nuovo metodo di nitrazione che ha permesso ad uno di noi(') di preparare i sali dell'acido nitroidrossilamminico. Come è noto, questo metodo consiste nel far reagire invece dell’acido nitrico libero il nitrato di etile in presenza di etilato sodico ovvero di sodio metallico. La reazione procede netta, a bassa temperatura, e permette di ottenere in- vece dei nitroderivati liberi i sali sodici dei corrispondenti acidi nitronici, i quali molte volte sono di gran lunga più stabili. Per tale trattamento il pirrolo, come lo scorso anno abbiamo accennato in questi Rendiconti (?), fornisce un composto il quale con tutta probabilità è da considerarsi come il sale sodico dell'acido pirrolnitronico : CH—C:NO;H li CH CH 4 N Le numerose esperienze che noi abbiamo in seguito fatte ci hanno ben presto dimostrato che la nuova reazione è di indole generale e che si applica egualmente bene anche agli indoli. Facciamo però notare che noi finora ab- biamo preso in esame solamente pirroli ed indoli che hanno libero almeno un atomo di idrogeno in posizione #; ulteriori ricerche ci dimostreranno se tale comportamento sia comune anche a quei pirroli ed indoli che abbiano liberi solamente atomi di idrogeno in posizione @. Trattandosi di una reazione nuova e che conduce a composti dotati di caratteri speciali, era dapprima necessario stabilire se i prodotti che per tale mezzo si ottengono siano da considerarsi come veri nitroderivati, iden- tici cioè a quelli che finora vennero esclusivamente preparati per diretta azione dell'acido nitrico. Come termine di studio noi abbiamo giudicato opportuno dare la prefe- renza all'a-metilindolo (metilchetolo) : CH AN Odi 0. CH; NA NH Per azione del nitrato di etile in presenza di sodio metallico (in solu- zione eterea) questa sostanza fornisce, con rendimento di circa il 50°, il (1) Angeli, questi Rendiconti, anno 1896, 1° sem., pag. 120. (2) Questi Rendiconti, anno 1902, 2° sem., pag. 16. — 346 — sale sodico di un acido nitronico, al quale con grande probabilità spetta la struttura : C:N0,H AN OH, C..CH, NZ N l'acido cristallizza in grandi squame gialle che presentano bellissimi riflessi metallici di color violetto ed è identico al prodotto che noi abbiamo prepa- rato due anni or sono ossidando con permanganato, in soluzione alcalina, il nitroso-a-metilindolo da noi scoperto: C:NOH C:N0.H ADS AN, CsH,. C ° CH; + O _- CsH, C . CH; NA 4 Per trattamento con poco acido nitrico (diluito con molto acido acetico glaciale) fornisce un dinitrocomposto che a sua volta è identico con il di- nitrometilindolo, ottenuto molti anni addietro da Zatti facendo reagire l'acido nitrico fumante sopra l’a-metilindolo. L'identità di questi prodotti, ottenuti per diverse vie e per mezzo di reazioni completamente diverse, dimostra che le sostanze che si preparano col nitrato di etile sono da considararsi come veri nitrocomposti. Il seguente schema illustra meglio i passaggi che riuscimmo ad effettuare : — > nitrosometilindolo a-metilindolo |—> nitrometilindolo I —> dinitrometilindolo Senza dubbio saranno possibili anche le trasformazioni reciproche, ma non ce ne siamo occupati giacchè queste per noi presentavano un interesse secondario. Al prodotto ottenuto dal metilchetolo sarà perciò da assegnarsi la formola : C:NO.H N OH, NC ICHS NÉ — 347 — ovvero la tautomera: C.NO, AN CHO CH,E DA NH ed al dinitrometilindolo di Zatti spetta la struttura: C.NO, AN CsH3(N0) C ° CHz 6 NH oppure la forma tautomera (acido nitronico). I sali di questi mononitroderivati, per azione dei ioduri alcoolici, forni- scono con tutta facilità i corrispondenti eteri, i quali sono sostanze molto stabili e per lo più caratterizzate per la tendenza a fornire bellissimi cri- stalli. Ulteriori ricerche ci permetteranno di stabilire quale delle due forme sia da assegnarsi p. e. all’etere che si ottiene dal nitrometilindolo: C:NO,.R C.NO, 79 ZN CRCR ovvero O; Had CH 7 N NR Come risulta dalle nostre ricerche precedenti, finora ci è stato possi- bile di preparare i nitrosoderivati solamente da quei pirroli ed indoli che hanno libero un atomo di idrogeno in posizione #, e molto probabilmente la stessa regola vale anche per il caso dei nitrocomposti. I fenoli, come è noto, possono fornire gli ortonitrosocomposti come pure i paraderivati, ed a qnesto riguardo faremo osservare che i f-nitrosopirroli corrispondono agli ortonitrosofenoli, scoperti da Adolfo von Baeyer: — CH — C: NOH I | TR Vi INTO) | I OH O fenolo o-nitrosofenolo — CH — C:NOH I | O, IA 219) | I — NH IN pirrolo 6 nitrosopirrolo — 848 — Quello che imprime l'analogia fra i fenoli ed i pirroli è l'ossidrile da una parte e l’immino dall'altra; la sola differenza risiede nel fatto che nei pirroli una valenza dell'azoto concorre alla formazione dell'anello chiuso. Da ciò ne segue che nel caso dei pirroli non sono possibili nitrosoderivati pa- ragonabili ai paranitrosofenoli. T Il metodo di nitrazione per mezzo del nitrato di etile da noi proposto, e che ci ha permesso di unire azoto ad azoto come nel caso dell'acido ni- troidrossilamminico : NO; . 00:H; + H.N.OH= H;N;0; + C;H; . OH oppure azoto a carbonio come nelle reazioni descritte nella presente Nota: NO, . 0C.H; + CH,R, == NO, ° CHR, + (038 Be OH presenta una grande rassomiglianza con la celebre reazione di Claisen per saldare carbonio a carbonio: 7 R.C0.0C,H; + CH.R.= R.CO.CH.R, + C.H;.O0H. Gli eteri dell'acido nitrico reagiscono quindi in modo analogo agli eteri degli acidi carbossilici. Nella Gazzetta Chimica Italiana faremo a suo tempo seguire la descri- zione delle esperienze che si riferiscono al presente lavoro. Chimica. — Nuove ricerche sulle soluzioni solide e sull’iso- morfismo. Nota di G. Bruni e M. PADOA, presentata dal Socio G. CrA- MICIAN. In un lavoro presentato nel 1900 alla Accademia delle Scienze di Am- sterdam (*), ma venuto a nostra conoscenza solo pochi mesi or sono (?) C. van Eyk ha constatato che il joduro talloso può dare cristalli misti col nitrato corrispondente. Sciogliendo il joduro (che fonde a 422°) nel nitrato che fonde a 206° si ha un innalzamento del punto di congelamento fino dalle più basse concentrazioni; i cristalli misti formano due serie: gli uni corrispondenti alla forma del nitrato, gli altri a quella del joduro. (1) Versl. Kon. Ak. Wet. Amsterdam, IX, 44-46 (1900). (2) Zeitschr. f. physik. Chemie 4/7, 750, Ref. Un sunto publicato nei Wiedemann's Beiblitter 1900, pag. 1266, è per la estrema brevità e per i grossolani errori di stampa, assolutamente incomprensibile. — 349 — D'altra parte per cortese privata comunicazione del nostro amico prof. F. Ga- relli, ci era già anteriormente noto come sino dal 1900 egli e Calzolari aves- sero osservato che sciogliendo bromuro e joduro potassico nel salnitro fuso sì hanno fenomeni del tutto analoghi a quelli sopra accennati. In questi casì si tratta evidentemente di isodimorfismo; casì di isomor- fismo puro e semplice fra nitrati e joduri, bromuri o cloruri inorganici non sono finora noti. Nella letteratura cristallografica, abbiamo riscontrato però un bel caso di isomorfismo fra bromuro e nitrato di un ammonio quaternario organico. Beckenkamp (!) misurando i cristalli del bromuro e del nitrato di p. nitrofeniltrimetilammonio, trovò che essì sono geometricamente isomorti: NO; . C;H, . N(CH3)3. NO;:rombico; a:db:e = 0,8295:1:0,5196, NO, . CN, . N(CH3); . Br: ” » = 0,8660:1:0,5861. Anche l'abito esterno dei cristalli e tutti i valori angolari si corrispondono in modo assai soddisfacente. Apparisce ora assai interessante di esaminare le forme cristalline del maggior numero di sali corrispondenti analoghi, e noi siamo ora occupati nella preparazione di un gran numero di nitrati di am- monii quaternarii che per la massima parte non sono noti, allo scopo di sot- toporli ad un esame cristallografico in confronto coi rispettivi joduri. La conoscenza dei fatti sopraesposti ci indusse a ricercare se fenomeni di isomorfismo e di formazione di cristalli misti potessero verificarsi anche fra composti organici che contenessero da un lato un atomo di cloro, bromo o Jodio e dall'altro il residuo nitrico NO,. Riferiamo qui brevemente i primi risultati ottenuti nelle ricerche a questo proposito intraprese, il cui resoconto dettagliato sarà più tardi pubblicato nella Gazzetta chimica italiana. Abbiamo anzitutto ricercato se nella letteratura cristallografica sì tro- vassero casi di isomorfismo o di relazioni morfotropiche fra nitroderivati e i composti alogenati corrispondenti. Diamo qui alcuni esempî, nei quali queste relazioni cristallografiche risultano più evidenti: CREDIMI 00100101 Biclorocanfora (2): rombico; 0,8074:1:0,5448 77,50" 57,50 Clorobromocanfora (?) » 0,8040:1:0,5228 77,36 DOLL? Bibromocanfora (2) (8) =» 0,7925:1:0,5143 76,47 54,26 Cloronitrocanfora (*) ” 0,7463:1:0,4971 13428 52522 Bromonitrocanfora (2) (*) » ——0,7390:1:0,4757 72,55 00,53. (1) Zeitschr. f. Krystallographie, 23, 604-605. (2) Cazeneuve e Morel, Bull. Soc. chim., 44, 161 segg. (3) V. Zepharowich, Sitzb. Akad. Wien, 83, 53; 85, 141; 21 107. Cfr. Negri, Ri- vista di cristall. e miner.. IX, 37-88. RenpICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 46 — 350 — 0) dn De Acido #. bromomesitilenico (!): monoclino; 1,1932:1:0,7599;f#= 108,57" Acido $. nitromesitilenico (!) ” 1 1L747410,81316 110,5. Trinitromesitilene (*): triclino; a:0:e = 1,0081:1:0,4958; a= 84.21 ; AMOS DIOSSEIMIOZIOLI 1685348 Tribromomesitilene (3): triclino; a:d:c=0,5798:1:0,4942; a = 83,19’; IMMETTONO ERO 010 163228 m. Dinitrobenzolo (‘):rombico; a:d:e = 0,5302:1:0,2855 m. Cloronitrobenzolo (5): » @a:0:!/2c=0,4975:1:0,2804 m. Bromonitrobenzolo (*): » @a:d:!/-e=0,4957:1:0,2774 Anche in varî altri casi si hanno relazioni morfotropiche per quanto non così spiccate. Dopo essersi così accertati che fra derivati alogenati e nitrici, possa sussistere anche l'isomorfismo cristallografico dovevamo ricercare se essi siano in generale capaci di dare cristalli misti, poichè solo per questa via sì può arrivare a conclusioni definitive; la misura cristallografica può essere decisiva solo quando conduca a risultati affermativi, mentre l'assenza di rela- zioni nella forma cristallina non può mai escludere la presenza di casi di isodimorfismo e la possibilità di dare cristalli misti. Noi abbiamo quindi eseguito una serie di determinazioni crioscopiche con derivati aromatici alogenati e nitrici da cui come risultati generali, pos- siamo trarre le conclusioni seguenti : 1) Sciogliendo i nitroderivati nei cloro —, bromo — e jododerivati cor- rispondenti, si ha in generale formazione di soluzione solida caratterizzata da una anomalia assai spiccata. 2) Sciogliendo invece inversamente i derivati alogenati nei rispettivi nitrocomposti si hanno, valori assai debolmente anormali o normali addi- rittura. Si deve notare che i nitroderivati fondono tutti a temperatura notevol- mente più elevata dei composti alogenati corrispondenti, ciò che deve — come sempre — contribuire a rendere più spiccate le anomalie crioscopiche nel caso 1) e meno spiccate nel caso 2). (1) Calderon, Zeitschr. f. Krystallographie, IV, 235 segg. (2) Friedlinder, Zeitschr. f. Kryst. ILL, 169. Cfr. Negri, 1. c. 48-49. (3) Henniges, Zeitschr. f. Kryst. VII, 524. (4) Bodewig, Pogg. Ann. 158, 241. (9) Bodewig, Zeitschr. f. Kryst. I, 587. — 351 — Ecco ora i risultati delle singole esperienze : I. — Derivati monosostituiti del benzolo. Concentrazioni Abbassamenti termometrici Pesi molecolari Clorobenzolo in nitrobenzolo (p. fus. + 5°, K = 70) CEECIET:10255 1,072 0,67 112 1,827 1.125 113 3.061 1,82 118 Bromobenzolo in nitrobenzolo C,H-Br=157 1,368 1.56 171 9.965 1.16 179 5,011 i 1,97 178 Jodiobenzolo in nitrobenzolo Cari = 204 1,320 0,425 217 2,361 0,81 204 4,205 1,39 911 1,397 0,47 208 3,571 1,18 911 6,026 1,92 220 Nessuno dei composti di questa serie è accessibile alle misure cristallo- grafiche a causa del bassissimo punto di fusione, e per la stessa ragione nessuno dei composti alogenati si presta ad essere usato come solvente. II. — Derivati bisostituiti del benzolo. Concentrazioni Abbassamenti termometrici Pesi molecolari p. cloronitrobenzolo (p. fus. 83°) in p. biclorobenzolo (p. fus. 53°, K = 74,8) CeH_4O3NC1 i TOT05 1,080 0,34 237 2,141 0,69 232 3,065 0,94 234 — 352 — p. bromonitrobenzolo (p. fus. 126°) in p. bibromobenzolo (p. fus. 89°, K= 124) Concentrazioni Abbassamenti termometrici Pesi molecolari C;H,0,NBr = 202 0,772 0,175 547 1621 0,40 503 2,556 0,635 499 L'anomalìa è qui delle più spiccate. Per la seconda coppia di sostanze abbiamo anche tentato di eseguire una determinazione quantitativa col me- todo di van Bijlert impiegando come terza sostanza il fenolo. Quest’ ultimo veniva dosato volumetricamente col metodo di Kùster; il nitroderivato veniva dosato mediante una determinazione d'azoto col metodo di Dumas. Partimmo da una soluzione contenente circa 10 °/, di bromonitrobenzolo ed altrettanto di fenolo; i metodi analitici impiegati e sopratutto la deter- minazione d'azoto non presentano una sensibilità sufficiente per ottenere il valore del coefficiente di ripartizione in modo abbastanza esatto per poterlo impiegare nella correzione dei pesi molecolari; dai risultati ottenuti tuttavia sicuro ed evidente la formazione di cristalli misti. La forma cristallina di queste sostanze venne studiata da parecchi autori: il p.biclorobenzolo ed il p.bibromobenzolo sono fra loro isomorfi, e così pure il p.cloronitrobenzolo e il p.bromonitrobenzolo; fra le due serie non esistono però relazioni cristallografiche molto spiccate ed anche il p.dinitrobenzolo mostra una forma cristallina che si scosta notevolmente da quelle dei corpi suddetti : G8039G= = p.Biclorobenzolo (1): —monoclino; 2,5193 : 1: 1,3920 67,30! p.Bibromobenzolo (?) ” 2,6660:1:1,4179 67,22 p.Cloronitrobenzolo (8) ” 1,957 700112:03 97,11 p.Bromonitrobenzolo (3): > 109 0Ealenne OT p.Dinitrobenzolo (‘): ” 2,0383 : 1: 1,0432 92.18 Era nostra intenzione di eseguire misure crioscopiche anche sui derivati delle serie 07/0 e meta, ma da esperienze eseguite col meta-cloronitrobenzolo e cogli orto- e meta-bromonitrobenzolo ci risultò che tutti questi corpi sono asso- lutamente inadatti ad essere usati come solventi a causa delle eccessive sopra- fusioni che essi forniscono e della lentezza estrema colla quale cristallizzano. Tra i derivati della serie meta esistono notevoli relazioni morfotropiche che (!) Des Cloizeaux, Ann. chim. phys. [4], XV, 232, 255. (1) Boeris, Gazz. chim. ital. 1900, II, 131. (3) Fels, Zeitschr. f. Kryst. 32, 412. (4) Bodewig, Pogg. Ann. 158, 239-241. — 353 — noi abbiamo posto in rilievo più sopra; per quelli della serie 0rfo non si hanno misure. III. — Derivati monosostituiti del toluolo. Concentrazioni Abbassamenti termometrici Pesi molecolari p.Nitrotoluolo (p.fus. 54°) in p.bromotoluolo (p. fus. 28, K = 82) 0,967 0,47 169 2,045 0,97 173 2.965 1120) 172 p.Nitrotoluolo (p.fus. 54°) in p.jodotoluolo (p.fus. 34°, K = 100) 1,217 0.66 186 2,376 1,20 198 3,516 1,77 198 1,274 0,67 190 2.420 Io 208 3,537 1.72 205 Dei tre corpi studiati solamente il p.nitrotoluolo venne caratterizzato cristallograficamente. IV. — Derivati dell'acido benzoico. Concentrazioni Abbassamenti termometrici Pesi molecolari p. Nitrobenzoato metilico (p. fus. 96°) in p. bromobenzoato metilico (p.fus. 81°, K = 84) CsH70,N = 181 1,225 0,49 210 2,237 0,94 200 3,292 1,36 199 Speriamo di poter comunicare presto i risultati delle misure cristallo- grafiche di queste due sostanze. V. — Derivati della naftalina Concentrazioni Abbassamenti termometrici Pesi molecolari a. Bromonaftalina (p. fus. 5°) in «. nitronaftalina (p. fus. 61°, K= 91) C,oHosBr = 207 1,284 0.55 212 2,925 1.23 216 4,058 1,67 221 — 354 — Era nostra intenzione di ripetere l'esperienza invertendola e sciogliendo cioè la nitronaftalina nella bromonaftalina. Quest’ ultimo corpo presenta però la proprietà di dare soprafusioni così enormi e persistenti, che l'impiegarla come solvente crioscopico diventa assolutamente impossibile. Le misure cristallografiche non possono servire in questa serie perchè i derivati alogenati sono liquidi a temperatura ordinaria. Esperimentammo poi sui derivati nella serie f# sciogliendo la f.nitro- naftalina nei composti alogenati corrispondenti: Concentrazioni Abbassamenti termometrici Pesi molecolari B.Nitronaftalina (p.fus. 79°) in $.cloronaftalina (p.fus. 54°, K = 97,6) Ci0H30,N = 173 1,066 0:50 208 1,982 0,90 215 2,959 1,27 228 B.Nitronaftalina in f.bromonaftalina (p. fus. 59°, K = 124) 0,852 0.51 207 1,632 0,98 208 2,505 1,48 210 f.Nitronaftalina in f.jodionaftalina (p.fus. 54°, K = 150) 0,539 0,47 172 1,147 1,01 170 1,939 1.66 175 Il comportamento completamente normale della .nitronaftalina nella Jodionaftalina rappresenta la sola eccezione da noi trovata alle regole enun- ciate più sopra. Facciamo notare che la f.jodionaftalina per il suo punto di fusione si scosta dalle regolarità che si osservano in generale nei valori di tali costanti fisiche pei composti alogenati. Le misure cristallografiche mancano completamente in questa serie e noi ci proponiamo di farle eseguire. Noi abbiamo in corso altre esperienze su altre sostanze e completeremo quelle qui descritte, determinando completamente le curve di congelamento di alcune coppie di sostanze; i risultati dettagliati saranno esposti più tardi nella Gazzetta chimica, come pure tutti i dettagli relativi alla determina- zione delle costanti molecolari di abbassamento dei singoli solventi impie- gati qui per la prima volta. — 359 — Dai risultati ottenuti si può dedurre però in modo sicuro che fra gli atomi e gruppi isomorfogeni della I* serie (corpi organici) (!) agli alogeni ed al cianogeno deve essere aggiunto il residuo nitrico NO, il quale nei com- posti aromatici funziona in genere come isomorfogeno o come isodimorfogeno cogli alogeni. Mineralogia. — Sopra alcuni minerali del granito di Mon- torfano (*). Nota di E. Tacconi, presentata dal Socio G. STRUEVER. Mentre il granito di Baveno fu sempre ed è tuttora oggetto di accurate ricerche da parte dei mineralisti, tanto che si conosce una lunga serie di minerali trovati in quella località, la massa granitica di Montorfano, che pur dista di pochi chilometri da quella di Baveno, pare sia stata trascurata, poichè tutto quanto si conosce di sicuro sui minerali in essa contenuti, lo dobbiamo ad alcune brevi Note del prof. Striver, la più recente delle quali data dal 1871 (3). D'allora in poi nessuno, che io mi sappia, si è mai occu- pato in modo particolare dal punto di vista mineralogico di detto granito. Può nascere il dubbio che alcuni autori abbiano compreso sotto l’unica denominazione Bavezo, anche il giacimento di Montorfano, ma questa suppo- sizione sembrami poco probabile, perchè gli autori che effettivamente estesero le loro ricerche anche alla massa granitica di Montorfano distinsero le due località (es.: Barelli (4), Strilver (°), Jervis (5)). È bensì vero che nel granito di Montorfano non si trovano numerose quelle geodi, tappezzate da vistosi cristalli di quarzo e di feldispato, abba- stanza frequenti a Baveno, che invogliano anche i cavatori a raccoglierle ed a conservarle; ma ricercando. attentamente sulle superfici di litoclasi, piut- tosto comuni a Montorfano, dove la roccia assume carattere alquanto pegma- titico, non è raro trovare cristalli ben conformati di quarzo e di feldispato, (1) G. Bruni, Veber feste Lòsungen, Ahrene's Sammlung, pag. 40. (2) Lavoro eseguito nel Gabinetto mineralogico della R. Università di Pavia. (3) G. Striiver, Minerali dei graniti di Baveno e di Montorfano. Atti R. Acc. delle Scienze, Torino 1866, pag. 395; Sopra alcuni minerali italiani. Atti soprac. Torino 1867, pag. 123; Mote mineralogiche, Atti soprac. Torino 1871, pag. 368. (4) V. Barelli, Cenni di statistica mineralogica degli Stati di S. M. il Re di Sar- degna. Torino 1865. (3) G. Striiver, op. cit. (6) G. Jervis, / tesori sotterranei dell’Italia. Torino 1873. A pag. 188 della parte prima sono citati fra i minerali di Montorfano, oltre quelli trovati dallo Striiver, anche l’apatite e l’anfibolo. Ma siccome sopra questi minerali non si hanno altre notizie, nè anteriori nè posteriori, credo che tale presenza, come ben a proposito il prof. Artini dice per alcuni minerali di Baveno (Osservazioni sopra alcuni minerali del granito di Ba- veno. Questi Atti 1902, vol. XI, II), debba essere nuovamente confermata prima di po- terla ammettere con certezza. — 356 — spesso accompagnati da altri minerali. Ed appunto in una gita compiuta alle cave di Montorfano sullo scorcio del passato anno, fui tanto fortunato di raccogliere non soltanto campioni dei minerali già citati dal prof. Striver, ma di constatare anche la presenza di altre interessanti specie minerali, per cui mi sembra che il granito di Montorfano abbia ad acquistare nuova impor- tanza quale giacimento mineralogico. I minerali già conosciuti, oltre quelli costituenti la roccia sono i se- guenti: albite, laumontite, cabasite, stilbite, calcare, pirite, pirrotina ed arse- nopirite. A questi posso ora aggiungerne altri tra cui la gadolinite, la tor- malina e la fluorite. In questa breve Nota preventiva mi limiterò a riferire soltanto le più importanti osservazioni fatte, riserbandomi di dare una completa descrizione dei minerali di Montorfano a quando ulteriori ricerche, avranno messo a mia disposizione una maggior copia di materiale. Accenno innanzi tutto alla gadolzrite, della quale raccolsi un unico esem- plare costituito da un cristallo alquanto deformato, compreso in una massa quarzoso-feldispatica, dalla quale potei quasi completamente isolarlo con non poche difficoltà. Sulle faccie, contorte e striate, ha colore bruno-nero con lucentezza ten- dente alla metallica, mentre sulle fratture fresche il colore è verde-olivo ca- rico, con lucentezza tra la vitrea e la grassa. In complesso è freschissimo, solo si presenta alquanto alterato alla periferia. Data la piccolezza del campione, non potei eseguirne l’analisi chimica, e solo dovetti limitarmi a ricerche per le quali occorresse una piccolissima quantità di sostanza. Mediante un frammentino immerso nel liquido di Rohrbach, potei con- statarne l'elevato peso specifico, certamente superiore a 3,5, poichè il mine- rale precipitava rapidamente al fondo della provetta contenente il liquido di Rohrbach. In causa della mancanza di sfaldatura non si poterono avere buone la- mine per le osservazioni microscopiche, però facilmente sì potè constatare che la gadolinite di Montorfano è birifrangente biassica, con carattere ottico probabilmente positivo ed angolo degli assi ottici molto grande. I granuli non troppo piccoli hanno colore verde-olivo, quelli minutissimi sono legger- mente giallognoli od incolori; il pleocroismo è debolissimo. I frammentini di minerale alterato si presentano invece colorati nettamente in bruno-giallastro, anch' essi però con pleocroismo appena sensibile. Con un preparato in joduro di metilene osservai che gli indici di rifrazione del minerale erano in ogni frammentino notevolmente superiori a quelli del liquido (2 = 1,729 per luce rossa, 1,738 per luce verde. e 1,775 per luce azzurro-indaco a 15°(!); in un frammento pressochè nor- (1) Questi indici vennero determinati col metodo della deviazione minima per colori rosso, verde ed azzurro-indaco dati da un vetro di cobalto fortemente colorato. Re male ad un asse ottico potei constatare ciò esattamente: per 7,. Il po- tere rifrangente deve quindi essere assai elevato poichè, usando del me- todo di Schroeder van der Kolk('), non si osservò mai i bordi colorati in- torno ai granuli, indicanti che, almeno per uno dei colori dello spettro, vi ha coincidenza fra indici del minerale ed indice del liquido. Se ora si pone mente alla fortissima dispersione dello joduro di metilene si deve concludere che tutti gli indici di rifrazione del minerale sono per lo meno più elevati di 1,775. Ciò concorda coi dati di Levy-Lacroix (?) e di Rosenbusch (3), i + Mm 4% primi dei quali dànno per 7, ed il secondo per rr valore maggiore di 1,78. La parte di minerale alterata mostra caratteri alquanto diversi, special- mente la rifrangenza che è inferiore ai valori citati. Tutti i caratteri sopradetti concordano con quelli dei campioni di gado- linite esistenti nel Museo mineralogico dell’ Università di Pavia. Per assicurarmi maggiormente che il minerale in questione fosse gadoli- nite, ho creduto opportuno di tentare qualche prova microchimica, facendo saggi paralleli anche con gadolinite di Ytterby e di Fahlun, per la determi- nazione dell'ittrio, secondo le indicazioni di Haushofer (‘) e di Behrens (°). I risultati si mostrarono perfettamente concordi ed, in complesso, analoghi a quelli ottenuti con una soluzione molto diluita di nitrato d' ittrio. Da tutti i risultati ottenuti nelle suesposte ricerche, credo di non poter più dubitare nello stabilire che il minerale sia effettivamente gadolinite. Tormalina. — Si presenta in masserelle di color verde-cupo, bruno o nero, con lucentezza vitrea, comprese di preferenza in una massa feldispatica, accompagnata da quarzo, fluorite in piccola quantità, mica muscovite e clorite. Si osservano anche cristalli molto allungati secondo l’asse 2, senza termina- zione, compressi parallelamente all'allungamento, talvolta rotti o contorti, quasi avessero subìto una forte pressione. In causa di ciò e dall'essere i cristalli fortemente striati parallelamente agli spigoli del prisma, è impossibile alcuna misura geometrica. Il peso specifico di questa tormalina, che determinai colla bilancia di Westphal e una soluzione di joduro di metilene, è piuttosto elevato; la media di parecchie determinazioni risultò di 3,24 a 149. (1) Schroeder van der Kolk, Zadellen zur mikroskopischen Bestimmung der Mine- ralien nach ‘hrem Brechungsindea. Wiesbaden 1900. (2) Levy-Lacroix, Zes minéraux des roches, Parigi 1888, pag. 214. (8) H. Rosenbusch, Wulfstabellen zur mikroskopischen Mineralbestimmung. Stutt- gart 1888. (4) K. Haushofer, Mikroskopische Reactionen. Bransvich 1885. (>) H. Behrens, J/ikrokemischen Analysen. Amburgo e Lipsia 1895. RenpIcontI 1903, Vol. XII, 1° Sem. 47 — 358 — Al microscopio potei osservare il pleocroismo: «== bruno-chiaro fino a incoloro; = bleu sporco fino a bruno-cupo. Gli indici di rifrazione sono assai elevati; da osservazioni fatte a luce monocromatica (N,) ebbi: e= 1,633 circa (a monobromonaft. in miscela con essenza di can- nella — 14°) Nu; w-= 1,658 (monobromonaftalina — 14°) Nu. Per e i bordi colorati che si osservano a luce bianca col metodo di Schroeder van der Kolk, dimostrano che per uno dei colori dello spettro vi è identità di rifrazione fra liquido e minerale. Questo colore, come dimostra l'osservazione fatta a luce monocromatica, deve essere vicino al giallo. Fluorite. — È piuttosto rara ed accompagna generalmente la tormalina; sì presenta in piccoli cubi perfettamente incolori, oppure leggermente colorati in verde-bluastro od in giallognolo. I campioni dei minerali da me raccolti non sono certamente vistosi come quelli che si trovano a Baveno, però spero che anche a Montorfano si potranno raccogliere belli esemplari, ed a ciò sono portato dal fatto che rac- colsi in questa località uno splendido cristallo di feldispato, di dimensioni abbastanza ragguardevoli. I caratteri che ho potuto determinare (indici di rifrazione e specialmente la geminazione caratteristica e l'estinzione positiva di 15°) sopra parecchie lamine di sfaldatura secondo (001) le fanno riconoscere per microclino; però altre lamine presentano caratteri diversi, ma la profonda alterazione non mi permise di compiere altre ed esatte ricerche per la loro precisa e sicura determinazione; da ciò risulta però che si tratta di un accrescimento regolare di microclino con un altro feldispato. Il cristallo è un geminato tipico di Baveno, di colore perfettamente bianco, allungato secondo l'asse # e misura mm. 50 X 23 X 23; ciascun in- dividuo risulta dalla combinazione j010t, }110}, }021f e {111}. Certamente non è wn esemplare che possa reggere il confronto cogli splendidi geminati di microclino roseo del granito di Cala Francese dell'Isola Maddalena, rac- colti e studiati dal dott. Riva, però ho creduto opportuno di ricordarlo perchè non credo che neanche a Baveno siano molto frequenti i cristalli di fel- dispato così perfetti e di tali dimensioni. Inoltre sono anche interessanti le sue condizioni di giacitura. Trovasi immerso in una massa pulverulenta, costi- tuita quasi esclusivamente da laumontite, in piccola parte ancora fresca ed in cristalli di abito prismatico, e nel resto alterata e pressochè farinosa. In questa massa zeolitica, oltre al microclino, si trovano grossi romboedri di calcite e cristalli di quarzo abbastanza voluminosi, i quali presentano il — 359 — fenomeno interessante di essere finamente fessurati e fratturati, per cui facil- mente si sgretolano e vanno in frantumi. Innanzi di chiudere questa breve Nota accennerò anche alla probabile presenza di un altro minerale in questa località, minerale che finora, credo, non sia ancora noto a Baveno. In una piccola geodina, immersi in prodotti di alterazione cloritici, pul- verulenti, rinvenni, associati a numerosissimi cristallini di laumontite ed a poca stilbite, quattro minutissimi cristalli, con abito prismatico, di un mi- nerale che mi pare possa essere darziina. Infatti dal prodotto della fusione di un paio di cristallini polverizzati, con carbonato alcalino, ottenni la rea- zione del bario e dell'acido solforico; le misure però conducono a risultati che mi sembrano alquanto strani, cosicchè credo prudente aspettare quando avrò raccolto maggior copia di materiale, prima di dare per certa la presenza di questo minerale nelle cave di granito di Montorfano. Botanica. — Za nutrizione dell'embrione delle Cucurbita operata per mezzo del tubetto pollinico. Nota del dott. B. Lonco, presentata dal Socio R. PIROTTA. Dopo che lo Schacht nel 1855 (!) ebbe messo in evidenza che nel 77r0- paeolum majus il sospensore dell'embrione fuoresce dall’ovulo ed ebbe ve- duto in questo fatto la possibilità di uno speciale modo di presa di materiali nutritizi per il giovane embrione, sono comparsi soltanto pochi altri lavori mettenti in luce dei fatti analoghi, altri casi cioè in cui la nutrizione del- l'embrione non si compie nel modo ordinario. Ricordo a questo proposito le interessanti ricerche del Treub (?), il quale diede la dimostrazione che in certe Orchidee il sospensore dell'embrione, che fuoresce dal micropilo, va ad attingere materiali nutritizi per l'embrione dal funicolo e dalla placenta. Lo stesso autore (3) stabilì inoltre che nell'Avicennia officinalis la presa di sostanze nutritizie per l'embrione viene operata da una cellula speciale (co- tiloide), che, partendo dal sacco embrionale, penetra, ramificandosi, nei tes- suti dell'ovulo e della placenta. Ricordo ancora che la Balicka-Iwanowska (4) (1) Schacht H., Veber die Entstehung des Keimes von Tropaeolum majus. Bot. Zeit. 13 Jahrg.(1855), pag. 641. [Trad. in Ann. d. Sc. Nat. (Bot.) Sér. IV, T. IV, 1855, pag 47]. (*) Treub M., Notes sur l’embryogénie de quelques Orchidées. Verhand. d. Kon. Akad. v. Wetensch. (Natuurk). DI. XIX, Amsterdam, 1879; Notes sur l'embryon, le. sac em- bryonnaire et l’ovule. Ann. d. Jard. Bot. d. Buitenzorg. Vol. III (1883), pag. 76-79. (3) Treub M., Notes sur l'embryon ecc., op. cit. pag. 79-85. (4) Balicka,-Iwanowska G., Contribution è l'étude du sac embryonnaire chez certains Gamopetales. Flora, Bd. 86 (1899) pag. 47. 2000 illustrò il caso presentato da parecchie piante, specialmente Scrophulariaceae, in cui dal sacco embrionale partono degli austori, quasi esclusivamente di origine endospermica, i quali vanno ad attingere da Seni tessuti sostanze nutritizie per l'embrione. i Nel dicembre dell'anno testè decorso in una Memoria sulle Cucurbi- taceae (*) da me presentata alla R. Accademia dei Lincei, scrissi come alcuni fatti da me osservati studiando il percorso del tubetto pollinico nelle Cw= curbita mi avessero indotto ad ammettere che, con tutta probabilità, il tu- betto pollinico in queste piante avrebbe anche avuta la funzione di coadiu- vare alla nutrizione dell'embrione. Era quindi naturale che io continuassi le ricerche in proposito allo scopo di stabilire, con la maggiore sicurezza pos- sibile, fino a qual punto il tubetto pollinico ‘di queste piante avesse impor- tanza per la nutrizione dell'embrione. Le ricerche fatte sopra ovuli fecondati della Cucurbita Pepo Lin. e della C. foetidissima H. B. et K. (delle quali soltanto mi son trovato fissato il materiale occorrente) in stadi di sviluppo più avanzati che non quelli che avevo esaminati allora, non solo hanno con- fer mato quanto ‘allora avevo ammesso; ma mi hanno anzi condotto a sta- bilire che l'importanza del tubetto pollinico nella. nutrizione dell’ embrione in queste piante è di gran lunga maggiore di quello che io non avessi allora creduto. Non ritorno sulle particolarità di struttura dell'ovulo, nè sulle modalità del percorso del tubetto pollinico nelle Cucurbdita, poichè me ne sono già occupato diffusamente nel mio precedente lavoro su ricordato, nel quale ap- punto ho principalmente trattato del percorso che il tubetto pollinico segue nelle Cucurbitaceae in. rapporto anche con la speciale struttura dell'ovulo.. Credo tuttavia opportuno ricordare che nelle. Cucurbita, penetrato nel collo della nucella e giunto alla base di esso, il tubetto pollinico sì rigonfia in una bolla di diametro considerevole, maggiore anche di. quello del sacco embrionale e dalla. quale bolla partono dei rami a fondo cieco più o meno sviluppati, spesso anche più o meno ramificati, che, traforata la nucella e il tesumento interno, scorrono fra i due tegumenti penetrando anche frequen- temente in quello esterno e mettendosi così in stretto rapporto con gli strati più interni del tegumento esterno. Questi strati interni si differenziano da quelli più esterni — e la differenziazione diventa sempre più marcata mano a mano che procede la trasformazione dell'ovulo in seme — per essere costi- tuiti da elementi ricchi di contenuto plasmatico ed anche di amido. L'amido però, abbondante verso la base della nucella, va riducendosi fin quasi a scomparire mano a mano che si sale verso il collo di essa, dove, in corrispon- denza cioè della bolla, questi strati ricchi di contenuto diventano più nu- (1) Longo B., Ricerche sulle Cucurbitaceae ed il significato del percorso intercel- lulare (endotropico) del tubetto pollinico. — 361 — merosi. Altro carattere differenziale è che in questi strati interni gli elementi sono a: contatto e con pareti che si presentano sempre di cellulosi anche nei semi maturi, mentre negli strati sovrastanti le pareti si lignificano presen- tandosi più o meno spesse e con sculture a reticolo ed in altro modo e gli elementi lasciano fra loro spazî intercellulari più o meno ampi. Questi fatti insieme con l’altra osservazione dell’abbondante contenuto trovato sempre sia nella bolla, sia nei rami emananti da essa, sono appunto quelli che, come già dissi nel mio lavoro su citato, mi avevano già allora indotto ad ammet- tere che vi doveva essere uno stretto rapporto fra la nutrizione dell'embrione ed il tubetto pollinico. Ma, come ho su detto, nuovi fatti interessanti e convincenti sono venuti fuori dalle mie ulteriori ricerche. Dirò anzi tutto che il fascio vascolare, che penetra pel funicolo nell'ovulo e che si conserva indiviso, giunto in cor- rispondenza della calaza non si arresta nè si sfiocca, ma. continua ininter- rotto il suo percorso nella parte del tegumento esterno che non è unita al funicolo per terminare in essa all'altezza dell’apice della nucella. Esso si presenta inoltre in rapporto con gli strati interni su ricordati del tegumento esterno. I fatti più interessanti però dal nostro punto di vista si osservano nella nucella. Già presto, dopo avvenuta la fecondazione, le pareti esterne delle cellule epidermiche della nucella, al di sotto della bolla, cominciano a cutinizzarsi e questa cutinizzazione presto si estende all’ingiù a tutta la epidermide della nucella. Questa cutinizzazione è molto marcata, presentan- dosi la cuticola non solo spessa, ma penetrando a mo' di cuneo nelle pa- reti radiali. Inoltre ancor più notevole è il fatto che alla base della nucella, cioè in corrispondenza della regione calaziale, le pareti cellulari si. suberi- ficano qualche tempo dopo avvenuta la fecondazione in modo da venire a costituire una ‘specie di calotta: nella Cucurbita foetidissima H. B. et K. questa suberificazione è già differenziata quando ancora l'embrione ‘è ‘allo stato di sfera. Anche l'embrione allo stato di sfera si presenta cutinizzato alla superficie, salvo che nella parte per la quale è in rapporto col tubetto pollinico. Mentre si osservano tutti questi fatti, il tubetto pollinico con la bolla ed i suoi rami si conserva sempre pervio, a pareti sempre di cellulosi, sempre ricco di contenuto plasmatico e talora anche di amido transitorio. Nel seme maturo il tubetto pollinico non presenta più contenuto, come pure svuotati si presentano gli elementi degli strati interni del tegumento esterno. Tuttavia non ho potuto, per ora, stabilire con quale stadio di sviluppo del- l'embrione coincida lo svuotamento del tubetto pollinico, mancandomi appunto nel materiale che mi trovo a disposizione gli stadi che precedono la matu- rità del seme. — 362 — Se ora colleghiamo fra loro tutti questi fatti morfologici su descritti risulta come logica conseguenza che la corrente trofica non può giungere all'embrione in via di sviluppo per la via ordinaria, vale a dire attraverso la regione calaziale della nucella, a causa della suberificazione di essa. Nè può giungervi attraverso gli altri punti del ventre della nucella, a ciò oppo- nendosi la marcata cutinizzazione delle pareti esterne delle sue cellule epi- dermiche. Unico punto pervio è la base del collo della nucella ove appunto si trova la bolla con i suoi rami a fondo cieco e quel piccolo tratto del tubetto pollinico che collega la bolla medesima col sacco embrionale. Dagli stretti rapporti poi esistenti fra i rami a fondo cieco emananti dalla bolla e gli strati interni ricchi di sostanze plastiche del tegumento esterno — strati, che appunto in corrispondenza della bolla diventano più numerosi — risulta inoltre che la corrente trofica, che affluisce per mezzo del tubetto pollinico al sacco embrionale, proviene da questa parte interna del tegumento esterno, che possiamo chiamare nutritizia e che a sua volta viene nutrita dal fascio vascolare. Di più se si considera che quella parte del tubetto pollinico, che è in relazione col tessuto conduttore, si presenta fornita di contenuto anche al- quanto tempo dopo avvenuta la fecondazione, possiamo dedurre che anche questo tratto del tubetto pollinico coadiuvi al trasporto di materiali nutri- tizi al sacco embrionale. Ciò posto, basandoci sull’interpretazione data ai fenomeni su descritti, possiamo spiegarci alcuni altri fatti, di cui già parlai nella mia Memoria su ricordata: perchè, per esempio, il tessuto conduttore sia così spesso nelle Cucurbita; perchè il diametro del tubetto pollinico sia molto grande in con- fronto di quello dei nuclei riproduttivi; perchè la bolla prodotta dal tubetto pollinico sia così grande (') da essere spesso persino visibile ad occhio nudo; e possiamo anche dire che i rami a fondo cieco che si dipartono dalla bolla e che a tutta prima avrebbero potuto interpretarsi come semplici tentativi fatti dal tubetto pollinico prima di trovare la via per giungere al sacco embrionale, hanno invece tutt'altro significato fisiologico: il tubetto pollinico non solo rende possibile la fecondazione, ma mandando questi rami — come austori di una pianta parassita — a sfruttare dei tessuti nntritizi, assicura anche lo sviluppo del prodotto stesso della fecondazione. PERSONALE ACCADEMICO Il Vicepresidente BLaseRNA dà il doloroso annuncio della morte del Corrispondente prof. EuseBIO OEHL, avvenuta il 5 aprile 1903; apparteneva il defunto all’Aecademia sino dal 16 luglio 1897. (1) Nella Cucurbdita Pepo Lin. ho trovato che il suo diametro può raggiungere i 164 u. — 363 — PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CERRUTI presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Soci RieHI, TARAMELLI, BEeccARI, PASCAL, LOCKYER, PFLUEGER e PIcKERING; fa inoltre menzione di alcune Note autobiografiche di Jac. Berzelius pubblicate, per cura dell’Accademia delle scienze di Stoc- colma, dal sig. SODERBAUM. Il Corrispondente G. Grassi fa omaggio d'una sua pubblicazione inti- tolata: Afetti della dispersione e della reattanza nel funzionamento dei trasformatori. Metodi di misura ed applicazioni. AFFARI DIVERSI All'aprirsi della seduta, il Vicepresidente BLASERNA annunzia che sono presenti gli onorevoli Ministri della Pubblica Istruzione e delle Poste e Telegrafi. Durante la seduta giunge GucLIELmo MARCONI, che il Vicepresidente presenta all'Assemblea e che è accolto con vivi applausi dai Soci e dal pubblico. Il Vicepresidente BLaseRrNA gli dà il benvenuto; dice che l'Accademia non sarebbe la sede adatta per una conferenza, perchè essa raccoglie soltanto e pubblica le cose nuove. Domanda tuttavia al sig. Marconi se sia disposto a fare una comunicazione concernente le ultime sue esperienze eseguite a Poldhu, sulla sintonìa. Il sig. Marconi ringrazia l'Accademia della sua accoglienza e risponde di essere ben lieto di soddisfare al desiderio espresso dal Vicepresidente, per quanto la ristrettezza del tempo glie lo consente. Egli entra in molti particolari relativi alle ultime esperienze da lui eseguite a Poldhu, e su domanda del Vicepresidente spiega anche le ragioni della forma data ai suoi impianti ultrapotenti. i Il Vicepresidente ringrazia il sig. Marconi a nome dell’Accademia, e rileva con piacere che l'importante questione della sintonìa può ritenersi feli- cemente risoluta. CORRISPONDENZA Il Segretario CeRRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. — 364 — Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia di scienze ed arti di Barcellona; la Società Khédi- viale di geografia del Cairo; la R. Società geologica di Amsterdam; la Società geologica di Sydney; la Società australiana per l'avanzamento della scienza; il Museo di scienze ed arti dell’ Università di Pensilvania; le Uni- versità di Upsala e di Tokyo. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 3 maggio 1903. Studî fisico-chimici sul sangue. — Clinica medica generale di Padova diretta da Achille De Giovanni. Lavori dell’ Istituto. Vol. primo. Padova, 1903. 8°. Minnesfesten éfver Berzelius den 7 Oktober 1898. Stockholm, s. a. 8°. Osservazioni meteoriche fatte nel R. Osservatorio di Capodimonte nell'anno 19002 AAlINe dia 8889? University of Colorado. Quarto-centennial Celebration. Colorado, 1902. 8°. Abderhalden E. — Darstellung von Harnstoff durch Oxydation von Eiweiss mit Permanganat nach A. Jolles (Recens). Strassburg, 1903. 8°. Id. — Hydrolyse des Edestins. Strassburg, 1903. 8°. Id. — Hydrolyse des kristallisirten Serumalbumins aus Pferdeblut. Strass- burg, 1903. 8°. Id. — Hydrolyse des kristallisirten Oxyhàimoglobins aus Pferdbelut. Strass- burg, 1903. 8°. Ahlenius K..— Angermanalfvens flodomride. Uppsala, 1903. 8°. Alberti V. — Su la determinazione grafica dell'orbita reale nella teoria delle stelle doppie. Napoli, 1903. 8°. Bargagli P. — Adolfo Targioni Tozzetti. Ricordi. Firenze, 1903. 89. Beccari 0. — L'Istituto di Studî superiori di Firenze, la chiusura del Museo Botanico e le sue peripezie. Rocca S. Casciano, 1903. 8°. Bertelli A. — Ricerche d’areonautica. (Brescia), 1903. 8°. Berselius Jac. — Sjalfbiografiska Anteckningar. Utgifna af Kongl. Svenska Vetenskapsakademien genom H. G. Séderbaum. Stockholm, 1901. 8°. Brédikhine Th. — Sur le ròle de Jupiter dans la formation des radiants simples. s. 1. 1903. 8°. Ceresole Giulio. — Della necessità di modificare il sistema di Pulizia Stra- dale di Venezia in riguardo all'igiene. Venezia, 1903. 8°. Colomba L. — Cloromelanite e Pirosseni cloromelonitoidi. Padova, 1903. 8°. Id. — Zeoliti dell’Isola del Principe Rodolfo, Osservazioni. Milano, 1903. 8°. — 365 — Contarino F. — Determinazioni assolute dell’ Inclinazione magnetica nel R. Osservatorio di Capodimonte, eseguite negli anni 1898, 1899 e 1900. Napoli, 1902. 8°. Décombe L. — La Compressibilité des Gaz réels. Paris, 1903. 8°. Dunér N. C. — Tal Vid K. Vetenskaps-Akademiens Minnesfest den 24 Oktober 1901 trehundraàrsdagen af Tycho Brahes did Stockholm, 1903. 8°. Grassi G. — Effetti delia dispersione e della reattanza nel funzionamento dei trasformatori. — Metodi di misura ed applicazioni. Memoria. Torino, L90382 Lockyer N. and W. J. S. — The Relation between Solar Prominences and Terrestrial Magnetism (Proceed. of the R. Society, vol. 71). Pascal E. — Eugenio Beltrami (Sonderabruck aus Mathem. Annalen. IEVIUNBand. IHeft 0.) Leipzig, Pflùger E. — Glykogen. Bonn, 1903. 8°. Pickering E. — A plan for the endowment astronomical research. Cambridge, DONI Honoza. H. M — Illecrs mermiîi 0 mporpeccuBHome mapatat mombman- Hsx. IHasanp, 1901. 9°. Leynodls O. — The Sub-Mechanics of the Universe. Cambridge, 1903. 8°. Righi A. — Il moto dei ioni nelle scariche elettriche. Bologna, 1902. Id. — Sulla ionizzazione dell’aria prodotta da una punta elettrizzata. Memoria, Bologna, 1903. 8°. Sinigaglia F. — Prolusione al Corso di Tecnologia meccanica nella Sezione Industriale della R. Scuola d'applicazione per gl’ingegneri di Napoli, letta nel giorno 2 marzo 1903. Napoli 1903, 4°. Taramelli T. — Di alcune sorgenti nella Garfagnana e presso Gorizia. Milano, L90378 Id. — Risposte ad alcuni quesiti della spettabile Amministrazione civica della città di Gorizia, riguardante il provvedimento dell’acqua pota- bile. Pavia, 1903. 8°. Teiro — La guarigione della tubercolosi polmonare in tutti gli stadî. Acqui, 1903. 8°. Viola C. — Die Minimalablenkungen des Lichtes durch doppeltbrechende Prismen und die Totalreflexion der optisch zweiazigen Kristalle. Leipzig, 1903. 8°. Willeocks W. — The restoration of the ancient irrigation works on the Tigris, or the re-creation of Chaldea. Cairo, 1893. 8°. VESCI folk. ilo soi sati BJilun: ingiaa MOR a | Teti ES, 068 unto doll ti, ne li he DI Len Inomanoitigni Lon aansino oso aos MI inorzaoi once qui silob si, a = SORTI REGIO Dr i eee VENERE RENEE tai Na BIO La P4 no da ad Se rire LITAS CI pia Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. 7, LI Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia” dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III (1875-76). ‘Parte,.1* TRANSUNTI. 2% MeMoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3 MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TransuntI.: Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE. della Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali. Vol. I.:(1, 2). — II. (1, 2). — IN-XIX. MEMORIE, della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpIconTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. . Vol. I-VII. i MemoRIE della Classe. di. scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII.:(1392-1903) 1° Sem. Fasc. 9°. ‘ RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. (1892-1902). Fasc. 12. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-II. MEMORIE della Classe Di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VII. : CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di seienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano duc volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon. denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. f®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHerR & €.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HoreLi. — Milano, Pisa e Napoh. RENDICONTÎ — Maggio 1908. Z Ra INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 maggio 1903. MEMORIE E NOTE DI ‘9001 O PRESENTATE DA SOCI Pascal. Introduzione alla teoria delle forme differenziali di ordine qualunque. . . . Pag. Dall’Acqua. Traiettorie dinamiche di un punto libero, sollecitato. da forze conservative (pres. dall'Corrispi/26c4) Es ; LS Sella. Sensibilità del ferro alle ia atti nell' Has msi JR (a (ui Socio Blaserna) . . + SO. 9 » Carpini. Variwzione dell'attrito dm dei liquidi CSR in campo c nianstico. e 1a) ” Angeli e Angelico. Sopra i nitropirroli (pres. dal Socio Cramician) . . e Bruni e Padoa. Nuove ricerche sulle soluzioni solide e sull’ isomorfismo CRE IONE Tacconi. Sopra alcuni minerali del granito di Montorfano (pres: dal Socio Struever) . . >» Longo. La nutrizione dell'embrione delle Cie urbita operata per mezzo del tubetto polli- nico (pres. dal Socio Pirotte) —«—<.. - MM, |. . ALI PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Vicepresidente). Dà annuncio della morte del Corrispondente prof. Eusedio Oehl » PRESENTAZIONE DI LIBRI Cerruti (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci Righi, Taramelli, Beccari, Pascal, Bockyer, Pflueger e Pickering; fa inoltre men- zione di alcune Note autobiografiche di Jàe. Berzelius pubblicate; per cura dell’Accademia delle scienze di Stoccolma, dal sig. Sòdenbaum ua ERA Grassi. Ea. omaggio d'una-sna, pubblicazioni. 0. «00 alta AFFARI DIVERSI Blaserna (Vicepresidente). Annuncia che alla ‘seduta assistono i Ministri della Pubblica Istru- zione e delle Poste e Telegrafi.. . . 0°. o PRESTO Id. Presenta G. Marconi all'Assemblea, e daggogli i ben vehpii n lavita. a tai una comu- nicazione sulle sue esperienze riguardanti la sintonìa . . . as è ONORARIO) Marconi. Ringrazia l’Accademia, e dà vari particolari sulle sue tilime esperienze eseguite a Poldhu e sulla forma dei suoi impianti ‘ltrapotenti SM CORRISPONDENZA Cerruti (Segretario). Comunica la corrispondenza relativa al cambio degli Atti ..... . » BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. È: ERRATA-CORRIGE 3; A pag. 801 lin. 2 invece di 144Es leso. 142 >î 302 lin. 2 i a 8 r——É n -n 300/0ine2 in di [St ee 895 JeopJ e SS ai luenî AR ET] nu pia ICE i sv a ISEE E. Mancini. Segretario d'ufficio, responsabile. “ da Ù ì vu Wade " ‘Ro De BE }: CO 362 363 ‘I, Pubblicazione bimensile. oma 17 maggio 1993. N. 10. miuaboril d DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCHI ANNO CCC. 19083 SARE DURA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 maggio 1903. Volume X i I.° — Fascicolo 10° 1° SEMESTRE. RROOMEA È TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEI. CAV. V. SALVIUCCI 1903 ; Mio, SU 31 1909 Nar fonal Meseu®- ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rerdiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : ; 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8.L’Accademia dà per queste eomunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell'Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. Il. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci 0 da Corrispondenti. Per le Memorie presentate: da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti uella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L’ Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI nunca SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche è naturali. LS Seduta del 17 maggio 1903. P. VILLARI, Presidente. MEMORIE E NOTE DI (SOCI 0 PRESENTATESDA SOCI Matematica. — Sulla costruzione dei simboli a carattere invariantivo nella teoria delle forme differenziali di ordine qua- lunque. Nota II del Corrispondente ErnESTO Pascat. Nella teoria invariantiva delle forme differenziali di una determinata specie sì presentano sempre certe espressioni, più o meno complesse, formate mediante i coefficienti della forma e le loro derivate, e che hanno un’ im- portanza fondamentale, tale che può quasi dirsi che è intorno ad esse e alle loro relazioni che si svolge e si aggira tutta la teoria. Così, per le forme pfaffiane tali espressioni sono,quelle che si rappresentano col noto simbolo (7), per le ordinarie forme differenziali quadratiche esse. si ‘riducono ai simboli «di Christoffel, e infine per il caso più generale delle forme ‘diffe- renziali di 2° ordine; esse sono state da me trovate e studiate in varî sensi nel parecchi lavori che ho su questo argomento pubblicato negli ultimi tempi. La presente Nota, che fa. seguito all'altra da me pubblicata recente- mente in questi medesimi Rendiconti ('), ha per iscopo di costruire e stu- diare siffatte espressioni per il caso generale -delte: forme differenziali di ordine qualsiasi. (1) Rend. della R. Acc. dei Lincei (5), t. XII, 1903, pagg. 325-332. RenDpICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 48 — 368 — Queste espressioni, nella loro totalità, si riproducono con una trasfor- mazione di variabili, in un senso che sarà visto più sotto, ed è perciò che io, per comodità, le chiamerò simboli a carattere invariantivo, come ho fatto nel titolo di questa Nota. 1. Simboli secondari e loro proprietà. — Per procedere con ordine e per maggiore chiarezza e comodità di locuzione distingueremo due cate- gorie di simboli, e cioè quelli che chiameremo principali, e quelli che chia- meremo secondari. Nel caso del secondo ordine sono s;2d0/7 secondari quelli da noi rappre- sentati colle parentesi doppie ((é j)), e sono principali quelli rappresentati con (7), }7/}, 377 hM; questi ultimi poi li distingueremo in due specie, come diremo più sotto. In questo paragrafo, come dice il titolo, si tratterà pertanto di estendere per le forme differenziali di ordine qualsiasi, la definizione delle parentesi doppie, che hanno per il nostro caso un'importanza assai maggiore che non per quello del secondo ordine. Poniamo in generale: 9 o O . DE Xi seeiy (1) ((2 see ly 3 J1 SI) = ——_____— DOCS DEA e dI ja e 00m dj ILjg 0 VE jr è dI Xa eivia q O Kaivn djs e dj Idja dUja «n dLjm + (1) Xi ceivgi dm di cui la legge di formazione si riconosce agevolmente; nella seconda linea ci sono le derivate di ordine m—1 di tutte le X;, ...iyj;; ($=1,2,..72) rispetto alle x di indici /,... Js-1Js+1--Jm; nella terza compaiono le deri- vate (m— 2)" di tutte le Xi ..-iyjs;: rispetto a tutte le x i cui indici sono le j meno js e 7; e così di seguito. È evidente che ;/ simbolo è simmetrico sia nel gruppo dei primi indici in... ty, che nel gruppo dei secondi ji... Jm- Avvertiamo che alle volte per ricordare che è cogli elementi X che si intende calcolato il predetto simbolo, scriveremo ((è1...î , Jv.-- Jm))x. Inoltre per m="0 pontamo ((î1... i) = Xi ey. Si riconosce subito che sé ha identicamente : (2) (MA cÎm))= (Cig Jmr)) — (21 dm di SA); dim (3) ((21 so; VE .-Îm)) == = ((& sono VE ce. 7) == ((î1 Fon Ji Jam Îv)) — 369 — di cui però la (8) è in sostanza la stessa della (2) quando vi si faccia uno spostamento di termini e un mutamento di nomi agli indici. Il secondo membro della (2) è di una formazione analoga a quella della (1) per m=1; propriamente se in luogo degli elementi X, consideriamo gli elementi i VASI »fm=1) = ((hF ssoò ia CO Jm-i))x hke» il secondo membro di (2) non è che il simbolo (71. dv 3 Im) formato cogli elementi Z. Riapplicando la stessa (2) sì ha: 2 (CueoniSz) FRA (id, 41 Jima) — È) 3 cda : p=""a di - ; (TRE Wo. ((2, n 2yJm 371 cn) = din ((21 se WwJm_r 3 J1 meo) — (71 dv dm Jim Jr Ja) e il secondo membro non è altro che ((21 see Îy , Jima Îm))z quando questo simbolo si calcoli prendendo per elementi, anzichè le X, le VEE (RCA, (5) Così in generale si ha l'importante risultato che: #l simbolo (ai 7a è equale al simbolo ((î1 "o W 9 Tesi e) calcolato, anzichè per le X, per le (Rei E, Così un simbolo (1) di cui il gruppo dei secondi indici sia formato di m indici, si può rappresentare (e în vari modi) come simboto in cui il numero degli indici del secondo gruppo sia minore di m. — 370 — La considerazione fatta per la (2) può ripetersi per la (8), che p. es. riapplicata ancora una volta, dà: di = (te Im) = divi dLiy (( i DI Îm)) ((î1 050 Îy ) Îa 650 Un) = d diva (21... vs) ra (1° 22391 Im A SR: MEA), di cui il secondo membro è (0° Jim ir 0) calcolato per gli elementi va ven iy—2) i (è, sa ROS 3 hk Si )E hk e. ovvero, più generalmente, è anche ((Jm-s+1--Jm » &-1%))r calcolato per gli elementi quei se iy—2 ,J1 . jm_--s) I OdA = (2 ceo o , Ia ces Mis hk see DE dove s è qualunque, e gli indici #, 7... sono ‘al solito i variabili, mentre gli altri si intendono fissi per uno stesso sistema di elementi T. In generale possiamo dire: dl simbolo ((î1 .. dv, Ji Jm))x St può anche rappresentare came simbolo del tipo ((jm-str fm sy int in) calcolato però, anzichè per le X, per gli elementi: (î1 = iv-t 3 j1 + jm_-s) . 5 è o do 20n H i Sa = ((d ceo Qy—-i , Ji «n Jm-s hk ose x in cui s,t sono arbitrari. Ponendo m=0, osservando che allora ((%1... dé, 71 Jm))x diventa Xii... ivi © applicando il precedente teorema per s=0, e f=», st ha la formola : DX DE, up (4) Ra STA RAR 000 dI P Si REA 000 (OI (( i di) di Dai L{ RA | e: ; + Si ia Vr (EEE +(—1)° (7,0. i) dove le S hanno il significato operativo già stabilito alla precedente Nota, e cioè S;, significa che bisogna permutare é1 con 7»... éy e poi sommare i risultati, S;,;, significa che bisogna permutare 7, é con due altri qualunque degli altri indici e poi sommare tutti i risultati, e così di seguito. 2. Costruzione dei simboli principali. — Di simboli principali ne con- sidereremo due specie; quelli di prima specie li rappresenteremo colle pa- rentesi rotonde ordinarie, a quelli di seconda specie colle parentesi } 4. — 371 — Porremo: (ij) = (3) — ((i 39) 5 Gini) = (+ (i) (ihkj)=((hk,j)— (ji hh) e invece : | se ii= (€69) (4,9) -. (6) hjit=(@h,9)—((/,%) I hkj{=(Chk,3) + ((îhM) e così di seguito con una legge semplice ed evidente. È da notare che il simbolo ora denotato con (77) è lo stesso di quello che nella teoria delle forme di secondo ordine era stato da noi denotato con }éhjt; qui abbiamo dovuto mutare la notazione per porre quel simbolo di accordo colle notazioni adottate per gli altri. Sviluppando i (5) si vede che essi risultano formati mediante solo le derivate delle X, e in essi non compaiono mai le X non sottoposte a deri- vazione; invece nei (6) comparisce sempre un termine in cui c' è la X avente per indici tutti quelli del simbolo stesso, e non sottoposto a derivazione. Per una forma differenziale di ordine r, di simboli principali di 1° specie (i(5)) ne esistono sino a quelli con r+1 indici; di simboli principali di 2° specie (i(6)) ne esistono fino a quelli con r indici. Se da una forma differenziale di ordine 7 si passa ad una dell'ordine r-+1, si viene ad introdurre una nuova categoria di ciascuna delle due specie di simboli, e cioè i simboli di 1* specie a 7 + 2 indici, e quelli di 2* specie a 7 4-1 indici. 3. Formole di trasformazione dei simboli secondari. — Passiamo ora a ricercare le formole di trasformazione dei simboli e cominceremo natu- ralmente dai secondari, perchè da esse poi immediatamente si troveranno le altre. | Il risultato importante cui giungeremo è il seguente: IL simbolo ((hy..- hu kx..-ko)) si trasforma esattamente come si tras- formerebbe il prodotto Xn... nu Xii ho è Sia Indichiamo con ((%,... , 1 ..-)) i simboli secondari calcolati per i coeffi- cienti trasformati Y dati dalla formola (7) della Nota precedente, e ricer- chiamo prima la formola di trasformazione per il caso particolare in cui ‘il gruppo dei secondi indici del simbolo sia formato di vr indice solo. Si ha: Pt: (ft. hp; hua)) = 200 a VER hp+1 > — 372 — cioè = = N di e Îm II jmta ( Î i) An e OI jmta dYnpta ha dee hu LY VERE: D hag) (7) (RIDE. cong VI dI) ra pu Ono h XY | m=1 ir. Im dYhpÒi Al . 5 MI Sa GT h ) \ ma 7 Don Im 1 s00 p+l CY * I termini per m= 1 della seconda riga si distruggono con quelli per m=-1 della terza riga, come è facile riconoscere; quelli per m=2,3,... # della seconda e terza riga, in forza dell'identità (15) della Nota precedente si riducono a pb da; . . m IT 000 JIm_1 Di Ù Xii “eo Îm Dà qu ( I h ) à M mae road dYnprr LI ese pi /.0Y Ora essendo X;, ...; simmetrico negli indici, si può porre il simbolo di operazione S;,, avanti la X, e inoltre evidentemente onde, mutando m in m +1, l'ultima espressione può scriversi: tel Dam I) 8 feini SS DI Xi DOO im i ( È x ( ) mal 7 Negra i DART dYnpri ha see hu. XY Bisogna poi ancora sottrarre il termine che risulta dalla terza riga di (7) per m=w +1; ma tal termine può, come è facile vedere, porsi sotto la forma che si otterrebbe da (8) per m= wu. Raccogliendo perciò la prima riga di (7) colla (8) estesa da m=1 ad m=w, e chiamando rispettiva- mente 2 e % gli indici jm+1 @ Rw+1, sì ha infine: (9) ((R1 ha, 4) = 3 (Gi -jm39) (ED Passiamo ora alla formola per il caso generale in cui il gruppo dei secondi indici sia formato di più di uno. — 373 — Dico che-sî ha in generale: U (10) ((A1--Ru341--Lo))! ll Dime iD(1 nta (35 1 Sim dns formola che per o =1 si riduce alla (9), e che noi dimostreremo per in- duzione facendo vedere che se essa si verifica per o sì verifica per o + 1. Serviamoci della formola (2) che scriveremo: DINO i | (11) (a I ceo) = pg Oto lo neo)! — (Mi che osx 0: 13)) e calcoliamo il secondo membro di questa espressione mediante la (10) che vale, per ipotesi, per ciascuno dei termini di quel secondo membro, perchè in essi il gruppo dei secondi indici è formato da o indici. Otteniamo (tralasciando da ora in poi, per brevità, di segnare gli in- dici 7 ,y in basso alle parentesi che figurano in (10)) 3 3 rbt Im * "+1 fi . AO Ì ; ; (0 cn) dr e108 )| da) a DI dai Da (jr Jmp 1083) di 0: hy (i ole SES Dedl( DA È A p2 s=l1 VERE ‘Im È È i, i nie ; due ts . hp k fe; sos ks ; Ora per m=1 la seconda e terza riga dà: 222 Gin alice) sel ji © dY n ali) dYK ha 000 hu. ha 000 hu k ; Se s=1 possiamo ancora scrivere è di _ Ù ) e se dYK 1 ko ki 00078 k i osservando che s>1, mediante la formola (15) della precedente Nota, scriviamo invece: MO ( î, 060 is MEI î coi E )- 1 q, Ès 0A 006 desi dYK ki DOO ko sul TA DCO ks k $ 5 k k, 000 ko — 374 — e quindi abbiamo ATTS osservando al solito che È a: SZ.) sd ES ii da IA 10 Ù DA 2 (Gir OI Ra) 1 fia x d Îa No see SI i si PZ do, SI k în. is) (, ) (a ye hu. ki 505 ka Se poi è m > 1 allora, sempre mediante la (15) della Nota precedente, possiamo scrivere (per s> 1): io | / rfa) | i, 0 Meet ) DT d it ha slo hu ki see (9a hi ce. hu. k ki 600 ko na Aa CNR] 1 O Treo da eds) __ mo (9) ( hi ch ) li. DIS 3) pi (È DO, 1) 1 cli si ee 1 9; si) Îi 60 sh) DÌ OO RE; 80 We JA ha) leva Tea e pers=l una formola simile priva però dell'ultimo termine; per cui la seconda e terza riga di (12) da m=1 sino a m=yw danno (aggiungendo «i termini (13)): i mi da i ORO Sio si (i Nea m=l s=1 j D. a s (CE Ti an 2) ly. A i: la kt - (14) > > DI UESLIUO 2) di val) SIERO N N x G o ce) î ei ZIA > bi. (A) I: n nd Im es A questi termini bisogna poi aggiungere ancora quelli della prima riga di (12) che, con mutamenti di indici, scriveremo così: U +1 © } j Vi da N Ni . a vi 1 200 Usa (15) sisi i seJmo 0 si) (i ) (he hp. (i velo m=1 s=2 j, <» mentre nella seconda i di (14) mutando #m in m41,sins—1,e ponendo infine lo in luogo di jm+1(*), si ha (16) Mc; SI x (G : Dee, )(; de E, v ediz) Si pe ptt 53, CSI Jr eee Tm ls 01 neo ls AA hi GE lE (1) Questi cangiamenti possono farsi PETCO questi indici ‘sono sottoposti ai som- matori. — 375 — Ora i termini dell’ ultima riga di (14), di (15) e di (16), estendendo i somma- ITA tori da mn=1 ad m=w (cioè scrivendo (16) sotto la forna — > + DI) m=1 Li e da s=2 ad s=0 danno per risultato zero, perchè sì raccolgono col fattore - (e eu, i SG 0%) che è zero. Resta quindi (ricordando che bisogna ancora scrivere la terza riga di (12) pr m=pu+1): x. . . lo+1 fin DO va ( (ro sl oi van (Fido ‘2( l IC MIO AVIENTI m= n=1 ie Im 1 i lo+1 i Lar . Mv //7096 Ti da) Dr bos în) pes S DI i x ((J1 Im la+1 21 in) ( yy ) (è MORA hu IO DOS ko Wai Seo Ju +1 RE Zi RCA s=2 I, «Ip caro Db Za, DE : 5 6 o e Jpt în e is —> DI DE ((7 ao0 Jp+1 2 is)) (A d 1 i) (} di dla s=l ji e Ipti UT ds I termini della terza e quarta riga si distruggono fra loro, come si vede mutando nella quarta riga s in s—1, ponendovi 2; al posto di +1, € tenendo conto che è identicamente | ST, SÌ) a MA 5) 5) (09 colino lia MANTO I termini delle due prime righe, mediante la solita identità (15) della Nota precedente, possono combinarsi a due a due, e scriversi: (17) is —.. î Misia; 3 Mv iii DSi, DI ((j1 + Smrt do) È SA fe) (i SULA n) In Im + +1 e 4 questi termini bisogna poi infine aggiungere quelli della prima riga di (14). Ora si vede che (17) è ciò che si otterrebbe da tal prima riga di (14) per s=0 +1, quindi il risultato finale che si ha è che il primo membro di (11) si esprime con una formola come la (10) ma mutandovi 6 in 0-1. Resta così, per induzione, provata la (10) medesima. RenpIconTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 49 — 376 — Ricordando poi la formola (7) della Nota precedente, ed osservando la (10) resta senz'altro anche provato il teorema enunciato al principio di questo paragrafo. 4. Formole di trasformazione dei simboli principali. — Servendoci delle formole (5), (6) e della (10) siamo ora finalmente in grado di scrivere le formole di trasformazione dei simboli principali di prima e seconda specie. St hanno le formole : (18) (Mn 500 hu k) —\ Do). e Ju 2) (i Da 3L Di A , ha, xY $i IA (ERI + 3] e Juel 24 ( RS hy. a: neo + (jr fue è) ( lix, A con una legge evidente; si alternano al secondo membro i simboli principali di prima specie con quelli di seconda, e l’ultimo termine sarà perciò : (710) (4 n), se u è dispari 0VVEro n, vi ) i TRA se un è pari. id H(,, Sl. P Similmente è : ; (aule 9 vg ta) VI =3, (19) 3h... ho. kt Di ZL [tie i(£ Salt + (Gif) (ta) o ga sn) 5P.y/00 Suit (1 DL ly È Li Îi ria } I PNA da A pi se m è dispari essendo l’ultimo termine O0VVErO (71%) (a 4 e se n è pari. — 377 — Da queste formole e dalle precedenti appare che i trasformati dei sim- boli secondari si esprimono mediante combinazione lineare degli antichi simboli secondari, e lo stesso fanno per conto loro i nuovi simboli princi- pali mediante gli antichi, ed è in tal senso che bisogna intendere il carat- tere invariantivo della totalità dei simboli, secondari e principali, al quale abbiamo accennato nell’ introduzione. Servendosi delle precedenti formole di trasformazione, da me comuni- categli, il dott. Sinigallia (*) ha potuto ora dimostrare l’invariantività delle caratteristiche delle matrici costruite con i simboli principali relativi ad una forma differenziale di ordine 7, estendendo così un risultato che per il second’ ordine io avea trovato in precedenti lavori. 5. Simboli relativi alle forme differenziali di primo ordine e di rm° grado. — Se immaginiamo eguali a zero tutte le X di cui il numero degli indici sia inferiore ad 7, che è l'ordine della forma differenziale, questa acquista il tipo di una forma differenziale di primo ordine e di r®° grado, mentre d'altra parte è evidente (vedi le (7) della Nota precedente) che le poste relazioni costituiscono una totalità di relazioni di carattere inva- riantivo. I simboli principali, da noi sopra introdotti in generale, diventano in questo caso una più diretta, ma naturalmente meno ampia, estensione di quei simboli che per le forme differenziali quadratiche vanno sotto il nome di Christoffel. È facile riconoscere che i simboli principali che non si annullano identicamente sono allora solo quelli contenenti il massimo numero di indici, cioè 7 | 1 indici se di prima specie, e 7 indici se di seconda specie. Questi ultimi sì riducono eguali rispettivamente ai coefficienti X stessi, mentre gli altri, che vorremo, per analogia colla notazione adottata pei simboli di Christoffel, indicare col simbolo e ni di risultano VA Ur goal DOG »..jr ua DE. cd DE ho DEIRA DIS, «e Jr-1 2 dI dI ja ITja di jr Le formole di trasformazione per questi si potrebbero ricavare come caso particolare da quelle del paragrafo precedente. Matematica. — Sulle superficie geodetiche in una varietà qualunque e in particolare nelle varietà a tre dimensioni. Nota del Corrispondente G. Ricci. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (') Rend. Ist. Lomb. (2), t. 36, 1903. — 378 — Fisiologia — Analisi dei gas del sangue differenti pres- stoniî barometriche. Nota del Socio AnceLo Mosso e di Giacomo MARRO. Fisiologia. — L’acapnia prodotta nell’uomo dalla diminuita pressione barometrica. Nota del Socio AnceLo Mosso e di GrIa- como MaRRO. Fisiologia. — Le variazioni che succedono nei gas del sangue sulla vetta del Monte Rosa. Nota del Socio AnceLo Mosso e di Gacomo MARRO. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Matematica. — Sulla rappresentazione delle forme ternarie mediante la somma di potenze di forme lineari. Nota del prof. FRAN- cESscO PALATINI, presentata dal Socio SEGRE. In una recente Nota (') ho applicato alla ricerca del minimo numero di cubi con la somma dei quali possa rappresentarsi la cubica quinaria gene- rica, un metodo che, come ho osservato alla fine di quello scritto, lasciava sperare di poter raggiungere risultati di una qualche generalità sul numero di potenze 7""° necessario e sufficiente per esprimere una forma generica di ordine 2. Applicherò ora al caso delle forme ternarie di qualsiasi ordine codesto metodo, che per comodità del lettore qui riassumerò. Le varietà V di dimensione 7 — 1 ed ordine 7 dello spazio S, sì rap- 5 o. nt? È presentino linearmente coi punti di S, essendo m=( ci )- 1. Si con- sideri in S, la varietà M di dimensione 7 ed ordine n” i cui punti corri- spondono alle V ridotte ad iperpiani -pli e la quale altro non è che la varietà di S,, rappresentata in S, da tutte le varietà di dimensione 7 — 1 e ordine # di questo spazio. Ora l'equazione di una V generica si potrà porre sotto la forma AP A5+--+ a S=(0) (1) Sulla rappresentazione delle forme ecc., Atti Accad. Torino, 1902. — 379 — essendo le A forme lineari di dimensione 7 fra loro indipendenti, quando (e solo allora) considerando tutti i sistemi lineari della forma RVNL ARP 0 essi comprendono tutte le V, cioè, ricorrendo all’ anzidetta rappresentazione, quando (e solo quando) gli Sx-, che sono %-secanti della M riempiono Sy - Abbiamo nel caso attuale 7 = 2, m= 019) e la M è di or- dine 2°. Si tratta di vedere se accade che gli spazî determinati ognuno da GAI ATEI punti della M riempiono Sm, dove 7 deve avere un valor tale che il numeratore riesca multiplo di 6, cioè uno dei valori 0,4, e noi diremo che deve avere il valore 4e (e= 0,1). Gli spazî in discorso (+ 1)(n+2)+- 4e 3 formano un'infinità di dimensione , quindi, essendo (AAA ciascuno di dimensione G , contengono complessiva- : s TS" COC) IAN 0° , nn+- 3 mente un numero di punti la cui infinità è di dimensione seria) +28, cosicchè parrebbe che per ogni punto di S, ne dovesse passare un numero finito 0 00° secondo che è £«=0, e£=1. Senonchè sappiamo già che per n=2,n=4 non è questa la conclusione cui si arriva, giacchè in questi casi per ogni punto di S,, per cui passa uno degli spazî anzidetti ne passano infiniti, cosicchè nessuno ne passa per un punto generico. (+ 1)(a+2) +4, 6 Prendiamo uno dei nostri spazî di dimensione (n-+- 1) (+4 2) +4 4s 6 determinato da punti di M e vediamo quanti sono gli spazî congeneri che lo incontrano in un punto. Ricorrendo alla rappresenta- zione di M coi punti del piano, abbiamo che all’S scelto, cioè all’ infinità (1-41) (4-2) — 2e 3 di dimensione — 1 di iperpiani passanti per esso, cor- (4-1) (+ 2) + 46 6 risponde l'insieme S' di altrettante C” passanti per gli punti del piano che corrispondono a quelli scelti sulla M. Se quell'S ed un altro S, s'incontrano in un punto, essi appartengono ad uno spazio X di (+1) +2) +de > eg CED@+IY+ de 6) i 3 dimensione — se- (n-+- 1) M+ 2) — 8e 6 di iperpiani passanti per esso, corrisponde un sistema 2" altrettanto infinito cante della M, al quale, cioè all’ infinità di dimensione — 380 — (+1) (+2) +4 4e 3 di ©” passanti per gli punti del piano corrispondenti a quelli in cui la M è segata da X. Ma siccome un siffatto numero di punti, se essi sono indipendenti, determina un sistema di C” di dimensione (n+1)(n+4 2) — 8s 6 — 1, così vuol dire che 2" ha la sovrabbondanza 1. Ora (4-1) (242) 4-4e 3 per n=2, 4,5 il grado di un sistema di C” passanti per punti è rispettivamente 0, 6, 11, cioè maggiore di 2p — 2 (essendo p il genere), perciò per un noto teorema (!) il sistema è regolare, il che prova (+ 1)(n+2)4 4e che in siffatti casi non vi sono spazî X di dimensione (+1) (+42) +4 3 e 5 seganti la M in punti. Anche per n =3 non possono prendersi 8 punti in modo che le cubiche passanti per 7 di essi passino di conseguenza anche per l'ottavo. Dalle considerazioni che ora faremo, s' inten- deranno esclusi questi casi. (2-+ 1) (+ 2) + 46 6 Ogni X passante per un S incontra M, oltre che nei punti che questa ha in comune con S, in altri UTI de punti i quali determinano un S; della stessa specie di S e ad esso incidente. Se l’infinità dei X passanti per un S generico è uguale alla dimensione di questo aumentata di 28, vorrà dire che per ogni suo punto generico non può passare che un numero 0c0°° (00° = numero finito) di spazî S, ; in altre parole si ha allora che per ogni punto (generico) di S,, per il quale passa un S passa al più un numero co ?° di spazî siffatti, quindi gli S riempiono S, e perciò la forma ternaria generica di grado n è rappresentabile mediante la somma delle pe di (n+1) Gt 2) + 4e potenze forme lineari. Il fatto di essere l’infinità dei X passanti per un S generico uguale alla dimensione di questo aumentata di 2, avverrà quando nel piano l' infinità (+1) (+2) + 4e 6 dei sistemi 2" formati dalle ©” passanti per punti generici sia uguale a @PIATITE 149% P.e. per n=7 (= 0) si abbiano 12 punti generici ed un sistema 2" di curve C° passanti per essi e per altri 12 punti in modo che il sistema (dotato di 24 punti base semplici) abbia la sovrabbondanza 1. Allora consì- derando la cubica determinata da 9 dei primi 12 punti, una quartica che (1) Segre, Su sistemi lineari ecc. Rend. Circ. mat. di Palermo, t. I. — 381 — passi per i secondi 12 e per 2 dei rimanenti 3 passa anche per il terzo, dovendo ogni CL? che passa per 23 dei punti dati passare anche per il 24°, Si vede subito di qui, variando convenientemente i 9 punti che si sono scelti per determinare la cubica, che i 24 punti base di X' trovansi sopra una quartica; siccome poi per questi passano sempre delle sestiche (!), così risulta che essi sono la completa intersezione di una quartica con una sestica. Reci- procamente poi, per un ben noto teorema di Cayley, ogni gruppo di 24 punti che sia l'intersezione di una quartica ed una sestica è tale che ogni C° passante per 23 di essi passa pure per il rimanente. Presa dunque una C* passante per i 12 punti dati, le C° passanti per questi vi segano una serie lineare 9°4 ad ogni gruppo della quale corrisponde un sistema X' e siccome sono 00° le C' che consideriamo, così è 11 l'infinità dei sistemi 2" (passanti : Ra Il 2 4 per i 12 punti dati), cioè precisamente PURI TE 19, Lo stesso ragionamento si applica al caso di n= 8(e= 0) nel quale la base di un XS risulti come intersezione di una 0° ed una C°, ed a quello di n=6 (e=1) nel quale la base di un 2' è l'intersezione di una C* con una C°, ed in entrambi questi casi si trova che l'infinità dei 2' passanti deo UTI Lino i punti generici è G dp Possiamo dunque concludere che per nr=6, 7, 8 la forma ternaria gene- rica di grado x è rappresentabile con la somma delle potenze n° di ALLA forme lineari. Passando ad #= 9 (e== 1), applicando un metodo sviluppato dal sig. F. S. Macaulay (?) abbiamo che un sistema 2' di curve C° con 38 punti base semplici ha la sovrabbondanza 1, quando quei 38 punti sono le intersezioni di due C° passanti entrambi per gli stessi 11 punti di una conica. Vediamo quanti sono i sistemi 2" passanti per Sb le ay punti dati generici. Per aver la base di un XS" bisogna fissare una conica e su essa 11 punti e condurre per questi due C” le quali si taglieranno ulteriormente nella base cercata di 38 punti. Per gli 11 punti ora detti passano 00° O? for- manti 00‘ coppie; variando gli 11 punti sulla conica e poi variando questa, di (1) E una generica di queste sestiche non contiene la C4 come parte, giacchè il suo passaggio per i 24 punti è determinato dal passaggio per 21 dei medesimi. Difatti con- dotta una retta per 2 dei 24 punti, una sestica passante per 21 dei rimanenti 22 passa anche per il ventiduesimo, ed essa passa per tutti e 24, come si vede variando opportu- namente la retta. Considerazioni analoghe valgono per i casi che verranno menzionati poco sotto. (2) Point-Groups in relation to Curves, n. 26. Proc. of the London Math. Soc., vol. XXVI, 1895. — 382 — tali coppie ne otteniamo 0064. Però per 38 punti siffatti passano 00 0° (perchè per 5 di essi passa una conica e le C° passanti per 32 dei rimanenti 33 passano per tutti i 38 (!) e formano un sistema co) che danno luogo ad 00° coppie, cosicchè i sistemi 2' in tutto sono 0058, quindi l’ infinità di quelli (n +1) (+2) + de i ione Parimenti} per fr;= 10,805 12,13) odl4 nl5 pe se è applicabile lo stesso metodo e si trova che la base di un sistema X' è data dall’ interse- zione rispettivamente di due 07, C8, C°, C39, di una C!° con una C*?, di una che passano per 19 punti generici dati è 20= Cl icon una, Ci Se passanti rispettivamente per 5 punti collineari, per 12 punti di una conica, per 19 di una cubica, per 30 di una quartica, per 40 di una quintica, per 51 di una sestica,..... e sempre si trova con lo stesso procedimento tenuto per 7 =9 che l’infinità dei 2" passanti per (n 1) + 2) + de e VERE OETRAN do RESERO —1+2e. Passando al caso di x qualunque, ed applicando il citato metodo del (141) (+ 2} +46 3 punti generici dati è Macaulay, sia C"-* la minima curva passante per N = punti semplici formanti la base di un sistema 2' di sovrabbondanza 1, sì che le C*-* passanti per il gruppo N formino un sistema di dimensione maggiore di zero (come avviene p. e. per 7=9, 10, 11, 12, 13), per cui sarà : 10 die >) AE e) CL | donde 1) E Gelato 1) Ct 2) — 8e 5 Sg i i; n 3 e precisamente / è il massimo valore non superiore ad 5 che soddisfa questa re | relazione. ra eo 3 punti che sono l'intersezione di due C"-* passanti per N = (2 — 4 — La base di un sistema 2" si compone di N = Cata METE punti di una (+m_n-s (2 —m=n— ke) = (n_2h-3 È Dopo ciò procedendo in modo identico a quello tenuto per n="9, sì può constatare che in virtù delle (1), (1°) nessuna delle operazioni geometriche che si presentano offre mai particolarità tali da far modificare in qualche punto le conclusioni cui quel procedimento conduceva per n="9, e sì trova (1) V. il ragionamento fatto per 2. = 7. — 383 — (+1) (n+2) + de 6 precisamente che l’ infinità dei sistemi 2” passanti per ct 1) So punti generici dati è Se poi per il gruppo N passa una sola C?-* (come avviene p. e. per n= 14, 15), nel qual caso è @ MRI: VE: e se è C+ la minima curva passante per N e non contenente 0" come parte, si ottiene la base di un sistema 2" come intersezione di una C”-* ed una C"-k+ passanti entrambi per N'= (n — 4) (2—-X-+M) (111) Ai 2) 4 de punti di una C'+mr-3 = (n-%+-3, (man—k,=n—k+ Ah). Dopo ciò, sempre con lo stesso procedimento, si trova che l'infinità dei X" passanti per (2+1)(2+2) +46 (li PeR pn 6 3 va ’ (24+-1)(a+-2)4-4e _ 6 punti generici dati è era il qual numero, in virtù della (2), è appunto eguale a Dopo ciò possiamo concludere: Per n > 5 la forma ternaria generica di ordine n è rappresentabile in °° modi (0° = mmero finito) mediante (+1) (2 +2) + 4e 6 lu somma delle potenze n®° di forme lineari, essen- do e=0 od £=1 secondo che n non è 0d è multiplo di 3. Dei casi che si hanno per n = 5 ci conviene trattare soltanto quello di n= 5 essendo ben noti gli altri. La M è in questo caso una superficie di ordine 25 di So ed è (ELA corrispondono in M delle C!5 normali appartenenti a spazî Ss. Fissiamo un Ss determinato da 7 punti della M per i quali passa una rete di C!° e quindi per quel Ss passano co? dei nostri S14. L'Si4 di una C!5 generica della M incontrerà Ss in un punto A che sarà un punto generico di S (gli S;4 Sono 00°, quindi per ogni punto generico di Ss ne passeranno 00°; tut- tavia si potrebbe dubitare che A non sia un punto generico di M, che cioè le intersezioni di Sg coi nostri S,, diversi da quelli passanti per esso si accentrino in certi punti di Ss per ognuno dei quali ne passerebbe allora un'infinità di dimensione maggiore di 3; in tal caso si ha senz'altro che per ogni punto generico di Ss non passa alcun altro spazio congenere) e gli co8 S,4 (contenenti curve C!°) passanti per A sono quelli cui appartengono le curve del sistema triplo determinato dalla ©°* e dalla rete considerate. Fra questi 00° S,, non ve ne sono co? passanti per un altro Ss 7-secante di M, od in altre parole nel considerato sistema triplo di C'° non vi è ReNnpICcONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 50 =7. Alle cubiche del piano — 384 — un'altra rete come quella fissata sopra. Basta perciò osservare che data nel piano una rete (C) di cubiche passanti per 7 punti ed un'altra cubica gene- rica C,, il sistema triplo che ne riesce determinato non contiene un’ altra rete come la (C). Difatti siccome la C, per ipotesi non passa per alcun punto della base di (C), lo stesso avviene per ogni curva del sistema la quale non appartenga a (C). Ora una qualunque rete del sistema, diversa da (0), è determinata da un fascio di (C) e da una curva Cs, non appartenente a (C), ed essa non è certo formata da curve passanti per 7 punti fissi perchè questi dovrebbero trovarsi fra i 9 punti base del fascio e perciò dovrebbero fra essi trovarsi anche alcuni dei 7 punti base della (C) (almeno 5), mentre la Cs abbiamo visto che non passa per nessuno di questi. Ne segue che per ogni punto generico di un Ss 7-secante di M non passa alcun altro spazio siffatto, il che vuol dire che gli Sg 7-secanti di M riempiono Sx per ogni punto generico del quale ne passa uno. Dunque: Za forma ternaria quintica generica è rappresentabile, ed in un solo modo, con la somma delle quinte potenze di 7 forme lineari. Osserverò, nel chiudere questo scritto, che attualmente si può già preve- dere che l'impossibilità di rappresentare una forma s-aria generica con la somma di potenze di forme lineari contenenti un numero di costanti non inferiore a quello contenuto nella forma considerata, sì avrà soltanto in casi particolari. Di questi uno solo mi si è presentato, oltre a quelli già noti, e vale, per la sua importanza, la pena di accennarlo: è quello della quartica quinaria (r=4, an=4, m=69) che contiene 70 costanti. Consideriamo in Seo gli S,3 14 secanti della M, i quali complessivamente hanno co ?° punti. Siccome 14 punti di S, vi determinano una quadrica, così i nostri S13 ap- partengono agli spazî contenenti le varietà di M corrispondenti alle quadri- che di S,. Ora nel sistema di tutte le V34 ve ne sono 0014 che contengono una data Q*, quindi la dimensione della serie segata dalle V3* in Q3? è 54, il che vuol dire che gli spazî cuì appartengono in Ss le varietà di M corri. spondenti alle quadriche di S, sono di dimensioni 54, per cui i nostri S13 essendo contenuti in questi, che complessivamente hanno 0058 punti, non riempiono Ses. Ne deriva: Za forma quartica quinaria generica non è rappresentabile con la somma delle quarte potenze di 14 forme lineari. — 385 — Meccanica. — Su/le vibrazioni trasversali di una lamina, che dipendono da due soli parametri. Nota del dott. G. Brsconcini, presentata dal Socio VOLTERRA. 1. Seguendo le orme di una Memoria del prof. Levi-Civita (') e appro- fittando in buona parte dei risultati ivi racchiusi, ci siamo proposti, data l'equazione d°w di dv VEE (1) Qw= di determinare la forma di tutte le possibili sostituzioni o=@.(2,9,1) , 0=02(2,7,1) tali, che, posto arbitrariamente Vele @s (@ 00) (colla sola condizione, che le funzioni 91 , 0» , 03 sieno indipendenti) ed espressa n la (1) mediante @;, 02,03, la equazione trasformata, posto in essa 3] = (|) CLI e moltiplicata al più per un conveniente fattore dipendente da 03, non con- tenga più esplicitamente questa variabile. La funzione w definita dall’equazione Qw = 0, così ottenuta, risulta dunque una funzione dei soli parametri 0, , 02. Ricordando poi, che l'equazione (1) definisce, scelta convenientemente l’unità di tempo, le vibrazioni trasversali di una membrana, risulta giusti- ticato il significato attribuito ai risultati ottenuti, quale apparisce dal titolo della presente Nota. 2. Osserviamo intanto, che, considerata l'equazione dei potenziali d°Ww0 + d°Ww0 dl d0 0 Pagg * «e (1°) AW == ed eseguita la trasformazione: o=0(0,9,5) , ee=02(0,7,5) , 06=03(2,Y:8), è possibile ottenere, col procedimento più sopra indicato, una equazione Aw=0 3 che definisca w come funzione delle sole 0, e e», solo quando la con- (3; Zipi di potenziali, che si possono far dipendere da due sole coordinata. (Mem. della R. Accad. delle Scienze di Torino, s. II, Tom. XLIX, a. 1899). — 386 — gruenza 0,= cost., 0, = cost. sia isotròpa o risulti costituita dalle traiet- torie di un gruppo co! di similitudini ('). Potremo poi asserire, che, siccome dalla (1) si passa alla (1°) collo scambio di < in 24, così, se @r=@1(2,y,%), 00="@02(2,7,%) costitui scono l'integrale generale di una congruenza equipotenziale, le equazioni o =01(2,Y,tt), 0»= 02(4,y, tt) definiscono, indipendentemente dalla condizione di realità, i parametri 0, e 0», dai quali soltanto dipenderanno le vibrazioni trasversali della lamina (?). Operando in tal guisa, risulta immediatamente, che l’ equazione dei Aste . d°w d°w0 otenziali isotròpi — iù p gi: d02° 5 =0 è anche l’ equazione delle vibrazioni, che ce nel caso corrispondente dipendono solo da 01 e 03. i Nei rimanenti casi abbiamo dovuto iniziare la ricerca dei sottogruppi co! reali del gruppo G, delle similitudini nello spazio ds? = de° + dy° — di, le cui trasformazioni infinitesime sono (usando delle notazioni ben note del Lie) : a d BR) D — ua ip feta, =N_s, U=e+w+6, S/=ys+ wp, Sf=p+ es, Sf=2x1—yp, coll’avvertenza di considerare equivalenti due sottogruppi co! riducibili l'uno all'altro soltanto mediante due trasformazioni di G, non involgenti in ufficio scambievole le tre variabili 4,9, (°). Scartati inoltre i sottogruppi, le equazioni delle cui traiettorie non risul- tavano indipendenti rispetto alle variabili x, y (condizione, che come apparisce subito, è essenziale), abbiamo trovato di dover ritenere distinti i sottogruppi co! definiti dalle seguenti trasformazioni infinitesime: Sf € i (cC-0) RERU i; 14 Sf , cUf+ Sf , s=Uf+Sf , p=Uf+8S:f; CERISSi Sl Sa iS o: lo e cUf Ss AME 0) > (848; nelle quali il parametro e è essenziale. (1) Loc. cit. $ 8, pag. 149. (2) Se 01 e 0» non fossero reali, si potrà sempre sostituire ad essi altri parametri €11,02, funzioni soltanto di 01 e 02, i quali risultino reali. (3) E ovvia la ragione di questa avvertenza: nel caso attuale infatti la variabile £ sta a rappresentarci il tempo, che non si può trattare nello stesso modo come le varia- bili di spazio 4 e y. Ts hi — 987 — 5. Integrate le equazioni differenziali corrispondenti, e trasformata la equazione Oiw = 0 come è stato indicato al n. 1, abbiamo trovato nei diversi casi enumerati come equazioni delle vibrazioni della lamina, le seguenti: SEA d°w d°w ES (Pre (1) Ow = (e x: o 0, dove: O1ICEEHS 0. —M nd 1 dWw II = —__ = Li ) L d01° ‘sen? 101 > i CO Ca PI “ib Ziano y o arc tg LI gi marigl. — d%w 1 I dw III = (1 — —_ 0, Ca d01° tal og RE; de: = 2 _ q3 = pes my, e=ytlgj/ 77% -_ CÈ VO IERI! GE dI0 IV) Qwu= =) AE dt \Ee_ SH a (1 sen 702) d0,° 01° ia È sen° 202) d@1 Lek 30 900 aeeesoa 0 Ce2 ici AEREO) e =Va4y? di a =: : ta i = d°w dw w dW V Bi = È — 203 (20, — 1 6 ; (V) Qi dot TE 20» (20, E ah os 9 dè (1 Aes Miglia, tia 7 e Vbiug=4 QI Gera tento Te Ce +7 pia fi 0, 2 È, 1 = 4y° arl > Qo=gyet. —— d°w a d°w d°w dw dw VID) O == A IE a 32 La ( ) w Qi do d02 = 20 7 d09 der ani 02 NI 0, haariat e 9 ES Oni 2(0+1? b) oo=(z+0)e Ù (VII) pdl psi Sleep e=l@+0" +2, e=3@+0+y(+0) e. (IX) w= o=@+0°+2 , @=zl@+0+y0+0+1. N53 Sa. ine ne 001 Q1 sen? 70») de @1 sen? 702) doi D ’ gio sii Q1° da = (ge SD pa seo ASA Va. o=a SU ES) Risi / =. 2 L (xD 4 (1 I pit de Me dest * oi dA TT o=VEFÙ + = t+aeegt. Notiamo, che per valori particolari della costante, ch' entra in qualcuno dei sottogruppi, potrà essere opportuno sostituire ai parametri 0, e 0» certe loro combinazioni opportunemente scelte, e trasformare l equazione Qw = 0 servendosi di esse, anzichè porre quel valore particolare nella equazione corrispondente Qw = 0. Così p. es., se nel caso (VII) per c=" 0 si scelgono le variabili 0,,0: date dalle equazioni : o=a + y°—&, SIR Rc; DI va anzichè quelle date dalle equazioni 0; = (en) , o0=£X+#, (che si deducono dalle formule generali ponendo c= 0) si trova come equazione delle vibrazioni d°Ww 9 dWw > “5 de? de? =. che s' integra immediatamente e porge w= F (01) + F, (log /or — 02), l F, ed F, essendo simboli di funzioni arbitrarie. 4. Per esaurire la questione ci manca da considerare le congruenze di linee di lunghezza nulla nello spazio ds° = da? + dy° + de? . Questo caso escluso a priori nella Memoria del Levi-Civita non si poteva escludere nel caso attuale, perchè a quelle congruenze corrispondono in gene- rale congruenze reali nello spazio ds° = dax° + dy° — di? . Ci risparmiamo di riportare qui i calcoli eseguiti; solo diremo che, seguendo in questo caso la strada battuta dal Levi-Civita per determinare — 389 — a BICE DA d/ la condizione, cui doveva soddisfare una congruenza di linee X Saldi pe S | adl =0 per essere equipotenziale, siamo potuti arrivare al seguente risultato : - L'equazione delle vibrazioni, che dipendono da due soli parametri è: d'w | 2 dw dest! 0» des il cui integrale generale è w=w (01) Tr x (01), le variabili 0, e 0» es- 2 sendo definite dalle equazioni: x coso, + y seno — P(0)="£%, d Ar AI I e (ELE 1 dove con p,w,%y si indichino delle funzioni arbitrarie. Radiotelegrafia. — /elazione sommaria sull’esperimento di radiotelegrafia sintonica esequito a Spezia fra le stazioni di S. Vito, Palmaria e Livorno ('), presentata dal Socio BLASERNA. Per lo sviluppo crescente della rete radiotelegrafica, allo scopo di evi- tare il reciproco disturbo delle stazioni, si è imposta la necessità di espe- rimentare, sia i dispositivi tendenti a ridurre l'energia delle onde emesse dal radiatore delle stazioni di secondaria importanza, sia i dispositivi rela- tivi alla sintonizzazione con apparecchi già forniti dal Marconi alla R. Ma- rina e provveduti di due toni, l'uno detto tono A, della portata di 150 Km., e l’altro tono B della portata di 300. Perciò il capitano di corvetta Bonomo, direttore delle esperienze radio- telegrafiche della R. Marina, concretò un programma di esperienze, affidan- done lo svolgimento al tenente di vascello Villarey. Gli esperimenti si svolsero a Spezia fra le stazioni di S. Vito, Palmaria e Livorno, queste ultime due distanti dalla prima rispettivamente 5 e 70 Km. Gli apparati che si sono adoperati sono quelli forniti recentemente dal Marconi alla R. Marina, con i quali per ottenere il tono A, e cioè quello (1) Comunicazione del Ministero della Marina. Direzione Generale di artiglieria ed armamenti. — 390 — che produce onde di minor lunghezza, si impiegano capacità e sorgenti di energia elettrica inferiori della metà circa di quelle del tono B. Nell'ultima fase delle esperienze nelle tre stazioni si disponeva di aerei di circa 54 metri di altezza, quello di Livorno costituito da un filo sem- plice, e quelli di Palmaria e S. Vito da 4 fili riuniti in quantità e distanti tra loro metri 1,50 (in modo cioè da formare un prisma a sezione quadrata di m. 1,50 di lato). A S. Vito i due ricevitori tono A e B con le relative macchine Morse, erano in derivazione sull'aereo unico nell'interno della stazione. Fu innanzi tutto esperimentata la sintonìa degli apparati, trasmettendo da Livorno col tono B e da Palmaria col tono A, e ciò mettendosi nelle condizioni più favorevoli per quanto riguarda la distribuzione della energia, avendo assegnato a Livorno, più distante, il tono di maggior portata. Queste prime esperienze sortirono esito felice, inquantochè a S. Vito si potè contemporaneamente e chiaramente ricevere sia l’una che l’altra tras- missione. Il sig. Bonomo, incoraggiato da questi risultati preliminari, soddisfacenti, pensò di ripetere le prove nelle condizioni più sfavorevoli, e cioè assegnando alla stazione più lontana (Livorno) il tono di azione più limitata, per accer- tarsi che la sintonia degli apparecchi potesse realizzarsi anche in questo caso. Per attenuare gli effetti dell’ eccesso di energia trasmessa dalla Palmaria fu necessario, nella stazione di S. Vito, di fare opportunamente uso di ca- pacità e induttanze variabili, mettendole sia in serie che in derivazione fra i serrafili dei ricevitori e sull'estremità dell'aereo. I risultati furono coronati da pieno successo, e si procederà oltre negli esperimenti per tentare di ottenere eziandio la trasmissione simultanea coi due toni. Radiotelegrafia. — Sulle esperienze di sintonia eseguite dalla R. Marina a Spezia. Lettera del Comandante A. PoucHAIN, pre- sentata dal Socio BLASERNA. Ho l'onore di comunicare all'Accademia che il giorno 14 m. c. a Spezia si riuscì a trasmettere da S. Vito, con antenna unica e simultaneamente, ni- tidissimi radiotelesrammi a Livorno ed alla Palmaria. I dispositivi erano gli stessi che per le precedenti esperienze, già co- municate all'Accademia. Per tal fatto l'esperimento della sintonizzazione con i moderni appa- rati marconiani può considerarsi completo ed esauriente. | — 391 — Chimica. — Nuove ricerche sulle soluzioni solide e sull’iso- morfismo. Nota di M. PADOA, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. È noto da esperienze dovute principalmente a Garelli ed a Bruni che l'azoto (N=) e il gruppo CH= si comportano come isomorfogeni in com- posti a catena aperta e chiusa. Così danno soluzioni solide piridina e benzolo (*), chinolina e isochino- lina con naftalina (2), trifenilmetano e trifenilammina (8). Tuttavia, all'infuori del caso dell’azobenzolo CH; .N=N.C;H; che dà miscele isomorfe con lo stilbene C;H;. CH= CH. C;H; (4), tutte le sostanze sperimentate contenevano nella molecola un solo atomo di azoto sostituente un gruppo CH =. To mi proposi di ricercare se l'isomorfismo si mantiene anche fra com- posti eterociclici poliazotati ed i corrispondenti composti omociclici, Esperienze in questo senso vennero bensì tentate, ma con esito nega- tivo; Bruni (°), pensando che la piperazina dovrebbe dare soluzioni solide col benzolo: tentò di fare esperienze crioscopiche impiegando quest’ ultimo come solvente: ma la piperazina non vi è solubile. Garelli e Montanari (5) sciogliendo la fenantrolina in fenantrene : N BUONE, ( RRS7445 \ NATIA \de Aaa. NR Neg ottennero pei pesi molecolari dei valori completamente normali. (?) Paternò, Gazzetta Chim. Ital., 1889, I, 663 — Van't Hoff, Zeitschr. fiir physik. Ch. V,. 8336 — Bruni, Gazz. Chim. Ital. 1898, I, 259. (2) Garelli, Gazz. Chim. Ital. 1893, II, 283. (3) Garelli e Calzolari, idem. 1899, II, 283. (4) Bruni e Gorni, idem, 1900, I, 76. () Idem. 1898, I, 268. (6) Gazz. Chim. Ital. 1894, II, 233. RenpICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. sil — 392 — Io cominciai le mie esperienze impiegando la dimetilpirazina, la quale, per quanto ho detto, dovrebbe dare soluzioni solide col p.xilolo: CH; CHz | | ASS ZASS cH7 NN CHANGE I I | N75 CH 7A | | CH, CH; La dimetilpirazina fu preparata distillando una miscela di glicerina anidra con cloruro e fosfato ammonico; il distillato, seccato con potassa, venne sottoposto a distillazione frazionata. La dimetilpirazina passava a 155°; è un liquido incoloro, ma può cristallizzare e fonde a 15°. Dalle esperienze crioscopiche ebbi i seguenti risultati : Concentrazioni Abbassamenti termometrici Pesi molecolari Dimetilpirazina in p.xilolo (K = 48) CsHgNo == 108 1,924 0,64 129‘ 4,937 1,58 134 7,304 2,36 133 2.296 0,58 135 3,185 1,04 132 6,012 1,90 136 Dimetilpirazina in benzolo (K = 50) 1,252 0,57 110 2.155 0,99 109 3,795 1,72 110 L’anomalia crioscopica, benchè non molto forte, è discretamente spiccata, ed è confermata dai numeri perfettamente normali ottenuti sciogliendo la stessa dimetilpirazina in benzolo. Dopo un tale risultato, era naturale supporre che la tendenza a for- mare soluzioni solide divenisse più accentuata fra composti polinucleari fra i quali intervenissero le stesse relazioni di struttura. Così era prevedibile, un comportamento notevolmente anormale della chinazolina, ftalazina e chinossalina, rappresentate rispettivamente dagli — 393 — schemi N AAA delfino di SA Si INAN NZ A sciolte in naftalina. Volli sperimentare con tutte e tre queste sostanze, anche per vedere se la posizione degli azoti influisse sulla grandezza delle even- tuali anomalie. La chinazolina impiegata, ottenuta recentissimamente per la prima volta da Gabriel (!), venne gentilmente fornita dal suo scopritore; era purissima e fondeva a 48°-480.5. La ftalazina, pure cortesemente inviatami dal Gabriel, fondeva a 91°-92°. La chinossalina fu preparata nel seguente modo: Riducendo l'ortonitroanilina con stagno e acido cloridrico, si ottiene facilmente l’ortofenilendiammina; da questa, condensata col composto bisol- fitico del gliossale, si prepara senza, difficoltà la chinossalina. Questa bolliva a 225°-226° e fondeva a 27°. Le esperienze crioscopiche diedero i seguenti risultati: Concentrazioni Abbassamenti termometrici Pesi molecolari Chinazolina in naftalina (K= 70) ii CsHgNs —= 130 0,802 0,39 O 144 1,598 0,77 140 2,463 | 1,24 139 Ftalazina in naftalina CsHjgN, —= 180 1,025. USI 149 2,078 0,95 153 3,022 s95 157 Chinossalina in naftalina C:HjgN, = 180 1,271 0,65 È 137 2,395 1,17 143 3,473 aero! 1142 (1) Berichte,. XXXVI, 800. —_ 1394 — Contrariamente a quanto avevo supposto, le anomalie sono poco ‘sensi- bili, e appariscono tutte della medesima grandezza, quando si tenga conto dei diversi punti di fusione delle sostanze impiegate. Per assicurarmi che tali anomalie tuttavia esistessero, eseguii alcune determinazioni sciogliendo le stesse sostanze in un solvente che presenta delle costanti crioscopiche vicine a quelle della naftalina, e cioè in difenile: Concentrazioni Abbassamenti termometrici Pesi molecolari Chinazolina in difenile (K= 80) CsHgN, Lena 130 1,140 “0,69 132 2,177 1,29 135 3,186 1,88 136 Ftalazina in difenile CsHgN, = 130 0,747 0,45 132 1,444 0,86 | 134 Chinossalina in difenile CsHgN, = 130 0,953 0.52 | 133 1,978 1,215 130 3,429 2,08 132 Avendo osservato che la chinossalina, per le sue proprietà fisiche, si sarebbe bene prestata ad esperienze crioscopiche, ne determinai la costante d’abbassamento del punto di congelamento sciogliendovi il p.nitrotoluolo e il difenile. Concentrazioni. Abbassamenti termometrici Depressione molecolare P.nitrotoluolo in chinossalina C,H,0,N = 137 1,998 118 86,1 3,056 2,01 90,1 4,540 - 9,98 89,9 Difenile in chinossalina CieHio =_= 154 2,321 1/33 88,2 4,449 2,56 88,6 6,697 3,85 88,6 Preso come valore medio K = 89, feci una determinazione di peso mole- colare della naftalina in chinossalina: Concentrazioni Abbassamenti termometrici Pesi molecolari Naftalina in chinossalina (K = 89) CioHs = 128 0,975 0,65 188 1,922 1,17 131 2,694 1,84 128 Come si vede, il comportamento è perfettamente normale; la naftalina non può dunque cristallizzare nella forma della chinossalina. Poichè le esperienze con sostanze contenenti due nuclei chiusi avevano dato risultati diversi da quelli previsti, ed anche per chiarire il fatto già accennato: che la fenantrolina si comporta normalmente sciolta in fenantrene, volli ancora sperimentare su composti azotati del tipo del fenantrene, e come tali impiegai il fenazone e la naftochinossalina : N i 1 Nast N A NL sit bari I Il fenazone mi venne gentilmente fornito dal prof. Tauber che l’ottenne pel primo (!). Era puro e fondeva a 151°. La naftochinossalina fu ottenuta nel modo seguente (?): dal cloruro di diazobenzolo con 8.naftilammina, preparai la fenilazo-f.naftilammina; questa, ridotta. con zinco e acido acetico dà la «.8.naftilendiammina. Condensando quest'ultima, come nella preparazione della chinossalina, col composto bi- solfitico del gliossale, ottenni la naftochinossalina. Questa si presenta in aghetti incolori fondenti a 62°. Le esperienze crioscopiche diedero il risultato seguente: Concentrazioni Abbassamenti termometrici Pesi molecolari Fenazone in fenantrene (K = 120) C-HgNo === 180 0,962 0,68 170 1,855 1,28 174 2,769 1,84 180 (1) Berichte, XXIV, 3085. (2) Hinsberg, Berichte, XXIII, 1394. — 396 — Naftochinossalina in fenantrene C..HgN; = 180 0,909 0,62 176 1,930 1,28 181 3.140 210 180 Contrariamente ad ogni previsione, il comportamento è perfettamente normale. Ciò è tanto più strano in quanto che il fenazone non differisce dall’azobenzolo che per un semplice legame fra due atomi di carbonio nello stesso modo che il fenantrene differisce dallo stilbene: e, come ho già detto, l’azobenzolo è completamente isomorfo con lo stilbene. Del resto, come si vede dalle seguenti misure, nessun rapporto cristallografico sembra sussi- stere fra fenazone e fenantrene: Fenazone (!): monoclino olo- edrico, 0,99146:1:0,58490 191092591 Fenantrene (?): monoclino, 1,4098 :1: 2 [001:110]:[001:110]=109°,17 Per ultimo ho eseguito un'esperienza impiegando l'n.fenilpirazolo. È noto da lungo tempo (3) che il pirrolo dà soluzioni solide col benzolo, e che anzi l’anomalìa crioscopica è in questo caso più notevole di quella data dalla piridina sciolta in benzolo. Sono dunque isomorfogeni i gruppi — NH — e —CH=CH—: però è da prevedere che diano soluzioni solide il pira- zolo col benzolo, ed a maggior ragione il fenilpirazolo col difenile: CHIEN CH=CH | )N CH CHK DITO CH=CH CHT—CH Preparai l’n.fenilpirazolo condensando, come insegna Balbiano (4), l'epi- cloridrina con la fenilidrazina. Il fenilpirazolo bolliva a 245° e fondeva a 12°. Le determinazioni di peso molecolare eseguite in difenile, ed anche, per ragioni già dette, in naftalina, condussero ai numeri seguenti: Concentrazioni Abbassamenti termometrici Pesi molecolari Fenilpirazolo in difenile (K = 80) CsHgN, = 144 1,733 0,89 156 3,813 1,95 ILO7 6,020 3,02 160 (1) Fock, Zeitschr. fiir Kryst., 32, 258. (2) Negri, Gazz. Chim. Ital. 1893, II, 377. (3) Magnanini, idem 1889, 141. (4) Idem 1887, 177. — 397 — Fenilpirazolo in naftalina (K = 70) 1,949 0,89 153 4,189 1,94 151 L’anomalìa, dunque, o non sussiste affatto, oppure è debolissima; ciò non esclude tuttavia che gli altri fenilpirazoli possano dare nel difenile delle anomalie più sensibili, tanto più che essi fondono a temperatura più elevata. Dalle esperienze finora eseguite, nonostante parecchi risultati siano affer- mativi, non si può concludere che si abbia in generale l'attitudine a for- mare soluzioni solide fra composti eterociclici poliazotati ed i corrispon- denti composti omociclici. E però mi riserbo di proseguire le ricerche eseguendo determinazioni quantitative ed impiegando nuove sostanze. VC: ofob oli solid «Sit'eve ton gtate Dal ioni agli ; Mita Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 18 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIIT. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. > Volt Ve VV VEGSVI. Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MeMoRIE della Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — IL (1, 2). — IINI-XIX. MEMmoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpIconTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della (Classe di scienze morali ,. storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII. (1892-1903) 1° Sem. Fasc. 10°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. (1892-1908). Fase. 1°-2°. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. HIII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Ii prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LorscHer & €.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco Hoepri. — Milano, Pisa e Napokh. RENDICONTI — Maggio 1903. N.D E Classe di scelenze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 maggio 1903. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Pascal. Sulla costruzione dei simboli a carattere invariantivo nella teoria delle forme diffe- renziali di ordine qualunque... . MS 0 CARORMABNCIAT: $ Bas: Ricci. Sulle superficie a in una valiéta e e in piu su varietà a tre dimensioni (*). . È pre gr Ri Mosso e Marro. Analisi di gas di sangue d differenti pressioni ii (E Aa Id. id. L’acapvia prodotta nell’uomo dalla diminuita pressione barometrica (*) . . . . » Id. id. Le variazioni che succedono nei &as del sangue sulla vetta del Monte Rosa (*) . » Palatini. Sulla rappresentazione delle forme térnarie mediante la somma di potenze di forme lineari (pres. dal Socio Segre) . . . 5 » Bisconcini. Sulle vibrazioni trasversali di una ina CT dipen da dic soli ai (pres. dal Socio Volterra). . . ; 5 Sea ) 6 pae) Relazione sommaria sull’esperimento di radicali Li SONE esdidità a Splaa Îa % sta- zioni di S. Vito, Palmaria e Livorno (Comunicazione del J/inistero della Marina, pres. dalfSoc10 05/1520) MISA i Pouchain. Sulle esperienze di siae sscondili dalla R. Marina 3) ‘Spezia fa Co o Padoa. Nuove ricerche sulle soluzioni solide e sull’ isomorfismo (pres. dal Socio Ciamician) » (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. È ! Pubblicazione bimensile. —oma 6 giugno 1903. N. 11. o 0 Ja DELLA | REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO Ce. 1908 | Sete EE, UE "LA: RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 giugno 1903. h Volume XII. — Fascicolo LI i 1° SEMESTRE: | Il al Ù fili li Il i | ì ill hi il! il i ROMA Uil DN È TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI i È i “SUE ti 4 PROPRIETA DEL CAV. V. SALVIUGCI il 1903 il | il AT Il IU Ji 19083 Li STE syto Ag ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono Je norme seguenti : ; 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispone denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus: sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. Il. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risco in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - @) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. . 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5, L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. n Seduta del 6 giugno 1903. P. VILLARI, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Una classe di covarianti simultanei di una forma differenziale di ordine qualunque, e di una alle derivate parziali. Nota INT del Corrispondente ErnEsTO Pasca. Questa Nota fa seguito alle altre due da me pubblicate da poco tempo in questi medesimi Rendiconti (!). I simboli introdotti nella Nota II, e che abbiamo chiamati, per ragioni dette a suo luogo, simboli a carattere invariantivo, hanno, fra le altre, anche la notevole proprietà che mediante essi si esprimono i coefficienti di tutta una importante classe di covarianti, che nella presente Nota impren- deremo a studiare, essendo essi che si presentano nel problema della ridu- zione di Pfaff per le forme differenziali di ordine qualunque. Nella costruzione che faremo dell'anzidetta classe, questa ci apparirà poi come avente per ultimo rappresentante quell’invariante di cui abbiamo già fatto osservare l’esistenza sin dall'anno passato in una Nota presentata all’ Istituto Lombardo (?), e donde, come già dicemmo, abbiamo preso le mosse nelle presenti ricerche. () Rend. della R. Acc. dei Lincei (5), t. XII, 1903, 1° sem., pagg. 325-832 e 365-377. (?) Rend. Ist. Lomb. (2), t. 35, 1902, pagg. 691-700. RenDICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 52 — 400 — 1. Icovarianti evidenti connessi alla forma data e formole relative. — Data la forma differenziale di ordine 7, i cui coefficienti sono le X ad uno, due, tre, ...7 indici, le altre forme differenziali di ordini 7 —1,7—2,...2,1, i cui coefficienti sono rispettivamente le stesse X sino a quelle ad 7 —1 indici, le stesse sino a quelle ad 7 — 2 indici, e così di seguito, sono tutte covarianti della data, come si riconosce a colpo d'occhio, osservando le for- mole (7) della Nota I, dalle quali apparisce che una trasformata (cioè una Y) a p indici si esprime mediante le antiche X che hanno un numero eguale o minore di indici. Questi covarianti li chiameremo perciò è covarzanti evi- denti connessi alla forma data, e li indicheremo con X®, X® ,... XD, conservando così la notazione introdotta colla formola (1) della Nota I; essi formano una successione di cui l’ultimo rappresentante può ritenersi che sia Xl, cioè la forma stessa. Vogliamo ora cominciare a trovare una formola riguardante il differen- ziale di una X qualunque della predetta successione. Si ha: s dX© = d NI Xj n OE tra mEI im 1 m S DIGISOR 8) = un go dd; D (ZE, DI da DEE x 2. Xii sim nm ME II m 7 v m=1 j, ee dA s 2 dX j (5) (S+1) AITSI Do eo. a x i — eri di mer jd e IS (S) =D Z2@ Xjijm ddim di ego Im m=2 jr. dm ma=1 Mutando nell'ultimo termine # in m 4-1, ponendovi 7m+1="%, e ag- giungendo e togliendo il termine Di Ki eds RO) ea moana e osservando che O) os), d&; La DO; w OL, si ha infine la formola: (1) dX9 —X6S+D + >: (GI a — 401 — introducendo la notazione CLES > b: a dm _ Ki mi) da; | CATA pz. ;à > gu. -Îm È) )) dan | ia in cui la doppia parentesi sta a indicare uno dei noti simboli introdotti nella Nota II. La XP non è altro in sostanza che ciò che si ottiene da X9, quando al posto dei coefficienti X;,...; SÌ con, le forme differenziali di primo ordine : (3) DI ((Î1---Îm 39) dai. 2 doo 2 Dalla formola (1) ora per induzione otterremo la formola per il diffe- renziale qualunque p”"° di X°9, Ponendo in generale s p_ s xs 2 I I (Grtn) Beda dh dico che st ha: p (5) de XO = DI () X(6+p-9;® q70 dove per X si intende semplicemente X®. Per dimostrare la (5) basterà trovare la formola per il differenziale di (4). Ora si vede che la (4) si ottiene da X° ponendo al posto dei coef- ficienti X;....;» le forme differenziali di primo ordine (6) Da. A =1 ey < che indicheremo col simbolo I, 5 Per trovare quindi il differenziale di (4) si potrà servirsi di una for- mola come la (1), intendendo però che i simboli in parentesi doppia che compaiono in XP devono essere sostituiti da quelli formati colle quantità (6). Si ha: vo < d Xi. ‘Im dXSD — X6+hD 4 x -D=a _ XP de; |6®_. X,. Im drdm mel uz 3) — 402 — (Jedi i) | dita, Intanto, tenendo conto di (6), I (0,9) dAiin — XD > (Gi. «JmoUo d4:; V1°Im Di i; dI; (P) dd; sfarzo do) £ + di 3 a - onde, tenendo conto della relazione già dimostrata nella Nota II DO o )El(GEegyaaei40 d((ji a, , È ò dI osservando che: 0, N : ° dx; eb di, n Ùy e ricordando le formole (16) (17) della Nota I, si ha Ss po é sspazinn 4 È SSD (Grfarbn a A t - p b 9 Ò " (Pt 1) ) ua DI DI DI DI (pa: îv)) di vent di. n03, m=l N=1 i, ‘Im È 1° nta 1°/m vo ZI e) SMI e =) Sii È (da «Simo d)) Vo Liy ei nell'ultimo, es- si di- m=1 ce In questa formola vi sono tre gruppi di sommatorii le due operazioni pl S îy sottoposti a DI : indi si ponga ?, al posto di <; struggono; nel primo sì muti v in v — 1 ; Coe (8) sendo gli indici 7, con ciò si riconosce che tutto il primo gruppo di sommatorii, meno solo un il termine rimasto può scriversi ‘+1 San Îm termine, si distrugge coll’ ultimo gruppo DI DI DI ((J1 97m 01 i+) d; m=1 Im COUPE dl vip+10 osservando al solito che (P) dap+ Orta — 403 — Ora questo termine è come quelli della seconda riga. della precedente formola, il cui sommatorio rispetto a »v resta perciò da estendersi da. v= 1 a v=p-+ 1, ed osservando. che allora i termini di tal seconda riga ven- gono a formare XSP+!, si ha infine la formola semplicissima ed elegante : (7) dXSD.—= XS+1:D + GER che contiene come particolare la (1). Se ora differenziamo la (5) e teniamo conto di (7) si ottiene una for- mola precisamente come la (5) ma in cui si sia mutato p in p+- 1; ciò dimostra per induzione la (5) stessa, ricordando che essa è vera per p="1. Similmente può dimostrarsi la formola più generale: Mm (8) d'xSD — >I (a XS+m-4;p+9 : q=0 ] che per m=1 dà luogo alla (7) e per p=0 dà luogo alla (5). Le XS®, introdotte colla formola (4), sono covarianti. La dimostrazione di ciò si deduce da quanto abbiamo dimostrato nella Nota II, cioè che i simboli ((71..- jm,%1-.%)) si trasformano come i pro- dotti X;i...j;n Xii. Da ciò risulta che XS si trasforma esattamente come il prodotto X‘° X‘, e quindi, come questo prodotto, è un covarzante. 2. Introduzione di espressioni più generali delle XS del paragrafo precedente e relazioni fra esse. — Le espressioni XS introdotte nel pa- ragrafo precedente soddisfanno alla relazione (7), e quindi alla (8), e sono, come abbiamo detto, covarianti. Formeremo ora delle espressioni più gene- rali le quali soddisfanno ancora a relazioni come (7) e (8), ma che non sono più covarianti, ma sibbene alcuni di essi sono coefficienti di covarianti. La ragione di questa introduzione sta in ciò, che dovremo fra tali espres- sioni stabilire certe relazioni le quali ci saranno indispensabili per trasfor- mare, secondo un certo intento, il risultato dell’applicazione di una trasfor- mazione infinitesima alla forma differenziale data, argomento di cui tratte- remo nella Nota seguente. Poniamo (più generalmente che colle formole (4) e (6)): (9) Xaioki I È ù. (e sta) Apia St, var 1j,: Imi, Per s=0 intenderemo soppresso il sommatorio rispetto ad m, quello rispetto alle j, soppresse le j e la 09; similmente per p= 0. Quando 7: =0 ovvero o=0 scriveremo rispettivamente : Xx, (S39) «ha 30? X di, , (SD) 0;k,e OSOMEO® Piena n tn ea —- — —————_ mat cu rss Sos a===# alt — 404 — essendo quest’ultimo lo stesso che X&® dato dalla formola (4). Per s=0, p=0, poniamo: A IT e pers=0,p=0,zx=0}; semplicemente: 30 ; Xot 0 = Kina Questa formazione (9) comprende, come particolari, tutte quelle finora introdotte e studiate; comprende i simboli da noi chiamati secondarti (Nota II) e comprende i coefficienti della forma data. Ora è evidente, senza ulteriori calcoli, che la (9) soddisfa, come la (4), a: (S19) (+1 PD) (S1P+1) (10) dXy i... kn # XK, «hr her ala Xi hg shycehn ® Basta per ciò osservare ch i calcoli del paragrafo precedente possono ripetersi, senza sostanziali modificazioni, per il caso nostro, giacchè se in quei calcoli alla parantesi (CES Cad) si sostituisce sempre l’altra (CERO co RIA A) si può procedere nella stessa maniera, e ottenere i medesimi risultati. Dalla (10), nello stesso modo con cui si è ottenuto la (8), si può poi ottenere l'altra: (1) pae Salo Altre relazioni cui soddisfanno le (9) sono le seguenti: k (12) veve k 13) Vl) i la dimostrazione delle quali si può far procedere per induzione. Per % =0 le due formole risultano evidentemente identiche; dimostriamo che sussistendo per % sussisteranno per X 41. Per ciò fare basta differenziare primo e secondo membro di (12), e indi sottrarre la (12) stessa in cui sì sia prima — 405 — mutato p in p-+-1. Tenendo allora conto della (10), possiamo scrivere: k k DI (— 1)5 (°) dh+1-s NE a Di (— 1)i () dk-s SC DIES n s=0 s=0 e se nel secondo sommatorio mutiamo s in s—1 e indi raccogliamo e ri- duciamo i termini simili, otteniamo precisamente la stessa (12) in cui si sia mutato £ in X-4+- 1. Analogamente si dimostra la (13). Di queste ultime relazioni avremo bisogno di servirci nella Nota seguente. 3. Covarianti simultanei di una forma differenziale e di una alle derivate parziali. — Sia ora data una espressione di ordine @ lineare nelle derivate parziali di una funzione indeterminata /, come quelle considerate nella Nota inserita nei Rendiconti dell’ Istituto Lombardo e citate in principio : [o ds (14) DI Si e formiamo: E (15) ACIDI Dà Fine Ki E SI m e È 55 Se e (16) DOSI > Eisicdis Xii O de _si DI 3 DI ) D (E co ((Jì ne Jm ’ î, 200 îs)) (e ; sl mal dei, I1Im Noi faremo vedere che queste formazioni sono covarianti; ma prima di far ciò è necessario discutere sui possibili valori che possono avere i numeri 0 e wu. i Se supponiamo che la forma differenziale data sia di ordine 7, poniamo che l'ordine o della (14) non superi r; cioè sia o=r. Il numero w in (15) non può superare 7 — o, perchè altrimenti in 4 vi sarebbero, come è facile riconoscere tenendo conto di (9), dei s7m- boli secondarii di cui il numero totale degli indici sarebbe 0 + w cioè maggiore di 7, e tali simboli non esistono. Lo stesso è da osservarsi per la (16), avvertendo però che per un 4° il numero @ non può suppotsi, come per un 4°, eguale a 7, ma essenzialmente minore di 7, giacchè se — 406 — fosse o=r, in 4° vi sarebbero dei simboli secondarzi in cui il gruppo dei secondi indici sarebbe formato di 7 indici, e quindi, non potendo oltre- passare 7 il numero totale degli indici, il gruppo dei primi indici non po- trebbe comparirvi; ma simboli secondarii di tal natura non hanno signifi- cato, mentre l'hanno (sono eguali ai coefficienti medesimi della forma) quelli in cui scomparisca invece il gruppo dei secondi indici. La dimostrazione della invariantività delle 4 e 4 si fa in modo simile a quello tenuto nel paragrafo 2. Osserviamo che, come abbiamo già dimostrato nella Nota II, i simboli ((71.--ds391-Jm)) Si trasformano precisamente come i prodotti X;,-i, Xji'jm; sostituendo allora questi prodotti a quei simboli si deduce che 4° si tras- forma precisamente come Ma questa espressione è il prodotto dell’invarianie 4 già studiato nella Nota inserita nei Rendiconti dell’Istituto Lombardo, per il covariante evi- dente X, dunque resta provato che 4° si muta in sè stesso. E simil- mente si procede per 4°. Nella predetta Nota abbiamo osservato che 4 perderebbe la invarian- tività se fosse 0 maggiore di 7; ciò spiega la ragione della limitazione or da noi posta di sopra. Collo stesso semplice metodo può dimostrarsi l’invariantività anche di un’altra espressione: sia data un'altra forma alle derivate parziali (di ordine u = 7), con coefficienti &' (che però in particolare potrebbero anche essere eguali ai #), e formiamo: EE i AE Ge DI DI x DI Eivis Soto (Goo %59 900%) i, SO Si dimostra come sopra che: G è un invariante simultaneo della forma differenziale e delle due alle derivate parziali. Per ragioni simili a quelle suesposte deve naturalmente qui supporsi o 4+-u <= 7. Per il caso di 7=2, non può quindi essere che al più o=1,u=1, e la £ diventa un inva- riante come quello indicato anche con G nelle formole (10) dell'altra mia Nota: Sulla teoria invariantiva delle espressioni ai differenziali totali di second’ordine, ecc., pubblicata l'anno scorso in questi medesimi Rendiconti ('). (1) (5), t. XI, 1902, 2° sem.; pagg. 105-112. fee nn Apt ritaee — 407 — É utile infine notare che fra le formazioni 4% vi è compresa anche quella per u=0, 4° che non è altro che l'invariante 4, da noi già più volte ricordato. 4. Caso in cui la forma alle derivate parziali sia di 1° ordine, cioè sta il simbolo di una trasformazione infinitesima. — Un caso degno di essere messo specialmente in rilievo è quello di o=1, perchè è questo il caso che avremo direttamente da applicare nella soluzione del problema di Pfaff. Per uniformarci alle notazioni da noi già introdotte per il caso del 2° ordine i covarianti (15) e (16) per il caso di o=1 li chiameremo rispettivamente C e D°, cioè porremo: I 17) CONDI (UE DL TATO, DA (18) DE- DD I Sim MESSA în cui p può al più essere eguale ar —1. Poichè queste espressioni non contengono coefficienti X con più di u +1 indici, e poichè X#*+V è un covariante di X®, così può dirsi che C e D sono anche covarianti di X+P, Sommando o sottraendo, e introducendo i simboli principali abbiamo altri covarianti. Conviene allora distinguere il caso di w pari da quello di u dispari. Porremo, in relazione alle due specie di simboli principali : Lep = Ce6 + Dew , ECM = — (e Dew (19) INCI, NA C@B+1D + De&Er+D ; Ee@eg+D = C@p+» + Der+» e allora si ha sempre (sia 0 pari o @ dispari): (20). LO=DED [oso +90, tt o na Abd] SES ii, i, + 6 5 9) dis feat 0 Lod. RenpIcONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 53 08 — «I covarianti L sì presenteranno, come vedremo, nello studio dell’ ap- plicazione di una trasformazione infinitesima : alla forma differenziale; le quantità in parentesi sia in L che in E hanno una formazione ben chiara; per una L cominciano sempre coi simboli principali di prima specie, e indi procedono; alternandosi, simboli di prima con simboli di seconda specie; per una E invece si comincia coi simboli di seconda specie e indi si procede alternativamente come sopra. i Una osservazione è ora di fondamentale importanza per le cose che do- vremo dire in seguito. La L° non contiene coefficienti X a più di 0 indici; quindi essa può anche considerarsi come un covariante di X‘®, mentre non può dirsi lo stesso della E e delle C®, D°® le quali possono considerarsi come covarianti solo di X+®” e delle altre forme di ordine superiore. Di qui ne viene che per una X fondamentale, mentre non esistono le C©, D©, E”, esiste invece, la L®, ed anzi è proprio questa che ci si presenterà nel problema cui abbiamo di sopra accennato. 5. Caso delle forme differenziali di 1° ordine e di r"° grado. — Per completare la ricerca poniamoci infine nelle condizioni del paragrafo è della Nota II. Dei covarianti (20) e (21) non restano allora che ED e L®, i quali risultano rispettivamente: RETE, (22) RIDI DI DI AO v J 3 ) CET I (23) LO = Di È; D il i Î 9; 5. — 9 Roi 6); i {ti di cui il primo è evidente da sè, e il secondo è quello che per 7=2 è stato rilevato colla formola (15) della Nota: Sulla teoria invariantiva, ecc. sopracitata, notando però che il simbolo | ; | ivi adoperato, essendo esat- tamente il simbolo di Christoffel sotto la forma ordinariamente per esso adoperata, si ottiene da quello che noi nella Nota II abbiamo indicato con e 1 È ; J Ji oltrechè ponendo #= 2, moltiplicandolo anche per = gi: — 49 — Matematica. — Sulle superficie geodetiche în una varietà qualunque e in MINES nelle varietà a tre dimensioni. Nota del Corrispondente G. Ricci. i Il sig. Hadamard (') ha posto il problema di determinare quelle va- rietà, che ne contengono altre da lui dette superficie geodetiche perchè tali che le loro linee geodetiche sono linee geodetiche anche per le varietà, ‘in cui si considerano immerse. Egli ha anche assegnato una espressione cano- nica per i ds? di quelle varietà a tre dimensioni, le quali godono della pro- prietà che per ogni loro punto passa una infinità di superficie geodetiche. Partendo da formole stabilite in altra mia Nota (?), io pongo in equa- zione il problema generale proposto dal sig. Hadamard nel modo seguente. Considerando una varietà Va.m ad 7-- m dimensioni come definita per mezzo del suo ds e assumendo una varietà V, ad n dimensioni in essa immersa come indeterminata, stabilisco un sistema di equazioni a derivate parziali, che deve essere reso. integrabile dalla espressione 4 del ds® di V, perchè esistano in V,+,m delle superficie geodetiche V,. Questo sistema. integrato per una determinata porge una intiera classe di superficie geodaliche di Vus: Il problema di determinare le varietà V,4 tali che per ogni loro punto passi un numero finito di superficie geodetiche V, equivale a quello di ri- conoscere se le superficie V,,, che tagliano ortogonalmente una congruenza normale data di linee tracciate in Vai sono geodetiche; ed è qui risolto in generale. Prendo poi in esame il problema risolto dal sig. Hadamard e, assieme ai risultati già da lui stabiliti, determino le. caratteristiche intrinseche delle V3, per ogni: punto delle’ quali passa una infinità di superficie geode- tiche. Risulta da esse che le traiettorie ortogonali ad una famiglia di su- perficie geodetiche di una V3. costituiscono sempre una congruenza principale di essa V3; dal che segue prima di tutto che le curvature principali di una Vz di Hadamard non possono essere tutte distinte. Se esse sono tutte eguali, si ha il caso ben noto dello spazio ordinario euclideo o no; se, invece, due di esse soltanto sorio eguali e se di ‘più la congruenza corrispondente (i) dr. Sh n VE Lira, à pPlusicirs dimensions. Tome XXV de la 9° Série du Bulletin des sciénces mathématiques, <--> ) ra MOORE (2) Cfr. Formole fondamentali nella teoria generale delle varietà e della Da cur- vatura. Rendic. della R. Acc. dei Lincei, seduta del 4maggio; 19022 105 si 005 (5) — 410 — alla terza curvatura principale è insieme normale, geodetica ed isotropa, si ha il caso di Hadamard. La risoluzione del problema di Hadamard nel caso di n=3 è dunque intimamente congiunta colla considerazione di quelle, che io ho chiamate congruenze e curvature principali di una Vz, le quali sono di importanza fondamentale in tutte le ricerche, che riguardano la struttura intima di queste varietà. La risoluzione dei problemi analoghi per le varietà di un maggior numero di dimensioni dipende certamente da una opportuna estensione di quei concetti. Questa Nota fa seguito a quella citata sopra sulle Formole fondamen- tali nella teoria generale delle varietà e della loro curvatura. di cui con- serverò qui le notazioni, e che citerò, occorrendo, colla lettera N, mentre ci- terò con M il Azassunto sui metodi di Calcolo differenziale assoluto e loro applicazioni, pubblicato dal prof. Levi-Civita e da me nel vol. LIV dei Mathematische Annalen. 1. Il prof. Bianchi in questi Rendiconti (') ha poste in evidenza alcune identità differenziali, che legano i simboli di Riemann, che si incontrano nella teoria della trasformazione delle forme differenziali quadratiche, a quelli di Christoffel. Nel caso delle forme ternarie ai simboli di Riemann, che costituiscono un sistema quadruplo covariante, se ne possono, come è noto, sostituire altri costituenti un sistema doppio controvariante. Se, seguendo le mie notazioni, quelli si indicano con @p9grs e questi con & e ‘si introduce il sistema covariante triplo di elementi «,x (M, I, 3) le relazioni, che pas- sano tra il sistema di elementi 4pg,s e quello di elementi a si possono scrivere come segue: 3 = D) ce Apg,rs = DI: Epgu Ersv GARRIS 1 oVVero 3 i (UW) (007) Apg,rs Delli, (7 4 Epqu Erso Eu! > 1 denotandosi con @,,y il sistema reciproco al sistema a”. Ne seguono per derivazione covariante le 3 i (UW') (00) Upgyrst Ds 4 4 Epgu Erso Culvt è I Colla convenzione di riguardare come equivalenti gli indici, che diffe- riscono per multipli di 3, le formole di Bianchi sì possono scrivere come (1) Seduta del 5 gennaio 1902. lil E — 4ll — ® segue: Upgsrr+1 +2 È Qpgyr+a rr + Upgyr+i r+gr = 0 e per le precedenti assumono la forma r vl “ VASZA2A) ale) Epgu Culo 0 0 3 < FT uwa o la equivalente 3 > (VW) =, (0A CM 0 Ò n, UVW Se poi (M, II, 1) si introduce una tripla di riferimento [1],[2],[3] di sistemi coordinati covarianti 4, (R,u="1,2,8) e si pone 3 (1) dun = Dr pk Anpu Arfe 1 3 le formole di Bianchi per le varietà a tre dimensioni assumono la forma (2) v cen 3P S; (cnr Yrii — Wik Yu — 10 1"( dSk Sul ) In particolare, se ci riferiamo ad una tripla principale per modo che le (1) assumano la forma 3 Cu = DIE Op Anju Ànpo 1 le (2) ci danno BIOS 2 à = = .(Qj;— ii » ISh Ù, ( i n) Yi Per 0 = ©w,= 03 da queste scende per 2=3 (come ha osservato il Bianchi per una varietà qualunque ad » dimensioni) un ben noto teorema di Schur. Nella ipotesi ©) = 03 =%©, ©, si hanno invece le formole RION DIS dò PIC sg POME ra 0 — MAE + (0) = ©) (Y122 + Y133) = 0 — 412 — Se si suppone geodetica la congruenza [I]; è Ya1=Ysn1=0 ecperò vale il teorema seguente: ni i « Se in una, varietà V3 due curvature riemanniane principali hanno lo « stesso valore w e la terza ©, è diversa da ©, e se la congruenza princi- « pale corrispondente ad w, è geodetica, w varia soltanto lungo le linee di « questa congruenza. « Se w non è costante, la congruenza stessa è quindi geodetica e nor- « male, anzi il suo sistema coordinato covariante risulta dalle quo di una « funzione rispetto alle coordinate di V; ». 2. Si supponga data in una V,, qualunque una famiglia di co! V,_, per mezzo della congruenza delle sue traiettorie ortogonali. Indicando con 4,=Zn/r il sistema coordinato covariante di tale congruenza, Peo le Vu; siano geodetiche occorre 6 basta che la ru zi one n < ARE I ea sia un integrale particolareggiato della equazione delle geodetiche di V,. Considerando poi la congruenza data [n] come associata ad altre x —1 con- gruenze [1],[2],...[# — 1] costituenti con essa in V, una ennupla orto- gonale, quelle condizioni sono rappresentate (M, V, 2) dalle equazioni Ynij + Yogi = 0 ((,j=1,2,..n—- 1). Ricordando altresì (M, IL 10) che le condizioni di normalità della con- gruenza [n] sono espresse dalle Ynij Ynji si riconosce che le precedenti equivalgono alle (3) Ing = 0A 20.7 AE Queste poi (1) per j= i ci dicono che considerando le V,_; come im- merse in V,,, ogni linea tracciata sopra una V,-, può riguardarsi come linea di curvatura di questa. Per j=7 esse ci dicono invece che le curvature principali delle V,,... sono tutte nulle. Rimangono così estese alle superficie geodetiche di una varietà qualunque delle proprietà. hen-note dei Dis dello spazio ordinario. TR Le equazioni stabilite ‘sopra ci dicono ancora che la o, di super- ficie ortogonale alla congruenza [n] fa parte di infiniti sistemi n! ortogo- nali di Vn. Si indichi con 2, un. parametro della. famiglia di SUPERICO (1) Cfr. Ricci, Dei sistemi di congruenze ortogonali secc., nel vol. LEE ‘serie 5° delle Memorie della Classe di scienze fisiche di questa R. Accademia. i — 4133— ortogonali alla congruenza [w]; con @1,%2,.. &n-1 quelli di altre 7 —1 famiglie costituenti con essa in V, una ennupla ortogonale e sia ds° — Hî dat + Bî daì +-+ Hi dai la corrispondente. espressione "del ds° di V,,. Le equazioni (3) assumono la forma Data la espressione di un ds° in coordinate ortogonali, abbiamo così un cri- terio assai semplice per riconoscere se e quali delle famiglie coordinate ri- sultano di superficie geodetiche. 5. Riprendiamo ‘ora le considerazioni esposte nda mia Nota sulle For- mole fondamentali nella teoria delle varietà e della loro curvatura. Con- siderando ancora una varietà V,.., ed una V, in essa contenuta siano n+m w=I Cu du do 1 n g = più. Us dar das l le espressioni dei loro elementi lineari in coordinate generali. Sia poi È, il sistema coordinato covariante di una congruenza di linee tracciate in Va+m per modo che una sua linea passante per un punto qualunque di V, giaccia tutta in V,. Le linee di questa congruenza passanti per punti di V, costituiranno una congruenza di V,, di cui indicheremo con 4Z© il si. stema coordinato controvariante. Varranno così le relazioni n+m Se DI 429 x, Cuv Yxlp > le quali, derivate tenendo conto delle (II) della Nota citata, dìnno PISA n+tm n+m 3 DI ra Cuxsw Yxr > a falu >» RD ‘nia Di: sed Crp 7_ DI e luo Yxvfs3 1 e conseguentemente, indicando con È, il primo sistema derivato covarian- temente secondo w dal sistema &,, n+m n+m DA Se Fu = I » ARA, dapibalre+L, 49945 F Cuv Yvfr è e—#=> Cams T === = Lsu = sio — 414 — Poichè nt+tm n Di sO E, =0, Di 259 A,= 0 1 1 sono rispettivamente per V,4m e V, le equazioni delle congruenze geodetiche, le formole stabilite ci permettono di concludere che « Perchè una varietà V, sia geodetica per Vn+m è necessario e basta « che siano soddisfatte le equazioni Dalrs =0 « ovvero (N, (6)) le equivalenti ap = 0 >. Introducendo queste condizioni nelle equazioni (A), (B'), (C) e (D) della Nota più volte citata, queste assumono la forma v ) (A) Yulr = 3a 5, Zitr 1 (B) Shu “oi » ink Èi pia e O dSk nr" "Tia vip n Ph DR n+m n £U) 0) 0) SL. OI (C) DE Cul yov! 5 Si È; SS =" DG pr; st 4; d; 4, 7 ob (U) (UU) (MV) (0) (D) ut Cuul 300 8g, 5; $; ch — 0. (Modi I, Bo 0 EI 00) Ne segue che, data intrinsecamente la varietà Vn+m per mezzo del suo ds?, per determinare le varietà geodetiche. V, in essa contenute, con- verrà prima di tutto determinare tutte le forme 4 ad » variabili, per le quali il sistema (A,B,C, D) risulta integrabile. Per ogni 4 così determi- nata la integrazione di questo sistema darà poi tutte le superficie geode- tiche V, immerse in V,,., ed aventi g come espressione del proprio ds?. Ricordiamo che, determinata 4, debbono riguardarsi come incognite le fun- zioni y,, nonchè le S1/,, S2/u > «tonfus 10 Ziju 3 So/u 0 Emu; © CHE al'sistema ricordato sopra debbono considerarsi aggiunte le equazioni, cui debbono sod- disfare le È e 2 testè ricordate perchè possano riguardarsi come sistemi coor- dinati covarianti di una (2 + m)"P!* ortogonale di congruenze di V,4m- Invece le Zi, Ze/r +. Anfo SONO i sistemi coordinati covarianti di 7 congruenze costituenti in V,, una vm." ortogonale e del resto qualunque. Ricordiamo È .È — 415 — ancora che le condizioni di integrabilità delle (A) e (B) sono contenute nelle (C) e (D) talchè noi dovremo preoccuparci soltanto di quelle di queste ultime equazioni. 4. Stabilite le equazioni del problema proposto in generale, proponia- moci in particolare di riconoscere per ogni varietà Vs data intrinsecamente per mezzo del suo ds?, se essa contiene delle superficie geodetiche Vs; e, nel caso affermativo, di determinare tutte queste V.. Tenendo conto dei ri- sultati del $ 2, le quante volte noi riesciremo a determinare in una V3 le traiettorie ortogonali di una possibile famiglia di co! superficie geodetiche, sapremo anche riconoscere se questa esista o non esista; nel caso afferma- tivo poi il determinarne le equazioni in termini finiti dipenderà dalla riso- luzione di un ben [noto problema di calcolo integrale. Perciò, quando risulti determinato il sistema coordinato di quelle traiettorie, il problema potrà ri- guardarsi come risoluto per quanto riguarda la famiglia di superficie geode- tiche ad esse normali, se una tale famiglia esista. Premesso ciò, osserviamo che nel caso nostro, cioè per m=1 ed a=2, le equazioni (C) e (D) assumono rispettivamente la forma 3 (0) Da ToA9212)) Qu LA = K 1 3 (D') Zu og, SA = 0 (e =.l, 2) ’ K essendo l'invariante di Gauss relativo a g ed a il sistema triplo con- trovariante, che, come ricordammo, per 2=3 può essere sostituito ai sim- boli di Riemann. Designando con © una indeterminaia, le (D') equivalgono alle 3 Di (00 — we) e,=0, 1 che sono le equazioni delle congruenze principali di V3. Dunque « Se in una V3 esistono delle famiglie di co° superficie geodetiche, le « traiettorie ortogonali di una qualunque di queste famiglie costituiscono una congruenza principale di V; ». Siano &1/v, 52/0, $3,w i Sistemi coordinati di tre congruenze principali di Vs fra loro ortogonali due a due, ©, ,w,,3 le corrispondenti curvature riemanniane principali di V3, talchè si abbia 3 Ca = Da di E;lu Eito 1 RenpICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 54 — 416 — e si ponga 44= £3,,. La (0) ci dà le=20 e ci dice cosa già nota, perchè insita nel concetto di curvatura riemanniana, e cioè che per una direzione qualunque questa coincide colla curvatura gaussiana della superficie geodetica ad essa normale. Tenendo conto di questa proprietà, rimane senz'altro soddisfatta la (C'), come lo è la (D') assumendo come congruenza 4, delle traiettorie normali ad una famiglia di superficie geodetiche una congruenza principale di V3. 5. Si supponga dapprima ©, = ©, = 63. Pel teorema di Schur il va- lore comune delle tre curvature riemanniane principali di V3 sarà costante e, designandolo con K, pel teorema del paragrafo precedente sarà pure eguale a K l'invariante di Gauss relativo al ds° di ogni superficie geodetica trac- ciata in V3. Con ciò questo ds° rimane determinato a meno di trasforma- zioni puntuali e risulta identicamente soddisfatta la (0°) e così pure la (D'), poichè ogni congruenza di Vz può in questo caso assumersi come principale. Rimangono quindi da soddisfare le equazioni (A) e (B), le quali di per sè costituiscono un sistema completo. Il sistema integrale generale di tale si- stema dipende da sei costanti arbitrarie, che possono determinarsi in modo che una superficie geodetica passi con orientazione arbitraria per un punto arbitrario di Vz. Ritroviamo così i risultati ben noti relativi allo spazio or- dinario euclideo o no. ° 6. In secondo luogo si suppongano due curvature riemanniane principali eguali fra di loro e la terza distinta, talchè, posto Wo=Wg =; sia 01 + © e si indichi con », =» la congruenza principale corrispon- dente ad @,. Potremo riconoscere ($ 2) se esista una famiglia di co! superficie geo- detiche, che taglino ortogonalmente la congruenza [1]. Ci rimane quindi da stabilire se e sotto quali condizioni esistano delle famiglie di superficie geo- detiche, che taglino ortogonalmente una delle co! congruenze principali cor- rispondenti alla curvatura w, le quali sono tutte e soltanto quelle normali alla (1). Indicando ancora con K l'invariante di Gauss relativo al ds? di una qualunque delle superficie geodetiche cercate, le equazioni (C') e (D') per le cose dette sopra, assumono la forma (C.) K= Di) Dv a =0. N, TTI in ‘ i n È — 417 — Richiamiamo le espressioni delle z,,, le quali (N (4)) assumono nel nostro caso la forma 3 Bur De fs Cursw Yafr 1 e sostituiamole nelle equazioni, che scendono per derivazione dalle (D,). Te- nendo conto altresì delle (A) e indicando con y una indeterminata perve- niamo così alle 8 (4) DELI PRO, Cum = Y8u è 1 Se queste sono indipendenti dalla (D,), esse determinano la congruenza delle traiettorie ortogonali di una possibile famiglia di superficie geodetiche. Pre- scindendo, per ragioni già dette, da questo caso, le (4) assumono la forma a (4) Vivi Y(Cu n Vi Vo) . Associamo alla congruenza »,,, altre due congruenze vs,, e v3,, costi- tuenti con essa in Vs una tripla ortogonale, poniamo 3 Vila = Dai V'ink Vafu Vnfo (1,u,v=1,2,83) 1 e confrontiamo colle (4') le espressioni delle v, date da queste per 7= 1. Perveniamo così alle (5) Via=Vwe=t1n=Yin=0 (6) Vas =V13= 7. Ricordiamo ancora (M, II, 4) che, indicando con s', l'arco delle linee della congruenza [7], e ponendo dY nik hik __ dY ri hil DS DS + Di y hij (Y x Funi Vj) sl Si, (y° ihl Vjik fara Yink Y;ù) Yi, = Ynk =" Yh+1h+2,k+1k+2 valgono le relazioni YVa=}1=0 , yao0=}Y3=0; da cui seguono le (7) aka Wi — 418 — Le (5) ci dicono che la congruenza [1] deve essere geodetica; e che le », sono le derivate di una funzione »v rispetto alle y, e di più che due congruenze qualunque [2],[3] formanti in Vz con la [1] una tripla orto- gonale costituiscono rispetto ad essa un sistema canonico (M, II, 3); il che si esprime dicendo che la congruenza [1] è isotropa. Da questa proprietà della congruenza [1] segue poi la prima delle (6), la quale ci dice che sono eguali fra di loro le curvature principali delle superficie normali alla con- gruenza [1] considerate come contenute in V3. Le (7) infine ci dicono che y è funzione della sola v, come lo è ($ 1) @. Dalla isotropia della congruenza [1] segue anche che in V3 le super- ficie di parametro v fanno parte di infiniti sistemi tripli ortogonali. Assu- miamo in Vz come coordinate 4, ,%»,%3 uno di questi sistemi ortogonali prendendo x,= »v. Il ds? di Vz3 assumerà una espressione della forma (07) = dai + ES da” + EIA lg . Le (6) poi danno dlogH, ?>dlogH dI dA e, assieme alla (7) ci dicono che la espressione di w si può ridurre alla forma y= de, +XW, X essendo funzione della sola «, e yw, un ds? a due variabili x, ed %,. Questa espressione di yw non differisce essenzialmente da quella del sig. Ha- damard, e però possiamo concludere che le condizioni (5), quando si inten- dano soddisfatte per ogni dupla [2][3] formante colla congruenza [1] una tripla ortogonale, sono necessarie e sufficienti perchè la varietà Vs sia tale che per ogni suo punto passi una semplice infinità di superficie geodetiche. 7. A questi stessi risultati completandoli possiamo giungere fondandoci unicamente sulle formole stabilite nei paragrafi precedenti. Perciò osserviamo che, come risulta dalla equazione (D,), la congruenza [1] è tale che ogni sua linea, la quale passi per un punto di una V., giace tutta in questa. Possiamo quindi assumere | È fu = Viju ( Eu = 00893 v2p, + SEN PV, (8) designando così con 4 l'angolo delle linee della congruenza É»,, con quelle della v2,,. Dovendo poi la congruenza , esser normale alle superficie Va e quindi tanto alla congruenza È,,, quanto alla $2,,, avremo per le 2, le espressioni 2u= — SEN IV] + COS IP Vu. lager u 5 Lao — Da queste la equazione (D,) essendo identicamente soddisfatta, rimangono da soddisfare, oltre alla (C,), le (A), che per le (8) assumono la forma (AL) Yue VO Zip + (008 Fv$° + sen dv) Zap e le (B). Queste poi, tenuto conto ancora delle (8), ed indicando con s, ed s, gli archi delle linee delle congruenze É1}, @® $2/u, assumono la forma (B') Yaa = 0 (B") Vee = Y dI È \ ds 682) (B.) I Di = 7329008 F+ y7333 send. DES Osserviamo che le condizioni di integrabilità delle (B,) risultano sod- disfatte, tenendo conto delle (5) (6) e (7); e che dalla (B") e dalle (7) segue la dY122 (9) cai 8. La (B') e la (9) ci dicono che nelle varietà V, le linee [1] sono insieme geodetiche ed isoterme, dal che segue che queste varietà sono applicabili sopra superficie di rotazione e che le linee [1]e[2] sono in esse le defor- mate dei meridiani e dei paralleli. Ricordando che w e y sono funzioni della sola v, e avendo presente la (B") si riconosce che, se si assumono nelle V, come coordinate le linee [1] di parametro v e le loro traiettorie ortogonali [2], la espressione del ds? delle Vs assume la forma (e) g=dv° + G(») do. essendo Doge (10) nen! e quindi G= sro. Dunque 4 è determinata a meno di trasformazioni puntuali e per con- seguenza tutte le V, sono applicabili fra di loro. Ritenendo ora g espressa in coordinate generali x, #,, assumiamo come congruenza À,,. quella di parametro v, con che la equazione (B') sarà iden- ticamente soddisfatta, e poniamo (Bs) v(Li La) = (Y Ya Y3) — 420 — Questa derivata, tenendo conto delle (A,), ci dà le Vv, = hifr. che risultano identicamente soddisfatte per la espressione (a) di g. Te- nendo conto di questa, della (B,) e della (10) risultano pure identicamente soddisfatte le (B'),(B") e (C,) ricordando, per ciò, che riguarda, quest’ ul- tima, anche la prima delle (7) e la nota formola di Liouville applicata al sistema di coordinate v e v. Il sistema completo da integrare per deter- minare le superficie geodetiche di V, corrispondenti alla curvatura princi- pale ©, risulta dunque delle (A,), delle (B,) e della (B;). Il suo sistema integrale generale è tale che per valori iniziali arbitrarî 4, e d, di #1 ed #3, > può assumere valori affatto arbitrarî, mentre i valori iniziali corrispon- denti di y. y» Y3 debbono soddisfare alla equazione (0414243) =v(a di). Però, poichè si possono fissare i valori di 4, e 9, in modo che la superficie rappresentata da quest’ultima equazione passi per un punto arbitrario di Vs, è sempre possibile far passare per un tal punto una superficie geodetica Vs la cui normale sia arbitrariamente orientata nella giacitura piana di V3 normale alla congruenza [1]. . Se si suppone w costante, lo è pure K per la (C,) e g ammette 00? trasformazioni in sè stessa, per le quali ogni punto P di V, si può portare nella posizione primitivamente occupata da un punto prefissato qualunque. Ciò significa che, fissati i valori a, e d, di x, ed «>, noi possiamo ad essi far corrispondere un punto qualunque P di o; dal che e dalle considera- zioni fatte sopra, segue che, fissato un punto P, in V3 ed un punto Pin Va, sì può sempre far passare per P, una superficie V, in modo che P coincida con P,. Se invece è e quindi K sono variabili, fissato il punto P,, i punti P di V,, che possono farsi coincidere con Py, costituiscono una semplice infinità. Astronomia. — Osservazioni dei pianetini LT ed LU Dugan 1903 fatte all’equatoriale di 39 cm. del R. Osservatorio del Collegio Romano. Nota del Corrispondente E. MIiLLOSEVICH. Il pianetino LT Dugan 1903 di 12%, con probabilità, è identico a @ Wihelmina scoperto da M. Wolf il 4 novembre 1894. L'accertamento dell'identità si avrà fra breve. — 421 — Do intanto le due seguenti posizioni: 1903 maggio 27 10h 29 165 R. C.R. « apparente 15 53 12.76 (92.106) eaiaane d ” — 9°20” 07. 7 (0.832) 1903 maggio 28 CECORoTE R. C.R. « apparente 15 52 24.75 (92.351) oo CD) ” — 9°13’ 227. 6 (0. 825) Il pianetino LU Dugan, ben lucente, di circa 10.7, parrebbe, a giudi- care a prima vista, nuovo. Di esso ho potuto ottenere due posizioni, che sono le seguenti: 1903 giugno 2 10h 4672 415 R.C.R. « apparente 16 50 1.38 (92.194) D) ” — 9°13" 07.9 (0. 830) 1903 giugno 5 9h 472 528 R. CR. « apparente 16 47 42.71 (92.369) d ” — 9915147. 4 (0.824). Fisica terrestre. — Avassunto delle determinazioni di gra- vità relative fatte nella Sicilia Orientale in Calabria e nelle isole Eolie. Nota del Corrispondente A. Riccò. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Patologia. — ‘ discendenti dei genitori tubercolotici (Polli). Nota preventiva del Corrispondente AnceLo MAFFUCCI. Nell'anno decorso pubblicai la parte generale dei miei studî intorno alla Patologia embrionale infettiva (*), avendo esperimentato con diversi microbî patogeni e tossine direttamente injettati nelle uova di pollo durante l’incu- bazione delle stesse: microbî e tossine, che assorbiti dall'embrione per mezzo della vescica allantoide, misurarono il modo di comportarsi di questo essere verso dette sostanze tossiche infettive in confronto al pollo adulto. Appurata la reazione dell'embrione verso le infezioni e le intossicazioni, era il caso di passare allo studio della trasmissione ereditaria delle malattie infettive, e scelsi per infezione la tubercolosi, intorno a cui ho esperimentato sui mammiferi e sui polli; e per ora presenterò in riassunto le mie ricerche fatte sui discendenti dei polli tubercolotici, riserbandomi di dare la Memoria (1) Memoria della R. Accademia dei Lincei, ser. 5%, vol. IV, 1902. — 422 — in esteso, appena espletate alcune ricerche complementari e fatte le rispet- tive tavole. Gli esperimenti si sono svolti nel seguente modo: ho esaminato da prima lo sperma e le uova dei polli tubercolotici e vi ho riscontrati i bacilli tuber- colari; ho raccolto le uova fecondate da gallo tubercolotico e galline sane, da maschio sano e galline tubercolotiche, e finalmente le uova di gallo e gal- line tubercolotici: dette uova furono messe ad incubare, ed esaminati gli embrioni da 48 ore di sviluppo fino a 5 giorni d'incubazione per scovrire i bacilli tubercolari nei tessuti embrionali, sia per mezzo di ricerche istologiche, sia per mezzo colture degli stessi tessuti embrionali sui sustrati nutritivi per la coltura dei bacilli tubercolari, la ricerca dei bacilli nei tessuti embrionali mi è riuscito finora negativa; non ho protratta la ricerca al di là del quinto giorno dell’incubazione, per non confondere i bacilli tubercolari che si pos- sono trovare nei tessuti embrionali pervenutivi con l’atto della fecondazione con quei bacilli tubercolari, che si trovavano nell’albumina delle uova, portati dallo sperma del maschio tubercolotico o dalla secrezione delgi uovi-dutti delle galline tubercolotiche, giacchè la vescica allantoide si trova già al sesto e settimo giorno in contatto dell'albumina. Premessi questi fatti, ho voluto portare a schiusa le uova fecondate da gallo tubercolotico e galline sane, e da gallo sano e galline tubercolotiche e dei due genitori tubercolotici, tenendo calcolo del grado della malattia dei genitori nell'epoca della fecondazione ed emissione delle uova, onde notare se in ragione diretta, che i genitori avanzavano nell’ infezione, aumentava il loro cattivo influsso sulla rispettiva prole. Volli sperimentare ancora sulle uova quando i genitori non presenta- vano più una infezione acuta, ma quando la infezione negli stessi era oro- nica, come pure la intossicazione tubercolare; ed ancora volli esperimentare sulle uova dei discendenti dei figli dei genitori tubercolotici, dopo che questi figli dei genitori tubercolotici avevano contratta l'infezione tubercolare acqui- sita, che negli stessi decorre cronicamente, ciò che difficilmente avviene nei polli di genitori sani. Volli sapere ancora come si comportavano i nipoti degli avi tubercolotici, cioè raccogliendo le uova dei figli di genitori tubercolotici, non sottoposti all’ infezione acquisita. Proseguendo gli esperimenti, tutti i figli dei genitori tubercolotici furono sottoposti all’infezione tubercolare, grave o minimamente mortale con rispet- tivi controlli: ed i figli di genitori tubercolotici, guariti dalla prima infezione tubercolare acquisita, furono di nuovo sottoposti ad una seconda infezione, e per uno studio comparativo furono sottoposti all’ infezione tubercolare acqui- sita i polli nati da uova intossicate con tossina tubercolare (durante l’incu- bazione), e per lo stesso scopo ancora furono sottoposti all'infezione tuberco- lare acquisita i polli nati da uova infettate con bacilli (durante l’ incubazione) dopo che detti polli per un anno. dopo la schiusa si mostrarono sani, cioè — 423 — avendo vinto l’ infezione tubercolare embrionale: e da questi stessi polli, prima di sottoporli all’infezione tubercolare acquisita, si raccolsero delle uova e fu fatto lo studio della loro prole: come ancora fu studiata la prole dei polli nati da uova intossicate, prima di sottoporli all’infezione acquisita. Per uno studio comparativo si tubercolizzarono ancora alcune galline di genitori sani e poi si sottoposero all'infezione tubercolare, per notare se la intossicazione dell'embrione si differenziava da quella dell'animale adulto, rispetto al decorso dell’ infezione tubercolare acquisita in questi due esseri, dopo un anno dalla schiusa. Per lo stesso scopo si sottoposero i figli dei genitori sani ad una seconda infezione tubercolare, dopo guarita la prima infezione, onde fare uno studio comparato se vi era differenza nel decorso della seconda infezione acquisita nei figli dei genitori sani, in confronto a quella acquisita dai polli nati da uova infettate, avendo vinto la prima infezione embrionale. Finalmente si è voluto studiare la prole proveniente dei due genitori tubercolotici guariti, e poi la prole del maschio tubercolotico guarito e di galline sane, e la prole di galline tubercolotiche guarite e di maschio sano; queste osservazioni non sono complete, perchè si sta ancora seguendo il de- corso dei neonati. Da tutte queste ricerche numerose, raccolte dal 1898 al 1903, io posso dedurre le seguenti conclusioni generali: I. I figli dei genitori tubercolotici sono più suscettibili dei figli dei genitori sani all’infezione tubercolare acquisita. II. La tubercolosi acquisita nei figli dei genitori tubercolotici decorre a parità di condizioni dei figli dei genitori sani sotto forma cronica, come la scrofolosi tubercolare, fino alla guarigione, mentre nei figli dei genitori sani l'andamento della tubercolosi acquisita è molto acuto. III. Il secondo attacco dell'infezione acquisita può relativamente esser vinto dai figli di genitori tubercolotici, o dai polli provenienti da uova infet- tate durante l’ incubazione. IV. I figli dei genitori sani, guariti dall'infezione tubercolare acqui- sita, divengono molto più predisposti per un secondo attacco di infezione tubercolare, che gli stessi figli di genitori tubercolotici. V. Non è necessario soffrire una infezione tubercolare nella vita adulta per divenire più suscettibili all’ infezione tubercolare; basta avere assorbiti prodotti tossici tubercolari nella vita adulta, come è avvenuto nelle galline tubercolizzate e poi sottoposte all’ infezione tubercolare. VI. La tendenza alla cronicità della tubercolosi acquisita dei figli di genitori tubercolotici devesi alle modificazioni, che subiscono i loro tessuti embrionali sotto l'influsso delle tossine tubercolari, contenute nello sperma o nelle uova dei rispettivi genitori. RenpICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 55 — 424 — VII. Che siano le tossine, che modificano i tessuti degli embrioni si prova dal fatto, che innestando uova con tossina tubercolare durante l’ incu- bazione, e poi sottoposti i neonati (dopo sei mesi od un anno dalia schiusa) all’ infezione tubercolare, ancora in questi polli la tubercolosi decorre sotto forma cronica. VIII. Che siano le tossine tubercolari che modificano i tessuti embrio- nali, predisponendo i neonati alla cronicità della tubercolosi acquisita, si ricava ancora dal fatto, che se i bacilli tubercolari vengono innestati nelle uova, con la stessa dose che si innestano i polli adulti (questi muoiono di tubercolosi dopo due mesi) i neonati delle uova infettate invece o guariscono dall’ infe- zione, o muoiono dopo sei mesi ad un anno con tubercolosi cronica. IX. Quantunque nello sperma del gallo e nelle uova delle galline tubercolotiche si trovi il bacillo tubercolare, pur non pertanto detti bacilli non sì riscontrano nei tessuti degli embrioni raccolti nei primi giorni del- l’incubazione. X. I fatti clinici ed anatomo-patologici della trasmissione ereditaria della tubercolosi nei polli sono dovuti in principal modo alle tossine tuber- colari trasmesse collo sperma o coll’uovo. XI. I figli dei genitori con infezione tubercolare acuta nascono ca- chettici e possono riprendere la comune nutrizione dei figli di genitori sani dopo molto tempo dalla schiusa; come cachettici nascono ancora i pul- cini nati da uova intossicate con tossina tubercolare durante l’incubazione. XII. I figli di genitori (con infezione tubercolare ad andamento subacuto) muoiono prematuramente nelle uova, o muoiono appena nati o di marasma, dopo qualche tempo dalla schiusa. XIII. I figli dei genitori (con tubercolosi cronica) presentano mortalità elevata, e fenomeni teratologici in difetto fino alla formazione di mole. XIV. I nipoti di avi tubercolotici possono morire prematuramente nelle uova, od appena nati, o sopravvivono cachettici, o possono infine pre- sentare oltre la morte precoce nelle uova ancora fenomeni teratologici. Meccanica. — Sul moto d'un sistema olonomo di corpi rigidi. Nota I del dott. M. CONTARINI, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Matematica. — cerche gruppali relative alle equazioni della dinamica. Nota I di Guipo FUBINI, presentata dal Socio LurcI BIANCHI. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo.- | — 425 — Fisica terrestre. — Contributo alla storia del magnetismo terrestre. Nota di G. AGAMENNONE, presentata dal Socio P. BLASERNA. Nell’ importante Memoria del prof. C. Chistoni, nella quale sono rias- sunte le determinazioni degli elementi del magnetismo terrestre, fatte in Italia prima del 1880, viene riportato nel $ 4, senza nome dell'osservatore, il valore di 5° W per la declinazione magnetica di Roma nel 1681 (*). Di questo valore non si fa neppure cenno nell'altra non meno importante Me- moria del prof. R. Meli (*), in cui sono riportate molte notizie sulle misure declinometriche eseguite ne’ secoli passati in Roma, notizie che servono a completare quelle già fatte conoscere anteriormente dal Chistoni. Scopo precipuo di questa Nota è di provare come il predetto valore sia con grandissima probabilità quello stesso che fu trovato nell'ottobre 1680 dal gesuita P. Francesco Eschinardi (nato in Roma nel 1623 e morto dopo il 1699), e ciò in grazia dei due seguenti antichi opuscoli, che mì è stato possibile consultare : Discorso | Fatto nell'Accademia Fisicomatematica di Roma | tenuta li 5. di Gennaro del 1681|. Sopra la Cometa | nuovamente apparsa | Da Uno dell’Accademia Medesima. Alla fine dell'opuscolo si legge: In Roma, Per Nicolò Angelo Tinasst. 1681. Con licenza de’ Superiori. Lettera | del Padre | Francesco Eschinardi | Della Compagnia di Giesù | Al Signor | Francesco Redi, | Nella quale st contengono alcuni | Di- scorsi Fisicomatematici. In Roma M.DC.LXXXI.| Nella Stamperia di Nicol'Angelo Tinassi, | Con licenza de’ Superiori. La mia attenzione sopra quest'ultimo opuscolo era stata richiamata dal chiarissimo prof. P. Tacchini, per il fatto che fra i quattro discorsi ivi pub- blicati ve ne era uno dal titolo: D'una subita Declinazione della Calamita. Discorso del P. Francesco Eschinardi della Compagnia di Giesù 12 Marzo del 1681; e l’autore attribuiva il cambiamento brusco della declinazione ad un fortissimo terremoto avvenuto nella Spagna. E siccome in questo discorso (1) Contributo allo studio del magnetismo terrestre in Italia ecc. Annali dell’Uff. Centr. Met. e Geodinamico Italiano. Ser. 2°, vol. IX, parte I, 1887, pp. 181-352, Roma, 1890. (*) Notizie bibliografiche sulle rocce magnetiche dei dintorni di Roma. Lettera di R. Meli al prof. Filippo Keller. Bull. della Soc. Geologica Ital. Vol. IX, 1890, pag. 609, Roma, 1891. — 426 — sì accennava dall’Eschinardi all’ altra sua Memoria precedente, dove era stato trattato lo stesso argomento, naturalmente si svegliò in me il desiderio di conoscerla; ma non mi riuscì di trovarla se non dopo parecchie ricerche, che si resero necessarie, appunto perchè in detta Memoria non si faceva il nome dell'autore. Ecco le testuali parole con la relativa ortografia, con le quali l’ Eschi- nardi narra a pag. 12 del primo dei due opuscoli sopra citati il fenomeno da lui osservato. « Racconterò qui fedelmente ciò, che mi è accaduto verso il fine di Ot- « tobre passato. Dovendo servirmi dell’Ago calamitato per fare alcuni Oriuoli « fuori di Roma; applicai al mio solito il detto Ago ad una perfetta Meri- « diana in Roma per sapere quanta di presente fosse la declinazione (poichè «come a molti è ben noto questa è mutabile di tempo in tempo senza sa- « persene ancora la regola, se non fingendosela è capriccio, mà senza cor- « rispondere all’ Esperienza) e trovai essere la medesima da molto tempo in «quà di gradi tre, e poco più ad Occidente (forse un mezzo grado). Or « dunque mentre pochi giorni doppo volli servirmene, trovai aver fatta in un « subbito notabile mutazione, arrivando è quelli cinque gradi di declinazione « verso Occidente, e questo con replicate sperienze di più perfettissimi Aghi « lontano non solo da Ferri, ma anco da mattoni ecc. non potendo pensar « altra causa più probabile, dissi a molti, che del sicuro era stato di novo « qualche gran Terremoto, e doppo alquanti sia: appunto venne la nova « del Terremoto di Spagna in Malaga ». Data la quasi coincidenza dell’anno (1681) e considerato il valore iden- tico della declinazione (5° W), riportato nella Memoria del prof. Chistoni, non vi può essere, a mio parere, il menomo dubbio che realmente si tratti dell'osservazione fatta dal nostro Eschinardi verso la fine di ottobre del 1680 e nelle circostanze sopra ricordate. In quanto al salto d'un paio di gradi che, stando all'A., sarebbe av- venuto nella declinazione di Roma nell'ottobre 1680, si deve escludere che il medesimo possa attribuirsi: 1° ad influenze magnetiche del suolo di Roma che, come si sa, è di natura vulcanica, e ciò perchè le osservazioni si fecero sempre nello stesso punto; 2° a qualche errore costante, proveniente dalla forma di qualche nuovo ago adoperato, e ciò perchè l'A. dice espressamente d'essersi servito di parecchi aghi; 3° alla presenza di ferramenta che prima non esistevano, e ciò perchè l'A. insiste in modo speciale su questa cir- costanza (1). Però non è da passare sotto silenzio che variazioni di siffatta entità non mancarono d'esser poste in rilievo anche in tempi, da noi meno lontani. (1) Anzi il P. Eschinardi mostra di conoscere anche l'influenza che i mattoni pos- sono esercitare sull’ago calamitato. ——e — 427 — Così, nei Risultati delle osservazioni meteorologiche fatte da Filippo Luigi Gillii nella Specola Vaticana nell’anno 1807, si riporta che il 16 ottobre di quell’anno fu osservata una variazione, pure di due gradi, nella bussola di Dresda, senza che una corrispondente perturbazione avesse luogo a Roma. To però ignoro se il presunto cambiamento di declinazione a Dresda fosse permanente, al pari di quello osservato a Roma nel 1680, oppure tempo- reneo e forse dovuto all'apparizione di qualche aurora boreale, od alla for- mazione di qualche macchia straordinaria nel sole, od all’irrompere di forti correnti telluriche, od al passaggio di notevoli onde sismiche ecc. Ma le perturbazioni, provocate da simili cause, sono quasi sempre d’una durata re- lativamente breve e non alterano sensibilmente la posizione media di riposo dell'ago, appena che sia cessata la causa del disturbo. È da osservarsi altresì che, essendo le osservazioni magnetiche per loro natura delicatissime, non sono mai troppe le precauzioni da prendersi per sottrarsi alle numerosissime cause d’errore, specialmente di carattere strumentale. Basti ricordare che al- lorquando il P. A. Secchi, profittando d'un nuovo e moderno declinometro, iniziò verso la metà del secolo scorso le sue prime misure di declinazione a Roma, ebbe a dire che le precedenti misure in questa città non potevano ritenersi esatte a più di 1°! Il P. Eschinardi non ha esitato ad attribuire il salto di un paio di gradi, da lui osservato nella posizione dell'ago magnetico, a causa sismica, e precisamente ad un terremoto violentissimo, avvenuto a Malaga il 9 sot- tobre 1680; ma la spiegazione è assai poco probabile, ed io mi riservo di addurne le ragioni in una Memoria, che sarà fra poco pubblicata nel Bol- lettino della Società sismologica italiana, e nella quale saranno riportati ed ampiamente discussi i passi più importanti degli opuscoli sopra citati, come quelli che arrecano un contributo non dispregevole alla storia ed allo studio del magnetismo terrestre. Per spiegare una così notevole, subitanea e duratura variazione negli elementi del magnetismo terrestre, potrebbe anche invocarsi l’introduzione permanente, o rimozione, d'importanti masse di ferro (inferriate, ringhiere, cancelli, parafulmini ecc.), anche a distanze considerevoli dal luogo, ove si ha l'abitudine di ripetere le osservazioni, e ciò tanto all'insaputa dello stesso osservatore, quanto nel caso che il medesimo sia persuaso « prior che la esistenza di alcune ferramenta, sufficientemente lontane dagli strumenti, abbia ad esercitare un'influenza affatto trascurabile. A tal proposito mi piace di ricordare come il prof. G. Folgheraiter (!) avesse a constatare una devia- zione di circa 5’ in una bussola, per effetto di una falce manovrata da un contadino a circa 30 metri di distanza. Lo stesso osservatore ebbe altra (!) Sulla scelta d’un terreno per osservazioni magneto-telluriche. Elettricista. Anno II, N. 4, Roma, 1893. — 428 — volta a verificare che l’azione perturbatrice d'un ponte di ferro era sensibile sulla sua bussola fino alla distanza di 120 metri. Infine, il prof. L. Palazzo (!) osservò che una nave corazzata era ancora capace di far deviare per circa 1/, di grado un ago magnetico, posto alla distanza di ben 135 metti. Chimica. — Sopra alcuni derivati della canfora (È). Nota di A. AnceLI, F. AncELICO € V. CASTELLANA, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Alcuni anni or sono uno di noi, assieme ad E. Rimini, per azione del- l'acido nitroso sopra la canforossima, aveva ottenuto un prodotto al quale spetta la composizione e grandezza molecolare rappresentata dalla formola (3) CroHigN20: e che chiamammo perritrosocanfora. In qualunque modo reagisca l'acido nitroso, sia libero oppure in presenza di acidi minerali od organici, sia sotto forma di nitrito di amile, oppure nitrito di amile in presenza di etilato sodico, si arriva sempre alla stessa sostanza, che per il suo modo di forma- zione si potrebbe considerare come un nitrosoderivato della canforossima ; senonchè il suo strano comportamento ci ha imposto un necessario riserbo nell’assegnarle una formola di struttura. Poco tempo dopo (‘) tale sostanza venne preparata anche da Tiemann e Mahla, seguendo un processo che essen- zialmente non differisce da quello da noi seguito; questi chimici considerano il prodotto come una nitrammina: ma uno di noi a suo tempo ha esposte le ragioni per cui tale formola non è da accettarsi. Il compianto Tiemann asseriva che il prodotto dà un sale potassico, però noi dimostrammo subito che questo sale deriva da un pro- dotto isomero, che dal primo si forma per azione degli alcali e che allo stato libero in pochi istanti si trasforma nella pernitrosocanfora: CroHis(Ne02) — CroH1s(N20:H). <—— (1) Sopra un caso osservato a riguardo dell'influenza di considerevoli masse di ferro sulle misure magneto-telluriche. Mem. della Soc. degli Spettroscopisti Ital. Vol. II, 1893. (2) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica farmaceutica della R. Università di Palermo. (3) Gazzetta chimica 25 (1) 406 e seg. (4) Berliner Berichte 28, 1079. — 429 — Il Tiemann, che ha ripetuto le esperienze, ha negato questo fatto da noi osservato; invece recentemente Hantzsch (!) ha confermato pienamente le nostre osservazioni. Si tratta evidentemente di una isomeria analoga a quella che passa fra nitroderivati ed acidi nitronici, isonitrammine e nitro- soidrossilammine. Noi abbiamo in seguito preparato anche altri derivati analoghi, quali p. e. il pernitrosofencone e la bromopernitrosocanfora, i quali per azione degli alcali, nelle opportune condizioni, si trasformano del pari negli isomeri cor- rispondenti: CroHis(N20») pre, CioH15(N30,H) pernitrosofencone isopernitrosofencone C.oHiBr(N30;) a CioH,4Br(N:0,H) bromopernitrosocanfora isobromopernitrosocanfora Sebbene quest isomeri sieno di gran lunga più stabili (si conservano per anni) della isopernitrosocanfora (che dura qualche minuto appena), tuttavia anche nel caso del bromoderivato ci è stato possibile realizzare la trasfor- mazione inversa. Tutti questi prodotti hanno una grande tendenza a perdere i due atomi di azoto sotto forma di protossido e perciò finora non ci è stato possibile avere dei dati i quali ci permettessero di fissarne la struttura; faremo però notare che il modo con cui i pernitrosoderivati si formano dalle ossime, pre- senta molta analogia col processo per mezzo del quale, sempre per azione dell'acido nitroso, dagli acidi nitronici si passa ai pseudonitroli. > C:NOH boo; >C:N;0; > (C:NOOH a > QC: N03; e che la trasformazione delle ossime nei pseudonitroli, per mezzo dell’ipoazotide osservata da Scholl (*), come giustamente fa osservare Bamberger (3) è senza dubbio preceduta dall’ossidazione dell'ossima ad acido nitronico. Anche i pseudonitroli, al pari dei pernitrosoderivati, con idrossilammina forniscono le corrispondenti ossime. Composti che sembrano possedere una struttura analoga ai pernitroso- derivati sono stati in seguito preparati da Scholl e Born (‘) partendo dal- l’ossima della pinacolina e da C. Harries dall’ossima dell’ossido di mesitile (°). È curioso notare che queste sostanze, come la canfora ed il fencone, nella loro molecola contengono l’aggruppamento: iv C(CH3), da (') Berliner Berichte, 35, 260. (*) Berichte 21, 507. (3) Berliner Berichte 35, 3886; 33, 1783. (4) Berliner Berichte 28, 1361. (?) Liebig's Annalen 319, 230. — 430 — Harries dapprima ammetteva che tali composti fossero da riguardarsi come eteri nitrosi delle ossime, ma in seguito studiando i prodotti di ridu- zione della sostanza proveniente dall'ossido di mesitile, pervenne ad un deri- vato del pirrazolo (1): (CH;), = CH.C.CH; (CH), C— CH... CH; | n | | N30, NH eri FEE N identica alla trimetildiidropirazolina, preparata da Curtius e Wirsing (?), per azione dell’ idrazina sopra l'ossido di mesitile. I due atomi di azoto devono essere quindi direttamente riuniti fra loro, e perciò l'aggruppamento >NT-0—NO è da scartarsi. Harries ammette che il residuo azotato possieda la struttura : >C0:N=N:0 Di la quale meglio si presta a spiegare le trasformazioni che egli ha osservato nel suo caso. Siccome tutti i pernitrosoderivati che noi abbiamo finora studiati per- dono di preferenza tutti e due gli atomi di azoto sotto forma di protossido, così noi abbiamo rivolta la nostra attenzione ad un altro derivato analoga- mente costituito, la cloropernitrosocanfora CioH15C1(Ne0») che uno di noi preparò lo scorso anno assieme al Dott. F. Scurti. Questa sostanza si ottiene facilmente quando si fa reagire il cloro sopra la perni- trosocanfora sciolta in acido acetico saturo di acido cloridrico ed in presenza di piccola quantità di iodio e limatura di ferro. Dall’etere petrolico si separa sotto forma di aghi, lunghi parecchi centimetri, che fondono a 127°. Possiede senza dubbio una struttura analoga a quella del bromoderivato : CHCI (1) Liebig*s Annalen 319, 233. (2) Journal fiir pract. Chemie 50, 546. — 431 — Infatti, ossidata con permanganato, fornisce nettamente acido canforico COOH bSSTRA ’ per azione dell'acido solforico concentrato si decompone con sviluppo di pro- tossido di azoto ed acido cloridrico per dare l'isocanfenone CroH,5CIN:0, = Ci0H,40 + N30 + HCl ) dall’ intenso odore di rosa, da noi precedentemente descritto e che caratte- rizzammo trasformandolo nel semicarbazone CoHu(N;H . CO. NHL). Bollita con acidi diluiti ovvero con alcali, perde del pari protossido di azoto con formazione di clorocanfora (p. f. 92°) identica a quella ottenuta dal prof. Balbiano per diretta clorurazione della canfora (!): CioH,;CIN30, = CioH,;C10 + N30 è Per azione delle ammine primarie e dell’ammoniaca stessa, questa so- stanza si comporta come tutti gli altri pernitrosoderivati che noi abbiamo finora studiato. Le nostre ricerche hanno dimostrato che in questa reazione tutto il residuo azotato viene eliminato con sviluppo di protossido di azoto ed al suo posto si porta il resto amminico, nel senso rappresentato dall’eguaglianza: CioHis: N30,-+ H,N.R= CH: NR N,0-+ H;,0. In tal modo, facendo reagire sopra la cloropernitrosocanfora l’'idrossilam- mina nelle opportune condizioni (altrimenti si forma sopratutto una canfor- diossima), si perviene alla ossima della clorocanfora C: NOH Seu: che finora non fu possibile di ottenere per altra via. Si presenta in grandi cristalli che fondono a 127° come la cloropernitrosocanfora: all'aspetto ed all'odore rassomiglia molto alla canforossima: si discioglie inalterata nell’acido solforico concentrato, ma per azione prolungata dell’acido solforico diluito bollente da un prodotto che ha un forte odore del nitrile canfolenico. Senza dubbio si tratta del nitrile clorocanfolenico. Per azione dell'acido nitroso la clorossima rigenera con grande facilità la cloropernitrosocanfora primitiva. (1) Gazzetta chimica 17, 96. RenpICcONTI. 1908, Vol. XII, 1° Sem. 96 — 432 — In modo analogo, per azione dell'’ammoniaca, il pernitrosoderivato dà la cloroimmina che verso 200° incomincia ad imbrunire senza poi fondere. L'immina per trattamento con acidi minerali diluiti viene facilmente idrolizzata con for- mazione di clorocanfora ed ammoniaca. Per azione dell’acetato di semicar- bazide si ottiene il semicarbazone della clorocanfora C.oHisCI(N:H . CO. NH») che fonde a 183°. Gli alcali in soluzione alcoolica, al pari degli altri pernitrosoderivati che finora studiammo, prontamente trasformano la cloropernitrosocanfora in un isomero, la zsocloropernitrosocanfora CroH14C1(N30:H) che sì presenta in aghetti che fondono a 75° e che noi caratterizzammo sotto forma del sale potassico. Cio, .CI(N:0;E). Come abbiamo più volte accennato, la isopernitrosocanfora» ed il suo bromoderivato, in modo più o meno rapido si trasformano in modo quanti- tativo nelle sostanze primitive; il cloroderivato invece si comporta in modo affatto diverso e spontaneamente, anche a temperatura ordinaria, subisce una profonda decomposizione per dare origine ad un complicato miscuglio di pro- dotti che ha l'aspetto di un olio giallognolo; finora rinvenimmo clorocanfora, piccole quantità di acido cloridrico, prodotti nitrosi, assieme ad un'altra sostanza che descriveremo più sotto. Per azione dell'acido solforico concen- trato non fornisce l’isocanfenone e protossido di azoto come il cloroderivato primitivo, ma si scioglie per dare un liquido che rimane limpido anche per aggiunta di molta acqua; sovrasaturando con carbonato sodico precipita una sostanza bianca che di nuovo sì scioglie negli acidi. Il nuovo prodotto ha quindi proprietà basiche; le nostre successive esperienze ci hanno ben presto dimostrato che l’isocloroderivato si trasforma nello stesso prodotto, che con tutta probabilità rappresenta un terzo isomero e che perciò chiameremo pseudocloropernitrosocanfora, anche per azione di acidi deboli. Basta per esempio sciogliere l’isocloroderivato in poco alcool freddo ed aggiungervi una soluzione pure alcoolica e concentrata di acido picrico, perchè subito si se- parino grandi aghi gialli costituiti dal picrato di pseudocloropernitroso- canfora che fondono a 155°. Per azione dei carbonati alcalini, dal picrato si pone in libertà la base, la quale sì presenta sotto forma di grandi cri- — 4353 — stalli giallognoli, molli, che fondono verso 90°; possiede un lieve odore ca- ratteristico e viene facilmente trasportata dal vapore d'acqua. Facendo pas- sare nella soluzione in etere anidro una corrente di acido cloridrico secco, si ottiene un magnifico cloridrato della pseudocloropernitrosocanfora CioHi5C1 N30, , HOI, costituito da aghi bianchi che fondono a 162°. Questo cloridrato per trat- tamento con acqua subisce una profonda idrolisi e si separa gran parte della base la quale non si scioglie che in presenza d'una grande massa di acido. Si tratta quindi di una base debolissima. La base non reagisce con cloruro di benzoile, nè con anidride acetica o cloruro di acetile, nè con isocianato di fenile. Con acido nitroso dà un prodotto colorato in violetto, probabilmente il nitrito, che all'aria si decompone mettendo nuovamente in libertà la base che identificammo trasformandola nel picrato. Con tutta probabilità non con- tiene perciò gruppi alcoolici od ammidici. In soluzione alcoolica è stabile al permanganato, e per riduzione con zinco ed acido acetico dà una base che riduce a caldo il liquido di Fehling. Nella nuova sostanza l'anello della canfora è ancora inalterato, e questo ci è stato dimostrato da un’altra interessante trasformazione che il prodotto subisce quando venga bollito con acido solforico diluito. Per azione di questo reattivo, dopo breve tempo, la pseudocloropernitrosocanfora perde uno dei due atomi di azoto per dare una sostanza che è identica alla cloronitrocanfora di Cazeneuve (1): CO i Val CH. NO, fonde esattamente come un prodotto che per il confronto preparammo diret- tamente dalla clorocanfora seguendo le indicazioni di questo chimico. L'acido solforico da cui si separò la sostanza contiene ammoniaca. Per mezzo di queste successive reazioni, partendo dalla canforossima, oppure dalla clorocanforossima, che contiene un atomo di azoto unito ad un atomo di carbonio, si perviene alla cloronitrocanfora che contiene un atomo di azoto unito all’atomo di carbonio vicino : C:NOH (010) CH, LA SÙ Ci Ao: Nel \el Sebbene le nostre esperienze sieno ancora incomplete, tuttavia i fatti da noi finora osservati rendono molto probabile che alla pseudocloropernitroso- (1) Bulletin 44, 164. — 434 — canfora spetti una struttura come le seguenti : A N.0 CH .N ovvero CH do Om | È. È 8 Si | TA le quali darebbero ragione della sua indifferenza di comportamento rispetto al reattivi ed anche della sua trasformazione in cloronitrocanfora. Evidente- mente in quest'ultimo caso, come termine intermedio, dovrà formarsi una sostanza della forma: C:NH CH ; lo i Accenneremo infine che il pseudoderivato viene altresì decomposto con tutta facilità dalla potassa, anche a freddo; in tal modo si ottiene una soluzione limpida da cui per trattamento con acidi precipita una sostanza verde azzurra che poi diviene cristallina ed incolora; fonde verso 80° ed è solubile negli alcali. Con tutta probabilità si tratta di un quarto isomero che studieremo meglio in seguito. Queste reazioni danno un'idea della grande facilità con cui queste sostanze si trasformano l'una nell'altra; le differenze sono dovute soltanto alla diversa disposizione che assumono gli atomi di azoto, giacchè l'anello della canfora si mantiene intatto. Però questa stessa grande mobilità. del residuo azotato è quella che rende difficile l’assegnare loro una formola di struttura. Nella isocloropernitrosocanfora, di carattere acido si potrebbe ammet- tere un'aggruppamento come i seguenti (nitrosoidrossilammine ovvero iso- nitrammine) : C Ad) | oppure CH | 70 \CC1 N(0H) CCI N(0H) dalle quali per la cloropernitrosocanfora (neutra) ne seguirebbe l’altra : C:N— NO cx | 0 CHOI analoga a quella proposta da Harries : /0:N=N:0 001, A NCHCI Comunichiamo con tutto riserbo questi risultati, che per mancanza di mezzi sono ancora preliminari, riservandoci di completare le nostre ricerche nel prossimo anno accademico. — 435 — Chimica. — Dosaggio volumetrico del rame per mezzo dello cantogenato potassico (*). Nota di BERNARDO ODDO, presentata dal Socio L. PATERNÒ. La determinazione volumetrica del rame non si è potuta finora eseguire direttamente per mezzo di una soluzione titolata di xantogenato a causa della mancanza di un indicatore. Grete (2) sulla soluzione del sale di rame d'’analizzare, versa tanta solu- zione di xantogenato finchè, usando il processo alla tocca, non ottiene più precipitato con il ferrocianuro potassico. Rupp e Krauss (3) precipitano la soluzione del sale di rame con una quantità nota di xantogenato potassico, e determinano quindi l'eccesso di quest'ultimo con una soluzione titolata di iodio, Io sono riuscito a dosare direttamente il rame nei suoi sali mediante una soluzione decinormale di xantogenato potassico, impiegando come indi- catore la difenilcarbazide simmetrica: ga — NH — CH; \NE - NH — C,H; reattivo la cui grande sensibilità rispetto ai sali di rame è stata messa in evidenza da Cazeneuve (‘) fin dal 1900. Egli dimostrò allora infatti che, quando la difenilcarbazide viene a contatto dei sali di questo metallo, avviene la reazione : PAL — NH — CH; OPS + 2(0,H30.)*Cu = NH a NH TESE. CH; legga) NCu SR NCu sr CH; 1 N + 4C,H,0, N = N ri CsHs sì forma cioè sempre difenilcarbazone ramoso, il quale ha la proprietà di colorare la soluzione così intensamente in violetto da permettere di rintrac- (1) Lavoro eseguito nel R. Istituto di chimica generale della R. Università di Cagliari. (2) Liebig?s Annalen d. Chemie, 190, 211. (3) Berichte, 19, 1902, pag. 4157. (4) Bull. Soc. Chim. 23, 1900, pag. 592 e 701. — 436 — ciare il rame perfino alla diluizione di /,90000, che non dà alcun fenomeno col ferrocianuro potassico. Era noto poi che le soluzioni dei sali alcalini dell'acido xantogenico con quelle dei sali di rame al massimo danno un precipitato bruno nero, il quale istantaneamente diventa giallo fioccoso, perchè avviene la trasformazione in sale al minimo: AH: PLA:AY 2 80 + 0as0,=[50 *)0u+ K,s0, 0C.H;\ 0C.H 0C.H; . H,0,0 DI O o EM a SC SCu I: 4 Ora io ho osservato che se ad una soluzione d'un sale di rame, previamente trattata con soda fino a debole acidità e con un poco di difenilcarbazide, si aggiunge quella di xantogenato potassico, mentre sì forma il precipitato giallo di xantogenato ramoso, la colorazione violetta intensa del carbazone rimane finchè non si sia aggiunta la quantità teorica del reattivo e sparisce subito appena se n'è aggiunto un piccolo eccesso. Migliore indicazione si ricava però operando in senso opposto; aggiun- gendo cioè ad una soluzione di xantogenato potassico, contenente della dife- nilcarbazide, quella di rame, ed agitando: precipita dapprima tutto lo xanto- genato in giallo fioccoso, e quando si versa un piccolissimo eccesso di sale di rame, resta persistente non già la nota colorazione violetta intensa del com- posto ramoso del carbazone, ma un’altra ugualmente visibile rosso mattone, complementare del violetto e del giallo aranciato. Questa colorazione sparisce subito, mettendo un piccolo eccesso di sale di rame, con una sensibilità paragonabile a quella che si ottiene coi migliori indicatori che si usano in analisi volumetrica. Io quindi ho eseguito le determinazioni versando un eccesso di soluzione di xantogenato su quella del sale di rame d'analizzare, aggiungendo quindi la soluzione di difenilcarbazide e determinando l'eccesso dello xantogenato con una soluzione titolata di sale di rame, che aggiungo finchè il colorito rosso mattone resti persistente. A reazione finita si ha così un precipitato giallo ed il liquido colorato in rosso mattone. Alla luce artificiale il saggio riesce anche più netto, perchè allora la tinta gialla s'indebolisce e risulta più evidente l’altra. È da osservare finalmente che la colorazione rosso mattone finale si conserva quasi inalterata per quindici o venti minuti secondi; dopo questo tempo scomparisce di nuovo e perchè resti stabile è necessario aggiungere un — 437 — grande eccesso di soluzione di sale di rame, di cui non si deve tener conto nella lettura. SOLUZIONI TITOLATE. I. Soluzione di rame. — Feci uso di soluzione decinormale di solfato di rame cristallizzato puro; il liquido venne controllato con un'analisi pon- derata. II. Soluzione di rantogenato potassico. — Usai sia il prodotto che fornisce la fabbrica di Kahlbaum, sia quello che ottenni versando una solu- zione concentrata di potassa caustica in alcool assoluto in un eccesso di sol- furo di carbonio; la massa poltigliosa formatasi venne spremuta su carta da filtro ed asciugata in essiccatore nel vuoto. : Le soluzioni di xantogenato potassico appena preparate si presentano quasi del tutto limpide, di colore tendente al giallo e di reazione neutra. Dopo circa quattr'ore però, se le soluzioni sono decinormali, incominciano ad intorbidarsi fortemente, ma dopo circa dodici ore ridiventano di nuova lim- pide e di colore giallo che va diventando sempre più intenso: il titolo resta alterato e con esso pure la reazione: la soluzione, difatti, diventa alquanto alcalina, ciò che si vede facilmente usando anche qualche goccia di una solu- zione idroalcoolica di difenilcarbazide simmetrica, che, fra le altre sue pro- prietà, ha pure quella di essere un buon indicatore in alcalimetria ed aci- dimetria (1). A causa di questa alterazione che subisce il titolo del reattivo e che avviene anche più rapidamente con le soluzioni normali o seminormali, sa- rebbe necessario prepararsi caso per caso la soluzione titolata. Ad evitare però tanta perdita di tempo e di materiale, nelle mie espe- rienze ho preferito di usare una soluzione empirica di xantogenato potassico preparata sul momento e di stabilirne subito dopo il titolo con la soluzione titolata di solfato di rame, usando sempre come indicatore la difenilcarba- zide simmetrica. III. Preparazione dell'indicatore. — Lo preparai facendo agire alla temperatura di non più di 150° a bagno d'olio una molecola d'urea con due molecole di fenilidrazina fino a che cessò lo sviluppo d’ammoniaca. La massa fredda fu ripresa con etere ed indi cristallizzata due o tre volte da alcool ed acqua. Ottenni così una polvere quasi del tutto bianca che fondeva tra 168°-169°. Nelle mie esperienze ho fatto uso di una soluzione satura a freddo di difenilcarbazide simmetrica in alcool a 85°. (1) Im una prossima Memoria descriverò i prodotti di decomposizione delle soluzioni di xantogenato potassico alla temperatura ordinaria. — 438 — Per circa due o tre decigrammi di sale di rame d’analizzare impiegavo due centimetri cubi di essa soluzione idroalcoolica. Un grande eccesso di di- fenilcarbazide non disturba, ma rende invece più chiara la variazione di colore. A complemento di quanto ho sopra esposto, riporto dei risultati ottenuti in alcune determinazioni di rame e di xantogenato. Dosaggi di xantogenato potassico. Esperienze Xantogenato | Solfato di rame | Xantogenato eseguite posato N/10 trovato gr. co. gr. 1a 0,2602 16,22 0,2601 Dia 0,2226 13,88 _ 0,2226 9 0,3036 18,92 0,3033 4 0,2398 14,95 0,2396 da 0,2288 14,28 0,2289 Dosaggi di solfato di rame. I. cc. 25 di soluzione empirica di xantogenato potassico, preparata al momento, richiesero cc. 24,50 di soluzione N/10 di solfato di rame uguale a gr. 0,3057 di questo sale. Esperienze i Solfato di Sriito SATO "DIO ai Sfoo Solfato di rame eseguite di rame pesato in eccesso per l'eccesso corretto trovato gr. ce. ce. ce. gr. Le (),2922 24,00 0,10 23,90 0,2924 2° 0,2584 25,00 3,83 21,10 0,2581 3° 0,2023 23,50 6,85 16,52 0,2021 II. cc. 25 di una seconda soluzione empirica di xantogenato potassico, preparata al momento, richiesero ce. 27,42 di soluzione RIO di solfato di rame, cioè a dire gr. 0,3424 di questo sale. — 439 — Tn LI LO di sitogenato | N/10 CI | di xestogcnato | S0Ifato di rame eseguite di rame pesato | ‘jin eccesso MEsilicccosta aslto trovato er co. dd co. gr. 1° 0,2658 22,00 2,89 19,37 0,2652 2° 0,3125 25,00 2,40 22,81 0,3124 Za 0,2295 22,50 6,30 16,75 0,2294 In una prossima pubblicazione, estenderò il metodo al dosaggio di altri metalli. Chimica. — Per la sintesi degli a-nitro-eteri. Nota di C. UL- PIANI, presentata dal Socio E. PATERNÒ. La nitrazione diretta dei composti della serie alifatica non avviene così facilmente come quella dei composti della serie aromatica. Può dirsi quasi che l'etere nitro-malonico costituisca un'eccezione, perchè si ottiene facil- mente dall’ etere malonico per azione dell'acido nitrico fumante con rendi- mento quasi teorico ed è un composto stabile, che dà sali cristallini più stabili dei corrispondenti sali dell’ etere malonico. Com'è noto l'etere malonico si presta a numerosi metodi di sintesi, perchè al posto degli idrogeni del suo metilene sostituiti da metalli alcalini possono entrare numerosi radicali (sintesi malonica degli acidi bibasici), mentre, avvenuta la sostituzione, uno dei due gruppi carbossietilici può stac- carsi facilmente (sintesi malonica degli acidi monobasici). In questo lavoro io ho voluto provare se l'etere nitro-malonico si pre- stava ad analoghi metodi di sintesi, allo scopo di poter preparare facilmente i nitro-derivati della serie alifatica di cui ben pochi termini sono noti. Facendo agire il joduro di metile sul sale ammonico dell’ etere nitro- malonico, io ho ottenuto un olio di un odore gradevolissimo, l’ etere nitro- iso-succinico secondo l'equazione: COOEt COO Et | | 1) CH*I + NH*-C.NO? — NH'I + CH;-C-NO? | | COO Et COO Et Facendo agire su questo olio un equivalente di alcoolato sodico, ho ot- RenpICcONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 57 — 440 — tenuto il sale sodico dell'etere @-nitro propionico che fonde a 200° e cri- stallizza in lunghi aghi bianchi COO Et CH | | (II) CH°.-C-N0%® —>. C=NO-ONa | | COO Et COO Et Trattando la soluzione acquosa di questo sale con acido cloridrico di- luito, precipita un olio jinsolubile nell'acqua che distilla a 190-195°: l'etere a-nitro-propionico CH* CH* | | (III) C= NO-ONa cc CH NO? | | COO Et COO Et Dai risultati ottenuti posso concludere, che per azione del ioduro di metile sul sale ammonico dell'etere nitro-malonico si giunge all’ etere a-nitro- propionico, e dai lavori, che ho in corso, posso fin d'ora affermare, che con ogni probabilità è questo un metodo generale di preparazione degli «-nitro eteri. Infatti facendo agire sul sale ammonico dell'etere nitro-malonico i joduri d’etile e d'isopropile, ho ottenuto olii azotati e insolubili in ammo- niaca acquosa, che attualmente sto studiando, ma. già la loro insolubilità in ammoniaca dimostra che l'idrogeno metilenico è stato impegnato rispettiva- mente dall’ etile e dall’isopropile. Analogamente, facendo reagire il mede- simo sale ammonico sull'etere bromo-acetico e l'etere nitro-malonico sul clo- ruro d’acetile e di propionile in presenza di carbonato sodico, ottengo con ottimo rendimento la formazione dei rispettivi eteri nitro-malonici sostituiti sui quali, non essendo ancora completo lo studio, spero fra breve poter riferire. Preparazione dell’ etere nitro-malonico e del sale ammonico corrispon- dente. — Preparai l'etere nitro-malonico modificando il metodo di Franchimont nel modo seguente: Gr. 100 di etere malonico si versano a poco a poco in 300 cme. di acido nitrico fumante ben raffreddato, agitando di tanto in tanto ed evitando che per troppo riscaldamento si sviluppino abbondanti vapori rutilanti. Dopo aver lasciato il tutto in riposo per circa mezz ora aggiungendo una sufficiente quantità di acqua fredda precipita l'etere nitro-malonico sotto forma di un olio più pesante dell’acqua, da cui si separa per filtrazione o con separatore a rubinetto. L'ammoniaca concentrata versata a goccia a goccia agitando e raffreddando sull’ etere nitro-malonico ben lavato, produce un composto cri- stallino giallo che dall'acqua cristallizza in tavolette giallastre esagonali — 44l — o rombiche e dall'alcool in tavolette rettangolari bianche. Il sale ammo- nico dell'etere nitro-malonico fonde a 150° con decomposizione. All’analisi si ebbe: I. Gr. 0,2014 di sostanza dettero 23 cme. di Na 279,8 e 760 mm. di Hg. II. Gr. 0,2793 di sostanza dettero gr. 0,1626 di H?O e gr. 0,8854 di CO?. 00) Trovato °/ Calcolato per C=NOONH* I II COO Et N 12,58 — 12,61 C — 37,63 37,89 H — 6,47 6,31 Preparazione dell’ etere nitro-iso-succinico per azione del ioduro di metile sul sale ammonico dell’ etere nitro-malonico. — Questa reazione è stata eseguìta riscaldando a bagno-maria a ricadere o in tubo chiuso parti uguali di sale ammonico dell'etere nitro-malonico e di joduro di metile disciolti in una miscela di due parti di acqua e una di alcool. In tubo chiuso la reazione ha luogo ugualmente senza alcool e con rendimento quasi quantitativo. Dopo un riscaldamento di due o tre ore si deposita un olio bruno di odore gradevolissimo, pochissimo solubile nell'acqua, solubilissimo nell’alcool e nell'etere. Il contenuto del tubo chiuso viene versato in un separatore a rubinetto ed estratto con etere. Dopo aver lavato l'etere con acqua leggermente ammoniacale, si distilla il solvente e resta indietro un olio che a differenza dell’ etere nitro-malonico non si combina più con l’ ammo- niaca. Questo olio distilla in corrente di vapore e in questa maniera può ottenersi perfettamente limpido. Il risultato dell'analisi è stato il seguente: I. Gr. 0,3700 di sostanza dettero cme. 23 di azoto a 26° e 761 mm. Hg. II. Gr. 0,3446 di sostanza dettero gr. 0,5498 di CO? e gr. 0,1960 di acqua. E per 100 parti: COOEt Trovato Calcolato per CH: (NO: I II COO Et N 6,63 —_ 6,39 C — 43,52 44,34 H _ 6,32 5,98 Questi risultati non sono troppo concordanti con i calcolati: evidente- mente il prodotto non è del tutto puro, giacchè si è potuto purificare soltanto lavandolo con ammoniaca diluitissima e distillandolo in corrente di vapore. Purtuttavia il fatto che l'olio ottenuto a differenza dell’ etere nitro-malonico — 442 — non si scioglie affatto nelle soluzioni alcaline, dimostra che il metile ha sostituito nell’etere nitro-malonico l’ idrogeno salificabile secondo l’ equa- zione (I). Preparazione dell’ etere a-nitro propionico per azione dell’ alcoolato sodico sull’ etere iso-nitro-succinico. — La quantità calcolata di sodio (un atomo di sodio per una molecola di etere nitro-iso-succinico) disciolta in tanto alcool da avere una soluzione di alcoolato sodico al 2 °/, si versa a poco a poco in una bevuta contenente l'etere nitro-iso-succinico disciolto in etere. Si forma un precipitato bianco, si lascia in riposo per circa 24 ore, poi sì filtra alla pompa. Il precipitato si fa bollire in alcool, poi si filtra rapi- damente a caldo: per raffreddamento cristallizza in aghi sottilissimi una so- stanza bianca e soffice come seta che fonde a 200°. L'analisi elementare dette i seguenti risultati : I. Gr. 0,2613 di sostanza dettero 17,6 cme. di N a 22 e 756 mm. di Hg. II. Gr. 0,2725 di sostanza dettero 18 cme. di N a 16 e 758,4 mm. di Hg. III. Gr. 0,4325 di sostanza bruciati con anidride carbonica dettero gr. 0,2076 di acqua e gr. 0,5086 di CO?°. IV. Gr. 0,2100 di sostanza bruciati subirono una perdita di peso (acqua di cristallizzazione) di gr. 0,0189 e dettero gr. 0,0805 di solfato. sodico. CH® | Trovato °/ Calcolato per C==N00 Na + H?0 I II II IV COOEt N 7,58 7,85 — — 7,49 C — — 32,06 —_ 32,08 H — — 5, — 5,94 Na — — — 12,41 12,94 H?°0. — — — 9,0 9,62 Da questi dati analitici risulta che il composto ottenuto per azione del- l’alcoolato sodico sull’etere nitro-iso-succinico è il sale sodico dell’ etere a-nitro-propionico ottenuto per decarbossilazione dell’ etere nitro-iso-succinico secondo l'equazione (II). Trattando con acido cloridrico diluito la soluzione acquosa di questo sale, precipita un olio limpido e incolore che può separarsi dall'acqua per filtrazione. Quest’ olio alla pressione ordinaria distilla a 190-195°, alla pres- sione di 390 mm. distilla a 174. I dati analitici che seguono dimostrano che il nuovo etere è l'etere «-nitro-propionico. — 443 — I. Gr. 0,8072 di sostanza dettero gr. 0,4602 di CO? e gr. 0,1682 di H?0. II. Gr. 0,3148 di sostanza dettero cme. 27,4 di N alla temperatura di 169,8 e alla pressione di 752,5 mm. CH* Trovato °/o Calcolato per CH NO? | I II COO Et (0; 40,82 — 40,81 H 6,08 — 6,11 N — 9,99 9,52 Paleontologia. — Z Clisiophyllum Thildae n. sp. nel Parà. Nota di GroAccHINo DE ANGELIS D'OssaT, presentata dal Socio T. TARAMELLI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Geologia. — Contribuzioni allo studio dei Cimini. Nota del prof. LiseRTo FANTAPPIÈ, presentata dal Socio G. STRUEVER. I. Profili strutturali. Due parole per spiegare la pubblicazione di queste brevi Note, dopo alcune mie precedenti dichiarazioni riguardo all'estensione assunta dalle mie ricerche sui vulcani viterbesi. Era mia intenzione di procedere analiticamente con rigorosi metodi di indagine sugli abbondanti materiali raccolti per condurre il lavoro secondo un piano sistematico piuttosto ampio: e ciò spiega il mio lungo silenzio di questi ultimi anni. Tuttavia ad un'esposizione minutamente dimostrativa si son venute ad opporre varie difficoltà: a cominciare dalla scarsa stabilità che da qualche tempo sembra offrire questo Liceo comunale nei cui laboratorî ho i limitati mezzi di ricerca. Mi son quindi veduto costretto mio malgrado ad esporre una parte al- meno dei risultati delle mie ricerche, mantenendoli per ora sotto la forma di vedute sommarie: tantopiù che, allo stato attuale, certe questioni relative alle nostre formazioni sono d'indole geologica ed in gran parte logica; e possono essere espresse sotto questo aspetto. Ormai del Cimino non si può più dire che non sia stato veduto, almeno in gran parte, e descritto; ma si può soprattuto dire che non è stato interpretato. — 444 — Il carattere dell'esposizione che chiude nei limiti ristretti dei richiami occasionali le indicazioni bibliografiche, mi obbliga anche a rimandare ad altra occasione ogni discussione di queste mie vedute in confronto colle teorie attualmente in corso nel campo scientifico riguardo ai fenomeni gene- rali del vulcanismo. Posso esimermi dal ricordare i caratteri topografici della regione: i quali, a partire dal Pareto (!) che dette anche la veduta dei Cimini dal Soratte, e venendo via via al vom Rath (2), al Verri (3) fino al Washington (*), sono stati sufficientemente indicati; mentre la pubblicazione della carta del Genio militare rende facile la conoscenza topografica occorrente pel nostro caso. Rileverò invece le principali linee strutturali della regione specialmente in riguardo ai monti Cimini più propriamente detti: i quali sia dal lato della costituzione, sia da quello cronologico debbono essere ben distinti dal vulcano di Vico, di cui mi occuperò più specialmente in altra occasione. I Cimini più propriamente detti comprendono le note alture che si tro- vano dalla parte nord della cosidetta « catena » dei Cimini. Il Monte Cimino o monte di Soriano che predomina nella parte centrale di queste alture con un'altezza di 1053 m. è contornato da una serie di monti minori, che partendo dalla parte occidentale colla Pallanzana presso Viterbo girano al nord verso Bagnaia e Soriano fino a raggiungere, col monte Motterone, i pressi di Cane- pina sulla valle del Tevere ad est. Non è inutile notare che alcun? di questi rilievi si innalzano come picchi ripidi di forma approssimativamente conica come il S. Valentino e la Rocchetta; mentre /a maggior parte di quelli che si trovano sul grande arco nord (seguìto in basso presso a poco dalla strada da Soriano a Viterbo), come anche Montecchio presso Bagnaia e la Pallanzana stessa, tendono ad allungarsi secondo delle linee radiali partenti più o meno approssimativamente dalla massa centrale Cimina. A questa si mostrano addossati dei potenti mammelloni, che, intorno al picco centrale formato dalla vetta del Cimino, formano una specie di irregolare scaglione e vanno poi degradando verso la periferia, ove nelle parti più lontane del grande arco suddetto vanno a risolversi in monti più o meno distinti come la Pallanza ed il S. Valentino suindicati. (1) Osservazioni geologiche dal monte Amiata a Roma, del marchese Lorenzo Pareto. Giorn, Arcadico di sc. lett. ed arti. Tomo U, 1844, da pag. 42 in poi. (2) G. vom Rarth, Geognostisch - mineralogische Fragmente aus Italien. Il Theil Abdruck a. d. Zeitschr. d. Deutschen geolog. Gesellschaft, Jahrg. 1868; da pag. 294 in poi. (3) Z Vulcani Cimini, R. Accad. dei Lincei, Serie 3.2, Cl. di sc. fis. mat. e nat. Vol. VIII, 1880. (4) Italian Petrological Sketches, II (The Viterbo region). Repsol from The Journ. of Geology, vol. IV, n. 7, 1896. Chicago. tini eni | — 445 — Sui lati di queste ripide alture si appoggia un gran banco di roccia che si estende intorno ad esse con dolci pendii ed ondulazioni varie della superficie, sviluppandosi con una certa costanza di caratteri complessivi (non parlo di uniformità) dalle varie parti per una enorme estensione, chiusa, com'è già noto, press'a poco nel cerchio dei paesi di Viterbo, Bagnaia, Vi- torchiano, Bomarzo, Bassano, con degli affioramenti anche dalla parte sud- ovest verso S. Giovanni di Bieda. Questa roccia, che è quella più precisa- mente conosciuta sotto il nome locale di « Peperino », nel gran giro indicato termina spesso in appicchi dovuti prevalentemente a franamenti successivi all’erosione che ha raggiunto i materiali sedimentarî sottostanti, rappresen- tati per solito da marne plioceniche: mentre verso il sud è rappresentata da falde più o meno nettamente perdentesi sotto i materiali vicani. Del resto tutto il banco si mostra profondamente solcato da valloni di erosione, spesso con pareti a picco raggiungenti con enormi e pittoreschi piloni le marne plioceniche, come nell’interessante valle del « fosso Luparo » che parte dai pressi della Pallanzana e col nome di Orciogno traversa Viterbo. Dirò più avanti dei caratteri particolari che presenta geologicamente e litologicamente questa roccia; e intanto mi affretto ad aggiungere qui l’indica- zione dei materiali che costituiscono essenzialmente questo gruppo di Cimini più propriamente detti. L'ossatura di questa parte dei Cimini è data prevalentemente dalle due masse citate: quella delle alture, e quella del banco peperinico. Però si ag- giunge come materiale essenziale nel gruppo una roccia notevole per la sua abbondanza e per i rapporti genetici e di giacitura che presenta colle altre. Questa roccia è quella che venne indicata dal Washington (!) ultima- mente col nome di Ciminite: nome che io manterrò non solo perchè in gran parte consento con lui nelle vedute per le quali questa roccia può essere riportata alle trachi-doleriti (2) ma anche perchè dopo alcune incertezze intro- dotte da altri osservatori, si presenta molto adatto alle indicazioni, ora che ho detto di non volere entrare in questioni particolari. Questa roccia ha una bocca di emissione (non dico un cratere) m20/f0 ristretta ed ancora abbastanza riconoscibile sulla vetta del monte Cimino al punto geodetico: ed ha poi delle notevoli colate di emissione laterale spe- cialmente dalla parte di Soriano; ma anche dall'altra parte che guarda il lago di Vico, come quella che ammassandosi specialmente presso Poggio Menega si espande verso « la Colonnetta » sulla via di Canepina; mentre verso il sud del Cimino presso la regione Piangoli si trovano in limitate escavazioni sotto il terreno prativo degli affioramenti, che si collegano al (1) Loc. cit. (2) Italian Petrological Sketches, V (Summary and conclusion). Repr. from The Journal of Geology, vol. V, n. 4, 1897, Chicago. — 446 — braccio che si inoltra tra la Pallanzana ed il S. Valentino scendendo fino al « Recinto dei frati », e giù oltre nel « prato », del villaggio della Quercia. La giacitura di questa roccia fu indicata da diversi autori; vom Rath (!), Verri (?), Mercalli (3), ma tuttavia solo il Washington nei suoi « Scketches » succitati ne mostrò una cognizione abbastanza comprensiva. Queste dunque sono le masse costituenti essenzialmente il primo gruppo eruttivo dei Cimini. Invece una roccia che si estende in una poderosa colata che investe e smussa parecchie linee dei Cimini stessi mostrando i suoi affioramenti supe- riori tra la via Cassia o di Ronciglione e la cosiddetta traversa di Canepina ed altri inferiori al di là del fosso dell'Acqua rossa presso le rovine di Ferento sotto il nome di Pezrisco, si deve riferire al sistema vicano. Il Pa- reto ammise pel primo (‘), e lo ripeterono poi il Deecke (°), con una strana esagerazione, ed il Mercalli (5) con più conveniente prudenza, che si trat- tasse di un materiale dovuto ad una bocca intermedia tra i Cimini ed il vulcano di Vico; ma se è molto probabile che si tratti di un’emissione dai fianchi del vulcano di Vico, coperta poi per ampio tratto dalle deiezioni di questo vulcano, che alle emissioni delle lave di tipo prevalentemente leucitico aggiunse ripetute fasi esplosive, pure scarseggiano i dati positivi per soste- nere l'esistenta di una bocca più o meno distinta; mentre sono contro di essa i seguenti fatti: a) l’inclusione della. Vu/sizite (Washington) da me osservata in qualche punto del braccio del Petrisco che gira la Pallanzana dal lato nord; mentre la Vulsinite scende dall'altra parte del recinto Vicano fino al Quartuccio sulla via di Vetralla; 6) che nell'ampio mantello di conglomerato che circonda il recinto di Vico si trovino molte bombe le quali (malgrado l'alterazione) ricordano molto da vicino il Petrisco; c) dei blocchi di Petrisco che si trovano nel burrone di S. Lucia presso Ronciglione; d) la notevole altitudine degli affioramenti superiori rispetto all'orlo del recinto Vicano; e) la forma del gran dorso sul quale affiora il petrisco e che rilega con una specie di diga il recinto Vicano al Cimino all'incirca dai pressi di (1) Loc. cit. (2) Luc. cit. (8) Osservazioni petrografico-geologiche sui Vulcani Cimini, Rend. del R. Istit. Lombardo, Serie II, vol. XXII, fasc. III, 1889. Milano. (4) Loc. cit. pagg. 43-44 e 46. (3) Bemerkungen zur Entstehungsgeschichte und Gesteinskunde der Monti Cimini. N. Jahrbuck f. Mineralogie etc. Beilageband VI. Stuttgart 1889. (6) Contribuzione allo studio geologico dei vulcani viterbesi. Pontificia Acc. dei Nuovi Lincei, vol. XX, 1903. Roma. r 5 Pe e LR e gr N nn 5 ANO A Tn È lA, î 1 — 447 — monte Nibbio alla falda sud-ovest di Poggio Menega presso il culmine della traversa di Canepina: mostrando dalla parte di Viterbo come materiali lavici prevalenti le Leucotefriti sotto, ed il Petrisco sopra. Senza poi contare varî affioramenti di « Petrisco » anche dalle parti sud del recinto Vicano. I materiali detritici si possono poi con sicurezza riportar tutti al vul- cano di Vico. Importantissimo tra tutti è il tufo lionato a pomici nere, che nei Cimini propriamente detti si trova in lembi più o meno estesi nelie valli interne in basso (dirò nelle conclusioni la mia opinione sulle cause del fatto) come ad esempio presso le « fornaci » di Bagnaia, ed all'esterno copre spesso il « Pe- perino » come al mulino della « Gabbia del cricco » nella via di circum- vallazione di Viterbo, sotto la « via dei Magliatori » nel fosso Orciogno entro Viterbo, od è addossato al Peperino stesso come presso il Ponte dell’Elce sulla via Vetralla fuori di Viterbo; per citare soltanto luoghi di più facile ricognizione: mentre poi sovrapponendosi ordinariamente a pozzolane grigie sì stende in banchi poderosi alla base del recinto vicano inoltrandosi nel piano di Viterbo verso i Vulsinî ed al nord dalla parte di Vitorchiano, mentre dalla parte del Tevere invade i territorî di numerosi paesi come Vignanello, Caprarola, Ronciglione, Capranica, Sutri ed oltre, passando anche al sud con una estensione e con dei caratteri che mi riserbo di prendere in più minuto esame quando parlerò più particolarmente del recinto di Vico. Sono riferibili ad eruzioni vicane i materiali lapilloso-pomicei che coprono il peperino in varî punti come ad esempio sulla via di Bagnaia con caratteri decisamente atmosferici. Tanto per il tufo lionato a pomici nere, quanto per questi materiali lapillosi e tufacei il riposo sul banco di peperino si può prestare in tesi geologica astratta a due ipotesi: quella di un’eruzione molto prossima alla formazione del peperino, o quella di un’eruzione abbastanza lontana da dar tempo all'abra- sione di altri materiali soprastanti. Però è quest’ultima che si mostra accet- tabile quando si osserva la superficie del peperino sottostante a tali materiali, e si fa poi il confronto di questi materiali con quelli esistenti in varî punti del recinto di Vico. A questo punto è il caso di prendere in esame più particolare le tre masse di materiale che si collegano più intimamente per caratteri genetici e tettonici a costituire il Cimino più propriamente detto. I. Cominceremo dalla « Ciminite » perchè è la roccia più facile a defi- nirsi. Petrograficamente fu finora studiata dal vom Rath ('), dal Bucca (*), dal (1) Loc. cit. (2) Boll. del Comit. Geol. Ital. 1888, pagg. 57-65. RenpICONTI. 1908, Vol. XII, 1° Sem. 58 — 448 — Deecke (*) e dal Washington (?) e come ho già detto si può ritenere con questo in molto intimi rapporti col gruppo delle trachi-doleriti, come rico- nosce anche il Rosenbusch (3) benchè la citi nella famiglia delle Trachiti. L'aspetto esterno presenta notevoli variazioni anche nella stessa colata, ad esempio alla Quercia, per la diversa compattezza della massa: e poi in varî punti per l'influenza che vi hanno esercitato dei materiali di contatto o di commistione. Nelle parti interne delle colate è compattissima, dura, di color bruno, con punteggiature biancastre dovute ai feldspati e con minute punteggiature giallastre dovute specialmente all'olivina. Nelle parti esterne è bollosa con abbondanti geodi di Talite; ed il colore raggiunge il grigio cenere chiaro che la fa talvolta assomigliare alle parti del Petrisco ove scarseggiano le leuciti. Sul prato della Quercia ed in alcuni punti della già notata scorciatoia che sale dietro Bagnaia verso le falde del Cimino con bracci per Soriano e Canepina, tende al rossigno per contatti col Petrisco. Un carattere notevolissimo della roccia è l'inclusione di grossi cristalli di sanidino geminati secondo la legge di Karlsbad che vi raggiungono le dimensioni di 4 a 5 centimetri. Questi cristalli si fanno notare per la loro assoluta identità (anche nei più minuti particolari di « facies =) con quelli che sì possono isolare dalle parti più o meno disaggregate del mantello sco- riaceo laterale del S. Valentino e della Rocchetta e che sono caratteristici delle roccie predominanti nelle alture, distinte dal Brocchi (4) col nome di « lava necrolite a grandi feldspati ». In seguito metterò in rilievo l’impor- tanza di questo carattere per cristalli inclusi in rocce. che nei termini estremi delle loro masse raggiungono una notevole diversità. Intanto ricordo che questo carattere si mostra in modo rimarchevole in varî punti della roccia come nel campione che porta il n. 1359 della mia collezione privata e proveniente dalla Quercia: ed è da aggiungersi per le accidentalità notevoli della roccia stessa a quello del n. 1353 includente vene di jalite, ed a quello del n. 1352 includente quarzo ametistino simile a quello della roccia delle alture, già da me rimarcati in un precedente lavoro (°). Abbiamo già indicato la giacitura generale della roccia. Restano da ri- ‘ levarsi i suoi rapporti colle altre. Essa ha, come abbiamo detto, un punto di emissione in una stretta bocca terminale del Cimino, e varî altri rappre- sentati da fenditure laterali più o meno ampie. Ciò che più importa rilevare (1) Loc. cit. (2) Loc. cit. II, 1896. (3) Elemente der Gesteinslehre. Zw. Aufl. Stuttgart 1901, pp. 282-288. (4) Catalogo ragionato di una raccolta di rocce ecc. Milano 1817. (9) Minerali nuovi od in nuove condizioni di giacitura per la regione Cimina. Riv. di mineral. e cristall. italiana, vol. XXIII, 1899, Padova. — 449 — è che essa giace spesso più o meno promiscuamente colla roccia delle alture sugli alti pendii del Cimino, ma scende poi anche in correnti ben distinte sul ripiano di « Peperino » mostrandosi così posteriore a questo, nei forti river- samenti a giorno; mentre in blocchi e frammenti, o la stessa Ciminite, od una roccia ad essa strettamente affine, si mostra anche sotto al banco di peperino e spesso inclusa e7/70 al peperino stesso. D'altra parte poi se la sua posizione in colate soprastanti al peperino mostra che vi furono delle emissioni di questa roccia posteriori alla forma- zione di quello, pur tuttavia la grande fratturazione e l'arrotondamento dei blocchi che si mostrano anche notevolmente isolati, malgrado la durezza della roccia, nella corrente che scende tra il San Valentino e la Pallanzana pas- sando per la chiesuola dietro il « Parco Lante » fino alla Quercia, mostrano che anche l'emissione in corrente di questa roccia è antica. Questa antichità si rivela anche in confronto col « Petrisco » che pur essendo una delle ultime eruzioni laviche vicane si mostra tuttavia precedente a molte eruzioni esplosive del vulcane di Vico. Infatti il « Petrisco » che dai punti alti di affioramento nominati scende in grande massa verso il « Grottone » costeggiando a sud la poderosa colata di Ciminite, presso questa località si divide in due grandi bracci che investono i fianchi della Pallanzana, dalla parte settentrionale e dalla parte meridionale. Ora il braccio della parte settentrionale costeggia la Ciminite fin presso le « Cavorcie » e difende il peperino dall'erosione come la Ciminite stessa; ma mentre al disopra delle Cavorcie scavalca la Ciminite già erosa per riversarsi verso la strada vecchia di Soriano ad est del « parco Lante » sopra a Bagnaia, pure in generale riposa sul « Peperino » ad un li- vello più basso, mostrando che al momento del potente efflusso del « Petrisco » quella roccia era già notevolmente erosa ai lati della Ciminite. D'altra parte poi i rapporti delle due roccie tra loro e col peperino provano anche che il profondo burrone, che le separa attualmente ed è scavato nel peperino, è posteriore all'emissione del Petrisco. II. Veniamo ora alle interessanti rocce delle alture incluse dal Brocchi (1) nell’espressione sommaria di « lava necrolite a. grandi feldspati ». La questione riguardante queste rocce, specialmente nei loro rapporti col Peperino è una delle più delicate. Il Brocchi seguendo un metodo accettabile ai suoi tempi le aveva indi- cate in blocco, come già abbiamo detto, col nome di « lava necrolite a grandi feldspati » che fu poi tradotto in quello di « trachite » del Pareto (?) e dal vom Rath (*). Gli studî o, meglio, i lavori posteriori non vi aggiunsero molto: il Mercalli la indicò, anche lui in un cenno molto sommario di osservazioni (1) Loc. cit. (£) Loc. cit. (3) Loc. cit. — 450 — litologiche (') come « Trachite andesitico-felsitica »; il Sabatini (*) includen- dola sotto il titolo « Peperino » venne ad indicarla implicitamente come una « oligoclasite con mica nera ». L'esame microscopico delle lamine sottili di queste roccie per poter dare dei risultati soddisfacienti per un assetto sistematico di queste interessantis- sime masse, specialmente in riguardo alle variazioni dipendenti dai rapporti di giacitura, richiede un lavoro molto minuto. Tenendo conto però dei risul- tati generali di un esame comparativo si possono considerare come Trachi- andesiti, nel senso proposto dal Washington (3): e con variazioni non trascu- rabili dovute specialmente ai loro rapporti colla Ciminite. Nelle vette dei rilievi Cimini, infatti, Ja roccia si presenta ordinariamente con color rossigno, spesso tendente al vinato od al lilla, qualche volta rosso- mattone, più raramente grigio sporco. Se si scende poi lungo i fianchi si possono osservare delle notevoli va- riazioni, specialmente se si passa dalla massa centrale del Cimino, ove si mostra più o meno spesso commista alla Ciminite, e si viene alle masse più periferiche come ad es. la Pallanzana ed il S. Valentino. Per queste alture che sono in relazione più diretta col grande banco di Peperino, si presenta un fenomeno degno della più grande attenzione. Scen- dendo pei fianchi di esse si comincia a notare che la roccia rossigna a pasta compatta e per solito anche con feldispati grandi, si mostra di solito come un nucleo interno il quale si trova in gran parte ancora rivestito da una roccia grigia a massa più friabile la quale in alcuni punti somiglia molto al Peperino come nello sperone sud-ovest della Pallanzana, dalla parte che guarda Viterbo: benchè questa roccia delle alture z0w si presenti mai brec- ciata come il Peperino. In altri punti più bassi, e meno erosi, che qualche volta vengono raggiunti da lavorazioni profonde, ad es. sopra Bagnaia alla base del S. Valentino presso la così detta « Costa corbara » passa ad un man- tello formato da roccia grigia con grossi sanidini simili a quelli delle alture, ma colla pasta grigia scura e tenace frastagliata da profondi interstizî sco- riacei con cristalli di mica e feldspato spesso sospesi in frange di aspetto quasi terroso. In altri punti come sui fianchi sud del S. Valentino, questo mantello esterno è rappresentato da roccia grigia d'aspetto marcatamente cristallino che ricorda molto da vicino certi blocchi feldspatici, che vengono general- mente indicati sotto il nome di Sanidiniti e sì trovano come materiale fram- mentario in varî punti della regione, come dovrò notare in seguito. (1) Loc. cit. Osservazioni ecc. 1899. (2) Relazione sul lavoro eseguito nel triennio 1896-97-98 sui vulcani dell'Italia centrale ed i loro prodotti. Bull. del R. Comitato Geologico, anno 1899, n. 1, Roma. (8) It. Ptr. Sk. V. Citato. Sai à fa — 451 — Per solito mostra una notevole compattezza della massa, che è tuttavia ruvida al tatto e presenta dei vistosi cristalli di sanidino ordinariamente in geminati secondo la legge di Karlsbad. Però questi non sono ugualmente fitti nelle varie alture e neanche in varî punti di uno stesso monte. In alcuni punti la mancanza dei grandi individui è compensata da una fitta punteg- giatura di piccoli feldspati più o meno facili all'alterazione. ]l color rossigno scuro tra il vinato ed il lilla che presentano in certi punti le Trachi-andesiti delle alture è spesso dovuto alla già notata commi- stione colla Ciminite, come si può in alcuni punti avvertire ad occhio nudo e verificare poi nelle lamine sottili col microscopio, specialmente per la pre- senza dell’olivina più o meno marcatamente alterata. I casi più svarrati di questa commistione si riscontrano, come ho già accennato, sui fianchi del Ci- mino: ove la Ciminite si trova entro le Trachi-andesiti in vene come sopra al fontanile tra Poggio Menega ed il fianco sud del Cimino stesso oppure in plaghe più o meno intersecate coll'altra roccia nel fianco ovest volto verso la Pallanzana ed il S. Valentino; ed in commistione ancor più intima spesso dal lato di Soriano. Si deve ricordare infine che le Trachi-andesiti delle alture a grossi e piccoli feldspati si trovano frequentemente sozto il peperino come ho osservato ultimamente sopra al mulino di « Fosso Laparo », nei tagli fatti per la con- dottura dell’acqua: pei quali sotto al Peperino dei cavatori è stato messo in evidenza uno strato di Peperino terroso, giacente a sua volta su un acciot- tolato simzle a quello esistente al di là del ponte a ferro di cavallo sotto Bagnaia, e*che qui (nel taglio) ha l’aspetto di materiale di scarico rispetto alla sovrastante falda della Pallanzana. Tal'altra volta poi le Trachi-andesiti si trovano in grossi blocchi rossigni giacenti sopra al peperino attualmente denudato e che mostrano la loro pro- venienza dalle alture, in seguito al grande lavorìo di erosione dovuto all’an- tichità della formazione: per cui in certi punti i forti dorsi rocciosi che se- gnano le linee di rilievo delle alture stesse, sono ridotti ad allineamenti di grossi blocchi che a prima vista potrebbero sembrare non in posto. Finalmente si trovano in brecce er/70 al Peperino come ho decisamente riscontrato in varî campioni. Zoologia. — Sulla presenza e distribuzione del genere Ano - pheles in alcune regioni della penisola Iberica, e suoi rapporti col parassita della malaria umana. Nota del dott. Gustavo PITTA- LUGA, presentata dal Socio B. Grassi. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. — 452 — CORRISPONDENZA Il Segretario CerRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia delle scienze di Lisbona; la Società italiana delle scienze, detta dei XL, di Roma: le Società geologiche di Manchester e di Sydney; la Società geografica del Cairo; il Museo di storia naturale di Amburgo; l’Istituto Smithsoniano di Washington. i Vi Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2° MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. VoleRVes&Vi VI. VEGAMErI. Serie 3* — TransuNnTI. Vol. I-VIII. (1876-34). MemoRIE della Classe di scienze. fisiche. matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — IL (1, 2) — DEXIX. Memorie della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 48 — RenpIconTI Vol. I-VII. (1884-91). Memorie della Glasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XII. (1892-1903) 1° Sem. Fasc. 11°. RENDICONTI della Classe di sciense morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. (1892-1903). Fasc. 1°-29. Memorie della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-II. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 10; per gli altri paesi le spese di posta in più, Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai: Ermanno Lorscaer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HoerLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Giugno 1903. TINI CE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 giugno 1903. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Pascal. Una classe di covarianti simultanei di una forma differenziale di ordine qualunque, e di una alle derivate parziali . . . . GRID ” SI ARRag: Ricci. Sulle superficie geodetiche in ùna vali Makivahé e in particolare nelle varietà a. tre dimensioni . . . Bent) Maillosevich. Osservazioni de ni LT ed LU Pisan 1903 fatto ali ti di 39 cm. del R. Osservatorio del Collegio Romano . . . ELE AR Riccò. Riassunto delle determinazioni di gravità Libtive fatte nella Sicilia Orientale in Ca- labria e nelle isole Bolie (*) .. . . e o Magucci. I discendenti dei genitori tnbereoli (Polli) ISTE , SESSO) Contarini. Sul moto d’un sistema olonomo di corpi rigidi (pres. dal sui ua (Eta Fubini. Ricerche gruppali relative alle equazioni della dinamica (pres. dal Socio Bianchi) ($) » Agamennone. Contributo alla storia del magnetismo terrestre (pres. dal Socio Blaserza) . » Angeli, Angelico e Castellana. Sopra alcuni derivati della canfora (pres. dal Socio Ciamician) » Oddo. Dosaggio volumetrico del rame per mezzo dello xantogenato potassico (pres. dal Socio PP MICIO) E AGIO SO e Ae RATA TUDO, Ulpiani. Per la sintesi degli di: dei ri Id). st ” De Angelis d’Ossat. Il CONERRINE Thildae n. sp. nel Parà: Gas sd Sooisi Tara: ME IE ME Fantappiè. Contribuzione allo ‘studio dei Cimini res. DI si a e. ” Pittaluga. Sulla presenza e distribuzione del genere Anopheles in alcune regioni delib peni- sola Iberica, e suoi rapporti col parassita della malaria umana (pres. dal Socio Grassi) (*) » CORRISPONDENZA Cerruti (Segretario). Comunica la corrispondenza relativa al cambio degli Atti... . » (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensite. = Ioma 21 giugno 1903. N, 12. DELLA | ANNO CCG. \ 1908 SHRIE QUINTA i RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 giugno 1903. Volume XII. — Fascicolo 12° e Indice del volume. i 1° SEMESTRE. ì Î \ | | ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI | PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1903 mim LEN do, ì\ face 1903 | ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serge querta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fî- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli dello Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus: sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa: della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. DO Seduta del 21 giugno 1903. P. BLASERNA, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Fisiologia. — L’acapnia prodotta nell'uomo dalla dimimuta pressione barometrica. Nota del Socio AnceLO Mosso e del dot- tore Gracomo MARRO. Prima di accingerci alla seconda spedizione sul Monte Rosa, fatta nel luglio ed agosto dell’anno scorso, abbiamo tentato se, per effetto di una rapida diminuzione della pressione barometrica, aumenta in modo misurabile la quantità di anidride carbonica emessa dal nostro corpo. Facemmo delle esperienze con delle variazioni barometriche eguali a quelle che passano a fra Torino ed un'altitudine di circa 2500-2600 m. e i risultati furono soddi- sfacenti come lo dimostrano i dati contenuti in questa Nota. Adoperammo a tale scopo la camera pneumatica rappresentata nella fig. 1. Essa è fatta da una campana A in lamiera di ferro che può alzarsi ed abbas- sarsi per mezzo di un contrappeso e di carrucole fisse nella volta della ca- mera: ha un diametro interno di 75 cent. ed è alta m. 1,81, colla capacità di 853 litri. Il bordo inferiore è munito di un largo anello di gomma, così che quando la campana poggia col suo peso sopra una lastra di marmo bene levigata, che le serve di base, rimane chiusa ermeticamente. ReNDICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 59 — 454 — Un motore elettrico della forza di 4 cavalli mette in movimento due pompe accoppiate, le quali alternandosi nell’aspirazione fanno una corrente continua: e ad ogni colpo di stantuffo possono aspirare 3 litri d’aria ciascuna. La prima idea fu di raccogliere la corrente di aria che usciva dalle pompe accoppiate facendola passare in un gasometro. Fia. 1. — Apparecchio per studiare sull’uomo l'emissione del CO» nell’aria rarefatta. ì i Confrontando la quantità di anidride carbonica che si otteneva per un tempo determinato (mentre si faceva la depressione) con quella che ottene- vasi per un tempo eguale alla pressione barometrica ordinaria, si sarebbe potuto conoscere quanta anidride carbonica si eliminava in più dal corpo dell’uomo quando questo trovavasi nell'aria rarefatta. i Facendo tali esperienze abbiamo trovato che gli stantuffi delle pompe, anche tenuti coperti da uno strato d'olio, lasciavano penetrare dell’aria nelle forti depressioni. Si dovette abbandonare questo metodo e fare le esperienze senza che l’aria da analizzarsi passasse attraverso le pompe. A tale scopo adoperammo due grandi boccioni CD della capacità di 90 litri ciascuno, ca- povolti su un supporto di legno. Un tubo di vetro, come si vede nella figura, li attraversa in tutta la loro lunghezza e termina in un tubo a quattro vie, una delle quali comunica colla campana A, una colle pompe, per mezzo del tubo a forchetta B, e l’altra serve per la presa dei campioni d'aria da analizzare. Nei due boccioni è stata introdotta una quantità di acqua tale che se viene tutta aspirata in uno di essi fino a livello del tubo di vetro, nel- l’altro boccione rimane uno spazio libero di 88 litri. Per impedire che l’acqua — 455 — assorba l'anidride carbonica, essa viene ricoperta nei due recipienti da uno strato di olio di vasellina, il cui coefficiente di assorbimento per l’acido car- bonico è, secondo prove da noi fatte, la metà di quello dell’acqua. Prima di incominciare l’esperienza, si riempie il recipiente D con acqua; quando l’uomo è entrato nella campana, si aprono i robinetti 3 e 4; facendo Fre. 2. — Apparecchio a potassa per trattenere il CO». agire le pompe, l’acqua viene aspirata da D in C, mentre D si riempie col- l’aria della campana. Il tubo E, il quale comunica col recipiente D, si unisce dall'altra parte ad una boccia tarata di un litro e mezzo, ripiena di mercurio (non rappre- sentata nella figura), la quale comunica inferiormente con un’altra boccia aperta. Quando C è ripieno di liquido, si chiudono le chiavette 3 e 4 e aprendo la comunicazione con E, si preleva un campione d’aria da D. Quindi si inverte il sistema, cioè si aprono le chiavette 1 e 2 e colla pompa si aspira l’acqua in D ed alla quarta via comunicante con C si unisce il tubo E. Prima di fare quest'ultima operazione, naturalmente si travasa il campione preso da D in un altro recipiente, nel quale si riuniscono tutti quelli che — 456 — si raccolgono in seguito. In una mezz'ora (durata media delle esperienze) quest’ operazione viene fatta quattro volte, quindi, riunendo i quattro cam- pioni, si viene ad avere un volume d’aria più che sufficiente per la determi- nazione del CO, col metodo di Pettenkofer. Siccome in una mezz ora la quantità d'anidride carbonica, che si accu- mula nella campana, potrebbe alterare il processo d' eliminazione dell'anidride carbonica stessa dal corpo, si è cercato d’assorbirne una parte. L'aria espi- rata, per mezzo delle valvole di Zuntz e di una maschera di guttaperca ap- plicata sul volto, come si vede nella fig. 2, doveva passare per due serpen- tini di vetro A e B, lunghi tre metri ciascuno, nei quali si faceva goccio- lare una soluzione di potassa al 50°/, dai due serbatoi C e D. Questo metodo non diede il risultato che se ne sperava, poichè veniva solo arrestato da un quarto ad un terzo dell'anidride carbonica eliminata dall'uomo; nonostante la lunghezza dei serpentini, l'aria espirata passava troppo rapida- mente per liberarsi di tutta l'anidride carbonica che conteneva; difatti si ebbe lo stesso risultato sia introducendo semplicemente in bocca al paziente il tubo dell'apparecchio, sia adattandogli la maschera per far passare tutta l'aria nei serpentini. Quanto all'umidità dell’aria, essa è minore quando diminuisce la pres- sione barometrica, ma questa differenza forse non è tale da modificare note- volmente i risultati. Di tutte le esperienze che abbiamo fatte, riportiamo solo le tre ultime. Avendo trovato che eliminavasi una quantità maggiore di anidride carbonica nell'aria rarefatta, ripetendo le esperienze a pressione ordinaria, si tenne meno tempo la persona sotto la campana, in modo da ottenere alla fine della esperienza una composizione eguale dell’aria dentro la campana, per riguardo all’anidride carbonica. Siccome l’aria nelle stanze del laboratorio non è perfettamente pura. si ebbe la precauzione ad ogni esperienza di fare il vuoto nella camera pneumatica e di riempirla dopo con aria presa dal giardino per mezzo di un lungo tubo, ripetendo parecchie volte questa opera- zione. Le analisi dell'aria normale diedero sempre una quantità di CO, uguale al 0,4/o0 Per mantenere durante l'esperienza invariata la quantità d'ossigeno, si introduceva un po' per volta nella campana un volume di ossigeno corrispon- dente all'incirca a quello che veniva consumato dalla persona che respirava nella campana. Le tre esperienze delle quali comunichiamo i risultati in questa Nota, furono eseguite sopra Giorgio Mondo che è persona robusta nell'età di 44 anni, del peso di 64 chilog. e della statura di 1", 69. ì — 457 — ESPERIENZA 1°. À PRESSIONE DIMINUITA (1). 21 giugno 1902. Ore 9,13/457: t=16° H=7402m,3 ore 9,23’ H = 676nm » 9,807 » » 686mm ” 9,36” » » 590mm » 9,42" » » 546mm oO nt — 190 Ossigeno introdotto nella campana = litri 11. Durata dell'esperienza 28/30”. Anidride carbonica contenuta nella campana (dedotta quella preesistente) sr. 9,417 5) » esttabt ARCO DOCCIO MIMMO Po OOO) ” ” trattenuta gdal a @potassatt. cc. (RMS e e ATO \midwdekcarbonicaftelimmatafini 23/300. o PR ar 07 » ” calcolata@pert agi e. OTO À PRESSIONE ORDINARIA. Lo stesso mattino ore 11,26/80”: t= 189,7 Siccome la temperatura è superiore a quella della prima esperienza, per impedire che s'innalzi troppo, si inumidisce esternamente la campana in principio e dopo 20 minuti : Introdotti litri 11 d’ossigeno. Ore 11,50/30/: t= 209,2. Pressione positiva 11°,5 d’acqua. Durata dell’esperienza 23/45”. Anidride carbonica contenuta nella campana (dedotta quella dell’aria) gr. 10,298 D) D) trattenuta dalla Bpotassa tt. Serene e e 2 Anidride carbonica eliminata in 23845”... /.0./ 0.0.0. + +. gr. 14,440 ” ” calcolataNip ero ONE Se o 181088 A pressione diminuita si sarebbero eliminati in più gr. 19,786 — 18,238 = gr. 1,548. ESPERIENZA 22. A PRESSIONE DIMINUITA (*). 24 giugno 1902. Ore 9,42/30”: iii = 11667 ore 9,50’ 60492 n 9,550 » » 632mm » 10,4 » » 592mm »” 10,9’ » ” pini » 10,10/45”. t= 219,9 (3) In questa prova, e nella seguente a pressione ordinaria, non si fece uso della maschera. L'aria venne raccolta mettendo in bocca semplicemente il tubo di somma, senza chiudere le narici. (2) L'aria aspirata che passava nei tubi colla potassa fu raccolta applicando sulla faccia di Giorgio Mondo la maschera di guttaperca, com'è indicato nella fig. 2: essa chiu- deva ermeticamente per mezzo di uno strato di mastice da vetrai rammollito con vasellina. mm) i cn —rTt-@_ ea n e VT E TIA ci = —=c—e n =="= — 458 — Ossigeno introdotto nella campana litri 12. Durata dell'esperienza 28/15”. Anidride carbonica nella campana (netto) . . . . . . . .. . . gr. 7,663 ” 7) mei Docclo nigi = "as Ri as — 464 — Nel fondo della boccetta si mettono 1°°,5 di una soluzione di 2°° di ammoniaca del peso specifico 0,88 in 1000°° d'acqua. Il sangue si introduce sotto l’ammoniaca, tenendovi immersa la punta della pipetta o siringa. Le due boccette si immergono in una vaschetta di vetro che trovasi nella parte posteriore dell'apparecchio e che qui non sì vede. Si agita l'acqua del bagno con una corrente d'aria finchè le due hoccette abbiano raggiunta la stessa temperatura, il che si vede quando il livello nei due manometri su- bisca variazioni uguali. A questo punto mediante i robinetti a tre vie, si mettono i manometri a livello, si richiudono i rubinetti, si leva la boccetta, si agita per mescolare bene il sangue all'ammoniaca e inclinando la boccetta si fa venire il ferricia- nuro a contatto col sangue, si agita la boccetta fino a liberare tutto l’ossi- geno e si rimette nel bagno. Quando essa ha ripreso la temperatura dell'altra, premendo sulle pere di gomma, sì mette il livello interno dei due manometri allo stesso punto di prima e si legge l'altezza della colonna d'acqua dei due bracci esterni. La colonna d'acqua della boccetta di controllo si deduce da quella del- l’altra; così si ha la pressione del gas svoltosi; conoscendo esattamente il volume della boccetta, col solito calcolo si riduce il volume a 0° e 760, Per l'acido carbonico si apre, si mettono 0°°,25 di acido tartarico 20°/ nella seconda taschetta e si fa come prima. Solo i calcoli sono differenti, poichè si deve aggiungere al volume tro- vato la quantità d'anidride carbonica rimasta disciolta nel liquido; a questo scopo gl' inventori del metodo hanno determinato il coefficiente di solubilità del gas nel miscuglio di ammoniaca, sangue, ferricianuro, acido tartarico; è di un decimo circa inferiore a quello dell'acqua. i Il sangue da noi esaminato veniva preso direttamente dall'arteria me- diante uno schizzetto di vetro simile a quello adoperato da Barcroft e Hal- dane. Per evitare l'inconveniente di mettere una cannula nell’arteria, ciò che altera la composizione del sangue, che cessa di circolare, ed obbliga ad una perdita di sangue maggiore del bisogno, abbiamo fissato all’ estremità dello schizzetto un ago da iniezioni di platino iridiato di media grandezza. Per levare un campione di sangue basta infiggere obliquamente la punta acuminata dello schizzetto nell'arteria. La pressione del sangue arterioso, se lo schizzetto è bene pulito, basta per spingere in alto lo stantuffo: così che l'operazione si compie senza dover tirare lo stantuffo, il che è un bene perchè si evita il pericolo di estrarre i gas dal sangue. Solo quando si ar- resta per qualche intoppo, basta muoverlo girando perchè torni a salire fino a che lo schizzetto sia pieno. Levato l'ago dall'arteria, il sangue esce dalla medesima come uno zam- pillo, e, se non si legasse sopra e sotto, l'animale morirebbe di emorragia. Noi siamo riusciti ad impedire anche questo inconveniente in modo che pos- — 465 — sono farsi numerose esperienze sulla medesima arteria senza metterla fuori servizio. Quando si leva lo schizzetto dall'arteria si chiude questa sopra e sotto la puntura fatta coll'ago per mezzo di due pinze emostatiche e si applica sopra la puntura una goccia di percloruro di ferro. Un momento dopo, aprendo leggermente la pinza superiore, si lascia uscire una goccia di sangue e si bagna nuovamente con percloruro di ferro. Dopo due o tre minuti si leva prima la pinza periferica e poi quella che sta vicino al cuore, e si trova che l'apertura fatta si è chiusa e che il movimento del sangue si ristabi- lisce nell'arteria. Questo metodo serve anche per le arterie dei conigli, solo che si richie- dono delle precauzioni maggiori. Essendo le pareti più sottili e il diametro dell'arteria più piccolo, bisogna servirsi con maggiore attenzione del perclo- ruro di ferro perchè non eserciti un'azione astringente sulle pareti del vaso, ed inoltre bisogna far in modo che il tratto compreso fra le due pinze ri- manga turgido, ripieno di sangue. In queste analisi abbiamo avuto spesso l'occasione di vedere che la speditezza delle analisi è una delle condizioni essenziali per conoscere lo stato reale del sangue e studiare i mutamenti che subisce circolando in diffe- renti circostanze. Prendendo due campioni contemporaneamente dalla stessa arteria ed analizzando prima l’uno e poi l’altro, nel primo campione si trova sempre più ossigeno e meno anidride carbonica: nel secondo meno ossigeno e più aniì- dride carbonica. Che il sangue estratto dall'organismo continui a vivere ed a respirare era già noto. Sul Monte Rosa fummo obbligati a fare te analisi su campioni doppî ed osservammo sempre questa differenza, ma non nello stesso grado però, quantunque il tempo inteceduto fra la prima analisi e la seconda sia sempre variato entro i limiti di un’ora e mezza, due ore. Questo sta a povare la poca attendibilità delle correzioni fatte da Tissot alle sue analisi, che eseguì 13-15 ore dopo il prelevamento dei campioni. Coneludendo, la tecnica da noi adottata presenta i seguenti vantaggi principali : sì tiene legato l'animale solo cinque minuti al massimo per ogni esperienza ; sì possono eseguire, anche nello stesso giorno, parecchie esperienze sullo stesso animale senza metterne fnori uso alcuna arteria e levandogli solo 1°° di sangue per volta; quindici, venti minuti dopo il prelevamento del campione, lo si libera già dell'ossigeno che contiene, in modo che si evita l’ errore sopraccennato. — 466 — Fisiologia. — Ze variazioni che succedono nei gas del sangue sulla vetta del Monte Rosa. Nota del Socio AnceLo Mosso e del dott. Giacomo MARRO. Per istudiare i cambiamenti che subiscono i gas del sangue a grandi altezze facemmo delle analisi comparative in Torino (276 m.) e nella Ca- panna Regina Margherita (4560 m.). Lungo la strada ci siamo fermati a Gressoney la Trinité (1627 m.) ed al Col d'Olen (2900 m.) per fare altre analisi. Ritornati a Torino, eseguimmo numerose esperienze nella camera pneumatica per controllare i risultati di quelle fatte sulle Alpi. Partimmo da Torino il 29 luglio 1902 insieme all’inserviente del La- boratorio Giorgio Mondo, che ci accompagnò nella spedizione, portando con noi due cani. A Gressoney la Trinité prendemmo ancora quattro conigli. I cani furono nutriti con carne e zuppa di pane nel brodo: i conigli man- giarono solo del pane. Prima di prendere il sangue per le analisi aspettammo sempre un giorno perchè gli animali si acclimatassero meglio al nuovo ambiente dove li por- tavamo. Si comprende però che quanto al clima le condizioni non fossero comparabili fra loro, perchè partimmo da Torino con una temperatura estiva in media di 25°, mentre sulla vetta del Monte Rosa parecchie ore del giorno e specialmente nella notte la temperatura della stanza scendeva parecchi gradi sotto lo zero. Il sangue venne preso mentre gli animali erano digiuni. Analisi del sangue fatte a Torino e nella Capanna Regina Margherita. Cane n. I (peso 9 chil.). Torino 29 luglio 1902; t=23° H= 747, Sangue preso dall’ arteria femorale destra. O,= 14,54 °/o CO. = 37,44. Capanna Regina Margherita, 8 agosto; t=7° H— 485mm, Sangue preso dalla carotide sinistra; colore scuro, nero. Temperatura rettale del cane 380.2. O.= 11,21 °/ CO, = 86,22. Analisi fatte nella Capanna Regina Margherita e a Gressoney la Trimté. Cagna n. II (peso 7 chil.). Capanna Regina Margherita, 7 agosto 1902; t=6%5 H—4880m, Temperatura rettale 389,5. PEG — 467 — 2 campioni di sangue presi contemporaneamente dalla stessa carotide. 12 analisi: Oa= 17,69% CO, = 29,64. 2% analisi: 07655 CO. = 30,14. Gressoney la Trinité, 10 agosto 1902; t=15° H= 62522, Sangue preso dall'altra carotide; ha di nuovo colore rosso, ancora un po’ scuro. | 0g = 19.41 °/o CO, = 36,72. ill i In tutti due i cani si osservò dunque, per effetto della diminuita pres- i sione barometrica, una notevole diminuzione nella quantità di ossigeno e di | anidride carbonica nel sangue. Giunti sulla vetta del Monte Rosa, anche Ìi prima di fare l’analisi era già evidente la differenza nel colore delle arterie, | che erano di un rosso meno chiaro, e, penetrando il sangue nello schizzetto, si vide tutte le volte che era più bruno e non aveva il suo colore normale. Su questi due cani si fece ancora una serie di analisi del sangue a Î Torino, che diedero i seguenti risultati. Dobbiamo però avvertire che il cane | n. I era ingrassato, mentre che la cagnetta era diventata estremamente magra senza che ne sappiamo la ragione. Analisi fatte a Torino il 28 e 30 ottobre 1902. t=16° H=747mm, : Cane I: O—=;102,6709/0 CO. = 33.14 î Cane II: 0. = 14,8 CO. — 39,28. Analisi del sangue fatte sui conigli. Coniglio n. 1. Albergo Col d’Olen, 3 agosto; t==11°5 H=540mm, 2 campioni presi contemporaneamente dalla stessa arteria. 1* analisi: 0, = 15,57% CO. = 88,65 2° analisi: 0,= 15,64 CO. = 39,93. a Coniglia n.2. Capanna Regina Margherita, 7 agosto; t=11° H=436mm, Campioni presi dalle due carotidi; sangue nero. 1* analisi: O, = 10,96 °/o €02 = 35/50 Coniglio n. 3. Capanna Regina Margherita, 6 agosto; t=12°,5 H=438mm, Campioni presi contemporaneamente dalle due carotidi. pe; i 1° analisi: 0. = 12,35 (GORE SA | 2° analisi: CO:z= 12,12 - Coniglio n. 4. } Gressoney, 10 agosto; t=16° H— 625mm, | i Campioni presi dalle due carotidi; sangue molto rosso. | 1° analisi: = CO, = 38,48 IL 2° analisi: 0s= 15,12 °/o CO» ='8948 — 468 — Quando siamo giunti alla Capanna Regina Margherita il 5 agosto 1902 si stava ampliando la capanna e vi erano gli operai che lavoravano a co- struire le due stanze che stanno nella parte anteriore, dalla parte opposta al torrione. Le camere erano ingombre dal legname di costruzione. Occupammo la stanza superiore del torrione. che era la sola disponibile, ma, accesa la stufa, scioglievasi la neve che erasi accumulata fra il soffitto e il piano del terrazzo, per un guasto succeduto nella copertura di rame. Questo stillicidio ci dava una grande molestia perchè non si riusciva a deviare l’acqua senza che cadesse sugli strumenti e da per tutto. Essendo questa la sola camera disponibile, che ci serviva come Laboratorio per tenere gli animali e per dormire, dopo quattro giorni fummo obbligati ad interrompere le ricerche e partire. Queste condizioni sfavorevoli per il nostro soggiorno lo furono molto di più per le analisi. Dalla scala veniva su una corrente d’aria fredda perchè gli operai aprivano e chiudevano continuamente la porta della camera sottostante, i serramenti non bene finiti e la tormenta che durò sempre in quei giorni producevano delle correnti d'aria e mantenevano una temperatura incostante poco favorevole per fare delle analisi esatte. Fu per ciò che cre- demmo necessario prelevare sempre due campioni di sangue contemporanea- mente, che venivano analizzati l'uno di seguito all’ altro. Come si vede, tutti i secondi campioni, ch' erano lasciati a sè un'ora, un'ora e mezza prima dell'analisi, indicano chiaramente una minor quantità | di O, ed una maggiore di CO, che nei primi analizzati. D'onde come già dicemmo, la necessità di fare immediatamente l'esame del campione prelevato. Esperienze di controllo fatte a Torino. Per confermare le analisi del sangue fatte sui conigli e sui cani durante la spedizione al Monte Rosa, ripetemmo le esperienze a Torino analizzando il sangue degli animali preso alla pressione ordinaria e sotto la campana pneumatica a 430", pressione media osservata alla Capanna Margherita. In queste esperienze come in quelle fatte durante la spedizione, il sangue si prendeva dall'arteria carotide, che dopo veniva legata, e si aspettava una settimana per fare l'altra prova, per permettere lo stabilirsi della circolazione collaterale. Negli esperimenti alle altre pressioni abbiamo invece adottato il sistema col percloruro di ferro, descritto nella Memoria precedente. Prima dell'esperienza si allenavano gli animali alle rapide depressioni per due giorni consecutivi. Nel primo giorno si portavano i conigli in mez- z'ora dalla pressione ordinaria a 430" e vi si lasciavano per un'ora; in un’altra mezz ora si ritornava alla pressione ordinaria. Nel secondo giorno invece di lasciare la pressione a 430%" per un'ora, la si lasciava ancora diminuire fino a 300, — 469 — I conigli non hanno mai patito menomamente, anzi li abbiamo visti mangiare tranquillamente a 480%. Per prendere il sangue uno di noi en- trava, coll’animale slegato, nella camera pneumatica descritta nella prima Nota. Si facevano funzionare le pompe in modo da avere una corrente d’aria di circa 1400 litri per la durata dell'esperienza. Si regolava l’entrata del- | l’aria in modo da raggiungere la pressione di 430%" in un quarto d'ora; si manteneva la pressione a tale altezza per un altro quarto d’ora, quindi | si prelevava il campione di sangue. L’arteria veniva scoperta prima di entrare I nella campana e gli animali venivano legati solo al momento di dover pren- | dere il campione ('). | Coniglio n. 5. 27 ottobre 1902, ore 10 t=149°,8 H=—739mm8, Campione preso dalla carotide sinistra; sangue discretamente rosso. O,= 13,57 °/o CO, = 40,42 3 novembre 1902, ore 10 ti=2119955 H = 7472m,8 D IVO © 15 » 430 | » 10,84 » 16,8 » 4830. | Sangue preso dalla carotide destra, discretamente rosso. O. = 13,02 °/ CO, = 32,64. Coniglio n. 6. 10 novembre 1902: t= 14° H— 748mm,7, . Carotide destra, sangue discretamente rosso. i Os=13,02% CO.=40,50. il 18 novembre 1902, ore 10,42 t= 1194 H= 745mm,7 | » 10,50. » » 430 | NIBSIO, MRI 309 4307 | Carotide sinistra, sangue un po’ scuro. | O. = 11,31 °% CO. = 35,02. Coniglio n. 7. 12 novembre 1902: t=14° H= 745mm, i 0. = 12,76% €02, S989î î 22 novembre 1902, ore 9,58" t= 1297 H= 745mm | » 10,13. » 143.» 480 (il coniglio pare sonnolento) Î DIO SS 56 4308 Carotide destra, sanguo scuro. | 0. = 9,40 °/o COa = 1937148 | (1) Nel calcolo delle esperienze fatte alla pressione ordinaria si è aggiunto al risul- tato per cento dell’ossigeno, 0,98 per la pressione di 760mm e 0,96 per la pressione di 740mm, Per i campioni prelevati sotto la campana, siccome naturalmente, invece di contenere 0,948 volumi per cento di azoto, ne contenevano 0,948 So = 0,536, abbiamo ancora aggiunto i alla correzione di cui sopra 0,948 — 0,586 = 0,412 a 760mm e 15°; e 0,386 a 15° e 740mm, | cioè in totale: presi a 430mm ed analizzati a 760mm e 15°. 0,980-+ 0,41 = 1,39 ” ” ” 740 ” 0,960+ 0,38 = 1,24. I RenpIconTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 61 (0 Coniglia n. 8. 13 novembre 1902: t= 13° H= 748mm,6. 0» = 13,31.°/ CO, = 84,00. 19 novembre 1902. Ci accorgiamo che la coniglia è gravida di 8 o 10 giorni. Ore 14,55 t= 1595 H= 745mm,7 oO NZ: ” 430 PI UISRSM6I A177658 430 Ago Carotide destra, sangue un po’ rosso. O. = 10,83 °/ CO, = 30 29. Coniglio n. 9. 17 novembre 1902. Dalla carotide sinistra, sangue rosso. 25 novembre 1902, ore 9,43’ t=11°9 H= 740mm > MO SAMEDERIZ5 O 430 » 10,20. » 15,9» 430 Carotide destra, sangue un po’ scuro. 0,= 11,13 %/o COl=T0Ù15 Coniglio n. 10. 24 novembre 1902, ore 9,46 t= 1297 H= 746mm n. 10,2 WD Idifo (9a 0 430 DART n Aso 430 Carotide sinistra, sangue un po’ scuro. Oa = 10,29 °/o CO» = 34,23 1° dicembre 1902, ore 164 H= 738mm, Carotide destra, sangue molto rosso. O, = 11,70 °/ CO, = 36,94 Coniglio n. ll. 26 novembre 1902, ore 9,38" t= 139,8 H= 732mm DEMI To 430 ni OZ 16,5 “nf 430 Carotide destra, sangue un po’ scuro. O = 12518075 CO, = 33,61 2 dicembre 1902, ore 16 t= 14° H= 735mm 2. Carotide sinistra, sangue molto rosso. O, = 14,63 °/ CO. = 41,54 Coniglia n. 12. 16 dicembre 1902, ore 10,100 t= 169,7 H= 750mm,5 » 10,80 » 18 » 430 04500 19 ” 430 Carotide sinistra, sangue scuro. 0. = 949 o CO, = 29,92 28 dicembre 1902, ore 9,307 t= 14° = 751mm, 5. Carotide destra, sangue molto rosso. 0: = 13,48%/ CO.= 88,10 Re Jr o e TURI — 471 — Queste otto esperienze fatte nella camera pneumatica confermarono pie- namente i risultati delle analisi fatte sulla vetta del Monte Rosa, e in tutte si vide che il sangue dell'arteria carotide contiene meno ossigeno e meno anidride carbonica alla pressione di 430" di quanto ne contenga alla pres- sione barometrica di Torino. Onde poter paragonare meglio i risultati, riferiamo le diminuzioni tro- vate a cento parti dei gas trovati alla pressione ordinaria: Su 100 di ossigeno a 740mm Su 100 parti di CO, a 740mm ne rimasero a 430mm ne rimasero a 430mm DAD 95,95 80,76 n. 6 86,83 86,48 Do 73,71 84,96 n. 8 81,41 89,10 n. 9 70,13 89,99 n. 10 87,97 92,65 id IN 83,31 80,75 smo 19 70,39 78,52 media 81,21°%/ 85,40°/o In tutte queste esperienze è costante la diminuzione dell'ossigeno e del- l'anidride carbonica a 430%. Però le differenze tra i risultati delle singole esperienze sono molto rilevanti, e la causa ne va ricercata essenzialmente nei cambiamenti di nutrizione che avvenivano nell’animale durante la set- timana decorrente fra il primo esame ed il secondo. Si vedrà ora quale con- cordanza ottenemmo invece in tutte le esperienze che seguono col perfezio- nare la tecnica in modo da fare le due esperienze a due ore sole di distanza, mantenendo l’animale nelle stesse identiche condizioni. Esperienze sui canì a 4307", La nostra camera pneumatica è troppo piccola per lavorare comoda- mente sui cani; abbiamo dovuto costruire a tale scopo un sostegno cemicir- colare in modo da poter tenere orizzontalmente l’animale ed abbiamo operato come sui conigli, tenendo il cane slegato e fissandolo solo all'ultimo mo- mento, quando la pressione nella camera pneumatica era a 430", Su questo primo cane, chiudendo le ferite al percloruro di ferro, potemmo fare ben quattro esperimenti senza guastargli nessuna arteria. Quest'animale non aveva ancora servito ad alcuna esperienza in laboratorio, e, per non risvegliarne la diffidenza, lo si legò e gli si mise la carotide allo scoperto sotto la cam- pana solo al momento opportuno. — 472 — Cane III, di 8 mesi circa (peso chil. 6,650). 11 gennaio 1903, ore 14,81 t= 1759 H= 751mm, » 1444 —_ H= 480 il cane respira affannosamente colla bocca aperta per un minuto, quindi normalmente; si rallenta la velocità con cui si fa la rarefazione. ». 14,50 il cane respira di nuovo con un po’ d’ affanno. » 14,55 t= 19909 H-=4830mm ]Ja lingua pare diventata un po’ cianotica, continua un leggero affanno di respiro. Si lega il cane, si mette la carotide allo scoperto; l’ani- male si è mantenuto abbastanza tranquillo, si attende un minuto: n) 15,12 t=2195 H = 430mnm, Si preleva il campione; sangue scuro. O, = 15,99 °/ CO, = 36,52 La carotide non viene legata, si mette il percloruro di ferro sul foro fatto dall’ago e dopo dieci minuti si levano le due pinze in modo da permettere di nuovo la circola- zione del sangue nell’arteria. Quindi noi ci troviamo nuovamente di fronte ad un cane che si può dire in condizioni normali. Slegato l’animale, sta un po’ di tempo fermo, quindi si mette a girare per la camera. Un'ora e mezza dopo che si trova alla pressione ordinaria, cioè alle 16,45, si lega nuovamente il cane che non oppone resistenza e si pre- leva il campione dalla carotide destra; anche questa non viene chiusa. Sangue molto: più rosso del precedente, ma più scuro del normale. Os = 19479) CO =" 4168001. Riferendo la diminuzione trevata nell’ossigeno e nell’anidride carbonica a cento parti dei gas trovati alla pressione ordinaria, abbiamo: 0: 8200, (CO. 87001 Sei giorni dopo si ripete un’altra esperienza sullo stesso cane, ma in senso inverso; notiamo però che l’animale è un po’ depresso: e meno vispo della prima volta. 16 febbraio 1903, ore 15: si prende il campione dalla femorale sinistra; sangue un po’ scuro; l’animale si è agitato mentre si metteva l’arteria allo scoperto; t= 19° H= 7400mm O, = 18,04 °/o CO. = 43,32 Slegato il cane, esso rimane abbattuto per una mezz'ora, quindi ritorna allo stato normale. Un'ora e mezza dopo lo si porta entro la campana. Ore 16,30 t = 19° H= 740nm, ». 16,52 t= 1997 H— 480mm, Il cane non.-ha più l'aspetto impaurito che aveva dapprincipio; appare un po’ son- nolento. Ore 16,57 respira un po’ affannato, ma tiene la bocca chiusa. » 17,30 il cane si lascia legare senza difficoltà. » 16,7 t=20°8 H=— 480mm. Si preleva il sangue dalla carotide sinistra; ed ha un,color scuro. (05 = 14,01 oa (0075 = 89,54 (3). (1) La differenza di 1,43 per l'ossigeno e di 1,69 per l’anidride carbonica. si deve forse attribuire in parte a ciò che nella prima esperienza l’animale era digiuno dalla sera del giorno precedente, mentre che nella seconda esperienza aveva mangiato al mattino — 473 — Facendo il rapporto a 100 parti dei gas trovati alla pressione ordinaria, abbiamo per la pressione di 430mm; O. = 77,70 CO. = 91,30 Facendo la media colle due analisi precedenti abbiamo: 0. = 79,39 CO, = 89,50 mentre pei conigli abbiamo avuto la media di 02 = 81,21 CO, = 85,40. Vista questa concordanza fra le due serie di esperimenti, abbiamo creduto inutile ripetere le prove sui conigli col nuovo metodo, e siamo passati senz’ altro alle Esperienze a 520”, Cane IV (peso gr. 4450). Esso ha la carotide sinistra legata da due mesi, avendo servito per un'esperienza d’altro genere. 20 febbraio 1903. Il cane è a digiuno. Ore 14,80 t= 18°,8 H= 755mm, Messa allo scoperto la femorale sinistra, si prende il campione; sangue rosso vivo. Il cane non si è mosso. (05 = 18,72 9/o CO, => 37,93. Dopo dieci minuti si lascia nuovamente scorrere il sangue nell’arteria e si slega il cane. Ore 16,99 H= 455mm t= 189,5. DIMRLO nt —1520 t= 209,5. Il cane è molto tranquillo, senz’affanno di respiro. Ore 16,25” si lega il cane senza che questi opponga resistenza. » 16,83 H= 520mm t—= 219,5. Si preleva il campione dalla carotide destra; sangue un po’ scuro. O, = 15,78 CO. = 35,33. Quindi a 520mm, su 100 parti ch'erano alla pressione ordinaria, sono rimaste: (0A == 84,31 CO, = 93,12. Il 25 febbraio sì ripete l'esperimento, facendo le prove in senso inverso; sfortuna- tamente un incidente ci fece andare a male l’analisi del 2° campione, quello preso a pressione ordinaria. Nel primo, preso a 520mm trovammo : O. = 14,80 CO. = 34,15 dati che confermano quelli ottenuti nella prima esperienza. Coniglio n. 13 (peso gr. 1800). 26 febbraio 1903, ore 3,30 t= 17°,8 H= 750mm. Carotide sinistra, sangue rosso. 0a = 15,33 %/ CO, = 38,43 %/ Ore 16,40 H = 750nm t— 17,3. n 655 » 920 DIES dI » 19. Carotide destra, sangue. scuro. Oa = 11,94 CO, = 36,18. alle otto. Per inavvertenza sapemmo questo solo quando era finito ‘1’esperimento. Benchè fossero trascorsi sei giorni, il cane ebbe nella seconda volta più paura che nella prima, sebbene si tratti di un'operazione poco dolorosa. I I — 474 — A 520mm sono rimasti: 0. = 83% CO, = 911° Coniglia n. 14 (peso gr. 2000). 10 marzo 1903, ore 97 H=744mm t= 16°. Carotide sinistra, sangue un po’ scuro. 0, = 12,50 36,02. Ore 10,40" H = 744mm t—= 160, DI IO 820 e IO RITO, 520 ” 18°. Carotide destra, sangue scuro. O, = 10,46 CO, = 32,73. Facendo la riduzione restano a 520mm; O. = 83,659, CO. = 90,88%/ Coniglia n. 15 (peso gr. 2390). Facemmo con questo animale prima l’esperienza colla pressione diminuita. Questo animale non era in condizioni normali perchè, scoperta la carotide, si trovò che era pic- colissima con una pressione del sangue molto debole. Alcune ore dopo che fu preso il secondo campione, l’animale era morto. 25 marzo, ore 15,50 t=19° H=745mm » l6,o0 t=2097 H— 520 » 16,15 si lega l’animale e si mette la carotide allo scoperto » 16,22 t=21°2 H—520 O, = 9,37 CO, = 29,72. Ore 18,10/,t= 19° H=745mn, Carotide destra, sangue rosso vivo 0.= 11,50 CO, = 381,62. Riferendoci a 100 parti dei gas trovati alla pressione ordinaria, rimasero a 5209mm O,= 81,14%/ CO, = 94/ Facendo le medie delle precedenti analisi alla pressione di 520 mm., otteniamo pei conigli: (0A = 82,9 CO, = 92.96 concordemente a quanto si è trovato pei cani, cioè, facendo la media, per cani e conigli Os = 83,60 CO, = 93,04 Esperienze a 590", Trattandosi di una piccola depressione, che forse non agisce sull'organismo colla velocità con cui agivano le altre depressioni maggiori, abbiamo creduto meglio di rag- giungerla in 10 minuti, invece che in 15, per rimanervi 5 minuti di più. Coniglia n. 16 (è gravida; peso gr. 2450). 27 febbraio 1903, ore 15,45" t=17°5 H= 740mm, Carotide sinistra, sangue rosso 0, = 14,35 CO: = 38,62. Ore 17,21 t= 179,8 H—740mm » 17,381.» 18090 590 Dio 195 590. — 4795 — Carotide destra, sangue rosso, leggermente più scuro del precedente. Oa 12,76 CO. = 38,45. L’ossigeno è diminuito, l’ anidride carbonica invece presenta una diminuzione che sta entro i limiti d’errore delle analisi. Quindi a 590mm rimasero 0, == 88,88 °/o CO, = 100 °/o Coniglia n. 17 (peso 2000 gr.). Su questa si fa prima la prova a pressione diminuita 3 marzo 1903 ore 8,50 H= 728 t= 169,9 » 9 Jil SO0 © 189 D OZ SO. 10058 Carotide sinistra, sangue rosso. O. = 11.27 CO. = 35,04. Si prende l’altro campione alle ore 11: t= 17° H= 728mm, Carotide destra, sangue un po’ più rosso del prècedente. (0A == 12,26 CO, = 34,89. Cioè riferendo a 100: O2=9158 CO,= 100 Facendo la media delle due esperienze, otteniamo che a 590mm rimasero: O, = 90,34 CO, = 100. Cane V, di un anno circa (peso gr. 4400). 13 marzo 1903, ore 9,10 H= 744nm t= 15°. » 9,23. H—= 590 algo » 9,80 si lega il cane; si agita molto, cosicchè si trova diffi- coltà a mettere allo scoperto la carotide; il campione si prende tre minuti dopo che il cane è ritornato perfettamente tranquillo, cioè alle Ore 9,50 H= 590mm t= 190°. Sangue discretamente rosso. (07 == 17,05 CO, = 38,05. Alle ore 14 si lega il cane e si prende il campione dalla carotide destra; ma per un incidente occorso nell'analisi, si perde il campione, perciò dopo un quarto d’ora si lega nuovamente il cane e messa allo scoperto la femorale destra, si prende il campione da questa alle ore 14,80; siccome il cane si è agitato molto, anche stavolta si aspettò tre minuti prima di prendere il campione. Sangue discretamente rosso. O, = 18,30 CO. = 40,04. Quindi rimasero a 590mm; i O, = 93,15 CO, = 95. Cane VI, dell'età di un anno (peso gr. 8700). 18 marzo 1908, ore 14,40 H=7483mm t= 170. Si prende il campione dalla carotide sinistra; il cane non si è mosso. 0, = 17,84 CO, = 41,47. — #6 — Lo si porta sotto la campana alle Ore 16,27 H= 749mm t= 169,6. » 16,38 H= 590 Li—_M1(80 » 16,50 si lega il cane, che non oppone resistenza. » 16,59 si prende il campione dalla carotide destra; il cane è rimasto asso- lutamente tranquillo. Sangue rosso. (07 == 15,57 °/o (0(0)5 _ 40,959/o cioè su 100 rimasero a 590mm 0. = 87,4°/ CO. = 98,750/0 Le differenze riscontrate nel CO, si potrebbero ancora attribuire ad errori d’analisi. Facendo la media di questi risultati con quelli dei conigli e trascurando i dati del cane n. V, si ottiene che a 590mm rimasero 0. = 88,87 CO, = 99,88. Abbiamo intrapreso anche esperienze a pressioni minori e ci siamo trovati di fronte a fatti nuovi che vogliamo appurare; ne faremo oggetto di un’altra comunicazione. Abbiamo rappresentato graficamente i risultati delle precedenti analisi nella tavola seguente: sulle ascisse sono rappresentate le pressioni, e sulle 100 90 î 80 a 40 5 Omm 520 4 0 Variaziazioni del CO» e dell'O, contenuti nel sangue alle diffe- renti pressioni barometriche. La curva superiore rappresenta le variazioni dell’ossigeno secondo la tensione dell’ ossiemo- globina (Hifner). ordinate le quantità di anidride carbonica e di ossigeno riferite a 100 delle quantità trovate alla pressione normale. Per dare un'idea del fenomeno, ab- biamo rappresentato (nella linea superiore) le quantità di ossigeno che do- vrebbero esser contenute nel sangue per la tensione dell’ossiemoglobina alle varie pressioni. Questi dati li. abbiamo calcolati da quelli di Hiìfner ('), (!) Archiv fir Anatomie un Physiologie Phys. Abt. 1901, pag. 187. — 477 — indicando con 100 la quantità di ossigeno che si troverebbe combinata ad una data quantità di emoglobina nell'aria alla pressione ordinaria. Si vede che l'ossigeno non segue le leggi della tensione dell’ossiemoglobina alle pressioni a cui si fecero gli esperimenti. È importante vedere che le due curve dell'ossigeno e dell'anidride carbonica decorrono quasi parallelamente. Per spiegare la diminuzione dell'ossigeno basta ammettere una insuffi- ciente ossigenazione del sangue dovuta al fatto che, col diminuire della pres- sione, scema proporzionatamente la quantità assoluta di ossigeno che viene a trovarsi in un dato volume d'aria. Forse il sangue, circolando nei polmoni quando vi è meno ossigeno, non ha più il tempo che gli occorre per ossige- narsi come alla pressione ordinaria; ma il fenomeno è più complesso perchè anche l'anidridide carbonica diminuisce nel sangue arterioso per azione del- l'aria rarefatta. Questa diminuzione è troppo forte perchè basti a spiegarla la maggior facilità con cui il vapore acqueo e conseguentemente l'anidride carbonica (*), passano nell'aria dei polmoni per effetto della minor pressione. Deve esser succeduto un cambiamento chimico nel sangue, una diminuzione della sua alcalinità. ì Lo studio delle cause dei fatti sopracitati sarà l’oggetto della terza spedizione al Monte Rosa, alla quale ci accingeremo quest'anno. Parassitologia. — icerche preliminari dirette a precisare la causa del gozzo e del cretinismo endemici. Prima Nota del Socio B. Grassi e del dott. L. MuNARON. La causa del gozzo endemico e dell'intimamente connesso cretinismo, non ostante le molte ricerche già state fatte, resta tuttora avvolta nel più profondo mistero; mistero verso il quale è attratta l’attenzione degli indaga- tori specialmente oggigiorno in cui di una delle malattie endemiche nei nostri paesi — la malaria — si è precisata la causa, e dell'altra — la pellagra — sembra di essere prossimi a determinarla. Essendoci decisi ad affrontare tale problema, abbiamo ritenuto opportuno di battere una via alquanto differente da quella tenuta in generale dai più recenti osservatori; abbiamo voluto anzitutto procurarci una solida base di fatti che per induzione ci indicasse dove si dovessero dirigere le indagini microscopiche e chimiche per precisare l'agente morboso. Riassumiamo qui in brevi termini i fatti finora assodati. 1. Dallo studio della letteratura risulta che accanto ad acque sane vi sono acque (fonti, sorgenti ecc.) gozzigene. Noi abbiamo cercato di control- lare una parte di questi dati e dobbiamo confessare che finora le nostre ricerche (1) Grandis e Mainini, R. Accademia di Medicina di Torino, gennaio 1902. RenpIcONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 62 — 478 — furono sfortunate. Così in molti lavori si riporta l'osservazione di coscritti che si recavano a Cavacurta presso Maleo (Lodi), dove acquistavano il gozzo in quindici giorni coll'uso della sorgente della località (Lombroso). Uno di noi si è recato a Cavacurta e ha verificato che, mentre nessuno sa nulla di questa fonte, a Cavacurta il gozzo non è mai stato endemico. Si legge che nel villaggio di Antignano (provincia di Asti) esistono tre sorgenti di cui due sembrano possedere in grado diverso, il principio gozzi- geno, mentre la terza ne è esente, così che le famiglie le quali fanno uso di una delle sorgenti contano numerosi cretini e gozzuti, quelle che sono più vicine alla seconda sorgente, non hanno che gozzuti, e un’altra parte del villaggio, quella che si serve della terza sorgente, è completamente indenne dalle suddette infermità. L' Ufficiale sanitario di Antignano, dott. Piano, ci comunica che tutto ciò non è assolutamente vero. Del resto le popolazioni non attribuiscono tutte il gozzo all'acqua pota- bile; alcune ne ricercano la causa nell'alimento (patate, castagne ecc.). Aggiungasi che moltissimi passano mesi e mesi specialmente nella sta- gione estiva in luoghi in cui il gozzo è endemico senza evitare l’uso delle acque gozzigene non cotte, e non filtrate; tuttavia noi non conosciamo alcun caso indiscutibile di gozzo preso durante questo soggiorno. Non ostante quanto abbiamo riferito, siccome gli autori che hanno par- lato di sorgenti gozzigene, sono numerosi ed alcuni molto competenti, così noi proseguiremo ancora le nostre investigazioni sull'argomento prima di pro- nunciare un giudizio definitivo. 2. Le osservazioni, riguardanti l’ereditarietà. del gozzo, sono già nume- rose. In generale però la determinazione dell'ereditarietà, per quanto noi sap- piamo, non sembra che sia stata sufficientemente accurata per îi casì in cui gl’individui gozzuti, dopo essersi stabiliti in località in cui il gozzo non era endemico, hanno procreata una prole che non ha mai abbondonate queste località. i Noi abbiamo a questo riguardo raccolto fatti molto interessanti, perchè confermano in modo assoluto l'ereditarietà, e spiegano come col mescersi delle popolazioni, avvenuto specialmente negli ultimi cinquant'anni nel nord d’Italia, il gozzo sia diventato meno frequente in località in cui era ende- mico, e casi di gozzo si siano manifestati in paesi che erano del tutto indenni. Passiamo alla parte sperimentale, per la quale ci siamo serviti dei cani. 3. A Cogne (1567 m. sul livello del mare), abbiamo fatto i seguenti esperimenti. Vi abbiamo inviate, verso la prima metà di settembre 1902, sette cagne ritenute pregne, provenienti da Rovellasca e dintorni, paesi indenni da gozzo. Quattro di esse, si dimostrarono non gravide; tre partori- rono, già. prima del 20 settembre, ma sopravvissero soltanto tre cuccioli, figli di due madri. Le cagne prima di partorire e quelle che non partorirono ven- nero tenute nella vasta scuderia vuota, annessa alla Casa Reale di Caccia, — 479 — scuderia che ha pavimenti di terra battuta. Per giaciglio si usava lo strame. I cuccioli — colle madri relative, finchè durò l'allattamento — vennero allevati nelle stanze terrene dell'abitazione del parroco del luogo, Don Luigi Gadin (molto benemerito di queste nostre ricerche), stanze con pavimento di legno, alle quali si accede per anditi con pavimenti di macigno. Il regime alimen- tare consistette in zuppa di pane e patate cotte, con pochi residui cotti di cucina, usando esclusivamente acqua previamente bollita. Propriamente si usava quella del serbatoio della cucina economica, che servendo per riscal- dare l’ambiente, quando non era in ebollizione, cioè, per la maggior parte del giorno, rimaneva ad una temperatura prossima alla bollitura. L'assoluta esclu- sione dell’acqua non bollita avveniva necessariamente per la temperatura del- l'ambiente, che durante l'esperimento coi cuccioli di cui si parla, fu sempre inferiore a 0°.C., toccando un minimo di —189.C. Certamente nelle stanze terrene dell'abitazione del parroco, la temperatura era un po meno bassa, non sufficiente però a fondere il ghiaccio. I cuccioli esaminati sul luogo il giorno 8 dicembre 1902, vale a dire 80 giorni circa dopo la nascita, non presen- tavano alcun ingrossamento della tiroide, ma nel successivo esame, fatto il 28 gennaio 1903, ossia circa quattro mesi dopo la nascita, due cuccioli, figli della stessa madre, furono rinvenuti atfetti da gozzo bilaterale, in uno egual- mente sviluppato da ambo i lati, e precisamente d'ambo i lati grosso quanto una noce ordinaria, nell'altro disegualmente cresciuto e prevalente a sinistra, dove raggiungeva pure le dimensioni di una noce di comune grandezza (fu- rono subito trasportati a Roma). Il terzo cucciolo non aveva traccia di gozzo nè fino al giorno 5 giugno 1908, data dell'ultimo esame, ne presentava trac- cia alcuna. Sì è sopraccennato al ricovero delle cagne rimaste sterili, nel quale furono accolte dopo l'allattamento anche due delle cagne che avevano figliato, perchè la terza, e propriamente la madre del cucciolo che rimase immune da gozzo, essendo sensibilissima al freddo, visse sempre nella casa del parroco. Il regime, sia per il cibo che per la bevanda, fu quello stesso sopra indicato. Si noti che nella scuderia, meno protetta contro il freddo del pianterreno del- l'abitazione del parroco, la temperatura fu molto più bassa, e il terreno restò costantemente congelato per oltre quattro mesi, tanto da essere scheggiato a fatica. i All'esame fatto il giorno 8 dicembre 1902, nessuna delle cagne mostrò ingrossamento della tiroide. Il 28 gennaio la madre dei due cuccioli affetti di gozzo fu trovata affetta essa pure (fu subito trasportata a Roma). Il 6 marzo 1903, la cagna madre del cucciolo che si mantenne sano, la quale aveva vissuto, come si disse, nella casa del parroco, presentava anch'essa moderata ipertrofia della tiroide e così pure la terza cagna che aveva figliato, mentre le altre, ossia quelle restate sterili. ne erano affatto indenni. L'11 aprile 1903, la madre del cucciolo indenne, presentava ridotto — 480 — l’ingrossamento della tiroide, constatato il 6 marzo. Si notava invece aumento del gozzo nella terza cagna, che aveva figliato, e la comparsa del gozzo in una sola delle quattro cagnerimaste sterili. Il 5 giugno 1903 il gozzo permaneva nelle cagne già infette nel grado precedentemente constatato, mentre compariva anche nelle tre altre rimaste fino allora indenni, notevole in due, moderato in una. Questi fatti furono verificati da uno di noi. il dott. Munaron, che ad onta dei disagî del viaggio, si è recato da Roma sul luogo. Da Roma ad Aosta, i biglietti ci furono gentilmente concessi dall'Ispettorato delle Fer- rovie, per raccomandazione di S. E. il ministro Giolitti, e coll’intercessione del senatore Paternò, ai quali rendiamo i più vivi ringraziamenti, anche per averci fatti ottener biglietti di trasporto gratuito per i cani. La suddetta scuderia della Casa Reale di Cogne è stata messa a nostra disposizione per ordine del nostro amato Sovrano, sempre pronto ad ascoltare e favorire gli studiosi. Da questi esperimenti fatti a Cogne si può indurre: a) Che il gozzo si manifesta facilmente negli animali molto giovani. 5) Che lo sviluppo del gozzo ha in generale un decorso relativamente rapido. c) Che il gozzo si sviluppa anche nel rigor dell'inverno delle nostre Alpi, presentando in ciò una notevole differenza coll’andamento dell'epidemia malarica. i d) Che il gozzo si sviluppa anche bevendo esclusivamente acqua bollita. Dopo questa prova, che stiamo ripetendo, noi riteniamo che il gozzo si possa prendere anche senza l'intervento dell’acqua potabile. Che con questa sì possa prendere, lo riteniamo del pari, specialmente dopo le esperienze di Carle e Lustig, coronate da resultati positivi. Si potrebbe però obbiettare che queste non sono sufficientemente numerose e non sono sufficientemente provative, perchè fatte in località (Torino) dove potevano trovarsi facilmente cani e cavalli ereditariamente disposti ad acquistare il gozzo, località per la quale non conosciamo neppure ricerche estese sufficienti per escludere che il gozzo non sia mai stato o non sia endemico nei cani e nei cavalli. Un'altra serie di ricerche venne fatta a Roma, località indenne da gozzo, sia per l’uomo che per i cani, come dimostrano, riguardo a questi ultimi, le autopsie, da noi fatte di numerosi cani, provenienti dal canile municipale. 4. A Roma abbiamo cercato di produrre il gozzo con fango e terra prove- niente da Cogne, località in cui si può dire che nessun uomo si trovi senza gola piena o gozzo. Tre cuccioli lattanti, colla madre, furono ricoverati nel canile situato nel giardino attiguo al Laboratorio di Anatomia comparata, ai primi di ottobre 1902, e, tenuti in osservazione fino al 26, parvero crescere normal- mente sani e nutriti. Da quel giorno si iniziò la somministrazione diretta iii — 481 — del materiale sopraccennato (piccole quantità di fango e di terra), continuando l'alimentazione quasi esclusivamente con pane e latte. Già alla fine di novembre i tre cuccioli apparvero malnutriti. Tale distrofia non si arrestò punto e pervenne in circa tre mesi a costituire di questi cuccioli, veri tipi di rachitici, senza che la tiroide presentasse all'esame segni di alterazione. Due morirono rispettivamente l'8 e il 24 febbraio 1903, il terzo, cui fu allora sospesa la somministrazione del materiale, visse fino al 23 aprile. Tutti alla sezione mostrarono i medesimi caratteri: marasmo e scheletro tipicamente rachitico. Le tiroidi invece apparvero normali. 5. Si è tentata un'altra serie di esperimenti, spargendo nell'ambiente in cui vivevano i cani, fango e spazzatura provenienti da varî ambienti di Cogne, e più particolarmente dagli ambienti dove i cani s'infettarono. Finora i risultati sono stati negativi, ma l'esperimento viene continuato essendo per ora la sua durata insufficiente. 6. Il 5 febbraio 1903, innestammo direttamente nel parenchima della tiroide di tre cuccioli di circa 40 giorni, materiale raschiato, al momento di servirsene, dal gozzo di uno dei due cuccioli di quattro mesi, vivo, trasportato da Cogne a Roma, e precisamente di quello che aveva il gozzo ugualmente sviluppato d'ambo i lati. I tre cuccioli guarirono rapidamente; uno morì di malattia accidentale il giorno 11 marzo 1903, gli altri due sono tuttora vivi. Nessuno ha pre- sentato, o presenta modificazioni nella tiroide. Attribuire questi risultati a immunità degli animali innestati dopo le osservazioni fatte a Cogne ci sembra inverosimile. Questo esperimento ci sembra di fondamentale importanza, inquantochè tende a dimostrare che nel gozzo non esistono microbî gozzigeni. Data la grande importanza di questo esperimento, si è ritenuto opportuno ripeterlo, ciò che si è fatto il 18 maggio innestando ad altri tre cuccioli materiale raschiato dal lobo sinistro del gozzo bilaterale voluminoso di un cagnolino di circa sei mesi, proveniente da Cogne. Nella raschiatura usata per questi sperimenti si ebbe cura di comprendere anche una paratiroide. Finora (16 giugno) i risultati sono negativi. Non mancheremo di fare altre controprove, dirette ad escludere sempre più che un microbio capace di prosperare per brevissimo tempo nell'organismo possa accendere il processo morboso, di cui ci occupiamo. 7. Si è tentato un esperimento anche con iniezione sottocutanea di sangue di cane gozzuto in tre cuccioli di circa 50 giorni. L'esperimento fu fatto il 12 febbraio. Dal 13 marzo al 3 aprile i tre cani morirono di malattia accidentale, senza presentare nessuna alterazione della tiroide. 8. Passiamo ad alcune osservazioni, riguardanti l'andamento del morbo: a) In paesi dove regna endemico. — 482 — Come risulta da quanto sopra si è detto, quella cagna che ha partorito il cucciolo, che si è dimostrato finora refrattario allo sviluppo del gozzo, fu trovata affetta il giorno 6 marzo e già il 18 aprile seguente presentava notevolmente ridotto l’ingrossamento della tiroide. 6) In paese dove non regna l'endemia. La cagna sgravatasi a Cogne, madre dei due cuccioli, che presentavano già in gennaio il gozzo, riscontrata essa pure affetta, fu trasportata, come si è detto, alla fine di gennaio insieme coi figli a Roma e fu tenuta in osser- vazione senza cure speciali. Già all'esame praticato il 18 maggio, vale a dire, meno di quattro mesi dopo l’arrivo a Roma, presentava soltanto traccia d'ipertrofia della tiroide. Il cucciolo già accennato, affetto da gozzo prevalente a sinistra, presen- tava il 18 maggio, cioè quattro mesi dopo l’arrivo a Roma, la tiroide note- volmente ridotta in volume, ma non ancora normale. (Il cucciolo col gozzo bilaterale fu ucciso dopo l'innesto di cui sopra si è parlato). Il cagnolino proveniente da Cogne, coi due lobi della tiroide ingrossati, a cuì fu tolto il sinistro il 18 maggio 1903 per l'esperimento d’innesto so- pradetto, presentò dopo pochi giorni una notevole riduzione del lobo destro, il quale oggi, 16 giugno, cioè circa un mese dopo, sembra diventato normale. Anche un cane adulto gozzuto, proveniente dalla Valtellina, dopo esser restato un certo tempo a Roma, presentava una riduzione notevole nel gozzo, che tuttavia era ancora voluminoso, quando il cane morì di morte accidentale. Fatti simili sono già noti per l'uomo e per gli animali. L'importante è che in ogni caso il morbo, ancorchè di recente data, si arresta appena gli animali vengono allontanati dal centro d'infezione. Noi abbiamo incominciati molti altri esperimenti e perciò non veniamo ancora ad alcuna conclusione definitiva, nè ci estendiamo in citazioni biblio- grafiche. Non possiamo però tacere la nostra ipotesi che la causa del gozzo e del cretinismo endemici debba ricercarsi in veleni, derivati da un mi- crobio specifico vivente non già nel corpo dell'essere vivo, bensì liberamente in materiale (a preferenza terreno) umido, forse interrottamente, quando si verificano speciali condizioni non ancora determinate. Questi veleni possono arrivare al nostro corpo, seguendo il tubo intestinale, per svariati veicoli, tra î quali l’acqua potabile. Colla ipotesi tossica, come viene da noi formulata, tutti i fatti finora noti ci sembrano spiegabili compresa l'azione gozzigena, dei corsi d'acqua a brevissima distanza dai ghiacciai da cui provengono, ossia l'azione gozzigena dell'acqua appena formatasi dalla fusione del ghiaccio, ma intorbidata per lo scorrimento sul suolo. Se questa ipotesi, che tende ad avvicinare il gozzo e il cretinismo alla pellagra e ad allontanarli dalla malaria, debba o no assurgere al grado di dottrina, ce lo insegneranno appunto gli esperimenti che stiamo compiendo. — 483 — Fisica terrestre. — assunto (') delle determinazioni di gra- vità relativa fatte nella Sicilia Orientale, in Calabria e nelle isole Eolie (*). Nota del Corrispondente A. Riccò. Ebbi già l'onore di presentare all'adunanza dell'Accademia del 3 lu- glio 1898 una relazione preliminare sulle determinazioni di gravità relativa da me fatte in 16 stazioni, che costituivano la prima campagna. Essendosi verificata colle determinazioni ripetute in Catania ed a Pola una notevole variazione dei pendoli, specialmente durante la detta prima campagna; ed inoltre avendo trovato opportuno introdurre nei calcoli e riduzioni delle osser- vazioni di tempo e di gravità alcuni miglioramenti, suggeriti dall'esperienza mia propria e da quella di altri in quest'argomento, ho stimato utile (anche per dare uniformità ai risultati) di rifare tutti i calcoli relativi alle deter- minazioni di tempo e di gravità per la detta prima campagna, con quelli stessi metodi che poi ho seguito per tutte le altre 27 stazioni. Naturalmente ciò ha portato qualche cambiamento, che avevo già pre- annunziato, presentando i primi risultati. Perciò ora riporterò insieme agli altri anche i risultati della prima campagna, nuovamente calcolati. Determinazione del tempo. — Come nella prima campagna, anche nelle seguenti la determinazione del tempo o più precisamente dell'andamento del- l'orologio Hawelk che dava la durata dell'oscillazione dei pendoli, si è fatta per mezzo di segnalazioni telegrafiche fra l'Osservatorio di Catania e quelle stazioni per le quali la comunicazione poteva aversi unendo due linee tele- grafiche al più: per questa ragione non potemmo servirci del telegrafo nelle 8 stazioni della Calabria Ultra: Mileto P. S., Bianconovo, Roccella J., Sove- rato m., Serra San Bruno, Nicotera, Cittanova, Delianova; e neppure all’Os- servatorio Etneo ed alla Cantoniera meteorico-alpina, ove non vi era tele- grafo (ora vi è una linea telefonica). Nelle dette 10 stazioni il tempo fu invece determinato con osservazioni del sole al sestante, eseguite dal compianto prof. A. Saija: i calcoli relativi furono fatti prima da lui, e poi rifatti dal prof. G. Boccardi, adottando esclu- sivamente il metodo delle altezze corrispondenti. Dopo la prima campagna per il confronto telegrafico degli orologi, sì è seguito il sistema di trasmettere automaticamente le battute dell’ orologio Hawelk, mediante la linea telegrafica, cosicchè esse battute andavano a re- (3) L'intero lavoro sarà pubblicato nelle Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. (2) Lavoro eseguito nel R. Osservatorio di Catania. — 484 — gistrarsi all'Osservatorio di Catania nel cronografo, accanto alle battute del- l'orologio astronomico (Cavignato II). Per avere l'andamento del Hawelk si è adottato per tutte le stazioni il metodo di valersi solo della prima ed ultima determinazione di tempo o del primo e dell’ ultimo confronto degli orologi, in modo da comprendere tutte le osservazioni di pendolo, e ciò allo scopo di diminuire l'influenza degli errori e per ottenere una maggiore compensazione delle irregolarità nell’an- damento degli orologi. Per la stessa ragione ho determinato l'andamento dell' orologio sidereo di Catania, valendomi di osservazioni cronografiche al cannocchiale dei pas- saggi, comprendenti tutti i confronti o segnali telegrafici di una stazione di gravità, e servendomi a preferenza di osservazioni di stelle, od in mancanza di queste, di osservazioni di sole; sempre però combinando osservazioni della stessa natura; cioè di stelle e di stelle, o di sole e di sole. Osservazioni di pendolo. — Dovendo queste osservazioni di gravità ser- vire specialmente per studî geofisici, ed avendo il tempo ed i mezzi limi- tati, e desiderando io di arrivare a collegare le mie determinazioni con quelle fatte dalla Marina austriaca nell’ Italia meridionale, mi sono dovuto accon- tentare di fare per regola in ogni stazione solo due osservazioni della serie dei tre pendoli Sterneck dell'apparato num. 9, cortesemente prestato dal- l'I. R. Ufficio idrografico di Pola. Per Catania, che ha servito di stazione di riferimento immediato, allo scopo di tener conto della variazione dei pendoli, ho fatto tre determinazioni: la prima al principio, la seconda alla fine della prima campagna, la terza quando dovei rinunziare a continuare le determinazioni di gravità. In ogni determinazione di Catania si sono fatte tre osservazioni della serie dei tre pendoli. A Castellammare di Stabia, che doveva servire per raccordo e controllo colla determinazione fatta ivi dalla Marina austriaca, si son fatte quattro serie ('). A Cittanova Calabra si sono fatte tre serie, perchè il cielo nuvoloso fece differire la seconda determinazione del tempo col sole. Ordinariamente le due serie si facevano l’una al mattino dopo il primo confronto telegrafico degli orologi o la prima determinazione del tempo col sole, l'altra nel pomeriggio avanti le segnalazioni telegrafiche della sera, o la seconda determinazione del tempo col sole. Nella prima campagna a fine di compensare gli effetti della variazione della temperatura, i pendoli erano osservati nell'ordine 25, 26, 27 e 25, 26, (1) Questo controllo ha data una differenza nella gravità relativa a Castellammare di solo — 0®.00014 tra il valore trovato dagli Ufficiali della Marina austriaca nel 1894, e quello ottenuto da me nel 1898. i — 4385 — 27. Avendo poi visto che le variazioni della temperatura generalmente erano molto piccole, perchè le osservazioni di pendolo sì facevano in locali a piano terreno e possibilmente anche sotterranei, non soleggiati, non riscal- dati artificialmente, ed in clima mite, nelle altre campagne le osservazioni dei pendoli si fecero invece nell'ordine 25, 26,27 e 27, 26, 25, per compen- sare meglio nel medio delle due osservazioni di uno stesso pendolo gli effetti della variazione (probabilmente progressiva) dell’ andamento dell’ orologio Hawelk. Di ogni pendolo si osservavano ordinariamente 10 coincidenze delle sue oscillazioni con quelle dell'orologio Hawelk, di ordine pari o dispari, corri- spondente a quello del distacco dell'àncora nell'apparato delle coincidenze; poi si lasciavano trascorrere 50 coincidenze, e poi se ne osservavano altre 10, ottenendo così 10 volte l’ intervallo di 60 coincidenze. Come sostegno dei pendoli ha sempre servito una mensola a muro, che non entra in oscillazione col pendolo; inoltre se ne verificava la stabilità, ti- randola bruscamente 10 volte colla forza di 5 chilogr., tanto verticalmente che orizzontalmente, mediante una bilancia a molla, funzionante da dinamometro. Se uno dei pendoli, messo in riposo sul piano d'agata, entrava in oscilla- zione, si stringevano maggiormente le madreviti dei bolloni, od anche, questi sì muravano di nuovo. Nella vetrina contenente il pendolo da osservare, oltre al termometro ordinario a grande bulbo, se ne collocava simmetricamente un altro a piccolo bulbo per assicurarsi dell'equilibrio di temperatura. Generalmente per determinare la pressione atmosferica si è adoprato un aneroide Naudet di grande modello, di cui si era determinata la correzione per le varie pressioni. Gravità relativa. — La gravità relativa in Catania si è ottenuta dal confronto della media del tempo d’oscillazione del pendolo medio (di 25, 26, 27) nelle tre determinazioni, colla media analoga delle due determinazioni fatte all'Ufficio idrografico di Pola al 12-18 agosto 1897 ed al 23 aprile e 1° maggio 1901, cioè prima della spedizione e dopo il ritorno dell'apparato Sterneck a Pola: e ritenendo per Pola la gravità 9".80642, e risultando per Catania 9".80082. Per le 16 stazioni della prima campagna la gravità relativa si è otte- nuto dal confronto della media del tempo d’oscillazione del pendolo medio nelle due serie colla media analoga nella prima e seconda determinazione di gravità, fatte in Catania, ritenendo la gravità, come sopra, in Catania: 9".90082. Si è poi tenuto conto della variazione del pendolo medio, la quale dalla prima alla seconda determinazione in Catania risultò di 05.00000097 al mese. Per tutte le altre stazioni la gravità relativa si è ottenuta col confronto della media del tempo d'oscillazione del pendolo medio colla analoga media RenpICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 63 — 486 — per Catania nella seconda c terza determinazione, ritenendo sempre la gravità in Catania 9".80082, e trascurando la piccola variazione del pendolo medio. Riduzioni. — Alle gravità così ottenute si sono fatte le solite riduzioni per l'attitudine, per la piastra di terreno fra la stazione ed il livello del mare, supposta di spessore uniforme, e poi la correzione orografica, positiva, dipendente da eccesso di terreno sopra la stazione o da difetto sotto la stazione, rispetto alla piastra suddetta; per questa correzione il terreno si è decomposto in segmenti cilindrici attorno alla stazione. Nelle correzioni non si è tenuto conto delle masse d'acqua marina vicine. Per l'Osservatorio Etneo nel primo calcolo avevamo considerato e calco- lato il terreno sottoposto, come un paraboloide di rivoluzione, alla forma del quale si accosta assai il Mongibello: rifatto il calcolo col metodo della pia- stra uniforme e della decomposizione in segmenti cilindrici, è risultata una correzione complessiva (negativa) minore per parecchie unità del quinto ordine decimale: probabilmente questa. differenza dipende dal grande scavo nella Valle del Bove, di cui non si tiene conto col metodo del paraboloide: quindi abbiamo adottato il risultato dell'altro metodo di correzione. La gravità, così ridotta all’ ellissoide liscio, si è confrontata colla gra- vità teorica, data dall'ultima formola del prof. Helmert ('), ossia con aumento di 20 unità del quinto ordine, rispetto a quella adottata nel primo calcolo della prima campagna; la differenza dà l'anomalia di gravità. Il seguente quadro presenta per ognuna delle 43 stazioni i dati geogra- fici e la densità del sottosuolo: quindi la gravità osservata, la gravità ridotta al livello del mare, la gravità corretta per l'attrazione del terreno sottostante e sovrastante, ossia ridotta allo sferoide liscio; poi la gravità teorica, ed in- fine l'anomalia di gravità. Nella fig. 1 sono tracciate le linee di eguale anomalia di gravità, gio- vandomi anche di determinazioni fatte da altri, come dirò; sono segnate con - linee continue le isanomale sicure ed esatte: con linee a tratti le altre, che in causa delle lacune sono solo probabili ed approssimate. Risultati. — 1 principali risultati delle mie determinazioni di gravità relativa sono i seguenti: 1°. Le anomalie sono tutte positive. i 2°. Le massime anomalie sono a Stromboli 184 (u. d. 5° d.) e ad Augusta 174, vicino a grandi profondità marine di 2000 m. e più. 3°. L'anomalia minima 4 è all'Osservatorio Etneo (2943 m.) presso la cima dell’ Etna. 4°. Altro minimo secondario ed inaspettato (60 ?) si ha presso la costa orientale della Calabria Ultra; altro sui Monti Nebrodi (602), altro debole (140?) presso Monte Lauro. (1) Die normale Theii der Schwerkraft im Meeresniveau, Sitzungb. der K. Preus. Ak. der Wissen. zu Berlin, 14 marzo 1901. i — 487 — Fre. 1. — Linee di equale anomalia di gravità. Linee di isanomale di gravità, sicure. \\ Aree sismiche principali di Sicilia. sconiteona » n» D) D) probabili. Y} D) ” ” dell’Italia me- ® Stazioni di gravità (Riccò). ridionale. » D) » (Venturi). Città. 140 Vf Garga no x n \ \ È INÙ ZIA 4g S S VAN, NG SY SI 7 \ i x ) SANZZINZZZA 4 \ <%, Fi Pr 0g i Né 5) | CI e LTT î CRA CIRE O) alfanisse, SSE I i acialcca lo) 04) - Catania Vvr=-=77 { [I x pica da LG SAEÀ << 0 renti NDS I UT) ara ZA, ) y , STI i NI rn 7 2 \ù Siacasa \ COAT AI Ò € i SO ASA 9 NT NY vo SON IURII SIIT Ud R Ja x sio SAURO ’ ALITO \ SS e È e A I È \ SERIE ta GIS NA 7 / ì È = CANI IO pom Si ey IMI NOS | SARE — 488 — 5°. Il massimo gradiente, o variazione dell'azomalza, si ha dalla cima dell'Etna alla riva del Jonio, circa 120. Collegamenti. — Ho cercato di collesare a queste mie determinazioni di gravità relativa le sei pregevoli fatte nel 1899 dal prof. Venturi nella Sicilia occidentale ed isole adiacenti (') dalle quali risultano le seguenti aro- malie, ridotte all'ultimo valore della gravità teorica. PalermoX(Martorana) fit. e Wsbicagoie... «RO O n 8 Ranbelleria,, . ;. fee. e SS Bawionanas.. AR 22 Trapani . + 109 Valverde ;(Oss.*Mimeteor:9). Gi. RR 0 Prolungando corrispondentemente le linee isanomale risultanti dalle mie determinazioni, si giunge a queste conclusioni probabili. 1°. L'isanomala 180 va da Stromboli a nord di Ustica, passando sopra mare profondo. 2°. L'isanomala 120 passa per la punta del Faro, quindi per le Egadi, poi presso Pantelleria, e torna alla Sicilia a Sud dell'Etna, correndo su mari poco profondi. 3°. L' isanomala 140 si estende dal massiccio basaltico di Monte Lauro verso Malta, sopra mare poco profondo. 4°. Nel centro della Sicilia si ha un minimo (402). Infine prolungando le isanomale di gravità ottenute colle mie determi- nazioni, in modo da unirle, malgrado le lacune, con quelle trovate dalla Marina austriaca per l'Italia meridionale, si hanno i seguenti risultati d' in- dole generale: 1°. Le anomalie sono ancora tutte positive fino presso Campobasso, ove la gravità è normale. 2°. Le linee zsanomale corrono parallele alle coste del Jonio e del Tirreno. 8°. Le anomalie da entrambi i mari Tirreno e Jonio, ove arrivano oltre 180, diminuiscono verso i Monti Erei, Nebrodi e Peloritani della Si- cilia; verso la montagna della Sila e le creste degli Appennini: e su queste cime l'anomalia di gravità ha valore minimo. Non ha luogo lo stesso ri- guardo all’Aspromonte: cosa singolare. 4°, Nell’Adriatico le anomalie sono minori che nel Tirreno e nel Jonio; al di sopra Promontorio di Gargano non sono maggiori di 120: ciò corri- sponde alla minore profondità. Relazione coll’attività geodinamica. — Tracciando sulla carta delle isanomale di gravità le aree sismiche principali, come risultano dalla Carta sismica d’Italia del dott. M. Baratta e come sono state ridotte dal profes- (1) Determinazioni di gravità relativa nella regione occidentale della Sicilia. Atti della R. Acc. di Palermo, vol. IV, della serie 3°. — 489 — sore (erland ('), si nota che le dette aree giacciono ove le isoanomale sono irregolarmente avvicinate e fortemente piegate, indicando con ciò luoghi di grande squilibrio di gravità, come era da aspettarsi. Ciò potrebbe contribuire a spiegare perchè la Sicilia orientale e la Ca- labria occidentale sono specialmente funestate da terremoti, e lo sono ancora la Basilicata, l'Abruzzo e la regione Garganica. Riguardo ai vulcani attivi, sull'Etna l'anomalia va decrescendo rapida- mente tutt'attorno e si riduce pressochè nulla alla cima: ma anche sui monti non vulcanici degli Appennini si ha analoga diminuzione dell’azomalza, quan- tunque meno rapida, dal mare alle cime principali, d'altezza comparabile a quella dell'Etna. Presso gli altri vulcani attivi, Pantelleria, Vulcano e Stromboli, non si riconosce alcuna notevole singolarità nell’ andamento delle linee isanomale; ed altrettanto può dirsi aver luogo presso il Vesuvio, cioè a Napoli ed a Ca- stellammare di Stabia. E lo stesso risulta pure per i vulcani spenti di Monte Lauro, Ustica, Lipari, e per la regione basaltica di Pachino. Ma quest'argomento dovrà essere studiato in modo speciale e più com- pletamente. Compio il gradito dovere di dichiarare che, come nella prima campagna, anche nelle altre, il personale dell’Osservatorio di Catania ha preso parte alle operazioni per determinare la gravità; e così l’ing. A. Mascari si è occupato personalmente della trasmissione dei segnali telegrafici nell’ Osservatorio di Catania, il compianto prof. G. Saija ha eseguito le osservazioni di tempo, il prof. G. Boccardi ha rifatto (come già dissi) il calcolo delle osservazioni di sole, l'ing. S. Arcidiacono ha eseguite tutte le necessarie quotizzazioni del terreno; mi hanno assistito nelle varie campagne i sig. dott. Triangali, Eredia, Ponte, successivamente ; il dott. Mendola mi ha aiutato nei calcoli. In tutte le stazioni i Sindaci e gli Ufficiali telegrafici mi hanno secon- dato col maggior zelo. I Direttori dei telegrafi mi hanno concesse le maggiori agevolazioni. Tutti ringrazio vivamente della cortese prestazione. Come pure sono gratissimo al comm. prof. Tacchini, che essendo allora Direttore dell'Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica, accolse la mia proposta di fare questo lavoro; ed al contrammiraglio Kalmdr, allora Direttore del 1. e R. Ufficio idrografico di Pola, il quale accordò il prestito degli strumenti e tante altre cortesi facilitazioni. Nel finire questo riassunto non posso fare a meno di esprimere il voto che le determinazioni di gravità siano continuate in Sicilia per colmare le lacune, e nell'Italia meridionale per congiungersi colla importante serie di determinazioni gravimetriche fatta dalla Marina austriaca. (1) Doct. A. Patermanns, Geogr. Mitteilungen 1900, Heft XII, Seite 265-271. — 490 — i o | Gravità | Gravità | Gravità E È SÒ Gravità 3 Yi Is, DI È i s j Latitu- ci E osser: : Cercola “o SET 3 Gravità | Ano- s PAESE STAZIONE IRAN Ea lrvata $ |Valtitu- tenigno frazione È teorica | malia È dio so Z ; £ dine: | tanto: Cosa Ci y ITy Z È Ia È Ig Is I, x 0) 4a Vo m Mm m mm mn 4 1| Sicilia. .| Pachino . . . . . + |86042,8| 15°. 5,3) 60] 9,80029| 3,0) 9,80047| 9,80040 | 9,80040 |1900) 9,79876 | + 164 2 n | Noto... +0» + |36.53,3|-15. 4,4) 128| 9,80027 | 2,8 066 054 055 |1900 891 164 3 n Siracusa... ©. +. +.| 82. 3,5] 15..17,7) 19] 9,80074| 2,5 080 078 078 |1900 906 172 4 n Buccheri . . . . . .|37. 7, 5| 14.51,1| 797] 9,79907 | 2,7 153 064 066 |1897 912 154 5 ” Sortino. . . . . +. +|37. 9,4] 15. 1,7) 438) 9,79995 | 2,6 130 083 085 |1900 914 171 6 ” Augusta... + + +. | 87.19, 8] 15.13, 2) 17] 9,80092| 2,5 097 095 095 [1899 921 174 7 ” Mineo... i. è | 87.15,.9\ 14,41, 5] 1538] 9,7997222 136 087 091 |1897 924 167 8 ” Scordia . . . +. +. .|87.17,7| 14.50, 9| 125] 9,80054| 2,5 092 079 080 |1899 927 153 9 ” Ramacca . . . . + .|37.23,1| 14.41, 6| 260) 9,79983 | 2,8 063 033 034 |1899 934 100 (1897 10 ” Catania . . .0. 0 .|37.80,2| 15. 4,7) 48) 9,80082|/2:9 095 090 091 )1898 945 146 1900 11 ” Paternò . . +. + + - | 37.33, 9] 14.58, 9] 235] 9,79986| 3,0 058. 029 031 [1897 950 81 12 ” Catenanova . . . +. + |37.34, 1] 14,41, 5| 172) 9,79971| 1,5 024 013 014 [1899 950 64 13 ” Nicolosi . +. +. + | 37.86,/8] 15. 1.5] 700] 19,79910)| 29 126 044 047 |1897 954 93 14 ” Acireale... + + + + | 37.36, 8| 15.10, 0] 162] 9,80064| 2,9 114 095 097 |1898 954 143 15 n Adernò. . . + + + + | 37. 40, 0] 14. 50, 0] 560| 9,79912 | 2,9 085 018 020 |1898 959 6l 16 ” Cantoniera . . + +. + | 37.41, 8| 14.59, 7/1883| 9,79659| 2,9 240 014 031 |1897 962| © 69 17 ” Milo x e ele e | 8748, DI bi 16,8) 100) 97799051112,9. 136 046 054 [1898 964 90 18 ” Giarre 5. 040%. | 87.48, 5|/15. 1170) 85) 980018 | 1,5 043 038 040 |1898 964 76 19 ” Osservatorio Etneo . . | 37. 44, 3| 14.59, 9|2943| 9,79367 | 2,9 275 | 9,79917 | 9,79969 |1897 965 4 20 ” Bronte... | 37. 47, 1| 14.50, 0) 793] 9,79871| 2,6 116| 9,80031| 9,80034 |1897 969 65 21 ” Linguaglossa .. . . .|37.50,5| 15. 8,5] 540| 9,79984| 2,9 151 086 089 |1897 974 115 22 ” Taormina. . + . . + |387.51,0| 15. 16,9) 270) 9,8C030| 2,7 113 083 087 |1898 975 112 23 Ò Randazzo... . . | 37.52, 4) 14.56, 7] 760] 9,79907 | 2,6 141 059 063 |1897 978 85 24 | Calabria . | Melito Porto Salvo . . |37. 55.2] 15.47, 1| 50) 9,80048| 2,4 063 058 059 [1899 981 78 25) Sicilia e AM a e fe a|)88;,40, 2 LAZIO] 09] 19;800701/2277 071 070 074 |1898 939 85 26 ” Novara». + + + < + +|98.. 0,9] 15. 7,9] 617] 9,79952 | 258 142 071 073 |1900 990 83 27| Calabria .| Bianconovo . . . . .|38. 5,4| 16. 9,2) 5| 9,80056| 2,4 057 057 058 |1899 996 62 28 ” Reggio. . . + + . .|88:6,4|15.38,5| 10| 9,80101| 1,5 104 103 104 |1898 998 106 29 ” Rometta . : . . 0. .|38.10,8| 15.24, 8) 450] 9,80023 | 2,4 162 117 120 |1900) 9,80003 117 80 | Sicilia... | Messina ....:...-/ + | 88.11,,5] 15.83, 4| 5] 9,80128 | 1,9 129 129 130 |1898 005 125 81 » Milazzo . +. + + + + |38:13,1|\15.14, 5]. 8] 9,80143:| 233 143 143 143 |1898 008 135 32 | Calabria . | Delianova. . . . + + |38.14, 0] 15.55,2| 650] 9,79961| 2,3 162 100 104 |1899 009 95 33 ” Bagnara . + + + + . | 88:17, 8| 15.48, 4| 15| 9,80122| 2,6 126 124 132 |1898 014 118 | 34 » Roccella Ionica . . .|38.19,2|16.24,2| 5| 9,80074| 2,2 075 075 076 |1899 017 59 35 n Cittanova. . . + + + |88.21,3| 16. 4,9] 407| 9,80024| 1,9 150 118 119 |1899 020 99 36 | Isole Eolie | Lipari... + +. .|38.27,9]14.57,4| 2/ 9,80179| 2,4 179 179 180 |1898 029 151 37| Calabria . | Nicotera . . . . . .|88.33,0| 15. 56,8] 190| 9,80102| 2,8 160 138 141 |1899 037 104 38 ” Serra San Bruno . . . | 38.34, 7|16,19,9| 800) 9,79958| 2,1 205 135 136 |1899 039 97 39 n Soverato... 00.0. | 38.41, 4| 16.228] 7] 980140,|2,5 142 141 143 |1899 049 94 40 ” Pizzo > 0» rpe88: 44, 0|.16-29,/6] . 40], 9,80189.|12.4 201 201 204 |1898 053 151 41 | Isole Eolie | Stromboli. . . . . .|38.48,2| 15.14, 1| 48| 980229] 2,9 244 238 241 |1898 059 182 42| Calabria . | Catanzaro. . . . . .|38.54,3| 16.35, 6| 345] 9,80090| 2,5 196 160 162 |1898 068 94 43 | Napoli . .| Castellammare di Stabia | 40. 41, 6| 14. 28, 7 4| 9,8038388 | 1,5 339 339 342 |1898 228 114 — 491 — Fisiologia.— Sui così detti composti salino-proteici (4). Nota I del Corrispondente GruLio Fano e del dott. PAaoLo ENRIQUES. In questi ultimi tempi i fisiologi hanno studiato con speciale attenzione le condizioni fisiche degli organismi viventi, applicando a queste ricerche i dati ed i metodi della chimica fisica. Queste indagini condussero a mettere in luce la grande importanza degli stati molecolari nello svolgimento delle funzioni fisiologiche, e in particolar modo di quelle determinanti la pressione osmotica. Si comprende come questo indirizzo desse risalto al significato fun- zionale dei sali; e come per quel che riguarda il loro modo di essere nei liquidi e nei tessuti, e il meccanismo di assimilazione e di rigetto di essi, ritornasse in voga la questione dei così detti corpi salino-proteici. Fino dai tempi di Berzelius si sapeva che l'albumina, precipitando, trasporta seco una parte dei sali che con essa si trovano in soluzione, e li trattiene in modo tale, da non poterne essere liberata con replicate lavature ; ma l'esperienza più notevole è quella di Bernard (?), il quale per il primo osservò che se si aggiunge del lattato di perossido di ferro a siero sanguigno, il sale di ferro non è più rivelato « dalle reazioni le più proprie a met- terlo in evidenza, nelle condizioni ordinarie della sperimentazione chimica ». Il Bernard adoperava in realtà, come reattivi del ferro, «i prussiati giallo e rosso di potassa »; dal resultato negativo di queste mescolanze, il Bernard concludeva che «il lattato di ferro si è dunque combinato col siero ». Si aggiunga che il Bernard eliminava il sospetto che ciò potesse derivare dalla reazione alcalina del siero, neutralizzandolo con un acido organico debole. Invertendo l’esperienza, vale a dire versando qualche goccia di lattato di ferro in una mescolanza di siero e ferrocianuro potassico, la colorazione bleu apparisce; e ciò perchè, dice il Bernard, «il lattato di ferro ha incon- trato il ferrocianuro di potassio prima di essersi potuto combinare colla ma- teria organica del siero: la loro azione reciproca si è manifestata. Sicchè, tutte le volte che l’esperienza sarà fatta versando il prussiato di potassa dopo aver mescolato il sale di ferro col siero, non si avrà la reazione; tutte le volte, per contro, che si verserà il lattato di ferro in una mescolanza di ferrocianuro di potassio e di siero, si avrà la formazione di bleu di Prussia. È dunque indubitabile, egli conclude, che i sali metallici possono formare composti solubili colle materie organiche ». (!) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Fisiologia di Firenze. (2) Bernard C., Zécons sur les effects des substances toxiques et médicamenteuses. Paris, Baillière, 1857. — 492 — Queste ricerche del Bernard furono poi riprese dal Cervello ('), il quale, studiando l'assorbimento del ferro medicinale e l'azione fisiologica dei clo- muri di ferro, e adoperando mezzi organici diversi, come albumina d'ovo, 0 pezzetti di tessuti, conclude ammettendo la combinazione dei sali di ferro coi materiali proteici dell'organismo. Con ricerche di altro genere, e cioè studiando le condizioni che man- tengono costante la concentrazione molecolare del siero sanguigno, Fano e Bottazzi (*) furono condotti a supporre che ciò sia dovuto a processi di as- sociazioni e dissociazioni salino-proteiche, a seconda che, rispettivamente, la concentrazione molecolare del siero tende ad aumentare o diminuire. Il Bottazzi poi (3), trovò che la mescolanza di albume con solfato di ferro determina un aumento di 4 minore che la mescolanza della stessa quantità di acqua corrispondente a quella di albume adoperato; in altre parole il Bottazzi colle sue ricerche crioscopiche porterebbe un nuovo con- tributo per affermare che i sali di ferro sì combinano coi corpi proteici. Ad analoghi resultati crioscopici giunsero Bugarszky e Liebermann (*), mescolando albumina, albumosi e pepsina respettivamente con acido clori- drico o con potassa; e alle stesse conclusioni vennero colle medesime sostanze, basandosi anche suì dati ottenuti colla determinazione della forza elettro- motrice prodotta da quelle sostanze in opportune condizioni; mentre che il CI Na, sia nella determinazione crioscopica che in quella della forza elet- tromotrice, diede resultati negativi, sebbene l'albumina fosse preventivamente dializzata. i Galeotti (°) alla sua volta studiò la conducibilità elettrica di varî or- gani e tessuti, in varie condizioni; e tra le altre venne alla conclusione che le modificazioni postmortali della resistenza si dovessero attribuire ad asso- ciazioni, per le quali il sale, entrando a far parte di una molecola molto complessa, non è più elettroliticamente dissociabile. Queste conclusioni non potrebbero accordarsi coll’ osservazione fatta da Oker-Blom (6), che cioè, nei processi digestivi, la depolimerizzazione dei proteici (1) Cervello V., Assordimento del ferro medicinale e sue trasformazioni chimiche nel tubo digestivo. Arch. di farmacologia e terapeutica, vol. VI, fasc. 4, estr. pp. 12, 1896. (2) Fano G. e F. Bottazzi, Sur la pression osmotique du sérum du sang et de la lymphe en differentes conditions de l'organisme. Arch. Ital. Biol., vol. 26, p. 45-61, 1897. (3) Bottazzi E., Contributo alla conoscenza dell’ importanza fisiologica delle sostanze minerali. Lo Sperimentale, vol. 51, pp. 239-258, 1897. (4) Bugarsky S. u. L. Liebermann, Veber das Bindungsvermbgen eiweissartiger Koòrper fir Salestiure, Natriumhydroxyd und Kochsalz. Arch. f. gesamm. Physiol. 72 B. p. 51-74, 1898. (5) Galeotti G., Ricerche sulla conducibilità elettrica dei tessuti animali. Lo Spe- rimentale, vol. 51, p. 750-814, 1901. (6) Oker-Blom M., 7'hierische Stùfte und Gewete in physikalisch-chemischer Be- ziehung. VI Mitth.: Die elektrische Leit)ihigkeit und die Gefrierpunktserniedrigung als Indicatoren der Eiweissspaltung. Skandinav. Arch. f. Physiol. 80 B., p. 359-374, 1902. Etienne — 493 — non è, nei primi stadî almeno, accompagnata da modificazioni apprezzabili della conducibilità del liquido. Ma su questo argomento torneremo tra poco. Come si vede la questione dei composti salino-proteici non è ancora chiaramente risoluta. Riprendendola in esame abbiamo cominciato col ri- scontro delle osservazioni fatte da Bernard. Da queste nostre prime ricerche resulta anzitutto confermato entro certi limiti il fatto che, quando si ag- giunga ferrocianuro di potassio ad una mescolanza di siero e di un sale fer- rico, non si ha la reazione del ferro: non è invece esatta. l’ affermazione in- versa, che si abbia sempre la reazione, quando al siero si aggiunga prima il ferrocianuro e poi il sale ferrico. Abbiamo rammentato questo resultato, perchè, come già si disse, il Bernard interpretava il fatto della avvenuta reazione ammettendo che il lattato di ferro avesse incontrato il ferrocianuro di potassio, prima di essersi potuto combinare colle sostanze proteiche del siero. S' intende del resto che in ogni caso queste reazioni dànno effetto negativo soltanto entro certi limiti, al di là dei quali avviene sempre la reazione del ferro, in qualunque ordine siano aggiunti i reagenti. Avvertiamo a questo proposito che neppure si può rivelare la presenza del ferro con sol- focianuro di potassio e con acido salicilico; mentre adoperando l'acido tan- nico e il solfuro d’ammonio la reazione avviene sempre; e ciò, rimanendo nel concetto primitivo di Bernard, si potrebbe comprendere ammettendo che, mentre il ferro non si rivela col ferrocianuro o solfocianuro di potassio, coll’ acido salicilico, perchè nei composti salino-proteici esso non è ioniz- zabile, ciò avviene invece quando si adoperino. reattivi che, distruggendo quelle combinazioni tanto complesse, conducano il ferro a formare molecole elettricamente dissociabili. (Vedi, per quanto riguarda ciò che si è detto fino ad ora, le esperienze citate nelle tabelle della Serie I. — Le Tabelle di queste e delle successive esperienze saranno pubblicate in una seconda Nota). Sul significato di questa mancata reazione nè Bernard, nè quelli che dopo di lui hanno ripetuto l’esperienza, mettono dubbio. Essi affermano che il ferro non si rivela perchè si è combinato coi corpi proteici. Le cose av- vengono proprio così, o, per lo meno, avvengono esse esclusivamente in tal modo? Previa diluzione e neutralizzazione con acido acetico, abbiamo coagulato i corpi proteici del siero, e nel liquido filtrato e ricondotto al volume pri- mitivo, abbiamo fatto l’esperienza di Bernard, ottenendo circa gli stessì re- sultati. Abbiamo ripetuto le stesse ricerche, determinando l’ eliminazione dei proteici in altro modo. E cioè, dopo aver raccolto in un crogiuolo di porcel- lana una certa quantità di siero secco, quale si trova in commercio, lo ab- biamo coagulato mantenendolo per un giorno in un bagno d'aria alla tem- peratura di 130°. Dopo ciò ne abbiamo estratto i sali, con una quantità di acqua che desse una concentrazione presso a poco normale, e in questo li- RenpICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 64 — 494 — quido abbiamo di nuovo fatto l’esperienza di Bernard, e sempre con resul- tati analoghi a quelli del siero in toto. (Vedi tabelle della Serie II). In queste indagini, fatte con soluzioni prive di corpi proteici, si osserva che l'aggiunta del sale di ferro determina la formazione di un precipitato, che, raccolto su un filtro e analizzato, si dimostra contenere fosfato di ferro in notevole quantità. Era naturale il sospetto che la scomparsa del ferro nel siero di sangue non fosse dovuta alla combinazione di esso coi corpi pro- teici, ma piuttosto ai composti insolubili che esso forma coi fosfati, sempre presenti nel siero. Per mettere in chiaro tale questione, abbiamo fatto due serie di ricerche. Nella prima serie, abbiamo aggiunto un poco di fosfato di ferro al siero sia normale che acidificato con acido cloridrico, 0 alcalinizzato con carbonato sodico, sia neutralizzato con cura. E abbiamo visto che il fosfato di ferro da noi aggiunto non si ridiscioglie, almeno com- pletamente, tranne il caso che il siero sia stato fortemente alcalinizzato o acidificato, ciò che è facile a spiegarsi. Invece il precipitato che si forma coll’aggiunta di cloruro ferrico al siero, e che ha tutto l'aspetto di essere in gran parte formato da corpi proteici, dopo un tempo più o meno lungo, sì ridiscioglie completamente, qualunque sia la reazione, anche neutra, del liquido in questione. In questo e in molti altri casi, noi ci limitiamo a descrivere il resultato delle nostre ricerche, consapevoli che per il momento sarebbe inutile il tentativo di una spiegazione. In tutto ciò apparisce però ma- nifesto che la presenza di corpi colloidali deve essere considerata ‘come un elemento che nel decorso di molte reazioni porta condizioni nuove, le quali conducono a effetti inattesi. Nell'altra serie di ricerche, abbiamo sottoposto il siero di sangue alla dialisi molto prolungata, fatta in soluzione di Cl Na al 0,9 °/, perchè non precipitassero le sostanze proteiche. (Vedi tabelle della Serie III). Questo siero dializzato presenta, rispetto ai sali di ferro, alcune particolarità degne di nota. Se immediatamente dopo il sale ferrico, che può essere anche in piccola quantità, aggiungiamo il ferrocianuro di potassio, noì possiamo dimo- strare la presenza del ferro; se invece il reattivo viene aggiunto dopo un certo intervallo di tempo, allora il ferro non si manifesta più, ciò che si accorda colla osservazione del Cervello, che il ferro, mescolato a corpi proteici, diventa sempre meno rivelabile, quanto più tardi se ne fa il saggio. Abbiamo inoltre osservato che il bleu di Prussia, formatosi nel siero per l'aggiunta di un eccesso di sali ferrici e di ferrocianuro di potassio, può dopo un certo tempo scomparire. Di più, se al siero dializzato aggiungiamo fosfato di sodio e poi il sale ferrico, possiamo osservare come il ferro si sottragga alle reazioni molto più rapidamente e in quantità maggiore del solito; questi fatti sono accompagnati dalla formazione del solito precipitato, che però in brevé sì ridiscioglie nel liquido. Evidentemente le differenze tra siero normale e siero dializzato rispetto ai sali di ferro, dipendono da che il primo contiene — 495 — fosfati, e il secondo no, o solo in tracce. Ma certo ciò non può darci ragione di due cose: 1°, anche nel siero dializzato una certa quantità di ferro, benchè meno rapidamente, viene sottratta all’azione dei soliti reattivi; 2°, il preci- cipitato di fosfato ferrico, mentre è permanente in soluzione acquosa, scom- parisce dopo un po’ di tempo, quando sia ottenuto in presenza di siero. Da che dipendono queste differenze? Si tratta qui veramente della for- mazione di composti salino-proteici, o piuttosto la presenza di corpi colloidali non hanno essi determinato condizioni fisiche particolari che possano opporsi alla combinazione del ferro col prussiato? La scomparsa del precipitato di fosfato di ferro è dovuta a una soluzione, o ad una combinazione di esso coi proteici? Benchè consapevoli della difficoltà di mettere in chiaro simili questioni, quando soprattutto si pensi per quali stadî infinitesimali si passi da un miscuglio omogeneo ad una combinazione propriamente detta, pure abbiamo voluto ricercare se la determinazione della concentrazione moleco- lare del siero nelle diverse condizioni sopra nominate potesse darci qualche indicazione in proposito. Ci siamo perciò rivolti alle determinazioni della re- sistenza elettrica di questi liquidi, perchè evidentemente, se combinazioni sa- lino-proteiche avvengono, queste conducono alla sottrazione, almeno parziale, di quelle sostanze elettroliticamente dissociabili che determinano il valore della conducibilità elettrica di una soluzione. Per determinare la resistenza elettrica dei nostri liquidi ci siamo ser- viti dell'apparecchio di Kohlrausch, con rocchetto d’induzione e telefono. Il liquido da esaminare è posto in un vaso cilindrico, contenente gli elet- trodi ed un termometro Bandin, che segna il decimo di grado; il vasetto è immerso in una grande quantità d'acqua, per mantenere costante la tempe- ratura durante le osservazioni. La quantità di liquido adoperata per la de- terminazione è sovente di 75 cme.; ma il livello del liquido nel vaso è abbastanza più alto del livello degli elettrodi, perchè non si riscontri nes- suna differenza nell'adoperare 65 o 85 cme. di liquido; ciò che abbiamo empiricamente stabilito. Qualche volta abbiamo adoperato un vaso più grande, con altri elettrodi, ottenendo dati che non sono paragonabili con gli altri; ciò è esplicitamente notato nelle Tabelle delle singole ricerche. Il metodo ora descritto fu applicato da noi allo studio del siero nor- male e del dializzato, ai quali si erano aggiunti sali di ferro, come si può vedere dalle sopra ricordate tabelle; e i dati così ottenuti sono stati con- frontati con quelli che ci hanno fornito soluzioni di sali di ferro fatte sia in acqua distillata, sia in soluzioni di C1 Na isoconduttrici rispetto ai sieri da noi adoperati. Per renderci conto del valore delle nostre osservazioni, rammentiamo che le differenze in più o in meno che abbiamo potuto ritrovare, possono attri- buirsi respettivamente a possibili combinazioni, o a eventuali dissociazioni — 496 — dei sali aggiunti al siero, e che questi due fatti antagonistici possono reci- procamente mascherarsi; non dissimulandoci che la combinazione, in quanto diluisce la soluzione, può essere alla sua volta un fattore di dissociazione; che inoltre lo stato colloidale del siero può per suo conto, indipendentemente dai fattori chimici, avere influenza sulla conduttività del liquido. Premesse queste dichiarazioni, perchè il lettore si renda conto delle difficoltà del pro- blema, e delle ragioni particolari delle nostre ricerche, riassumiamo in alcuni enunciati i resultati ottenuti: il cloruro di ferro si dissocia molto più note- volmente nell'acqua distillata, che in una soluzione al 0,6 °/, di CI Na (iso- conduttrice rispetto al siero), nella quale anzi si dissocia assai poco. Nel siero di sangue l'aggiunta di una, soluzione isoconduttrice di cloruro di ferro determina un aumento della resistenza; lo stesso effetto si osserva col siero dializzato, però meno intensamente, il che si concilia col fatto già prima osservato della minore capacità di questo a mascherare il ferro. Quando per l'aggiunta di un eccesso di ferro si forma un precipitato, allora si ha un aumento di resistenza che permane anche dopo il ridisciogliersi di questo precipitato. Che esso sia formato per la maggior parte di corpi proteici, è dimostrato dalla sua abbondanza, e soprattutto dal fatto che esso si osserva anche nel siero dializzato. (Vedi le tabelle della Serie IV). In tutte le sopra citate esperienze fatte aggiungendo cloruro ferrico al siero, può venire il dubbio che l'aumento di resistenza che si è osservato, sia dovuto alla acidità delle soluzioni del sale ferrico; può darsi che i fosfati e i carbonati alcalini del siero reagiscano coll’acido della soluzione, e parte dell’ anidride carbonica si svolga dal liquido, ciò che, evidentemente, deve portare ad un aumento di resistenza. Ma noi abbiamo potuto dimostrare che, se un tale fatto avviene nelle nostre ricerche, esso non è certamente il solo che si produca, quando il sale ferrico si aggiunge al siero. Ciò resulta da varie nostre indagini. In primo luogo, abbiamo reso acido il siero, con acido cloridrico, e, par- tendo da questo siero acido, abbiamo ad esso aggiunto un poco di soluzione di cloruro ferrico; ebbene, anche in questo caso abbiamo osservato l’ aumento di resistenza, nonostante che la soluzione ferrica fosse molto conduttrice. Questa esperienza ripetuta più volte, modificandola in vario modo, diede sempre lo stesso resultato. In alcuni casi p. e. fu determinata la resistenza del siero, ed aggiunta qualche goccia di HCl, fino a reazione acida (la resi- stenza intanto diminuiva, essendo la soluzione cloridrica assai più conduttrice del siero); sì è aggiunto poi ancora un poco di soluzione di cloruro ferrico, e constatato l'aumento di resistenza; per più volte sì sono fatte alternativa- mente queste operazioni, notando una diminuzione di resistenza quando si versava nel liquido l’ HCl, ed un aumento quando invece la soluzione ferrica. Naturalmente questo aumento di resistenza non è senza limite, essendo la soluzione ferrica molto più conduttrice del siero; prendendo poco siero e — 497 — molta soluzione ferrica, si è potuto avere un liquido più ‘conduttore del slero stesso. Abbiamo anche tentato di stabilire come agisse l’ HC1 sulla conducibilità del siero. Il fatto che esso diminuisce la resistenza, quando viene aggiunto in forma di soluzione molto conduttrice non ci indica quello che accade tra l'acido e le sostanze del siero. Abbiamo perciò preparato una solu- zione di HCl, isoconduttrice rispetto al siero, e determinata la resistenza di mescolanze dei due liquidi fatte im varia proporzione. In questi casi si ha sempre un aumento di resistenza, che diviene molto forte quando è grande la quantità della soluzione cloridrica aggiunta. Ma non possiamo dare valore a queste forti differenze, perchè soltanto finchè la soluzione clo- ridrica è in scarsa quantità, il liquido si mantiene limpido; dopo si va for- mando un precipitato che molto probabilmente contiene, insieme a sostanze proteiche, materiali ionizzabili. Abbiamo perciò modificato le condizioni del- l’esperienza, evitando la soverchia diluzione del siero, sicchè il liquido non si intorbidasse, pur diventando notevolmente acido; e ciò aggiungendo al siero poche gocce di HC] concentrato. La mescolanza della soluzione isocondut- trice di acido cloridrico con questo siero acidificato determinò, come prima, l’aumento di resistenza, benchè mancasse qualunque precipitato. Per lumeg- giare il significato delle qui esposte osservazioni, ad una soluzione di car- bonato sodico isoconduttrice rispetto al siero abbiamo aggiunto HCl, in varie condizioni. Abbiamo riprodotto alcuni fenomeni che si ottengono col siero: aumento di resistenza per aggiunta di HCl quando esso si trova in soluzione isoconduttrice, diminuzione quando si trova in soluzione più concentrata; ma quando si è aggiuuto al liquido già acidificato, acido cloridrico in soluzione isoconduttrice, non si è più avuto aumento, ma al contrario diminuzione di resistenza; e lo stesso fenomeno, per aggiunta della soluzione di cloruro fer- rico. Nulla di strano in questi resultati: la soluzione di carbonato sodico acidificata, era divenuta evidentemente una soluzione di cloruro sodico, più anidride carbonica, sulle quali sostanze l'acido cloridrico non poteva più agire chimicamente; ed aggiungendone ancora, per le leggi delle dissociazioni, si poteva avere un piccolo aumento di conducibilità. Ma questi fenomeni così semplici non avvengono nel siero, nel quale perciò si potrebbe a prima vista sospettare la presenza di una sostanza capace di combinarsi coll’acido cloridrico e col cloruro ferrico, anche quando i sali alcalini sono stati più che neutralizzati dall’ acido cloridrico. Questi ultimi resultati erano certo pre- vedibili, e avremmo potuto risparmiarci tali prove che possono a prima vista sembrare puerili; ma in fatti di determinismo tanto complesso non abbiamo creduto di avere il diritto di concederci alcuna conclusione aprioristica. (Vedi le tabelle della serie V). Ti Una nuova obbiezione, alla quale abbiamo accennato al principio di questo scritto, resulta dalla possibilità che lo stato colloidale del siero che inceppa LE IMI e STERILI RD — 498 — le movenze dei ioni, possa render conto delle differenze da noi riscontrate nella conducibilità elettrica del siero, indipendentemente da fatti associativi o dissociativi. Per mettere in chiaro tale questione, abbiamo aggiunto clo- ruro ferrico a soluzioni di gomma. I due liquidi adoperati (soluzione di gomma e di cloruro ferrico) essendo tra loro isoconduttori, e la gomma assai concentrata, (10 °/), abbiamo osservato un notevole aumento della resistenza, quando essi venivano mescolati insieme; tale aumento si verifica anche quando il liquido contiene ormai una quantità di gomma molto minore (5-3 °/) essendo stato diluito colla soluzione ferrica; e si noti che in questo caso la soluzione ferrica che si aggiunge successivamente è di per sè assai meno re- sistente del miscuglio a cui partecipa. Abbiamo avuto diminuzione di resì- stenza, anzichè aumento, quando abbiamo aggiunto ad una soluzione di gomma al 2,5 °/, qualche cme. di una soluzione ferrica che offriva una resistenza circa 10 volte più piccola. Resultato questo assai facile ad intendersi. Ma anche con una soluzione di gomma al 2 °/,, che è stata resa più conduttrice mediante l’ aggiunta di un poco di CÌNa, e che, data la sua concentrazione, è meno viscosa del siero, abbiamo avuto il solito aumento di resistenza; e sì noti che anche qui la soluzione ferrica è un poco più conduttrice della gommosa. Avvertiamo inoltre che non solo il cloruro ferrico delle nostre soluzioni è sempre acido, ma anche la soluzione di gomma da noi ado- perata. I resultati ottenuti in queste ultime ricerche ci dimostrano chè una so- luzione di gomma isoviscosa col siero, e @ /or/iori una più viscosa di esso, influisce sui valori della conducibilità elettrica, riguardo ai sali ferrici, presso a poco come fa il siero, benchè la soluzione gommosa, non mascherando nes- suna reazione del ferro, non possa ingenerare il sospetto di fatti associativi, che conducano alla sottrazione di ioni. Non pretendiamo certo che una so- luzione isoviscosa di gomma riproduca interamente l’ambiente fisico deter- minato dal siero; ma non possiamo disconoscere il carattere molto suggestivo dei nostri resultati. (Vedi tabelle della Serie VI). Da quanto abbiamo esposto finora resulta: che una parte del ferro viene sottratta alla soluzione come fosfato ferrico, e che lo stato colloidale del siero può renderci conto, nei limiti dei valori trovati, delle differenze di resistenza, invero molto piccole, che noi abbiamo riscontrato. Ma chi ben guardi ai molti fatti che si osservano in conseguenza delle mescolanze di siero con sali di ferro, dovrà riconoscere che siamo in un campo circondato da incognite, e che sarebbe, pel momento almeno, prematuro l’affermare che i sali di ferro si combinano coi corpi proteici del siero, nonostante la sparizione della reazione del ferro, ed il fatto che il precipitato di prussiato può ridi- sciogliersi nel siero stesso, e che nel siero non privato dei suoi corpi pro- teici non sì osserva il precipitato di fosfato di ferro. | i È È i D | È — 499 — Abbiamo voluto ripetere le ricerche eseguite sui sali di ferro, in forma sommaria, anche sui sali di mercurio, dando la preferenza a questo metallo, per l’attenzione che si volle richiamare sugli effetti delle iniezioni endo- venose di sublimato corrosivo. Il cloruro mercurico mescolato al siero normale o dializzato non è ri- velabile, col ioduro di potassio, che quando arrivi ad una certa concentra- zione; ma anche in questo caso il sale mercurico non è dimostrabile che da una certa quantità di reattivo, sicchè le prime gocce di questo dànno la reazione soltanto quando il sublimato è tanto da provocare una notevole pre- cipitazione dei corpi proteici. Chi non dubita dei così detti composti sa- lino-proteici, potrà in questo caso affermare che la formazione del ioduro di mercurio, quando si tratti di quantità di cloruro mercurico non eccedenti certi limiti, avvenga solo quando il ioduro di potassio possa, per azione di massa, spostare il mercurio dalla sua combinazione colle proteine. La reazione del'siero non ha nessuna influenza sopra lo svolgimento dei fatti sopra descritti; perchè essi avvengono ugualmente e colla stessa inten- sità, o quando si adoperi siero normale alcalino, o quando invece il siero sia acidificato. (Vedi le tabelle della Serie VII). Le nostre esperienze non ci hanno condotto, come speravamo, a dimo- strare la possibilità di ottenere in vitro la combinazione di corpi proteici con certi determinati sali. Ma ciò non dimostra che i corpi proteici non pos- sano già trovarsi combinati con sali, o che speciali trasformazioni di quelli non possano dar luogo a simili combinazioni. Da ciò il pensiero di depoli- merizzare le proteine, per vedere se in conseguenza di questo processo che aumenta le superfici di contatto fra le molecole proteiche e l’ambiente che le circonda, avvenissero fatti di associazione o di dissociazione coi sali. A questo proposito ricordiamo che il prof. Galeotti ha affermato che la morte di un tessuto è accompagnata da una associazione dei corpi proteici coi materiali salini. Noi ci siamo detti che, se ciò in realtà avviene, può darsi che sia perchè le depolimerizzazioni, che probabilmente accompagnano o seguono la morte, stabilendo maggiori superfici di contatto tra gli aggrup- pamenti proteici ed i sali, determinano migliori condizioni per le loro com- binazioni. Condotti da questo concetto, ed ignorando allora le indagini isti- tuite da Oker-Blom, abbiamo sottoposto l’ albume d'ovo alla digestione peptica e triptica, mescolandolo respettivamente con cloruro e carbonato di sodio. Nessuna variazione di conducibilità abbiamo potuto osservare in questi li- quidi, anche quando già si potevano rivelare in essi notevoli quantità di peptone; ciò che era stato notato anche dal sopra citato Autore. A esperienze finite ci giunse una Nota di Henri (!), che dalla digestione triptica della (1) Henri V. et Larguier des Bancels, Loi d’action de la trypsine sur la gelatine. C. R. Soc. Biol., vol. 55, p. 563-565, 1903. i — 500 — gelatina ottenne invece notevoli aumenti di conducibilità. Non sappiamo in- vero a quali cause attribuire questa diversità di resultati, se non forse ad una maggiore intensità dell'atto digestivo, per la maggiore labilità del ma- teriale adoperato. Per analoghi scopi abbiam fatto ricerche sul siero e sull'albume d’ovo messi a putrefare, senza ottenere neppure in questo caso resultati degni di nota, dimodochè possiamo affermare che nei processi di depolimerizzazione non avvengono fatti di associazione tra i corpi proteici e i sali. Per quanto riguarda la putrefazione, dobbiamo anzi avvertire che quando essa sia spinta molto innanzi, avviene un notevole aumento nella conducibilità del liquido, dovuto evidentemente alla formazione di materiali elettrolitici, a spese di sostanze proteiche distrutte dai saprotiti. Ci limitiamo a riprodurre qui i resultati delle esperienze della putrefazione, perchè quelle della digestione non sono che una ripetizione delle indagini di Oker-Blom. (Vedi le tabelle della Serie VIII). i A queste ricerche tendenti a mettere in chiaro ciò che avviene tra sali e corpi proteici, abbiamo voluto aggiungerne altre allo scopo di renderci conto di ciò che accade quando si mettano in presenza i nucleoproteidi con sali che sì riscontrano nel nostro organismo. Abbiamo cominciato coll' estrarre col metodo di Wooldridge i nucleoproteidi della milza e del fegato, scioglien- doli in soluzioni di carbonato di sodio, delle quali si era preventivamente determinata la conducibilità; e abbiamo visto che il fatto della soluzione dei nucleoproteidi nel liquido alcalino sopra citato non determina alcuna mo- dificazione nella conducibilità di detto liquido. Questo resultato, per i nucleo- proteidi, male si accorda colla ingegnosa interpretazione di fatti crioscopici data dal Fredericq (') a proposito di proteine, che queste cioè non si trovino nelle soluzioni saline veramente disciolte, ma in uno stato che molto più xicorda quello della sospensione. Il dato della conducibilità elettrica non ci permette dunque alcuna con- clusione positiva intorno alla possibilità della combinazione del carbonato di sodio col nucleoproteide, benchè a spiegare questo resultato negativo della conducibilità, si possa supporre che il nucleoproteide per azione di massa sì sia sostituito ad una parte dell'acido carbonico, formando dei proteidati al- calini. Dobbiamo però notare che quando alla soluzione alcalina del nucleo- proteide si aggiunga cloruro mercurico, non si ha quel precipitato di cloruro basico di mercurio, che avviene quando questa reazione si faccia in una sem- plice soluzione di carbonato sodico, senza la presenza del nucleoproteide. Questo resultato negativo è esso dovuto a che il cloruro mercurico si sottrae (1) Fredericq L., Sur la concentration moléculaire des solutions d'albumine et de sels. Bull. Acad. roy. de Belgique (Classe des sciences), p. 437-444, 1902. — 501 — alla nota reazione, combinandosi coi nucleoproteidi? Non potendo noi inver- tire l'ordine col quale il carbonato ed il cloruro vengono aggiunti al nucleo- proteide, non possiamo neppure tentare di dare una risposta a tale questione. Resta però in ogni modo molto strano il fatto che il nucleoproteide, insolu- bile nell'acqua, sia reso solubile dalla presenza del carbonato alcalino, senza che i dati della conducibilità ci rivelino alcuna reciproca reazione; tanto più che lo scioglimento dei nucleoproteidi nelle soluzioni alcaline avviene im- mediatamente. E a questo proposito ricordiamo i fatti negativi ottenuti da Bugarsky e Liebermann, per quel che riguarda la combinazione del cloruro di sodio coll’albumina. Di fronte ai resultati negativi ottenuti col carbonato sodico, ci siamo chiesti se i sali di potassio, che prevalgono negli elementi strutturali degli organismi viventi, là dove appunto si trovano quei nucleoproteidi, che sono quasi assenti nei liquidi dell'organismo, ricchi di sali di sodio, se i sali di potassio, diciamo, non presentassero coi nucleoproteidi quell’ affinità che le nostre esperienze hanno resa discutibile per quanto riguarda i sali di sodio. Abbiamo a questo scopo ripetuto le stesse ricerche, adoperando carbo- nato di potassio, ed abbiamo ottenuto gli stessi identici resultati che col carbonato di sodio. (Vedi tabelle della Serie IX). Riassumendo quanto resulta dalle nostre ricerche, nulla ci permette di affermare che in realtà i sali entrino in vera combinazione chimica coi pro- teici o i proteidi, come nulla ci prova che in realtà i corpi proteici siano nei liquidi organici combinati coi sali. Neppure l'aumento di conducibilità ottenuto colla putrefazione protratta, perchè questa, determinando una. modi- ficazione dello stato colloidale, può concedere ai ioni già liberi quella mag- giore mobilità che valga in parte a determinare la diminuzione della resistenza. mentre dalla molecola proteica distrutta si formano sostanze elettrolitiche, che prima come tali non partecipavano alla sua architettura molecolare. Una cosa sopratutto si dimostra evidente, ed è che in un mezzo col- loidale le reazioni chimiche si fanno in modo diverso che nelle soluzioni comuni. Quando si pensi alla importanza che ogni giorno più vanno acqui- stando le proprietà fisiche della materia vivente nelle nostre rappresentazioni funzionali, si troverà che questo resultato non è certamente trascurabile. RenpICcONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. (©p) (dad — (502, Matematica. — £icerche gruppali relative alle equazioni della dinamica. Nota I di Guipo FuBINI, presentata dal Socio LuIGI BIANCHI. Il presente lavoro consta di tre Note: la prima Nota studia in gene- rale quei problemi dinamici, le cui forze ammettono un potenziale, e i cui fasci di traiettorie (insieme di traiettorie corrispondenti a uno stesso valore della costante delle forze vive) sono permutati tra loro da un gruppo di Lie; la seconda determina effettivamente quelli di questi problemi con tre coor- dinate libere; la terza studia i problemi dinamici, le cui equazioni differen- ziali di Lagrange (definenti i movimenti) ammettono un gruppo di Lie. Quest’ ultimo problema è un caso particolare di quello che io ho già riso- luto ('); ma rientra proprio tra quei casi eccezionali che non ho lì conside- rato in generale. Di questi problemi e specialmente del primo già si occu- parono Stickel, Liouville, Painlevé nei Comptes Rendus (1890-95) e nei Leipziger Berichte (1893-97); ambedue queste ricerche e specialmente la seconda danno casi, in cui l'integrazione del problema stesso si può affron- tare con i metodi di Lie. La maggiore difficoltà (dice Painlevé) non è di trovare i problemi con un gruppo a un parametro, ma addirittura i problemi con gruppi a più pa- rametri. Lo Stackel studia principalmente il primo dei problemi precedenti con mezzi, che a lui stesso sembrano lunghi e faticosi (Leip. Ber. 1897), nè in questa ricerca va più in là dei gruppi a due parametri. Nel presente lavoro con nuovi procedimenti di una grandissima semplicità e valendomi dei ri- sultati e dei procedimenti di altri miei lavori indicherò come si possa pro- cedere alla risoluzione completa dei due problemi precedenti. Nel primo di questi due' problemi (unico che sia stato affrontato dallo Stickel) lo Stàckel non considera il caso che i fasci di traiettorie coincidano, ossia che la fun- zione potenziale sia costante. Questo è infatti il caso più difficile, che ri- chiede particolari artifizi e neppure noi ce ne occuperemo, perchè esso si trova completamente risoluto nella mia Memoria: Sui gruppi di trasfor- mazioni geodetiche (Memorie dell’ Accademia di Torino, 1903). 1. Cominciamo ora dal primo dei due problemi precedenti. Siano xi (i=1,2,...,#) le coordinate libere, # il tempo, U la funzione po- da; dan dt? n tenziale, Y 4 la forza viva; la U e le 4 non dipendano da £. Noi = (1) Sui gruppi di trasformazioni geodetiche. Memorie dell’ Acc. di Torino, 1903. — 503 — indicheremo con (Zax de; dex, U) il nostro problema dinamico; i fasci di traiettorie non sono che le geodetiche degli spazi di cui (U+-M)Zaxdz;dxx (£= cost) è l'elemento lineare. Come dimostrò Painlevé (.Sur les transfor- mations des équations de la Dynamique. Journal de Mathématiques, 1894, pag. 77) se tra due problemi dinamici (3 Gr dx;dxx£, U) > bin dada, V) si corrispondono i fasci di traiettorie allora si può passare dall'uno all’altro per mezzo di una trasformazione di Darboux, o, in altre parole, si hanno delle relazioni U+d (cd —By* 0) Va== Tea: X biz: dx; dx = (aU + 8) Z Uk dari de; dove @,#,y sono costanti. Allora chiaramente il fascio di traiettorie (!) (U+ 4) Zan da dar è identico col fascio di traiettorie (V +4 4) X dix dai dex relative al secondo problema, dove sia Per esprimere perciò che una trasformazione infinitesima X, £, => trasforma in sè i fasci di traiettorie di un problema dinamico (1) (dst = Za dz: dx, U) basta esprimere che lo muta in un suo trasformato di Darboux: e perciò in primo luogo che trasforma proiettivamente la U (ossia che trasformi le va- rietà U= cost proiettivamente e imprimitivamente) e che trasforma in modo conforme la forma quadratica Xx dx; dex. Anzi, poichè questa forma qua- dratica deve diventar moltiplicata per un'espressione a«U + $ (a = cost, B= cost) troveremo intanto: X(U)=4-+uU+ vU® ; X(Zax dx;dxx) = (CU + 0) Zan dae; dex dove 4, u,v,t,0 sono costanti. Di più si deve esprimere che se U è tras- formato dalla (È d) allora ds? resta moltiplicato proprio per «U + f. Basta a tale scopo esprimere che anche Uds® resta moltiplicato per un fattore lineare in n ossia, indicando con «, 7 due costanti che X(Uds°)=(£U-+4-n)ds?; (1) Con questa notazione intendiamo chiaramente le geodetiche relative all’ elemento lineare (UH 4) Z ax da; der. — 504 — poichè ora X(Uds®) = X(U) ds° + U X(ds°)=[(4+uU + »U°) + U(7U + 0)] ds? se ne deduce r= —»v. Abbiamo perciò le equazioni : (2) X(U)=4Z+uV-++»U? X(Zaxdz;dx)=— (U+0)Zaxd%;dxx. Sono queste le equazioni a cui deve soddisfare la X, equazioni tanto più semplici delle complicatissime equazioni dello Stàckel. Queste equazioni ci danno senz'altro i seguenti teoremi, che si possono dire i teoremi fondamen- tali per la risoluzione del nostro problema: Le trasformazioni infinitesime del nostro gruppo che lasciano fisse le superficie equipotenziali (U = cost) (!) sono trasformazioni simili per lo spazio, il cui elemento lineare è ds = Zan da; dar. Questo teorema è senz'altro evidente per la v = 0. Per trovare tuiti i nostri problemi dinamici, basta determinare quegli elementi lineari ds =Zandx,dxx che ammettono un gruppo G conforme possedente un sistema di superficie U= cost come sistema di su- perficie di imprimitività; quel sottogruppo T di G per cui sono soddi- sfatte le (2) è il gruppo corrispondente al problema (ds*, U); in questo modo si trovano tutti è problemi cercati e i gruppi corrispondenti. Questo teorema è per la (2) pure evidente senz'altro; e dai risultati della mia Nota (Sui gruppi conformi. Atti dell'Accademia di Torino, 1903) sì trae perciò subito: La ricerca dei nostri problemi e dei gruppi corrispondenti sotto forma finita si sa eseguire con sole quadrature. Due trasformazioni infi- nitesime distinte del nostro gruppo hanno traiettorie distinte. Se noi non consideriamo come distinti, ciò che pare opportuno fare nel nostro caso, due problemi dinamici, riconducibili l'uno all’altro con una trasformazione di Darboux, possiamo ancora dire: I problemi dinamici (ds°, U) che ammettono una trasformazione infinitesima X coincidono con quei problemi per cui ds° ammette X come trasformazione simile e le varietà U= cost sono trasformate imprimiti vamente da una trasformazione lineare non fratta. Infatti con una trasformazione di Darboux, possiamo far sempre che le U= cost vengano da X trasformate con una trasformazione non fratta, ossia che v= 0; allora X per le (2) sarà simile per gli spazi di cui ds° è l'elemento lineare. Quest'ultimo teorema fu già enunciato da Stàckel, che però dice sol- tanto, meno completamente di quanto è qui fatto, che X deve essere per ds? (1) Ciò equivale a dire che per esse è A=u=r=0. — 505 — geodetica e conforme; e, per una svista, dimentica di dire che U deve es- sere trasformato da una sostituzione non fratta. 2. Nei precedenti teoremi si trova già risoluto il nostro problema; ma per indicare la via più rapida per la effettiva risoluzione, indicheremo un mezzo con cui si possono ancora semplificare le equazioni fondamentali. Poichè U+ cost prendiamo le varietà U = cost come superficie coordinate d,= cost; sia dst= Zaxdx;dax il nostro solito elemento lineare. Nella metrica definita da questo elemento lineare consideriamo le traiettorie orto- gonali delle varietà equipotenziali x, = cost; e scegliamo i parametri 42,03. 4n in modo che queste traiettorie sieno precisamenle le 7,="cost,.., ni—(cosha(W)NSara percio, —tas=="" —n-0TP0ichèrdi ‘piùllcome sappiamo, il nostro gruppo è conforme per ds* e poichè le 7,= cost for- mano un sistema di imprimitività, anche queste traiettorie formano un si- stema di imprimitività e perciò ogni trasformazione del nostro gruppo avrà RARLIa di I la forma _- AZZ. Un . Poichè 1 è trasformata a forma È, (21) dai + Di E;(t2,%3, 0 Cn) — I oichè la x, è trasform proiettivamente, avremo che È, è un polinomio di secondo grado in (21); per le (2) potremo scrivere che ogni trasformazione del nostro gruppo è del tipo: d l d —- 7 2 = o g] — (8) Xx=(+wz+ ve) 37 +2. Ta) 37 mentre la forma quadratica è: n (4) ds? = di die + DE Dik dii din. 2 E le equazioni fondamentali assumono la forma semplicissima: (5) X(ds°)=(— vr, + 0) ds? la quale, posto O CESTICIGIOLIIIA (6 a ir e ate kr - Se der di diventa: (7) d'a=(— ve + 0) 4a che noi chiameremo equazioni di Killing generalizzate. E troviamo così: Per trovare tutti i nostri problemi, basta determinare tutti gli elementi lineari (4), e è gruppi formati da trasformazioni del tipo (3), per cui valgono le (1). Se G è il gruppo, esso conterrà un sottogruppo I che lascia fisse (1) D'ora in poi, quando parleremo di proprietà metriche, intenderemo sempre di riferirci alla metrica definita dall’elemento lineare dst = Sx dx; dar. «ie rt IERn 5 e'or'r—rIIIm—_rr®r®-Cfki nei." —_REMèII-|-.-],E]eI'I'MEeMeEEe — #17 e son - _ cosce °c=——_——r. ——— ere T _—_re——_t | — 506 — le 7,=cost (e quindi anche i singoli fasci di traiettorie) e che per le (7) non è altro che un gruppo di similitudini (eventualmente ridotto all'identità) per gli spazi, il cui elemento lineare è n (8) dst="_ax da; day. 2 Trovati perciò tutti gli elementi lineari (8), che ammettono un gruppo I° di similitudini generato da 7 trasformazioni X,,Xs,.., Xr-1,Xr per cui valgano le X;(ds°)= «; ds? (sj= cost) basterà poi trovare 411, in modo che X;(an)= &@ per aver così determinato tutti i problemi dinamici che ammettono un gruppo I; questa determinazione per i risultati della mia Nota citata si sa fare completamente. Per determinare poi i problemi, per cui G trasforma le x,= cost a un parametro basta tra i precedenti cercare quelli d i d A + DI È, (£2 660 di) dE; oppure e= 1) perchè noi non consideriamo distinti due problemi trasformati di Darboux. Se vogliamo cercare quelli il cui gruppo G trasforma le #,= cost a due parametri dobbiamo cercare quelli tra i precedenti che ammettono tanto una trasformazione X per cui £= 0, quanto una per cui «= 1. Quelli di (£ =0 che ammettono una trasformazione X = 4°, atte LR questi, che ammettono anche una trasformazione 4°, nà E;(22... Tit CHI 2 D sono quelli, il cui gruppo G trasforma le x, = cost a tre parametri. Aggiun- gerò ora una facile osservazione: Se T non è tutto composto di puri movimenti per ds?, e se har>1 parametri, quel suo sottogruppo T' a v—1 parametri (*) di puri movi- menti per ds°, è certamente intransitivo nelle moltiplicità (xs... &n) Su cui opera. E infatti se X, ... X,1 sono le sue trasformazioni generatrici, X, è l'ul- teriore trasformazione generatrice di 7, sarà X;(ds°,)=0 ((=1,2,..,2—1); Xr(ds° )i== Ras (= cost) Eipesder7) sarà GK) 0 dee 105 X,(a1)= Ra. Poichè X, non è un movimento, è #1=+ 0; se I fosse tran- sitivo, sarebbe per le precedenti equazioni 4,, indipendente dalle «2... 4, cosicchè sarebbe X,{(a,,)=0 contro il supposto. (1) Cfr. la mia Memoria citata. — 507 — Fisica matematica. — Sulla legge elementare di Weber relativa alle azioni elettrodinamiche di due cariche elettriche in movimento. Nota I di Tommaso Bocco, presentata dal Corrispon- dente Ricci. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Meccanica. — Su! moto d’un sistema olonomo di corpi rigidi. Nota I del dott. M. CONTARINI, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Nella V Nota Sul problema generale della sismografia (*) accennava a un grave equivoco che m'era sfuggito nei miei lavori precedenti dedicati allo stesso argomento; e correggendo intanto l'errore che ne conseguiva in uno dei risultati finali, prometteva di pubblicare in breve tempo una rettifica. A questa appunto doveva limitarsi il presente lavoro; senonchè, analiz- zando meglio il problema (?) che mi aveva condotto alla teoria dei varî stru- menti sismici, trovai che anche nella sua generalità esso era facilmente suscettibile d'un più ampio svolgimento e che anzi da una trattazione più completa di tale problema la teoria matematica dei sismografi poteva scen- dere più direttamente, evitando in gran parte le considerazioni che la sola rettifica avrebbe richieste. Prendo dunque a studiare in questa Nota il moto di un sistema olo- nomo di corpi rigidi. In un'altra, o in altre successive, ridurrò il sistema così generale alla catena di corpi considerata nel lavoro testè citato; e ri- troverò per via diversa, ma più esatta, le equazioni differenziali che reggono il moto dei varî strumenti sismici, correggendo così implicitamente l'errore cui prima accennava. Per non rimandare continuamente il lettore alle precedenti pubblica- zioni ripeto qui brevemente il significato dei simboli che verranno usati. 1. Chiamo: Cx(6=1,2,...%) uno qualunque di x corpi rigidi post? comunque nello spazio; Sn(cnYn8) un sistema d'assi cartesiani ortogonali solidali con esso; ni, Yri &ri le coordinate (costanti) di un punto generico Pr appartenente a C,, riferite allo stesso sistema; Èn;, #7: , Cri le coordinate (variabili) del medesimo punto rispetto a un sistema cartesiano immobile 2(£€) al quale vien riferito il movimento dei corpi. Al valore zero del- (1) Rendic. Accad. Lincei, vol. XI, 2° sem., serie 5°, fasc. 4°, pag. 182. (2) Ibid., 1° sem., fasc. 9°, pag. 380. | — 508 — l'indice < farò sempre corrispondere l'origine del sistema mobile S,; così i = ) vie =, 280 RIA) po) rag ) Chiamati &n1, ne, ng i coseni degli angoli che l'asse delle È fa con gli assi delle <2,Yn,%n, ® Pns,Yns ($="1,2,8) i coseni analoghi, relativi all'asse delle 7 e a quello delle &, e fatte le posizioni: (a) Upi = @ni Eni È no Yni + 13 Gni5 bai = e00., si sa che il movimento più generale del corpo C, è rappresentato dalle equazioni (1) Eni = Én0 4 Uni 3 Mni= CCC. e che, ponendo come al solito 3 3 3 (2) dr = Dis BnsÎYis == DIL Yns ÎPns 3 Îxn = ST Yns dans = ecc., T IT T per le componenti d’ uno spostamento virtuale del punto generico Py; si tro- vano le note espressioni: Ogni = dEno + On (Eni — Éno) — don(Uni — no), 00C.; ossia, ricordando che per le (1) risulta (1°) | Gni =" Sni — $n0 5 Oni = Mni — Mno 5 Chi = Shi — Sho, | (i, h, qualunque) le espressioni (3) Eni = dEn0 4- dn Cni — don Oni ecc.; queste espressioni sostituite nell'equazione simbolica dei lavori virtuali che regge il moto del corpo C, Da (En — mu E n) dEi + ecc4= 0, la mettono sotto la forma (4) (Xn dEn0 + Ya Îrno 4 Zn OCno + X dn H-_YP dmn 14 doh=0, | (EMERITO avendo posto per brevità \ Xn a xi (Ehi — Mui E.) ; ec0., C 0) Î Xx = d_ | ui (Zu — Mi Eni) — cni (Hni mu N'ni)} 5 eco. Ck i =— 00 = 2. Come è ben noto i nove coseni direttori @p,, &n2, --- 7x3; che defi- niscono le rofazzoni del corpo C,, sono legati fra loro da sei relazioni fonda- mentali; essi dunque possono considerarsi come funzioni di tre sole variabili indipendenti che rappresenterò con gx,%,,. Chiamando poi dgn,0w,, dop le loro variazioni arbitrarie, ricordando le (2) e osservando che le varia- zioni dep, ,... dei coseni si possono esprimere in funzioni lineari e omogenee di dgr, ..., è naturale che anche le caratteristiche dt, ... sono funzioni lineari di dgr, ...; e si può scrivere (5) Ort = Pri Îpr + Paz ÎWn + Pn don; gn = Qn Îgpn + ece., rappresentando con 7, ,...,7n3 certe funzioni dei parametri g,,..., che si potranno ritenere note quando sia fissata la natura dei parametri stessi (!), ma che in ogni caso soddisfanno alla condizione fondamentale (6) Di (Pri Que Tn) = 0. Essendo soddisfatta questa condizione, il sistema (5) si può risolvere rispetto alle variazioni dg, ,..., le quali così prendono la forma (5‘) pn = Par 071 4- Qu gn + Rn don; dw,= Pas 0, + ecc. Nella (4) in luogo di d7,,... si possono sostituire i secondi membri delle (5): ponendo allora (c) VAd0) = Phi d:€00) + Qu YM + Tn VASO) È yD i XM + ecc., la (4) si trasforma nella W Xn 0En0 + Yn ONn0 + Za OCno +aP dpr 4 y® dwr4 e" don = 0 . 63) (ETRE SSA). 3. Finora, ammettendo l’esistenza di r equazioni distinte (4) o (4), sì è implicitamente supposto che gli x corpi C, siano indipendenti fra loro. Ma se fra i corpi esiste qualche relazione, cosicchè essi formino un sistema, per il principio di D'Alembert deve essere nulla la somma dei lavori vir- tuali estesa a tutti i punti materiali del sistema, cioè la somma di tutte le espressioni (4) o (4') corrispondenti ai singoli corpi C,; dunque la equa- zione simbolica, dalla quale si potranno poi dedurre le equazioni effettive (1) Non sarà inutile rintracciare l'origine dell’equivoco ricordato in principio. Nella I Nota sulla determinazione dei moti sismici aveva rappresentato i parametri relativi alla rotazione dei varî corpi [tre rotazioni infinitesime successive intorno agli assi delle È,7, €] coi simboli 7,g,@: quindi le loro variazioni arbitrarie venivano rappresentate coi sim- boli d7,... identici ai simboli delle caratteristiche (2), facendomi implicitamente ritenere Pnl=\Qra=hns= 1 e tutti gli altri coefficienti analoghi nulli. RenDICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 66 —— —————È——_m@m ! OLO che definiscono il moto del sistema di corpi, deve essere della forma (7) Da (Xn di + + XP dm 4111) =0, oppure (7) Da (Kn bf di + eV dpr 4) = 0. 1 Considero prima il tipo più generale di legami che rendono o/ozomo il sistema di corpi rigidi, cioè quei legami che possono essere rappresentati in termini finiti da equazioni della forma RAMASADO IR, DI ’ oa) = 0a se di queste equazioni ne esistono 6 — m indipendenti, le variazioni vir- tuali dei 6% parametri Eno, ..., 9... (h=1,2,..n) sono definite dal sistema di equazioni \ dan (Aun 9En0 +4 Bun Mno 4 Cin Ino) + 1 ui | +, (A Îpn + pe» dyn + 01022) don) PES 0, (u ST ,2 | CR pes m) i \ 1 } nelle quali per brevità si è posto Dl 5 eco. : AUD = du BISI) dPn (d) Ani , ec0.; cioè hanno le espressioni : Mm Mm Mm (81) dino = DI Lys es, 070 = Da Mys 05, Oîno = DE Nus 05; 1 1 1 m 3 SI di (82) dpr = DI. LUO 6,, dWn pa Di MU e,, dor = dl N09 6,, 1 1 I dedotte risolvendo le (8). In queste espressioni le es sono m quantità arbi- trarie e i coefficienti ‘L,;,..., N99 sono minori d'ordine 6n—m della ma- trice che ha per elementi A,7z,; ., OM. Per costruire ora le equazioni effettive del moto basta dare alle arbi- trarie che compariscono nella equazione (7') i valori (81), (82), raccogliere a fattori comuni le nuove arbitrarie es ed eguagliarne separatamente a 0 È (= 1 7 D SENSI Mm). 1 4. Questo procedimento presuppone che la equazione simbolica dei lavori virtuali dalla forma originaria (7) sia stata ridotta alla forma (7’) mediante le (5), cioè che siano note le funzioni py: ,..., 73. Ma può darsi che dalle equazioni dei legami in termini finiti sì possano dedurre direttamente altret- tante equazioni fra le #raslazzoni virtuali dino, ... e le caratteristiche delle rotazioni d77,,... Per chiarire meglio questo concetto, sì suppongano dedotte dalle equazioni dei vincoli le equazioni (8); allora sostituendo alle dgr,... i loro valori (5') e ponendo per brevità (e) MACAO peri Pra AMO + ID5 pan + Ba CU» i he Qm AUD + ecc.. le (8) prendono la forma n (8) Da (An dÉ 0 DI SE ) + DA (at dr), + TO) gn + UD don) 20 1 Il I legami che verranno considerati in seguito sono appunto tali che dalle equazioni che li rappresentano si calcolano direltamente i coefficienti a” ,..., senza bisogno di ricorrere alla trasformazione (5'), cioè senza che sia neces-. sario prefissare la natura dei parametri gn, W,, ©. In tal caso le equazioni dinamiche si ottengono applicando al sistema (8'), (7) il procedimento ora seguito per il sistema (8), (7°). Cioè si risolvono le (8') in modo da espri- mere le arbitrarie d5,0,...,00, mediante m nuove arbitrarie e1,...,05,.--30m: i valori trovati si sostituiscono nella (7) e si eguagliano a zero i coefficienti delle es. Ma risolvendo le (8') si devono trovare per le dé,0,... i valori (83), giacchè la trasformazione eseguita per passare dal sistema (8) al sistema (8°) lasciava intatte le traslazioni virtuali; e per le caratteristiche d77,,..., sa- pendo ch'esse sono sempre legate alle variazioni dg7,... dalle relazioni (5), si devono trovare i valori mM mM Mm (8/3) da VAUD) es, dn = Da: mas es, don = Di nAD Co l 1 1 ottenuti appunto dalle (5) sostituendovi a dg7,... i valori (8:), e ponendo per brevità (f) DIUS) = (in L99 + Dre MA9 + Prs NOS Ò ma 222 Qui LA9 + ecc. | | | | — 512 — Dunque in questo caso le equazioni del moto hanno la forma: (9) \ Da (©: Ito PROSE Za (x 709 L YD 09 L'7M p09) 0. | (ZII 9) Non sarà infine superfluo dimostrare l'identità dei due sistemi (9) e (9'). A questo scopo basta sostituire alle quantità x,y, che compariscono nelle (9) e alle /%9, 7249, 29 che compariscono nelle (9'), rispettivamente i valori (c) ed (7), perchè le somme DIE (a® L@9 + Mor ) È DI (Kw US) + dre ), Il 1 e quindi anche le equazioni (9) e (9'), diventino esplicitamente identiche. 5. Sul problema algebrico, al quale è ridotta la ricerca delle equazioni differenziali (9) o (9°), è opportuno fare alcune considerazioni che saranno utili in seguito: per maggior comodità l’enuncio sotto questa forma alquanto più generica: « Alle quantità #s che compariscono nella somma D) 3 So 1 sostituire i valori più generali compatibili con le ‘condizioni (11) Diani 2 Db ENI) 1 Se la soluzione generale delle (II) è N-p (11°) Is = Da As UDE 1 la (I) diventa N-p / N (11) S= Di D. U; Au) Yi - TI 1 Supponiamo ora che alle xs siano imposte altre condizioni indipendenti e compatibili con le precedenti: (III) Tao. (= I): 1 P sian — 013 — poichè queste devono coesistere con le (II), ossia con le loro equivalenti (Il), si può: sostituire alle %s i valori già trovati (II) cosicchè queste diventano N-p (IT) DE Da Das Aa) y=0; (k=1,2,..4) risolvere questo sistema esprimendo le y in funzione di (N —p)— g para- metri nuovi N-p-g (III) fi Da Bg 1 eliminare le y; fra queste equazioni e le (II°), ottenendo la soluzione ge- nerale (') N-p N-P_9 (Il) Us di E Aso Bir 47. N 1 Sostituendo infine nella somma (I) alle xs i valori (II), si ottiene N-0=-9 PRIN (I) S = de (I DU: As Bis) er “Te 1 ) Ma è facilissimo verificare che all'identica espressione si arriva sosti- tuendo nelle (I,) in luogo delle y i valori (III'): infatti con tale sostitu- zione la (I,) diventa N—p N N—p=-9q S=Y, (XU A) YBrer, 1 / 1 la quale coincide con la (I.) dopo semplici trasposizioni dei simboli > . In modo analogo si può procedere se oltre alle (II) e Ga le x, de- vono soddisfare alle condizioni | (IV) V@a= (a _die20e.. pene): 1 (‘) Che le (II) siano effettivamente la soluzione generale delle (II), (III), si dimostra verificando che quei valori delle #s soddisfano le equazioni (IT) e (III) e osservando che i valori stessi dipendono da N—(p+9) parametri arbitrari. — 514 — basta cioè sostituire in queste alle variabili xs successivamente le y,,7 mediante le (IT), (III). risolvere il sistema risultante ZESNT 1 N-p-gQ /N-p N (Vi) SD ne) o É 1 1 rispetto alle nuove incognite 2, e sostituirne i valori nella somma (Is), trasformandola in N-p_g-r ,N-p=qN=p N (13) s= Dik ( DE DI dig U, As Bir Ca) Ur + 1 1 1 1 Queste osservazioni, di per sè abbastanza evidenti, non sono però super- flue, perchè si possono riassumere in una regola praticamente importante: « Se da un sistema olonomo di corpi rigidi si passa ad un altro sistema meno generale mediante l'aggiunta di nuovi legami, non è necessario tras- formare l'equazione simbolica dei lavori virtuali partendo dalla sua forma primitiva (7) o (7°) e tenendo conto simultaneamente di tutte le equazioni di condizione; ma si può partire dalla equazione simbolica 974 trasformata in virtù di legami precedenti ed eliminare i parametri arbitrari ch' essa contiene mediante la soluzione generale dei nuovi legami, /rasformati an- ch'essi col metodo di sostituzione accennato poco fa ». Quando poi le equazioni dei legami sono date o trasformate in modo che alcune delle quantità dé,0,..,00, siano espresse esplicitamente me- diante funzioni lineari delle rimanenti, il sistema si può ritenere risoluto in generale, bastando perciò considerare come parametri arbitrari tutte le incognite che non compariscono nei primi membri delle equazioni stesse. Infine se non esistono equazioni di condizione sono arbitrarie tutte le quantità 0E,,,...,00n. 6. Per concludere questa parte generale dello studio che mi sono pro- posto, esamino brevemente una specie di legami che più facilmente si rea- lizzano in pratica. Essi consistono in ciò che « ciascun corpo può avere un punto o una retta costantemente in comune con un altro corpo del sistema ». Poichè l'esistenza di una retta in comune equivale all'esistenza in comune di due punti distinti, questa specie di legami si può rappresentare breve- mente con tante eguaglianze simboliche (10) Pu = Prj quanti sono i punti comuni a una coppia di corpi C,,Cx. E facilissimo — 515 — verificare che questa specie di legami gode appunto della proprietà accen- nata al n. 4. Infatti per ogni identità (10) hanno luogo tre equazioni effettive in termini finiti (11) Sa = Sp) » VUrj=%hi > CIG dalle quali si ricava (11°) 05n; — dÉni = dN)nj — Îni = Eng — Cn =" 0; e basta in queste ultime sostituire a dé,;,..., OC; i valori (3) perchè esse prendano la forma (12) Eno — Bro + Sxa Cuj — Inn Ci — — dor dr; + don bai = 0 ecc. (!) analoga alle (8) e indipendente dalla natura dei parametri gn,... x. Fisica. — Sulla scarica per effluvio in seno ai gas. Nota del dott. D. PACcINI, presentata dal Socio BLASERNA. Chimica. — Sulla riduzione elettrolitica delle soluzioni acide di anidride molibdica e su alcuni composti del trirocloruro di molibdeno. Nota di A. CaILESOTTI, presentata dal Socio S. CAn- NIZZARO. Queste due Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Paleontologia. — Clistophyllum Thildae n. sp. nel Pard. Nota di GroAccHIiNo DE ANGELIS D’OssaT, presentata dal Socio T. TARAMELLI. Il chiaro prof. H. von Jhering, direttore del Museu Paulista di San Paulo nel Brasile, affidò gentilmente al mio studio un corallo fossile, raccolto nei dintorni di Itahituba, lungo il Rio Tabajoz (= Tapajoz = Tapajos) affluente del Rio delle Amazzoni. Non è cosa facile formarsi un concetto chiaro della costituzione geolo- gica di quelle lontane e poco conosciute regioni; tuttavia facendo tesoro di quanto è stato anteriormente scritto intorno alla geologia del Brasile in ge- ()) Per la generalità della trattazione si può osservare che non è necessaria la co- stante coincidenza dei punti Py;, Pa; perchè siano verificate le (12) ossia le (11); ma anzi si può dimostrare che la condizione più generale sufficiente e necessaria è questa «che il vettore Pri Pa; abbia una lunghezza e una direzione determinata per: ogni istante ». ==) ES nere e del bacino delle Amazzoni in ispecie, si riesce a raccogliere molti fatti che possono tornare utili per il caso presente. Spigolo dai lavori di una eletta schiera di geologi, come: d'Orbigny, Coutinho, Rathbun, Foetterle, Lallemant, Piant, Chaudles, Carruthers, Vélain, Gorceix, Katzer, Hartt, Derby, Steimann, ecc. alcune informazioni geolo- giche. L' Arcaico nel Brasile è specialmente rappresentato dai gneiss granitoide e porfiroide. A queste rocce seguono i micascisti e gli scisti micacei untuosi, che gradatamente passano alle quarziti. Sopra, ma con discordanza, giacciono altri scisti con lenti di calcare cristallino : l’ itacolumite corona tutta la potente formazione. Nel Precambriano predominano le arenarie micacee e subordinatamente affiorano scisti e conglomerati. La formazione si/uriana è largamente rappresentata, nel basso bacino delle Amazzoni, da rocce scistose, qua e là argillose, le quali racchiudono i fossili dell’ epoca. Il Devoniano affiora col sistema precedente ed è costituito da arenarie ferruginose e da scisti. Non mancano i fossili caratteristici. Il primo che scoprì il Carbonifero fu il maggiore Coutinho durante il viaggio che intraprese per accompagnare il celebre Agassiz, per ordine dello stesso imperatore Don Pedro II. Il Coutinho io segnalò fra il Rio Gurupa- tuba ed il Rio Surubiu. La constatazione scientifica della presenza di questo sistema ad Itahituba si deve specialmente al Derby (') ed all’ Hartt (2). Le rocce di questa formazione sono quasi esclusivamente calcaree, solo lo- calmente si può avere una faczes scistosa. I fossili generalmente sono silicei ; interessante è l'identità che presentano alcuni fossili con quelli sincroni europei. Inferendo, col Frech (3), dalle faune marine conosciute nel Carbonifero dell'America meridionale, si giunge a stabilire che l’area corrispondente alla vastissima regione del Rio delle Amazzoni apparteneva, durante i tempi del Carbonifero inferiore, al continente Indo-africano. Solo verso la fine di questo sistema la regione nominata fu invasa dal mare, il quale vi depositò le rocce, donde si esumarono le faune descritte dall’ Hartt, dal Derby e dagli altri paleontologi. Il nostro fossile probabilmente è una specie isolata proveniente da quelle formazioni. Il mare che trasgredì sopra quel lembo del continente (1) Derby O. A., On the Carboniferous Brachiopoda of Itaituba, Rio Tapojos. Province of Pard, Brazil. Bull. of the Cornell University, vol. I, n. 2. Ithaca, 1874. (2) Hartt 0. F., Report of a reconnaissance of the Lower Tapajos. Bull. of the Cornell University (Science). Vol. I, n. 1. Ithaca. New-York, 1874. Hartt fu allievo e compagno di viaggio dell’Agassiz nel Brasile. (8) Frech F. Zethaea geognostica. Die Steinkohlenformation. Carta IV, V. Stuttgart 1899. — 517 — americano era il medesimo che affogava quasi tutta l' Europa orientale: ciò spiega le intime relazioni che corrono fra le faune di così lontane regioni. Non ancora regna accordo sul riferimento delle arenarie rosse, non ma- rine, che soventi ricoprono le rocce paleozoiche; invero alcuni le riferiscono al 7riasico ed altri le chiamano eretaciche. Poco o punto c'interessano presentemente le altre formazioni secondarie, terziarie e quaternarie. Il polipierite in istudio appartiene sicuramente ai così detti Tetraco- ralia Haeck. o Rugosa E. H. e quindi accenna, con molto fondamento, 2 formazioni paleozoiche. Ciò non costituisce una nuova conquista scientifica, dacchè è già conosciuto il Carbonifero nella località di provenienza del nostro esemplare; come si ricava dagli studi geologici citati e specialmente da quello del Derby, dove sono enumerati i fossili del Carbonifero di Obides, di Itahituba ecc. ('). Paleontologicamente però è interessante il fossile bra- siliano, perchè rappresenta da solo una nuova forma di un genere, il quale è conosciuto fossile dal Siluriano sino al Carbonifero. Invero questa specie non deve essere stata menzionata fra i diversi coralli carboniferi nominati dal Derby (1894), non avendone riportato alcuno al gen. ClisiopyUum cui sì riferisce sicuramente il nostro esemplare. Se sentirò la necessità di esprimermi talvolta con qualche esitazione, mi si perdoni in considerazione della difficoltà straordinaria — talvolta in- superabile — che incontra chi vuol consultare l'antica bibliografia geologica che riguarda l’ America e specialmente l’ America meridionale. Senz'altro dimostro che il nostro polipierite appartiene al gen. Clzszo- phyllum, inteso col significato diverso da quello dato dall’autore del genere (Dana, 1846. Explor. Exped. Zooph., pag. 361); ma nel senso con cui lo definiscono il Milne Edwards ed Haime nel 1850 (British. fossils Corals, p. LXx); poi dagli stessi riconfermato (Polyp. foss. terr. palaeoz., pag. 409-1851; Hist. Corell., vol. III, pag. 402-1860) e dagli altri autori quasi generalmente riconosciuto. I Gen. CLISIOPHYLLUM (?) Dana (pars). Invero esso è isolato, curvo. Porta setti ben sviluppati, dei quali pa- recchi raggiungono, quasi dritti, il centro calicinale che è foggiato a modo di cono rilevato. La lamina columellare è poco distinta superiormente da un setto principale. La columella è falsa e risulta dal sollevamento dei tavo- lati. Vi hanno molte traverse. Le sezioni longitudinali e trasversali corri- spondono, per le particolarità anatomiche interne che mostrano, a tutte quelle corrispondenti figurate per altre specie dello stesso genere. (') Journal of Geology. Vol. II, n. 5,.p. 480-501. Chicago 1894. (2) xAcotov (xAroia); puidov. RenpicontI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 67 — 518 — A questo stesso genere giunsi servendomi delle diagnostiche (Metodo dicotomico) che sono riportate e nel lavoro ultimo citato del Milne Edwards (Tom. III) ed in quello del de Fromentel (Intr. étud. polyp. foss. Paris, 1861). Seguendo quest'ultimo abbiamo: pag. 71. a. - Rugosa; B. - setti ben sviluppati; y. - fossetta settale; pag. 72. d. - apparato settale regolare; e. - una sola teca; 7. - calice rotondo od ovale; d. - epiteca; pag. 73. ‘. - senza prolungamenti radiciformi ; x. - setti al centro; 2. - setti dritti, columella lamel- lare rudimentale: gen. CLISIOPHYLLUM. Per il polipierite rimane così assicurata la posizione generica. Poichè, come cercherò di dimostrare, il nostro esemplare non può rife- rirsi ad alcuna delle specie conosciute del gen. Clistophyllum, quindi lo descrivo come tipo di una specie nuova che chiamo Clisiophyllum Thildae n. sp. Descrizione. — Polipierite (vedi fig. 1) isolato, conico, alquanto allungato: irregolare nella sua forma esterna a causa delle intermittenze dello sviluppo; queste sono così pronunciate da dar luogo, a diverse distanze, ad anelli forti ed angolosi, in modo che ne risulta una vera e propria solu- zione di continuità della teca; per la forma esterna ha qualche analogia con il Cyathophyllum (?) Loveni E. H. (Brit. foss. Corals, pag. 280, tav. 66, tig. 2). Il polipierite (vedi fig. 2), quando si vede dalla parte calicinale, si riterrebbe formato da diversi individui che si sarebbero impiantati l'uno nel centro dell'altro inferiore; ciò che però non è come viene poi lumino- samente dimostrato dalla sezione longitudinale. L'epitecio è stato asportato; ma esisteva, come si vede dove è conservato ; sembrerebbe spesso ed ondulato nel senso trasversale. Non si può dire di più a causa della cattiva conservazione. Il calice (vedi fig. 2) è quasi circolare. Nulla posso asserire sulla pro- fondità della /ossula, nè sulla configurazione dei bordi, i quali, quantunque si mostrino alquanto aperti, non dovevano però essere rovesciati. I setti, in numero di circa 36, pare arrivino quasi tutti sino al centro calicinale: essi sono relativamente forti e dritti. — 519 — La columella è falsa, non risultando di una formazione propria, ma dal rigonfiamento in alto dei tavolati. Tuttavia essa, vista esternamente è lamellare e pare che abbia uno speciale e più intimo rapporto con un setto calicinale che si potrebbe quindi ritenere come setto principale (vedi fig. 2). La sua struttura interna è svelata dalle sezioni longitudinali e trasversali. Nelle nominate sezioni, quantunque, durante la sostituzione della sostanza silicea a quella dello scheletro, siano rimasti grossi vacuoli, pure vi si pus- sono rilevare quasi tutte le particolarità anatomiche interne. Fic. 3. — Poco meno del naturale. Fic. 1. — Grandezza naturale. Invero riconosciamo nella sezione longitudinale della regione preapicale del polipierite (vedi fig. 3) che l'area esterna. relativamente di poco spes- sore, è ripiena di vescicole molto piccole, talvolta lunghe e molto inclinate. L'area media, maggiormente sviluppata rispetto all'esterna, è molto ben distinta. Essa è rappresentata da linee che s' innalzano e si sovrappongono formando una specie di stratificazione lenticolare con pendenza generale qua- quaversale: le cavità lenticolari sono abbastanza allungate. Tale struttura sì deve certamente attribuire ai favolati. L'area centrale risulta quasi vuota, quando non sono rimasti i residui dei tavolati sezionati nella parte più elevata che formava le successive false columelle lamellari. La sezione trasversale mostra meno, per alcuni ca- ratteri, di quanto si scorge nella regione calicinale; tut- tavia essa mostra più chiaramente la struttura della falsa columella (vedi fig. 4). He. 4. — Poco Dimensioni. — Il polipierite, prima che lo sezio- meno del naturale. nassi, misurava 4 cm. di lunghezza; mancava però della parte apicale e del bordo calicinale. Il diametro maggiore, che si trova a ?/3 circa della sua lunghezza, è di circa cm. 2. L'ultimo orifizio calicinale invece è più piccolo di oltre la metà, giacchè misura ora mm. 9: ciò che dimostra un sensibilissimo immi- — 520 — serimento avvenuto verso la fine della vita del polipierite. La columella nella parte saliente doveva essere poco più lunga di 1 mm. e molto meno larga. Rapporti e differenze. — Tra le diverse specie del gen. Clisto- phylum, che sono a mia conoscenza, quella che più di ogni altra si avvi- cina alla nostra è il C2. turbinatum M' Coy (E. H., Brit. foss. Corals, pag. 184, tav. 33, figg. 1 e 2), la quale forma pur se ne allontana per molti caratteri, cioè: forma generale, numero e disposizione dei setti, dimensioni, struttura interna del polipierite, ecc. ecc. Anche facilmente si differenzia la nuova specie da tutte quelle cono- sciute nei terreni paleozoici dell’ Europa; così si allontana per il numero dei setti, per il rapporto della lunghezza ed il diametro del calice e per la co- stituzione della falsa columella ecc. dal CI. Hisingeri E. H. (Polyp. foss. palaecoz., pag. 410, tav. 7, figg. 5, 5a); dal Cl. coniseptum Keyserling sp. ( Wissenschaftliche Beobachtungen auf einer Reise in des Petschoraland im Jahre 1843, pag. 64, tav. II, fig. 2a-c; Stuckenberg A., /orallen u. Bryoz. Steinkohlenablag. ete., pag. 87, tav. Ifing 2 6patav. IV, figMibivavi VV fig.) e dal C/. Bowerbanki (E. H., ibidem, pag. 186, tav. 37, figg. 4, 4a). Per i menzionati caratteri e per altri ancora si separa il] CI. Thi/dae dalle altre forme conosciute nella regione paleozoica dell'Europa orientale. Così si differenzia dal C/. squamosum Ludwig (Zur Palacontologie des Ural’s, pag. 214, tav. 31, fig. 34-b; Stuckenberg, Aorallen u. Bryozoen der Steinkohlenablagerungen des Ural vu. des Timan, pag. 89, tav. IV, fig. 4; tav. V, fig. 2) specialmente per il numero dei setti e per la loro di- sposizione, ecc.; cui del resto somiglia per la figura generale e per molte altre particolarità; dal CZ. gracile Ludwig (loc. cit., pag. 213, tav. 31, fig. 24,6; Stu- ckenberg, loc. cit., pag. 91, tav. V, fig. 3) per il numero dei setti, per non arrivare questi verso il centro, per la forma e disposizione della columella, ecc. ; dal Cl. cinctum Ludwig (loc. cit., pag. 214, tav. 31, fig. 40,6; Stuckenberg, loc. cit., pag. 92, tav. IV, fig. 5; tav. V, fig. 4) anche per il numero dei setti e per la disposizione della columella; quantunque non man- chino caratteri comuni; dal Cl. uralense Stuckenberg (loc. cit., pag. 93, tav. IV, fig. 6; tav. V, fig. 5) per la forma generale, per la struttura anatomica interna e per la disposizione dei setti nel calice, ecc.; dal Cl. Krasnopolski Stuckenberg (loc. cit., pag. 94, tav. IV, fig. 7) per la forma generale, per la disposizione e numero dei setti e per la strut- tura interna, ecc.; dal CI. Pironai de Angelis d'Ossat (Contrib. stud. fauna foss. paleoz. RI — 50 — Alpi Carniche, pag. 22, fig. testo) per la disposizione delle coste, per la forma generale e per molti altri caratteri. Similmente riesce facile la distinzione con le forme americane. Invero basta specialmente il numero e la disposizione dei setti per riconoscere la differenza col CI. feres Girty (Devonian and Carboniferous fossils, pag. 514, tav. 67, fig. 2a-d: U. St. Geol. Surv. Washington, 1899). Dal CI. Danaanum E. H. (Polyp. foss. palaeoz., pag. 412) si allon- tana per il numero dei setti, per essere meno tozzo; per il bordo e la fos- sula calicinale, non svasato quello, non profonda questa, ecc. Nello stesso modo deve essere separata la nuova specie dal Cl. Bi//ingst Dawson sp. (Lambe Lawrence M., A revision of the genera and species of Canadian Palaeozoie Corals. Geol. Surv. of Canad., vol. IV, part. II, pag. 174, tav. 14, hgg. 10 e 10@) per l'aspetto generale, per il numero e disposizione dei setti e specialmente per la struttura anatomica interna. Finalmente non è difficile riconoscere notevoli differenze pure con l'in- certa forma del d’Orbigny (Paléont. de l’Amerique mérid., pag. 56, tav. 6, figg. 4 e 5) dallo stesso denominata prima Turbinolia striata e poi Cyatho- sonia striata (Prod. I, pag. 158) e che proviene da Yarbichambi nella Bolivia. Località. — Itahituba lungo il Rio Tabajos, Parà, Brasile. Valore cronologico. — Con moltissima probabilità la nuova forma appartiene al sistema carbonifero. Eccone le ragioni : 1. Ad Itahituba è conosciuto il Carbonifero ed i fossili sono silicei come il nostro in istudio. 2. Le specie europee che presentano le maggiori somiglianze col CY. Thildae sono : CI. turbinatum (fungites), ” SQuamMoSuUm, » cincium. Tutte vissero nel Carbonifero, la prima si conosce nel Belgio (Visé) e nel l'Inghilterra (Oswestry, Welington, etc.) e le altre due furono descritte sopra esemplari del Carbonifero dei Monti Urali. Le più conosciute specie americane del genere Clistophyllum sono: CI. teres, CI. (?) striata, » Billingsi, » Danaanum. Anche queste sono tutte del Carbonifero americano meno l’ultima, essendo stata questa raccolta nel Siluriano superiore del Tennessee (Perry County) negli Stati Uniti. Laonde tutto porterebbe a ritenere che la nuova forma sia carbonifera. Tipo. — L'unico esemplare che rappresenta la specie si conserva nel Museu Paulista di S. Paulo nel Brasile. — 522 — Geologia. — Contribuzioni allo studio dei Cimini. Nota del prof. LiseRTO FANTAPPIE, presentata dal Socio STRUEVER. II. Sui Peperino. Faccio seguito alla mia precedente Nota (Profili strutturali) colla quale ho iniziato queste Contribuzioni. Il Peperino porta nel nome stesso una causa di equivoci; perchè ven- gono con tale nome indicate in varî luoghi della zona vulcanica Tirrena diverse rocce in base alla sola apparenza esterna, dovuta soprattutto alla punteggiatura nera che vi porta specialmente la mica. Non è però il caso di far qui una questione di nomenclatura litologica. La questione importante che si agita ormai da circa un secolo è quella che riguarda i rapporti tettonici e genetici della roccia nell'insieme della formazione. i Il Brocchi (') distingueva le rocce delle alture Cimine col nome di « lava necrolite a grandi feldspati » ed il Peperino dei cavatori col nome di « lava necrolite a piccoli feldspati » considerandole come due « varietà » di rocce « analoghe a quelle della Manziana, della Tolfa e del Monte Amiata: »(?). Egli aveva inoltre portato un notevole contributo in riguardo ai rapporti di giacitura di queste rocce notando nella « necrolite a piccoli feldspati » (v. da pag. 169 a 174 del Catalogo ragionato) alcuni inclusi che egli riferiva alla roccia « a grandi feldspati » e dichiarando quella esplicitamente (pag. 174 di tale opera) come posteriore a quest'altra. Questo accenno aveva richiamato la mia attenzione fin dal 1895 benchè io conoscessi l'opinione del Verri (3) il quale considerava la roccia come « tufo trachitico » sottostante alla roccia delle alture. D'altra parte non sì può negare che vi sono numerose apparenze che militano per quest'ultima opinione: ed io dovetti poi anche accogliere il dubbio (1) Catalogo ragionato di una raccolta di rocce ecc. Milano 1817. (2) Fu poi per rilevare la differenza di queste sue « varietà » specialmente col Pe- perino dei colli Albani, che egli non volle seguire il Santi (il quale aveva chiamato « peperino » la roccia del Monte Amiata) ed adottò il nome di mecrolite (v. « Catalogo ragionato », pag. 156) che è la grecizzazione del nome « sassomorto » usato come sino- nimo di « Peperino » al Monte Amiata: nome che egli dichiarò inutile tre anni dopo (Dello stato fisico del suolo di Roma, 1820, Roma. V. pag. 204) quando seppe che in Francia si era dato a simili rocce il nome di trachite. (3) Z vulcani Cimini. R. Accad. dei Lincei, CI. di sc. fis. matem. e natur. serie 3°, vol. III, 1880. ; — 523 — che non fosse troppo sicura per il Brocchi l'identificazione della roccia delle alture coi mezzi dei quali egli allora disponeva. Disgraziatamente anch'io ho potuto procurarmi i mezzi di indagine solo stentatamente ed a furia di lunghi ritardi: e nella grande varietà degli inclusi ho dovuto per lungo tempo cercare che mi capitassero quelli che permettevano di controllare le osservazioni del Brocchi in modo sicuro. Intanto per bene impostare la questione sulla roccia, occorre prenderne in esame le condizioni speciali di giacitura ed i caratteri. Questa roccia dunque, come ho già detto nella Nota precedente, forma un banco di notevole potenza, che raggiunge più o meno direttamente i mate- riali sedimentarî circostanti alle alture, scendendo dolcemente dalle parti cen- trali dei Cimini propriamente detti verso la periferia. Riposa spesso su argille plioceniche: come alla mattonaia di Falcioni e lungo il fosso Luparo (con notevoli caratteri) presso Viterbo, presso Orte, ed altri luoghi già noti. In qualche luogo, come al podere Ravicini ed all'Arcio- nello, presso Viterbo, riposa con leggera intercalazione di materiali argillosi, su un calcare fossilifero sul quale richiamai l'attenzione dell’illustre prof. C. De Stefani nell’occasione di una sua gita qua: consegnandogli per lo studio pa- leontologico l'abbondante raccolta da me fatta nelle due predette località. Credo che non vi sia bisogno di dimostrare che non ha importanza per la questione del Peperino la discussione alla quale dette luogo il primo lavoro (') di determinazione paleontologica nel quale l'illustre professore mi fece l'onore di associare al suo nome il mio. Non intendo però con questo di rinunziare a prendere la parola sugli argomenti di quella Nota in altra occa- sione: beninteso senza invadere la questione paleontologica che non mi ri- guarda, ed alla quale ormai portarono un ragguardevole contributo con esito risolutivo tanto il mio chiarmo amico prof. dott. G. Di Stefano (?), quanto, con un notevole lavoro posteriore (3), lo stesso prof. C. De Stefani, che mi pregio di ringraziare qui per la cortesia usatami nel dedicarmi una nuova specie da lui trovata nel materiale suddetto. Uno dei fatti più importanti in riguardo alla giacitura del peperino è poi la presenza di alcuni acciottolati di aspetto caotico che si intercalano tra il peperino e le argille sottostanti in più punti, specialmente nelle inse- nature (dico così per non confondere queste colle valli attualmente esistenti) dei monti ed in parti piuttosto prossime alle alture. (*) C. De Stefani e L. Fantappiè, / terreni terziari superiori dei dintorni di Vi- terbo. Rendic. della R. Acc. dei Lincei, CI. sc. fis. matem. e natur. vol. VIII, serie 5*, 1899. (2) Dott. G. Di Stefano e ing. V. Sabatini, Sopra un calcare pliocenico dei dintorni di Viterbo. Boll. del R. Com. geolog. anno 1899, n. 4. (3) C. De Stefani, Molluschi pliocenici di Viterbo. Atti della Soc. Tosc. di sc. na- turali, Memorie, vol. XVIII, 3, 1901. \ = rx a «© = "__er e eu os &= ST: eee Gese o RR Sc e e — 524 — Uno di questi acciottolati si nota presso al ponte a ferro di cavallo sotto Bagnaia; un altro nel fosso presso Vitorchiano e se ne vedono di simili in varî altri punti. Alquanto diversi da questi acciottolati, ma spesso in grande vicinanza, si osservano certi ammassi di frammenti rocciosi dei quali uno è sulla strada al di là del ponte suddetto presso Bagnaia; uno sopra al Mulino di fosso Luparo presso le falde della Pallanzana; un altro notevolissimo messo in vista a breve distanza dal precedente dai tagli operati nel fosso stesso per la con- duttura dell'acqua a Viterbo; e varî altri nei quali predominano frammenti e ciottoli di varia grossezza che si possono in gran parte riportare a rocce delle alture e in parte a varietà di Ciminite che sembrano aver subìto l’in- fluenza di contatti interni. Nei fitti acciottolati del primo gruppo si vedono dei frammenti che ricor- dano le rocce più chiare e più esterne delle alture (questa somiglianza è notevolissima tra certi ciottoli sottostanti al peperino sotto Bagnaia e certe rocce già indicate dei fianchi del S. Valentino) misti ad altri che gradual- mente passano ad una cristallizzazione così marcata che gli avvicina ai prozett? feldspatici di tipo sanidinico: senza che manchino i frammenti scuri che attraverso ad alterazioni notevoli si rivelano come materiali affini alle Trachi- doleriti del genere della Ciminite, ed ai quali poi si uniscono, tra altri mate- riali abbastanza varî, anche di quelli con deciso carattere di contatto, come certi blocchetti con granato ed idocrasio. ‘ Ricordo qui che dei blocchetti simili, a granato ed idocrasio, si mo- strano ora inclusi sporadicamente entro il peperino, ora in acciottolati di ‘materiali abbastanza simili ai precedenti, sia nelle parti superiori, sia nelle parti inferiori del peperino stesso, e che finalmente altri blocchi a granato ed idrocrasio del tutto simili ai precedenti si trovano anche sugli orli del recinto vicano presso Ronciglione: come notai in miei precedenti lavori (1). Seguendo poi il riposo del peperino sui materiali sedimentari sottostanti, dalla periferia verso le alture che si aggruppano intorno alla massa centrale Cimina, come ad es. lungo il fosso Luparo a partire dall'Arcionello salendo su poi per monte Pizzo verso la Pallanzana, si vedono le argille sottostanti al Peperino elevarsi di livello. Il fenomeno è stato posto in evidenza in quest'anno specialmente dai detti tagli per la condottura dell'acqua; ma si può osser- vare anche da Viterbo alle fornaci di Bagnaia, nelle cui argille, che si elevano ad una quota notevole tra il S. Valentino e Montecchio, si trovano poi dei gessi dovuti probabilmente ad effetti di emanazioni laterali. (") Sopra alcuni blocchi a granato ed idocrasio nella regione Cimina. Riv. di Min. e Cristallogr. Ital. vol. XX, 1898, Padova; Minerali nuovi od in nuove condizioni di giacitura per la regione Cimina. Riv. di Miner. e Cristallogr. Ital., vol. XXIII, 1899, Padova. qu adulterio — 525 — In unione ai precedenti fenomeni che riguardano soprattutto la genesi delle masse Cimine, se ne rende rimarchevole un altro che io ebbi occasione di notare fin dal 1893, quando mi recavo spesso ad un giacimento di sani- dini al pie' del S. Valentino, e che avvertii anche al distinto sig. Washington quando (nel 1897) mi fece l'onore di visitare la mia collezione privata. Questo fenomeno consiste nella presenza di piccoli lembi marnosi più o meno alterati nei punti ove vengono ad avvicinarsi le falde ripide di due alture come ad es. il S. Valentino colla Rocchetta. Questi lembi sono ricchi di ciot- toletti e nuclei di varia sorta spesso fortemente arrossati. L'importanza di tali lembi marnosi è grandissima pel fatto che la loro presenza a ridosso delle masse rocciose Cimine esclude i fenomeni di proiezione di una certa importanza ed è in appoggio di eruzioni pastose più o meno lente. L'interesse di simili fatti poi aumenta quando si consideri che in certi punti, come quello già detto sopra al mulino del fosso Luparo ('), i citati ammassi di frammenti di roccia delle alture tendono a rilevarsi verso le falde di queste mescolandosi con frammenti sedimentari: in modo da mostrare un'intercalazione detritica tra le ossature massicce delle alture ed il Pe- perino. In riguardo ai caratteri litologici propri del Peperino oltre alle osser- vazioni in posto serve da splendido museo la pavimentazione delle strade di Viterbo nei giorni nei quali è ben rilavata dalle pioggie: e durante i quali dà occasione di moltiplicare le osservazioni riguardo a certi caratteri molto significanti. Questa roccia si presenta in generale sulle superficie di rottura con una massa ruvida formata in gran parte da feldspato ordinariamente allo stato di frammenti (come già rilevò il Brocchi) e con lamine di biotite relegati da una sostanza d'aspetto piuttosto terroso. Questo cemento dà generalmente alla massa un aspetto grigio giallastro, ma è rimarchevole il fatto che quando ci sì avvicina verso le parti più denudate dei picchi delle alture ove appa- riscono le Trachi-andesiti rossigne anche il Peperino, specialmente nelle parti superiori, prende questa tinta, che va gradualmente dal giallo-rossastro al rosso vinato, in varî punti fino a far confondere a prima vista il Peperino colla suddetta roccia delle alture. Così ad es. è in una piccola cava a lato della via da Viterbo a Bagnaia presso il Parco Lante; così pure a monte Pizzo, poi sotto la Chiesuola alle falde della Pallanzana, ed altrove. Ma la roccia è tutt'altro che uniforme: e vi sono numerosi caratteri che mostrano che essa ha risentito di variazioni dipendenti non solo dallo spazio, ma anche dal tempo. (1) Però sulla sponda destra dalla parte dello sperone della Pallanza, mentre quel- l’altro indicato pei tagli della condottura dell’acqua è sulla sponda sinistra ed un poco più a monte. RenDpICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 68 — 526 — Varia moltissimo di consistenza essendo questa di regola maggiore nel mezzo dei banchi e minore in basso ed in alto. Nelle parti superiori di alcuni punti, e specialmente in quelli che rag- giungono più o meno direttamente le falde del Cimino presenta un fenomeno interessantissimo, il quale si osserva in modo molto chiaro specialmente salendo per la strada vecchia di Soriano dietro il Parco Lante. Quando si è giunti sul ripiano peperinico presso al braccio del « Petrisco » che, come già dissi, ha scavalcato la Ciminite, allora in un fossetto si mostra sotto al Petrisco stesso, con una piccola intercalazione di tufo terroso, un Peperino molto tenero chiazzato da lenti chiare di materiali riccamente feldspatici molto simili a quelli della massa scoriacea più esterna delle alture: e continuando a salire per la stessa strada si raggiunge finalmente un lembo di Peperino decisa- mente terroso, fortemente caolinizzato, del tutto simile a quello che si trova dall'altra parte del Cimino poco sotto Soriano sulla strada che conduce a Viterbo. Anche nel ripiano che si stende dalla « Chiesuola » verso le falde del S. Valentino e delle altre alture soprastanti a Bagnaia si nota poi un ampio campo di Peperino arenaceo che mostra che la degradazione delle alture ha dato effetti alquanto diversi non solo per la diversità del materiale nei varî punti, ma anche pei diversi processi coi quali si è effettuata. La grana della roccia poi presenta una variazione non del tutto acci- dentale: è più fina e di aspetto più terroso nei punti più lontani dalle al- ture; mentre in vicinanza di quelle, ed in genere sulle direzioni di’ più facile denudazione, si presenta a grossi e fitti frammenti cristallini, specialmente pei feldspati, ed assume perciò un carattere che ad occhio nudo ne rende non sempre facile la distinzione rispetto alla roccia delle alture. In alcuni punti poi, ad es. in una cava al ponte dell’ Elce presso Vi- terbo, la massa è intersecata da chiazze e vene quasi nere che includono pic- cole punteggiature feldspatiche. In altri punti, e sono ordinariamente quelli addossati alle falde delle alture, l'alternanza tra la massa grigia e le stria- ture brune è così fitta che alla lontana dà alla roccia l'aspetto di uno gneîs. Così è nel campione 1330 della mia collezione, preso nella suddetta località. i Finalmente danno una grande varietà di aspetti alla roccia gli inclusi che più o meno fitti vi si trovano sempre e sono di materiali sedimentari e vulcanici talvolta accumulati, con grande rammarico dei cavatori, in tale quantità da farla sembrare una breccia: carattere questo che non si riscontra mai nella roccia delle alture. Gli inclusi di materiali sedimentari sono marne, calcari, arenarie, uniti a materiali varî di contatto come i blocchi a granato ed idocrasio: con dimen- sioni varie che vanno da una nocciola a quelli grossi come una testa circa; a contorni acuti od arrotondati, e soprattutto con varî gradi di alterazione, di solito non molto accentuati. A — 927 — Notevole quelli che mostrano una rigatura ondulata dovuta ad alter- nanza di roccia ignea bruna con evidenti strati di roccia sedimentaria re- cante ancora minute brecciole malgrado la commistione e l'alterazione di contatto (che però in alcuni sembra abbastanza leggera) e che sembrano strap- pati a lembi periferici di contatto tra il focolaio interno e le formazioni in- cassanti. Così nel mio campione 1358 della cava di Arcionello presso Viterbo. Non meno importanti quelli in cui i materiali di origine sedimentaria sì mostrano arrossati in modo da somigliare dei pezzi di mattone accompa- gnati spesso da vene di roccia bruna, che sembrerebbe avvicinarsi a quelle di tipo piuttosto basico ma che ordinariamente si mostra altrettanto modifi- cata quanto i materiali di origine sedimentaria. La varietà aumenta negli inclusi di decisa indole vulcanica; ma predo- minano, tra tutti, quelli costituiti da roccie grige con varie graduazioni verso il bruno e con punteggiatura feldspatica più o meno fitta, le quali tanto all'aspetto esterno quanto al microscopio passano da caratteri che le avvicinano alle Trachi-andesiti ad altri che ricordano la Ciminite. Vi sono poi abbondanti inclusi riferibili alle rocce delle alture: e spe- cialmente dei grossi pezzi irregolari della parte grigia scoriacea già notata; ma non mancano i pezzi compatti tendenti al rosso più o meno accentuato ed appartenenti alle masse più interne come si osserva in un campione pro- veniente dalla Cava di Arcionello presso Viterbo, e che porta il n. 1356 della mia collezione. Di notevole significato sono due forme di inclusi che rispetto a tutti gli altri assumono una speciale delineazione di caratteri. Una di queste forme si fa notare sulle superficie di taglio della roccia coll'aspetto di lenti di color bruno, che in generale sono disposte parallela- mente alla direzione di immersione dei banchi della roccia alla quale danno in certi punti una marcata somiglianza col « Piperno» di Pianura presso Napoli, come già fu rilevato dal vom Rath (') e dal Washington (?), benchè quest'aspetto « pipernoide », non implichi una grande somiglianza della massa costituente le due rocce. È notevole che sul taglio fresco della roccia in di- rezione parallela a queste macchie lenticolari la loro superficie mostra spesso un'alterazione un po' terrosa di materiali ferrugginosi alla quale corrisponde forse la ricchezza dei silicati colorati in armonia coi caratteri dei materiali meno acidi della. formazione. Merita poi il più attento esame tra i caratteri della roccia la seconda forma delle dette inclusioni rappresentate da nuclei di roccia più o meno chiari che sulle superficie di taglio si mostrano contornate da un orlo bruno. (1) Geognostisch-mineralogische Fragmente aus Italien, IL Theil. Abdruck a. d. Zeitschr. d. Deutschen geologischen Gesellschaft, Jahrg. 1868. (2) Italian Petrological Scketches II: Reprinted from the Journal of Geology, vol. IV, n. 7 october-november 1896. Pre — 528 — Quest'orlo in alcuni punti somiglia molto il materiale delle già dette lenti brune, ma in generale si presenta come dovuto ad una elaborazione piut- tosto accentuata di materiali che come le suddette lenti presentano delle affi- nità coi materiali basici che includono la Ciminite. Il nucleo interno di roccia chiara tende spesso al rossigno e si mostra costituito da una massa a feldspati bene sviluppati: la quale in generale richiama la costituzione dei ciottoli feldspatici già citati, e in qualche punto poi giunge ad una notevole somi- glianza colla parte scoriacea della roccia delle alture. Questi interessanti caratteri si osservano specialmente nei punti del banco peperinico più prossimi alle alture. Così nella cava del ponte dell’Elce presso Viterbo (es. il camp. n. 1332 della mia collezione privata): e nella cava sulla via di Bagnaia presso il villino Panatta (camp. n. 1333 della mia collez. priv.). Ricco soprattutto a questo riguardo si mostra il peperino della cava di monte Pizzo che si osserva in varie vie di Viterbo, ma che ora è raramente cavato. Microscopicamente il Peperino fu studiato dal Mercalli (*) che lo indicò come una « Trachite andesitica quarzifera o dacite felsitica »; dal Deeche (2) che lo indicò come un andesite-micacea con pirosseno; e finalmente dal Washington (8) che lo indicò come un tufo. Anche con una serie un po’ estesa di sezioni sottili non vi è da aggiun- gere molto alle determinazioni dei materiali figurati della roccia stessa: dopo che è stata giustamente esclusa dal Washington la presenza del quarzo come costituente. Questi materiali l’avvicinano in modo evidente alle Trachi-ande- siti delle alture per la costituzione mineralogica, e più specialmente alla roccia grigia scoriacea a grossi sanidini delle parti esterne. Però vale la pena di mettere in rilievo certi caratteri della sua costi- tuzione complessiva che forse per la loro apparente accidentalità non sono stati abbastanza apprezzati. Uno è quello che riguarda i nuclei orlati e le affinità che quest'orlo bruno mostra in genere colle masse più basiche della formazione in qualche punto ove è più esteso e meno alterato; poi viene il ca- rattere frammentario dei costituenti del Peperino, già rilevato dal Washington; finalmente il carattere del magma predominante. Tutti questi caratteri sono specialmente importanti in confronto con quelli delle rocce delle alture. Riguardo al carattere frammentario dei costituenti, riconosciuto pei feld- spati già macroscopicamente dal Brocchi, si deve riconoscere al Washington il merito di averlo messo in evidenza collo studio microscopico. Si può ag- giungere che malgrado la difficoltà di distinguere effettivamente tra il caso (1) Osservazioni petrografico-geologiche sui vulcani Cimini. Rend. del R. Istit. Lom- bardo, serie II, vol. XXII, fasc. III, 1889, Milano. (2) Bemerkungen zur Entstehungsgeschichte und Gesteinskunde der Monti Cimini. N. Jalrbuch f. Mineralogie, etc. Beilageband VI, Stuttgart 1889. (3) Loc. cit. — 529 — di una frammentazione di 0r7g2ne esplosiva e quello di una fratturazione di origine meccanica più propriamente detta, tuttavia l'aspetto dei frammenti, specialmente dei pirosseni e delle miche, che si mostrano spesso contorti e corrosi, è tale da far propendere per l’idea della fratturazione meccanica. Il magma poi in generale non solo sì differenzia notevolmente da quello delle alture che è di tipo prevalentemente felsitico, ma merita di essere anche analizzato nella sua frequente apparenza fiuidale. Intanto a nicol incrociati colpisce spesso per le sue plaghe nere d'aspetto decisamente colloide ove mancano anche le più minute individualizzazioni microlitiche; ma poi colpi- sce anche l'aspetto che corrisponde a tali plaghe in luce naturale. Infatti vi abbondano le punteggiature brune dovute specialmente a materiali opachi e l'apparenza fluidale invece che dalle microliti è frequentemente data da mac- chie terrose di materiali fini sospesi nella massa, che nell’ insieme mostra che quest'apparenza fluidale può essere in gran parte dovuta a rilegature di origine secondaria. Interpretazione questa largamente appoggiata anche dall'esistenza di abbondanti vene macroscopiche di Jalite e Fiorite in varî punti della massa del Peperino. Anche il Quarzo indicato nelle prime ricerche del Mercalli, potrebbe essere stato occasionalmente presente come prodotto di origine secondaria, od allo stato di frammenti inclusi accidentalmente, come fu da me altra volta indicato tanto pel Peperino quanto per le Trachi- andesiti delle alture. Zoologia. — Sulla presenza e distribuzione del genere Ano - pheles in alcune regioni della penisola Iberica, e suoi rapporti col parassita della malaria umana. Nota del dott. Gustavo PITTA- LUGA, presentata dal Socio B. Grassi. Dall'agosto al dicembre del 1902 ho compiuto, specialmente in Cata- logna, una serie di ricerche sulle manifestazioni locali della infezione mala- rica, delle quali rendo conto in un'altra Nota. Contemporaneamente, ho avuto modo di raccogliere i dati relativi alla presenza e diffusione delle zanzare del genere Anopheles, non solo nel territorio della provincia di Barcellona, ma anche in quelli di Valenza, di Madrid, di Guadalajara, e nelle isole Baleari. Queste osservazioni personali sono state continuate, in parte, durante i mesi scorsi del 1903; e se ad esse si aggiungono i dati fornitimi da medici e naturalisti spagnuoli, appunto in cotesti periodi di tempo ('), si può dire (') Voglio cogliere questa occasione per ricordare e ringraziare il prof. Odon de Buen, zoologo dell’ Università di Barcellona, che mi ospitò per qualche tempo nel suo gabinetto; il dottor Turrò della Academia de Ciencias medicas de Catalufia, che mi fu largo di tanta cortesia; ed altri molti ai quali debbo notizie, aiuti e cooperazione. — _ »@Y_—r——mn —= ._ ——.r—r.—rr a n2n20onpywy rr /_c "-=" “£-— == "ce =: — 590 — che noi possediamo oggi una nozione generale sui rapporti fra la malaria umana e il genere Amopheles nella penisola iberica, la quale conferma interamente i concetti etiologici ed epidemiologici sostenuti per primo da Grassi in Italia. Debbo qui ricordare come nel 1899, il dottor I. Macdonald, medico della Compagnia mineraria di Rio Tinto (provincia di Huelva) in seguito alle sco- perte sul ciclo evolutivo degli emosporidi della malaria, abbia cercato per il primo, in Ispagna, cotesti rapporti fra l'endemia e l'infezione (nella parete intestinale e nelle ghiandole salivari) degli Aropheles. I risultati delle sue osservazioni comparvero successivamente sul Siglo medico di Madrid, e sul British Medical Journal ('); e furono poi riuniti in monografia (Parigi, 1902). Recentemente, al Congresso internazionale di Medicina di Madrid, ebbi grata occasione di osservare i preparati del dottor Macdonald e di avere da lui stesso altre informazioni. Il suo campo di studio era limitato a quella zona di aridi terreni me- talliferi nell'alto, acquitrinosi a valle. compresa fra le mine di rame del Rio Tinto a nord d'Huelva, e gli sbocchi dell’Odiel e del Rio Piedras al mare. __ Nei limiti di questo territorio furono osservate poche località indenni da infezione malarica, fra le quali si ricorda particolarmente la Playa de Punta Umbria, dove le poche case si trovano in terreno arenoso e sembra che tutte le acque siano molto salate. È singolare, tuttavia, che a pochi chilometri (non più di quattro o cinque) da questa striscia di spiaggia, si trovino luoghi - gravemente colpiti dall’infezione, come in generale le case e le capanne cir- costanti alla così detta marisma d’Almacete ed anche le vicine stazioni di carabineros (finanzieri). Ad ogni modo, Macdonald ha trovato in questa e nelle poche altre loca- lità non malariche endemicamente, varie specie di Cu/ez; precisamente : 1. Culex pipiens ; » elegans; » phytophagus; » spathipalpis; » penicillaris. Invece, in tutte le località colpite dalla infezione (sempre dentro i limiti sopradetti della provincia di Huelva), ha trovato: 1. Anopheles claviger (maculipennis); 2. 7 pictus (pseudopictus, Grassi). Durante le stagioni malariche 1901 e 1902 egli ha cercato di stabilire, almeno in piccole zone, la percentuale di Aropheles infetti nella parete inte- (1) Siglo Medico 1900, pag. 437 e 449: /nvestigaciones modernas sobre el palu- dismo; ibid. 1902, 8. agosto. pag. 483. Brit. Med. Jour., 1900, I, pag. 270, e sez. — 531 — stinale e nelle ghiandole salivari; ì suoi dati non differiscono a questo pro- posito da quelli stabiliti in Italia nelle regioni meridionali e in rapporto con le infezioni estivo-autunnali (dominanti, con gravi forme perniciose, di Huelva); ma debbo qui mettere in rilievo che, contrariamente a quanto trovarono alcuni ricercatori (per esempio il Testi in Italia, Grosseto 1901), Macdonald trovò rare volte i corpi di Ross negli Aropheles. Non gli parve possibile metterli in rapporto con fatti epidemiologici. All’infuori delle osservazioni di questo autore, non si avevano che dati negativi, sulla coincidenza fra la distribuzione dei Culicidi in generale, degli Anopheles in ispecie, e la distribuzione della malaria umana, nella peni- sola iberica. Malgrado che i buoni lavori dottrinali di Gil y Morte, professore all’ Uni- versità di Valenza ('), e di Rioja y Martin, professore in quella di Oviedo (*), avessero valso a diffondere in Ispagna la conoscenza di nuovi concetti etio- logici della infezione malarica, si ebbero solo, durante gli anni 1901-1902, tentativi di obiezioni, in parte anche fondate su pretese osservazioni. Tali quelle di Gonzalez Rey (*) di Pascual de Sande (4), di Sarmento (°) etc., in parte radunate e commentate da Rodriguez Mendez (°). Io ho ad esse risposto, in varî punti del volume pubblicato nell'occasione del XIV Congresso Inter- nazionale di Medicina /nvestigaciones y estudios sobre el Paludismo en Espana, sopratutto con dati di fatto. Così, per esempio, mentre il dottor Pascual de Sande, sul Medico tetular (loc. cit.) aveva asserito di aver accertata la mancanza di larve e di adulti del genere Aropheles nei territorî paludici del Rio Jarama (Moraleja ecc.), io ho invece trovato moltissimi Anopheles (anche infetti) appunto lungo le rive di questo fiume, in provincia di Madrid. Nel 1901 furono raccolti dai dottori Huertas e Mendoza i dati relativi alla provincia di Caceres (Estremadura). Questi autori rinvennero abbondan- tissime le specie: Aropheles claviger (sopratutto), A. pseudopictus e A. super- pictus, osservarono l'infezione in numerosi esemplari di quella prima, e con- dussero anche a termine un piccolo esperimento di profilassi meccanica, abba- stanza dimostrativo, di cui si dà conto nel volume sopra citato (7). Dopo di queste non mi resta che a ricordare alcune ricerche di Betten- (1) El paludismo, Valencia, tipogr. del Mercantil valenciano, 1900. (2) Conoscimento del Ciclo evolutivo completo de los pardsitos que originan en le hombre las Vamadas fiebres paludicas. Discurso inaugural, Oviedo, 1902. (3) Rivista medica di Levilla, 30 gennaio 1900. (4) El medico titular, settembre 1902. (£) A medicina contemporanea, Lisboa, 20 e 27 gennaio 1901. (5) Gaceta medica Catalaîia, 30 sett.-31 dicembre 1902; sopratutto v. pag. 751. (7) El paludismo y su prophilaxis en la provincia de Criceres, 1902. —— ra =_= == i; /"“ ==; -=roc--<éo0e= _ "s_ = "sE Tr _ SS 6 — 536 — permetterci di indurre che la coltivazione del riso costituisca un beneficio per la salute pubblica. E d'altra parte gli stati larvali degli Amophedes, nelle acque delle risaie sono stati trovati da me in questi luoghi, come in Italia ed altrove. Anopheles, claviger e bifurcatus adulti furono pure trovati, durante la prima settimana di ottobre in quantità considerevole nella stazione di Alme- nara (provincia di Castellon della Plana, ferrovia da Valenza a Barcellona), e in molte case di Cihilches, ed altri luoghi della costa. Popo più tardi ebbi occasione di recarmi, da Madrid, a compiere alcune osservazioni nella prossimità di S. Fernando, sul fiume Jarama, che attra- versa la strada ferrata al km. 19-20. Insieme con lo studente di scienze naturali D. Luis Lozano, in due case nella prossimità del fiume, circa un chilometro al di sotto della stazione ferroviaria (figg. 8 e 9) ho catturato, in giorni differenti, un gran numero di claviger (i quali parevano però già disposti per la ibernazione). Le due case erano situate l'una proprio all'altezza della sponda del fiume, a 20 metri da questo, circondata di pozze d'acqua molto abbondanti; l'altra, in- vece, ‘sulla costa, che sale ripida per un trenta metri d'altezza; ed è degno di osservazione che gli Aropheles erano molto più abbondanti in questa seconda che nella prima, nella quale dormiva tutta una famiglia. Di questa famiglia era ammalata di febbri, a forma terzanaria, la moglie del colono (l'esame del sangue fu poi praticato a Madrid: negativo ?); anche in bambino aveva avuto febbri intense e prolungate durante il mese di settembre. Degli Anopheles raccolti fu fatto l'esame, in più volte, nell’Ospedale generale di Madrid (reparto del dott. Huertas, e laboratorio diretto dal dott. A. Men- doza); soltanto uno fu trovato infetto nelle ghiandole salivari (18 ottobre), nessuno nella tunica dell'intestino medio. Osservazioni di qualche interesse ebbi pure occasione di compiere nel- l'isola di Mallorca (Baleari), durante il mese di settembre 1902 (!). Si debbono al dott. Fajarnés (2) alcune precedenti osservazioni sui paras- siti malarici in infermi delle vicinanze di Palma, capitale dell’isola. Ma che (1) Per ciò che riguarda i dati storici sulle condizioni della malaria nelle Baleari, mi preme di ricordare qui solamente un libretto di Claudio Francesco Passerat de la Chapelle, medico dell’esercito francese (1764), tradotto da poco allo spagnuolo: Re/leziones generales sobre la isla de Menorca,,su clima, el genro de vida de sus habitantes y las enfermedades que en ella reinan por el doct. ete., traduccion, Maon, 1901, nel quale sono contenute molte osservazioni veramente interessanti. Un'opera egualmente degna di essere tenuta in gran conto è quella di George Cle- gorn: Observations on the epidemical diaeases in Menorca, from the year 1744, to 1749. London, 1753. (2) Notas sobre el micro-organismo de la malaria, in: Rev. balear de ciencias me- dicas, Palma 1890, pp. 236-288 ete. [ — dad — io sappia, nessuno aveva compiuto la ricerca degli Amopheles e osservato i loro rapporti con la distribuzione della malaria nell'isola. Tanto nei luoghi visitati lungo la costa ai due lati di Palma e sulla strada di Felanitx sopra un terreno quaternario che si continua oltre i cinque o sei chilometri con una grande estensione di miocene superiore e medio, interrotto da striscie di alluvione recente che discendono sino al mare (vil- laggio di San Giorgio, torrente de Jueus, Ca’ Republicans), quanto nel terri- torio di Alcudia e della Albufera al nord dell’isola, io constatai la presenza del genere Aropheles, catturai numerosissimi esemplari di claviger ed alcuni di difurcatus, ebbi modo infine di confermare per la maggior parte i dati relativi all’ habitat delle larve e degli adulti dei due generi Amopheles e Culex. A proposito della specie 02/urcazus debbo dire che i pochi esemplari esaminati (adulti), si avvicinavano moltissimo, per i caratteri delle ali e per la dimensione, alla varietà descritta dai Sergent in Algeria, e da essi clas- sificata come « bona species » sotto il nome di Aropheles algeriensis (*). In realtà gli stessi Sergent ammettono che i caratteri distintivi siano molto lievi; aggiungono anzi che l’Anopheles algeriensis può considerarsi come la forma vicariante dell'Anopheles bifurcatus in Algeria. Essi fanno rilevare che i Gifurcatus incontrati in Algeria (A. algerienses) sono più corti dei pa- rigini; ma questo carattere non ha grande importanza perchè le cifre relative a quei primi non si discostano dai limiti minimi della specie; piuttosto pos- sono riferirsi alla varietà z29ripes, o a quelle forme intermedie a cui già accennava Grassi, a pag. 118 della seconda edizione degli Stud? di uno z00- logo sulla malaria. I caratteri riguardanti le nervature trasversali anteriori e posteriori, addotti dai fratelli Sergent, non costituiscono dati sufficienti neppure per una varietà, nonchè per una specie. I soli caratteri che sembrano discostarsi alquanto da quelli fissi della specie difurcatus, sono quelli relativi alle setole mediane e angolari delle larve, giacchè i Sergent hanno osservato tre volte sopra 46 coteste setole munite di ramuscoli o peluzzi. Questa proporzione non è sufficiente a stabilire il carattere con assoluta certezza. Noto che Grassi e Noè scrivevano a pag. 118 dell'opera citata: « le larve (di difurcatus) si distinguono dalle altre per l’as- soluta mancanza di ramuscoli sulle setole angolari, le quali sono perciò affatto semplici; setole mediali affatto semplici. Anomalamente tanto le une quanto le altre possono essere biforcate; anche in questo caso però le setole sono affatto sprovviste di ramuscoli o peluzzi ». To non mi credo in alcun modo autorizzato a interpretare i pochi caratteri differenziali dei difurcatus adulti incontrati nell'isola di Mallorca, come suf- ficienti alla determinazione di una specie, sebbene corrispondano interamente (1) Annales de l’Institut Pasteur, 1902; e sennaio 1903. Î ì — 538 — a quelli descritti per l’Anopheles algeriensis. Ritengo invece che possa trat- tarsì di varietà intermedia fra il di/urcatus e il nigripes, da cui secondo Staeger (1839) era venuto il nome a tutta la specie, appunto perchè molto frequente. In complesso, considerando bene i caratteri delle specie degli Armopheles proprî della penisola iberica, si vede come essi non possano contribuire a quelle minuziose distinzioni di specie che hanno dato il modo a Theobald di arricchire smisuratamente la terminologia tassinomica. Non mi trattengo in- torno a questo argomento perchè già il Bordi (!), ed altri commentarono e criticarono le conclusioni di cotesto autore. Restano come specie sicure della penisola iberica le quattro che da Ficabi e da Grassi furono tanto esattamente descritte in Italia, e cioè Aropheles pseudopictus, A. superpictus, A. claviger, A. bifurcatus. Debbo rilevare infine, che nella penisola iberica si trova il genere Aédes, il quale nè da Grassi, nè da Ficalbi, è stato trovato in Italia. Patologia. — Cheluria da filaria sanguinis hominis no- cturna in Europa. Nota del dott. D. BronpI, presentata dal Socio TODARO. Ho potuto fare tale osservazione di malattia tropicale su di un giovane ventenne nativo di Gibilterra e dimorante a Siena da poco meno di un anno. La malattia si iniziò cinque mesi or sono in mezzo al più completo benes- sere, senza febbre, e senz'altro disturbo, che urina chilosa, dimagramento e fame. Col dosaggio, si è determinato che la quantità di grasso perduta con le urine è sopratutto abbondante dopo i pasti e varia con le alimentazioni. Ho potuto constatare solo di notte, mentre l’ammalato riposa, le larve nel sangue periferico, donde sono ingerite da speciali zanzare che possono propagare la malattia. La malattia è nota nei tropici e l'osservazione in in- dividuo derivante da un paese, che si trova allo stesso grado di latitudine della Sicilia e dove non esiste il male, è nuova. In genere, la filariosi umana, che a differenza di quella dei cani (filaréa immitis) dà chiluria, induce morte per gli effetti della progressiva denutrizione. Nel mio malato le larve di filaria vivono numerosissime nel sangue (sino a 15 per campo microscopico) senza dare reazione di sorta e senza di- sturbi subbiettivi; dippiù, come risulta dalle preparazioni istologiche, senza indurre notevole eosinofilia e leucocitosi. Ciò forse perchè i loro prodotti di ricambio non sono tossici. (1) Contribuzione alla sistematica dei culicidi etc. (Rend. d. R. Acc, dei Lincei, 7 dibembre 1902). > — 599 — In seguito a speciale procedimento, ho potuto conservare vive le larve in preparati di sangue per molti giorni. In tali preparati, anche dopo 15 giorni di conservazione, si vedono numerosissime larve che si muovono nel campo microscopico con vivacissimi movimenti come quelli di anguille. La luce, la temperatura ambiente, quella sotto zero, non esercita influenza sulle larve, a condizione di proteggere il preparato dallo essiccamento. Oltre l’ essicca- mento, bastano soluzioni diluitissime acidificate, soluzioni antisettiche come quella all'1 su 50,000 di sublimato, di tachiolo, di acido fenico, di lisolo, per indurre immediatamente morte delle larve. Anche soluzioni all’1°/co di bicloruro di chinino e soluzioni alcaline uccidono prontamente le larve. Nelle urine chilose, ed ematochilose, come si raccolgono in seguito passeggiate od a strapazzo del malato, si vedono appena emesse ed in seguito alla centrifugazione, molte larve di filaria, di cui alcune morte ed altre vive con movimenti poco attivi e che muoiono dopo circa 4 ore, forse per la acidità delle urine. Inoculando urine e sangue con larve vive in molti animali, non si è indotto sinora filariosi. Nei preparati a secco, dopo l'azione di alcuni mordenti, mi è stato dato di avere ottima colorazione delle larve con il d/ew di metilene e l’eosina. Iniezioni sottocutanee di sublimato per cinque giorni di seguito, nella proporzione di un centigrammo per giorno, hanno dato leucocitosi e diminu- zione del numero delle larve circolanti, senza che resti influenzata la chiluria. Iniezioni sottocutanee di cloruro di chinino per altri cinque giorni di seguito, nella proporzione di un grammo per giorno, hanno dato polinucleosi e notevole diminuzione delle larve circolanti. In seguito a quest’ ultimo trat- tamento si è potuto raccogliere le urine per alcuni giorni intermittentemente limpide, ed in quelle chilose si è potuto col dosaggio determinare diminuita la quantità di grasso perduto. Ho in corso altre osservazioni sulla patogenesi della chiluria che pare derivi dai linfatici del trigono vescicale, per parziale ostruzione del dotto toracico occupato dal parassita evoluto. Inoltre ho in corso ricerche istolo- giche su diverse zanzare raccolte dalla camera occupata dal malato, per de- terminare se anche queste zanzare possono propagare la malattia. L’acido timico per via gastrica nella proporzione di sei grammi in sei ore di seguito è stato bene tollerato, però non ha influenzato il decorso del male. Infine ho iniziato tentativi terapici coll’estratto di felce maschio per agire per via gastro-intestinale direttamente sul parassita evoluto che, come sì è detto, risiede probabilmente nel dotto toracico ed è causa delle ma- nifestazioni morbose. n — 540 — PERSONALE ACCADEMICO Il Vicepresidente BLaseRNA da il triste annuncio delle perdite fatte dall'Accademia nelle persone del Socio nazionale senatore prof. LuIiei CRE- MoNA, morto il 10 giugno corr., e del Socio straniero CARLO GEGENBAUR, mancato ai vivi il 14 giugno corr. Apparteneva il primo all'Accademia, sino dal 7 dicembre 1873, e ne faceva parte il secondo dal 20 settembre 1887. Dopo di aver brevemente ricordato i meriti degli estinti, il Vicepresi- dente aggiunge che una speciale Commemorazione di entrambi sarà fatta nella prima seduta che terrà la Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali; e propone, e la proposta è approvata all'unanimità, che siano in- viate le condoglianze dell’Accademia alle famiglie degli estinti. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Socio VoLTERRA fa omaggio di alcune pubblicazioni del prof. GùNTHER e ne discorre; ed offre, alcune altre pubblicazioni a nome dell'autore pro- fessore LEBON. COMITATO SEGRETO Nell’adunanza generale del 6 giugno 1903, la Commissione incaricata di giudicare il concorso al premio Reale, del 1901, per la Matematica, comu- nicava la seguente Relazione all'Accademia, per mezzo del Socio VERONESE, relatore. Relazione della Commissione del concorso al premio Reale di Matematica scaduto nel 1901. — Commissari: L. BIANCHI, V. CeERRUTI, U. Dini, E. D’Ovipio e G. VERONESE (relatore). Al concorso pel premio reale di matematica, scaduto il 31 decembre 1901, chiesero di essere ammessi i sigg. BoncI CESARE, GENNA PIETRO, LoJacono DomeNIco, PascaL ERNESTO, Ricci GREGORIO, UGOLINI GiuLIO e infine CasteLNUOvo Guipo ed EnrIiques FeDERIGO uniti insieme. Non diamo l'elenco delle pubblicazioni dei singoli concorrenti, perchè bisogna anzi tutto risolvere una questione di massima e avere una norma anche in casì con- simili in avvenire. Sì presentano a questo concorso i proff. sigg. Castelnuovo ed Enriques come un solo concorrente, con Memorie singole e con Memorie comuni. — ddl — La questione di massima da risolvere è la seguente: Sono ammesse a questi concorsi Memorie o Scoperte singole di più autori uniti insieme, quando siano fatte indipendentemente dall'uno e dall'altro in uno 0 più campi della scienza posta a concorso? Esponiamo prima di tutto i fatti. I sigg. Castelnuovo ed Enriques pre- sentano le loro pubblicazioni dedicate alla teoria delle superficie algebriche, segnalandone alcune sulle quali chiedono in particolare il giudizio dell’Acca- demia. Essi dicono testualmente nella loro domanda: « Desideriamo che il giudizio sia complessivo sulla nostra comune opera. « Tale desiderio ci par giustificato dal fatto che le nostre ricerche sebbene «in parte compiute separatamente l'uno dall'altro di noi, sono tuttavia stret- « tamente collegate, e secondo un comune ordine d'idee tendono ad unico « fine, quello di perfezionare la teoria delle funzioni algebriche di due varia- « bili. D'altra parte le nostre principali ricerche si trovano riassunte in una 4 pubblicazione dell'anno corrente, cui noi due abbiamo collaborato. e dove « abbiamo esposto gli ultimi risultati più generali ai quali insieme per- «venimmo » (!). Le pubblicazioni da essi presentate, e di cui alleghiamo l'elenco, sono trentuna, delle quali tredici di Castelnuovo, quindici di Enriques e tre comuni. La prima di queste Memorie di Castelnuovo fu pubblicata nel 1890, quella di Enriques nel 1893. Le pubblicazioni invece sulle quali gli autori doman- dano in particolare il giudizio dell’Accademia sono quindici, delle quali sei di Castelnuovo, sei di Enriques e tre comuni. Di queste le due prime di Castelnuovo furono pubblicate nel 1893, la prima di Enriques nel 1894. Questi due autori chiedono inoltre che il giudizio dell’Accademia sia complessivo sulla loro opera, sebbene tre sole delle pubblicazioni da essi presentate siano state fatte in comune. Queste pubblicazioni comuni consistono in due Note che trattano argomenti secondarî, e furono pubblicate nel 1895 l'una, nel 1900 l’altra; e in una Memoria riassuntiva dei risultati ottenuti dagli autori separatamente e indi- pendentemente l'uno dall'altro, perfezionati e integrati coll'aggiunta di nuovi risultati. Questa Memoria, che è la principale delle pubblicazioni comuni, fu pubblicata nel 1901. La Commissione, riunitasi ai primi di decembre 1902, osservò che nei concorsi a premi reali si ebbero finora due soli casi tipici di lavori compiuti in comune. 1.° Quello del lavoro del fisico Pisati e del geodeta Pucci sulla lun- ghezza del pendolo a secondi in Roma, presentato al concorso del premio reale di fisica, scaduto nel 1882; 2.° quello della voro del prof. Ciamician sulla costituzione del pirrolo, presentato al concorso del premio reale di chimica, scaduto nel 1887. Questi RenpICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 70 — 542 — due casi erano diversi, e diversi quindi furono i giudizî dell'Accademia. Nel primo caso, poichè era necessario alla soluzione del quesito, il concorso di un fisico e di un geodeta, divise il premio fra i due autori, nel secondo caso, ancorchè in alcune delle molte Memorie che su quel tema furono presentate dal Ciamician altri nomi comparissero, il premio fu aggiudicato per intero al Ciamician, poichè si giudicò che gli altri (i quali non avevano preso parte al concorso) avevano prestato un'opera di semplice aiuto, tale da non dimi- nuire il merito dell'autore principale. Il caso dei proff. Castelnuovo ed Enri- ques è dunque affatto nuovo. Si tratta di due autori che avendo lavorato separatamente e indipen- dentemente l'uno dall'altro nella maggior parte delle loro Memorie principali, e l'uno prima dell'altro, in un determinato campo della geometria con metodi analoghi, sebbene seguendo specialmente nelle loro prime Memorie criteri di ricerca diversi, domandano un giudizio complessivo oltre che sulle tre pub- blicazioni effettivamente fatte in comune, anche sulle altre. i La Commissione, considerando che altra volta la Presidenza, si rivolse al Consiglio di Stato per chiedere di dare il parere sulla interpretazione del regolamento per i premi reali, credette opportuno di pregare la Presidenza di rivolgersi di nuovo all'alto Consesso. Frattanto il 20 decembre gli autori presentavano alla Presidenza un me- moriale per spiegare come essi ritengono conforme al regolamento, che deter- mina le istituzioni dei premi reali, il desiderio espresso nella loro. domanda che le loro Memorie vengano considerate come un unica opera, da ammet- tere al premio reale, pregando che le loro considerazioni fossero comunicate al Consiglio di Stato. E la Presidenza in nome dell’Accademia per mezzo del Ministero della Pubblica Istruzione, fatta rilevare la differenza di questo caso dai due surriferiti e notando che ci si trova dinanzi a tre concorrenti: il prof. Castelnuovo, il prof. Enriques e l'unione Castelnuovo-Enriques formu- lava i seguenti quesiti: 1.° Quantunque la domanda sia sottoscritta da ambedue gli autori, può o deve l'Accademia esaminare partitamente i lavori di ciascuno dei due per stabilire il loro merito relativo ? A tale giudizio concorrerebbero anche i lavori fatti in comune dai due autori, a cui per questa parte comune, si assegnerebbe uguale merito. Quest'ul- tima assegnazione non altererebbe il merito relativo dei due autori, ma darebbe a ciascuno di essi il valore assoluto per servire di confronto con quello degli altri concorrenti. 2.° Ovvero, deve l'Accademia alla domanda fatta in comune rispondere soltanto con un giudizio sui lavori fatti in comune? E siccome uno di essi contiene un sunto dei lavori fatti partitamente dai due autori, può e deve l'Accademia tener conto del merito intrinseco accennato in tali sunti, con- — 543 — siderandoli, sia come opere separate dei due, sia come opera preparatoria per il lavoro sintetico dei due autori riuniti ? In quest'ultimo caso, se cioè l'Accademia volesse considerare i lavori sepa- rati dei due autori, e accennati nei sunti, come lavori preparatorî per l’opera sintetica dei due autori riuniti, basterebbe il giudizio eventualmente proferito dall’Accademia, che cioè l'insieme deve considerarsi come una scoperta unica, per giustificarla di fronte agli altri concorrenti, i quali nella loro aspirazione al premio reale, si troverebbero a lottare colle loro forze isolate contro quelle dei due autori riuniti ? Non mancava poi la Presidenza di far notare al Consiglio di Stato che più volte fu diviso il premio fra due concorrenti quando ciascuno avrebbe meritato il premio se non avesse avuto competitori, e i /avori dei due con- correnti, non essendo comparabili, non consentivano una graduazione di merito. Il Consiglio di Stato (sez. I), nel parere dato nell'adunanza del 23 gen- naio 1902, accenna fin da principio alla questione mossa dall'Accademia sul- l'ammissibilità al premio reale dei /avor: fatti in comune, da due o più autori, e sul modo di loro esame, mentre dalla domanda dell'Accademia ri- sulta non già che il lavoro di Castelnuovo ed Enriques sia /a/to în comune, ma che in comune fu fatta la domanda per l'ammissibilità al premio. Data questa premessa, non corrispondente del tutto al caso in esame, il Consiglio di Stato, dopo avere riportati nelle sua relazione i quesiti dell'Acca- demia pronunciò il seguente parere: « Considerato che con l'ultima questione proposta la R. Accademia dei Lincei tocca direttamente il punto dal quale conviene cominciare. In ri- guardo di che conviene guardare alla natura del concorso, in quanto cioè pel fine a cui esso è diretto, miri piuttosto alla designazione di un merito assoluto che di un merito relativo, o viceversa. Della prima specie sono i concorsi, nei quali per l' intento dell incremento delle scienze e delle arti, o per data opera di pubblico decoro, viene con un premio stimolata l'energia dei possibili concorrenti, e compensata almeno in parte la spesa cui even- tualmente devono sobbarcarsi; sono della seconda specie i concorsi che han per oggetto l'assegnazione di uffici, posti, cariche, con l'intento di fare eletta dei migliori nella media capacità che si richiede per lo adempimento delle funzioni proprie della carica. In questa specie di concorsi, il merito assoluto trova designazione in un minimum sotto il quale non si può discendere; e questo m/n2mum è punto di partenza ad una graduatoria dei concorrenti che è essenziale perchè è nei fini del concorso; nella prima specie, di un minimo conseguibile sarebbe fuor di luogo parlare e la tenzone del merito sì spazia, se trattasi di opera scientifica, dal punto in cui la scienza è già prevenuta al punto conseguibile dalla indefinita potenza dello spirito umano; se di opera letteraria o di arte nell'incessante conato dello spirito a tradurre in =_= — deetamenza La = vo MW — 544 — forma il fuggevole fantasma del pensiero e della idea. In questa specie di concorsi la graduatoria non è punto necessaria, perchè non è nei fini del con- corso; e se la si fa, si fa solo a soddisfazione legittima, se vuolsi, dei con- correnti; ma questa graduatoria. non rappresenta una distribuzione di sedi fra un punto già fisso ed un massimo raggiunto; rappresenta bensì un ordine fra i concorrenti, senza nessun rapporto ad un modulo di ragguaglio. Di che per conseguenza è da concludere che in queste due specie di concorsi il valore del giudizio sul merito assoluto e sul merito relativo è in ragione inversa; perciocchè di quanto incomparabilmente più alto nei primi il giudizio del merito assoluto, di altrettanto perde in valore ed importanza il giudizio sul merito relativo, che è invece di essenza e di massima importanza nei secondi. « Considerato che da ciò direttamente ad un'altra conseguenza si discende ed è che mentre nei concorsi della seconda specie sarebbe impossibile ammet- tere un lavoro che da più concorrenti fosse in comune compiuto, nulla osta perchè di tali lavori siano ammessi nei concorsi della prima specie, perchè in questo oggetto proprio del premio è l’opera che rimane acquisita alla scienza o all'arte, non la persona alla quale nessun'altra cosa si chiede, e con la quale nessun vincolo si contrae; nè per il premio che ad un’ opera in comune compiuta venga concesso. alcuna ragione di doglianza possono avere coloro i quali presentarono il frutto dei loro lavori individuali, perchè il con- corso non è indetto ad esperimento di individuale capacità, ma al inere- mento delle liberali discipline. ‘ « Considerato che di qualunque specie sia il concorso, la riuscita del medesimo vuol essere considerata con mira diretta a ciò che quale oggetto del concorso fu proposto; o in altri termini al tema che o propose a sè stesso il concorrente in un concorso libero, o alla classe dei concorrenti fu imposto dall’ autorità che indisse il concorso. «Che quindi presentato da più autori un lavoro in comune, ancorchè, questo risulti da un certo numero di Memorie, che dell’uno e dell’altro sieno proprie, il giudizio, di regola, deve essere dato sul complesso del lavoro; non sulle singole parti, che nel lavoro fatto in comune ciascuno degli autori si assunse, perchè in nessuna di quelle parti è tutto intero il tema, e il tema non compiuto non vince il concorso. « Considerato che « pr0r7 giudicando, non pare che a questa regola pos- sano farsi più di due eccezioni: 1° quando nei lavori individuali di uno studio fatto in comune, abbiano a ravvisarsi opere distinte in loro specie e per sè indipendenti, ma dirette ad unico risultato non conseguibile che col concorso di diverse discipline, quale fu appunto il caso del concorso Pisati-Pucci; 2° quando pure essendo per avventura difettoso il tema nelle sue conclu- sioni, possa alcuno dei lavori parziali apparire di per sè meritevole del premio del concorso; o perchè contenga esso stesso una rilevante scoperta, o perchè siasi per esso fatto un lungo passo nel cammino della scienza. — 545 — « Tale è il parere della Sezione sui quesiti che furono proposti ». La Commissione, riunitasi il 5 aprile p. p. e presi in esame gli Atti e le pubblicazioni dei proff. Castelnuovo ed Enriques per quanto concerne la questione di massima, se cioè essi costituiscano effettivamente un lavoro fatto in comune, ebbe subito ad osservare che nel parere del Consiglio di Stato non è contemplato il caso Castelnuovo-Enriques. Il Consiglio crede infatti, data la premessa sopra riferita, che si tratti di un lavoro fatto in comune, mentre tre sole delle pubblicazioni di Castelnuovo ed Enriques sono fatte effettivamente in comune, delle quali la principale è quella stampata nel 1901, nell’anno in cui scadde il concorso, e le altre, per essere state fatte dagli autori separatamente e indipendentemente l'uno dall'altro, non si pos- sono considerare come un lavoro fatto in comune nel quale ciascun autore abbia trattato questa o quella parte, come se fossero i capitoli di un’ opera unica. Per lavoro compiuto in comune da più autori devesi intendere quello nel quale vogliono fin da principio secondo un programma di ricerche stabilito risolvere insieme una determinata questione. Questi lavori più che nelle spe- culative sono frequenti nelle scienze sperimentali, dove è talvolta necessario il concorso di discipline o di attitudini diverse per la risoluzione di determinati problemi. Tale fu il lavoro sopra citato di Pisati-Pucci. E sebbene nelle ricerche originali di matematica pura per la loro natura speculativa sembri difficile la unione di più autori, pure non manca qualche esempio di lavori fatti in comune, come quello di Brill e Noether sulle curve algebriche. Ora, gli art. II e VI del regolamento dei concorsi ai premi reali, per le Memorie presentate al giudizio dell’Accademia non fanno cenno che di un autore, e parrebbe quindi che di regola non fossero ammissibili i lavori pre- sentatì da parecchi ad un tempo. Ma per lo spirito stesso dell'istituzione si direbbe che non s'abbiano ad escludere quelli fatti in comune da più autori per risolvere determinate questioni. Non è però un lavoro fatto in comune quello risultante dall’insieme delle Memorie di più autori che separatamente e indipendentemente l'uno dall'altro hanno ottenuto dei risultati in una data scienza o in un campo più o meno vasto di essa, anche quando i risultati degli uni hanno servito agli altri, per conseguire nuovi risultati, con metodi più o meno analoghi. Non sì tratta più allora di un lavoro compiuto in comune, ma di un lavoro ottenuto da più autori indipendentemente gli uni dagli altri. Ad avviso della Commissione, per lo spirito della istituzione dei premi reali e del regola- mento che ne determina le norme, siffatti lavori devono essere esclusi dai concorsi al premi reali. Oltre al caso attuale, altri casi simili ma più gravi potrebbero presentarsi in avvenire. È noto infatti che l'Accademia più volte ha premiato l'insieme dei lavori di un concorrente, anche quando erano per con- tenuto diversi. ea «= Sì ra [ria re sr: I RO a LN dna faina da ——IRA e el —— © Wiocl. A0 ariana vita \0A e tt — 546 — Ora, se fosse ammesso il principio che lavori indipendentemente fatti da più autori in un campo più o meno ampio di una data scienza potessero concorrere insieme al premio reale, ne scenderebbe tosto la conseguenza che parecchi studiosi che abbiano lavorato nello stesso campo o in campi diversi, indipendentemente gli uni dagli altri, potrebbero unirsi insieme e presentarsi al concorso del premio reale, invocando a loro giustificazione e beneficio i precedenti. E poichè per l’art. I del regolamento si devono premiare le mi- gliori Memorie (o scoperte) e quindi, quando è possibile, bisogna fare un confronto di merito fra le Memorie presentate, è chiaro che la somma delle Memorie di più autori riuniti avrebbe a prior: sulle altre di autori isolati maggiore probabilità di vittoria. La Commissione non nega l'importanza delle pubblicazioni dei due valo- rosi autori, che più di altri in Italia si sono occupati della geometria sulle superficie algebriche, ma crede che manchi all'insieme di esse l’unità scien- tifica del lavoro fatto in comune. Alla Commissione non rimanevano quindi che due soluzioni possibili: o esaminare e giudicare il merito dei lavori dei professori Castelnuovo ed Enriques come se fossero due concorrenti distinti, tenendo anche conto del merito che può essere a ciascuno attribuito per le pubblicazioni fatte in comune; ovvero esaminare e giudicare le sole pubblicazioni compiute in comune, considerando gli autori come un solo concorrente, e quindi escludendo dal giudizio le Memorie particolari di ciascuno. L'una e l'altra soluzione avrebbero potuto essere discusse dall'Accademia, ma a tale discussione si oppone la domanda stessa dei proff. Castelnuovo ed Enviques, i quali domandano un giudizio complessivo sulla loro opera costituita dalle Memorie presentate e in particolare da quelle segnalate nel loro elenco, comprese dodici Memorie non comuni. È chiaro altresì che essendo la questione di massima indipendente da quella del merito, rimane intatto il diritto dei proff. Castelnuovo ed Enriques di presentare gli stessi lavori a futuri concorsi del premio reale nei termini prescritti. Dopo queste considerazioni la Commissione ritenendo suo dovere di sot- tomettere alla sentenza dell'Accademia la questione di massima, astenendosi intanto da un giudizio sul merito relativo delle Memorie degli altri concor- renti presentate al concorso, all'unanimità sottopone all'approvazione dell’Ac- cademia la seguente proposta: Visto il parere del Consiglio di Stato in data 23 gennaio 1903 sul- l'ammissibilità ai premi reali dei lavori fatti in comune, udita la relazione della Commissione del concorso al premio reale di matematica, sesta oi — delibera : 1° che l'insieme delle pubblicazioni dei proff. Castelnuovo ed Enri- ques, sulle quali chiedono un giudizio complessivo non possono riguardarsi come un'opera unica fatta in comune; 2° che per la domanda stessa dei due autori non si possono giudicare i loro lavori separatamente, considerandoli come due concorrenti distinti, nè giudicare le sole pubblicazioni da essi fatte in comune, considerandoli come un solo concorrente, 3° che tale deliberazione non pregiudica il diritto dei proff. Castel- nuovo ed Enriques di presentare gli stessi lavori a futuri concorsi del premio reale di matematica nei termini prescritti, 4° che il giudizio sulle Memorie degli altri concorrenti sia rinviato all'anno venturo. Elenco (in ordine cronologico) delle Memorie presentate da Castelnuovo ed Enriques al concorso per il premio Keale per la Matematica, del 1901. (Le iniziali C. ed E. indicano l’autore). I lavori sui quali gli Autori chiedono in particolare il giudizio del- l'Accademia sono indicati con un asterisco apposto al numero corrispon- dente. 1-C. Sulle superficie algebriche le cui sezioni piane sono curve ipe- rellittiche (1890). — 2-C. Sulle superficie algebriche le cui sezioni sono curve di genere tre (1890). — 3-C. Ricerche generali sopra i sistemi li- neari di curve piane (1891). — 4 e 5-C. — Osservazioni intorno alla geometria sopra una superficie algebrica (Nota le II) (1891). — 6-E. L:- cerche di Geometria sulle superficie algebriche (1893). — 7-E. Una que- stione sulla linearità dei sistemi di curve appartenenti ad una superficie algebrica (1893). — 8*-C. Sulla razionalità delle involuzioni piane (1893). 9*-C. Sulle superficie algebriche che ammettono un sistema doppiamente Infinito di sezioni piane riduttibili (1894). — 10*-C. Sulle superficie al- gebriche le cui sezioni piane sono curve ellittiche (1894). — 11-E. Sulla massima dimensione dei sistemi lineari di curve di dato genere apparte- nenti ad una superficie algebrica (1894). — 12*-C. Sulle superficie aige- briche che contengono vna rete di curve iperellittiche (1894). — 13*-E. Sui sistemi lineari di superficie algebriche ad intersezioni variabili iperellit- tiche (1894). — 14*-E. Introduzione alla geometria sopra le superficie algebriche (1894-96). — 15-C. Alcuni resultati sui sistemi lineari di curve appartenenti ad una superficie algebrica (1894-96). — 16*-C. Sulle su- perficie di genere cero (1894-96). — 17*-C. ed E. Sulle superficie alge- | Ì pe "PÒ _-e_ eee i Tg — 543 — briche che ammettono un gruppo continuo di trasformazioni birazionali în sè stesse (ms.) (1895). — 18-E. Sopra le superficie algebriche di cui le curve canoniche sono iperellittiche (1896). — 19*-E. Sui piani doppi di genere uno (1896). — 20*-E. Sulle irrazionalità da cui può farsi di- pendere la risoluzione di un'equazione algebrica f(xyz)=0 con funzioni razionali di due parametri (1896). — 21*-C. Alcune proprietà fonda- mentali dei sistemi lineari di curve tracciati sopra una superficie alge- brica (1897). — 22-E. Le superficie algebriche di genere lineare pv» = 2 (1897). — 23-E. Sulle superficie algebriche di genere lineare p» =3 (1897). — 24-0. Sul genere lineare di una superficie e sulla classificazione a cui esso dd luogo (1897). — 25-E. Sui piani doppi di genere lineare pv = 1 (1898). — 26*-E. Sopra le superficie algebriche che contengono un fascio di curve razionali (1898-99). — 27-E. Una proprietà delle serie conti- nue di curve appartenenti ad una superficie algebrica regolare (1899). — 28*-C. ed E. Sulle condizioni di razionalità dei piani doppi (1900). — 29*-C. ed E. Sopra alcune questioni fondamentali nella teoria delle su- perficie algebriche (1900-01). — 30-E. Sopra le superficie algebriche che ammettono integrali di differenziali totali di prima specie (ms.) (1901). — 31*-E. Intorno ai fondamenti della geometria sopra le superficie alge- briche (1901). Sulle conclusioni della Commissione sorse una discussione, alla quale presero parte, in senso diverso, i Soci SecrE, VoLTERRA, CARLE, GABBA, SCHUPFER e il relatore VERONESE. In seguito a richiesta del Socio SEGRE, le proposte della Commissione furono messe partitamente ai voti, e risultarono approvate dall'Accademia. Dopo la lettura e l'approvazione della Relazione dei Commissarî FINALI e StRINGHER, sul bilancio accademico del 1902, l'Amministratore VoL- TERRA ricordò all'Accademia che non era stato tenuto conto nei preventivi passati, come risultava dalla Relazione anzidetta, di un premio Reale per le Scienze sociali ed economiche non conferito nel 1898, prorogato a tutto il 1903, e che dovrà conferirsi nel 1905. Il Socio VOLTERRA propose quindi, e l'Accademia approvò, che la deli- berazione presa nell'adunanza generale del 3 giugno 1899, e in particolare la disposizione transitoria « di far servire ogni residuo di premio Reale non conferito all'unico scopo della integrale ricostituzione del fondo di tali premî » sia estesa a tutto l'anno 1905. — 549 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 6 giugno 1903. Anderson T. and Flett J. S. — Report on the eruptions of the Saufrière, in S'. Vincent, in 1902, and on a visit to Montagne Pelée, in Marti- nique. Part I (From Phisoph. Trans. of the R. Soc. of London. Series A. Vol. 200 ecc.). London, 1903. 4°. Baroni M. — Sulla ricerca di norme che determinino la stabilità delle costruzioni in calcestruzzo armato. Milano, 1903. 8°. Bassani F. — Sui pesci fossili della pietra leccese. Lettera al prof. Cosimo De Giorgi in Lecce. Lecce, 1903. 4°. Barezcxums Y.-byiie E. 0. — Yxasarexs eb Marepiazame, copazHsime T. UyBUHHCKUMB Bb “ Tpyaxb 9THOrpaputeckoli craTUCTHTecKOÎT dKCMeNMITM HXMMIepaTopcKaro pycckaro reorpapuueckaro o0mectBa Bb 3ama1Hopyccrifi Kpaii ,. Kazan. 1900. 8°. Bellucci G. — La chimica e la fisica nell’astronomia. Perugia, 1903. 8°. Betti E. — Opere matematiche pubblicate per cura della R. Acc. dei Lincei. Tom. I. Roma, 1903. 4°. Borredon G. — Dell'attrazione planetaria, forza centripeta e gravitazione universale. S. 1. 1903. 8°. — La legge del sistema planetario, o l'armonia del moto dei suoi corpi. SAMI903N80 Clemm W. N. — Die Gallensteinkrankheit, ihre Haufigkeit, ihre Entstehung, Verhitung und Heilung durch innere Behandlung. Berlin, 1903. 8°. Pyépopb A. — Pyopa siarumipceroti ry6epriz. Mockpa, 1902. 8°. Ginther S. — Das Polarlicht im Altertum. Leipzig, 1903. 8°. — Faltungs- und Plateaugebirge in ihrem Verhalten zur Verteilung der Schwerkraft. (Sonderabdruck aus « Das Weltall »). Berlin, s. a. 4°. Lebon E. — Sur un manuscrit d'un cours de J.-N. Delisle au Collège Royal. 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Paetzold E. — Beitrige zur pharmacognostischen und chemischen Kenntnis des Harzes und Holzes von Guajacum officinale L. sowie des « Palo Bal: samo ». Strassburg, 1901. 8°. IHaHoga H. — O 6yropuarrb, BH3HBACMOÎT Y :RMBOTHBIX'B MeprBLIMI, TYOCp- kyesnsima 6anmi.ama. IOppeBr. Parezewski (E. von) — Prognose der Zangenoperationen nach den Resulta- ten der Universitàtsklinik zu Strassburg in den 10 Jahren 1891-1900. Strassburg, 1902. 8°. Pentz A. — Zur Behandlung der Varicen und der varicòsen Ulcera. Kiel, 1902. 8°. Perlewitz P. — Versuch einer Darstellung der Isothermen des Deutschen Reichs fir Jahr. Januar und Juli nebst Untersuchungen iber regionale thermische Anomalieen. (Mit 3 Karten). Stuttgart, 1902. 8°. Pernhorst G. — Ueber die Entstehung von peritonealen Verwachsungen nach Laparatomie. Kiel, 1901. 8°. Peters A. — Zur Kasuistik der schwersten Formen von Perityphlitis. Kiel, 1902. 8°. Pfannkuche A. — Zur Kenntniss der seròsen Peritonitis und der Perihepa- titis im Zusammenhang mit Pericarditis und Pleuritis: Kiel, 1901. 8°. Pincsakowski F. — Die Verbreitung des Trachoms in Schleswig-Holstein. Kiel, 1901. 89. Prahl E. — Zur Frage des durch ein Trauma bedingten Locus minoris resi- stentiae in Knochen und Gelenken. Kiel, 1902. 8°. zia FESTA ner - = aee___.:+ =. — 562 — Preller X. — Ueber Keratoconus, besonders den pulsierenden. Jena, 1902. 8°. Raben E. — Beitràge zur Kenntniss der Acetalisirung bei den Aldehyden und Ketonen. Kiel, 1902. 8°. Rechenberg (E. v.) — Ueber Einschrinkung des Getreidebaues zu Gunsten der Viehhaltung. Neiste, 1902. 8°. Reek Th. — Beitrag zur Symptomatologie der Paralysis agitans. Kiel, 1902. 8°. Rehekampjf A. v. — Die wirtschaftlichen Verhiltnisse des baltischen Insel- bezirks. Jena, 1901. 8°. Reibisch J. — Ueber den Einfluss der Temperatur auf die Entwicklung von Fisch-Hiern. Kiel, 1902. 4°. Reinecke R. — Ein Fall von Aorten-Aneurisma mit Lungengangràn. Kiel, 19024898 Reiss Ed. — Klinische Beobachtungen iiber Ostoemyelitis der langen Réh- renknochen, besonders in Bezug auf die Epiphysenknorpelfuge und die begleitenden Gelenkaffectionen. Berlin, 1901. 89. Reiss Em. — Der Brechungskoefficient des Blutserums als Indikator fi den Eiweissgehalt. Strassburg, 1902. 8°. Revenstorf H. — Ueber die Implantation der Ureteren in den Darm zur Heilung der Ektopia vesicae. Kiel, 1901. 8°. Richter A. — Zwei Falle von Aktinomykose als Beitrag zur Kenntnis der Generalisation aktinomykotischer Erkrankungen. Kiel, 1901. 8°. Rigler O. — Die Aktinomykose in Thiringen. Jena, 1901, 8°. Rodiger C. — Untersuchungen iber das Doppelsternsystem Algol. Kònigs- berg, 1902. 8°. Rohmer P. — Ueber Knochenbildung in verkalkten endocarditischen und endarteritischen Heerden. Berlin, 1901. 8°. Roosen-Runge C. — Ueber die Bedeutung des Trauma in der Aetiologie der disseminirten Fettgewebsnekrose. Berlin, 1902. 8°. Rosell M. — Ueber Nachweis und Verbreitung intracellulàrer Fermente. Strassburg, 1901. 8°. Rosenthaler L. — Phytochemische Untersuchung der Fischfangpflanze Ver- bascum sinuatum L. und einiger anderer Scrophulariaceen. Frankfurt, 1190,1t8s: Ròssler P. — Ueber einige Derivate des Aethanolamins. Jena, 1902. 8°. Rost G. — Ein Beitrag zu den Vaginaleysten. Kiel, 1902, 8°. Rostock R. — Ueber Aufnahme und Leitung des Wassers in der Laub- moospflanze. Erfurt, 1902. 8°. Rothmann J. — Ueber das Vorkommen von Hydrocele bei Kiyptorchismus. Kiel, 1902. 8°. Eicker H. — Zur Kenntnis des Himatoporphyrins und seiner Derivate. Strassburg, 1901. 89. Saathojf L. — Ein Fall von fast vòlliger fibròser Entartung der rechten Herzkammer. Kiel, 1902, 8°. — 563 — Salomon O. — Zur Kenntnis des Schrophuloderma. Kiel, 1901. 8°. Sauer F. — Ueber einen eigentimlichen Fall yon Luxatio patellae lateralis. Kiel, 1902. 8°. Schaumann L.— Ueber 8-Benzyltetrahydroisochinolin und demselben nahe- stehende Kéòrper, nebst Beitrigen zur Kenntnis des «-Benzylisochinolins. Kiel, 1902. 8°. Schaaff E. — Die Methoden der Behandlung des Keratoconus. Strassburg, 1902. 8°. Schaeffer F. — Zur Frage der Behandlung .der Uterusruptur. Strassburg, 1902. 8°. Scheitz P. — Die Exarticulatio femoris, ihre Geschichte und moderne Aus- fihrung. Jena, 1901. 8°. Schierning F. — Ueber Stenose und ulceròse Zerstorung des Duodenums durch zerfallende kasige Portaldriisen, grosse verkisende Tumoren der Leber. Kiel, 1902. 8°. Schlagintweit 0. — Ueber Balkengeschwiilste. Coburg, 1901. 8°. Schlegel M. — Ueber physiologische und durch thermische Eingriffe bedingte Veranderungen der Trockensubstanz des Blutes. Jena, 1902. 8°. Sehliter R. — Ein Fall von Carcinom des Pharynx und Larynx. Kiel, 1902. 8°. Schmitz F. — Ueber Psychosen bei Herzfehlern. Kiel, 1902. 8°. Schneider A. — Ein Beitrag zur Anatomie der Scheitelbeine des Menschen und der Affen. Strassburg, 1902. 8°. Schneider C. — Zur Phatologie und Therapie eines durch Steinbildung in einem Ureter und Pyonephrose complicirten Falles von Inversio vesicae. aeINalo 050 Schuster O. — Ueber die Tuberkulose bei Handwerksburschen, Gelegenheits- arbeitern und Landstreichern. Kiel, 1901. 8°. Scehitse J. — Ueber Orbitalphlegmone nebst patologisch-anatomischem Be- fund der in einem der Fille beobachteten Skleral- und Cornealulceration. Jena, 1900. 8°, Schwenk JI. — Ueber die Endausgànge deriKalkverletzungen des Auges auf Grund von Beobachtung an der Strassburger Universitàts-Augenklinik. Strassburg, 1901. 8°. Schwarz W. — Zur Wiirdigung der subkutanen Gelatine-Injectionen. Kiel, 1902. 8.° Smyth M. — Beitrige zur Kentnniss der isomeren Diacethernstenisàureester. Jena, 1901. 8°. Munuiznara J. I. — Marepiazi x Parwarororimt Ruta graveolens L. Oppesg, 1902. 8°, Soellner J. — Geognostische Bescreibung der Schwarzen Berge in der siid- lichen Rhòn. Berlin, 1901. 8°. — 564 — Specht. W. — Zur Pathologie der Intentionspsychosen mit besonderer Beriick- sichtigung ihrer Beziehung zu symptomatologisch ahnlichen Krankheits- bildern. Weimar, 1900. 8°. Spethmann H. — Ueber Mammacarcinome. 42 Falle aus der chirurgischen Klinik zu Kiel. Kiel, 1902. 89. Spiethoff B.— Ueber den Blutdruck bei Morbus Basedow, Altenburg. 1902. 8°. Spiller KE. — Ueber Amaurose nach Blutungen. Liibeck, 1901. 8°. Springer E. — Beitrige zur analitischen und toxikologischen Chemie der Alkaloide. Breslau, 1901. 8°, Stadtmayr F. — Ueber die Einwirkung von Natronlauge auf #-Bromphenyl- butyrolacton. Strassburg, 1902. 8°. Starcke E. — Zur congenitalen Chorea. Jena, 1900. 8°. Stark O. — Ueber ein Diketonsàure und ein Ketolacton aus dem Acetyl- aceton. Strassburg, 1902. 8°. Steffen W.— Histologische Untersuchung eines Falles von Dystrofia muscu- lorum progressiva. Kiel, 1901. 8°. Stein A. — Die Spàtausginge der Extrauterinschwangerschaft. Strasshurg. TOPI, Stelling H. — Ein Fall von Stichverletzung der Arteria glutea. Kiel, 1902. 8°. Stickel M. — Uber doppelte Perforation des Augapfels durch Schussverle- tzung. Jena, 1901. 8°. i Straehler L. — Nephrolithiasis mit besonderer Biridkeidlitiging durch Ront- genstrahlen und Heilung durch Nephrotomie. Jena, 1900. 8°. Strassburg H. — Ueber Peritonitis tuberculosa. Kiel. 1901. 89. Stroehlein R. — Ein Fall von ausgedehnter Thrombose des erweiterten linken Ventrikels. Kiel, 1901. 8°. Strohl E. — Die Masernmortalitàt, ihr Verhàltnis zu der an Scharlach, ihr Einfluss auf die Gesammtmortalitàt. Strassburg, 1901. 8°. Titschack F. — Zur Casuistik des Mal perforant du pied mit besondere Beriicksichtigung der hereditàren Anlage. Kiel, 1902. 8°. Theodore E. — Experimenteller Beitrag zur zeitlichen Entwickelung der secundàren Degeneration im Hunderickenmark. Strassburg, 1902. 8°. Trejf_W. — Ueber Pyrrolverbindungen der Camphergruppe. Leipzig, 1900. 8°. Trommsdorjf H.— Die Dispersion Jenaer Gliser im ultravioletten Strahlen- gebiet. Jena, 1901. 8°. Ulrich K. — Die Bestàubung und Befruchtung der Roggens. Halle, 1902. 8°. Varley W. M. — Ueber den im Eisen durch schnell. oscillierende Strom- felder inducierten Magnetismus. Strassburg, 1901. 8°. Via W. — Ein Fall symmetrischevon Gangriàn der Lider und der Thrànen- sackgegend Jena, 1901. 8°. Voretesch ‘0, — Beitrag zur Statistik der Oesophagusdivertikel. Kiel, 1901. 8°. Vogel K.— Einwirkung von Aldebyden auf Aceton-oxalester. Kiel, 1901. 8°. RS —- Vollner Th. — Ein Fall von Aneurisma des Arcus mit Durchbruch in den Herzbeutel. Kiel, 1902. 8°. Wachter E. — Ueber angeboren Hochstand des Schulterblattes Strassburg, LEO Wagener 0. — Ueber die Methoden der Freilegung des Herzens zur Vor- nahme der Naht nach Verletzungen. Kiel, 1902. 8°. Walbaum H. — Zur Methodik der bakteriologischen Wasseruntersuchung mit Angaben iber Bereitung des Nahragars. Jena, 1901. 8°. Wallerstein S. — Quantitative Bestimmung der Globuline im Blutserum und in anderen thierischen Flussigkeiten. Strassburg, 1902. 8°. Wandersleb E. — Ueber die anormale Aenderung des longitudinalen Elasti- zitàtsmoduls einiger Gliser mit de: Temperatur und die Ueberfihrung des nach Erhitzungen sich ergebenden Akkomodationszustandes in einen elastischen Normalzustand mittels gewisser Schwingungen. Jena, 1901. 4°. Waldschmidt M. — Ueber die Erfahrungen bei der operativen Behandlung von Retrodeviationen des Uterus durch Verkirzung und Fixation der Ligamenta rotunda. Kiel, 1902. 8°. Waltermann A. — Die Laparatomie bei Darminvagination im Kindesalter. Kiel 1902. 8°. Weber H. — Ueber psychische Storungen bei Herzkranken. Jena, 1901. 8°. Weeber M.— Ueber uterus bicornis unicollis und seine Beziehungen zu Schwan- gerschaft und Geburt. Strassburg, 1903. 8°. Weidanz O. — Ueber spastische Oesophagustenosen. Kiel, 1902. 8°. Weigand F. — Beitràge sur Kenntnis des Pheny]lpropargylaldehyds und des Monobromzimmtaldeyds. Kiel, 1902. 8°. Weinnoldt E. — Ueber die Konstruktion von Isophengen auf Fléchen 2. Ord- nung. Leipzig, 1901. 8°. Weirich J. — Ueber zwei Falle von angeborenem Myxoedem. Coburg, IICIOIIeRo Weiser 0. — Ein Fall von glaukomatéser Jritis. Jena, 1900. 8°. Weispfenning F. — Zur operativen Behandlung des durch Lebercirrhose bedingten Ascites. Talma'sche Operation. Kiel, 1902. 8°. Weiss F. — Die geodatischen Linien auf dem Catenoid. 8°. Weiss R. — Ueber Cinnamylessigester und die beiden (a-und £-) Naptoyl- essigester, nebst einigen Abkòmmlingen derselben. Kiel, 1902. 8°. Weissbach E. — Pathologisch-anatomische Untersuchung eines infolge von Exophthalmus pulsans erblindeten Auges. Jena, 1901. 8°. Wendt B. — Ueber einen Fall von doppelseitiger metastatischen Ophthal- mie bei einem 24 Wochen alten Kinde. Erlangen, 1901. 8°. Werner C. — Zur Aetiologie der Spitzentuberkulose. Jena, 1901. 8°. Wessling F. — Ueber einen Eall von eitriger Glaskòrperinfiltration, ausgehende von einer Operationsnarbe. Jena, 1900. 8°. ReNDICONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. 73 == AM Westheimer B. — Ueber ‘den heutigen Stand der Lehre von der Angina lacunaris. Strassburg, 1901. 8°. Widera R. — Pharmakognostisch-chemische Studie ber die Verbreitung des Berberins, insbesondere in der Gattung Xanthoxylon. Strassburg, 1902. 8°. Wiens P. — Ueber den Zusammenhang zwischen plòtzlichen Todesfàllen im Wasser und Verinderungen der Thymusdrise. Kiel, 1902. 8°. Wilde P. — Casuistischer Beitrag zur Embolie der Pulmonarterie bei Fractu- ren. Kiel, 1902. 8°. Wilke F. — Ein Beitrag zur Wiirdigung der extracraniellen Resection des III Trigeminusastes nach Kocher. Kiel, 1902. 8°. Winter E. — Ueber secundire Degeneration nebst Bemerkungen iùber das Verhalten der Patellarreflere bei hoher Querschnittsliàsion des Riicken- marks. Berlin, 1902. 8°. Wilp J. — Zur Kasuistik der Cucullarislahmungen. Kiel, 1902. 8°. Windrath F.— Ueber Gastroenterostomie nebst Mitteilungen der vom 1, IV, ‘ 1899 bis 1, IV, 1901 and der chirurgischen Klinik zu Kiel zur ta tion gelangten Falle. Kiel, 1902. 8°. Wortrtann J. — Ein Fall von Enchondrom der Tibia. Kiel, 1902. 8°. Witschel. W. K. — Ueber Ausfallerscheinungen nach Entfernung des wei- blichen Sexualorgane. Strassburg, 1902. Worbes C. — Das Krankheitsbild « Myokymie ». Erfurt, 1901. 8°. Woringer K. E. — Ueber eine neue Methode die Lage des zweiten-Herztons auf dem Kardiogramm zu bestimmen. Strassburg, 1901. 8°. Wibbena W. — Zur Statistik der Keratitiden. Kiel, 1902. 8°. or — INDICE DEL VOLUME XII, SERIE 5°. — RENDICONTI 1903 — 1° SEMESTRE. INDICE PER AUTORI A AccapeMIA. Deliberazione relativa ai premi , Reali non conferiti. 548. AGAMENNONE. « Contributo alla storia del magnetismo terrestre ». 425. ANGELI e AnGELICO. « Sopra i nitropirroli ». 317; 344. Ip. Ip. e CasreLLANA. 4 Sopra alcuni de- rivati della canfora ». 428. AneeLIco. — V. Angeli. Artom. « Sulla produzione dei raggi di forza ‘elettrica. a polarizzazione circo- . lare od ellittica ». 147; 197. B BartoLI. Apertura di un piego suggellato da lui depositato nel 1882; la Memoria nel piego contenuta è rinviata all’esa- me di una Commissione. 100. — Re- lazione sulla precedente Memoria. 257. BrancHIi. « Sulle quadriche coniugate in deformazione ». 215. — « Sulla nozione di gruppo complemen- tare e di gruppo derivato nella teoria dei gruppi continui.di trasformazioni ». 224; 287... ( Bronpi. « Chiluria da filaria sangui- «nis hominis nocturna in EKu- ropa r. 588. Bisconcini. « Sulle vibrazioni trasversali di una lamina; che dipendono da due soli parametri ». 385. BLasERNA (Vicepresidente). Presenta il 2° volume della Relazione sulla spe- dizione della « Stella Polare », inviato in dono da S.A.R.ilDucadegli Abruzzi; e ne parla. 99. — Propone, e l'Accademia approva, l’invio di un telegramma di felicitazione a G. Marconi per i risultati da lui re- centemente ottenuti culla telegrafia senza fili. 22. — Presenta il sig. Marconi all’Accademia e lo invita a fare una comunicazione. 363. . — « Commemorazione del Socio straniero von Wald ». 179. Boegro. « Sulla legge elementare di Weber relativa alle azioni elettrodinamiche di due cariche, elettriche in movimento ». 507. Borzi. « Biologia dei semi di alcune specie d'Inga ». 73; 126. Brizi. « Sulla Botrytis citricola n. sp. parassita degli agrumi».'274; . 818. Bruni e Papoa. « Nuove; ricerche sulle soluzioni solide e sull’isomorfismo ». 348. sti DNS BurcartI. « Sulle condizioni d'integrabi- HT — 568 — lità di un particolare sistema d’equa- zioni alle derivate parziali, e loro ap- picazione a un problema di geome- tria ». 140. C CapELLI. « Sulle relazioni algebriche fra le funzioni 9 di una variabile e sul teorema di addizione ». 152; 224. CaApELLINI. Fa omaggio di alcune pubbli- cazioni del Socio straniero Lepsius e ne parla. 181. CarpINI. « Variazioni dell'attrito interno dei liquidi magnetici in campo ma- gnetico ». 341. CastELLANA. — V. Angeli. CatTADORI. -— V. Plancher. CeRRUTI (Segretario). Dà conto della cor- rispondenza relativa al cambio degli Atti. 23; 101; 181; 283; 363; 452. — Presenta le pubblicazioni dei Soci: Bec- cari. 363; Helmert. 21; de Lapparent. 283; Fischer. 99; Fouqué. 283; Jann- sen. 21; Klein. 180; Lockyer. 99; 363; Noether. 180; Pascal. 363: Pflueger. 21; 363; Pirotta. 99; Pickering, Ri- ghi, Taramelli. 363; Wiesner. 99; — e del prof. C. Guidi. 21. — Fa menzione del vol. III delle « Opere di Galileo Galilei » e delle due pub- blicazioni: « Il primo secolo dell’Ate- neo di Brescia 1803-1902 » e « Joan- nis Bolyai in memcoriam ». 99; di una Relazione della Società sismologica Italiana. 180; del fasc. 6° dell'Atlante fotografico della Luna. 180; del vol. IV, p. 1°, dell'opera: « The Danish Ingolf- Expedition » e del fasc. XXII delle Campagne del Principe di Monaco. 283; di alcune Note autobiografiche di Jac. Berzelius. 363. —. Fa omaggio di un opuscolo del prof. Bortolotti e ne parla. 214. — Comunica gli elenchi dei lavori presen- tati per concorrere al premio Reale per l’Astronomia, a quelli del Mini- stero della P. I. per le Scienze fisiche e chimiche e al premio Carpi per la Botanica, pel 1902. 21; 100. CHÒÙiresortI. « Sulla riduzione elettrolitica delle soluzioni acide di anidride mo- libdica e su alcuni composti del tri- cloruro di molibdeno ». 515. CHistonI. « Misure pireliometriche eseguite a Corleto nell’estate del 1898 ». 10; 53. — « Misure pireliometriche eseguite a Sestola e al Monte Cimone nell’estate 1899 ». 258. Cramician e SiLBER. « Azioni chimiche della luce ». 235. ContaRINI. « Sul moto di un sistema olo- nomo di corpi rigidi ». 424; 507. CrEMoNA. Annuncio della sua morte. 540. D D’AcHIARDI. Annuncio della sua morte. 21. DaLL’Acqua. « Sulle terne ortogonali di congruenze a invarianti costanti ». 147; 153. — « Moti di un punto libero a caratteri- stiche indipendenti ». 194; 243. — « Traiettorie dinamiche di un punto ‘ libero, sollecitato da forze conserva- tive n. 249; 332. Dr AnceLIS D'Ossat. « Il Clisiophyl- lum Thildae n. sp. nel Parà » 443; 515. De FrancHIS. « Sulle corrispondenze alge- briche fra due curve n. 194; 303. DuccescHi. « Di una modificazione macro- scopica del sangue che precede la coa- gulazione ». 94. E EnRIQUES. « Sull' adattamento degli Infu- sorii marini alla vita nell'acqua dolce ». 82. — V. Fano. F Fano ed EnRIQUES. « Sui così detti com- posti salino proteici ». 491. FAnTAPPIE. « Contribuzione allo studio dei Cimini ». 443. — « Contribuzione allo studio dei Cimini. II. Sul Peperino n. 522. — 569 — Foà. « Studio sui Cytoryctes vaccinae ». 88. FratTINI. « Di un gruppo continuo di tras- formazioni ». 48; 74. FuBinIi. « Sul problema di Dirichlet nello spazio iperbolico indefinito ».158; 195. — « Ricerche gruppali relative alle equa- zioni della dinamica ». 424; 502.! G GeGENBAUR. Annuncio della sua morte. 540. Grassi B. Fa omaggio di una sua pubbli- cazione. 363. — e Munaron. « Ricerche preliminari di- rette a precisare la causa del gozzo e del cretinismo endemici ». GueLIieLMo. « Intorno ad un nuovo appa- recchio per la determinazione dell’equi- valente meccanico della caloria e ad alcune modificazioni del calorimetro solare, del dilatometro, del termometro e dello psicrometro ». 165; 204. — «Intorno alla determinazione della den- sità e della massa di quantità minime di un solido ». 165; 310. H HeLBIG D. « Nuova sintesi dell'anidride ni- trica ». 148; 211. — « Sintesi diretta dell’anidride nitrosa ». 148; 166. IneHILLERI. « Sulla eziologia e patogenesi della peste rossa delle anguille ». 13. K KoERNER e VANZETTI. « Intorno all’olivile e la sua composizione e costituzione ». 73; 122. L Longo. « La nutrizione dell'embrione delle Cucurbita operata per mezzo del tu- betto pollinico ». 359. M Marrucci. « I discendenti dei genitori tu- bercolotici (Polli) ». 421. Marconi. Riceve dall'Accademia un tele- gramma di felicitazione. 22; ringra- zia. 101. — Fa una comunicazione sulle sue espe- rienze riguardanti la sintonia, e i suoi impianti ultrapotenti. 363. Marro. V. Mosso. Menarini. « Sulla coniugazione delle ame- be ». 274. Menozzi. « Identità della colesterina del latte con quella della bile». 73; 126. MiLLosevica. « Osservazioni delle comete 1902 d Giacobini e 1903 a Giacobini, fatte all’equatoriale di 38 cm. ». 152. — « La stella nuova (variabile?) in Ge- mini. Le ultime posizioni della cometa 1903 a ». 234. — « Osservazioni dei pianetini LT ed LU Dugan 1903 fatte all’ equatoriale di 39 cm. del R. Osservatorio del Collegio Romano ». 420. Ministero peLLA MARINA. « Relazione sommaria sull’esperimento di radio- telegrafia sintonica eseguito a Spezia fra le stazioni di S. Vito, Palmaria e Livorno n. 389. MorERA. « Sulla trasformazione delle equa- zioni differenziali di Hamilton ». 73; 113; 149; 297. Mosso e Marro. « L'acapnia prodotta nel- l’uomo dalla diminuita pressione baro- metrica». 378; 453. — « Analisi del gas del sangue a diffe- renti pressioni barometriche ». 878; 460. — «Le variazioni che succedono nei gas del sangue sulla vetta del Monte Rosa ». 378; 466. N NiccoLETTI. « Sulle proprietà aritmetiche delle funzioni analitiche ». 3. — 570 — (0) Oppo. « L'impiego di alcune anidridi e cloroanidridi in alcalimetria ». 10; 58. — « Dosaggio volumetrico del rame per mezzo dello xantogerato potassico ». - °° 485. i OrHL. Annunzio della sua morte. 362. P Pacini. « Sulla scarica per effluvio in seno . al gas». 515. Papoa. « Nuove ricerche sulle soluzioni solide e sull’isomorfismo ». 391. — V. Brum. PaLaTINI. « Sulla rappresentazione delle forme ternarie mediante la somma di potenze di forme lineari ». 378. Pascat. « I problemi di riduzione di Pfaff e di Jacobi nel caso del. second’ or- dine ». 31. N — « Introduzione alla teoria delle forme differenziali di ordine qualunque ». 325. — « Sulla costruzione dei simboli a carat- tere invariantivo nella teoria delle forme differenziali di ordine qualun- que ». 367. —. « Una classe di covarianti simultanei di una forma differenziale di ordine qualunque, e di.una alle derivate par- ziali ». 399. PeGLION. « Di una speciale infezione crit- togamica dei semi d'erba medica e di trifoglio ». 270. PicciatIi. « Campo elettromagnetico gene- ‘ rato da:una'carica elettrica in moto circolare uniformè ». 10; 4l. — « Campo elettromagnetico generato dal moto circolare uniforme di una carica elettrica ‘‘parallelamente ad un piano conduttore indefinito ». 147; 185. Pieri. « Uncinaria duodenalis e uncinaria americana ». 148. PirrALUGA. « Sulla presenza e distribu- zione del genere Anopheles in al- cune regioni della penisola Iberica, e suol rapporti col parassita della ma- laria umana ». 454.529. PLANCHER e CATTADORI. « Sull’ossidazione del dimetilpirrolo asimmetrico ». 10. PoucHarn. « Sulle esperienze di sintonia eseguite dalla R. Marina a Spezia». 390. R Ricci. « Sulle superficie geodetiche in una varietà qualunque e in particolare nelle varietà a tre dimensioni ». 377; 409. Riccò « Lavoro della stazione internazio- nale nell’Osservatorio di Catania per la Carta fotografica del Cielo n. 25. —.« Riassunto delle determinazioni di gravità relative fatte nella Sicilia Orientale in Calabria e nelle isole Holie ». 421; 483. RimatorI. « La Galena bismutifera di Ro- sas (Sulcis) e Blende di diverse loca- lità di Sardegna ». 263. Ròri e VoLTERRA. « Relazione su di una Memoria contenuta in un piego sug- gellato presentato nel 1882 dal prof. A. Bartoli ». 257. S SeLLA. « Sensibilità del ferro alle onde .elettriche nell’ isteresi magneto-ela- stica ». 340. Sroges. Annuncio della sua morte e sua Commemorazione. 174. T Tacconi. « Sopra alcuni minerali del gra- nito di Montorfano ». 355. Toparo. Fa omaggio di una pubblicazione dei proff. Marchiafava e Bignami e ne parla. 21. U ULPIANI. « Per la sintesi degli «@-nitro- eteri n. 439. .V VERONESE. « Relazione sul concorso al cl — 571 — premio Reale, del 1901, per la Mate- VoLTERRA. V. Aosti. matica ». 540. VirerBI. « Sull’equilibrio d’un ellissoide W planetario di rivoluzione elastico iso- Wixp. Annunzio della sua morte e sua tropo ». 158; 249; 300. Commemorazione. 179. VoLTERRA. « Commemorazione: del Socio straniero G. G. Stokes ». 174. ——- Z -—- Presenta alcune pubblicazioni dei proff. Gunther e Lebon. 540. ZAmBIASI. « Composizione ottica dei mo- — Troposta relativa ai premi Reali non vimenti vibratorii di tre o più suoni ». conferiti: 548. 48. = — 572 — INDICE PER MATERIE A Asrronomia « Osservazioni delle comete 1902 d Giacobini e 1903 «a Giacobini, fatte all'equatoriale di 38 cm. ». Z. Mil losevich. 152. — «La stella nuova (variabile?) in Ge- mini. Le ultime posizioni della cometa 1903 a ». /d. 234. — Osservazioni dei pianetini LT ed LU Dugan 1903 fatte all’equatoriale di 39 cm. del R. Osservatorio del Colle- gio Romano »n. /d. 420. B BoranIca. « Biologia dei semi di alcune specie d'’Inga ». A. Borz?. 73; 126. — « La nutrizione dell'embrione delle Cucurbita operata per mezzo del tubetto pollinico n. 8. Longo. 359. (Ò, Cuimica. « Sopra i nitropirroli ». A. An- geli e F. Angelico. 317; 344. — « Sopra alcuni derivati della canfora». Id. Id. e V. Castellana. 428. — « Nuove ricerche sulle soluzioni solide e sull’isomorfismo ». G. Bruni e M. Padoa. 348. — « Sulla riduzione elettrolitica delle so- luzioni acide di anidride molibdica e su alcuni composti del tricloruro di mo- libdeno ». A. Chilesotti. 515. — « Azioni chimiche della luce ». G. Cia- mician e P. Silber. 235. — « Sintesi diretta dell'anidride nitrosa ». D. Helbig. 148; 166. — « Nuova sintesi dell'anidride nitrica ». Id. 148; 211. CaHimica. « Intorno all’olivile e la sua composizione e costituzione n. G. Koerner e L. Vanzetti. 73; 122. — « L'impiego di alcune anidridi e cloro- anidridi in alcalimetria ». 8. Oddo. 10; 58. — « Dosaggio volumetrico del rame per mezzo dello xantogenato potassico »n. Id. 435. — « Nuove ricerche sulle soluzioni solide e sull’isomorfismo ». M. Padoa. 391. — « Sull’ossidazione del dimetilpirrolo asimmetrico n. G. Plancher e F. Cat- tadori. 10. — « Per la sintesi degli «-nitro-eteri ». C. Ulpiani. 439. Chimica rFistoLoGIca. « Identità della co- lesterina del latte con quella della bile n. A. Menozzi. 73; 126. Concorsi a premi. Elenchi dei lavori presentati per concorre al premio Reale per l'Astrozomia, a quelli del Mini- stero della P. I. per le Scienze fisi- che e chimiche, e al premio Carpi per la Botanica, pel 1902. 21; 100. — Tema del corcorso al premio Carp? pel 1903-904. 100. — Relazione sul concurso al premio Reale, del 1901, per la Matematica. 540. — Corrispondenza relativa al cambio degli Atti. 23; 101;181; 283; 363; 452. F Fisica. « Sulla produzione dei raggi di forza elettrica a polarizzazione circo- lare od ellittica n. A. Artom. 147; 197. — « Variazione dell’attrito interno dei li- quidi magnetici in campo magnetico ». C. Carpini. 341. — « Intorno ad un nuovo apparecchio per — 973 — la determinazione dell’equivalente mec- canico della caloria e ad alcune mo- dificazioni del calorimetro solare, del dilatometro, deltermometro e dello psi- crometro ». G. Guglielmo. 165; 204. Fisica. « Intorno alla determinazione dello densità e della massa di quantità mi- nime di un solido ». /d. 165; 310. — « Sulla scarica per effluvio in seno ai gas ». D. Pacini. 515. — « Relazione su di una Memoria conte- nuta in un piego suggellato, presen- tato nel 1882 dal prof. A. Bartoli ». A. Roiti e V. Volterra. 257. — « Sensibilità del ferro alle onde elet- triche nell’isteresi magneto-elastica ». A. Sella. 340. — « Composizione ottica dei movimenti vibratorî di tre o più suoni ». G. Zam- biasi. 48. Fisica MATEMATICA. « Sulla legge elemen- tare di Weber relativa alle azioni elet- trodinamiche di due cariche elettriche in movimento ». 7. Boggio. 507. — « Campo elettromagnetico generato da una carica elettrica in moto circolare uniforme ». G. Picciati. 10; 41. — « Campo elettromagnetico generato dal moto circolare uniforme di una carica elettrica parallelamente ad un piano conduttore indefinito ». /d. 147; 185. FisicA TERRESTRE. « Contributo alla storia del magnetismo terrestre ». G. Aga- mennone. 425. — « Misure pireliometriche eseguite a Cor- leto nell’estate del 1898 ». C. Chistoni. 10; 53. — « Misure pireliometriche eseguite a Se- stola e al Monte Cimone nell’estate 1899 ». /d. 258. — « Riassunto delle deternimazioni di gra- vità relative fatte nella Sicilia Orien- tale, in Calabria e nelle isole Eolie ». A. Riccò. 421; 483. FisloLocia. « Di una modificazione macro- scopica del sangue che precede la coa- gulazione ».. V. Ducceschi. 94. — «Sui così detti composti salino-proteici. G. Fano e P. Enriques. 491. — «L’acapnia prodotta nell'uomo dalla RenpICcONTI. 1903, Vol. XII, 1° Sem. diminuita pressione barometrica». Jd. Id. 378; 453. FrstoLoGra. « Analisi del gas del sangue a differenti pressioni barometriche ». A. Mosso e G. Marro. 378; 460. — Le variazioni che succedono nei gas del sangue sulla vetta delMonte Rosa ». Id. Id. 378; 466. ForoGRAFIA DEL cIELO. « Lavoro della Sta- zione internazionale nell’Osservatorio di Catania perla Carta fotografica del Cielo ». A. Ricco. 25. GroLoGia. « Contribuzione allo studio dei Cimini ». L. Fantappiè. 443; 443. — Contribuzione allo studio dei Cimini. II. Sul Peperino. /d. 522. MatemaTICA. «Sulle quadriche coniugate in deformazione ». L.Bianchi. 215. — « Sulla nozione di gruppo complemen tare e di gruppo derivato nella teoria dei gruppi continui di trasformazioni ». Id. 224; 287. — «Sulle condizioni d’integrabilità di un particolare sistema d’equazioni alle de- rivate parziali, e loro applicazione a un problema di geometria». P. Bur- gatti. 140. — «Sulle relazioni algebriche fra le fun- zioni + di una variabile e sul teorema di addizione». A. Capelli. 152; 224. — «Sulle terne ortagonali di congruenze a invarianti costanti». A. Dall’Acqua. 147; 153. — «Sulle corrispondenze algebriche fra due curve ». I. De Franchis. 194; 303. — «Di un gruppo continuo di trasforma- zioni ». G. Frattini. 48; 74. — « Sul problema di Dirichlet nello spazio iperbolico indefinito ». G. Fubini. 158; 195. E— « Ricerche gruppali relative alle equa- zioni della dinamica». /d. 424; 502. — « Sulla trasformazione delle equazioni differenziali di Hamilton ». G. Morera. 79; 1183; 149; 297. 74 — 574 — MareMaTICA. « Sulle proprietà aritmeti- che delle funzioni analitiche ». 0. Nicoletti. 3. — «Sulla rappresentazione delle forme ter- narie mediante la somma di: potenze di forme lineari ». F. Palatini. 378. — «I problemi di riduzione di Pfaff e di Jacobi nel caso del second’ ordine ». E. Pascal. 31. — «Introduzione alla teoria delle forme differenziali di ordine qualunque ». /d. 325. — «Sulla costruzione dei simboli a carat- tere invariantivo nella teoria delle for- me differenziali di ordine qualunque ». Id. 367. — « Una classe di covarianti simultanei di una forma differenziale di ordine qua- lunque, e di.una alle derivate parziali ». Id. 399. — «Sulle superficie geodetiche in una va- rietà. qualunque e in particolare nelle varietà a tre dimensioni». G. Ricci. 377; 409. Meccanica. « Sulle vibrazioni trasversali di una: lamina, che dipendono da due soli parametri ». G. Bisconcini. 385. — «Sul moto di un sistema olonomo di corpi rigidi ». IV. Contarini. 424; 507. — «Moti di un punto libero a caratteri- stiche indipendenti » A. /. Dall'Acqua. 194; 243. — « Traiettorie dinamiche di un punto li- bero, sollecitato da forze conservative ». Id: 249; 332. — «e Sull'equilibrio d’un elissoide planetario di rivoluzione elastico isotropo». A Vi- terbi. 158; 249; 300. MrneraLocIa. « La Galena bismutifera di Rosas (Sulcis) e Blende di diverse lo- calità di Sardegna ». C. Rimatori. 268, — « Sopra alcuni minerali del granito di Montorfano ». E. Tacconi. 355. N NecRoLogIE. Annuncio della morte dei Cor- rispondenti: D'Achiardi. 21, Oehl. 362; del Socio nazionale Cremona. 540; del Socio straniero Gegenbaur. 540; e Commemorazione dei Soci stranieri: Stokes. 174; von Wild. 179. pP PaLeontoLOGIA. Il « Clisiophyllum Thildae n. sp. nel Parà ». G. De Angelis d'Ossat. 443; 515. PaRrAssITOLOGIA. « Studio sui Cytoryctes vaccinae ». A. Foà. 88. — «Ricerche preliminari dirette a preci- sare la causa del gozzo e del creti- nismo endemici ». B. Grassi e L. Mu- naron. £77. ParoLoGia. « Chiluria da filaria san- guinis hominis nocturnain Eu- ropa ». D. Biondi. 588. — « Sulla eziologia e patogenesi della peste rossa delle anguille ». F. Zn- ghilleri. 13. — « I discendenti dei genitori tubercolo- tici (Polli) ». A. Maffucci. 421. ParoLoGIA VEGETALE. « Sulla Botritis citricola n. sp. parassita degli agru- mi ». U. Brizi. 274; 318. — «Di una speciale infezione. crittoga- mica dei semi d’erba medica e di tri- foglio ». V. Peglion. 270. Prego. suecELLATO. Apertura, di un piego suggellato inviato dal prof. A. Bartoli. 100. Premi ReaALT. Deliberazione dell'Accademia relativa ai premi Reali non conferiti. 548. R RADIOTELEGRAFIA. « Comunicazione ver- bale sulle esperienze riguardanti la sintonia e gli impianti ultrapotenti per la telegrafia senza fili ». G. Mar- coni. 363. — « Relazione sommaria del Ministero della Marina, sull’esperimento di ra- diotelegrafia sintonica eseguito a Spe- zia fra le stazioni di S. Vito, Palma- ria e Livorno n. 389. — « Sulle esperienze di sintonia eseguite dalla R. Marina a Spezia »n. A. Pou- chain. 390. VARI pad — 575 — ZooLocia. « Sulla presenza e distribuzione del genere Anopheles in alcune regioni della penisola Iberica, e sui Z ZooLogia. « Sull’adattamento degli Infu- sorii marini alla vita nell’acqua dolce ». rapporti col parassita della malaria P. Enriques. 82. umana ». G. Pittaluga. 451; 529. — « Uncinaria duodenalis e uncinaria ame- — « Sulla coniugazione delle amebe ». ricana ». G. Pieri. 148. M. Traube Mengarini. 274. ERRATA-CORRIGE A pag. 55 il primo periodo: « In questa formola 0, ecc. » deve seguire l’ultima formola a piè di pagina. 4 » » 801 lin. 2 invece di 144=3 legg. Landi 2 2 n n 302lin 2 n di L= —0,0825 legg. i —0,0068 1 vi SURI ci AN vieni Lay! at Dik PFRESiR i ah inoigor i tane Rn A s0t erat sk po dii ia Serio 20 — ReNDICONTI Vol. T VI. (A dir af SIG R' Accadugiia dci Lincei ‘Serie 1° — Atti i izionia pontifici dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 98 — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. IL (375, 76). Parte. sl TRANSUNTI. Di MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. i =» MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. VEDIEEAVATO: VOL pw Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VII. (1876- iL MEMORIE della: Classe. di scienze fisiche. matematiche e naturali. i Vol. I. (1, 2). —IL (1, 2). — II-XIX. | MemorIE della Classe. di scienze. i storiche e filologiche. Vol. I-XII. i MEMORIE della Classe. di scienze fisiche, | matematiche. e naturali. SI Vol. I-VII. Ha 9 MEMORIE della. Classe. di scienze. morali , ci storiche € IO Vele dl, Serio se — RENDICONTI della adi setenze 5% fisiche, , SO e noturali. Vol. XII. (1892- 1908) 1° Sem. Fase. 12°. . RENDICONTI della Classe i scienze morali, storiche e flologiche. Vol... I-X. (18923 1908). Fasc. 39-40. — Memorie della Classe. di sczenge fisiche, matematiche. e naturali. SAS RE T] Vol. III | MEMORIE della OJusso hero morali, storiche e flologiche. Vol. I-VII. gu soa) î e CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI . DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI J Bendicigi della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, COrrionato Seti ‘ognuno ad un semestre. nigi Il. prezzo di. associazione per ogni volume e per tutta r Italia di L. 19; per gli. altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono, ‘esclusivamente dai’ seguenti editori-librai : Ermanno Loescher & cu ° — Roma, Torino e Firenze. — Urrico Horpui. — Milano, Pisa e Napoli. LI RENDICONTI — Giugno 1903. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 giugno 1903. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Mosso e Marro. L’acapnia prodotta nell'uomo dalla diminuita pressione barometrica i Pag. * Id. id. Analisi dei gas del sangue a differenti pressioni barometriche Id. id. Le variazioni che succedono nei gas del sangue sulla vetta del monte hi we Grassi e Munaron. Ricerche preliminari dirette a precisare la causa del gozzo e del creti- nismo endemici. , . ; i pn Riccò. Riassunto delle gii in arto di 2. din fatte cO1o Sicilia Orientali în Ca- labria e nelle isole Eolie . 1 UTRSVRORAO Fano ed Enriques. Sui così detti SEI da. UE ge Fubini. Ricerche gruppali relative alle equazioni della dinamica Cei dal Socio Buio » Boggio. Sulla legge elementare di Weber relativa alle azioni elettrodinamiche di due cariche elettriche in movimento (pres. dal Corrisp. Ricca) (#) . LL... . fetali RISANA? Contarini. Sul moto d’un sistema olonomo di corpi rigidi (pres. dal Socio Tolerali a Pacini. Sulla scarica per effluvio in seno ai gas (pres. dal Socio Blaserza) (®) . .. . » Chilesotti. Sulla riduzione elettrolitica delle soluzioni acide di anidride molibdica e su alcuni composti del trirocloruro di molibdeno (pres. dal Socio Cannizzaro) (#) . . b ” De Angelis d’Ossat. JI Clisiophyllum Thildae n. sp. nel Parà (pres. dal ‘sona Rab COGI MISA Me. BIG O i Pantappiè. Contribuzioni nto Mr, dei Cimini. IL. Sul Peacità (pres. dal Socio Struever) » Pittaluga. Sulla presenza e distribuzione del genere Anopheles in alcune regioni della peni- sola Iberica, e suoi rapporti col parassita della malaria umana (pres. dal Socio Grasst) . » Biondi. Chiluria da filaria sanguinis hominis nocturna in Europa (pres. dal Socio Todaro) Se gog rn a i) PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Vicepresidente). Dà annuncio della morte del Socio nazionale Luigi Cremona e del Socio straniero Carlo Gegenbaur, e commemora brevemente gli estinti. . . . . +.» PRESENTAZIONE DI LIBRI 13 Volterra. Fa omaggio di alcune pubblicazioni dei proff. Ginther e Lebon e ne discorre, _», COMITATO SEGRETO Relazione sul concorso al premio Reale, del 1901, per la Matematica (Veronese rel.) + hi Deliberazione dell'Accademia relativa ai premi Reali non conferiti. . ... . . « 30) Ir BULLETTINO BIBLIOGRAFICO » . + (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. VIIBPAOIE. r5oe” (i MI se Gt EE SIL x bi v TRI LE b | eee TARANTA NEDANET I e RAI n rino RETI IRR A ra eroe n rt n a ne acini ETRE LITRI i 7 Aris A n i) ALU LI 39088 013 SMITHSONIAN INSTITUT | I